Sette peccati di Trilla (/viewuser.php?uid=48470)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Gola ***
Capitolo 2: *** Accidia ***
Capitolo 3: *** Avarizia ***
Capitolo 4: *** Invidia ***
Capitolo 5: *** Lussuria ***
Capitolo 6: *** Superbia ***
Capitolo 1 *** Gola ***
Sette peccati:
Gola
-Matilde,
santo cielo, smettila di rimpinzarti!- gridò la signora
Ester a sua figlia. La ragazza continuava ad ingurgitare ogni briciola
di cibo presente sul tavolo da cucina.
-Dai, ma'!- brontolò col suo vocione Matilde, riempiendosi
il piatto di pasta al sugo -Ho fame!-.
Non era vero. Matilde non aveva fame, da un po' di tempo non ne provava
più. Più o meno da quando i suoi genitori si
erano separati ed era stata costretta ad andare a vivere con sua madre,
che non faceva altro se non sgridarla tutto il giorno e prescriverle
diete per dimagrire.
E Matilde non ne seguiva mai una! Cioè, le iniziava con
tutta la buona volontà di portarle a termine, ma era
più forte di lei: doveva
mangiare! Che fosse per noia, per tristezza, per frustazione, per
amore... non importava. Lei sapeva solo che mangiare le piaceva e la
faceva sentire meglio quando stava male. E stava spesso male.
Matilde frequentava la seconda media; era bassa, con poco
seno, aveva i capelli a caschetto color castano chiaro, come gli occhi,
e gli occhiali tondi dalla montatura verde sul naso schiacciato. E un
corpo enorme. Odiava tutto del suo fisico, specialmente quei rotoli di
grasso sui suoi fianchi e gli accumuli di ciccia sul sedere e sulle
braccia, cosicchè, qundo le muoveva, sembravano fatte di
budino tanto ballonzolavano.
Ovviamente, i ragazzi suoi compagni di classe la prendevano in giro
gridandole "cicciona" o "balena". Le ragazze invece l'avevano presa in
simpatia, anche se riflettendoci su si capiva il motivo della loro
gentilezza. Matilde era sicura che dentro di loro pensassero "E'
così brutta, poverina! Perchè non dovrei esserle
amica visto che non può farmi nulla?!". Così il
suo senso di inadeguatezza aumentava e lei tornava a casa da scuola
sognando il budino o il gelato che stavano nel frigo.
Sua madre tentava in tutti i modi di farla smettere. Le aveva fatto
provare diversi tipi di sport, quali pallavolo, nuoto, judo, scherma e
danza moderna, ma Matilde si era arresa pochi giorni dopo ad ognuna di
queste discipline; l'aveva portata da quattro dietologhe diverse, ma
non c'era stato verso di farle seguire per più di due giorni
le diete prescritte; l'aveva portata da alcuni psicologi per capire
qual era il motivo di così tanta ingordigia, ma Matilde era
come una fortezza ed eludeva le domande degli psicologi con frasi
neutrali. La signora Ester sapeva che in parte era anche colpa sua,
della sua separazione col marito che, oltretutto, si limitava a dire
che era meglio avere una figlia grassa che un'anoressica. L'ex-moglie
sperava con tutto il cuore che avesse ragione.
Quella sera, dopo che Matilde ebbe mangiato tre piatti di pasta al
sugo, due bistecche impanate e un intero salame, la signora Ester
chiese alla figlia di venire con lei a portare giù il cane.
"Chissà che non smaltisca almeno un quarto della cena di
stasera..." pensava dentro di sè. Ma Matilde
rifiutò; la signora mise il guinzaglio a Briciola, una
piccola terrier nera, e si avviò sconsolata fuori dal
condominio.
"Finalmente!" gioì Matilde dentro di sè. Quando
sua madre la lasciava da sola poteva sfogarsi liberamente, senza darsi
un contegno. Aprì il frigorifero in cucina: la prima cosa
che le si stagliò davanti come una visione fu una
torta-gelato alla panna e fragole. La prese e l'appoggiò sul
tavolo, poi chiuse il frigo e ispezionò il resto della
cucina. Dopo qualche minuto di ricerca e valutazione, sul tavolo della
cucina erano disposti, oltre alla torta-gelato, tre budini alla
vaniglia, una crepe alla nutella e zucchero a velo pre-confezionata, un
intero barattolo di biscotti al miele, due focacce alle olive e un
contenitore pieno di glassa rosa.
Matilde si sedette... e diede sfogo ai suoi mali. Si avventò
sulla torta infilando la mano destra nella panna e portandosi la
"fetta" alla bocca; nello stesso tempo la mano sinistra prendeva una
focaccia e la portava alle labbra, dove i denti strapparono il pane e
le olive. Il dolce sapore della panna e fragole e quello dell'olio e
delle olive si confusero insieme mentre Matilde masticava e ingoiava il
tutto. Con una mano sporca di panna e l'altra unta di olio
aprì il barattolo dei biscotti, ne prese una manciata e se
li ficcò in bocca, masticandoli insieme ai rimasugli di
pizza e di fragole. Ebbe difficoltà ad aprire le confezioni
dei budini, ma alla finè ci riuscì e
usò la lingua per leccare il budino; la stessa sorte
toccò agli altri due. Con la bocca sporca di panna e
briciole, Matilde spremette la glassa rosa sulla focaccia rimasta e se
la mangiò in due bocconi.
Una fitta al cuore la colse, come se un piccolo coltello o un ago
glielo avesse
trafitto.
Da un po' di tempo le succedeva, ma lei ignorava. Tanto durava poco.
Infatti, anche stavolta ignorò e continuò a
mangiare.
Prese la crepe sporcando l'involucro trasparente di panna bianca e di
miele e le diede un morso. Con un suono gutturale sputò
subitò ciò che aveva sul tavolo. "Devo stare
attenta..." pensò mentre toglieva dall'impasto un pezzo di
carta. Per poco non se lo mangiava...
Dopo averla finita, prese il barattolo, ci spremette dentro il resto
della glassa, lo sollevò sulla propria testa e fece
scivolare nella sua bocca il resto dei biscotti.
Dolore. Un lama le frugò nella pancia, un coltello le
pugnalò il cuore. Un formicolio alla mano sinistra
risalì fino al braccio.
Matilde non aveva neanche la forza di urlare, le mancava il respiro. Si
portò la mano destra al braccio sinistro, sporcandoselo. Poi
sentì ancora più forte il dolore alla pancia e se
la tenne stretta. Sentì un conato di vomito salirle per la
gola. Chinò la schiena e vomitò.
Vomitò la torta-gelato, la crepe, le focacce, la glassa, i
biscotti... e infine, con un singulto, una roba viscosa giallognola e
nera. La sua bile. I suoi umori.
-Aaaah...- ansimò accasiandosi a terra, sui propri liquidi.
Il formicolio si era fatto più intenso, si portò
la mano destra tremante al petto.
*****************************************************************
La
signora Ester tolse il guinzaglio a Briciola e aprì la porta
di casa con le chiavi. La cagnolina sgattaiolò
immediatamente in cucina, probabilmente per bere, mentre la donna si
tolse la giacca e l'attaccò all'appendiabiti all'entrata.
Tirò su col naso. La notte si stava facendo fresca... e
cos'era quell'odore? La signora Ester annusò uno strano
odore in casa sua. Era dolce e amaro, faceva storcere il naso e allo
stesso tempo ti veniva voglia di annusarlo ancora.
Fu
interrotta da un rumore disgustoso. Bricola aveva vomitato!
"Questi
cuccioli!" pensò la signora Ester mentre si avviava di
fretta in cucina "Chissà cos'avrà mangiato questa
sciocchina..."
Si
fermò sulla soglia. Odore acre nell'aria.
Non
si seppe dire su cosa si concentrò lo sguardo della donna.
Il fatto era che ogni cosa là dentro avrebbe fatto scappare
via dal disgusto o almeno chiudere gli occhi. Ma una madre è
una madre; non chiuse gli occhi, nè si voltò,
nè fece qualche altra azione che implicava disgusto. Non
c'era espessione in quel viso stanco.
Briciola
aveva vomitato la sua cena sul viso di Matilde. Era ovvio che aveva
assaggiato quella sostanza giallo-nera sul quale era stesa la ragazza;
le aveva sporcato gli occhiali e un occhio, ancora aperto e
terribilmente vitreo. C'erano altri liquidi oltre a quello giallo-nero,
sostanze che la signora avrebbe poi identificato come i dolci che
sporcavano il tavolo della cucina.
I
medici dissero che un infarto l'aveva stroncata. Certo che alla sua
età era un caso più unico che raro... Oltre
all'infarto, si scoprì che Matilde soffriva di diabete
potenziale ed era iperglicemica. I suoi valori arrivavano a 203. Il suo
colesterolo era alle stelle, quasi inumano.
Uno
dei medici fece una battuta di fronte ai genitori:
-Be',
non che ci volesse un esperto, si poteva benissimo supporre ad occhio!-
Il
padre di Matilde era un avvocato e il medico, dopo circa due mesi,
divenne uno dei barboni che girava per le strade del quartiere.
Stranamente,
da quella disgrazia, nacque un evento felice. Matilde lo avrebbe
apprezzato: i suoi genitori si rimisero insieme. ll loro era un male
comune e non poterono fare altro se non piangere insieme, alleviarsi il
dolore a vicenda, un po' per volta.
Ebbero
un bambino tempo dopo. Lo chiamarono Steven.
I
coniugi erano pazzi di lui.
Quando
mangiava era così uguale alla
loro povera Matilde...
Waaaa! La mia prima
horror!!! Be', diciamo che questa sembra più una splatter...
Comunque all'inizio non era previsto un lieto fine per i genitori, anzi
ci doveva essere un suicidio. Ma già ero abbastanza
disgustata mentre scrivevo e non avevo proprio voglia di piangere. Di
solito non metto qualcosa di me nelle mie fanfiction, ma qui
c'è. Questo non vuol dire che io sia super grassa o
iperglicemica, o che abbia gli occhiali e i capeli castani. Punto di
più sugli episodi di vita vissuta... Oh, bè, chi
vuole recensisca. Io penserò a un prossimo peccato.
Adieu.
Trilla.
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Capitolo 2 *** Accidia ***
Sette peccati:
Accidia
Ora
vi racconterò una fiaba che le mamme di qualche tempo fa
usavano
per far lavorare i propri figliuoli. Ma forse è meglio,
visto che
questa è una fiaba, che incominci a narrare dicendo...
C'era una volta, in un paese della Russia, un re molto pigro. Gli
abitanti del suo regno lo chiamavano Re Fannullone, deridendolo.
Giravano molte voci sulla sua proverbiale pigrizia, in
città: ad esempio, si
diceva che al matrimonio del fratello minore egli avesse declinato
l'invito dicendo "Fratello mio, sono stanco, perchè non
vieni a
sposarti qui da me?", suscitando l'ilarità della propria
corte.
