Il mondo di carta

di Erik Winterking
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prigionia ***
Capitolo 2: *** Incontro ***
Capitolo 3: *** Lena ***
Capitolo 4: *** Vigliaccheria ***
Capitolo 5: *** Squalo ***
Capitolo 6: *** Epilogo ***



Capitolo 1
*** Prigionia ***


I
Prigionia


Apro gli occhi, stanco, e mi domando per un momento da quanto tempo sono seduto sul pavimento. Pietra fredda e lucida, tagliata a grandi blocchi. Mi guardo intorno. Sono rinchiuso in una cella, illuminata solo da una lampada sul soffitto, davanti alle sbarre. Niente finestre. Una branda di legno con una coperta e un cuscino. Mi stiracchio e sospiro. Tra poco dovrebbe essere qui. Arriva sempre.
Nel cono di luce si staglia una figura. Come al solito mantiene il volto in ombra. L'uomo senza faccia mi fissa – o meglio, credo che mi fissi. Dato che non ha una faccia è difficile dirlo. Stavolta non parlo e mi limito ad osservarlo. Una volta mi scagliavo contro di lui, ma so che non servirebbe.
Dopo qualche minuto si gira e se ne va, silenzioso com'è arrivato. Credo di averlo visto scuotere la testa. Ci sarebbe da domandarsi come ho fatto a ritrovarmi qui... ma purtroppo, so che l'uomo senza volto sono io. La prigione è dentro di me... e ora è tempo di svegliarsi.

Mi alzo faticosamente e mi metto a sedere sul letto. Muovo i piedi, come a saggiare la solidità del pavimento di legno sotto di loro. Mi passo le mani sulla faccia, stropicciandomi gli occhi. Bene, tempo di vivere un'alra entusiasmante giornata.
Non che ci sia qualcosa di particolarmente negativo, nella mia vita. Sono solo un po' distaccato da tutto. Rispondo a monosillabi, parlo poco e spesso guardo la gente come se fossero cavie da laboratorio. E questo, stranamente, non aiuta troppo la mia vita sociale... ma, del resto, non è che abbia mai desiderato averne una.
Fortunatamente, almeno sono riuscito a trovare un lavoro che coincida con il mio interesse primario – la scrittura. Faccio il revisore di bozze per una casa editrice, e occasionalmente ne approfitto per pubblicare qualche mio racconto. Beh, finché ne scrivo. Sono più o meno due mesi che non ho più un'idea da sviluppare. Ma, del resto, non sono uno scrittore professionista, quindi posso anche sopravvivere correggendo gli scritti degli altri.

«Ehi, Erik!»
Mentre sto per uscire, il signor Jansson mi ferma. È il proprietario del miniappartamento in cui mi sono sistemato. Spesso mi fanno notare che avrei potuto comprare un locale che fosse mio, ma non ne ho mai sentito il bisogno. Conduco quella che si potrebbe definire “una vita spartana”, con decisamente pochi lussi e comodità. Del resto, non sento di averne bisogno.
«Sì, signor Jansson, che c'è?»
«Oh beh, volevo avvisarti che dovrai dividere l'appartamento. Ti avevo detto che era per due, giusto?»
Cerco un attimo di ricordare il nostro dialogo quando avevo trattato l'affitto, senza riuscirci granché. Ma in fondo, spazio ce n'è in abbondanza, e la cosa mi lascia piuttosto indifferente.
«Ah, ok. Per me non c'è problema.»
«Sì, ma pare che il nuovo coinquilino arriverà stanotte tardi.»
«Beh, se non fa troppo rumore può arrivare a qualsiasi ora. E anche se lo facesse, ho comunque il sonno pesante, quindi non importa.»
«Ok allora, se per te non ci sono problemi...»
«Davvero nessun fastidio. Buona giornata, signor Jansson.»

Ed ecco, finalmente un po' di relax. Al lavoro, con un foglio di carta davanti e una matita in mano – le preferisco alle penne. Più facili da gestire. Esistono solo le parole, la grammatica, la sintassi, la buona scrittura e il mio senso critico. Beh, un bel pozzo di roba. Ma non mi serve altro.
«Erik? Erik, sto parlando con te!»
«Oh, scusa Anette. Ero concentrato nella lettura.»
«Lo so, lo so, come al solito. Credo che smetterò di chiamarti e comincerò direttamente a scrollarti, quando mi servirà la tua attenzione.»
«Non è una cattiva idea. Allora, cosa c'è di nuovo?»
«Le solite cose, altre bozze. E mi serve un consiglio su un passaggio in cui ho trovato una ripetizione che a me sembra piuttosto stridente, ma qualsiasi parafrasi cerchi di fare per evitarla finisco sempre con il complicare enormemente il discorso.»
«Già, succede spesso. E poi a volte ci sono frasi o passaggi in cui le ripetizioni sono proprio inevitabili... fa' vedere.»
Anette mi porge un foglio con un paragrafo evidenziato. Mi metto a leggere, lasciando correre i pensieri, perdendomi nelle parole... e via per un'altra giornata di lavoro, prima del meritato riposo di domani. Del resto, anche la cosa più appassionante del mondo stanca.


Ta-dah! E stavolta vi delizio con un WIP (work in progress XD) che ho cominciato stamattina. Non so dire quanto durerà (credo i soliti cinque capitoli, più o meno come Nemo), nè, quando e se riuscirò ad aggiornare (o scrivere), ma spero comunque che vi piaccia! E se non vi piace... vabbè affari vostri =P in ogni caso era quello che sentivo di scrivere.
Ah, Erica_8, grazie per il paragone con la Meyer! Devo essere sincero... non ho letto nessuno dei libri di Twilight, nè ho visto i film. Neanche perché odi il genere, quanto proprio per mancanza di interesse... non ho mai avuto voglia di cominciarne uno. Comunque, dicono generalmente è scritto abbastanza bene, e in fondo non credo che sia così orrendo. L'unica cosa che può essere fastidiosa è la mania, ma quella non è colpa del libro... piuttosto di chi ci vuole guadagnare... ma pace.
È più o meno tutto? Direi di sì. Alla prossima, affezionati quattro lettori! (Come diceva il caro vecchio Manzoni ^^)

Erik che vorrebbe stare al fresco nelle lande del Nord perché qui fa caldo!

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Capitolo 2
*** Incontro ***


II
Incontro


Di nuovo nella cella. Di nuovo l'uomo senza volto davanti a me. Ma oggi non riesco a mantenere la calma. Quando si allontana gli urlo di fermarsi, di rispondermi. Mi aggrappo alle sbarre e inizio a scuoterle, cercando di richiamarlo, o forse di fuggire. Tutto inutile.

