Nemo

di Erik Winterking
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** I ***
Capitolo 2: *** II ***
Capitolo 3: *** III ***
Capitolo 4: *** IV ***
Capitolo 5: *** V ***



Capitolo 1
*** I ***


Nemo

I


    Nemo, cioè nessuno. Il ragazzo continua a pensare al significato di quella parola mentre cammina tra la folla, utilizzandone il movimento passivo per andare dove vuole. Le persone intorno quasi non lo vedono, e lui non si fa notare mentre continua a pensare alle implicazioni di quella parola. Nessuno. Le persone attorno a lui si rendono conto di essere nessuno? Lui sa di esserlo. Sa che il suo ricordo non vivrà molto più della durata della sua vita, ma la cosa non lo preoccupa. Eppure, qualcosa non gli torna. Tutte le persone attorno a lui, con lo sguardo basso, che pensano alle loro piccole preoccupazioni, hanno coscienza di essere nessuno? La ragione, per quanto fallibile, lo spinge a creare dei paradossi inestricabili. Si è nessuno quando non si ha la cognizione di esserlo, ma se lui sa di essere nessuno, nel momento stesso in cui lo sa diventava qualcuno. E se anche la sua memoria non vivrà a lungo, gli rimane comunque la consolazione di aver avuto coscienza di sé. Sembra poco agli altri, ma per il ragazzo è un sollievo per l'anima.

    A casa i soliti discorsi. Non li ascolta più ormai, non gli interessano le parole vuote pronunciate da nessuno. Fugge dal chiasso degli altri, si mette le cuffie e si isola dal mondo esterno con la musica, una delle poche consolazioni rimastegli. Ormai è tardi e deve andare a dormire, ma la cosa gli dà un certo fastidio. Il sonno non gli ha mai portato riposo; se va bene sogna, se va male ha incubi. O forse dovrebbe chiamarli visioni della realtà? Si interroga guardando il soffitto prima di addormentarsi, sperando che gli siano risparmiati i sogni.

    Il nulla. Fluttua in un immenso spazio nero, senza sopra né sotto... anzi, senza collocazioni spaziali. Ha ancora la concezione del suo corpo, ma non vede nulla nel buio. In effetti, non può neanche essere sicuro che sia buio. Semplicemente, non ha percezioni sensoriali, eccetto quella del suo corpo. Nel buio si accende all'improvviso un punto di luce, che si avvicina a lui come se stesse uscendo da un tunnel. Arriva in una stanza dove una donna sta partorendo. Nessuno lo nota, così si avvicina mentre il bambino viene alla luce. Guardando distrattamente le altre persone, nota che hanno tutte un marchio in testa. Un inserviente prende un ferro arroventato, e allora il ragazzo capisce cosa vogliono fare; cerca di fermarli, ma non può toccarli perché è come se fosse evanescente. Il ferro tocca la fronte del bambino e un dolore bruciante gli attraversa la testa, mentre tutto intorno a lui si fa confuso.

    Si trova in una stanza spoglia, dove un ragazzo sta scrivendo sul suo diario. Istintivamente, sa che sta guardando il bambino che ha visto nascere. Intorno a lui vorticano immagini sfocate, ma guardandole meglio si accorge che si tratta di scene vissute. Vede gente per strada, tutti marchiati, e persone con marchi diversi insultarsi e picchiarsi, senza logica apparente dato che i marchi non dipendono dalla razza. Poi vede scene di battaglia; gli eserciti, più o meno grandi, si susseguono davanti a lui, e le due fazioni hanno entrambe due marchi diversi, e il sangue scorre e macchia la terra e il pavimento della stanza, per poi essere assorbito all'istante. Non ha molto senso, pensa. E, come se lo avesse sentito, il ragazzo alla scrivania risponde.
   «
Lo so, non ha senso, ma devi rinunciare a capire gli uomini. Stupidi, avidi e crudeli, ecco cosa sono. Si azzuffano per un marchio come galline che si contendono un verme. Soffrirai, se credi di potergli far cambiare idea. Per il tuo bene, non cercare di cambiare gli esseri umani, perché loro non vogliono cambiare.»
    Il ragazzo si gira e Nemo può vederne la fronte segnata dal marchio.
    «
Amavo viaggiare- prosegue lui -ma ovunque andassi, mi hanno sempre trattato con sufficienza per via del mio marchio e dei pregiudizi che avevano sulle persone che lo portavano. Ho provato a convincerli che un marchio non vuol dire niente, e mi hanno isolato. Pochi mi hanno capito, e quasi tutti quelli che condividono il mio pensiero sono già morti oppure per la loro via. Odio questo marchio... più di qualsiasi altra cosa... forse con la sola eccezione dell'umanità...»
   Ciò detto, si afferra la pelle della fronte e la strappa con rabbia. Il sangue scorre a fiotti, coprendogli il viso. Apre la bocca e lo beve quasi avidamente, assaporandone il gusto.
    «
E' dolce- dice a Nemo -vuoi provarne un po' anche tu?»
    Non riceve risposta, così continua a parlare.
   «
Questo gesto ha un senso. Ormai sono morto, ma non voglio che possano dire di avermi sconfitto fino a questo punto. Sarò il primo a morire senza marchio.»
    La vista di Nemo si appanna e la stanza comincia a girare, mentre la fronte gli brucia come se fosse sua la pelle strappata.