Un'altra voce, più macabra, raccontava della defunta moglie
del
re e del modo in cui era morta. Si diceva che la regina stesse
sistemando dei fiori nei vasi sul balcone della torre più
alta
del castello; il re, nel frettempo, leggeva svogliatamente un libro
sdraiato su un divano. Improvvisamente la regina lanciò
un grido e il re, allarmato, andò alla finestra,
alzò lo
sguardo
per vedere da chi proveniva l'urlo e con orrore scoprì la
moglie
che si teneva aggrappata alla
ringhiera del balcone. Il re chiamò
un valletto e gli disse di andare a chiamare le guardie e di recarsi
immediatamente all'ultimo piano della torre più alta per
salvare
la sua sposa. Il valletto corse più veloce della luce e,
arrivato al piano terra, chiamò i soldati che, veloci
anch'essi
come
lampi, corsero su per le scale; passarono anche per il piano del re,
che
continuava a rimanere affacciato alla finestra. Quando arrivarono
all'ultimo piano, le guardie e il valletto si affacciarono al balcone:
la regina, ormai, giaceva a terra in una posa innaturale, con l'osso
del
ginocchio della gamba destra in fuori e un'aureola di sangue intorno ai
riccioli biondi. Ai funerali il re pianse, poichè egli era
pigro
ma non senza cuore; tuttavia i suoi sudditi non lo rispettarono
più da allora in poi, pensando che se il loro re, invece di
mandare a chiamare guardie e valletto, si fosse precipitato su avrebbe
salvato la regina.
Tuttavia girava un'altra versione dell'accaduto, la meno accreditata e
forse
la più veritiera: la regina soffriva da tempo di depressione
a
causa della perdita di un figlio, così si recò
sulla
torre più alta e si gettò da essa. Probabilmente
il re
stava davvero facendo altro in quel momento, forse assistì
alla
scena e chiamò le guardie, ma certamente non si
recò lui
di persona a salvarla.
Queste però erano solo voci, e nessuno avrebbe mai saputo la
verità dato che il re non voleva ricordare quel triste
evento.
In quei tempi i regni vicini erano sconvolti dai saccheggi ad opera di
un consistente esercito di stranieri, barbari dai capelli neri e i
turbanti venuti dalla Turchia con l'intenzione di conquistare la
Bretagna. Fu così che il fratello del Re Fannullone chiese
di
essere convocato per parlare di questi barbari:
-Fratello mio, dobbiamo allearci e combattere contro di loro prima che
arrivino qui!-
-Ma no, fratello!- ribattè il Re Fannullone che non aveva
alcuna
voglia di scendere in campo -Non è detto che questi barbari
continuino a devastare la nostra terra. Potrebbero benissimo decidere
di spostarsi...-
Il colloquio terminò pochi minuti dopo. Il Re Fannullone non
voleva sentire ragioni, così il fratello rinunciò
a
combattere da solo.
"D'altronde" si disse il Re Fannullone "chi non preferirebbe restarsene
a casa propria in panciolle, piuttosto che scendere in un campo di
battaglia e togliere delle vite?". Così usava discolparsi il
sovrano, in genere...
Arrivò però un brutto giorno. Circa due settimane
dopo la
sua visita, il regno del fratello del re venne devastato; il re
mandò allora un servo per farsi dire che cosa ne era stato
di
suo fratello e della sua famiglia e in che condizioni era la
città.
-Maestà, una cosa terribile!- annunciò il servo
in preda
all'orrore, quando fu di ritorno -Le case della città sono
quasi
tutte bruciate! Gli uomini sono stati mutilati dei loro arti, mentre
alle donne è stata tagliata la testa! Tutti i neonati e i
bambini della città sono stati accatastati in una montagna
di
corpi bruciati! E vostro fratello e la sua famiglia sono stati impalati
davanti al palazzo reale. Vostro fratello era il più in alto
e
il suo palo era ricoperto d'oro; sua moglie era ricoperta di miele e
gli insetti le divoravano la faccia; al figlio maggiore è
stato
reciso un braccio e perdeva sangue; il figlio minore era ancora vivo
quando sono arrivato. Scivolava sempre più giù
sul palo,
che era stato unto di olio per facilitare la discesa, e si graffiava la
faccia dal dolore.
Purtroppo è morto poco dopo...-
Il re iniziò a piangere e ordinò ai suoi sudditi
di
vestirsi a lutto per il fratello per una settimana. Lo stesso giorno,
uno
dei ministri si fece avanti e chiese al re di viaggiare il
più
in fretta possibile a Roma, per chiedere aiuto alla chiesa cristiana
di scacciare gli infedeli turchi. Ma il Re Fannullone rispose:
-Mio buon ministro, se lasciassi il mio paese adesso i barbari
attaccherebbero! Non vorrai che lasci la capitale incustodita, vero?-
Il ministro dubitava, conoscendo la natura del suo sovrano, che la
ragione fosse questa.
Il sesto giorno di quella settimana di lutto i barbari attaccarono.
Il loro capo era un uomo fiero e coraggioso. La sua crudeltà
era citata nei libri e
suscitava tra i suoi sudditi un misto di rispetto e timore,
poichè sapevano che egli puniva dolorosamente chi commetteva
dei
crimini, e sapevano anche che era un uomo facile preda della rabbia.
Era forse la nemesi del Re Fannullone, poichè scendeva
sempre in
battaglia con i suoi uomini, sempre il primo tra le sue fila,
pronto ad abbattere i nemici e i suoi uomini codardi se voltavano la
schiena alla battaglia.
A cavallo del suo arabo bianco, puntò la sciabola contro la
città e gridò ai suoi uomini:
-ABBATTETELA!-
I soldati oltrepassarono il loro comandante e attaccarono.
**************************************************************
Il
Re Fannullone strisciò sanguinante fino all'uscita del
palazzo.
I turchi avevano attaccato presto, troppo presto. Sarebbe dovuto andare
a Roma a chiedere rinforzi, come il ministro gli aveva consigliato; a
proposito del ministro, egli era nella sala del trono, un'ascia gli
aveva reciso una parte della faccia e aveva tagliato a metà
il
bulbo oculare sinistro.
Il re si era slavato per miracolo. Guardò il alto, verso il
cielo... e si sdegnò: come
poteva quel cielo che assisteva alla disfatte della sua
città
essere così blu? E con quelle vezzose nuvole bianche, poi!
Neanche il fumo degli incendi sembrava oscurarlo un po'...
Ancora a terra, si trovò improvvisamente faccia a faccia con
degli stivali neri. Alzò ancora lo sguardo... e vide il
suo carnefice.
Il capo dei turchi sorrideva, si sarebbe potuto dire,
bonariamente. Chiuse gli occhi, sospirò, si
stiracchiò le
braccia e poi si guardò intorno soddisfatto.
-E' una bella giornata per una battaglia, vero?- chiese al re ai suoi
piedi, senza guardarlo direttamente. Questo pensò che forse
quel
barbaro gli avrebbe risparmiato la vita; dopotutto, non sembrava poi
così malvagio.
-Sei in grado di alzarti?- gli chiese ancora il turco.
-Sì, credo...- rispose il re sempre più
speranzoso.
-Ah!- sbottò il comandante. Teneva nella mano destra la sua
sciabola ancora grondante di sangue -Allora impugna la tua arma e
combattiamo.-
Il re spalancò gli occhi impaurito e non osò
muoversi da terra. Egli aveva
un'arma, la portava sempre con sè: una spada
dall'impugnatura
d'oro, che però non usava oramai da anni!
-Ma... ma non vorrai combattere contro di me, che sono ferito
così!- e accompagnò le parole ai gesti mostrando
la
schiena decorata di un lungo taglio. Ma il turco rise malignamente e
rispose:
-So bene come ti sei procurato quel taglio, perchè l'uomo
che ti ha colpito mi ha informato...- la sua voce, dapprima calma ma
tonante, divenne sprezzante e disgustata -Sei scappato via, hai voltato
le spalle! Sei un vigliacco!- e senza preavviso affondò la
sciabola nella spalla destra del re, che gridò di dolore.
Il comandante turco chiamò e i suoi uomini e disse loro:
-Ceniamo qui stanotte! Preparate i pali...-
I soldati preparano un lungo palo sotto ordine del loro capo e lo
cosparsero di olio. Poi vi incisero sopra delle tacche, al fine di
aumentare il tempo dell'agonia della vittima
rallentando la sua discesa; dopodichè si fecero portare il
re, che
aveva continuato a giacere sofferente.
I soldati lo fecero sdriare con la pancia a terra, gli legarono le mani
dietro la schiena con una corda e la assicurarono a ciascuna delle
caviglie dell'uomo, cosicchè quando tirarono le funi le
gambe si
divaricarono.
Quattro uomini sollevarono orizzontalmente il palo: era largo alla base
e molto sottile in punta, dove era rivestito da una piccola copertura
di metallo smussata. L'appoggiarono su due grossi cilindri usati come
rulli per farlo scorrere.
Il re gemeva; non era molto cosciente di quel che gli stava succedendo,
il dolore lo annebbiava. Senti qualcuno, sicuramente uno di turchi, che
si inginocchiava dietro di lui e tagliare la stoffa dei calzoni in
mezzo ai glutei. Si chiese quale orribile atto di violenza volessero
infliggergli, quegli infedeli, ma non ebbe il tempo di darsi una
risposta che un dolore acutissimo lo sovrastò. Senti l'ano
bruciare ed ebbe l'impressione che la sua persona stesse per spaccarsi
a metà, quando sentì un forte colpo e la cosa
appuntita
fini ancora più in profondità toccando
l'intestino.
Il re urlava, piangeva, chiedeva pietà, la schiena era
inarcata
come quella di un delfino. Per far entrare il palo del corpo dell'uomo,
uno dei soldati più robusti si era armato di un grosso e
pesante
martello e dava ripetuti colpi di mazza al palo; nel frattempo diceva
agli uomini che tenevano la fune a cui erano legate le caviglie del re
come tirarle, in modo tale che il suo corpo fosse nella posizione
giusta per non dilaniare gli organi vitali.
Il re smise di urlare al terzo colpo. L'aria gli serviva solo per
respirare perchè il palo appuntito aveva lacerato gli
intestini.
Non sapeva più neanche chi era, sentiva solo quel maledetto
e
atroce dolore che faceva pulsare tutto il suo corpo, anche se la parte
che maggiormente gli doleva era l'ano che si allargava sempre di
più mano a mano che il palo entrava.
Una protuberanza gli si formo sulla spalla destra, segno che l'asta era
arrivata fino a lì e che doveva uscire in qualche modo: non
si
ebbe bisogno di incidere una croce sulla spalla, per prendere la mira,
poichè si intravedeva, tra il sangue e i lembi di carne
strappata, la punta di metallo del palo. Ancora due colpi e l'asta
fuoriuscì dalla scapola del re, schizzando un po' di sangue
su
un soldato lì vicino (che si lamentò sonoramente)
e
lacerando la carne e la pelle.
