Red Lemon

di ellephedre
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Rei/Yuichiro I ***
Capitolo 2: *** Usagi/Mamoru I ***
Capitolo 3: *** Ami/Alexander I ***
Capitolo 4: *** Rei/Yuichiro II ***
Capitolo 5: *** Usagi/Mamoru II ***
Capitolo 6: *** Rei/Yuichiro III ***
Capitolo 7: *** Ami/Alexander II ***
Capitolo 8: *** Usagi/Mamoru III ***



Capitolo 1
*** Rei/Yuichiro I ***


Red Lemon

Red Lemon

 

Autore: ellephedre
 

Disclaimer: i personaggi di Sailor Moon non mi appartengono. I relativi diritti sono di proprietà di Naoko Takeuchi e della Toei Animation.

1 - Rei/Yuichiro I

Seguito della scena Rei/Yuichiro nel capitolo 12 di 'Verso l'alba'

«Hmm...»

Non aveva mai emesso suono più soddisfatto.

Espirò piano, rilassando la schiena inarcata fino a riappoggiarla sul futon, sentendosi meravigliosamente spossata, incredibilmente viva.

Vitale era il suo respiro ancora irregolare, il calore del peso premuto contro il suo torso, la gamba abbracciata a quella di lui e la mano che era risalita a massaggiargli una spalla. Addirittura vibrante era il soffio caldo sotto l'orecchio, sulla sua pelle appena umida, ancora in grado di farle ricordare l'ultimo degli spasmi che le avevano fatto aprire la bocca in un muto lamento di piacere. O forse era rimasta in silenzio solo metà delle volte.

Ora sapeva che il bollore, nato e cresciuto dove continuava la migliore delle unioni, si era espanso dentro di lei fino a toccare la punta di ogni suo singolo dito, spingendola a dissolversi in un mondo paradisiaco di pura freschezza dei sensi. Certo, poteva essere il freddo generato dalla mancanza di coperte a creare l'effetto, ma per lei era fresco e gradito anche il calore che persisteva, intenso, sopra il suo corpo e dentro il suo corpo.

Avrebbe potuto vivere per sempre in quel modo, preda di contrastanti temperature, una cosa unica e sola con l'amore della sua vita.

Il romanticume della smanceria mentale la fece sorridere, ma non come il bacio che arrivò sulla sua guancia.

Usò le mani per incorniciare il volto di Yuichiro. Si riempì di un sorriso pigro, di un sussurro ricco di sensazioni. «Perché le mordevi tanto?» Sollevò la testa, di quel tanto che bastava a posare un bacio leggero sulle labbra di lui, più scure proprio a causa del tormento subito. Colpita da un nuovo brivido, vi indugiò più di quanto avesse voluto, ma Yuichiro ricambiò.

«Per farmi un po' male.» Parole soffiate contro la bocca ancora sensibile. «Per distrarmi.»

Distrarsi? «Da me?»

Lui scosse piano la testa. «Da questo.» Premette in avanti le anche.

Rei trasformò il respiro mozzato in un sorriso ma Yuichiro non fece in tempo a imitarla: spalancò gli occhi di colpo, infilando una mano tra di loro e scostandosi rapidamente.

Rei si sollevò sui gomiti. «Cosa c'è?»

«Questo.» Le mani di lui trafficarono con la protezione che aveva usato, sfilandola. «Avrei dovuto farlo subito.»

«Bisogna farlo subito?»

Lo osservò mentre si dirigeva verso il cestino all'angolo della stanza.

«Sì, altrimenti...» Prima di tornare indietro, lui rimase a guardare la propria mano. «Non ti ho fatto male, vero?»

«No» sbuffò lei. Quante volte doveva ripeterlo?

Yuichiro si sfregò le dita preoccupato, poi si diresse verso la scrivania. Nel momento in cui iniziò a usare un fazzoletto, Rei comprese il problema; saltò in ginocchio e fissò il punto del futon su cui si era sdraiata. Le scappò una smorfia.

Lui tornò indietro. «Non è niente.»

Non era quello il problema. «Diventerà qualcosa se rimango sdraiata.» Gonfiò le guance per contenere lo sbuffo. «Che noia!» Si allungò a prendere i vestiti dal pavimento. 

Yuichiro fu cauto. «Cosa?»

Lei si buttò addosso la felpa. «Dovermi alzare adesso!» Avrebbe voluto riposare beata! Tornò in piedi e cercò la gonna a pieghe, trovandola alle sue spalle.

Per solidarietà, Yuichiro iniziò a sua volta a raccattare i propri indumenti.

«No, tu sta' qui.» Rei allacciò la gonna. «Vado in bagno e torno.» Finì di dirlo e rimase a guardare il futon non più immacolatamente bianco. Sospirò, scocciata e quasi depressa.

«Lo cambio.» Yuichiro sorrideva, con l'ovvio intento di consolarla. «Ne ho un altro.»

«Va bene» disse lei, aggrottando la fronte. Uscì a passi pesanti nel corridoio.

Certo che era davvero una noia! Come si poteva essere costretti a pensare a cose tanto materiali in momenti come quello? Fino a poco prima aveva ignorato il mondo intero, proprio come doveva essere e ora... Roteò gli occhi al cielo. Uffa. Era stata così bene sotto le coperte, al caldo. Invece ora era fuori a congelarsi le gambe nude.

«Aspetta.»

Si girò e trattenne una risata. Senza l'hakama, la tunica era un capo di vestiario piuttosto ridicolo. Yuichiro la teneva unita con una mano sul fianco. La raggiunse in quello stato. «L'ho già trovato.»

«Cosa?»

«L'altro futon.» 

Lei emise un sospiro sconsolato. «Non è quello il problema. Mi ha dato fastidio doverci interrompere.»

Attese di sentirlo concordare con lei, ma non udì altro che silenzio. Cercò il suo sguardo e trovò un'espressione dubbiosa.

«... ci siamo interrotti?»

Rei rese gli occhi sottili. «Stupido.»

Lui si irrigidì. «Scusa.»

«Non sai neanche per cosa ti stai scusando!»

«Per averti fatta arrabbiare.»

Lei serrò gli occhi. No, non voleva arrabbiarsi adesso. «Vado in bagno.»

Fu trattenuta per un polso. «Mi dispiace.»

Lui ancora non aveva capito niente e forse fu per quello che il suo pentimento le sembrò particolarmente onesto. «Sei fortunato solo perché sono ancora di buon umore.» E perché lo doveva a lui.

Lo circondò con le braccia, premendosi felicemente contro la sua tunica slacciata. Si ritrovò a desiderare di non avere addosso la felpa. «Dammi un bel bacio e ti perdono.»

Con le labbra piegate all'insù, lui unì la bocca alla sua.

Il bacio fu lento, languido. Tenero, tutto quello che lei avrebbe voluto nella pace dei sensi di poco prima, loro due stanchi e ancora uniti, a riposare insieme sotto un'unica coperta.

Lo perdonò completamente, ma proprio perciò lo bloccò appena tentò di allontanarsi da lei. «Pensavo più a un bacio come quelli... di prima.» Tirandolo giù per il collo, iniziò a dimostrare cosa intendeva.

A Yuichiro tornò l'acume adoperato con grande ingegno nella sua stanza, sul futon. Nel bagno, qualche giorno addietro. Sul letto di lei, coi vestiti ancora indosso. Le infilò la mano sotto la felpa e non perse tempo a toccarla esattamente dove le serviva.

Rei mordicchiò le sue labbra, le leccò. «Sembra quasi troppo facile.»

«Che cosa?» Lui fece andare il pollice avanti e indietro sullo stesso giustissimo punto, sfiorandola di proposito con l'unghia.

Lei serrò gli occhi, mangiandosi un gemito. «Sai da quanto volevo che lo facessi?» Lui aveva una minima idea di quanto le fossero sembrati lunghi i mesi trascorsi a desiderare che le sue mani la toccassero dappertutto?

«Da agosto.» Yuichiro si fermò e sorrise trionfante.

«Dalle vacanze?»

Lui annuì. «Da quella volta sulla spiaggia. Ho immaginato tante volte di poterla continuare.»

Rei fece entrare una mano dentro la sua tunica aperta. Passò le dita sulla sua schiena. «Anche io, però... no. Lo volevo da prima.» Per quanto fosse stato quell'episodio ad amplificare l'intensità del suo bisogno.

Stringendola forte per la vita, a diretto contatto con la sua pelle, Yuichiro riprese il bacio e la carezza. «Dall'inizio?»

Non proprio, ma l'ombra del pentimento che aveva agognato di sentire quasi la convinse a dire di sì. La verità era un'arma migliore. «Avrebbe potuto succedere dall'inizio. Non avrei detto di no.» O un rifiuto si sarebbe trasformato in un assenso nel giro di un'ora al massimo.

Yuichiro rilasciò un lamento. Abbandonò la sua bocca solo per andare a tormentarle la mascella. Vicino all'orecchio le premette i denti sulla pelle, vorace.

Rei si morse le labbra. «Anche prima.»

«Cosa?»

Le scappò un sorriso. «Solo in un momento di assoluta pazzia, però...» Prese il suo viso tra le mani: voleva vedere la reazione di lui fin nella più piccola sfumatura. «Una notte ho fatto questo strano sogno. Un anno fa, più o meno, in estate. C'ero io che dormivo nel mio letto e mi svegliavo perché qualcuno era con me e mi stava... toccando. Sotto il pigiama. Non sapevo chi, non m'importava.»

Yuichiro aggrottò la fronte in un'espressione talmente gelosa da strapparle una breve risata.

«Su, era un sogno. Continuava con lui che mi accarezzava dove non avrei fatto mettere le mani a nessuno. Forse per questo era così... eccitante.» Un sogno erotico in piena regola, che lei non aveva né cercato né voluto, giunto dal nulla.

Lo aveva capito anche Yu, ma continuò ad ascoltarla ritroso. Non era certo di voler sentire la storia fino alla fine.

Lei era talmente sicura che la conclusione gli sarebbe piaciuta che decise apposta di accentuare la piccola tortura. «Sai, l'ho lasciato fare. Anche quando si è messo sopra di me: volevo che continuasse. Persino nel sogno trovavo incredibile che stesse per succedere sul serio.» Prima di allora non si era mai addentrata con tanto dettaglio nell'esperienza del sesso o, quantomeno, nelle sensazioni che avrebbe potuto provare nel mentre; nel sogno erano state oniricamente impalpabili e, proprio perciò, particolarmente intense.

Yuichiro strinse la labbra tra loro. «Vuoi dire che il giorno dopo sarebbe stato facile avvicinarti?»

«No. Voglio dire che quando lui ha... iniziato, è stato fantastico.»

Il braccio che la teneva per la vita s'irrigidì con chiara impazienza.

Il divertimento di lei crebbe di un altro grammo. «Così tanto che finalmente ho voluto vederlo in faccia e... be', eri tu.»

Yuichiro perse ogni tensione. «Come?» Il sorriso crebbe fino a prendergli metà faccia.

«Io non ridevo. Mi sono svegliata di colpo, con un'incredibile voglia di prendere a schiaffi prima me e poi te. Ma te più forte.» Infatti il giorno seguente lo aveva trattato talmente male da farlo scappare dal tempio prima dell'ora di pranzo.

In quel momento invece lo colpì al petto con l'indice. «Non gonfiarti troppo. Avrò scelto te perché mi stavi sempre intorno e non mi dispiacevi.» Se l'era spiegato in quel modo per tantissimo tempo e, oggi come allora, era ancora convinta che fosse la verità, salvo una piccola parte che nascondeva un'altra spiegazione. Un anno addietro per lei era stata insignificante, ma adesso quella ragione che non aveva voluto vedere era diventata la sua realtà.

Yuichiro aveva ancora l'espressione di uno che aveva scalato l'Everest. «È successo una volta sola?»

«Be'...»

Lui nascose una risata contro il suo collo, riprendendo a stuzzicarla su quel punto ma soprattutto sotto la felpa.

Rei spezzò un sospiro. «Un'altra volta solamente. E non siamo andati tanto in là.»

«Ma ci andremo dopo. Di nuovo.»

Quella sì che era una buona idea.

Si librò un'aria un gorgoglio di protesta.

Yuichiro si staccò da lei, ma si beccò lo stesso una spinta giocosa.

«Tu e il tuo stomaco!»

Lui si massaggiò la nuca, colpevole. «Ho fame.»

In fondo anche lei era un po' affamata. «Allora vai a servirci da mangiare.»

«Agli ordini!» Yuichiro portò la sua allegria oltre l'angolo del corridoio.

Serena, lei si diresse con calma verso il bagno.

Dopo mangiato, si sentiva una Rei nuova.

Sistemò nel lavello le ciotole sporche e tornò in salotto, stiracchiandosi sulla soglia. Strofinò un polpaccio nudo con l'altra gamba: aveva indossato gli slip ma le calze le erano sembrate superflue. «Dormiamo nel mio letto stanotte. Anche se è stretto, è più comodo.»

«Va bene.» Yuichiro si era sdraiato, la schiena contro il pavimento e le braccia dietro la testa. Per lui quella era la posizione del relax. Aveva legato senza troppa attenzione la tunica al petto e si era rimesso i pantaloni.

Lei andò a sedersi accanto a lui, le gambe incrociate. Con dita leggere, giocherellò con la frangia disordinata sulla sua fronte. «Davvero non trovi scomodo il tuo futon?»

Lui chiuse le palpebre, sereno. «No. Però se vuoi posso comprarne uno più imbottito.»

Sarebbe stata una mossa sfacciata. «Il nonno troverebbe sospetto vedertelo cambiare all'improvviso.» Il pensiero della reazione la fece sorridere.

Yuichiro annuì, divertito quanto lei ma per fortuna non più tanto preoccupato di fronte a quell'eventualità. «Forse sì» le disse.

Rei si sporse sopra di lui, facendogli ombra. «Come pensi di fare quando tornerà?» Naturalmente avrebbero dovuto usare maggiore discrezione, ma sperava di evitare momenti di frustrazione come quelli dei giorni precedenti. Anzi, voleva assicurarsene già ora.

Pensieroso, Yuichiro sollevò entrambe le sopracciglia. «I pomeriggi?»

La domanda di lei era stata più ampia, ma la mente di lui si era chiusa su un'unica questione. Sin da prima, sorrise.

«Cos'ho detto?»

«Niente.» Si sdraiò accanto a lui e per comodità sollevò le gambe, sistemandole sopra il tavolo basso.

Osservò il soffitto. «È un peccato non poter dormire sempre insieme.» Come aveva scoperto solo da poco, potersi addormentare stretta a lui era particolarmente riposante per lei, nonostante la durezza del pavimento sotto il futon. Forse voleva troppo dalla vita, ma doversi limitare in desideri tanto naturali le sembrava insensato.

La vera insensatezza, si rese conto, stava nel non voler tener conto del resto del mondo.

Yuichiro si girò su un fianco, circondandole lo stomaco con un braccio. «Abbiamo questi giorni.»

Questo sì.

«E poi una vita intera.»

Anche quello sì.

Eppure, riuscire a pensare con tanta tranquillità a quanto mancava perché quel giorno arrivasse... «Certo che ne hai di pazienza.» Ma di che si stupiva? Lui era campione nell'attendere.

Yuichiro abbassò la fronte sulla sua, gli occhi chiusi. «Fino ad ora pazientare mi ha portato le cose migliori.»

Lei, loro. Sì. Il meglio.

Nelle narici le entrò l'odore del viso di lui: non aveva mai tentato di paragonare quell'essenza a niente, poiché nulla le faceva provare l'impulso di strofinare il naso e... aspirare; chiudere gli occhi e aspirare, felice solamente di poterlo fare.

Gli sfiorò il naso col proprio. «Perché hai aspettato?» Persino in assenza di promesse, di speranze.

No, le cose non erano andate proprio così. «È vero che all'inizio ti avevo fatto capire che c'era... qualcosa. Ma dopo no. Non più.» Per niente, o quasi. «Perché hai continuato ad aspettare?»

A lui bastò una breve riflessione. «Pensavo di essere quello giusto.»

Lei inclinò la testa.

«Sentivo che... Vedevo che con me stavi bene, Rei. Quando parlavamo. Quando non dicevamo niente. Tu eri quella giusta perché ti capivo. Sentivo di comprenderti e di sapere quello che provavi, sempre. Non quello che sentivi per me, ma tutto il resto... sì. Ho aspettato perché...» Le liberò la fronte dai capelli. «Mi cercavi. Per dirmi com'era andata la tua giornata, per chiedermi com'era andata la mia. Non era niente di importante, però eri contenta di poterlo fare, di avermi con te. Ti rendevo felice. Continuavo ad aspettare perché pensavo che nessun altro ti avrebbe reso così felice e... be', era più realtà che fantasia, ma io la trattavo come una fantasia irraggiungibile.»

Rei gli accarezzò la guancia. «Non è più una fantasia.»

«No.» Sereno, lui tornò ad appoggiarsi sul fianco, usando un braccio per portarla con sé. «Poi... c'era un'altra cosa. Volevo essere quello che ti avrebbe convinto.»

Convinto? «Di cosa?»

«Volevo convincerti che non dovevi fare niente per farti amare, che potevi fare tutto il contrario: sgridarmi, arrabbiarti o ignorarmi e io non ti avrei mai trattata nello stesso modo.»

Poche parole che le aprirono un mondo di chiarezza. Ricordando, sospirò. «Mi faceva male quando ti arrabbiavi con me, anche solo un poco e... ti allontanavi.» Piuttosto che farlo notare a qualcuno, se stessa compresa, a quel tempo avrebbe preferito la morte. Non si era detta che era stata lei a provocare una qualsiasi reazione di fastidio in Yuichiro, aveva sempre dato la colpa a lui: la colpa di averle dimostrato che era in grado di non tenere più a lei, anche di pochissimo, proprio come lei aveva sempre sospettato... temuto. Però...

Modellò la mano su un lato del suo viso. «Era... assurdo accontentarti di sacrificarti in quel modo.»

«Già. Non andava bene, per questo verso la fine avevo iniziato a deprimermi.»

Da lì era nata la rabbia del momento del loro quasi saluto, quello che avrebbe potuto separarli per sempre e farle più male di quanto avesse potuto immaginare. Il pensiero di rimanere da sola - perché le era sembrato di rimanere da sola - era diventato un focolaio di tristezza che si era nascosta con coraggio, pronta ad affrontare la partenza di lui, a rispettare ciò che aveva deciso per il futuro che gli apparteneva.

Yuichiro non aveva spostato lo sguardo da lei. Più che un sorriso, le sue labbra increspate le ricordarono una lontana amarezza. «Tu avevi iniziato a uscire con altri e io avevo cominciato a sentirmi tradito, anche se non ti avevo mai chiesto nulla.»

«Basta.» Lo baciò. «Non dovevi sentirti così, perché qui» gli prese una mano e se la portò sul petto, premendola, «qui c'era posto solo per te. Quando sono stata tanto stupida da provare a farci entrare qualcun altro, non ha funzionato.» Amava molte persone, ma era innamorata di una sola di loro.

A lui spuntò in volto quel misto di sorpresa e assoluta gioia nato solo in pochi altri momenti. Quello stessa sera ad esempio, dopo che lei gli aveva detto...

"Quando non sei con me, mi ricordo di quello che fai o dici e penso... 'quanto lo amo'."

Yuichiro accoglieva frasi come quella come se fossero una continua rivelazione, un dono.

In realtà l'unico regalo lo aveva ricevuto lei, per la fortuna di avere lui nella sua vita.

Ogni frase melensa, romantica e sdolcinata che avesse mai immaginato smise di avere una minima qualità negativa: le sentì sulle labbra come fossero parte di lei. «Sarà vero per sempre.» Catturò la sua bocca, immergendosi in loro due, staccandosi solo un momento. «Ti amo, ti amerò sempre.» Infilò le mani dentro la sua tunica, scostandola di forza, per toccarlo e sentirlo sotto le mani e le dita, caldo e vero e lì, . «Non smetterò mai ed ero felice solo perché c'eri tu-» Non riuscì più a parlare, la bocca intrappolata, consumata d'amore.

Mi fido e non voglio che mi provi più niente.

Lo schiacciò contro il pavimento, sotto di sé, mentre le braccia di lui coprivano per intero la sua schiena nuda, sfilandole poi di fretta la felpa da sopra la testa.

Lei affondò i fianchi contro il suo bacino e gli ricadde sopra, i seni contro il suo petto, i seni nelle sue mani, l'ansito nella sua bocca e di nuovo i fianchi premuti forte verso il basso, contro di lui.

Ti appartengo e tu sei mio.

Tenendola salda, Yuichiro fece scattare le anche verso l'alto. Non le abbassò più, usò le mani aperte per muoverla contro di lui, la presa salda sui suoi fianchi. Rei usò il proprio peso per sfregare più forte e meglio e di più, ancora. Prigioniera delle sensazioni, gli passò una mano su e giù per lo stomaco teso. Le sue dita, rese esperte dal bisogno, lo graffiarono appena, si diressero di sotto, a slacciare un dannato bottone - o per caso era più semplice abbassare la cerniera?

Con un colpo di reni, Yuichiro girò entrambi di lato. Trafficò da solo, ancora sdraiato su un fianco, fino a che non scattò in ginocchio per levare l'impaccio dei pantaloni. Sembrò sul punto di abbassarli solo a metà coscia quando d'improvviso la vide lavorare alla propria gonna; usò quell'attimo per sedersi e liberare completamente le gambe.

Si scontrarono a metà strada, ma a Rei sfuggì la volontà di lottare e si abbandonò all'indietro. Lo catturò per la vita con una gamba, massaggiò la parte bassa della sua schiena, sul centro, scese di poco e aprì il palmo su ciò che era completamente suo.

Lui si spinse contro le sue gambe, e se non fosse stato per la stoffa sottile degli slip- Non ci fu più, ci furono le sue dita, dentro, che la trovarono pronta, ardente e stretta, tanto stretta perché due sole bastarono a farla sentire così-

Tolsero insieme l'impedimento degli slip, le gambe di lei prime sollevate in alto, quindi piegate e poi aperte.

Si afferrarono l'un l'altro con le braccia, si tennero stretti. Con un affondo si completarono.

Rei abbandonò la testa all'indietro, il respiro perso, il bassoventre in fiamme. Era così diverso da prima, tanto più spontaneo, il contatto tra loro finalmente diretto, senza alcun ostacolo a-

Si irrigidì come una tavola. Iniziò a dimenarsi, acquisendo rapidamente convinzione.

Yuichiro si sollevò sulle braccia tese, allarmato. «Cosa?»

Lei gli piantò i palmi sul petto. «Togliti!» Tentò di scivolare all'indietro, ma ci riuscì solo quando fu lui a spostarsi.

Yuichiro rimase a fissarla, il respiro veloce e gli occhi sgranati.

«No, non-» Col fiato corto, lei agitò una mano tra loro. «Non stavamo usando-» Chiuse la bocca aperta, inspirando un'ultima volta. «Niente.» Che idiota!

Lui si raggelò. Come attraversato da una scossa, scosse convulsamente la testa. «Mi dispiace! Non ci ho pensato, veramente!» Inorridì. «Non l'ho fatto apposta!»

«Finiscila, lo so!» Rei si premette le mani sugli occhi, piegandosi in avanti e rannicchiandosi nel tentativo di fermare il tremolio che partiva in mezzo alle gambe. Era quasi doloroso. «Che frustrazione!» Sbatté un pugno sul pavimento.

Yuichiro si lasciò sfuggire una risata stentata. 

«Cos'hai da ridere?!»

Lui si allungò ad afferrarle un polso. «Niente, corriamo. Di là.» Si alzò in piedi, senza lasciarla andare.

Rei si ostinò a rimanere seduta. «Ora sì che ci siamo interrotti! Non sarà la stessa cosa!» Lei rivoleva il momento di prima, dannazione!

Lui sorrise apertamente. Indietreggiò piano, quasi trascinandola. «Sarà meglio, vedrai. Per te subito, prometto. Devi solo alzarti.»

La stava prendendo per stupida? «Dovremo ricominciare daccapo!» Si alzò, riprendendosi il braccio con uno strattone. «Non sarà come qui.» E lì era stato perfetto, senza inibizioni e pensieri, puro bisogno e amore. «Cavolo» sbuffò sconsolata. Gli girò attorno e uscì mestamente nel corridoio.

Yuichiro le camminò davanti, i lembi della tunica aperta che gli svolazzavano intorno. «In ogni caso vinci tu, non vedi? Potrai dimostrarmi che hai ragione, ma se lo dimostrerò io sarai più contenta.»

«Come fai a essere così allegro?» Non sentiva anche lui il dolore fisico dell'interruzione? A guardarlo pareva di no. 

«Facile.» Yuichiro accelerò il passo. «Tempo un minuto e riprendiamo da dove ci eravamo fermati!» Sparì oltre l'angolo del corridoio, quasi di corsa.

Tra la risata e l'esasperazione Rei scelse una via di mezzo. Avanzando si sfregò le braccia con le mani, tentando di proteggere il corpo nudo dal freddo del corridoio. A pochi metri dalla stanza di lui pregò che Yuichiro avesse ragione, perché lei aveva un'insaziabile necessità di una singola volta dove non ci fosse una sola interruzione - né prima, né dopo, e di certo non durante.

Oltrepassò la porta della camera, trovandosi davanti la luce spenta e il futon vuoto. Girò la testa di lato e sussultò, placcata di sorpresa. «Ah-!»

«Presa!» Yuichiro la afferrò per la vita e non fece nulla per fermare lo slancio.

Ricaddero entrambi sul futon, su un fianco. A lei uscì l'aria dal corpo.

Appena ritrovò il respiro, lei riuscì solo a ridere. «Quanto sei stupido!»

Anche lui era scosso dalle risa. «Sì.» Le lasciò scivolare la coda bassa dalle spalle e si avvicinò. «Stupido per sempre» sussurrò, prima di serrarle le labbra con le sue.

Rei si dondolò contro di lui, pervasa più dall'affetto che dall'eccitazione. Ugualmente, non si stupì di non sentirsi più scontenta.

Si sentì prendere una mano, piano. Lentamente, Yuichiro se l'appoggiò sul petto. «Anche qui ci sei solo tu.»

Fu dolce il calore che iniziò a riversarsi dentro di lei. La portò ad accarezzare la pelle sotto le sue dita col solo tocco dei polpastrelli.

«Da tanti anni e per tanti anni ancora.»

Anche nella penombra riusciva a vedere che Yuichiro stava cercando altre parole. La luce fioca si rifletté su una sua piccola scrollata di spalle, sui denti scoperti da un sorriso. «Sono solo contento che mi ami anche tu. Mi sento lo stupido più fortunato dell'universo.»

Macché stupido, sorrise lei. Aveva ricostruito l'atmosfera di prima. «Voglio farti sentire ancora più fortunato.» Sfregò una gamba contro la sua.

«Sì.» Lui le accarezzò la schiena, dal collo fino alle natiche, creando una scia di brividi. «Però devo dirti che non aspetterò per questo.»

Ma certo che no. «Non aspettare.»

«No, non ora. Sempre. Il resto, parole e gesti, li aspetterò per sempre. Voglio aspettarli, ma questo no.»

Rei non comprese del tutto, ma sentì il sangue scaldarsi.

«Di questo ho bisogno.» Yuichiro la fece ricadere sulla schiena, con tanta naturalezza da farle pensare di averlo deciso da sola. Ma fu una totale sorpresa, un rapido e felicissimo trauma, sentirlo entrare dentro di lei fino in fondo e senza pause, quasi fosse semplicemente tornato al proprio posto. L'unione non fu più diretta, ma per lei fu difficile rendersene conto. Ansimò e appoggiò un lungo bacio sulla mascella di lui.

Alle parole di Yuichiro mancò l'equilibrio, il respiro. «Che idiota ad aspettare.» Nascose il viso nei suoi capelli e non si allontanò, si limitò a spingere piano, a premere.

Rei sentì ogni muscolo vibrare, tendersi e agognare. Fissò le piante dei piedi sul futon, tentando di trovare un appoggio per- Essere preceduta di nuovo fu favoloso.

Per errore un bacio di lui le arrivò sul naso. «Questo è vivere.» Sulla bocca. «Quando prendo te, prendo noi.»

Rei non desiderò altro che appropriarsi di quello che creavano insieme, sensazioni a cui non furono più necessarie parole.

Abbandonando la testa di lato, si torturò il labbro inferiore, trovando un ritmo lento e intenso per le proprie anche che si sollevano, ogni movimento un'esplosione controllata dei sensi. Le deviazioni improvvise dall'ordine le causavano scosse interne di tale potenza da spingerla a creare sorprese proprie.

Giocarono uniti e giocarono bene, così meravigliosamente che per lunghi istanti lei si ritrovò a ridosso di quell'orlo che prima aveva sfiorato. Non andò avanti, ma soprattutto non tornò indietro e la tensione pronta a sciogliersi, stretta e rovente dentro il suo corpo, rimase lì, a permetterle di godersi il massimo piacere possibile a mente ancora lucida. Yuichiro tentò di farla saltare oltre, ma lei si affezionò talmente a quel momento da aggrapparvisi inconsciamente: era fantastico poter assorbire e gustare anche la più forte e intensa delle ondate, sapendo che ci voleva un niente per andare più in là. Ma ancora no, non ancora.

Yuichiro le soffiò sugli occhi una domanda incerta. «Va bene?» Non smise di premere contro il suo corpo.

Muta, lei si limitò ad annuire velocemente, persistendo nel sollevare i fianchi contro i suoi.

Lui si fermò all'improvviso, alzandosi sulle braccia e allungandosi di fianco.

Rei gli artigliò la schiena. «Nonono...» Basta interruzioni, basta per favore.

«Un attimo.» Ansimava anche lui, il fiato corto e il respiro difficoltoso. Le trascinò qualcosa prima accanto e poi sotto il bacino, cercando di sistemarlo sotto le sue natiche.

«Che cosa-?» Col solo scopo di riprendere subito Rei lo aiutò a farle sollevare i fianchi sopra il voluminoso cuscino, ma quando vi si appoggiò trovò scomoda la nuova posizione, il baricentro del suo corpo sbilanciato. «No» si lamentò, mentre lui tornava a modellarsi sopra di lei.

«No?» si sentì chiedere, proprio quando i vantaggi della nuova angolazione divennero chiari.

Non gli rispose a parole; puntò le dita dei piedi sul futon e tirò su il ventre. Il piacere acuto e infinito uscì nel gemito di un'unica sillaba. Sentendosi precipitare, si afferrò al corpo sopra il suo con entrambe le braccia.

Con un disperato ansito di sollievo e puro godimento, Yuichiro si incastrò dentro di lei più a fondo, in modo quasi sconosciuto. Si ritrasse e poi trovò di nuovo il centro ignoto, ma soprattutto il punto sopra e fuori, che massaggiò involontariamente con l'intero corpo e peso.

Dentro di lei si bloccò ogni funzione, sopra di lei ci fu il suono di denti che scattarono a stringersi.

Yuichiro prese a muoversi come se volesse plasmarla, spingendo in continuazione senza più strategia, ordine o pensiero. Ne dimostrò un ultimo solo quando le afferrò confusamente l'incavo di un ginocchio, spostandolo verso l'alto e fuori.

«Ah-Ahh...!» Rei si tenne al pavimento sotto il futon, entrando nel mondo dove contava solo che fosse , così e più forte e di più, perché al diavolo la roba di prima, ora lei doveva andare oltre. Doveva arrivare là sopra, annegarci, pulsare non più dentro in fondo ma dentro -

Si tese con tutto il corpo e catturò il primo spasmo con un grido sordo, un sussulto improvviso. Gli altri catturarono lei, incatenandola a se stessa su un unico punto, fino a che non la intrappolò di forza anche il braccio sotto il suo bacino, quello che la tenne ferma per spinte che assecondarono, vinsero e conquistarono ogni singola contrazione, con indomabile certezza.

Le ci volle qualche lungo istante di indimenticabile piacere per tornare a udire il respiro imprigionato nel petto di lui, per capire che Yuichiro aveva semplicemente iniziato a perdersi in lei. Lo circondò con le gambe alte, godendosi le ultime fitte di delizioso oblio, donandogli se stessa.

Lo accolse, prese lui e prese loro, insieme. Domò l'impeto di entrambi, lo visse appieno fino all'ultimo momento.

Già stretto com'era tra le sue braccia, lui non le cadde addosso. Fermandosi, rimase semplicemente nella stessa posizione, stremato.

Lei si dissolse nel calore della calma. Lasciò scorrere lentamente il naso sulla guancia di lui, inspirando. Inspirando e sorridendo.

Sollevando la testa, Yuichiro le regalò un'espressione felice e stremata, ma fece pressione sulle braccia e si allontanò come la prima volta.

Delusa, Rei ne comprese il motivo. Si aspettò di vederlo in piedi, che attraversava la stanza, ma lui non si alzò: si limitò a girarsi di fianco, verso il lato opposto del futon. Seguì un suono di plastica e di carta leggera e poi... basta. Yuichiro tornò da lei.

Rei fece rivivere il sorriso. «Che hai fatto?» 

Lui terminò di sdraiarsi. «I fazzoletti. Prima li avevo messi per terra.»

Oh. Ottima soluzione.

«Così non mi devo alzare.»

Lei lo abbracciò. «Così non dobbiamo più interromperci.»

Per qualche attimo lui rimase in silenzio. Infine, gli nacque una risata bassa nel petto. «Allora intendevi questo.»

Eh, già. Gli sfiorò la bocca con un bacio. «Eh, sì.» Lo strinse più forte e riposò accanto a lui, sazia, quietata.

Nel silenzio della stanza giocò a sfiorarlo con le dita sulla parte alta del braccio, disegnando piccole curve senza significato. Dopo un po' cominciò a tracciare le linee degli ideogrammi del suo nome, riempiendosi d'amore alla fine di ogni breve segmento.

Come riscuotendosi, Yuichiro inspirò con improvvisa energia. «Posso dormire?»

La scosse una risatina bassa. «Come?»

«Mi è venuto sonno, ma tu sembri sveglia...»

Sì, ma non voleva quel sacrificio sciocco da parte sua. «Dormi.» Gli scostò la frangia dalla fronte

Le palpebre di lui si serrarono, serene.

Stringendolo, Rei posò le labbra su una sua spalla.

Dormi, lasciami vegliare.

E ringraziare, perché sei qui.

 

 

«Ehi, sei qui.»

Yuichiro si voltò verso l'ingresso del bagno. Sulla porta stava Rei, con indosso una tunica bianca.

«Ti sei svegliata.» Si mosse verso di lei nell'acqua calda.

Rei avanzò nella sua direzione. «Non credevo di addormentarmi.»

«Non hai dormito.» Lui stesso non aveva riposato per più di mezz'ora.

Rei si sedette sullo sgabellino del bagno. «Credevo che mi sarei svegliata sentendo lo stomaco pesante invece... no.» Ridacchiò. «Abbiamo mandato giù la cena con la ginnastica.»

Gli allenamenti nella strada verso un'aldilà di pace? Sicuro.

«E tu?» Rei appoggiò i gomiti sul bordo in ceramica della vasca. «Come mai hai deciso di farti un bagno?»

L'aveva avuto in mente da prima. «Pensavo di farmi una doccia, ma poi... ho voluto rilassarmi.» E fare qualcosa mentre lei riposava.

Rei fece dondolare un dito nell'acqua. «Te la prendi sempre comoda...» Sorrise. «Ma è bello fermarsi, concordo.»

Lui lo sapeva bene: pur essendo molto attiva, Rei si riservava lunghi momenti di tranquillità in ciascuna giornata, per fermarsi a riflettere e pensare. Forse lo stava facendo anche ora: aveva posato gli occhi calmi sull'acqua chiara, sulle increspature che causava coi movimenti lenti della mano. Le contemplava serena.

Lui contemplò lei, i capelli che le erano sfuggiti alla coda e che incorniciavano con leggerezza il suo viso, le labbra rese ancora più rosee e soffici dal vapore della stanza, le guance che parevano quasi lucenti sotto la luce, gli occhi viola brillanti di pacata gioia. Le stava davvero bene la sua tunica: Rei l'aveva allacciata alla vita con più cura di quanto non avesse fatto lui quella sera, ma per lei era larga e lo scollo sul petto era molto ampio. Lasciava intravedere le curve rotonde dei suoi seni, una vista su cui lui si era concentrato spesso negli ultimi mesi. Ma li aveva tenuti d'occhio da così tanto che avrebbe saputo dire con esattezza com'erano cambiati negli ultimi quattro anni, come si erano lievemente ingrossati, come lei avesse preso ad andarne più fiera col passare del tempo, tanto da lasciarne intravedere le linee e le curve più di frequente, soprattutto in estate.

Rei aveva fatto un paio di sogni su loro due, ma non aveva la minima idea di quante notti avesse passato lui in quel modo, a immaginare che gli fosse permesso di vederla, di toccarla, di adorarla. Finché non si erano messi insieme, lui aveva indugiato nella fantasia impossibile di lei che gli permetteva una sola volta di baciarla, un'azione che la stupiva e la portava ad abbandonarsi in maniera irreale. Eppure, persino la Rei dei suoi sogni era sempre rimasta lei: aveva continuato a negarsi a ogni passaggio. Il suo io immaginario, infinitamente più coraggioso di quanto era stato lui, era sempre riuscito a convincerla ad andare avanti.

In quella lontana sera di aprile perciò era stato straordinario e sconvolgente scoprire che a Rei bastava davvero un semplice bacio. E che lei non si negava; al massimo esitava, ma soprattutto dava e si donava.

«Mi fai venire voglia di entrare» gli disse Rei, mordicchiandosi un labbro.

Entrare? Il pensiero lo fece diventare rigido al bassoventre.

Lei si tirò indietro e si alzò, sedendosi sul bordo della vasca. «A cosa stavi pensando mentre mi guardavi?» Accarezzò un lembo della propria tunica, sul petto. «Non mi hai già visto?»

«Non mi stancherò mai.» O forse solo tra mille anni e un momento, ma giusto perché sarebbe passato a miglior vita.

Lei inclinò la testa, sorridendo. «Perché sono molto bella?»

«Sì.» Bella, perfetta.

Rei lo fissò con occhi divenuti scuri, caldi. Portò una mano alla vita e iniziò a sciogliere il grosso nodo improvvisato.

Lui si tese, tentò di anticipare la vista, ma nulla lo preparò all'immagine di lei seduta sulla vasca, la tunica aperta a rivelare ogni cosa: seni soffici e turgidi che pregavano un tocco, pelle candida e morbida sulla vita sottile, sulle gambe; era proprio una di quelle a nascondere l'ombra scura che lui aveva conosciuto solo quella notte.

Rei lasciò cadere una mano pigra nell'acqua. «Pensavi a me così?»

Lui non articolò parola, ma lei lo osservò in faccia solo per un attimo. Trovò la risposta più sotto, dentro l'acqua trasparente.

«Hai mai pensato a me così?» Si sfiorò lo stomaco.

Gli mancò l'aria. «Sì.» E quella cosa sulla realtà che superava la fantasia? Era vero, lui non aveva che conferme.

«E...» Gli occhi di Rei si riempirono di curiosità. «Che cosa facevi?» Si spiegò ulteriormente con una sola occhiata nella giusta direzione. «Smettevi di pensarmi?»

Quella era una soluzione a cui era stato costretto a ricorrere migliaia di volte. Ma un altro migliaio... «No.»

Lei si riempì di un silenzio... interessato. «Fammi vedere.»

Farle vedere?

Lo disarmò un sorriso timido. «Vorrei imparare. Per te.»

L'implicazione minacciò di non rendere necessario il minimo contatto per farlo arrivare al culmine. La sincerità venne in suo aiuto. «Io vorrei solo che tu entrassi in acqua.»

Gli occhi di lei divennero pozze profonde. «Anche io.» Rei si levò in piedi e lasciò scivolare la tunica bianca a terra.

Fu un istante, ma lui trovò ugualmente il tempo di memorizzarla per sempre nella sua testa.

Rei entrò nella vasca con un brivido; si lasciò affondare nell'acqua calda, vicino a lui. Sorrise, dolce e provocante. «Non toccarmi, va bene?»

«Cosa?» Se non la toccava subito sarebbe morto.

«Mi distrai.» Rei posò il palmo aperto su una sua spalla. «In modo fantastico, ma mi distrai. Adesso voglio pensare a te.» Gli stuzzicò la bocca con le labbra. Più che un bacio, una tortura. Rei la fece proseguire lungo tutto il suo collo; con la mano era scesa al centro del suo petto, facendolo tremare. Lei lo saggiò coi polpastrelli, lo stimolò con la punta delle unghie. Scese piano, inesorabilmente. Con un pollice saldo disegnò la linea più bassa del suo ventre. Vi passò sopra il dito una seconda volta, indugiando, graffiando pianissimo. Yuichiro seppe che non avrebbe resistito, che- Si sentì prendere. No, avrebbe resistito.

Rei guardava in basso, sorpresa. «È così... strano.» Lo accarezzò piano, troppo piano. «Diverso da quando sei dentro di me.»

Lui strinse i denti e cercò di immobilizzare i muscoli di tutta la parte inferiore del corpo. «Non dirlo.» Simili immagini - simili ricordi - rischiavano di portarlo a una rapida e ingloriosa fine.

Lei rimase a guardarlo. Sorrise impercettibilmente. «Faccio e basta?»

Prima di poter annuire lui recuperò il respiro.

Rei si sporse in avanti, gli occhi bassi, concentrati. «Provo.»

Provò con successo. Ogni suo tocco - per quanto inesperto - fu presente, nuovo, volenteroso e fu quello, quello, a spingerlo a chiudere gli occhi, felice di poter sentire ogni cosa e impazzire.

Rei fu più esigente di lui: provò e imparò. Studiò le sue reazioni, percepì e capì. La carezza di lei si fece totale, salda, lunga nel movimento.

Yuichiro ansimò contro la sua tempia e, dopo altre due carezze piene, lo fece anche Rei. «Scusami.» Allontanò la mano e si scostò di fretta.

L'interruzione lo lasciò di sasso. Rei si stava sporgendo oltre il bordo della vasca.

«Che...?»

«Ora lo trovo.» Lei trafficò con una mano sul pavimento. «Eccolo.» Scivolò nella vasca, tornando da lui. Gli lanciò un'occhiata e scosse velocemente la testa. «Mettilo tu.» Piantò sul suo petto il quadrato di plastica, lasciandolo andare solo quando lui lo prese in mano, più per riflesso che per convinzione.

«Scusami» gli ripeté lei, contrita. «Non ce la facevo più. Per favore, mettilo.» Gli fece spazio. «Poi continuo io, sul serio.»

Fu quella frase a risvegliarlo. «Continui tu?» Si sollevò fino a non stare più nell'acqua, appoggiandosi alla parete.

Si alzò in piedi anche lei e con gli occhi gli mostrò tutto il suo bisogno. «Sì, sopra.»

Lui scivolò con un piede, riuscendo a mantenersi dritto solo grazie all'appoggio del braccio sul muro. Conobbe un attimo di smarrimento prima di riprendere a funzionare. Espirò e dovette guardarsi le mani per strappare la confezione senza romperla. Fortunatamente, indossare l'involucro fu veloce e automatico.

Appena terminò, Rei appoggiò le mani sulle sue spalle, premendo verso il basso. Scivolarono entrambi nell'acqua, di nuovo, lui per metà sulle ginocchia. Rei si affrettò a circondargli le spalle con le braccia, salendogli sopra. «Il fatto è che ti immaginavo...» Cercò di posizionarsi contro di lui, riuscendo solo a strofinarsi deliziosamente. Per un istante, bastò a entrambi. «Ti immaginavo qui» concluse lei. Gli permise di catturarle la bocca, ma la staccò subito. «Aiutami.»

Lui iniziò a farlo e Rei cercò di assisterlo con una mano, ma rinunciò nel momento stesso in cui non fu più necessario. Con le labbra lievemente aperte, si abbassò piano su di lui, aprendosi, inglobandolo.

Yuichiro la intrappolò per la vita, trattenendosi a stento dal gettare la testa all'indietro. Fu la stessa reazione di lei e per questo, alla fine, Rei serrò le palpebre e gemette contro la sua bocca. Lui scese a baciarle il collo, la leccò sotto l'orecchio.

Le mani di Rei cercarono contemporaneamente di scostarlo e di tenerlo fermo. «Adesso...» le tremò la voce, «provo.» Le mancò la forza per sollevarsi fino a che non trovò l'appoggio giusto, le mani posate sulle sue spalle. Si tirò su. E tornò giù, rimanendo cauta solo fino a metà spinta.

Lui si morse un labbro: la pressione, la pressione della stretta che si apriva lo avrebbe ucciso. Era dannatamente- di nuovo, nuova.

Rei iniziò ad abbandonarsi con movimenti intensi non sufficientemente ritmati, non abbastanza incisivi.

Lui separò le mani sui suoi fianchi, afferrandola, per tentare di controllare la direzione.

Lei scosse la testa. «No, ci penso io, non toccare.» Quando si abbassò di nuovo, lo strinse coi muscoli, di proposito.

Lui sussultò sul posto e si rassegnò. «Scusami, no.» Un po' la tenne per la vita, ma soprattutto fece forza sulle ginocchia piegate e spinse verso l'alto.

Se mai le era venuta voglia di protestare, sparì in quel momento; Rei spinse di rimando contro di lui e in quel modo trovarono un ritmo immediatamente.

