Nemo di Erik Winterking (/viewuser.php?uid=100649)
Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.
Lista capitoli:
Capitolo 1: *** I ***
Capitolo 2: *** II ***
Capitolo 3: *** III ***
Capitolo 4: *** IV ***
Capitolo 5: *** V ***
Capitolo 1 *** I ***
Nemo
I
Nemo,
cioè nessuno. Il ragazzo
continua a pensare al significato di quella parola mentre cammina tra
la folla, utilizzandone il movimento passivo per andare dove vuole.
Le persone intorno quasi non lo vedono, e lui non si fa notare mentre
continua a pensare alle implicazioni di quella parola. Nessuno. Le
persone attorno a lui si rendono conto di essere nessuno? Lui sa di
esserlo. Sa che il suo ricordo non vivrà molto
più della durata
della sua vita, ma la cosa non lo preoccupa. Eppure, qualcosa non gli
torna. Tutte le persone attorno a lui, con lo sguardo basso, che
pensano alle loro piccole preoccupazioni, hanno coscienza di essere
nessuno? La ragione, per quanto fallibile, lo spinge a creare dei
paradossi inestricabili. Si è nessuno quando non si ha la
cognizione
di esserlo, ma se lui sa di essere nessuno, nel momento stesso in cui
lo sa diventava qualcuno. E se anche la sua memoria non
vivrà a
lungo, gli rimane comunque la consolazione di aver avuto coscienza di
sé. Sembra poco agli altri, ma per il ragazzo è
un sollievo per
l'anima.
A casa i soliti discorsi. Non li
ascolta più ormai, non gli interessano le parole vuote
pronunciate
da nessuno. Fugge dal chiasso degli altri, si mette le cuffie e si
isola dal mondo esterno con la musica, una delle poche consolazioni
rimastegli. Ormai è tardi e deve andare a dormire, ma la
cosa gli dà
un certo fastidio. Il sonno non gli ha mai portato riposo; se va bene
sogna, se va male ha incubi. O forse dovrebbe chiamarli visioni della
realtà? Si interroga guardando il soffitto prima di
addormentarsi,
sperando che gli siano risparmiati i sogni.
Il nulla. Fluttua in un immenso
spazio nero, senza sopra né sotto... anzi, senza
collocazioni
spaziali. Ha ancora la concezione del suo corpo, ma non vede nulla
nel buio. In effetti, non può neanche essere sicuro che sia
buio.
Semplicemente, non ha percezioni sensoriali, eccetto quella del suo
corpo. Nel buio si accende all'improvviso un punto di luce, che si
avvicina a lui come se stesse uscendo da un tunnel. Arriva in una
stanza dove una donna sta partorendo. Nessuno lo nota, così
si
avvicina mentre il bambino viene alla luce. Guardando distrattamente
le altre persone, nota che hanno tutte un marchio in testa. Un
inserviente prende un ferro arroventato, e allora il ragazzo capisce
cosa vogliono fare; cerca di fermarli, ma non può toccarli
perché è
come se fosse evanescente. Il ferro tocca la fronte del bambino e un
dolore bruciante gli attraversa la testa, mentre tutto intorno a lui
si fa confuso.
Si
trova in una stanza spoglia, dove un ragazzo sta scrivendo sul suo
diario. Istintivamente, sa che sta guardando il bambino che ha visto
nascere. Intorno a lui vorticano immagini sfocate, ma guardandole
meglio si accorge che si tratta di scene vissute. Vede gente per
strada, tutti marchiati, e persone con marchi diversi insultarsi e
picchiarsi, senza logica apparente dato che i marchi non dipendono
dalla razza. Poi vede scene di battaglia; gli eserciti, più
o meno
grandi, si susseguono davanti a lui, e le due fazioni hanno entrambe
due marchi diversi, e il sangue scorre e macchia la terra e il
pavimento della stanza, per poi essere assorbito all'istante. Non
ha molto senso,
pensa. E, come se lo avesse sentito, il ragazzo alla scrivania
risponde.
«Lo
so, non ha senso, ma devi rinunciare a capire gli uomini. Stupidi,
avidi e crudeli, ecco cosa sono. Si azzuffano per un marchio come
galline che si contendono un verme. Soffrirai, se credi di potergli
far cambiare idea. Per il tuo bene, non cercare di cambiare gli
esseri umani, perché loro non vogliono cambiare.»
Il ragazzo si gira e Nemo può
vederne la fronte segnata dal marchio.
«Amavo
viaggiare- prosegue lui -ma ovunque andassi, mi hanno sempre trattato
con sufficienza per via del mio marchio e dei pregiudizi che avevano
sulle persone che lo portavano. Ho provato a convincerli che un
marchio non vuol dire niente, e mi hanno isolato. Pochi mi hanno
capito, e quasi tutti quelli che condividono il mio pensiero sono
già
morti oppure per la loro via. Odio questo marchio... più di
qualsiasi altra cosa... forse con la sola eccezione
dell'umanità...»
Ciò detto, si afferra la pelle
della fronte e la strappa con rabbia. Il sangue scorre a fiotti,
coprendogli il viso. Apre la bocca e lo beve quasi avidamente,
assaporandone il gusto.
«E'
dolce- dice a Nemo -vuoi provarne un po' anche tu?»
Non riceve risposta, così
continua a parlare.
«Questo
gesto ha un senso. Ormai sono morto, ma non voglio che possano dire
di avermi sconfitto fino a questo punto. Sarò il primo a
morire
senza marchio.»
La vista di Nemo si appanna e la
stanza comincia a girare, mentre la fronte gli brucia come se fosse
sua la pelle strappata.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 2 *** II ***
II
Si alza dal letto, distrutto. Anche se riposa, gli effetti dei sogni
che gli tormentano il sonno cominciano a mostrarsi anche all'esterno.
