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Sapevo benissimo che lui era
inarrivabile, irraggiungibile, inavvicinabile. Quasi impensabile, addirittura.
Ne ero a conoscenza fin dall’inizio;
era il classico tipo impossibile, e lo era per diversi motivi, che potevano
raggrupparsi in tre grandi fattori.
Primo: l’età.
Io ero ancora una diciottenne al quinto
anno di liceo, una povera ragazza spaurita che stava solo iniziando ad affacciarsi
alla vita reale, quando lui a ventisei anni era già abbastanza navigato e
sapeva il fatto suo. Lavorava, viveva da solo e non doveva lesinare la macchina
ai propri genitori ogni qualvolta dovesse uscire.
Secondo: l’aspetto fisico.
A detta dei ragazzi ero abbastanza
carina, e in passato avevo riscosso qualche successo. Un mio grosso difetto
però consisteva in una bassissima autostima, che in quel periodo rasentava i
minimi storici, dato che mi ero da poco lasciata con il mio ragazzo e non mi
ero ancora del tutto ripresa.
Lui invece era… Beh, ai miei occhi era
bello almeno quanto un dio greco. Continuavo perciò a ripetermi che per questo
motivo non mi avrebbe mai degnata di uno sguardo, forse per aggiungere enfasi
al fatto che non avrei mai potuto averlo.
Io, però, avevo l’abitudine di
idealizzare molto le persone per cui mi prendevo una cotta, e quindi il mio
parere non era molto oggettivo, secondo le mie amiche. Non che avessero tutti i
torti…
Marcello era un tipo normale, alto,
corporatura media, capelli corvini ed occhi color nocciola. Eppure aveva un gran
fascino, a mio giudizio. Quando sorrideva, innanzitutto, metteva in mostra due
magnifiche fossette sulle guance, che erano in grado di farmi sciogliere.
Portava gli occhiali, inoltre. Essi gli
conferivano un’aria intellettuale che gli si adattava molto bene, specialmente
per il mestiere che faceva. Purtroppo e per fortuna, aggiungevo io.
Perché ciò si ricollegava al terzo
fattore, l’ultimo ma non per questo il meno importante: il suo lavoro.
Era quello
il problema principale, l’ostacolo insormontabile che mai avrei potuto
aggirare.
Certo, a volte mi lasciavo andare
all’immaginazione e pensavo a come sarebbe potuto essere se io avessi avuto con
lui un altro tipo di rapporto, e non quello che il suo lavoro mi imponeva.
Tuttavia tornavo bruscamente alla realtà, dove sapevo bene che i fatti non
potevano cambiare: erano tali e così sarebbero rimasti.
Marcello era il mio professore, per
l’esattezza il professor Bassi, e non potevo farci nulla a riguardo.
Note dell’autrice
Eccomi qui con una storia che avevo
scritto per un concorso, che però non è andato a buon fine. Per cui la pubblico
qui, sperando che abbia più successo…^^
Fatemi sapere cosa ne pensate, mi
raccomando! Anche se ammetto che il prologo è un po’ corto, ma mi rifarò presto
con il primo capitolo… Tanto è già tutto scritto, pubblicherò una volta a
settimana.
Non so perché attendessi la gita, o,
per usare un termine tecnico, il viaggio d’istruzione, con così tanto
entusiasmo. Probabilmente mi sentivo così eccitata all’idea di partire perché
era la gita di quinta, quella che sarebbe stata destinata a diventare una
leggenda, per la nostra classe; quella che mi sarei portata per sempre nel
cuore anche negli anni a venire e al cui ricordo avrei riso con i miei compagni,
in occasione di future ed improbabili rimpatriate.
Forse non stavo più nella pelle perché
la meta di quel viaggio era Parigi, città in cui non ero mai stata e che avevo
sempre desiderato visitare. Quale occasione migliore di quella, quindi?
Presumibilmente, però, in quella gita
vedevo inconsciamente un’occasione per avvicinarmi a Marcello, che era
l’accompagnatore della nostra classe. Perché no, dopotutto? Avremmo passato sei
giorni in un contesto del tutto diverso da quello scolastico, senza
valutazioni, verifiche ed interrogazioni, né campanelle a scandire le lezioni.
Non mi facevo troppe illusioni, però. Non
pensavo certo di dichiarargli il mio amore o di supplicarlo in ginocchio di
concedermi un’opportunità, durante la gita. Nulla di tutto questo. Avevo una
dignità, dopotutto.
Semplicemente volevo avvicinarmi a lui
come amica, per quanto il rapporto professore-alunna mi permettesse. Mi rendevo
conto da sola che era un’idea molto stupida, ma ero troppo accecata da quella
mia cotta per darvi peso. Volevo tentare il tutto per tutto.
- Ehi, Dani, sei ancora su questo
pianeta? – mi chiese Alessia, seduta di fianco a me sul treno.
Io distolsi lo sguardo dal finestrino
ed annuii distrattamente. Ero ancora un po’ assonnata, dato che quel lunedì
mattina eravamo partiti molto presto, per poter essere a Parigi nel primo
pomeriggio.
- Non si direbbe, sai? – mi rimbeccò
lei, con un sorriso canzonatorio.
- Perché? – domandai, sulla difensiva.
- Beh, Bassi è appena passato per
andare in bagno e te lo sei persa. – mi rispose Alessia, con noncuranza.
- Cosa? – esclamai, delusa. Avevo perso
un’occasione per poter ammirare il magnifico fondoschiena di Marcello, che sotto
questo punto di vista era fortemente venerato dalle mie compagne. Non per
niente si era guadagnato il soprannome di ‘Marcello-Culo-Bello’. Ogni volta che
in classe si alzava dalla cattedra e ci dava le spalle per scrivere qualcosa
alla lavagna, difatti, l’attenzione della popolazione femminile della mia
classe, me stessa in primis, raggiungeva l’apice, mentre i maschi roteavano gli
occhi, disgustati.
Sbuffai, sprofondando nel sedile per il
disappunto.
– Ragiona, su. – mi incitò Greta,
seduta di fronte a me. - Non starà certo in bagno in eterno, no?
Mi diedi della stupida per non averci
pensato prima. Mi misi nuovamente composta e attesi il ritorno di Marcello al
proprio sedile, godendomi la visuale. Mi rifeci gli occhi, ma con una punta di
amarezza. Avevo sempre saputo che non sarebbe mai stato mio, fin dal giorno in cui l’avevo
visto per la prima volta.
Lo ricordavo bene; a Giugno il nostro
professore di storia e filosofia era andato in pensione, così la sede era
rimasta vacante fino alla fine di Settembre, quando finalmente era arrivato
Marcello, al suo primo incarico da insegnante.
Non appena aveva varcato la soglia
della nostra classe, avevo pensato che era davvero carino e avevo iniziato a
contemplarlo con aria trasognata, ma non vi avevo dato troppo peso. In quel
periodo stavo infatti insieme a Valerio, e quindi ero molto concentrata su di
lui; paragonavo la cotta per Marcello a quelle che avevo per i miei attori
preferiti.
Tuttavia quando a fine Novembre Valerio
mi aveva lasciata, con la scusa che era confuso e che voleva starsene un po’ da
solo, avevo iniziato a guardare il mio professore con occhi diversi, forse per
reazione alla batosta ricevuta. Continuavo però a ripetermi di stare con i
piedi per terra, mi ponevo quei paletti che il suo essere professore mi
intimava di collocare e cercavo di non farmi troppe illusioni: per lui ero
un’alunna come tutti gli altri, e così sarebbe rimasto, che la cosa mi piacesse
o meno.
I primi due giorni trascorsero tutto
sommato in modo abbastanza tranquillo, tra visite a musei e monumenti,
spostamenti in metropolitana e pranzi dove capitava. Ogni sera eravamo esausti,
ma ciò non ci impediva di stare alzati fino a tardi, tutti riuniti in un’unica
camera.
L’hotel in cui alloggiavamo non era
male, considerato il fatto che eravamo in gita scolastica, con trattamento a
mezza pensione. Non era certo in centro città, ma distava due minuti di cammino
da una stazione della metropolitana.
Le camere erano da tre, ed io ero con
Alessia e Greta.
Le stanze del resto dei nostri compagni
e dei componenti delle altre due classi, tra cui malauguratamente figurava
anche Valerio, erano sullo stesso piano della nostra, mentre quelle dei
professori erano situate in fondo al corridoio, purtroppo, dato che ogni sera si
trasformavano in carabinieri, per accertarsi che fossimo al sicuro nelle nostre
camere. Noi, però, eravamo più furbi e riuscivamo sempre ad eludere la loro
sorveglianza. Era cosa risaputa, d’altronde, che in gita si dormisse ben poco e
si passasse la notte in bianco a parlare, giocare a carte, mangiucchiare
schifezze e divertirsi.
I professori potevano farci ben poco, a
riguardo. Potevano fare i sorveglianti quanto volevano, ma noi eravamo più
forti di loro, che prima o poi crollavano a letto esausti, e a quel punto noi
agivamo.
Tra i quattro professori
accompagnatori, solo Marcello non faceva il controllore. Ci raccomandava
soltanto di non fare troppo rumore, altrimenti i responsabili dell’hotel
avrebbero preso seri provvedimenti, dopodiché si ritirava nella propria stanza,
probabilmente a leggere un libro o più semplicemente a dormire, dato che la tv
trasmetteva solo canali francesi. Qualche mio compagno gli aveva chiesto se
voleva unirsi a noi, ma lui aveva gentilmente declinato l’offerta.
- Verrei volentieri, ma devo mantenere
almeno un minimo di serietà con i miei colleghi... – diceva ogni volta, a metà
tra il coscienzioso e il divertito, provocando in me dispiacere. In quelle
parole vedevo infatti non solo un rifiuto alla proposta dei miei compagni, ma
un’ulteriore riprova del fatto che lui fosse totalmente irraggiungibile, e che
avrei fatto bene a guardarmi intorno alla ricerca di qualcun altro.
Ovunque mi girassi, però, continuavo ad
incrociare Valerio, e la cosa mi dava enormemente fastidio. Non gli rivolgevo
più la parola fin dal giorno in cui mi aveva lasciato. Dopo averlo ricoperto di
insulti mi ero allontanata da lui in lacrime, e da allora avevo ignorato ogni
suo tentativo di riavvicinarsi a me. Nei messaggi che mi mandava, infatti, c’era
scritto che gli mancavo e che aveva bisogno di me, ma come amica. In quel momento
diceva di aver bisogno di qualcuno che gli stesse vicino, non di una ragazza. Per
quello che mi riguardava, poteva benissimo andare al diavolo e volgersi altrove
per cercare conforto. Tra tutti gli amici che aveva, possibile che avesse
bisogno proprio di me, la sua ex-ragazza?
Lì a Parigi, poi, continuava a
guardarmi con quell’espressione da cucciolo affranto capace di intenerire le
mie amiche, che avevano sempre nutrito una gran stima per lui, ma non me. Era stato
lui a lasciarmi, dopotutto. Doveva assumersi le conseguenze della sua azione. Io
avevo sofferto, e non avevo intenzione di stare di nuovo male per causa sua,
visto che si definiva ‘confuso’.
Io avevo voltato pagina, in un certo
senso. Certo, non nel migliore dei modi, ma lo avevo fatto. C’era Marcello nei
miei pensieri, ora. Peccato, però, che sarebbe rimasto solo e soltanto lì. E che
dovessi mandarlo via a forza dalla mia mente.
Forse era davvero il momento che mi
lasciassi alle spalle quella stupida cotta, ed era quello che stavo tentando di
fare. Quei primi due giorni di gita mi erano serviti a capirlo, ora si trattava
solo di mettere in pratica. Non era facile, ma nemmeno un’impresa impossibile.
Non sapevo, però, che il terzo giorno
si sarebbero rimescolate le carte in tavola.
Note dell’autrice
La mia vena ispiratrice ha preso il
sopravvento. Sto infatti rivedendo ed ampliando questa storia, per la sfortuna
di voi lettori… xD
Per il concorso infatti vi era un
limite di lunghezza, e dunque avevo dovuto ridurre di molto la storia che mi
era venuta in mente. Ora, però, questa sta tornando a fare capolino nei miei
pensieri, così, per quanto mi sarà possibile, ho deciso di ampliarla e di
conformarla a quello che era il progetto originale.
Spero che vi faccia piacere^^
Fatemi sapere il vostro parere,
comunque, così se qualcosa non va cercherò di migliorare…
Passiamo ora ai ringraziamenti:
EmoGirl91:
Grazie dei complimenti e degli incoraggiamenti! =) Comunque ti sarà facile
capire perché non ho avuto successo… Il concorso a cui ho inviato questa storia
era niente popò di meno che il Premio Campiello… Oltre a me, avranno
partecipato persone sicuramente molto più brave di me, per cui pazienza. Almeno
ci ho provato^^ Spero che continuerai a seguirmi e che questo capitolo ti sia
piaciuto… Baci, Pikky91
Fataflor:
Anche io come te adoro gli amori impossibili… Per questo cerco di cimentarmi nella
scrittura di essi, e questi sono i risultati… xD Ti ringrazio per la recensione
e per i complimenti, spero che continuerai a seguirmi…^^ Baci, Pikky91
Giovedì pomeriggio, come da programma,
ci trovavamo al Louvre. Date le sue dimensioni, i professori avevano deciso di
dedicarvi un intero pomeriggio, per quanto fosse impossibile riuscire a
visitarlo tutto in così poco tempo. Per questo motivo, quindi, i professori ci
avevano lasciati liberi di poter guardare le opere che più ci interessavano,
eccettuata la professoressa di storia dell’arte che accompagnava la classe di
Valerio, che per ovvi motivi preferiva andare insieme ai propri alunni a vedere
le opere studiate ad inizio anno.
- Sei sicura di voler andare da sola? –
mi chiese Alessia, dopo che avevo comunicato a lei e a Greta la mia decisione
di voler visitare il museo per i fatti miei: era infatti mia abitudine
soffermarmi davanti ad una qualsiasi opera per molto tempo, osservandone ogni
minimo particolare e cercando di imprimerla nella mia mente. Talvolta, inoltre,
se dal vivo un’opera mi colpiva particolarmente, tentavo di riprodurla,
facendone uno schizzo; disegnare era uno dei miei passatempi preferiti, e
girovagare per i musei stuzzicava la mia fantasia e al contempo la mia continua
voglia di migliorarmi, imparando dai grandi del passato. Per questo motivo
preferivo visitare il Louvre da sola, non volevo certo costringere le mie amiche
ad aspettare che finissi un mio disegno o che riproducessi un quadro. Le avrei
soltanto fatte annoiare.
- Sì, sono sicura. – risposi ad
Alessia, con un sorriso. – Ormai dovresti sapere come divento, nei musei.
- Ci vediamo alle sei qui nell’atrio,
allora. – ribatté quindi la mia amica, con un’alzata di spalle. – Andiamo, Gre?
- Aspetta! – si bloccò quest’ultima, di
fronte a me. – E sei poi ti perdi? Il Louvre è grande, dopotutto… E se resti
chiusa qui dentro?
Non potei fare a meno di emettere una
breve risatina. Greta era incredibile. Aveva visto troppi film, molto
probabilmente.
- Ho la cartina. – la rassicurai,
sventolandogliela sotto gli occhi. – Ce l’hanno data i prof poco fa, ricordi?
- Ah, già. Hai ragione. – convenne
dunque Greta, ricordandosi di averne in mano una anche lei. Pareva cadere dalle
nuvole, talvolta. – Ci vediamo dopo, allora. – mi salutò quindi, prima di
raggiungere Alessia.
Rimasta sola, diedi inizio alla visita
del museo, partendo dalle opere più conosciute. Contemplai ‘Amore e Psiche’ di
Canova, rimanendone davvero estasiata e tracciandone uno schizzo, seppure
trovavo fenomenale ogni angolazione da cui la scultura poteva essere osservata.
Non avevo però tempo da perdere; il
museo era grande ed io avevo solo tre ore e mezza per visitare ciò che più mi
interessava. Per quanto mi dispiacesse, non potevo vedere tutto, né soffermarmi
troppo su un’opera, per cui mi diedi una mossa a finire di abbozzare lo schizzo
e mi diressi nella sala in cui era contenuta la ‘Gioconda’, salendo su una scalinata
posta di fianco alla Nike di Samortracia. Mi soffermai per un minuto ad
osservarla, dopodichémi diressi nella
galleria degli italiani e quindi nella sala che ospitava l’opera più celebre di
Da Vinci.
Giunta davanti al quadro mi bloccai,
osservandolo bene. La maestria con cui Leonardo aveva dipinto i particolari era
davvero notevole, così come l’enigmaticità dell’espressione del soggetto. Mi
trovai di fronte al secolare enigma: sorrideva o era solo una mia impressione?
Però…
- Deludente, vero? – disse una voce
alle mie spalle. Mi voltai e mi trovai di fronte al professor Bassi, per cui
volsi nuovamente la mia attenzione al quadro, per occultare il fatto che fossi
violentemente arrossita. La sua improvvisa apparizione mi aveva sorpresa.
- Perché? – chiesi a mia volta, con
noncuranza, nonostante il mio cuore battesse a mille. Cercai di calmarmi,
dopotutto non volevo che si accorgesse delle mie reazioni che sembravano quelle
di una dodicenne alla sua prima cotta.
- Non puoi negarlo. È la prima volta che
la vedo, e personalmente mi aspettavo qualcosa di meglio. Non tanto per la
tecnica con cui Da Vinci l’ha dipinta, ma per le dimensioni, più che altro. –
rispose Marcello, serio. – Poi devo dire che metterla di fronte alle ‘Nozze di
Cana’ è stata una scelta infelice. Non trovi?
- Beh, effettivamente… - risposi, non
sapendo bene cosa dire. Mai avrei immaginato un discorso simile fra me e lui,
ma soprattutto mai avrei pensato che l’occasione che cercavo da ben due giorni
mi si sarebbe presentata davanti così, senza preavviso. Non ero per niente
preparata.
- Sei da sola? – mi chiese poi
Marcello, e gliene fui grata. Inconsapevolmente, mi aveva appena salvato
dall’imbarazzo. Annuii, stringendomi al petto il blocco da disegno.
- Posso unirmi a te, allora?
Sgranai gli occhi, incredula. Dovevo
aver sentito male, era l’unica spiegazione, per cui non risposi. Stavo
iniziando forse a confondere i sogni con la realtà?
- Se non ti dispiace, ovviamente. –
aggiunse quindi, vedendo che non dicevo nulla. – Sono pur sempre un tuo
professore, e se i tuoi compagni ti vedono con me potrebbero prenderti in giro.
Lo capisco, se non mi vuoi.
Avevo capito bene, allora! Ero al
settimo cielo, dovetti trattenermi dal non esultare. – No, assolutamente. Non
si preoccupi. – riuscii a farfugliare, stentando ancora a crederci. Come
diavolo faceva a pensare una cosa simile? Non me ne importava nulla di quel che
avrebbero pensato i miei compagni, volevo solo stare con lui e sfruttare ogni
attimo a mia disposizione. Nei limiti, ovviamente. Certo, non mi sarebbe
dispiaciuto attirarlo con l’inganno in uno sgabuzzino, ammesso che ce ne fosse
stato uno, e saltargli addosso, ma dovevo mantenere un minimo di ritegno.
Sapevo bene, inoltre, che mi sarebbe mancato il coraggio per compiere un’azione
del genere o anche solo per comportarmi in modo lievemente più audace, per cui
vi rinunciai in partenza. Mi sarei limitata ad essere me stessa, pur sapendo
che ciò avrebbe prodotto scarsi risultati.
Marcello mi sorrise, ed io ricambiai,
così ci incamminammo verso le altre sale.
- Come mai non è con gli altri due
prof, o con quella di arte? – gli chiesi, curiosa, giusto per intavolare una
conversazione.
- Semplice. – ribatté lui, con
un’alzata di spalle. – Diciamo che non mi vanno molto a genio. E i vent’anni e
passa di differenza di certo non aiutano! Tu, invece? Come mai non sei con le
tue due inseparabili amiche?
- Quando vado in giro per musei sono un
po’ noiosa. E soprattutto molto lunga nei tempi, dato che se un’opera mi
colpisce particolarmente la riproduco. – risposi dunque io, iniziando a
rilassarmi. Ero infatti tesa come una corda di violino, se non peggio. - È
ancora in tempo a ritirarsi e andarsene in giro da solo, se odia aspettare. –
lo avvertii poi.
- Interessante. – commentò quindi, con
un sorriso. – Fai bene a coltivare questa passione, se sei brava. Io ero e
rimango totalmente negato, nel disegno. – ammise, con una risatina.
- Come in tutte le cose ci vuole tanta
pazienza, ma soprattutto tanta voglia di migliorarsi. – ribattei io, scrollando
le spalle. – Disegnare mi è sempre venuto naturale, ma ho comunque continuato
ad esercitarmi, nel tempo libero. Mi rilassa.
- Fai bene, davvero. – approvò lui, con
un sorriso.
Ricambiai timidamente il gesto,
dopodiché proseguimmo la visita del museo.
- Sono esausta! – esclamai, con un
sospiro. Io e Marcello ci trovavamo nel reparto dedicato alle antichità egizie,
dove, in una saletta, avevamo trovato due sedie libere. Inutile dire che mi ci
ero fiondata sopra, non appena le avevo viste.
Il professor Bassi si sedette di fianco
a me, dopodiché diede un’occhiata all’orologio e disse: - Manca mezzora al
ritrovo con gli altri. Propongo di passarla qui, seduti.
- Sono d’accordo, prof. – convenni io,
aprendo il mio blocco da disegno. Dovevo ammettere che Marcello era stato
paziente e riservato, mentre riproducevo le opere che più mi avevano colpito;
aveva sempre aspettato che concludessi il mio schizzo, guardandosi intorno e
senza tentare di sbirciare il mio operato, cosa che onestamente odiavo. Non era
il massimo della vita lavorare con una persona appollaiata sulla tua spalla a
mo’ di avvoltoio, e lui doveva averlo intuito.
- Posso vedere? – mi chiese, porgendomi
una mano per invitarlo a tendergli il blocco. Annuii, quindi glielo diedi, e
lui iniziò a sfogliarlo. Vi erano disegni di tutti i tipi, lì dentro. Ritratti
del mio gatto e del mio cane, vedute dalla finestra della mia camera,
caricature, nature morte, riproduzioni di quadri famosi, schizzi, bozzetti,
creature immaginarie, ritratti di amici e parenti… Di tutto, insomma.
- Sei davvero brava, cavoli. – si
complimentò il mio professore, senza staccare gli occhi dai miei disegni. – Hai
mai pensato di fare di questa tua passione un futuro? – mi chiese dunque,
guardandomi negli occhi. Abbassai lo sguardo, riavviandomi una ciocca di
capelli dietro l’orecchio.
- A volte. – ammisi. – Ma il mio futuro
è ancora un grosso punto di domanda. So che manca poco alla maturità, e che
presto dovrò darmi una mossa… Però davvero, non ne ho la più pallida idea. Più
cerco di pensarci, più la mia mente si offusca. – mi confidai, tenendo gli
occhi bassi.
Era un tasto dolente, quello. Cercavo
di parlarne il meno possibile con chiunque, specialmente in casa, nonostante i
miei facessero pressione affinché prendessi una benedetta decisione. Continuavo
a rimandare, dicendo che c’era tempo, in fondo. In realtà speravo che prima o
poi mi sarebbe venuta l’illuminazione.
Storia? Filosofia? Lettere? Medicina?
Scienze dell’Educazione? Biotecnologie farmaceutiche? Scienze dei beni
culturali? Lingue e letterature straniere?
C’era l’imbarazzo della scelta. Dovevo
però trovare qualcosa che mi offrisse vaste possibilità lavorative, stando a
sentire i miei. La scelta dell’università, secondo loro, era il primo passo
verso la mia vita da adulta, e avrei dovuto ponderare bene come compierlo.
Sarebbe stato difficile tornare indietro, poi. Non potevo permettermi di
sbagliare, dovevo fare una scelta consapevole e responsabile. Ma ne ero in
grado?
- Certo, mi piacerebbe vivere dei miei
disegni, non lo nego. – proseguii. – Però… Mi sembra un’opzione troppo
irrealizzabile, obiettivamente. Ogni volta che penso a come sarò tra dieci
anni, immaginandomi come un’artista di successo, torno bruscamente con i piedi
per terra. Amo disegnare e dipingere, ma non è detto che questo mi darà il pane
di cui vivere.
Marcello mi sorrise, comprensivo,
dopodiché mi porse il blocco, che io posai sulle mie gambe.
Era la prima volta che mi confidavo con
qualcuno riguardo al mio futuro, non ne avevo mai parlato così apertamente. Con
lui, tuttavia, mi era venuto naturale, una volta iniziato a parlare avevo
proseguito a ruota libera, esternando tutti i miei pensieri, senza forzature.
Non capivo come mai, o forse lo intuivo.
Scossi la testa, sconsolata. Dovevo
smetterla con certi pensieri, ma soprattutto di illudermi da sola.
- Stai tranquilla. – mi rassicurò
Bassi, posandomi una mano sulla spalla. A quel tocco mi sentii ardere, così
continuai a fissare il pavimento, per celare il mio rossore, mentre un calore
familiare mi invadeva il petto. – Prima o poi ti si chiariranno le idee, devi
solo avere pazienza, e non devi scartare del tutto la possibilità del disegno,
a mio parere.
- Lei dice? – gli chiesi, alzando lo
sguardo. Così facendo incontrai i suoi occhi castani, e il mio cuore accelerò
nuovamente i propri battiti. Odiavo che un qualsiasi individuo di sesso
maschile avesse un simile effetto su di me, specialmente quando costui era il
mio professore, ma potevo farci ben poco a riguardo. Potevo solo sperare che
lui non si accorgesse del particolare ascendente che aveva nei miei confronti.
- Sì, davvero. – mi confermò Marcello,
serio. – Dovresti continuare a coltivare questo tuo talento, magari a livelli
più alti. Pensaci.
- Grazie. – gli dissi, abbozzando un
sorriso. Con quella chiacchierata, i miei timori riguardo al futuro si erano
attenuati, seppur molto lievemente.
Marcello ricambiò il sorriso, e solo in
quel momento mi accorsi che aveva continuato a tenere la sua mano sulla mia
spalla; ma non finiva lì. I nostri volti erano pericolosamente vicini, ed io
avrei potuto non rispondere delle mie azioni. Il fatto che in marzo il Louvre
fosse poco frequentato, e che la sala in cui ci trovavamo noi due fosse vuota,
inoltre, non aiutava certo le mie intenzioni.
Dovevo assolutamente spostarmi, eppure
ero paralizzata, non so se volontariamente o meno. Una parte di me voleva
sfruttare quell’occasione fino in fondo, e mi ordinava di sporgermi verso Marcello
e baciarlo. Quando avrei avuto di nuovo una simile opportunità, d’altronde?
Le diedi retta, ma non del tutto. Mi
avvicinai solo di qualche millimetro, di modo che lui capisse le mie
intenzioni, se mai fosse stato interessato, altrimenti non avrebbe colto, se
così non fosse stato.
Poco dopo la mano che era posata sulla
mia spalla risalì verso la mia nuca, avvicinandomi al suo volto e continuando
così l’opera che avevo debolmente iniziato e che lui grazie al cielo aveva
percepito. Le sue labbra premettero sulle mie, ed io chiusi gli occhi, a quel
contatto, schiudendo le labbra, permettendogli così di approfondire il bacio.
Non mi sembrava vero, ma non volevo
guastare quel momento per nulla al mondo. Se quella era la mia unica
possibilità, l’avrei sfruttata fino in fondo, facendo tutto ciò che era in mio
potere.
Mi strinsi a lui, buttandogli le
braccia al collo, dopodiché Marcello mi cinse la vita con il braccio libero,
avvicinandomi ancora di più a lui. Così facendo, però, il mio blocco da disegno
cadde a terra, e quel tonfo ci riportò bruscamente alla realtà.
Bassi si separò da me come scottato,
quindi si chinò a raccogliere il blocco. Dopo essersi rialzato me lo porse,
tenendo gli occhi bassi, mentre io lo afferravo con mani tremanti.
- Forse è meglio se ci avviamo verso
l’atrio. – suggerì poi, dandomi le spalle. Titubante, mi alzai e lo seguii,
confusa e ancora stordita dalle emozioni appena provate. Pian piano il battito
del mio cuore stava tornando ad un ritmo regolare, eppure la mia mente vagava
tra le nuvole. Ciò che agognavo da settimane, senza mai poterlo credere
possibile, si era appena avverato, prendendomi in contropiede.
Forse ho qualche possibilità, dopotutto, pensai, con un sorriso.
Osservando la schiena di Marcello,
però, il mio sorriso svanì; mi aveva trattato con freddezza, e così stava
continuando a fare, mentre ci accingevamo a raggiungere gli altri.
Abbassai lo sguardo, mesta, mentre mi
tornava alla mente uno dei proverbi preferiti di mia nonna.
Una rondine non fa primavera.
- Sei sicura di stare bene? – mi chiese
Alessia, quella sera in camera. Io, lei e Greta ci eravamo appena messe sotto
le coperte, dopo essere state con gli altri a giocare a carte in camera di
Francesco, Giulio e Marco, dei nostri compagni.
- Sì. – mentii io, facendo un sorriso
forzato.
Non avevo detto nulla alle mie amiche.
Quando mi avevano visto arrivare con Bassi nell’atrio del Louvre mi avevano
subito tempestato di domande, ma io le avevo sviate dicendo loro che l’avevo
incontrato solo a fine visita, mentre stavo incamminandomi verso il ritrovo.
Dovevo essere stata abbastanza convincente, poiché non mi avevano più chiesto
nulla, ed io mi ero sentita sollevata. Purtroppo ero una di quelle persone che
si tenevano tutto dentro: difficilmente riuscivo a confidarmi con qualcuno,
quando stavo male. Preferivo contare sulle mie forze ed uscirne da sola, e in
quella situazione non sarei stata da meno. Me l’ero cercata, e non mi meritavo
il conforto che le mie amiche mi avrebbero offerto.
- Non mi sembra molto… - mi contraddisse
Greta, prima di emettere uno sbadiglio. – Sputa il rospo.
- Non c’è nessun rospo da sputare. –
continuai la messinscena. – Sto bene, davvero. Sono solo un po’ stanca.
- Lo siamo tutti, cara mia. – mi
spalleggiò Alessia, prima di chiudere gli occhi. – Per cui ora spegniamo le
luci. Al massimo ne riparliamo domattina, visto che la notte porta consiglio.
Non capii molto bene il collegamento
fatto dalla mia amica, visto che era stata lei a tirare fuori il discorso, ma
le fui enormemente grata.
- Ok. Notte, allora. – si arrese Greta,
prima di sporgersi verso l’interruttore della luce e spegnerlo.
- Notte. – ricambiai l’augurio io, non
ricevendo però risposta da Alessia, che molto probabilmente era già nel mondo
dei sogni. Si addormentava con una facilità imbarazzante, quella ragazza.
Chiusi gli occhi, tentando di seguire
il suo esempio, ma senza successo. Dopo essermi rigirata nel letto parecchie
volte, mi arresi. Sapevo benissimo perché non riuscivo a prendere sonno.
Sbuffai, in preda alla frustrazione, dopodiché mi misi a sedere sul letto e mi
sporsi verso il comodino, prendendo il mio blocco da disegno lì appoggiato.
Forse disegnare mi avrebbe aiutato a
staccare la spina, però non potevo certo farlo in camera, dove le mie amiche
dormivano. Attenta a non fare rumore, sgattaiolai fuori dalla stanza, portando
con me la chiave.
Scesi nella hall, dove vi erano dei
divanetti, e mi sedetti lì, a gambe incrociate. Guardai l’orologio che portavo
al polso e vidi che era la una e mezza: era un po’ tardi, effettivamente, e
avrei fatto bene a dormire un po’, visto che la giornata successiva, che
sarebbe stata anche l’ultima, si prospettava pesante.
Sospirai, quindi aprii il mio blocco da
disegno, senza aver chiaro in mente ciò che volessi fare. Volevo distrarmi,
certo, eppure continuavo a pensare a quel pomeriggio trascorso in compagnia di
Marcello, e al bacio che ci eravamo scambiati. Ogni volta che la mia mente
tornava a quegli attimi, mi sentivo avvampare, e al contempo m’intristivo
ancora di più, pur non avendone motivo.
Avevo ottenuto ciò che desideravo,
dopotutto. L’avevo baciato, e ciò andava ben oltre le mie aspettative. Non era
quello l’obiettivo che mi ero prefissata per la gita, eppure l’avevo raggiunto.
Avrei dovuto essere contenta, ma volevo di più. Mi sentivo come una bambina
golosa che aveva agognato per molto tempo una fetta di una gustosissima torta
al cioccolato ricoperta di panna e che, dopo il primo assaggio, voleva
completare l’opera, divorando non solo la parte desiderata, ma tutto il dolce.