«Va tutto bene?»
Sento una voce che mi chiama, e un contatto leggero sulla spalla. Apro gli occhi lentamente, per abituarmi alla luce.
«Mmmgrmpf...»
Mugugno. Purtroppo, appena sveglio le mie capacità di dialogo sono prossime allo zero.
«Forse volevi dormire ancora un po'? Mi spiace, ma comunque la tua sveglia stava suonando, e poi sembrava che ti agitassi nel sonno...»
Mi correggo. Non solo non riesco a parlare, ma non riesco neanche a sentire bene. Devo praticamente ricollegarmi al mondo esterno. Ma poi, chi sta parlando? Ah, giusto, il nuovo inquilino. Ma aspetta un attimo, è una mia impressione o questa è la voce di una donna?
Finalmente alzo le palpebre e metto a fuoco il mondo intorno a me. La prima cosa che vedo sono due occhi dall'iride color nocciola che mi fissano, poi il campo visivo si allarga e riesco anche a distinguere un viso tondeggiante, ben proporzionato. Naso leggermente gobbuto, ma mi sembra che si adatti bene all'armonia dei tratti. Inoltre, se la fisiognomica può avere dei fondamenti di verità, indica tendenze artistiche.
«Allora, ora che sei sveglio, come va?»
«Tutto bene, non ti preoccupare. Sogni agitati. E comunque, non sono ancora del tutto sveglio.»
Mentre parlo, mi sfrego il volto con le mani, per togliermi di dosso gli ultimi residui di sonno. Mi metto a sedere e il lenzuolo scivola, scoprendomi il torso nudo. Non ci faccio caso, sono abituato a dormire in mutande a prescindere dalle condizioni meteo. Poi mi accorgo che il letto dell'appartamento è un matrimoniale e mi blocco.
«Uhm... senti... ti ho calciata stanotte? Urtata? Spinta? Ti ho dato fastidio in qualsiasi modo?»
«No, tranquillo. Hai dormito placidamente – beh, almeno fino a poco fa. E io mi sono riposata a dovere. Ma non hai freddo? È inverno, fuori la temperatura passa spesso e volentieri sotto zero.»
«Nessun problema, ci sono abituato. Ah, e per dovere di cronaca, dormo sempre in mutande e adesso ho intenzione di uscire dal letto per vestirmi. Non so come la pensi tu, ma avviso in caso ti dovessi scandalizzare. Ah, un'ultima cosa. Che giorno è oggi?»
Il suo viso si colora leggermente quando accenno al fatto che sono più o meno nudo.
«Domenica, e mi sembra strano che tu abbia messo la sveglia. Comunque... sì, ti lascio un attimo e ti aspetto in cucina. Cosa prendi per colazione?»
«Mi piace svegliarmi presto. Ma davvero vuoi prepararmi la colazione? Sei una persona speciale, lasciatelo dire. Latte non troppo caldo, cinque minuti dovrebbero bastare.»

Esco dalla stanza in tenuta domenicale. Anfibi pesanti, capello sciolto, borchie e catene a caso che fanno sempre bene, maglia con disegno gotico e pantaloni multitasca. Mi avvicino al tavolo mentre la ragazza sta togliendo il cibo dai fornelli.
«Ok, adesso sono più presentabile... e soprattutto più lucido. Buongiorno, coinquilina.»
«Buongiorno anche a lei, carissimo – risponde lei sorridendo – e ben incontrato. Io sono Lenore, ma puoi chiamarmi Lena.»
Stringo saldamente la mano che mi porge.
«Piacere di conoscerti. Io sono Erik, e mi chiamano tutti Erik. Se vuoi però puoi anche chiamarmi con un fischio, un urlo, o qualsiasi suono che riesca ad attirare la mia attenzione.»
«Non male come presentazione. Decisamente fuori dagli schemi. Pare che dovremo dormire insieme, senza neppure conoscerci.»
«Così pare. Dovrò cominciare a usare un pigiama?»
«Non sarà necessario...  se posso star sicura che non tenterai di avvicinarti troppo durante la notte.»
«La notte dormo. E comunque non ho tempo per queste cose.»
Sul suo viso compare un misto di sorpresa e stupore.
«Notevole risposta. Ho anche notato che mi hai sempre guardato negli occhi... se per te io sono speciale, di certo non si può dire che tu sia nella media.»
«Grazie. Ma del resto ti sto parlando, perché non dovrei guardarti il volto? Ah, certo, magari pensi al maschio medio, il cui sguardo viene spesso calamitato dagli attributi femminili... ma per fortuna non sono così.»
«Mi hai lasciata senza parole. Non so cosa dirti.»
«Sì, succede spesso.»
Finisco la mia tazza di latte, e ne approfitto per togliere tutto dalla tavola dato che anche Lena ha bevuto il suo caffè. Mentre le passo vicino, sento distintamente il suo odore. Metto le stoviglie a lavare, poi mi avvicino di nuovo a lei e ispiro a pieni polmoni, dilatando le narici mentre tengo gli occhi chiusi. Quando li riapro, lei mi sta fissando sconcertata.
«Scusa. Hai un buon odore. Mi piace. E mi piace anche fermarmi ed osservare il mondo usando altri sensi oltre alla vista, a volte. Non ti preoccupare, sono fondamentalmente innocuo.»
«Ah... ok... scusa, ma sai, uno che senza preavviso si avvicina e ti annusa è un po' inquietante...»
«Beh, immagino di sì. Comunque tranquilla: per quanto schizzato, ho una ferrea regola morale. Posso fare tutto, ma non devo mai compiere atti di aggressione verso terzi. La violenza è utilizzabile solo per autodifesa e in casi estremi.»
«Sai cos'è strano di te? L'impassibilità. Sembri quasi sempre distante da tutto questo, come se non ci fosse niente in grado di scalfirti. Comunque, devo chiederti un favore.»
«Dimmi pure.»
«Dato che mi sono appena trasferita, e che oggi è domenica, quindi giorno libero... potresti accompagnarmi a visitare la città, in modo che possa cominciare ad orientarmi?»
«Nessun problema. Sei pronta? Usciamo anche subito.»

Per tutta la mattinata le faccio da guida attraverso la città, mostrandole dove si trovano i servizi essenziali, gli edifici amministrativi, e magari luoghi di ritrovo. Nel frattempo parliamo del più e del meno, e così scopro che è una chitarrista alla ricerca di una band – o almeno di persone che abbiano voglia di suonare seriamente.
Decidiamo di pranzare fuori, anche se poi dovremo sopportare molto probabilmente due o tre ore di vuoto. Per qualche strano motivo, nelle ore tra mezzogiorno e le tre non si trova mai gente in giro; cominciano a tornar fuori solo verso le quattro. Non ho mai trovato una spiegazione logica a questo comportamento – certo, non che mi sia sforzato più di tanto per cercarla.
«Ho letto alcuni dei fogli che hai attaccato al frigorifero. Ci sono frasi molto belle.»
«Felice che ti siano piaciute. Quando trovo qualcosa di interessante, lo scrivo subito e lo attacco in bella vista in modo da poterlo leggere ogni tanto. Alcune sono mie.»
«Davvero? Un esempio?»
«Quella sul dolore. “Sono troppo impegnato a studiare il mio dolore, per avere il tempo di essere felice.”»
«È un po' negativa come affermazione, direi.»
«Nel momento in cui l'ho scritta era vera. E comunque, leggerla spesso mi ha aiutato a uscire fuori da quel circolo distruttivo.»
Certo, bisogna vedere in che modo. Ma l'importante è non dare più corda a comportamenti simili.
«Quindi sei un po' scrittore. E hai dei notevoli gusti musicali – sì, ho anche studiato la tua collezione di dischi. Magari conosci qualche musicista interessato a suonare?»
«Certo. Ci sto parlando ora.»
Incurvo leggermente gli angoli della bocca, a formare il vago ricordo di un sorriso.
«Ok, a parte gli scherzi, se ti va di suonare generi abbastanza pesanti, un po' di gente forse potrei conoscerla. Perlomeno, la saluto quando la incontro, e già è tanto dal punto di vista delle mie relazioni sociali. Di solito si possono trovare in giro il pomeriggio, se siamo fortunati riusciamo ad incontrarli oggi.»

E così, eccoci in giro per i luoghi di ritrovo della città. Beh, più che altro facciamo un giro panoramico per ingannare il tempo. Avete presente quel curioso comportamento che avevo evidenziato prima? Ecco, il discorso è valido in generale, ma anche queste persone che conosco fanno in quel modo. Niente di troppo grave comunque.
Alla fine li troviamo al parco centrale. Sono facili da individuare; basta cercare una concentrazione più alta di capelli lunghi, vestiti neri e borchie. Ok, ok, era un'esagerazione. Ma è divertente, e in ogni caso non troppo lontana dalla realtà.
«Oh, guardate chi arriva! Il poeta!»
Uno dei ragazzi si stacca dal gruppo e mi raggiunge.
«Salve, Olaf. Tutto bene?»
«Oh, nessun fatto degno di nota. Piuttosto, è la prima volta che ti vediamo in dolce compagnia! Questo sì che è un evento storico! Forza ragazzi, bisogna bere per festeggiare! Anche tu, Erik! Prendi della birra!»
Sospiro e lo guardo un po' storto. Ecco cos'avevo dimenticato. Un'alta concentrazione di lattine di birra.
«Sai perfettamente che non è il mio genere di alcolico. Comunque, a parte queste amenità, ti presento Lenore. È una chitarrista e sta cercando un gruppo. Vi lascio a discutere di persona.»
«Ah, ok. E tu invece che fai nel frattempo?»
«Ascolto e aspetto. Tanto non ho scadenze importanti.»
Lena mi guarda un attimo... direi perplessa. Non so interpretare bene quello sguardo. Poi si gira verso Olaf che la presenta al resto della compagnia. Osservo per un po', prima di perdermi di nuovo nei miei pensieri.