Gli è sempre più difficile rimanere attento e
rischia di addormentarsi ad ogni istante. Oggi non è una
bella giornata, sia perché fuori non smette di piovere, sia
perché si sente a disagio. E' sempre più umorale
negli ultimi tempi. Se un giorno si alza felice, non sa cosa
succederà nella giornata che potrà incupirlo o se
si rattristerà da solo riflettendo, o se per caso e nervoso
può bastare un nonnulla per renderlo più umano.
Ma è stufo di questo altalenare emotivo. Vorrei tanto un po'
di stabilità... oppure continuerò ad altalenare
finché non saranno le mie stesse vibrazioni emotive a
spingermi oltre il limite della follia.
E poi pensa alla follia, a cosa può voler dire quella parola
e a come dovrebbe definirla, e si perde nelle implicazioni di una
logica completamente astratta dalla realtà. Una logica che
fa parte di un altro mondo, e che lo sta imprigionando. E pensa, Nemo,
alla realtà che vede ma che non riesce a sentire come sua,
dalla quale vorrebbe scappare. Forse è un sognatore, oppure
come un autistico rifiuta di riconoscere il mondo. O forse è
solo stanco.
A casa l'aria è tesa, come sempre negli ultimi giorni. Lo
sente sulla pelle e più a fondo, e sa che prima o poi
starà male per tutta quella tensione. Si spezzerà
come il pezzo di legno che è, e nessuno può dire
cosa sarà dopo. C'è però qualcosa di
diverso oggi, come se la tensione stesse per sciogliersi da un momento
all'altro. Gli altri sono tutti riuniti in sala. Suo padre è
il primo a parlare.
«Ormai abbiamo visto che le cose non stanno andando troppo
bene, quindi abbiamo deciso di separarci...»
Nemo perde il resto della conversazione, e neanche adesso l'ha
rielaborata. Non saprebbe ripetere le parole esatte che sono state
dette, perché non le ha sentite. Gli altri discutono,
piangono, ma un solo pensiero colpisce la sua mente.
Era prevedibile. L'unica cosa che mi preoccupa è come
reagiranno gli altri. E mentre pensa queste parole, si accorge che non
sta provando niente, che non sta avendo nessuna reazione, e
improvvisamente ha paura di sé stesso. Si allontana in
silenzio, ignorato da tutti, e va a guardarsi allo specchio, fissando
lo sguardo nel riflesso dei suoi occhi. Dicono che gli esseri umani non
riescano a sopportare il proprio sguardo a lungo, ma Nemo rimane
davanti allo specchio finché il tempo stesso non perde
significato.
Cerca di esprimere dei sentimenti, concentrandosi sulle cose che
più odia o ama al mondo, ma l'unico indizio delle emozioni
che prova è la mobilità dei muscoli facciali. Le
sopracciglia si aggrottano, le labbra si piegano, ma gli occhi
rimangono sempre gli stessi, due piccole pozze fredde e spente. Gli
occhi di un morto. Gli occhi sono lo specchio dell'anima, non lo sai?
Sei forse morto dentro? Si allontana dallo specchio, improvvisamente
spaventato. Adesso può aggiungere una definizione per il
termine 'orrore'.
Anche quella notte sogna. Si trova in una specie di sala da riunioni, e
una moltitudine di persone stanno discutendo animatamente. Li guarda
mentre ascolta i loro discorsi, ma non riesce a distinguerli
perché sono tutti uguali fisicamente. Si distinguono nelle
espressioni, chi esprime odio e chi gioia, chi gioca come un folle e
chi sospira come un innamorato.
«Davvero, l'unica cosa vera a questo mondo è che
dell'uomo si può dire tutto tranne che il bene.»
A parlare è l'uomo dalla faccia delusa e disillusa.
«Come puoi dire questo?- risponde l'innamorato -Se solo
avessi conosciuto le gioie dell'amore...»
La discussione continua, ma non gli interessa più.
Adesso è all'esterno, dove una calca di uomini senza volto
si avvicina ai banchi di alcuni parlatori pubblici, anch'essi senza
volto.
«Noi abbiamo la verità!- grida uno -Compratela ora
a prezzo speciale, ce n'è in abbondanza e per tutti i gusti!
Ma non compratene altre, o potrebbero esserci controindicazioni!
Garantiamo solo la nostra verità, l'unica genuina!»
Negli altri banchi altri uomini senza volto dicono più o
meno le stesse cose. Su banchi diversi invece uomini con un viso sereno
e sorridente parlano alla massa senza volto, ma gli uomini della massa
somigliano più a una mandria che ad esseri umani.
«Io vi offro la libertà, una vita migliore e
più servizi! Con me lavorerete di meno e guadagnerete di
più! Non avrete più preoccupazioni per la
vecchiaia, riformerò il sistema di assistenza!»
«Lui mente!- controbatte un uomo con la stessa faccia ma su
un palco diverso -Vi farà pagare più tasse,
limiterà i vostri diritti e vi ridurrà tutti a
mendicare per una strada! Io invece vi offro la sicurezza, mentre lui
lascerà liberi i peggiori criminali!»
Il dibattito continua, ma Nemo non ascolta più. La massa di
uomini-bestiame segna dei fogli porti loro dai due palchi, e gli uomini
con il volto sorridente prendono consistenza dalla carta che la massa
firma. Allora si porta dietro gli uomini, senza sapere come ha fatto -
ma tanto è un sogno, non ci deve essere una logica - e
stacca gli elastici che reggono su il falso volto degli uomini, sotto
il quale sono senza faccia come tutti. Cercano di punirlo, ma lui
dà fuoco alle schede e i loro corpi perdono di consistenza,
fino a diventare anche loro come tutti nella massa.