Nel frattempo il capo dei turchi si era fatto imbandire una tavola
davanti al palazzo, circondato da uomini e donne impalati. Rimaneva uno
squarcio tra tutte quelle vittime, riservato al re che stavano portanto
i soldati. Piantarono l'asta proprio davanti al banchetto del
comandante turco.
Il re cominciò lentamente a scivolare verso la base del
palo; il sangue gli colava dalla bocca, dall'ano e dalla spalla. Vide
il turco mangiare la propria cena di gusto, incurante del fetore che
emanavano i corpi dilaniati degli impalati. Ad un tratto questo si
rivolse al re alzando una coppa di vino e dicendo:
-Brindo a te, Re Fannullone. No, anzi! Brindo alla tua pigrizia, che mi
ha permesso di vincere questa battaglia. In effetti, il risultato non
sarebbe stato lo stesso se ti fossi alleato con quel regno che abbiamo
conquistato una settimana fa, o se avessi chiamato aiuti dalla vostra
chiesa...-
Fu l'ultima cosa che il re sentì. Non abituato al dolore,
vomitò un'ultima volta sangue e, roteando gl'occhi,
morì.
Il comandante turco bevve un lungo sorso di vino, si pulì i
baffi con un tovagliolo e poi aggiunse malinconicamente, guardando le
nuvole bianche sopra di sè:
-Come vorrei che tutte le mie conquiste avvenissero sotto un cielo
così blu!-
Ma il
cielo è seeempre più blu! Non so come mai, ma ho
trovato tantissimi spunti comici per questa storia. Sapete quando il
capo dei turchi grida ai suoi uomini "Abbattetela!", rivolto alla
città? Ecco, lì all'inizio avevo pensato di
scrivere:
A
cavallo del suo arabo bianco, puntò la sciabola contro la
città e gridò ai suoi uomini:
-THIS IS SPARTAAA!-
Ok! Basta con le scemenze XD Ecco un altro peccato: l'accidia, la
pigrizia! Aaah, Dio solo sa quanto ne soffro! Ma lasciatemi ordunque
(influenzata dallo stile di scrittura fiabesco...) alcune cosette su
questa novella:
1) All'inizio ho
collocato il
regno del re in Russia. Forse, alcuni di voi (quelli che si divertono
con la settimana enigmistica) hanno notato che non ho chiamato il re
Zar, nonostante ci si trovi in Russia. E' presto detto il
perchè
non l'ho fatto: il termine Zar, da come spiega Wikipedia, fu usato per
la prima volta nel 1700 e qualcosa ad opera di un imperatore per
definire la sua stirpe. E da lì in poi è storia.
Siccome desideravo aggiungere nella storia il personaggio di cui
parlerò qui sotto ho pensato che il regno del re fosse
durante
il 1460 o giù di lì... Ecco perchè non
uso questo
termine.
2) Come
ho detto sopra, la
storia è ambientata nel 1460 o giù di
lì, ovvero
il periodo in cui una certa figura storica viveva il suo tempo. La
storia e la psicologia di quest'uomo mi hanno sempre affascinato, e ho
pensato sempre come sarebbe stato averlo nel nostro tempo come
politico... comunque si tratta di Vlad
III di Valacchia, o
Vlad Tepes, o Vlad l'Impalatore, o Dracula (ma questo nome lasciamolo
perdere...). Costui, che secondo le leggende è il vampiro
per
eccellenza, durante il suo regno ha compiuto terribili atti
di
crudeltà: chi si macchiava di tradimento o di qualsiasi
altro
crimine veniva impalato; chi non gli andava a genio, lo faceva
arrabbiare, gli faceva torto anche inconsapevolmente veniva impalato.
Vlad aveva persino inventato vari metodi per impalare le persone a
seconda della classe a cui appartenevano e aveva preso abitudine di
banchettare vicino agli impalati (il banchetto dove viene impalato il
re... U_U), perchè voleva vederli soffrire. Aveva un grande
(e
molto personale) senso della giustizia: gradiva le persone pronte di
mente, gli spiritosi e premiava il coraggio dei suoi soldati se quisti
non avevano arretrato di fronte al nemico. Amava anche i complimenti,
ma se scadevano in adulazione si arrabbiava e, volgarmente detto, erano
cazzi! Nonostante questa crudeltà e il timore che incuteva,
Vlad
era anche un grande condottiere, coraggioso fino all'estremo e un buon
marito: amò tantissimo la prima moglie, ma purtroppo questa
si
suicidò buttandosi da una torre per non farsi prendere dagli
invasori (mi sono ispirata a questo episodio per il suicidio della
moglie del re), e Vlad divenne, se possibile, ancora più
crudele.
Fatto questo piccolo
riassuntino
posso affermare che il condottiero dei Turchi che invadono la
città del re è liberamente ispirato alla figura
di quel
grande uomo morto troppo presto che era Vlad III.
RECENSIONIIIII:
violettamiciamiao:
Spero davvero che Steven non faccia la stessa fine, piuttosto... non
dovrebbe visto hce i genitori non si sono separati... Boh! Questa
storia mi è uscita di getto, quindi... :D
nikoletta89:
Come ho risposto a violetta non dovrebbe succedere, la situazione
è diversa, ma dopotutto chi può dirlo!
Mwuahahahahahaha!!!! *o* E grazie per aver detto che la scena
è
stata disgustata, era quello che volevo ottenere! ;-) (ps: per capire
cosa si provava ho provato a mangiare un KitKat e un pezzo di pizza
bianca insieme! Buono!)
XXManu:
Dopotutto non si dice sempre "la colpa è dei genitori?" U_U
Comunque all'inizio non volevo che i genitori fossero una figura
negativa, specialmente la madre. Mi sono ispirata molto alla
madre di una mia amica anoressica, che tentava in tutti i modi di
aiutarla, ma la figlia ignorava i suoi sforzi. E nonostante questo la
madre continuava a consigliarla... Forse la vera figura negativa
è il padre, che non ha fatto niente! O_o
Miss_Juls_giu:
grazie per il consiglio, come vedi l'ho seguito! In questa storia
è messo una figura per me molto importante! :D Non credo
però che nelle altre mie precedenti ne troverai molte: erano
tutte fanfic di manga e anime e tutte demenziali! XD
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Capitolo 3 *** Avarizia ***
Sette peccati:
Avarizia
-Ciccio,
passa!!- gridò Cremino correndo a perdifiato verso il
compagno.
Ciccio però passò la palla a Uccia, che
trovandosi
davanti alla porta segnò un potentissimo goal.
Cremino sbattè a terra il cappello e ci saltò
sopra dalla rabbia.
-Non è possibile, non è possibile!-
urlò fuori dai gangheri -Non me la passi mai, tu!-
-E' che non eri vicino alla porta...- si scusò Ciccio, poi
aggiunse guardando Uccia -Complimenti, bel tiro!-
-I suoi calci potrebbero abbattere un muro di mattoni!-
scherzò
Man. Uccia sorrise lusingata e si lisciò il vestito nero.
La piccola partita di calcio si era conclusa, i bambini tornarono a
casa e mangiarono a sazietà un caldo pasto,
dopodichè
furono messi a letto dai loro genitori che gli diedero il bacio della
buonanotte e augurarono loro di fare dei bellissimi sogni.
Vorrei poter scrivere questo.
Purtroppo è mio triste compito raccontare la vicenda come si
è svolta realmente, presentare i personaggi come sono in
realtà.
Quindi, quei bambini non tornarono mai a casa dalle loro
famiglie, perchè non ne avevano. Il loro campo di
calcio era la strada, la palla una lattina e la porta un muro pieno di
graffiti.
Orfani, tutti quelli citati all'inizio. Orfani quelli che
citerò tra poco. Orfani tutti loro.
Vivevano per la strada già da cinque anni, tutti insieme. Un
gruppo formato da sette monelli.
Si erano dati dei soprannomi a vicenda, visto che, di solito, chi vive
vagabondo come loro tra i vicoli di una città non usa mai il
nome con cui è stato chiamato dai genitori. E comunque far
sapere il tuo vero nome in un ambiente come quello è
pericoloso.
Loro erano i figli della strada, i figli della
città, come affermava sempre Man.
Ecco, comincerò a descriverli partendo dal più
grande di
loro, il capo: Man. Era un ragazzotto sui quattordici anni, muscoloso e
sempre con il viso pieno di lividi, segno che le risse erano il suo
pane quitidiano. Man si occupava quasi a tempo pieno di una bimbetta
bionda di appena
cinque anni, Lea, che trattava come una sorellina. L'aveva trovata una
sera, circa quattro anni fa, dentro un cassonetto e da allora se ne
era occupato.
Il miglior amico di Man si chiamava Ciccio ed era, possiamo dire, il
vice capitano della banda. Come s'intuisce dal soprannome, Ciccio era
tutto lardo, e nessuno ne capiva il motivo perchè non
mangiava
quasi mai, essendo un poveraccio come gli altri.
Il ragazzino chiamato Cremino era un po' il classico monello della
strada: aveva la giacca di quarta o quinta mano, un grosso basco
rattoppato
sulla testa, i pantaloncini sfrangiati e le scarpe rotte. Ed era una
testa calda. Lui ed Uccia bisticciavano spesso, nonostante fossero
cugini.
Uccia era una ragazzina coi capelli corti, neri e unti. Aveva due
grandi occhiaie sotto gli occhi, anch'essi neri, ed era una specie di
maschiaccio.
Sapeva di essere cugina di Cremino perchè ricordava la
modesta
abitazione dei suoi genitori andare in fiamme e il bambino gridare
"Zio, zia!"; comunque allora aveva solo sei anni e i ricordi riguardo a
questo erano confusi. Cremino era più piccolo di lei di tre
anni
e non ricordava di certo.
Un'altra componente femminile del gruppo era Lulu. La bambina di soli
undici anni era stata particolarmente sfortunata nella sua breve vita:
una sera di qualche anno fa un ratto le aveva morso il ginocchio destro
e quella notte stessa la ferita si era infettata, facendo diventare
l'arto rosso e pulsante. I suoi amici avevano provato a chiamare un
dottore, ma questo si era rifiutato di fare qualsiasi cosa
perchè sapeva che non sarebbe stato pagato. Giuppa le recise
la
gamba con un coltello da
cucina. Ci vollero un'ora intera per tagliarla tutta e Lulu per poco
non moriva da dolore; ma adesso era lì, ad assistere a tutte
le
partite di calcio dei suoi compagni, munita di stampella e benda a
coprire la parte monca.
A proposito di Giuppa, era una ragazza dagli occhi a mandorla vestita
di capi di vario genere. Non parlava mai, infatti i suoi amici
pensavano non conoscesse la loro lingua nonostante aiutasse sempre
quando c'erano dei guai, come nel caso di Lulu. Stava sempre in
disparte e giocava con una specie di peluche bianco, forse un pesce,
con gli
occhi di bottone.
