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Liberamente ispirata a “I CAVALIERI DELLO ZODIACO”, di M
Liberamente
ispirata a “I CAVALIERI DELLO ZODIACO”, di M. Kurumada
ALEDILEO presenta
IL MAESTRO DI OMBRE
TRILOGIA DI FLEGIAS
Parte 3 di 3
E lunghi feretri m’attraversano l’anima
senza un rullo, una musica; singhiozza
prigioniera
la Speranza; l’Angoscia sul mio riverso
cranio
pianta, esosa e feroce, la sua nera
bandiera.
(da Spleen, di Charles Baudelaire)
Nota dell’autore: Questa storia è ambientata
cronologicamente dopo Fulmini dall’Olimpo, La Grande Guerra e,
eventualmente, Di Dei e di Rimpianti, di cui si consiglia la lettura,
prima di questa, per meglio comprendere la trama e numerosi riferimenti al suo
interno. In ogni caso ho ritenuto opportuno dedicare il primo capitolo a
riassumere i principali eventi dei racconti precedenti, riguardanti il periodo
compreso tra la fine della Guerra Sacra contro Ade e gli eventi qui narrati.
Grazie a Shiryu, per i consigli e gli utili suggerimenti
che non mi ha mai fatto mancare. Grazie a Davide Aldè e Nirti per le
illustrazioni che hanno gentilmente realizzato in questi anni. Grazie a Ittentiroku e Sandra, per avermi
concesso di utilizzare alcune sue splendide immagini per illustrare le mie
storie. E grazie a tutti i lettori che da anni seguono con interesse le
mie storie.
Fuggiva. Da giorni fuggiva, da quando lo avevano scoperto
in una caverna sul Mar Nero, sulle rive del fiume Termodonte, dove aveva
appiccato un violento incendio al Tempio delle Amazzoni, per vendicarsi del
tradimento di Ippolita durante la guerra tra Ares e i Cavalieri di Atena. Flegias,
figlio di Ares, Flagello degli Uomini, fuggiva di spelonca in spelonca,
nascondendosi tra le ombre della notte, negli oscuri antri delle montagne e
negli abissi delle terre anatoliche. Rincorso dai suoi inseguitori, braccato
come un evaso, tallonato a vista da tre abilissimi e veloci cacciatori, che a
stento avevano ritrovato le sue tracce, dopo la fine della Grande Guerra.
Phantom dell’Eridano Celeste, Luogotenente
dell’Olimpo, Giasone della Colchide e Ermes, il Messaggero degli Dei,
non gli davano tregua, continuando a seguire i seppur deboli, quasi
impercettibili, barlumi del suo cosmo infernale, che avvampavano a tratti
nell’oscuro silenzio della notte. Non intenzionati ad arrendersi. Né ora né
mai.
Nascosto dalle ombre, di cui era padrone e schiavo,
Flegias raggiunse le isole dell’arcipelago greco, così vicine all’antica terra
in cui aveva vissuto, e in cui la sua tragedia si era consumata nei mesi
precedenti, ed iniziò a vagare tra esse, scegliendo mete poco frequentate,
isole abbandonate, morfologicamente irrequiete, come la smania che portava
dentro. Come il desiderio di vendetta e di rivalsa. Crono e Ares avevano
fallito, come Seth quattordici anni prima di loro, non riuscendo, neppure con
l’enorme aiuto della Pietra Nera, a sbarazzarsi dei Cavalieri di Atena e di
Zeus, per quanto dolorose perdite i loro eserciti avessero subito. E adesso
toccava a lui, a lui soltanto, il supremo compito di preparare il mondo
all’avvento di una nuova era: l’ultima, prima della fine.
Con lo sguardo carico di odio e malvagia follia, Flegias
raggiunse un’isola disabitata dell’Egeo orientale, piccola e priva di qualsiasi
forma di vita, a causa dell’inospitale morfologia del luogo, che la rendeva
inadatta all’insediamento umano. Arida, priva di corsi d’acqua e di terreno
fertile, l’isola si presentava come un tozzo ammasso di montagne e vulcani, uno
dei quali ancora in stato di semiattività, circondati da terreni scoscesi e
anfratti oscuri, dove il velenoso cosmo del Figlio di Ares iniziò presto a
scivolare, facendoli propri, risvegliando le oscure creature che nei tempi
antichi vi furono confinate e soggiogandole al proprio dominio.
“Che sta succedendo?!” –Domandò Giasone, giunto sull’isola
insieme a Phantom e ad Ermes. Una colonna di fumo nero iniziò ad uscire
dall’ampia bocca del vulcano principale, presto seguito da gemiti di disumana
natura, mentre il terreno sembrò tremare sotto di loro, inquietando i tre
inseguitori.
“Non lo so... ma tutto questo non mi piace affatto!” –Sibilò
Phantom, scrutando il paesaggio di fronte a loro. Ma la sua vista, per quanto
acutissima, dovette perdersi nell’oceano di ombre che tutta l’isola aveva
iniziato a circondare; e la notte buia, senza luna, non aiutava i tre Cavalieri
di Zeus nell’ardua impresa, ordinata dal Signore dell’Olimpo in persona:
uccidere Flegias, causa di troppe guerre e dolore.
“In guardia, Cavalieri Celesti!” –Esclamò Ermes,
sollevandosi in volo sopra di loro, grazie alle ampie ali della sua Veste
Divina. –“Quel demonio è capace di tutto! Persino di…” –Ma Ermes non riuscì a
terminare la frase che un nuovo boato scosse l’isola, mentre torride ventate di
aria infernale travolsero i tre uomini, sollevando polvere e frammenti di
roccia. In quell’apocalittica tempesta, una figura, avvolta in un nero manto di
ombra, comparve tra le vampe infuocate, e a Phantom sembrò realmente di vedere
Satana uscire dagli inferi. Ricoperto dalla sua Armatura Scarlatta, dagli
inquietanti toni di morte, Flegias apparve di fronte a loro, con la Spada
Infuocata in mano ed un crudele sguardo carico di fiamme letali.
“Benvenuti nel mio regno!” –Sogghignò il figlio di Ares,
mentre immonde vampate di energia infuocata scivolavano intorno a lui. –“Possa
essere per voi luogo di dolore... e di morte!” –Sibilò quindi, lanciandosi
avanti con la Spada sfoderata.
In un attimo fu su Giasone, obbligando il Cavaliere
Celeste a mettere tutta la sua energia cosmica nello Scudo che portava al
braccio sinistro per difendersi dalla devastante potenza della Spada Infuocata,
che si abbatté come un fulmine sulla sua difesa, spingendolo indietro. Rapidi e
violenti erano i fendenti di Flegias, così potenti da scheggiare in più punti
lo Scudo della Colchide, mentre Giasone stringeva i denti, venendo
spinto indietro, scavando il terreno sotto di lui con i piedi corazzati della
sua Armatura.
“Scudo della Colchide!!!” –Gridò infine Giasone,
concentrando il cosmo sulla sua difesa.
Lo scudo rotondo si illuminò improvvisamente, scaricando
un violento ventaglio di energia lucente contro Flegias, il quale riuscì ad
evitarlo con un abile balzo, portandosi proprio dietro a Giasone, il cui
assalto era stato battuto sul tempo. Con la Spada sollevata, Flegias fece per
mirare al collo del Cavaliere Celeste, il quale ancora si stava voltando, ma
Phantom intervenne in aiuto dell’amico, liberando uno scrosciante vortice
energetico, travolgendo Flegias e scaraventandolo in alto. Ermes puntò
immediatamente il Caduceo contro la cima del gorgo acquatico, in cui
un’oscura figura si dimenava per liberarsi, ma quando scagliò il suo raggio
energetico si accorse che esso non raggiunse Flegias, balzato nuovamente a
terra, tra le desolate ombre di quell’isola nera.
“Maledizione!” –Strinse i denti Phantom, rendendosi conto
di quanto ostica fosse quella battaglia. –“Ostica e pericolosa!” –Aggiunse,
mentre l’aria si caricava di una violenta energia infuocata. Striature di
oscuro cosmo, dagli scarlatti riflessi, scivolarono intorno ai tre Cavalieri
Celesti, stridendo sul brullo terreno dell’isola, mentre Flegias, da cui le
onde di energia partivano, stava in piedi di fronte a loro, stringendo ancora
in mano la sua Spada Infuocata.
“Arrenditi, Flegias!!!” –Esclamò Ermes a gran voce,
balzando in cima ad un pinnacolo roccioso. –“I tuoi piani sono miseramente falliti!
Non hai conquistato l’Olimpo, né con l’aiuto di Crono né con quello di tuo
padre! Sei solo adesso! Solo e vinto!”
“Solo?! Solooo?!” –Tuonò Flegias, e il suo cosmo si accese
improvvisamente, scaricando guizzanti folgori incandescenti nell’aria avanti a
sé, frantumando le rocce intorno, facendo tremare il terreno scosceso,
obbligando i tre Cavalieri a difendersi e a piantarsi saldamente a terra per
non essere scaraventati via. –“Guardami Ermes!!! Guardami!!! Senti l’immensa
energia che porto dentro! Sentila... e pregami di non liberarla, pregami di
lasciarti vivere ancora!!! Di lasciarti sguazzare ancora nel letamaio che ti è
proprio, strisciando come un verme ai piedi del tuo Signore Zeus!!!”
“Traditore! Come osi un simile linguaggio?” –Gridò Ermes, puntando
contro Flegias il suo Caduceo. –“Pagherai con la vita tale affronto!!!”
–E liberò un violento raggio di energia, che partì dalla cima della Divina
Bacchetta, dirigendosi verso Flegias, ma il Figlio di Ares lo deviò all’ultimo
istante, con un violento colpo della sua Spada Infuocata.
Incredibile!!! Rifletté il Dio. Il colpo che
aveva distrutto persino le barriere di Syria delle Sirene, valente Generale di
Poseidone, e di Shaka di Virgo, il più vicino a Dio tra i Cavalieri d’Oro di
Atena, deviato da un semplice gesto di Spada! Che sia davvero così grande il
potere di costui?! Che sia davvero così grande il desiderio di morte e
distruzione che cova dentro?! Per un momento Ermes socchiuse gli occhi,
mentre le dilanianti folgori di Flegias accendevano l’aria intorno a loro,
frantumando rocce e stridendo con violenza sulle Divine Vesti dei tre
Cavalieri. Ripensò a tutti i morti, uomini e Dei, di quelle folli lotte che
avevano combattuto, sia ad Atene che sull’Olimpo, e strinse i pugni con forza. È
il momento di mettere la parola fine a queste guerre!!! E senz’altro
aggiungere, Ermes si lanciò avanti, sfidando l’impetuosa tempesta energetica
che Flegias dirigeva loro contro.
“Cadi, demone oscuro!!!” –Gridò Ermes, buttandosi contro
Flegias dall’alto dello sperone roccioso.
“Iaaah!!!” –Urlò Flegias, scagliando la Spada Infuocata
verso l’alto, proprio in direzione di Ermes, che riuscì a scansarla colpendola
con un violento raggio energetico del suo Caduceo. Al tempo stesso anche
Phantom e Giasone si lanciarono avanti, caricando i pugni di energia cosmica,
ma quando furono tutti e tre vicini Flegias liberò il suo devastante potere,
travolgendo i Cavalieri Celesti, avvolgendoli in una vorticante tempesta di
fiamme oscure.
“Apocalisse Divinaaa!!!” –Gridò Flegias, sollevando
il braccio destro al cielo, e investendo in pieno i tre Cavalieri, che furono
sballottati in aria dal turbinante vortice oscuro, le cui incandescenti vampe
erano cariche di nera energia, di spettrali ombre che volevano oscurare la
lucentezza dei loro cosmi, e delle loro Armature.
“Morite!!!” –Ghignò Flegias, recuperando la sua Spada
Infuocata e scattando avanti, sull’onda della sua stessa tempesta di
energia. Come un fulmine piombò su Giasone, e sbatté con forza la lama sul suo
Scudo rotondo, scheggiandolo, e continuò a colpirlo, a massacrare la sua
difesa, senza dargli tregua alcuna, senza possibilità di respiro, mentre il
ragazzo arretrava convulsamente, incapace di prendere fiato e rispondere. Con
un ultimo violento colpo, Flegias piantò la Spada Infuocata al centro
dello Scudo della Colchide, proprio sulla splendida nave di Argo che
sull’arma era disegnata, penetrando il nobile metallo e affondando nel braccio
sinistro del Cavaliere Celeste, facendolo urlare dal dolore.
Come se le fiamme dell’Inferno mi fossero penetrate
dentro! Mormorò Giasone, mentre i frammenti dello Scudo si schiantavano ai
suoi piedi. Un’oscura potenza sostiene costui... e adesso… adesso sta
entrando dentro di me!!!
“Giasoneee!!!” –Gridò Phantom, rialzatosi nel frattempo.
Senz’altro aggiungere liberò la devastante potenza del Gorgo dell’Eridano,
proprio mentre Ermes caricava nuovamente il suo Caduceo. Il violento
raggio di energia spinse Flegias indietro, ferendolo alla spalla sinistra,
mentre il vortice acquatico di Phantom lo sollevava di nuovo da terra,
avvolgendolo nelle sue lucenti correnti energetiche.
“Non crediate di avermi già sconfitto!” –Gridò Flegias,
delirante, al centro del gorgo. –“Ho ancora molte frecce al mio arco!! E ve lo
dimostrerò!” –Aggiunse, riuscendo infine a stabilizzarsi al centro
dell’acquatico vortice di energia.
“È incredibile! Ha preso il controllo del gorgo!!!”
–Sgranò gli occhi Phantom, bruciando ancora il proprio cosmo lucente, cercando
di recuperare la guida del suo turbine.
Ridendo come un folle, Flegias, in alto, in mezzo alle
turbinanti acque energetiche dell’Eridano, sollevò l’indice destro al cielo,
richiamando a sé tutte le ombre dell’isola, che scivolarono lente nell’aria
oscura, masse indistinte, quasi impercettibili all’occhio umano, concentrandosi
sulla punta del dito del Figlio di Ares, il cui volto, in preda ad una
delirante estasi universale, sogghignava malignamente.
“Non farlo, Flegias!!! Nooo!!!” –Gridò Ermes
improvvisamente, che aveva compreso le intenzioni del Rosso Fuoco. Ma il figlio
di Ares non si curò neppure delle sue parole, anzi, gli fornirono ulteriore
motivo per andare avanti.
“Shadows Skill!!!” –Gridò, liberando l’oscuro
potere delle ombre. –“Maestria di Ombre!!!”
Oscure sagome, simili a striscianti serpenti, partirono
dal dito del Figlio di Ares, piombando sui tre Cavalieri Celesti, avvolgendoli
nelle loro tenebrose spire, bloccando i loro movimenti, raggiungendo persino la
loro anima.
“Maledetto…” -Rantolò Phantom, accasciandosi su un
ginocchio, prima di far esplodere ancora il proprio cosmo lucente. –“Gorgo
dell’Eridano!!!”
Il turbinante mulinello di energia acquatica travolse
Flegias, il quale sembrò comunque non curarsene, intento com’era a dirigere le
sue malefiche ombre su Giasone, che, indebolito dalla velenosa ferita della Spada
Infuocata, venne travolto e sollevato in aria, avvolto in una tenebrosa
massa indistinta e risucchiato dal vortice stesso, a comando di Flegias.
“Nooo… Giasoneeee!!!” –Esclamò Phantom, osservando l’amico
scomparire all’interno del mulinello di energia acquatica; energia che ormai
era diventata completamente nera, asservita all’oscuro potere del Figlio di
Ares.
“Caduceo!!!” –Gridò Ermes, puntando la Divina
Bacchetta verso la cima del vortice e liberando un violento raggio energetico.
L’abbagliante esplosione che ne seguì scaraventò Phantom
ed Ermes indietro di parecchi metri, facendoli schiantare contro le rocce
retrostanti, mentre il turbinio di ombre scompariva, lasciando apparentemente
l’isola.
“Uungh...” –Mormorò Phantom, rialzandosi a fatica. Si
guardò intorno, mentre Ermes si rialzava a sua volta, ma non trovò niente,
solamente una fitta oscurità che pareva scendere sempre più su di loro. I cosmi
di Flegias e di Giasone erano scomparsi, al di là di un muro di tenebra che il
Luogotenente non riusciva a penetrare.
“La Maestria di Ombre!!!” –Rifletté Ermes,
affiancando il ragazzo. –“Flegias ha invocato uno dei poteri più arcani e
oscuri di questo mondo, Cavaliere! La Maestria di Ombre! Un’ancestrale
tecnica che sancisce il dominio su ogni forma di ombra e tenebra che calchi
questo mondo!”
“Ma… è terribile!!” –Commentò Phantom, in pena per le
sorti di Giasone.
“Terrificante!!!” –Mormorò Ermes, a bassa voce. –“Non so
da quanto Flegias sia capace di evocare un potere simile, né so quanto è
effettivamente in grado di controllarlo!”
“Spiegati meglio...”
“Se Flegias non disponesse della sufficiente fermezza, del
sufficiente controllo per dominare le ombre di questo nostro tempo, allora esse
potrebbero ribellarsi a lui, facendolo proprio e disperdendosi sull’intero
pianeta, portando ovunque l’oscuro manto della notte!” –Spiegò Ermes. –“Ma se
Flegias fosse davvero così forte, da riuscire persino dove fallirono gli
alchimisti del Mondo Antico, ad avere il controllo sulle ombre, ne diventerebbe
indiscusso Signore, creando un esercito di disperazione e tenebra capace di
oscurare persino lo splendore del Sole!”
“In qualunque modo vada...” –Commentò infine Phantom. –“La
Terra corre un grave pericolo!”
“La Terra e tutti gli uomini che credono e confidano nella
benigna luce del Sole e delle stelle! Luce che le ombre di Flegias cercheranno
di oscurare quanto prima! E per sempre!”
“Dobbiamo impedire che ciò accada!” –Esclamò Phantom
istintivamente, e a quelle parole parve ai due che una fitta cappa di tenebra
calasse su di loro.
Mormorii indistinti percorsero l’aria, carica di
un’innaturale tensione, mentre una gelida aria di morte iniziò a soffiare,
gelando le vene dei due Cavalieri. Come se le ombre avessero udito il loro
discorso e rispondessero alle loro accuse.
“Lo faremo, Luogotenente dell’Olimpo! Lo faremo!” –Strinse
i pugni Ermes, prima di riagganciare il Caduceo alla sua Cinta. –“Ma adesso
dobbiamo tornare sull’Olimpo! Zeus deve essere immediatamente informato di
questo evento!”
“Temo che adesso non potremo fare molto per il Cavaliere
tuo amico!” –Rispose Ermes, notevolmente dispiaciuto. –“Siamo stanchi, e questa
cappa di ombre limita i nostri sensi! Avvertirò Zeus e decideremo insieme come
procedere!”
“Ma... Ermes...” –Mormorò Phantom, in cuor suo combattuto
tra la ragione, che sapeva che le parole di Ermes erano vere, e i sentimenti,
che lo avrebbero lanciato alla ricerca dell’amico, seppure neanche lui sapesse
bene dove. –“Torniamo!” –Si limitò a rispondere Phantom, ed in quell’unica
parola mise tutta la sua tristezza, e la sua delusione.
Ermes gli sorrise dolcemente, prima di incitarlo a
bruciare il proprio cosmo, e a lasciare quell’isola maledetta. In un lampo di
luce tornarono sull’Olimpo, mentre le tenebrose ombre vorticavano nella notte
senza stelle, posandosi poi sul loro nuovo signore e padrone: Flegias, figlio
di Ares, Flagello degli Uomini e Maestro di Ombre.
Era seduto alla sua scrivania da parecchie ore ormai, ma
sembrava non accusare il sonno né la stanchezza. La luce della candela
baluginava fioca, rischiarando il rugoso viso segnato dagli anni, ma ancora
pieno di vita. Pieno di speranza. La penna d’oca correva veloce sulla
pergamena, continuando a scrivere, continuando a scavare nel passato e a
ricordare gli eventi appena trascorsi, fissandoli nuovamente nella memoria, per
impedire che andassero perduti.
Al termine della Guerra Sacra contro il Sovrano
dell’Oltretomba, Lady Isabel di Thule, reincarnazione della Dea Atena,
aveva deciso di liberare i Cavalieri, che per lei avevano combattuto fino a
rischiare la vita, dal gravoso peso di continuare a correre in suo soccorso ogni
volta che le tenebre avessero minacciato la Terra e
la giustizia. A Pegasus, Andromeda, Dragone, Cristal e Phoenix fu quindi fatta bere la Pozione
della Dimenticanza, un’acqua speciale che, se opportunamente gestita da un
potere spirituale forte, poteva far dimenticare episodi di vita vissuta, se non
addirittura una vita intera. E tanto grande era il potere di una Divinità, che
Atena aveva cancellato dalla mente dei cinque amici il ricordo del loro essere
Cavalieri.
Non
posso più vederli soffrire!Non posso più vederli rischiare la vita, per me, a causa mia!
È finito il tempo in cui Isabel viene rapita e imprigionata e i suoi cinque
eroi rischiano la vita per lei! Da adesso esiste soltanto Atena!E
aveva messo al loro collo una pietra, precedentemente immersa nella Pozione e
intrisa del suo cosmo divino, che avrebbe contribuito a mantenere
quell’equilibrio che Isabel sarebbe durato per sempre. Uno zaffiro per Pegasus,
uno smeraldo per Dragone, un topazio per Andromeda, un diamante per Cristal e
un rubino per Phoenix.
Purtroppo il desiderio di pace tanto bramato da Isabel non
trovò realizzazione e pochi mesi più tardi, in una sera di maggio, il Grande
Tempio venne assalito da misteriosi Cavalieri dalle Armature Celesti. Li
guidava Sterope del Fulmine, uno dei tre Ciclopi Celesti, uomo dagli
straordinari poteri, capace di sollevare Asher e gli altri quattro Cavalieri di
Bronzo con la sola forza di un dito. Insieme a lui una misteriosa figura
ammantata, che nel corso del combattimento che seguì, contro Castalia,
Tisifone, Asher e Kiki, si rivelò essere Flegias, il figlio di Ares.
Il Rosso Fuoco, Flagello degli Uomini, impegnò duramente
gli ultimi difensori in battaglia e se non fosse stato per il fortuito
intervento di Ikki di Phoenix sicuramente avrebbe avuto ragione di loro.
Phoenix infatti si trovava vicino alla Grecia, grazie a inconsci messaggi che Morfeo,
il Dio dei Sogni, gli aveva inviato, su ordine di Issione, altro figlio di
Ares. E nel sentire avvampare cosmi inquieti al Grande Tempio aveva risvegliato
in lui il ricordo di essere Cavaliere, seppure senza che egli se ne fosse reso
conto. Fu Isabel stessa, suo malgrado, a liberarlo infine dalla prigionia della
Pietra della Dimenticanza, rendendogli la memoria ed esponendolo nuovamente a
rischi e pericoli, per difendere la giustizia.
Ma Phoenix non fu il primo dei cinque Cavalieri a
riacquistare la memoria. Pochi giorni prima infatti Cristal il Cigno
aveva iniziato a sentire voci nella sua mente, che lo chiamavano da lontano. E
aveva abbandonato le fredde terre della Siberia per raggiungere la corte di Ilda
di Polaris a Midgard, dove era stato accolto con onore e con piacere dalla
Celebrante di Odino e dai due Guerrieri del Nord sopravvissuti alla Guerra del
Nibelungo, Mizar e Alcor. Insieme a Flare, Cristal
intraprese un difficile viaggio per raggiungere la Corte di Odino, nella vera
Asgard, al di là delle nubi e delle nevi, un’isola sospesa nel cielo. E durante
questo viaggio, l’amore per Flare risvegliò in lui ricordi passati, emozioni
sopite che il suo cuore non aveva mai dimenticato. Nel frattempo Ilda, assieme
ai suoi Guerrieri, aveva lasciato Midgard, attaccata proprio in seguito
all’arrivo di Cristal dai Cavalieri Celesti e messa a fuoco e fiamme, per
scendere in Grecia ed avvertire l’amica Isabel. E proprio alla sua corte Ilda
si trovava quando Flegias e Sterope assalirono il Grande Tempio, cercando di
consolare Atena, che non smetteva di chiedersi perché suo padre, il Sommo Zeus,
di cui i Cavalieri Celesti erano i difensori, avesse deciso di muoverle guerra.
Sull’Olimpo intanto Flegias complottava con Issione per
spingere Zeus ad attaccare Atene, ma i loro progetti bellici vennero frenati da
un tentativo di mediazione di Ermes, il Messaggero degli Dei, vecchio
consigliere del Dio dell’Olimpo, scalzato dall’homo novo Flegias ma
sempre determinato ad evitare inutili spargimenti di sangue. Ma il tentativo
fallì e Atena venne incatenata nella Bianca Torre del Fulmine, ermo confine
dell’Olimpo, da lucenti folgori divine, restando agonizzante ad assistere allo
scoppio di una nuova cruenta guerra. Per prevenire ogni rischio, Flegias ordinò
infatti di eliminare gli altri Cavalieri, prima che recuperassero la memoria. Arge
lo Splendore, custode della Spada del Fulmine, venne inviato ai Cinque
Picchi e uccise apparentemente Sirio, facendolo precipitare nella cascata. Bronte
del Tuono invece si recò a Nuova Luxor per uccidere Pegasus e Andromeda, ma
il pronto intervento di Nemes e le lacrime di Patricia risvegliarono nei due il
ricordo di essere Cavalieri e permise loro di contrastare lo strapotere del
Ciclope Celeste. Nella lotta che ne seguì Mylock, il maggiordomo di
Isabel, perse la vita per proteggere Patricia, pregando Pegasus di difendere
sempre Atena, anche per lui. Patricia fu ricoverata in ospedale insieme
a Nemes, guardate dai tre Cavalieri d’Acciaio: Shadir, Benam e Lear.
Nel frattempo Phoenix, che aveva accompagnato Atena
sull’Olimpo insieme a Castalia, venne avvicinato da Morfeo, Dio dei Sogni, e
convinto a distendersi su un lettino, per ritrovare una perduta parte di sé,
quella legata ad Esmeralda, giovane amore mai dimenticato. In realtà era stato
Issione ad ordinarlo al Dio, per completare l’addestramento al male di Phoenix,
che aveva iniziato anni prima, sull’Isola della Regina Nera, ordinando al
defunto Guilty di uccidere Esmeralda, per risvegliare completamente in Phoenix
il lato oscuro e farne un suo servitore e guerriero.
Castalia conobbe il Luogotenente dell’Olimpo, Phantom dell’Eridano
Celeste, uomo scelto da Zeus anni prima, dotato di un’enorme ammirazione
verso gli ideali greci di armonia e di giustizia, che ritrovava nelle gesta
eroiche dei Cavalieri di Atena, Cavalieri contro i quali mai avrebbe voluto
combattere. Salvata da Birnam, Cavaliere d’Argento della Bussola,
discepolo di Virgo, grazie all’aiuto esterno di Morfeo, che non poteva fare a
meno di sentirsi in colpa per aver ceduto a Issione, Castalia rientrò al Grande
Tempio giusto in tempo per organizzarne la difesa insieme a Tisifone, Asher,
Mizar, Alcor e agli altri Cavalieri di Bronzo, sicuri che l’attacco di Zeus non
si sarebbe fatto attendere. Ed infatti poche ore dopo una decina di Cavalieri
Celesti giunse al Grande Tempio, scontrandosi sanguinosamente contro i soldati
e i Cavalieri di Atena. Asher fronteggiò Narciso, guerriero di Afrodite,
ottenendo la vittoria grazie all’aiuto di Geki e al suicidio finale del nemico.
Castalia fu costretta ad affrontare proprio Phantom, restio a combattere con
lei ma impossibilitato a venir meno al suo dovere. Dopo aver sconfitto Mizar e
Alcor, il Luogotenente iniziò uno scontro con
Castalia, conclusosi con un bacio rubato di fronte alla Quinta Casa di Leo, alla Casa dell’uomo che Castalia
aveva sempre amato, senza trovare la forza per dichiararsi. Là la Sacerdotessa
dell’Aquila si abbandonò tra le braccia dello sconosciuto amante, un giovane
che le aveva eccitato l’animo fin da quando l’aveva incontrato sull’Olimpo.
Quasi trasportata da una musica silenziosa, la donna si fece distendere sul
pavimento, accogliendo il corpo dell’uomo sopra di lei. Dentro di lei.
Il secondo assalto al Grande
Tempio fu guidato da Eos, Dea dell’Aurora, e dai suoi figli, i quattro
venti: Zefiro, Austro, Borea ed Euro. Ma il piano di Eos fallì, grazie
all’ultima difesa di Atena: le dodici costellazioni dello Zodiaco iniziarono a brillare e da
ognuna di loro partì un raggio luminoso diretto verso la Dea dell’Aurora, e la
stessa cosa accadde da ognuna delle Dodici Case. Eos si trovò nel mezzo,
trapassata da ventiquattro raggi luminosi, caldi come il sole, lucenti come il
firmamento.Zefiro e Austro
incontrarono l’inaspettata resistenza di Birnam, che morì per difendere
gli abitanti del Grande Tempio. Borea si scontrò con Tisifone e Asher,
che dimostrarono una tenace resistenza di fronte ad un nemico infinitamente più
potente di loro. In aiuto della Sacerdotessa dell’Ofiuco arrivò l’Armatura
d’Oro del Cancro, che le diede nuovo impeto per fronteggiare il suo avversario,
fino all’arrivo di Pegasus e Andromeda.I due
amici affrontarono Eos, disquisendo con lei sul potere dell’amore, il più
grande motore dell’animo umano, e riuscendo a sconfiggerla, mentre il loro
cosmo bruciato al massimo risvegliò le Armature Divine, che dopo la fine della
Guerra Sacra erano regredite ad Armature di Bronzo. Un aiuto inaspettato venne
dalla titubanza di Euro, Vento dell’Est, grande ammiratore delle eroiche
gesta ateniesi.
“Siete degni della
vostra fama, Cavalieri di Atena!” –Aveva esclamato Euro, prima di volare via.
–"Ma fate attenzione! Non tutti gli Dei dell’Olimpo saranno così
accondiscendenti nei vostri riguardi!"
Appresa la verità
su Atena, Pegasus decise immediatamente di correre sull’Olimpo, per liberare l’amata Dea, seguito da Andromeda, Castalia,
Tisifone, Ilda, Mizar e Alcor, ma il loro cammino fu bloccato prima dai Giganti
di Pietra, Custodi del Monte Sacro, e poi da Bronte del Tuono di
fronte al Cancello dell’Olimpo. Il nuovo scontro tra i due vide Pegasus
vincitore, con l’aiuto di Micene che sempre vegliava su di lui. Questo permise
a Castalia, Tisifone e Andromeda di iniziare la scalata dell’Olimpo, ma presto
i tre Cavalieri vennero divisi da una nebbia sospetta, che limitò i loro sensi
e le proprie percezioni. Castalia e Tisifone vennero attaccate con dardi
avvelenati dai Cacciatori di Artemide e la prima fatta prigioniera e condotta
alla Caverna del Bosco di Artemide dove la Dea risiedeva. Profondamente
irata dalla repressione del suo lato femminile, Artemide tentò di uccidere
Castalia che venne inaspettatamente salvata da Phantom dell’Eridano Celeste,
suscitando la collera della Dea. Nello scontro tra i due Phantom fu ferito a
una spalla dal pugnale avvelenato di Artemide e si salvò grazie all’intervento
di Morfeo. Era stato il Dio dei Sogni infatti a pregarlo di condurre un
Cavaliere di Atena nelle sue stanze, titubante su una guerra ingiusta, a suo
parere condotta soltanto per la volontà di dominio dei figli di Ares, Flegias e
Issione, che stavano manipolando la mente di Zeus.
“I
figli di Ares seminano discordia!” –Sussurrò Morfeo. –“Per colpa loro l’Olimpo
si sta tingendo di sangue! Non odi le grida dei corvi, estasiati per
banchettare con nuovo cibo, fresche carni di giovani Cavalieri? Non senti
l’accendersi impetuoso di cosmi lungo la via che conduce alla Reggia di Zeus?
Le verdeggianti distese della nostra terra sono infangate da una guerra che non
dovrebbe essere combattuta, e tu, Luogotenente dell’Olimpo, dovresti saperlo
meglio di chiunque altro! Tu che hai passato anni ad ammirare le eroiche gesta
dei Cavalieri di Atena, di quei giovani che più volte hanno rischiato la vita
per difendere la Terra dalle forze dell’Oscurità!”
“Sono
d’accordo con te, Dio dei Sogni! Ma io sono soltanto un soldato! E non sono
colui che comanda sull’Olimpo!” –Commentò Phantom, separandosi dal Dio.
“E chi comanda
davvero?” –Domandò infine Morfeo, con un filo di voce. –“Chi muove i fili di
quest’orrida commedia degli inganni?”
Tisifone
intanto fu fermata da Atteone, il più valente Cacciatore di Artemide, e
per batterlo dovette dare fondo a tutte le sue energie, riuscendovi grazie alla
protezione e al cosmo dorato dell’Armatura del Cancro. Andromeda uscì indenne
dal Bosco Sacro, per ritrovarsi invece in una radura dove Castore e Polluce,
i Dioscuri, figli di Zeus, lo stavano aspettando. Sicuri di una facile
vittoria sull’efebico Cavaliere, i due Cavalieri Celesti sottovalutarono il
nemico, venendo travolti dalla furia della Nebulosa
di Andromeda. Sconfitti i Dioscuri, Andromeda venne attirato da un
motivetto suonato da uno strano essere: Pan, Dio dei Boschi e delle
Selve, incaricato dal suo Signore, il Dio Dioniso, di condurre il
Cavaliere al suo vigneto. Là Andromeda si ritrovò ad essere usato nel rito
orgiastico del folle Dio del Vino e fu salvato soltanto dall’intervento
inaspettato di Euro, il Vento dell’Est.
Nel
frattempo Cristal e Flare avevano raggiunto la vera Asgard, passando sopra
Bifrost, il Ponte-Arcobaleno, custodito dal Dio Heimdall. Alla corte di Odino,
Signore degli Asi, avevano ritrovato i Guerrieri del Nord morti durante la
Guerra del Nibelungo, Orion e Artax, elevati per le loro eroiche gesta al rango
di einherjar, destinati ad uscire dal Valhalla durante il Ragnarok e combattere
per l’ultima volta. Cristal spiegò le motivazioni che lo avevano spinto così
lontano, le vibrazioni che sentiva dentro di sé, le stesse che anche il Dio, e Freyr,
suo Consigliere, sentivano da giorni. Per trovare la soluzione a ciò Cristal
venne inviato nel Niflheimr, il
Regno delle Nebbie presieduto da Hel, la Divinità della Morte,
un’immensa distesa di ghiaccio da cui provenivano tali vibrazioni, accompagnato
da Orion e da Artax. I tre Cavalieri furono costretti ad
affrontare gli Hrimthursar, i Giganti del Ghiaccio, e poi Hel stessa,
nel suo castello di Helgaror. Nelle prigioni del castello Cristal ritrovò,
prigionieri in un muro di ghiaccio, i Cavalieri d’Oro apparentemente scomparsi
a causa del crollo del Muro del Pianto: Mur, Ioria, Virgo,
Libra e Scorpio. Affrontò Megrez, vendutosi a Hel, e li
liberò, prima di innescare la battaglia finale con Hel e scoprire la verità
sulla missione di Orion e Artax. I due erano stati infatti incaricati da Odino
di liberare Balder, suo figlio, prigioniero a Helgaror, approfittando
della necessità, e quindi dell’aiuto, di Cristal di scendere nel Niflheimr. Su
pressante richiesta di Flare, intanto, che ricordò al Dio il debito di
riconoscenza verso i Cavalieri di Atena, che avevano liberato Ilda dall’Anello
del Nibelungo, Odino armò il proprio esercito e marciò su Helgaror, aiutando
Cristal a sconfiggere Hel. La Dea venne intrappolata nel ghiaccio, ma l’ultimo suonò che riuscì a pronunciare colpì
in pieno Odino, trafiggendolo come una spada affilata. Fu un sibilo,
impercettibile per chiunque, tranne che per il Dio: Ragnarok. E più non
parlò.
Rientrati ad
Asgard e curate le ferite dei Cavalieri d’Oro, Cristal e i suoi compagni si
prepararono a rientrare in Grecia, avvisati da Freyr di un conflitto scoppiato
sull’Olimpo. Per riconoscenza per averlo salvato, Balder fece forgiare
nuovamente le Armature d’Oro andate distrutte nell’Elisio: quella del Leone,
della Bilancia e della Vergine, e fece rafforzare le corazze dell’Ariete e
dello Scorpione dai Giganti di Muspellheimr, la terra delle Fiamme. A Cristal,
Orion fece dono di Gramr, la spada con cui uccise il drago Fafnir. Heimdall
condusse i sei Cavalieri di Atena sul Ponte-Arcobaleno, allungandolo fino a
lambire le pendici meridionali del Monte Olimpo, dove li depositò, prima di
scomparire. Là Mur ritrovò il fratellino Kiki, che lo avvisò che pochi minuti
prima un gruppo di Cavalieri Celesti aveva disceso il Sacro Colle, armati di
tutto punto. Virgo decise di seguire la scia dei loro cosmi, portando Kiki con
sé, mentre Cristal, Mur, Ioria e Milo si lanciarono verso la Reggia di Zeus.
Virgo e Kiki raggiunsero il Tempio di Poseidone, sotto il
Mar Mediterraneo, dove una furiosa battaglia era in corso. Ermes infatti era
stato incaricato da Flegias di recuperare il Vaso in cui Atena aveva rinchiuso
lo spirito del Dio dei Mari ma aveva trovato Syria delle Sirene, ultimo
dei sette Generali, ad opporre strenua resistenza. Per quanto avrebbe preferito
evitare quel conflitto, con quel musico che tanto stimava, Ermes fu costretto
ad affrontarlo, e lo avrebbe vinto se non fosse stato per l’intervento di
Virgo, e per le parole dolci di Syria, che unite alla sua musica di flauto
risvegliarono la razionale coscienza del Dio, inducendolo a rinunciare
all’impresa.
Sull’Olimpo intanto Ilda, Mizar e Alcor furono fermati da
una pattuglia di Cavalieri Celesti, guidati da Issione, figlio di Ares, che
impegnò Ilda direttamente in battaglia. In soccorso della Celebrante arrivò
l’Armatura della Valchiria, che le permise di tenere momentaneamente testa al
figlio di Ares, prima dell’intervento, in suo soccorso, di Cristal e dei
Cavalieri d’Oro.Zeus richiamò allora
gli spiriti dei tre Giudici Infernali, Radamantis di Wyburn, Aiace di
Garuda e Minosse del Grifone, inviandoli contro i Cavalieri di
Atena, insieme a Sterope del Fulmine e ad altri Cavalieri Celesti. Di fronte al
Tempio dell’Amore si svolse la grande battaglia che vide Ioria contro
Radamantis, Mur contro Aiace e Scorpio contro Minosse, e la vittoria dei tre
Cavalieri d’Oro. Cristal, su ordine di Mizar e Alcor, fuggì con Ilda, per
metterla in salvo, mentre le due tigri affrontavano Sterope, cadendo in quella
battaglia sanguinolenta. All’interno del Tempio dell’Amore, dove Cristal e Ilda
cercarono rifugio, scoppiò lo scontro più violento della guerra, che vide il
Cavaliere di Atena contrapposto ad Eros, Dio delle Forze Primordiali,
capace di contrastare il potere dei ghiacci eterni. In soccorso di Cristal
giunse Shaka di Virgo, costretto dal Dio a ricordare gli errori del suo
passato e il senso di colpa per la morte di Ana, Cavaliere del Pittore,
una delle sue allieve, ma anch’egli da solo non riuscì a sconfiggerlo. Fu
necessario lanciare l’Urlo di Atena, assieme a Mur e Scorpio, per averne
ragione.
Dohko della Libra nel frattempo aveva raggiunto i
Cinque Picchi, informato da Freyr dell’attacco dei Ciclopi, ed era riuscito a
ritrovare Sirio, piuttosto malconcio, naufragato
sulla riva del fiume. La sua felicità fu di breve durata perché dovette
affrontare due Cavalieri Celesti, mentre Sirio, ripresosi, impegnava battaglia
e sconfiggeva da solo un terribile avversario: Arge lo Splendore,
custode della Spada del Fulmine. Riposatisi, i due raggiunsero l’Olimpo, in
tempo per aiutare Cristal al Tempio dei Mercanti, impegnato contro Efesto,
Afrodite ed Ermes, una vecchia conoscenza di Libra, a cui il Cavaliere aveva
salvato la vita durante la Guerra Sacra contro Ade nel 1743. Lo scontro tra i
tre Cavalieri e le tre Divinità fu però interrotto dall’arrivo violento di due
impetuosi cosmi ardenti, quelli dei figli di Ares: Phobos, Dio della Paura,
e Deimos, Dio del Terrore, incaricati da Flegias e dallo stesso Zeus di
sterminare tutte le Divinità dell’Olimpo. Pan, Dioniso, Estia, Ebe, gli stessi
Efesto ed Afrodite furono sgozzati dall’attacco sanguinario dei figli di Ares,
un attacco che nessuno aveva preventivato. Anche Artemide, nel Bosco Sacro,
venne assalita, ma in suo soccorso giunse Phantom dell’Eridano Celeste,
recatosi da lei per saldare il suo debito, riuscendo a far desistere Phobos e
Deimos dall’impresa. Tutto questo fece sospettare sia Artemide che Ermes,
spingendoli ad una tregua con i Cavalieri di Atena, e a farli correre da Zeus,
per avere chiarimenti al riguardo. Anche Ioria, che era corso in aiuto di
Castalia ed aveva affrontato Phantom dell’Eridano Celeste dietro al Tempio del
Sole, Castalia e Phoenix, che aveva vinto Issione dopo aver scoperto la
tremenda verità sul suo conto, raggiunsero gli amici.
Nella
Sala del Trono i dodici Cavalieri (Sirio, Cristal, Libra, Castalia, Ioria,
Phoenix, Tisifone, Phantom, Andromeda, Mur, Scorpio e Virgo) e le due Divinità
superstiti, Ermes e Artemide, affrontarono Flegias, accusandolo di aver
sedotto Zeus, inquinando la sua mente con malefici consigli, ed attribuendogli
la colpa della guerra scoppiata contro Atena. Dal canto suo Flegias tenne loro
abilmente testa, prima di scomparire misteriosamente, lasciando i presenti
attoniti, di fronte ad una barriera cosmica formata dai cosmi delle Divinità
uccise. Una barriera che proteggeva la parte ultima dell’Olimpo ed impediva ai
Cavalieri di raggiungere la Torre del Fulmine, ai piedi della quale Pegasus
stava già combattendo.
Il
ragazzo infatti aveva ricevuto istruzioni da due pastori riguardo una via
segreta per raggiungere la vetta dell’Olimpo, una via che passava proprio
attraverso la montagna. Pegasus l’aveva seguita ed era giunto ai piedi della
Torre del Fulmine, tentando di liberare Isabel, ma l’improvviso arrivo di Zeus
aveva determinato l’inizio del loro scontro, che sembrava volgere a sfavore del
ragazzo. Presto fortunatamente anche Sirio e gli altri Cavalieri giunsero ad
aiutare Pegasus, e Ermes e Artemide chiesero al Dio spiegazioni sui figli di
Ares. Ma la risposta di Zeus tolse loro ogni dubbio.
“Il
sacrificio degli Dei si è reso necessario!” –Commentò infine. –“La loro energia
è stata per me fonte di nutrimento, permettendomi di erigere una barriera
capace di ritardare l’avvento dei Cavalieri di Atena. E liberandomi inoltre da
scomodi rivali.”
“Come?!”
–Chiese Ermes, non comprendendo realmente le parole del Dio.
Ma
questi più non parlò, limitandosi a scagliare folgori incandescenti contro
Ermes e Artemide, che furono travolti e scaraventati lontano, mentre il Dio
sogghignava maliziosamente. Un enorme cosmo esplose poco dopo, invadendo
l’intero spiazzo ai piedi della Torre Bianca; un’immensa massa di energia che
aveva nell’uomo di fronte a loro il suo baricentro. Incredibilmente le sue
forme mutarono, cambiando aspetto e rivelando un viso che alcuni tra i presenti
già conoscevano, mentre sopra di lui apparve la sua vera Veste Divina, che si
scompose e andò a ricoprire il corpo della possente Divinità. Crono, figlio
di Gea e di Urano e Signore del Tempo. In mezzo allo stupore dei presenti
apparve nuovamente Flegias, colui che aveva liberato Crono dopo la sconfitta
inflittagli dai Cavalieri d’Oro otto anni prima ed aveva complottato il piano
per sbarazzarsi contemporaneamente di Atena e di Zeus.
“Flegias
giunse sull’Olimpo, facendosi accogliere da quel vecchio citrullo di Zeus e
ottenendo presto i suoi favori!” –Raccontò Crono. –“Ma io giunsi con lui, sotto
forma di spirito, nascosto nel suo cuore malato, e pronto a portare la
distruzione sul Monte Sacro! Fu facile prendere Zeus di sorpresa, travolgerlo
con un attacco congiunto, al quale parteciparono anche i figli di Ares, Phobos
e Deimos! E il suo corpo venne risucchiato in un’altra dimensione, grazie al
mio Strappo nel Cielo! In quel momento, Flegias, forte di un potere che
non avrei mai sospettato che possedesse, innalzò lo Scudo di Ares, il
mistico sigillo che avrebbe dovuto raccogliere tutte le energie del Monte Sacro
e convogliarle verso la Pietra Nera, oscuro talismano di ignota origine che
mise al mio collo, nascondendo il tutto da una fitta coltre di scure nuvole, in
grado di limitare anche le capacità sensoriali degli abitanti dell’Olimpo!”
Ma
Flegias tradì il patto con Crono, togliendo la pietra nera dal suo collo,
recuperando l’energia immagazzinata da essa e fuggendo via. Virgo si precipitò
quindi sulle sue tracce, lasciando Mur e gli altri a combattere con Crono. Lo
scontro fu tremendo e persino le Armi di Libra sembrarono inefficaci, ma in
quel momento di disperazione Pegasus e i suoi quattro compagni, memori delle
battaglie precedenti per salvare l’umanità, bruciarono al massimo i loro cosmi,
riuscendo a ferire il Dio. Il ritorno di Zeus, e di Era, sua moglie, al
suo fianco, invertì le sorti della battaglia e Crono venne risucchiato dal suo
stesso Strappo del Cielo, ponendo fine a quell’atroce guerra,
completamente sbagliata. Zeus, onorato di aver combattuto al fianco di uomini
nobili, e dispiaciuto per la morte dei suoi Cavalieri Celesti e delle Divinità
a lui fedeli, usò il suo potere per far risorgere l’Olimpo, per riportarlo agli
antichi fasti, grazie all’aiuto di Ermes, Phantom e dei Cavalieri di Atena.
Ma
la pace era lunga a venire, poiché Flegias altro progettava da tempo. Aveva
usato infatti il potere della Pietra Nera per far tornare suo padre, Ares,
Dio della Guerra, e i suoi due fratelli sulla Terra, risvegliando il
possente esercito dei Bersekers, in cui molti altri figli di Ares militavano.
La guerra che ne seguì fu altamente violenta, combattuta con tattiche sleali e
con tutte le oscure energie che la Pietra Nera poteva mettere a disposizione di
Ares e dei suoi figli. Il Grande Tempio di Atena venne occupato; Ban, Geki,
Lupo e Aspides massacrati; soltanto Asher si salvò, grazie a Kiki che lo
teletrasportò sull’Olimpo, dove riferirono tutto a Zeus e ai Cavalieri di
Atena, che lì si erano fermati per rimarginare le loro ferite.
Senza
esitazione, Pegasus, Sirio, Phoenix e Andromeda si lanciarono in una nuova
avventura, per riprendere possesso del Grande Tempio che ad Atena apparteneva e
che Ares aveva infangato. Efesto, sopravvissuto come Demetra, Castore, Polluce
e Ganimede al massacro dei figli di Ares, riparò le Armature Divine con il
mithril, rendendole più resistenti, desideroso di vendetta nei confronti dei
figli di Ares che avevano ucciso la sua bella Afrodite. Arrivati al Grande
Tempio, Pegasus e gli altri trovarono le teste di Ban e gli altri affisse su
picche insanguinate, e non poterono trattenere le lacrime di fronte a tale
orribile spettacolo. Flegias apparve in un turbine di demoniache fiamme,
spiegando loro che Ares li stava aspettando alla Tredicesima Casa, insieme a
persone a loro care. Il sospetto che Ares avesse rapito, e forse ferito, Fiore
di Luna, Nemes e Patricia fece adirare ed inquietare Pegasus e gli altri, ma
Phoenix li pregò di mantenere la calma, per quanto difficile ciò potesse
essere. Detto questo i quattro amici si lanciarono in una nuova Corsa
attraverso le Dodici Case dello Zodiaco.
Come
Eracle nel mito, così Pegasus e i suoi compagni furono costretti ad affrontare
Dodici Fatiche. Alla prima Casa trovarono l’Idra di Lerna, che impegnò in
combattimento Phoenix e Andromeda, mentre Sirio sconfiggeva il Guerriero
dell’Idra di Lerna. Alla seconda Casa Pegasus vinse facilmente il Leone
di Nemea e il corrispondente Guerriero, venendo però fermato alla Terza
dagli inganni della Cerva di Cerinea. Fu Phoenix ad affrontarla e a
vincerla, grazie all’aiuto del vecchio amico Morfeo, prigioniero insieme alle
altre divinità uccise in qualche lontano limbo sconosciuto. Alla Quarta Casa
Andromeda sconfisse il Guerriero del Cinghiale di Erimanto, mentre alla
Quinta Sirio fu duramente provato dal confronto con Diomede, uno dei
figli di Ares, potente guerriero e spietato. Alla Sesta Casa i Cavalieri
incontrarono un’inaspettata difficoltà a causa dei subdoli trucchi fangosi di Augia,
ma in loro soccorso arrivò Cristal, che sconfisse il Guerriero di Ares,
permettendo agli amici di raggiungere la Palude di Stinfalo, alla Settima Casa.
Là Andromeda fu gravemente ferito dal Custode, il Guerriero di Stinfalo,
ma riuscì comunque a vincerlo. All’Ottava Casa Pegasus ebbe ragione del Guerriero
del Toro di Creta, mentre alla Nona Phoenix conobbe la Regina delle
Amazzoni, Ippolita, una donna non troppo convinta di combattere, ma
obbligata per la riconoscenza che la legava ad Ares, che si era offerto di far
risorgere Themiskyra,
l’antica città delle Amazzoni sul Mar Nero. Phoenix riuscì a vincerla e a darle
una nuova ragione per combattere, e per unirsi a loro.
Gli ostacoli maggiori arrivarono alle ultime tre
Case: alla Decima, custodita dal Gigante Gerione, Pegasus e i suoi
quattro amici, stanchi per aver combattuto nelle nove ore precedenti, non
riuscirono ad andare oltre. Ma in loro aiuto giunsero Scorpio e Libra, e fu
proprio quest’ultimo, insieme al discepolo ed amico Sirio il Dragone, ad
affrontare e vincere Gerione. All’Undicesima, il Giardino delle Esperidi,
Scorpio abbatté Licaone, mentre Cristal fu duramente stremato dallo
scontro con il possente serpente Ladone. In tale battaglia ricevette
l’aiuto del Cavaliere di Scorpio, ma entrambi ne uscirono molto deboli, esposti
alla mercè del rinnovato assalto di Flegias. Il figlio di Ares arrivò con il
suo cosmo demoniaco ed uccise Scorpio, trafiggendo il suo cranio con la Spada
Infuocata. Cristal tentò di vendicarlo ma troppo debole sarebbe morto se
Sirio e Dohko non fossero intervenuti per salvarlo. Lo scontro tra Flegias e i
tre Cavalieri, che usarono persino il colpo proibito, l’Urlo di Atena,
distrusse parte della Collina della Divinità, lasciando i Cavalieri deboli e
riversi al suolo, insicuri sulla sorte del loro nemico, che sembrava veramente
immortale.
Alla Dodicesima Casa intanto Phoenix affrontava Deimos,
Demonizzazione del Terrore, aiutato da Ippolita, che non esitò a ribellarsi
ad Ares per salvare l’uomo che aveva risvegliato la sua vera essenza di donna,
facendole capire cosa le mancava: l’amore. Deimos la uccise con lo Strage di
Spirito e Phoenix furioso lo massacrò. Fuori dalla Tredicesima Casa
Andromeda affrontò e vinse, con grande fatica, l’ultimo figlio di Ares: Phobos,
Divinizzazione della Paura, mentre Pegasus raggiungeva quelle che un tempo
erano le Stanze del Grande Sacerdote per affrontare Ares. Lo scontro tra i due
fu tremendo, la furia battagliera del Dio della Guerra era altissima e fu
necessario l’intervento di tutti i quattro amici, e di Dohko di Libra, per
riuscire a contrastarla. Improvvisamente però, nel pieno dello scontro, un
fascio di luce nera, proveniente dal soffitto distrutto, investì Ares in pieno
e subito, all’interno del raggio di luce, la figura del Dio iniziò a
scomparire, venendone assorbita, davanti agli occhi sgranati dei Cavalieri di
Atena. Istintivamente si voltarono verso l’ingresso della Tredicesima Casa, e
là, tra le rovine del Tempio, Flegias, il Rosso Fuoco sogghignava loro
con perfidia e violenza. Si tastò il collo, sfiorando con le dita una pietra
nera che indossava, prima che un’abbagliante luce, nera come la notte, lo
avvolgesse.
“L’apocalisse sta per arrivare! E tutti voi sarete
travolti!” – E scomparve, lasciando i Cavalieri stupefatti e sconvolti.
All'improvviso, mentre Pegasus e gli altri si chiedevano cosa stesse accadendo,
Dohko, disteso in terra vicino a loro, iniziò ad avere violente convulsioni,
quasi spasmi irrefrenabili.
“L’ombra!!! La grande ombra… sta scendendo su di
noi! Ci oscurerà!!! L’eclissi, il Sole, tutto si spegnerà quando calerà
l’inverno!!!” –Esclamò Dohko, smaniando convulsamente, di fronte agli occhi
preoccupati dei cinque amici.
Nel frattempo, mentre i
Cavalieri combattevano al Grande Tempio, il grosso dell’esercito di Ares
marciava sull’Olimpo, guidato da Phobos e Deimos e dagli altri figli bastardi
del Dio della Guerra. Orribili mostri furono risvegliati, vecchi fantasmi
tornarono a muoversi tra le ombre del mondo, assalendo lo splendore del Monte
Sacro, alla cui difesa si riunirono tutti i Cavalieri e le Divinità
sopravvissute: Giasone e i Dioscuri, aiutati da Demetra, Dea delle
Coltivazioni, fermarono Kampe, terribile bestia che aveva sgominato
i Giganti di Pietra, abbattendo il Cancello dell’Olimpo. Stanchi e stremati i
Dioscuri vennero attaccati da Cicno, Brigante di Anime, e solo
l’intervento di Mur li salvò. Giasone fu costretto ad affrontare due
vecchi compagni, figli di Ares, con cui aveva veleggiato verso la Colchide, Ascalafo
del Mazzafrusto e Ialmeno dell’Anfesibena, il cui odio per l’antico
amico era stato alimentato e incrementato da Ares, e la sua antica amante, Medea,
ma riuscì a salvarsi, aiutato da Phantom. Ares risvegliò persino Tifone,
incaricando Flegias di liberarlo dalla prigionia dell’Etna, e Zeus, per
contrastarlo, fu costretto a risvegliare i tre Ecatonchiri, Gige, Cotto e
Briareo, pregandoli di difendere l’Olimpo. Tutti e tre crollarono, come
molti Cavalieri Celesti e tutti i bersekers, e la battaglia finale si combatté
sulla cima dell’Olimpo tra Tifone e tutti i Cavalieri e le Divinità
sopravvissute: Mur, Kiki, Asher, Tisifone, Artemide, Ermes, Euro, Efesto,
Atena, Ganimede, Phantom e Zeus, al cui fianco comparve l’Ultima Legione.
Secoli prima infatti, dopo la
Guerra di Britannia, Zeus aveva ottenuto il permesso dal Signore dell’Isola
Sacra di nascondere una Legione di Cavalieri Celesti a Glastonbury, con il
compito di difendere l’Isola, rafforzando l’alleanza con Avalon, e al tempo
stesso per prepararsi in gran segreto all’ultima guerra. Ascanio del
Pendragon, antico allievo del Maestro dei Cinque Picchi, fu nominato
tredici anni prima Comandante dell’Ultima Legione e fu lui a guidare l’esercito
alla difesa dell’Olimpo, dopo essere stato contattato da Phantom, su incarico
di Zeus.
Ma Ascanio non fu l’unico nuovo
personaggio che i Cavalieri di Atena conobbero in questa guerra. In aiuto della
giustizia intervenne anche Reis, Cavaliere delle Stelle, Custode della Spada
di Luce, uno dei sacri talismani del Mondo Antico, che aiutò Ioria nello
scontro con la terribile Enio, Dea della Strage, dopo che il Cavaliere
di Leo era stato massacrato da Ares per salvare Virgo. E questo fece riflettere
Castalia sui sentimenti che provava per Ioria e su quelli che il ragazzo
sembrava provare per Reis, una donna che quattordici anni prima gli aveva
salvato la vita nella Guerra d’Egitto. Un misterioso aiuto lo ricevette anche
Cristal, quando venne assalito da un gruppo di bersekers in Siberia, guidati da
Enio, incaricati di cercare Jacov e far uscire il Cigno allo scoperto.
L’aiuto di un uomo rivestito da una splendida armatura azzurra, dall’aria
regale, quasi angelica.
Infine, mentre la Grande Guerra
era in corso al Grande Tempio e sull’Olimpo, una pattuglia di bersekers venne
incaricata di rapire Nemes, Sacerdotessa del Camaleonte, e Patricia,
sorella di Pegasus, ma in aiuto della ragazze intervenne un misterioso
Cavaliere, ricoperto da una lucente armatura dorata, che eliminò in un colpo
solo i guerrieri di Ares, portando al sicuro le due, nascondendole in una
caverna sotterranea insieme a Fiore di Luna. In quel luogo, celato agli occhi
degli Dei e dei Cavalieri, rimasero al sicuro dalle mire assassine del Dio
della Guerra, fino al termine della stessa, in cui furono riportate alle
rispettive abitazioni.
Una porta si aprì lentamente
nella caverna sotterranea e lo spostamento d’aria fece oscillare la debole
fiamma della candela sulla scrivania, interrompendo il viaggio nel passato
dell’Antico Saggio.
“State ancora scrivendo,
venerabile Saggio?” –Domandò una giovane voce maschile, avvicinandosi allo
scrittoio.
“Proprio così, Jonathan!”
–Rispose l’uomo. –“Non voglio che le memorie di questi tempi vadano perdute! Ma
che diventino cronaca di ciò che è stato, affinché coloro che verranno dopo di
noi sappiano cosa è accaduto!”
“Voi…” –Mormorò Jonathan.
–“Credete davvero che ci sarà qualcuno… dopo di noi?”
L’anziano Saggio non rispose,
tastandosi la lunga barba bianca. Spostò lo sguardo sulla pergamena scritta
finora, sulle antiche rune usate per narrare quello che accadde, sul sigillo a
forma di A che sovrastava la pagina, e sospirò.
Castalia uscì in fretta dalla doccia, asciugandosi i folti capelli
arancioni davanti allo specchio. Aveva una pelle morbida e vellutata, per
quanto non dedicasse eccessiva attenzione alla cura estetica del corpo, un seno
sodo e due belle gambe slanciate, risultato dei lunghi anni di addestramento e
dell’esercizio fisico che tuttora non si faceva mai mancare. Per un momento si
perse nello sguardo della ragazza che comparve di fronte allo specchio, e lo
trovò spento. Quasi come le mancasse una luce, un motivo per andare avanti.
Sospirò, colpevolizzandosi per quei pensieri che la distraevano dalla sua
missione principale, e si preparò in fretta, indossando i suoi abiti,
l’armatura di cuoio e di rame che utilizzava durante l’addestramento e la
maschera da Sacerdotessa.
La mia prigione! Pensò, indossandola e coprendo così il volto in cui si
era specchiata in quei pochi minuti dedicati a se stessa. Il volto che nessuno
aveva mai visto, ad eccezione di due uomini che Castalia aveva sentito molto
vicini. Per quanto adesso di uno non avesse più notizie, e dall’altro fosse
stata costretta a separarsi momentaneamente, impegnato in missione per conto
del Sommo Zeus. Il primo era suo fratello, di cui aveva perso le tracce anni
addietro, quando aveva abbandonato Nuova Luxor per andare in Grecia e divenire
una Sacerdotessa. Il secondo era Phantom dell’Eridano Celeste, il Luogotenente
dell’Olimpo, a cui la donna si era unita qualche mese prima, durante la guerra
tra Atene e il Monte Sacro, gettando via tutti i dubbi e rimpianti che
riguardavano il terzo uomo della sua vita, quello che per molti anni avrebbe
voluto considerare l’unico: Ioria, Cavaliere di Leo. Sbuffando, Castalia uscì
dalla piccola casa del Grande Tempio dove abitava con Tisifone, nella zona
dedicata agli alloggi delle Sacerdotesse, sbattendo la porta dietro di lei e
trovandosi di fronte proprio la Sacerdotessa del Serpentario.
“Castalia!” –Esclamò Tisifone,
stupita nel vederla così agitata. –“Stavo venendo a chiamarti! È l’ora della
tua lezione!” –Aggiunse, indicando il campo di allenamento delle Sacerdotesse
che sorgeva poco distante, dove tutti i giorni Castalia e Tisifone addestravano
le loro allieve ai rudimenti del cosmo. Non erano molto numerose attualmente,
poiché la maggioranza era stata barbaramente uccisa mesi prima, durante
l’attacco di Flegias e dei bersekers di Ares al Grande Tempio. Ma le poche che
erano riuscite a salvarsi, nascondendosi nelle grotte e negli anfratti interni
della Collina della Divinità, non avevano perso la determinazione e la volontà
di continuare a servire Atena, impegnandosi con uno slancio persino maggiore di
quello che avevano dimostrato in precedenza.
“Sono pronta, Tisifone! Perdona
il mio ritardo!” –Affermò Castalia, con aria distante.
“Ti vedo distratta! C’è qualcosa
che ti preoccupa, Castalia?!” –Domandò Tisifone, scrutando la compagna con
apprensione. –“Ci sono stati diverbi in passato tra di noi, e anche aperta
ostilità! Ma grazie alla buona volontà di entrambe siamo riuscite a superare
quei momenti, gettandoli indietro, e a stabilire un sereno rapporto! Perciò, se
hai bisogno di confidarti con qualcuno, riguardo a qualche pensiero che ti
turba, sappi che sono a tua disposizione! Non farti problemi con me!”
“Ti ringrazio per il pensiero,
Tisifone! Ma non è un peso che posso permettermi di scaricare su altri!”
–Commentò Castalia con un sospiro, prima di sollevare lo sguardo e dirigerlo
verso settentrione, verso la Collina della Divinità, ove si stagliavano nel
sole del mattino le Dodici Case dello Zodiaco e la residenza della Dea Atena.
“Si tratta di Ioria, non è
vero?” –Esclamò Tisifone, avvicinandosi alla compagna, che subito si voltò
zittendola, cercando di divincolarsi da quella conversazione scomoda. –“L’ho
notato, sai, che non vi parlate più! Non vi siete più parlati da quando siete
tornati dalla Tessaglia, il giorno dell’assalto di Ares all’Olimpo! Cos’è
successo, Castalia? Perché sento così tanto dolore nel tuo cuore di donna?!”
“Il mio cuore appartiene ad
Atena, Tisifone! Dovresti saperlo, poiché anche tu sei una Sacerdotessa
Guerriero, proprio come me, ed entrambe abbiamo destinato alla Dea della
Giustizia la nostra vita, e tutti i nostri sentimenti, precludendoci qualsiasi
altra forma di amore!” –Commentò Castalia.
“Ciò non toglie che siamo pur
sempre donne, e come tali capaci di amare in maniera meravigliosa!” –Rispose
Tisifone, con una certa tristezza nel cuore. –“È sbagliato, lo so! Ma è anche
umano! E non si può chiedere ad un uccello di smettere di volare!”
“Ogni tanto… vorrei davvero
essere un uccello… essere un’aquila! Così, forse, sarei finalmente libera!”
–Mormorò Castalia, mentre Tisifone le metteva una mano sulla spalle
sorridendole. E lasciò la mente libera di volare lontano dalla casa delle
Sacerdotesse, lontano dal Grande Tempio, lontano da quello stesso cielo che
anche Ioria del Leone fissava in quel preciso momento.
In piedi, sulla rampa di scale
che dalla Quinta Casa dello Zodiaco conduceva alla Sesta, il Cavaliere d’Oro,
rivestito dalla sua corazza di cuoio, impiegata per gli usi quotidiani, si era
fermato per un momento, ad osservare il cielo terso di quel mattino di
settembre.
“Dove devo portarla questa?!”
–Domandò una squillante voce maschile, distraendo Ioria dai suoi pensieri. Il
Cavaliere di Leo si voltò e trovò Asher dell’Unicorno qualche scalino
sotto di lui, che portava una colonna di marmo sulle spalle, stanco e sudato.
“Alla Sesta Casa! Abbiamo ancora
molto da lavorare per farla tornare al suo antico splendore!” –Commentò Ioria,
dando le spalle al ragazzo e incamminandosi, anch’egli con una colonna sulla
spalla destra, lungo la scalinata delle Dodici Case.
“Metti un grande impegno nella
riparazione della Casa della Vergine!” –Commentò Asher, seguendo Ioria lungo la
scalinata. –“Sono tre giorni che portiamo materiali da costruzione alla Sesta
Casa! E non abbiamo ancora iniziato a sistemare le case superiori! La settima
poi è un immenso pantano! E la decima è da ricostruire totalmente! Maledetto
Ares!!!”
“Ce ne occuperemo quando avremo
finito alla Sesta Casa!” –Tagliò corto Ioria, giungendo nel piazzale antistante
ad essa. –“Forse non saremo in grado di ricostruire lo splendore delle statue e
degli arazzi che ornavano questa magione, né di far crescere nuovamente i
profumati fiori del Giardino di Sala, ove niente è rimasto se non i due alberi
sotto i quali Buddha morì, ma faremo tutto ciò che è nei nostri poteri e nelle
nostre possibilità per onorare al meglio la memoria di colui che un tempo abitò
tra queste quattro mura!”
“Sembra quasi che tu abbia un
motivo personale per ricostruire questa Casa, Ioria!” –Commentò Asher,
poggiando a terra la colonna che portava con sé. –“Qualcosa che va al di là
della tua indiscussa fedeltà ad Atena!”
“Sia chiara una cosa, Asher!”
–Esclamò Ioria, depositando la sua colonna e voltandosi con foga verso
Unicorno. Lo afferrò per la maglietta bagnata di sudore, sollevandolo da terra
e fissandolo negli occhi. –“Non sono tenuto a giustificare i miei comportamenti
con nessuno! Tanto meno con un Cavaliere di Bronzo!”
“S... scusami!” –Balbettò Asher,
intimidito da quell’improvviso attacco di ira di Ioria, che, accortosi di
essere stato troppo irruento, lo depositò nuovamente a terra, dandogli le
spalle e incamminandosi verso l’ingresso del tempio, dove un gruppo di soldati
semplici stava lavorando, per sistemare le colonne della facciata.
“Ti sei mai sentito inutile,
Asher?!” –Domandò Ioria, fermandosi improvvisamente. –“Ti sei mai sentito vuoto
e stanco, sicuro che qualunque cosa farai sicuramente fallirai? Sicuro di non
essere in grado di raggiungere gli obiettivi che ti sei posto?!” –Asher annuì
in silenzio, conoscendo bene quella sensazione. Era la stessa che gli dominava
il cuore da un paio d’anni, da quando aveva realizzato di essere troppo debole
per difendere Atena, troppo inesperto nel combattimento per arrivare laddove
Pegasus e i suoi quattro amici erano giunti, compiendo imprese al limite
dell’umano e sfiorando l’ambita vetta delle Divinità. –“Se hai provato anche
solo una volta ciò per cui il mio cuore si tortura da mesi, allora puoi capire
perché desidero dare nuova vita alla Sesta Casa!” –Aggiunse Ioria, sospirando,
mentre il vento del mattino gli scombinava i capelli castani.
Alla casa del compagno che
non sono riuscito a salvare! Alla casa
della promessa che non sono stato in grado di mantenere! Mormorò,
ricordando quel terribile momento sull’Isola dell’Apocalisse, quando, dopo aver
ritrovato Virgo, torturato da Ares e dai suoi figli bastardi, aveva dovuto
dirgli nuovamente addio, incapace di fronteggiare la minaccia del Dio della
Guerra e di portare in salvo colui che aveva dato la vita per permettere a lui
e a Castalia di mettersi in salvo. Non mi perdonerò mai! Si disse,
scuotendosi dai suoi rimorsi e incamminandosi verso l’interno della casa, per
aiutare i soldati nei lavori di ricostruzione.
Aveva trascorso così i mesi
successivi al termine della Grande Guerra contro Ares, mettendo tutto se stesso
e tutto il suo tempo a disposizione del Grande Tempio, di quello stesso Tempio
che fino a due anni prima aveva tanto odiato, in quanto luogo dove aveva perso
un fratello e il ricordo di lui era stato infangato dall’infamia. Aveva aiutato
i soldati e gli architetti di Rodorio a ricreare lo splendore delle Dodici Case
e del Grande Tempio della Dea Guerriera, per riportarlo agli antichi fasti
della creazione. Per tutto quel tempo Asher era stato al suo fianco,
rifiutandosi di tornare in Giappone, come Pegasus aveva invece fatto per
rivedere Patricia, ritenendo di non avere ormai più alcun legame con
l’arcipelago asiatico. Ban, Geki, Aspides e Lupo erano morti, Mylock era morto,
Villa Thule era stata distrutta, e di tutta la sua vita passata non era rimasto
niente. Soltanto il ricordo.
Così Asher aveva scelto di
rimanere ad Atene, ufficialmente per aiutare Ioria nei lavori di ricostruzione,
ma segretamente per restare vicino ad Isabel, reincarnazione della Dea Atena,
che aveva deciso di risiedere al Grande Tempio, sia per riposarsi dalle fatiche
contro Crono e contro Ares, sia per cercare di accettare realmente quel ruolo
di Divinità che spesso le andava stretto. Ma le occasioni per incontrare Isabel
erano state molto limitate, poiché la Dea trascorreva alla Tredicesima Casa
gran parte del suo tempo, limitandosi a ricevere saltuariamente rapporti da
parte del Cavaliere d’Oro di Ariete, sullo stato di avanzamento dei lavori di
ricostruzione e sulle condizioni dei suoi Cavalieri. E questo rendeva Asher
molto triste. Salutò Ioria, lasciandolo ai suoi lavori, e discese nuovamente la
scalinata delle Dodici Case, con la scusa di andare a prendere nuovi materiali,
ma in realtà con l’intenzione di rimanere un po’ da solo. Così, come tanto
amava stare.
Si era trovato bene, negli
ultimi mesi, assieme a Ioria, il quale, nonostante fosse più grande di lui e
appartenesse ad un rango più elevato, non aveva mostrato alcun problema a
relazionarsi con Asher, trascorrendo insieme numerose giornate, impegnati nella
manutenzione straordinaria del Grande Tempio. Un modo come un altro,
rifletteva spesso Asher, per tenere impegnata la mente! E per non pensare!
Anche Ioria, ironicamente, era solito pensarlo spesso, per quanto non lo desse
mai a vedere. Se c’era una cosa infatti che Asher aveva imparato del Cavaliere
di Leo era che non amava mettere in mostra i propri sentimenti e le proprie
emozioni, preferendo tenerle per sé, quasi divorato dalla paura di poter essere
ferito. Inoltre Ioria era uno dei pochi Cavalieri presenti al Grande Tempio che
Asher conosceva e con cui poteva parlare un po’, essendo Castalia e Tisifone
sempre impegnate ad allenare le future Sacerdotesse e mancando Pegasus e gli
altri da parecchio tempo. Con quei pensieri in testa, Asher si allontanò dalle
Dodici Case, con le mani nelle tasche dei pantaloni e lo sguardo perso,
dirigendosi in un’area appartata, che la Dea Atena ordinato di ricreare
immediatamente al termine della Grande Guerra contro Ares: il cimitero del
Grande Tempio.
Nascosto sul fianco orientale
della Collina della Divinità da una lunga fila di cipressi, il cimitero del
Grande Tempio era stato allestito nuovamente, dopo essere stato bruciato
durante la Guerra Sacra contro Ade, su ordine di Tisifone, per mondarlo
dall’oscurità che lo aveva inquinato, ed essere stato violato dai turpi
eserciti di Ares. Là erano state sistemate le salme dei soldati e dei Cavalieri
caduti durante le guerre contro l’Olimpo e contro Ares ed erano state erette
lapidi e piccoli altari per celebrare gli altri, i cui resti ormai erano andati
perduti. Là aveva parlato Isabel, di fronte a tutti i Cavalieri e i soldati
sopravvissuti agli orrori dei massacri di Ares, terminata la Grande Guerra, per
ringraziarli per aver donato la loro vita ad un sogno di giustizia, senza
chiedere niente in cambio. Là, mentre Asher discendeva la scalinata di marmo
delle Dodici Case, improvvisamente il terreno tremò per un istante, mentre due
immensi boccioli di rosa, alti quasi due metri, sorgevano dal sottosuolo,
aprendosi pochi istanti dopo e lasciando che due uomini, ricoperti da scure
vestigia, ne uscissero.
“Stavo quasi per morire
soffocato!” –Commentò uno dei due, uscendo dall’enorme bocciolo di rosa. –“Tu e
le tue stupide idee!”
“Le mie stupide idee ci hanno
consentito di entrare all’interno del Grande Tempio senza dover ricorrere ai
nostri poteri!” –Esclamò l’altro, con voce soddisfatta, mentre i boccioli si
richiudevano e sprofondavano nuovamente nel terreno, che subito si richiuse
dietro di loro, come se mai ne fossero usciti fuori. –“Hai dimenticato il cosmo
protettivo di Atena che avvolge l’intero Grande Tempio? Se avessimo usato il
nostro cosmo saremmo subito stati individuati, mentre in questo modo,
sfruttando il potere naturale della terra, siamo riusciti a penetrare
all’interno senza essere scoperti!”
“Come fai ad esserne così certo,
Menas?!” –Chiese il primo uomo, indispettito dall’arditezza del suo compagno,
che ai suoi occhi pareva soltanto sfrontataggine.
“I boccioli delle mie rose si
nutrono dei sali minerali presenti nel terreno e possono percorrere chilometri
nel sottosuolo, alimentandosi con le loro possenti radici, in modo
perfettamente naturale, senza dare adito ad alcuna forma di energia!” –Commentò
Menas. –“E non dimenticare che questa missione è stata affidata ad entrambi,
non soltanto a te, Siderius! Per quanto ti piaccia considerarla una tua
prerogativa!”
“Cercherò di non dimenticarlo!”
–Lo zittì Siderius, prima di incamminarsi verso la parete di roccia che
sovrastava il cimitero del Grande Tempio, nascondendosi nella sua ombra,
proprio mentre i passi lenti e stanchi di un ragazzo rompevano la monotonia di
quel silenzioso paesaggio. –“Ecco la nostra preda!”
Asher era appena entrato nel
luogo sacro dove riposavano i guerrieri che avevano dato la vita per Atena.
C’erano tutti, o comunque ciò che era rimasto di loro: un ricordo scolpito nel
tempo, che niente avrebbe cancellato. Micene, Gemini, Capricorn, Acquarius,
Fish, Cancer, Scorpio. E prima di loro Noesis, Sisifo, Asmita, Manigoldo,
Albafika, Serian di Orione. Un fiume di eroi che scorreva fin dagli albori del
mito. Asher non dovette percorrere molti metri che si trovò di fronte le quattro
lapidi che cercava. Le tombe di Geki, Ban, Aspides e Lupo, gli amici che
avevano dato la vita, durante l’attacco di Flegias al Grande Tempio, per
permettere ad Asher di salvarsi assieme a Kiki, per permettergli di continuare
a lottare per Atena, come insieme avevano sempre desiderato fare. L’Unicorno si
gettò a terra di fronte alle quattro tombe, crollando sulle ginocchia tra la
polvere di quel mattino. A stento soffocò le lacrime e il senso di colpa che lo
colpiva ogni volta in cui varcava il cancello del cimitero, trascinando con sé
le immagini di quel giorno che ancora non riusciva a dimenticare. Di quel
giorno in cui avrebbe preferito morire, piuttosto che continuare a vivere senza
di loro.
“Un prezzo troppo alto è costata
la mia vita!” –Commentò il ragazzo, afferrando una manciata di terra e
stringendola tra le mani, fino a farla ricadere nel vento. Quindi sollevò lo
sguardo e si perse negli occhi dei suoi compagni, che credette davvero di
vedere lì, accanto a lui, pronti per lanciarsi assieme a lui in qualche nuova
impresa, in qualche nuova battaglia. Come quando non avevano esitato a
lanciarsi contro Mizar di Asgard, nei giardini di Villa Thule, nonostante
fossero privi di armatura e di difese, per proteggere Lady Isabel. O come
quando, unendo i loro cosmi, avevano cercato di contrastare lo strapotere del
Dio Thanatos, per difendere Patricia. Ma adesso quei tempi erano passati e lui
era rimasto solo. –“Solo!” –Mormorò Asher.
Era proprio così che si sentiva.
Solo e svuotato. Proprio come Ioria gli aveva detto poco prima. Privo di un
punto di riferimento verso cui indirizzare la sua vita. Quando era un
ragazzino, impegnato nel duro addestramento ad Orano, aveva contato i giorni
che lo separavano dal suo ritorno in Giappone, dal suo ritorno da Isabel. Per
lei, per onorare la sua dinastia, e suo nonno che lo aveva accolto nella sua
casa, dandogli un tetto e del cibo, e per amore di lei, nei cui sguardi
riusciva sempre a ritrovarsi bambino, Asher era divenuto Cavaliere. Per Isabel,
prima ancora che per Atena. Allo stesso modo aveva ingaggiato battaglia nella
Guerra Galattica, per sollevarsi agli occhi della ragazza che, ancora senza
saperlo, per lui era una Dea. La sua Dea. Prima ancora che la Dea della
Giustizia. Ma con il passare del tempo, Asher aveva dovuto ammettere di non
essere in grado di difenderla come avrebbe voluto fare, di essere soltanto un
Cavaliere di Bronzo, debole e inesperto, e incapace di meritare il suo amore.
Così, con il tempo, lentamente aveva iniziato ad abbandonare quell’idea, in
maniera inconscia e non premeditata, lasciandosi dominare dalla triste
consapevolezza di non essere all’altezza. Di non essere Pegasus.
Ciononostante, pur con tutte le
difficoltà che avrebbe comportato, sarebbe rimasto a fianco di Isabel, al
fianco della sua Dea, sempre pronto a dare la vita per lei e per i suoi ideali.
Sorridendo, Asher si rimise in piedi, ringraziando gli amici per il conforto
che anche quel giorno, come tutti gli altri in precedenza, erano riusciti a
dargli, e sollevò lo sguardo verso il cielo terso, sicuro che Geki e gli altri
lo stessero proteggendo da lontano. Un rumore alle sue spalle lo fece voltare,
proprio per trovarsi di fronte due uomini sconosciuti, rivestiti da scure
armature.
L’uomo sulla destra era alto e
muscoloso, ricoperto da una corazza scura, dai colori nero e violetto, che
copriva buona parte del suo corpo, ma era privo di elmo e questo permise ad
Asher di osservarlo in faccia e riconoscerne i tratti marcatamente latini. Viso
abbronzato, un bel ciuffo di capelli scuri, folte sopracciglia e occhi neri,
segnati da una cicatrice che tagliava a metà l’occhio destro, senza però
sfigurare il viso dell’uomo, dall’espressione seria e determinata. Il suo
compagno era più basso di lui ed indossava un’armatura leggermente meno
coprente, la cui forma ad Asher parve ricordare vagamente quella di una rosa in
procinto di schiudersi, con tale nobile fiore inciso sul pettorale della
corazza. Con folti capelli rosa, alcuni dei quali raccolti in treccine sparse
sul lato destro del cranio, occhi marroni e pelle chiara, il secondo uomo era
chiaramente più giovane.
“Asher dell’Unicorno?” –Esclamò
il primo, con voce decisa, mentre Asher stringeva i pugni, fissando i due
uomini con apprensione.
“Chi siete? E cosa volete da
me?!”
“Siamo amici!” –Rispose il
primo, spostando leggermente lo sguardo verso il suo compagno. Sornione. –“Puoi
chiamarci in questo modo!”
“Amici?!” –Balbettò Asher, che
non aveva mai visto quei due uomini e, per quanto non avvertisse in loro alcun
cosmo, non poteva fare a meno di temerli e di stare in guardia.
“Precisamente! Amici, se ti
comporterai bene e verrai con noi! Nemici, nel caso in cui tu voglia
scioccamente opporre resistenza!” –Concluse il primo uomo, abbandonandosi ad un
sogghigno che fece trasalire il Cavaliere dell’Unicorno.
“Come sarebbe a dire? Chi
siete?!” –Esclamò Asher, lanciandosi avanti verso i due, che non ebbero alcun
problema a spostarsi lateralmente, evitando l’affondo del ragazzo.
“Nemici dunque?! E sia! Ma non
per nostra scelta!” –Commentò il più basso dei due, sollevando il braccio
destro verso il cielo, mentre il terreno sotto i piedi di Asher parve tremare
per un momento, prima che lunghi fusti di spine si sollevassero, circondando il
ragazzo e stringendolo in un pericoloso abbraccio.
“Cosa succede? Cosa sono queste
spine?!” –Gridò Asher, mentre la gabbia di rovi si chiudeva su di lui,
stringendo con forza il suo corpo, affondando le spine nella sua giovane carne
e lasciando che il sangue macchiasse i fusti evocati dall’uomo.
“Sono le spine del tuo
martirio!” –Sentenziò l’uomo, stringendo la presa sul ragazzo, che venne
stritolato dai fusti assetati di sangue, che penetrarono a fondo nel corpo di
Asher, strappandogli un grido di dolore.
In quello stesso momento, sia
Lady Isabel, distesa sul letto nelle sue Stanze, sia Ioria, sulla scalinata di
marmo dietro la Casa del Toro, che Castalia e Tisifone, alla residenza delle
Sacerdotesse, avvertirono infiammarsi il cosmo di Asher. E un cosmo estraneo
che aveva violato in qualche modo la barriera protettiva di Atena. All’istante
i tre Cavalieri si precipitarono verso il cimitero del Grande Tempio ed il
primo a raggiungerlo fu Ioria del Leone, il quale, quando entrò al suo interno,
trovò una macabra scena ad attenderlo: Asher era intrappolato in un groviglio
di rovi, dai robusti fusti spinosi, che lo stavano dissanguando, mentre una
lugubre chiazza di sangue aveva macchiato il terreno di quel luogo sacro.
“Maledizione! Asher!!!” –Gridò
Ioria, accendendo il pugno del suo cosmo dorato e lanciandosi avanti, per
liberare il ragazzo. Gli artigli del Leone, simili a fitta pioggia di luce, si
abbatterono sui fusti bagnati dal sangue di Asher, distruggendoli all’istante,
trinciandoli con la loro foga ardente, in modo da permettere a Ioria di
avvicinarsi e portare l’Unicorno fuori da quella gabbia di sangue.
“È lui?!” –Domandò Menas, che si
era nascosto nelle ombre del fianco del montagna, rivolgendosi a Siderius, in
piedi accanto a lui. Ma non ottenne risposta e fu costretto a voltarsi verso il
suo compagno, intento a fissare con attenzione i gesti del Cavaliere di Leo,
mentre la sua mente tornava indietro, ad un tempo in cui sinceramente credeva
di poter divenire immortale. Al tempo dell’umiliazione subita.
“Sì!” –Rispose Siderius, mentre
le sue labbra si stendevano in un sogghigno perverso. –“Cavaliere di Leo! Hai
un conto aperto con me! E non tarderà a venire il momento in cui mi presenterò
per riscuotere il mio credito!”
Proprio in quel momento
arrivarono correndo anche Tisifone e Castalia, gridando nel vedere il corpo
martoriato del povero Asher, segnato da tagli e ferite profonde da cui copioso
sgorgava il sangue. Ioria poggiò una mano sul petto del ragazzo, avvolgendolo
in un caldo abbraccio con il suo cosmo dorato, nel tentativo di dargli tepore e
sollievo da quell’inferno che pareva essergli penetrato dentro. Ma Asher
sussultò, scuotendosi improvvisamente, quasi in preda ad un raptus isterico,
sputando sangue e tossendo confusamente. Tirò un’occhiata furiosa a Ioria,
prima di digrignare i denti, sfoderando aguzzi canini, e avventarsi sul collo
del ragazzo. Ioria, d’istinto, lo sbatté a terra, premendo la sua mano sul
petto del Cavaliere di Bronzo e abbracciandolo con il cosmo, che, non senza
fatica, riuscì a spegnere la fiamma dell’ira ardente nei suoi occhi. Una fiamma
che pareva intrisa di morte. E questo fece preoccupare ulteriormente Ioria e le
due Sacerdotesse. Castalia si chinò sul ragazzo, sfiorandogli la fronte con la
mano e sentendola bollente.
“Devo portarlo da Mur!” –Esclamò
Ioria, tirandosi su, sorreggendo il corpo di Asher tra le braccia. –“Egli è
esperto di medicina e saprà certamente come curarlo!”
“Sono d’accordo!” –Affermò
seriamente Tisifone, chinandosi sul terreno macchiato di sangue per osservare i
fusti di spine, distrutti dall’attacco di Ioria. Sembravano rovi normali, come
quelli che crescono nelle regioni interne del Grande Tempio, anche a ridosso
dell’Altura delle Stelle, ma Tisifone notò che le loro forme parevano
inquietanti. –“Porta anche uno di questi!” –Esclamò la Sacerdotessa, afferrando
un pezzo di rovo, facendo attenzione a non pungersi con le spine ancora
assetate di sangue. –“È il caso che Mur lo analizzi attentamente! Noi intanto
perlustreremo i dintorni, dando ordini ai soldati di stringere i controlli sui
Cancelli!”
“D’accordo!” –Esclamò Ioria,
prima di voltarsi verso Castalia e rivolgerle parola per la prima volta. –“Fate
attenzione! Non voglio che vi accada qualcosa di male!” –Aggiunse, scattando
via con il corpo ferito di Asher.
“Già una volta hai perso l’uomo
che amavi!” –Esclamò allora Tisifone. –“Vuoi che la storia si ripeta un’altra
volta?” –Aggiunse, cercando di stimolare l’amica ad esprimersi, a tirar fuori
ciò che veramente provava.
Castalia osservò in silenzio
Ioria scomparire in lontananza, prima di voltarsi e scattare via, subito
seguita da Tisifone, attraverso i sentieri del cimitero del Grande Tempio,
gettando via tutti i suoi pensieri, tutti i freni che le impedivano di vivere
pienamente la sua vita. Le due Sacerdotesse raggiunsero l’ingresso orientale,
ove alcuni soldati erano radunati, e chiesero loro informazioni su movimenti
sospetti. Ma nessuno di loro aveva visto entrare alcun nemico. E questo
sconcertò non poco le giovani donne.
In quello stesso momento Menas e
Siderius, ancora riparati sotto l’oscuro fianco della montagna, da un’alchimia
che pareva nasconderli ad occhio umano, sorrisero soddisfatti per la propria
opera, fondendo i loro cosmi con l’ombra che li circondava e scomparendo in un
turbinar di ebano.
Quando Ioria depositò il corpo
ferito e febbricitante di Asher su un lettino nella Prima Casa dell’Ariete, Mur
gli si avvicinò con aria preoccupata. Osservò i tagli profondi, in parte
cicatrizzati grazie ai poteri curativi di Ioria, toccò la fronte e i polsi di
Asher, sentendoli ribollire come fiamme e stimolando una reazione nervosa del
ragazzo, che si agitò, contorcendosi su se stesso, mormorando parole rabbiose,
quasi stesse gridando istericamente.
“Ouh!” –Esclamò Kiki,
spuntando alle spalle di Mur. –“Come sta Asher, fratello?”
“Molto male, Kiki! Molto male!”
–Commentò Mur, con voce calma ma preoccupata. –“Medicherò le sue ferite con
piante medicinali specifiche per le reazioni febbrili, ma ho bisogno di
analizzare immediatamente i rovi che lo hanno massacrato! Sono certo che sono
intrisi di un terribile veleno! Nient’altro potrebbe condurre un Cavaliere così
facilmente alla pazzia!”
“Veleno?!” –Strinse i pugni
Ioria, imprecando per quella delicata situazione. –“Sei in grado di curarlo,
Mur? Se tu non ci riesci, chi altri potrebbe?!”
“Farò del mio meglio, Ioria, per
combattere questo virus letale che sta divorando dall’interno il Cavaliere
dell’Unicorno!” –Esclamò Mur a bassa voce, incitando Kiki a portargli
immediatamente tutto l’occorrente per i medicamenti.
“Ne sono certo! Ho fiducia nei
tuoi poteri!” –Commentò Ioria, prima di allontanarsi, annunciando di dirigersi
da Atena per informarla di questo triste avvenimento. –“Lo affido a te, abbine
cura! Mi sono affezionato ad Asher in questi mesi trascorsi insieme, a parlare
e a riflettere su quanto blandi siano i sogni degli uomini! È stato bello! È
stato come avere nuovamente un allievo!” –E scomparve nel corridoio della Prima
Casa, diretto verso l’uscita.
Rimasti soli, Kiki aiutò Mur a
medicare le ferite di Asher, che si dibatteva continuamente, ringhiando come
una fiera in gabbia e obbligando Mur a far uso del suo cosmo per placare i suoi
istinti ribelli.
“Fratello! Non sapevo che Ioria
avesse avuto un allievo!” –Commentò sbadatamente Kiki.
“Per la verità, neanch’io!”
–Aggiunse Mur, sospirando.
In un’isola dell’Egeo orientale,
apparentemente anonima e disabitata, ombre e rancori di una vita intera
scivolavano sulla superficie pietrosa, avvolgendola in un oscuro abbraccio
capace di nascondere la sua stessa esistenza ai naviganti e agli osservatori
esterni. Su quell’isola, nelle grotte delle montagne che la costituivano, aveva
sede la base operativa di Flegias, figlio di Ares. Seduto su un trono di
amianto, rivestito dalla sua Armatura scarlatta, il Flagello di Uomini e Dei
sorseggiava un bicchiere di vino, dall’acceso color rosso sangue, mentre un
uomo, dalle nere vesti simili al saio di un monaco, fermate in vita da un
vistoso cordone d’argento, era in piedi vicino a lui, in attesa di ordini.
Ma Flegias era completamente
disinteressato a lui e alle cinque figure inginocchiate ai piedi del trono, i
cui cosmi scuri parevano fondersi con la notte che imperava dentro quella
reggia. Immerso nei suoi pensieri, Flegias stava lasciando vagare la mente nel
fiume del tempo, ritornando a pochi giorni addietro, quando aveva osato
avventurarsi nuovamente fuori dalle ombre dell’isola ove si era rifugiato un
paio di settimane prima. Non che avesse paura ad uscirne, tutt’altro. Egli non
temeva nessuno, ma era certo che, avendo Ermes e Phantom segnalato la sua
posizione al Sommo Zeus, avrebbe dovuto affrontare qualche Cavaliere Celeste,
inviato dall’Olimpo per pattugliare i dintorni, tenendosi comunque a debita
distanza da un luogo che all’apparenza era più inospitale dell’Inferno. Pur
tuttavia, escludendo un paio di sentinelle dislocate nelle isole circostanti, e
massacrate in pochi attimi, nessuno sembrò fermare Flegias, ed egli fu libero
di muoversi a suo piacimento, raggiungendo la penisola anatolica e dirigendosi
verso la Troade. Per un appuntamento col destino! Aveva sogghignato il
figlio di Ares, sfrecciando nel vento, avvolto da un turbinar di fiamme e di
ombre.
Conosceva bene le sue abitudini
e sapeva che Asclepio, il figlio di colui che gli aveva recato il grande affronto,
per quanto fosse un Dio provava un’immensa pietà verso gli uomini,
incamminandosi spesso in solitari viaggi lungo le coste del Mediterraneo,
seguendo il percorso dei Santuari a lui dedicati. Gli Asclepiei erano
prevalentemente dei ricoveri per gli ammalati, posti sotto la protezione del
Dio della Medicina, di quello stesso Dio che periodicamente, vestendosi come un
semplice uomo, si mescolava ai dottori, prestando il suo operato e le sue
competenze per aiutare gli uomini ad uscire dai patimenti della malattia.
Spesso la sua stessa vicinanza, il suo cosmo confortante, leniva gli affanni
dei moribondi, sanando le ferite o lasciandoli scivolare lieti verso la fine
del loro viaggio terreno. E Flegias, che ad Asclepio era direttamente legato,
sapeva bene dove adesso si trovava. A Pergamo, in Misia, una zona della Turchia
nord-occidentale tra la Bitinia e la Frigia. Là infatti si ergeva un grande
santuario dedicato al Dio della Medicina, lo stesso in cui aveva prestato
servizio Galeno nel II secolo d.C., un grande medico e chimico che aveva
contribuito ad riorganizzare tutta la scienza medica del suo tempo
secondo principi originali. E Asclepio, che di Galeno era stato un grande
ammiratore, non mancava mai di fermarsi a Pergamo nei suoi viaggi.
Con un agile balzo Flegias aveva
raggiunto l’imboccatura della Via Tecta, una via sacra coperta che conduceva al
vasto complesso del Santuario di Pergamo dove si trovavano gli stoa, i
cortili porticati, sotto cui Asclepio era solito passeggiare. Aveva fatto fuori
un paio di guardie, senza dare loro la possibilità di emettere alcun gemito, e
poi lo aveva raggiunto, sorprendendolo con un violento attacco di fiamme
oscure.
“Flegias!!!” –Aveva gridato Asclepio,
venendo sbattuto a terra e circondato da quel vorticare imperterrito di fuoco e
ombra. Non molto alto, e di gracile costituzione, Asclepio non aveva mai
coltivato interesse verso l’arte battagliera, preferendo dedicare il suo tempo
a colmare l’immenso desiderio di conoscenza che albergava nel suo animo.
Divorava libri, conosceva tutte le poesie del mondo antico, ed era
perfettamente istruito nel campo della scienza e della medicina, al punto che
tutti sull’Olimpo lo consideravano una perfetta autorità in materia.
“Hai dunque riconosciuto l’odore
della morte, quando si avvicina, nipote mio?!” –Aveva sogghignato Flegias,
uscendo dalle ombre, che parevano danzare attorno alla sua Armatura Divina. Sul
fianco destro, fissata con un elegante nastro scarlatto, risplendeva la Spada
Infuocata che molte vite aveva reciso, cibandosi del sangue degli sconfitti per
accrescere il suo potere e saziare il suo appetito di morte.
“Per carità, Flegias, fermati!
Zeus ha dato mandato a tutti gli Dei e i Cavalieri al suo comando di ucciderti,
per punirti per l’affronto recato all’Olimpo e…” –Ma Flegias lo aveva
interrotto con un brusco movimento del braccio, scaraventando il gracile Dio
contro un muro laterale e avvolgendolo in un turbine infuocato.
“Cosa vuoi che m’importi!!! Che
vengano tutti! Che venga Zeus in persona! Neppure lui riuscirà a detronizzare
l’Imperatore di tutte le ombre!!!” –Aveva gridato eccitato Flegias, osservando
Asclepio venire stritolato di fronte ai suoi occhi. –“L’unico legame che ci
univa, l’unica remota possibilità per cui avrei potuto risparmiarti, era l’amore
per mia figlia Coronide, colei che ti diede alla luce!” –Aveva mormorato il
figlio di Ares, perdendosi per un momento nei suoi pensieri. –“Ma Coronide è
morta! Da Apollo barbaramente uccisa! Ed io sterminerò gli Dei dell’Olimpo, per
avere la mia vendetta! E tu, che di quella schiera fai parte, adesso morrai!”
–E nient’altro aveva aggiunto il Flagello di Ares, portandosi avanti e vibrando
un secco colpo della sua Spada Infuocata, che aveva tagliato la gola di
Asclepio, gettandolo a terra come un sacco vuoto. Un secondo colpo e il Dio era
stato ucciso.
Flegias aveva raccolto il corpo
pesto e lacero dell’uomo che sua figlia aveva avuto millenni addietro, leccando
via il sangue dalle ferite, quasi godendo di quel sapore che tanto lo
inebriava. Quindi aveva incendiato il tempio di Pergamo, lasciando che tutti
morissero al suo interno, dottori e pazienti, prima di scomparire e rientrare
nell’isola con il suo succulento bottino. Con lo strumento che gli avrebbe
concesso di disporre di un’ulteriore difesa da mettere in campo contro Atene e
contro l’Olimpo.
“I Capitani dell’Ombra sono al
vostro servizio, potente Signore!” –Esclamò improvvisamente l’uomo dalle vesti
nere, rubando Flegias ai suoi pensieri. –“Grazie al prezioso contributo di cui
mi avete fatto dono, ho creato per loro le migliori corazze che mai alchimista
alcuno aveva forgiato sull’Isola della Regina Nera!”
“Lo spero per te, vecchio
relitto!” –Commentò Flegias, rizzandosi in piedi e gettando via il calice di
vetro, schiantandolo contro una parete laterale. Tirò uno sguardo alle cinque
figure inginocchiate ai piedi del trono, tutte con lo sguardo posato sul
terreno pietroso sotto di loro, prima di spostarlo nuovamente su Athanor. –“Fa
che salvarti dall’apocalisse abbia giovato ai miei interessi, e non sia stato
soltanto un inutile spreco di energia!”
“Il sangue del Dio della
Medicina è stato sfruttato fino all’ultima goccia, prezioso carburante per dare
vita alle corazze di coloro che in tuo nome contribuiranno a diffondere l’ombra
su questa sterile Terra!” –Rispose Athanor, con viscido servilismo.
Perché in fondo a lui di Flegias non importava niente, come non credeva nei
suoi progetti deliranti, limitandosi a servirlo e ad aver così salva la vita.
Da anni, da quando lo aveva portato via dall’Isola della Regina Nera, Flegias
parlava di talismani nascosti nella polvere del tempo e ancora non era riuscito
a trovarne uno, inseguendo leggende che, agli occhi di Athanor, uno scienziato
e un concreto materialista, altro non erano che falene lontane. Farfalle in
volo, sempre troppo distanti da afferrare. Niente di più.
Ma in fondo, ad Athanor tutta
quella fissazione di Flegias verso l’arcano andava bene, poiché gli aveva
permesso di essere utile, e quindi di sopravvivere. Grazie alle conoscenze di
cui disponeva, ultimo degli antichi alchimisti che secoli addietro si
ribellarono ad Atena, fuggendo sull’Isola della Regina nera, Athanor era stato
incaricato da Flegias stesso di forgiare corazze per i suoi guerrieri. Armature
particolari che fossero resistenti e leggere, per renderli agili in battaglia,
ma soprattutto che nascondessero il tenebroso potere dell’ombra dentro di sé.
Un potere che avrebbe permesso a Flegias di contrastare la luce dei suoi
avversari. Ma per dare la vita a delle armature, anche nere che fossero,
Athanor aveva bisogno di sangue, meglio ancora se il sangue di un Cavaliere, in
modo da poterne sfruttare anche il cosmo. E Flegias aveva acconsentito alle sue
richieste, fornendogli materia prima in gran quantità, primo tra tutti il
martoriato corpo di Asclepio, il cui sangue regale, il mitico Ichor degli Dei
greci, aveva permesso di forgiare sette corazze indistruttibili. Dei veri
capolavori dell’alchimia nera.
“Per secoli gli alchimisti
ribelli, fuggiti sull’Isola della Regina Nera, tentarono di emulare le Armature
di Atena, ma fallirono continuamente, incapaci di realizzare modelli che
fossero più resistenti delle corazze di bronzo! Mancavano loro le conoscenze, e
in parte anche un quid rivelatore!” –Spiegò Athanor. –“Ma io, che ho potuto sfruttare
l’infinito potere della Pietra Nera di cui mi avete fatto dono, mescolandolo al
mio sapere e all’Ichor del Dio della Medicina, ho compiuto il miracolo,
giungendo dove i miei predecessori hanno fallito! Io ho vinto il tempo!!!”
In quel momento una rozza porta
di legno, alle spalle delle cinque figure inginocchiate, si aprì rumorosamente
e due uomini fecero la loro comparsa, salutando Flegias sollevando il braccio
destro e chiamando a gran voce il suo nome.
“Siamo tornati, Flegias, figlio
di Ares, Flagello degli Uomini e Gran Maestro di Ombre!” –Esclamarono,
avvicinandosi alle cinque figure inginocchiate.
“Meglio tardi che mai!”
–Ironizzò Flegias, fissando i due in attesa di notizie. –“Siderius! Menas!
Avete portato a compimento l’impresa per cui vi ho scelto?!”
“Nel migliore dei modi!”
–Rispose Siderius, spiegando come avevano operato. –“Il Cavaliere dell’Unicorno
giace adesso infettato dal veleno mortale delle spine della rosa di rabbia! Non
passerà molto tempo prima che l’agonia del suo destino lo conduca alla sua
inevitabile fine!”
“Menas?!” –Flegias si rivolse al
secondo uomo, per trovare conferma delle parole di Siderius.
“I vostri ordini sono stati
eseguiti, supremo Maestro di Ombre!” –Si inginocchiò Menas, accennando un
sorriso malizioso, che Flegias interpretò come segno d’intesa.
“Ottimo!” –Sogghignò il figlio
di Ares, strofinandosi le mani, mentre un’avida luce rossastra scintillò nei
suoi occhi, illuminando per un momento l’oscurità di quell’anfratto.
–“Ritirati, adesso! Il tuo grado inferiore non ti consente di prendere parte a
questa discussione!” –Aggiunse, facendo cenno a Menas di uscire dalla sala.
Ordine che Menas immediatamente eseguì.
“Anche se non capisco perché ci
avete chiesto di infettarlo! Quale pericolo può mai costituire un Cavaliere di
Bronzo?!” –Domandò Siderius, disturbando i pensieri di Flegias, che, in tutta
risposta, lo scaraventò indietro con il suo cosmo infuocato, fino a farlo
schiantare contro una parete rocciosa.
“Taci!!! Qualcuno ha mai chiesto
a Dio perché ha creato il mondo? E tu allora non permetterti di domandare a me,
Gran Maestro di Ombre, i motivi del mio operato, ma accetta le linee guida che
saprò importi! E poi muori!” –Ringhiò Flegias, digrignando i denti, mentre le
altre cinque figure si mettevano in piedi. –“Tutto rientra nel completamento
del mio efficace piano! Mentre infatti i Cavalieri di Atena saranno
pateticamente impegnati a trovare una cura per la particolare febbre che ha
colpito il loro amato Unicorno, noi saremo liberi di muoverci indisturbati e
proseguire nell’affannosa ricerca a cui da anni dedico tempo e forze, in vista
del traguardo finale!” –Esclamò Flegias, voltandosi verso l’uomo vestito di
nero, che si allontanò per un momento, ritornando con un carro su cui erano
collocate cinque armature dai colori scuri come la notte. I simboli che
rappresentavano erano inquietanti, cinque creature temute dagli uomini,
confinate nelle leggende e da Flegias risvegliate: un’immensa tigre con lunghe
zanne affilate, un drago con otto teste, un lupo dagli artigli sfoderati, un
rigido serpente dalle selvagge spire e un gigantesco mostro marino, dalle forme
orribili.
Flegias le osservò di sottecchi
e anche se non lo ammise rimase soddisfatto, poiché sentì pulsare in loro la
vita, la brama di vita, anche a costo di sopraffarne altre. E la tendenza
all’ombra di cui voleva fossero intrise. Athanor si strusciò le mani con
soddisfazione, per lo splendido lavoro che aveva realizzato, prima di voltarsi
verso i cinque uomini e fare loro cenno di espandere i propri cosmi, in modo da
entrare in comunione intima con la corazza che nient’altro rappresentava se non
il loro simbolo. Una dopo l’altro le cinque Armature si scomposero, aderendo
perfettamente ai corpi scolpiti degli uomini, di fronte allo sguardo attento di
Flegias e a quello di Siderius. Egli infatti era stato uno dei due Capitani
dell’Ombra per cui Athanor aveva già realizzato una corazza, in virtù
dell’urgenza della sua missione.
“Io sono Iemisch, la Tigre
d’Acqua!” –Esclamò quindi il primo uomo, rivestito da un’Armatura dagli
oscuri riflessi e dalle fattezze feline. –“Percepisco il dolore delle acque, la
sofferenza a cui gli uomini le hanno condannate fin dagli albori della storia,
sfruttandole oltre ogni limite e cercando di dominarle, al punto da privarle di
ogni rispetto! Del loro rancore mi nutro, nel loro tedio di vivere trovo
l’energia necessaria per sfoderare i miei micidiali artigli, che metto al
servizio dell’ombra!” –Aggiunse, prima che la seconda figura lo affiancasse,
presentandosi a sua volta.
“Il mio creatore mi ha chiamato Licantropo,
colui che si ciba dei segreti annidati nel cuore degli uomini! Segreti che, per
quanto ben custoditi, sono pagine da sfogliare, un serbatoio di peccati a cui
attingere per soppiantare quei deboli esseri umani, che a nient’altro sono
dediti se non alla gola e alla lussuria, al soddisfacimento di materialistici
istinti di godimento! Io saprò farli miei e rivolgerli contro i loro stessi
creatori, martiri ineluttabili di una concupiscenza che non potranno evitare!”
–Esclamò, prima di essere affiancato dalla terza figura, alta e possente, con
lo sguardo di un fiero comandante militare.
“Orochi è il mio nome, ed
è già leggenda! Come il Drago dalle otto teste di cui sono Custode e Padrone!”
–Si presentò questi, fissando Flegias con sguardo fermo e deciso. La sua stazza
era enorme, quasi il doppio rispetto a quella dei suoi compagni, al punto da
essere un vero gigante. –“Con il soffio del mio alito, percepisco i rimpianti
degli uomini, tutto ciò che quegli esseri inferiori si torturano di non aver
fatto! Tutto ciò che non hanno detto, incapaci di accettare un presente che non
possono più modificare! Di tali rimpianti, che continuamente albergano
nell’animo degli uomini, le teste del mio Drago si nutrono, innalzandosi al cielo
come giovani Atlanti!”
“Livyatan son io, “l’avvolto”,il mare grande,
vasto, immenso! Smisurato potere che rappresenta la brutalità degli
uomini!” –Esclamò quindi la quarta figura. –“Gli
uomini mi conoscono come Leviatano e temono il mio potere, poiché in origine lo
ebbi direttamente da Dio, della cui potenza fui il simbolo! Ed oggi, in
quest’epoca sterile e corrosa dalla guerra continua, di uomini contro uomini,
di fratelli contro fratelli, è per me facile godimento assorbire tali istinti
animali e continuare a crescere e a sollevare immense maree di odio!”
“Ed io sono Iaculo, il
Serpente Giavellotto!” –Sibilò il quinto uomo, affiancando il Leviatano.
–“Rappresento le colpe di cui ogni uomo si è volontariamente macchiato, il
veleno che, come un serpente, egli ha covato in seno, scaricandolo sugli altri,
quando ha provato invidia o gelosia o è stato irretito dal potere e dalla brama
di gloria o ha ceduto al sospetto, lasciandosi cullare dal segreto e dalle
trame nascoste!”
Infine, l’uomo chiamato Siderius,
rimessosi in piedi, si affiancò a Iaculo, chinando leggermente il capo, in
segno di obbedienza nei confronti di Flegias.
“Siderius! Della Supernova
Oscura!” –Affermò. –“Rappresento l’ombra del futuro, la paura dell’ignoto,
l’ansia che precede il grande balzo verso un mondo sconosciuto e irto di
pericoli! Il futuro che è mio compito strappare agli uomini!”
“I Capitani delle Ombre sono
finalmente riuniti di fronte a voi, Gran Maestro di Ombre!” –Esclamò Athanor.
–“Tutti tranne ovviamente colei che…”
“So benissimo dove si trova!!!”
–Lo zittì bruscamente Flegias. –“Sta facendo il suo lavoro, come voi adesso
farete il vostro! A tal riguardo, cosa ne è del mio esercito, Athanor? Perché
non è chino di fronte a me, prostrato ai piedi dell’Imperatore dell’Oscurità?”
“Il processo di creazione delle
Armature è più lungo del previsto, possente Flegias! Ed io sono da solo!”
–Cercò di scusarsi Athanor, indietreggiando di un passo alla vista dei
fiammeggianti occhi del figlio di Ares che lo fissavano con violenza,
penetrandogli nel profondo. –“È fondamentale dare loro la giusta resistenza, o
non saranno in grado di reggere il confronto con i Cavalieri di Atena!”
“Stupido!” –Lo colpì Flegias con
uno schiaffo, sbattendolo a terra. –“Non ripetermi cose che già conosco!
Sprechi il tuo fiato a tentennare scuse che non merito! Non ti ho forse
concesso una mandria di schiavi, da impiegare nella grande fornace? Schiavi
che, quando saranno esausti e ormai improduttivi, potranno essere utilizzati
per estrarne il sangue necessario a dare vita a nuove corazze! La quantità
sopperirà agli scarsi livelli del loro cosmo!”
“Ciò non è sufficiente, mio
Signore! Ho bisogno di sangue di Cavaliere, di sangue carico di cosmo, come lo
erano il nettare di Asclepio e del Generale di Poseidone! Con esso potrò dare
vita a nuove Armature! Più forti, più resistenti di quelle che ho prodotto
finora per il suo esercito!”
“Taci, zotico! Non permetterti
più di esprimere perplessità di fronte a un mio ordine! Non ti è concesso! Ti è
soltanto concesso di vivere qualche giorno in più della tua inutile vita con il
privilegio di servirmi, sollevato dal fango ove meriti di strisciare!” –Ringhiò
Flegias, mentre Iaculo e Iemisch trascinavano fuori da un cunicolo secondario
il corpo martoriato di un uomo, il cui volto era quasi irriconoscibile. Era
morto una settimana addietro, dopo mesi trascorsi in agonia, torturato da
Flegias e da Athanor e spremuto fino all’ultima goccia di sangue, per dare vita
ad un paio di Armature dell’esercito dell’ombra, catalizzando il cosmo insito
in esso grazie all’oscuro potere della Pietra Nera che Flegias custodiva. La
più potente delle sette.
“Gettate questa carcassa nella
fornace, il suo ruolo è ormai terminato! Syria delle Sirene non suonerà più!”
–E troncò in due il flauto del musico, schiantandolo sulle proprie ginocchia,
mentre i due Capitani dell’Ombra sollevavano il corpo distrutto dell’ultimo
generale di Poseidone, che era crollato difendendo il Tempio del suo Dio dai
berseker di Ares, scaraventandolo in un’immensa fornace, incavata al centro
della montagna principale dell’isola. Le sue fiamme si allungarono
improvvisamente verso il cielo nero, risplendendo di oscuri riflessi di morte.
–“Così passò l’ultimo dei sette Generali! Ah ah ah! Continua il tuo lavoro,
alchimista oscuro, e abbi fede nel tuo Dio! Presto avrai nuovo e prelibato
sangue, ricco di energia cosmica, da usare per i tuoi esperimenti!” –Rise
Flegias, prima di ordinare ai Capitani dell’Ombra di dirigersi verso le
località concordate in precedenza, con il compito di eseguire la missione
assegnata loro.
I servitori del Gran Maestro di
Ombre uscirono, e anche Athanor li seguì poco dopo, lasciando Flegias in piedi
di fronte al trono. Soltanto Orochi, il Capitano dell’Ombra il cui simbolo era
il possente Drago a otto teste, rimase immobile ai piedi del palco di pietra,
con lo sguardo fisso sul suo Signore.
“Vi fidate troppo di
quell’umano, mio Signore!” –Esclamò infine, quando furono rimasti da soli.
–“Siderius è indubbiamente troppo emotivo per poter servire al meglio l’impero
delle ombre che state affannosamente costruendo!”
“Sono in grado di valutare da
solo l’operato dei miei fedeli, Orochi!” –Ringhiò Flegias, avvolgendo il
Capitano delle Ombre in un circolo di oscure fiamme, che stritolarono il suo
corpo, facendolo urlare di dolore. –“E tu non sei forse emotivo? Non sono forse
grida questi latrati indisponenti che giungono al mio divino orecchio?”
–Ironizzò il Maestro di Ombre, liberando Orochi dalla sua morsa e osservandolo
crollare in ginocchio, con numerose ustioni sul corpo e l’armatura
incandescente.
“Ciò che volevo dire, mio
Signore, è che conoscete anche voi il passato di Siderius, i suoi legami con il
Grande Tempio di Atena! Non vorrei che la sua umanità diventasse per voi uno
svantaggio anziché un punto a favore!” –Commentò Orochi, rimettendosi in piedi.
“In tal caso sarà lui a fornire
il sangue necessario per completare il rito delle ombre! Ah ah ah!” –Sghignazzò
Flegias, ordinando a Orochi di controllare le sue mosse, per precauzione.
–“Uccidilo, se necessario! Ma portami il cadavere, cosicché io possa servirmene
per i miei piani! Niente, neppure una goccia di sangue, dovrà andare sprecata,
ma tutto dovrà servire al tutto!” –Rise il figlio di Ares, mentre Orochi
abbandonava la sala, lasciandolo finalmente da solo.
Il Gran Maestro di Ombre impiegò
quei minuti di solitudine per tirare le fila del suo complesso piano,
architettato con maestria nel corso di quindici lunghi anni. Così tanto era
infatti trascorso da quella notte in cui aveva assaltato la Biblioteca di
Alessandria, massacrando Galen, il suo anziano custode, alla ricerca della
mappa che gli avrebbe permesso di localizzare i Talismani del Mondo Antico. Una
mappa redatta ad Avalon millenni addietro, agli albori del tempo, che ben
illustrava l’oggetto della sua intricata e disperata ricerca. Le uniche armi
che avrebbero potuto consentire, o ostacolare, la discesa della grande ombra
sulla Terra intera. Non trovando la mappa, che Galen aveva bruciato poco prima
di morire, Flegias aveva dovuto cercarli da solo, affidandosi all’odore delle
leggende e penetrando in ogni luogo sacro in cui riteneva plausibile che
fossero custoditi. Aveva saccheggiato il tempio di Isla del Sol, dedicato a
Inti, Dio del Sole e generatore della vita nella mitologia inca, e il tempio
del Sole a Cuzco, tra le cime inaccessibili delle Ande, senza trovarvi
alcunché. Quindi aveva irretito Ra e Seth, antiche Divinità Egizie, spingendoli
nuovamente l’uno contro l’altro, in modo da poter avere accesso ai segreti
nascosti tra le mura di Karnak e nella Piramide di Tebe. Ma anche là non aveva
scovato niente e questo lo aveva in parte portato a credere che i Talismani
fossero custoditi totalmente ad Atene. Eppure anche quell’idea non lo
soddisfaceva, anche quell’idea lo lasciava frustrato e insoddisfatto, incapace
di mettere a fuoco un dettaglio che ancora non aveva compreso. Incapace di
comprendere realmente cosa fossero i Talismani che da anni andava cercando.
Sbraitò, maledicendo Atena e
tutti gli Dei dell’Olimpo, mentre il suo cosmo si accendeva di oscure fiamme di
morte, avvolgendosi nel suo nero mantello e incamminandosi verso le celle
sotterranee per conferire con Athanor. Sogghignò, sicuro di avere ancora un po’
di tempo a disposizione. Un arco di tempo nel quale avrebbe dovuto completare
l’esercito di ombre che stava creando da mesi e nel quale i Cavalieri di Atena
sarebbero stati troppo impegnati per preoccuparsi di lui. Troppo arrabbiati!
Ghignò Flegias, con un sorriso bastardo sul volto.
Proprio in quel momento Ioria
del Leone giungeva nel piazzale antistante alla Tredicesima Casa,
dirigendosi a passo sicuro verso le Stanze del Grande Sacerdote, occupate dalla
reincarnazione di Atena dalla fine della guerra contro Poseidone, combattutasi
l’anno precedente. Vedendolo, i soldati di guardia si scansarono, lasciando
passare il Cavaliere dal fiero portamento e, in quel momento, dallo sguardo
preoccupato. Non appena Ioria entrò nella Sala del Trono, Lady Isabel
gli corse incontro, chiedendogli immediatamente spiegazioni.
“Cos’è accaduto Ioria? Chi ha
violato i confini del Grande Tempio?!”
“Non lo sappiamo, Dea Atena!”
–Esclamò Ioria, inginocchiandosi. –“Chiunque sia stato è stato abile a non
lasciare tracce! Le Sacerdotesse dell’Aquila e del Serpentario stanno ancora
perlustrando l’intera aria del cimitero e i confini orientali, ma dubito che
troveranno qualcosa! Pare che il nostro avversario sia svanito tra le ombre!”
“E Asher? Come sta? Ho sentito
il suo cosmo infiammarsi improvvisamente, come se mille serpenti di fuoco lo
avessero penetrato, avvelenandolo!” –Mormorò Isabel, con apprensione.
“Il Grande Mur si sta occupando
di lui! Pare che una febbre particolarmente violenta lo abbia colpito, dovuta
ad un veleno che gli è stato iniettato nel corpo!” –Rispose Ioria, mentre Isabel,
angosciata, si lasciava cadere a terra, sul tappeto rosso al centro del salone.
–“Confidiamo tuttavia nel sapere del Cavaliere di Ariete! Egli è il discendente
degli antichi abitanti di Mu, le cui conoscenze raggiunsero livelli
notevolmente superiori a quelli delle civiltà mediterranee! Sono certo che
riuscirà a salvarlo!” –A quelle parole, Isabel sembrò riprendersi per un
momento e riuscì a rimettersi in piedi, sospirando preoccupata.
“Grazie!” –Mormorò infine,
accennando un sorriso al Cavaliere di Leo, ancora in ginocchio di fronte a lei.
Isabel lo fissò con attenzione per qualche secondo, notando i suoi lineamenti
robusti e maschili, il suo sguardo pieno di apprensione per la sorte di Asher e
per il nuovo attacco di cui il Grande Tempio era stato fatto oggetto. Ciò che
Isabel non riuscì a leggere nello sguardo di Ioria era un nuovo sentimento, che
mai aveva albergato nell’animo del Cavaliere di Leo. Un sentimento di odio nei
confronti della donna che aveva di fronte, della donna che per lui rappresentava
Atena, la Dea a cui aveva giurato fedeltà. Della donna per cui suo fratello
Micene aveva dato la vita. La causa della sua morte. –“Mi sento in colpa,
Ioria!” –Aggiunse Isabel. –“So che Asher è rimasto qua, da solo, per starmi
vicino, per poter essere utile! Forse dovrei ordinargli di tornare in Giappone,
dove potrebbe essere lontano dai pericoli, ma sono certa che non ubbidirebbe
mai!”
“Lo credo anch’io! Troppo grande
è il suo desiderio di starvi accanto! Troppo grande è il suo desiderio di
servirvi e proteggervi!” –Rispose automaticamente Ioria, chiedendosi per la
prima volta perché. Che cosa aveva quella donna da cui tutti sembravano essere
magneticamente attratti al punto da rischiare la loro vita, al punto da
arrivare persino ad uccidere, condannandosi così al dolore eterno?
Che strano! Si disse Ioria, sollevando lo sguardo a fatica e
incrociando quello, preoccupato e amabile, di Lady Isabel. Non ho mai
pensato a lei in questo modo! Da quando scoprii la verità, in quel pomeriggio
di sole a Nuova Luxor, inginocchiandomi per la prima volta di fronte a lei,
l’ho sempre considerata Atena, la mia Dea, colei a cui l’intera mia esistenza è
stata destinata fin da piccolo. Fin da quando, allora un bambino di quattro
anni, iniziai ad allenarmi, per il volere di mio padre e mia madre, sotto
l’occhio attento di mio fratello Micene, l’uomo che per anni è stato il mio
tramite verso Atena. Il mio ponte verso il futuro. Ma adesso che ho accantonato
l’idea che mi aveva torturato per tredici lunghi anni, l’idea che mi aveva
spinto ad odiare mio fratello per aver rinnegato i valori e gli ideali che
avevamo condiviso insieme, adesso che sono libero dal suo fantasma e che posso
pensare a lui come un eroe, come un martire per la libertà, non riesco a fare a
meno di odiarla. Sì! Odiarla! Perché questa donna, che mi sorride fingendosi
preoccupata per me e per Asher, e per Pegasus o per un altro Cavaliere disposto
a dare la vita per lei, è in realtà colei che ha condannato mio fratello a
morte! È colei la cui esistenza ha messo in pericolo la vita di mio fratello,
portandomelo via!
“Ioria! Tutto bene?!” –Domandò
la voce calma di Lady Isabel, avvicinandosi al ragazzo e sfiorandogli una mano.
“Sì!” –Rispose bruscamente
Ioria, sollevandosi e liberando la sua mano dal tocco della donna, che parve
infiammarlo per un momento. –“Dea Atena, tornerò alle Dodici Case, per avere
ulteriori informazioni su Asher e sul nostro eventuale nemico! Vi comunicherò
quanto prima eventuali notizie utili!” –Aggiunse, voltando le spalle ad Isabel
e incamminandosi per andarsene, lasciando la donna, con le mani giunte e lo
sguardo preoccupato, al centro della stanza.
Appena uscito dalla Sala del
Trono, Ioria si appoggiò con tutto se stesso alla massiccia porta che aveva
prontamente richiuso dietro di sé. Alla porta che lo separava da quello che in
quel momento era l’oggetto della sua vendetta, la donna il cui peccato non
sarebbe mai riuscito ad accettare: la sua esistenza. La sua stessa esistenza
che aveva condannato suo fratello Micene, i cui ideali erano talmente puri e
così genuinamente sentiti da trascinarlo verso la morte. Per lei.
Ioria si scosse, sudando
copiosamente e cercando di trattenere la rabbia che si era improvvisamente
impossessata di lui, accendendo i suoi occhi verdi di un fuoco che soltanto una
volta vi aveva albergato, quando Arles lo aveva posseduto con il suo Demone
dell’Oscurità. Se avesse ascoltato i suoi sensi, istintivo e irruento come
era solito comportarsi, avrebbe sfondato il portone e raggiunto la Sala del
Trono per trafiggere, per dilaniare, per massacrare la donna che così tanto
male aveva recato a suo fratello, e a lui. La donna che in quel momento non
vedeva più come Atena, né come Isabel, né come una semplice indifesa, ma
soltanto come la causa della morte di Micene e dei suoi tredici anni di dolore.
Facendosi forza, strinse i denti e si allontanò, correndo verso l’esterno,
sperando che l’aria fresca di quel mezzogiorno di settembre potesse aiutarlo a
riprendersi, a risvegliarsi da quell’incubo in cui credeva di essere precipitato.
Non fu così. Tutt’altro. L’aria era improvvisamente cambiata e al posto dei
luminosi raggi di sole, che avevano illuminato il suo sguardo fin dalle prime
luci dell’alba, Ioria dovette fronteggiare una nebbiolina fine e tenue, quasi
impalpabile per un essere umano ma percettibile da un Cavaliere. Una nebbiolina
rossastra, carica di odio, di sangue e soprattutto di rabbia.
“Bastarda! Non provarci più!”
–Gridò Tisifone, balzando addosso a Castalia e sbattendola a
terra, mentre i suoi affilati artigli le strappavano via un pezzo della
maglietta che aveva indosso, ferendole la pelle e facendo zampillare getti di
sangue. –“Ti ho soltanto chiesto come ti senti, che cosa hai provato a rivedere
Ioria e a poter parlare di nuovo con lui, anche soltanto per un minuto, e tu mi
hai aggredito in questo modo!” –Aggiunse rabbiosa, indicando un graffio che la
Sacerdotessa dell’Aquila le aveva causato poco prima, rispondendo stizzita alle
sue domande.
“Togliti, Tisifone! Non vorrei
essere costretta a farti del male!” –Esclamò agitatamente Castalia, scagliando
Tisifone indietro con un calcio e rimettendosi in piedi. –“La mia vita
appartiene a me soltanto, non a te! E per quanto ti piaccia considerarti come
mia amica, non lo sei affatto!”
“Neanche tu lo sei, se è per
questo! Ma almeno io mi sforzo di comportarmi come tale!” –Rispose Tisifone,
sollevando le braccia con le lunghe unghie affilate.
“L’unico sforzo che fai, l’unico
motivo per cui io posso interessarti, è per arrivare a Pegasus! Soltanto lui ti
interessa! Non credere che non abbia capito che falsa persona opportunista si
nasconda dietro quella maschera!” –Le sputò in faccia la verità Castalia. –“Ma
da me non avrai aiuto alcuno! Non ti permetterò di fare del male al mio adorato
discepolo!”
“Taci, bugiarda e
calunniatrice!” –Ringhiò Tisifone, scattando avanti e muovendo rapidamente le
braccia, liberando violenti fendenti di energia che si abbatterono su Castalia,
obbligandola a sollevare le braccia avanti a sé, per proteggersi. –“Proprio tu
parli! Tu che ti sei abbandonata tra le braccia del Luogotenente dell’Olimpo,
rinnegando l’amore nascosto per Ioria che ti ha corroso l’animo per anni? Sei
un’ipocrita!” –Gridò Tisifone, muovendo il braccio destro con forza e
affondando i lunghi artigli nella carne di Castalia, all’altezza del suo polso.
“Tisifone!!! Non sono più una
bambina, per quanto ti piaccia considerarmi tale! Ed ho anch’io artigli che
possono offendere!” –Rispose irata Castalia, scansando la donna bruscamente e
colpendola con un pugno in pieno sterno, facendola sputare sangue e accasciare
in avanti. Ma Castalia non le diede tempo di rifiatare, colpendola dal basso
con un violento calcio sulla mascella, che la spinse indietro, sbattendola a
terra e facendole perdere la maschera.
“Bastarda!!!” –Gridò Tisifone,
rialzandosi prontamente e asciugandosi il sangue che le colava da un labbro.
Sollevò il braccio destro al cielo e lo caricò del suo cosmo dai riflessi
violetti. –“Cobra incantatoreee!!!” –E si lanciò su Castalia, mirando al
suo viso con i suoi artigli affilati. Ma la Sacerdotessa dell’Aquila, che ben
conosceva quel colpo, lo evitò spostandosi di lato, venendo raggiunta soltanto
alla spalla destra, la cui spallina protettiva andò in frantumi, potendo così
contrattaccare con la sua Cometa pungente da distanza ravvicinata.
L’attacco di Castalia scaraventò
Tisifone indietro vari metri, danneggiando la sua cotta protettiva e causandole
numerosi lividi sul corpo, ma neppure questo servì per placare l’improvviso
sfogo di violenza che era avvampato tra le due Sacerdotesse. Attirati dal
rumore della lotta, alcuni soldati semplici si avvicinarono, chiamando inorriditi
i due Cavalieri d’Argento, intimando loro di smettere e ricordando che lotte
intestine al Grande Tempio, per motivi personali, erano strettamente vietate da
Atena e, come tali, suscettibili di punizione. Castalia e Tisifone non
risposero, limitandosi a scambiarsi un’occhiata carica di rabbia e balzando di
scatto contro i soldati semplici. Li travolsero tutti, uno dopo l’altro,
affondando i loro artigli affilati nella carne degli uomini, dilaniando le loro
effimere protezioni e lasciandoli a terra, ad agonizzare in una pozza di
sangue.
“Pe... perché?!” –Mormorò
l’ultimo soldato, prima di crollare al suolo esanime.
“Perché siamo in guerra!”
–Ringhiò Castalia. –“E in ogni guerra può esservi un solo vincitore!” –E si
voltò verso Tisifone, in piedi davanti a lei, con le braccia tese avanti e gli
artigli carichi di energia cosmica. Senz’altro aggiungere, Castalia balzò in
aria, gettandosi contro la sua rivale. –“Volo dell’Aquila reale!!!”
–Gridò, mentre la sagoma di un aquila, con gli artigli pronti a ghermire,
compariva dietro di lei.
Tisifone, preparata a tale
assalto, incrociò le braccia di fronte a sé, contenendo l’impatto dell’attacco,
prima di rispondere con violente scariche di energia, dal colore violetto, che
avvolsero il corpo di Castalia, stritolandolo con forza e schiantando la sua
maschera e parte della sua protezione, mentre Tisifone portava il braccio
destro avanti, caricando il Cobra Incantatore. La Sacerdotessa
dell’Aquila riuscì a rispondere con la sua Cometa pungente e il
contraccolpo tra i due poteri, così accesi e così vicini, scaraventò entrambe
indietro di una decina di metri, facendole schiantare a terra, dove rimasero,
perdendo conoscenza.
Pochi minuti dopo arrivò Kiki,
teletrasportatosi direttamente al Cancello Orientale, attirato dai rumori dello
scontro, e si trovò di fronte una distesa di corpi feriti e massacrati,
dilaniati da violenti segni di lotta. Vicino ai corpi dei soldati semplici,
Kiki rinvenne quelli di Castalia e di Tisifone, chinandosi immediatamente su di
loro, preoccupato per le condizioni delle Sacerdotesse. Le chiamò a gran voce,
pensando che le due fossero state sorprese da un attacco improvviso, magari
portato dallo stesso nemico che aveva assalito Asher al cimitero un paio d’ore
prima.
“Ooh, Kiki! Sei tu?” –Balbettò
la Sacerdotessa del Serpentario.
“Non parlare, conserva le forze!
Vi porterò subito all’infermeria del Grande Tempio! Chi è stato a ridurvi così?
Dov’è il nemico?!” –Esclamò Kiki confusamente, stringendo la donna a sé.
“Ca… Castalia…” –Mormorò
Tisifone, prima di perdere i sensi, stanca per la lotta sostenuta.
“Castalia è qua, anche lei è
ferita! Non temere! Vi salverò io!” –Aggiunse il ragazzo, usando i propri
poteri per teletrasportare la donna all’ospedale del Grande Tempio, affidandola
alle cure delle giovani infermiere, alcune delle quali erano proprio le allieve
delle due Sacerdotesse. Quindi Kiki ritornò al Cancello Orientale, sollevando
il corpo di Castalia e portando anch’esso all’infermeria, prima di avvisare un
gruppo di soldati di andare a controllare lo stato di salute della decina di
guerrieri massacrati vicino al Cancello.
Un nuovo nemico! Commentò il ragazzo, mentre le infermiere portavano
dentro i corpi feriti di Castalia e Tisifone. Questo Grande Tempio è davvero
un luogo irto di pericoli! Riusciremo a starcene un po’ in pace? Si chiese,
mettendosi le mani in tasca e tirando un calcio ad un sasso, nel polveroso
piazzale antistante l’ospedale. E allora, dopo qualche giorno in cui non aveva
pensato a loro, indaffarato con l’addestramento, che Mur aveva deciso di
ricominciare, Kiki lasciò volare via la mente, pensando a Pegasus e ai suoi
quattro compagni, gli amici al cui fianco aveva affrontato numerose battaglie.
Certo, non aveva combattuto in prima linea, non avendo i poteri per farlo, ma
Kiki non si era mai tirato indietro, nonostante la sua giovane età, lanciandosi
senza indugio nelle fredde terre di Asgard e poi nel Regno Sottomarino, ove la
sua presenza si era rivelata quanto mai necessaria per portare l’Armatura di
Libra ai Cavalieri suoi amici alle sette Colonne dei Mari.
I suoi amici. Era così che Kiki
considerava ormai Pegasus, Dragone, Cristal, Andromeda e Phoenix. Ed anche loro
avevano riconosciuto il valore del fratello di Mur, considerandolo non soltanto
un apprendista, ma un ragazzo sorretto dagli stessi valori, dalla stessa
determinazione che albergava in loro. Nell’ultimo anno avevano avuto modo di
vedersi molto poco, prima a causa del Talismano della Dimenticanza, che li
aveva privati della memoria, riportandoli nelle loro terre natali, poi,
terminata la Grande Guerra contro Ares, ognuno di loro aveva voluto prendersi
un momento per se stesso. Per quanto Pegasus avesse avuto intenzione di lanciarsi
a capofitto alla ricerca di Flegias, dopo la sua scomparsa dalla Tredicesima
Casa, aveva dovuto riconoscere di non avere più la forza per muoversi, come non
l’avevano i suoi quattro compagni. Lady Isabel li aveva pregati di non
affaticarsi ulteriormente, mentre Ermes, il Messaggero degli Dei, che aveva
accompagnato Atena al Grande Tempio dopo la caduta di Tifone, aveva spiegato
che se ne sarebbero occupati i Cavalieri Celesti di catturare Flegias e
condannarlo per gli atroci crimini di cui si era macchiato.
Così Pegasus e i suoi quattro
compagni si erano nuovamente separati, decidendo di trascorrere del tempo con
le persone che amavano, quelle stesse persone da cui la guerra continuamente
voleva separarle. Andromeda era tornato con Nemes sull’Isola di Andromeda, per
rendere omaggio al suo maestro Albione e ai discepoli di lui, mentre Sirio e
Libra erano rientrati ai Cinque Picchi, per ricostruire la pagoda distrutta e
per trascorrere del tempo con Fiore di Luna. Pegasus aveva fatto altrettanto,
rientrando a Nuova Luxor e perdendosi nel caldo abbraccio di sua sorella
Patricia, mentre Cristal aveva fatto rotta su Asgard. L’unico che non aveva
annunciato il luogo ove si sarebbe recato era stato Phoenix, ma Andromeda non
se l’era presa più di quel tanto, immaginando che anch’egli, come tutti loro,
fosse soltanto in cerca di un po’ di serenità.
Il tempo del riposo è
nuovamente finito, amici miei! Una nuova prova attende tutti noi! Mormorò Kiki, incamminandosi verso la Prima Casa di
Ariete e accorgendosi soltanto allora che l’intero paesaggio era costellato da
rose rosse, i cui petali parevano intrisi del colore del sangue.
Quella notte al Grande Tempio
nessuno parve dormire sonni tranquilli, né la Dea, che si rigirava ansiosa tra
le lenzuola alla Tredicesima Casa, né i Cavalieri e i soldati rimasti,
preoccupati per l’aria di guerra che nuovamente sembrava aleggiare su tutti
loro. Il Grande Mur dell’Ariete, dopo aver addormentato Asher con un
potente sedativo naturale, era sceso di persona alla fine della scalinata di
marmo della Prima Casa, ove l’anno prima Lady Isabel aveva giaciuto per dodici
lunghe ore, per dare ordine ai soldati di rafforzare la vigilanza e di chiudere
tutte le possibili vie di entrata al Grande Tempio, accendendo i fuochi lungo
le ricostruite mura e vegliando continuamente, certo che qualcosa di grosso
fosse nell’aria. In quell’aria che nelle ultime ore si era inspiegabilmente
fatta sempre più soffocante, sempre più torrida, giungendo a incombere
sull’intero Grande Tempio con un perverso colorito rosso sangue. Quasi volesse
annunciare un’alba di tragedia.
Mur aveva trascorso l’intera
giornata rinchiuso nella Prima Casa, per prendersi cura di Asher, la cui
agitazione aveva iniziato a diminuire solamente nel tardo pomeriggio, dopo
numerosi impacchi di erbe che sembravano aver raffreddato la fiamma che ardeva
dentro al suo corpo, e che lo stava divorando con rabbia. Fu solo allora che,
dopo essere stato avvisato da Kiki, era riuscito a tirare un’occhiata verso il
cielo, notando la cappa di nebbiolina rossastra che sovrastava il Grande
Tempio. Aveva sospirato preoccupato, augurandosi che il vento della sera
disperdesse quella sinistra foschia, che rimaneva per il momento ad una certa
distanza dalle Dodici Case, quasi rappresentasse l’avamposto dell’assedio che
il nuovo nemico di Atena stava preparando.
Durante la notte, Mur non riuscì
a prendere sonno, rigirandosi continuamente nel letto, inseguendo pensieri
sfuggenti che ronzavano nella sua mente, lontani insegnamenti di Sion e di sua
madre che aveva ricevuto durante l’infanzia. Un grido lo risvegliò di scatto,
obbligandolo ad alzarsi e a correre attraverso le ampie stanze della Prima
Casa, richiamato da quella voce terrorizzata che ben conosceva. La voce di suo
fratello Kiki.
Quando raggiunse la stanza dove
riposava suo fratello, Mur impiegò qualche secondo per comprendere cosa stesse
accadendo, tra le grida terrorizzate di Kiki e i latrati, o forse i grugniti,
inferociti di una creatura che lo aveva afferrato per la maglietta, sbattendolo
al muro, intenzionato a cibarsi della sua giovane carne. Il Cavaliere di Ariete
scattò subito in aiuto del fratello, generando un piano verticale di energia in
mezzo ai due contendenti, in modo da separarli e da spingere il suo nemico
indietro bruscamente. Con apprensione, Mur corse da Kiki, ma non ebbe tempo di
sincerarsi delle sue condizioni che dovette fronteggiare l’imbestialito assalto
della creatura avvolta dalle ombre che balzò contro di lui, in un nido di versi
osceni, sbattendolo con la schiena al muro, sfoderando fauci risplendenti di un
acceso rosso sangue. Il sangue di suo fratello Kiki, che il suo avversario
aveva azzannato a un braccio poco prima. A quel pensiero, Mur reagì d’istinto,
scaraventando indietro la creatura deforme con la sola forza del pensiero,
schiacciandolo contro la parete dall’altro lato della stanza.
Solo in quel momento poté
avvicinarsi a Kiki, rannicchiato a terra, indebolito per essere stato
stramazzato come un cencio, e ferito a un braccio. Sentì il battito accelerato
del suo cuore, dovuto alla paura che era montata in lui, quando era stato
svegliato di corpo, dall’alitare affamato di qualcuno, o di qualcosa, che si
era avvicinato al suo letto per affondare i canini nel suo giovane corpo,
lasciando avvampare la rabbia che covava dentro. Kiki, ansimando a fatica, poté
pronunciare soltanto due parole, che terrorizzarono Mur, prima che il Cavaliere
di Ariete fosse obbligato a voltarsi, per fronteggiare il nuovo assalto del suo
nemico.
“È Asher!!!” –Gridò Kiki, con il
cuore in gola, mentre Mur evitava l’attacco del suo avversario, spostandosi di
lato e fermandolo di scatto, afferrandolo per il collo con una poderosa stretta
della sua mano. Lo spostò, roteando la sua testa all’indietro, tra i gemiti
imprecanti, fino a portarlo in direzione della luce della luna, proveniente
dalle alte finestre della stanza, e solo allora lo riconobbe. Anche se di Asher
c’era rimasto veramente poco.
“Dea Atena!!!” –Sussultò Mur,
spingendo il ragazzo indietro, intimorito dall’orrida visione. Il volto di
Asher era trasfigurato, simile al muso di una belva inferocita, desiderosa di
caccia e di sangue. I suoi occhi traboccavano odio e fiamme, mentre i denti
sporgenti parevano le zanne di una fiera pronta ad assalire la sua preda. Con
un nuovo scatto Asher si lanciò avanti, emettendo versi osceni, quasi incapace
di esprimersi in una lingua corrente, capace soltanto di muoversi, di dirigere
i suoi attacchi contro il Cavaliere di Ariete, il quale, per proteggere Kiki e
se stesso, creò la sua barriera difensiva, il Muro di Cristallo, che
scaraventò Asher indietro.
Ansimando, con rivoli di bava
che gli colavano dalle labbra, Asher si sollevò nuovamente in piedi, come se
non sentisse il dolore di crollare a terra ad ogni assalto che dirigeva contro
Mur. Una volta. Due volte. Tre volte. Sembrava una bestia priva di qualsiasi
raziocinio, mossa da semplici istinti animali. Mur tentò di parlargli, di
calmarlo, lo chiamò più volte, parlandogli anche di Atena, di Lady Isabel, ma
non vi era niente che potesse suscitare l’interesse di Asher. Non vi era niente
che potesse anche soltanto raggiungere le orecchie di Asher, refrattarie a
qualsiasi suono, salvo a quello dei lamentevoli grugniti che emetteva di
continuo, lanciandosi imbestialito contro la barriera di Mur.
“Fratello!” –Lo chiamò Kiki,
avvicinandosi alle gambe di Mur e fissando Asher strusciarsi con tutto il corpo
alla limpida protezione di cristallo, prima di percuoterla con violenti
attacchi e stridere le sue unghie su di essa, come a graffiarla, dominato da un
instancabile istinto animale.
“Perdonami, Asher!” –Mormorò
infine Mur, consapevole che non vi fossero altri modi per porre termine alla
sua agonia. Di scatto, mentre Asher scattava nuovamente verso di lui, tolse il Muro
di Cristallo, facendo ruzzolare il ragazzo in avanti, per l’eccessivo
slancio, portandosi dietro di lui e sollevando il braccio destro al cielo,
espandendo il suo cosmo, che scintillò nella semioscurità della stanza. –“Ragnatela
di Cristallo!” –Gridò Mur, scagliando contro l’Unicorno uno dei suoi
attacchi, con il quale fermò i suoi movimenti, imprigionandolo in una tela di
energia, come un ragno intrappola una mosca, in modo da precludergli qualsiasi
altro tentativo di attacco.
Asher cercò di sfuggire da
quella morsa, dimenandosi e bruciando il suo cosmo, ma pareva diventato
incapace persino di controllarlo. Era solo una bestia furiosa che si
barcamenava in trappola, fissando il suo cacciatore con occhi di brace. Mur si
avvicinò a lui, mentre Kiki rimase leggermente indietro, ancora impaurito da
quell’improvvisa e preoccupante trasformazione del ragazzo, e lo osservò con
aria rattristata, consapevole che ciò che stava accadendo al Cavaliere
dell’Unicorno non era affatto imputabile alla sua volontà. No! Rifletté
Mur, che aveva ormai compreso cosa stesse accadendo. È il veleno di quelle
rose! Aggiunse, medicando in fretta il fratellino e sistemando le sue
ferite con dei medicamenti, prima di pregarlo di prepararsi in fretta.
“Corri a Nuova Luxor, con i tuoi
poteri, e porta qua prima che puoi il Cavaliere di Andromeda!” –Ordinò Mur, con
voce calma ma decisa al tempo stesso. –“Egli è il solo che possa esserci
d’aiuto per risolvere questo delicato problema!”
“Andromeda?! Ma se fosse ancora
sulla sua Isola?” –Balbettò Kiki, senza comprendere molto.
“Allora è là che lo cercherai!
Sbrigati, Kiki, te ne supplico! Porta qua Andromeda! Ma soltanto lui!” –Incalzò
Mur, mentre Kiki annuiva, concentrando i propri sensi e scomparendo dalla Prima
Casa in un lampo di luce.
Mur sospirò, voltandosi verso Asher
e collegando quanto avvenuto agli insegnamenti che aveva ricevuto da Sion e dai
discendenti di Mu anni addietro, quando era ancora un apprendista Cavaliere.
Adesso, ripensando alla nebbia che aveva visto sollevarsi sulla parte bassa del
Grande Tempio, alle rose di cui Kiki lo aveva informato, e all’attacco di cui
erano rimaste apparentemente vittime Castalia e Tisifone, il Grande Mur riuscì
a mettere insieme tutti i dettagli. E pregò che Pegasus e gli altri rimanessero
lontani da Atene.
Era quasi l’alba quando
l’affaticato cosmo di Kiki lanciò un appello al fratello, che attraverso lo
spaziotempo riuscì a percepirlo e ad aiutarlo a ritornare alla Prima Casa
dell’Ariete. Visibilmente sollevato alla vista che Andromeda era con
lui.
“Ma cosa sta succedendo, Mur?”
–Domandò il ragazzo, che indossava i suoi abiti informali, ancora stordito
dalla rapida concatenazione degli eventi. –“Kiki è venuto fin sull’Isola di
Andromeda a cercarmi!”
“Sono… stato bravo!” –Mormorò il
bambino, accasciandosi al suolo, esausto per il prolungato sforzo.
“Sì! Ti sei comportato da vero
Cavaliere, Kiki! Ma il sacrificio che devo chiederti temo che non sia ancora
finito! Perciò riposati, in questi pochi minuti che ti sono concessi!”
–Commentò Mur, guardando il fratello con occhi pieni di orgoglio, e di
rammarico al tempo stesso. –“Andromeda, la situazione è grave! Dobbiamo agire
al più presto, o corriamo il rischio di rimanere gli ultimi Cavalieri di
Atena!”
“Spiegati, Mur! Le tue parole
sono enigmatiche!” –Esclamò Andromeda, con apprensione.
Il Cavaliere di Ariete narrò al
ragazzo gli eventi verificatisi in quella lunga giornata, dall’aggressione di
Asher al cimitero al presunto attacco al Cancello Orientale, puntando il dito
contro le rose rosse che avevano infestato l’intero Grande Tempio,
responsabili, con il loro aroma, della nebbiolina infernale che stava
sovrastando l’intera struttura.
“Delle rose? Non capisco!”
–Balbettò Andromeda.
“E invece dovresti! Proprio tu,
che alla Dodicesima Casa di Fish hai avuto modo di tastare con mano quanto
pericoloso potesse essere quel nobile fiore!” –Commentò Mur. –“Non una specie
qualsiasi, bensì una che credevo estinta da secoli! La rosa di rabbia, una rosa
demoniaca creata dagli alchimisti di Ares millenni addietro!”
“La rosa di rabbia?! Un nome
foriero di morte!” –Mormorò Andromeda.
“Precisamente! La rosa di rabbia
era una specie particolare di rosa, dai petali dal macabro color rosso ombra,
capace di attrarre tutte le rabbie e i rancori del mondo, risvegliando così
negli uomini il loro istinto animale, azzerando il raziocinio e rendendoli
simili a delle bestie! Tali istinti bestiali avrebbero consumato l’uomo,
spingendolo ad azzannare il proprio vicino e quindi se stesso, fino a ridurlo
alla parvenza di ciò che era stato! Fino a ridurlo… ad un’ombra!”
“Inquietante!” –Disse Andromeda,
con occhi pieni di timore.
“Ares la fece creare da un
gruppo di alchimisti che si ribellarono ad Atena, con lo scopo di impiantarne
folti gruppi in tutte le zone che intendeva sottomettere, in modo da assistere,
divertito spettatore, al massacro operato dai suoi stessi nemici, i quali,
privi di difese contro i loro stessi istinti, finivano per uccidersi gli uni
con gli altri, lasciando campo libero al Dio della Guerra!”
“Ares hai detto, eh?!” –Rifletté
Andromeda. –“Che ci sia Flegias dietro tutto questo?”
“Non abbiamo tempo per pensare a
chi l’abbia impiantata ad Atene, ma soltanto per decidere come noi la
estirperemo!” –Incalzò Mur, incamminandosi verso l’ingresso della Prima Casa.
Andromeda lo seguì, fermandosi in cima alla scalinata di marmo bianco e tirando
uno sguardo verso il basso, verso una fitta siepe di rose di rabbia cresciuta
ai piedi della Dodici Case. –“Osserva!” –Esclamò Mur, sollevando il braccio
destro al cielo e caricando il suo colpo segreto. –“Stardust Revolution!”
Una fitta pioggia di energia,
simile a stelle cadenti, sfrecciò nell’alba di Atene, schiantandosi contro la
siepe di rose di rabbia, distruggendola come fosse di carta. Ma i petali e i
fusti delle rose, crollati sul terreno, ne vennero immediatamente assorbiti,
dando vita a nuove e pericolose piante, forse anche in numero maggiore a quelle
preesistenti.
“È un circolo vizioso! Più le
tagli e più ricrescono!” –Affermò Andromeda stupefatto. –“Però… forse… Mur,
potrei spazzarle via con la mia Nebulosa di Andromeda!!!”
“Riusciresti a estirpare
soltanto la parte in superficie di quelle piante assassine, ma non le radici,
troppo penetrate nel terreno da poter essere sradicate da mano umana!”
“E allora cosa dobbiamo fare?
Rimanere qua impotenti mentre tutto il Grande Tempio viene contagiato? Quanti
altri, oltre ad Asher, ne saranno stati infettati?” –Gridò Andromeda,
rientrando con Mur all’interno della Casa di Ariete.
“Due soltanto, per il momento!
Castalia e Tisifone! Ma temo che gli effetti sui soldati semplici non
mancheranno di farsi sentire quanto prima!” –Commentò Mur. –“Il modo in cui
agisce la rosa di rabbia è singolare, ed è forse il nostro piccolo vantaggio
per batterla sul tempo! Tu sai, Andromeda, che il legame che unisce ogni
Cavaliere con la sua costellazione non è un legame di mera facciata, ma
un’influenza profonda, che agisce sull’animo del Cavaliere! Il tuo maestro ti
avrà certamente insegnato che tra noi e le stelle esiste una connessione
intima, per quanto non apparente, che ci permette di guidarle ed esserne
guidati! Di influenzarne il destino e di esserne a sua volta influenzati!”
“Ricordo che Albione una volta
mi fece un discorso simile!” –Annuì Andromeda. –“Ma questo cosa c’entra con la
rosa di rabbia?”
“Tutti voi, un tempo Cavalieri
di Bronzo, adesso Cavalieri Divini, avete avuto modo di provare sulla vostra
pelle tale intima connessione! Non è stato forse il tuo un destino di
sacrificio, fin dall’inizio, Andromeda? Non fosti immolato per superare
l’ultima prova del tuo addestramento, come nel mito greco la Regina Andromeda
fu offerta in sacrificio a Poseidone affinché le acque degli oceani in tempesta
si placassero? E non è Pegasus degno di incarnare il cavallo alato della
mitologia, le cui possenti ali sempre spiega verso il cielo? E non è forse
Sirio saggio e potente, come gli antichi Draghi di Cina, simboli di forza e al
tempo stesso di un’arcana saggezza? E cosa dire infine di tuo fratello, Ikki di
Phoenix, le cui continue lotte con la morte lo rendono più che meritevole di
essere la Fenice del nostro secolo?!” –Esclamò Mur. –“Il legame tra un
Cavaliere e la sua costellazione non è mai casuale, ma influisce sui destini di
un intero universo! Del suo personale universo! E la rosa di rabbia agisce
anche sui Cavalieri, per quanto essi, in virtù dei loro poteri, e
dell’addestramento che hanno ricevuto, dovrebbero essere maggiormente in grado
di tenere a freno i loro istinti! Ma quando è il legame stesso con la
costellazione ad essere intaccato, quando è l’istinto animalesco di Pegaso, o
del Drago, o della Fenice, ad essere risvegliato, privo di ogni razionale
controllo, cosa ne resta dei freni inibitori degli uomini?”
“Dei dell’Olimpo!” –Mormorò
Andromeda, che aveva compreso la gravità della situazione. –“Se mio fratello e
gli altri fossero ad Atene… in virtù dei simboli che li rappresentano… sarebbe
una strage!”
“Una catastrofe senza
precedenti!” –Concordò Mur, con voce pacata. –“Per questo ho mandato Kiki a
cercare proprio te, che, oltre a essere l’uomo con il cuore più puro di questo
mondo, e come tale teoricamente inattaccabile, sei anche privo di qualsiasi
istinto animalesco, non essendo la tua costellazione legata a bestia alcuna! Ma
fai comunque attenzione a non esporti troppo! Questo non ti differenzia dalla
massa di uomini comuni che, aspirati gli odori della rosa di rabbia, presto o
tardi scivolano nella pazzia!”
“Cosa devo fare?!” –Disse infine
Andromeda, con un gran sospiro, consapevole del suo delicato ruolo in quella
situazione.
“Secondo i testi antichi dei
discendenti di Mu, c’è solo un modo per distruggere la rosa di rabbia! Un
liquido che deve essere cosparso sulle sue radici, in modo da impedirle di
riprodursi! Il sangue di Biliku!” –Spiegò infine Mur.
“Biliku?! Non ho mai sentito
questo nome! Chi è?”
“Chi o cosa è!” –Precisò Mur,
spiegando la storia della creatura. –“Si tratta di una creatura primordiale che
vive nelle isole Andamane, al largo della Birmania, il cui aspetto, narrano i
libri, è quello di un’enorme donna-ragno! Un essere in parte umano e in parte
bestia!”
“Una donna-ragno?!” –Sgranò gli
occhi Andromeda.
“È una delle creature più
antiche del mondo, adorata un tempo dagli indigeni del golfo del Bengala!
Abbiamo bisogno del suo sangue, poiché pare proprio che si tratti dell’unica cosa
in grado di estirpare queste rose maledette! Probabilmente in virtù della sua
origine animalesca, a tratti oscura, pare che il sangue di Biliku sia capace di
rendere sterile persino il giardino meglio coltivato!” –Spiegò Mur.
“D’accordo, Mur! Troverò questa
Biliku e ti porterò… il suo sangue?! Dovrò dunque ucciderla?!” –Chiese infine
Andromeda, preoccupato dalla possibilità di dover ferire una creatura che, per
quanto disgustosa potesse essere, rimaneva comunque innocente, ed estranea alle
loro guerre.
“Non sarà necessario! Tieni,
prendi quest’ampolla e riempila fino alla cima!” –Esclamò Mur, fissando
Andromeda negli occhi. –“Il destino di tutti i Cavalieri è nelle tue mani
Andromeda! Andrei io stesso, ma non posso muovermi, con Asher in queste condizioni,
e con il Grande Tempio indifeso! Inoltre, a differenza tua, potrei risentire
maggiormente degli effluvi delle rose di rabbia! Certo, il cosmo di Atena tiene
per il momento queste piante maledette lontane dalla soglia delle Prima Casa, e
anche le pozioni di Mu dovrebbero rallentare gli effetti di quell’animalesco
odore, ma non possiamo rischiare! L’incertezza è un lusso che adesso non
possiamo permetterci!”
“Sarò degno della tua fiducia,
Grande Mur!” –Esclamò Andromeda, accennando un sorriso.
Mur fece un cenno a Kiki, e il
ragazzo si avvicinò ad Andromeda, prendendolo per mano. Lo avrebbe accompagnato
in quella nuova avventura, fin nelle perigliose Isole Andamane. Scambiarono un
ultimo sguardo con il Cavaliere di Ariete, che augurò loro buona fortuna, prima
di scomparire in un lampo di luce.
“Fate attenzione, amici miei! Se
chi ha ricreato le rose di rabbia è a conoscenza anche del segreto di Biliku,
potreste incontrare inconvenienti spiacevoli!” –Mormorò.
Bastarono pochi secondi a Kiki
per teletrasportare Andromeda e se stesso nelle Isole Andamane. Ma quei pochi
secondi, sommandosi ai viaggi di quella lunga notte, lo stremarono enormemente,
costringendolo ad accasciarsi sulle ginocchia non appena arrivati. Andromeda
gli carezzò la testa, arruffandogli i capelli e ringraziandolo per lo sforzo,
prima di guardarsi intorno, preoccupato su come procedere.
È successo tutto così in
fretta! Si disse il Cavaliere di Atena,
ripensando alle ultime ore, prima della convocazione da parte di Mur. Agli
ultimi giorni che aveva trascorso con Nemes sull’Isola di Andromeda. Da soli,
avvolti nelle rovine di quella che un tempo era stata la località del suo
addestramento, e dell’addestramento di tanti altri ragazzi che, prima di lui,
avevano tentato di conquistare l’Armatura di Andromeda, o una delle corazze
minori nascoste sull’Isola. Quando l’anno prima Scorpio aveva sterminato
Albione e i suoi discepoli, il suolo dell’isola vulcanica era stato
sconquassato in più punti e le acque dell’Oceano Atlantico avevano trovato
facile via per sommergere alcuni lembi di terra, dando all’isola un aspetto
ancora più inospitale.
Ma Andromeda aveva voluto
recarvisi comunque, per portare un saluto al suo maestro Albione e ai compagni
del suo addestramento. Dopo la fine della scalata alle Dodici Case, Atena aveva
ordinato che i cadaveri del Cavaliere di Cefeo e dei suoi discepoli fossero
recuperati e condotti in Grecia, per avere degna sepoltura nel cimitero del
Grande Tempio. Ed era stato proprio Scorpio ad occuparsene. Lui, che
nient’altro desiderava se non lavare il disonore dell’atto di cui si era
macchiato in passato. Sull’isola erano soltanto rimaste delle croci di legno e
di pietra, semplici e spartane, come l’esistenza che Albione era stato solito
condurre. E ai piedi di quelle croci Andromeda e Nemes avevano pregato per ore.
Dopo la fine della Grande Guerra
contro Ares, Andromeda aveva deciso di prendersi un po’ di tempo per sé, per
visitare i luoghi in cui era cresciuto e diventato Cavaliere, e prima ancora
uomo. E aveva scelto di portare con sé una persona il cui destino sentiva così
tanto legato al suo, nonostante non avesse mai potuto dimostrarle quanto
affetto provava per lei, impegnato com’era stato nell’ultimo anno in guerre
continue. E Nemes, dal canto suo, non aveva mai rinunciato a stargli accanto, a
vegliare su di lui, anche solo con una preghiera da lontano. Non aveva osato
fiatare neppure quando Atena le aveva confessato, mesi addietro, il suo
desiderio di far perdere la memoria ai cinque Cavalieri di Bronzo, per
permettergli di dimenticare guerre e dolore e far vivere loro una vita normale.
Fedele alla sua Dea, Nemes aveva ingoiato anche quell’amaro boccone,
consapevole che Andromeda si sarebbe quindi dimenticato anche di lei. Ma il
tempo aveva mescolato nuovamente le carte e adesso, per la prima volta dalla
fine dell’addestramento, erano di nuovo insieme, sull’Isola di Andromeda, a
contemplare lo sfacelo di un mondo che non esisteva più.
Che sia questo il destino di
tutti noi? Aveva mormorato Andromeda,
osservando il suolo distrutto dell’Isola vulcanica. Nemes gli aveva sorriso,
prendendolo per mano e conducendolo nella costruzione dove avevano abitato
negli anni dell’addestramento. Quella almeno, seppure con numerose crepe ai
muri, era ancora intatta. E entrambi convennero che fosse un segno. Come quella
semplice abitazione, di pietra e rozzi massi, aveva resistito alla furia della
tempesta, così i sentimenti che provavano da anni, e che difficilmente
riuscivano a tirare fuori, avrebbero resistito a tutto. Anche alla morte.
Là, tra i dolorosi ricordi di
ciò che era stato e le angosciate speranze per un futuro incerto, Andromeda e
Nemes si erano uniti per la prima volta, assaporando un momento di pace
nell’infinita guerra contro il caos. Là, giorni dopo, Kiki lo aveva trovato, in
ginocchio su uno scoglio, intento a guardare il mare scivolare verso una nuova
alba. E adesso era stato sbalzato dall’altra parte dell’Africa, vicino alle
coste birmane, e vagava per isole sconosciute alla ricerca di un’antica
leggenda, l’unica che forse avrebbe potuto salvare la schiera dei Cavalieri di
Atena.
È come cercare un ago in un
pagliaio! Si disse Andromeda, guardandosi
intorno. Camminava insieme a Kiki in una fitta foresta, di chiara origine
pluviale, senza avere idea alcuna sulla direzione da seguire. Né la certezza di
trovarsi sull’isola giusta.
“Le Andamane sono un immenso
arcipelago di più di cinquecento isole e isolotti, disseminate nel Golfo del
Bengala in un arco di 500 km, a più di mille chilometri dalle coste
dell’India!” –Mormorò Andromeda, cercando di ricordare le nozioni di geografia
che aveva ricevuto un tempo, nelle limpide notti di luna trascorse assieme a
suo fratello Phoenix all’orfanotrofio a sfogliare libri ed atlanti, chiedendo
spesso perché le nazioni avessero confini. E non potessero vivere in pace.
–“Già da piccolo non c’è stato altro che abbia mai veramente voluto! Vivere in
pace!”
“Ehi, Andromeda?!” –La voce
squillante di Kiki lo distrasse dai suoi pensieri. –“E se non fosse l’isola
giusta? Come riusciremo a trovare questa fantomatica Biliku in questo labirinto
di isolotti? Dovremo girarli tutti?!”
“Non lo so, Kiki!” –Rispose
Andromeda candidamente, continuando ad avanzare nella fitta vegetazione della
foresta.
Era ormai mezzogiorno inoltrato
e il sole filtrava tra le alte fronde degli alberi, rischiarando a tratti la
visibilità, di per sé non eccessivamente accentuata. Kiki, esausto e affamato,
si lasciò cadere su un masso sporgente, asciugandosi la fronte con un
fazzoletto, pregando Andromeda di riposarsi un attimo. Il ragazzo fece per
rispondergli, quando avvertì una vibrazione nella sua catena. Un attimo dopo la
formidabile arma del Cavaliere di Atena si sollevò, saettando verso un angolo
buio della foresta, scontrandosi poco dopo con un paio di frecce.
“Qua, Kiki!!!” –Urlò Andromeda,
afferrando il ragazzo e stringendolo a sé, prima di disporre la catena a
difesa. Immediatamente un mulinello scintillante avvolse i due giovani, creando
un’impenetrabile barriera su cui un nugolo di frecce si infranse pochi istanti
dopo, mentre grida selvagge risuonavano dal profondo della foresta.
“Che sta succedendo?” –Chiese
Kiki impaurito, sentendo frusciare le fronde degli alberi attorno e vedendo
figure indistinte sfrecciare nell’ombra.
“Non lo so, ma la cosa non mi
piace affatto!” –Commentò Andromeda, continuando a roteare la sua catena e
frenando l’attacco di un altro nugolo di frecce.
Fu allora che li vide, nascosti
nell’ombra degli alberi, appollaiati sui rami più alti, come esperti cacciatori
pronti a balzare sulle prede ignare. Erano centinaia, e parevano aumentare ad
ogni occhiata che Andromeda dava attorno a sé. Piombarono nella radura uno dopo
l’altro, continuando a scagliare i loro dardi avvelenati, fatti di semplice
legno, contro Andromeda e Kiki, protetti dal vorticare impetuoso della catena.
Indossavano soltanto pezzi di pelle, con cui coprivano rade parti del corpo,
lasciando il resto scoperto e segnato da schizzi di tinture, che molto
probabilmente indicavano il loro ruolo e la tribù di appartenenza. Erano
selvaggi, come quelli che Andromeda aveva sempre visto negli atlanti o sui
libri di geografia, e li avevano circondati con una rapidità impressionante.
Andromeda ne scrutò alcuni,
quelli che osavano avvicinarsi con coraggio, continuando a scagliare frecce e
rudimentali lance dalla punta di pietra, e li trovò orribili, con schegge di
ossa piantate nel naso e nelle orecchie, denti gialli e quei suoni orribili con
cui comunicavano. Suoni che non riusciva assolutamente a decifrare, ma che, a
giudicare dall’espressione famelica sul volto dei suoi assalitori, non
lasciavano presagire niente di buono. Che fossero cannibali o meno, Andromeda
non ci teneva a scoprirlo, così decise di agire di scatto, lanciando la Catena
di Offesa all’attacco. Veloce come un fulmine, la Catena a Triangolo
sfrecciò dall’alto della difesa circolare, piombando sugli avversari e
colpendoli alle mani, facendo perdere loro la presa delle armi che stringevano,
o distruggendole sul colpo, spaventandoli e spingendoli indietro. In pochi
attimi, Andromeda disarmò i selvaggi, falciando le dita di qualcuno e
costringendo molti a fuggire via.
Ma la maggioranza, seppur
disarmata, rimase comunque compatta, formando un semicerchio attorno ad
Andromeda e Kiki, osservando con interesse i movimenti del Cavaliere di Atena e
borbottando tra loro parole indistinte. Andromeda allora, vedendo che i
primitivi si erano tranquillizzati, abbassò la difesa circolare, richiamando a
sé anche la Catena di Attacco, che strisciò sul terreno, luccicando nel sole
del pomeriggio. Esterrefatti da tale visione, i selvaggi fecero un balzo
indietro, abbandonandosi ad espressioni di stupore e profonda ammirazione.
Andromeda li sentì mormorare qualcosa, e anche Kiki prestò attenzione alle loro
voci, senza però riuscire a decifrare quell’antico linguaggio.
“Ser… pente!” –Gli sembrò di
sentire infine. –“Grande Serpente!” –Mormorò qualcun altro, prima che un uomo
si facesse avanti.
Impaurito, indicò le catene che
pendevano dalle braccia di Andromeda, prima di buttarsi ai piedi del ragazzo,
prostrandosi più volte. Pochi istanti dopo anche gli altri compagni dell’uomo
fecero altrettanto, e Andromeda si ritrovò di fronte ad una massa di primitivi
abitanti delle Isole Andamane che lo veneravano quasi fosse un Dio, in virtù
probabilmente dei poteri della sua catena, qualcosa di sconvolgente e nuovo per
le antiche tribù che popolavano quei luoghi.
“Non abbiate paura! Non voglio
farvi del male!” –Cercò di esprimersi Andromeda, avvicinandosi all’uomo
inginocchiato. Ma subito questi si mosse, scattando indietro impaurito.
–“Capite la mia lingua?”
“Grande Serpente!!!” –Ripeterono
confusamente gli uomini, indicando le catene.
Andromeda, comprendendo infine
la situazione, sciolse le Catene, lasciandole scorrere sul terreno, quasi
fossero serpenti dall’argenteo bagliore, di fronte agli sguardi intimoriti, e
al tempo stesso affascinati e eccitati, dei selvaggi che arretrarono,
prostrandosi al loro nuovo Dio. Il Serpente Cosmico, una delle più antiche
Divinità venerate dai popoli del Mondo Antico.