Adesso la scena cambia ancora, seguendo la non-logica dei sogni - o
forse i sogni sono più logici della realtà? Si
trova in un ambiente che gli ricorda i film catastrofici di serie B (o
anche sotto). La sala di un laboratorio, piena d'acqua che gli arriva a
metà polpaccio, e un senso di pericolo.
«C'è un serpente, stai lontano dalle condotte
dell'aria perché sbucherà fuori da
lì.»
Non sa chi stia parlando, non vede nessuno. Sente il battito cardiaco
aumentare, l'adrenalina che entra in circolo e i muscoli che sembrano
muoversi al rallentatore. Fa appena in tempo ad accorgersi del
movimento sotto il pelo dell'acqua, e si ritrova avvolto nelle spire di
un serpente che tenta di morderlo alla faccia. Istintivamente gli ferma
le mascelle con le mani e cerca di disarticolargliele.
«Stai attento, è velenoso.»
Vede la figura di un essere umano, uomo o donna, dalla voce direbbe un
ragazzo. Vorrebbe chiedergli aiuto, ma anche se il serpente non lo
soffoca dalla sua bocca non esce alcun suono.
«Devi ucciderlo rompendogli la mascella.»
Si sente le braccia di piombo, e con uno sforzo sovrumano lotta contro
la forza del serpente, mentre le zanne velenose si avvicinano sempre di
più.
CRACK!
Un suono secco, e tutto si fa nero.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 3 *** III ***
III
Ben ritrovati. Non so quanti di voi pensavano che la storia fosse
finita, ma in ogni caso non è così. Del resto,
era solo un sogno, e i sogni non uccidono... forse.
Per la precisione, si è svegliato al suono dello
scricchiolio delle ossa, e neanche lui sa se fossero le sue o del
serpente. Comunque, adesso che è sveglio non gli importa
più di tanto. Si sente oppresso, e l'unico modo che conosce
per sfogarsi è scrivere.
'Vorrei tanto potermi definire innocente. Tirarmi via da tutto questo,
lasciarmi alle spalle il dolore e la sofferenza. Ma non è
questo il mio destino. Quando veniamo al mondo tutti abbiamo un
compito, ma evidentemente non ce ne ricordiamo, e forse è
proprio questa dimenticanza a darci la felicità; la
felicità dell'oblio. Forse siamo tutti dei messaggeri, ma di
cosa? Non so neanche quale è il messaggio che mi
è stato affidato. Dai fatti, da quello che vedo attorno a
me, direi che sono il messaggero della rovina e della disperazione, del
dolore e della perdita di ogni speranza; ma non sono felice di esserlo
- e chi lo sarebbe? Avrei voluto amare, portare gioia e, possibilmente,
riceverne in cambio. Forse il mio pessimismo, la mia
autocommiserazione, mi hanno precluso questo mondo, ma può
anche darsi che tutto questo sia vero. I feel so tired... lonely... and
broken. I can't recognize myself anymore... please... help...
Perché sto scrivendo in inglese? Le parole escono dalla my
pen da sole. Sto losing contact con la realtà. Sto drowning
nell'oblivion, un così sweet sea... oh... it's going... I'm
going... and this is my last farewell...
Chiudere, spegnere una vita, la mia vita? Si può fare.
Lentamente, dolcemente, senza il clamore del sangue o la violenza di
un'arma da fuoco. Solo, nel mare, nuotare senza voltarsi, fino a
perdersi nel blu... per non tornare indietro e lasciare per sempre
questo mondo, con le mie parole a seguirmi o forse accompagnarmi...
senza rimpianti, senza rimorsi. Ho già causato dolore e se
così non avrò pareggiato il bilancio non mi
pentirò.'
Smette di scrivere e guarda l'orologio, che segna le quattro. Sospira.
Sa quello che deve fare, da una parte deve e dall'altra ne ha paura. Ma
se gli altri non sono coerenti nemmeno alle loro decisioni, allora ha
solo un motivo in più per mettere in atto quello che si era
sempre ripromesso di fare, un giorno. Compone il numero, avvia la
chiamata e aspetta, contando mentalmente gli squilli.
Tuutuu... Uno. È straordinario come in quei pochi secondi
tra uno squillo e l'altro tutti i possibili dubbi e tutte le paure
attraversino la mente. Risponderà? Non risponderà?
Tuutuu... Due. Vorrei davvero che rispondesse? No, cioè
sì, no, ho troppa paura...
Tuutuu... Tre. Il numero magico. Ti prego, rispondi,
tipregotipregotiprego...
Tuu- «Pronto?»
I dubbi spariscono. Adesso non c'è più tempo per
pensare, tutti i discorsi preparati prima sono ormai dimenticati.
«Ciao Leannore. Ecco... -un attimo per pensare, come posso
dire quello che voglio dire? Oh cavolo...- credo che dovremmo vederci
di nuovo.»
Perfetto così. Diretto al punto senza troppi giri di parole,
chè sono inutili.
«Sempre diretto e senza maschere, eh? Ma poi, sei proprio
sicuro di volerlo, anche dopo quello che è successo?
Potrebbe farti male.»
«Gentile da parte tua preoccuparti per me. Sono sicuro di
volerlo, e se anche non vorrai parlare dei perché e dei
percome, mi devi comunque un libro. Se non altro per quello.»
«Anche sotto una scorza di presunta indifferenza non nascondi
bene la tua vera natura. Ti va bene vederci sabato prossimo?»
«Non ho mai granché da fare. Ci vediamo al parco
alle quattro?»