Sapevo però benissimo che avrei dovuto
limitarmi a quell’assaggio, Marcello me l’aveva fatto capire in maniera
inequivocabile, trattandomi così freddamente.
A quel pensiero, sentii le lacrime
bruciarmi agli angoli degli occhi, ma mi morsi con violenza il labbro
inferiore, per impedirmi di piangere. Sarebbe stato un gesto da stupida,
dopotutto me l’ero cercata. Sapevo fin dall’inizio che avrei sofferto, se il
mio amore platonico fosse diventato realtà, eppure avevo fatto di tutto per
renderlo tale, non appena mi si era presentata l’occasione.
Strinsi con forza la matita nella mia
mano ed iniziai a disegnare, finalmente con un obiettivo: avrei impresso su
carta quel che mi era successo, forse per dimostrare a me stessa che non si era
trattato di una mera illusione, forse per tentare di razionalizzare la cosa e
trovare una soluzione o forse per mettere in atto l’ennesimo delirio di una
stupida ragazzina innamorata.
Non so quanto trascorse prima che
appuntai la data in basso a destra. Ogni qualvolta disegnassi, perdevo la
cognizione del tempo.
Dovevo anche trovare un titolo, però.
Fu allora che, per la seconda volta nell’arco di una giornata, mi tornò alla
mente il proverbio preferito di mia nonna.
Una rondine non fa primavera.
Lo appuntai di fianco alla data, mentre
una lacrima sfuggiva al mio saldo controllo. La asciugai violentemente con la
manica del pigiama, dopodiché con rabbia chiusi il blocco da disegno e tornai
in camera, dove speravo di riuscire a dormire.
Malauguratamente in corridoio incontrai
Valerio, anch’egli che stava tornando verso la propria stanza. Non appena mi
vide, tuttavia, si fermò, ed io accelerai il passo per evitare di incrociarlo,
ormai era troppo tardi per tornare nella hall. Quando gli passai di fianco,
però mi bloccò per un braccio, impedendomi ogni via di fuga.
Bene, ci mancava solo questa, pensai scocciata.
- Che vuoi? – gli chiesi, brusca. –
Gradirei andare in camera mia a dormire, se non ti dispiace.
Valerio sospirò, prima di ribattere. –
Dani, ti prego. Questa tua ostilità non fa bene né a me né a te. Cosa ti costa
rivolgermi di nuovo la parola?
- Mi costa eccome! Sei stato tu quello
che mi ha lasciata, non ricordi? – sbottai, mentre a strattoni cercavo di
liberarmi dalla sua stretta. Non ci riuscii, purtroppo. – Perché non mi lasci
andare a dormire, eh? Perché continui a tormentarmi? Non lo capisci che non ti
voglio più vedere?
Stavo riversando su di lui tutto il
malumore che sentivo per via di Marcello, ma non mi importava. Valerio si era
messo sulla mia strada e ne avrebbe pagato le conseguenze.
- Non ti ho fermato per parlare di noi.
– si difese lui, per nulla toccato. – Ma per parlare di te. Si vede lontano un
miglio che c’è qualcosa che non va.
- Oh, adesso vuoi fare l’amicone? Ma
che tenero! – lo schernii, con tono tagliente. – D’altronde quale occasione
migliore per soccorrere l’amata, se non vederla a pezzi? È la strada migliore
per il suo cuore, no?
- Piantala! – mi rimproverò lui,
evidentemente stufo. – Non ho secondi fini, come credi tu. Voglio solo
aiutarti. Ma ti costa troppo darmi ascolto, vero? Per cui preferisci
interpretare tutto a modo tuo! – aggiunse, duro. Lasciò dunque andare il mio
braccio, ma quell’atto di liberazione fu per me peggio di uno schiaffo. L’avevo
ferito ed ero stata colpita di conseguenza, con la medesima arma: la parola.
Abbassai lo sguardo, perché non volevo
mostrargli i miei occhi pieni di lacrime, dopodiché a passo mesto mi diressi
verso la mia stanza. Svoltato l’angolo del corridoio, però, mi accasciai a
terra contro la parete, gettai lontano il mio blocco da disegno e mi avvolsi le
braccia attorno alle ginocchia, dove avevo posato la testa. Ero in preda ai
singhiozzi, che sconquassavano il mio petto e che mi permettevano di dare sfogo
al malessere che mi permeava da quel pomeriggio, dopo che io e Marcello ci
eravamo separati. Semplicemente, ero scoppiata come una pentola a pressione.
Ci vollero pochi istanti perché
sentissi due braccia che mi avvolgevano per offrirmi conforto.
- Scusa. – mormorò Valerio,
dispiaciuto. – Sono stato duro. Non era mia intenzione.
Senza dire una parola gli buttai le
braccia al collo e piansi ancora di più, pur sapendo che, una volta cessate le
lacrime, la situazione sarebbe rimasta identica. Piangere non mi era di
conforto, ma era l’unico modo per esprimere quello che avevo dentro, dato che
nemmeno disegnare aveva funzionato.
- Stai tranquilla, Dani. – cercò di
tranquillizzarmi Valerio. – Qualunque cosa sia, passerà.
Ma sarebbe passata la mia cotta per
Bassi? Ma soprattutto… Ero sicura che fosse solo una cotta?
Note dell’autrice
Capitolo un po’ lunghetto, ma spero vi
soddisfi. È abbastanza ricco di avvenimenti, perciò spero di suscitare in voi
qualche reazione… Qualunque essa sia! xD
Fatemi sapere il vostro parere, mi
raccomando… =)
Passiamo ora ai ringraziamenti:
Sassybaby:
Ecco qui l’aggiornamento che attendevi… Spero che il capitolo ti sia piaciuto,
fammi sapere che ne pensi, mi raccomando. Grazie per i complimenti e per la
recensione, comunque…^^ Anche io adoro le storie proibite, personalmente… Proibite
ed impossibili… Hanno quel non so che… =) Baci, Pikky91
Fataflor:
Grazie per i complimenti e per la recensione. =) I colleghi di Marcello non
sono proprio sessantenni, diciamo però che hanno oltrepassato i quaranta… Lui è
il più giovane, poverino! Anche a me in questi anni sarebbe piaciuto un
professore di filosofia del genere, anche se non mi posso lamentare della mia,
che rendeva la lezione interessante. E poi beh, c’era quello di biologia con
cui rifarsi gli occhi! xD Grazie per avermi fatto notare la svista, nonostante
i mille controlli qualcosa mi sfugge sempre… Non mi sono per niente offesa,
anzi. Se noti qualcos’altro fammi sapere. =) Baci, Pikky91
La mattina dopo fui destata dal suono
martellante di una sveglia che non era di certo la mia. Preferivo infatti
melodie più dolci, che mi rendessero il risveglio più conciliante e meno
traumatico, non certo le canzoni di un gruppo metal! O rock, o quel cavolo che
era. Non mi intendevo molto di quel genere musica, onestamente.
Facendo mente locale, ricordai che
anche Greta e Alessia non se ne intendevano.
Oh, no!, pensai,
aprendo gli occhi di botto e mettendomi a sedere. Le tende della finestra erano
ancora tirate, per cui la mia vista ci mise qualche istante ad abituarsi al
buio.
Quella non era la mia stanza,
decisamente. Né io, né Greta, né Alessia eravamo solite lasciare i calzini sui
comodini, e ricordavo bene che nessuna delle tre aveva lasciato la propria
valigia nel bel mezzo della stanza. Le avevamo messe tutte e tre nell’armadio,
infatti, così come avevamo fatto con i vestiti, che non erano ammucchiati ai
piedi dei letti.
Solo una categoria era in grado di
ridurre una stanza in quelle condizioni, ed era quella maschile.
- Merda! – esclamai al di sopra del
frastuono della sveglia, rendendomene conto solo in quel momento.
- Buongiorno anche a te, eh… - ribatté
ironico Valerio, con la voce ancora impastata dal sonno. Mi voltai e vidi che
era sdraiato nello stesso letto in cui mi trovavo io e che evidentemente durante
la notte dovevamo aver condiviso. Con i vestiti addosso, grazie al cielo.
Ero decisamente sveglia, ora. Il
torpore mattutino era svanito, e la sua sparizione aveva permesso alla mia
mente di realizzare il perché mi trovassi lì.
Sorrisi amaramente nel ricordare la
sera precedente, e soprattutto il modo in cui ero scoppiata in lacrime.
Nonostante le parole orribili che gli avevo riversato addosso, Valerio era
stato gentile con me e mi aveva offerto conforto, mentre io sfogavo il mio
inutile pianto. Non aveva detto una parola, mentre io ero sconquassata dai
singhiozzi, né mi aveva fatto domande: era stato anzi discreto e si era
limitato a tenermi stretta tra le sue braccia. In quel modo mi aveva dimostrato
di non avere secondi fini come io invece avevo creduto; voleva semplicemente
aiutarmi, e lo aveva fatto.
Dato che non accennavo a smettere di
piangere, mi aveva offerto asilo nella sua stanza. Ci eravamo sdraiati sul suo
letto, e lì lui aveva continuato nella sua opera di consolazione tenendomi
stretta, mentre io continuavo a piangere disperata per via del professor Bassi.
Evidentemente dovevo essermi addormentata tra le lacrime, senza rendermene
nemmeno conto.
Sospirai, sconsolata. Ero davvero
arrivata a quel punto? Avevo davvero passato la notte in compagnia del mio ex
che mi aveva confortata quando io stavo male per un altro? Valerio non era
stupido, e sicuramente doveva avere intuito che io piangessi per un ragazzo.
Eppure non aveva detto nulla. Voleva solo la mia amicizia, ed offrirmi in
cambio la sua. Era davvero confuso, allora, quella con cui mi aveva mollato non
era una scusa come avevo pensato.
Gli sorrisi debolmente in segno di
gratitudine, ma lui aveva già richiuso gli occhi.
- Spegni quel maledetto cellulare,
Mirko! – ordinò Claudio, l’altro compagno di stanza di Valerio. Il ragazzo
obbedì e finalmente nella stanza tornò a regnare il silenzio. La sera prima,
quando io e Valerio eravamo entrati nella stanza, i due dormivano e quindi non
si erano accorti della mia presenza. In quel momento contavo di sgattaiolare
fuori dalla stanza prima che si alzassero, di modo che non pensassero male.
Valerio emise un grosso sbadiglio,
prima di riaprire nuovamente gli occhi. Si mise a sedere, per potermi guardare
in faccia con i suoi penetranti occhi verdi, dopodiché mi chiese, in un
sussurro: - Stai meglio?
Annuii debolmente, nonostante sapessi
che la mia affermazione era un’enorme bugia. Non stavo meglio, affatto.
Semplicemente, ero piombata in uno stato in cui ero in grado di controllare di
nuovo le mie emozioni, per cui il pericolo di scoppiare nuovamente in lacrime
era scongiurato. Quello, però, non poteva essere definito ‘stare meglio’. Il
mio stato d’animo era tale quale alla sera prima, e i miei pensieri ancora
concentrati su Bassi e sul bacio che ci eravamo scambiati.
Perché dopo mi aveva trattato così
freddamente? Forse perché si era ricordato che io ero una sua alunna? Non
sapevo rispondere a queste domande, onestamente. Marcello sapeva benissimo il
rapporto che la sua professione gli imponeva di avere con me, per cui era poco
probabile che al Louvre se ne fosse scordato e improvvisamente ricordato nel
momento in cui mi aveva baciata.
Perché lo aveva fatto, allora? Per
capriccio? Più ci pensavo, più la mia mente formulava ipotesi perfettamente
plausibili. Tra quelle, però, non ero in grado di identificare la vera ragione
del gesto di Bassi, né ne sarei mai stata in grado. Solo lui avrebbe saputo
darmi una risposta, ed ero certa che non lo avrebbe mai fatto. Sicuramente
doveva già aver archiviato l’avvenimento del pomeriggio prima come uno stupido
incidente, e io avrei dovuto fare altrettanto.
- Quando e se vorrai parlarne, sai dove
trovarmi. – aggiunse poco dopo Valerio, interrompendo il flusso dei miei
pensieri.
- Ti ringrazio per questo. – gli dissi.
– Soprattutto per quello che hai fatto stanotte. E scusa per tutte le cose
orribili che ti ho detto. Avevi ragione, avevo frainteso tutto. – ammisi
dunque, con gli occhi bassi. Dopo quello che aveva fatto per me, offrirgli le
mie scuse ed accettare la sua amicizia era il minimo che potessi fare.
- Non ti preoccupare. Stavi male, non
eri in te. Sono sicuro che non pensavi realmente quello che hai detto. – mi
rassicurò Valerio, con un sorriso.
- Si può sapere con chi stai parlando?
– proruppe Mirko, rizzandosi a sedere sul proprio letto. Evidentemente doveva
aver captato qualche frammento di conversazione. Personalmente ero convinta che
lui e Claudio si fossero riaddormentati, ma evidentemente non era così, perché
poco dopo il secondo accese la luce, accecandomi.
- Ah. – disse Mirko. – Ciao, Dani.
- Ciao. – ricambiai il saluto io,
imbarazzata.
- Ritorno di fiamma? – indagò Claudio,
sorridendo in modo furbo.
- No, non è come credete. – si difese
Valerio. – Io e Daniela…
- Non vi dobbiamo spiegazioni. – lo
interruppi io, sgarbata. Non volevo fare la figura della fontana vivente, per
cui stabilii fra me e me che non era il caso di rivelare che Valerio mi aveva
consolata dopo avermi vista piangere. – Abbiamo solo parlato e chiarito un po’
di cose, fino a notte fonda. Poi ci siamo addormentati, punto. Non fatevi
strane idee.
- Ok, ok. Ti credo. – borbottò Claudio,
sebbene si vedeva fosse poco convinto.
- Ora io vado. – decretai dunque,
rivolta a Valerio. – Ciao. – lo salutai, dopo essermi alzata dal letto e aver
raccattato il mio blocco da disegno, appoggiato sul suo comodino.
- Ciao. – ribatté lui. – A dopo.
- Va bene. – assentii, prima di uscire
definitivamente fuori dalla stanza.
- Oh, eccoti! – esclamò Greta, non
appena mi fui richiusa la porta della nostra stanza alle spalle. Purtroppo lei
e Alessia erano già sveglie, quindi avrei dovuto sorbirmi un interrogatorio da
parte loro.
- Perché non hai dormito qui, stanotte?
– indagò Alessia, come prevedibile.
- E dove sei stata? – chiese
immediatamente dopo Greta, senza nemmeno lasciarmi il tempo di rispondere. –
Che hai combinato? Ci siamo preoccupate quando poco fa abbiamo trovato il tuo
letto vuoto!
Non sapevo cosa inventarmi, né me la
sentivo di mentire. Tuttavia non potevo nemmeno raccontare loro la verità,
perché ciò avrebbe implicato parlare di Bassi e non ero ancora sicura di
sentirmela. Probabilmente se lo avessi fatto la mia maschera di autocontrollo
si sarebbe infranta e sarei scoppiata nuovamente a piangere, e non volevo. Per
cui rimasi zitta, ad occhi bassi perché temevo gli sguardi furenti e
preoccupati delle mie amiche.
- Perché non rispondi? – tentò di
incalzarmi Alessia.
Mi sedetti sul letto, con un sospiro,
dopodiché alzai lo sguardo, ben attenta a non puntarlo verso Greta o Alessia. –
Ragazze… - esordii. – Per favore, non fatemi domande. Fidatevi di me, a tempo
debito vi spiegherò tutto.
Lo avrei fatto, non appena me la fossi
sentita. Per il momento preferivo tenermi tutto dentro, temevo quel che le mie
amiche avrebbero potuto dirmi, dopotutto. Parlare con loro di quel che era
successo il giorno prima avrebbe significato un nuovo, tremendo e doloroso
impatto con la realtà, e dovevo ancora riprendermi dagli effetti del primo.
- No che non mi fido! – sbottò Alessia,
furente. - È da ieri pomeriggio quando siamo tornati dal Louvre che sei strana.
C’è sotto qualcosa, per forza, e tu come al solito non vuoi parlarne! Mi fai
innervosire, cazzo! Siamo tue amiche, abbiamo il dovere di aiutarti, ma tu non
ne vuoi sapere! Ti tieni sempre tutto dentro e ci fai sentire inutili!
- Calmati, Ale. – intervenne Greta, con
fare diplomatico. – Così non risolviamo un bel niente.
Prese un respiro profondo, poi si
rivolse a me. – Quello che stiamo cercando di dirti, è che siamo preoccupate
per te da ieri, e trovare il tuo letto vuoto stamattina di certo non ha
aiutato. Mi sono presa un colpo, accidenti! Ti va di dirci quali grilli hai per
la testa? Vogliamo solo aiutarti.
Sospirai, con una stretta al cuore.
Erano solo in pensiero per me, e non potevo prenderle in giro, né mi andava di
farlo. Aveva ragione Alessia, loro erano le mie amiche e dovevano essere le
prime persone da cui io dovevo correre in cerca di conforto, eppure le volte in
cui lo facevo erano molto rare.
- Va bene. – assentii. – Da dovevolete che cominci?
Avrei detto loro tutto, però a partire
dalle domande che mi avrebbero posto. Era difficile per me riordinare le idee
ed esporle in modo appropriato ed esauriente, per cui avrei risposto ai loro
interrogativi. In più, speravo che concentrandosi sulle domande non mi avrebbero
espresso il loro parere e si sarebbero astenute dal giudicarmi. Era l’ultima
cosa che volevo, in effetti. Fin dall’inizio loro mi avevano avvertita che la
cotta per Bassi avrebbe potuto rivelarsi pericolosa, ma io non avevo voluto
dare loro ascolto.
- Inizia a dirci dove sei stata
stanotte, magari. – mi invitò Greta, sedendosi sul suo letto in modo da poter
stare di fronte a me. Poco dopo anche Alessia le si sedette accanto.
- Non riuscivo a dormire. – iniziai. –
Così sono scesa nella hall a disegnare un po’.
- Ma non eri stanca? – indagò Alessia,
forse ricordando la conversazione della sera precedente.
- Era una balla. – risposi, ad occhi
bassi. – Non volevo dirvi la verità.
- Che sarebbe…? – mi incalzò, Alessia.
- No, aspetta. – intervenne Greta. –
Falle finire di dire cosa ha fatto questa notte.
- Niente di quello che pensi tu, Gre. –
la tranquillizzai, avendo capito i suoi dubbi e le sue preoccupazioni.
Sicuramente temeva che avessi fatto qualcosa di molto stupido come andare a
bussare alla porta di Bassi, oppure che fossi uscita dall’albergo diretta
chissà dove. – Come ti dicevo, sono scesa nella hall a disegnare un po’. Quando
ho finito, sono tornata su e stavo venendo qui in camera, quando ho incontrato
Valerio nel corridoio.
Mi interruppi per studiare le reazioni
delle mie amiche, che non tardarono a manifestarsi. Alessia roteò gli occhi,
probabilmente perché doveva aver intuito che ci avrei messo un po’ a soddisfare
gli interrogativi di Greta e che quindi i suoi sarebbero passati in secondo
piano, mentre quest’ultima sorrise compiaciuta, dato che sperava ardentemente
in un ritorno di fiamma tra me e lui.
- Continua, su. – mi incitò dunque,
curiosa.
- Non sono stata esattamente gentile
con lui, anzi. All’inizio mi ha offerto aiuto, perché anche lui aveva notato
che c’era qualcosa che non andava, ma io l’ho praticamente insultato perché
pensavo avesse dei secondi fini.
- Perché devi sempre pensare male di
lui, dimmi? – mi rimproverò Greta, incrociando le braccia sul petto.
- Forse perché l’ha lasciata con una
scusa del cavolo e nonostante ciò continua a tormentarla perché la vuole come
amica? – suggerì Alessia, sarcastica. Anche lei come Greta sperava che io e
Valerio tornassimo insieme, ma a differenza sua vedeva le cose come stavano e
non lo considerava esattamente un principe azzurro. Capiva le mie motivazioni e
perché ce l’avessi con lui, ma dentro di sé sperava che un giorno ci saremmo
chiariti.
- Esatto, Ale. Grazie. – le fui quindi
grata, con un sorriso. – Comunque abbiamo avuto una piccola discussione, dopo
la quale io sono scoppiata a piangere, lui mi ha raggiunta e mi ha consolata.
Per soddisfare la tua curiosità, Gre, stanotte ho dormito da lui. Contenta?
- Altroché! – rispose lei, con un
sorriso a trentadue denti. – Che tenero che è stato… Ti ha consolata nonostante
sapesse benissimo che tu non lo volevi più vedere. Non è da tutti, sai?
- Sì, sì, sono certa che lo sa. –
tagliò corto Alessia, prima di rivolgersi a me. – Ma perché ti sei messa a
piangere? Non penso certo per via della discussione che hai avuto con Valerio…
- No, infatti. – ammisi.
- Fammi indovinare, è lo stesso motivo
per cui da ieri sei strana?
Annuii.
- E, vediamo se le mie previsioni sono
ancora esatte, c’entra Bassi?
Annuii di nuovo, ad occhi bassi. – Sì,
hai ragione. – le confermai. – Ieri al Louvre non l’ho incontrato solo quando
stavo tornando indietro, ma prima. Un bel po’ prima, mentre stavo osservando la
‘Gioconda’.
- Quindi avete trascorso praticamente
quasi tutto il pomeriggio insieme. – dedusse Greta, il cui entusiasmo per via
del mio riavvicinamento a Valerio si era già smorzato.
- Esatto. – confermai. – Ma non finisce
qui.
- È successo qualcosa? – chiese
Alessia, impaziente.
- Sì. – risposi. Presi un respiro
profondo, prima di prendere la parola. Quella sarebbe stata la prima volta che
io l’avrei ammesso ad alta voce, e non sapevo se ciò avrebbe sortito su di me
degli effetti. Non volevo scoppiare di nuovo a piangere, così mi imposi di
andarci piano. – Verso la fine della visita ci siamo seduti in un sala in cui
non c’era nessuno e… - mi bloccai ed inspirai profondamente una seconda volta.
– Ci siamo baciati.
- Cosa?! – esclamarono all’unisono le
mie amiche, balzando in piedi.
- Tu non hai idea di quanto sei stata
stupida! – mi rimproverò Greta. – E se fosse passato qualcuno e vi avesse
visti? Non hai idea del guaio in cui ti saresti cacciata!
- Certo che ne ho idea, cosa credi? –
ribattei io, con astio. – Lo so benissimo che quello che provo per Bassi non
avrà futuro, e onestamente nemmeno mi immaginavo che qui in gita sarebbe
successo quello che è successo! È stato sconvolgente anche per me, non pensare.
E comunque stai tranquilla, nessuno ci ha visti, ieri, né mai ci vedrà in
seguito perché dopo che ci siamo separati, il prof è diventato glaciale. Dubito
che ci sarà un seguito a quel che è successo ieri, per cui non ti preoccupare.
- Io… Scusa. – disse Greta. - È solo
che io te l’ho sempre detto fin dall’inizio che questa cosa non ti avrebbe
portato a niente, e…
- E questo lo chiami niente? – la
interruppe Alessia. – Si sono baciati, non direi che la sua cotta non ha
portato a niente. Lui però si è comportato come uno stronzo, almeno una
spiegazione poteva darla!
- Forse è stato meglio così. – mi
confidai, con la voce ridotta a poco più di un sussurro. – Non sono poi così
sicura di voler sapere le sue motivazioni. Ho paura di quello che potrei
sentire.
- Non dovresti. – mi contraddisse
Greta. – Anzi, dovresti andare a chiedergli chiarimenti, così potrai archiviare
la cotta una volta per tutte. – mi suggerì, prima di sedersi sul letto accanto
a me.
- No, è una pessima idea. – obiettò
Alessia, scuotendo la testa. – Magari lui non gradirebbe e tu, Dani,
rischieresti di peggiorare la situazione.
- In questo modo però affronteresti la
realtà. – proseguì Greta, convinta del proprio ragionamento. – Bella o brutta
che sia.
Ma io davvero volevo affrontarla?
Onestamente, non avevo nemmeno preso in considerazione l’idea di chiedergli un
chiarimento, proprio perché il suo comportamento era stato sufficientemente
esauriente. Non avevo la minima intenzione di umiliarmi, e, come aveva
suggerito Alessia, temevo di peggiorare la situazione, che di per sé era già
abbastanza complicata.
- No, Gre. – decretai dunque. – Non
andrò a parlargli, questa non è la classica situazione che si ha tra due
ragazzi normali, per niente. Bassi è un mio professore, e gli unici chiarimenti
che dovrei chiedergli sono quelli inerenti alle sue spiegazioni in classe, non
certo ai suoi comportamenti. Non è uno della nostra età.
- Appunto perché non è uno della nostra
età dovresti parlargli in maniera adulta! – replicò Greta. – Ha ventisei anni,
non penso che vada in giro a baciare le sue alunne così tanto per, ci sarà
sicuramente un motivo!
- Non è detto. – confutò Alessia. – Ha
ventisei anni, sì, ma è ancora giovane. E si sa che i ragazzi maturano sempre
dopo noi ragazze. Insomma, chi ci assicura che sotto certi punti di vista Bassi
non abbia ancora la mentalità di un diciottenne, o peggio ancora di un
quindicenne?
Già, non avevo messo in conto la
cosiddetta ‘sindrome di Peter Pan’. Che Marcello ne fosse afflitto? Sospirai
gravemente, a quel pensiero. Lo conoscevo ben poco, d’altronde, per cui tutto
poteva essere.
- Hai ragione. – ammise Greta. Mi passò
un braccio attorno alle spalle e mi abbracciò. – Mi dispiace, Dani. Ma vedrai
che passerà, sta’ tranquilla. Passa tutto, passerà anche questa. Passerà
Le parole di conforto appena
pronunciate da Greta erano bene o male le stesse che Valerio mi aveva
sussurrato la notte prima. Che ci fosse un fondo di verità, dopotutto?
- Sì, Dani, passerà. – mi consolò
Alessia, dopo avermi abbracciato a sua volta. – Tu non devi fare niente, devi
solo aspettare.
Mi abbandonai all’abbraccio delle mie
amiche, pensando che avevano decisamente ragione. Dovevo solo aspettare, il tempo
avrebbe risolto tutto, in qualche modo. Era un luogo comune, certo, ma forse l’unico
rimedio al male che avvertivo dentro.
Greta si separò da me e Alessia e mi offrì
un sorriso di conforto, dopodiché si alzò dal letto e si diresse in bagno. Ne uscì
qualche istante dopo, sconvolta.
- Ragazze, ho appena guardato l’orologio!
– esclamò, con gli occhi sbarrati. – Siamo in ritardassimo per la colazione!
Alessia ed io ci guardammo negli occhi con
terrore prima di correre a prepararci. Dal canto mio, non volevo certo sorbirmi
i rimproveri dei professori, e specialmente di Bassi. In quel momento volevo solo
diventare invisibile ai suoi occhi, e che lui lo diventasse ai miei.
Note dell’autrice
Questo capitolo non era compreso nel
racconto originale, ma lo era nella mia idea iniziale. Non so quindi come possa
essere venuto, e spero che soddisfi le vostre aspettative. Ci volevano dei
chiarimenti tra Daniela e le sue amiche, dopotutto, e per motivi di spazio non
avevo potuto inserirli nella versione che ho inviato al concorso.
Sto ampliando molto, e credo che andrò
avanti a narrare anche gran parte del ‘dopo-gita’, che, ripeto, avevo in mente
ma non ho mai trascritto.
Fatemi sapere i vostri pareri, mi
raccomando^^
Passiamo ora ai ringraziamenti:
Alaire94:
Cavolo, che coincidenze! xD Ti ringrazio comunque per la recensione e per i
complimenti. In questo capitolo un po’ si vede e si intuisce cosa succede con
Valerio, ma non con Marcello. Per quello dovrai aspettare un pochino… =) Spero
che continuerai a seguirmi…^^ Baci, Pikky91
Sassybaby:
In questo capitolo un po’ si capiscono, anche se indirettamente, le motivazioni
di Marcello. È vero che ha ventisei anni, ma come ho detto esiste anche la sindrome
di Peter Pan… xD Sono contenta che il capitolo precedente ti sia piaciuto, e
spero ti piaccia anche questo. Baci, Pikky91
EmoGirl91: Grazie
per entrambe le recensioni, innanzitutto^^. E grazie anche per la tua ammirazione.
Insomma, ammetto di essere rimasta un po’ delusa, e ci ho messo un po’ per
decidere se pubblicare o meno su Efp questa storia, ma alla fine ho voluto
vedere cosa ne pensavate. Anche se, ripeto, sto rivedendo ed ampliando tutto.
Ma passiamo alla recensione… Vedo che hai capito
Marcello, e anche Daniela. Sono contenta, vuol dire che riesco a trasmettere i
sentimenti dei miei personaggi, dopotutto… xD Spero che anche questo capitolo
ti sia piaciuto…^^ Baci, Pikky91
Fataflor:
Non temere minacce di morte, anzi! Se noti qualche altro errore fammelo notare
con tranquillità, non ti serberò rancore…=P Comunque, sono contenta che il capitolo precedente ti
sia piaciuto, e per quanto riguarda Valerio… Beh, vedrai più avanti. Per come
mi ero figurata la storia, il suo ruolo non era molto marginale, ma poi per
limiti di lunghezza ho dovuto ridurlo. Ora, dunque, gli sto facendo
riguadagnare un po’ di posto, per cui sei avvertita…
xD Ma non è antipatico, quello no. Lo vedrai… =)
Baci, Pikky91
Quando arrivammo nella sala da pranzo
per la colazione i prof non dissero nulla, ma le loro occhiate di rimprovero
furono molto eloquenti. Perfino quella di Marcello, che dopo avermi vista
entrare mi aveva rivolto uno sguardo inespressivo, per poi tornare a dedicarsi
al proprio tè.
C’era da aspettarselo, dopotutto. Il
giorno prima al Louvre si era comportato freddamente, dopo il nostro bacio, e
così stava continuando a fare. Non dovevo stupirmi, eppure faceva male.
Alessia, Greta ed io ci dirigemmo al
tavolo su cui si trovava tutto l’occorrente per la colazione, prendemmo ognuna
un vassoio e ci servimmo con quel che più ci aggradava. Grazie al cielo erano
rimaste un po’ di cose, così non dovemmo accontentarci di ciò che agli altri
avevano lasciato.
- Abbiamo un quarto d’ora scarso per
nutrirci. – constatò Greta, non appena ci fummo sedute ad un tavolo rimasto
libero. Da brava salutista, sosteneva infatti con fervore l’importanza della
prima colazione, che non andava presa alla leggera e dunque consumata con tutta
calma. In quel caso, però, era già tanto che fossimo arrivate, avevamo perfino
rischiato di saltarla.
- A me basta e avanza. – commentò
Alessia, con un’alzata di spalle. – Non ci metto secoli a bere un tè e mangiare
una brioche.
- Croissant, Ale, si chiama croissant. Siamo in Francia. – la corresse bonariamente Greta, poco
prima di spalmare un po’ di marmellata su una fetta biscottata.
- Eh sì, perché ‘brioche’ è di
derivazione spagnola, vero? – ribatté Alessia, con un sopracciglio inarcato.
Ridacchiai per via dell’ennesimo battibecco tra le mie amiche; tra loro era
sempre così. Avevano opinioni spesso divergenti su qualunque cosa, e ogni scusa
era buona per beccarsi. Nonostante ciò si volevano lo stesso molto bene, così
come io ne volevo a loro.
- Va bene, non ti correggo più… - si
arrese Greta, colpita nel segno. – Però croissant era più appropriato, secondo
me.
- Fa niente. – la liquidò Alessia, prima
di bere un lungo sorso di tè.
La discussione sembrava essersi chiusa,
e così anche la mia dose di divertimento mattutino si concluse. Spalmai un po’
di crema alle nocciole su una fetta biscottata, dopodiché l’addentai con gusto.
Quella era la mia colazione abituale, ma quella mattina speravo che mi fosse
d’aiuto nel combattere la tristezza che sentivo per via di Bassi.
Dovevo pazientare solo per due giorni,
più il viaggio di ritorno verso casa. Lì poi sarebbe stato facile dimenticare
tutto, tornando alla mia vita di sempre. Avrei avuto a disposizione tutte le
distrazioni possibili, e avrei visto Bassi solo sei ore a settimana: un’ora al
giorno tranne al giovedì, che era il suo giorno libero, e al venerdì, in cui
avevamo due ore, una di storia e l’altra di filosofia. Rispetto al vederlo
tutto il giorno tutti i giorni, era molto meglio così. Dovevo solo aspettare.
Così come avevo atteso la partenza,
infatti, ora desideravo ardentemente il ritorno, per potermi lasciare tutto
alle spalle. Nonostante il passaggio di quella maledetta rondine, avrei
lasciato che l’inverno si prolungasse, perché così doveva andare.