“Prova a chiedere loro qualcosa
su Biliku!” –Azzardò l’idea Kiki, sentendosi adesso più sollevato, nel vedere
gli indigeni succubi del fascino di Andromeda. –“Magari possono aiutarci a
risolvere questo enigma!” –Ma bastò nominare l’ancestrale creatura, che subito
i selvaggi si inquietarono, muovendo la testa con violenza e facendo gesti che
a Kiki parvero dei veri e propri scongiuri.
“Biliku!” –Esclamò Andromeda.
–“Dobbiamo trovare Biliku! Sapete dove si trova?”
“Donna ragno! Nemico del Grande
Serpente!” –Mormorò uno degli indigeni, rabbrividendo al solo nominarla. Quindi
si scosse, incamminandosi nel fitto della foresta, seguito dai selvaggi suoi
compagni, che si disposero su due file parallele, facendo cenno a Andromeda, e
a Kiki, di seguirli e camminare all’interno.
Seppur riluttanti, e sempre
pronti a difendersi o eventualmente a teletrasportarsi via, i due ragazzi
annuirono, unendosi all’improvvisata processione che attraversò la foresta
equatoriale, giungendo fino ai resti di un antico Tempio. Che fosse un
edificio, Andromeda lo comprese guardandolo da lontano, dalla forma che le
piante rampicanti avevano assunto nel corso dei secoli crescendo sopra di esso
e avvolgendolo nelle loro spire. Da vicino sembrava soltanto un’indistinta
massa verde, quasi una collina, tanto soffocante era la presa che le piante
avevano esercitato su di esso, segno evidente che da secoli nessuno era
penetrato al suo interno.
Ad un cenno dell’uomo che aveva
guidato la processione, che Andromeda capì essere il capo di tale tribù locale,
un gruppo di indigeni si avvicinò ad una parete del tempio, iniziando a
bruciare le piante che la coprivano e rivelando solide mura di pietra ornate da
antiche iscrizioni. E da una splendida, quanto inquietante, raffigurazione.
L’azione erosiva del tempo aveva reso illeggibili alcuni segni, ma il
significato apparve chiaro sia agli indigeni che ad Andromeda e Kiki.
Sull’enorme muro di fronte a loro era stata incisa una violenta scena di
caccia, che ritraeva un immenso ragno, dai lunghi tentacoli sinuosi, avvolto
nelle spire di un lugubre serpente, le cui fauci spalancate affondavano nel
tozzo corpo della creatura nemica, intenta ad avvolgerlo in fili biancastri. La
donna ragno e il serpente cosmico. Impegnati in uno scontro mortale.
Kiki osservò le incisioni con
attenzione, soffermandosi in particolare sull’ultima, dove sembrava chiaro che
il sangue della donna ragno avesse ucciso il serpente, che giaceva disteso al
suolo, in procinto di essiccarsi, ma che anche la stessa Biliku fosse rimasta
vittima del suo avversario, rinchiudendosi in una grande buca, che
rappresentava le profondità della Terra. Che fosse l’antico scontro che si era
consumato un tempo tra due potentissime forze primordiali? E che gli indigeni
vedessero in Andromeda il rinnovato Serpente Cosmico, tornato per avere la sua
vendetta? Questo Kiki non lo sapeva, ma era altamente inquieto, preoccupato da
tutta quella situazione che sembrava loro sul punto di sfuggire di mano.
In quella, ad un cenno del capo
della tribù, un gruppo di uomini spalancò con forza antichi portoni del Tempio,
rivelando un’entrata che nessun uomo doveva aver percorso negli ultimi tremila
anni. L’aria fetida che fuoriuscì dall’interno disgustò all’istante Andromeda e
Kiki, che tossirono ripetutamente, mentre alcuni uomini della tribù accendevano
delle fiaccole rudimentali, porgendole loro.
“Eeeh?! Non dovremo mica
infilarci in questo tunnel?!” –Strabuzzò gli occhi Kiki, lanciando uno sguardo
verso l’interno del Tempio. Ma non vedendo niente. Soltanto la notte più nera.
“Temo che non abbiamo molte
alternative, Kiki!” –Commentò a malincuore Andromeda, afferrando una torcia e
passandone un’altra a Kiki. –“Se davvero Biliku si è rinchiusa qua dentro, non
possiamo far altro che andare a cercarla! Per salvare il Grande Tempio di Atena
dagli istinti animaleschi della rosa di rabbia!” –Detto questo mosse un passo
avanti, dirigendosi verso l’ingresso dell’antico tempio, cercando di nascondere
la profonda inquietudine che lo aveva invaso. Davanti a Kiki, di cui aveva la
responsabilità morale, non poteva mostrarsi debole, ma risoluto, per quanto nel
suo cuore turbinassero sentimenti contrastanti. La paura prima su tutti.
Kiki sbuffò scocciato più volte,
ma poi decise di seguire Andromeda all’interno, non prima di aver afferrato la
lancia di un indigeno. Pochi passi e i due amici si ritrovarono avvolti dalle
tenebre. L’ampiezza della costruzione era immensa e sembrava scendere
progressivamente in profondità, dove l’oscurità era sempre maggiore e il
pestilenziale tanfo rendeva difficile la respirazione.
“Definirlo un immondezzaio è un
complimento!” –Ironizzò Kiki, tossendo più volte, mentre seguiva Andromeda in
quel dedalo di gallerie.
Le porte aperte dell’ingresso
erano ormai un ricordo lasciato alle spalle e la poca luce che aveva illuminato
la loro entrata era scomparsa, precipitando entrambi in una tenebra che
sembrava non avere fine. Persino con le fiaccole Kiki e Andromeda non riuscivano
ad avere una buona visibilità, dovendo continuamente fare attenzione a non
cadere in qualche buca o avvallamento del terreno. In silenzio, i due compagni
vagarono per una buona mezz’ora per le gallerie del tempio, disgustati dal
letamaio in cui erano immersi. Il solido pavimento piastrellato che aveva
caratterizzato l’entrata aveva ceduto presto il passo a un terreno molliccio, a
tratti fangoso, spezzettato da carcasse di animali sparse, avvolte in bianchi
filamenti appiccicosi. Kiki le osservò con disgusto, inghiottendo di colpo, non
osando chiedersi cosa le avesse ridotte in quello stato.
“Cosa… o chi?!” –Balbettò,
affiancando prontamente Andromeda, intento ad osservare le pareti laterali
dell’ampia galleria dove stavano camminando. Un tempo probabilmente l’intera
costruzione doveva essere stata ornata di decorazioni e di incisioni che
raccontavano la storia della creazione dell’universo secondo le credenze
animiste dell’antica popolazione di quelle isole. Ma adesso, migliaia di anni
più tardi, delle incisioni e delle leggende era rimasto ben poco, crollate
sotto il peso del tempo o delle frane, ammuffite nel ricordo o ricoperte da una
vischiosa sostanza che Andromeda individuò essere una ragnatela.
“Sembra che Biliku abbia saputo
come passare il tempo!” –Ironizzò, avvicinandosi ad una parete, interamente
ricoperta di fili biancastri, e chiedendosi quanti secoli fossero trascorsi,
quanti millenni, da quando la creatura primordiale era venerata apertamente
dagli indigeni di quelle isole.
Andromeda fece appena in tempo a
sfiorare con una mano la vischiosa superficie della parete laterale, che
dovette balzare indietro di scatto, mentre un lungo artiglio sbucava fuori
dalla massa di fili bianchi e si conficcava con rabbia nel terreno sotto i suoi
piedi. Kiki gridò spaventato, alla vista di quel peloso artiglio che scalciava
furioso, mentre il roboante movimento di un corpo immenso faceva tremare
l’intera struttura del tempio. Qualche pietra e pezzi di muro crollarono
immediatamente, mentre un secondo artiglio sfondava la parete di fili
biancastri, piantandosi nel terreno con forza e allungandosi verso i due amici,
rifugiatisi sul lato opposto. Ma in quel momento a Kiki e ad Andromeda parve
non poter trovare rifugio in alcun luogo, poiché l’intera struttura del tempio
sembrava gridare di rabbia, smossa in profondità dai pesanti movimenti di una
creatura ancestrale che forse non aveva mai conosciuto riposo.
“Ci ha osservato per tutto
questo tempo!!! Da quando siamo entrati nel tempio!” –Esclamò Andromeda, prendendo
Kiki per mano e correndo via, mentre la grossa massa deforme si muoveva accanto
a lui, separati da un muro sottile che i rozzi movimenti della creatura
facevano crollare continuamente. –“In tutti questi secoli deve aver lavorato
freneticamente, scavando tunnel paralleli a queste gallerie, da cui usciva per
uccidere le poche prede che osavano avventurarsi in queste profondità! Ciò che
non mi spiego è perché la mia catena non abbia avvertito il pericolooo!!!” –Ma
Andromeda non riuscì a terminare la frase che precipitò di colpo verso
l’abisso, trascinando Kiki con sé.
C’era una fossa improvvisa,
scavata nel bel mezzo di una galleria, e per la fretta e la scarsa luminosità i
due amici non se ne avvidero, piombandoci proprio dentro. Ma non caddero per
molto, soltanto per cinque o sei metri, il tempo di ritrovarsi sospesi a
mezz’aria, con i corpi appiccicati ad una vischiosa sostanza che rendeva
difficili i loro movimenti. Andromeda perse la presa della fiaccola, che
precipitò nell’abisso, spegnendosi in lontananza. E questo portò il ragazzo a
chiedersi quanto fosse profondo quell’anfratto, e quali altri orribili segreti
nascondesse. Con la luce dell’unica torcia rimasta, che Kiki stringeva ancora
mano, per quanto cercasse di liberarsi da quei filamenti appiccicosi, Andromeda
si rese conto che erano caduti su un’immensa ragnatela, che si estendeva da
lato a lato della cavità. Una ragnatela appositamente tessuta per ospitare due
deliziose mosche, come Andromeda e Kiki apparivano in quel momento agli occhi
di Biliku.
“Andromedaaa!!!” –Gridò Kiki,
dimenandosi selvaggiamente, prigioniero di quella tela appiccicosa.
“Stai calmo, Kiki! Più ti agiti,
più rischi di invischiarti in questo… in questa…” –Esclamò Andromeda, prima che
un luccichio lontano attirasse la sua attenzione.
Due piccoli fari, dal colore
giallo opaco, erano proprio sopra di loro, a neanche dieci metri di distanza, e
sembravano farsi sempre più vicini, mentre una pesante massa sguazzava dietro
di loro, smuovendo le pareti laterali e i fili a cui i due ragazzi erano
appesi. Biliku era finalmente arrivata, uscita dai suoi infami nascondigli per
saziarsi di carne umana, di cui da molto tempo non si cibava.
“Aaaah!!!” –Gridò Kiki,
riconoscendo la sagoma deforme che torreggiava sopra di loro. E d’istinto
concentrò i sensi, per teletrasportarsi via da lì, in un qualsiasi altro posto,
anche fuori in compagnia degli indigeni. Ma non vi riuscì. Provò più volte
senza ottenere risultati, realizzando che vi era qualcosa, forse una mistica
barriera di energia, che non era in grado di vincere. Qualche arcano sigillo
che gli impediva di esercitare i suoi poteri.
“Ma certo! Adesso ricordo le
parole di Mur!” –Esclamò Andromeda. –“Biliku, come altri ragni delle isole
micronesiane per esempio, è considerata un’entità creatrice, grande madre da
cui ha avuto origine il mondo! Non è soltanto una bestia, tutt’altro, questo è
solo il suo aspetto esteriore! Lei è molto di più! Nasconde un potere arcano
tipico delle Divinità primordiali, che fa di questo tempio un immenso luogo di
culto! Ecco perché i tuoi poteri non funzionano, e la mia Catena non ha
segnalato la sua presenza, Kiki! Perché siamo nella sua casa, nella sua tela, e
l’unico vero potere, originario e creatore, è il suo!”
“Questo cosa significa,
Andromeda? Che non abbiamo speranze e dovremo restare qua, a farci mangiare
come mosche?” –Gridò Kiki, continuando a scalciare.
“No, ma liberarci non sarà
facile!” –Commentò l’amico, cercando di tagliare i fili che lo intrappolavano.
Andromeda riuscì a liberare le
braccia e parte del busto, ma non osò trinciare altri fili, per paura di cadere
nell’abisso. Cercò di avvicinarsi a Kiki, ma in quel momento l’intera ragnatela
venne scossa da un fremito. Andromeda voltò lo sguardo verso l’alto e vide che
Biliku stava scendendo verso di loro. L’antica creatura genitrice del mondo non
aveva più voglia di aspettare. Adesso aveva fame.
“Sulle mie spalle, coraggio,
Kiki!” –Esclamò Andromeda, raggiungendo Kiki e aiutando il ragazzino a
liberarsi da quei fili vischiosi. –“Reggiti a me, e tieni sempre la fiaccola
puntata verso l’alto!”
Kiki obbedì agli ordini di
Andromeda, montando sulle sue spalle e tremando di paura come mai prima
d’allora. Non appena sollevò lo sguardo, seguendo il fascio di luce generato
dalla torcia, incrociò gli spaventosi occhi di Biliku, che gli mozzarono il
respiro, impedendogli persino di urlare. La creatura era immensa, e il suo
tozzo corpo pareva spingersi ancora nell’interno, in zone d’ombra che Kiki e
Andromeda non riuscivano a scrutare bene. Aveva un grosso busto di ragno,
putrido e peloso, da cui spuntavano quattro lunghi artigli su ciascun lato, che
Biliku muoveva in perfetta sintonia, sulle note di una melodia che pareva
averla cullata per anni. Non aveva niente di umano, niente più, rovinata dal trascorrere
del tempo, dalla solitudine e dalla follia che l’aveva colta in quegli anfratti
oscuri. Soltanto il volto pareva avere una lontana parvenza di donna, forse
nella scapigliata massa di peli che lo sovrastavano, che ricordavano mossi
capelli neri, o forse nella bocca, da cui lunghi fili di bava uscivano ogni
volta che mostrava loro i gialli denti appuntiti. O forse negli occhi, di un
pallido color ocra, macchiati al centro da una pupilla iniettata di sangue.
“È… orribile!” –Mormorò Kiki,
mentre Biliku si fermava qualche metro sopra di loro, perfettamente in
equilibrio sulla tela da lei stessa creata. –“Cosa aspetta? Perché non ci
attacca?” –Ma Andromeda gli fece cenno di tacere. E soprattutto di non
guardarsi intorno. Aveva percepito dei leggeri movimenti laterali, provenienti
dai lunghi fili che li sostenevano, ma non aveva osato informare Kiki.
Il ragazzino voltò un attimo lo
sguardo solo per rigirarlo schifato alla vista di migliaia di ragni neri che
avanzavano in fila indiana lungo i fili, dirigendosi proprio verso il centro
della tela, dove Kiki e Andromeda erano annidati. I figli di Biliku, entità
terribile e generatrice.
“Dobbiamo difenderci!” –Esclamò
infine Andromeda, cercando di reagire. E nel far questo bruciò il proprio
cosmo, muovendo le catene affinché si sollevassero. Ma non accadde niente, e le
due armi ciondolarono stanche lungo le sue braccia. Andromeda espanse ancora il
suo cosmo, dirigendo le catene verso l’alto, ma queste ricaddero poco dopo,
incollandosi ai vischiosi filamenti. –“Anche le catene risentono del campo
mistico di Biliku!!! L’arma su cui facevo maggiore affidamento è
inutilizzabile! Possibile? Che sia così grande il potere di Biliku? Che sia
davvero fonte di creazione… e di distruzione?”
“Non resteremo certo qua a scoprirlo!”
–Rispose Kiki, scendendo dalle spalle di Andromeda e ergendosi sui fili della
tela, mostrando una spavalderia che non sentiva affatto, ma con cui sperava di
nascondere il proprio timore. Concentrò il cosmo, dal color verde acqua, tra le
mani e poi diresse una sfera di energia contro un mucchio di ragni che si stava
avvicinando, annientandoli sul colpo.
“No, Kiki!!!” –Gridò Andromeda,
ma non fece in tempo ad impedire al ragazzo di caricare di nuovo il colpo, che
qualche filo si schiantò, facendo barcollare i due amici su una tela che, in
quel momento, si rivelò in tutta la sua fragilità. –“Colpendoli colpisci anche
i filamenti che ci sostengono! E senza il tuo teletrasporto, né la mia Catena a
sostenerci, precipiteremmo nell’abisso!”
“E allora cosa facciamo,
Andromeda?!” –Urlò il ragazzo, spaventato. –“Stanno venendo a prenderci!!!”
–Aggiunse, vedendo gli occhi gialli di Biliku sogghignare sinistramente.
Proprio in quel momento due
uomini ricoperti da nere armature caddero dal cielo, atterrando nel bel mezzo
della foresta equatoriale, a un centinaio di metri dal tempio di Biliku.
Inviati da Flegias per controllare che l’ancestrale creatura eseguisse alla
perfezione il compito su cui il Maestro di Ombre faceva molto affidamento,
Iemisch e Iaculo si incamminarono verso l’antico Santuario, di fronte agli
sguardi atterriti degli indigeni. Quasi sconvolti che qualcuno osasse
disturbare il rito che si stava consumando all’interno della costruzione, molti
primitivi si lanciarono contro i due guerrieri, puntando le loro lance
appuntite, ma bastò che Iaculo volgesse loro il palmo della mano per
trafiggerli tutti con sottili lance di luce, proprio all’altezza del collo. Uno
dopo l’altro gli indigeni crollarono a terra sanguinanti, portandosi le mani
alla gola, prima di esalare l’ultimo respiro. I pochi superstiti si diedero
alla fuga, disperdendosi urlando nella verde macchia circostante, di fronte
agli sguardi divertiti dei due Capitani dell’Ombra.
Le probabilità che Andromeda
uscisse vivo da uno scontro con Biliku, all’interno del luogo sacro alla
Divinità, erano molto poche, ma Flegias, che ben conosceva i Cavalieri di
Atena, che parecchio filo da torcere gli avevano dato in passato, aveva
preferito non rischiare, inviando due potenti guerrieri a controllare. E,
eventualmente, a terminare l’opera, avvertendo però loro di non avvicinarsi
all’ancestrale Biliku, i cui poteri li avrebbero certamente sopraffatti.
“Vi fidate molto di quella
Donna-Ragno!” –Esclamò la viscida voce di Athanor, l’alchimista oscuro, in
ginocchio di fronte al figlio di Ares, assiso sul trono nella caverna
dell’Isola delle Ombre. –“Credete davvero che una simile bestia possa vincere
un Cavaliere che ha sconfitto gli Dei?”
“Tu non conosci i poteri di
Biliku, il retaggio delle Divinità ancestrali di cui è portatrice! Si narra che
lei stessa abbia contribuito a creare il mondo, aggirandosi furtiva nella vasta
notte vuota, prima di sedersi e modellare la Terra con i suoi artigli. Contenta
della sua creazione Biliku vi si trasferì, portandovi il fuoco e la luce e
governandone ogni aspetto a seconda del suo umore, in particolare il tempo
atmosferico!” –Spiegò il figlio di Ares.
“Non sapevo che la conosceste
così bene!” –Commentò Athanor.
“In un certo senso… siamo figli
dello stesso creatore! Uah ah ah!” –Sghignazzò con gusto il Flagello degli
Uomini e degli Dei. –“Piuttosto… i miei servitori stanno eseguendo i compiti
che ho assegnato loro?”
“I Capitani sono già in
posizione! Dislocati dove voi avete ordinato!” –Rispose Athanor, ancora in ginocchio
di fronte al Maestro di Ombre, che annuì soddisfatto, sfregandosi le mani,
quasi gustando una vittoria vicina.
“Ma?!” –Ringhiò Flegias
improvvisamente, vedendo che Athanor non accennava ad alzarsi. –“Cosa c’è che
non va?!”
“Ikki di Phoenix, mio Signore!
Noi… non riusciamo a trovarlo!” –Confessò a bassa voce l’antico alchimista
della Regina Nera.
“Che cosa?!” –Gridò Flegias,
balzando in piedi di scatto, mentre tutto attorno a sé esplodeva il suo
furibondo cosmo di fuoco e ombre. –“Controlliamo ogni angolo di questo patetico
pianeta, forgiamo i destini degli esseri inferiori che lo popolano e non siamo
capaci di individuare un Cavaliere, uno soltanto, i cui movimenti dovreste
monitorare da mesi?!” –E afferrò Athanor per il colletto della lunga veste
nera, sbattendolo con forza contro una parete rocciosa. –“Voglio il mio
esercito pronto entro poche ore! O userò il tuo sangue per saziare la mia fame
di vita!”
“Sì, sì, mio Signore!” –Balbettò
Athanor, ricadendo a terra e strisciando via sul terreno roccioso, diretto
verso il suo laboratorio.
Maledetto Phoenix! Che il
diavolo se lo porti! Già una volta mi ha interrotto sul più bello! Esclamò Flegias, ricordando il suo primo, fallito, attacco
al Grande Tempio, assieme a Sterope del Fulmine, e la sorpresa con cui il
Cavaliere di Phoenix lo aveva travolto. Non voleva incorrere in altre brutte
sorprese, per questo motivo aveva fatto controllare le mosse dei cinque
prediletti Cavalieri di Atena, per metterli in condizione di non nuocere. Per
Sirio, Cristal, Pegasus e Phoenix, che avevano degli animali come simboli
protettori, sarebbe bastata una rosa di rabbia a scatenare i loro istinti
primordiali e portarli alla guerra perpetua. Per Andromeda era stato necessario
risvegliare Biliku.
Non che a Flegias dispiacesse,
in fondo era stato molte volte a farle visita, nel corso dei lunghi millenni
che aveva trascorso da sola, rifugiata negli abissi di quell’antico Santuario.
E ogni volta le aveva portato qualcosa con cui ingannare il tempo: uccelli,
mammiferi, persino qualche rettile che popolava la foresta equatoriale, quando
non aveva voglia di andare a caccia di uomini. Del resto, gli indigeni delle
Andamane erano in abbondanza. E Biliku amava intrattenersi con loro, per
sconfiggere la monotonia in cui era immersa. Pare che avesse scavato gallerie
così lunghe e profonde da essere in grado persino di superare il mare e
giungere sulla terraferma. Ma neppure il figlio di Ares si era mai arrischiato
a penetrarvi in sua compagnia, né quando ancora vagava sotto forma di spirito
né dopo essere stato dotato di un nuovo corpo. Quello stesso corpo che lo
avrebbe condotto alla vittoria, anticipando l’avvento della grande ombra.
Ormai, a quel momento aspettato da secoli, e dai saggi tanto temuto, mancava
più poco tempo, una manciata di granelli di sabbia nella clessidra del mondo, e
non sarebbe certamente stato Phoenix, né nessun altro, a fermare i suoi
propositi imperiali.
Avvolta da nebbie eterne, che la
nascondevano agli occhi degli uomini mortali, l’Isola Sacra pareva essersi
sottratta al trascorrere del tempo. O almeno questo era ciò che percepivano i
suoi abitanti, i discendenti degli antichi druidi e gli apprendisti e le
Sacerdotesse che giornalmente vi si allenavano. Ma Avalon, che ne era il
Signore, sapeva che quel sentimento era solo un’illusione, un velo con cui
aveva mascherato per secoli l’isolamento dell’Isola Sacra. Un isolamento di
pura facciata, poiché non tramontava sole senza che egli non fosse venuto a
conoscenza di tutto ciò che in quel giorno era accaduto. Silenzioso, con i
sensi affinati e attenti a udire ogni singolo respiro del mondo, il Signore
dell’Isola Sacra osservava gli eventi svolgersi nelle limpide acque del Pozzo
Sacro, sulla cima dell’alto colle di Avalon, racchiuso in un cerchio di pietre
dalla mistica potenza. E proprio in quel Pozzo aveva visto Flegias strisciare
fuori dalle tenebre che lo avevano partorito e muovere i primi passi verso la
distruzione. Verso l’abisso di oscurità in cui avrebbe voluto precipitare
l’intera Terra.
Una veste frusciò leggera
sull’erba bagnata di rugiada, spezzando l’incantesimo sulla sommità dell’Isola
Sacra. Avalon si voltò e trovò l’Antico di fronte a sé, avvolto in quella
tunica che portava da secoli, forse da millenni, senza mai averla rovinata.
“Un messaggio da Andrei!”
–Esclamò l’Antico, con voce leggera. –“L’ombra ha allungato i suoi confini!”
“Lo so!” –Rispose semplicemente
Avalon, fissando l’anziano saggio negli occhi. –“L’ho appena visto! E ho
ordinato ad Andrei di intervenire!”
“Usciremo dunque dal nostro
isolamento?” –Domandò l’Antico, con una certa ironia nel tono di voce.
–“Traghetterai l’Isola Sacra verso il nuovo millennio?”
“Verso il nuovo millennio… o
verso la fine del tempo?!” –Mormorò Avalon, allontanandosi dal Pozzo Sacro e
dando ordini all’anziano saggio di radunare l’esercito che aveva composto in
quegli ultimi anni, i giovani che sull’Isola Sacra erano stati addestrati: i
Cavalieri delle Stelle.
Non amava mandarli a combattere,
per quanto fossero dei guerrieri. Non ancora. Anche se sapeva che presto
non avrebbe potuto impedirglielo né avrebbe potuto impedire a se stesso di
proibirglielo. Perché quello era il loro destino. Quello era lo scopo ultimo
per cui erano stati addestrati tutti quegli anni. E per quanto li amasse, come
ogni uomo sterile ama i figli degli altri, aveva insegnato loro a esercitare il
distacco. Da ogni bene materiale, da ogni sentimento, da ogni emozione che
avrebbe potuto frenare il loro operato. Due soltanto erano le fedi a cui
dovevano prestare ascolto: la vittoria, necessaria per sé e per la Terra
intera, e il rispetto agli ordini del loro comandante, il migliore che
avrebbero potuto avere. L’uomo scelto da Zeus per guidare la Legione che Avalon
gli aveva concesso di nascondere a Glastonbury secoli addietro. Il figlio del
Drago.
In quello stesso momento,
all’interno del Santuario sotterraneo in un’isola delle Andamane, Andromeda
stava bruciando il proprio cosmo, tentando di risvegliare la sopita Catena che
pareva essere in completa balia dei mistici poteri di Biliku, gli stessi che
impedivano a Kiki di teletrasportarsi altrove. La Donna-Ragno amava
infatti combattimenti corpo a corpo, in modo da potersi avvicinare alla vittima
e infettarla con il suo mortale veleno.
“Non deve venirci troppo
vicino!” –Esclamò Andromeda, espandendo il proprio cosmo, che rischiarò
l’intera cavità con il suo chiarore, e concentrandolo sulla mano destra. –“Onda
energetica!!!” –Gridò, scagliando guizzanti folgori rosa verso l’alto.
Ma Biliku sorprese ancora i
paladini di Atena, emettendo delle onde energetiche dalle antenne e rallentando
così l’assalto di Andromeda, che scemò, frizzando soltanto sulla grossa massa
pelosa di Biliku, senza provocarle danno alcuno.
“Incredibile!” –Mormorò
Andromeda. E anche Kiki sgranò gli occhi, prima di lanciarsi avanti,
concentrando il cosmo in una sfera di energia. –“Para anche questa,
bestiaccia!!!” –Gridò, scagliando la sfera contro Biliku.
Questa volta la Donna-Ragno non
ebbe bisogno di usare le sue antenne e si limitò ad aprire la bocca e a
scaricare fuori un violento getto di fili biancastri, con cui avvolse la sfera
energetica di Kiki, prima di scuotere il muso e rimandargliela contro. Il
ragazzino cercò di scansarsi, ma i fili appiccicosi su cui camminava frenarono
i suoi movimenti, così venne investito in pieno e sbattuto sulla tela,
intrappolato da quella sostanza vischiosa e maleodorante.
“Kiki!!!” –Gridò Andromeda,
vedendo il ragazzino che si dimenava, mentre centinaia di ragni percorrevano i
fili della ragnatela, da ogni direzione, avvicinandosi sempre più.
–“Maledizione!!! Catena di Andromeda, sollevati!!!” –Ma nonostante
l’enorme impegno del ragazzo, e lo sforzo cosmico a cui si abbandonava, non
riusciva a recuperare il controllo della sua arma, srotolata inutilizzabile
lungo le sue braccia. –“Devo fare qualcosa! Kiki ha bisogno di me! Il Grande
Mur ha bisogno di me! E forse mio fratello e i nostri compagni! Andromeda non
vi lascerà in difficoltà, amici! Io tornerò! E il sangue di Biliku sarà con
me!!!” –Esclamò il ragazzo, bruciando al massimo il proprio cosmo, come non
aveva ancora fatto, illuminando l’intero anfratto e costringendo persino Biliku
ad arrestarsi, tappandosi gli occhi per la luce eccessiva. –“Dunque la luce ti
disturba, mia cara Donna-Ragno! Come mai? Troppo tempo trascorso nelle
profondità di quest’abisso a nutrirti di ombre e carogne ti hanno fatto
dimenticare quanto radioso e magnifico sia il potere delle stelle? E sia,
Andromeda adesso te lo ricorderà! Risplendi, Nebulosa di Andromeda!!!”
–Gridò il ragazzo, rilasciando il suo vasto potere, pur senza portarlo ai
limiti massimi.
Il cosmo rosa di Andromeda
vorticò attorno a lui, travolgendo le migliaia di ragni sui fili della
ragnatela e schiacciandoli contro le pareti laterali, avendo cura a non colpire
la tela stessa, prima di dirigersi verso l’alto, risplendendo come la galassia
luminosa della costellazione omonima. Con forza, Andromeda investì Biliku con
la sua tempesta di energia, spingendola verso l’alto, nonostante le forti
resistenze della creatura, che piantò gli artigli nelle mura laterali per non
essere scaraventata via. Ma Andromeda non voleva ucciderla, soltanto metterla
momentaneamente in condizioni di non nuocere, per liberare Kiki e tornare
insieme a lui nella galleria, su un terreno stabile e più sicuro di quella
ragnatela dove ogni secondo qualche filo si schiantava, travolto dall’impetuosa
tempesta di Andromeda. E forse quello fu l’errore del Cavaliere di Atena.
“Adesso, spingila via, Nebulosa
di Andromeda!!!” –Gridò il ragazzo, potenziando il suo assalto e
travolgendo Biliku, che venne scaraventata verso l’alto dal vento energetico,
schiantando il filo a cui era aggrappata. E facendo così ondeggiare
ulteriormente la ragnatela dove si trovavano i due amici. –“Ora, Kiki! Vieni!”
Andromeda aiutò il ragazzo a
liberarsi da quella vischiosa sostanza, mentre la corrente energetica
continuava a soffiare verso l’alto, prima impetuosa, poi rallentando
progressivamente. Quando Kiki riuscì ad alzarsi nuovamente in piedi, e
Andromeda gli disse di salire sulle sue spalle, per balzare verso la galleria
da dove erano precipitati, i due amici si accorsero che Biliku non era stata
affatto sbalzata via. Con maestria, la Donna-Ragno aveva scagliato lunghi
filamenti bianchi dalla bocca, mentre la Nebulosa la investiva in pieno,
usandoli per arpionarsi alle pareti della cavità e resistere alla tempesta.
Placatosi l’assalto energetico, aveva usato quegli stessi filamenti per
discendere verso il basso, portandosi proprio sopra i due amici e sollevando
minacciosa i suoi artigli.
“Aaah! Attento, Andromeda! È
qua!!!” –Gridò Kiki, alla vista di quei famelici occhi gialli a pochi metri di
distanza.
All’istante, Andromeda si spostò
a destra, cercando di rimanere in equilibrio sulla ragnatela, proprio mentre
Biliku falciava alcuni fili con rabbia, quindi si spostò verso il centro,
continuando ad evitare i ripetuti assalti degli artigli della Donna-Ragno. Kiki
cercò di scacciarla, dirigendo contro i suoi occhi una raffica di sfere di
energia, ma non sortendo altro effetto che farla infuriare ulteriormente. Un
ultimo filo e la ragnatela si schiantò e Andromeda, Kiki e la stessa Biliku
precipitarono nell’abisso oscuro.
“Aaaah!!!” –Gridò Kiki, alla
vista dell’enorme massa di Biliku che crollava su di loro, mentre ancora
agitava famelica i suoi artigli.
“Onda energeticaaa!!!”
–Urlò Andromeda, dirigendo violente scariche di energia cosmica contro la
creatura, soprattutto verso il volto e gli occhi, una zona notoriamente
delicata nei ragni.
Le folgori stridettero con forza
sulla pelle corazzata di Biliku, facendola infuriare e, per quanto cercasse di
difendersi con le sue onde psichiche, venne raggiunta più volte e ferita,
finché, stufa di quella situazione, di quel precipitare vuoto verso abissi che
ben conosceva, non si voltò verso l’alto, sparando alcuni filamenti biancastri
per rallentare la sua caduta. Andromeda nel frattempo mise tutto se stesso
nell’espandere il suo cosmo lucente, per riattivare la vitalità delle Catene.
Vi riuscì infine, tra le grida di gioia di Kiki, giusto in tempo per scagliarle
verso le pareti laterali e piantarvi entrambe le punte, in modo da frenare il
loro pericoloso precipitare. Andromeda strinse con forza le mani sulla Catena,
mentre fiotti di sangue fumavano fuori dalla pelle, allo stridere violento sul
metallo, ma riuscì ad arrestare la loro caduta.
Dopo aver tirato un sospiro di
sollievo, Kiki, ancora abbracciato al collo di Andromeda, si sporse a guardare
in basso, rendendosi conto di non essere a più di una decina di metri da terra.
Così Andromeda decise di scendere, ordinando a Kiki di tenersi ben saldo,
mentre lui lasciava allungare le Catene dell’Armatura, usandole come corda per
scendere verso terra, con perfetta maestria.
“Bravo Andromeda! Finalmente
abbiamo nuovamente i piedi su qualcosa di solido!” –Commentò il ragazzo,
arrivati a terra, prima di guardarsi intorno e realizzare di essere in una
grande caverna sotterranea, la cui poca luce derivava da rocce particolari che
costellavano il soffitto. Rocce probabilmente capaci di immagazzinare una certa
quantità di luce e di disperderla lentamente, permettendo così ai due amici una
discreta visibilità.
“Preferirei non vedere, in
realtà!” –Commentò Andromeda, osservando disgustato il paesaggio.
Ossa e carcasse di bestie
avvolte in bianchi filamenti, mucchi di escrementi che emanavano un fetore
bestiale e grandi fosse nel terreno, probabilmente scavate dalla stessa Biliku.
E, in lontananza, un leggero soffio di vento, che faceva loro ben sperare sulla
possibilità di un’uscita.
“Credo che questo sia uno dei
tanti tunnel che la Donna-Ragno ha scavato nel corso della vita! E, a giudicare
da quanto siamo precipitati, dovremmo trovarci al di fuori del suo suolo sacro,
per questo la mia Catena ha ripreso vitalità!” –Commentò Andromeda, sollevando
la Catena e generando un luccicante mulinello, che per un momento risollevò
l’animo di Kiki. Durò un attimo, prima che entrambi udissero il pesante tonfo
del corpo di Biliku strusciare contro la parete sopra di loro, e capissero di
essere di nuovo due ambite prede.
“Corri via, Kiki!” –Gridò
Andromeda, incitando il ragazzo a raggiungere l’altro lato dell’immensa caverna
sotterranea. Ma Biliku, con un’agilità sorprendente, balzò tra loro e l’uscita,
investendoli con una pioggia di appiccicosi filamenti. –“Oh noo!!!”
Kiki venne completamente
immobilizzato, mentre la Donna-Ragno si avvicinava al ragazzo, terminando di
avvolgerlo nella tela con le sue zampe, che si muovevano con una sincronia
allucinante. Andromeda, impossibilitato a muoversi, bruciò il proprio cosmo,
per sollevare le Catene, ma Biliku diresse contro di lui violenti schizzi di
bianchi filamenti, avvolgendolo e tirandolo poi a sé con forza. Strattonato
dalla creatura, Andromeda cadde in avanti, con la faccia sull’orrido filamento
che Biliku arrotolava con impressionante velocità, per farne solidi bozzoli
dentro cui lasciar morire le proprie prede. Kiki era già stato interamente
avvolto, e Andromeda si dimenava furioso, mentre Biliku lo tirava a sé con
rabbia, sbattendo i suoi eccitati artigli sul terreno. Agitato com’era, in
preda alla paura, anche per la sorte di Kiki, che stava morendo soffocato in
quel bozzolo, Andromeda perse per un momento la concentrazione necessaria,
venendo afferrato da Biliku e stretto a sé, quasi a ricreare una di quelle
scene di lotta incise sui pannelli esterni del tempio. Fu in quel momento,
invischiato in quell’orrido filamento, vicino alle antenne di quell’antica e
deforme creatura, che ad Andromeda sembrò quasi di sentirla parlare. O meglio,
ebbe la percezione di sentire i pensieri di Biliku dentro di sé, nella sua
mente, come se le onde psichiche emanate dalla Donna-Ragno potessero entrare nel
suo animo e chiarire ciò che non poteva esprimere a voce.
“Creazione… e distruzione!”
–Furono le uniche cose che Andromeda percepì, insieme ad un’immensa solitudine,
ma furono abbastanza per spingerlo a reagire. Aveva perso fin troppo tempo, non
volendo ferire un essere che, per quanto orribile apparisse, era comunque
innocente, e un tempo venerato come forza progenitrice del mondo. Ma Kiki stava
morendo, e anche Asher e gli altri Cavalieri di Atena. Per questo non poteva
più esitare.
Espanse al massimo il proprio
cosmo, lasciandolo esplodere pochi istanti dopo, mentre tutto l’antro
sotterraneo risplendeva di un’intensa luce color rosa. Biliku venne accecata da
quell’improvvisato sole e costretta a balzare indietro e a correre a
nascondersi in qualche anfratto laterale, mentre i filamenti che avevano
intrappolato Andromeda fino a quel momento esplosero, avvampando, e il ragazzo
ne uscì, tossendo e sputando più volte, finalmente libero. Immediatamente,
ancora avvolto dal suo lucente cosmo, Andromeda corse verso il bozzolo di Kiki,
strappando con rabbia i fili bianchi che lo avevano intrappolato. Ma lo trovò
vuoto, e di questo si stupì sinceramente. Non ebbe però il tempo per riflettere
che dovette fronteggiare un attacco diretto di Biliku, balzata contro di lui,
con i pelosi artigli sfoderati, pronta a trafiggerlo con il suo veleno.
Andromeda sollevò le sue Catene,
creando un’impenetrabile difesa circolare su cui gli artigli di Biliku si
scheggiarono più volte, senza riuscire a penetrarla. Allora, la Donna-Ragno
tentò di fermare quel vorticoso mulinare, avvolgendo la Catena con i suoi
filamenti, ma quella volta Andromeda non glielo permise, scagliando la punta a
Triangolo all’assalto. Veloce e rabbiosa, la Catena di Andromeda trinciò tutti
i filamenti di Biliku, prima di arrotolarsi attorno ai quattro artigli sul lato
destro del suo tozzo corpo. Quindi Andromeda diede un brusco strattone,
sbattendo la Donna-Ragno a terra e facendola gridare di rabbia e dolore, prima
di concentrare nelle braccia tutte le sue forze. Iniziò a girarle intorno,
sempre più velocemente, finché non riuscì a sollevare la carcassa della
creatura, che sputava fili bianchi in gran quantità, e allora la scaraventò con
forza contro una parete laterale, che venne sfondata dalla sua mole. Quando
Andromeda richiamò la sua Catena si accorse che era in parte macchiata di
sangue, e ritenne che probabilmente gli aveva spezzato qualche artiglio. Biliku
ricomparve poco dopo, risollevandosi tra le macerie che le erano franate
addosso, con un’antenna troncata e chiazze di sangue sparso sul corpo, che la
rendevano ancora più demoniaca. Zoppicando, la Donna-Ragno fece per correre
verso Andromeda e avvolgerlo nei suoi bianchi filamenti, ma il ragazzo fu abile
a saltarla con un balzo, atterrando alle sue spalle e caricando il cosmo sulle
braccia.
“Onda energeticaaa!!!”
–Gridò Andromeda, scagliando guizzanti folgori di energia contro la
Donna-Ragno, che venne investita in pieno, impossibilitata ormai a difendersi,
priva di una delle sue antenne e delle zampe che le garantivano agilità nei
movimenti. Venne percorsa da fremiti violenti, mentre schizzi di sangue
esplodevano dal suo tozzo corpo, finché non si accasciò a terra, boccheggiando
stanca.
Andromeda rimase un attimo ad
osservarla, in parte dispiaciuto per il dolore che le aveva recato. Era
indubbio che Biliku fosse una creatura distruttrice, e che avrebbe voluto
ucciderli, come aveva ucciso tutti gli uomini e gli animali che nei secoli
avevano tentato di avvicinarla, ma a suo tempo era stata una Dea della
creazione. E tutto ciò che aveva fatto in seguito forse rientrava
nell’equilibrio del mondo. Un equilibrio fatto di creazione e distruzione. Di
nascita e di morte.
Sospirando, Andromeda si
avvicinò alla carcassa deforme della Donna-Ragno, con la Catena ancora in
tensione, e pronta per scattare in caso di attacco. Ma Biliku non lo degnò
neanche di uno sguardo, limitandosi a guaire dolorante. Andromeda allora riempì
l’ampolla che gli aveva dato Mur del sangue che sgorgava da una ferita sul
ventre, avendo cura di non venirne a contatto. Distratto dal pensiero di Kiki,
Andromeda non si avvide di un brusco movimento della Donna-Ragno, che lo
raggiunse al collo con un artiglio, spingendolo indietro e strappandogli un
pezzo di pelle. Il ragazzo ricadde a terra, tastandosi la ferita e sentendola
ardere, come se un fuoco primordiale gli fosse entrato dentro. Fece per
rimettersi in piedi, ma per un momento la vista gli si appannò, e crollò sulle
ginocchia, febbricitante. L’ultimo suo pensiero, mentre confuse immagini di una
lotta continua tra luce e ombra si susseguivano nella sua mente, andò all’amico
che lo aveva accompagnato in Asia. Quindi svenne, senza sapere dove fosse
finito Kiki.
Il ragazzino infatti, dopo
essere stato immobilizzato da Biliku e avvolto in quel bozzolo per morire,
aveva iniziato a perdere conoscenza, debole, stanco e con profonde difficoltà
respiratorie. Lentamente aveva sentito i sensi abbandonarlo e la vita scorrere
via, prima che una voce lo risvegliasse di scatto.
“Kiki! Che fai, già ti arrendi?
Non vorrai morire adesso e non diventare mai un Cavaliere, come hai sempre
sognato?!” –Esclamò una donna, e Kiki, anche se intontito e debole, la
riconobbe subito.
“Mamma!” –Mormorò.
“Coraggio, figlio mio! Trova la
forza per reagire! Sei l’ultimo discendente di Mu, l’ultimo di una stirpe di
uomini saggi e potenti! In te scorre il sangue del nostro popolo, un sangue che
ribolle di forza e di sapienza! Dimostrati degno di questa eredità! Dimostrati
degno del sapere che ti è stato affidato!” –Lo incitò sua madre. –“Alzati,
adesso!”
Kiki, incantato dalle parole di
sua madre, bruciò il proprio cosmo, molto più di come aveva fatto fino ad
allora, dando fondo a tutte le sue risorse, come nello scontro con Thanatos,
desideroso di non deludere sua madre e gli insegnamenti ricevuti da suo
fratello. Di dimostrarsi all’altezza, di non essere soltanto un’appendice, ma
di possedere lo spirito di un vero Cavaliere. Lasciò esplodere il suo cosmo, in
un’abbagliante luce color verde acqua, e quando riaprì gli occhi si accorse di
essere di nuovo nella foresta, fuori dal tempio della Dea Ragno. Un po’
stordito, Kiki si tirò su, toccandosi la testa indolenzita e osservando le sue
vesti, lacere e sporche di quella vischiosa sostanza. D’un tratto si ricordò
dell’amico, ancora alle prese con la terrificante creatura.
“Andromeda!!!” –Gridò, balzando
in piedi e accorgendosi di essere sul tetto di un edificio laterale del tempio,
non troppo distante dalla costruzione in cui erano entrati originariamente.
Concentrò il proprio cosmo, cercando di vincere le resistenze spaziotemporali
di quel luogo mistico, ma non riuscì a muoversi di un passo. Non riuscì a
teletrasportarsi all’interno del tempio, ancora protetto dagli ancestrali
poteri della Donna-Ragno. Sospirando, e cercando di accantonare la paura che
provava al solo pensiero di entrare di nuovo in quell’anfratto oscuro, Kiki
balzò a terra, rotolando sul terreno erboso, prima di scattare verso l’edificio
principale, deciso a sfruttare nuovamente la porta d’ingresso per accedere al
tempio.
Ma ancora prima di giungere di
fronte all’entrata percepì due violente emanazioni cosmiche, che, seppure non
ostentassero la loro oscurità così chiaramente, sprigionavano una potente
energia satura di ombra. Due emanazioni cosmiche che apparvero proprio di
fianco a lui.
“Chi è questo ragazzino?!”
–Esclamò un uomo alto e robusto, afferrando Kiki per la maglietta e
sollevandolo da terra.
“Non deve essere uno delle
tribù! I suoi lineamenti sono diversi da quelli degli indigeni!” –Intervenne un
altro avvicinandosi. Alto e magro, un po’ curvo sullo schiena, con lunghi
capelli marrone sbiadito che scivolavano sinuosi sulla sua nera corazza, le cui
oscene fattezze parevano rappresentare le squame di un serpente, Iaculo
sembrava proprio uno storpio.
“Certo che no! Indigeno io?!
Pfui! Ma per chi mi avete preso? Io sono molto acculturato!” –Esclamò Kiki,
facendo la linguaccia.
“Che caratterino! Interessante!”
–Ironizzò l’uomo alto e magro. E a Kiki sembrò di sentirlo quasi sibilare.
“Cos’ha di interessante questo
moccioso, Iaculo?” –Brontolò l’uomo robusto, scrutando Kiki con attenzione e
storcendo il naso, nel percepire il disgustoso odore che emanava. –“Credo che
non si lavi da settimane!”
“Lui niente! Ma i resti di
filamenti sul suo corpo mi fanno pensare che abbia incontrato Biliku!” –Esclamò
Iaculo, sfregandosi le mani, prima di esplodere in una sottile sghignazzata,
alla vista di Kiki irrigidirsi impaurito al solo udire il nome della
Donna-Ragno.
“Non so come tu abbia fatto a
sfuggire a quel mostro, ragazzino! Ma certo non sfuggirai a noi!” –Tuonò l’uomo
robusto, con voce possente.
“Buono tu, Iemisch! Non
terrorizzarlo! Possiamo estorcergli qualche informazione… prima di ucciderlo!
Ih ih ih!” –Sibilò Iaculo.
“Da me non saprete niente! Piuttosto
voi chi siete?” –Brontolò Kiki, dimenandosi, ma Iemisch non accennava a
lasciarlo andare.
“Puoi chiamarci “i controllori”!
Ah ah ah!” –Esclamò Iemisch, prima di sbattere con forza Kiki contro un albero.
–“Adesso parla, bamboccio! Che ne è stato del tuo compagno? Dov’è il Cavaliere
di Andromeda?”
“Perché non lo credete
direttamente a Biliku?!” –Gridò Kiki, rimettendosi in piedi e scattando via, in
direzione del tempio.
“Fermati, maledetto!” –Esclamò
Iaculo, dirigendo verso di lui cinque lance di energia cosmica, che si
piantarono nel terreno proprio di fronte ai piedi di Kiki, fermando la sua
avanzata, come una palizzata che sorge improvvisa. –“Non abbiamo voglia di
scherzare, ragazzino!”
“Se è per questo nemmeno io!”
–Gridò Kiki, concentrando il cosmo tra le mani e lanciando un paio di sfere di
energia contro i due uomini, che non ebbero alcun problema ad evitarle
semplicemente spostandosi di lato. –“Oh oh!” –Mormorò il bambino, vedendo
Iaculo sollevare nuovamente la mano destra al cielo e caricare le proprie dita
di cosmo, fino a farle allungare e divenire lunghe aste di energia.
“Parla ora, o taci per sempre!”
–Esclamò Iaculo, muovendo il braccio avanti a sé. Ma prima che potesse
scagliare le cinque lance di energia, venne afferrato al polso da una lunga
catena luminosa e strattonato all’indietro, obbligato a vedere in faccia il
volto di colui che aveva fermato il suo attacco. –“Andromeda!!! Sei ancora
vivo?”
“Vivo e più in forma che mai!”
–Esclamò il ragazzo, richiamando a sé la propria Catena, mentre Kiki si
teletrasportava per riapparire al suo fianco, di fronte agli occhi sgranati di
Iemisch e Iaculo. –“Voi piuttosto, chi siete? E come fate a conoscere il mio
nome?”
“Siamo coloro che finiranno il
lavoro, Andromeda!” –Ironizzò baldanzoso Iemisch, entrando nella conversazione.
–“Perciò facci un favore! Lasciati uccidere, come Flegias ha ordinato che sia!
E sentiti lieto di divenire il mio trofeo di caccia!”
“Flegias?! C’è dunque lui dietro
tutto questo? Cos’altro ha ordito quel bastardo figlio di Ares?” –Esclamò
arrabbiato Andromeda, non dimentico del dolore e delle morti causate dal
Flagello degli Uomini.
“Questo!!!” –Esclamò Iaculo,
dirigendo contro Andromeda un violento attacco, costituito da cinque lance di
energia che si piantarono nel terreno davanti e accanto a lui, obbligandolo a
schizzare via, portando Kiki con sé.
“Catena di Andromeda!
Viaaa!!!” –Gridò il ragazzo, lanciando avanti la sua guizzante Catena, che
sfrecciò verso i due uomini, obbligandone uno a scansarsi, per non essere investito.
L’altro invece rimase
curiosamente al suo posto, irrigidendo il corpo e caricandosi di una violacea
energia, prima di scattare come una lancia verso Andromeda. Strusciò contro la
Catena, senza venirne frenato, piantandosi con forza contro il pettorale
dell’Armatura Divina del Cavaliere di Atena, spingendolo indietro, fino a farlo
schiantare contro uno dei millenari alberi della foresta equatoriale.
“Ouch!” –Mormorò Andromeda,
rialzandosi e toccandosi il petto, ancora caldo per l’assalto subito. –“Che
singolare tecnica di assalto! Lanciarsi come un’asta contro il nemico, per
trafiggerlo?!”
“Iaculo son io, il Serpente
Giavellotto!” –Esclamò l’uomo che lo aveva abbattuto, atterrando
compostamente davanti a lui. –“Il Capitano dell’Ombra custode dei veleni degli
uomini! Quei sentimenti di odio e di invidia, di brama e di sospetto, o di
trame nascoste, che hanno provato nella vita, e che hanno avvelenato il loro
cuore, depravandolo nel peccato!”
“Ed io sono Iemisch!”
–Intervenne l’uomo alto e robusto. –“La possente Tigre d’Acqua, i cui artigli
sono così potenti da dividere in due i flutti di un fiume!”
“Iaculo?!” –Mormorò Andromeda,
rimettendosi in piedi. –“Ricordo qualcosa! È una delle strane bestie citate da
Plinio il Vecchio nella Naturalis Historia! Gli Iaculi cacciano restando
sopra gli alberi, aspettando che la preda passi sotto di loro e lanciandosi
come frecce contro di essa, per trafiggerla sul colpo! Ugualmente tu, guerriero
che ne sfrutti i poteri, ti scagli contro i nemici per ucciderli! E ci saresti
riuscito se non avessi indosso la mia Armatura Divina!”
“Adesso che le presentazioni
sono state fatte, Cavaliere di Andromeda, spero che morirai più facilmente! È
sempre bello sapere il nome del proprio carnefice! Soprattutto se questi è uno dei
possenti e oscuri Capitani dell’Ombra!” –Sogghignò Iaculo, sollevando la mano
destra verso Andromeda e concentrandovi il cosmo.
“Capitani dell’Ombra? Che titolo
è mai questo?!” –Gridò il ragazzo, ma Iaculo lo zittì dirigendogli contro il
suo assalto.
“Contentati di sapere il tuo!
Colui che morrà! Concatenazione!!!” –E migliaia e migliaia di lance,
lunghe e appuntite, caddero dal cielo, piovendo su Andromeda, obbligato a
schizzare in mille direzioni diverse per evitarle. Così facendo però si espose
all’assalto del secondo avversario, la possente Tigre d’Acqua, che caricò
ringhiando, travolgendolo con i suoi artigli di pura energia. Roventi, si
conficcarono negli spazi non protetti dall’armatura, incendiando i vestiti e la
carne, e facendo gridare Andromeda dal dolore, mentre profondi squarci si
aprivano sul suo corpo e la corazza si crepava in più punti.
“È veloce costui! E i suoi
attacchi sono precisi e potenti! Tantissimi, cadono a pioggia su di me, come il
pentagramma di energia di Mime! Ma devastanti come gli artigli di Alcor!”
–Rifletté Andromeda, sollevando la Catena per difendersi. Ma la foga di Iemisch
lo travolse ugualmente, sbattendolo a terra, con la faccia sul terreno.
“Andromedaaa!!!” –Gridò Kiki,
correndo in aiuto dell’amico. Ma questi lo pregò di non preoccuparsi e gli
consegnò un’ampolla carica di un liquido dal colore rosso scuro.
“Torna al Grande Tempio, Kiki!
Adesso!!!” –Sorrise Andromeda, mettendo una mano sulla testa del ragazzino e
arruffandogli i capelli, come erano soliti fare quando giocavano insieme.
“Ma Andromeda…” –Mormorò Kiki,
con gli occhi lucidi. –“Non me ne andrò senza di te!”
“Sei grande abbastanza per
capire quando è il momento di comportarsi da uomini!” – Ma Andromeda non riuscì
ad aggiungere altro che Iemisch fu subito su di loro, caricandoli e sbattendoli
a terra, uno su un lato e uno sull’altro. Iaculo fece cadere una nuova pioggia
di lance energetiche su Andromeda, obbligandolo a ricreare la sua difesa
circolare, su cui l’attacco del Capitano dell’Ombra si infranse. Ma Iaculo non
demorse, irrigidendosi e caricando nuovamente con tutto il suo corpo, con lo
scopo di trafiggere Andromeda. Non ci riuscì, grazie alla difesa della sua
Catena, ma fu comunque in grado di spingerlo indietro, facendolo ruzzolare a
terra, proprio mentre Iemisch si avventava su Kiki come una belva pronta a
sbranare.
“Cedimi quell’ampolla,
marmocchio!” –Ringhiò il Capitano dell’Ombra.
“Né ora né mai!” –Rispose Kiki
con una smorfia, prima di scomparire dal suo campo d’azione e ricomparire dietro
di lui, con una sfera di energia tra le mani. –“Prendi, bestione!”
Ma l’attacco di Kiki venne
afferrato da Iemisch semplicemente con la mano destra, che riuscì a contenere
il piccolo globo energetico, rinviandolo poi contro il ragazzo. Kiki venne spinto
indietro dall’esplosione della sfera, perdendo la presa dell’ampolla col sangue
di Biliku, che rotolò per qualche metro sul terreno. Iaculo, a tal vista, gli
diresse contro una pioggia di lance energetiche, per circondarla interamente,
creando una barriera così stretta che Kiki non riusciva neppure a infilarci un
braccio per recuperarla. Poco dopo Iemisch torreggiava nuovamente su di lui,
guardandolo con i suoi occhi argentati, prima di calare la mano per afferrarlo
al collo e strangolarlo. Ma Kiki, per quanto avesse deplorato fino in fondo
quell’eventualità, scomparve all’istante, lasciando la mano di Iemisch ad
afferrare l’aria, riapparendo all’interno della palizzata di energia creata
dalle lance di Iaculo e recuperando l’ampolla perduta. Con un sorriso triste
sul volto si voltò verso Andromeda, impegnato a combattere contro Iaculo, e
pianse, prima di scomparire, lasciando definitivamente le Isole Andamane.
Quando quella mattina Cristal
il Cigno si svegliò, trovò il grande letto vuoto. Le lenzuola sfatte,
l’odore di donna ancora nell’aria. Allungò una mano, per sfiorare il corpo
della Principessa di Asgard, ma si accorse che il materasso era freddo. Flare
doveva essersi alzata già da parecchio tempo.
Sbadigliando, Cristal si sollevò
dal letto e scese al piano di sotto dell’immenso palazzo di Midgard, dopo
essersi concesso un bagno rigenerante. La trovò nel Salone del Fuoco, ritta di
fronte ad una grande finestra, intenta ad osservare in silenzio il paesaggio
innevato d’autunno. Nella direzione che volgeva ad Asgard. Alla vera Asgard. La
città di Odino al di là delle nuvole.
“Buongiorno Principessa!”
–Esclamò il Cavaliere di Atena. –“Vi siete svegliata presto questa mattina!”
“Ben alzato Cavaliere!” –Sorrise
Flare, voltandosi verso il ragazzo e mettendo via tutti i malinconici
pensieri che l’avevano dominata nelle ultime ore. O forse negli ultimi mesi. Da
quando aveva perso l’amico con cui era cresciuta e aveva condiviso la vita fin
dall’infanzia. L’amico che non aveva mai capito cosa rappresentasse davvero per
lei finché non era morto. E con lui tutti i suoi ricordi.
“Qualcosa vi turba?” –Mormorò
Cristal, afferrandole le mani con le proprie e fissandola con i suoi occhi di
ghiaccio.
“Sono soltanto stanca!” –Si
limitò a rispondere lei, scansando le mani del ragazzo e facendo cenno di
incamminarsi verso la tavola, dove alcuni servitori avevano già imbandito
un’abbondante colazione.
Già! Sono stanca di molte
cose! Della guerra, che fa strage ogni giorno di uomini e di ideali! Di
Cavalieri che combattono, e che antepongono il dovere guerriero agli affetti
personali. E forse anche di me stessa, che stupida e indolente non riesco a
focalizzare la mia strada, il sentiero da seguire per sopravvivere in questa
valle di lacrime! Rifletté Flare, sedendo
alla grande tavola con Cristal, che continuava ad osservarla, a squadrare il
suo sguardo assorto, quasi volesse penetrare i suoi pensieri.
“Credo che questa mattina me ne
andrò!” –Esclamò infine, sperando così di catturare l’attenzione della ragazza.
–“Devo tornare ad Atene! Sento nubi nere addensarsi sopra i cieli di Grecia!”
“Quando mai i nostri cieli sono
stati tinti di colori diversi?” –Rispose sarcastica Flare. –“Negli ultimi anni
gli unici colori che sono stata abituata a vedere al mattino, alzandomi dal mio
letto solitario, sono stati il rosso, del sangue dei martiri caduti per un
ideale, di pace o di guerra, e il nero, dell’ombra che tutto sovrasta!
Dell’ombra che sembra lambire nuovamente i confini di Asgard!”
“Non dite così, Principessa! Voi
dovete vedere anche i colori della luce e della speranza!” –Esclamò Cristal,
con un sorriso.
“Temo di aver perso ogni attesa
nel futuro!” –Mormorò Flare. –“E la vostra partenza è solo un altro amaro
boccone da ingoiare!”
“Credevo avreste potuto
approfittare di questo momento per stare da sola! E per riflettere! Su ciò che
volete!” –Esclamò Cristal. E a Flare quella apparve come una sentenza.
“Hai ragione!” –Commentò infine,
dandogli nuovamente del tu, come era solita fare nelle loro serate intime,
quando si lasciava andare, stringendosi al petto dell’uomo che amava, di fronte
al fuoco del caminetto. In quei momenti, in cui davvero sembrava felice,
dimenticava di essere la Principessa di Asgard, Signora di un regno obliato
dagli Dei e dal sole, per essere soltanto Flare. Come avrebbe davvero voluto
essere.
“Prima di andarmene, vorrei
salutare vostra sorella! Se è possibile!” –La voce di Cristal la rubò ai suoi
pensieri. –“Sono molti giorni che non ho il piacere di incontrarla!”
“Per la verità anch’io,
Cavaliere! Mia sorella è diventata irraggiungibile! Chiusa nella sua stanza,
nella torre più alta del Palazzo di Midgard, Ilda trascorre le sue ore in
preghiera, e a studiare antichi tomi della nostra Biblioteca! Solo in pochi
l’hanno avvicinata di recente, per consegnarle dell’acqua e qualcosa da
mangiare, e quei pochi hanno riferito di aver visto una sovrana pallida e
smunta, lo spettro dell’ardita Regina che era un tempo! Un’ombra!” –Confessò
infine, con forte apprensione. –“Un’ombra offusca i suoi pensieri, ne sono
certa! L’ho vista la prima volta quando sono ritornata a Midgard dopo i giorni
trascorsi alla corte di Odino, nella vera Asgard! E da quel momento, per quanto
lieti notizie giungessero dalla Grecia, sulla sconfitta di Ares e di Tifone,
mia sorella ha perso il sorriso, chiudendosi in un mondo di silenzio, e
celandomi le chiavi per potervi accedere!”
“Non abbiate timore! Vostra
sorella è una donna forte! Ha affrontato grandi prove nel corso della vita,
sopportando il peso di colpe che non le appartenevano e dimostrando un’infinita
generosità! Non posso dimenticare l’aiuto che ci ha donato durante la scalata
all’Olimpo! È stata disposta a dare la vita per Atena e per salvare la Terra!
Chi dimostra un cuore così puro, un affetto così sincero, abbaglia i mondi con
la sua fede!” –Sorrise Cristal.
Ma Flare, per quanto ricambiasse
stanca il sorriso del ragazzo, non parve molto convinta, limitandosi ad annuire
stanca. Fece chiamare Enji, un servitore, chiedendogli di avvisare la Regina di
Asgard della partenza del Cavaliere del Cigno.
“La Celebrante di Odino non si
trova nelle sue stanze! Mi hanno detto di averla vista al promontorio
ghiacciato! Pare che vi abbia trascorso molte ore questa mattina a pregare il
Signore degli Asi!” –Esclamò Enji, prima di ritirarsi.
“Con questo vento?!” –Brontolò
Flare, tirando un’occhiata fuori dalla finestra e vedendo fredde raffiche
smuovere il paesaggio innevato, tinteggiando le strade e i tetti degli edifici
di spruzzi di neve. Non era ancora iniziato il vero inverno nordico, ma i
prodromi erano già tutti presenti. –“Mia sorella non ha ancora perdonato se
stessa per i suoi errori! E cerca in ogni modo di lenire il senso di colpa!”
“Vediamo se riusciamo a
parlarle…” –Esclamò Cristal, alzandosi dal tavolo e incamminandosi verso
l’uscita. Flare lo seguì poco dopo ed entrambi uscirono nel freddo mattino di
Midgard avvolti in lunghe pellicce, che li riparavano un poco dal vento gelido.
Percorsero in silenzio l’antica
strada fino al promontorio ghiacciato, lo stesso su cui Lady Isabel, l’anno
precedente, aveva pregato Odino affinché i ghiacci non si sciogliessero. Lo
stesso su cui la Celebrante del Signore degli Asi era solita recarsi per
rendere grazia al suo Dio ed elevargli una preghiera.
La trovarono là, in ginocchio
sul freddo suolo di quel pezzo di terra, con le mani giunte e la testa china,
immobile come una statua. A giudicare dalla neve caduta sul mantello e sui
capelli, doveva essere intenta a pregare il Dio da parecchie ore, generosa e
temeraria, incurante del freddo che le era entrato nelle ossa.
Flare avrebbe voluto chiamarla,
ma Cristal la pregò di non disturbare la sua preghiera, di non rompere
l’armonia della sua concentrazione. Probabilmente Ilda aveva già sentito che il
ragazzo se ne sarebbe andato quella mattina ed egli non aggiunse altro,
limitandosi a volgerle le spalle con un sorriso, augurandole che la preghiera
potesse compensare le colpe di cui continuamente si accusava e lenire i suoi
affanni. Flare rimase immobile, combattuta sul da farsi, prima di correre
dietro a Cristal, prendendolo per una mano e facendolo voltare, con lo stupore
per la prima volta negli occhi.
“Torna da me!” –Gli sussurrò,
prima di tirarlo a sé e baciarlo. –“Sono soltanto una Principessa impaurita, il
cui cuore non ha mai dimenticato i giochi d’infanzia, incapace di chiudere il
cassetto della memoria e metterli via! Ma questo non significa che non sia
capace di comprendere i sentimenti di coloro che mi dimostrano affetto!”
Cristal sorrise, ricambiando il
bacio della ragazza, ma prima che potesse aggiungere qualsiasi parola un boato
improvviso scosse entrambi, facendo tremare il suolo lungo tutta la costa. E
fin quasi al castello lontano. Un secondo boato, che spinse Cristal e Flare a
terra, fu accompagnato da violenti spruzzi di acqua gelata, che il mare schizzò
contro di loro, mentre un’immensa massa oscura sorgeva dalle sue profondità.
“Che diavolo succede?!” –Mormorò
Cristal, rimettendosi in piedi e aiutando Flare a fare altrettanto.
“Cos’è quello?!” –Gridò la
principessa, indicando un mostro colossale comparso nel mare di Asgard.
–“Ildaaa!!!” –E corse in direzione del promontorio ghiacciato, dove la
Celebrante di Odino si era appena messa in piedi, con gli occhi pieni di
stupore e di paura.
Era una creatura immensa, dal
corpo lungo decine di metri, in parte ancora immersa nell’acqua fredda del Mare
Artico. Aveva denti spaventevoli, dalle cui fessure parevano uscire le fiamme
dell’inferno, e un’oscena pelle squamata, formata di scaglie come fosse una
corazza. Sembrava un drago, o forse un immenso coccodrillo. Ilda non sapeva
descriverlo meglio, non avendo mai incontrato una simile figura, se non nei
libri di storia o nelle illustrazioni dei testi dell’Antico Testamento. Anche
Cristal e Flare, avvicinatisi alla costa, fissavano con sgomento quella
gigantesca apparizione, osservando con quale brutalità sbatteva la sua immensa
coda contro la terraferma, scuotendola fino in profondità.
“Ecco là! Il mare grande, vasto,
immenso… e il mostro che Tu hai creato per scherzare con esso!” –Esclamò
improvvisamente una voce maschile. –“Riconoscete questi versetti, voi Cavalieri
di Grecia, che di cultura dovreste essere imbevuti, e non soltanto di strategie
belliche?” –E nel dir questo un cosmo aggressivo apparve poco distante,
invadendo l’aria con le sue striature grigiastre.
“Chi sei? Palesati!” –Gridò
Cristal, proprio mentre l’uomo avanzava verso di loro.
Non era molto alto, non più di
Cristal certamente, ma era robusto e dal fisico curato. Il suo viso sembrava
quello di un adulto, nonostante la pelle chiara e i corti capelli biondi
indubbiamente lo ringiovanissero. Sul collo un graffio in bella mostra, forse
il residuo di una vecchia battaglia. Gli occhi piccoli, di colore argento,
sormontati da sopracciglia così chiare da sembrare inesistenti. Nello sguardo
una luce di crudeltà che a Cristal parve di aver già veduto. Indossava
un’Armatura nera come la notte, decorata da fregi argentati e violetti, le cui
fattezze richiamavano quelle oscene della bestia appena sorta dal mare. Quelle
del Leviatano.
“Livyatan
son io! L’avvolto! Il Capitano dell’Ombra
che si nutre della brutalità degli uomini! Come il simbolo che mi rappresenta,
il possente Leviatano, espressione della volontà Divina, caos primordiale,
potenza priva di ogni controllo, io esprimo la violenza animalesca insita nel
cuore degli uomini, la loro bestialità sopita!” –Si presentò l’uomo.
“Leviatano hai detto? Non era
forse un mostro biblico? Ricordo che mia madre me ne parlò da bambino,
leggendomi alcuni brani dei Salmi e del libro di Giobbe! Un mostro
incontrollabile! Se la sua potenza fosse scatenata non oso pensare cosa
potrebbe accadere!” –Mormorò Cristal, pregando Flare di mettersi dietro di lui.
“Non ti chiedo di pensare
infatti! Poiché tu stesso tra poco vedrai i poteri del Leviatano! Lui è qua,
giunto dal mare per portare la distruzione in quest’ermo di terra! Vai,
Leviatano, e compi la tua opera!!!” –Gridò il Capitano dell’Ombra, mentre il
possente mostro emetteva suoni bestiali, sbuffando fumo dalla bocca e muovendo
la coda e tutto il suo corpo.
Immediatamente il suolo fu
scosso in profondità, e a Cristal e Flare parve di trovarsi nell’epicentro di
un terremoto. Ilda, ancora sul promontorio sacro, osservò la coda del Leviatano
distruggere il lembo di terra che lo congiungeva alla terraferma, lasciandola
sola, in cima al picco ghiacciato, mentre le fauci della creatura torreggiavano
su di lei.
“Ildaaa!!!” –Urlò Flare, alla
vista della sorella indifesa di fronte a quel mostro.
“Maledizione!!!” –Strinse i
pugni Cristal, lanciandosi avanti. Ma subito il Capitano dell’Ombra fu su di
lui, gettandolo a terra con un pugno sul viso e facendolo ruzzolare sul pendio
ghiacciato.
“Non così in fretta, biondino!”
–Esclamò l’uomo. –“Il Leviatano non ha certo bisogno di me per portare la
distruzione ad Asgard! Non mi aspettavo di trovarti qua, ma la tua presenza mi
riempie il cuore di gioia! Da molto desideravo affrontare un Cavaliere di
Grecia! Perciò alzati e combatti! Difendi la gloria di Atene!”
“La gloria di Atene?! Ma che
stai dicendo? Chi sei tu, che giungi qua, nelle pacifiche terre del Nord, a
portar guerra e follia?” –Ringhiò Cristal, rimettendosi in piedi.
“Un uomo che ha perso un
fratello, e che adesso chiede vendetta!” –Si limitò a rispondere il Capitano
dell’Ombra, lanciandosi avanti alla velocità della luce, con il pugno chiuso e
puntando su Cristal.
Il ragazzo fu svelto a scansarsi
di lato, ma non poté evitare di essere colpito allo sterno dall’altro pugno. E
poi sulle spalle, e di nuovo sulle spalle, finché non fu costretto a prostrarsi
in ginocchio sul terreno ghiacciato. Quindi il Capitano dell’Ombra lo afferrò
per il colletto della pelliccia, fissandolo con occhi pieni di disprezzo, prima
di scagliarlo in alto, avvolto in un turbine di energia.
“Sollevati, Leviatano!!!” –Gridò
l’uomo, mentre Cristal ricadeva a terra, rotolando sul terreno, con numerosi
tagli sul corpo e i vestiti lacerati.
In quella il Leviatano si
abbassò sulla Celebrante di Odino, emettendo violenti sbuffi di fumo dalla
bocca, mentre Ilda cercava di mantenersi a distanza, per non respirare
quell’aria venefica. Sbatté nuovamente la coda sul promontorio, distruggendone
un altro pezzo e facendo tremare ancora la costa circostante. E poi un altro
ancora, fino ad annientarlo completamente, scaraventando Ilda nelle fredde
acque del Mare Artico. La Regina di Asgard cercò svelta di aggrapparsi a
qualche lastrone sporgente, per uscire subito dalle gelide acque, ma il
Leviatano, con la sua immensa mole, smuoveva con foga l’intero mare, aumentando
le difficoltà dell’operazione.
Cristal, rimessosi in piedi, con
il labbro inferiore sanguinante, tirò un’occhiata verso il mare, inorridendo a
tale scena. Ma per un attimo non seppe cosa fare, intrappolato da due nemici
mortali. Fu Flare a venire in suo soccorso, gridando al ragazzo di non
guardarsi indietro. E risparmiandogli così una scelta che non sapeva prendere.
“Salva mia sorella, Cavaliere!!!
Ti prego! Salva la Celebrante di Odino!” –Urlò Flare, rimasta qualche metro
dietro di lui, prima che il Capitano dell’Ombra la colpisse con uno schiaffo
secco e la sbattesse a terra.
In un modo o nell’altro, Cristal
sapeva che avrebbe perso.
Chiuse gli occhi, reprimendo la
rabbia montante, cercando di raggiungere quello stato di intangibilità morale
che Acquarius aveva cercato di insegnargli alle Dodici Case. Quindi scattò come
un fulmine verso la riva, gettando via la pelliccia poco prima di tuffarsi nel
mare ghiacciato. Se avesse potuto in quel momento avrebbe sorriso, realizzando
di essere ancora ben lontano da quel freddo stato ideale tanto cantato da
Acquarius.
“Sciocco!” –Mormorò il Capitano
dell’Ombra, osservando il biondino dimenarsi nelle acque agitate dal Leviatano,
la cui oscura presenza incombeva sull’intera costa, tra grida bestiali e sbuffi
di fumo. Quindi si voltò verso la Principessa di Asgard, che si toccava la
guancia gonfia dove l’uomo l’aveva colpita poco prima, e le rivolse un sorriso
beffardo e gelido. –“Veniamo a noi adesso! Inizierò a estirpare la dinastia dei
Polaris proprio da te!” –E si mosse per avvicinarci a Flare, che rimase distesa
sulla neve, bloccata dal freddo e dalla paura.
Soltanto quando l’uomo fu a pochi
passi, la Principessa si sollevò di scatto, sfoderando un pugnale nascosto
dalla pelliccia e mirando alla gola dell’uomo. Per quanto non amasse portare
armi con sé, Flare era stata costretta a cedere alle richieste di Ilda, che
dopo la ribellione del conte Turin temeva ulteriori disordini.
“Tentativo fallito!” –Esclamò
questi, fermandole la mano a mezz’aria e piegandola all’indietro, strappando a
Flare un grido di dolore. –“Adesso ti resta solo un’opzione! Quella di morire!”
–E la strattonò con forza, gettandola nuovamente a terra, poco distante dal
pugnale che non era riuscita ad utilizzare. Quindi le calpestò il polso,
schiacciando uno ad uno i suoi fragili diti di donna, sghignazzando
soddisfatto, mentre Flare, dolorante, cercava di rialzarsi. –“Muori!” –Gridò
infine, sollevando il tacco, pronto per sfondarle la testa. Ma proprio in quel
momento un nugolo di frecce saettò nell’aria, conficcandosi nel terreno attorno
a lui e obbligandolo ad un improvviso balzo indietro. –“Chi osa fermarmi?”
“Non osare avvicinarti alla
Principessa di Asgard!” –Esclamò la voce di un ragazzino, subito seguito da
altre, giovani e squillanti come la sua. –“Allontanati, uomo oscuro!” –E una
nuova scarica di frecce scivolò nell’aria, conficcandosi ai piedi del Capitano
dell’Ombra, che balzò nuovamente indietro, individuando il punto da cui
proveniva l’assalto.
C’era un gruppo di ragazzetti,
di quattordici anni, non di più, riuniti sulla cima del colle vicino, ricoperti
da pezzi di pelle e di cuoio, che incoccavano archi e portavano asce e lame
alla cintura. Dalle voci sembravano decisi, ma lo sguardo tradiva un’infinita
paura. Livyatan sogghignò, prima di portare avanti il pugno e scagliare un
violento attacco di energia contro la base del colle, facendolo esplodere in
uno scoppio di roccia e neve, mentre i ragazzi venivano scaraventati in ogni
direzione. Uno di loro però riuscì ad anticipare l’attacco del Capitano
dell’Ombra, balzando in alto poco prima che il suo pugno sfondasse il colle e
atterrando non molto distante da lui, stringendo in mano una lancia d’argento.
“Per Asgard!!!” –Gridò,
scagliandola verso la gola dell’uomo, che, per quanto fu in grado di evitarla
semplicemente spostandosi a destra, dovette ammettere di aver sottovalutato
quel ragazzetto, la cui agilità era a dir poco prodigiosa. O sospetta.
“Così giovane e così desideroso
di morte? La vita forse non ti attrae, che preferisci lo sterile abbraccio
della Nera Signora?” –Sogghignò il Capitano dell’Ombra, muovendo di scatto il
braccio destro e dirigendo contro il ragazzo decine e decine di scaglie della
propria Armatura.
Il giovane arciere si mosse per
evitarle, balzando di lato e compiendo acrobazie su se stesso, ma non poté
evitare di essere raggiunto ad un polso. La strana scaglia si conficcò dentro
di lui, strappandogli un grido di dolore nel sentire un’improvvisa fiamma
accendergli il corpo. La osservò, e gli sembrò proprio la scaglia di un drago,
viscida e sinuosa, prima di strapparla e gettarla via. Ma questo non fece
diminuire il suo dolore, rendendogli difficoltoso l’utilizzo della mano destra.
“Sono le scaglie del Leviatano!
Intrise del suo immenso ardore, un fuoco inestinguibile che ti divorerà da
dentro!” –Commentò il Capitano, prima di allontanarsi e dirigersi verso la
Principessa di Asgard.
“Aspetta!!! Dove vai? Vuoi
umiliarmi così?” –Gridò il ragazzo.
“Umiliarti?! Morirai tra poco,
divorato dall’interno dalla fiamma del Leviatano! Accetta il fato che hai
scelto e lasciami completare la mia opera!” –Rise l’uomo, continuando a
volgergli le spalle.
“Tutta quest’arroganza non può
restare impunita!” –Esclamò il ragazzo, con una luce di determinazione negli
occhi. –“Bard l’arciere, allievo del grande Orion, non accetta
quest’umiliazione!” –E incoccò una freccia, nonostante la mano gli dolesse e
gli rendesse i movimenti più difficili. –“Vai, freccia di Asgard!” –Aggiunse,
rivelando per la prima volta il suo cosmo bianco e azzurro. Pallido se
confrontato con l’immenso cosmo oscuro del Leviatano, ma sufficiente per
ridargli fiducia e spingerlo a non mollare.
Il Capitano dell’Ombra allora si
voltò, proprio mentre la freccia scoccata da Bard si schiantava contro il
collare protettivo della sua armatura, esplodendo poco dopo tra scintille e
fumo.
“Incredibile!” –Balbettò il
ragazzo, mentre una grande nube si espandeva attorno al Capitano dell’Ombra, un
cosmo simile agli sbuffi di fiamme del mostro che in quel momento scuoteva le
coste di Asgard.
“Cosa credevi, ragazzino? Il mio
potere è pari a quello del Leviatano! Anzi, è lo stesso! E tu che hai osato
offenderlo adesso lo sentirai interamente!” –Esclamò l’uomo con voce decisa,
mentre il cosmo turbinava attorno a sé, assumendo la forma di immensi marosi.
In quel momento, gli altri ragazzini amici di Bard accorsero in fretta, per
difendere l’amico, scagliando nugoli di frecce e asce contro l’uomo.
–“Sollevatevi, frangenti di distruzione!!!” –Gridò, mentre il suolo esplodeva
di fronte a lui e immense onde di acqua scura scagliavano in alto Bard e i suoi
amici, di fronte agli occhi addolorati di Flare, sbattendoli poi a terra con
violenza, schiacciandoli con un peso troppo grande affinché i loro giovani
corpi potessero sopportarlo.
Quando l’immenso potere dei
frangenti oscuri parve scemare, il paesaggio costiero era completamente
distrutto e i corpi agonizzanti degli arcieri giacevano in mezzo a macchie di
sangue. Flare, raggiunta in parte dai potenti marosi, avanzava nel fango,
trascinandosi sul terreno, per raggiungere la costa e trovare Cristal con lo
sguardo.
Il Cavaliere del Cigno era
duramente impegnato ad affrontare l’immonda creatura la cui stazza pareva
riempire il mare. Grande e grosso, ma anche agile e molto resistente, il
Leviatano sembrava esprimere veramente la potenza della Creazione. La potenza
di una forza primigenia in grado di modellare il mondo a suo modo. Un violento
colpo di coda spezzò il lastrone su cui Ilda e Cristal cercavano di stare in
piedi, scagliandoli nuovamente in mare. Il ragazzo nuotò subito verso Ilda, che
annaspava nella torbida corrente, afferrandola e cercando di avvicinarsi alla
costa. Ma la furia del Leviatano pareva non fermarsi minimamente, continuando
ad agitare le acque e a dirigere contro di loro violenti sbuffi di fumo nocivo.
Con un secco sbatter di coda scaraventò entrambi contro le pareti di ghiaccio
della scogliera, dove Ilda si dibatté per cercare una sporgenza o un punto a
cui aggrapparsi.
“Resta qua!” –Le disse Cristal
perentoriamente, prima di bruciare il suo cosmo, bianco e candido come la neve,
come il mondo ghiacciato che lo circondava. Gettò un’occhiata verso l’acqua
increspata di fronte a lui e questa si congelò dopo poco, divenendo una rozza
massa di ghiaccio che si unì ai lastroni sparsi tutt’attorno. –“Oooh!!!”
–Mormorò, socchiudendo gli occhi e iniziando a muovere le braccia, quasi come
fosse un cigno intento a sbattere le ali. Quindi scagliò due pugni verso
l’alto, mentre una fitta cortina di ghiaccio iniziò a cadere sulla costa. –“Vortice…
Fulminante… dell’Aurora! Viaaa!!!” –Gridò Cristal, sbattendo congiuntamente
i pugni avanti e dirigendo il poderoso attacco contro il Leviatano.
Le acque e i lastroni sparsi nel
mare attorno parvero fondersi gli uni agli altri, mentre il freddo cosmo del
Cigno congelava ogni cosa attorno, iniziando a ricoprire il corpo squamoso del
Leviatano di un freddo gelo, che scendeva sempre di più, facendosi sempre più
resistente, all’aumentare del cosmo di Cristal. Ma il Leviatano si agitò,
sbattendo la coda con forza e colpendo con violenza irrazionale il mare
ghiacciato, squarciandolo in più punti, impegnando Cristal ad aumentare ancora
il potere gelante del suo cosmo.
Ilda, vedendo il ragazzo mettere
un ginocchio a terra, ancora intento a lanciare il suo colpo segreto, parve
riscuotersi improvvisamente. Gettò via il mantello bagnato e corse avanti,
affiancando Cristal con il proprio cosmo scintillante.
“Odinooo!!!” –Gridò, allungando
una mano verso il cielo e afferrando il suo tridente, che comparve brillando
nel freddo mattino. –“Presto non ti agiterai più, bestione!” –Esclamò la
Celebrante del Dio degli Asi, correndo avanti, incurante dello smuoversi della
precaria piattaforma di ghiaccio. –“Vai, tridente di Polaris!!!” –Balzò in alto
e diresse l’arma contro il ventre della creatura, mirando ad una zona spoglia
da scaglie e da croste.
La punta del tridente si conficcò
nel corpo rozzo della bestia, che subito si contorse, agitando selvaggiamente
la coda, senza riuscire però a toglierla. Cristal approfittò di quel momento
per rinnovare la potenza del suo assalto e ricoprire l’orrido corpo del
Leviatano di uno strato di gelo, che raggiunse la fredda acqua del mare
nordico, fondendosi con essa, divenendo un’immensa massa di ghiaccio. Ansimando
per la fatica, il ragazzo crollò a terra, sul lastrone innevato, mentre Ilda
tornava correndo da lui, per sincerarsi delle sue condizioni.
“Cristal!” –Mormorò la
Celebrante di Odino, sfiorando il corpo del ragazzo. Freddo. Come la lastra di
ghiaccio su cui erano accasciati, come il mare attorno a loro, come il vento
che sferzava senza tregua i loro pallidi visi.
“Lascialo morire, Regina di
Asgard! Presto sarà in buona compagnia!” –La chiamò improvvisamente una voce,
obbligando Ilda a voltarsi verso la cima della scogliera, dove incontrò il
divertito sguardo del Capitano dell’Ombra, in piedi a pochi passi dal dirupo,
con il braccio destro sollevato davanti a sé e il collo di Flare stretto nel
suo pugno.
“Flare!!!” –Gridò Ilda, correndo
avanti e osservando la sagoma di sua sorella dimenarsi con forza, cercando di
allentare quella morsa soffocante.
“Non temere, Ilda di Polaris,
presto la raggiungerai!” –Sogghignò il Capitano. –“Sono venuto per te, per
estirpare la tua dinastia e distruggere Asgard, cancellandola dalla storia! È
questa la punizione che Flegias ha decretato per te! Per aver osato ostacolare
l’avvento dell’ombra! Perciò non agitarti, prima tu o tua sorella che
importanza vuoi che abbia? A chi vuoi che importi di sentirvi strillare? Tra
pochi minuti, dopo che il Leviatano si sarà liberato, la sua furia annienterà
Asgard, e tutta la sua gente!”
“Mai!” –Esclamò una terza voce,
interrompendo la conversazione e obbligando Ilda a voltarsi verso Cristal, che
cercava di rimettersi in piedi. –“Passerai sul mio cadavere prima di abbattere
le mura di Asgard, maledetto!” –Aggiunse, sollevandosi infine e volgendo lo
sguardo verso l’alta rupe, su cui la figura del Capitano dell’Ombra si
stagliava.
“Non aspettavo altro che te,
Cavaliere di Atena!” –Rispose sogghignando l’uomo, muovendo il braccio sinistro
di scatto e dirigendo centinaia di scaglie verso il basso.
“Attenta!!!” –Gridò Cristal,
lanciandosi su Ilda per proteggerla e rotolando con lei sul lastrone di
ghiaccio.
Le scaglie di drago si
conficcarono sulla piattaforma congelata, esplodendo all’istante, liberando
violente vampate che incrinarono la lastra di ghiaccio, e poi la fecero
schiantare. Livyatan scoppiò in una risata soddisfatta, prima di evocare il suo
potere arcano, sollevando immense ondate nere, con cui travolse Ilda e Cristal,
sbattendoli con foga contro la parete della scogliera. Desideroso ancora di
divertirsi, il Capitano dell’Ombra tentò ancora di sollevare i suoi frangenti
distruttivi, prima di accorgersi, con una punta di timore, che si erano
completamente congelati.
“Ma… che cosa?!” –Esclamò
stupefatto, alla vista di quegli alti marosi di acque nere bloccati davanti a
sé, come se qualcuno avesse fermato il tempo. Come se qualcuno avesse fermato
il loro movimento.
In quel momento esplose il cosmo
del Cigno, mentre una violenta tempesta di ghiaccio iniziò a soffiare impetuosa
attorno al corpo di Cristal. Una tempesta che non aveva niente di aggressivo,
ma che invece parve cullarlo e rinfrancarlo. Una stella lampeggiò improvvisa
nel cielo sopra di loro, calando su Cristal e rivelandosi poi come uno scrigno
di luce, da cui l’Armatura Divina del Cigno uscì poco dopo, in tutto il suo
splendore. Era l’unica, delle corazze dei cinque amici, a non essere stata
potenziata dal mithril di Efesto, ma il tempo trascorso dal termine della
Grande Guerra contro Ares era stato sufficiente per riparare i gravi danni
subiti e darle nuova forza. Ilda sorrise, mentre l’Armatura si scompose in
tanti pezzi, aderendo con cura al corpo del giovane Cavaliere. Un attimo dopo,
Cristal era già lanciato verso l’alto, con le ali del Cigno spalancate dietro
di lui, diretto verso il Capitano dell’Ombra.
Con un balzo Cristal il Cigno
si lanciò verso l’alta scogliera, a pugno teso contro il Capitano dell’Ombra,
ma questi, forse aspettandosi il suo attacco, fu svelto a sollevare il braccio
sinistro al cielo, evocando immensi marosi oscuri che spinsero il Cavaliere di
Atena verso l’alto, al punto da scavalcare l’uomo e Flare, ancora stretta per
il collo dal suo braccio destro. Cristal si liberò dall’agitata tempesta,
balzando al suolo, proprio dove Bard e gli altri arcieri erano stati travolti
poco prima. Il ragazzo si guardò un attimo attorno, senza capire chi fossero
tutti quei giovani corpi sanguinanti, prima di concentrarsi nuovamente sul suo
avversario.
“Senti questi scricchiolii,
Cigno?” –Domandò il Capitano dell’Ombra. –“È la foga del Leviatano, che non può
essere trattenuta! Presto la potenza della Creazione sarà nuovamente libera di
esplodere, nuovamente pronta per portare il caos! E tu, uomo, conta i minuti
che ti restano, gli attimi che ancora ti separano dal momento in cui dovrai
affrontarla ancora!”
Ha ragione! Mormorò Cristal, sentendo scricchiolare il ghiaccio con
cui aveva ricoperto il Leviatano e parte del Mare Artico attorno alla costa di
Asgard. Quella bara di ghiaccio non resisterà a lungo! E a quel punto dovrò
nuovamente occuparmi di due nemici allo stesso tempo! Infidi e pericolosi!
E serrò i pugni, arrabbiato.
Livyatan sorrideva soddisfatto,
avvolto nel suo nebuloso cosmo grigiasto, simile agli sbuffi di fumo della
creatura primordiale, solleticando il volto di Flare con un dito, senza mai
togliere lo sguardo dal Cavaliere del Cigno, sul cui volto si dipinse
un’ardente collera. Ma gli insegnamenti di Acquarius, e lo spirito di saggezza,
lo spinsero a essere cauto e a non lanciarsi a testa bassa contro il nemico.
Sospirando, Cristal lasciò scivolare il suo freddo cosmo sulla ripa scoscesa,
abbracciando il Capitano dell’Ombra e il terreno attorno, che subito iniziò a
congelarsi in un’indistinta lastra di ghiaccio azzurro, prima che il ragazzo
scattasse avanti.
“Folle! Ti stai gettando allo
sbaraglio!” –Sogghignò Livyatan, tenendo Flare stretta a sé e portando l’altro
pugno avanti, per colpire il Cigno. Ma questi lo sorprese, gettandosi a terra e
scivolando sul suolo fino a portarsi al di sotto del Capitano dell’Ombra, il
quale, stordito per la repentinità dell’attacco e sbilanciato per la carica,
non riuscì ad impedirgli di afferrargli entrambe le gambe. Subito il servitore
di Flegias sentì un gelo pungente scavalcare le difese della sua nera corazza,
penetrandogli nelle ossa, mentre Cristal stringeva con forza i polpacci del suo
avversario, ricoprendoli di ghiaccio, per impedirgli di muoversi. –“Bastardo,
la uccido!!!” –Gridò il Capitano, torcendo la testa di Flare all’indietro e
strappandole un nuovo grido di paura.
Ma Cristal lo batté sul tempo,
muovendo di scatto il braccio destro verso l’alto e generando un fendente di
energia ghiacciata che tagliò a metà i bracciali protettivi dell’armatura del
Capitano dell’Ombra, facendogli perdere la presa sulla ragazza e sanguinare le
vene, quasi fossero state recise da una lama affilata. Cristal balzò indietro,
spalancando le ali dell’Armatura del Cigno e recuperando Flare in volo, prima
che toccasse terra, stringendola a sé, per un momentaneo abbraccio d’affetto.
“Stai bene?” –Le mormorò,
osservando il suo volto straziato dal dolore e dalla paura. –“Cerca di essere
forte! Questi ragazzi hanno bisogno di cure!” –E le indicò i corpi dei giovani
ammassati attorno, pregandola di aiutarli e di rimanere indietro.
“Cigno!!!” –Gridò il Capitano
dell’Ombra, espandendo il suo cosmo oscuro, che generò un gorgo di energia
attorno al suo corpo, che distrusse il ghiaccio attorno ai polpacci, scivolando
poi verso il cielo in una sinuosa spirale nera. –“Subisci i miei frangenti
distruttivi!” –Aggiunse, sollevando nuovi marosi oscuri e spingendo Cristal
verso l’alto, travolto da quel violento flusso, così simile ai movimenti
bestiali del Leviatano.
Il Capitano dell’Ombra sorrise,
quasi convinto di avere la vittoria in tasca, prima di assistere stupefatto al
rallentamento dei suoi flutti di energia nera, che lentamente parvero
solidificarsi, a causa del potere congelante di Cristal. Non vi riuscì del
tutto, ma li fermò quanto gli bastò per lanciarsi in mezzo a loro e piombare,
come una cometa di ghiaccio, sul servitore di Flegias, che poté difendersi
soltanto incrociando le braccia di fronte a sé, contenendo in parte l’attacco
del Cigno Bianco. Ruzzolò sul terreno ghiacciato per qualche metro, sbattendo
le labbra e assaporando il gusto del suo stesso sangue. Un rivolo rosso macchiò
il suo pallido viso nordico, conferendogli un aspetto ancora più spettrale.
Cristal lo fissò, mentre l’uomo
si toglieva l’elmo della corazza, per pulirsi il labbro insanguinato, e
qualcosa lo frenò, impedendogli di attaccarlo. Qualcosa di lui gli sembrava
familiare. I suoi tratti, marcatamente russi.
“Cosa guardi?” –Domandò pungente
il Capitano dell’Ombra. –“Non siamo poi così diversi, no?”
“Poco prima che il nostro
scontro iniziasse, Livyatan, mi hai detto che avevi un fratello da vendicare!
Chi è costui? E perché nutri così tanto odio per Asgard e Atene?”
“Di Asgard non m’importa niente!
Io sono qua solo per eseguire l’ordine impartitomi dal Maestro di Ombre, ma la
tua presenza aggiunge un sapore nuovo alla mia missione! Il sapore della
vendetta di un uomo che ha sofferto la perdita di un fratello, massacrato
proprio da uno di voi Cavalieri di Atena! Da un uomo che vi ha offeso e che poi
avete comunque accettato tra le vostre fila, poco importa se a causa sua tanto
sangue era stato versato e milioni di innocenti erano morti!”
“Un uomo?! Che stai dicendo?!”
–Domandò Cristal, senza capire le parole del Capitano. Poi ebbe un guizzo. –“Ci
ha offeso e lo abbiamo accettato?! Intendi dire… Kanon?!”
“Dragone del Mare! Questo è il
nome di quell’impostore! Il nome della corazza di scaglie che spettava a mio
fratello Dimitri!” –Confessò l’uomo. –“Da sempre banditi dall’accesso ai ranghi
di Generali degli Abissi, a causa del tradimento di uno della nostra stirpe, di
un nostro antenato, all’epoca della prima Guerra Sacra tra Atena e Nettuno, noi
russi siamo sempre stati malvisti dal Dio dei Mari, e confinati in un gelido
isolamento! Le fredde acque del Mar Glaciale Artico, che lambiscono i confini
settentrionali della nostra terra, ci sono sempre state ostili, quasi pervase
dalla volontà di Nettuno di cancellare il disonore recatogli dalla nostra
stirpe! Ma mio fratello, con cui mi allenai per molti anni nei fitti boschi
della taiga, credeva fermamente che il Dio ci avrebbe un giorno perdonati,
riconoscendo il nostro valore guerriero! Per questo motivo si era allenato per
tutta la vita, da solo, risvegliando il cosmo del Generale sopito dentro di
lui! E quando il cosmo di Nettuno, anni or sono, iniziò a radunare i suoi
seguaci sparsi in tutto il mondo, anch’egli obbedì all’ordine, scendendo nei
profondi abissi del Tempio Sottomarino. Ma non fece mai più ritorno!” –Mormorò
il Capitano dell’Ombra, reprimendo un sospiro, prima di stringere il pugno e
volgerlo contro Cristal.
“Lui lo uccise! E prese il suo
posto, il posto che a mio fratello spettava, per aver continuato a credere nel
Dio dei Mari anche dopo che questi ci aveva dimenticato! Quando lo seppi,
informato da una pattuglia di soldati che ogni tanto osava spingersi lungo le
coste settentrionali dell’Asia, probabilmente per controllare Asgard, su cui il
nuovo Dragone del Mare aveva allungato lo sguardo, decisi con tutto me stesso
che mi sarei vendicato! Che avrei ucciso io l’uomo che aveva distrutto i sogni
di mio fratello! Così intensificai il mio allenamento, potenziando il mio
cosmo, ma quando ritenni di essere pronto scoprii che Kanon, questo il nome di
quel maledetto, non soltanto era passato dalla parte di Atena, ma era persino
morto in suo nome!”
“Capisco la tua sofferenza,
Capitano dell’Ombra, e la sento mia, poiché anch’io, proprio come te, ho perso
una persona a me cara, a causa degli intrighi di Kanon!” –Sospirò Cristal,
ripensando all’amico Abadir, Generale del Kraken. –“Ma anch’egli, come tutti
gli uomini, si è lasciato tentare dal male!”
“Storie!!!” –Gridò Livyatan.
–“Quel bastardo ha ucciso mio fratello! E io lo vendicherò, sterminando tutti
voi Cavalieri di Atena che lo avete accettato tra le vostre fila! Nessun
piacere potrebbe essere più sublime del vedere le vostre teste penzolare dal
patibolo del giudizio!” –Aggiunse, prima di espandere il proprio cosmo. –“Mai
avrei creduto che Flegias potesse offrirmi opportunità più propizia per
soddisfare la mia vendetta!”
“Flegias ti sta usando, Livyatan,
come ha usato Crono e persino suo padre Ares prima di te! Sta sfruttando i tuoi
sentimenti di rivalsa per creare una macchina da guerra!!!”
“Taciii!!!” –Gridò Livyatan,
scagliando contro Cristal un nugolo di scaglie del Leviatano, che piovvero
fitte, esplodendo a contatto con il suo suolo o con la corazza del Cavaliere,
obbligandolo a spostarsi di lato per evitarle. –“La guerra, sì! Nient’altro
voglio! Tirar fuori l’animalità sopita negli uomini e trasformarli in bestie!
Innalzatevi, Marosi Oscuri!!!” –Ed espanse il suo cosmo, sollevando
immense onde di energia, simili a scroscianti frangenti di acqua nera, che
spaccarono il suolo, schizzando Cristal verso il cielo e travolgendolo
continuamente, impedendogli di riprendere stabilità. –“È inutile, Cigno! Non
riuscirai a congelarli tutti! Sono troppi! Sono tanti! Sono immensiii!!!”
–Gridò, aumentando la loro intensità e osservandoli con perfidia sballottare il
Cavaliere di Atena, premendo con vigore sulla sua corazza.
Cristal, dal canto suo, non
accennava a lasciarsi andare, stringendo i denti per il dolore e lo stordimento
provocato da quell’ondeggiare continuo. A tratti gli pareva di perdere i sensi,
o di soffocare in quelle torbide acque. Cercò allora di reagire, espandendo il
proprio cosmo, che parve avvolgere l’intera costa con il suo gelo eterno, ma
per quanto deciso l’attacco di Cristal non riusciva ad essere incisivo, a
frenare quell’agitare continuo di oscurità.
Devo cambiare strategia! Si disse, ritenendo che la Polvere di Diamanti,
avendo un raggio d’azione troppo vasto, non sarebbe stata in grado di aprirgli
una via in quelle torbide acque, né di congelarle interamente. Sirio! Amico
mio! Sei per me un compagno e una fonte di insegnamento! Come già
all’Undicesima Casa mi suggeristi la via per il cosmo ultimo, così adesso
aprimi la strada verso la vittoria! Mormorò, concentrando il cosmo nel
braccio destro e sollevandolo verso il cielo. Quindi lo abbassò di scatto,
generando un fendente di energia congelante che squarciò in diagonale i marosi
del Capitano dell’Ombra, abbattendosi sul suo braccio destro e distruggendo
definitivamente l’armatura che lo proteggeva. Stupito per la precisione e per
l’astuzia del ragazzo, Livyatan cercò di recuperare il controllo sui marosi, il
cui flusso era stato in parte congelato e disperso dall’attacco del ragazzo,
accorgendosi che Cristal stava per caricare di nuovo. Con le ali del Cigno
spalancate, il Cavaliere piombò sul Capitano dell’Ombra, scaricando tutto il
suo potere congelante.
“Polvere di Diamanti!!!”
–Gridò Cristal, poco prima che Livyatan rispondesse con un gorgo di energia
oscura, lasciando i due poteri liberi di scontrarsi e di esplodere all’istante,
scagliando i due indietro di parecchi metri e crepando il suolo sottostante.
Un pezzo della scogliera franò
verso il mare, distruggendo la banchisa sottostante, e Livyatan precipitò con
esso, senza trovare appigli sulla liscia superficie della parete ghiacciata. Il
crollo contribuì ad incrinare ulteriormente l’enorme sarcofago di ghiaccio in
cui Cristal aveva rinchiuso il mostro mitologico, preoccupando il Cavaliere di
Atena, che, rimessosi in piedi, si avvicinò al precipizio proprio in tempo per
vedere il Capitano dell’Ombra uscire dall’acqua gelida e a aggrapparsi ad un
lastrone di ghiaccio, parecchi metri più in basso. Senza dire niente, Cristal
espanse il proprio cosmo, dirigendolo verso il mare sottostante, cercando di
recuperarne almeno in parte il controllo. Vi riuscì a malapena, ottenendo
soltanto di fermare le gambe del nemico nell’acqua, mentre questi cercava di
salire sul lastrone ghiacciato, solidificandole in una rozza statua, prima di
lanciarsi verso il basso e cadere proprio sulla precaria piattaforma.
“Tu sia maledetto, Cavaliere di
Atena! Tu e quell’ipocrita della tua Dea! Si fa chiamare Dea della Giustizia,
ma cosa vi è di giusto nei suoi ideali? Porta la guerra ovunque si rechi,
distrugge tutto quello che tocca… e accetta senza problemi assassini
macchiatisi di innumerevoli reati, pur di aumentare il numero dei suoi
guerrieri!!!” –Ringhiò il Capitano dell’Ombra, il cui viso bianco e leggiadro
era ormai rigato dall’ira.
“Non sai di cosa parli,
servitore di Flegias!” –Esclamò Cristal, scuotendo la testa con
disapprovazione.
“Ne so fin troppo! E non voglio
sapere altro!” –Aggiunse, lasciando esplodere il suo cosmo, che turbinò attorno
a sé, liberandolo da quell’effimera prigionia e sollevando immense colonne di
acqua, tinte dal nero dell’ombra. –“Marosi oscuri!!!”
“E sia! Che il Sacro Acquarius
decida la mia sorte!” –Mormorò Cristal, sollevando le braccia al cielo, unite
nel colpo segreto del maestro del suo maestro. –“In nomine tuo, Acquarius!!!”
–Gridò, liberando la potente energia dello zero assoluto, che si riversò come
un fiume di luce sui marosi del Capitano dell’Ombra, estirpando la tenebra di
cui erano intrisi e paralizzandoli in rozze statue di ghiaccio che presto
esplosero. Anche Livyatan venne raggiunto dal Sacro Acquarius e ricoperto di
ghiaccio, fermato in una posa innaturale, con il volto deformato dall’odio.
Cristal lo osservò per una manciata di secondi, quel poco che gli bastò per
osservare il grigio cosmo del Capitano dell’Ombra accendersi nuovamente. E per
prendere la sua decisione.
Evocò la spada che Orion gli
aveva donato mesi addietro, la stessa con cui il Principe dei Cavalieri di
Asgard aveva ucciso il drago Fafnir, la stessa che Cristal aveva piantato nella
gola di Ladone. Gramr! E si lanciò avanti, piombando dall’alto sul suo
nemico e trinciando la statua di ghiaccio all’altezza della testa. Con gli
occhi pieni di lacrime per l’ennesimo omicidio che era stato costretto a
compiere. Per impedirne altri. Spesso, con Andromeda, aveva parlato di
quanto male fossero obbligati a commettere, ma il pensiero che quel male
servisse per fare molto più bene li aveva sempre confortati. Pur tuttavia
restava comunque difficile, per tutti loro, anche per Phoenix, per quanto poco
amasse farlo notare, uccidere qualcuno.
I suoi pensieri furono
interrotti da un macabro evento, che richiamò la sua attenzione sul corpo
martoriato del Capitano dell’Ombra. Non aveva ancora asciugato la lama, da
quello che sembrava il sangue del suo nemico, che guizzi neri, quasi fossero
getti di inchiostro, sgorgarono dal collo reciso di Livyatan e dalla testa
rotolata distante. Guizzi simili ad ombre. Serpenti di pura energia nera, che
si avventarono su Cristal, circondandolo, stritolandolo, quasi volessero
cibarsi della luce del suo cosmo. E oscurarla.
“Cristal!!!” –La voce di Ilda
distrasse per un momento il Cavaliere del Cigno, che riuscì a torcere il collo per
vedere la Celebrante di Odino arrivare in suo soccorso, avvolta nella luminosa
energia del suo cosmo. Alla vista di tale accecante bagliore, i guizzi di ombre
abbandonarono Cristal, avventandosi su Ilda, la quale, aspettandosi
quell’assalto, chiuse il cosmo su se stessa, fino a creare una sfera protettiva
di energia, all’interno della quale le ombre non riuscirono ad entrare.
Stupefatta, dovette però osservare come quelle strisce di tenebra sembrassero
cibarsi della sua stessa energia, avvolgendosi attorno alla sfera e
fagocitandone l’essenza vitale. –“State indietro, mostri!” –Gridò Ilda,
lasciando esplodere il suo cosmo e disintegrandone a fatica alcune. Ma
osservando sconcertata il loro immediato riprodursi.
“Insieme, Ilda!” –Esclamò
Cristal, sollevando nuovamente le braccia giunte verso il cielo, mentre il
freddo cosmo del Cigno scintillava attorno a lui. –“Aurora del Nord!!!”
–Gridò, dirigendo il getto di energia congelante contro Ilda, la quale, ancora
avvolta nella sua sfera protettiva, lasciò esplodere il cosmo, disintegrando
numerose ombre e gettando a terra le altre, subito inghiottite dai ghiacci
eterni di Siberia. –“Che creature terribili!” –Mormorò infine il Cavaliere di
Atena, lasciandosi cadere sulle ginocchia, stanco per il combattimento. Ma non
ebbe neppure il tempo di fiatare che assistette sconcertato alla distruzione
del ghiaccio da lui creato, da cui le serpi di energia nera uscirono di nuovo,
sollevandosi minacciose verso di lui e verso Ilda. –“Dei dell’Olimpo!!! È
incredibile! Ma cosa sono?!”
“Ombre!” –Esclamò una voce
decisa, risuonando lungo l’intera costa. –“Nient’altro che ombre! Risvegliate
dalle tenebre del mondo per oscurare la luce degli uomini!” –E in quella un
fulmine azzurro si schiantò sulla banchisa, incenerendo all’istante un gruppo
di guizzi neri, disintegrandoli come se mai fossero esistiti. Subito dopo un
altro raggiunse le ombre ancora rimaste, e un altro ancora, facendone piazza
pulita.
Cristal e Ilda sollevarono lo
sguardo verso la scogliera distrutta, su cui si stagliava la figura di un uomo,
avvolto in una luce azzurra. Alto e robusto, con un viso maschile e un sottile
strato di barba incolta, indossava una bellissima armatura di colore azzurro,
con pregiate decorazioni d’argento, che gli conferivano un aspetto angelico,
quasi etereo. Lungo la schiena un mantello bianco e grigio svolazzava nel vento
del mattino. Cristal lo osservò, realizzando di averlo già incontrato una
volta. Pochi mesi prima, nel suo villaggio natale in Siberia. Era l’uomo che lo
aveva salvato da Enio.
“Il Principe… Alexer!” –Mormorò
la Celebrante di Odino, accasciandosi indebolita ai piedi del ragazzo. E a
Cristal, per quanto Ilda avesse parlato piano, quasi un suono impercettibile,
parve di vedere l’uomo sorridere, con un gesto sincero, come il cosmo che aveva
invaso la banchisa. Un cosmo ricco di storia e di mito, un cosmo che traboccava
delle leggende degli angeli e delle gesta degli eroi del mondo antico.
Improvvisamente la terra si
scosse e il mare parve sollevarsi minaccioso, mentre un violento sbuffo di
fiamme e fumo distruggeva quel che restava dell’effimera prigione di ghiaccio
in cui il Leviatano era stato rinchiuso per quell’ora scarsa. Cristal afferrò
Ilda, prendendola in braccio e iniziando a correre verso la costa, mentre la banchisa
si schiantava in più punti. Il Cavaliere azzurro sfiorò il terreno ai suoi
piedi, in cima alla scogliera, e il suo cosmo profondo generò una scala di
ghiaccio, che scivolò verso il basso, un gradino dopo l’altro, fino a portarsi
al livello della banchina. Cristal, senza esitare, vi salì sopra, correndo
verso la cima, mentre la scala di ghiaccio scompariva al suo rapido passaggio.
“Bentrovato, Cristal!” –Esclamò
l’uomo, cordialmente. –“Mi fa piacere vederti sano e salvo!”
“Gra… grazie…” –Balbettò Cristal,
depositando Ilda a terra, proprio mentre Flare lo raggiungeva correndo, seguita
da Bard e da un paio di ragazzetti. –“Ma tu… chi sei?”
“Cristaaal!!!” –Gridò Flare,
gettandosi in lacrime su di lui, abbracciandolo e baciandolo più volte. Quindi
si chinò su sua sorella, preoccupata e affranta per l’ennesima fatica che aveva
dovuto affrontare. –“Sorella mia! Come ti senti? Ti porterò subito a palazzo
per le cure necessarie!” –E Bard incalzò, per spronare la Regina.
“Condurremo noi la Celebrante di
Odino al Palazzo di Asgard! I nostri cavalli sono legati poco distante!”
“Non solo io ho bisogno di cure,
Flare!” –Sorrise Ilda, osservando le guance gonfie della sorella e il vestito
sporco e stracciato. –“Ma non lascerò il campo di battaglia! Non ora che la mia
terra e tutto il mio popolo sono in pericolo! No, io combatterò!”
“Nobili parole le vostre, Regina
di Midgard! Mai Odino avrebbe potuto trovare una Celebrante più degna di tale
compito!” –Esclamò il Cavaliere azzurro, avvicinandosi.
“Oooh, ma voi siete… Principe
Alexer!!!” –Mormorò Flare, quasi estasiata da quella visione. E anche Bard e i
due ragazzi fecero un passo indietro, chinando il capo in segno di rispetto.
–“Cristal, quest’uomo è un fedele servitore di Odino! Vive in un castello ai
margini orientali delle nostre terre, in una valle che, per il particolare
gioco di luci del sole al mattino, viene chiamata Valle di Cristallo!”
“È un piacere incontrarti di
persona, Cavaliere del Cigno!” –Esclamò Alexer, allungando una mano, con un
sorriso sincero sul volto. Cristal la afferrò, stringendola cordialmente e
perdendosi nello sguardo senza età del Principe. Gli occhi più azzurri che mai
avesse visto. Occhi del colore del ghiaccio. –“Temo però che dovremo rimandare
la nostra conversazione… a momenti di migliore calma!”
In quel momento il Leviatano si
sollevò dal mare, gettando via quel rozzo cumulo di ghiaccio con cui Cristal
aveva tentato di fermarlo, e ricominciò a sbattere il suo immenso corpo contro
la costa, provocando smottamenti nel terreno. Alexer aiutò Ilda a rimettersi in
piedi e Cristal afferrò Flare, prima di correre via verso l’interno, mentre una
faglia si apriva poco distante da loro. La grande terrazza a monte del
promontorio ghiacciato, dove l’anno precedente Flare aveva supplicato Lady
Isabel di intervenire in aiuto della sorella, prigioniera dell’anello del
Nibelungo, scomparve, precipitando in un mare di ghiaccio e di fango. Bard e
gli altri due ragazzi seguirono la comitiva, raggiungendo il luogo dove avevano
legato i cavalli, ma questi, probabilmente spaventati dal frastuono, avevano
strappato i lacci ed erano fuggiti, lasciandoli a piedi.
“Non sarà questa difficoltà a
fermarci!” –Esclamò Bard, rincuorando gli amici. –“Anche senza cavallo, il
grande Orion avrebbe comunque affrontato Fafnir!”
“Orion?!” –Mormorò Cristal a
Flare, continuando a correre lungo il sentiero.
“Sì! Bard e i suoi amici sono un
gruppo di orfanelli che vivono nelle foreste! Cresciuti tra i lupi e tra gli
orsi, hanno imparato ad adattarsi alla vita rude del freddo Nord, allenandosi
nella caccia e nel tiro con l’arco e soprattutto rifiutando di entrare a
Palazzo finché non sapranno di essere degni di indossare l’uniforme dei
Cavalieri di Asgard! Sono stati allenati da Orion in persona, che aveva per
loro, soprattutto per il giovane Bard, una grande ammirazione e fiducia!”
–Spiegò Flare, prima di fermarsi, assieme agli altri compagni, ed osservare
l’immensa figura del Leviatano che si muoveva lungo la costa, dirigendosi verso
Nord.
“Sta andando verso Midgard! Il palazzo
e tutta la città sono in pericolo!” –Esclamò Alexer.
“Non possiamo affrontarlo qua!
Non abbiamo spazi di manovra! Davanti a noi c’è solo il mare e in esso egli è
padrone! Dietro quelle montagne però c’è un’insenatura, dieci chilometri prima
di raggiungere le mura inferiori della cittadella! Se riuscissimo ad
attirarvelo sarebbe un terreno propizio per lo scontro e potremmo circondarlo
su tre lati, persino quattro se riuscissimo a congelare l’entrata e a
rinchiudervelo!” –Propose Alexer, lanciando un’occhiata verso Cristal, il quale
annuì poco dopo.
“Dimmi dove devo andare e io lo
affronterò!” –Esclamò il Cavaliere di Atena.
“Venite di qua! Vi guiderò io!
Passando per la foresta faremo prima!” –Li incitò Bard, iniziando a correre
lungo il pendio, lasciando il sentiero e inoltrandosi tra gli alberi. Alexer e
Cristal si scambiarono un’occhiata di intesa, prima di seguirlo, pregando gli
altri giovani di scortare la Regina e la Principessa a palazzo.
“Siate prudenti!!!” –Gridò
Flare, con gli occhi gonfi di lacrime. Ma Cristal era già scomparso tra gli
alberi. Ilda la pregò di essere forte, incamminandosi lungo il sentiero diretta
verso la cittadella di Midgard.
Cristal e Alexer seguirono Bard
nella foresta, sfrecciando in un intrico di alberi in cui si sarebbero persi
senza una guida. E Bard pareva conoscere la foresta palmo a palmo, dopo anni
trascorsi ad addentrarvisi. Era veloce, per essere ancora un apprendista, ed
era anche molto agile, perfettamente a suo agio nonostante le avversità del
terreno impervio.
“Eccoci!” –Esclamò infine,
conducendo Cristal e Alexer fuori dalla foresta, a pochi metri da un’irta
scogliera che si apriva sulla baia di cui il Principe aveva parlato poco prima.
Chiusa a nord da picchi rocciosi, al di là dei quali sorgeva la Cittadella di
Midgard, o Asgard come ormai la chiamavano comunemente gli uomini, persino i
loro stessi abitanti, dimentichi della vera città divina, persa tra le nuvole e
nel tempo.
“Il luogo ideale dove affrontare
e fermare quel mostro!” –Affermò Cristal, prima che un fremito improvviso
scuotesse il terreno, smuovendo alberi e rocce e anticipando l’arrivo della
rozza sagoma della creatura primordiale, all’imboccatura della baia.
“O dove morire!” –Sorrise
Alexer, espandendo il suo cosmo, che risplendette in mille striature di
azzurro. Quindi, con un gesto così rapido del braccio che Cristal nemmeno lo
vide, puntò l’indice destro avanti a sé, dirigendo un fulmine blu contro il
Leviatano e colpendolo alla base del mostruoso collo, facendogli schizzar via
alcune scaglie, tra sbuffi di fumo e grida disumane. –“Prendi posizione,
Cigno!” –Esclamò, ordinando a Cristal di mettersi a nord, mentre lui sarebbe
rimasto al centro.
“Combatterò anch’io!” –Incalzò
Bard, non disposto a rimanere indietro. Non disposto ad assistere inerme alla
battaglia che avrebbe deciso le sorti di Asgard. Il mondo in cui avrebbe voluto
entrare da vincitore. –“Ho troppi motivi per non andare avanti!”
“E forse ne hai anche troppi per
non tornare indietro!” –Sorrise Alexer, intuendo che il ragazzo, come i suoi
compagni, orfano e senza famiglia, non aveva il pensiero di una casa, né di un
amore, ove fare ritorno. Chi non ha niente da perdere è sempre il primo a
farsi avanti! Sospirò, pregandolo di posizionarsi sulla sponda sud. Ma
noi abbiamo troppo da perdere! Una vita intera! Una terra intera! Un futuro! E
senza aggiungere altro diresse altri fulmini contro l’infuriato corpo del
Leviatano, che, attratto dall’avvenente preda, si agitò nelle fredde acque del
Mare Artico, entrando nella baia e scuotendo la coda. Così facendo abbatté una
parte della scogliera meridionale, obbligando Bard a balzare indietro. Ma nel
farlo il ragazzo incoccò due frecce, le posizionò sull’arco e le scagliò, mirando
allo squarcio aperto da Ilda col tridente ore prima. Lo raggiunse, ma la sua
coriacea pelle impedì al Leviatano di riportare gravi danni. Solo di infuriarsi
ulteriormente.
“Dobbiamo colpirlo!!!” –Gridò
Alexer, sollevando il braccio destro e aprendo il palmo al cielo, ove subito si
schiantò un gruppo di fulmini azzurri, che elettrizzarono l’aria, in un
turbinare di energia fredda, prima che il Principe li dirigesse contro il viso
della creatura. –“Fulmini siderali, squarciate il cielo!!!” –Il
Leviatano venne raggiunto dalle potenti scariche di energia di Alexer, che
stridettero sulla pelle squamata, scheggiando scaglie e bruciandone altre,
mentre continuava ad agitarsi e a sbattere la coda contro le pareti
dell’insenatura.
“Ora!!!” –Esclamò Cristal, puntando
verso la bocca spalancata del Leviatano. –“Aurora del Nord!!!”
–L’attacco congelante raggiunse il bersaglio, estinguendo le fiamme amare della
creatura, che svanirono in un ultimo sbuffo di fumo. Ma neppure questo parve
frenare la sua furia, l’immane potenza con cui dirigeva il suo tozzo corpo
contro le pareti di roccia e ghiaccio, scuotendole in profondità e
sconquassando la terra, persino al di là delle montagne. Anche Ilda e Flare,
sulla via per la Cittadella, e gli abitanti di Midgard, rinchiusi nelle loro
abitazioni, sentirono tremare il suolo e temettero per le loro vite e quelle
dei loro cari.
“Giobbe scrisse che Dio
si vantava di aver generato questo mostro, simbolo della potenza del Creatore,
e forse aveva ragione!” –Sospirò Alexer, osservando dall’alto della rupe la
spaventosa possanza del Leviatano. Stava per ordinare a Cristal di concentrare
le forze per un nuovo attacco, quando si avvide con la coda dell’occhio dei
movimenti di Bard. Ma era troppo tardi per ordinargli di fermarsi. Il ragazzo
era già in acqua, tuffatosi con somma maestria nel Mare Artico, con un pugnale
stretto tra i denti, e nuotava con tutte le sue forze sotto la superficie
increspata. –“Cosa ha intenzione di fare? Morirà all’istante!!!”
“Forse no, se gli diamo una possibilità!” –Commentò
Cristal, espandendo il suo cosmo e concentrandosi sulla distesa d’acqua sotto
di lui, iniziando a congelarla. Alexer unì il proprio cosmo al suo e Cristal si
accorse di come a tratti pareva somigliargli, freddo e pungente, ma con
sfumature angeliche e mitiche che mai aveva percepito in Cavaliere alcuno.
Nemmeno negli Dei.
Bard sbucò fuori dall’acqua proprio mentre la coda del
Leviatano si abbatteva su di lui, sprofondandolo di nuovo nel Mare Artico. Ma
quando la bestia risollevò l’arto, Bard si teneva ben stretto ad esso,
aiutandosi con le scaglie spigolose. In quel momento Cristal e Alexer
completarono il congelamento dell’acqua della baia, incastrando il mostro in
una banchisa di ghiaccio. Con un fulmine, che si schiantò sulla sommità della
bocca dell’insenatura, provocando uno smottamento di rocce e massi, Alexer
chiuse anche l’uscita, togliendo ogni possibilità di fuga. Bard balzò sulla
schiena del mostro, approfittando dell’ondeggiare confuso della sua coda, e si
trascinò sul rozzo corpo piantando il coltello tra le squame, per tenersi con
maggiore saldezza, fino a raggiungere il punto ove Ilda aveva conficcato il suo
tridente. Là, tra il nero sangue coagulato e pezzi di scaglie carbonizzate,
l’arma era ancora incastrata e Bard usò il coltello per liberarla, mentre il
Leviatano si dimenava furioso, nonostante la cappa di gelo che Alexer e Cristal
stavano facendo scendere su di lui.
“A un certo punto tutto si blocca! Uomini, liquidi,
materiali! E questo mostro leggendario non fa eccezione!” –Esclamò Alexer. –“Il
raffreddamento degli atomi genera la loro progressiva diminuzione di velocità!”
“Conosco bene queste teorie! Il mio maestro me le ha
insegnate! E anche il maestro di lui!” –Rispose Cristal, continuando ad
espandere il cosmo e a coprire il Leviatano.
“Lo so! Sono stato io ad insegnargliele!” –Commentò
Alexer, voltandosi verso Cristal con un sorriso. Ma il Cavaliere, sorpreso
dalla rivelazione, non ebbe tempo di chiedere altro che dovette balzare
indietro, assieme al Principe, poiché il Leviatano, dimenandosi, era riuscito a
squarciare parte della piattaforma di ghiaccio, ruggendo sinistramente. Proprio
in quel momento Bard riuscì a liberare il tridente dal sangue rappreso e a
sollevarlo verso il cielo, mostrandolo ai compagni.
“Adesso, Principe!!! Diriga i suoi fulmini contro il
tridente! Il metallo farà da conduttore e io lo pianterò in questa bestia!”
–Gridò, cercando di mantenersi in equilibrio, a causa del continuo smuoversi
del Leviatano.
“È una pazzia! Sarai incenerito!” –Gridò Cristal,
sgranando gli occhi.
“Degna di un eroe!” –Commentò Alexer, sollevando il
braccio destro al cielo e chiamando a sé una dozzina di fulmini. –“Il tuo nome,
ragazzo, sarà scolpito nella storia! Perdonami!” –Mormorò, socchiudendo gli
occhi ed eseguendo il suo dovere. I fulmini azzurri si schiantarono sul
tridente di Ilda, caricandolo di elettricità, che Bard diresse al cuore del
Leviatano, piantando l’arma nella ferita aperta. Durò una manciata di secondi,
ma in quell’attimo parve a Cristal di vedere l’immensa creatura avvolta da
fitte scariche di energia sollevarsi verso il cielo, quasi tentasse di fuggire
al castigo del destino. Poi vide Bard crollare a terra, scivolare lungo la
lugubre schiena del mostro e crollare sulla banchisa di ghiaccio, mentre il
Leviatano ancora esitava. Ancora sbuffava, cercando la forza per dimenarsi
ulteriormente.
Così Cristal si lanciò contro di lui, con la spada
donatagli da Orion in mano, e la conficcò tra le squame della bestia, più in
profondità che poté, scaricandogli dentro tutto il gelo che fu in grado di
produrre. Il freddo cosmo di Cristal riempì il Leviatano, impedendogli di
muoversi ancora, prima di farlo esplodere con un boato che scaraventò indietro
il Cavaliere di Atena, che ruzzolò per diversi metri sulla banchisa ghiacciata.
Ripresosi, Cristal osservò Gramr andare in frantumi, tanto grande era il gelo
che aveva prodotto, e Alexer avvicinarsi a Bard, avvolgerlo nel suo mantello e
sollevarlo.
Erano trascorsi quattordici anni dalla sua partenza, ma ad
Ascanio quella mattina il paesaggio dei Cinque Picchi sembrò ancora
spettacolare. Proprio come l’aveva visto per l’ultima volta quel giorno
dell’estate del 1973 in cui aveva lasciato la Cina, il Vecchio Maestro e il suo
addestramento, per raggiungere Atene e assistere alle Panatenee. La storia era
però andata diversamente e si era ritrovato sull’Olimpo, convocato da Zeus in
persona per diventare un Cavaliere Celeste. Da quel giorno la sua vita era
cambiata e tutto ciò che aveva vissuto fino a quel momento era scomparso. La
sua casa era cambiata, un giaciglio di paglia in una capanna di legno, la sua
terra era cambiata, un’isola dimenticata e avvolta dalle nebbie, il suo maestro
era cambiato. Un uomo di cui aveva udito soltanto il nome, che risaliva agli
albori del tempo. Ma gli ci erano voluti anni per comprendere il grandioso
progetto a cui era stato chiamato a far parte. Un progetto che era scritto nel
suo destino, come i serpenti incrociati che portava tatuati sui polsi.
Li portava da sempre, nonostante mai li avesse fatti
incidere, apparsi a lui in una notte di fuochi. In una notte che, per gli
antichi Druidi celtici, era chiamata Beltane, o “fuoco luminoso”. Simboli del
suo potere e del suo ruolo, i serpenti intrecciati gli ricordavano ogni giorno
chi fosse. Il Comandante della Legione nascosta, Ascanio Testa di Drago, o Ascanio
Pendragon, come i druidi e i Cavalieri di Glastonbury amavano chiamarlo. In
realtà, in vita sua era stato molte cose, e ancora non aveva ben chiaro dove
fosse giunto.
“Non sei cambiato affatto!” –Esclamò una voce, rubando il
giovane ai suoi pensieri.
Ascanio si voltò e vide un ragazzo sui vent’anni fissarlo
a braccia conserte, sulla soglia di una piccola pagoda. Il suo viso non gli era
noto, né il tatuaggio della tigre che splendeva sulla sua schiena nuda nel sole
del mattino, ma ne percepì il cosmo, eciò gli bastò per riconoscerlo. Per riconoscere il primo dei suoi
maestri. Il Vecchio Maestro di Libra.
“Di vecchio ormai non avete più niente, Maestro!” –Sorrise
Ascanio, avanzando verso il Cavaliere d’Oro. –“Non credevo che le erbe di Cina
funzionassero così bene! Dovreste consigliarmi un impacco!”
“Non hai mai avuto fiducia nelle terapie naturali,
Ascanio, preferendo il lato fisico di tutte le cose!” –Rispose Libra,
avvicinandosi al ragazzo e fermandosi a mezzo metro da lui. Lo fissò negli
occhi, neri come i suoi scombinati capelli, gli osservò il viso, maschile e
abbronzato, e infine squadrò i suoi vestiti, una canottiera bianca sopra un
paio di pantaloni grigi. Identico all’ultima volta che l’aveva visto, quando
l’aveva autorizzato ad andare in Grecia, assieme a Tebaldo, l’altro suo
allievo.
Non aveva mai più rivisto nessuno di loro.
“È un piacere rivedervi, Maestro!” –Commentò Ascanio, con
voce sincera. –“Non ho mai dimenticato i vostri insegnamenti! Ed essere qua,
oggi, a ringraziarvi per avermi insegnato a vivere, è per me una grande gioia,
oltre che qualcosa che sentivo di fare da tempo, nonostante non ne abbia avuto
la possibilità!”
“Non hai niente di cui ringraziarmi, Ascanio! Ho fatto
soltanto il mio dovere, ho fatto ciò che andava fatto! Come tu, a tuo modo, hai
fatto altrettanto!” –Rispose Libra, dando le spalle al giovane e incamminandosi
lungo una sporgenza rocciosa, fino a portarsi vicino alla grande cascata dei
Cinque Picchi. Da quando era tornato in Cina non era trascorso giorno senza che
non vi si fosse tuffato, per nutrirsi di quell’energia primordiale che tanta
forza gli aveva dato negli anni, anche solo con la sua vicinanza. –“Cavaliere
di Zeus!” –Esclamò infine. –“Ne hai fatta di strada, ragazzo, e non sbagliavo
quando credevo che il tuo posto non fosse qua! Che non vi fosse Armatura per te
sotto questa cascata di stelle! Non era questo il drago che doveva segnare il
tuo destino!”
“Voi… sapete?!” –Balbettò Ascanio, sfiorandosi i polsi
improvvisamente.
“Ho abbastanza nozioni di storia delle civiltà antiche per
conoscere il significato di quei serpenti intrecciati, Ascanio! E per temere
per te! Poiché essi possono dare vita, ma anche morte! Bianco e rosso! I colori
dei draghi di Glastonbury, simboli del potere della creazione e dell’ordine
cosmico!” –Spiegò Libra.
“Sapete una cosa?! È ironico ma se Ares non avesse
attaccato l’Olimpo, Zeus non avrebbe mai risvegliato la Legione nascosta e io
non vi avrei rivisto! La mia vita è di nuovo cambiata, la mia vita è un
continuo cambiamento! Un ciclo di rinascita e morte, proprio come quello del
Drago! Proprio come quello che Avalon teme che la Terra stia vivendo!” –Esclamò
Ascanio, abbassando infine lo sguardo, con aria preoccupata.
In quel momento Sirio e Fiore di Luna
comparvero lungo il sentiero, tenendosi per mano e ridendo tra loro, sereni
come non erano riusciti ad essere da molto tempo. Neppure nei mesi trascorsi
insieme tra la fine della Guerra Sacra contro Ade e l’attacco di Arge lo
Splendore, poiché in tutto quel tempo Sirio non era stato se stesso e Fiore di
Luna aveva combattuto ogni giorno contro i sensi di colpa che lodavano Atena
per la decisione presa. Per aver tolto il suo amato Sirio dalla guerra. Anche a
costo di perdere i difensori della giustizia e dei popoli della Terra.
“Maestro!” –Esclamò Sirio, avvicinandosi alla cascata,
incuriosito dall’uomo in piedi accanto al Cavaliere di Libra. Un uomo che non
aveva mai incontrato prima e di cui il suo Maestro non gli aveva mai parlato.
“Finalmente ci incontriamo, Sirio!” –Affermò Ascanio. –“Tu
e i tuoi compagni avete compiuto grandi imprese, prima contro Ade e Crono e
infine contro Ares! Gli avete dato una bella lezione a quella carogna!”
“Avremmo voluto fare anche di più!” –Sorrise Sirio, un po’
imbarazzato.
“Sirio, ti presento il Comandante della Legione dei
Cavalieri Celesti di Glastonbury, Ascanio Pendragon, al servizio del Sommo
Zeus!” –Esclamò Libra.
“Di Zeus e di Avalon!” –Precisò Ascanio, stringendo la
mano di Sirio e sorridendogli sinceramente.
“Come mai ai Cinque Picchi? È successo qualcosa
sull’Olimpo?” –Si preoccupò Sirio immediatamente.
“Niente più dell’eterna guerra in cui siamo ormai immersi
da millenni!” –Ironizzò Ascanio. –“In realtà non sono in missione per conto di
Zeus, ma solo per conto di me stesso, per quanto un Cavaliere abbia così poco
tempo per sé! Da tempo desideravo incontrare di nuovo l’uomo che mi ha
addestrato! L’uomo che forse ho abbandonato troppo in fretta, per inseguire il
fatuo fuoco di un sogno, pur insicuro che fosse!”
“I rimpianti non si addicono ad un Comandante Celeste, né
tanto meno al figlio del Drago!” –Disse Libra, tirandogli un’occhiata ambigua,
mentre Ascanio si voltava di nuovo verso Sirio.
“Non sapevo che aveste avuto altri allievi, maestro!” –Commentò
Sirio.
“Per la verità… ne ho avuto parecchi! Ed il primo è stato
proprio l’antecedente Cavaliere di Pegasus! Eh eh!” –Sorrise Libra, prima di
mettere un braccio sulle spalle di Sirio e uno su quelle di Ascanio e
incamminarsi con loro verso la pagoda. –“Ma vi assicuro che in
duecentocinquanta anni non ho mai assaggiato un riso migliore di quello
preparato da Fiore di Luna! Soprattutto quando Sirio le sei vicino!” –Aggiunse,
facendo arrossire la ragazza, timidamente rimasta dietro Sirio per tutta la durata
della conversazione. –“Cosa ne diresti di deliziarci con un tuo pasto?”
I tre ragazzi entrarono nella pagoda, ricostruita da Sirio
dopo gli attacchi dei mesi precedenti, e Fiore di Luna si affaccendò in cucina,
lasciandoli a chiacchierare attorno a un tavolo. Della Grande Guerra contro
Ares, dell’Olimpo e dei progetti di Zeus, e della vita a Glastonbury. E Sirio
si accorse che Ascanio, per quanto desse l’idea di un uomo rude e incolto,
possedeva un’abile parlantina e una grande conoscenza dei misteri, di cui
sembrava un attento indagatore, e anche veneratore. Era un guerriero e anche
uno studioso. Un Comandante e forse anche un Sacerdote. E chissà cos’altro
ancora! Si disse Sirio, prima che l’aroma del riso alla cantonese di Fiore
di Luna lo distraesse.
Terminato il delizioso pranzo, Ascanio uscì fuori dalla
pagoda, a respirare la fresca aria dei Cinque Picchi, quel corroborante sapore
che nei mesi del suo addestramento gli aveva riempito il cuore ogni mattina,
quando si alzava per iniziare ad allenarsi. Sorrise, rivedendosi intento a
correre tra i fulmini, a lanciare calci contro la cascata e a cercare di
colpire gli uccelli con gli occhi bendati. Di tutte le prove a cui il Vecchio
Maestro lo aveva sottoposto, quelle di meditazione erano quelle che non Ascanio
non aveva mai sopportato, non avendo un carattere particolarmente dedito alla
calma o all’indagine personale. Aveva sempre preferito tirar di spada,
allenandosi con Tebaldo, o correre per cento miglia, dando libero sfogo alla
frenesia di vita che lo attanagliava. Ma il tempo poi lo aveva cambiato, la
permanenza sull’Isola Sacra lo aveva cresciuto e adesso Ascanio era maturato e
aveva trovato nella profonda conoscenza di sé e dei misteri del mondo un
fascino e una potenza insormontabili.
Siamo tutti diretti da qualche parte! Si disse il
giovane, camminando lungo gli spuntoni di roccia dei Cinque Picchi. E
sarebbe stupido restare fermi e non cambiare mai, non adattarsi ai tempi che
vengono e alle nuove circostanze! Siamo uomini, e dobbiamo esserlo fino in
fondo! Nel bene e nel male! E si voltò verso la piccola pagoda, rivedendosi
bambino. Rivedendosi quel ragazzo di nove anni che aveva raggiunto la Cina da
solo, in una notte di pioggia, arrancando lungo le rive del fiume, diretto
verso neppure lui sapeva dove. Soltanto avanti. Gli avevano detto che nelle
vallate interne dei Cinque Picchi viveva un antico saggio, forse un anacoreta,
che possedeva le chiavi del cosmo, e ciò era stato sufficiente per muovere i
suoi passi in quella direzione. Sacca in spalla e a denti stretti aveva
camminato per giorni, rubacchiando qualcosa nei campi attorno per sopravvivere,
finché non era crollato, inzuppato fradicio e affamato, poco distante da uno
stagno, ai margini di un campo di bambù. Proprio dove Tebaldo lo aveva trovato
la mattina successiva, in uno dei suoi giri di corsa, e dove lo aveva preso in
braccio e portato alla casa del Vecchio Maestro, per dargli le cure necessarie.
Non aveva avuto bisogno di fare molto, il Cavaliere di Libra, soltanto di
sfiorargli la fronte con la rugosa mano e infondergli il calore del suo cosmo
d’oro, riavviando la sopita scintilla della vita. Mi avete salvato la vita,
quel giorno, Venerabile Maestro! E Ascanio Pendragon non dimentica i suoi
debiti d’onore! Mormorò il ragazzo, osservando da lontano Sirio e Libra
parlare tra loro, al piccolo tavolo della pagoda.
“Non mi avevate mai parlato di lui, Vecchio Maestro!”
–Esclamò Sirio, un po’ sorpreso e un po’ intimorito.
“Non credevo neppure che fosse ancora vivo!” –Rise Libra,
cercando di sdrammatizzare. Ma il volto serio di Sirio gli fece mutare
espressione. –“Hai ragione, Dragone, non l’ho mai fatto! Forse non ho mai
pensato che potesse essere interessante per te conoscere i miei trascorsi di
insegnante, o forse non mi sono mai considerato il suo maestro! Del resto, in
Ascanio c’è molto più di quanto si veda all’occhio! Ci sono poteri che sfuggono
ad ogni tentativo di comprensione!”
“L’ho notato anch’io! Come ho notato i serpenti sulle
braccia! E mi hanno ricordato le antiche leggende di cui mi parlavate nelle
notti trascorse a leggere, durante l’addestramento!” –Rispose Sirio. –“Saggezza
e forza si fondono in lui, in un’armonia perfetta! Lo sento nel cosmo che
emana!”
“Non sentirti inferiore a lui, Sirio! Non hai niente che
ti manca né vi sono vette che non hai raggiunto! Ma sentiti fiero di ciò che
sei, e dei limiti che hai superato più volte!” –Sorrise Libra, rincuorando
l’allievo. –“Hai sconfitto delle Divinità, dando il massimo in nome di Atena!
Nessun maestro potrebbe desiderare allievo migliore!”
Sirio si commosse, e anche Fiore di Luna, che stava
rassettando in cucina, udì le parole di Libra e si abbandonò ad un sorriso di
orgoglio. Per il ragazzo che aveva visto crescere e diventare uomo. Per il
ragazzo che le aveva riempito il cuore fin dal primo giorno in cui l’aveva
visto, sorridendo birichina dietro canne di bambù. Non provava soltanto amore
per Sirio, ma anche orgoglio, un immenso orgoglio che mai sarebbe riuscita a
dimostrargli.
La voce di Ascanio riportò tutti al presente, a salutare
il giovane che aveva deciso di fare ritorno sull’Olimpo, per riorganizzare con
Zeus la disposizione delle Legioni Celesti. Prima di tornare a Glastonbury. Prima
di tornare a casa! Sospirò, abbracciando Libra e scomparendo poi lungo il
vialetto polveroso. Mani in tasca, un calcio ad un sasso e il rumore sordo del
suo tonfo nelle acque del fiume, molti metri sotto di lui. Con un ultimo
sguardo, Ascanio si allontanò dalla pagoda, notando la cura che Fiore di Luna
aveva dedicato alla casa, il suo tocco femminile. Un aiuola ben curata, e un
piccolo orticello sul retro, il tutto circondato da fitti cespugli di rose
rosse. Di rose dal colore del sangue.
“Forse dovremmo tornare in Grecia, Sirio!” –Affermò Libra,
alzandosi in piedi. –“Troppi enigmi irrisolti meritano di essere svelati quanto
prima! Temo per la salvezza del mondo!”
“No!” –Esclamò di scatto Fiore di Luna, intervenendo nella
conversazione. –“Vi prego, Maestro, non portate Sirio nuovamente via! Ha
bisogno di riposarsi, di vivere come un uomo normale, non di essere trascinato
di continuo su un campo di battaglia!”
“Sirio non è un uomo normale, Fiore di Luna, come non lo
sono io né alcuno dei Cavalieri di Atena!”
“Lui non è una macchina da guerra, vi prego!” –Continuò
Fiore di Luna, alzando il tono della voce, e costringendo Sirio ad intervenire,
pregandola di calmarsi. –“Non mi calmo affatto! Sono stufa, Sirio, stufa di
questa vita! Stufa di attendere sempre il tuo ritorno, logorandomi
nell’angoscia per la tua sorte, mentre quell’inconcludente ragazza non è mai
capace di risolvere da sola i suoi problemi!”
“I problemi di Atena sono problemi di tutti noi, Fiore di
Luna! E mi sorprende che tu non li capisca!” –Sbottò Libra, adirato. –“Il tuo
egoismo non aiuta certamente Sirio a svolgere al meglio la sua missione!”
“Il mio egoismo o il vostro e quello della Dea che si fa
chiamare della giustizia, mentre io credo che il termine corretto sarebbe
ingiustizia?” –Gridò Fiore di Luna, prima che Sirio si mettesse in mezzo ai due
pregandoli di calmarsi e chiudere quella discussione. Libra scosse le spalle e
uscì dalla pagoda, non prima di aver lanciato una torva occhiata a Fiore di
Luna, per comunicarle tutto il suo disprezzo.
“Cosa ti prende, Fiore di Luna? Non è da te un simile
sbotto d’ira!” –Le disse Sirio, con voce suadente. –“Capisco la tua
preoccupazione, ma vorrei che tu ti sforzassi di comprendere il mio ruolo!”
“E tu il mio non lo capisci, Sirio?” –Pianse Fiore di
Luna, gettandosi tra le braccia dell’amato. –“Confinata in questa pagoda di solitudine,
trascorro le notti a chiedermi se mai ti rivedrò comparire sulla soglia di
casa! E l’unica immagine che riesce a rimanermi dentro è quella maledetta
Armatura che ti porti sempre in spalla! Quella croce che non ti dà mai pace,
che non ci darà mai pace!!!”
“L’Armatura è il mio simbolo, e forse anche la mia
maledizione!” –Commentò Sirio, asciugandole le lacrime, prima di pregarla di
stendersi e riposarsi un po’. Ma lei, scocciata e delusa dalla sua mancanza di
comprensione, brontolò qualcosa e se ne andò nel giardino sul retro, stufa di
essere considerata solo un oggetto da difendere, ma desiderosa che i propri
desideri, i propri istinti, potessero emergere.
Sirio sospirò, sconcertato e dispiaciuto per quella
scomoda situazione, prima di uscire e incamminarsi lungo la sporgenza rocciosa
di fronte alla cascata, dove Libra si era seduto in posizione meditativa, per
ritrovare la concentrazione che aveva perso improvvisamente poco prima. In una
maniera così brusca da spaventarlo.
“Perdonate Fiore di Luna! È soltanto preoccupata e
straziata dall’angoscia!” –Esordì Sirio, con voce pacata.
“È soltanto una ragazzina stupida!” –Esclamò Libra, con
voce tagliente. –“Un’egoista che antepone la propria felicità, la soddisfazione
dei primordiali istinti di lussuria del suo corpo, al benessere dell’umanità!
Cosa ne sarebbe dei popoli liberi e della pace se nessuno combattesse per
difenderli?”
“Maestro, avete ragione, ma non siate così severo! È una
ragazzina, certo, ma è dolce ed è stata un sostegno per me in questi anni!”
“Una palla al piede, niente di più! Ecco cos’è stata
quella mocciosa! Rimpiango il giorno in cui l’ho salvata dalla tempesta!
Avrebbe meritato di morire con i suoi genitori affogata nel fiume!” –Sbraitò
Libra.
“Ma… Maestro! Come potete dire una cosa simile?
Vergognatevi delle vostre parole! E vi professate un servitore di Atena e della
giustizia?!” –Esclamò Sirio, incredulo, mentre Libra si metteva in piedi,
lanciandogli un’occhiata furba.
“Non sei molto diverso da lei, Sirio! Uno smidollato! Così
attaccato all’amore da non vedere più con i tuoi occhi ma con quelli di lei!”
–Continuò Libra, con tono volutamente provocatorio.
“Basta! Non permettetevi più di parlare dei nostri
sentimenti, di sentimenti che non conoscete!” –Ringhiò Sirio. –“Per duecentocinquanta
anni non avete provato mai emozione alcuna, distaccato spettatore di un amore
che non conoscete! E volete accusare me di essere un debole solo perché il mio
cuore batte per qualcosa di più che non servire ciecamente la mia Dea?! Siete
meschino!”
“E tu sei un debole! E per questo…” –Sogghignò Libra,
mentre un inferno di luce esplodeva nei suoi occhi. –“…devi morire!” –Aggiunse,
muovendo la gamba destra di scatto e sollevandola verso il collo di Sirio. A
tale vista, il ragazzo fu svelto a balzare indietro, venendo raggiunto solo
superficialmente dall’improvviso attacco del suo maestro, che non riusciva
neanche più a riconoscere. Trasformato in un mostro di fattezze orribili, con
marcate rughe di ira che gli solcavano il volto, Libra sembrava davvero una
tigre pronta ad azzannare il suo nemico. E a Sirio, nonostante tutto,
nonostante la follia insita in quell’assurdo scontro, quella caccia sanguinaria
esaltava i sensi, stimolava i suoi istinti, risvegliando il sopito drago di
Oriente.
“Fatti avanti, bamboccio! Mostrami la forza di quest’amore
di cui tanto parli! Io ti mostrerò la forza della solitudine!” –Gridò Libra
spavaldo, gettando via la veste che aveva addosso e rimanendo solo in
pantaloni. Sirio fece altrettanto, prima di lanciarsi contro il suo Maestro,
nello stesso tempo in cui anch’egli si mosse. Si scontrarono a mezz’aria,
colpendosi sul viso e ricadendo a terra per la spinta dell’altro, ma subito si
rimisero in piedi, toccandosi le guance doloranti. –“Hai un bel destro! Ti ho
insegnato bene!”
“Tacete e combattete!” –Gridò Sirio, la cui ira stava
emergendo sempre di più, incapace di controllarla con distacco, come sempre era
stato in grado di fare, grazie alla meditazione e alla pace interiore. E senza
aggiungere altro si lanciò verso Libra, muovendo i pugni velocemente, prima il
destro poi il sinistro, e poi di nuovo, e di nuovo ancora, costringendo l’uomo
a schivargli e ad arretrare, fino a ritrovarsi sul bordo dello spuntone
roccioso. Libra incrociò le braccia avanti a sé, proprio mentre Sirio caricava
nuovamente il pugno destro, e parò il suo attacco, fermandogli poi il braccio,
per spezzarlo. Ma Sirio fu svelto a colpirlo alle gambe con un calcio secco,
che gli fece perdere stabilità, prima di spingerlo indietro con una ginocchiata,
facendolo precipitare di sotto dalla sporgenza rocciosa. Soddisfatto, il
ragazzo si scosse le mani e si sporse per osservare il lago sottostante, dove
il corpo di Libra avrebbe dovuto galleggiare. Ma non c’era niente, soltanto
l’immenso scrosciare della Cascata del Drago. E quando capì, fu troppo tardi.
Libra era riuscito ad aggrapparsi ad una sporgenza del
terreno, dondolandosi con le gambe e dandosi la spinta per ritornare di sopra,
balzando contro Sirio e colpendolo in pieno petto, fino a sbatterlo a terra.
Quindi fu su di lui, lo afferrò per il lungo vestito e gli sputò in faccia.
Esprimendo tutto il disprezzo che provava per lui. O forse per se stesso, per
non essere in grado di reprimere quell’istinto animale che lo stava
sopraffacendo sempre di più. Mostrò il palmo della mano destra al ragazzo,
sogghignando perversamente e allungando le unghie delle dita fino a creare
artigli simili a quelli di una tigre.
“Mira gli artigli che ti strapperanno il cuore, Sirio!”
–Ringhiò Libra, calando la mano su di lui. Ma Sirio fu abile a balzare
indietro, mentre gli artigli strappavano via la sua veste, lasciandogli solo
qualche unghiata sul petto. –“Sangue!!!” –Mormorò Libra, alla vista di alcune
gocce rosse scivolare sul corpo del ragazzo. E ciò lo fece eccitare ancora di
più, inebriato da quell’aroma che pareva stuzzicare i suoi istinti più
primordiali.
“Colpo segreto del Drago Nascente!!!” –Urlò
improvvisamente Sirio, scagliando il suo colpo segreto con la gamba sinistra,
sollevandola di colpo e dirigendo l’attacco verso Libra, che non poté far altro
che incrociare le braccia avanti a sé e pararlo con il cosmo.
“Occasione sprecata, tocca a me adesso!” –Ringhiò Libra,
portando avanti il pugno destro e caricandolo della sua energia cosmica. Sirio
fece altrettanto e lo scontro tra i due poteri generò una piccola esplosione
che scaraventò entrambi indietro, sbattendoli a terra, sempre più arrabbiati,
sempre più vittime dei loro istinti.
L’esplosione venne udita anche nelle vallate circostanti e
fece sorridere Menas della Rosa, in piedi su un altopiano poco distante,
soddisfatto del suo operato. Arrivare non visto ai Cinque Picchi non era stato
un problema, utilizzando i bozzoli dei suoi fiori per passare sottoterra. Né lo
era stato disseminare il giardino della pagoda di semi di rabbia, che in pochi
attimi avevano dato vita a rigogliosi cespugli di rose rosse, le stesse che
avrebbero ucciso Sirio e il Cavaliere suo maestro. Come era nei piani di
Flegias. Ciò di cui Menas non aveva però tenuto conto, e che non poteva sapere,
era che Ascanio fosse refrattario a quell’aroma.
Un colpo energetico lo raggiunse alla spalla destra,
sbattendolo a terra e frantumando il coprispalla della sua nera corazza.
Stupito, Menas si rimise in piedi, tastandosi la spalla sanguinante, per
trovarsi di fronte un ragazzo, di non più di trent’anni, con un volto scuro e
uno sguardo determinato, avvolto da una lucente aura cosmica.
“È a te che devo quest’inutile spargimento di sangue?!”
–Esclamò l’uomo, avanzando a passo deciso verso Menas. –“Ho sentito scontrarsi
i cosmi del Cavaliere del Dragone e del mio Maestro, e dubito che
volontariamente quei due generosi e pacati uomini si affronterebbero!”
“Dubiti bene!” –Sogghignò Menas, mostrando una rosa rossa
sul palmo della mano. –“E ti mostrerò in che modo ho agito! Così!!!” –Gridò,
scagliando un mucchio di rose, dai petali color sangue, contro Ascanio. –“Rosa
di rabbia!!!” –Ma Ascanio, per niente impressionato da quell’assalto, si
limitò a far esplodere il cosmo e a distruggere tutte le rose di Menas,
spargendo a terra i loro petali. –“Non gioire nell’apparenza di una facile
vittoria! Le rose di rabbia continuano il loro venefico effetto anche
estirpate, anche se i loro steli fossero recisi e i loro petali gettati al
vento! Porterebbero comunque gli uomini alla pazzia!”
“È dunque questo il loro potere?!” –Commentò Ascanio.
–“Terribile arma! Agisce sulle pulsioni nascoste degli uomini, tirando fuori i
loro istinti primordiali, facendoli diventare bestie pronte ad azzannarsi! La
tigre e il dragone! Un lago di sangue!” –Rifletté raggelandosi.
“Presto anche tu scivolerai nei tormenti della bestialità
furiosa, Cavaliere senza nome! La tua aria superba non ti salverà!” –Sghignazzò
Menas, ma Ascanio fugò ogni dubbio, atterrandolo con un semplice movimento del
braccio e schiacciandolo a terra con il suo cosmo.
“Dubito che su me, addestrato agli antichi misteri di
Avalon, istruito dal Signore dell’Isola Sacra in persona, tali poteri possano
avere effetto! Non vi è droga o effluvio che io non abbia sperimentato e saputo
domare! E la tua rosa di rabbia non fa certo differenza!” –Esclamò Ascanio,
calpestando alcuni petali con il tacco delle calzature. –“Tuttavia sono in pena
per Sirio e il Maestro! Devo tornare ad aiutarli!”
“Ormai saranno già morti!” –Ridacchiò Menas. –“Gli
animaleschi spiriti della Tigre e del Drago li avranno condotti verso gli
abissi di Ade, in mezzo a tormenti atroci! Come bestie si saranno azzannate,
sfregiando i loro corpi e inebriandosi dell’odore del sangue, odore che nient’altro
effetto avrà avuto se non quello di aizzarli ancora l’uno contro l’altro,
sempre di più, fino a divorarsi corpo e anima!”
“Sei un miserabile! Soltanto i vigliacchi combattono in
questo modo!” –Esclamò Ascanio, espandendo il suo cosmo. –“Parli di sangue e di
istinti con un distaccato fascino che mi fa pensare che tu sia immune, come me,
a questo artifizio!”
“E lo sono infatti! Nel mio sangue scorre il siero della
rosa di rabbia, dal Gran Maestro di Ombre in persona iniettatami! Nessun onore
potrebbe essere più grande di quello che mi vede suo servitore personale,
l’araldo della grande ombra!”
“Il Maestro di Ombre? Chi è costui?” –Rifletté Ascanio, ma
Menas parve non aver più voglia di parlare. Concentrò il cosmo sul pugno e si
lanciò avanti, per colpire il ragazzo in pieno viso, ma Ascanio fu svelto ad
evitarlo, spostandosi di lato. –“Troppo lento! Il tuo genio non funziona con
me!” –E travolse Menas con un’onda di cosmo, paralizzando i suoi movimenti.
–“Adesso parla! Chi ti ha inviato ai Cinque Picchi? Sei al servizio del figlio
bastardo di Ares, che i Cavalieri Celesti miei compagni cercano di catturare da
settimane?”
“E se anche fosse?!” –Sogghignò Menas, cercando di
liberarsi dalla prigionia mentale di Ascanio. –“Flegias vi sterminerà tutti e
sulle ceneri di questo mondo sorgerà un impero di tenebra, di cui egli sarà
sovrano incontrastato, ambasciatore dell’ombra e del caos!”
“Dunque è così! Non ha rinunciato ai suoi folli progetti
di dominio!” –Rifletté Ascanio. –“Devo rientrare sull’Olimpo e conferire subito
con Phantom e con Zeus!”
“Mi dispiace per te, ma non andrai da nessuna parte!”
–Esclamò Menas, con gli occhi che gli luccicavano di rabbia. In quel momento il
terreno tremò sotto i piedi di Ascanio e numerosi fusti di rovi sorsero attorno
a lui, avvinghiandosi stretti al suo corpo e lacerando le sue vesti con le loro
spine aguzze. Ascanio tentò di dibattersi, per sradicare quei rovi assetati del
suo sangue, e nel farlo abbandonò la presa mentale su Menas, che fu di nuovo
libero di muoversi. –“Stritolatelo, rovi di sangue!” –Gridò, aumentando il
numero dei fusti spinosi, che si attorcigliarono attorno al corpo del ragazzo,
proprio come avevano fatto con Asher il giorno prima. Lo afferrarono per gambe
e braccia, bloccandogli i movimenti e affondando nella sua giovane carne.
“Non penserai di battermi con così poco! Non ho neanche
bisogno della mia Armatura per sconfiggerti!” –Esclamò Ascanio, espandendo il
cosmo, con i muscoli tesi per lo sforzo, e annientando tutti i rovi, che
vennero inceneriti da un’onda di luce. Menas la osservò, impressionato
dall’immane potenza, e gli parve di vedere la sagoma di un dragone rosso
dipingersi davanti a sé. Un dragone con le fauci aperte, che Ascanio diresse
contro di lui. –“Attacco del Drago di Sangue!!!” –E travolse Menas,
trapassando il suo corpo da parte a parte e gettandolo a terra, con l’armatura
in frantumi e ferite aperte ovunque.
“Ma… maledetto…” –Rantolò Menas, respirando a fatica e
realizzando di non essere all’altezza per un avversario del genere. Lui era
solo un guerriero di basso rango, dalla potenza ben lontana da quella dei
Capitani dell’Ombra, specializzato in agguati e infiltrazioni, scelto da
Flegias proprio perché sapeva arrivare e andarsene non visto. Ma in battaglia i
suoi poteri erano minimi. –“Tuttavia non mi arrendo… no, non deluderò il Gran
Maestro di Ombre!” –Ringhiò, rimettendosi in piedi.
Ascanio lo osservò ma non provò alcuna ammirazione per la
sua tenacia, considerandola soltanto un passo avanti lungo i gradini
dell’inferno. Portò il braccio destro davanti al petto, lasciando che i
serpenti intrecciati si illuminassero e invadessero l’intero altopiano,
stritolando Menas in un abbraccio di luce. Quindi fece per colpirlo al cuore
con un pugno, per porre fine alla sua straziante agonia, quando una bomba di
energia esplose proprio su di loro, scaraventandoli indietro di parecchi metri.
Ascanio rotolò sul terreno roccioso, prima di rimettersi agilmente in piedi e
gettar via la maglietta strappata. Di fronte a lui, magnifico e terribile, si ergeva
un nuovo avversario, dal cosmo oscuro come le tenebre.
Alto più di tre metri, un colosso dalle spalle robuste,
ricoperto da un’armatura nera dai riflessi violacei, con otto teste di drago
disseminate sul corpo che le davano un’aria inquietante. Ma Ascanio, che quel
simbolo ben conosceva, essendo anche il suo, ne provò rispetto, più che timore.
Quell’uomo era Orochi, il più forte dei sette Capitani dell’Ombra.
“Sei un fallimento!” –Esclamò la rude voce di Orochi,
rivolgendosi a Menas, che piagnucolava sul terreno, trascinandosi a fatica
verso l’alto corpo del suo superiore. –“Riferirò al Maestro di Ombre la tua
condotta e non ne sarà affatto contento! Ho dovuto scomodarmi persino io per
salvare il tuo insignificante posteriore!”
“Abbiate pietà, nobile Orochi, al mio compito ho saputo
comunque adempiere! Stavo per tornare all’Isola delle Ombre, quando ho
incontrato questo viscido Cavaliere di Atena!” –Disse Menas della Rosa,
visibilmente intimorito dal Capitano dell’Ombra.
“Non di Atena sono Cavaliere, ma del Sommo Zeus, Signore
dell’Olimpo!” –Precisò Ascanio Testa di Drago, con voce decisa.
“Per chiunque tu combatta, incontrerai la morte come tutti
gli altri! Nessuno resisterà all’avvento dell’ombra!” –Sentenziò Orochi,
invadendo l’altopiano con il suo esteso e oscuro cosmo.
“Questo è tutto da dimostrare!” –Esclamò Ascanio,
espandendo il proprio cosmo e dirigendo il suo colpo segreto contro
l’avversario. –“Attacco del Drago di sangue!” –Ma l’impetuosa corsa del
dragone rossastro venne fermata dal palmo aperto della mano destra di Orochi,
che il gigantesco guerriero mostrò ad Ascanio, continuando a fissarlo negli
occhi, con aria di sfida. Quindi, sopraffacendo la sua energia cosmica con la
propria, chiuse il pugno, spegnendo l’attacco del ragazzo, estinguendolo senza
lasciarne traccia alcuna, di fronte ai suoi occhi sgranati. –“Incredibile!!!
Mai nessuno era uscito indenne da un mio assalto frontale!” –E subito parve
udire la voce del suo maestro, il potentissimo uomo che l’aveva addestrato
negli anni della sua permanenza a Glastonbury, ricordargli di non sorprendersi
mai, ma di aspettarsi sempre tutto.
“Poiché esisterà sempre qualcuno o qualcosa più grande di
noi! Sii consapevole dei tuoi limiti, cosicché tu possa superarli!” –Amava
ripetergli il suo mentore. E Ascanio, sorridendo, realizzò di non aver ancora
messo in pratica quell’insegnamento.
Non ebbe il tempo però di pensare ad altro che venne
avvolto da una massa indistinta di energia cosmica e sollevato da terra, mentre
un fiume in piena ribolliva sotto di lui. Orochi sogghignò beffardo,
scaraventando Ascanio in cielo e osservandolo esplodere in una bomba di luce. Quindi,
soddisfatto per la sua azione distruttiva, compiuta con un minimo sforzo e
senza sporcarsi troppo, afferrò Menas per una spalla, sbattendolo a terra e
avvolgendolo nel suo cosmo, prima di scomparire con lui e fare ritorno
all’Isola delle Ombre.
Ascanio, nel frattempo, stava precipitando dall’alto del
picco roccioso, rotolando sui pendii scoscesi, con il corpo pieno di ferite,
per l’attacco energetico di Orochi e per lo sbattere continuo lungo la pietra.
Ma sembrava non riuscire a trovare la forza per reagire e fermarsi. Confuso,
stava cercando di rimettere insieme i pezzi di quegli ultimi minuti,
chiedendosi come era stato possibile che un avversario lo avesse travolto così
facilmente, dopo averlo sorpreso con un attacco improvviso. I suoi sensi erano
altamente sviluppati, grazie all’addestramento che aveva ricevuto ad Avalon, e
mesi prima a Glastonbury era stato in grado di percepire persino la presenza di
Phantom dell’Eridano Celeste, per quanto questi si celasse ad occhi umani
grazie ad un talismano divino. Come era stato possibile che non avesse sentito
l’arrivo di Orochi? E come aveva potuto questi colpirlo così velocemente?
Rotolando lungo il pendio scosceso, Ascanio convenne che, nonostante avesse
creduto di esserne immune, non doveva esserlo interamente e i velenosi rovi di
Menas della Rosa dovevano aver indebolito i suoi sensi, rendendolo goffo e
portandolo alla sconfitta.
Ma non accadrà una seconda volta! Si disse,
aggrappandosi ad una sporgenza rocciosa, poco prima di rotolare di sotto da uno
strapiombo. No, non gli permetterò di accadere! Maestro, abbiate fiducia, ho
imparato la lezione! La superbia in battaglia non aiuta, e anche quando siamo
certi di essere in vantaggio è sciocco abusare della propria superiorità! E
nel dir questo si tirò su, cercando di rimettersi in equilibrio, prima di
iniziare a scalare il ripido pendio, fino a raggiungere un piccolo sentiero su
un fianco della montagna. Si riposò per pochi istanti, giusto il tempo di
scuotere via le gocce di sudore che colavano sulla sua fronte abbronzata, prima
di lanciarsi in una rapida corsa verso la residenza del Cavaliere di Libra,
sicuro che lui e Sirio avessero bisogno del suo aiuto.
Quando arrivò alla pagoda, trovò tracce di sangue
disseminate su tutto il terreno attorno e pezzi di roccia franata, simboli
evidenti di uno scontro che aveva assunto dimensioni preoccupanti. Chiamò Sirio
e il Maestro a gran voce, guardandosi attorno con circospezione, lasciando che
i suoi sensi prestassero ascolto al vento e al richiamo della natura, di cui
quel luogo, così semplice e al tempo stesso così immortale, era profondamente
intriso. Infine li trovò. Deboli e affaticati dal brutale scontro, che doveva
essersi protratto fino ad esaurirli entrambi, giacevano lungo le rive del
fiume, le cui limpide acque erano macchiate dal sangue di quel delirio. Dal
sangue che così tanto li aveva inebriati. Ascanio vide i loro corpi dall’alto
della rupe e balzò verso il basso, saltando di sporgenza in sporgenza, fino ad
atterrare sul bordo del fiume, a pochi passi dai due Cavalieri stremati. I
tatuaggi sulla schiena ben in mostra, i visi scorticati dalle unghiate a cui
erano abbandonati, numerosi lividi ed escoriazioni sul corpo. Ascanio sospirò,
preoccupato per le loro condizioni, e mosse un passo avanti, prima che i sensi
lo avvertissero di stare in guardia.
Sirio e Libra si rialzarono infatti di colpo, quasi
dimentichi di essersi affrontati fino ad allora, e si lanciarono sul Cavaliere
Celeste, con gli artigli sguainati e pronti per affondare dentro di lui. Ascanio
fu abile a evitare entrambi, scivolando in mezzo ai due e portandosi alle loro
spalle, abbattendoli poi con un’onda di energia. Non erano davvero in sé, con
quegli occhi indemoniati, carichi di sangue e follia, tutto l’opposto della
pacata consapevolezza che li aveva sempre contraddistinti. Ma erano comunque
due Cavalieri di immani poteri e Ascanio non poteva rischiare di affrontarli
direttamente. Ne andava della sua, e della loro, incolumità.
Così si lasciò cadere sulle ginocchia, di fronte agli sguardi
incuriositi dei due uomini, socchiudendo gli occhi e lasciando che il cosmo
fluisse dentro di lui, entrando in comunione con la natura circostante, con
l’energia mistica che da millenni risiedeva in quel luogo. Sirio e Libra
rimasero per qualche momento ad osservarlo, quasi assaporando la preda che,
ormai vinta, si offriva per saziare la fame di sangue che stava divorando la
loro anima. Ma quando fecero per lanciarsi contro di lui, si accorsero che
Ascanio stava facendo dei cerchi sul terreno, prima di stringere un mucchio di
terra nel pugno e scagliarla contro di loro, con tutto il suo cosmo. Una
pressione micidiale fermò i movimenti di Sirio e di Libra, bloccandoli a
mezz’aria, mentre una corrente di energia lambiva i loro corpi, schiacciandoli
ogni volta che tentavano di muoversi.
“Maestro!” –Lo chiamò Ascanio, sollevando lo sguardo verso
di lui. –“Risvegliate la vostra vera essenza! Cacciate il demone annidato
dentro di voi! Vincete la demoniaca fragranza della Rosa di Rabbia! Potete
farlo! Ne sono certo!”
“Io…” –Balbettò Libra, per un momento colpito dalle parole
di Ascanio. Ma subito gli istinti animaleschi presero il sopravvento, inebriati
dall’odore del sangue attorno, dalla nuova preda che avrebbero sventrato entro
pochi minuti, e spinsero Libra a dimenarsi furiosamente, cercando di estirpare
quella corrente di fuoco fatuo che lo teneva prigioniero. Stessa cosa fece
Sirio, e ad Ascanio sembrò che, in virtù del maggior livello raggiunto, il
ragazzo fosse sul punto di riuscirvi. Per questo decise di agire, senza perdere
altro tempo. Concentrò il cosmo dentro al cuore, lasciandolo fluire all’esterno
sotto forma di un drago di luce bianca, il drago della vita, proprio mentre
Sirio e Libra si liberavano dalla sua prigionia mentale.
“Nella cultura celtica i draghi o serpenti sono il simbolo
del duplice potere della creazione! Mantengono le forze in equilibrio dinamico,
rappresentando la potenza dell’universo! Un potere capace di dare vita e morte!
Contro i nemici, che alla guerra soltanto anelano, Avalon solleva il drago
rosso, intinto di sangue e distruzione, ma verso gli amici, per purificare il
vostro animo infetto, rivolgerò il dragone bianco, i cui poteri, come quelli
del Pozzo del Calice di Glastonbury, sanano le ferite e donano la vitaaa!!!” –Gridò
Ascanio, liberando il suo potere. –“Attacco del Drago Bianco!!!” –E la
maestosa sagoma di un drago di energia, risplendente di vivida luce bianca,
travolse Sirio e Libra, intenti a scagliare i loro colpi segreti.
Gli attacchi dei due Cavalieri, portati confusamente e
senza concentrazione, svanirono all’istante, fagocitati dal lucente sfolgorio
del Dragone bianco, che trapassò i loro corpi, scaraventandoli a terra. In quel
momento arrivò correndo Fiore di Luna, piangendo e chiamando Sirio a gran voce.
Anche nei suoi occhi brillava una luce sinistra, un fuoco infernale, a causa
degli effluvi della rosa di rabbia.