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Capitolo 2
*** II ***


II

Si alza dal letto, distrutto. Anche se riposa, gli effetti dei sogni che gli tormentano il sonno cominciano a mostrarsi anche all'esterno. Gli è sempre più difficile rimanere attento e rischia di addormentarsi ad ogni istante. Oggi non è una bella giornata, sia perché fuori non smette di piovere, sia perché si sente a disagio. E' sempre più umorale negli ultimi tempi. Se un giorno si alza felice, non sa cosa succederà nella giornata che potrà incupirlo o se si rattristerà da solo riflettendo, o se per caso e nervoso può bastare un nonnulla per renderlo più umano. Ma è stufo di questo altalenare emotivo. Vorrei tanto un po' di stabilità... oppure continuerò ad altalenare finché non saranno le mie stesse vibrazioni emotive a spingermi oltre il limite della follia.
E poi pensa alla follia, a cosa può voler dire quella parola e a come dovrebbe definirla, e si perde nelle implicazioni di una logica completamente astratta dalla realtà. Una logica che fa parte di un altro mondo, e che lo sta imprigionando. E pensa, Nemo, alla realtà che vede ma che non riesce a sentire come sua, dalla quale vorrebbe scappare. Forse è un sognatore, oppure come un autistico rifiuta di riconoscere il mondo. O forse è solo stanco.

A casa l'aria è tesa, come sempre negli ultimi giorni. Lo sente sulla pelle e più a fondo, e sa che prima o poi starà male per tutta quella tensione. Si spezzerà come il pezzo di legno che è, e nessuno può dire cosa sarà dopo. C'è però qualcosa di diverso oggi, come se la tensione stesse per sciogliersi da un momento all'altro. Gli altri sono tutti riuniti in sala. Suo padre è il primo a parlare.
«Ormai abbiamo visto che le cose non stanno andando troppo bene, quindi abbiamo deciso di separarci...»
Nemo perde il resto della conversazione, e neanche adesso l'ha rielaborata. Non saprebbe ripetere le parole esatte che sono state dette, perché non le ha sentite. Gli altri discutono, piangono, ma un solo pensiero colpisce la sua mente.
Era prevedibile. L'unica cosa che mi preoccupa è come reagiranno gli altri. E mentre pensa queste parole, si accorge che non sta provando niente, che non sta avendo nessuna reazione, e improvvisamente ha paura di sé stesso. Si allontana in silenzio, ignorato da tutti, e va a guardarsi allo specchio, fissando lo sguardo nel riflesso dei suoi occhi. Dicono che gli esseri umani non riescano a sopportare il proprio sguardo a lungo, ma Nemo rimane davanti allo specchio finché il tempo stesso non perde significato.
Cerca di esprimere dei sentimenti, concentrandosi sulle cose che più odia o ama al mondo, ma l'unico indizio delle emozioni che prova è la mobilità dei muscoli facciali. Le sopracciglia si aggrottano, le labbra si piegano, ma gli occhi rimangono sempre gli stessi, due piccole pozze fredde e spente. Gli occhi di un morto. Gli occhi sono lo specchio dell'anima, non lo sai? Sei forse morto dentro? Si allontana dallo specchio, improvvisamente spaventato. Adesso può aggiungere una definizione per il termine 'orrore'.

Anche quella notte sogna. Si trova in una specie di sala da riunioni, e una moltitudine di persone stanno discutendo animatamente. Li guarda mentre ascolta i loro discorsi, ma non riesce a distinguerli perché sono tutti uguali fisicamente. Si distinguono nelle espressioni, chi esprime odio e chi gioia, chi gioca come un folle e chi sospira come un innamorato.
«Davvero, l'unica cosa vera a questo mondo è che dell'uomo si può dire tutto tranne che il bene.»
A parlare è l'uomo dalla faccia delusa e disillusa.
«Come puoi dire questo?- risponde l'innamorato -Se solo avessi conosciuto le gioie dell'amore...»
La discussione continua, ma non gli interessa più.
Adesso è all'esterno, dove una calca di uomini senza volto si avvicina ai banchi di alcuni parlatori pubblici, anch'essi senza volto.
«Noi abbiamo la verità!- grida uno -Compratela ora a prezzo speciale, ce n'è in abbondanza e per tutti i gusti! Ma non compratene altre, o potrebbero esserci controindicazioni! Garantiamo solo la nostra verità, l'unica genuina!»
Negli altri banchi altri uomini senza volto dicono più o meno le stesse cose. Su banchi diversi invece uomini con un viso sereno e sorridente parlano alla massa senza volto, ma gli uomini della massa somigliano più a una mandria che ad esseri umani.
«Io vi offro la libertà, una vita migliore e più servizi! Con me lavorerete di meno e guadagnerete di più! Non avrete più preoccupazioni per la vecchiaia, riformerò il sistema di assistenza!»
«Lui mente!- controbatte un uomo con la stessa faccia ma su un palco diverso -Vi farà pagare più tasse, limiterà i vostri diritti e vi ridurrà tutti a mendicare per una strada! Io invece vi offro la sicurezza, mentre lui lascerà liberi i peggiori criminali!»
Il dibattito continua, ma Nemo non ascolta più. La massa di uomini-bestiame segna dei fogli porti loro dai due palchi, e gli uomini con il volto sorridente prendono consistenza dalla carta che la massa firma. Allora si porta dietro gli uomini, senza sapere come ha fatto - ma tanto è un sogno, non ci deve essere una logica - e stacca gli elastici che reggono su il falso volto degli uomini, sotto il quale sono senza faccia come tutti. Cercano di punirlo, ma lui dà fuoco alle schede e i loro corpi perdono di consistenza, fino a diventare anche loro come tutti nella massa.