«D'accordo allora, a sabato. Ciao.»
Ecco fatto. Una vittoria? No, semplicemente il raggiungimento di un
obiettivo. Il difficile verrà sabato.
Per quanto si possa immaginare un momento, la realtà
sarà sempre diversa. Così tante volte ha vissuto
questa situazione, eppure ogni volta ne rimane sorpreso. Sono le
quattro, e anche se è normale un ritardo di due o tre minuti
(o un anticipo), quei minuti sono sempre terribilmente pieni di
tormento e angoscia. In questo caso sa sempre che è colpa
sua -dovrebbe smettere di farsi tanti problemi- ma la sua immaginazione
continua a correre, contro tutti i legami, sempre più
pessimista. Finalmente una voce -la voce che sperava di sentire- pone
fine alle sue domande.
«Scusa per il ritardo. È molto che
aspetti?»
«In realtà no, ma dipende tutto dalle percezioni.
Come stai?»
Non la ricordava così bella, così attraente.
Adesso è molto più difficile, soprattutto per le
emozioni contrastanti in lui. Che stupido sono stato. Andare a
riaprirsi da soli una ferita al cuore... da suicidi.
«Io sto bene... grazie per il libro. Non sapevo che ti
piacessero le storie d'amore... non sembri il tipo, a prima
vista.»
«Infatti quello è l'unico libro d'amore che abbia
mai letto. Richard Bach è uno dei miei scrittori
preferiti... ma forse ora è meglio smettere di divagare.
Questo è il regalo per il tuo compleanno... in ritardo, ma
credo di poter sperare di essere perdonabile visto quello che
è successo...»
Sorride a mo' di scusa. La ragazza prende il pacchettino, perplessa.
«Sei straordinario, sai? Scegliere di vedermi, anche se ti ho
respinto, e presentarti con un regalo, mentre altri non mi avrebbero
più neanche rivolto la parola, con un tono di scusa... non
posso fingere sentimenti che non provo, ma se fosse possibile rimanere
almeno in contatto... è raro trovare persone come te di
questi tempi.»
Una specie di scusa? Come intendere quelle parole?
«Sai, non pensavo che rivederti mi avrebbe fatto
così male... e pensare che mi avevi anche avvertito... ma
più forte del dolore è le mia voglia di sapere.
Voglio sapere i perché del tuo no, non per farti cambiare
idea, ma per sapere... puoi rispondermi? Non preoccuparti di quello che
dirai.»
«Non hai paura di chiedere nulla, eh? Ma come si possono
spiegare i sentimenti? Per me sei stato – vorrei che fossi
ancora – un buon amico, ma non provo per te oltre che
l'affetto dell'amicizia... Mi hai chiesto tu di dirti tutto, ma non
vorrei farti ancora più male... insomma... non credo che per
l'amore bastino le dimostrazioni d'affetto, serve qualcosa che per te
non provo... ma mi dispiacerebbe perderti come amico,
davvero.»
Nemo soppesa le sue parole, cercando di districarsi nel mare di
contraddizioni che ha appena sentito.
«Così pieno di contraddizioni è l'animo
umano, i sentimenti, il cuore... grazie per avermi detto tutto. Non
preoccuparti: la ferita più grave me l'hai già
procurata e difficilmente potrà guarire. Adesso si
è fatto tardi, devo andare. Per quanto riguarda il rimanere
amici... non so che dire. Sarà il tempo a parlare per
me.»
Si lasciano così, senza rimorsi o rimpianti. Un velo di
tristezza in Nemo per quello che non è stato, che avrebbe
voluto che fosse... ma la vita va avanti.
Una notte calma, senza sogni. Solo, all'improvviso, si ritrova di
fronte ad un uomo. La sua figura ispira fiducia, è
l'incarnazione di un capo naturale. Sta per parlargli ma lui si scopre
il petto.
«Io sono Colui che Sanguina. Ricordati, certe ferite non si
rimarginano mai.»
In prossimità del cuore c'è una ferita slabbrata
da cui esce sangue che non macchia, ma attraversa qualsiasi cosa senza
lasciare traccia.
«Cerca di evitare queste ferite, perché come ti
infiacchisci se perdi troppo sangue, così il tuo spirito
sarà debole se lascerà scorrere via troppe
energie.»
Allora tutto si fa buio e attraversa di nuovo il portale che dal mondo
dei sogni riporta alla realtà.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 4 *** IV ***
IV
Una lettera. Una
semplice, piccola lettera, in una busta beige con i francobolli e i
timbri. Sembra un'opera d'arte. In un così piccolo oggetto,
così tanti ricordi, così tante speranze,
così tanto tormento. Rispondere è facile, ma dopo
la risposta viene il tormento dell'attesa, il tormento che snerva e che
porta alla follia... beh, forse così è esagerato,
ma di sicuro per una persona ansiosa aspettare una lettera
può essere una forma di autopunizione. Ma pian piano il
tempo cancella ogni cosa, passano i giorni, le settimane, i mesi, e
anche la fortissima delusione dei primi momenti diventa una leggera
amarezza quando torna il ricordo. E, nella mente di Nemo, una sola
domanda... che senso ha tutto questo? Riaccendere le speranze di un
essere umano per poi ferirlo? Nel silenzio della sua mente la risposta
è muta.
«Ciao Nemo.»
«Ciao Shade. Come va?»
«Ho cambiato personaggio. Ora sono Pan, nel senso greco del
termine, ovvero 'tutto'.»
«Nessuno e Centomila. Ci manca solo Uno adesso...»
«Oggi ti senti allegro? Buon per te. Ma in realtà
se ci pensi non c'è molta differenza tra essere tutti e
nessuno. Cambiando identità x volte al giorno sarai nessuno.