Yuichiro nascose la faccia contro il suo collo.

Non sarebbe durato più di un altro minuto, anzi, trenta secondi, e lei non era ancora- Per nulla certo che avrebbe funzionato, infilò una mano tra loro e cercò a caso quel che gli serviva. Lo aiutò a capire un fremito inconsulto di lei. Continuò a stimolarla con un dito e finalmente seppe di non dover più aspettare.

Aprì gli occhi e si concentrò su di loro, sul corpo di lei, bagnato e smanioso, che tremava e si muoveva per averlo dentro, sui suoi stessi fianchi che si fondevano con lei, con Rei che era davvero lì nell'acqua con lui a- Esplose. E lo fece anche lei e fu come svuotarle l'anima dentro. Si mosse violentemente e senza controllo, tra i brividi, per darle tutto e non avere più nulla da dare.

Rei tremò dappertutto, le guance arrossate, la bocca che non riusciva a rimanere chiusa, le palpebre abbassate.

Per lui baciarla fu un modo per cercare di saziarsi completamente di lei.

Alla fine, fu lei a spostarsi verso l'alto, piano, e poi indietro. Si rannicchiò, affondando nell'acqua. Rise. «Pensavo che niente avrebbe battuto il cuscino.»

«Niente batte te.» Quella per lui era l'unica verità, e vederla sorridere in quel modo - ancora preda della soddisfazione - gli fece venire voglia di riprenderla tra le braccia e... non lo sapeva, aveva mille idee. Le mise tutte in pausa quando si ricordò di doversi disfare di quello che ancora indossava. «Perché ne avevi uno?» Mentre iniziava a togliere la protezione, scorse la carta igienica non lontano dalla vasca.

Rei nascose il viso tra le ginocchia. «Non volevo più essere impreparata, ma non avevo intenzione di usarlo qui. Stavo solo andando in camera mia a rivestirmi.»

I suoi piani erano stati stravolti. «Per fortuna ti sei fermata a trovarmi.»

«Per fortuna.» Il sospiro felice di lei si tramutò in confusione. Rei girò la testa e si lasciò sfuggire un ansito. «No! I capelli.»

«Cosa c'è?»

Lei tirò su la coda zuppa d'acqua, sciogliendola dal nastro. «Si sono bagnati. Devo lavarli di nuovo o sembreranno paglia.»

A lui sembrava un fastidio insignificante. «Ti aiuto.»

Lei annuì, come se fosse scontato. Andò verso il bordo della vasca e afferrò il primo shampoo che si trovò davanti. «Ah... 'Scusami, no'?»

Lui preferì fissare l'acqua. «'Scusami' lo hai detto anche tu.»

«Eh, già.» Rei ridacchiò di nuovo e colmò la distanza tra loro come se non potessi stargli lontana. Lui si sentì navigare nella felicità.

«Vedi cosa mi fai fare? È perché sono pazza di te.»

Lo beccò mortalmente da qualche parte dentro il petto.

«Tu non sei pazzo di me?»

La sua Rei. La strinse più forte. «No, io sono lucido. E vivo per te.»

Lei si intenerì deliziosamente. «Tu devi solo vivere con me.» Sotto l'acqua, una sua mano cercò e trovò quella di lui. La tirò su. «Per sempre.» Rei intrecciò le loro dita. «E sempre. Prometti.»

«Prometto.»

Lei si commosse. «Allora ci dichiaro innamorati.»

Nell'abbraccio, Rei si dondolò contro di lui e Yuichiro la tenne stretta e vicina - la sua Rei, a cui voleva dare tutto e non far mai mancare niente.

Lei si allontanò incerta, cercando di non fargli vedere la patina lucida negli occhi. Si voltò. «Come prima cosa, aiutami coi capelli.»

Lui li accarezzo. «Agli ordini.»

FINE.


NdA - ...uhh. Prima un'analisi tecnica? :D

In questa storia ho provato a confondere un po' la voce narrante interna-esterna con una specie di discorso diretto (in certe particolari parti che avrete sicuramente notato :D). L'avevo già fatto altre volte, qui l'ho trovato ancora più appropriato per via del forte accento sulla passione.

Io non sono affatto un'esperta e non so neanche il nome della tecnica che sto usando (né se la uso bene), però è questo che voglio fare con queste scene lemon: esercitarmi a descrivere la passione. Ovviamente mentre scrivo non lo vedo in sé come un esercizio, però alla fine imparo mentre cerco di farvi vivere questi momenti :) Imparo cosa tralasciare, quali particolari menzionare, cosa non dire o come far capire senza essere specifica, come strutturare le frasi per mantenere il ritmo... In fase di stesura mi vengono in mente sempre nuovi problemi e soluzioni, sta lì l'apprendimento. Mi piace :)

E ora basta con la lagna e passiamo a cose più divertenti.

Primo. Sapete che per scrivere alcune frasette io ho chiuso gli occhi e ho lasciato che fossero le dita da sole a digitare? (non per la prima volta, ho fatto così anche per altre scene 'rosse' di mia creazione) :D Giusto un paio di brevi passaggi, ma questo per farvi comprendere quanto sono scema :D Non per forza nei momenti più caldi, ma proprio quando usavo certe espressioni che mi sembravano un po' troppo audaci o palesi.

Secondo. Se vi state domandando dove abbia imparato Yuichiro certi trucchetti la risposta è abbastanza semplice: la storiella del cuscino la deve alla sua prima ragazza, quella più grande di lui, che cercava di facilitarsi le cose con un metodo che per lei funzionava bene e che dava qualche risultato con un ragazzino che non ne sapeva nulla. In ogni caso, chiusa questa parentesi, sappiate che il povero Yu sta consumando tutte le sue cartucce all'inizio :D

Il suo bagaglio di conoscenze l'ha illustrato praticamente tutto a questo punto della sua esperienza con Rei quindi imparerà assieme a lei d'ora in poi (l'idea gli fa lanciare urli di gioia). La sua fortuna in tutto ciò sta che per certe questioni l'importante è essere coinvolti (amarsi aiuta parecchio) ed essere un po' disinibiti (per Rei come si è capito non è un problema).

Perciò, come diceva ggsi, mia fedele recensionista, il tempio è diventato davvero un Moulin Rouge :D:D:D:D

Per quanto riguarda i prossimi episodi, ho in mente due scene specifiche. Una per Usagi e Mamoru (da collocarsi in effetti prima di Verso l'alba) e una per Ami e Alexander (una delle famose volte a casa di lei che poi causeranno sudori freddi).

Ero partita con questa specie di raccolta con l'idea di scrivere scene molto meno contestualizzate e lunghe, quindi può essere che le prossime siano più incentrate solo su... ehm, quello. :D

Spero che abbiate gradito. Se sì o se avete critiche o perplessità, fatemi sapere, sapete che amo qualunque opinione.

Alla prossima!

ellephedre

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Capitolo 2
*** Usagi/Mamoru I ***


Red Lemon

Red Lemon

 

Autore: ellephedre
Disclaimer: i personaggi di Sailor Moon non mi appartengono. I relativi diritti sono di proprietà di Naoko Takeuchi e della Toei Animation.

2 - Usagi/Mamoru I

Scena ambientata tra Interludio (episodio 3) e Verso l'alba

 

 

Era tutto il giorno che si sentiva... strana. Frustrata, troppo allegra, irritabile, facile alla risata. Un misto di contraddizioni che ricordava di aver provato una sola volta nella sua vita, un mese e mezzo prima, in un caldo e indimenticabile pomeriggio di piena estate.

Si era rifiutata di indugiare nei ricordi nell'esatto istante in cui aveva identificato il motivo dell'inquietudine che la seguiva sin dalla mattina. D'altronde, non poteva certo andare in autocombustione in classe. O durante la pausa pranzo. E nemmeno in autobus o davanti alla sua famiglia.

La consapevolezza di quanto sarebbe accaduto non l'aveva aiutata. Appena entrata in casa era dovuta salire in camera a cambiare gli slip. Ne aveva messi un paio nuovi, felice di sapere che molto presto li avrebbe tolti di nuovo. Il cotone bianco tra le sue gambe aveva rapidamente iniziato a non essere più tanto asciutto.

«Mamma!» Era corsa di sotto, saltellando sulle scale.

Impegnata tra i fornelli, sua madre le aveva lanciato un'occhiata distratta. «Sì, Usagi-chan?»

«Vado al cinema.»

«Così, all'improvviso?»

«No, l'avevamo programmato, mi ero dimenticata di dirtelo.» Bugia, non avrebbe potuto prevedere quello. «E ceno fuori.» Tempo, aveva bisogno di un mucchio di tempo.

«Allora esci con Mamoru-san?»

Solo sentire il suono di quel nome talmente carezzevole, languido, eccitan... Si era morsa il labbro superiore, forte. «Sì.»

«Hm. Anche se domani non hai scuola, non rincasare troppo tardi.»

«Va bene.» Rischiava di essere una menzogna anche quella, poiché non aveva alcun controllo sulla situazione, come aveva sperimentato in passato.

Prima di tradirsi, se n'era tornata di sopra.

Cinque minuti dopo era uscita dalla porta di casa.

 

Aveva buttato la chiave dell'appartamento di Mamoru sul divano. La giacca leggera pure, dopo averla raccolta da terra. La borsa l'aveva fatta cadere in corridoio, solo per tornare a prenderla non appena si era accorta che Mamoru non era ancora rincasato.

E ora se ne stava lì, appollaiata sul bracciolo del divano, a scrutare come un falco la porta d'ingresso.

Iniziò a battere ritmicamente la pianta del piede contro la pesante stoffa verde. Strofinò tra loro le labbra. Affondò disperata la faccia tra mani.

Oh, e se questa volta lui non si sentiva nello stesso modo?

Avrebbe fatto la figura della maniaca! Non avrebbe nemmeno potuto fermarsi perché si sentiva così- Così... Ma perché?! Perché si sentiva in quel modo all'improvviso, perché provava gli stessi incontrollabili impulsi dell'altra volta? Cosa le stava succedendo, come mai non riusciva a controllarsi?

Emise un sospiro incerto, tremulo.

Forse aveva sbagliato a non preoccuparsi prima: quelle sensazioni non erano normali. Forse non erano neanche sane: chi avrebbe potuto dire per quanto tempo avrebbe avuto voglia di andare avanti questa volta?

Il pensiero le bloccò il respiro, costringendola a rannicchiarsi su se stessa. Il languore che aveva pervaso il suo corpo sembrava essersi di nuovo concentrato in un unico punto, in mezzo alle sue gambe.

Espirò. Inspirò. Piano piano, controllandosi.

Era inquieta solo perché non aveva ancora avuto la possibilità di calmarsi. Presto Mamo-chan sarebbe arrivato e... e l'avrebbe presa tra le braccia, mentre lei si sarebbe modellata addosso a lui, alzando la testa per mordicchiargli la spalla, baciargli il petto, assaggiandogli la pelle salata. A mani aperte si sarebbe riempita del calore della sua schiena, percorrendola dal collo fino alla base, senza tralasciare un solo centimetro. Gli avrebbe torturato la bocca con la propria e alla fine avrebbe affondato le unghie nei suoi bicipiti, spingendolo a usare le braccia per prenderla - sollevarla o spostarla, quello che voleva lui.

Mamoru l'avrebbe stretta a sé come se volesse inglobarla, sistemandosi tra le sue gambe e insinuandosi in lei senza più aspettare. Non sarebbe stato attento, solo bisognoso, ardente e veloce in ogni movimento, i dolci colpi precisi nell'arrivare fino in fondo e lei...

A lei sembrava di sentirli già ora. Con un labbro tra i denti e le palpebre chiuse, permise ai propri muscoli interni di stringersi da soli sul nulla, prendendo piacere dallo stesso movimento.

... era impazzita.

Hentai, hentai, hentai!

Non era divertente, non si riconosceva in tanta smania. La disperazione e la mancanza di soddisfazione le facevano venire voglia di piangere.

La porta di casa produsse un rumore metallico di chiavi.

Usagi scattò a fissare l'ingresso.

Mentre la serratura girava a vuoto, saltò via dal divano. Era a quattro metri dall'uscio quando Mamoru entrò, quasi inciampando in avanti. Lui la scorse e inspirò rapidamente, sbattendo con forza la porta dietro di sé. Con un balzo Usagi gli finì addosso, aggrappandosi a lui. Mamoru serrò le braccia attorno alla sua schiena; non catturò la sua bocca solo perché fu lei a pensarci per prima. Più che un bacio, espressero insieme ordini e necessità. Prendimi, prendiamoci.

Usagi ringraziò ogni dio mai esistito: non era solo lei!

Gli sfilò violentemente la giacca aperta, buttandola a terra. L'orribile camicia di lui aveva quei dannati bottoncini che non si toglievano mai. Afferrò la stoffa tra le dita, tirandola fino a strattonarla via dai pantaloni. Gemette. Mamoru la sentì e non smise di lambire il suo seno ora esposto all'aria, di suggerlo. Abbassò una mano fino a infilarla sotto la sua gonna. Invece che toccare lei, trovò con le dita l'elastico delle sue mutandine. Le tirò giù confusamente, senza fermarsi.

Usagi si allontanò solo per aiutarlo, ma con le mani rimase sulla cintura dei pantaloni di lui: l'aveva slacciata a tempo di record. Via dall'asola l'unico bottone e giù anche la cerniera. Ormai inginocchiata, finì col sedersi a terra mentre lo liberava dai pantaloni. I suoi slip finirono oltre i suoi piedi e non ebbe più modo di spogliarlo di quello che mancava: Mamoru si mise sopra di lei, costringendola a piegare all'indietro la schiena. Lui le alzò la gonna e si svestì da solo dell'ultima barriera, i boxer. Esitò per il millesimo di secondo che impiegò ad accorgersi che lei era totalmente pronta ad accoglierlo. Poi, in due ebbero un unico corpo.

Il piacere fu tanto intenso da strapparle un grido. Oh, finalmente. Oh, sì, !

Per non essere spinta all'indietro sul pavimento e farselo mancare, si strinse a lui con tutta la forza che aveva. Aprì la bocca per ansimare, ma non riuscì. La voce le mancò, svanì.

Lo incitò con la schiena inarcata, il bacino inclinato e premuto insistentemente verso l'alto, verso di lui.

Era troppo, troppo, voleva tutto, fino alla fine.

Schiacciò il naso contro una sua guancia, gioiendo per la sensazione di infinite e minuscole punture contro la faccia. Si sarebbe dimenticata persino di chi era se non si fosse aggrappata alla realt- Se non si-

Il suo intero basso ventre divenne un'unica morsa stretta, pulsante e viva, smaniosa di sentire il prossimo affondo.

Ogni forza perduta, sbatté con la nuca a terra, le braccia prive di volontà. Alitò a bocca aperta contro la propria mano, la testa voltata di lato.

I suoi fianchi non avevano mai smesso di muoversi e prendere. Prendevano e catturavano, impossessandosi di tutto il piacere che poteva dare anche il più piccolo sfregamento, simile a una lingua di fuoco da cui voleva farsi bruciare.

Si tenne al pavimento, al nulla.

Ora.

Un battito di muscoli e la morsa restò lì, crebbe.

Ora, ora.

La pulsione continuò a esistere, a stringersi oltre l'impossibile.

Ora! pregò.

Ritrovò forza e voce. «Ahhhn-!» Gli afferrò il collo, travolta. Emise un ininterrotto e cadenzato mugolio, incapace di trattenersi, libera e preda allo stesso tempo. Voleva incatenarsi a quell'istante, proprio a quel momento, per l'eternità intera. Nonono, a quel momento, ora che Mamoru si era perso anche lui, intensamente quanto lei. Il lamento basso e roco di lui si interruppe a pochi centimenti dalla sua faccia, ma Usagi lo fece continuare nella propria bocca, assieme al suo.

Smisero di muoversi piano, senza fretta.

Assieme al torpore che mancava della giusta stanchezza, arrivò la coscienza. Si ricordò di tremare. Fece scivolare la mano su una spalla di lui, chiedendogli di esserci. La trovarono occhi blu scuro, frastornati ma più sicuri dei suoi. Accennarono un sorriso timido. «Ciao.»

Lei tornò in un pieno equilibrio di felicità e certezza. «Ciao.» Lo abbracciò, nascondendo il viso nella sua spalla. «Ciao» sussurrò di nuovo, in un soffio.

Mamoru le mise un braccio sotto la testa. «Il saluto doveva venire prima.» Si lasciò scuotere da una lieve risata.

Usagi non gli rispose, restò rintanata dov'era. L'attraversavano ancora languidi brividi, ma era nato tutto da qualcosa che non comprendeva e... non le piaceva più.

«Allora...» rimuginò lui. «Sta succedendo di nuovo, vero?»

Succedendo. Sì, non era affatto finita. «Che cos'è?»

Mamoru spostò la testa e la guardò. «Non lo so. Io ho iniziato a sentirmi...» esitò «così, da questo pomeriggio.»

Usagi trasalì. «Io dalla mattina.» Dipendeva da lei?

Mamoru giunse alla stessa conclusione. Iniziò a scostarsi, sollevandosi. «Credo...» Si mise in ginocchio e le riabbassò la gonna. «Credo che possiamo pensare agli indizi più tardi.»

Dopo? Usagi si tirò su. «Non... non ti dà fastidio?»

Lui si fece attento. «Che cosa?»

«Sapere che non lo stiamo controllando?»

L'osservazione lo sorprese. «Non eri tu quella che diceva che non c'era da preoccuparsi?» Tornò in piedi, riallacciando i pantaloni. «L'unico effetto collaterale sarà un po' di stanchezza.»

Era sola nel suo disagio.

«Cosa c'è?»

«Io...» Scosse la testa. «Hmm... vado a farmi una doccia rapida.» Aveva bisogno di qualche minuto per far pace completa con ciò che sarebbe avvenuto.

«Una doccia? Adesso?»

«Sì, ecco...» Spalancò gli occhi. «Non ne faccio una da quasi tre giorni!»

A lui scappò un sorriso incredulo. «Non importa.»

Usagi sentì le guance calde. «Importa a me.» Voleva essere pulita per la varietà di esperienze che avrebbero condiviso. Indietreggiò verso il salotto. «Ci metto poco, faccio subito.»

Mamoru fu sul punto di replicare - o suggerire qualcosa - ma lei lo fermò in tempo. «Non seguirmi.» Non era ancora salda nel camminare, figurarsi se era pronta a ripetere una cosa sotto la doccia come quella dell'altra volta. Indugiò nel ricordo per un secondo fatale. «Forse dopo.» Arrossì di colpo.

Sparì in corridoio prima di fare pazzie.

 

Mamoru roteò il manico della finestra, tirandola verso di sé e aprendola sulla parte alta. L'estate stava per finire e in giro si percepiva ancora una brezza calda, ideale da far entrare in casa.

Si voltò a guardare la porta della camera, pensieroso.

Usagi non la stava prendendo come l'altra volta. La metteva a disagio non potersi controllare.

E pensare che lui aveva passato le ultime ore a immaginare un entusiasmo simile a quello dello scorso luglio, ripetendosi da solo che non c'era alcuna ragione di chiedersi cosa gli fosse preso. In fondo, i risultati li conosceva. I risultati li voleva, tutti, dal primo all'ultimo. Ma se lei-

«Ecco.» Usagi entrò nella stanza. «Ho fatto.» Teneva l'accappatoio chiuso, con le braccia incrociate.

Lui sapeva che sotto la stoffa di spugna pesante c'era solo il corpo leggero e nudo di lei, reso fresco dalla doccia. Ne aveva sentito le forme sotto le mani, ne conosceva la morbidezza. Sapeva che bastavano due o tre tocchi di pollice per ritrovarsi a giocare con seni turgidi, che in verità gli era sufficiente avvicinarsi con quelle intenzioni per eccitarla. Sempre. Adesso poi lei sarebbe stata già umida e pronta a-

Serrò le palpebre e appoggiò i gomiti sul davanzale. Doveva darsi un contegno. «Perché non poterti controllare ti preoccupa tanto?» 

Lei si morse un labbro, turbata. «Non è che mi preoccupa...» Giocò con l'orlo dell'accappatoio bianco. «So che noi due faremo solo...» Accarezzò la spugna ed emise un lievissimo sospiro, insinuando le dita tra i lembi. Iniziò a separarli, solo per bloccarsi di colpo. «Vedi, non riesco neppure a parlare!»

Come la capiva. «Dillo in due parole.»

Frustrata e triste, lei aggrottò le sopracciglia. «È come se... non ci amassimo.»

Cosa? Quasi perse l'eccitazione.

Usagi scosse veloce la testa. «Non lo facciamo perché ci amiamo, ma perché...» Non trovò le parole. «Non si sa perché! E invece tutte le altre volte è bello perché voglio starti vicina e tu pure, non è solo una cosa... fisica.»

Mamoru fece scorrere la lingua contro i denti, riflettendo. «Non lo è neanche adesso. Sarebbe solamente fisico se non ci importasse con chi stiamo e...» L'ipotesi lo disturbò talmente tanto che bloccò il pensiero sul nascere. «Invece non è così. Io riesco a lasciarmi andare solo perché sei tu. È te che voglio.»

Lei si intenerì, rilassandosi. «Anche io.»

Mamoru avanzò fino a raggiungerla. «Allora...» Le prese la testa tra le mani. «Siamo sempre noi. Noi perché è solo noi che vogliamo. Più del normale, ma... solo noi.»

Usagi si sollevò e lo travolse con un bacio, un braccio attorno al suo collo. Lui infilò una mano aperta nell'accappatoio di lei e... tremò. Rabbrividì mentre si riempiva le dita di un suo seno, mentre le accarezzava tutto lo stomaco caldo e trepidante. L'attirò contro di sé per sentire ogni curva e rientranza del suo ventre. Sulla schiena, sul sedere, la percepì con le mani. Usagi si divincolò tra le sue braccia, tirandole indietro per togliergli la camicia.

Già.

Anche l'accappatoio di lei cadde a terra. Se la ritrovò, rosea e morbidamente bionda, di nuovo addosso. Ondeggiò contro il suo corpo mentre se la caricava sul bacino. Usagi si dimenò delicatamente, spingendosi contro di lui.

Mamoru si spostò di lato, sbattendo un ginocchio contro il letto. Vi si lasciò ricadere, sobbalzando assieme a lei. Usagi sorrise contro la sua bocca e si allungò su di lui, strofinando contro il suo corpo persino la punta dei piedi. Mamoru le tolse le mani dai fianchi solo per spogliarsi del tessuto elastico che gli fasciava le anche; provò il momentaneo impulso di fermarsi a metà coscia quando sentì Usagi che si riadagiava su di lui. Le sfuggì un gemito e lui mosse rapidamente le gambe, liberandosi di tutto. La spinse di lato, facendola scivolare verso l'alto sul materasso.

La sorpresa di lei si fece rapido desiderio, ma per il motivo sbagliato. Mamoru posò una mano sul suo collo; da lì, fece scorrere le dita in direzione del suo ventre, piano.

Lei chiuse gli occhi in un sospiro felice, inarcandosi verso il suo tocco. «Stai provando a frenare un po'?»

Poteva essere.

«Ma io ti amo.»

Mamoru si permise un sorriso. «Anche io.» Con l'indice, disegnò un piccolo cerchio sopra l'ombelico di lei. «E quindi?»

«Quindi sono d'accordo. Che siamo solo noi.» Lei gli accarezzò il polso con decisione, afferrandolo. «Non devi frenarti.»

«Non mi sto frenando.» Non veramente, almeno. Posò le labbra dov'era arrivato con le dita, sul lembo di pelle a qualche centimetro dal biondo; leccò a bocca aperta.

«Oh...» inspirò Usagi. Ansimò. «Hm, forse... Girati.»

Il suggerimento arrivò dritto al cuore del suo basso ventre. Respirò in abbondanza. «No.» Più che mai, questa volta non stava cercando di controllarsi per il gusto di farlo, ma come esperimento vero e proprio. Voleva verificare la forza di un impulso che non aveva ancora provato a contrastare.

«Ma io voglio fare qualcosa» si lamentò lei.

«Rimani sdraiata.» Scese con le dita. E fu naturalmente impaziente, perché invece di stuzzicare e massaggiare, affondò subito.

Usagi sollevò il bacino in un ansito lungo, divaricando le gambe.

Lui la afferrò per la vita, voltandola nella sua direzione e liberando il dito che aveva trovato rifugio in lei: lo aveva sentito come un'altra parte di sé, quella che ora protestava vivacemente.

Non era possibile che fosse incapace di trattenersi: non lo aveva pensato neanche nei momenti di perdizione più assoluti. Aveva fatto sempre e solo ciò che si era concesso, no?

Cercò di dimostrarselo. Abbassò la testa e posò le labbra umide sul bagnato di lei, indugiando.

Usagi artigliò il dorso della sua mano, gli occhi serrati, sofferenti. Parlò in mugolio di piacere. «Devo... devo fare qualcosa.»

Sì, sentiva di doverlo fare anche lui, ma... «Proviamo a controllarlo.»

«Così

Torturare lei era meglio che torturare se stesso. Tornò sulla sua carne e, piano, leccò verso l'alto, dall'inizio fino alla deliziosa fine.

Usagi sussultò con violenza. «No, vieni qui.» Sfiorò la sua fronte con la mano, muovendo le dita convulsamente.

«Sto facendo una prova.» Lui trovò il punto giusto e lambì tutto attorno con colpi agili, leggeri.

Lei abbandonò la testa all'indietro, facendo sbattere i denti. «Quale prova?!» Per metà gemito, la sua non fu una rabbia molto credibile.

«Voglio controllarmi.» Mamoru si limitò a un nuovo e delicato bacio, ma Usagi ne fu trafitta.

«Prima dicevi che-» Lei cercò di bloccargli la testa tra le gambe, ma lui tenne le sue cosce separate, continuando a baciare. «Controllare era inutile e ora-» Usagi emise un lunghissimo sospiro, tremulo. «Ora serve?!» Strinse i denti e iniziò a ondeggiare coi fianchi, involontariamente.

Mamoru staccò le labbra per un solo attimo. «Ti piace.» Come sempre.

Lei infilò le dita tra i suoi capelli, massaggiandogli disordinatamente la nuca. «Sto impazzendo, Mamo-chan.»

La protesta languida lo infiammò a tal punto che, per non alzarsi e accogliere l'offerta, fu costretto a raddoppiare gli sforzi - se sforzo si poteva chiamare dar fuoco a carni soffici che gli facevano conoscere grandi e infinite soddisfazioni.

Usagi sobbalzò sul posto, emettendo un misto indecifrabile di suoni prima di qualche parola a malapena comprensibile. «Non- Hmm- Non ce la...» Sussultò di nuovo. Singhiozzò.

Mamoru allontanò la bocca da lei. «Cosa c'è?»

«Fa quasi male» gli rispose Usagi in un brivido. «Non riesco così.»

Non-? Si sentì in colpa. «Faccio piano.» Non aveva mai sbagliato in quel modo, aveva creduto che-

«No, forte, ma devi essere tu.» A dimostrazione, Usagi scivolò verso il basso, circondandogli il torso con le gambe. «Tu per favore. Vieni qui.»

L'impulso prepotente di spingersi in avanti e prendere fu violento, inaspettato. Mamoru strinse le lenzuola tra i pugni. «Aspetta.» Lo disse anche a se stesso.

Controllo, controllo.

Non ne ebbe a sufficienza da spingerla dove si era trovata; le piegò invece le gambe all'indietro, verso il torso. Riabbassando la bocca aperta, affondò.

Usagi divenne un blocco unico di membra che si sciolse istantaneamente. «Oh!» Al grido successivo, spezzò un'altra vocale.

Mamoru trovò un sollievo minimo negli assaggi profondi e continui; dovette lottare strenuamente col suo stesso corpo per non sollevarsi e sostituirsi di forza alla propria lingua. Lo sforzo iniziò a generare in lui tremori violenti, ma la sua volontà di trattenersi aumentò di pari passo.

I sussulti bollenti contro le sue labbra acquisirono un ritmo inconfondibile, divennero improvvise convulsioni tenaci che coinvolsero ogni fibra del corpo di lei. Si espansero facendosi gemiti pulsanti di agognata follia, mani che gli tirarono i capelli, polpacci che gli strinsero le spalle in un abbraccio.

La gratificazione per l'esperimento riuscito fu sepolta dalla soddisfazione per i suoni che penetrarono nelle sue orecchie, mai tanto vicini al completo delirio.

Scattò verso l'alto senza nemmeno deciderlo, scivolandole sopra, scivolandole dentro. Il piacere fu insopportabile, una ferita d'intensità.

Sotto di lui la voce di Usagi divenne un'ansimante e bassa cantilena di una sola parola, concatenata a se stessa. . La intonò persino il pulsare del ventre di lei.

Lui prese forza dalle gambe piegate e premette ancora più in fondo, schiacciandola. . Inarcò la schiena, aprì la bocca alla ricerca d'aria, si ritrasse e rientrò. Sì. Divenne un'unica massa di nervi, nato solo per farsi bruciare da lei.

A nessuno dei due rimase più la forza per produrre suono. Nel silenzio che gridava, ogni energia fu spesa solo per spingere, ricevere, affondare, intrappolare. Allargare le gambe, incastrarsi tra loro, aprirsi, riempire. Sussultare, vibrare, dimenarsi, unirsi. E trovarsi, ricongiungersi nella maniera più perfetta.

Come una cosa sola, si tesero in un'unica curva di piacere.

Mamoru iniziò a infliggere colpi secchi coi fianchi, abbracciandola e perdendo il controllo della voce. Usagi sovrastò tutto quello che gli venne strappato dalla gola con un lunghissimo e sommesso grido di godimento, accompagnando con picchi più alti ciascuna delle loro ultime unioni.

Ricaddero sul materasso.

«Ooh.» Lei gli afferrò la faccia tra mani tremanti, rubandogli un bacio. «Oh, Mamo-chan...» Premette le gambe contro i suoi fianchi. «Oh.»

A lui sarebbe piaciuto rispondere, ma il suo cervello elaborò solo... Oh. O meglio, Oh sì.

Usagi strofinò una guancia contro la sua, abbracciandolo. Non parlò più, ma respirò felice. Forse stava soffocando lentamente con lui che le pesava sopra, ma per farlo spostare avrebbe prima dovuto chiedere aiuto. Perdonami.

Una risatina lo raggiunse all'orecchio.

Lui sorrise a occhi chiusi. «Come fai a...?»

Lei lo baciò su una guancia. «Non mi lamenterò più. Stupida, che stupida.» Liberò un'altra piccola risata. Iniziò a massaggiargli la schiena.

La carezza lo risvegliò dall'improvviso sonno mentale. «Non...?» Forse non era ancora del tutto sveglio.

«Non c'è stranezza in questo.» Usagi sfiorò il suo orecchio con le labbra. «Avevi ragione, siamo solo noi.» Abbandonò la testa all'indietro, appagata.

Solo loro? Be'... sì. Nella pazzia dei comportamenti e delle reazioni, sembravano veramente solo... loro. La sensazione era indefinita, ma profondamente reale.

Mamoru trovò la forza per girare la testa. Toccò la fronte di lei con le labbra. «Già.» Già cosa?

... Un po' tutto.

Aprì gli occhi e trovò l'espressione pacifica di Usagi, simile al sonno innocente di una felicissima bambina. Con una mano, le sollevò i capelli umidi e fini dalla fronte.

Gli occhi di lei erano aperti, vigili. «Non abbiamo finito.»

Lui si appoggiò sui gomiti, con un'energia tornata troppo in fretta. «No.»

Il sorriso di lei fu malizioso. «Più tranquilli dopo, va bene?» Usagi si morse un labbro. «Una seconda volta come questa mi farebbe svenire.»

Lui annuì, senza riuscire a nascondere una seconda reazione.

Usagi si sciolse in una risata, appoggiandogli le mani contro il petto. «Diventi una palla se ti gonfi di più. E poi tu sei quasi svenuto già adesso.»

«Riposavo dopo una grande fatica.»

Lei gli scostò i capelli dalla fronte. «Dopo faticherò io per entrambi, promesso.» Si inarcò verso l'alto, appena, e Mamoru capì che voleva spostarsi. Si scostò da lei, sdraiandosi di lato.

Usagi lo imitò nella posizione, posando la testa nell'incavo del gomito piegato. «Parliamo.»

Il suggerimento lo divertì. «Parliamo.»

«Oggi mi comportavo da pazza, come l'altra volta. Minako mi ha detto che ero intrattabile, ma anche che non mi aveva mai sentito tirare fuori battute tanto divertenti. Ami e Makoto si tenevano a debita distanza.» Ridacchiò. «E tu?»

Lui scosse la testa. «Ero da solo in quell'ufficio che mi hanno assegnato da poco.» Ricordò il pomeriggio appena passato. «Per fortuna. Non sarei stato a mio... agio, tra gli altri.»

Usagi colse al volo la situazione. «Povero Mamo-chan.»

«Sì, povero.» Ma aveva saputo che a casa avrebbe trovato la sa ricompensa.

«Ah!»

«Cosa c'è?»

«Mi ero dimenticata!» L'entusiasmo di lei si riempì d'orgoglio. «Ricordi cosa stavo provando a fare da un po', vero?»

«Dove?»

Lei lo picchiò su un braccio. «La spilla!»

Ah, sì. «Hai fatto dei progressi?»

Usagi annuì rapida. «Ti direi di chiudere gli occhi ma la sorpresa sta nel tenerli aperti.» Aprì un palmo tra loro. «Guarda bene.»

Mamoru concentrò lo sguardo sulle sue mani. Possibile che-?

La spilla Sailor si materializzò sotto i suoi occhi.

Scattò a sedere. «Ce l'hai fatta!»

Usagi balzò in ginocchio. «Ce l'ho fatta! Era tutta la settimana che sentivo di essere a tanto così dal farcela, perciò ieri sera mi ci sono messa d'impegno e... puf!» Rise. «Ora il mio potere è sempre con me!»

Lei lo aveva desiderato per talmente tanto tempo... Mamoru condivise la sua felicità e l'abbracciò. «Sei stata bravissima.»

Usagi strofinò la faccia contro la sua spalla. «Grazie.»

Lui udì un lievissimo clic e si ritrovò a osservare il cuore di potere aperto.

Usagi ne disegnò i contorni con le dita, dolcemente. «Sai come ci sono riuscita?»

«Come?»

«Era il mio cuore.» Se lo portò al petto, premendolo tra i seni. «Il cuore del mio potere, il cuore di me stessa.» Gli sorrise, pacifica e matura come la regina che un giorno sarebbe diventata. «Ho richiamato e dato forma al mio amore. Per la vita, per tutti coloro a cui voglio bene. Per te che rendi ancora più magnifico tutto quello che mi circonda...» Lo contemplò, abbandonando difese e riserve che già non aveva, quasi che le creasse solo per permettergli di vederle cadere. Gli prese una mano e vi posò la spilla. «Tu sei amore per me, Mamo-chan. Tieni il mio cuore.»

Lui lo accolse tra le mani, lo cullò tra i palmi. «Credo che queste» toccò le ali ai lati, «ti aiutino a volare.»

Lei navigò in un mare di tenerezza. «Tu le tocchi e io volo.»

«Allora non lo faccio. Devi restare a terra con me.»

Usagi si accoccolò contro di lui, su un fianco, cingendogli la schiena con un braccio. «Secondo me, insieme, voliamo in terra. È possibile, no?»

Lui le rese la spilla, indugiando nello sfiorare l'oro del coperchio. «No, è certo.»

Lei la chiuse nel palmo e, con una pausa, la fece svanire nel nulla. Sollevò la testa per guardarlo, la nuca contro la sua spalla. «Usagi ama il suo Mamo-chan.» Ridacchiò, preda di una piccola e preziosa gioia. «Sai che l'ho scritto in tanti quaderni?»

Una cosa così... da Usagi.

«Poi non ho mai il coraggio di cancellarlo, perciò ti ho dedicato una pagina in quasi ogni quaderno, altrimenti imbratto i compiti.»

Il pensiero gli causò un sorriso.

«Cosa ridi, è un problema. Mi vieni in mente quasi sempre quando mi distraggo e di questo passo finirò a scrivere la stessa cosa anche su qualche documento ufficiale tra un centinaio di anni.»

Mamoru lasciò scoppiare la risata.

Lei gli balzò addosso, atterrandolo sulla schiena. «Non ridere!»

Il rimprovero divertito gli fece serrare la bocca, ma non fermò i sussulti. Sopra di lui, Usagi era ancora più allegra. Lo picchiò sulla fronte con lo schiocco di un dito. «Così impari.»

Mamoru tornò giocosamente serio. «Imparato.»

Lei rimase in silenzio. Poi si sistemò meglio contro di lui, sedendosi nel punto giusto del suo bassoventre con un sospiro flebile. Sorrise e gli accarezzò il petto. «Usagi ama il suo Mamo-chan.»

Lui le trovò il collo con la mano. «E Mamoru Chiba ama una certa Usako Tsukino. Anche in momenti come questi, non lo dimentica mai.»

Lei brillò di passione felice. «È per questo che faremo l'amore.» Gli accarezzò il polso che la teneva, premendosi deliziosamente contro di lui. «Di nuovo.»

Mamoru si tirò su con uno scatto. «Mi piace cominciare così.» Trovò l'unione di un bacio.

In quel momento, all'inizio.

E, diverso tempo dopo, anche alla fine.

 

FINE

 

 


 

NdA - Alloora... lo sapevo io che dovevo aspettare il momento giusto per scrivere sta cosa :D La prima scena (d'amore intendo) era pronta da tempo, l'altra non mi veniva... ovvero, l'idea c'era, ma non riuscivo a buttarla giù in modo decente, quindi senza sentire di cadere nel meccanico.

Ora penso di avercela fatta, sono soddisfatta. Mi piace soprattutto la parte finale.

L'esperimento qui è stato descrivere un certo particolare atto di cui finora non avevo mai parlato (blush) :D E descriverlo dal punto di vista di un uomo, anche se c'è tanto Usagi lì dentro, a livello di sensazioni. Niente da fare, ho ancora bisogno di esercizio :D 

Comunque, vi regalo lo sforzo :)


Risposte alle recensioni

chichilina - so che Usagi e Mamoru sono i tuoi preferiti. Spero che ti sia rimasta della saliva dopo questo episodio, è indispensabile nella vita e non vorrei averti stroncata :D Hai ragionissima, figurati se Rei e Yuichiro si annoieranno da quel punto di vista. Ne inventeranno sempre di nuove :D Nella stesura di questo capitolo sono stata coraggiosa, non ho chiuso gli occhi :) È stato lucidissimo :D

Giuly23 - Oh, sono contenta che ti piaccia la coppia :) A me Rei e Yuichiro piacciono tantissimo insieme e per me è sempre un piacere scrivere su di loro (ehmm... senza doppi sensi :D:D:D:D:D) Rispondendo alla domanda, al momento non so con precisione, però parlerò sicuramente ancora di loro due e mi intriga poter descrivere le difficoltà di questi incontri col nonno di Rei in casa. Il vecchio Hino sta per tornare in 'Verso l'alba' perciò sarà difficile non menzionare la questione. Sì, già mi piace :D

Oh, grazie per i complimenti (blush=rossore). I miei non sono chissà che livelli, ma trasmettere è lo scopo di chiunque scriva, quindi il tuo è uno dei migliori complimenti possibili.

pingui79 - alè, anche questo capitolo probabilmente lo leggerai di mattina. Spero che allieti l'inizio settimana :D Oh, sì, fai bene a non preoccuparti per Yuichiro: vedi, sono già entrata nella testa di Rei e lei è una di quelle curiose, una ragazza che si documenta un po' su tutto, soprattutto su ciò che le piace. Per quanto riguarda Yuichiro in sé, è pieno di entusiasmo e quando non gli arriveranno suggerimenti, se li inventerà :D

bunny1987 - ecco Usagi e Mamoru, per la tua gioia e attesa. L'ora scoccò anche per questi due e ho scelto di far vedere apposta uno di quelle famose volte di cui poi parlano anche in Verso l'alba (e che avevo sommariamente descritto in Interludio 3).

Morea - che giornataccia fu la tua -_-. Spero che domani sia una giornata più bella e che questo capitolo ti faccia un effetto identico nonostante tutto :D

Grazie a te per la recensione. Quando so di avere questo effetto nella vita quotidiana di qualcun altro, mi illumino come Usagi.

Nicoranus83 - :) Forse devo augurarmi di aspettare di nuovo per la recensione, se ti ci vuole più tempo per elaborare a seconda di quanto ti ha colpito il testo :D:D Sai, credo che questo capitolo sia da beccare in faccia, potrebbe essere una sorta di caffè istantaneo. Spero non afrodisiaco, perché altrimenti in effetti è meglio starsene a casa e non da sole :D:D

A riguardo della pillola... il mio maledetto realismo ucciderà la povera Rei. La pillola è stata introdotta in Giappone solo nel 1999 e ancora adesso è utilizzata solo da una percentuale bassissima delle donne giapponesi. Sono andata a cercare queste informazioni per avere un'idea su quanto potesse essere comune o facile nel paese asiatico per una ragazza ricorrere a questi metodi contraccettivi. Ho scoperto quindi che non lo è affatto e addirittura al tempo dei nostri (cioè, di 'Verso l'alba') era proprio illegale. Rei dovrà soffrire purtroppo (ad avercele tutte queste sofferenze :D:D:D:D:D:D:D)

maryusa - Yu lo adoro anche io. Il misto di imbranataggine e istinto che è lui (secondo la mia visione) mi piace molto. Non escludo di descrivere altre scene tra lui e Rei (qui in questa raccolta intendo), mentre per ora c'è Usagi/Mamoru. E mi sa che la tua reazione sarà amplificata, ma dimmi pure se mi sbaglio ;)

ggsi -

'Voulez vous coucher avec moi? Ce soir?' dice Rei, ancheggiando e ballando.

'Je ne le sais pas. Ce soir?' risponde Yuichiro, allontanandosi ('Non lo so. Stasera?' Dal francese :D)

'Voulez vous, vou-lez avec moi, ce soir?' prosegue Rei, danzando minacciosa.

Yuichiro fa per prendere la porta, ma Rei gli balza addosso e lo atterra.

Da quel punto in poi, è tutto un coucher e basta coi 'voulez vous?' perché lì nessuno chiede più.

Fine della tormentata vicenda Rei-Yuichiro.

:D:D:D:D:D:D:D:D:D

Perdona la stupidaggine, mi è proprio venuta :D:D:D

Rei apprezza maggiormente il paragone con Eros che con Siffredi :D Ma certo che continuano a darci dentro (siamo pure hentai! :D) dopo gli eventi del capitolo precedente. Se facessi vedere i giorni seguenti mi sa che potrei vendere la sceneggiatura per i film del signor Siffredi ed è meglio di no :D

Muahahahahah! Hai ragione! Giustamente Yuichiro doveva imparare qualcosa dal pervertito del nonnino. Sesso!, povero ragazzo, non aveva applicato la lezione fondamentale!

Da un po' di tempo ho in mente di scrivere una scena di 'Ovviamente... impossibile?' che riguardi questa storia del sogno probito di Rei :) Naturalmente ce ne vorrà di tempo per arrivare fino a lì, ma alla fine era come diceva lei (anche in 'L'indole del fuoco'): lei era una ragazza a cui iniziavano ad andare in subbuglio gli ormoni e avere sempre intorno un certo qualcuno che avrebbe fatto di tutto per condividere un po' di quegli ormoni con lei era... beh, ormonale :D

Sigh, voglio scrivere quella scena.

Tornando a noi, uso spesso i trattini per i termini più audaci, è vero. Non è tanto un metodo per nasconderli (ma anche :) ) quanto perché è proprio in istanti come quelli che il cervello si sottomette alle sensazioni. Quindi cerco di rendere questo effetto, ma è tutta una questione di stile. Conosco altri stili che rendono ottimamente le scene erotiche, ma ognuno ha il suo.

Ohh, spero che tu senta prevalere il sentimento anche in questo capitolo Usagi/Mamoru. Perché qui di fisico c'è taaanto :D

lucy6 - *_* una nuova lettrice! Grazie per aver commentato, sono sempre felicissima quando sento qualcuno di nuovo.

La passionalità di Rei aiuta sempre un mondo in scene come queste, a lei posso far fare di tutto, è molto divertente. Certo poi ci sono gli stratagemmi per far fare di tutto ad altre coppie, tipo quello che ho usato in questo capitolo :) Come si sarà inteso, non è che fossero prime esperienze né per Usagi né per Mamoru. I due si conoscevano in maniera più che biblica da due anni oramai :D

Io adoro chi adora Yuichiro :D Perciò, un kiss di rimando e spero che l'aggiornamento ti sia piaciuto.

Alla prossima a tutti!

ellephedre

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Capitolo 3
*** Ami/Alexander I ***


Red Lemon Note (da leggere prima della storia)
Alcune traduzioni necessarie :)
- undress = spogliare, verbo riflessivo.
- properly = nel modo giusto.
- just = solo.
- well = bene; come intercalare può essere paragonato a 'beh'.
- still = fermo, immobile (aggettivo).

Red Lemon

Autore: ellephedre

Disclaimer: i personaggi di Sailor Moon non mi appartengono. I relativi diritti sono di proprietà di Naoko Takeuchi e della Toei Animation.