Adesso la scena cambia ancora, seguendo la non-logica dei sogni - o forse i sogni sono più logici della realtà? Si trova in un ambiente che gli ricorda i film catastrofici di serie B (o anche sotto). La sala di un laboratorio, piena d'acqua che gli arriva a metà polpaccio, e un senso di pericolo.
«C'è un serpente, stai lontano dalle condotte dell'aria perché sbucherà fuori da lì.»
Non sa chi stia parlando, non vede nessuno. Sente il battito cardiaco aumentare, l'adrenalina che entra in circolo e i muscoli che sembrano muoversi al rallentatore. Fa appena in tempo ad accorgersi del movimento sotto il pelo dell'acqua, e si ritrova avvolto nelle spire di un serpente che tenta di morderlo alla faccia. Istintivamente gli ferma le mascelle con le mani e cerca di disarticolargliele.
«Stai attento, è velenoso.»
Vede la figura di un essere umano, uomo o donna, dalla voce direbbe un ragazzo. Vorrebbe chiedergli aiuto, ma anche se il serpente non lo soffoca dalla sua bocca non esce alcun suono.
«Devi ucciderlo rompendogli la mascella.»
Si sente le braccia di piombo, e con uno sforzo sovrumano lotta contro la forza del serpente, mentre le zanne velenose si avvicinano sempre di più.

CRACK!

Un suono secco, e tutto si fa nero.

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Capitolo 3
*** III ***


III

Ben ritrovati. Non so quanti di voi pensavano che la storia fosse finita, ma in ogni caso non è così. Del resto, era solo un sogno, e i sogni non uccidono... forse.

Per la precisione, si è svegliato al suono dello scricchiolio delle ossa, e neanche lui sa se fossero le sue o del serpente. Comunque, adesso che è sveglio non gli importa più di tanto. Si sente oppresso, e l'unico modo che conosce per sfogarsi è scrivere.

'Vorrei tanto potermi definire innocente. Tirarmi via da tutto questo, lasciarmi alle spalle il dolore e la sofferenza. Ma non è questo il mio destino. Quando veniamo al mondo tutti abbiamo un compito, ma evidentemente non ce ne ricordiamo, e forse è proprio questa dimenticanza a darci la felicità; la felicità dell'oblio. Forse siamo tutti dei messaggeri, ma di cosa? Non so neanche quale è il messaggio che mi è stato affidato. Dai fatti, da quello che vedo attorno a me, direi che sono il messaggero della rovina e della disperazione, del dolore e della perdita di ogni speranza; ma non sono felice di esserlo - e chi lo sarebbe? Avrei voluto amare, portare gioia e, possibilmente, riceverne in cambio. Forse il mio pessimismo, la mia autocommiserazione, mi hanno precluso questo mondo, ma può anche darsi che tutto questo sia vero. I feel so tired... lonely... and broken. I can't recognize myself anymore... please... help... Perché sto scrivendo in inglese? Le parole escono dalla my pen da sole. Sto losing contact con la realtà. Sto drowning nell'oblivion, un così sweet sea... oh... it's going... I'm going... and this is my last farewell...
Chiudere, spegnere una vita, la mia vita? Si può fare. Lentamente, dolcemente, senza il clamore del sangue o la violenza di un'arma da fuoco. Solo, nel mare, nuotare senza voltarsi, fino a perdersi nel blu... per non tornare indietro e lasciare per sempre questo mondo, con le mie parole a seguirmi o forse accompagnarmi... senza rimpianti, senza rimorsi. Ho già causato dolore e se così non avrò pareggiato il bilancio non mi pentirò.'

Smette di scrivere e guarda l'orologio, che segna le quattro. Sospira. Sa quello che deve fare, da una parte deve e dall'altra ne ha paura. Ma se gli altri non sono coerenti nemmeno alle loro decisioni, allora ha solo un motivo in più per mettere in atto quello che si era sempre ripromesso di fare, un giorno. Compone il numero, avvia la chiamata e aspetta, contando mentalmente gli squilli.
Tuutuu... Uno. È straordinario come in quei pochi secondi tra uno squillo e l'altro tutti i possibili dubbi e tutte le paure attraversino la mente. Risponderà? Non risponderà?
Tuutuu... Due. Vorrei davvero che rispondesse? No, cioè sì, no, ho troppa paura...
Tuutuu... Tre. Il numero magico. Ti prego, rispondi, tipregotipregotiprego...
Tuu- «Pronto?»
I dubbi spariscono. Adesso non c'è più tempo per pensare, tutti i discorsi preparati prima sono ormai dimenticati.
«Ciao Leannore. Ecco... -un attimo per pensare, come posso dire quello che voglio dire? Oh cavolo...- credo che dovremmo vederci di nuovo.»
Perfetto così. Diretto al punto senza troppi giri di parole, chè sono inutili.
«Sempre diretto e senza maschere, eh? Ma poi, sei proprio sicuro di volerlo, anche dopo quello che è successo? Potrebbe farti male.»
«Gentile da parte tua preoccuparti per me. Sono sicuro di volerlo, e se anche non vorrai parlare dei perché e dei percome, mi devi comunque un libro. Se non altro per quello.»
«Anche sotto una scorza di presunta indifferenza non nascondi bene la tua vera natura. Ti va bene vederci sabato prossimo?»
«Non ho mai granché da fare. Ci vediamo al parco alle quattro?»
«D'accordo allora, a sabato. Ciao.»
Ecco fatto. Una vittoria? No, semplicemente il raggiungimento di un obiettivo. Il difficile verrà sabato.