Le tappe di quella mattina erano
Pigalle, il quartiere a luci rosse, e Montmartre, il quartiere degli artisti,
così dopo colazione prendemmo la metropolitana e ci avviammo verso le nostre
mete. Dovevamo fare un bel pezzo a piedi, e per lo più in salita, dato che i
prof non avevano la minima intenzione di farci andare sulla funicolare perché
altrimenti, a loro avviso, ci saremmo persi il magnifico panorama di cui
avremmo goduto salendo man mano.
Quando arrivammo in cima, dunque, eravamo
tutti un po’ stanchi, ed io iniziavo a risentire delle ore di sonno che avevo
perso la notte precedente. Sembravo uno zombie ambulante e camminavo per
inerzia, trascinandomi dietro i piedi come se fossero due zavorre. Un po’ ero
stanca, un po’ ero triste per ovvi motivi, e perciò non ero di ottima
compagnia. Greta e Alessia tuttavia capivano, e non me ne facevano una colpa.
Volevo godermi quel che restava della gita, ma sentivo di non esserne in grado.
La mia determinazione di non voler lasciarmi influenzare da ciò che era
successo con Bassi non era abbastanza forte, evidentemente.
- Dani, non è per romperti le scatole…
- esordì Alessia, cauta, mentre ci stavamo dirigendo verso la basilica del
Sacro Cuore. – Ma goditi il quartiere, no?
Inarcai un sopracciglio, perplessa. –
Scusa?
Alessia scosse la testa, esasperata. –
Questa storia di Bassi ti ha un po’ rimbambita, eh?
- Deficiente! – la rimproverai, prima
di guardarmi intorno per essere sicura che nessuno ci avesse sentito. – Non è
il caso di sbandierarlo ai quattro venti! – rincarai dunque la dose, a bassa
voce. L’ultima cosa che mi ci voleva in quel momento, infatti, era che qualche
impiccione captasse qualche frammento dei nostri discorsi e si immaginasse
chissà che cosa, magari anche azzeccandoci. Non volevo finire nei guai, e non
volevo nemmeno che ci finisse Marcello, nonostante un po’ se lo meritasse.
- Appunto, Ale. – mi spalleggiò Greta.
– Se devi dire certe cose, dille almeno a bassa voce.
- Va bene, scusate! – disse Alessia,
alzando le mani in segno di resa. – Comunque, Dani, quello che volevo cercare
di farti capire è che siamo nel tuo ambiente naturale. È il quartiere degli
artisti questo, no? Quindi goditelo ed evita di andare in giro come se fossi
un’ameba!
Mi paragonava addirittura ad un’ameba?
Forse poco prima avevo sbagliato nel pensare che lei e Greta capivano il mio
stato d’animo senza rimproverarmelo. O almeno, riguardo ad Alessia avevo fatto
male i miei calcoli! Le rivolsi un’occhiata torva, ma dovetti sforzarmi per non
scoppiare a ridere. Era riuscita in quello che probabilmente era stato il suo
intento fin dall’inizio, e gliene ero molto grata. Cercava di capirmi e di
tirarmi su il morale a modo suo, come sempre.
- Hai ragione. – ammisi quindi, con un
sorriso. – Mi sto guastando la mattinata, e non è il caso.
- Brava, così ti voglio! – esclamò,
felice, prima di prendermi a braccetto.
- Non sono d’accordo sui metodi di Ale,
ma sono contenta dei risultati ottenuti. – convenne Greta, prendendomi
anch’ella a braccetto, dall’altro lato. Scossi la testa, con un sorriso.
- Grazie, ragazze. – dissi, poi iniziai
a guardarmi intorno. Alessia aveva ragione: mi stavo perdendo la bellezza di
quel quartiere, che era a dir poco magnifico. Si respirava davvero un’atmosfera
ricca d’arte e creatività, e la mia fantasia ne fu stimolata. Sforzandomi,
potevo immaginare come Montmartre doveva essere a cavallo tra Ottocento e
Novecento, con tutti i vari artisti che avevano contribuito a rendere celebre
la nomea del quartiere. Con sguardo trasognato, non potei fare a meno di
collocarmi tra quelle personalità. Mi sarebbe piaciuto, in fondo, vivere in
quell’epoca di cambiamenti dovuti alla profonda crisi delle certezze del
passato, la quale però aveva dato vita a fiorenti correnti artistiche e
letterarie come l’espressionismo e il decadentismo, per citare i più noti.
Scossi la testa e tornai bruscamente
alla realtà: era inutile abbandonarsi a fantasie di quel genere, perché sapevo
che poi mi avrebbero portato a contemplare la possibilità di poter diventare
un’artista nella mia epoca, piuttosto che in quella passata. Il passo da una
fantasia all’altra sarebbe stato breve, e non avevo intenzione di compierlo.
Quelle, però, sarebbero rimaste solo sciocche fantasie a cui era inutile
abbandonarsi, perché dovevo essere realista: dovevo darmi una mossa a trovare
una facoltà ed un mestiere adatti a me e che soprattutto mi dessero concrete
possibilità lavorative. Non avevo bisogno di altri grilli per la testa, ne
avevo già fin troppi.
Per questo motivo, mi diressi verso le
bancarelle di alcuni pittori di strada, per osservare i loro dipinti. Nessuno
mi impediva di guardare, dopotutto. Se davvero avessi dato alle mie capacità
artistiche una possibilità, ero certa che sarei finita esattamente come loro:
una semplice pittrice di strada, che per guadagnarsi da vivere era costretta a
vendere ai turisti le proprie opere. Non mi sarebbe minimamente dispiaciuto,
perché nel mio piccolo sarei stata felice, e quello mi sarebbe bastato.
Sarebbero stati i miei genitori a non esserne per nulla lieti, e non volevo
certo incorrere nelle loro ire.
Dopo la visita alla basilica del Sacro
Cuore, i professori ci lasciarono un’oretta di tempo libero. Poi avremmo
intrapreso la discesa, ma nel frattempo potevamo trastullarci come meglio
credevamo. Stavo per dirigermi verso un negozio di souvenir con Greta e
Alessia, quando venni bloccata per un gomito; mi voltai e mi trovai di fronte
Valerio.
- Ciao. – lo salutai, senza fare a meno
di chiedermi come mai mi impedisse di proseguire verso il negozio con le mie
amiche.
- Ciao, Vale! – lo salutò Greta, non
appena si accorse della sua presenza. Alessia lo imitò, sorridendogli
calorosamente. Era solo una mia impressione o sembravano felici di vederlo,
probabilmente più di me? Speravano forse in un ritorno di fiamma che mi
distraesse definitivamente da Bassi? Era altamente probabile, come ipotesi, e
non potevo nemmeno dar loro tutti i torti perché giustamente, vedendomi a
pezzi, desideravano solo che mi riprendessi il più in fretta possibile. Ma
Valerio era davvero la strada giusta?
Scacciai dalla testa quei pensieri,
poiché non era il caso di fare i conti senza l’oste. Quel che avevo capito fino
a quel momento era che Valerio voleva la mia amicizia, per cui era inutile, da
parte delle mie amiche, sperare che mi chiedesse di tornare con lui. Voleva
ricostruire un rapporto basato sulla fiducia reciproca, e non era
necessariamente un rapporto di tipo amoroso.
- Ciao ragazze. – le salutò a sua volta
sua, sorridendo cortesemente. – E ciao, Dani. – si rivolse dunque a me. –
Ascolta, visto che i prof ci hanno lasciato del tempo libero che ne dici se
andiamo a mangiarci una crêpe? Così ne approfittiamo per chiarire bene la
situazione. Se ti va, ovviamente.
Soppesai con attenzione quelle parole,
e non vi colsi nulla di ambiguo. Dalle espressioni che vedevo dipinte sui volti
di Greta e Alessia, però, avrei potuto giurare che in quella richiesta loro
avevano colto una sorta di appuntamento, e mi trattenni dall’incenerirle con lo
sguardo. Non volevo che mi facessero fare figure con Valerio, né che lui
capisse male, interpretando l’esaltazione delle mie amiche come derivante da un
mio inesistente entusiasmo per via del nostro riavvicinamento.
- Sì, mi va. – risposi quindi, in tono
neutro. – Anch’io sono desiderosa di chiarire.
Aggiunsi enfasi a quell’ultima parola
per far sì che le mie amiche comprendessero il concetto: io e Valerio avremmo
solo parlato, a dispetto dei loro film mentali. Certo, loro erano liberissime
di interpretare quello come il primo passo verso un ritorno insieme, ma
sarebbero state in torto.
- Vi saluto, ragazze. – mi congedai,
agitando la mano in direzione di Greta e Alessia. – A dopo.
- A dopo! – dissero in coro, prima di
dileguarsi verso il negozio di souvenir, ansiose di lasciarmi sola con Valerio.
- Sbaglio o stanno pensando chissà cha
cosa? – mi chiese quest’ultimo, con una nota di divertimento nella voce.
Grazie al cielo non ha pensato male!, mi dissi mentalmente, sollevata. – No, non sbagli. – gli
risposi. – Ho spiegato loro come stanno le cose, e quel che è successo ieri
sera, ma continuano a vederla a modo loro. Specialmente Greta.
- Immagino. È sempre stata una mia fan…
– commentò dunque lui, scatenando la mia ilarità.
- È vero… – convenni, tra una risata e
l’altra. – Ogni volta che litigavamo diceva che era colpa mia e che tu eri un
santo, a sopportarmi!
Valerio si unì a me nell’attacco di
risa dovuto a lieti ricordi del passato, dopodiché ci avviammo verso un bar.
Entrammo e ci sedemmo ad un tavolino, poi procedemmo con le ordinazioni. Io
optai per una classica crêpe al cioccolato, mentre lui volle provare quella al
Grand Marnier.
- Alcolizzato! – lo rimproverai
scherzosamente, dopo che il cameriere si fu allontanato.
Valerio diede un’alzata di spalle, per
nulla toccato. – Siamo in Francia, e devo provare le specialità locali. Non
sono un alcolizzato, quindi. – si difese con un sorriso.
Scossi la testa, divertita. – Mi hai
convinta. – gli comunicai in tono ilare.
- Spero di convincerti anche con quello
che ho da dirti. – esordì, tornato serio nel giro di qualche istante. Cambiai
umore anch’io, a quelle parole. Quello era il momento della verità, e in parte
ne ero felice, perché avrei potuto chiarire la situazione, ma d’altro canto
temevo che mi chiedesse il motivo per cui la sera prima ero scoppiata in lacrime.
Non sarei stata in grado di raccontargli la verità, su quel punto.
- Ti ascolto. – lo esortai, senza dare
a vedere la mia titubanza.
- Come sto cercando di farti capire da
settimane, per me è un periodo un po’ no, e ho bisogno di te come amica. – mi
comunicò, guardandomi negli occhi. Era sincero; nel suo sguardo non vi era
alcuna ombra di menzogna. – E come mi è parso di capire da quello che è
successo stanotte, anche tu non te la passi poi così bene.
Trasalii. Ecco, pensai, orami chiederà cosa cavolo mi passa per la
testa. Che diavolo mi invento?
- Quindi anche tu hai bisogno di un
amico, no? – proseguì, ed io tirai mentalmente un sospiro di sollievo. Ero
salva, per il momento.
- Sì, beh… - risposi. - Ho Greta e
Alessia, ma un amico in più mi farebbe comodo. – lo assecondai, con un sorriso.
Prima di metterci assieme, infatti, avevamo un bel rapporto di amicizia, che
prevedibilmente si era evoluto in qualcosa di più profondo, pur mantenendo
intatte alcune caratteristiche. Quando stavamo insieme lo consideravo anche un
grande amico, oltre che il mio ragazzo. Un po’ mi era dispiaciuto, perciò,
quando ci eravamo lasciati, perché avevo perso uno dei pilastri fondamentali
della mia vita. Non avevo accettato però di tornare sua amica perché credevo
che quella richiesta celasse secondi fini, e in più ero ancora ferita per il
modo in cui mi aveva lasciata. Fino alla sera prima mi ero lasciata guidare
dall’orgoglio, che però ora avevo messo da parte.
- Mi fa piacere che tu lo dica. – disse
Valerio, con un sorriso. – Perché vedi, a dispetto di quel che pensavi tu, non
ti ho lasciato con una scusa. Ti ho detto la verità; ero confuso e lo sono
ancora. Avevo, ed ho, mille casini per la testa, e non volevo incasinarti
ulteriormente.
- Io… Mi dispiace per aver dubitato di
te. – mi scusai. – Mi sono sentita uno schifo, quando mi hai lasciata, e
prendermela con te mi è sembrata la cosa più facile da fare. Ho sbagliato, lo
so. – gli spiegai, ad occhi bassi. Iniziavo a sentirmi una pessima persona per
come lo avevo trattato, non se lo meritava.
- Non ti preoccupare. Posso capire quel
che ti è passato per la testa. – mi tranquillizzò Valerio, prima di posare una
mano sulle mie, giunte sulla superficie lucida del tavolino. Gli sorrisi con
gratitudine, e in quell’istante arrivò la cameriera con le nostre ordinazioni,
quindi ci separammo.
- Mi dispiace lo stesso, però. –
continuai, ormai decisa a farmi perdonare. Sapevo che lui lo aveva già fatto da
tempo, ma se non gli avessi esternato quel che provavo, non mi sarei sentita a posto
con me stessa. – Insomma, avevi già i tuoi casini per la testa, e mi sa che
comportandomi in quel modo ho peggiorato la situazione, pur non avendone la
minima intenzione.
- Basta, non colpevolizzarti. – mi
intimò Valerio. Afferrò coltello e forchetta e tagliò un pezzo della propria
crêpe, poi, prima di portarselo alla bocca, mi disse: - Tu non c’entri
assolutamente nulla con i miei problemi, anzi. Stare con te era l’unica cosa
che mi dava un po’ di sollievo.
Aggrottai le sopracciglia, confusa: se
era davvero così, perché mi aveva lasciata, allora?
- Perché non hai continuato a godere di
quel sollievo, dunque? – gli chiesi, non appena ebbi finito di masticare un
boccone di crêpe. – Non ti seguo.
- Io… Te l’ho detto. Avevo troppi
problemi per la testa, e non volevo che diventassero anche i tuoi. – mi
rispose, ad occhi bassi.
- Problemi di che tipo, Vale? –
indagai, iniziando a preoccuparmi. C’era sotto qualcosa di grave?
- Di vario genere. – spiegò lui. – Però
preferirei non soffermarmi oltre.
- Magari parlarne può farti bene… - suggerii, desiderosa di voler capire cosa lo avesse
turbato tanto per costringerlo a lasciarmi e continuasse a tormentarlo per
spingerlo a riavvicinarsi di nuovo a me come amico.
- No, Dani, direi di no. – mi liquidò
bruscamente lui. – Io non ti ho chiesto nulla riguardo ieri sera, tu fa’ lo
stesso. – proseguì dunque, imperativo.
Abbassai lo sguardo, ferita.
Touchée.
Valerio aveva colto nel segno, e
dovetti riconoscere che aveva ragione: non avevo il diritto di farmi gli affari
suoi, specialmente quando io ero la prima a non volermi esporre.
- Hai ragione. – ammisi dunque, ad alta
voce, rendendolo così partecipe dei miei pensieri. – Non ti chiederò più nulla.
– promisi. – Ma come faccio a starti vicina come amica, se non mi dici cosa c’è
che non va? – domandai, rendendomi conto di quanto fosse difficile.
- Io come ho fatto ieri sera? – mi
chiese a sua volta lui, spiazzandomi per la seconda volta nel giro di pochi
minuti.
- È vero. – riconobbi. Di nuovo,
dovetti dargli ragione. – Seguirò il tuo esempio, a questo punto.
Valerio sorrise, ed io ricambiai il
gesto.
- Sapevo che avresti capito. – disse. –
Io e te siamo molti simili, dopotutto. Anche io quando c’è qualcosa che non va
preferisco tenerlo per me, lo sai bene.
- Già. – constatai. Anche prima che ci
lasciassimo, effettivamente, dovevo cavargli fuori le cose con le pinze, quando
lo vedevo turbato, e lui faceva lo stesso con me. In quei momenti ero arrivata
molto vicina a comprendere quanto snervante dovesse essere per Greta e Alessia
essermi vicina nei momenti di difficoltà. – Non è un comportamento corretto,
però. – proseguii. – Non nei confronti delle persone che ci stanno vicino. Non
possono tirare ad indovinare.
- Indubbiamente. – dichiarò Valerio,
dandomi ragione. – Ora però non è il caso di parlarne, credimi. Quando me la
sentirò, sappi che sarai la prima persona che verrò a cercare.
Mi sentii rincuorata, a
quell’affermazione. Ma io potevo dire lo stesso di lui? Davvero un giorno gli
avrei raccontato dei turbamenti che avevo per Bassi, e di quello che era
successo il giorno prima?
No, decisamente. Temevo di ferirlo, nel
caso in cui avesse provato ancora qualcosa per me. Mi aveva lasciato per cause
di forza maggiore, da quanto avevo capito, e perciò era plausibile che i
sentimenti che provava per me non fossero ancora del tutto sopiti.
Stavo per tagliare un pezzo di crêpe
quando mi bloccai, colta da un’improvvisa rivelazione.
- C’è di mezzo un’altra ragazza, per
caso? È per questo che non me ne vuoi parlare? – gli chiesi, dopo aver lasciato
da parte le posate. – Perché se è così, non devi preoccuparti. Capirei, puoi
benissimo…
- No, assolutamente. – mi interruppe
Valerio, quasi divertito. – Non c’è di mezzo nessuna ragazza, fidati.
Cos’era quel senso di sollievo che
iniziai a sentire, a quelle parole? Ero forse felice che Valerio non avesse in
giro nessun’altra?
Un po’ sì, dovevo ammetterlo. Era
innegabile che provassi ancora qualcosa per lui, dopotutto eravamo stati
insieme molto tempo e Valerio era stato la prima vera storia. Ero stata assieme
a qualche altro ragazzo prima di lui, certo, ma nulla era durato più di un paio
di mesi.
Con Valerio era stato diverso; avevo
capito fin da subito che con lui avrei costruito qualcosa di importante. Ero
cotta di lui, e lui lo era di me: insieme stavamo benissimo, talmente eravamo
simili. Mi aveva rapito il cuore, e con lui avevo vissuto la mia prima volta,
per cui era normale che io provassi ancora qualcosa per lui. Il più era
definire cosa fosse, quel qualcosa. Nostalgia? Rimpianto? Amore?
Non ero in grado di dirlo, onestamente.
C’era di mezzo anche Bassi, e dovevo tener conto di quel che provavo per lui,
anche se avrei dovuto lasciarmi alle spalle tutto il prima possibile.
Tornai a dedicarmi alla mia crêpe, che
ormai si era raffreddata. Ne mangiai due boccone, prima che accadesse qualcosa
che mi fece passare l’appetito.
Valerio ed io avevamo tranquillamente
ripreso a parlare, quando nel bar entrarono tutti e quattro i professori, Bassi
compreso.
- Ma guarda un po’ chi c’è qui! –
esclamò la professoressa di storia dell’arte di Valerio. – Boghi, preferisci
stare qui al chiuso anziché goderti le meraviglie di questo quartiere?
Da una professoressa di arte ci si
poteva aspettare una domanda del genere. Valerio mi rivolse uno sguardo
supplichevole, chiedendomi aiuto. Io però ero ancora piuttosto scossa
dall’arrivo degli insegnanti che non seppi come dargli una mano e scrollai le
spalle, per farglielo capire.
- Stavamo giusto per uscire a fare un
giro, prof. – rispose dunque Valerio, prima di alzarsi.
- Già. – confermai io, per quanto mi
rendessi conto che quel mio contributo fosse minimo.
- È una buona cosa. – convenne la
professoressa, dopodiché tornò dai propri colleghi, che nel frattempo si erano
seduti ad un tavolo. Marcello era rimasto impassibile, e così restò anche
quando io e Valerio uscimmo dal locale, dopo aver pagato. C’era poco da
stupirsi, dopotutto. In cosa continuavo a sperare, che cambiasse idea e che me
lo dimostrasse anche solo con un minimo gesto? Ero solo una povera illusa.
- Io odio quella donna! – proruppe
Valerio, non appena fummo di nuovo in strada.
- Mi associo. – gli feci eco io. Se non
fosse stato per lei, infatti, i professori probabilmente non si sarebbero
minimamente accorti della nostra presenza, ed io non avrei subìto l’ennesimo
attacco di gelo polare da parte di Bassi.
Chissà poi cosa doveva aver pensato,
vedendomi con Valerio…
Non mi illudevo certo che si fosse
improvvisamente scoperto geloso, non ero così stupida. Tuttavia temevo che si
facesse di me un’impressione sbagliata che per lui avrebbe costituito una
ragione in più per comportarsi freddamente con me. Non ero certo il tipo che
teneva un piede in due scarpe, e speravo che lui non l’avesse pensato.
Se anche fosse, poco m’importa, pensai. Ormai ho
capito come stanno le cose, e devo togliermelo dalla testa il prima possibile.
Continuavo a ripetere a me stessa quel
concetto per auto-convincermi, e per rendere più facile quella difficile
impresa.
- Andiamo a fare un giro per i
negozietti? – proposi a Valerio, poco dopo. Volevo distrarmi, ed ero certa che
lo volesse anche lui, con tutti i problemi di varia natura che aveva in testa.
- Va bene. – assentì. – Così ne
approfittiamo per ‘goderci le meraviglie di questo quartiere’. – aggiunse
quindi, scimmiottando la sua prof.
Ridacchiai, e insieme passeggiammo per
le strade di Montmartre.
Note dell’autrice
Eccomi qui, lievemente in ritardo. In
questi giorni sono stata un po’ impegnata, tra una cosa e l’altra, per cui ho
scritto quando potevo…
In questo capitolo, comunque,
(anch’esso scritto ex-novo come il precedente) si capisce un po’ di più la
figura di Valerio, o almeno il mio intento era quello… xD
Bassi continua imperterrito a mostrarsi
glaciale, e la nostra Daniela ne soffre.
Spero vi sia piaciuto…
Fatemi sapere i vostri pareri, mi
raccomando^^
Passiamo ora ai ringraziamenti:
Fataflor: Per vedere Bassi in azione dovrai
attendere ancora un po’, per ora gli sto facendo fare lo stronzo, perfida come
sono. xD Qui, però, spero di averti fatto sembrare Valerio più simpatico, anche
se ho idea che ci metterai un po’ a fidarti di lui, visto che tifi per il prof…
Spero che questo capitolo ti sia
piaciuto: non ho inserito molto Bassi, ma in compenso ci sono Greta e Alessia,
che da quanto ho capito ti sono simpatiche… =) Baci, Pikky91
Alaire94: Una fan di Valerio! =) Allora il
riavvicinamento tra lui e Dani in questo capitolo devi averti fatto molto
piacere… E dovrai sicuramente aver odiato Bassi per il suo continuo
comportamento glaciale. Ti ringrazio per avermi segnalato quella vista, ogni
volta qualcosa mi sfugge sempre, per quanto io controlli… -.- Come ho già detto
a Fataflor, se noti qualcos’altro non esitare a dirmelo, così correggo subito!
=) Baci, Pikky91
EmoGirl91: Grazie
a te per la tua recensione! =) Hai analizzato bene i personaggi, sai? Era
proprio quello che volevo trasmettere, e deduco di esserci riuscita. Per cui
grazie, di nuovo.
Se hai gradito Valerio nello scorso
capitolo, comunque, qui mi sa che avrà guadagnato punti, così come le amiche…
xD Bassi invece ne perde sempre più, ma per ora mi serve dipingerlo così… Più
avanti si vedrà…^^ Baci, Pikky91
- Allora? Com’è andata? – m’interrogò
Greta a pranzo. Eravamo sedute ad un tavolino di un self-service, ed avevamo
appena finito di mangiare. Fino a quel momento ero riuscita ad eludere gli
interrogativi delle mie amiche, ma ora era giunto il momento della verità.
- Bene. – risposi, senza aggiungere
altro.
- Oh, andiamo! – m’incalzò Alessia. –
Non credere di liquidarci con un ‘bene’! Insomma, tu e Valerio siete stati
assieme praticamente per tutta la mattina, deve essere andata più che ‘bene’!
Scossi la testa, esasperata. – Saremo
anche stati assieme per tutta la mattina, ma voi state facendo sembrare la cosa
più grande di quanto in realtà sia. – ribattei, pacata. – Non era un
appuntamento, il nostro. Ok?
- Sì, sì, lo sappiamo… - tagliò corto
Alessia. – Ora però dicci com’è andata.
- Bene, ve l’ho detto. – ripetei.
- Sì, ma cosa ti ha detto? – domandò
Greta, curiosa.
Sospirai. Ero ancora abbastanza turbata
dalla conversazione avuta con Valerio e da quello che grazie ad essa avevo
capito, per cui non avevo molta voglia di parlarne. In quel momento decisi che
avrei raccontato alle mie amiche solo lo stretto necessario, ovvero i fatti
nudi e crudi, omettendo l’incontro con i prof e i dubbi che mi erano sorti
riguardo ciò che ancora provavo per Valerio.
- Niente che voi già non sappiate. –
risposi dunque. Prima che Alessia avesse tempo di aprire bocca per ribattere,
mi affrettai ad aggiungere: - Nel senso che abbiamo deciso di tornare amici,
semplicemente. Tutto qui.
- Ma ti ha detto perché ti ha lasciata?
– chiese Greta.
- Non proprio. – replicai. – Da quanto
ho capito, lo ha fatto per cause di forza maggiore. Mi ha detto di averlo fatto
per problemi suoi personali in cui non voleva coinvolgermi. Non è però andato
nello specifico, perché non aveva molta voglia di parlarne. – riassunsi
brevemente.
- E tu non hai indagato oltre,
suppongo. – ipotizzò Alessia, ed io annuii. – Tipico. – commentò con un
sorrisino. – D’altronde anche tu sei così e non parli mai dei tuoi problemi. È
proprio vero che chi si somiglia si piglia.
Le lanciai un’occhiataccia. – In questo
momento ha bisogno di me come amica, ok? – ribattei, piccata. – Quindi non fare
allusioni, non è il caso. Ha bisogno di qualcuno che lo capisca, e io sono la
persona più indicata, visto che come hai detto anche tu abbiamo un carattere
molto simile.
- Già. – concordò Greta. – Ecco perché
insieme eravate perfetti.
- Gre, non ti ci mettere anche tu! –
esclamai, esasperata. – Ho appena detto di non fare allusioni e tu che fai? –
la rimproverai, lievemente irritata. Ero già abbastanza confusa di mio, non
avevo bisogno che le mie amiche mi spingessero verso Valerio in modo da
allontanarmi da Bassi. Sapevo che era la cosa più giusta da fare, ma non mi
sembrava giusto nei confronti del primo, e perciò avevo deciso di prendermi un
po’ di tempo per pensarci su. Sarei rimasta vicina a Valerio come amica, e
nulla di più, e nel frattempo avrei cercato di togliermi Bassi dalla testa. Era
quella l’unica soluzione possibile, a mio parere, perché sarebbe stato stupido
cercare di rimettermi con Valerio; provavo sì ancora qualcosa per lui, ma non
ero certa che questo qualcosa fosse abbastanza forte da contrastare i
sentimenti che provavo per Bassi.
- Scusa. Ma sai come la penso… - si
giustificò Greta, ad occhi bassi.
- Sì, ma questo non cambia le cose. –
ribattei io, lievemente scocciata. – Lui è incasinato, io sono incasinata e
abbiamo bisogno l’uno dell’altra come amici. Punto.
- Non punto, ma appunto. – mi
contraddisse Alessia. – So che mi sbranerai, ma io te lo dico lo stesso, a mio
rischio e pericolo. – mi avvertì, prima di proseguire. Quella premessa forse
aveva anche lo scopo di farmi ridere, ma non ci riuscì. Perché le mie amiche si
ostinavano a non capire cosa mi frullava per la testa? Avevano insistito tanto
perché io dicessi loro cosa mi turbava eppure stavano facendo ben poco per
aiutarmi. Quasi mi pentii di aver detto loro tutto, quella mattina.
- Tu e Valerio siete incasinati, no? –
proseguì Alessia. – Adesso siete tornati amici, e lo capisco. Sono contenta che
vi siate chiariti, e come te ora ho realizzato che ti ha lasciato per un motivo
serio, anche se ancora non ti ha detto quale. Però sono anche convinta che non
devi escludere del tutto un vostro ritorno insieme. Ora vi siete chiariti,
siete tornati amici… Chissà, magari tornerete anche insieme. Da cosa nasce
cosa, dopotutto. E in questo caso sarebbe una rinascita.
La guardai di sottecchi, non appena
ebbe finito il suo discorso. Stavo per aprire bocca e mandarla a quel paese, ma
Greta mi precedette.
- Non è un’ipotesi così azzardata, del
resto. – constatò, con un’alzata di spalle.
Sospirai. – Lo so, ragazze. – ammisi. –
Credete che io non ci abbia pensato anche solo per un momento? Sarebbe la cosa
più logica, e anche quella più naturale. Però non è così facile. Lo sapete
meglio di me. – mi interruppi un istante per guardarmi intorno, dopodiché
ripresi: - C’è di mezzo anche… Avete capito, ecco. E non vorrei prendere in
giro Valerio, non mi sembra corretto nei suoi confronti.
- Lo so chi c’è di mezzo, non
preoccuparti. – m’informò Alessia, con un sopracciglio inarcato. – E questo non
fa che avvalorare le mie parole: un tuo riavvicinamento a Valerio potrebbe
farti dimenticare quell’altro, per non fare nomi. È semplice.
- È tutto da vedere. – la contraddissi.
Bene o male la pensavo anche io così, ma sentirselo dire da fuori faceva tutto
un altro effetto, che non era per nulla piacevole. - È inutile fare previsioni,
ora.
- Ascolta, Dani. – attirò la mia
attenzione Greta. – Lo sai che personalmente tifo per Valerio, quindi magari
potresti fraintendere. Ma questa cotta per… Chiamiamolo ‘coso’, ti sta solo
facendo del male. So che magari dopo ieri pensi che…
- No. – la interruppi, brusca. – Non
penso niente, puoi stare tranquilla. Fine del discorso. – conclusi dunque,
prima di alzarmi dal tavolo per andare in bagno.
Sapevo che da un lato le mie amiche
avevano ragione, ma non volevo starle a sentire. C’era già la mia coscienza che
pensava a comunicarmi quegli stessi concetti, e sentirli ripetutamente anche
dall’esterno non mi aiutava per niente, anzi, mi faceva incavolare di più,
soprattutto con me stessa. Ero stata una stupida, e nessuno poteva negarlo.
Ancora poco,
pensai per farmi coraggio. Ancora poco e
sarò a casa, dove mi sarà più facile dimenticare tutto.
Quella sera andammo di nuovo in camera
di Francesco, Giulio e Marco. Il programma della nottata era di giocare a
‘Lupus in tabula’ (*) finché non ci saremmo stufati, e la cosa mi entusiasmava
abbastanza. Siccome più si era, meglio era, avevo invitato anche Valerio, a cui
come me piaceva il gioco. Giulio, inoltre, non aveva manifestato obiezioni a
riguardo, dato che come ogni sera ci sarebbe stata gente proveniente un po’ da
tutte e tre le classi.
Dopo essere uscite dalla nostra stanza,
io, Alessia e Greta bussammo alla porta di Valerio, e tutti e quattro ci
dirigemmo verso la stanza dei nostri compagni. Alessia abbassò la maniglia
della porta, che era aperta, e così entrammo. Non appena varcai la soglia mi
raggelai: tra i presenti figurava anche Bassi, e onestamente non mi andava
molto di vederlo. Mi era bastato subire il suo comportamento freddo e
distaccato durante il giorno, e ne avrei fatto volentieri a meno, quella sera.
Andarmene così su due piedi, tuttavia,
avrebbe destato sospetti in Valerio, per cui decisi di rimanere. Non potei
comunque fare a meno di chiedermi cosa diavolo ci facesse Bassi lì, quando ogni
volta che qualcuno gli aveva chiesto di unirsi a noi aveva rifiutato.
Doveva mantenere la serietà con i suoi
colleghi, aveva detto. Perché era lì, allora?
Superato lo shock iniziale, notai che
effettivamente c’erano anche loro, quindi mi risultò facile comprendere il
perché della sua presenza.
Mi sedetti con la schiena contro il
muro, tra Valerio e Greta, il più possibile lontano dai prof. Così facendo,
però, me li trovai esattamente di fronte e dovetti ricorrere a tutto il mio
autocontrollo per non alzarmi e correre via.
- Bene arrivati, mancavate solo voi! –
ci salutò Francesco, non appena si accorse della nostra presenza. – Possiamo iniziare,
allora.
- Aspetta! – intervenne la
professoressa di francese che accompagnava la classe dell’indirizzo
linguistico. – Spiega il gioco, prima.