2 - Ami/Alexander I

Scena ambientata tra le parti 11 e 13 di 'Verso l'alba'

... finito.
Aveva terminato l'ultimo esercizio presente nel libro.
Ami sfogliò il volume fino alle pagine finali, arrivando alla sezione dedicata alle soluzioni.
Le pagine arancio pastello emanavano il buon profumo dei testi nuovi. I contenuti si erano dimostrati all'altezza delle aspettative che si era formata in libreria: il testo aveva promesso di mettere a dura prova anche la migliore delle preparazioni in materia di studio di funzioni ed era esattamente ciò che si era dimostrato in grado di fare. Gli esercizi l'avevano regolarmente sfidata e intrattenuta; oramai era certa che nessuna domanda d'esame avrebbe mai potuto sorprenderla.
Era stato quasi un peccato non averlo trovato prima: se avesse avuto modo di esercitarsi su quel libro, sicuramente non avrebbe sbagliato il problema presente nel test d'ingresso alla Todai.
Non era stata informata su quale fosse stato l'errore che le aveva impedito di raggiungere il punteggio pieno, ma lei era sicura che c'entrasse quell'unico studio di funzione su cui si era ritrovata a spendere due minuti oltre il tempo necessario per ogni domanda. Naturalmente non vi erano state indicazioni su tempi da seguire o rispettare per fornire ciascuna risposta; era stata lei stessa ad elaborarli dopo un rapido calcolo, appena aperto il test e una volta verificato l'effettivo numero di domande per ciascuna tipologia. Secondo la sua esperienza, organizzarsi con una tabella di marcia indicativa era il metodo migliore per dare l'assalto ad una prova elaborata per non poter essere completata. A tal fine, era indispensabile essere abituati a una simile modalità di lavoro e sapersi cronometrare mentalmente durante lo svolgimento di ciascun esercizio, ma, se si era calmi, precisi, preparati e metodici, il successo era assicurato.
Confrontò la soluzione con lo svolgimento sul proprio quaderno e sorrise di soddisfazione: dominio, derivate, limiti, punti stazionari e di flesso. Tutto giusto, compreso l'elaborato grafico. Metodo, non ci voleva altro.
Chiuse delicatamente il volume e accarezzò con un dito il tomo posato all'estremità della scrivania. Dopo tanti esercizi matematici, un ripasso di storia era l'ideale: ricostruire le logiche dietro gli avvenimenti passati era quasi come raccontarsi la trama di un libro. Mancava il fattore imprevedibilità, ma imperava il realismo e ciò bastava a renderne interessante lo studio.
Nella stanza risuonò un acuto e supplicante miagolio.
Imprimendo una lieve spinta alla sedia, Ami si voltò.
Ale-chan era salito sul letto e si stava strusciando con affettuoso entusiasmo alle lunghe gambe lì distese. Dopo aver allungato brevemente una mano oltre i voluminosi cuscini posati sulle ginocchia, Alexander iniziò a spostare di lato l'ingombro, assieme al testo d'esame di Fisica II.
Ami si alzò e raggiunse il gatto prima di lui, sollevandolo tra le mani. «No no, non devi disturbarlo.» Accarezzò il pelo morbido sulla piccola pancia.
«No.» Alexander recuperò il proprio libro e terminò rapidamente un ultimo appunto. «Ho finito un capitolo. Faccio una pausa.»
Ami contemplò il gattino che si dimenava tra le sue mani. «Me ne prendo una anche io.» In fondo, era una buona idea.
Alexander allungò le braccia in avanti, stiracchiandosi lievemente. «Hai già terminato gli esercizi?»
«Sì. Era un buon libro.» Piccole e affilate unghie trovarono la pelle sul dorso della sua mano, costringendola a posare il suo nuovo felino sul materasso. Secondo il veterinario, Ale-chan aveva all'incirca tre mesi e il continuo desiderio di giocare era tipico della sua giovane età.
Alexander liberò un suono divertito. «Se fosse un cane lo porterei a fare una passeggiata, ma lui si accontenta di molto meno.» Lo dimostrò chinandosi in avanti e lasciando dondolare per aria i lunghi fili spessi che sporgevano dal cappuccio della sua felpa sportiva. Ale-chan si precipitò ad attaccarne uno, solo per saltare immediatamente di lato e dare l'assalto all'altro.
Sorridendo, Ami si sedette sul letto. «È per questo che viene da te. Lo fai giocare.»
«Per forza.» Una mano di lui andò a nascondersi per bene dentro la manica della felpa. «Guardalo, è troppo comico.» Col braccio protetto Alexander finse un attacco improvviso verso l'ignaro felino. Ale-chan finì sul letto con la schiena, afferrando con tutto il corpo il pugno nella felpa e mordendolo come se ne andasse della sua stessa vita. Ebbe luogo una lotta feroce.
Ami strinse le labbra tra loro, gli angoli puntati verso l'alto: il gattino era buffo, ma di veramente comico c'era solo il modo in cui Alexander si divertiva a giocarci.
Allungò una mano per tentare di calmare uno dei due contendenti. «È stato bravo ad aspettare per tutto questo tempo.» Usò il pollice sulla fronte di Ale-chan, avendo imparato che un movimento circolare su quel punto tendeva a rilassarlo.
Alexander gettò un'occhiata alla sveglia sul comodino. «Sono già le sette.»
Sì. Avevano studiato per quattro ore di fila, concentrandosi a dovere. «Hai fame?»
«Non ancora. Tu sì?»
Lei scosse la testa. «Forse tra un'altra ora. Pensavo di iniziare un ripasso generale di storia.»
Ale-chan aveva abbandonato la testa all'indietro. La mano sullo stomaco aveva smesso di tormentarlo, iniziando invece ad accarezzarlo.
«Secondo me dovremmo fare come lui.»
Ami osservò il gattino. «Dormire?» Perché era quello che stava per fare Ale-chan, il cui spirito combattivo si era esaurito con la rapidità di una fiammella.
«Pensavo più a rilassarci.»
L'inflessione nel tono la spinse ad alzare lo sguardo.
Con le sopracciglia lievemente sollevate, Alexander stava contemplando il gatto tra le loro mani come se avesse in mente tutt'altro. «Anche se non credo che tu ti rilasseresti, se ti facessi la stessa cosa.» Massaggiò apertamente la pancia di Ale-chan.
Ami evitò il rossore propendendo per un sospiro rassegnato. «Sei sex-obsessed
«Se non lo sei anche tu, ho sbagliato da qualche parte.»
«A me piace moderatamente.»
Lui fermò ogni movimento, d'improvviso immobile.
Ami si morse le labbra. «Voglio dire che mi piace nel giusto e il giusto è moderato.»
«In questo caso il giusto è passionale.»
La passione non era il suo forte, però... «Non volevo dire che mi piace moderatamente. Con te.» Sarebbe stata una bugia.
Alexander trasformò l'espressione pensosa in un sorriso furbo solo sugli angoli. «Me n'ero già accorto.» Diede un buffetto col pollice al muso di Ale-chan, ormai caduto nel mondo dei sogni felini. «Però se tieni a rassicurarmi, non mi oppongo.»
Ami raccolse le mani sul grembo e lo osservò attentamente. «Mi sembri già abbastanza sicuro.» Ne aveva tutte le ragioni, lo sapevano entrambi.
«Può darsi, ma il moderatamente ha colpito duro.»
Era una finta per incastrarla. «Mi dispiace. È stato un lapsus.»
Lui tornò dritto, ridendo sommessamente. «Dimostrarlo ti spaventa ancora?»
Spaventare non era il verbo corretto; era più giusto dire che la imbarazzava fino alla radice del più piccolo bulbo pilifero. «Non dovrebbe trattarsi di dimostrare nulla.»
Alexander smise di divertirsi. «Certo che no.» Con uno sguardo ad Ale-chan, si spostò di lato, scendendo in parte dal letto per sedersi di nuovo accanto a lei. «È una presa in giro, so che lo sai. E so anche che ieri ti sei sentita un po' a disagio, però-»
Ami sentì il bisogno di specificare. «Quello è sparito subito.»
Lui annuì. «È solo per questo che insisto. Mi piace imbarazzarti in senso buono, non crearti un disagio serio. Vorrei essere sicuro che non succeda mai.»
Ami fissò l'aria tra loro: Alexander se n'era assicurato a tal punto da finire col trattarla coi guanti per quasi un anno intero. «Se una cosa mi infastidisce, lo chiarisco.» La perplessità che ricevette in risposta la costrinse a specificare. «Lo chiarisco a voce. Altre reazioni... sono naturali per me, ma non significa che-»
«Che tu non voglia?»
«Più o meno.» A quelle conclusioni erano arrivati entrambi dopo le più recenti esperienze, ma metterle giù a parole era sempre la scelta migliore.
Lui le passò una mano tra i capelli, dietro l'orecchio. «Beh, la sfida insita nella contraddizione mi attira.»
Oh, ne era perfettamente cosciente. «Ti piace farmi uscire dal guscio delicato senza rischiare di romperlo.» Quello era lo scopo delle battute varie di... sempre, un po' la base del loro rapporto fino a quel momento.
Alexander inclinò la testa, solo lievemente sorpreso. «Sì. Perché so che sei delicata fuori e forte dentro.»
Ami annuì. «E quando una cosa non mi piace dico di no. Siccome non ti ho mai detto no, non devi pensare che non mi piaccia.»
Le rispose un sorriso. «Stai sabotando una miriade di reazioni future.»
«No, so che le terrai in considerazione, voglio solo assicurarti che... il mio non sarà mai un disagio vero. Con te provo un imbarazzo... piacevole.» Se esisteva una cosa del genere.
«Ti prendo in parola.» Lui si sporse in avanti, tanto che arretrare fino a sdraiarsi per lei fu inevitabile.
Erano tornati a giocare.
Ami liberò un sorriso. «Da questo lato sarà scomodo.»
Alexander voltò la testa, fissando l'attenzione sul felino addormentato al centro del letto. «Ora mi libero dell'intruso.» Si alzò e lo prese piano tra le mani a coppa, portandoselo contro il petto. Senza quasi fare rumore, uscì dalla stanza.
Ami lisciò le coperte, serena. Avrebbe fatto una pausa più lunga di quella che aveva avuto in mente, ma un po' di relax condito d'amore non faceva mai male. Senza alzarsi, si allungò verso la sedia, sistemandovi sopra il gilet blu indossato fino ad un attimo prima. Si chinò, eliminando con due gesti tranquilli le calze basse.
Forse stava facendo davvero dei progressi: l'imbarazzo assassino del giorno precedente sembrava quasi un mero ricordo.
Ci rifletté un attimo. E arrossì.
No, non era del tutto passato. Nonostante le intenzioni, neppure il giorno precedente aveva sperimentato cosa volesse dire esattamente stare... sopra. Alexander non era rimasto né sdraiato né fermo, perciò era difficile sostenere che la situazione fosse stata del tutto nelle mani di lei. Eppure, era stato proprio il faccia a faccia, seduti, a rendere l'atto ancora più intimo. L'imbarazzo non le era derivato tanto dalle necessità di comandare movimenti che di fatto non aveva controllato, ma dal modo in cui era stata guardata. Sguardi da cui si era protetta con baci. Toccata. Sulla schiena, sui seni, a piene mani. Accarezzata. Dappertutto.
La invase una vampata di pudore in fuga.
«Pensi a cose belle?»
Sobbalzò.
Dietro di lei Alexander rideva, le mani appoggiate sul letto. «Capito, a cose piacevoli.»
Ami deglutì. «Non si è svegliato?» Cambiare discorso in quel momento le sembrava quasi vitale.
Lui scosse la testa. «Il mio omonimo conosce l'arte della discrezione. Dorme pacificamente.» Si ritrasse, tornando dritto e completamente in piedi. Senza perdere altro tempo, usò entrambe le braccia per sfilarsi la felpa nera da sopra la testa.
Ami fissò di proposito lo sguardo sui cuscini: non aveva ancora imparato a godersi apertamente altre viste. Le sembrava sfacciato, anzi, addirittura sfrontato guardare una persona con l'intensità che si poteva dedicare ad un oggetto che non si riusciva a smettere di fissare. Poiché avrebbe fatto così con Alex, le pareva più educato-
«Undress yourself
Gli scrupoli se li metteva solo lei. Sospirò. «Non preferisci farlo tu?»
«Mi diverte, ma io ho già pensato a me stesso.»
O quasi, visto che indossava ancora i jeans blu, per quanto aperti.
Ami portò le dita alla camicia e iniziò a estrarre i bottoni dalle asole con rapida efficienza.
Lo sentì farsi vicino. «Non così.» La risata bassa le cadde vicino all'orecchio in un bacio leggero.
Il sorriso le si allargò. «Se ti aspettavi che accogliessi l'ordine in un modo diverso, correvi troppo.»
«Infatti era un sogno proibito.» Lui la aiutò con i rimanenti bottoni, calmo. «Ma se si fosse avverato, sarei andato direttamente in paradiso.»
Ami gli accarezzò il collo. «Un giorno.» Percorse la linea calda della sua clavicola.
Alexander le infilò le mani dentro la camicia aperta, cingendole la vita. «Il paradiso è adesso.» Le aprì la bocca con la propria.
Immergersi nel bacio che esaltava ogni senso per lei fu semplice, naturale come sempre. Potersi abbandonare su un fianco, sdraiarsi e accarezzarsi, era invece un nuovo tipo di sollievo di cui non era più certa di poter fare a meno. Come una calamita, non poteva e non voleva allontanarsi da lui, prendeva energia dalla loro stessa vicinanza. Lo toccava e diventava un tutt'uno con le sensazioni che le attraversavano il corpo, con la desiderata tensione che iniziava a farle fremare l'animo, con i brividi che partivano dalla pelle nuda del suo stomaco, che andavano intensificandosi man mano che le dita di lui massaggiavano più in alto, piano, percorrendo attentamente ogni centimetro, sempre un po' più su e un po' più...
Un pollice solleticò per ben due volte la cucitura inferiore della coppa del reggiseno, nel punto in cui il tessuto incontrava la pelle. La terza volta, il contatto si fece di proposito più leggero.
Il piacevole tormento le provocò un debole mugugno di protesta, soffocato tra le labbra di entrambi.
Lui portò la bocca al suo orecchio e la mano sulla sua schiena. «Quando fai così» mormorò con un soffio da brividi, «it's very» le catturò il lobo tra le labbra, «very sensual.» Armeggiò senza fretta col gancio del reggiseno.
Per non far tremare troppo la voce, Ami dovette controllarla. «Così come?» Si spostò per guardarlo in faccia.
Per un brevissimo istante, lui parve soprattutto concentrato; quello dopo, il reggiseno si allargò, slacciato.
La risposta arrivò quando il pollice e l'indice di lui iniziarono insieme uno scrupoloso lavoro sul più vicino dei seni liberati.
Le si bloccò in gola il respiro. Fu inchiodata alle sensazioni dagli stessi occhi chiari che la fissarono per tutto il tempo, come se non volessero perdersi nemmeno un istante di ciò che lei stava provando.
La forza del proprio respiro minacciò di assalirla e per fermarla Ami chiuse le labbra. Non abbastanza in fretta. «Hmm...»
«Così.» Alexander le trovò di nuovo la bocca con la propria, circondandole la schiena per intero prima con un braccio e poi con l'altro. Prima che lei potesse fare altro, lui si sdraiò sulla schiena, portandola sopra di sé.
Infilandogli le dita tra i capelli, Ami perse qualche lungo momento ad accarezzargli la nuca: Alex non lo aveva mai detto, ma quel tipo di carezze lo trasformavano in un essere molto simile ad Ale-chan. O quasi, a giudicare dalle mani che erano scese lungo il suo corpo, ad insinuarsi dal basso sotto la sua gonna corta.
Sorridendo, lei si staccò dal bacio. «Let's undress properly
Lui non si disturbò nemmeno ad annuire: alzò il bacino e tirò giù i pantaloni. Finì il lavoro col solo movimento delle gambe.
Lievemente sbalzata in avanti, Ami ridacchiò sommessamente. Tirandosi un po' indietro, iniziò a togliere la camicia per una manica.
«Forse non dovresti.» Una mano le salì dallo stomaco al petto, sotto il reggiseno che non teneva più nulla. «Questo look mi piace.»
Lei si perse in un momento di divertimento e imbarazzo. Per riuscire a parlare, abbassò le palpebre. «Pensavo...» Percorsa da piacevolissimi tremolii, strinse le coperte tra le dita. «Non pensavo che... ti sarebbe piaciuto tanto.»
Lui si fermò. «Cosa?»
Sentendo le guance accaldate, Ami posò le dita sopra la mano che la toccava. «Questo.» Massaggiò appena.
Lui alzò un sopracciglio. «Questo?» Catturò completamente il suo seno sinistro nel palmo.
Lei annuì, serena. «Non è molto grande.» La sua non era mai stata una paura vera e propria, e nemmeno vergogna, ma non avrebbe mai immaginato che quella parte del suo corpo avrebbe finito col suscitare un tale interesse in lui.
Alexander continuò a dimostrarglielo spostando verso il basso il reggiseno che ancora lo ostacolava, impigliandolo per metà nella camicia e nelle braccia. I suoi occhi verde-azzurro si scurirono fino a farsi quasi turchesi sotto la luce della finestra, mentre lui andava a riempirsi tutte e due le mani di lei. «Anche quando non l'avevo ancora visto, io lo trovavo elegante.»
Ami lo distolse dal suo gioco spostandosi allegramente di lato. Si sdraiò su un fianco. «Elegante è un po' come moderatamente, no?» Nel mondo degli scherzi almeno, perché in realtà era un complimento bellissimo nella sua sincerità.
Lui annuì con un sorriso largo. «Stavo solo cercando di non farti avvampare, ma visto che ho il via libera con gli aggettivi...» Aprì il bottone della sua manica e cominciò a sfilarle l'ultima parte della camicia. «È... invitante. Provocante. Splendido. Da mordere.»
Il sangue le salì pericolosamente vicino al naso. «Non è un aggettivo.»
Lui si sbarazzò del reggiseno. «Lo è 'gustosa'. Dopo averti assaggiato, era l'unica parola che avevo in mente.» Si chinò a baciarle il collo.
L'istinto la spinse a tentare di fermarlo nella discesa. Ci mise poca convinzione e non servì a niente. Quasi subito sentì il seno destro sparire in una morsa umida e bollente.
Si tese come una corda di violino, bloccata dal braccio attorno alla vita.
«Se...» La bocca di lui si strinse sulla sola punta. «Se fosse stato veramente piccolo, avrei potuto mangiarlo tutto. Invece...» Schioccò un bacio leggero sul turgore nato solo per lui. «È piccolo solo questo.» Lo prese tra le labbra, dando vita al meraviglioso supplizio di una lenta suzione e, poco dopo, alla tortura tentatrice di un continuo contatto col dorso della lingua, mai ferma.
Trattenendo a fatica i pesanti sospiri, lei avvolse le braccia attorno alla sua testa, pervasa dalla sensazione di proteggersi e concedersi insieme. Scese con le mani, trovandogli le spalle, il braccio. Lo toccò e lo accarezzò attentamente proprio lì, avanti e indietro, dove di sottile e delicato non vi era nulla. Sfiorò l'incavo appena sotto, generando in lui un brivido e forse una risata, che si trasformò in lieve morso.
Lei gli sobbalzò tra le braccia.
«Fa male?»
«C-cosa?» Fu un ansito.
«Non qui.» Forse per pietà, il bacio morbido si posò solo su una curva lontana dal punto tormentato. La mano che invece si intromise sotto la sua gonna, indugiando sulla linea dell'inguine, fu meno clemente. «Qui.»
Ami gli cercò il polso alla cieca, trovandolo subito. «No, è meglio di... no.»
Lui spostò la testa abbastanza da guardarla. «La prima volta ti aveva fatto...» sorrise, «male lì.»
Un piacevole e intenso dolore generato dalla mancanza di contatto, ma... Scosse il capo. «È già tanto quello che... stai facendo.» Aggrottò la fronte, nervosa. «Credo di riuscire a reggere una cosa sola alla volta.»
La risposta persistette nel tono leggero. «Senza provare non puoi saperlo.»
Oh, invece lo sapeva: stava morendo di caldo già ora e non in una maniera del tutto confortevole.
Gli occhi chiari di lui persero serenità e tornarono al suo livello. «È solo... pleasure, Ami. Sarà solo quello.»
Lei considerò a lungo la risposta migliore e Alexander ebbe il tempo di precederla. «Cosa c'è di diverso da ieri?»
Le uscì un sorriso. «Tu sei completamente lucido, adesso.» Anche se il fatto stesso che gli fosse sfuggita l'evidente differenza era una prova della sua confusione.
«Lucido? Sono in uno stato di pazzia. Pazzia buona, perché toccarti mi genera un'incredibile...» La abbracciò. «Anticipation
Un'attesa della pregustazione finale? Hmm... «Potremmo...» Gli baciò delicatamente la bocca, quasi solo sfiorandola. «Potremmo passare direttamente alla... fine.» Lei era più che pronta ad abbandonarsi ad un momento che fosse di totale e favoloso oblio per entrambi.
Per qualche attimo parlò per lui un silenzio interdetto. Poi, apparve un'improvvisa comprensione. «Ti ricordi di cosa puoi reggere solo quando riesci ancora a pensare.»
La verità la colpì troppo a fondo. «Io penso sempre.»
Lui scosse il capo. «Permettimi una prova. Una sola.»
Una prova come quella di ieri? I risultati li conosceva bene oramai. Dirgli di no tuttavia si stava facendo difficile: fu costretta ad una soluzione di fortuna. «Non vuoi... fare l'amore con me?»
«Lo farò anche così. E tu lo fai con me fidandoti.»
L'argomentazione non le lasciò scampo, solo la possibilità di una sciocca protesta. «È un ricatto.»
L'espressione di lui si aprì in un sorriso. «Sì, ti sto ricattando crudelmente. Potrai punirmi dopo.»
Dopo non avrebbe avuto voglia di punirlo, solo di far sprofondare la faccia nel cuscino al ricordo di quanto si era lasciata trasportare. Il solo pensiero la fece arrossire prima del tempo.
«Per il rosso è troppo presto. Piuttosto, baciami.»
«Come?»
«Baciami e controllami. Puoi farlo come io lo faccio con te.»
... in effetti, sì. Gli prese il viso tra le mani e gli catturò lentamente la bocca. Gliela aprì piano con la propria, con la sua piena collaborazione.
C'era una piccola cosa da cui Alex tendeva sempre a ritrarsi e che, proprio per quello, le piaceva moltissimo. Intrappolò la punta della sua lingua tra le labbra, suggendo piano. Il corpo che l'aveva fatta tremare fremette a sua volta, catturato.
Ami capì: la conquista del piacere altrui aveva un che di... inebriante. La tentò ancora. E, nella resa di lui, conobbe la propria.
La cerniera della gonna ancora ferma sulla sua vita era stata abbassata. Ami la sentì scendere lungo le gambe quasi senza accorgersene, ma la scalciò di lato non appena la sentì fermarsi sulle ginocchia. Cercando di non capitolare immediatamente, provò su di lui la stessa tecnica che faceva impazzire lei: gli accarezzò il petto con le dita, fino a che non riuscì a solleticare col pollice i rilievi che le interessavano.
La mano le fu allontanata di colpo. Avrebbe protestato - forse - se non si fosse trovata rapidamente a guardare il soffitto, la schiena contro il materasso.
Chiuse gli occhi e assaporò la sensazione dei baci che indugiavano sul suo collo, sul suo petto... sulla sua pancia.
Oh.
Come la prima volta?
Ancor prima che lui arrivasse alla meta, il ricordo l'aveva già convinta.
Sì, era stato veramente... così...
E in fondo c'erano di mezzo gli slip.
Rilassandosi, sospirò un po' più forte non appena percepì la leggera pressione a pochi centimetri dal punto dove tutto era più... acuto, dolcemente intenso.
Cercò le mani che si erano fermate sul suo stomaco, stringendole con delicatezza. Ansimò, inarcandosi lievemente, inconsciamente.
Quasi non si accorse delle dita che le sfuggirono dalla presa, che trovarono una striscia di cotone. Che iniziarono a tirarla giù.
Spalancò gli occhi proprio mentre un bacio consolava le pelle segnata dall'elastico.
Non avvampò, ribollì. «No.» Si tirò indietro con uno scatto, finendo col fargli restare tra le dita le mutandine. Corse a coprirsi tra le gambe con una mano, seduta. «No, è veramente... No.» Scosse la testa.
La sorpresa di lui si focalizzò sugli slip ancora incastrati alle sue caviglie. Finì di toglierglieli sciogliendosi in un sorriso. «Con questi indosso invece andava bene?»
nosì. «Ecco...» Rilasciò una breve risata nervosa che si trasformò subito in un sospiro supplicante. «Non possiamo fare in modo... normale?» Per favore?
Il sorriso di risposta contenne una traccia di intenerita pietà. Non fu proprio lo stesso con lo sguardo.
Alexander le tornò vicino sporgendosi in avanti. «Solo un'ultima prova.»
Ami cercò di ribadire il no, ma si ritrovò a voltare la testa per guardarlo negli occhi, fino a che dovette girare non solo il collo, ma anche parte del corpo: Alexander si era sdraiato dietro di lei, su un fianco. Le mise un braccio attorno alla vita, sollevando il torso con l'aiuto dell'altro, piegato sul cuscino. Con la faccia, stava giusto sopra la sua. «Dicono che sia rilassante.»
Rilassante? «Che cosa?» Stare abbracciati?
Lui fece aderire il petto alla sua schiena e, più sotto, piegò le gambe in avanti, portandola inevitabilmente a fare lo stesso. E ad appoggiarsi proprio su-
«Dovrebbe essere intimo e molto calmo.»
Ormai lei aveva capito cosa, e le parole le vennero meno.
Non a lui, che terminò in una risata silenziosa. «È anche normale.»
Statisticamente? Ma... «Io intendevo... l'altro normale.» Voltò per bene la testa verso l'alto. «E preferisco poterti vedere.»
«Mi stai vedendo.» Lui fece toccare i loro nasi. «E io vedo te.»
La piega del collo però era un po' scomoda per lei. Il problema vero, tuttavia, era che la posizione dei loro corpi le pareva fin troppo giusta, per quanto l'idea di continuare senza stare l'uno davanti all'altra sembrasse così... 
«Ami.»
Riportò l'attenzione su di lui.
«Non vuoi?» Alexander abbassò la bocca sulla sua, non lasciandole nemmeno il tempo di pensare. Con labbra ferme e al contempo leggere, non cercò nient'altro che la lieve pressione che bastava a creare un bacio. Non sfiorava né accarezzava, baciava, come le primissime volte, come nei momenti in cui si scambiavano quel contatto solo per sentirsi, per scambiarsi profondo affetto.
Si staccò da lei. «Davvero non vuoi?» Chiuse il sussurro tra le loro bocche unite. Il sospetto che il suo vero scopo non fosse una risposta si fece certezza.
Eppure, con ogni tocco e secondo, per lei divenne anche più certo il salto del cuore nel petto, stretto in una morsa felice da cui non voleva liberarsi, in cui stava così, così bene. Fu proprio il cuore a comandarle di accarezzare il braccio che la stringeva, a ricordarle di... amare.
Just pleasure. Solo amare. Un'unica cosa.
Nell'angolo in cui si incontravano lui fece sparire lentamente la carezza della stoffa leggera da loro, da sé, e quando niente li separò più, vi fu... caldo. Tanto caldo. Meraviglioso calore che iniziò a scottare di piacere.
Con gli occhi serrati e la bocca aperta, lei spinse verso il basso coi fianchi, accelerando e sbagliando l'incastro. Il movimento generò un risultato tutt'altro che errato, ma venne ugualmente corretto. Il braccio attorno al suo stomaco non la spinse in alcun modo, la tenne semplicemente stretta. Furono i fianchi sotto i suoi a premere contro di lei. La trovarono e premettero ancora di più, dentro.
Dalle labbra le scappò un sospiro muto. Il respiro veloce non si creò il problema del silenzio, si fece udire con vivacità.
Lei voltò di nuovo il capo e ricevette il bacio che completò un'intimità... unica.
Non lo aveva mai sentito tanto vicino a sé. Schiacciarsi contro il suo corpo era sconvolgemente... rilassante, creava l'amorevole abbraccio più eccitante che avesse mai ricevuto.
Rispose al lento movimento ritmico dei fianchi di lui, gli ondeggiò contro all'indietro, piano. Vibrarono entrambi.
Sentì un sorriso lieve contro l'orecchio, poco stabile. «Allora non vuoi?»
Sentì gli angoli della bocca sollevarsi da soli, ma riuscì ad unire le labbra abbastanza da mormorare l'unica cosa che le importava comunicare. «Shhh.»
Non lo guardò in faccia, ma vide nella mente il pieno divertimento di lui, quello che, prevedibilmente, si espresse in una spinta verso l'alto un po' più decisa delle altre.
Oh. Oh, quella posizione era fantastica, concentrava ogni piacere in ondate quiete, favolosamente intense e tranquille.
La mano che iniziò un leggero movimento circolare sul suo ventre le provocò un rapido solletico. Il sorriso si fece incerto quando sentì scendere le dita fino a posarsi sulla sua gamba più alta ed esterna. La pressione sulla coscia la spinse a sollevarla e a spostarla di lato, sopra il ginocchio che si insinuò rapido sotto il suo.
Era più aperta ed esposta, ma il vero cambiamento si ebbe nell'angolo d'entrata che lei stessa andò a testare.
Il piacere perse un grado di tranquillità, acquisendone uno in forza. Fu un sacrificio a cui valse la pena di sottoporsi.
Lentamente, ritrovarono il quieto ritmo perso e l'unico svantaggio che lei riuscì a trovare fu l'impossibilità di stringerlo forte tra le braccia. Cercò di invitarlo a completare l'unico abbraccio possibile facendo aderire completamente la schiena al suo petto, iniziando a spostare piano la mano da dove lui l'aveva lasciata, posata sul suo ventre. Alexander la spostò sì, ma nella direzione sbagliata, più sotto, dove già si incontravano.
Ami cercò di intrecciare le dita tra le sue, finendo quasi col toccarsi da sola invece che fermarlo. «No, lì-» Una fitta sublime le impedì di continuare.
«Shhh.»
Silenzio? Non poteva accarezzarla lì e pretenderlo. Non... «Hmm.» Si morse forte il labbro. Oh, nono, le era piaciuto talmente tanto come prima, mentre adesso era così- «Ahh.» Meglio, peggio. Troppo troppo acuto.
Si voltò per protestare o forse per baciarlo, perché finì a fare quello.
Le dita su di lei scivolarono avanti e indietro sempre più leggere e sopportabili, favolosamente lancinanti, mentre seguivano e assecondavano il movimento dei loro fianchi. Non crearono più aghi, ma note. Mai troppo basse, ma finalmente solo piacevoli. Lievemente, inesorabilmente più alte, intonate.
Il suo corpo iniziò a reclamare la soddisfazione totale, completa, quella che poteva venire solo dai fianchi che spingevano così bene sotto i suoi, da lei che si premeva contro di loro, dalla mano che non doveva più smettere di toccarla proprio in quel modo.
Cominciò a tremare, a vivere di scatti e spasmi leggeri, improvvisi, sempre più incontrollabili. Il loro abbraccio si intensificò in forza, facendosi ancora più saldo e stretto, fonte di sollievo impossibile.
Un dito la scoprì in maniera perfetta, causandole la scossa finale.
Si tese ad arco, all'indietro, verso il basso, guidata da paradisiaci spasmi che non avevano fine, alimentati da tocchi che oramai erano tutti giusti. Immaginò di gemere a pieni polmoni e fu più che sufficiente: tutta la sua attenzione era concentrata solo sul sentire. Nell'oblio del piacere estremo, iniziò a percepire anche i movimenti più rapidi che potevano essere preludio di una soddisfazione condivisa, ma... rallentarono. E si calmarono, assieme a lei.
Sarebbero stati quasi convincenti se non ci fosse stata una prova più importante a contraddirli.
Aprì lentamente gli occhi, respirando affannosamente. Voltandosi appena, cercò lo sguardo di lui, trovandolo già su di sé, intenso e molto attento.
Non le riuscì di arrossire solo perché il sangue era ancora impegnato a irrorare ben altri tessuti e organi. «Hai... guardato?»
La bocca gli si aprì in un sorriso. La baciò sulla guancia, vicino ad un occhio.
... lui aveva guardato invece di- «E ora?»
Alexander mandò giù una risata. «E ora... Non so, qualche idea?»
Mandarlo fuori dalla porta? Il pensiero non sarebbe scomparso in un lampo se non avesse avuto ancora in circolo tanti ormoni bendisposti. Alla lunga sarebbe sparito comunque - come poteva prendersela davvero? - però... Colpita da un'intuizione geniale, si scostò abbastanza da riuscire a separarsi da lui.
Si sdraiò sulla schiena, inclinando la testa di lato. Sorrise innocentemente. «Sì, ne ho giusto una.» Gli toccò il braccio.

Si era trovato una dea, la creatura più sensuale sulla faccia dell'intera Terra, tanto restia a lasciarsi andare quanto incantevole nella resa.
Per resisterle e poterla osservare, aveva iniziato ad enunciare a mente le quattro equazioni di Maxwell nella loro forma integrale, comprensive del significato teorico di ogni singolo simbolo. Inevitabilmente distratto, si era fermato poco dopo la metà della prima, ma per fortuna era stato sufficiente.
Si chinò su di lei, incapace di fermare il sorriso. «Quale?»
Ami lo strinse piano sopra il gomito, indicandogli di avvicinarsi ancora.
Hm, se lei aveva in mente la modalità 'normale' di cui gli aveva parlato prima, ora lui non vedeva l'ora di collaborare.
Si appoggiò lentamente sopra il suo corpo, tenendosi su coi gomiti, fino a che l'espressione soddisfatta di lei non gli confermò che aveva esaudito la sua richiesta. Le sue mani gli trovarono la schiena, le spalle; Ami lo osservò con occhi blu notte semichiusi e sollevò il bacino verso l'alto, strofinandosi contro di lui.
Well, immediatamente.
Si tirò indietro solo per il minimo necessario e tornò subito a sentire la piena e impareggiabile sensazione del corpo di lei, la risposta a ogni desiderio che avesse mai avuto. Proprio come poco prima, lui spinse ed Ami accolse, forse appena più sciolta, sicuramente più calda e-
Si sentì stringere i fianchi tra le sue gambe piegate, con forza. «Fermo.»
... cosa?
Ami gli prese il volto tra le mani. «Ora devi stare fermo.»
Fermo?
Lei gli fece abbassare la testa e, quando incontrò la sua bocca, gliela aprì con trasporto e languida calma. Il bacio lo aiutò a quietare l'urgenza di muoversi, almeno fino a che lei non chiuse le labbra su- Un brivido violento lo percorse sull'intera schiena, imponendogli di spingere in avanti coi fianchi.
Ami si staccò di colpo. «No, be still.» Portò le mani tra i suoi capelli, la sua voce un sussurro. «Non muoverti.»
Il passaggio studiato delle dita di lei sulla nuca, straordinariamente piacevole e rilassante, fu solo il pretesto per permetterle di nuovo di distrarlo e catturargli la punta della lingua tra le labbra umide e calde. Per fermare il forte tremore che seguì, Alexander fu costretto a tendersi e irrigidirsi, afferrando tra le mani il cuscino dietro la testa di lei. «Am-»
Lei gli serrò la bocca con la propria, scuotendo piano la testa. «È solo una prova» mormorò.
Parole che non lasciavano molto scampo, non dopo l'uso che ne aveva fatto lui stesso.
Ami infilò un braccio sotto quello di lui, arrivando a prendergli e a tenergli una spalla. «Be very very still, now
Oh, poteva vivere per obbedire ad ordini sussurati in quel modo, ma la situazione gli faceva quasi temere per quello che-
Affondando contro il materasso, lei bilanciò i fianchi verso l'alto, abbandonando il letto coi piedi, le gambe piegate.
Il respiro gli si bloccò nel petto, solo per uscire di colpo.
Il movimento lieve a cui fu sottoposto - il meglio che poteva ottenere - si ripeté con una piccola spinta delle ànche di lei, troppo leggera e proprio perciò dolorosamente appagante. Se non si fosse interrotto prima forse ora sarebbe stato in grado di- Alla pressione verso l'alto si aggiunse la stretta calda dei muscoli che lo avvolgevano. La morsa si ripeté e continuò a farsi viva, diventando sempre più decisa... ritmica.
Alexander schiacciò i denti tra loro, sentendosi diventare duro come mai in vita sua. «Ami.»
«Hm?» Il brevissimo suono contenne una traccia di puro piacere che gli diede speranza.
Articolò la supplica concisamente. «Un'altra volta. Questo.» Perché adesso- Ennesimamente battuto e sconfitto, le circondò la testa con le braccia, concentrandosi sul respiro.
Lei gli appoggiò un bacio sulla mascella, emettendo un lungo sospiro. «Solo un altro po'. Poi basta.»
Poi basta? Sapere di poterne uscire gli impose di farsi forza. Chiuse gli occhi. E finì con lo stringere di nuovo il cuscino tra le dita, trattenendo un ansito.
Non ce l'avrebbe mai fatta se non si fosse concentrato immediatamente su altro. Altro come... la prima equazione di Maxwell, derivata dal porre l'uguaglianza tra il teorema di Gauss e il teorema della divergenza, elaborato anch'esso da Gauss con l'aiuto di Green e null'altro che la generalizzazione a domini enne dimensionali del teorema fondamentale del calcolo integral- Inspirò e smise di resistere, imprimendo nella spinta dei fianchi tutto il proprio peso.
Ami liberò un gemito. «Okay, basta.»
Lui la ascoltò prima col corpo e poi con la mente, iniziando a spingere senza alcuna delicatezza, solo per trovare l'affondo più profondo, più assoluto.
Lei iniziò a interrompere una serie di strani e favolosi suoni che non riuscirono in alcun modo a convincerlo a ritardare la propria fine - troppo, troppo oltre per quello - ma che gli ricordarono che se riusciva a spostarsi e a premere anche un po' più sopra...
Ami scattò in alto col bacino, regalandogli l'oblio totale dai pensieri, dove esisteva solo entrare sempre più dentro di lei, stringerla forte a sé, rispondere alla bocca che gli percorreva la guancia e respirava su di lui. Alexander la chiuse con la propria solo verso la fine, completando i movimenti che il corpo ancora gli imponeva, mai pago di lei. Ami staccò le labbra dalle sue quasi subito, cercando a bocca aperta l'aria.
Quando il fragore dei sensi si spense nella stanchezza, lui si fermò. Iniziò a crescergli nelle orecchie il battito del proprio cuore, un ritmo insanamente veloce. Sorridendo, scivolò verso il basso e appoggiò una guancia sul seno di lei. Ascoltò a occhi chiusi. «Stiamo morendo, love
Una mano si mosse piano sulla sua spalla, senza forza, con felicità. «Forse sì.»
Rimasero ad ascoltare il silenzio.
Ami gli accarezzò la tempia. «Ti ho guardato... un po'.»
Lui unì le sopracciglia, senza capire.
«Come mi hai guardato tu.»
Gli nacque un nuovo sorriso. «Mi stavi punendo?» Non ne era sicuro, era solo certo che non gli sarebbe sembrata una punizione in condizioni diverse. Forse.
«Sì.»
Non la vedeva, ma gli pareva di avere davanti l'espressione di imbarazzata ammissione, per niente pentita e intimamente allegra.
Lei continuò. «Ora ho capito perché lo hai fatto.»
Lui le passò una mano indolente sullo stomaco. «Allora potrò farlo ancora?»
«Hmm... credo di sì.»
«Thank you.» Voltò la testa, appoggiando un bacio sulla sua pelle calda. Si sollevò sulle braccia. «Sai cos'ho sperimentato io oggi?»
Lei scosse la testa, in serena attesa.
«Le molte utilità della fisica.»
«Hm?»
Sorrise apertamente. «E la propensione al piacere del corpo della mia ragazza.»
Le guance di lei si colorarono di rosa.
Proprio come la prima volta che era andato a trovarla, davanti alla sua scuola. Come quando si imbarazzava per complimenti molto più innocenti, come quando era molto felice. E come chissà quante altre volte in futuro.
«I'm in love with the red
Innamorato del rosso. Ma solo quello di lei.

FINE



NdA - Il capitolo è venuto fuori proprio piano piano. Gli ho dato il suo tempo e alla fine sono soddisfatta (ehm, in senso letterario, blush).
Per le altre coppie è stato più facile descrivere la scena lemon, soprattutto per via della situazione: per Rei e Yuichiro si trattava di una serie di prime volte in cui erano tutti e due molto entusiasti, mentre Usagi e Mamoru non avevano nemmeno bisogno di motivazioni :D Invece in questo caso ho dovuto far crescere lentamente la situazione, oltre che fare uso del comportamento naturalmente timido di Ami, il che è sempre una sfida :)
Le informazioni sulle equazioni di Maxwell (che, da quanto so, rientrano nel programma di Fisica II) sono state prese da Wikipedia e altri siti internet.

Spero che anche questo capitolo vi sia piaciuto.
Rispondendo ad una domanda generale, 'Red lemon' è una raccolta che ho creato per tutte quelle scene a rating Rosso legate alla mia saga di Sailor Moon che narrativamente parlando non si inquadrano bene nelle altre storie, quindi ho inserito gli 'I' per ciascuna coppia perché potrebbe una esserci una seconda scena per tutti. Mi lascio campo libero :)

Ringrazio tantissimo Rox e ggsi per il voto che hanno dato alla seconda scena di questa storia, all'interno del concorso sulla migliore scena lemon.