“Che cosa gli hai fatto? Come hai osato colpire Sirio?!”
–Gridò, avventandosi su Ascanio e iniziando a tempestarlo di schiaffi e di
colpi, finché il ragazzo non la interruppe, afferrandole le braccia, senza
stringere troppo, e fissandola con il suo sguardo, quasi volesse leggerle
nell’anima. Lentamente Fiore di Luna iniziò a tranquillizzarsi, mentre
un’angelica presenza pareva fluire dentro di sé, una voce lontana, un sospiro
nel vento, che la spinse a farsi forza e ad aggrapparsi all’unica cosa che
potesse cancellare la rabbia dal suo cuore. La preghiera.
Soffocando le lacrime, la ragazza cadde a terra,
rannicchiandosi e iniziando a mormorare parole che Ascanio non riuscì a
comprendere interamente, ma che sembravano il Padre Nostro della religione
cristiana. Tra le mani scintillò un crocifisso d’argento, l’unico legame che la
ragazza aveva ancora con i suoi genitori. Tutto ciò che aveva in tasca quando
il Vecchio Maestro l’aveva trovata anni addietro. Ascanio sorrise, prima di
chinarsi sui corpi dei due uomini, avvolgendoli in un confortevole abbraccio
con il suo cosmo curativo.
Sirio fu il primo a risvegliarsi, scuotendo la testa
stordito, ed ebbe bisogno di qualche minuto per riordinare i confusi frammenti
del suo passato recente. Per un attimo le immagini di Libra che si lanciava
contro di lui ad artigli sguainati lo invasero, piegandolo in due dal dolore, e
Ascanio dovette incitarlo a far appello a tutta la sua energia interiore, a
tutta la saggezza accumulata negli anni, affinché l’istinto bestiale di nuovo
non lo sopraffacesse.
“Resisti, Sirio! La tua sapienza lo vincerà!” –Commentò,
mentre anche Libra si risollevò, guardandosi attorno confuso. Ascanio sorrise a
entrambi, prima di crollare sulle ginocchia, stanco per il lungo sforzo
mentale. –“Non ho cacciato del tutto l’ombra dai vostri cuori, perché essa è
anche parte di voi! L’istinto è delle bestie come è dell’uomo, ma il nostro raziocinio,
il nostro controllo, deve saperlo dominare senza estirparlo completamente!”
Libra si mise in piedi, osservando le ferite sul suo corpo
e su quello dei suoi allievi, e sentendosi tremendamente in colpa per
l’accaduto. Allungò una mano verso Sirio, accennando un sorriso e aiutandolo a
rialzarsi, proprio mentre Fiore di Luna si riscuoteva dalla sua preghiera,
voltandosi verso di loro. Arrossì non appena incrociò lo sguardo del Cavaliere
di Libra, e spostò lo sguardo, per nascondere gli occhi rossi dalle lacrime. Ma
l’uomo le si avvicinò, prendendole una mano e costringendola a voltarsi e a
fissarlo negli occhi. In occhi sereni, adesso.
“Perdona le mie parole, Fiore di Luna! Sono state dettate
soltanto dalla rabbia!”
“No, Maestro! Perdonate voi questa stupida ragazza! Per un
attimo, accecata dai miei sentimenti, ho dimenticato la riconoscenza che provo
per voi, e l’abnegazione con cui da anni servite la giustizia! Sono stata molto
infantile, vi prego di scusarmi!”
“Credo che tutti dovremmo un po’ scusarci, prima di tutto
con noi stessi!” –Intervenne Sirio, avvicinandosi e abbracciando entrambi.
Ascanio si risollevò in quel momento, attirando gli
sguardi su di lui. Sirio avrebbe voluto ringraziarlo ma il Cavaliere di Zeus
con un gesto lo pregò di non parlarne più. Non era ancora finita. Doveva
distruggere le rose fuori dalla pagoda e poi tornare sull’Olimpo ad informare
Zeus. E c’era un’altra cosa che si stava chiedendo da un’ora ormai, cosa fosse
quell’Isola delle Ombre di cui Orochi e Menas avevano parlato? Forse il luogo
ove Flegias si era rifugiato? Non aggiunse altro e iniziò a correre verso il
sentiero, raggiungendo in fretta l’abitazione del Cavaliere di Libra. Là, con
un veloce attacco energetico strappò via tutte le rose di rabbia, ma sgranò gli
occhi quando vide che nuovi fiori sorgevano dal terreno appena estirpato.
Maledizione, Menas aveva ragione! È un cerchio senza
fine! Commentò Ascanio, osservando il fallimento di un nuovo attacco. Ed
io sono pure stanco! Non aggiunse altro e tornò indietro, ai piedi della
montagna, dove Sirio e Libra stavano pulendo le loro ferite con l’acqua del
fiume dei Cinque Picchi. Spiegò loro la situazione, pregandoli di andarsene
quanto prima, per non essere nuovamente infettati.
“Trovate un riparo, Maestro, per voi e per Sirio e Fiore
di Luna, una sistemazione qualunque! Ma lasciate la Cina! Finché le rose di
rabbia non saranno estirpate i vostri istinti bestiali potrebbero riprendere il
sopravvento in qualsiasi momento! Andate al Grande Tempio, io mi recherò ad
Avalon! Il mio Maestro forse conoscerà un modo per risolvere questa fastidiosa
situazione!” –Spiegò Ascanio, preparandosi per partire. Libra gli si avvicinò,
con aria piena di orgoglio per la maturazione del discepolo, e gli mise una
mano sulla spalla.
“Come già ebbi modo di dire a Sirio, durante il suo
scontro con Arge lo Splendore… non sono più il tuo maestro, Ascanio! Adesso
sono un amico! Un compagno al cui fianco combattere!” –Sorrise il Cavaliere
d’Oro, commuovendo il ragazzo.
Ma quando Ascanio concentrò i propri sensi per raggiungere
l’Olimpo, percepì un’oscura perturbazione nel cosmo. Un’immensa ombra che
pareva sopraffare corpi di uomini straziati dal dolore. Tra le grida, riconobbe
quelle di Gwynn, Cavaliere Celeste del Biancospino, e la voce solida di
Phantom, che lo incitava a resistere, nonostante la ferita al petto. In mezzo
al sangue, e al delirio di mille uomini in fuga, strati di ombre avanzavano
inghiottendo ogni forma di luce. Il tempo era infine scaduto e la grande
oscurità era arrivata. Ascanio scosse la testa, cercando di liberarsi da quel
mistero che aveva appena vissuto, da quella strage di eroi a cui aveva appena
assistito. Libra si accorse del turbamento del ragazzo e avrebbe voluto
chiedergli qualcosa, ma quando fece per parlare Ascanio era già scomparso.
Svanito in una nube di luce.
Anche se non era riuscito a distinguere il luogo, Ascanio
aveva compreso dove si trovavano Phantom, Gwynn e gli altri Cavalieri Celesti.
Sull’Isola delle Ombre, ove Flegias aveva aperto le porte dell’inferno.
Avvolto nel suo mantello scarlatto, nella caverna
sotterranea dell’isola dell’Egeo, il Maestro di Ombre aveva ascoltato con
attenzione il resoconto di Orochi, che si era lamentato con Menas per essersi
lasciato scoprire.
“Così adesso i Cavalieri staranno all’erta, impedendoci
nuove incursioni! Razza di incapace, avresti dovuto farlo fuori quel galoppino
di Zeus!”
“Non è delle incursioni che mi preoccupo!” –Lo interruppe
Flegias, meditando attentamente sul da farsi. –“Avvolti nelle ombre che ho
generato, potremmo raggiungere ogni angolo di questa sporca terra! Ma è della
tua livrea che mi dispiaccio! Cosa ne è della nera corazza che Athanor aveva
forgiato per te? Ne restano pezzi sparsi sul tuo inutile corpo, macchiati di
sangue e vergogna!”
“Pietà, Grande Maestro di Ombre! Ho cercato di oppormi, ma
il potere di quell’uomo mi ha sovrastato! E l’armatura nera è andata subito in
frantumi!” –Esclamò Menas.
“Bugia!!!” –Intervenne Athanor, che stava origliando la
conversazione.
“Devo dunque dedurre che le tue corazze valgano meno della
tua vita, Alchimista Oscuro?!” –Ringhiò Flegias, sfoderando gli artigli della
mano destra, su cui concentrò il cosmo, prima di sferzare Athanor in pieno
viso, gettandolo a terra, con la veste tinta di sangue e il volto sfregiato.
“No, no!!! La corazza di Menas era la prima, la prima che
ho creato! Era ancora imperfetta, come le armature dell’Isola Nera! Ma grazie
al sangue del Dio Asclepio e al potere della pietra nera ho potuto migliorare
la loro resistenza, ho potuto…”
“Prega che la mia corazza non subisca danno alcuno,
viscido servitore, o pulirò i graffi con il tuo sangue!” –Esclamò Orochi. –“Non
vorrei che costui fosse ancora legato ad Atena, mio Signore! Potrebbe venderci
ai greci!”
“Fa silenzio, Orochi! Sei un guerriero, non un filosofo, e
non ti ho chiesto di pensare!” –Lo zittì Flegias, avvicinandosi poi a Menas e a
Athanor, rintanati in un angolo della caverna. –“Parlami di quel Cavaliere di
Zeus! Chi era? Qual era il suo nome?”
“Non lo so, non conosco il suo nome, non l’avevo mai
visto! Emanava una potenza mistica, un cosmo intriso di storia e leggenda, ed
ha nominato Avalon! Sì sì, l’Isola Sacra! Diceva di essere immune agli effluvi
della mia rosa, ma credo comunque che abbia risentito del veleno dei rovi!”
–Spiegò Menas, con agitazione.
“Avalon?!” –Gridò Flegias, avvampando di fuoco e di ombra.
–“Quei bastardi!!! Sanno dei talismani e vogliono impedirmi di trovarli!
Vogliono raggiungerli prima di me, ma glielo impedirò!!! Sì, glielo impedirò!”
–Ringhiò, sfoderando la spada infuocata, che portava alla cinta della lunga
veste, e mozzando con un secco colpo la testa di Menas. –“Il tuo ruolo nella
storia è concluso! Hai finito di servirmi, inetto!”
Athanor e Orochi non dissero niente, limitandosi ad un
breve sguardo di intesa. Il silenzio era per loro l’arma migliore da usare, ne
convennero entrambi, seppur Orochi mantenesse il fiero e composto atteggiamento
di un guerriero, mentre Athanor arrancasse ancora, accanto al corpo sanguinante
di Menas. Un’occhiata di Flegias lo fece impallidire.
“Cosa aspetti, alchimista? La benedizione degli angeli e
di tutto l’Olimpo?! Aspetteresti invano, perché presto li caccerò tutti nel
Tartaro, sprofondando ognuno di loro in una tenebra senza fine!!! Ah ah ah!”
–Rise Flegias, nel cosmo che avvampava attorno a sé. –“Prendi il sangue di
quell’inutile bestia e fanne buon uso, di modo che possa almeno servire a
qualcosa da morto! Che non si dica che il Gran Maestro di Ombre non rende
omaggio ai suoi fedeli!!! Ah ah ah!” –Rise ancora, mentre Athanor sollevava,
con un certo ribrezzo, il corpo mutilato di Menas e lo portava via, verso le
grandi fornaci, scomparendo nell’ombra dei sotterranei. –“Idiota! Quanto ancora
credi che mi servirai?” –E sghignazzò, voltandosi verso Orochi, ed osservandolo
compiaciuto ridere a sua volta.
In quella, sentì decine di cosmi lucenti apparire nelle
lande di quell’isola brulla, e sogghignò, pronto a scendere in campo. Gettò via
il nero mantello che lo rivestiva, sfoderando la sua scarlatta Armatura, i cui
oscuri riflessi parevano fondersi con la tenebra circostante.
“Che si facciano avanti, i prodi difensori delle stelle!
Li osserverò cadere uno ad uno, decomporsi sul terreno, fino a diventare cibo
per le mie ombre! Fino a diventare l’esercito silenzioso con cui invaderò il
mondo!” –Declamò a gran voce, sollevando la Pietra Nera verso l’alto e
lasciando che liberasse un’immensa nube di energia nera. Una nuvola tetra,
quasi indistinguibile in quell’antro oscuro, da cui Orochi vide fluttuare via
centinaia e centinaia di ombre, neri spiriti vaganti che traboccarono
all’esterno, per oscurare la luce delle stelle e di tutti coloro che
l’avrebbero difesa.
Che vi fosse movimento, sull’Isola delle Ombre, era
evidente anche per le decine di giovani imprigionati nelle caverne, costretti a
lavorare nella grande fucina e sorvegliati a vista dai servitori del figlio di
Ares. Feriti durante l’assalto dei berseker al Grande Tempio, erano stati
sequestrati e condotti in quell’oscuro antro, impossibilitati a scappare a
causa della paura che il solo sguardo di Flegias pareva incutere nei loro
cuori. Erano orfani, erano smarriti, erano solo dei ragazzini arrivati in
Grecia alla ricerca della Terra Promessa, di uno scopo nella vita, sulla scia
delle leggende udite sui Cavalieri di Atena. E adesso erano degli schiavi, che
lavoravano da settimane nelle prigioni sotterranee dell’isola, trasportando
materiale e fondendone altro, sotto lo sguardo attento di Athanor e di Flegias.
Denutriti e debilitati, dormivano solo quattro ore a notte, costretti a
mangiare pane raffermo e pezzi di carne cruda, di chissà quale animale, e a
sorseggiare sporca acqua, che periodicamente gli veniva fornita. Qualcuno era
pure morto per denutrizione, ma questo non impediva a Flegias di diminuire le scorte
per gli schiavi, tanto poca era la considerazione che aveva di loro, dettata
soltanto dall’utilitarismo.
Avevano provato una sola volta a ribellarsi, approfittando
dell’assenza del figlio di Ares, impegnato a massacrare Asclepio a Pergamo, ma
il tentativo era finito in un bagno di sangue. Ne erano morti tredici, e i loro
corpi erano stati gettati nell’immonda fornace, che era parsa saziarsi di quel
giovane sangue, allungandosi verso la sommità del vulcano con sinuose lingue di
fuoco nero. Da allora avevano abbandonato ogni proposito di fuga, continuando a
servire Flegias passivamente, come fossero automi, contando i minuti che li
separavano da una fine che a tutti pareva inevitabile. Come i loro compagni,
anch’essi sarebbero divenuti cenere.
“Stai attenta, Miha!!!” –Esclamò un ragazzo, dai biondi
capelli sfilacciati. –“Non farti vedere in terra, rialzati, presto!”
“Io… non ci riesco, Matthew… Non ho più forze!” –Mormorò
la ragazza, crollata sotto il peso di lastre di metallo che non riusciva più a
portare, stanca e sfinita.
“Coraggio, Miha! Alzati!!!” –Cercò di incitarla Matthew,
prima che la cavernosa voce del loro sorvegliante li richiamasse.
“Cosa fate, schiavi? Osate interrompere la catena di
produzione? Alzati, inutile femmina!!!” –Esclamò rozzamente il carceriere,
avvicinandosi ai due e schioccando una lunga frusta fiammeggiante sul suolo.
Bastò quel rumore, agli altri schiavi, per scuotersi e ricominciare a lavorare,
dimenticando quella scena che li aveva distratti per un momento. –“Alzati, ti
ho detto! Flegias vi ha risparmiato la vita, abbiate almeno il buon senso di
rendergli grazie!” –E la sferzò sulla schiena, bruciandole la maglietta
strappata che indossava, e sbattendola a terra, mentre la ragazza gridava di
dolore. –“Non ho capito le tue parole!” –E la colpì di nuovo. E di nuovo
ancora. Fino a scavare lunghi solchi di fuoco sulla sua giovane schiena.
“Miha!!!” –Gridò Matthew, di fronte a quell’orribile
visione. E gettò via il materiale che stava trasportando, lanciandosi sul
carceriere, per fermare quella tortura. Ma l’uomo non si fece sorprendere,
colpendo Matthew in pieno viso e sbattendolo a terra.
“A cuccia, ragazzino!” –Ringhiò il sorvegliante,
stringendo con fierezza la frusta nelle sue mani. L’unica arma che lo poteva
realmente far sentire uomo, che lo poteva realmente far sentire interessante e
utile. Poiché senza quella, che Flegias gli aveva dato affinché tenesse
d’occhio quella mandria di mocciosi, non sarebbe stato nessuno, e di questo era
consapevole anche lui. E in tal caso, semplicemente uno tra i tanti, sarebbe
finito in schiavitù proprio come loro. –“Non accadrà!” –Mormorò, stringendo i
vecchi denti gialli. –“Non accadrà!!!” –E colpì di nuovo Miha, che stava
cercando di rimettersi in piedi, sbattendola nuovamente a terra, in un lago di
sangue.
A tale vista, tutti gli altri schiavi si abbandonarono ad
espressioni di disgusto e di paura, dispiaciuti per la sorte della ragazza ma
troppo impauriti per muovere un dito per salvarla. Tutti tranne Matthew, che si
rimise in piedi, pulendosi con un braccio il sangue che gli colava dal labbro
rotto e fissando il carceriere con immenso disprezzo.
“Abbassa quello sguardo, moccioso!” –Esclamò l’uomo,
sbattendo la frusta nel terreno di fronte a lui, e gettando contro Matthew
schizzi di terra. Ma il ragazzo non si mosse, e continuò deciso a fissarlo,
mostrandogli tutto il suo disprezzo. –“Abbassa lo sguardo, hai capito?!”
–Ringhiò, facendo schizzare la frusta nell’aria, diretta verso il volto di
Matthew, ma questi fu abile a chinarsi e a evitarla, afferrandola poi con un
braccio. –“Come osi, lurido orfano bastardo?! Rimpiangerai quest’arroganza!”
“E la tua non è arroganza, Bahrein?! Un uomo che non vale
niente e fa bella mostra della sua presunta superiorità agitando una frusta
avuta in dono da un Dio crudele!” –Lo derise Matthew, stringendo la frusta con
forza. –“Ho pietà di te, perché sei un debole! Un debole che ha bisogno di
un’arma per farsi rispettare!”
“Maledetto cane! Ti taglierò quella lingua saccente!”
–Ringhiò Bahrein, tirando la frusta a sé e caricandola di fiamme oscure,
che avvolsero l’arma, ustionando le mani di Matthew, che fu obbligato a
lasciare la presa. Questo permise all’uomo di richiamare a sé il suo scudiscio,
prima di lanciarlo di nuovo contro Matthew, sbattendolo a terra e avvolgendolo
in una stretta presa, con la sua frusta di fuoco. –“Stringe, vero, ragazzo?
Adesso non sputi più sentenze, ma ti contorci dal dolore, e ne godo! Sì,
trabocco di goduria nel vederti dimenare quel tuo esile corpo! Soffri, cane! E
voialtri guardate i segni dell’infamia, impressi dalla mia frusta! Stessa sorte
subirete voi se oserete ribellarvi a me!!!” –Esclamò Bahrein, mentre gli altri
schiavi indietreggiavano intimoriti. –“E adesso…” –Aggiunse, stringendo ancora
la presa su Matthew, ma accorgendosi che il ragazzo non si dimenava più. –“Sei
già morto?!” –Si disse, non capendo cosa stesse accadendo, come potesse non
provare più alcun dolore sottoposto alla stretta ustionante della sua frusta.
“Bahrein!” –Lo chiamò Matthew infine, mentre tutto il suo
corpo veniva avvolto da un sottile strato di luce bianca. –“Il segno
dell’infamia… lo proverai tu, sul tuo corpo!” –Gridò il ragazzo, allargando
improvvisamente le braccia, facendo forza, e strappando i lacci della frusta
che lo imprigionavano, di fronte agli occhi stupefatti di Bahrein e degli altri
schiavi. Quindi, a fatica, Matthew si rimise in piedi, ancora avvolto in quella
nube di luce bianca. –“Hai calpestato la dignità degli uomini troppo a lungo!
Devi pagare, adesso!” –E si lanciò contro di lui, con il pugno destro avanti,
colpendo l’uomo in pieno volto e spingendolo indietro, fino a farlo accasciare
a terra.
Il servitore di Flegias si tastò la guancia distrutta,
sputando sangue e qualche vecchio dente giallo, prima di rimettersi in piedi a
fatica, afferrando quel che rimaneva della sua lunga frusta, ormai ridotta a un
misero scudiscio di mezzo metro. Ma Matthew non gli diede possibilità di
utilizzarlo, lanciandosi contro di lui e colpendolo con una spallata decisa in
pieno petto, sbattendolo contro il muro, prima di iniziare a tempestarlo di
pugni. Uno dopo l’altro, destro e sinistro, sinistro e destro, con una
compostezza formale che non aveva niente di improvvisato, ma era il frutto di
due anni di addestramento. Anni che Matthew aveva creduto di aver dimenticato
per molto tempo e che adesso aveva improvvisamente riscoperto. Con un ultimo
affondo gettò Bahrein a terra, il volto trasfigurato dalla violenza dei pugni,
il sangue che colava copioso dalla bocca e dagli occhi. Il vecchio aguzzino
arrancò per qualche metro sul suolo, allungando la mano verso lo scudiscio,
prima di spirare.
Un attimo dopo Matthew venne circondato da un gruppetto di
schiavi, che si congratularono con lui per la splendida azione. Ma il ragazzo
non diede loro troppo ascolto, preoccupato per le condizioni di Miha. Si chinò
su di lei, debole e febbricitante in un lago di sangue, e le sfiorò la fronte,
incrociando il suo sguardo spento. Miha sorrise, e in quel gesto parve
comunicare molte cose, ricordare tutto ciò che lei e Matthew avevano vissuto
negli ultimi anni, da quando si erano conosciuti.
“Hai ritrovato te stesso!” –Mormorò la ragazza a fatica,
sollevando una mano verso il viso di Matthew. Stanco come il giorno in cui
l’aveva incontrato per la prima volta, al porto di Atene, intento a scaricare
merci da un battello per guadagnarsi da vivere. –“Ma in fondo al cuore, credo
che tu non l’avessi mai dimenticato! Sono stata felice… di assistere… alla tua
rinascita!” –Tossì Miha, parlando con difficoltà, mentre Matthew cercava di
sollevarla, per portarla via. Ma lei lo fermò, fissandolo un’ultima volta,
prima di parlare direttamente al suo cosmo. –“Sii onesto con te stesso,
Matthew, e non aver mai paura di essere quello che sei!”
“Miha!!!” –Gridò Matthew, osservando la ragazza chiudere
gli occhi. –“Miha!!!” –La scosse, quasi per ridestarla dal sonno in cui era
precipitata e per non ammettere che l’aveva lasciato. Anche lei. Come i suoi
genitori e il suo maestro prima di lei. Pianse, chino sul corpo straziato della
ragazza, prima che un gruppo di schiavi gli si avvicinasse.
“Vattene, Matthew! Almeno tu!” –Gli dissero. –“Noi siamo
stanchi e deboli, non faremmo molta strada! Ma tu hai dimostrato di avere un
fuoco dentro, un fuoco che non si spegnerà mai, perché arde per la giustizia e
per le stelle! Lascia che il tuo cosmo ti guidi via da questo inferno!”
“Voi… verrete con me!” –Esclamò Matthew, rimettendosi in
piedi e cercando di incitare gli altri a seguirlo.
“E dove? Verso la morte?” –Ironizzò qualcuno, proprio mentre
il vulcano rombò, sbuffando fumo nero dalla sua cima e facendo tremare le
profondità delle caverne, strappando grida di terrore a tutti gli schiavi
rinchiusi. Matthew abbassò di nuovo lo sguardo verso Miha, e la vide dormire
con un sorriso sereno sul volto, che le ricordò quello in cui si era specchiato
per mesi. E che gli aveva dato la forza di andare avanti, e tornare al Grande
Tempio. Strinse i pugni, sospirando, prima di annuire con il capo e correre
via, lanciandosi verso le scale scavate nella roccia che conducevano in
superficie. Si fermò un’ultima volta, ad osservare i compagni che abbandonava
nella fornace, promettendo loro di fare ritorno.
“Per salvarvi!” –Si disse. –“Per salvare tutti noi!” –E si
lanciò nell’ombra a capofitto.
Pegasus non fu troppo sorpreso di vedere una cortina di nebbia
rossastra circondare il Grande Tempio, quasi volesse stringerlo in un abbraccio
mortale. Lungo le mura esterne e i sentieri che tra le montagne conducevano da
Atene al santuario della Dea Guerriera erano fioriti migliaia di cespugli di
rose rosse, riproducendosi ad un ritmo spaventoso e diffondendo nell’aria il
malizioso aroma della rabbia che Ares aveva instillato in loro. Una rabbia che
aveva portato i soldati e i servitori di Atena, che avevano inalato per ore
quell’aria inquinata, a scontrarsi gli uni con gli altri, dando libero sfogo ai
loro primordiali istinti. Poche ore prima, in quel torrido pomeriggio, un
gruppo di soldati aveva avuto persino l’ardire di lanciarsi lungo la scalinata
di marmo diretti verso la Prima Casa, ma il Grande Mur dell’Ariete aveva
frenato la loro avanzata con un muro di energia, prima di respingerli,
scaraventandoli a terra. Non voleva fare loro del male, ma non poteva
permettergli di avvicinarsi ad Atena.
Il cosmo della Dea pareva
rappresentare l’ultima difesa delle Dodici Case, un freno intangibile
all’avanzata delle rose di rabbia, che non riuscivano ad aderire alle pareti
rocciose della Collina della Divinità, concentrandosi lungo i fianchi esterni e
alla base, dove la nebbia risplendeva di un acceso color rosso. Reso ancora più
forte dal sangue dei soldati che si stavano uccidendo tra di loro.
“Atena!” –Aveva mormorato Mur
poco prima, volgendo lo sguardo verso le Stanze della Dea, e sentendo
improvvisamente un canto risuonare per l’intero Grande Tempio. Un canto di
pace, una voce melodica, piena di speranza, come quella che aveva echeggiato
nel Regno Sottomarino durante la prigionia di Atena nella Colonna Portante di
Nettuno.
E infatti la Dea aveva cercato
di contrastare l’effetto della rosa di rabbia, di cui Mur l’aveva avvisata,
infondendo pace e di serenità nei cuori corrosi degli uomini del suo santuario.
Ma l’impresa, che aveva considerato facile all’apparenza, si era rivelata
ostica e fallimentare, poiché il veleno delle rose di rabbia era intriso del
diabolico cosmo di Ares, che le aveva create secoli addietro, e di un’ombra
immensa con cui Flegias le aveva potenziate. Atena aveva potuto soltanto
alleviare i loro cuori per pochi minuti, sentendoli ansimare per il dolore e
per la colpa di cui sapevano di macchiarsi, ma non riusciva a estirpare per
sempre quel male di vivere. Così, su suggerimento di Ariete, la Dea aveva
creato una cupola difensiva attorno alle Dodici Case, per limitare al minimo il
contagio, augurandosi che Andromeda tornasse presto dalla missione nelle
Andamane.
Pegasus apparve sul Cancello
Principale del Grande Tempio nel tardo pomeriggio, in jeans e maglietta, e con
lo scrigno dell’Armatura sulle spalle. Si guardò intorno e non vide guardia
alcuna. Soltanto mucchi di feriti sparsi nel piazzale antistante e altri
soldati che si affrontavano poco distante. E mura altissime di rose che
sembravano saturare l’aria con la loro presenza. Pegasus le osservò, con lo
sguardo spento, quasi annebbiato, e le sembrarono proprio le stesse che aveva
osservato crescere, negli ultimi giorni, lungo la parete esterna della sua casa
alla Darsena di Nuova Luxor, e che avevano risvegliato in lui il desiderio di
rivedere Isabel.
Giusto qualche giorno prima,
Patricia aveva aperto la finestra del monolocale, per cambiare l’aria e
occuparsi delle pulizie, che il fratello era solito rimandare, e aveva sorriso
alla vista di quel bel mucchio di rose rosse, piantate di recente in un’aiuola
al piano terra. E i ragazzi avevano creduto fosse stato il vecchio custode, che
amava dilettarsi col giardinaggio, a farne loro dono. Ma adesso, alla vista di
quell’immensa nube tossica, foriera di sangue e di morte, Pegasus pensò di aver
sbagliato tutto. E che forse avrebbe fatto bene a non lasciare il Giappone e
tornare in Grecia. Ma l’istinto, che negli ultimi giorni si era impossessato di
lui come mai prima di allora, lo dominò ancora, facendolo accasciare sulle
ginocchia, tenendosi la testa, in preda a violente fitte, che cercavano di
piegare la sua volontà.
Ansimò, battendo la terra con le
mani, sputacchiando e sudando copiosamente. Poi si rimise in piedi, deciso ad
andare fino in fondo. Voleva rivedere Isabel, per stare con lei, per parlare
con lei, anche solo per perdersi una volta nei suoi occhi. E trovare il
coraggio di confessare ciò che ormai non riusciva più a nascondere. Sospirò,
ricordando una notte stellata, di un anno e mezzo prima, quando, nelle montagne
fuori da Nuova Luxor, l’aveva vista per la prima volta in maniera diversa. Non
come la proprietaria della Grande Fondazione, non come la figlia dell’uomo che
gli aveva portato via sua sorella, ma come una donna. Come una Dea. La sua Dea.
La stessa per cui aveva sempre rischiato la vita. La stessa che ormai non
rappresentava più solo un ideale universale ma un progetto più personale. Si
scosse, iniziando a correre lungo le vie del Grande Tempio, passando in mezzo a
mucchi di feriti che si trascinavano sul terreno e a resse di altri soldati,
intenti a fare a botte.
Doveva raggiungere le Stanze del
Grande Sacerdote, ma per farlo non poteva passare dalle Dodici Case. No, Mur
non glielo avrebbe permesso. In una situazione di emergenza nessuno poteva
incontrare la Dea, soprattutto un uomo il cui simbolo era un animale, e come
tale preda dei più bassi istinti. Così Pegasus si lasciò alle spalle il nucleo
centrale del Grande Tempio, dove sorgevano alcune abitazioni, il mercato e le
residenze dei soldati, per spingersi lungo il fianco occidentale della Collina
della Divinità, in una zona spoglia e poco frequentata.
Là, su un piccolo rialzo del
terreno, un tempo era stato costruito il primo osservatorio dagli antichi
Grandi Sacerdoti, presto caduto in disuso e sostituito da quello in cima alla
Collina delle Stelle. Là iniziava un sentiero, irto e poco battuto, che tagliava
le montagne, aggirando le Dodici Case dello Zodiaco e permettendo di giungere
fino alla residenza del Grande Sacerdote. Glielo aveva insegnato Castalia, poco
dopo la fine della battaglia con Gemini, chiedendo al vecchio allievo di
mantenere il segreto. Era una via di fuga, apprestata un tempo per mettere in
salvo gli Oracoli, ma adesso per Pegasus era l’unico passaggio per raggiungere
la Dea.
Isabel, presto saremo
insieme! Si disse, iniziando la scalata.
Impiegò soltanto un paio d’ore
per arrampicarsi lungo gli scoscesi pendii del fianco della Collina della
Divinità, esperto scalatore quale era, e in tutto quel tempo nessuno fermò la
sua avanzata. Pegasus sorrise, convinto che ormai non vi fosse più alcuna
persona a conoscenza di tale via segreta. Senza sapere invece che qualcuno
aveva avvertito la sua presenza. Qualcuno i cui sensi erano affilati quanto
quelli di un felino e che non avrebbe mai lasciato sfuggire un topo dalla sua
gabbia.
Con un ultimo balzo Pegasus
raggiunse la cima e rotolò dall’altra parte della parete rocciosa, trovandosi
proprio a metà della scalinata di marmo che separava la Dodicesima Casa dalle
Stanze del Sacerdote. Proprio dove Castalia lo aveva raggiunto l’anno prima,
per aiutarlo con le rose di Fish. Senza perdere troppo tempo con i ricordi,
Pegasus scattò verso la cima, raggiungendo con un balzo il piazzale antistante
alla Tredicesima Casa. Nonostante i lavori proseguissero ormai da mesi, con
costanza e solerzia, vi era ancora molto da fare per riparare ai danni causati
dagli scontri con Ares e i suoi figli. Alcuni soldati gli si fecero incontro,
ma Pegasus li colpì con una serie di calci volanti, senza dare loro tempo
neppure di aprire bocca. Atena, ne era certo, si trovava nelle sue stanze, sul
retro del grande complesso architettonico della Tredicesima Casa.
Ed infatti in quel momento Lady
Isabel era distesa sul letto, nella stanza riservata alla Dea, con il viso
rigato dalle lacrime. Poiché sentiva tutto quello che stava accadendo. Sentiva
tutto ciò che i Cavalieri covavano nel cuore, dolendosi per non poterli
aiutare. Dolendosi per essere nuovamente inerme. Quel demone rabbioso che li
aveva infettati era anche nel suo cuore, e gli permetteva di vedere con i loro
occhi. Vide così Pegasus apparire tra le tende della Sala del Sacerdote, mentre
il sole scendeva nel mare lontano, abbagliando l’orizzonte con un acceso rosso
sangue. Vide Pegasus sollevare il trono e afferrare lo scrigno che vi era
nascosto, lo scrigno contenente l’arma macchiata dall’odio e dall’infamia. La
stessa che il ragazzo le rivolse contro poco dopo.
“Isabel…” –Mormorò Pegasus,
apparendo sulla porta della stanza della Dea, con il volto straziato
dall’angoscia e dal dolore, e gli occhi, solitamente pieni di voglia di vivere,
adesso carichi di rabbia. –“Isabel… devo farlo… questo è quello che sento!”
–Mormorò, socchiudendo gli occhi, prima di scattare contro di lei, sollevando
il gladio d’oro con cui Gemini aveva tentato di ucciderla quasi quindici anni
prima.
“Pegasus!!!” –Gridò Isabel,
espandendo di colpo il suo cosmo e scaraventando il ragazzo indietro, fino a
farlo schiantare contro il muro alle sue spalle. Lo scrigno dell’Armatura
ricadde rumorosamente sul pavimento, e anche Pegasus si accasciò a terra,
perdendo la presa del pugnale d’oro. –“Fermati, Pegasus! Torna in te! La rabbia
di Ares ti domina! La rabbia di un Dio che non è riuscito a vincerci con
l’onestà e adesso torna a torturarci con l’inganno! Sei un Cavaliere, sei un
uomo! Non puoi farti sconfiggere da lui!”
“Io… io…” –Esclamò Pegasus,
confuso, tenendosi la testa con le mani. –“Io volevo soltanto vederti… soltanto
vederti ancora! Mi sei mancata, Isabel!” –Mormorò il ragazzo, ma subito si
scosse, afferrando il gladio d’oro e rialzandosi di scatto. Come se mettere in
campo i suoi veri sentimenti, tirare fuori la passione che covava nel cuore,
non facesse altro che infiammare il suo spirito, lasciandolo divorare dall’ira.
Da quel fuoco che ardeva dentro di lui e che gli ricordava continuamente ciò
che non avrebbe mai avuto. –“Sei una Dea! Ed io non potrò mai averti!!!”
–Ringhiò Pegasus, con gli occhi stravolti dal dolore. –“Ad un uomo non sarà
concesso di unirsi ad una Divinità, neppure se è colei che ama!” –Aggiunse in
lacrime, prima di lanciarsi di nuovo contro Lady Isabel, con il pugnale diretto
alla sua gola.
“Pegasus, nooo!!!” –Gridò la
ragazza, lasciandosi avvolgere da un globo protettivo di energia, su cui si
schiantò la lama dorata, senza incrinarlo minimamente. –“Pegasus, ascoltami!
Mur mi ha spiegato il funzionamento della rosa di rabbia! Agisce sui tuoi
sentimenti, sui tuoi istinti, potenziandoli e privandoti di ogni raziocinio!
Torna in te Cavaliere! Io so che puoi farlo! Tu devi farlo!” –Esclamò Isabel,
prima di volgere lo sguardo verso destra, verso il mobile a cui aveva
appoggiato lo scettro di Nike, e abbassarlo poi con un sospiro, spaventata da
ciò che avrebbe potuto, e forse dovuto, fare. –“Basterebbe così poco…” –Mormorò
la Dea, rivelando il suo lato fragile e umano.
Ma Pegasus non le diede tempo di
riflettere ulteriormente, caricando il pugno destro del suo cosmo acceso e
scagliando migliaia di pugni luminosi contro la barriera della Dea, la quale,
presa alla sprovvista, venne spinta indietro, sbattendo contro il muro dietro
di lei. Pegasus approfittò di quel momento per balzare sopra di lei, con il
gladio sguainato, ma si ritrovò bloccato a mezz’aria dal potere della Divinità
e avvolto in un caldo e confortevole cosmo. Isabel affannò, rimettendosi in
piedi e chiamando a sé lo Scettro di Nike, a cui si appoggiò stanca, come se
quel semplice gesto l’avesse sfinita. O forse il significato di ciò che stava
dietro.
“I… Isabeeelll!!!” –Gridò
Pegasus, dimenandosi come un disperato, cercando di liberarsi dal cosmo della
Dea, che lentamente lo depositò a terra, senza mai smettere di lasciarlo anche
solo per un momento. Senza mai smettere di restare avvolto al suo corpo e
liberarlo dall’ombra e dalla rabbia. Per qualche istante a Isabel parve davvero
di riuscirvi, parve davvero di vedere la bestialità scomparire dagli occhi di
Pegasus, il cui animo stava probabilmente lottando per ritornare ciò che era un
tempo. Il Cavaliere della Speranza. Ma bastarono poche parole per rompere
l’incantesimo.
“Non affannarti troppo, Pegasus!
Ucciderò io la Dea Atena!” –Esclamò una voce, obbligando Isabel a voltarsi
verso l’ingresso, dove Ioria del Leone entrò pochi attimi dopo.
Indossava soltanto la corazza di cuoio e di bronzo tipica degli allenamenti e
avanzava a passo deciso verso il centro della stanza, fissando con fermezza
Atena negli occhi.
“Ioria… tu?!” –Mormorò Isabel,
stupita da quell’apparizione. E ricordò l’ultimo incontro avuto con lui, il suo
volto stanco e preoccupato, e ritenne che forse già allora aveva iniziato a
serpeggiare in lui l’odio e la rabbia. Ma la sua forza interiore e il suo cosmo
puro erano riusciti a trattenerlo. –“Dunque anche tu sei stato corroso?!”
“Non parlare, Atena! E
muoriiii!!!” –Sibilò Ioria, aprendo il palmo della mano destra e caricando
affilati artigli di cosmo. Rapido, come un leone sulla preda, Ioria scattò
contro Atena, strappando tutto ciò che era tra loro. Il letto, il pavimento, le
tende svolazzanti, tutto venne lacerato dai fendenti luminosi di Ioria,
obbligando Isabel a ricreare la sua barriera protettiva, su cui si schiantarono
con fragore.
Provò più volte il Cavaliere di
Leo a superare quell’aura celestiale, venendo sempre respinto, finché Isabel
non fu costretta a puntare Nike contro di lui e a scaraventarlo contro il muro.
Ioria ricadde a terra, con una spallina della corazza distrutta, ma anche ciò
non bastò a placare il suo animo irato. Il suo animo che chiedeva vendetta,
alla donna per cui suo fratello aveva dato la vita. Alla donna che troppo umana
si era dimostrata in quegli anni, lasciando che altri morissero, dopo Micene,
per coprire la sua incapacità nel difendere la giustizia. Con il fuoco negli
occhi, Ioria si rimise in piedi, trovando Pegasus proprio di fronte a lui, con
le braccia lungo i fianchi e i pugni chiusi, come se non aspettasse altro che
confrontarsi con lui.
“Togliti, Pegasus! Non è te che
voglio, ma affondare nel corpo della donna che mi ha portato via mio fratello!”
–Ringhiò Ioria, espandendo il proprio cosmo. Pegasus fece altrettanto,
lasciando che fulmini e scintille crepitassero attorno a loro, incendiando
l’aria e saturandola di odio.
“Fermatevi! Basta!!!” –Gridò
Atena, avanzando verso i due Cavalieri. Ma nessuno di loro sembrò prestarle
ascolto, quasi non la vedessero più. In un lampo di luce si scagliarono uno
contro l’altro, Pegasus con il pugno destro avanti e Ioria con gli artigli che
avvampavano vendetta. Il Cavaliere di Leo venne raggiunto sul mento da un
destro di Pegasus e scaraventato indietro, ruzzolando per molti metri fuori
dalla stanza, ma anche il favorito di Atena fu ferito e costretto ad
accasciarsi e a porre un ginocchio a terra.
Maledicendo l’avversario,
Pegasus si tastò il fianco destro, dove la zampata del Leone l’aveva raggiunto,
strappandogli via la maglietta e pezzi di carne e facendo colare fuori
parecchio sangue, che imbrattò la sua mano e il pavimento del tempio. Isabel, a
quella vista, corse verso di lui, per sincerarsi delle sue condizioni, quasi
dimenticandosi che poco prima aveva tentato di ucciderla.
“Stammi lontano!” –Gridò
Pegasus, spingendola via con un secco colpo di braccio e sbattendola contro il
muro. –“Conduci alla morte e alla pazzia tutti quelli che ti stanno attorno!
Tutti quelli che vogliono starti accanto e che si struggono per te! Che muoiono
per te!!!” –Strillò, rimettendosi in piedi e incamminandosi fuori dalla stanza,
sempre tenendosi il fianco insanguinato.
Ioria lo aspettava al centro
della Sala del Sacerdote, appoggiato al trono con entrambe le braccia.
Respirava a fatica, sudando abbondantemente, non tanto per la fatica fisica ma
per l’angoscia che lo stava divorando. Perché, come Pegasus e gli altri infetti
dalla rosa di rabbia, una parte del suo io, la più integra e razionale,
continuava ad assistere, impotente spettatrice, al massacro a cui l’istinto e
la bestialità stavano dando luogo. Senza poter fare niente per intervenire. Senza
essere abbastanza forte per spegnere quell’inferno di passioni.
“Cedi il passo, Pegasus!
Vendicherò mio fratello! E non sarai tu ad impedirmelo!” –Ringhiò il Cavaliere
di Leo, voltandosi verso Pegasus, apparso sulla porta laterale. Lo squadrò
mentre si avvicinava e gli cadde l’occhio sul sangue che colava dalla ferita
sul fianco. E bastò quello per farlo avvampare, per eccitarlo oltremisura,
inebriando i suoi istinti battaglieri. Non aggiunse altro e si lanciò contro
Pegasus, con gli artigli sfoderati, sbattendo il ragazzo a terra e montando
sopra di lui, che cercava di difendersi, di dibattersi per cacciar via l’agile
fiera.
“Difenderò Atena!” –Esclamò il
ragazzo, nella confusione che lo accecava. –“Perché sarò io ad ucciderla! Se
non potrà averla io, se non potrò avere colei che amo, allora morirà con me!”
–E spinse via Ioria con una ginocchiata al petto, osservandolo balzare indietro
agilmente.
Ansimando, si rimise in piedi,
pulendosi il sudore dal volto con il braccio destro e macchiandosi del proprio
stesso sangue. Così poco bastò per inebriarlo ancora e dare nuovo impeto ai
suoi istinti primordiali, in una giostra continua, in un ciclo a catena che
nessuno dei due riusciva a rompere.
“Prendi, Pegasus! Artigli del
Leone colpite nel segno!!!” –Gridò Ioria, scattando avanti e scagliando
violenti fendenti di energia dorata, che falciarono il pavimento e le colonne
attorno, obbligando Pegasus ad incrociare le braccia avanti a sé, venendo
raggiunto da qualche unghiata, prima di concentrare il cosmo sul pugno destro e
contrattaccare.
“Fulmine di Pegasuuus!!!”
–Esclamò, colpendo Ioria in pieno petto, a una spanna dal cuore, e scagliandolo
indietro, fino a farlo schiantare contro una colonna e ricadere a terra, sul
freddo pavimento di marmo. Da cui il Leone non si rialzò più. –“Ioriaaa!!!”
–Gridò Pegasus, crollando sulle ginocchia. –“Cosa ho fatto?!” –Si disse,
piangendo e dando pugni continui sul pavimento, in preda al demone dell’ira.
Fu in quel momento che il caldo
cosmo di Atena lo raggiunse, avvolgendolo in un abbraccio carico di amore.
L’intero salone fu invaso da quel tepore, che cacciò per un momento la rabbia
dal suo cuore. Lady Isabel apparve sulla porta poco dopo, attorniata da un’aura
di celestiale purezza, la stessa con cui mondare dall’ombra il suo animo
inquieto. Senza paura, Isabel si chinò su Pegasus, sfiorandogli il volto con
una carezza e socchiudendo i suoi occhi, invitandolo a lasciarsi andare, a
lasciarsi cullare dall’abbraccio della Dea. Dall’abbraccio di una madre.
Perché in fondo Atena era così
che si sentiva. La madre di tutti i Cavalieri. Vergine da sempre, per scelta
personale, fin dai tempi del mito, Atena aveva sempre messo se stessa al primo
posto, rifiutando di concedersi a qualsivoglia uomo o Dio, e donando tutto
l’amore di cui sarebbe stata capace agli unici che veramente provavano un
sentimento sincero per lei al punto da rischiare la vita. I suoi Cavalieri.
Molti erano orfani, molti erano soli, tutti avevano certamente sofferto. E lei,
abbracciandoli tutti con il cosmo, avrebbe trasmesso loro l’amore necessario
per continuare a vivere.
“I… Isabel…” –Mormorò Pegasus,
lo sguardo spento e languido, e mille pensieri in testa. –“Perdonami!”
–Aggiunse, crollando tra le braccia della Dea.
Proprio in quel momento si
spalancò il grande portone d’ingresso e Mur dell’Ariete arrivò correndo,
ansimando preoccupato per l’accaduto. Aveva sentito cosmi pieni di rabbia
infiammarsi alla Tredicesima Casa, e aveva inghiottito a fatica riconoscendo
che si trattava di quelli di Pegasus e di Ioria. Ma una nuova crisi di Asher lo
aveva obbligato a rimanere ancora alla Prima Casa, a prendersi cura di un
ragazzo che ormai di umano non aveva più niente. Soltanto adesso aveva potuto
raggiungere Atena, che subito gli andò incontro, spiegandogli la situazione.
“Se Andromeda e Kiki non tornano
in fretta, chissà quanti altri casi come questi si presenteranno?!” –Mormorò
Mur, prima di chinarsi su Ioria, che non si era più mosso da quando Pegasus lo
aveva colpito. Lo girò sulla schiena, osservando i lividi, e toccò il suo
cuore, sussultando quando lo trovò fermo.
“Fermo?!” –Balbettò Isabel,
inorridita da quel pensiero. –“Mur, ti prego, fai qualcosa!”
“Il cuore del Leone è spento,
Atena!” –Mormorò Mur, strappando via la cotta protettiva di Ioria e rivelando
il suo petto scolpito. Proprio accanto al cuore c’era un grande ematoma, una
chiazza scura che odorava di morte, il marchio con cui Pegasus lo aveva
condannato. –“Un arresto cardiaco!” –Commentò il Cavaliere di Ariete, iniziando
a pompare il cuore di Ioria con entrambe le mani, mentre Isabel si buttava a
terra accanto a lui, infondendo al Cavaliere di Leo tutto il suo cosmo.
–“Coraggio, Ioria! Svegliati! Coraggio, amico mio! Non… puoi lasciarci! No, non
te lo permetto!”
“L’ho ucciso io!” –Esclamò improvvisamente
la voce di Pegasus, facendo voltare Isabel e Mur verso il palchetto rialzato,
dove il ragazzo si era rimesso in piedi e adesso avanzava barcollando verso di
loro. Gli occhi gonfi di dolore, le lacrime lungo il volto e numerose ferite
sul corpo, di cui la più grande al cuore.
“Non darti pena, Pegasus! Siamo
tutti vittime quest’oggi!” –Commentò Mur con amarezza, continuando a pompare il
cuore di Ioria.
Passarono quattro lunghissimi
minuti, durante i quali nessuno osò parlare, durante i quali Pegasus e Isabel
si limitarono ad osservare la mano esperta di Mur e a cedere a Ioria parte del
loro cosmo, affinché si riprendesse. Proprio quando Ariete stava per smettere,
chiudendo gli occhi per il dispiacere, Ioria tossì, sputando bava e sangue. E
Pegasus si buttò su di lui, abbracciandolo con affetto e felicità. Stordito, il
Cavaliere di Leo si sollevò, tenendosi la testa e cercando di riordinare i
confusi frammenti della sua esistenza.
“Non sforzarti troppo, Ioria!”
–Esclamò Mur, aiutandolo a rialzarsi. –“Non siamo ancora fuori pericolo!” –La
voce di Mur suonò come un campanello d’allarme tra tutti i presenti, ricordando
che le rose di rabbia non erano ancora state estirpate e che, per quanto il
cosmo di Atena e il loro enorme senso di giustizia e fedeltà le avessero vinte
per il momento, esse aleggiavano ancora come una minaccia presente. –“Non so
quanto autocontrollo potrete ancora avere voi due! Né quanto potrò averne io!”
–Aggiunse, abbassando gli occhi.
Le pozioni vegetali del popolo
di Mu, unite alla maggior compostezza e razionalità del Cavaliere di Ariete,
gli avevano permesso di rimanere immune al contagio, ma Mur sentiva che
l’effetto delle rose di rabbia avrebbe presto raggiunto anche lui. E il
pensiero che potesse trasformarsi in una bestia, come aveva visto ridursi
Asher, lo turbò profondamente.
“Come hai detto tu stesso a
Pegasus, Mur, non darti pena per qualcosa che nessuno di noi è in grado di
controllare!” –Commentò Atena. –“Non dobbiamo farci prendere dal panico, ma
mantenere la calma! Credevo che la barriera di Atena avrebbe fermato il
diffondersi della rosa di rabbia, ma evidentemente i suoi effluvi superano
persino le muraglie di cosmo! Non ci vorrà molto prima che l’intero Grande
Tempio e le Dodici Case ne siano invasi!”
“Terrificante!” –Mormorò
Pegasus. –“E dove sono Sirio e gli altri? Che ne è di loro? Sono stati…
contagiati?!”
“Non lo sappiamo! Sirio è ai
Cinque Picchi, Cristal ad Asgard, e Phoenix… beh, Phoenix è irreperibile come
sempre! Ma ho inviato Andromeda in missione con Kiki! E se avranno successo
potremo risolvere definitivamente il problema!”
“In missione?!” –Domandò
Pegasus, prima che Mur gli raccontasse di Biliku e delle Isole Andamane, senza
omettere il fatto che i due erano partiti da dodici ore e non aveva più avuto
loro notizie. –“Non vorrei che avessero incontrato ostacoli imprevisti!
Affrontare Biliku non è certo una passeggiata!”
“Affrontare una tizia che si
crede un ragno?!” –Brontolò Pegasus. –“Ehi Mur, Andromeda ha affrontato Ade e
altre Divinità! Credi che non sappia schiacciare un ragno troppo cresciuto?!”
“Sottovaluti il potere
dell’arcano, Pegasus! Biliku è molto più di un ragno! E temo che questa scomoda
verità abbia intrappolato Kiki e Andromeda in una tela così fitta da non
permettere loro di fuggirne!” –Commentò Mur, incrociando lo sguardo preoccupato
di Atena.
Pochi istanti dopo le porte
dello spaziotempo vibrarono confusamente, e a Mur parve udire una voce
chiamarlo da lontano. Anche Atena lo sentì, e aiutò Kiki ad apparire
direttamente alla Tredicesima Casa, superando i campi difensivi del Grande
Tempio. Sporco, con graffi e ferite dappertutto, Kiki comparve davanti
ai tre Cavalieri e alla Dea, accasciandosi sulle ginocchia all’istante, troppo
debole anche solo per parlare.
“Gra… grazie!” –Commentò il
ragazzo, allungando un’ampolla verso Mur. –“Non avevo forza abbastanza per…” –E
crollò avanti, ma Ioria lo afferrò prima che toccasse terra, prendendolo in
braccio e lasciando che si riposasse.
“Sei stato un vero Cavaliere,
Kiki!” –Esclamò Ioria, sorridendo al bambino. –“Un degno combattente di Atena!”
“Sono fiera di te!” –Aggiunse
Atena, prima di chiedergli dove fosse Andromeda.
“Lui… è rimasto sull’isola!”
–Commentò Kiki, pregando Ioria di depositarlo a terra. –“Siamo stati attaccati!
Prima da Biliku, quel mostro orrendo! Fratello è stato spaventoso! Adesso so
cosa prova una mosca a finire su una tela di ragno! E poi da due Cavalieri
neri! Non so chi fossero… non li ho mai visti, né ho mai sentito i loro nomi:
Iaculo e Iemisch! Emanavano un cosmo oscuro, figli della notte più nera!
Andromeda ha ingaggiato battaglia con loro, permettendomi così di tornare ad
Atene e portarvi il sangue di Biliku!” –Concluse Kiki.
“Hai fatto uno splendido lavoro,
e anche Andromeda si è dimostrato degno di tutta la nostra fiducia! Grazie a
questo sangue, potrò creare l’antidoto per estirpare le rose di rabbia! Corro
subito a prepararlo!” –Esclamò Mur, inchinandosi di fronte ad Atena e
accomiatandosi poco dopo. Kiki decise di seguirlo, per essere medicato dal fratello
e nella speranza di riuscire a riposarsi un po’.
Pegasus e Ioria rimasero ancora
con Atena, per quanto Mur avesse insistito affinché lasciassero le Stanze del
Sacerdote, per paura che i loro istinti bestiali potessero riprendere il
sopravvento. Ma Isabel lo pregò di non preoccuparsi. Sarebbe stata capace di
calmarli con il suo cosmo divino.
“Chi saranno questi misteriosi
Cavalieri neri? Che siano un nuovo nemico da affrontare?” –Mormorò Pegasus.
“Non so dirtelo, Pegasus! Quello
che è certo è che devono essere gli stessi che ieri mattina hanno assalito
Asher nel cimitero del Grande Tempio!” –Esclamò Isabel.
“Asher?! Che storia è mai
questa?!” –Esclamò il ragazzo, prima che Isabel gli raccontasse l’accaduto.
–“Adesso mi è tutto chiaro! Hanno infettato il Grande Tempio dall’interno e
probabilmente anche loro conoscevano la leggenda di Biliku, così hanno inviato
due sicari nelle Andamane per impedire ad Andromeda di portare l’antidoto!
Maledetti! Tutto per colpa di quelle rose bastarde!!!”
“Non è così esatto, Pegasus!”
–Lo interruppe Ioria, con voce gentile ma ferma. –“Le rose di rabbia non ci
hanno trasformato, ma hanno solo agito sui nostri desideri inconsci,
estremizzandoli e privandoci di ogni raziocinio! Ma ciò che provavamo, che
tenevamo celato nei nostri cuori, è qualcosa che esiste davvero, che sentiamo
davvero!” –Aggiunse, incrociando lo sguardo di Atena, e sospirando con
tristezza.
“Ioria…” –Mormorò Atena,
comprendendo il senso di colpa del ragazzo, che le si avvicinò,
inginocchiandosi di fronte a lei.
“Dea Atena! Già una volta ho
errato volgendovi contro il pugno, e non è passato giorno, in questi due anni,
senza che me ne sia pentito, senza che mi sia maledetto per essere stato così
cieco, per non aver saputo comprendere a pieno gli insegnamenti di mio
fratello! Ho cercato di andare avanti, di rimediare ai miei errori, ma credo di
non aver capito niente se oggi mi sono nuovamente permesso di arrischiare alla
vostra vita!” –Confessò il Cavaliere di Leo, di fronte agli occhi commossi di
Atena, che si chinò su di lui, prendendogli le mani tra le proprie e
sorridendogli.
“La follia guidava la tua mano,
Ioria! Come quella di tutti noi! Non hai colpe, se non quelle di cui vorrai tu
stesso farti carico!” –Gli disse Isabel. Ma Ioria non fu convinto. La
ringraziò, allontanandola dolcemente, e si rimise in piedi.
“Chiedo il permesso di andare
sulle Andamane! Andromeda è in pericolo e voglio porgerli aiuto! Ho bisogno di
rimediare al mio errore, Atena! Ho bisogno di cancellare la vergogna della mia
colpa! La vergogna di avere, anche solo per una volta, pensato che voi foste la
causa della morte di mio fratello! E questa verità non l’ha inventata la rosa,
ma albergava già dentro il mio animo! Nascosta, ma forse non troppo a fondo!”
“Impara a perdonare te stesso,
Cavaliere di Leo!” –Sorrise Lady Isabel, prima che Ioria le desse le spalle e
si avviasse verso il portone d’ingresso. Ma non fece in tempo a fare neppure
quattro passi che un vento improvviso si levò all’interno della Sala del
Sacerdote, sollevando tende e polvere e obbligando i presenti a voltarsi verso
la terrazza, su cui una luminosa sagoma si stagliava in silenzio. Atena
sorrise, riconoscendo il volto di un vecchio amico: Ermes, il Messaggero
degli Dei.
Ermes e Atena trascorsero buona parte della notte a
parlare nella Sala delle Udienze alla Tredicesima Casa, alla presenza di Pegasus
e di Ioria del Leone, a cui dopo qualche ora si aggiunse anche il
Grande Mur. Questi infatti, dopo aver spruzzato il distillato del sangue di
Biliku sulle rose di tutto il Grande Tempio e dintorni, e averle osservate con
soddisfazione decomporsi nel terreno, si era preso cura di Asher, Tisifone e
Castalia, imbottendoli di un sedativo naturale e restando con loro finché non
li aveva visti addormentarsi, finalmente cullati da un sonno sereno.
“Quando domattina si
sveglieranno ricorderanno poco o nulla di quanto è accaduto! Accuseranno solo
un gran mal di testa!” –Aveva commentato Mur, raggiungendo i compagni alla
Tredicesima Casa.
Ermes aveva accennato un timido
sorriso, sollevato dalle notizie del Cavaliere di Ariete, ma ancora carico di
così tanti pensieri da non riuscire a vederne la fine. Sospirò, appoggiando sul
vassoio una tazza di tisana, che Isabel aveva fatto preparare, davanti agli
occhi attenti dei Cavalieri e della stessa Dea.
“Zeus sta male!” –Esclamò
infine, rivelando il motivo della sua visita. –“Da parecchi giorni ormai! E non
riusciamo a scoprire la causa del suo malessere! È pallido, spesso
febbricitante, e il suo fisico è molto debole, al punto che spesso non riesce
neppure a camminare e deve appoggiarsi a Era o a Ganimede per rimanere in
piedi! Non sapete quanto il suo orgoglio regale ne soffra e lo faccia sentire
impotente! Sono convinto che preferirebbe farsi uccidere in battaglia che
vivere come un invalido!”
“Ma com’è possibile, Ermes? Cosa
è accaduto al Padre di tutti gli Dei?!” –Chiese Atena, visibilmente preoccupata
per la sua sorte.
“Non so dirtelo Atena! Non
conosco il male che ha infettato il Signore del Fulmine, ma sento il suo cosmo
indebolirsi ogni giorno di più! E questa insolita stanchezza si riflette su
tutto il Sacro Monte! La sempiterna primavera dell’Olimpo sta scomparendo, appassendo
sotto i colpi di un autunno improvviso di cui non riusciamo a scoprire le
cause!” –Sospirò Ermes, con voce triste.
“E Ascelpio cosa ne pensa? Non
riesco a credere che il Dio della Medicina non conosca un rimedio per aiutare
Zeus!”
“Asclepio è scomparso!”
–Confessò Ermes. –“Temo proprio che gli sia successo qualcosa di grave! Come a
Morfeo e alle altre Divinità massacrate dai figli di Ares! Una settimana fa ho
sentito il suo cosmo esplodere a Pergamo, in Asia Minore, e ho subito inviato
alcuni Cavalieri Celesti a controllare! Ma non hanno trovato niente, soltanto
l’immenso Santuario del Dio ardere sotto una violenta pioggia di fuoco! Un rogo
di morte come quello che ha raso al suolo Themiskyra, città sacra alle Amazzoni di Ippolita, e altri luoghi di culto
sull’intero pianeta Terra!”
“Questo è terribile!” –Esclamò
Isabel, reprimendo un singhiozzo. –“Asclepio…”
“È tutta colpa di quel bastardo
di Flegias!” –Intervenne Pegasus, improvvisamente. –“Sono sicuro che, non pago
del dolore che ha provocato a tutti noi risvegliando Crono e Ares, ha ancora in
mente qualcosa!”
“Credevo che Flegias fosse stato
catturato e ucciso dai Cavalieri di Zeus!” –Precisò il Grande Mur, cercando poi
l’assenso di Ermes.
“Ahimè! Temo che i poteri del
Flagello degli Uomini siano superiori alle nostre aspettative!” –Commentò il
Messaggero degli Dei, raccontando a Pegasus e agli altri le vicende
dell’inseguimento, e della cattura di Giasone da parte di Flegias, dopo che
questi aveva risvegliato la Maestria di Ombre. –“Apprese tali notizie, Zeus
dichiarò che se ne sarebbe occupato personalmente e fece preparare da Efesto
nuovi fulmini da usare, pur senza conseguire alcun risultato effettivo!
L’innaturale male che l’ha colto non gli ha dato infatti pace alcuna,
impedendogli qualsiasi movimento! Era, Demetra ed io, ormai le ultime Divinità
superstiti, siamo rimasti al suo fianco sull’Olimpo, per tutti questi giorni,
impossibilitati ad occuparci di altro!”
“Avreste dovuto avvisarci prima,
Messaggero degli Dei!” –Esclamò Pegasus, sfregandosi le mani al pensiero di
ingaggiare battaglia con Flegias.
“Avremmo voluto evitare di farvi
lottare ancora, ragazzo!” –Commentò Ermes, con un timido sorriso. Prima che il
suo sguardo si incupisse nuovamente. –“L’isola dove Flegias si è rifugiato… è una
vera e propria terra di ombra! Mai avevo provato una sensazione simile, neppure
messo di fronte alla prospettiva del Tartaro! Il vento che spira da quella
landa desolata è un’immensa ombra, che pare sul punto di avvolgere la Terra
intera! Persino i fulmini di Zeus, scagliati dalla cima del Sacro Monte, prima
che egli crollasse riverso al suolo, troppo debole persino per sollevarli, non
sono riusciti a penetrare la cortina di tenebra che la avvolge! Né alcuno dei
poteri degli ultimi Dei Olimpici è stato in grado di entrarvi!”
“E Giasone? È ancora prigioniero
di Flegias? O… peggio ancora?!” –Mormorò Ioria.
“Il Luogotenente dell’Olimpo ha
armato tutti i Cavalieri Celesti e, noncurante dei miei avvertimenti, li ha
condotti sull’Isola delle Ombre, nel disperato tentativo di liberare un amico!”
–Spiegò Ermes, mentre i suoi occhi si caricavano di lacrime. –“L’ho pregato
ripetutamente di non farlo, di non condurre i Cavalieri al suicidio, perché
solo una prospettiva di morte si apre loro, e sono certo che Phantom ne sia a
conoscenza! Ciononostante è voluto lo stesso partire, valoroso e nobile fino
alla fine, e con lui sono andati Gwynn e tutti gli altri! Nessuno è rimasto
sull’Olimpo, a parte Era, Demetra, Ganimede e alcune ancelle, e nessuno dei
Cavalieri Celesti più vedrà i Templi del Sacro Monte! Moriranno tutti! Sì,
moriranno tutti!” –Pianse Ermes, di fronte agli sguardi inquieti di Atena e dei
Cavalieri.
In quello stesso momento i cosmi
lucenti dei Cavalieri di Zeus apparvero nel mare al largo dell’Isola delle
Ombre. Erano in diciotto, quel che restava della Legione di Glastonbury, e li
guidava Phantom dell’Eridano Celeste. Al suo fianco Gwynn del
Biancospino e l’intrepida Artemide, Dea della Caccia, che non aveva
esitato ad appoggiare il Luogotenente dell’Olimpo nella missione suicida. Del
resto, anch’ella aveva validi motivi per voler mettere fine a quella guerra che
strage aveva fatto di tutti i suoi Cacciatori, Atteone per primo, e di tanti
Dei suoi compagni.
Arrivarono da ovest, cavalcando
un’immensa onda, che Phantom aveva generato grazie ai suoi poteri di controllo
sull’acqua, aiutato dal Talismano di Demetra, a cui la Dea aveva infuso nuova
energia poco prima di partire. In questo modo sarebbero giunti sull’Isola senza
dover ricorrere al teletrasporto, che il manto di oscurità sovrastante pareva
impedire. Flegias comunque non si lasciò cogliere impreparato, salutando
l’arrivo dei suoi ospiti con una violenta esplosione del vulcano principale
dell’Isola, che sbuffò improvvisamente, liberando scintille e immense ombre,
che piovvero dal cielo, abbattendosi sull’onda e sui Cavalieri Celesti, che
furono sbalzati bruscamente a terra. Non passarono neanche pochi secondi, che
un esercito di soldati dalle Armature nere venne loro incontro, armati di lance
e di spade.
“Attenti!!! Attaccate subito!”
–Gridò Phantom dell’Eridano, incitando i Cavalieri e dando l’esempio per primo.
–“Gorgo dell’Eridano!!!” –Tuonò, liberando una sfera di energia
acquatica che si abbatté su un gruppo di avversari, esplodendo al contatto e
scaraventandoli indietro.
Ma non ebbe il tempo di gioire
che dovette coprirsi gli occhi con il braccio destro, a causa dell’improvvisa
luce color violetto che comparve di fronte a lui. Non era poi così intensa, ma
nell’oscurità dell’Isola abbagliava come un piccolo sole.
“Scansati!!!” –Gridò Artemide,
gettandosi su Phantom e sbattendolo a terra, proprio mentre un disco di energia
violacea sfrecciava sopra di loro, schiantandosi sulle rocce retrostanti e
sbalzando in aria alcuni Cavalieri Celesti.
“Grazie!” –Si limitò a
rispondere il Luogotenente dell’Olimpo, rialzandosi.
“Adesso siamo pari! Tu mi hai
salvato una volta ed io ti ho reso il favore!” –Commentò Artemide, radunando un
gruppo di Cavalieri Celesti. –“Non credere però che questo faccia di noi due
amici! Al massimo due compagni d’arme, destinati a vivere e a morire insieme!”
–Precisò, prima di lanciarsi nell’ombra, seguita da tali Cavalieri.
Phantom rimase qualche secondo
ad osservarla, ricordando quel giorno nella Foresta di Artemide, dove aveva
dovuto ingannarla per salvare Castalia. E forse, con lei, anche le sorti di
quella guerra. Castalia! Mormorò il Luogotenente, pensando alla donna a
cui si era unito mesi addietro. La donna che non aveva potuto rivedere,
impegnato com’era in una guerra che pareva non avere mai fine. Una guerra che
lo rubò di nuovo ai suoi pensieri, proprio mentre la luce di energia violetta
che l’aveva abbagliato in precedenza appariva nuovamente sulla cima di una
sporgenza rocciosa poco distante, circondando la sagoma di un uomo in armatura.
“Chi sei, Cavaliere? Mostrati a
Phantom, Luogotenente dell’Olimpo!”
“Ambita preda si presenta a Siderius
della Supernova Oscura! Addirittura l’Olimpico campione si offre alla mia
mano di morte, quale onore!” –Commentò l’uomo, mentre la luce viola del suo
cosmo scemava d’intensità, permettendo a Phantom di vedere i suoi tratti,
marcatamente latini, e l’armatura che lo rivestiva. Nera come la notte in cui
erano immersi, da cui riusciva a distinguerla solo grazie alle rifiniture violacee
e argentee che la ornavano. –“Sono il Capitano dell’Ombra preposto a rubare il
futuro agli uomini! E per te, Luogotenente, prevedo una fine in miseria! La
sorte che spetta a chi impudentemente conduce i propri seguaci allo sbaraglio!”
“Non per obbligo mi hanno
seguito, Siderius della Supernova, ma per dare agli uomini un futuro, proprio
quello che tu intendi strappare loro!” –Esclamò Phantom, lasciandosi avvolgere
dal suo cosmo, dallo scintillante color verde acqua. –“Non avrei potuto trovare
avversario migliore, per confrontare i nostri ideali! Così diversi, così
contrari!” –Aggiunse, lanciandosi verso l’alto, con il pugno carico di lucente
energia cosmica.
Ma non riuscì a raggiungere
Siderius che questi scomparve all’istante, fondendosi con la tenebra attorno e
lasciando dietro di sé solo una sottile ma pungente risata.
“Dove sei, Capitano?!” –Domandò
Phantom, atterrando sulla rupe dove Siderius si era mostrato poco prima, con i
sensi tesi a captare ogni singolo movimento.
“Qua!” –Esclamò Siderius all’improvviso,
apparendo proprio sul fianco destro di Phantom e poggiando una mano sul suo
petto, mentre una sfera di energia viola esplodeva, schizzando il Luogotenente
indietro di decine di metri, fino a farlo schiantare contro una roccia.
“Ma… maledetto!” –Rantolò
Phantom, crollando sulle ginocchia e tastandosi la corazza dell’Eridano
Celeste, fumante per l’assalto ricevuto e piena di crepe. –“Sei un vigliacco!
Ti nascondi nell’ombra, attaccando di sorpresa!!!”
“Tutt’altro!” –Ironizzò
Siderius, avanzando a passo deciso verso il Luogotenente. –“Cerco soltanto di
carpire dall’ambiente ogni profitto che potrei trarvi! Usandolo a mio
vantaggio!” –Aggiunse, dirigendo una nuova sfera di energia violacea contro
Phantom, che quella volta fu agile a evitarla, saltando in alto, mentre la
sfera distruggeva la roccia dietro di sé.
Ma anche Siderius balzò in alto,
intuendo il movimento dell’avversario, e lo afferrò per le gambe mentre era
ancora in volo, roteandolo in cerchio e scagliandolo poi con forza verso terra.
A fatica Phantom riuscì a recuperare l’equilibrio, prima di schiantarsi alla
meno peggio sull’arido suolo.
“Ah ah ah! Più che un
Luogotenente, mi sembri un giullare di corte, Eridano Celeste!” –Lo sbeffeggiò
Siderius, atterrando compostamente a terra.
“Pagherai la tua insolenza,
Capitano dell’Ombra! Flegias avrebbe dovuto insegnarti anche l’onore e il
rispetto verso il tuo avversario, oltre che a guerreggiare e a togliere la
vita!” –Esclamò Phantom, rimettendosi in piedi.
“Non Flegias è stato mio maestro!
Ma un Cavaliere d’Oro di Atene! È a lui che devo il merito di avermi avviato
alle arti della battaglia!” –Commentò Siderius.
“Bugia! I Cavalieri di Atena
sono nobili e valorosi! Mai avrebbero potuto addestrare biechi assassini come i
servitori del figlio di Ares!” –Esclamò Phantom indispettito, concentrando il
cosmo tra le mani. –“Gorgo dell’Eridano, risplendi!!!” –E lo lanciò
contro Siderius, il quale, in tutta risposta, si limitò a portare entrambe le
mani avanti, caricandole con il proprio cosmo oscuro e fermando con esse il
globo di energia acquatica di Phantom. –“Che cosa?! Non può essere!!!”
“Hai decretato la tua morte
quando hai messo piede su quest’isola, Luogotenente dell’Olimpo! La notte che
sovrasta questa terra mira all’estinzione di ogni forma di luce, di ogni stella
che si azzardi a risplendere sotto questo cielo di tenebra! Perciò più espandi
il tuo cosmo, più lucente esso si palesa, e molto più in fretta la tua energia
sarà risucchiata, inghiottita dalla grande ombra!” –Spiegò Siderius, avvolgendo
il Gorgo dell’Eridano in una matassa indistinta di tenebra. –“Sono
quindi vani i tuoi sforzi, e destinati a concludersi in un nulla!” –Precisò,
rispedendo indietro l’attacco di Phantom, che investì in pieno il Cavaliere
Celeste, esplodendo al contatto e scaraventandolo a terra. –“Osserva, adesso,
il potere della Supernova Oscura!!! Esplosione della Supernova!!!”
–Gridò Siderius, liberando un devastante potere sotto forma di uno sferoide di
energia violacea, che sfrecciò sul terreno, rendendolo incandescente, fino a
schiantarsi contro il petto del Luogotenente dell’Olimpo, scaraventandolo
indietro e strappandogli un grido di dolore.
Phantom precipitò sul terreno,
schiantandosi in una pozza di sangue, tra i frammenti della sua Armatura
Celeste, distrutta in più punti, come mai lo era stata prima di allora. Del
leggiadro colore che Efesto gli aveva dato nelle fucine nell’Etna adesso non
era rimasto niente, soltanto polvere e un macabro rossore di sangue.
“Comandante!!!” –Gridarono
alcuni Cavalieri Celesti, accorrendo in aiuto del Luogotenente dell’Olimpo, ma
Phantom li pregò di rimanere indietro, per non essere feriti a loro volta.
“Restate, invece! E lasciate che
io recida anche lo stelo del vostro futuro!” –Sentenziò Siderius, generando un
nuovo sferoide di energia violacea e dirigendolo contro i Cavalieri Celesti, i
quali non riuscirono ad evitarlo, tanto elevata era la sua velocità, venendo
travolti in pieno e scaraventati ovunque.
Il Capitano dell’Ombra osservò
le corazze e i corpi dei suoi avversari schiantarsi in più punti, prima che i
loro resti ricadessero sul terreno sterile dell’Isola maledetta. Quindi,
scuotendosi le mani dalla polvere, diede loro le spalle, per dirigersi altrove,
dove sentiva che vi era battaglia. Ma dopo sette passi Phantom lo richiamò.
“As… petta!!!” –Mormorò il
Luogotenente dell’Olimpo, avanzando a quattro zampe sul terreno e cercando di
rimettersi in piedi, per quanto le ferite gli dolessero e sentisse di avere il
petto in fiamme.
“Ti alzi ancora? Non credevo che
a voi Cavalieri Celesti venisse insegnato come perseguire la morte sempre e
comunque! Sei un kamikaze?” –Ironizzò Siderius, tirandogli un’occhiata di
sbieco, con i suoi occhi neri. –“Ma se tanto la brami, allora la aiuterò a
venirti incontro! Sono o no l’ambasciatore del futuro?!” –Aggiunse, balzando in
aria e gettandosi a piedi uniti contro Phantom.
Ma il suo attacco quella volta
non riuscì a raggiungere il risultato previsto, venendo frenato da uno
scrosciante getto di energia acquatica, che Phantom diresse contro di lui, con
il proposito di rallentare la sua discesa, prima di afferrargli i piedi con
entrambe le braccia, cariche del suo cosmo scintillante.
“Per quello che mi riguarda,
appari troppo pretenzioso per ergerti ad ambasciatore della Nera Signora!”
–Commentò Phantom, ansimando, prima di sollevare a fatica le braccia e spingere
Siderius indietro.
Il Capitano dell’Ombra compì
un’agile piroetta nel cielo tetro ed atterrò compostamente a gambe unite molti
metri addietro, ammettendo di essere stupito dalle capacità di ripresa del
giovane.
“Non che comunque in queste
condizioni tu possa fare molto!” –Ironizzò Siderius, prima di espandere il suo
cosmo violetto e caricare un nuovo sferoide di energia.
“Posso combattere per Zeus e per
il futuro che voglio offrire agli uomini!” –Esclamò Phantom, bruciando al
massimo il proprio cosmo e dirigendo contro Siderius il Gorgo dell’Eridano.
–“Madre! Padre! Che avete sempre pregato per me, dal basso versante
dell’Olimpo, assistete vostro figlio maggiore un’ultima volta!!!” –Aggiunse,
ricordando Elena e Deucalione.
“Esplosione della Supernova!!!”
–Gridò il Capitano dell’Ombra, liberando la sfera di energia, che si schiantò
contro l’attacco di Phantom producendo una violenta deflagrazione, la cui onda
d’urto spinse entrambi indietro, fino a farli schiantare contro le pareti di
roccia circostante.
Quando Siderius si rimise in
piedi, scuotendo la testa, un po’ stordito dalla violenza dell’attacco, notò
che, al di là del cratere generatosi nel terreno, del Luogotenente dell’Olimpo
non vi era più traccia. Ad eccezione di macchie di sangue sparse e frammenti di
Armatura Celeste. Sorrise soddisfatto, convinto di averlo eliminato, prima di
allontanarsi, balzando di rupe in rupe. Se fosse rimasto qualche attimo di più,
avrebbe intravisto Phantom riapparire poco distante, appoggiato a una parete di
roccia, sudato, sfinito e sanguinante. L’effetto del Talismano di Demetra, che
gli permetteva di mimetizzare la propria Armatura con l’ambiente circostante,
era ormai esaurito, sia a causa della distruzione della sua corazza, sia per
colpa dell’immensa ombra che tutto sovrastava. Ma era comunque durato a
sufficienza per impedirgli di fare la fine dei suoi compagni.
Si strusciò gli occhi con una
mano, cacciando via le lacrime che non riuscì a trattenere, prima di cercare di
rimettersi in piedi. Ma, troppo debole per i colpi ricevuti, crollò sulle
ginocchia, poggiando le mani a terra e osservando il sangue bagnare l’arido
suolo dell’Isola delle Ombre. Ovunque attorno a lui vi era guerra, ovunque
scorreva il sangue degli uomini che aveva portato a morire. E gli tornarono in
mente le parole di Ermes, con cui aveva cercato di fermarlo.
“Non per codardia ti dico di non
andare, Luogotenente! Ma per amore verso la vita!” –Aveva esclamato il Dio, ore
prima, mentre Phantom e i Cavalieri Celesti si stavano preparando per partire.
–“Senza Zeus, non avrete alcuna speranza! Nessuno di noi l’avrà!”
“Saremo noi la speranza di
Zeus!” –Avevano risposto in coro i suoi compagni.
“Devo… morire con loro!”
–Rantolò Phantom, facendo leva su un ginocchio per rimettersi in piedi. Ci
riuscì a fatica, giusto per incrociare lo sguardo di un ragazzo, nascosto tra
le rocce poco distanti. Vistosi scoperto, il giovane iniziò a fuggire ma
Phantom lo chiamò, spiegando di non volergli fare alcun male. –“Resta!!!”
Il giovane si fermò pochi passi
più avanti, voltandosi indietro verso l’uomo ferito, tremando combattuto sul da
farsi. Ma poi, osservando meglio la sua corazza e lo sguardo del Cavaliere,
pieno di giustizia e speranza, tornò indietro, avvicinandosi a Phantom.
“Sei un Cavaliere di Atena?”
–Domandò il ragazzo, magro e gracilino, con una falda di capelli biondi,
sporchi e strappati, come se fossero giorni che non potesse lavarli.
“Sono il Luogotenente dell’Olimpo,
al servizio del Sommo Zeus! Di Atena e dei suoi Cavalieri amico e alleato!”
–Rispose Phantom.
“È il cielo che ti manda!”
–Esclamò il biondino. –“O forse la follia!” –Aggiunse, mentre la sua voce
veniva sovrastata da un nuovo rombo del vulcano, che liberò altre vampate di
fumo e di ombra, aumentando ancora l’oscurità sull’Isola. –“Io sono Matthew,
uno dei tanti apprendisti del Grande Tempio di Atena ridotti in schiavitù
durante la Grande Guerra e trascinati nei sottosuoli di quest’isola, a lavorare
in condizioni disumane, dove ho visto cose orribili venir generate! A stento
sono fuggito, ti prego Cavaliere conducimi via di qua, portami in Grecia!”
–Esclamò il ragazzo con agitazione.
“Ti aiuterò per quello che
posso, Matthew di Atene!” –Commentò Phantom. –“Ma anche tu dovrai aiutare me!
Qual è la via per i sotterranei? Indicamela, di modo che io possa raggiungerli
e distruggere i progetti del figlio di Ares!”
“Indicarti la via per la morte?
Vuoi dunque fare di me il tuo carnefice?! A tal punto giunge la tua follia?!”
–Esclamò Matthew, inorridendo alle parole di Phantom. –“Sei solo, Luogotenente!
Solo contro un esercito di ombre e Cavalieri assetati di sangue! Andiamocene,
ti prego! O posso dirti con certezza che né tu, né alcuno dei pochi Cavalieri
che ti accompagnano, riuscirà a sopravvivere a così tanta oscurità! Non senza
l’aiuto di qualche Dio che vi sorregga!”
“Maledetto Flegias!!! C’è
Giasone là dentro! Ed io devo salvarlo!”
“Giasone?!” –Domandò Matthew
incuriosito. –“È questo il nome del giovane Cavaliere della spada e dello
scudo?”
“Lo conosci? Lo hai visto? È
salvo?!” –Incalzò Phantom.
Matthew si distanziò da lui di
qualche passo, iniziando ad incamminarsi lungo la riva scoscesa. Solo dopo
qualche metro si fermò, voltandosi indietro verso il Cavaliere.
“Se salvare lui era lo scopo
della tua missione, Luogotenente Olimpico, mi duole informarti che essa è
fallita! La sorte di Giasone è ormai segnata! Un tunnel di fuoco e di ombra lo
attende! E la morte alla fine di esso!” –Sentenziò Matthew con un sospiro.
–“Stessa sorte attenderà noi se non ce ne andremo! Perciò ti prego, desisti dal
procedere e conducimi in Grecia! Se moriremo qua, nessuno informerà Atena, né
Zeus, degli oscuri progetti del figlio di Ares! Hai delle responsabilità
maggiori che non dare libero sfogo alla tua vendetta, per quanto giusto il tuo
desiderio sia!”
Phantom strinse i pugni,
maledicendo Flegias con rabbia. E maledicendo anche se stesso. Sconfitto per la
seconda volta. Sapeva che le parole di Matthew erano giuste, che sull’Isola
avrebbe incontrato certamente la morte, ma il pensiero di dover abbandonare
Giasone nuovamente lo torturava. Nuovamente lo faceva sentire in colpa.
Sospirò, prestando orecchio al vento, alle grida dei cosmi di Artemide, di
Gwynn e degli altri Cavalieri Celesti impegnati in una dura battaglia.
La Dea della Caccia aveva
infatti guidato un gruppo di Cavalieri di Zeus contro i soldati di Flegias,
sbaragliandoli in fretta, essendo soltanto degli uomini maligni e armati, privi
di ogni conoscenza del cosmo. Ma la loro avanzata sull’Isola delle Ombre era
stata fermata poco dopo, da una violenta esplosione cosmica, che li aveva
spinti indietro, facendoli ruzzolare sul terreno, mentre un uomo alto e
possente usciva dall’ombra, avanzando fiero verso di loro.
“Dove credete di andare?!”
–Esordì l’uomo, rivelando le sue fattezze e l’Armatura nera che lo rivestiva,
dalle forme simili ad un drago.
“Dobbiamo forse rendere conto a
te?” –Ribatté Artemide con baldanza.
“Modera i toni, Dea delle
Pecore! Hai davanti a te il Comandante del mio Esercito di Ombre!” –Esclamò una
voce acuta che Artemide ben conosceva.
Di scatto, la Dea sollevò lo
sguardo verso la rupe alla destra del gigantesco guerriero, ove Flegias
apparve all’istante, rivestito dalla sua scarlatta Armatura, le cui sfumature
parevano fondersi con il turbinio di fiamme e di ombra che lo avvolgeva. Non
indossava elmo alcuno, lasciando i neri capelli fluttuare nel vento. E
lasciando il suo demoniaco sguardo posarsi su Artemide, senza remore alcuna, e
paralizzare i suoi movimenti, mentre un brivido scuoteva la sua colonna
vertebrale.
“Phobos e Deimos hanno fallito
due volte con te! Ma a me basterà un solo incontro… per dimostrarti quanto sono
speciale!” –Sogghignò il figlio di Ares, espandendo il proprio cosmo oscuro e
infuocato.
“Quanto sei pazzo, vorrai dire,
Flegias!!!” –Ringhiò la Dea, cercando di liberarsi da quella morsa mentale con
cui il figlio di Ares l’aveva intrappolata. Ci riuscì, grazie al suo cosmo
divino, ma non fece in tempo ad incoccare una freccia dell’Arco della Caccia
che Flegias era già di fronte a lei, avvinghiandola in un turbine di fiamme,
che parevano davvero volersi saziare del suo corpo e del suo spirito.
“Sbranatela viva, fiamme
dell’ombra! Allungatevi lungo il prosperoso corpo della Dea selvaggia e siate
rudi con lei! Come la Dea essere trattata!” –Sibilò Flegias, sfoderando la
Spada infuocata che portava affissa alla cintura. –“E tu, Orochi, occupati dei
suoi tirapiedi! Che nessuno lasci vivo l’Isola! Saranno l’aperitivo per celebrare
il mio trionfo!”
“Ungh… bastardo!!!” –Ringhiò
Artemide, dimenandosi per cacciar via quelle fiamme che parevano essere vive,
che parevano strisciare sulla sua corazza, cercando i punti scoperti e
penetrando nel suo corpo, per bruciarla dall’interno. –“Ma non mi avrai così
facilmente, no!!! Vendicherò Atteone e i miei Cacciatori, caduti a causa dei
tuoi inganni! E lo farò uccidendo te, cane figlio di Ares!”
“Uuuh, lingua biforcuta la tua!”
–Ironizzò Flegias. –“Poco adatta per gli Olimpici fasti! Forse sarà meglio
tagliarla!” –E si avvicinò a passo lento verso Artemide, sollevando la lama di
fuoco davanti al volto e lasciando che le fiamme si mescolassero a quelle che
ardevano tetre nei suoi occhi. Gli occhi di un demonio.
“Vi invoco, antichi Spiriti della
Foresta di Artemide, che da millenni custodite le immacolate pendici del Monte
Sacro! Datemi la forza affinché io possa estirpare le fiamme dell’odio da cui
sono avvolta!” –Mormorò la Dea, con voce placida e tranquilla, quasi volesse
dimenticarsi della rabbia che l’aveva colta fino ad allora. –“Mi rivolgo a voi,
Spiriti della Foresta, alla vostra sapienza e all’ancestrale forza di cui siete
custodi!”
“Mormora pure le tue preghiere,
vacca dissennata! Non sarà il tuo rosario ad impedire il martirio che ti ho
riservato!!!” –Sibilò Flegias, sollevando un braccio e mostrando ad Artemide il
polso, avvolto in fiamme d’ombra. Sogghignando, Flegias chiuse le dita della
mano, a stringere il fuoco dentro sé, aumentando in tal modo la stretta sulla
Dea della Caccia, che sentì le ossa scricchiolare sinistramente, la pelle
incendiarsi per le ustioni e addirittura la Veste Divina schiantarsi in più
punti.
“Spiritiii!!!” –Gridò Artemide,
espandendo al massimo il suo cosmo e generando un’esplosione di luce che
squarciò le tenebre di quel giorno, sfilacciando le fiamme che l’avevano
avvolta e permettendole così di impugnare il proprio Arco della Caccia e
puntare una freccia contro Flegias, che era stato sbalzato indietro di qualche
metro dalla deflagrazione. –“Dardo di Artemide!” –Esclamò, liberando lo
strale lucente, che sfrecciò verso il figlio di Ares ad una velocità superiore
a quella della luce.
Ma Flegias lo colpì con rabbia e
con precisione, tagliandolo perfettamente a metà con un secco colpo della sua
Spada Infuocata, stupendo la Dea della Caccia, e balzando su di lei, con la
lama sollevata, prima di calarla sul suo braccio destro.
“Aaaah!!!” –Gridò Artemide,
mentre la Spada Infuocata scheggiava la Veste Divina, bruciandole la pelle al
di sotto e facendole perdere la presa dell’Arco, che cadde a terra. Quindi
Flegias la spinse indietro, con una secca ginocchiata in pieno petto,
gettandola in malo modo tra la polvere. Un attimo dopo le montò sopra,
schiacciandola con il suo peso e stritolandola con il suo cosmo carico di
fiamme e ombra. Le afferrò i capelli, tirandole su la testa con rabbia, giusto
in tempo per osservare il Drago dell’Ombra strappar via la vita degli ultimi
Cavalieri Celesti.
“Guarda, oh Dea delle Pecore, la
strage del tuo gregge!” –Sibilò Flegias, strusciando la lama infuocata sul
collo di Artemide, assaporando gocce del suo sangue divino e lasciando che le
fiamme incendiassero i lunghi capelli corvini della Dea.
“Male… Maledettooo!!!” –Gridò
infine Artemide, espandendo al massimo il suo potere e scaraventando indietro
Flegias dalla violenza dell’onda d’urto che generò. Si risollevò in piedi,
avvolta nel suo cosmo color indaco, e portò entrambe le braccia avanti,
invocando le ancestrali evanescenze della Foresta di cui era custode
sull’Olimpo. –“Gli Spiriti della Foresta non avranno pietà di te,
Flegias! Troppo hai peccato per concederti di vivere ancora!” –E diresse contro
il figlio di Ares le evanescenti figure di cosmo con cui aveva contrastato
Phobos e Deimos mesi addietro.
“Non mi avrai!” –Ringhiò
Flegias, sollevando il braccio destro al cielo e generando una violenta
tempesta di energia, ove fiamme e ombra parevano mescolarsi in un reciproco
gioco al massacro. –“Apocalisse Divina!!! Impera!!!”
Gli Spiriti della Foresta
di Artemide cozzarono contro la tempesta di energia, fiamme ed ombra, stridendo
gli uni contro l’altra, mentre i due avversari riversavano il massimo del loro
potere per strappare la vittoria. Flegias, sogghignante, pareva non sentire
neppure lo sforzo immenso a cui Artemide lo stava chiamando. O se anche lo
sentì, fu abile a non mostrare cenno alcuno di cedimento, né davanti alla Dea,
né davanti a Orochi.
“Eccitante!” –Sibilò il figlio
di Ares, i cui occhi lampeggiavano di un fuoco di morte. E subito dopo aumentò
il potere della tempesta di energia, che sopraffece gli Spiriti della
Foresta, disperdendoli nell’ombra circostante, abbattendosi su Artemide e
sollevandola in un’onda di fiamme e tenebra. Con violenza inusitata, Flegias
sbatté la Dea contro il terreno roccioso, molti metri addietro, ghignando
soddisfatto nel vedere i cocci della sua Veste Divina e una macchia di sangue
allargarsi sotto di lei.
Dei diciotto Cavalieri Celesti
che avevano accompagnato Phantom dell’Eridano Celeste sull’Isola delle Ombre,
ne era rimasto soltanto uno, Gwynn del Biancospino, intento a combattere
per la sua sopravvivenza in una caverna oscura.
Gwynn infatti aveva seguito una
strada diversa da quella di Phantom e di Artemide, dirigendosi verso le
profondità dell’Isola, per scoprire cosa Flegias stesse tramando di pericoloso.
Era l’unico, tra i Cavalieri suoi compagni, a disporre di un potere
particolare, che gli derivava dall’essere stato allievo di Ascanio a
Glastonbury. Potere che gli permetteva di rendere il suo cosmo impercettibile e
fondere la propria corazza con l’ambiente circostante, grazie ad una tecnica
chiamata Mimesis, senza bisogno di manufatti divini.
Non era però riuscito a scoprire
granché, perdendo molto tempo alla ricerca della via per i sotterranei, in quel
paesaggio roccioso e spigoloso, che pareva essere stato creato apposta per
privare anche il viaggiatore più scrupoloso di qualsiasi punto di riferimento.
E proprio quando aveva trovato l’ingresso per un antro sul fianco orientale del
vulcano principale, e lo stava cautamente esplorando, qualcosa lo aveva colpito
alla schiena, sbattendolo a terra e calpestandolo.
“Dove credi di andare,
agnellino?” –Ringhiò una voce ruvida.
“Chi… sei?!” –Balbettò Gwynn,
schiacciato al suolo dal robusto piede di una figura in ombra. –“Come… come hai
potuto vedermi?!”
“Non ti ho visto infatti! Ti ho
sentito!” –Rispose la voce maschile. –“Annusando l’aria con il mio olfatto, ho
percepito la presenza di carne giovane!” –E si chinò sul ragazzo, afferrandolo
per il collo e sollevandolo da terra, per guardarlo meglio.
Gwynn vide così l’uomo che lo
aveva sorpreso, anche se di uomo aveva ormai ben poco. Il corpo, alto e
robusto, era forse umano, ma i lineamenti animaleschi avevano deformato il suo
aspetto, rendendolo simile ad un lupo. Il volto era pieno di peli, come le
braccia e le gambe, per quello che si poteva notare dalle parti non coperte
dalla sua nera corazza, la cui forma era chiaramente quella di un lupo. Ma la
cosa che stupì Gwynn particolarmente furono i denti, aguzzi e taglienti, e le
mani, grandi e pelose, e dotate di lunghe unghie affilate, che spuntavano fuori
da dita tozze.
“Uuuh! Odore di carne giovane!
Sarai un pasto prelibato!” –Commentò l’uomo-lupo, strusciandosi le labbra con
la sua lingua.
“Ma che razza di bestia sei?!”
–Esclamò Gwynn, dimenandosi per liberarsi dalla stretta presa del nemico. Non
riuscendovi, evocò allora un mucchio di biancospini, che arrotolò attorno al
braccio con cui l’uomo-lupo lo stava tenendo, lasciando che vi si
avvinghiassero, affondando le loro spine nella sua carne, e strappandogli un
grido di dolore.
“Auuh!!!” –Gridò l’uomo-lupo,
scaraventando Gwynn contro una parete della caverna, e scuotendo il braccio per
togliere quelle fastidiose spine. –“Non fare resistenza, agnellino! Il
Licantropo è affamato!”
“Il Licantropo?!” –Sgranò gli
occhi Gwynn, convinto che personaggi grotteschi esistessero soltanto nelle
leggende. –“Intendi un uomo che durante le notti di luna piena si trasforma in
lupo? Mi prendi per stupido?!”
“Molto meglio! Auuuh!!! Io non
ho bisogno della luna piena per essere un uomo-lupo! Grazie a Seth, e ad Anhar,
lo diventai molti anni fa! Per sempre!” –Esclamò il Licantropo, senza che Gwynn
comprendesse. Ma non gli diede tempo per fare nuove domande che scattò verso di
lui, sfoderando i lunghi artigli, determinato a piantarli nel suo corpo.
Gwynn invocò nuovamente il
potere della Mimesis e si gettò di lato, per evitare l’affondo del
Licantropo, ma questi cambiò ugualmente direzione, seguendo gli spostamenti del
Cavaliere di Glastonbury.
“Inutile tentativo il tuo!
Nasconderti ai miei occhi non servirà a niente! Ho percepito il tuo odore! Mi
basta seguire quello, per arrivare al cosmo! Non sai che l’olfatto è senso
molto sviluppato nei lupi?” –Commentò il Licantropo, balzando avanti e
abbattendo Gwynn, che rotolò sul pavimento della caverna, perdendo l’elmo della
sua corazza e decidendo infine di rendersi nuovamente visibile.
“Se la Mimesis è priva di
efficacia, meglio che conservi le mie forze per affrontare quest’essere
grottesco!” –Commentò tra sé, mentre il Licantropo caricava di nuovo, cercando
di affondare i suoi affilati artigli nel corpo di Gwynn, che doveva muoversi
continuamente per evitarli. –“Non posso rimanere sempre sulla difensiva, devo
contrattaccare! Biancospino di Glastonbury, avvinghiati al tuo nemico e
monda la sua brutalità con la purezza del tuo simbolo!” –Esclamò, intrappolando
il Licantropo in un mucchio di biancospini e osservando le spine penetrare la
coriacea pelle pelosa.
“Auh
auh auh! Vuoi fermare il Licantropo con
quest’odorosa erba di campo?!” –Rise l’uomo-lupo, prima di stupire Gwynn,
lasciando esplodere il cosmo che finora aveva tenuto nascosto, estirpando così
il mucchio di biancospini, incenerendoli all’istante. –“Credevi fossi solo un
mostro? Un mucchio di peli rivestito da una cotta d’ombra? Ebbene, sbagliavi! E
adesso vedrai quanta fame ha il Capitano dell’Ombra che domina i peccati di
gola e lussuria!”
Gwynn venne spinto contro una
parete laterale dal contraccolpo, scheggiando la sua corazza verde e bianca, ma
non appena fece per rimettersi in piedi, il Licantropo fu su di lui allungando
gli artigli della mano destra fino a generare delle punte di energia che
conficcò nel corpo del Cavaliere di Zeus, all’altezza dell’ombelico,
piantandolo in malo modo alla roccia.
“Aaargh!!!” –Gridò Gwynn, mentre
una chiazza di sangue si espandeva dal ventre, colando lungo le gambe e
imbrattando l’Armatura Celeste.
“Non strillare, agnellino! Muori
con dignità!” –Esclamò il Licantropo, piantando di nuovo i suoi artigli
affilati nel corpo di Gwynn, quella volta al centro del petto. Gli sfondò l’Armatura,
fracassandogli le costole, mentre il ragazzo vomitava sangue e perdeva sempre
più i sensi. Ritornò indietro con la mente, al primo incontro con l’uomo che
aveva cambiato la sua vita, donandogli la sua completa e indiscussa
ammirazione. Il Comandante dell’Ultima Legione, Ascanio Testa di Drago.
Era stato lui infatti, una
mattina di dieci anni prima, ad aiutare Gwynn e sua madre durante un’alluvione
nel Somerset. Era apparso in mezzo ai campi annacquati, senza che nessuno se ne
fosse accorto, rivestito da un’Armatura luminosa che pareva mescolarsi con il
verde dell’erba e con il marrone del fango. Con il celeste del cielo e con il
bianco della luce. Aveva generato barriere di energia così trasparenti da
risultare impalpabili, con cui aveva frenato lo scorrere delle acque,
permettendo a Gwynn, allora un bambino di otto anni, e alla madre malata di
uscire dal villaggio e mettersi in salvo sulle colline, assieme ad altri
contadini.
Accolto come un Dio, Ascanio non aveva voluto niente in cambio, dei tanti doni
che la povera gente voleva offrirgli, e terminata la grande pioggia aveva
lavorato in prima persona per sistemare i danni del villaggio. Gwynn lo
guardava con una sconfinata ammirazione, vedendo in lui il discendente degli
antichi eroi celtici di cui sua madre amava raccontargli la sera, nelle loro
chiacchierate vicino al fuoco. Era una famiglia povera, la loro, e la donna non
aveva potuto offrirgli di meglio che sincero affetto, certa comunque che il
figlio meritasse di più. Certa di sentire in lui qualcosa di più.
Così aveva accettato la
richiesta di Ascanio, che le aveva chiesto il permesso di portare via Gwynn. Di
condurlo a Glastonbury, dove sarebbe stato addestrato per divenire Cavaliere.
Come la madre, anche il Comandante della Legione di Zeus aveva percepito
infatti un cosmo latente dentro il ragazzo. Un cosmo che meritava essere
sviluppato.
“Diventerò forte per proteggere
mia madre e gli abitanti del mio villaggio!” –Amava ripetere Gwynn nei primi
giorni dell’addestramento. E Ascanio sorrideva di fronte a tanto sincero
affetto. Ma col tempo anche Gwynn aveva compreso che i poteri acquisiti avrebbe
dovuto metterli al servizio non solo della gente del suo paese, ma di ideali
ben maggiori, da cui potevano dipendere i destini del mondo.
Gwynn fu l’unico Cavaliere della
Legione Nascosta ad essere scelto personalmente da Ascanio e da lui addestrato
a Glastonbury, ma fu anche quello che gli diede maggiori soddisfazioni. Grazie
ai suoi sviluppati poteri di percezione sensoriale, Gwynn era impiegato spesso
come spia o ricognitore, e fu proprio lui infatti ad avvisare Ascanio, mesi
addietro, dell’arrivo di Phantom dell’Eridano Celeste.
“Quanti ricordi…” –Mormorò
Gwynn, piantato alla parete, con le viscere squarciate da puntelli di energia.
–“Quanti motivi… per andare avanti! Comandante Ascanio! Per voi, per
ringraziarvi di avermi portato via quel giorno, salvandomi dal fango della mia
vita e concedendomi l’onore di servire causa ben più alta!” –Rifletté tra sé,
espandendo il proprio cosmo.
“Auuh!!!” –Ringhiò il
Licantropo, vedendo che Gwynn aveva ripreso a muoversi. Ma non riuscì a
colpirlo nuovamente con i suoi artigli, che venne travolto da un’onda di
energia, scaturita dal corpo del ragazzo, che bruciò al massimo il suo cosmo,
come mai aveva fatto prima. Bruciò la sua stessa vita, i ricordi che lo avevano
invaso, le speranze che aveva provato quel giorno, dando l’ultimo addio alla
vecchia casa di sua madre, donna stanca e malata che mai più avrebbe rivisto.
“Brucia, cosmo del Biancospino! Glastonbury
Thorn!!!” –Gridò Gwynn, dirigendo un violento assalto, costituito da
migliaia e migliaia di biancospini di energia, contro il Licantropo, il quale,
dal canto suo, non stette ad aspettarlo, muovendo le braccia con forza e
distruggendo con i suoi artigli tutti i fiori che lo investivano. Quindi,
quando Gwynn fu ormai privo di forze, e costretto a crollare a terra sulle
ginocchia, lo travolse con i suoi unghioni di energia, sbattendolo al muro e
azzannando il ventre del ragazzo con i suoi canini, per portargli via pezzi
interi di carne.
“Che mostro sei?!” –Esclamò
improvvisamente una voce, disturbando il banchetto dell’uomo-lupo e
costringendolo a voltarsi verso l’entrata della caverna, dove una figura si
stagliava controluce, accecandolo con il bagliore del suo cosmo. –“Come una
bestia ti avventi sulle carcasse dei tuoi nemici?! Non hai rispetto per niente,
né per la vita, né per la morte?! Ebbene, ti insegnerò io ad avere timore della
fine!”
“Come può quest’uomo emanare un
cosmo di così accecante bagliore?” –Mormorò l’uomo-lupo, che non riusciva a
vedere in volto il suo nemico. –“Il cielo d’ombra dell’Isola dovrebbe assorbire
ogni forma di luce! Perché la sua persiste?” –Ma l’altro uomo non gli diede
tempo di riflettere ancora, che già aveva espanso il proprio cosmo,
concentrandolo sulle braccia e dirigendo un rapido e preciso attacco contro di
lui. Un attacco che aveva la forma di un immenso drago dalle squame rosse.
“Attacco del Drago di Sangue!!!”
–Gridò Ascanio Testa di Drago, travolgendo il Licantropo e
scaraventandolo indietro, fino a farlo schiantare contro una parete di roccia,
che crollò sopra di lui. Quindi corse verso Gwynn, chinandosi e sollevando il
suo corpo distrutto e sfregiato e poggiandolo sulle sue ginocchia. –“Oh, Gwynn!
Sono arrivato tardi!” –Pianse il Comandante dell’Ultima Legione, bagnando il
volto del ragazzo che era per lui un fratello minore. Un fratello di cui
avrebbe dovuto prendersi cura. –“Ho visto la tua sorte, in uno dei misteri che
spesso si aprono ai miei occhi! Ma non ho fatto in tempo ad arrivare… in tempo…
non sono giunto! Potrai mai perdonarmi, Gwynn?!”
Ascanio singhiozzò sul corpo del
giovane, pulendogli il volto dal sangue, quasi volesse ricreare il candore dei
lontani giorni d’infanzia. Per un momento gli sembrò di vedere Gwynn sorridere,
mentre correvano nei prati di Glastonbury o mentre studiavano le ley lines
dall’alto del Tor. Sospirò, chiudendogli infine gli occhi e depositando a terra
il suo corpo. Tirò uno sguardo verso il Licantropo, svenuto sotto mucchi di macerie,
e lo invase l’istinto di massacrarlo adesso che era inerme. Ma era un
Cavaliere, e prima ancora era un figlio dell’Isola Sacra, scelto dai druidi per
portare l’equilibrio, non per condurre stragi, pur giuste che fossero.
Proprio in quel momento sentì
esplodere il cosmo di Artemide, mentre ombre immense si allungavano nel cielo
sopra l’Isola, e questo lo fece scattare, riportandolo all’ordine. E
ricordandogli la sua missione. Diede l’ultimo saluto a Gwynn, prima di correre
fuori, alla ricerca di Phantom o di qualche altro superstite.
In un’altra zona dell’Isola
delle Ombre, non troppo distante dalla scogliera, la Dea della Caccia stava
infatti affrontando Flegias, il Maestro di Ombre, che aveva deciso di
occuparsi personalmente di lei, inebriato da uno scontro che i suoi fratelli
non erano riusciti a concludere, per ben due volte.
“Hai condotto bene il gioco, Dea
delle Pecore! Ma spesso la tattica non basta, serve anche la forza!” –Sibilò il
figlio di Ares, avvicinandosi al corpo inerme della Dea della Caccia, distesa
in una pozza di sangue, dopo essere stata abbattuta dall’Apocalisse Divina.
–“Che tu non hai più!”
“Dovessi morire nel tentativo,
io ti fermerò, demone!” –Si limitò a rispondere Artemide, sputando
sangue e risollevandosi a fatica, spingendo indietro il Flagello degli Uomini
con un’onda di lucente energia.
“L’hai detto! E gli Dei mi siano
testimoni se non hai appena firmato la tua condanna a morte!” –Esclamò Flegias
a gran voce, volgendo leggermente lo sguardo verso il Comandante dei Capitani
dell’Ombra, il possente Orochi, che osservava entrambi da poco distante.
Aveva atterrato senza problemi gli ultimi Cavalieri Celesti, ma non si era
azzardato ad interrompere lo scontro del Maestro di Ombre, per non incorrere
nella sua ira. Del resto, si era detto Orochi, Flegias è ben in grado
di eliminare quella rozza Divinità senza il mio aiuto, che potrebbe persino
offenderlo!
“Taci, blasfemo! Non rivolgerti
agli Dei, tu che hai tradito la loro stirpe, vendendoli all’ombra!” –Affermò
Artemide, rimettendosi in piedi. –“Hai utilizzato Zeus, Crono, Ares, i tuoi
fratelli, tutti coloro che ti hanno dato fiducia e che in te credevano! Te ne
sei servito per i tuoi scopi, gettandoli via per non dover dividere il potere
con loro!”
“Non sapevo che tu fossi una
psicologa, Dea delle Pecore! Forse questo mi aiuta a capire come mai sei così
scarsa in battaglia! Ah ah ah!” –Sghignazzò Flegias, bruciando il suo cosmo e
avvolgendosi in esso, prima di dirigerlo contro la Dea, sotto forma di un
vortice di fiamme e ombra. Ma Artemide, che ben si aspettava un nuovo assalto,
fu svelta a contrattaccare all’istante, generando un dardo di puro cosmo
lucente, che scagliò contro Flegias, penetrando il turbine di fuoco e tenebra e
schiantandosi proprio alle spalle del figlio di Ares.
Sorpreso dalla repentinità di
quell’attacco, e convinto che Artemide fosse ormai sul punto di cadere, Flegias
sollevò il sopracciglio destro, sinceramente stupito.
“Dardi di luce!!!” –Gridò
Artemide, scagliando contro il Flagello degli Uomini un nugolo di brillanti
strali di energia, che obbligarono Flegias a scattare via, muovendosi
continuamente per non essere raggiunto.
Il figlio di Ares cercò di
pararli con la Spada Infuocata, rotandola continuamente e deviandone tantissimi
con abilità e precisione. Ma la pioggia di frecce era così fitta, e così
continua, che alcuni non riuscì a colpirli, osservandoli con rabbia mentre
scheggiavano la sua Armatura Divina. Un dardo gli trafisse la mano destra,
facendogli perdere la presa della Lama Infuocata e obbligandolo a muoversi
indietro, venendo subito raggiunto da un secondo strale in cima al braccio
sinistro, poco sotto la protezione del coprispalla.
Quello, per quanto Flegias non
lo ammise, stringendo i denti con rabbia, gli strappò un gemito di dolore,
costringendolo ad arretrare di qualche passo, prima che l’ira si impadronisse
di lui. E la volontà di piegare la Mandriana dell’Olimpo che aveva osato
recargli un simile oltraggio.
Sollevò un muro di fiamme e di
ombra, su cui i dardi di luce si schiantarono, esplodendo al suo interno, per
poi spingerlo verso Artemide con un movimento secco del braccio destro. La Dea
si rannicchiò su se stessa, cercando di limitare al massimo i danni di
quell’impatto, prima di far nuovamente esplodere il suo cosmo lucente,
disperdendo il fuoco. Quando sollevò lo sguardo vide Flegias di fronte a lei,
con il palmo della mano destra rivolto verso il suo viso, su cui una pietra
nera brillava di riflessi oscuri.
“Assisti, Mandriana dell’Olimpo,
alla fine di ogni forma di luce! La Maestria di Ombre, da me invocata, trova
adesso completamento!” –Esclamò Flegias, sollevando la pietra sopra di sé e
lasciando che esplodesse, liberando un’onda di energia nera che si abbatté su
Artemide, scaraventandola indietro di parecchi metri, e obbligando persino
Orochi a mettersi da parte, per non essere travolto. –“Rapsodia di Demoni!”
A quell’invocazione, migliaia e
migliaia di ombre fuoriuscirono dalla pietra nera, fluttuanti spiriti in quel
cielo tetro, liberando i loro angosciosi lamenti, prima di abbattersi su
Artemide e sui Cavalieri Celesti ancora in vita, che cercavano di rimettersi in
piedi e reagire. Ma non appena volsero lo sguardo al cielo, videro quelle
figure evanescenti piombare su di loro e penetrarli da parte a parte, succhiando
via la vita e la loro energia. Cibandosi della luce del loro cosmo.
“Che Zeus ci protegga!” –Mormorò
Artemide, inorridendo alla vista dei Cavalieri Celesti che crollavano a terra,
senza più un alito di vita, privati della brillantezza del loro cosmo e ridotti
a meri gusci vuoti.
In quella un turbine di ombre si
abbatté su di lei, che cercò di difendersi con i suoi Dardi di Luce,
prima di accorgersi, con disperato stupore, che gli spiriti di tenebra
sembravano correre verso i suoi attacchi per cibarsene, per annientarli, per
sovrastarli con l’oscurità del loro potere.
“Quale incantesimo malvagio hai
evocato, figlio di Ares?!” –Gridò Artemide, bruciando ancora il proprio cosmo
per generare onde di luce con cui travolgere e annientare le ombre. Senza però
riuscirvi.
“Ti restituisco l’energia che
anche tu, combattendo sull’Olimpo, mi hai prestato! L’energia che lo Scudo di
Ares ha assorbito, concentrandola nella Pietra Nera e fornendomi un potenziale
immenso, con cui generare l’Esercito di Ombre che invaderà la Terra, assorbendo
ogni forma di luce!” –Sibilò Flegias, mentre Artemide veniva sopraffatta,
intrappolata in un groviglio di ombre, che continuamente penetravano il suo
corpo, prosciugandola sempre un po’ di più. Fino a prostrarla a terra, con il
volto pallido e lo sguardo spento, mentre la linfa vitale della sua Divina
Essenza scivolava via. –“Muori, Dea delle Pecore!!!” –Ringhiò Flegias, balzando
su di lei, con la Lama Infuocata in mano. E affondando nel ventre della Dea.
Non riuscì neanche a parlare
Artemide, tanto debole si sentiva, mentre la Spada Infuocata sfondava la Veste
Divina, e il corpo di donna che non aveva mai cercato di nascondere, orgogliosa
della propria selvaggia femminilità. Le si chiusero gli occhi poco dopo, mentre
rivedeva frammenti della sua esistenza sull’Olimpo, momenti di caccia nella
Foresta Sacra, assieme ad Atteone e ai suoi Cacciatori, e banchetti di prede di
fronte alla caverna ove riposava. Poi, d’un tratto, l’immagine cambiò e una
fiamma immensa divorò la Foresta, trasformando gli alberi, gli animali e i suoi
ricordi in cenere.
“Avrai la mia vita! Ma non il
mio onore!” –Sentenziò, concentrando quel che restava del suo cosmo in un unico
dardo di luce, che scagliò contro Flegias, ancora intento ad affondare la Spada
Infuocata dentro di lei.
La freccia di energia scaraventò
il figlio di Ares indietro, sbattendolo contro una parete rocciosa e
schiantando il pettorale della sua Armatura scarlatta, fino a farlo ricadere a
terra, tra imprecazioni e macchie di sangue.
Orochi, a tal vista, corse verso
il Maestro di Ombre, per aiutarlo a rimettersi in piedi, ma questi lo scansò in
malo modo, rialzandosi, ansimando a fatica, e toccandosi il petto insanguinato.
Tirò un’occhiata verso il corpo esanime di Artemide, e capì che la Dea era
morta. E perché Phobos e Deimos avessero incontrato così tante difficoltà.
Proprio in quel momento, Ermes,
il Messaggero degli Dei, percepì una violenta fitta al cuore, che lo
prostrò a terra, sul tappeto rosso della Sala delle Udienze, al Grande Tempio
di Atena. La Dea della Giustizia e i suoi Cavalieri furono subito su di lui,
per porgergli aiuto, ma questi si limitò a ringraziarli con un sorriso.
“Un’amica! Un’amica ci ha
lasciato!” –Mormorò, tra le lacrime.
Anche Phantom dell’Eridano Celeste
percepì la scomparsa del cosmo di Artemide, crollando sull’arido suolo
dell’Isola delle Ombre e tenendosi la testa tra le braccia. Pianse, sbattendo i
pugni sulla polvere, colpevolizzandosi per l’accaduto, mentre la voce di Matthew
cercava di consolarlo e al tempo stesso di incitarlo a reagire.
Ascanio lo raggiunse proprio in
quel momento, felice di vederlo ancora vivo.
“Afferra la mia mano, Phantom!
Dobbiamo andarcene da quest’Isola maledetta! O i nostri compagni saranno caduti
invano!” –Esclamò Ascanio, mentre il Luogotenente allungava la mano verso
quella del compagno, facendosi forza per rialzarsi.
“Forse dovremmo morire con
loro…” –Mormorò Phantom, a testa bassa.
“In tal caso li uccideresti una
seconda volta!” –Commentò Ascanio, avvolgendo Phantom e Matthew nel suo cosmo
ed invocando l’aiuto del suo maestro, lo stesso che gli aveva permesso di
raggiungere l’Isola delle Ombre, nonostante le resistenze della cortina di
tenebra.
“Ascanio!” –Parlò
improvvisamente una voce al suo cosmo. E anche Phantom la sentì, e gli parve di
riconoscerla nella figura ammantata che aveva salutato Ascanio in cima al Tor,
quel giorno in cui si era recato a Glastonbury per risvegliare l’Ultima
Legione. –“Getta via le lacrime, per cui adesso non c’è tempo! Ti porterò
sull’Olimpo! Zeus ha bisogno del suo Comandante!” –Nient’altro aggiunse, il
Signore dell’Isola Sacra, prelevando Ascanio, Phantom e Matthew e portandoli
via da quell’isola di morte.
La momentanea presenza di Avalon
fu avvertita anche da Flegias, che sbuffò inviperito, maledicendolo assieme a
tutti i druidi e ai suoi Cavalieri delle Stelle. Ma neanche ciò lo fece
desistere, alimentando ancora di più la fiamma dell’ira nei suoi occhi. Orochi
lo avvicinò in quel momento, mentre il vulcano sbuffava fumo nero e scintille
piovevano sull’intera landa desolata.
“I preparativi per il grande
rito sono stati compiuti!” –Mormorò infine il figlio di Ares, sollevando la
pietra nera al cielo che liberò un arco di oscura energia, con cui invase
l’isola, travolgendo le ombre, inglobando le evanescenti figure che vagavano
erranti. –“Adesso è il momento di celebrarlo! Di rendere onore alla grande
ombra!!!”
L’onda di luce nera che travolse
le ombre parve dare una nuova linfa vitale a quelle figure fluttuanti,
modellando le loro forme e sagomandole in modo da renderle simili a uomini. A
uomini armati, di nero vestiti, con gli occhi iniettati di sangue.
“L’esercito delle ombre, che
invaderà la Terra, estirpando ogni forma di luce, è infine nato! Ah ah ah!!!”
–Esclamò Flegias, ridendo come un pazzo, mentre ovunque attorno a lui le ombre
prendevano forma, inginocchiandosi ai piedi di colui che le aveva risvegliate,
donando loro un proprio destino.
In quel momento arrivarono anche
Siderius della Supernova Oscura, cavalcando un disco di energia violacea
e sfrecciando sul terreno, balzando a terra poco distante da Flegias, di fronte
agli occhi di Orochi, scocciato per tanto manifesto esibizionismo, e il Licantropo,
che gettò con noncuranza i resti di un corpo massacrato sopra i cadaveri dei
Cavalieri Celesti. Forse avrebbe dovuto informare Flegias dell’attacco a
sorpresa ricevuto nella caverna, ma preferì inginocchiarsi di fronte a lui,
come fecero Orochi e Siderius, e tacere, onde evitare di essere punito per la
sua sconfitta.
“Il mio lavoro è terminato, Gran
Maestro di Ombre!” –Esclamò una stridula voce, anticipando l’arrivo di Athanor,
l’ultimo Alchimista della Regina Nera, avvolto nelle sue vecchie e
tenebrose vesti. Dietro di lui un carro contenente armature dalle forme inquietanti,
spinto a fatica da un gruppo di schiavi. –“Bagnate col sangue della Dea della
Caccia e degli Olimpici Difensori, piegato al nostro volere dall’avvento
dell’ombra, le nere corazze da me forgiate diverranno solide come quelle dei
Cavalieri nostri rivali! Forse anche superiori!”
E nel dir questo Athanor si
avvicinò ai corpi di Artemide e dei Cavalieri Celesti caduti, intingendo nel
sangue la rachitica mano e macchiando con esso le Armature costruite nei
sotterranei dell’Isola delle Ombre. Flegias sogghignò soddisfatto, osservandole
brillare di una tetra luce di morte, mentre la pietra nera inquinava la loro
linfa vitale, come aveva fatto con l’Ichor di Asclepio per le corazze dei
Capitani dell’Ombra. Quindi le osservò scomporsi in numerosi pezzi, aderendo al
corpo di una quindicina di uomini incolonnati di fronte a lui. Uomini come era
stato Menas della Rosa, decisi a servire il Maestro di Ombre, aiutandolo nella
sua missione. I sottoposti dei sette Capitani, che lo avrebbero aiutato a
sconfiggere i Cavalieri di Atena.
“Risvegliatevi, costellazioni
dimenticate!!!” –Gridò Flegias infine, mentre gli uomini, appena investiti
delle loro nere corazze, osservavano il tetro splendore di tali manufatti,
sogghignando al pensiero del male che avrebbero adesso potuto compiere.
–“Sorgete a nuova vita, astri dell’ombra! Stelle che la storia ha confinato
all’oblio! Uomini che Atena ha dimenticato, cancellando le gesta che in passato
avevano compiuto per lei, ripulendo le cronache dai loro nomi! Tornate a
vivere, tornate a camminare su questa sterile Terra, costellazioni
dimenticate!!!”
Di fronte a lui, dietro a
Orochi, Siderius e al Licantropo, e ad Athanor inginocchiato alla sua destra,
ricomposero le fila gli uomini che avevano ricevuto le Armature di Cavalieri
che Atena aveva sconfessato nel corso dei secoli. Cavalieri che l’avevano
tradita, o che non erano stati all’altezza. Cavalieri i cui simboli erano stati
soppiantati dalla modernità, che del loro antico splendore aveva fatto strage.
Il Vendemmiatore, il Sudario di
Cristo, la Tartaruga, lo Scettro di Brandeburgo, l’Ape nera, le Spade
Incrociate, il Quadrante Oscuro, il Galletto e altri simboli, le cui corazze
erano state forgiate nuovamente da Athanor, sugli schemi degli Alchimisti che
molte volte vi avevano provato in passato, senza riuscirvi.
“Voi esistete ancora, stelle
estinte! E Atena, che è stata vostra carnefice, accettando il destino d’oblio
che la storia vi fu imposto, pagherà in prima persona l’errore di cui si è
macchiata! Sentirà sul suo fragile collo di donna l’alitare furioso delle
costellazioni dimenticate!!!” –Ringhiò Flegias, infiammando i cuori
dell’esercito inginocchiato di fronte a lui. L’Esercito delle Ombre, che presto
avrebbe invaso il mondo.
“Ho un’altra buona notizia, mio
Signore!” –Sibilò Athanor, con il capo chino, attirando l’attenzione del
Maestro di Ombre. –“Ikki di Phoenix! È stato trovato! Non era poi così distante
da noi, anche se prima non avevamo posto lo sguardo su quella vecchia isola!”
“Molto bene, mio viscido
servitore! Questa notizia forse mi farà dimenticare i ritardi con cui non hai
rispettato le consegne! Ah ah ah!” –Sghignazzò Flegias, tirando un calcio sul
viso ad Athanor e sbattendolo a terra, prima di voltarsi verso i tre Capitani
dell’Ombra. –“Orochi! Ho una missione per te! Conducila come vuoi, ma il
risultato dev’essere uno! Voglio la testa dell’Araba Fenice servita su un
piatto di tenebra! Voglio appenderla nella sala del trono e guardare il suo
volto ogni giorno, per ricordarmi la sua sconfitta!”
“Come comanda!” –Affermò
semplicemente Orochi, mettendosi in piedi e facendo per muoversi, prima che una
voce squillante lo distrasse.
“Inviate me, Maestro di Ombre!”
–Esclamò uno dei Cavalieri investito poco prima della sua nera armatura.
–“Ucciderò io Ikki di Phoenix!”
“Tu, Scettro? Neanche sei uno
dei Capitani dell’Ombra, e dovrei essere così sciocco da inviarti ad affrontare
un uomo capace di tenere testa persino a me?!” –Domandò Flegias, disturbato ma
al tempo stesso incuriosito da quell’intrigante personaggio. In fondo,
conosceva bene la sua storia, per averlo lui stesso preso con sé anni addietro,
e conosceva l’uomo che aveva avuto come maestro.
“Avrei potuto tranquillamente
essere l’ottavo! O prendere il posto di uno di loro!” –Esclamò fiero il
Cavaliere nero dello Scettro di Brandeburgo, incontrando lo sguardo ostile di
Orochi e di Siderius. –“Vi porterò la testa di Phoenix in poche ore! Ho una
motivazione in più rispetto a chiunque per confrontarmi con lui! Una
motivazione che mi permetterà di vincere!”
“E sia, Scettro! Occupatene tu!
Torna con la testa di Phoenix o non tornare affatto!” –Esclamò Flegias, dando
le spalle al Cavaliere Nero e agli altri Capitani dell’Ombra e incamminandosi
verso i sotterranei dell’Isola. Blindato nella sua caverna, dall’alto del suo
trono di amianto, avrebbe assistito alla trionfale marcia dell’Esercito delle
Ombre, una marcia destinata ad annientare la Terra intera.
CAPITOLO QUATTORDICESIMO: I DISCEPOLI DIMENTICATI.
Con un balzo Andromeda
evitò la pioggia di lance energetiche che Iaculo, il Serpente Giavellotto,
gli aveva appena lanciato contro. Quindi contrattaccò in fretta, dirigendo la
saettante Catena verso il nemico e osservandola moltiplicarsi in tantissime
copie, che guizzarono nel tramonto asiatico, incendiando l’aria di scintille.
Nuovamente Iaculo si irrigidì, piantandosi nel terreno e diventando un duro
ammasso di materia contro cui la Catena si schiantò, senza riuscire a
scheggiarlo né a ferirlo. Inerme, proprio come Andromeda aveva avuto modo di
verificare nei minuti precedenti. Il Capitano dell’Ombra assumeva
quell’innaturale posizione, sfruttando il potere del suo simbolo anche per
difendersi, non soltanto per attaccare.
Le sue riflessioni furono
interrotte dallo scatto rapido del suo avversario, che si lanciò contro di lui
con tutto il corpo, rigido e pungente, come un giavellotto di energia.
Andromeda richiamò le Catene, di cui si circondò per proteggersi, ma venne
comunque spinto indietro dall’urto, barcollando sul terreno erboso ed
esponendosi in questo modo alla carica del suo secondo nemico. Iemisch, la
nera Tigre d’Acqua, affondò nell’interno coscia i sottili e taglienti
artigli che ben maneggiava, lasciando che sangue sprizzasse copioso. Di fronte
al suo sguardo soddisfatto e malizioso.
“Sei in difficoltà, Cavaliere di
Andromeda?!” –Sogghignò Iemisch, osservando il ragazzo tastarsi la gamba, che
gli ardeva di dolore per le unghiate appena subite. –“Non sembri proprio
corrispondere alla preoccupazione che affliggeva il nostro Signore!” –Ironizzò,
prima di concentrare il cosmo sulle mani e caricare un nuovo assalto. Veloce e
preciso, ma anche molto potente.
Per difendersi, Andromeda liberò
la catena, disponendola sul terreno sotto forma di tagliola, falciando così
l’assalto della Tigre d’Acqua, che rimase inizialmente stupito da quella strana
tecnica del Cavaliere di Atena. Con un colpo secco Andromeda lo colpì alle
gambe, fermando la sua rapida corsa, ma non appena sollevò la Catena d’Attacco,
per scagliarla contro di lui, venne raggiunto in pieno petto dal nuovo assalto
di Iaculo e spinto indietro.
“Non riesci proprio ad
affrontarci entrambi!” –Commentò Iaculo, sfoderando un arcigno sorriso di denti
gialli. –“O forse ti trascini nell’attesa che Phoenix venga a salvarti?”
“Co…come?!” –Balbettò Andromeda,
incredulo.
“Flegias ci ha informato che tuo
fratello ha il vizio di correre sempre in tuo aiuto, ogni volta che sei nei
guai! Praticamente… sempre!” –Ironizzò Iaculo, lasciando piovere una fitta
sequela di lance di energia contro Andromeda, obbligandolo a muoversi
continuamente, a non restare mai fermo, neanche un centesimo di secondo, onde
evitare di essere trafitto da quegli attacchi così precisi.
“Non ho bisogno di mio fratello
per vincere i miei avversari!” –Precisò Andromeda, disponendo la catena attorno
a sé, in modo da formare un mulinello contro cui le lance energetiche di Iaculo
si schiantarono.
“Usi ancora la tua arma?! Non
hai capito che non basta per fermarmi?!” –Mormorò Iaculo, irrigidendosi
nuovamente e scattando verso Andromeda, come fosse un giavellotto vivente.
Iemisch, rimasto in disparte, si abbandonò a un sorriso divertito quando vide
Andromeda respingere il Capitano dell’Ombra con un’onda di energia.
“Credi che sia stupido? È vero,
la Catena non può impedirti di sbilanciarmi all’indietro, ma posso sempre
fermarti prima che tu mi raggiunga!” –Esclamò, con il braccio destro ancora
carico di scintille incandescenti.
“Urgh! Astuto l’amico! Con
quell’aria da vergine immacolata…. Ammetto di averlo sottovalutato!” –Disse
Iaculo, rimettendosi in piedi e pulendosi il sangue che gli colava dal labbro.
–“Ma non accadrà una seconda volta!” –Aggiunse, aprendo il palmo della mano e
creando una lancia di energia cosmica verdastra. –“Conosco bene la tua arma,
Flegias me ne ha parlato! E so anche qual è il suo punto debole!” –Sogghignò
Iaculo, iniziando a correre avanti. Andromeda rimase ad osservarlo con
attenzione, pronto per caricare una nuova onda energetica con il quale
respingerlo, nel caso avesse tentato di lanciarsi contro di lui. Ma Iaculo si
fermò a pochi metri dal Cavaliere, piantando la lancia nel terreno e
scaricandovi violente folgori di energia, che infiammarono il suolo, esplodendo
proprio sotto i piedi di Andromeda.
“Aaaah!!!” –Esclamò il ragazzo,
sbalzato in alto, mentre migliaia di lance di energia sorgevano dal terreno,
dirigendosi contro di lui. Molte colpirono l’Armatura Divina, una protezione
difficilmente superabile, ma qualcuna raggiunse le parti del corpo lasciate
scoperte dalla corazza, soprattutto le mani e l’interno coscia.
Quando Andromeda ricadde sul
terreno, con le Catene tutte sparse attorno a lui, non fece in tempo neppure a
rimettersi in piedi, che venne afferrato per il collo da Iemisch e sbattuto
contro un albero. Un po’ stordito per le scariche energetiche subite, il
ragazzo sembrò non udire altro che lo scricchiolare sinistro delle ossa del suo
collo, un rumore così vicino al suo orecchio. Fece per muovere le Catene ma
Iaculo piantò due lance di energia nei palmi delle sue mani, crocifiggendolo
all’albero in una posa innaturale, che gli piegò le braccia all’esterno,
strappando ad Andromeda uno strillo di dolore, subito soffocato da Iemisch.
“Addio, ragazzo!” –Sogghignò la
Tigre nera, con soddisfazione e orgoglio per quella missione che doveva
concludersi proprio così. Con il suo trionfo. Non avrebbe accettato una
soluzione diversa, perché qualunque fosse stata non sarebbe stato ciò che
Flegias aveva chiesto. E ciò che egli si era impegnato a mantenere.
Di Andromeda e dei Cavalieri di
Atena a Iemisch non importava particolarmente. Lui era un soldato e ciò che
voleva era combattere, abbandonandosi a continue prove di forza, dove avrebbe
potuto ben dimostrare tutto il suo valore e la sua potenza. Per questo serviva
Flegias, affinché i suoi meriti e le sue qualità fossero riconosciute. E anche
se il Maestro di Ombre aveva scelto Orochi come Capitano supremo, egli era
certo di riuscire a fargli cambiare idea, grazie ai successi che avrebbe
riportato in battaglia. Del resto Iemisch era perfettamente convinto di essere
l’unico in grado di guidare l’esercito delle ombre che Flegias stava
organizzando, poiché era l’unico che disponesse in misura equilibrata di forza
e cervello. Cosa che, secondo lui,non
poteva affatto dirsi degli altri Capitani.
Orochi era infatti un colosso,
privo di qualsiasi forma di intelligenza, e Iaculo e Licantropo erano esseri
deformi e grotteschi, buoni solo per insanguinare il campo di battaglia, in
attesa dell’arrivo dei veri condottieri. Lamia era una donna, e come tale era
inferiore. E Leviatano era troppo coinvolto emotivamente per poter essere
veramente utile in guerra. Infine c’era Siderius, di cui Iemisch sapeva ben
poco, soltanto che era stato addestrato al Grande Tempio di Atene e che adesso
cercasse vendetta, per un qualche torto subito. Quali che fossero i suoi poteri
Iemisch non lo sapeva, ma era certo che non sarebbero potuti essere più grandi
dei suoi. Del resto egli era stato il primo a stringere tra le mani il collo di
un Cavaliere Divino, e lo avrebbe stretto finché Andromeda non avesse esalato
l’ultimo respiro. Poi, tenendolo sempre nel suo pugno, lo avrebbe portato a
Flegias, trofeo della sua vittoria.
Ciò che non aveva però
considerato era la capacità di ripresa dei Cavalieri di Atena, ricchi di valori
più profondi dei suoi. Valori per cui valesse davvero la pena combattere.
Improvvisamente la mano di
Iemisch iniziò a surriscaldarsi, mentre l’uomo osservava interessato, e con un
certo stupore, il corpo di Andromeda avvolto interamente in un cosmo rosa e
lucente. Un cosmo che andava crescendo sempre di più, fino a sovrastare il suo.
Fino a strappar via le lance di energia piantatesi nelle sue insanguinate mani
e a spingere indietro anche lo stesso Iemisch, travolto da una corrente di
energia cosmica che non aveva mai provato prima.
“Nebulosa di Andromedaaa!!!”
–Gridò il Cavaliere di Atena, liberando la galassia che celava dentro e
riversandola sotto forma di tempesta energetica contro i due Capitani
dell’Ombra.
Iemisch venne travolto in pieno
e, per quanto cercasse di resistere, piantando i piedi nel terreno, venne
scaraventato indietro, ruzzolando sul terreno per diversi metri fino a
schiantarsi contro un albero, con l’armatura danneggiata in più punti. Iaculo,
avvertito il pericolo, balzò in cima ad un albero, prima di irrigidirsi e
lanciarsi nella tempesta, come un giavellotto di energia, diretto verso
Andromeda. Ma la potenza della Nebulosa era talmente grande da respingere
persino il suo assalto, scaraventandolo via quando era a pochi metri dal
Cavaliere di Atena. Iaculo riuscì però a far cadere una pioggia di lance
energetiche contro Andromeda, colpendolo sulle spalle e scheggiando la sua
Armatura, obbligandolo a portare un ginocchio a terra, indebolito dal
susseguirsi di scontri di quella lunga giornata e dalla ferita di Biliku, che
non aveva mai smesso di infiammarlo.
Questo permise alla corrente
della Nebulosa di scemare leggermente e a Iemisch di rimettersi in piedi,
osservando Andromeda crollare a terra sfinito, toccandosi lo squarcio al collo.
Lo scontro con Biliku aveva succhiato parte della sua energia vitale, come se
l’antica creatura non fosse stata interessata a nutrirsi del suo corpo, ma
della sua stessa linfa esistenziale. In quell’attimo in cui Andromeda aveva
sentito Biliku dentro di sé, nella sua mente, gli era sembrato di scomparire,
quasi risucchiato da un vortice di creazione e distruzione capace di portarlo
indietro, all’alba dei tempi. Completamente immerso nel nulla.
“Hai combattuto bene, Cavaliere
di Andromeda! E forse, se tu non avessi affrontato Biliku, avresti anche potuto
vincerci entrambi!” –Esclamò Iemisch, con tono serio, di fronte allo sguardo
stupito di Iaculo. –“In effetti, credo proprio di esserti inferiore!”
“Ma che sciocchezze stai
dicendo? Uccidiamolo e facciamola finita!” –Ringhiò Iaculo, concentrando il
cosmo nella mano destra in una lunga lancia di energia. –“Muori, cane di
Atena!” –Gridò, calandola sulla testa di Andromeda.
Ma improvvisamente una luce
dorata invase la foresta equatoriale, accecando i Capitani dell’Ombra e
spingendoli indietro, con un’onda di energia che risucchiò la lancia di Iaculo,
sbattendolo a terra a gambe all’aria. Iemisch invece, per quanto spinto indietro,
riuscì a mantenersi saldamente in equilibrio, incrociando le braccia avanti a
sé e proteggendo lo sguardo calando una visiera di vetro nero sugli occhi.
“Che succede adesso? È giunto
davvero Phoenix a salvarlo?!” –Esclamò Iaculo, rimettendosi in piedi.
Ma del Cavaliere della Fenice
non c’era alcuna traccia. Bensì, sospesi nell’aria sopra il corpo svenuto di
Andromeda, tre figure avvolte da un aureo manto di luce erano appena comparse,
avvolgendo il Cavaliere di Atena in una cupola protettiva, per rinfrancare il
suo corpo ferito. Osservandoli, i Capitani dell’Ombra riconobbero che erano due
uomini e una donna e non indossavano alcuna armatura da battaglia, soltanto
abiti color arancione, di aspetto simile a quelli dei monaci. E questo li stupì
non poco, poiché percepivano in loro un potenziale livello di conoscenza del
cosmo che soltanto dei Cavalieri avrebbero potuto avere.
“Monaci volanti?!” –Sgranò gli
occhi Iaculo. –“Chi diavolo siete, voialtri?”
“Hai così tanta necessità di
saperlo? Potremmo anche dirtelo, ma in fondo cos’è un nome? Niente più di
un’etichetta con cui indicare una persona, rendendola simile ad un oggetto!”
–Commentò uno dei due uomini. –“E il materialismo è deplorevole come la
guerra!”
“Anche filosofi siete? Beh, poco
importa! Toglietevi di mezzo e lasciateci completare la nostra missione! Ne ho
fin sopra i capelli di quest’isola e di tutte le sue stramberie!” –Esclamò
Iaculo, facendo avvampare il suo cosmo, che concentrò sulla mano sotto forma di
un mucchio di lance di energia.
“Misura le tue parole,
straniero! Offendi i misteri di quest’isola e di colei che vi dimora!” –Rispose
la donna, mentre l’uomo che ancora non aveva parlato abbandonò la sua posizione
meditativa, levitando fino a terra e chinandosi su Andromeda, per aiutarlo a
riprendersi e a mettersi in piedi.
“Sei debole? Riesci a
camminare?” –Gli domandò con sincera preoccupazione.
“Sì… io credo di sì!” –Balbettò
Andromeda, senza capire chi fossero quei tre uomini.
“Adesso basta! Filosofi o
mentecatti, vi manderò tutti all’Inferno! Morite! Concatenazione!!!” –E
fece piovere sui quattro una pioggia fittissima di lance di energia, che
piombarono all’istante dal cielo. Andromeda si mosse per evitarle, ma l’uomo al
suo fianco lo pregò di restare calmo e di risparmiare forze. Proprio in quel
momento una cupola di luce accecante apparve attorno a loro, sormontandoli e
proteggendoli dall’assalto di Iaculo, che non riuscì ad incrinare tale difesa,
apparentemente sottile ma molto resistente.
“Kaan!!!” –Gridarono
l’uomo e la donna ancora sospesi in aria, prima che anche il cosmo del secondo
uomo si unisse a loro, generando un’onda di luce che scivolò fuori dalla cupola
di energia, travolgendo la pioggia di lance e abbattendosi su Iaculo. –“Abbandono
dell’Oriente!!!” –Esclamarono i tre, mentre il Capitano dell’Ombra veniva
scaraventato molti metri addietro, con l’armatura distrutta in più punti.
A sentire quel grido Andromeda
si voltò verso di loro e si accorse soltanto allora che i tre avevano gli occhi
chiusi, e questo lo fece sobbalzare, ricordandogli un Cavaliere d’Oro che aveva
affrontato in passato. Il custode della Sesta Casa di Virgo.
“Ma… questo colpo segreto!!! È
il colpo di Virgo!” –Esclamò.
“Di lui infatti siamo stati
discepoli, Andromeda!” –Affermò l’uomo sospeso più in alto: Dhaval, il puro.
“Discepoli di Virgo, hai detto?
Mio fratello me ne parlò. Durante la scalata alle Dodici Case, prima di
giungere in nostro aiuto, egli affrontò due di voi! Loto e Pavone erano i loro
nomi!” –Esclamò Andromeda.
“Umpf, Loto e Pavone!” –Affermò
Dhaval, con tono dubbioso, e a tratti scocciato. –“Non sono certo stati un
modello da imitare! Troppo chiusi e accecati dal loro borioso integralismo da
non saper discernere la verità dalla menzogna!”
“Pur tuttavia sono stati nostri
compagni, e abbiamo pregato per loro quando abbiamo udito i loro cosmi
spegnersi nell’oblio!” –Aggiunse la donna, prima che la voce di Iaculo
richiamasse tutti loro.
“Credete forse di essere in un
salotto a conversare?!” –Ringhiò, stringendo una lancia di energia in mano.
–“Qua siamo in un guerra, e in guerra… si combatte!!!” –Aggiunse, scattando
contro di loro, ancora protetti dalla dorata cupola del Kaan, e
piantando la sua lancia nella barriera, infondendogli violente scariche di
energia, che la fecero tremare fino in profondità, obbligando i tre discepoli
di Virgo ad uno sforzo ancora maggiore per mantenerla integra.
Non ci riuscirono, a causa delle
tremende scariche cosmiche di Iaculo, e il Kaan andò in frantumi,
proprio mentre i tre discepoli e Andromeda scattavano in direzioni diverse,
portandosi attorno al Capitano dell’Ombra, in modo da accerchiarlo. Iemisch
rimase di lato, con le braccia incrociate al petto, ad osservare interessato
quel nuovo scontro. Era un felino, e possedeva l’istinto del predatore, e come
tale sapeva bene che prima di scattare verso la preda era importante studiarla
attentamente. Per poter sfruttare i suoi errori e le sue debolezze. Tattica, la
chiamava lui. Codardia, gli avrebbe risposto Iaculo.
Ma il Serpente Giavellotto non si
lasciò intimorire dalla superiorità numerica dei suoi avversari, che sapeva
fosse soltanto di facciata. Poiché, a livello di cosmo, era certo di essere
loro superiore.
“Concatenazione!!!”
–Gridò, dirigendo verso la donna una pioggia di giavellotti di energia,
obbligandola a ricreare una nuova cupola dorata attorno al suo corpo, onde
evitare di essere trafitta. Ma l’altro discepolo, quello che ad Andromeda era
parso colui che li guidasse, storse subito il naso per tale azione avventata.
“In guerra bisogna comunque
rischiare!” –Disse Dhaval, concentrando il cosmo tra le mani e liberando un
ventaglio di energia, che si chiuse su Iaculo, proprio mentre la cupola della
donna andava in frantumi ed ella veniva raggiunta da un nugolo di lance
affilate. –“Tirtha, la tua strategia difensiva lascia molto a desiderare!”
–Aggiunse, rimproverando la donna, che cercava di rimettersi in piedi,
nonostante le ferite e i tagli sul corpo. Iaculo venne spinto indietro
dall’attacco energetico del discepolo di Virgo e quando fece per contrattaccare
si accorse di non essere in grado di muoversi, immobilizzato in una posa
innaturale da cerchi di energia dorata che l’altro uomo aveva generato con la
mente.
“Ottima mossa, Pavit!” –Si
complimentò Dhaval, avvicinandosi assieme ai compagni al Capitano dell’Ombra,
intrappolato all’interno di cerchi concentrici di energia spirituale, dalle
intense sfumature oro. –“L’intelletto vince sempre sulla forza bruta!”
“Uuh, che linguaggio volgare! Di
buone maniere non sei certo maestro!” –Ironizzò Dhaval, prima di volgere lo
sguardo verso Iemisch, che continuava ad osservare la scena a debita distanza,
con le braccia incrociate al petto. –“E tu non corri a liberare il tuo compagno?”
“Quale compagno?! Io vedo solo
uno sconfitto! Un guerriero che non è capace di portare a termine la propria
missione, facendosi sconfiggere da tre ragazzini che ancora non hanno visto
l’alba della pubertà, non è degno di definirsi tale!” –Esclamò Iemisch, con
tono sprezzante.
“Attento a come parli, Iemisch!
O pianterò nel tuo cranio le mie lance di vittoria!” –Ringhiò Iaculo,
espandendo il proprio cosmo, dalle oscure sfumature verdastre.
“Attenti! Allontanatevi!!!”
–Gridò Andromeda ai tre discepoli, i quali, troppo vicini al Capitano
dell’Ombra, vennero spinti indietro dalla repentina esplosione del suo cosmo
oscuro, incapaci di continuare a bloccare i suoi movimenti. Subito Iaculo
caricò uno di loro, il ragazzo dai capelli fulvi che lo aveva immobilizzato con
i cerchi di energia, colpendolo con un violento calcio sul mento e
scaraventandolo contro un albero poco distante. Quindi si voltò verso gli altri
due, sollevando un braccio al cielo, pronto per trafiggerli con le sue lance,
ma Andromeda, che non aspettava che quel momento, fu più svelto di lui,
lanciando la catena, che si attorcigliò attorno al suo polso, strattonandolo
con forza verso di sé. –“Iaculo!!! Sono io il tuo avversario!!!”
“Siete tutti miei avversari!”
–Sogghignò il Serpente Giavellotto, avvampando nel suo tetro cosmo. Ma
Andromeda, determinato ormai a concludere quello scontro prima che l’isteria
del Capitano dell’Ombra dilagasse ulteriormente, seppe rispondergli con le sue
stesse parole.
“Non riuscirai ad affrontarci
entrambi!” –Esclamò, prima di scagliare anche l’altra catena. –“E non ti
permetterò di sconfiggere questa mia convinzione!!! Vai, Onda del Tuono!!!”
–L’agile arma di Andromeda procedette a zigzag nell’aria satura di energia,
schiantandosi con forza sul bracciale destro del Serpente Giavellotto,
mandandolo in frantumi e affondando nel suo esile arto.
“Aaargh!!! Maledetto, ti farò
soffrire Andromeda!” –Gridò Iaculo, stringendo i denti per il dolore. Ma il
Cavaliere di Atena non gli diede tregua alcuna, caricando il polso destro di
guizzanti folgori di energia, che diresse contro di lui, stritolandolo in un
incandescente abbraccio.
“Onda energeticaaa!!!”
–Esclamò, scaraventando Iaculo molti metri addietro, con l’armatura in frantumi
e numerose ustioni su tutto il corpo. Non lo aveva notato fino a quel momento,
ma il Capitano dell’Ombra era veramente magro, molto più di lui, secco come un
chiodo. Come le lance di energia con cui amava torturare i propri nemici. La
guerra, per lui, non era mai stato un dovere, né una missione, ma solo un
sadico piacere, che soddisfaceva al vuoto della sua vita. Per questo Flegias lo
aveva scelto, convinto che, con un unico scopo da raggiungere, e con tanto
piacere da provare nell’avvicinarsi ad esso, egli non avrebbe mai fallito.
Iaculo rantolò sul terreno,
contorcendosi come un serpente, con i lunghi capelli marroni strappati dalle
folgori di Andromeda. Lanciò un’occhiata piena d’ira verso il ragazzo ed
espanse ancora il suo cosmo, ma non riuscì a rimettersi in piedi che venne
travolto da un’onda di energia dorata, scagliata congiuntamente dai tre
discepoli di Virgo.
“Abbandono dell’Oriente!!!”
–Gridarono Dhaval, Tirtha e Pavit, falciando la vita del Capitano dell’Ombra,
di cui rimase solo una carcassa ossuta e tinta di sangue. A causa dello sforzo,
Tirtha e Pavit crollarono sulle ginocchia, e persino Dhaval, che sempre amava
mostrarsi integro e senza sbavature, si abbandonò ad un respiro affannoso. E
comunque soddisfatto.
“Molto bravi! Mi avete
impressionato! Sì, lo ammetto: sorpreso e impressionato!” –Esclamò Iemisch,
battendo le mani in segno di applauso e avvicinandosi a Andromeda e ai tre
discepoli di Virgo. –“Ciò non toglie che porterò a termine la mia missione,
Andromeda! Flegias mi ha ordinato di ucciderti e io lo farò! Costi quello che costi,
tu sarai il mio trofeo! La preda della mia caccia!” –Sogghignò, sfoderando un
arco di denti brillanti e aguzzi, simili a quelli di una fiera. –“Cura le tue
ferite, Cavaliere! La Tigre d’Acqua non ama nutrirsi delle carcasse dei
moribondi! Quelle le lascio agli avvoltoi, a gente infima come Iaculo! Io cerco
la sfida, l’ebbrezza della caccia! E sono certo che tu saprai regalarmi tali
emozioni!” –E strizzò un occhio al Cavaliere di Atena, prima di avvolgersi nel
suo cosmo e scomparire nella notte che ormai era calata su tutti loro.
–“Aspettami, Andromeda! Perché io tornerò!!!” –Nient’altro aggiunse, la nera
Tigre d’Acqua, se non una risata squillante, che risuonò nella notte della
foresta equatoriale.
Andromeda rimase in silenzio per
qualche secondo, con lo sguardo cupo, a tratti malinconico, a tirare le fila di
quella lunga giornata. Era la prima volta, da quando Kiki lo aveva trascinato
via dall’Isola di Andromeda, in cui poteva essere veramente libero per pensare.
Al Grande Tempio, e all’ampolla con il sangue di Biliku che avrebbe dovuto
salvare i Cavalieri suoi amici. A suo fratello Phoenix, ancora in giro chissà
dove, spirito errante negli angusti confini del mondo. E infine a Nemes, la
donna che aveva ammesso di amare.
“Cavaliere di Andromeda!” –Lo chiamò
Dhaval, avvicinandosi. –“Hai bisogno di cure e di cibo! Vieni con noi! Saremo
ben lieti di condividere la nostra mensa con te!”
“Vi ringrazio, nobili discepoli
di Virgo, ma credo che la mia presenza sia richiesta altrove!” –Commentò il
ragazzo. –“Inoltre… ho un gran mal di testa, per tante cose che ancora non
riesco a capire!”
“Forse possiamo aiutarti a
chiarire alcuni tuoi dubbi!” –Sorrise Dhaval, per la prima volta, allungando un
braccio verso Andromeda, il quale, seppur riluttante, ricambiò il gesto
dell’uomo, afferrandolo e venendo avvolto da una sottile aura dorata. Tirtha e
Pavit arrivarono all’istante, stringendo le mani degli altri due, in modo da
creare un piccolo cerchio intimo, ove i loro cosmi si mescolarono,
rinfrancandosi l’un l’altro.
Senza che Andromeda neppure se
ne rendesse conto, si ritrovò sospeso in aria, a qualche metro da terra, con il
corpo ricoperto da una luccicante polvere d’oro. Una polvere che era molto
simile a quella che aveva visto usare a Mur per riparare le loro armature. I
discepoli di Virgo chiusero gli occhi, concentrando i sensi, e a un cenno di
Dhaval il piccolo cerchio iniziò a muoversi, dapprima lentamente, poi sempre
più velocemente, fino a sfrecciare nella foresta, e a passare oltre. Al di là
del mare. Fino a ritrovarsi sulla terraferma.
“Dove siamo?!” –Chiese infine
Andromeda, quando il cerchio mistico toccò di nuovo terra e le luci dei loro
cosmi calarono di intensità. Tutto attorno vi era una fitta foresta scura e
soltanto la luce della luna, alta sopra di loro, illuminava l’ambiente
circostante. Andromeda si guardò intorno per capire, ma Pavit gli fece cenno di
non porsi domande. In fondo ne aveva già molte a cui dover dare una risposta.
“A casa!” –Esclamò Dhaval,
incamminandosi lungo un sentiero tra gli alberi altissimi, procedendo a passo
sicuro in un luogo che l’uomo e i suoi compagni dovevano conoscere molto bene,
essendo infatti stata la loro dimora negli ultimi anni. Da quando avevano
abbandonato Kasia Kusinagara. Da quando avevano fallito e non erano riusciti a
divenire Cavalieri di Atena. –“A casa!” –Ripeté l’uomo, spostando alcune felci
e rivelando la loro destinazione. Un paesaggio magnifico. Un edificio che
Andromeda aveva ammirato soltanto in sbiadite fotografie in bianco e nero negli
atlanti dell’orfanotrofio.
Angkor Wat, l’immenso sito ove
erano sorte alcune capitali dell’impero Khmer, a nord del lago Tonle Sap, la
più grande distesa d’acqua interna del Sud-Est asiatico.
Andromeda rimase a bocca aperta
ad osservare l’affascinante complesso templare, considerato il più grande del
mondo. La luce della luna illuminava le antiche torri, lasciando rifulgere i
visi sorridenti che ornavano le terrazze superiori. Era un luogo di culto
enorme, che aveva visto susseguirsi secoli di storia, di religioni, di
cambiamenti nella mentalità degli uomini. E di Dei che caddero in rovina,
venendo sostituiti da nuovi idoli. Pavit, immaginando lo stupore del ragazzo,
gli mise una mano su una spalla, incitandolo a procedere, in silenzio,
attraverso il terreno libero di fronte alle mura esterne.
“Fece anche a me lo stesso
effetto la prima volta che vi giunsi!” –Disse a bassa voce, strappando un
sorriso al Cavaliere. Ma Tirtha lo pregò di tacere, avvolgendosi ancora di più
nelle sue vesti e iniziando lentamente a divenire evanescente. Fino a quel
momento Andromeda non l’aveva notato, ma adesso, sotto la pallida luna
dell’Asia orientale, i tre discepoli di Virgo parvero davvero eterei, parvero
davvero nascondersi allo sguardo umano e a divenire un tutt’uno con l’aria del
tempio sacro.
Dhaval guidò Andromeda a passo
sicuro sopra il terrazzamento della città, lungo la galleria più esterna, tra
sculture in pietra e simboli incisi sulla roccia che Andromeda aveva timore
anche solo ad osservare, tanto grande era la sacralità che parevano emanare.
Ricordava poco delle nozioni apprese su Angkor, ma era certo che fosse stato in
passato un tempio induista, e poi buddista. Prima di essere dimenticato, e poi
depredato meschinamente. Giunti in un chiostro a forma di croce, Dhaval rallentò
il passo, invitando Andromeda a rilassarsi, poiché in quel luogo erano
certamente al sicuro. Il Cavaliere di Atena sorrise, sforzandosi di mostrarsi
grato, continuando a guardarsi attorno estasiato e a incrociare lo sguardo di
mille raffigurazioni di Buddha e di molte altre iscrizioni che tappezzavano le
pareti del chiostro.
“Questo è il Preah Pohan di
Angkor Wat! Il Salone dei Mille Buddha!” –Spiegò Dhaval, con orgoglio. –“Ed è
qua che ci rechiamo a pregare, e a incidere una nostra buona azione, come tutti
i pellegrini prima di noi!”
“Ma voi… chi siete realmente?!”
–Domandò infine Andromeda, pieno di riconoscenza per l’aiuto che aveva
ricevuto, ma anche pieno di dubbi.
“Domanda lecita la tua! E a
rispondere sarò io, Dhaval il puro, discepolo di Virgo, anche se non tra i suoi
prediletti!” –Commentò l’uomo, sedendo sul pavimento in posizione meditativa.
Presto imitato dai suoi compagni. –“Loro sono Tirtha, la pellegrina, e Pavit,
il devoto! Siamo tutto ciò che resta di un gruppo di dieci discepoli indiani,
desiderosi di attingere alle vie infinite della conoscenza, che avevano riposto
in Shaka, Cavaliere d’Oro di Virgo, le loro massime aspettative, credendo che
egli potesse realmente aprirci la via verso l’assoluto! Ammetto oggi, non senza
un certo dispiacere, che tali speranze sono rimaste disilluse! Virgo è stato un
ottimo maestro, non lo metto in dubbio, ma era troppo accecato dal suo
orgoglio, dalla sua presunta superiorità, per provare pietà e sincero interesse
verso il prossimo! E questo era contrario ai nostri ideali, questo era qualcosa
che realmente non riuscivamo a capire! Noi volevamo divenire Cavalieri di Atena
per esportare la giustizia, soprattutto lungo il Gange, sulle cui rive siamo
nati e dove abbiamo assistito alla morte per malattia e per denutrizione dei
nostri amici e parenti stretti! Ma Virgo voleva da noi qualcosa di più! Voleva
che lasciassimo ogni legame con questa Terra per assurgere alla conoscenza
assoluta, qualcosa a cui non siamo mai riusciti ad arrivare! Per questo non abbiamo
ottenuto l’investitura!”
“Quattro erano le armature a cui
ambire!” –Intervenne allora Tirtha. –“Tre corazze d’Argento, che sarebbero
andate ai più meritevoli, e una di Bronzo! Ma nessuna di loro aderì ai nostri
corpi! Loto, Pavone e Birnam furono i beneficiari delle Armature d’Argento!”
–Sospirò, prima che Pavit riprendesse, con voce spezzata.
“E ad Ana andò la quarta
corazza, quella del Pittore!” –Non aggiunse altro e abbassò lo sguardo, senza
nascondere il dolore che soltanto al nome della donna si era impossessato di
lui. E Andromeda intuì che vi fosse dietro una lunga storia.
“Investiti i migliori, Virgo
ebbe altro di cui occuparsi! La guerra contro Crono, la necessità di fermare i
Titani, il suo ruolo di consigliere del Sacerdote! I discepoli che non aveva
saputo aprire alla conoscenza furono dimenticati e le porte di Kasia Kusinagara
ci vennero chiuse! Così lasciammo l’India, con l’angoscia nel cuore per non
aver saputo aiutare i nostri cari, e vagammo per le terre del Sud-Est Asiatico,
nutrendoci di frutti e di bacche, fino a lambire i confini occidentali
dell’immenso complesso templare di Angkor Wat! Qua ci stabilimmo e continuammo
ad addestrarci per tutti questi anni, tentando ancora, questa volta da soli, di
raggiungere quei livelli di conoscenza che avevamo soltanto sfiorato durante
l’addestramento con Virgo! E ci riuscimmo! In parte ci siamo riusciti! Abbiamo
ottenuto la padronanza del cosmo e affinato i nostri poteri! Certo, come avrai
visto anche tu, non siamo dei guerrieri, né vogliamo esserlo, ma siamo in grado
di difendere noi stessi e i deboli dai soprusi dei grandi! I deboli di cui
nessuno vuole mai farsi carico!”
“Capisco, nobile Dhaval!”
–Commentò Andromeda. –“Una storia triste, di ideali delusi e di speranze mai
abbandonate, è la vostra! Ma è anche una storia di felicità e di soddisfazioni,
perché infine avete trovato la vostra strada, infine avete raggiunto
l’illuminazione che avevate tanto inseguito! Dovreste esserne contenti, non è
così?”
“Contenti?!” –Mormorò Dhaval,
non troppo convinto. –“Non saprei Andromeda… Credo che la felicità sia qualcosa
che non raggiungerò mai in questa vita! Ci sono sempre ogni giorno troppi
motivi per non essere felici! I cadaveri che galleggiano nel Gange, le grida
soffocate degli affamati che latrano nel fango, la guerra che in questi anni
sta insanguinando questa nazione! Vedi forse motivi per sorridere?”
“Vedo motivi per cui lottare!”
–Rispose deciso Andromeda. E Dhaval annuì con il capo, prima di alzarsi in
piedi e invitarlo a seguirlo. Con Tirtha e Pavit dietro di loro.
Percorsero in silenzio la
galleria superiore fino a raggiungere il sacrario centrale e salire in cima
alla sua torre, a sessantacinque metri dal suolo. Là, in un’ampia sala decorata
con corpi di serpente che terminano in teste di leone o garuda, Andromeda
sembrò notare qualcosa di strano. Una parete era simile ad uno specchio e
pareva ondeggiare al muoversi dell’osservatore, rischiarata lievemente dai
raggi della luna. Su quella strana superficie il corpo di un uomo era appoggiato,
e riusciva a rimanere sospeso senza toccare terra, apparentemente privo di
sostegno. Avvicinandosi, Andromeda notò che il corpo non era appoggiato, ma era
proprio dentro allo specchio, intrappolato tra due mondi, in bilico tra due
dimensioni. Il Cavaliere di Atena represse un grido di stupore quando si
accorse di conoscere il suo volto.
Quell’uomo era infatti il
maestro di Dhaval, Tirtha e Pavit, il Custode della Sesta Casa dello Zodiaco. Shaka
della Vergine.
Andromeda non credeva ai suoi occhi. Di fronte a lui, bloccato a
mezza via in un portale tra due mondi, il corpo del Cavaliere di Virgo
risplendeva di pallida luce. Fermo ed immobile. Come il Custode della Sesta
Casa poteva rimanere per ore, nelle sue lunghe meditazioni solitarie.
Stupito, Andromeda si voltò
verso Dhaval, il Puro, chiedendo spiegazioni, mentre anche Tirtha e Pavit si
avvicinavano, con uno sguardo assente che non lasciava trasparire alcun dubbio
o timore.
“Cosa ci fa Virgo qua ad Angkor?
E perché è prigioniero di questo… di questo specchio?! Credevo che egli fosse
scomparso!”
“È una storia che risale a
parecchi mesi fa!” –Rispose Dhaval con voce calma. –“Ai giorni in cui
affrontavate il Dio della Guerra che aveva occupato il Grande Tempio e marciava
con i suoi berseker sull’Olimpo! Ai giorni in cui Virgo, nostro maestro, venne
massacrato da Ares e crocifisso sull’Isola dell’Apocalisse!”
“Ricordo questi eventi!”
–Mormorò Andromeda, abbandonandosi ad un sospiro. –“Castalia raccontò a Pegasus
e ad Atena tutto ciò che accadde sull’Isola, poiché Ioria sembrava non volerne
parlare, ancora afflitto dai sensi di colpa per non aver potuto salvare il
compagno!”
“Già! Mai come in quel momento
percepii il cosmo di Virgo ridotto al minimo! Neppure quando affrontaste Ade!”
–Affermò Dhaval.
“Voi sapete anche di Ade?”
–Sgranò gli occhi Andromeda, stupito da tutte le informazioni di cui il
discepolo di Virgo pareva disporre.
“Non siamo scomparsi dal mondo,
Andromeda! Tutt’altro! In questi anni vi abbiamo vissuto molto più di quanto
altri Cavalieri abbiano fatto, usando le nostre forze e i nostri poteri per
aiutare un popolo ridotto alla fame!” –Esclamò Dhaval, alzando il tono della
voce. –“La Cambogia è insanguinata da quasi vent’anni da una violenta guerra
civile, per stupide motivazioni politiche! Gli eserciti si combattono su tutto
il territorio nazionale e anche altri Stati sono entrati nel gioco! E chi
soffre maggiormente per tutto questo, chi davvero sente la guerra sulla sua stessa
pelle è la povera gente, la gente comune, che vive ammassata in villaggi tra la
polvere e il fango, mendicando acqua e un pugno di riso! Ecco cosa abbiamo
fatto negli ultimi anni! Abbiamo espanso il nostro cosmo fino a raggiungere
l’illuminazione, quella che per noi è stata tale! La consapevolezza che i
nostri poteri dovevano essere usati per aiutare i bisognosi, non per
combattere! Così, il giorno ci mescolavamo alle genti dei villaggi, per
aiutarli nei lavori umili, e la notte studiavamo ed esercitavamo i nostri
poteri nel sepolcrale silenzio di questo tempio! Nessuno ci ha mai disturbato!
Nessuno ha mai varcato il perimetro di Angkor Wat, neppure i soldati, che
combattono in aree distanti! Né i popoli delle terre attorno, troppo intimoriti
dalla mistica influenza di questo luogo! Soltanto due volte la nostra
meditazione è stata interrotta! E in entrambi i casi abbiamo ottenuto preziose
informazioni, sul mondo e sui nostri compagni, voi Cavalieri di Atena,
impegnati a dar battaglia agli Dei nemici nelle lontane terre di Grecia!
La prima volta è stata poco più
di un anno fa, in una notte senza vento come questa. Sentimmo una grande
agitazione nella foresta, e rumori di lotta poco distante. Per un momento
credemmo che i Khmer fossero arrivati fin qua, a sterminare coloro che
rifiutavano di combattere per loro, ma poi percepimmo un’oscura energia
annidarsi lungo i confini di Angkor! Un’energia intrisa di ombra e di fuoco!”
–Esclamò Dhaval, tenendo fisso lo sguardo su Andromeda, il quale, a quelle
parole, provò un brivido improvviso lungo la schiena, realizzando
improvvisamente.
“Flegias!!! Quel demonio… era
giunto fin qua?” –Esclamò.
“Non conosco il suo nome, né
voglio saperlo! Mi è bastato guardarlo negli occhi per un momento per sentire
la morte dentro al cuore! La morte di tutto ciò che credevo sacro! Quell’uomo
covava nell’animo un fuoco più dannato dell’Inferno e non esitò a rivolgerlo
contro di noi! Angkor venne messa a ferro e fuoco e le gallerie del tempio si
accesero di oscure fiamme di morte, che non riuscivamo a spegnere! Arnav e
Mahendra, due nostri compagni, allievi anche loro del Cavaliere di Virgo,
terminarono la loro esistenza terrena quella notte, ardendo in un rogo di
disperazione, per difendere questo santuario dal male! Nessuno di noi pareva
possedere l’energia necessaria per fermarlo, nessuno di noi che fosse
abbastanza folle da lanciarsi contro di lui! Pavit lo fu, e tutt’oggi ne porta
i segni!” –Commentò Dhaval, non nascondendo un sorriso sincero, mentre
Andromeda si voltava verso il discepolo dai capelli fulvi, che scopriva
entrambe le braccia dalla tunica, rivelando i cimeli di quella notte. Ustioni
profonde lungo gli arti.
“Ma cosa voleva Flegias? Perché
attaccò Angkor?” –Chiese Andromeda.
“Cercava qualcosa!” –Rispose
Dhaval a bassa voce. –“Un segreto nascosto tra le piaghe del tempo! Ancestrali
manufatti che, a sentir lui, erano stati celati nel mondo antico, forse proprio
in questo santuario! Ma non li trovò, e la sua cerca venne interrotta! Quando
tutto sembrava perduto, e Tirtha, Pavit ed io ci stringevamo assieme, di fronte
ai bassorilievi del Kurma, nella galleria orientale, un angelo disceseinfatti dal cielo per porgerci aiuto! E
allora ci rendemmo veramente conto che al mondo esistono misteri così profondi,
e ancora inesplorati, che è sciocco presumere di conoscere tutto!” –Sospirò
Dhaval, prima di ricominciare a narrare. –“Un uomo apparve tra le fiamme, che
sembravano inchinarsi al suo passaggio, quasi egli ne fosse il principe! Un
uomo alto e bello, rivestito da un’Armatura rossastra che pareva essere
costruita con il manto delle stelle tanto era luminosa e al tempo stesso
eterea! Si rivolse al demonio, che credo già conoscesse, con aria di sfida,
prima di scontrarsi brevemente con lui! Il suo intervento probabilmente distrasse
Flegias che, convinto forse che non era questo il luogo della sua cerca,
scomparve sogghignando in un turbine di ombre e fuoco! L’angelo si rivolse a
noi con un sorriso, pregandoci di abbandonare le nostre preoccupazioni e di
tornare a pregare, poiché la forza delle nostre preghiere, pure come i nostri
ideali, avrebbero dissipato ogni angoscia! Quindi scomparve anche lui,
portandosi dietro tutte le fiamme che avevano invaso Angkor, e sprofondandola
nuovamente nel silenzio della notte!”
“Incredibile! Il mistero si
infittisce! Flegias era dunque già attivo ben prima di recarsi sull’Olimpo! Mi
chiedo cosa stesse cercando!” –Rifletté Andromeda, tra sé, prima di chiedere
notizie sull’uomo che venne in loro aiuto. –“Era un Cavaliere di Atena?”
“Era un uomo che non avevo mai
visto prima, ma posso dirti per certo, e i miei compagni ben testimonieranno,
che nessun Cavaliere di Atena ha mai posseduto un cosmo simile! L’energia da
lui sprigionata rasentava livelli divini, come se cumuli di spiriti e di mito
albergassero in lui. Livelli che neppure il nostro maestro Virgo aveva mai
raggiunto!”
“Non mi avete ancora detto cosa
fa Virgo dentro questo specchio!” –Commentò Andromeda.