Questi
orfanelli usavano giocare spesso davanti ad una casa di cemento grigio
piuttosto cadente, piena di crepe e dalle persiane rotte.
In quella
casa abitava un vecchio, il signor Stuart Bennet, un uomo che odiava
con tutto se stesso quei
bambini. Diverse volte uno di quelli là, il più
grasso,
aveva bussato alla sua porta a chiedere l'elemosina, ma naturalmente
lui gli aveva dato una sberla, o un calcio, gridando: "Vai a lavorare,
ragazzaccio!".
Non aveva soldi da dare a quei perdigiorno.
Lui non aveva soldi da dare a
nessuno!
Il signor Bennet si alzò e attraversò la cucina
arrancando sulle gambe tremolanti. Si fermò davanti a un
grosso
quadro raffigurante delle donne seminude che si lavavano in una fontana
al chiaro di luna. L'aveva dipinta lui, quella tela. Prese il quadro e
lo posò a terra delicatamente; poi aprì uno
sportellino
nella parete, aiutandosi con le unghie delle mani: una cassaforte
nascosta. Lì teneva i suoi assegni, le banconote, le carte
di
credito e i gioielli della defunta moglie. Guardò il tutto
con
occhi luccicanti e un sorriso sdentato sulle labbra raggrinzite.
Richiude l'aperutra e coprì il tutto con il dipinto.
Aprirò una parentesi per spiegare come mai il signor Bennet
era
ridotto a fare quella vita povera, nonostante egli possedesse tutti
quei soldi.
Stuart Bennet, durante i suoi fiorenti ventinove anni,
investì
tutto ciò che possedeva (centosessantamila dollari) in un
negozio di abbigliamento femminile. In dodici anni il suo patrimonio si
moltiplicò per circa dieci o undici volte; nel frattempo
egli
viveva con trecento dollari al mese, perchè voleva a tutti i
costi risparmiare. Non mancò inoltre di sposarsi con una
ricca
vedova francese: madame Danuve, di otto anni più grande del
signor Bennet e anche otto volte più ricca.
Purtroppo però la donna venne a mancare poco dopo il loro
quarto anniversario, a causa di un incidente autostradale.
Così il signor Bennet divenne erede universale, in quanto
madame
Danuve (o Bennet che dir si voglia) non aveva nè figli,
nè nipoti, e i suoi altri parenti erano quasi tutti anziani
in
punto di morte.
Facendo una stima, il patrimonio del signor Bennet a quarantacinque
anni sfiorava i due miliardi di dollari; ma l'uomo non era
soddisfatto e continuò a fare economia, a non prestare nulla
dei
suoi averi e a guadagnare ancora, sempre di più.
Verso i sessant'anni ritirò tutta la somma che aveva
depositato
in banca e la nascose in diversi punti della casa. Il primo
nascondiglio era l'apertura dietro al quadro dove teneva poche cose; il
secondo una botola nel pavimento del salottino che conduceva ad una
stanza piena di mazzi di banconote; il terzo era al secondo piano,
sotto il vecchio letto sfondato e sporco; il quarto ed ultimo era nella
cantina, in una botte di vino, che di liquido non aveva nulla. Erano in
realtà nascondigli banali, ma considerando il posto in cui
viveva, le condizioni della casa sia all'esterno che all'interno
nessuno avrebbe mai potuto sospettare che il signor Bennet teneva nella
dua povera dimora più di quattro miliardi in monete,
banconote,
gioielli e piccole opere d'arte.
Passavano gli anni e l'uomo accumulava sempre più denaro,
senza
spendere mai un soldo nè per se stesso, nè per
gli altri.
L'avarizia è un sinonimo di cattiveria verso il prossimo, e
si paga.
Ritorniamo alla banda di monelli: quel giorno stavano gironzolando
intorno alla casa del signor Bennet, chiamato comunemente da loro "il
vecchio". Erano affamati, assetati e arrabbiati. I bambini in queste
condizioni di solito si distraggono facendo scherzi agli adulti; ma i
bambini cresciuti nella strada non scherzano mai, perchè non
se
lo possono permettere. In un ambiente crudele anche con dei bambini
come loro non si può scherzare su nulla, perchè
tutto
è una questione di sopravvivenza.
Così i sette amici decisero di infastidire il vecchio a modo
loro. Pensarono di distruggergli la casa.
Ciccio, che tra di loro ne sapeva di più sul signor Bennet,
disse a Cremino di di suonare il campanello e distrarlo. Gli altri
passarono dal retro dell'abitazione, dove a un metro di altezza c'era
una finestra dai vetri rotti; Man diede un forte pugno ai pochi vetri
ancora intatti. Si fece male, ma per lui era una cosa abbastanza normale
rompere vetri e legno a mani nude, lo aveva imparato dagli adulti ladri di professione.
Dopo che tutti e sei i ragazzi furono entrati Ciccio andò a
vedere se dall'altra parte della casa Cremino stava ancora parlando con
il vecchio.
Il ragazzino stava infatti ancora trattenendo il signor Bennet con
qualche scusa:
-Mi può dare un pezzo di pane per i miei fratellini?-
-Non ho pane, nè altro per te, ragazzo!- berciò
il
vecchio e tentò di chiudere la porta, ma Cremino la
fermò
con un piede e una mano.
-La prego signore, non mangiamo da giorni...- supplicò.
Spostò lo sguardo oltre il vecchio e vide il suo compagno
Ciccio
sulla soglia della porta che gli faceva cenno di venire via,
perchè erano già entrati tutti. Il ragazzino fece
un
mezzo sorriso, ma prima che potesse togliere la mano mano dalla porta
il vecchio, senza alcun preavviso, gli recise tre dita.
Cremino strizzò gl'occhi e urlò tenendosi la mano
sanguinante. Alzò poi lo sguardo verso il signor Bennet che
stringeva tra le dita scheletriche un taglierino.
-Sparisci se non vuoi che ti tagli tutta la mano, criminale!-
minacciò. Un vaso gli si spaccò in testa,
lasciandogli il
cranio pieno di schegge; si voltò e vide quel bambino grasso
che
cercava sempre elemosina da lui con uno sguardo minaccioso sul volto.
Iniziò a sgorgargli un po' di sangue sulla fronte e
sull'orecchio.
Pieno di rabbia si avventò su Ciccio urlando con la voce
roca e con il taglierino puntato alla tempia del ragazzo.
Ma Cremino era ancora là, anche se soffriva. Ed era
arrabbiato.
Saltò e si aggrappò al vecchio stringendolo per
la gola;
il signor Bennet preso alla sprovvista si dimenò come
poteva,
data la sua età, poi col taglierino iniziò ad
accoltellare la schiena di Cremino, che continuava comunque a strozzare
il vecchio.
Ciccio intervenne e prese il braccio del signor Bennet voltandolo in
senso antiorario e spezzandoglielo. Il fragile e rachitico braccio del
vecchio cadde a terra inzuppando i piedi di Ciccio, seguito da un urlo
di dolore.
Il signor Bennet cadde a terra. Per un vecchio è faticoso
persino respirare, è quindi inutile dire che l'uomo ormai
non
riusciva neppure più ad alzarsi e si limitava a tenere la
parte
monca e sanguinante, gemendo.
Però, come ho già detto prima, i bambini
cresciuti nella strada non scherzano, nè conoscono mezze
misure.
Quando Man, Lea, Uccia, Giuppa e Lulu entrarono nel piccolo salottino
trovarono Ciccio che cercava di aiutare alla bell'e meglio Cremino, che
perdeva sangue dalla mano e dalla schiena.
Man guardò il vecchio che ancora gemeva dolorante con gli
occhi
chiusi; guardò il suo braccio oramai bianco e scheletrico e
poi
tornò con lo sguardo sul vecchio.
Non c'era pietà nel loro mondo. Per nessuno. Il signor
Bennet lo
aveva appena dimostrato tagliando le dita a Cremino e accoltellandolo.
Evidentemente non era l'unico ad aver pensato questo, perchè
anche gli altri guardavano minacciosi il vecchio.
-Va' in bagno a cercare delle bende per Cremino.- disse Man a Lea -Noi
ci dobbiamo occupare di
una cosa...-
Lea ubbidì e corse a cercare il bagno. Aveva una mezza idea
di
quello che stava per succedere; Man l'aveva mandata via altre volte
quando faceva qualcosa di strano o brutto e non voleva che lei vedesse;
ecco perchè voleva così tanto bene al suo
fratellone,
perchè la proteggeva!
Man aveva sferrato un calcio nello stomaco del vecchio non appena la
bambina era uscita dal salotto. Uccia lo tirò su per i
capelli e
gli mollò un potente calcio sulla bocca, facendogli cadere i
pochi denti che aveva ancora. Il signor Bennet gridò tenendo
gli
occhi chiusi.
-Hehe, l'avevo detto io che i tuoi calci potrebbero abbattere un muro
di mattoni!- disse Man. Uccia sorrise compiaciuta in risposta e
passò il vecchio a Giuppa.
Calò il silenzio. Giuppa aveva dimostrato ai suoi compagni
di
avere nervi d'acciaio per essere una ragazzina. Aveva tagliato la gamba
infettata di Lulu senza voltare lo sguardo una volta e senza fermarsi
mai, neanche per fare una pausa. Quando volevano fare veramente del male
a qualcuno, Man chiedeva sempre aiuto a lei.
Giuppa lasciò il vecchio per terra, pallido, smorto, sporco
di
sudore e di sangue. Andò in cucina accanto al solottino ne
uscì pochi secondi dopo con un enorme coltello seghettato
tra le
mani
Si diresse verso il vecchio e senza dire una parola lo prese per i
pochi capelli che aveva, lo sollevò alla sua altezza e gli
cavò i bulbi oculari infilzandoli e tirandoli via con il
coltello.
Il signor Bennet urlò, gridò con tutto il fiato
che aveva in gola, come non aveva mai fatto. E morì.
Troppo dolore per un povero vecchio di settantanove anni.
******************************************************
-Tira,
tira!- incitò Lulu con le stampelle alzate in aria.
Man scartò gli avversari con abilità e
tirò.
-GOAAAAL!!!- gridò felice Lea dalla panchina. Cremino, in
porta,
sorrise divertito nonstante la sconfitta subita. Le ferite sulla
schiena si erano chiuse e Giuppa gli aveva ricucito le dita alle mani
con incredibile maestria. Non riusciva a muoverle ed erano leggermente
più pallide del resto della mano, ma le aveva attaccate e
questo
era l'importante.
Ciccio gongolò verso Uccia e la prese un po' in giro:
-Ahah! Noi abbiamo vinto! Noi abbiamo vinto!- cantilenò.
-Sì, ma soltanto di un punto!- ribattè Cremino.