Per quanto si possa immaginare un momento, la realtà sarà sempre diversa. Così tante volte ha vissuto questa situazione, eppure ogni volta ne rimane sorpreso. Sono le quattro, e anche se è normale un ritardo di due o tre minuti (o un anticipo), quei minuti sono sempre terribilmente pieni di tormento e angoscia. In questo caso sa sempre che è colpa sua -dovrebbe smettere di farsi tanti problemi- ma la sua immaginazione continua a correre, contro tutti i legami, sempre più pessimista. Finalmente una voce -la voce che sperava di sentire- pone fine alle sue domande.
«Scusa per il ritardo. È molto che aspetti?»
«In realtà no, ma dipende tutto dalle percezioni. Come stai?»
Non la ricordava così bella, così attraente. Adesso è molto più difficile, soprattutto per le emozioni contrastanti in lui. Che stupido sono stato. Andare a riaprirsi da soli una ferita al cuore... da suicidi.
«Io sto bene... grazie per il libro. Non sapevo che ti piacessero le storie d'amore... non sembri il tipo, a prima vista.»
«Infatti quello è l'unico libro d'amore che abbia mai letto. Richard Bach è uno dei miei scrittori preferiti... ma forse ora è meglio smettere di divagare. Questo è il regalo per il tuo compleanno... in ritardo, ma credo di poter sperare di essere perdonabile visto quello che è successo...»
Sorride a mo' di scusa. La ragazza prende il pacchettino, perplessa.
«Sei straordinario, sai? Scegliere di vedermi, anche se ti ho respinto, e presentarti con un regalo, mentre altri non mi avrebbero più neanche rivolto la parola, con un tono di scusa... non posso fingere sentimenti che non provo, ma se fosse possibile rimanere almeno in contatto... è raro trovare persone come te di questi tempi.»
Una specie di scusa? Come intendere quelle parole?
«Sai, non pensavo che rivederti mi avrebbe fatto così male... e pensare che mi avevi anche avvertito... ma più forte del dolore è le mia voglia di sapere. Voglio sapere i perché del tuo no, non per farti cambiare idea, ma per sapere... puoi rispondermi? Non preoccuparti di quello che dirai.»
«Non hai paura di chiedere nulla, eh? Ma come si possono spiegare i sentimenti? Per me sei stato – vorrei che fossi ancora – un buon amico, ma non provo per te oltre che l'affetto dell'amicizia... Mi hai chiesto tu di dirti tutto, ma non vorrei farti ancora più male... insomma... non credo che per l'amore bastino le dimostrazioni d'affetto, serve qualcosa che per te non provo... ma mi dispiacerebbe perderti come amico, davvero.»
Nemo soppesa le sue parole, cercando di districarsi nel mare di contraddizioni che ha appena sentito.
«Così pieno di contraddizioni è l'animo umano, i sentimenti, il cuore... grazie per avermi detto tutto. Non preoccuparti: la ferita più grave me l'hai già procurata e difficilmente potrà guarire. Adesso si è fatto tardi, devo andare. Per quanto riguarda il rimanere amici... non so che dire. Sarà il tempo a parlare per me.»
Si lasciano così, senza rimorsi o rimpianti. Un velo di tristezza in Nemo per quello che non è stato, che avrebbe voluto che fosse... ma la vita va avanti.

Una notte calma, senza sogni. Solo, all'improvviso, si ritrova di fronte ad un uomo. La sua figura ispira fiducia, è l'incarnazione di un capo naturale. Sta per parlargli ma lui si scopre il petto.
«Io sono Colui che Sanguina. Ricordati, certe ferite non si rimarginano mai.»
In prossimità del cuore c'è una ferita slabbrata da cui esce sangue che non macchia, ma attraversa qualsiasi cosa senza lasciare traccia.
«Cerca di evitare queste ferite, perché come ti infiacchisci se perdi troppo sangue, così il tuo spirito sarà debole se lascerà scorrere via troppe energie.»
Allora tutto si fa buio e attraversa di nuovo il portale che dal mondo dei sogni riporta alla realtà.

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Capitolo 4
*** IV ***


IV

Una lettera. Una semplice, piccola lettera, in una busta beige con i francobolli e i timbri. Sembra un'opera d'arte. In un così piccolo oggetto, così tanti ricordi, così tante speranze, così tanto tormento. Rispondere è facile, ma dopo la risposta viene il tormento dell'attesa, il tormento che snerva e che porta alla follia... beh, forse così è esagerato, ma di sicuro per una persona ansiosa aspettare una lettera può essere una forma di autopunizione. Ma pian piano il tempo cancella ogni cosa, passano i giorni, le settimane, i mesi, e anche la fortissima delusione dei primi momenti diventa una leggera amarezza quando torna il ricordo. E, nella mente di Nemo, una sola domanda... che senso ha tutto questo? Riaccendere le speranze di un essere umano per poi ferirlo? Nel silenzio della sua mente la risposta è muta.