“Quella fu la seconda volta in
cui le nostre meditazioni vennero interrotte!” –Rispose Dhaval. –“Non pensavo a
lui da un po’ di tempo, troppo presi com’eravamo dalle cure ai feriti e ai
moribondi dei villaggi qua attorno, quando una sera sentii il suo cosmo
esplodere, portato al parossismo! Anche Tirtha e Pavit lo sentirono e mi
raggiunsero all’istante, sicuri che il nostro maestro stesse bruciando tutto
ciò che restava della sua stessa vita! Quali che fossero le sue motivazioni non
lo sapevamo, ma bastò uno sguardo, a tutti e tre, per prendere la nostra
decisione! Era il nostro mentore, colui che ci aveva avviato lungo la via del
cosmo, insegnandoci a prendere confidenza con l’energia latente dentro di noi!
Potevamo non essere d’accordo sull’uso da farne, ma non saremmo mai potuti
restare inermi ad osservare Virgo scomparire dal mondo!
Così usammo tutta la nostra
energia, tutto il potere del nostro cosmo, spingendoci oltre i nostri stessi
limiti, per salvarlo dalla dimenticanza, per afferrarlo in tempo prima che
precipitasse negli abissi dell’oblio! Ma la nostra padronanza del cosmo era imperfetta,
come lo è tuttora, e il trasferimento da noi auspicato rimase incompleto! Così
adesso il Cavaliere di Virgo è prigioniero tra due dimensioni, intrappolato tra
due realtà diverse. Dietro di lui c’è la morte, il corso che la sua vita
avrebbe dovuto prendere senza il nostro intervento, e davanti a lui, ancora
avvolta nella nebbia, c’è la vita!” –Concluse Dhaval infine.
“Abbiamo tentato per tutti
questi mesi di condurlo da noi!” –Intervenne Tirtha, la Pellegrina. –“Ci
abbiamo trascorso nottate intere, dando fondo a tutte le nostre energie, ma lo
sforzo che ci chiediamo è qualcosa che va oltre i nostri stessi limiti!
Dobbiamo ammettere, Andromeda, di non essere capaci di salvare il nostro
maestro, e di averlo condannato ad una prigionia perpetua, in bilico tra due
mondi!”
“Non crucciatevi! Avete dato il
massimo!” –Sorrise Andromeda. –“E lo avete fatto con onore, per salvare una
vita, in conformità al vostro credo! Non avete niente da rimproverarvi!”
“Quest’oggi abbiamo sentito
cosmi inquieti avvolgere le Andamane e il risveglio di Biliku ci ha messo
sull’avviso! Da anni non percepivamo l’energia psichica della Donna-Ragno! Così
abbiamo deciso di seguire la scia e siamo giunti in tempo per porgerti aiuto!”
–Esclamò Pavit, il Devoto. –“Non è stato difficile comprendere quali
fossero i nemici e quali gli amici!” –Aggiunse, ridacchiando.
“Questo non risolve comunque il
nostro problema! Nessuno di noi può togliere Virgo da tale posizione, a patto
di non sacrificare tutto se stesso!” –Tagliò corto Dhaval.
“Io conosco chi può farlo! Il
Grande Mur dell’Ariete!” –Esclamò Andromeda. –“Già una volta ha aiutato il
Cavaliere di Virgo a tornare da un’altra dimensione! Collaborerà con piacere! E
se i suoi poteri non dovessero bastare, sono certo che Atena sarà lieta di dare
una mano!”
“Atena…” –Mormorò Dhaval,
allontanandosi e sfiorandosi la barba grigia. –“Vedi, Cavaliere di Andromeda,
c’è un motivo se non siamo mai andati al Grande Tempio! C’è un motivo per cui
dopo aver lasciato Kasia Kusinagara, luogo del nostro addestramento, ci siamo
diretti verso Est e non verso la Grecia! E non è stato soltanto l’orgoglio per
non aver ottenuto l’investitura! No, è stato qualcosa di più! Qualcosa che, a
oggi, non ci permette di credere completamente in Atena e nei suoi Cavalieri,
al punto da sentirci rasserenati per non esserlo diventati!”
“Non capisco, nobile Dhaval!
Avevo capito che voi amaste la giustizia e l’aiutare gli altri!” –Commentò
Andromeda.
“È proprio così, Andromeda!
Abbiamo dato la vita a questo piccolo sogno! Ma dimmi, tu che di Atena sei
Cavaliere, credi davvero che l’esserlo sia la strada per la vera giustizia?
Credi davvero che il lanciarsi in guerre continue, di uomini contro uomini
armati, sia l’antidoto per debellare il male che adombra la nostra Terra?”
“Io…” –Esitò per un momento
Andromeda, incerto sulla risposta, prima di abbandonarsi ad un sorriso disteso.
–“Credo che lo abbiate chiesto alla persona sbagliata! Ho passato mesi interi,
forse anni, a combattere contro me stesso, contro il vero istinto di me che
avrebbe abbandonato le armi all’istante, offrendosi al nemico per non doverlo
combattere, per non dover spargere ulteriore sangue! Ma crescendo ho maturato
la convinzione del male minore e ho capito che se non arginiamo l’ombra,
affrontandola con tutte le nostre forze, ne saremo sopraffatti, e con noi
saranno vinti anche tutti i popoli, tutti i deboli, che vorremmo proteggere!”
“Hai ceduto al lato peggiore di
te, quindi?” –Commentò schietto Dhaval. –“Hai risposto alla guerra con
altrettanta guerra!”
“Ho dovuto farlo, per difendere
un ideale! Quando si crede davvero in qualcosa, in un sogno che ci portiamo
dentro da sempre, spesso bisogna essere disposti a fare dei sacrifici, a
perdere una parte di noi, affinché l’altra possa sopravvivere! E continuare la
sua missione!”
“Parole vuote le tue, che non ti
rendono poi così diverso dai nemici che hai affrontato quest’oggi!” –Rispose
Dhaval.
“Dhaval!” –Esclamò Pavit, non
condividendo le parole del Puro. Ma Tirtha lo pregò di non aggiungere altro e
lasciare che il loro compagno si ritirasse, stanco di quella conversazione, e
di tutta la lunga giornata.
“Non è mio interesse incontrare
Atena, né nessun’altro dei Cavalieri! Ho deciso di contattarti quest’oggi per
un solo motivo! Per mostrarti questo! Se davvero hai a cuore la sua vita,
portalo al Grande Tempio e liberalo da quella prigionia!” –Concluse Dhaval,
scomparendo nei corridoi scuri del tempio.
Andromeda rimase in silenzio per
alcuni secondi, ad osservare l’oscurità, sperando quasi di vederlo ricomparire
davanti a sé. La mano amica di Pavit gli sfiorò la spalla, sorridendogli
amichevolmente e invitandolo a non prendersela troppo.
“Dhaval ama parlare con
schiettezza e i suoi pensieri a volte possono non piacere! Ma è un uomo giusto
e onesto, che desidera il meglio per tutti!”
“È quello che vogliono molte
persone, Pavit! Ma non tutti conoscono il modo migliore per raggiungerlo!”
–Commendò Andromeda, prima di chiedere che ne fosse stato dell’ultimo
discepolo. –“Dhaval ha parlato di dieci discepoli, ma sommando a voi Ana, Loto,
Pavone, Birnam e i due uccisi da Flegias ne manca ancora uno!”
“Di lui non amiamo molto
parlare!” –Commentò Tirtha, con voce dura. –“Arne è la vergogna di tutti noi, e
forse ciò che Dhaval davvero temeva potesse accaderci qualora avessimo
raggiunto l’illuminazione!”
“Non capisco…” –Mormorò
Andromeda.
“Arne ci ha tradito, Andromeda!
Ha sfruttato le nostre conoscenze per mirare al potere assoluto, accrescendo la
propria forza e facendone strumento di imperio!” –Spiegò Pavit. –“E quella
notte… si unì a Flegias, e se ne andò con lui!” –Aggiunse, chinando il capo e
sospirando. –“Dhaval da quel momento ha perso ogni fiducia nel cosmo e nei
Cavalieri, credendo che tutti, presto o tardi, useranno i loro poteri per fini
puramente egoistici, dimenticando l’altruismo che li aveva mossi in origine!”
Andromeda annuì con il capo,
conscio della verità di quelle poche parole. I Cavalieri in fondo restano
uomini, con tutti i loro pregi e con tutti i loro difetti! Commentò,
voltandosi infine verso il Cavaliere d’Oro. Sospeso di fronte a lui, quasi
retto da un immaginario piano verticale, che risplendeva tenue sotto la luce
della luna. –“Ioria, Mur, mio fratello! In molti saranno felici di rivederti,
Cavaliere di Virgo! Devo rientrare subito ad Atene e informare Lady Isabel! Non
c’è altro che possa fare in questo luogo!” –Aggiunse, e Tirtha e Pavit gli
diedero ragione. Il ragazzo si offrì addirittura di accompagnarlo, desideroso,
com’era sempre stato, di ammirare lo splendore del Grande Tempio.
“Dhaval non approverà! Questo
viaggio potrebbe compromettere la tua formazione spirituale!” –Commentò Tirtha,
dubbiosa sul da farsi.
“Credo che Dhaval avrà altro di
cui occuparsi prossimamente! Eh eh eh!” –Esclamò improvvisamente una quarta
voce. Secca e tagliente, quasi la sghignazzata di un ragazzo, sembrava
provenire dall’oscurità attorno a loro, dagli androni bui della torre sopra il
sacrario centrale.
“Chi sei?!” –Gridò Andromeda,
muovendo lo sguardo nella vasta sala, ma non incontrando altro che ombra.
“Sono Sakis del Quadrante
Oscuro!” –Esclamò decisa la voce, mentre un uomo, rivestito da una nera
armatura, dalle spigolose forme geometriche, appariva proprio di fronte a loro,
uscendo da un quadrato di luce grigia, che scivolò lungo tutto il suo corpo
prima di scomparire. Non era molto alto, ma aveva un fisico ben piazzato, con
corti capelli grigi e una cicatrice sulla guancia destra, vicina all’angolo
della bocca.
“Co… come hai fatto a entrare
all’interno di Angkor?” –Gridò Pavit, sconcertato da tale accadimento. –“Non ho
percepito assolutamente la tua presenza!”
“È da parecchi minuti che
ascolto i vostri discorsi! Conversazioni interessanti, devo dire, soprattutto
la scoperta che il Cavaliere di Virgo è ancora vivo! Il Gran Maestro di Ombre
pagherà bene questa informazione!” –Scoppiò a ridere Sakis, che sembrava essere
perfettamente a suo agio. –“Chissà, forse ordinerà proprio a me di ucciderlo!”
“Sei un servitore di Flegias,
eh? Ma non ti permetterò di rivelare questo segreto, né di avvicinarti a Virgo!”
–Esclamò Andromeda, scagliando la sua Catena avanti. Ma l’arma non raggiunse
Sakis, che aprì le braccia di scatto, generando un quadrato di luce oscura, ove
la Catena precipitò dentro, senza trovare mai una fine. –“Cosa?! Una
distorsione dimensionale?!” –Sgranò gli occhi il Cavaliere di Atena.
“Vedi, Andromeda, non hai potuto
impedire che arrivassi in questa stanza dieci minuti fa, come potresti evitare
che io appaia accanto al Cavaliere tuo amico e lo colpisca al cuore?” –Esclamò
Sakis, con voce divertita. –“Ma resto comunque un bastardo onesto, e ho un mio
codice d’onore! Forse perché il ricordo di essere stato un orfano come te non è
mai scomparso dal mio cuore? Il ricordo di aver vissuto per anni in quello
stesso orfanotrofio dove tu e tuo fratello Phoenix siete cresciuti!”
“Un orfano? Eri anche tu uno dei
bambini inviati dalla Fondazione…”
“Per divenire Cavaliere? Sì, lo
ero! Ma non ho mai ottenuto un’Armatura, perché non l’ho mai desiderata
intensamente!” –Continuò Sakis, toccandosi il naso. –“Il mio maestro mi cacciò
dandomi dell’indolente, stufo dello scarso impegno che infondevo
nell’addestramento! Neanche un mese fa gli ho spaccato il cranio, con un secco
colpo di mano! Non che sia stato difficile, in fondo, apparire dietro di lui e
toglierlo dal mondo! Anche se, ammetto, questa personalissima vendetta non mi
ha soddisfatto poi così tanto! Eh eh eh!” –Rise Sakis, in modo scanzonato e
superficiale.
“Hai ucciso il tuo maestro a
sangue freddo, e ridi delle tue azioni! Che persona sei?” –Esclamò Andromeda,
ma Pavit gli fermò la mano, facendosi avanti e dichiarando di voler affrontare
lui l’invasore del sacro suolo di Angkor.
“Fai meno lo sbruffone, testa
rossa! Verrà il tempo anche per la tua morte! Ma non è adesso!” –Lo zittì
Sakis, spingendo il ragazzo indietro con un’onda di energia nera. –“Sono
soltanto venuto in ricognizione, a tastare il terreno prima della battaglia!
Ah, dimenticavo, vi ho detto che Angkor è sotto assedio?”
Proprio in quel momento una
violenta esplosione assordò i presenti, facendo tremare l’intera torre sopra il
sacrario principale, mentre grida confuse provenivano dal piazzale anteriore,
proprio dove Andromeda aveva ammirato le monumentali torre di Angkor, e i visi
scolpiti su molte di esse.
“Temo che il portone principale sia
saltato! Iemisch non è tipo da andarci leggero!” –Ironizzò Sakis, posando di
nuovo lo sguardo su Andromeda. –“La Tigre Nera è arrivata, Cavaliere, ed è in
cerca della sua preda! Ti consiglio di farti trovare quanto prima, onde evitare
che si abbandoni a qualche… spuntino, per stimolare l’appetito!” –E strizzò
l’occhio ai due discepoli di Virgo.
“Dhaval!” –Esclamò Tirtha,
sentendo il cosmo del compagno ardere impetuosamente.
“Maledetto!!!” –Strinse i pugni
Pavit, lanciandosi contro Sakis, senza però raggiungerlo, in quanto
l’esploratore oscuro stava già scomparendo in un quadrante di energia grigia,
che dissolse il suo corpo, strascicando via la sua risata beffarda. –“Cosa
facciamo?!” –Chiese quindi ad Andromeda, riluttante all’idea di correre fuori e
lasciare Virgo da solo.
Il Cavaliere di Andromeda esitò
per un momento, prima di annuire con il capo e lanciarsi in una rapida corsa
lungo la galleria, diretto verso l’esterno in aiuto di Dhaval. Sakis ricomparve
proprio davanti a Virgo, osservando i tre compagni scivolare verso la
battaglia, con un sorriso di sfida sul volto. Quindi si voltò verso l’inerme
Cavaliere d’Oro, realizzando che sarebbe bastato un colpo solo per spaccargli
la testa, proprio come aveva fatto con il suo mentore. Scoppiò a ridere, scuotendo
la testa, prima di disegnare nuovamente nell’aria il suo quadrante oscuro e
tuffarvisi dentro, realizzando di possedere ancora un senso dell’onore.
Quando Andromeda, Pavit e Tirtha
uscirono nel cortile esterno, trovarono Dhaval intento a difendersi, con una
cupola dorata di energia, dagli attacchi congiunti di un gruppo di nemici. Con
un colpo d’occhio Andromeda ne contò ben quattro, oltre al Capitano dell’Ombra
che ben conosceva. Alto e robusto, con larghe spalle e portamento fiero, Iemisch,
la Tigre d’Acqua, avanzò con baldanza, tenendo l’elmo a forma di muso
felino sotto il braccio e lasciando che il leggero vento del Sud-Est Asiatico
muovesse i suoi folti capelli viola.
“Ben trovato Cavaliere di
Andromeda! Spero non ti dispiaccia se ho portato qualche amico!” –Esclamò,
abbandonandosi ad un perverso sorriso di sfida.
“Chi sono costoro?!” –Gridò
Andromeda, mentre Tirtha e Pavit correvano in aiuto di Dhaval.
“I miei compagni d’avventura!
Lascia che ti presenti i miei allievi!” –Ridacchiò Iemisch. –“Timos del
Gatto Nero, il cui umore altalenante dipende molto dalla luna! Questa è una
delle sere in cui è particolarmente… come definirlo, affamato? Sì, credo sia il
termine giusto, vero Timos?” –L’uomo indicato da Iemisch non rispose,
limitandosi ad accucciarsi sul terreno a quattro zampe, proprio come fosse un
gatto, mentre la luce lunare illuminava le feline forme della sua nera corazza.
Da Athanor di recente forgiata.
Emise un suono indecifrabile,
simile ad un miagolio, prima di scattare avanti, ad una velocità superiore a
quella del suono, diretto contro Tirtha, che venne atterrata e sbalzata
indietro. Pavit fece per intervenire, ma la voce imperiosa di Iemisch lo
richiamò, presentandogli il secondo Cavaliere nero che lo accompagnava.
“Dario del Fiume Tigri! È
persiano, ed è un po’ pazzo! La notte sogna di essere la reincarnazione di
Dario il Grande!” –Scoppiò a ridere il Capitano dell’Ombra. –“Ma anche la
pazzia, dico sempre, ha il suo fascino! Soprattutto quando è volta al male!”
–In quel momento l’uomo chiamato Dario si portò di fronte a Pavit, separandolo
da Tirtha ed impedendogli di correre in aiuto della sua compagna.
“Stratis e Stelios, dei
Capretti!” –Esclamò Iemisch, mentre gli ultimi due uomini al suo fianco si
lanciavano contro Dhaval, obbligandolo a fronteggiarli entrambi. –“Sono assai
scarsi, ma spero che almeno in due riusciranno a tenergli testa! Ah ah ah!”
–Scoppiò a ridere Iemisch, prima che un movimento nello spaziotempo accanto a
lui lo distrasse. –“Ah, e ovviamente già conosci Sakis, del Quadrante Oscuro?!”
–Esclamò, mentre il giovane appariva vicino a lui, uscendo dal portale
dimensionale.
“Il Cavaliere di Virgo è
prigioniero tra due mondi nell’alta torre sopra il sacrario centrale!” –Affermò
Sakis, inginocchiandosi di fronte a Iemisch, mentre tutto intorno la battaglia
tra i discepoli di Virgo e i Cavalieri neri seguaci di Flegias iniziava.
–“Inerme e impotente, si offre a voi come un agnello sull’altare del
sacrificio!”
“E perché non l’hai ucciso
subito?” –Esclamò sorpreso Iemisch.
“Credevo che voi avreste
voluto gloriarvi di tale onore! Il Maestro di Ombre loderà indiscutibilmente
chi gli farà dono di una simile vittoria!” –Commentò Sakis, ancora a testa
bassa, volgendo piano lo sguardo verso Andromeda e strizzandogli un occhio.
“Brillante intuizione la tua,
Sakis! E sia, me ne occuperò io! Trincerò la vita di quell’efebico santone con
questi miei artigli! Rimani in disparte e osserva come si vince un Cavaliere di
Atena!” –Esclamò ruggente la Tigre d’Acqua, indossando il proprio elmo. Osserva
come si diventa il Comandante dell’Esercito delle Ombre! Rifletté,
espandendo il cosmo e sfrecciando contro Andromeda, dirigendogli contro
migliaia e migliaia di fendenti energetici, simili alle unghiate incandescenti
di un felino. –“Fiera di sangue!”
Il Cavaliere di Atena non si
fece prendere alla sprovvista, sollevando le Catene e generando una difesa
circolare che non lasciò passare neanche uno dei sottili artigli di energia di
Iemisch, per quanto Andromeda fosse obbligato a mantenere la massima
concentrazione, per garantire un movimento costante della Catena. Sarebbe
bastata una minima incertezza, un ritardo anche se piccolo nella rotazione di
un paio di anelli e la Tigre Nera avrebbe sicuramente trovato un varco nella
sua difesa, raggiungendo e dilaniando le sue carni.
Era agile e determinato, e
questo Andromeda glielo leggeva negli occhi, in quell’iride grigia dalle
attraenti sfumature argentee. Lo sguardo di una fiera desiderosa di affondare
nel corpo della preda, saziando il suo inesauribile appetito. Per quanto
fisicamente lo fosse, ad Andromeda Iemisch non appariva affatto umano.
Tutt’altro. Molto più che Mizar e Alcor, o Kira, i cui simboli erano anch’essi
animali, Iemisch pareva aver acquisito movenze squisitamente feline, pareva
davvero cacciare come una tigre. Senza dargli tregua, rimanendo sempre con il
fiato sul collo della preda.
“Onda del Tuono!!!”
–Esclamò il ragazzo, lanciando la Catena a Triangolo e cercando di smuovere la
situazione, per togliersi da una pericolosa impasse. Ma Iemisch, come Eligor
della Mantide l’anno precedente, pareva davvero distruggere la Catena ad ogni
attacco che portava, scheggiandone ogni volta un pezzo. E il fatto che l’arma
fosse stata ricostruita con parti di mithril la diceva lunga sulla precisione e
la potenza del Capitano dell’Ombra. Che sembrava sapere dove e come colpire.
–“Disponiti a tagliola!!!”
“Non servirà!” –Precisò Iemisch,
con un sorriso bieco sul volto, mentre la Catena di Andromeda assumeva la forma
di una trappola per belve, al fine di bloccare i suoi movimenti. Sembrò
riuscirci per un attimo, prima che il Capitano dell’Ombra ne sgusciasse fuori,
con l’agilità di un delfino, stupendo lo stesso Andromeda.
“Come hai fatto?! Nessuno si è
mai liberato dalla stretta dalla mia Catena!”
“Forse perché nessuno possedeva
la corazza della Tigre d’Acqua, Andromeda! Agile e potente, si aggira nelle
acque dei fiumi e dei laghi della Patagonia, catturando le sue prede e
trascinandole sott’acqua!” –Spiegò il Capitano dell’Ombra. –“L’Armatura che mi
veste è tale e quale al manto del leggendario animale, vischiosa quanto basta
da poter scivolare via, nell’ombra ove cacciare! Difficilmente la tua Catena
potrà intrappolarmi, poiché io potrò sempre liberarmi!” –Aggiunse, mentre
Andromeda scagliava nuovamente la sua arma contro di lui, che si annodò attorno
al suo braccio destro. Ma bastò uno strattone di Iemisch per scioglierla e
liberare l’arto. Un attimo dopo la Tigre Nera già caricava il suo nemico. –“Fiera
di sangue!!!”
L’energia di Iemisch elettrificò
l’aria circostante, abbattendosi su Andromeda sotto forma di un poderoso
reticolato di luce argentata, fitto e incisivo, obbligando nuovamente il
Cavaliere d’Atena alla difensiva. Ma così vigoroso era l’attacco della Tigre
d’Acqua che Andromeda venne sbilanciato e barcollò all’indietro, dando modo a
Iemisch di trovare un varco nelle sue difese. E sfruttarlo.
“Assaggia gli artigli della
Tigre Nera, Andromeda!” –Ringhiò Iemisch, strusciando una violenta unghiata di
cosmo sul fianco destro dell’Armatura Divina, che sfrigolò tra mucchi di
scintille. –“Contentati della coriacea pelle che t’han donato gli Dei! Non
fosse per quella, saresti già un agnello sacrificato! Come Virgo presto sarà!
Eh eh!” –Rise Iemisch, caricando di nuovo con gli artigli incandescenti di pura
energia.
“Onda energetica!!!”
–Gridò Andromeda, liberando guizzanti fulmini dal palmo della mano destra. Ma
Iemisch, che aveva osservato bene la sua preda mentre combatteva con Iaculo, si
aspettava quella mossa, così la anticipò, gettandosi a terra, scivolando con
facilità sul notturno manto erboso e portandosi proprio ai piedi di Andromeda.
Sogghignò, notando lo stupore sul volto del ragazzo, e la paura montare in lui,
prima di colpirlo dal basso con una raffica di calci. Mille e forse più.
Andromeda non riuscì a contarne altri perché venne spinto indietro, perdendo
l’elmo dell’Armatura Divina e sbattendo la testa su qualche masso sporgente.
Iemisch non gli diede tempo di
rifiatare, lanciandosi su di lui, con gli artigli sguainati e montando sopra il
corpo ferito del Cavaliere, in modo da bloccargli le braccia e le gambe.
Andromeda si dimenò, usando le Catene per cacciar via il suo avversario, ma le
vide con orrore sgusciare sulla vischiosa corazza nera, proprio mentre Iemisch
gli mostrava le dita della mano destra, ove artigli di energia argentata si
allungarono all’istante, dietro al suo eccitato sorriso di vittoria. Un attimo
dopo il Capitano li piantò nel collo di Andromeda, strappandogli un grido così
violento da fermare persino gli altri tre scontri in atto fuori da Angkor.
Pavit e Tirtha avrebbero voluto
correre in suo soccorso, ma Timos e Dario non glielo permisero, rinnovando i
loro assalti e obbligandoli alla difensiva. Dhaval si liberò in quel momento di
Stelios e Stratos, travolgendoli con un’onda di energia dorata e gettandoli a
terra a gambe all’aria. Troppo deboli per lui, ma ugualmente noiosi da
impedirgli di fare altro.
Anche quel pomeriggio Phoenix
aveva pranzato a casa di Elena, sotto insistenti richieste della
ragazzina, che si sentiva molto più sicura quando il Cavaliere di Atena era
vicino a lei. Da quando aveva visto suo nonno morire davanti ai suoi occhi,
calpestato dai piedi sporchi dei soldati di Arles, poco più di un anno prima,
Elena era rimasta sola, ma non aveva mai abbandonato la sua modesta casa di
pietra nell’unico villaggio dell’Isola del Riposo. Né aveva mai abbandonato la
speranza di una vita migliore, proprio come suo nonno le aveva insegnato.
Phoenix la ammirava, poiché
nonostante la sua apparente fragilità di orfanella Elena non aveva mai mostrato
di cedere alla disperazione, non aveva mai tentennato di fronte alla vita,
continuando ad andare avanti, incurante della propria solitudine. Di una solitudine
che la ragazzina sembrava non sentire, trovando forza e consolazione nella
preghiera e nella fede in Atena.
Terminata la corsa attraverso le
Dodici Case, Lady Isabel, accompagnata da Phoenix, aveva visitato personalmente
l’Isola del Riposo, a cui la Dea aveva dato la sua protezione millenni
addietro, per la fedeltà e la dedizione che gli abitanti avevano dimostrato
alla causa della giustizia. Aveva celebrato lei stessa una piccola funzione per
ricordare il nonno di Elena, capo del villaggio, e ne aveva nominato un altro,
lasciando sull’isola un piccolo gruppo di soldati, con il compito di difenderla
in caso di ulteriori attacchi e di aiutare gli abitanti a ricostruire le case
distrutte dall’incendio appiccato dagli scagnozzi di Arles.
Phoenix faceva spesso visita ad
Elena, trovandola sempre intenta in qualche lavoro manuale, che fosse la
coltivazione dei pochi terreni fertili che l’isola vulcanica offriva o la
cucitura o il rammendo di abiti e di sacchi. Attività che la ragazzina
praticava con costanza e dedizione, amando rendersi utile, a se stessa e alla
piccola comunità. Si era sentito spesso in colpa Phoenix, per aver tardato nel
suo intervento, quel fosco pomeriggio dell’anno precedente, e non essere
riuscito a salvare il vecchio capo. E aveva cercato di compensare i suoi sensi
di colpa con le continue visite alla nipote, approfittando della necessità di
riparare la propria armatura. Le aveva fatto visita dopo la corsa alle Dodici
Case, nei pochi giorni trascorsi tra la fine della Guerra del Nibelungo e la
sua discesa nel regno sottomarino e infine dopo il crollo del Tempio di
Nettuno. E anche in quei giorni, terminata la Grande Guerra contro Ares, e
solidificata nuovamente l’Armatura Divina nel fuoco di Kabir, non aveva
rinunciato a passare da lei, anche solo per farle un saluto. Ed Elena aveva
insistito affinché si trattenesse ancora.
“C’è così tanto lavoro da fare
qua! Ci servirebbero altre due braccia forti e robuste!” –Le sorrideva sempre
la ragazzina, pur sapendo che Phoenix non si sarebbe mai fermato stabilmente.
Perché non era nel suo carattere, e perché il suo rango di Cavaliere gli
imponeva di scendere sempre in battaglia contro le forze oscure.
“Non hai ancora terminato con il
tuo lavoro?” –Le domandò Phoenix, alzandosi da tavola, dopo aver consumato il
frugale pasto che Elena gli aveva preparato.
“Non ancora! Questa sciarpa è
più difficile del previsto ed io non sono molto esperta! Vorrei che mia nonna
fosse ancora viva, lei avrebbe eseguito in fretta un lavoro di precisione! Era
una sarta abilissima!” –Commentò Elena, seduta su uno sgabello vicino al
caminetto, intenta a cucire pezzi di stoffa.
“Con i campi ancora da irrigare
e le bestie da rigovernare, perdi tempo dietro a una sciarpa?!” –Ironizzò
Phoenix, grattandosi dietro la nuca. Ma la risposta di Elena lo colse
impreparato.
“È una sciarpa per te,
Cavaliere! So che è poco, un dono umile per un eroe come te, ma vorrei finirla
prima della tua partenza!” –Esclamò la ragazzina, fissando Phoenix e
arrossendo. –“Ormai ti conosco, e so che possono passare mesi prima di
rivederti! Vorrei dartela prima dell’arrivo dell’inverno!”
“Elena… io…” –Balbettò Phoenix,
non sapendo cosa dire, commosso da quel piccolo gesto, carico di un affetto
sincero e profondo che così poche volte aveva conosciuto nella vita. Suo
fratello e i suoi tre compagni a parte, con cui aveva stabilito un legame che
andava al di là dell’amicizia, un legame che scivolava in un’unione eterna,
c’era stata solo una ragazza che gli aveva dimostrato un amore sincero. E
quella ragazza era morta proprio a causa sua.
Quindi aveva conosciuto
Ippolita, Regina delle Amazzoni, così simile a lui, così diversa. E proprio
quando aveva ammesso i suoi sentimenti per lei, era stata uccisa da Deimos.
Sospirando, il ragazzo aveva iniziato a credere che fosse meglio non
affezionarsi a nessuno, poiché tutte le persone che venivano a contatto con lui
parevano destinate a morire. E non avrebbe voluto che anche quella bambina
incorresse in un destino simile.
I pensieri di Phoenix furono
interrotti da un rumore acuto proveniente dal porto poco distante. Il fischio
di una nave spezzò di nuovo il silenzio del villaggio, obbligando Phoenix a
seguire Elena in strada, condotto da lei per mano lungo la via principale, che
scendeva verso la costa. Proprio in quel momento un cargo stava entrando in
porto e molta gente si era ammassata lungo i pontili, pronta per procedere allo
scarico delle merci di cui avevano bisogno.
“Ogni mese la duchessa di Thule
ci invia i rifornimenti che da soli non riusciamo a produrre!” –Spiegò Elena.
–“Purtroppo il terreno dell’isola non si presta a grandi coltivazioni e spesso,
a causa del tempo ostile, non riusciamo a coprire le richieste della
popolazione! Ma Atena è una Dea molto buona, lei ci dà tanto senza chiedere
niente in cambio!”
Phoenix sorrise, osservando la
gioia dipingersi sul volto della bambina, che corse assieme ad altri abitanti
ad aiutare i marinai a scaricare le casse lungo il molo. Era ormai pomeriggio e
il ragazzo pensò che presto se ne sarebbe andato. L’Armatura Divina della
Fenice era tornata perfetta, come il giorno in cui Efesto l’aveva potenziata
con il mithril, ed egli non amava trascorrere troppo tempo nello stesso posto.
Sempre inquieto e vagabondo, incapace di mettere stabili radici. Sempre alla
ricerca di qualcosa che neppure lui sapeva bene cosa fosse.
“Cavaliere di Phoenix?!” –Lo
chiamò una voce maschile, facendolo voltare e trovandosi di fronte un ragazzo
sui venticinque anni, con un simpatico accento scozzese. Indossava una divisa
da marinaio e aveva il volto coperto di sudore, per aver scaricato finora casse
di indumenti e generi alimentari per il villaggio. –“Cavaliere di Phoenix,
posso disturbarvi?”
“Puoi chiamarmi Phoenix,
ragazzo! Di cosa vuoi parlarmi? State facendo un bel lavoro!” –Commentò, con la
sua solita aria noncurante, che nascondeva invece un profondo interesse.
“È stata Elena a parlarmi di
voi, Cavaliere! E so che potete capire le mie parole!” –Esclamò il ragazzo, con
voce a tratti tremante, obbligando Phoenix a fissarlo con attenzione. –“C’è
un’ombra nell’Egeo! Un’ombra generata da un’isola non troppo distante dalle
coste turche, la cui oscura influenza pare estendersi su tutto il cielo! Le
navi cambiano spesso direzione, e negli ultimi giorni due cargo sono scomparsi,
addentrandosi in quella nera foschia!”
“Un’ombra, dici?!” –Commentò
Phoenix, toccandosi il mento con interesse. –“Poco lontano da qui?!” –E si
incamminò verso il pontile più rivolto a oriente, tirando uno sguardo in
lontananza. Non vide niente, soltanto un cielo scuro che copriva la sua
visuale. Ma quando fece per voltarsi, un brivido gli corse lungo la schiena,
anticipando un sinistro sogghigno che ben conosceva. –“Flegias!!! È sua
quest’aura cosmica che avverto minacciosa!!!”
“Lo avete percepito anche voi,
Cavaliere? È un mostro! Sì, un mostro come quelli di cui le leggende sono
costellate! Come quello che vidi quando ero bambino, al largo delle coste di
Sicilia!” –Esclamò il ragazzo, con voce quasi terrorizzata.
“Non temere per i mostri, li
rimanderemo nella leggenda da cui hanno avuto l’ardire di uscire! Piuttosto fai
in modo che nessuna nave segua quella rotta! Non è sicura!” –Esclamò Phoenix,
incamminandosi lungo la strada principale, per rientrare al villaggio e tornare
a Kabir. Si fermò pochi passi dopo, con le mani nelle tasche dei pantaloni,
voltandosi indietro. –“Come hai detto di chiamarti, ragazzo?”
Non ci fu tempo di aggiungere
altro che il cielo si oscurò all’istante, mentre violente folgori lampeggiarono
nell’aria, schiantandosi sui moli, sulle casse e sulle navi ormeggiate. Gli
abitanti del villaggio scapparono via gridando, ma molti vennero raggiunti da
quei potenti fulmini neri, che ustionarono i loro corpi, stramazzandoli a
terra. Le navi esplosero e fiamme immense lambirono il cielo, in un crepitare
sinistro di ombre. Phoenix corse verso il porto, cercando Elena e chiamandola a
gran voce, senza riuscire a localizzarla, in quella ressa confusa di persone in
preda al panico.
“Cavaliere di Phoenix!” –Gridò
Cliff, rialzandosi, dopo essere stato sbalzato a terra dallo schianto di un
fulmine.
“Mettiti in salvo, ragazzo!” –Lo
intimò Phoenix, guardandosi nervosamente attorno e riuscendo finalmente a
localizzare Elena, appoggiata al muro di un edificio, assieme ad altre donne.
–“Elena!!!” –Phoenix scattò verso di lei, ma non appena si mosse un muro di
fulmini neri si schiantò di fronte a lui, impedendogli di andare oltre. Un muro
che pareva muoversi ad ogni gesto del Cavaliere, seguendolo in ogni piccolo
movimento e imprigionandolo in una gabbia di oscura energia.
“Non avere tanta fretta,
Phoenix!” –Esclamò infine una voce, che sembrava provenire da quel cielo nero
che aveva sormontato l’Isola del Riposo in un’innaturale fretta. –“I giochi
sono appena iniziati, e non ti è concessa la facoltà di ritirarti!” –Aggiunse,
mentre un violento schianto fece esplodere il cargo con cui Cliff e gli altri
marinai erano giunti, generando un’onda d’urto che sbatté a terra decine di
persone, uccidendone alcune, e distrusse quel che restava del molo e dei bei
pontili di legno recentemente ricostruiti.
Un uomo apparve tra le fiamme,
avvolto in un turbinare di fulmini neri. E sogghignò avvicinandosi a Phoenix.
Soltanto quando gli fu vicino, e poté incrociare il suo sguardo perverso, il
Cavaliere di Atena si accorse che il suo nemico stava camminando sull’aria, a
mezzo metro da terra, incurante delle fiamme che lambivano i piedi della sua
armatura. Nera come la notte, la corazza dell’uomo era simile alle vesti di un
monarca, ornata di gemme e di fregi, con un elmo a forma di corona e un lungo
mantello nero con il collo di pelliccia. In mano stringeva uno scettro, corto e
massiccio, con il volto di una fiera feroce sulla sommità. Non era affatto
alto, né robusto, ma l’emanazione cosmica che ostentava con fierezza fece
trasalire Phoenix, spingendolo a rialzarsi in fretta, prima che l’uomo gli
puntasse contro lo scettro nero e scagliasse un raggio di energia verso di lui.
“Sono Arne dello Scettro di
Brandeburgo!” –Si presentò l’uomo, accennando un inchino. Più per ironia
che per sentimento. –“Ed è inutile che ti dica che sono qua per te, Cavaliere
di Phoenix! Perciò indossa la tua Armatura Divina e combatti! Qua! Adesso!
Concedimi l’onore di affrontare chi ha dimostrato una forza necessaria per
sconfiggere il mio maledetto mentore!”
“Il tuo mentore?! Ma che stai
dicendo? Chi diavolo sei?!” –Esclamò Phoenix, tenendosi a debita distanza dal
raggio d’azione di quello scettro.
“La permanenza nel vulcano Kabir
ti ha liquefatto l’udito?” –Ironizzò Arne, sfoderando un sorriso che a Phoenix
parve una vera smorfia. –“Sono il servitore di Flegias incaricato di porre
termine alla tua esistenza! E sono stato io a chiedere di essere il tuo
avversario, desideroso di confrontarmi con l’uomo che ha zittito la superbia
del Cavaliere di Virgo! Perciò non farmi rimpiangere la mia scelta!”
“Il Cavaliere di Virgo?!”
–Balbettò Phoenix, non capendo.
“Non ti ho forse detto che è
stato il mio mentore? Di lui fui uno dei tanti discepoli, assieme a Loto e
Pavone, e ad altri sette compagni, e da lui appresi molto, riuscendo a
sviluppare la fiamma del cosmo latente dentro di me! Ma a differenza degli
altri discepoli non avevo interesse alcuno a servire Atena o la giustizia,
intendendo usare i miei poteri solo ed esclusivamente per me stesso! Virgo non
era molto d’accordo con questa mia teoria egocentrica, il che tutt’oggi mi
sorprende, considerando quanto arrogante e pieno di sé quell’uomo fosse! Un
uomo che non ha adorato nessun’altro che se stesso, più di quanto abbia mai
venerato Atena!” –Esclamò Arne. –“Ma dovevo comunque seguire i suoi
insegnamenti o da solo non sarei riuscito ad imparare così in fretta come
invece ho avuto modo di apprendere durante l’addestramento! Molto prima di Loto
e Pavone, di Birnam o di Ana, io avevo mostrato un potenziale bellico da far
impallidire il Cavaliere della Vergine, un potenziale che lo spaventava, perché
sapeva essere pari al suo! O forse anche superiore! Per questo mi negò
l’investitura, dichiarandomi indegno! E per questo rifiutò di continuare ad
addestrarmi! Perché sapeva che avrei potuto sorpassarlo, ed umiliarlo
quand’anche avessi voluto!”
“Superare Virgo? Difetti anche
tu di modestia a quanto pare!” –Ironizzò Phoenix.
“Ti sbagli, Cavaliere di
Phoenix! Io sono un uomo che non ha mai preteso di essere un Dio, né una sua
pallida imitazione! Ma sono fiero dei miei poteri e perfettamente in grado di
valutare i miei stessi limiti! Non trovi?!” –Aggiunse, puntando lo scettro
verso Phoenix e scagliandogli contro un raggio di luce nera, avvolto in un
turbinio di fulmini, che sbatté il Cavaliere a terra, stringendolo in una morsa
di folgori. Quindi, sogghignando con soddisfazione, Arne mosse il braccio con
cui reggeva lo scettro, continuando a tenere Phoenix prigioniero del raggio di
energia nera, e lo scaraventò contro il muro di un edificio, osservandolo
mentre le macerie cadevano su di lui.
“Phoenix!!!” –Gridò Elena a tale
vista. E iniziò a correre verso di lui.
“Dove vai, ragazzina?” –Esclamò
Arne, scagliando guizzanti scariche di energia nera addosso ad Elena, che venne
sbattuta a terra.
“Vigliacco! Prenditela con me!”
–Urlò Cliff, lanciandosi contro Arne con un bastone.
“Come desideri!” –Ironizzò Arne,
avvolgendo Cliff in un groviglio di fulmini neri e scaraventandolo a terra,
poco distante da Elena, con i vestiti strappati e numerose ustioni sul corpo.
–“Qualcun altro vuol morire quest’oggi? Non temete, che lo vogliate o meno,
accadrà comunque! Ah ah ah!”
“Sei un pazzo!!!” –Gridò una
voce, obbligando Arne a voltarsi verso i ruderi dell’edificio crollato sopra
Phoenix, che esplosero improvvisamente, rivelando un’abbagliante luce color
amaranto. Il Cavaliere della Fenice apparve tra le macerie, rivestito della sua
splendida Armatura Divina, richiamata dall’espandersi del suo cosmo, che si
concretizzò in un mucchio di fiamme che gli avvolsero la mano destra. –“Prendi
questo, Arne! Pugno infuocato!!!” –Gridò il Cavaliere, dirigendo un
turbinoso attacco di fuoco contro il suo avversario, che, per niente impressionato,
non fece altro che roteare lo scettro avanti a sé, generando una barriera di
energia di forma circolare su cui si infranse l’assalto di Phoenix.
“Nient’altro?!” –Esclamò Arne,
sollevando il sopracciglio destro.
In quel momento due uomini,
rivestiti da armature nere come la sua, seppure di fattezze diverse, apparvero
dietro di lui, rimasti fino a quel momento nascosti nelle tenebre di cui
Flegias era signore. Thalis della Renna e Viron del Galletto.
“Portateli tutti sull’Isola
delle Ombre! Pare che il fabbisogno di schiavi sia aumentato!” –Ironizzò Arne,
mentre i due Cavalieri neri si dirigevano verso Cliff, che aiutava Elena e
altre persone a rialzarsi.
A quella visione Phoenix si
mosse, correndo in loro soccorso, ma Arne si interpose tra loro, piombando sul
Cavaliere di Atena con lo scettro nero puntato verso di lui. Un raggio di
energia scaturì dal volto della fiera, ma Phoenix lo schivò in fretta, balzando
in alto e lanciandosi contro Arne, che fu abile a roteare lo scettro e a
colpire al petto Phoenix ancora in volo, sbattendolo a terra ed esponendolo
nuovamente al tiro del bastone energetico.
“Scettro Nero, libera il tuo
potere!!!” –Gridò Arne, scagliando migliaia di fasci di luce nera contro
Phoenix, che si muoveva rapidamente, sfrecciando in ogni direzione, per evitare
di essere raggiunto, mentre i raggi di energia distruggevano il suolo e gli
edifici attorno.
“Maledizione! Devo
contrattaccare!!!” –Si disse Phoenix, evitando un fascio di energia con una
capriola in avanti e dandosi poi la spinta con le mani per balzare in alto,
sopra la pioggia di raggi neri. –“Cadi, Arne!!!” –Gridò, piombando su di lui
con la gamba tesa e il tacco dell’Armatura rivolta verso il viso del nemico.
Quella volta il guerriero dello
Scettro di Brandeburgo non riuscì a sollevare l’arma in tempo, venendo
raggiunto dal tacco di Phoenix sulla guancia destra e spinto a terra. Ruzzolò
per diversi metri sul selciato, perdendo l’elmo a corona e la presa dell’arma
che, cadendo, sembrò spegnersi della sua luce nera. Phoenix si avvicinò allo
scettro, con l’intenzione di distruggerlo, e a tal vista Arne inorridì,
gridando da lontano.
“No, ti prego non farlo!!!” –E
schizzò come un fulmine verso Phoenix, ma questi lo respinse scagliandogli
contro un centinaio di piume infuocate, che si conficcarono nel terreno sotto i
piedi di Arne, esplodendo all’istante e scaraventandolo indietro.
“La tua magia oscura finisce
qui!” –Sentenziò Phoenix, calando con forza il tacco sullo scettro e
spezzandolo in due. Ma non appena lo ebbe troncato, migliaia di indistinte
forme nere ne uscirono, fluttuando nell’aria e avvolgendosi attorno
all’incredulo corpo del Cavaliere di Atena. –“Che succede? Che trucco è
questo?!”
“Nessun trucco, nessun inganno!
Non sono un prestigiatore come il Cavaliere mio maestro! I miei poteri sono
reali, Phoenix!” –Sogghignò Arne, avvicinandosi e osservando la determinazione
con cui la Fenice Divina tentava di liberarsi da quel groviglio di ombre, da
quell’ammasso di tenebra che stava lentamente spegnendo il fuoco del suo cosmo.
–“Hai davvero creduto che temessi per il mio scettro? Povero stolto, così poco
conosci dei misteri dell’ombra! Noi Cavalieri delle costellazioni dimenticate
siamo stati risvegliati da Flegias, che ci ha fatto dono di questo nuovo corpo
e di nuove corazze appositamente forgiate! La nostra vera sostanza, che ci
sorregge e ci mantiene in vita, è un’ombra! Niente di più! E adesso tu, che un
tempo hai camminato sotto un cielo oscuro, ergendoti a signore della Regina
Nera, assaporerai nuovamente il gusto di quei momenti! Precipita, Phoenix,
nella notte più buia!” –Esclamò Arne, mentre i due pezzi dello Scettro
fluttuavano in aria riunendosi in un’unica asta, nella sua solida presa. Quindi
scaraventò indietro il Cavaliere di Atena, ancora avvolto in un groviglio
indistinto di spiriti neri.
“Phoenix!!!” –Gridò Elena,
cercando di liberarsi dalla presa di Thalis della Renna, senza riuscirvi. Venne
ammucchiata assieme ad altre persone nei pressi del molo in fiamme, in attesa
di essere condotta sull’Isola delle Ombre, a terminare la sua vita come una
schiava della grande fornace.
“Sprechi il fiato, bambolina! Il
Cavaliere di Phoenix sta veleggiando verso le profondità del Tartaro, condotto
dalle ombre nostre alleate! Per quanto si dimeni e cerchi di liberarsi da
quella stretta poderosa, egli fallirà! Ah ah ah! Sta già fallendo!” –Esclamò
Arne, tirando un’ultima occhiata al suo avversario. –“Sei stato forse il meno
adatto, Phoenix, ad affrontare i miei poteri! Forse Pegasus, Cavaliere della
luce, avrebbe avuto meno difficoltà! Ma tu, che del fuoco sei signore, e che
nel cuore covi l’ombra del male che hai recato un tempo alle persone a te care,
difficilmente riuscirai a far strage delle creature della notte! Perché in
fondo siete figli della stessa madre! Ah ah ah!” –E gli volse le spalle,
incamminandosi verso il molo, dando ordini a Thalis di controllare che nel
resto del villaggio non vi fossero abitanti nascosti. –“I lavori, quando si
fanno, devono essere eseguiti bene! Flegias ha chiesto la morte di Phoenix e la
schiavitù di questo misero popolo, ed io eseguirò i suoi ordini! Forse in
questo modo riuscirà a vedermi diversamente, alla pari con coloro che ha
nominato Capitani dell’Ombra! Devo ringraziarti Ikki di Phoenix! Forse Flegias
sostituirà uno di quegli incapaci di Iaculo o di Licantropo con me, che sono
più degno di loro di comandare!”
“Sbagli!!!” –Urlò Phoenix, con
tutta la voce che aveva in corpo, espandendo il suo cosmo, molto più di quanto
avesse fatto finora. Era rimasto in silenzio per tutto quel tempo, per quei
lunghissimi minuti in cui aveva creduto di morire davvero. Soffocato, strozzato
da quel groviglio di ombre che non gli davano pace, che sembravano cibarsi dei
suoi dubbi, dei suoi sensi di colpa, per il male commesso un tempo e per la
sorte di Ippolita, che non era stato in grado di salvare, Phoenix era stato sul
punto di cedere, ammettendo con disperazione di non riuscire a strappar via
quei tetri fantasmi dal suo corpo. Ammettendo che più si dimenava e più si
scuoteva, e nient’altro risultato otteneva che sentirli entrare sempre più
dentro di sé.
Così aveva aspettato, aveva
socchiuso gli occhi, inspirando a fatica, lasciando che la calma spazzasse via
l’angoscia che lo aveva invaso per essere caduto in trappola. Indirettamente
era stato proprio il Cavaliere dello Scettro di Brandeburgo, con le sue parole
sull’origine delle ombre, a dargli la soluzione per vincere, probabilmente
perché non lo credeva capace di tanto. Ma si sbagliava! Commentò
Phoenix, bruciando il cosmo, lasciandolo risplendere come vivida fiamma. Sì!
Sbagliava di grosso! Ardi fuoco della speranza!!!
Un ventaglio di fiamme si aprì
dal corpo di Phoenix, sprigionando un’accecante bagliore, che sembrò spazzar
via per un momento l’oscura cappa che sovrastava l’Isola del Riposo. Un
ventaglio di fiamme dall’energia così potente da incenerire le stesse ombre che
lo tenevano imprigionato.
“Aaahhh!!!” –Gridò Phoenix,
lasciando esplodere il cosmo ardente che celava dentro. La potenza che veniva
dal cuore. La consapevolezza di un uomo che ha perdonato se stesso, accettando
il passato e non lasciandosi più travolgere da esso. –“Ippolita! Guardami dal
Paradiso dei Cavalieri dove riposi adesso, assieme alle compagne a cui avresti
voluto donare una terra! Guardami e ammira lo splendore del presente che ti è
stato negato! Io, Phoenix, saprò viverlo anche per te! Questa è la fiamma della
vita, Arne, e né tu né alcun’ombra o fantasma potrà mai spegnerla!!!” –Esclamò
fiero, liberandosi di quel mucchio di spiriti neri e generando una violenta tempesta
di fuoco e stelle, che invase l’intera baia. –“Ali della Fenice!!!” –E
scagliò il suo devastante colpo contro il custode dello Scettro di Brandeburgo,
il quale, troppo sconvolto per la repentinità dell’assalto, poté solo
dirigergli contro un grosso fascio di luce nera, che servì soltanto a scemare
l’attacco ma non a evitarlo.
Arne venne travolto in pieno dal
battito di ali della Fenice Divina e scaraventato in alto, trapassato da parte
a parte dal fuoco incandescente, fino a ricadere sui resti di un pontile
crollato, con l’armatura notevolmente danneggiata. E lo scettro ricadde accanto
a sé, andando definitivamente in frantumi. A quella visione, Thalis della Renna
e Viron del Galletto indietreggiarono impauriti, sicuri di non avere alcuna
speranza con Phoenix.
“Se persino Arne ha fallito…”
–Balbettarono. Ma si lanciarono comunque contro il Cavaliere di Atena, non
volendo passare per codardi, dirigendo contro di lui due attacchi di energia,
che Phoenix non ebbe problemi ad evitare, balzando in mezzo a loro e colpendoli
entrambi con un pugno di fuoco. Proprio in mezzo al petto.Crollarono a terra all’istante, con il busto
spezzato in due e fiotti di sangue nero che sgorgavano fuori.
Quindi Phoenix fece per
incamminarsi verso Elena, Cliff e gli altri abitanti, che si abbandonarono a
grida gioiose e a esclamazioni di sollievo, congratulandosi con il Cavaliere
per la vittoria riportata. Ma il cielo sopra l’Isola del Riposo ancora non
accennava a schiarirsi.
“Ti faccio i miei complimenti,
Phoenix! Adesso capisco come hai potuto superare il Cavaliere di Virgo!”
–Esclamò Arne, rimettendosi in piedi e pulendosi il sangue che gli colava da un
labbro. –“E adesso mi rendo conto che sconfiggerti sarà per me ulteriore motivo
di vanto e di orgoglio! La consapevolezza di aver sconfitto anche il mio
mentore, che così vicino a Dio si proclamava! Un sillogismo così semplice,
quanto banale! Io vinco te, che hai vinto lui, e come tale sono superiore a
entrambi!”
“Che diavolo stai dicendo, Arne?
Il colpo subito ti ha dato alla testa?!” –Ironizzò Phoenix, nascondendo lo
stupore nel vedere il Cavaliere ancora vivo e pronto a dar battaglia. –“Vuoi
forse ridurre le lotte tra Cavalieri a mere equazioni matematiche, a sterili
rapporti di forza che non esprimono realmente tutto ciò che vi sta dietro?!”
“Silenzio!!! Non di una morale
hai bisogno! Ma di buone difese! Perché l’attacco che ti travolgerà sarà
potente! Come immensa e vasta è la notte senza confini!” –Esclamò Arne,
espandendo il proprio cosmo, che calò sull’intera isola come un manto di
velluto scuro, impaurendo gli abitanti, che corsero a rifugiarsi dietro i resti
di alcuni edifici. –“Credevi che i miei poteri fossero tutti nello Scettro?
Ebbene, sbagliavi! Ammira adesso la grande ombra che Flegias ha risvegliato in
me! Avvento delle tenebre!!!” –Gridò, sollevando un immenso muro di
energia nera, che al suo comando si mosse, sfrecciando nell’aria e abbattendosi
violentemente su Phoenix, il quale, sopraffatto da quel distruttivo potere,
venne scaraventato contro una costruzione, abbattendola e rovinando
all’interno.
“Come vorrei che Virgo fosse
qua, a lamentarsi ancora per la mia scarsa propensione alla giustizia! O che ci
fosse Dhaval, vecchio illuso convinto che i nostri poteri vadano usati al
servizio degli altri!” –Commentò Arne, avvolto in concentriche pareti di
energia nera, una protezione invalicabile e al tempo stesso un efficace
strumento di offesa. –“Mostrerei loro cosa ho ottenuto, da quando ho lasciato
Angkor Wat seguendo le orme del Maestro di Ombre! Ho ottenuto di essere il suo
araldo, e di portare nel mondo le tenebre in suo nome!!! Ah ah ah!”
In quella Phoenix si risollevò,
scuotendosi dalla polvere e dai frammenti di pietra franati su di lui. Gettò
via l’elmo scheggiato dell’Armatura Divina, ringraziando Efesto e il fuoco di
Kabir che lo avevano salvato. Ma riconobbe che il potere di Arne superava
quello di molti avversari affrontati fino a quel momento, caricandosi dell’odio
e delle tenebre con cui Flegias e i suoi adepti tentavano di coprire il mondo
intero. Un potere reale, che non doveva sottovalutare.
“Ancora in piedi?! Non
preferiresti stare seduto?!” –Ironizzò Arne, smuovendo le pareti di energia
nera che lo avvolgevano e dirigendole contro Phoenix. –“Avvento delle
tenebre!!!”
Il Cavaliere di Atena, che si
era preparato a quella mossa, incrociò le braccia avanti a sé, caricandole di
tutto il fulgore del suo cosmo e preparandosi a ricevere le immense pareti di
energia oscura che Arne gli diresse contro. L’impatto fu tremendo e Phoenix
venne spinto indietro, scavando profondi solchi nel terreno con i piedi.
Tuttavia non cedette, bruciando al massimo il proprio cosmo e tentando di
opporre la luce della speranza a quel muro di ombra. Vedendolo così impegnato,
così carico di determinazione, Arne si infuriò, aumentando l’intensità del
proprio assalto, generando una nuova parete nera che si abbatté su Phoenix,
scaraventandolo ancora una volta indietro. Ancora una volta tra le macerie di
un edificio distrutto.
Quando il Cavaliere si rialzò,
notò alcune crepe sull’Armatura Divina, dovute alla violenta pressione
esercitata dal Cavaliere dello Scettro di Brandeburgo, il quale sembrava però
aver perso la sua parlantina e il suo modo superbo, forse a causa del
prolungarsi dello scontro.
“Hai perso il fiato?” –Ironizzò
Phoenix, avanzando e portandosi di fronte a lui.
“Lo conservo per il nostro
scontro, Phoenix! Consapevole che soltanto uno di noi si salverà! Io non
riuscirò a piegarti con i miei muri di ombra, ma neppure tu riuscirai a
raggiungermi con i tuoi attacchi, protetto come sono da una difesa
insormontabile che trae dalla tenebra la sua forza!” –Affermò Arne, bruciando
ancora il proprio cosmo. –“Ma in un modo o nell’altro tutte le battaglie
giungono alla fine!”
“Potrebbe essere la tua
fine, Arne!” –Rispose Phoenix, avvolto nell’ardente aura del suo cosmo. –“E
forse la meriti per non aver compreso gli insegnamenti di Virgo e aver
abbandonato Atena e la giustizia! Un uomo come te, con il tuo potenziale
cosmico, sarebbe stato un valido aiuto nella lotta contro le forze oscure!”
“Dovrei lottare contro me
stesso, Phoenix?! Ah ah ah! Trovo più soddisfazione nel lottare con teee!!!”
–Gridò Arne, scagliando contro Phoenix una sequenza di muri di ombra. Ma il
Cavaliere di Atena caricò il pugno destro di cosmo incendiario e iniziò a
tempestare ogni piano di energia di colpi, frenando la loro avanzata, senza
arretrare di un passo. –“Che stai facendo, Phoenix? Sbatti i pugni contro il
muro? Ah ah ah! Provo pena nel vedere come ti sei ridotto, incapace di idee
migliori! Avvento delle tenebre!!!” –Caricò nuovamente Arne.
Ma in quel momento, in quella
frazione di secondo, che Phoenix così tanto aspettava, il Cavaliere di Atena
balzò avanti, lanciandosi in mezzo alle pareti di ombra, non curandosi del
dolore che provava, con il pugno destro che ardeva di incandescente energia.
Prima che Arne completasse l’attacco, e che nuovi muri di tenebra si
abbattessero su di lui, Phoenix lo colpì al petto, sul lato opposto del cuore,
fracassando la sua armatura e sbattendolo a terra. Il contraccolpo spinse
anch’egli indietro di qualche metro, ma il Cavaliere di Atena fu abile ad
aprire le ali della sua corazza e planare compostamente a terra.
“Co… come hai fatto, Phoenix?!”
–Tossicchiò Arne, rantolando sul terreno. –“Come hai potuto calcolare il
momento esatto in cui colpirmi?”
“Non è stato poi così difficile,
Arne! C’era una falla nella tua difesa! Una falla che forse avresti potuto
prevedere tu stesso se invece di pensare a come usare i tuoi poteri avessi
trascorso più tempo ad ascoltare gli insegnamenti del tuo maestro!” –Commentò
Phoenix, avvicinandosi. –“I tuoi muri di ombra sono una difesa insormontabile,
questo è un dato di fatto! Ma non eterna! Poiché essi scompaiono per un breve
istante quando li lanci contro il tuo nemico, durante l’attacco! La prima volta
ho creduto che tu avessi generato nuove pareti di ombra, ma poi, durante il
secondo assalto, ho percepito chiaramente la tua mossa! Tu spingevi i muri
avanti, ricreandoli poco dopo, un millesimo di secondo dopo! Un tempo così breve
da non lasciare spazio a nessuno per avvicinarsi, sfidando la pressione
dell’attacco, e colpirti! Ma hai fallito! La superbia ti ha punito! Io sono
certo che tu conoscessi tale punto debole, ma il desiderio di primeggiare con
Virgo, credendoti capace di un colpo segreto che unisce attacco e difesa, ti ha
tradito, portandoti alla rovina!”
“Maledetto Phoenix! Maledetto
quel cane di Virgo!” –Ringhiò Arne, rimettendosi in piedi e espandendo ancora
il suo cosmo. –“Ma avrò comunque la mia vittoria!!! Avvento delle tenebre!!!”
–Esclamò, dirigendo un mucchio di pareti oscure contro Phoenix, il quale,
quella volta, si limitò a volgere i palmi aperti delle braccia verso di lui,
fermando l’avanzata dei muri di tenebra. Quindi, bruciando il proprio cosmo
ardente, spinse indietro tali pareti, travolgendo Arne e distruggendo la sua
corazza, il suo corpo e i suoi sogni di gloria.
Quando i resti del Cavaliere
nero ricaddero sul selciato, parve a Phoenix di vedere uno spirito nero
abbandonarli e fluttuare via, perdendosi nel vento. Forse richiamato dal
Maestro di tutte le ombre. Phoenix sospirò, accasciandosi sulle ginocchia per
riprendere fiato, prima che Cliff e Elena corressero verso di lui, per
sincerarsi delle sue condizioni. Il ragazzo li pregò di non preoccuparsi, di
non aver tempo neppure per curarsi. Doveva raggiungere i suoi compagni e
affrontare assieme a loro questa nuova minaccia. Cercò Andromeda con il cosmo,
e non fu affatto stupito di trovarlo impegnato in battaglia. In una dura
battaglia. Strinse i pugni, chiedendosi però cosa ci facesse suo fratello nella
penisola del Siam.
Nel cortile più esterno di
Angkor Wat, di fronte al gopura con tre torri in rovina, un tempo la grande
entrata occidentale dell’immenso tempio, si stava consumando un violento
scontro tra il Cavaliere di Andromeda, coadiuvato dai tre discepoli superstiti
di Virgo, e Iemisch, la Tigre d’Acqua, e altri cinque Cavalieri neri al
servizio di Flegias. Anche se soltanto quattro per il momento erano scesi in
campo.
Sakis del Quadrante Oscuro aveva infatti preferito distanziarsi per osservare lo
scontro, pronto a intervenire, in caso di necessità, in aiuto del Capitano
dell’Ombra. E pronto anche a ricordargli che da solo sarebbe andato poco
lontano. Per quanto tutti loro, Capitani e semplici soldati, amassero emergere,
per ingraziarsi le glorie del Maestro di Ombre, Sakis aveva capito, ben prima
di Iemisch e di molti altri, che i Cavalieri di Atena potevano essere vinti
solo con la loro stessa formula: rimanendo uniti. E mirando a separarli, a
spezzare il legame che li univa, mettendoli uno contro l’altro. Per questo
Flegias aveva ordinato a Menas di diffondere le rose di rabbia in Grecia, a
Nuova Luxor e ai Cinque Picchi, tenendo fede alla locuzione latina “divide
et impera”, già messa in atto da suo padre, pur senza troppo successo.
“Cosa gli fa credere di poter
riuscire dove persino Ares ha fallito?!” –Si domandò Sakis, continuando a
seguire gli scontri in atto. –“Flegias parla da anni di mistici talismani in
grado di garantire l’avvento della grande ombra, ma ad oggi non è riuscito a
mettere le mani su neanche uno di essi! Mi chiedo se esistano davvero o non
siano invece un trucco messo in atto da Avalon millenni addietro per confondere
le idee, per sviare i nemici come specchietti per allodole! E dire che Flegias
dovrebbe conoscere Avalon molto bene…”
Le sue riflessioni furono
interrotte dal grido di dolore di Stelios, uno dei due Capretti Oscuri,
stritolato in un ventaglio di luce dorata da parte di Dhaval il Puro e
scaraventato indietro, tra i frammenti della sua corazza insanguinata. E
lasciato moribondo a spirare sotto la luna del Siam.
“Te la cavi bene, per essere un
vecchio!” –Ironizzò Stratis, l’altro Cavaliere dei Capretti Oscuri,
abbassando la testa e caricando con le corna del suo elmo.
“Non lasciarti ingannare dalle
apparenze!” –Commentò Dhaval, fermando l’avanzata di Stratis, afferrando le
corna con le sue braccia. Per quanto Stratis continuasse a scalciare,
infiammando l’erba con il suo cosmo oscuro, Dhaval riusciva a esercitare
sufficiente pressione sulle corna senza essere spinto indietro. –“Posso
sembrare anziano a causa del mio trasandato aspetto! Del resto mi sono dedicato
più ad aiutare il prossimo che non a curare il mio corpo!” –Ammise Dhaval,
quasi stesse parlando con se stesso. –“Ma ho soltanto ventisette anni! E anche
se temo che la mia vita giungerà presto al termine, il mio cuore batte ancora
come quello di un bambino! E come un bambino continuo ad avere i miei sogni!”
–Aggiunse, sollevando Stratis a testa in giù, reggendolo per le corna
dell’elmo, e scaraventandolo molti metri addietro, fino a farlo ruzzolare sul
terreno. –“E non sarai tu, patetico surrogato di un’ombra, a farmi desistere da
essi!”
“Lo vedremo!” –Esclamò Stratis,
rimettendosi in piedi ed espandendo il suo cosmo.
“Non vedremo niente invece!”
–Commentò Dhaval, socchiudendo gli occhi e sedendosi sull’erba, con le gambe
incrociate e le mani giunte in segno di preghiera.
“Prega, sì! Prega vecchio!
Nient’altro ti resta!” –Gridò Stratis, correndo verso di lui, con il pugno
carico di energia cosmica. Ma non riuscì neanche ad avvicinarsi che venne
investito in pieno da un abbraccio di cosmo, che si aprì dalle mani di Dhaval
rischiarando la fredda notte asiatica. –“Aaaah!!! Sto… Mi sto…
disintegrando!!!” –Strillò Stratis, osservando il suo corpo distruggersi e
venire assorbito dal ventaglio di luce. Pochi attimi dopo e anche del secondo
Capretto Oscuro non era rimasto niente.
Dhaval sospirò, asciugando il
sudore sulla fronte con una manica della tunica arancio, prima di rimettersi in
piedi, indebolito dal susseguirsi di scontri. Tirò un’occhiata verso Tirtha e
Pavit, ancora intenti ad affrontare il Gatto Nero e il Fiume Tigri, e verso
Andromeda. E capì che da soli non ce l’avrebbero fatta. Capì che per quanto
deplorasse quella possibilità, doveva volgere i suoi poteri alla guerra, come
aveva fatto quel pomeriggio per la prima volta. Venendo meno a tutti i principi
di pace e di generosità su cui aveva basato la sua vita.
“Non fare mai agli altri ciò che
non vorresti fosse fatto a te!” –Aveva ripetuto per anni. –“Anche a costo di
subirlo tu stesso!” –Ma adesso, con l’ombra così vicina al tempio di Angkor
Wat, con le forze che vacillavano, anch’egli era stato costretto a fare una
scelta. Proprio come Andromeda prima di lui. Sorrise, capendo infine le parole
del Cavaliere di Atena e lanciandosi in una folle corsa nelle gallerie interne.
Sakis se ne accorse subito,
intuendo le intenzioni dell’uomo, e scomparve in un quadrante dimensionale,
apparendo proprio di fronte a Dhaval, intento a correre lungo la galleria
occidentale. Lo sorprese, spingendolo a terra e ponendosi davanti a lui.
“La tua corsa termina qua,
vecchio indiano!” –Commentò Sakis, il volto rischiarato dalla luce della luna
che filtrava dalle colonne e illuminava i bassorilievi del Ramayana e del Mahābhārata,
due grandi poemi epici della mitologia induista. –“Ammira le gesta dei tuoi
padri! Presto sarai con loro! Eh eh
eh!”
“Chissà, straniero, potresti essere tu a rivedere i compagni già caduti!”
–Affermò Dhaval, senza tradire alcun timore. E nel dir questo iniziò a
concentrare il cosmo tra le mani, socchiudendo gli occhi. Ma la voce di Sakis
disturbò la sua meditazione.
”Quadrante oscuro, ingoia il tuo nemico!” –Esclamò, disegnando nell’aria
un quadrato di energia con l’indice destro, che aumentò di estensione,
giungendo a inglobare Dhaval al suo interno, risucchiandolo come fosse un
piccolo buco nero.
“Che cosa succede? Cos’è questa forza di attrazione… che
mi trascina via?!!” –Gridò Dhaval, venendo assorbito dal quadrante di energia
di Sakis, il quale, soddisfatto per il nuovo successo, richiuse la distorsione
dimensionale, facendo per muoversi verso il sacrario centrale. Non riuscì però
ad arrivare neppure alla fine della galleria occidentale che una voce lo
riscosse improvvisa.
“Credi che il nostro scontro sia già concluso?!” –Domandò
Dhaval, riapparendo al centro della galleria, avvolto da una leggera polvere di
stelle.
“Che cosa?! Come puoi essere tornato?!” –Sgranò gli occhi
Sakis, per la prima volta stupito. –“Il Quadrante Oscuro attinge ogni
volta in cui lo apro a migliaia di dimensioni casuali, a infinite possibilità
che neanche un Dio potrebbe enumerare! Come sei potuto tornare esattamente in
questa? È impossibile ritrovare la via, una volta che il portale è stato
richiuso!!!”
“Impossibile per un uomo, ma non per chi ha ricevuto un
addestramento completo dal miglior maestro che avesse mai potuto avere!”
–Commentò Dhaval. –“Noi discepoli di Virgo siamo abituati a non perdere la
calma, persino nelle situazioni più drammatiche, e tale tranquillità interiore
mi è stata utile per concentrarmi e ritrovare la via, attratto dall’energia
mistica di questo luogo, che molto bene conosco! E forse da una nuova, che mi è
sembrato mi chiamasse!” –Mormorò infine, quasi a se stesso.
“Avresti fatto meglio a restare in un’altra dimensione,
vecchio indiano! Sarebbe stata una fine migliore! Adesso che mi hai fatto
arrabbiare, sarò costretto a metter via il Sakis buono e misericordioso, che
compiange i compagni orfani di un tempo, e a sfoderare il mio lato guerriero,
quello sadico e senza pietà!” –Gridò Sakis, generando un’onda di energia nera
con cui tentò di travolgere Dhaval, il quale, in tutta risposta, creò una
cupola di luce dorata con cui difendersi. Resistette pochi secondi, quanto gli
bastò per concentrare il cosmo tra le mani e rilasciarlo sotto forma di un
ventaglio di energia.
“Abbandono dell’Oriente!!!” –Tuonò, dirigendo
l’assalto contro Sakis. Ma questi aveva già ricreato il suo quadrilatero di
energia, disponendolo come scudo di fronte a sé. Il portale spaziotemporale
questa volta non si limitò ad ingoiare l’energia cosmica di Dhaval, quasi fosse
un imbuto, ma la rilasciò dal lato opposto, offrendola a Sakis, il quale ne
attinse a piene mani, cibandosi avidamente delle forze del suo nemico. Quindi
concentrò il cosmo sulle mani, illuminando l’indice di luce argentea, e fece
per sfiorare la superficie del quadrante oscuro.
A quella visione Dhaval scomparve, credendo che Sakis
volesse risucchiarlo di nuovo, e riapparve alla spalle del Cavaliere nero, per
travolgerlo con il suo ventaglio di luce. Ma ebbe un’amara sorpresa,
realizzando di non riuscire più a muoversi.
“Che… succede?!” –Balbettò Dhaval, incapace di muovere
ogni muscolo, anche il più piccolo, fermo e immobilizzato in una posa innaturale.
“Sigilli dell’Impero!” –Commentò Sakis, voltandosi
e ponendosi di fronte alla direzione del suo sguardo, di modo che Dhaval
potesse vedere il suo volto distendersi in un sorriso beffardo, mentre mostrava
un simbolo disegnato in aria con l’indice. Un simbolo che brillava di una tenue
luce argentea. –“Ho fermato i tuoi movimenti, paralizzando il senso del tatto!
Non durerà a lungo, vecchio santone, ma sarà sufficiente per impedirti di
provocare altri danni!”
“Ungh!!!” –Dhaval espanse il proprio cosmo, cercando di
liberarsi da quella morsa. Ma per quanto i suoi poteri mentali fossero ben
allenati, dovette ammettere che non vi era via d’uscita. Il suo senso del tatto
non gli rispondeva più.
“Non affannarti! I Sigilli dell’Impero, una volta
disegnati, bloccano il senso per cui sono stati invocati! Non durano in eterno,
purtroppo, ma questo problema nel tuo caso non si pone! Vedi il simbolo di luce
argentea che risplende al tuo fianco? Quando svanirà sarai di nuovo libero di
muoverti! Peccato che non potrai vederlo, poiché in quel momento sarai già
morto!” –Sogghignò Sakis, mostrando a Dhaval l’indice e il medio della mano
destra, uniti tra loro da un sottile filamento di cosmo.
Non aggiunse altro e li conficcò nell’occhio destro di
Dhaval, e poi nel sinistro, strappandogli grida disumane. Quindi cavò fuori gli
occhi dell’uomo, scoppiando a ridere, e si incamminò verso l’uscita del tempio,
portandoli con sé e lasciando Dhaval, con il volto grondante di sangue,
paralizzato sotto i bassorilievi dei suoi avi.
Tirtha, la Pellegrina, nel frattempo era ancora
alle prese con Timos del Gatto Nero, un Cavaliere che, alla ragazza,
sembrava più una bestia che un uomo, tanto agile e felino era nei movimenti. Un
tipo di poche parole, che preferiva l’azione al pensiero, con cui difficilmente
si sarebbe potuto ragionare. L’unica cosa che sapeva di lui era che fosse stato
allievo di Iemisch, da cui aveva appreso le tecniche di caccia e il piacere di
muoversi come un predatore.
“Artigli del Gatto Nero!” –Sibilò Timos, balzando
nuovamente avanti e scagliando rapidi fendenti di energia oscura contro Tirtha,
obbligata a muoversi in ogni direzione, per non lasciarsi trafiggere. Non erano
eccessivamente potenti, ma erano tanti ed erano precisi, e Tirtha non poté
evitare di essere raggiunta in varie parti del corpo, osservando la veste
incendiarsi al contatto con quell’energia incandescente e ferite comparire sul
suo corpo. –“Quanto sangue!” –Commentò Timos, leccandosi le labbra. –“Farò in
modo che non vada sprecato, donna! Il tuo sangue sarà il latte di cui mi
sazierò stanotte!!!” –Ridacchiò, prima di caricare nuovamente.
“Kaan!!!” –Gridò Tirtha, fermando l’avanzata del
Gatto Nero con una cupola di energia, su cui Timos si schiantò in malo modo. Ma
anche Tirtha venne spinta indietro, non padroneggiando completamente tale
tecnica, come Dhaval le aveva più volte rimproverato.
“Se non ha solide fondamenta, anche il castello più grande
e minaccioso può essere spazzato via da una folata di vento!” –Amava ripeterle
durante le loro sedute di allenamento. –“Mantieni i piedi saldi nel terreno o
anche tu sarai travolta dalla tempesta!”
“Temo di non aver ancora appreso la lezione!” –Sorrise
Tirtha, rimettendosi in piedi e tastandosi un fianco indolenzito. –“Forse sarà
questa l’occasione per migliorarmi!”
“O per morire!” –Esclamò Timos, sfoderando i suoi artigli
di energia cosmica e sfrecciando verso Tirtha, la quale, per la prima volta,
decise di non rimanere in difesa bensì contrattaccò direttamente, lanciandosi
contro il Gatto Nero. Si scontrarono a mezz’aria, e lui riuscì ad affondare i
suoi artigli nel fianco già ferito di Tirtha, mozzandole un grido di dolore,
prima che lei lo travolgesse da vicino con un’abbagliante esplosione di luce,
scaraventandolo molti metri addietro.
Tirtha ricadde al suolo, accasciandosi sul fianco ferito,
mentre una macchia di sangue si allargava sul manto erboso di Angkor. Pavit,
il Devoto, poco distante, intento a fronteggiare Dario del Fiume Tigri,
se ne accorse e fece per correre da lei, per aiutarla, ma il Cavaliere nero non
glielo permise, travolgendolo con impetuose onde di nera energia acquatica.
“Dove fuggi, Cavaliere? Ad aiutare la tua bella?!”
–Esclamò Dario, avvolgendosi nel suo cosmo, dal colore blu notte. –“Non darti
troppa pena, vi ritroverete certamente al di là del Lete e allora potrete stare
uniti per l’eternità!”
“Togliti dalla mia strada, Cavaliere nero! Mi preme molto
più salvare un’amica che non guerreggiare con te!” –Rispose il ragazzo dai
capelli fulvi.
“Quale affronto! Nessuno ha mai rifiutato un duello con
Dario il Grande, il Re dei Re! Vuoi forse tu essere il primo ad incorrere nella
mia ira?” –Esclamò Dario, generando immense onde di energia acquatica, simili
allo scrosciare di un fiume in piena. –“Fiumana del Tigri!!!” –Gridò,
riversandole contro Pavit, che non riuscì a difendersi e venne spinto indietro,
fino a schiantarsi contro un muro del tempio e a crollare a terra, in mezzo a
mucchi di pietra e di fango. Il fango della sua vita. –“Il regime del Tigri è
sempre stato soggetto a forte variazioni stagionali, creando le condizioni per
piene catastrofiche! Come quella che ho appena riversato su di te!” –Esclamò
Dario, avvicinandosi al corpo stanco di Pavit.
“Sentiti fortunato ragazzo! Millenni di storia sono
piovuti su di te! Fin dai tempi più antichi la Mesopotamia è stata infatti
culla di civiltà, spettatrice di nascite e di crolli imprevisti!” –Affermò il
Cavaliere nero, afferrando Pavit per la tunica e sollevandolo di peso. –“Adesso
tu sopporterai il peso della storia sulla tua fragile schiena! Sii uomo, come
lo furono i miei guerrieri a Maratona! E muori! Fiumana del Tigri!!!”
–Gridò, sollevando Pavit con una piena impetuosa di acque oscure e scagliandolo
in cielo, travolto da una forza oscura e naturale.
“Pavit!!!” –Urlò Tirtha spaventata, cercando di rimettersi
in piedi. Sia pur a fatica.
“Non temere! Adesso lo raggiungerai!” –Esclamò Dario,
incamminandosi verso il corpo agonizzante di Tirtha.
Pavit, sollevato in cielo dall’impetuosa fiumana del
Tigri, sballottato come un naufrago in mezzo alla tempesta, sentì le forze
venire meno e per un attimo provò la sensazione di lasciarsi andare. Di
lasciarsi travolgere da quell’oscura marea e trovare finalmente pace. Fu la
voce di Tirtha a risvegliarlo da quel torpore. La voce della ragazza al cui
fianco era cresciuto ed era diventato uomo. Anche se tra loro vi erano tre anni
di differenza, Tirtha non aveva mai osteggiato superiorità alcuna verso Pavit,
mostrandogli sempre affetto, quasi fosse una sorella maggiore. E Pavit, in cuor
suo, l’aveva sempre ammirata, ascoltando i suoi consigli, molto più di quelli
di Dhaval, che pure era più saggio e illuminato di loro. Forse perché, in fondo
al cuore, Pavit non aveva mai rinunciato all’infantile, ma romantica, idea di
vivere un futuro insieme a lei. Un futuro che in quel momento avrebbe potuto
sfuggirgli via.
“Tirthaaa!!!” –Gridò Pavit, espandendo al massimo il
proprio cosmo e avvolgendosi in esso, in modo da impedire alla fiumana del
Tigri di colpirlo ancora. Con forza, cercò di rimettersi in piedi e respingere
quel tumultuoso flusso.
“Ma… è incredibile!!!” –Balbettò Dario, osservando la
scena dal basso. –“Nessun uomo può fare ciò! Nessuno può separare l’acqua!”
“Non un uomo! Ma un Cavaliere sì!” –Sorrise Tirtha, con le
lacrime agli occhi per il risultato conseguito dall’amico. –“Anche se non
abbiamo mai ricevuto un’Armatura né alcuna investitura ufficiale, i nostri
poteri sono pari a quelli dei Cavalieri di Atena della media casta! E Pavit ha
pienamente dimostrato di esserne degno!”
In quel momento Pavit, ancora sospeso in aria, con le
braccia aperte di lato, intento a separare le correnti d’acqua oscura con il
suo cosmo, abbassò di colpo gli arti verso il basso, rimandando indietro
l’attacco ricevuto. Con orrore, Dario vide un’immensa massa d’energia acquatica
piombare su di sé e schiacciarlo al suolo, incrinando parti della sua corazza e
mettendo fine alle sue certezze di una rapida vittoria.
Pavit precipitò a terra poco dopo, frenando l’impatto con
i suoi poteri di telecinesi, ma non riuscendo comunque a evitare di slogarsi la
spalla destra. Tirtha si trascinò fino al corpo dell’amico, afferrandogli una
mano e abbandonandosi ad un sorriso. Ma la risatina di Dario distrasse
entrambi, obbligandoli a sollevare lo sguardo verso il Cavaliere del Tigri, che
si era appena rimesso in piedi, con crepe sulla corazza e un coprispalla
completamente distrutto. Dall’altro lato del cortile anche Timos del Gatto Nero
riusciva finalmente a sollevarsi e bastò un breve sguardo con l’altro allievo
di Iemisch per trovare una taciturna intesa.
Timos si mise a quattro zampe, iniziando una rapida corsa
verso i due discepoli, avvolto nel suo cosmo oscuro, mentre Dario, sull’altro
fronte, generava tumultuosi marosi di energia acquatica. La Fiumana del
Tigri e gli artigli del Gatto Nero si abbatterono insieme contro una cupola
di energia che avvolse Tirtha e Pavit, creata dal cosmo congiunto dei due
compagni. Con grande sforzo, e mettendo tutta l’energia che avevano accumulato
in anni di studi e meditazioni, Tirtha e Pavit riuscirono a respingere le
burrascose acque del Tigri, rivoltandole nuovamente contro il loro creatore, e
a ricacciare indietro il Gatto Nero. Ciò di cui però non si avvidero fu del
balzo di Dario, il quale, approfittando della sua stessa piena, scavalcò la
marea oscura portandosi proprio sopra i due discepoli, che se ne accorsero
troppo tardi.
Una bomba di energia si schiantò contro la cupola dorata,
mandandola in frantumi e scaraventando Tirtha e Pavit indietro di parecchi
metri, facendoli ruzzolare al suolo, pieni di graffi e ustioni. Timos balzò
subito su Tirtha, iniziando con lei un’eccitante corpo a corpo, nel quale la
ragazza cercava di allontanare quegli artigli assetati di sangue e l’uomo a
nient’altro anelava se non ad affondare ancora in lei. Pavit allungò le braccia
sul terreno, cercando di rimettersi in piedi, ma privo ormai di forze fu
raggiunto da un calcio di Dario sul fondoschiena, che lo capovolse, sbattendolo
contro un mucchio di rocce franate.
“Un’ottima esibizione, ragazzo! Degna degli Immortali
Persiani! Tu fossi vissuto duemilacinquecento anni fa forse avrei potuto
assumerti tra le loro fila!” –Rise Dario, chinandosi su Pavit e afferrandolo
per il collo. Lo sbatté contro un muro e iniziò a tempestarlo di pugni e calci,
senza bisogno neppure di utilizzare il cosmo. –“Non si addice molto ad un re,
lo ammetto! Ma era molto tempo che volevo menar le mani!”
Pavit tentò di sollevare un braccio, per difendersi da
quella tempesta di colpi, ma venne raggiunto da un pugno sull’orecchio destro,
che gli sbatté la faccia nel muro, spaccandogli un paio di denti e facendolo
sanguinare ancora. Con la coda dell’occhio, cercò Tirtha, sentendola urlare nel
tentativo di dimenarsi dal Gatto Nero. Quindi cercò Dhaval, ma non lo trovò.
Vide soltanto Andromeda spingere via Iemisch con foga, espandendo il cosmo e
liberando lo sfavillante potere della sua costellazione.
“Sei un osso duro, eh, Cavaliere di Andromeda?!” –Esclamò Iemisch,
atterrando compostamente in piedi, a una decina di metri dal ragazzo. –“Ma ti
stimo per questo! Dietro la maschera di fragilità che porti sul volto si
nasconde un Cavaliere deciso e sicuro di sé, non disposto a cedere alle
avversità, pur aspre che siano! Sembri più un predatore che una preda!”
“È un compromesso che ho dovuto fare con me stesso molto
tempo fa!” –Commentò Andromeda, cercando di rialzarsi, con rivoli di
sangue che gli colavano dal collo, dove gli artigli di Iemisch lo avevano
raggiunto.
“Un ottimo compromesso!” –Esclamò baldanzoso Iemisch.
–“Del resto, spesso bisogna rinunciare a qualcosa pur di perseguire i nostri
obiettivi!”
Andromeda rimase un attimo a pensare, quasi stregato
dall’ardito Capitano dell’Ombra che aveva di fronte. Era un nemico, su questo
non aveva dubbi. Ma c’era qualcosa in lui che lo incantava. Il suo modo di
affrontare le cose. Con fermezza, ma non con ottusità. Iemisch, agli occhi di
Andromeda, era come un poeta, sempre alla ricerca della rima perfetta, sempre
pronto a cogliere tutto ciò che il mondo potesse offrire, per raggiungere l’ispirazione,
senza mai sforzarsi di ottenerla qualora non ve ne fosse la possibilità. Era un
calcolatore, meticoloso, in grado di prevedere le mosse del suo rivale. Ed era
in grado di penetrarlo a fondo, con quello sguardo da felino, con quelle iridi
grigie, tinte d’argento dal bagliore della luna.
Andromeda sospirò, prima di scuotere le proprie Catene,
preparandosi per un nuovo assalto e gli vennero in mente le parole con cui suo
fratello Phoenix, dopo la sconfitta di Discordia, aveva commentato il suo scontro
con Serian di Orione.
“Ti sembra sempre di combattere contro un altro te
stesso!” –E forse non aveva tutti i torti.
Le riflessioni del ragazzo furono interrotte dal violento
attacco di Iemisch, che caricò avvolto nel suo cosmo color argento. Centinaia
di migliaia di fendenti energetici sferzarono l’aria, incendiando il prato del
cortile, e Andromeda non riuscì ad evitarli tutti, venendo spinto in aria,
sollevato dall’onda d’urto dello spostamento della Tigre Nera, che lo aveva
superato, portandosi dietro di lui. Con gli artigli ancora affilati.
“Devo reagire!!!” –Si disse Andromeda, voltandosi in aria
su se stesso e scagliando avanti la Catena a Triangolo. –“Onda del Tuono,
vai!!!” –L’arma del Cavaliere zigzagò tra i fendenti energetici di Iemisch,
mirando al cuore del Capitano, ma questi fu agile a balzare indietro, compiendo
una capriola su se stesso e atterrando a piedi uniti sul tetto del gopura,
evitando la punta del Triangolo che si conficcò nel terreno.
“Dall’alto di Angkor contemplo
la tua disfatta, Andromeda! Ah ah ah!” –Rise con fierezza, prima di lanciarsi
avanti, avvolto nel suo cosmo argentato, e piombare su Andromeda dall’alto, con
la furia devastante di una bestia feroce. –“Fiera maestosa!” –Tuonò,
portando avanti il pugno destro e sbattendo il Cavaliere nel terreno,
sprofondandolo in una conca di dolore e schegge di Armatura.
Tanto potente era stato
l’attacco subito che Andromeda pensò di avere tutte le ossa rotte. Fece per
sollevarsi, ma ad ogni piccolo movimento doveva reprimere un gemito di dolore.
E questo confermò le sue supposizioni iniziali. Iemisch era un guerriero
perfetto, che sapeva combinare strategia e forza fisica, precisione e potenza.
Come avrebbe potuto opporsi a lui, soprattutto in quelle condizioni? Le ferite al
collo gli strappavano fitte continue, e tutti i suoi sensi parevano rallentati
da quando Biliku lo aveva colpito. Cosa conteneva il sangue di quella
creatura? Se ha davvero il potere di distruggere le rose di rabbia, quale
mutazione potrebbe causare nel corpo di un uomo? Si chiese il Cavaliere,
tossendo e sputando sangue. Avrebbe dovuto usare la Nebulosa di Andromeda
per vincerlo, come aveva fatto con Fish, Mizar, Sirya e i Dioscuri. Ma in quel
momento non ne aveva la forza. Non aveva la forza per niente, soltanto per
abbandonarsi ed essere cullato.
Poco dopo aprì gli occhi di
scatto, accorgendosi che quello che gli era parso un dolce oscillare era in
realtà Iemisch che lo stava tirando a sé, strattonando con forza la Catena di
Andromeda e trascinandolo fuori dalla grande conca. Cercò di sollevarsi, mentre
Iemisch continuava a tirare la Catena, ridendo divertito da quella situazione.
Le mani del Capitano sfrigolavano scintille, per il contatto con l’arma, ma
egli sembrava non risentirne troppo, a causa del rivestimento vischioso della
sua corazza, capace di disperdere l’elettricità.
“Onda energetica!!!”
–Gridò Andromeda, scagliando guizzanti folgori contro il Capitano, che lasciò
quindi la presa, balzando agilmente indietro.
“Ti sei svegliato, allora!” –Ironizzò
Iemisch, mentre Andromeda si rimetteva in piedi a fatica, tenendosi la testa,
che sembrava sul punto di scoppiargli.
“Svegliato?! Quanto ho perso
conoscenza?!” –Balbettò il Cavaliere confusamente.
“Tre minuti e sette secondi!”
–Commentò Iemisch, incrociando le mani al petto. –“Decisamente troppo!”
“Tre minuti?!” –Mormorò tra sé
Andromeda, realizzando che in tutto quell’arco di tempo Iemisch avrebbe potuto
ucciderlo più volte e dare i suoi resti in pasto ai coccodrilli. –“Perché
non…?!”
“Perché non ti ho ucciso?
Credevo di essere stato chiaro al nostro primo incontro, Andromeda! La Tigre
d’Acqua non vuole scarti altrui né favori di alcun genere, ma uno scontro
diretto, una caccia nella quale rincorrere la sua preda, annusandola,
seguendola e poi balzandole addosso! Che soddisfazioni potrei avere
nell’avventarmi su un corpo inerme e mezzo morto, abbandonato alle mosche e
agli avvoltoi? No, Cavaliere, la Tigre d’Acqua si nutre solo di cibi
prelibati!”
Andromeda non seppe cosa
rispondere, limitandosi a bruciare il proprio cosmo e a sollevare la Catena,
avvolgendola in fulmini scintillanti. Combatteva da un giorno intero, senza
essersi mai fermato, e la stanchezza gli era crollata addosso inesorabile.
Aveva affrontato Biliku, Iaculo e adesso Iemisch. Ma ancora non avrebbe ceduto.
“Andromeda non cederà!!!” –Si
disse, lanciando avanti la propria arma, che si moltiplicò in infinite copie,
che sfrecciarono nella notte asiatica illuminandola come strali di luce. –“Melodia
scintillante di Andromedaaa!!!” –Gridò, liberando la configurazione ultima
della Catena, quella che era in grado di comprenderle tutte. Attacco e difesa.
Una tecnica che fino a quel momento, contro il Custode della Palude di Stinfalo
e contro Phobos, si era rivelata mortale.
“Fiera maestosa!!!”
–Rispose Iemisch, scattando avanti con baldanza e lanciandosi nel nugolo di
Catene, colpendo tutte quelle con cui entrava in contatto con violente zampate
di energia comica, che incendiarono l’aria, scheggiando in più punti l’arma del
Cavaliere di Atena. Ma le Catene erano troppe, sembravano infinite, e anche se
la sua corazza era in grado di lasciarle scivolare via, l’eccessiva quantità
alla fine lo sbilanciò, spingendolo a terra.
“Adesso! Onda energetica!!!”
–Gridò Andromeda, volgendo il palmo della mano destra a Iemisch e investendolo
con brillanti fulmini di energia.
Il Capitano dell’Ombra,
appoggiato a terra con un ginocchio, sollevò il bracciale sinistro
dell’Armatura, caricandolo del suo cosmo argentato, nel tentativo di scemare
l’assalto di Andromeda, che comunque lo raggiunse, facendo vibrare tutto il suo
corpo e strappandogli un moto di dolore. Quindi concentrò la propria energia
sul pugno destro, portandolo avanti di scatto e facendolo scontrare con
l’attacco avversario, generando una violenta esplosione che scaraventò indietro
entrambi. Il Cavaliere di Atena ruzzolò per vari metri sul terreno, fino a
cadere nella conca scavata in precedenza, mentre Iemisch, pur se sbilanciato,
riuscì ad atterrare in piedi.
Tirò un’occhiata ai bracciali dell’Armatura
e li trovò scheggiati in più punti, come i coprispalla e i gambali. L’elmo poi
aveva perso qualche zanna del volto felino che riproduceva. Sorridendo tra sé,
Iemisch se lo tolse, mettendoselo sotto il braccio sinistro, e si incamminò
verso la conca per dare il colpo di grazia ad Andromeda.
Come previsto, lo trovò che
tentava di rialzarsi ancora, arrancando sul terreno, determinato a non
arrendersi. Iemisch annuì, soddisfatto per la sua caccia e deciso a mettervi
fine e a prendere il suo trofeo. Concentrò il cosmo sulla mano destra,
allungando affilati artigli di energia, prima di calarli verso Andromeda. In
quel momento un’immensa esplosione di luce, proveniente dall’interno di Angkor,
scosse il terreno, rischiarando l’esterno del tempio come fosse giorno.
“Ma… che diavolo succede?!”
–Esclamò Iemisch, sollevando lo sguardo e rimanendo accecato da tale intenso
bagliore.
Sakis del Quadrante Oscuro
apparve poco dopo al suo fianco, prendendolo per un braccio e portandolo
indietro, mentre una gigantesca bolla di energia dorata fuoriuscì dal tempio di
Angkor, inglobando tutto ciò che incontrava sul suo cammino. I resti di Stratis
e Stelios vennero fagocitati, disintegrandosi poco dopo, e stessa sorte
incontrò il corpo di Timos del Gatto Nero. Dario del Tigri riuscì in parte a
ripararsi, venendo soltanto spinto a terra e sommerso da alcune rovine. Anche
Sakis e Iemisch furono scaraventati contro le mura di confine, scheggiando le
loro corazze, e quando riemersero dal mucchio di detriti franati su di loro
scoprirono l’origine di quel sole improvviso.
Sopra le loro teste, seduto in
posizione meditativa, si ergeva il semidivino Shaka, Cavaliere di Virgo.
Bastò inarcare un sopracciglio,
a Shaka di Virgo, per generare un ventaglio di luce abbagliante con cui
scaraventò Iemisch e Sakis contro il muro di confine, stampando i loro corpi
sulla pietra grezza. Non disse niente, limitandosi a restare sospeso in aria
sopra Angkor Wat, in posa meditativa e con gli occhi chiusi. Iemisch, la
Tigre d’Acqua, fu il primo a rimettersi in piedi, gettando via l’elmo in
frantumi e ringhiando contro il Cavaliere d’Oro.
“Maledizione!!! Com’è possibile
che Virgo sia ancora vivo?! Sakis?!” –Esclamò il Capitano dell’Ombra.
“Nemmeno io riesco a crederci!”
–Affermò Sakis del Quadrante Oscuro. –“Era inerme, prigioniero tra due
mondi, incapace di trovare la strada per la nostra dimensione! Qualcuno deve
averlo richiamato! Forse Atena?!”
“Tutto questo non piacerà al
Maestro di Ombre!” –Commentò Iemisch, visibilmente preoccupato.
“Né gli piacerà sapere che non
lo abbiamo ucciso quando ne avevamo la possibilità!” –Ironizzò Sakis, prima di
essere colpito con uno schiaffo da Iemisch.
“Potrei occuparmi di Andromeda e
finirlo, ma sono troppo stanco per lottare anche con Virgo! E Sakis e Dario non
sarebbero alla sua altezza!” –Rifletté Iemisch, dando ordine a Sakis di
recuperare Dario e aprire il quadrante dimensionale. –“Porteremo a Flegias
almeno un souvenir dal Sud-Est Asiatico! Ma prima di lasciare Angkor, voglio
darti il colpo della bandiera, caro il mio santone!” –Esclamò fiero Iemisch,
caricando il braccio destro della sua incandescente energia e balzando in alto,
diretto verso Virgo. –“Fiera maestosa!!!” –Tuonò, mentre migliaia e
migliaia di tigri d’acqua, con le zanne e gli artigli affilati, piombavano
sulla cupola protettiva del Cavaliere d’Oro, distruggendola.
Andromeda, rimasto a terra ad osservare la scena, pieno di stupore
per l’improvvisa ricomparsa di Virgo, vide il Cavaliere d’Oro giungere le mani
e liberare una violenta onda di energia cosmica, con cui spinse indietro il
Capitano dell’Ombra, abbagliando il cortile una seconda volta. Iemisch ricadde
sul terreno, appoggiando male una gamba e prendendo una storta, che non gli
impedì comunque di raggiungere zoppicando Dario e Sakis, il quale aveva già
aperto il suo portale dimensionale.
“Ci rivedremo Andromeda! Stanne
certo!” –Esclamò Iemisch, mentre il quadrato oscuro calava sui tre Cavalieri
neri, e su una quarta figura che Dario stringeva forte a sé. –“Del resto…
abbiamo qualcosa che vi appartiene!!! Eh eh eh!”
“Tirtha!!!” –Gridò Pavit,
ansimando sul terreno. Ma non riuscì a rimettersi in piedi, pieno di lividi e
di ferite com’era. Il quadrante oscuro ingoiò Iemisch, Sakis, Dario e Tirtha,
richiudendosi all’istante e a Pavit non restò altro che battere pugni sul
terreno.
Andromeda tirò uno sguardo verso
il cielo, che andava lentamente schiarendosi, e vide la figura di Virgo
dissolversi, lasciando dietro di sé una scia di polvere di stelle, che nevicò
sul Cavaliere di Atena, lenendo per un momento i suoi affanni. Senza perdere
altro tempo, Andromeda raggiunse Pavit, aiutandolo a rimettersi in piedi, e
pregandolo di reggersi a lui.
“Virgo! Dov’è finito il
Cavaliere di Virgo? L’ho visto apparire nel cielo e adesso è scomparso? Che
Iemisch l’abbia dunque sconfitto?!” –Mormorò Pavit, camminando a fatica,
aiutato da Andromeda.
“Non credo! Ho sentito il suo
cosmo risplendere vividamente! Virgo è ancora vivo, e credo di sapere dove si
trovi adesso! A onorare il suo debito!” –Commentò Andromeda, guidando Pavit nei
corridoi di Angkor, seguendo la stessa strada che poche ore prima Dhaval gli
aveva indicato, giungendo fino alla torre sopra il sacrario centrale.
Pavit si lasciò trascinare da
Andromeda, troppo debole per stare in piedi, troppo debole anche solo per
parlare. Gli doleva la mandibola e aveva un paio di denti rotti, grumi di
sangue coagulato in bocca e alcune costole spaccate. Ma al di là del male
fisico, il Devoto non poteva fare a meno di sentirsi in colpa. Di sentirsi
debole. Poiché a causa sua Tirtha era stata rapita ed egli non era stato in
grado di proteggerla. Se fossi stato più forte… Rifletté, con le lacrime
agli occhi, gonfi di botte e di dolore, mentre Andromeda lo trascinava lungo le
gallerie di Angkor. Prima di entrare nella sala della torre sopra il sacrario
centrale, ove per tre lunghi mesi avevano tentato di liberare Virgo dalla sua
prigionia dimensionale, non gli sfuggirono tracce di sangue sparse lasciate sul
pavimento.
“Dhaval!!!” –Esclamò Pavit,
inorridendo alla scena che si aprì di fronte ai suoi occhi.
Seduto, con il corpo esanime di
Dhaval il Puro sulle gambe, il Cavaliere di Virgo carezzava i capelli grigi
dell’uomo che l’aveva salvato. Dell’uomo che aveva dato la vita per aprire il
portale spaziotemporale e completare il trasferimento.
Dopo essere stato lasciato da
Sakis nella galleria occidentale, privo del tatto e dei suoi occhi, Dhaval
aveva atteso, sforzandosi di non perdere la calma e di sopportare il dolore,
interiorizzandolo come aveva fatto in tutti quegli anni. Quando l’effetto del
sigillo era terminato, ed egli aveva potuto riacquistare il controllo dei
movimenti, si era accasciato a terra, con la schiena contro gli antichi
bassorilievi indiani, agitando le mani e portandole davanti al viso. Senza
poterle più vedere. Per un attimo si era sentito perso, per un attimo aveva
creduto davvero di impazzire, travolto dal dolore e dalle ferite. Ma poi aveva
ricordato gli insegnamenti di Virgo, aveva sentito i cosmi di Andromeda, Tirtha
e Pavit esplodere all’esterno, e si era convinto che vi fosse soltanto un modo
per vincere quella battaglia. A fatica si era trascinato lungo i corridoi delle
gallerie, salendo fino alla torre, ove aveva messo tutto il suo cosmo nello
specchio, fornendo l’energia necessaria per completare il teletrasporto e
riportare il suo maestro nella loro dimensione.
“Cavaliere di Virgo!” –Esclamò
Andromeda, con le lacrime agli occhi, avvicinandosi ai due uomini, uniti in un
abbraccio di affetto che non si erano mai concessi prima.
“È strano! Dopo aver conosciuto
tuo fratello e voi Cavalieri dovrei essere abituato alle sorprese! Dovrei
essere abituato al dubbio!” –Commentò Virgo, con voce triste. –“Eppure, c’è
sempre qualcosa che manda in frantumi le mie certezze! C’è qualcosa che ancora
riesce a stupirmi! L’irrazionale imprevedibilità umana!”
“Dhaval!!!” –Gridò Pavit,
chinandosi sul corpo moribondo del Puro e osservando il suo volto deformato e
sporco di sangue. –“Oh Dei delle stelle! Dhaval!!!”
“Non… temere…” –Balbettò Dhaval.
–“Presto sarò con te! Presto sarò in te!” –Quindi allungò a fatica un braccio
verso Andromeda, fino a sfiorare la sua mano, sforzandosi di sorridere. –“Hai
visto, Cavaliere di Andromeda? Non c’è stato bisogno di scomodare Atena!”
“Siete stato ammirevole, nobile
Dhaval! Avete portato a massimo compimento gli ideali di altruismo e generosità
che vi hanno sempre sorretto!” –Pianse Andromeda. –“C’è così tanto da imparare
dal vostro pensiero, e dai vostri gesti di nobiltà!”
“Non quanto io ho imparato oggi
da te!” –Rispose Dhaval, citando le parole che Andromeda gli aveva rivolto ore
prima. –“Quando si crede davvero in qualcosa, in un sogno che ci portiamo
dentro da sempre, bisogna essere disposti a fare dei sacrifici, a perdere una
parte di noi, affinché l’altra possa sopravvivere! E continuare la sua
missione!”
“Il tuo ricordo non svanirà mai,
allievo mio!” –Commentò Virgo, poggiando una mano, carica del suo cosmo dorato,
sulle cavità degli occhi dell’uomo. Quando la tolse, pochi attimi dopo, Dhaval
era spirato. –“Ti devo la vita! Ti devo tutto!” –Aggiunse il Cavaliere d’Oro,
depositando a terra il corpo freddo dell’allievo. Lo osservò ancora un momento,
prima di incamminarsi fuori dalla sala della torre, seguito da Andromeda,
lasciando Pavit a piangere sul cadavere del compagno.
“Eravate molto simili!” –Esclamò
il Cavaliere di Atena. –“Per quanto non volesse ammetterlo, Dhaval ti
somigliava moltissimo! Fermo nei suoi propositi, difficilmente accettava
intromissioni nel suo progetto di fede! Ma, come te, è stato pronto a dare la
vita per qualcosa in cui credeva davvero! Aiutare gli altri!”
“Dici il vero, Cavaliere di
Andromeda! E rabbrividisco all’idea di averlo scoperto soltanto adesso, quando
tutto è ormai perduto!” –Commentò Virgo. –“Ho trascorso gli ultimi tre mesi in
uno stato di trance, simile a quello che la medicina moderna definirebbe coma!
Dopo aver esaurito le mie forze, per salvare Ioria e Castalia, ho osservato
l’Isola dell’Apocalisse esplodere, ed io con essa, mentre mi preparavo per il
grande balzo! Del resto, ero morto già una volta e non temevo di dover
affrontare di nuovo il mio destino! Ma un attimo prima della fine, giunse a me,
da lontano, una flebile luce, sufficiente per togliermi dal presente e proiettarmi
verso un futuro incerto! In bilico tra due mondi, ho perso ogni cognizione,
paralizzato in uno stato dove la coscienza non esisteva più. Poi, tutto ad un
tratto, una nuova luce mi ha risvegliato, attirandomi a sé. Mi sono lasciato
cullare e quando ho potuto aprire di nuovo gli occhi ho visto il corpo esanime
di Dhaval crollare ai miei piedi. E allora ho capito!” –Affermò Virgo, fissando
Andromeda con i suoi profondi occhi blu. –“Ho capito che persone che io avevo
dimenticato, forse perché consideravo deboli o poco degne della mia attenzione,
forse perché preso da questioni più importanti che non mantenere minimi
rapporti umani, non hanno fatto lo stesso con me! E hanno dato la vita affinché
io potessi continuare a combattere! Anche per loro!”
“Sono certo che lo hanno fatto
col cuore!” –Commentò Andromeda, uscendo assieme a Virgo nel cortile
occidentale di Angkor Wat, mentre il primo sole del mattino asiatico si
affacciava timidamente alle loro spalle, proiettando sul giardino le ombre
della devastazione di quella notte. Fosse nel terreno, muri crollati, macchie
di sangue sparse sul suolo. –“Abbiamo trasformato questo luogo sacro in un
campo da guerra!”
“In guerra molto deve essere
sacrificato, Cavaliere di Andromeda, per poter porre l’ultima pietra del
palazzo della pace! La pietra della fine!” –Esclamò pacato Virgo.
“E riusciremo mai a completare
questo sogno?!” –Domandò Andromeda. Ma Virgo non rispose, volgendo lo sguardo
verso il cortile. Un’ombra sfrecciò sul terreno di fronte a loro, proiettando
la sagoma di un immenso uccello di fuoco.
“Un amico è venuto a farci
visita!” –Sorrise, mentre una palla di fuoco esplodeva poco distante e un
Cavaliere dalla scintillante Armatura Divina ne usciva fuori. Ikki di
Phoenix aveva infine raggiunto Angkor.
“Fratello!!!” –Esclamò
Andromeda, correndo verso di lui, felice di vederlo.
“Cos’è tutto questo macello?!”
–Ironizzò Phoenix. –“Ero venuto per aiutarti Andromeda, ma a quanto pare non
hai più bisogno di me!”
“Il mondo ha sempre bisogno di
eroi che combattano per la libertà!” –Esclamò Virgo.
“Mi fa piacere rivederti,
Custode della Porta Eterna!” –Affermò Phoenix, scambiandosi un deciso sguardo
d’intesa con il Cavaliere d’Oro.
Andromeda raccontò in breve al
fratello quanto accaduto nelle ultime ore, dalle rose di rabbia a Biliku, ai
Capitani dell’Ombra e infine al ritorno di Virgo. Quindi rientrò nella torre
sopra il sacrario centrale, lasciando Phoenix e il Cavaliere d’Oro a parlare
tra loro e preoccupandosi di Pavit, il ragazzo dai capelli fulvi che lo aveva
accolto con sincero affetto e che adesso era rimasto solo.
Lo trovò ancora disteso sul
corpo di Dhaval, imbrattato di terra e di sangue, che non accennava a volersi
rialzare, troppo sconvolto per il rapido e catastrofico succedersi degli
eventi. Nelle ultime ore tutta la sua vita era cambiata e le persone con cui
aveva vissuto per anni, condividendo gli stessi ideali, la stessa ansia
esistenziale, erano scomparse. Cosa mi resta adesso? Si domandò Pavit,
sollevando lo sguardo verso Andromeda, mentre ruscelli di lacrime gli rigavano
il volto deformato.
Il Cavaliere di Andromeda
allungò un braccio verso di lui, sfoderando un sorriso sincero, pieno di
affetto, lo stesso che Pavit gli aveva dimostrato fin dal giorno prima.
Titubante, il ragazzo afferrò la mano di Andromeda, stringendola con forza e
tirandosi su. C’era ancora molto da fare, per rendere onore a Dhaval, per
salvare Tirtha e per combattere per i loro ideali.
Neanche un’ora dopo il corpo di
Dhaval il Puro ardeva sopra una pira di rami di alberi antichi, come lui stesso
aveva sempre desiderato morire, mentre Pavit, ancora con il volto sporco di
sangue e di fango, pregava davanti ad esso, inginocchiato e colpevole. Ma
risoluto ad andare avanti.
Andromeda, Phoenix e il
Cavaliere di Virgo assistettero silenziosi alla piccola cerimonia funebre e
quando le fiamme iniziarono a scemare di intensità convennero che era il
momento di andare. Di ritornare al Grande Tempio. Andromeda appoggiò una mano
sulla spalla di Pavit, pregandolo di alzarsi e di preparare le sue cose. Anche
lui sarebbe andato ad Atene con loro.
“Non avrei mai pensato di
trovarmi di fronte altri discepoli di Virgo!” –Disse Phoenix, tirando
un’occhiata a Pavit, che rientrata dentro Angkor per l’ultima volta. –“Né,
ammetto, di ritrovarmi di fronte a te!”
“Non mi sono mai dedicato a loro
con passione, Cavaliere di Phoenix!” –Rispose Virgo, con voce pacata e
inflessibile. –“Credevo che il culto del migliore fosse l’unica strategia
perseguibile e che degli altri non valesse la pena prendersi cura!”
“Ma loro, a quanto pare, si sono
presi cura di te, anche a distanza di anni!”
“Ciò rasserena e rattrista il
mio cuore al tempo stesso!” –Commentò Virgo, aprendo gli occhi di scatto e
voltandosi verso Phoenix. –“Ma onorerò il debito che ho con loro! Questa è una
promessa! Tirtha sarà salva!” –Phoenix annuì senza dire niente, mentre Pavit
usciva nuovamente da Angkor, avvicinandosi ad Andromeda, ma quella, a lui, non
sembrò affatto una promessa. Ma una somma verità.
Il caldo cosmo del Cavaliere della
Vergine avvolse i quattro compagni, schiudendosi come un fiore di loto, prima
che le porte dello spaziotempo vibrassero ed essi ne venissero risucchiati.
Prima di lasciare Angkor, prima di dare l’ultimo addio al sacro tempio Khmer,
Andromeda sospirò, chiedendosi dove fossero i suoi amici, chiedendosi cosa
stessero facendo Cristal, Pegasus e Dragone.
In quello stesso momento Cristal
il Cigno fissava il fuoco nel grande salone della cittadella di Midgard, lo
stesso dove aveva fatto colazione quasi un giorno prima con Flare. Avvolta in
calde coperte, la Principessa era rannicchiata su una poltrona, poco distante
da lui, con il volto medicato per le ferite subite e una fasciatura attorno
alla mano, che Livyatan le aveva strattonato. Entrambi in silenzio, come se
fossero soli.
“Cavaliere!” –Esclamò Flare
infine, facendo voltare Cristal verso di lei. Ma non fece in tempo ad
aggiungere altro che le porte della grande sala si aprirono e Ilda di
Polaris ne entrò, camminando stanca verso di loro, seguita dal Principe
Alexer, che osservava le condizioni della donna, pregandola di non
affaticarsi.
“Ilda, sorella mia! Come stai? E
come sta Bard?” –Si agitò Flare, correndo verso la Celebrante e prendendola per
mano, per condurla verso una morbida poltrona.
“Sto bene, Flare, non
preoccuparti! Ben di peggio hanno sopportato gli uomini del Nord e i Cavalieri
preposti alla nostra difesa!” –Commentò Ilda, accennando uno scarno sorriso.
–“E anche i Cavalieri non soggetti a vincolo alcuno nei nostri confronti!”
–Aggiunse, tirando un’occhiata verso il Cavaliere del Cigno.
“Per qualunque problema, saremo
qua a difendere Asgard e la sua Celebrante!” –Affermò prontamente Cristal,
mentre Alexer, dietro la donna, annuiva con orgoglio.
“Non è della Celebrante che
dovete preoccuparvi, ma del popolo! Delle genti libere! L’ombra che sta
oscurando il mondo, quanto spazio lascerà ancora alla luce?” –Sospirò Ilda.
–“La vedo da giorni ormai, forse da mesi! È in ogni sogno a cui mi abbandono,
in ogni visione che scorre davanti ai miei occhi! Un inverno immenso che sembra
non avere mai fine!”
“Un inverno immenso?!” –Ripeté
il Principe Alexer, con aria preoccupata.
“Voi sapete a cosa mi riferisco,
Principe Alexer! E temo che il crepuscolo degli Dei non sia affatto lontano!”
–Commentò Ilda, accasciandosi sulla poltrona, di fronte allo sguardo apprensivo
di Flare. –“Bard comunque sta bene! La sua temperatura corporea era bassissima,
a causa della permanenza nelle acque del Mare Artico, e numerose ustioni
stridevano sulla sua pelle! Ma un allievo di Orion non poteva mollare così,
doveva essere forte come il suo predecessore! Si salverà, ne sono certa! Ha
solo bisogno di cure e di molto riposo!”
“Oh, sia lodato Odino!” –Sospirò
Flare.
“Adesso riposa in un letto
nell’ala orientale del palazzo e quando si sveglierà, e potrà camminare di
nuovo, sarà nominato membro della guardia della Cittadella, per il valore e
l’abnegazione che ha dimostrato!”
“Sarà un onore per il giovane
Bard ricevere questa nomina!” –Commentò Alexer, ma Ilda lo interruppe.
“Sarà un onore per Asgard avere
un simile difensore alle sue porte!”
Cristal annuì in silenzio, senza
aggiungere altro, ancora avvolto nei suoi pensieri. Gli stessi che gli
ronzavano in testa da quando Alexer gli aveva confessato di essere il maestro
di Acquarius. Indirettamente, Cristal sorrise, era stato anche il suo maestro.
E forse era per questo che si sentiva così legato a lui. Alexer intuì i
pensieri del ragazzo e gli rivolse uno sguardo di assenso, prima di
inginocchiarsi di fronte alla Regina e alla Principessa di Midgard,
congedandosi da loro.
“Spero che potremo incontrarci
di nuovo in occasioni più felici!” –Commentò. –“Purtroppo la guerra, pur con la
sua scia di morti, è sempre un momento in cui i vicini lontani tendono a
ritrovarsi! Vicini che dovrebbero comunque non allontanarsi mai!” –E lanciò un
ultimo sguardo a Ilda, prima di avvolgersi nel suo mantello azzurro e
incamminarsi verso l’uscita del Salone del Fuoco.
Cristal lo seguì poco dopo,
accomiatandosi da Ilda e Flare, con un certo dispiacere. Aveva trascorso
qualche mese ad Asgard, e la considerava ormai come la sua terza casa, dopo il
villaggio di Kobotec in Siberia e Villa Thule a Nuova Luxor. Ma aveva bisogno
di informazioni, prima di partire per la Grecia e scendere di nuovo sul campo
di battaglia.
“Sii prudente!” –Mormorò Flare,
stringendolo in un abbraccio che avrebbe voluto non finisse mai.
“Lo sarò!” –Rispose lui con
decisione. –“Siatelo anche voi!” –Aggiunse, fissando poi Ilda e andandosene.
Alexer lo aspettava nel piazzale
fuori dal Palazzo, proprio dove Cristal e i suoi compagni avevano affrontato
Orion l’anno prima. Avvolto nel suo lungo mantello, con l’Armatura d’azzurro
lucente che risplendeva nella fredda notte artica, Alexer sembrava davvero un
Dio, uno degli antichi eroi della stirpe degli Asi che aveva lottato contro le
forze primordiali nel Mondo Antico.
“Alexer!” –Esordì Cristal,
affiancando il Principe, intento ad osservare la fredda notte artica.
–“Permettimi di ringraziarti! Due volte sei intervenuto in mio aiuto e…”
“Non hai motivo di ringraziarmi!
Sei l’allievo dell’uomo che il mio allievo insignì del titolo di Maestro dei
Ghiacci! Tra noi c’è un legame profondo, Cristal, un legame che ci rende anelli
congiunti della stessa catena!” –Esclamò Alexer.
“Hai dunque insegnato tu al
Cavaliere di Acquarius?” –Domandò infine Cristal.
“Camus!” –Sorrise Alexer.
–“Questo era il suo nome, anche se non amava farsi chiamare così! Gli ricordava
un passato che avrebbe voluto cancellare! Un passato in cui era stato debole,
una vittima delle emozioni, proprio come lo sei stato tu! Eravate in fondo più
simili di quanto entrambi abbiate mai creduto!” –Disse Alexer, raccontando in
breve la vita di Acquarius a Cristal, che pendeva interessato dalle sue labbra.
–“Era nato in Francia, da Celine, la figlia di un commediografo! Una famiglia
borghese caduta in rovina nel secondo Dopoguerra! Così sua madre aveva deciso
di tentare fortuna all’estero, trasferendosi in Scandinavia, ma durante la
traversata la nave su cui viaggiavano affondò e la donna morì! A quanto pare la
storia si ripete!” –Commentò il Principe, accennando un sorriso.
“Lo trovai per caso, in un porto
del Mare del Nord, e vidi nei suoi occhi una ferma determinazione! La stessa
che nei primi anni d’addestramento mosse i suoi passi, la stessa che lo
sorresse nel fallito tentativo di recuperare la nave dove era morta sua madre!
Crescendo, Acquarius capì che non si poteva riportare indietro le lancette del
tempo, che ciò che era stato doveva essere consegnato alla storia e che egli
poteva soltanto ripromettersi di essere forte in futuro, per non lasciare che
le sue emozioni lo turbassero! Da quel momento dedicò anima e corpo al suo
allenamento, diventando degno del rango di Cavaliere d’Oro. Addestrò un allievo
e lo nominò Maestro dei Ghiacci, impressionato dall’abilità tecnica che aveva
dimostrato, ma per quanto forte e valoroso il Cavaliere d’Argento della Corona
Boreale non aveva fatto breccia nel suo cuore! Così rimase ad osservarlo da
lontano, mentre addestrava due nuovi allievi, sperando che in uno di essi vi
fosse l’erede che aveva cercato, l’uomo che sarebbe dovuto divenire il futuro
Signore dei Ghiacci Eterni, un uomo talmente privo di emozioni da risultare
freddo e gelido in battaglia!”
“Immagino la delusione quando si
rese conto che ero ben lungi dall’esserlo!” –Commentò Cristal.
“Le delusioni maturano quando
matura una forte aspettativa, Cavaliere del Cigno! E Acquarius forse aveva
preteso troppo da te, come troppo aveva chiesto alle sue forze quando, neanche
undicenne, si era gettato nel Mare del Nord alla ricerca della nave della
madre!” –Precisò Alexer. –“Ciò non toglie che sia stato un ottimo Cavaliere, il
miglior allievo che abbia mai potuto chiedere! E per rispetto a lui, che in te
tanto aveva creduto, e al Maestro dei Ghiacci, vittima di una guerra che non
avrebbe dovuto essere combattuta, io ti ho aiutato! Anche se, ne sono certo,
avresti comunque ottenuto la vittoria! Acquarius ha fatto molto per te, forse
più di quanto io ho fatto per lui, poiché ti ha fatto crescere e diventare
uomo, anche se a caro prezzo! Del resto, egli ti amava e odiava al tempo
stesso, così simile a com’era stato lui, così umano!”
“Ad Acquarius e al Maestro dei
Ghiacci devo tutto! Così pure al mio amico Abadir!” –Sospirò Cristal, con gli
occhi umidi pensiero dei suoi cari.
“Ricordali Cristal! Ricorda
sempre i tuoi affetti, e portali con te! Stringili al petto, come stringi la
Croce del Nord che Natassia ti donò! Ma non disperare per la loro sorte, poiché
adesso sono in pace e ti assistono dal Paradiso dei Cavalieri! Trova nel
ricordo di quegli uomini valorosi la forza per andare avanti!” –Affermò Alexer,
poggiando entrambe le mani sulle spalle di Cristal e fissandolo con i suoi
occhi di ghiaccio. –“Per vivere anche per loro!”
“Lo farò!” –Rispose il Cigno.
–“Già una volta mi promisi di saper essere Cavaliere anche tra ricordi e tristi
rimpianti, e non rinnegherò mai quel giuramento!”
“Le responsabilità di un’epoca
intera gravano sulle tue spalle, come su quelle di tutti noi preposti a vivere
questo scorcio di secolo!” –Commentò Alexer, allontanandosi e abbandonandosi a
un sospiro, che lo fece apparire per un momento vecchio e stanco, agli occhi
del Cigno. –“In un tempo non lontano combatteremo nuovamente fianco a fianco
Cristal, contro la grande ombra che copre già i confini meridionali
dell’Europa! Nell’attesa torna al Grande Tempio, per riunirti con i tuoi
compagni! Essi sono la forza del tuo presente!”
“Alexer! Aspetta!” –Esclamò
Cristal, correndo verso il Principe, il cui corpo già risplendeva di luce
azzurra. –“Ci sono ancora tante cose che vorrei sapere, tante cose che vorrei
chiederti, su Acquarius, sul Maestro dei Ghiacci, su di te!”
“Siamo guerrieri, prima ancora
che uomini, Cavaliere del Cigno! E il nostro destino è la guerra! Soltanto in
seguito, se gli Dei lo vorranno, potremo abbandonarci alle chiacchiere da
focolare!” –Commentò Alexer, scomparendo. Non voleva affatto essere brusco con
Cristal, ma vi erano esigenze in quel momento che non poteva assolutamente
sottovalutare. Una necessità di azione che si faceva sempre più impellente.
Chiuse gli occhi, avvolgendosi nel freddo cosmo azzurro, e cercò nel cuore la
strada verso Avalon.
Il gelo di Asgard Flegias
se lo sentì nelle ossa, quando una ventata d’aria fredda smosse le fiamme del
braciere al centro della caverna sotterranea, non troppo distante dal trono di
amianto, su cui era comodamente assiso. Una figura ammantata di nero apparve
proprio di là dal fuoco, stupendo Orochi, il Capitano dell’Ombra rimasto
di guardia poco distante.
“Un nemico?!” –Brontolò il
gigantesco guerriero, lanciandosi contro l’imprevisto ospite, al quale bastò
volgere il palmo della mano destra verso di lui per fermare i suoi movimenti e
scaraventarlo contro una parete laterale, stordendolo.
“Vuoi obbligarmi a ristrutturare
la mia dimora?” –Ironizzò Flegias, divertito comunque nel vedere Orochi
lanciato a gambe all’aria.
“Perdona i miei modi bruschi, oh
Rosso Fuoco, ma il tempo di tergiversare è ormai finito! Dopo aver atteso
secoli, ammetto di essere per la prima volta di fretta!” –Esclamò la figura
ammantata, avvicinandosi al Maestro di Ombre e lasciando che le fiamme del
braciere rischiarassero un viso che Flegias ben conosceva.
“Benvenuto sull’Isola delle
Ombre, possente Loky, Dio dell’Inganno!” –Esclamò Flegias, alzandosi dal trono
e scuotendo l’elegante martello color porpora. –“Vuoi dunque assistere con me
all’avanzata della grande ombra? Le fiamme di questo braciere, maledette dal
sangue che quest’oggi ho versato, mi mostreranno i risultati dell’Esercito di
Ombre, una macchina bellica che nessuno sarà in grado di fermare!”
“Non sapevo che tu possedessi la
Vista!” –Commentò Loky, sinceramente stupito.
“Vi sono molte cose che non sai
di me, Loky! Ma non è mai stato un ostacolo nella nostra alleanza!”
“Né lo sarà adesso!” –Precisò
Loky. –“Spero anche che tu sappia che il Principe Alexer in persona si è mosso!
Ha abbandonato la Valle di Cristallo, correndo in aiuto della Celebrante di
Odino a Midgard e vincendo il Leviatano, su cui tanto riponevo fiducia!
Pregustavo già di vedere la Cittadella crollare sotto i colpi di tale
brutalità!”
“Ne sono al corrente, Loky! E so
anche dove è diretto!” –Commentò Flegias, stringendo con forza l’impugnatura
della Spada Infuocata che pendeva alla sua cintura. –“Nella culla ove da
millenni tentano di impedire l’avvento dell’oscurità! Gelosi del loro potere,
arroccati nel loro integralismo conservatore, rifiutano di dare al Dio la
possibilità di cambiare il mondo che lui stesso plasmò!”
“Se ne sei al corrente allora il
mio compito di informatore è finito! Tornerò ad Asgard ad occuparmi dei miei
affari, e dubito che ci rivedremo figlio di Ares!” –Tagliò corto Loky, a cui i
farneticanti vaneggiamenti di Flegias non molto interessavano.
“Ne dubito anch’io! Ma non chiamarmi
più con quell’epiteto! Lo disprezzo! Mi ricorda i fallimenti di un Dio che si è
proclamato grande ma che non è stato capace neppure di chiudere il suo pugno!”
–Sbottò Flegias.
“Che la sua sorte non segni
anche il tuo cammino!” –Mormorò Loky, facendo cenno di andarsene.
“Tsè! Uccello del malaugurio!”
–Borbottò Flegias, osservando il Dio nordico dell’Inganno scomparire dalla
caverna sotterranea, lasciando dietro di sé soltanto una scia di nervosismo.
Con rabbia, Flegias gettò un altro pezzo di uomo nel grande braciere,
osservando le fiamme nere deliziarsi di quel gustoso aperitivo. I resti dei
corpi dei Cavalieri Celesti massacrati poche ore prima.
Quindi si incamminò verso i
sotterranei, addentrandosi fino alla base dell’immensa fornace ove Athanor
aveva installato il suo laboratorio, sorprendendo l’Alchimista oscuro a
lucidare un oggetto che fece subito infiammare i suoi occhi di brace.
“Quale dono migliore per il
futuro Imperatore delle Ombre?!” –Ironizzò Flegias, avvicinandosi all’uomo, che
subito si prostrò ai suoi piedi, sollevando con ambo le mani una corona di oro
nero, dalle forme terribili e sublimi. La afferrò avidamente, rimirando il suo
ghigno sulla limpida superficie, e poi si incoronò da solo, fiero del suo
trionfo.
“La considero la mia opera più
riuscita, mio Signore! L’ultima creazione di cui vi faccio dono!” –Mormorò
Athanor, rimettendosi lentamente in piedi.
“L’ultima creazione, sì! Hai
detto bene, servo!” –Sibilò Flegias, con un ghigno sadico. –“Perché adesso il
tuo compito è finito! Hai fatto ciò che volevo, ciò che ti aveva permesso di
continuare ad alitare, e ora posso congedarti!” –E allungò il braccio destro
afferrando la testa di Athanor, stringendola con forza tra le dita robuste e
cariche di fiamme nere, mentre l’Alchimista si dimenava per liberarsi dalla
morsa.
“Mio Signore, no!!! Posso fare
ancora molto!!! Posso essere ancora utile…” –Strillò Athanor, mentre la presa
delle dita di Flegias stringeva sempre di più, sfondandogli il cranio e
infiammando le sue interiora, fino a carbonizzarlo dall’interno.
Flegias scoppiò a ridere,
sghignazzando come un pazzo, nell’udire le tremende grida dell’Alchimista
Oscuro, che risuonarono per tutti i sotterranei, generando terrore negli
schiavi ancora presenti. Con rabbia, Flegias scaraventò Athanor nell’immensa
fornace, restando ad osservare il suo corpo ardere nel fuoco nero che lui
stesso aveva contribuito ad accendere. Il fuoco purificatore che avrebbe
mondato la Terra.
“Il tempo della rabbia è finito!
È iniziata l’era dell’ombra!” –Sentenziò Flegias.
L’Isola del Sole è un’isola
situata nella parte meridionale del lago Titicaca, vicino alle coste della
Bolivia, lungo la Cordigliera delle Ande a 3800 metri di altezza. Nel cuore
della leggenda e della storia dell’impero Inca. Narra infatti il mito che Manco
Capac, il primo imperatore Inca, e sua moglie Mama Ocllo, figli di Inti, Dea
del Sole, uscirono dalle acque di quel lago per fondare la città di Cuzco, da
cui avrebbe avuto origine l’Impero Inca.
Per molti erano soltanto favole,
ricordi sbiaditi destinati a perdersi nel vortice del tempo. Ma per Andrei, che
aveva trascorso anni ad Isla del Sol, cibandosi di quello sconfinato patrimonio
culturale, era molto di più. Era storia, era Mito. Ed erano gli insegnamenti
che aveva tramandato al suo allievo, il Cavaliere delle Stelle che era stato
preposto ad addestrare sulle rive del lago Titicaca, imbevendosi dei ricordi
degli avi che lo avevano preceduto, e da cui orgogliosamente discendeva.
Seduto a gambe conserte,
nell’alto tempio dedicato a Inti, Dea del Sole, Andrei ascoltava il
frusciare del vento di quella mattina, che increspava la superficie del lago
generando onde che si abbattevano alla base dei terrazzamenti delle colline
dell’isola. In un moto continuo, a tratti perverso, ma mai uguale. Come era la
Storia per lui. Non quella da imparare sui manuali scolastici o sui polverosi
testi del Mondo Antico, bensì quella da vivere, da sentire sulla propria pelle.
“Maestro!” –Lo disturbò una
voce, mentre la snella sagoma di un ragazzo appariva all’ingresso del Tempio,
proiettando la sua ombra sulla sala dove Andrei stava meditando. –“È ora che
vada!” –Andrei aprì gli occhi e osservò Jonathan avvicinarsi.
Alto e ben fatto, con capelli
biondissimi che il vento muoveva nell’alba andina, il Cavaliere delle Stelle
indossava la sua lucente Armatura, dalle forme aerodinamiche, i cui riflessi
parevano cambiare ad ogni movimento del giovane, come se il sole lo seguisse e
non volesse lasciarlo andare senza cedergli qualcosa di sé. In mano stringeva
un lungo bastone dorato, in cima al quale splendeva un fiore ornato al centro
da una gemma bianca: lo Scettro d’Oro.
Andrei si limitò ad annuire,
alzandosi in piedi. Nonostante fosse un individualista e preferisse agire da
solo, senza dover rendere conto a nessuno, era consapevole che quella volta non
potevano esserci imprese solitarie, ma un’unica azione, coordinata a livello
centrale. Un’unica mossa per arginare la marea d’ombra.
In passato non s’era fatto
problemi ad intervenire autonomamente, anche senza attendere ordini da Avalon,
incapace di lasciar trascorrere il tempo senza far niente, incapace di perdersi
in troppe riflessioni. Andrei era un uomo d’azione, che soffriva nel rimanere
inerme ad osservare i pezzi del mosaico andare a posto uno dopo l’altro, con
una lentezza che gli pareva disarmante. Lui avrebbe composto subito l’immagine
completa, anche a scapito della qualità. Per questo aveva esercitato pressioni
su Avalon, affinché gli concedesse maggiori spazi di manovra, desideroso di
confrontarsi con la causa primaria del dolore che aveva provato. Il demone
intriso di fuoco e di ombra che stava conducendo il mondo verso l’apocalisse.
Quello stesso maledetto demone
che negli ultimi anni aveva assunto identità diverse, cercando di sollevare i
sopiti rancori del mondo, asservendoli alla causa dell’ombra. Seth, Apopi,
Atene, Angkor, Loky, Crono, Ares, Tifone, tutti erano stati usati. Flegias non
aveva risparmiato niente e nessuno, disposto a vendere persino l’anima pur di
perseguire l’obiettivo finale. E Andrei aveva con lui un conto in sospeso, per
qualcosa che lo aveva toccato da vicino. Il Rosso Fuoco infatti, nella sua
disperata ricerca, aveva appiccato violenti incendi sia al tempio dedicato a
Inti, a Isla del Sol, sia a Cuzco, sterminando sacerdoti e fedeli, senza
trovare alcun talismano antico. Perché non aveva saputo cercare. O, come Avalon
amava spesso ripetere ad Andrei e ai Cavalieri delle Stelle, perché non sapeva
esattamente cosa cercare.
La soddisfazione per il
fallimento di Flegias non aveva lavato le lacrime di Andrei, per la morte dei
Sacerdoti e dei fedeli che ancora continuavano ad adorare Inti e il Sole,
quegli stessi fedeli che anni addietro lo avevano accolto come un Dio,
invocando la sua benevola protezione. E proprio quel rancore lo aveva portato a
disobbedire agli ordini di Avalon, abbandonando Isla del Sol e scendendo per la
prima volta in guerra.
Andrei sospirò, ricordando la devastazione apertasi davanti ai suoi occhi mesi
prima, quando era apparso tra le fiamme di Angkor, in una macabra notte di
guerra. Mura crollate, templi sfregiati e un gruppo di superstiti rannicchiati
sotto i bassorilievi del Kurma, vittime innocenti della violenza di un diavolo.
Flegias era in mezzo alle fiamme e lo fissava con aria di sfida, né
sorpreso né intimorito dalla sua apparizione.
“Questa spirale di violenza deve
terminare!” –Aveva esclamato Andrei, mostrandosi ai tre discepoli di Virgo
sopravvissuti, rivestito dalla sua splendida Armatura di fuoco. –“Gli Dei e gli
uomini che hai oltraggiato, disonorando i loro culti e i templi a loro
dedicati, scateneranno una tremenda vendetta su di te!”
“Né gli Dei né gli uomini
potranno mai sfiorare l’araldo della grande ombra! Le loro effimere vite sono
un niente paragonato all’abisso oscuro che si sta aprendo! Un niente di fronte
all’eternità!” –Aveva sibilato Flegias, avvolto nel suo cosmo di fiamme e
ombra. –“E tu, e il marionettista codardo che tiene i fili di questa sporca commedia,
nascosto tra le nebbie di un’isola dimenticata, scomparirete con loro!”
“Se anche accadrà, saremo
vissuti comunque per fermarti, Flagello di Uomini e Dei!” –Aveva esclamato
Andrei, cercando di non tradire l’ira montante. Aveva espanso il cosmo, avvolgendosi
in un turbine di fiamme rosse e lucenti, e lo aveva scatenato contro Flegias
con un semplice gesto della mano. –“Aurora infuocata!!! Risplendi!”
“Apocalisse Divina!!!”
–Aveva ringhiato Flegias in tutta risposta, generando una tempesta di energia che
si era schiantata contro l’attacco infuocato di Andrei, scagliando entrambi
indietro e distruggendo parte della galleria orientale di Angkor.
Quando Andrei si era rimesso in
piedi, usando i suoi poteri per controllare le fiamme circostanti e abbassarle
d’intensità, Flegias era già scomparso. Nuovamente lo aveva perso. Aveva
sospirato, incamminandosi verso i tre uomini superstiti, rannicchiati e feriti,
e li aveva pregati di essere forti e non perdere la speranza. Quindi, aveva
invaso l’intero tempio con il suo cosmo, mondando le fiamme dalla loro
oscurità, ed era scomparso, portandole via con sé e liberando Angkor dalla
maledizione di Flegias.
“Mai come in questo momento la
frase di Esopo sembra acquistare una nuova luce!” –Commentò Andrei, salutando
Jonathan. –“Se davvero l’unione fa la forza, allora avremo qualche speranza di
vittoria!”
Jonathan annuì alle parole del
maestro, volgendogli le spalle e uscendo nella fresca alba andina. Dall’alto
del Tempio di Inti il lago Titicaca risplendeva come una chiazza d’oro, e
Jonathan ritenne fosse di buon auspicio. Raggiunse il portale, ai piedi della
scalinata, e si fermò sotto l’arco di pietra, sentendo su di sé secoli di
storia e di mito. Sorrise, stringendo i pugni e pensando ai compagni che
avrebbe rivisto tra poco. Reis, Febo e Marins erano già pronti. Soltanto il
Comandante Ascanio era ancora impegnato sull’Olimpo.
Il Comandante dell’Ultima
Legione era infatti rientrato sul Monte Sacro, sorreggendo il corpo debole di
Phantom dell’Eridano Celeste e portando con loro anche Matthew, il giovane
schiavo che era riuscito a liberarsi dall’inferno dell’Isola delle Ombre. Ma
non li accolsero né squilli di trombe né corone di alloro, soltanto la
silenziosa solitudine dell’Olimpo, interrotta saltuariamente dalle urla di
dolore di Zeus, disteso sul letto nelle sue stanze, sotto le amorose cure di
Era e delle ancelle.
“Che tristezza!” –Mormorò Ascanio,
guardandosi attorno e notando le vuote sale della Reggia Olimpica, dove ormai
non era rimasto neanche un Cavaliere, né una Divinità, tutti massacrati dalla
guerra che nell’ultimo anno aveva imperato.
E ripensò a quando, quasi
quindici anni prima, vi era giunto, recuperato da Ermes ad Atene e salvato
dall’assalto dell’Esercito del Sole Nero. Quel giorno era rimasto estasiato, ad
osservare lo splendore del Monte Sacro, la lucentezza del suo cielo, l’incanto
dei suoi giardini. Tutto gli era parso fosse fatto di luce. Tutto gli era parso
fosse colmo di mito e di storia. Adesso, dei bei marmi scolpiti, delle legioni
di Cavalieri che marciavano di fronte alla Reggia del Fulmine, e della pacata
ma ferma autorevolezza di Zeus, non era rimasto niente. Soltanto Ganimede,
il coppiere degli Dei, che sorrideva loro stancamente, al centro del grande
salone.
“Temevo che non vi avrei rivisto
mai più!” –Commentò il giovane, avvicinandosi.
“I tuoi timori erano ben
fondati, coppiere degli Dei!” –Esclamò Ascanio, pregandolo di occuparsi di
Phantom, che necessitava di cure immediate. Gli presentò pure Matthew,
anch’egli bisognoso di assistenza e di qualcosa da mangiare, per rimettersi in
forze. –“Poi ti condurremo ad Atene, al cospetto della Dea tua Signora! Adesso
devo assolutamente incontrare Zeus!”
“Sii forte!” –Mormorò Ganimede,
mettendo un braccio di Phantom sulle sue spalle e aiutandolo a stare in piedi.
–“Lo troverai molto diverso dall’ultima volta in cui l’hai visto! Forse più
vecchio, sicuramente più debole!” –Aggiunse con tono inquietante, prima di
allontanarsi verso le stanze del Dio del Fulmine.
Ascanio sospirò, avendo intuito
a cosa Ganimede si riferisse. Aveva avvertito da subito, fin da quando aveva
messo piede sull’Olimpo, che qualcosa era in atto. Qualcosa di oscuro stava
prosciugando lo splendore del Sacro Monte e del suo Signore. Senza perdere
altro tempo, si incamminò verso le stanze private di Zeus, bussando con forza
al portone.
Fu una voce di donna a
rispondergli e ad autorizzarlo ad entrare. Era, Regina degli Dei,
consorte del Signore del Fulmine, sedeva sul letto accanto a Zeus, disteso
sotto lenzuola di seta, con il viso rivolto al soffitto. Verso gli splendidi
affreschi delle sue imprese mitologiche, realizzati da Apollo secoli addietro.
Attorno al letto, sempre pronte per esaudire ogni desiderio del Dio, alcune
ancelle si affaccendavano operose.
“Mio Signore!” –Esclamò Ascanio,
avvicinandosi al letto.
“Oh Ascanio! Sei tornato!”
–Mormorò Era, con voce strozzata dal dolore. –“Ha chiesto spesso di te!”
“Cosa è successo?” –Domandò il
Comandante dell’Ultima Legione, osservando il volto pallido del Dio, su cui
vistosi spuntavano i segni di una vecchiaia che non aveva mai dimostrato. –“Che
ne è del cosmo del Signore di tutti gli Dei?”
“Svanito!” –Sentenziò Zeus,
con un filo di voce. Senza neanche muovere lo sguardo verso Ascanio. –“Sommerso
da una tenebra senza fine che mi ha divorato l’animo!”
“Non cedete, mio Signore!”
–Esclamò Ascanio. –“Voi siete l’esempio, l’orgoglio di tutti noi Cavalieri
Celesti! E siete anche la guida di uomini e di Dei che confidano nella benigna
potenza delle stelle!”
“Vorrei esserlo davvero, Ascanio!”
–Borbottò Zeus, cercando di sollevarsi, di appoggiare la schiena al mucchio di
cuscini, prontamente aiutato da Era e da alcune ancelle. –“Ma non so quale
maledizione ha deciso di ridurmi così! Guarda le mie mani, guarda la grinzosa
pelle che ricopre ossa che sento sempre più deboli! Per la prima volta
percepisco il peso dell’età, il peso del tempo che non ho mai sostenuto!”
“Cosa posso fare, mio Signore?
Ci sarà una cura, un antidoto, una soluzione qualsiasi!” –Incalzò Ascanio.
–“Non possiamo cedere adesso! La lotta contro l’ombra richiede l’unione di
tutti noi, uomini e Dei, e voi dovete prenderne la guida!”
“Te ne occuperai tu, Ascanio!
Tu, assieme al mio Luogotenente! Sarete il braccio che non riesco più a
muovere, il braccio che coordinerà i Cavalieri Celesti in vece mia!” –Disse
Zeus, tossendo più volte. –“Quanto alla cura… io non ho veramente idea di cosa
mi stia succedendo…”
“Mio Signore!” –Confessò Ascanio
con voce rigida, ergendosi come un soldato. –“Il Luogotenente dell’Olimpo
riposa adesso nelle stanze di Asclepio, gravemente ferito durante l’assalto
all’Isola delle Ombre! La Dea Artemide è caduta, massacrata dal figlio di Ares,
e con lei sono caduti tutti i Cavalieri Celesti! Soltanto Phantom ed io siamo
riusciti a scampare a tale atroce massacro!”
Zeus volse di scatto lo sguardo
verso Ascanio, quasi non credesse alle sue parole. Non aveva sentito niente,
neppure percepito lo spegnersi dei cosmi dei suoi Cavalieri, e questo lo fece
avvampare di rabbia, oltre che di dolore. Per un momento, ad Ascanio sembrò
quasi di vedere gli occhi argentei del Signore del Fulmine tingersi di lacrime,
prima che crollasse contro i cuscini, respirando a fatica.
“È dunque la fine per tutti
noi?” –Mormorò Zeus.
“Marito mio, riposa adesso!
Parlerai più tardi con Ascanio!” –Intervenne allora Era. –“E voi, ancelle,
aiutate Ganimede a prendersi cura del Luogotenente dell’Olimpo!”
“Subito, Regina!” –Risposero in
coro le ancelle, accomiatandosi poco dopo.
Ascanio le seguì con lo sguardo
fino al portone della stanza, attirando i loro sorrisi audaci, da sempre
ammaliate dai fisici scultorei dei Cavalieri Celesti. Ne conosceva un paio, che
aveva visto altre volte, ma non aveva mai dato loro molta importanza, impegnato
com’era sempre stato con questioni di sicurezza molto più importanti. Soltanto
una attirò la sua attenzione, l’ultima della fila. Forse per il seno abbondante
e la veste leggera, che lasciava intravedere due splendide gambe, forse per gli
occhi piccoli e neri che parevano leggergli nell’anima, o forse perché, per un
momento, gli parve di percepire un baluginare di cosmo proveniente proprio da
lei. Scosse la testa, per non pensarci più, e riportò lo sguardo su Zeus.
“Non possiamo tardare, mio
Signore! Il futuro della Terra, e dell’Olimpo, sarà deciso a breve!” –Esclamò.
–“E per quanto mi dolga di dovervi strappare all’abbraccio della vostra sposa,
credo che il Dio del Fulmine dovrebbe essere sul campo di battaglia e non
disteso sul letto di morte!”
“Ma Ascanio!!!” –Brontolò subito
Era, per quanto Zeus le fece cenno di tacere. –“Zeus è debole, si regge a
malapena in piedi! E tu vorresti mandarlo a combattere? Sarebbe la fine del
Signore dell’Olimpo! Una fine ingloriosa e immeritevole!”
“E credete davvero che restando
qua, avvolti negli ultimi resti delle nuvole del Mondo Antico, la fine non ci
coglierà comunque?” –Mormorò Ascanio, abbandonandosi a un sospiro. Si avvicinò
alla vetrata del lato sud, lasciando correre lo sguardo lungo le vallate
dell’Olimpo, fino a perdersi nel mare lontano. Un mare che in quel momento
sembrava ribollire di fiamme nere.
Anche Phantom dell’Eridano
Celeste stava fissando quel mare, dai vetri della stanza dedicata ad
Asclepio. Ganimede lo aveva disteso su un letto, spogliandolo dai resti
insanguinati della sua armatura, e stava medicando le sue ferite, mentre
Matthew riposava poco distante, sprofondato dopo pochi minuti in un sonno quasi
innaturale.
“Non so da quanto tempo quel
ragazzo non chiudesse gli occhi, ma spero che sull’Olimpo riesca a curare le
sue ferite! Quelle esteriori per lo meno!” –Commentò Ganimede.
“Quelle che ci portiamo dentro
non si chiuderanno mai!” –Mormorò stanco il Luogotenente dell’Olimpo.
Proprio in quel momento
entrarono le ancelle inviate da Era per portare aiuto a Ganimede e subito si
affaccendarono con solerzia attorno al corpo del bel Luogotenente, non
lesinando sorrisi e sguardi ammiccanti.
“Non tutti i mali vengono per
nuocere, in fondo, no?” –Scherzò Ganimede, alzandosi dal letto e uscendo poco
dopo dalla stanza, strizzando un occhio alle ancelle. –“Lascio a voi il posto,
per tornare da Zeus, ma vedete di non stancarlo troppo!”
Le ragazze sorrisero, scivolando
sulle lenzuola lungo il corpo del Luogotenente, che chiuse per un momento gli
occhi, lasciando alle dolci mani femminili il compito di pulire le sue ferite,
con le erbe e gli unguenti di Asclepio. Per un momento Phantom si sentì
sollevato, quasi elettrizzato da quella situazione. Ma era troppo stanco per
tutto, anche solo per guardare i bei visi delle ancelle di Zeus, le stesse con
cui il Dio amava sollazzarsi nelle sue notti brave. Chiuse gli occhi e si
lasciò cullare da una profonda cantilena, quasi una nenia, che sembrò dissipare
per un momento il velo di tenebra che lo aveva avvolto.
La sua mente lasciò l’Olimpo,
perdendosi nei polverosi sentieri della memoria, ritrovandosi bambino, a
correre dietro ai greggi di pecore allevate da suo padre Deucalione, lungo le
pendici meridionali del Monte Sacro. Ai tempi in cui ancora lo chiamavano
Nikolaos, nome scelto da sua madre, grande amante delle storie di eroi, e
abbandonato in seguito all’epiteto ricevuto per le sue capacità di muoversi
senza farsi scoprire. Aveva trascorso così i primi anni della giovinezza, gli
stessi in cui sua madre allattava a fatica un’altra figlia. Una figlia che non
avrebbe voluto avere, tanto difficile e delicata era stata per lei quella
gravidanza. Era stato un miracolo che la bambina si fosse salvata.
“Un miracolo… o una
maledizione?!” –Ripeteva spesso Elena, reggendo la piccola Teria tra le
braccia. Era magra, con la pelle chiara e piccoli occhi spenti, ben diversi dal
verde luminoso di quelli di Nikolaos, e sembrava non sorridere mai, quasi
avvertisse la tensione che quel parto aveva generato nei suoi genitori.
Deucalione era stato davvero
convinto che avrebbe perso sia la moglie che la figlia. E Nikolaos, che aveva
osservato di nascosto la madre gemere su un letto di dolore, piangendo alla
vista di tetre macchie di sangue e nell’udire gli urli a cui Elena si
abbandonava spesso, non poteva fare a meno di notare gli sguardi di odio che
continuamente Teria le rivolgeva. Il rancore che la bambina sembrava provare
per la felicità che a lei era stata negata.
Così erano trascorsi dieci
inverni, in cui Nikolaos era cresciuto, aiutando il padre nel lavoro, e in cui
Teria si era chiusa sempre più in se stessa, parlando poco anche con la madre,
fino al giorno in cui il ragazzo non aveva deciso di partecipare a dei giochi
olimpici ad Atene. Era molto giovane ma aveva un fisico ben allenato e questo
gli aveva permesso di conquistare qualche premio e molti applausi. E
soprattutto le attenzioni di Zeus, che aveva incaricato Ermes di condurlo
sull’Olimpo per farne un Cavaliere Celeste.
Elena e Deucalione, appresa la
notizia, per quanto preoccupati all’idea delle battaglie che il figlio avrebbe
dovuto affrontare, lo avevano abbracciato, colmi di gioia e di orgoglio. Ma
Teria lo aveva fulminato con lo sguardo, per le attenzioni che ancora le
strappava. Pochi giorni dopo Nikolaos era partito per l’addestramento e
soltanto anni più tardi, quando era rientrato a casa, ottenuta l’investitura,
aveva appreso che Teria era scomparsa, e né lui né i suoi genitori avevano
avuto più sue notizie.
Al ricordo della sorella, che
ogni tanto tornava a turbare i suoi pensieri, Phantom si agitò, ansimando sul
letto delle stanze di Asclepio, mentre l’immagine di lei pareva fissarlo con
sguardo severo, quasi volesse imputargli le colpe della sua mancata felicità.
Phantom cercò di gridare qualcosa, di dirle che aveva tentato di volerle bene,
di accettarla come una sorella, ma lei non glielo aveva mai permesso. Né sembrò
intenzionata a farlo quella volta, puntando l’indice contro di lui e
condannandolo a una vita di infelicità. La stessa che aveva vissuto lei.
Phantom si svegliò di scatto,
tirandosi su e respirando agitatamente. Tirò un’occhiata veloce alla stanza e
vide che tutte le ancelle se ne erano andate. Tutte tranne una.
“Ti sei svegliato? Credevo tu
volessi riposare, Cavaliere!” –Commentò una ragazza con voce melodica,
allontanandosi dalla vetrata e avvicinandosi al letto.
“Quanto ho dormito?!” –Balbettò
Phantom, quasi impaurito all’idea di chiudere nuovamente gli occhi.
“Non abbastanza!” –Rispose lei,
ancora con voce incantevole, sfiorandogli il volto e sollevandolo, in modo che
lui potesse guardarla negli occhi.
Erano piccoli, erano spenti, ma
sembravano attrarlo come niente prima di allora aveva fatto. Né il desiderio di
servire Zeus, dimostrandogli di non aver sbagliato a sceglierlo tra gli uomini
mortali, né il sentimento che provava per Castalia. Era qualcosa di nuovo, e al
tempo stesso di antico, che lo aveva adescato, quasi intrappolato in un mondo
di favole, e da cui non riusciva a liberarsi.
La donna sorrise, chiudendo gli
occhi del Luogotenente dell’Olimpo con un leggero gesto della mano e
osservandolo crollare nuovamente nella prigionia in cui l’aveva confinato,
cullato da una melodia di fate e di sirene. Di colpo, il suo volto bello ed
eterno si trasformò, divenendo un muso di bestia, e i suoi occhi avvamparono,
gridando rabbia e vendetta. Si chinò sul corpo del giovane, odorandone la
pelle, e scoppiò in una risata isterica, prima di affondare i denti nel suo
braccio sinistro.
Proprio in quel momento Phantom
cacciò un grido, con gli ultimi barlumi di coscienza che gli erano rimasti, e
riconobbe Teria intenta a succhiare via il suo sangue, e con esso la sua vita.
Trasfigurata, rovinata dal tempo e nell’aspetto, di sua sorella non aveva più
niente ormai. Adesso era Lamia, l’ultimo dei sette Capitani dell’Ombra,
la rapitrice di sogni e di bambini. Flegias le aveva donato una nuova vita,
affidandole il supremo incarico di strappar via i sogni dell’infanzia,
prosciugando i corpi degli uomini della loro stessa linfa vitale.
“Il Maestro di Ombre sarà fiero
di me!” –Commentò Lamia, divorando il corpo del fratello che non aveva mai
amato.
Di Lamia, Flegias era sempre
rimasto contento. Nonostante fosse una donna, l’unica tra le fila dei Capitani
dell’Ombra, non temeva niente e nessuno, audace come un uomo e sempre disposta
a servire la sua causa. Non aveva esitato, una volta, a colpire Orochi con un
calcio secco tra le gambe, dopo che il gigante si era abbandonato a qualche
commento sulle sue forme.
Ma in quel momento Flegias
non pensava affatto a lodare Lamia, gridando arrabbiato come non lo era da
tempo. Fissava Iemisch e Sakis, in ginocchio ai piedi del trono, nella caverna
dell’Isola delle Ombre, con due occhi fiammeggianti di ira e di sangue,
chiedendosi se fossero davvero due guerrieri al suo servizio o un maledetto
scherzo del destino.
“Idioti!!!” –Strillò,
scaraventando entrambi contro una parete rocciosa, avvolgendoli in un vortice
di fiamme e tenebra. –“Siete due incapaci, la vergogna dell’Esercito delle
Ombre!”
“Ma… Maestro di Ombre!” –Rantolò
Iemisch, cercando di rialzarsi, mentre le fiamme vorticavano attorno al
suo corpo, insinuandosi tra le crepe della corazza, sporca di guerra e di
vergogna. –“Ci lasci spiegare!”
“Che cosa vuoi spiegare,
Iemisch? Il motivo per cui non avete ucciso il Cavaliere di Virgo quando ne
avevate la possibilità, lasciando invece che tornasse a nuova vita? O il motivo
per cui hai condotto tre Cavalieri Neri alla morte, senza portarmi alcun trofeo
di vittoria, soltanto il debole corpo di quell’infima ragazzina?!” –Gridò
Flegias, fiammeggiando di rancore. –“Sei un fallimento, su tutta la linea!”
–Sentenziò infine, placando l’assalto infuocato e liberando Iemisch e Sakis
dalla stretta morsa.
Quelle parole ferirono Iemisch
più di quanto le fiamme, o lo scontro con Andromeda, avessero fatto fino ad
allora. Un fallimento, ecco cos’era. Nient’altro che uno sconfitto.
Anziché tornare da vincitore, sorreggendo le teste dei suoi trofei, e ricevere
quell’accoglienza trionfale che aveva tanto sognato, era finito nel fango. E da
lì, ne era certo, non si sarebbe più rialzato. Almeno per Flegias. Qualunque
desiderio di affermazione, qualunque volontà di emergere, era stato stroncato
per sempre.
“Non sarai mai il Comandante dei
Capitani dell’Ombra!” –Affermò infine Flegias, mentre Iemisch e Sakis si
rimettevano in piedi. –“Non potrei affidare le mie truppe ad un inconcludente!”
Orochi, il grande Drago Nero, uscì dall’ombra in quel momento, calpestando il suolo con
i suoi tozzi piedi e rivelando il ghigno di soddisfazione che aveva mascherato
fino a quel momento, nel vedere Iemisch piegato ai piedi del Maestro di Ombre.
Con tutte le sue inutili ambizioni.
“Ci sono errori che, una volta
commessi, non possono più essere perdonati!” –Sentenziò Flegias, facendo infine
cenno a Iemisch e a Sakis di ritirarsi. Il Capitano dell’Ombra e l’Esploratore
Oscuro si incamminarono verso l’uscita della sala, deboli e malconci, ma
Iemisch trovò comunque la forza di procedere a testa alta, senza degnare
neppure di uno sguardo il Comandante Orochi, che continuava ad osservarlo con
aria di superbia, certo che quel gesto aveva segnato la fine della loro guerra
interna per il potere.
“Ben fatto, mio Signore! Ordine
e disciplina sono quanto mai necessari in un esercito!” –Esclamò Orochi, non
appena Iemisch e Sakis erano usciti.
“Da quando passi il tempo libero
a coniare massime e aforismi?” –Brontolò Flegias, rimettendosi a sedere sul
trono e zittendo il suo Comandante. –“Occupati piuttosto di coordinare
l’Esercito e verificare la produzione di armi da parte degli schiavi!”
“Tutto è già in funzione, mio
Signore! La macchina bellica del Maestro di Ombre funziona a pieno regime!”
–Rispose Orochi, chinando il capo in segno di sottomissione. –“Pur tuttavia, mi
duole informarvi che i miei sospetti su Siderius avevano ben ragione di
esistere! Non ho sue notizie da qualche ora e non so dove possa essere!
Considerando la sua avventatezza, non mi sorprenderebbe sapere che si è
abbandonato a qualche azione individuale!”
“Siderius?!” –Sgranò gli occhi
Flegias. –“Dove diavolo può essere finito?” –Si chiese, strusciandosi il mento,
prima che un’intuizione lo illuminasse, rilassando il volto in un ghigno
perfido. –“Mi auguro soltanto che le sue azioni non autorizzate portino qualche
successo! Pare che ultimamente deludermi sia l’aspirazione massima di voi Capitani
dell’Ombra! Ah ah ah!”
La risata sinistra di Flegias
risuonò per l’intero sotterraneo scavato sotto l’Isola delle Ombre,
raggiungendo Iemisch e Sakis, intenti a medicare le loro ferite in una sala
poco distante. Dario del Fiume Tigri era sceso nell’armeria, per cercare
qualche pezzo di ricambio per la sua corazza, e Tirtha era stata resa
inoffensiva, pronta per essere usata contro gli stessi difensori di Atena.
“Non sopporto come sono andate
le cose, Sakis!” –Brontolò Iemisch, con voce piena di rabbia. –“Avevamo la
vittoria in pugno!”
“Non agitarti, Iemisch! Gli
imprevisti possono capitare anche nelle battaglie meglio strutturate!” –Esclamò
Sakis del Quadrante Oscuro, il migliore degli allievi della Tigre Nera.
–“Anche se, bisogna ammettere, la colpa principale è nostra! Siamo stati troppo
buoni con i Cavalieri di Atena! È tempo che il senso dell’onore venga
calpestato e che sangue sia sparso, per vendicare l’onta da noi subita!”
“Te ne occuperai tu? Io ho le
mani legate, e Flegias non autorizzerà mai una mia nuova uscita dall’Isola!”
–Mormorò Iemisch. –“Maledizione! La Tigre è in gabbia!”
“Lascia fare a me! Sarà
un’azione rapida e indolore, con cui dimostreremo di saper giocare sporco!
Molto sporco!” –Sorrise Sakis, espandendo il proprio cosmo.
“Confido in te!” –Esclamò
Iemisch, mentre il corpo dell’Esploratore Oscuro veniva avvolto da un quadrato
di luce nera, dentro il quale scomparve all’istante.
Sakis riapparve poco dopo sulla
riva scoscesa di un’isola nell’Oceano Indiano, all’altezza dell’Equatore,
incamminandosi verso l’interno. I passi attutiti dallo scrosciare del mare
sugli scogli poco distanti. Non dovette impiegare molto tempo per localizzare
la sua vittima, l’unica abitante di quell’isterilita landa.
Nemes del Camaleonte uscì dall’abitazione di pietra in quel momento, indossando
soltanto la cotta di rame e bronzo degli addestramenti. Non aveva alcuna
maschera sul volto, così Sakis poté ammirare la paura impadronirsi di lei
quando si avvide del Cavaliere nero.
“Chi sei?!” –Esclamò Nemes,
cercando di riprendersi dalla sorpresa.
Sakis sogghignò, ripensando al
primo incontro con il Cavaliere di Andromeda, nella torre sopra il sacrario
centrale di Angkor, e al senso dell’onore che aveva dimostrato.
“Proprio per rispetto a quel
senso, adesso sono qua!” –Esclamò divertito, sollevando l’indice destro, su cui
concentrò il cosmo.
Nemes fece per lanciarsi verso l’interno dell’abitazione,
per afferrare la frusta che usava in combattimento, ma fece soltanto due passi
e si trovò paralizzata con una gamba alzata, bloccata in una posizione
innaturale da un semplice disegno che Sakis aveva realizzato in aria. Il
sigillo del tatto aveva intrappolato Nemes.
Quando i cosmi di Andromeda,
Phoenix e Virgo risplendettero nel cielo sopra il Grande Tempio di Atene, lo
stupore sul volto della Dea Guerriera fu evidente. Pegasus, seduto con Ioria e
Mur nella Sala delle Udienze, si alzò di scatto, senza riuscire a trattenere un
grido di sorpresa, mentre l’accecante bagliore invadeva la stanza, spegnendosi
ai piedi di Atena. Anche Cristal, Sirio e Libra erano rientrati al Grande
Tempio, e stavano parlando proprio con Pegasus degli attacchi subiti ad Asgard
e ai Cinque Picchi.
“Andromeda! Phoenix! Virgo!”
–Esclamò Lady Isabel, avvicinandosi ai tre Cavalieri, con gli occhi
pieni di gioia e luccicanti di lacrime. –“Siete salvi!!!”
“Salvi e sempre pronti a
combattere per la giustizia, Dea Atena!” –Commentò subito il Cavaliere di
Virgo, il quale, nonostante tenesse gli occhi chiusi, riuscì comunque a
leggere i sorrisi sui volti dei compagni. Soprattutto sulle labbra di Ioria.
“Virgo!!!” –Gridò il Cavaliere
di Leo, avvicinandosi, con un volto a metà tra lo stupefatto e il gioioso.
“La vita trova sempre un modo
per sorprenderci, non è così, Ioria del Leone?” –Esclamò Virgo, abbandonandosi
per la prima volta ad un sorriso sincero.
Ioria non rispose, troppo felice per rivedere il compagno che
credeva perduto, il compagno che non era riuscito a salvare. Agì d’impulso,
com’era suo carattere, tirando Virgo a sé ed abbracciandolo, e quel gesto,
nella sua apparente semplicità, stupì ed emozionò al tempo stesso il Cavaliere
della Vergine. Che non riuscì a pronunciare nient’altra parola che non un
misero, ma sentito, grazie.
Le ore successive Atena le
trascorse a parlare con Virgo, Libra e Ioria degli eventi occorsi recentemente,
per elaborare una strategia d’azione, alla luce anche dei dettagli riferiti da
Ermes, ritornato sull’Olimpo, preoccupato per la salute di Zeus. Pavit, che Atena
fu ben lieta di conoscere, fu affidato alle cure di Mur e ricoverato
nell’ospedale del Grande Tempio, bisognoso di cure dopo la battaglia ad Angkor.
Pegasus, Sirio, Cristal,
Andromeda e Phoenix poterono finalmente trascorrere qualche ora assieme, ritrovandosi,
forse per la prima volta dopo tanto tempo, a parlare tra loro. A parlare di
loro. Seduti sulla scalinata ai piedi della Statua di Atena, proprio dove Shin
l’anno prima li aveva bagnati con il sangue. Sigillando un tacito giuramento,
un passaggio di consegne.
“Dov’è Fiore di Luna?” –Domandò Pegasus
“È rimasta con Kiki ai piedi
delle Dodici Case! Credo che voglia mostrarle il Grande Tempio, di cui ha
sempre sentito parlare, restandone affascinata!” –Rispose Dragone, prima
di chiedere a Cristal e Andromeda notizie da Asgard e su Nemes.
“Cieli neri si addensano sulla
Cittadella di Asgard!” –Mormorò Cristal, alzando lo sguardo pensieroso.
–“Anche se Ilda è taciturna, i suoi occhi hanno tradito una grande ansia! Una
paura che non avevo mai visto nella Celebrante di Odino!”
“Questa guerra avrà mai fine?”
–Domandò Andromeda, tenendosi la testa tra le mani. E non nascondendo un
gemito di dolore, che spinse Phoenix, in ansia per le condizioni del fratello,
a chiedergli come si sentisse. –“Sto bene, grazie Phoenix! Io… sono soltanto
stanco per le lunghe battaglie!” –Mormorò, toccandosi il collo.
Aveva coperto il taglio di
Biliku con un fazzoletto, ma a Phoenix non sfuggì comunque il gesto del
fratello, e continuò ad osservarlo in silenzio. –“Puoi sempre farti dare
un’occhiata da Mur!” –Aggiunse, prima di alzarsi e incamminarsi verso la
ringhiera di marmo della terrazza panoramica.
Andromeda scosse la testa, non
desiderando disturbare ulteriormente il Cavaliere di Ariete, che sapeva molto
impegnato a curare i feriti di quegli stupidi scontri scoppiati all’interno di
Atene. Asher, Castalia e Tisifone erano stati imbottiti di sedativi naturali e
soltanto un’ora prima avevano ripreso conoscenza, abbandonandosi a qualche
passo prudente nel cortile dell’ospedale, desiderosi di un po’ d’aria pura. Ma
c’erano soldati le cui condizioni erano decisamente peggiori, vittime delle
violenze scatenate dalla rosa di rabbia. Feriti, sfregiati, qualcuno aveva
perso pure l’uso delle braccia o delle gambe, mutilati dai propri stessi
compagni.
Mur dell’Ariete tuttavia non perdeva la sua sempiterna calma, continuando
a girare per i letti dell’ospedale, seguito dalle allieve sacerdotesse, per
prestare aiuto ai bisognosi, grazie alle sue conoscenze mediche e ai rimedi
naturali che la cultura di Mu gli aveva tramandato. Fu proprio quando uscì
dall’edificio adibito ad infermeria che Mur sentì una voce chiamarlo, dal
profondo della sua anima. Una voce antica, forse quanto il mondo, che pareva
salutarlo con affetto. Pochi attimi dopo, mentre posava il piede sul primo
gradino della scalinata delle Dodici Case, Mur percepì cinque energie cosmiche
comparire proprio dietro di lui. Si voltò di scatto, espandendo il cosmo,
pronto per combattere, e si imbatté nello sguardo senza tempo di un uomo
anziano, lo stesso che gli era apparso nella mente poco prima.
“Felice di rivederti, Cavaliere
d’Ariete!” –Esclamò il vecchio, senza muoversi di un passo, appoggiato a un
lungo bastone intarsiato, che pareva ricavato da un albero millenario, tanto
nodose erano le sue forme.
“Chi siete?!” –Domandò Mur,
stupefatto che avessero potuto giungere fin là, ai piedi della Prima Casa,
nonostante gli scudi di Atena proteggessero l’intero Grande Tempio. E spostò lo
sguardo sulle quattro figure che accompagnavano l’anziano, due su ogni lato.
Quattro Cavalieri che non aveva mai visto, rivestiti da scintillanti armature,
dalle forme aerodinamiche, che parevano risplendere nel sole del mattino.
“Amici!” –Rispose il vecchio
dalla lunga barba bianca, abbandonandosi a un sorriso. “È trascorso tanto tempo
dal nostro primo incontro, Cavaliere di Ariete! All’epoca eri solo un
ragazzino, ma leggo nei tuoi occhi lo stesso sguardo curioso e interessato,
desideroso di conoscere e di ampliare la propria cultura e le proprie esperienze!”