Man sorrise al compagno e si complimentò con lui:
-Bravo Cremino, sei cresciuto! Una volta se perdevi ti arrabbiavi...-.
Il ragazzino arrossì ai complimenti del grande Man. Ciccio
intanto ballava facendo rimbalzare la sua grossa pancia.
Uccia sbuffò infastidita dal suo comportamento e disse:
-Dai, andiamo dentro a prenderci una birra, che ho sete...-
-Sì, sì, anch'io!- gridò Lea saltando
giù dalla panchina e avviandosi insieme Uccia verso la casa in
cemento grigio, tutta rotta e cadente.
-Tu non puoi bere la birra, sei troppo piccola!- la
rimproverò
Man. Poi, vedendola mettere il broncio, la prese in braccio e le disse
ancora -Quando avrai dieci anni te la farò bere, okay?-
Anche Cremino e Lulu si avviarono verso la casa sorridendo felici.
Ciccio smise di ballare e stiracchiandosi disse a Giuppa:
-Prendi la palla e rientriamo anche noi. Ho un po' di fame...-
Giuppa sollevò le spalle e sospirò.
Andò verso la
rete, si chinò e prese la testa livida e piena di sangue
raggrumato del signor Bennet; si rialzò e corse sorridendo
verso
la sua nuova casa.
Hello!!! Devo
ammettere che questo capitolo non mi piace molto, ma non sapevo che
inventarmi con il peccato dell'invidia.
Chissà se un giorno i bambini troveranno i soldi del
vecchio...
Pensate che l'ha letto anche mio padre (l'idea della birra è
sua) questo racconto, e straordinariamente ha continuato a ridere tutto
il tempo. :D Cioè, pensavo che mi avrebbe considerata una
matta
con manie omicide e mi avrebbe fatta vedere da uno psicologo per
prevenire il mio futuro da serial killer XD Vabbè, non mi
resta
altro da dire se non che il finale in cui giocano a calcio l'ho preso
da Hostel II (quel film è tutto un vomito!).
RECENSIONIIIII (madonna,
quante!):
nikoletta89:
Wow! Per fortuna non sei l'unica ad aver capito che quello era Vlad...
Be' immagino di aver lasciato molti indizi. Si vede che mi piace come
personaggio storico? :D Comunque non ti consiglio di provare a mangiare
kit-kat e pizza bianca, specie se quest'ultima è piana di
olio.
Ti fa venire la nause dopo un po'...
lagadema:
Personalmente se ci
fosse uno così ai giorni nostri sarei felice,
perchè tu
pensa che allora si adottavano questi metodi crudeli come l'impalamento
e le torture, mentre adesso noi utilizziamo la galera, o le multe. E
qui in Italia servirebbe un po' di giustizia...
VioletNana: XD
l'incantesimo di
appello! Pensa che io lo facevo per far venire a me i bicchieri d'acqua
sul tavolo, mentre ero stesa nel letto! Gridavo "Accio bicchiere! Accio
bicchiere!", poi arrivava mia mamma e me li dava lei... be',
però funzionava! O_o Riguardo al capitolo della lussuria, ho
già in mente la maggior parte del racconto! *_*
Miss_Juls_giu:
Lol! Ecco ilm
prossimo peccato: l'avarizia! :D Francamente io non vedo l'ora di
scrivere il peccato della lussuria, che sarà probabilmente a
rating rosso (ma nn lo cambio perchè voglio che anche chi
non
è registrato su EFP legga...). Lol! Continua a seguirmi! X3
violettamiciamiao:
Io ho odiato
quel re! E ho amato quel condottiero! Anzi, in realtà non ho
odiato il re... ero molto indifferente... Oh, vabbè, sono
molto
confusa in questo momento! E poi io sono una pigra cronica, sarebbe
stupido se io odiasso qualcuno che è pigro come me, no? :D
incasinata: OMG!
Anche in questa
sezione! :D Non preoccuparti per il commento triste dell'altro
capitolo, non mi sono mica offesa! XD Comunque solo perchè
scrivo storie horror non vuol dire che io sia triste, anzi! Scriverle
mi rende felice (mmmh, sembra il discorso di una sadica).
|
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Capitolo 4 *** Invidia ***
Sette peccati:
Invidia
Urla.
Qualcuno sta urlando.
I primi pensieri che passarono per la sua mente furono quelli. Non il
dolore al petto, non l'odore di sangue nell'aria, ma le strazianti
grida che gli trapanavano il cervello.
Riaprì gli occhi e si accorse di essere nudo, sdraiato su un
pavimento
color rosso vivo, come i muscoli senza pelle di una persona. Al
tatto era leggermente viscoso e sembrava davvero la carne di una
persona!
Si rialzò pulendosi le mani sul petto e fu allorà
che
lo notò: un buco. Un buco all'altezza del cuore, dove prima
gli
faceva male, un piccolo buco nero di sangue coagulato.
Spaventato, emise un gemito e infilò un dito tremante
nell'apertura; tastò qualcosa di morbido e carnoso, ma si
fermò subito perchè sentì un dolore
pulsante al
cuore... o a quel che ne era rimasto.
-Benvenuto peccatore.- disse una voce dietro di lui.
Si voltò e si parò gli occhi con la mano
perchè una luce troppo pura e bianca lo accecò
immediatamente. La voce continuò,
calda, gentile e benevola:
-Seguimi, uomo. Ti porterò in un luogo in cui potrai espiare
i tuoi peccati e ascendere al cielo.-
Si stropicciò gli occhi e finalmente vide l'essere a cui
apparteneva la voce: non sapeva definirne il sesso tanto era bello, ma
era alto, dai capelli lunghissimi e castani e gli porgeva la mano
destra
dalle dita lunghe e affusolate. Aveva la carnagione chiara e gli occhi
luminosi, non si sarebbe potuto dire di che colore, erano semplicemente
due pozzi d'acqua limpida. Tutta la sua figura emanava calma,
speranza e un dolce tepore simile a quello di una madre.
In un'improvviso attacco d'invidia desiderò poter togliere
quei begli'occhi trasparenti alla creatura e tenerli per sè.
E fu in quel momento che,
senza sapere nulla di quella creatura, capì che
era un angelo. E capì
anche di non essere più in vita.
Delle urla più forti lo distolsero dalla piacevole
contemplazione dell'essere superiore, riportandolo alla
realtà e
facendo sorgere nuovi interrogativi.
-Che posto è questo?- chiese.
L'angelo aprì le armoniose labbra e rispose con voce ferma:
-Il Purgatorio.-
-E come mai sono al Purgatorio? Sono morto?-
-Sì.-
Si toccò il petto, dove aveva scoperto quel buco e trattenne
il
fiato. Poi si accorse che non respirava. Non aveva respirato
già
da quando si era svegliato...
-Ma io chi sono?- chiese più a se stesso che all'angelo, ma
questo rispose comunque.
-Ora non sai chi sei e hai perso te stesso, ma qui ti ritroverai.-
-Tu puoi dirmi chi sono, vero?- ma l'angelo sorrise e gli occhi
sembrarono per un istante pozze d'acqua stagnante.
-Se sei qui- rispose -vuol dire che sei un peccatore, più
precisamente un invidioso.-
-Invidioso...?- ripetè il ragazzo.
-Tu hai desiderato possedere qualcosa che non avevi, e hai desiderato
che chi l'aveva lo perdesse, così da essere come te.-
spiegò con calma l'angelo -Qui non importa chi sei, ma cosa
hai
fatto e cosa puoi fare per rimediare.-
Il ragazzo si morse il labbro inferiore e si tastò di nuovo
il
petto, chiedendosi come mai non si sentiva particolarnente spaventato o
agitato dopo essersi dimenticato il suo nome,
aver appreso di essere morto e che stava probabilmente per essere
punito. Probabilmente era la presenza di quella creatura celeste
ed eterea che gli sorrideva e lo guardava con compassione.
-Ma tu chi sei?- chiese infine.
La creatura luminosa rispose:
-Sono Rachmiel, l'angelo della misericordia dovuta alla compassione per
la miseria altrui. Basta parole adesso, è tardi e devi
iniziare
ad espiare i tuoi peccati...-
Rachmiel tese ancora la candida mano al ragazzo e questi la prese
timoroso. Si avviarono lentamente lungo un tunnel rosso come le carni
degli uomini, accompagnati da urla continue.
******************************************************
Non
seppe dire dopo quanto uscirono fuori dal tunnel. Gli
sembrva, in effetti, di non sapere più nulla, di non avere
più certezze. C'era solo il sommo Rachmiel a sostenerlo e a
guidarlo, l'unica sua fonte di speranza in quel momento.
Ancora,
non sapeva cosa aspettarsi, ma la scena che vide alla fine di quel
tunnel di morte lo
scioccò ed inorridì allo stesso tempo: su di un
lungo ponte di pietra stavano migliaia di uomini e donne in fila per
uno, corpi nudi si contorcevano e gridavano.
Gridavano gli uni alle orecchie degli altri senza
un apparente motivo. Il ragazzo notò che tutte le
persone avevano gli occhi cuciti con fil di ferro e le mani mozzate.
Si girò spaventato verso l'angelo, in cerca di
rassicurazione:
-Cosa... che cosa...?- indicò con mano tremante quei copri
sofferenti che gridavano e si cercavano tra di loro
-...perchè...?-
L'angelo Rachmiel sorrise e rispose:
-Perchè urlano? Perchè sono stati cuciti loro
gl'occhi? Perchè sono state mozzate loro le mani?-
Il ragazzo pianse un poco e annuì e Rachmiel
proseguì:
-Questi che vedi sono gli invidiosi. Uomini che nella loro vita hanno
desiderato possedere la roba d'altri e hanno augurato loro sventura,
come hai fatto tu.-
Tra le mani dell'angelo apparve una lama scura e lucida che creava una
strana contrapposizione con la purezza della luce emanata dall'angelo;
Rachmiel la impugnò con forza e, senza alcun preavviso,
recise le mani del ragazzo.
Pianse
calde lacrime,
urlando disperatamente e chiedendosi il perchè di quel gesto
da parte di una creatura tanto bella e amorevole; si
guardò le ferite dal quale il
sangue sgorgava a fiotti. Poteva vedere al centro l'osso bianco che
spiccava tra il colori accesi dei tendini e dei muscoli
Guardò l'angelo con una supplica negli'occhi.
Rachmiel sorrise dolcemente, sembrava emanare ancora più
luce.
-Non preoccuparti. La punizione potrà essere dura e penosa,
ma alla fine andrai in Paradiso.- e detto questo tra le sue mani
comparirono un lungo ago d'argento e del fil di ferro. Rachmiel
inserì il filo nella cruna dell'ago con estrema
facilità, come se invece di ferro stesse usando comunissimo
spago. Il ragazzop tentò di scappare attraverso il tunnel di
carne, ma ecco che arrivarono altri angeli, bellissimi, luminosi,
celestiali, e gli tennero ferme le gambe e le braccia.