«Ciao Nemo.»
«Ciao Shade. Come va?»
«Ho cambiato personaggio. Ora sono Pan, nel senso greco del termine, ovvero 'tutto'.»
«Nessuno e Centomila. Ci manca solo Uno adesso...»
«Oggi ti senti allegro? Buon per te. Ma in realtà se ci pensi non c'è molta differenza tra essere tutti e nessuno. Cambiando identità x volte al giorno sarai nessuno. Come tutti in questo mondo.»
«Di solito sono io a fare questi ragionamenti astrusi.»
«Ma anch'io ho il diritto di divertirmi, no?»
«Mi sembra più che giusto. Ho scritto una specie di raccontino... bah... diciamo che ho messo otto righe in fila. Ecco, leggi e dimmi se ti piace.»
Silenzio.
«È decisamente autobiografico.» Però, ha scoperto subito il punto della questione! «Quello che resta da vedere è se hai davvero intenzione di mettere in pratica quello che scrivi. Vuoi farlo?»
«No. L'ultima parte è una finzione, un modo in cui mi piacerebbe uscire di scena... però la prima parte è frutto del disagio che sento ultimamente. Il peggio è che non so neanche come curarlo, mentre vorrei liberarmene.»
«È solo quello che altri hanno chiamato 'male di vivere', e se avessimo saputo come curarlo non avremmo questi nomi. Dicono che l'unica cura, oltre che causa principale, sia l'amore, ma per il resto...»
Un gesto vago con la mano, come a voler indicare qualcosa di astratto.
«Cambiando discorso, come vanno i tuoi sogni? Si susseguono ogni notte o sono finiti?»
«Continuano, purtroppo.- risponde Nemo, raccontando brevemente gli ultimi sogni -Secondo te cosa significano?»
«Beh, mi sembra chiaro che sogni in modo allegorico – come tutti, del resto. Il problema sorge nell'interpretazione, perché credo che cambi con il carattere della persona... sicuramente gli uomini senza volto sono il simbolo della massa e/o della società attuale, mentre il marchio sulla fronte può simboleggiare i pregiudizi... o l'appartenenza a una qualche entità, ma non mi sembra chiaro. Quello del serpente... il fatto che tu venissi strangolato... può essere una situazione difficile che ti troverai ad affrontare, o che stai affrontando.»
«Mi sono svegliato senza sapere come va a finire. Ma la figura che non mi aiutava?»
«La fine non è scritta, sarai tu a deciderla. E ti potranno indicare il modo in cui affrontare questa situazione, ma sarai da solo a risolverla. Almeno, io la vedo così.»
«Mi sembra che tu veda molte cose.»
Resta pensieroso, poi si gira verso la ragazza.
«Qualche tempo fa, guardandomi allo specchio, non ho visto niente nei miei occhi. Freddi e spenti, ecco com'erano. Allora ho avuto paura di me, paura di aver perso la capacità di provare emozioni. Adesso dimmi: cosa vedi nei miei occhi?»
«Tu non hai visto niente, ma credo che sia stato perché non sai riconoscere i sentimenti... ora come ora, guardando nei tuoi occhi, vedo un grande schermo di tristezza e disperazione... e, sotto, ancora la capacità di amare e anche la voglia di amare... il bisogno di amare ed essere amato...»
Nemo ride, triste.
«Ma come potrò accorgermi di essere amato o di amare, se non so riconoscere le emozioni? Come si insegnano i sentimenti?»
«Non ne ho la più pallida idea, come non credo esista qualcuno che lo sappia. Scrivi ancora poesie?»
«Beh... sì, anche se raramente...»
«È già una buona cosa; uno spirito sensibile prova le emozioni ad un livello superiore di un animo comune. Potresti scrivermi una poesia?»
La richiesta lascia Nemo perplesso.
«Di solito scrivo sotto ispirazione, non per commissione... e poi... perché? Una poesia dedicata a te o una poesia su di te?»
«Perché? Perché la mia vanità ha voglia di essere stuzzicata, e poi per allenarti alla sensibilità! Quanto al tipo... beh, dedicata a me. Insomma, la scrivi per me che te l'ho chiesto. Puoi anche parlare del mare o di qualunque altra cosa, ma ad una condizione: deve essere un capolavoro.»
«Beh... vedrò cosa riuscirò a fare... ma non prometto niente...»
«Infatti non devi promettere, devi scrivere. Non hai un limite di tempo. Aspetta pure che le parole vengano, scrivile e avvertimi quando hai fatto. Tanto ci vediamo sempre in giro... devo andare ora. Ciao.»
Nemo saluta distrattamente, già pensando a cosa poter scrivere. Se già non è soddisfatto delle poesie che scrive quando è ispirato, come gli verrà una poesia su richiesta?

Il mare, una nave sulle onde. L'immagine di una chioma scossa dal vento, e una ragazza bellissima. La chiama, ma non sente il nome perché la sua voce è coperta dal vento. Lei gli sorride, rispondendogli, ma non può sentirla...

Una chiesa, buia, illuminata da numerose candele nelle nicchie e vicino all'altare. Un ambiente disadorno che però trasmette un profondo senso di pace... Si sta vestendo, con l'aiuto del suo testimone di nozze. Chi l'avrebbe mai detto che sarebbe arrivato questo momento... pensa tra sé. Vestito in modo semplicemente elegante, un classico vestito nero con un unico strappo alla regola, il suo ciondolo preferito al posto della cravatta. La sposa lo aspetta all'altare, le si mette di fianco. La guarda, cogliendo appena i tratti del suo viso sotto il velo. Voglio togliere il velo... scoprire... I capelli corvini ricadono dietro sul vestito bianco, risaltando con un magnifico gioco di contrasto. Sussurra il suo nome, ma di nuovo non lo sente. Al risveglio, ripensa a quello che ha sognato e a cosa può voler dire. Un buon auspicio? Forse... ma il fatto che non sappia il suo nome? Vuol dire che non la riconoscerò oppure che ancora non la conosco?