- Spiego io. – si offrì perentoria
Cristina, la secchiona della mia classe. – Allora, il gioco sostanzialmente si
divide in due parti: il giorno e la notte. Durante la notte tutti, e dico tutti, chiudono gli occhi, tranne il
moderatore, che in questa partita sarà Gianluca. Lui è quello che guida il
gioco, e che durante la notte chiama i vari personaggi. Ad inizio partita
infatti vengono distribuite della carte, su cui è rappresentato appunto il
personaggio che voi dovete rappresentare. In più nel corso della notte, oltre a
tenere gli occhi chiusi, dovete battere con la mano sulla gamba, in modo da
coprire eventuali rumori. Fin qui tutto chiaro?
I prof annuirono, e per un attimo mi
venne da ridere. Per una volta i ruoli si erano invertiti: era un’alunna a
spiegare e loro a dover cercare di capire. Con amarezza dovetti però constatare
che i ruoli potevano essere invertiti solo in situazioni del genere; per il
resto sarebbero sempre rimasti tali e quali, quello di Bassi primo fra tutti,
per quanto mi riguardava. Il bacio del giorno prima era stata solo una
parentesi destinata a non ripetersi.
- Bene. – constatò Cristina, prima di
proseguire. – Una volta che avrete in mano la carta, la guardate e vedete quale
personaggio rappresenta. Il nome di esso è scritto sulla carta, per cui non
dovrebbero esserci problemi. Se siete lupi, il moderatore durante la notte vi
chiama per primi. A quel punto aprite gli occhi e vi riconoscete, poi li
richiudete. Questo durante la prima notte, che serve al moderatore per
identificare i vari personaggi. Dalla seconda notte in poi, però, sempre quando
il moderatore vi chiama, aprite gli occhi e indicate una persona da sbranare. Lo
scopo dei lupi è quello di far fuori tutti gli altri, per vincere. Se invece
siete villici, ovvero semplici cittadini, durante la notte dovete tenere gli
occhi chiusi, sempre. Il vostro ruolo
è, durante il giorno, di cercare di capire chi sono i lupi, di mandare in
nomination i sospettati e di linciarli, in modo da eliminare tutti i lupi e vincere
il gioco.
- Ma come faccio a capire chi sono i
lupi? – chiese la professoressa di storia dell’arte di Valerio, il quale mi
disse, poco dopo, che di cognome faceva Prischi.
- In base ai suoi sospetti. – rispose
Cristina. – Ma soprattutto in base a quello che il medium e il veggente possono
dire. Il veggente durante la notte può indicare una persona e a quel punto il
moderatore gli dice se quello che ha indicato è un lupo o meno. Se scopre che è
un lupo, durante il giorno lo rivela agli altri giocatori, così che essi
possano linciarlo. I lupi quindi devono scoprire chi è il veggente ed
ucciderlo. Il medium invece si attiva a partire dalla terza notte. Quando il
moderatore lo chiama, indica la persona che è stata linciata per sapere se
questa era un lupo o meno. Durante il giorno, poi…
- Cri, taglia. – la interruppe Alessia.
– Mancano ancora un sacco di personaggi, e se per ognuno devi fare questa
tiritera non finiamo più.
- Se abbiamo qualche dubbio, cerchiamo
di chiarirlo non appena avremo la carta. – propose Marcello, diplomatico. –
Quindi sintetizza pure.
-
Va bene. – accettò Cristina, che considerava legge le parole di ogni prof e
quindi non osava contraddirle. – Con i lupi gioca anche l’indemoniato, che deve
cercare di capire chi sono ed aiutarli come meglio crede. C’è poi il gufo, che
durante la notte indica una persona su cui ha dei sospetti, e questa il giorno
dopo finisce direttamente in nomination, a meno che non sia stata sbranata dai
lupi. C’è la guardia del corpo, che deve cercare di individuare il veggente e
proteggerlo in modo che non venga ammazzato dai lupi. Poi c’è il criceto
mannaro, che gioca per se stesso e viene chiamato solo la prima notte. Il suo
ruolo è un po’ particolare perché se viene indicato dai lupi non muore. Può
essere ucciso solo se viene indicato dal veggente, e se a fine partita tutti i
lupi sono morti e lui è ancora in vita, vince lui e non i villici.
Cristina
fece una pausa per riprendere fiato. – Visto che siamo in tanti, c’è anche il
mitomane, che indica, durante la seconda notte, una persona. Se questa è un
lupo, diventa anche lui lupo e si hanno quattro lupi, se è il veggente, diventa
veggente e si hanno due veggenti, mentre se è un villico, diventa villico. Per
ultimi poi ci sono i massoni, che vengono chiamati durante la prima notte. Si
riconoscono e loro sanno di non essere i lupi, così si possono proteggere a
vicenda. È tutto chiaro?
I
prof annuirono, poco convinti.
-
Sembra difficile, ma una volta che si parte a giocare si capisce tutto. – cercò
di tranquillizzarli Federica, la lecchina di turno. Fece gli occhi dolci a
Bassi, e se avessi potuto l’avrei fulminata. Sapevo che non potevo accampare
diritti su di lui, nonostante ci fossimo baciati. Proprio per questo motivo,
però, ero diventata gelosa di chiunque si avvicinasse a lui, forse perché ero
ferita dal suo comportamento glaciale e dunque invidiavo chiunque avesse con
lui anche solo un minimo rapporto.
Sbuffai
e attesi che Eleonora mi consegnasse la carta, visto che era lei a
distribuirle. Non appena la ebbi in mano, la guardai: ero il massone. Quel
ruolo mi piaceva, tutto sommato; permetteva di arrivare alla fine senza
intoppi, perché c’era qualcun altro a garantire la tua innocenza e a renderti al
di sopra di ogni sospetto.
Non
appena tutti ebbero avuto la propria carta, Gianluca, il moderatore, ci ordinò
di chiudere gli occhi, ed iniziò a chiamare i vari personaggi. Attesi il mio
turno, e quando ordinò ai massoni di ridestarsi e riconoscersi aprii gli occhi
e mi guardai intorno. Il mio compagno doveva essere poco accorto, perché tutti
quelli che vedevo avevano gli occhi saldamente serrati.
-
I massoni si riconoscano. – incalzò
Gianluca, con una nota di impazienza nella voce.
-
Non è difficile, dovete cercare chi ha gli occhi aperti! – ironizzò Marco,
facendo ridacchiare gran parte dei presenti, me esclusa. Continuavo a guardarmi
intorno alla ricerca del mio compagno, ma non trovavo nessuno. Sbuffai, in
preda alla frustrazione. Fu allora che sentii una gomitata provenire dalla mia
destra e mi voltai: Valerio mi sorrideva, divertito. Ricambiai il gesto,
scuotendo la testa.
-
Bene, finalmente potete chiudere gli
occhi. – disse Gianluca, sollevato.
Eseguimmo
gli ordini, e poco dopo ci fu la seconda notte, al termine della quale il
moderatore annunciò la nomination di Valerio e la morte del prof di matematica
della sua classe e di quella del linguistico. I lupi, evidentemente, dovevano
aver colto l’occasione per vendicarsi, e dovevano essere sicuramente suoi
alunni. Non fui l’unica a pensarlo, poiché poco dopo Cristina avanzò la mia
stessa ipotesi, che fu avvalorata da molti.
-
Ecco perché il gufo ha nominato Valerio! – saltò su Mirella, una mia compagna.
– Anche lui è alunno del prof! Quindi magari lui ha sentito che Valerio
bisbigliava qualcosa e…
-
E un corno. – intervenni io. – Il gufo è andato a caso. Valerio non è il lupo,
ed io ne sono assolutamente certa, dato che lui è il massone, ed io pure.
-
Ma guardala come lo difende! – esclamò Arianna, una ragazza in classe con
Valerio. – Che teneri che siete… Non sapevo foste tornati insieme!
A
quelle parole, diventai di tutti i colori. Non tanto per l’allusione di
Arianna, ma per il fatto che i prof stavano ascoltando tutto. Non volevo che
Bassi sentisse e che si facesse un’idea sbagliata di me, come già avevo temuto
quella mattina al bar.
-
Non siamo tornati insieme, infatti. – tagliò corto Valerio, e lo ringraziai
mentalmente. – Tornando al gioco, io non sono il lupo, e Daniela ve l’ha
confermato.
Grazie
al cielo la discussione si spostò di nuovo sulla ricerca dei lupi, e il mio
viso assunse di nuovo un colorito normale. Evitai di guardare Bassi perché
temevo quel che avrei potuto leggere nei suoi occhi, dopo lo stupido intervento
di Arianna. Coerentemente al suo comportamento polare, non avrebbe dovuto
tradire alcuna emozione, per cui era inutile preoccuparmi: figurarsi se gli
importava qualcosa di me!
Poco
dopo Gianluca ci invitò a votare le persone da mandare in nomination oltre a
Valerio ed io, giunto il mio turno, diedi una rapida occhiata ai presenti per
vedere chi aveva una faccia sospetta. Il mio sguardo per un attimo incontrò
quello di Bassi, e notai che mi rivolse un’occhiata di rimprovero. Il cuore mi
mancò di un battito, a quell’improvvisa dimostrazione di sentimento. Qualcosa
avevo mosso in lui, dopotutto. Non sapevo se quello sguardo me l’avesse rivolto
per via di ciò che era successo il giorno prima o a causa delle parole di
Arianna, però era già qualcosa. Forse ero riuscita a sciogliere i ghiacci, e
pian piano la primavera si sarebbe avvicinata.
Scossi
la testa, per evitare di abbandonarmi a stupide speranze, dopodiché nominai
proprio Arianna, le cui parole mi avevano messo in imbarazzo davanti a tutti,
specialmente davanti a lui.
Quando
dopo un paio d’ore Greta, Alessia ed io tornammo in camera, ci misi un po’ a
prendere sonno. Continuavo a pensare all’occhiata che Bassi mi aveva rivolto, e
che nel corso della serata non aveva avuto seguito. Marcello aveva continuato a
mostrarsi imperturbabile, aveva eretto di nuovo quelle barriere che in un
normale rapporto professore-alunna avrebbero dovuto esistere, e in più le aveva
rinforzate, per evitare che crollassero come il pomeriggio prima al Louvre.
In
quel modo non si sarebbero più ripresentate occasioni del genere, e in un certo
senso era meglio così. Come continuavo a ripetermi, dovevo archiviare il
passaggio di quella stupida rondine che aveva sbagliato stagione, e dedicarmi
ad altro.
Quello
sguardo, però, aveva riacceso in me la speranza, sebbene mi rendessi conto che
era inutile alimentare quel fuoco di stupide aspettative verso cui la mia mente
cavalcava a briglie sciolte. Ormai non sarebbe stato più come prima: se avessi
dato spazio alla mia fantasia, questa avrebbe immaginato un seguito a ciò che
era successo il giorno prima, e sapevo benissimo che così non sarebbe stato.
Mai.
Avere
avuto quell’assaggio aveva cambiato tutto. Prima, infatti, quando mi lasciavo
andare a quelle sciocche fantasie da ragazzina innamorata, sapevo che sarebbero
rimaste tali, mentre ora, se l’avessi fatto, avrei segretamente sperato che si
attuassero, che avrei finalmente avuto la mia primavera.
Mi
rigirai nel letto per l’ennesima volta e chiusi gli occhi. Dovevo dormire, la
giornata successiva sarebbe stata abbastanza pesante. Sarebbe stata anche
l’ultima che avremmo trascorso nella capitale francese, per cui volevo essere
in forze, pronta ad affrontare le ultime visite che ci spettavano.
La sera dopo, come pattuito con i
professori, era prevista l’uscita in discoteca. Con la scusa che eravamo tutti
maggiorenni e che quella era la nostra ultima gita, i miei compagni più
intraprendenti erano riusciti a strappare loro la promessa di portarci a
ballare. Bassi si era rivelato entusiasta all’idea, così come la Prischi, la
professoressa di storia dell’arte di Valerio, e insieme avevano convinto quella
di francese e quello di matematica.
Con l’umore nero che avevo da due
giorni a quella parte, non avevo poi molta voglia di andare a ballare. A ciò si
aggiungeva il fatto che non ero una frequentatrice abituale di discoteche,
anzi; potevo contare sulle dita di una mano le volte in cui vi ero andata.
- Io non vengo. – annunciai a Greta e
ad Alessia quando, dopo cena, rientrammo nella nostra stanza, teoricamente per
prepararci.
- No, tu vieni! – ringhiò Alessia, e mi
si parò davanti con aria minacciosa. – Col cavolo che ti lascio qui in albergo
a deprimerti!
- Io potrei farti compagnia, se
decidessi di restare. – provò a proporre Greta, che come me non impazziva
all’idea di andare a dimenarsi in uno spazio angusto. Alessia la incenerì con
lo sguardo, per cui si affrettò ad aggiungere: - Ovviamente però spero che tu
venga. Per una volta si può fare, dai.
- Esatto, quindi adesso ci prepariamo e
andiamo. – stabilì Alessia. – Va bene? – chiese dunque, in tono decisamente
minaccioso. Annuii controvoglia, dopodiché mi misi a frugare nella valigia alla
ricerca di qualcosa di decente da indossare.
Per un attimo valutai l’idea di
fingermi malata, o meglio ancora indisposta. Sarebbe stato semplice: sarei
andata in bagno e, non appena ne fossi uscita, avrei comunicato alle mie amiche
che purtroppo mi era arrivato il ciclo, poi avrei mostrato una faccia
sofferente per via dei dolori mestruali e incrociato mentalmente le dita per
sperare che mi credessero. Sapevo però che Alessia avrebbe svelato subito
l’inganno, perché non mi avrebbe creduto dapprincipio, per cui era inutile
perfino provarci.
Estrassi dalla valigia un paio di jeans
e una maglietta bianca a maniche lunghe e posai gli indumenti sul letto.
- Dani, no! – mi rimproverò Alessia,
non appena li vide. – Non avrai intenzione di metterti quella roba, vero?
- Perché? – chiesi io, atona. Vista la
voglia che avevo di andare a ballare, pensavo che fosse inutile agghindarmi
come un albero natalizio, e preferivo restare su qualcosa di semplice.
- Mettiti una gonna, no? – propose
dunque, in tono ovvio.
- Non ho fatto la ceretta. – ribattei,
ed era la verità. Avevo fissato l’appuntamento dall’estetista per la settimana
successiva alla gita. – E anche se l’avessi fatta non la metterei comunque.
- Va bene. – assentì Alessia,
esasperata. – Se vuoi restare sui pantaloni, non mettere quei jeans sformati!
Metti quelli a sigaretta oppure i pantaloni grigi.
Alla fine, più per i consigli di
Alessia che per mia volontà, optai per una maglietta blu a maniche lunghe con
lo scollo a barca, i pantaloni grigi e un paio di decolleté blu di velluto che
avevo comprato il secondo giorno, quando per caso eravamo finite davanti ad un
negozio di scarpe e non avevamo saputo resistere al suo ammaliante richiamo.
Lontana da casa mi ero sentita libera di comprare il mio primo tacco dodici, a
cui mia madre si era sempre mostrata contraria. – Ti fanno male i piedi, con
quei cosi! – mi diceva. – E poi quando le metti, delle scarpe del genere?
Occasioni come quella, però, erano
perfette per sfoggiare le mie nuove scarpe, ed indossarle mi restituì un po’ di
buonumore. Se ne accorsero anche le mie amiche, perché Alessia, mentre ci
stavamo truccando, constatò: - È proprio vero che un paio di scarpe sono capaci
di qualsiasi cosa, basta guardarti! Prima sembravi uno zombie, ora sembri quasi
rinata!
Scrollai le spalle e continuai a
stendere l’ombretto blu perlato sulla mia palpebra destra.
- Se non fosse stato per me, sono
sicura che saresti venuta con le scarpe da tennis! – proseguì, prima di
applicarsi il fard.
Forse ha ragione,
pensai. Però non voglio darle questa
soddisfazione. Lasciamo il merito
alle scarpe.
(*) Lupus in tabula è un gioco
realmente esistente, con cui io e le mie compagne di classe passavamo intere
nottate, in gita. Spero di essere stata sufficientemente chiara nella
spiegazione, in questo capitolo. Se così non fosse, su Google troverete tutte
le informazioni che volete, e spiegate sicuramente molto meglio.^^
Note dell’autrice
Colgo l’occasione per dire che sabato
parto, e resto via per due settimane, per cui non potrò aggiornare per un po’.
Spero entro la fine di Agosto di riuscire a pubblicare il prossimo capitolo…
Voi continuate a seguirmi, mi raccomando^^
Non vi abbandono, questa storia mi sta
prendendo e so già come svilupparla e finirla, devo solo scriverla, e vi
assicuro che lo farò.
Spero che questo capitolo vi sia
piaciuto, intanto…
Fatemi sapere i vostri pareri, mi
raccomando^^
Passiamo ora ai ringraziamenti:
Fataflor: Tranquilla, le intenzioni di Valerio
sono pure… Vuole essere solo amico di Dani, per ora. Più avanti si vedrà…
Muhahaha, come sono perfida! Spero che questo capitolo ti sia piaciuto, le cose
un po’ si sono ribaltate… Non di molto, però il fatto che Bassi abbia fatto
trapelare qualcosina dal proprio comportamento glaciale, beh, è già un inizio…
Più avanti si vedrà di più? È tutto da vedere, e non voglio rovinarti nulla.
Grazie per la recenzione^^ Baci, Pikky91
Alaire94: Bene, mi fa piacere che non ho fatto
errori… xD Per quanto riguarda Valerio si vedrà più avanti, così come per il
prof e per il futuro che eventualmente potrebbero avere…
Comunque sì, saremo sfidanti!^^ Ammesso
e concesso che mi venga in mente qualcosa di decente da scrivere, non vorrei
cadere nel banale… Grazie per la recensione, comunque^^ Baci, Pikky91
Quella sera maledissi più volte mia
madre e arrivai addirittura a pensare che avesse poteri da fattucchiera. Era la
prima volta che indossavo un tacco dodici, e mi rendevo conto che era stato
stupido farlo per andare in discoteca perché su quei trampoli dovevo ballarci,
dopotutto. Forse, col senno di poi, avrei dovuto seguire l’esempio di Greta e
calzare un paio di comode ballerine, lasciando così le decolleté di velluto blu
in valigia, pronte per essere indossate in un’occasione meno movimentata e più
consona. L’idea, però, non era stata neanche presa in considerazione da parte
mia, poiché grazie all’influenza di Alessia, ero fermamente convinta
dell’equazione ‘discoteca uguale tacchi’.
Non avrei mai immaginato, d’altronde,
che sarei inciampata e caduta da un cubo, slogandomi una caviglia. Doveva
esserci per forza lo zampino di mia madre, che in qualche modo era venuta a
sapere del mio acquisto e aveva gufato contro di me.
Era una spiegazione assurda, ma era
l’unica che riuscivo a dare in quel momento. Forse era la presenza di Bassi ad
ottenebrare le mie capacità di giudizio, o più probabilmente ero ancora
imbarazzatissima per via della figuraccia che avevo fatto davanti a tutti i
miei coetanei.
Fino al momento prima della caduta, era
filato tutto liscio. Nonostante i presupposti iniziali, mi ero lasciata andare
e mi stavo divertendo, forseanche per
via del fatto che avessi bevuto un cuba libre così per provare e fossi
diventata leggermente brilla, dato che non ero per niente abituata a bere.
Ridevo infatti per ogni minima cavolata e parlavo più del solito, però riuscivo
a stare in equilibrio perché mi ero sentita abbastanza sicura da poter salire
su un cubo con Alessia e altri nostri compagni per poter ballare.
Ad un certo punto però, dopo una buona
mezzora, Federica aveva voluto imitarci ed era salita anch’ella, spronata
dall’effetto di chissà quanti cocktail. Si notava decisamente che non era molto
sana. Visto il poco equilibrio che si ritrovava, si era aggrappata a Francesco,
che si era appoggiato a sua volta ad Alessia, che si era appoggiata alle mie
spalle. L’unica a cadere, però, era stata la sottoscritta, la quale si trovava
esattamente sul bordo.
Avendo notato la mia caduta, Valerio e
Greta si erano subito avvicinati a me, imitati da molta altra gente, perfino i
professori, con mio profondo rammarico. Quasi mi veniva da piangere per la
vergogna.
- Sto bene. – avevo urlato, per farmi
sentire al di sopra dell’altissimo volume della musica, dopodiché mi ero tirata
su in piedi, ma un dolore lancinante alla caviglia mi aveva costretta ad
aggrapparmi al cubo. Subito Bassi era corso al mio fianco, mi aveva sfilato la
scarpa in quella che avevo reputato una bizzarra parodia del principe con
Cenerentola, e mi aveva ruotato la caviglia causandomi delle smorfie di dolore,
dopodiché si era messo d’accordo con gli altri professori dicendo loro che mi
avrebbe portata in albergo.
A quella notizia avevo sgranato gli
occhi, incredula. Per me non sarebbe stato un problema aspettare, avrei potuto
benissimo sedermi ad un tavolino e stare lì finché i professori non avessero
deciso di tornare in albergo. Non volevo restare sola con Bassi, dopo quello
che era successo al Louvre, perché temevo che ciò mi rendesse meno determinata
nel dimenticarlo.
Sospirai, rendendomi conto che non
avevo proprio nulla da temere. Da quando eravamo usciti dal locale, infatti, né
io né lui avevamo spiccicato parola, preferendo rimanere in un imbarazzante
silenzio, pieno di non detti. Pian piano stavo iniziando a pensare che Greta avesse
ragione e che quindi dovessi armarmi di coraggio e chiedergli perché mai mi
avesse baciata.
Scacciai subito quel pensiero dalla mia
mente, perché una domanda del genere avrebbe solo causato imbarazzo, e quella
serata era già stata abbastanza spiacevole. Era dunque inutile mettermi
d’impegno per renderla ancora più pessima di quanto già non fosse.
Per camminare, inoltre, ero costretta
ad aggrapparmi a Marcello, per evitare che ogni falcata mi causasse fitte in
grado di farmi vedere le stelle. Inutile dire che quel contatto fisico mi
creava non poco imbarazzo. Con la mano sinistra appoggiata alla sua spalla e il
suo braccio destro intorno alla vita, mi era molto facile ripensare al bacio
che ci eravamo scambiati al Louvre.
- Ce la fai a scendere le scale? – mi
chiese Bassi, in tono distaccato, e con sollievo notai che eravamo giunti ad
una stazione della metropolitana.
- Sì, non si preoccupi. – risposi,
brusca, dopodiché mi separai da lui e mi aggrappai al corrimano. Iniziai a
scendere le scale, seppur molto lentamente, ma sollevata di non dover più
appoggiarmi a Marcello. Di nuovo, il silenzio calò su di noi come una cortina
invisibile e ci rese distanti l’uno dall’altra, imponendosi come la barriera
che avrebbe dovuto sussistere tra alunna e professore. Giunta alla fine dei
gradini, però, dovetti di nuovo servirmi di Bassi finché non ci sedemmo su una
panca, in attesa dell’arrivo della metropolitana.
- Non è forse meglio andare in pronto
soccorso? – ruppi il silenzio io, poco dopo, leggermente indignata. Stando a
ciò che mi aveva detto prima di uscire dal locale, mi ero soltanto slogata la
caviglia, e bastava una semplice fasciatura, però dubitavo che in albergo
disponesse delle bende necessarie.
- Ti fa così male? – obiettò Bassi,
beffardo. – La cassetta del pronto soccorso che è in hotel basterà sicuramente.
È solo una slogatura, ripeto. – concluse, freddo.
- Va bene, va bene. – biascicai,
incrociando le braccia. La miracolosa cassetta del pronto soccorso, come avevo
fatto a non pensarci? Scossi la testa, ormai per nulla sorpresa dal suo
atteggiamento. Mi chiesi se avesse continuato su quella linea, una volta
tornati a scuola. Dovevo forse temere che mi prendesse di mira? E per cosa,
poi, per averlo baciato?
L’arrivo della metropolitana interruppe
i miei pensieri e, riluttante, dovetti di nuovo appoggiarmi a Marcello, per
salirvi sopra. Non vedevo l’ora di arrivare in albergo, farmi mettere quella
dannata fasciatura e chiudermi in camera, da sola. Volevo stargli alla larga,
pur sapendo che una volta lontana da lui lo avrei voluto di nuovo al mio
fianco.
Mi maledissi per la mia incoerenza e mi
sedetti, imitata da Bassi.
- Non era costretto ad accompagnarmi in
hotel. – sbottai, poco dopo, interrompendo per la seconda volta quel silenzio
che regnava sovrano. – Avrei potuto benissimo aspettare che ce ne andassimo
tutti.
Era palese che gli pesasse stare lì con
me, ma non lo dissi. Mi ero già esposta abbastanza.
- Con la caviglia gonfia e dolorante? –
ribatté lui, con tono di sufficienza. – No, è meglio fasciarla il prima
possibile.
Perché si preoccupava tanto per la mia
caviglia? Ero convinta che un paio d’ore non avrebbero fatto la differenza, per
cui tanto valeva aspettare, piuttosto che stare in sua compagnia. Avrei tanto
voluto chiedergli come facesse a rimanere così freddo e distaccato nonostante
quel che era successo, in modo da poter attuarlo anch’io e, forse, soffrire un
po’ di meno.
- Se lo dice lei… - commentai con tono
piatto, dopodiché non dissi più nulla, continuando quel perverso gioco del
silenzio che mi faceva stare ancora più male.
Nel giro di venti minuti giungemmo in
hotel. Lì, Marcello richiese in reception la cassetta del pronto soccorso e fu
accontentato.
- Avanti, siediti. – mi ordinò,
perentorio, indicando una poltrona della hall. Mi avrebbe fasciato lui il
piede? Fino a quel momento avevo creduto che l’avrei fatto da sola, sebbene
dubitassi del risultato. Non avevo mai praticato una fasciatura, ma non doveva
essere un’impresa titanica, per cui avrei potuto cavarmela.
- Col cavolo. – risposi io, sgarbata.
Non eravamo gli unici occupanti della stanza, dato che vi erano anche degli
studenti probabilmente tedeschi intenti a giocare a carte. – Non mi pare il
caso, qui. Chissà poi cosa pensano, questi. – spiegai, indicandoli con un cenno
del capo.
- Va bene, andiamo in camera tua,
allora. – acconsentì Bassi, roteando gli occhi, dopodiché salimmo in ascensore,
e lì mi misi a frugare in borsa, alla ricerca delle chiavi della mia stanza.
- Se vuole può darmi la cassetta, ci
penso io a fasciarmi la caviglia. – gli suggerii in tono pratico, certa che
avrebbe accettato senza indugi. Ancora una volta, però, il comportamento di
Bassi mi stupì.
- Non penso che tu ne sia in grado. –
rifiutò, scuotendo la testa. Io continuai a frugare nella borsa, evitando il suo
sguardo che, ne ero certa, mi avrebbe trafitto. – Faccio il volontario alla
croce rossa e ci so fare, con le fasciature.
Beh, ecco svelato il mistero, pensai.
La sua dunque non era preoccupazione
per me e la mia caviglia, ma un semplice interesse in linea con l’etica della
croce rossa. Per lui ero solamente un’infortunata da soccorrere, oltre che una
sua alunna, ma nulla di più.
Sbuffai, chiedendomi dove diavolo si
fossero cacciate le chiavi della mia stanza. Poi, però, un’improvvisa
consapevolezza mi colpì.
- No, ti prego… No, diamine! –
esclamai, in preda alla frustrazione. Potevo essere così stupida?
- Che c’è? – chiese Marcello, inarcando
un sopracciglio.
- Mi sono appena ricordata che è Greta
ad avere le chiavi della stanza. – confessai, ad occhi bassi. Alessia ed io le
avevamo affidate a lei perché era la più responsabile delle tre.
- Ti sei appena ricordata, certo. – sbottò Marcello, con un sorriso sarcastico. –
Inventane una migliore, almeno.
- Come, scusi? – ribattei, sbalordita.
Era naturale che Bassi pensasse male di me, ma non mi aspettavo una reazione
così veemente. Faceva ancora più male della sua freddezza.
- Dai, avanti. – mi esortò lui,
l’espressione del volto che tradiva irritazione. – Non sono stupido. Non vuoi
stare nella hall, e guarda caso non hai le chiavi della tua camera. – spiegò. –
O almeno, così dici. – precisò poco dopo. – Magari le hai nella borsa, ed è
tutta una messinscena.
Montai su tutte le furie. Cosa diamine
si era messo in testa? Per chi mi aveva presa, soprattutto? Per un’alunna
sfacciata ansiosa di stare da sola con lui nella sua stanza per poi saltargli
addosso? Credeva dunque che io gli stessi mentendo, dicendogli che le chiavi le
aveva Greta? Aveva frainteso tutto! Non mi sarei certo stupita se di lì a poco
avesse detto che la mia caduta e la mia successiva slogatura non erano poi del
tutto casuali, e che avessi calcolato perfino quello.
- Vuole controllare nella mia borsa,
per caso? – lo sfidai. In quel momento si aprirono le porte dell’ascensore e
lui mi porse il braccio per aiutarmi ad uscirne. Io rifiutai e ne venni fuori
da sola, seppur zoppicante e a passo di lumaca, dopodiché mi posizionai di
fronte a lui sul pianerottolo, guardandolo con aria di sfida.
- Non mi permetterei mai. – rispose
lui, sostenendo il mio sguardo.
- Bene. – dissi, prima di aprire la mia
borsa e di rovesciarne il contenuto per terra. Vuotai perfino le tasche
interne. – Vede qualche chiave, per caso?
- No. Scusa. – ammise lui, con occhi
bassi, dopo aver dato una rapida occhiata. – Io…
Si era accorto del suo errore,
finalmente. Non avevo voglia di starlo ad ascoltare, però. Come sempre, temevo
le parole che avrebbero potuto uscire dalle sue labbra.
- Si risparmi, la prego. – lo troncai
sul nascere, dopodiché mi chinai per rimettere le mie cose in borsa. Ancora una
volta, però, avevo dimenticato il fatto che stavo indossando dei tacchi
vertiginosi e che avevo una caviglia slogata, così persi l’equilibrio e caddi
in ginocchio. Avvertii una fitta al piede incriminato, ma mi morsi il labbro
inferiore per non mostrare dolore.
Bassi si inginocchiò a sua volta per
aiutarmi a radunare le mie cose, senza dire una parola. Non mi chiedevo neanche
cosa gli passasse per la testa, per me era uno sforzo troppo immane quello di
comprendere la mentalità maschile, figurarsi quella di un ventiseienne che
evidentemente doveva essere molto confuso, visto il suo comportamento.
- Grazie. – gli dissi, per pura
cortesia, una volta rimesso tutto in borsa. Alzai lo sguardo e me lo trovai di
fronte, di nuovo troppo vicino, che mi fissava con uno sguardo strano,
indecifrabile. Mi sentii avvampare, mentre il cuore batteva a mille.
Perché aveva quell’effetto su di me?
Perché bramavo di sentire nuovamente le sue labbra contro le mie e la sua
lingua a lambire la mia?
Fui io a prendere l’iniziativa, questa
volta, agendo d’istinto. Mi sporsi verso di lui e gli diedi un bacio a fior di
labbra, ritraendomi subito, come scottata, non appena mi resi conto di quello
che avevo fatto. Perché ero così sciocca? Era chiaro come il sole che Bassi non
volesse più avere a che fare con me, altrimenti si sarebbe comportato
diversamente nei miei confronti, o per lo meno mi avrebbe fornito una
spiegazione.
Abbassai lo sguardo, imbarazzata.
Poco dopo, sentii una mano di Marcello
posarsi sotto al mio mento e fare pressione, in modo che i miei occhi
tornassero all’altezza dei suoi. Mi guardò, sorridendo, poi scosse la testa e
annullò la distanza che avevo ricreato tra noi. Mi baciò con passione, ed io mi
aggrappai con forza a lui, desiderando che il tempo si fermasse, sebbene
sapessi che la primavera era ben lontana, e che quella era ancora una semplice
rondine, destatasi troppo presto.
Osservai la mia caviglia, ora ben
bendata. Marcello era stato bravo, ma soprattutto delicato, e non avevo sentito
il minimo dolore, mentre praticava la fasciatura. Io ero ancora stordita per
via del bacio che ci eravamo scambiati poco prima, ed ogni volta che ci
ripensavo mi sentivo bruciare.
Era successo tutto molto in fretta, e
dovevo ancora riprendermi.
Dopo esserci separati ci eravamo alzati
e ci eravamo diretti verso la camera di Marcello, sempre nel più completo
silenzio, che ormai stava diventando una prerogativa di quel nostro rapporto
ancora indefinito. Ormai era chiaro che al Louvre Bassi non mi aveva baciata per
sfizio, altrimenti non lo avrebbe fatto di nuovo. Continuavo però a chiedermi
perché lo avesse fatto; del resto avevo escluso soltanto una delle tante
opzioni disponibili.
- Grazie. – dissi, riferendomi alla
fasciatura. – Ora possiamo tornare nella hall, se vuole.
Detto questo, feci per alzarmi dal
letto, sul quale ero comodamente seduta, ma Bassi scosse la testa e, dopo
essersi posizionato davanti a me, fece leggermente pressione sulle mie spalle
per costringermi a rimanere in quella posizione.