Risposte alle recensioni

chichilina - quando dici che hai il cervello troppo in panne per lasciare una recensione decente hai già fatto un bel commento, la scena non ha lo scopo di ispirare calma :D:D Mi dispiace solo che ti abbia 'caricata' in un posto inopportuno (:D) però sono contenta che ti sia piaciuta così tanto.
Addirittura mi hai sognata! A dir la verità, io non ho ancora mai sognato i miei personaggi e le mie trame, quindi forse quella strana sono io :)
Ciao!
pingui79 - sìsì, il capitolo precedente era assolutamente molto hentai (ho voluto testarmi in questo senso e non escludo affatto di spingermi oltre più in là). Oh, non sapevo che qualcuno avesse interesse a vedere la scena della prima apparizione della spilla di Usagi :) E' un punto molto importante della precedente storia in realtà, come tu e altre avete già intuito. Il commento sulle ali della spilla è nato da Mamoru, nel senso che mi è venuto naturale mentre lo facevo parlare :)
A me sembra degna già questa recensione, di che ti preoccupi :)
Baciotti anche a te :)
lucy6 - grazie mille per il commento sui dialoghi. Volevo proprio trasmettere la sensazione dell'intimità raggiunta tra Usagi e Mamoru, non un'intimità fisica, ma di mente. Dopo tanti anni di conoscenza e tante traversie superate insieme, mi pareva più che naturale.
Già, sappiamo che i due dureranno per secoli e secoli... non si annoieranno :D:D
Baci a te :)
maryusa - esatto, la povera Usagi si sentiva (e si comportava) da assatanata. La vergogna la dimenticò presto però :D Mamoru invece ha pur sempre una testa maschile, l'idea di vergognarsi non gli passa nemmeno per la mente (anche se nel precedente episodio di questo genere dopo si era un pochino pentito del suo... impeto. Giusto per poco). Nella loro coppia il fattore tenerezza è senza dubbio portato da Usagi, Mamoru ne esternerebbe di meno a parole (per natura) però quando capita la segue tranquillamente.
Un bacione e a presto!
semplicementeme - :D Non so se hai la stessa sintomatologia di Usagi, ma hai detto che ti piacerebbe :D:D
Sono certa che eventuali fidanzati che beneficino indirettamente degli effetti generati da queste letture mi ringrazierebbero: gli uomini non sono scemi :D:D:D
Usagi è assolutamente d'accordo sulla fortuna che si ritrova nell'avere un ragazzo che vive da solo. Da un paio d'anni a questa parte sta sfruttando appieno le possibilità offerte da questa situazione ;) Oddio, mamma Ikuko che fantastica sul genero :D No, è una brava donna lei e col marito va ancora... d'accordo, se ci intendiamo :D:D:D:D:D Se invece Kenji sapesse di tutto questo (se anche solo sospettasse) Mamoru non sarebbe più tra noi.
Usagi alla fine si è rassegnata a fare ginnastica... quale sacrificio fu! :D Se n'è resa conto lei stessa che le lamentele erano assurde, è rinsavita. Come hai sottolineato tu col corsivo, il sacrificio di Mamoru è quasi commovente :D Beh, lui almeno non si racconta storie, lo faceva per sé.
Ma come non puoi recensire come vorresti, hai commentato quasi ogni cosa :D
Come ho fatto intendere nel capitolo e nella parte 15/1 di 'Verso l'alba', questo fenomeno nasce da Usagi. E' lei che accende Mamoru, sì. Non dipende strettamente da un maggiore controllo del suo potere, però c'entra col potere che è in lei.
A 80° sei quasi bollita. Spero che tu ti sia ripresa in tempo per questo nuovo capitolo :)
Alla prossima!
azzurraspettacoli - fai parte della schiera di persone il cui fidanzato mi ringrazierà a quanto pare :D:D:D Scherzo, non hai bisogno di parlargli della storia, meglio pensare a divertirvi tra voi :D I miei aggiornamenti si fanno sempre un po' aspettare, le 'meraviglie' mi vengono lentamente, però arrivano.
Grazie dell'apprezzamento ;)
Morea - uhh... sono contenta per il risultato di Analisi II e dispiaciuta per l'altra circostanza. Se le cose non si sistemano, ti auguro in prima persona di incontrare un Mamoru abile come questo :D:D
Mi hai strappato un sorriso con questa tua frase: "Adesso potrò fare altri tipi di sogni... oh, ma che mi fai dire! *blush*" Ho immaginato il 'blush' (un po' alla Ami :D)
A presto e tanta fortuna per tutto il resto!
Rox - ti PUNISCO! (slash - colpo di frusta che fende l'aria).
:D:D:D:D:D:D:D:D:D:D:D
Ora che sei punita, passiamo al tuo bel commento, quello con cui ti eri già fatta perdonare :)
Ho riso troppo nel momento in cui hai dovuto specificare che Yuichiro metteva Rei sotto solo di carattere... sìsì :D:D Immaginavo che il suo atteggiamento si sarebbe guadagnato i tuoi complimenti. Comunque c'è da chiarire che a lui va bene anche stare sotto, di lato, piegato in due, a testa in giù... della posizione non gli importa :D
Dopo tutto il precedente capitolo ancora non disdegneresti Gen prima di Mamoru? Tu e thembra assieme mi preoccupate molto in vista del momento in cui mi accingerò a descrivere una scena lemon tra Gen e Makoto... vi dovranno rianimare, suppongo :D
Comunque sbagli immaginando la reazione di Usagi a questa esperienza: ha passato il suo tempo ad osservare la bocca di Mamoru molto tempo prima, questa non era certo la prima volta che ne... testava i vari utilizzi (blush :) ) Oh, potrebbe essere lo spunto per un'altra scena lemon :D E un'altra cosa che potrei descrivere sarebbe la scena in cui il rischio cicogna ha iniziato ad esistere per Usagi e Mamoru. Però ho una mezza idea di parlarne nella stessa 'Verso l'alba', credo che potrebbe fare parte della storia.
So che la coppia di questo nuovo capitolo non ti è molto gradita, ma spero che la lettura abbia assopito qualcuno degli appetiti che ti affliggono (o ti graziano, piuttosto :) ).
Baci!
fasana - ehi, che bello risentirti :) Annuisco: comprendo lo stress da università e sono contenta che per te siano momento di svago.
Ciò che scrivo è un'opera d'arte solo nel senso che è la mia particolare forma d'arte a dovermi pigliare e attaccare alla scrivania per scrivere ciò che produco :D Sono sempre convinta che se avessi maggior talento scriverei più in fretta e senza riflettere tanto, ma i risultati piacciono e rallegrano molte persone oltre me e questo mi rende fiera.
Ciao!
bunny1987 - prima di scrivere il terzo capitolo di 'Oltre le stelle' anche per me Usagi e Mamoru erano puri e immacolati. Poi cambiò tutto. :D:D:D
La parte finale ha creato emozioni anche in me, ci voleva proprio dopo tutta quella ginnastica da camera :D
Sempre contenta di emozionarti :)
Alla prossima a te!
ggsi -  sei tu ad avermi ispirato la scena del coucher di Rei e Yuichiro, devo ringraziarti :D Guarda, se non fosse intervenuta la situazione d'emergenza, penso che Yuichiro sarebbe capitolato comunque nel giro di un paio di settimane. Rei si era detta che l'avrebbe presa comoda, ma non avrebbe resistito molto a lungo al fuoco della passione che brucia vivissimo in lei ;)
Anche io dopo aver finito di scrivere gli ultimi dialoghi tra Mamoru e Usagi ero lì che mi complimentavo con loro per la tenerezza :)
Brava, io inserisco indizi un po' dappertutto (ho quest'hobby), bisogna sempre leggere tra le righe, muahahahah :D
L'altro giorno, grazie a Mediaset Premium, ho rivisto in prima serata il primo film di Sailor Moon e in effetti Mamoru controllava bene i dintorni di un intero corridoio  (lasciando Usagi come una scema con gli occhi chiusi e la testa alzata ad aspettarlo) prima anche solo di azzardare un bacio. L'ho fatto evolvere anche da questo punto di vista ;D (un po' ci avevano pensato nella serie però, pian pianino andavano anche in giro abbracciati :D)
Le frasi romantiche sul quaderno! Un particolare di cui sono fiera, mi sembrava tanto da Usagi e io e lei (versione anime almeno) siamo poco in sintonia come caratteri, quindi entrare nella sua testa per me è sempre un piccolo sforzo.
Mamoru che trancia le ali a Usagi? Ma dopo Usagi lo ammazza, le sue ali secondo lei sono 'bellissime'. Si ricrederà, se non altro perché io le trovo tanto posticce e nella mia storia comando io :D
Grazie del solito graditissimo divertimento :) Ciaooo a te!
QeenSerenity83 - per il momento per me è assolutamente naturale riuscire a descrivere una scena di sesso intrisa di sentimento. La sfida sarà provare a toglierlo :D E dovrò intraprenderla, perché ho creato 'La storia di lui e lei' apposta per questo. Nelle mie storie il sentimento sarà sempre imperante alla fine, però vorrei provare a descrivere un'esperienza più fisica che ugualmente non cada né nel banale né nell'osceno, che ritenga la bellezza del donarsi e del donare con passione senza pure essere innamorati (ancora).
Viste le relazioni presenti in 'Verso l'alba', non è un esercizio a cui mi applicherò con questi personaggi. Il sentimento li comanda :)
Beh, il problema di Usagi al momento non è essere in 'quel periodo del mese', però senza dubbio d'ora in poi dovrà fare attenzione. Vediamo se avrò modo di descrivere anche questi tentativi :)
Se l'evento Chibiusa succedesse ora, Kenji avrebbe un infarto, dovrebbero letteralmente rianimarlo. Poi passerebbe metà del suo tempo a fare le coccole alla nipotina e l'altra metà a picchiare Mamoru con la padella :D
Come ho detto sopra penso di andare oltre il singolo capitolo per ciascuna coppia, ogni volta che ne avrò l'ispirazione :) Baci e a presto a te :)

Alla prossima!
ellephedre

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Capitolo 4
*** Rei/Yuichiro II ***


Red Lemon Note:
- geta: sono i sandali tradizionali giapponesi, dalla superficie rettangolare dura. Foto da Wikipedia.

Red Lemon

Autore: ellephedre

Disclaimer: i personaggi di Sailor Moon non mi appartengono. I relativi diritti sono di proprietà di Naoko Takeuchi e della Toei Animation.


4 - Rei/Yuichiro II

Scena ambientata tra 'Oltre le stelle' e 'Verso l'alba', l'estate precedente a 'L'indole del fuoco', la storia in cui Rei e Yuichiro cominciano a fare coppia.
La one-shot fa riferimento ad un discorso che Rei ha affrontato nel primo episodio di 'Red lemon' e sarebbe inquadrabile in un punto molto lontano di 'Ovviamente... impossibile?' 


Una mano le accarezzò il fianco. Dita lunghe e grandi, lievemente ruvide, titillarono la sua pelle, impossessandosi dei suoi sensi.
Inarcandosi verso l'alto, alla ricerca dell'ultimo tocco, Rei separò le labbra.
La mano su di lei si spostò verso la parte bassa della sua schiena, senza fretta, intenta a soddisfarla.
Rei tentò di allontanarsi, ma nelle sue orecchie, dentro la sua testa, risuonò un mormorio rassicurante, meravigliosamente sensuale. Basso e profondo, maschile.
Sentì bruciare i palmi che opposero una lieve resistenza, che si posarono su un petto largo, caldo e compatto, come niente che avesse mai sentito.
Cercò di dirgli di andarsene, di uscire da sotto le sue lenzuola, ma lui prese ad accarezzarla senza chiederle il permesso. Portò entrambe le mani sul suo petto, prese a coppa i suoi seni e, sopra la maglietta del suo pigiama, si abbassò a morderle piano un capezzolo.
Rei artigliò le coperte. Prima di poter tentare una fuga indesiderata si ritrovò con una gamba intrappolata, presa per essere messa attorno ai fianchi stretti che si insinuarono tra le sue gambe. Le mani di lui le accarezzarono apertamente lo stomaco, sedandola, conquistandola.
Perché? le chiedevano. Perché vuoi andare via? Resta, scopri.
Lei si allungò inconsciamente sul letto e lui accolse l'offerta del suo collo. La baciò lì e, sollevandole la maglietta, la denudò per facilitare la sua adorazione.
Era lì per lei, le disse senza parole. Per risvegliare il suo corpo, per farle conoscere la meraviglia dei sensi. Rispettando la muta promessa, rigirò i suoi capezzoli tra le dita, lambendoli a turno con la lingua umida, bollente, avida di lei.
In silenzio Rei iniziò a gemere, scoprendosi come un essere capace di provare un dolcissimo piacere.
Sussultò quando la durezza di lui comparve all'improvviso tra le sue gambe, estranea. Lui gliela spinse contro. Due strati di tessuto non le impedirono di capire che lì sotto era fatta apposta per lui, per farlo entrare e permettergli di farla gridare.
Si sentì avvampare, arrossire. Ansimò quando lui riprese a spingere languidamente e pulsò di idilliaca delizia tra le gambe.
Lui spostò le mani, le fece scendere lungo il suo corpo fino a prenderle a palmi pieni le natiche. La tenne ferma così, per lui e le sue spinte insistenti.
Rei buttò la testa all'indietro e ondeggiò a ritmo col bacino. L'arco accennato di ciascun movimento la fece lentamente impazzire.
Due dita si infilarono dentro i suoi pantaloncini e trovarono l'elastico dei suoi slip. Le tolsero tutto con un unico pensiero.
Per proteggersi lei si appiattì contro il letto, ma lui la abbracciò. La tranquillizzò accarezzandole la schiena, chiedendole se voleva conoscere il proprio corpo, diventare grande.
Affondò in lei, un colpo di piacere feroce che la fece inarcare. Era bloccata, ma voleva essere schiacciata, presa.
Lo abbracciò e lui riprese a spingere in modo perfetto, perfetto, oh, era quello il piacere?
Lei voleva tutto. Voleva la sua bocca sulla propria, chi sei?
Arrivò il suo bacio, un nuovo atto di sesso favolosamente eccitante.
Ma quello che lei desiderava davvero era altro. Mi ami? Vero che mi ami?
Sulle sue labbra si posò un bellissimo bacio d'amore romantico. Rei pianse di gioia. Dimmelo, gli chiese, tra ansiti di trasporto magnifico.
Ti amo, Rei.
Lei gli sfiorò le labbra con la proprie e affondò le dita nei suoi capelli folti. Chiese di più.
Ti amo, le ripeté lui, entrando tanto a fondo dentro il suo corpo da farli diventare una cosa sola. Rei aprì gli occhi e nel buio seppe che lui aveva le labbra piene - riconobbe la forma - che rideva sempre, che l'amava ancora e che, con gli occhi tranquilli, pensava sempre a lei. Come all'inizio, perché dietro quella frangia lunga e scura c'era-
Sobbalzò.
Lui sparì e lei...
Si svegliò.
Spalancò gli occhi, ritrovandosi stravaccata sul letto, una gamba che minacciava di cadere sul pavimento e le braccia buttate sopra la testa.
Scattò a sedere, respirando affannosamente. Tutto per via di...
Iniziò a tremare di rabbia.
Buttò via le lenzuola, umide di sudore dove le aveva strette ripetutamente al corpo. Balzò in piedi. Quasi inciampò nello scendere dal letto, ma raggiunse la scrivania e aprì violentemente il cassetto. La luce della giornata estiva aveva già invaso metà della sua stanza, come tutte le primissime mattine di quell'afoso luglio infinito.
Si ritrovò tra le mani il manga che aveva letto la sera prima. Desiderò avere un accendino e dargli fuoco. Prima di provvedere, andò a rileggere tutte le pagine su cui si era soffermata il giorno precedente.
Bei termini, Rei.
'Sesso', 'piacere' e almeno tre o quattro dannate posizioni sessuali graficamente suggestive che lei non aveva sperimentato durante il sogno, ma che evidentemente le erano entrate in testa a tal punto da- A tal punto da...
Sbatté il volume a terra.
«Ahhh!» Lo pestò ripetutamente sotto il piede.
Fremente d'ira, si precipitò fuori dalla sua stanza.
Brontolando e borbottando, fu costretta a tornarci dentro per mettersi addosso qualcosa di decente.

«Che caldo...» Fermo in mezzo allo spiazzo del santuario, Yuichiro si asciugò la fronte madida con il dorso della mano.
Nelle giornate estive più insopportabili, quelle in cui un singolo raggio di sole era capace di trapassare da parte a parte un cranio umano, Yuichiro considerava la divisa del tempio come una sfida personale: tenerla addosso lo faceva sudare a tal punto che l'indumento in sé era quasi un esercizio di resistenza fisica.
Appoggiò la scopa contro il muro vicino e pensò alla piccola fontana di bambù posizionata dietro il tempio. L'acqua era sempre pulita dentro quel pacifico bacino artificiale e lui aveva un disperato bisogno di rinfrescarsi fronte, collo, nuca e... Sospirò. Se avesse potuto, si sarebbe sdraiato nella pozza.
Ancora un'ora e avrebbe fatto una bella doccia gelata.
Nell'attesa, non gli restava che accontentarsi. Si diresse verso la sua momentanea salvezza e affinò l'udito. Gli parve di percepire sin da lontano lo scrosciare dell'acqua cristallina, fredda come l'inverno che sembrava un miraggio distante.
«Yuichiro!»
Voltò la testa con uno scatto e non faticò a riconoscere il timbro maestosamente acuto del suo personale e meraviglioso tormento quotidiano.
Si era già reso conto di aver fatto virare la sua esistenza in una direzione masochistica nel rimanere vicino a Rei, ma a lei bastava accennare ad un sorriso - neppure rivolto a lui - per illuminare le sue giornate. Yuichiro si sentiva pronto ad essere infelicemente felice nel viverle accanto, almeno fino a che le circostanze non li avessero separati.
Gli risultava penoso persino pensarci.
«Yuichiro!!»
Il grido, trasformatosi in strillo sulla sillaba finale, gli fece aggrottare la fronte e digrignare i denti.
Perché Rei era arrabbiata con lui? 
Iniziò ad avere timore della risposta e deglutì. «Sono qui!»
Si era dimenticato di fare qualcosa? No, gli mancava un angolo dello spiazzo da ripulire, nient'altro. Quella mattina, pur avendo operato di fretta, non aveva tralasciato alcun particolare nei suoi compiti. Erano da poco passate le undici e lui aveva già finito tutte le sue faccende, apposta per cercare di riposare in casa nelle ore più calde della giornata. I possibili visitatori del tempio si sarebbero comportati nello stesso modo - ne aveva avuto la prova proprio durante la settimana - e lui aveva ottenuto il permesso dal maestro di prendersi una pausa pranzo più lunga in quei giorni, a patto di sacrificare un paio d'ore di riposo la sera.
«Eccoti!» ringhiò Rei, comparendo da dietro l'angolo dell'edificio.
Yuichiro amava l'estate per molte ragioni: per i bagni in piscina, per le lunghe ore di sole, per le fette di cocomero che si faceva finire in pancia e per le magliette di Rei.
Erano sempre scollate e senza maniche e da diverse estati gli permettevano di vedere quel che di solito gli piaceva immensamente immaginare.
Tre anni addietro si era sentito quasi meschino ad osservarla, quattordicenne com'era stata. Due anni addietro si era detto che lei stava crescendo e che era molto matura per la sua età. Dall'anno precedente i suoi sensi di colpa si erano volatilizzati: neppure il mignolo di Rei si sarebbe più potuto descrivere come infantile.
E quell'anno lei era sempre più...
Indiavolata, con un braccio alzato. Gli gettò addosso un- Lui schivò in tempo e l'oggetto piombò dentro la fontana.
«Perché diavolo non fai mai quello che devi?!» Rei strinse i pugni e marciò nella sua direzione. «Sei uno stupido! Muoviti a riprenderlo!»
Lui cercò di guardare dentro l'acqua. «Che cosa?»
Lei fece per spingerlo in avanti, ma all'ultimo momento evitò di toccarlo. In volto le passò una smorfia che gli parve un misto di disgusto e imbarazzo.
«Ho... fatto qualcosa di male?» azzardò lui. Di cui magari non si era accorto?
Lei picchiò il suolo con un piede. «Perché non hai riparato il rubinetto del bagno!? Mi si è staccata una delle due chiavi in mano e ora è finita nella fontana!»
«Non c'è problema. Lo riprendo.» Non era il caso di discutere con Rei, non quando era in quello stato. Non che lui avesse mai discusso con lei, ma qualche volta aveva osato ribattere silenziosamente e Rei, puntualmente, non gli aveva parlato per giorni. Era stata una tortura tremenda.
Sporgendosi, studiò il fondo della fontana e decise di tenere addosso i geta. Non aveva voglia di scivolare malamente e sbattere da qualche parte.
Immerse il piede nell'acqua e volle rilasciare un sospiro di godimento. Che meraviglia!
«Vuoi muoverti?!» lo incalzò Rei.
«Sì, sì.» Avrebbe dovuto scoprire se era stato lui a farla arrabbiare tanto o se Rei era adirata per conto suo.
Esaminò la superficie in pietra resa tremolante dall'acqua e fece fatica ad individuare la chiave del rubinetto sotto i vari piccoli massi che decoravano il fondo della fontana.
«E' lì!» lo sgridò Rei.
Yuichiro decise che dopo le avrebbe chiesto scusa a prescindere. Non c'era altro modo per fermare quel trattamento, lo sapeva bene. «Adesso lo trovo.»
Facendo attenzione a non scivolare, si mosse parallelamente al bordo.
«Lì!»
Lì... dove? Cercò di guardare dietro il sasso più grosso e finalmente scorse un luccicchio.
«Insomma, ce l'hai davanti agli occhi!» Rei picchiò violentemente la canna da cui scendeva l'acqua. Il totem di bambù a cui era stata sostenuta - vecchio come il tempio, secondo Yuichiro - si spaccò su tutta la parte superiore.
La pressione dell'acqua si liberò su di lui e il getto violento lo inondò da capo a piedi.
Yuichiro gli volse la schiena e scoppiò a ridere.
«Che disastro!» inorridì lei.
La forza del flusso venne meno con l'esaurimento della scorta principale e l'acqua cominciò lentamente a spargersi sul terreno.
«E'-è tutto distrutto!» Il risentimento di Rei non si trasformò in ulteriori rimproveri: con estremo dispiacere lei non ebbe il coraggio di dargli la colpa anche di quel problema. Deglutì la rabbia e ritrovò il broncio. «Vieni ad aiutarmi con la pompa dell'acqua. E' vecchia, da sola non riesco a chiuderla.»
Fradicio e felice di esserlo, lui cominciò a uscire dalla fontana. Si fermò di colpo. «Aspetta. La chiave del rubinetto.»
Rei gli indicò imperiosamente di uscire. «La prendo io!» Non gli diede il tempo di protestare: si levò i sandali bassi ed entrò coi piedi nella fontana. Si chinò e cercò nell'acqua con una mano.
Yuichiro rimase attento fino a che lei non tornò dritta.
«Eccolo. Quanto ci voleva a prenderlo?» Rei avanzò e, nell'istante successivo, perse l'equilibrio. Scivolò come se avesse pestato una saponetta e Yuichiro le afferrò il polso con tanta violenza da deviare la direzione della caduta.
Invece di sbattere contro il bordo della fontana, lei capitolò in acqua con tutto il corpo.
Lui si sentì come se avesse rotto un preziosissimo vaso. «Rei-san!»
La chioma corvina di lei uscì lentamente dall'acqua, lucente per quanto era fradicia. Rei usò le mani per togliersela dalla faccia e il sole illuminò i suoi occhi di fuoco. «San? Credi forse che ti salverà?»
Yuichiro si protesse con le mani. «Non- Stavi per cadere!» E lui stava per essere ucciso!
«Sono caduta lo stesso!» latrò Rei. «Idiota!»
Yuichiro si preparò a correre. «Mi dispiace! Non volevo che ti facessi male!»
Rei afferrò la canna di bambù che galleggiava accanto a lei. «Non sarò io a farmi male.» Uscì dall'acqua con un balzo.
Yuichiro scattò come un centometrista.
«Vigliacco!»
Sapendo di avere un vantaggio, si voltò per controllarlo. Quello che vide fu la furia di Rei, già munita di sandali - quando li aveva rimessi?! - a tre metri da lui. Chiese aiuto nella propria testa e corse più forte.
«Fermati! Oggi ti sei permesso un torto di troppo con me!»
Ma che le aveva fatto?!
Si diresse di proposito verso la pompa dell'acqua sistemata accanto al pozzo, dall'altra parte del tempio. Quando l'avvistò, tirò un sospiro di sollievo. «Tregua! Tregua, tregua!» Rallentò e schivò per un pelo un colpo di bambù. «Tregua! Dobbiamo chiudere la pompa!» Si buttò a terra, in ginocchio. «Non ti ho fatta cadere apposta! Non potrei mai, lo sai!»
Rei ebbe un attimo di esitazione e lui ne approfittò per disarmarla.
Quando gli vide la canna di bambù in mano, lei iniziò a fumare di rabbia.
Yuichiro la gettò lontano, oltre gli alberi. «Perdonami! Non so cosa ti ho fatto oggi ma... perdonami.»
Lei continuò a fremere. «Cosa mi hai fatto?! Adesso per esempio! Mi ero appena cambiata, per colpa tua dovrò lavare tutto!» Tirò stizzita la maglietta gialla che indossava, fradicia. Quando la lasciò andare, il tessuto si riattaccò al suo corpo, producendo un suono bagnato e una miriade di minuscoli schizzi.
Lui rimase a fissare una delle tante scie d'acqua che le percorrevano il collo. Prima di evaporare al sole, una goccia riuscì a scivolare dentro la maglietta bagnata, infilandosi tra i seni di lei.
Gli mancò la saliva.
«Ma che-
Nemmeno la voce soffocata di Rei riuscì a convincerlo ad alzare gli occhi.
Lei corse a coprirsi il petto con un braccio e Yuichiro capì che per lui era finita.
Rei si sfilò un sandalo e, con mira infallibile, lo centrò in piena fronte. «Maniaco!»
Con un gemito di dolore, lui si sfilò la parte superiore della tunica. «Mi dispiace, scusa! Copriti con questo!» Solo quando sentì com'era zuppo il tessuto si rese conto di quanto era stata stupida la sua offerta.
Furiosa, la faccia di Rei assorbì lentamente l'intero calore del sole e lui approfittò di quegli istanti preziosi per abbassare lo sguardo almeno un'altra volta. O due. Considerò l'idea di chiedere a Rei di farlo fuori con le sue stesse mani, a patto che lei non si cambiasse mentre procedeva al massacro.
Rei gli levò la tunica dalle mani e gliela ributtò in faccia. «A cosa vuoi che mi serva?! Rimettitela e smettiamo di perdere tempo!»
Quando Yuichiro liberò gli occhi, vide che Rei si era sistemata accanto alla pompa.
«Muoviti!» gli sibilò lei e le bastò quell'unica parola per fargli capire che non si riferiva solo alla chiusura dell'acqua.
Lui terminò di infilare rapidamente le braccia nella tunica e non si disturbò ad unire i lembi solo per non farla aspettare oltre.
Invece di rimproverarlo, Rei attaccò immediatamente gli occhi alla maniglia che doveva far girare e vi posò le mani, preparandosi a spingere. «Al tre. Uno, due e-»
Lui arrivò giusto in tempo per fare la sua parte.
L'acuto cigolio della vecchia pompa gli confermò solo che, alla riapertura, molto probabilmente si sarebbe rotta anche lei. Avrebbero dovuto chiamare un idraulico e prevenire il disastro. O forse far cambiare l'intero impianto. Era già stato in programma, in fondo.
Tornando dritta, Rei incrociò le braccia sul petto, facendo attenzione a tenerle bene alte. «Mettiamo in chiaro la situazione.»
Cauto, lui annuì.
«Ci sono cose su di me che tu non puoi nemmeno permetterti di sognare.»
L'ombra del sorriso che gli era cresciuto in volto sparì.
Su quello di Rei si fece viva una smorfia di forzato disgusto. «Non gradisco affatto che tu- che tu...» Unì malamente le labbra. «Per niente! Non succederà mai.»
Lui rimase ad osservarla, a confermarsi che dietro la vena di cattiveria sottile e gratuita ci fosse davvero Rei.
Lei deglutì ma non vacillò.
Per niente, si ripeté lui in testa. Rei non si era riferita solo all'errore di un attimo, ma a tutto quanto. Ad anni di lui che la guardava da lontano, che cercava di vederla sorridere, che era contento quando ci riusciva. Entrambi erano stati perfettamente coscienti della situazione tra loro, era stato il tacito accordo di sempre quello di non parlarne mai.
«Certo che no» le rispose, graffiando le parole. Aveva sempre saputo che tra loro non sarebbe mai successo nulla, non nella realtà. Ma non si era meritato di sentirselo dire a quel modo. O di sentirselo dire in qualunque modo: non aveva mai preteso nulla da lei, le era sempre stato solamente amico.
O almeno, aveva creduto che loro due fossero amici. Ma adesso era chiaro che, quando era di cattivo umore, Rei si sentiva autorizzata a sfogarsi sui punti deboli di lui.
«In frigo non c'è niente.» Si voltò, diretto in casa a cambiarsi. «Vado a fare la spesa.»
Magari, rifletté tra sé, in giro per strada il caldo del mezzogiorno lo avrebbe fritto sull'asfalto.
Non sarebbe stato un male.

Rei si sentì morire mentre l'ennesima ondata di vapore bollente si levava dal ferro da stiro, colpendola in volto.
Continuò a stirare. Aveva cominciato dall'hakama azzurro e dalla tunica bianca di Yuichiro - aveva iniziato per sistemare quei due indumenti, d'altronde - ma in seguito si era ricordata che non si era più prodigata in quei compiti da molte settimane. Era sempre stato lui ad occuparsene e questa volta, si era detta, avrebbe pensato a tutto lei.
Posizionò l'ultima parte del lenzuolo sull'asse e cominciò a togliere le pieghe anche dagli ultimi lembi.
Si meritava sia la scomodità che la punizione, ne era cosciente: si era comportata in maniera imperdonabilmente superba e antipatica con Yuichiro. Era stata persino cattiva con lui.
Era passato un mucchio di tempo dall'ultima volta che Yuichiro aveva lasciato ad intendere di provare qualcosa nei suoi confronti e cosa faceva lei? Lo accusava di immaginarsi chissà cosa - quello che si era sognata lei! - e per di più, pur di nascondere l'imbarazzo e i nuovi pensieri impropri che l'avevano fulminata, aveva persino fatto finta di esserne disgustata.
Sarebbe stata un'esagerazione affermare il contrario: Yuichiro non aveva improvvisamente cominciato a piacerle in modo diverso da prima. O meglio... sì e no. Ovvero, non aveva alcuna intenzione di mettersi con lui, ma il punto era che... no, neppure quello!
Non era attratta da lui in quella maniera. Solo... non era non attratta da lui in quella maniera. Secondo la matematica del suo cervello, dove due 'non' sommati facevano un mezzo 'sì', poteva dire essenzialmente che Yuichiro non le era indifferente, almeno ad un livello oggettivo, puramente distaccato, completamente impersonale. Fisico, quindi.
Ammetterlo non costituiva un delitto capitale, anche se ci aveva messo mezza giornata a convincersene. Sarebbe stato strano il contrario piuttosto: Yuichiro non era affatto brutto, anche se di recente le sembrava che fosse diventato sempre meno brutto dove già prima non lo era mai stato. Valeva sempre la regola dei due 'non'? Preferì non scoprirlo. Il punto era che... beh, lui era un ragazzo. Tutto lì.
E lei quella notte aveva avuto il primo sogno erotico della sua breve vita piena di responsabilità e battaglie ma priva di fidanzati. Come molte altre ragazze era una romantica nell'animo anche lei; ovviamente le era piaciuto unire a quella fantasia anche l'idea dell'amore. E chi mai si era innamorato di lei in quei diciassette anni? Solo Yuichiro.
Solo lui, a chi altro avrebbe dovuto pensare? Per di più lui viveva a casa sua, le stava sempre accanto, intorno, le parlava, le stava simpatico, era una persona con cui si trovava bene.
Per forza aveva pensato a lui.
Benché Yuichiro quella mattina si fosse messo a guardarla come se volesse spogliarla - maniaco, ma con quale diritto glielo aveva detto? - non era certo perché era ancora innamorato di lei. Si era solamente trovato davanti una ragazza con addosso null'altro che pochi vestiti bagnati; avrebbe avuto la stessa reazione anche con un'altra persona.
Sentì la fronte aggrottarsi e tornò al punto: era una faccenda impersonale anche nel suo caso.
Apprezzare il fatto che lui non fosse brutto non significava niente. Era una semplice reazione ormonale. Non doveva aver timore di quello che provava.
Erano anni che lei trovava carini molto ragazzi; era passata alla fase successiva, quella in cui 'carino' diventava una qualità superata, ecco. Aveva nuovi bisogni che stavano crescendo dentro di lei, facendosi sentire con forza, ed era normale provare il desiderio di abbracciarsi ad un ragazzo. O meglio, al corpo di lui.
... quanto era squallida.
Ebbene, era maniaca solo quando era incosciente. A mente lucida, il massimo che riusciva a pensare era che Yuichiro... Okay, lui aveva delle belle braccia, proprio come avrebbero dovuto essere delle braccia che non fossero di donna. Ma questo, ammise a se stessa, lo pensava già da almeno un paio d'anni. Durante quell'estate a quella considerazione aveva aggiunto, del tutto disinteressatamente, che anche le proporzioni del torso di lui erano... discrete. O discretamente ottimali, ma non c'era motivo di essere troppo generosi. Anche perché quel giorno le era entrato in testa - come se non fosse bastato il sogno - che le proporzioni di lui senza vestiti erano parecchio invitanti e questo era molto male.
Yuichiro era suo amico e lei non aveva quel tipo intenzioni nei suoi confronti. Quindi, doveva prendere i suoi nascenti bisogni e direzionarli in una bella storia d'amore.
Sospirò, lasciandosi bagnare il viso dall'ultima nuvola di vapore.
Oh sì, voleva innamorarsi.
Lasciò scendere le spalle.
Voleva anche sistemare le cose con Yuichiro.
Gli aveva fatto male - almeno un po', anche se da qualche tempo aveva avuto l'impressione che lui nascondesse i suoi malesseri peggiori. Si era sentita egoista, meschina e cattiva.
Spense il ferro da stiro e controllò ancora una volta che gli abiti di lui fossero perfettamente piegati.
Quello era un primo modo, minimo, per farsi perdonare.
Il resto le sarebbe venuto in mente quando se lo fosse trovato davanti.

Erano le nove.
Faceva ancora un caldo tremendo, ma il sole era appena tramontato e non colpiva più il corridoio davanti alla sua stanza. Nell'aria aveva cominciato a scorrere una minuscola brezza per cui valeva la pena di stare all'aperto.
Buttando giù un nuovo sorso d'acqua ghiacciata, Yuichiro cercò di racimolare il desiderio di alzarsi e andare a prendere anche una fetta d'anguria.
Capì di non avere abbastanza fame. No, piuttosto non aveva nemmeno voglia di qualcosa di buono.
Abbassò le palpebre e cercò di godersi la pace silenziosa della casa.
Il suono di passi leggeri, appena veloci, non lo fece alzare. Si concesse di non trovarli neppure piacevoli, per una volta.
Attese che arrivassero accanto a lui, senza spostare lo sguardo dal giardino.
Udì il respiro di Rei e lasciò che fosse quello a riempire la mancanza di suoni, attendendosi di udire uno sbuffo di impazienza o un'altra manifestazione di fastidio.
«Ti ho portato un po' di anguria» furono le prime parole di lei, incerte. «E... ho lavato e stirato la tua divisa.»
Non si era girato nell'udire la prima offerta, ma il secondo favore lo sorprese.
Rei incontrò il suo sguardo col cenno di un sorriso nervoso. «Scusami.» Posò accanto a lui i vestiti e si inginocchiò, sedendosi a terra. «Mi dispiace molto per come mi sono comportata oggi con te. Ero irritata per ragioni che... per problemi in cui non avrei dovuto coinvolgerti.»
Gli stava chiedendo perdono.
Per un momento il suo cuore non udì ragioni diverse da quelle dell'amore. Yuichiro riuscì a zittirle solo all'ultimo momento.
Rei annuì. «Tu sei stato... beh, un po' inopportuno. Io però sono stata superba e ingiusta con te.» Abbassò lo sguardo. «Non devi perdonarmi, ma... non essere infelice a causa mia.» Lo fissò con profondissimi e sinceri occhi viola. «Per favore» aggiunse, mettendo fine alla sua giornata di mestizia.
Lui si costrinse a non sorridere apertamente solo immaginando di essere un'altra persona: se qualcun altro fosse stato nei suoi panni, non gli sarebbe piaciuto vederlo arrendersi tanto facilmente.
Rei lo squadrò nel viso rimasto calmo per un altro attimo prima di cominciare ad alzarsi. «Mi dispiace davvero» gli disse, afflitta.
«Grazie per l'anguria» si affrettò a dire lui.
Era un debole. Un debole che l'amava.
Rei prese a sorridere. Aveva capito di essere stata completamente perdonata. «Non si ripeterà più, lo prometto.»
Se gli chiedeva ancora scusa in qualunque modo, lui si sarebbe lanciato in avanti, l'avrebbe presa tra le braccia e l'avrebbe baciata. Nei suoi sogni, ovviamente. Nella realtà Rei avrebbe reso reale il rifiuto che gli aveva quasi palesato quel giorno.
Lei tornò in piedi. «Prendo la mia fetta d'anguria e la porto qui.» Con passò allegro sparì nel corridoio.
La vita era bella, pensò lui, chiudendo gli occhi e appoggiando la nuca contro il palo in legno.
La vita era degna di essere vissuta per serate come quella, in cui Rei si metteva a parlare con lui, davanti ad un gelato o magari ad un gioco di carte, e insieme discorrevano di tutto e niente. Ed erano felici; realmente felici anche solo così.

Si sporse in avanti e le infilò una mano tra i capelli, dietro l'orecchio.
Rei spalancò gli occhi, ma lui non attese di udire il suo rifiuto. Lo precedette, chiudendole la bocca con la propria.
Non fu spinto via né allontanato, nemmeno un poco.
Lo sai, gli diceva quella Rei che non si faceva mai sentire ma che era sempre presente. Lo sai che voglio solo che mi ami.
Lui lo sapeva. Sapeva benissimo di dover essere solo abbastanza coraggioso da riuscire a dimostrarlo: Rei voleva essere amata. Da lui, certo. Come poteva esserci quacosa di più giusto? Le loro labbra erano una sola bocca che era un delitto separare.
Lui le usò per inebriarsi del sapore di lei, ogni volta sempre migliore, diverso. Le usò per dirle che andava tutto bene: lei era forte soprattutto quando era dolce e non doveva mostrarsi sempre ferma e superiore. Andava bene lasciarsi andare, fidarsi.
Rei gli credette e rispose al suo bacio.
Ricambiò anche il suo abbraccio e lui fu stupidamente impulsivo: la spinse all'indietro, sul pavimento in legno, adagiandosi sopra di lei. Provò a staccarsi, ma Rei glielo impedì.
Erano innamorati, gli confermò. Lei voleva tutto quello che voleva lui.
Lui lasciò uscire la tensione e cominciò ad accarezzarla piano, lungo le gambe e sulle spalle.
Lei si fece contenuta passione, desiderosa di essere liberata. Rei era come il suo fuoco, una fiamma che ardeva feroce e viva se alimentata. Che bruciava, come la mano che trovò la sua schiena, accarezzandolo con tanta maestria da lasciarlo senza fiato.
Lui volle trascinarla in camera e Rei lo aiutò sollevandosi. Si spostarono piano, di poco. Bastò giungere appena oltre la porta, dove giaceva il suo futon, illuminato dalla luna piena.
Lui le aprì la tunica - lei non indossava altro che quella - e la scoprì candida e tremante sotto il tessuto bianco. Per non farsi guardare Rei prese a baciarlo, a baciarlo ancora, ma lui la fece sdraiare sulla schiena, su lenzuola chiare degne di lei, e le passò le mani sulla pelle nuda.
Sotto la luce fioca la vide con una chiarezza mai concepita. Le trovò un seno con le dita e capì di non averla mai sentita tanto bene, tanto realmente, prima di allora.
Era più piccola, di pochissimo, rispetto a quello che aveva immaginato, ma perfetta, assurdamente morbida e ancora più ricettiva.
Come l'acqua fredda, anche i suoi polpastrelli riuscirono a renderle duri i capezzoli e lui fu sicuro di non aver mai visto niente di più innocentemente sensuale. La punta era minimamente ruvida, chiara sotto la debole luce bianca della luna, fatta per un assaggio o per una carezza, pensati entrambi solo per farla stare bene.
Il sospiro di lei - il suo ansito - gli ricordò il sorriso che lei gli aveva rivolto sulla veranda. Mi rendi felice.
Lui la gustò con la lingua. Ti amo. La amava. Perché, perché non si erano liberati prima delle paure, dei timori?
Rei lo circondò con le gambe e gli abbracciò la testa, chiudendo il loro mondo.
Vieni. Si inarcò sotto la sua bocca e poi riuscì a scivolare verso il basso. Basta aspettare. Rilasciò un suono di dolcissima resa nel sentirlo contro di lei e Yuichiro se ne sentì emettere uno che lui stesso volle consolare.
Sono qui. Sono qui con lei, non l'amavo senza essere ricambiato.
Gridò in silenzio quando entrò dentro il corpo di Rei e si sentì un penoso novellino che non aveva mai fatto sesso in vita sua, perché niente, nulla, lo aveva preparato a quello.
Rei singhiozzò a bocca aperta con muti lamenti di completezza. Fu lei a muoversi per prima e a fargli capire che non sarebbe mai più riuscito ad essere da solo nel proprio corpo.
Dondolarono su un naturale mare, col desiderio di non finire mai.
Lui si sentì stretto dalle sue gambe, intrappolato dalle sue braccia e ringraziò di essere vivo.
Le trovò la bocca con la propria e la adorò finché non ebbe più fiato. A quel punto si mosse più veloce e spinse, spinse, la trovò col proprio corpo e le chiese di non farlo mai più stare senza di lei.
Rei fece aderire i loro bacini, il proprio seno contro il suo petto e le loro labbra l'una contro l'altra. Lo tenne contro di sé e dentro di sé, mentre tremava violentemente, senza fine.
Nella calma non si abbandonò sul futon, continuò a tenersi stretta a lui. Portò le labbra al suo orecchio. Prova a cercarmi. Gli accarezzò piano i capelli, facendoli scorrere uno per uno sulle dita. Cercami e diventa felice con me.
Yuichiro si svegliò.
Aprì gli occhi nel buio della sua stanza, in piena notte, la testa adagiata sul proprio cuscino.
Guardò il soffitto scuro.
Sono già felice con te, le rispose, calmando il respiro veloce e il corpo teso. Ma qui, forse, non siamo fatti per stare insieme.
Come un povero pazzo, salutò la Rei dei suoi sogni, quella Rei che intravedeva ogni giorno dentro un paio di determinati occhi viola.
Era la stessa ragazza che era capace di diventare irritante e irritabile, inquieta, nervosa e anche un po' cattiva. Dopo però veniva a chiedergli scusa portandogli i vestiti stirati e un pezzo di anguria. Si fermava a parlare con lui, a mostrargli quanto poteva essere bella quando sorrideva per cercare di farlo contento.
Sono già felice, si ripeté lui, voltandosi su un fianco e stiracchiandosi.
Buonanotte, augurò silenziosamente alla Rei che dormiva dall'altra parte della casa.
La Rei della realtà che creava ogni suo sogno.


FINE



NdA - Questa era una di quelle storie che volevo scrivere da un mucchio di tempo, ma che ho sempre pensato che avrei dovuto aspettare per mettere giù, visto che si collocava in un periodo che volevo caratterizzare meglio con 'Ovviamente... impossibile?'. Alla fine non ho resistito e l'ho buttata giù comunque, giustificandomi con una semplice scusa: non avrei potuto mettere questa roba in una storia a rating Giallo :D E chissà quanto potevo metterci per arrivare a questo periodo (anche se, lo dico subito, ho già idee per il prossimo capitolo della storiella dedicata alla complicata relazione di questi due personaggi).
Mi viene voglia di spiegare cosa ho cercato di lasciar trapelare nei sogni dei due, ma mi piace pensare di essere riuscita a far parlare il testo e quindi propri i subconsci di Rei e Yuichiro. O almeno spero :D
Grazie per aver letto e se volete dirmi cosa ne pensate sarò contentissima ;)

Alla prossima!
ellephedre

P.S. - sul gruppo Facebook che vedete sotto mi diverto a fare delle note - pezzi di testo con allegate delle immagini - relative alle storie che scrivo (attenzione; ho dovuto ricominciare daccapo col gruppo perché l'indirizzo del precedente funzionava a tratti.)
Queste sono le due note presenti per questa storia.
Yuichiro amava l'estate per molte ragioni...
Come un povero pazzo, salutò la Rei dei suoi sogni...




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Capitolo 5
*** Usagi/Mamoru II ***


Red Lemon Note importanti per capire le battute della storia.
- Odango = cibo giapponese a forma di palla. Nella versione originale Mamoru associa i codini di Usagi a degli odango, chiamandola Odango Atama ('testa a odango' o qualcosa di simile) invece che 'testolina buffa'. Io uso entrambe le versioni nella storia, per facilitare la comprensione delle battute e la verosimiglianza del linguaggio dei personaggi.
- Usagi - significato: Coniglio
- Tsukino - significato: Lunare
- Usagi Tsukino = Coniglio della Luna
- hentai = maniaco/a


Red Lemon

Autore: ellephedre

Disclaimer: i personaggi di Sailor Moon non mi appartengono. I relativi diritti sono di proprietà di Naoko Takeuchi e della Toei Animation.