Ed ecco la punta dell'ago che penetrava nelle sue morbide e fragili
palpebre, bucando addirittura gli occhi. Urlò, chiese
pietà, ma le creature sovrannaturali gli risposero dicendo
che era per la sua salvezza e il suo bene. Tuttavia il ragazzo
trovò incredibile il modo in cui la mano di un angelo
potesse essere tanto pesante, e continuò a supplicare che
smettessero.
Dopo circa qualche minuto di sofferenza, sentì qualcosa di
caldo e liquido che colava lungo le sue guance. Sangue. Gemette
spaventato quando si sentì sollevare dagli angeli e
appoggiare su una strada di pietra stretta, accalcato a dei corpi
ululanti.
Il panico si impossessò di lui e iniziò ad
agitarsi sfiorando a tentoni ciò che lo circondava, ma senza
le mani le sue percezioni erano diminuite moltissimo e senza la vista
tutto lo spaventava e lo rendeva insicuro.
Così capì perchè tutti gridavano. In
quell'infinito buio che li circondava, quegli uomini avevano bisogno di
un qualcosa che li tenesse a contatto con la realtà e non li
facesse perdere nell'oblio.
Allora prese fiato e cominciò a rulare con tutta la sua
voce, ricordandosi le ultime cose che aveva visto per prima della sua
punizione: gl'occhi dell'angelo.
Lo sguardo di Rachmiel era liquido come acqua. Acqua stagnante.
Benvenuti all'inferno
di Dante!!! Mwuahahahaha!!! Forse
c'era chi si aspettava di trovare il capitolo sulla Lussuria dopo un
periodo di tanta inattività, giusto per farmi perdonare... e
invece no! Orsù, eccovi l'invidia (finalmente ho trovato
qualcosa da scriverci su!), un sentimento che accomuna
spesso noi (me, perlomeno, ho 16 anni) adolescenti! Quante volte ho
desiderato possedere il ragazzo di una mia amica... Va bene, la finisco
qui... Solo una cosa: sono molto felce che ci siano molte persone che
recensiscono, ma perchè recensire solo il capitolo 1?
Avrà tipo 9 recensioni... Be', comunque
risponderò anche a quelli che sono arrivati in ritardo,
perchè ho tipo tre mesi di ritardo da farmi perdonare :)
Ps: perdonate gli errori di ortografia, ma ero troppo stanca e non
avevo voglia di rileggere il capitolo ç_ç
RECENSIONIIIII (sigla di uomini
e donne!):
nikoletta89: Eeeeh,
anch'io spero vivamente che lo trovino, il tesoro :) Io adoro i
bambini, ma mi piacciono anche gli anziani... però i bambini
sono più pucciosi... ç_ç
lagadema: non sei l'unica
ad avermi chiesto un seguito per questo capitolo, in effetti sarebbe
bello esplorare meglio la psiche dei bambini e mostrare lati umani di
entrambe le parti (quella di Bennet e degli orfani)... ma
sinceramente non so se voglio cimentarmi in un'impresa simile per
adesso, perchè ho unìaltra fanfiction
semi-infinita da continuare... :-P Riguardo ai tuoi, dovresti provare a
fargli leggere qualcosa, scometto che ti approverebbero!
VioletNana: XD La
scarsità di magia in famiglia! Ti capisco, ti capisco... I
mie hanno l'immaginazione degna di un tubero, ma mi supportano, quindi
va bene... La crudeltà dei bambini deriva dal mondo in cui
sono vissuti. Avendo subito molte violenze (ovviamente non citate e non
scritte altrimenti la one-shot sarebbe diventata una "Storia Infinita
2"), per loro è normale vendicarsi di torti subiti
commettendo crimini quali l'omicidio; inoltre la molla che ha fatto
scattare tutto è stato l'attacco del vecchio che ha tagliato
le dita a Cremino. Comunque, ho già detto che quel peccato
non mi ispirava particolarmente (come l'invidia e la superbia),
perciò... :-)
incasinata: I bambini sono
bellissimi! Io adoro i bambini! Quelli sotto i 10 anni,
però... Comunque, spero che questo capitolo sia stato di tuo
gradimento (oddio, non contiene molte scene splatter,
però...). Non ho capito la cosa del postino... i bambini non
hanno mica mangiato il vecchio!
Rigrazio in ultimo (ma non per importanza) lily483, la mia cara amica
che ho quasi obbligato a leggere i capitoli di Sette Peccati (ti chiedo
della perdoni, come direbbe la Sonego!), Pluma che ringrazio per i
complimenti, Suigetsu_92 e tutti gli altri che hanno letto la
fanfiction. Continuate a seguirla! Prossimo peccato: LUSSURIA
(finalmenteeee! :D)
|
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Capitolo 5 *** Lussuria ***
Lussuria 7 peccati
Sette peccati:
Lussuria
-Cazzo! Questo
pullman è sempre in ritardo!-
Una ragazza sui diciassette anni calciò rabbiosamente il
bidone accanto a sè. Erano le 23:30 e stava aspettando alla
fermata del pullman da quasi venti minuti.
Era tutto il giorno che andava di qua e di là per Berlino;
si era incontrata con tutti i suoi ragazzi (ben 12) e aveva dato ad
ognuno di loro uno speciale ricordo di sè. Alcune sue amiche
non capivano come mai si comportasse in quel modo; la ragazza, da parte
sua, dichiarava sempre di essere giovane e volersi divertire.
Prese il cellulare dalla tasca del giubbotto sbuffando, compose il
numero di suo padre e si portò il telefono all'orecchio.
-Papà?- dall'altra parte il genitore rispose
adirato -Lo so che è tardi, ma il pullman non arriva! Senti
c'è un hotel qui vicino...- si fermò e, mentre
aspettava che suo padre finisse di gridarle contro tutta la sua
preoccupazione, si voltò sospirando e vide un piccolo
ostello che illuminava il quartiere. -Papà, ascoltami, ho avuto
un'idea. C'è un ostello qui davanti a me. Posso dormirci
stasera e domattina torno a casa...- ripetè ancora.
Suo padre dall'altro capo del telefono non sembrava molto d'accordo, ma
dopo varie rassicurazioni della figlia si decise a darle il proprio
permesso.
Greta, poichè questo era il suo nome, si avviò in
fretta all'ostello. L'insegna recitava "Geißel
Hostel", nome non particolarmente rassicurante, a suo dire*.
Strinse il portafoglio che aveva in tasca e, arrivata alla soglia,
aprì la porta di legno massiccio.
Dentro l'ambiente era molto più caldo e rassicurante di
ciò che si aspettava: c'erano molte finestre lunghe e
rettangolari; un lampadario illuminava quasi tutta la sala accettazioni
con una forte luce gialla e, accanto al bancone della reception, c'era
un tavolo di legno di ciliegio attorniato da sedie di paglia.
Greta andò verso il bancone, dietro al quale stava una donna
con dei grossi occhiali dalle montature verdi e i capelli ricci.
-Scusi, vorrei prenotare una stanza.-
Continuava
a leggere interessata una rivista di Playboy e
non aveva alzato lo sguardo nemmeno all'ingresso di Greta. Tuttavia,
prese il registro da
sotto il bancone, una
penna, una chiave dallo scompartimento dietro di sè e
posò il tutto davanti alla ragazza.
-Nome e cognome. La stanza è la numero 123. Le scale sono a
destra.-
Greta alzò le sopracciglia e arrossì un po', ma
ritenendosi fortunata che quella donna non le avesse chiesto
l'età o se fosse accompagnata da un maggiorenne
firmò velocemente il registro.
-Sono 10 euro.- disse ancora la commessa. Greta prese il portafoglio e
notò lieta di avere con sè ancora 25 euro.
Pagò, dopodichè prese la chiave e salì
le scale a destra della reception.
Al piano superiore, quasi alla fine di un lungo corridoio pieno di
porte rosse, trovò la propria stanza. La aprì,
aspettandosi di vedere un ambiente simile all'ingresso dell'ostello.
La stanza 123 era in efetti piuttosto informale. C'era un bagno vicino
alla porta, due letti a castello ben rifatti e, su uno di essi, una
pila di asciugamani puliti; c'era anche un piccolo balcone che dava sul parco,
e da quello Greta dedusse che la stanza si affacciava sulla parte
posteriore dell'ostello.
Non male!
pensò tra sè la ragazza
E fortunatamente non dovrò dividere la stanza con nessuno.
Non avendo nessun altro vestito con sè se non quelli che
indossava (degli scarponi, una gonna lunga nera, una maglia verde scuro
e il giubbotto nero) decise che per una notte avrebbe potuto
tralasciare la propria igiene personale; si tolse quindi il giubbotto,
mettendo il primo sul letto dove c'erano gli asciugamani. Si tolse
anche le scarpe e le mise sotto al letto; non osò togliersi
nient'altro perchè faceva troppo freddo...
Il rombo di un tuono scosse la stanza. Greta si portò una
mano al petto per lo spavento improvviso, poi, dandosi della stupida,
diede uno sguardo al balcone dove delle piccole goccioline avevano
iniziato a battere.
Meno male che ho trovato
questo albergo, altrimenti avrei dovuto aspettare sotto la piggia!
Greta si
buttò su uno dei letti con il cellulare e rimase distesa a
guardare il materasso dell'altro letto sopra di sè. Non
aveva fame nè sonno, ma desiderava intensamente che quella notte
passasse in fretta; prese il cellulare che aveva appoggiato accanto al
proprio viso con l'intenzione di chiamare una delle sue amiche e farsi
consolare, ma si accorse che nella stanza non c'era campo.
-Che strano...- mormorò tra sè -Sarà
per via del temporale?-
Posò l'apparecchio sospirando e allargò le
braccia. Le dita della sua mano sinistra si infilarono per noia nello
spazio che c'era tra il letto e la parete e toccarono le assi legnose
che sostenevano il materasso. Greta non lo registrò subito,
ma sentiva dei segni grezzi incisi sopra, come una scritta o dei
graffi. Incuriosita, la ragazza si girò alla propria
sinistra e illuminò con il cellulare lo spazio scuro: era
incisa una scritta che sembrava essere stata fatta con qualcosa di
sottile e appuntito, forse erano stati dei graffi.
Die Flagellanten nahm mich mit
Greta
lesse e rilesse la frase, ma non ne capì il senso.
Sentì un tonfo sopra di sè e si voltò
impaurita verso la porta.
Che scema che sono! pensò
tra sè Se il
rumore veniva da sopra, perchè ho guardato la porta?
Perchè non
c'è un altro piano oltre a questo... rispose il
suo senno di poi.
E fu allora che il vetro
del balcone andò in pezzi.
******************************************************
Greta
pianse. Il Flagellante la punì fustigandola con il proprio
flagello.
Tutt'intorno, le mura della stanza erano macchiate di gocce di sangue e
il pavimento era pieno di sperma e altro sangue.