Come tutti in questo mondo.»
«Di solito sono io a fare questi ragionamenti
astrusi.»
«Ma anch'io ho il diritto di divertirmi, no?»
«Mi sembra più che giusto. Ho scritto una specie
di raccontino... bah... diciamo che ho messo otto righe in fila. Ecco,
leggi e dimmi se ti piace.»
Silenzio.
«È decisamente autobiografico.»
Però, ha scoperto subito il punto della questione!
«Quello che resta da vedere è se hai davvero
intenzione di mettere in pratica quello che scrivi. Vuoi
farlo?»
«No. L'ultima parte è una finzione, un modo in cui
mi piacerebbe uscire di scena... però la prima parte
è frutto del disagio che sento ultimamente. Il peggio
è che non so neanche come curarlo, mentre vorrei
liberarmene.»
«È solo quello che altri hanno chiamato 'male di
vivere', e se avessimo saputo come curarlo non avremmo questi nomi.
Dicono che l'unica cura, oltre che causa principale, sia l'amore, ma
per il resto...»
Un gesto vago con la mano, come a voler indicare qualcosa di astratto.
«Cambiando discorso, come vanno i tuoi sogni? Si susseguono
ogni notte o sono finiti?»
«Continuano, purtroppo.- risponde Nemo, raccontando
brevemente gli ultimi sogni -Secondo te cosa significano?»
«Beh, mi sembra chiaro che sogni in modo allegorico
– come tutti, del resto. Il problema sorge
nell'interpretazione, perché credo che cambi con il
carattere della persona... sicuramente gli uomini senza volto sono il
simbolo della massa e/o della società attuale, mentre il
marchio sulla fronte può simboleggiare i pregiudizi... o
l'appartenenza a una qualche entità, ma non mi sembra
chiaro. Quello del serpente... il fatto che tu venissi strangolato...
può essere una situazione difficile che ti troverai ad
affrontare, o che stai affrontando.»
«Mi sono svegliato senza sapere come va a finire. Ma la
figura che non mi aiutava?»
«La fine non è scritta, sarai tu a deciderla. E ti
potranno indicare il modo in cui affrontare questa situazione, ma sarai
da solo a risolverla. Almeno, io la vedo così.»
«Mi sembra che tu veda molte cose.»
Resta pensieroso, poi si gira verso la ragazza.
«Qualche tempo fa, guardandomi allo specchio, non ho visto
niente nei miei occhi. Freddi e spenti, ecco com'erano. Allora ho avuto
paura di me, paura di aver perso la capacità di provare
emozioni. Adesso dimmi: cosa vedi nei miei occhi?»
«Tu non hai visto niente, ma credo che sia stato
perché non sai riconoscere i sentimenti... ora come ora,
guardando nei tuoi occhi, vedo un grande schermo di tristezza e
disperazione... e, sotto, ancora la capacità di amare e
anche la voglia di amare... il bisogno di amare ed essere
amato...»
Nemo ride, triste.
«Ma come potrò accorgermi di essere amato o di
amare, se non so riconoscere le emozioni? Come si insegnano i
sentimenti?»
«Non ne ho la più pallida idea, come non credo
esista qualcuno che lo sappia. Scrivi ancora poesie?»
«Beh... sì, anche se raramente...»
«È già una buona cosa; uno spirito
sensibile prova le emozioni ad un livello superiore di un animo comune.
Potresti scrivermi una poesia?»
La richiesta lascia Nemo perplesso.
«Di solito scrivo sotto ispirazione, non per commissione... e
poi... perché? Una poesia dedicata a te o una poesia su di
te?»
«Perché? Perché la mia
vanità ha voglia di essere stuzzicata, e poi per allenarti
alla sensibilità! Quanto al tipo... beh, dedicata a me.
Insomma, la scrivi per me che te l'ho chiesto. Puoi anche parlare del
mare o di qualunque altra cosa, ma ad una condizione: deve essere un
capolavoro.»
«Beh... vedrò cosa riuscirò a fare...
ma non prometto niente...»
«Infatti non devi promettere, devi scrivere. Non hai un
limite di tempo. Aspetta pure che le parole vengano, scrivile e
avvertimi quando hai fatto. Tanto ci vediamo sempre in giro... devo
andare ora. Ciao.»
Nemo saluta distrattamente, già pensando a cosa poter
scrivere. Se già non è soddisfatto delle poesie
che scrive quando è ispirato, come gli verrà una
poesia su richiesta?
Il mare, una nave sulle onde. L'immagine di una chioma scossa dal
vento, e una ragazza bellissima. La chiama, ma non sente il nome
perché la sua voce è coperta dal vento. Lei gli
sorride, rispondendogli, ma non può sentirla...
Una chiesa, buia, illuminata da numerose candele nelle nicchie e vicino
all'altare. Un ambiente disadorno che però trasmette un
profondo senso di pace... Si sta vestendo, con l'aiuto del suo
testimone di nozze. Chi l'avrebbe mai detto che sarebbe arrivato questo
momento... pensa tra sé. Vestito in modo semplicemente
elegante, un classico vestito nero con un unico strappo alla regola, il
suo ciondolo preferito al posto della cravatta. La sposa lo aspetta
all'altare, le si mette di fianco. La guarda, cogliendo appena i tratti
del suo viso sotto il velo. Voglio togliere il velo... scoprire... I
capelli corvini ricadono dietro sul vestito bianco, risaltando con un
magnifico gioco di contrasto. Sussurra il suo nome, ma di nuovo non lo
sente. Al risveglio, ripensa a quello che ha sognato e a cosa
può voler dire. Un buon auspicio? Forse... ma il fatto che
non sappia il suo nome? Vuol dire che non la riconoscerò
oppure che ancora non la conosco?