5 - Usagi/Mamoru II

Scena ambientata all'interno del capitolo 4 di 'Oltre le stelle'


Il percorso fino al letto, rapidissimo, era stato nitido. La moquette nera di notte si era fatta azzurra, il bianco delle pareti accecante, la luce del sole abbagliante.
Ricadendo sul letto, Usagi indietreggiò con uno scatto. «Mamo-chan.»
Un braccio forte la sostenne per la schiena, adagiandola sul materasso.
Le sue guance presero fuoco. «Mamo-chan.» Tentò di fermarlo con una mano sul petto e si sentì perduta quando lui la sovrastò - magnificamente reale, nitido.
Si coprì la faccia. «Mamo-chan!»
Un bacio la sfiorò per errore sul dorso della mano. Mamoru si allontanò. «Cosa c'è?»
Usagi si azzardò a liberare un occhio. «Io...» Bastò la vista della bocca di lui a toglierle il fiato, scura com'era dentro le labbra, calda da impazzire nei ricordi. Si sentì morire. «Ho... cambiato idea.»
Lui imitò con successo un pesce boccheggiante. Riuscì a riprendersi e sorridere. «Usa...»
Lei sfuggì in tempo alle sue bellissime grinfie. «Nonono.» Aderì allo schienale del letto. «Io volevo ma...» Ohh, voleva ancora adesso! «È solo che è troppo chiaro, è troppo...» Guardò con orrore la stanza e tutti i suoi sgargianti colori. Come aveva fatto a non pensarci!?
Mamoru avanzò piano, a gattoni, e Usagi capì di non poter scappare oltre il limite del letto.
«Cosa è troppo chiaro?»
Lei rannicchiò le gambe. «Per favore, rimandiamo a stasera.» Se fosse riuscita a resistere. Forse. Magari. Vero?
Lui le studiò il viso. Comprese ogni cosa quando lei fece guizzare lo sguardo verso la finestra. Rise.
Usagi sprofondò con la testa tra le ginocchia. Presto avrebbe vissuto l'esperienza più imbarazzante di tutta la sua vita, lo sapeva, se lo sentiva!
Il brivido che la mano di lui le provocò sul gomito fu solo il primo assaggio. «Usa...»
«Di giorno non si può!» tentò lei. Non potevano proprio, tutti nudi sotto il sole, senza un solo straccio a coprirli. L'immagine le fece sentire una puntura deliziosa tra le gambe.
Mamoru stava soffocando una risata. Le prese il viso in una mano e con un pollice le accarezzò la guancia arrossata, generando una minuscola scia di estasi che minacciò di farle perdere ogni dignità.
«Non cambia niente rispetto a ieri» le disse.
«Mi vedrai dappertutto!» Quella mattina aveva conservato un pochino di pudore almeno, coprendo le parti importanti con un lenzuolo strategicamente piazzato.
Lui era rimasto perplesso. Usagi lo vide ondeggiare tra un sorriso e un broncio.
«Ma non volevi che... ti baciassi?»
Baciarla? Lei ricollegò la domanda al discorso bruscamente interrotto in salotto e sentì il sangue invaderle il naso. «No! Volevo solo che noi-» Fece un paio di gesti con le mani.
Mamoru li fissò con le sopracciglia alzate e quando Usagi riprovò si rese conto che con le dita stava imitando qualcosa di simile al volo starnazzante di due anatre.
«Volevo solo che noi... come ieri... Tu mi avevi-» Si morse la bocca. Le parole di lui - l'ipotesi di tutto quello che potevano ancora convidere intimamente - l'avevano eccitata oltre ogni misura. E voleva fare l'amore di nuovo, ma non con tutta quella luce!
«Usa.» Una mano riuscì a intrappolarla per la schiena. «Vieni qui.»
Lei si sentì opporre la resistenza di un coniglietto morto. Voleva essere la cavia del suo Mamo-chan e immolarsi sull'altare della scienza. Mamoru avrebbe potuto dimostrare al mondo intero che gli bastava una carezza per comandare a suo piacimento un coniglio umano con i capelli a odango. Lei avrebbe saltellato per lui al primissimo 'Hop!'.
Mamoru premette la bocca sulla sua. Le aprì piano, dolcissimamente, le labbra con le sue e Usagi serrò forte gli occhi.
Era notte, cercò di convincersi, proprio come la sera prima. Già, notte, tutto buio, tutto romanticissimo e sensualissimo. Oh sì, sarebbe stato talmente bello muoversi di nuovo insieme a lui, ancora più travolgente della prima volta. Non sarebbe esistito niente di diverso dai loro corpi uniti che... sarebbero stati bagnati di luce.
«Mamo-chan.» Tentò di ritrarsi, ma Mamoru le baciò la guancia. «Io sono ancora una sciocca. Una Testolina Buffa scema.» Per fermarlo infilò le dita tra i suoi capelli e provò a tenergli la testa. «Non sono ancora pronta per farmi vedere di giorno. Mi vergogno troppo
Lui ridacchiò contro il suo orecchio. Usagi lo sentì tendersi mentre gli accarezzava la nuca. Il rimpianto di non poter continuare divenne ancora più grande.
«Non la pensavi così stamattina» mormorò lui, facendole intuire la presenza di un sorriso micidialmente tenero. «Sei stata tu a spiarmi.»
Lei volle sotterrarsi. «Non ti ho rispettato. Scusa.»
Magnanimamente, lui le concesse il proprio perdono. «Permettimi di guardarti.» Fece scorrere la mano lungo il suo stomaco e più su, sopra la maglietta. Con un unico dito, mise sull'attenti il suo corpo, giocando a farlo inturgidire su un'unica punta.
Usagi evitò l'ansito solo a metà. «Continuiamo stanotte» pregò con forza d'animo gigantesca. «Un pochino alla volta, per favore.»
«Stanotte torni a casa tua.» Mamo-chan sembrò tanto addolorato da farle cambiare idea quasi solo con lo sguardo. Quasi. «Poi vai dalle tue amiche. A noi rimane solo adesso.»
Usagi capitolò miseramente così.
Deglutì. «Appoggiati del tutto sopra di me.» Per farle sentire, pensò, quant'era già pronto a farle dimenticare che esisteva il mondo. Sarebbe stato- Trattenne un gemito quando lui obbedì. Era sicuramente un ottimo inizio. «Guardami solo negli occhi, okay? Oh!» Cercò disperatamente di allungare il braccio verso il basso. «Le lenzuola! Coprici.»
A lui uscì una risatina. Attirò sopra di loro le lenzuola bianche, pulite. Fu come ritrovarsi in un mondo di purezza.
«Perché ti vergogni?»
La luce del sole filtrava facilmente attraverso il tessuto leggero, rendendo il loro piccolo spazio una cupola stropicciata e candida. «Mamo-chan... perché sì.» Di notte era tutto così romantico e intimo, mentre di giorno... sarebbe morta dall'imbarazzo. «Tu perché insisti?»
«Perché...» Le baciò una spalla. «Sei Usagi della Luna, ma sotto il sole risplendi.»
Usagi non riuscì a rispondere. Non si era mai sentita più principessa di quando Mamoru le faceva capire che la trovava bella. Diventava la regina dell'unica cosa che le importasse, il mondo di lui.
Gli accarezzò il viso e inclinò la testa. Mamoru la incontrò a metà strada, in un bacio che la fece sciogliere sul materasso.
Lui le sfiorò la punta del naso con le labbra. «Va bene?»
Lei annuì ad occhi chiusi, sapendo di aver bisogno, ancora un pochino, di mantenersi in un universo senza immagini. Ne esplorò il calore intenso - la bocca che rese sua, tutta sua, già dal primo bacio - e le sensazioni che crescevano nelle sue mani, strumenti di conforto e passione. Lo abbracciò come negli ultimi anni e lo toccò come solo la sera prima, saggiandogli la schiena per intero con le dita, trascinando un unico tocco lungo tutto il suo corpo. Piacque tanto al suo Mamo-chan, nato com'era per essere amato il più possibile.
Per vederlo, lei aprì gli occhi.
Il viso di lui si nascose oltre la sua vista, nel suo collo. Con le labbra Mamoru trovò su di lei lo stesso punto della loro unica notte, uno zampillo di sensazioni palpitanti sotto la carne. Lei piegò la testa all'indietro tra sospiri sorridenti e gli prese la spalla in una mano. Giocò a far scendere, leggermente, le unghie lungo il suo braccio, la promessa di un graffio che non sarebbe mai arrivato. A lui era piaciuto da impazzire quando lo aveva fatto per sbaglio e, ripetendolo per prova sempre più spesso, a Usagi era sembrato che il suo Mamoru amasse il ricordo del pericolo e la certezza continua di poterlo affrontare senza temere nulla, come quell'amore che gli era sfuggito tanto a lungo nella vita.
Lo strinse tra le braccia, tenendolo contro il suo corpo. Non ti ho mai dimenticato. Ebbe voglia di piangere. Anche se avessi saputo che eri morto, il mio amore non sarebbe mai scappato da te.
Come se l'avesse sentita, Mamoru sollevò la testa. Non ci mise niente a riconoscere i pensieri dietro i suoi occhi e agitò giocosamente le lenzuola. Un filo d'aria e due sorrisi tornarono tra loro.
«Comincia a far caldo» ridacchiò lei.
«Allora via queste.» Portandosi il lenzuolo dietro la schiena, Mamoru distrusse la cupola.
Con una risata lei si premette le braccia sul petto e tentò di fuggire. Mamoru si spostò di lato, lasciandola inaspettatamente libera. Per un istante. «Presa.» La strinse da dietro. «Non c'è scampo.» Respirò contro la base della sua nuca, facendole crescere un meraviglioso ansito in gola. «Non posso lasciar andare questi odango.»
Aveva una vera fissa per i suoi chignon. «E se fossero sciolti invece?» Rise.
Lui inspirò. «Devi farmeli vedere. Ho sempre voluto vederli senza code.» Le accarezzò lo stomaco. «Sono come un vestito attorno a te?» Salì con la mano, aderendo col corpo al suo, da dietro.
Usagi si sentì inquieta, in preda a sensazioni più grandi di lei. «Non così.» Si voltò su se stessa, rapidamente. «Devo continuare a baciarti per non vergognarmi.» Sorrise di fronte alla breve pausa di lui. «Per i capelli facciamo un'altra volta. Sono belli, ma intralciano tutto.»
Quietato, Mamoru le offrì un sorriso e una carezza sulla guancia.
Usagi sentì di aver detto qualcosa di sbagliato. «Ti ho... deluso?»
«No» si pentì lui. «Vorrei che fossi a tuo agio come ieri. Sto sbagliando da qualche parte.»
Oh, no. Era lei la sciocca, era solamente colpa sua. Si tirò su, sul fianco, con un braccio solo. «Per niente, no... Guarda.» Cercando di non avvampare, riuscì a far rientrare le braccia dentro la maglietta, dal'interno. Focalizzò lo sguardo sulle spalle di lui per non guardarlo in viso e tirò su tutto. «Ecco.»
La maglietta le era rimasta attorno al collo. Deglutì e se la sfilò dalla testa, liberando velocemente anche le code.
Non seppe in che posizione rimanere, seduta solo col reggiseno rosa addosso. Il suo petto le sembrò più piccolo, poco bello. Non riuscì proprio a dargli dignità ergendo il busto e provò a regalargli un po' di volume unendo le braccia. Si sentì più sciocca che mai, la caricatura di una donna sensuale.
Si azzardò a guardare Mamoru negli occhi.
Con lo sguardo fisso sul suo viso, lui si era intristito. «Vieni.» Si tirò su e l'abbracciò, facendola ricadere sul letto. Riportò le lenzuola su di loro.
Usagi si coprì con le mani come poteva. «Con la luce non è niente di speciale, hm?»
«No.» Mamoru era addolorato. «È anche meglio, per questo non sono riuscito a farti smettere prima. Scusami.»
Usagi si guardò. Non aveva il reggiseno giusto, era quello il problema. «Se sembra piccolo è perché...»
Gli uscì una risata. «Non lo sembra.»
Il divertimento la ferì. «Non ridere. La prossima volta comprerò qualcosa di molto carino e-»
«Ci sei già tu di carina.» La delusione serpeggiò in ogni parola di lui.
Non fu contenta neppure lei. Era solo carina, ma non lo incolpava per la sua sincerità. «Sembrerò più grande. Più matura. Per te, vedrai.»
«Non voglio. A me piace questo, tu.» Sospirò e Usagi capì che il disagio di lui era solo per se stesso. Era deluso di se stesso.
Mamoru riuscì a sorridere di nuovo, un poco. «Ieri, qui...» Accarezzò forte il materasso. «Ti ho amato qui. Voglio farlo di nuovo perché non riesco a non farlo.» Le prese una mano. «A me sembra bello anche un tuo dito, ma quello che mi permetti di vedere è... bello davvero. Non mento e sembro così-» aggrottò la fronte, «stupido, solo perché non riesco a dirlo bene.»
Usagi comprese che non le importava niente della bellezza. «Ti amo tanto, Mamo-chan.»
Il sospiro di lui fu un soffio di sollievo. «Io da sempre.» Prese la bocca che fu lei a offrirgli. «Sempre di più.»
Da capo a piedi la percorse un brivido che decise per lei che non potevano esserci più indugi. Ogni esitazione era una pena, una piccola tortura crudele che non doveva esistere. Tremando, infilò le mani sotto la maglietta di lui e provò a sollevarla. Mamoru respirò forte e la tirò via da solo.
Lei rimase con gli occhi socchiusi. Lo riprese tra le braccia quando le tornò vicino.
La bocca di lui scese sulla linea del suo collo. La mano di lei su quella del suo fianco. Mamoru le trovò con le labbra il petto e Usagi sentì un brivido che rese doloranti le punte che andarono a dare forma al cotone leggero del reggiseno, privo di imbottiture. La bocca di lui incontrò il tessuto. La pelle. Come la notte prima, lei.
Usagi ansimò piano.
Il senso della vista, non più inibito dal buio, le regalò un'immagine che le fece sciogliere le membra. Serrò le palpebre. Il piacere si prese il suo respiro. «Mamoru...»
Lui salì a occuparsi in un bacio inquieto. «Non c'è-» Con le dita, abbassò la coppa senza forma di un seno. «Niente di più-» Riportò il bacio sotto.
Sollevando il busto, Usagi spezzò più volte un unico gemito basso. Mosse le gambe assieme a quelle di lui. Gli sfuggì all'indietro, cercando di sedersi. Corse a portare una mano sulla sua schiena, implorandolo di inventarsi un modo qualunque per continuare.
Lui si dimostrò un genio trovandole la bocca a labbra aperte e occhi che si chiusero come i suoi. Le lasciò abbastanza spazio per disfarsi dell'ingombro che, tolto, le denudò il petto. Usagi si premette contro di lui e smise di ricordarsi che la notte prima fosse mai terminata. Era ricominciata, erano ancora lì. Lo accarezzò sulla parte bassa della schiena, sullo stomaco, insistendo.
Ricaddero all'indietro, piano, sul cuscino.
Lui abbassò lo sguardo e Usagi non riuscì a tenere gli occhi aperti. Si sentì tanto agitata ed eccitata da non poter stare ferma. «Via anche questo.» Artigliò i propri pantaloncini e li fece scivolare giù per le gambe.
Si sentì aiutare da una mano. «Fretta?»
Oh sì. Aveva fretta di provare tutto e di non attendersi più di sentire vergogna. Lo osservò a palpebre semiaperte e volle correre per il desiderio che fece brillare ogni suo senso. «Torna da me.» Non avrebbe mai potuto togliere gli slip mentre lui guardava e inoltre- Si inarcò verso l'alto, contro il corpo caldo che la coprì. Quella era una delle migliori esperienze della vita.
Nel suo orecchio iniziò un mormorio sottile. «Ti è piaciuto così tanto ieri...»
Lei avvampò. «Mamo-chan...» Volle scuotere la testa.
Con un sorriso felice contro la sua guancia, lo fece lui. «Pensavo che fossi così bella. E invece lo sei di più.» Infilò le dita sotto l'elastico dei suoi slip, sul fianco.
Usagi sollevò il bacino e lo accolse tra le gambe. Sospirò assieme a lui quando dondolarono l'uno contro l'altra, più volte, fino a credere di potersi saziare solamente in quel modo. Llo tenne per un braccio e con l'altro cominciò a spogliarsi completamente. Non ricordava di aver mai respirato tanto forte, come se l'aria non volesse saperne di rimanere dentro di lei, combattiva, smaniosa. Mamoru le passò il respiro dentro il proprio petto e si mosse su di lei, quasi impacciato, per cercare di imitarla. Ricadde di fianco.
Usagi sorrise per lui. Lo seguì e, ormai libera, riuscì a usare un piede per aiutarlo a spingere giù i boxer.
Rimasero con le gambe incrociate, adagiati di lato.
Nell'ondata di eccitazione lei si sentì favolosamente commossa quando un braccio le protesse tutta la schiena, senza chiederle altro. Era esposta e, anche se non voleva avere difese contro di lui, quella era ugualmente una sensazione nuova.
Fece cadere baci su una sua guancia.
Lo udì sorridere. «Presa di nuovo. Ma se non sento un ...»
«Hm-mh» annuì lei, sollevando la gamba attorno al suo fianco.
«Hm-mh?» rise lui.
«Sì» tradusse Usagi. Sentì il proprio basso ventre che lo incontrava e le passò la voglia di giocare. Erano bambini innamorati a volte, lei soprattutto, ma erano diventati grandi negli anni, col passare delle giornate, delle battaglie, dei dolori mai dimenticati ma tutti superati. Erano adulti e avevano imparato ad amarsi come tali.
Abbassò lo sguardo tra loro e provò solo un'impaziente dolcezza nel vedere i loro corpi che armeggiavano per trovare l'incastro. Fece la sua parte tirando ancora più su la gamba. «Sdraiamoci.» Gli accarezzò forte una spalla, tra un sospiro e un sussulto.
«Non volevi conoscere una nuova posizione?» sorrise lui. Smise aggrottando la fronte quando provò a entrare in lei.
Usagi spinse verso il basso col bacino, faticando a tenere chiuse le labbra. «Non...» Inspirò aria. Non le importava nulla della posizione.
Ecco.
Volle agitarsi per il troppo amore. Si aggrappò a lui con le braccia, preda del brivido dell'unione. Sentì una mano che premeva con insistenza delicata, crescente, sulla parte bassa della sua schiena.
«Prova a venire avanti...» Fu il sussurro inquieto di lui.
Usagi seguì il movimento e la fitta divina che ne derivò le fece comprendere tutto quanto.
Mamoru trattenne il respiro. «Sì. Fai così quando-» Lei gli fermò le labbra con un dito.
«Mamo-chan. Non insegnarmi.» Sorrise a occhi chiusi, persa. «Amami.» Ondeggiò su di lui e lo sentì rispondere.
Col corpo intrappolato, vinto e riverito, non poté far altro che percepire solo se stessa, ma l'udito, le orecchie, quelli li dedicò a lui. Usò ogni piccolo scatto, ogni minimo movimento, per udire il suo respiro che si allargava e si trasformava in un ansito basso, quasi un suono vero.
Il calore bollente dentro di lei rese fredda l'aria.
Sospirò la propria richiesta in un mormorio e venne fatta sdraiare contro il materasso. Aderì completamente a quello ma non più a lui, che si sollevò un poco, per lasciar scorrere gli occhi su di lei senza smettere di muoversi.
Usagi accarezzò con le mani e con lo sguardo ogni lembo di pelle e la linea di ogni muscolo. Li trovò naturalmente belli, degni di ore di contemplazione, ancora più magnifici nel movimento quieto e intenso, ritmico, che andava a legarli profondamente.
Mamoru si fermò. Non riprese, limitandosi a controllare il respiro.
«Mi piaceva» si lamentò lei con un sorriso, facendo scorrere l'unghia dell'indice lungo un suo braccio.
«A me un po' troppo.» Lui abbassò nuovamente la testa e il suo sguardo crebbe in un istante, riempiendosi di pentimento e ammirazione. «Promettimi che non ti vergognerai più.» Si lasciò sfuggire un sibilo debole tra i denti. «È un crimine contro la realtà.»
Le venne da ridere.
«Più semplice?» sorrise lui, riappoggiandosi sopra di lei. «Devo imparare, è vero. Tu sei bellissima, è questo. Ma 'bellissima' è banale.» Le prese un labbro tra i suoi. «Inadatto.»
«Inadatto è parlare» ansimò lei con una traccia di disperazione, senza badare nemmeno più alle proprie parole.
«Sì» concordò lui. «Shh» la calmò. «Senti.» Smise di rimanere fermo, ma non ritornò alle spinte che si facevano unione. Mosse il bacino circolarmente e premette sopra di lei, forte, col proprio peso.
Usagi perse la testa e la voce. Le scappò dalla gola. Combatté per ritenere un po' di grazia ma gli occhi di lui adorarono ogni sua smorfia e finì con l'amare anche lei tutto quanto, ancora di più con ogni attimo che conservava le sensazioni unendole alla perfezione di altre sempre uguali e nuove.
Riconobbe la morsa che prese il controllo del suo corpo e la concesse a se stessa, a Mamoru, nella luce, a occhi aperti.
Li chiuse solo quando non esistette che piacere. Quello la inondò con violenza desiderata e continua, pacificatrice, un'esperienza solo sua che poteva esistere solo con lui, per lui. La sensazione proseguì chetandosi lievemente in lei e scivolando su Mamoru.
Usagi udì il soffio erratico del naso schiacciato contro la tempia e lo strinse per le spalle. Percepì il ritorno ai movimenti pensati per la soddisfazione di entrambi e allargò le gambe solo per racchiuderlo e poterlo tenere meglio dentro di sé. Si afferrò lei a lui, senza lasciarlo andare, incontrando il suo corpo dopo ogni veloce e breve separazione. Nella minima lucidità che si trovò a riconquistare fu un'esperienza meravigliosa.
Lo abbracciò forte alla fine, quando lui perse la forza nelle braccia, spingendolo ad abbandonarsi. Lo strinse come una mamma koala e rise tra sé di tutti gli animali che le erano venuti in mente. Il suo cucciolo Mamo-chan, l'uomo a cui voleva dedicare la sua vita, non le oppose alcuna resistenza.

Fuori dalla finestra non c'era cielo, ma azzurro.
Non vi era una sola nuvola a ricordare che quella era la volta celeste dietro il cui colore intenso e chiaro si nascondevano miliardi di pianeti e stelle.
Era solo azzurro, come una pagina colorata di pennarello.
Mamoru ricordava di aver contemplato una sola volta un colore così perfetto. In quel giorno, una domenica mattina, aveva spento l'aspirapolvere con cui aveva cominciato a pulire la casa e vi si era appoggiato sopra, guardando fuori. Proprietario da poco del suo nuovo appartamento, aveva pensato che anche a Tokyo la natura poteva mostrarsi immacolata e che, proprio come quella giornata, in quel momento era bella anche la sua vita. Era stata un'esistenza solitaria ma serena la sua, tranquilla. Bella, a non conoscerne una diversa.
Gli era stata data la possibilità di trasformarla e migliorarla, renderla completa. Lui aveva una vita precedente dietro di sé e un destino già stabilito per il suo futuro, ma si era scelto da solo la vita che stava conducendo. Aveva scelto di rimanere Tuxedo Kamen, di combattere e persino di amare Usagi.
Aveva scelto di rinunciare a Medicina e di diventare un Re in futuro semplicemente perché, consapevolmente, non aveva scelto l'alternativa. Non la voleva.
Non desiderava non amare Usagi, non desiderava vivere senza il dovere di lottare per il suo pianeta, non voleva abbandonare il mondo a se stesso.
Il pensiero di regnare gli incuoteva una paura lontana, ancora da scoprire, ma lui non aveva scelto l'alternativa. E non l'avrebbe scelta neppure in futuro.
Per comprendere la ragione del silenzio quieto accanto a lui, voltò la testa.
Gli occhi blu di Usagi, indagatori, continuarono ad osservarlo con attenzione.
Lo portarono a sorridere. «Come mai non mi chiedi cosa penso?» Lei lo faceva sempre.
«Voglio indovinare.»
Sotto le lenzuola, lui si spostò su un fianco. «Hai già qualche idea?»
«Hmm... pensi a cosa faremo oggi?»
«No.»
«A cosa potremmo fare durante l'estate?»
«No» sorrise lui. Non era in vena di progetti. Era rilassato e desiderava rimanerlo il più a lungo possibile.
«Allora... a me?»
«No» rise. «Al cielo.»
Usagi si vergognò.
Lui le indicò la finestra. «Oggi è molto limpido. Mi ha fatto pensare un po' al passato e al futuro. Di conseguenza, anche a te.»
«Al futuro?» ripeté lei. Lasciò scendere lo sguardo sul lenzuolo bianco con cui si erano coperti e si permise solo un briciolo della preoccupazione che ancora non voleva mostrargli appieno. «Ce la faremo?»
«Sì.»
«Come lo sai?»
«Perché dobbiamo farcela per andare avanti e io non permetterò che qualcosa ci fermi.» Sul cuscino, spostò la testa verso di lei. «Neanche tu.»
Usagi si ricordò chi era, lo vide. Lei non era invincibile perché aveva nel suo presente Sailor Moon e nel suo futuro una Regina, ma solo perché, come semplice persona, aveva sempre trovato il modo di non cedere. La resa non l'aveva mai avuta vinta su di lei.
«È vero» gli disse. Si stiracchiò, allegra.
«Per caso hai fame?» le chiese lui. Si avvicinava l'ora di pranzo.
La riflessione di lei fu breve. «No. Stiamo qui ancora un po'.» Da un angolo della bocca, gli mostrò la lingua. «O ti annoi?»
«No» sorrise lui. Come poteva?
Usagi si voltò sul letto e, dopo una breve indecisione, si appoggiò col seno sul materasso, le braccia piegate. Quando, poco prima, si era alzata per andare in bagno, aveva rimesso gli slip e aveva continuato a coprirsi il seno con un braccio. Così faceva ancora. Era un peccato, considerò Mamoru.
«Andiamo allo zoo uno di questi giorni?»
Allo... zoo? «Perché proprio lì?»
Lei scrollò le spalle. «Mi è venuto in mente che non ci sono mai stata con te.»
In effetti no. Lui stesso non ne visitava uno da quando aveva... tredici anni? «Quand'è l'ultima volta che ci sei stata?» Sicuramente era passato meno tempo che per lui.
Lei si prese un momento per rispondere. Quando lo allungò, Mamoru aggrottò la fronte.
«Ehm... qualche settimana fa. Ma non l'ho visto bene.»
Ah, mentre lui... non c'era. «Con la tua famiglia?»
«No» sorrise lei e la carica di allegria gli sembrò sospetta. «Comunque vorrei andarci di nuovo.»
«Va bene.» Pensò di lasciar perdere la domanda ma, quando si rese conto che non c'era nulla di male a porla o nella risposta che poteva ricevere, chiese di nuovo. «Ci sei stata con le ragazze?» Non poteva essere che con loro.
«No» deglutì lei. «Con
Seiya ma potevo divertirmi di più, per questo voglio andarci con-»
Mamoru unì le sopracciglia. «Con chi? Non ho capito.» Non aveva sentito niente.
Lei si rannicchiò nelle spalle, scrollandole un poco. «Ehm... Seiya. Un pomeriggio tra amici.»
Tra amici. Mamoru ripensò alla risposta di prima. «Senza le ragazze?»
«Erano occupate.»
Ah.
Hm.
Il nervosismo di Usagi divenne visibile. «Non mi sono ricordata dello zoo a causa di Seiya. È solo che poco fa mi sono venuti in mente un sacco di animali e allora ho pensato che li avevo visti allo zoo e mi sono ricordata di quando ci sono andata e c'era anche Seiya, tutto... qui.»
I collegamenti che faceva il cervello di Usagi a volte andavano oltre la sua comprensione. «Poco fa ti sono venuti in mente degli animali?»
Lei deglutì. «Animali belli. Come paragone. Ad esempio ho pensato che ti abbracciavo proprio come un koala, ti immagini?» Scoppiò a ridere.
Non lo coinvolse. Lo aveva abbracciato come un koala quando... D'improvviso, capì.
Usagi spalancò la bocca. «Non pensavo agli animali! Erano solo uno di quei pensieri che sfrecciano nella mia testa bacata e vuota che-»
«Prima sei riuscita a pensare a degli animali, alla tua uscita allo zoo e a quando ci sei andata con...» Abbassò le palpebre e si ricordò la verità. «Con quella Sailor Starlight?»
«Nononono! A questo ho pensato solo dopo!»
Lui si ricordò un'altra cosa importante. «Non sei andata allo zoo con lei quando sapevi che era... per metà una lei.» Appena avevano scoperto le identità delle Starlights le cose si erano fatte tese, lo aveva detto Usagi stessa.
«No, ma...» Lei ne fu mortificata. «Mamo-chan, era una delle volte in cui Seiya stava cercando di distrarmi. Siamo andati allo zoo, al luna park e anche in una discoteca pomeridiana-»
Un mucchio di posti.
«-ma io ero contenta solo perché mi stavo svagando. Continuavo...» arrossì, «a ricordarmi di te.»
Evidentemente non sempre. «Andremo allo zoo. E al luna park e in una discoteca.» Ebbe voglia di sedersi ma si impose di non farlo.
Usagi si affrettò ad annuire. «Io voglio andare in questi posti e dappertutto con te. Dappertutto» mormorò.
Fu così sincera e pentita che a lui venne in mente una sola cosa. Non avrei mai dovuto lasciarti sola. Si pentì a sua volta, di nuovo, per non essere stato presente in momenti e giornate a cui non sarebbe mai voluto mancare.
Usagi si accostò a lui. Lo strinse, premendo forte la bocca contro l'angolo delle sue labbra. «Ho alcuni ricordi felici di questi ultimi mesi. Preziosi. Ma rimarrà sempre un periodo triste per me. La vera gioia è ricominciata solo due giorni fa.»
Mamoru si lasciò abbracciare dalle sue parole. Non desiderò altra espiazione da lei, nessun dolore e neppure il ricordo, per nessuno di loro due. «Tanto da farti pensare agli animali dello zoo, hm?» Sorrise.
Usagi perse ogni tensione. «Sono una sciocca.» Strofinò la fronte contro la sua guancia. «Ma l'animaletto ero sempre io, mai tu.»
«È un conforto.»
La fece ridere.
L'aria si impregnò del profumo del corpo di lei, un odore più intenso perché mischiato al suo. Gli piacque.
La adagiò all'indietro. «Proviamo a vedere se questa volta non pensi più a niente?»
Le guance di lei acquisirono il colore di un dolce da mangiare, desideroso di essere gustato. «Sì.» Si lasciò baciare.
Mamoru pensò che le sarebbe piaciuto moltissimo abbandonarsi anche a qualcos'altro. Lui non vedeva l'ora di vederlo.
Abbassò una mano e scese lungo lo stomaco di lei, fino a trovare la fine del suo ventre. Tornò indietro con le dita, di pochissimo, e lasciò che trovassero rifugio sotto un sottilissimo pezzo di stoffa.
Usagi staccò la bocca dalla sua e inarcò il bacino verso di lui, gli occhi socchiusi, immediatamente scuri.
Era sorprendentemente facile strapparle quell'espressione, a sapere dove toccarla. Forse, come le aveva detto, era solo l'effetto dell'inesperienza di lei, ma dal momento che la stavano già bruciando via, lui voleva imparare sempre cose nuove e ripassare continuamente quelle vecchie. Aveva sempre amato studiare.
Usagi affondò le unghie nelle sue braccia, causandogli un piacevole dolore. Lui non spostò lo sguardo dal viso di lei e, come già prima, la trovò immensamente... Non c'era una sola parola per quello che gli faceva sentire una stretta violenta al basso ventre, una carezza dentro il petto e un'assoluta meraviglia dentro il cervello.
Bellissima. Un termine completamente inadeguato. Si sarebbe inventato una parola nuova per lei, tutto un concetto, e quando fosse riuscito ad amarla un pochino di meno, abbastanza da poter pensare, glielo avrebbe decantato in una poesia pietosa che l'avrebbe fatta sorridere di gioia. Solo per quello, sarebbe valsa la pena di rendersi ridicolo.
Lei ansimò a denti stretti e lui le fece scorrere la bocca lungo il viso, senza azzardare altro. Poteva resistere a un solo sconvolgimento alla volta in quel momento e scelse quello che avrebbe rubato la ragione a lei.
Scese con le dita. Anche se la reazione fu esattamente come l'aveva immaginata - una tensione rigida, di delizioso piacere - si sorprese della sensazione che incontrò, quasi che...
Ricordò che Usagi era uscita dalla stanza per qualche minuto e rammentò anche che si era diretta in bagno, a rinfrescarsi. Quel pensiero gli diede la sua spiegazione e una nuova idea. La giudicò azzardata fino a che non vide Usagi con gli occhi serrati, intenta a non perdersi neppure una minuscola sensazione.
«Usa.» Allontanò la mano da lei.
Seppe di aver sbagliato quando l'interruzione le rese lucida l'espressione.
Lei lasciò uscire un sorriso. «È vero, io penso sempre a me.» Cominciò ad alzarsi. «Tu non aiuti, ma adesso è arrivato il mio turno di coccolarti.» Rise. «Il primo, visto che non l'hai mai lasciato cominciare.» L'assalto che intraprese fu tenero e promettente.
«Io sono ancora inesperto» iniziò a dire lui.
Usagi terminò di farlo sdraiare sulla schiena e gli baciò un lato del collo, accarezzandogli l'altro. «Non mi sembra.»
Fu un complimento che gli strappò una valanga di soddisfazione. «Voglio dire» la abbracciò per la schiena, «che finora è andato tutto... bene, solo perché ho tenuto conto delle mie reazioni.»
Usagi si fermò, guardandolo come se fosse uno stupido a perdere ancora tempo a parlare. Per un istante, sentendo mancare il suo tocco, lo credette anche lui. «Per essere chiaro, se continui mi rovini.» Sorrise. «Almeno fino a che non sei pronta quanto me anche tu.»
Lei arricciò le labbra. «Sono queste le cose a cui pensi in momenti come questi? Così non ti diverti.»
Oh, no, alla fine lui si divertiva moltissimo, ma era possibile solo se approntava tutto per bene prima. E si divertiva anche a fare quello. Rise e ribaltò di nuovo le loro posizioni. «Ho una proposta.»
Guardandola negli occhi capì che non avrebbe mai funzionato come domanda secca. Lui stesso non ebbe le parole per formularla e pensò che fosse un segno del fatto che fosse un'idea prematura. Il corpo caldo di lei sotto il suo, ancora lievemente ansimante, gli ricordò che non c'era nulla di male a sperimentare.
Abbassò la testa e, a bassa voce, disse, «Pensavo che potrebbe piacerti se...» Fece una pausa e proseguì.

Terminando di ascoltare, Usagi spalancò gli occhi.
Inspirò una boccata d'aria gigantesca e cominciò a scuotere la testa. Si rese conto un istante dopo di aver solo immaginato il movimento e di essere rimasta immobilizzata.
Provò a parlare.
Boccheggiò.
Mamoru osservò la sua reazione e sorrise subito, pentito. «Allora no.»
Usagi deglutì. Aveva pensato che all'inizio lui scherzasse! «È- è...» Anche se si era pulita non era lo stesso una cosa che si poteva fare davv... No! Riuscì a scuotere la testa.
Una mano le fermò il capo, accarezzandole la fronte. «Va bene.» Mamoru provò a tirarsi indietro, poi rimase dov'era. «Te l'ho proposto perché ho pensato che potesse essere una specie di gioco, ma no è no.» Sospirò. «Ora non essere a disagio.» La prese tra le braccia e tornò a sdraiarsi, portandola sopra di lui. «Possiamo continuare come prima.»
Lui riprese a farlo come se non potesse sopportare di vederla inquieta o come se... Usagi si rattristò. Come se pensasse addirittura di correre il rischio, per un momento, di farle dimenticare che desiderava stare accanto a lui proprio come in quel momento.
Abbandonò la bocca su quella di lui e per un po' provò a non pensare.
... era stata una proposta innocente. Chi si amava rendeva innocente e bella qualunque cosa, anche quelle che a chi era immaturo parevano ancora troppo...
Si sentì avvampare e tentò di accarezzargli il petto per concentrarsi solo su di lui. Come prima, voleva ancora farlo sentire bene. Se mai fosse stato possibile, anche più di lei e anche molto più a lungo di lei.
Aveva sentito, o le era parso di capire, che c'erano persino donne che ad un uomo potevano fare...
Si morse le labbra e si sentì percorrere da un brivido di imbarazzo. Quella cosa era l'equivalente della proposta di Mamo-chan, perciò c'era davvero gente che la faceva. E c'erano persone a cui... piaceva? Poteva piacere?
Ricapitolò la sua limitata esperienza e pensò che dovesse essere così, anche se l'imbarazzo e la vergogna... Sollevò la testa, staccandosi. Lui non si vergognava?
Cercando di attirare la sua attenzione, Mamoru le carezzò la schiena. «Cosa c'è?»
«Non... non ti vergognavi?»
Lui non capì.
«A... pensare di...» Provò ad andare avanti, ma comprese di doversi dare il tempo per riuscire a farlo.
Infine, Mamoru comprese ugualmente. «No. Non se a te fosse piaciuto molto.»
Lei scosse il capo. «Ma a me non...»
«Va bene.»
Il rapido assenso riuscì a strapparle un pizzico di curiosità. «Di solito... piace?»
Guardandola negli occhi, persino lui arrossì un poco. «Ho letto di sì. Parecchio.»
Vedere in lui il riflesso di una minima parte del suo imbarazzo le fece pensare davvero a tutto come un gioco. Giocavano anche in quel momento, a volersi bene un po' come capitava, guidati dall'istinto e da quelle cose che Mamoru aveva imparato su chissà quali libri.
Usagi si sollevò, spostandosi di lato. Sdraiarsi non fu facilissimo, ma possibile una volta che si convinse a farlo. «Se vuoi possiamo fare una prova. Una, fino a che non ti dico di fermarti.»
Lui si sdraiò su un fianco e non fu d'accordo. «Ieri ti sei sforzata ed è andato tutto bene, ma può non ripetersi tutte le volte.»
Sforzata? Usagi sospirò. Lui aveva ancora quella convinzione. «Non mi sono sforzata. Ho fatto quello che volevo e anche adesso...» A dire la verità, voleva solo capire se la sua era una paura esagerata o se era davvero tutto così abominevole. Mamoru si sarebbe fermato subito, anche prima di cominciare se lei lo avesse voluto, perciò...
Già, non c'era pericolo. E anche se si fosse vergognata, almeno avrebbe imparato, in qualunque caso. Voleva sapere se era possibile immaginare di fare la stessa cosa al contrario, perché se così non fosse stato avrebbe dovuto immediatamente informarsi su come provare a far contento il suo Mamo-chan, visto che in quel momento lui la batteva mille a zero in fatto di conoscenze. O almeno così le pareva.
Provò ad allontanare le braccia dal corpo, abbandonandole ai lati. Fece un grosso respiro. «Va bene. Sono... convinta. Possiamo provare.»
A lui venne da ridere. «Così sembra un esperimento clinico.»
Ridendo non la aiutava per niente. Usagi si tirò su e lo afferrò per le spalle. «Allora prima ripassiamo quello che sappiamo già, no?» Ci voleva atmosfera.
Negli occhi gli passò una luce.
Cercando di capire, lei inclinò la testa.
«Niente» spiegò lui. «Prima anche io ho pensato che mi piaceva... ripassare.»
Usagi sospirò. «Tu associ troppe cose allo studio, Mamo-chan. Pensa solo a me.»
«È una buona idea.» Le diede un bel bacio, che si fece prima lungo e poi profondo.
Lentamente, ricaddero sul materasso. Usagi lo accolse su di sé e per un momento pensò che era sciocco fare esperimenti quando si sapeva già benissimo cosa funzionava magnificamente. Sorrise e si abbandonò alla carezze che la accesero. A sua volta, fece scorrere le mani su di lui, lasciando che si muovassero da sole nell'amarlo.
Mamoru scese con la testa, a baciarle il petto. Insistette lì e Usagi capì che era un ottimo momento per levare le mutandine. Lei era una ragazza impulsiva e decisa nel fare l'amore, ormai lo stava imparando: doveva solo cogliere al volo un momento in cui i sensi vincevano sulla ragione e poteva diventare molto coraggiosa.
Mamoru notò i suoi movimenti e le lanciò un'occhiata.
Lei si morse la bocca. «Fossi in te non aspetterei molto.» Deglutì. «O forse aspetta.»
«O forse andiamo piano» sorrise lui, appoggiando la bocca sul suo stomaco. A lungo non si mosse da lì e quando lei si rese conto che la scia umida delle sue labbra aveva un significato, cominciò a ridere. «Perché non scrivi anche il mio cognome?»
«Perché no?»
L'aumentata pressione le provocò il solletico e una bella scarica di risa.
In un colpo solo, Mamoru scese con la bocca di diversi centimetri.
Lei bloccò ogni movimento e il respiro.
Lui rimase a baciarla in quell'unico punto ancora innocente, come se stesse cercando di sanare e consolare un piccolo dolore.
Non vista, Usagi annuì. «Prova.» Ormai era preparata. Anche col no sulla punta della lingua, appena fosse stato necessario.
Chiuse gli occhi e, involontariamente, cominciò a respirare forte. Tentò di calmarsi.
Lui la aiutò, moltissimo, cominciando a toccarla solo con una mano, come aveva già fatto con enorme successo poco prima. Un paio di fitte squisite le annebbiarono la vista, facendo perdere forza a ogni suo muscolo. Il leggero sfregamento di un dito la portò quasi a farsi sfuggire un gemito. La sensazione proseguì e per lei fu impossibile non accoglierla. Rimase così, soddisfatta, a sentire e sentire ancora.
D'improvviso percepì una quantità anomala di... aria. E poi qualcosa di totalmente diverso.
Si aggrappò alle lenzuola e, quando la sensazione la raggiunse di nuovo, buttò la testa all'indietro, il respiro tagliato in due.
Alla terza volta, gemette senza contegno. «Ahh-!» Si tappò la bocca e chiuse le gambe. O ci provò.
Alla quarta volta il piacere fu tanto intenso da fare davvero male, ma lei non riuscì a impedirgli di continuare. Ancora una volta, pensò. Lasciò uscire l'aria in un soffio a bocca aperta nel sentirla, in tutta la sua fantastica lunghezza. E alla volta dopo morì talmente tanto che dovette smettere.
Scattò all'indietro. «Oh, basta!» Si sentì un forno. «Bastabastabasta, vieni!»
Mamoru si era appoggiato sulle braccia. Nonostante l'assoluta mancanza di senso nelle parole di lei, ci mise solo un istante a comprenderla perfettamente. Usagi lo incontrò a metà strada e, quasi seduta, riuscì a mettergli le gambe attorno alla vita. «Funziona» ansimò. «Non mi vergogno, ma-»
Lui non sembrò interessato. «Okay.»
Come una sedia a dondolo, scivolarono all'indietro, fermandosi in aria e incastrandosi.
Usagi volle gridare al cielo la sua gioia e il suo sollievo. Si limitò a sussurrarli a lui con quanta più dignità possibile - poca - e a spingersi all'indietro, così da sdraiarsi di nuovo. Con la schiena sul materasso, impresse tutta la forza che aveva sui movimenti del proprio bacino, rendendoli circolari, erratici, estatici. Continuò a incontrare quelli di lui che la guardava fisso in viso e perse di nuovo la testa. Pensò di non averla mai avuta, di essere solo corpo e completamente amore.
Mamoru le strinse i fianchi e, muovendosi più velocemente, serrò gli occhi con più forza di lei.
Ad Usagi piacque moltissimo, per ogni singolo e delizioso istante.
Quando si staccò da lei, Mamoru si tirò indietro invece di finirle sopra. Si lasciò cadere al suo fianco. Questo le piacque un po' meno, ma rimediò con un abbraccio quasi immediato. Insieme, calmarono il respiro. Lentamente, senza fretta.
Poi, dal nulla, lui cominciò a ridere.
Usagi lo imitò per istinto. «Cosa c'è?»
Mamoru deglutì una risata. «Pensavo che sei una vera Usagi.»
Lei sollevò entrambe le sopracciglia.
Il sorriso di lui si fece furbo e venne rivolto al muro. La divertita ritrosia le fece comprendere il vero significato delle sue parole.
«OH!» Picchiò un pugno sul suo stomaco, provocandogli una smorfia. «Io sono Usagi ma non una usagi
Tra risate silenziose, lui annuì ripetutamente, condiscendente.
Usagi si sentì avvampare per l'indignazione. «Tu sei più usagi di me!»
«Può essere vero.» Mamoru si voltò di lato e l'acchiappò prima che lei spiccasse un saltello oltre il letto. «Mi piace essere usagi insieme. Ma se ti offende, diciamo pure hentai.»
Lei mise il broncio. «E se non usiamo nessuna di queste parole?»
«A me va bene lo stesso.» La portò contro di sé. «E se non ci agitiamo tanto, mi va ancora meglio.»
Usagi riconobbe cosa stava succedendo e sorrise. «Sei un coniglietto che si stanca facilmente.»
Con gli occhi chiusi, lui sollevò un sopracciglio.
Infilando un braccio sotto uno dei suoi, lei appoggiò la testa contro l'incavo del suo collo. «Usagi è brutta e cattiva a essere così bugiarda. Quando ti svegli, per farsi perdonare avrà preparato il pranzo.»
Il silenzio di lui fu eloquente.
«Sarà andata a comprare il pranzo?» suggerì lei.
Lo fece sorridere stancamente. «Non uscire.» Appoggiò il mento contro i suoi capelli. «Se avremo troppa fame, ci inventeremo qualcosa.» Sbadigliò.
Usagi concordò. Le invenzioni le piacevano molto, così come gli esperimenti.
Ma più di ogni altra cosa, si intendeva, le piaceva il suo Mamo-chan. Lo strinse.
Mamoru, il suo amorevole usagi personale.

FINE



NdA - È meglio che mi risparmi i 'cough cough' o vari imbarazzi di rito, sono più credibile. :D
Il quarto capitolo di 'Oltre le stelle' è proprio da rivedere, così come il resto dello stile di quella storia, con l'eccezione del capitolo tre. Eppure quando l'ho riletta, qualche giorno fa, mi è piaciuta lo stesso e ho sentito di dover scrivere le scene a cui avevo solo accennato nel quarto capitolo.
Ho cercato di mantenermi coerente con tutto quello che ho detto poi lì e spero di non aver sbagliato qualcosa in questo senso. Nel caso, può essere che in futuro vada a correggere 'Oltre le stelle' (o riveda questa storia) per adeguare eventuali piccole incongruenze.
Spero che questa one-shot vi abbia fatto divertire come ha divertito me. Qualunque vostro pensiero in merito è graditissimo, perché o mi premierà con un complimento o mi farà imparare con una bella riflessione e per me sarà comunque un'ottima cosa.

Grazie mille di aver letto ;)
ellephedre


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Capitolo 6
*** Rei/Yuichiro III ***


redlemon6
Red Lemon

Autore: ellephedre

Disclaimer: i personaggi di Sailor Moon non mi appartengono. I relativi diritti sono di proprietà di Naoko Takeuchi e della Toei Animation.


6 - Rei/Yuichiro III
Ambientato tra la parte 13 e 14 di 'Verso l'alba', è la seconda notte tra i due. Come episodio, è usufruibile da solo, ma si collega a Rei/Yuichiro I e fa riferimento anche a Rei/Yuichiro II, ambientato un anno e mezzo prima.