«Beh, che giornata oggi!»
«Abbastanza impegnativa, sì. Allora, che ti hanno detto? Hai trovato con chi suonare?»
«Quasi tutti hanno già un gruppo, se non due. Comunque mi hanno detto che chiameranno altri musicisti che conoscono loro e che stanno cercando altri membri per le loro band. Adesso devo solo aspettare... anche se chissà quanto ci vorrà...»
«Probabilmente dovrai trovarti un lavoro.»
«Avevo già preso contatti con una ditta. Elemento part-time, ma ho calcolato che lo stipendio mi può bastare. Ho già inviato il curriculum e fatto un colloquio a distanza, e mi hanno detto che mi hanno assunta. Domani comincio, e grazie a te che mi hai fatto da guida so dove si trova il posto.»
«Prego, non c'è di che. Comunque, sono stanchissimo. Non so tu, io vado a dormire. A domani.»
«Ok, buonanotte! Ti raggiungo tra poco... e grazie per il tuo aiuto.»


Che capitolo infinito! Non smettevo più di scrivere... forse avrei dovuto tagliarlo a metà, ma mi sembra che sia meglio così.  Chiara_96, scusa, ma era davvero così evidente la cosa? Come hai fatto a indovinare? Per un attimo ho avuto voglia di cambiare tutto e far venire un uomo, ma poi era un macello. E comunque, per la storia mi serve Lenore XD
Beh, a dirla tutta nessuno dei miei personaggi è totalmente inventato. Hai presente i vestiti del ragazzo in "Cuore di Macchina"? Sono i miei, quando il tempo lo permetto giro vestito in quel modo... è bello! E potrei fare molti altri esempi... come con Nemo... comunque, ebbasta autoconvincersi di scrivere da schifo! Intanto già scrivere è un gran risultato, e soprattutto farlo senza evidenti errori di grammatica sintassi o ortografia! Fidati, ho letto di molto peggio.... quindi coraggio! E ricorda che solo scrivendo potrai scrivere meglio!
Ah, comunque anch'io amo le storie d'amore. Sono un romanticone, lo so. (Un uomo decisamente anomalo XD) Immagino però che si fosse notato... se non sbaglio praticamente tutti i miei racconti sono nella sezione "Romantico"! XD
A presto a tutti voi!

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Capitolo 3
*** Lena ***


III
Lena

«Pronto?»
«Lena, finalmente! Da quando ti sei trasferita non hai più chiamato! Cominciavo seriamente a preoccuparmi!»
Ridacchio. Helga, la mia migliore amica, è sempre un po' esagerata.
«Addirittura! Non è passato così tanto tempo... solo tre settimane! Scusa comunque... sono stata abbastanza impegnata.»
«Già, immagino. Allora, come va nella nuova città?»
«Direi bene. Il lavoro non è troppo entusiasmante, ma almeno sono indipendente. Ho già incontrato un gruppo di pazzi tra cui ci sono molti musicisti, e fra tre giorni ho le prime prove con un gruppo!»
«Davvero? Buona fortuna allora! E mi raccomando, avvertimi sempre quando avrai dei concerti, così sarò in prima fila! Ah, l'appartamento invece com'è?»
«Non male. Molto spazioso, nonostante lo debba dividere con un'altra persona.»
«Hai una coinquilina? Beh, spero che almeno ti ci trovi bene...»
«Oh, per ora non abbiamo avuto contrasti. Comunque è un lui.»
Dall'altro capo del telefono sento un'esclamazione stupita.
«Dividi l'appartamento con un uomo??»
Lo dice con un tono di voce a metà tra il malizioso e l'incredulo.
«Beh, sì. Ma non vedo cosa ci sia...»
«Spero che almeno sia un bel tipo! Coraggio Lena, potrebbe essere la tua occasione!»
«Bello? Per i miei gusti, abbastanza. Ma lo sai che guardo soprattutto il carattere...»
«Sì, sì... e lo sai che secondo me, il carattere più meraviglioso del mondo non basta a compensare un corpo evidentemente brutto.»
«Solo perché tu sei una superficialona.»
Ecco, adesso cominceremo a prenderci in giro a vicenda. Ogni volta che parliamo succede sempre... non che mi dispiaccia. È liberatorio, a patto di non esagerare.
«Sì, sì... comunque, sono tre settimane che state insieme! Qualche sentimento ormai si starà sviluppando, o no?»
«Punto uno: viviamo insieme, e non per scelta. Punto due: non è detto che la convivenza tra due persone faccia per forza nascere qualcosa tra di loro, o sbaglio?»
«Dipende. Prima di tutto, proprio per la struttura della natura umana, un qualche tipo di rapporto si instaura. Non è detto che sia amore, su questo hai ragione, ma un sentimento dietro c'è sempre.»
«Oooh... grazie per la lezione di psicologia.»
«Di nulla carissima. E comunque, non vorresti finalmente vivere una storia d'amore anche tu?»
«Una l'ho già vissuta veramente... a suo tempo te ne ho anche parlato. E sai che non è andata a buon fine.»
«Sì, lo so... intendevo appunto una storia che finisse bene.»
«Boh, non saprei. Ora come ora sono concentratissima su me stessa, e non sono sicura di volermi affezionare a qualcuno. Ricordi i nostri ultimi discorsi? Ancora non vedo un motivo a questa regola sociale del trovarsi un compagno.»
«Non è una regola sociale... è che è magnifico amare e condividere la propria vita!»
«Su questo ti potrei dar ragione. Ma fidati, è anche una regola sociale.»
«Va bene, va bene... senti, ma adesso mi viene il dubbio: l'appartamento è uno solo per due persone, e ovviamente ci sono letti singoli separati, vero?»
«Ah.»
Istintivamente arrossisco. Voglio dire, fin'ora ho sostenuto che non c'è niente tra me ed Erik, e ora mi trovo a dirle che dormiamo insieme. Certo, potrei sempre dire che ci sono letti singoli e quindi dormiamo separati, ma le bugie non sono il mio forte. E inoltre, di solito dopo per mantenere una bugia e non farti scoprire finisci con il complicarti la vita in modo assurdo.
«Ecco... veramente c'è solo un letto matrimoniale.»
Helga rimane in silenzio per un attimo. Immagino di averla scioccata leggermente...
«Quindi, fammi capire...»
«Sì...»
«Tu hai dormito per tre settimane con un uomo appena conosciuto...»
«Sì...»
Credo che, al momento, se confrontassero la mia faccia con una bandiera della Svizzera la bandiera sembrerebbe sbiadita.
«E ci dormirai ancora a lungo...»
Non dico più niente. Resto in attesa, sperando che si sbrighi a finire... prima che il viso mi si accenda come un faro.
«E vorresti farmi credere che non c'è niente tra di voi? Voglio dire, sai che non sono all'antica... se vuoi divertirti senza legami puoi farlo pure, non ti critico per questo...»
Ecco. Lo sapevo. Lo sapevo lo sapevo lo sapevo che avrebbe detto così.
«Ma il fatto è che davvero non c'è stato niente! Insomma... ci siamo trovati a dover dormire insieme per necessità... e non ho mai voluto “divertirmi” come dici tu... né lui mi ha mai fatto delle proposte da questo punto di vista.»
«Stai dicendo sul serio? Perché mi sembra quasi un racconto di fantascienza... a meno che non sia già impegnato e fedele... beh, anche questa è quasi fantascienza però.»
«Come sei diffidente. Comunque... non so... di sicuro è strano. Ci credi se ti dico che non l'ho mai visto sorridere? In tre settimane non ha mai cambiato espressione. Parla sempre con lo stesso tono... sembra quasi impassibile a tutto. Non usa mai la parola “persone”, ma parla di “esseri umani”, e ogni tanto ha lo stesso sguardo che potrebbe avere uno scienziato quando osserva delle cavie da laboratorio.»
«Wow, inquietante! Eppure ti ci trovi bene?»
«Sì, questi sono solo dei caratteri che lo rendono particolare, ma in generale è sempre calmo e tranquillo. Molto gentile e riflessivo... quindi non posso dire che sia una cattiva persona. Sai che scrive? Non come lavoro, come hobby intendo. Racconti e poesie... ed è molto bravo.»
«Un letterato? Notevole. Ehi, adesso purtroppo ti devo salutare. È stato un piacere sentirti... non aspettare altre tre settimane prima di far avere tue notizie! E ovviamente... fammi sapere se per caso succede qualcosa tra voi due.»
La sento ridere mentre finisce la frase.
«Se succederà... ma non so, tutti e due abbiamo i nostri impegni... non posso parlare al posto suo, ma io personalmente ora come ora voglio dedicarmi alla musica... e all'amore penserò dopo. Non so spiegarmi meglio... ma non è questo il momento.»
«Fa' come vuoi... ricordati solo di vivere senza rimpianti. Se ti senti bene così, non sarò io a dirti cosa fare... a presto Lena! Stammi bene!»