–Aggiunse, fissando Mur con i suoi vividi occhi grigi, che parvero riportarlo
indietro nel tempo. Indietro di qualche anno, quasi quindici ormai. Al giorno
dell’investitura dei Cavalieri d’Oro.
Per un attimo, a Mur sembrò di
rivedere il vecchio sollevare la statua di Nike, quella che Micene aveva messo
in salvo assieme ad Atena, e unirla all’Egida, lo scudo della Dea, portato da
Shin, Grande Sacerdote, in uno scintillante gioco di luci. Ma non ebbe il tempo
di porre domande che l’anziano parlò di nuovo.
“Siamo qua per incontrare Atena!
Abbiamo bisogno di consigli e di aiuto! Un aiuto che, immaginiamo, sarà
reciproco!” –Esclamò, lasciando Mur interdetto.
“Vedere Atena?” –Mormorò
preoccupato il custode della Prima Casa. Nonostante avesse percepito chiaramente
che il cosmo dell’anziano e dei suoi accompagnatori non fosse ostile, ma
benevolo, si trattava comunque di portare cinque sconosciuti, alcuni dei quali
armati, a giudicare dalla spada fissata alla cintura di una guerriera, di
fronte alla Dea della Giustizia. E in quel particolare frangente così carico di
tensione.
“Comprendo le tue incertezze,
Cavaliere di Ariete, ed esse rendono onore al tuo ruolo! Se perciò le mie
parole, né la purezza del mio cosmo, non bastano per tranquillizzarti, prendi
questo anello! Esso è il simbolo del mio potere, e di colui che mi ha inviato
per parlare con Atena!” –Esclamò l’anziano, porgendo a Mur un anello d’oro, su
cui erano state incise rune in una lingua antica, simile al celtico. Al centro
campeggiava una A. –“Lei sicuramente lo riconoscerà!”
Nient’altro aggiunse, l’anziano
saggio, ritirandosi con i suoi quattro Cavalieri poco distante, all’ombra di
una sporgenza rocciosa, lasciando che Mur raggiungesse Atena, per conferire con
lei.
“Aspetteremo qua la sua convocazione!”
–Commentò il vecchio, abbandonandosi a una sottile risata, mentre Mur, ancora
stupito dai fatti, iniziava a correre lungo la scalinata diretto verso la
Tredicesima Casa. Mentalmente il Cavaliere di Ariete contattò Kiki, pregandolo
di tenere d’occhio i cinque individui, senza farsi notare, per quanto fosse
sicuro che non avessero cattive intenzioni. Non uomini con il cosmo così
limpido, come pochi soltanto riescono ad avere! Si disse, raggiungendo
infine Atena e spiegandole la situazione, prima di porgerle l’anello dorato.
La Dea Guerriera trasalì,
riconoscendo le rune celtiche e il simbolo al centro dell’anello. Un simbolo
che lei stessa, secoli addietro, durante la guerra di Britannia aveva ammirato
da vicino. Sventolava sulle bandiere dell’esercito di Glastonbury, campeggiava
sulle cotte dei Cavalieri che avevano dato la vita per ricacciare indietro il
nemico oscuro. E marchiava infine le tombe di coloro che se ne erano andati,
fossero Cavalieri di Atena o Celesti, o druidi e servitori dell’Isola Sacra.
Quello era infatti il simbolo di
Avalon.
“Conducili qua immediatamente!
Te ne prego, Mur!” –Esclamò la Dea, con agitazione. E dentro sé parve ricordare
le parole che il Signore dell’Isola Sacra le aveva rivolto in occasione del
loro ultimo incontro. Parole che aveva rimosso ma che adesso splendevano
davanti ai suoi occhi, marchiate a fuoco nel suo cuore.
“In questo mondo non esiste
niente che duri per sempre, Atena! Né la tensione dell’ombra all’oscuramento
della luce, né la gioia dei popoli liberi in occasione delle loro vittorie!
Tutto è effimero, tutto è vacuo! Tutto è destinato ad essere capovolto, in un
ciclo continuo di creazione e distruzione, di luce e di ombra, di genesi e
caos!” –Atena aveva sorriso, accomiatandosi da Avalon con Zeus, Ermes e i
Cavalieri rimasti in vita, e con il dono che aveva ricevuto dai druidi di
Britannia. –“Un giorno combatteremo nuovamente fianco a fianco! Uniti contro
l’ombra, uniti per l’ultima guerra!” –Le aveva sorriso il Signore dell’Isola
Sacra, sollevando la mano destra e lasciando che le nebbie di Avalon si
chiudessero sull’anello che portava al dito. Lo stesso che adesso Lady Isabel
osservava sul palmo della sua mano.
“Che sia davvero giunto quel
momento? Che stia davvero soffiando il vento dell’ultima guerra?” –Mormorò la
Dea, abbandonandosi a un sospiro.
“Prudenza, mia Dea!”
–Esclamarono Ioria e Libra. –“Non conosciamo niente di costoro! E anche se si
presentano come amici, dobbiamo comunque fare attenzione!”
“Non credo che avremo niente da
temere da loro, Cavalieri! Al contrario, avremo molto da sapere!” –Si limitò a
rispondere Atena, mentre Mur lasciava nuovamente la Tredicesima Casa per
teletrasportarsi, su approvazione della Dea, ai piedi della scalinata di marmo.
“La Dea Atena è lieta di incontrarvi,
venerabile saggio!” –Esclamò Mur, chinando lievemente il capo, in segno di
rispetto. Quindi si spostò di lato, facendo cenno all’anziano e ai suoi quattro
servitori di incamminarsi lungo la scalinata, ma l’uomo gli sfiorò un braccio,
invitandolo a camminare al suo fianco.
“E dispensa pure tuo fratello
dall’obbligo di badare a noi! Lascia che torni ai suoi giochi, adesso che ne ha
ancora la possibilità!” –Sorrise l’anziano, strappando a Mur uno sguardo di
sorpresa. Nonostante non l’avesse visto, sentiva che Kiki era poco distante,
nascosto dietro qualche roccia, ma non aveva immaginato che anche loro ne
avrebbero avvertito la presenza.
Lo avvertì telepaticamente di
tornare da Fiore di Luna e si unì ai cinque ospiti, ritrovandosi dopo pochi
minuti a parlare con l’anziano con grande naturalezza, come se quell’uomo, di
cui non conosceva neppure il nome, fosse un amico perso da molto tempo. Un
amico con abili doti oratorie e che soprattutto pareva conoscere molte cose sul
Grande Tempio e su Atena, forse anche più di quelle che Mur stesso sapeva.
“Un vero peccato che queste
splendide dimore siano andate distrutte!” –Commentò rattristato l’anziano,
giungendo sul terreno ove un tempo sorgeva la Decima Casa di Capricorn. Per
quanto Ioria e Asher si fossero occupati della ristrutturazione del Grande
Tempio, c’era ancora molto lavoro da effettuare e non erano riusciti ad andare
oltre la Casa di Virgo. –“Ricordo ancora il giorno in cui Atena decise di
innalzarle! Magnifiche, svettavano contro il cielo di Grecia come lacrime di
stelle! Non fu un periodo facile quello, tutt’altro! Dopo la costruzione delle
Dodici Case Atena dovette affrontare i Giganti, guidati dal mostruoso Tifone, e
poi Ares! Una guerra dopo l’altra! Una strage dopo l’altra! Ma Atena non ha mai
ceduto! Degna di ammirazione è la Dea che servi, Cavaliere di Ariete, non
credi?”
“Ne sono più che convinto,
venerabile saggio!” –Commentò Mur. –“Voi dunque non la servite?”
“Io?! Oh oh! In un certo senso
l’ho sempre servita! Come ho servito tutte le Divinità e coloro che hanno
lottato per rendere questo mondo un posto migliore, che hanno dato la vita per
il sogno di pace in cui credevano e per il futuro a cui anelavano per coloro
che avevano cari! Invero, Cavaliere di Ariete, io credo che tutti gli Dei siano
un unico Dio, e che qualunque nome gli si dia, Atena, Minerva o Maat, in realtà
si stia solo servendo l’equilibrio del mondo, un equilibrio che, fin dalle
origini, si è retto sulla coesistenza di luce e di ombra!” –Quindi, vedendo che
il suo interlocutore era rimasto silenzioso, a riflettere sulle sue parole,
l’anziano mosse il braccio, per scacciar via tutti quei pensieri. –“Aah, lascia
stare le mie parole! Ho vissuto troppe ere del mondo e forse adesso inizio
soltanto ad essere stanco! Piuttosto, dovremmo essere arrivati!”
La Tredicesima Casa si ergeva
proprio di fronte a loro, giunti in cima alla scalinata di marmo. Alcuni
soldati erano disposti all’esterno, allineati su due file, in modo da far
passare Mur e i cinque ospiti, scortandoli fino al portone d’ingresso delle
Stanze del Grande Sacerdote. Là, Atena li attendeva, in piedi di fronte al
trono, con lo scettro di Nike nella mano destra. Al suo fianco, disposti su
ambo i lati della sala, i Cavalieri d’Oro sopravvissuti, Ioria, Virgo e Libra,
e i cinque Cavalieri Divini, Pegasus, Sirio, Cristal, Andromeda e Phoenix.
“Dea Atena, ad ogni incarnazione
siete sempre più bella!” –Esclamò l’anziano uomo, avanzando a passo svelto al
centro del salone, aiutandosi con il lungo bastone.
Mur prese posizione accanto a
Ioria, mentre i quattro guerrieri sconosciuti rimasero indietro, attirando gli
sguardi interessati dei Cavalieri di Atena. Tra loro, Ioria riconobbe Reis, la
donna che lo aveva aiutato in Egitto e poi in Tessaglia contro Enio, restando
stupito e abbagliato dalla sua bellezza. E riconobbe anche il Cavaliere dai
biondi capelli e dall’armatura luminosa a fianco del quale aveva combattuto
contro Apopi. Egli era Febo, figlio di Amon-Ra, Dio egizio del Sole.
“Sono lieto di incontrarti di
nuovo, Cavaliere di Leo!” –Esclamò Febo, avvicinandosi a Ioria e rompendo per
primo le righe. –“È passato molto tempo dalla guerra d’Egitto ma non è mutata
la riconoscenza che provo verso voi Cavalieri di Atena, tuo fratello Micene di
Sagitter in particolare! Devo a lui la salvezza della mia terra, e anche la
rinascita di mio padre!”
“Ti sono grato per le tue
parole, Febo, figlio di Amon-Ra! E sono certo che anche Micene le
apprezzerebbe!” –Commentò Ioria, mentre Febo annuiva con il capo.
“Triste destino è stato il suo!
Ma questo non mi esime dal debito che avevo nei suoi confronti, debito che, se
me lo permetterai, sarò lieto di estinguere combattendo al tuo fianco!”
–Esclamò il figlio di Amon-Ra, inginocchiandosi di fronte a Ioria.
“Non come un debitore
combatterai, figlio del Sole, ma come Cavaliere mio pari, come mio compagno
d’armi!” –Affermò Ioria, mentre Febo si rialzava, con un sorriso sul volto.
Dietro di lui, Reis annuiva soddisfatta, scambiando uno sguardo d’intesa con il
Cavaliere di Leo, l’uomo a cui non aveva smesso di pensare negli ultimi anni.
Fu la voce dell’anziano saggio a rubare tutti ai loro pensieri.
“Dea Atena! Vi ringrazio per
averci accolto nella vostra dimora!” –Esclamò, inginocchiandosi di fronte a
lei. –“Non vi disturberemo molto, poiché l’ora è tarda e ogni minuto che passa
è solo un granello di sabbia che si consuma! Un granello della clessidra del
tempo che ancora ci resta per sconfiggere la grande ombra!”
“Parole enigmatiche, venerabile
saggio!” –Rispose la Dea. –“La vostra stessa presenza, per quanto gradita,
genera in me sorpresa! Ho riconosciuto l’anello che Mur mi ha porto, lo stesso
che vidi al dito del Signore dell’Isola Sacra millenni fa!”
“Di Avalon infatti sono
ambasciatore e maestro!” –Commentò l’uomo, alzandosi in piedi e scuotendo la
propria veste bianca, lasciando che fluttuasse davanti agli occhi dei Cavalieri
di Atena, quasi incantati dall’eterea leggerezza dei suoi movimenti. –“Io sono l’Antico,
il Primo dei Saggi! Discendente di una longeva stirpe di druidi del popolo
celtico e missionario di pace e amore! Ci siamo incontrati molto tempo fa,
quando le terre di Britannia erano minacciate dalle forze oscure e voi, Dea
della Guerra Giusta, e vostro padre Zeus, Signore dell’Olimpo, combatteste a
fianco dei nostri guerrieri, i druidi e i bianchi Cavalieri di Glastonbury! Per
ringraziarvi del vostro intervento, il Signore dell’Isola Sacra concesse a Zeus
il permesso di nascondere una legione all’ombra del Tor e a voi fece dono di
una spada mitica, forgiata dai druidi sulle sponde di Avalon: Caledvwlch, il grande fendente!”
“Excalibur!” –Balbettò Sirio.
–“La spada donata da Atena al Cavaliere di Capricorn!”
“Io… sto ricordando questi
eventi, venerabile Saggio!” –Esclamò Atena, con voce non troppo convinta. A
sprazzi, nella sua mente apparivano confuse immagini di guerra. Suoni di corni
che ululavano in lontananza, mentre le verdi piane di Britannia si tingevano
del sangue dei caduti. Centinaia di morti, la cui ultima immagine, prima che le
loro anime si perdessero nelle delizie di Annwn, l’oltretomba celtico, era il
vessillo di Avalon che sventolava sul Tor.
“È naturale!” –Sorrise l’Antico.
–“La vostra memoria divina non è altro che una continua presa di coscienza, una
consapevolezza sempre maggiore che avete acquisito, e state ancora acquisendo,
nel corso della vostra vita! Non è un semplice cassetto da aprire, ma un
insieme di ricordi della Dea, che confluiscono nel vostro corpo umano ad ogni
incarnazione! Non chiedete troppo a voi stessa, avete già dato molto agli
uomini in questi anni! Pensiamo piuttosto a questa nuova sfida che abbiamo di
fronte!”
“Cosa succede nel mondo? Cos’è
quest’immensa tenebra che pare coprire la Terra? È l’ultima guerra profetizzata
dal Signore dell’Isola Sacra?” –Chiese Atena, con ansia.
“Non ancora! Abbiamo un’ultima
speranza per contrastare l’ombra!” –Rispose l’Antico, prima di voltarsi verso i
suoi quattro Cavalieri e fare loro un sorriso. –“Un’alleanza esisteva un tempo,
tra Avalon e la Grecia, un’alleanza che ci permise di respingere il nemico! Sono
qua, quest’oggi, per rinnovare quel patto dimenticato, affinché i nostri
Cavalieri possano combattere assieme contro l’oscurità! Nessuno di noi, da
solo, potrebbe averne ragione, poiché il potere del Maestro di Ombre è
pericolosamente aumentato!”
“Il Maestro di Ombre?! Dunque
anche voi siete a conoscenza dei misfatti del figlio di Ares!” –Esclamò Atena,
mentre Pegasus e gli altri ascoltavano interessati.
“Purtroppo sì! Seguiamo le sue
mosse da molto tempo, forse da troppo! E, per ciò che ci è stato concesso,
abbiamo cercato di intervenire, limitando i danni! Ma l’argine del fiume si è
ormai spezzato e la marea d’ombra si sta riversando sulla Terra intera! Entro
poco tempo nessun posto sarà più sicuro! Neppure Atene, neppure l’Olimpo!”
–Affermò l’Antico.
“Se seguivate Flegias da molto
tempo, perché non siete mai intervenuti? Perché non vi siete mostrati? Avreste
potuto aiutarci anche nelle guerre precedenti!!!” –Incalzò Pegasus,
interrompendo la conversazione.
“Calmati, Pegasus!” –Cercò di
tranquillizzarlo Sirio, ma l’amico sbuffò scocciato.
“Avevamo anche noi il nostro
addestramento da compiere, Cavaliere di Pegasus, i nostri riti da seguire! Non
è cosa da poco affrontare impreparati la grande ombra!” –Rispose l’Antico. –“In
quanto all’essere o meno intervenuti, ti prego di mostrare più gratitudine
verso i Cavalieri che hanno salvato tua sorella!”
“Mia… sorella?!” –Balbettò
Pegasus, voltandosi di scatto verso i guerrieri che accompagnavano l’anziano.
Soltanto allora si accorse che uno di loro, forse il più giovane a giudicare
dal viso fanciullesco, impugnava un lungo bastone, simile a uno scettro, e la
sua corazza risplendeva di oro vivo, di una luminosità accecante, superiore
persino ai riflessi delle Armature d’Oro. –“Un giovane biondino con uno scettro
dorato…” –Gli sembrò di ricordare le parole di Patricia, quando gli aveva
raccontato del misterioso salvatore che aveva sconfitto i berseker a Nuova
Luxor, proteggendo lei e Nemes e portandole al sicuro in un antro sotterraneo.
Il guerriero con lo scettro
parve intuire i suoi pensieri e si abbandonò a un sorriso sincero, prima che la
voce dell’Antico richiamasse entrambi.
“Durante la Grande Guerra contro
Ares, Avalon diede ordine ai Cavalieri delle Stelle di intervenire in vostro
aiuto, proprio come aveva fatto durante la campagna d’Egitto, quattordici anni
fa! Gesti piccoli, possono sembrare così ai tuoi occhi, ma gesti che si sono
rivelati significativi, perché forse hanno contribuito a cambiare la storia, a
dare al futuro una diversa direzione!” –E anche Ioria concordò con le sue
parole.
“È vero! Io stesso, assieme a
Capricorn, Cancer e a mio fratello Micene, combattei Apopi a fianco del figlio
di Amon-Ra! E ricevemmo aiuto anche dagli altri Cavalieri!”
“I Cavalieri delle Stelle?!”
–Mormorò Pegasus, studiando i quattro guerrieri, ancora non troppo convinto
dalle parole dell’Antico.
“È l’ordine istituito dal
Signore dell’Isola Sacra per proteggere i confini di Avalon e per combattere la
minaccia dell’ombra! Le loro Armature furono realizzate con gli stessi elementi
usati dai discendenti di Mu, con cui fitti rapporti di scambio culturale
abbiamo intrattenuto in passato!” –Spiegò il Primo Saggio, cercando lo sguardo
del Cavaliere di Ariete, che gli rispose con un sorriso. –“Aggiungendo a questi
un frammento di mithril, materiale raro sulla Terra ma abbondante sull’Isola
Sacra! È il mithril infatti che dona loro la lucentezza che abbaglia i vostri
occhi, oltre che notevole resistenza!”
“Il leggendario mithril!”
–Mormorò Andromeda, ricordando le parole di Efesto. –“Il figlio dell’universo,
prodotto congiunto di aria, acqua, fuoco e terra! Il quinto elemento, che
racchiude la forza della natura!”
“E come il mithril anche i
Cavalieri delle Stelle devono i loro poteri alle forze della natura, che hanno
lasciato scorrere dentro sé durante anni di duro addestramento!” –Spiegò ancora
l’Antico, prima di presentare i quattro guerrieri, che fecero ciascuno un passo
avanti all’udire il loro nome. –“Jonathan di Dinasty, Cavaliere dei Sogni
e custode dello Scettro d’Oro! Giovanissimo, combatté in Egitto a fianco di
Micene di Sagitter, sotto ordine diretto del Signore dell’Isola Sacra, che
decise di prestare aiuto al suo allievo prediletto!” –Quindi si volse verso
l’unica ragazza del gruppo. –“Reis di Lighthouse, Cavaliere di Luce,
custode della Spada di Luce! Coraggiosa e tenace, Reis possiede la tempra di un
leone che non dorme mai!” –Aggiunse, fiero di lei, mentre la ragazza dagli
occhi blu sorrideva timidamente.
“Febo, Cavaliere del Sole,
figlio di Amon-Ra e discendente della regale stirpe d’Egitto! Nobile portatore
di una tradizione che lui stesso ha contribuito a impedire che si perdesse
nell’oblio del tempo, tra Dei stanchi e rimpianti! Infine, ultimo, ma non certo
per importanza, Marins, il Cavaliere dei Mari Azzurri, che mise in salvo
il Vaso di Nettuno impedendo ai berseker di venirne in possesso! A loro si deve
il salvataggio delle persone a voi care dalla violenza dei guerrieri di Ares!”
“Fiore di Luna…” –Mormorò Sirio.
–“Nemes…” –Aggiunse subito Andromeda, prima di ringraziare i quattro Cavalieri
per l’aiuto prestato loro.
“Non dovete ringraziarci,
Cavalieri di Atena!” –Rispose subito Febo. –“Avremmo voluto fare molto di più,
e forse questo è il momento per provarci davvero!”
“Soltanto uno è assente, il Comandante
dei Cavalieri delle Stelle, ma credo che di lui abbiate già sentito parlare!”
–Continuò il vecchio saggio, voltandosi verso Libra e fissandolo con sguardo
penetrante. Fino a che Libra non trasalì, capendo.
“Che cosa sapete, oh Antico?
Cosa progetta il figlio di Ares tra le tenebre dell’Isola maledetta? Ermes mi
ha riferito che mio Padre Zeus sta male! Credete sia imputabile a lui la
debolezza del Signore dell’Olimpo?”
“Ammetto che di questo non ero
informato!” –Esclamò l’Antico, per la prima volta sorpreso. –“Ma il Comandante
dei Cavalieri delle Stelle è rientrato sul Monte Sacro, per conferire con Zeus,
e sono certo che quando arriverà ci porterà notizie approfondite! Nell’attesa,
Dea Atena, credo sia opportuno elaborare una strategia d’azione! Le forze
oscure risvegliate dal Maestro di Ombre invadono ormai la Terra, espandendosi a
macchia d’olio dall’Isola nell’Egeo, trascinate da un unico istinto, da un solo
comandamento! Estirpare ogni forma di luce! La marea d’ombra scatenata da
Flegias lambisce già i confini occidentali della Penisola Anatolica, l’isola di
Creta a sud e la Tessaglia a nord. Non passerà molto tempo prima che giunga ad
Atene! E anche se il Grande Tempio è protetto dal Divino cosmo della Dea
Guerriera, come Avalon lo è dal potere del suo Signore, ciò non basterà a
tenere l’ombra lontana per sempre!” –Esclamò, fissando Atena negli occhi. –“Ne
avrebbe comunque senso nascondersi mentre il mondo sprofonda nell’abisso delle
tenebre!”
“Sono d’accordo con voi, Primo
Saggio!” –Affermò Pegasus, con baldanza. –“I miei compagni ed io siamo pronti a
combattere! Abbiamo tutti un conto in sospeso con quella canaglia di Flegias!”
“Non soltanto lui sarà il nostro
nemico, Pegasus! Ma le ombre che lo circondano e che ha risvegliato! Ombre che
marciano sul pianeta Terra per avere la loro vendetta!”
“La loro vendetta?! E cosa può
volere un’ombra?” –Chiese Andromeda, prima che l’Antico si voltasse, fissandolo
con i suoi occhi senza tempo.
“Vivere in un mondo di tenebra,
dove luce non vi sia più!” –Mormorò, con voce così bassa che parve un sospiro.
–“Grazie al potere della Shadow Skills, Flegias ha donato una vita alle
ombre, per quanto effimera essa sia! E adesso, questo esercito silenzioso sta
marciando sul mondo per avvolgerlo in una notte senza stelle e per dare vera
forma alla loro fatua essenza, cibandosi delle energie vitali degli uomini! Già
i governi della Terra stanno discutendo, e gli eserciti cercano di fermare
quella marea nera, ma nessun’arma convenzionale potrà niente contro di essa! Del
resto, come può un missile ferire un’ombra?”
“Tutto questo è altamente
inquietante!” –Commentò Andromeda, prima che la mano di Cristal si appoggiasse
sulla sua spalla, sorridendogli per confortarlo.
“Io stesso ho affrontato alcune
ombre, ad Asgard! E ho avuto modo di verificare la fondatezza delle
preoccupazioni dell’Antico! Il mio gelo non riusciva a fermarle, neppure le
intimoriva, anzi sembravano attratte dal cosmo, quasi volessero cibarsene!”
–Esclamò il Cigno, al ricordo dell’attacco subito da lui e Ilda sulla
piattaforma di ghiaccio e da come le ombre parevano fagocitare ogni forma di
luce.
“Era proprio ciò che volevano,
Cristal il Cigno!” –Confermò l’Antico. –“In fondo, cos’altro è il cosmo, se non
la luce dell’anima? E se essa è il loro nemico principale, cercheranno di
vincerlo in due modi: annientandolo o privandolo della fiamma vitale! Proprio
come un guerriero cerca di sconfiggere il proprio avversario: vincendolo in
battaglia o diventandone amico!”
“Terrificante!” –Mormorò Sirio.
E Pegasus subito intervenne. –“E come possiamo affrontarle? Come si fa a
combattere contro un’ombra?!”
“Per fortuna, in tanti anni di
preparazione, abbiamo trovato l’arma giusta! L’arma che forse ci darà una
possibilità di sopravvivere!” –Esclamò l’anziano saggio, fissando i suoi
guerrieri e annuendo. –“Talismani forgiati nel Mondo Antico, intrisi della
prima luce divina, di cui i Cavalieri delle Stelle sono i custodi! Gli stessi
Talismani che Flegias ha cercato per anni, senza riuscire a trovarli, per
nostra fortuna!”
“I Talismani? Forse quelli che
stava cercando ad Angkor?!” –Incalzò Andromeda, mentre l’Antico annuiva.
“Li ha cercati ovunque,
uccidendo senza vergogna! Anche amici sono caduti per difendere il loro
segreto!” –Mormorò il saggio, ricordando Galen, il custode della Biblioteca di
Alessandria, e suo amato fratello, che aveva gettato nel fuoco l’unico
manoscritto con le ubicazioni dei Talismani pur di non cederlo al demonio. –“Ma
non li ha mai trovati, poiché non ha mai capito cosa fossero! Vorrei spiegarvi
molto di più, sui Talismani e su Avalon, ma credo che ci sia rimasto poco
tempo! E ogni minuto perso in discorsi è solo terreno guadagnato dall’Esercito
delle Ombre! Dobbiamo fermarlo, e dobbiamo farlo insieme!!!”
A quelle parole, Pegasus si
voltò verso i suoi quattro compagni e scambiò con loro un tacito segno di
intesa. Avevano vissuto così tante esperienze insieme che ormai, per capirsi,
non avevano più bisogno neanche di parlare. La loro forza, la loro unione, era
nell’amicizia che li legava. E notarlo fece sorridere l’Antico.
“Siamo pronti!” –Esclamò con
determinazione Pegasus, serrando il pugno.
Poco dopo una violenta esplosione scosse l’intero santuario.
L’Esercito delle Ombre era arrivato ad Atene.
Pegasus e gli altri Cavalieri di
Atena e delle Stelle uscirono di corsa dalla Tredicesima Casa, osservando
dall’alto l’immensa distesa di tenebra che giungeva da est. Un mare nero che
pareva sommergere la Grecia intera. Tutto il versante orientale del Grande
Tempio era già stato raggiunto e i Cavalieri potevano udire le grida dei
soldati spegnersi una dopo l’altra, nel tentativo di fermare quella devastante
avanzata. Ma per quanto provassero, non potevano in nessun modo fermare le
ombre risvegliate da Flegias, che penetrarono i loro fragili corpi, strappando
via il loro soffio vitale, di cui avide si cibarono, usandolo per alimentare
nuove ombre, le stesse dei soldati caduti.
“È… immenso!” –Commentò
semplicemente Pegasus, sgranando gli occhi stupito.
“E non è che una parte dei
rancori del mondo!” –Affermò l’Antico, con una grande amarezza.
“Dobbiamo intervenire subito!
Primo Saggio, siamo pronti ad agire!” –Incalzò Marins, mentre anche gli
altri tre Cavalieri delle Stelle annuivano.
“Questo non cambia i nostri
piani! Partirete immediatamente per prestare aiuto alle popolazioni minacciate!
Non possiamo permettere che questa marea dilaghi ancora! O diverrebbe un
esercito troppo numeroso, troppo potente, per poter essere contrastato!”
–Esclamò l’Antico, prima di voltarsi verso Atena, rimasta prudentemente
all’ingresso della Tredicesima Casa, sorvegliata a vista da Mur e Libra. –“Dea
Atena, ritengo che questo santuario non sia per voi un luogo sicuro! La guerra
l’ha ormai raggiunto! Forse dovreste trovare riparo altrove, per quanto pochi
rimarranno i posti ove l’ombra non potrà arrivare!”
“Vi ringrazio per la premura,
Primo Saggio! Ma non posso più fuggire!” –Esclamò Atena, stupendo anche
i suoi Cavalieri per quell’affermazione. –“Ho lasciato per troppo tempo i miei
paladini da soli! È tempo che anch’io combatta al loro fianco, condividendo le
pene di questa guerra!”
“Lady Isabel!!!” –Esclamò
Pegasus. –“Siate prudente, potrebbe essere rischioso!”
“E per voi non lo è?” –Rispose
Atena, poggiando lo sguardo su quello del Cavaliere e fissandolo per qualche
interminabile secondo. Quasi a comunicargli qualcosa che soltanto loro poterono
comprendere.
“Dea Atena, perdonatemi se
insisto! Ma credo che garantire l’incolumità vostra sia uno dei compiti dei
Cavalieri, che non riuscirebbero a combattere al meglio con voi al loro fianco,
timorosi che qualcosa di male possa accadervi! Inoltre il vostro ruolo in
questa guerra potrebbe essere ben maggiore rispetto a questa prima schermaglia!
Mettetevi in salvo, ve ne prego! Andate ad Avalon, se volete! Il mio Signore
sarebbe lieto di ospitarvi e difendervi!” –Continuò l’Antico, nel perorare la
sua causa.
“Credo che in fondo le vostre
parole siano sensate, Primo Saggio!” –Commentò Atena, abbandonandosi infine ad
un sospiro. –“Ma non andrò ad Avalon, per quanto grande sia il mio desiderio di
incontrare di nuovo il Signore dell’Isola Sacra! Bensì porterò aiuto a mio
Padre, raggiungendo l’Olimpo!”
“Questa è un’ottima idea!”
–Affermò Pegasus, e anche gli altri annuirono. –“Mentre Milady sarà al sicuro
sul Monte Sacro, noi ci occuperemo di queste creature disgustose! Che provino a
estirpare la fiamma dei nostri cosmi, sentiranno quanto è resistente questa
gramigna!!!”
“I Cavalieri delle Stelle invece
cercheranno di impedire che la marea si espanda ancora!” –Intervenne l’Antico.
–“Reis e Jonathan andranno a Smirne, in Anatolia, mentre Marins e Febo
raggiungeranno Creta! Siate prudenti ma risoluti, e fermate, ad ogni costo,
l’avanzata dell’Esercito delle Ombre!”
“Non falliremo!” –Esclamò Jonathan
di Dinasty, inchinandosi. –“Ci siamo allenati per tutta la vita per questo
momento! Renderemo onore ai nostri Maestri!”
“Perfetto, andiamo allora? Ho
una gran voglia di mostrare a quelle canaglie di che pasta sono i Cavalieri di
Atena!” –Incalzò Pegasus, sbattendo un pugno nella mano opposta. Ma Sirio lo
frenò prudentemente.
“Non essere troppo spavaldo,
Pegasus! Cristal ci ha raccontato che razza di mostri sono queste creature!
Dovremo essere prudenti o finiranno per prosciugare la nostra energia!”
Un nuovo boato disturbò la
conversazione in corso, attirando le attenzioni dei vari Cavalieri sul Cancello
Principale. Sembrò a tutti di vedere una gigantesca sagoma sollevarsi verso il
cielo, mentre nugoli di fiamme si abbattevano sulle mura perimetrali del Grande
Tempio, incendiandole, prima di farle saltare in aria.
“C’è qualcos’altro!” –Commentò
Sirio, tenendo fisso lo sguardo verso il basso. Ma non riuscì a mettere a fuoco
l’immagine, a causa dell’immensa cappa di ombra che pareva riempire il cielo.
“Qualunque cosa voglia varcare i
confini di questa terra sacra, troverà i Cavalieri di Atena ad attenderla!”
–Esclamò deciso Ioria del Leone, e Libra e Virgo si unirono al compagno,
iniziando a correre verso le scale. –“Tu non vieni, Mur?” –Chiese, voltandosi
verso il Cavaliere di Ariete.
“Accompagnerò Atena sull’Olimpo!
Un’ulteriore protezione è necessaria! Inoltre, forse potrei essere utile alla
malattia di Zeus!” –Commentò Mur.
“Ci affidiamo a te!” –Gli disse
Ioria, approfittando di quel momento per lanciare un ultimo sguardo alla
bellissima Reis di Lighthouse e perdersi nei suoi occhi blu. Senza che nessuno
dei due parlasse. Ma Ioria sentì la sua voce dentro di lui. Una voce che gli
chiedeva di fare attenzione, così forse, se gli Dei avessero voluto, finita la
guerra avrebbero potuto vedersi. –“Non gli Dei lo vorranno!” –Precisò il
ragazzo, prima di lanciarsi in una rapida corsa lungo la scalinata delle Dodici
Case. –“Ma noi!”
Libra, Virgo e i cinque
Cavalieri Divini lo seguirono senza indugio, mentre Lady Isabel rimase ancora
per qualche istante sul piazzale di fronte alle Stanze del Sacerdote,
osservandoli scomparire in lontananza, piccole macchie di luce che baluginavano
nell’oscurità di quel giorno. La calda voce dell’Antico la richiamò poco dopo,
avvertendo che egli sarebbe rientrato ad Avalon, mentre i Cavalieri delle
Stelle scomparvero all’istante, rischiarando il cielo come quattro comete.
“Faranno il loro dovere, Dea
Atena! Proprio come i vostri Cavalieri!” –Commentò, soddisfatto dei ragazzi che
anch’egli aveva contribuito a formare.
“Ne sono certo, venerabile
Saggio!” –Rispose Atena, rientrando nella Tredicesima Casa. –“Mi chiedo
soltanto se non siate troppo fiducioso! L’oscurità è forte adesso! Riusciremo a
contrastarla?”
“La fiducia in Avalon è l’unica
certezza della mia vita! Ad essa non ho fatto altro che aggrapparmi in tutti
questi millenni di esistenza terrena! In cos’altro avrei dovuto credere?
Nell’intervento di un Dio risolutore? Difficile sperarvi quando è proprio Dio a
voler distruggere il mondo che ha creato!” –Sospirò l’Antico, avvolgendosi
infine nel suo cosmo, caldo e vasto, simile all’abbraccio con cui un nonno
stringe il nipote.
Lady Isabel rabbrividì per un
momento, ma non riuscì a domandare altro che il Primo Saggio già se ne era
andato, lasciandola con i suoi dubbi. Scosse la testa, per non pensare, e si
voltò verso Mur, pronta per partire. Il Cavaliere annuì ed entrambi
concentrarono il cosmo, invocando l’aiuto di Zeus per raggiungere l’Olimpo.
“Siate prudenti, miei
Cavalieri!” –Mormorò la Dea, scomparendo dal Grande Tempio e tirando un’ultima
occhiata allo scettro di Nike, rimasto saldamente in piedi a pochi passi dal
trono.
La scomparsa del cosmo di Atena
fu avvertita dai suoi Cavalieri, che tirarono un sospiro di sollievo, prima di
giungere fuori dalla Casa di Ariete e osservare lo sfacelo che si apriva
attorno a loro. Sotto un cielo di tenebra, migliaia di oscure figure
evanescenti fluttuavano in aria, penetrando i corpi dei soldati e lasciandoli
ricadere a terra senza vita. Ovunque divampavano incendi, che i difensori del
Grande Tempio non riuscivano a spegnere, continuamente alimentati da una
pioggia di fuoco che sembrava provenire dall’esterno.
“L’infermeria!!!” –Gridò Sirio,
correndo verso l’edificio avvolto da lingue di fuoco, seguito da Cristal.
Dall’interno della costruzione
provenivano grida di terrore, alla vista di quell’atroce spettacolo. Il ricordo
della strage compiuta dai seguaci di Ares era ancora vivo nella mente di tutti
gli abitanti del Grande Tempio e la possibilità che potesse essere replicata
fece inorridire i Cavalieri di Atena. –“Dobbiamo spegnere il fuoco! E lo farò
con le fresche acque di Cina, le stesse che da millenni scivolano dalla Cascata
del Drago, intrise dell’energia cosmica di una cometa! Scorrete, Acque della
Cascata!!!” –Esclamò Sirio, mentre attorno al suo corpo si sollevavano
scintillanti getti di energia acquatica, che assunsero la forma di cento e più
dragoni, rischiarando il cielo tetro di quel giorno, prima di abbattersi sugli
incendi sparsi attorno.
Cristal imitò subito l’amico,
concentrando il cosmo sull’indice destro e dirigendo il suo potere glaciante
contro l’infermeria, in modo da creare una cupola di ghiaccio per difenderla
dalle fiamme.
“Anelli del Cigno!!!”
–Esclamò l’allievo del Maestro dei Ghiacci.
“Ben fatto, Cristal!” –Sorrise
Sirio, prima che una strillante voce chiamasse entrambi.
“Siriooo!!!” –Gridò Kiki,
arrivando correndo in mezzo alle fiamme, portando Fiore di Luna con sé.
“Kiki! Fiore di Luna!!! Cosa
fate qua? Andate via, è pericoloso!” –Esclamò subito Sirio.
“Eravamo nell’infermeria quando
è scoppiato l’inferno! Hanno iniziato a cadere dal cielo, gigantesche vampate
di fuoco, e quando siamo usciti lo abbiamo visto torreggiare su di noi!”
–Spiegò Kiki con agitazione. –“Oh Sirio, è stato orribile!” –Aggiunse subito
Fiore di Luna.
“Cosa avete visto?! Chi ha
acceso questo fuoco?!” –Domandò Sirio.
“Io!!!” –Esclamò una voce,
risuonando sull’intero campo di battaglia, quasi provenisse dalle tenebre
tutte.
Sirio, Cristal e gli altri si
voltarono verso le mura del Grande Tempio, mentre un’indistinta sagoma prendeva
forma al di là di esse, nascosta, quasi avvolta, da un vorticare di ombre. Una
fiammata improvvisa rischiarò la visuale dei Cavalieri di Atena, che dovettero
lanciarsi di lato per non essere raggiunti. Kiki protesse Fiore di Luna con un
campo di forza, mentre Cristal liberava il gelo della Siberia per congelare
l’attacco.
“Ben più devastante freddo
dovrai scatenare, Cavaliere del Cigno, se vorrai avere l’ardire di congelare le
fiamme del possente Orochi!” –Esclamò di nuovo la voce, mentre la terra tremava
sotto di loro, smossa dal rovinoso passaggio di un’immensa creatura, avvolta in
fiamme e in ombra.
“Attentiii!!!” –Fece solo in
tempo a gridare Sirio, gettandosi su Kiki e Fiore di Luna, per proteggerli con
il suo corpo, mentre il muro del Grande Tempio esplodeva e rozzi pezzi di
pietra e granito schizzavano verso di loro. Cristal cercò di proteggersi
sollevando un muro di ghiaccio, ma non fece in tempo e venne travolto dalla
pioggia di blocchi di pietra e scaraventato indietro, rovinando sul terreno.
Stessa sorte incontrarono Pegasus, Phoenix e Andromeda, di poco dietro di loro.
Quando si rialzarono, i cinque
compagni videro una creatura immensa ergersi sopra di loro. Una creatura simile
a un drago avanzava dentro il Grande Tempio, sfondando le mura con la sua
gigantesca mole. Aveva otto teste e otto code, che muoveva all’impazzata,
falciando tutto ciò che incontrava, uomini e costruzioni, e il corpo era così
gigantesco da estendersi per buona parte del versante meridionale del santuario
di Atena. Sul dorso crescevano muschi, cipressi e cedri, mentre il petto
esplodeva di fiamme e di sangue.
“O… Orochi?!” –Balbettò Phoenix,
aiutando Andromeda a rialzarsi. –“Il drago serpente dello shintoismo?!”
“In carne… e fuoco!” –Esclamò
una terza volta una possente voce maschile, prima che un rapido movimento
attirasse l’attenzione dei Cavalieri di Atena. In piedi, in mezzo agli archi
distrutti del Cancello Principale, si ergeva un Cavaliere rivestito da una nera
corazza. Alto quasi tre metri, dal corpo simile al tronco di una quercia, il
Comandante dei Capitani dell’Ombra era infine sceso sul campo di battaglia.
“Orochi son io, custode e
padrone del leggendario drago!” –Si presentò l’uomo, sulla cui Armatura,
disposte in varie parti del corpo, spiccavano otto terrificanti teste di drago.
–“Sono il Capitano dell’Ombra che trae dai rimpianti degli uomini la forza per
vincerli, abbattendo i loro fragili sentimenti con la verità della vita che han
perduto!”
“Un altro Capitano dell’Ombra?!”
–Mormorò Cristal, ricordando Livyatan, da lui sconfitto ad Asgard. –“Ma quanti
sono in tutto?”
“Sette!” –Disse Orochi. –“E tra
tutti io sono il più forte, il Comandante dell’Esercito delle Ombre, la nera
milizia che abbatterà questo santuario, spegnendone la luce!”
“Non sei un tipo modesto,
vero?!” –Esclamò Pegasus con baldanza, accendendo il suo cosmo azzurro. –“Bene,
vediamo se sei bravo anche nei fatti, oltre che con le parole! Prendi il Fulmine
di Pegasus!!!” –Gridò, scattando verso il Capitano dell’Ombra e
dirigendogli contro migliaia di sfere di energia cosmica.
“Prudenza, Pegasus!!!” –Lo
chiamò Cristal. Ma non riuscì ad aggiungere altro, ammutolendo di fronte alla
scena.
Orochi non si mosse neppure,
lasciando che i colpi di Pegasus si infrangessero su un’invisibile barriera di
energia cosmica, che si erse come un muro di fronte a lui. Uno dopo l’altro i
pugni del Cavaliere di Atena vi cozzarono senza abbatterla, mentre Orochi
sorrideva soddisfatto.
“No! Non ci credo! Possiede una
barriera come quelle di Eris e Cavallo del Mare!!!” –Esclamò Pegasus, cessando
infine l’attacco.
“Stupito, ragazzo? Eppure ti
avevo avvertito fin da subito su chi fosse il più forte!” –Ringhiò il Capitano
dell’Ombra, concentrando il cosmo attorno al pugno destro, che venne avvolto da
una sfera di energia color ruggine. –“Subisci adesso il Pugno del Drago!!!”
–Aggiunse, portando avanti il braccio e colpendo Pegasus in pieno petto,
scaraventandolo indietro di molti metri, fino a farlo schiantare sulla
scalinata della Prima Casa, dove sprofondò malamente.
“Pegasus!!!” –Gridarono Phoenix
e gli altri, mentre Sirio, preoccupato dal peggiorare della situazione,
ordinava a Kiki di portare via Fiore di Luna. –“Conducila alla Tredicesima
Casa, è forse il luogo più sicuro del Grande Tempio! Noi cercheremo di
resistere!” –Il fratello di Mur annuì, per quanto Fiore di Luna fosse restia ad
abbandonare ancora l’amato. Ma un ruggito violento del gigantesco drago fece
sobbalzare tutti quanti, obbligando la ragazza a scappare via con Kiki.
Il drago iniziò a smuoversi
lungo le mura del Grande Tempio, abbattendole definitivamente e penetrando del
tutto all’interno, avvolto da sangue e fiamme, che dirigeva verso i Cavalieri e
le costruzioni attorno da tutte le sue otto fauci.
“Maledizione!!!” –Ringhiò
Cristal, evitando una vampata incandescente ed espandendo il proprio cosmo
glaciante. –“Vediamo se riesco a spegnere questo scomodo incendio! Polvere
di Diamanti!!!” –Gridò, dirigendo l’assalto verso una delle otto teste di
Orochi, ma tutte le altre parvero dirigere in sincronia i loro sbuffi infuocati
sul Cavaliere del Cigno, che fu obbligato a interrompere l’attacco e a usare il
ghiaccio per creare una cupola con cui proteggersi da tale inferno improvviso.
“Resisti, Cristal!!!”
–Intervenne Sirio, balzando in alto e sollevando il braccio destro, carico del
suo cosmo scintillante. –“Excalibur!!!” –E falciò le fiammate del drago,
disperdendole momentaneamente. Sotto di lui Andromeda e Phoenix si mossero per
unirsi all’amico, ma il Capitano dell’Ombra fu subito di fronte a loro,
colpendo entrambi con robusti pugni e scaraventandoli indietro. Quindi si volse
verso Cristal, schiantando la sua muraglia di ghiaccio e sbattendolo a terra,
prima di sollevare un piede e cercare di schiacciarlo.
Ma il Cavaliere del Cigno riuscì
a difendersi, afferrando il tacco del Comandante oscuro con le mani e spingendo
con forza per contrastarlo. Al qual tempo iniziò a sprigionare il suo freddo
cosmo con il quale avvolse il grande piede di Orochi, stringendolo in una morsa
di ghiaccio, senza che questo turbasse minimamente il Capitano dell’Ombra, che
si limitò ad un ghigno perverso.
D’un tratto, fece esplodere una
fiamma incandescente, che liquefece il ghiaccio creato da Cristal, avvolgendo
anche il Cavaliere di Atena, strappandogli un grido di dolore. Incurante delle
fiamme, Orochi calò il braccio su di lui, afferrandolo per il collo e sollevandolo,
senza mai smettere di fissarlo con i suoi occhi neri.
“Credevo di averti già spiegato
che il gelo del tuo cosmo è misera cosa di fronte alla fiamma di Orochi! L’Alito
del Drago può rivelarsi tossico per chi non è abituato a temperature così
calde!” –Esclamò il Capitano dell’Ombra, stritolando Cristal nel vivido fuoco,
per quanto il Cavaliere cercasse di difendersi con il suo gelo. Gli afferrò il
braccio con cui lo stava reggendo e concentrò su quella presa tutto il suo
potere congelante, bruciando al massimo il proprio cosmo.
“Ehi bestione! Non ti sarai
scordato di me!” –Gridò Pegasus improvvisamente, sfrecciando verso di lui con
il pugno destro carico di energia cosmica. –“Cometa di Pegasuuus!!!”
–Esclamò, dirigendo il suo attacco verso il fianco destro del Capitano
dell’Ombra, che riuscì a ricreare in tempo la sua barriera di cosmo, impedendo
alla cometa di raggiungerlo. Ma venne comunque spinto indietro e perse la presa
sul Cavaliere del Cigno, che fu libero di muoversi e allontanarsi di qualche
metro.
“Ha una forza immensa costui!”
–Commentò Cristal, riunendosi con gli amici. –“Oltre che una difesa
difficilmente penetrabile! E padroneggia persino il fuoco, combinando tecniche
letali!” –Aggiunse Pegasus.
Le grida di Sirio distrassero
tutti quanti, che si voltarono verso il compagno, intento a battagliare con
l’immenso drago. Andromeda intervenne subito in suo aiuto, liberando la Catena
con cui afferrò la testa di un drago, strattonandola bruscamente, mentre
Phoenix lo seguiva a ruota, dirigendo un violento pugno infuocato contro
un’altra testa, non sortendo altro effetto che farlo imbestialire
ulteriormente.
“Questa bestia mi ricorda l’Idra
di Lerna!” –Commentò Phoenix.
“Ma è molto più forte!!!”
–Esclamò Andromeda, venendo bruscamente sollevato da terra dai movimenti del
drago e scaraventato in aria. Ma il Cavaliere riuscì a liberare le proprie
catene e a compiere un’abile piroetta, prima di scagliarle di nuovo contro
Orochi, nella sua configurazione finale. –“Melodia scintillante di Andromeda!!!”
–Gridò, mentre migliaia di strali luccicanti splendevano in cielo,
conficcandosi nella squamosa pelle del drago.
“Vuoi ferire il grande serpente
con quei catenacci? Ah ah ah, credete che sia un drago comune? Un misero mostro
da palude?” –Rise il Capitano dell’Ombra, avvicinandosi nuovamente. –“Non
conoscete dunque la storia di Yamato no Orochi? Essa è descritta nella Cronaca
degli Antichi Eventi, meglio nota come Kojiki!”
“Il più antico testo letterario
nipponico?!” –Esclamò Sirio, a cui il Vecchio Maestro ne aveva parlato.
“Se lo hai letto, Cavaliere del
Dragone, ricorderai anche il combattimento di Susanoo contro Yamato no Orochi, il grande drago a otto
teste del Koshi!”
“Adesso
ricordo! Orochi dominava la regione di Iuzmo, in Giappone, dove chiedeva
delle vergini in sacrificio, in cambio della promessa di non devastare i
terreni! Un giorno Susanoo, Dio del mare e delle tempeste, giunse nella
regione, dove incontrò la fanciulla che avrebbe dovuto essere la prossima
vittima del drago! L’ottava! E non credo sia casuale questa ricorrenza del
numero otto!” –Spiegò Sirio ai compagni. –“Susanoo, innamoratosi della
bellissima Kushinada, promise di salvarle la vita, in cambio della promessa di
matrimonio! Il Dio combatté allora contro Orochi, e fu uno scontro terribile,
dove intere vallate vennero squassate, tanto immenso era il corpo del drago, e
tanto potente da resistere persino al Dio!”
“E quello stesso drago adesso è qua, risvegliato da
Flegias grazie al potere della Pietra Nera, e desideroso di cibarsi, non più di
vergini fanciulle, ma di Cavalieri! Ha già assaggiato qualche soldato, ma pare
non vi abbia trovato grandi soddisfazioni! Ah ah ah!” –Rise di gusto il
Capitano dell’Ombra, mentre Orochi avanzava distruggendo ogni cosa, falciando
terra e aria con le sue otto code e sprigionando vampate di fuoco che
infiammarono l’intero Grande Tempio.
“Dobbiamo fermarlo prima che
distrugga ogni cosa!” –Esclamò Sirio. –“E dobbiamo sbrigarci! I Cavalieri d’Oro
hanno bisogno di aiuto! Non resisteranno a lungo contro le ombre!” –Aggiunse
Cristal, ricordando che Ioria, Virgo e Libra, giunti alla Prima Casa, si erano
diretti verso il versante orientale del santuario, per frenare l’avanzata
dell’Esercito delle Ombre.
“E voi, quanto invece pensate di
resistere?!” –Sogghignò Orochi, prima di caricare il pugno destro di cosmo
ardente e scagliarlo contro di loro. –“Pugno del Drago!!!”
“Attentiii!!!” –Gridarono i
cinque amici, separandosi e scattando di lato, ma l’impatto dell’assalto fu
tale da sbilanciarli e spingerli indietro. –“Così non funziona! Affrontare sia
lui che il Drago insieme è una pessima strategia, ci fa soltanto distrarre!”
–Disse Phoenix, e Cristal subito gli diede ragione. –“Mi occuperò io del
mostro! Ho una certa esperienza nel trattare creature di questo tipo!”
–Aggiunse, riferendosi a Ladone e al Leviatano.
“E io ti darò una mano!”
–Esclamò subito Dragone, affiancando l’amico e ponendosi di fronte a una delle
otto teste di Orochi.
“Molto bene! Pare che a me
toccherà la parte più difficile!” –Ironizzò Pegasus, indicando il Capitano
dell’Ombra che, a braccia conserte, sembrava non aspettasse altro che un nuovo
attacco.
“Io sarò al tuo fianco, come
contro Ade!” –Intervenne Phoenix, ma Pegasus gli fece cenno di stare indietro.
“Se sarò sconfitto, allora lo
vincerai tu! Nell’attesa... occupati di Andromeda! In confidenza, credo che non
stia affatto bene!” –Aggiunse, prima di scattare verso il Capitano dell’Ombra.
Il Cavaliere della Fenice si
voltò verso Andromeda, che ancora non si era rialzato dopo l’ultimo assalto di
Orochi e si teneva una mano sul collo, trattenendo il dolore. Phoenix scosse la
testa, correndo in aiuto del fratello, proprio mentre Pegasus caricava un nuovo
poderoso assalto contro il Comandante dell’Esercito delle Ombre. Quello stesso
esercito che i Cavalieri d’Oro stavano affrontando poco distante, sul versante
orientale del Grande Tempio, a ridosso del cimitero dei Cavalieri che volevano
assolutamente difendere.
“Non possiamo permettere loro di
profanare questo luogo sacro!” –Esclamò Ioria del Leone. –“Già sangue
amico è stato versato giorni addietro, macchiando la terra di dolore! Voi,
ombre, non passerete mai! Non finché uno di noi Cavalieri d’Oro esisterà!”
“Vorrei avere la tua
convinzione, Ioria!” –Commentò pensieroso Dohko di Libra, osservando
sconcertato l’immensa marea nera che circondava il Grande Tempio. Era un
ammasso indistinto di ombre, da cui ogni tanto qualche fatua evanescenza si
staccava, spingendosi all’interno dei confini sacri, forse in esplorazione,
forse in cerca di energia. Ma ancora esitavano, forse respinti da ciò che
restava della Divina Volontà di Atena, che aveva plasmato la Collina della
Divinità millenni addietro.
Accanto a loro, Shaka della
Vergine meditava in silenzio, con le mani giunte in segno di preghiera e
gli occhi chiusi, teso a captare con i sensi ogni minima vibrazione. Ancor
prima che Ioria e Libra si accorgessero dei movimenti delle ombre, il Cavaliere
d’Oro parlò. –“Arrivano!”
Strati di ombre piovvero dal
cielo, abbattendosi sui tre Cavalieri e sull’ultimo gruppo di soldati che
ancora coraggiosamente resisteva. All’istante, Ioria, Libra e Virgo
infiammarono i loro cosmi, generando un’onda di luce che respinse le tenebre
indietro di qualche passo, non aspettandosi forse una così accesa resistenza.
Ma non vi fu tempo di gioire che una nuova avanzata delle ombre obbligò i
Cavalieri d’Oro a tirar fuori tutto il loro potenziale.
“Per il Sacro Leo! Lightning
Plasma!!!” –Gridò Ioria, generando un reticolato di luce dorata, con cui
falciò alcune ombre che puntavano su di lui per la violenza repentina
dell’assalto. Ma le altre, rimaste attorno ad osservare quel nuovo serbatoio di
energia, iniziarono ad avvolgersi attorno ai raggi di luce, assorbendoli
progressivamente. –“Maledizione! Si cibano dei miei assalti!!!”
“Cerca di resistere!” –Esclamò
Libra. –“Colpo del Drago Nascente!!!” –E diresse l’attacco contro le
ombre avvinghiatesi al reticolato di Ioria, annientandone un paio e disperdendo
le altre. –“È terrificante! L’Antico non aveva torto quando ci ha parlato dei
loro poteri! Sembrano davvero fagocitare ogni forma di luce!”
“E come potremo vincere un
simile nemico?” –Gridò Ioria, intento a cacciar via un gruppo di ombre che gli
fluttuavano attorno.
“Con una luce ancora maggiore!
Ancora più splendente!” –Parlò infine Virgo, rilasciando il cosmo che finora
aveva concentrato tra le mani. Il ventaglio di energia annientò tutte le ombre
attorno ai tre compagni, permettendo a Ioria e a Libra di riunirsi al Cavaliere
loro amico. –“Con la luce del nostro cosmo, in grado di bruciare fino
all’ultimo afflato di vita! Non abbiate timore, amici! Non siate avari!
Bruciate il vostro cosmo, come ben sapete fare, e tutto ciò per cui vale la
pena vivere!” –Aggiunse Virgo, mentre un’immensa onda nera pareva sormontare i
tre Cavalieri.
Migliaia e migliaia di ombre
invasero il cielo, gettandosi a picco contro i difensori del Grande Tempio e
facendo strage degli ultimi soldati semplici, assorbendo la loro fiamma vitale,
mentre Ioria, Libra e Virgo riuscivano a ripararsi dietro una cupola di energia
dorata.
“Kaan!!!” –Gridò la
Vergine d’Oro, fulminando qualche ombra che coraggiosamente si faceva avanti.
–“Non demordono!!!” –Aggiunse Libra, osservando gli stuoli di tenebra che
avvolgevano la cupola dorata. –“Lasciali posare! Lascia che si avvicinino
ancora un po’! Insegnerò loro a non giocare con il fuoco!” –Esclamò Ioria,
concentrando il cosmo sul pugno destro e piantandolo nel suolo. –“Assaggiate le
zanne del Leone, spregevoli creature! Assaggiate il Lightning Fang!!!”
L’energia liberata nel terreno
da Ioria sfrecciò sul Kaan, liberando violente scintille dorate che
fulminarono tutte le ombre avvinghiatesi attorno, incenerendole sul colpo,
prima che una nuova onda di energia, generata da Virgo, spazzasse via le superstiti.
“Bel colpo!” –Commentò Libra,
applaudendo la loro azione congiunta. –“Temo però che non sia bastato!”
–Aggiunse, sollevando lo sguardo verso la marea nera che nuovamente li
sovrastava, fin quasi a soffocarli. –“Ho vissuto duecentocinquant’anni, e ho
pensato a molti modi in cui avrei lasciato questo mondo! Ma non avevo mai
immaginato che sarei stato vinto da un’ombra!” –Ironizzò, strappando un sorriso
a Ioria e persino a Virgo.
Ma non vi fu tempo per
aggiungere altro che nuovamente le ombre avvolsero la cupola dorata, facendosi
sempre più numerose, sempre più affamate dell’energia dei tre Cavalieri. Virgo
tentò ancora di cacciarle via, ma si accorse che anch’egli stava iniziando a
perdere potenza, stancato dalla sete di luce dell’Esercito di Tenebra, e non si
avvide in tempo di una bomba di energia violetta che si schiantò proprio sul Kaan,
mandandolo infine in frantumi.
L’esplosione scaraventò i
Cavalieri d’Oro a terra, separandoli l’un l’altro, e incenerì anche qualche
ombra, senza comunque che le altre demordessero dal loro assalto. Ioria si
tenne la testa, un po’ stordito, cercando di rialzarsi, ma venne afferrato per
un braccio e trascinato via, sollevato da terra di qualche metro, fino ad
essere scaraventato in una conca interna della Collina della Divinità. Ruzzolò
sul suolo per qualche metro, prima di rimettersi in piedi con rabbia, fissando
l’uomo che lo aveva tolto dal campo di battaglia.
“Certo non per salvarti! Ma per
darti io stesso la morte che meriti!” –Commentò una giovane voce maschile.
“Chi sei?!” –Gridò Ioria,
osservando il Cavaliere dalla nera Armatura e dalle forme aerodinamiche che
aveva di fronte. Poi, alla vista dell’incendiarsi del suo cosmo violetto, un
ricordo che aveva rimosso sembrò andare al posto giusto e l’uomo si tolse
l’elmo, rivelando il volto del passato.
Era il suo vecchio, e unico, allievo. Siderius della
Supernova Oscura.
Siderius della Supernova
Oscura, il Capitano dell’Ombra predisposto
a rubare il futuro agli uomini, era in piedi su una rupe, a pochi metri da Ioria
del Leone, l’uomo che un tempo lo aveva iniziato ai segreti del cosmo,
proprio lì, al Grande Tempio di Atene. Erano passati cinque anni da allora, ma
la rabbia non aveva mai smesso di dominare l’animo di Siderius, che si sentiva
umiliato dal Cavaliere d’Oro.
“Si... Siderius!” –Balbettò
Ioria, rimettendosi in piedi, quasi non credendo di averlo davvero di fronte.
–“Che è successo? Cosa ne hai fatto della tua vita? Ti sei venduto all’ombra?”
“Quello che ho fatto nella vita
non è cosa che ti riguardi, maestro!” –Rispose Siderius con sdegno.
–“Proprio come non ti è interessata la mia sorte in questi ultimi anni lontano
da Atene!”
“Ti sbagli! Ho avuto a cuore il
tuo destino! Ammetto di non essere stato un maestro perfetto, di non averti
seguito con costanza come invece era tuo diritto! Ma non è passato giorno in
questi anni senza che mi sia augurato di sapere che tu stessi bene, che tu
avessi trovato la tua strada, ovunque essa portasse!”
“Porterà alla tua morte,
Cavaliere di Leo!” –Ringhiò Siderius, accendendo il suo cosmo di riflessi
viola. –“E mi basterà un dito, uno soltanto, per piegarti a me! Per vedere il
tuo volto implorare pietà, umiliandoti come tu umiliasti me anni fa!”
“Ma che stai dicendo, Siderius?!
Nessuno ha mai voluto umiliarti! Hai soltanto avuto…” – Ma Ioria non riuscì a
terminare la frase che venne investito in pieno da un’esplosione improvvisa del
cosmo di Siderius.
“Quello che meritavo?!” –Ringhiò
il Capitano. –“Me lo dicesti anche quel giorno e quelle parole mi risuonano
dentro tuttora! Perché furono ingiuste! Io non meritavo tale umiliazione! E
questa…” –Aggiunse, concentrando il cosmo sull’indice destro e puntandolo
contro Ioria. –“…è la mia vendetta! Raggi siderali!!!”
Un fascio di luce viola sfrecciò
nell’aria, diretto verso Ioria, che fu svelto a lanciarsi di lato, rotolando
sul terreno per non essere travolto. Ma quando si rimise in piedi, una fitta al
fianco destro lo piegò di nuovo a terra, mozzandogli il fiato. Il raggio di
energia lo aveva comunque raggiunto.
“Com’è possibile?!” –Si chiese
il Cavaliere di Leo, certo di aver superato in velocità l’assalto nemico. La
corazza d’Oro non aveva segni di danneggiamento, soltanto un filo di fumo
saliva dal punto dove era stato raggiunto, quasi fosse il fuoco della pelle che
ustionava al di sotto.
“Rotola pure quanto vuoi, non
sfuggirai ai miei Raggi siderali! Essi, una volta che io ho deciso il
bersaglio, seguono i suoi movimenti, raggiungendolo sempre e comunque!”
–Sghignazzò Siderius, puntando il dito verso Ioria. –“Non puoi sfuggire al tuo
destino!” –E scaricò una nuova raffica di fasci energetici viola.
Ancora una volta Ioria tentò di
evitarli, balzando agilmente indietro, atterrando sulle rocce circostanti e
spostandosi a zig-zag, per disorientare il nemico. Ma ad ogni balzo doveva
ammettere di venire comunque raggiunto dai sottili raggi di Siderius, che
sapevano colpire con la precisione di un tracciatore automatico.
“Maledizione!!!” –Si disse
Ioria, atterrando nuovamente al suolo, con il corpo che pareva bruciare, tanti
erano stati i fasci di energia che lo avevano raggiunto. Fasci che, lasciando
intatta l’armatura di Leo, ustionavano la pelle sotto di essa.
Ioria affannò, sudando
copiosamente, prima di togliersi l’elmo e gettarlo a terra, di fronte allo
sguardo divertito del Capitano dell’Ombra, che voleva guardarlo negli occhi, in
quegli stessi occhi che cinque anni prima lo avevano umiliato.
“Prostrati a me!!!” –Ringhiò
Siderius. Ma Ioria gli rispose sollevando lo sguardo. Uno sguardo deluso.
–“Prostrati, ti ho detto!!!” –E lanciò due nuovi raggi di energia, che Ioria
non provò neanche ad evitare, venendo raggiunto alle caviglie e crollando a
terra, poggiando le mani sull’arido suolo. Un attimo dopo Siderius fu su di
lui, afferrandogli il mento e torcendogli il volto verso l’alto affinché i loro
occhi potessero incontrarsi di nuovo. –“Proprio come cinque anni prima! Solo
che adesso la situazione si è capovolta! E sono io a tenere il coltello dalla
parte del manico! Ah ah ah!”
Ioria, stretto in una morsa dal
cosmo del Capitano dell’Ombra, lasciò vagare la mente indietro, ricordando gli
anni in cui lo aveva addestrato. I due anni in cui le loro vite, così simili e
così piene di rancore, avevano percorso strade parallele.
Era terminata da pochi mesi la
guerra contro i Titani, e Ioria si sentiva solo. Lythos e Galan, la sua
famiglia, erano scomparsi, Micene non c’era più e anche se gli altri Cavalieri
d’Oro avevano iniziato ad accettarlo e a rispettarlo, nonostante fosse il
fratello di un traditore, la triste nomea sul suo conto era ancora diffusa.
Soltanto Castalia pareva dimostrargli affetto sincero e forse, se non ci
fossero state le restrizioni a cui erano soggette le Sacerdotesse Guerriero, da
lei avrebbe potuto avere qualcosa di più.
“Se fossimo vissuti in un’altra
epoca, se il nostro destino fosse stato diverso…” –Le aveva detto una notte di
cinque anni prima, mentre guardavano le stelle di Grecia seduti sui leoni
all’ingresso della Quinta Casa.
Castalia aveva sospirato, il
volto nascosto dietro la maschera d’argento, rendendosi conto che Ioria aveva
ragione, e che qualunque sentimento provasse per lui avrebbe dovuto essere
abolito.
“Io non credo nel destino! Non
c’ho mai creduto, perché questo significherebbe accettare che mio fratello
doveva morire! Ed io non lo crederò mai!” –Aveva commentato Ioria. –“Pur
tuttavia questa è la nostra vita, sia che l’abbiamo scelta sia che ci sia stata
data in dono, e dobbiamo viverla nel migliore dei modi, rispettando noi stessi
e le leggi a cui siamo soggetti! Anche se, talvolta, non è proprio quello che
vorremmo!” –Quindi se ne era andato, rientrando nella Quinta Casa e lasciando
Castalia sul leone di pietra, ad osservarlo scomparire nelle tenebre
dell’interno. Nelle tenebre della sua vita.
Da quel giorno Ioria aveva
chiesto al Sacerdote di essere inviato in missioni continue, in parte per
lavare l’onta di suo fratello, per ristabilire la bontà del suo nome, in parte
per fuggire al tedium vitae che lo attanagliava restando ad Atene. E
forse, in fondo al cuore, sperava anche di imbattersi nuovamente in Reis. In
quegli occhi blu di cui non si era mai liberato.
Fu durante una delle sue
avventure, incaricato dal Grande Sacerdote di risolvere una disputa
territoriale tra la Grecia e la Turchia, che aveva incontrato Siderius, il figlio
di un ufficiale greco. Morto da poco, in uno scontro a fuoco lungo il confine,
il padre non gli aveva lasciato niente, soltanto la rabbia per averlo
abbandonato, la rabbia per averlo continuamente lasciato da solo mentre egli
era impegnato in azioni di guerra. Il cuore nobile di Ioria aveva subito capito
l’angoscia che divorava quel ragazzo di neanche quindici anni, e lo aveva preso
sotto la sua cura, portandolo al Grande Tempio per farne un Cavaliere. E forse
per surrogare la perdita di Galan e Lythos e avere una nuova famiglia.
Ioria aveva addestrato Siderius
per quasi due anni, insegnandogli a prendere confidenza con il cosmo latente
dentro di sé. E inizialmente i rapporti tra i due erano stati buoni ed entrambi
servivano all’altro, per compensare qualcosa che era mancato loro. Col tempo
però, a causa delle molte missioni in cui Ioria spesso era impegnato, che lo
trattenevano per settimane fuori da Atene, qualcosa iniziò ad incrinarsi e il
clima di fiducia che inizialmente aveva regnato scivolò in malumori continui. E
in forti incomprensioni.
“Non sei poi così diverso da mio
padre!” –Aveva detto un giorno Siderius, nascondendo la tristezza dietro un
velo di rabbia. –“Anche lui aveva sempre altro da fare che occuparsi di me!”
Quelle parole avevano ferito il
Cavaliere di Leo, che a Siderius era affezionato, e in cui riponeva fiducia,
nonostante forse fosse troppo schivo per dimostrarglielo.
“Sei troppo assente, Ioria!”
–Gli aveva fatto notare, in amicizia, Castalia. –“E questa discontinuità non
aiuta Siderius a migliorarsi! Né a crescere!”
“Sono impegnato per il Grande
Tempio fuori Atene!” –Aveva commentato Ioria.
“Per il Grande Tempio o per te
stesso?” –Gli aveva chiesto Castalia. –“Sei sempre così inquieto! A volte,
quando mi addormento, mi chiedo se l’indomani ti vedrò o se non sarai in
qualche luogo del mondo a combattere contro i tuoi nemici! I fantasmi del
passato, primi tra tutti!”
Ioria non aveva risposto,
sospirando e ringraziando l’amica per la chiacchierata. Quindi era partito per
una nuova missione e quando era tornato Siderius era migliorato ancora, da un
punto di vista tecnico, riuscendo a raggiungere uno stadio di sviluppo del
cosmo piuttosto avanzato.
“Bruci le tappe, ragazzo!” –Gli
aveva detto Ioria con un sorriso. –“Hai imparato in due anni quello che un
apprendista Cavaliere impara in quattro!”
“Da soli il tempo passa più
lentamente!” –Aveva commentato Siderius, con aria schiva. –“Così preferisco
tenermi impegnato, sperando di affrettare i tempi per la mia investitura!”
“Cosa ti fa credere che la
meriterai?” –Gli aveva chiesto Ioria. E la risposta di Siderius aveva cambiato
tutto.
“Il fatto che so di meritarmela!
Sento dentro di me un potere così grande da essere in grado di vincere
qualsiasi avversario!” –Aveva esclamato, guardando il suo corpo muscoloso.
–“Non ci saranno più lacrime nella vita di Siderius! L’energia che sto
accumulando mi permetterà di non perdere più!”
“Non essere troppo sicuro di sé!
Un Cavaliere deve essere umile e deve saper imparare dagli altri! Talvolta anche
dagli avversari!” –Aveva commentato Ioria, ricordando Ceo e Iperione, e i loro
scontri durante la Titanomachia. Due avversari da cui, ognuno a modo suo, aveva
avuto modo di trarre insegnamenti utili.
“In effetti c’è una cosa che
vorrei imparare, maestro!” –Aveva esclamato Siderius, fissando Ioria con i suoi
occhi neri. –“Il vostro colpo massimo! Insegnatemelo, ve ne prego! Con quello
sarò invincibile!”
“Il Photon Burst?!” –Aveva
sgranato gli occhi Ioria. –“Impossibile! Quel colpo non può essere insegnato!
Né addestrerò mai alcun allievo ad usarlo!”
“Perché, maestro? È l’unica cosa
che mi manca per diventare veramente forte! Vi prego! Volete privarmi della
certezza della vittoria?!” –Aveva gridato Siderius.
“La vittoria non si ottiene con
un colpo segreto, Siderius, ma con la capacità che un Cavaliere ha di bruciare
il proprio cosmo, sostenuto da motivazioni che crede irrinunciabili! Nessuno
combatte solo per il piacere di farlo! Perlomeno non un Cavaliere di Atena!”
–Aveva sentenziato Ioria. –“Non ti insegnerò il Photon Burst, né ora mai! È un
colpo nato per difendere, non per offendere!”
“Maestro, mi umiliate così…”
–Aveva ringhiato Siderius, avvampando.
“Nient’affatto! Ti sto dando la
possibilità di mostrare quanto vali! Chi dimostra più valore, secondo te, un
soldato dell’esercito, che spara ai nemici con una mitragliatrice, o un
indigeno d’Africa che caccia ogni giorno, con le sole mani, tra leoni e
predatori, per procurarsi il cibo?”
“Io… io… vi odiooo!!!” –Aveva
esclamato Siderius, voltandosi verso Ioria e portando avanti il pugno destro
con rabbia, avvolto nel suo cosmo violetto. Ma Ioria non si era mosso di un
centimetro, parando il colpo dell’allievo con il palmo della mano, su cui
risplendeva il suo cosmo dorato.
“Ho passato gli ultimi mesi nel
dubbio, Siderius! Chiedendomi ogni giorno se fossi un valido maestro per te, o
se tu non avessi invece bisogno di qualcuno che ti seguisse ogni giorno,
insegnandoti, nelle piccole cose, ciò che è giusto e ciò che non lo è! Temo
proprio di aver sbagliato tutto con te! Di non essere stato in grado di formare
il Cavaliere che dovresti essere un giorno!” –Aveva commentato Ioria, con voce
triste.
“Quel giorno è oggi! Sono forte
abbastanza per essere Cavaliere!!!” –Aveva ringhiato Siderius, prima che Ioria
lo scaraventasse contro un mucchio di rocce con la sola forza del pensiero.
“Io non lo credo… e in fondo al
cuore credo che lo sappia anche tu!” –Aveva sospirato Ioria, decretando la fine
del suo addestramento e pregandolo di lasciare il Grande Tempio quanto prima.
“Mi cacciate così? Lasciandomi
un’altra volta da solo?!” –Aveva ringhiato Siderius. –“Perché?!”
“Ognuno ha quello che merita!”
–Aveva commentato Ioria, andandosene.
“E ora ti mostrerò cos’è che
meriti tu!” –Esclamò Siderius, riportando Ioria al presente, inginocchiato di
fronte a lui, con il mento stretto dalla vigorosa presa del Capitano dell’Ombra
e un dito carico di energia cosmica puntato al cranio. –“Ora finalmente laverò
l’onta dell’umiliazione di quel giorno! L’umiliazione di essere stato
abbandonato una seconda volta, proprio da te, a cui avevo dato fiducia!”
“Lo avevo fatto anch’io!
Sbagliando, a quanto vedo!” –Commentò Ioria, accendendo ancora di più la rabbia
nello sguardo di Siderius.
“Basta parlare! Muori adesso!!!”
–Ringhiò, portando l’indice sotto l’occhio sinistro di Ioria. Ma non fece in
tempo a liberare il proprio colpo segreto che il suo braccio venne afferrato
dal Cavaliere di Leo, all’altezza del polso, con un movimento così rapido che
neppure lo vide. Venne afferrato e stretto con forza, stritolato dal cosmo
d’oro del Leone. –“Ma… cosa?!” –Sbraitò, sentendo la corazza schiantarsi.
“Non credere di essere il solo
ad aver provato l’abbandono e la delusione! Né di essere l’unico ad aver
avvelenato il cuore con troppi rancori, spesso immeritati!” –Esclamò Ioria,
avvolto nel suo cosmo luminoso. –“Ma se sei uomo, se lo sei davvero, trovi
comunque un modo per andare avanti! Un modo per rimanere te stesso! Se tu, come
davvero dici, sei fiero di ciò che sei diventato, una macchina da guerra e
niente più, allora ammetto di non aver capito niente di te!” –Senz’altro
aggiungere, soltanto un ultimo sguardo, Ioria concentrò il cosmo attorno al
pugno destro, sbattendolo contro il petto di Siderius, che venne scaraventato
indietro di parecchi metri, schiantandosi contro una parete rocciosa. Proprio
come cinque anni prima.
“Tu sia maledetto!!!” –Ringhiò,
crollando a terra, con il pettorale della corazza crepato in più punti e il
bracciale destro frantumato all’altezza del polso. –“Lo stesso sguardo di
allora! Lo odio! Odio quel disprezzo con cui mi guardi, come se fossi la cosa
peggiore che ti sia capitata in vita!”
“Questo lo credi tu! Io non l’ho
mai pensato, neppure una volta!” –Commentò Ioria, rialzandosi a fatica.
“Strano modo per coprire le tue
manchevolezze, maestro!” –Sputò Siderius, bruciando il proprio cosmo, che
invase la piccola valle dove combattevano, stridendo ai piedi di Ioria sotto
forma di onde di luce viola. –“E adesso pagherai!!! Raggi siderali!!!”
–Gridò, puntando l’indice contro Ioria.
“Umpf! Non ricordi niente del
nostro addestramento?” –Esclamò il Cavaliere d’Oro con voce decisa, muovendo il
braccio destro velocemente e generando migliaia di fasci di luce, che
sfrecciarono nell’aria scontrandosi con i Raggi Siderali di Siderius.
–“La prima regola in uno scontro è analizzare le armi nemiche e trovare il modo
per neutralizzarle!” –Aggiunse, osservando i due attacchi vanificarsi a
vicenda.
“Sta usando i fendenti del Lightning
Plasma, anziché per creare un reticolato di luce, per colpire ogni mio
singolo raggio di energia!” –Ghignò Siderius irato, aumentando il numero dei
suoi strali. Ma Ioria fece altrettanto e l’aria si caricò di scintille generate
dall’attrito dei due attacchi. –“Io… non sopporto… di perdere!!!” –Gridò,
concentrando il cosmo in un unico immenso raggio di energia, simile ad una
bomba di luce, che esplose su Ioria, scaraventandolo indietro.
“Aaah, che soddisfazione!”
–Esclamò Siderius, con voce tronfia, cercando di nascondere la stanchezza che
l’aveva comunque invaso. –“Pare che l’elenco delle mie vittorie in questi
giorni aumenterà cospicuamente! Dopo il Luogotenente dell’Olimpo prenderò anche
la vita di un Cavaliere d’Oro! Quale trionfo per un apprendista un tempo
rifiutato!”
“Hai ucciso Phantom?!” –Sgranò
gli occhi Ioria. Con voce invasa dal terrore e dal dispiacere per il destino
del Cavaliere Celeste. E per il pensiero di cosa avrebbe dovuto dire a
Castalia.
“Un altro trofeo! Un’altra
vittoria!”
“Ti fai vanto dei tuoi successi
in battaglia? Non mi sorprende, dopo tutto!” –Affermò Ioria, rimettendosi in
piedi e toccandosi lo stomaco dolorante. Ripensò a suo padre, e alle poche ore
che in quindici anni aveva trascorso col figlio, in quella vecchia casa della
Tessaglia. Metà del tempo a parlare delle sue vittorie, delle decine di turchi
ammazzati. L’altra metà a bere e a picchiare un figlio che non capiva, che
sembrava volesse soltanto un po’ d’affetto. –“Come saresti potuto crescere
diversamente?”
“Se avessi avuto un amico…”
–Mormorò Siderius, quasi parlando a se stesso. –“Se non mi fossi illuso di
averne trovato uno… Uno per cui valevo davvero qualcosa, e che mi aveva portato
via dal fango del mio presente… Forse molte cose sarebbero andate diversamente!
Ma non l’ho avuto, e sono rimasto solo! E quando si è soli, si trova un modo
per diventare forti!” –Gridò infine, quasi come se il tono della voce potesse
cancellare il dolore che aveva provato.
“Ma tu non lo sei diventato! Sei
rimasto debole! Perché soltanto i deboli cedono all’ombra! I forti, costi
quello che costi, continuano a tirare dritto per la loro strada! Se si crede
davvero in qualcosa, se realmente si ha fede, si è pronti a morire pur di
dimostrarla!” –Affermò Ioria. Ma Siderius ormai non lo ascoltava più, avendo
bruciato il cosmo al massimo, concentrandolo in una sfera di energia viola.
“Basta!!! Ti ucciderò! Esplosione
della Supernova!!!” –Gridò, liberando un devastante potere che sfrecciò sul
suolo, diretto verso Ioria, che tentò di contrastarlo con una sfera di luce
dorata. La mossa, seppur tardiva, risultò efficace e generò un’esplosione che
lo scaraventò indietro di qualche metro, facendo tremare il terreno e franare
la sporgenza su cui si ergeva Siderius.
Il Capitano dell’Ombra fu abile
a creare un disco di energia violacea, su cui si mise in piedi, evitando di
rovinare a terra. Ioria si rialzò all’istante, caricando nuovamente il braccio
di sfolgorante energia, che diresse verso di lui, per stringerlo in una gabbia
di luce.
“Per il Sacro Leo!!!Lightning
Plasma!!!” –Gridò, ma Siderius sembrava scivolarvi all’interno, guizzando
tra le folgori del Leone, per quanto alcune scalfissero comunque la sua
corazza. In un attimo fu davanti a Ioria, in piedi sul disco di energia, con
due sfere di cosmo incandescente in mano, che subito diresse contro il
Cavaliere di Leo, che riuscì ad evitarne una, venendo travolto dall’altra, e
sbattuto contro la parete rocciosa retrostante, crollando poi a terra.
Siderius fu subito su di lui,
schiacciandolo sulla schiena con il potere del disco di energia, che si espanse
generando folgori incandescenti che sfrigolarono sul corpo disteso del
Cavaliere di Leo.
“Urla!!! Dimenati!!! Soffri!!!
Almeno un po’ di quel che ho sofferto anch’io!” –Gridò Siderius, quasi
istericamente. –“Ci ho pensato molto in questi anni, e spesso mi sono detto che
avrei preferito morire in quella topaia della Tessaglia che subire l’immeritata
umiliazione di quel giorno! Poi, grazie a Flegias, ho capito che potevo avere
la mia rivincita, la possibilità di stroncare il futuro degli uomini come tu,
anni fa, stroncasti il mio!”
“Non era quella la mia
intenzione, Siderius, né mai lo è stata! Ma se ancora non lo capisci, se
continui a credere che solo la forza renda gli uomini grandi, allora non vali
poi molto!” –Commentò Ioria a denti stretti, stritolato dalle folgori violacee
della Supernova Oscura. –“Parli di rubare il futuro agli uomini, quando tu, per
primo, ne hai chiuso le porte, rifiutando ogni insegnamento e credendo di
sapere già tutto!”
“Non è così, forse?” –Ironizzò
Siderius, sollevando infine il disco di energia e spostandosi fino a portarsi
di fronte a Ioria, agonizzante davanti a lui.
“No! Non lo è!” –Esclamò il
Cavaliere d’Oro, sollevando lo sguardo. E Siderius, per un momento, sembrò
avvampare, leggendovi una critica, quasi una condanna. Poi, qualcosa lo spinse
a soffermarsi ancora sugli occhi del vecchio maestro e notò, che al di là del
verde splendente, trapelava un’immensa tristezza. La stessa di quel giorno.
–“Per crescere è necessario imparare anche dai propri errori, perché tutti li
facciamo! Con umiltà, bisogna accettare le lezioni di vita! Ed è quello che
cercai di fare con te! Ho sbagliato, è vero, ad essere distante e a farti
pagare un tedio che era soltanto mio! Ma in questi anni non ti ho mai odiato
neanche un giorno!”
“Menti!!!” –Gridò Siderius, con
il pugno carico di rabbia e di cosmo.
“Dico il vero! Ma se non vuoi
credere a me, crederai alla lucentezza del mio cosmo!” –Aggiunse Ioria,
espandendo il proprio cosmo dorato, che avvolse lui e Siderius, prima di concentrarsi
in affilate zanne che squarciarono il disco di energia viola. –“Lightning
Fang!!!” –Gridò il Cavaliere, piantando il pugno, dal basso, sotto il disco
di energia e avvolgendo Siderius in mille fulmini dorati, che schiantarono la
sua corazza in più punti, strappandogli grida di dolore.
Con forza, Ioria lo scaraventò
indietro, facendolo ruzzolare sul terreno e perdere l’elmo dell’armatura.
Quando Siderius si rimise in piedi, con numerose ferite sul corpo, da cui
sgorgava parecchio sangue, vide che Ioria si era già messo in posa. Nella posa
che aspettava da anni. Quella del colpo che avrebbe voluto possedere.
“Photon Invoke!!!”
–Esclamò Ioria, sollevando il braccio destro e tenendolo su con il sinistro,
mentre il suo cosmo cresceva oltre ogni immaginazione, generando una galassia
che ricoprì l’intera valle in cui i due combattevano da un’ora ormai. –“Cosmos
Open!!!”
“Ti sei deciso infine!” –Esclamò
Siderius, bruciando il cosmo. –“Mostrami dunque la fede che ti sostiene,
vediamo se riuscirà a resistere all’ombra!” –Ma la sicurezza del Capitano
dell’Ombra parve vacillare quando vide il cielo coprirsi di stelle, così tante
come non ne aveva mai viste prima. Risplendevano, di una luce accecante,
simboleggiando l’infinito e oltre. –“Papà!” –Mormorò, distraendosi per un
momento e ricordando una notte di quasi dieci anni prima, trascorsa con suo
padre sul tetto di casa, a fissare le stelle cadenti.
“Vedi quelle stelle, Zenas?”
–Gli aveva detto suo padre. –“Sono le medaglie di un condottiero! Ogni stella
simboleggia una vittoria, un successo! Tante quante quelle appuntate sulla mia
giacca!”
Zenas aveva sorriso. Forse aveva
capito poco, ma era così raro che suo padre si fermasse un po’ con lui che solo
la sua presenza era motivo di gioia. Anni dopo, in ricordo di quella notte,
aveva deciso di cambiare il suo nome in Siderius, proprio in virtù di cosa
rappresentavano per lui le stelle.
“Il futuro…” –Balbettò, mentre
il cosmo di Ioria raggiungeva limiti così estremi che mai aveva percepito.
“Photon…” –Gridò il Cavaliere di
Leo, incrociando lo sguardo di Siderius. E restando a fissarlo per
interminabili secondi, senza che nessuno dei due accennasse ad allontanare lo
sguardo.
Fu Ioria, infine, a rompere la
tensione, abbassando le braccia e placando il suo cosmo, mentre la galassia da
lui generata si spegneva progressivamente.
“Te lo dissi cinque anni fa, ma
credo rientri tra le cose che non hai capito! Questo colpo non è nato per
offendere! No! È nato per difendere! Per proteggere la persona che ho avuto più
cara al mondo, e che non ho mai compreso! Sarebbe un insulto, verso il migliore
tra i Cavalieri, verso mio fratello, se lo usassi adesso!”
“Il senso dell’onore ti ha reso
sciocco, maestro! Insulto o meno, era l’unico modo che avevi per vincermi!
L’hai sprecato! Pagane il fio!” –Esclamò Siderius, avvolgendosi nel suo cosmo
violaceo e generando un’immensa sfera di energia. –“Esplosione della
Supernova!!!”
“Ho ben altre frecce al mio
arco! Che risiedono nel ricordo di mio fratello, Micene di Sagitter!” –Rispose
Ioria, avvolto nel suo cosmo dorato. –“E adesso te le mostrerò! Ti mostrerò
come combatte un Cavaliere di Atena!” –E concentrò il cosmo in due globi di
energia incandescente, che crebbero attorno ai suoi pugni, prima di scagliarli
contro Siderius. –“Double Bolt!!!”
Le sfere di Ioria travolsero
l’attacco del Capitano dell’Ombra, schiantandosi sul suo petto ed esplodendo al
contatto, scaraventandolo in alto, fino a farlo crollare a terra, tra i frammenti
della sua corazza. E dei suoi ricordi. Anche Ioria venne raggiunto dall’assalto
di Siderius e sollevato da terra di parecchi metri, ma riuscì comunque ad
atterrare, flettendosi sulle ginocchia. Debole, ma soddisfatto per non aver
infranto una promessa che aveva fatto a Micene. E prima ancora a se stesso.
A fatica si incamminò verso
Siderius, che giaceva disteso in una pozza di sangue, con lo sguardo perso nel
cielo. Privo del cosmo di Ioria, adesso appariva per quello che era realmente.
Un’ombra immensa, sconfinata, dove stelle non brillavano più.
“Ho fallito con te, Siderius!”
–Commentò Ioria, con voce triste. –“Due volte! La prima perché come maestro
sono stato distante e non ti ho seguito, come Castalia ha invece dedicato sei
anni intensi a Pegasus. Eppure in te credevo! Credevo davvero che tu fossi
destinato a grandi cose! Dovevi soltanto liberarti dall’odio e dalla diffidenza
verso gli altri, per essere stato abbandonato! E qua ho fallito una seconda
volta, riuscendo soltanto ad aumentare il tuo rancore! Ma non mi stupisco, dato
che non sono mai riuscito a liberarmi dal mio!”
“Io… Ioria…” –Balbettò Siderius,
cercando di rialzarsi.
“In realtà, quando partivo in
missione, partivo sempre sereno, perché sapevo di lasciare un ragazzo con un
enorme potenziale, che anche da solo avrebbe saputo sviluppare le proprie
capacità! Forse meglio di quanto avevo fatto io! E cacciarti non è stata una
punizione, ma un gesto necessario, per farti crescere, per responsabilizzarti,
per insegnarti che la grandezza non sta nel pugno di un uomo…”
“Ma nel suo cuore!” –Lo
interruppe Siderius, rimettendosi in piedi e tossendo per lo sforzo.
Ioria annuì, mentre l’allievo
allungava un braccio avanti, non per offendere, ma per appoggiarsi sulla spalla
del Cavaliere d’Oro, sforzandosi di sorridere. Ma una fitta al costato smorzò
il suo tentativo, facendolo accasciare nuovamente.
“Siderius!” –Esclamò Ioria,
chinandosi su di lui. Ma Siderius lo scansò prontamente, ricordandogli di
essere ancora un suo nemico.
“Sono un Capitano dell’Ombra!
Non più l’allievo che cacciasti quel giorno!”
“No! Sei soltanto un traditore!”
–Esclamò improvvisamente una terza voce, distraendo Ioria e Siderius, che
voltarono lo sguardo verso l’entrata della vallata, dove la figura di un
guerriero pareva quasi confondersi con le tenebre circostanti.
“Lo… Lothar?!” –Balbettò
Siderius, riconoscendo il Cavaliere del Sudario di Cristo.
“Il maestro Orochi aveva ragione
di sospettare di te! Del resto, cosa potevamo aspettarci dall’allievo di un
Cavaliere d’Oro? Che fallisse!” –Affermò Lothar. –“I tuoi sentimenti ti hanno
sconfitto, Siderius! Fatti da parte adesso, porterò io la carcassa del Leone
d’Oro a Flegias! E chissà che non gli porti anche la tua pelle!”
“Mai!!!” –Ringhiò Siderius,
cercando di rimettersi in piedi. Ma Lothar gli puntò contro un dito della mano
destra.
“Corona di spine!!!”
–Gridò, mentre un cerchio di energia cosmica circondava il cranio di Siderius e
acuminate punte penetravano dentro di lui, strappandogli un grido di dolore e
prostrandolo al suolo, con le mani alla testa, nel tentativo di porre fine a
quel martirio.
“Maledetto!!! Chi diavolo sei?”
–Esclamò Ioria, gettandosi su di lui, con il pugno carico di energia.
“Sono Lothar del Sudario di
Cristo, Cavaliere di Leo! E sono qua per giudicare i tuoi peccati!”
Una gran folla in fuga si
ammassava caoticamente in piazza Konak, il centro storico di Smirne,
nell’Anatolia Occidentale, tentando di trovare un qualsiasi riparo che la
proteggesse dalla marea nera che aveva invaso il cielo. All’inizio erano state
scambiate per nuvole, poi per un immenso stormo di uccelli. Infine si erano
rivelate per quello che erano. Nient’altro che ombre.
Era subito scoppiato il caos,
con gruppi di persone che fuggivano ovunque, gridando disperate di fronte a
quell’ammasso di tenebre giunto dal mare. Le autorità, prontamente allertate,
avevano inviato prima le forze dell’ordine, poi addirittura l’esercito, ma
tutti avevano incontrato la stessa tragica fine. Caduti, trapassati da parte a parte
dalle ombre che fluttuavano in cielo e parevano cibarsi di ogni stilla di linfa
vitale che potevano fare propria. Per realizzare quell’unico sogno che Flegias
aveva instillato in loro. Smettere di essere solo fatue evanescenze ma
concretizzarsi in solide entità.
“Terribile piano è il loro!”
–Commentò Jonathan, il Cavaliere dei Sogni, arrivando in città e
osservando la marea nera dilagare al suo interno, invadendo le strade e i
vicoli del porto, saturandoli con la sua oscurità. –“Se dovesse realizzarsi, se
davvero le ombre riuscissero a divenire solide…”
“Sarebbe l’esercito più potente
che abbia mai solcato questa Terra!” –Concluse Reis, Cavaliere di Luce,
in piedi vicino a lui. –“Un esercito che nessuno sarebbe in grado di
sconfiggere!”
“Dobbiamo impedire che accada!”
–Esclamò il ragazzo, stringendo in una salda presa lo Scettro d’Oro.
“Siamo qui per questo!” –Annuì
Reis, prima di lanciarsi insieme a Jonathan in una corsa attraverso le strade
di Smirne, fino a raggiungere piazza Konak.
La loro apparizione non fece che
aumentare lo stupore e il terrore nell’animo delle persone, in preda a un
panico incontrollabile. Reis sorrise, immaginando che non fosse troppo normale
vedere uomini rivestiti di armature scintillanti circolare in città. Ma non
prestò loro troppa attenzione, impegnata come subito si trovò a difendersi
dagli attacchi improvvisi delle ombre. Non appena entrati in piazza infatti, le
ombre avevano percepito la loro presenza e si erano lanciate in picchiata
contro le nuove prede, terribilmente attratte dal loro cosmo e dalla luce che i
loro corpi sprigionavano, rischiarando le tenebre di quel cielo.Jonathan sollevò immediatamente lo Scettro
d’Oro, lasciando che sprigionasse un abbagliante ventaglio di luce, che
respinse per un momento le ombre, annientandone qualcuna, tanto accecante era
lo splendore che emanava.
“Il Primo Saggio non scherzava!”
–Commentò. –“Queste creature sembrano vere!”
“Sembrano?! Mi pare che lo siano
abbastanza!” –Ironizzò Reis, impegnata ad evitare di essere avvolta da un
mucchio di nere figure evanescenti piombate su di lei.
“Sai cosa intendo! C’è qualcosa
di terribile e oscuro in loro! Non sono soltanto spiriti erranti, ma qualcosa
di più! È come se avessero una, sia pur debole, coscienza di sé, che le spinge
a muoversi incessantemente, a fagocitare ogni forma di luce, per ottenere
l’energia necessaria! L’energia per essere!”
“La tua acuta capacità di
sintesi mi sorprende! Andrei ti ha insegnato bene!” –Esclamò Reis, espandendo
il proprio cosmo, che le scivolò addosso come una cascata di stelle.
–“Perdonami però se non mi perdo in troppe riflessioni, ma io amo combattere!”
–E sollevò la Spada che stringeva in mano, caricando la lama di un’accecante
luce che disperse le ombre attorno. –“Spada di Luce!!!” –Gridò, lanciandosi
avanti, verso la marea oscura e liberando violenti fendenti di energia dorata
che aprirono squarci continui nel mucchio di ombre. Squarci che, poco dopo,
nuove ombre andavano subito a richiudere.
Per quanto agile e precisa nel
colpire, Reis non ottenne altro risultato e dovette infine fermarsi, stanca per
l’azione continua. Subito, stuoli di ombre piombarono su di lei, avvolgendola
in un oscuro abbraccio, desiderose di cibarsi della lucentezza del suo cosmo.
Ma la ragazza non si perse d’animo, spalancando le braccia e lasciando che un
fiume di stelle scorresse tutto attorno a lei, travolgendo le orride creature.
“Cascata di luce!!!”
–Esclamò, facendo piazza pulita di tutte le ombre che l’avevano circondata. Ma
non ebbe neppure tempo per rifiatare che già nuove figure evanescenti le erano
addosso, determinate a non darle pace. Determinate soltanto a prendere quel che
volevano. La sua linfa vitale. L’essenza cosmica che avrebbe sancito per sempre
la loro effettiva esistenza. –“Maledette!!!” –Ringhiò Reis, ancora avvolta nel
suo cosmo lucente, agitando la Spada in ogni direzione, fin quasi a sentirsi
soffocare da quella cappa di tenebra.
“Scettro d’Oro, illumina
la via!!!” –Esclamò infine una squillante voce giovanile, mentre una pioggia di
raggi di luce rischiarava il cielo, penetrando le ombre e annientandole
all’istante. –“Reis! Stai bene?” –Chiese Jonathan con premura, avvicinandosi
alla compagna.
“Ho vissuto momenti migliori!”
–Ironizzò lei, ringraziando il Cavaliere delle Stelle. Quindi volsero entrambi
lo sguardo verso il cielo, verso la nube nera che sovrastava Smirne e pareva
espandersi sempre di più, lungo la costa della penisola anatolica.
Reis non sapeva quante persone
fossero già state raggiunte, quante vite fossero state strappate, ma sapeva che
Smirne era la terza città più popolosa della Turchia, un serbatoio di potere a
cui le ombre non avrebbero mai rinunciato. Per questo dovevano fermarle, anche
a costo di morire. Per questo, in fondo, erano stati addestrati.
Vent’anni prima, quando aveva
sentito per la prima volta qualcosa dentro di sé, qualcosa che faceva fatica a
spiegare, aveva capito che il suo destino sarebbe stato quello. Un destino di
guerra, ma anche un destino di speranza. Era stato proprio l’Antico a trovarla,
un’orfana dimenticata in un villaggio del Galles, i cui genitori erano stati
portati via da una delle tante periodiche alluvioni. E la bambina avrebbe
incontrato il loro stesso destino se, quasi inconsciamente, non avesse creato
una cupola di energia dorata attorno al suo corpo, sufficiente per proteggerla
dal disastro naturale. Vi era rimasta per giorni, forse per settimane, sospesa
in uno stato di trance, dovuto all’eccessivo sforzo a cui si era abbandonata.
Ancora inconsapevole dei propri poteri. E del proprio destino.
Quel piccolo barlume di cosmo
non era però sfuggito ad Avalon, che aveva inviato il Primo tra tutti i Saggi a
controllarne l’origine. E a condurre la bambina sull’Isola Sacra, dove venne
iniziata alle arti del cosmo, con un unico obiettivo finale. Lo stesso di
Jonathan, di Marins, di Febo e del Comandante Ascanio.
“Lasciare che il sole sorga
ancora!” –Mormorò Reis, espandendo il cosmo e gettandosi verso la marea oscura,
liberando violenti fendenti di energia che squarciarono le tenebre circostanti.
Improvvisamente le ombre parvero
muoversi, spostandosi di lato, fino quasi a disporsi a cerchio attorno a
Jonathan e a Reis, lasciando soltanto uno stretto corridoio, dove poco dopo
apparvero due individui, rivestiti da Armature nere come la notte.
“Come se un esercito di ombre
non fosse sufficiente!” –Ironizzò Jonathan.
“La prossima volta che mi
proponi di uscire insieme, lascia che scelga io il posto del nostro
appuntamento!”
“Non ho problemi al riguardo!
Sempre sperando che ci sia una prossima volta…” –Mormorò Jonathan, osservando i
Cavalieri Neri avvicinarsi.
Quello sulla destra era alto
quanto lui, con folti capelli blu scuro e un viso maschile, rovinato da una
brutta cicatrice sul naso. Indossava un’armatura non troppo coprente, simile a
una corazza d’argento dei Cavalieri di Atena, caratterizzata dall’accentuata
spigolosità delle forme, al punto che pareva uscita dallo studio di un
geometra. Il suo compagno era invece un vero colosso e lo superava di un metro
in altezza. Ma era anche altrettanto largo, al punto che Jonathan si chiese
come riuscisse un simile ammasso di carne a muoversi.
“E soprattutto mi chiedo come
riesca a entrare in quella corazza? Se non sapessi che le armature tendono ad
adattarsi a chi le indossa, mi verrebbe da credere che gli sia stata forgiata
addosso!” –Ironizzò, prima di domandare chi fossero e cosa volessero.
“Il mio nome è Gienah della
Croce di Sant’Elena!” –Esclamò l’uomo dall’armatura spigolosa. –“E io sono Bode
del Monte Menalo!” –Aggiunse il colosso. –“In quanto a cosa vogliamo, credo
che tu già conosca la risposta! Abbiamo il compito di impedirvi qualsiasi
azione che possa nuocere all’avanzata dell’Esercito delle Ombre!”
“Flegias ha dunque così timore
che i suoi progetti di dominio falliscano da inviare anche dei supervisori?”
–Li schernì Jonathan, sollevando lo Scettro d’Oro.
“Umpf! I piani di Flegias non
falliscono mai! Tutto ciò che ha progettato in questi anni ha trovato degna
realizzazione! Questo non è che l’ultimo tassello del mosaico di tenebra con
cui coprirà il mondo!” –Precisò Gienah. –“E se è vostra intenzione opporvi,
fatevi avanti, pianterò la croce di Sant’Elena nei vostri cuori!”
“Il solito maschio sbruffone!”
–Commentò Reis, avanzando verso di lui, con la Spada di Luce stretta in mano.
Ma Jonathan la fermò, trattenendola per un braccio.
“Lascia a me questi due e pensa
a tenere a bada le ombre! Siamo qua per impedire la loro avanzata!”
“Vorresti combattere con
entrambi?” –Mormorò Reis, con preoccupazione. Ma realizzò che l’osservazione di
Jonathan era giusta e che già le ombre stavano muovendo verso l’interno. Se
avessero perso altro tempo con i Cavalieri Neri, la loro missione sarebbe
certamente fallita. –“La impediremo!” –Affermò con un sorriso, prima di
voltarsi e scattare verso la marea nera. –“Ma questo maschilismo lo detesto,
ricordatelo Jonny! Voi uomini dovete sempre mettervi in mostra e dimostrare
quanto siate forti e bravi in battaglia, forse per nascondere chissà quale
altra carenza!” –Ironizzò, strappando a Jonathan un sorriso, prima che questi
si voltasse verso i due Cavalieri Neri, espandendo il suo cosmo dorato.
“Rimandare la fine non vi
servirà! Entrambi cadrete qua, quest’oggi!” –Esclamò Gienah, scattando avanti,
con le braccia avvolte in un’accesa luce bluastra. –“Per mano delle lame di
Sant’Elena!” –E, con il continuo roteare degli avambracci, scatenò dei fendenti
energetici che saettarono verso Jonathan da ogni direzione, sottili e
taglienti, come rapidi affondi di spada. Ma il Cavaliere delle Stelle non si
fece prendere alla sprovvista, muovendo lesto lo Scettro e parando con la lunga
asta ogni fendente di energia, persino quello più piccolo o quello più
laterale.
“I miei complimenti!” –Commentò
Gienah, portatosi nel frattempo su un fianco di Jonathan. –“Ci vuole occhio
allenato per evitare le mie lame di energia! Occhi che solo uno spadaccino
professionista può avere!”
“Non sono uno spadaccino!”
–Rispose Jonathan. –“Né ho ricevuto un addestramento simile! Ma, a modo mio,
posso dire di avere l’occhio ben allenato!” –Ironizzò, prima di lanciarsi a sua
volta avanti, puntando lo scettro verso Gienah e liberando una raffica di fasci
di luce dorata, che sfrecciarono nell’aria, abbattendosi sul Cavaliere Nero,
che cercò di evitarli scattando di lato. Ma quando comprese che erano troppi
decise di affrontarli frontalmente, colpendoli uno ad uno con le sue lame.
Bode, rimasto in disparte,
osservò lo scontro tra i due attacchi, la precisa e costante abilità di
entrambi nel colpire al punto giusto. E fu quasi invaso dall’invidia, non essendo
egli, a causa della sua stazza, né agile né scattante come loro.
“In compenso sono molto
potente!” –Si disse, sbattendo un pugno nel palmo dell’altra mano ed espandendo
il proprio cosmo, dal colore ocra. Quindi affondò entrambi i pugni nell’asfalto
sotto di lui, sollevando un grosso pezzo di strada con le sue robuste braccia e
scaraventandolo contro Jonathan, che non ebbe problemi a distruggerlo con un
paio di raggi energetici.
Ma nel far questo dovette
distrarsi per un momento, permettendo a Gienah di avvicinarsi, con gli
avambracci che roteavano come lame di pura energia, e di colpirlo su un fianco,
strappandogli un grido di dolore. Prima che il Cavaliere Nero potesse colpirlo
di nuovo, Jonathan fu però svelto a muovere lo Scettro d’Oro, sbattendolo contro
l’addome di Gienah e scaraventandolo indietro, fino a schiantarsi contro il
muro di un palazzo circostante.
Bode approfittò di quel momento
per caricare il Cavaliere delle Stelle, a cui sembrò di vedere una montagna
crollare su di lui, tanto imponente era la sua mole. Jonathan gli diresse
contro alcuni raggi di energia, che stridettero sulla corazza di Bode, senza
comunque rallentare la sua corsa. Allora decise di fare altrettanto e si lanciò
contro di lui, piantando l’asta dorata nel terreno e usandola per balzare al di
sopra del Cavaliere Nero, che rimase sorpreso dall’agilità del ragazzo. Fece
per voltarsi, ma Jonathan lo anticipò ancora, colpendolo con un colpo di
scettro sul mento, spaccandogli l’elmo della corazza e portandogli via anche un
paio di denti.
Nonostante la violenza del
colpo, Bode rimase comunque in piedi e trovò la forza per afferrare Jonathan
per una gamba, prima che toccasse terra, e scaraventarlo via. Il Cavaliere
delle Stelle fu abile a compiere una piroetta su se stesso, ma mentre stava per
atterrare compostamente in piedi, venne raggiunto da centinaia di fendenti di
energia, scagliati da Gienah, rimessosi da poco in piedi.
“Adesso basta!” –Esclamò
Jonathan, sprigionando un accecante bagliore con cui spazzò via tutte le lame
di energia del Cavaliere di Sant’Elena, obbligando sia lui che il suo compagno
a coprirsi gli occhi. Un attimo dopo i due li riaprirono, notando che la luce
era calata d’intensità, ma subito vennero accecati nuovamente, quella volta da
una direzione diversa. Quindi la luminosità calò di nuovo, prima di abbagliarli
ancora, stordendoli ed esponendoli all’assalto del Cavaliere delle Stelle.
“Aberrazione della luce!”
–Gridò Jonathan, piombando sui servitori di Flegias, mentre migliaia di raggi
di luce risplendevano attorno a loro, senza che potessero capire da dove
provenissero. Li videro troppo tardi, quando ormai avevano frantumato le loro
corazze.
Jonathan atterrò proprio di
fronte a Gienah, muovendo lo Scettro con un colpo a spazzare e spaccandogli il
fianco sinistro dell’Armatura della Croce di Sant’Elena, gettandolo a terra
sanguinante. Ma quando fece per colpire Bode, sentì le braccia robuste del
colosso afferrarlo per le braccia e tirarlo a sé, schiacciandolo con violenza
contro il suo corpo.
“Eccoti qua, bel biondino!”
–Commentò, con il volto deformato dal sangue che gli colava dalla mascella
distrutta. –“Lascia che mi prenda cura di te! Che ne dici di un bel
massaggio?!” –E strinse Jonathan a sé con forza maggiore, stritolandolo con le
sue braccia possenti, fino a udire scricchiolare la corazza delle stelle e le
ossa del ragazzo.
“Ma… maledizione! Lasciami
bestione!” –Esclamò Jonathan, dimenandosi. Ma la presa del Cavaliere del Monte
Menalo era così forte da mozzargli il respiro. Per un momento le forze gli
cedettero e perse la presa dello Scettro d’Oro, che cadde a terra con fragore,
rotolando di qualche metro sull’asfalto.
Gienah si avvicinò all’arma,
osservandola con interesse. Non sapeva cosa fosse, né da dove provenisse, ma
era certo che i suoi poteri fossero grandi, avendola vista in azione fino a
poco prima.
“Uno solo dei suoi fasci sembra
contenere l’energia di un piccolo sole!” –Commentò, allungando la mano fino a
sfiorare la lunga asta. –“Arma pericolosa per il Maestro di Ombre! Arma che
potrebbe danneggiare l’Esercito di Tenebra che ha faticosamente costruito!” –Ma
non appena la afferrò, deciso a spezzarla o a portarla a Flegias, una
violentissima scarica di energia lo travolse, scuotendo tutto il suo corpo e
schiantando parte della sua corazza, fino a farlo ricadere a terra.
“Gienah!!!” –Gridò Bode,
osservando il compagno esausto sputare sangue e crollare sull’asfalto
distrutto. Nonostante i rapporti tra la maggioranza dei Cavalieri Neri fossero
di semplice opportunismo, uniti soltanto dal fine comune di servire il Maestro
di Ombre, tra Bode e Gienah era sorta una mezza amicizia, dovuta essenzialmente
alla simpatia del gigante, e al modo di Gienah di rapportarsi a lui. Era
infatti l’unico a non canzonarlo per la sua stazza, convinto che in battaglia,
a modo suo, avrebbe potuto comunque rendersi utile.
Jonathan approfittò di quel
momento per far esplodere il suo cosmo, accecando Bode e incendiando parte
della sua corazza, obbligandolo ad allentare la presa. Non di molto, ma quanto
fu sufficiente a Jonathan per liberare il braccio destro e distenderlo,
richiamando a sé lo Scettro d’Oro, che saettò subito nella sua mano. Jonathan
lo infilò nello spazio tra il suo corpo e il petto di Bode, usandolo come leva
per spingersi indietro, aprendo le braccia del gigante e balzando fuori dalla
sua stretta. Atterrato all’esterno, puntò l’asta avanti, colpendo il Cavaliere
Nero più volte sull’addome, spaccando la sua corazza fino a sfondarla e a
piantare lo Scettro dentro di lui. L’energia cosmica che lo invase fu tremenda
e Bode venne percorso da un fremito violento, al punto da crollare
all’indietro, scuotendo il terreno con la sua caduta.
“Stolti!” –Esclamò Jonathan,
balzando indietro e portandosi a distanza di sicurezza. –“Pretendere di toccare
con mano indegna uno dei Talismani del Mondo Antico è quasi pretendere di
vedere Dio!”
“I Talismani?!” –Mormorò Gienah,
rimettendosi in piedi a fatica e trascinandosi verso il corpo di Bode.
“Proprio così! Armi che nessuno
può toccare, se non coloro che i Talismani stessi scelgono come custodi! Una
mano impura non potrebbe neppure sfiorarli!”
“Che siano quelli che Flegias ha
cercato per anni?!” –Rifletté Gienah. –“E se anche li avesse trovati non
avrebbe potuto possederli! Quale ironia!”
“Flegias non ha mai capito cosa
fossero i Talismani! Lui ha cercato comuni armi in tutti i templi che ha
visitato! Ma la verità era ben lontana dalla sua ricerca! Ricerca che avrebbe
potuto evitare se avesse avuto l’insegnamento di Avalon al riguardo! Pur
tuttavia le paure dell’Isola Sacra erano fondate! È vero, soltanto i prescelti
possono impugnare i Talismani, ma se un uomo malvagio e dal cosmo impuro fosse
così forte, così potente, così carico di tenebra da riuscire a sottomettere
persino la volontà degli antichi manufatti…”
“Avrebbe potuto asservirli alla
sua causa e anziché portare luce avrebbero portato ombra!” –Concluse la frase
Gienah, intuendo i pensieri del Cavaliere delle Stelle, e cercando un modo per
mettersi in contatto con l’Isola delle Ombre. Ben sapendo che i suoi scarsi
poteri mentali non avrebbero potuto giungere così lontano, né superare la cappa
di tenebra che la avvolgeva.
Proprio in quel momento Flegias,
che amava rimirare il suo volto nella corona nera che Athanor aveva forgiato
per lui, gettava un altro pezzo di carne umana nel braciere della sua caverna.
I resti dei Cavalieri Celesti che avevano osato invadere il suo impero. Alte
fiamme nere vorticarono sinuose verso il soffitto, mentre confuse immagini si
accavallavano davanti agli occhi del Maestro di Ombre. Concentrandosi, ed
espandendo il cosmo, Flegias cercò di focalizzare ciò che voleva vedere. La
Turchia. Smirne. Piazza Konak. E i due Cavalieri Neri che venivano travolti da
un ragazzino armato di uno Scettro d’Oro.
Flegias storse il naso, deluso
da quei due incapaci, troppo teneri per essere i soldati perfetti e sanguinari
che avrebbe voluto, quando la sua attenzione fu attirata proprio dallo Scettro.
Un’arma che non aveva mai visto. E da colui che lo impugnava, un ragazzino dai
capelli biondo cenere che riluceva di mistici bagliori. A quella vista, Flegias
avvampò e le fiamme sussultarono, espandendosi per l’intera caverna.
“Avalon!!!” –Mormorò. –“Puzza di
Avalon anche a distanza di miglia! Dunque hai finalmente mosso le tue pedine!
Hai trovato i Talismani e li stai usando contro di me! Non so quanti tu ne
abbia trovati, ma non ti permetterò di usarli! No! Volgerò la loro luce
all’ombra e ne farò araldi del mio potere!” –Ringhiò Flegias, avvolgendosi nel
suo mantello scarlatto. E per un attimo si vide in cima al cerchio di pietre
dell’Isola Sacra, mentre la mistica energia della natura fluiva dentro di lui,
prima che un rogo immenso divorasse ogni cosa, spazzando via quella visione di
cui non seppe riconoscere la provenienza. Passata, presente o futura.
“Orochi è al Grande Tempio! E su
Iemisch non posso più fare affidamento!” –Rifletté Flegias, che ritenne
necessario un intervento immediato contro i Cavalieri di Avalon. –“Pazienza!
Vorrà dire che dovrò fare alla vecchia maniera e occuparmene personalmente! Ah
ah ah!”
Si tagliò un polso con la spada,
lasciando che gocce di sangue centellinassero nel braciere, alimentando il
fuoco della Vista. Una nuova immagine prese consistenza di fronte ai suoi occhi
e il Maestro di Ombre riconobbe l’isola di Creta, la cui parte orientale era
già stata raggiunta dalla marea nera. Anche là qualcuno combatteva, anche là
qualcuno osava opporsi all’avvento dell’ombra. Flegias sogghignò, riconoscendo
il volto di uno dei due Cavalieri delle Stelle. Il figlio di un sovrano che
aveva ingannato a suo tempo.
“Non ci vediamo da molto tempo,
Febo del Sole!” –Sogghignò. –“Credo sia l’ora di una bella rimpatriata! Ah ah
ah!” –E si avvolse in un turbine di fiamme e ombra, all’interno del quale
scomparve dopo poco.
Gienah non poteva conoscere le
azioni di Flegias e si limitò a rimettersi in piedi, per quanto ferito, con una
nuova determinazione negli occhi. Vincere Jonathan anche per correre ad
informare il Maestro di Ombre. Ma per farlo doveva togliergli la presa dello Scettro
e l’impresa era tutt’altro che facile.
“Il vostro spirito guerriero si
è già sopito? Dov’è dunque tutto il vostro coraggio?” –Gridò Jonathan,
scattando avanti e liberando il suo colpo segreto. –“Aberrazione della luce!”
–Nuovamente migliaia di raggi di luce sfrecciarono da ogni direzione contro i
due Cavalieri Neri, lampeggiando attorno a loro e stordendoli. Ma Bode ebbe la
funzionale idea di usare il suo cosmo per generare una barriera energetica
dalla tozza forma di una montagna, con il quale protesse lui e il suo compagno.
“Non supererai le difese del
Monte Menalo! Il monte dove Ercole catturò la Cerva dalle Corna d’Oro!” –Ruggì
Bode, con le braccia sollevate verso il cielo ed il cosmo sfolgorante attorno a
sé.
“Credi che quella barriera basti
per proteggervi? Se lo ritieni davvero, allora non hai capito niente del mio
attacco!” –Esclamò Jonathan. –“L’aberrazione della luce è un fenomeno che fa
apparire deviata, ad un osservatore in moto, la direzione di un raggio luminoso
proveniente da un corpo celeste, così come sembrano inclinate le gocce di
piaggia che cadono perpendicolarmente al suolo ad un osservatore che cammina
velocemente! Allo stesso modo io utilizzo questa tecnica per disorientare i
miei avversari, stordendoli con continui lampi di luce provenienti da ogni
dove!” –E nel dir questo sollevò nuovamente lo Scettro, mentre migliaia di
flash luminosi si accendevano attorno a lui, disturbando la vista dei Cavalieri
Neri.
“Non possiamo rimanere passivi!
Dobbiamo attaccare!” –Gridò Gienah, uscendo dalla barriera e incrociando le
braccia avanti a sé, fino a creare una x, su cui concentrò il suo cosmo
bluastro. –“Croce di Sant’Elena!!!” –E scagliò un violento attacco
energetico contro Jonathan, che cercò di difendersi colpendolo in corsa con lo
Scettro. Ma l’esplosione che ne seguì lo scaraventò indietro di qualche metro,
facendolo ruzzolare sul terreno, mentre Gienah incrociava nuovamente le
braccia, liberando una nuova croce di energia cosmica.
Jonathan si gettò a terra,
scivolando abilmente tra i rami inferiori della croce, lasciando che gli
passassero di lato, strusciando soltanto parti della sua corazza, ma quando
fece per rialzarsi si accorse che Bode aveva generato un’immensa montagna di
cosmo e l’aveva appena lanciata su di lui. Jonathan cercò di sfrecciar via, ma
nella fretta inciampò nel suo stesso Scettro, cadendo a terra e non potendo far
altro che sollevare entrambe le braccia per sostenere il peso di quella
montagna. Il peso del Monte Menalo.
“Che te pare, Gienah?! Non ti
ricorda Atlante?!” –Rise Bode, osservando Jonathan, con un ginocchio a terra,
che puntava le mani verso l’alto, per reggere quell’immensa massa che lo stava
schiacciando. Una massa formata essenzialmente da cosmo, ma che Bode aveva il
potere di rendere terribilmente pesante.
“Atlante lo immaginavo forse più
robusto!” –Ironizzò Gienah, approfittando di quel momento per riprendere fiato.
Vide lo Scettro d’Oro in terra, a pochi passi da Jonathan, chino sotto il peso
del Monte Menalo, e pensò di appropriarsene. Ma il pensiero di una nuova
scarica energetica lo fece desistere. –“Dobbiamo ucciderlo! Soltanto così
potremo impossessarci dello Scettro, privo ormai del cosmo del suo guardiano!”
–E nel dir questo incrociò nuovamente le braccia davanti al petto, ricreando
una croce di energia. –“Croce di Sant’Elena!” –Gridò, liberando il suo
assalto, che falciò le braccia e le gambe di Jonathan, facendolo cedere, mentre
l’immensa massa del Menalo crollava su di lui, schiacciandolo.
“Vittoria!!!” –Gridò Bode. Ma
Gienah gli disse di non esultare troppo, poiché avevano ancora un nemico da
affrontare. Si voltarono verso l’altro lato della piazza, dove Reis stava
affrontando da mezz’ora ormai un nugolo di ombre, disperatamente assetate della
luce della sua Spada. Quando i due si mossero per andare da lei, un’abbagliante
esplosione li distrasse e si voltarono contemporaneamente per osservare
Jonathan risollevarsi da terra, prima appoggiato ad un ginocchio, poi con
entrambe le gambe diritte, mentre teneva con le braccia sopra di sé l’immensa
mole del Monte Menalo, avvolto in uno sfavillio di stelle.
Così abbagliante era la luce
prodotta che molte ombre, intente a lottare con Reis o a vagare per Smirne,
furono attratte dalla sua energia vitale, lanciandosi verso di lui. Gienah,
stupefatto, incrociò nuovamente le braccia di fronte a sé, ma Jonathan lo
anticipò, scaraventando contro di lui l’intera montagna generata da Bode e
schiacciandolo sul colpo.
“Gienah!!!” –Gridò Bode,
muovendosi per soccorrerlo. Ma Jonathan non gliene diede il tempo, concentrando
il cosmo tra le mani.
“Sai dove vanno a finire i
sogni?! Secondo Ariosto tutto ciò che l’uomo ha perso va a finire sulla Luna! E
indubbiamente, tra le cose che gli uomini tendono a perdere e a dimenticare, vi
sono anche i sogni! Ma io credo che essi volino molto più lontano! In un posto
dove soltanto le stelle possono arrivare! In un luogo dove nascono le comete!”
–Affermò Jonathan, concentrando il cosmo attorno al braccio destro e scattando
poi avanti. –“Cometa d’oro! Risplendi!!!” –E scagliò un assalto luminoso
contro Bode, che travolse in pieno il Cavaliere Nero, trapassandolo da parte a
parte senza che egli neppure se ne accorgesse. L’ultima cosa che vide, prima di
spegnersi, fu lo scintillio di una cometa, che lasciava dietro di sé una scia
di polvere di stelle.
Gienah ebbe ancora la forza di
rimettersi in piedi, nonostante l’armatura distrutta e numerose ferite sul
corpo. E Jonathan, osservandolo, decise di privarlo di ogni sofferenza. Lo
colpì con un raggio di energia, mentre incrociava le braccia al petto,
scaraventandolo indietro, fino a farlo affondare all’interno della marea nera
che li aveva accerchiati. In un attimo le ombre furono su di lui, cibandosi di
quel che restava della sua energia vitale. Jonathan volse lo sguardo, disgustato
da quello spettacolo e corse ad aiutare Reis, avvolta da un turbine di nere
evanescenze.
“Te la sei presa comoda!”
–Ironizzò la ragazza, muovendo la Spada di Luce per falciare via quegli strati
di tenebra che parevano non avere mai fine.
“Cometa d’oro!!!” –Gridò
Jonathan, liberando il suo attacco migliore, che estinse sul colpo alcune
decine di ombre, liberando Reis da quella stretta morsa.
La ragazza affiancò subito il
compagno, mentre la cappa scura sembrava chiudersi sempre più su di loro.
Nonostante combattessero da quasi due ore, non era cambiato fondamentalmente
niente, sennonché si sentivano più deboli e spossati.
“Se proprio dobbiamo morire qua,
moriremo con onore!” –Esclamò Reis, lasciando che il suo cosmo dorato
scivolasse attorno al suo corpo femminile. –“Cascata di luce!!!” –Gridò,
liberando i flutti di vivida luce.
“Sciame di comete!!!” –La
affiancò Jonathan, dirigendo migliaia di comete dorate contro la massa di
ombre, estinguendone alcune, proprio come l’attacco dell’amica. Ma non abbastanza.
Non la totalità di esse.
“Il cerchio si stringe!”
–Commentò Reis, osservando l’Esercito delle Tenebre accerchiarli sempre di più,
limitando i loro spazi di azione e avvolgendoli in una notte senza fine.
Sembrava quasi che avessero compreso il pericolo potenziale rappresentato dai
due Cavalieri delle Stelle, ma che al tempo stesso ne fossero attratti,
vedendovi un serbatoio di energia a cui non potevano fare a meno di attingere.
“Insieme, Reis!” –Gridò
Jonathan, sollevando lo Scettro d’Oro verso il cielo.
Ma proprio in quel momento
un’ondata immensa di fiamme risplendette in piazza Konak, vorticando attorno ai
Cavalieri delle Stelle. A quella visione le ombre parvero disperdersi,
impaurite da così tanta luce violenta, da così tanto fuoco astrale capace di
divorarle. Persino Jonathan e Reis dovettero coprirsi gli occhi, accecati da
tale bagliore, che scoprirono provenire da un uomo rivestito da una splendida
armatura luminosa, dai colori rossastri come l’alba. Un uomo che Jonathan
conosceva bene.
“So già che Avalon se la
prenderà! Ma non potevo restare inerme e perdermi tutto il divertimento!”
–Esclamò Andrei, salutando l’allievo.
Dopo un paio di tentativi
falliti, in cui si era lanciato con decisione contro la barriera protettiva, a Pegasus
fu chiaro che contro Orochi non avrebbe avuto vittoria facile. Alto e
possente, il Capitano dell’Ombra restava impassibile, con il volto in parte
celato dall’elmo a forma di testa di drago nero, riparato da quella protezione
di cosmo tanto sottile all’apparenza, quanto insuperabile in verità. Un
gioiello di tecnica che a Pegasus ricordò il Muro di Cristallo di Mur,
dotato anch’esso della capacità di rimandare indietro l’attacco ricevuto.
Ma a Orochi pareva che non
importasse neppure quello, convinto di poter vincere il nemico con l’ausilio
delle sue sole forze. Quelle stesse forze che avevano così tanto impressionato
Flegias al punto da nominarlo Comandante dell’Esercito di Ombre. Un titolo di
cui andava orgogliosamente fiero.
“Sei tenace, ragazzino!”
–Commentò, osservando Pegasus balzare indietro, grazie alle ali dell’Armatura
Divina, e atterrare a gambe unite al suolo, evitando il ritorno dei colpi da
lui scagliati.
“Non sei il primo che me lo
dice!” –Ironizzò Pegasus, respirando affannosamente.
“Beh, allora sarò l’ultimo!”
–Sogghignò Orochi, bruciando il proprio cosmo color ruggine e concentrandolo
sul pugno destro. –“Pugno del Drago!!!” –Gridò, portando avanti il
braccio e liberando un violento assalto energetico, che elettrificò l’aria
circostante, sollevando polvere e detriti.
Pegasus cercò di contrattaccare,
colpendo l’assalto nemico con migliaia e migliaia di pugni di luce, sperando di
frenare la sua avanzata distruttiva. Ma vi riuscì solo in minima parte, venendo
raggiunto allo sterno dal pugno di Orochi e scaraventato indietro, fino a
schiantarsi sulla scalinata che conduceva alla prima Casa di Ariete. Non troppo
distante da dove si era schiantato una mezz’ora prima.
Sono di casa, qui! Ironizzò Pegasus, rialzandosi a fatica e sputando sangue.
Gli doleva la cassa toracica e il pettorale incandescente dell’Armatura Divina
fumava ancora a causa dell’impatto. Meglio tenersi a distanza di sicurezza!
Commentò, osservando il possente nemico, con le braccia appoggiate ai fianchi,
quasi fosse nel bel mezzo di una conversazione e non di una battaglia.
Non era la prima volta che
Pegasus affrontava nemici di taglia a lui superiori. Gerki, Docrates, Toro e
Thor erano esempi illustri. E anche Bronte del Tuono e il Toro di Creta, benché
non fossero dei colossi come gli altri, si erano rivelati avversari insidiosi e
potenti. Aveva comunque saputo vincerli tutti, scovando i loro punti deboli e
sfruttando le loro debolezze. Ma, nel caso di Orochi, Pegasus non era certo che
esistessero. Sembrava davvero che un muro si ergesse di fronte a lui. Un muro
che non sapeva come sfondare.
Fiammate improvvise sferzarono
l’aria, ricordando al ragazzo che, poco distante, Sirio e Cristal stavano
affrontando il gigantesco drago e che egli avrebbe dovuto fare il suo dovere,
impedendo al Capitano dell’Ombra di correre in aiuto di tale creatura.
“Sei pronto alla lotta, Cavaliere?!”
–Esclamò infine Pegasus, espandendo il cosmo e disegnando nell’aria le tredici
stelle della sua costellazione.
“Io sono sempre pronto! Mi
chiedo solo se tu lo sia!” –Commentò Orochi, accennando un sorriso di scherno.
Ma Pegasus non colse la sua provocazione, continuando a bruciare il cosmo e
scattando infine avanti, dirigendo contro il colosso migliaia e migliaia di
pugni lucenti, simili ad una vera e propria pioggia di stelle.
“Iaiii!!! Pegasus, la tua forza
è in meee!!!” –Gridò, lanciandosi contro Orochi, che, dal canto suo, si limitò
ad aprire le braccia avanti a sé, osservando le migliaia di sfere luminose
generate da Pegasus schiantarsi sulla barriera protettiva. Ma, quando mosse il
braccio per rimandarle indietro, notò che nessuna di esse raggiunse il
Cavaliere di Atena, che prontamente aveva spiccato un balzo verso l’alto, per
superare Orochi e atterrare dietro di lui. –“Dove la tua barriera non ha
effetto!!!” –Commentò Pegasus, ricadendo verso terra.
Ma Orochi, sorpreso ma
nient’affatto preoccupato, saltò in aria a sua volta, dimostrando un’agilità
che Pegasus non avrebbe mai creduto, e afferrò il ragazzo per le gambe,
roteando più volte su se stesso e gettandolo infine a terra, dove Pegasus
ruzzolò malamente. Fece per rimettersi in piedi, ma venne atterrato di nuovo,
raggiunto alla schiena da una ginocchiata possente di Orochi, che lo schiacciò
sul terreno, incrinando le ali della sua corazza e mozzandogli il respiro.
“Quale agilità!” –Sputò Pegasus,
arrancando per rimettersi in piedi.
“E agile in effetti sono!”
–Commentò Orochi, continuando a esercitare violenta pressione sul ginocchio,
avvolgendo Pegasus con il cosmo e bloccando i suoi movimenti. –“Ma ancor più…
potente!” –Aggiunse, sollevando la gamba di scatto e calpestando il corpo del
ragazzo, sprofondandolo vari metri sottoterra.
“Pegasus!!!” –Gridò Phoenix,
riparato tra le colonne del Tempio di Ariete, intento a prendersi cura di Andromeda,
la cui salute fisica era piuttosto precaria. Da quasi un’ora il ragazzo era
sbiancato, sudando copiosamente, in preda ad una febbre improvvisa. A fatica
riusciva a mantenersi in piedi, con la testa che gli doleva e confuse immagini
che si accavallavano davanti ai suoi occhi. Scene già viste, scene di morte,
scene che non aveva idea come potessero apparirgli. –“Andromeda…”
Ma il fratello era troppo debole
persino per rispondere. Aveva indicato a Phoenix la ferita sul collo, uno
squarcio di una decina di centimetri, e poi era crollato tra le sue braccia,
vittima di una stanchezza che lo stava sopraffacendo.
“Maledizione! Se Mur fosse
ancora qua…” –Strinse i pugni Phoenix, volgendo lo sguardo verso il cielo. –“Ma
ti salverò Andromeda! A costo di portarti in spalla sull’Olimpo!”
“Fratello… non…” –Ma Andromeda
non riuscì ad aggiungere altro che una nuova fitta al cervello lo fece
accasciare, obbligandolo a tenersi la testa tra le mani, come se stesse per
scoppiargli. Guerre, stragi, uomini armati, e una sinfonia di favole che
suonava in lontananza. Scogli, onde e mari in tempesta, e una risata sardonica
che pareva riempire tutto lo spazio.
Phoenix aveva disteso il
fratello sul pavimento della casa di Ariete, dopo avergli tolto l’Armatura
Divina, e stava logorandosi non sapendo cosa fare. Avrebbe voluto essere in
battaglia con Pegasus e i suoi compagni, ma non poteva in nessun modo lasciare
Andromeda da solo.
Orochi, sprofondato Pegasus nel
terreno, si mosse per raggiungere il drago della leggenda, ma non riuscì a fare
neppure qualche passo che sentì esplodere nuovamente il cosmo di Pegasus. Si
voltò verso il cratere aperto nel terreno, proprio mentre un cumulo di detriti
saliva verso il cielo, all’interno di un cilindro di luce azzurra dove presto
comparve la figura di Pegasus, con lo sguardo determinato a non arrendersi.
Il Cavaliere di Atena continuò a
salire verso l’alto, avvolto nel cilindro di luce, fino a roteare su se stesso,
grazie alle ali dell’Armatura Divina, e assumere la forma di una cometa di luce
azzurra.
“Orochi! Sto arrivando!!!”
–Gridò, aumentando la rotazione del suo corpo e l’intensità del cosmo.
“Ti aspetto, ragazzo!” –Esclamò
soltanto il Comandante oscuro, esaltato da quella nuova sfida. Proprio in quel
momento Pegasus sfrecciò verso di lui, deciso a sfondare la barriera di energia
come aveva distrutto quella di Eris quasi un paio d’anni prima. Ma ebbe una
brutta sorpresa, quando sentì che quella volta Orochi non aveva creato alcuna
barriera difensiva, permettendo a Pegasus di piombare su di lui, che lo
aspettava invece con il pugno destro carico di incandescente energia. Tutta
quella che era riuscito ad accumulare in quei pochi istanti.
Il contraccolpo fu tremendo, e
il boato fu udito in tutto il Grande Tempio, bloccando per un momento anche
Sirio e Cristal, intenti a difendersi dalle fiamme del drago.
Pegasus, colpito in corsa dal
pugno di Orochi, venne scaraventato indietro ad una velocità impressionante,
finendo per schiantarsi contro il timpano della Casa di Ariete, distruggendolo
sul colpo e rovinando all’interno, tra mucchi di pietre e marmo che crollavano
su di lui. Ma anche il Capitano dell’Ombra non uscì indenne dall’impatto,
osservando il guanto protettivo dell’armatura andare in frantumi, così come
parte dell’avambraccio. Per la prima volta inoltre, Orochi emise un lamento di
dolore, afferrandosi il braccio ferito con l’altro, per lenirlo con il cosmo.
“Pegasus!!!” –Gridò Sirio,
sconvolto da quanto accaduto. Ma Cristal lo pregò di non darsi pena per lui, e
di concentrarsi sul loro avversario, o avrebbero vanificato quanto fatto
finora.
L’ingombrante sagoma del drago a
otto teste incombeva su tutti loro, squassando il terreno ad ogni movimento,
abbattendo alberi e costruzioni e minacciando l’area del Grande Tempio ove
sorgevano l’infermeria e alcune abitazioni.
“Dobbiamo fermarlo adesso,
Sirio!” –Esclamò Cristal, espandendo il cosmo. Sbatté i pugni verso il cielo,
lasciando che una fitta ragnatela di ghiaccio cadesse sul drago, limitando per
un momento i suoi movimenti e spegnendo qualche fiamma sparsa. –“Vortice…
fulminante… dell’aurora!!!” –E liberò una corrente di gelo che avvolse
Yamata no Orochi, vorticando attorno al suo immenso corpo e salendo sempre più
verso il cielo, con il fine di bloccarlo tra pareti circolari di ghiaccio. –“A
te, Sirio!!!” –Incitò infine l’amico.
“Non ti deluderò!” –Disse Sirio,
balzando in alto e calando la sua lama energetica su una delle otto teste del
drago. –“Excalibur!!!” –E con essa la mozzò via, facendo strillare la
creatura dal dolore, che iniziò a dimenarsi con forza, decisa a distruggere
quella prigione con il suo immenso corpo. Fiammate violente si abbatterono
sulle mura di ghiaccio, liquefacendole dopo poco, ma Cristal fu lesto a
intervenire.
“Ancora! Risplendi Vortice…
fulminante… dell’aurora!!!” –Ma non ebbe tempo di portare a compimento il
suo rinnovato assalto che un getto di fiamme, diretto da un paio di teste del
drago, si abbatté su di lui, infiammando l’Armatura Divina del Cigno e
obbligando Sirio a gettarsi sull’amico, portandolo fuori dal getto nemico.
–“Grazie!” –Commentò Cristal, un po’ stordito, rimettendosi in piedi.
“Non funziona!” –Rifletté Sirio.
–“Colpire una testa per volta è una fatica immensa! E lui non è il genere di
paziente che si possa definire tranquillo, durante un’operazione del genere!”
Proprio in quel momento il drago
distrusse un lato della muraglia di ghiaccio con un colpo di coda, facendone
piovere pezzi sui due Cavalieri, che balzarono prontamente indietro, per
osservare la vasta massa della creatura sollevarsi di fronte a loro. Rapidi
getti di fiamma piombarono sui due amici, e Cristal fu svelto a creare una
protezione, simile alla struttura esterna di una bara di ghiaccio, che impedì
alle vampe di raggiungerli. Ma Orochi era determinato ad arderli vivi e ben
presto Sirio si accorse che a Cristal mantenere quella barriera costava troppo
in termini di dispendio energetico.
“Potrei provare a girarla contro
di lui!” –Commentò il Cavaliere del Cigno. –“Fosse possibile fermarlo… in un
immenso sarcofago di ghiaccio!” –Aggiunse, sollevando il braccio destro al
cielo e lasciando che una cristallina luce scaturisse dalle dita, creando una
piramide attorno al corpo del drago, all’interno del quale il ghiaccio prese a
formarsi ad un ritmo molto elevato.
“Non ci riuscirai, Cristal! È
troppo persino per te!!! Guarda quant’è grosso!” –Esclamò Sirio con preoccupazione,
mentre vampe di fuoco si abbattevano su di loro.
Il Cavaliere del Drago fu svelto
a rotolare di lato, evitandole, ma Cristal rimase al suo posto, in piedi di
fronte a Orochi, subendo gli sbuffi infuocati e continuando al tempo stesso a
sollevare le pareti della bara di ghiaccio, espandendo sempre più il suo cosmo.
“Cristaaal!!!” –Gridò Sirio. –“È
una pazzia!!!”
“Forse!” –Commentò l’amico con
voce pacata, cercando di nascondere il dolore e la stanchezza. –“Ma se ti sarà
utile per abbatterlo, allora non lo sarà!” –Non aggiunse altro, richiamando a
sé tutta l’energia della sua costellazione.
“D’accordo!” –Disse Sirio,
chiudendo il pugno. Volse lo sguardo verso il drago, che si dimenava
all’interno di quelle pareti di ghiaccio sempre più alte, e bruciò il proprio
cosmo verde smeraldo. Verde speranza.
Per prima cosa liberò violenti
getti di energia acquatica, sotto forma di scintillanti dragoni, dirigendoli
verso le fauci spalancate di Orochi, spegnendo le sue fiamme. Un paio di teste
si tuffarono su di lui, per azzannarlo, ma Sirio fu svelto ad evitarle,
lasciando che i loro lunghi colli sinuosi si attorcigliassero tra loro. Quindi
le recise entrambe con un unico colpo, strappando alle altre un nuovo grido di
terrore.
In quel momento si accorse che
Cristal, indebolito per il prolungato sforzo di mantenere una temperatura
bassissima, era crollato sulle ginocchia, e che la bara di ghiaccio stava
iniziando a cedere, sottoposta a indescrivibile pressione da parte del drago.
Così balzò di lato, evitando nuove vampe del drago, fino a portarsi alle spalle
della creatura, incapace di girarsi a causa del ghiaccio che le aveva congelato
la parte inferiore del rozzo corpo. Aiutandosi con i cedri e le alte piante che
crescevano sul dorso del drago, Sirio si arrampicò verso l’alto, tagliando loro
il collo, proprio come aveva fatto con Gerione mesi prima.
Così facendo recise altre tre
teste, prima di essere scaraventato a terra da un brusco movimento del drago,
infuriato e esagitato come mai era stato prima. Il nero sangue imbrattava
l’enorme petto, ardendo in un rogo di fiamme che odorava di morte. Soltanto due
teste fissavano ancora i Cavalieri di Atena, prontamente riunitisi, e
sembravano sul punto di esplodere nuove vampe di fuoco da un momento all’altro.
“Sei con me?” –Esclamò Sirio.
“E lo chiedi?!” –Sorrise
Cristal, bruciando al massimo il suo cosmo gelido.
Sirio fece altrettanto ed
entrambi balzarono in alto, portandosi proprio davanti alle due teste di drago,
che spalancarono le fauci in quel momento, eruttando fiammate incandescenti.
Cristal diresse una tempesta di gelo contro una delle bocche aperte, subito
seguito dalle fresche acque della cascata di Cina evocate da Sirio. Quindi,
scambiandosi un’ultima occhiata, entrambi sollevarono il braccio destro al
cielo, concentrando su esso tutto il loro cosmo. Tutto il loro potere.
“In nomine tuo Capricorn!”
–Gridò Sirio. –“Excalibur colpisci!!!”
“Che il potere di Asgard sia con
me! Spada di ghiaccio!!!” –Gli fece eco Cristal, generando un fendente
di energia congelante, che si unì a quello di Sirio, sventrando le teste del
drago, proprio mentre i due Cavalieri ricadevano a terra. Cristal spalancò le
ali dell’Armatura Divina, afferrando Sirio per un braccio e planando con lui
sul terreno.
La terrificante sagoma di Orochi
torreggiò ancora per qualche istante su di loro, prima di crollare senza vita,
giù lungo distesa, schiacciando altri edifici e squassando ulteriormente il
terreno. La sua rovinosa caduta fu accolta con rabbia dal Comandante dei
Capitani dell’Ombra, che si incamminò verso Sirio e Cristal, deciso a vendicare
la creatura di cui era custode, ma verso cui era anche debitore, essendo il
simbolo del suo potere e la fonte di parte dei suoi poteri.
“Se è la vendetta che brami,
allora è motivo che spinge anche Sirio il Dragone a combatterti!” –Esclamò il
Cavaliere, espandendo il proprio cosmo verde. –“Perché ho anch’io un amico per
cui desidero lottare!”
“Il debole che giace tra le
macerie della Prima Casa? È luogo adatto per i vinti da Orochi!” –Commentò il
Capitano dell’Ombra, facendo infervorare Sirio, che si lanciò verso di lui, con
il braccio destro teso e carico di energia cosmica.
“Colpo segreto del Drago
Nascente!” –Gridò Sirio. Ma anche il suo attacco, per potente che fosse, si
schiantò sull’invalicabile difesa del Comandante oscuro, presto seguito dalla Polvere
di Diamanti di Cristal.
“È il mio turno, adesso!
Apprestate le migliori difese che avete o invocate la clemenza divina,
altrimenti sarete spazzati via dal Pugno del Drago!!!” –Gridò Orochi,
scagliando un violento attacco di energia, che abbatté Sirio e Cristal,
schiantandoli contro una parete rocciosa, con le Armature Divine crepate in più
punti.
Ricaddero entrambi a terra,
perdendo i sensi, e Orochi, deciso a eliminare la loro minaccia, si avvicinò
per colpirli definitivamente. Era un perfezionista, lo era sempre stato, e
sapeva che i lavori andavano eseguiti scrupolosamente. Altrimenti è meglio
non farli! Sorridendo cinicamente, ripensò a Iemisch, il Capitano
dell’Ombra della Tigre Nera, che aveva ardito chiedere a Flegias il comando del
suo Esercito.
Avrebbe dovuto essere folle,
o desideroso di sconfitta, il Maestro di Ombre, per nominare quel fallimentare
soldato al comando delle sue armate!
Rifletté Orochi, ricordando la sconfitta subita da Iemisch ad Angkor. Una
sconfitta che aveva messo definitivamente fine alla disputa per il primo posto.
Meritatissimo, oserei dire! Si disse, concentrando il cosmo sul pugno
destro, pronto per calarlo sui due Cavalieri.
Ma fu obbligato a voltarsi
indietro e a parare una raffica di meteore energetiche che sfrecciarono sul
terreno dirette verso di lui. Le neutralizzò tutte, stringendo l’ultima nel
pugno della mano e spegnendola, in modo da disperderne l’energia. Pegasus non
ne fu troppo sorpreso, ma quanto meno era riuscito a impedirgli di fare del
male ai suoi amici.
“Hai dimenticato contro chi
stavi combattendo, bestione? O la materia grigia ti fa difetto?” –Esclamò il
Cavaliere, in piedi a una decina di metri da Orochi.
“L’ironia non ti manca, ragazzo,
ma da sola non basta a garantirti la vittoria!” –Precisò Orochi, iniziando a
incamminarsi verso Pegasus, espandendo il suo cosmo. –“Serve anche la forza e,
benché certo non ti manchi, non ne hai abbastanza per confrontarti con me! No!”
–Si fermò per un momento, fissando Pegasus con i suoi occhi color oro. Da cui
guizzò una luce che stupì per un momento il Cavaliere. –“Non lo è affatto! E
ora vedrai! Alitar del drago!!!” –Esclamò Orochi, portando entrambe le
braccia avanti e volgendo i palmi al ragazzo, che subito venne investito da
vampe di fuoco, simili a quelle emesse dal drago a otto teste.
Pegasus incrociò le braccia
davanti al volto, per difendersi da quell’assalto, prima di balzare indietro,
spalancando le ali dell’Armatura Divina e sbattendole in modo da generare una
corrente d’aria che disperdesse le fiamme. Ma si accorse di essere un po’
stordito, e si toccò la testa con una mano, sentendola improvvisamente pesante.
Orochi approfittò di quel momento di distrazione del ragazzo per balzare su di
lui e colpirlo con un pugno in pieno petto, scaraventandolo a terra, ancora una
volta in un cratere che si aprì sotto di lui. Ancora una volta crepando
l’Armatura Divina, spaccando le ali in più punti.
“Co… cos’è successo?!” –Balbettò
Pegasus, cercando di rimettersi in piedi, mentre, a un cenno di Orochi, le
fiamme si chiusero a cerchio attorno al Cavaliere, che le osservò stranito,
come fossero qualcosa che non aveva mai visto. Ed in effetti, si disse,
tenendosi ancora la testa, erano diverse da ogni altro tipo di fuoco.
“Non hai imparato niente dagli
errori precedenti, Cavaliere di Pegasus!” –Commentò Orochi, avvicinandosi al
bordo del cratere. –“Già ti avevo avvertito di quanto fosse pericoloso l’alito
del drago! Non è semplice fiamma, che un getto d’acqua potrebbe spegnere!
Tutt’altro! È pestilenziale soltanto l’odore ed inalarlo in grande quantità può
rivelarsi dannoso! E mortale!”
“I… Inalarlo?!” –Mormorò
Pegasus, rialzandosi a fatica, privo dell’elmo della corazza, perso nello
scontro.
“Proprio così! Può rivelarsi gas
tossico per chi non vi è avvezzo! Dapprima accuserai mal di testa e
stordimento, che limiteranno i tuoi sensi in battaglia, rendendoti impreciso e
vulnerabile, poi nausea e conati di stomaco, che ti piegheranno a terra, finché
una febbre violenta, alternata a spasimi convulsivi, non ti porterà via,
liberando il mondo da un altro sconfitto!”
“Io non sono uno sconfitto!”
–Commentò Pegasus, bruciando il cosmo e concentrandolo sul pugno destro. Ma non
fece in tempo a caricare il suo colpo segreto che già Orochi gli aveva stretto
la mano sulla propria, chiudendogliela a morsa e stritolandola con violenza,
prima di sollevare il ragazzo e sbatterlo a terra dietro di lui. Scosso come
fosse un cencio.
“Hai iniziato ad ammalarti non
appena hai inalato il primo alito del drago, di fronte al Cancello Principale!
Da quel momento in poi, la vita è stata per te una progressiva perdita di te
stesso! Non puoi vincermi, Pegasus!”
“Io… saprò trovare la forza per
farlo!” –Commentò il ragazzo, cercando di rimettersi in piedi. Ma Orochi spezzò
il suo tentativo colpendolo alla schiena con il tacco della sua corazza e
schiacciandolo a terra, calpestando la sua corazza e scheggiando ancora le ali.
“Fallirai! Come hanno fallito
tutti coloro che hanno affrontato Orochi il grande! Poiché nessuno, neppure gli
Dei, può dire di non aver mai provato un rimpianto!”
“Un rimpianto?!” –Balbettò
Pegasus, mentre Orochi ancora continuava a schiacciarlo sotto il possente
tacco.
“Proprio ti è difficile
ascoltare i tuoi nemici, eh?” –Esclamò Orochi, ricordando la sua carica a
Pegasus. –“Sono il Capitano dell’Ombra che si nutre dei rimpianti degli uomini,
di tutto ciò che disperano per non aver detto o fatto! E, ti assicuro, sono più
di quanto loro stessi credano!”
“Dunque… è così!” –Commentò
Pegasus, capendo infine cosa lo aveva sconfitto. –“Percepisci i rimpianti degli
uomini, nutrendoti di essi e svuotando parte dell’energia vitale dei tuoi
nemici!”
“È l’Alito del Drago la
fiamma capace di scavare a fondo nell’animo di ognuno!” –Spiegò Orochi. –“Una
fiamma che nessuno è in grado di spegnere, poiché sarebbe come spegnere se
stessi!”
“Io ci riuscirò!” –Esclamò
Pegasus infine, espandendo il proprio cosmo azzurro.
“Tu, Pegasus?! Tu che rimpiangi
ogni giorno la tua esistenza per non poterla trascorrere assieme alla donna che
ami? Tu che ti colpevolizzi in ogni momento per aver violentato la sacralità
del tuo ruolo di Cavaliere, scambiando la riconoscenza di una Dea per i suoi
combattenti con un vago sentimento di amore?” –Tuonò Orochi, prima di scoppiare
a ridere, calando nuovamente il tacco su Pegasus.
Ma quella volta il ragazzo fu
svelto a voltarsi e ad afferrare il piede del Capitano con entrambe le braccia,
venendo spinto in profondità dalla pressione, ma riuscendo comunque a
contrastarla. Mise tutto se stesso, tutta l’energia che aveva dentro,
nonostante le fiamme di Orochi circondassero la fossa in cui giaceva,
continuando a esercitare la loro silenziosa minaccia, quasi a voler ricordare
continuamente a Pegasus di essere un uomo. E come tale suscettibile di errori e
rimpianti.
“Io… saprò vincerti!” –Mormorò
il ragazzo, concentrando il cosmo sulle braccia. –“Perché vincendo te, vincerò
anche i sentimenti che mi attanagliano!” –E spinse sul piede con forza, fino a sollevarlo
di qualche centimetro, allontanandolo dal suo corpo, riuscendo infine a
scaraventare Orochi in alto, facendovi leva con tutto se stesso.
Il Capitano dell’Ombra fu abile
a roteare su se stesso e ad atterrare compostamente a terra, a qualche metro di
distanza, sorpreso per le capacità di ripresa di Pegasus, ma ancora consapevole
della propria superiorità. Un uomo in balia dei sentimenti, un uomo dominato
dai rimpianti, anche fosse soltanto uno, è debole, e in battaglia non potrà mai
vincere! Sentenziò, espandendo il suo cosmo color ruggine, mentre Pegasus
usciva dalla fossa e si posizionava di fronte a lui.
“Alitar del Drago!!!”
–Gridò, generando nuove vampe di fuoco che si abbatterono sul Cavaliere di
Atena, che nient’altro poté fare per difendersi che incrociare le braccia
davanti al volto, per non bruciarsi.
Orochi osservò Pegasus ergersi
in mezzo a quel piccolo inferno, ove le fiamme da lui generate si allungavano
sul corpo del ragazzo, non tanto per bruciarlo vivo, ma per cibarsi dei segreti
del suo cuore. Quegli stessi che Orochi stava ormai leggendo da un paio d’ore.
Rimase stupito tuttavia quando vide che, quella volta, Pegasus non accennava a
cadere, non sembrava neanche stordito, né avere qualche mancamento, come invece
era accaduto prima.
“Cosa?!” –Gridò, rivelando per
la prima volta un tono di voce insicura.
“Adesso sei tu che non ascolti
me! Non ti ho forse detto che ti avrei battuto?” –Ironizzò Pegasus, avvolto in
un’aura di luce azzurra. –“Ebbene lo farò, e nel farlo saprò domare i
sentimenti che non mi danno pace da tempo! Sì, ho passato giorni, anzi mesi, a
chiedermi se l’amore per Isabel fosse giusto, se si può definire tale un
sentimento. Essendo qualcosa che si prova, non credo però che sia il termine
adatto. Potrei definirlo pazzo, o forse sacrilego, o semplicemente umano!”
–Aggiunse con un sorriso, prima di spalancare le braccia e lasciar esplodere il
cosmo. –“Se un giorno dovrò essere punito, da Zeus o dagli Dei tutti, per aver
osato amare la Dea al cui culto sono devoto, allora accetterò qualsiasi
punizione, ma mai rinnegherò quest’amore! Mai rinnegherò i miei sentimenti!!!
Perché viene dal cuore, e dalle stelle che in me albergano! Sappilo, Orochi! E
non ti permetterò più di usarlo contro di me! Fulmine di Pegasus!!!”
–Gridò, scattando avanti, tra le fiamme che ormai non riuscivano più a frenarne
la corsa.
Orochi portò le braccia avanti,
volgendo i palmi verso Pegasus, in tempo per ricreare la barriera su cui la
pioggia di stelle cadenti si schiantò, senza riuscire a superarla. Con rabbia,
Pegasus balzò di fronte a essa, concentrando il cosmo in un unico pugno e
colpendola con forza, venendo subito scaraventato indietro.
“Questa non dipende certamente
dai rimpianti…” –Esclamò Orochi, prima di chinarsi e toccare il fianco sinistro,
dove la corazza sembrava essere stata incrinata da un pugno di luce.
–“Possibile?!” –E sollevò lo sguardo verso Pegasus, che si era nuovamente
rialzato, ansimando per lo sforzo ma deciso a non arrendersi.
Vedendo il Capitano che si
teneva un fianco, il ragazzo sorrise, rinnovando la promessa fatta poco prima.
Senz’altro aggiungere, concentrò ancora il cosmo sul pugno destro, dirigendo un
unico attacco contro Orochi. Una scintillante cometa di luce che scivolò nella
tetra aria del santuario insanguinato.
“Cometa lucenteee!!!”
–Gridò Pegasus, mentre Orochi portava in fretta le mani avanti, per generare la
barriera protettiva. Ma l’azione tardiva, e la maggior potenza d’attacco del
Cavaliere, fecero vacillare la sua difesa e lo spinsero indietro di una decina
di metri, scavando solchi nel terreno con i suoi grossi piedi.
Quando l’energia scemò, Orochi
si accorse di avere ancora le braccia tese, con gli ultimi barlumi del cosmo di
Pegasus che si spegnevano tra le sue mani. E il ragazzo, che respirava a fatica
per lo sforzo, ancora in piedi di fronte a lui.
“Incredibile! Se non fosse stato
per la barriera difensiva, contro cui la cometa di luce è esplosa, sarei stato
scaraventato indietro! E non soltanto…” –Rifletté il Capitano, iniziando a
vedere Pegasus sotto una nuova luce. Intrigante, certo, per la sfida che si
apriva di fronte a sé, ma anche pericoloso, poiché non aveva affatto previsto
di perdere così tanto tempo con lui.
C’erano cinque Cavalieri Divini
e quattro Cavalieri d’Oro al Grande Tempio, oltre a qualche Cavaliere di grado
inferiore, di nulla importanza. Due erano stati messi fuori gioco per il
momento, ma Orochi era certo che, se avevano anche solo un quarto dello spirito
combattivo e tenace di Pegasus, sarebbero certamente stati un problema. Per
questo doveva affrettare i tempi, e favorire l’avanzata dell’Esercito delle
Ombre, sbarazzandosi di quel ragazzetto al più presto. Non aggiunse altro e
sollevò il pugno destro al cielo, avvolgendolo nel suo cosmo color ruggine,
mentre numerose saette guizzarono attorno a lui, seguendo i rapidi movimenti
del braccio.
“Pugno del Drago!!!”
–Gridò, liberando un poderoso assalto che sfrecciò verso Pegasus alla velocità
della luce. Ma quando sollevò lo sguardo, per seguire l’attacco da lui
lanciato, si accorse di un sorriso di sfida dipinto sul volto del ragazzo. Un
sorriso sospetto.
Pegasus infatti, aspettando che
Orochi avrebbe tentato quel colpo, visto il fallimento dell’Alito del Drago,
aveva raccolto il proprio cosmo, liberandolo soltanto quando il pugno del
Comandante oscuro era giunto di fronte a lui. Con decisione, spalancò le
braccia, generando un quadrilatero di energia su cui si schiantò l’attacco di
Orochi.
“Quadrato di Pegasus!!!”
–Esclamò, cercando il suo avversario con lo sguardo. –“Le sorprese non sono
ancora finite!”
Mentre Libra e Virgo cercavano
di frenare l’avanzata dell’Esercito delle Ombre sul versante orientale del
Grande Tempio, e Pegasus e i suoi compagni affrontavano il Comandante dei
Capitani dell’Ombra e l’immenso drago Orochi, Ioria del Leone assisteva
al martirio a cui il suo vecchio allievo, Siderius della Supernova Oscura,
era stato condannato. Una corona di spine energetiche gli aveva penetrato la
scatola cranica, prostrandolo a terra, tra sangue e grida di dolore.
“Siderius!!!” –Gridò Ioria,
scattando avanti per intervenire. Ma venne spinto indietro da un’onda di
energia, che lo scaraventò a terra come fosse di carta, indebolito per lo
scontro appena sostenuto.
“Lascialo al suo destino,
Cavaliere di Leo! È lo stesso che adesso riserverò a te! Un martirio
indicibile, degna conclusione per un uomo che così tanto ha peccato!”
Alto e magro, con un viso
pallido e scavato e profondi solchi sotto gli occhi, il carnefice di Siderius
indossava un’Armatura Nera, decorata da fregi dorati simili ad un groviglio di
spine, ricoperta in parte da un mantello color crema. Il suo nome era Lothar
del Sudario di Cristo, fedelissimo del Comandante Orochi e da lui inviato a
controllare Siderius, sospettato di un possibile tradimento a causa dei suoi
legami con il Grande Tempio. Legami che si concretizzavano essenzialmente
nell’uomo dal cuore divorato dal rancore che adesso giaceva ai suoi piedi. Il
Cavaliere d’Oro maledetto che portava con sé i segni della sciagura.
“Ammetto di non essere sorpreso
di incontrarti, Ioria del Leone! Sapevo che Siderius era stato tuo allievo, e
quando ha lasciato l’Isola delle Ombre, senza alcuna autorizzazione, ho
immaginato che volesse approfittare dell’avvento della ombre per entrare nel
Grande Tempio e confrontarsi con te! Povero sciocco! Le emozioni lo hanno
tradito! Un errore che non avrebbe dovuto commettere!” –Sibilò Lothar,
osservando il Capitano aggrovigliato sul terreno, che cercava di liberarsi
dalla corona che lo stava facendo impazzire. –“Su ben altri sentimenti avrebbe
dovuto far leva per vincerti! Del resto, non sei certo il più forte tra i
difensori di Atena!”
“Il tuo maestro ti ha insegnato
anche a combattere o soltanto a blaterale inutili frasi, Cavaliere nero?”
“Da Orochi ho soltanto appreso
qualche tecnica di lotta, prettamente fisica! Quanto alla mia formazione
spirituale, ci avevo già pensato da me! Nelle lunghe notti di preghiere, nelle
lunghe notti trascorse a condannare i peccati degli uomini!”
Ioria concentrò un groviglio di
fulmini sul pugno destro, scattando avanti, ma il Cavaliere Nero sollevò il
braccio, bruciando il suo cosmo color crema e osservando soddisfatto una
cintura di spine avvolgersi attorno all’arto del Cavaliere del Leone.
“Che diavolo succede?!” –Domandò
Ioria, prima di sentire centinaia di spine energetiche che lo penetravano con
violenza, insinuandosi tra le giunture dell’Armatura d’Oro e nelle crepe aperte
in precedenza da Siderius.
“Vestigia magnifiche le tue,
Cavaliere di Leo! Vestigia che un mio attacco diretto non riuscirebbe a
scalfire! Ma, come prima ti ho detto, in battaglia ci sono tanti modi per
vincere!” –Ironizzò Lothar. Ma Ioria parve non voler perdere tempo ad
ascoltarlo, muovendo di scatto il braccio destro, espandendo il cosmo dorato, con
cui fece strage di quel mucchio di spine, e generando un reticolato di luce che
si abbatté sul Cavaliere Nero.
“Il tuo colpo sacro, se non
erro?!” –Disse Lothar, senza scomparsi, limitandosi ad avvolgersi interamente
nel proprio mantello, coprendosi persino il volto e lasciando che i raggi di
energia schizzassero sul suo corpo, senza produrgli danno alcuno.
“Eh?! Come puoi non riportare
ferite?!” –Sgranò gli occhi Ioria, ansimando per lo sforzo.
“Il mantello che mi protegge non
è mero indumento decorativo, ma è un vero e proprio manufatto, una reliquia di
potere, come furono la croce e il sudario di Cristo! Fu tessuto sull’Isola
della Regina Nera secoli fa e me ne è stato fatto dono dall’ultimo alchimista
oscuro, impressionato dalla mia profonda fede! Da quello che definiva
integralismo religioso! Ah ah! Tutto ciò che vi sta dentro non può essere
scalfito dall’esterno, perciò deponi le armi! Vani sarebbero i tuoi tentativi
di recarmi offesa!” –Spiegò Lothar, abbassando il mantello e rivelando nuovamente
il suo volto sarcastico e superbo. –“Ma già so che le mie parole si perdono nel
vento! Cosa posso in fondo aspettarmi da un uomo che non ha creduto neppure a
suo fratello?!”
“Che… cosa?!” –Ringhiò Ioria,
avvampando nel suo cosmo dorato e generando una sfera di energia dorata che
liberò all’istante, dirigendola contro Lothar, che fu svelto a balzare in aria
per evitarla. Ma Ioria non gli diede tregua, saltando in alto a sua volta, con
il pugno pronto a colpire, ma Lothar gli lanciò contro il suo stesso mantello,
che si abbatté sul Cavaliere, oscurandogli la visuale e facendolo incespicare,
prima che il servitore di Flegias lo colpisse con un calcio. Quando Ioria fece
per rialzarsi, si accorse di non potersi più muovere, prigioniero di quel
mantello che sembrava avvolgerlo come un sarcofago.
“Dimenarti è inutile! Il rito di
crocifissione è già iniziato!” –Esclamò Lothar, atterrando davanti al
Cavaliere. –“Presto morirai ma, com’è giusto che sia, prima ti mostrerò i
peccati di cui ti sei macchiato, affinché tu sappia perché meriti la morte!
Prima subirai la Crocifissione dell’Anima!!!” –Gridò il Cavaliere nero,
richiamando a sé il mantello, che liberò Ioria, il quale realizzò finalmente in
che posizione si trovasse.
Era sospeso a mezz’aria, proprio
di fronte a Lothar, con le braccia spalancate ai lati e le gambe leggermente
aperte. Nei palmi delle mani erano conficcati due grossi chiodi di energia
cosmica, da cui sangue sgorgava copioso, imbrattando i guanti della corazza
d’oro e cadendo poi a terra.
“Sprechi il tuo tempo e le tue
forze!” –Esclamò il servitore di Flegias, osservando i continui sforzi di
Ioria, che stava bruciando il cosmo nel tentativo di liberarsi. –“Conservale
per ascoltarmi! L’enumerazione dei tuoi peccati richiederà tempo, poiché numerosi
sono i comportamenti deplorevoli a cui ti sei abbandonato in vita, tanti quanti
i chiodi che ti pianterò nel corpo! Riuscirai a sopportarli tutti? Riuscirai a
sopportare la verità?”
“Sei un pazzo sanguinario,
Lothar!” –Ringhio Ioria, cercando di strappare le braccia da quella prigionia.
“Sanguinario mi definisci? E con
che aggettivi definiresti invece il tuo carattere, oltre che irruento e
stupido?” –Lo zittì Lothar, avanzando fino a porsi di fronte a lui, ancora
avvolto nel mantello color crema, con le mani giunte quasi in segno di
preghiera, al punto che a Ioria, per un momento, sembrò davvero di vedervi un
prete. –“La tua prima colpa è quella di essere nato! Già il fatto stesso di
venire al mondo è stato un errore, un atto che ha determinato la morte di tua
madre! Stanca, senza più forze ormai, ha trascorso gli ultimi mesi della sua
vita a sfamare un figlio che avrebbe soltanto contribuito a portare il male
sulla Terra!”
“Bastardo!!!” –Esclamò Ioria con
rabbia, nel sentire quelle parole dure. Parole che, purtroppo lo sapeva, erano
vere, dato che sua madre era realmente morta pochi mesi dopo la sua nascita,
pochi mesi dopo aver completato un parto difficile. Suo padre, il valoroso
Agamennone, che aveva servito il Grande Tempio di Atena per molti anni, aveva
interpretato ciò come un segno, come un presagio, e avrebbe voluto liberarsi
del figlio maledetto. Ma lo sguardo del fratello, l’affetto che trapelava dagli
occhi del suo primogenito, lo aveva frenato. E di questo, anni dopo, era stato
grato a Micene.
Perché in fondo Agamennone
voleva bene a entrambi, per quanto, anche quando Ioria aveva iniziato
l’addestramento, sotto l’attento sguardo del fratello, appena investito
Cavaliere d’Oro di Sagitter, non fosse mai riuscito a liberarsi da quei
pensieri nefasti. Di quella stella che pareva sovrastare il ragazzo e gridare
al maleficio. Era morto così, con un male nel cuore, prima ancora di vedere il
secondogenito diventare Cavaliere di Leo e assistere alle sue prime imprese
nella campagna d’Africa.
“Una strage! Nient’altro fu!”
–Sentenziò Lothar, manipolando la mente di Ioria e mostrandogli i ricordi di
quei giorni, quasi quindici anni prima. –“Quanti nemici uccidesti quel giorno
sotto il sole d’Egitto? A quanti soldati strappasti la vita, privando mille famiglie
dell’affetto dei propri cari?”
“L’Esercito del Sole Nero voleva
conquistare Atene e la Terra! Era mio dovere combattere, per difendere la
pace!” –Ringhiò Ioria. Ma Lothar gli piantò un altro chiodo, nel calcagno,
bloccandogli la gamba destra.
“Proclamare la pace portando la
guerra?! Un modo non troppo originale per far valere le proprie idee,
Cavaliere! Oltre che debole di forze, sei debole anche di ideali!” –Esclamò
ancora Lothar, mostrando nuovi ricordi al Cavaliere d’Oro. –“Anche Niso del
Tucano e Eurialo del Dorado volevano conquistare Atene? Anche loro erano
nemici? O li hai lasciati morire, senza fare niente per salvarli, sacrificando
le loro vite per aver salva la tua, soltanto per codardia?!”
“Io… non li ho lasciati morire!
Loro… loro mi dissero di voler combattere!” –Affermò Ioria, sentendo per la
prima volta l’insicurezza nel tono della sua voce.
“Loro, deboli e feriti Cavalieri
di Bronzo, hanno chiesto a te, uno dei Cavalieri d’Oro, che sulla carta
dovresti essere l’onore e il vanto del Grande Tempio, di combattere da soli e
tu li hai lasciati fare?! Li hai lasciati andare incontro al loro destino di
morte?! Poiché, ben lo sapevi, che soltanto la morte poteva attenderli nei
sotterranei della Piramide Nera! Se tu fossi stato più forte, se tu fossi stato
capace, avresti salvato le loro vite e adesso sarebbero qua, a combattere al
tuo fianco contro l’ombra!” –Esclamò Lothar, prima di smuovere altri ricordi di
Ioria, piantando un nuovo chiodo di energia, stavolta nella gamba sinistra.
–“Del resto, pare che la tua migliore qualità sia l’incapacità nel salvare
amici e compagni! Non morì forse John Black davanti a te? Perché fosti troppo
lento per impedirgli di agire? E Pegasus non uccise Cassios a causa tua,
portando via l’allievo che per amore della sua maestra era giunto persino a
dare la vita? Guarda, Ioria! Guarda e pentiti!!! Il buco che esplose nel petto
di Cassios tu lo causasti, nessun’altro, soltanto tu!”
Ioria vide scorrere davanti a sé
gli eventi di quei giorni infami. L’addio di Eurialo e Niso, l’uccisione di
John Black, la morte di Cassios, che lui stesso aveva causato, incapace di
reagire al Demone dell’Oscurità che gli aveva dominato la mente.
Incapace, proprio come in quel momento, di liberarsi da un potere più forte di
lui.