Quella sera Rei aveva deciso che nessuno dei due avrebbe preparato la cena: Yuichiro non aveva tempo e lei non ne aveva voglia.
Ordinò da mangiare nel ristorante più vicino, la soluzione ideale. Suo nonno riservava alle giornate di festa quel piccolo lusso ma, se fosse dipeso solo da lei, se lo sarebbero concesso tutti più spesso. Siccome suo nonno non c'era, quella domenica di dicembre Rei aveva avuto un pensiero semplice: se sia lei che Yuichiro erano stanchi, perché mai uno dei due doveva disturbarsi a cucinare?
Con una telefonata si era fatta portare a casa due scodelle di ramen fumanti.
Il cibo era arrivato quasi subito, il fattorino talmente provato dalla salita lungo la scalinata del tempio che lei gli aveva dato una mancia extra. Aveva donato un sorriso a lui e a se stessa.
Era stato un piacere accogliere Yu in casa con due piatti di cibo già pronti.
Sentendo il profumo dei ramen appena serviti, lui si era rilassato. Si era seduto a tavola e il peso della giornata di lavoro era letteralmente scivolato via dalle sue spalle.
Rei aveva avuto un pensiero nuovo: forse avrebbe dovuto pensare più spesso a preparare da mangiare?
Cucinare faceva parte della gestione della casa e, per una regola non scritta, Yuichiro lo aveva sempre considerato parte del proprio lavoro. Naturalmente cucinava anche lei, ma meno spesso rispetto a lui. Non aveva mai pensato che al suo Yu quel compito risultasse pesante perché... beh, non era così: a lui piaceva cucinare, mettersi con calma davanti ai fornelli, chiedendosi che cosa preparare di buono per riempire le pance di tutti. Non era un grande chef, ma non gli mancava l'inventiva. Aveva perfezionato delle specialità, piatti a cui aveva imparato a dare un sapore personale.
Rei aveva già notato che anche a lui piaceva trovare il cibo pronto in tavola - ovviamente, sarebbe stato strano il contrario. Ma quella sera, per la prima volta, le venne in mente che valeva la pena renderlo felice più spesso in quel modo. Era piacevole stampargli in faccia un sorriso grato per una cortesia tanto basilare quanto normale.
Yuichiro meritava di farsi servire un po' da lei, di tanto in tanto.
... Il sesso le aveva fatto male?
Afferrò con le bacchette l'ultimo pezzo di carne e se lo portò alla bocca.
Il sesso le aveva fatto qualcosa, decise. Non solo a lei, a tutti e due.
Per cominciare, ora lei era dotata di una mente dieci volte più perversa. Al pari suo, Yuichiro stava impugnando una coppia di bacchette da cibo - un gesto abitudinario, completamente innocente. Le dita di lui stringevano decise i due bastoncini, piegandosi lievemente, abbassandosi e rialzandosi sul piatto.
Il movimento lento e calcolato le faceva venire in mente una carezza, un massaggio deliberato che scorreva lungo tutto il suo corpo, fino ad arrivare in punti in cui bramava di essere stimolata ancora più a lungo della sera prima, con infinita attenzione.
Saziò l'acquolina alla gola con altro cibo.
Se Yuichiro aveva i suoi stessi pensieri, in quel momento non lo dimostrava.
Dopo che avevano passato due ore assieme agli altri, durante la riunione di quel giorno, lui era corso a recuperare il tempo perso. Si sentiva ancora più responsabile in assenza di suo nonno: aveva assistito i numerosi visitatori del fine settimana e aveva fatto risplendere il legno usurato dei pavimenti del tempio. Anche per via della nottata precedente, sembrava stanco.
Appena si fosse ripreso, lei voleva verificare quello che credeva di aver capito di lui: nel sesso Yuichiro si... liberava, diventava quello che gli andava di essere. Dimenticava più spesso di fare quello che voleva lei e pensava maggiormente ad accontentare se stesso. Non era una cosa che avrebbe mai potuto crearle problemi: il massimo desiderio di Yuichiro sembrava essere proprio lei, tutto quello che poteva fare a lei, di lei, con lei.
Rei lo aveva intuito da mesi, ma per tutto quel tempo, molto spesso, lui le era sembrato felice solo nello sperimentare tutte le maniere in cui poteva baciarla, prendendosi un abbraccio e standole vicino. Forse i quattro anni di attesa lo avevano segnato, si era detta, o forse lui era semplicemente paziente. Poteva essere tutte e due le cose, aveva concluso. Non ne aveva fatto un problema capitale.
Per i primi mesi, ignara com'era stata, si era goduta l'attesa quasi quanto lui. Le era piaciuto tenerlo sulle spine a piacimento, di tanto in tanto, e anche giocare. Quanto mi ami? Si era sentita soddisfatta così. Fare l'amore con lui era stato un bisogno che era cresciuto lentamente in lei, facendosi vivo a volte in picchi più intensi, ma mai eccessivamente travolgenti. Almeno fino a che non erano andati in vacanza insieme. A Izu si erano ritrovati a stare quasi da soli, lontani dal tetto di suo nonno. Tra loro, una sera sulla spiaggia, si era sciolta qualche... briglia.
Da allora lei era entrata in lotta con se stessa.
Da Yuichiro aveva iniziato a desiderare di più, ma lui - tranquillo - l'aveva sempre frenata. Con un gesto, con una mano, senza rifiutarla apertamente. 
Perché lui non la desiderava tanto da non poter aspettare?
Ogni volta che si era posta quella domanda, era cresciuta la sua determinazione a farlo cedere per episodi. Lo aveva portato nella propria camera - quando le capitava - oppure si era fatta audace nei loro abbracci - quando era sicura che fossero soli in casa.
Lui non era impazzito per il bisogno di averla, ma lei non se l'era presa davvero. Di quei mesi ricordava ancora gli interminabili baci, a volte rubati in qualche angolo della casa, a volte assaporati tanto a lungo che le era parso un peccato interromperli per andare oltre. Non avrebbe neppure mai scordato gli sguardi che Yuichiro aveva fatto scorrere su di lei da lontano - o da vicino, quando pensava di non essere visto.
Erano stati mesi di preliminari, lo capiva solo ora.
Nell'impazienza non ne era stata sempre felice, e aveva trovato il modo di vendicarsi per la troppa attesa. Non le bastava forse negare a Yuichiro una carezza per renderlo infelice? Certo, e se decideva di non parlare con lui, gli rovinava la giornata. Aveva fatto uso di entrambe le armi quando si era sentita frustrata o di cattivo umore.
Hm. Se avessero tergiversato di meno sui loro istinti, avrebbero anche litigato di meno.
La conclusione non le piacque. No, il suo umore non poteva essere influenzato talmente tanto da...
Bah.
In fondo, le cose si erano risolte proprio come si era immaginata. La loro relazione era diventata più intima in maniera naturale: loro due si amavano, necessitavano l'uno dell'altra. Si era immaginata che i loro baci sarebbero diventati più profondi, che i vestiti non avrebbero più ostacolato le loro carezze. Si sarebbero amati in modo intenso, come già facevano ogni giorno.
Sull'ultimo punto la sua convinzione non si era rivelata del tutto esatta.
Mentre facevano l'amore, tra loro l'equilibrio era... diverso. Lei, che tendeva a prendere il controllo su tutto, a volte se lo lasciava sfuggire di mano. Aveva scoperto un piacere quasi inaspettato nel concedersi quell'abbandono, mentre Yuichiro, a cui del controllo non era mai importato nulla, era pronto a prenderlo da lei in qualunque momento. Persino quando lei avrebbe preferito mantenerlo. E quella era una cosa... eccitante. La imbarazzava, la inquietava pensarla a quel modo.
«Domani passiamo la pittura sulle pareti della tua stanza?»
Lei tornò a focalizzare la vista annebbiata. «Hm?»
«Le pareti della tua stanza. Se vogliamo dipingerle domani, dobbiamo mettere via le tue cose stasera.»
Sotto gli occhi Yuichiro aveva due ombre sbiadite, frutto delle poche ore di sonno.
L'espressione quieta di lui le faceva venire in mente quella mattina, quando si era svegliati entrambi di buon'ora, mezzi morti dalla stanchezza e nudi sotto le coperte del letto. Infreddolita, lei aveva strofinato la schiena contro il petto di lui; lo aveva sentito chiaramente contro il fondoschiena, già pronto. Si era girata per svegliarlo, con l'intenzione di invitarlo a farla riaddormentare con un sorriso sulle labbra. La sveglia aveva scelto quel momento per perforare le orecchie di entrambi.
... 'Mettere via le tue cose stasera'.
Oh. Giusto.
Mettere via? «Non sei stanco?»
Yuichiro posò sul tavolo le bacchette e stiracchiò le braccia verso l'alto. Rei si stupì nel trovare vuota la sua ciotola di ramen: quando aveva finito di mangiare?
«Un po'» le disse lui. «Ma il grosso della stanchezza mi è passato. Tornerò ad avere sonno più tardi.»
Già. Lei funzionava allo stesso modo: non riusciva a riposarsi quando la giornata non era ancora finita. Il suo corpo si ricaricava da solo, come a dichiarare che era inaccettabile dormire prima che facesse notte.
Rei pensò alla propria stanza. «Ci sarebbero da mettere via i miei libri. I mobili possiamo spostarli verso il centro, no?»
Lui scrollò le spalle. «Sì. Ma dovremo portar via il materasso, altrimenti si impregna dell'odore di pittura.»
Un'eventualità da evitare. «Va bene. Vado a vedere come organizzare lo spostamento.»
Lui si alzò. «Io penso a lavare queste ciotole.»
Rei ebbe un istinto immediato; senza pensarci, gli diede ascolto. «No, ci penso io. Tu va' a cercare gli scatoloni per i libri.»
Yuichiro rimase interdetto. «... Okay.» Uscì dalla stanza.
In piedi, lei abbassò lo sguardo sulle ciotole sporche, da riportare al ristorante nel giro di una settimana.
Gradiva lavare i piatti tanto quanto imparare a memoria un dizionario. Era una cosa fastidiosa, snervante. Eppure, in due soli giorni, era la seconda volta che si offriva spontaneamente di farlo.
Sì, il sesso per certi versi le faceva male.

«Bah, Usagi ha messo tutto in disordine. Qui non si riconoscono né numeri né serie.»
Rei fece piazza pulita dello scaffale più alto della sua libreria.
Yuichiro si concesse un sorriso: quel gesto era tipico di lei. Rei amava sistemare le cose, ma quando poteva disfaceva tutto per rifarlo daccapo, meglio di prima.
Per terra si era formato un mucchio disordinato di manga di vario genere.
Lui riconobbe un titolo fantasy e persino alcuni shounen sportivi - di Adachi. La maggior parte dei volumi però erano semplici shoujo. Non ne fu sorpreso: in passato aveva notato i titoli nei dorsi dei volumi, scritti con caratteri delicati e pieni di parole romantiche.
Piegandosi sulle ginocchia ne prese uno a caso. «Sai che non ho mai letto uno di questi?»
Continuando a svuotare la libreria, Rei gli lanciò un'occhiata. «Shoujo? Beh, non ti piacerebbero.»
Sì, ma lui non aveva pensato agli shoujo in generale, solo a quelli presenti nella libreria di lei.
Non ne aveva mai aperto uno, di proposito. Per tanti anni si era divertito a chiedersi che tipo di shoujo potesse piacerle, che genere di ragazzo o di amore lei cercasse. Quando si erano messi insieme, aveva deciso che aveva già soddisfatto quelle curiosità: Rei aveva scelto lui e nessun manga avrebbe mai potuto spiegargli che cosa le era passato per la testa. Si era fidato dell'istinto e di lei: aveva preso a scoprirla giorno per giorno, lentamente, mentre Rei scopriva se stessa stando insieme a lui. Si era trattato di questo: tutti e due erano cambiati un poco quando avevano iniziato a stare insieme.
Col tempo lui aveva lanciato più occhiate a quei manga, ma lo aveva divertito immaginare le trame solo leggendo il titolo. Gli piaceva l'idea di fantasticare su Rei e sui suoi gusti, sui suoi sogni. Era un modo per sentirla ancora misteriosa come in passato e, al contempo, studiarla con un intuito che apparteneva solo a lui.
La conosco meglio di chiunque altro.
A volte Rei gli raccontava spontaneamente di se stessa, confermandogli aspetti di lei che lui aveva già compreso dopo lunghe osservazioni e riflessioni. Quando accadeva, Yuichiro sentiva di poter capire e rispondere a ogni bisogno di lei. Nel suo piccolo si sentiva potente nell'unico modo che gli interessava: forte per Rei, in grado di crearle attorno un mondo che le potesse dare tutto quello che desiderava.
Nonostante tutto quello che capiva di lei, non mancavano mai i momenti in cui Rei lo sorprendeva.
Sono una guerriera Sailor.
Non era stata una bella scoperta. Come ho fatto a non capire? Davvero non aveva mai pensato che ci fosse qualcosa di strano in lei. Nulla, proprio niente?
Aveva dato per scontate per anni le capacità sovrannaturali di Rei, quel suo leggere nel fuoco del tempio, ma... sì, non aveva mai voluto leggervi alcun significato particolare. Quella stranezza per lui era stata solo un altro aspetto della magnificenza di lei, di quell'aura di mistero e forza che aveva tanto ammirato. Forse non aveva voluto intuire la verità; aveva negato per principio che in Rei ci fosse qualcosa di... anormale.
Perché non c'è.
Prese a sfogliare le pagine del volume.
Avevano superato quel momento. Ora lui era in grado di ricordare anche le sorprese più miti e piacevoli: Rei che diventava gelosa per sciocchezze, che aveva nostalgia di lui già dopo pochi giorni di separazione, che era in grado di arrabbiarsi seriamente per cose incredibili, che-
Lo sguardo gli cadde su una vignetta che occupava tutta una pagina del manga. Sollevò in coppia le sopracciglia.
Rei che leggeva shoujo... spinti.
Lei si girò proprio in quel momento. «Trovato qualcosa di interessante?» Adocchiò la sua lettura; la riconobbe e spalancò lentamente la bocca.
Sul viso di lei l'imbarazzo era un sentimento talmente raro che per lui rimanere ad osservarlo fu inevitabile.
Rei ebbe il tempo di cambiare espressione; tentò una scrollata di spalle. «Ho... un paio di serie come quella. Le tenevo nascoste dietro le altre.»
Nascoste? Per poterle avere in casa, si rispose da solo. Per usufruirne in privato.
Sentì che in gola cominciava a mancargli la saliva. «Da... quanto le hai?»
Lei si era accucciata sui manga. «Mah... Due anni?» Prese un paio di volumi e li appoggiò nell'angolo dello scatolone che avevano aperto. Con un braccio gli sfiorò il ginocchio. Per mantenere l'equilibrio, lui dovette spostare il peso sull'altra gamba.
«Sai una cosa?» Il sorriso di lei si fece sottile. Gli sfilò il volume dalle mani, lasciando che la ruvidezza delle pagine scivolasse piano sulle sue dita. «Era stata proprio colpa di questo manga.» Lo mantenne aperto sulla scena dell'amplesso e, con un polpastrello, prese a tracciare le linee di uno dei due corpi.
Nemmeno se lo avesse toccato direttamente avrebbe ottenuto una reazione più intensa.
Fu difficile persino deglutire. «... cosa?» 
«Il sogno di cui ti avevo parlato. Quello che avevo avuto l'estate scorsa su... di noi.» Rei girò il manga verso di lui e picchiettò con delicatezza la pagina. «Mi ha influenzata questo.»
Quel disegno?
Mordendosi la bocca sollevata sugli angoli, lei scosse piano la testa. «No, il mio sogno era più... classico.» Riportò il volume sotto gli occhi e lo contemplò. «Ma questo... un giorno potremmo provare.»
Mille volte. Sarebbe morto col sorriso sulle labbra.
Rei non disse altro. Rimase ferma, seduta sui talloni, la mano che teneva aperto il manga. «Ti va di fare un gioco?»
Lui annuì in automatico.
«Te ne parlo se vieni più vicino.»
Ma appena provò a farlo, lei si tirò indietro con un sorriso, finendo con la schiena contro la libreria.
«Non ho detto che sarei rimasta ferma.»
Yuichiro allungò un braccio in avanti e ancora non riuscì a toccarla: Rei si era dileguata di lato, salendo oltre lo schienale del letto, sopra il materasso. Lui finse di alzarsi con calma, ma lei si preparò a saltare via dal letto, un felino pronto a scattare. Spalancò la bocca quando si trovò la via di fuga bloccata.
Lui si lanciò ad afferrarla per la vita e, non seppe come, sbatté la testa contro il muro opposto.
«Ahiaa.»
Rei imitò il suo lamento divertito. «Ti sei fatto male?»
«Prenderti non è mai stato facile.»
Il sospiro di lei contenne altre risate. «Quante lamentele. Guarda com'è semplice ora.» Si sdraiò su di lui, schiacciandolo contro la parete. Si stiracchiò sopra tutto il suo corpo, un gatto in pantaloni neri e maglioncino rosso pronto a gustarsi la cena.
Sollevando la testa, lui anticipò il bacio. L'assaporò come un bicchiere di vino pregiato, goccia per goccia. Ne aveva assaggiato uno una volta, offerto da suo padre per festeggiare in famiglia la conclusione di un affare. Non dimenticava la raccomandazione. Non in fretta, Yuichiro. Piano, questo va gustato. È il risultato di anni di pazienza e cura.
Rei era meglio. Dal sapore più dolce e intenso, lei era ancora più inebriante e, soprattutto, inesauribile. Non vi era limite alla sua riserva, ma ognuna delle sue sfaccettature era di valore, frutto di anni di esperienze e di forza di volontà. Non ricordarlo equivaleva a gustarsi solo metà del sapore di lei.
Scostò la cortina di capelli neri che erano caduti su di loro e li riportò sulla schiena di lei, soffici e leggeri. Ebbe campo libero e si dedicò al collo che aveva sulla bocca, sofficee tremante: quello era un campo minato di sensazioni. A trovare il punto giusto da baciare, si sentiva il sangue che pulsava insistente sottopelle.
Rei cercò di sollevarsi sulle braccia, ma non completò il movimento. «Non vuoi... conoscere il gioco?»
«Hm-mh.» Vibra un po' di più.
La voce di lei si perse in un respiro più forte. «È... su questo manga.»
Quello lo distrasse. «Cosa?» Si guardò attorno e notò che Rei aveva il volume sul materasso. In un qualche modo, era riuscita a portarlo lì con sé.
«Il gioco è...» Prima di continuare lei si allontanò a gattoni, indietreggiando.
Lui si mise seduto e ricevette il manga in mano.
«Apri una pagina a caso. La prima scena interessante che trovi, noi... la copiamo.»
Lui non era che un comune mortale: avrebbe dovuto ricevere notizie come quella con mesi di preavviso. Come poteva resistere altrimenti a lei che gli diceva una cosa come 'mi metto in tutte le posizioni che vuoi'? Non che gli avesse detto proprio quello, ma... Ritrovò la parola. «Sì.»
Certo che sì. Diavolo, avrebbe resistito. Dopo quattro volte con lei - benché concentrate in sole ventiquattro ore - sentiva di essere diventato quasi bravo.
Il sorriso di Rei si mostrò vincitore. «Sei nervoso?»
«No.» Solo che stava già sopra qualche nuvola d'estasi. E ci avrebbe fatto arrivare anche lei, perché se c'era una cosa nella sua vita che si era rivelata soddisfacente, estremamente appagante, gratificante oltre ogni limite-
«Non sfogli le pagine?»
Già. Lo fece e si fermò su un punto qualunque. Ebbe un sussulto.
Destino?
Le mostrò la sequenza di vignette esplicite.
Come prima cosa, Rei sfilò il maglioncino da sopra la testa, un unico movimento fluido. «Bene, allora tocca a me.» Mangiò il suo stesso sorriso.
A coprirle il petto aveva un reggiseno rosso, trasparente nei pochi punti in cui non c'erano decorazioni.
Lui iniziò a chiedersi se lo voleva indosso a lei o sul pavimento.
Sporgendosi in avanti, Rei lo invitò a sdraiarsi sulla schiena, premendogli entrambe le mani sul torso. «Farò un bel lavoro. Quello che tu mi hai impedito di completare ieri.»
Impedito? Non l'aveva fatto apposta, ma quando se l'era ritrovata seduta sul bacino, ad offrirgli di nuovo di un'esperienza indimenticabile, non era riuscito a restare fermo.
Troppa impazienza, aveva ancora quel problema.
Gustarsi Rei senza perdere la testa era semplice solo finché non si trovava dentro di lei: non aveva mai sentito tanto piacere in vita sua. E si trattava di un doppio bombardamento, le sensazioni che provava lui stesso e quelle che sentiva arrivare da lei. Rei faceva un suo suono, un piccolo respiro mozzato, quando iniziava a sollevare i fianchi senza più controllo.
Per lui era un circolo vizioso. Più udiva quel suono e meno voleva trattenersi, ma faceva 
ugualmente tutto ciò che poteva per sentirlo ancora, più forte e più spesso, dentro la testa e nelle orecchie, intorno a lui, fino a...
Rei si era messa in piedi sul materasso. Stava tirando via i pantaloni; la stoffa nera scivolò via da lei come se non vedesse l'ora di liberarla.
Rei saltò giù. Atterrò sul pavimento a gambe unite, senza quasi piegarle, senza fare rumore. La grazia lasciò spazio al gioco. A passettini rapidi, quasi una corsa furtiva, Rei indietreggiò verso la scrivania. «Fortuna che ieri ne abbiamo lasciato un paio qui. Li prendo prima di dimenticarcene.» Si voltò con un sorriso largo.
Da dietro sembravano coprirla solo i capelli, così lunghi da lasciar visibili solo le gambe.
Una ciocca. Solo quella lui aveva sperato di poter sfiorare per anni, con Rei che lo guardava. Il gesto gli era parso di un'intimità estrema, un dono impossibile da agguantare.
... ecco.
Avrebbe pensato alla ciocca. Aveva già toccato i capelli di lei un numero infinito di volte, ma era ingiusto smettere di considerarlo speciale.
Tornando indietro, Rei notò la sua espressione. Divertita, non capì. «A che stai pensando?»
«A una cosa.»
Lei salì sul letto e vi gattonò sopra. «Sembra molto romantica. Hai la faccia di quei momenti.» Lo accarezzò su una guancia. «Finisci col farmi cambiare umore.»
Sarebbe stato un peccato. «Facciamo un mix.» Si sporse in avanti e si trovarono insieme.
Baciare. Abbracciandosi, stretti l'uno all'altra da capo a piedi, incastrati.
Non ci credo. A volte era bello non crederci e fingere di svegliarsi nella realtà, scoprendosi con la bocca su di lei, a provarne per la prima volta il sapore.
A Rei passò un brivido lungo il corpo e il tremito contro le sue mani fu così... morbido. Rei era impossibilmente soffice e lui l'aveva percorsa con le mani dappertutto per cercare un punto che fosse almeno un poco ruvido, umano. Quando l'aveva trovato sulla pianta dei piedi, Rei aveva sottratto le gambe alla sua presa, come se fosse un difetto imperdonabile. La rendeva meravigliosamente imperfetta invece, accessibile anche a lui.
Rei infilò le mani tra loro e iniziò a slacciare freneticamente il nodo della tunica pulita che lui aveva indossato quella sera, dopo il lavoro.
Non l'aveva tolta. Era ancora completamente vestito, che stupido.
Il sorriso di lei parve concordare col suo giudizio. Afferrò un capo del nastro azzurro, allentato, e glielò sfilò dalla vita con un tiro secco. Il nastro volò in aria.
Rei continuò ad aprirgli la tunica e salì con le mani fino a farla scivolare giù dalle sue spalle. «Cos'hai da ridere?»
«Niente.» Lui chiuse le labbra sul mento di lei e portò le mani sulla sua schiena. «Devo essere all'altezza.» Trovò il gancio del reggiseno e cercò di ricordarsi come si slacciava da dietro: con Rei non aveva ancora avuto l'occasione di sperimentarlo. Forse era passato troppo tempo perché fosse ancora in grado di- La chiusura saltò.
Come andare in bicicletta.
«Bravo» sorrise lei.
Oh, voleva sentirle fare tanti complimenti come quello.
Rei gli stava seduta sulle ginocchia e fu davvero semplice per lui abbassare la testa e leccare via il tessuto rosso fuoco, trasparente, scostandolo lontano, dove non poteva dare più fastidio. Con le dita, abbassò le spalline del reggiseno.
Ansimando, Rei cercò col petto la sua bocca prima di tirarsi indietro. «No. Sdraiati, ora... faccio io.»
«Per arrivare alla posizione del disegno c'è tutta... l'introduzione.»
Lui si adagiò sulla schiena, ma non smise di toccarla, lasciando che le mani le incorniciassero la vita, la tenessero. Amava toccarla e vedersi mentre lo faceva era...
«Tu non ne hai bisogno.» Negli occhi le passò un lampo che la trasformò in una creatura di sensazioni. «Nemmeno io.» Si accarezzò un fianco e incontrò le dita di lui; le portò giù. «Se mi tolgo queste, sono già pronta.»
Col respiro mozzato, lui provò a toglierle le mutandine rosse ma Rei indietreggiò di nuovo, passando a svestire lui dell'hakama azzurro. L'immagine della striscia di tessuto color fuoco attorno alle gambe di lei, abbassata per il minimo indispensabile, gli fece sentire una stretta dura di piacere in tutto il bassoventre. Proprio perciò per Rei non fu semplice sfilargli l'hakama, ma la difficoltà la lasciò soddisfatta. Passò a togliere i propri slip; lui non resistette e l'aiutò con una mano. Con le gambe libere, Rei tornò sopra di lui e scosse la testa. «Fermo. Sdraiato.»
Non era convinta di quegli ordini, ma poiché li stava dicendo ugualmente, lui scelse di ascoltarli.
Rei recuperò il preservativo, aprendolo. Lui strinse i denti, preparandosi, ma non bastò: sentì scendere su di sé la plastica, le mani di lei, e non gettò la testa all'indietro per miracolo, solo per vedere.
La carezza di Rei indugiò senza fretta, continuò a scendere. Lo tormentò fino all'ultimo, regalandogli una stretta finale. «Mi chiedo... come sarebbe senza.»
Lui sussultò.
Ciocca. Ciocca di capelli, ciocca.
Rei si sollevò, allineando i loro bacini. I suoi capelli neri caddero attorno a loro. Lei non li aveva legati.
Yuichiro li lasciò scorrere tra le dita, setosi, meravigliosi per come le scivolavano addosso, e udì il suono di un breve sorriso.
«Sai cosa non riesco a capire di noi? Questo mix, come lo hai chiamato tu.» Rei strinse piano il suo polso, impedendogli di continuare. «Questa voglia di sedermi su di te e muovermi fino a non avere più fiato e... questo.» Intrecciò le dita con le sue. «Questo toccarci così piano che non vorrei fare altro. Non vorrei contemplare nient'altro che...»
Oh sì, sapeva di cosa stava parlando.
Lei lasciò andare un sorriso infelice. «È crudele dover decidere.»
Lui non riuscì fisicamente a rimanere fermo. Si tirò su, seduto, e la strinse. «Mix. Fammi restare così. Tu pensi alla prima cosa e io alla seconda.»
«Tu alla seconda?» Lei si riprese la propria gioia. «Partecipo un pochino, hm?» Lo abbracciò, e posò un bacio leggero tra la sua guancia e il suo orecchio. «Ti amo, Yu.»
Quel sussurro prese a battergli nel petto. Si fuse in lui, in ogni angolo del suo petto.
La tenne forte, sentendo che smetteva di essere una cosa separata da lei. Bastavano due parole per dare un significato a tutto ciò che era. Ogni volta che le sentiva, ogni volta-
Rei si aggrappò a lui e scese piano coi fianchi.
Ogni volta.
La sentì unirsi a lui, lentamente, e ogni volta anche lì, anche così. La sensazione migliore, più unica-
Il suo corpo acquisiva un nuovo significato quando lo sentiva incastrarsi dentro quello di lei. Era semplice, ovvio: aveva occhi per guardarla in quel momento, per vedere l'espressione resa quasi sofferente dalle troppe sensazioni. Aveva una pelle ricettiva per sentire quanto era calda quella di lei, pronta quanto la sua a ricevere continui stimoli. Aveva un senso del tatto che palpitava con un coro di ad ogni suo movimento. Udiva, toccava e parlava solo per arrivare a trasmetterle una minuscola parte di quello che- che...
Non so dirlo, Rei. O non c'erano parole adatte, e per questo esistevano i sensi.
Continuò a far scorrere le mani su di lei, a trovarla con le labbra, ad accarezzarla. Le dita sui suoi seni, a farla tremare, gridare senza voce.
Che fortuna, che dono divino.
Si perse nell'abbracciarla. La sentì scoprire l'angolo d'incastro migliore e insistette con lei su quello decine di volte, senza mai provare meno piacere. Per torturarla le catturò la bocca, le rese difficile respirare. La lasciò andare e le strinse in una morsa i fianchi, premendola contro di sé, tenendola ferma, imponendole di-
Le anche di Rei si mossero con scatti minuscoli, velocemente, senza sosta, di corsa.
All'orecchio lui udì un soffio di estasi, le tre parole che lo avevano acceso. Anche io e voleva sentirla contro di sé per sempre, mentre ogni parte di lei - fisica e astratta - andava in frantumi per la troppa stimolazione.
Accadde a metà pensiero e si gustò tutto. La schiena rigida di lei, arcuata, il petto morbido aderente al suo e il quasi graffio delle unghie sulle spalle; le esclamazioni senza senso - solo sospiri, l'inizio di parole brevissime, deliziose. Lo scatto regolare dei fianchi contro i suoi e il ventre bollente, stretto oltre ogni limite, che cercava di assorbirlo. Godette di quello sopra ogni cosa, lo percepì meglio di qualunque altra volta.
Rei si accasciò in avanti. «Aah...» Riprese fiato, più volte. «Oh, oh... che idea.» Vorace, cercò un bacio aperto.
Lui lo ricambiò senza freni. Non sapeva cosa mettersi a fare: aveva troppe idee, tutte in una volta, troppi bisogni.
«Ma...» 
Rei tirò indietro la testa, e lo osservò con una sequenza di espressioni incerte. «Yu, tu...» Si decise per una risata priva di fiato. «E io che mi sono impegnata tanto.»
«No, sei stata di più, tu....» Indescrivile. Quello era stato l'orgasmo più bello che le avesse mai visto avere, che avesse mai sentito. Forse solo perché gli altri non li aveva vissuti con la stessa chiarezza; questa volta lui...
Il sorriso di Rei fu più convinto. «Non dirmelo...» Lasciò scendere le labbra lungo il suo naso. «Riesci solo se stai sopra?»
«No.» E glielo aveva già dimostrato, dentro la vasca da bagno.
Lo ricordò anche lei. «Allora solo se ti muovi?»
Doveva esserci del movimento, ma- Gli venne da ridere. «No, non hai sbagliato niente.» Era solo lui che era riuscito a controllarsi meglio, senza per questo perdersi nulla. Era un successo, non un fallimento.
Rei non fu d'accordo; tremava ancora, ma sorrise. «Ti sfido a essere originale.» Si allungò all'indietro e ritrovò il manga. Chissà come, erano riusciti a non buttarlo giù dal letto. «Scegli un'altra prova.»
Cominciò a preoccuparsi lui. «Non... ti è piaciuto come le altre volte?» Perché a lui, in quel momento, sarebbe andata benissimo finire in quel modo. Dovevano solo girarsi un po' e con lei sul materasso lui...
«Stupida domanda di uno stupido di Yu.» Rei sospirò. «Sai quanto mi è piaciuto, è solo che... Su, te lo spiego dopo.»
Dopo? Beh, in realtà qualunque posizione gli sarebbe andata bene - persino lei che riprendeva il movimento interrotto. «Non possono esserci cose troppo diverse.» Fece scorrere il bordo delle pagine del manga sulle dita, fino a fermarsi. «Ecco, ad esempio...»
Spalancò gli occhi.
Già, a meno che non si stesse consultando un certo libro centrato sul sesso, le posizioni a cui poteva pensare uno shoujo manga erano limitate. E tolte due tra le più valide alternative - da loro entrambe già provate - la più quotata era quasi sempre...
Lanciò un'occhiata all'espressione di Rei e chiuse il manga. «No. Possiamo stare solo su un fianco.» Ecco, aveva avuto una buona idea.
Rei rilasciò un lungo sospiro. Si sollevò, spostando la gamba di lato e staccandosi da lui. Si sdraiarono l'uno accanto all'altra.
Yuichiro pensò che andasse tutto bene fino a che non la vide deglutire.
«Sai... questa è una questione di controllo. A suo modo.»
... cosa?
«Non ci penso sul momento, solo che... Sì, non mi è dispiaciuto avere il controllo poco fa. E non mi dispiace nemmeno quando sei tu ad averlo, ma...»
Era un discorso confuso. «Non c'entra il controllo.» A seconda della libertà di movimento uno dei due si muoveva più dell'altro, tutto lì.
«So che non è un modo per imporsi.» Rei scosse decisa la testa. «Questo non c'entra affatto con noi, però...»
Però non era da lei tergiversare così tanto e non spiegarsi in modo chiaro quando voleva dire qualcosa.
Rei prese a guardarlo negli occhi. Annuì, un gesto pensato più per se stessa. «Oggi pensavo che mi piace quando... controlli tu, quando mi lascio andare. Non avere il controllo o sentire che... mi viene tolto.»
Lui sentì volare le sopracciglia. «Ma io non...» Fece un paio di collegamenti ed evitò la risata vuota. «Ma quello era solo...»
«Sì certo, andava benissimo!» Rei scattò ad appoggiarsi sui gomiti. Il manga cascò sul pavimento. «Sto cercando di dire una cosa stupida: non mi piace che mi piaccia perdere il controllo.»
Lui ci mise un momento a comprendere il gioco di parole. Non fece in tempo a commentare.
Rei si era abbassata a riprendere il volume. Lo sventolò nella mano. «Stavo usando questo come scusa!» Lo ributtò lontano. «Un gioco per smettere di avere questo pensiero idiota. Che poi nemmeno ho! È' solo una cosa che-»
«Ho capito.»
Rei si morse un labbro. «Scusa. Tante storie mentre tu...» Si sdraiò sulla schiena, voltata per metà nella sua direzione. Lo invitò ad avvicinarsi. «Mi piace stare con te, sempre. Su questo non ho dubbi.»
Lui sentì crescere un sorriso. «So cosa stavi cercando di dire prima.»
«Lascia stare.»
«Non stavi dicendo che avevi paura. Nemmeno che ti piace o non ti piace perdere il controllo; volevi solo... farmi vedere la tua debolezza.» Le strinse una mano, felice. Rei cercava solo accettazione; questa volta, a differenza di altre, platealmente. Per lei che si mostrava forte proprio per dimostrare di non aver bisogno dell'approvazione di nessuno, quello era un grande passo. Non solo: era un modo di metterlo e mettersi alla prova, concesso solo perché si fidava enormemente di lui. Rei aveva voluto conoscere la sua reazione davanti alla rivelazione di un dubbio che le era sembrato... grave.
Non riuscì a non riderne. «Sai perché prima non ero scontento?»
Rei stava ancora riflettendo. «Eh?»
«Non ero scontento per non aver finito assieme a te» chiarì lui, «perché tutte le altre volte mi sono sforzato moltissimo per non anticiparti.»
Rei sollevò un sopracciglio. «Abbiamo sempre fatto... insieme. Quasi.»
«Sì. Non riuscivo a trattenermi un secondo di più.»
Amava quando lei lo guardava come se fosse stupido.
«Perché diavolo avresti dovuto trattenerti?»
«Non dovevo, ma se avessi potuto mi sarei... goduto meglio il percorso.» 
Forse erano cose che poteva capire solo un uomo, perché Rei non sembrò cogliere.
«Okay. Eri nervoso e non ti concentravi su quello che provavi.»
Poche parole ed eccolo smentito.
«Cos'è questo, un confessarci difetto per difetto?» Rei schioccò la lingua contro il palato. «Il tuo 'problema' non l'avevo nemmeno notato. Se hai impiegato un giorno per risolverlo era solo questione di prendere l'abitudine. Il mio problema invece l'ho inventato io.» Scosse la testa. «Risolviamolo.» Si appoggiò col petto sul materasso, le braccia conserte, una delle posizioni meno sensuali che le avesse mai visto assumere.
Ne rise solo nella sua testa. «Perché non torniamo al... classico?» Così lo aveva definito lei. «Lo preferisco.»
Rei piegò la testa, appoggiandola nell'incavo di un braccio. «Che bugiardo. Ti ho visto mentre guardavi quel disegno.»
Sì, ma anche lui aveva visto lei. «Mi va bene come al solito.» Come se fosse qualcosa di cui lamentarsi. Come se, dopo un giorno, avessero davvero bisogno di novità. Poteva essere un gioco divertente, ma-
«Yu.» Gli occhi viola di lei fermarono il tempo tra loro. «Non mi darà fastidio. Voglio... provare.» Sorrise e scostò tutti i capelli di lato, via dalla schiena. «Più mi dici di no, più per me è sì. Non posso credere che non ti vada.» Le sfuggì una risatina rapida. «Non è forse così che abbiamo cominciato?»
Quello era un colpo basso.
Mentre lui pensava, lei piegò un ginocchio e lo usò per sollevare un poco tutta la parte inferiore del corpo, creando con la schiena una curva talmente...
A gola secca, Yuichiro sentì che tutti i progressi che aveva fatto si scioglievano come neve al sole. «Se facciamo come al solito, durerò di più.» Un inno alla crudezza, ma non aveva il cervello per elaborare giri di parole.
«Che importanza ha? Il mio turno è già passato, questo è il tuo.» Rei trattenne a stento una risata. «Comunque ci stai mettendo troppo ad accettare. Ritiro l'offerta in cinque... quattro... tre...»
«Va bene.» Sarebbe stata comunque una tortura, no? Lei gli aveva detto di avere problemi con l'idea del controllo, ma il modo in cui gli stava offrendo di stare era quanto di più sottomesso potesse esistere. Al solo pensarci lui non riuscì quasi più a pensare. «Rei. Voglio che sia piacevole per entrambi.» Per questo la voltò verso di sé e cercò di porre fine a tutta quella storia, tornando alla loro piccolissima normalità.
Il divertimento di lei fu cauto. «Sai che è così che ti stai imponendo sulla mia volontà?»
Lui ritirò di scatto le mani.
Rei rimase sdraiata su un fianco, e dopo un momento di riflessione, si dipinse il volto di serenità. «Fa freddo.» Si mise seduta e cominciò a tirare il piumino che copriva il letto. Per non ostacolarla, lui scese sul pavimento.
«Ecco.» Terminando di trafficare con la coperta pesante, Rei vi si infilò sotto. «Al caldo. Torna qui con me.»
Il piumino sembrava quasi una protezione. Confortevole, pensato per il riposo, poco agevole ai movimenti.
Yuichiro vi si racchiuse dentro.

Nel suo letto, pensato per una sola persona, c'era spazio per lui soprattutto tra le sue braccia. Accoglierlo lì fu come sentirlo tornare al proprio posto, poiché non c'era - non poteva esserci - posto più giusto dove Yuichiro potesse stare.
Lui aprì la bocca per parlare e lei scosse la testa. Gli diede un bacio e pensò... No, non pensò.
Gli chiese di muoversi con lei, con semplici carezze. Si abbracciarono, incrociarono le gambe tra le loro. Scelsero naturalmente che fosse lei a dover riposare sulla schiena e fu lì che Rei che intervenne con un sorriso, girandosi sotto di lui prima di non poterlo più fare. Sentì il materasso contro il petto e il calore di tutto un corpo dietro il proprio.
L'unica cosa che fece fu prendersi una mano di lui, cercando di avvolgerla completamente con la propria. Non riuscì, ma sentì la risposta delle dita che facevano come voleva lei, cercando di piegarsi e farsi piccole. Ne sorrise. Avvicinò un polpastrello di lui alla bocca e lo prese tra le labbra, strappandogli un ansito.
Con quel gesto lo fece sentire abbastanza sottomesso da non far più pensare nemmeno lui.
Pensare era il problema: a lei non piaceva pensare di perdere il controllo e a lui non piaceva pensare di prenderlo. Stupidi. Se già lo facevano entrambi quando non ci riflettevano troppo...
Il tocco sulla parte bassa della schiena la fece sussultare, chiudere gli occhi. La carezza le causò un brivido meraviglioso di abbandono, giusto, la sensazione più piacevole che-
Di fronte al vero contatto tra loro, rimase a bocca aperta, ma offrì senza un pensiero, per istinto, una curvatura più agevole coi fianchi. Divisa, si sentì magnificamente e a disagio, senza difese, bloccata. Sparirono i capelli dalla sua schiena, lasciati cadere di lato per un bacio a fior di pelle sul collo. Una richiesta.
"Posso?" Oh, ricordava ancora la voce di lui e quella domanda tenera di tanti mesi fa, come se davvero ci fosse stato bisogno di un'autorizzazione per darle un bacio anche lì.
No, niente permessi.
Fu il suo stesso corpo a ribadire quella verità quando, trovato l'angolo giusto, lo accolse senza opporre la minima resistenza.
La parte migliore fu quella, sentire la rigidità sconvolta di entrambi e aver voglia di muoversi tanto, subito, a fondo e veloce. Volle agitarsi, ma non poté far altro che rimanere a sentire, fidarsi.
Riprese la mano di lui in bocca, due dita invece che un unico polpastrello. Le mordicchiò, dovette tormentarle. Le sembrò di averlo trafitto e, di riflesso, la sensazione si trasmise al bassoventre di lei, una fitta continua e insistente di piacere che la prendeva.
Non resistette, usò tutta la forza che aveva per cercare di sollevarsi e spingere di rimando all'indietro. Lui la assecondò e finirono per metà adagiati sul fianco, tanto da permetterle di muoversi senza essere davvero libera. Oh, non voleva libertà. Coi fianchi impresse scatti che chiesero a Yu di tenerla in trappola, incastrata. Premette sul braccio di lui che artigliò le lenzuola, circondandola per la vita, cercando un appiglio per fare forza. Bastarono due movimenti - maledettamente perfetti - per far venire via l'intero tessuto.
Per fermare il disastro lei corse a raccogliere un ginocchio verso il petto. Fu l'idea più geniale che avesse mai avuto, bastò una spinta per scoprirlo.
Prese a pugno le lenzuola, poi si accorse che poteva voltare la testa.
Baciarsi a dovere fu impossibile, ma fu sufficiente stuzzicarsi, far incontrare le labbra per caso. Il nervo del collo protestò tanto da costringerla con la guancia sul cuscino, con tutti gli arti che tremavano, le gambe che cercavano di darle un appoggio minimo per completare in senso contrario gli affondi. Quando non riusciva, le sembrava ugualmente di non poter ottenere di più, vicina ad un esaltante sovraccarico. «Ah...
» Senza voce, gemette. «Così
Yuichiro si irrigidì all'improvviso. Stringendola forte si mantenne immobile, tremando.
Nonono- «Cosa c'è?!»

«Aspetta...» Tra i denti stretti, lui le fece arrivare il respiro perso sulla tempia.
Oh, capì lei. Abbassò una mano tra le proprie gambe. «Non fermarti.» Al contatto, ansimò. «Pensa a te, solo a te, io...»
Sopra i vestiti era già arrivata a toccarsi in quel modo, per stimolarsi goffamente, ma non aveva mai sentito contro le dita la propria carne scivolosa che palpitava al tocco. Sospirò, gemette di nuovo. E udì un'esclamazione scomposta.
Da quell'attimo vi fu solo movimento, bisogno, altre dita che si univano alle sue, i loro fianchi che diventavano ripetutamente parte di un corpo unico e lei che ansimava e diceva qualcosa, senza essere la sola. Delle loro follie non capì nemmeno una parola. L'unico linguaggio che ascoltò fu quello del pulsare del sangue e dei muscoli tra le gambe, suoi e quelli di lui.
Toccarono l'apice e continuarono, impossibilitati a smettere.
Si fermarono solo per stanchezza e Rei sentì che non avrebbe mai più spesso di provare piacere. Continuò a rabbrividire al pensiero.
La sensazione scivolò via con calma, disperdendosi dentro il suo corpo. Solo allora il peso sulla schiena iniziò a farsi sentire come tale.
Non aveva ancora la forza di chiedere nulla, ma non desiderò neppure farlo.
Rimase sdraiata contro il proprio braccio, il ginocchio piegato in alto, la testa sul cuscino, incastrata sotto di lui. Tenuta stretta, protetta.
... della mancanza di controllo temeva il senso di impotenza. C'era stato un tempo in cui aveva capito che la sola persona che avrebbe protetto lei e i suoi sentimenti di bambina sarebbe stata... lei stessa.
Ma questo è Yu. Mi ama in un modo così stupido e folle che non esiste male con lui. Non c'è.
Se lo disse e crebbe un altro poco. Cresceva quando si diceva in faccia le cose; in fondo era sciocca, perché non le bastava comprenderle e sentirle.
«Scusa.»
Lo sentì ritrarsi e, prima che lui potesse allontanarsi troppo, si girò e lo trovò per un bacio. Finì col ridere. «Potevi rimanere.»
Yuichiro sembrò più dispiaciuto di lei nello scuotere la testa. «Devo andare a buttare questo.»
Rei abbassò lo sguardo, poi lo puntò sconsolata al soffitto. Già.
Si abbandonò sulla schiena, coprendosi col piumino.
La natura non sapeva cos'era il divertimento.
Lui tornò a sdraiarsi e lei anticipò l'abbraccio. «La mia voglia di sistemare la libreria è scesa a zero.»
«Aspettiamo.»
Per vedere se più tardi ritrovavano l'energia?
Sbadigliò. Stava così bene tra il piumino, lui e il relax del proprio corpo, che lasciò scendere le palpebre.
Massì, un sonnellino.

Si svegliò alle due del mattino.
Si arrabbiò talmente tanto per la serata persa e per la stanza in disordine che Yuichiro preparò un té caldo per entrambi, per farsi perdonare di essersi addormentato a sua volta.
Ricevendo la tazza fumante in mano, Rei fu soddisfatta: aveva resistito all'impulso di andare a preparare il tè in prima persona.
Servile sì, ma a piccole dosi.
Provarono a terminare di inscatolare i manga, ma per un po' si fermarono a rileggere uno dei volumi di Adachi e per l'altro po'...
Era colpa sua se aveva manga pieni di belle idee?
Sì, sorrise: era tutta colpa sua.