Un capitolo di dialogo! Ma perché mi vengono certe idee fuori di testa? Ah giusto, perché sono fuori di testa anch'io XD Comunque, ecco qua. La storia prosegue! E chissà come andrà a finire... Erik è quello strambo uomo che è, Lena è persa dietro la musica e la sua carriera di chitarrista. Più o meno sono due sconosciuti in casa...  quindi... lieto fine o tragedia annunciata? Mah, vedremo. (io un'idea ce l'ho, ma dopo so che va a finire che la storia prende sempre un'altra direzione, quindi è inutile parlarne U_U)
Alla prossima!

Erik

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Capitolo 4
*** Vigliaccheria ***


IV
Vigliaccheria

Ancora una volta sono imprigionato. Sdraiato sul pavimento, con la testa pulsante. Il dolore si dirama dal cervello lungo tutti i nervi. Sono come impulsi che mi aiutano a tornare cosciente. Mi rialzo faticosamente, barcollando un po'. Mi appoggio una mano alla tempia, cercando di placare le fitte. Poi comincio a guardarmi intorno, anche se una parte di me sa già quello che vedrò.
Sempre la solita cella, e sempre l'uomo senza volto dietro le sbarre. Mi domando quale sia il motivo del dolore; non è la prima volta che faccio questo sogno, ma non era mai stato accompagnato da sensazioni fisiche. Il massimo che poteva succedere era un malessere psicologico.
Il mio alter ego mi sta osservando, ma stavolta è dentro la stanza insieme a me. Per qualche strano motivo, la sua faccia resta sempre in ombra. Magia dei sogni, come si suol dire... resta davanti a me e lo fisso a mia volta, come sfidandolo ad agire. Direi di star sostenendo il suo sguardo, ma non riesco a vedere i suoi occhi, quindi mi sembra una cosa assurda da pensare.
Dopo qualche minuto – non ho cognizione del tempo, non posso essere preciso – si volta come sempre e si allontana. Non voglio lasciarlo andare però. Non starò zitto, ora che ho questa occasione. Quando sta sulla soglia parlo.
«Torna indietro e affrontami, codardo!»
Lui si blocca. La sua silhouette sembra fremere, e sento distintamente la sua rabbia crescere oltre misura.
«Non – osare – chiamarmi – così!» urla, prima di girarsi all'improvviso, afferrarmi con una presa d'acciaio e scagliarmi oltre la porta, facendomi ruzzolare lungo il corridoio per almeno tre metri. Mentre cerco di riprendermi dall'urto si avvicina a grandi passi, per poi prendermi di nuovo dalla collottola e guardarmi in faccia. Finalmente il suo volto è illuminato, e quando lo vedo istintivamente rabbrividisco.
Sono io, e allo stesso tempo non lo sono. La parte destra del suo viso – ma forse anche del suo corpo, a giudicare da quel che vedo sul braccio che mi tiene saldamente – è coperta da una fitta rete di cicatrici biancheggianti, che la rendono una maschera spaventosa. Si accorge del mio sguardo e sorride, con odio.
«Già, non ho una faccia meravigliosa? E tu mi hai chiamato codardo... bene, guarda! Perché su tutto il mio corpo ho le prove del contrario! Le prove che io, almeno, ho combattuto guardando in faccia chiunque mi si opponesse! Puoi dire lo stesso di te?»
Mi getta a terra un'altra volta, mentre la luce nel corridoio aumenta. Non riesco a capire da dove viene – non si vedono lampade, finestre o fessure da cui possa entrare. Adesso lui – cioè io – si è tolto la camicia, e anche il suo torso è costellato di ferite. Sembra quasi che mi sia travestito come il mostro di Frankenstein. La cosa interessante, comunque è che i segni sono tutti concentrati solo sul lato destro del suo corpo. Tossisco e cerco di reagire.
«Cosa diavolo... ok, va bene, non sei un codardo, ma perché mi hai imprigionato? Insomma, cosa ci faccio in questo sogno assurdo?»
La mia domanda sembra solo irritarlo di più.
«Io ti ho imprigionato? È questo che credi? E anche se io sono te, l'unica cosa che sei capace di pensare è che questo sia un sogno? Mi ricordavo di essere più intelligente, davvero. Non l'hai ancora capito? Maledetto vigliacco, sei arrivato al punto di cancellare i tuoi ricordi pur di non affrontare la realtà?»
L'ultima frase è urlata con tanto sentimento da sembrarmi impossibile. Ancora però non riesco a capire. Le cose che sto dicendo, di cui mi sto accusando, non mi fanno scattare niente in mente. Mi perdo tra i miei pensieri un attimo di troppo. Il suo pugno mi raggiunge allo stomaco, con la forza di un maglio, e il respiro mi si mozza. Mi sta fissando con odio, e so che non esiterà ad attaccarmi ancora.
Sono debole, purtroppo. Troppi scossoni prima, e adesso il pugno. Mi lancia di nuovo lungo il corridoio, e l'unica cosa buona in questo è che ora avrò il tempo di reagire. I miei riflessi cominciano a svegliarsi, e dopo due rimbalzi controllo la mia caduta fino a tornare in piedi, in posizione di guardia.
«Bene, bene. Almeno ti sei svegliato un po'. Così sarà più divertente.»
Sono tutto dolorante – ma diamine, questo è un sogno! Eppure il dolore sembra così reale – e non posso reggere uno scontro diretto con lui. Lo vedo scattare verso di me, e riesco ad evitare il pugno per un soffio. Sento un rumore sordo, e vedo che ha colpito il muro... scheggiandolo. Ok, è un sogno, quindi è possibile. Una scena molto da fumetto, ma che importa...
Continuo a schivare i suoi attacchi uno dopo l'altro, ma è una tattica sfiancante. Devo arrendermi, sperando che non si avventi su di me come sembra avere intenzione di fare, oppure cercare di nascondermi finché non mi sarò rimesso. Opto per la seconda soluzione, e fuggo lungo il corridoio verso l'uscita.
«Fuggi ancora, vigliacco? Non importa! Conosco bene questo posto, ti troverò!»
Che frase scontata. Pensavo che sarei stato capace di dire di meglio. Eppure... oh, cavolo. Lui è me. Certo che mi troverà! Ora me ne accorgo... c'è un legame tra noi due. E prima non l'ho schivato... è lui che ha deciso di mancarmi. Non importa. Devo fuggire lo stesso. Almeno oltre quella porta...
Esco dal corridoio e mi blocco, incredulo. La porta non conduce in un'altra stanza, bensì all'esterno. Sarebbe un'ottima cosa, se la mia cella non si trovasse in cima ad una torre di cui non riesco a vedere i piedi. Faccio un rapido giro dello spiazzo su cui mi trovo, cercando delle scale o almeno un modo di scendere. Niente. Perfetto, non mi resta che aspettare.
«Non sei andato molto lontano, a quanto pare.»
Mi giro, e lo vedo di nuovo di fronte a me. Ha delle ferite fresche sulla mano, ma sembra non curarsene. Deve essersele procurate quando ha scheggiato il muro, i frammenti di pietra devono averlo colpito. Sorride sinistramente, come se sapesse di avere la vittoria in pugno.
«Bene, bene, bene. E adesso dove fuggirai, eh, coniglio? Non ci sono posti in cui ti possa rifugiare. Cosa farai, quindi? Nel dubbio, resta ad ascoltarmi, così forse ti ricorderai come sei finito qui...
«Allora, davvero credevi che io fossi il tuo carceriere? Dato che io sono te, in un certo senso hai ragione. Ma devo purtroppo renderti noto che sei stato tu a scegliere di imprigionarti... e di condannare anche me.
«Come puoi notare... sono un tipo abbastanza combattivo. Una testa calda, per così dire. La mia tendenza allo scontro è certo un po' negativa, ma compensata dalla mia immensa riserva di energia. Non mi arrendo quasi mai, a meno che la lotta non sia evidentemente a mio sfavore, e anche in quel caso comunque provo lo stesso a vincere. Tu invece... no, tu non hai questa forza.
«Non te ne faccio una colpa, beninteso. Sei molto più calmo e riflessivo, e anzi riesci anche a trovare soluzioni diplomatiche dove io preferisco una sana zuffa. E sia ben chiaro che sto parlando anche metaforicamente, non è che gli scontri debbano essere per forza fisici.
«Però hai paura. Tutti ne hanno, è normale, ma ognuno decide se affrontarla o fuggire. E tu hai scelto di fuggire senza ritegno... fino ad arrivare in questo luogo.
«Cominci a capire ora? Non è che ti sentivi fuori posto nel mondo, è che avevi paura di affrontare le conseguenze delle tue scelte. Avevi paura del dolore che la vita avrebbe potuto infliggerti. E così ti sei rifugiato in questa torre irraggiungibile, dentro una comoda e confortevole cella. Avrei anche potuto accettare questa tua scelta, se non avessi deciso che io dovevo seguirti.
«Beh, deciso. Non è che possiamo separarci più di tanto. Comunque sia, alla fine mi sono ritrovato ad essere il vero prigioniero, mentre tu eri perso nel tuo esilio volontario. E adesso non so neanche che modo possa esserci per tornare indietro. L'unica cosa che provo è un immenso e sconfinato rancore verso te, per la sofferenza a cui mi hai condannato. Mi hai reso incredibilmente forte, è vero, ma ad un prezzo molto alto; io, al contrario di te, volevo vivere... anzi, lo voglio ancora.
«Adesso sai, dannato codardo. Adesso sai perché non dormi, perché non senti più niente. Adesso sai perché non hai più scritto niente. Spero soltanto che tu sappia come fuggire da questo inferno... perché altrimenti io sarò la tua morte.»