-----
E mi ritrovo a rispondere ad una recensione! Uuu che bella sensazione :3 Ok, svarione a parte... beh, fa parte di me. Non mi offendo affatto se mi dici che l'introduzione era svarionata, Phantasia... anzi, lo prendo come un complimento. ^^ Sì, l'inizio è filosofico... è dovuto ad una vera riflessione che avevo fatto io per conto mio: (mi piace mettermi a pensare a ruota libera a volte - ed ecco cosa viene fuori) poi l'ho scritta, e mentre scrivevo è nato questo personaggio... e con lui tutta la storia XD Per quanto riguarda lo stile allucinato, quando ho scritto non lo usavo molto... in altri racconti già si nota di più. Li pubblicherò presto, continua a leggere! E soprattutto, felice che ti sia piaciuta la storia (finora)! Alla prossima! |
Ritorna all'indice
Capitolo 5 *** V ***
Ecco qua, ultimo capitolo! Fine delle avventure di Nemo, in cui... sorpresa! (O forse l'avevate previsto XD) Enjoy!
V
Pensare una poesia,
scrivere una poesia senza ispirazione, è difficile. Rimane
lì a guardare il foglio bianco, sperando quasi che le parole
vangano da sole... sospira, prende la penna e comincia a scrivere.
'Un morbido velo di nero
velluto, la tua chioma
incornicia la liscia e candida seta del tuo viso
I tuoi occhi, profondi laghi nei quali dolce
mi sarebbe l'annegare, se anche dovessi perire;
Un rosso, palpitante rubino, ma vivo e attraente
carico di promesse d'amore, di gioia e dolore;
E la tua voce, che come il più dolce canto
di sirena mi cattura e mi tiene a te, intrappolato
dalla più bella musica che per sempre
vorrei ascoltare vivendo della sua bellezza.'
Rilegge la poesia, due, tre, quattro volte, senza cambiare una sola
parola. Non ne è pienamente soddisfatto, ma non lo
è per nessuno dei suoi lavori, quindi non ci fa caso. Avendo
cambiato spesso canzoni e poesie dalla prima all'ultima parola alla
seconda lettura, questo è un lavoro più che
soddisfacente. Adesso si prepara al meticoloso lavoro di scrittura in
calligrafia.
Prepara un foglio di carta ingiallita simile a pergamena e la sua penna
stilografica, riga, squadra e matita; traccia i leggeri segni delle
righe che guideranno i segni della sua scrittura, poi carica
pazientemente la penna. Scrive elegantemente, inclinando la scrittura e
ornando le lettere, senza però renderle illeggibili. Dopo
un'ora ha finito, soddisfatto dell'aspetto del foglio, solcato dalle
linee di inchiostro seppia che ricorda il colore del sangue secco.
Macabro e forse inappropriato per questo tipo di poesia... spero che la
apprezzi lo stesso...
«Benritrovato. Come va?»
«Ho finito la poesia... spero ti piaccia... io non ne sono
del tutto convinto, ma non lo sono con nessuno dei miei
lavori...»
«Male, dovresti essere il primo a credere in quello che fai.
Adesso aspetta che la leggo e poi ti dico come mi sembra.»
Scorre rapidamente il foglio, facendo un leggero fischio di ammirazione
alla fine.
«E questo lavoro non ti convince? Davvero, ti svaluti troppo.
Va bene essere modesti, ma quando è così vuol
dire proprio disprezzarsi... e le tue capacità non lo
meritano.»
Imbarazzato, Nemo replica debolmente.
«Un sacco di altra gente avrebbe potuto fare di
meglio...»
«E qui ti sbagli. Altri poeti forse sì, ma lo
avrebbero scritto secondo la loro visione del mondo... e dato che
quest'ultima è unica per ciascuno, nessuno avrebbe potuto
fare meglio di quanto hai fatto tu, perché sarebbe stato
diverso. E comunque è davvero una bella poesia. Queste
settimane di attesa sono valse la pena.»
«Beh... grazie... sono felice che ti sia
piaciuta...»
«Comunque, quella poesia rende anche lampante un'altra
cosa.» prosegue Pan.
«Cosa?»
«Che quella canzone dei Sonata Arctica, Misplaced, ti si
addice molto. Fuori posto. Non ti senti così a
volte?»
Nemo sorride.
«A volte? Dì pure quasi sempre. Sono convinto che
starei meglio in un altro tempo, forse addirittura in un altro
spazio...»
«Nessuno può dire cosa sarebbe e cosa no.
Purtroppo ti è toccato in sorte questo mondo, e se ti ci
senti fuori posto cerca di trovare un modo sopportabile per restare.
È l'unica cosa che puoi fare.»
Camminano per un po', chiacchierando del più e del meno. Le
ore passano veloci, e con una punta di tristezza Nemo torna a casa...
«Pronto Nemo? Che c'è?»
«Volevo sapere se avevi impegni per domani o se potevamo
vederci il pomeriggio.»
«...»
«Sei ancora in linea?»
«Sì... stavo solo andando a controllare il
tempo... pare che stia cominciando a nevicare... hai fatto una proposta
romantica... a me, poi...»
«...»
«E dai, scherzavo... sai bene che come ogni 14 che si
rispetti, domani sarei stata libera, quindi mi va benissimo vedermi con
te... ma ad una condizione: che tu venga a mani vuote. Va
bene?»
«Sicuramente a me non costa niente... ci vediamo domani,
allora. Ciao.»
Rimette giù il telefono e resta a domandarsi se ha fatto
bene. Ha paura di perdere un'altra amica, e non vorrebbe aver commesso
un errore. Ormai però quello che è fatto
è fatto...