Il Flagellante prese la ragazza per i capelli e le avvicinò
il viso alla propria erezione, in cui erano infilati dei piccoli chiodi
ormai arruginiti dal tempo.
A Greta sembrava di essere finita in un incubo e di non potersi
più svegliare...
Quell'essere immondo l'aveva torturata per ore: aveva un occhio
sanguinante e la schiena era piena di profonde ferite rosse.
Il Flagellante schizzò il liquido bianco in faccia a Greta,
poi la prese per le gambe e la violentò con rabbia; Greta
sentiva la sua vagina frantumarsi: i chiodi le raschiavano le labbra e
le pareti e i colpi erano troppo violenti. Tuttavia non
urlò, ma si limitò a piangere silenziosamente
conscia che se avesse fatto uscire un singolo suono dalla bocca quel
mostro l'avrebbe frustata.
Finito l'amplesso, il Flagellante prese il braccio destro di Greta e
tirò forte verso di sè, spezzandolo. La ragazza
non potè impedirsi di urlare questa volta, ma la creatura la
ignorò e tirò fuori un coltellino da una delle
tasche dei calzoni; con orrore di Greta, squarciò la pancia
della ragazza e tirò via la pelle, lasciando che le costole
e l'intestino della ragazza venissero allo scoperto.
Quindi la prese nuovamente e venne dentro di lei, ovvero sull'utero
quasi scoperto. Greta roteò gli occhi all'indietro e
vomitò sangue. La sua mente era una nebbia rossa e
ciò che usciva dalla sua bocca erano grida di dolore e
parole senza senso.
Con un ultimo sforzo, graffiò il pavimento in legno con le unghie e scrisse: Die Flagellanten nahm mich mit.
Il "Geißel
Hostel" è un ostello speciale.
Esiste da circa due secoli. In principio era un monastero dove vigevano
il pudore e
la severità; col tempo questi valori vennero condizionati da
un movimento proveniente
dall'Italia: l'autoflagellazione.
Così i monaci divennero flagellanti e si fecero chiamare "I
disciplinati di Cristo".
Viaggiavano per il paese punendosi per i peccati delle genti e per i
loro, fino a che
la chiesa non li definì degli eretici.
Il monastero fu distrutto e divenne una Casa di tolleranza dove uomini
e donne
davano sfogo ai propri istinti.
Per punire la loro lussuria, un Flagellante ritornò dal
mondo dei morti e
uccise tutti i peccatori.
La Casa di tolleranza divenne infine un ostello, ma il Flagellante
potè continuare il proprio lavoro.
Si dice, infatti, che il "Geißel
Hostel" attiri i lussuriosi per punirli dei loro peccati.
*Geißel
significa
flagello in tedesco.
Pardonnez-moi!!!
Je suis un retard!!! Meriterei di essere fustigata come la protagonista
della storiaaa! Chiedo il vostro più umile perdono.
Scommetto che una storia così non ve la aspettavate e vi
chiederete: Ma che piffero c'entra con la lussuria, di cui
c'è soltanto un qualche vago riferimento? E io
risponderò: Cacchi miei!
Allora, la frase in tedesco significa "I flagellanti mi portarono via".
Non studio ancora questa lingua, in quanto la farò il
prossimo anno in terza, ma ho usato un traduttore online e quindi
dovrebbe essere più o meno giusta... Comunque fatemi sapere
se non lo è. La figura del flagellante me la
immagino come un'illustrazione di Keith Thompson (artista
eccellente secondo me), che potete trovare qui: http://www.keiththompsonart.com/pages/flagellant.html
Per saperne di più sui Flagellanti
guardatevi (o leggetevi) Il codice Da Vinci oppure andate su quel link
che vi ho messo (che vi condurrà alla vecchia Wikipedia).
Ovviamente la cosa dell'ostello è tutta inventata! Non
andate in Germania a cercare strane leggende sui Flagellanti e su un
loro monastero che poi divenne un bordello! XD
Ringrazio Enlin
per avermi invogliato a scrivere e adesso passo lollosamente alle
recensioni....
VioletNana: Il
povero peccatore aveva invidiato un ragazzo con un cellulare
più figo del suo! U-U No, scherzo. Lascio la
possibilità di decidere ai lettori sull'oggetto dell'invidia
del tipo. O era una tipa? Scommetto che non l'ho scritto! Bene,
toccherà al lettore deciderne il sesso (a meno che non ci
sia già e io lo abbia dimenticato). Grazie per i
complimenti, lol!
SweetKiller: Mi
piace il tuo nick. Grazie per i complimenti e lo so che il capitolo
sull'avarizia è venuto molto a minchia, diciamo. Non piace
nemmeno a me, figurati :) Spero che abbia trovato interessante questo
capitolo, però, perchè io mi sono divertita a
scriverlo!
Araluna: E
infatti mi diverto abbastanza, ma non per i motivi strani che pensi tu,
anzi! Ad esempio in questo capitolo mi sono divertita a scrivere la
parte centrale, quella dove trova la scritta, e la storia
delll'ostello. :D Molto probabilmente ci saranno degli errori anche in
questo capitolo, per il semplice fatto che l'ho scritto in una giornata
e non avevo voglia di rileggerlo, hehe! XD
lagadema: Anche il
tuo nick è molto bello, anche se non ne conosco il
significato... Comunque sono felice che mi aspettassi con ansia. In
effetti "Sette Peccati" ha riscosso molto, molto, molto, ma molto
più successo di quanto mi aspettassi per un originale. Mi
dispiace per i tuoi, ma sai neanche i miei lo sanno usare il pc, sono
io che li trascino :) Grazie per continuare a seguirmi!
Sif: Il primo
capitolo di questa ff è un capolavoro che non si
ripeterà mai più, ahimè. Molti si sono
complimentati e ne sono stata davvero commossa, perchè era
il mio primo tentativo di horror, come ho già detto in altre
recensioni.E sono felice che il capitolo sull'invidia ti abbia fatto
paura, perchè è stato scritto con questo scopo!
:D In questo invece ero io che mi stavo cagando sotto (volgarmente
detto) perchè io ho esattamente lo stesso balconcino che ho
descritto nella storia mentre scrivevo avevo le tende tirate, mi
riflettevo e ogni tanto gettavo occhiate angosciose ai vetri, sperando
che nessun Flagellante li spaccasse. XD
Enlin: La birra
è stata un'idea di mio padre, a simboleggiare che i bambini
si credevano degli adulti, tipo... Vabbè, non ci pensare
troppo, era un'idea stupida! Ho ricevuto la tua ultima email, anche se
non ti ho risposto. Grazie per aver seguito la mia ff così
assiduamente, diciamo. Mi ha fatto molto piacere
ç_ç
binky: Biancaaaa!
Che recensisce una mia ff!!! Nuoooo! Lo dirò ad Anna. Io non
sono crudele, è che mi disegnano così! XD No,
comunque io non farei del male nemmeno a una mosca, sono una ragazza
abbastanza tranquilla. Anna te lo confermerà! Sono felice
che ti siabo piaciute le descrizioni. Trovo che sia molto difficile far
spaventare le persone attraverso dei racconti scritti perchè
non è come guardare un film, in cui hai delle immagini.
Spero di esserci riuscita, in ogni caso... :) Continua a seguirmi se
vuoi, please! :-*
Raim: E
così anche tu hai recensito queste horror, lol. Non pensavo
saresti mai andata a leggerle, perchp trovo che non siano nel tuo
stile. Ti vedo più per ff drammatiche o introspettive. U_U
L'angelo è in realtà un bishonen (parlando in
termini manga) crudele, tipo Rukawa che ride (eeeh? ma quando mai???),
capelli biondi e occhi acquosi a parte. Alla fine sabato non abbiamo
parlato di cadaveri! XD Spero ti piaccia questo capitolo, bellaaaaaa!!!
|
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Capitolo 6 *** Superbia ***
Lussuria 7 peccati
Sette peccati:
Superbia
Caro fratello,
Spero che questa mia ti arrivi prima che l'inverno finisca, altrimenti
sarà troppo tardi.
So che questa lettera verrà letta da tua moglie e tu la
ignorerai: è passata troppa acqua sotto i nostri vecchi
ponti, non potrai mai perdonarmi dopo tutto cià che
è successo.
Tuttavia, eccomi qui a scrivere una lettera di perdono: per i miei atti
osceni contro nostra sorella, per il male contro di te, per la mia
vanagloriosa stupidità. Per la mia superbia.
Ti chiederai, o melgio, tua moglie si chiederà cosa ha a che
fare nostra sorella Elena in questa storia.
Lascia che io riveli la parte più infima di me stesso,
fratello adorato.
In quelle afose giornate di giugno stavamo sdraiati tutti e tre al sole
sulle rive del lago di Como; ricordi come Elena cantava le sue dolci
canzoni su Genova, la città nella quale eravamo nati? Io
adoravo ascoltarla cantare: la sua voce era melodiosa e intonata come
quella di una rondine, e come una rondine nostra sorella volava felice
e leggiadra portando la primavera nel cuore di chi l'amava.
Tu sai bene che io, allora un giovane ragazzo sui vent'anni, ero molto
geloso di Elena; quante litigate abbiamo fatto per lei, quanti pugni ci
siamo dati per avere l'onore di accompagnarla alle lezioni di canto!
Ed Elena sembrava giore di questa contesa. Ha sempre avuto un'alta
considerazione di sè, come me d'altronde. Ahimè,
fratello mio! Se solo tu ed Elena non mi aveste lodato sempre per i
miei voti all'Università o per le mie creazioni in vetro, questa superbia, regina dei vizi
e dell'immoralità, forse non mi avrebbe mai sfiorato, nostra
sorella sarebbe ancora viva e la mia anima sarebbe intatta. E
soprattutto, avrei accanto a me il mio adorato fratello dal quale mi
sono separato diec'anni or sono.
Ma via! Ormai tutto è successo e il tempo non scorre
all'indietro.
Ricordo che la mia superbia crebbe al punto in cui mi offendevo ogli
qual volta Elena passava un po' di tempo con te invece che con me; mi
chiedevo come potesse scegliere te all'uomo di successo e di
bell'aspetto quale ero.
Pretendevo l'attenzione di nostra sorella tutta per me e guai a chi
ribatteva! Elena da parte sua, non voleva lasciarti da parte e, come ho
già scritto, anch'essa era talmente superba che non riusciva
a credere che io volessi comandarla e gestirla a quel modo. Tu non
ribattevi più; probabilmente ti eri abituato a questo mio
nuovo atteggiamento e ti limitavi a restartene in disparte, ad
allontanarti sempre di più da noi.