Questo capitolo mi è venuto molto più lungo di quanto avevo previsto!  E lo sclero qui diventa evidente... una doppia personalità? O_O (beh dai non è così terribile. Tu ne hai ben più di due U_U)
Scusate, non fate caso a quando parlo da solo. Comunque... al prossimo capitolo! Che, probabilmente, sarà anche l'ultimo...

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Capitolo 5
*** Squalo ***


V
Squalo


Spalanco gli occhi, respirando affannosamente. È la prima volta che mi sento quasi affaticato dopo aver sognato. Certo, va detto che è anche la prima volta che faccio un viaggio mentale del genere durante il sonno. Mi accorgo inoltre che mi sono addormentato in poltrona, altra cosa che non mi era mai successa. Ok, sto decisamente peggiorando di brutto.
Leggere e diafane, le note di una chitarra arrivano al mio orecchio. Lena si sta esercitando, anche se questa è una canzone che non ho mai sentito. Mi alzo estendendo tutti i muscoli, riattivando le varie articolazioni. Ondeggio un po', come se stessi smaltendo una sbronza, poi scuoto la testa tre o quattro volte e mi dirigo verso il suono, un po' più sveglio di prima.
Quando mi vede entrare nella stanza, Lena mi fa un cenno di saluto con la testa. Resto in silenzio, aspettando che finisca.
L'esercizio si conclude con un arpeggio sfumato, e una volta suonata l'ultima nota Lena resta ancora qualche secondo a fissare il foglio. Mi domando a cosa stia pensando – a cosa possa pensare un musicista quando vede quei segni scritti in un codice che non tutti sanno interpretare completamente.
«Ben svegliato. Dormito bene?» Mi chiede, mentre comincia a mettere via la sua attrezzatura.
«Non troppo. Per quanto tempo sono rimasto addormentato?»
«Beh, non lo so. Quando sono tornata, alle sette, eri già nel mondo dei sogni, e mi sono messa subito a suonare. E adesso, invece, fammi controllare l'orologio... sono le nove e mezzo.»
Strabuzzo gli occhi. Come minimo due ore e mezzo di sonno... e chi dorme più adesso?
«Oh cavolo... odio dormire di pomeriggio, va a finire che mi si sconvolgono sempre gli orari. Vorrei solo capire come mi è successo...»
«Forse eri stanco? Insomma, se non lo sai tu... io posso solo tirare a indovinare. Comunque, cambiando discorso... ho letto le tue opere. C'era una stampata sulla scrivania accanto al computer.»
«Oh, giusto. Fai pure, le cose scritte che si trovano in giro vanno sempre lette.»
«Hai scritto anche delle canzoni.»
«Sì, anche se sono più portato per manovrare le parole rispetto alla musica. Per questo sono sempre rimaste come poesie.»
«Capisco... potrei usarne qualcuna per il gruppo? Sono molto belle, come la maggior parte degli altri scritti.»
«Nessun problema. Anzi, finalmente avrò il piacere di ascoltare qualcosa a cui ho contribuito anch'io.»
Nella stanza scende il silenzio. Resto ancora un po' ad osservarla, mentre lei sostiene il mio sguardo. Non mi viene in mente niente per continuare la conversazione... come sempre, del resto. È molto più bello riflettere in silenzio e cercare di catturare ogni particolare del momento che si sta vivendo, piuttosto che parlare e rovinare tutto. Almeno, io la penso così.
Dopo qualche minuto Lena tossisce, riportandomi alla realtà. Si alza in piedi con uno scatto energico.
«Ok, mi dispiace interrompere così il tuo idillio... ma ho fame, e quindi vado a preparare la cena. Vuoi qualcosa?»
«Sì, aiutarti a preparare. Ok, scherzi a parte ho fame anch'io. Scusa se mi ero fissato un attimo...»
«Non ti preoccupare» risponde lei sorridendomi «del resto, per un po' di tempo mi sono persa anch'io nella contemplazione... ah, e grazie per l'aiuto.»
«Di nulla.»