Buffo... pensai la stessa cosa anche l'altra volta... ma niente
è più vero; non si può mai tornare
indietro.
«Buon pomeriggio, carissimo.»
«Buon pomeriggio a lei, madamigella.»
Un veloce bacio sulla guancia.
«Allora, cavaliere, come mai questa richiesta galante? Che
cosa l'ha spinta a tanto?»
«Mah, io pensavo ad un semplice pomeriggio tra amici...
niente, insomma, di galante o romantico...»
La ragazza sorride tra sé. Ma quando sarà sincero
con se stesso?
«E allora il programma è di camminare senza una
meta precisa, giusto?»
«Esattamente, milady.»
«In tal caso, mi permetta almeno di appoggiarmi al suo
braccio.»
«Volentieri.»
Cominciano a camminare.
«Credo che chiunque avesse sentito la nostra conversazione di
prima avrebbe pensato che siamo pazzi.»
«La cosa ti dà fastidio?»
«No, mi fa ridere. Il che, va detto, è una buona
cosa, considerato quanto raramente io rida.»
«Ma siccome la follia è una questione di punti di
vista, a me sembra piuttosto che siano loro i pazzi e noi i normali,
non credi?»
Nemo ride.
«È semplicemente fantastico... con quante altre
persone potrei parlare di filosofia il giorno di San Valentino? Sono
felice e onorato di poter stare con te oggi.»
«Non hai intenzione di tirar fuori un regalo dal nulla, vero?
Perché ti avevo detto di venire a mani vuote.»
«No, tranquilla, non ho niente con me. Anche se, volendo
essere immodesti, la mia presenza non è di così
basso valore.»
Adesso è Pan a ridere. Un suono dolce, cristallino, che fa
rabbrividire Nemo in ogni fibra del suo essere. E vorrei negare di
amarla? Anzi, mi stupisco di essermene accorto solo ora.
Continuano a camminare, lungo le bancarelle allestite per la strada.
Una, in particolare, vende fiori di legno.
«Aspettami un attimo, devo prendere una cosa.»
Nemo torna indietro, compra un mazzo di fiori e si avvicina a Pan senza
farsi notare.
«Per te. Sorpresa!»
La ragazza prende i fiori e li annusa divertita.
«Ti avevo detto di venire senza niente... vuoi sempre fare di
testa tua, vero?»
«Ma io infatti non ho portato niente- dice Nemo con aria da
falso innocente -questi li ho comprati adesso, e non mi avevi vietato
di farlo.»
«E va bene, hai ragione... ma perché dei fiori di
legno? Ammetterai che è un regalo piuttosto
insolito.»
«Francamente, mi è sempre sembrato strano
– e un pochino di cattivo auspicio – regalare
qualcosa di così caduco come un fiore vivo. Vuol dire che
l'amore non durerà per sempre? È vero che tutto
finisce, ma non vorrei che fosse così in fretta. Invece
questi fiori durano quasi in eterno; basta ricordarsi di pulirli dalla
polvere ogni tanto e di profumarli quando l'essenza è
evaporata tutta. E in aspetto non sono così da meno di un
fiore vero.»
Ricominciano a camminare, mano nella mano.
«La tua cassa toracica è abbastanza robusta,
vero?» chiede Pan.
«Eh? Cosa vuoi dire?»
«Semplicemente che dalla forza del battito che sento
attraverso la mano, ho l'impressione che tra poco il tuo cuore
correrà da solo.»
Lo guarda sorridendo.
«Hai intenzione di confessarmelo subito o di aspettare
l'ultimo minuto?»
«Adesso ancora non so che dire, non mi sembra di riuscire a
trovare le parole giuste... e sicuramente, il posto non è
dei migliori. Andiamo al parco.»
«Credi che abbia un'atmosfera più
romantica?»
«No, ma mi sento sempre più rilassato tra alberi e
prati piuttosto che fra case e strade.»
«Bene, eccoci qua. Allora, sei rilassato? Calmo e
tranquillo?» Nemo la guarda come se la vedesse la prima volta.
«Non mi pressare, accidenti! Sono già nervoso, se
poi fai così è difficile che riesca a
concentrarmi!- dice in tono gentile. -Resta comunque il fatto che non
riesca a fare una frase d'amore completa. Magnifiche partenze che poi
rimangono senza fine... mi sembra logico, dopotutto. L'amore non deve
avere fine, non trovi?»
«Dimmi la verità, quando hai capito che mi
amavi?»
«Non ne ho la più pallida idea, ad essere sincero.
Ma mi hai sempre trattato bene, mi sei stata vicina quando ero
disperato, mi hai sopportato nei miei monologhi e nelle manifestazioni
della mia follia, anche se sono stato scontroso e brusco non mi hai
lasciato... e io mi sono affezionato a te, più di quanto
forse non abbia ammesso con me stesso, e per tutto questo voglio
ringraziarti donandoti quello che credo possa essere più
prezioso... il mio amore. Voglio tornare a provare emozioni, a ridere e
piangere -magari di gioia- e voglio farlo con te al mio fianco. Voglio
proteggerti, aiutarti, voglio... così tante cose, per me e
te, per noi... voglio amarti.»
Pan rimane in silenzio, dopo aver ascoltato il fiume di parole uscito
da Nemo.
«Beh, ce ne hai messo di tempo per capirlo... un mese per
scrivere la poesia, scritta in un modo che trasudava amore... avrebbe
fatto commuovere anche una pietra... e poi altri due mesi prima di
deciderti... ma si può dire che le decisioni più
ponderate siano le migliori. Adesso non menti più a te
stesso, eh? Era ora, dico io. E sono ben felice di ricambiare il tuo
amore, sperando che sia come questi fiori... eterno.»