FINE



NdA - Straaaapant! Su questa storia sono stata giorni! Siccome è Agosto mi sono un po' riposata, ma pensavo di tirare fuori prima questa one-shot. Invece per elaborare la trama ho impiegato un bel po', forse anche per via delle troppe distrazioni del tempo libero.
Penso di aver iniziato ad analizzare troppo la mia scrittura durante la stesura. Personalmente la chiamo la maledizione del troppo leggere e mi auguro che finisca quando avrò finalmente compreso meglio alcune cose di come si scrive bene.
Passando alla storia, ne sono piuttosto soddisfatta ora come ora e, beh, naturalmente mi piacerebbe sentire che ha soddisfatto anche voi ;) Ma se così non fosse stato sarei felice di sentirvi ugualmente, il confronto può aiutarmi.
Due note finali: Mitsuru Adachi è un autore di manga di cui vi consiglio lavori come Rough (soprattutto questo) e Touch. Quest'uomo è poetico, a lui servono poche parole o mere espressioni per comunicare un mondo di sentimenti.
L'idea alla base di questa storia, come forse sapete, è pronta da quando ho scritto sulla pagina Facebook l'indizio per questa one-shot (Rei/Yuichiro - gioco), però poi ho organizzato un concorso di fanfiction e ho ricevuto una storia che conten'eva anch'essa l'idea dell'ispirazione da un manga per certi... giochi ;) La cito, perché è una bella storia che merita, dove troverete una giovane Makoto molto lanciata (:D)
Decisamente di Morea
Alla fine non ho deciso di cambiare la trama, come avevo inizialmente scelto di fare, perché mi sono accorta che la storia dell'ispirazione dal manga in fondo era già accennata negli altri due episodi di Rei e Yuichiro che avevo elaborato per questa raccolta e scritto già mesi addietro. Comunque, per essere sicura di non farmi influenzare, ho lasciato passare qualche settimana dalla lettura della storia di Morea prima di buttare giù questo ultimo episodio sulla coppia.

Mi raccomando, se avete letto sono qui che aspetto di sapere che ne pensate :)

Alla prossima!
ellephedre

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Capitolo 7
*** Ami/Alexander II ***


Red Lemon
Red Lemon

Autore: ellephedre

Disclaimer: i personaggi di Sailor Moon non mi appartengono. I relativi diritti sono di proprietà di Naoko Takeuchi e della Toei Animation.

 

7 - Ami/Alexander II

Ambientato dopo Ami/Alexander I e sempre prima della parte 13 di Verso l'alba. 

 

Ami studiava seduta contro lo schienale del suo letto, le gambe raccolte a sorreggere il libro di testo contro le ginocchia. Lo aveva accolto in casa vestita di un felpa pesante, viola, e di un paio di pantaloni neri quasi troppo grandi per lei. Quando voglio studiare per molte ore - gli aveva spiegato serena - mi metto comoda. E sembrava esserlo lì rannicchiata sopra il materasso, intenta a concentrarsi, i piedi rivolti l'uno verso l'altro a cercare calore e le labbra che, di tanto in tanto, si univano come a dare un bacio. La cultura del libro le ispirava passione.

Alexander era travolto dallo stesso sentimento, ma ad accendere i suoi sensi, e l'immaginazione, era la voglia di farla scivolare lentamente sul letto, distesa, per sfilarle di dosso i vestiti da sopra la testa e lungo le gambe. Sempre più giù, fino a lasciarla solo con le calze di cotone. Ami sarebbe dovuta apparire innocente in quei due pezzi sformati e larghi ma, guardando le braccia sottili che sparivano dentro le maniche spesse, lui riusciva a immaginare solo spalle rilassate e seni liberi, un corpo capace di fremere e agognare fino allo sfinimento - di entrambi.

Prima di alzarsi dalla sedia della scrivania, si chiese se non fosse il caso di controllarsi. Ma esisteva forse un motivo valido per rimandare l'inevitabile?

Nessuno, si rispose. Tanto valeva muoversi in anticipo, era un premio che si meritavano tutti e due.

Andò da lei e, sedendosi sul materasso, non resistette un momento di più.

«Questo...»

La vista che Ami aveva sul quaderno di appunti si sfocò: aveva socchiuso gli occhi e si ritrovò ad abbassare sempre più le palpebre, contro la sua volontà.

«Questo...» tentò di nuovo.

Il brivido partì da sotto il suo orecchio e corse lungo il collo, espandendosi sulla schiena. Diffuse dappertutto una sorta di bollore sottopelle, chetato solo dall'aria fredda della stanza. Aveva tenuto il termostato basso di proposito, nel tentativo di evitare la situazione in cui si stava trovando. Meno faceva caldo meno gli animi potevano scaldarsi, aveva pensato, sperando più in un effetto sul proprio corpo che su quello di lui. Niente e nessuno sembrava poter fermare Alexander quando voleva davvero qualcosa.

Allontanò la guancia dalle sue labbra che, insistenti, continuavano a cercarla con baci leggeri, tanto più invitanti nel loro essere sottilmente delicati.

Stava diventando un libro aperto per lui, ma era lei a non aver ancora terminato di leggersi da sola.

«Questo» riuscì a dire con maggior controllo, terminando di deglutire, «si chiama ossessione.»

Seduto accanto a lei, Alexander inclinò lievemente la testa. Strinse gli occhi chiari - quasi verdi in quel momento, un segnale da temere e agognare - e aprì la bocca in un sorriso silenzioso. «Sex-obsessed

Proprio così: da tre pomeriggi consecutivi loro due non facevano altro quando stavano insieme. Era una cosa... Una cosa... Avvampò. «Non ridere!»

Lui continuò a stringere le labbra tremanti. «Scusa.» Inspirò a fondo. «Well... non è più un essere love-obsessed?»

Le guance ardenti smisero di infastidirla. Il battito accelerato divenne una parte piacevole di lei. «... sì. Ma io ti amavo anche prima.»

Alexander fermò il sorriso alla prima parte della frase.

«No, ti amo anche mentre noi... Sì, forse soprattutto quando... No, ma in quei momenti in una maniera nuova, più... totale.» Bombardata dal ricordo delle sensazioni, le sembrò di non avere più un discorso chiaro in mente. «È per questo che mi confondo.»

«In che modo?»

Il bacio sulla tempia seppe di consolazione e comprensione. Lei lasciò scorrere le labbra sulla guancia di lui fino a trovargli la bocca e udì i loro respiri che si univano come un suono a parte, anime che divenivano aria, stretta al petto, l'impulso a non smettere. Lasciò scorrere le mani libere dal quaderno sulle sue braccia e non seppe più come stringerlo.

«Penso...» Scelse un morso gentile su angolo, per fermarsi. Ne ricevette uno con un assaggio che la portò al limite dell'estasi.

«It's too beautiful» sospirò, riuscendo a non ansimare.

Un braccio le prese per intero la schiena. «Ed è un male?»

No, erano i suoi ma che potevano aspettare. Si lasciò sdraiare sul letto, contro il cuscino disteso, e fu lei stessa a tendersi piano verso l'alto, chiedendosi perché. Perché aveva una mente con domande e piccole proteste? Le impedivano di rimanere sempre in quei momenti di benvenuto oblio e sensi accesi. Lei invece poteva essere solo sensazione e gioirne, amare anche così, ancora più intensamente.

La risata bassa contro la bocca la svegliò.

«C'era un ma.»

La ragione non riemerse in tempo per rispondergli.

«Il mio è 'ma... sono contento'» sorrise lui. Le scostò una ciocca dalla fronte. «Forse più di ogni altra cosa, volevo vederti così. Sentirti così, mentre non volevi più pensare a niente stando con me.»

Per l'attesa di troppi mesi lei aveva una sola scusa. «Pensavo troppo a te per non voler pensare.» Sospirò. Con le frasi romantiche non era affatto brava come aveva sempre creduto, era evidente. «Quello che volevo dire prima... Lascia perdere.» Premette con le dita tra i suoi capelli, invitandolo delicatamente a tornare basso con la testa.

«Te lo ricorderai dopo.»

Forse, ma dopo era dopo.

«Se risolviamo, alla fine non avrai più niente a cui pensare.»

Naturale, ma il suo era un conflitto interiore frutto di piccoli fastidi che si sarebbero risolti da soli. Definirlo in quel modo le fece tirare un sospiro di sollievo. «A volte non sono intelligente.»

«Che bugia.»

Balzò in alto quando sentì l'accenno di solletico ai fianchi e finì col ritrovarsi seduta. Si lasciò vincere anche lei da una risata lieve. «Per una volta che non sono io a fermarci...»

«Hai un dubbio, è come se lo stessi facendo.»

... Aveva continuato a farglielo sentire?

«No, non... Ami, dimmi solamente cosa c'è che non va. Uccidi il tatto, non importa.»

La prima risposta che ebbe in mente - Non c'è un modo giusto per dirlo - sembrò dargli ragione sull'ultima concessione. Ma era assurdo, lei non aveva bisogno di tatto, solo di riorganizzare le idee. Si impose un momento di concentrazione assoluta e districò con successo la matassa. «Sono ossessionata anche io. E mi manca parlare.»

«Ti manca...?»

Sì, ma alla fine si trattava di due problemi diversi, forse consequenziali. «Non sono ancora a mio agio con questo pensiero fisso che mi invade ogni volta che tu... Oggi ho cercato di calmare proprio te. Si può sapere come hai fatto ad avere certe idee con me vestita così?» Tirò tra le dita un lembo della felpa che utilizzava per i lavori domestici, il capo più scialbo e comodo del suo intero guardaroba. «E questi pantaloni larghi sembrano un brutto pigiama.»

«Sì, non ti donano. Ti vedo meglio senza.»

Il suo era stato chiaramente un tentativo senza la minima speranza.

«Perciò non dovevo trovarti attraente» sorrise lui, «per non saltarti addosso e non farti sentire a disagio mentre sfogavi la tua ossessione assieme a me?»

Faceva bene a riderne, annuì lei. Per la seconda sensazione non si sentiva altrettanto sciocca. «Mi manca parlarti.» Di tutto quello che passava loro per la testa, come avevano fatto per mesi e mesi per passare il tempo, trovandola l'occupazione più soddisfacente che potesse esistere per loro due. «Per tanti mesi non abbiamo fatto altro e ora sembra che l'unico modo in cui sappiamo stare da soli in una stessa stanza è...» Scosse la testa e cercò un punto di vista esterno. «Magari deve solo passare qualche altro giorno.» Incerta sulla stima, sollevò un sopracciglio. «Del tempo.»

Alexander continuò a guardare il muro e terminò di pensare. «È vero: non stiamo parlando molto. A parte di...»

Già. Negli ultimi grandi discorsi che avevano fatto avevano parlato del futuro, del pericolo del loro presente e del suo passato di battaglie, tutto da riempire per lui. Appena avevano potuto tuttavia non ne avevano parlato più: lei non voleva insistere sul fatto che sarebbe andata ad aiutare le sue amiche se fossero state in pericolo, e lui probabilmente non voleva sentirglielo dire.

Alexander tornò a guardarla. «Se non avessimo tanto da studiare per gli esami e non ci fossero queste battaglie che tu devi...» Si interruppe. «Se avessimo più tempo, forse potremmo passare una giornata intera insieme. Ma anche se abbiamo solo una mezz'ora di pausa...» Sorrise. «Sì, manca anche a me parlarti.» Stiracchiò le braccia verso l'alto e si sdraiò sulla schiena. «Facciamolo ora.»

Ami prese il quaderno che le impediva di allungare le gambe e lo appoggiò sul comodino.

Quando si sdraiò accanto a lui, la testa sullo stesso cuscino largo, volle accarezzargli la fronte e tenergli il viso tra le mani. Era anche colpa sua, si rese conto, se non parlavano più con la spensieratezza di un tempo. Provò a spezzare quel circolo chiuso col primo pensiero che le venne in mente.

«Ieri, prima di dormire, ho visto un documentario sui leoni.» E aveva desiderato follemente poter discorrere con lui di tutto quello che aveva pensato.

«Circondati da felini» rise piano Alexander, indicando Ale-chan, appallottolato su una sedia lontana, addormentato.

«Sì» gli sfiorò una mano lei. «C'erano questi cuccioli che giravano intorno ad un leone adulto, maschio. Non ricordo se era lui il padre, ma il documentario diceva che avrebbero dovuto stare attenti: anche se quel leone sembrava averli accettati, non funzionava sempre così. Sai che quando crescono i piccoli maschi vengono allontanati?  Sono visti come concorrenti dal leone dominante. Per i leoni esiste solo una struttura sociale a branchi: un leone, tante leonesse. Ho pensato... è strano tutto quello che diamo per scontato su come debbano funzionare i rapporti tra gli individui. Saremmo potuti arrivare al nostro attuale sviluppo, come cultura umana, se funzionassimo ancora in maniera simile?» Scosse pensierosa la testa. «Senza una cura dei piccoli fino all'età adulta, verrebbe a mancare un supporto fondamentale allo sviluppo della nuova generazione. Se addirittura ci fosse ancora competizione tra maschi facenti parte della stessa famiglia... O tra femmine... È il nucleo familiare che ci ha aiutato a progredire, no? Due adulti che si accordano per occuparsi della nuova generazione, riconoscendolo come loro compito principale. In parte è un accordo e in parte un impulso. Quale dei due sarà venuto prima?» Aveva azzardato una risposta tra sé.

«L'impulso» commentò Alexander. «Qualche primate maschio deve averlo avuto per primo milioni di anni fa. Ha funzionato come modello all'interno di un branco che è progredito numericamente più di altri, con individui che hanno ereditato la stessa propensione.»

«Si eredita?» Ci rifletté di nuovo assieme a lui.

Alexander annuì per primo. «È ormonale. I livelli di ormoni possono essere influenzati da fattori genetici. Nella maggior parte dei nuclei familiari questo impulso poi può trasmettersi anche come atteggiamento. Un atteggiamento positivo attecchisce con successo se ha soddisfatto gli individui nelle loro interazioni reciproche. Tendono a riprodurlo.»

«È una catena» concordò lei. «Ma in tutti i sensi. Un atteggiamento negativo attecchisce per trauma altrettanto in profondità. Nella preistoria contava la forza, era più facile che la sopraffazione violenta venisse ricompensata con cibo e sopravvivenza.»

Dopo un momento, Alexander annuì di nuovo. «Ma nessuno rinuncia alla convenienza nel momento in cui cresce la massa cerebrale. In gruppo i primati riuscivano in imprese non ottenibili da piccoli nuclei di individui, con vantaggio di tutti. Saremo nati come animali sociali in quel momento... Per sopravvivere meglio abbiamo mitigato alcuni istinti animali e imparato a sopprimere un egoismo istantaneo in favore di una sicurezza futura.» Rifletté. «Lo stesso concetto di futuro deve essere divenuto più importante solo di fronte ad un'accresciuta intelligenza. Meno si è evoluti, meno si programma.»

Già. «E più si è evoluti, più si guarda al presente immediato con distacco.»

«Sì» disse lui, perdendosi in un pensiero grave.

Ami non ebbe bisogno di sentirlo per sapere quale era. «Forse sono ingenua...» Ma piena di fiducia. «Anche se ora non riesco a immaginare come sia avere cento o a duecento anni... sono sicura che considererò ugualmente importante il presente che starò vivendo. Forse sarà tutto come un lungo presente. Non perché ogni anno sarà come un mero momento per noi, al contrario: farà parte di quella catena continua che è la nostra vita. Non lo danneggeremo pensando che è solo un anno facile da dimenticare in altri mille che ci rimangono.» Lasciò che la voce si spegnesse lentamente nella propria gola.

Davanti allo sguardo vacuo di lui, concentrato sul nulla, annuì. «Usando il termine 'noi' mi riferivo soprattutto alle mie compagne. So che vuoi starmi accanto, ma sarà una scelta che farai giorno dopo giorno nei primi tempi. Su queste cose che ti dico... poniti da esterno. Studiale per tutto il tempo che vuoi, senza sentirtene già incluso senza scampo.»

Alexander si riprese un sorriso debole. «Ami, pensavo ai vostri nemici, non a noi. Sono sicuro che il loro caso è diverso: vivere tanto li ha danneggiati. ll sorpruso è normale dal loro punto di vista. Se serve a ottenere quello che vogliono, lo ritengono accettabile.»

Lei non si permise di concentrarsi sul sollievo: la smorfia sulle labbra di lui la spinse a prendergli una mano. Alexander stava pensando a quando l'avevano fatta sparire per più di metà settimana.

«Tu... provi ancora rabbia per quei giorni, vero?»

Lui aprì il pugno e le inglobò per intero le dita. Non rispose.

Mi dispiace. Lei si trattenne dall'abbassare la testa e baciargli la mano.

Alexander gliela stringeva piano e con fermezza, come se potesse esprimere in quel modo il bisogno che sentiva di tenerla lì.

«Sai...» gli sorrise, trovando un nuovo pensiero giusto da condividere. «Non sono mai riuscita a immaginarmi come fosse essere un ragazzo.»

«Cosa?»

«Essere un ragazzo. Un uomo.» C'erano sensazioni che poteva condividere e comprendere appieno provando a mettersi nei suoi panni, ma, nonostante tutte le similitudini tra loro, alcune reazioni le risultavano ancora misteriose. Affascinanti proprio per questo.

«Cosa vuoi dire?»

Lo aveva fatto sorridere, come in un tempo in cui non avevano mai conosciuto paura insieme. Era tornata a dire la prima cosa che le era venuta in mente, giocando coi ragionamenti e aprendoli a lui.

«Questo desiderio di protezione ad esempio. Anche una donna può provarlo, ma di solito nei confronti di qualcuno di più debole. Come un bambino, soprattutto, anche se può trattarsi anche di un compagno adulto nel momento in cui lui è in difficoltà. La nostra conformazione fisica in realtà non è una base importante in tutto questo? Difendiamo chi è più piccolo per istinto, per un insito... dovere. Io difenderei una persona che non può proteggersi, ma riesco a immaginare solo un bambino, non un adulto perché...» In realtà, le riusciva facile immaginare adulti ora che aveva un potere di cui nessuna persona normale poteva disporre. Dimenticò quel passaggio. «Non conosco adulti che abbiano un fisico molto più piccolo del mio. Non nella proporzione che esiste tra noi due, per esempio.»

«Ma non sono tutti alti come me» obiettò divertito lui.

Esatto, il concetto della differente corporatura non poteva essere centrale. «Volevo dire...»

Alexander annuì. «Ho capito. Beh... Se sei un uomo ti dicono fin da piccolo che tocca a te fare qualcosa... di più. Se gli altri piangono, tu devi stare tranquillo. Se qualcuno non sa fare qualcosa, tu invece devi poterla fare e risolvere il problema. È una questione culturale, ma...» Si adagiò sul fianco. «A volte penso che sia mancanza di alternative. Ti capita di avere attorno queste persone a cui tieni... sì, forse più piccole o più deboli, ma il problema è che quando non possono proteggersi da sole non può farlo nessun altro e loro iniziano a guardare te; un giorno te ne accorgi come un fulmine a ciel sereno. Realizzi anche che non c'è nessun altro a cui puoi rivolgerti tu, perciò non puoi essere come loro neanche volendo. E non vuoi perché sarebbe la fine: la disperazione della tua impotenza ti mangerebbe vivo se ti facessi venire il dubbio. Alla fine, devi convincerti di essere forte e stabile per trovare un equilibrio. Non puoi rivolgerti a qualcun altro perciò ti rivolgi all'immagine che hai di te stesso e trovi qualche sicurezza in quella. Anche un po' d'orgoglio, perché no? Il lato positivo viene da sé.»

Ami rimase in silenzio.

«Parlavo di un ragazzino che cresce, Ami» sorrise lui. «Col passare del tempo calano le insicurezze perché vedi che ci sono davvero cose che puoi fare solo tu. Raggiungere uno scaffale più alto, muovere cose pesanti. Ah, e far sentire meglio gli altri mostrandoti forte. Ti rende forte e anche fiero di esserlo, sempre di più. È un cerchio che si alimenta da solo.»

Lei lo aveva spezzato per lui, togliendogli la sicurezza di poter fare qualcosa di fondamentale come tenerla al sicuro.

«See? Questa è una dimostrazione perfetta. Nel momento in cui parli di debolezza, insinui il dubbio in chi ti deve vedere forte. E ricevi questo sguardo...» Premette col dito sulla base del suo naso, giocando. «Non fa bene a nessuno. Io sono ancora forte, Ami. In tutti i modi in cui posso esserlo.»

Forse la differenza tra loro era quella: a lei importava solo nella misura in cui ci teneva lui. Lo vedeva forte in altri modi, anche solo per aver ammesso di non esserlo.

Si sentì stringere piano il braccio, sopra il gomito.

«Ammetto che non riesco a immaginare di essere adulto e avere un fisico come questo» osservò divertito lui. «Come farei a sopravvivere? Non terrei bene la moto, dovrei alzare gli occhi per guardare in faccia chiunque altro...» Rabbrividì con una smorfia. «Sarei come un bambino che non può farsi rispettare da nessuno.»

Ami liberò una risatina. «Io non ho questo problema.»

«Perché non sei piatta e sei soffice.»

«Cosa?»

«Perché è normale che tu sia adulta in questo modo» continuò a giocare lui. «Sei più piccola ma sei temibile perché sei diversa. Hai più curve dappertutto, anche in faccia o nell'incavo di un braccio: basta anche un'insenatura o un rilievo in più. E si capisce che sei soffice al tocco anche solo a guardarti. Allora uno si mette lì a riflettere su cosa voglia dire avere un corpo come questo e tempo che capisce dove va a parare la sua curiosità si è già distratto senza scampo.» Le accarezzò il palmo con un dito. «Naturalmente, se stiamo parlando proprio di te e questo 'uno' non sono io, torneremmo tutti indietro di qualche milione di anni, al tempo di un duello preistorico all'ultimo sangue che vincerò senza rimpianti. Triste giorno per l'umanità.»

Ami scoppiò a ridere e lo abbracciò forte.

Le mani sulla sua schiena iniziarono a scorrere più lente, con maggiore intento.

Stavano per smettere di parlare, capì, e si sentì in pace. Si era ricordata la sensazione di cui si era sempre sentita preda alla fine dei loro discorsi: diminuiva lei stessa i centimetri di distanza tra loro, cercando un contatto che non fosse solo mentale, per rispecchiare la natura dell'affiatamento che avevano a parole. Ne aveva trovato uno più profondo, era una cosa meravigliosa.

Udì un sussurro all'orecchio. «Ti va un altro esperimento?»

No, sospirò lei, accarezzandolo su una spalla. «Ripassare ha i suoi pregi.»

«È un esperimento sulle basi. Un gioco per conoscerci meglio.»

Hm?

«Ti tocco e ti ascolto. Così tu mi dici se ti piace e mi guidi.»

Non comprendere immediatamente le implicazioni la portò a non arrossire subito. Aveva appena iniziato a farlo quando lui continuò.

«Ho preso spunto da ieri. Quando sei stata tu a prendere l'iniziativa e abbiamo fatto quello che volevi, mi è sembrato... Ti è piaciuto molto di più, vero?»

«No» avvampò lei, nascondendo gli occhi.

«Secondo me sapevi da sola cosa ti dava maggior-»

Lo zittì con un dito. «Non è stato diverso.» Non riusciva a fare differenze tra tutte le volte; a parte forse la prima, con quel poco di disagio e confusione all'inizio.

«Io ti ho vista diversa» continuò lui. Fece silenzio per un momento. «L'idea che ho avuto sarà buona anche in un altro senso. Finora... non è stato abbastanza romantico. Forse solo la prima volta.»

«Hm?» Non lo aveva seguito.

«Well, fino a questo momento ha funzionato così» ragionò lui. «Io prendo l'iniziativa, tu mi fai capire che sei d'accordo e noi... ci immergiamo nell'impresa, come gatti affamati a cui hanno appena offerto del cibo.»

Al sorriso Ami sostituì un'occhiata mortificata al soffitto.

Un comportamento simile non faceva di lei una...? Una ragazza innamorata, concluse. Era sempre stata veloce ed efficiente ad iniziare tutto quello che le piaceva fare; perché non anche quell'atto d'amore che, una volta cominciato, accresceva in lei il desiderio di non pensare ad altro?

Alexander si riprese la sua attenzione. «You are a romantic, love. E il passaggio per noi è stato troppo rapido. È come se fossimo passati da un'utilitaria ad una Ferrari nel giro di una settimana. E quando uno si abitua alle macchine da corsa...»

Lei scoppiò in una risatina.

«Altro paragone azzeccato, hm?» Una mano le accarezzò i capelli. «Vedrai che tornando a ritmi più lenti sparirà anche quel poco di disagio che senti.»

Come poteva essere quello il problema? «Sappiamo andare lenti.»

«Ma non come arrivarci lentamente.»

C'era una differenza, capì lei, ma non riuscì a farsi venire in mente un esempio pratico. Di certo non le era mai sembrato di andare troppo veloce in quei momenti. Avevano semplicemente seguito il ritmo che sentivano dentro entrambi.

Un bacio la accarezzò sull'angolo della bocca, indugiando lì.

Okay. Si permise di chiudere gli occhi e mandare in riposo il cervello.

  

Ami voltò piano la testa e separò le labbra, cercandolo.

Si sfiorarono con la punta della lingua, nient'altro, ma lei si irrigidì e si sciolse in un istante, stringendogli la camicia tra le dita e premendo la bocca aperta sulla sua, in offerta. L'assaggio ebbe il retrogusto della cioccolata che avevano mangiato un'ora prima, un sapore che Alexander quasi non notò: lei gli stava accarezzando la tempia e aveva abbandonato la testa sul cuscino. Lo lasciava scivolare tra le sue labbra senza opporre alcuna resistenza, interrompendo il respiro durante i contatti più umidi e stimolanti, socchiudendo la bocca per chiedergli di non allontanarsi, di non smettere.

E lui che aveva pensato ad un bacio romantico.

Non sono un gatto in calore. Strinse il cuscino tra le dita e lasciò scivolare l'altra mano sotto la felpa di lei, sulla schiena.

Non devo far partire una macchina da corsa. Solo qualcos'altro che era già partito per conto suo.

Sul palmo aperto la sentì calda, soffice... Dannazione, non aveva scherzato su quanto era soffice e morbida, tanto liscia da avere una consistenza irreale. Era come crema umana, da leccare. Il sapore era migliore su due punte facili a inturgidirsi, che si indurivano invece di piegarsi; era addirittura bollente sotto uno strato sottile di cotone intriso di un odore che gli dava alla testa e diavolo, diavolo, doveva pensare ad altro!

«Ora sei tu che stai pensando» sorrise Ami, soffiandogli le parole sulle labbra. «Sei distratto?»

Il suo era esattamente il problema opposto. Scosse la testa e provò a tenere gli occhi aperti.

La realtà non era la sua fantasia, si ammonì. Anche se si potevano fondere, lui non poteva continuare a portarci dentro Ami. Forse era per tutte le volte che lo aveva fatto, concentrandosi sulle sensazioni o anche solo sul fargliele provare, che lei si sentiva ancora a disagio.

«What is it

La voce di lei in inglese era una dichiarazione sussurrata. Nella nostra lingua, puoi dirmi qualunque cosa.

«Tell me what you want» azzardò lui. Qual era la fantasia di Ami? Qual era quel pensiero che la faceva sentire come se fosse tutto... perfetto?

Lei arrossì lievemente. «Che cosa mi piace?»

No, non il suo esperimento. E anche se amava quel rosa spruzzato di rosso pallido, per una volta pensò di non volerlo più vedere. Voleva saperla capace di librarsi senza più imbarazzi. «Tutto quello che vuoi.»

Il sorriso di lei fu tanto debole da non potersi definire tale. «Per quale motivo ti senti in colpa?»

Lui doveva sentire una spiegazione da lei per comprenderla bene, invece Ami con lui saltava tutti i passaggi.

«Stavo per fare come le altre volte. Ero così impegnato a immaginare cosa volevo fare con te, che ti avrei portato con me invece di aspettarti.»

«Ma a me piace.»

Su quello non aveva dubbi. Non si pentiva del passato, voleva solo a imparare qualcosa di nuovo per il futuro.

Lei abbassò lo sguardo, un labbro che assaggiava l'altro. «Mi piace sapere che... immagini. Me.»

Love, non aiuti. Gli venne da ridere. «Dimmelo, per favore. Dimmi quello che ti viene in mente quando.... Quando chiudi gli occhi e pensi solo a ciò che vorresti tu.» Voleva entrare nell'immaginazione di lei, viverla. 

La piccola risata di Ami, a malapena udibile, fu d'imbarazzo. «A occhi chiusi mi viene il mente solo il buio... Toccarci senza vederci. Manco d'immaginazione.»

Hm... Ma quella era una cosa nuova.

«Okay.» Si tirò su, sentendo di essersi aggrappato ad una fune solida e sicura. Sorridente, si diresse all'interruttore sul muro, accanto alla porta. Spense la luce.

Alle cinque del pomeriggio non vi era più un solo barlume di luce naturale che provenisse dall'esterno. Oltre le fessure delle persiane, solo la luce soffusa dei lampioni lontani impediva il buio assoluto.

Un'incertezza non sua aleggiò l'aria. «Va bene così?» fu la domanda di Ami.

Attento a ricordare i contorni della stanza, lui tornò sul letto. «Per me sì.»

«Non preferisci con... la luce?»

Le sue pupille si adattarono rapidamente al nuovo livello di luminosità. Vide il brillio riflesso negli occhi di lei quando si voltò pensierosa verso la finestra.

Ami sembrava più a disagio di quando lui non si era preoccupato tanto di metterla a suo agio.

«What's wrong?» le chiese.

«Non... limitarti per me. Voglio che per te sia come le altre volte, questa del buio... è solo un'idea.» Scrollò le spalle.

Gli si aprì un mondo di comprensione. Ami teneva ad accontentare lui.

«Proviamola.» Si trattenne dall'abbracciarla riconoscente, lusingato. «Ci saremo tu, io, senza vestiti... funzionerà alla grande.»

Il rossore di lei, invisibile al buio, non la guidò più. Sul letto Ami si inginocchiò, avanzando fino a trovarlo. «Sai... è come se ti vedessi lo stesso davanti a me.» Gli prese il volto tra le mani.

Nelle ombre chiare del viso di lei Alexander vide il blu delle iridi e un sorriso accennato, rosa come le sue labbra, che era lì per accoglierlo. «Anche io.»

Sbagliarono l'incastro del bacio, ma senza farsi male. Lo aggiustarono in un brevissimo momento, d'istinto.

Senza la luce a bagnargli le palpebre chiuse, lui scoprì una cosa nuova mentre si sdraiavano: avevano tolto al mondo i suoi colori e un pezzo della sua essenza, quella che lo rendeva parte di una giornata che non era ancora terminata. Anche se in lontananza i rumori esterni non erano cessati, in quella stanza era già notte, un momento del giorno da dedicare al riposo oppure solo a loro due, senza alcuna fretta. Gli sembrò di avere davanti ore per fare tutto quello che volevano. Come la prima volta, ma senza più l'imbarazzo di non sapere cosa fare e senza l'incertezza di come sarebbe andata a finire. 

Quella del buio - della penombra profonda, non gli pareva più un buio totale - era stata una trovata geniale.

Tornò ad accarezzare lo stomaco di lei sotto la felpa e la sentì inarcarsi senza remore, il bacino sollevato.

«Posso usare la tua idea?» gli sussurrò Ami, una mano sotto la sua camicia, un sorriso dietro la voce bassa.

Prende l'iniziativa, pensò lui. Questo è paradiso. «Sì.»

Si chiese solo poi di quale idea si trattasse.

Le dita di lei si posarono sulle sue, mentre le lasciava scorrere sul suo stomaco. «Non andare così... forte. Non subito.»

Eh?

Più leggero di così c'era solo una carezza che non era nemmeno tale, una passata di dita che più che toccare sfiorava a malapena. La tentò ugualmente.

Ami bloccò un sospiro che poi si fece più lungo, un poco più forte.

Alla luce, lo avrebbe visto spalancare gli occhi.

Lui l'avrebbe toccata così solo in zone più sensibili, ad esempio sul seno o tra le... Per non correre di nuovo in anticipo sui tempi, ripeté il gesto. La reazione di lei fu identica e terminò con una stretta salda al polso che lui teneva fermo.

«È come il solletico, ma... piacevole» disse Ami. Al buio, sembrò che avesse una voce solo per parlare con lui.

«Anche qui?» Alexander lasciò scivolare polpastrelli e dorso delle unghie verso l'alto, evitando il petto, finendo quasi sotto le ascelle.

Ami allargò le braccia e inspirò l'aria di metà stanza. «... sì» ansimò. Gli prese le mani e non ebbe bisogno di chiedere.

Lui la sovrastò fino quasi a schiacciarla. Appoggiato sui gomiti non era libero di toccarla come voleva, ma scartò l'idea di adagiarsi sul fianco non appena sentì un fruscio che accompagnava movimenti rapidi. Si ritrasse e aiutò Ami e disfarsi della felpa scura che nemmeno vedeva più. Era solo un pezzo di stoffa che, tolto assieme alla canottiera spessa, l'avrebbe denudata su tutto il torso.

Le aveva appena sfilato gli indumenti dalla testa quando immobilizzò le dita. «Non porti il reggiseno.»

«No.» La domanda di lei si concretizzò in un'affermazione. «Questa maglietta è fasciante, lo sostituisce bene visto che non ho molto da... tenere su.»

Le avrebbe fatto smettere di credere che non avesse niente con cui riempirgli le mani. Cercò di non riderne. «Non volevi attirarmi, ma sotto avevi deciso di non portare il reggiseno?»

«... non si vedeva.»

Solo perché felpa e canottiera lo aveva ingannato. «Se una prossima volta vengo a saperlo prima... ti sequestro sotto chiave.»

Sorridendo, lei non terminò di svestirsi. Rimase sdraiata, con le braccia tese verso l'alto e per metà racchiuse nella felpa.

Quello era l'ardire nascosto dietro gli sguardi sicuri che lei gli aveva lanciato durante le loro sfide a scacchi. Io oso.

Alexander la venerò con un bacio prima che potesse cambiare idea. Ami accennò a muovere le braccia e lui la accarezzò lì, dove la pelle era libera, scendendo con le mani fino a disegnarle le clavicole e poi a riempirsi i palmi. Massaggiò coi pollici, piano.

Ami tremò. «I love you

Lui lo sentì come un abbraccio. Le sfilò del tutto felpa e maglietta. «I adore you.» Si beò della stretta che lo prese. «Will love you till the end, I promise.» Ricordò le parole di lei. «Day by day, my choice

Ami lo sfiorò con la bocca sulle labbra. «Fermo un attimo.» Il suo respiro seppe di sorriso. Con le dita sfilò il primo bottone della sua camicia. «One» sussurrò, cominciando a contarli.

One. Come il giorno che lui l'aveva vista seduta al tavolo della biblioteca, andandosene in fretta per non notarla. Il primo passo.

Two. Quando aveva capito di non poter più esistere da solo.

Chiuse gli occhi e, tra i numeri, la pregò di avere un po' del suo respiro.

Three. Per il cuore che lei gli aveva strappato dal petto quando lo aveva rifiutato.

Four. Per quando gli aveva permesso di tornare a vivere. Per quando lui aveva davvero cominciato.

Five. Come il numero dei giorni in cui era stata rapita, annichilendolo.

Mille, come gli anni che era disposto a contare pur di non sentirsi mai più in quel modo.

Ami indugiò con le dita sulle sue guance, lasciandole scorrere come se vi fossero scie da seccare. «Posso essere solo la tua felicità?»

Here you are, you already are.

«Tu sei la mia, lo sai?»

Sì.

  

Era tutta la sua felicità, da proteggere anche con un abbraccio che non bastava a nasconderlo.

Sarebbe stato così sbagliato celarlo. Lui era forma, peso su di lei, calore vibrante sotto le sue mani, sapore agognato, respiro che interrompeva il suo, odore che non doveva mai andare via. Era incastro, quello giusto, il torso tra le sue braccia e i fianchi tra le sue gambe, mentre premevano insieme col bacino, piano.

Making love non poteva essere qualcosa di diverso: incontro di ogni senso in cui l'amore si ricreava daccapo. Make love, make a love, un amore completamente nuovo, vulnerabile senza timore, come il bacio con cui andò a percepire lui sul collo.

Sensibile, pensò, udendo l'ansito. Il suo amore era inebriante.

Pochi centimetri più sotto, lo assaggiò di nuovo e la tensione in lui divenne così rigida da essere... eccitante.

Le dita sul suo seno la fecero inarcare sul letto.

Per favore, ancora.

Sì, era la sua primaria e meravigliosa ossessione. My love.

«Più piano?» le chiese lui.

Per scuotere la testa lei dovette attendere di riuscire a muoverla. Ritrovò le mani sotto la canottiera di lui, intrappolate dal cotone alla sua pelle. Resistette all'impulso di graffiare con le dita e le lasciò scorrere verso l'alto, portandosi via l'indumento. Alexander liberò le braccia dalla camicia e poi lasciò fare a lei.

Nella penombra scura Ami gli denudò il torso sfiorandogli i capelli, lasciando cadere la canottiera dietro di lei, giù dal letto.

La trovò un'esperienza tanto sensuale da volerla vedere a colori.

Due mani le slacciarono i pantaloni e li tirarono giù, senza ulteriori attese.

Aiutarlo sollevando il bacino la portò a distendere la testa all'indietro, oltre il limite del materasso. Cercare di rimettersi dritta non servì ad altro che a farla quasi cadere. Si aggrappò alle mani che arrivarono a sostenerla.

«Impazienti come gatti.»

Lei?

«Io, ma per una volta anche tu, love.» E proprio come un felino, Alexander strofinò la guancia contro la sua.

Di nuovo al sicuro al centro del letto, a lei uscì un sorriso. «Ma un gatto farebbe così.» Sollevandosi scivolò su di lui, petto contro petto, fino ad abbracciarlo sulle spalle. «Se fosse molto affettuoso.»

Lui eliminò aria per un intero secondo. «Sempre al buio d'ora in poi.»

Per una volta lei lo comprese subito. «No, la prossima volta...»

«Sollevo le coperte?»

Cosa?

Alexander la allontanò dalle propria ginocchia e scese dal letto. «Stiamo al caldo.» Senza attendere risposta scostò il piumino, sollevandolo. Si liberò dei pantaloni e tornò a sdraiarsi sotto le coperte, senza perdere un solo secondo.

Ami sorrise: si era preoccupata per niente. Non aveva malinterpretato il momento, anche lui non vedeva l'ora di continuare.

Alexander la prese per la vita mentre lei già si stava avvicinando, portandola contro di sé tanto rapidamente da farsi colpire allo stomaco con un ginocchio. Si mise a ridere. «Quando vuoi andare più piano... ho bisogno di sentirtelo dire.» Premette la bocca contro la sua a labbra aperte e non le permise di ricambiare. Era già sceso a trovarle il lobo dell'orecchio e la gola, lasciando libero il respiro lì.

Il sangue in lei raddoppiò in velocità per permetterle di arrossire sulle guance e pulsare contro il suo bacio. «Non ho detto niente.» Gli abbracciò la testa.

Lui produsse un suono incomprensibile, che si trasformò in...

«... no, no, no.» Alexander si scostò all'indietro. Respirava forte. «Era questo...?» Tornò con una mano su di lei, ad accarezzarla appena sullo stomaco. «Questo prima ti piaceva, vero?»

Ami non gradì sorridere di lui. «Cosa stai facendo?»

«Niente.»

Si stava controllando invece, proprio quando non c'era alcuna ragione per farlo. «Non pensare più. Nemmeno per me.»

«Va bene.»

Una piccola bugia innocente?

Il pensiero di protestare ancora le parve sbagliato. A parole fendevano il buio e la comprensione innata che avevano naturalmente quando non decidevano da soli di metterla alla prova.

Sullo stomaco la carezza leggera le provocò un brivido di solletico. Più forte, ora. Ma non voleva dirlo e continuare a dare istruzioni. Non voleva più pensare, tutte le altre volte... Come faceva a fargli capire che come tutte le altre volte andava benissimo? Non le dispiaceva avvampare. Voleva esperimenti azzardati e silenziosi, e soprattutto sentire che ad Alexander amarla piaceva tanto da perdere la testa.

Il dorso delle dita di lui rasentò la linea più bassa del suo addome. Sentendo sobbalzare i propri muscoli Ami capì d'istinto che il piacere di entrambi si trovava alla distanza di un soffio. Lui tornò a respirare sulla sua tempia e, con due polpastrelli, appiattì il fiocco minuscolo ricamato sul bordo dei suoi slip.

Armata di coraggio e sensazioni, lei gli prese le dita e le spinse giù. Più giù, fino a serrare forte gli occhi.

L'ansito contro la guancia la eccitò.

«Lì?»

Lei piegò la testa all'indietro e si nutrì dell'aria di lui direttamente dalla fonte.

  

Aveva mai intuito che Ami era come lui nelle pulsioni più profonde?

Sì, no, forse da sempre.

Ricordava, vagamente, di essersi vergognato come lei quando era stato ragazzino - per un brevissimo periodo - prima di lasciarsi andare alla scoperta di tutto il piacere che poteva provare col corpo. Il suo imbarazzo si era polverizzato tanto velocemente da fare di lui un segreto edonista.

Ami sarebbe stata più lenta, ma era come se avesse spezzato una barriera. Ora lo baciava ansimante, dondolando coi fianchi contro le sue dita.

Lui era un perfezionista eccitato, innamorato, inebriato: in quel buio, in quel momento, aveva imparato abbastanza su di lei da farle provare il piacere più intenso di tutta loro breve esperienza. Con la certezza di ripetersi, no problem about it.

Ami staccò le labbra dalle sue per inspirare, il corpo teso e involontariamente tremante.

Sopra il cotone sottile degli slip per lui fu facile capire quanto premere: piano come sullo stomaco, come gli aveva detto lei, ma con un poco più di insistenza.

Con un gemito soffocato, la mano di Ami schiacciò la sua dopo altri due momenti.

Right, meno delicatezza. E desiderò davvero dimenticarla: dove teneva la mano, Ami era favolosamente calda. Non era diventata così solo per sentirlo strofinare le dita su quel punto.

Lei nascose il viso contro il suo collo, stringendo forte le gambe, muovendo i fianchi in una maniera...

Circolare, colse lui. Seguì il movimento e comprese che era la chiave di quell'attimo, il movimento giusto che- Lo rallentò di proposito.

Ami lo stava baciando sul collo, meravigliosamente bene. Smise solo per un momento quando lui scelse di non avere più ostacoli nell'accarezzarla.

Il morso leggerissimo dei denti di lei sulla giugulare sarebbe stata una di quelle sensazioni che sarebbe tornato a cercare ancora, per sempre.

Infilò il braccio tra il materasso e il fianco di lei per abbracciarla, per trattenerla meglio, mentre più sotto la sua mano... La sentì scivolare come su seta bollente e morì di un orgasmo mentale. Lei iniziò a provarne uno vero, pulsante, e tra l'avanti e indietro lui sentì il bisogno di andare.... dentro.

Non pensare più. Parole di lei, di prima. Le unghie che affondarono nelle sue spalle lo convinsero a lasciarsi andare.

Spalancò la bocca e andò a divorare quella di lei, catturato mentre la prendeva, inglobato senza pietà ancora in pieno movimento, perso, teso e... Strinse gli occhi. Nella penombra si concentrò sulle palpebre serrate di Ami, sulle sue labbra umide e lucenti. Su quanto era bella più che mai mentre si lasciava accarezzare senza remore, guidandolo e muovendosi con lui solo per provare picchi più intensi, vivendoli in ogni istante. Lui solo e solamente fino all'ultimo, poi le levò gli slip così velocemente che per un attimo pensò di averli strappati. Si prese un altro momento - di decenza - per non finirle sopra ancora mezzo vestito.

Quello che amò oltre ogni dire fu sentirla allungare le braccia nella sua direzione, come se fosse naturale volerlo con lei.

Per non fallire miseramente, si posizionò come aveva fatto la prima volta, con le braccia piegate oltre la testa di lei e il bacino allineato al suo. Fu uno sforzo, ma funzionava, come aveva letto dappertutto.

Si lasciò colpire dalla fitta del contatto con la carne morbida e, sistemandosi col peso sulle gambe, trovò la prima unione incompleta, quella con cui riusciva a stimolarla maggiormente.

Ami gli chiuse i fianchi tra le gambe e sollevò le braccia verso le sue spalle, cercandogli la testa.

Lui annuì senza parole. Tra poco. Oh sì, tra poco, quando fosse finita la miglior tortura mai inventata dall'umanità, quello strofinarsi dall'alto verso il basso e in senso contrario che era preludio del piacere massimo, tanto eccitante perché era già unione.

Se solo avesse potuto anche baciarla.

La carezza di Ami sulla guancia scese e si trasformò in presa sulla sua spalla. Lei la usò per scivolare verso l'alto, tra lui e il materasso, lontano. Scosse la testa.

No?

«Così.» Ami gli diede un bacio e tornò a sdraiarsi senza perderlo. «Così.» Premette contro di lui col corpo, ritrovando l'incastro per prima.

Scivolare completamente dentro di lei, a fondo, lo portò a cercare il sangue nel mordersi le labbra. «Per favore.» Cosa le chiedeva? Tregua, sollievo?