Non riesco a dormire. Sicuramente, in parte a causa del mio non previsto sonnellino pomeridiano, ma anche i pensieri che mi frullano in testa hanno la loro responsabilità nel tenermi sveglio. Dovrei calmarmi – concentrarmi su qualcosa, sgombrare la mente. Come si suol dire, meditazione...
Sento Lena respirare tranquillamente. Ha un ritmo calmo e pacato, e cerco di seguirlo per rilassarmi un po'. Chissà, forse se mi concentro abbastanza riesco anche a sentire il suo cuore che batte. Mi immobilizzo, cercando di fare il minimo rumore possibile mentre lascio entrare e uscire l'aria dai miei polmoni. Sento un grillo fuori, chissà dove, il rumore delle auto che passano. Ancora il silenzio non è totale. Cerco di escludere mentalmente ogni suono che venga dall'esterno della stanza. Lentamente, i rumori estranei mi giungono sempre più rarefatti, finché non riesco a ovattare ogni percezione dell'esterno... e finalmente lo sento.
Tump-tump. Tump-tump.
Anche il suo cuore batte placidamente, come se non avesse fretta. Apro gli occhi e la guardo. La coperta si alza in modo impercettibile ad ogni suo respiro.
Tump-tump. Tump-tump.
Non so perché, ma il suono del suo battito cardiaco ha un effetto calmante su di me. Sento i miei muscoli che si rilassano, perdendosi un po' in esso, poi mi fisso ad osservare il suo viso.
È bella. Ed è la prima volta che formulo un giudizio su di lei, perché non mi piace troppo dover giudicare. Trovo che sia un compito ingrato, e credo fermamente che sia meglio accettare le persone così come sono.
Per i miei gusti, però, lei è bella. Lunghi capelli castani con sfumature rosse – si notano bene sotto la luce, ora tutto ha le tinte grige e bluastre della notte – e la pelle bianca e liscia come un foglio di carta vergine della migliore qualità. Sorrido un po' per il paragone bizzarro, ma è un segno di come ho vissuto, delle mie passioni. La carta, che sia già scritta, con tutte le avventure che può racchiudere, o che sia da scrivere, con tutte le avventure che invece devono essere svelate.
Mi ritrovo a pensare che tutte quelle famose frasi d'amore adesso non mi sembrano scritte da scrittori. Perché nessuno ha mai detto – o scritto – qualcosa del tipo “siamo come carta e penna”? Sembrano due cose distinte. La penna scrive sulla carta, non c'è un rapporto pari tra di loro. Ma senza carta, la penna è inutile. Senza penna, si possono usare le matite – sorrido alla mia battuta – vabbè, scherzi a parte, non serve una superfice su cui scrivere senza uno strumento per la scrittura. E soprattutto, carta e penna condividono il sogno di una mente sola. Sì, il sogno di uno scrittore, ma non so se le vite umane abbiano uno scrittore che narra le loro gesta. Se allora due persone sono come carta e penna, i sogni che condividono sono i loro. E questa, davvero, dev'essere una cosa bellissima.
Allungo una mano verso i suoi capelli. Vorrei accarezzarli, sentirli scorrere sotto le mie dita. Mi fermo a metà strada, ripensando a ciò che ci siamo detti quando ci siamo conosciuti la prima volta. Non ho fatto né promesse né giuramenti, sia espliciti che impliciti. Ma dissi che non mi sarei mai avvicinato troppo a lei durante la notte.
Potrebbe non accorgersene, certo. Solo una carezza leggera, che vuoi che sia, insomma? Non ho cattive intenzioni! Ma devo mantenere la parola data, non m'importa quanto assurda sia la situazione. Il mondo è pieno di ipocriti, approfittatori, non posso permettermi di diventare uno di loro. Se voglio accarezzarla, posso chiederle il permesso quando sarà sveglia. Posso aspettare.
Ritiro la mia mano, e all'improvviso il mio disagio si concretizza, dandomi l'impressione che il mio stomaco venga aspirato verso l'interno. Mi piego in due, mentre i crampi si diffondono lungo tutti i miei muscoli. È una sensazione così... forte... digrigno i denti, mentre questo terribile senso di vuoto si espande nella mia pancia. Stomaco, fegato, milza... c'è solo un enorme buco pulsante e dolorante. Ho capito, stanotte decisamente non si dormirà...

Lena entra in cucina pettinandosi i capelli con le dita, gli occhi ancora semichiusi dal sonno. È la prima volta che la vedo in pigiama, abbiamo sempre fatto in modo di trovarci uno di fronte all'altro svegli e pimpanti.
Indossa una vestaglia lunga fino al ginocchio, e permetto al mio sguardo di scivolare anche sul suo corpo, anziché fissarmi sul volto come faccio di solito. Gambe lisce e sottili, ma dai muscoli ben definiti. Braccia proporzionate alla sua corporatura.
I suoi piedi nudi strusciano sommessamente sul pavimento in legno mentre si avvicina al tavolo, poi prende una sedia e si accomoda.
«Vuoi un po' di caffè? Latte?»
«Mmm... latte, grazie, alla tua temperatura.»
Decifrando il messaggio, lo interpreto nel senso di “alla temperatura alla quale lo bevi di solito tu” e mi giro verso i fornelli, iniziando a preparare. Nel frattempo, sento che lei si stiracchia e sbadiglia, togliendosi di dosso gli ultimi residui del riposo.
«Non hai dormito, stanotte?»
«No... credo che sia colpa del sonnellino pomeridiano. Ad un certo punto ho deciso di mettermi a scrivere, almeno avrei fatto qualcosa di utile.»
«Hai ricominciato a scrivere?»
«Sì, mi era venuta una buona idea. Certo, poi c'è la possibilità che fosse un'allucinazione dovuta alla stanchezza, ma è pur sempre meglio di niente, no?»
Sorride alla mia battuta, mentre prende la tazza con il latte caldo che le porgo.
«Immagino di sì. Sai, oggi ti sento più vitale del solito. Come mai?»
«Credo che sia una forma di compensazione... combatto la stanchezza con l'iperattività.»
«Andare a dormire?»
«Non riesco a chiudere occhio.»
Fa cenno di avermi capito, poi si dedica alla sua colazione. Io invece cerco di capire cosa mi sta succedendo, mentre sento un'altra ondata di nausea che sale. Mi siedo, cercando di non far vedere il colore livido delle mie nocche tese. Lena finisce di mangiare.
«Ora sto decisamente meglio. Vado a cambiarmi.»
Mi sforzo per rispondere senza tradire la mia tensione.
«O-ok. Io tanto sto sempre qui, non mi sposto di certo.»

Codardo. Codardo. Codardo. Codardo! Codardo! CODARDO!