- Perché ti ostini ancora a darmi del
lei? – mi chiese, dopo essersi seduto di fianco a me. – Ormai puoi darmi del
tu, per lo meno in situazioni come questa. – aggiunse, prima di appoggiarsi
alla testiera del letto e sorridermi. Batté poi la mano sul materasso, in un
silenzioso invito a posizionarmi accanto a lui, e così feci. Mi passò un
braccio attorno le spalle ed rabbrividii, a quel contatto, quindi mi affrettai
ad appoggiare la testa sulla spalla per non far vedere quanto fossi arrossita.
Non sapevo cosa pensare. Ero forse di
fronte alla versione moderna del dottor Jekyll e di mister Hide? Il suo
repentino cambio d’umore da glaciale a normale mi aveva spiazzata. Certo, c’era
stato un bacio di mezzo, e quindi questo mutamento era abbastanza
comprensibile, ma rimanevo comunque perplessa, se non addirittura timorosa.
Avevo di nuovo paura che si trattasse solo di un sogno, o comunque di una breve
parentesi, destinata a svanire come una bolla di sapone non appena fossi uscita
da quella stanza. A quel pensiero, mi sfuggì un sospiro.
- Che hai? – mi chiese Marcello, a cui
il mio atto non era passato inosservato.
- Niente. – mentii io, scrollando le
spalle. Non volevo passare quel poco tempo che mi era concesso a disperarmi. Se
fosse stata di nuovo una rondine, mi sarei goduta il suo passaggio senza farmi
troppi problemi, né troppe domande sul comportamento di Bassi.
- Non ti credo. – mi contraddisse lui,
sollevandomi il mento con due dita e costringendomi così a guardarlo negli
occhi. – Che hai? – mi chiese quindi, nuovamente.
- È… È tutto questo. – sputati il
rospo. Mi era difficile mentire ad una persona guardandola negli occhi, tanto
più se per questa provavo qualcosa. – Non so cosa aspettarmi.
Mi morsi il labbro inferiore, dopo aver
pronunciato quelle parole. Era arrivato il momento della verità, finalmente,
quel momento che avevo paventato e insieme atteso. Che cosa sarebbe saltato
fuori?
- Non aspettarti niente, come faccio
io. – mi suggerì Marcello, con un sorriso amaro.
A quelle parole mi scostai da lui,
leggermente indignata. – Beh, non ce la faccio. – ribattei, incrociando le
braccia. Forse per lui era facile, ma per me no. Era normale per me chiedermi
cosa sarebbe successo di lì in avanti, del resto. Non perché avessi speranze
concrete per il futuro, ma per lo meno per comportarmi di conseguenza, per
sapere se era il caso di stare tranquilla o di tornare ai miei buoni propositi
di dimenticarlo.
Marcello scosse la testa, sospirando. –
Detesto dover fare l’adulto. – iniziò. – Alla fine ho ventisei anni, non sono
poi molto più grande di te, eppure mi tocca la parte di quello coscienzioso e
responsabile. Non lo sopporto, sai? – mi confidò, frustrato. Nemmeno per lui
era facile, dovevo immaginarlo. Da quella premessa capii che Alessia aveva
ragione, forse Marcello soffriva della sindrome di Peter Pan, oppure non era
ancora maturo a sufficienza per potersi considerare una persona adulta a tutti
gli effetti. - Se ci fossimo incontrati in un’altra situazione, non avrei
esitato a lasciarmi andare e stare con te, credimi. – fece una pausa,
guardandomi dritto negli occhi. Quelle parole mi riscaldarono il cuore, ma al
contempo permisero ad un’incedente malinconia di farsi strada in me. Marcello
mi stava semplicemente esponendo gli stessi pensieri che innumerevoli volte
avevano popolato la mia mente. Era giunto alle mie stesse conclusioni, del
resto. Se lui non fosse stato il mio professore, la differenza di età sarebbe
stata l’unico ostacolo da superare, e otto anni erano nella norma, tutto
sommato.
- Avremmo potuto incontrarci ovunque. –
proseguì. – Ma il caso ha voluto che ci conoscessimo a scuola.
- Già. – commentai con una smorfia,
prima di appoggiarmi nuovamente alla testiera del letto. – Questa della gita è
solo una breve parentesi, eh? – chiesi poi, anticipando quelli che credevo
fossero i suoi pensieri. - È questo che stai cercando di dirmi.
- In un certo senso sì. – ammise
Marcello. – Vedi, non so precisamente da quando… Però qualche settimana fa ho
iniziato a provare qualcosa per te.
Pensavo fosse solo attrazione fisica. – si bloccò, per studiare una mia
reazione. Io mi irrigidii, contemplando per la prima volta quella possibilità.
Forse stava cercando di dirmi che avevo perso per lui ogni fascino, una volta
ceduto alla tentazione. – L’altro giorno però mi sono dovuto ricredere. – mi
confidò, con un sorriso, e a quel punto mi rilassai, pur continuando a temere
il resto. – Lì al Louvre, parlando con te… Ho capito che c’era sotto ben altro,
e per questo ti ho baciata. Poi mi sono reso conto che era stata una cazzata.
- Di solito queste cazzate si fanno in
due. – puntualizzai, non certo contenta che il nostro bacio fosse definito a
quel modo. Era strano sentirlo parlare così, ma pensai che ciò fosse dovuto al
fatto che finalmente si era tolto la maschera di professore. Quello che mi
stava parlando era solo un normalissimo ragazzo di ventisei anni, evidentemente
afflitto dai miei stessi dubbi.
- Già. A quel punto ho anche capito che
il mio qualcosa era ricambiato, per cui ho iniziato a trattarti freddamente per
non darti illusioni. – continuò Marcello, per quanto potevo vedere gli pesasse.
– Sai meglio di me come stanno le cose.
- Sì. – confermai. – Tu sei il mio
prof, io una tua alunna. Non può succedere nulla tra noi, perché se saltasse
fuori succederebbe un disastro. – riassunsi in poche parole, senza fare a meno
di pensare a Greta. Era stata lei, il giorno prima, a ricordarmi le conseguenze
in cui avrei potuto incorrere se io e Marcello fossimo stati scoperti, al
Louvre. – Però… Non so se riuscirò a mettere questa dannata gita in un
cassetto. Non so se riuscirò a dimenticare tutto. Fino a due giorni fa mi
reputavo solo una sciocca ragazzina che stava tentando di farsi passare la
stupida cotta che si era presa per il suo professore. Sarebbe stato più facile,
così. Avrei relegato tutto in un angolino della mia mente e stop. – sopirai. –
Ora, invece… Dopo che ci siamo baciati, io… Ora non so se posso farcela. Ora
che ho avuto un assaggio di come potrebbe essere, non so se riuscirò a fare
finta di niente. – ammisi, abbassando lo sguardo.
- Io non ho mai detto che tu debba
farlo. – mi contraddisse Marcello e prima che potessi ribattere mi baciò.
Ricambiai il bacio, allacciandogli le braccia al collo. Quella sua ultima
affermazione mi aveva spiazzato, così come quel suo gesto; ciò però non mi
impediva di esserne felice e anzi, mi dava un ulteriore motivo per farlo.
- Cosa devo fare, allora? – sussurrai,
non appena ci separammo.
- Avere pazienza, semplicemente. – mi
rispose lui, con un sorriso. – Sei in quinta e siamo a marzo. Gli ultimi mesi
di scuola volano in men che non si dica, così come la maturità. E poi a Luglio…
- E poi, a Luglio? – lo esortai,
bisognosa di conferme.
- E poi a Luglio si vedrà. – replicò
Marcello con un’alzata di spalle. – Proveremo a vedere come vanno le cose. Tentar
non nuoce, no?
- Già. – dissi con un sorriso, prima di
stringermi a lui, piena di speranza.
Non avevo mai considerato la situazione
sotto quel punto di vista, forse perché non avevo mai pensato a cosa sarebbe
potuto realmente succedere nel caso in cui il mio sentimento fosse stato
ricambiato. Si trattava solo di aspettare; il tempo avrebbe dissolto quel
rapporto professore-alunna pieno di vincolo, dopodiché saremmo stati
semplicemente io e lui. Io una neodiplomata e lui il mio ex-professore.
Sarebbe stato difficile, sì, ma avrei
aspettato. Da quel momento in poi non avrei più guardato alla maturità con
terrore, ma anche con aspettativa, perché finalmente, non appena si sarebbe
conclusa, avrebbe avuto inizio la mia
primavera.
Note dell’autrice
Rieccomi. Sono tornata l’altro giorno
dalle vacanze e mi sono messa subito all’opera, come potete vedere… =)
Finalmente si è capito come la pensava
Bassi, eh? Anche lui ricambia, come avete potuto vedere, e le ha detto che
bisogna solo aspettare. Del resto sono solo quattro mesi. Ma la domanda è: cosa
succederà in questi quattro mesi?
Posso solo dirvi che ne vedrete delle
belle.
Il racconto scritto tempo fa si
concludeva qui, nonostante nella mia testa il seguito fosse ben chiaro. Ora non
mi resta che scriverlo…
Fatemi sapere i vostri pareri, mi
raccomando^^
Passiamo ora ai ringraziamenti:
Alaire94: Eccoti accontentata, dopo averti
tenuto sulle spine! =) Mi spiace per te, ma qui Dani si è buttata tra le
braccia di Marcello… Posso solo dirti che ei prossimi capitoli Valerio sarà
comunque presente, se ti consola… =) Comunque sì, a Lupus ci giocavamo davvero,
in gita. È divertente, e dopo le prime due, tre partite ci fai l’abitudine e
capisci come funziona… Spero che il capitolo ti sia piaciuto^^ Baci
Fataflor: Bene, mi consola che tu abbia capito
qualcosa, del gioco… Credevo di averlo spiegato male, anzi, diciamo che ne ero
certa. xD
Dopo questo capitolo puoi lasciarti
andare a tutti i film mentali che vuoi. Il tuo perseverare nel tifare Bassi ti
ha premiata, come vedi. =) Spero di aver compensato le mie due settimane di
assenza, con questo aggiornamento. Baci =)
DreamsBecameTrue: Grazie per la recensione e per i
complimenti! =) E mi fa piacere che tu sia già innamorata sia del prof che di
Valerio, vuol dire allora che li ho resi bene… xD Per i personaggi non saprei
chi inserire, onestamente… Me li sono immaginata in modo tutto mio, ma magari
proverò a cercare se qualche personaggio famoso corrisponde alle mie
descrizioni… ;) Baci
Kokky: Wow, la tua recensione mi è piaciuta
molto. Hai saputo analizzare molto bene i sentimenti di Bassi, sai? Forse anche
meglio della sottoscritta… xD Parte di questo capitolo era già stata scritta in
precedenza, compreso il pezzo nella camera del prof, in cui lui spiega a Dani
le ragioni delle sue motivazioni. Non ho cambiato nulla, delle sue parole e
devo dire che rispecchiano quello che tu hai scritto nella recensione. =)
Grazie, davvero. Mi ha fatto molto piacere. Vuol dire che sta venendo fuori
come dico io, in un certo senso.
Per quanto riguarda Valerio… Sì, i suoi
motivi li ha, e più avanti salteranno fuori. Però devo dire che anche la
possibilità delle ‘confusioni sessuali’ non è male… xD Avrei potuto pensarci,
eheh.
La rabbia di Daniela nei confronti di
Valerio può essere così spiegata: lei è rimasta molto ferita dal loro
allontanamento, e temeva che se si fosse riavvicinata a lui, come lui del resto
voleva, sarebbe stata di nuovo male, e perciò ha preferito rifugiarsi dietro
una corazza d’ira. Ha preferito aggredire, piuttosto che stare di nuovo male. È
una persona fragile, come hai notato.
Greta e Alessia, beh… Sono le amiche
che un po’ tutte vorrebbero avere, quelle che, come dici tu, sono in grado di
farti ragionare grazie al loro essere così diverse.
Passando a questo capitolo, il tuo tifo
ha avuto effetto. =) Come già detto sopra, inoltre, si sono capite di più le
ragioni del comportamento del prof. Ora bisognerà vedere come si evolveranno le
cose. Perché non sarà facile, in questi quattro mesi, per niente. Spero che il
capitolo ti sia piaciuto, comunque, e ti ringrazio di nuovo per la recensione.
=) Baci
Risate e schiamazzi provenienti dal
corridoio e un rumore di passi concitati mi svegliarono dallo stato di
dormiveglia in cui ero piombata. Mi misi a sedere sul letto e sorrisi, notando
che stavo per addormentarmi tra le braccia di Marcello. Ancora non mi sembrava
vero quello che era appena successo e che finalmente aveva posto fine alle mie
pene.
Dopo il nostro doveroso chiarimento, io
e Marcello eravamo rimasti a parlare, abbracciati, senza renderci conto del
tempo che passava, finché io non avevo sentito le palpebre farsi pesanti e mi
ero appisolata.
- Sei tornata dal mondo dei sogni,
vedo. – constatò Marcello, con un sorriso. Mi diedi della stupida per aver
sprecato a quel modo tempo prezioso. Ero partita con l’intenzione di godermi
ogni istante che mi era concesso con lui e cosa avevo fatto? Mi ero
addormentata.
- E a quanto pare non sono l’unica ad
essere tornata. – borbottai, facendo un cenno alla porta. Il ritorno di tutti
gli altri poteva significare soltanto una cosa: la pacchia era finita. Quel
breve idillio tra me e Bassi era giunto a termine, e nessuno di noi due sapeva
se avremmo mai potuto stare di nuovo da soli, né tantomeno quando. – Credo che
mi convenga andare nella mia stanza. – aggiunsi dunque, sebbene fossi tutto
tranne che ansiosa di farlo. Avrei voluto rimanere con lui ancora un po’ di
tempo, ma dovevo anche mettere in conto il rischio che qualcuno potesse
coglierci in fragrante. In tal caso come avrei spiegato la mia presenza lì?
Riluttante, mi alzai, stando bene
attenta a non fare troppa pressione sulla caviglia infortunata.
- Resta qui ancora un po’. – mi implorò
dolcemente Marcello, abbracciandomi da dietro. – Non è prudente uscire ora
dalla mia stanza, quando in corridoio c’è tutto questo chiasso. Qualcuno
potrebbe fare domande.
- Hai ragione. – mi arresi dunque,
dopodiché mi voltai in modo da poterlo guardare in faccia. Gli sorrisi e quel
gesto sembrò incoraggiarlo, perché avvicinò il suo viso al mio e mi baciò.
Ormai avevo perso il conto di tutti i baci che ci eravamo scambiati nel corso
di quella serata, ed accolsi avidamente anche quello, conscia che sarebbe
passato molto tempo prima di riceverne un altro.
- Resterò qui ancora qualche minuto. –
convenni, non appena ci separammo.
-
So essere convincente, quando voglio. – ribatté lui, con un sorriso furbo. Feci
per avvicinarmi nuovamente a lui, ma la suoneria del mio cellulare mi fece
desistere. Avevo appena ricevuto un messaggio.
-
Scusa. – bofonchiai a pochi millimetri dalle sue labbra, prima di sciogliermi
dalla sua stretta per zoppicare verso la borsa. Chiunque fosse stato meritava
tutti gli insulti che conoscevo, per aver interrotto un momento del genere.
Non
tardai a scoprire che il mittente era Alessia, e roteai gli occhi, spazientita.
‘Dove cazzo sei?’, diceva il messaggio.
Sbuffai,
scocciata, dopodiché rimisi il cellulare in borsa. Potevo capire che lei e
Greta fossero preoccupate per me e che si chiedessero dove fossi, dopo che
evidentemente non mi avevano trovato in camera. Trovavo tuttavia esagerato
scrivermi un messaggio del genere, dopotutto avevano visto anche loro che ero
andata via dalla discoteca in compagnia di Bassi, che fino a prova contraria
era un mio professore. Ero al sicuro con lui, era inutile preoccuparsi.
Scioccamente,
tuttavia, mi resi conto solo in quel momento che Alessia e Greta non sapevano
dei recenti sviluppi tra me e Marcello. Tutta quella preoccupazione era dunque
legittima, a quel punto. Sapevano meglio di me che fino a qualche ora prima lui
mi aveva trattata freddamente, e probabilmente temevano fosse successo chissà
quale putiferio, una volta rimasti da soli.
Onde
evitare di aumentare le ire di Alessia decisi di tornare in camera mia, dato
che dal corridoio non proveniva più alcun rumore. Afferrai la borsa e tornai
claudicante di fronte a Marcello.
-
È meglio che vada, ora. – gli annunciai, seppur a malincuore. – Era Alessia, e
mi chiedeva dove fossi, in toni non propriamente gentili.
-
Capisco. – acconsentì lui, dispiaciuto quanto me. Si chinò a terra per
raccogliermi le scarpe e me le porse, e poco dopo fece altrettanto con la
giacca. – Ti accompagno alla porta.
Piano
piano lo seguii. Non appena giungemmo a destinazione
si fermò, si voltò verso di me e mi prese il viso tra le mani, per poi posare
le sue labbra sulle mie, in un bacio che mi parve infuocato per via di tutto il
calore che mi scatenò dentro. Ormai ero perfettamente a conoscenza dell’effetto
che Marcello aveva il potere di scatenare su di me, eppure continuavo a
stupirmene.
-
Buonanotte, Dani. – mi augurò, non appena ci separammo.
-
Buonanotte. – gli dissi di rimando, prima di dargli un bacio a fior di labbra,
dopodiché lo abbracciai goffamente, dato che avevo le mani occupate. – Mi
dispiace che sia finito tutto così presto. Il tempo è volato.
Marcello
ricambiò, cingendomi la vita. Restammo così per qualche minuto, ognuno immerso
nei propri pensieri.
-
Ricorda, solo quattro mesi. – mi sussurrò all’orecchio, poi si separò da me e
mi guardò con un sorriso triste. Evidentemente sarebbe stata dura anche per
lui, l’attesa. Certo, entrambi dovevamo essere ottimisti e pensare che le
settimane che ci separavano dalla fine della scuola sarebbero volate via, ed io
ero stata la prima a crederci, qualche ora prima. Ora che era giunto il momento
della separazione, tuttavia, sembrava tutto più difficile.
Marcello
aprì la porta e, dopo aver controllato che nel corridoio non ci fosse nessuno,
si fece da parte per farmi passare. Gli rivolsi un ultimo sguardo ed uscii da
quella stanza con un sospiro, perfettamente consapevole che nulla sarebbe stato
più come prima e che al tempo stesso avrei dovuto fare finta di niente. Lì, con
Marcello al mio fianco, mi era sembrato tutto facile, e quattro mesi ben pochi.
Ora, in mezzo a quel corridoio vuoto, mi resi conto per la seconda volta in
pochi minuti che quattro mesi erano un’infinità. La terza parte di un anno,
circa centoventi giorni e chissà quante ore. Avrei potuto resistere? Avrei
potuto essere in grado di vedere Marcello a scuola tutti i giorni della
settimana tranne due, pur sapendo che avrei dovuto restargli a distanza? E
durante le interrogazioni sarei riuscita a guardarlo negli occhi senza pensare
alle ore appena trascorse con lui, senza arrossire?
Tutti
quegli interrogativi mi assalirono, una volta rimasta sola. Sapevo che fino al
giorno prima mi ero mostrata impaziente di tornare alla vita di tutti i giorni
per potermi lasciare tutto alle spalle e dimenticare Marcello, ma ora avrei
voluto che quella serata in sua compagnia fosse durata in eterno.
Scossi
la testa e mi diressi verso la mia stanza, che raggiunsi molto lentamente per
via della caviglia fasciata. Bussai alla porta e non ci volle molto prima che
Greta venisse ad aprirmi.
-
Oh, eccoti! – esclamò, sollevata.
-
Finalmente! – le fece eco Alessia, apparendo subito dietro di lei e tirandomi
nella stanza per un braccio. Mi sedetti sul letto, a testa bassa, pronta a
fornire loro ogni spiegazione mi avessero chiesto.
-
Stai bene? – mi chiese Greta, che era più preoccupata che irata, al contrario
di Alessia, che mi osservava con le braccia incrociate e lo sguardo truce.
-
Allora? – mi incalzò quest’ultima, tamburellando un piede sul pavimento.
-
Sto bene. – riuscii a dire.
-
Ok, ma dove sei stata? – sbottò Alessia, alzando il tono della voce di
un’ottava.
Alzai
la gamba e le mostrai il piede incriminato. – A farmi fasciare il piede. –
risposi, con tutta calma. Cercai di non pensare al tocco gentile e premuroso di
Marcello che mi bendava la caviglia infortunata, perché sapevo perfettamente
che sarei avvampata.
-
Il prof ti ha portata al pronto soccorso? È per questo che sei arrivata ora?–
domandò Greta, allarmata. Era capace di immaginarsi gli scenari peggiori, a
volte.
-
No. – la tranquillizzai. – Era una slogatura, niente di grave. È bastato Bassi
con la cassetta di pronto soccorso dell’hotel. – le spiegai dunque, sforzandomi
di trattenere il sorriso che mi venne spontaneo nel pronunciare il suo nome. Ero in bilico tra la felicità
più assoluta, per ciò che era appena successo, e la più cieca disperazione, di
fronte al pensiero di quei quattro mesi, eppure per certi versi non potevo fare
a meno di comportarmi come una dodicenne alla sua prima cotta.
Greta,
a quelle parole, sgranò gli occhi, mentre Alessia soffocò un’esclamazione.
Avrei dato qualunque cosa, in quel momento, per avere la capacità di leggere
nel pensiero e poter così scorgere nelle loro menti.
-
E cosa è successo? – chiese Alessia, il viso che ancora recava un’espressione
sorpresa. – Voglio dire… Sei andata via dal locale prima di noi e sei arrivata
solo ora, è impossibile che per fare una fasciatura ci voglia così tanto tempo.
– si spiegò. – Quindi deduco che vi siate chiariti. O peggio.
La
sua logica era inattaccabile, del resto. Era però esagerato definire ‘peggio’
quel che era successo. Iniziavo a capire perché mi avesse mandato quel
messaggio, ora.
-
Giusta deduzione. – confermai. – Ci siamo chiariti.
-
E…? – m’incalzò Greta.
-
Non tenerci sulle spine! – mi rimproverò Alessia. – Raccontaci tutto.
E
così feci, senza omettere nessun avvenimento. Dissi loro tutto: la discussione
avuta, la riappacificazione che ne era seguita e il chiarimento riguardo al
futuro. Greta e Alessia mi ascoltarono senza dire una parola, senza
interrompermi come loro solito. Evidentemente capivano che quello che stavo
dicendo loro era importante per me, aveva dato solide basi alla mia speranza, e
dunque non volevano rovinare quel momento.
-
Beh, sono un po’ spiazzata. – esordì Alessia, alla fine del mio racconto. –
Insomma, chi se lo aspettava che anche Bassi ti avesse notata da un po’?
-
Non dirlo a me! – concordai. – Certo, l’altro giorno quando mi ha baciata ho
immaginato che lo avesse fatto per un motivo, ma mai avrei creduto che anche
lui bene o male era in preda ai miei stessi sentimenti e ai miei stessi dubbi.
Faticavo
ancora a crederci, sotto un certo punto di vista. Mi sembrava un sogno troppo
bello per divenire realtà, e così lo avevo sempre considerato. Ora, invece, era
cambiato tutto. Avevo qualcosa a cui appigliarmi.
-
Alla fine il mio consiglio si era rivelato corretto. – s’inserì Greta. - È
bastato parlargli, ora sai tutto e sei felice come una pasqua. Anche se gli
esiti che immaginavo non erano esattamente questi.
-
Nemmeno io, ad essere onesta. Ero abbastanza pessimista a riguardo. – iniziai.
– E un po’ lo sono ora. Sono al settimo cielo per quello che è successo, non
fraintendetemi, ma mentre accanto a Marcello quattro mesi mi sono sembrati
pochi, ora mi sembrano un’eternità. – mi confidai. – Non so se ce la farò ad
aspettare così tanto! Potrebbe succedere qualunque cosa. I suoi sentimenti
potrebbero cambiare, per esempio. O potrebbe conoscere un’altra. – ipotizzai,
in preda allo sconforto.
-
Stai tranquilla. – mi consolò Alessia. – L’ha detto anche lui che gli ultimi
mesi di scuola volano, e lo sai bene anche tu, così come lo sappiamo noi. Tra
verifiche, interrogazioni, vacanze pasquali, ponti vari e tutto il resto… Ci si
trova da Marzo a Giugno in un attimo, e poi in piena maturità.
-
È anche questo che mi preoccupa. – proseguii, per nulla rincuorata. – Come
diavolo farò a comportarmi normalmente tra le quattro mura della nostra classe,
durante le lezioni di storia e filosofia? Non sarà più la stessa cosa. –
spiegai. – Prima guardavo Marcello con occhi da innamorata cotta senza
speranza, ora è tutto diverso. La speranza ce l’ho, e me l’ha data lui.
-
Quindi anche per lui non sarà facile. – mi fece notare Greta. – Siete in due in
questa situazione. Qui in gita è stato tutto diverso, in un certo senso vi
siete conosciuti come una diciottenne e un ventiseienne. A scuola tornerete ad
essere il prof Bassi e l’alunna Vighini, per quanto difficile sia. È questione
di contesti e di ruoli, e tu a scuola devi stare al tuo posto.
-
Ma come? – domandai, in preda alla frustrazione.
-
Concentrandoti su storia e su filosofia, non su Bassi e sul suo fondoschiena! –
mi rispose Greta, come se la cosa fosse ovvia.
-
Gre, non sono tutte ‘scuola-casa-studio’ come te, ok? – intervenne in mio aiuto
Alessia. – Per una persona normale è difficile concentrarsi solo ed
esclusivamente sulla lezione. La mente di tanto in tanto vaga, e le mete di
quella di Dani sono fin troppo note. Ora per lei sarà ancora più facile perdere
la concentrazione.
Alessia
aveva esattamente centrato il punto. Non avrei più saputo guardare alle materie
insegnate da Marcello senza pensare a lui, al Louvre e a quel che ci eravamo
detti nelle sua stanza. Sarebbe stato uno strazio.
-
Esatto, Ale. – dissi dunque. – Proprio quello che intendevo.
-
Non so che dirti, allora. – constatò Greta, con un sospiro. – Cerca di non
pensarci, o per lo meno di consolarti con quello che succederà a Luglio. Per
quello vale la pena di sopportare i mesi che restano?
La
risposta era fin troppo semplice ed ovvia. Ne valeva la pena, eccome. – Sì. –
replicai, senza esitazione.
-
Bene. – assodò Greta. – Allora tieni duro. Come dice sempre mia madre, non si
ottiene nulla senza sacrificio. E se questo è il prezzo da pagare affinché tu
possa essere felice con Bassi, sii pronta a sopportare stoicamente il tempo che
resta.
-
Potevi dirlo in toni meno filosofeggianti. – la riprese Alessia, roteando gli
occhi. – Però ha ragione. – aggiunse dunque, rivolta a me. – Il tuo unico
pensiero, in questi quattro mesi, sarà quello che verrà dopo, e che ti aiuterà
a sopportare tutto.
-
Grazie, di nuovo. – dissi, con un sorriso. Come sempre, Alessia e Greta erano
state in grado di farmi ragionare e valutare al meglio la situazione. Avrei
dovuto semplicemente tornare alla vita di tutti i giorni, nell’attesa di
Luglio, mese in cui finalmente avrei potuto avere la mia fiorente primavera,
per la quale valeva la pena aspettare.
-
Posso? – chiese Valerio, indicando il posto vuoto accanto al mio. Alessia,
Greta ed io eravamo appena salite sul treno che ci avrebbe riportato a casa,
cosa di cui da un lato ero molto grata. Claudicante com’ero, infatti, avrei
difficilmente sopportato un’altra visita della città.
-
Certo. – risposi. – Siediti pure.
Greta
mi guardò rassegnata, mentre Alessia si mordeva il labbro inferiore per non
ridere. Dopo la chiacchierata della sera prima, era ben chiaro che le speranze
della prima erano state infrante e che io e Valerio saremmo stati buoni amici,
nulla di più. Ci sarei stata per lui, così come sapevo lui ci sarebbe stato per
me nei mesi a venire, anche se ormai il peggio era passato. Il nostro rapporto
sarebbe rinato sottoforma di una bella amicizia, dunque, e non mi dispiaceva
per niente.
Alessia,
d’altro canto, era felice per me e sollevata che le cose si fossero chiarite
con Bassi. Non c’era più motivo di stare male e doverlo dimenticare, e quindi
non c’era più nemmeno ragione, per lei, di incoraggiare un mio riavvicinamento
a Valerio. Era tutto tornato alla normalità, bene o male.
-
Stai bene? – mi chiese Valerio, dopo aver occupato il posto di fianco al
finestrino.
-
Sì, grazie. – risposi, con un sorriso che mi venne spontaneo. Stavo bene,
altroché. Non avevo più ragione di piangere e disperarmi, dopo quel che era
successo la sera prima con Marcello. Quanto all’attesa, nel corso della notte
avevo maturato l’idea di non pensarci e di affrontare le cose man mano che si
sarebbero presentate. Nella sua stanza, Marcello mi aveva dato certezze, per
cui era inutile continuare ad avere dubbi.
-
Il piede? – chiese di nuovo Valerio. – Fa male?
-
Un po’. – ammisi. – Ora è fasciato, però. È solo una slogatura, passerà in
fretta.
-
Meno male, poteva capitarti di peggio. – constatò Valerio. - Hai fatto una
bella caduta.
-
Colpa dei tacchi. – commentai, con una smorfia. – E di Alessia. – aggiunsi,
rivolgendo un’occhiataccia scherzosa alla mia amica. Se non avessi indossato
quelle scarpe, non sarei mai caduta e non avrei mai avuto occasione di mettere
le cose in chiaro con Bassi. Era divertente, però, punzecchiarla. - È lei che
mi ha convinto a mettere quelle scarpe.
-
Sei tu che le hai comprate. – ribatté Alessia, con un’alzata di spalle. – Io ti
ho solo suggerito di indossarle. – puntualizzò, con noncuranza. – E poi non mi
pare… - fece per aggiungere, ma si interruppe subito. Evidentemente doveva
essersi resa conto che non era il caso di fare allusioni, con Valerio seduto
esattamente di fronte a lei. Lo sguardo inceneritore che le lanciai, inoltre,
contribuì a sottolineare ancora di più quel concetto. Valerio non doveva sapere
di Marcello, per il momento. Sapevo che prima o poi avrei dovuto parlargliene,
ma si trattava di un argomento delicato, non adatto ad essere affrontato in
treno. Gli avrei rivelato tutto in privato, non appena mi fossi sentita pronta
ad affrontare quel discorso.
-
Non ti pare cosa? – chiese Greta, cascando dalle nuvole. Dovetti trattenermi
dallo sbattermi una mano sulla fronte e scuotere la testa sconsolata, di fronte
ad una tale manifestazione di ingenuità.
-
Ecco, non mi pare che stia soffrendo in modo così atroce, per la caviglia. – si
arrampicò sugli specchi Alessia. Né Greta né Valerio parvero accorgersi che in
realtà avrebbe voluto dire altro, per cui potei tirare un sospiro di sollievo.
Nel
mentre, il treno partì e realizzai solo in quel momento che innanzi a me si
prospettava un viaggio lungo molte ore, al termine del quale sarebbe iniziato
il conto alla rovescia dei giorni che mi separavano da Luglio. Sarebbero
volati, dovevo fidarmi di Marcello.
Note dell’autrice
Comincio con lo scusarmi…
Mi spiace di avervi fatto aspettare per questo capitolo, ma dall’1 al 4
Settembre sono stata in quel di Torino, mentre dall’8 all’11 a Pisa… Due mini-vacanze stupende, che però mi hanno lasciato
poco tempo per scrivere. Eccomi qui, ora.
Spero che questo capitolo vi sia
piaciuto. È ricomparso Valerio, ma anche molti dubbi.