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E mi ritrovo a rispondere ad una recensione! Uuu che bella sensazione :3 Ok, svarione a parte... beh, fa parte di me. Non mi offendo affatto se mi dici che l'introduzione era svarionata, Phantasia... anzi, lo prendo come un complimento. ^^ Sì, l'inizio è filosofico... è dovuto ad una vera riflessione che avevo fatto io per conto mio: (mi piace mettermi a pensare a ruota libera a volte - ed ecco cosa viene fuori) poi l'ho scritta, e mentre scrivevo è nato questo personaggio... e con lui tutta la storia XD Per quanto riguarda lo stile allucinato, quando ho scritto non lo usavo molto... in altri racconti già si nota di più. Li pubblicherò presto, continua a leggere! E soprattutto, felice che ti sia piaciuta la storia (finora)! Alla prossima!

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Capitolo 5
*** V ***


Ecco qua, ultimo capitolo! Fine delle avventure di Nemo, in cui... sorpresa! (O forse l'avevate previsto XD) Enjoy!


V


Pensare una poesia, scrivere una poesia senza ispirazione, è difficile. Rimane lì a guardare il foglio bianco, sperando quasi che le parole vangano da sole... sospira, prende la penna e comincia a scrivere.

'Un morbido velo di nero velluto, la tua chioma
incornicia la liscia e candida seta del tuo viso
I tuoi occhi, profondi laghi nei quali dolce
mi sarebbe l'annegare, se anche dovessi perire;
Un rosso, palpitante rubino, ma vivo e attraente
carico di promesse d'amore, di gioia e dolore;
E la tua voce, che come il più dolce canto
di sirena mi cattura e mi tiene a te, intrappolato
dalla più bella musica che per sempre
vorrei ascoltare vivendo della sua bellezza.'

Rilegge la poesia, due, tre, quattro volte, senza cambiare una sola parola. Non ne è pienamente soddisfatto, ma non lo è per nessuno dei suoi lavori, quindi non ci fa caso. Avendo cambiato spesso canzoni e poesie dalla prima all'ultima parola alla seconda lettura, questo è un lavoro più che soddisfacente. Adesso si prepara al meticoloso lavoro di scrittura in calligrafia.
Prepara un foglio di carta ingiallita simile a pergamena e la sua penna stilografica, riga, squadra e matita; traccia i leggeri segni delle righe che guideranno i segni della sua scrittura, poi carica pazientemente la penna. Scrive elegantemente, inclinando la scrittura e ornando le lettere, senza però renderle illeggibili. Dopo un'ora ha finito, soddisfatto dell'aspetto del foglio, solcato dalle linee di inchiostro seppia che ricorda il colore del sangue secco.
Macabro e forse inappropriato per questo tipo di poesia... spero che la apprezzi lo stesso...

«Benritrovato. Come va?»
«Ho finito la poesia... spero ti piaccia... io non ne sono del tutto convinto, ma non lo sono con nessuno dei miei lavori...»
«Male, dovresti essere il primo a credere in quello che fai. Adesso aspetta che la leggo e poi ti dico come mi sembra.»
Scorre rapidamente il foglio, facendo un leggero fischio di ammirazione alla fine.
«E questo lavoro non ti convince? Davvero, ti svaluti troppo. Va bene essere modesti, ma quando è così vuol dire proprio disprezzarsi... e le tue capacità non lo meritano.»
Imbarazzato, Nemo replica debolmente.
«Un sacco di altra gente avrebbe potuto fare di meglio...»
«E qui ti sbagli. Altri poeti forse sì, ma lo avrebbero scritto secondo la loro visione del mondo... e dato che quest'ultima è unica per ciascuno, nessuno avrebbe potuto fare meglio di quanto hai fatto tu, perché sarebbe stato diverso. E comunque è davvero una bella poesia. Queste settimane di attesa sono valse la pena.»
«Beh... grazie... sono felice che ti sia piaciuta...»
«Comunque, quella poesia rende anche lampante un'altra cosa.» prosegue Pan.
«Cosa?»
«Che quella canzone dei Sonata Arctica, Misplaced, ti si addice molto. Fuori posto. Non ti senti così a volte?»
Nemo sorride.
«A volte? Dì pure quasi sempre. Sono convinto che starei meglio in un altro tempo, forse addirittura in un altro spazio...»
«Nessuno può dire cosa sarebbe e cosa no. Purtroppo ti è toccato in sorte questo mondo, e se ti ci senti fuori posto cerca di trovare un modo sopportabile per restare. È l'unica cosa che puoi fare.»
Camminano per un po', chiacchierando del più e del meno. Le ore passano veloci, e con una punta di tristezza Nemo torna a casa...

«Pronto Nemo? Che c'è?»
«Volevo sapere se avevi impegni per domani o se potevamo vederci il pomeriggio.»
«...»
«Sei ancora in linea?»
«Sì... stavo solo andando a controllare il tempo... pare che stia cominciando a nevicare... hai fatto una proposta romantica... a me, poi...»
«...»
«E dai, scherzavo... sai bene che come ogni 14 che si rispetti, domani sarei stata libera, quindi mi va benissimo vedermi con te... ma ad una condizione: che tu venga a mani vuote. Va bene?»
«Sicuramente a me non costa niente... ci vediamo domani, allora. Ciao.»
Rimette giù il telefono e resta a domandarsi se ha fatto bene. Ha paura di perdere un'altra amica, e non vorrebbe aver commesso un errore. Ormai però quello che è fatto è fatto...
Buffo... pensai la stessa cosa anche l'altra volta... ma niente è più vero; non si può mai tornare indietro.