Non so quanto tempo sia passato, quando la vedo rientrare dalla porta. Non m'importa neanche, del resto. Sono perso nella mia tensione, ma mi sblocco non appena mi parla.
«Allora, come va?»
Penso a una risposta.
«Tutto... tutto bene, grazie.»
Mi osserva critica. È la prima volta che la vedo con uno sguardo simile, e mi rendo conto che non mi ha creduto. Ero troppo distante, troppo incerto per risultare credibile.
«Non è vero. Come va?»
Chino la testa, silenzioso. E in quel momento scatta una piccola voce dentro di me.
«Già, hai ragione. Non posso continuare a fuggire.» dico, improvvisamente sicuro e freddo. Sto parlando più a me stesso che rispondere a Lena. «Come va... male, dannazione! Male! Non sono altro che un dannato codardo! Codardo! Mille volte vigliacco!»
«Dimmi, cosa ti fa dire questo? Non ho elementi per giudicare.»
La sua calma mi sorprende. In generale, la sua reazione è di per sé straordinaria: l'essere umano medio mi avrebbe rincuorato, oppure si sarebbe defilato. Lei invece mi chiede di precisare.
«Per quale motivo sono un codardo, mi chiedi. Ecco, sono sempre fuggito, vedi? Da ogni responsabilità. Da qualsiasi legame. Da tutti i contatti umani. Ho vissuto, finché potevo, come una nave alla deriva in mezzo all'oceano. E non solo: ho sistematicamente rifiutato ogni avvicinamento. Mi spaventavano. Anzi, mi spaventano ancora.
«Certo, questo è tutto un discorso psicologico. Ma non importa. La verità è che sto fuggendo da me stesso, e adesso sono arrivato di nuovo al punto di rottura. Forse l'unico momento in cui non sono fuggito è stato cinque anni fa.»
«Cinque anni fa?»
«Già, quando mi sono trasferito qua. Quando ho deciso di abbandonare la mia famiglia, il mio paese, per buttarmi nell'ignoto con nient'altro che la mia tenacia. Ce l'ho fatta, almeno fin'ora... ma devo riconoscere che il primo impatto è stato terribile. Sradicarsi, abbandonare tutto ciò che si conosce alle proprie spalle e tuffarsi chiudendo gli occhi. Mi ha fatto malissimo.»
Mentre finisco la frase, mi passo istintivamente la mano sul petto.
«E allora perché l'hai fatto?»
«E tu perché hai cambiato città? Certo, riconosco che un conto è trasferirsi, e un conto è emigrare, ma forse le motivazioni di fondo sono le stesse. Per quanto mi riguarda, comunque, non so dire esattamente cosa sia stato il fattore scatenante. Insofferenza forse, sfiducia nel futuro. Mancanza di legami davvero forti.
«Semplicemente, ho deciso di andarmene. Il tempo di studiare le basi della lingua, dare gli ultimi addii e poi via, mandando ogni cosa a quel paese. Senza neanche completare gli studi. Non avevo niente laggiù, non c'era niente per me. Quindi, niente per niente, tanto valeva stare in un posto in cui almeno il clima fosse più umano.
«Ma quella forse non è stata esattamente una fuga. Un po' sì, ma ne avevo anche bisogno. Stavo soffocando, come se stare troppo tempo fermo nello stesso posto stesse cominciando a uccidermi. Hai presente gli squali? Non si fermano mai, neanche durante il sonno. Per respirare hanno bisogno di muoversi, e se si fermano muoiono. Metaforicamente, la stessa cosa vale per me.
«Già, uno squalo. Non so quanto posso somigliargli, oltre al fatto del muoversi per respirare. Sono solitario come loro, certo. Aggressivo non troppo, ma non importa...»
Mi fermo un attimo, sguardo perso, poi mi metto a cantare.

“E lo squalo piange
Lacrime scorrono sul suo viso
Ma lo squalo vive in acqua
E nessuno può vedere le sue lacrime

Nelle profondità si è soli
E molte lacrime si spargono
Per questo accade che negli oceani
L'acqua sia salata”

«Haifisch, dei Rammstein.»
Mi giro verso Lena.
«Esatto. Un pezzo che si addice al momento, dato che parliamo di squali.»
«Questo però è un esempio di quando sei stato vigliacco. Sei ancora così?»
Scoppio a ridere senza potermi controllare. Non ho neanche un motivo per farlo, semplicemente rido.
«Scusa, scusa se rido... eheh... ma proprio mi viene dal cuore... perché ecco, vedi» la lingua mi guizza fuori dalla bocca con un tic nervoso «avrei giurato che te ne fossi accorta. O almeno, che saresti riuscita a collegare i due elementi. O forse vuoi solo che sia io ad ammetterlo. Non importa. Ora esplicito il mio pensiero.
«Ecco... fin da quando mi hai visto, io ero un codardo. Un piccolo, inutile codardo, che si nascondeva dietro una maschera di freddezza impassibile. Un idiota, insomma.»
Sputo fuori l'insulto verso me stesso con una buona dose di disprezzo.
«Io sono sempre stato un codardo. Avevo troppa paura dei legami, anzi, del dolore che mi avrebbero procurato quando si sarebbero spezzati. Non pensavo neanche che potessero durare, ero sicuro che avrebbero ceduto. Per questo non li curavo, e li vedevo cedere, confermando così le mie convinzioni. Almeno però ero protetto...
«Protetto... che idiota! Protetto dentro un'armatura di carta! Ed è stata una cosa stupida da fare, sai? Davvero stupida. Per due motivi... uno, perché mi ha impedito di vedere ciò che succedeva intorno a me. Due, perché ha ostacolato la guarigione delle ferite che avevo quando la indossai.
«E poi, non è andato sempre tutto liscio, sai? A volte l'armatura è bruciata, scottandomi completamente. E non ho aspettato che le ustioni guarissero, ma ho creato una nuova armatura e subito l'ho indossata.
«Così sono rimasto ferito sotto e protetto fuori, pronto a crollare al primo colpo ben portato. Oh sì, sono stato decisamente stupido. E per sicurezza ho aggiunto sempre più strati, sempre più sbarre alla mia prigione... fino a diventare freddo e distante da tutto, come ero quando mi hai conosciuto.»
Sto tremando. La mia voce è sempre più nervosa. Sto vivendo uno stress enorme.
«E... ed è stato tutto inutile! Maledizione! È stata un'idiozia, un patto demoniaco! Non avrei mai dovuto farlo!» esplodo improvvisamente, incapace di trattenermi ancora. Mi afferro la faccia conficcandomi le unghie nella pelle, cercando di rimanere lucido. «Io odio questa prigione! La odio! Ma non so come uscirne, da solo...
«È per questo, solo per questo che non riuscivo più a scrivere! Non avevo niente di cui parlare! Non riesco più a riconoscere le sensazioni, le sfumature nella voce di chi mi parla, neanche il colore di un pezzo musicale! Non sento niente! Non sono neanche capace di capire il significato del tuo sguardo in questo momento!
«Sai cosa sta succedendo ora? L'armatura sta bruciando. E finalmente riuscirò a vedere di nuovo, forse, ma a cosa servirà? Tanto nel frattempo te ne sarai già andata! Se ne vanno sempre, alla fine, forse perché anche loro sono dei codardi... lo siamo tutti, in questo mondo...»
Lena allunga una mano verso di me, ma la allontano con uno scatto.
«Non mi toccare! Fa male, fa male... sono solo un'ustione vivente... ogni cosa ormai può solo ferirmi... e non posso essere salvato...»
Mentre finisco il mio sfogo arretro, arrivando a sbattere contro la credenza. Non ci faccio caso, e sempre tenendomi la testa tra le mani mi accascio a terra, guardando il pavimento. I miei occhi, nonostante tutto, sono asciutti.
Non alzo lo sguardo. Lei è ancora nella stanza, ma so che tra poco si alzerà. Si alzerà e mi lascerà qui, come sempre. Abbandonato. Solo. Potrei forse pregarla di restare, scusarmi, ma non ne ho la forza. Voglio solo rimanere seduto a terra, raggomitolato in una posizione fetale.
La sento alzarsi. Ecco, ci siamo. Adesso se ne andrà. I suoi passi, invece, si avvicinano. Sento le sue dita che mi accarezzano la mano, rabbrividisco al contatto, ma non riesco a reagire. Sono paralizzato, sia per lo sfogo che per lo stupore.
«Nelle profondità si è soli. Ma adesso anch'io sono scesa nell'acqua, e posso vedere lo squalo piangere. Fa male?» chiede lei, mentre continua a far scorrere le sue dita sul dorso della mia mano.
«No.» riesco a mormorare in risposta.
«Capisco che hai sofferto. Purtroppo il dolore è solo di chi lo prova; ma sappi che non voglio abbandonarti. Non so perché, però sento che hai bisogno di qualcuno. Hai bisogno di guarire, e nessuno può farlo da solo.
«Avresti dovuto lasciare che la tua pelle ricrescesse, dopo le bruciature. Invece ti sei coperto, e le ferite sono rimaste aperte. Tuttavia, spero che tu possa guarire. Sei forte. Hai resistito molto. Hai scritto del tuo dolore. Guarirai, e riuscirai di nuovo a vedere.»
Sento di nuovo il buco nello stomaco. Stavolta però è diverso, è come se si stesse riempiendo. Tutta la tensione che di solito percepisco nei miei muscoli, dentro di me, si sta lentamente sciogliendo. Una lacrima mi cade dall'occhio sinistro, e mi stupisco. Non piangevo da tredici anni.
«Lena...» sussurro, la voce roca «Ti dedicherò ogni mio respiro, ma ora che mi stai facendo tornare in vita non voltarmi mai le spalle, ti prego...»
Mi prende la mano e mi aiuta a rimettermi in piedi. Ci fissiamo negli occhi, poi mi abbraccia, trasmettendomi un senso di pace e sicurezza... e mi perdo in lei, nel suo profumo, nella sua forza...