“E cosa dire di Virgo, che
sacrificò la propria vita per permetterti di fuggire dall’Isola
dell’Apocalisse? E di Asher dell’Unicorno, che fosti incapace di salvare dai
rovi di Menas della Rosa? E di Castalia dell’Aquila, che per anni ti sostenne,
unica spalla su cui appoggiare il peso della tua debolezza, unica amica in un
oceano di sospetti, i cui sentimenti mai hai ricambiato, lasciandola struggere
in un solitario dolore?” –Continuò Lothar, piantando chiodi di energia nel
petto di Ioria, nelle spaccature aperte da Siderius sulla corazza d’Oro. –“Ma
le tre colpe maggiori, i tre peccati capitali per cui ti condannerò, li ho
lasciati per ultimi, affinché tu fossi sufficientemente sconvolto,
sufficientemente disperato per implorare la mia clemenza e farti dono della morte,
al fine di non dover assistere ancora!”
Ioria non rispose, il corpo
imbrattato di sangue che scivolava sull’Armatura d’Oro, il volto rivolto verso
Siderius, riverso a terra, incapace di muoversi più. Gli occhi gonfi di lacrime
che non riusciva a trattenere.
“Tre colpe che a un uomo non
potrebbero essere perdonate! A un Cavaliere meno che mai! Come si può infatti
perdonare uno spergiuro che rivolge i propri colpi contro la Dea che dovrebbe
proteggere? Hai giurato di credere in qualcosa, hai giurato di difendere Atena,
ma non l’hai riconosciuta, per quanto palese fosse il suo cosmo, e l’hai
attaccata per provare qualcosa che il tuo cuore da solo non era in grado di
capire! Neppure la morte è punizione sufficiente per tale crimine!” –Tuonò
Lothar, puntando l’indice verso Ioria e poi verso Siderius, moribondo in una
pozza di sangue. –“Ma perché mi stupisco?! Avevi già dimostrato di non credere
in niente! In cosa crede un uomo che caccia l’allievo che lui stesso ha scelto?
L’allievo in cui ha visto la famiglia che aveva perduto, trasfigurandolo in un
surrogato di felicità che gli era stata strappata?!”
In quel momento due Cavalieri
Neri fecero la loro comparsa, raggiungendo Lothar di corsa.
“Aglaia dell’Oca e Areti
del Fenicottero, due orfane che incontrai anni addietro, durante i miei
pellegrinaggi in Europa Orientale!” –Esclamò Lothar, lasciando vagare la mente
indietro nel tempo. Nascoste nella sacrestia di una chiesa ortodossa
sconfessata, la due sorelle avevano accolto di buon grado la proposta dell’uomo
di seguirlo, attratte dalla speranza di un futuro e dalla prospettiva di essere
veramente utili.
“Missionarie di Dio! Ecco cosa
sarete!” –Aveva detto loro Lothar, molti anni prima. E quando aveva incontrato
Flegias, turbolento spirito errante lungo le coste del Mar Nero, aveva compreso
che egli era il Dio che stava cercando. Egli era il giudice che avrebbe punito
l’umanità per i suoi eccessi, per i suoi peccati.
Figlio di una famiglia puritana
della vecchia Inghilterra, Lothar aveva viaggiato per tutta l’Europa e il
Vicino Oriente nel corso della sua giovinezza e aveva maturato la convinzione
che la società moderna avesse dimenticato Dio e i suoi valori. Le antiche
radici religiose erano state sacrificate sull’altare del progresso. Per questo
aveva seguito Flegias, per mondare la Terra e tutti gli uomini dai loro
peccati.
“Sai anche tu che un giorno
sarai punito per questo!” –Gli aveva detto Flegias, con un sorriso sarcastico
sul volto, osservando Lothar dispensare giudizi severi su tutto e su tutti.
–“Condannare gli uomini per i loro peccati non è propriamente diffondere la
parola di Dio! Ah ah ah!”
“Ne sono consapevole!” –Aveva
semplicemente risposto Lothar. –“Ma qualcuno deve pur svolgere questo ingrato
compito! Qualcuno deve condannare la specie umana per la dissolutezza a cui si
è abbandonata!”
Flegias non aveva replicato. In fondo, quali che fossero le sue convinzioni,
l’integralismo che lo muoveva, Lothar era un buon soldato e dalla sua totale
dedizione alla causa non avrebbe potuto che trarre giovamento.
“Portatelo sull’Isola! Tanto
grave è stata la sua colpa, che sarà il Maestro di Ombre a decidere che pena
assegnargli!” –Esclamò Lothar, rivolgendosi alle due donne, che si chinarono su
Siderius, che ancora si dimenava, con il volto stravolto e macchiato dal
sangue. Lo afferrarono per le gambe e lo trascinarono via. Solo allora Lothar
tornò a volgersi verso Ioria, riprendendo il suo sermone, distratto dal ricordo
di quel giorno in cui si era proclamato missionario di fede.
“Non aveva torto quando
affermava che non l’hai mai amato! Hai visto in lui solo un modo per sfogare il
tedio che ti attanagliava, trasferendo il tuo rancore su di lui, senza curarti
dei suoi sentimenti, del suo bisogno d’affetto o del suo desiderio di avere un
maestro, un amico, che si prendesse cura di lui! Ma tu, uomo meschino, che mai
sei stato in grado di aver cura di se stesso, come hai potuto illuderlo, e
illuderti, di potergli dare ciò che gli era stato portato via? Come potevi
dargli un futuro, se neppure per te eri in grado di vederlo?!” –Lothar fece una
pausa, quindi riprese, avvicinandosi a Ioria e piantandogli un chiodo di
energia proprio vicino al cuore, sfondando i resti dell’Armatura d’Oro e
strappandogli un grido.
“Godo nel sentirti disperare!
Godo anche se so, e mi dispiaccio, che quest’espiazione non ripagherà al male
che hai commesso! Soprattutto al male supremo! Prima ancora di non credere in
Siderius, o nell’amore di Castalia, o in Atena, o nei tuoi compagni, tu hai
calpestato qualcosa di più sacro, che ogni uomo dovrebbe tenere caro nel cuore!
Hai insultato la tua famiglia, voltando le spalle a tuo fratello Micene, l’uomo
che ti aveva addestrato, l’uomo a cui tutto dovevi, persino la possibilità di
essere in vita! Lui, che ti amava così tanto, è stato cancellato da parole di
tradimento a cui non ti sei mai preoccupato di rispondere, che non ti sei mai
curato di mettere in dubbio! Hai creduto ad Arles ma non a Micene! Non all’uomo
che per te era tutto! E questo io lo disprezzo, questo io lo aborro!!!” –Gridò
Lothar, espandendo il cosmo e caricando i chiodi piantati nel corpo di Ioria di
tutta l’energia che aveva.
Quindi, vedendo che il Cavaliere
di Leo ancora non accennava a morire, che ancora si agitava lungo la strada del
martirio, Lothar gli si avvicinò, sollevando il braccio destro e generando una
corona di spine energetiche, sogghignando perversamente. –“Con questa, ogni
lamento avrà termine! La Via Crucis del Leone finirà!”
Ma in quel momento una cometa
azzurra sfrecciò nel cielo, piombando su di loro, schiantandosi sul bracciale
destro della corazza del Sudario di Cristo, ferendo Lothar che venne spinto
indietro dall’urto, perdendo la presa della sua corona di cosmo che si dissolse
dopo pochi istanti. Quando si rimise in piedi, il Cavaliere Nero notò che c’era
una donna di fronte a lui, una Sacerdotessa Guerriero a giudicare dalla
maschera argentea che indossava. Una donna che, posizionatasi proprio di fronte
a Ioria, pareva intenzionata a non lasciargli continuare il suo rito.
“Liberalo!!!” –Esclamò la
Sacerdotessa.
“Mai!!!” –Si limitò a rispondere
Lothar, tastandosi il braccio destro indolenzito. –“Ma se vuoi raggiungerlo… te
ne darò la possibilità! Ci sono sempre troppi pochi martiri in questo mondo di
colpevoli!”
“Ioria ha già sofferto anche
troppo per le colpe di cui si è fatto, senza motivo, carico! Non di un martirio
ha bisogno, solo di comprensione!” –Affermò la donna, prima di scattare avanti.
–“Cometa pungente!!!” –E scagliò centinaia e centinaia di pugni di luce
contro Lothar, che, per niente impressionato, si limitò a sollevare il
mantello, avvolgendosi in esso e parando così l’attacco della Sacerdotessa
Guerriero.
“Adesso ti riconosco! E ben
comprendo il motivo del tuo intervento!” –Sogghignò Lothar. –“Come potrebbe Castalia
dell’Aquila assistere impotente alla morte dell’uomo che ama da sempre,
dell’uomo che l’ha rifiutata!”
“Che sciocchezze vai dicendo?”
–Brontolò Castalia. –“Pensa a combattere piuttosto!”
“Come desideri!” –Ironizzò
Lothar, evocando un cerchio di spine che avvolsero Castalia, penetrando nel suo
corpo all’altezza dell’addome, dove non era protetta dall’armatura, e
prostrandola a terra. –“Corona di spine!”
“Ma… maledetto!!!” –Ansimò
Castalia, cercando di rimettersi in piedi. Ma Lothar fu subito su di lei,
torcendole il volto e spaccandole la maschera con l’altra mano.
A quel gesto Castalia trasalì,
scossa nel profondo da un immenso disagio, e lasciò esplodere il suo cosmo,
scagliando Lothar indietro di qualche metro. Quindi, stanca per la
convalescenza e per le ferite, si accasciò a terra, boccheggiando.
“Sentiti onorata! Concluderai
accanto al tuo amato la tua poco onorevole carriera di Sacerdotessa! Ih ih ih!”
–Esclamò Lothar, prima che un’abbagliante esplosione di luce lo distraesse.
–“Ma… che succede?! Ancora vivo?!” –Sgranò gli occhi, osservando il corpo di
Ioria ardere in una fiamma di oro lucente, mentre il ragazzo, con i muscoli
tesi al massimo, strappava via i chiodi che lo avevano finora bloccato. I
chiodi dei suoi rimorsi e, forse, delle sue colpe.
“Iaaah!!!” –Gridò Ioria,
espandendo al massimo il suo cosmo e generando un’onda di energia che scivolò
avanti, sorpassando Castalia e travolgendo Lothar, scaraventandolo molti metri
addietro, contro una parete rocciosa nella quale si schiantò, rovinando a terra,
con l’armatura danneggiata in più punti.
“Incredibile!!!” –Ammise,
rimettendosi in piedi e sputando sangue. –“Un uomo in punto di morte, colpevole
di innumerevoli peccati, di stragi e manchevolezze, per le quali qualsiasi
Cavaliere si sarebbe tolto la vita, continua a rifiutare la propria punizione?
Non hai dunque rispetto per niente, Ioria del Leone? Non credi davvero in nulla
per continuare a offendere così Micene, Atena, John Black, e tutti coloro che
hanno sofferto a causa tua?!”
“Credo nella vita, e credo nel
futuro!” –Rispose semplicemente Ioria. –“E sono certo che, se sono qua, in
questo mondo, un motivo deve esserci! Quello stesso motivo per cui non mi
arrenderò mai, stringendo i denti e rialzandomi sempre, ogni volta in cui
inciamperò, in memoria di coloro che sono passati, e che mi hanno lasciato
qualcosa di insostituibile! Il diritto degli uomini di sbagliare, e di
migliorarsi!”
“Diritto di cui ti sei arrogato,
strumentalizzandolo fino al parossismo! Diritto di cui dichiaro la sospensione
immediata!” –Affermò Lothar, bruciando il proprio cosmo e dandogli la forma di
una corona di spine, che strinse attorno al corpo di Ioria, il quale non si
lasciò però dominare e scatenò l’ardente potenziale del Leone, strappando via
le spine e liberandosi da quella morsa. –“Folle! A tal punto giunge la tua
eresia?”
“E la tua fin dove si spinge,
Lothar del Sudario di Cristo? Ti fai vanto di un nome che non ti appartiene,
poiché il figlio del Dio cristiano certo non ha chiesto ai suoi servitori di
abbandonarsi a isteriche crociate contro i peccatori! No, nessun Dio vuole il
male per i suoi fedeli! E tu, così facendo, hai calpestato la tua stessa fede,
sfigurandola in un odio che non gli appartiene!” –Esclamò Ioria pacatamente.
–“Pur tuttavia ti ringrazio! Perché mi hai aiutato a crescere!” –Aggiunse,
tirando un sorriso a Castalia, appena rimessasi in piedi, pochi passi dietro di
lui. –“Quest’oggi, finalmente, mi sono liberato di un demone che mi portavo
dentro da tempo! Il fantasma dei miei ricordi, e dei miei rimpianti! E ho
ricordato un insegnamento di Micene, uno dei primi, con cui rispose ad una mia
domanda!”
“Il demone sei tu, Cavaliere di
Leo! L’uomo che sciolse i sigilli di Crono anni addietro, dando inizio alla
Titanomachia! Il tuo cosmo è intriso di peccato e io lo monderò con questa Pioggia
del Martirio!!!” –Gridò Lothar, sollevando il braccio destro al cielo,
mentre migliaia di chiodi energetici comparivano attorno e sopra di lui,
sfrecciando nell’aria, diretti verso Ioria al suo segnale.
Ma Ioria non perse tempo,
muovendo il braccio destro alla velocità della luce e generando un reticolato
di cosmo che si chiuse a sua protezione, lasciando che i chiodi si
schiantassero contro i raggi di energia dorata, neutralizzandosi a vicenda.
“Non vedi i doni degli uomini,
confessore dell’ombra? Il magnifico potere di saper imparare e crescere!”
–Commentò Ioria, aumentando l’intensità della gabbia di luce, che si fece
sempre più aggressiva, ricacciando indietro la pioggia di chiodi, fin quasi a
raggiungere Lothar, rimasto allibito ad osservare la scena. –“Ho sempre saputo
di avere una difesa fallace, e ammetto che per anni non me ne sono fatto un
problema! Sono un guerriero in fondo, e il mio compito è attaccare i nemici,
non rimanere inerme ad attendere il loro assalto! Ciononostante credo di aver
saputo in parte ovviare al problema!” –Sorrise Ioria, prima di fissare Lothar
con determinazione e lasciare che il reticolato di luce si chiudesse su di lui.
–“Per il Sacro Leo!!!”
“Stolto! Non hai imparato
niente? Il sudario di Cristo mi difende!” –Commentò Lothar, avvolgendosi nel
suo mantello. Ma tanto ardente era il cosmo del Leone, molto più di quanto era
stato prima, che la protezione del Cavaliere Nero non bastò per contrastarlo e
Lothar dovette osservare sgomento i raggi di energia lacerare il suo mantello,
stridendo sulla corazza e scheggiandola in più punti.
Quando cercò di contrattaccare
era troppo tardi. Le sue difese erano cadute e la stretta morsa della gabbia di
luce si era chiusa su di lui, dilaniandogli il corpo. Crollò a terra, in una
pozza di sangue, pezzi di pelle e frammenti di Armatura, mentre Ioria abbassava
il capo, disgustato, voltandosi poi verso Castalia.
“Sto bene!” –Commentò lei, prima
ancora che lui chiedesse qualcosa.
“Devo dirti qualcosa che non ti
piacerà!” –Mormorò Ioria, avvicinandosi, con aria dispiaciuta.
“Ioria?!” –Balbettò Castalia,
non capendo a cosa si riferisse il ragazzo. Mesi addietro, in Tessaglia, gli
aveva confessato di vederla solo come un’amica, come una sorella con cui confidarsi.
E quelle poche frasi erano bastate per spegnere qualsiasi fiamma del desiderio
potenzialmente albergante dentro di lei. –“Hai fatto la tua scelta quel giorno!
Così io ho fatto la mia!” –Rifletté, alludendo ai suoi sentimenti per Phantom.
“Cavaliere di Leo!” –Esclamò la
rauca voce di Lothar, facendo voltare Ioria, sorpreso che fosse ancora vivo.
–“Cavaliere di Leo, vieni qua!” –Aggiunse, stupendo Ioria ulteriormente. Che
acconsentì comunque alla sua richiesta, avvicinandosi, ma con prudenza. –“Quale…
quale insegnamento ti diede tuo fratello? Cosa può essere così forte da far
camminare ancora un peccatore quale tu sei?”
“Perché combatti?” –Aveva
chiesto Ioria quel giorno a Micene. E la risposta del fratello gli aveva tolto
ogni dubbio.
“Per un ideale! Perché Atena, e
la giustizia che proclama, non è altro che un ideale, la somma di desideri di
pace e giustizia che anelano nel cuore di tutti gli uomini! Come potremmo
infatti difendere i nostri amici, la nostra famiglia, le persone che amiamo, se
non imbracciassimo le armi e combattessimo anche per loro? Forse falliremo,
forse saremo travolti per via, ma se anche uno solo di coloro che abbiamo cari
si salverà, potremo dire di non aver vissuto invano!”
“Un ideale…” –Balbettò Lothar,
sputando sangue e crollando al suolo. –“Qualcosa che avevo provato anch’io!
Qualcosa che ho tradito!” –E la sua mente volò via, ricordando la sua
adolescenza, i suoi studi di teologia, gli anni trascorsi in seminario prima e
in giro per il mondo poi, a meditare sul degrado della società presente. Una
società che non aveva mai cercato di conoscere.
“Perché se tu lo avessi fatto,
Lothar, avresti capito che al mondo c’è sempre una ragione per vivere!”
–Commentò Ioria, ricoprendo il corpo martoriato del Cavaliere Nero con i resti
del suo mantello sbrindellato.
“Ioria!” –Lo chiamò Castalia,
avvicinandosi.
“Devo andare sull’Isola! Devo
salvare Siderius! Non mi importa se adesso è un Capitano dell’Ombra! È tutto
ciò che mi resta della mia famiglia, è l’ultima persona che posso essere in
grado di salvare!”
“Sai che è una follia, vero?!”
–Commentò Castalia.
“So soltanto che, tra le tante
verità distorte, Lothar aveva ragione su una cosa! Ci sono persone che non sono
riuscito a salvare, per quanto tutte loro abbiano sempre salvato me,
soprattutto oggi! Siderius, almeno lui, non permetterò che me lo portino via!”
–Disse Ioria, prima di prendere le mani di Castalia e chiuderle a pugno con le
proprie. –“Promettimi di essere forte, perché c’è qualcosa che devi sapere!”
Castalia annuì, iniziando a
tremare e ascoltando in silenzio le parole del ragazzo, da cui apprese della
morte del Luogotenente dell’Olimpo, l’uomo a cui si era unita mesi addietro.
Singhiozzando, la Sacerdotessa si lasciò cadere sul terreno, coprendosi il
volto con le mani, cercando di cacciar via quella maledetta verità. Ioria si
chinò su di lei, cercando di consolarla, e la abbracciò, donandogli un po’ di
luce del suo cosmo.Rimasero così per
qualche minuto. In silenzio, confortandosi l’un l’altro, finché un rumore di passi
affrettati non li disturbò. Ioria si rialzò giusto in tempo per vedere Asher
e Tisifone spuntare dall’imboccatura della piccola valle interna,
entrambi che reggevano il corpo di un Cavaliere Nero sconfitto.
“Umpf! Non valevano poi così
tanto!” –Commentò Tisifone, gettando a terra il cadavere dell’avversaria. Asher
fece altrettanto e Ioria, avvicinatosi per osservarle, le riconobbe. Erano
Aglaia dell’Oca e Areti del Fenicottero, le due discepole di Lothar.
“Ma… se loro sono qua… questo
significa che…” –Mormorò, prima che Asher, con un sorriso, gli ponesse una mano
su una spalla.
“Ti sta aspettando fuori dalla
valle! Era troppo stanco per camminar fin qua!”
“Credevo aveste raggiunto i
Cavalieri d’Oro!” –Commentò Castalia, rivolta a Asher e Tisifone, da cui si era
separata prima di correre in aiuto di Ioria contro Lothar.
“Era là che ci stavamo recando,
quando ci siamo imbattute in queste donnette, e nel prezioso carico che
portavano con sé! Così, avendo appreso da te quanto Siderius fosse importante
per Ioria, abbiamo ben pensato di fermarle!” –Esclamò Tisifone. –“Avevo proprio
bisogno di un po’ d’azione!”
Ioria sorrise, ringraziando la
Sacerdotessa per l’intervento, e corse verso l’uscita dalla valle, incitando i
tre Cavalieri a seguirlo. La marea nera stava ormai sommergendo il Grande
Tempio e, Ioria ne era certo, Libra e Virgo avrebbero avuto bisogno d’aiuto.
“Cosa ne pensi?” –Chiese una
voce antica, mentre le immagini dei quattro Cavalieri di Atena scomparivano, e
la superficie di fresche acque del pozzo sacro si increspava.
“Ardente e battagliero è il
cosmo del Leone!” –Commentò il Signore dell’Isola Sacra. –“Tale e quale a suo
fratello!”
“In lui risplende la fiamma di
Adamant!” –Rispose l’Antico, con voce piena d’orgoglio.
“Adamant?! Immagino che questa
sia una delle tante storie che conosci, Primo Saggio! Storie che, voglio ben
sperare, un giorno mi racconterai!” –Sorrise Avalon.
“Ne sarei ben lieto… se mai ne
avremo il tempo!” –Commentò l’Antico, a cui non sfuggì un sospiro.
Avalon annuì in silenzio,
tornando ad osservare le immagini che comparivano sulle acque del pozzo sacro.
Sorrise alla vista di Ioria del Leone. Non troppo diverso, si disse,
dall’allievo che aveva un tempo addestrato.
Dopo aver lasciato Phantom alle
cure delle ancelle, Ganimede, il coppiere degli Dei, stava camminando
nei corridoi di marmo dell’Olimpica Reggia, per raggiungere le Stanze del Dio
del Fulmine, preoccupato per le sorti del suo Signore. Non lo aveva mai visto,
in tutti quei secoli in cui aveva vissuto al suo fianco, in simili condizioni,
così debole, quasi svuotato dell’energia vitale. Né aveva mai visto l’Olimpo
sfiorire sotto i colpi di un autunno improvviso.
Era stato proprio lui, qualche
giorno prima, a trovare Zeus disteso in terra, a pochi passi dalla vetrata
della camera da letto. Debole e pallido. E sempre lui si era recato a Pergamo,
sulle tracce di Asclepio, l’unico che potesse scoprire quale malattia
attanagliava il Dio del Fulmine. Era stato un grande passo, quello, per
Ganimede, che non aveva mai lasciato l’Olimpo fin dal giorno in cui Zeus lo
aveva fatto rapire da un’aquila, abbagliato dalla sua bellezza. E se aveva
scelto di farlo, proprio in quel momento, era per l’affetto e la riconoscenza
che provava per il suo Signore. Il Dio di cui era stato l’amante.
Non ne era mai stato troppo
fiero Ganimede, né amava le voci di scherno che giravano sul suo conto, messe
in giro dalla Regina dell’Olimpo, gelosa delle attenzioni che il fratello e
sposo dedicava al Coppiere degli Dei. Ma aveva sempre lasciato correre,
chinando il capo e accettando il prezzo che aveva dovuto pagare per salire sul
Monte Sacro. Del resto, si era detto spesso, abbandonandosi tra le
braccia vigorose del Dio del Fulmine, l’eternità val bene qualche sospiro!
Col tempo si era affezionato a
Zeus, e il Dio aveva fatto altrettanto con Ganimede, investendolo del titolo di
Cavaliere della Coppa Celeste e insegnandogli i rudimenti fondamentali del
cosmo, certo che egli, come figlio della ninfa Calliroe, possedesse di per sé
un’energia latente. Ganimede era diventato in seguito amico di Giasone, il più
valente tra i Cavalieri Celesti, nonché uno dei pochi che non prestava ascolto
alle voci sul suo conto, instaurando con lui un’amicizia profonda.
“Vere o false che siano, non mi
servo delle voci per giudicare un amico!” –Amava ripetere il Cavaliere della
Colchide, nel tempo trascorso con Ganimede. Quel tempo che adesso al Coppiere
degli Dei mancava. Quel tempo che temeva di perdere per sempre.
Non aveva saputo trattenere le
lacrime quando Phantom, rientrato dall’inseguimento di Flegias assieme a Ermes,
lo aveva informato del destino del Cavaliere Celeste. E per un momento avrebbe
voluto che i loro posti si fossero scambiati, e che Giasone fosse ancora vivo.
Lui che, come Ganimede, aveva ricevuto in dono l’immortalità. Lui che, come
Ganimede, era destinato a vivere in eterno e non una pallida parentesi di vita,
come quella di Phantom e di tutti i mortali appariva al Coppiere degli Dei.
Ma poi aveva sospirato,
reprimendo il dolore e facendosi forza, grazie al ricordo che aveva di Giasone.
Ricordo che l’amico non avrebbe voluto fosse turbato da simili pensieri. Per un
momento lo aveva invaso anche l’istinto di scendere sull’Isola delle Ombre, non
così distante in linea d’aria dalla Grecia, e liberare l’amico, salvo poi
ammettere di non avere speranza alcuna.
“O è stata codardia a impedirmi
d’agire?” –Si chiese il giovane, fermandosi improvvisamente e voltandosi verso
una parete laterale del corridoio, così splendida e lucida da potervisi
specchiare.
“Soltanto la consapevolezza di
non poter essere utile!” –Si corresse una parte di sé. –“Se fossi partito per
l’Isola delle Ombre sarei stato certamente ucciso, e adesso non potrei essere
qua a servire il mio Signore!”
“Perché medicare le ferite di Zeus
e di Phantom è un compito così gravoso e delicato che nessun’altro può
eseguire? Se io fossi morto, al posto di Giasone, dubito che qualcuno se ne
sarebbe accorto! Era e qualche ancella sarebbero state ben liete di prendere il
mio posto, e curare le ferite di Dei e Cavalieri!”
Ganimede incrociò lo sguardo del
giovane riflesso nella parete di marmo di fronte a lui. Alto e splendente, con
viso lucido e mossi capelli ricciuti, il figlio di Calliope sembrava non essere
mai cambiato in tutti quegli anni, rimanendo l’eterno giovinetto di cui Zeus si
era invaghito un tempo.
“Quando?” –Si disse, sfiorando
la fredda superficie del marmo. –“Quanto tempo è passato, o ha semplicemente
fatto finta di passare?” –Sospirò, sentendosi per un momento in colpa, prigioniero
di un’eternità che non aveva chiesto, ma di cui mai si era lamentato nei secoli
precedenti.
“Avrei dovuto trascorrerli
diversamente, allenandomi per essere un Cavaliere migliore, come Phantom e
Giasone, anziché abbandonarmi ai sollazzi nelle Stanze di Zeus!” –Rifletté,
mentre un’ombra oscurava il suo sguardo perfetto. Si tastò la testa, sentendosi
improvvisamente fiacco, come se le angosce degli ultimi giorni, che aveva
cercato di nascondere buttandosi a capofitto nelle amorevoli cure di cui Zeus
necessitava, fossero esplose tutte assieme.
“Ho fallito!” –Mormorò,
incontrando nuovamente lo sguardo della figura riflessa nel muro. Uno sguardo
carico di tormento, per la malattia di Zeus e le sorti dell’Olimpo e di
Giasone. Uno sguardo carico d’amore, verso un amico a cui non aveva mai
dichiarato i suoi veri sentimenti. Svenne così, crollando sul pavimento di
marmo, vittima di troppi pensieri confusi e contrastanti. Ma la figura riflessa
sulla parete non svenne con lui.
Pochi minuti dopo Ascanio
Testa di Drago sbucò all’estremità del corridoio, notando la sagoma di
Ganimede accasciata in terra. E corse subito verso di lui per sincerarsi delle
sue condizioni. Lo sollevò, scuotendolo e chiamando il suo nome, finché il
ragazzo non aprì nuovamente gli occhi.
“Ganimede?! Che è successo?”
–Incalzò il Cavaliere Celeste.
“Io… devo essere svenuto…”
–Mormorò Ganimede, ancora un po’ stordito. –“Troppi pensieri… troppe
preoccupazioni mi hanno abbattuto!”
“Hai faticato troppo in questi
giorni! Ti accompagno a riposarti?” –Gli disse Ascanio, aiutando il giovane a
rimettersi in piedi.
“No, non preoccuparti! Riposerò
più tardi! Adesso voglio occuparmi di Zeus!” –Esclamò Ganimede, iniziando ad
avanzare nel corridoio, lasciando Ascanio indietro, ancora a fissarlo.
“Non chiedere troppo a te
stesso!” –Esclamò il Comandante della Legione Nascosta.
“Solo quello che devo!” –Rispose
Ganimede, continuando a camminare, diretto verso le Stanze di Zeus, con un
sorriso di sfida sul volto.
Ascanio sospirò, osservando il
ragazzo scomparire in lontananza, prima di incamminarsi verso le stanze ove
riposava Phantom. Aveva sentito il suo cosmo accendersi impetuosamente poco
prima, solo per un momento, prima di ritornare allo stato di quiete abituale.
Subito aveva sussultato, guardando Era e Zeus negli occhi, ma nessuno di loro
pareva aver avvertito niente.
“Cos’è stata quella vibrazione?”
–Si era detto, uscendo dalle Stanze di Zeus. E adesso si pose nuovamente quella
domanda, aumentando il passo e giungendo di fronte alla porta delle Stanze di
Asclepio. La spalancò con forza ed entrò, precipitando in una silenziosa calma,
un silenzio quasi assoluto.
Phantom giaceva su un letto sul
lato sinistro della stanza, sotto morbide lenzuola che coprivano il suo corpo
atletico e ferito. Dormiva, apparentemente senza alcun motivo di agitazione.
Poco distante, sedute su una panca vicino alla vetrata, alcune ancelle erano
cadute in un sonno profondo, con la testa poggiata al muro o sulla spalla della
compagna. Stanche probabilmente per il continuo lavoro.
Ascanio sorrise, avvicinandosi
quindi al corpo del Luogotenente dell’Olimpo, il cui volto, seppur pulito e
medicato, tradiva ancora i segni delle battaglie recenti.
“Torna presto, Phantom!” –Disse
a bassa voce. –“Abbiamo ancora bisogno di te!” –E gli diede le spalle,
incamminandosi verso l’uscita, quando ebbe un mancamento improvviso. Sudando
freddo, Ascanio si appoggiò al bordo di un letto poco distante, inspirando
profondamente, senza capire cosa gli fosse successo. Per quanto stanco, non
aveva riportato gravi ferite in battaglia, e la sua preparazione spirituale era
tale da permettergli di dominare sempre ogni situazione.
“Che siano ancora gli effluvi
della rosa di rabbia?” –Si domandò, scuotendo subito la testa, certo che non
avesse potuto troppo su di lui. –“O è il timore di una scelta che troppo a
lungo ho rimandato?” –Aggiunse, abbandonandosi a un sospiro.
Si voltò verso il Luogotenente,
ricordando il giorno in cui si erano incontrati per la prima volta, nei verdi
campi di Glastonbury, alla base del Tor. Phantom alla ricerca dell’Ultima
Legione, e Ascanio a difesa di un mondo perduto tra le nebbie.
Non era infatti soltanto il
Comandante della Legione che Zeus aveva nascosto in Britannia secoli addietro,
e che egli aveva contribuito a mantenere in efficienza e a migliorare negli
ultimi quattordici anni, da quando Ermes lo aveva portato via da Atene, su
richiesta di Zeus stesso. No, Ascanio era molto di più. Legato a Glastonbury, e
ad Avalon, che nelle sue nebbie era nascosta, da un’arma a doppio taglio. Una
promessa a cui sapeva bene di non potersi sottrarre.
“Avalon ti ha scelto come
Comandante dei suoi Cavalieri, Ascanio Testa di Drago!” –Gli aveva detto quel
giorno, quattordici anni prima, il Signore dell’Isola Sacra. –“Perché ha
intravisto in te l’eredità di un popolo, il sangue della leggenda che da Uther
Pendragon scorre in tutti i suoi discendenti, la speranza che tu possa condurre
Avalon verso il futuro!”
“Sarò degno della vostra
fiducia!” –Aveva commentato Ascanio, inginocchiato di fronte ad Avalon e alla
confraternita dei saggi, presieduta dall’Antico.
“Non ne dubito! Poiché ho letto
nel tuo cuore, e vi ho visto la salvezza!” –Aveva risposto il Signore
dell’Isola Sacra. –“Ricorda tuttavia che come Avalon ti ha messo sul trono,
potrà sempre farti cadere, qualora disobbedirai le leggi dell’Isola Sacra e di
coloro che ti hanno scelto! Appartieni a Zeus tanto quanto appartieni ad
Avalon!”
Quelle parole gli erano rimaste
dentro per sempre. Impresse a fuoco nella sua mente e nel suo cuore, erano il
suo orgoglio, ma anche la sua maledizione. Servire nello stesso tempo la
Divinità più grande del pantheon greco e il Signore dell’Isola Sacra poteva
essere soltanto fonte di soddisfazione per Ascanio, che vedeva se stesso
sormontato da una corona di vittoria. Unico tra tutte le genti.
Ma al tempo stesso lo faceva
riflettere, poiché, per quanto fosse certo che per il momento le strade dei due
regni proseguissero parallele, determinate a respingere il nemico comune,
doveva anche considerare l’ipotesi contraria. Cosa accadrà quando gli
interessi di Avalon contrasteranno quelli dell’Olimpo? Non aveva smesso di
chiedersi negli ultimi anni, quando l’ombra era cresciuta sempre più, giungendo
a lambire anche i nebbiosi confini dell’Isola Sacra.
“Come Avalon ti ha messo sul
trono, così potrà farti cadere!” –Le parole del maestro non gli davano pace, e
mai come in quei giorni, in cui Avalon aveva deciso di far calare il velo di
leggenda che la separava dal mondo, gli davano da pensare.
Cosa farò io in quel momento? Si chiese nuovamente, combattuto tra i doveri di servitore
di Zeus, in quanto Cavaliere Celeste, e quelli di fedele dell’Isola Sacra, a
cui era unito da un legame indissolubile, che i serpenti tatuati sulle braccia
gli ricordavano continuamente. Anche Libra li aveva notati, durante il loro
incontro ai Cinque Picchi, e aveva subito compreso quanto dualistico fosse il
loro significato. Di vita e di morte.
Soltanto allora Ascanio realizzò
che tale dualismo non riguardava soltanto i nemici. Ma anche colui che li
portava.
“Del resto anche il mio ruolo è
frutto di un equilibrio! Avalon aveva indicato il mio nome a Zeus, ed egli mi
aveva nominato Comandante della Legione Nascosta, in una simmetria perfetta!”
–Rifletté Ascanio, mentre le gambe gli cedevano ed egli vacillava all’indietro.
–“Che strano… destino…” –E cadde a terra, sul pavimento di marmo, perdendosi
sotto le placide note di una sinfonia di favole. Di una sinfonia di ricordi.
Sorridendo soddisfatta
un’ancella si sollevò dalla panca in cui era seduta. Dalla panca in cui fingeva
di riposare, osservando l’intera scena da un diverso strato dimensionale. La
stessa ancella che Ascanio aveva osservato uscire dalle Stanze di Zeus,
attratto non dal suo seno formoso, ma dal cosmo che celava dentro. Il cosmo di Lamia,
la rapitrice di sogni e di infanzie perdute.
“Sciocco!” –Si disse il Capitano
dell’Ombra, avvicinandosi al corpo inerme del Comandante della Legione
Nascosta. –“Ero stata informata che un Cavaliere Celeste era stato addestrato
ad Avalon e che aveva quindi ricevuto un addestramento perfetto, capace di
combinare una gran forza fisica con ottimi poteri mentali! Poteri che hai ben
dimostrato di saper usare nel resistere a me, nell’opporti alla sinfonia di
ricordi con la quale ti ho travolto fin dal nostro primo incontro, nelle Stanze
di Zeus, e che hai trovato ad accoglierti quando sei entrato in questa stanza!
Come una rete nella cui maglia sei rimasto intrappolato ad ogni secondo in più
in cui sei rimasto qua dentro!”
“Ho appreso molto da te,
Comandante Ascanio! O forse dovrei chiamarti discendente di Re!” –Sogghignò
Lamia, inginocchiandosi accanto al ragazzo e sfiorandone la pelle abbronzata.
–“Il sangue del Pendragon scorre in te! Un sangue carico di storia e di
leggenda! Un potere così arcano che sarebbe degno di servire la grande ombra!”
–Aggiunse, montando sopra Ascanio e avvicinando il volto a quello del giovane,
mentre le linee del suo corpo cambiavano, rivelando le vere fattezze della
sorella di Phantom dell’Eridano Celeste, colei che Elena e Deucalione avevano
chiamato Teria.
Gli strinse il viso con le dita
della mano, magra come un ramo d’albero, e lo baciò sulla bocca, strusciando le
sue violacee labbra contro quelle del ragazzo, lasciando che il veleno, in esse
contenuto, fluisse dentro di lui. Sorrise, nient’affatto turbata da un simile
lavoro, che stava finalmente mostrando il suo lato piacevole.
Il contatto fisico con il
Comandante della Legione Nascosta le strappò una risatina beffarda, a tratti
isterica, mentre la donna si sollevava su di lui, scuotendo i lunghi capelli
viola all’indietro. Tirò un ultimo sguardo a Phantom, ancora disteso sul letto
ove lo aveva ferito a morte. E lo trovò immobile come l’aveva lasciato poco
prima, quando era stata interrotta dal suo compare, il Cavaliere Nero che
Flegias le aveva affiancato per questa missione.
“Finiscila di trastullarti con
lui, Lamia!” –Aveva esclamato l’uomo, osservandola succhiar via la linfa vitale
di Phantom, penetrando così parte dei suoi segreti.
“Notizie importanti mi riveli,
fratellino!” –Aveva sogghignato, scavando nei ricordi del Luogotenente, vittima
dei suoi poteri mentali, della sinfonia di favole con cui l’aveva avvolto,
precipitandolo nel passato, al fine di estirpare i suoi ricordi più belli,
privandolo di sogni e desideri, e soprattutto della fiducia nella vita.
–“Cos’altro può restare in fondo ad un bambino a cui sono stati strappati i
sogni e la capacità di volare lontano, se non cadere nel baratro della morte?!”
“C’è un uomo che può far fallire
il nostro piano! È il Comandante della Legione di Glastonbury!” –Aveva
incalzato il Cavaliere Nero. –“Non tarderà ad arrivare!”
“Mi occuperò anche di lui, se è
questo che ti preoccupa così tanto da far scricchiolare le tue gambe!” –Aveva
sorriso Lamia, con perfidia. –“Tu prenditi cura di Zeus! Non manca molto al suo
trapasso!”
“Il Tartaro sarà ben lieto di
ospitare colui che ha così tanto contribuito a popolarlo nei millenni
precedenti! Ah ah ah!” –Aveva sghignazzato l’uomo, prima di scomparire.
Lamia sogghignò, certa che non
molto tempo sarebbe ancora dovuto passare prima che le foglie degli alberi
Olimpici cadessero, travolte dall’autunno d’ombra di cui era stata portatrice.
Si chinò nuovamente su Ascanio, decisa a terminare il lavoro, quando le cadde
l’occhio sul letto ove Matthew aveva riposato finora. E lo trovò vuoto.
Quell’attimo di distrazione le
fu fatale, poiché un potente calcio la raggiunse tra le gambe, sollevandola da
terra e catapultandola contro il pavimento di marmo, molti metri addietro,
facendole sbattere la testa e spaccandole un labbro. Rialzatasi di scatto, si
pulì il sangue dalla ferita, proprio mentre Ascanio tentava di rimettersi in
piedi, confuso e disorientato dalla situazione.
Lamia non esitò un istante,
decisa a mettere il Cavaliere Celeste in condizione di non nuocere, prima che
riprendesse completamente i sensi. Balzò su di lui, sbattendolo con la faccia a
terra e contorcendosi sul suo corpo, fino a fermarlo con le agili gambe,
stringendolo in una singolare morsa. Ascanio si dimenò, per liberarsi di lei,
ma la donna gli piantò lunghe unghie affilate nel collo, strappandogli un
selvaggio grido di dolore, prima di chinare il viso su di lui e sfiorare con le
labbra le ferite aperte del ragazzo.
“Lasciati cullare, figlio di re!
Lascia che la mia sinfonia di favole lenisca i tuoi affanni, ponendo termine ai
tormenti che dilaniano il tuo animo!” –Sussurrò Lamia nell’orecchio del
Cavaliere. –“Non dovrai così prendere nessuna scelta!”
Ascanio non capiva perfettamente
cosa stesse accadendo, ma le poche parole che udì furono sufficienti per farlo
infervorare, e anziché spingerlo a cedere, ad abbandonarsi ai piaceri della
tranquillità, lo spinsero a reagire. Poiché non poteva permettere che un nemico
fosse a conoscenza di uno dei segreti più intimi del suo animo. Un segreto che
gli era stato carpito contro la sua volontà. E che adesso si sarebbe ripreso.
“Togliti!!!” –Esclamò Ascanio,
lasciando esplodere il proprio cosmo e scaraventando Lamia indietro, fino a
farla schiantare contro la vetrata e precipitare nel cortile esterno, tra
schegge di vetro che le strapparono le vesti e la pelle.
“Bastardo!” –Ringhiò la donna,
rimettendosi in piedi, di fronte agli occhi incuriositi di Ascanio, sia pur
ancora offuscati dal torpore e dal veleno che Lamia gli aveva iniettato.
–“Alzati sì! Pochi passi ancora potrai fare, giusto quelli che ti separano
dall’Ade! Perché, con tutto il veleno che hai in corpo, dubito che potrai
sopravvivere a lungo! Probabilmente moriresti da solo, nel giro di qualche ora,
ma sarà divertente anticipare il tuo trapasso, per vendicarmi delle ferite che
mi hai inflitto!”
“Tu forse non mi hai inflitto
ferite, donna? O anche questa lesione al collo è irreale, come il mondo in cui
hai cercato di precipitarmi?” –Esclamò Ascanio, tastandosi il collo e
macchiando le sue dita di sangue.
“Niente di ciò che hai visto è
stato irreale, Ascanio Pendragon! Niente di ciò che hai provato è stato da me
creato!” –Rispose Lamia, con perfida superbia. –“Ho soltanto scavato tra i tuoi
ricordi, per carpirne l’essenza profonda e farli miei, nel tentativo di
privartene! E di privarti, con essi, dei tuoi sogni, delle tue speranze, dei
motivi che ti spingono nel tuo barcamenante agire!”
“Per rendermi vecchio e vuoto? È
così che mi sarei ridotto, donna? Come un albero privo di luce e di acqua sarei
ripiegato su me stesso, consumandomi al pensiero di ciò che ho perso e non
potrò mai più riavere?! E in quella profonda disperazione avrei invocato la
morte, affinché tu potessi assumere il volto della nera signora e guidarmi alle
porte di Ade?! Umpf, ben poco hai carpito dei miei segreti allora se credi che
a una siffatta sorte bastarda mi sarei abbandonato!” –Esclamò Ascanio,
bruciando il suo cosmo. –“Forse non hai capito chi hai davanti? Un figlio
dell’Isola Sacra, discendente dei Pendragon, addestrato da tre maestri così
speciali che nessun’altro uomo ha potuto godere di tale onore!”
“Conosco su di te quello che mi
importava sapere, Comandante dell’Ultima Legione, nonché guida della setta dei
Cavalieri delle Stelle che Avalon ha messo su per opporsi alla grande ombra!
Pallido tentativo il vostro, destinato a naufragare contro la marea nera!”
–Affermò Lamia. –“Ma se hai deciso di rifiutare la morte dei sogni, allora
dovrò agire in modo più violento! Un attacco diretto non servirebbe con te! No,
la Sinfonia di Favole sarebbe respinta dai tuoi poteri mentali! Perciò
lascerò che a finirti siano i sogni degli uomini che ho derubato, e di cui mi
sono impossessata facendoli miei e confinandoli ad una prigionia eterna! Falene
lontane, destinate a non trovare mai riposo!”
Nel dir questo espanse il suo
cosmo color verde acqua, che invase la stanza, mentre migliaia di falene di
energia apparivano attorno a loro, sbattendo le ali e piombando sul Comandante
Ascanio.
“Se a una dolce morte ti sei
opposto, altrettanto non potrai fare con questa, che si prospetta crudele e
sanguinaria! Come i tormenti che le falene ti provocheranno, addentando il tuo
bel corpo e nutrendosi della tua stessa energia!”
“Quale energia?!” –Ironizzò Ascanio,
abbassando di poco lo sguardo e sollevando il braccio destro, fino a sfiorare i
serpenti tatuati, che subito si illuminarono, rischiarando la stanza con la
loro luce e spazzando via sciami di falene energetiche. –“Attacco del Drago
Bianco!!!” –Gridò il Cavaliere Celeste, mentre la maestosa sagoma di un
dragone di luce scivolava attorno al suo corpo, facendo strage del potere
nemico, travolgendo poi il resto delle falene e abbattendosi sul Capitano
dell’Ombra, che non poté opporre difesa alcuna. Soltanto venire scaraventata a
terra, trapassata dalla leggendaria creatura.
A fatica, Lamia fece per
rialzarsi, sentendo il corpo spezzarsi a causa delle ferite ricevute per essere
priva della propria corazza, che non aveva potuto indossare nei giorni trascorsi
sull’Olimpo come anonima ancella al servizio di Zeus. Ma quando si mosse sentì
la mano di Ascanio premerle sul petto con forza e sbatterla a terra,
prigioniera del suo potere mentale.
“Metempsicosi!” –Mormorò
il Comandante della Legione Nascosta.
“Metem… la trasmigrazione
dell’anima?!” –Esclamò Lamia, cercando di liberarsi dalla gabbia mentale con
cui Ascanio la stava tenendo prigioniera. Ma realizzò di non esserne in grado.
Di essere completamente succube del rito evocato dal Cavaliere Celeste.
Maledicendosi per essersi fatta
sorprendere, Lamia gettò la testa all’indietro, stanca e impotente, mentre il
cosmo di Ascanio fluiva dentro di lei. Non tentò neanche di contrastarlo,
poiché era certa che non vi sarebbe riuscita. Ed era certa che, come lei aveva
fatto con lui e Phantom, anch’egli cercasse informazioni.
Ascanio scoprì cos’era accaduto
a Phantom, svelando il complotto del Capitano dell’Ombra, arrivata sull’Olimpo
mascherata da ancella. La vide inginocchiarsi di fronte a Flegias, tra le
tenebre dell’Isola dove Gwynn e i suoi compagni erano morti, fedele servitrice
che aveva da lui ricevuto un’armatura nera. E vide anche ricordi che non le
appartenevano, ricordi così antichi da sconfinare nella leggenda. Sospirando,
Ascanio capì che la donna aveva rubato anche i ricordi di Zeus.
“Lamia!” –Mormorò infine,
alzandosi e placando il cosmo, in modo da allentare la morsa psichica sul
Capitano dell’Ombra. –“Figure in parte umane e in parte animalesche, che nel
Mondo Antico rapivano i bambini, privandoli dei loro sogni, seducendo anche gli
uomini per poi nutrirsi del loro sangue e della loro carne! Ugualmente tu
sfrutti i tuoi poteri per rapire i sogni e i ricordi dei nemici, prosciugandoli
di un serbatoio di emozioni, svuotandoli dalla loro umanità!”
“Un’analisi perfetta, Testa di
Drago!” –Ironizzò Lamia, rimettendosi in piedi, libera dal potere mentale di
Ascanio. –“Ad Avalon organizzano anche corsi di psicologia?”
“Arti più antiche si praticano
sull’Isola Sacra! Arti come la Metempsicosi, che hanno permesso alla mia
anima di migrare brevemente dentro di te e vedere con i miei occhi cos’è
accaduto al Luogotenente dell’Olimpo! Cos’è accaduto a tuo fratello!” –Commentò
Ascanio, fissandola con i suoi occhi scuri, con uno sguardo che a Lamia parve
tagliarle l’anima in due. –“Teria! Sei dunque tu la sorella per cui tanto è
stato male, al punto da avvelenarsi il cuore!”
“Ooh, immagino quanto Nikolaos
abbia pianto per me!” –Ironizzò Lamia.
“Sbagli nel giudicarlo! E di
molto anche!” –La zittì Ascanio. –“Ho passato tante notti a conversare con tuo
fratello e ogni volta in cui il tuo nome compariva nei suoi discorsi portava
con sé un’ombra che oscurava il suo sorriso! Un’ombra che gli ricordava
continuamente di non sapere più niente di te, anzi forse di non avere mai
saputo niente di una sorella che invece ha tanto amato! Soprattutto di non aver
mai saputo perché così tanto l’hai odiato!” –Sospirò, senza smettere di
fissarla. –“Adesso l’ho capito e non sai quanto mi rattrista il cuore! Poiché
se già la guerra è deprecabile, ma talvolta necessaria, una guerra tra
fratelli, figli della stessa madre, è quanto di più infimo possa esistere su
questa Terra!”
“Parli bene, Comandante, tu che
non hai vissuto il dramma della mia vita! Né hai subito l’umiliazione di un
affetto mancato, che i tuoi genitori non sono stati in grado di darti!”
“Parlo come un uomo che ha perso
sua sorella da piccolo, e non l’ha più incontrata!” –Sentenziò Ascanio,
zittendo Lamia, che rimase ammutolita dall’imprevista confessione, e anche
sconcertata dai poteri del Cavaliere, le cui difese psichiche erano così alte
da non averle permesso di penetrarle a fondo, nonostante lo avesse aggredito
quando egli non pensava nemmeno di essere in battaglia.
E questo la fece riflettere sui
propri limiti, ricordandole una frase da cui si era sentita offesa, ammettendo
adesso che era invece verità.
“Puoi rubare i sogni ai
bambini…” –Le aveva detto Flegias il giorno in cui Lamia si era offerta per la
missione avvelenatrice sull’Olimpo. –“Ma contro gli adulti potrai fare ben
poco! Anche perché… gli adulti sognano ancora?!” –Si era chiesto, con un
pizzico di malinconia.
Lamia non aveva risposto,
chinando il capo sconfitta, incapace di sondare la psiche del Maestro di Ombre,
che le aveva chiesto una dimostrazione dei suoi poteri. Pur tuttavia aveva
insistito nella sua richiesta e Flegias aveva comunque acconsentito, essendo
l’unica in grado di poter raggiungere di nascosto l’Olimpo.
“Questo rancore ti perderà!”
–Esclamò Ascanio, espandendo il cosmo, mentre le scintillanti sagome di due
dragoni di luce, uno bianco e uno rosso, apparivano dietro di lui. Ma prima che
potesse scagliare il suo nuovo attacco, una voce lo distrasse, attirando
l’attenzione di entrambi.
Phantom dell’Eridano Celeste si era sollevato dal letto, gettando via le lenzuola e
rivelando il corpo macchiato di sangue rappreso, ove Lamia lo aveva addentato.
“Phantom!!!” –Gridò Ascanio,
osservando le condizioni disperate dell’amico.
“Ascanio! Grazie per tutto ciò
che hai fatto, ma voglio chiederti di non combattere più contro mia sorella!”
–Esordì il Luogotenente, avanzando a fatica verso il centro della stanza, di
fronte agli occhi increduli di Ascanio e di Lamia. –“Mi occuperò io di lei! Da
tanto volevo incontrarla nuovamente!”
“Phantom! Non sarà un incontro
di piacere! Lei ti ucciderà! È qua per questo!” –Lo mise in guardia Ascanio.
“Credi che non lo sappia?!”
–Sorrise semplicemente il Luogotenente dell’Olimpo, prima di volgere lo sguardo
verso Teria.
***
Proprio in quelle ore un
violento scossone sismico scuoteva una tetra grotta nell’Asia centrale. Dove un
uomo rinvenne improvvisamente. Si tirò su, cercando di capire dove fosse,
usando i sensi e il cosmo per dare una logica agli ultimi eventi. Così rapidi
si succedevano nella sua mente, confondendolo, senza che riuscisse a farsi
un’idea chiara dell’accaduto. Stragi, guerre, macchie di sangue, e fiamme
immense che salivano verso il cielo. Un cono d’ombra, e nulla più.
Si guardò intorno, ma vide
soltanto la notte avvolgerlo con le sue spire mortali, precipitandolo in un
nulla che sembrava non avere fine. D’un tratto gli parve di udire una voce
chiamarlo da lontano. Una voce che risuonava dentro di sé, dentro la tenebra in
cui era immerso. Così potente, così antica, che il suo corpo si irrigidì, vittima
di un timore che non aveva mai provato prima.
Infine capì. Capì tutto. E
crollò sulle ginocchia, vomitando in faccia al destino.
“Peggio di quanto immaginavamo,
vero?!” –Ironizzò Marins, dall’alto della collina di Sitia.
“Non che queste immagini mi
siano estranee! Del resto conviviamo con la guerra e con la morte da sempre!”
–Sospirò Febo. –“Ma ogni volta sembra sempre diversa! Ogni volta è sempre una
nuova volta! Come se uno non riesca ad abituarsi mai!”
“Vorresti abituarti alla morte?”
–Chiese Marins. Ma Febo scosse il capo.
“Soltanto sentirmi pronto! Ogni
tanto penso che tutti questi anni lontano da casa, lontano dall’Egitto, e da
mio padre, non siano serviti a prepararmi, non siano serviti a farmi crescere!
Ogni tanto mi sento ancora lo stesso ragazzino che portasti via da Karnak quel
giorno, strappandomi all’eternità e confinandomi nel tempo reale!” –Commentò il
figlio di Amon-Ra, per poi inspirare profondamente. –“Spesso mi chiedo se
Avalon abbia fatto la scelta giusta, nominandomi Cavaliere delle Stelle! Non so
quanto questo ruolo mi si addica!”
“Avalon ha soltanto letto quel
che le stelle e il tuo cuore gli hanno mostrato! E i Talismani non sarebbero
andati a uomini indegni, Febo! Abbi fiducia in te, nella stirpe regale che
rappresenti! Tu sei un ponte tra due mondi, tra due culture, greca ed egizia,
un perfetto garante dell’equilibrio! Ed è questo che Avalon si aspetta da te, e
da noi! Garantire l’equilibrio!” –Sorrise Marins, dando una pacca sulle spalle
all’amico e voltandosi verso il mare.
Dall’alto della collinetta di
Sitia, sulla costa nord-orientale di Creta, i due Cavalieri delle Stelle
osservarono l’avanzare dell’Esercito delle Ombre, la nera marea che aveva
lambito i confini dell’antica terra, penetrando nella baia incorniciata dalle
Isole Dionisiadis. E scatenando il panico tra i suoi diecimila abitanti.
“Una testa di ponte!” –Commentò
Marins, osservando la posizione di Sitia. –“Da cui procedere poi verso
occidente, alla conquista dell’intera isola, e verso sud, per raggiungere le
coste africane! La Libia e l’Egitto!”
“L’Egitto!” –Mormorò Febo,
ricordando la sua eterna giovinezza tra le mura di Karnak, Iside e Osiride, per
lui due genitori adottivi, e il suo vero padre, il potente Amon Ra.
Da quanto tempo non lo vedeva.
Dall’unica volta in cui avevano combattuto assieme. Fianco a fianco. Contro il
mostruoso serpente cosmico. Dal giorno in cui Amon-Ra aveva abbandonato i suoi
rimpianti ed era entrato nel presente. Dal giorno in cui Febo se ne era andato,
seguendo la sua strada.
“Attentooo!!!” –Gridò Marins,
balzando indietro, mentre un gruppo di ombre si tuffava in picchiata su di loro,
costringendo Febo a metter via i pensieri e a concentrarsi sulla battaglia. Non
una qualunque, ma la prima tappa di una guerra contro l’oscurità a cui Avalon
stava cercando di opporsi da secoli.
“Sono migliaia!” –Disse,
colpendone alcune con raggi di infuocata energia. Marins fece altrettanto,
evitando di essere divorato da un mucchio di ombre, prima di balzare vicino
all’amico, mettendosi dietro di lui.
Schiena contro schiena, spalla
contro spalla, mare contro sole. Uniti da un legame che non era solo
cameratismo guerriero. Ma vera amicizia. Nata quindici anni prima, quando
Marins aveva ricevuto l’incarico da Avalon di condurre il figlio di Ra
sull’Isola Sacra, e consolidata in seguito, durante l’addestramento e le
missioni che a loro erano state assegnate. E che avevano portato a termine
insieme. Prime tra tutte recuperare il Vaso di Nettuno, nel Tempio Sottomarino,
e proteggere Fiore di Luna dall’assalto dei berseker.
Entrambi espansero i loro cosmi,
incandescente quello di Febo e rinfrescante quello di Marins, prima di dirigere
i loro attacchi contro la massa di tenebra che stava chiudendosi su di loro.
“Bomba del Sole!!!”
–Gridò Febo, scatenando una sfera di energia rossa e gialla, simile a un
piccolo sole, che esplose al contatto con quella massa nera. –“Maremoto dei
Mari azzurri!!!” –Gli fece eco Marins, mentre un inestinguibile flusso di
energia acquatica scivolava nell’aria, investendo le ombre e annientandole.
Ma, come Reis e Jonathan avevano
sperimentato, e come l’Antico li aveva messi in guardia, contro la marea nera
non vi era vittoria. Soltanto brevi attimi di calma in cui le ombre parevano
riorganizzarsi, prima di gettarsi di nuovo in picchiata, determinate ad
assorbire quella luminosità di cui Febo e Marins erano rivestiti.
“Barriera corallina!!!”
–Esclamò Marins, muovendo il braccio sopra di entrambi, in modo da creare una
cupola di coralli con cui protesse Febo e se stesso.
Subito le ombre si chiusero su
di loro, avvolgendo la barriera corallina, per cibarsi della sua stessa essenza.
Ma Febo, che non aspettava che quel momento, di sentirle così vicine, lasciò
esplodere il suo caldo potere, infiammando il cielo sopra Creta del potere del
sole. La barriera di coralli andò in frantumi e centinaia di ombre vennero
annientate sul colpo, arse da una vivida fiamma che pareva provenire dalla
corona solare, tanto abbagliante e distruttiva riusciva ad essere. Lo stesso
Marins, che detestava le eccessive temperature, accusò il colpo, espandendo
prontamente il suo fresco cosmo, per trovare momentaneo refrigerio.
“Avvertimi la prossima volta!”
–Ironizzò. –“Mi rinchiudo in una ghiacciaia per tempo!”
“E vorresti perderti il
divertimento?!” –Sorrise Febo, concentrando il cosmo tra le mani e liberando
una nuova sfera incandescente, dalle sfumature gialle e rosse. –“Ammirate il
potere del sole, ombre! Esso farà strage della vostra essenza!”
“Temo che il tuo discorso non le
abbia impressionate!” –Commentò Marins, osservando la marea nera chiudersi
sempre più su di loro. Erano tantissime, forse più di quante erano sembrate
loro all’inizio. Forse perché già si erano cibate delle energie vitali degli
abitanti di Sitia.
“In questo caso…” –Mormorò Febo.
E Marins, di nuovo schiena contro schiena all’amico, annuì all’istante.
Sollevarono una mano verso il cielo, portando il cosmo al suo parossismo.
–“Talismani!!!” –Gridarono, mentre due cristalli di luce apparvero sui palmi
delle loro mani. Rosso quello di Febo, azzurro quello di Marins.
Subito i cristalli presero la
forma di uno splendido specchio, dal manico rifinito d’oro, il cui vetro
rotondo pareva simboleggiare la sfera solare, e di un lungo tridente ornato di
scaglie d’oro, il cui lavoro di intarsio era stato così ben eseguito al punto
che Nettuno, millenni addietro, ne era rimasto abbagliato e lo aveva preso come
modello per realizzare la sua arma d’attacco. Ma i Talismani erano molto di
più. Capaci di contenere in sé millenni di energia del simbolo da cui traevano
origine e forza. Il sole, per Febo, e il mare, per Marins.
“Specchio del Sole!!!
Risplendi!!!” –Esclamò Febo, impugnando il sacro oggetto e volgendo il vetro
verso le ombre, osservando con soddisfazione un ventaglio di luce aprirsi dal
vetro stesso, inglobando parte della marea nera e annientandola al suo interno,
come se le ombre evaporassero di fronte a così infuocata energia.
“Tridente dei Mari Azzurri!!!”
–Gridò Marins, afferrando l’asta dorata e volgendo le punte verso le ombre, da
cui subito scaturirono guizzanti fulmini di energia, che si schiantarono
sull’oscura massa, dilaniandola in profondità, aprendo squarci così profondi e
incandescenti che le ombre non riuscirono a richiuderli all’istante. Febo,
approfittando di quell’istante, fu lesto a completare l’opera con lo Specchio
del Sole.
“Di mirabili poteri sono i
Talismani dotati! Ogni volta mi stupisco sempre un po’ di più di quanta energia
sia in essi contenuta! L’energia di millenni di attesa!” –Commentò Febo,
ricordando il giorno in cui per la prima volta, senza neppure sapere della sua
esistenza, aveva impugnato lo Specchio del Sole. Nelle prigioni di Amenti, ove
aveva combattuto contro il malvagio Anhar, traditore d’Egitto, per liberare
Osiride e Horus.
“Creati per un unico scopo, per
essere usati soltanto in un’occasione, i Talismani hanno atteso silenziosi per
tutti questi secoli, per tutti questi millenni, che uomini degni li
risvegliassero dentro di loro! E sapessero impugnarli per l’ultima guerra!”
–Disse Marins, abbandonandosi a un sospiro. –“Ripenso a quanto mi hai
confessato poco prima, e non ti nascondo che spesso mi sento in colpa per
averti strappato al tuo placido mondo fuori dal tempo! Ma poi, non soltanto
perché era un ordine di Avalon, non soltanto perché era destino, dico a me
stesso di essere contento di averlo fatto! Perché in questo modo ho trovato un
amico! Il migliore! E niente cambierà mai questa verità!”
Febo sorrise, poggiando una mano
sulla spalla del compagno e annuendo in silenzio. Ma non ebbe tempo di
aggiungere altro che un’esplosione di fiamme e ombra li raggiunse,
scaraventandoli in aria e facendoli ruzzolare per molti metri a terra, lungo i
pendii scoscesi della collina. Tossendo e ansimando, i due Cavalieri delle
Stelle si rimisero in piedi, giusto per osservare un immenso uccello, dal
bianco piumaggio, con le ali spalancate sopra di loro. E un uomo, avvolto in un
mantello di fiamme e ombra, che lo cavalcava. Entrambi circondati da una marea
di tenebra, su cui la sagoma della creatura risaltava vistosamente.
Alto e ben fatto, con il corpo
rivestito da una scarlatta armatura su cui scivolavano sinuose le perfide
fiamme dell’odio e le tenebre della disperazione, Flegias, il Maestro di
Ombre, stringeva in mano la Spada Infuocata, fissando Febo e Marins con
sguardo maligno, desideroso di nient’altro che non fosse piantarla nei loro
corpi.
“Anhar?!” –Balbettò Febo,
riconoscendo il consigliere che aveva tradito Karnak, vendendola a Seth.
“Ne è passato di tempo, figlio
di Amon Ra! Ma vedo che tutti questi anni non hanno migliorato il tuo aspetto!
Sei sempre il solito rachitico figlio bastardo che Ra non ha mai amato! Né
nutrito!” –Ironizzò Flegias, mettendosi in piedi sul dorso dell’uccello.
“Le tue amare parole non
feriscono più il mio animo!” –Esclamò Febo, con fierezza. –“È passato il tempo
in cui potevi burlarti di me, approfittando dei miei sentimenti e deridendomi
per essere stato abbandonato! Mio padre non ha mai voluto farlo, ha cercato
soltanto di salvarmi dal mondo. E forse di salvare anche se stesso!”
“Macina pure tutte le scuse che
vuoi, piccolo Febo, forse serviranno a farti stare meglio! A darti l’illusione
di valere davvero qualcosa! Ma nessuna parola di conforto che la tua debole
mente partorirà potrà mai negare l’assoluta verità! Che Amon Ra ha preferito
uscire dal tempo che trascorrere un altro giorno con te! Che ha preferito
rinchiudersi tra le quattro mura del santuario di Karnak piuttosto che
continuare ad osservare il prodotto bastardo dei suoi errori!” –Ironizzò
Flegias, avvampando nel suo cosmo scarlatto. –“Mettila come vuoi, ma non sei
mai stato per lui un motivo di vanto, né una ragione per vivere!”
“Bastardo!!!” –Esclamò Marins,
sollevando il tridente e liberando una violenta scarica energetica. Ma il
Maestro di Ombre non ebbe problemi a pararla con la sua Spada Infuocata, prima
di respingerla, atterrando lo stesso Marins. Ridendo eccitato, Flegias scosse
il mantello, gettandosi dall’alto sui Cavalieri delle Stelle, mentre l’immenso
uccello spalancava le bianche ali, agitando il vortice di ombre in cui erano
immersi.
“Morite!!!” –Gridò Flegias,
piombando sui due compagni, avvolto in un turbinare di fiamme e tenebra. Febo e
Marins cercarono di difendersi, ma i loro attacchi vennero spazzati via
dall’indemoniato cosmo del figlio di Ares, che li scaraventò a gambe all’aria.
–“Ho osservato le vostre imprese, nel fuoco della visione, e ho notato che
avete qualcosa di cui volete disperatamente farmi dono! Perciò vi prego, non
esitate, concedetemi ciò di cui bramate liberarvi, e poi crepate!!!” –Rise,
mentre Febo e Marins si rimettevano in piedi.
“I Talismani vuoi? Povero
sciocco! Servono ad altro che alla tua ben misera ambizione di dominio!”
–Esclamò Febo, bruciando il proprio cosmo incandescente.
“Credi che non lo sappia? È
proprio per questo che devo impedirvi di usarli! Sento la loro energia! La
percepisco fluire nelle correnti del mondo! È contro di me, sì, è contro di me!
E io devo spezzare questo secolare flusso!!!” –Ringhiò, volgendo loro il palmo
della mano destra, da cui un vorticar di fiamme e ombra si liberò, avvolgendo
l’intero pendio e i corpi di Febo e Marins, che si barcamenavano al loro
interno.
“Io odio gli ambienti troppo
caldi!” –Commentò Marins, sollevando alti flutti di energia acquatica, con cui
spense parte delle fiamme attorno, prima di dirigerli verso Flegias. –“Maremoto
dei Mari Azzurri!!!”
“Vorresti estinguere con questo
debole cosmo l’ardente impeto del mio fuoco di morte?” –Ironizzò Flegias,
liberando filari di vampe nere che lacerarono i celesti marosi di Marins,
infiammandoli dall’interno.
“Incredibile!!! Il calore del
suo cosmo è tale da far evaporare le acque degli oceani!” –Sgranò gli occhi
Marins, osservando lo spegnersi del suo assalto e sollevando le braccia per
proteggersi da un impetuoso vortice di fiamme e ombra che Flegias diresse
contro di lui, facendolo schiantare a terra e perdere persino la presa sul
Tridente dei Mari Azzurri.
“A te, Roc!!!” –Gridò Flegias,
infervorando l’uccello dal bianco piumaggio, che smosse le sue immense ali,
generando violente raffiche d’aria, e riempì il cielo con stridule grida, prima
di abbattersi su Febo e Marins.
“Un roc?! Credevo che tali
creature fossero estinte!” –Mormorò Febo, ricordando le storie che Amon Ra e
Iside erano soliti raccontargli, durante la sua fanciullezza. –“Assalivano le
navi nell’Oceano Indiano! Mio padre sosteneva avessero la forza di ghermire
persino un elefante!”
“Un roc può molto di più,
ragazzo! E ora ve ne accorgerete a vostre spese!” –Sibilò Flegias, mentre
l’immensa sagoma dell’uccello distruttore piombava sui Cavalieri delle Stelle,
sbattendoli a terra.
Marins venne afferrato dai giganteschi
artigli del roc, proprio mentre annaspava sul terreno per raggiungere il suo
tridente, e intrappolato in una presa così stretta da non riuscire a muovere un
muscolo. Febo si lanciò subito in suo soccorso, puntando lo Specchio del Sole
verso il volto del roc e inondandolo di un ventaglio di luce che stordì
l’uccello, facendolo gridare dal dolore. Ma non poté fare altro che un turbine
di vampe nere lo avvolse, sollevandolo da terra e scaraventandolo indietro,
facendolo ruzzolare nuovamente sul pendio di Sitia.
“Birichino!” –Commentò Flegias,
avvicinandosi, mentre il mantello scarlatto che gli copriva la schiena
fluttuava tra nere evanescenze, che presto avvolsero il roc e Marins,
cingendoli in un abbraccio di tenebra. –“Non si gioca con il fuoco, Febo!
Potresti… scottarti!” –Aggiunse, volgendogli nuovamente contro il palmo della
mano destra e schiacciando il Cavaliere del Sole a terra, sotto vorticanti
fiamme di ombra, che stridettero sulla sua corazza, facendola schiantare in più
punti.
“Aaargh! Devo… resistere!”
–Strinse i denti Febo, concentrando il cosmo per poi liberarlo sotto forma di
una bomba di luce, che spazzò via le nere vampe di Flegias, disperdendole
nell’aria attorno. –“Raggi gamma!!!” –Tuonò Febo, balzando in piedi e
dirigendo un cono di raggi verso Flegias, che fu svelto a volgergli contro la
lama della Spada Infuocata, caricandola del suo inquietante cosmo.
Ma Febo era determinato a cedere
e aumentò l’intensità del suo assalto, obbligando Flegias a fare altrettanto
nella difesa, fintantoché il Maestro di Ombre non sentì bruciare la propria
mano, quasi fosse ustionata nonostante l’Armatura Divina. La spada infuocata
raggiunse temperature altissime, a causa della pressione dei raggi gamma, e
Flegias dovette gettarla via, gridando e scuotendosi la mano, la cui corazza
protettiva andò in frantumi in quel punto.
“Ora!!! Bomba del Sole!!!”
–Gridò Febo, concentrando il cosmo in una sfera di energia simile all’astro
solare e dirigendola contro Flegias, che si difese incrociando le braccia di fronte
al viso, limitando i danni, ma venendo comunque travolto e spinto indietro di
qualche metro.
Proprio in quel momento Marins,
ancora prigioniero del roc, espanse al massimo il suo cosmo, usando le braccia
per aprire gli artigli del leggendario uccello e liberarsi dalla sua morsa.
Quanto gli bastò per allungare una mano all’esterno e richiamare il Talismano
di cui era custode. Il Tridente dei Mari Azzurri sfrecciò nella sua mano e
subito Marins lo impugnò, conficcandone le aguzze punte nell’arto del roc,
inondandolo con la sua energia cosmica.
L’uccello strillò, scuotendo le
ali e dimenandosi nel cielo oscuro, e spalancò d’istinto gli artigli,
permettendo a Marins di ricadere a terra. Il Cavaliere dei Mari Azzurri ruzzolò
sul pendio scosceso per una decina di metri, lussandosi una spalla per lo
schianto, ma fu svelto a rimettersi in piedi e ad affiancare Febo, che aveva
appena atterrato Flegias.
“Stai bene?” –Gli chiese subito
Febo.
“Ora capisco come si sente una
palla da baseball dopo essere stata lanciata!” –Commentò Marins, ripensando ai
suoi trascorsi, quando si allenava allo Yankee Stadium di New York, sognando di
divenire famoso come Joe DiMaggio. Quindi volse lo sguardo verso la cima della
collina, dove Flegias si era prontamente rimesso in piedi, tenendosi la mano
indolenzita dall’ustionante attacco di Febo. Sopra di lui torreggiava un cielo
di tenebra, ove rilucevano le scarlatte vampe del suo cosmo.
“Credevo che sarebbe stato
piacevole rivederti, Febo! Invece hai fatto il possibile per rovinare la nostra
rimpatriata! Non biasimarti perciò se altrettanto farò io!” –Sogghignò il
Maestro di Ombre, sollevando il braccio destro al cielo e scatenando una
violenta tempesta di energia incandescente, che si abbatté sui Cavalieri delle
Stelle vibrando sulle loro corazze. –“Apocalisse Divina!!!”
“Incredibile…” –Mormorò Marins,
sentendo scricchiolare l’Armatura delle Stelle. –“Persino il mithril sembra
cedere di fronte a questo devastante potere! Chi è davvero costui? Quale ombra
ha partorito questo demone infame?!”
“Dobbiamo resistere, Marins!!!”
–Gridò Febo, liberando l’infuocato potere del sole, subito seguito dall’amico.
–“Maremoto dei Mari Azzurri!!!” –I due assalti collisero contro la
tempesta energetica di Flegias, bloccandone per un momento l’avanzata, ma bastò
un cenno del Maestro di Ombre che l’oscura marea, rimasta finora intorno ai
contendenti, quasi soldati in attesa di un ordine, piombasse sui Cavalieri
delle Stelle, avvolgendoli in un abbraccio di tenebra.
L’Apocalisse Divina prese
il sopravvento, travolgendo l’energia del sole e del mare e scaraventando Febo
e Marins molti metri addietro, aprendo crepe sulle loro corazze e lanciando i
Talismani a terra. Flegias, con ghigno soddisfatto, si incamminò verso di loro,
verso gli oggetti che aveva cercato da tutta una vita.
Non aveva mai saputo come
fossero fatti, né dove fossero nascosti, poiché Galen, il custode della
Biblioteca di Alessandria, aveva bruciato l’unica mappa esistente sulla
ubicazione dei Talismani. Ma Flegias era sempre stato convinto che gli antichi
saggi li avessero dislocati in posizioni strategiche, nei principali centri di
culto del Mondo Antico, onde evitare un’eccessiva concentrazione di potere. E
adesso sono qua! E si offrono al mio giudizio divino! Sogghignò, osservando
dall’alto le rifiniture dello Specchio del Sole. E chiedendosi in quale luogo
di Karnak fosse stato custodito per millenni. Lui stesso, negli anni trascorsi
al servizio di Amon Ra, aveva esplorato il santuario ovunque, ma non ne aveva
trovato traccia alcuna.
Sollevò lo Specchio del Sole,
avvolgendolo in un vortice di fiamme oscure, fino a portarlo di fronte al suo
sguardo, indeciso se sfiorarlo o meno. Era a conoscenza della sacralità di
quegli oggetti e sapeva che, una volta risvegliati, difficilmente altri
avrebbero potuto impugnarli, senza il consenso del portatore stesso. Ma Flegias
possedeva un’altra carta da giocare, la stessa che gli aveva garantito
quell’esistenza di tenebra di cui si era cibato negli ultimi secoli. Il potere
della Pietra Nera, un’energia così infinita, così tenebrosa, così ancestrale,
che persino Avalon avrebbe chinato il capo di fronte ad essa.
Posizionò la mano destra,
deformata dall’ustione subita, sopra lo Specchio del Sole, socchiudendo gli
occhi e lasciando che il suo cosmo si caricasse di tutta l’ombra, di tutte le
fiamme del male che covava dentro, e fluisse all’interno del Talismano.
“Nooo!!!” –Gridò Marins,
rimettendosi in piedi. E richiamò a sé il Tridente dei Mari Azzurri. Ma quando
si voltò verso Febo, trovò il volto stanco dell’amico, quasi rassegnato a tale
fallimento.
“È finita!” –Si limitò a
commentare il figlio di Amon Ra.
“Non vorrei rubare una frase al
mio mentore, ma non è finita finché non è finita!” –Rispose Marins, accennando
un sorriso.
“Non sapevo che Avalon amasse
citare aforismi!”
“Non a lui mi riferisco!”
–Sorrise Marins, espandendo il suo fresco cosmo azzurro. –“Ma a Yogi Berra!
Dimentichi forse i miei trascorsi nel baseball?”
Febo sorrise a sua volta,
rinfrancato dall’eterno ottimismo del compagno. Forse era dovuto alle sue
origini statunitensi, che ne faceva membro di un popolo che sembrava non
arrendersi mai, o forse perché semplicemente aveva ragione. Non disse altro,
bruciando il cosmo e affiancando l’amico nell’ultima azione contro Flegias.
“Tridente dei Mari Azzurri!!!”
–Esclamò Marins, liberando guizzanti scariche di energia che sferzarono l’aria,
abbattendosi su Flegias e disturbando la concentrazione necessaria per
completare la possessione del Talismano. –“Specchio del Sole!!!” –Gridò
Febo, portando al massimo il suo caldo cosmo e ristabilendo quell’intima
connessione con il Talismano che l’ombra aveva cercato di ricoprire.
Immediatamente lo Specchio del
Sole emanò un accecante arco di luce, con cui incenerì un cumulo di ombre circostanti
e scaraventò indietro Flegias, prima di saettare nell’aria e tornare nelle mani
del suo custode. Il Maestro di Ombre, irato per l’accaduto, scatenò subito un
violento assalto di fiamme e ombra contro di loro, a cui Febo e Marins
cercarono di opporsi.
“Insieme! Tridente dei Mari
Azzurri!!!” –Gridò Marins, sul fianco destro del compagno. –“Specchio
del Sole!!!” –Aggiunse l’amico.
“Non fermerete la Rapsodia di
Demoni!!!” –Tuonò Flegias, mentre l’immensa marea nera scivolava a cascata
verso i Cavalieri delle Stelle, oscurandoli in un universo ove le uniche luci
erano quelle dei loro cuori. Le luci dei Talismani.
Febo e Marins bruciarono il loro
cosmo come mai avevano fatto prima e l’energia prodotta generò una violenta
deflagrazione che sconquassò il fianco della collina di Sitia, aprendovi
fenditure e distruggendone l’ameno paesaggio, fino a scaraventare i tre
avversari a terra. La luce scaturita fu talmente vasta da travolgere, come
l’onda di uno tsunami, il mucchio di ombre sopra di loro e annientarle.
Flegias si rimise prontamente in
piedi, muovendo con difficoltà le dita della mano destra ma riuscendo comunque
ad impugnare la Spada Infuocata. Con essa balzò su Marins, che ansimante stava
rialzandosi, per punirlo per aver osato interromperlo poco prima. Ma il
Cavaliere delle Stelle fu abile a sollevare il Tridente e a bloccare la mortale
lama tra le sue punte. Flegias tuttavia perseverò, liberando la spada e
lanciando nuovi pericolosi affondi, a cui Marins dovette opporsi con
determinazione, per non lasciare spazio alcuno di manovra al Maestro di Ombre.
Ad ogni colpo, ad ogni collisione tra le due armi, scintille schizzavano in
aria, e a Flegias sembrava di sentire la Spada Divina sul punto di andare in
frantumi.
Incastrata nuovamente la nemica
lama nelle punte del Tridente, Marins bruciò il cosmo, per travolgere Flegias
da vicino con un maremoto di energia, ma il Maestro di Ombre paralizzò
l’avversario in un cerchio di fiamme oscure, limitando i suoi movimenti. Quindi
liberò con un colpo brusco la spada e torse il polso, in modo da roteare la
lama e trinciare di netto la mano del Cavaliere delle Stelle all’altezza del
proprio polso, strappandogli un grido di dolore.
“Marins!!!” –Gridò Febo,
osservando il compagno mutilato crollare a terra, mentre Flegias sogghignante
torreggiava su di lui, e gli diresse contro una bomba di energia solare, che il
Maestro di Ombre fermò con un muro di fiamme e tenebra, lasciandola esplodere
al suo fianco.
“Addio!” –Commentò
semplicemente, puntando la spada infuocata verso Marins, che a fatica si stava
rimettendo in piedi. Ma mentre Flegias stava per penetrare il corpo infiacchito
del Cavaliere dei Mari Azzurri, qualcosa si interpose tra i due e la lama
affondò nel basso ventre del figlio di Amon Ra.
“Febo!!!” –Urlò Marins,
osservando il compagno sputare sangue ma trovare comunque la forza di afferrare
la lama all’altezza della mano di Flegias, stringendo anche le ustionate dita
del Maestro di Ombre in una morsa sempre più calda.
“Che diavolo stai facendo, Febo?
Lasciala andare! Lasciala!!!” –Gridò Flegias, che non riusciva a togliere la
mano dalla stretta infuocata del Cavaliere del Sole. Sollevò allora il braccio
sinistro con cui iniziò a tempestare di colpi il viso etereo del ragazzo, senza
che questi accennasse reazione alcuna, ancora intento a sprigionare i suoi
raggi sull’arma e sull’arto di Flegias.
“Raggi gamma!” –Sibilò
infine, liberando al massimo il suo potere.
Flegias sentì per la prima volta un dolore immenso alla mano destra, come se il
sole lo avesse penetrato con tutto il suo calore. La lama infuocata vibrò per
l’ultima volta, prima di fondersi e colare sul terreno, sottoposta a
temperature troppo elevate, macchiando le corazze dei due guerrieri, mentre la
mano di Flegias fu divorata da una fiamma lucente che neppure l’oscuro cosmo
del Maestro di Ombre riusciva a estinguere. Una fiamma all’interno della quale
la sua mano avvizzì di colpo, iniziando a squagliarsi, di fronte ai suoi occhi
inorriditi.
Febo crollò poco dopo, tra le
braccia di Marins che lo afferrò in tempo, tenendolo stretto a sé e ammirandone
il coraggio. Degno del sangue nobile che gli scorreva dentro. E ringraziandolo
per averlo salvato.
“A… amici!” –Mormorò Febo, con
un sorriso stanco.
Flegias, dal canto suo, barcollò
per qualche istante, fino a incespicare sul suo mantello scarlatto e cadere a
terra, continuando ad osservare attonito la propria mano che stava ripiegando
su se stessa, vittima di un potere così grande, così infuocato da distruggere
persino la Divina Spada che tante vittime aveva mietuto in passato. Fu in quel
momento che una voce lo contattò tramite il cosmo.
“Mio Signore! Auuuhh!!!”
–Esclamò il Capitano dell’Ombra che percepisce i segreti lussuriosi degli
uomini. –“Siderius è caduto! E di Orochi e Lamia abbiamo perso le tracce!
Inoltre un gruppo di soldati sta attaccando l’Isola delle Ombre da nord!”
“Ho capito!” –Si limitò a
rispondere Flegias, rialzandosi e chiudendo la comunicazione con Licantropo.
Fischiò due volte e l’immenso roc ricomparve sopra di lui, planando vicino al
Maestro di Ombre, che gli montò sopra con un balzo, afferrandosi al bianco
piumaggio con la mano ancora sana. –“Non crediate che sia finita qua! Impegni
più urgenti mi aspettano! E anche se ammetto che avete giocato bene, non
significa che io non abbia il potere di vincere anche questa battaglia!” –Non
aggiunse altro e se ne andò, tenendo per sé la rabbia di essere stato mutilato.
Aveva affrontato quasi tutti i
Cavalieri di Atena, sia al Grande Tempio che sull’Olimpo, e i Cavalieri Celesti
e le Divinità al servizio di Zeus, e per quanto spesso avesse dovuto subire i
loro colpi, era la prima volta che sentiva di aver perso. La prima volta in cui
non poteva dirsi soddisfatto di una sua azione. Persino quando Artemide lo
aveva ferito, aveva assaggiato comunque il sapore della vittoria, che gli era
stata offerta sul piatto su cui era morta la Dea. Ma stavolta qualcosa era
andato diversamente. E quel qualcosa, Flegias lo sapeva benissimo, era
l’energia solare che aveva invaso il suo corpo, un’energia di origini diverse
rispetto ai cosmi che aveva fronteggiato finora. Un’energia ancestrale, proprio
come quella che albergava dentro di lui.
A fatica si trascinò fino al
trono, nella caverna sotterranea dell’isola, illuminata soltanto dal baluginare
fioco dei resti del braciere, crollando su di esso e gettando via la corona
nera che portava sul capo. Per un momento sentì di non esserne degno, di non
meritare il titolo di ambasciatore delle tenebre di cui era stato investito.
Ciò che temeva, ciò che realmente aveva temuto per anni, aveva iniziato a
verificarsi. E per quanto egli fosse forte e temerario, non poteva
sottovalutare la minaccia che veniva da Avalon. Poiché era l’unica energia che
realmente avrebbe potuto spazzarlo via.
Sogghignando, Flegias si sfiorò
infine il collo alla ricerca della sola fonte di potere in grado di contrastare
i Talismani. La Pietra Nera emanò un’oscura luce di morte, che infuse nuova
energia allo stanco corpo del Maestro di Ombre, sopendo gli affanni di quella
giornata. Flegias sollevò il braccio destro, osservando le avvizzite dita
cibarsi della tenebra più nera, fino a ricominciare a muoversi, ad allungarsi,
riprendendo le forme perfette che avevano sempre avuto.
Avalon poteva avere pure i suoi
Talismani, ma lui avrebbe sempre avuto l’energia primordiale di colui che lo
aveva generato.
CAPITOLO VENTOTTESIMO: LE VARIE FACCE DELLA VERITA’
CAPITOLO VENTOTTESIMO: LE VARIE FACCE DELLA VERITA’.
Ermes era rientrato sull’Olimpo dopo un’intera nottata trascorsa
a colloquio con Atena, nella Sala delle Udienze del Grande Tempio. Un colloquio
che non aveva risolto molto, ma che aveva comunque arrecato piacere al suo
cuore pieno di affanni. La malattia di Zeus lo colpiva da vicino, come la morte
di tutti i Cavalieri Celesti, ultimo atto di una commedia degli inganni che
Flegias aveva iniziato a dirigere mesi addietro, quando era giunto sull’Olimpo
mendicando pietà. E Zeus, magnanimo, gliel’aveva concessa, per quanto fosse il
figlio del Dio della Guerra.
Fu un errore aprire le porte
al Rosso Fuoco! Un errore di cui avevo prontamente avvertito il Sommo Zeus, per
quanto nessuno di noi potesse prevederne la portata! Rifletté Ermes, camminando tra le vuote stanze della
Reggia Olimpica. Poiché con lui, oltre allo spirito di Crono, è entrata la
guerra e la rovina di un mondo intero! Quanti amici abbiam perduto! Quanti
compagni abbiam smarrito per strada! Sospirò, ricordando le Divinità
massacrate da Flegias e dai figli di Ares. Da Afrodite, proprio nel Tempio dei
Mercanti, da lui presieduto, fino alla cacciatrice Artemide.
Un rumore nel salone delle feste
attirò la sua attenzione, ed Ermes vi entrò, non troppo sorpreso di trovare Ganimede
intento a trafficare con del vasellame.
“Nobile Ermes!” –Gli sorrise il
Coppiere degli Dei, senza nascondere la sorpresa. –“Non pensavo sareste
rientrato così in fretta! Atene non era di vostro gradimento?”
“Atene è sempre di mio
gradimento, Ganimede!” –Rispose cordiale Ermes, a cui la compagnia della Dea
della Giustizia e dei suoi Cavalieri faceva sempre piacere. –“È la guerra che
invece aborro! Questa guerra in cui siamo immersi, come fango che non riusciamo
a toglierci di dosso!” –Aggiunse, sedendo su una seggiola.
“Sono certo che il Sommo Zeus,
quando si riprenderà, saprà porre fine a questo stupido conflitto, scaturito
dall’infantile ambizione di una semidivinità!” –Commentò Ganimede, versando del
liquido in una coppa dorata.
“Infantile, sì! È un modo
colorito per descrivere il figlio di Ares!” –Rifletté Ermes. –“Anche se avrei
giusto una lista di aggettivi con cui rischierei di essere scurrile!”
“Non trattenetevi con me,
Messaggero degli Dei!” –Ironizzò Ganimede, porgendo la coppa d’ambrosia al Dio.
–“Prendete, e rilassatevi per un momento! Ci sarà tempo per gli affanni del
cuore!”
“Vorrei avere la tua sempiterna
calma!” –Rispose Ermes. –“Certe volte mi sembra davvero che non t’importi di
niente, a parte la tua gioventù, forse soltanto di Zeus, che te ne ha fatto
dono!”
“Non siete poi così lontano
dalla verità!” –Commentò Ganimede, mentre il Dio degustava l’odoroso nettare.
Ne bastarono due sorsi tuttavia
per stordirlo, e per piegargli la testa di lato, incapace di comprendere cosa
stesse accadendo, come mai si sentisse così debole tutto ad un tratto. Fece per
rialzarsi, ma scivolò, facendo cadere rumorosamente la coppa d’oro sul
pavimento di marmo, crollando ai piedi di Ganimede, che rimase immobile, ad
osservarlo con un ghigno di soddisfazione sul volto.
“Volevate sapere di cosa
m’importava davvero? Ebbene, di certo non di voi!” –E lo colpì con la mano tesa
dietro la nuca, penetrando con violenza dentro di lui, mentre schizzi di sangue
macchiarono l’immacolato pavimento.
Ermes ansimò ancora per qualche
istante, prima di crollare a terra in una pozza di sangue, mentre il veleno
mescolato all’ambrosia paralizzava i suoi nervi, soffocando qualsiasi tentativo
di chiedere aiuto.
“Anche perché ormai nessuno più
può aiutarti! Gli Dei dell’Olimpo sono tutti morti, e le legioni che un tempo
marciavano lungo la Via Principale errano adesso per le valli di Ade! Pochi
minuti ancora, pochi attimi, e anche la vita di Zeus si spegnerà, e con essa
quella della sua consorte! Niente più potrà fermare l’avvento dell’ombra!”
–Rise Ganimede sguaiatamente, senza curarsi che qualcuno potesse udirlo, poiché
non vi era più nessuno sull’Olimpo. Escluso Phantom, moribondo sul letto di
morte, e Ascanio, intento a combattere con Lamia.
“Ah ah ah! Se qualcuno un giorno
mi avesse predetto che avrei regnato sul Monte Sacro, certo gli avrei riso in
faccia! E gli avrei spaccato la testa, per avermi recato offesa burlandosi di
me!” –Esclamò Ganimede. –“Ma oggi posso ben dire di aver io stesso burlato Zeus
e il destino! Fratello, sono arrivato più in alto di te!” –E voltò le spalle al
corpo esanime di Ermes, incamminandosi verso l’uscita del salone delle feste,
ma dopo pochi passi incrociò lo sguardo inorridito di un ragazzo.
Magrolino, con spettinati
capelli biondi e il viso segnato dalle fatiche degli ultimi giorni, Matthew
era stato attirato nella sala dal rumore dei cocci, ma era rimasto pietrificato
nel vedere Ganimede far fuori con soddisfazione il Dio, che, sebbene non
l’avesse mai incontrato, intuì fosse Ermes, dai tipici calzari che indossava.
“Ancora vivo, ragazzino?”
–Storse il naso Ganimede, continuando a camminare verso di lui. –“Credevo che
Lamia si fosse occupata anche di te!”
Matthew non rispose, dando le
spalle al Coppiere degli Dei e scappando via, gettandosi in una folle corsa nei
corridoi della Reggia Olimpica, in cerca di qualcuno che potesse aiutarlo. In
cerca di qualcuno che potesse salvare Zeus.
“Corri pure quanto vuoi!
Tornerai comunque da me!” –Ironizzò Ganimede, uscendo dalla sala a sua volta e
inseguendo il ragazzo, con un sorriso divertito sul volto. –“Ho argomenti
piuttosto convincenti!” –Aggiunse, prima di sfiorare il pavimento con il palmo
della mano destra, avvolta nel suo cosmo rosato, proprio mentre Matthew correva
accanto ad una grande vetrata che dava sul giardino interno della Reggia di
Zeus, non troppo lontano da dove mesi prima il Dio del Fulmine, aiutato da
Atena e da Era, aveva risvegliato gli Ecatonchiri dal sonno leggendario.
Immediatamente le porte a vetro
andarono in frantumi mentre ammassi confusi di piante entrarono all’interno,
avvolgendo i loro sinuosi filari attorno al corpo di Matthew, che scalciava e
si dimenava, gridando aiuto in continuazione.
“Zitto, ragazzino isterico!”
–Rise Ganimede, muovendo le piante che si arrotolarono attorno al viso di
Matthew, tappandogli la bocca. E solo allora il giovane si rese conto che si
trattava di filari di vite. –“Ah ah ah! Che buffo che sei! Sembri un acino
d’uva ancora acerbo! Chissà che, spremendoti bene, non esca fuori un bel rosso
acceso!”
Matthew si dimenò ancora,
cercando di strappar via quel groviglio di piante che non soltanto lo stava
facendo soffocare, ma anche lo stordiva, con il suo violento odore. Anche lo
feriva, strusciando sulla sua pelle e aprendogli nuove ferite.
“Smettila di agitarti, non vedi
che è inutile? Le viti che io controllo sono intrise di un veleno potentissimo,
capace di portare gli uomini alla pazzia, vittime di un’ebbrezza che non
riescono a dominare!” –Spiegò Ganimede. –“Come potrebbe un ragazzino come te,
con la sola forza di quelle gracili braccia, strapparle via? Ah ah ah!”
Matthew non prestò ascolto alle
parole di scherno del Coppiere degli Dei, cercando di recuperare il controllo
sul suo corpo e sulle proprie emozioni, dopo la sbandata improvvisa dovuta alla
sorpresa di vedere proprio Ganimede, che gli si era presentato con affabilità e
gentilezza, complottare contro Zeus. E questo gli ricordò quanto fosse volubile
l’animo umano, quanto bastasse poco per mutare un angelo in un demone.
Egli lo sapeva bene, poiché la
stessa cosa era accaduta al suo maestro, il nobile Cavaliere che aveva iniziato
ad addestrarlo nei primi anni ’70, senza riuscire però a terminare la sua
opera. Tentato dal lato oscuro, l’uomo che al Grande Tempio veniva considerato
reincarnazione di un Dio, tanto onesta e pura era la sua anima, era precipitato
in un abisso di perdizione. E Ganimede, in fondo, non era poi così diverso.
Forse differente, agli occhi di Matthew, era la motivazione che li aveva portati
ad abbracciare l’ombra, ma certo non il gesto in sé.
“Ecco, adesso ti riconosco!”
–Esclamò Ganimede, ridendo in maniera quasi delirante. –“Riconosco l’ebbrezza
del momento! L’incontenibile gioia di assistere al massacro di un nemico! Pochi
altri sono i momenti che invero regalano emozioni! E la morte, la succulenta
fine di un corpo divorato dalle viti della passione, è il culmine
dell’emozione! È il massimo dell’ebbrezza! Dioniso sarebbe fiero di me!”
Matthew, radunate le forze,
iniziò a dimenarsi con foga sempre maggiore, riuscendo piano piano a recuperare
il controllo dei propri arti e a raddrizzare la testa, in modo da fissare
Ganimede negli occhi. Voleva proprio vedere la sua faccia quando avrebbe
liberato il cosmo che celava dentro. Ora! Si disse, lasciando esplodere
l’energia e incendiando le viti che lo avevano intrappolato, liberandosi infine
e balzando a terra, di fronte allo sguardo stupito di Ganimede, che non era
assolutamente a conoscenza del fatto che Matthew fosse un Cavaliere, o un apprendista
tale.
“Sorpreso?!” –Ironizzò Matthew,
scattando avanti, con il cosmo concentrato sul pugno destro, e liberando decine
e decine di colpi luminosi, che sfrecciarono verso Ganimede, obbligandolo a
balzare di lato per evitarne alcuni, parando gli altri semplicemente spostando
i palmi delle mani.
“Non abbastanza!” –Esclamò il
Coppiere degli Dei, stirando le labbra in un sorriso divertito, realizzando che
gli attacchi di Matthew non avrebbero potuto recargli danno, essendo lenti e
poco numerosi. –“Perché dovrei esserlo? Perché un moccioso che si atteggia a
Cavaliere mi si erge davanti?! È lui che dovrei temere?! Io che ho ucciso
persino il Signore degli Dei! Ih ih ih! Patetico
sarei, se da te venissi sconfitto!”
“Stai attento a ciò che chiedi
agli Dei, poiché essi potrebbero esaudirti! Diceva un vecchio detto
giapponese!” –Commentò Matthew, ansimando per lo sforzo e approfittando di quel
momento per recuperare un po’ di forze.
“Arguto!” –Ironizzò Ganimede.
–“Chiedo allora la tua testa, intinta in una coppa d’ambrosia!” –E gli volse il
palmo della mano, liberando un’onda di energia rossastra che scaraventò Matthew
indietro, schiantandolo contro una parete. –“Yuhuu?! Dei mi ascoltate? C’è
qualcuno che mi risponde?! Ah già, dimenticavo… gli Dei sono tutti morti! Ah ah
ah!” –Rise istericamente, mentre Matthew si rialzava a fatica, con le ossa che
gli dolevano dalle botte ricevute e un rivolo di sangue che scendeva dal labbro
inferiore. –“Puoi farmi un favore? Ti prego, accontentami! Vai all’inferno e
chiedi a Zeus che risponda alle mie suppliche?! Detesto non essere ascoltato!”
–E nel dir questo gli volse nuovamente il palmo contro, ma mentre liberava una
nuova onda di energia, un piano verticale si interpose tra i due, liberando
un’accecante onda di luce che spinse entrambi indietro, obbligandoli a coprirsi
gli occhi. Quando poterono aprirli di nuovo, trovarono un Cavaliere,
dall’Armatura dorata e dai lunghi capelli lilla, e una fanciulla, con un
grazioso abito bianco, in piedi di fronte a loro.
“A… A…” –Mormorò Matthew, quasi
abbagliato dalla divina bellezza della giovane.
“Ganimede! Che sta succedendo?”
–Le sentì subito domandare. –“Chi è questo ragazzo con cui stai combattendo?”
“Un invasore dell’Olimpo, Dea
Atena! Una spia che il figlio di Ares ha astutamente inserito nelle nostre
fila, per causarci danno e dolore!” –Rispose subito Ganimede, assumendo una
rigida postura di fronte alla Dea della Giustizia.
“Non è vero! Tu sei la spia! Tu
hai avvelenato Zeus, come hai ucciso il Messaggero degli Dei nel Salone delle
Feste!” –Strillò Matthew, cercando lo sguardo di conforto di Atena. Ma Ganimede
lo fece tacere, travolgendolo con un’onda di energia e sbattendolo nuovamente
al muro.
“Taci! Non calpesterai più il
sacro suolo dell’Olimpo, sporcandolo di menzogna!”
“Fermati, Ganimede! Aspetta!
Dov’è Zeus? E che ne è di Ermes?” –Incalzò Atena, a cui tutta quella
situazione appariva confusa.
“Morti!” –Rispose soltanto il
Coppiere degli Dei, abbandonandosi a un sospiro. –“Morti!” –Ripeté, prima di
volgere lo sguardo rabbioso verso Matthew. –“Ed ecco chi dobbiamo ringraziare!”
“Ringrazia te stesso,
traditore!” –Esclamò Matthew, rimettendosi in piedi a fatica. –“Io non sono un
servitore di Flegias, ma un apprendista Cavaliere di Atena!”
“Che cosa?!” –Balbettò la Dea,
bonariamente presa alla sprovvista.
Mur, intuendo la delicatezza della situazione, si fece avanti,
ponendosi di fronte ad Atena, per proteggerla da eventuali attacchi. Senza
togliere lo sguardo dal ragazzo, che gli ricordava qualcuno che aveva visto molto
tempo prima.
“Dea Atena…” –Mormorò Matthew,
cercando di inginocchiarsi di fronte a lei. Ma le gambe gli cedettero, e cadde
a terra. –“Perdonatemi! Le forze mi abbandonano! La prigionia nell’Isola delle
Ombre ha massacrato il mio fisico! Ma il mio cuore, quello mai, batte ancora
per la giustizia!”
“Eri prigioniero sull’Isola
delle Ombre? Come hai fatto ad arrivare qua?”
“Il Luogotenente dell’Olimpo!
Lui e il Comandante Ascanio mi hanno salvato, e adesso combattono contro una
donna al servizio di Flegias nelle Stanze di Asclepio!” –Spiegò Matthew,
rialzandosi. –“L’ho vista, io l’ho vista affondare i suoi canini nel braccio
del Cavaliere dell’Eridano Celeste! E sono fuggito in cerca di aiuto, quando mi
sono imbattuto in un tradimento inaspettato!”
“In te stesso, forse?” –Ironizzò
Ganimede, sbuffando irato. Ma Matthew non prestò ascolto alle sue parole,
continuando a volgere lo sguardo, e il cuore, verso Atena.
“Ho fatto i miei errori, in
passato! Ho abbandonato anche l’addestramento, dopo la scomparsa del mio
maestro! Ma mai ho smesso di credere nella giustizia Atena, e in voi! Il mio
nome è Matthew, e sono l’allievo del Cavaliere di Gemini! L’allievo che Gemini
non riuscì mai a investire del titolo!” –Si presentò il ragazzo, e allora Mur
lo riconobbe, ricordando le poche settimane trascorse al Grande Tempio, i
giorni dell’investitura dei Cavalieri d’Oro, nell’estate del 1973.
“Matthew…” –Mormorò Atena,
sentendo che il cosmo del ragazzo traboccava di purezza e di verità. Ma anche
di tanto dolore. Sospirò, pensando a quali torture avesse subito sull’isola
maledetta, prima di voltarsi verso Ganimede e chiedergli spiegazioni. –“C’è
qualcosa che non riesco a comprendere! Ma voglio vedere Zeus con i miei occhi!”
“Conoscete la strada, Atena!”
–Rispose stizzito Ganimede. –“Ma non lamentatevi se lo spettacolo non sarà di
vostro gradimento! Io vi ho avvisato!”
“Questo tono non ti si addice,
Coppiere degli Dei! Questo non sei tu, ma una brutta copia del ragazzo che mi
salvò la vita mesi addietro, durante lo scontro con Tifone!” –Esclamò Atena,
iniziando a muoversi, diretta verso le Stanze di Zeus.
Ganimede allora le sfrecciò
davanti, con il palmo sfolgorante di energia cosmica, ma Mur prontamente erse
un muro difensivo con il quale rinviò indietro l’attacco nemico, scaraventando
il Coppiere degli Dei contro una parete laterale.
“Andate, Atena! Lo terrò
impegnato io! Scoprite cos’è accaduto a Zeus!” –Affermò.
“Ti dirò io cos’è accaduto!”
–Esclamò Ganimede, rialzandosi ed espandendo il cosmo. –“La verità ha molte
facce, e adesso te ne mostrerò una! La più folle di tutte!”
In quel momento una violenta
esplosione cosmica distrasse i presenti, mentre la terra tremava sotto di loro.
Mur si voltò di scatto verso destra, osservando una colonna di fumo sorgere
poco distante, in linea con il Tempio della Medicina. Sospirò, riconoscendo i
cosmi di Phantom e di Ascanio.
Il Luogotenente dell’Olimpo
aveva infatti chiesto al Comandante dell’Ultima Legione di non combattere più
contro Lamia, il Capitano dell’Ombra preposto a rubare i sogni, nel
tentativo di ritrovare la perduta parte di lei che un tempo era nata dal grembo
di sua madre. Teria, la sorella che sempre lo aveva odiato.
“I miei sentimenti per te,
Nikolaos, non sono affatto cambiati!” –Esclamò Lamia, con voce piena di
disprezzo. –“E proprio per l’odio che covo da anni, verso il fratello che mi
adombrò agli occhi dei miei genitori, ho scelto te come prima vittima! Ho
scelto te come agnello da offrire in sacrificio al Maestro di Ombre!”
“Calmati, Teria! E ascoltami!”
–Disse Phantom, avanzando di un passo verso di lei. Ma Lamia, nell’udire quel
nome, si avventò inviperita sul Cavaliere, con il cosmo acceso, sbattendolo a
terra e colpendolo con una rapida successione di pugni.
“Umpf!” –Esclamò allora una
terza voce, mentre Lamia veniva sollevata con la sola forza del pensiero e
scaraventata contro quel che restava della vetrata esterna, precipitando nel
fango del giardino. Quando si rialzò, con numerose ferite aperte sul corpo,
riempite da schegge di vetro, incrociò lo sguardo ostile di Ascanio
Pendragon, il Comandante della Legione Nascosta, e servitore di Avalon.
“Di che t’impicci, figlio
dell’Isola Sacra?” –Gli ringhiò contro, mostrandogli i denti gialli e
putrefatti dall’odio.
Ascanio non rispose,
avvicinandosi a Phantom, che a fatica stava cercando di rialzarsi. Allungò una
mano e lo tirò su, di fronte agli occhi fiammeggianti di rancore di Lamia. Quel
gesto, quel piccolo gesto, gliene portò alla mente un altro, di molti anni
addietro. Quando suo padre Deucalione aveva aiutato Nikolaos a rimettersi in
piedi, dopo che era caduto da cavallo. Un gesto che a lei nessuno aveva mai
offerto.
“Maledettooo!!!” –Gridò,
balzando su di loro, avvolta nel suo cosmo color verde acqua. Ma ad Ascanio
bastò sollevare lo sguardo verso di lei, per spingerla indietro e scaraventarla
all’esterno, osservandola ruzzolare sul prato per parecchi metri. Con un certo
grado di soddisfazione.
“Tuo fratello è troppo buono con
te!” –Esclamò infine, incamminandosi fuori dal Tempio della Medicina, per non
macchiare ulteriormente le sacre stanze di un Dio che aveva sempre fatto il
possibile per curare i suoi feriti. –“Per la colpa di cui ti sei macchiata,
violentando i tuoi legami familiari, io ti condannerei seduta stante! Ma se c’è
una cosa che ho capito di Phantom, in questi mesi trascorsi assieme, è che non
lascerebbe mai un amico affogare da solo! Figuriamoci un nemico!” –Ironizzò,
voltandosi ed osservando il Luogotenente dell’Olimpo uscire a sua volta dalle
stanze di Asclepio, camminando con difficoltà.
“Teria, ascoltami! Sei ancora in
tempo! Liberati dall’ombra che porti nel cuore! Liberati da quest’odio che ti
ha consumato! Puoi ancora essere felice!” –Disse Phantom, con voce gentile.
–“Possiamo ancora essere felici!”
“Possiamo?!” –Ringhiò Lamia.
“Sì! Tu, io e i nostri
genitori!” –Rispose Phantom. –“Non crederai che ti abbiano dimenticato?
Tutt’altro! Non è passato giorno, in questi anni, in cui non si siano chiesti
cosa avessero sbagliato con te, e come potessero rimediare, in nome di un amore
che non hai mai permesso loro di dimostrare!”
“Un amore che non esiste,
Nikolaos! Lo sappiamo entrambi! Non mi hanno mai voluto! Non volevano neppure
che nascessi!!!!” –Gridò Lamia.
“È vero! Non eri prevista!”
–Ammise Phantom, sospirando. –“Ma questo non significa che non ti abbiano
accettata, né che abbiano rimpianto, anche solo una volta, quella scelta! E tu
lo sai! Sono certo che lo sai! Perché l’hai letto nei miei ricordi!”
“Che cosa?!” –Strillò Lamia.
“Sì! Quei ricordi che mi hai
strappato dal cuore contengono tracce dell’affetto che i nostri genitori ed io
abbiamo provato per te, del dolore che ci ha invaso quando te ne sei andata e
della speranza di poterti rivedere un giorno! Che tu voglia leggerli o no!”
“Menzogne!!! Tardive e
inopportune! Speri di coprire così il male che mi hai fatto confinandomi
nell’ombra della solitudine?” –Ringhiò Lamia, bruciando il cosmo e generando
migliaia di falene energetiche che diresse contro Phantom. –“Credevo che al
servizio di Zeus vi fossero uomini onesti, non vili bugiardi incapaci di
ammettere le proprie manchevolezze!!! Sinfonia delle Favole!!!
Risuona!!!”
“Se non vi è altro modo…”
–Sospirò Phantom, espandendo il cosmo a sua volta e avvolgendosi in una cascata
di energia acquatica, che vorticò attorno a sé impedendo alle falene di
raggiungerlo e travolgendole ogni volta in cui si immergevano in essa. –“Gorgo
dell’Eridano!!!” –Gridò infine, radunando le fresche acque del fiume di
stelle in un mulinello di energia e scagliandolo contro Lamia, che venne travolta
e spinta indietro.
Per quanto l’attacco non fosse
nel pieno della potenza, Phantom, stanco e indebolito, dovette appoggiare un
piede a terra, ansimando a fatica, mentre Ascanio si avvicinava per porgergli
aiuto. Ma il Luogotenente lo fermò, sollevando lo sguardo verso di lui.
“Questa battaglia non ti
appartiene!” –Gli sorrise, sforzandosi di rimettersi in piedi. –“Aspettavo da
tempo di poterla risolvere! Anche se, temo, avrò bisogno di te… prima della
fine!”
Lamia si rialzò in quel momento,
bruciando il cosmo come mai aveva fatto prima, invadendo con le sue falene
energetiche l’intero giardino dietro al Tempio della Medicina. Immediatamente,
sopra di lei apparve un’immensa falena nera, le cui ali parevano aprirsi
sull’Olimpo, in modo da cingerlo in un inquietante abbraccio. Lamia sorrise,
lasciando che il suo cosmo entrasse in sincronia con la prima corazza dei
Capitani dell’Ombra che Athanor aveva forgiato, che subito si scompose in vari
pezzi, aderendo al corpo della donna e donandole nuove energie.
“Sei proprio decisa a tutto, a
quanto pare!” –Commentò Phantom, con malinconia.
“L’hai detto!” –Rispose lei.
–“Sarebbe sciocco fermarsi adesso, ad un passo dalla conquista dell’Olimpo!”
“Credi di essere grande, di
sentirti un Dio, di sentirti finalmente superiore a me, come hai sempre voluto!
Ma sei ben lontana dalla verità!” –Sospirò Phantom. –“Flegias ha soltanto usato
i tuoi sentimenti di rivalsa, volgendoli contro di me, come ha sempre distrutto
ogni cosa bella che ha incontrato nel cammino, piegandola ai suoi fini! Ha
ottenebrato la luce del tuo cuore, quel che restava dell’affetto che hai sempre
desiderato provare per la tua famiglia!”
“Vuote parole le tue, fratello!
Quell’affetto non è mai esistito!” –Ridacchiò Lamia, ma Phantom non mutò il
tono delle sue argomentazioni.
“Adesso sei tu a mentire a te
stessa!” –Sentenziò, fissandola con determinazione. –“Hai dimenticato la gita
al fiume?”
“La gita al fiume?!” –Borbottò
Lamia, esitando un momento. Ci rifletté su e bastarono quelle poche parole per riportarle
alla mente un ricordo che aveva obliato, sotterrandolo sotto strati di rancore.
Una domenica di settembre Elena aveva avuto la splendida idea di organizzare
una gita con il marito e i figli lungo il fiume, preparando deliziosi
manicaretti, aiutata proprio da Teria, desiderosa di partecipare all’armonia
familiare e ottenere uno spicchio dell’affetto che i suoi destinavano
solitamente a Nikolaos.
Durante la giornata, per un
banale incidente, la bambina era scivolata nel fiume, dove la corrente era più
forte, e Nikolaos si era subito tuffato per inseguirla. A fatica l’aveva
salvata, trascinandola via dalla furia del fiume, e con l’aiuto di Deucalione i
due erano stati tratti a riva. Che sollievo aveva provato Elena in quel
momento! Li aveva abbracciati entrambi, i figli che amava, soprattutto Teria,
piangendo dalla paura che aveva provato al pensiero di perderla. Le sue lacrime
avevano inondato il volto della bambina che si era sentita per la prima volta
felice. Per la prima volta parte di qualcosa di più grande dell’odio che covava
dentro.
“Quel qualcosa era l’amore per
la tua famiglia, che tanto hai provato, credendo di non disporne mai, quando
invece ne eri immersa! Avresti soltanto dovuto goderne!”
Ma Lamia non prestò ascolto alle
parole del fratello, infervorandosi ancora di più. Balzò in alto, spalancando
le ali della corazza e piombò con il tacco teso su Phantom, avvolta nel suo
cosmo verde. Lo colpì in pieno volto, sbattendolo a terra e iniziando una
violenta colluttazione, di fronte agli occhi incerti di Ascanio, che faceva
fatica a trattenersi dall’intervenire, nonostante l’amico fosse stato
perentorio al riguardo.
“Gorgo…” –Esclamò
Phantom, radunando il cosmo, ma nel muovere il braccio una fitta gli mozzò il
movimento a metà, mentre sangue ricominciava a schizzar fuori dalla ferita che
Lamia gli aveva provocato sul letto. A tal vista, la ragazza vi si avventò,
immobilizzando il fratello e avvolgendolo con le falene di luce, mentre la
sinfonia di favole nuovamente le permetteva di scavare nel suo passato. In
tutti quei ricordi di cui Teria era sempre stata invidiosa e che adesso avrebbe
potuto cancellare.
“La tua vita, Nikolaos, sta per
svanire… con tutta la serenità di cui hai goduto…” –Mormorò la ragazza,
determinata a privare il fratello di tutti i suoi sogni e ricordi.
“Phantom!!!” –Gridò Ascanio,
avvicinandosi. Ma il Luogotenente, disteso a terra, si voltò un’ultima volta
verso di lui, e ad Ascanio parve quasi di vederlo sorridere. Fece per muoversi,
per fare qualsiasi cosa, credendo che il compagno fosse impazzito, quando vide
Lamia sollevarsi di scatto, strillando dal dolore, e portarsi le mani alla
testa, scuotendola confusamente.
“Non… non è possibileee!!!”
–Gridò la donna, agitandosi, mentre le immagini che aveva rubato dall’animo di
Phantom ancora turbinavano dentro di lei, senza darle pace. Immagini che erano
ben lontane dall’essere ciò che lei aveva creduto di trovare.
Vide il dolore che sua madre
aveva provato nel partorirla e la determinazione che aveva mostrato nel voler
andare avanti, nel voler mettere alla luce suo figlio, anche se le fosse
costata la vita. Vide Phantom ridere di gioia, quando per la prima volta aveva
preso in braccio il corpicino di Teria, scherzando sui giochi con cui si
sarebbero divertiti insieme. Poi lo vide lottare contro la corrente del fiume,
per salvare la sorella che l’aveva sempre odiato. E infine lo vide partire per
l’addestramento, tornare con l’Armatura Celeste e apprendere, con sommo
sgomento, della fuga di Teria.
“Non ci siamo mai conosciuti
realmente!” –Aveva detto quella notte a Deucalione, sotto il portico della casa
di famiglia. –“Quanto rimpiango la sua scomparsa!”
E adesso tutto quell’amore, con
la triste consapevolezza di non essere mai riusciti a dimostrarlo, era dentro
Teria. Era dentro Lamia.
“Aaargh!!!” –Gridò il Capitano
dell’Ombra, che non riusciva a credere a ciò che aveva visto, a ciò che adesso
sentiva nel suo animo, in quel serbatoio dove radunava i ricordi di tutte le
vittime. Ma l’odio, il rancore, l’ombra che Flegias aveva sfruttato per farne
sua schiava, erano così radicati in lei, da vincere persino sulla verità. Da
offuscare persino l’affetto che aveva sempre desiderato. –“Io… è troppo tardi
ormai… è tardi per tutto… soprattutto per amare! Muori, Nikolaos!!!” –Ringhiò
Lamia, in lacrime, calando una mano carica di cosmo sul viso del fratello.
“E sia… Sorgenti dell’Eridano,
liberate il fiume di stelle!!!” –Mormorò questi, mentre molteplici getti di
energia acquatica sorgevano dal suo corpo, sollevando Lamia e scagliandola in
alto, trapassando da parte a parte e schiantandola poco distante, tra i
frammenti dell’Armatura Nera.
Quando il Capitano dell’Ombra si
rimise in piedi, ansimando a fatica, con l’elmo spaccato e il sangue che le
colava sul viso, trovò Phantom già in piedi di fronte a lei, con lo sguardo
inespressivo, che nascondeva un’infinita tristezza. Poiché, comunque sarebbe
terminato lo scontro, sapeva di aver perso, di non essere riuscito a ritrovare
colei che a lungo aveva cercato.
“È andata così…” –Commentò
Lamia, con un nodo in gola, prima di espandere al massimo il suo cosmo e
circondarsi da sciami di falene energetiche.
“Non hai altro da dirmi?”
–Rispose Phantom, laconico, preparando le sue difese.
“No!” –Disse soltanto Lamia,
mentendo. Calò lo sguardo e liberò l’ultimo assalto delle falene di energia,
mentre il suo cuore veniva spezzato dai ricordi di Phantom, dai ricordi che il
Luogotenente aveva deliberatamente lasciato che lei vedesse, che lei vivesse
attraverso i suoi occhi.
Avrebbe voluto dirgli molte
cose, probabilmente che aveva capito, e che avevano sbagliato tutto. Ma la
disperazione della scoperta, mescolata all’ombra germogliata dentro di lei
negli anni in cui aveva servito Flegias, le tolse il fiato, lasciandola in
lacrime ad osservare le falene ricoprire il corpo del Luogotenente dell’Olimpo.
Il corpo di suo fratello Nikolaos.
Improvvisamente un’esplosione di
energia avvampò dietro di lui e Lamia vide due draghi di luce, uno rosso e
l’altro bianco, passare accanto al fratello e spazzar via le falene, puntando
infine su di lei. Per primo la raggiunse il drago rosso, che frantumò la
corazza nera, schiantando il suo fragile corpo in più punti, lasciando
schizzare fiotti di sangue ovunque. Poi il drago bianco spazzò via quel che
restava dei suoi pensieri, della sua disperazione, lasciando che finalmente la
sua anima trovasse pace.
“Ci sarà… un’altra vita… per
noi…” –Mormorò Lamia, con quel che restava del suo cosmo, prima di crollare a
terra e spegnersi.
Phantom la osservò un’ultima
volta, abbandonandosi ad un sospiro e gettando via la speranza che aveva
provato all’inizio di quello scontro. La speranza che forse avrebbe potuto
salvarla. Si voltò verso Ascanio, ancora con le braccia tese, avvolte nel suo
cosmo incandescente, e gli sorrise.
“Grazie! Io non avrei mai potuto
farlo…” –Commentò. –“Non avrei mai saputo cosa dire ai nostri genitori!”
Orochi, il Comandante dei
Capitani dell’Ombra, osservò con stupore
il suo colpo segreto schiantarsi contro una piccola barriera di energia cosmica
che Pegasus aveva messo su per proteggersi. Un quadrilatero di un metro
e mezzo scarso, creato dal Cavaliere aprendo leggermente le braccia. Ma
qualcosa, nel sorriso sarcastico del ragazzo, gli fece pensare che quella
trovata non era affatto improvvisata, ma il risultato di una progettazione e di
una maturazione individuale.
“Quadrato di Pegasus?!” –Sgranò
gli occhi Orochi, ancora con il braccio destro teso e l’energia rovente nel
pugno. –“Che diavoleria è mai questa? Un surrogato della mia barriera
difensiva?!”
“Tutt’altro, bestione!
Tutt’altro!” –Sorrise Pegasus, continuando a mantenere il suo quadrilatero
difensivo. –“È soltanto un sogno che si realizza!” –Aggiunse, iniziando a
spingere, in maniera sempre più consistente, per allontanare da sé la minaccia
del pugno energetico di Orochi.
“Misera esistenza la tua, ragazzo,
se non hai aspettato altro che aprir le braccia per difenderti!” –Commentò
Orochi sprezzante.
“In realtà è molto di più! Ma
non pretendo che un bestione come te abbia il cervello per capire!” –Rispose
Pegasus, spingendo con tutta la forza che aveva in corpo e rinviando indietro
il pugno energetico di Orochi, che investì in parte il Capitano dell’Ombra,
facendolo accasciare per la prima volta sulle ginocchia.
Quel momento di soddisfazione
non durò che pochi secondi, ma Pegasus ne approfittò per un respiro profondo e
per concentrare ulteriori energie, sicuro che la vittoria avrebbe dovuto
davvero sudarsela. Orochi si rimise in piedi all’istante, con un fianco della
scura corazza distrutto e numerose crepe sulle braccia.
“Non gioire! Il fatto che tu mi
abbia colpito una volta non significa che tu mi abbia sconfitto!” –Commentò
Orochi. –“Del resto… quante volte ti ho colpito io e ancora sei in piedi ad
opporti a me!”
“Ho validi motivi per restare in
piedi!” –Rispose Pegasus. –“Difendere il Santuario della mia Dea, per esempio,
e gli amici che con me sono cresciuti e hanno condiviso la vita! Motivazioni
del genere trascendono tutto il resto!”
“Ma che comunque non ti daranno
la vittoria!” –Sentenziò Orochi, espandendo il proprio cosmo color ruggine, mentre
la sagoma di un immenso drago a otto teste, avvolto in un oceano di fiamme,
compariva dietro di lui. –“Voglio mettere alla prova la difesa di cui hai
appena fatto sfoggio! Prima mi hai colto di sorpresa, lo ammetto, ma adesso che
so di cosa sei capace, non mi tratterrò più!”
“È stata una sorpresa anche per
me, devo dire!” –Esclamò Pegasus, senza nascondere una risata sottile. –“Solo
una volta l’avevo provato, e devo dire che contro Ares non era andata poi così
bene!”
“Era dunque la prima volta che
usavi tale tecnica difensiva?” –Chiese Orochi, stupito dalle parole del
ragazzo, poiché comunque aveva dimostrato sapienza nell’utilizzo.
“Tecnicamente sì, nonostante
l’abbia studiata a lungo, ispirandomi ad un quadrilatero di stelle che
risplendono nella costellazione che mi difende! Il Quadrato di Pegasus,
appunto!” –Rispose il Cavaliere. –“A differenza dei miei compagni, io non ho
mai posseduto una tecnica difensiva! Sirio ha lo scudo, Cristal può usare il
ghiaccio per generare solide mura e Andromeda ha una catena impenetrabile! Ma
io non ho mai sviluppato alcuna tecnica del genere, forse perché ho sempre
creduto, e tuttora lo credo, che in battaglia si vinca andando avanti e non
restando ad attendere passivamente gli eventi!”
“Un’ottima riflessione!” –Concordò
Orochi. –“Anche se così facendo offri un fianco al nemico!”
“E così è sempre stato! Non vi è
mai stata battaglia in cui non sia stato ferito, in cui non abbia incassato
almeno un colpo! Ma non lo rimpiango, se ti preme saperlo, né mi biasimo per questo,
poiché ogni colpo ricevuto è stato un insegnamento appreso! È stata una
medaglia che un maschio combattente porterà sempre con sé!” –Esclamò Pegasus
con decisione.
“E cosa ti ha fatto cambiare
idea adesso? Cosa ti ha spinto a sviluppare anche una difesa?”
“Tu!” –Rispose Pegasus,
bruciando il cosmo e lasciando che il bianco cavallo alato risplendesse dietro
di lui.
“Io?!” –Esclamò Orochi stupito.
Ma non ebbe tempo di chiedere altro che già Pegasus galoppava verso di lui,
avvolto nel suo cosmo scintillante.
“Fulmine di Pegasus!!!”
–Gridò il ragazzo, a cui il Capitano dell’Ombra oppose il suo Pugno del
Drago.
Lo scontro tra le due roventi
energie fu tremendo e aprì una faglia nel terreno, scaraventando entrambi i
combattenti indietro di decine di metri. Quando la polvere si diradò, Orochi,
nell’atto di rimettersi in piedi, poté notare lo sfacelo prodotto. Ma non trovò
tracce di Pegasus, nemmeno del suo cosmo. Stupito, fece per guardarsi attorno,
e soltanto allora poté percepirlo di nuovo. E inorridì. Perché era dietro di
lui.
“Così grande e grosso e nessun
occhio che ti copra la schiena?! Che te ne fai di otto teste se non sai usarne
nemmeno una?!” –Ironizzò Pegasus, afferrando con entrambe le braccia il gigante
attorno all’addome, bruciando il cosmo e balzando in aria, avvolto in una
turbinante energia simile ad una cometa. –“Spirale di Pegasus!!!”
“Spirale?! Quanti trucchi
conosci, ragazzo?!” –Balbettò Orochi, nuovamente stupito dalla decisione di
Pegasus. –“Bah! Quali che siano, non mi toccano affatto!” –E nel dir questo
fece esplodere il suo cosmo, liberando violente vampe di fuoco proprio mentre,
superato il punto più alto dell’arco, i due contendenti avevano iniziato a
precipitare al suolo.
Pegasus, a stretto contatto con
tale incandescente calore, lanciò un’esclamazione di sorpresa, allentando
brevemente la presa sul Capitano dell’Ombra, che fu abile a dimenarsi e a
colpirlo al ventre, scaraventandolo a terra a velocità impressionante, quasi
fosse una bomba umana. Pegasus, anche a causa della spinta che lui stesso si
era dato, si schiantò contro i resti di un edificio crollato, lanciando in aria
polvere e detriti, mentre Orochi, con un’agile piroetta, ricadeva compostamente
a terra poco distante, osservando lo sfacelo prodotto dal Cavaliere. E, in cuor
suo, temendo che avrebbe potuto essere assieme a lui.
“Non sei ancora immune all’Alito
del Drago!” –Ironizzò Orochi, mentre Pegasus a fatica si liberava delle macerie
e ricompariva davanti a lui. –“Una fiammata da distanza ravvicinata potrebbe uccidere
un uomo, precipitandolo nel martirio dei suoi rimpianti! Ma tu, che sembri non
conoscere la paura del passato, te la sei cavata con qualche scottatura!”
–Aggiunse, osservando il volto randagio di Pegasus e alcune parti annerite
della corazza.
“Del passato non ho affatto
paura, Orochi! Già una volta mi hanno giudicato, al Tribunale della Prima
Prigione dell’Inferno, e conosco i miei peccati! Ma tutto ciò che ho fatto l’ho
fatto in nome di Atena, in nome di una fede giusta, e non cambierei una virgola!”
–Precisò Pegasus, posizionandosi di nuovo di fronte a lui. –“Tu puoi dire
altrettanto?!”
Orochi non rispose, scuotendo la
testa ed espandendo quindi il proprio cosmo color ruggine. Concentrò l’energia
sulbraccio destro, pronto per portarlo
avanti, ma fu fermato da un rapido movimento dietro di lui. Un piano energetico
schizzò di fronte al suo volto, impedendogli di avanzare, mentre quel che
restava della sua corazza lungo l’avambraccio fu ricoperta da un consistente
strato di ghiaccio.
“Excalibur!” –Gridò una
voce. Subito seguita da un’altra. –“Polvere di Diamanti!”
Sirio e Cristal comparvero
all’istante, appena rialzatisi dallo stordimento, e Pegasus fu felice di
vederli.
“Stai bene, amico?!” –Domandò
Cristal.
“Lascia che combattiamo
insieme!” –Esclamò premurosamente Sirio.
“Grazie amici, sto bene! Ma
dovete andare! I Cavalieri d’Oro hanno bisogno d’aiuto, e il silenzio di
Phoenix e Andromeda mi preoccupa!” –Dichiarò Pegasus, avanzando verso Orochi.
–“Terminerò quanto ho iniziato!”
“Ma Pegasus… Sei sicuro?!”
–Domandò Sirio, che aveva avuto modo di verificare lo strapotere del Comandante
dei Capitani dell’Ombra.
Fu Cristal a mettersi in mezzo,
poggiando una mano sulla spalla di Dragone, che non poté far altro che annuire,
salutando Pegasus e sfrecciando via, verso l’area orientale del Grande Tempio.
“Solo per curiosità… dove
credete di andare?” –Disse semplicemente Orochi. L’impenetrabile sguardo
nascosto dall’elmo a forma di testa di drago.
Vampate improvvise sorsero dal
terreno, fermando la fuga dei due amici, che si ritrovarono all’istante
prigionieri di una gabbia di muri concentrici che salivano sempre di più,
togliendo loro il respiro tanto intenso e pestilenziale era l’odore che quelle
fiamme emanavano.
“Amici!!!” –Gridò Pegasus. E scattò
avanti, con il pugno destro carico di energia. Ma l’agitazione e la fretta lo
resero impreciso e Orochi non dovette far altro che scansarsi di lato,
osservando Pegasus passargli accanto, quasi in un’azione al rallentatore.
Sogghignando, il Capitano dell’Ombra sferrò un sinistro micidiale allo sterno
di Pegasus, dove altre volte lo aveva già colpito, scaraventandolo indietro e
facendolo schiantare nuovamente a terra, con un buco consistente sull’Armatura
Divina.
In quella, Cristal balzò in
alto, spalancando le ali della corazza, e diresse contro le fiamme la Polvere
di Diamanti, per congelarle, ma Orochi ordinò alle vampe di sollevarsi
ancora, aumentando d’intensità e sciogliendo il ghiaccio. Sirio, stupito,
raccolse il cosmo tra le mani, per generare un’ondata di energia acquatica, ma
fu vinto sul tempo e raggiunto da un destro potentissimo di Orochi, a cui
riuscì a opporsi soltanto in parte, sollevando all’ultimo lo scudo del Dragone
e limitando i danni. Ma venne comunque scaraventato indietro, schiantandosi
contro i resti di un edificio.
Cristal, preoccupato per
l’amico, unì le braccia sopra la testa e scagliò il massimo colpo delle energie
fredde, al quale Orochi oppose il suo miglior sorriso sarcastico.
Riparato dietro la sua barriera
protettiva, il Capitano dell’Ombra la osservò ricoprirsi di ghiaccio, segno
evidente che il Cigno, nonostante l’Alito del Drago, riusciva comunque a
sprigionare una fredda energia. Quindi, volgendo lo sguardo al di là di essa,
vide Cristal crollare sulle ginocchia, stanco e sudato, più di quanto egli
stesso si aspettasse. Sorrise, schiantando con un pugno la barriera ricoperta
di ghiaccio e spingendo indietro il Cavaliere, prima di balzare su di lui e
afferrarlo per il collo.
“Di tutti gli avversari che ho
affrontato quest’oggi, sei l’unico che vincerei soltanto restando immobile!
Poiché per sconfiggerti non c’è bisogno di fare nulla, soltanto di lasciarti
fare! Ti uccideresti da solo, vittima dei rimpianti di cui non riesci a
liberarti!” –Esclamò Orochi, sollevando il Cigno e stringendolo per il collare
dell’Armatura Divina. –“Quanto tempo è passato? Un anno? Due? E ancora non ti
dai pace per la morte del tuo Maestro! Morte che tu stesso hai causato! Morte
che, ti ripeti ogni giorno, avresti potuto evitare!”
“Come… sai?!” –Balbettò Cristal,
cercando di reagire, e afferrò il braccio con cui Orochi lo stava stritolando.
Ma il Capitano dell’Ombra sollevò nuove fiamme, che avvolsero il Cavaliere di
Atena, facendolo urlare dal dolore, poiché era un fuoco che non agiva solo sul
corpo, ma sulla sua stessa anima. Mostrandogli di nuovo ciò che tanto aveva
cercato di cancellare.
“Fuggire non risolve i
problemi!” –Commentò Orochi. –“Puoi provare a dimenticarli ogni volta che vuoi!
Ma ciò non cambierà il fatto che tu hai ucciso il tuo Maestro e il Maestro di
lui, e l’amico che ti salvò la vita dalle correnti artiche! E, ultimo ma così
ardente tra i tuoi rimpianti, così ancora caldo, ti tormenti per aver tolto la
felicità a colei che più di tutti ami davvero! Ah ah ah!”
A quelle parole, mentre i
ricordi di Flare e Artax si accavallavano nella sua mente, Cristal fece
esplodere il suo cosmo, freddo come mai era stato prima, portandolo allo Zero
Assoluto, di cui ormai era maestro. Congelò le fiamme del suo martirio e
paralizzò il braccio di Orochi, che neppure se ne rese conto, prima di
allontanarlo con un calcio dal basso. Il Comandante dell’Ombra venne spinto
indietro ma rimase comunque in piedi, grazie alla sua stazza, e riuscì ad
afferrare il pugno di Cristal mentre questi lo caricava con rabbia.
Lo capovolse, come aveva fatto
con Pegasus poco prima, stritolandolo con la sua guizzante energia cosmica,
prima di scaraventarlo contro i resti di un edificio. Ma Cristal si rimise
subito in piedi, memore dell’ultimo insegnamento ricevuto, neppure un giorno
prima, da un uomo che aveva incontrato solo una volta prima di allora, ma che
sembrava conoscerlo meglio di chiunque altro.
“Trova nel ricordo di quegli
uomini valorosi la forza per andare avanti!” –Gli aveva detto Alexer,
riferendosi a sua madre, al Maestro di Ghiacci, Acquarius e Abadir. –“Per
vivere anche per loro!” –Ed era ciò che Cristal aveva intenzione di fare.
Sollevò le braccia al cielo, unendole a pugno, mentre un’anfora di energia
compariva dietro di lui, prima di abbassarle e liberare il colpo sacro
dell’Acquario.
“Scorrete, Divine Acque!”
–Esclamò. Ma Orochi lo aspettava al varco, riparato dalla sua barriera
difensiva.
Il Capitano dell’Ombra non
temeva niente e nessuno, proprio come Flegias gli aveva insegnato. Soprattutto
l’indebolito attacco di un cuore disperato, ancora restio ad accettare gli
eventi di cui lui stesso è stato protagonista.
“Incredibile!” –Esclamò Cristal
stupefatto. –“Neppure lo Zero Assoluto basta per abbattere la sua difesa!
Somiglia… allo Scudo di Ares!!!”
“Il tuo gelo non attacca con me,
Cigno!” –Disse Orochi infine. –“Questa barriera, che il Maestro di Ombre mi ha
insegnato a sollevare, racchiude tutto il mio cosmo, tutta l’energia da me
prodotta e da me raccolta dai rimpianti degli uomini! Lascia che l’Alito del
Drago lenisca le tue ferite!” –E nel dir questo lasciò esplodere il suo cosmo,
mentre violente vampe di fuoco liquefacevano il gelo del Cigno, liberando la
barriera protettiva e correndo poi verso Cristal, investendolo in pieno e
prostrandolo a terra. –“Muori, adesso! Pugno del Drago!!!” –Gridò
Orochi, scattando avanti, con il pugno sinistro carico di violenta energia
cosmica.
Ma l’assalto non raggiunse il
Cavaliere del Cigno, riparato dietro una sottile barriera quadrangolare che un
amico aveva prontamente creato, portandosi di fronte a lui.
“Quadrato di Pegasus!!!”
–Urlò il Cavaliere, sorprendendo lo stesso Orochi per la velocità con cui il
ragazzo era schizzato in difesa del compagno.
“Credi che basterà?!” –Tuonò il
Comandante oscuro.
“La faremo bastare!” –Ironizzò
Pegasus, spingendo con tutta la forza che aveva in corpo, riuscendo a spostare
indietro il gigantesco Capitano dell’Ombra, dapprima lentamente, poi in maniera
sempre più decisa, di fronte agli occhi sgranati di Cristal. –“Iaiii!!!” –Gridò
il ragazzo, rimandando l’intero attacco, potenziato dal suo cosmo,contro Orochi, che fu sollevato da terra e
scaraventato contro i ruderi di alcuni edifici.
Cristal ringraziò l’amico per
averlo salvato e poi crollò a terra, indebolito dal fuoco, mentre Pegasus lo
pregava di non preoccuparsi, poiché avrebbe difeso sia lui che Sirio.
L’esplosione del cosmo di Orochi
richiamò l’attenzione di Pegasus, che vide una bomba di energia color ruggine
spazzar via i resti degli edifici abbattuti in precedenza dal drago a otto
teste, e la possente sagoma del Capitano dell’Ombra rimettersi in piedi. Aveva
numerose crepe sulla corazza, un coprispalla distrutto ed era ormai privo
dell’elmo, cosicché Pegasus poté guardarlo per la prima volta negli occhi.
Aveva lunghi capelli castani che
gli cadevano sulla schiena, a prima vista sporchi e poco curati, probabilmente
tenuti fermi dall’elmo, un viso adulto su cui spiccavano un paio di cicatrici e
due occhi color oro che fissavano Pegasus intensamente.
“Dunque è bastato!” –Commentò
semplicemente, uscendo dalla macerie e portandosi di fronte a Pegasus, che
aveva già concentrato sul pugno destro una gran quantità di energia cosmica,
pronto per scattare avanti.
“Fulmine di Pegasus!!!”
–Gridò il ragazzo, caricando il Capitano dell’Ombra con rinnovata baldanza,
come se aver visto il suo volto avesse smascherato l’uomo che tanto timore gli
aveva infuso finora.
“Non così in fretta!” –Esclamò
Orochi, dirigendo una massa indistinta di energia contro Pegasus, investendolo
in pieno e facendolo esplodere verso l’alto, mentre un fiume di cosmo ribolliva
sotto di lui. Lo stesso modo con cui aveva fermato Ascanio.
Pegasus ricadde a terra dopo
poco, con l’Armatura ancora più danneggiata e le ali che ormai non si aprivano
più. Ma si rialzò di scatto, sollevando le difese, convinto che Orochi fosse
sopra di lui, con il pugno pronto a sfondargli il petto. Invece il Capitano
dell’Ombra non c’era e Pegasus dovette fendere l’aria tenebrosa con lo sguardo,
per ritrovare la sagoma del suo avversario vicino alla carcassa ancora fumante
del drago a otto teste.
Orochi sembrava cercare
qualcosa, disinteressato per un momento alla battaglia. E Pegasus non comprese
ciò che stava facendo. Il Capitano dell’Ombra avanzava tra i resti dell’immenso
drago, facendo attenzione a non venire in contatto con l’ancora ribollente
sangue oscuro, seguendo una direzione ben precisa. Una direzione che lo portò
sul dorso della creatura, fino a raggiungere la parte inferiore, ove le otto
code parevano unirsi. Le tagliò tutte, una ad una, distruggendole con fendenti
energetici, mentre Pegasus, stordito dal bizzarro comportamento del Capitano,
si avvicinava guardingo. Soltanto l’ultima non si staccò, e Orochi capì che
essa nascondeva ciò che stava cercando.
“Ame no Murakumu!” –Disse,
affondando le unghia nella coda maggiore e squarciando la pelle del drago,
rivelando l’oggetto dei suoi desideri. Il tesoro che Flegias gli aveva
promesso, come Comandante dell’Esercito dell’Ombra. –“La Spada del Paradiso!”
–Mormorò orgoglioso, sollevando una scintillante lama, lunga un’ottantina di
centimetri, il cui splendore fu tale da rischiarare per un momento l’aria di
tenebra in cui era immerso il Grande Tempio.
“La Spada del Paradiso?!”
–Balbettò Pegasus, coprendosi per un momento gli occhi con un braccio,
disturbato da quell’accecante riflesso.
“Ancora qui, ragazzino? O sei
folle o mediti il suicidio?!” –Ironizzò Orochi, muovendo la lama con tale
rapidità da scatenare un fendente energetico simile ad un piano diagonale, che
falciò l’aria, sfrecciando verso Pegasus, che fu abile a gettarsi a terra, per
non essere colpito.
Quando si rialzò, dovette
ammettere che tanto affilata e precisa era quella lama, che il bracciale destro
della corazza fumava per essere soltanto stato sfiorato.
“Questo è il tesoro di Orochi!
La Spada che il drago custodiva nella coda maggiore! L’hanno chiamata in molti
modi, tra cui Kusanagi, ovvero Spada falciatrice d’erba! Un nome
appropriato per una lama così tagliente! Non credi, Pegasus?” –Sogghignò
Orochi, muovendo ancora la spada ad altissima velocità, in modo da generare una
raffica di fendenti di energia che viaggiarono verso il ragazzo, obbligato a
muoversi continuamente in ogni direzione per non essere raggiunto. –“Cosa ne è
ora della tua parlantina? Ti sei chetato? Bravo, conserva il fiato per
saltare!” –Ironizzò, scagliando un ultimo violento fendente.
È incredibile! Quella Spada è
un prodigio di sapienza guerriera! È sufficiente che Orochi la sposti, senza
neppure troppo sforzo, per generare un piano di luce, sottile ma preciso! Commentò Pegasus, stringendo i denti ogni volta in cui un
fendente lo toccava anche solo di striscio.
“È uno dei tre tesori di Yamato,
cui il Maestro di Ombre mi fece dono al termine del mio addestramento!” –Spiegò
Orochi, avvicinandosi minaccioso. –“Ma, come ben sai, Flegias detesta gli
sprechi e ritiene che ogni cosa vada usata al momento giusto! Ogni carta va
sfoderata alla mano vincente! Ed io credo che questo sia il momento per
Kusanagi! Credo sia il momento per falciare con essa lo stelo della tua vita!”
–E nel dir questo scattò avanti, colpendo Pegasus in pieno petto con una
spallata, così potente da scagliare il ragazzo indietro, facendogli sputare
bava e sangue.
Subito fu su di lui, calando la
lama sul Cavaliere, che fu svelto a rotolare di lato, mentre Kusanagi si
piantava accanto a lui, falciandogli qualche capello. Pegasus cercò di colpire
Orochi ad una gamba, con un calcio laterale, ma non ottenne altro risultato che
lo stridere incandescente delle loro corazze. Ben piantato nel terreno, il
Capitano dell’Ombra era un vero macigno e Pegasus si chiese se avesse
abbastanza forze per farlo rotolare via.
“Assaggia il potere della Spada
del Paradiso, Pegasus! Essa ti condurrà verso l’eternità!” –Esclamò Orochi,
calando di nuovo la lama su di lui. Ma Pegasus riuscì a colpire con un calcio
il braccio del Capitano, facendogli perdere la presa su Kusanagi, che schizzò a
terra, a parecchi metri di distanza, proprio mentre il Cavaliere, con un colpo
di reni, effettuava un’agile capriola all’indietro, rimettendosi in piedi, di
fronte ad Orochi.
“Perché continuo a stupirmi?!”
–Commentò il Comandante oscuro, mentre Pegasus caricava da distanza
ravvicinata, con il pugno destro carico di energia lucente.
Ma Orochi fermò il suo assalto,
con il palmo della mano sinistra, su cui l’energia di Pegasus si schiantò,
ferma su una barriera difensiva dal diametro ridotto ma sufficiente per
respingerla e scaraventare indietro il Cavaliere di Atena.
Correndo verso la Spada del
Paradiso, Orochi la recuperò e quel breve gesto gli ricordò la prima volta in
cui il Maestro di Ombre gliel’aveva mostrata. Era dipinta in un’illustrazione
di un autore sconosciuto che accompagnava un’edizione di Kojiki, il più antico
testo giapponese, risalente all’ottavo secolo d.C. Uno dei pochi libri che
Flegias era riuscito a sgraffignare dalla Biblioteca di Alessandria prima che
le fiamme la divorassero per sempre. Preso a caso da uno scaffale vicino
all’entrata, Koijki si era invece rivelato ricco di informazioni utili e
Flegias aveva addirittura pensato che la Spada del Paradiso potesse essere uno
dei Talismani.
Così aveva fatto visita a
Biliku, negli antri oscuri del santuario nelle Isole Andamane, per avere una
goccia del suo sangue. Il sangue di una Divinità primordiale, di cui
necessitava per risvegliare Yamato no Orochi, grazie al potere della Pietra
Nera. Persino Flegias era rimasto a bocca aperta quando il gigantesco drago era
tornato ad alitare fiamme di morte sulla Terra, più grande di quanto lui stesso
si aspettasse, e lo aveva messo di guardia all’isola che aveva scelto come base
segreta, una delle tante nell’Egeo orientale, ordinandogli di scavare gallerie
e antri in profondità.
Col passare degli anni, Flegias
si era convinto che la lama contenuta nell’ottava coda del drago non poteva
essere uno dei Talismani, sia perché non avvertiva alcuna energia ancestrale
provenire da essa, sia perché, se fosse stato, non avrebbe certo potuto
raggiungerlo così facilmente.
“I Talismani sorgeranno da soli
il giorno in cui l’ombra minaccerà di nuovo la nostra Terra!” –Aveva sentito
ripetere spesso ad Avalon. –“Loro stessi sceglieranno i custodi che dovranno
impugnarli, per portare il messaggio di luce! E non viceversa!”
Anni dopo, mentre definiva i dettagli
per la conquista dell’Olimpo, Flegias vi aveva adescato Orochi, con la promessa
di cederla al più potente tra i suoi guerrieri, colui che avrebbe guidato
l’Esercito delle Ombre alla conquista del mondo. Orochi ne era rimasto
affascinato e da allora aveva incrementato il suo addestramento per migliorarsi
sempre di più.
“E adesso è nelle mie mani! Il
mio percorso è concluso!” –Commentò il Capitano dell’Ombra, volgendosi verso
Pegasus, nel frattempo rimessosi in piedi. –“Non potrai averne ragione, ragazzo!
Questa spada è tutto ciò per cui ho lottato finora! Questa spada è il
potere!!!” –E scagliò una moltitudine di fendenti energetici contro Pegasus,
che dovette muoversi continuamente in ogni direzione per evitarli.
Quindi, stufo di stare sulla
difensiva, Pegasus scattò avanti, dirigendo una fitta pioggia di stelle contro
Orochi, con una velocità e un’intensità sempre maggiori, che il Capitano
dell’Ombra fermò tagliandoli in due con la Spada del Paradiso, muovendola di
fronte a sé, con l’abilità di uno spadaccino. Quelli che non riusciva a
colpire, li parava con il palmo della mano sinistra. Una protezione
invalicabile, che presto stancò Pegasus, obbligandolo a frenare l’attacco.
Orochi sorrise, convinto di
averlo in pugno, ma il Cavaliere di Atena concentrò tutto il cosmo in un’unica
sfera di luce, determinato ad abbattere quella barriera.
“Cometa di Pegasus!!!”
–Gridò, scagliandola contro il Capitano dell’Ombra, che le volse il palmo della
mano sinistra, caricandolo di tutto il suo cosmo e lasciando che vi si
infrangesse, limitandone l’impatto ma venendo comunque spinto indietro di
qualche metro.
A fatica, sollevò lo sguardo
verso Pegasus, già intento a scattare contro di lui con il pugno carico di
energia, e lo falciò con un fendente di Kusanagi, che si abbatté sulla gamba
sinistra del Cavaliere, scheggiando la sua corazza e strappandogli un grido di
dolore. Pegasus si tastò il ginocchio, dove il fendente l’aveva raggiunto, e
Orochi approfittò di quel momento per balzare su di lui. Con la Spada del
Paradiso sollevata sopra la testa, la calò giù di colpo con entrambe le mani,
avvolto nel suo cosmo color ruggine.
Pegasus aprì le braccia in
fretta, creando il quadrilatero protettivo, ma esso andò in frantumi come fosse
di vetro e la lama gli trinciò il pettorale dell’Armatura Divina, in senso
verticale, falciando via qualche capello e ferendolo ad una guancia. Quindi
Orochi cambiò l’impugnatura, puntando la spada direttamente al cuore del
Cavaliere, ma Pegasus, stringendo i denti per lo sforzo, la fermò con le mani a
pochi centimetri.
I guanti protettivi della
corazza andarono in frantumi e sangue iniziò a sgorgare copioso dalle mani del
ragazzo, che dovette esercitare un’immensa pressione con il cosmo sulla lama,
per non farla schizzar via. E lasciarla lì, intrappolata tra le sue mani, con
Orochi che tentava di sfilarla e sollevarla di nuovo. Ma Pegasus lo anticipò,
colpendolo dal basso sull’addome, prima con un calcio, con cui lo allontanò di
mezzo metro, facendogli perdere la presa su Kusanagi, poi con un pugno in cui
concentrò tutta l’energia cosmica accumulata fino a quel momento.
Il Capitano dell’Ombra venne
sbalzato in aria dalla potenza di Pegasus, crollando a terra molti metri
addietro, con l’armatura in frantumi e il basso ventre squarciato, da cui
uscivano fiotti di sangue, imbrattando il suolo sotto di lui. Pegasus piantò
con rabbia Kusanagi a terra, prima di scattare verso Orochi, avvolto nel suo
sfolgorante cosmo di luce. Lo afferrò ad un braccio, mentre stava rimettendosi
in piedi, e con sforzo immane lo capovolse, sbattendolo nuovamente a terra.
Quindi lo afferrò sotto le ascelle, per portarlo in aria con la sua Spirale, ma
il Capitano dell’Ombra fece esplodere quel che rimaneva del suo cosmo,
allontanando bruscamente il ragazzo in un vortice di fiamme.
“Quel che mi resta…” –Commentò
Orochi, rimettendosi in piedi, ancora avvolto nel suo cosmo color ruggine. Tirò
un veloce sguardo alla Spada del Paradiso, conficcata nel terreno a una decina
di metri da entrambi, prima di concentrarsi su Pegasus, pronto per l’ultimo
attacco. –“È qua!!! Pugno del Drago!!!” –Gridò, dirigendo un violento
pugno di energia verso il Cavaliere di Atena, il quale aveva radunato tutto il
suo cosmo, concentrandolo in una cometa di luce che diresse contro Orochi.
I due poteri si fronteggiarono
per qualche istante, incendiando l’aria attorno, finché, neanche troppo
sorpreso di ciò, Orochi vide la cometa azzurra spingere indietro il Pugno
del Drago. Un metro dopo l’altro. Inesorabilmente. Inspirò a fondo, mentre
un sorriso si dipingeva infine sul suo volto, prima che la sfera di energia di
Pegasus gli sfondasse il petto, scaraventandolo indietro, schiantandosi contro
una parete di roccia, e poi crollando al suolo disteso.
“È… finita!” –Balbettò Pegasus.
–“Il Comandante dei Capitani dell’Ombra è caduto! Molto… bene!” –Socchiuse gli
occhi, mentre le forze gli venivano meno, e crollò sulle ginocchia, sentendo il
peso di quelle ore di scontro piombargli improvvisamente addosso. Prima che
toccasse terra, due braccia amiche lo afferrarono in tempo, e Pegasus vide il
volto sorridente di Sirio chinarsi su di lui.
Sirio aiutò Pegasus a stare in piedi, indebolito dal
lungo scontro sostenuto, con crepe sull’Armatura Divina, le ali in frantumi e
ferite sparse lungo il corpo. Non era un’immagine nuova quella che appariva
agli occhi di Dragone, abituato a vedere sui compagni i segni della guerra. Ma
era comunque qualcosa che lo faceva stare male.
“Appoggiati a me!” –Gli disse,
passando un braccio dell’amico sopra le sue spalle, mentre anche Cristal
si avvicinava loro.
“Pegasus…” –Commentò il
Cavaliere del Cigno. –“Grazie!”
I tre amici fecero per
incamminarsi verso le Dodici Case dello Zodiaco, quando la flebile voce di Orochi
attirò la loro attenzione.
“Cavaliere di Pegasus!” –Mormorò
il gigantesco guerriero, disteso a terra, con il corpo spezzato dai colpi
ricevuti.
“Orochi?!” –Balbettò Pegasus,
liberandosi dalla presa di Sirio e iniziando ad avanzare verso la carcassa del
suo avversario.
“Muoio contento, Cavaliere di
Pegasus! Contento e soddisfatto!” –Esclamò l’uomo. –“Poiché ho finalmente
ottenuto quel che volevo!”
“Il potere?!” –Esclamò Pegasus,
riferendosi alla Spada del Paradiso.
“No! Quello, in fondo, l’ho
avuto anni addietro, quando il Maestro di Ombre mi mise a capo dell’Esercito
che un giorno avrebbe marciato per oscurare la luce!” –Disse Orochi. –“Ho avuto
uno scontro con un vero guerriero! Uno scontro che mi ha dato soddisfazione sin
dal primo pugno che hai sferrato contro la mia barriera! Uno scontro in cui mi
sono confrontato con qualcuno che non soltanto era forte quanto me, ma aveva
anche la stessa risoluzione nel vincere che avevo io! Sei stato un avversario
alla mia altezza, Cavaliere di Pegasus, per questo avrai la mia benedizione! O
forse sono stato io ad esserlo per te!”
“Orochi… i nostri poteri non erano
poi così diversi! Ma diverso era il fine per cui lottavamo!” –Commentò Pegasus,
con una certa tristezza nella voce.
“Non credere però che la mia
sconfitta ti apra le porte della vittoria! Perché non è così!” –Tuonò infine
Orochi. –“Il potere di Flegias è troppo grande, è troppo oscuro, che non può
essere vinto, da nessuno di voi!”
“Ci proveremo comunque, Orochi!”
–Esclamò Pegasus, raggiunto in quel momento da Cristal e Sirio.
“Stolti!” –Sorrise infine
Orochi. –“Anche se vi riuscireste, perdereste comunque! Contro la grande ombra
non può esservi vittoria! Né per me… né per voi! Eh eh eh!”
Morì così, il più forte tra i
sette Capitani dell’Ombra, l’uomo scelto da Flegias anni addietro, e da lui
segretamente istruito, per divenire un guerriero abile e potente. Morì con il
sorriso sulle labbra per aver ottenuto il combattimento che aveva sempre
perseguito. Contro un avversario che, in fondo, aveva imparato ad ammirare.
Pegasus si rialzò,
abbandonandosi ad un sospiro, e si incamminò verso la Spada del Paradiso. La
estrasse dal terreno, scuotendo via la polvere e il terriccio, e ne ammirò le
rifiniture, sublime esempio di arte scintoista. Quindi ritornò dal cadavere di
Orochi, ricordando il mito del drago a otto teste e del Dio Susanoo.
“Credo che la lama fosse in
fondo l’ultima difesa del drago!” –Commentò. –“Fosse qualcosa che faceva
sentire Orochi sicuro, sempre e comunque, nonostante i nemici che gli si
paravano di fronte! Poiché sapeva che, per male che le cose potessero andare,
aveva sempre un approdo sicuro a cui fare riferimento! Potremmo usarla, in
battaglia, e per certo sarebbe arma utilissima! Ma la meritiamo davvero?
Meritiamo un’arma che non ci appartiene?!” –Sirio e Cristal non risposero,
abbassando lo sguardo con un sospiro, concordi con la riflessione del compagno.
E con la scelta migliore da fare.
Proprio in quel momento un
nugolo di ombre discese su di loro, probabilmente parte delle ondate che i
Cavalieri d’Oro non erano riusciti ad arginare. Ma, per quanto i tre amici
alzassero subito le difese, le ombre parvero ignorarli e dirigersi verso la
carcassa del loro Comandante. Gli entrarono dentro, cibandosi del suo sangue,
di quel che restava del suo cosmo, in un’avida danza che fece inorridire i
Cavalieri di Atena. E diede a Pegasus la spinta finale.
Stringendo la lama con entrambe
le mani, il ragazzo la sollevò al cielo, lasciando che il suo caldo cosmo vi
fluisse dentro, prima di piantarla nel cuore di Orochi, mentre le ombre ancora
vorticavano attorno al suo cadavere. Come se Kusanagi o Orochi stesso avessero
compreso, un arco di luce si aprì dalla lama stessa, spingendo Pegasus
indietro, prima di richiudersi sui resti del Comandante oscuro e sulle ombre,
inghiottendoli entrambi, e infine esplodere.
Quando Pegasus, Sirio e Cristal,
scaraventati indietro di qualche metro, aprirono di nuovo gli occhi, videro che
di Orochi e della Spada del Paradiso non era rimasto niente. Neppure le ceneri.
Pegasus sorrise, stringendo i pugni e augurandosi che il suo avversario avesse
davvero trovato la strada verso la pace interiore.
“Dobbiamo andare!” –Sirio mise
una mano sulla spalla del compagno, incitandolo a procedere oltre, e Pegasus
annuì, seguendo gli amici lungo la strada che un tempo correva a fianco delle
mura perimetrali del Grande Tempio. Adesso cumuli di rovine giacevano in mezzo
a fosse nel terreno e a cadaveri di soldati.
“I Cavalieri d’Oro staranno…”
–Esclamò Cristal, raggiunta la piazza antistante alla scalinata di marmo che
conduceva alla Casa di Ariete. Ma la sua frase venne interrotta da un attacco
improvviso di cumuli di ombre che, dall’alto del cielo nero, piombarono su di
loro. –“Maledette!!!” –Gridò il Cavaliere, ben sapendo che il suo gelo sarebbe
stato inutile contro di loro.
“Correte alla Prima Casa!
Cercherò di trattenerle!” –Affermò Sirio, espandendo il proprio cosmo, dal
lucente color verde acqua.
“Sirio, sei pazzo?! Ti
uccideranno!” –Gridò Pegasus, faticando a stare in piedi.
“Andate!” –Disse il ragazzo,
balzando in alto e dirigendo un deciso attacco di luce contro gli strati di
nere evanescenze. –“Colpo del Drago Volante!!!”
L’assalto disperse un mucchio di
ombre, impedendo loro di raggiungere la scalinata, dove Cristal stava incitando
Pegasus a seguirlo. Ma l’amico non aveva intenzione di abbandonare Dragone,
così caricò il cosmo nel pugno destro, lanciandosi avanti, ma le gambe gli
cedettero poco dopo e ruzzolò lungo i gradini del santuario.
“Sei un gran testone, eh!?”
–Ironizzò Sirio, atterrando a fianco dell’amico, mentre le ombre, nuovamente
radunatesi, piombavano su di loro, come fitta pioggia nera.
“Mi conosci, ormai!” –Sorrise
Pegasus, cercando di rialzarsi.
“Anelli di Ghiaccio!!!”
–Gridò Cristal, che si trovava una ventina di scalini sopra i due amici. E creò
cerchi concentrici di gelo attorno a Sirio e Pegasus, che roteando
continuamente impedirono alle ombre di raggiungerli. –“Non basteranno per
fermarle, ma quantomeno vi proteggeranno!”
“E adesso… spazziamole via!!!”
–Esclamò Sirio, generando un gorgo di energia acquatica, dallo scintillante
color verde acqua, che sollevò verso il cielo, travolgendo tutte le ombre
attorno. –“Acque della Cascata di Cina! Purificate quest’infangato santuario!”
–E mille dragoni illuminarono il piazzale, abbattendosi sulla marea oscura e
disintegrandone una parte.
Cristal fece loro cenno di
proseguire e Sirio e Pegasus seguirono l’amico fino alla Prima Casa di Ariete,
dove trovarono Andromeda disteso su un lettino, con indosso solo una maglietta
e un paio di pantaloni, guardato a vista da Kiki e da Fiore di Luna.
“Andromeda!!!” –Esclamarono i
tre compagni, avvicinandosi di corsa.
“Kiki! Cosa fai qua?” –Incalzò
Sirio. –“Non ti avevo detto di aspettare alla Tredicesima Casa con Fiore di
Luna?!”
“Ci stavo andando, Dragone, ma
…” –Balbettò il ragazzino, quando una voce lo interruppe.
“Gli ho chiesto io di tornare!”
–Esclamò Phoenix, entrando nella stanza. –“Perdonami Dragone! Non volevo
mettere a repentaglio la vita di Fiore di Luna, ma confidavo che Kiki sapesse
curare il male che infetta mio fratello! O potesse condurlo sull’Olimpo dal
Grande Mur!”
“Phoenix!” –Mormorò Sirio,
volgendo poi lo sguardo verso il volto di Andromeda. Pallido come non mai, con
rivoli di sudore che colavano senza dargli tregua e spasimi continui che
scuotevano il suo fragile corpo.
Non disse altro e si avvicinò a
Phoenix, tirandolo a sé e abbracciandolo. Fu un abbraccio strano, si disse il
Cavaliere del Dragone, e un po’ impacciato, a causa delle armature che
indossavano. Ma fu un abbraccio sincero.
“Cos’ha Andromeda, Kiki?!”
–Incalzò Pegasus, inginocchiatosi accanto al letto.
“Non lo so, Pegasus! Non
capisco! Sembra una febbre, ma di proporzioni mai viste!” –Esclamò il bambino.
–“Ho usato alcune medicine di Mur, le stesse con cui aveva cercato di frenare
la rabbia in Asher, ma sembra che non abbiano effetto! Qualunque cosa stia
accadendo dentro Andromeda è qualcosa su cui lui solo ha potere!”
Pegasus sospirò preoccupato,
sollevando lo sguardo prima verso Sirio e Cristal, poi verso Phoenix, e
ammettendo che raramente aveva visto il Cavaliere della Fenice così ansioso
come in quel momento. Ma la cosa è comunque più che comprensibile!
“Cos’è questo graffio?” –Domandò
infine Sirio, indicando uno squarcio sul collo.
“Temo sia ciò che lo fa soffrire
così tanto!” –Intervenne Phoenix. –“Per quanto Andromeda non mi abbia detto
niente, credo che quella ferita non sia stata causata dai Capitani dell’Ombra!
No… credo sia un residuo dello scontro con Biliku!”
A quelle parole Pegasus e gli
altri sussultarono spaventati, ricordando le descrizioni della Donna-Ragno, e
dei suoi poteri ancestrali, che Mur prima, e Kiki e Andromeda poi, avevano dato
loro. Kiki si gettò tra le braccia di Fiore di Luna, scoppiando in lacrime,
sentendosi in parte in colpa per non aver potuto aiutare l’amico, che invece
non aveva esitato a rischiare in prima persona per metterlo in salvo.
Era accaduto tutto così in
fretta che Andromeda non si era neppure accorto dell’arto che Biliku aveva
sollevato, forse per caso, e gli aveva piantato nel collo. Aveva riempito
l’ampolla con il sangue e stava per mettersi alla ricerca di Kiki, quando un
fuoco primordiale gli era entrato dentro. Per un momento si era sentito perso,
fuori dal mondo. La vista gli si era appannata, la gola sembrava prendergli
fuoco. Ed era crollato sulle ginocchia, incapace di sopportare il peso di ciò
che Biliku voleva trasmettergli. In quei pochi minuti, mentre Kiki veniva
sorpreso da Iaculo e Iemisch, Andromeda aveva viaggiato lontano, pur senza
spostarsi fisicamente dalla caverna sotterranea. Aveva viaggiato nel tempo, vedendo
il mondo attraverso gli occhi della Donna-Ragno.
Confuse immagini si
affastellavano nella sua mente, alcune che non era ancora riuscito a
comprendere, in un vortice continuo di ricordi, in uno scontro continuo tra
luce e ombra, che andava ormai avanti da millenni. D’un tratto ad Andromeda
sembrò di sentire su di sé il peso di un’epoca intera, condividendo i ricordi
della più antica forma di vita esistente sul pianeta. La vide ergersi nel sole
d’oriente, quando le sue forme erano più eleganti e ancora non era la sgraziata
bestia che aveva trascorso secoli divorando carogne nei sotterranei delle
Andamane. La vide deliziarsi con le offerte che gli abitanti del luogo,
adorandola come Madre Terra, come Entità Creatrice, le rivolgevano con affetto
prima, e poi con la paura di una sua rappresaglia.
La vide corrodersi dall’ombra
che aveva sempre dimorato nel suo cuore, incapace di estirparla poiché essa
faceva parte di sé. E infine la vide rinchiudersi nel santuario sotterraneo,
ove febbrilmente aveva scavato tunnel che portavano in ogni luogo, anche al di
là del mare, raggiungendo la penisola indocinese. Era stata proprio una di
quelle gallerie a metterla in contatto con un demonio, uno spirito senza corpo
che vagava per il mondo, strisciando silenzioso tra le tenebre. Uno spirito
che, seppur con forma diversa, non poteva che ricordargli il suo creatore. Il
creatore di tutte le cose.
“Andromeda!!!” –Esclamò Phoenix,
vedendolo in preda a nuove convulsioni.
“Andromeda!!!” –Lo chiamarono
altre voci, disturbando le visioni che si alternavano confuse nell’animo del
Cavaliere, senza che egli avesse ancora capito come controllarle. Senza che
egli avesse ancora capito che non erano casuali.
No! Si disse una parte di sé, naufraga solitaria in
quell’oceano di ricordi. Biliku ha voluto dirmi qualcosa! Non c’è niente di
casuale in tutto questo! È come un filo, che si dipana dagli albori della
storia e adesso è giunto a noi! Biliku sapeva che stava morendo, che l’ombra
aveva corroso talmente il suo cuore che nient’altro poteva fare se non
liberarsi da ciò che desiderava non andasse perduto. Le sue memorie.
Un’onda si abbatté su un gruppo
di scogli, cambiando ancora la visione nella mente di Andromeda. Quindi
un’altra, e altre ancora, scrosciando tempestose sulla riva scoscesa di
un’isola deserta. Un’isola che ad Andromeda apparve familiare. Una donna, dal
volto livido di percosse e di dolore, singhiozzava incatenata a due enormi
rocce affioranti dal fondo marino.
“Nemes!!!” –Esclamò Andromeda,
alzandosi di scatto e stupendo tutti gli amici, soprattutto Pegasus, che, in
ginocchio vicino a lui, fece un balzo indietro per la paura. –“Nemes è in
pericolo!”
In quel momento le ombre
attaccarono in massa il Grande Tempio, chiudendosi come una cupola sull’intero
perimetro del santuario della Dea Guerriera, con l’intento di soffocare ogni
forma di luce. E divorare l’energia vitale degli ultimi difensori.
Sul fronte orientale, poco
distante dal cimitero, Virgo e Libra tentavano da ore di opporsi
a quella nera avanzata, ma ogni volta in cui lasciavano esplodere il loro cosmo
dorato, ogni volta in cui il sole sembrava tornare a splendere sul Grande
Tempio, non ottenevano che una vittoria momentanea. Effimera. Mai capaci di
arginare quella marea di tenebra che stava sommergendo la Grecia.
Anche Pavit, il Devoto,
l’ultimo discepolo di Virgo, era intervenuto in aiuto del maestro, stufo di
restare sdraiato nell’infermeria.
“Se proprio devo morire, voglio
farlo per qualcosa in cui credo!” –Aveva esordito il ragazzo, apparendo accanto
al Cavaliere di Virgo, avvolto in una cupola di energia dorata. –“Il credo di
Dhaval non deve andare perduto!”
“Non lo sarà!” –Aveva risposto
Virgo, accennando un sorriso al discepolo. E per un attimo, leggendogli nel
cuore, vi aveva trovato la stessa fede che aveva animato anche lui quando era
un bambino e trascorreva le giornate intento a conversare con il Buddha, alla
ricerca dell’illuminazione. Pavit forse nel Buddha non aveva troppa fede, ma il
credo che lo spingeva a non arrendersi non era certo troppo diverso dal suo.
Entrambi all’affannosa ricerca della verità.
In quella, una nuova avanzata
della marea oscura li obbligò a riportare l’attenzione sul cielo nero, dove i
cento luminosi dragoni di Cina aveva appena annientato un mucchio di ombre. E
stimolato le altre ad una nuova carica.
“Sono troppe! Non riusciremo mai
a fermarle!” –Commentò Libra, atterrando a fianco del Cavaliere di Virgo.