Fatemi sapere i vostri pareri, mi
raccomando^^
Passiamo ora ai ringraziamenti:
Piaciuque: Benvenuta! =) In questo capitolo,
come hai potuto vedere, i protagonisti sono in viaggio…
Dunque Dani è stata fortunata, con la caviglia…^^ Grazie la recensione…
Baci =)
Fataflor: Eh sì, si sono baciati e dichiarati,
per tua grande gioia… xD I tuoi film mentali mi fanno
morire! Comunque beh, anche a me farebbe piacere un Bassi che si occupa di me…
Peccato esista solo nella mia mente. -.- Ti ringrazio per la recensione^^ Baci
Alaire94: Se tifi per Valerio… Beh, continua a
farlo! xD La storia non è ancora finita, quattro mesi sono tanti e non si sa
come la situazione si potrebbe evolvere… In più sappi
che adoro complicare le cose con vari triangoli amorosi, per cui un ritorno di
Valerio non è del tutto da escludere. =)
Grazie per i complimenti e per il
consiglio…^^ Di solito, quando posso, uso ‘ella’ al posto di ‘lei’. È un mio
pallino da futura studentessa di Lettere, posso farci poco xD Spero che il
capitolo ti sia piaciuto, visto che è ricomparso Valerio^^ Baci
Kokky: Grazie per la recensione e per i
complimenti! =) Sei troppo buona… xD Mi fai capire
che sto riuscendo a trasmettere quello che voglio, ed è un bene. Spero di
continuare a farlo… Come vedi, comunque, in questo
capitolo c’è il chiarimento con Alessia e Greta. Spero ti sia piaciuto… Nei
prossimi ne succederanno delle belle… Quattro mesi
sono tanti, sìsì… Mi sento perfida xD Baci…
Non
appena varcai la soglia della mia camera, mi fu ancora più chiaro che l’attesa
sarebbe stata lunga ed estenuante, e che tornare alla vita di tutti i giorni si
sarebbe rivelato un’impresa titanica, per non dire mastodontica.
Lasciai
la valigia abbandonata sul pavimento, dopodiché mi buttai a peso morto sul
letto, esausta per il viaggio. Un po’ avevo dormito, grazie anche a Valerio che
si era offerto di farmi da cuscino con la sua spalla, ma avevo ancora del sonno
arretrato da recuperare.
Mi
girai su un fianco stando attenta a non urtare in alcun modo il piede
infortunato, che i miei, e specialmente mia madre, avevano notato subito. Avevo
detto loro di essermi slogata la caviglia inciampando sulle scale dell’hotel,
dato che non avevo voglia di essere rimproverata. Le scarpe le avrei nascoste
nei meandri del mio armadio, dove sarebbero state al sicuro e dove mia madre
non le avrebbe mai trovate. Ormai non guardavo più all’incidente come a
qualcosa di brutto, anzi. Avevo tuttavia ragione di credere che mia madre non
l’avrebbe pensata allo stesso modo, per cui preferivo stare alla larga da ogni
forma di rimprovero da parte sua.
In
attesa che i miei mi chiamassero per cena, dato che erano le otto di sera,
decisi che era inutile schiacciare un pisolino, per cui dovevo trovare qualcosa
da fare. La valigia l’avrei disfatta il giorno dopo, per cui era da escludere.
Potevo però iniziare a svuotare la tracolla, e così feci. Nel farlo, tuttavia,
incappai nel mio blocco da disegno, e l’istinto masochista che albergava in me
lo sfogliò fino a soffermarsi sull’ultimo disegno che avevo fatto, quello
intitolato simbolicamente ‘Una rondine non fa Primavera’.
Non
potei fare a meno di sorridere, a quel ricordo, che ora mi sembrava lontano
anni luce. Era davvero successo solo tre giorni prima? Mi riusciva difficile
crederlo. A dirla tutta, perfino la sera prima mi pareva un lontano ricordo.
Tutti quei chilometri di distanza tra casa mia e Parigi avevano creato anche
una barriera temporale, me ne resi conto solo in quel momento. Quel che era
successo nella capitale francese erano lontano chilometri, che presto si
sarebbero trasformate in settimane, e poi in mesi, con il trascorrere del
tempo.
Sarebbe
stato facile dover dimenticare tutto, se la sera prima non avessi avuto le
conferme che tanto attendevo e in cui mai avevo sperato fino in fondo. Anche
ora, però, avrebbe potuto risultare facile dimenticare tutto: mi sarebbe
bastato pensare che le parole di Marcello erano rimaste in una stanza d’albergo
a Parigi, e che qui in Italia era tornato ad essere solo e soltanto il mio
professore, per lo meno fino alla fine della maturità.
Non
volevo che ciò accadesse, tuttavia. Dovevo aggrapparmi a tutto quel che avevo
vissuto nel corso della gita per poter andare avanti, altrimenti ne sarei
uscita pazza.
Stranamente,
sapendo che saremmo andati in gita,i
professori erano stati clementi e non ci avevano dato compiti, per cui lunedì
mattina potei uscire di casa in tutta tranquillità e dirigermi verso l’auto,
parcheggiata di fronte al condominio in cui abitavo.
Certo,
tranquillità era una parola grossa, dato che alla quarta ora avrei avuto storia
e quindi avrei visto Marcello. Cercavo però di non pensarci e di impormi di
tornare a vederlo come il mio professore, sebbene il mio avrebbe dovuto essere
un inizio, più che un ritorno. Ad essere onesta, non avevo mai visto Marcello
in quell’ottica, per cui mi sarebbe risultato difficile farlo.
Scossi
la testa ed infilai le chiavi della macchina nel quadro d’accensione. Accesi il
motore, misi in folle ed azionai il riscaldamento, dato che di mattina faceva
ancora piuttosto freddo e i vetri erano appannati dall’interno.
Per
lo meno, da quando a Dicembre avevo preso la patente, non ero più stata
costretta ad aspettare il pullman esposta ad ogni possibile intemperie, per cui
ero ben felice di attendere che il riscaldamento dell’auto entrasse in circolo
e rendesse l’abitacolo accogliente. Mia madre possedeva un ambulatorio
veterinario proprio sottocasa, dunque non aveva bisogno della macchina per
andare a lavorare ed era stata lieta di cedermela per andare a scuola, sebbene
all’inizio fosse stata un po’ titubante. Mio padre però l’aveva rassicurata
dicendole che dovevo fare pratica, ora che avevo in mano la tanto agognata
tesserina rosa, e che i quindici minuti di tragitto che mi separavano dal liceo
erano l’ideale. Farmi lasciare la macchina di sera per me restava ancora
un’utopia, ad ogni modo, ma al momento mi accontentavo di poterla usare di
giorno.
Quando
il volante non mi parve troppo freddo al tatto e i vetri furono di nuovo
limpidi, ingranai la prima, tolsi il freno a mano e partii, inserendomi nel
traffico mattutino. In macchina ero pacata e non perdevo la pazienza ad ogni
minima cavolata, al contrario di Alessia che sbraitava dietro a chiunque le
tagliasse la strada o non le desse la precedenza in rotonda. Stare in colonna
non mi pesava più tanto, e d’altronde al mattino presto era perfettamente
normale, con tutta la gente che si recava al lavoro o portava i figli a scuola.
Nel
giro di cinque minuti varcai i confini del paese successivo al mio, dove al
semaforo mi aspettava un altro po’ di fila. Mi fu facile, dunque, accorgermi di
un ragazzo che, quindici metri più avanti, aspettava il bus, con le mani in
tasca. Sorrisi nel riconoscere Valerio e diedi un colpo di clacson, sperando
che lui si accorgesse della mia presenza e che il conducente avanti a me non mi
insultasse. Valerio alzò lo sguardo, spaesato, e a quel punto agitai la mano e
gli feci cenno di salire in macchina, ordine che lui eseguì volentieri.
-
Grazie. – mi fu grato, non appena ebbe richiuso la portiera dietro di sé. –
Stavo congelando.
-
Immaginavo. – dissi, con un sorriso. Il semaforo divenne verde e le macchine
pian piano ripartirono, finché non arrivò anche il mio turno. - È Marzo, ma la
mattina fa ancora freddo.
-
Alt. È inizio Marzo. – mi apostrofò
Valerio. – Oggi è solo il dieci, se noti. Tra undici giorni scoppierà la
primavera e vedrai che cambiamento di clima avremo…
Solo
sentendo nominare quella stagione, mi rabbuiai. Già, mancavano solo undici
giorni alla primavera ufficiale, ma ben quattro mesi alla mia. Non potevo certo parlarne con Valerio, tuttavia. Non avrebbe
capito, e avevo paura di ferirlo.
Una
semplice conversazione sul tempo atmosferico, come quella che stavo
intrattenendo con lui, non doveva avere il potere di mutare l’umore di una
persona, per cui mi ripresi subito e ribattei semplicemente: - Lo spero.
Due
sole parole, tuttavia cariche di significato. Quella ventura di lì a pochi
giorni non era l’unica primavera in cui speravo, del resto.
Nel
corso del tragitto che ci separava da scuola, io e Valerio proseguimmo
normalmente la conversazione, che però si era spostata su lidi per me più
tranquilli, senza riferimenti a Bassi e a ciò che era successo in gita. Mi aveva
addirittura preso in giro, quando aveva realizzato che quella era la prima
volta che saliva in macchina con me e si era reso conto del pericolo che stava
correndo. Fingendomi offesa gli avevo detto di stare tranquillo e che non ero
così male, al volante, dopodiché eravamo scoppiati a ridere senza un apparente
motivo. Ero contenta che tra noi si fosse di nuovo instaurato quel rapporto.
Trovai
posteggio nel piazzale, evento più unico che raro di cui fui grata, perché
altrimenti avrei dovuto vagare come un’anima in pena per le vie vicine alla
scuola alla ricerca di un qualsiasi posto dove mettere la macchina.
-
Grazie ancora per il passaggio. – mi ringraziò Valerio, non appena scendemmo
dall’auto e ci incamminammo insieme verso l’entrata.
-
Figurati, non è stato un problema. – dissi io. Feci per aggiungere qualcosa, ma
mi bloccai e richiusi la bocca, abbassando lo sguardo. Bassi ci aveva appena
superati con passo spedito, e sicuramente doveva averci visto arrivare insieme.
Cosa
avrebbe pensato? Già in gita per colpa di Arianna non doveva essersi fatto una
bella idea di quel che c’era o comunque c’era stato tra me e Valerio. Vedermi
arrivare a scuola con lui di certo aggiungeva strane idee a ciò, anche se non
aveva motivo di pensare male. In quei quattro mesi non avrei certo ingannato
l’attesa rimettendomi con Valerio, anzi, l’idea non mi era passata nemmeno per
l’anticamera del cervello. Non ero quel genere di persona, e così facendo avrei
rischiato di compromettere tutto con Marcello, che era l’ultima cosa che
volevo.
Non
appena sentimmo suonare la campanella che suonava la fine dell’intervallo,
Greta, Alessia ed io ci dirigemmo in classe, anche se non ne avevo la minima
voglia. Quella sarebbe stata la prima lezione in cui avrei rivisto Bassi dopo
la gita, e i timori del giorno prima e di quella mattina non erano spariti,
anzi. Erano più che mai amplificati, dato che si avvicinava il momento.
-
Sta’ tranquilla. – cercò di rincuorarmi Greta a bassa voce, una volta sedute ai
nostri banchi, intuendo i miei pensieri. - È una lezione come un’altra.
-
Tieni la testa bassa sul banco e vedrai che andrà tutto bene. – s’inserì
Alessia. – Mai avrei pensato di dire una cosa simile, ma concentrati sulla
lezione e prendi appunti.
Ridacchiai
senza troppa convinzione, quindi estrassi il quaderno e il libro di storia
dalla cartella e li posai sul banco. In quel momento, inoltre, fui grata di
essere in terza fila, che era anche la penultima. Davo poco nell’occhio, in
quel modo, perché immaginavo che nemmeno per Marcello fosse facile rientrare in
classe e riassumere il proprio ruolo, esattamente come non lo era per me. Se
fossi in stata in prima fila sarebbe stato peggio, perché ogni qualvolta avessi
alzato lo sguardo avrei probabilmente incrociato il suo, sarei stata malissimo
epresumibilmente avrei fatto
deconcentrare anche lui dalla spiegazione.
Passò
qualche istante prima che Marcello entrasse in classe salutandoci con un
‘Buongiorno’, e non appena lo fece tutti si zittirono mentre io cercavo di
ricacciare nei meandri della mia mente i ricordi di Parigi, che alla vista di
lui erano riaffiorati in superficie con una facilità imbarazzante.
Non
avevo tuttavia fatto i conti con la gelosia, la quale si rivelò più feroce che
mai. Ora avevo tutto il diritto di provarla, dopo quel che c’era stato, e,
nonostante sapessi benissimo che era inutile darsi pena per certe cose perché
ci sarei soltanto stata peggio, non potei fare a meno di indignarmi non appena
mi giunsero alle orecchie dei commenti di Mirella e Federica, sedute proprio nella
fila davanti alla mia.
-
Guarda, oggi ha su quei jeans che gli stanno da Dio! – aveva bisbigliato la
prima, non appena Marcello aveva posato le proprie cose sulla cattedra.
-
Già, quelli che gli mettono bene in risalto il suo lato B… - aveva rincarato la
dose Federica. – Spero che faccia qualche bello schema alla lavagna, così ci
rifacciamo gli occhi!
Commenti
di quel genere erano normali, ma fino a quel momento non mi avevano mai dato
così fastidio. Sentivo un’irrefrenabile voglia di allungare le mani in avanti,
afferrarle per i capelli e far cozzare le loro teste una contro l’altra, ma mi
dovetti trattenere, limitandomi ad immaginarmi la scena per trarne una qualche
soddisfazione.
Alessia
iniziò a scarabocchiarmi qualcosa sul banco con la matita, ma non vi diedi
peso.
-
Bene, ragazzi. – esordì Marcello. – Oggi continuiamo con la situazione in
Europa alla vigilia della seconda guerra mondiale e…
E
di lì a poco io avrei scatenato la terza, dato che Mirella e Federica
continuavano imperterrite con i loro commenti, che man mano stavano sconfinando
nel vietato ai minori di diciotto anni. Dai pantaloni erano passate alla
camicia e al maglione di cotone che Marcello indossava, e stavano decantando le
lodi del suo fisico in termini da racconto erotico molto tendente al volgare.
Aprii
il quaderno ed afferrai la penna con violenza, pensando che forse avrei fatto
meglio a seguire il consiglio di Alessia e prendere appunti per distarmi.
Quest’ultima però mi diede di gomito ed indicò il mio banco, sul quale aveva
appena finito di scrivere.
Non ascoltare queste oche, diceva. Lasciale
fantasticare inutilmente.Pensa
piuttosto che, a differenza loro, molto probabilmente un giorno tu avrai
l’onore (e l’onere) di togliergli quei jeans, quella camicia e quel maglione.
Questa realtà sarà molto meglio di ogni loro racconto.
Incrociai
le braccia sul banco e vi posai sopra la testa, iniziando a ridere di gusto.
Non avevo valutato la questione sotto quel punto di vista, ad essere sincera, e
a quel pensiero diventai rossa come un pomodoro maturo non solo per le risate.
-
Non farlo mai più! – la rimproverai scherzosamente in un sussurro. Le ero
grata, in realtà, perché come sempre si era dimostrata in grado di starmi
accanto e di tirarmi su il morale. Grazie a lei, ora, la gelosia era
praticamente sparita, e l’immagine di violenza che era comparsa poco prima
nella mia mente era stata sostituita dalla soddisfazione che avrei provato se
quelle due fossero venute a sapere quel che era successo in gita.
-
È la verità. – ribatté Alessia con candore, ma al tempo stesso divertita quanto
me. Dovetti tuttavia ammettere che aveva ragione: loro potevano soltanto
fantasticare. La sottoscritta, al contrario, era stata stretta da quelle
braccia e baciata da quelle labbra, e ne serbava un magnifico ricordo, ben più
valido e gratificante di quelle loro stupide fantasie pseudo – erotiche.
Quel
pomeriggio, mentre stavo facendo i compiti, mi arrivò un messaggio di Valerio.
Verso le 5 sei libera?, mi chiedeva. Diedi un’occhiata alla versione che stavo traducendo
in modo abbastanza pessimo e di cui mi mancava l’ultimo, complesso, periodo.
Imprecai di nuovo contro la prof di latino, che ci aveva assegnato quel
maledetto passo di Sallustio da tradurre, il quale mi stava creando un sacco di
problemi. In un’ora e mezza, ovvero il tempo che mancava all’ora indicata da
Valerio, avrei dovuto farcela a finire, però.
Sì,
risposi dunque al suo messaggio. Come
mai?, chiesi, curiosa, poi inviai.
La
risposta non tardò ad arrivare. Lo sai.
Ho detto che voglio starti vicino e lo farò, per cui pensavo ad una cioccolata.
Mi
venne spontaneo sorridere, non appena lessi quelle parole. Si stava
semplicemente preoccupando per me e voleva mantenere i propositi che si era
prefisso in gita. Si stava davvero impegnando per ricostruire la nostra
amicizia esattamente com’era prima che ci mettessimo insieme, ed io avrei fatto
altrettanto. Probabilmente anche lui aveva bisogno di qualcuno che gli stesse
vicino, ed era il minimo che potessi fare per lui.
Ottima idea. :) Dove andiamo? Grazie,
comunque.
Il
suo sostegno mi era di grande aiuto, anche se non stavo più male come in gita.
Ormai non ne avevo più motivo, però sapevo bene che avrei dovuto affrontare
altro. E così avrei accertato anche il conforto di Valerio, così come quello di
Alessia e Greta, con l’unica differenza che lui non mi avrebbe fatto domande,
come sempre. Avrei trascorso quei quattro mesi circondata da persone che mi
volevano bene ed erano ben felici di aiutarmi.
Decidi tu. Ti passo a prendere per le
5, quindi hai tempo per pensare alla meta. A dopo :)
Scossi
la testa, con un sorriso. Non avevo la più pallida idea di dove andare.
Dopo
cena, finalmente, accesi il computer. Dovevo ancora scaricare le foto della
gita dalla macchina fotografica, per cui la collegai al pc con il cavo usb.
Sapevo che ci avrebbe messo un po’, per cui nell’attesa andai su Facebook e poi
a controllare la mia mail. Quando guardai la posta in entrata, ebbi un
sussulto. In cima alla lista figurava il nome di Bassi, e il mio cuore aumentò
i proprio battiti.
Possedevo
il suo indirizzo perché ad inizio anno ci aveva chiesto i nostri dicendoci che
spesso ci avrebbe mandato degli appunti o degli schemi via mail, e lo aveva
fatto. In quelle occasioni, però, era sempre meticoloso nell’indicare l’oggetto
della missiva elettronica. Quello che mi aveva fatto avere un sobbalzo era
stato il fatto che la mail non aveva alcun oggetto.
Forse…?
No,
non poteva essere. Scossi la testa con violenza per scacciare dalla mia mente
quegli stupidi pensieri. Di certo non mi aveva scritto una mail per ingannare
l’attesa ed iniziare una corrispondenza via posta elettronica. Era un’idea
insensata, la mia. Forse aveva semplicemente dimenticato di specificare
l’oggetto. In quel momento notai però che mancava anche l’allegato, e ciò
confermò il mio sospetto: quello non era il solito invio di appunti.
Ancora
non volevo abbandonarmi a sciocche fantasie, per cui decisi di eliminare il
problema alla radice ed aprii la mail. Essa recava una semplice domanda, ed era
evidente che l’avesse inviata solo a me.
Cosa
c’è tra te e quel ragazzo?
Il
ragazzo in questione ovviamente era Valerio.
Sospirai,
prendendomi la testa fra le mani. I miei timori di quella mattina si erano
avverati, purtroppo, e Marcello doveva essersi fatto l’idea sbagliata. Non
osavo immaginare cosa avrebbe pensato se avesse saputo che quel pomeriggio
avevo bevuto una cioccolata con lui ed ero stata bene.
Valerio
era venuto a prendermi alle cinque in punto ed eravamo andati in un bar che gli
avevo suggerito, e che era stato il primo ed unico a venirmi in mente. Lì
avevamo consumato la nostra cioccolata in tutta tranquillità, parlando di molte
cose e riferendoci ciò che in quei mesi di distanza ci eravamo persi l’uno
dell’altra. Ovviamente io avevo taciuto tutto riguardo a Marcello, e anche
Valerio era stato riservato riguardo i propri problemi. Entrambi sapevamo che
al momento giusto ci saremmo detti tutto, per cui evitavamo di farci pressioni
a vicenda.
Eravamo
solo amici, nulla di più, ed ogni momento che passavamo insieme sembrava
confermarlo. Valerio non aveva mai osato cercare un contatto fisico, né mi
aveva mai sfiorato in modo apparentemente casuale. Era stato al suo posto, ed
io ero stata al mio.
Come
avrei potuto spiegare tutto a questo a Marcello, però? Dubitavo che un estraneo
alla situazione potesse capire. Facevano fatica Alessia e Greta e comprendere
la natura di quel rapporto, e loro erano le mie migliori amiche.
Presi
un respiro profondo ed iniziai a scrivere una mail di risposta. Sarei stata
sincera, e al diavolo i fraintendimenti. Avrei detto a Marcello le cose come
stavano, e se lui avesse avuto ancora dei dubbi in merito sarei stata lieta di
fugarli, e così avrei fatto all’infinito. Avevo il dovere di difendere
strenuamente le premesse gettate in gita, e di far sì che non restassero solo
un prologo carico di aspettative, ma che diventassero un lungo ed avvincente
romanzo, per il quale speravo non sarebbe mai arrivata la parola ‘fine’.
Note dell’autrice
Come sempre, SCUSATE per il ritardo.
Colgo l’occasione per dirvi che cercherò di aggiornare una volta al mese, dato
che in questo lasso di tempo credo di farcela. Ho iniziato l’università, e vi
basti sapere che bene o male torno a casa tutti i giorni alle 7 di sera, alle 6
quando mi va bene. A differenza di quel che credevo, non è meglio delle
superiori… xD Certo, sono contenta di non avere più materie scientifiche, indubbiamente,
ma non è una passeggiata. È bella, ma porta via molto tempo.
Vi chiedo di nuovo scusa e spero che
continuiate a seguirmi, nonostante tutto.
Passiamo ora ai ringraziamenti:
Fataflor: Già, Bassi è dolce. E geloso, come avrai visto in questo
capitolo. È comparso poco, ma avrà modo di rifarsi, più avanti. Al contrario
Valerio è comparso molto, ma spero che le ultime riflessioni di Daniela siano
state abbastanza chiare per definire il loro rapporto. Sono solo amici che si
aiutano nel reciproco momento del bisogno, tutto qui. Per ora, ovvio. Muhahaha…
xD Grazie per la recensione e spero continuerai a seguirmi… :) Baci, Sara
Hinata_in_love: Grazie mille per la recensione e per
i complimenti! :) Sono contenta di questo ‘nuovo acquisto’. Per quanto riguarda
i personaggi più avanti cercherò di descriverli meglio, non ti preoccupare.
Anche perché mi risulta abbastanza difficile trovare attori, modelli o quant’altro
che corrispondano loro. È un mio problema, me ne rendo conto… xD Baci^^
Kokky: Non ti preoccupare del ritardo, come
vedi anche io non sono da meno. =P So che la quinta è dura fin dall’inizio, per
cui dedica il giusto tempo alla scuola. Mi sento tanto mamma a dire queste cose
ma vabeh… xD Il succo del discorso è che non devi preoccuparti se non riesci a
recensire subito. E le tue recensioni ripagano dell’attesa, quindi prenditi
tutto il tempo che ti serve. :)
Come hai detto tu, comunque, quattro
mesi sono tanti, ed è probabile che, come dici tu, la frustrazione prenderà
facilmente piede nella testa di Dani. Hai visto l’attacco di gelosia di questo
capitolo, del resto. E posso dirti che se ne vedranno delle belle, sia per
motivi interni che per cause di forza maggiore. Fai bene ad essere preoccupata
e realista. xD
Spero di aver soddisfatto parte delle
tue aspettative, riguardo Daniela, Marcello e Valerio. Il quale, tra l’altro,
non avevo mai accostato a Greta. Sarebbe da ridere. xD Magari ci faccio un
pensierino. Grazie, come sempre, della recensione e dei complimenti. Baci, Sara
Alaire94: Grazie per la recensione…^^ Valerio,
qui, ha un ruolo più preponderante, come hai visto, e spero che la cosa ti
abbia fatto piacere. Se già Bassi non ti stava molto simpatico, inoltre, credo
che dopo la sua mail inizierai ad odiarlo. xD
Come vedi, il loro rapporto in classe è
abbastanza teso, anche se qui ho descritto poco. Più avanti cercherò di
descrivere il tutto un po’ meglio, in base alle esigenze della storia. Spero
comunque che questo capitolo ti sia piaciuto. Baci, Sara
La primavera era arrivata, ma solo da
un punto di vista esteriore, non interiore. A dirla tutta quella era una
primavera di nome, non di fatto. L’inverno, infatti, si stava prolungando, e il
freddo non accennava a diminuire.
Che fosse un segno del destino?
I giorni passavano, tuttavia non così
velocemente come avevo sperato a Parigi, poiché Marzo non era ancora giunto al
termine e mi sembrava fosse passata un’eternità di tempo, dalla gita, sebbene
fossero trascorse solo due settimane.
La caviglia era andata perfettamente a
posto, e un po’ mi era dispiaciuto, perché assieme alla fasciatura era andato
via anche il ricordo più tangibile che mi rimaneva di quei bellissimi momenti
trascorsi con Marcello.
A scuola diventava sempre più
difficile seguire le sue lezioni, inoltre. Prendevo appunti semplicemente per
inerzia, senza ascoltare realmente quel che lui dicesse, e non mi preoccupavo
troppo del fatto che spesso le frasi e le parole che trascrivevo fossero senza
senso: Greta non si faceva problemi a passarmi gli appunti, capiva
perfettamente, sebbene segretamente continuasse a tifare per Valerio.
Avevo passato parecchio tempo con lui,
in quegli ultimi giorni. Ogni intervallo era solito raggiungere me, Alessia e
Greta; se la mattina lo trovavo ad aspettare il bus gli offrivo un passaggio, e
infine almeno una volta a settimana mi proponeva di andare a bere una cioccolata,
o di fare una passeggiata, e io accettavo volentieri. Tra noi era tornato tutto
come prima che ci mettessimo insieme. Stavo bene in sua compagnia e lui
evidentemente tirava un sospiro di sollievo, quando era con me, perché lo
vedevo sereno nonostante tutti i suoi problemi, riguardo ai quali non mi aveva
ancora accennato nulla. Nemmeno io però gli avevo detto nulla riguardo Bassi:
temevo di ferirlo, che dopo quella confessione si sarebbe allontanato da me e
io non avrei più avuto quell’amico fidato di cui avevo bisogno. Non ero pronta
a perderlo di nuovo.
Marcello non aveva più mostrato
gelosia, nei confronti di questo rapporto che si era instaurato nuovamente tra
me e Valerio. Gli avevo spiegato come stavano le cose, rispondendo alla sua
e-mail e gli avevo detto che non aveva alcun motivo di preoccuparsi; lui grazie
al cielo si era mostrato molto comprensivo e si era addirittura scusato per
essersi fatto un'idea sbagliata e per avermi chiesto così brutalmente cosa ci
fosse tra me 'quel ragazzo'. Io non lo biasimavo. Ero anzi grata del fatto che
lui avesse agito a quel modo, perché così avevamo avuto occasione di iniziare
quella corrispondenza via e-mail che avevo sperato non appena, due settimane
prima, avevo aperto la posta.
Non che ci dicessimo granché, in
quello scambio virtuale di missive. Non ci scrivevamo nemmeno tutti i giorni, a
dirla tutta. Semplicemente, usavamo la posta elettronica per conoscerci meglio,
in attesa di Luglio. A scuola ciò non ci era possibile, e a Parigi avevamo
sfruttato ben poco tempo per farlo, rispetto a quello che avevamo avuto a
disposizione, così stavamo rimediando ora.
Per quanto mi riguardava, infatti, non
vedevo nulla di male, in quelle mail. Non stavamo infrangendo nessuna regola,
del resto. Avevo però evitato di parlarne con Alessia e Greta, perché sapevo
che non avrebbero capito, e che avrebbero frainteso. Eppure c'era ben poco da
mal interpretare: Marcello mi parlava di lui, dei suoi, interessi, della sua
giornata, ed io facevo altrettanto. Evitavamo di addentrarci nel campo dei
nostri sentimenti, perché sapevamo entrambi che sarebbe stato un argomento
difficile e doloroso. Dopo Parigi, non c'era più nulla da aggiungere. Ci
eravamo già detti tutto nella sua stanza d'albergo, ed era inutile riprendere
il discorso, perché sarebbe stato solo ripetitivo.
Personalmente
mi aggrappavo a quelle mail come ad un porto sicuro, le vedevo come l’unico
mezzo che fino a Luglio mi avrebbe permesso di sperare ma soprattutto di
ingannare l’attesa, che era davvero frustrante. Le giornate sembravano non
passare mai, le lancette dell’orologio scandivano i secondi, i minuti e le ore
troppo lentamente per i mie gusti. Dalla gita erano trascorse circa tre
settimane, ma a me sembrava fossero trascorsi tre mesi. Luglio mi sembrava lontano
anche più di Plutone e onestamente preferivo non pensare a come avrei
affrontato quell’attesa, perché di mezzo c’era anche la maturità.
Desideravo
soltanto andare a dormire e svegliarmi a Luglio, quando tutto fosse finito:
diplomata e finalmente pronta a dare una chance a me e Marcello. Non era però
possibile e mi toccava affrontare tutto giorno per giorno.
Odiavo
le interrogazioni all’ultima ora, erano spossanti. Stavo sempre in ansia fino
all’ultimo momento, desiderando che l’ultima ora non arrivasse mai e
sobbalzando ogni volta che sentivo suonare la campanella, segno che il momento
del giudizio si stava avvicinando sempre più. Il tutto era condito da ripassate
febbrili in ogni momento disponibile.
Quella
volta, però, la situazione era peggio del solito. Quella volta ero ancora più
in ansia perché era Bassi ad interrogare, in filosofia, e quel giorno avrebbe
finito il giro, quindi sarebbe stato per forza il mio turno.
Ero
pronta? Alle domande sì, perché del resto avevo studiato, ad affrontare la
situazione invece ero totalmente impreparata. La sera prima a cena inoltre
avevo discusso con i miei genitori, e la cosa di certo non aiutava. Ero
abbastanza agitata per l’interrogazione di filosofia che incombeva e per questo
avevo appena toccato cibo, dato che per l’ansia mi si era chiuso lo stomaco.
Ero totalmente immersa nei miei pensieri così come i miei lo erano nei loro
discorsi, quand’ecco che mia madre aveva tirato in ballo il discorso
dell’università. Io avevo sospirato e cercato di glissare il discorso come al
solito, ma lei aveva infierito dicendo che dovevo darmi una mossa, assumermi le
mie responsabilità e fare una scelta, dopodiché si era alzata da tavola per poi
tornare qualche secondo dopo e porgermi degli opuscoli informativi della sua
vecchia università.
-
E questo cosa vorrebbe dire? – avevo chiesto, alzando un sopracciglio.
-
È una semplice proposta – mi aveva risposto lei con tono tagliente. – Puoi
darci un’occhiata. Ho pensato che volendo potresti fare Veterinaria e poi
lavorare con me finché non andrò in pensione e ti lascerò lo studio.
Io
avevo sospirato e guardato mio padre in cerca d’aiuto, dato che si era fatto
silenzioso dopo che mia madre aveva introdotto il discorso riguardante il mio
futuro. Lui aveva scrollato le spalle, per cui avevo capito che dovevo
arrangiarmi. Quella proposta, poi, giungeva totalmente inaspettata: mia madre
non mi aveva mai suggerito di seguire le sue orme, fino a quel momento. Dovevo
averla davvero esasperata con i miei dubbi e le mie incertezze, se mi faceva una
simile proposta. – Non è la mia strada, lo sai – avevo detto, in tono
conciliante. – Gli animali mi piacciono, ma non li amo come li ami tu, in più
non riuscirei a trattarli come pazienti. Lo vedi anche tu come mi affeziono
sempre a quei trovatelli che soccorri e come poi ci rimango male quando trovi
loro una casa. E…
-
Proprio per questo motivo sarebbe un’opzione da contemplare, invece – mi aveva
interrotto mia madre. – Non ti sto dicendo che devi iscriverti per forza, ti
dico solo di pensarci. Anche perché se dovessi prendere seriamente in
considerazione l’ipotesi dovresti prepararti per un test e…
-
Mamma, ti prego! – l’avevo interrotta io a mia volta. – Prima di parlare di
test non credi che io debba pensare alla maturità? Anzi no, all’interrogazione
che mi aspetta domani, visto che è imminente. Ti ho già detto mille volte che quando
mi sarò diplomata andrò agli open day delle
università qui in zona e vedrò cosa fare. Ci sarà un motivo se le università
fanno gli open day in piena estate, no?
-
E ci sarà un motivo se li fanno anche in questo periodo, non credi? – aveva
ribattuto lei prontamente. Dovevo dargliene atto, purtroppo. Io però ero
seriamente convinta di pensare a Luglio a quello che avrei voluto fare. Con la
maturità alle spalle avrei saputo concentrarmi meglio; l’avevo spiegato a mia
madre ma lei si ostinava a non capire.
-
Hai ragione, mamma – avevo quindi sospirato, rassegnata. Non avevo proprio
voglia di discutere, per cui l’avevo lasciata parlare finché non aveva iniziato
ad alzare la voce, ma a quel punto l’avevo alzata anche io, stufa di sentirmi
dire cosa dovevo fare. Avevamo continuato poi ad urlarci contro finché mio
padre non era intervenuto per intimarmi di non alzare la voce con mia madre
perché le dovevo portare rispetto, dato che mi aveva messo al mondo e dopo
quella solfa interminabile che lui tirava fuori ogni volta mi aveva ordinato di
andare in camera mia ed io ero stata lieta di esaudirlo.