«Ehi Erik...»
Sdraiati sul letto, ancora abbracciati. Giro la testa per guardarla.
«Che c'è?»
«Sapresti farmi sentire desiderata?»
Sospiro, prima di rispondere.
«Non credo. Il desiderio mi sembra qualcosa destinato a svanire una volta soddisfatto... e quando è insoddisfabile diventa ossessione. Non rispecchia ciò che provo, il profondo bisogno della tua presenza... non necessariamente fisica. È qualcosa di oltre. In più, il desiderio può essere collegato al possesso, ma per me l'idea di possedere una persona non è condivisibile.»
«Però hai quasi detto che saresti stato mio, prima.»
«Non proprio, ma come semplificazione è accettabile. Comunque, avrei scelto liberamente di pormi al tuo servizio, insomma avrei scelto di legarmi a te di mia spontanea volontà. Sarebbe stato un atto di libero arbitrio.»
«Capisco. Però mi sarebbe piaciuto, almeno una volta, provare quella sensazione...»
Sorrido leggermente.
«Mi dispiace, ma non posso farci molto. Non subito, perlomeno, non è così facile cambiare le proprie convinzioni.»
Avvicino le mie labbra al suo orecchio.
«Comunque, non credere che io sia immune ai desideri.» sussurro «È solo che ho anni di aridità sentimentale alle spalle, e per me si tratta di esplorare terreni nuovi. E poi...»
«E poi?»
«Non so come dirlo... ma se ti desiderassi mi sembrerebbe di non renderti giustizia. Non posso desiderare il tuo corpo, quando il tuo cuore è così meraviglioso. E non posso desiderare il tuo cuore, sapendo che mi ami. Semplicemente... per me sei perfetta così, e non ho bisogno di altro.»
Quando finisco di parlare, Lena si stringe a me un po' più forte.
«Le tue parole... forse la tua prigionia a qualcosa è servita. Mi hai fatto vibrare il cuore, una sensazione che solo la musica era riuscita a darmi fin'ora. E ora so che non avrò mai bisogno di sentirmi desiderata, perché mi sento viva solo quando il mio cuore vibra.»


Ta-dah! Nuovo capitolo! Siamo quasi alla fine ragazzi... manca solo l'epilogo... e così questa storia diventa la più lunga che io abbia mai scritto, staccando Nemo per la bellezza di un capitolo (quattro pagine A4, mica bruscolini!)
Auguri di rito a tutti i maturandi, ma anche a chi affronta gli esami di terza media! Coraggio, si sopravvive dopo! (almeno dicono... XD)
Tanti saluti...

Erik che dovrebbe smetterla di fare orari assurdi solo per finire di scrivere una storia!

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Capitolo 6
*** Epilogo ***


Epilogo

C'è un bambino che corre lungo una collina, felice e senza pensieri. Chissà dove sono i suoi genitori. Poi sento una voce chiamarlo.
«Athaulf! Non allontanarti troppo!»
Riconosco la voce. Guardo nella direzione da cui proviene, mentre si stagliano le figure di una donna e un uomo in tenuta da escursione. Sorrido.

«Ben svegliato.»
Lena mi sorride, radiosa.
«Buongiorno anche a te.» dico stiracchiandomi pigramente. «Ho fatto un bel sogno.»
«Sono contenta. Io invece ho notizie importanti... molto.»
«Ok... prima io, prima tu o prima la colazione?»
«Prima tu.»
«Grazie... sono tentato di fare il galante e lasciare a te l'onore, però...»
«Molto divertente» risponde lei mostrandomi la lingua «Dai su, prima i sogni e poi la realtà.»
«Va bene, va bene. Beh... ho sognato un bambino.»
Sembra un po' stupita, e mi esorta a continuare.
«Un bambino?»
«Sì... ecco... nostro figlio.»
Sorride di nuovo, come se le avessi dato la notizia più bella del mondo.
«Le tue notizie importanti, invece?»
«Prima la colazione» replica, continuando a sorridere «voglio che tu sia completamente sveglio. »

Abbiamo finito di mangiare, e fisso Lena con attenzione, cercando di cogliere qualche indizio sulla notizia che mi deve dare. Mi arrendo, tanto vale chiederlo direttamente a lei.
«Bene, sono sveglio, abbiamo fatto colazione... e sto morendo dalla curiosità. Allora... che novità hai da dirmi?»
«Te lo posso dire senza giri di parole?»
«Certo, lo sai che per me è preferibile...»
«D'accordo.»
Sospira, come per calmarsi. In effetti, negli ultimi minuti era piuttosto agitata.
«Sono incinta.»
Blackout mentale di cinque secondi. Tanto è inutile desiderare di essere stati preparati meglio, non si può mai essere davvero pronti a queste scoperte. Mi accorgo solo ora che, involontariamente, la mascella mi si è aperta e sono rimasto per un po' di tempo fermo con un'espressione da pesce lesso. Lena mi guarda e non può fare a meno di ridere.
«Forse avrei dovuto prepararti allo shock... anche se dubito che sarebbe servito!»
Mi riscuoto dalla trance, cercando di recuperare un po' di contegno.
«Già, difficilmente sarebbe servito. Comunque... ehm... insomma... ok... io... oh cavolo! Non ho la più pallida idea di cosa fare!»
«Beh... non c'è molto da fare. Si tratta solo di aspettare, dato che non voglio abortire.»
«Sì, certo. Non c'è problema... del resto, non ne avevamo già parlato?»
«Sì, esatto.»
Resto ancora un attimo basito, dopotutto non è che si scopre tutti i giorni di dover diventare genitore. Metto a posto le tazze della colazione, cercando di riordinare anche i miei pensieri. Poi mi avvicino a Lena e l'abbraccio.
«Mi mancano le parole. Non so cosa dire, per una volta...»
«Forse non ci sono parole che riescono a rendere i sentimenti che proviamo ora. Non importa. Abbracciami... e preparati ad un percorso cosparso di difficoltà.»
«La vita è tutta così... e ho imparato ad affrontarla. Non potrò soffrire con te, ma ti starò sempre vicino.»
Le carezzo il ventre, mentre penso alla vita che sta crescendo in esso. E scopro di non essere preoccupato, o spaventato. O meglio, lo sono ma controllo attentamente la paura. Staremo insieme, e ci sosterremo a vicenda. Come se mi avesse letto nel pensiero, Lena prende un foglio e ci scrive una frase, per poi attaccarlo sul frigorifero ormai coperto di bigliettini.

“Finché saremo uniti, riusciremo a superare ogni asperità che il cammino ci prospetta.”


E così finisce la storia. Waaah *-* che teneri alla fine!!! Ok, recupero un po' del mio essere maschio che avevo messo da parte e cerco di tornare normale. Ahahahah!!! Inutile, tanto sono sclerato XD
Beh, è finita. Spero che vi sia piaciuta! E le recensioni pazze sono sempre gradite, se non altro perché fanno ridere ^^ e per quanto riguarda i Lego... quando avrò un'altra idea ci metterò una scena apposta! XD
Saluti a todos!
Erik che adesso fa riposare un po' il cervellino che sennò si stanca .-.

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