«Fai così» insistette lei, sorridendo con un ansito. «Va bene, non... please

Delle proprie azioni, capì lui, non era più responsabile.

Mosse i fianchi piano all'inizio, ancora sotto controllo. Riuscì a godersi le carezze che riceveva e che le dava. E i baci, God, i baci. Li amava con tutto il suo essere.

Poi divenne una sofferenza. Si muoveva e sentiva il proprio culmine come se fosse già lì, dentro il corpo stretto e caldo di lei. Troppo presto.

«Please» gli sussurrava Ami, affondando le dita nelle sue spalle tese.

Alexander capì cosa gli stava davvero chiedendo lei solo quando la sentì stringerlo, di proposito, anche con quei muscoli che le facevano provare piacere.

Si tenne al cuscino, a lei, e perse la ragione. Si mosse senza, veloce e a fondo, non da solo. Di più, ancora.

Non udì gemiti improvvisi da Ami, percepì solo un abbraccio continuo, intimo e amorevole, che non lo lasciò mai andare.

Alla fine, non ebbe nemmeno la forza di sostenersi sui gomiti. Si accasciò e, sotto di lui, Ami si mosse per stringerlo di più.

Respirando velocemente contro la sua guancia, Alexander inspirò l'odore di lei talmente tante volte da riuscire a percepirlo come diverso: sapeva di eccitazione acuta. Sazia.

Le accarezzò un gomito. «Is it...?»

«It's fine.» La voce di Ami si ruppe in una risata minuscola, dolce. Tremò appena, di sensazioni svanite da un attimo. «It was beautiful

Sai perché voglio baciarti? Per mille ragioni, non avrebbe saputo sceglierne una neppure lui. Lo fece e basta.

«Non sono più tanto inesperta» disse lei, recuperando un briciolo di fermezza. «Io... so decidere cosa voglio.»

Non c'era abbastanza luce da riuscire a leggere la sua espressione. «Okay?»

La notò ugualmente abbassare lo sguardo.

«A me una volta sola...»

Stava arrossendo.

«... basta. È sufficiente.»

Ah. Si sentì sorridere. «Perciò sbagliavo a...?»

«No. Cioè , se ti trattieni. Non farlo più, non è... Non è quello che piace a me.»

Lo aveva notato. Non le era semplicemente grato, l'aveva scoperta in una maniera... Com'era sempre stata, si rese conto. Generosa.

Ami non aveva smesso di parlare. «Inoltre a me... I really liked it even when...»

L'inglese era anche la lingua delle confessioni molto imbarazzanti.

Lui ebbe un'intuizione. «Una seconda volta?» C'era stata?

Il silenzio carico gli diede la sua risposta.

Damn, I'm really good.

Scuotendo la testa, Ami iniziò a ridere. «Dobbiamo riprendere a studiare.»

Ma certo. La baciò sulla guancia. «Guastafeste.»

Lei spalancò la bocca.

Lui si ritrasse, sedendosi. «Ti perdono solo se con la luce accesa non ti copri.»

La risata lo contagiò.

Oh sì. Ridere e ridere, non voleva fare altro con lei. Oh, e studiare. Ah, e fare l'amore. E... well, troppe cose.

Tornò in piedi, caldo delle coperte, stremato e rinato.

Ami cercò il piumino e se lo avvolse attorno. «È stato... Senza parole, lo sai?»

Sì.

Senza parole, indescrivibile.

Era vivo in un mondo perfetto.

 


 

NdA : Lo sapevo. Se gli davo il suo tempo, questo capitolo poteva piacermi molto. Non è stato semplice scriverlo, ma ora che ce l'ho qui davanti, nella sua interezza, mi lascia la sensazione che cercavo sin dall'inizio. Forse non c'è una sola parola. Tenerezza, un po' di quel tocco di Red Lemon che doveva esserci e... profondità? Volevo rendere il capitolo intenso e interessante in ogni senso.

Non so se ce l'avrò fatta per tutti, forse parlo ispirata dall'amore del momento per il capitolo appena dato alla luce :)

 

In ogni caso, grazie di essere qui a leggere.

 

ellephedre

 

Traduzione di alcune frasi:

- well : intarcalare, come 'beh'.

- I adore you. [...] Will love you till the end, promise. [...] Day by day, my choice : Io ti adoro. Ti amerò fino alla fine, promessa. Giorno dopo giorno, la mia scelta.

- Here you are, you already are : Sei qui, lo sei già.

- Damn, I am really good : Dannazione, sono proprio bravo.

 

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Capitolo 8
*** Usagi/Mamoru III ***


redlemon8
Red Lemon

Autore: ellephedre

Disclaimer: i personaggi di Sailor Moon non mi appartengono. I relativi diritti sono di proprietà di Naoko Takeuchi e della Toei Animation.


8 - Usagi/Mamoru III
Ambientato nell'estate del 1995, ovvero quasi un anno e mezzo prima di Verso l'alba e un anno dopo 'Oltre le stelle'.


Il posizionamento dello scotch sull'apertura dello scatolone riuscì talmente bene che Usagi per un momento non ci credette. Lisciò con una mano la striscia spessa e scura fino ad appiattirla contro il cartone. Nemmeno un pezzetto in rilievo. «Yuhuu! Questo non l'ho rovinato, è pronto per essere portato di sopra!»
Mamoru controllò la scritta che aveva apposto sul lato della scatola. «Usako, questa poteva anche rimanere aperta. Sono solo libri.»
Per leggere a sua volta, Usagi si piegò in due. Rilasciò un sospiro sconsolato e si abbandonò seduta sul pavimento in moquette. Sotto i pantaloncini, il contatto con la superficie in pelo le fece rilasciare una smorfia di fastidio. «Non ne combino una giusta.» E in quella stanza si moriva di caldo, come in tutta Tokyo.
«Non è vero.» Mamoru terminò di chiudere la scatola con gli ultimi piatti che gli rimanevano. «Non sei obbligata ad aiutarmi, mi stai dando una mano.»
«Come potevo non aiutarti? Ti stai trasferendo nella tua nuova casa!»
Sì, pensò Mamoru. E ne era felice, anche se sarebbe andato a stare solo due piani più sopra nello stesso edificio. La differenza reale l'avrebbe avuta nello spazio a sua disposizione: passava da un bilocale con cucinotto e bagno a un trilocale con tutta una stanza in più. Il bagno era più largo e la cucina era anch'essa più grande, anche se sempre a vista: a lui piaceva così. Si trattava ancora di un appartamento, ma la nuova abitazione gli apriva maggiori prospettive per il futuro. Smettendo di pagare un affitto stava mettendo in atto un vero e proprio investimento per l'avvenire suo e di... Se lo avesse detto a Usagi, non ne avrebbe più sentito la fine.
La verità era che in campo immobiliare bisognava muoversi con molti anni di anticipo, come gli aveva suggerito l'agente che gli aveva venduto la casa.
"Questa è una zona in espansione, Chiba-san! Il valore degli immobili sta aumentando! Tra tre anni lei non si potrà più permettere questo bellissimo appartamento, sa? Se ha i soldi ora, è una pazzia lasciarsi sfuggire questo affare."
Lui ci aveva creduto dopo essersi informato tra i vicini. Due degli inquilini dei piani inferiori, in affitto come lui, gli avevano confermato la validità dell'investimento.
"Uff..." aveva sospirato Kamiya-san, l'inquilina dell'appartamento 4 al secondo piano. "Se solo potessi comprarlo io..." Aveva quindi proceduto a flirtare apertamente con lui, forse confusa dal fatto di vederlo in casa sua a bere un tè. Mamoru l'aveva garbatamente respinta e si era ripromesso di non farsi mai sfuggire notizia di quella vicenda con Usagi: la gelosia di lei era sempre dietro l'angolo.
Usagi si mise a sedere sullo scatolone appena chiuso. Si strofinò la fronte sudata col dorso della mano. «Oggi è come una sauna...»
Già. Agosto 1995, piena estate, appena pochi giorni dopo il compimento dei suoi vent'anni. Il caldo era asfissiante e persistente, ma a Mamoru non importava. Era diventato maggiorenne a tutti gli effetti e si stava addirittura comprando una casa. Era fiero di se stesso.
«Oh.» Lo scatolone si piegò sotto il peso di Usagi. «Fortuna che sono solo libri» ridacchiò lei. «A proposito, sai che cos'ha avuto il coraggio di dirmi Shingo l'altro giorno?»
«No.» Mamoru stappò il pennarello blu con la bocca e si preparò a scrivere su un nuovo pezzo di cartone. Roba di cucina.
«Mi ha detto che sono ingrassata! Allora io per smentirlo sono andata a pesarmi e.... be', non gliel'ho detto, perché credo che la bilancia sia rotta. Sarà più di un anno che non mi peso, ma non è possibile che io abbia preso quattro chili.» Si alzò in piedi e lisciò la maglietta contro il ventre. «Vero?»
Lui le lanciò una rapida occhiata. «Sì» bofonchiò.
«Sì, non li ho presi?»
Mamoru terminò di scrivere e si concentrò. «Sì, nel senso che anche io ho visto che-» L'espressione di lei lo fermò all'istante. «No. Non quei chili in più, solo che-»
«Solo che cosa?» Gli occhi di Usagi si erano fatti feroci.
«In senso buono!» si affrettò a dire. Capì che non stava andando meglio quando lei incrociò le braccia.
Si sollevò sulle ginocchia, tentando un avvicinamento. «Nel senso che sei cresciuta.»
«In altezza?»
«No-»
«Allora mi trovi grassa!»
«No!»
«Fa troppo caldo perché io stia a sentire queste cose!» Usagi gettò a terra il nastro di scotch. «E in frigo tu non hai neanche una bibita fresca!»
Mamoru spalancò gli occhi. Cos'era quello scoppio d'ira?
Non fece in tempo a capacitarsene. Usagi era già in corridoio. «Vado a comprare qualcosa!»
«Usagi...» la seguì lui.
Lei si voltò e pestò un piede a terra. «Pensavo che fossi diventato più sensibile su questi argomenti!»
Mamoru non capì nulla. «Non ho detto che sei grassa.»
«Solo appesantita.»
«Non è vero!»
«Be', qualunque cosa pensi, a me non piace! Non potevi solo dirmi 'Ma figurati, tuo fratello è pazzo?'»
«Non ho detto che sono d'accordo con lui. Non mi hai neanche lasciato finire di-»
«A volte non ci vogliono grandi frasi. Ci vuole solo un po' di supporto. Un poco di sensibilità!»
L'accusa ripetuta lo irritò. «Cerco sempre di pensare a quello che ti dà fastidio sentire prima di parlare.» Quando mai era stato insensibile negli ultimi tempi?
«Quindi mi nascondi la verità?»
Forse lei avrebbe fatto meglio a decidersi. «No. Ma sembra che sia quello che vuoi tu.» Ora lui non poteva neanche aggiungere un 'ma' che subito veniva frainteso, neanche fosse un crimine offrire il suo punto di vista.
«Vedi che lo stai dicendo di nuovo?! Si può sapere cosa ti costava dirmi che-?» Usagi si bloccò e afferrò con uno scatto la propria borsa. «Non mi importa!»
Non le importava? «Tu non mi stai nemmeno ad ascoltare!»
«Perché su cose come questa tu non fai che criticarmi! Prendo peso ed è perché ho mangiato troppo, non ottengo ottanta all'esame ed è perché non studio mai abbastanza-»
Non le aveva mai detto niente con quel tono! E nemmeno quelle cose che-
«Faccio qualcosa di sbagliato ed è sempre colpa mia!»
«È un controsenso!» Lei stava andando talmente a razzo con quella pazzia che lui nemmeno riusciva a seguirla.
«Non importa se è un controsenso! Non m'importa se non è logico, io volevo solo che... A te devo sempre spiegarlo!»
Evidentemente sì, visto che lui ci stava provando con tutte le sue forze ma non stava capendo niente. A quanto pareva non aveva mai capito nulla, dato che aveva sempre bisogno di una spiegazione. «Non spiegare» le disse, ironico. «Dimmi cosa vuoi che ti dica.» Sembrava che contasse solo quello.
Usagi si infilò la borsa al braccio, lo sguardo basso e la bocca tesa. «A Seiya non avevo bisogno di dirlo.»
Mamoru si fece rigido.
... a chi?
E cosa diavolo c'entrava?
Usagi si accorse di quello che aveva detto. «Non lo intendevo in quel senso.»
Già. Solo nel senso che richiedeva la menzione di una terza persona in una faccenda che riguardava solo loro.
Se ne tornò in salotto.
«Non lo intendevo in quel modo! Non devi credere che-»
«Non lo credo! Ma se tu fraintendi ogni cosa che dico, sappi che sta cominciando a valere anche il contrario!»
«Non voglio che ci sia alcun fraintendimento su-»
«Nemmeno io!» La interruppe di forza, prima di sentire un'altra volta quel nome. «Perciò è meglio se vai a casa.»
Attonita, Usagi esitò un attimo. Poi si diresse in corridoio e aprì la porta.
Quando Mamoru la sentì chiudersi violentemente, serrò i pugni.
E poi era lui quello che veniva accusato di insensibilità.

Per venire a capo di quello che era successo, Usagi si era prima concessa un bel pianto. In camera sua, da sola.
Che disastro. Che disastro, che disastro, era tutto orribile!
«Usagi?»
Sollevò la testa, liberandola dal rifugio delle braccia incrociate sul tavolo. Sulla porta sbucava il muso di Luna. Lei interpretò il suo silenzio come un invito a entrare e Usagi non ebbe parole per ringraziarla: era una mano tesa nel buio della tristezza e del risentimento che non riusciva più a sopportare.
«... che cos'è successo?» fu la domanda cauta di Luna.
Usagi tirò su col naso. Disgustata, prese un fazzoletto e soffiò. «Ho... litigato con Mamoru.»
Luna rimase preoccupata, ma rilasciò anche un sospiro. Aveva fatto anche un'altra deduzione: che fosse stata lei a cominciare.
Veniva presa per una bambina e un'immatura nella relazione tra lei e Mamoru e se c'era qualcuno a cui dover dare la colpa di qualcosa... be', l'attribuzione della responsabilità era sempre automatica. Ma chi poteva biasimare? In quel caso era stata proprio lei a iniziare, anche se...
Scosse mesta il capo. «Non è stato un bel litigio. Mamoru mi ha detto di andarmene.» Come aveva potuto?
Luna avanzò silenziosa sui cuscinetti. Spuntò sopra il tavolo. «Gli avevi detto qualcosa di brutto?»
... Sì. Anche se quando lui non la lasciava spiegare, lei avrebbe voluto torcergli il collo e mettersi a piangere.
Strinse i pugni. «Oggi ero così nervosa. Dovevo parlargli di una cosa molto importante.»
«Di che cosa?»
«Ho iniziato parlando di una sciocchezza. Dei chili che ho preso, sai? Volevo solo che mi dicesse che non li vedeva nemmeno, che mi dimostrasse che... Lui non lo fa apposta, ma si comporta come te. Quando faccio qualcosa di giusto, per lui non è mai abbastanza.»
Luna arricciò la coda attorno al corpo. «Hm... non è proprio così, Usagi. Comunque so che posso sembrarti molto critica, ma Mamoru non è come me.»
Infatti. «Non è che mi critica, lui... mi fa solo notare quello che ho fatto di sbagliato, per farmi rimediare la prossima volta. È come se ogni mio risultato buono fosse solo naturale, il minimo che può aspettarsi da me. Lui non fa fatica a ottenere tutto quello che si prefigge, mentre io...» Appoggiò la fronte contro il palmo della mano. «Per il peso, lui stava sicuramente per dirmi che dovevo solo impegnarmi per perdere quello in eccesso. Come se fosse colpa mia se l'ho preso.»
Luna chiuse la bocca prima di parlare.
«Ma il problema non è questo. Io volevo solo che...» Aveva un bisogno infinito di supporto e fiducia.
«Che cosa dovevi dirgli di importante?»
Usagi raddrizzò la schiena. Asciugò col dorso di un dito l'ultima scia di lacrime. «Voglio tentare l'ammissione alla Todai.»
Qualunque cosa si fosse aspettata Luna, non era quella confessione. Lei sgranò gli occhi. «L'università?»
«Sì.» Cos'altro si chiamava Todai? Era l'università più importante della città e dell'intero paese. L'università che frequentava Mamoru e a cui solo Ami aveva osato aspirare.
La prima reazione di Luna - un minuscolo sorriso - le confermò tutti i suoi timori.
«Non ce la farò mai, vero? È solo un'idea, solo...»
«No no.» Luna sospirò. «È solo... un obiettivo molto ambizioso.»
Fuori dalla sua portata, cioè. «Per questo ci sto pensando con più di un anno di anticipo. Se non inizio ad impegnarmi ora...»
«Certo. Sono orgogliosa di te, Usagi.»
«È un bene che sia ambiziosa?»
«È una cosa molto positiva che tu stia pensando a obiettivi tanto grandi.»
Il che non significava che li avrebbe raggiunti, ma non chiedeva a nessuno di credere in miracoli che spettava solo a lei raggiungere. «Mamoru riderà.» Era quello il problema, la ragione del suo nervosismo, il motivo per cui gli aveva dato contro alla menzione di una minima critica.
Luna si rassegnò a guardare il soffitto. «Non è vero.»
«Non in modo cattivo, però... Lui sorriderà di questa idea.» Con fare benevolo e comprensivo, Mamoru non l'avrebbe dissuasa dal concentrarsi sul suo obbiettivo, ma tra sé avrebbe pensato a quel suo proposito come il desiderio esagerato di una ragazzina che si stava dando da fare per crescere piuttosto che la legittima aspirazione di una persona grande che si sforzava con tutta se stessa per fare del suo meglio, conscia dei suoi futuri doveri.
«Lui ti crede capace di fare tutto quello che ti metti in testa.»
Sì. Nei panni di Sailor Moon. «Questa non è una faccenda di battaglie, Luna. Vorrei solo che avesse più fiducia nelle mie capacità di persona... normale.»
Luna non la comprese. «Allora perché non glielo dici?»
Perché non avrebbe voluto doverglielo dire. Forse era davvero immatura e sciocca, ma si era sentita oppressa. Non da lui solamente, ma dalla consapevolezza che, anche solo per un secondo, tutti quanti l'avrebbero derisa nel sentirla dichiarare che università voleva frequentare.
Noo, Usagi Tsukino che pensa di andare alla Todai! È più facile che costruisca un razzo per andare sulla Luna!
Pensieri suoi, esagerati, ma la vergogna era uguale.
Sua madre aveva già sorriso quando lei aveva menzionato per caso l'idea.
"Figlia mia... magari!" L'aveva sentita emettere un grosso sospiro, interrotto da una risatina sotto voce.
Si sarebbero divertite anche le ragazze. Persino Minako le avrebbe detto, "Usagi...Non è che questa volta stai puntando troppo in alto?"
Da Mamoru, dal suo ragazzo, lei avrebbe voluto solo supporto! Lui però non era capace di darglielo nemmeno per una cosa come due insignificanti chili di troppo... O quattro, va bene! La opprimevano pure quelli, perché la bilancia non era rotta e lei non sapeva nemmeno come li aveva presi!
«Usagi...» Luna si piazzò di fronte a lei. «Credo che sia più un problema tuo che suo.»
Ne era cosciente, ma questo non la rendeva più serena.
«Hai combinato disastri per tanti anni, non puoi pretendere che ora gli altri non se ne ricordino.»
Luna era un genio a rigirare il dito nella piaga.
«Però sei anche maturata da allora, ce ne siamo resi conto tutti. Secondo me stai pensando che Mamoru riderà della tua idea solo perché sei la prima a essere insicura.»
Sì! Da morire, per questo voleva appoggiarsi a lui e non avere alcun dubbio sugli incoraggiamenti che le avrebbe dato.
Luna piegò piano la testa di lato. «Che cosa gli hai detto di così brutto?»
Se ne vergognava troppo per parlarne.
Nella sua testa non c'era mai stato alcun paragone con Seiya, ma lo aveva fatto sembrare tale nel tirare fuori il suo nome davanti a Mamoru. A metterlo in quel discorso aveva fatto sembrare Seiya una specie di... alternativa. Si coprì gli occhi.
Aveva pensato a lui per una ragione molto semplice: la sua era stata l'unica voce di supporto che le era venuta in mente. Seiya aveva sempre creduto incondizionatamente che lei fosse capace di fare tutto quello che si metteva in testa, senza alcun limite. D'altronde, l'aveva conosciuta solo per pochi mesi; non aveva assistito come tutte le sue amiche e Mamoru ad anni di entusiasmi facili e disastri a catena.
Inoltre per Seiya era stato facile dirle tutto quello che lei voleva sentire: di carattere erano stati molto simili. Allegri tutti e due, sempre pronti a dirsi 'Non mollare mai!', anche di fronte a obiettivi impossibili. Il successo non era importante, contava il percorso e crederci fino all'ultimo istante possibile.
Usagi si sarebbe detta ancora d'accordo con lui se i suoi obiettivi non fossero cambiati: era arrivata ad un punto della sua vita in cui si era resa conto che gli insuccessi non erano più un gioco di cui poteva ridere.
Sperava che Seiya stesse bene a casa sua, nel suo pianeta. Le mancava soprattutto poter sapere che anche lui e gli altri stavano realizzando i loro desideri, dopo la dura battaglia che avevano combattuto insieme.
Luna rilasciò un grosso sospiro. «Mamoru non è un ragazzo che si arrabbia facilmente. Faresti meglio a fare pace subito.» Scese dal tavolo e uscì dalla stanza.
Usagi guardò la porta socchiusa.
Quelle parole erano pura verità.

Quando Mamoru trovò la porta del suo nuovo appartamento aperta, per un momento pensò a una distrazione.
Portava scatoloni e mobili su nella nuova casa da tutto il pomeriggio e da metà sera. Anche se pensava di aver chiuso l'ultima volta che era uscito... Un ricordo preciso, un raggio di sole sulla sua mano mentre aveva fatto girare per l'ultima volta la chiave, gli fece capire che non era stato lui a lasciare la porta priva di protezione.
Alle nove il sole stava appena tramontando e non fu necessario accendere le luci nel corridoio per vedere. La parete vicina era illuminata di arancione. In sottofondo si udiva un rumore basso, di aria che circolava.
Il nuovo condizionatore.
Mamoru sorpassò gli scatoloni che aveva lasciato nell'ingresso e arrivò in salotto, silenzioso.
Nel vederlo, Usagi trasalì e si spostò dal getto d'aria che aveva preso in pieno petto.
«Stavo... Sarei venuta di sotto.»
La sua presenza non lo sorprese molto.
Se qualunque loro discussione si concludeva nel giro di una giornata, era perché lei si muoveva per chiarire prima che facesse notte. Spesso al telefono, ma quello era un litigio che non poteva essere appianato senza guardarsi negli occhi.
Peccato che lui non avesse ancora voglia di cercare una riappacificazione.
Si diresse verso la sua nuova camera, ad appoggiare sul letto i due cuscini che portava sotto il braccio.
«... dormirai qui stanotte?»
Sì. Aveva accelerato il trasloco durante la giornata, senza darsi neanche un momento di respiro. Non aveva avuto voglia di mettersi a pensare a una certa faccenda: non ne sarebbe uscito niente di buono, a parte fantasie negative prive di alcun fondamento.
«Mi dispiace.» Nel tono di Usagi si nascondevano fatica e risentimento. «È stata colpa mia oggi.»
«Già.» Appunto per questo dimostrarsi più pentita non le avrebbe fatto certo male. Sarebbe stata una bella prova della tanto decantata sensibilità che richiedeva a lui.
In piedi vicino alla finestra, lei aggrottò la fronte, rigida.
Mamoru afferrò le lenzuola impilate sulla sedia e le dispiegò in aria, sopra il letto, lasciandole ricadere.
«Non avrei dovuto nominare Seiya.»
Ma continuava a farlo, pensò lui a denti stretti. «Allora non parlarne più.»
«Lui non mi interessa!» gridò Usagi. «Mi importa solo quello che ti ho fatto pensare!»
Oh, ma non gli aveva fatto pensare niente. Lui era stato bravo a evitare del tutto qualunque idea in merito da quando lei se n'era andata. Lo sforzo era stato sovraumano e spiacevole, ma necessario.
«Oggi ero nervosa. Per una cosa che... Per un problema mio, anche Luna me lo ha fatto capire. Non ne ho parlato né con te né con le ragazze finora. Seiya era solo l'idea di una consolazione che-»
Lui schiacciò le mani sul letto, piegando tra le dita le lenzuola appena stese. «Oggi continui a fartelo venire in mente.»
«Sto solo cercando di spiegarmi.»
«Oramai mi hai costretto a fraintenderti, perciò rispondi ad una domanda.» Fece fatica a tirarla fuori.
«La risposta è no!» Usagi salì in ginocchio sul letto, afferrandogli le braccia. «Non penso a lui in quel modo, erano mesi che non mi ricordavo di quando era qui!»
«E che cosa faceva quando era qui?» Aveva sbagliato a non chiederle altro fino a quel momento?
«Niente» rispose Usagi, con un filo di voce accorato. «Eravamo solo amici.»
Ma lei non aveva mai infilato
una delle ragazze nelle loro discussioni, soprattutto per fargli notare una sua presunta mancanza.
«Io ti do più di chiunque altro» sibilò, afferrandola per le spalle. «Non è colpa mia se non sono nella tua testa, ma nessuno ti conosce più di me!»
«È vero» espirò Usagi. Si aggrappò a lui. «Ero arrabbiata, Mamo-chan.» Lo intrappolò con le braccia attorno al collo. «È colpa mia.»
Lui cercò di allontanarla. Non la voleva vicina quando aveva voglia di imprimere tanta forza da rompere qualcosa. Voleva anche stringerla fino a rischiare di farle male, solo perché non poteva sopportare l'idea che lei volesse la consolazione di un'altra persona.
Usagi affondò le unghie nelle sue spalle, senza spostarsi di un centimetro. «Non mandarmi via come prima.»
«Io non voglio perdonarti.»
Il brivido di lei gli fece venire voglia di imprecare.
«Non voglio che ci sia niente per cui doverti perdonare.» Non capiva?
«Non c'è! Io penso solo a te in questo modo, non voglio che ci sia nessun altro al posto tuo!»
«Allora perché-?»
«Perché voglio andare alla Todai!»
La dichiarazione lo immobilizzò sul posto.
Cosa?

Usagi lo lasciò andare. «Per favore, non ridere. Nemmeno un pochino, per favore. Lo hanno già fatto mia madre e Luna. Lo faranno anche le ragazze quando glielo dirò e l'unico che forse non avrebbe sorriso era Seiya. Perché non mi conosceva abbastanza ed era un illuso, come me. Tutto qui, non ho pensato a lui per nessun altro motivo. Tutto qui.» La sua voce si fece piccola.
«Alla Todai?» ripeté Mamoru.
Lei si rifiutò di abbassare lo sguardo. «Sì. Voglio provarci, anche se non ce le farò mai.»
Mai non gli piaceva in bocca a lei. «Hai ancora un anno.»
«Esatto. Ce la metterò tutta.»
«Ma è una decisione definitiva o-»
«Definitiva!» si affrettò a dichiarare Usagi. «Se mi concentro sui 'se' poi sarò tentata di abbattermi e lasciar perdere tutto, invece... Io voglio farcela, capisci? Devo farcela!»
Sembrava un grido d'aiuto. «Certo che ce la farai.» Anche se concorrevano in migliaia per passare l'esame di ammissione, tra i migliori studenti di tutto il paese.
«... non lo dici perché è quello che voglio sentire, vero?» Usagi si sedette sulle ginocchia. «Come hai detto oggi. Anche se fa male, preferisco la verità.»
«È la verità. Ti aiuterò, se sei decisa. Non sarà facile, ma ci sono migliaia di posti, non solo migliaia di candidati. Riuscirai a entrare anche tu, supererai chi devi.»
Riprendendo a respirare, Usagi tremò. «Pensavo...» Sembrò confusa. «Oggi stavi per dirmi che mi vedevi appesantita.»
No, quello era il modo in cui lei aveva buttato giù la faccenda. «Volevo dire che sapevo dove stava quel peso.»
«È la stessa cosa» si risentì Usagi.
Lui le prese il viso tra le mani. «Adesso mi lasci finire.»
Usagi si zittì prima di dire un'altra parola.
«Ti avevo detto che non eri cresciuta in altezza, ma oggi mi hai fatto venire il dubbio. Mi sono misurato contro la parete, era tanto che non lo facevo. Ho visto che ho preso un paio di centimetri. Se non vedevo differenze con te, devi averli presi anche tu.» In fondo, stavano terminando entrambi l'età della crescita.
«Ma oggi mi hai detto che non ero più alta.»
«Sì.» Le impose di nuovo il silenzio con un pollice sulle labbra. «Infatti all'inizio stavo pensando solo a come ti avevo notata più rotonda qui.» Lasciò scivolare la mano sul suo petto, prendendole tutto un seno dentro il palmo. Le fece spalancare la bocca e trovò una risata silenziosa assieme a lei nel gesto. «E poi anche dietro. Intendevo 'cresciuta' in quel senso.»
Usagi voltò la testa, cercando di guardare in fondo alla propria schiena. «Perciò, se ho preso un paio di centimetri come te e sono diventata anche più...» Invece di concludere la frase, sorrise tra sé e arrossì di gioia.
«Quando ti sei pesata l'ultima volta?» le chiese lui.
«Cinque giorni fa.»
«No, prima dell'ultima volta.»
«Ah....» Per ricordarlo, Usagi impiegò un momento. «Ehm... quando avevo quindici anni? Quando mi era venuto davvero un rotolino di ciccia sullo stomaco. Tu me l'avevi fatto notare!»
No, l'aveva costretta a rendersene conto un mostro che si dilettava a insegnare danza, stringendole la vita fino a farla quasi soffocare. «A diciassette anni è normale pesare di più.» Anche aver preso un paio di centimetri, soprattutto se non ci si misurava da anni, come di sicuro era capitato a lei.
«Hai ragione!» rise Usagi. «Non sono grassa!»
Infatti lui non lo aveva mai detto né lasciato intendere. A parte un paio di volte due anni prima, certo, ma aveva imparato la sua lezione allora.
Usagi abbassò lo sguardo su di sé. «E ti piaccio di più così?» Indico la mano che lui non aveva ancora staccato dal suo petto.
Gli impedì di rimediare quando mise il palmo sopra quello di lui. Più che contro il seno, gli premette la mano contro il cuore.
«Non litighiamo più.»
Se lo ripromettevano tutte le volte. Era un sollievo ogni volta.
«Mi dispiace» continuò Usagi, circondandogli le spalle con le braccia. «Anche tu hai capito che non ho mai pensato a nessun altro?»
Lui capiva soprattutto che quella frase era una dichiarazione esagerata, genuina però nelle intenzioni e nel sentimento.
Si abbassò a premere la bocca contro quella di lei, calda come la pelle del suo viso e del suo corpo. La temperatura era rimasta alta anche di sera; avrebbe dovuto sentire fastidio nel toccarla, ma dimenticò la sensazione nell'istante stesso in cui la provò. Baciarla in quel momento era come diventare una fornace lui stesso: tornare fresco lo avrebbe fatto sentire come ferro abbandonato sotto il gelo.
Usagi sembrò avere il suo stesso pensiero, premendosi contro di lui con tutto il torso sino a sedersi sulle sue ginocchia. Lasciò scorrere le mani su di lui verso il basso, lungo i fianchi, tracciando sulla sua maglietta una scia che lo solleticò su milioni di terminazioni nervose. Lei raggiunse l'orlo dell'indumento e lo sollevò con entrambe le mani, di fretta. Lui la aiutò con le braccia alzate e poi tornò a stringerla per la vita, trovandole il collo con un bacio leggero, delicatamente vorace.
Usagi gli passò una mano tra i capelli. «Il mio adorato Mamo-chan» sussurrò.
Sorridendo, lui le infilò le mani sotto la maglietta scollata e priva di maniche. Si dimenticò di dirle quanto gli piaceva quando le prese i seni tra le mani. Non resistette e abbassò subito le coppe leggere che la coprivano, scoprendole i capezzoli e iniziando a giocarci.
«Il mio bellissimo Mamoru...»
Grazie. Non fece in tempo a continuare che Usagi si era già allontanata, seduta sul letto.
La vide togliersi la maglietta, veloce. Volle quasi pregarla di non farlo fino a che non vide l'effetto del reggiseno scomposto e abbassato.
Non si mosse perché fu Usagi a raggiungerlo per prima, abbastanza da riuscire a baciarlo e da tenersi separata da lui con il resto del corpo, adagiandosi all'indietro, sulla schiena. Lui non capì la ragione della distanza fino a che non sentì la carezza della mano di lei sulla gamba dei pantaloni, mentre risaliva senza soste.
«Non hai caldo?» la sentì chiedere in un ansito, sollevando leggermente il corpo, come a cercare una sensazione che la portava a vibrare. Con la mano premeva e scivolava insistente su di lui, il palmo largo e fermo.
Sì, pensò lui. Faceva un caldo asfissiante. E sarebbe morto in quel modo, felice e senza rimpianti.
Appoggiò il peso del torso sui gomiti, abbassandosi piano. Un bacio lo sfiorò sul mento.
«Ti piace?»
Annuendo, lui quasi la colpì sul naso.
Le dita di lei cercarono il bottone dei suoi pantaloni e Mamoru non resistette più: iniziò lui stesso a toglierli, muovendo la mano confuso e al contempo preciso. Con la bocca si ritrovò su quella di lei quasi per errore e, inebriato, non la lasciò più respirare, fisicamente costretto a non smettere di mangiarla con tutti i baci che poteva darle.
Insieme produssero il suono soffocato di due creature che provavano a muoversi il più possibile senza staccarsi.
Usagi gli sfuggì e lo trovò sullo sterno con la bocca. Risalì piano, puntando la sua spalla con il cammino tortuoso delle labbra. Più sotto aveva infilato la mano dentro i suoi pantaloni aperti e sembrava aver imparato di colpo cose che lui nemmeno le aveva detto.
Slacciandole il reggiseno sulla schiena, lui tentò di scostarlo il più possibile per stuzzicarle il petto. Tra due dita sentì una delle punte incredibilmente turgida nonostante il caldo.
Le meraviglie dell'eccitazione.
Scese lungo la schiena scoperta di lei, godendosi ogni centimetro di pelle liscia e morbida. Sensibile, come scoprì per l'ennesima volta quando affondò col dito in una piccola avvallatura della schiena. Usagi tremò. Una carezza della sua mano - una stretta decisa - lo spinse a chiudere gli occhi. Mordendosi il labbro inferiore, abbassò il tessuto dei pantaloncini di lei, concentrandosi nel riempirsi il palmo.
Usagi si agitò sotto il suo tocco, portandolo a fremere con la stretta delle dita, forte al punto giusto.
«Se ora sono più...» cercò di dirgli.
«Sì» rispose subito lui. A qualunque cosa. Cominciò a spogliarla completamente e lei lo prese come un invito a fare lo stesso con lui. Finirono con l'occuparsi ciascuno solo di loro stessi, ritrovandosi nell'istante in cui non ebbero più nulla addosso.
Usagi lasciò affondare la nuca nel cuscino. Lui la raggiunse lì col volto e la udì mormorare cosa voleva. Lei glielo comunicò in silenzio anche con le ginocchia piegate alte all'indietro, che più che stringerlo gli diedero semplicemente campo libero, tutto lo spazio del mondo per piegare a sua volta le gambe e darsi maggior leva.
Entrare dentro di lei lo fece fondere. Usagi si sciolse letteralmente assieme a lui, lasciando cadere sulle lenzuola un braccio privo di forza.
Le sue certezze stavano in quell'abbandono di sensi totale e in quella concessione di fiducia assoluta, pensò lui. E se l'amava era perché non poteva vivere facendone a meno, senza ricambiarla allo stesso modo.
Usagi gli artigliò le braccia, violenta e delicata, chiedendogli di farli morire di caldo e piacere entrambi. Fu quello che lui fece, finché ebbe forza negli arti e volontà nella testa. Poi sparì ogni cosa, persino loro due come esseri separati. Vibrarono, si teserono e impazzirono nello stesso preciso istante, come non succedeva quasi mai.
Non c'è nessun altro per te, le disse nella propria mente.
Tornò a crederci completamente anche lui.

«Abbiamo l'aria condizionata anche qui» mormorò Usagi, dando per la prima volta un senso al lieve ronzio che udiva nella stanza.
L'apparecchio di condizionamento era attaccato tra muro e soffitto, nell'angolo opposto a quello in cui si trovavano loro.
Mamoru seguì il suo sguardo. «Così non mi arriva direttamente sul corpo. Ad esagerare ci si ammala.»
«Per questo stavi venendo a dormire qui questa sera?»
Lui annuì. «Hanno terminato di installare l'impianto stamattina.»
Funzionava alla perfezione, constatò lei. La calura insopportabile se n'era andata e si iniziava a provare persino un brivido di freddo. Sul suo corpo scoperto la patina di sudore si era appena asciugata. Mettendosi seduta, armeggiò fino a spostarsi da sopra le lenzuola spiegazzate. Mamoru non accennò a muoversi e lei riuscì a coprirsi solo fino allo stomaco. Andava bene comunque, sorrise. «Ti ho stremato?»
«Sì.»
Le uscì una risatina. «Hai terminato di portare su la maggior parte delle tue cose?»
«Tra la roba che posso portare da solo, mancano ancora alcuni piatti.»
Quelli che gli rimanevano, cioè. Nel trasporto di un giorno prima lei ne aveva rotti la metà cercando di portarli di sopra a scatola aperta. 
Fissò il bianco immacolato delle pareti, steso da nemmeno una settimana. «A volte mi dà fastidio quando mi critichi.»
Percepì l'attenzione improvvisa di lui.
«Non mi critichi per davvero, ma... se ti racconto di un pasticcio che ho combinato, tu sorridi e mi fai notare dove ho sbagliato. So già dove sbaglio, solo che non posso farne a meno. A volte mi basterebbe riderne insieme a te.»
«Usa...»
Lei sollevò in alto una gamba. «Ecco, per esempio qui.» Indicò il lato di un ginocchio. «Un altro livido. Spuntano come funghi dal nulla, non mi accorgo neppure di essermi fatta male a volte. L'altro giorno mi hai detto che dovevo stare più attenta a come mi muovevo.»
«Perché non mi piace vedere che ti sei fatta male.» Lui si girò su un fianco, tirando su il torso. «E mi comporto così da sempre. Perciò per tutto questo tempo, tu...?»
«No» chiarì subito lei. «A me piace quando ti preoccupi per me. Anche quando mi dici cosa devo fare, però... vorrei che non lo facessi più come se fossi sicuro che io non ci posso arrivare da sola.»
«Non lo intendevo in questo modo.»
Va bene. «Cercherò di non prenderla in questo modo, allora.»
Mamoru rilasciò un sospiro. «E io proverò a dire meno cose come quella. Scusa.»
Scuotere la testa per lei fu naturale. «Non puoi entrare dentro la mia mente, hai ragione. Niente scuse. Sono io che avrei dovuto dirtelo prima.»
Quel giorno era scoppiata, ma se l'era cercata da sola, per non aver chiarito in precedenza.
Forse anche il caldo opprimente aveva avuto la sua parte.
Mamoru era rimasto a studiarla in viso. Lo fece per un momento così lungo che Usagi comprese di cosa stava per parlare ancora prima di sentirlo aprire bocca.
«Allora sentivi che lui invece ti capiva senza bisogno di spiegare?»
Lei soffocò la risata tra le labbra chiuse. «A volte. Ma non era divertente proprio per questo. In senso romantico, intendo dire, come con te. Piuttosto, erano le basi di una grande amicizia. Penso che per amarsi bisogna essere un po' diversi, e simili dove... Dove siamo simili noi, no?»
Lui annuì, più con la curva del suo nuovo sorriso che con la testa.
Usagi seguì il suo sguardo, puntato in basso, e provò un intimo senso di soddisfazione. «Allora sono più grandi?» Prese in mano i propri seni. Le era sembrato di notare dei cambiamenti, ma non aveva mai passato troppo tempo ad osservarsi allo specchio.
«Sì.»
«Anche dietro?» Aveva notato da un po' di tempo che lui indugiava di più nel toccarla sul fondoschiena, ma non aveva pensato ci fosse una ragione specifica.
«Ho l'impressione che sia una di quelle domande in cui ogni risposta saràu usata contro di me.» 
Lei sorrise al soffitto, lasciando riposare la mano sullo stomaco. Iniziava quasi a sentire la carezza del fresco; avrebbe potuto innamorarsi di nuovo di Mamoru anche solo per il suo condizionatore di ultima generazione. «Questa casa è molto grande.»
Lui le rispose con un suono di assenso.
«Che cosa metterai nella stanza in più?»
«Una scrivania e il computer. E una seconda libreria, quando ne avrò bisogno. Forse qualche attrezzo.»
«Attrezzo per cosa?»
«Per degli esercizi. Quando non ho tempo per uscire a correre mi sento con dell'energia di troppo addosso. Non riesco a dormire.»
«Povero Mamo-chan.»
Lo sentì sorridere e inspirò piacevolmente l'odore carico di loro, di fatiche d'amore e di lenzuola pulite.
«Pensi davvero che ce la farò?» gli chiese. «Per l'università?»
«Posso darti i programmi per tutte le materie. Hai delle grosse lacune nelle basi, devi colmare prima quelle.»
«Ma ce la farò?»
«Sì, se lo vorrai abbastanza.»
La risposta non la lasciò soddisfatta. Si chiese se fosse il caso di farglielo notare o piuttosto farsene una ragione. Per quanto lo amasse, forse doveva semplicemente diventare meno dipendente dalla sua opinione, forte come lui.
«Io mi ricordo ancora di quando avevi la tua testolina a odango e mi gridavi contro.»
«Ho ancora la testolina a odango» sorrise lei.
«Sì, intendevo... Mi ricordo di quanto mi sembravi piccola. Con tanti limiti. E mi ricordo anche di tutte le volte che mi hai sorpreso: è stato come scoprirti di nuovo, puntualmente. Per questo penso che l'unico tuo limite sia tu, Usa. Quando credi davvero a una cosa è come se fosse già nelle tue mani.»
«:.. quando sono Sailor Moon?»
«Sempre.»
Lei si riempì di un sospiro felice. «Sì.» Volle follemente prendergli una mano e abbracciarlo, ma la fermò una domanda nello sguardo di lui.
«Posso chiederti una cosa?»
Proprio ora che lei si stava crogiolando nel suo ultimo complimento? «Hm?»
Con un cenno della testa, il sorriso di lui crebbe fino a farsi stranamente curioso. «Perché passi le mani così? Su di te?»
Lei prestò attenzione alle minuscole carezze che si era data sul petto e sullo stomaco, tranquille e rilassanti. «È piacevole.»
«Sembra che lo sia molto» commentò lui, allungando una mano fino a sfiorarla con le dita.
Anche lei notò l'effetto improvviso sui seni. «È diverso se lo fai tu.»
«Hm.»
Presa da un'idea, gli impedì di toccarla di nuovo. «Ti piace anche quando non sei tu a farlo?» 
Mamoru le concesse un sorriso. «Stavo guardando con interesse.»
«Sono passati solo pochi minuti.»
«Hai trovato un trucco per farmi riprendere prima.»
La invase un moto di pacata meraviglia. «Allora... Magari puoi rimanere a guardare per un altro po'? Così mi riprendo anche io.»
«Non sai che biologicamente non ne hai bisogno?»
«Be', posso usare il tempo per... scaldarmi.»
Gli occhi di lui si fecero più scuri. «Posso pensarci io.»
«Ma a me piace farlo a te.» Lasciò scivolare la mano dal petto fino al basso ventre. Tornò su, piano. «È una cosa speciale.»
Senza parole, Mamoru si limitò a formare una vocale muta.
«Dimmi una cosa bella, Mamo-chan.»
«... una cosa bella?»
Adorava confonderlo. «Quello che vuoi.»
Lui rimase con lo sguardo sulla sua mano. Per un momento, parve non pensare a nulla.
«Vorrei che questa fosse la nostra stanza.»
Lei rimase senza fiato. «Cosa?»
Gli occhi di lui tornarono pensanti e allerta. «Voglio dire...» La guardò in volto e si riprese. «Sì. Quando... quando staremo insieme tutti i giorni.»
Oh.
Oh, era il modo più dolce, carino e meravigliosamente commovente di dirle che- Gli saltò addosso, abbracciandolo. «Stringimi forte. Fortissimo.»
Mamoru affondò il naso nella sua guancia.
Rimase in silenzio e lei non disse più nulla.
Con te, lo baciò sulla tempia, voglio stare con te per sempre.
Senza spiegazioni.
Senza parole.
Solo con baci. Gliene diede uno.
Solo con baci come questo.

FINE



NdA : Olè. Volevo fare una lemon meno 'lemon', per questo ero addirittura indecisa se mettere questa storia qui o magari aggiungerla a 'Oltre le stelle - scene'. Ma poi avrei dovuto alzare il rating di quella raccolta :D
Da quanto mi hanno detto, se commento troppo uno di questi episodi poi vi tolgo le parole di bocca, perciò vorrei davvero sentire solo voi.
Con questo episodio in particolare, per me è importante sapere che ne pensate (del litigio, della fine, di tutto :) ).

Alla prossima!
ellephedre




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