Avevo
lavato i denti, indossato il pigiama, preparato la cartella e infine ero andata
a dormire.
La
discussione, però, continuava a tornarmi alla mente, unita all’agitazione per
l’interrogazione e a tutto quello scombussolamento emotivo che i sentimenti che
provavo per Marcello provocavano in me. Perché ci si metteva anche mia madre?
Non avevo già abbastanza problemi per la testa? Non poteva aspettare fino a
Luglio, quando sarei stata più serena in ogni ambito, o almeno lo speravo, e
avrei potuto occuparmi altrettanto serenamente del mio futuro universitario?
Sospirai,
sconsolata. Non potevo certo parlare a mia madre di Marcello e della situazione
in cui ero andata a cacciarmi e che teneva occupata la mia mente. Per lei il
mio pensiero primario era la scuola, e quindi di conseguenza tra le mie più
grandi preoccupazioni avrebbe dovuto essere prioritaria la scelta
dell’università, seconda solo alla maturità. Non potevo certo dirle che la mia più
grande angoscia era quella di arrivare a Luglio incolume, e se quelle erano le
premesse non ce l’avrei mai fatta.
La
campanella che segnava l’ultima ora suonò, ed io sospirai di nuovo, rassegnata
all’imminente interrogazione. La professoressa di Scienze si congedò e uscì
dall’aula, e poco dopo entrò Marcello. Inutile dire che il mio cuore iniziò a
battere a mille, sia per la trepidazione che per l’effetto che lui mi faceva
ogni volta.
Bassi
ci salutò, dopodiché ci ricordò dell’interrogazione e mi chiamò, insieme agli
altri due miei compagni che rimanevano per completare il giro. Mi alzai e mi
diressi alla cattedra, mentre Greta e Alessia mi auguravano buona fortuna.
Evitai
di incrociare lo sguardo di Marcello e lui fece lo stesso. Quella sarebbe stata
la prima volta che avremmo interagito di nuovo da professore e alunna, dopo la
breve parentesi da innamorati della gita. Come avremmo affrontato quella prova?
Ma soprattutto, come l’avremmo superata?
Alla
fine dell’ora la risposta mi fu chiara: Marcello aveva superato la prova
egregiamente, io no. Mi sembrava di essere tornata in prima, quando durante le
interrogazioni mi emozionavo e mi impappinavo, temendo il giudizio dei miei
compagni ma soprattutto del professore, che in questo caso era più di un semplice
insegnante. Non ero stata per niente brillante. Avevo risposto alle domande,
sì, ma avevo espresso i concetti in modo poco chiaro e Marcello aveva dovuto
guidarmi molto per cavarmi fuori di bocca le nozioni essenziali. Non so come
avesse fatto, ma era riuscito a trattarmi come una semplice alunna, a
comportarsi come avrebbe fatto con chiunque altro dei miei compagni e mi ero
ritrovata ad invidiare quel suo autocontrollo. Solo un paio di volte avevo
potuto leggere nel suo sguardo una sincera preoccupazione nei miei confronti,
ma era stata questione di un attimo prima che tornasse ad essere professionale
come sempre.
Suonò
la campanella, segno che le lezioni quel giorno erano finite.
-
Bene, possiamo concludere qui – disse Bassi, rivolto a me e agli altri due
ragazzi interrogati. - Tornate pure al vostro posto e portatemi i libretti.
Tenni
lo sguardo basso mentre mi dirigevo verso il mio banco; ero piena di vergogna
per me stessa, per la figura che avevo fatto nei confronti dei miei compagni ma
soprattutto nei confronti di Marcello.
-
Dani, guarda che non sei andata male – cercò di rincuorarmi Greta, non appena
arrivai a destinazione. – I concetti c’erano, alla fine.
La
ignorai, mentre cercavo il libretto. Non era quella, la questione. Quella
maledetta interrogazione aveva messo perfettamente in chiaro che non ero per
niente pronta ad affrontare la situazione in cui mi ero cacciata, che mi ero
fregata con le mie stesse mani e che avrei dovuto trovare un rimedio il prima
possibile. Dovevo tornare a comportarmi normalmente, come avevo sempre fatto
prima di Parigi. Non era poi così difficile, dovevo solo dimenticare quel
idillio che c’era stato tra me e Bassi. Dovevo soltanto smettere di ricordare
la sensazione delle sue labbra sulle mie ogni volta che lo guardavo, di pensare
alle promesse che ci eravamo fatti, di rammentare come fosse bello stare
accoccolata tra le sue braccia. Era facilissimo, no? Doveva esserlo, perché Marcello
ci stava riuscendo alla grande.
-
Ciao Dani, io scappo altrimenti perdo il bus – mi salutò Alessia e mi sorrise,
per trasmettermi conforto. Le sorrisi debolmente di rimando, prima di
ricambiare il saluto.
-
Vado anche io – si congedò Greta. – Mia madre sarà già arrivata.
Salutai
anche lei, dopodiché mi diressi alla cattedra per registrare il voto di quella dannata
interrogazione, mentre man mano i miei compagni uscivano di classe.
Mi
misi in fila dietro ai due ragazzi che avevano condiviso la mia stessa sorte e
finalmente arrivò il mio turno.
-
Daniela – disse Bassi, mentre apriva il mio libretto alla pagina di filosofia.
– Oggi non sei stata brillante come al solito – constatò, scuotendo la testa,
poi alzò lo sguardo e mi guardò con aria di rimprovero. Non potei fare altro
che abbassare lo sguardo, piena di vergogna. Mi morsi il labbro inferiore per
impedirmi di piangere, perché sentivo gli occhi umidi. Nel frattempo gli altri
due interrogati uscirono e constatai che io e Marcello eravamo rimasti soli in
aula. Non sapevo se esserne sollevata perché forse avremmo potuto avere un po’
di privacy oppure se dovessi preoccuparmi.
-
Che cosa ti succede? – mi chiese Marcello, in tono dolce e preoccupato.
Finalmente la maschera da professore indossata fino a quel momento si era
sgretolata ed era tornato ad essere il ragazzo che avevo avuto modo di conoscere
in gita.
-
Io… - iniziai, ma mi interruppi subito. Non sapevo da
dove cominciare. C’erano così tante cose da dire!
Marcello
si alzò dalla sedia e si diresse alla porta, dopodiché la chiuse, non prima di
essersi guardato intorno. A quel punto lo raggiunsi e gli buttai le braccia al
collo, agendo d’istinto. Altrettanto impulsivamente iniziai a piangere e
singhiozzare, liberando così tutta quella tensione che avevo accumulato sin dal
ritorno dalla gita.
Dapprima
titubante, poco dopo Marcello ricambiò il mio abbraccio, accarezzandomi
dolcemente la schiena per darmi conforto.
-
Io non ce la faccio! – sbottai, tra un singhiozzo e l’altro. Mi separai da lui
quel tanto che bastava per guardarlo negli occhi pur restando tra le sue
braccia e proseguii: - Io non… È più dura di quanto
pensassi! Ti prego, dimmi come fai tu a sopportare tutto! Ti prego, almeno
potrò farlo anche io, perché davvero ora come ora io non…
Non
potei proseguire perché Marcello mi interruppe con un bacio infuocato,
esattamente come l’ultimo che ci eravamo scambiati prima che io uscissi dalla
sua stanza, l’ultima sera della gita. Questa volta tuttavia il bacio fu anche
disperato, e mi fece capire che anche per lui non era facile, che anch’egli si
trovava nella mia stessa situazione: era soltanto più bravo a nasconderlo.
Quando
si separò da me, infatti, quasi a conferma di quel che avevo pensato, mi disse:
- Non c’è un modo, anche per me è difficile. Forse vista da fuori può sembrare
che io riesca a sopportare tutto questo, ma non è così.
-
E allora come fai a nasconderlo? – gli chiesi. Avevo bisogno di sapere, sentivo
l’esigenza quasi fisica di trovare un modo per sopportare tutto o per lo meno
per celare agli altri il mio malessere. Certo, ero brava a tenermi tutto
dentro, come Alessia e Greta non smettevano mai di farmi notare, ma chiunque mi
guardasse in faccia capiva che avevo qualcosa che non andava. Che poi non ne
parlassi con nessuno era tutto un altro paio di maniche, ma il mio umore nero
restava evidente a tutti.
-
Non lo so – rispose Marcello, sincero. – Non lo so, davvero. Vado avanti con la
mia vita di tutti i giorni, mi concentro sul mio lavoro: preparo le lezioni,
correggo le verifiche, mi occupo della casa… Con
quest’ultima ottengo risultati penosi, non lo nego, ma per lo meno mi tengo
occupato – tentò di sdrammatizzare, poi preseguì: -
Credo che sia questo il segreto: tenersi impegnati.
Non
appena udii quelle parole, smisi di piangere e mi diedi dell’idiota: come avevo
fatto a non pensarci prima? Semplice: piuttosto che tenersi impegnati era più
facile autocommiserarsi. Piuttosto che trovarmi
qualcosa da fare preferivo pensare a quanto tediosa e frustrante fosse
l’attesa, e questo non faceva che renderla più atroce. Crogiolandomi nel mio
malessere non facevo altro che peggiorarlo, anche un bambino lo avrebbe capito.
Anche preparandomi per l’interrogazione, anziché concentrarmi sugli argomenti
previsti avevo continuato a pensare a quello che sarebbe successo il giorno
dopo, a come avrei reagito e a come si sarebbe comportato Bassi. In quel modo
mi ero scavata la fossa da sola, e me ne resi conto solo in quel momento.
-
Hai ragione – dovetti ammettere, con un sospiro. Non avrei più permesso a
quelle subdole trappole mentali di complicare ancora di più il tutto e di
rendermi la personificazione di uno zombie depresso. Così facendo c’era anche
il rischio che Marcello mi guardasse con occhi diversi e pensasse che dare una
possibilità ad un’ameba del genere non sarebbe valsa la pena. Come avevo potuto
essere così cieca, così stupida?
Bisognosa
di conforto, mi rifugiai di nuovo tra le braccia del professore. Marcello mi
strinse a sé ancora per qualche istante, dopodiché si separò e non potei fare a
meno di provare una fitta di delusione. Subito dopo però mi riscossi e mi
ricordai che eravamo ancora in classe, del resto. Emotivamente eravamo tornati
a Parigi, ma fisicamente eravamo a scuola e c’era il rischio che qualcuno, o
meglio, la bidella, potesse entrare da un momento all’altro in aula. Mi resi
conto da sola, purtroppo, che quello che si era appena verificato non avrebbe
più dovuto succedere. Per la carriera di Marcello poteva costituire un pericolo
non indifferente.
Dovette
pensarlo anche lui, perché tornò alla cattedra, si sedette e riprese in mano il
mio libretto.
-
Più di sei non posso darti – mi disse. – Ti si abbasserà un po’ la media ed è
un peccato, perché nella verifica eri andata bene.
Oh,
lo sapevo anche io che nella verifica ero andata bene. Quello era ancora il
periodo in cui studiavo le materie di Marcello come una forsennata per via
dell’implicita competizione che si era instaurata nella componente femminile
della mia classe su chi fosse la migliore a fare bella figura con il prof,
grazie ai bei voti. Inutile dire che era sempre la secchiona ad averla vinta.
-
Va bene – convenni. – Io mi sarei data anche meno – confessai, ma me ne pentii
subito. Stavo di nuovo imboccando la via dell’autocommiserazione? Ero recidiva,
evidentemente.
-
Non sminuirti così – mi rimproverò bonariamente Bassi, mentre firmava il voto.
– Sono stato studente anch’io, per cui so che capita a tutti di avere una
battuta d’arresto e nel tuo caso posso anche capire perché – si interruppe,
alzò la testa e mi guardò negli occhi, facendosi serio, quindi proseguì: - Che non
succeda più, però. La prossima volta non sarò così clemente, ti avverto. Non
farti condizionare troppo da quello che è successo a Parigi, intesi? So che non
è facile, ma vai avanti per la tua strada e concentrati su quelli che adesso
sono i tuoi doveri principali.
Abbassai
lo sguardo, conscia di meritare ogni singola parola di quel rimprovero.
-
Va bene, prof – squittii dunque, prima di riprendere il libretto e tornare al
mio posto. Preparai la cartella e infilai la giacca, dopodiché mi diressi alla
porta. Stavo per uscire, quando Marcello mi fermò dicendo: - Aspetta.
Mi
voltai e vidi che veniva verso di me. – Spero che tu non te la sia presa –
esordì.
-
No – lo confortai. – Hai fatto bene a dirmi quelle cose, mi ci voleva una
scrollata – dissi. – E poi sei pur sempre il mio prof, è tuo dovere
rimproverarmi – sdrammatizzai dunque, in tono scherzoso.
Marcello
emise una breve risatina, poi tornò serio e disse: - Sai bene che vorrei che
non fosse così.
-
Lo so – sospirai.
-
Ancora un po’ di pazienza – cercò di rincuorarmi Bassi, e in quel momento capii
che non era rivolto solo a me ma anche a se stesso.
-
Già – sospirai di nuovo. – È meglio che vada, ora – mi congedai. Senza
rendermene conto, mi alzai in punta di piedi e gli diedi un bacio sulla
guancia. – Arrivederci, prof – dissi dunque, prima di riaprire la porta e
uscire dall’aula in fretta e furia. Dovevo andarmene da lì il prima possibile,
prima di fare qualche altra stupidaggine, e quello non era assolutamente il
luogo adatto. In più rischiavo di lasciarmi di nuovo invadere dallo sconforto,
quando invece dovevo reagire e affrontare la situazione in modo adulto, senza
frignare o autocommiserandomi come una stupida
ragazzina.
SPAZIO DELL’AUTRICE
Sì, lo so. Non aggiornavo da una vita. È
molto probabile, dunque, che vi siate completamente dimenticati di questa
storia e vi capisco.
Il fatto è che dall’ultimo
aggiornamento ne ho passate tante: crisi esistenziali, problemi di famiglia,
inversione di rotta sul fronte universitario… Avevo
anche perso la vena ispiratrice, nonostante nel frattempo abbia seguito un
corso di scrittura. Mi è servito, ma ha contribuito a farmi perdere l’ispirazione,
perché vedevo tanta gente molto più brava di me e mi chiedevo cosa diavolo ci
facessi, lì.
Due settimane fa, però, le Muse sono
tornate a bussare alla mia porta. E rieccomi qui.
Quindi, se siete arrivati fin qui,
sarei molto lieta di un vostro commento. Non per altro, ma perché vorrei capire
se dopo così tanto tempo passato a non aggiornare:
a)La
storia vi interessa ancora
b)Devo
buttare la mia passione per la scrittura alle ortiche
c)Il
capitolo è venuto per lo meno decente. Sono infatti partita a scriverlo con un’idea,
ma in corso d’opera ho preso tutta un’altra strada. Per capirci non avevo certo
in mente che Daniela e Bassi si baciassero di nuovo, ma è successo. Quindi vorrei
capire se funziona o no, se è coerente col resto della storia oppure non c’entra
assolutamente nulla.
Rinnovo l’invito a recensire e
ringrazio in anticipo chi lo farà, chi leggerà soltanto, chi continuerà a seguirmi
e qualche eventuale nuovo lettore.
Non
raccontai a nessuno quello che era successo a scuola quel giorno. Greta e
Alessia non avrebbero fatto altro che rincarare la dose di rimproveri e Valerio,
beh… Non era il caso che sapesse di Bassi. Mi tenni
dunque tutto per me e iniziai a seguire il consiglio di Marcello.
Tornai
alle mie occupazioni quotidiane senza stare troppo a tediarmi: studiavo, facevo
i compiti, disegnavo e mi informavo sulle varie offerte formative delle
università, con grande gioia di mia madre. Certo, si rendeva conto anche lei
che comunque ero ancora indecisa, ma il fatto che avessi iniziato a guardarmi
intorno le aveva fatto piacere perché a parer suo era un buon inizio. Io non la
pensavo esattamente così, perché se prima non avevo la più pallida idea di cosa
fare della mia vita dopo la maturità, ora ero più confusa che mai perché mi
trovavo davanti un’ampia rosa di possibilità ma credevo che nessuna facesse al
caso mio.
Avevo
scoperto però di non essere la sola: anche Valerio era tormentato dai miei
stessi dubbi. Avevamo così intrapreso un tour delle università dei nostri
dintorni per fare incetta di opuscoli informativi che poi sfogliavamo in
qualche bar o a casa mia, ridendo e scherzando ma anche valutando seriamente i
piani di studio.
Era
quello che stavamo facendo anche quel sabato pomeriggio di inizio aprile, nella
quiete della mia camera. Il giorno prima, mettendoci d’accordo, avevamo optato
per una passeggiata in città ma poi avevamo dovuto ripiegare su casa mia a causa
di un brutto temporale.
-
Basta, io ci rinuncio! – sbottai, ripiegando di botto un opuscolo di Lettere. –
Questa roba non fa per me, decisamente. E sono stufa di consumarmi gli occhi su
questi cosi in attesa di una rivelazione divina, ormai li ho imparati a
memoria!
Eravamo
seduti a gambe incrociate sul grande tappeto che occupava la maggior parte del
pavimento della mia camera, ed era da più di un’ora che stavamo guardando per
l’ennesima volta tutti quei dépliant che avevamo raccolto a mo’ di figurine.
-
Ti seguo – convenne Valerio, passandosi una mano tra i capelli.
-
Ti va un tè caldo? O una cioccolata? – proposi dunque, alzandomi dal tappeto e
stiracchiandomi.
-
Una cioccolata sarebbe l’ideale, con questo tempo – disse Valerio, alzandosi a
sua volta. Ci dirigemmo quindi in cucina, dove potei agire indisturbata dato
che mia madre era al lavoro e mio padre in giro a fare la spesa e alcune sue
misteriose e poco interessanti commissioni.
Misi
del latte in un pentolino e lo amalgamai con il contenuto di due bustine di
preparato per cioccolata calda, attenta a non fare grumi, dopodiché lo misi a
bollire sui fornelli, mescolando con la frusta sempre per evitare la formazione
di coaguli. Valerio nel frattempo si era seduto al tavolo della cucina senza
darmi una mano, dato che ai fornelli era un completo disastro.
-
Allora stai meglio? – mi domandò tutto ad un tratto, mentre io frugavo in un
armadietto alla ricerca di un pacchetto di biscotti. Mi bloccai per un momento,
poi continuai nella mia indagine finché non trovai una confezione di dolcetti
alla marmellata e mi voltai verso di lui.
-
In che senso? – gli chiesi a mia volta, un po’ spiazzata da quella sua domanda.
Da quello che avevo capito a Parigi, la nostra amicizia comprendeva solo lo
starsi vicino a vicenda senza indagare troppo sui problemi dell’altro. Quella
domanda così innocente, quindi, mi coglieva un po’ impreparata e infrangeva
quella sorta di patto che vigeva tra noi. Non potevo certo parlargli di
Marcello! Già aveva troppi problemi, a quanto pareva, non volevo certo
aggravarli eleggendolo a mio nuovo confidente sentimentale; sarebbe stato a dir
poco indelicato nei suoi confronti, dopo i nostri trascorsi.
Valerio
inarcò un sopracciglio, con disappunto. – Nel senso che da quando siamo tornati
da Parigi ti vedo meglio – spiegò. – No, mi correggo. Ti ho visto molto
apatica, da quando siamo tornati dalla gita, ma da una decina di giorni a
questa parte sei un po’ più serena.
-
Beh… - bofonchiai. – Sì, sto un po’ meglio – ammisi,
a disagio. Non mi andava granché di parlare di me, temevo che qualche parola o
qualche gesto di troppo mi tradisse e che di conseguenza Valerio capisse che
c’era di mezzo un ragazzo. Tornai ai fornelli e mi rimisi a mescolare la
cioccolata, che nel frattempo si era un pochino addensata.
-
Mi fa piacere – disse Valerio. – Mi dispiaceva vederti in quello stato –
ammise. Lo sentii scostare la sedia e alzarsi, poi con la coda dell’occhio lo
vidi avanzare verso di me. Mi si mise di fianco, dando la schiena al bancone
della cucina, di modo che io potessi guardarlo in faccia voltando lievemente la
testa. E così feci, fissandolo con uno sguardo interrogativo.
-
C’è di mezzo un altro, vero? – mi chiese, spiazzandomi a tal punto che smisi di
mescolare la cioccolata. A Parigi avevo pensato che l’avesse capito, quando mi
aveva consolata, ma poi non aveva più menzionato nulla a riguardo e quindi
avevo dedotto che fortunatamente non avesse intuito nulla. A quanto pareva,
però, mi sbagliavo, ed ero stata una sciocca a farlo. Valerio mi conosceva
meglio di chiunque altro ed essendo molto simile a me non doveva averci messo
molto a indovinare la verità, ma aveva preferito tenerla per sé, forse perché
pensarci lo faceva stare malo o addirittura perché non voleva far star male me,
parlandomene.
-
Ma come ti viene in mente? – ribattei con voce stridula, mentre riprendevo a
mescolare con foga, anche se ormai era inutile perché la cioccolata era pronta.
Anche Valerio se ne accorse perché spense il fuoco e mi tolse di mano la frusta
per appoggiarla al bordo del pentolino, dopodiché mi afferrò per le spalle e mi
costrinse a guardarlo negli occhi.
-
Guarda che puoi dirmelo – mi esortò dolcemente. – Lo capirei. Sarebbe successo
comunque, ed è anche meglio così. Sono io che ti ho lasciato e…
Le
parole, qualsiasi esse fossero, gli morirono in gola. Fissò il proprio sguardo
disperato nel mio in una muta richiesta di sincerità, e in quel momento mi
sentii uno schifo, consapevole che da un momento all’altro l’avrei ferito.
-
Sì – mormorai semplicemente, abbassando lo sguardo. Non ce la facevo a
guardarlo, avevo paura della sua reazione. Mi diressi all’armadietto in cui
tenevamo le tazze e ne estrassi due, poi vi versai dentro la cioccolata, anche
se ormai dubitavo l’avremmo bevuta. Lo feci solo per inerzia, per tentare di
sfuggire a quegli occhi che, lo sapevo, mi stavano sicuramente fissando con
aria di accusa.
Presi
una tazza e la porsi a Valerio, evitando il suo sguardo. Lui la prese e
l’appoggiò sul tavolo, con un sospiro.
-
Lo sapevo – disse, amareggiato e frustrato. – Lo sapevo, lo avevo intuito fin
da quella sera. So anche che è la cosa migliore, ma…
Avere la conferma da te fa tutto un altro effetto– sospirò di nuovo. – Me la sono cercata, del
resto.
Non
sapevo cosa fare, ma soprattutto cosa dire. Qualsiasi parola avessero
pronunciato le mie labbra sarebbe stata sbagliata, e io non volevo ferire
Valerio più di quanto già non fosse, perché si vedeva lontano un miglio che la
mia conferma ai suoi dubbi era stata per lui come una mazzata sui denti.
Non
potei fare a meno di chiedermi perché reagisse a quel modo, però. Era stato lui
a lasciarmi; come aveva detto se l’era cercata. Di certo non poteva pretendere
che io lo aspettassi finché non si fossero risolti i suoi misteriosi problemi
che lo avevano indotto a separarsi da me. E non capivo perché continuasse a
dire che era meglio così, perché di certo per lui non lo era.
-
Mi dispiace – mormorai a mezza voce.
-
Lo so – ribatté Valerio. Si sedette al tavolo ed iniziò a sorseggiare la
propria cioccolata, lo sguardo fisso nel vuoto. Agguantai la mia tazza e mi
sedetti di fronte a lui. Bevvi un sorso di quella bevanda dolce, che però in
quel momento mi parve amara come fiele.
Quel
silenzio mi stava uccidendo, era peggio di cento coltellate. Era anche ricco di
tensione, di dispiacere, di rimorsi, ma anche rimpianti.
-
Io… - esordii. Ma cosa potevo dire? – Ti ho già detto
che mi dispiace – ribadii. – Non so cos’altro dirti.
-
Non dire nulla – ribatté Valerio, posando il suo sguardo su di me. – Dovevo
aspettarmelo e te l’ho detto, me la sono cercata. Sono io che ti ho lasciata e
non potevo mica chiuderti a vita in un convento per evitare che ti guardassi in
giro e ne trovassi un altro. Doveva succedere e a volte l’ho anche sperato– si interruppe per bere un sorso di
cioccolata, poi fece un respiro profondo e riprese: - Ci stai assieme?
Ecco,
cosa diavolo dovevo rispondere? Come potevo definire il rapporto che c’era tra
me e Bassi? Non aveva contorni precisi, finora era stato un preludio di
qualcosa che sarebbe avvenuto una volta finita la scuola, ma a Valerio non
potevo certo dirlo. L’avrei ferito e basta. E inoltre non lo reputavo la
persona più adatta con cui intrattenere discorsi sulla mia situazione
sentimentale.
-
No – risposi. - È una situazione un po’ complicata.
-
L’avevo intuito, altrimenti non ti avrei trovata in lacrime, a Parigi –
borbottò Valerio. – Non voglio sapere altro, però. Mi basta solo questo, fa già
abbastanza male. Aggiungere dettagli sarebbe come usare su di me strumenti di
tortura.
A
quelle parole, sentii la rabbia montare in me. Capivo che per lui sapere che le
mie attenzioni si erano spostate verso un’altra persona era stato un duro
colpo, ma quell’atteggiamento di vittimismo mi sembrava fuori luogo. Se l’era
cercata, l’aveva detto.
-
Chi è causa del suo mal pianga se stesso – sbottai dunque, tagliente,
sfoggiando la saggezza di quei proverbi che mia nonna amava tanto.
-
Scusa?
-
Non prendiamoci in giro – misi in chiaro. – L’hai detto anche tu: non potevi
pretendere che andassi in giro con i paraocchi. È successo e basta. Tu mi hai
lasciata e per me è stato brutto, anche perché non mi hai spiegato il motivo e
io non potevo farmene una ragione. Col tempo me la sono fatta da sola e poi
beh, ho iniziato a guardarmi in giro e…
-
Basta! – mi interruppe bruscamente Valerio. Si alzò in piedi e si diresse in
salotto. Bel comportamento maturo!,
pensai, prima di seguirlo. Mi posizionai di fronte a lui e lo guardai negli
occhi, irata. Stavo per aprire bocca e dirgliene quattro, ma lui mi precedette.
-
Non c’è bisogno che tu infierisca – mi disse; evidentemente doveva aver intuito
le mie mosse. – Lo so che mi sono scavato la fossa da solo, lo so che lasciarti
è stata la più grande cazzata che io abbia mai fatto, ma in quel momento ero
convinto che fosse la cosa migliore per te, per noi. Poi ora salta fuori che
c’è di mezzo un altro e io… Beh, non sono più così
convinto di aver fatto la cosa giusta. Però non c’era altra soluzione. Era ed è
l’unico modo, anche se fa male.
Si
accasciò sul divano, prendendosi la testa tra le mani. La mia rabbia svanì di
colpo, vedendolo così ferito, così tormentato, così confuso. Anche io ero
parecchio disorientata, però. Quel suo atteggiamento era contraddittorio. Mi
inginocchiai davanti a lui e gli presi le mani.
-
Ehi… - mormorai. – Mi dispiace, non volevo peggiorare
le cose – mi scusai. Valerio alzò il viso e mi guardò negli occhi, che, notai,
erano leggermente lucidi.
-
Ti ho persa, Dani – sussurrò. – Peggio di così non puoi fare, qualunque cosa tu
dica. Con le tue parole puoi solo mettere il dito nella piaga, ma non
peggiorarla – sospirò. – Ma è meglio così, per noi.
-
Io non capisco! – esclamai, frustata. – Che cosa diavolo è successo per farti
stare così?
-
Ormai tanto vale che te lo dica – borbottò Valerio, rivolto più a se stesso che
a me. – Prima o poi dovevo farlo, in ogni caso. Mettiti comoda, sarà una lunga
storia. E dopo dubito mi vorrai ancora vedere, ecco perché volevo rimandare il
più possibile prima di dirtelo.
Mi
sedetti sul divano, con le ginocchia raccolte al petto e il mento poggiato su
esse. Ero più confusa che mai. Valerio si mise a gambe incrociate in modo da
potermi guardare in faccia, poi iniziò a parlare: - A Novembre, quando ti ho
lasciato l’ho fatto perché… Perché sono stato un
cretino – sospirò e chiuse gli occhi, poi li riaprì. – Vedi, proprio in quel
periodo i miei avevano appena comunicato a me e mia sorella la loro decisione
di divorziare.
Strabuzzai
gli occhi, perplessa. – E questo cosa c’entrava con noi due? – domandai.
-
Oh, c’entra eccome – mi rispose Valerio. – Te lo dico senza troppi preamboli: a
fine Agosto mi trasferisco.
Quella
rivelazione mi spiazzò, ma mi permise anche di capire tutto. Finalmente, dopo
mesi, realizzai perché Valerio aveva voluto lasciarmi. Compresi anche quelle
frasi enigmatiche che poco prima mi avevano mandato ancora di più in
confusione, capii anche perché Valerio era arrivato ad augurarsi che mi
innamorassi di un altro, per quanto poco prima mi fosse sembrato un pensiero assurdo.
-
Che cosa? – mormorai a mezza voce. Alla consapevolezza e alla comprensione
iniziò a mescolarsi il dispiacere, fino a prevalere del tutto e a portarmi
sull’orlo delle lacrime, tanto che dovetti mordermi il labbro inferiore per non
piangere. Ancora poco meno di cinque mesi e Valerio si sarebbe trasferito
chissà dove. Non l’avrei più rivisto se non per qualche ipotetica o sporadica
visita.
-
Hai capito bene. Mia madre vuole ricominciare una nuova vita lontano da qui, in
un’altra città – proseguì Valerio. – Vuole andare a vivere a Roma.
-
Che cosa? – ripetei. No, non poteva essere. E all’improvviso, quasi come se la
mia mente volesse confutare tutto e darmi una piccola speranza che quel
colloquio che stavo avendo con Valerio era solo uno scherzo, mi ricordai una
cosa. – Non è possibile – sbottai. – Dimmi la verità.
-
È questa la verità, Dani – borbottò Valerio, con voce stanca. – Devi credermi.
-
E allora perché ti stai informando sulle università della zona? – chiesi dunque.
Era forse una nota di speranza, quella nella mia voce?
-
Perché non ho la minima idea di cosa fare del mio futuro. Ho voluto iniziare a
guardarmi in giro anche se mi iscriverò a Roma, perché tanto bene o male le
facoltà e i corsi di laurea sono gli stessi – spiegò Valerio. – E poi… Così facendo potevo passare del tempo con te. Ma ormai
è inutile.
Quelle
parole furono il colpo di grazia. Furono l’ennesima presa di consapevolezza sul
perché Valerio mi aveva lasciata, l’ennesima contraddizione, l’ennesima
sofferenza.
-
Sei un codardo! – gli urlai contro. Mi alzai dal divano e presi a camminare per
il salotto, in preda al nervoso e soprattutto all’ira. Come aveva potuto
trattarmi così? Serrai i pugni e mi fermai, accorgendomi solo in quel momento
di avere iniziato a piangere. Che tipo di lacrime erano, quelle? Di dolore, di
rabbia, di impotenza, di frustrazione? Non lo sapevo. Non riuscivo a capirlo.
Valerio
si alzò dal divano e tentò di avvicinarsi a me.
-
Stammi alla larga! – gli intimai, con la voce rotta dal pianto. Ferito da
quell’avvertimento Valerio si fermò ad un paio di metri di distanza da me.
-
Mi dispiace, Dani, io… Non volevo che succedesse
tutto questo! – tentò di scusarsi.
-
Ti dispiace, eh? – strillai. – Anche a me dispiace, e sai perché? Perché hai
voluto fare tutto di testa tua! Hai pensato che fosse meglio lasciarmi e lo hai
fatto, il tutto senza chiedere il mio parere e senza nemmeno darmi una
spiegazione, se non fino a questo momento. Contavo così poco per te?
-
No! – esclamò, risentito. – Te l’ho detto anche a Parigi, io con te stavo bene
e potevo provare un po’ di sollievo! Quando i miei mi hanno detto che avrebbero
divorziato è stato un duro colpo, ma c’eri tu al mio fianco! Poi mia madre mi
ha comunicato che ci saremmo trasferiti e non è stato più lo stesso, non riuscivo
a starti accanto senza pensare che stavo approfittando di te e al dolore che ti
avrei causato con la mia partenza e…
-
E hai preferito lasciarmi – lo interruppi. – Molto coraggioso, davvero –
commentai poi, con un’ironia velata di amarezza.
-
E cosa potevo fare? – ribatté Valerio. – Ci saremmo lasciati comunque, quando
io sarei partito. Io e te non siamo fatti per le relazioni a distanza, lo sai
meglio di me.