“Forse no!” –Aveva sorriso il
compagno. –“Ma di certo non ci arrenderemo! Come la rupe massiccia non si
scuote per il vento, così pure non vacillano i saggi!”
“Siddharta Gautama!” –Commentò
Pavit, prima di bruciare il proprio cosmo. Virgo fece altrettanto e i due
crearono una cupola di energia, che circondò anche Libra, su cui si
schiantarono le ombre, vorticandovi intorno senza mai riuscire a penetrarla.
“Non possiamo restare sulla
difensiva!” –Esclamò Libra, osservando le ombre avvolgere il Kaan e
cibarsi della sua luminosità. –“Succhieranno la nostra energia!”
Virgo iniziò a concentrare il
proprio cosmo tra le braccia, sforzandosi di mantenere la calma, in quel
frangente così carico d’angoscia. Ma prima ancora che potesse rilasciare
l’energia accumulata, percepì una violenta corrente elettrica sfrigolare sul
terreno e lungo la sfera dorata del Kaan. Una corrente che esplose poco
dopo, sotto forma di incandescenti fulmini d’oro che dilaniarono le ombre,
liberando i tre compagni da quella morsa, anticipando una voce che Virgo ben
conosceva.
“Lightning Fang!”
–Esclamò Ioria del Leone, una decina di metri addietro, con il pugno
piantato nel terreno. Castalia era al suo fianco e reggeva il corpo
stanco di Siderius della Supernova Oscura, il Capitano dell’Ombra un
tempo allievo di Ioria.
“Anche noi vogliamo prestare
aiuto!” –Aggiunse Asher dell’Unicorno, spuntando dietro ai due,
affiancato da Tisifone del Serpentario.
“Anche voi volete morire, vorrai
dire!” –Ironizzò Libra, comunque felice di vederli.
“Unendo i nostri cosmi sarà
possibile contrastare l’avanzata di quest’oscura marea!” –Esclamò Tisifone, che
non vedeva l’ora di rendersi utile e tornare in azione, dopo i giorni trascorsi
in ospedale. Giorni che a lei erano parsi mesi di prigionia.
“Donna di grandi speranze sei,
Sacerdotessa del Serpentario, se ritieni possibile un simile miracolo!”
–Affermò Virgo, girando il volto verso di lei, pur senza aprire gli occhi.
–“Tuttavia anche San Tommaso dovette ricredersi riguardo alla resurrezione del
suo Signore Gesù Cristo! E sarò ben lieto di ricredermi anch’io qualora
riuscissimo a superare indenni questo momento di grave crisi!”
“Proprio per questo dobbiamo
restare uniti!” –Esclamò Ioria, incitando i compagni.
“E dare il massimo per salvare
Atena!” –Intervenne Asher, eccitato dalle parole di Ioria. –“E noi stessi!”
“E allora facciamolo!!! Sia quel
che sia!” –Gridò Ioria, espandendo il proprio cosmo.
Gli altri fecero altrettanto, e
ben presto i sette cosmi entrarono in sincronia tra loro, mescolandosi in un
arcobaleno di colori che rischiarò il cielo sopra il Grande Tempio. Pegasus e i
suoi compagni, Kiki e Fiore di Luna, assediati alla Prima Casa, i soldati
ancora vivi, i feriti, le apprendiste sacerdotesse e tutti i fedeli sparsi per
il santuario di Atena rimasero impressionati da tale fenomeno ottico, che rubò
loro un sospiro di sollievo. Durò un attimo, ma fu intenso.
“Corno d’Argento!!!”
–Gridò Asher, in prima fila, liberando una guizzante scarica elettrica, che
sfrecciò nel cielo, presto raggiunta e superata dai colpi dei compagni. –“Che
le zanne dei Cento Draghi di Cina disperdano l’oscurità!!!” –Lo seguì
Libra. –“Abbandono dell’Oriente!!!” –Tuonarono Virgo e Pavit. –“Artigli
del Leone, irradiate! Che lo spirito di Micene sia con voi!” –Gridò Ioria,
seguito infine da Castalia e Tisifone.
L’assalto dei sette compagni
parve davvero ottenere qualche successo, disintegrando una massa di ombre,
osservandole scomparire come polvere. Ma per quanta energia profondessero, per
quanto ardenti fossero i loro spiriti, la marea oscura pareva non trovare mai
fine. Nuove continue tetre evanescenze venivano generate e i Cavalieri di Atena
dovettero bruciare al massimo i loro cosmi per non essere sopraffatti.
“È… un nulla immenso…” –Commentò
infine Tisifone, barcollando. –“Io… non ce la faccio…”
“Resisti, Tisifone!!!” –La
incitò Castalia, vicino all’amica. –“Quanti motivi hai per andare avanti? Più
di quanti ne hai per cedere!”
“Castalia…” –Mormorò la
Sacerdotessa, cercando di resistere, di mantenersi in piedi, con le braccia
sollevate, intenta a dirigere il suo cosmo violetto verso il cielo.
Improvvisamente Ioria notò una
sagoma trascinarsi sul terreno, fino a portarsi di fronte ai sette compagni.
Per un momento credette si trattasse di un’ombra, ma quando a fatica si sollevò
Ioria riconobbe il suo vecchio allievo.
“Siderius…” –Esclamò il Leone,
osservandolo barcollare, pieno di ferite sul corpo e con grumi di sangue
rappreso sul capo. Quel che restava della sua armatura nera e viola pareva
confondersi con l’oscurità circostante, ma, per la prima volta, Ioria notò che
il ragazzo era avvolto in un cosmo che trasudava luce. Il cosmo che aveva
sentito in lui anni addietro, quando lo aveva portato via dalla vecchia casa in
Tessaglia.
“Maestro…” –Commentò Siderius,
espandendo quel che restava del suo cosmo e generando una violacea luminescenza
che immediatamente attirò strati di ombre, che piombarono su di lui, vorticando
attorno al suo corpo, prima di penetrarlo. Una dopo l’altra. Strappandogli ogni
volta un gemito di dolore.
“Siderius!!!” –Gridò Ioria,
muovendosi per correre da lui. Ma Virgo lo fermò, afferrandogli il braccio con
una mano e voltandosi verso di lui.
“Abbiamo bisogno di te!” –Disse,
con voce pacata, prima di dischiudere i suoi occhi.
Immediatamente un’onda di luce
si sollevò dal gruppo dei sette compagni, ridando nuova energia all’assalto
congiunto e spazzando via un mucchio di ombre, tra cui tutte quelle che avevano
assalito Siderius poco prima. Vista la gravità del momento, Virgo aveva deciso
di usare l’ultima riserva del suo cosmo. E forse anche per permettere a
Siderius di fare ciò che sentiva.
“Non era questo ciò che volevo…”
–Commentò Siderius, voltandosi un’ultima volta verso Ioria, con gli occhi
lucidi di lacrime, mentre le ombre nuovamente turbinavano minacciose attorno a
tutti loro. –“Non ho mai sposato gli obiettivi di Flegias, limitandomi ad
eseguire gli ordini, come mio padre riteneva che un soldato dovesse sempre
fare! Tutto ciò che desideravo, ciò che volevo realmente, l’ho avuto
quest’oggi! Che tu mi guardassi con occhi diversi! Che tu mi degnassi di uno
sguardo d’affetto! Non come l’allievo che non hai saputo addestrare, ma come il
fratello con cui hai condiviso una parte del cammino!”
Ioria rimase ad ascoltare la
confessione del ragazzo e avrebbe voluto davvero poter mandare indietro le
lancette del tempo. E cambiare qualcosa. Forse capirsi un po’ di più, quando
ancora c’era il tempo per farlo. Siderius, in quel momento, gli sorrise per la
prima volta, bruciando al massimo il proprio cosmo e voltandosi poi verso il
mare di tenebra che stava avanzando verso di loro.
“Per te, maestro mio! Per dimostrarti
che ho imparato la lezione! Almeno una!” –Esclamò Siderius, lanciandosi in
alto, con le ultime forze che ancora gli restavano. –“Essere Cavalieri non
significa avere una grande virtù d’attacco, ma saper bruciare il cosmo per
qualcosa in cui si crede! Saper usare il cosmo per difendere chi abbiamo caro!
Prendete ombre, questa è la rabbia di Siderius!!! La rabbia di cui mai mi sono
liberato!!! Esplosione della Supernova Oscura!!!” –Gridò il Capitano
dell’Ombra, piombando all’interno della marea nera e lasciandosi fagocitare da
essa, prima di liberare tutto il cosmo che aveva raccolto. Tutto quel che gli
restava. E spazzarla via.
“Siderius!!!” –Gridò Ioria,
mentre l’onda d’urto generata spezzò la sincronia cosmica tra i sette compagni,
sollevandoli da terra e scaraventandoli indietro, facendoli ruzzolare sul
terreno pietroso. Si rialzarono dopo poco, storditi dalla deflagrazione, e per
un attimo sembrò loro che il cielo fosse meno nero.
Ioria strinse i pugni, con gli
occhi lucidi di commozione. E di dolore. Ma non disse niente. Si mosse soltanto
per riprendere la sua posizione, a fianco di Virgo e di Libra.
“L’aura cosmica di Siderius è
rimasta a difesa del suo maestro!” –Commentò allora Castalia. –“Dell’amico che
tanto gli è mancato! Ancora balugina fioca in questa cappa di tenebra! Ancora
posso sentire la rabbia che non è mai riuscito a vincere, la rabbia che non ha
mai indirizzato verso qualcosa di costruttivo, verso un futuro per sé! È
ironico, e a tratti triste, pensare che amasse strappare il futuro ai nemici,
quando lui per primo non credeva affatto nel suo!”
“Credo che in fondo ci abbia
insegnato qualcosa!” –Intervenne Tisifone, che aveva compreso la riflessione
dell’amica. –“A tirare fuori i nostri sentimenti, di gioia o di rabbia che
siano, perché tenerli dentro, nasconderli a noi stessi e agli altri, può
soltanto farci del male!”
Ioria, Castalia e Asher si
scambiarono un’occhiata significativa, prima che la voce decisa di Libra
richiamasse tutti quanti, obbligandoli a unirsi di nuovo tra loro e a creare
una barriera con i cosmi, con cui contrastare l’avanzata delle ombre. L’ultima,
a giudicare dalla determinatezza con cui i neri spiriti avanzavano. Assetate
più che mai delle energie vitali dei Cavalieri di Atena, le ombre adesso non si
sarebbero più arrestate.
Vorticarono attorno ai sette
compagni, avvolti nelle loro auree lucenti, chiudendosi sempre più su di loro,
quasi a guscio, decise a ricoprire l’intero Grande Tempio con il loro manto di
tenebra. Nello stesso momento infatti la marea nera dilagò all’interno del
perimetro sacro, invadendo l’infermeria, le residenze dei soldati, perfino le
Dodici Case dello Zodiaco, senza che nessun potere riuscisse più a osteggiarla.
“È davvero questa la fine?”
–Mormorò la Sacerdotessa dell’Aquila, che stava ormai per crollare. –“Morirò
così… completa solo a metà?! Fratello… Phantom… Ioria…”
D’un tratto, mentre tutto
sembrava svanire, mentre i confini sembravano farsi indistinti, i suoni lontani
e il mondo pareva precipitare in una notte senza fine, Castalia udì una voce
che la chiamava. E anche Asher e Tisifone la udirono. E Ioria e Libra. E Virgo,
Pavit e tutti i presenti al Grande Tempio.
Le ombre parvero fermarsi,
vorticare stordite su loro stesse, incapaci di comprendere quella rapsodia
celestiale che aveva invaso l’intero santuario, mentre un raggio di sole, prima
timido poi sempre più consistente, sbucò nel cielo, perforando il soffitto di
tenebra tanto bramato da Flegias. Un raggio il cui baricentro era la
Tredicesima Casa dello Zodiaco, la residenza del Sacerdote, ove Atena aveva
lasciato il simbolo del suo potere, affinché fosse d’aiuto e conforto ai suoi
Cavalieri.
Lo scettro di Nike brillò nel
cielo sopra il Grande Tempio, risplendendo in un arcobaleno di colori che
profusero calore agli stanchi combattenti. Un immenso arco di luce si allargò
all’istante, invadendo ogni angolo del santuario e investendo in pieno la marea
di tenebra, sommandosi ai cosmi dei Cavalieri. Le ombre cercarono di sfuggire,
di nascondersi di fronte a quel sole improvviso. Ma fallirono e vennero
annientate. Tutte.
Quando la luce calò d’intensità,
e i Cavalieri poterono aprire di nuovo gli occhi, un bagliore amaranto
proveniente dal mare lontano li fece sorridere. E ricordò loro che il giorno
stava volgendo al tramonto. La marea d’ombra era stata provvisoriamente
sconfitta, pur se a prezzo di molti sacrifici e sangue.
“Amici!!!” –Esclamò Pegasus,
comparendo all’estremità occidentale del campo dove i Cavalieri d’Oro avevano
combattuto, seguito da Phoenix, Cristal e Dragone. –“Siamo rimasti bloccati
dalla marea nera alla Prima Casa, assediati dalle ombre che non riuscivamo ad
annientare!”
“Ma qualcuno ci è venuto in
aiuto!” –Commentò Cristal.
“Atena è sempre con noi! Con
tutti i suoi Cavalieri!” –Aggiunse Sirio. E anche gli altri annuirono,
chiedendosi come stesse Atena e cosa stesse accadendo sull’Olimpo.
“Questa vittoria non cambia
niente, in fondo!” –Incalzò allora Ioria. –“Flegias non modificherà i suoi
programmi per noi! Anzi, sapendo che siamo ancora vivi, invierà presto nuovi
Cavalieri neri e una seconda ondata di ombre per ucciderci e coprire il Grande
Tempio con il manto oscuro della notte!”
“Sono d’accordo con te, Ioria
del Leone!” –Esclamò Libra. –“Per questo credo che restare qua, a compiacersi
di quest’effimero successo, sia inutile e pretestuoso!”
“Cosa suggerisci di fare allora,
Dohko?!” –Chiese Sirio, sorridendo nel pronunciare il nome del Vecchio Maestro.
“Quello che abbiamo sempre
fatto! Contro Ade e contro Crono! Attaccarlo al cuore! Invadere l’Isola delle
Ombre e estirpare una volta per tutte questa minaccia!”
“Rischiosa impresa, Dohko di
Libra! Siderius mi ha informato degli esperimenti che il Maestro di Ombre ha
messo in atto!” –Affermò Ioria. –“Ma certo non meno rischiosa che rimanere
inermi ad affrontare un nemico che non sappiamo respingere!”
“Ma come andremo sull’Isola?
Secondo Ermes, la cappa di ombre rende difficoltoso il teletrasporto!” –Incalzò
Pegasus.
“Per questo, se volete, posso
darvi una mano io!” –Esclamò una voce cristallina, attirando l’attenzione dei
Cavalieri di Atena.
Un uomo alto e bello, con mossi
capelli argentati, discese dal cielo, ripiegando le colorate ali della sua
Veste Divina, e sorrise a Pegasus e ai suoi compagni, felice di vederli sani e
salvi.
Mur dell’Ariete capì subito che c’era qualcosa di strano nel ragazzo con
cui stava combattendo. Non poteva essere lo stesso Coppiere degli Dei che pochi
mesi prima aveva lottato al suo fianco, sulla cima dell’Olimpo, per proteggere
il Sommo Zeus dalla furia di Tifone. No, il suo cosmo non è lo stesso!
Mormorò Mur, osservando l’aura violacea di cui Ganimede era circondato, simile
alla nebbiolina che aveva visto attorno al Grande Tempio negli ultimi giorni,
la nebbia causata dalle rose di rabbia.
“Di simile matrice è infatti il
mio potere!” –Esclamò Ganimede, intuendo i pensieri del Cavaliere. –“Mentre il
cosmo di Menas traeva forza dalla rabbia degli uomini, io traggo giovamento
dalla loro pazzia! Ah ah ah! Dall’ebbrezza mortale che stordisce, che ottenebra
i sensi, trasportando in un paradiso di estasi pura!”
“Il tuo sguardo allucinato
tradisce la follia delle tue parole, Coppiere degli Dei! Cosa ti è accaduto?
Cosa ti ha spinto a volgere la mano contro il Dio a cui eri fedele?”
“Non ho fatto ciò di cui mi
accusi! Mai ho levato la mano contro Zeus!” –Sogghignò. –“L’ho soltanto aiutato
a scendere i primi gradini verso il Tartaro! Ah ah ah!”
“Questa confessione di omicidio
non ti fa onore, Cavaliere Celeste! Ma quanto meno mi toglie ogni dubbio che
ancora mi frenava nel combatterti! Per quanto mi dispiaccia, non posso esimermi
da questa sfida!”
“Perché ancora mi indichi con un
grado che non mi appartiene, Cavaliere di Ariete?!” –Esclamò Ganimede beffardo,
espandendo il cosmo che iniziò a fluttuare attorno a sé come un fiume dalle
acque violacee, simile a ribollente mosto. –“Non hai dunque ancora compreso chi
hai di fronte?” –E sogghignando sollevò le braccia sopra la testa, giungendole
in una posa che a Mur ricordò il colpo sacro del Cavaliere di Acquarius. Quindi
le abbassò di scatto, scatenando l’impeto di quel torrente violaceo contro Mur,
che fu svelto ad aprire le braccia di lato, creando un sottile muro di energia
su cui quel mareggiare strano si infranse.
Ma Mur notò subito che per la
prima volta il Muro di Cristallo non era capace di rimandare indietro
l’attacco subito, la cui natura non era ancora riuscito a comprendere. Il
ribollente mosto continuava a fluire verso di lui, fermato dalla diga
energetica di Mur, accumulandosi contro la stessa ed esercitandovi pressione
sempre maggiore, gorgogliando, fumando, come acqua a temperature altissime.
Ganimede sorrise, rinnovando l’assalto di quel mosto incandescente e obbligando
Mur a potenziare la propria difesa.
D’un tratto il Cavaliere di
Ariete si accorse di un filo di fumo che saliva dal Muro di Cristallo,
come se l’eterea barriera stesse ardendo, e con orrore la vide iniziare a
sciogliersi, a liquefarsi davanti ai suoi occhi. Stupefatto da un simile fenomeno,
ebbe comunque la prontezza di lasciar esplodere il suo cosmo, generando un’onda
di energia cosmica che travolse l’ardente mosto, annientandolo, abbattendosi
poi su Ganimede e scaraventandolo contro una parete retrostante.
Affaticato, Mur dovette poggiare
un ginocchio a terra, rendendosi conto di aver dovuto usare buona parte delle
sue energie, per fronteggiare una minaccia che, nella sua apparente semplicità,
si era invece rivelata letale. Si rimise in piedi proprio mentre Ganimede
scuoteva via la polvere dell’intonaco dalle sue vesti, dimostrando assoluta
noncuranza verso la battaglia in atto.
“È ben potente il tuo cosmo,
Ariete! Molto più vasto del timido barlume sprigionato da quel ragazzino
isterico!” –Commentò, indicando Matthew, rannicchiato contro il muro, debole e
ferito. –“Ma da un Cavaliere d’Oro di Atene non avrei potuto aspettarmi di
meno! Forse qualcosa di più! Una follia che non fa parte di te, un’ebbrezza che
possa travolgere il senso di pacatezza che ti è proprio e mostrarti un altro lato
di te! Meno calmo e più dionisiaco!”
“Nonostante il mio placido
aspetto, posso essere un distruttore, se è questo che desideri!” –Mormorò Mur,
socchiudendo gli occhi e bloccando Ganimede in una morsa di cerchi di energia
psichica. –“È di tuo gradimento questa prigionia? Mi auguro che lo sia, perché
durerà fino a quando Zeus, mosso a compassione, non interverrà di persona per
salvarti! Sempre che tu non sia morto prima!” –E iniziò a roteare il corpo di
Ganimede su se stesso, a una velocità sempre maggiore, strappando un grido al
Coppiere degli Dei.
Lo osservò vorticare per un
momento prima di dargli le spalle e incamminarsi verso Matthew, per verificare
le sue condizioni. Respirava a fatica, a causa delle infezioni prodotte dai
filari di vite con cui Ganimede lo aveva stritolato, intrisi di un veleno che
Mur in quel momento non aveva le medicine per curare. Poté soltanto sfiorargli
le ferite con la mano, inondandole con il cosmo e donandogli un breve tepore.
“Grazie!” –Mormorò Matthew,
cercando di rimettersi in piedi, preoccupato, così come Mur, per Atena e il
Sommo Zeus.
Proprio in quel momento Ganimede
strillò ancora e Mur si voltò verso di lui, ancora intento a vorticare su se
stesso, accorgendosi che nuovamente la fitta nebbia violacea lo aveva circondato.
E che le grida che aveva sentito finora non erano altro che le sguaiate risate
a cui il Coppiere degli Dei si era abbandonato, divertito da quella che lui
stesso definì una giostra. Niente di più.
Il suo cosmo esplose poco dopo,
avvampando nel corridoio della Reggia di Zeus e spingendo indietro persino Mur
e Matthew, mentre la nebbia violacea penetrava i cerchi di energia psichica,
distruggendoli dall’interno e liberando infine il ragazzo.
“Un bel gioco, Cavaliere di
Ariete! Davvero!” –Rise, scuotendo la testa e cercando di mantenere una postura
eretta. –“Ma come tutti i bei giochi, deve durare poco!” –Sogghignò, bruciando
il cosmo e sollevando una nube di energia rossastra.
Mur sollevò le difese, credendo
che il ragazzo volesse scagliargli contro un nuovo assalto, ma Ganimede lo
sorprese ancora, chiudendo le braccia al petto, mentre l’intera cortina
energetica penetrava dentro di lui, che parve inebriarsene, tra risatine
confuse e mormorii di piacere. D’un tratto riaprì le braccia di lato e Mur osservò
la sagoma di Ganimede schizzar via da un corpo che ancora rimase in piedi
davanti a lui. Il Coppiere degli Dei crollò a terra poco distante, mentre Mur
stupefatto portava lo sguardo sull’uomo dal cosmo violaceo, rivestito da una
corazza scura sul cui pettorale erano incisi filari di viti intrecciati.
“Ampelo! Ma puoi
chiamarmi il Vendemmiatore, se più ti aggrada! Il Cavaliere Nero che si nutre
dei fumi dell’ebbrezza!” –Esclamò.
“Eri dunque tu a guidare le
azioni del Coppiere degli Dei?! Avrei dovuto capire che il suo animo non poteva
essere cambiato al punto da rivoltarsi contro Zeus!” –Affermò Mur, mentre
Ampelo avanzava verso di lui.
“Come già ti ho detto, Ariete,
io non ho levato mano alcuna sul Dio del Fulmine! Ganimede è stato! Lui ha
avvelenato l’ambrosia di Zeus, Era e Ermes! Io ho soltanto… favorito gli
eventi! Ih ih ih!” –Rise sguaiatamente, prima di sollevare il braccio verso Mur
e dirigergli contro un nuovo assalto. –“Correnti di follia!” –Gridò,
liberando il mosto incandescente, che si abbatté sul ricostruito Muro di
Cristallo. Ma presto, com’era accaduto prima, la difesa di Mur iniziò a
liquefarsi e schizzi di liquido bollente raggiunsero il Cavaliere, protetto
dall’Armatura d’Oro.
“Attento!!!” –Gridò Matthew,
osservando il Muro di Cristallo sciogliersi come neve al sole e le
correnti di mosto sommergere Mur con foga. Ma quando la corrente scemò
d’intensità Ampelo si accorse che Ariete era scomparso, salvatosi probabilmente
con il teletrasporto. Sornione, fendette l’aria attorno con i propri sensi,
prima di sollevare il braccio destro, attorno al quale strati di nebbia
violacea vorticavano incessantemente, e scagliare tale cortina alla caccia del
suo avversario.
“Non puoi sfuggire, Ariete!”
–Esclamò Ampelo. –“È nei miei poteri percepire la follia degli uomini! E poiché
questa reggia è satura dell’ebbrezza mortale che in questi giorni vi ho
portato, basterà sentire dove regna la quiete, la pacata armonia del tuo animo!
E là i miei vapori ti troveranno!” –Poco dopo infatti la cortina violacea si
concentrò in un lato del salone, iniziando ad assumere la forma del Cavaliere
di Ariete, al cui corpo aveva infatti aderito.
“Incredibile!” –Esclamò Mur,
rendendosi visibile, sorpreso da tale abilità. –“Come ha potuto questa tua
nebbiolina?”
“Non è nebbia ciò che ti
avvolge, indebolendo i tuoi sensi e precipitandoti verso gli abissi della
follia! Ma i vapori del mosto, il ribollir dei tini, che è punto di forza del
Vendemmiatore Oscuro!” –Spiegò Ampelo, dirigendo verso Mur le sue Correnti
di Follia. Ma il Cavaliere di Atena scomparve nuovamente alla sua vista,
riapparendo vicino al corpo di Ganimede e caricandolo sulle sue spalle, prima
che il mosto ardente lo raggiungesse, facendo un cenno a Matthew ed uscendo con
lui nel giardino, sfruttando proprio l’apertura nella vetrata creata da Ampelo
in precedenza.
“Mettiti in salvo! E porta
Ganimede con te!” –Disse Mur, indicando a Matthew delle costruzioni poco
distanti. Il ragazzo esitò per un attimo, desiderando combattere al suo fianco,
ma poi annuì, prendendo il Coppiere degli Dei sulle spalle e correndo via.
“Fuggire non li salverà! Mi
occuperò di loro prima ancora di aver terminato con te!” –Commentò Ampelo,
uscendo nel giardino. E schioccò le dita, facendo tremare il terreno sotto di
loro.
Immediatamente lunghi fusti
verdi sorsero dal suolo, immensi filari di viti che si avvolsero attorno al
corpo del Cavaliere di Ariete. Altri ne sorsero poco distante, fermando
l’avanzata di Matthew e attorcigliandosi alle sue gambe, buttandolo a terra e
facendo ruzzolare anche Ganimede sul prato. Ampelo rise divertito, nel vedere
Matthew dimenarsi come un selvaggio all’interno della foresta cresciuta in
fretta attorno a lui, ma quando volse di nuovo lo sguardo su Mur, ringhiò
insoddisfatto, vedendo il Cavaliere di Ariete crivellare i suoi pampini con una
fitta pioggia di stelle.
“Per il Sacro Ariete!
Rivoluzione stellare!!!” –Gridò Mur, distruggendo i filari di viti di
Ampelo e dirigendo poi l’assalto verso di lui.
Ampelo cercò di evitare la fitta
pioggia, ma ben presto si accorse che, nonostante lo stordimento provocatogli
dagli odori inalati, la velocità di Mur superava la sua, e venne raggiunto in
più parti e scaraventato indietro, con crepe vistose sulla corazza.
“Ecco il tuo lato distruttivo!”
–Commentò rialzandosi. –“Non è inebriante?” –Rise, cercando di nascondere il
timore che si stava impadronendo di lui. Il timore di non essere all’altezza di
affrontare un Cavaliere d’Oro.
I suoi poteri erano
prevalentemente mentali e potevano avere ragione di soggetti deboli, come
Ganimede gli era apparso poco prima, in balia al dolore per la perdita
dell’amico Giasone. Inganni, espedienti, trucchi da prestigiatore, come Menas
amava definirli, schernendo spesso il fratello. Se ne era servito per ingannare
alcune ancelle e versare continuamente un oscuro veleno, che Flegias gli aveva
fornito, nelle coppe destinate a Zeus e alla Regina. Lamia aveva completato
l’opera, avvolgendo il Dio in una silenziosa sinfonia di favole, per privarlo
dei ricordi e della sua linfa vitale. Ma l’arrivo di Atena e di un Cavaliere
d’Oro sull’Olimpo aveva stravolto ogni piano, proprio quando Ampelo era
convinto di avere la vittoria a portata di mano.
“Così vicina!” –Ringhiò, mentre
sul suo volto appariva per la prima volta una smorfia di disappunto, come se
tutta l’ebbrezza dello scontro fosse stata cancellata dalle ferite che Mur gli
aveva aperto su un fianco. Raccolse il cosmo e evocò di nuovo le correnti di
mosto incandescente, ma quella volta non riuscì nemmeno a dirigerle contro Mur
che vennero inglobate da una sfera di luce, all’interno della quale esplosero
poco dopo, svanendo interamente.
“Niente resiste all’Onda di
luce stellare! Neppure un colpo che ha avuto ragione del Muro di
Cristallo!” –Affermò Mur, avanzando verso Ampelo. –“Devo ammetterlo, poche
volte la mia difesa si è dimostrata fallace, riuscendo a respingere persino più
terrificanti odori, come i gas tossici di Niobe di Deep e la rosa di rabbia i
cui semi avete sparso al Grande Tempio!”
“Hai resistito alle rose di
Menas?! Impresa non da poco! Conoscevo bene le insidiose armi di mio fratello!
E questo mi porta allora ad usare la mia tecnica più potente! L’unica con cui
potrei sconfiggere qualcuno in grado di contrastare l’eccitante ebbrezza del
Vendemmiatore!” –Esclamò Ampelo, bruciando al massimo il cosmo e sollevando una
mano al cielo, sul cui palmo apparve un cristallo di luce, dall’acceso color
giallo. –“Nel Mondo Antico la stella Vindemiatrix indicava ai coltivatori il
tempo ideale della vendemmia! A te, Ariete, indicherà il tempo per morire!”
Non aggiunse altro e la scagliò
con forza contro Mur, che fu svelto ad aprire le braccia e creare il Muro di
Cristallo, contro cui la stella si schiantò, esplodendo sul colpo e
distruggendolo, spingendo il Cavaliere indietro di parecchi metri, facendogli
scavare solchi nel terreno con i piedi. Ampelo non gli diede tempo di
rifiatare, scagliandogli contro una nuova stella, dalla devastante potenza, che
Mur evitò con il teletrasporto, portandosi di lato al Vendemmiatore Oscuro, mentre
la stella esplodeva distruggendo parte del giardino.
“Vindemiatrix!!!” –Gridò
Ampelo, voltandosi e evocando un nuovo cristallo di luce. Ma Mur, mentre
Vindemiatrix sfrecciava verso di lui, liberò una ragnatela luminosa, avvolgendo
la stella al suo interno e, tenendo i fili con una mano, la fece roteare sopra
di lui, stupendo lo stesso Ampelo, prima di rispedirgliela contro.
Il Vendemmiatore Oscuro non fece
in tempo a muoversi, venendo raggiunto in pieno petto dalla stella, che esplose
al contatto con la sua corazza, scaraventandolo indietro di parecchi metri,
fino a farlo schiantare contro il muro esterno della Reggia di Zeus. Quando
riuscì a rimettersi in piedi, scansando i detriti crollati su di lui, vide un
buco sul suo costato, da cui fiotti di sangue uscivano abbondanti. Ma,
nonostante avesse sempre provato un folle piacere nel godere delle disperazioni
altrui, in quel momento sentì solo una fitta di dolore piegarlo in due,
facendolo crollare al suolo. Sollevò lo sguardo in tempo per vedere un globo di
luce, scagliato da Mur, investirlo in pieno e assorbirlo al suo interno.
“Onda di luce stellare!”
–Disse Mur, mentre la sfera lucente esplodeva, disintegrando il Cavaliere Nero.
–“Questa è l’esecuzione della stella della vendemmia!” –Quindi si voltò verso
Matthew, mentre quel che restava della nebbia violacea si disperdeva nel cielo
dell’Olimpo. Soltanto un’ultima frase lo raggiunse, l’ultimo lascito di Ampelo.
“Nemmeno la tua sempiterna calma
potrà fermare la grande ombra! Morirete tutti, e di questo infine ne godo! Il
tramonto degli eroi è appena iniziato!”
Mur sentì un brivido lungo la
schiena, al timore che quelle parole fossero vere, ma cercò di non perdere la
sua compostezza e corse verso Matthew, ancora avvolto nel suo cosmo bianco,
grazie al quale aveva distrutto i pampini aggroviglianti di Ampelo.
Quella seppur debole traccia
cosmica non sfuggì al Comandante della Legione Nascosta, che camminava per i
corridoi della Reggia di Zeus, sorreggendo il corpo stanco del Luogotenente
dell’Olimpo.
“Quest’energia… mi è familiare…”
–Commentò Ascanio, affrettando il passo verso le Stanze di Zeus.
Phantom, stretto tra le sue braccia, non aveva aggiunto altro da
quando avevano lasciato il Tempio di Asclepio, rattristato per la morte di
Teria. Una fine che aveva temuto fin dall’inizio e che aveva infine realizzato
di non poter evitare. Improvvisamente Ascanio percepì una presenza avvicinarsi,
scivolando silenziosa lungo i corridoi di marmo dell’Olimpica Reggia, e poco
dopo l’elegante figura di Demetra, Dea delle Coltivazioni, apparve di
fronte a loro, sorridendo stanca.
“Dea delle Messi!” –Mormorò il
Luogotenente dell’Olimpo.
“Ho appena medicato le ferite
del Messaggero degli Dei! Mi chiedevo se forse potevo essere utile anche a te!”
–Esclamò Demetra, che gli era molto affezionata.
“Sarò onorato di accettare le
vostre cure, ma credo che adesso salvare il Sommo Zeus sia l’indispensabile!”
“Nobile cuore come sempre!”
–Sorrise Demetra, incamminandosi a fianco dei due verso le Stanze di Zeus.
Quando vi arrivarono, trovarono
le porte aperte e una fanciulla dai lunghi capelli viola che reggeva la mano
del Signore dell’Olimpo, disteso sul letto, con il corpo stanco di Era al suo
fianco, entrambi vittime dell’oscura ebbrezza mortale.
“Atena!!!” –Esclamò Demetra,
entrando nella sala, seguita da Ascanio e Phantom.
“Demetra!” –Si voltò Atena,
sorridendo ai tre ma continuando a mantenere la concentrazione sul suo cosmo,
con cui aveva avvolto Zeus nel tentativo di curare le sue ferite. Mur e Matthew
arrivarono poco dopo, scambiando qualche battuta con Ascanio e Phantom sul
combattimento appena affrontato.
“Il Coppiere degli Dei riposa in
una stanza poco distante!” –Spiegò Mur. –“E, a meno che non vi siano altri
demoni nascosti, credo fosse l’ultimo invasore dell’Olimpo!”
“Era l’ultimo, sì!” –Confermò
Ascanio, che aveva letto nell’animo di Lamia. –“Due soltanto erano i figli
dell’ombra che Flegias ha rivolto contro di noi, i più abili a passare
inosservati, mescolandosi ai vapori d’ebbrezza del Monte Sacro e alle ancelle
che ogni giorno si prendevano cura di Zeus! In questo modo Ampelo ha avvelenato
il Dio del Fulmine e Lamia ha completato l’opera, estendendo la loro mano di
morte sulla Regina dell’Olimpo!”
“Non riesco a credere che mia
sorella sia stata capace di tanto!” –Commentò Phantom, ma Ascanio gli mise una
mano su una spalla.
“Non tua sorella ha ucciso il
Signore degli Dei, ma l’ombra che si è cibata del suo cuore ferito!” –Gli
disse, prima che Mur si avvicinasse loro.
“Tra i ricordi di Lamia non vi è
niente che ci sia d’aiuto per salvare il Sommo Zeus?”
“Purtroppo no, Cavaliere! Pare
che Flegias progetti così bene i suoi piani da non dare le chiavi delle
soluzioni neppure ai suoi servitori!” –Disse Ascanio. –“Ma, se la storia non mi
inganna, credo che ad un male ci si possa opporre soltanto con un bene!”
“Cosa vuoi dire?” –Chiese
Phantom.
“Che per aiutare Zeus è
necessaria un’energia altrettanto forte da sopraffare l’ombra che lo ha
invaso!” –Rispose Atena, ancora intenta ad avvolgere il Dio con il cosmo. –“Non
sono forse la più adatta, tra le Divinità, troppo giovane e distante dai fasti
olimpici, ma cedo con gioia il mio Ichor nella speranza che possa guarire mio
Padre!”
“Altrettanto farò io!” –Aggiunse
Demetra, inginocchiandosi accanto ad Atena, davanti al letto di Zeus e
tagliandosi il polso destro con un secco colpo di mano.
“Ed io mi unirò a voi, Dea della
Guerra Giusta e Dea delle Messi!” –Esclamò la voce stanca, ma sempre pronta a
portare aiuto, di Ermes, comparendo sulla porta e trascinandosi verso di
loro. Si chinò di fronte a Zeus, dall’altro lato del letto, e sorrise ad Atena,
prima che entrambi imitassero Demetra, bagnando con il loro Ichor il corpo
pallido e silente del Signore dell’Olimpo.
Per qualche minuto le tre
Divinità mantennero un elevato grado di concentrazione sul cosmo, guardate a
debita distanza da Mur, Matthew, Phantom e Ascanio, che attendevano trepidanti
un segnale da parte del Dio. Ma dopo molte gocce, anziché osservare
l’adamantino cosmo di Zeus splendere di nuovo, assistettero sgomenti a una
violenta fiammata che esplose sopra il corpo inerme del Signore del Fulmine,
nutrendosi del sangue stesso che Atena, Demetra e Ermes avevano offerto.
La vampa di fuoco spinse
indietro le tre Divinità, allungandosi sinuosa verso il soffitto, avvolta da un
turbinare di ombre, e presto assunse forma diabolica, il volto di un demone che
tanto male aveva portato sulla Terra negli ultimi mesi.
“Flegias!!!” –Gridò Ermes,
riconoscendo il sogghignare bastardo del figlio di Ares.
“Non eccitarti troppo,
Messaggero degli Dei! Mi tratterrò ben poco! Sono venuto soltanto a porgervi
l’ultimo saluto! Che non si dica che il Maestro di Ombre, araldo dell’oscurità,
non riconosca i meriti di coloro che lo hanno aiutato!”
“Noi non ti abbiamo mai aiutato,
Flegias! Non direttamente almeno!” –Esclamò Ermes, ricordando l’inganno della
guerra contro Atene voluta da Crono.
“Tu credi, galoppino degli Dei?
Misera fede è allora la tua da non saper discernere ciò che è utile da ciò che
non lo è!” –Sogghignò Flegias, mentre le vampe di fuoco ricoprivano il corpo di
Zeus, assaporando l’energia vitale dell’Ichor. –“Immaginavo che avreste tentato
questa strada per guarire Zeus! L’unica agibile del resto! Ma sospetto che voi
non credevate che fosse proprio ciò che volevo? Che fosse proprio ciò che mi
serviva per espandere ulteriormente il mio cosmo in vista dell’ultima guerra!
L’avvento dell’ombra è ormai realtà!”
“Era questo il tuo piano? A
questo Lamia e Ampelo sono serviti? Per ottenere il sangue delle ultime
Divinità?” –Esclamò Ascanio.
“Perché sprecare la propria
energia quando si può usare quella degli altri? E dire che avreste dovuto
imparare a conoscermi, in tutto questo tempo che abbiamo trascorso insieme! Ah
ah!” –Ironizzò il Maestro di Ombre. –“Sapevo che avreste sconfitto quella
psicotica di Lamia e quel patetico surrogato di Cavaliere! Ma vi hanno stancato
a sufficienza per permettermi di vincervi adesso! E di estirpare per sempre la
casata degli Olimpi!”
“Bastardo!!! Hai usato anche mia
sorella per la tua sete di potere!” –Ringhiò Phantom, espandendo il cosmo e
generando un mulinello di energia acquatica.
“Di cosa ti lamenti, figlio di
un pastore?! Ti ho dato la possibilità di incontrarla di nuovo, prima di
ritrovarvi in Ade!” –Lo derise Flegias, mentre Phantom scagliava il Gorgo
dell’Eridano contro di lui.
L’attacco venne inglobato dalle
vampe di fuoco e ombra che torreggiavano su Zeus, all’interno delle quali
esplose, senza provocare loro danno alcuno, semplicemente eccitando
l’indemoniato spirito del Flagello di Uomini e Dei, che allungò le proprie
lingue fiammeggianti fino a infilzare Phantom, trapassando il suo corpo e
prostrandolo a terra, in un lago di sangue.
“Phantom!!!” –Gridò Ascanio,
concentrando il cosmo sul braccio destro. –“Prendi, maledetto! Attacco del
Drago di Sangue!!!” –E liberò uno scintillante dragone di luce rossa,
subito seguito dalla pioggia di stelle di Mur. –“Per il Sacro Ariete!!!”
–Ma nuovamente Flegias non si fece intimorire e la sua sagoma si scompose in
tante fiamme che evitarono la moltitudine di stelle cadenti e si cibarono
dell’energia del Cavaliere Celeste, prima di travolgere entrambi con un vortice
di fuoco nero.
“Muori, Flegias!!!” –Gridò
Ermes, puntando il Caduceo e liberando rapidi e precisi fasci energetici.
“È inutile Ermes! Puoi colpirmi
quanto vuoi, ma non mi ferirai, poiché non sono fisicamente sull’Olimpo! Guarda
quanto è diventata pallida la luce del Monte Sacro, neppure riesce più ad
impedire che estranee presenze si materializzino sul cadavere del suo Signore,
sfruttando il veleno che diedi a Lamia! Veleno che conteneva polvere della
Pietra Nera! Veleno… letale! Ah ah ah!”
Atena e Demetra affiancarono
prontamente Ermes, unendo i loro cosmi divini e dirigendo un violento assalto
contro le vampe di fuoco, che subito si scomposero in una miriade, invadendo
l’intera stanza e avvolgendo i corpi stanchi degli Dei.
“O ciechi, il tanto affaticar
che giova? Tutti torniamo alla grande madre antica!” –Rise Flegias, citando
Petrarca, uno dei testi trovati ad Alessandria, con cui si era trastullato
nelle notti in cui aveva elaborato il suo piano. Nelle lunghe notti d’attesa.
“Alla… grande madre?!” –Balbettò
Atena, stritolata dalle fiamme del demonio.
Ascanio si lanciò verso il
figlio di Ares, avvolto nel brillante cosmo del drago bianco, ma venne
atterrato da un vortice di fiamme e ombra. La stessa sorte che conobbero Atena,
Ermes e Demetra, schiantandosi contro le pareti laterali delle Stanze di Zeus.
Flegias ricompose allora la propria sagoma, osservando la distruzione che aveva
portato. Fu piuttosto sorpreso nel vedere però che qualcuno era ancora in
piedi. Un ragazzo dagli sfilacciati capelli biondi, che lo fissava con sguardo
carico di disprezzo.
“Cos’hai da guardare? Non
riconosci la morte quando la incontri?” –Rise Flegias, allungando le vampe di
fuoco fino a circondare il corpicino di Matthew.
“La conosco troppo bene! Perché
ha il volto della donna che ho amato!” –Mormorò il ragazzo, ricordando Miha e
l’amore che aveva saputo donargli. L’amore per la vita. –“Ed ho giurato a me
stesso che l’avrei affrontata!!!” –Gridò, bruciando il proprio cosmo, che lo
avvolse come un’aura di neve bianca, prima di lanciarsi contro le fiamme oscure
e perdervisi dentro.
“Che l’avresti accolta a braccia
aperte, vorrai dire! Ah ah!” –Rise Flegias, osservando il ragazzo barcamenarsi
all’interno del vortice di fuoco, mentre tirava pugni in ogni direzione, e le
vampe incandescenti gli scottavano la pelle, togliendogli il respiro.
Fu in quel momento, mentre
Matthew bruciava il cosmo sempre di più, determinato ad onorare la promessa
fatta a Miha morente, nella caverna dell’Isola delle Ombre, che gli tornarono
in mente gli insegnamenti del Cavaliere di Gemini, un maestro che aveva
definito il suo allievo come uno svogliato.
“Non è la forza né l’agilità che
ti mancano!” –Gli aveva spesso ripetuto. –“Ma la motivazione! Se non ti è
chiaro per cosa combatti, per cosa rischi la vita, non riuscirai a sviluppare
un cosmo necessario per vincere!”
“Maestro! Adesso lo so!”
–Mormorò Matthew, espandendo al massimo il cosmo, che da bianco lentamente
parve colorarsi dei sette colori dell’arcobaleno, che scivolarono come un
torrente di stelle attorno al suo corpo, allontanando le vampe di fuoco e
attirando nuovamente l’attenzione del Comandante Ascanio.
“Ancora questa sensazione…”
–Mormorò. –“Così simile ai cosmi di Reis e Marins!”
E in quel momento, avvolto da
inquietanti lingue di fuoco e ombra, eccitate all’idea di cibarsi di lui,
Matthew sollevò un braccio al cielo, con la naturalezza di un gesto che aveva
fatto da sempre, liberando lo sfavillante arcobaleno di energia.
“Talismani!!!” –Gridò, senza
sapere neppure perché. E si ritrovò sollevato da terra, avvolto dall’iride
luminoso che aveva generato, mentre sopra di lui appariva una corazza dagli
argentei bagliori, disposta in modo da formare una cintura.
“Ma quella è la Cintura
dell’Arcobaleno! Il Talismano che Avalon ha a lungo cercato!” –Mormorò Ascanio,
osservando stupefatto l’armatura scomporsi in tanti pezzi che andarono ad
aderire al corpo stanco di Matthew, lenendo i suoi affanni e donandogli un
risvegliato potere. –“Meraviglioso!” –E sorrise.
Lo stesso stupore invase
Flegias, che ritrasse le lunghe fiamme nere, mentre Matthew portava entrambe le
braccia avanti, cariche di bagliore cosmico.
“Arcobaleno incandescente!!!”
–Gridò, mentre un ponte di luce, di sette colori, sfrecciava verso il Maestro
di Ombre, annientando l’oscurità delle vampe di fuoco. Quindi, d’istinto, il
ragazzo sfiorò la cintura della sua armatura, ornata da sette pietre diverse,
simili a vetri colorati, che sprigionarono un’intensa luce, rischiarando l’aria
triste dell’Olimpo, prima di chiudersi a ventaglio su Flegias.
“Ora!!!” –Incalzò Ermes,
puntando il Caduceo verso la demoniaca sagoma di fuoco. E subito i cosmi dei
Cavalieri e delle altre Divinità si unirono al suo, generando un’onda di
energia che investì il Maestro di Ombre, proprio mentre i lembi del ventaglio
di luce si chiudevano su di lui. Vi fu una violenta esplosione, che scagliò
tutti indietro di qualche metro, facendo tremare persino l’intera struttura
della Reggia Olimpica, quindi tutto si placò. Le vampe di fuoco erano scomparse
e il corpo di Zeus giaceva ancora sul letto, come se nulla lo avesse scalfito.
“Tornatene sulla tua Isola!”
–Commentò Ermes. –“Non c’è posto per te su questa terra che hai tradito!”
Ascanio non gli prestò troppo
ascolto, avvicinandosi a Matthew, che per l’enorme sforzo era crollato sulle
ginocchia, confuso dalla sequela di azioni che si era ritrovato a compiere
senza capire neppure perché. Il Comandante gli mise una mano su una spalla,
invitandolo con un sorriso ad alzarsi, poiché da quel giorno avrebbe fatto
parte dei Cavalieri delle Stelle.
“Questa effimera vittoria non ci
ha riportato Zeus!” –Commentò Demetra, accorsa con Ermes e Atena al capezzale
del Dio del Fulmine.
“Dobbiamo ritentare!” –Incalzò
il Messaggero degli Dei. Anche se iniziava a nutrire seri dubbi che l’Ichor
fosse sufficiente per salvare un Dio travolto dall’ombra. Lo stesso dubbio
albergava anche nelle menti di Atena e Demetra, che accettarono comunque la
proposta di Ermes, senza lasciarsi scappare un sospiro.
“Una vittoria non è mai
effimera, ma un sasso che, appoggiato ad altri, permette di costruire la torre
dall’alto della quale vedremo sconfitti i nostri nemici!” –Parlò
improvvisamente una voce, risuonando per l’intera stanza. Per l’intera Reggia.
Atena, Demetra, Ermes, Mur,
Matthew e Phantom si guardarono attorno, cercando di capire da dove provenisse
quel cosmo ancestrale che aveva invaso l’Olimpo, quando notarono un uomo
appoggiato tranquillamente alla parete occidentale. Lunghe vesti bianche,
rifinite di simboli argentei, parevano danzare ad ogni movimento dell’uomo, il
cui corpo perfetto scivolò nel silenzio delle Stanze di Zeus, di fronte agli
occhi stupefatti, e a tratti ammaliati, dei presenti. Per un momento neppure
Ermes lo riconobbe, nonostante fossero passati quindici anni scarsi dal loro
ultimo incontro. Soltanto Ascanio, in segno di rispetto e sottomissione, si
inginocchiò. Di fronte al suo maestro.
“Benvenuto sull’Olimpo, potente
Avalon!” –Commentò Atena, riconoscendolo. E si inchinò davanti al Signore
dell’Isola Sacra, che tanta sacralità emanava soltanto con lo sguardo, al punto
che Mur, Matthew e Phantom ne furono quasi intimiditi.
Ermes e Demetra si scansarono
prontamente, lasciando che il Signore dell’Isola Sacra si accostasse al letto
di Zeus, fissando il vecchio compagno di battaglie con un’espressione
indecifrabile.
“Persino da Avalon odo i tuoi
lamenti, possente Zeus!” –Commentò infine, infilando una mano sotto le bianche
vesti e tirando fuori un pugnale dalla lama argentea, uno di quelli che
venivano donati alle sacerdotesse iniziate al culto della Dea Madre. –“Sono
venuto per porre fine alle tue sofferenze!” –Aggiunse, sollevando la lama sopra
Zeus.
Quando
Jonathan sollevò il capo e vide Andrei uscire dall’oceano di
fiamme che aveva scatenato contro le ombre non ne fu poi così sorpreso.
Conosceva bene il suo Maestro, con cui aveva trascorso molto tempo ad
addestrarsi sulle rive del lago Titicaca, e se c’era una cosa che aveva capito
di lui era che detestava rimanere con le mani in mano, incapace di lasciar
passare gli eventi senza fare niente per modificarli.
Andrei
non aveva, né aveva mai avuto, la millenaria calma di Avalon e, per quanto
stimasse il Signore dell’Isola Sacra, obbedendo ad ogni suo comandamento, non
gli dispiaceva affatto essere diverso.
“Non
ti invidio, sai?!” –Gli aveva detto un giorno. –“Trascorrere tutto il tempo tra
le nebbie di quest’isola, ad osservare gli eventi dipanarsi nelle acque del
Pozzo Sacro… credo che impazzirei qua dentro!”
“Sei
un topo in gabbia!” –Gli aveva sorriso il Signore dell’Isola Sacra. –“Per
questo i nostri destini sono diversi! Per consentirci di viverli al meglio!”
Andrei
aveva annuito ed era scomparso, sfrecciando nel cielo come una cometa di fuoco
e rientrando al Tempio di Isla del Sol. Non che quell’eremo lo facesse sentire
più libero, ma la gentilezza degli abitanti e le molteplici località da
visitare, e da studiare, gli permettevano di non trascorrere i giorni in ozio,
addestrando lo spirito e il corpo e preparandosi ad accogliere il figlio che da
quelle terre sarebbe nato. Avalon era infatti certo che là fosse custodito uno
dei Talismani, il più potente. Il portale verso il mondo dei sogni. Un mondo
che gli uomini spesso avevano dimenticato.
Anni
dopo era nato Jonathan, da una sacerdotessa del Tempio di Inti, e per quanto i
suoi capelli biondissimi contrastassero con i tratti somatici del suo popolo,
Andrei non aveva avuto dubbi. Egli era un figlio delle stelle, destinato a custodire
lo scettro capace di spalancare nuovi mondi. E portare la luce.
“Qualcosa
di turba, giovane allievo?” –Domandò Andrei, mentre Jonathan e Reis si
mettevano in piedi.
“Sono
lieto di vedervi, Maestro! Ma sono anche preoccupato!” –Rispose il Cavaliere
dei Sogni. –“Se persino voi, che siete uno dei Quattro, siete dovuto scendere
sul campo di battaglia, ciò significa che la situazione è più grave del
previsto!”
“Lascia
gli allarmismi ad Avalon! Egli adora crogiolarsi nei perché del mondo!”
–Ironizzò Andrei. Ma notando che la battuta non tolse la preoccupazione dal
volto del ragazzo lo pregò di non stare in pena. –“Non sono intervenuto per
dovere, bensì per piacere! Per porgerti aiuto, se me lo concedi, e arginare
insieme a te la deriva di questa marea di tenebra!”
“Sarebbe
un onore combattere al vostro fianco!” –Commentò Jonathan, accennando un
sorriso ad Andrei, che si guardò intorno, tra le fiamme e le macerie di Piazza
Konak. Un paesaggio simile a quello che aveva trovato ad Angkor quando vi aveva
affrontato Flegias. A sua volta simile alla distruzione che il Maestro di Ombre
aveva portato a Isla del Sol e a Cuzco.
Andrei
strinse i pugni, reprimendo la rabbia che lo invadeva ogni volta in cui pensava
al demone annidato nell’isola dell’Egeo. Ogni volta in cui si chiedeva perché
gli Dei gli avessero concesso così tanto potere sulla vita, e sulla morte,
degli uomini. E la risposta di Avalon da tempo non lo soddisfaceva più.
“Rientra
tutto nell’equilibrio del mondo!” –Gli aveva detto più volte. –“E tu, come
garante, dovresti ben saperlo!”
“Lo
so! Ma non lo accetto!” –Aveva sempre risposto Andrei. E adesso ne era più che
mai convinto.
“C’è
un altro motivo per cui sono intervenuto in fretta! L’esercito delle ombre sta
crescendo e mentre voi combattevate qua a Smirne la marea nera ha raggiunto i
confini settentrionali della Grecia!” –Spiegò Andrei ai due Cavalieri delle
Stelle, che ascoltarono con interesse e ansia crescente. –“La Tracia è stata
invasa ed è là che stavo dirigendomi, quando mi è parso opportuno intervenire
in vostro soccorso!”
“Dubitavate
forse delle nostre qualità guerriere?” –Ironizzò Reis. –“O temevate che la
presenza di una donna potesse distrarre il vostro allievo dalle sue mansioni?!”
“Bel
caratterino!” –Commentò Andrei. –“Degna allieva di Avalon! Anche se per la
verità ero venuto a chiedere a Jonathan di accompagnarmi! La presenza di uno
dei Talismani potrebbe essere decisiva nel frenare la marea d’ombra!”
“E
avete ben pensato di proporlo a lui! Questo continuo maschilismo mi indispone,
Comandante Andrei! Non credete che sarebbe stato più gratificante se questo
incarico fosse stato concesso a me?”
“È tuo
se lo desideri, Reis di Lighthouse! Ma non lamentarti con Avalon se le fatiche
che ti impongo sono troppo gravose per il tuo corpo di donna!” –Scherzò Andrei,
mentre il Cavaliere di Luce già si allontanava, avvolgendosi nel suo cosmo
dorato.
“Saprò
sopportarle! Spero che altrettanto riuscirete a fare voi!” –Ironizzò, prima di
tirare un’ultima occhiata al cielo nero sopra di loro, ove già cumuli di ombre
si erano nuovamente radunate, e scomparire.
Jonathan
sorrise, scambiando uno sguardo d’intesa con Andrei ed espandendo il suo cosmo
lucente, pronto per combattere. Il suo ultimo pensiero, prima di lanciarsi
verso le ombre, con lo Scettro d’Oro carico di sfolgorante energia, andò a Febo
e Marins, chiedendosi se fossero riusciti a difendere Creta.
In
quel momento il Cavaliere dei Mari Azzurri si trascinava a fatica sul versante
occidentale della collina di Sitia, sorreggendo il corpo stanco di Febo che lo
aveva protetto dalla furia assassina di Flegias. Aveva fermato con il cosmo
l’emorragia al ventre dell’amico, come aveva fatto con il proprio polso,
ricordando alcune tecniche insegnate loro ad Avalon. Ma era certo che le ferite
della Spada Infuocata avrebbero meritato cure migliori, a causa dell’ombra di
cui era intrisa.
Spostò
lo sguardo verso il Mediterraneo, stentando a riconoscere il bel mare che tanto
lo aveva attratto da piccolo, seconda passione della sua vita dopo il baseball.
Era rimasto ben poco delle fresche distese d’acqua che aveva ammirato quindici
anni prima, in occasione del suo primo viaggio sulle coste africane,
interamente sovrastato da tossiche nubi nere, da cui sporadici gruppi di ombre
precipitavano verso terra.
Fu
proprio allora che Marins percepì un movimento dietro di lui e si voltò in
tempo per vedere un’onda di energia nera in procinto di abbattersi su di loro.
In fretta spinse Febo di lato, prima di bruciare il cosmo e contrapporre a quel
maroso oscuro le spumeggianti acque dei mari azzurri.
“Arguto!”
–Commentò una figura, apparendo tra le torbide acque. –“Degno di un re!”
Marins
osservò il Cavaliere Nero avvolto nel suo cosmo blu notte avanzare verso di
lui, perfettamente a suo agio in quella linfa oscura. Alto e magro, con un
folto pizzetto grigio, come la barba di una capra, indossava una corazza che
proteggeva poco più della metà del corpo e che, se non fosse stata nera, con
qualche striatura blu, avrebbe potuto essere scambiata per un’Armatura di Bronzo
dei Cavalieri di Atena.
“Perché
mi guardi con così fosche pupille? Non riconosci Dario il grande,
Cavaliere del Tigri e Re di Persia, tornato a vivere in questo scorcio di
secolo per ottenere nuove celebrazioni, le stesse di cui godetti millenni or
sono?” –Esclamò infine, fermandosi davanti a Marins.
“Per
la verità…” –Ironizzò Marins, strusciandosi volgarmente il naso. –“Vedo solo un
pagliaccio! Dove hai lasciato la tua corte?”
“Umpf,
ti pentirai delle tue parole di scherno, mano monca! Terminerò l’opera che il
mio Signore ha dovuto interrompere, per correre a rimediare ai pasticci del
Licantropo! Mai fidarsi delle bestie!”
“Mi
chiedo allora come faccia Flegias a fidarsi di te!” –Scherzò Marins, facendo
infuriare Dario, che sollevò subito marosi di oscura energia acquatica,
mescolandoli al fango della collina e dirigendoli contro di lui. –“Suscettibile
l’amico!” –Ironizzò il Cavaliere dei Mari, muovendo il braccio sinistro sopra
la testa e creando in fretta una barriera di coralli con cui protesse momentaneamente
Febo e se stesso.
Ma
l’attacco di Dario non si esaurì e nuove onde si abbatterono sulla protezione
di Marins, danneggiandola e facendo filtrare acqua all’interno. Proprio quando
il Cavaliere dei Mari si decise a contrattaccare, notò che la pressione dei
marosi oscuri stava diminuendo, poiché Dario aveva infatti richiamato a sé
tutta l’energia cosmica per generare un assalto più efficace.
“Mille
bighe di Persia! Travolgete gli scostumati Cavalieri che si son burlati
della nostra regia maestà!” –Gridò il Cavaliere del Tigri, portando le braccia
avanti e liberando migliaia di bighe di oscura energia acquatica, che
galopparono verso Marins, travolgendo la sua difesa e scaraventandolo indietro
assieme all’amico, fino a quel momento intontito.
“Ordunque,
uomo mortale, non provi delizia nel rotolarti in quest’oceano di fango?” –Lo
derise Dario, incamminandosi verso Marins, schiantatosi a terra poco distante.
–“Come una scrofa ansimi divertito nell’ambiente che più ti è congeniale!”
“Congeniale
non troppo…” –Bofonchiò Marins, con il volto e i capelli castani sporchi di
letame, Si rimise in piedi e strinse con la mano sinistra il Tridente dei Mari
Azzurri. –“Ma utile senza dubbio!” –Sogghignò, piantando l’arma nel terreno
acquitrinoso e liberando una violenta scarica di energia, che percorse in
fretta l’intera distanza tra lui e Dario, fulminando all’istante il Cavaliere
Nero. –“Avresti dovuto spenderli meglio questi duemila anni, magari a studiare
le leggi della fisica, che non a rimirare il tuo profilo ovino in un
impallidito specchio!”
Dario
crollò a terra, con numerose crepe sull’armatura e ustioni sul corpo, il
respiro affannato e il cuore che sembrava scoppiargli in petto, tanto violenta
e fulminante era stata la scarica energetica subita. Inspirando a fatica si
rimise in piedi, con la rabbia dipinta sul volto e l’indomita volontà di
vincere un essere che considerava inferiore. Ma Marins lo aveva anticipato,
espandendo il proprio cosmo e generando cavalloni di celeste energia.
“Maremoto
dei Mari Azzurri!!!” –Gridò, scaricando tale immenso potenziale cosmico
verso il Cavaliere Nero, che cercò di reagire sollevando l’impetuosa fiumana
del Tigri, osservando i due attacchi di energia acquatica fronteggiarsi a mezza
via, inondando il disastrato versante del colle di Sitia.
Per
qualche istante i due poteri si equivalsero, stanchi entrambi per i colpi
subiti, soprattutto Marins che aveva fronteggiato il Maestro di Ombre, ma alla
fine i mari azzurri del Cavaliere delle Stelle iniziarono a sormontare la
putrida fanghiglia del Tigri, obbligando Dario a modificare in corsa la
composizione del suo attacco, ricreando migliaia di carri energetici che
diresse in una folle corsa contro Marins.
“Scalpitate
mille bighe di Persia!!!” –Gridò delirante, osservando con godimento
sublime alcuni carri sfondare le acque azzurre del Cavaliere e ferirlo ai
fianchi. Ma la maggioranza fu spazzata via dal rinnovato assalto di Marins, i
cui cavalloni energetici travolsero Dario, scaraventandolo molti metri in alto,
fino a schiantarlo al suolo tra i cocci della corazza insanguinata.
Senza
dargli tregua, il Cavaliere dei Mari Azzurri balzò in aria, stringendo i denti
per il dolore, e scagliò il Tridente contro di lui, piantandoglielo nell’alto
petto e strappando via anche quell’ispida barba caprina per cui lo aveva tanto
deriso. Quindi ricadde a terra, ruzzolando per qualche metro sul terreno
smosso, ansimando per riprendersi dallo sforzo. Il dolore al braccio destro,
che aveva cercato di reprimere per tutto quel tempo, stava riapparendo più
intenso di prima e, quasi se ne fossero accorte, nere evanescenze stavano
scendendo in picchiata su di lui, per cibarsi della sua linfa vitale.
A
fatica Marins si rimise in piedi, determinato a non arrendersi, proprio come il
suo primo mentore, Yogi Berra, gli aveva insegnato. Richiamò a sé il Tridente
dei Mari Azzurri, ma prima ancora che riuscisse a muoverlo una bomba di fuoco
esplose attorno a lui, allontanando le ombre, alcune delle quali vennero
incenerite sul colpo. Marins si voltò verso il fondo della collina, dove Febo
si era rimesso in piedi.
“Ti
sei ripreso!” –Sorrise, mentre l’amico avanzava verso di lui, tenendosi una
mano sulla ferita al ventre, che ancora gli doleva.
“Devo
ringraziare te!” –Affermò Febo, bruciando il cosmo. Marins fece altrettanto e
insieme diressero i loro attacchi energetici verso le ombre, rallentando la
loro discesa. Ma molte altre ne apparvero, circondando i due ragazzi, che,
stanchi e feriti, crollarono sulle ginocchia, avvolgendosi in una cupola di
energia.
“Che
fine poco regale per il figlio di un Dio!” –Ironizzò Marins. –“Altrettanto per
una giovane promessa degli Yankees!” –Rise Febo, trovando un motivo per
sorridere anche in quella tragica situazione. Un amico.
Improvvisamente,
mentre le ombre si chiudevano su di loro, fagocitando la stessa cupola di
energia, e i due Cavalieri imbracciavano i Talismani, pronti per liberare,
forse per l’ultima volta, il loro potere, entrambi furono accecati, e
disorientati, da un bagliore proveniente dalla sommità della collina di Sitia.
Una luce gialla, calda e avvolgente, simile al sole che sorge. In un attimo
un’onda di energia travolse le ombre che vorticavano loro attorno,
annientandole all’istante, e proseguì la sua corsa fino a infrangersi contro la
marea nera che sovrastava l’isola di Creta.
“Sono
certo che ve la sareste cavata anche da soli…” –Esclamò una decisa voce adulta.
–“Ma permettimi di aiutarti, figlio mio!”
Febo si voltò
verso oriente, abituando gli occhi all’intensa luce che proveniva da un uomo
rivestito da una splendida armatura. Una Veste Divina dagli accesi colori oro e
arancio, formata da un gonnellino pieghevole, in grado di adattarsi ai
movimenti bruschi di una battaglia, da un pettorale rifinito in oro, al centro
del quale splendeva un cerchio con un punto in mezzo, il simbolo del Sole, da
due coprispalla arcuati, dai bracciali intarsiati e dall’elmo, un copricapo
regale con due corna di ariete, al centro delle quali era incastonato il Disco
del Sole.
Alto e
magnifico, privo di quella vecchiaia che vi aveva visto il giorno in cui aveva
spalancato le porte del Tempio di Karnak, Amon Ra, il Dio del Sole egizio,
sorrise al figlio che aveva avuto secoli addietro dalla Sacerdotessa di Apollo
a Delfi.
“Pa…
Padre?!” –Mormorò Febo, sorpreso da quell’apparizione, ma anche felice di
rivederlo. Così felice che non esitò a gettar via tutte le formalità e a
corrergli incontro, abbracciandolo tra le lacrime.
“Sono
lieto anch’io di rivederti, Febo!” –Sorrise Amon Ra, carezzando i biondi
capelli sporchi del figlio. –“Ne è passato di tempo!”
“Padre…
io…” –Commentò Febo, sentendosi in colpa per averlo abbandonato, senza neppure
dargli una spiegazione, inseguendo l’onda del proprio destino, pur incerto che
fosse.
“Non
hai niente di cui scusarti!” –Sentenziò Amon Ra, con voce gentile, prima di
voltarsi verso Marins, rimasto in disparte per non disturbare la riunione
familiare. –“Mi fa piacere rivederti, Cavaliere dei Mari Azzurri, per quanto
non vi siano state molte occasioni di dialogo durante il nostro precedente incontro!
Spero che, quando le tenebre del mondo ci concederanno un momento di pace, mi
farai l’onore di farmi visita nel mio Santuario di Karnak, affinché possa
offrirti l’accoglienza che merita un Cavaliere delle Stelle, nonché il più caro
amico di Febo!”
“Ne
sarei onorato, nobile Ra!” –Disse Marins. –“Perdonatemi se vi ho portato via
vostro figlio… ma…”
“Credevo
foste andati ad Avalon per diventare guerrieri, non per imparare tutte queste
smancerie!” –Esclamò Amon Ra, prima di scoppiare a ridere, davanti agli occhi
straniti di Febo e di Marins.
“Non
sapevo tu fossi a conoscenza…” –Balbettò Febo, ma Amon Ra lo interruppe.
“Di
Avalon? E a fianco di chi credi che abbia innalzato quel capolavoro di
architettura che nel Mondo Antico raccolse tutto lo scibile umano?! Prima che
mi abbandonassi ai rimpianti, sapevo essere un Dio saggio e prudente! Come
Avalon è stato per tutti questi secoli, soprattutto negli ultimi anni! Non
mancando di far sapere a un padre, in ansia per le sorti del figlio, che non
aveva niente da temere!”
“Febo
sta crescendo!” –Gli aveva detto il Signore dell’Isola Sacra durante il loro
ultimo colloquio. –“Diventa più forte ogni giorno che passa, diventa padrone di
sé! E quella nobiltà nei modi di fare, retaggio di una dinastia che non ha mai
dimenticato, adesso è mutata in nobiltà di cuore! Puoi soltanto essere
orgoglioso che sia tuo figlio!”
“E
aveva ragione!” –Sorrise Amon Ra.
“La
meticolosità di Avalon sorprende persino me! Quell’uomo prevede ogni cosa!”
–Commentò Febo, a cui anche Marins diede subito ragione.
“È
questo il suo ruolo! Come è nel ruolo di noi combattere a difesa delle nostre
genti! Come l’Esercito del Sole ha lottato in Egitto, contro un manipolo di
bestie e Cavalieri Neri che il Maestro di Ombre ha inviato per terminare
l’opera iniziata quindici anni fa, per radere al suolo Karnak e Tebe!”
“L’Egitto
è stato attaccato?! Non ne sapevamo niente!” –Sgranò gli occhi Febo.
“Ho
chiesto io al Signore dell’Isola Sacra di tenervi all’oscuro!” –Confessò Ra.
–“Poiché sapere la tua terra d’origine, la tua casa e coloro che hai cari in
pericolo ti avrebbe distratto dalla tua missione, spingendoti a correre rischi
avventati, per magari scendere in Africa a combattere! E ciò non doveva
accadere!”
“Ciò
che andava fatto? No, non credo! Avresti fatto ciò che sentivi di fare! E non è
per questo che ti sei allenato per tutto questo tempo! Avalon e i Talismani non
vi hanno nominato Cavalieri delle Stelle affinché le speranze degli uomini di
respingere la grande ombra naufragassero per i capricci di un bambino!”
–Esclamò Amon Ra, mettendo le mani sulle spalle del figlio. –“Ci sono in gioco
destini ben più grandi di quanto le nostre misere esistenze, di uomini e di
Dei, possano meritare!”
“Che è
successo in Egitto? Spiegami!” –Incalzò Febo, prima che una fitta al ventre lo
facesse accasciare a terra, e Marins si chinasse prontamente su di lui.
“Impetuoso
cuore il tuo, Febo! Prima pensi agli altri, poi a te stesso!” –Commentò una
quarta voce, mentre la sagoma di un giovane uomo appariva alle spalle di Ra.
–“Come quando scendesti in Amenti, lottando contro Anhar e Apopi, solo per
salvare mio padre e me, e per vedere nuovamente il sorriso sul volto di Iside!”
Febo
si rimise in piedi, sorretto da Marins, per incrociare lo sguardo acuto e
penetrante del figlio di Osiride, Horus, il Dio Falco, grande amico e
suo fratello adottivo. Dietro di lui, sulla cima del colle di Sitia, si
andavano ammassando decine di soldati dai cosmi luminosi, che indossavano le
uniformi verdi e dorate che Iside aveva preparato per loro. L’Esercito del
Sole, che Amon Ra aveva radunato dopo aver sconfitto i servitori di Flegias in
Egitto, quel che restava dei macabri esperimenti condotti da Seth e da Anhar
anni addietro, nei sotterranei della Piramide Nera.
Il Dio
del Sole si chinò sul figlio, sfiorando con la mano la ferita al ventre e
lasciando che il suo cosmo fluisse dentro di lui, cicatrizzando il taglio e
donandogli nuove energie. Altrettanto fece con Marins, prima di dargli una
pacca sulla spalla e strizzargli un occhio.
“Finita
la guerra, fai un salto a casa, ragazzo! Mi hanno detto che in America, di
questi tempi, fanno progressi nel campo delle protesi!”
Febo
lo osservò con un sorriso disteso. Non soltanto perché era felice di rivederlo,
e di saperlo orgoglioso del suo operato, ma perché aveva visto sul suo volto lo
stesso sguardo desideroso di conoscere, desideroso di scrutare il mondo, che lo
aveva spinto millenni addietro a raggiungere Delfi. E a unirsi ad Hannah.
“Horus!
Avvisa l’Esercito del Sole di tenersi pronti!” –Ordinò Amon Ra, disturbando le
riflessioni di Febo. –“Le ombre non tarderanno ad attaccare, e dovremo essere
in grado di fronteggiarle finché colui che le ha generate non venga sconfitto!”
Cavalieri
di Atena! Il destino della Terra, e di tutte le forme di luce, è adesso nelle
vostre mani!
Rifletté il Dio, spostando lo sguardo verso nord-est, in direzione di una delle
migliaia di isole che costellavano l’Egeo. La stessa su cui Pegasus e i suoi
compagni si stavano dirigendo in quel momento.
Trasportati
da Euro, ultimo figlio di Eos, Pegasus, Phoenix, Sirio e Cristal stavano
volando nel cielo del tramonto, con le ali delle Armature Divine spiegate,
sospinti dal vento che il Dio generava semplicemente soffiando. Volavano sopra
le nuvole, sopra la cappa di tenebra che dall’Isola delle Ombre si era estesa
sull’intero Egeo e parte del Mediterraneo Orientale, arrivando in Tracia a
nord, nell’entroterra turco a est, a Creta a sud e fino alle pendici
dell’Olimpo a ovest.
In
silenzio, con i cosmi azzerati, speravano di prendere Flegias di sorpresa,
attaccandolo al cuore prima che potesse riorganizzare un nuovo plotone di ombre
con cui marciare sul Grande Tempio. Pegasus, le cui ali erano state danneggiate
dallo scontro con Orochi, si teneva al braccio di Phoenix, mentre Cristal
sorreggeva Sirio, come nella superdimensione tra Inferno ed Elisio.
“Per
quanto possa sembrare ironico, vi dico: guardate!” –Parlò infine Euro,
indicando un’enorme massa nera sotto di loro. –“La concentrazione di ombre è
così fitta in questo punto che neppure i miei occhi riescono a penetrarla, e
immagino che siamo infine giunti alla roccaforte di Flegias! Alla fonte
d’origine di tutti i mali!”
“Molto
bene! Scendiamo e diamogli addosso, senza dargli tempo di fiatare!” –Incalzò
subito Pegasus, che desiderava ardentemente confrontarsi con lui.
“Non
vi ho portato all’altare del sacrificio, Cavaliere di Pegasus! Ed anche se il
tuo cuore è mosso da nobili ideali, ti invito ad essere prudente, poiché non
sappiamo quali trucchi quel demone nasconda ancora nella terra in cui regna
come signore incontrastato!” –Lo pregò Euro. E anche Dragone e gli altri
annuirono.
“D’accordo,
d’accordo! Ma scendiamo, vi prego! Non ne posso più di svolazzare come un
cardellino!” –Brontolò Pegasus, mentre Phoenix lo teneva per un braccio.
“Non
soffrirai mica di vertigini?!” –Ironizzò, facendo ridere gli altri compagni. Fu
un breve momento, ma fu intenso. E fu l’ultimo per quella notte di guerra.
“Le
nostre strade si separano di nuovo, Cavalieri di Atena! Mi preme raggiungere
l’Olimpo quanto prima!” –Esclamò Euro. –“Per quanto detesti queste inutili
guerre, l’urlo disperato di Zeus ha macerato la mia anima, spingendomi a
rientrare sul Monte Sacro! Che la benedizione del Vento dell’Est scenda su
tutti voi! E possa sostenervi nei momenti in cui l’ombra cercherà di prostrarvi
a sé!”
“Ti
ringraziamo, potente Euro, per la generosità che ancora hai dimostrato!”
–Sorrise Sirio, parlando anche a nome degli altri.
“Di un
atto generoso o di un suicidio di massa mi sono reso complice?!” –Ironizzò
Euro, prima di sospirare e volare via, sbattendo le variopinte ali della Veste
Divina e svanendo in lontananza.
I
quattro amici discesero verso terra, scivolando all’interno di una corrente
d’aria che il Vento dell’Est aveva creato per loro, ma non appena entrarono
nelle nubi nere che sovrastavano l’Isola delle Ombre, vennero scossi da una
violenta tempesta energetica, mentre i loro corpi venivano avvolti in un turbinare
di fiamme e di tenebra. Confusi e disorientati da quell’improvviso assalto, a
cui non riuscivano ad opporsi, i quattro compagni vennero separati,
precipitando a terra in malo modo, mentre il demoniaco cosmo del Maestro di
Ombre fiammeggiava attorno ai loro corpi, provocando agonia e sofferenza.
“Aaargh!!!”
–Strinsero i denti i Cavalieri di Atena, schiantandosi in varie parti
dell’Isola, ancora avvolti in turbini di fuoco e ombra. –“Maledetto!!!”
“È
dunque questo il modo in cui vi presentate nella mia modesta magione?” –Parlò
loro il Flagello di Uomini e Dei. –“Di soppiatto, come ladri dal tetto! Neanche
foste ospiti di cui non aspettavo la visita! Ah ah ah!”
“Ci
avevi… notato?!” –Ringhiò Phoenix, cercando di rimettersi in piedi, nonostante
le vampe di fuoco e di tenebra non gli dessero un attimo di pace, spingendolo a
terra e stridendo sull’Armatura Divina.
“È
naturale!” –Esclamò Flegias, la cui voce risuonava sull’intera Isola
delle Ombre. –“Credete forse che su questo sterile mondo, destinato a scomparire
in brevi tempi, sopraffatto dall’antica ombra che lo generò, possa esistere
qualcosa che i miei occhi di brace, gli occhi della creazione, non giungono a
vedere?! Soltanto al di là delle nebbie di Avalon non posso spingermi! Né oltre
la cortina di primavera che un tempo cingeva la vetta dell’Olimpo! Ma presto
anche il primo problema sarà risolto, come è stato per il secondo!”
“Dannato!”
–Gridò Pegasus, a cui Flegias rispose con una risata beffarda.
“Lo
sono già da tempo, Pegasus! Più di quanto lo siate voi!” –Aggiunse, con tono
per la prima volta serio. –“Dannato a vivere quest’esistenza continuamente
ostacolata da un gruppetto di ragazzini!”
“Devi
scusarci se ti abbiamo reso la vita difficile!” –Ironizzò Pegasus. –“Ma non è
che tu abbia fatto diversamente con noi!”
“Scusarvi?!
E perché mai?! Avete soltanto reso indimenticabili questi momenti vissuti
assieme! Ah ah ah! Eccitanti, li definirei!” –Sghignazzò Flegias, prima che la
sua voce venisse coperta da un’esplosione violenta e i Cavalieri potessero
vedere il vulcano principale dell’Isola delle Ombre sbuffare fumo, lava e
squarci di tenebra. –“Addio per sempre, Cavalieri di Atena! Che la notte vi
accolga in un abbraccio mortale!” –E nel dir questo espanse il proprio cosmo
oscuro e infuocato, che piombò sui quattro compagni, sbattendoli a terra,
avvolgendoli in strati di fiamme e di ombre, desiderose di succhiar via la loro
energia vitale, per poter finalmente essere. Per poter finalmente esistere.
Pegasus
e Cristal cercarono di reagire, agitandosi confusamente, ma fulmini neri si
schiantarono ai loro piedi, frantumando la terra e precipitandoli verso fosse
ancestrali.
“Pegasuuus!!!”
–Gridò Sirio, senza poterlo impedire, ancora intento a liberarsi dalle
ostiche avversarie che lo avevano circondato, lasciandogli un minimo margine
d’azione. –“E sia dunque!” –Mormorò, socchiudendo gli occhi e portando le
braccia al petto, radunando tutto il cosmo che poté. Le ombre, vedendo quella
stuzzicante luce verdolina, si avvinghiarono al corpo del Cavaliere, prima che
un’avvampante fiamma le annientasse. –“Fuoco del Dragone!!!”
“Adesso
cominciamo a ragionare!” –Disse, liberandosi da quella scomoda prigionia e
iniziando a correre verso il luogo dove aveva sentito per l’ultima volta i
cosmi di Pegasus e Cristal. Ma venne raggiunto dai fulmini neri scagliati da
Flegias e precipitò in una conca interna, inseguito da un turbinar di fiamme e
ombra, che si sfaldò al momento di schiantarsi nell’acqua, lasciandolo
finalmente libero. Il Cavaliere, tossendo infastidito, sollevò lo sguardo e
vide che si trovava in una piccola baia circondata da alte scogliere rocciose e
sormontata da una cappa di tenebra. Si mosse per balzare fuori dall’acqua,
quando sentì qualcosa afferrarlo per le gambe.
Una
presa solida, ben più consistente dell’effimero vorticare del cosmo di Flegias.
Una presa che lo trascinò sott’acqua, obbligandolo a trattenere il fiato.
Faticò non poco per comprendere cosa stesse accadendo, cosa fosse quella massa
nera che si era avvinghiata al suo corpo, stridendo con forza sulla corazza.
Per un istante gli parve quasi di vedere la felina sagoma di un animale dagli
artigli sguainati, mentre fasci di energia gli ferivano un braccio, spingendolo
a reagire drasticamente, colpendo con un calcio violento il suo aggressore.
Quindi cercò di tornare a galla, bisognoso di respirare, ma quando mise il viso
fuori dall’acqua, ansimando a fatica, notò la sagoma nera spuntare proprio al
suo fianco.
“Come
la tigre d’acqua trascina le prede sul fondo, per cibarsi dei suoi trofei, altrettanto
farò io, il Capitano dell’Ombra che percepisce il dolore delle acque! Iemisch, la Tigre Nera!” –Esclamò questi.
“Iemisch?!” –Ansimò Sirio,
muovendosi con difficoltà nella pozza d’acqua interna. –“Ricordo le storie di
miti che il Vecchio Maestro era solito raccontarmi nelle notti d’estate ai
Cinque Picchi! Era un animale leggendario, simile a un puma di grossa taglia,
che si aggirava nei fiumi e nei laghi della Patagonia!”
“Mito corretto!” –Esclamò Iemisch,
non molto distante da lui. –“E in queste mie braccia risiede la forza della
Tigre d’Acqua, capace di trascinare sul fondo del fiume anche un robusto
cavallo! E tu, mio buon amico, nonostante il morbido crine che ti copre la
schiena, sembri piuttosto un pony! Ah ah ah!” –Rise infine il Capitano,
scomparendo nelle scure acque della conca prima che Sirio potesse rispondergli.
“Maledizione!!!” –Mormorò
Dragone, venendo nuovamente afferrato per le gambe e trascinato sott’acqua,
mentre la possente sagoma della Tigre Nera sembrava stringerlo a sé, per
soffocarlo e dilaniarlo con i suoi artigli.
Sirio cercò di opporre
resistenza, per quanto goffi fossero i suoi movimenti, appesantito
dall’Armatura Divina, mentre Iemisch, nonostante anch’egli indossasse una corazza,
nera come la notte, sembrava non risentirne affatto. Anzi, parve a Sirio che
proprio grazie all’armatura il Capitano dell’Ombra potesse scivolare meglio tra
le acque, come il vellutato pelo della Tigre Nera la rendeva sfuggente e simile
ad una grossa lontra.
Iniziando a sentire la mancanza
di ossigeno, Sirio decise di reagire, liberandosi della morsa di Iemisch con un
secco colpo di ginocchio. Ma incredibilmente la sua gamba sembrò scivolare
sulla corazza scura, sgusciando via, di fronte al sorriso beffardo che si
dipinse sul volto del Capitano dell’Ombra, che approfittò di quel momento per
piegare indietro la testa di Sirio, per spezzargli il collo e portarlo a
ingoiare acqua.
Dragone, per quanto spaventato,
mantenne i nervi saldi e lasciò esplodere il cosmo, generando una bomba di
energia che smosse le acque della conca interna, spingendo indietro anche il
Capitano dell’Ombra. Quindi, esercitando un sempre maggior potere sull’ambiente
circostante, Sirio creò una colonna d’acqua che lo sollevò all’esterno,
permettendogli di respirare di nuovo. Ansimando, vide Iemisch spuntare a galla
e decise di passare al contrattacco, riunendo le acque in un vortice di energia
e dirigendole contro di lui, dall’alto della colonna. Il Capitano dell’Ombra fu
svelto a scattar via, scivolando sull’acqua come se stesse correndo su un prato
ed evitando l’assalto del Cavaliere, prima di contrattaccare balzando in alto e
sfoderando gli artigli energetici di cui era padrone.
“Fiera di sangue!”
–Gridò, mentre migliaia e migliaia di unghioni di luce, provenienti da svariate
direzioni, convergevano sul Cavaliere del Dragone, con precisione e potenza,
falciando addirittura l’acqua della colonna su cui era sollevato.
Sirio cercò di difendersi con lo
scudo, parando la maggior parte dei fendenti di energia, ma la posizione
scomoda lo sbilanciò, facendolo cadere all’indietro. Precipitando verso la
conca d’acqua, il Cavaliere notò che Iemisch era balzato nuovamente su di lui,
afferrandolo per un piede e tirandolo con forza a sé, facendolo roteare
confusamente, prima di scagliarlo contro una parete circostante.
Sirio fu svelto a recuperare una
posizione corretta, atterrando a gambe unite contro la parete rocciosa e
dandosi la spinta per poi balzare contro Iemisch, rimasto spiazzato dalla
capacità di ripresa del ragazzo, e colpirlo con un destro in pieno petto, che
lo fece precipitare dentro la conca, sollevando spruzzi d’acqua che inondarono
le tenebre di quella baia.
Con un’agile capriola a
mezz’aria, Sirio atterrò sul limitare roccioso che circondava la pozza,
approfittando di quel momento per riprendere fiato, senza togliere mai lo
sguardo dall’acqua scura, certo che Iemisch sarebbe ricomparso entro breve. Ma
l’oscurità era tale da limitare la visuale a tre metri scarsi, così Sirio, prudentemente,
socchiuse gli occhi, espandendo il cosmo e concentrando i sensi sull’ambiente
circostante, come il Vecchio Maestro ben gli aveva insegnato anni addietro.
Immediatamente migliaia di fasci
energetici, di colore argenteo, sfrecciarono verso Sirio, provenendo proprio
dalla pozza d’acqua tetra. Da nessun punto in particolare, ma dall’intera
superficie, senza che Dragone riuscisse a comprenderne l’origine.
Mosse in fretta lo scudo, per
parare il maggior numero possibile di quegli aguzzi fendenti energetici, che
sembravano mirare alle giunture tra i pezzi dell’Armatura Divina, quasi
consapevoli di non aver altra possibilità per ferirlo. Attacchi continui e
precisi, mossi da una meticolosità che poche volte Sirio aveva trovato in un
nemico.
Cercò ancora di individuare la
fonte di origine di quegli assalti, percependo soltanto un’unica grande
presenza nascosta nelle torbide acque della baia. Una presenza che pareva
fondersi con l’acqua stessa, tanto profondo era il legame che li univa. Così,
Sirio pensò di aggirare il problema.
“Se Maometto non va alla
montagna…” –Commentò, caricando il braccio destro del suo cosmo lucente.
–“…sarà la montagna ad andare da Maometto!” –E lo sollevò con forza e velocità,
generando un fendente di energia così potente da spaccare in due le acque della
conca interna, sollevandole di colpo.
A causa dell’onda d’urto anche
Iemisch venne sbalzato in alto, sballottando all’interno di quel turbinare
inquieto, e spuntò nuovamente alla vista di Sirio, che non ebbe tempo neppure di
gioire, obbligato a ripararsi di nuovo dietro lo scudo per proteggersi dal
rinnovato assalto del Capitano dell’Ombra.
“Fiera maestosa!” –Tuonò
Iemisch, piombando sul Cavaliere di Atena, mentre tutto attorno a lui migliaia
di sagome feline, con le zanne affilate, schizzavano su Dragone, che muoveva lo
scudo con rapidità impressionante e destrezza. Non riuscì a respingerle tutte,
venendo raggiunto sulle braccia e sulle gambe da qualche affondo energetico, ma
fu abile comunque a non farsi travolgere.
Fece per abbassare lo scudo,
notando che l’attacco era scemato di intensità, quando si accorse che il
Capitano dell’Ombra era proprio davanti a lui, avvolto da una spirale di
tenebre e acqua scura che lo rendevano difficile da individuare. Senza proferir
parola Iemisch concentrò il cosmo sulla mano destra, dirigendo guizzanti
scintille di energia verso Dragone, che sollevò di nuovo lo scudo per
difendersi, caricandolo del suo cosmo verde lucente.
Lo scontro tra i due poteri
spinse Sirio indietro di qualche metro, facendogli scavare solchi nel suolo con
i piedi, senza comunque smuoverlo dalla sua posizione difensiva. Per quanto
stridessero sulla corazza divina, scheggiandone lo splendore, gli artigli di
Iemisch non ebbero ragione dello scudo del Dragone, trovando in esso
insormontabile ostacolo. Sirio approfittò di quel momento per colpire il
Capitano dell’Ombra dal basso, con un violento calcio a cui infuse la forza del
suo colpo.
“Drago Nascente!!!”
–Gridò, colpendo Iemisch da distanza ravvicinata. Ma, per quanto scaraventato
in alto, il Capitano dell’Ombra seppe comunque recuperare una posizione eretta,
effettuando una capriola all’indietro proprio sopra la conca d’acqua e
atterrando sull’altro lato della stessa, con il pettorale della corazza ancora
fumante per il colpo ricevuto. Perse però l’elmo a muso di tigre, che schizzò
via per l’urto, schiantandosi a pochi metri di distanza e rivelando il volto
maschile dell’uomo.
“Ottima mossa, Cavaliere del
Dragone! Ad Andromeda certo non sei inferiore, quanto a strategia e tecniche di
combattimento!” –Commentò allora Iemisch, fissando Sirio con i suoi penetranti
occhi grigi, simili a preziose pietre che riuscivano a splendere nella coltre
di tenebra anche a distanza.
“Hai affrontato Andromeda
sull’isola di Biliku?” –Domandò allora Sirio, a cui l’amico aveva brevemente
fatto cenno degli eventi, senza sbilanciarsi in eccessive considerazioni,
stanco e fiacco com’era stato fin da quando era tornato dall’Asia.
“E ad Angkor! Due volte ho
combattuto con lui e in entrambe ho trovato godimento da quella caccia che
l’amico tuo così tanto voleva evitare! Pur tuttavia, non potendo cambiare la
realtà dei fatti, infine l’accettò! E ci scontrammo a lungo, sotto i gopura di
Angkor Wat, finché il Cavaliere di Virgo non interruppe il mio improvvisato
safari!” –Spiegò Iemisch, con orgoglio. –“Safari che continuerò adesso,
affrontando te, che rispetto al tuo compagno sembri meno eloquente ma ben più
combattivo!”
“Lotta vuoi, Iemisch?! E lotta
avrai!” –Esclamò Sirio, espandendo il proprio cosmo, mentre la lucente sagoma
di un dragone verde scivolava attorno a lui, prima di salire verso il tetro
cielo dell’Egeo. –“Sirio non cederà! Per i suoi compagni e la Dea per cui ha
scelto di lottare! Colpo segreto del Drago Nascente!” –Gridò, lanciandosi
verso l’altro versante della conca d’acqua, con il braccio destro teso avanti a
sé.
“Mi correggo!” –Commentò allora
Iemisch, strusciandosi il naso con malizia. –“Ad Andromeda, in quanto a
strategia, sei nettamente inferiore!”
In quell’esatto momento, mentre
Sirio risplendeva sopra la conca d’acqua, proprio al centro della stessa,
immense onde si sollevarono verso di lui, assumendo la forma di fameliche tigri
nere, con le zanne affilate e gli artigli carichi di sfolgorante energia, che
travolsero il drago di luce, azzannandolo e precipitandolo nuovamente
nell’abisso oscuro, di fronte agli occhi divertiti, ma mai sazi di sfide, di
Iemisch.
“La prima regola del guerriero
perfetto è quella di sfruttare al meglio l’ambiente circostante, prendendo da
esso tutto ciò che possa essergli utile per vincere!” –Commentò, prima di
avvicinarsi al bordo della conca. –“Ed io ho infatti scelto questo luogo, ove a
lungo mi sono allenato, per vincere voi Cavalieri e ottenere il trofeo che
merito di conquistare!”
Tirò un’occhiata alla pozza
d’acqua e vide che, al di sotto della superficie increspata, brillava una luce
verde, che si stava facendo sempre più grande, sempre più intensa, fino a
inglobare l’intera massa di tenebre e sollevarla verso l’alto, dandogli la forma
di scintillanti dragoni di energia.
“Un trofeo vuoi?! Per
vanagloriarti della tua forza e dei massacri a cui ti sei abbandonato?!”
–Ringhiò Sirio, comparendo di fronte a Iemisch, spinto verso l’alto da colonne
di energia acquatica. –“Non una testa di drago appenderai nella sala dei tuoi
ricordi, Capitano! Al massimo una testa di tigre! La tua!” –E nel dir questo si
abbatté contro Iemisch, avvolto nello scintillio del suo cosmo.
L’immenso dragone di luce si
schiantò sul Capitano dell’Ombra, che per difendersi incrociò le braccia avanti
a sé, contenendo in parte l’assalto, ma venendo comunque scaraventato indietro,
fino a sbattere contro la parete rocciosa dietro di lui, crepando parte della
sua corazza nera. Fu comunque abile, mentre precipitava verso terra, a
capovolgersi e ad atterrare con il braccio destro, molleggiandolo in modo da
balzare nuovamente in piedi.
“Ben poco conosci delle mie
feline abitudini, Cavaliere del Drago!” –Commentò, senza scomporsi troppo, né
per le ferite, né per i danni all’armatura. –“Altrimenti sapresti che una tigre
mai si abbandona a massacri indiscriminati, ma fa sempre buon uso delle prede
che ha catturato, nutrendosi di ogni loro parte, senza gettar via niente! Una
tigre caccia per sopravvivere, non per divertimento!”
“E tu per cosa cacci, Iemisch?!”
–Esclamò Sirio, sollevando le braccia per prevenire un eventuale attacco del
Capitano dell’Ombra.
“Per il piacere di
sopravvivere!” –Rispose Iemisch, abbandonandosi a un sorriso divertito, prima
di accendere il suo cosmo argenteo e caricarlo sul braccio destro, per poi
muoverlo ad altissima velocità, generando migliaia di fendenti energetici che
si chiusero su Sirio, come le fauci di un gigantesco felino. –“Fiera di
sangue!!!”
Sirio, aspettandosi tale mossa,
roteò svelto lo scudo attorno a sé, cercando di proteggersi il più possibile da
quella pioggia di spilli che pareva non avere mai fine. Nel contempo, concentrò
il cosmo sul pugno destro, portando il braccio avanti e scagliando un Drago
Nascente contro Iemisch. Ma l’attacco non raggiunse il Capitano dell’Ombra,
che molto abilmente si era lanciato avanti, gettandosi in scivolata sul
terreno, sfruttando la permeabilità della sua corazza, e portandosi proprio
sotto Dragone, colpendolo alle gambe con un calcio secco.
Il ragazzo accusò il colpo,
gridando dal dolore nel sentire le ossa della tibia destra spezzarsi sotto la
potenza dell’attacco nemico. Con un secondo calcio dal basso, Iemisch
scaraventò Sirio indietro, sbattendolo a terra poco distante, prima di
rialzarsi e avventarsi contro di lui con gli artigli sguainati. Come le tigri
schiacciano a terra le loro prede con la loro immensa muscolatura.
Ma Sirio, per quanto indebolito,
ebbe la prontezza di sollevare il braccio destro, drizzando la mano in modo da
formare una spada. Una spada di cosmo ardente. E su essa Iemisch si schiantò,
avvedendosi all’ultimo del movimento del Cavaliere.
“Ouch!” –Mormorò, sputando
sangue e accasciandosi sul braccio teso di Sirio, la cui lama gli aveva
sfondato la corazza, penetrando nel basso ventre. Con una certa fatica Sirio
riuscì a scaraventare via il corpo ferito del Capitano dell’Ombra,
schiantandolo contro la parete rocciosa e precipitandolo poi a terra.
Stringendo i denti per il dolore alla gamba, Sirio cercò di rimettersi in
piedi, avvolto nel suo cosmo verde, proprio mentre Iemisch, non molto distante,
faceva altrettanto.
“Mi rimangio le mie parole,
Cavaliere del Drago! La tua prontezza e precisione nel colpire è stata geniale!
Da leccarsi i baffi!” –Commentò il Capitano dell’Ombra, sforzandosi di
mantenere una certa ironia nel tono di voce, per quanto lo squarcio aperto sul
ventre gli dolesse e gli mozzasse il fiato.
“A un dono che mi fu fatto devo
tale abilità!” –Affermò Sirio, ricordando il Cavaliere di Capricorn che, oltre
a salvargli la vita donandogli la propria Armatura d’Oro, gli aveva anche
passato un’eredità di immenso valore. –“La spada di Excalibur sono io!”
“La spada dei druidi di Avalon?
Non mi sorprende allora che il Maestro di Ombre tema l’Isola Sacra, se persino
voi Cavalieri di Atena possedete armi di tale potenza!” –Commentò Iemisch, con
voce interessata. –“Ma una spada è arma utile da distanza ravvicinata! Da
lontano invece può fare ben poco!” –Sorrise, espandendo il proprio cosmo
argenteo, che illuminò l’intera vallata.
“Questo è tutto da dimostrarsi!”
–Affermò Sirio, sollevando di colpo il braccio destro e generando un fendente
di energia, che sfrecciò rapido verso Iemisch senza però raggiungerlo.
Il Capitano dell’Ombra era stato
lesto a scattare di lato, prima di scagliare una pioggia di fasci energetici
contro Sirio, che cercò di pararne alcuni con lo scudo e recidere gli altri con
un nuovo fendente. Ma nuovamente Iemisch lo evitò, muovendosi alla stessa
velocità degli attacchi di Sirio, anticipandone le direzioni e sfruttando
l’onda d’urto della stessa Excalibur per darsi maggiore spinta.
“Non ho certo perso la mia
velocità! Non basta una ferita per vincere la Tigre Nera! Fiera maestosa,
dilania il suo cuore!” –Gridò, indirizzando un assalto composto da migliaia di
sagome feline contro Sirio, che mosse lesto lo scudo per proteggersi, ma non
poté evitare di essere raggiunto in più punti, sentendo quasi i morsi delle
zanne nere strappargli via pezzi di pelle e di vita.
“Anche se Flegias non vuole
crederci, sono sempre il migliore!” –Mormorò Iemisch, avventandosi su Sirio,
con la mano destra ove sfolgoravano scintille di pura energia.
Dragone sollevò svelto lo scudo,
parando con esso l’attacco del Capitano dell’Ombra, anche se venne spinto
indietro di qualche metro, prima di muovere il braccio sinistro di scatto e
afferrare il polso del suo rivale, ancora davanti a lui, stringendolo con
forza. Iemisch sgranò gli occhi sorpreso, alla vista della presa di Sirio che
gli schiantò la corazza nera, frantumandogli le ossa al di sotto, e cercò di
contrattaccare portando avanti il braccio sinistro, carico di energia cosmica.
Ma Dragone fece altrettanto con
il destro e i due pugni cozzarono l’uno contro l’altro, da distanza
ravvicinata, generando una deflagrazione che scaraventò entrambi indietro. Ma
non potendo allontanarsi l’uno dall’altro, stringendo ancora Sirio il polso
destro di Iemisch, ne vennero travolti e danneggiati.
Il Capitano dell’Ombra, con
anche il secondo bracciale distrutto, ansimò per la fatica, leggendo negli
occhi di Sirio la stessa determinazione che c’era nei suoi. Così lo colpì lesto
allo stomaco con una ginocchiata, piegandolo in avanti, liberandosi infine
dalla presa al polso, mentre con un balzo saltava sopra di lui e gli stringeva
la testa tra le gambe, deciso a soffocare la sua preda.
“Tecnica alquanto rozza, ma
sempre efficace!” –Rise Iemisch, chiudendo sempre più le gambe sulla testa di
Sirio e avvolgendosi nel suo cosmo, che elettrificò l’aria, concentrandosi
sulla mano destra sotto forma di guizzanti fulmini. –“E adesso… muori!!!”
–Esclamò, calandola su Sirio, per sbranargli il petto con i suoi artigli.
Ma il ragazzo, che aveva
radunato abbastanza energia, lasciò esplodere il proprio cosmo, scaraventando
Iemisch molti metri addietro, travolto da un dragone di pura luce. Quindi si
voltò verso il Capitano dell’Ombra, caduto in malo modo sul terreno, a pochi
passi dalla pozza d’acqua, tra i frammenti insanguinati dell’armatura.
“Pare che questa preda abbia
zanne altrettanto affilate da non lasciarsi vincere!” –Disse, ancora avvolto
nel suo cosmo verde. –“E cosa fa un cacciatore di fronte a una situazione
simile?”
“Cosa fanno gli altri io non lo
so! E neanche me ne importa! Ma per certo so ciò che farò io!” –Rispose fiero
Iemisch, rialzandosi ancora. –“In questa danza di morte non vi è possibilità di
abbandono! La Tigre Nera non rinuncia mai alla sua preda, neanche se per
catturarla dovesse morire! Le cacce interrotte sono per i deboli! Quelle
difficili, quelle stimolanti, che danno un senso al nostro essere, quelle sono
per me!” –E nel dir questo lasciò esplodere il cosmo, scagliandosi contro
Sirio, circondato da migliaia di migliaia di fiere energetiche con gli artigli
digrignati, per l’ultima volta. –“Ooh, che notte magnifica! Che notte di caccia!!!”
“La tua determinazione ti fa
onore, Tigre Nera! Ma talvolta, accade, l’onore non rende paghi!” –Mormorò
Sirio, socchiudendo gli occhi e espandendo al massimo il proprio cosmo. –“Colpo
dei Cento Draghi!!!” –E portò entrambe le braccia avanti, liberando le
zanne dei dragoni di Cina, che trapassarono tutte le fiere sanguinarie di
Iemisch, prima di abbattersi sul Capitano dell’Ombra e dilaniare il suo corpo.
La Tigre d’Acqua crollò a terra,
in una pozza di sangue, con l’armatura distrutta e ferite aperte sul corpo. E
tutti i suoi sogni di gloria crollarono accanto a lui, avvolti nello stesso
fantasma di morte.
“Stimavo molto… il Cavaliere di
Andromeda!” –Parlò infine, cercando di rimettersi in piedi, di fronte agli
occhi stravolti di Sirio, esausto per lo scontro sostenuto. –“E altrettanta
stima ho riservato a te, Drago di Cina! Peccato…” –Mormorò, con le ultime
forze, sollevando lo sguardo verso il cielo nero che incombeva su entrambi.
–“Fossi stato un uomo diverso, un uomo migliore, avremmo potuto combattere
assieme! Cacciare… assieme! Anziché uno contro l’altro…”
“Iemisch…” –Commentò Sirio,
facendo un passo avanti. Ma il dolore alla tibia lo costrinse ad accasciarsi a
terra, strappandogli un gemito di dolore.
“Buona fortuna… Cavalieri… Possa
la vostra caccia all’oscurità non avere mai termine!” –Aggiunse Iemisch, privo
ormai di forze, lasciandosi cadere all’indietro.
Crollò nelle acque della baia,
dove aveva trascorso mesi ad allenarsi, fin da quando Flegias lo aveva trovato
anni addietro, ramingo lungo i fiumi della Patagonia. Là aveva imparato a
nuotare e a pescare senza usare strumento alcuno che non fosse il corpo. In
Grecia aveva invece capito come utilizzare le sue conoscenze, trasferendole su
un piano puramente bellico, per diventare un soldato perfetto. E Flegias aveva
di proposito fomentato le sue speranze di gloria, promettendogli un posto al
sole nel futuro impero dell’ombra. Un posto per cui avrebbe dovuto competere
con Orochi.
A tutto questo ripensò Iemisch
mentre le tetre acque della conca si chiudevano su di lui, sprofondandolo verso
quegli abissi dove la Tigre d’Acqua era solita condurre le sue prede. La
scomparsa del cosmo del Capitano dell’Ombra fu avvertita anche da Flegias,
seduto sul suo trono d’amianto, nella parte più protetta dell’Isola delle
Ombre. Ma non lo toccò più di quel tanto. Semplicemente lo infastidì.
“Anche Iemisch è caduto!”
–Commentò scocciato, osservando nel fuoco del braciere il corpo della Tigre
Nera venire risucchiato dalle acque. –“Un altro incapace libera il mondo dalla
sua presenza! Pare che, dei sette Capitani, non resti che tu, a compiacerti di
servirmi! Per quanto più danni tu abbia provocato che altro!”
“Auuuh!!!” –Ululò il Licantropo,
inginocchiato di fronte allo scranno del Maestro di Ombre. –“Non siate in
collera mio Signore! L’Egitto ha opposto resistenza! Ma le donne guerriere che
hanno invaso l’isola presto saranno sopraffatte! Le loro carni diverranno pasto
prelibato per i miei compagni!”
“Voglio ben sperarlo! O sarò io
a nutrirmi dei tuoi resti, uomo-lupo!” –Esclamò Flegias, prima di ordinare
all’ultimo Capitano dell’Ombra di prendere posizione. –“Un cosmo ardente sta
per raggiungere la punta settentrionale dell’isola! Intervieni! Ed eliminalo,
se ne sei capace!”
“Nessun altro compito per me, Maestro
di Ombre?!” –Intervenne allora una decisa voce maschile, tagliente come le
affilate lame che portava con sé.
“Hai bisogno di ordini, Avel?!
Credevo che fossi abituato a lavorare da solo!” –Ironizzò Flegias, ricordando
il passato dell’uomo, il quale non ne parve affatto turbato. –“Se di stragi non
sei ancora sazio e cerchi carne giovane da affettare, dirigiti sul versante
meridionale dell’isola, ove alcuni cosmi si stanno avvicinando! E porta con te
gli ultimi Cavalieri Neri!”
“Farò strage dei vostri nemici!”
–Commentò Avel, inchinandosi e uscendo poi dalla caverna sotterranea.
“Sempre che non siano loro a far
strage di voi! Stupidi!” –Sghignazzò Flegias, che nient’altro vedeva nei
Cavalieri delle costellazioni dimenticate se non carne da macello, schiavi da
utilizzare per i suoi scopi e niente più. Come Ares aveva considerato i
berseker per anni, senza dare loro neppure un nome, chiamandoli come l’arma con
cui combattevano.
Di scatto, si alzò dal trono
d’amianto, scuotendo il lungo mantello scarlatto, e si incamminò verso le
profondità dell’Isola delle Ombre, verso le fornaci ove gli schiavi rapiti al
Grande Tempio avevano lavorato senza sosta giorno e notte per produrre le
corazze dei Cavalieri Neri, agli ordini di Athanor. Flegias sogghignò, pensando
che né dell’alchimista oscuro, né dei suoi involontari servitori, era rimasto
niente.
Le fiamme del nero forno
ardevano ancora, cibandosi dei corpi degli schiavi che Avel aveva massacrato
poco prima, obbedendo agli ordini del Maestro di Ombre, che in fondo pensava di
aver fatto un favore al Cavaliere delle Spade Incrociate, ben sapendo quanto
amasse uccidere per il piacere di farlo. Strusciandosi le mani soddisfatto,
Flegias passò in mezzo ai corpi mutilati ammassati a terra, sguazzando nel
sangue ancora fresco, il cui odore lo inebriò, strappandogli una sghignazzata,
prima di avvicinarsi ad una rientranza nel muro, una cavità naturale che aveva
sfruttato per creare la prigione adatta al suo ospite privilegiato.
All’interno dell’incavatura
infatti, avvolto da un turbinare di ombre, che da settimane si cibavano del suo
spirito massacrato, un uomo dal volto stravolto non aveva più la forza neppure
di alzare lo sguardo.
“Ben trovato Giasone della
Colchide! I tuoi amici hanno deciso infine di farci visita! Spero che onorerai
tutti loro dell’accoglienza che meritano! Ah ah ah!” –Ridacchiò il Maestro di
Ombre, scomparendo nell’oscurità, ben consapevole di avere ancora un’arma da
giocare. La più pericolosa di tutte. Forse anche per lui.
Proprio in quel momento, una
ventina di metri sopra di lui, nella parte settentrionale dell’isola, un gruppo
di donne, equipaggiate da soldati, stavano affrontando l’ultima guarnigione a
difesa del regno di Flegias. Bestie senza nome, per metà uomini e per metà
lupi, risultati di chissà quale oscuro esperimento che aveva stravolto la loro
conformazione, generando un branco di famelici servitori.
“Non arretrate!!!” –Esclamò una
decisa voce di donna, caricando le compagne ad avanzare. Impugnò l’arco che
portava in vita e scagliò una freccia nel petto di una bestia, che ricadde a
terra, contorcendosi per il dolore, prima di strappar via il dardo, e con esso
pezzi di pelle, leccando il sangue di cui la punta era bagnata.
“Disgustoso!” –Commentò un’altra
donna, avvicinandosi alla prima.
“Attenta, Mirina!!!” –La avvertì
la compagna, mentre l’orrida bestia, voltatasi nuovamente verso le donne, balzò
in alto, piombando su di loro con gli artigli delle mani sguainati. Ma subito
una raffica di frecce proveniente dalle retrovie la raggiunse, schiantandola al
suolo.
Immediatamente, come reazione,
il resto del branco ululò, digrignando i denti con rabbia, prima di avventarsi
confusamente contro il gruppo di donne-soldato, sfoderando una ferocia che
sorprese molte di loro.
“Non temete la morte, pavide!
Combattete! Per la nostra Regina Ippolita! Per la nostra terra macchiata dal
sangue dell’infamia! Per le sorti del nostro popolo!” –Gridò la donna che aveva
ferito la prima bestia. –“Amazzoni! Avanzate!!!”
Subito una creatura fu su di lei,
sbattendola a terra e montandole sulla schiena, strappando via la sua cotta
protettiva con un solo colpo dei suoi artigli, che affondarono nel corpo della
donna, alla cui vista le compagne inorridirono.
“Non siamo venute… qui… per
morire!” –Rantolò la donna, recuperando l’ascia bipenne che portava alla
cintura. –“Ma per avere vendetta!” –E la mosse con rapidità, conficcandola nel
collo della bestia, prima di voltarsi e spingerla indietro con le gambe,
osservandola ruzzolare sulla superficie rocciosa della costa.
La creatura cercò di afferrare
l’ascia, per toglierla dal suo corpo, ma venne raggiunta improvvisamente da un
ciuffo di piume metalliche, che si conficcarono nella sua schiena,
incendiandosi all’istante e avvolgendola in un turbinio di fiamme.
“Vedo che non avete
particolarmente bisogno d’aiuto!” –Esclamò un uomo, rivestito da una splendida
Armatura Divina, con le ali spiegate, comparendo su una sporgenza rocciosa,
poco distante dall’insenatura settentrionale dell’isola, dove le Amazzoni stavano
combattendo.
“Ci rivediamo, Ikki di Phoenix!”
–Commentò la donna, rialzandosi a fatica, nonostante la ferita alla schiena le
dolesse.
“Il piacere è tutto tuo,
Pentesilea!” –Rispose il ragazzo, salutando l’attuale Regina del popolo di
donne guerriere.
“Se sei qua per fare
conversazione, allora hai sbagliato momento!” –Disse Pentesilea, incoccando una
freccia e scagliandola contro una bestia che la stava caricando.
“Veramente sono qua per
combattere!” –Si limitò a rispondere Phoenix, balzando dall’alto della rupe in
mezzo a un gruppo di creature, che subito si lanciarono su di lui, con gli
artigli sguainati. –“Ali della Fenice!!!” –Gridò il Cavaliere, spazzando
via l’intero branco.
“Cerchi di impressionarmi?”
–Affermò stizzita Pentesilea, mentre altre Amazzoni la raggiungevano. Ma
Phoenix non ebbe tempo di risponderle che una creatura, più grossa delle altre,
piombò su di lui dall’alto della rupe, sbattendolo a terra e iniziando una
violenta colluttazione.
Il Cavaliere della Fenice cercò
di cacciar via quell’orrida bestia, quando si accorse che, a differenza degli
altri che aveva appena ucciso, questa era rivestita da una cotta di materiale
scuro, simile a quella che Arne dello Scettro di Brandeburgo possedeva. Una
cotta che pareva essere un’Armatura.
Phoenix non poteva saperlo ma
aveva iniziato ad azzuffarsi con l’ultimo Capitano dell’Ombra ancora vivo. Il
Licantropo.
L’apparizione di Avalon
aveva preso tutti di sorpresa. Persino il Comandante Ascanio non si
aspettava di vedere il Signore dell’Isola Sacra giungere sull’Olimpo. Né si
aspettava di vederlo tirare fuori, da sotto le sontuose vesti che indossava, un
pugnale dalla lama ricurva, di quelli che venivano consegnati alle Sacerdotesse
di Avalon quando terminavano il loro addestramento.
“Odo i tuoi lamenti fin
dall’Isola Sacra!” –Esclamò, sollevando l’argentea lama sopra il volto di Zeus.
–“Per questo sono venuto! Per mettere fine alle tue sofferenze!” –E nel dir
questo calò il pugnale verso il basso, davanti agli occhi stupefatti di Atena e
degli altri Dei e Cavalieri presenti, che non riuscirono a muovere un muscolo,
sorpresi dalla rapida concatenazione degli eventi.
La lama strusciò il polso
sinistro del Signore dell’Isola Sacra, recidendo alcune vene e lasciando
schizzare gocce di sangue sul corpo inerme del Dio del Fulmine. Senz’altro
aggiungere, Avalon portò il braccio sopra il volto di Zeus, bagnandolo con la
sua linfa vitale, una linfa che, come Ascanio subito notò, sembrava risplendere
del bagliore delle stelle, tanto intrisa era del cosmo del suo Signore.
“Avete agito bene, Atena!”
–Commentò Avalon, volgendo i suoi occhi scuri verso la Dea e smorzando la
silenziosa tensione che si era creata. –“Il vostro Ichor ha contribuito a
tenere in vita il Re dell’Olimpo, impedendo che il suo cosmo infiacchito si
spegnesse! Ma da solo non era sufficiente, necessitava di qualcosa di più! Di
un catalizzatore che potesse far ardere di nuovo la fiamma della speranza, viva
nei vostri cosmi, nel cuore di Zeus! Lasciate che sia la fiamma di Avalon a
risvegliare il Padre di tutti gli Dei!”
“Maestro, voi…” –Affermò
Ascanio, osservando il corpo del Signore dell’Isola Sacra ricoprirsi di uno
strato di luce, dapprima leggero, poi sempre più consistente, fino ad inglobare
il letto e i corpi di Zeus e di Era. –“Quale potenza!” –Commentò il giovane,
mentre il cosmo di Avalon riempiva la Reggia del Dio del Fulmine, traboccando
in fretta all’esterno, come un fiume che nessun’argine poteva permettersi di
trattenere.
Dopo qualche istante la luce
sfumò d’intensità e quando Ascanio e gli altri poterono vedere di nuovo,
notarono per prima cosa che il volto del Sommo Zeus aveva ripreso colore.
Lavato via il bianco pallore della malattia di Ampelo, il viso del Dio stava
tornando quello in cui si erano sempre specchiati. Un viso eternamente giovane.
“Mio Signore…” –Mormorò Ermes,
avvicinandosi e notando che Zeus sembrava ricominciare a muoversi.
“E… Ermes?!” –Balbettò il Dio
del Fulmine, riaprendo gli occhi e scuotendoli, come se si riavesse da un
brutto incubo.
“Sì, mio Signore! Sono io! Al
vostro servizio come sempre!” –Sorrise il Messaggero, con gli occhi colmi di
lacrime di gioia. –“E non sono solo! Ci siamo tutti!”
“Padre!” –Esclamò Atena felice,
avvicinandosi, seguita da Demetra e da Phantom, Ascanio e Mur, che si disposero
a cerchio attorno al letto.
In quella anche Era rinvenne,
scuotendosi dal torpore che l’aveva invasa di recente. La sua malattia era
stata provocata in seguito, su decisione soprattutto di Ampelo, deciso ad
estirpare la dinastia degli Olimpi, e si era palesata con sintomi inferiori.
“Sono… lieto di rivedervi! E
anche se vedo ferite e sudore sui vostri corpi, sapervi vivi è una gioia
immensa, come mai ho provato prima, in millenni di storia!” –Sorrise Zeus,
spostando lo sguardo da un volto all’altro. –“È strano! È come se mi
risvegliassi da un sonno durato secoli!”
“Non è durato poi tanto il tuo
riposo! Un pisolino è stato, di fronte all’eternità che hai vissuto!” –Commentò
allora una voce proveniente dall’esterno del cerchio di affetti riunitosi
attorno al Dio dell’Olimpo. –“Ma ti ha privato di qualcosa che nessun’altro
potrà renderti! Soltanto la tua forza interiore e la volontà di ricordare ciò
che è andato smarrito!”
Zeus riconobbe quella voce, per
quanto ritenesse improbabile che egli si trovasse sull’Olimpo. Pregò Atena e
gli altri di scansarsi, mentre Ermes lo aiutava a sollevare la schiena,
poggiandola su un mucchio di cuscini, di modo che il Dio potesse incontrare
nuovamente, dopo quindici anni, lo sguardo del Signore dell’Isola Sacra.
“Tu?
Qui?!” –Affermò Zeus. Ma non aveva ancora
terminato di parlare che realizzò di non essere poi così sorpreso. Aveva
sentito, nel suo cosmo, qualcosa di diverso. Qualcosa di antico. Qualcosa che
apparteneva agli albori del mondo. Una sapienza ancestrale di cui Avalon gli
aveva fatto dono per guarire.
“Ricordi quel che ti dissi anni
addietro, quando lamentai lo squallore in cui era caduto l’Olimpo, tra feste e
bordelli? Che se vogliamo combattere la grande ombra, dovremo farlo restando
uniti!” –Esclamò Avalon. –“Non ho cambiato idea al riguardo, ma noto con
piacere che amici non ti mancano, Signore del Monte Sacro! Amici che darebbero
la vita, per salvare quella di chi hanno caro!”
Zeus sorrise, e altrettanto
fecero Atena e gli altri, mentre Era si avvicinava al fratello e sposo,
cingendolo in un affettuoso abbraccio. Demetra disse allora a Phantom che forse
era il momento di curare le ferite di cui il suo corpo era cosparso e fece
apparire alcune foglie di timo, cariche del suo cosmo guaritore, pregando il
Luogotenente di seguirlo in un’altra stanza, ove lo avrebbe medicato, e Matthew
e Mur di unirsi a loro. Atena aiutò Era ad alzarsi e Ascanio ne approfittò per
accostarsi a Zeus.
“Mio Signore… Lamia, il Capitano
dell’Ombra al servizio del figlio di Ares…” –Iniziò a parlare il Cavaliere
Celeste. Ma Zeus lo interruppe bonariamente.
“So cos’è che hai visto! Perché
è sempre nella mia mente!” –Affermò, alzandosi in piedi per la prima volta,
dopo aver trascorso gli ultimi giorni sdraiato sul letto, in uno stato di
semicoscienza. –“Anche se parte dei miei ricordi mi è stata sottratta, vi sono
cose che non dimenticherò mai! L’affetto per coloro che amo è tra queste! Al
pari di minacce ben più gravi di una cappa di nuvole nere!”
“È dunque questo ciò che ci
aspetta?!” –Mormorò Ascanio, avvicinandosi assieme al Dio alla vetrata del lato
sud, osservando l’Olimpo scivolare verso il mare lontano.
Zeus non rispose, ponendo una
mano sulla spalla del Comandante dell’Ultima Legione e sospirando. Ascanio
annuì, prima di voltarsi verso l’interno della stanza e accorgersi di ciò che
Zeus aveva notato già da tempo. Avalon era scomparso. Silenzioso come era
venuto, il Signore dell’Isola Sacra se ne era andato. Senza tanti discorsi.
Ascanio si incamminò fuori dalle
Stanze di Zeus, per sincerarsi delle condizioni di Phantom. Sentiva i cosmi di
Pegasus e dei suoi compagni infiammarsi sull’Isola delle Ombre e voleva essere
al loro fianco per combattere l’oscurità.
Proprio in quel momento Phoenix
era nel pieno dello scontro con l’avversario più bizzarro che avesse mai
affrontato. Un uomo, alto e robusto, ricoperto da un folto pelo grigio, che lo
rendeva simile ad un lupo su due zampe, era balzato su di lui e lo aveva
atterrato, abbandonandosi a frequenti ululati.
“Spuntino prelibato sarai per il
Licantropo!” –Sogghignò, mostrando a Phoenix mani grosse e pelose, da cui
si allungarono cinque dita simili a spuntoni di energia, che la bestia mosse
per piantarle nel corpo di Phoenix. Ma il Cavaliere lo colpì con una
ginocchiata in pieno addome, sbalzandolo in alto di qualche metro, a
sufficienza per rimettersi in piedi e caricare il pugno destro del suo cosmo
infuocato. L’attacco colpì il Licantropo, per quanto questi cercasse di smorzarlo
incrociando le braccia davanti al volto, e lo scagliò contro una parete
rocciosa, strappandogli un bizzarro ululato.
“Che razza di bestia è mai
questa?!” –Si chiese Phoenix, presto raggiunto da Pentesilea e da altre
Amazzoni.
“Deve essere il capo di questo
branco di strane creature!” –Commentò la donna, notando che gli uomini-lupo
avevano iniziato a circondarli, girando in cerchio attorno alle succulenti
prede.
“Non avete mai visto dei
Licantropi?!” –Ironizzò l’uomo abbattuto da Phoenix, rialzandosi.
“Lupi mannari?! Grottesco!
Credevo esistessero solo nelle favole! Uomini condannati da una maledizione a
ricoprirsi di peli e a munirsi di zanne ad ogni luna piena, fino a divenire
veri e propri lupi feroci!”
“Quello era il passato! Noi
siamo i soldati del futuro! Coloro che hanno saputo andare oltre le sterili
leggende medievali!” –Esclamò fiero il Licantropo, espandendo il proprio cosmo.
–“Non abbiamo più bisogno della luna piena per essere quello che siamo!
Possiamo esserlo sempre!” –E nel dir questo spiccò un balzo agilissimo,
sorprendendo Phoenix e piombando in mezzo alle Amazzoni, squartandone una con
un secco colpo dei suoi artigli, prima di gettare il cadavere contro le altre.
Il resto dei lupi mannari imitò
il capo, gettandosi contro le Amazzoni, incitate da Pentesilea e da Phoenix a
sfoderare le armi e a resistere. Fu proprio il Cavaliere di Atena ad avventarsi
sul Licantropo, sbattendolo a terra e iniziando una violenta colluttazione
fisica, stando attento ad evitare le unghiate mortali della creatura.
“Auuuh!!! Sento la frenesia che
ti domina, l’adrenalina che scuote il tuo corpo! Lascia che diventi paura!
Lascia che di essa possa nutrirmi!” –Ululò il Licantropo, allungando gli
artigli per ferire Phoenix al collo.
“Paura dici? E di cosa dovrei
averne? Di un mucchio d’ossa pelose?!” –Ironizzò Phoenix, continuando a
rotolare al suolo con il suo nemico, fino a precipitare da una sporgenza
rocciosa.
Il Cavaliere fu abile a
spalancare al volo le ali dell’Armatura Divina, planando a terra senza difficoltà,
mentre il Licantropo ruzzolò per diversi metri, rimettendosi però subito in
piedi, con sguardo affamato e pericoloso. Senz’aggiungere altro, il Capitano
dell’Ombra concentrò il cosmo sulle dita, scagliando contro Phoenix lunghi
stiletti di energia, che il ragazzo fu svelto ad evitare. Ma il Licantropo
continuò l’attacco, seguendo ogni movimento del Cavaliere di Atena,
dirigendogli contro gruppi continui di cinque punte energetiche, obbligandolo
infine ad un attacco diretto.
“Pugno infuocato!!!” –Gridò
Phoenix, scattando avanti con il braccio teso e travolgendo il Licantropo con
un vortice di fuoco, che lo schiantò indietro di qualche metro, crepando parte
della sua cotta scura, senza impedirgli di liberare cinque nuovi stiletti
energetici, due dei quali si conficcarono nel pugno di Phoenix.
“I prossimi te li pianterò nel
cuore!” –Ringhiò il Licantropo, rialzandosi, mentre Phoenix strappava dalla
mano le punte di energia, lasciando zampillare il sangue all’esterno. –“E dopo
che ti avrò ucciso, mi ciberò della tua giovane carne, come i miei compagni si
nutriranno dei corpi di quelle donne senza seno!”
“Come puoi essere una bestia di
questo genere? Cosa ti ha reso così animalesco e poco umano?!”
“Una maledizione!” –Commentò il
Licantropo, con una certa tristezza nella voce, prima di scattare verso
Phoenix, balzando su di lui con gli artigli sguainati.
Il Cavaliere venne atterrato
dalla grossa mole del Licantropo, perdendo l’elmo nello scontro, ma fu abile a
spingerlo di lato in tempo, permettendogli soltanto di graffiargli una guancia
con i suoi unghioni. E quando il Capitano dell’Ombra cercò di caricare di
nuovo, gli scagliò contro un nugolo di piume infuocate, che si piantarono nel
suo corpo, incenerendogli mucchi di peli e facendolo strillare dal dolore.
“Dunque sei proprio come i lupi
mannari, che temono il fuoco più di ogni altra cosa!” –Commentò Phoenix,
rialzandosi e mettendosi a distanza di sicurezza, avvolto nel suo cosmo
incandescente.
“Cosa credevi che fossi? Una
maschera da teatro?!” –Ringhiò il Licantropo, spegnendo le fiamme sul suo
corpo. –“Io sono vero e vivo, proprio quanto lo sei tu!” –E mosse il braccio
destro con sorprendente rapidità, scagliando cinque punte di energia che si
conficcarono nelle rocce ai piedi di Phoenix, esplodendo sul colpo. Il ragazzo
le anticipò di un istante, saltando in alto e atterrando a piedi uniti su un
masso sporgente.
“Quale maledizione ti condanna?
Un patto che forse hai fatto con Flegias?!” –Chiese Phoenix, mentre il
Licantropo ansimava di fronte a lui.
“Qualcosa di più antico, che
risale alla Guerra d’Egitto, combattuta quindici anni fa! Guerra con cui il Dio
Seth cercò di sottomettere l’Egitto, soppiantando Amon Ra, e il Tempio della
vostra Dea Atena!”
“Ne ho sentito parlare…” –Disse
Phoenix, ricordando qualche commento di Ioria.
“È là che fui creato, nei
sotterranei della Piramide Nera, dal desiderio di Seth e Anhar di ottenere il
guerriero perfetto! Molti soldati dell’allora Esercito del Sole Nero furono
generati in laboratorio, ma nessuno eccitò Anhar a tal punto come feci io, un
incrocio tra un lupo e un soldato!” –Ridacchiò il Capitano dell’Ombra. –“Lo
eccitai al punto che nascose persino a Seth la sua perfetta creazione,
adducendo un fallimento nel processo generativo, mentre in gran segreto
continuò a incrociare uomini e lupi, creando un intero branco di creature
sanguinarie! Un branco che rimase celato nei sotterranei di Tebe, nutrendosi di
carogne e di quei pochi sventurati che avevano l’ardire di spingersi così in
profondità! Un branco che il Maestro di Ombre risvegliò poche settimane fa, con
il compito di assalire l’Egitto e sterminare la dinastia di Amon Ra!”
“Flegias era dunque Anhar?”
–Commentò Phoenix. –“Sembra che i suoi progetti imperiali siano più antichi di
quanto credessimo! Beh, è proprio il caso di dire che il lupo perde il pelo ma
non il vizio!”
“Esattamente! Il vizio di
cacciare e fare strage dei nostri nemici mai lo perderemo! Anche se siamo
rimasti in pochi, una quindicina ormai, dopo la sconfitta subita in Egitto per
mano dell’Esercito del Sole di Amon Ra, siamo più che sufficienti per uccidere
te e massacrare le giovani donne che strillano impaurite sopra di noi!”
“Uh?! Le Amazzoni!” –Mormorò
Phoenix, ricordandosi di Pentesilea e delle altre guerriere, in balia del resto
del branco di lupi mannari.
Il Licantropo approfittò di quel
momento di distrazione del Cavaliere per balzargli addosso, sbattendolo al
suolo e mirare al suo collo con gli unghioni di energia. Ma Phoenix, per quanto
stretto nella sua morsa, fu comunque abile a spostarsi in tempo, lasciando che
gli stiletti energetici si piantassero nel suo braccio.
“Uuuh! Sangue!” –Ululò eccitato
il Licantropo, alla vista del liquido rosso che colava sull’Armatura Divina.
“A cuccia, bestia!” –Lo colpì
Phoenix con un pugno dal basso, scaraventandolo a terra molti metri addietro,
con la corazza distrutta all’altezza dell’addome.
“Non temere! I miei compagni non
hanno i miei stessi poteri! Sono soltanto dei cloni, delle bestie prive di
cosmo, e prive anche di quel minimo raziocinio che mi ha permesso di divenire
Capitano dell’Ombra!” –Ringhiò il Licantropo. –“Non parleranno molto con le
Amazzoni! No! Le squarteranno vive!”
“Maledetto!” –Gridò Phoenix,
liberando un turbine di fuoco che si abbatté sul Licantropo, obbligandolo a
balzare indietro, fino ad atterrare su una sporgenza rocciosa. Il Cavaliere di
Atena fece per attaccarlo ancora ma si fermò alla vista della strana posizione
che il Capitano dell’Ombra aveva assunto.
Se ne stava in piedi, con il
braccio destro sollevato e il palmo volto al cielo, su cui una vasta sfera di
energia, dal colore giallastro, stava aumentando le sue dimensioni,
somigliando, in maniera palese, all’unico satellite del pianeta Terra.
“Luna piena!” –Gridò il
Licantropo, muovendo il braccio e scagliando l’enorme globo energetico contro
Phoenix, schiacciandolo a terra, piegandogli bruscamente le ali dell’Armatura
Divina, crepandole in più punti, e obbligandolo a sopportare il peso di quella
massa che pareva aumentare sempre di più. –“Ti piace il mio colpo segreto,
Cavaliere di Phoenix? È un omaggio a colei che, per secoli, ha permesso a molti
uomini di tirar fuori il loro lato nascosto, lasciando che gola e lussuria
prendessero possesso della loro anima! Uuuh!!!” –Ridacchiò l’uomo-lupo, schiacciando
sempre più Phoenix nel terreno.
Il Cavaliere cercò di spingere
via la massa di energia ma si accorse di non riuscire a farlo, vittima di una
pressione gravitazionale che lo pressava sempre di più contro di essa, mentre
le sue mani, con cui tentava di sollevare l’enorme globo, stridevano al
contatto con le guizzanti scariche di cui era circondato. A fatica, tentò di
colpire la sfera ma le sue braccia affondarono in quell’ardente magma,
bloccando i suoi movimenti.
“E adesso… Luna calante!
Uuuh!!!” –Rise il Licantropo, spostando il braccio verso destra e scagliando la
gigantesca sfera, con Phoenix attaccato ad essa, contro una parete di roccia,
lasciandola esplodere con un gran boato. –“Fatto male, Cavaliere? Permettimi di
leccare le tue ferite! Auuuh!” –Ironizzò il Capitano dell’Ombra, balzando su
Phoenix, che stava cercando di rimettersi in piedi.
Il Cavaliere venne spinto a
terra e subito il Licantropo gli piantò cinque unghioni di energia nel braccio
destro, dove lo aveva già colpito in precedenza, e altri cinque nel sinistro,
inchiodandolo al suolo, proprio come aveva fissato Gwynn al muro il giorno
prima. Ma Phoenix, rispetto al giovane Cavaliere di Glastonbury, aveva
sopportato ben maggiori sofferenze nella vita, e proprio nel ricordo di quel
che aveva subito trovò la forza per accendere il suo cosmo, sprigionando
violente fiammate che scaraventarono indietro il Licantropo, annientando le
punte di energia.
“Perdonami, ma non ho mai avuto
simpatia per gli animali! Neppure quelli addomesticati!” –Ironizzò Phoenix,
liberando il battito d’ali dell’uccello immortale. –“Ali della Fenice!!!”
L’impetuoso turbine di fiamme e
energia si abbatté sul Licantropo, il quale, per quanto temesse il fuoco,
nemico primario degli uomini lupo, non ne fu particolarmente sorpreso, ben
conoscendo le tecniche di tutti i Cavalieri di Atena, avendo Flegias istruito i
suoi servitori al riguardo. Si limitò a sogghignare e a ricreare l’immenso
globo lunare, quella volta non sul palmo della mano destra ma intorno a lui,
utilizzandolo come cupola protettiva, sulla quale si schiantò l’infuocato
assalto della Fenice. Senza riuscire a penetrarlo.
“Dannazione!” –Strinse i denti
Phoenix, ammettendo di aver sottovalutato l’astuzia di quel bizzarro
avversario.
“Luna Piena!!!” –Esclamò
il Licantropo, espandendo il globo energetico, assorbendo anche parte
dell’attacco di Phoenix, e scagliandolo ad alta velocità contro il ragazzo, che
venne investito in pieno e scagliato contro un mucchio di rocce,
distruggendole.
Per qualche secondo Phoenix
perse i sensi, riflettendo che il nemico che aveva di fronte era riuscito a
metterlo in difficoltà come, e forse anche più, avevano fatto altri avversari
in passato. Sorrise, chiedendosi come fosse possibile che un cumulo di pelo e
zanne potesse confrontarsi con un Cavaliere che aveva combattuto con gli Dei.
“Sciocco!” –Lo rimproverò
bonariamente una voce, risuonando d’improvviso dentro di sé. –“Mai prendere
sottogamba un nemico, ma considerarlo sempre insidioso e degno della massima
attenzione! Anche un topo può aver ragione di un elefante!”
“I… Ippolita?!” –Mormorò
Phoenix, riconoscendo la voce della Regina delle Amazzoni, la donna con cui
aveva trascorso ore di impetuosi combattimenti. Prima contro di lei, poi al suo
fianco. E in quelle ore, in cui avevano condiviso i destini del mondo, aveva
immaginato per la prima volta un futuro. Per sé, e per una persona al suo
fianco.
“Ricordi il nostro scontro alla
Nona Casa del Grande Tempio?!” –Continuò Ippolita. –“Mi affrontasti a testa
alta, senza timore di ferire una donna, considerandomi a te pari!
Considerandomi un guerriero! Devi fare lo stesso con il Licantropo, per quanto
grottesco sia, e con gli avversari che in futuro incontrerai! Perché, Ikki, ce
ne saranno ancora tanti che minacceranno la pace! E tu dovrai combatterli!
Anche per me!”
“Ikki…” –Ripeté Phoenix,
ascoltando il nome che sua madre gli aveva dato. Un nome che in battaglia non
usava mai, ma che adorava sentire pronunciato da Ippolita.
“Togliti dalla mente ogni
stupida suggestione leggendaria e pensa che chi hai di fronte è soltanto un
bieco assassino! E nulla più! Una belva che non esiterebbe a cibarsi dei tuoi
resti e di quelli delle guerriere del mio popolo!” –Concluse Ippolita, prima
che la sua voce svanisse. –“Ricorda quello che sei, Phoenix, e dove vuoi
andare! Tienilo bene a mente, perché là, alla fine del percorso, che ti conduca
a Themiskyra o a
qualsiasi altro luogo, sarai finalmente felice!”
“Ippolitaaa!!!” –Gridò Phoenix, bruciando il proprio
cosmo, che fiammeggiò sull’intero versante settentrionale dell’Isola delle
Ombre, mentre la maestosa sagoma dell’uccello infuocato solcava il cielo tetro,
rischiarandolo per un momento.
Anche Pentesilea, Mirina e le Amazzoni, impegnate a
lottare contro i lupi mannari, la videro e, seppure troppo fiere per
ammetterlo, furono liete di vederla volare ancora.
“Ancora ti rialzi, Cavaliere di
Phoenix? Sei dunque immortale come il tuo simbolo?” –Ringhiò il Licantropo,
espandendo il cosmo e concentrandolo sul palmo della mano destra, rivolta al
cielo, su cui apparve la sfera lunare, ingrandendosi piano piano.
“Non ho bisogno dell’eternità
per finirti! Mi bastano un paio di minuti!” –Esclamò Phoenix, scattando avanti,
avvolto nel suo cosmo incandescente.
Proprio in quel momento il
Licantropo liberò la sfera energetica, che sfrecciò verso Phoenix, ma questi fu
svelto ad evitarla, balzando in alto, aiutato dalle ali dell’Armatura Divina.
Ma il globo di energia seguì i suoi movimenti, attratto quasi magneticamente da
lui, raggiungendolo e tirandolo a sé, fino a schiacciarlo contro la sua
superficie solcata da scariche elettriche.
“Dicono che la forza di gravità
sulla Luna sia minore che sulla Terra!” –Ironizzò il Licantropo, osservando la
sfera di energia precipitare al suolo, con Phoenix incollato ad essa. –“Io non
ci sono mai stato, ma a ben vedere ne dubito! Tu cosa ne pensi?!”
Il Cavaliere di Atena non
rispose, bruciando il proprio cosmo, le cui ali di fuoco avvolsero il globo
lunare, vincendone, sia pur con un certo sforzo, l’attrazione e prendendone
possesso, al punto che Phoenix poté spingerlo con forza contro il Licantropo,
travolgerlo e scaraventarlo indietro, con gravi danni alla corazza.
“Penso che la tua lunga notte
stia per volgere al termine!” –Esclamò Phoenix, atterrando di fronte a lui.
–“Presto il sole tornerà a splendere e tutte le orride creature al servizio
dell’ombra saranno sommerse da un mare di luce!”
“Auuuh! Fai la voce grossa!”
–Ululò il Licantropo, rimettendosi in piedi e bruciando il cosmo, che lo
avvolse fino a creare un’immagine ridotta della luna, proprio mentre Phoenix
caricava nuovamente il suo fiammeggiante colpo segreto.
“Ali della Fenice!!!”
–Gridò il Cavaliere. Ma ancora una volta, seppure il Capitano dell’Ombra
dovette impegnarsi al massimo affinché la sua cupola protettiva non fosse
spazzata via, l’attacco di Phoenix, essendo di tipo indiretto, non riuscì a
superare la sua difesa. E fu in quel momento che il Cavaliere capì, dandosi
persino un buffetto in testa. –“Sciocco!” –Si disse, e gli scappò un sorriso,
pensando a Ippolita. –“Colpito una volta, colpito per sempre!” –E scattò
avanti, con il pugno destro carico di energia incandescente, fino a sbatterlo
con violenza contro la sfera che proteggeva il Licantropo, facendola vibrare in
profondità e mandandola in frantumi.
“Aaargh!!!” –Urlò il Capitano
dell’Ombra, spinto indietro e raggiunto dal lucente fuoco della Fenice.
“È strano che non ci abbia
pensato prima!” –Commentò Phoenix, osservando, con un certo divertimento, il
Licantropo ardere in una vampa di fuoco. –“Ma la convinzione di essere
superiore a una bestia, e forse il ricordo di Ippolita, mi ha distratto,
facendomi dimenticare un nemico, affrontato al Grande Tempio occupato da Ares,
che utilizzava una tecnica difensiva pari alla tua! La Cerva di Cerinea!”
“Non crederai di avermi già
vinto?!” –Ringhiò il Licantropo, avanzando verso Phoenix, pur con numerose
ustioni sul corpo e crepe sulla corazza. Sollevò il braccio destro per generare
una nuova sfera energetica, ma il Cavaliere lo anticipò, colpendolo con decine
di piume infuocate, che distrussero l’armatura nera, infiammando le sue carni
in profondità.
Un attimo dopo, senza che il
Licantropo se ne fosse reso conto, Phoenix era già dietro di lui e lo teneva
ben stretto da sotto le ascelle, avvolgendolo in un turbine di fiamme e luce,
prima di sollevarlo verso il cielo.
“Volo dell’Araba Fenice!!!”
–Gridò il Cavaliere di Atena, mentre il cosmo ardeva attorno a sé, facendo
strillare il Capitano dell’Ombra dal dolore. –“Secondo le leggende la difesa più
efficace contro i Licantropi è l’argento! Ma, non disponendone al momento, sono
costretto a ricorrere ad una soluzione radicale! Il fuoco!”
La cometa fiammeggiante compì
una parabola sull’Isola delle Ombre fino a schiantarsi a terra, poco distante
da dove Pentesilea e le altre Amazzoni fronteggiavano gli ultimi lupi mannari,
facendone scappar via qualcuno, dalla paura del fuoco. Phoenix, anche se un po’
stordito, si rimise in piedi subito dopo, mentre il Licantropo arrancò sul
terreno, con l’armatura distrutta e il corpo incenerito in più punti. Gli altri
uomini lupo, alla vista del capo sconfitto, si guardarono tra loro per un
momento, prima di caricare congiuntamente contro il Cavaliere di Atena.
“Phoenix! Attentooo!!!” –Gridò
Pentesilea, ma il ragazzo non ebbe bisogno del suo avvertimento, che aveva già
espanso il proprio cosmo, scatenando la furia dell’uccello di fuoco. –“Ali
della Fenice!!!” –E quel che restava del branco di uomini lupo, delle
orribili mutazioni a cui Flegias aveva dato vita a Tebe, scomparve.
“È tutta colpa della Luna!
Quando si avvicina troppo alla Terra fa impazzire tutti!” –Ironizzò Phoenix,
citando Shakespeare. –“State bene?!” –Si rivolse allora alle Amazzoni, vedendo
che molte di loro giacevano a terra, ferite o mutilate, mentre altre le
medicavano.
“Siamo soldati, e siamo abituati
alle perdite!” –Commentò Pentesilea, cercando di mostrarsi forte. –“Ma ogni
volta è sempre un dolore!”
“Sarà sempre così, finché non
spezzeremo tutti gli anelli di questa catena di morte!” –Rispose Phoenix,
avvicinandosi e lasciando che la Regina delle Amazzoni potesse osservarlo in
volto. E ritrovarvi la stessa luce che vi aveva scorto quel giorno, molti mesi
prima, quando aveva combattuto a distanza contro di lui, scagliandogli dardi da
dietro le colonne della Casa di Sagitter.
Per molto tempo si era chiesta
come avesse potuto Ippolita, che sapeva essere abile combattente, ma prima
ancora ferma nei suoi propositi, lasciar passare un avversario. Un uomo, per di
più. Le era sembrato quasi un tradimento dei loro ideali, delle loro tradizioni
di Amazzoni. E quando lo aveva incontrato sul Mar Nero, venuto a presenziare al
funerale della Regina, per poco non aveva ordinato alle guerriere di colpirlo,
rifiutandogli di prendere parte ad un rito che era il simbolo massimo di un
mondo squisitamente femminile.
“Non sono venuto per combattere
con te, Pentesilea, né con nessun guerriero del tuo popolo! Ma per onorare la
memoria della vostra Regina, che per amore mio combatté contro il figlio di
colui che l’aveva innalzata, donandole persino il cinto del potere!” –Aveva
esclamato Phoenix. –“Non rimpiango di averla fermata, perché è stata una sua
scelta, ed è stato il momento massimo in cui Ippolita si è sentita davvero se
stessa!”
E adesso, vedendolo uscire dalle
fiamme, con il volto scuro e i segni della guerra ancora addosso, Pentesilea
capì cosa Ippolita vi avesse trovato. Una parte di se stessa. Quella che tutte
le persone tengono nascosta dentro al cuore, finché non vale davvero la pena
liberarla.
“Vai a fare il tuo dovere,
Cavaliere!” –Esclamò allora Pentesilea, prima di volgergli le spalle e
incamminarsi verso le compagne ferite. –“Noi abbiamo fatto il nostro!
Combattere! Che è ciò che sappiamo fare meglio!”
Phoenix non rispose, limitandosi
ad annuire con il capo, prima di incamminarsi verso il vulcano principale
dell’Isola delle Ombre, ai piedi del quale, poteva ben sentirlo, c’era
battaglia.
“Ma non morire!” –Lo richiamò infine la nuova Regina delle
Amazzoni, accennando un sorriso. –“Ippolita non vorrebbe che tu la raggiunga
anzitempo!”
CAPITOLO TRENTACINQUESIMO: A VOLTE BASTA UN SOGNO.
Mentre Sirio affrontava Iemisch,
nella conca interna, e Phoenix correva verso la parte settentrionale dell’Isola
delle Ombre, attratto da rumori di lotta in corso, quattro motoscafi, di
proprietà della Grande Fondazione Thule, sfrecciavano nel tramonto dell’Egeo,
diretti verso la punta meridionale dell’isola. Con Pegasus e gli altri avevano
infatti concordato di raggiungere il covo di Flegias separatamente, sperando in
questo modo di distrarre il Maestro di Ombre, obbligandolo a porre la sua
attenzione su vari problemi nello stesso momento. Sperando anche che, così
facendo, almeno un fianco restasse scoperto.
“Speranza vana!” –Mormorò il
Cavaliere di Libra avvicinandosi all’isola e notando l’immensa cappa di
tenebra che la sovrastava. Asher, Castalia e Tisifone erano dietro di lui,
disposti a semicerchio attorno al Cavaliere d’Oro, ognuno su un motoscafo.
Non riuscirono a raggiungere
nemmeno le sporgenze meridionali che un’imponente energia si sollevò
dall’isola, scuotendo le acque del mare e generando violente ondate che
investirono i Cavalieri di Atena, sbalzando qualcuno di loro via dal motoscafo
e facendolo cadere in mare. Fulmini neri e vampe di fuoco piovvero dal cielo,
abbattendosi sui quattro compagni e facendo scoppiare i loro mezzi di
trasporto.
“Cercate di arrivare all’isola a
nuoto!!!” –Gridò Libra, annaspando nell’agitata corrente, mentre saette oscure
si schiantavano attorno a lui.
Asher dell’Unicorno fu il primo a raggiungere la sporgenza meridionale
dell’Isola delle Ombre, un lungo corridoio di roccia che confluiva poi in
un’arida conca interna, rotta da alcune fenditure, in fondo alle quali
turbinava l’acqua di mare.
“Posso aiutarti?!” –Domandò una
voce, mentre Asher si arrampicava sulle rocce del promontorio. Non fece in
tempo a sollevare la testa, per vedere chi avesse parlato, che sentì una corda
arrotolarsi attorno al suo collo e venne strattonato con forza verso l’alto,
fino a schiantarsi sulla polverosa superficie del corridoio.
Quando si rialzò, digrignando i
denti, trovò un Cavaliere dall’Armatura Nera di fronte a sé. Un uomo, alto poco
più di lui, con una lunga corda di scuro metallo elastico arrotolata attorno al
braccio destro. La stessa con cui lo aveva strattonato.
“Chi sei?!” –Esclamò subito
l’Unicorno, ponendosi in posizione da battaglia.
“Quanta fretta, Asher! Non
dovresti prima ringraziarmi? Ti ho risparmiato un bel po’ di fatica, non trovi?
Ah ah ah!” –Rise il Cavaliere Nero. E Asher per un momento fu invaso dalla
strana sensazione di conoscere la sua voce. L’uomo se ne accorse e sogghignò,
prima di sfilare il casco della sua corazza, a forma di pesce.
“Lukas?!” –Balbettò Asher,
sgranando gli occhi esterrefatto, di fronte al compagno di addestramento
insieme al quale aveva vissuto per parecchi mesi ad Orano.
“Proprio io! Lukas della
Cordicella dei Pesci! Non Cavaliere dell’Unicorno, come tu sei diventato,
bensì Cavaliere Nero al servizio di Flegias!” –Esclamò il giovane, rimettendosi
l’elmo. –“E prima ancora che tu me lo chieda, la risposta è no! Non ti farò
passare, ma ti combatterò!” –E nel dir questo schioccò la lunga corda nera sul
terreno ai piedi di Asher, generando scintille di energia e spingendo il
ragazzo indietro. –“Ero convinto che tu fossi morto, che non saresti riuscito
nell’impresa di diventare Cavaliere, non essendo mai stato in grado di produrre
un cosmo vasto a sufficienza, tanto risibili erano le motivazioni che ti
spingevano ad andare avanti!”
“Lukas! Come osi?!” –Ringhiò
l’Unicorno, muovendosi per gettarsi contro di lui, ma un secco colpo di corda
gli falciò le gambe, sbattendolo a terra, con la corazza fumante dallo stridore
incandescente dell’arma.
“Oso quanto voglio! Definirti un
fallito mosso da infantili propositi è un complimento!” –Commentò acido Lukas.
–“È stato quasi per caso che venni a sapere da Flegias, poche settimane fa, che
eri ancora vivo! E fui io a suggerire al Maestro di Ombre di infettare proprio
te, con la rosa di rabbia, il più debole tra i Cavalieri superstiti, intuendo
che non avresti opposto troppa resistenza, come infatti è stato! Ah ah ah!
Anche anni dopo non deludi affatto le mie aspettative, Asher, se riesci a farti
vincere persino da un debole come Menas!”
“Ti farò pentire delle tue parole
di scherno, mentecatto!” –Esclamò Asher, bruciando il cosmo e scattando avanti,
balzando sopra Lukas e cercando di colpirlo con un calcio. –“Criniera
dell’Unicorno!”
“Dove vuoi menar le gambe?”
–Commentò infastidito Lukas, liberando la cordicella scura, con cui afferrò
Asher per un calcagno, mentre era in volo sopra di lui, sbattendolo nuovamente
a terra. Con forza sempre maggiore. Non contento, il Cavaliere Nero liberò una
scarica energetica che attraversò la corda, avvolgendo Asher, il cui corpo vibrò
con forza, e strappandogli un grido di dolore.
“Parere confermato! Sei ancora
il solito bamboccio che non vale nulla! Tutto fumo e niente arrosto!” –Affermò
Lukas, ritirando la corda, che strisciò verso di lui, quasi fosse un serpente,
arrotolandosi al braccio destro. –“Continuo a chiedermi come tu abbia potuto
conquistare l’Armatura dell’Unicorno e con che coraggio il nostro maestro
osasse ripetere che tu ne eri più degno di me! Io almeno sapevo cosa fosse il
cosmo, e riuscivo a controllare le sue manifestazioni!”
“Hai dimenticato gli
insegnamenti ricevuti a Orano, Lukas?” –Esclamò Asher, rialzandosi. –“Non la
forza determina la grandezza di un Cavaliere! Per lo meno non soltanto la forza
fisica!”
“Quella interiore dunque?! Ah ah
ah!” –Rise Lukas beffardo. –“E quale forza interiore avresti tu, che, da quel
che mi raccontavi, ti facevi cavalcare e frustare da una bambina, solo per
attirare le sue attenzioni?!”
“Taci, bastardo!!!” –Ringhiò
Asher, scattando nuovamente verso Lukas, che fu svelto a muovere la corda,
frustando il ragazzo in pieno volto, aprendogli un taglio su una guancia, e poi
ad una coscia, facendo schizzare altro sangue, finché Asher non riuscì ad
afferrare quella saettante arma, lasciando che si avvolgesse attorno al suo
polso sinistro, incurante delle scariche di energia che Lukas continuamente gli
dirigeva.
“Puoi deridermi quanto vuoi,
Lukas, se ti fa sentire meglio! Spesso mi sono deriso anch’io e, anche se
ammetto di aver accettato umiliazioni in passato, ho il cuore sereno quando
penso al motivo per cui le ho subite! Quando penso all’affetto, alla
riconoscenza, all’amore che ho sempre provato per lei, sebbene mai abbia
ricambiato i miei sentimenti!” –Confessò Asher, con una certa tristezza nella
voce.
“Un comportamento da vero uomo, Asher!
Complimenti!” –Ironizzò Lukas beffardo, aumentando l’intensità delle scariche
di energia, che avvolsero l’Unicorno, stridendo sulla corazza di bronzo e
scheggiandola in più punti, per quanto Asher non avesse intenzione di mollare
la presa. –“Vuoi suicidarti?! Così tanta pena provi per te stesso da preferire
la morte a una vita di disonore? Ebbene, ti aiuterò se vuoi!”
“In verità…” –Mormorò Asher,
socchiudendo gli occhi ed espandendo al massimo il proprio cosmo. –“Sto
cercando di completarmi!”
“Completarti?!” –Bofonchiò
Lukas, non capendo a cosa il ragazzo si riferisse.
Asher non aggiunse altro,
fissandolo con sguardo deciso, mentre, quasi nascessero dal suo corno, cerchi
concentrici di energia cosmica dal colore verde stridevano contro le folgori di
Lukas, erodendole progressivamente, prima di distruggerle.
“Prendi, Lukas! Quel che non ho
terminato ad Orano, saprò concluderlo oggi!” –Gridò Asher, investendo il
Cavaliere nero con quegli anelli di energia cosmica, che stridettero sulla
corazza di Lukas, schiantandola in più punti, prima di spingerlo indietro, più
per la sorpresa dell’attacco che non per la potenza.
“Adesso capisco! Il secondo
colpo dell’Unicorno!” –Esclamò Lukas, raddrizzandosi. –“Il colpo psichico che
il maestro avrebbe insegnato soltanto al vincitore dell’Armatura di Bronzo!
Un’altra pecca nella tua poco promettente carriera di Cavaliere! Ah ah ah!”
“Ridi pure, se ti fa sentire
soddisfatto!” –Commentò Asher, senza scomporsi troppo. –“È stato un onore per
me essere investito di quest’Armatura, poiché essa rappresenta tutto ciò per
cui ho lottato, tutto ciò per cui ho ritenuto sacro vivere! E se anche è vero
che per molto tempo ho combattuto soltanto per amore di una donna, adesso sono
riuscito ad andare avanti, imparando da me stesso e dai miei limiti!”
“Limiti molto evidenti!”
–Ridacchiò Lukas, schioccando nuovamente la corda a terra e sollevando
scintille energetiche, prima di dirigerla verso Asher, il quale, quella volta,
riuscì ad evitarla, balzando in alto e cercando di colpire il vecchio compagno
con un calcio in pieno viso. Ma anche quella volta, benché fosse stato più
veloce, venne nuovamente afferrato per le gambe e sbattuto a terra. –“Mi hai
stufato!” –Sibilò Lukas, mentre la corda si allungava attorno al corpo di
Asher, bloccando i suoi arti, per quanto il ragazzo si dimenasse con foga,
giungendo fino al collo, che strinse con forza, decisa a togliergli il respiro.
–“Hai imparato bene, Asher! E hai fallito! Da oggi non proverai più!”
E scaricò una violenta scarica
di energia lungo la cordicella oscura, che stritolò il Cavaliere dell’Unicorno,
schiantando la corazza in più punti, senza riuscire a strappargli però alcun
grido di dolore, soffocato com’era dalla stretta mortale.
Lukas, osservandolo, vide lo
stesso bamboccio arrogante giunto ad Orano l’anno successivo al suo. Un
bamboccio che non aveva chiaro cosa volesse dire diventare Cavalieri di Atena,
ma che era interessato soltanto all’Armatura. Alla sua conquista materiale.
Quando ne aveva scoperto il motivo, Lukas lo aveva deriso, spiegandogli che,
con quella debole motivazione, non sarebbe andato lontano. Per questo avrebbe
dovuto divenire lui il Cavaliere dell’Unicorno, perché sorretto dalla ferrea
volontà di essere il migliore. E da una risolutezza in battaglia che Asher non
aveva.
Il maestro di entrambi non la
pensava però così e vide nella volontà di emergere di Asher, e di ricompensare
chi aveva avuto fiducia in lui, un bene, e nella voglia di lotte continue di
Lukas, dettate non da senso di giustizia ma da desiderio di confermarsi il
migliore, un male. E fu questo il motivo per cui lo allontanò, giudicandolo
indegno di concorrere ad un’Armatura della giustizia.
“Non era poi così lontano dalla
verità!” –Sogghignò Lukas, osservando Asher dimenarsi come un lombrico sul
terreno, stritolato dalle scariche di energia che la corda emetteva. Ripensò ad
alcuni mesi prima, quando, durante la Guerra Sacra contro Ade, aveva aggredito
il suo maestro in Algeria, mentre pregava per Atena, uccidendolo proprio con
quei fulmini energetici che adesso avrebbero avuto ragione anche del suo
vecchio compagno. –“L’immeritevole!” –Così lo definì Lukas.
Ma dovette reprimere un moto di
stupore quando vide un’aura di colore verdolina espandersi dal corpo di Asher,
un’aura che aumentò d’intensità, crescendo fino ad inglobare le scariche di
energia e la corda stessa.
“Ho perso molte cose in vita!”
–Mormorò Asher, cercando di rialzarsi. –“La guerra galattica, prima tra tutte!
E il vero obiettivo che si nascondeva dietro quell’effimero confronto! La donna
che ho amato in silenzio per anni, e per cui non sono stato niente più di un
compagno di giochi! La Dea che ho infine scelto di difendere, e che vede in me
un combattente per la giustizia! Leale certamente, ma non degno del suo amore
di donna!” –Sospirò il ragazzo, bruciando ancora il cosmo e ripensando al
giorno in cui Pegasus era tornato dalla Grecia e si era scontrato con Lady
Isabel nell’atrio di Villa Thule. –“Fin da quel giorno avrei dovuto capirlo,
che nel cuore di Milady c’era posto solo per Pegasus, il mio antico rivale!
Quanto l’ho odiato, per futili motivi, nascondendo l’unica vera ragione alla
base del mio malessere! Quanto ho inquinato il mio cuore per un amore non
corrisposto! Ma adesso sono cresciuto, e ho trovato nel dolore, e nella solitudine,
la forza per andare avanti! A volte basta poco! Basta un sogno!” –Esclamò,
ormai avvolto nel suo cosmo scintillante.
“Fermati, maledetto!!!” –Ringhiò
Lukas, liberando la guizzante corda, che venne però raggiunta e mandata in
frantumi dalle scariche di energia, simili a piccoli fulmini, che Asher
controllava con la forza della mente, portando a compimento il lungo processo
di apprendimento che aveva iniziato ad Orano e non aveva mai concluso. Perché
forse non ne aveva mai avuto la determinazione.
“Questo mio amore infantile, che
tanto hai schernito, è stato il motore che mi ha permesso di andare avanti per
anni! E anche se so che mai si realizzerà, continuerò a vivere lo stesso, con
tale consapevolezza nel cuore!” –Affermò Asher, concentrando il cosmo sul
braccio destro. –“Isabel! Maestro! Amici miei, che dal Paradiso dei Cavalieri
mi sostenente ogni giorno! Datemi la forza per lottare ancora! Datemi la forza
per vincere!!!”
“Sei un folle! Muori Asher!”
–Gridò Lukas, lanciandosi su di lui, con il pugno destro carico di energia. Ma
l’esplosivo cosmo di Asher lo bloccò a mezz’aria, mentre il ragazzo portava
avanti il braccio, dirigendo un preciso attacco contro il Cavaliere Nero,
simile al corno dell’animale leggendario da cui era protetto.
“Corno d’Argento!!!”
–Urlò, trapassando il ventre di Lukas e gettandolo a terra, in una pozza di
sangue.
“Bra… Bravo Asher!” –Rantolò il
Cavaliere Nero. –“Sei cresciuto infine… del ragazzino arrogante che si è
allenato con me ad Orano non è rimasto niente… ormai sei diventato un uomo…” –E
morì, con gli occhi aperti e pieni di rimpianti.
Asher si avvicinò al vecchio
compagno, inginocchiandosi di fronte a lui e prendendogli una mano. Sospirò,
pensando infine che, nonostante si fossero ritrovati da nemici, non provava
odio per lui. Soltanto una grande pena, la stessa che Lukas gli aveva rivolto
contro, ma che nascondeva soltanto la certezza di non essere mai divenuto quel
Cavaliere migliore di lui a cui tanto aveva aspirato.
Fece per rimettersi in piedi, e
correre in aiuto di Tisifone, il cui cosmo sentiva agitarsi poco distante,
quando un sottile raggio energetico gli perforò il collo e uno spruzzo di
sangue gli macchiò il pettorale dell’Armatura. Non riuscì a dire nulla,
sentendosi soffocare, e crollò a terra, sopra il cadavere di Lukas, mentre una
sensuale figura di donna appariva dietro di lui, rivestita da un’Armatura
Nera.uQu
Proprio Tisifone del
Serpentario era vicina, in linea d’aria, al Cavaliere dell’Unicorno,
intenta a combattere contro un altro servitore di Flegias, che le si era
rivelato in maniera piuttosto singolare. Raggiunta la riva a fatica, a causa
delle violente ondate sobillate da Flegias, la Sacerdotessa era balzata di
scoglio in scoglio, fino ad atterrare su un ripiano roccioso, a occidente
rispetto al corridoio di pietra dove Asher stava affrontando Lukas. Ma
improvvisamente un masso enorme le era franato addosso, schiacciandola a terra
e crepandole persino l’Armatura d’Argento. Tisifone aveva cercato di liberarsi,
ma non appena aveva afferrato l’enorme macigno si era accorta che non era
affatto quel che credeva. Toccandolo, sentì che era duro come corno, e a tratti
vischioso, simile al guscio di una tartaruga.
“Che diavolo è questo…?”
–Brontolò la Sacerdotessa del Serpentario, muovendolo verso destra, in modo da
uscirne da sotto, quando improvvisamente la parte superiore dello strano
macigno si aprì e una testa di uomo ne sbucò fuori, sorprendendo la donna, che
non riuscì a reprimere un grido di sorpresa.
“Non pensavo di essere così brutto!”
–Commentò una voce goffa, mentre nuovi buchi si aprivano sul masso e due
braccia e due gambe ne spuntavano, rivelando parti del corpo di un uomo, sui
quarant’anni d’aspetto, il cui busto era ancora coperto dal macigno che aveva
schiacciato Tisifone.
“Chi sei? Cosa sei?!” –Incalzò
la Sacerdotessa, spingendolo via, prima che una robusta mano le afferrasse un
braccio, stringendola in una presa d’acciaio.
“Non così in fretta! Una volta
che una donna mi si avvicina, non voglio lasciarla scappare!” –Commentò l’uomo,
accennando un sorriso malizioso, a cui Tisifone, da dietro la maschera, rispose
con una smorfia di disgusto. Ma, vedendo che questi non accennava a liberarla,
concentrò il cosmo sul braccio destro, colpendolo in pieno petto, sul guscio
che lo ricopriva.
“Aaah!!!” –Gridò Tisifone,
mentre il guanto protettivo dell’Armatura del Serpentario andava in frantumi,
schiantandosi contro quella protezione resistente.
“Fa male, eh? Beh, vado
piuttosto orgoglioso del mio guscio!” –Sorrise beffardo l’uomo. –“È la mia
casa, la mia protezione, dentro la quale mi sento sereno e sicuro!”
“Il tuo guscio?! Ma cosa sei?
Una tartaruga?!”
“Sono Borneo della Tartaruga,
Cavaliere Nero al servizio di Flegias, incaricato di fermare l’avanzata di
questa bella signorina!” –Si presentò l’uomo, continuando a stringere il
braccio di Tisifone con forza.
“Provaci, se ne sei capace!”
–Sibilò la donna, espandendo il cosmo e dirigendo, da distanza ravvicinata, il
suo attacco energetico contro Borneo. –“Cobra Incantatore! Colpisci!!!”
Borneo infilò svelto la testa
dentro il guscio protettivo, sul quale si schiantarono le scariche di energia
di Tisifone, senza scalfirlo minimamente.
“Incredibile!” –Mormorò la
donna, ansimando per la fatica. E iniziando poi a tempestare il guscio di
pugni, con l’unico risultato di ferirsi alla mano e distruggere definitivamente
la protezione dell’armatura.
“Ti sei calmata?” –Domandò
infine Borneo, ritirando fuori la testa. –“Sei un tipo piuttosto agitato!”
“Non mi sono calmata, e pretendo
tu liberi immediatamente il mio braccio…” –Incalzò Tisifone, calando la mano
con le unghie affilate sul volto di Borneo, il quale, senza scomporsi affatto,
si limitò a scuotere la testa.
“Non mi piacciono le esaltate!”
–Commentò, colpendo con un pugno dal basso il ventre di Tisifone,
scaraventandola indietro ad altissima velocità, fino a schiantarla contro una
parete di roccia, che franò su di lei. –“Spero che questo serva a calmarti!”
A fatica, Tisifone riuscì a
liberarsi dalle pietre crollate su di lei, ansimando per il colpo ricevuto, che
gli aveva mozzato il respiro. Si tastò il ventre, dove Borneo l’aveva
raggiunta, e immaginò che sotto la maglietta spiccasse un vistoso ematoma.
“Che forza micidiale!” –Mormorò
la donna, ammettendo di aver sottovalutato quel grottesco individuo, che
disponeva non solo di una protezione che i suoi attacchi non erano in grado di
penetrare, ma anche di un pugno duro come l’acciaio.
“Stai meglio?!” –Le chiese
Borneo, con aria genuinamente preoccupata, che stupì la stessa Tisifone.
“Cosa ti importa come mi sento?
Preparati a combattere, servo dell’ombra!” –Incalzò la Sacerdotessa, espandendo
il proprio cosmo violaceo.
“Se proprio insisti…” –Sbuffò
Borneo. –“Anche se non capisco tutta questa tua tendenza all’autodistruzione! Hai
avuto una delusione amorosa così grande da preferire la morte piuttosto che
continuare a vivere senza l’amato al tuo fianco?!”
“Ma di cosa vai parlando,
Borneo?! Pensi di vincermi con le parole?!” –Tuonò Tisifone, balzando in alto e
caricando l’elettrico cosmo del Serpentario. –“Cobra Incantatore!!!” –E
piombò sul Cavaliere Nero, avvolta in guizzanti folgori di energia. Ma questi
non si scompose affatto, limitandosi a rientrare nel suo guscio, lasciando che
le scariche energetiche si schiantassero all’esterno, senza scalfirlo,
scivolando via come onde sugli scogli. –“Incredibile!!!” –Ringhiò Tisifone.
Non ebbe però la prontezza di
allontanarsi, che Borneo, tirati nuovamente fuori gli arti e la testa, la
afferrò per entrambe le braccia, con una velocità che Tisifone non avrebbe mai
sospettato possedesse, bloccandola davanti a sé, per quanto la donna si
dimenasse combattiva.
“Che caratterino tutto pepe!”
–Commentò Borneo. –“Più che una Sacerdotessa, mi sembri un’Amazzone! Ih ih ih!”
“Lo prenderò come un
complimento…” –Ironizzò Tisifone, che comunque ben si rispecchiava in quella
descrizione, non essendo molto diversa da come Artemide l’aveva definita.
Al pensiero della Dea della
Caccia, e della sua tragica fine, proprio su quella stessa isola, Tisifone si
infiammò. Non aveva mai avuto amici, e soltanto negli ultimi mesi con Castalia
aveva raggiunto un equilibrio, dopo anni di scherno e litigi continui. Ma in
Artemide aveva saputo trovare qualcosa che andava al di là del mero rapporto
tra Divinità e Cavalieri. Un’emozione più profonda, un’amicizia che Tisifone
aveva condiviso con la Dea, nella quale aveva ritrovato qualcosa di sé.