Fuggivi da una stanza ogni qual volta vi entravo, evitavi persino di
parlarmi. Questo mi rendeva furioso: come potevi non sopportare la mia
presenza quando ero un uomo così buono e giusto?! Io mi
credevo perfetto e pensavo che fossi uno stolto. Dubitavo, anzi, che tu
fossi davvero mio fratello per quanto eravamo diversi: io avevo da poco
aperto un negozio di vasi e ceramiche che andava già a
gonfie vele, mentre tu eri un compositore fallito.
Una sera decisi di portare Elena con me a teatro, ma all'uscita, quando
le dissi di venire in montagna con me l'indomani, ella si
ribellò. Finalmente ebbe il coraggio di dirmi quello che ero
diventato: un uomo da disprezzare, vergognosamente vanesio e superbo.
Persi la testa, le tappai la bocca e la portai dietro ad un vicolo.
Perdonami fratello mio, perdonami! Quella notte io commisi un atto
orribile di cui, cosa peggiore, mi vergognai solo anni dopo: la
violentai.
Lo stesso sangue ci scorreva nelle vene e tuttavia io la obbligai a
ricevere il mio seme. Adesso sai perchè Elena
partì dalla casa paterna così all'improvviso: io
decisi che doveva nascondersi in una delle mie case fuori
città, nessuno doveva scoprire ciò che era
successo quella notte. Ti ricorderai che anche io partii pochi giorni
dopo, dicendo che avevo aperto altri negozi oltre la Lombardia.
Fu l'inizio di una vita vergognosa e squallida per Elena: viveva con me
a Barcellona, era la mia sorella folle di giorno e la mia
amante di notte. Sei mesi dopo il nostro trasferimento nella
città rimase incinta; non me lo confessò, ma dopo
quattro mesi notai che il ventre era gonfiato e capii. Spaventato e
infuriato dal fatto che mi avesse tenuta nascosta una cosa tanto
importante, la picchiai e la torturai fino a che non
abortì. Ricordo che le tirai un pugno nella pancia e
sentì chiaramente il piccolo corpo del feto dentro di lei.
Dopo quell'episodio diventai un animale. Ogni scusa era buona per
torturarla: se non aveva pulito bene la stanza, se non aveva ancora
preparato la cena...
Elena sembrava morta. Respirava, ma dentro era morta. Io me ne
accorgevo, ma ignoravo tutto, non m'importava nulla!
Passarono due anni ed Elena era rimasta di nuovo incinta. Decisi di
farla partorire: se riuscivo a controllare la sua vita, avrei potuto
farlo benissimo anche con quella dei nostri figli. Nacquero due
gemelli. Non avevano un nome, o almeno io non glieli diedi. Ho saputo
il nome di uno di loro solo poco fa.
Passarono altri quattro lunghi anni. Sentivo la tua mancanza. Vedevo
crescere quei bambini con il terrore negli occhi e iniziavo lentamente
ad accorgermi di ciò che avevo fatto, di ciò che
ero diventato.
Provai a scriverti delle lettere nella quale chiedevo come stavi, ma mi
venivano tutte rispedite indietro. Elena si ammalò di
tubercolosi l'inverno successivo, uno dei gemelli era cresciuto male,
era storpio: aveva un braccio più corto dell'altro e una
mano con sei dita. Era quello che mi guardava di più, che
cercava un aiuto silenzioso. Comprai delle medicine e le diedi ad Elena,
ma non avevo considerato il fatto che non volesse più
vivere...
Il bambino sano morì poco tempo dopo, non si sa per quale
motivo. Forse era sano solo all'apparenza, forse aveva problemi
cardiaci. Fatto sta che una notte lo trovai davanti alla porta della
mia camera con la bava alla bocca e gli occhi voltati all'indietro, bianchi. Credo che il
fratello storpio sapesse qualcosa, ma non disse mai nulla. Non li sentii
mai parlare, quei bambini. E anche Elena non parlava più,
nè mangiava o si muoveva più.
Passarono altri anni nei quali Elena viveva come un vegetale, accudita
dal figlioletto storpio, fino ad un mese fa.
Un mese fa, novembre, quando tutta la mia coscienza si è
risvegliata definitivamente e i miei occhi si sono aperti. Che cosa ho
fatto, fratello?! Ho avuto due figli da mia sorella, ne ho lasciato
morire uno e ignorato l'altro! Ho ucciso lentamente la mia amata Elena,
la mia migliore amica insieme a te nell'infanzia, la mia famiglia!
Ho preso una decisione, ieri. Ho scoperto da poco, un mese circa, di
avere un male incurabile all'addome, una macchia scura che all'inizio
sembrava un neo ma adesso è diventato della grandezza del
pugno di un neonato. So di non avere speranze, perciò ho
confessato tutto in questa lettera: voglio che almeno alla fine la mia
anima si purifichi in parte delle mie azioni.
Fratello mio, o moglie di mio fratello, chiunque tu sia e che stai
leggendo la mia missiva in questo momento, ti chiedo di recarti a
Parigi, Rue des Acacias 13, primo piano alla porta con il nome di
Lambruge (cambiai nome quando mi trasferii da Barcellona a
Parigi, tre anni fa). Troverai le chiavi allegate alla lettera. La
chiave più piccola apre la porta della cantina:
lì dentro troverai la cara Elena, morta due giorni fa e che
non ho avuto tempo di sepellire, e accanto il figlio storpio. In questo
unico mese ho avuto molte cose da fare: ho depositato tutto il mio
denaro in banca e l'ho intestato a te, fratello; ho comprato molti
viveri affinchè il bambino possa sopravvivere fino al tuo
arrivo quest'inverno; ho comprato un acido corrosivo che berrò dopo aver
scritto questa lettera. Mi farà morire tra i più
atroci dolori, non di certo paragonabili a quelli che ho inferto a mia
sorella e i miei figli. Ti prego, tu che stai leggendo questa lettera,
prenditi cura di questo bambino sfortunato, o dallo in custodia a
persone buone. Ha già sofferto troppo nella sua breve vita!
Sai, fratello, ho chiesto al bambino il suo nome oggi, quando gli ho
portato da mangiare. Era sorpreso perchè non gli avevo mai
sorriso o rivolto la parola. E lui sa parlare, sai? E come parla bene,
com'è educato e gentile! Vuoi sapere il suo nome?
Si chiama Emanuele, fratello mio. Come te.
Con le più ardenti speranze e supplicando il tuo perdono,
Giacomo
Perdonatemi!
Ho smesso di scrivere a causa della depressione indotta da vari
problemi che ho avuto su EFP (del tipo, mi hanno segnalato due
fanfiction e le hanno cancellate...) e sono diventata parte della
redazione del giornalino della mia scuola e ogni mese dovevo
inventtarmi qualcosa di nuovo sia in vignette che articoli... Comunque
ora sono tornata piena di idee grazie a Saw VI e tutti gli altri Saw,
che ho rivisto; purtroppo la fanfiction sta per finire... sigh! Manca
un capitolo! ç_ç
Non siate tristi,
mettete via i
fazzoletti. Ho intenzione di scrivere una piccola raccolta su anzune
leggende metropolitane che mi hanno appassionata (ne ho giusto una in
mente... ma no, prima devo finire il capitolo dell'Ira, già
in
cantiere da un pezzo)! Comunque, che ne pensate di questo capitolo
epistolare? Ovviamente la via di Parigi è inventata...
Perdonate gli errori di battitura che, ovviamente, saranno molti!
Mi sono ispirata leggermente alla storia del mostro di Amstetten, una
triste e sconvolgente realtà.
Detto tutto questa
pappardella di roba, passiamo alle recensioni:
VioletNana: Come fai
a leggere ad
alta voce in casa da sola??? Io dei problemi veramente grandi quando
devo esercitarmi a recitare poesie (faccio poesia al liceo,
ahimè!)... Eeeeh, gli errori di battitura ci saranno sempre,
fino a quando non mi ricorderò dove li ho letti e allora li
correggerò; comunque, sai che pensavo proprio a Silent Hill
quando ho scritto Lussuria? In fondo anche la città attirava
persone malvagie o "che se lo meritano". Ricordo infatti che in uno dei
videogiochi c'era una bambina che vedeva Silent Hill come una
città normale... Grazie ancora per i complimenti, spero ti
sia
piaciuto anche questo capitolo!
nikoletta89:
Grazie dei complimenti, la mia fantasia semi-malata ti fa un inchino e
ti prega di seguirla ancora, come sempre! :)
Enlin: Io e mio
padre ti
ringraziamo per i bei complimenti che fai ogni volta! Il mio professore
dice che sono anche troppo colloquiale, ma è più
forte di
me! D'altronde, scrivere con un registro alto in una fanfiction
splatter mi sembra davvero poco azzeccato... E il "venire" l'ho messo
perchè non sapevo che altro mettere! XD Perdonami, non ho
mai
scritto nemmeno accenni porno, figuriamoci delle scene! Mi spieghi cosa
vuol dire violenza alla Cannibal Corpse? Purtroppo non ho mai visto il
film, nè intendo vederlo senza qualcuno accanto a me...
Aspetto
con ansia la tua recensione! ^^
Sweetkiller: Avevo
iniziato a
leggere il Codice Da vinci, ma ho smesso quando sono arrivata alla
parte del monaco biondo che si fustigava XD L'ho trovavo noioso...
Comunque grazie per i complimenti, ti prego di continuare a seguirmi!
Clonexazz81:
Cambiati 'sto nome
perchè davvero non riesco nè a scriverlo
nè a
pronunciarlo! Come noterai, forse, dalla data anch'io smarrii la retta
via e mi ritrovai per una selva oscura. Non badare troppo alle regole
delle recensioni, nessuno le rispetta mai! :D
lagadema:
è davvero un
nick bellissimo ed è probabile che te lo ruberò
:D
Scherzavo! Grazie per i tuoi complimenti e per aver recensito anche
questo capitolo! Spero lascerai un piccolo commento anche in questo,
magari ti becchi un punto... Ma poi a che servono questi punti? O_o
anythingforyou:
Grazie per la
tua correzione (che non ricordo se ho già aggiunto al
capitolo,
forse no...)! Grazie anche per i tuoi complimenti, sono sempre graditi!
^_^
Sif: Ovviamente
qui le colpe
sono esagerate al massimo! Io non credo che una ragazza che si fa tanti
maschi solo per divertirsi meriti la morte... o forse lo penso?! Magari
una piccola frustata ci sta... Vabbè, passiamo ai
ringraziamenti: grazie! Ho finito... XD Se mi prometti che, nonostante
i miei enormi ritardi, continuerai a leggerai questi ultimi due
capitoli prometto che non ti farò mai più battute
scialbe
come questa!
desirepellegrino:
Ti ringrazione
per la tua recensione al capitolo dell'Accidia! Spero che tu abbia
gradito anche questo e, inquanto alla pubblicazione di queste storie,
forse se non le avessi pubblicate qui avrei potuto farlo XD Comunque ci
sono buone possibilità che io mandi qualcosa ad una casa
editrice... Poi si vedrà. Continua a seguirmi, grazie!
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