-
E tu chi sei per dirlo? – sbottai, solo per il gusto di contraddirlo, perché
sapevo benissimo che aveva ragione. Eravamo troppo simili per cui dedussi che
doveva aver pensato che io e lui eravamo due persone troppo sensibili per
sopportare una relazione a distanza, che essa sarebbe stata causa di molte
sofferenze e l’unica conclusione possibile sarebbe stata troncarla. – Certo,
forse avremmo finito per lasciarci comunque – proseguii. – Ma tu hai voluto
anticipare le mosse per paura! Perché temevi che prima della tua partenza le
cose tra noi avrebbero potuto evolversi ulteriormente e che poi avresti
sofferto troppo, o sbaglio?
-
No, non sbagli – confermò Valerio, ad occhi bassi. – Tutto quello che ho fatto
l’ho fatto per il tuo bene, Dani, volevo risparmiarti sofferenze.
-
Perché adesso sono felice come una Pasqua, vero? – ribattei. – Smettila di raccontare
balle, ti prego, di addurre come scusa il fatto che non volevi che io soffrissi
e quant’altro. Sei stato un lurido egoista, perché hai pensato solo a te
stesso! Non c’entravo io, ma tu: se avessimo continuato a stare assieme per te
sarebbe stato più difficile dirmi addio per cui ti sei tirato indietro subito,
razza di coniglio che non sei altro! Se ti fosse importato di me, me ne avresti
parlato, avremmo potuto trovare una soluzione insieme…
Ma no, ti sei comportato da egoista! E il tuo egoismo è dimostrato dal fatto
che tu non abbia voluto rinunciare del tutto a me; hai insistito affinché
restassimo amici finché non ho ceduto, vero?
-
No, non è così! Non l’ho fatto per egoismo, diamine!
-
Smettila! Smettila di negare l’evidenza, hai pensato solo a te stesso! Volevi
la botte piena e la moglie ubriaca; mi hai lasciata per paura ma al tempo
stesso hai continuato a volermi accanto a te perché non eri pronto ad assumerti
fino in fondo le responsabilità delle tue scelte ed affrontarne le conseguenze!
– sputai quelle parole come se fossero veleno. Ero amareggiata e disgustata. –
Ma adesso dovrai farlo – annunciai dunque. Mi asciugai le lacrime e presi un
respiro profondo, poi con fare solenne proseguii: - Non avrai più la mia
amicizia. Non dopo tutto questo. Hai avuto ragione a pensare che la tua
partenza avrebbe fatto soffrire entrambi, se fossimo rimasti insieme, ma non
credere che le cose cambino granché se restiamo amici. Per cui tanto vale
abituarci subito al fatto che da Agosto ci saranno centinaia di chilometri di
distanza tra noi; tronchiamo i rapporti del tutto. Vattene, Valerio.
Lo
osservai e vidi che ero riuscita nel mio intento: l’avevo ferito, ed ero
convinta che se lo meritasse fino in fondo, dopo tutto quello che mi aveva
fatto. Allora perché non ero felice? Perché stavo male anche io, ferita almeno
quanto lui?
-
Daniela… - tentò di ribattere. – Non…
-
Vattene, Valerio – ripetei, guardandolo negli occhi.
-
Come vuoi – sospirò. – Non disturbarti, conosco la strada – disse dunque, prima
di sparire dalla mia vista per andare a recuperare le proprie cose.
Fu
solo quando sentii la porta di casa chiudersi dietro di lui che tornai in
camera mia e mi raggomitolai sul letto, scossa dai singhiozzi e non più tanto
convinta di aver fatto la cosa giusta, cacciandolo via.
Era
come rivivere tutto quello che avevo passato quando mi aveva lasciata, a
Novembre.
SPAZIO DELL’AUTRICE
Rieccomi qui, con un nuovo capitolo. Finalmente
si scopre perché Valerio ha lasciato Daniela e lei come potete vedere non l’ha
presa molto bene. Che cosa succederà adesso? Daniela si pentirà, si scoprirà
ancora innamorata di Valerio? Parlerà con le sue amiche, che la faranno
ragionare? O cercherà conforto tre le braccia di Bassi?
Alcuni di questi interrogativi avranno
risposta nel prossimo capitolo. J Vi dicò già che lo pubblicherò
entro la fine della prossima settimana, perché lunedì ho un esame (maledetta
numismatica!) e non so quanto tempo avrò per scrivere, fino a quel momento.
L’esame dopo, poi, è il 21 ed è leggero, quindi avrò più tempo per dedicarmi al
nuovo capitolo.
Detto ciò, ringrazio chi ha recensito
lo scorso capitolo (vero15star),
i nuovi lettori (Lena Vid),
chi ha solo letto e chi ha aggiunto la storia alle seguite, preferite, da
ricordare. Grazie! Per lo meno ho visto che a qualcuno la storia interessa
ancora…^^
Rinnovo comunque l’invito a recensire e
farmi sapere cosa ne pensate del capitolo. So di non essere granché brava con i
dialoghi, per cui vorrei sapere se quello tra Valerio e Daniela è coerente o
sembra campato per aria.
Quella
sera uscii, anche se non ne avevo la minima voglia. Era però sabato sera e non
potevo tirare un bidone ad Alessia e Greta all’ultimo momento. Al tempo stesso
però non avevo voglia di vederle perché avrebbero capito subito che c’era
qualcosa che non andava. Del resto non avevo un bell’aspetto, pallida e con gli
occhi arrossati. Non avevo fatto altro che piangere, da quando Valerio se n’era
andato.
Perfino
mio padre si era accorto del mio stato d’animo, perché di sua spontanea volontà
aveva deciso di prestarmi la sua macchina per uscire la sera, cosa che fino a
quel momento non aveva mai fatto. Doveva essere il suo modo per tirarmi su il
morale, evidentemente, ma non aveva sortito molto effetto. Mi aveva fatto
piacere, perché mi ero sentita degna di fiducia però poi tutto il sollievo
provocato da quel gesto era scomparso dopo che con una punta di felicità avevo
avvisato Alessia che non c’era bisogno di scomodare sua madre e che quella sera
avrei guidato io.
Quando
uscii aveva smesso di piovere, fortunatamente. Salii in auto e passai a
prendere prima Alessia e poi Greta, dopodiché optammo per andare in un pub
tranquillo in città.
Non
appena arrivò il cameriere, ordinammo.
-
Per me un’aranciata media, grazie – dissi quando fu il mio turno.
-
Allora sei ancora capace di parlare! – esclamò Alessia, ironicamente sollevata,
non appena il camere se ne fu andato.
-
Scusa? – chiesi io, disorientata.
-
È la prima volta che parli da quando sono salita in macchina e abbiamo deciso
dove andare – mi venne in aiuto, con una risatina.
-
Ah beh – bofonchiai. – Non ci avevo fatto caso.
-
C’è qualcosa che non va? – domandò Greta, dolcemente.
Sospirai.
Da dove potevo cominciare? Mi limitai ad annuire.
Arrivò
il cameriere con le nostre ordinazioni e bevvi un sorso di aranciata. Alzai lo
sguardo verso le mie amiche e vidi che mi stavano osservando entrambe con aria
indagatrice.
-
Ti va di parlarne? – mi chiese Greta, con un sorriso d’incoraggiamento. –
Magari poi stai meglio.
-
Ne dubito – borbottai. Parlarne non avrebbe di certo cambiato i fatti, sarebbe
stato solo un sollievo momentaneo.
-
C’entra qualcosa Bassi? – indagò Alessia, inarcando un sopracciglio.
-
No – confutai. Perché dovevano attribuire a lui tutti i miei malesseri? – Bassi
non c’entra proprio nulla.
-
E allora perché sei ridotta ad uno straccio? – domandò Alessia, in tono
preoccupato. – Me ne sono accorta subito appena sono salita in macchina. Hai
gli occhi rossi, sei più silenziosa e riservata del solito e in generale non
hai una gran bella cera. Dubito che ti sia fatta una canna, per cui deve essere
successo qualcosa di grave per ridurti a quel modo. Ti ho visto così poche
volte! E l’ultima è stata mesi fa, quando…
-
Quando Valerio ti ha lasciata! – la interruppe Greta, concludendo per lei la
frase, colta da un lampo di genio. – C’entra Valerio, non è così? – mi chiese
poi, a conferma della propria rivelazione.
Annuii,
senza proferire parola. Temevo di scoppiare di nuovo in lacrime.
-
Ottimo intuito, non c’è che dire! – borbottò Alessia. – Ci stavo arrivando
anche io – aggiunse poi, piccata. Greta le aveva sottratto il suo piccolo
momento di gloria. – Cos’è successo con Valerio? – chiese infine, rivolta a me.
-
Abbiamo litigato – risposi semplicemente. Come al solito, avrei risposto alle
domande che mi venivano rivolte, non avevo voglia di imbastire un discorso dal
nulla.
-
E perché? – indagò Greta. Come non detto, avrei dovuto raccontare tutto
dall’inizio.
Sospirai,
rassegnata. Dovevo sputare il rospo e parlarne, ormai era stato gettato l’amo.
Presi un respiro profondo e iniziai: - Questo pomeriggio eravamo a casa mia a
guardare gli opuscoli delle varie università, come stiamo facendo da un po’ di
giorni. Anche lui è confuso quanto me. Dopo un po’ abbiamo deciso di berci una
cioccolata e a quel punto se n’è uscito chiedendomi se io a Parigi stessi male
perché c’era di mezzo un altro.
-
Oh santo cielo! – esclamò Greta. – E tu gli hai detto di Bassi! È per questo
che avete litigato! – proseguì poi, giungendo alle proprie, errate conclusioni.
-
No, Gre, questa volta non ci hai preso – la contraddissi. – Non gli ho detto
nulla di Bassi. Ho solo confermato la sua intuizione, lui si è limitato a
chiedermi se stessi assieme o meno al nuovo arrivato e poi non ha più voluto
sapere nulla. Continuava a dire che era meglio così, che prima o poi sarebbe
successo e cose del genere.
-
Però non l’ha presa bene, vero? – chiese Alessia.
-
No, per niente – confermai. – Diceva che per me era meglio così ma si vedeva
che soffriva come un cane bastonato. Io mi sono spazientita e, per farvela
breve, gli ho detto che non poteva lasciarmi e poi comportarsi così, lui si è
arrabbiato dicendomi che lasciarmi è stata la cazzata più grande che abbia mai
fatto, ma per me e per lui è stata la cosa migliore, il minore dei mali.
Continuava a ripeterlo, non so se per convincere me o se stesso – spiegai.
Dovetti fermarmi perché avvertii un nodo alla gola, segno che le lacrime
stavano tornando a farsi strada in me. Deglutii e presi un respiro profondo,
poi proseguii: - Ci siamo calmati e gli ho chiesto per l’ennesima volta perché
mi ha lasciata e beh… me l’ha detto. È questo il motivo per cui abbiamo
litigato.
-
Ma cosa ti ha detto per farti stare così? – indagò Greta, preoccupata. – Perché
ti ha lasciata?
-
Mi ha lasciata perché… perché i suoi stanno divorziando e per questo motivo lui
ad Agosto si trasferisce a Roma con sua mamma e sua sorella – buttai lì, il più
velocemente possibile, sperando che si rivelasse il modo più indolore per
parlarne. Se mi fossi dilungata troppo si sarebbero riaperti i rubinetti.
-
Oh no! – esclamò Greta, sinceramente dispiaciuta. Non sapendo bene che dire, mi
strinse una mano con la sua per darmi conforto, e gliene fui grata.
-
Dani, ma è bruttissimo! – le fece eco Alessia, dopodiché spostò la sua sedia in
modo da essermi più vicina e mi abbracciò.
-
Già – convenni, prima di scostarmi dai contatti fisici delle mie amiche.
Rischiavo di lasciarmi andare alle lacrime, così. Prima o poi sarebbe stato
inevitabile, ma prima volevo spiegare loro le mie ragioni, far loro capire
perché io e Valerio fossimo arrivati al litigio. – Ma quello che mi ha fatto
male, quello che mi ha fatto arrabbiare è che… è che lui abbia deciso per me senza
dirmi nulla. Perché secondo lui non siamo fatti per una relazione a distanza, e
su questo ha ragione, me ne rendo conto anche io. Però… però avrei preferito
che me ne parlasse, anziché decidere tutto da solo! – sbottai, la voce rotta
dal pianto. Alla fine avevo ceduto, come avevo previsto. – Forse avremmo potuto
trovare una soluzione, forse… non lo so.
-
Posso immaginare come ti senti – tentò di confortarmi Alessia. – Capisco che tu
sia ferita perché non ti ha detto nulla. Ha sbagliato, e clamorosamente.
Avrebbe dovuto parlartene, perché la cosa non riguardava solo lui, ma entrambi!
– esclamò, infervorata.
-
Appunto! – sbottai. – Invece ha deciso anche per me, senza interpellarmi
minimamente! Ha detto che lo ha fatto perché non voleva farmi soffrire, ha
detto che lasciarci era la soluzione migliore, il male minore… Ma minore per
chi? Ha fatto tutto da solo! – ribadii, ferita. – E questo fa male. Fa male
perché credevo di meritarmi un trattamento migliore, in virtù di quello che
c’era tra noi. Poteva mettermene al corrente!
-
Hai ragione – convenne Greta. – Lui indubbiamente ha sbagliato – proferì.
Quella era forse la prima volta che la sentivo dire che Valerio aveva torto. –
Ma tu… ti sei chiesta cosa avresti fatto al suo posto?
La
fulminai con lo sguardo. Come non detto, l’accusa era fasulla. Possibile che
perfino in quella situazione lei dovesse difendere Valerio a spada tratta,
anziché darmi conforto?
-
No, non fraintendermi! – si affrettò a giustificarsi, avendo intuito i miei
pensieri. – Non lo sto difendendo, te l’ho detto che ha sbagliato. Però, sai,
voi due siete simili, e per questo ti ho chiesto cosa avresti fatto tu al suo
posto. Magari mettendoti nei suoi panni capisci meglio il suo punto di vista.
Sospirai.
Mi ero già chiesta cosa avrei fatto al posto di Valerio, quel pomeriggio. Mi
ero posta quell’interrogativo più volte, nella solitudine della mia camera, ed
ero giunta alla conclusione che no, non mi sarei comportata come aveva fatto
lui. Al suo posto io gli avrei parlato dei miei problemi, non l’avrei lasciato
senza una spiegazione. Certo, non l’avrei fatto subito, abituata com’ero a
tenermi tutto dentro, però l’avrei fatto. Mi sarei tenuta tutto per me per
qualche tempo, rimuginandoci sopra ma soprattutto continuando a stare insieme a
lui, poi un bel giorno gli avrei comunicato che mi sarei trasferita e a quel
punto avremmo deciso insieme cosa fare, se darci una possibilità anche a
distanza, se lasciarci subito oppure attendere il momento della partenza,
godendoci il tempo che restava.
Fu
quello che dissi anche ad Alessia e Greta.
-
Sei sicura? – chiese Greta, un po’ dubbiosa.
-
Sì – ribadii io, in tono asciutto.
-
Io non ne sono poi così convinta – mi contraddisse Alessia. – Secondo me queste
sono quelle tipiche situazioni che finché non ci sei dentro non sai come
affrontare. Ti fai un’idea ma poi ti comporti diversamente – mi spiegò, con la
schiettezza tipica del suo carattere.
-
E va bene – sbottai. – Mettiamola così, al posto di Valerio so cosa non avrei fatto, ed è comportarmi come
lui – affermai, infervorata. Alessia aveva ragione, ma io ero altrettanto ferma
nelle mie convinzioni.
-
Ma adesso come siete rimasti? – domandò poi cautamente Greta, visto che era
inutile stare a rimuginare sui ‘se’ e sui ‘ma’.
-
L’ho cacciato da casa mia dicendogli di non farsi più vedere – risposi. – Ero
troppo ferita, e lo sono ancora. Adesso capisco perché ha insistito tanto per
avermi come amica: non era ancora pronto a rinunciare del tutto a me. Ora però
dovrà esserlo.
-
Non ti seguo – ammise Greta, confusa. Mi resi conto che le mie parole e le
frasi da me pronunciate dovevano sembrare parecchio sconnesse, dato che ero
ancora piuttosto sconvolta dagli eventi di quel pomeriggio per mettere insieme
degli enunciati di senso compiuto.
-
La mia amicizia se la scorda – decretai poi inferocita. La rabbia di quel
pomeriggio stava riaffiorando sempre più, anche se non in modo così potente. –
Mi lascia perché si trasferisce e non vuole farmi soffrire? Benissimo. Però che
non pretenda di starmi accanto lo stesso da amico, alla fine non c’è molta
differenza: soffro comunque, se lui se ne va. E visto che non vuole farmi
soffrire deve starmi completamente alla larga – spiegai.
-
Mi sembra un ragionamento un po’ contorto – commentò Greta, ancora più
perplessa. – E troppo drastico.
-
Ho solo seguito il ragionamento di Valerio – borbottai. – Deve assumersi la
responsabilità delle sue azioni. Ripeto, mi ha lasciata perché non vuole farmi
soffrire, quindi vorrei che mi stesse alla larga almeno la smetto di soffrire
del tutto.
-
Sicura di non farlo per te stessa? – mi chiese Alessia, in tono neutro.
-
Prego?
-
Sei sicura che non lo vuoi tenere alla larga perché così non soffri
ulteriormente? – domandò Alessia con altre parole.
-
Adesso ti sembra che non stia soffrendo? – ringhiai, piccata. Stavo iniziando a
pentirmi di averne parlato con loro; non capivano quello che provavo.
-
No, non ho detto questo – rispose Alessia, paziente. – Dico solo che andando
avanti col tempo ti riabituerai alla sua assenza, come hai fatto quando ti ha
lasciata. L’hai appena detto, la smetteresti di soffrire del tutto. Sarebbe più
facile, poi, quando lui si trasferirà. Se gli restassi amica sarebbe più
difficile dirgli addio. Sarebbe difficile in ogni caso, qualunque tipo di
rapporto tu intrattenga con lui – mi spiegò. – Perché tu provi ancora qualcosa
per Valerio, giusto?
Abbassai
lo sguardo, colpevole. Come sempre, Alessia aveva ragione. Come sempre, lei e
Greta avevano saputo indagare nel mio profondo e mettermi di fronte a fatti che
io nemmeno avevo contemplato. Quando poco prima mi ero pentita di aver parlato
con loro, avevo sbagliato a pensare che non capivano. Forse non avevano la
piena consapevolezza di quello che stavo passando, ma cercavano di farmi
ragionare.
-
Non lo so, Alessia – dissi con un sospiro. - È tutto così complicato! Prima
Valerio mi lascia senza un motivo e mi metto il cuore in pace; le mie
attenzioni si spostano su Bassi ed ecco che scopro che sono ricambiate però
devo aspettare la fine della maturità per vedere come vanno le cose, ma nel
frattempo mi riavvicino a Valerio come amica e finalmente vengo a sapere perché
mi ha lasciata e rivivo tutto quello che ho passato a Novembre – mi fermai e
presi un respiro profondo, poi proseguii: - Sono confusa. Io ho voltato pagina,
dopo che Valerio mi ha lasciata. Non dimentichiamo che a Luglio se tutto va
bene inizierò ad uscire con Bassi e davvero non vedo l’ora di quel momento.
Però ora che è saltata fuori questa storia di Valerio… non lo so. Non so cosa
pensare. O meglio… boh. Cioè, sì che lo so.
-
E cosa sai? – indagò Greta, cauta.
-
So che Valerio ha ragione: io e lui non siamo fatti per una relazione a
distanza – decretai, convinta. Su quello ero irremovibile. – Ci saremmo
lasciati in ogni caso, una volta che lui si fosse trasferito. Quindi io ho
fatto bene a voltare pagina, sono convinta di quello che ho fatto e non devo
certo soffermarmi sui capitoli indietro riguardanti Valerio.
-
Ripeto: sei sicura di non farlo per te stessa, perché vuoi proteggerti? – mi
chiese Alessia.
-
Sì, sono sicura – risposi con decisione. – Ormai la mia strada l’ho presa, e
non voglio giocare né con i sentimenti di Valerio né con quelli di Marcello.
-
Invece stai giocando con quelli di Valerio – mi contraddisse Greta. – Ti
ripeto: lo so che ha sbagliato a trattarti così, ma tu ora lo stai punendo
eccessivamente, con la decisione di troncare del tutto i rapporti con lui. In
questo momento starà di sicuro soffrendo come un dannato, in primo luogo perché
ha capito che nei tuoi pensieri c’è già un altro e in secondo luogo perché
adesso tu gli hai negato anche la tua amicizia – mi spiegò, con una nota di
rimprovero. – Non dico che tu adesso debba mandare a quel paese Bassi e tornare
assieme a Valerio finché non parte – aggiunse. – Però non devi nemmeno
allontanarlo così. Devi trovare la giusta via di mezzo, a mio avviso.
Sospirai.
Perché Greta doveva essere sempre così saggia? Era in grado di farmi vedere le
cose dalla giusta prospettiva, di farmi capire che le situazioni non erano solo
bianche o nere, che c’erano anche le vie di mezzo.
-
E quale sarebbe la via di mezzo, secondo te? – le chiesi, nonostante sapessi
già la risposta.
-
Parlare con Valerio – rispose Alessia, precedendola. – Chiarire la situazione
con lui. Dirgli che aveva ragione riguardo il continuare la vostra storia a
distanza, ma che è passato automaticamente dalla parte del torto quando ti ha
lasciata senza dirti nulla.
-
E parlargli di Bassi – suggerii Greta. – Ha il diritto di saperlo.
-
No! – esclamai. Guardai Greta come se fosse impazzita. Poteva avere ragione
riguardo al fatto che dovevo parlare con Valerio per chiarire il litigio di
quel pomeriggio, ma mai gli avrei parlato di Bassi. Ero ancora convinta che non
fosse il caso; pensavo che un’amicizia tra ex, specialmente se particolare come
la nostra, avesse bisogno di confini ben marcati che non era il caso di
oltrepassare, e reputavo che parlare di eventuali nuove fiamme fosse un’enorme
ed elevata recinzione con tanto di filo spinato in cima.
-
No, Gre – mi venne incontro Alessia. - È sufficiente che Valerio sappia che c’è
di mezzo un altro, non c’è bisogno che Dani gli faccia la telecronaca.
-
Sarebbe indelicato nei suoi confronti – spiegai. – Già prima sospettavo che
provasse ancora qualcosa per me e oggi ne ho avuto la conferma. Non voglio
farlo stare male ancor più di quanto già non stia, non mi sembra il caso.
Non
appena pronunciai quelle parole, mi resi conto che l’ira nei confronti di
Valerio era svanita. Mi stavo preoccupando per lui e per i suoi sentimenti; non
era forse una dimostrazione del fatto che tenessi troppo a lui per rimanere
arrabbiata?
-
Gli parlerò – decretai, con un sorriso amaro. – Gli parlerò e spero che
chiariremo la situazione. Però, Gre, non gli dirò nulla di Marcello.
Il
resto della serata trascorse in modo più sereno. Parlare con le mie amiche mi
era servito, e ora sapevo quello che dovevo fare; la situazione in cui mi
trovavo era parecchio complicata, ma al mio fianco avevo due ottime guide.
Il
giorno dopo mi svegliai più serena e perfettamente consapevole del fatto che
avrei dovuto parlare con Valerio. Nel pomeriggio, dunque, dopo varie
indecisioni, mi decisi e gli scrissi un messaggio.
Ciao. Hai da fare? Vorrei parlarti.
Dani
Scrissi
così, semplice e diretta, senza troppi fronzoli. Aggiunsi anche la firma perché
temevo che avesse cancellato il mio numero, dopo la discussione del giorno
prima.
La
risposta arrivò nel giro di pochi minuti, senza farsi attendere troppo.
Diceva:
No, sono libero. Troviamoci sotto casa
mia tra mezz’ora.
Feci
un respiro profondo e uscii dalla mia stanza per chiedere la macchina a mia
madre, dopodiché tornai in camera a vestirmi, dato che ero ancora in pigiama,
come ogni domenica che si rispetti. Mi infilai un paio di jeans, una maglietta
e una felpa grigia col cappuccio, poi mi guardai allo specchio per darmi una
sistemata ai capelli, che raccolsi in una coda. Essendo una bella giornata di
sole, optai per il mio giubbetto di pelle nera, che indossai sopra la felpa,
dopodiché mi misi le scarpe, agguantai la borsa e dopo aver salutato i miei
genitori uscii.
Senza
rimuginare troppo su quello che stavo facendo, salii in auto, la misi in moto e
partii, diretta a casa di Valerio. Solo allora mi resi davvero conto di quello
che stavo per fare e fui tentata di fare marcia indietro. Avevo detto a Valerio
che dovevo parlargli, ma non avevo la più pallida idea di cosa dirgli!
Mi
imposi di calmarmi e nel giro di un quarto d’ora fui a casa sua. Parcheggiai
dietro la palazzina condominiale in cui abitava e mi diressi al portone, dove
lo trovai già pronto ad aspettarmi.
Seguii
l’istinto e gli corsi incontro, buttandogli le braccia al collo e stringendomi
a lui perfettamente conscia che di lì a pochi mesi si sarebbe trasferito. Come
avevo potuto, il giorno prima, cacciarlo da casa mia intimandogli di non farsi
più vedere? Come avevo potuto credere di voler sprecare così il tempo che ci
restava?
Valerio
inizialmente rimase un po’ spiazzato da quella mia improvvisa dimostrazione
d’affetto; dopo la nostra discussione tutto doveva aspettarsi tranne quello, di
certo. Fu solo un momento, però, perché poi ricambiò il mio abbraccio.
-
Scusa se non te ne ho parlato subito – mormorò, il mento appoggiato alla mia
spalla.
-
E tu scusami per ieri; ho esagerato – gli dissi io, prima di separarmi da lui.
– Facciamo una passeggiata qui intorno? – gli proposi dunque. Valerio annuì e
camminammo in silenzio, ognuno immerso nei propri pensieri. Ci fermammo un poco
più avanti, dopo aver svoltato in una stradina senza uscita e ci sedemmo sul
marciapiede a gambe incrociate, in modo da poterci guardare negli occhi.
Valerio mi guardò e mi rivolse un piccolo sorriso di incoraggiamento, e
compresi che dovevo dire qualcosa, qualunque cosa. Del resto gli avevo scritto
che dovevo parlargli.
-
Non so da dove cominciare – esordii. – Ieri abbiamo discusso per così tanti
motivi! – esclamai, facendo una risatina per sdrammatizzare. – Ti chiedo di
nuovo scusa per averti cacciato di casa in quel modo e per averti ferito, io…
-
Sta’ tranquilla – mi interruppe Valerio. – Ne avevi tutto il diritto.
-
E invece no! – ribattei. – Non dovevo farlo, perché si vedeva benissimo che tu
già stavi male per tutto quello che era successo e io non ho fatto altro che
infierire! – mi rimproverai. – Quindi scusami. Alla fine non avevi poi tutti i
torti – dissi. – Cioè, hai sbagliato nel non dirmi nulla riguardo il divorzio
dei tuoi e il tuo trasferimento, ma avevi ragione, e ce l’hai anche adesso, nel
dire che una storia a distanza non fa per noi – mi corressi. – Credo che al tuo
posto l’avrei pensata allo stesso modo e avrei agito come hai agito tu,
riguardo noi due, però prima te ne avrei parlato. Non ti avrei lasciato senza
un motivo.
-
Lo so – convenne lui. – Ti chiedo di nuovo scusa per non averlo fatto, ma io…
Vedi, ero confuso. Già ero dispiaciuto per via del divorzio, poi quando mia
madre mi ha detto di Roma è stato il colpo di grazia. Ero furioso perché questo
voleva dire troncare con tutto e con tutti… con te soprattutto. Solo a pensarci
stavo male e non osavo immaginare la tua reazione, per cui la soluzione più
facile mi è sembrata lasciarti per evitarti sofferenze. Però, come hai detto
tu, non volevo rinunciare del tutto a te e ho cercato di restarti accanto come
amico, perché la mia intenzione era quella di dirti tutto, prima o poi. Però
poi ieri salta fuori che…
-
Lo so – lo interruppi. Alludeva a Marcello. – Ti chiedo scusa anche per questo.
Io… Non l’ho previsto, è successo è basta.
-
Doveva succedere, Dani – decretò
Valerio con enfasi, rivolto più a se stesso che a me. – Che sia successo adesso
non ha importanza, doveva comunque succedere. Era inutile che io ti legassi a
me in una relazione destinata comunque a finire. Ed è meglio così, perché
soffrirai di meno, quando arriverà il momento della mia partenza.
-
No! – esclamai. – Non dire così! – lo rimproverai con dolcezza. – Non sono per
niente felice del fatto che tu parta, sia che tu sia il mio migliore amico o il
mio ragazzo!
-
Allora posso ancora esserti amico? – mi domandò, speranzoso. Credevo che fosse
una cosa ovvia fin dal momento in cui poco prima lo avevo abbracciato, ma forse
lui voleva la conferma verbale di quel fatto.
-
Certo – risposi. – Era proprio quello che volevo dirti, oggi. È per questo che
sono qui, in sostanza. Voglio offrirti di nuovo la mia amicizia, se ancora la
vuoi. Di più non posso fare.
-
Mi basta questo – disse con un sorriso, prima di posare la propria mano su una
delle mie, abbandonate in grembo.
Lo
guardai negli occhi e mi si strinse il cuore, vedendolo così felice per così
poco. Doveva amarmi davvero per accontentarsi della mia amicizia e per riuscire
a starmi accanto pur sapendo che mi ero innamorata di un altro. Sospirai e per
l’ennesima volta mi trovai a pensare cosa sarebbe successo se non ci fosse
stato di mezzo Marcello. Provavo ancora qualcosa per Valerio, indubbiamente, ma
non erano sentimenti abbastanza forti da potermi permettere di mandare tutto
all’aria con Bassi per tornare insieme al mio ex per un tempo determinato.
Forse quei sentimenti sarebbero bastati se a Parigi tra me e Marcello non fosse
successo nulla e forse mi avrebbero convinta a tentare una relazione a
distanza.
Era
andata diversamente, però. E non potevo farci nulla. Quei pensieri facevano
male, ma dovevo imparare a sopportarli: dovevo assumermi le mie responsabilità
e capire che le mie scelte avrebbero fatto soffrire qualcuno in ogni caso, per
quanto io volessi rendere tutti felici, ma quest’ultima opzione non era
contemplabile. L’unica cosa che potevo fare per alleviare il dolore di Valerio
era restargli accanto come amica e l’avrei fatto, perché avrebbe lenito anche
la mia sofferenza causata dall’annuncio del suo trasferimento. Sapere che di lì
a pochi mesi sarebbe stato a più di ottocento chilometri di distanza non era
bello.
-
Ho una proposta – esordì Valerio, interrompendo il flusso dei miei pensieri. –
Stasera mia madre va a fuori a cena con amici e io e mia sorella siamo a casa
da soli. Ti va di fermarti qui per cena?
-
Certo, volentieri! – risposi, con un sorriso. L’idea non era male, e mi avrebbe
fatto piacere rivedere sua sorella, dopo tutto quel tempo. – Non cucini tu,
vero? – chiesi poi, fingendo un tono allarmato. L’ultima volta che ero stata a
mangiare da lui aveva provato a fare la pasta, ma era stato un completo
disastro: non aveva salato l’acqua e aveva fatto cuocere gli spaghetti per
venti minuti, dimenticandoseli sul fuoco. Erano diventati colla. Alla fine
avevamo dovuto buttare via tutto e recarci al più vicino fast-food.
-
No, avevo già in mente di ordinare una pizza – mi tranquillizzò con una risata,
dopodiché si alzò e mi porse la mano per invitarmi a fare altrettanto. La
afferrai e mi issai, sorridendo.
Era
bello riaverlo di nuovo come amico, questa volta senza segreti.
SPAZIO DELL’AUTRICE
Rieccomi qui, con un nuovo capitolo,
probabilmente un po’ noiosetto. Questi chiarimenti però erano doverosi, ora i
rapporti fra Daniela e Valerio sono chiari.
Mi rendo conto che Marcello negli
ultimi due capitoli è stato assente, ma non temete perché presto ricomparirà e
ne vedrete delle belle. Non ho già scritto il prossimo capitolo, ma ho già
delineato la sinossi di tutta la storia, fino alla fine e vi annuncio che
mancheranno circa cinque capitoli (numero più o numero meno; dipende da quanto
mi dilungherò su certe situazioni) più l’epilogo.
Detto ciò, ringrazio di nuovo chi ha recensito
lo scorso capitolo (vero15star),
i nuovi lettori (Lena Vid), chi ha
solo letto e chi ha aggiunto la storia alle seguite, preferite, da ricordare.
Grazie!
Rinnovo comunque l’invito a recensire e
farmi sapere cosa ne pensate del capitolo e della storia in generale, se c’è
qualcosa che non va o se fila tutto liscio.