Nemo sta per obiettare che quei fiori non sono eterni, ma il bacio che
riceve soffoca qualsiasi cosa volesse dire. E allora capisce di essersi
sbagliato, perché esistono attimi eterni... ne sta vivendo
uno in quel momento.
Di nuovo un sogno. Stavolta però l'atmosfera è
più rilassata, più gioiosa. Si trova in una
radura, in mezzo ad un bosco, e il sole è alto nel cielo.
Non c'è nessuno, così si avvicina alla pietra al
centro della radura. Vi sono scolpiti dei simboli che sembrano di
fattura celtica. Sente un fruscio dietro di lui e vede delle persone
uscire dal bosco. Hanno tutti lo stesso aspetto, tranne uno che sembra
lo stereotipo del druido. Indossa come tutti un mantello bianco, ma ha
la faccia di un anziano, i capelli e la barba lunghi e candidi come la
neve, e si regge con un bastone. Di sfuggita vede che c'è
anche una donna. È l'anziano ('il saggio', così
lo ha chiamato tra sé) il primo a parlare.
«E così, ci vediamo un'ultima volta, per dirci
addio. Hai scelto la tua strada.»
Nemo resta silenzioso per un attimo, poi risponde.
«Voi siete... me?»
«Esatto. Devo dire, in effetti, che è improprio
chiamare questo un addio, dato che saremo sempre con te... anzi, in te.
Però, dicevo, tu hai scelto di vivere per sempre nel mondo
'reale'... hai scelto di essere un uomo comune, anzi mi correggo, un
uomo non comune ma che è comunque solo un uomo.»
Nemo è disorientato, ma sa cosa rispondere.
«Puoi biasimarmi per la mia scelta? Finalmente ho trovato
l'amore... e se anche nel 'reale' dovessi soffrire, non credo che
rimpiangerò di aver chiuso per sempre la porta al mondo dei
sogni. Ma, quando dormo, non posso sempre tornare qui?»
Gli altri sé si guardano tra loro; qualcuno scuote la testa.
Di nuovo, è il Saggio a parlare.
«No, non posso biasimarti. Chi trova l'amore ha il diritto di
tenerlo – se vuoi il mio consiglio, prenditi cura di lei
– ed è perfettamente comprensibile se adesso vuoi
rimanere nella tua realtà. Ma, come avrai capito, non potrai
tornare qua, perché questo non è un vero e
proprio sogno. I sogni veri e propri sono interpretazioni della
realtà, mentre questo è un mondo parallelo. Non
so come spiegartelo meglio.
«Se avessi deciso di vivere qua, sarebbe stato un vero e
proprio trasferimento di coscienza, e non crederesti che questo fosse
un sogno. Nello stesso tempo, il tuo corpo avrebbe potuto continuare a
vivere normalmente oppure piombare in coma, non lo so. Avresti potuto
prendere il posto di uno di noi, che sarebbe quindi diventato la tua
nuova coscienza. Ma è inutile fare ipotesi su quello che non
è; in realtà neanche noi conosciamo bene le leggi
che regolano questo luogo. Ma, in ogni caso, avresti trovato l'amore
anche qua, sai? Però è giusto che tu viva nel tuo
mondo, come noi nel nostro. Saremo sempre con te, in ogni
caso.»
Allora Nemo capisce che la ragazza è l'alter-ego di Pan, e
si domanda come abbia fatto a non pensarci prima. Ad uno ad uno, si
fanno avanti tutti i vari sé per salutarlo; lo Sfregiato,
con una grossa cicatrice al centro della fronte; il Pazzo, che gli
porge una pietra come ricordo; l'Innamorato, accompagnato da Pan;
è lei a parlare, mentre lui la guarda adorante; il
Misantropo rimane in disparte e non si avvicina a lui, e la cosa non
gli sembra neanche tanto strana. Poi è la volta del Piromane.
«Non potrai più dar fuoco agli uomini di carta, se
te ne andrai.»
«Allora ogni tanto accendi un rogo per me. Ma c'è
più di un modo per bruciare una persona... e forse
continuerò anche nel mio mondo a distruggere gli uomini di
carta. Nessuno può dirlo.»
«Allora dovrai dirlo tu, Nemo. Mi sembra che sia logico; la
vita è tua e sarai tu a viverla.»
Infine si avvicina il Saggio.
«Tieni la pietra che ti ha dato il Pazzo sempre vicino al tuo
letto, e può darsi che ci rivedremo. Niente è
eterno, tranne questo limbo... e la fine non è mai scritta.
A presto.»
Si sveglia per colpa di un dolore al fianco. Qualcosa di duro gli preme
sul ginocchio; va a prenderlo per vedere cosa possa essere e rimane
sorpreso quando tira fuori un sasso da sotto le coperte.
«Cosa diavolo ci fa un sasso nel mio letto?» si
domanda. Poi gli torna in mente il sogno, e ricorda tutto... e sorride.
Poggia il sasso sul comodino, poi si alza. Un altro giorno da vivere,
un altro giorno per amare. Ieri è stata gioia, oggi
bisognerà lavorare per poter gioire ancora... e
sarà dolce fatica, leggera e ben sopportabile. Rivedere
Pan... a conti fatti, gli eventi di ieri sembrano un sogno ben
più dell'addio di stanotte. Spegne la luce e esce di casa.
Per Nemo un capitolo si è chiuso, e adesso ha davanti a
sé una distesa di pagine bianche su cui scrivere...
|
Ritorna all'indice
Questa storia è archiviata su: EFP /viewstory.php?sid=511832
|