«Buon pomeriggio, carissimo.»
«Buon pomeriggio a lei, madamigella.»
Un veloce bacio sulla guancia.
«Allora, cavaliere, come mai questa richiesta galante? Che cosa l'ha spinta a tanto?»
«Mah, io pensavo ad un semplice pomeriggio tra amici... niente, insomma, di galante o romantico...»
La ragazza sorride tra sé. Ma quando sarà sincero con se stesso?
«E allora il programma è di camminare senza una meta precisa, giusto?»
«Esattamente, milady.»
«In tal caso, mi permetta almeno di appoggiarmi al suo braccio.»
«Volentieri.»
Cominciano a camminare.
«Credo che chiunque avesse sentito la nostra conversazione di prima avrebbe pensato che siamo pazzi.»
«La cosa ti dà fastidio?»
«No, mi fa ridere. Il che, va detto, è una buona cosa, considerato quanto raramente io rida.»
«Ma siccome la follia è una questione di punti di vista, a me sembra piuttosto che siano loro i pazzi e noi i normali, non credi?»
Nemo ride.
«È semplicemente fantastico... con quante altre persone potrei parlare di filosofia il giorno di San Valentino? Sono felice e onorato di poter stare con te oggi.»
«Non hai intenzione di tirar fuori un regalo dal nulla, vero? Perché ti avevo detto di venire a mani vuote.»
«No, tranquilla, non ho niente con me. Anche se, volendo essere immodesti, la mia presenza non è di così basso valore.»
Adesso è Pan a ridere. Un suono dolce, cristallino, che fa rabbrividire Nemo in ogni fibra del suo essere. E vorrei negare di amarla? Anzi, mi stupisco di essermene accorto solo ora.
Continuano a camminare, lungo le bancarelle allestite per la strada. Una, in particolare, vende fiori di legno.
«Aspettami un attimo, devo prendere una cosa.»
Nemo torna indietro, compra un mazzo di fiori e si avvicina a Pan senza farsi notare.
«Per te. Sorpresa!»
La ragazza prende i fiori e li annusa divertita.
«Ti avevo detto di venire senza niente... vuoi sempre fare di testa tua, vero?»
«Ma io infatti non ho portato niente- dice Nemo con aria da falso innocente -questi li ho comprati adesso, e non mi avevi vietato di farlo.»
«E va bene, hai ragione... ma perché dei fiori di legno? Ammetterai che è un regalo piuttosto insolito.»
«Francamente, mi è sempre sembrato strano – e un pochino di cattivo auspicio – regalare qualcosa di così caduco come un fiore vivo. Vuol dire che l'amore non durerà per sempre? È vero che tutto finisce, ma non vorrei che fosse così in fretta. Invece questi fiori durano quasi in eterno; basta ricordarsi di pulirli dalla polvere ogni tanto e di profumarli quando l'essenza è evaporata tutta. E in aspetto non sono così da meno di un fiore vero.»
Ricominciano a camminare, mano nella mano.
«La tua cassa toracica è abbastanza robusta, vero?» chiede Pan.
«Eh? Cosa vuoi dire?»
«Semplicemente che dalla forza del battito che sento attraverso la mano, ho l'impressione che tra poco il tuo cuore correrà da solo.»
Lo guarda sorridendo.
«Hai intenzione di confessarmelo subito o di aspettare l'ultimo minuto?»
«Adesso ancora non so che dire, non mi sembra di riuscire a trovare le parole giuste... e sicuramente, il posto non è dei migliori. Andiamo al parco.»
«Credi che abbia un'atmosfera più romantica?»
«No, ma mi sento sempre più rilassato tra alberi e prati piuttosto che fra case e strade.»

«Bene, eccoci qua. Allora, sei rilassato? Calmo e tranquillo?» Nemo la guarda come se la vedesse la prima volta.
«Non mi pressare, accidenti! Sono già nervoso, se poi fai così è difficile che riesca a concentrarmi!- dice in tono gentile. -Resta comunque il fatto che non riesca a fare una frase d'amore completa. Magnifiche partenze che poi rimangono senza fine... mi sembra logico, dopotutto. L'amore non deve avere fine, non trovi?»
«Dimmi la verità, quando hai capito che mi amavi?»
«Non ne ho la più pallida idea, ad essere sincero. Ma mi hai sempre trattato bene, mi sei stata vicina quando ero disperato, mi hai sopportato nei miei monologhi e nelle manifestazioni della mia follia, anche se sono stato scontroso e brusco non mi hai lasciato... e io mi sono affezionato a te, più di quanto forse non abbia ammesso con me stesso, e per tutto questo voglio ringraziarti donandoti quello che credo possa essere più prezioso... il mio amore. Voglio tornare a provare emozioni, a ridere e piangere -magari di gioia- e voglio farlo con te al mio fianco. Voglio proteggerti, aiutarti, voglio... così tante cose, per me e te, per noi... voglio amarti.»
Pan rimane in silenzio, dopo aver ascoltato il fiume di parole uscito da Nemo.
«Beh, ce ne hai messo di tempo per capirlo... un mese per scrivere la poesia, scritta in un modo che trasudava amore... avrebbe fatto commuovere anche una pietra... e poi altri due mesi prima di deciderti... ma si può dire che le decisioni più ponderate siano le migliori. Adesso non menti più a te stesso, eh? Era ora, dico io. E sono ben felice di ricambiare il tuo amore, sperando che sia come questi fiori... eterno.»
Nemo sta per obiettare che quei fiori non sono eterni, ma il bacio che riceve soffoca qualsiasi cosa volesse dire. E allora capisce di essersi sbagliato, perché esistono attimi eterni... ne sta vivendo uno in quel momento.

Di nuovo un sogno. Stavolta però l'atmosfera è più rilassata, più gioiosa. Si trova in una radura, in mezzo ad un bosco, e il sole è alto nel cielo. Non c'è nessuno, così si avvicina alla pietra al centro della radura. Vi sono scolpiti dei simboli che sembrano di fattura celtica. Sente un fruscio dietro di lui e vede delle persone uscire dal bosco. Hanno tutti lo stesso aspetto, tranne uno che sembra lo stereotipo del druido. Indossa come tutti un mantello bianco, ma ha la faccia di un anziano, i capelli e la barba lunghi e candidi come la neve, e si regge con un bastone. Di sfuggita vede che c'è anche una donna. È l'anziano ('il saggio', così lo ha chiamato tra sé) il primo a parlare.
«E così, ci vediamo un'ultima volta, per dirci addio. Hai scelto la tua strada.»
Nemo resta silenzioso per un attimo, poi risponde.
«Voi siete... me?»
«Esatto. Devo dire, in effetti, che è improprio chiamare questo un addio, dato che saremo sempre con te... anzi, in te. Però, dicevo, tu hai scelto di vivere per sempre nel mondo 'reale'... hai scelto di essere un uomo comune, anzi mi correggo, un uomo non comune ma che è comunque solo un uomo.»
Nemo è disorientato, ma sa cosa rispondere.
«Puoi biasimarmi per la mia scelta? Finalmente ho trovato l'amore... e se anche nel 'reale' dovessi soffrire, non credo che rimpiangerò di aver chiuso per sempre la porta al mondo dei sogni. Ma, quando dormo, non posso sempre tornare qui?»
Gli altri sé si guardano tra loro; qualcuno scuote la testa. Di nuovo, è il Saggio a parlare.
«No, non posso biasimarti. Chi trova l'amore ha il diritto di tenerlo – se vuoi il mio consiglio, prenditi cura di lei – ed è perfettamente comprensibile se adesso vuoi rimanere nella tua realtà. Ma, come avrai capito, non potrai tornare qua, perché questo non è un vero e proprio sogno. I sogni veri e propri sono interpretazioni della realtà, mentre questo è un mondo parallelo. Non so come spiegartelo meglio.
«Se avessi deciso di vivere qua, sarebbe stato un vero e proprio trasferimento di coscienza, e non crederesti che questo fosse un sogno. Nello stesso tempo, il tuo corpo avrebbe potuto continuare a vivere normalmente oppure piombare in coma, non lo so. Avresti potuto prendere il posto di uno di noi, che sarebbe quindi diventato la tua nuova coscienza. Ma è inutile fare ipotesi su quello che non è; in realtà neanche noi conosciamo bene le leggi che regolano questo luogo. Ma, in ogni caso, avresti trovato l'amore anche qua, sai? Però è giusto che tu viva nel tuo mondo, come noi nel nostro. Saremo sempre con te, in ogni caso.»
Allora Nemo capisce che la ragazza è l'alter-ego di Pan, e si domanda come abbia fatto a non pensarci prima. Ad uno ad uno, si fanno avanti tutti i vari sé per salutarlo; lo Sfregiato, con una grossa cicatrice al centro della fronte; il Pazzo, che gli porge una pietra come ricordo; l'Innamorato, accompagnato da Pan; è lei a parlare, mentre lui la guarda adorante; il Misantropo rimane in disparte e non si avvicina a lui, e la cosa non gli sembra neanche tanto strana. Poi è la volta del Piromane.
«Non potrai più dar fuoco agli uomini di carta, se te ne andrai.»
«Allora ogni tanto accendi un rogo per me. Ma c'è più di un modo per bruciare una persona... e forse continuerò anche nel mio mondo a distruggere gli uomini di carta. Nessuno può dirlo.»
«Allora dovrai dirlo tu, Nemo. Mi sembra che sia logico; la vita è tua e sarai tu a viverla.»
Infine si avvicina il Saggio.
«Tieni la pietra che ti ha dato il Pazzo sempre vicino al tuo letto, e può darsi che ci rivedremo. Niente è eterno, tranne questo limbo... e la fine non è mai scritta. A presto.»

Si sveglia per colpa di un dolore al fianco. Qualcosa di duro gli preme sul ginocchio; va a prenderlo per vedere cosa possa essere e rimane sorpreso quando tira fuori un sasso da sotto le coperte.
«Cosa diavolo ci fa un sasso nel mio letto?» si domanda. Poi gli torna in mente il sogno, e ricorda tutto... e sorride. Poggia il sasso sul comodino, poi si alza. Un altro giorno da vivere, un altro giorno per amare. Ieri è stata gioia, oggi bisognerà lavorare per poter gioire ancora... e sarà dolce fatica, leggera e ben sopportabile. Rivedere Pan... a conti fatti, gli eventi di ieri sembrano un sogno ben più dell'addio di stanotte. Spegne la luce e esce di casa. Per Nemo un capitolo si è chiuso, e adesso ha davanti a sé una distesa di pagine bianche su cui scrivere...

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