Sola, combattiva, aveva imparato
a difendersi per non essere aggredita dal mondo esterno, senza rinunciare mai
alla sua femminilità. Aveva ricoperto il suo cuore di un guscio, per non essere
debole. Ma nel profondo aveva coltivato la speranza di poter un giorno
cambiare. Come aveva fatto Tisifone dopo che Pegasus l’aveva vista in volto,
quel lontano giorno al campo d’addestramento delle sacerdotesse.
Aveva infine scelto di amarlo. E
non se ne era mai pentita, nemmeno per un istante.
“E certo non lo farò adesso!!!”
–Ringhiò Tisifone, bruciando al massimo il proprio cosmo, che la avvolse in un
turbinar di folgori incandescenti, che stridettero anche sulle braccia e sul
guscio di Borneo, strappandogli un mugugno infastidito.
D’un tratto, Borneo liberò il
braccio sinistro della Sacerdotessa, portando indietro il pugno, e Tisifone,
credendo fosse a causa delle scariche di energia, fece per caricare il suo
colpo segreto. Ma il Cavaliere Nero aveva soltanto ritratto il braccio per
poterla colpire direttamente, con un destro in pieno petto, che sfondò
l’Armatura d’Argento, ferendole il seno e strappandole un grido di atroce
dolore.
“Mi sembra proprio che tu non mi
ascolti!” –Commentò sbadatamente Borneo, mentre Tisifone si accasciava al
suolo, tenuta ancora per il braccio destro. –“Capisco di non essere molto
attraente, ma sono anch’io capace di parlare! E pretendo di essere ascoltato!”
–E nel dir questo strattonò la donna, tirandola a sé e afferrandole le gambe,
in modo da sollevarla come fosse un tronco d’albero.
Con le sue braccia possenti,
Borneo stiracchiò il corpo della Sacerdotessa da destra e da sinistra,
estorcendole urla di sofferenza, prima di lanciarla in alto di qualche metro e
colpirla in pieno mentre la donna precipitava a terra a peso vuoto. Il pugno fu
così forte che la scaraventò contro una parete di roccia, frantumando quel che
restava dell’Armatura del Serpentario e sotterrandola sotto mucchi di detriti.
Quindi, come se quel combattimento fosse stato una gran fatica, Borneo
sbadigliò, prima di rientrare nel suo guscio e riposarsi.
Tisifone, con numerose ossa
rotte e ematomi sparsi sul corpo, con un tremendo dolore al seno, che le
ricordava quanto fosse difficile vivere la sua femminilità di Sacerdotessa
Guerriero, giaceva sotto mucchi di pietrisco franati su di lei, respirando a
fatica. Ripensò ai potenti guerrieri che aveva affrontato nell’ultimo anno,
Borea, Vento del Nord, e Atteone tra tutti, e a quando aveva indossato
l’Armatura del Cancro. Per un attimo la invase la sensazione di chiedere aiuto,
di poter indossare ancora una protezione che la riparasse dai colpi di Borneo,
un avversario che, seppur grottesco, si stava rivelando insidioso.
Ma tutti stanno combattendo! Si disse la Sacerdotessa, percependo i cosmi di Asher, di
Pegasus e dei suoi compagni, espandersi tra le tenebre dell’isola. E anche
il minimo aiuto potrebbe essere loro indispensabile! Chi sono io per restare
qua sotto, a contare i minuti che mi separano dalla fine? Non sarà certo
un’armatura a fare la differenza in battaglia, ma lo splendore del mio cosmo!
“Ben detto, Sacerdotessa del
Serpentario!” –Esclamò una decisa voce di donna, che risuonò nella sua mente.
–“Era questo che volevo sentirti dire! Non parole d’accidia, ma di dinamismo!”
“A… Artemide?!” –Balbettò
Tisifone, riconoscendo il cosmo della Dea della Caccia. –“Dove… sei?!”
“Lontano! E non posso porgerti
aiuto in alcun modo, prigioniera di un limbo da cui uscirò soltanto per
l’ultima guerra!” –Commentò Artemide. –“Ma questo non mi impedisce di
ricordarti chi sei! Una donna sola, e orgogliosa di esserlo! Una guerriera che
mai si è tirata indietro, né davanti ai figli della possente Eos, né di fronte
ai Cacciatori di Artemide o alla bastarda progenie di Ares! Non dimenticare chi
sei, e cosa hai fatto Tisifone! E trova nella tua solitudine di donna la forza
per rialzarti!”
“Lo farò!” –Affermò seria
Tisifone, sentendo il cosmo di Artemide scomparire. –“Come ho sempre fatto!
Quello che per altre donne è dolore, per me sarà forza!” –E in quel momento
sentì il cosmo di Asher risplendere come una piccola stella, rischiarando il
buio in cui la Sacerdotessa era immersa. –“Anche lui, come me, ha perso
qualcosa! Qualcuno che forse non ha avuto mai! Ma non per questo si è lasciato
andare… e io non sarò certo da meno!!!” –Ringhiò la donna, bruciando al massimo
il suo cosmo, che la avvolse come le spire di un serpente, turbinando attorno
al suo corpo ferito e disintegrando la roccia sotto cui era intrappolata.
Ansimando, Tisifone si rimise in
piedi, mentre la balenante sagoma di un cobra dalle spire di luce compariva
dietro di lei. Borneo, disturbato nel suo sonnecchiare da quei rumori confusi,
lasciò spuntare nuovamente la testa dal guscio, prima di sollevarsi con
l’intero tozzo corpo, mentre Tisifone, avvolta nel suo cosmo incandescente,
balzava verso di lui, schiacciandolo a terra sotto folgori di energia, veri e
propri fulmini viola che stridettero contro la corazza protettiva del Cavaliere
della Tartaruga, scheggiandola in più punti.
“Non hai ancora capito?! Il
guscio mi difende! E i tuoi esigui poteri di donna non potranno neanche
scalfirlo!”
“Non potrò scalfirlo?! Esatto,
perché non è mia intenzione infatti!” –Esclamò Tisifone, irritata dal
dichiarato maschilismo del suo avversario. –“Io voglio distruggerlo!!!”
–Aggiunse, liberando violente unghiate di energia, che creparono il guscio di
Borneo, di fronte ai suoi occhi sgranati.
Borneo mosse le braccia, per
cercare di fermare quella pioggia di folgori, ma Tisifone fu più svelta di lui,
balzando in alto ed evitando la stretta presa da cui, ben lo sapeva, non
avrebbe potuto liberarsi. Atterrò dietro di lui e lo continuò a bombardare di
scariche di energia, osservando nuove crepe aprirsi sul guscio protettivo.
“Artigli del Cobra!!!
Anche senza la corazza che Cancer ci prestò, sappiate lo stesso mutarvi in oro!
Sappiate mutarvi… in luce!!!” –Gridò Tisifone, portando il braccio destro
avanti, proprio mentre Borneo si voltava verso di lei, e aprendogli uno
squarcio sulla corazza all’altezza del petto.
Tisifone vi infilò allora la
mano destra, carica del suo cosmo sfolgorante, e lo scaricò all’interno del
guscio, fulminando il Cavaliere della Tartaruga che non poteva più opporre
nessuna protezione al suo corpo. Soltanto muovere il braccio destro e colpire
la Sacerdotessa con un pugno allo sterno, in modo da spingerla indietro. Ma era
comunque troppo tardi per aver salva la pelle.
Borneo crollò all’indietro, con
il corpo incenerito dalle scariche energetiche di Tisifone e il guscio
semidistrutto. Ma anche la Sacerdotessa Guerriero accusò il colpo, tenendosi il
torace che pareva sul punto di scoppiarle. A fatica cercò di rimettersi in
piedi, ma barcollò e cadde sulle ginocchia, giusto in tempo per notare un’ombra
comparire dietro di lei.
Fu un attimo e si ritrovò a
terra, ferita alla spalla destra da un sottile raggio di energia, con il sangue
che macchiava la sua maglia marrone. Cercò di voltarsi, per vedere in faccia il
suo nuovo nemico, ma fu raggiunta da un calcio sul viso, che la spinse indietro
in malo modo, spaccandole la maschera d’argento.
“Bel visino!” –Commentò allora
una voce di donna. –“Sarà un piacere deturparlo!”
Tisifone sollevò lo sguardo e,
nonostante l’aria tenebrosa, riuscì a intravedere la sagoma di un Cavaliere
Nero la cui corazza rappresentava un insetto.
Scura, con striature di giallo,
l’armatura era ornata di ali sottili lungo la schiena, che si aprivano verso il
basso, e da un elmo che copriva interamente il volto, su cui spiccavano due
grossi occhi laterali, simili a quelli delle api. Il Cavaliere Nero aveva
l’indice puntato verso Tisifone, sulla cui cima lampeggiava ancora una luce
giallastra.
“I personaggi grotteschi non sono ancora
finiti!” –Ironizzò la Sacerdotessa, tenendosi la spalla ferita e preparandosi
ad un nuovo scontro.
Un secondo raggio di energia,
sprigionato dall’indice del Cavaliere Nero che aveva di fronte, lacerò il
ventre di Tisifone, prostrandola a terra in una pozza di sangue.
“Come sei sozza!” –Commentò la
voce da dietro l’elmo a forma di testa di ape. –“Un comportamento ben poco
adatto ad una donna!”
“Mostrati!!!” –Gridò Tisifone,
facendo la voce grossa, per quanto la sua situazione fosse precaria. Ma non
trovò di meglio per prendere tempo e recuperare le forze.
“Vuoi vedere il mio viso regale?
Ebbene, eccoti accontentata!” –Rise la donna, sollevando l’elmo e rivelando un
sorriso beffardo, contornato da piccoli occhi color zaffiro e lunghi capelli
biondi. –“Sono Cassandra, l’Ape Nera! E sono l’ultimo volto che vedrai!
Ma non disperarti, poiché hai avuto comunque l’onore di ammirare la mia
bellezza prima di morire! Ah ah ah!”
Tisifone non le rispose,
storcendo la bocca con disprezzo di fronte a così tanta ostentazione di
artificiale bellezza. Cercò soltanto di rimettersi in piedi, ma i dolori che
accusava in varie parti del corpo la piegarono nuovamente a terra.
“Addio!” –Si limitò a commentare
Cassandra, puntando l’indice destro. Ma prima che il bagliore sulla punta si
trasformasse in un raggio di energia, il Cavaliere Nero fu obbligato a
sollevare lo sguardo verso l’alto, dove una cometa di luce era appena comparsa,
riuscendo a compiere un balzo indietro appena in tempo.
“Volo dell’Aquilaaa!!!”
–Gridò Castalia, atterrando proprio di fronte a Cassandra e aprendo una
piccola fossa nel terreno.
“Attenta, Castaliaaa!!!” –Le
urlò subito Tisifone, vedendo che l’Ape Nera stava nuovamente caricando il suo
pungiglione.
“Troppo tardi!” –Sorrise
Cassandra, poggiando l’indice sul fianco destro della donna e spingendola
indietro, trafitta da un deciso raggio di energia. –“Sarebbe stata una bella
entrata in scena, degna di un’attrice di Hollywood, se fosse stata più discreta!
Magari in una giornata di sole, dove veder comparire una luce azzurra nel cielo
non mi avrebbe distratto più di quel tanto! A differenza di uno sfondo nero
come le tenebre che avvolgono quest’isola!”
“Come stai, Tisifone?” –Rantolò
Castalia, cercando di rimettersi in piedi e notando le condizioni dell’amica,
piena di lividi, ferite e macchie di sangue. Ma non ebbe il tempo di aggiungere
altro che Cassandra si avvicinò loro, puntando l’indice e caricandolo di nuova
energia cosmica.
“Restate vicine, così vi manderò
insieme all’altro mondo! Poiché in questo il vostro ruolo è ormai finito! Pungiglione
dell’Ape Nera!” –Esclamò la donna, sprigionando sottili raggi di energia.
Castalia fu svelta ad afferrare
Tisifone e balzare via dalla traiettoria delle punture, atterrando dietro un
mucchio di rocce e pregando l’amica di rimanere là dietro.
“Qua sarai al sicuro!” –Affermò,
prima di tornare sul campo di battaglia.
“Fai… attenzione!” –Mormorò
Tisifone, a denti stretti, prima di crollare esanime.
“Credevo tu fossi fuggita!”
–Commentò sprezzante Cassandra, spostandosi i capelli indietro con un gesto di
vanità. –“Sconvolta dalla mia superiore bellezza! Del resto, da voi donne
guerriere cosa posso aspettarmi? Certo non sensualità!”
“E tu non sei forse una combattente?
Non stai ritta di fronte a me, con il dito pronto a trafiggermi con i tuoi
strali di energia?” –Le rispose Castalia.
“Una combattente io?! Non sia
mai, è mestiere poco adatto alla mia sublime femminilità! Io lotto per diletto
e per soddisfare le voglie del Maestro di Ombre!” –Ridacchiò Cassandra. –“Ma mi
hai visto?! Hai visto le mie forme? Non noti come l’Armatura Nera aderisce al
mio corpo, sì da preservare la naturalezza delle mie curve? Non è stato
difficile convincere Athanor a realizzare una versione sensuale della corazza
dell’Ape Nera, grazie all’intercessione di Flegias, che è stato ben lieto di
sollazzarsi con me nelle sue serate di veglia!”
“Che orrore…” –Commentò
Castalia. Ma Cassandra non si curò del suo disprezzo, continuando ad accarezzare
le snelle forme del suo corpo, che parevano rilucere di un’oscurità magnetica,
al di sotto dell’Armatura che aveva indosso.
“È stato piacevole essere
l’amante del Maestro di Ombre, la donna da lui scelta per unirsi alle tenebre
che già coprono la Terra! È stato un onore! Anche se so che non mi ha mai visto
come vide, nel Mondo Antico, la sua prima sposa!” –Confessò.
“La sua prima sposa?! Non sapevo
che Flegias si fosse mai unito a qualcuno!”
“Una volta sola! Con una donna,
di cui non conosco il nome, che ha intensamente amato e da cui ebbe Coronide,
sua unica figlia!” –Spiegò Cassandra. –“Pare che la giovane fosse così bella da
attirare persino le attenzioni del Dio del Sole, che la sedusse, la mise in
cinta e infine la uccise! Flegias, per vendicarsi, appiccò il fuoco al Tempio
di Apollo a Delfi, venendo punito e dannato dagli Dei! Di Coronide, a Flegias
rimase soltanto il figlio che aveva generato con Apollo, il Dio della Medicina
Asclepio, da lui amato e al tempo stesso odiato, per tutto ciò che
rappresentava!”
“Interessante…” –Commentò
Castalia. –“Che Flegias sia diventato pazzo e sanguinario dopo la scoperta
della seduzione di Coronide da parte di Apollo? E che abbia deciso di scaricare
il suo odio sull’intera umanità per farle provare quel che lui un tempo ha
provato? Il dolore per la perdita dell’unica persona che avesse amato!”
“Non so rispondere a queste
domande, Sacerdotessa di Atene! E nemmeno me ne curo! Ciò che so, e che mi
importa, è che tra pochi minuti sarai sconfitta, come i Cavalieri tuoi
compagni, e le tenebre riempiranno il mondo! Flegias, al posto di Zeus e degli
Olimpi bastardi e corrotti, siederà su un trono d’ombra, ed io, Cassandra, sarò
al suo fianco, come consorte dell’oscurità!”
“Sei una sciocca!” –La zittì
Castalia. –“Un’illusa che non si accorge di chi la usa per soddisfare soltanto
i propri effimeri piaceri! L’amore è ben altra cosa!”
“E chi ha parlato d’amore?”
–Ironizzò Cassandra. –“Non è a questo che anelo! Ma a sedere come sovrana sul
nascituro impero delle tenebre! Io, Cassandra, l’Ape Regina! Ah ah ah!” –E nel
dir questo espanse il proprio cosmo, che si palesò sotto forma di onde di
energia gialle e nere, che travolsero Castalia, paralizzando i suoi movimenti,
mentre Cassandra sollevava l’indice verso di lei. –“Pungiglione dell’Ape
Nera!!!”
Castalia cercò di fuggire, ma le
onde energetiche la resero lenta, permettendo a un raggio energetico di
raggiungerla al braccio sinistro e ad un altro di scheggiarle i coprispalla
azzurri. Decise allora di passare al contrattacco, concentrando il cosmo sul
pugno destro e lanciandosi avanti.
“Cometa pungente!!!”
–Gridò, liberando il colpo che aveva insegnato a Pegasus. Una moltitudine di
pugni di energia sfrecciarono verso Cassandra, obbligandola a spalancare le ali
della sua corazza e a balzare in alto, per non essere travolta.
Venne comunque raggiunta di
striscio da alcuni colpi di Castalia, che scalfirono a malapena l’Armatura Nera
ma furono sufficienti per farla sbilanciare, non essendo la donna molto pratica
di tecniche di combattimento. La Sacerdotessa di Atene approfittò di quel
momento per balzare su di lei, a gamba tesa, e colpirla con il tacco sul
ventre, sbattendola a terra. Quindi caricò nuovamente il pugno, ma Cassandra,
distesa sul selciato, sollevò il braccio destro e la colpì in mezzo al petto
con un raggio di energia, che spinse Castalia indietro, piegandola a terra dal
dolore.
Stringendo i denti, la
Sacerdotessa usò il pezzo di stoffa che portava attorno alla vita per tamponare
la ferita, accorgendosi dell’arrossamento della pelle e di un leggero gonfiore,
quindi cercò di rimettersi in piedi, sia pur barcollando leggermente.
“Per adesso ti limiti a
traballare! Ma se continuerò a colpirti, e ad iniettarti il veleno d’ape in
gran quantità, potrai avanzare solo strisciando!” –Commentò Cassandra.
“Le tue parole fasulle non mi
spaventano, Cavaliere Nero!” –Esclamò Castalia di rimando, ma Cassandra
continuò a spiegarle gli effetti del suo colpo.
“È come la puntura di un’ape!
Provoca arrossamento, gonfiore e dolore bruciante! Ma, essendo nato come colpo
mortale, con sintomi molto più gravi! Eh eh eh!” –Rise Cassandra, tirandosi
nuovamente i capelli all’indietro.
Castalia non fu troppo colpita
dalle sue parole e si preparò per concentrare di nuovo il cosmo sul pugno
destro, per quanto un senso di nausea e di debolezza l’avesse invasa in quel
momento. L’Ape Nera si accorse della sua perdita di concentrazione e ne
approfittò per colpirla ancora, con tre nuovi raggi energetici: al collo,
distruggendo l’aquila azzurra, sulla spalla destra e su una coscia,
prostrandola a terra.
“Sei molto fortunata!” –Commentò
Cassandra avvicinandosi al Cavaliere d’Argento. –“Sai che molte persone sono
allergiche al veleno di alcuni insetti e, se punte, possono morire in fretta in
conseguenza dello shock anafilattico che ne deriva? Ti va bene che non sei tra
queste… la tua sarà una fine dolorosa ma lenta, in cui giungerai ad invocare
persino la mia pietà! La pietà della Regina Oscura!”
“Sei folle!” –Mormorò Castalia.
“Come?!” –Si fermò Cassandra,
proprio di fronte alla Sacerdotessa prostrata a terra.
“Sei folle!” –Ripeté Castalia,
sollevando lo sguardo verso la donna. –“Folle e stupida! Innamorata di un uomo
che ti ha soltanto usata per scaldare le sue notti solinghe, perso nei ricordi
dell’unica donna che ha amato! Ho pena di te, perché, per quanto ti piaccia
atteggiarti a femmina fatale, inganni il tuo cuore, nascondendo i veri
sentimenti dietro una maschera d’ombra!”
Cassandra, in tutta risposta, la
colpì con un calcio sul mento, spingendola indietro, fino a farla ruzzolare sul
selciato, con un’espressione terribile sul volto.
“Ecco la conferma alle mie
parole!” –Mormorò Castalia, cercando di rimettersi in piedi. Ma Cassandra la
colpì di nuovo, aprendole tre nuovi fori sulla schiena, da cui sangue schizzò
fuori, aumentando il dolore e il prurito che già provava. –“Colpiscimi se ti
farà stare meglio! Ma questo non cambierà la realtà dei fatti! Non ti farà
sentire migliore, né la donna che non sei mai stata per Flegias! Anch’io, per molto
tempo, ho avuto paura dei miei sentimenti, finché un amico, che non pensavo di
avere, mi ha spinto a guardarmi dentro, e ad ammettere quello che sono! E
quello che provo!”
“Quello che sei, Sacerdotessa
dell’Aquila, è solo una donna vinta, sporca di sangue e polvere, che si
strascica al suolo come una serpe agonizzante!” –Ringhiò Cassandra, con voce
adirata e i lineamenti del volto deformati rispetto alla sensuale donzella che
aveva narrato la storia di Flegias. E la colpì un’ultima volta, con un raggio
di energia così potente da sollevare Castalia e spingerla molti metri avanti,
schiantandola a terra in una pozza di sangue. Soddisfatta, Cassandra le voltò
le spalle, incamminandosi, con improvvisa lentezza, verso le rocce dietro le
quali Tisifone riposava. Per terminare il suo lavoro.
Castalia, rimasta sola, faticò a
respirare, a causa del veleno iniettato dentro al corpo. Veleno che, se avesse
avuto il tempo, avrebbe potuto provare a succhiar via. Ma Cassandra stava per
uccidere Tisifone e lei doveva alzarsi. Doveva farlo per salvarla. Ma non ci
riusciva. Crollava a terra ogni volta in cui cercava di rimettersi in piedi.
Si ricordò di Moses, di quando
le aveva quasi spaccato il cranio, sulla spiaggia di Nuova Luxor, e di Danes,
assieme al quale era precipitata in un burrone ad Atene. Ma entrambe le volte
ne era uscita indenne. E da sola, con l’uso delle sue forze, aveva scalato la
Collina delle Stelle. E sempre da sola aveva ammesso di provare qualcosa per un
uomo. Che fosse Ioria o Phantom non lo aveva ancora capito, combattuta tra
l’ancora felice del passato e l’incerta, ma inebriante, prospettiva del futuro.
Proprio per quello, per le conquiste che aveva ottenuto, grazie anche a Morfeo,
che l’aveva aiutata a guardarsi dentro, doveva rialzarsi ancora.
Bruciò il proprio cosmo, come
aveva sempre incitato Pegasus a fare altrettanto, oltre i limiti della propria
costellazione, rimarginando le ferite subite, mentre cercava di rimettersi in
piedi, chiamando con forza il nome della sua avversaria.
Cassandra, con l’indice teso
verso Tisifone, inerme al suolo di fronte a lei, si voltò giusto in tempo per
vedere migliaia di comete azzurre piombare su di lei, senza che potesse far
niente per pararle. Cercò di volar via, ma fu battuta sul tempo e spinta
indietro, fino a schiantarsi contro un muro di roccia, con numerose crepe
sull’armatura, mentre Castalia, sia pur a fatica, atterrava di fronte a lei.
“Non mi colpisci più?!”
–Ironizzò la Sacerdotessa. –“Tremi all’idea di usare nuovamente il tuo veleno,
non è vero, Cassandra? All’idea di terminare la tua esistenza, come quella
delle api dei cui poteri ti sei cibata!”
“Hai dunque compreso!” –Mormorò
la donna, rimettendosi in piedi. –“Come Ape Regina ho avuto il massimo dei
privilegi, ma anche degli oneri! Potere e morte! Ecco il mio segreto! Come le
api muoiono in un paio di giorni, dopo aver perso il pungiglione, ugualmente le
mie forze diminuiscono col prolungato uso della puntura venefica!”
“Sei ancora in tempo per
fermarti!” –Esclamò Castalia. –“Di certo non chiedo la tua morte, né ti obbligo
a lottare ancora! Concedimi di salvare i miei compagni e di recarmi a
combattere il Maestro di Ombre! E sarai salva!”
“Salva?! Come potrei esserlo
sapendo che qualcuno attenta alla vita dell’uomo che amo?!” –Ironizzò Cassandra,
accennando un sorriso sincero alla Sacerdotessa. –“Preferirei ardere
all’inferno cento volte che regnare da sola su un mondo di luce!” –Ed espanse
al massimo il proprio cosmo, caricandolo sull’indice destro, mentre
l’inquietante sagoma di un’ape nera comparve dietro di lei. –“Stai pronta,
Castalia! Per fermarti dovrò dare fondo a tutto il mio potere! E lo farò!”
“Lo so!” –Rispose semplicemente
la Sacerdotessa, balzando in alto, avvolta nel suo cosmo azzurro e lasciandosi
circondare dalla maestosità di un’aquila d’argento. –“Volo dell’Aquila Reale!”
–Gridò, piombando a gamba tesa in picchiata su Cassandra, che, in tutta
risposta, liberò un unico raggio di energia, preciso e potente, che raggiunse
Castalia in mezzo al seno, distruggendo la corazza protettiva. Ciò non le
impedì comunque di colpire l’Ape Regina, dilaniandola con gli artigli del
rapace imperiale e sbattendola a terra, tra i frammenti della sua veste
distrutta.
“Lo hai ammesso… infine!”
–Commentò Castalia, trascinandosi verso il corpo ferito di Cassandra e
sollevandolo, in modo che le due potessero guardarsi un’ultima volta.
“Non volevo morire senza aver
trovato il coraggio di dichiarare a me stessa quanto l’ho amato! Per quanto
folle e suicida questo amore… sia stato!” –Spirò così l’Ape Nera, con tutti i
sogni che aveva sempre nascosto, persino a se stessa.
Castalia non ebbe il tempo di
piangerla che fu travolta, assieme al corpo della donna, da un fendente di
energia infuocata, che spaccò in due il terreno, sollevando entrambe e scagliandole
indietro, distruggendo definitivamente le loro corazze e avvolgendole in vampe
di fuoco. Tossendo e sputando sangue, Castalia riuscì a volgere lo sguardo
verso il punto da cui era partito l’attacco. Ma non vi trovò nessuno.
Solo allora si accorse che il
nemico era già accanto a lei e osservava con freddezza il cadavere di
Cassandra. Alto e ben fatto, con folti capelli grigi, che ben si intonavano
alle decorazioni argentate della sua corazza nera, un uomo piantò una delle due
spade che stringeva in mano nel corpo dell’Ape Nera, incendiandolo all’istante.
“Nooo!!!” –Gridò Castalia,
muovendosi verso Cassandra. –“Che fai?!” –Ma l’uomo neanche le rispose,
muovendo l’altra spada e falciando la Sacerdotessa fino a spingerla indietro,
con una bruciatura alla gamba sinistra e tagli sparsi sul corpo.
“Ha fallito!” –Si limitò a
commentare l’uomo dal volto inespressivo, prima di togliere la spada dal
cadavere di Cassandra e incamminarsi verso il Cavaliere d’Argento.
Castalia non aveva più forze
nemmeno per parlare, per chiedergli chi fosse e come potesse essere così
freddo. Ma capì che, anche se avesse potuto, non sarebbe servito a niente,
poiché quell’uomo la morte l’aveva tatuata in fronte. Il Cavaliere Nero sollevò
una spada, ma prima che potesse calarla su Castalia due voci lo raggiunsero.
“Criniera dell’Unicorno!!!”
–Gridò Asher. –“Cobra Incantatore!” –Gli andò dietro Tisifone, balzando
sul servitore di Flegias da ambo i lati. Ma questi non si scompose affatto,
limitandosi ad incrociare le spade avanti al petto, prima di scagliarle
indietro, senza neanche voltarsi.
La prima spada raggiunse
Tisifone, falciandole via un pezzo di coscia e facendola crollare in una pozza
di sangue, mentre la seconda si conficcò precisa nella spalla destra di Asher,
distruggendo la sua corazza e prostrando il ragazzo a terra. A quella visione,
Castalia scattò avanti, con il pugno teso, per proteggere gli amici che, seppur
deboli, avevano rischiato la vita per aiutarla. Ma l’uomo non ebbe problemi a
scansarsi di lato, evitando l’affondo della donna, prima di colpirla con una
secca ginocchiata in pieno addome e scaraventarla contro una parete di roccia.
Senz’altro aggiungere,
soddisfatto della sua prestazione, aprì i palmi delle mani, dove le spade
tornarono in un secondo, salde nella presa dell’uomo che, tra tutti i servitori
di Flegias, era il più temuto. Notando che Asher ansimava ancora, rantolando
sul terreno, il Cavaliere Nero gli si avvicinò, puntandogli la spada alla gola.
Non mosse neanche un sopracciglio, sollevando la lama e calandola di nuovo su
di lui.
Ma, rapido come un fulmine, un
lampo di luce spinse il sicario di Flegias indietro, mentre la sagoma di uno
scudo rotondo compariva a proteggere Asher. Dietro di lui, con il cosmo acceso,
il Cavaliere d’Oro della Bilancia.
“Approfitti di un uomo
indifeso?!” –Esordì Libra, abbassando leggermente lo scudo. –“Che Cavaliere
sei? Non hai onore?!”
“Faccio solo il mio lavoro!” –Si
limitò a commentare l’uomo, con voce flemmatica. E mosse una spada così in
fretta da generare un fendente energetico che sfrecciò verso Libra,
obbligandolo a sollevare nuovamente lo scudo d’oro per proteggersi, venendo
comunque spinto indietro dal contraccolpo. Non ebbe bisogno di abbassare di
nuovo lo scudo per sentire che il Cavaliere Nero non era più di fronte a lui,
ma era balzato in alto, piombando contro la sua difesa con le lame sfoderate.
“Incredibile!” –Rifletté Libra,
osservando con quanta forza, precisione e perizia il suo avversario sapeva
muovere perfettamente in sincronia le due spade che stringeva in mano,
sbattendole contro lo scudo e costringendolo ad una continua posizione di
difesa. –“Non posso restare passivo!” –Si disse, cercando una falla nei
movimenti dell’uomo, scoprendo con terrore che non ve ne erano. –“Devo tentare
ugualmente!” –Affermò, caricando il cosmo sul braccio destro e muovendolo dal
basso verso l’alto, per generare un Drago Nascente da distanza
ravvicinata.
L’attacco, per quanto lo
sollevasse da terra, non stupì particolarmente il Cavaliere Nero, che si lasciò
trascinare per una decina di metri, senza opporre resistenza, prima di
scivolare lungo il dorso del dragone energetico, di fronte agli occhi sorpresi
di Libra, e colpirlo a piedi uniti, spingendolo indietro di qualche metro.
Senza neppure il tempo per
rifiatare, il Cavaliere Nero liberò nuovi fendenti energetici, costringendo
Libra a muoversi continuamente per non essere travolto e a parare con lo scudo
quelli, troppo fitti e vicini tra loro, che non poteva schivare.
“Sta conducendo nuovamente il
gioco!” –Mormorò Libra, cercando un modo per limitare quel vantaggio
avversario. E decise di provare un attacco frontale, caricando di nuovo il
braccio destro. –“Colpo segreto del Drago Nascente!” –Gridò, portando
avanti il pugno e liberando uno scintillante dragone di energia, che sfrecciò
verso il servitore di Flegias, senza strappargli alcuna espressione di stupore.
Libra, sempre più sconvolto,
osservò il suo avversario incrociare le lame di fronte a sé, caricandole del
suo cosmo infuocato, e contenere con esse l’impatto dell’attacco. Ma, non
contento, l’uomo spinse con forza le lame avanti, in modo da trinciare la
sagoma del dragone di luce con dei fendenti energetici, che dilaniarono
dall’interno la bestia sacra di Cina, dissolvendo l’assalto del Cavaliere d’Oro.
“Muori!” –Esclamò infine
l’imperturbabile nemico, scagliando una spada ai piedi di Libra, dove si
piantò, esplodendo sul colpo e scagliando il Cavaliere indietro di qualche
metro.
Con abilità, Libra si raddrizzò
ancora in volo, ricadendo compostamente a terra, ma subito dovette fronteggiare
la furia del servitore di Flegias, che con l’altra spada torreggiava già su di
lui, scheggiando più volte lo scudo d’oro che Libra aveva prontamente
sollevato. Poco importava che avesse solo una lama, la precisione e la potenza
dei suoi colpi non ne risentivano affatto e, per quanto fosse un nemico, Libra
non poteva che ammirare una tale preparazione atletica e battagliera.
“Mi dispiace!” –Disse infine,
caricando lo scudo del suo cosmo dorato e fermando il susseguirsi di colpi del
nemico. –“Ma questo schema deve cambiare!” –Aggiunse, muovendo il braccio a
spazzare, in modo da spingere via la spada incandescente, a costo di aprire nel
qual tempo una breccia nelle sue difese. –“Ora!” –E portò avanti il braccio
destro, per colpire il servitore di Flegias da vicino, ma questi, in quella
frazione di secondo, aveva aperto il palmo della mano sinistra, richiamando a
sé l’altra spada, che saettò verso di lui proprio mentre il pugno di Libra
stava per colpirlo, piantandosi nel polso del Cavaliere d’Oro e avvolgendolo in
un nugolo di fiamme. Non aggiunse altro e lo colpì con un calcio dal basso,
scagliandolo indietro di molti metri, osservandolo ruzzolare sul terreno
roccioso fino a perdere l’elmo della sua corazza dorata.
“Sapiente e abile!” –Commentò
Libra, rimettendosi in piedi. –“Sei una macchina da guerra perfetta! Non
tradisci affatto le tue emozioni e sembra che niente ti turbi sul campo! Mi
chiedo soltanto… perché adesso non mi hai finito? Adesso che ero inerme, perché
non ne hai approfittato per colpirmi come hai fatto finora?!”
“Toglimi le spade! E solo allora
lo saprai!” –Rispose l’uomo, scattando avanti, con entrambe le lame impugnate,
roteandole in modo da generare turbini di fiamme, che si abbatterono su Libra,
costretto a ripararsi dietro lo scudo dorato.
“Se è una sfida…” –Mormorò il
Cavaliere, concentrando il cosmo. –“La accetto con piacere!” –E nel dir questo
liberò l’energia raccolta, che si espanse dallo scudo come un ventaglio di luce
dorata, annientando le fiamme e obbligando il servitore di Flegias a
interrompere l’avanzata.
Questi incrociò le spade di
fronte a sé, cariche del suo cosmo incendiario, e generò un attacco di energia
incandescente, a forma di croce, che si schiantò su Libra, spingendolo indietro
di qualche metro. Quando l’assalto si placò, il Cavaliere d’Oro non perse
neanche tempo a cercare il nemico con lo sguardo, avendo ben sentito che si era
lanciato in alto, e altrettanto fece lui, evitando in tempo una lama infuocata,
che l’uomo gli aveva appena scagliato contro, e approfittando dell’onda d’urto
che la stessa generò esplodendo a terra per farsi spingere proprio verso di
lui.
“Colpo del Drago Nascente!!!”
–Gridò Libra, piombando sul Cavaliere Nero, con le scintillanti fauci
spalancate.
Il volto del servitore di
Flegias tradì per la prima volta un’emozione di sorpresa, ma non gli impedì di
portare l’altra spada di fronte a sé, caricandola del suo cosmo e usandola per
parare l’attacco, rallentandone la portata. Venne raggiunto ugualmente a un
fianco e costretto a tornare a terra, portandosi fuori dal raggio d’azione
avversario.
“Dunque non sei invincibile!”
–Commentò Libra a denti stretti, atterrando a qualche metro di distanza dal
Cavaliere Nero, che aveva nel frattempo richiamato a sé la prima spada,
unendone l’impugnatura a quella che già stringeva, in modo da ottenere un’unica
arma con un’elsa centrale e due lunghe lame affilate da ambo i lati.
“Filo diritto!” –Declamò,
muovendo l’arma verso sinistra con velocità sorprendente e generando un
fendente di energia infuocata, che scavò una fossa nel suolo prima di
abbattersi con foga contro lo scudo d’oro. –“Filo falso!” –Seguitò,
muovendo l’arma verso destra. Ma Libra fu più rapido, evitando il piano
energetico e gettandosi di lato, prima di contrattaccare, volgendo entrambe le
braccia verso il suo nemico.
“Colpo dei Cento Draghi!”
–Esclamò, liberando tantissimi dragoni lucenti, che sfrecciarono nell’aria
torbida dell’Isola delle Ombre, diretti verso il Cavaliere Nero, il quale roteò
con forza l’arma a due lame di fronte a sé, in modo da generare uno scudo
d’aria e fuoco con cui smorzò l’assalto, spuntando le zanne dei Cento Draghi.
–“Impossibile! Nemmeno il Muro di Cristallo del mio vecchio amico Shin
può parare il massimo colpo del custode dei Cinque Picchi!!!” –Incalzò Libra,
rinnovando l’assalto, espandendo al massimo il proprio cosmo.
Il servitore di Flegias continuò
a ruotare la propria arma, ma la pressione che i Cento Draghi esercitavano era
superiore rispetto alla capacità di rotazione della stessa e presto molte zanne
di luce scheggiarono la sua corazza, distruggendola in più punti e raggiungendo
la carne al di sotto di essa. Un ulteriore aumento della potenza cosmica di
Libra scaraventò indietro l’abile spadaccino, schiantandolo contro una parete
di roccia, mentre l’arma gli sfuggì di mano, piantandosi nel terreno poco
distante.
“Adesso possiamo parlare?”
–Ironizzò Libra, avvicinandosi al suo nemico, sempre tenendosi a una certa
distanza di sicurezza.
“Cosa vuoi sapere?!” –Rispose lo
spadaccino, quasi stupito da quella domanda.
“Qualcosa di te! Il tuo nome,
per esempio! Le norme della cavalleria impongono che ci si presenti prima di
iniziare un duello!” –Esclamò Libra.
“Non ho nome, o se l’ho avuto
non ne sono a conoscenza!” –Rispose l’uomo. –“Ma nell’ordine dei Cavalieri Neri
sono conosciuto come Avel, delle Spade Incrociate, il Cavaliere
dell’Elettore di Sassonia! Questo è il nome che Flegias mi diede anni fa,
ispirato dal fiume di Berlino presso le cui rive mi trovò! L’Havel, appunto!”
“Berlino?!” –Sgranò gli occhi
Libra, non capendo le parole dell’uomo.
“È una città della Germania
orientale!” –Ironizzò Avel, rimettendosi intanto in piedi. –“Ed è là che ho
lavorato per anni! Finché i miei superiori non mi hanno tradito!”
“Quali superiori? Per chi
lavoravi?” –Incalzò Libra, che da quella spiegazione confusa aveva capito ben
poco. Ma Avel sembrava aver perso la voglia di parlare, per quanto poca fosse
comunque stata, e si limitò a sogghignare, mentre le spade si liberavano dal terreno,
separandosi di nuovo, e sfrecciavano nelle sue mani.
“Troppe domande!” –Commentò
semplicemente, prima di lanciarsi contro Libra, muovendo le lame con perfetta
sincronia e obbligando il Cavaliere a sollevare lo scudo, sottoposto a una
pressione continua.
Devo fermarlo! Si disse il maestro di Sirio. Ma come? Da questa
distanza ravvicinata il Drago Nascente si è rivelato inefficace e per
lanciare i Cento Draghi ho bisogno di entrambe le mani libere! Un
colpo secco di spada lo sbilanciò all’indietro, facendolo cadere a terra, ma
riuscì a tenere lo scudo sollevato in modo che, per lo slancio, Avel vi finisse
sopra. Poi lo mosse con forza di lato, scaraventando via lo spadaccino, che fu
comunque abile ad atterrare compostamente al suolo. Alla distanza perfetta per
il colpo che Libra intendeva scagliare.
“Questo è l’ago della Bilancia, la chiave di volta tra le benigne stelle e
le forze dell'oscurità!” –Esclamò,
rimettendosi in piedi e caricando il braccio destro del suo cosmo. –“Per il
Sacro Libra!!!” –Gridò, calandolo di colpo e generando un piano di energia
che sfrecciò verso Avel alla velocità della luce, falciandogli un braccio e
distruggendo parte della sua corazza, facendogli perdere la presa su una spada.
Sanguinante, il Cavaliere delle
Spade Incrociate si gettò comunque contro Libra, che lo aspettava avvolto nella
sua dorata aura cosmica, con le braccia raggianti di energia.
“Colpo dei Cento Draghi!!!”
–Gridò il maestro di Sirio, scatenando le sfolgoranti fauci dei dragoni
d’Oriente, che trapassarono il corpo di Avel, schiantandolo a terra in una
pozza di sangue. Fu abile comunque, l’Elettore di Sassonia, a scagliare la
spada contro Libra, piantandogliela nella coscia sinistra, proprio sopra la
protezione dell’armatura, strappando al Cavaliere un grido di dolore.
Crollando su un ginocchio, Libra
estrasse l’arma dalla gamba, cercando di fermare l’emorragia con il tepore
delle stelle, ammettendo al qual tempo l’estrema precisione del sicario di
Flegias, un uomo che del cosmo conosceva solo i rudimenti, ma che in quanto a
preparazione fisica non aveva niente da invidiare a un Cavaliere.
“KGB!” –Mormorò Avel, sdraiato a
terra. –“Lavoravo… per il KGB!”
“I servizi segreti sovietici?!”
–Commentò Libra incuriosito, incamminandosi verso il corpo massacrato e
grondante sangue dell’uomo, che annuì a fatica.
“Ho lavorato per dodici anni a
Berlino, svolgendo sempre bene i compiti… assegnatimi.” –Disse, e Libra intuì a
cosa si riferisse. –“Finché, per cancellare ogni traccia di un suo possibile
coinvolgimento nello sterminio della famiglia di un noto politico liberale, il
KGB non decise di sacrificarmi! Fuggii per giorni, braccato da ogni dove,
trovando rifugio nella foresta di Wannsee, sulle rive dell’Havel, dove Flegias
mi incontrò!” –Tossì Avel, sputando sangue e continuando con un filo di voce.
–“Restò impressionato dalle mie capacità! Silenzioso e preciso, perciò letale,
mi definì, proponendomi di seguirlo! Nel KGB non ero nessuno, soltanto un
numero di codice! Per Flegias, e per i Cavalieri dell’Ombra, almeno sono stato
qualcuno…”
Libra sospirò, chiudendo gli
occhi del sicario, mentre Asher, Tisifone e Castalia, tenendosi l’un l’altro,
si avvicinavano in silenzio. Tutti sentirono un’immensa energia cosmica,
superiore a quella di tutti i Cavalieri e Capitani dell’Ombra affrontati
finora. Un’energia dalle sfumature infuocate e divine, che ben conoscevano.
Flegias, il Maestro di Ombre,
era infine sceso sul campo di battaglia e da qualche parte, in quell’isola
maledetta, stava affrontando Pegasus e i suoi amici.
Andromeda aveva chiesto a Kiki di accompagnarlo sull’isola
dove aveva ottenuto l’investitura, sicuro che Nemes fosse in pericolo. Lo aveva
visto con i suoi occhi, grazie al sangue di Biliku, che gli aveva concesso la
facoltà di leggere al di là del fenomenico, per trovare l’essenza di tutte le
cose. Ciò che non si aspettava fu però di vedere l’amica che aveva medicato le
sue ferite durante l’addestramento, e di cui col tempo si era innamorato, incatenata
agli stessi scogli dove lui era stato legato per affrontare il rituale
dell’ultima prova.
“Nemes!!!” –Gridò, alla vista
della ragazza stritolata da oscure catene, che impedivano al suo corpo, ferito
e sanguinante, di muoversi, lasciandola in balia delle onde che continuamente
la travolgevano. –“Resisti!!!” –Aggiunse, dall’alto della scogliera dove un
tempo Albione lo aveva osservato conquistare l’Armatura.
E da cui oggi io contemplo
questo orrore! Mormorò il ragazzo, a cui
non era sfuggito un particolare molto delicato. Nemes non indossava infatti
alcuna maschera e sul suo viso erano presenti graffi vistosi, segno evidente
che chiunque l’avesse ridotta in quello stato aveva deciso di oltraggiarla
ulteriormente.
Andromeda e Kiki fecero per incamminarsi
lungo l’irto sentiero che conduceva agli scogli quando, dall’alto della rupe,
qualcosa cadde loro in testa, spaccandosi in vari pezzi toccando terra.
Inorridito, Andromeda riconobbe la maschera di Nemes, macchiata di sangue, e si
voltò verso l’alto, per incrociare lo sguardo soddisfatto e divertito di Sakis
del Quadrante Oscuro, uno degli allievi di Iemisch, la Tigre Nera.
“Ben arrivato Andromeda! Spero
che lo spettacolo sia di tuo gradimento!” –Esclamò il giovane dai corti capelli
grigi, prima di scoppiare a ridere.
“Sakis?! Tu hai sfregiato Nemes
a tal punto?! Perché?!” –Esclamò Andromeda, a cui il comportamento del
Cavaliere Nero era apparso alquanto sospetto durante il loro primo incontro ad
Angkor. –“Non hai ucciso Virgo quando ne hai avuto la possibilità, né hai
approfittato della sorpresa per massacrare me e i suoi discepoli! Cosa ti ha
spinto adesso a un gesto di così atroce brutalità?”
“Non è ovvio, Cavaliere di
Andromeda?!” –Sorrise Sakis, storcendo la bocca in un ghigno perverso. –“La stessa
bestialità che mi ha invaso quando ho ucciso Dhaval! La stessa lussuria che ho
provato sfregiando il corpo della bionda a cui tanto sei legato! Ih ih ih!”
“Carogna!” –Ringhiò Andromeda,
scagliando le catene verso l’alto della rupe. Ma Sakis fu svelto a balzare via,
mentre le armi si schiantavano contro il terriccio, facendolo franare su
Andromeda e Kiki. Si infilò dentro il groviglio di catene, servendosi di esse
per scivolare fino a terra e colpendo Andromeda con un calcio in pieno viso,
sbattendolo al suolo.
“Andromeda!!!” –Gridò Kiki,
avvicinandosi all’amico. Quindi, vedendo che si stava subito rialzando, gli
mise una mano su una spalla, annuendo in silenzio e scattando via. Con
l’intento di salvare Nemes.
“Altolà!” –Esclamò Sakis,
apparendo di fronte a lui e afferrandolo per i capelli, strattonandolo di
fronte agli occhi incolleriti, ma timorosi, di Andromeda. –“Stai al tuo posto,
ragazzino!” –E scaraventò Kiki contro la parete di roccia, facendogli sputare
sangue, prima che crollasse a terra. –“Mi hai deluso!” –Commentò quindi,
voltandosi verso il Cavaliere, preoccupato per le sorti del suo piccolo amico.
–“Due volte!”
“Io deluso te?!” –Sgranò gli
occhi Andromeda, che, sebbene sapesse che era un nemico, aveva sentito qualcosa
di diverso nel Cavaliere del Quadrante Oscuro. Qualcosa che risaliva agli anni
perduti in cui erano stati entrambi orfani alla Grande Fondazione. Qualcosa che
avevano condiviso.
“Punto uno: mi aspettavo tu
venissi da solo! Senza la guardia del corpo!” –Ironizzò, mentre Kiki cercava di
rimettersi in piedi, con la schiena indolenzita per la botta. –“Pazienza, vorrà
dire che massacrerò anche lui di fronte ai tuoi occhi, come ho abusato del
corpo della tua bella!”
“Cosa hai fatto, bastardo?!” –Si
infuriò Andromeda, liberando la catena, che sfrecciò verso il volto divertito
di Sakis, che si limitò a disegnare un simbolo in aria con l’indice destro,
carico del suo cosmo argentato.
“Punto secondo!” –Sentenziò,
mentre la Catena di Andromeda si fermava proprio di fronte a lui, con la punta
incollata al simbolo che aveva tratteggiato. –“Che ne è della tua famosa calma?
Del tuo placido timore di ferire gli avversari, speranzoso sempre di una via
d’uscita che non passi dal baratro della morte?!”
“Perché dovrei esitare di fronte
a te, Sakis, che non ti sei fatto scrupoli nel torturare una donna, e un
bambino? E, cosa forse peggiore, l’hai deliberatamente umiliata!” –Incalzò
Andromeda, cercando di recuperare il controllo sulla sua Catena d’Attacco, che
parve pietrificata, bloccata in aria davanti a sé. –“Avendo ricevuto anche tu
un minimo di addestramento, saprai certamente che ruolo una maschera gioca per
una Sacerdotessa! E, per quanto Lady Isabel, dopo la corsa alle Dodici Case,
abbia abolito la regola per cui una Sacerdotessa sia costretta a scegliere se
uccidere o amare chi l’ha vista in volto, rimane comunque un simbolo di fede!
Il simbolo di una scelta! E tu l’hai calpestato senza ritegno alcuno!”
“Non l’ho calpestato! Te l’ho
semplicemente spaccato in testa!” –Rise Sakis. –“Ah, dimenticavo! Ho un altro
regalo per te!” –E gli lanciò un oggetto che inizialmente Andromeda non capì
cosa fosse. Lo afferrò al volo e notò che erano due sfere biancastre, mollicce
al tatto, che gli sfuggirono di mano, rotolando in terra, fino a fermarsi ai piedi
di Kiki, che, inorridito, fece un balzo all’indietro, riconoscendo due occhi
umani.
“Dhaval non ne aveva più
bisogno…” –Commentò Sakis, esplodendo in una risata isterica, di fronte al
volto incollerito e nauseato di Andromeda.
“Come puoi essere così
macabro?!” –Gridò il ragazzo, scagliando anche la seconda catena contro di lui.
Ma anch’essa venne fermata da un simbolo che Sakis disegnò con l’indice,
tingendo l’aria di un vivido argento, che privò le armi di Andromeda della loro
vitalità.
“Credo che tu non abbia capito!”
–Ironizzò l’allievo di Iemisch, spostandosi e iniziando a camminare attorno ad
Andromeda, mentre le catene rimanevano bloccate a mezz’aria, come scatti
improvvisati di fotografia. –“Il sigillo del tatto sta già agendo su di te,
come ha agito su Nemes e su Dhaval! È solo questione che tu te ne renda conto! Ih ih ih!”
“Rendermi conto di cosa?!” –Esclamò Andromeda, facendo per lanciarsi su di lui.
E solo allora si accorse di non potersi più muovere. Di non poter spostare
neanche un braccio, bloccato da una forza a cui non sapeva opporsi, al punto
che persino aprire la bocca per parlare gli costava uno sforzo e un dolore
immensi.
“Sigilli dell’Impero!”
–Sogghignò Sakis, fissando il ragazzo negli occhi. E percependo tutto l’odio
che, forse per la prima volta, Andromeda stava provando per qualcuno. –“E dopo
il tatto, l’odorato! A cosa ti serve in fondo? Ad annusare il corpo putrefatto
della tua bella, dopo che sarà morta affogata? Ih ih ih!” –Rise, disegnando un
secondo simbolo in aria.
“Sakis! Fermati! Perché questo
sadismo? Sei cresciuto con me, hai condiviso le perdite che hanno segnato
l’infanzia di tutti noi! Dovresti capire, dovresti essere al nostro fianco per
combattere l’ombra!”
“Ah ah ah! Che sciocchezze vai
dicendo Andromeda?” –Esclamò Sakis, prima che il suo volto si facesse
terribile. –“Non siamo tutti uguali! Non vogliamo tutti essere degli eroi! E
quest’illusione in cui vivi, speranzoso di portare sempre a galla quel che di
buono c’è in ognuno di noi, è una chimera che oggi morrà!” –E nel dir questo
disegnò in aria un terzo simbolo argentato, sigillando la bocca del Cavaliere.
–“Non posso toglierti definitivamente i cinque sensi! Ma i Sigilli
dell’Impero ti renderanno comunque inerme, bloccandoti il tempo necessario
perché Nemes affoghi, e tu la raggiunga in Ade! Ih ih ih!” –Rise Sakis, di
fronte agli occhi inorriditi di Andromeda, prima di essere distratto da un
movimento alla sua destra.
Un globo di luce verde sfrecciò
verso di lui, ad una velocità così bassa che non ebbe alcun problema ad
afferrarlo con il palmo della mano e a rinviarlo indietro. Kiki fu comunque
abile a schivarlo, scomparendo grazie al teletrasporto e riapparendo alle
spalle del Cavaliere Nero, con un’altra sfera di energia in mano.
“Notevole!” –Si limitò a
commentare Sakis, con aria divertita, disegnando un sigillo argentato in aria e
paralizzando i movimenti del ragazzino, voltandosi poi per osservare la sua
buffa posa. –“Credevi che non avessi percepito dove saresti ricomparso?
Possiedo anch’io poteri telecinetici, e superiori ai tuoi!” –Aggiunse,
sollevando Kiki con la forza del pensiero, mentre il ragazzino, a parte
strillare impaurito, nient’altro poteva fare per opporsi. Quindi lo scaraventò
via, con un semplice movimento del braccio, davanti agli occhi sconvolti di
Andromeda, che osservò Kiki tramutarsi in una piccola cometa di luce e
sfrecciare in mezzo al mare, scomparendo in lontananza.
“Cibo per gli squali diverrai!”
–Commentò Sakis. –“E adesso torniamo a noi! Basta con queste distrazioni!” –Aggiunse,
fissando Andromeda e disegnando il quarto sigillo nell’aria. Quello dell’udito.
–“Fa strano, vero? Non sentire più niente, non udire più alcun rumore, nemmeno
un sospiro! È un dolce nulla che ti avvolge e ti conduce per mano
all’Anticamera di Ade! Mira la Porta dell’Inferno e abbandona l’ultima
speranza!” –Rise Sakis, sollevando di nuovo l’indice.
Ma prima di disegnare l’ultimo
sigillo si fermò, ponderando la situazione e incamminandosi infine verso
Andromeda.
“Ho cambiato idea! Non ti
priverò del senso della vista! Ma ti degnerò dello stesso onore che ho
riservato a Dhaval il saggio!” –Esclamò, portandosi di fronte al Cavaliere e
sollevando l’indice e il medio della mano destra, carichi del suo cosmo color
argento. –“A che ti servono in fondo gli occhi all’Inferno?! Ah ah ah!”
E in quel momento, mentre Sakis
muoveva le dita per cavargli gli occhi, Andromeda lasciò esplodere il suo
cosmo, espandendolo più di quanto avesse mai fatto prima. Per tutti quei
minuti, che gli erano parsi un’eternità, incapace com’era stato di muoversi e
far qualcosa, non aveva fatto altro che pensare a se stesso, a quanto fosse
cresciuto negli ultimi due anni, non solo come soldato, ma anche come persona,
giungendo persino ad ammettere di provare un sentimento d’amore per qualcuno.
Qualcuno che non fosse suo fratello, la sua Dea o i suoi tre amici, compagni di
vita.
E non voglio che tutto questo
scompaia! Esclamò Andromeda, bruciando il
proprio cosmo, portandolo oltre i limiti della sua costellazione, recuperando
l’uso dei sensi, come Pegasus aveva fatto contro Gemini durante lo scontro alla
statua di Atena, e liberandosi dai sigilli di Sakis. Io voglio un futuro!
Per me, e per coloro a cui tengo!
L’onda d’urto scaraventò Sakis
indietro di parecchi metri, facendolo ruzzolare sulla scogliera e spaccandogli
l’elmo della corazza. Sorpreso e stupefatto dalla capacità di ripresa del
Cavaliere di Andromeda, e dal potere che aveva dimostrato nel liberarsi dei
suoi sigilli, riuscendo dove persino Dhaval il saggio aveva fallito.
“Strepitoso…” –Mormorò Sakis,
rimettendosi in piedi. Ma Andromeda aveva perso la voglia di parlare, sepolta
sotto il sadismo che l’Esploratore Oscuro aveva dimostrato.
“Hai calpestato l’affetto e il
rispetto delle persone troppo a lungo per permettermi di provare ancora
comprensione per te!” –Commentò, agitando le catene, cariche del suo
scintillante cosmo. –“Ho sempre cercato di non essere crudele con i miei
nemici, di evitare lo scontro se possibile! Persino con gli spectre di Ade e
con i berseker di Ares, che pietà certo non meritavano! Ma con te, che ti sei
burlato di me fin dal primo istante, che hai abusato dei miei sentimenti,
ferendomi in quanto persona e non come Cavaliere, non provo più alcuna remora!
Sfrecciate, Onde del Tuono!!!” –Gridò infine, scatenando la furia
devastante delle Catene di Andromeda, che incendiarono l’aria con le loro
scariche energetiche, dirigendosi verso Sakis.
“Tut tut…” –Si limitò a
mormorare il Cavaliere Nero, nient’affatto preoccupato, mentre un quadrato di
energia allo stato puro, simile ad un piccolo buco nero, si apriva davanti a
lui, e le catene vi precipitavano dentro. –“Quadrante oscuro, ingoia il
Cavaliere di Atena, perdendolo in un limbo dimenticato dagli Dei!”
“Ma… cosa?!” –Balbettò
Andromeda, strattonando le catene e cercando di tirarle indietro, accorgendosi
però di non riuscirvi. E accorgendosi anche che il quadrante oscuro stava
esercitando una forza d’attrazione sempre maggiore, capace di chiamare a sé il
resto delle catene e lo stesso Cavaliere di Atena.
“Addio Andromeda… e buon
viaggio!” –Rise Sakis, aprendo le braccia e allargando il diametro del
quadrante oscuro, che attirò a sé tutto ciò che rientrava nel suo campo visivo.
Sassi, rocce e Andromeda.
“Devo… resistere… la sua forza
d’attrazione è micidiale! È come… la Dimensione Oscura di Gemini!”
–Ansimò il ragazzo, piantando i piedi a terra e inarcando la schiena indietro,
per contrastare il risucchio del buco nero. Ma lentamente fu costretto ad
avanzare, impossibilitato a liberare le catene, le cui cime già si erano perse
all’interno della distorsione dimensionale. Lentamente fu costretto ad
avvicinarsi all’oblio, mentre Sakis, al di là del quadrante, rideva
soddisfatto.
“Potrei complicarti la vita,
anzi la morte, sigillando di nuovo il tuo senso del tatto! Ma godo troppo nel
vederti arrabattare affannosamente, per conquistare una vittoria che non ti
spetterà!” –Commentò divertito l’Esploratore Oscuro, aumentando l’apertura del
quadrante e la sua forza d’attrazione, che sradicò letteralmente Andromeda, risucchiandolo
al suo interno, mentre le grida del Cavaliere si perdevano in universi lontani.
–“Nella tua fine è il mio principio!” –Mormorò, facendo il verso a Maria
Stuarta.
Quindi si voltò verso gli
scogli, lasciando che il portale dimensionale si richiudesse progressivamente,
fino a divenire mera evanescenza, e notò con rabbia che il ragazzino che aveva
scagliato in mezzo al mare boccheggiava attorno a Nemes, travolto dall’agitarsi
delle onde, nel tentativo di liberarla dalle catene.
Kiki infatti era stato
scaraventato a un paio di chilometri dalla costa, piombando in acqua senza
possibilità di muoversi, prigioniero del sigillo di Sakis. Così era andato a
fondo, e per un momento si era sentito perduto. Poi aveva ripensato a sua
madre, all’incitamento che le aveva dato nelle Andamane, e a suo fratello, che
aveva visto in lui notevoli miglioramenti, grazie anche alle molte avventure
vissute sul campo, a fianco di Pegasus e degli altri amici.
“Stai crescendo!” –Gli aveva
detto Mur mettendolo a letto, dopo aver curato le sue ferite per lo scontro con
Biliku. –“Da bambino stai diventando ragazzo! Spero di vivere abbastanza a
lungo per vedere l’uomo che diventerai, il fedele Cavaliere di Atena che hai
sempre sognato essere!”
Quei pochi pensieri, così intensi,
gli avevano dato la forza per reagire, spingendolo a bruciare al massimo il
proprio cosmo, a bruciare la sua stessa vita, mentre scivolava nell’abisso,
liberandosi dal sigillo del tatto e teletrasportandosi sulla riva scoscesa
dell’Isola di Andromeda. A pochi metri da Nemes, che ansimava, con la marea
sempre più alta intorno a lei e onde continue che non le davano tregua.
“La gramigna non muore davvero
mai!” –Commentò Sakis, concentrando il cosmo sull’indice destro. Ma prima che
potesse colpire Kiki, fu distratto da un rumore metallico proveniente da dietro
di sé.
Le Catene di Andromeda erano
infatti rispuntate dal quadrante oscuro, che stava ormai per chiudersi,
conficcando le loro estremità nel terreno, creando un’ancora con cui il
Cavaliere aveva potuto stabilizzare la sua posizione nella distorsione
dimensionale. E impedendo al portale di richiudersi.
“Mossa inutile, Andromeda!”
–Sorrise sarcastico Sakis, avvicinandosi al piccolo buco nero, largo ormai una
ventina scarsa di centimetri, da cui spuntavano le catene in tensione estrema,
e iniziando a colpirle con violenti calci. –“Dannate!” –Ringhiò, notando che i
suoi colpi non producevano loro danno alcuno, grazie al sangue di Atena e al
mithril con cui erano state potenziate.
Così concentrò il cosmo
sull’indice destro, creando un raggio di energia che calò sugli anelli delle
catene, come per segarli, in modo da distruggere l’ultimo legame materiale di
Andromeda con quel mondo. Ruppe un anello della prima catena e il resto di essa
scomparve, risucchiato dalle tenebre, lasciando solo la punta conficcata nel
terreno. Quindi trinciò anche l’anello della seconda catena, impegnando buona
parte delle sue forze, tanto resistente era il materiale di cui era composta. E
non appena anch’essa venne risucchiata, il portale si richiuse e Sakis si
lasciò cadere a terra sfinito. Andromeda era scomparso dalla loro dimensione ed
egli aveva vinto, vendicando l’umiliazione subita da Iemisch ad Angkor.
“No!” –Si disse, rialzandosi e
incamminandosi verso il bordo della rupe. –“Affinché la vittoria sia completa
c’è ancora una cosa da fare! Ancora due vite da recidere!” –E si affacciò
giusto in tempo per vedere Kiki che, nonostante le onde lo sballottassero
ovunque, era riuscito ad aggrapparsi ad uno degli scogli e stava lavorando per
sciogliere le catene.
“Con la scomparsa di Andromeda,
nessun’esca mi è più necessaria! Sparirete anche voi in un’altra dimensione!”
–Esclamò Sakis, espandendo il cosmo e generando un nuovo quadrante oscuro, che
comparve sulla testa di tutti loro, aprendosi a spirale e iniziando ad
esercitare la sua forza d’attrazione su Kiki, Nemes e l’acqua di mare,
increspandola sempre più. –“Ah ah! Che divertimento!” –Commentò Sakis,
osservando Kiki aggrapparsi con forza alle catene per non essere risucchiato
nel portale dimensionale. –“È come essere in giostra! Non trovi, ragazzino?!”
Improvvisamente un clangore
metallico attirò l’attenzione di Sakis, che si voltò verso i resti delle Catene
di Andromeda rimasti al suolo e notò che stavano vibrando. Attraversati da una
corrente elettromagnetica, non smettevano di tintinnare e a Sakis parve quasi
che stessero parlando. E allora capì. Che era un richiamo.
Lunghe catene scintillarono
fuori dal portale dimensionale che l’Esploratore Oscuro aveva aperto nel cielo sopra
la scogliera, riunendosi ai pezzi segati da Sakis in precedenza e anticipando
la fuoriuscita di Andromeda, completamente avvolto nel suo accecante cosmo
rosa.
“Andromeda?! Non può essere!!!”
–Gridò Sakis, sorpreso, mettendo via tutta l’allegria sfoderata fino a quel
momento.
“In persona, Cavaliere!”
–Rispose Andromeda con orgoglio, piombando sull’allievo di Iemisch, lanciando
avanti le catene, che subito si moltiplicarono in infinite copie.
Sakis cercò di evitarne alcune, balzando lateralmente, ma la stanchezza per
aver usato parte del cosmo per distruggere quelle stesse armi, che si erano
riforgiate davanti ai suoi occhi, lo rese lento e goffo e permise a numerose
punte di scheggiare la sua corazza, ferendolo. Strinse i denti e scomparve,
nascondendosi in una distorsione dimensionale, mentre il portale da cui
Andromeda era uscito svanì e il Cavaliere di Atena atterrava a piedi uniti sul
terreno.
“Nasconderti è inutile, Sakis!
Hai visto tu stesso di quali spaventosi poteri è dotata la mia Catena! Ha
saputo ritrovare la strada, grazie alle vibrazioni emanate da una parte di sé,
guidandomi attraverso sconosciute dimensioni e riportandomi qua!” –Esclamò
fiero Andromeda. –“Cosa le ci vorrà mai per trovarti adesso?! Vai, Catena di
Andromeda, strappa via il velo d’inganno che riveste il Quadrante Oscuro!” –E
scagliò le proprie catene lungo il bordo della scogliera, fino ad osservarle
urtare contro un muro invisibile.
“Male… dizione!” –Mormorò Sakis,
ricomparendo alla vista di Andromeda, con la corazza danneggiata in più punti.
Subito la Catena di Andromeda si
dispose a tagliola, intrappolando il servitore di Flegias e impedendogli di
scattar via, ma Sakis, bruciando il cosmo, sollevò l’indice, deciso a togliere
nuovamente ad Andromeda il sigillo del tatto, per mettersi in salvo.
“Non te lo permetterò! Melodia
scintillante di Andromeda!!!” –Gridò il Cavaliere, liberando la
configurazione ultima della catena, che si moltiplicò in migliaia di copie,
piombando sull’allievo di Iemisch da ogni direzione, fermando i suoi movimenti
e trapassando il suo corpo, fino a lasciarlo crollare al suolo, inerme e
sanguinante.
Per precauzione, Andromeda lo
avvolse in una serie di cerchi concentrici con le sue catene, impedendogli di
muoversi, continuando a guardarlo con sospetto. Del resto, l’Esploratore Oscuro
aveva dimostrato di saper essere infido nemico e conoscere trucchi sufficienti
per ribaltare una sconfitta in vittoria. Avrebbe dovuto usare la Nebulosa,
per spazzare definitivamente via il problema, ma, per quanto lo avesse odiato
per il male fatto a Dhaval, Nemes e Kiki, adesso che lo vedeva così moribondo,
adesso che lo vedeva prostrato a terra, con le catene che stridevano sul suo
corpo, macchiandosi del suo stesso sangue, Andromeda tornò il ragazzo che era
sempre stato. Il Cavaliere che non voleva combattere, ma doveva farlo.
“Perché è giusto!” –Commentò,
incamminandosi verso il bordo della scogliera.
Sporgendosi, notò che Kiki ce
l’aveva fatta. Aveva liberato Nemes dalle catene e adesso stavano annaspando
sugli scogli. Andromeda sorrise e fece per calare una catena, per aiutarli a
salire, quando la violenta esplosione del cosmo di Sakis lo obbligò a riportare
l’attenzione su di lui. L’Esploratore Oscuro era infatti uscito dalla stretta
morsa, svanendo in un’altra dimensione e riapparendo proprio accanto ad
Andromeda, con il volto pallido e il corpo striato da mille ferite sanguinanti.
Non l’aveva notato prima, ma una delle catene lo aveva perfino trapassato ad un
occhio.
Andromeda fece per sollevare le
difese, vedendo Sakis illuminare l’indice destro con l’argento del suo cosmo.
Ma l’Esploratore Oscuro fu più rapido e disegnò nell’aria un simbolo greco. Una
omega. Di cui Andromeda conosceva il significato.
Era la fine di tutto. La
distruzione di tutte le cose.
Il corpo di Sakis si irrigidì ed
egli ebbe un ultimo sussulto, prima che il peso lo sbilanciasse in avanti,
facendolo crollare in mare. Precipitò nelle acque dell’Oceano Indiano, l’ultimo
allievo della Tigre Nera, e non ne riemerse più.
Sospirando, Andromeda calò le
catene, con cui afferrò Kiki e Nemes per sollevarli, ringraziando il ragazzino
per l’aiuto che gli aveva dato. Abbracciò Nemes, anch’ella in lacrime,
carezzandole il viso e il corpo più volte, e poi la accompagnò alla vecchia
casa dove aveva abitato negli anni dell’addestramento, medicando le sue ferite
e mettendola a letto. Oltre alle percosse subite da Sakis, il cosmo della
Sacerdotessa era stato prosciugato dalle catene che l’avevano imprigionata,
dotate di venefico potere, un ricordino che Athanor aveva portato via
dall’Isola della Regina Nera.
“Ho temuto per te!” –Le disse
Andromeda, seduto sul letto accanto a lei.
“Io no…” –Mormorò lei, prima di
addormentarsi. –“Perché ero certa che saresti venuto a salvarmi! È quello che
fai sempre… salvare gli altri…”
Andromeda sorrise, uscendo poi
dalla stanza e pregando Kiki di restare sull’isola per prendersi cura della
ragazza. Era notte ormai, fredda come tante che aveva sopportato durante
l’addestramento. Ma non poteva ancora dormire. Non finché la minaccia delle
ombre non fosse stata debellata.
Ripensò a Sakis e al simbolo
dell’omega da lui disegnato. E per un momento si chiese se l’Esploratore Oscuro
non avesse voluto comunicargli qualcosa, prima di morire. Sospirò, prima di
concentrare i sensi e sentire i cosmi agitati di suo fratello e degli altri
amici ardere impetuosi molte miglia a nord-ovest da lì.
Sull’Isola delle Ombre Cristal
aveva infatti svegliato Pegasus, precipitato in un avvallamento del terreno
poco distante, e si era incamminato insieme a lui lungo un sentiero malandato,
dove avevano incontrato Sirio, che si trascinava stanco per il combattimento
con Iemisch, con la tibia ancora dolorante. Pegasus lo aveva aiutato, mettendo
un braccio sopra le sue spalle, finché non erano giunti ad un ampio spazio alla
base del vulcano principale, che continuava a sbuffare nere evanescenze e
spruzzi di lava, torreggiando su di loro con la sua minacciosa mole. E là si
erano ritrovati prigionieri di mura di fiamme e tenebra, alzatesi attorno a loro,
chiudendo ogni possibilità di fuga e liberando violenti turbini di fuoco nero,
contro cui, adesso, erano impegnati a lottare.
“Attento, Sirio!” –Gridò
Pegasus, buttandosi sull’amico e portandolo fuori dalla traiettoria di un
vortice di fiamme oscure.
“Grazie, Pegasus!” –Ma non poté
aggiungere altro che nuove vampate si sollevarono verso il cielo, quasi
volessero lambire la cortina di tenebra che sormontava l’isola e buona parte
del Mediterraneo Orientale.
“Benvenuti all’Inferno! Ah ah
ah!” –Esclamò improvvisamente una voce, risuonando ovunque e scatenando, con
rinnovato impeto, turbini di fiamme nere, che vorticarono attorno ai tre
compagni, stringendoli in un rogo di morte. –“Possa essere per voi luogo di
piacevole compagnia! Luogo ove la Nera Signora possa calare il suo manto sui
vostri miseri cadaveri, come è stato per tutti quelli che vi hanno preceduto!”
–E una vampa di fuoco nero si allungò su una rupe sopra di loro, ove la
tenebrosa figura del Flagello di Uomini e Dei comparve poco dopo.
Rivestito dalla sua scarlatta
Veste Divina, su cui sinuose si allungavano scure evanescenze, Flegias,
figlio di Ares e Gran Maestro di Ombre, sogghignava divertito, con il capo
cinto dalla corona nera forgiata da Athanor. In mano, per la prima volta, non
stringeva la Spada Infuocata, distrutta da Febo a Creta, ma vivide fiamme di
morte, che diresse contro di loro semplicemente volgendo il palmo verso il
basso.
“Lasciatevi avvolgere dal potere
dell’ombra!” –Sibilò Flegias, mentre Pegasus, Sirio e Cristal scattavano in
diverse direzioni, per evitare di essere travolti.
Ma la presenza stessa del
Maestro di Ombre parve accendere le vampe di fuoco, che si animarono come
fossero serpenti, arrotolandosi ai corpi dei Cavalieri di Atena, mentre strati
di ombre vorticavano attorno a loro, attratte ed eccitate dalla lucentezza del
loro cosmo. Uno splendore che avrebbero voluto estinguere.
“Dannata carogna… Adesso
sistemeremo i nostri conti in sospeso!” –Brontolò Pegasus, dimenandosi per
liberarsi da quella presa di fuoco e tenebra.
“Spero che tu abbia molto denaro
con te, Pegasus! Perché il tuo conto… è in rosso! Ah ah ah!” –Sghignazzò
Flegias, scaricando nuovi attacchi infuocati contro i tre compagni,
schiacciandoli al suolo di quell’arida terra.
“Credo proprio che sia il caso
di contrattaccare…” –Ironizzò Cristal, espandendo il proprio gelido cosmo. E
Sirio gli dette subito ragione, richiamando a sé le fresche acque di Cina. –“Vortice…
fulminante… dell’aurora!” –Mormorò il Cigno, lasciando che le correnti di
gelo scivolassero attorno al suo corpo, spazzando via il turbinar di fuoco e
ombra creato da Flegias.
“Acque della Cascata!
Mondate questa terra dalla demoniaca presenza del figlio di Ares!” –Lo seguì
Sirio, sollevando scintillanti onde di energia acquatica, che liberarono lui e
Pegasus, allontanando le vampe di fuoco e le ombre, che sembrarono radunarsi a
cerchio attorno a loro. In attesa di un cenno del loro creatore.
“Fatto progressi, eh?!”
–Ironizzò Flegias, sogghignando, avvolto nell’infernale cosmo oscuro. –“Ma non
crediate che bastino i vostri poteri per fermare l’ombra! Fallirete, come avete
fallito finora! Come vi ho sconfitto durante i nostri precedenti incontri!”
“Incontri da cui te ne sei
andato sempre sul più bello!” –Commentò Pegasus stizzito. –“Cos’è, hai forse
paura di un vero duello, Flegias? Sei talmente sicuro di poterti nascondere
dietro i tuoi veli di inganni, che non hai il coraggio di rischiare in prima
persona?!”
“Cos’hai detto, Pegasus?!”
–Ringhiò Flegias, scatenando un turbinante attacco di fiamme e ombra, che si
schiantò contro i Cavalieri, sbattendoli a terra. –“C’è più coraggio nel mio
dito mignolo che in tutti gli illusi di cui mi sono servito per anni, sperando
che potessero aiutarmi a vincere le profezie del mito! Ma, a quanto pare, a ben
poco sono serviti Seth, Crono, Zeus, Ares, e persino il mio allievo, Saga di
Gemini! Quel che ho ottenuto, quel misero successo avuto su di voi, Cavalieri
della Speranza, lo devo soltanto a me stesso!”
“Ge… Gemini era… tuo allievo?!”
–Sgranarono gli occhi i tre compagni, stupefatti.
“Gemini era uno dei primi
tasselli del mio glorioso piano, colui che avrebbe dovuto distruggere le
legioni di Atena dall’interno! Conoscevo la schizofrenia di cui era affetto,
essendovi stato in contatto per sei lunghi anni, e grazie alla Pietra Nera non
fu difficile fomentarla affinché diventasse la parte dominante!”
“Maledetto!” –Strinse i pugni
Pegasus, avvampando nel suo cosmo lucente. –“Hai inquinato la sua anima, che in
realtà avrebbe voluto la pace! Che in realtà era fedele ad Atena e alla
giustizia, al punto da spingerlo a morire tre volte pur di servirla!” –E non
aggiunse altro, balzando in alto verso Flegias, con il pugno carico di energia
ardente. –“Anche per Gemini, io ti vincerò! Fulmine di Pegasus!!!”
“Non è stato poi così
difficile!” –Commentò Virgo, uscendo dalla distorsione
dimensionale, seguito da Ioria del Leone e da Pavit il devoto.
–“Se anche il teletrasporto è reso impossibile dalle correnti di tenebra che
pervadono l’isola, altrettanto non può dirsi per i portali dimensionali, che
possono essere aperti ovunque!”
“In questo modo siamo arrivati
anche noi sull’isola!” –Esclamò Ioria, fendendo con i suoi sensi felini l’oscurità
in cui erano immersi. –“E, a giudicare dall’impetuoso ardere dei cosmi dei
nostri compagni, pare che gli scontri siano già iniziati!”
“Lascia a Pegasus e a Libra il
compito di tenere impegnate le legioni dell’ombra! Una missione ben più
gravosa, e di salvazione, ci attende!” –Disse Virgo con voce pacata.
Stavano avanzando alla cieca nei
sotterranei dell’Isola delle Ombre, in un dedalo di corridoi scavati nella
roccia, inabissandosi sempre di più. Siderius aveva informato Ioria che Flegias
aveva catturato decine di abitanti del Grande Tempio, obbligandoli a servirlo
come schiavi, e il Cavaliere d’Oro si era promesso di liberarli, anche per
onorare la memoria dell’allievo. Virgo aveva annuito, concordando con Libra un
piano di attacco incrociato, e Pavit si era unito loro, sperando di ritrovare
Tirtha.
“Se la ragazza ha saputo
rendersi utile, è molto probabile che Flegias l’abbia lasciata in vita!” –Aveva
commentato Ioria. E Pavit aveva dovuto dargli ragione, per quanto ciò non lo
rendesse meno ansioso.
“Per di qua!” –Disse Virgo,
scendendo verso gli oscuri antri, attirato da qualcosa che neppure lui riusciva
a comprendere cosa fosse. Un fioco chiarore di cosmo.
“Questa tranquillità mi
inquieta…” –Mormorò Ioria. –“Sopra di noi c’è un’intera guerra in corso, e qua
sotto… qua sotto il vuoto primordiale…”
“Nemmeno una guardia… nessuno!”
–Continuò Pavit, giungendo insieme ai due Cavalieri d’Oro in un ampio stanzone
sotterraneo, non molto distante da una fornace, dove l’aria era colma di calore
e di un odore pungente che rendeva faticosa la respirazione. Un odore di sangue
e di morte.
“Dei dell’Olimpo!!!” –Esclamò
Ioria, fermandosi e osservando il macabro panorama che si apriva di fronte a
loro.
Decine, forse un centinaio, di
corpi di uomini e donne giacevano sparsi sul terreno, massacrati senza pietà.
Qualcuno aveva perso un braccio, ad altri era stato spaccato il cranio, e tutti
erano immersi nel sangue, che imbrattava il suolo e saturava l’aria.
“Nooo!!!” –Gridò Pavit, correndo
verso i cadaveri e girando loro attorno, affannosamente, alla ricerca del volto
che tanto temeva di incontrare.
“Adesso si spiega l’assenza di
guardie!” –Commentò Virgo, con un sospiro. –“Cosa avrebbero dovuto difendere?!
Un cimitero di martiri?!”
“Maledetto bastardo d’un
Flegias!” –Ringhiò Ioria, tirando un pugno contro una parete di roccia e
spaccandola a metà. –“Abbiamo fallito!” –Aggiunse, con gli occhi lucidi.
–“Siderius, abbiamo fallito!”
Virgo fece per voltarsi verso
Pavit, ancora intento ad esaminare i corpi, quando notò un’ombra guizzare fuori
dal mucchio di cadaveri e balzare proprio sul suo discepolo, sbattendolo a
terra, mentre la lama di un pugnale luccicava nell’oscurità.
“Pavit!!!” –Lo chiamò Virgo,
scaraventando la figura in penombra contro la parete retrostante con la forza
del pensiero.
“Sto… bene!” –Mormorò il
ragazzo, rialzandosi e tastandosi un braccio, dove la lama dell’aggressore
l’aveva sfiorato. Quindi si voltò verso la parete, per incrociare lo sguardo di
colui che si era finto morto per assalirlo di sorpresa. Per incrociare lo
sguardo pieno di ira e di ombra di Tirtha.
“Tirtha!!!” –Gridò Pavit,
sconvolto, avanzando verso di lei, subito affiancato da Ioria e da Virgo.
–“Cosa… che ti è successo?!”
La ragazza non rispose, ancora
bloccata alla parete dall’immenso potere mentale del Cavaliere della Vergine,
limitandosi a ringhiare con rabbia, esternando un cosmo tetro che pareva trarre
forza dall’aria di morte che aleggiava su di loro.
“Un’altra vittima dell’oscuro
potere del Maestro di Ombre!” –Disse Virgo, con una stretta al cuore che non
avrebbe mai immaginato di provare. –“Corrosa dall’ombra, la Pellegrina è
divenuta schiava innocente di un imperatore che mai avrebbe servito!”
“No!!!” –Urlò Pavit. –“Non può
essere! Tirtha!!!” –E si avvicinò fin quasi a sfiorarle il corpo, ricoperto da
una nera cotta di bronzo e rame, simile a quelle che gli aspiranti Cavalieri
indossavano durante l’addestramento. Tirtha approfittò di quel momento per far
esplodere il proprio cosmo, potenziato da Flegias tramite il potere della
Pietra Nera, spingendo i tre compagni indietro di alcuni metri. Quindi balzò
nuovamente contro di loro, ma Virgo fu svelto a creare la sua cupola difensiva,
che né la lama di Tirtha, né le continue unghiate che sferrava contro il Kaan,
potevano scheggiare.
“L’abbiamo persa!” –Commentò il
Cavaliere della Vergine, con voce triste. –“Anche lei!” –E in quei brevi
istanti rivide gli anni dell’addestramento, trascorsi in India assieme ai dieci
discepoli. A tutti aveva cercato di insegnare qualcosa, anche se forse era
stato troppo dogmatico per prendersi cura anche dei loro sentimenti. Qualcuno
era stato da lui giudicato degno d’attenzione, qualcuno si era sentito offeso
e, infine, qualcuno era stato ucciso. Proprio dal silenzio di Virgo.
Ana, Sacerdotessa del Pittore,
era stata assassinata da Loto e Pavone, e gli stessi discepoli, da Virgo sempre
prediletti, avevano incontrato morte violenta sull’Isola del Riposo, per mano
di Phoenix. Colui che, sempre su quell’isola, aveva anche sconfitto Arne, il
traditore degli ideali. Birnam, Cavaliere della Bussola, aveva sacrificato la
vita per proteggere l’infermeria del Grande Tempio dalla furia dei figli di
Eos, e Arnav e Mahendra erano stati sterminati dal fuoco oscuro di Flegias.
Dhaval, infine, era morto tra le sue braccia. Che anche con Tirtha debba
finire così? Che si debba attendere la prossima vita, per abbracciarci di
nuovo?
“Io non ci credo! Non voglio
crederci! Deve esserci qualcosa che possiamo fare per lei!” –La voce acuta di
Pavit strappò il Cavaliere della Vergine ai suoi pensieri.
“Pavit…” –Disse Virgo.
–“Forse dovresti accettare la realtà…”
“Se l’avessi fatto, a quest’ora
anche voi sareste perso nella dimenticanza, maestro!” –Sorrise il ragazzo.
“Cosa vuoi fare?!” –Domandò
allora Virgo, già intuendo la risposta.
“Offrirle il mio cuore! Saprò
liberare il suo cosmo dall’ombra!”
“Ma… è rischioso!” –Intervenne
allora Ioria, ammirando la risolutezza del ragazzo, che in fondo gli ricordava
lui stesso quand’era più giovane, sempre pronto a credere che fosse possibile
salvare gli altri. Persino una statua di pietra. Persino i Titani.
“Sì, lo è! Ma Pavit ci ha
chiesto di lasciargli questa battaglia! Per salvare colei che ama e per
dimostrare qualcosa a se stesso!” –Disse Virgo, togliendo il Kaan.
–“Non è mia intenzione negargli questo onore… né non avere fiducia in lui!”
Tirtha, vedendo venir meno la
protezione dorata, si avventò sui tre compagni, con la lama stretta nella mano
destra, ma quella volta fu Pavit a fermarla, con i suoi poteri mentali,
ponendosi deciso di fronte a lei, avvolto nel suo cosmo lucente.
“Ascoltami, Tirtha!” –Mormorò il
ragazzo dai capelli fulvi, cercando dentro sé, e dentro il ricordo della vita
condivisa assieme alla Pellegrina, la forza per sconfiggere l’ombra. –“So che
puoi sentirmi! Frena la tua rabbia, getta via questa maschera di tenebra che
non ti appartiene e lascia che il tuo cosmo torni a splendere! Come in India,
come ad Angkor, come nella Grecia del Mito che avremmo voluto visitare insieme!
Flegias non può vincerti, perché il tuo cuore trabocca d’amore, ed egli non
potrà mai piegare i sentimenti umani che, come stelle, continueranno a
irradiare!”
La ragazza scosse la testa, come
se le parole di Pavit avessero trovato un canale d’accesso ma dovessero
combattere contro le ombre che le avevano divorato l’anima nelle ultime ore. Si
agitò, ringhiando, e sollevò la lama puntandola contro Pavit, che rimase
immobile di fronte a lei, continuando a fissarla con sguardo deciso ma dolce.
“Se non riesci più a trovare la
strada per la felicità, lascia che sia il mio cosmo a farti da guida!” –Esclamò
il ragazzo, socchiudendo gli occhi, proprio mentre Tirtha, dominata dall’ombra,
calava la lama contro di lui. –“Abbandono dell’Oriente!!!” –Gridò,
chiudendo su Tirtha un ventaglio di luce.
La Pellegrina affannò per un
istante, tentando di opporsi a quel calore improvviso, ma venne sopraffatta e
scaraventata indietro, perdendo la presa sul pugnale e ricadendo a terra, con
la cotta in frantumi. Pavit, sospirando, le si avvicinò, davanti agli occhi
attenti di Ioria e Virgo, e gli parve quasi di sentire, nel silenzio di
quell’abisso oscuro, il battere lontano del cuore di Tirtha. Qualcosa che la
rendeva viva, e che non aveva percepito nella donna che l’aveva aggredita poco
prima.
Si chinò su di lei, sfiorandole
il polso, prima di voltarsi verso Virgo e abbandonarsi ad un sorriso. Il
Cavaliere non poté però rispondere che l’intera caverna venne invasa da
un’ombra immensa, così scura da spegnere persino i riflessi delle Armature
d’Oro. Calò su tutti loro, scuotendo l’isola maledetta dalle profondità.
In quel momento Flegias, il
Rosso Fuoco, stava tenendo testa ai Cavalieri di Atena dall’alto della
sporgenza rocciosa, sul versante inferiore del vulcano dell’isola. Aveva deciso
di intervenire personalmente dopo la scomparsa del cosmo del Licantropo,
l’ultimo Capitano dell’Ombra. Scomparsa che lo lasciava da solo.
Non si era aspettato grandi cose
dai Cavalieri Neri delle costellazioni dimenticate, ma aveva sperato che
potessero tenere a bada i Cavalieri d’Oro e d’Argento, lasciando Pegasus e i
suoi quattro amici ai sette Capitani. Invece erano stati capaci di fare ben
poco. Arne gli aveva promesso la testa di Phoenix e se ne era andato all’altro
mondo, portando con sé Viron e Thalis. Menas e Ampelo erano stati sul punto di
raggiungere i loro obiettivi, scatenando una guerra fratricida tra i difensori
di Atena e avvelenando gli Olimpi, ma alla fine avevano fallito. Così come
Gienah e Bode, sconfitti da Jonathan a Smirne, e Dario, ucciso da Marins a
Creta, e gli altri discepoli di Iemisch: Timos del Gatto Nero, e Stratis e
Stelios dei Capretti, morti ad Angkor. In Lothar del Sudario di Cristo aveva
riposto fiducia maggiore, convinto che il suo integralismo avrebbe potuto
mietere vittime, ma il Leone d’Oro aveva avuto la meglio su di lui. E anche le
sue insulse discepole, Aglaia e Areti, lo avevano seguito in Ade.
“Dovevano essere veramente
scarse per farsi vincere dall’Unicorno e dalla Sacerdotessa del Serpentario!”
–Aveva commentato Flegias, con un ghigno ironico, osservando nel fuoco del
braciere le sorti dei suoi seguaci.
Gli ultimi a cadere erano stati
Lukas della Cordicella dei Pesci, Borneo della Tartaruga, Cassandra dell’Ape
Nera e Avel delle Spade Incrociate, da cui si sarebbe aspettato la testa di
almeno un paio di Cavalieri di Atena.
“Che strano! Cassandra, morendo,
ha invocato il mio nome! Chissà per quale motivo?” –Aveva mormorato il Maestro
di Ombre, che aveva abbandonato amore e comprensione secoli addietro. –“Forse era
convinta che già fossi divenuto un Dio e potessi salvarla dall’Oltretomba! Ah
ah ah!”
Era rimasto Sakis del Quadrante
Oscuro, indubbiamente il migliore tra i Cavalieri Neri, l’unico, al pari di
Arne dello Scettro di Brandeburgo, che valeva quanto un Capitano dell’Ombra. E
l’unico che aveva portato a casa un mezzo risultato, uccidendo il santone di
Angkor e rapendo la bella amata da Andromeda. Ma in quel momento a Flegias non
importava più niente di nessuno. Soltanto di se stesso.
“Mirate la fine del mondo, le
grida di un presente che non avrà futuro!” –Esclamò con enfasi. –“Mirate la
notte estendere il suo manto sulla Terra, coprendo quel poco di luce che ancora
resta! Quel bagliore effimero che splende nei cuori degli uomini!”
Sotto di lui, ansimanti per lo
scontro in atto, circondati e travolti da vampe di fuoco e continui strati di
tenebre, Pegasus, Dragone, Cristal e Phoenix,
unitosi da poco ai compagni, bruciavano i loro cosmi al massimo, nel disperato
tentativo di porre un freno ai deliri imperiali del Maestro di Ombre.
Lo avevano studiato per tutti
quei mesi in cui si erano scontrati più volte, sia sull’Olimpo che al Grande
Tempio, cercando di trovare il suo punto debole, la falla nella sua difesa in
cui avrebbero potuto far breccia per vincerlo. Ma, neppure un giorno prima,
seduti ai piedi della Statua di Atena alla Tredicesima Casa, avevano dovuto
ammettere di non averlo trovato.
“Flegias sembra non possedere
alcun punto debole!” –Aveva commentato Sirio. E a tutti era venuto in mente
Orion, il nobile Cavaliere di Asgard, che, proprio come il figlio di Ares, era
inizialmente parso invincibile. Per quanto in realtà stesse solo nascondendo la
verità.
“E Flegias? Starà fingendo
ugualmente?!” –Si chiese adesso Pegasus, espandendo il cosmo lucente. –“Nel
caso, ci riesce proprio bene!” –Ironizzò, caricando il pugno destro e scattando
verso l’alto.
“Vuoi ballare, Pegasus? Lascia
che le ombre siano le tue accompagnatrici in questa danza di morte!” –Sibilò
Flegias, volgendo il palmo della mano verso di lui, da cui sorsero nere
evanescenze, avvolte in turbini di fiamme. –“Rapsodia di Demoni!” –E
piovvero su Pegasus, sbattendolo a terra e oscurando la sua luce, di cui
volevano cibarsi, fino all’ultima preziosa stilla.
“Pegasus!!!” –Gridò Sirio,
bruciando il proprio cosmo e incenerendo un mucchio di ombre. –“Fuoco del
Dragone!!!” –E corse avanti, in aiuto dell’amico, mentre nuovi spiriti
demoniaci si avventavano su di loro.
“Ali della Fenice!!!”
–Tuonò allora Phoenix, generando una tempesta di fuoco ed energia, che dissolse
un buon numero di ombre attorno, senza che comunque fosse sufficiente per
permettere loro di rifiatare, martoriati da quella nera pioggia continua.
“Incredibile! Flegias riesce a
tener testa a tutti noi, senza muoversi dal suo pinnacolo, semplicemente
dirigendo la rapsodia di ombre, come un direttore d’orchestra! Fresco e nel
pieno delle forze, mentre noi già iniziamo a sentire la stanchezza!” –Disse
Cristal, ansimando per lo sforzo continuo, che pareva rivelarsi vano, dato che
nessuno di loro riusciva a fermare l’avanzata delle ombre.
“La sua aria superiore mi ha
stancato! Attacchiamolo direttamente!” –Propose Pegasus, bruciando il proprio
cosmo. Dragone, Cristal e Phoenix fecero altrettanto, pur senza troppa
convinzione, e unirono i loro attacchi a quello dell’amico. Ma Flegias non
sembrò affatto turbato.
“Scudo di Ares!”
–Esclamò, creando un muro di energia cosmica a sua difesa, su cui l’attacco
congiunto dei quattro amici si schiantò, come già accaduto durante i loro
scontri precedenti. –“Non avete imparato la lezione! L’unica che avreste dovuto
tenere a mente! Contro la grande ombra, per mezzo di me risorta, non vi può
essere vittoria alcuna! Soltanto un inutile procrastinarsi degli eventi! Orochi
e gli altri lo testimonierebbero!” –E nel dir questo espanse il proprio cosmo
fiammeggiante, caricandone lo Scudo di Ares e lasciando che esplodesse
all’esterno, riversando sui quattro Cavalieri i loro stessi attacchi,
potenziati da vampe di fuoco e strati di ombre.
“Di questo passo, finirò per
odiare la mia stessa ombra!” –Ironizzò Pegasus, cercando di rialzarsi, in quel
turbinare confuso di tenebre e fiamme.
“Non ne avrai il tempo, Pegasus!
Perché presto sarete un tutt’uno!” –Ghignò Flegias, sollevando un braccio e
lasciando esplodere il suo cosmo al massimo. –“Apocalisse Divina!
Spazzali via!”
La violenta tempesta energetica,
potenziata dalle vampe di fuoco e ombra, si abbatté sui quattro compagni, che
cercarono di opporsi, ardendo nei loro cosmi lucenti. Ma nel cuore dell’impero di
tenebra Flegias regnava incontrastato, riuscendo a trarre forza da quella notte
profonda in cui erano immersi. Per un momento, con le braccia tese avanti, e il
cosmo che sferragliava al massimo, Pegasus e gli altri pensarono davvero di
venir spazzati via. Ma ad un certo punto un quinto cosmo si unì loro, mentre un
vento impetuoso iniziò a spirare alle loro spalle.
“Spero di non essermi perso la
parte migliore dello spettacolo!” –Ironizzò Andromeda, comparendo alle
spalle degli amici e liberando il devastante potere della Nebulosa della sua
costellazione.
“Tutt’altro, Cavaliere! Sei
arrivato in tempo per il tuo funerale!” –Ghignò Flegias, aumentando l’intensità
della tempesta energetica, a cui i cinque amici si opposero con strenua
resistenza, riuscendo infine, con molta fatica, a rivolgerla contro di lui.
Lo Scudo di Ares venne
travolto, schiantandosi per l’eccessiva pressione, e Flegias fu scaraventato in
aria, permettendo a Pegasus e agli altri di respirare un attimo, finché non
videro svanire la sua sagoma, dissoltasi nelle tenebre circostanti.
“Ah ah ah! Nelle ombre, mie fide
alleate, trovo rifugio e ristoro!” –Risuonò la voce del Flagello di Uomini e
Dei. Una voce che pareva provenire da ogni parte dell’isola, obbligando i
Cavalieri di Atena a stringersi l’un l’altro, guardandosi intorno con sospetto,
temendo che Flegias potesse riapparire proprio accanto a loro.
“Mostrati! Codardo!” –Ringhiò
Phoenix, dirigendo un mucchio di piume infuocate verso una rientranza della
parete rocciosa, credendo di aver notato un movimento. Ma non era niente più di
un vortice di nere evanescenze.
“Catena di Andromeda,
trova il nemico!” –Esclamò Andromeda, liberando la sua guizzante arma. Ma non
fece in tempo a terminare la frase che la demoniaca sagoma del Maestro di Ombre
apparve al suo fianco e gli poggiò una mano sul petto.
“Muori!” –Sibilò Flegias,
scaraventando indietro il discepolo di Albione con un’onda di energia nera,
schiantandolo a terra, con numerose crepe sull’Armatura Divina.
“Andromeda!!!” –Gridarono Sirio
e Cristal, lanciandosi verso Flegias, che li contrastò con una violenta
tempesta energetica, mentre strati di ombre si attorcigliavano attorno a
Pegasus e a Phoenix, bloccando i loro movimenti e assorbendo parte del loro
cosmo.
“Avete sbagliato a venire su
quest’isola! Avete sbagliato ad attaccarmi al cuore! Poiché io, come vedete,
non ho un cuore!” –Ringhiò Flegias, facendo esplodere il suo cosmo infuocato e
scaraventando via i cinque compagni, schiacciandoli contro il versante del
vulcano, esposti ad una continua pioggia di fiamme e ombra. –“Ah ah ah!”
“Maledizione!!!” –Esclamò
Phoenix, dimenandosi per liberarsi. –“Non possiamo permettergli di vincere!”
–Affermò Sirio. –“Non dopo tutti i sacrifici che abbiamo fatto, e che altri
hanno fatto, per arrivare fin qua!” –Aggiunse Andromeda. –“In nome dei
Cavalieri e di tutti gli innocenti caduti a causa della follia di un solo
uomo!” –Concordò Cristal. –“Ti vinceremo, Flegias!” –Concluse Pegasus.
I cosmi dei cinque amici si
unirono, generando un arcobaleno di luce abbagliante, che rischiarò il cielo
dell’intera Isola delle Ombre, indicando a Libra, Asher, Castalia e Tisifone la
via da seguire. Persino Flegias ne rimase impressionato e dovette aumentare
l’intensità dell’Apocalisse Divina per contrastare l’impeto dei
Cavalieri di Atena, generando un’esplosione di energia che scaraventò indietro
tutti i contendenti e squassò il basso versante del vulcano.
Ampie fenditure si aprirono nel
terreno, da cui vapori sbuffarono improvvisi, mentre una pioggia di lapilli di
lava si mescolava a strati di ombre che vorticavano nel cielo, rendendo il
paesaggio ancora più terribile alla vista di Libra e degli altri Cavalieri
appena arrivati.
“Sirio!” –Gridò l’uomo, correndo
verso il discepolo. –“Pegasus!” –Esclamarono Castalia e Tisifone, avvicinandosi
e sincerandosi delle condizioni dei compagni.
“Stiamo… bene!” –Mormorò
Pegasus, faticando nel rimettersi in piedi, aiutato da Asher. E subito si
guardò attorno, per trovare tracce del figlio di Ares e, benché lo ritenesse impossibile,
per un momento credette davvero di averlo sconfitto. Di aver liberato il mondo
dalla sua nefasta presenza.
“Ah ah ah!” –Una risata anticipò
la nuova apparizione di Flegias, che scese davanti a loro, avvolto da un cumulo
di tenebre. La corona nera in testa, il mantello scarlatto scosso dai movimenti
delle ombre e un inestinguibile fuoco di rabbia negli occhi. –“Cos’abbiamo qua?
Dei nuovi ospiti?!”
“Ospiti paganti!” –Ironizzò
Libra, espandendo il proprio cosmo. –“Accetta questo come anticipo, dannato! Colpo
del Drago Nascente!” –E scattò avanti, liberando il lucente drago di Cina,
di cui Flegias nemmeno si curò, lasciando che si schiantasse contro lo Scudo
di Ares, nuovamente comparso a sua difesa.
“Insisti, vecchio monco? Le dita
che ti ho falciato ad Atene non erano abbastanza per spingerti a rinunciare?
Orbene, vedrò di darti argomenti più convincenti!” –Sogghignò Flegias,
assorbendo il potere del Drago Nascente all’interno dello Scudo di
Ares e rilasciandolo infine di colpo, con potenza maggiore.
“Maestro! Attento!!!” –Gridò
Sirio, balzando su Libra e sbattendolo a terra, mentre l’assalto di Flegias
passava sopra di loro, colpendoli di striscio.
“Pugno infuocato!!! Onde
del Tuono!!!” –Esclamarono Phoenix e Andromeda, approfittando di quell’occasione,
ma Flegias fu svelto a balzare in alto, avvolgendosi in un turbine di ombra,
dentro cui si persero le Catene di Andromeda, e fermando la sfera
fiammeggiante di Phoenix con il palmo della mano, prendendone il controllo e
rinviandola contro i due fratelli, che vennero scaraventati indietro
dall’esplosione.
Quindi Flegias atterrò in mezzo
a Castalia, Asher e Tisifone, che niente poterono contro di lui, venendo
travolti da una tempesta di energia infuocata e schiantandosi a terra
sanguinanti. Ma quando fece per voltarsi verso Pegasus, con il pugno già carico
di energia cosmica, il Maestro di Ombre notò che il terreno sotto i suoi piedi
era stato congelato, e che Cristal il Cigno aveva sollevato le braccia
congiunte al cielo.
“Per il Sacro Acquarius!”
–Esclamò l’allievo del Maestro dei Ghiacci, liberando un getto di energia
gelida verso le gambe di Flegias, che fu obbligato a balzare in alto per non
essere raggiunto. Ma Cristal non gli diede tempo di atterrare, rinnovando
l’attacco, più e più volte, spingendolo a saltare indietro continuamente. E
approfittando di questo, Pegasus lo raggiunse in pieno petto.
“Iaiii!!! Fulmine di Pegasus!!!”
–Gridò, travolgendo Flegias e scagliandolo contro una parete di roccia, fino a
fargli perdere la corona nera, che rotolò via dal suo capo, sul cui volto
comparvero un rivolo di sangue e tracce di terriccio. –“Siamo sporchi, eh?!”
–Ironizzò il ragazzo, mentre Flegias si rimetteva in piedi.
“Non quanto lo siete voi!”
–Sibilò il Flagello di Uomini e Dei, volgendo loro il palmo della mano destra,
da cui sorsero migliaia di ombre, che fluttuarono in aria, dirette contro i
Cavalieri di Atena.
“Attenti!!!” –Gridò Andromeda,
liberando la catena, che si rivelò però inutile contro le fatue evanescenze.
–“Non curatevi di loro…” –Esclamò Sirio, avendo intuito il piano di Flegias. Ma
non fece in tempo ad avvertire i compagni, distratti dallo sciabordare confuso
delle ombre, che già un’infuocata tempesta cosmica si era abbattuta su tutti
loro.
“Apocalisse Divina!!!”
–Tuonò Flegias, travolgendo i Cavalieri con scariche energetiche e vampe di
fuoco. Asher, Castalia e Tisifone vennero sbaragliati in un istante,
schiantandosi molti metri addietro, stritolati dalle folgori nere liberate dal
Maestro di Ombre. Ma Libra, Pegasus e i suoi quattro compagni tentarono di
resistere, unendo i loro cosmi, come avevano fatto mesi addietro contro Ares.
D’improvviso un’enorme cupola
dorata circondò i Cavalieri di Atena, disperdendo la tempesta energetica di
Flegias, che venne spinto indietro dall’accecante esplosione di cosmo che
anticipò di un secondo una voce ben conosciuta.
“Kaan!!!” –Gridò il Cavaliere
d’Oro di Virgo, apparendo sopra i compagni, seduto in posizione meditativa
e con gli occhi chiusi, mentre nel cielo sopra il basso versante del vulcano
comparivano migliaia di stelle lucenti, stupefacendo lo stesso Flegias.
“Photon Invoke! Cosmos
Open!!!” –Esclamò Ioria del Leone, avanzando da un sentiero
laterale, avvolto nel suo cosmo d’oro. –“Photon Drive!!!” –Aggiunse,
mentre le stelle da lui generate piombavano ad altissima velocità contro
Flegias, che fece appena in tempo a sollevare lo Scudo di Ares,
disponendolo ovunque attorno a lui, all’interno del quale si conficcarono gli
astri. –“Photon Burst!!!” –Gridò infine Ioria, con il braccio destro
teso e il sinistro che lo sorreggeva al polso, lasciando esplodere la galassia
di stelle.
“Incredibile!” –Mormorò Pegasus,
che non conosceva affatto tale tecnica del Leone. –“È la forza di un intero
universo!”
L’enorme energia liberata da
Ioria aprì numerosi fori sullo Scudo di Ares, che divennero
progressivamente più grandi, come se la capacità difensiva dello stesso venisse
erosa, di fronte agli occhi sorpresi, e irati, di Flegias. Fu in quel momento
che, come avevano concordato, Virgo aprì gli occhi, generando un’onda di
energia cosmica che travolse il Maestro di Ombre, annientando l’usurata difesa
e scaraventandolo indietro, incenerendo persino il suo mantello scarlatto.
Ioria sorrise, ricordando di
aver già combattuto assieme al Cavaliere della Vergine, durante la
Titanomachia. Contro Giapeto delle Dimensioni e la sua sposa Temi.
“Pazzi!” –Ringhiò Flegias,
rimettendosi a fatica in piedi, mentre Virgo planava accanto a Ioria, entrambi
ansimanti per lo sforzo sostenuto, in cui avevano riversato gran parte delle
loro energie. –“Pazziii!!!” –Gridò istericamente, scatenando la furia
devastante di una tempesta di energia, fiamme e ombra contro di loro,
travolgendoli all’istante, mentre Pegasus e gli altri correvano avanti per
aiutarli. –“Fermi voi!” –Sibilò Flegias, sollevando un muro di ombre con cui
frenò la corsa dei cinque amici, precipitandoli in una fitta oscurità.
“Il gioco è finito!” –Esclamò
infine, mentre i Cavalieri annientavano il muro di tenebra con i loro cosmi
lucenti, ritrovandosi davanti a Flegias e osservando, con paura crescente, ciò
che il figlio di Ares stringeva in mano. La Pietra Nera. Origine e causa di
tutti i mali. –“È venuto il momento in cui anch’io imperi su questa isterilita
terra, soppiantando le deboli dinastie, di uomini e di Dei, che si sono
accavallate per secoli! Pegasus, e voi sciocchi Cavalieri dell’idealismo,
combattete da anni crociate inutili, battaglie che non hanno meritato un decimo
del sangue versato! Battaglie che avreste potuto risparmiarvi! Poiché, se il loro
fine ultimo era difendere la Terra e gli uomini liberi, nella speranza di un
futuro pieno di luce, allora avete fallito! E ve ne sareste resi conto molto
prima se vi foste fermati per un momento a guardarvi indietro! Leggendo nel
passato avreste capito quel che la storia insegna! Che la pace non esiste, è
solo un’illusione creata dall’uomo. Niente di più! E i popoli, che
ostinatamente difendete, sono solo biechi assassini che ogni giorno si armano
gli uni contro gli altri, in una guerra di tutti contro tutti!”
“ Questo è cinismo di bassa
lega!” –Disse Libra, con disprezzo.
“Solo una spiacevole verità!”
–Rispose Flegias con un ghigno. –“Non sarebbe allora meglio, anziché un mondo
di popoli liberi di farsi la guerra, regnare su una Terra unita sotto un’unica
bandiera? Quella delle tenebre, che ha in me, Flegias, indiscusso Signore,
rappresentante scelto dal Dio per garantire l’avvento dell’ombra! Un solo
impero, che garantirebbe la fine di ogni conflitto!”
“Il tuo è un delirio di
onnipotenza, Flegias!” –Esclamò Sirio. Ma il figlio di Ares non ne fu affatto
toccato, continuando nella sua declamazione, con la Pietra Nera che irradiava
una spettrale luce di morte, attorno alla quale le ombre parevano radunarsi.
“Sono lieto, in fondo, che siate
qua riuniti quest’oggi, per assistere al mio trionfo! Chissà, forse qualcuno di
voi potrebbe unirsi a me! Avrei bisogno di un luogotenente, per amministrare
parte del mio regno! Ah ah ah!” –Rise Flegias, prima di sollevare la Pietra
Nera e travolgere i Cavalieri con un’onda di luce tetra. –“Ho aspettato troppo
a lungo, rintanato nelle anguste tenebre del Mondo Antico! Oggi avrò la mia
rivalsa!” –E iniziò a recitare una formula appresa molto tempo addietro.
“Ombre del mondo, da
Flegias evocate,
che nelle piaghe del tempo
nascoste strisciate
aspettando il giorno in cui
il sole morrà
e il manto di Nyx tutto
ricoprirà,
destatevi infine dal vostro
sonno profondo
affinché io possa con voi
piegare il mondo.
Asservitevi a me, gran
maestro di ombre,
araldo della tenebra e gregario
del caos,
unendovi in un’unica sola
essenza
che possa esprimere la
vostra infinita potenza.
Ombre del mondo, che vi siate saziate
di secoli di sangue e di
lotte armate
di rancori e destini, di
uomini profani,
che vi han tenuto vive nel
vostro empio vagare,
mostratevi adesso coprendo
la Terra
e portando
ovunque una notte di guerra.”
La Pietra Nera esplose improvvisamente, frantumandosi in
polvere che venne sparsa dal vento su tutte le ombre, sia su quelle che
volteggiavano attorno a Flegias, sia sull’immensa cappa che aveva ricoperto il
Mediterraneo Orientale. Un boato scosse il suolo dell’isola maledetta, subito
seguito da un altro. E da altri ancora. Che raggelò il sangue ai Cavalieri di
Atena, soprattutto a Ioria e a Virgo, che avevano riconosciuto l’entità oscura
che li aveva travolti nei sotterranei. E che li avrebbe uccisi se Virgo non
avesse afferrato Ioria, trasportando entrambi all’esterno grazie ad un portale
dimensionale.
In quel momento, mentre il
Cavaliere della Vergine ripensava ai discepoli che aveva dovuto abbandonare
nella caverna, troppo distanti per rientrare nella distorsione dimensionale,
augurandosi che riuscissero a mettersi in salvo, il suolo si spaccò in nuove
fenditure e un ammasso di tenebra ne uscì fuori, così scuro che sembrò ai
Cavalieri di aver fino a quel momento combattuto alla luce del sole. Era una
sagoma indecifrabile, lontanamente umana, la cui stazza pareva crescere sempre
di più, poiché l’entità oscura sembrava nutrirsi di tutte le ombre.
“Beh?! Non mi ringraziate per
avervi fatto incontrare di nuovo?!” –Ghignò Flegias, osservando l’ammasso di
tenebra divenire sempre più grande.
Al centro del petto dell’immensa
figura, affondato nella tenebra che aveva fagocitato la sua anima negli ultimi
giorni, giacevano i resti di un uomo che i Cavalieri di Atena ben conoscevano.
Flegias, figlio di Ares e
Flagello di Uomini e Dei, aveva deciso di
giocare l’ultima carta in suo possesso, liberando il potere della Pietra Nera,
che gli era stata donata tempo addietro per portare l’ombra sulla Terra. Un
potere così tenebroso, capace di inquinare l’animo umano e trasformarlo in un
vuoto immenso, che la notte avrebbe invaso, facendolo suo. Questa era stata la
fine di Giasone della Colchide, uno dei Cavalieri Celesti più fedeli a Zeus,
che per secoli aveva servito il Dio del Fulmine.
Catturato durante la prima
incursione sull’Isola delle Ombre, assieme a Phantom e a Ermes, l’antico
Argonauta aveva trascorso le ultime settimane inerme e avvelenato, corroso dal
demoniaco cosmo di Flegias, che lo aveva avvolto in un oceano di tenebra, di
cui il suo animo si era cibato fino a divenirne parte integrante.
“Ed ecco cos’è diventato! Il
signore di tutte le ombre!” –Esclamò Flegias, dall’alto di una sporgenza
rocciosa, mentre il gigante di tenebra aumentava ancora la propria stazza,
inglobando le ombre che gli ruotavano attorno. –“Siatene orgogliosi! È la
creatura perfetta! L’evoluzione del mito! Egli è il Dio! Ah ah ah!” –Rise il
Maestro di Ombre, fissando i volti attoniti e impauriti dei Cavalieri di Atena,
vivendo infine quella scena che a lungo aveva immaginato nella sua mente. La
battaglia finale.
Fin da quando la sua avventura
era iniziata, fin da quando aveva messo tutto se stesso nel garantire l’avvento
dell’ombra, Flegias aveva ben saputo che l’ostacolo principale sarebbero stati
i Cavalieri di Atena e gli alleati che avessero saputo trovare. Asgard in primo
luogo. Gli Dei e i Cavalieri dell’Olimpo in secondo. Per questo aveva pensato
di premunirsi, addestrando proprio un Cavaliere d’Oro, avendo cura di non
svelare mai le sue vere intenzioni. In questo modo aveva sondato la mente di
Gemini e l’aveva volta al mare, potenziando, grazie al potere di una Pietra Nera,
il suo lato oscuro e facendone un servitore delle tenebre. Facendone l’uccisore
della Dea.
Per uno strano caso del destino
Gemini aveva fallito, e Atena era ancora viva. Ma se non altro l’esercito di
Grecia aveva subito numerose perdite, in una sciocca guerra civile, e questo
aveva rallegrato l’animo di Flegias. Così, se anche non poteva contare
sull’appoggio del Grande Sacerdote, poteva sempre scatenare nuove guerre contro
i Cavalieri di Atena, con il doppio scopo di tenerli impegnati e di disporre di
maggior tempo per proseguire le ricerche dei Talismani. Una cerca senza
successo.
Flegias disponeva infatti di
pochi elementi, non avendo raggiunto un’elevata preparazione spirituale, e non
avendo quindi avuto accesso a segreti che solo i saggi e i druidi dell’Isola
Sacra custodivano. Sapeva soltanto che erano celati nei principali luoghi di
culto della Terra, ma non conosceva la loro forma, né il modo per averli. E
questo lo logorava. Questo consumava il suo animo indemoniato, rendendo le sue
notti insonni e prive di soddisfazioni. Anche quelle trascorse con Cassandra,
distesi su un letto di ombre nelle profondità dell’isola maledetta.
Molte volte aveva pensato di
ucciderla, detestando persino il sentirla respirare. Ma si era sempre
trattenuto, poiché, anche se non era la sua prima sposa, quella ragazza aveva
qualcosa della giovialità di Coronide, l’amata figlia che Apollo gli oltraggiò.
E a cui Flegias aveva risposto bruciando il Tempio del Dio e minacciandolo di
morte.
Fu quello il primo passo verso
l’ombra, il primo gradino che Flegias discese verso gli Inferi, ove tanto
sarebbe stato di casa nei secoli successivi. Venne condannato da Zeus e da
tutti gli Dei, persino da suo padre Ares, che ben temeva all’epoca l’ira degli
Olimpi. Incenerito da un fulmine di Zeus, il suo corpo scomparve dalla Terra,
mentre l’anima, inquieta ed errabonda, non riuscì a trovare la via per il
Tartaro, perdendosi in un limbo di cui nessuno aveva memoria.
E in quel vuoto primordiale
venne salvato e scelto come araldo della grande ombra, ambasciatore di un
impero di tenebra che un giorno sarebbe sorto sulle rovine del vecchio mondo.
Gli uomini, e tutti gli Dei da loro venerati, di qualunque civiltà, sarebbero
stati piegati ad un’unica volontà o sarebbero morti. Il sole avrebbe smesso di
sorgere o se fosse sorto sarebbe stato un globo spento. Persino la luna sarebbe
stata nera, come le acque dei mari e il sangue dei dominatori. Come il colore
dell’Esercito delle Ombre da lui guidato.
Sette Capitani aveva nominato,
ordinando ad Athanor di fabbricare corazze ispirate a mostri leggendari. Ben
sapeva che tali Armature Nere non sarebbero state resistenti come quelle d’Oro
o Divine, ma era certo che il sangue di Asclepio e dei Cavalieri Celesti le
avrebbe rinforzate. All’uomo che aveva personalmente addestrato, negli anni
successivi alla Guerra d’Egitto, aveva affidato il comando del suo esercito,
dandogli il simbolo del grande drago d’Oriente: Orochi. E allettandolo con la
promessa della Spada del Paradiso. Della sua forza era certo, e anche della sua
fedeltà, poiché sapeva che non vi fosse niente in grado di turbarlo. Per questo
motivo lo aveva inviato al Grande Tempio, per affrontare Pegasus e gli altri
Cavalieri Divini.
“Se c’è qualcuno che può
sconfiggerli, quello sei tu!” –Gli aveva detto, prima di congedarlo. E non era
andato poi così lontano dalla verità.
Negli altri Capitani dell’Ombra
aveva nutrito speranze minori, ma tutti, persino il debole Serpente
Giavellotto, erano stati utili al suo piano. Per Iaculo, sconfitto da Andromeda
e dai discepoli di Virgo, non aveva versato una lacrima. Così come per
Livyatan, morto ad Asgard, di cui aveva sfruttato i desideri di vendetta contro
i Cavalieri di Atena, rei di aver accettato un assassino come Kanon nelle loro
fila. Nello stesso modo si era servito di Lamia e di Siderius della Supernova
Oscura, volgendo il loro rancore a qualcosa di più costruttivo. Per sé,
ovviamente.
Il Licantropo era stato un
retaggio del passato che Flegias aveva ben pensato di recuperare, assieme a i
cloni generati quindici anni addietro nelle profondità di Tebe. Una truppa che
avrebbe scagliato inutilmente contro Amon Ra, non immaginando che il Dio avesse
in quegli anni riorganizzato l’Esercito del Sole, messo in guardia proprio da
Avalon.
Infine Iemisch, l’incognita del
suo esercito. Un uomo che aveva le potenzialità per essere il Comandante ma a
cui Flegias non voleva dare tale soddisfazione, preferendo lasciarlo in
continua tensione, in aspettativa costante, obbligandolo a dare sempre il
massimo, sfruttando quell’unica debolezza che la Tigre d’Acqua aveva.
Adesso, di Athanor e dei mostri
leggendari, dei sette Capitani dell’Ombra e dei Cavalieri delle costellazioni
dimenticate non era rimasto niente. Erano stati tutti sconfitti. Ma lui c’era
ancora, saldo al suo posto, con la corona nera sul capo e un mantello d’ombre
sulla schiena, che gli ricordavano continuamente il suo legame con la notte. Al
suo fianco, alto e immenso, il mostruoso prodotto del delirio della Pietra
Nera: una creatura composta interamente di ombre.
“Uccidili! Annienta la loro
luce! Estirpa per sempre la bastarda stirpe dei Cavalieri!” –Gridò Flegias,
mentre il signore delle ombre si allungava verso Pegasus e gli altri.
E subito i suoi arti di tenebra
si scomposero in migliaia di nere evanescenze che piombarono sui Cavalieri di
Atena, avvolgendoli, intrappolandoli, trapassando il loro corpo, desiderose di
cibarsi della loro luce. Ingorde e mai soddisfatte.
“Sono tantissime…” –Mormorò Asher
dell’Unicorno, espandendo il cosmo e generando scariche di energia, così
come fecero Castalia dell’Aquila e Tisifone del Serpentario,
cercando di difendersi da quella marea oscura che si chiudeva su di loro.
“Bastarde!” –Gridò Ioria,
liberando il colpo sacro del Leone. Subito imitato da Dohko di Libra e da Shaka
di Virgo. –“Non serve a niente! Per ogni ombra che colpiamo, altre dieci ne
compaiono! Se non interrompiamo il processo creativo non potremo mai averne
ragione!” –Commentò il Cavaliere della Bilancia.
“E infatti mai le
sconfiggerete!” –Sentenziò Flegias, fissando i suoi avversari inermi con
fiammeggianti occhi rossi. –“Per voi non ci saranno lapidi di pietra, o
mausolei in cui essere venerati come eroi! No! I vostri nomi scompariranno
dalla storia, perdendosi in una notte senza stelle!” –E nel dir questo liberò
un turbine di fuoco, che si abbatté sui tre Cavalieri d’Oro, spingendoli
indietro.
“Ioria!!!” –Gridò Pegasus,
accorrendo in aiuto dell’amico, seguito da Sirio e dagli altri tre compagni.
–“State indietro!” –Ordinò il Cavaliere di Leo. –“Penseremo noi a tenere a bada
questo gigante di ombre! Voi trattenete Flegias! Non deve sfuggirci ancora! La
mano della giustizia deve calare sul suo capo una volta per tutte!”
“Nobili parole, Cavaliere di
Leo! Degne del fratello a cui voltasti le spalle!” –Ironizzò Flegias,
avvolgendosi in un vortice di fiamme oscure e piombando sui cinque Cavalieri
Divini. –“Ma sarà la falce nera a calare su tutti voi!” –Ringhiò, modellando le
tenebre in modo da creare una falce energetica, che piantò di scatto nel terreno,
generando un’esplosione che scagliò Pegasus e gli altri indietro.
Andromeda, subito rialzatosi, scatenò le devastanti Onde del
Tuono, chiudendo a Flegias una via e obbligandolo a balzare indietro per
non essere travolto, nel momento stesso in cui Phoenix, che aveva
intuito la mossa del fratello, caricava il pugno destro di infuocata energia,
scattando contro di lui.
“Intelligenti!” –Sibilò Flegias,
ancora in volo, volgendo il palmo della mano contro Phoenix. –“Ma non
abbastanza, per me!” –E lasciò che il pugno infuocato vi si schiantasse,
contenendone l’energia e spingendolo indietro, con forza tale da scagliare il
Cavaliere contro Andromeda, abbattendoli entrambi. Ma Flegias non poté toccare
terra che dovette voltarsi di lato, per evitare due fendenti di energia che
sfrecciarono paralleli verso di lui. Uno di luce e l’altro di gelo. Vi passò in
mezzo, sentendoli stridere e scheggiare parte della sua Veste Divina, fino a
trovarsi di fronte Sirio e Cristal, con le braccia ancora
sollevate.
“Siete entrati in simbiosi?”
–Ironizzò, travolgendoli con un attacco di pura energia incandescente, a cui i
due amici cercarono di opporsi con lo scudo del Dragone e con un muro di
ghiaccio. Ma la pressione esercitata da Flegias liquefece la barriera di gelo,
crepando persino lo scudo di Sirio, spingendoli infine indietro. –“E quattro!”
–Commentò il Maestro di Ombre, prima di sentire due braccia spuntare da dietro
di lui e chiudersi sul suo petto, stringendolo in una stretta morsa, mentre un
lucente cosmo azzurro lo avvolgeva, nel tentativo di contrastare la sua
infernale oscurità.
“Spirale di Pegasus!!!”
–Gridò il ragazzo, lanciandosi in cielo, in un turbine di energia rovente.
–“Pazzo!!! Pegasus, sei un pazzo suicida!” –Ringhiò Flegias, preso alla
sprovvista da quella mossa. –“Pegasuuus!!!” –Urlarono Sirio e gli altri amici,
vedendo la cometa azzurra compiere una curva nel cielo nero, annientando tutte
le ombre contro cui si scontrava.
“Hai scelto il tuo destino!”
–Commentò infine Flegias, rilasciando il proprio cosmo demoniaco. –“Morte!” –E
scatenò vampe di fuoco nero che incendiarono l’Armatura Divina, ustionando le
braccia e il volto di Pegasus, strappandogli grida di dolore. Senza però
riuscire a convincerlo a mollare la presa. –“Muori, cane d’Atena! Con tutto il
tuo maledetto stoicismo!” –Ringhiò Flegias irato, espandendo al massimo il
cosmo, che esplose in un lampo nero poco prima che i due si schiantassero a
terra.
Sirio e gli altri corsero da
Pegasus, che aveva scavato un profondo solco nel terreno, trovandolo stanco e
ferito, con crepe sull’Armatura Divina, ancora avvolta in un tetro fuoco di
morte. Cristal posò una mano sul petto dell’amico, sprigionando il suo gelido
cosmo, con il quale riuscì a raffreddare la corazza e spegnere quel che restava
delle vampe infernali, aiutandolo poi a rialzarsi.
“Venite tutti insieme!” –Gridò
Flegias, infervorato, facendo voltare i cinque ragazzi.
Era riuscito a sfuggire alla
presa di Pegasus, teletrasportandosi ai piedi del vulcano, in tempo per evitare
lo schianto. Ma per farlo aveva dovuto impiegare una gran quantità di energia,
tanto vicino e avvolgente era il cosmo di Pegasus, da consentirgli un minimo
spazio di manovra.
“Uno alla volta non mi vincerete
mai! Fatevi avanti tutti insieme! Il Maestro di Ombre non teme nessuno,
soprattutto cinque ragazzini!” –Incalzò, espandendo al massimo il proprio
cosmo, liberando vampe di fuoco che incendiarono il terreno, mentre strati di
ombre fluttuavano attorno a loro, cingendoli d’assedio.
“Detesto doverlo dire, ma credo
che Flegias abbia ragione!” –Mormorò Andromeda, bruciando il suo cosmo al punto
da generare una corrente di energia. –“Sono con te!” –Esclamò Phoenix,
accendendo l’aura della Fenice. –“Ci siamo tutti!” –Gli fecero eco Sirio e
Cristal. –“Come sempre! E per sempre!” –Concluse Pegasus, mentre i cosmi dei
cinque amici, come molte volte avevano fatto, fin dai tempi della corsa alle
Dodici Case, si univano assieme, dando vita ad un potere vasto come l’universo.
Al potere dell’amicizia.
“Nebulosa di Andromeda,
che la forza delle stelle sia con teee!!!”
“In nomine tuo, Acquarius!!!”
“Pienezza del Dragone,
nei limiti di Atena, vai e colpisci!”
“Ali della Fenice!!!”
“Risplendi, Cometa lucenteee!!!”
La devastante ondata di energia
cozzò contro la violenta tempesta energetica, striata di fiamme e di ombre, che
Flegias aveva già liberato contro di loro.
Fermo, piantato a terra con
solide gambe, le braccia tese avanti a sé, il Maestro di Ombre scatenò la furia
dell’Apocalisse Divina, il massimo colpo che aveva ideato per decretare
la fine del genere umano. Una razza debole e inutile, ai suoi occhi buona
soltanto per essere ridotta in schiavitù. Lo aveva chiamato così, secoli
addietro, ispirato dalle leggende sui quattro Cavalieri dell’Apocalisse.
Guerra, fame, morte e malattia.
Piaghe che, secondo tali Cavalieri, gli uomini si erano autoinflitti, con i
loro comportamenti, con i loro sbagli. E Flegias aveva sposato in pieno tale
visione, idolatrando i quattro demoni e desiderando ardentemente far parte di
quella gilda di verità. Il destino gli aveva riservato una strada diversa, ma
per tutti quei secoli non aveva mai smesso di credere che egli fosse l’ultimo
Cavaliere dell’Apocalisse, colui che racchiudeva in sé tutti i mali del mondo.
Lo scontro tra i poteri
contrapposti di Flegias e dei Cavalieri di Atena continuò per una manciata di
minuti, durante i quali l’aria si saturò di scariche di energia, che guizzavano
ovunque, e turbini di ombre avvolsero i contendenti, nessuno dei quali era
disposto a cedere di un passo.
“Sono mesi che aspettiamo questo
momento, Flegias! Da quando fuggisti dall’Olimpo, derubando Crono dei poteri
della Pietra Nera!” –Esclamò Pegasus, con il cosmo espanso al massimo. –“E
adesso scoprire che persino di Gemini, tuo allievo, ti sei servito e che per
causa tua inutili guerre sono state combattute mi dà un vigore nuovo per
affrontarti!” –E ripensò a quando, nel castello di Heinschtein, aveva visto
svanire tra le sue mani le polveri del Cavaliere dei Gemelli. Un uomo che, per
fedeltà alla Dea e per volontà di riscattare quel che di malvagio in vita era
stato costretto a compiere, aveva accettato di morire di nuovo. Un eroe. Come
Micene di Sagitter era stato anni prima. Ed altri assieme a loro.
“Quante vite sono state
bruciate? Quanto sangue è stato sparso per soddisfare le pretese di un uomo che
si crede un Dio?!” –Incalzò Pegasus, spingendo sempre di più e suscitando la
reazione collerica del Maestro di Ombre.
“Io sono un Dio! Di uomo
ormai non ho più niente, neppure la forma!” –Rispose questi, scaricando nuove
vampe di fuoco, che sembravano nascere dai suoi occhi indemoniati.
“No! Tu non lo sei!” –Mormorò
Pegasus. –“Ne ho conosciuti molti e, per quanto li abbia combattuti quasi
tutti, non ho trovato in nessuno di loro, neppure in Ade o in tuo padre Ares,
la stessa oscura volontà distruttiva che sento nel tuo cosmo, lo stesso
desiderio di sprofondare il mondo in un’eterna apocalisse! Per questo ti
fermerò! Qua e ora! Troppo abbiamo sofferto per permetterti di vivere ancora!”
“Pegasus ha ragione!” –Intervenne
allora Cristal, avvolto dallo scintillio dei ghiacci di Siberia. –“Ho visto
l’alba di Asgard tingersi di un rosso di sangue! Ho visto donne coraggiose
ergersi solitarie per fronteggiare mostri che tu hai risvegliato! E orfani
innocenti impugnare archi e frecce per difendere la terra in cui sono nati e
cresciuti, la loro patria, ed onorare così le memorie di coloro che li hanno
preceduti, morti in battaglie che non dovevano essere combattute!”
“Hai disturbato il sonno di
creature millenarie, piegando le leggende ai tuoi fini, distorcendo l’animo di
uomini, un tempo giusti, per farne biechi assassini, mossi dalla fedeltà ad un
re che sa imporsi solo tramite la forza e la paura!” –Continuò Andromeda. –“Ma
che non ha niente, neppure l’ombra, dei sovrani del passato o degli eroi dei
tempi antichi!”
“Solo! Dannato ad un’esistenza
di disperazione, non hai fatto altro che scaricare la tua frustrazione sul
genere umano, recidendo tutti i legami di cui eri invidioso, mirando ad
annientare ogni forma di felicità, ben sapendo che tu non l’avresti mai
provata!” –Esclamò Sirio.
“Ma quest’oggi proverai
qualcos’altro! La vendetta! Per tutte le persone morte a causa della tua folle
ambizione, anche tu morrai, Flegias!” –Ringhiò Phoenix, mentre la sua mente,
come quella dei compagni, ricordava gli eroi caduti per dare un futuro agli
uomini e alla Terra. –“Ippolita!” –Mormorò, rinnovando l’assalto.
“Mylock! Lupo, Gerki, Aspides,
Leone Minore!” –Li nominò Pegasus. –“Birnam! Shadir, Lear, Benam!” –Aggiunse
Andromeda. –“Mizar, Alcor! Scorpio!” –Continuò Cristal, prima che Sirio
concludesse. –“Giasone, Artemide, Gwynn e tutti i Cavalieri Celesti e gli Dei,
vittime come noi di un inganno che non hanno saputo decifrare!”
“Ora, uniti ai loro spiriti,
combattiamo!” –Gridarono i cinque amici, generando un’onda di energia così
potente da travolgere l’Apocalisse Divina e scagliare Flegias in alto,
danneggiando la sua armatura scarlatta e schiantandolo al suolo poco dopo.
“Ce… l’abbiamo fatta!” –Mormorò
Pegasus, crollando sulle ginocchia. –“Siamo riusciti a colpirlo!” –Aggiunse
Sirio, ansimando a fatica. –“Quanto abbiamo realmente ottenuto?!” –Ironizzò
Phoenix, senza togliere gli occhi da Flegias.
In silenzio, il Maestro di Ombre
si stava infatti rialzando, mentre turbinanti pensieri affollavano la sua
mente. Primo tra tutti la consapevolezza di non possedere più la Pietra Nera, e
quindi il suo potere rigenerante, avendola interamente usata per potenziare le
ombre, affinché invadessero la Terra intera.
“Devono invaderla!” –Si disse,
chiudendo le mani a pugno e accendendo un fuoco d’ira nei suoi occhi, che
avvampò istantaneo, mentre con un rapido movimento del braccio scaricava vampe
incandescenti contro i cinque compagni, obbligandoli a saltare in direzioni
diverse per evitarle. –“Troppo a lungo mi sono spinto! Il punto di non ritorno
è stato superato! Da questa battaglia uscirà un solo vincitore! E quello sarò
io! Devo essere io!” –Sogghignò, scatenando l’assalto finale della marea nera.
Il signore delle ombre, che
aveva inglobato il corpo di Giasone al suo interno, cullandolo e cibandosi di
quel che restava del suo cosmo, stava liberando strati di nere evanescenze, per
distruggere la cupola protettiva all’interno della quale Ioria, Libra e Virgo
si erano rifugiati, tirando a sé anche Asher, Castalia e Tisifone.
“Queste ombre… sembrano gli
abitanti dei pianeti che Giapeto evocò anni addietro a sua difesa!” –Rifletté
Ioria, cercando lo sguardo di Virgo. –“Ma sono in quantità maggiore e, seppur
non rette da divino cosmo, sono cariche di un’infinita oscurità!”
“Ogni minuto che passa sento le
forze venirmi meno!” –Commentò Tisifone. –“Sommerse, quasi soffocate, da questa
tenebra senza fine!”
“Già al Grande Tempio non
avevamo speranze, ma ci salvò l’intervento di Atena! Adesso che speranze
abbiamo?!” –Mormorò Asher.
“La speranza di chi lotta per un
ideale!” –Esclamò Ioria, accendendo il cosmo di bagliori dorati e sfrecciando
fuori dalla cupola di protezione, con il pugno carico di luce. –“Questo è per
mio fratello Micene! Lightning Bolt!” –E diresse un’accecante cometa di
energia contro il cumulo di ombre, presto seguita da un’altra. –“E questo è per
Siderius!”
“Iaaah!!!” –Asher seguì Ioria
all’istante, comprendendo le sue parole. Forse le ultime che gli avrebbe
sentito dire. –“L’Unicorno non morirà aspettando in difesa! Corno d’Argento,
rifulgi!!! Per Atenaaa!!!”
Virgo tolse la barriera
protettiva, radunando le forze per un nuovo assalto, proprio mentre Libra,
avvolto nel suo cosmo d’oro, liberava le armi di cui era custode.
“Possano essere per noi il
confine dove le benigne stelle fermeranno l’oscurità!” –Commentò, sollevando lo
scudo d’oro. Ioria afferrò la spada, Castalia il tridente e Tisifone la barra a
tripunte, come contro Crono sull’Olimpo. A Virgo porse la lancia bracciale,
prima di voltarsi verso Asher e mostrargli le barre gemellari.
“Sarà un onore impugnarle per
Atena!” –Commentò il ragazzo, con rivoli di sangue che gli colavano sul volto,
ma l’incrollabile fede nella Dea ancora vivida.
“Insieme, Cavalieri!!!” –Caricò
Libra, lanciandosi contro l’ammasso di ombre, subito seguito dai cinque
compagni. La luminosa energia prodotta dall’assalto avvampò al contatto con la
marea nera, che per un momento parve davvero intimorita dall’accecante bagliore
che le Armature d’Oro, da secoli bagnate dalla luce solare lungo l’Ellittica e
potenziate di recente dal fuoco di Muspellheimr, sapevano emettere. Ma fu un
attimo, prima che una cappa di oscurità calasse sui sei Cavalieri, inghiottendo
il loro timido bagliore, trapassandoli da parte a parte, svuotandoli
progressivamente della loro energia vitale.
“Ohm!!!” –Gridò allora
Virgo, liberando il cosmo allo stato puro, che si dischiuse attorno a sé come i
petali di un fiore di loto, spingendo via per un attimo le ombre.
“Il nostro tempo è scaduto…”
–Mormorò Libra, schiantato a terra accanto ai compagni. –“Shin! Presto ci
ritroveremo e potremo abbracciarci di nuovo!”
Improvvisamente, mentre il
signore delle ombre torreggiava sui sei compagni, una pioggia di stelle iniziò
a traforare la sua mole immensa, generando piccoli fori dentro i quali si
verificarono continue esplosioni.
“Per il Sacro Ariete!
Rivoluzione stellare!” –Gridò una voce. E nello stesso momento un’onda di
energia acquatica si sollevò alle spalle di Ioria e degli altri, scavalcandoli
e abbattendosi sulle ombre, anticipando l’arrivo di due Cavalieri Celesti. –“Gorgo
dell’Eridano!” –Esclamò il Luogotenente dell’Olimpo. –“Attacco del Drago
Bianco!” –Gli fece eco il Comandante della Legione Nascosta. E annientarono
qualche ombra, liberando i Cavalieri di Atena da quella tetra prigionia.
“Phantom…” –Mormorò Castalia,
sorpresa, aiutata da Tisifone a rimettersi in piedi.
Mur dell’Ariete spuntò proprio dietro a Phantom dell’Eridano Celeste
e ad Ascanio Pendragon, salutando Libra e gli altri con un sorriso.
“Castalia!” –Esclamò Phantom,
felice di vederla. Aveva il volto stanco e l’Armatura Celeste era per metà in
frantumi, e questo fece capire a Castalia che il ragazzo doveva aver combattuto
parecchio. Ma era sopravvissuto. E quello era l’importante.
Anche Ioria fu lieto di vedere
il Luogotenente dell’Olimpo ancora vivo. Ma non disse niente, limitandosi a
scambiare con lui uno sguardo d’assenso, proprio mentre le ombre tornavano a
fluttuare attorno a loro, attratte dalle fresche prede appena giunte.
“Ma quello è… Giasone!!!”
–Mormorarono sconvolti Phantom e Ascanio. –“Dannato Flegias! Dannato!!!”
–Ringhiarono i due, liberando un violento assalto energetico contro l’immensa
sagoma di ombre, che parve risentirne per un momento, prima di risanare le
proprie ferite, generando nuove oscure evanescenze.
“Temo che per il Cavaliere
Celeste non ci sia più niente da fare!” –Commentò Libra, con una certa
tristezza. Ma mentre Phantom reagì con dolore, reprimendo un singhiozzo,
Ascanio si infervorò, rifiutando di accettare la sua terribile sorte.
“Non resterò a guardare mentre
Giasone viene annientato assieme all’oscurità!”
“Ascanio…” –Mormorò Phantom,
cercando di far capire all’amico che qualunque loro azione non avrebbe salvato
il Cavaliere Celeste.
“Se c’è una vita umana da
salvare, Ioria del Leone non si tirerà indietro!” –Esclamò il Cavaliere d’Oro,
affiancando Ascanio.
“E altrettanto farò io!”
–Intervenne Asher, ricordando come Giasone, sull’Olimpo, l’avesse riconosciuto
un combattente degno di lottare al suo fianco.
“Orbene…” –Ironizzò allora
Libra. –“Morire per morire, tanto vale farlo nel tentativo di salvare
qualcuno…” –E anche gli altri gli diedero ragione, accendendo i loro cosmi
incandescenti e lanciandosi verso la massa di tenebra.
Ascanio guidava il gruppo e
subito uno stormo di ombre piombò su di lui, ma il Cavaliere Celeste sfiorò i
serpenti tatuati sul braccio, che si illuminarono, generando un’immensa sagoma
illusoria, che lo sormontò, attirando l’attenzione delle ombre.
“Il raziocinio di queste entità
è limitato! Sono attratte dalla luce ma non distinguono ciò che è reale da ciò
che non lo è!” –Rifletté Ascanio, volgendosi verso Virgo.
“Ho capito!” –Rispose
semplicemente questi, unendo le mani e disegnando simboli in aria, mentre
centinaia di copie di sé e dei Cavalieri suoi compagni apparivano attorno a
loro, in lampi continui di luce, che eccitarono le ombre, attirandole verso di
loro.
“Ora!” –Gridò Phantom,
concentrando il cosmo sotto i piedi di Ascanio e sollevando un getto di energia
acquatica che spinse in alto il Comandante dell’Ultima Legione, fino a portarlo
all’altezza del torace del signore delle ombre, al centro del quale, avvolto in
un turbinio incessante di tenebre, giaceva Giasone.
“Dannate canaglie!” –Ringhiò
Ascanio, lanciandosi al suo interno, avvolto in un cosmo bianco, dai sapori
ancestrali, su cui le ombre subito si avventarono, senza riuscire però a
superare quella splendente, quanto impenetrabile, cortina di luce. –“La Metempsicosi
non permette soltanto la trasmigrazione dell’anima, ma costituisce anche una
solida difesa contro qualsivoglia attacco mentale o immateriale! E adesso che
sono così vicino al cuore, assaggiate, oh infauste tenebre, le fauci del Drago
Bianco di Glastonbury!” –Esclamò, aprendo uno squarcio nel torace dell’immensa
sagoma, dove bianche folgori risplendettero, illuminando per un momento il
volto spento di Giasone, che giaceva proprio là in mezzo.
A fatica, Ascanio riuscì ad
arrivare a lui, per quanto le ombre cercassero di ostacolarlo. Ma quando gli
volse la testa, Ascanio impallidì, alla vista di nient’altro che i resti del
valente Cavaliere che aveva difeso l’Olimpo da Tifone e dai figli di Ares. I
suoi occhi erano spenti e strati di ombre ne uscivano ed entravano, in una
macabra danza di morte.
In quel momento, dal basso,
Phantom evocò le Liane dell’Eridano, allungandole lungo la sinuosa
superficie della creatura di ombre, fino a raggiungere Ascanio e attorcigliarle
al polso di Giasone. Cumuli di tenebre si strinsero sul Luogotenente
dell’Olimpo, che non poteva difendersi, intento a usare il cosmo per generare
le liane e tirare Giasone fuori da lì. Ma Castalia da un lato e Tisifone
dall’altro intervennero subito in suo aiuto.
“Volo dell’Aquilaaa!!! Cobra
incantatore!!!” –Gridarono, piombando sulle ombre.
Spalla contro spalla, le
Sacerdotesse si chiusero su Phantom, mentre Mur evocava il Muro di Cristallo,
dandogli la forma di una cupola cubica, per proteggere se stesso e i suoi
compagni. Libra lo affiancò all’istante, unendo il cosmo a quello dell’amico.
“Insieme! In un’altra battaglia
persa in partenza!” –Commentò, ricordando i tredici anni trascorsi da entrambi
lontani da Atene, dopo la morte di Micene, in attesa di un segno che
permettesse loro di liberare il Grande Tempio dalla tenebra che lo aveva
occupato. Una tenebra che proprio in Flegias aveva avuto origine.
“Chissà…” –Mormorò Mur. –“Anche
allora pensavamo non vi fosse speranza…”
Ascanio, nel frattempo, cercava
di trascinare Giasone fuori dal cumulo di ombre, aiutato dalle liane di
Phantom. Lavorava incessantemente, senza avere il coraggio di fermarsi, perché,
se lo avesse fatto, avrebbe dovuto ammettere quel che tutti già sapevano. Che
Giasone era ormai perduto.
“Il corpo forse!” –Strinse i
denti Ascanio, bruciando il cosmo. –“Ma l’anima, quella voglio salvarla!”
–Improvvisamente sentì qualcosa sfiorargli un polso e subito si voltò, credendo
fossero ombre. Ma rimase sconvolto nel vedere la mano di Giasone che lo aveva
appena afferrato. E in quel tocco, in quell’ultimo tocco, il Cavaliere Celeste
riversò tutti i suoi ricordi, ringraziando Ascanio per il tentativo.
“Ho vissuto una lunga vita,
superiore a quella di qualsiasi uomo! Ho viaggiato verso la Colchide, sulle ali
del mito, recuperando il Vello d’Oro! Ho sposato una donna, grazie alla quale
sono stato fatto re, e ho combattuto contro il suo fantasma per anni! È tempo
che anch’io, adesso, assapori la pace!” –Parlò Giasone, tramite il cosmo,
incendiando le liane che lo avevano fermato e lasciandosi cadere all’interno
del cumulo di ombre. –“Salvati, Ascanio! Proprio come hai salvato me!”
“Indietro!!!” –Gridò il
Comandante, avendo compreso quel che Giasone voleva fare. Ma la sua voce venne
coperta dalla deflagrazione alle sue spalle, che dilaniò dall’interno la
creatura di ombre, scaraventando Ascanio, e altri Cavalieri, avanti di una
decina di metri, facendoli ruzzolare a terra.
“Giasone…” –Mormorò Ascanio,
rialzandosi, con gli occhi gonfi di lacrime. –“Hai atteso in silenzio per tutti
questi giorni, mentre le ombre ti divoravano l’anima, senza mai perdere la
speranza di ritrovare i tuoi compagni. E lottare un’ultima volta al loro
fianco! Addio, Cavaliere Celeste! Addio Re di Iolco!”
L’immensa sagoma del signore di
ombre si sollevò di nuovo, torreggiando sempre più in alto sui Cavalieri e
liberando un quantitativo di ombre maggiore che in precedenza. Virgo e Mur si
guardarono, comprendendone il motivo.
“La morte di Giasone ha
interrotto un equilibrio!” –Commentò il Cavaliere della Sesta Casa. –“La sua
presenza nel cuore del regno di tenebra consentiva infatti alle ombre di
cibarsi continuamente del suo cosmo, tenuto vivo dalla speranza del Cavaliere
Celeste, ma al tempo stesso, essendo fonte di luce, limitava le ombre nel loro
agire! Adesso, con la sua scomparsa, le creature della notte hanno perso il
loro serbatoio primario di rifornimento!”
“E immagino che ne cerchino uno
nuovo…” –Ironizzò Libra, mentre una smisurata tenebra avvolgeva tutti loro,
affievolendo i loro cosmi incandescenti.
In quel momento Flegias diede
l’ultimo ordine. La carica finale.
Le ombre si chiusero su tutti i
Cavalieri di Atena e di Zeus, trapassando ogni loro difesa, fisica e
spirituale, prostrandoli a terra e stringendoli in un abbraccio oscuro. Privi
della forza anche solo per parlare, sopportarono il dolore, come Giasone aveva
fatto per settimane, unendosi l’un l’altro in una catena di cosmi che neppure
le tenebre potevano disgregare. Un’unità di destini capace di vincere la notte.
Fu in quel momento di
disperazione massima che Avalon apparve. Silenzioso come era suo solito. Ed
anche Flegias se ne accorse quando fu troppo tardi.
Sfavillò in mezzo alle ombre,
annientandone qualcuna solo con la presenza. Poi mosse un braccio verso destra,
generando un’onda di luce che incenerì parte della marea nera, prima di fare
altrettanto con il braccio sinistro, liberando quindi un ampio spazio tra lui e
il Maestro di Ombre.
Apparve così, tra lo stupore dei
Cavalieri di Atena e l’ossequioso rispetto di Ascanio, che subito si
inginocchiò di fronte al suo maestro, il Signore dell’Isola Sacra.
Pegasus non lo aveva mai visto,
ma credette di averlo incontrato molte volte. In quelle che Avalon avrebbe
definito le sue vite precedenti. Una sensazione di noto lo invase, come se
l’uomo dalle vesti bianche e argentee, che si muoveva con grazia e sicurezza,
quasi fosse un angelo, avesse combattuto al suo fianco altre volte.
Osservò la noncuranza con cui
annientò un mucchio di ombre che era piombato su di lui, posandovi
semplicemente lo sguardo sopra. Notò la regalità dei movimenti, che restarono a
lungo impressi nella sua mente e gli fecero credere di avere un Dio di fronte.
Un eroe cantato dagli aedi, il cui nome le stelle avrebbero dipinto in cielo.
Gli sembrò di vedere Orion lanciarsi contro il drago Fafnir e immergere Gramr
dentro di lui, bagnandosi del suo sangue. O Micene di Sagitter, travolto dalla
collera di Gemini, fuggire nella notte, con il corpo segnato dal sangue delle
ferite e la piccola Isabel tra le braccia. O infine Serian di Orione combattere
i nemici della Dea, ebbro di gloria e di onore.
Nell’uomo che aveva di fronte,
dai folti capelli neri e dagli occhi scuri e penetranti, Pegasus rivide il
mito. E lo stesso probabilmente accadde a Sirio, Cristal, Andromeda e a
Phoenix, rimasti estasiati e ammutoliti da tale celeste apparizione.
“Sei dunque giunto?!” –Squittì
l’irata voce del Maestro di Ombre. –“Dopo anni trascorsi a tramare tra le
nebbie dell’Isola Sacra, invocando chissà quale Divinità per averne l’appoggio,
hai dunque deciso di rivelarti, gran burattinaio!” –Lo derise Flegias, e
questo permise a Pegasus e agli altri di capire chi avessero di fronte.
Qualcuno che, senza che ne fossero al corrente, li aveva già aiutati in
passato.
“Sono qua per fermarti! E per
toglierti il potere di modificare gli eventi! Un potere che non ti
appartiene!”
“Arrivi tardi, allora, oh
Signore dell’Isola Sacra!!!” –Rise Flegias, beffardo, avvolto in un turbine di
fiamme e ombra. –“Ho già cambiato gli eventi e quest’oggi riscriverò la storia,
uscendone vincitore! E né tu, né nessun’altro dei galoppini che hai addestrato
per morire potrà impedirmelo!” –E balzò in alto, gettandosi verso Avalon e
scaricando contro di lui un devastante assalto di fuoco e tenebra.
“Mio Signore!!! Attento!!!”
–Gridò Ascanio.
Ma l’attacco non raggiunse
Avalon, che scomparve poco prima che le nere fiamme lambissero il suolo,
disorientando lo stesso Maestro di Ombre, che non riusciva ad avvertire la sua
presenza, per quanto l’isola fosse satura del suo cosmo oscuro. In un lampo di
luce Avalon riapparve in volo alle spalle di Flegias, poggiando una mano carica
di bianca energia cosmica sullo schienale della sua Veste Divina e
schiantandolo a terra in meno di un attimo.
“Aaargh!!!” –Ringhiò il Maestro
di Ombre, rimettendosi in piedi, con l’armatura logora e in parte distrutta.
–“Ti strapperò quel sorriso da ebete dal volto! Fosse l’ultima cosa che
faccio!”
“Procrastinare nei tuoi intenti
ti condurrà inevitabilmente alla fine!” –Disse Avalon con voce calma,
fluttuando a terra, avvolto nelle striature ancestrali del suo cosmo.
“Ma sarà una goduria estrema se
ti porterò con me! Apocalisse Divina!!!” –Gridò Flegias, scaricando la
tempesta di energia e fiamme oscure contro Avalon, il quale, nient’affatto
turbato, si limitò a lasciarsi trascinare dalla corrente. Venne sollevato da
terra e perse il mantello argenteo, che fluttuò in aria, cadendo proprio su
Flegias e coprendo il suo volto demoniaco, mentre Avalon, con un’abile
capriola, si metteva in piedi su uno spuntone di roccia. Proprio quello da cui
Flegias aveva prostrato Pegasus e gli altri ai suoi piedi.
“Mi sento leggero!” –Mormorò il
Signore dell’Isola Sacra. –“Nell’animo soprattutto! Mentre il tuo è appesantito
dall’odio e dal rancore che covi da anni, da secoli ormai, nei confronti degli
Dei e degli uomini! Carogne annidate nel tuo cuore!”
“Maledetto!!” –Ringhiò Flegias,
facendo avvampare il suo cosmo, che incenerì il mantello e infiammò l’aria.
“Credevi che gli anni trascorsi
sull’Isola Sacra mi avessero infiacchito?!” –Sorrise Avalon. –“Ebbene
sbagliavi, come hai errato in altre valutazioni affrettate! Prima su tutte
quella sul tuo destino! Poiché nessuno ti ha insignito del titolo di
imperatore!”
“Avrei dovuto ucciderti secoli addietro,
prima di lasciare Avalon e prendere il posto che avrei dovuto occupare!”
–Ringhiò Flegias, scaricando un turbine di fuoco oscuro contro la sporgenza
rocciosa, obbligando il Signore dell’Isola Sacra a saltare via e ad atterrare
non molto distante da Pegasus e dai suoi quattro amici.
“Vuoi dire che… anche Flegias
viene da Avalon?!” –Sgranarono gli occhi i Cavalieri di Atena. A cui Avalon
rispose semplicemente annuendo.
“Due erano i candidati per
guidare l’Isola Sacra e scoprire a fondo i suoi arcani segreti!” –Spiegò,
voltandosi poi verso Flegias. –“Ma qualcuno non aveva le caratteristiche adatte
per divenire il faro che avrebbe illuminato il mondo quando le tenebre
sarebbero sorte di nuovo!”
“Blateri parole di menzogna! Tu
corrompesti i druidi, e l’Antico, tuo maestro, che era a capo del consiglio! Ma
avrei meritato io quel ruolo, molto più di te che nient’altro hai saputo fare
che rinchiudere l’Isola Sacra dietro veli di nebbia, lasciando che scomparisse
nel mondo! Io l’avrei trasformata in una potenza!”
“Tutto ciò che ho fatto l’ho
fatto per la salvezza di Avalon!” –Rispose l’uomo. –“Vi sono cose per cui il
mondo non è ancora pronto! E, in cuor mio, mi auguro che mai lo sia! Ma se a
nient’altro aneli se non ad una dimostrazione di forza, per dimostrare infine
chi fosse degno del titolo, certo non mi tirerò indietro!”
Flegias non disse niente,
limitandosi a scatenare un turbinio di fiamme e ombra contro Avalon, che rimase
immobile ad attenderlo, concentrando il cosmo sulla mano destra e rilasciandolo
di colpo, sotto forma di guizzanti scariche energetiche che trafissero il
vortice di oscurità schiantandosi su Flegias e facendolo gridare dal dolore.
Quindi, con un semplice spostamento del braccio, Avalon sollevò il Maestro di
Ombre, scaraventandolo contro una parete di roccia, danneggiando ancora la
Veste Divina e prostrandolo infine a terra. In ginocchio. Come Flegias odiava
stare, considerandola la massima delle umiliazioni.
“Bastardo!” –Sputò il Maestro di
Ombre, cercando di rimettersi in piedi. Ma quando sollevò lo sguardo, si
accorse che dagli occhi di Avalon trapelava un’infinita tristezza. Il
dispiacere per ciò che l’antico compagno era divenuto.
“Non sono qua per ucciderti, te
l’ho già detto! Ma per fermarti! Il che, semanticamente, è cosa ben diversa!”
–Precisò il Signore dell’Isola Sacra, ottenendo in risposta nient’altro che uno
scatto d’ira. –“Ora basta!!!” –Tuonò infine, spingendo ancora Flegias indietro,
stupendo i Cavalieri di Atena e persino Ascanio per l’autorità che sembrò
emanare d’improvviso. –“L’ora è tarda e le recriminazioni di un bambino
insoddisfatto dei propri giochi non mi tangono affatto! Hai avuto la
possibilità, come ogni uomo di questa terra, di scegliere il tuo destino e hai
voltato le spalle alla luce per abbracciare l’ombra! Sii uomo abbastanza per
sopportare il castigo divino!”
“Dovresti saperlo meglio di me,
gran tessitore di inganni, che tutti gli Dei sono un unico Dio!” –Ringhiò
Flegias, con il sangue che gli colava sul volto. –“E che quell’unico, un giorno
non lontano, impererà di nuovo sul mondo da lui generato!”
“Possano le stelle ritardare il
fato…” –Mormorò Avalon, prima di voltarsi verso l’uomo da lui addestrato.
L’uomo le cui imprese aveva visto disegnarsi sulla superficie del pozzo sacro
dell’isola. –“Ascanio!”
“Sono pronto, mio Signore!”
–Rispose subito il Comandante, espandendo il proprio cosmo, che brillò di una
luce accecante, annientando un turbine di ombre che subito volteggiò verso di
lui. –“E anche i miei compagni, ne sono certo, lo sono!”
“Pegasus! Cavalieri di Atena!”
–Esclamò allora Avalon, volgendo lo sguardo verso di loro. A cui apparve
l’immagine serena di un angelo avvolto nella luce. –“Molto avete fatto per
proteggere la Terra e gli uomini dall’ombra, e mai avete ricevuto anche solo un
grazie! Lasciate che sia io a ringraziarvi adesso e ad aiutarvi, come voi avete
aiutato tutti noi in questi anni!”
“Avalon…” –Mormorarono i
Cavalieri di Atena, mentre il Signore dell’Isola Sacra sollevava la mano al
cielo e l’anello che portava all’indice irradiava un’immensa luce, che obbligò
persino Flegias a coprirsi lo sguardo, disgustato da tale luminosità.
“Talismani del Mondo Antico!”
–Recitò il Signore dell’Isola Sacra, mentre le rune impresse sull’anello
brillavano di un oro vivo, proiettando simboli nell’aria attorno ed entrando in
sincronia cosmica con i manufatti del mito. –“In nome di Avalon, e dei sette
saggi che vi forgiarono un tempo, io vi invoco! Liberate infine il vostro
potere, affinché l’ombra generata dall’odio possa scomparire in un valzer di
luce!”
“Maledetto! Te lo impedirò!!!”
–Gridò Flegias, avventandosi su Avalon. Ma Ascanio e Phantom intervennero
prontamente, investendolo con i loro colpi segreti. E quando Flegias si rialzò,
notò che il rito era già iniziato. E che aveva perso.
In quel momento infatti
l’Antico, riunito in un cerchio di drudi sulla sommità dell’Isola Sacra,
meditava di fronte al pozzo delle visioni, da cui un raggio di luce spuntò,
solcando il cielo e abbattendosi sull’isola delle ombre. Quello era il segnale
che i Cavalieri delle Stelle aspettavano.
Sulla vetta del devastato colle
di Sitia, nella parte orientale di Creta, Febo, Cavaliere del Sole e figlio
di Amon Ra, sollevò l’intarsiato Talismano che custodiva, lo Specchio del
Sole, volgendolo verso nord. Ed esso subito sprigionò una calda luce, che si
aprì a ventaglio sull’isola e sul Mediterraneo. Suo padre, in piedi dietro di
lui, sorrise orgoglioso dell’uomo che Febo era diventato e poggiò una mano sul
suo coprispalla ammaccato, unendo il proprio cosmo a quello del figlio.
Jonathan di Dinasty,
Cavaliere dei Sogni, stringeva con forza
il lungo bastone dorato di cui era il custode, lasciando che il fiore scolpito
sulla punta emettesse una luce così intensa da abbagliare l’intera piazza
principale di Smirne. Andrei, suo maestro e signore del fuoco, osservò
soddisfatto il fascio di luce proveniente da Creta congiungersi con lo Scettro
d’Oro, prima di dirigersi verso nord-ovest.
Là infatti, sui colli della
Tracia, Reis di Lighthouse, allieva di Avalon, aveva lottato fino ad
allora contro la marea oscura, riuscendo a frenare la sua avanzata. Esausta,
sollevò la Spada di Luce verso il cielo, mentre un ventaglio di energia dorata
risplendeva attorno a lei. Il raggio proveniente dall’Anatolia scivolò sul
Talismano, sommandosi al suo potere, prendendo poi la rotta per la Grecia.
Sull’Olimpo, assediati da cumuli
di ombre che vorticavano attorno alla cima, tenute lontane dal rinnovato cosmo
del Padre degli Dei, Zeus e le altre Divinità superstiti aspettavano al confine
estremo del Monte Sacro, a pochi passi dalla crollata Torre del Fulmine. Matthew,
senza nascondere una certa emozione, bruciò il proprio cosmo, mentre la Cintura
dell’Arcobaleno, da lui risvegliata poche ore prima, entrava in sintonia con
gli altri Talismani, allungando il raggio di luce e dirigendolo verso sud.
Nella parte occidentale
dell’isola di Creta, pochi chilometri a sud di Chania, Marins, Cavaliere dei
Mari Azzurri, alzò il Talismano da lui custodito, lasciando che la sua
energia ancestrale si unisse a quella degli altri quattro, prima di generare un
ultimo raggio di luce, che si ricongiunse con lo Specchio del Sole, stretto da
Febo nell’est dell’isola. I due amici si erano separati un paio d’ore prima,
per cercare di trattenere la marea di ombre che, mentre combattevano con
Flegias, era avanzata lungo la costa, nutrendosi di nuove vite. Desiderosa di
nuova energia.
Horus, il Dio del Falco, aveva
affiancato Marins, lasciando che Febo rimanesse così con suo padre, intuendo
che avessero molto di cui parlare. O forse avessero solo bisogno di stare un
po’ assieme. Adesso, alle spalle di Marins, osservò il Tridente dei Mari
Azzurri risplendere sopra di sé, chiudendo infine il pentagono di energia che
aveva delimitato l’intera zona del Mediterraneo invasa dall’Esercito delle
Ombre.
“Il pentacolo è chiuso!”
–Esclamò Avalon, concentrando il cosmo sull’anello dorato, che fluttuò
nell’aria, sollevandosi verso il cielo, superando le nubi nere, e liberando,
dai vari simboli incisi su di esso, cinque raggi di luce, che si unirono ai
vertici del pentagono irregolare, fino a creare un’enorme struttura all’interno
della quale le ombre furono imprigionate. –“L’avanzata della marea nera si
arresta adesso!”
“Nooo!!!” –Ringhiò Flegias,
disperato al pensiero di quel che stava per accadere.
“Pegasus! Cavalieri! Trovatevi
un riparo…” –Commentò Avalon, sorridendo loro. –“Perché tra poco tutto
svanirà!” –E chiuse gli occhi, liberando il potere dell’Isola Sacra, che
tramite l’anello di luce si unì ai Talismani, generando un’immensa onda di
energia che sembrò spazzar via l’intero Mar Egeo.
Il suolo dell’isola maledetta
tremò più volte, mentre aspre fenditure si aprirono nel terreno e sbuffi di
lava piovvero sui Cavalieri. Le stesse creature oscure, da Flegias evocate
tramite la Maestria di Ombre, parvero vibrare, come indecise, quasi avessero
compreso la loro sorte. Un’onda di luce le raggiunse, come raggiunse tutte
quelle sparse per il Mediterraneo e nelle terre vicine, annientandole,
cancellandole dalla storia. Senza lasciare traccia alcuna.
“Muro di Cristallo!”
–Gridò allora Mur, ricreando la cupola cubica con cui tentò di proteggere Libra
e Asher. –“Kaan!!!” –Urlò Virgo, chiudendo la barriera difensiva su se
stesso, Ioria, Castalia e Tisifone. –“Catena di Andromeda!!! Anelli
del Cigno!!!” –Esclamarono Andromeda e Cristal. Ma tutti i loro tentativi
si rivelarono vani, poiché nessuna difesa poté fermare l’onda purificatrice
evocata da Avalon.
Anche Zeus tremò, dall’alto del
Monte Olimpo, osservando le nubi nere spazzate via dalla marea di luce,
disgregandosi come polvere nel vento. La Regina degli Dei, in piedi al suo
fianco, si abbandonò ad un sospiro di sollievo e altrettanto fece Euro, il
Vento dell’Est, per quanto ben sapesse che non tutto il male del mondo era
stato disperso quel giorno.
“Giasone…” –Commentò Ganimede,
in lacrime, disteso sul letto nella Reggia di Zeus, ripensando al patto che si
erano scambiati all’inizio di quella guerra. Il giuramento di ritrovarsi
assieme.
“Non tutte le promesse vengono
strette per essere mantenute!” –Risuonò la voce dell’Argonauta Celeste
nell’animo del Coppiere degli Dei. –“Spesso si fanno per dare una fede in cui
credere a chi ci vuole bene, per dargli una speranza, pur sapendo quanto debole
sia! Addio, amico fraterno! Ci ritroveremo nel Paradiso dei Cavalieri! Possa
quel giorno essere molto lontano!” –E sorrise, prima di svanire.
Quando l’onda di luce esaurì la
sua carica distruttiva, dello spigoloso paesaggio dell’Isola delle Ombre era
rimasto ben poco. Parte delle sue cime aguzze erano state smussate, se non
abbattute interamente, e il terreno era pieno di faglie, dove scorreva la lava
del vulcano prima di gettarsi in mare. L’Inferno aveva incontrato il Paradiso.
Furono Ioria e Virgo i primi a
liberarsi dai detriti franati su di loro, aiutando Castalia e Tisifone, deboli
e ferite, a uscire fuori. A godere di nuovo della luce del sole.
Accecanti, i primi raggi
dell’alba stavano arrivando da oriente, nascosti dietro i monti dell’Anatolia.
Un fenomeno naturale a cui gli occhi dei Cavalieri di Atena si erano
disabituati negli ultimi giorni.
“L’alba!” –Commentò una voce
giovanile, richiamando l’attenzione del Cavaliere di Virgo, che si voltò verso
un mucchio di rocce, dove vide la fulva zazzera di Pavit comparire poco dopo,
con Tirtha svenuta tra le sue braccia.
“Sì! Una nuova alba!” –Sorrise
il Custode della Porta Eterna, felice di vedere che i due discepoli si erano
salvati. Nascosti sotto cumuli di detriti negli abissi dell’isola, ove avevano
cercato di sfuggire alle ombre, erano riusciti a liberarsi soltanto adesso.
Anche Pegasus e gli altri
uscirono dalle macerie poco dopo, seguiti da Mur, Libra, Asher, e da Phantom e
Ascanio. E tutti si accorsero che Avalon, nonostante la foga devastante della
tempesta, era sempre lì, dove l’avevano lasciato. Fermo nelle sue meditazioni,
con il palmo della mano destra rivolto al cielo, ove l’anello dorato si posò
pochi istanti dopo, prima di dissolversi in granelli di stelle.
“Ogni cosa ha un compito
nell’universo, svolto il quale termina di esistere!” –Mormorò Avalon. –“E noi
egregiamente lo abbiamo adempiuto!”
“Ora capisco perché hai cercato
di portare via Giasone dal mucchio di ombre!” –Disse Phantom al Comandante
della Legione Nascosta.
“Avrei voluto per lui un destino
diverso e donargli degna sepoltura sull’Olimpo! Ma sorrido, in fondo,
immaginando che sarà sempre con noi! Polvere del cosmo!” –Sospirò Ascanio,
prima che un rumore violento attirasse l’attenzione dei Cavalieri.
Un rogo di fiamme nere si
sollevò dal suolo, anticipando la demoniaca sagoma del figlio di Ares, con la
Veste Divina danneggiata e ferite sanguinanti sul volto. In mano i frammenti
della corona nera, che lasciò cadere a terra, calpestandola con rabbia, prima
di sollevare lo sguardo, rosso di collera, verso il Signore dell’Isola Sacra.
“Cadremo entrambi…” –Mormorò a
denti stretti, prima di scattare avanti, in un turbine di fuoco oscuro. –“E tu
per primo!!!” –Ma non riuscì ad avvicinarsi ad Avalon che un nugolo di catene
lucenti sfrecciò verso di lui, tagliandogli la strada e obbligandolo a
deviazioni improvvise, per evitare quella pioggia argentea che Andromeda aveva
scatenato contro di lui.
“E solo non sei, fratello!”
–Esclamò Phoenix, lanciandosi contro Flegias con il pugno carico di energia
cosmica. –“Pugno Infuocato!!!” –Ringhiò, mentre il figlio di Ares
tentava di contenerlo con il palmo della mano, come aveva fatto in precedenza,
non riuscendo però quella volta a trattenere l’impeto della Fenice Divina, che
lo spinse indietro di vari metri, con il braccio destro in fiamme.
“Caldo? Vediamo se posso
raffreddarti!” –Commentò allora Cristal, lasciando che cristalli di ghiaccio
cadessero su Flegias, mentre il suo dito indice si illuminava, circondando il
Flagello di Uomini e Dei con anelli concentrici di gelo.
“Vuoi fermare con questi miseri
cerchi il fuoco dell’inferno?” –Ringhiò Flegias spalancando le braccia, avvolte
in oscure fiamme, e liquefacendo i cristalli di ghiaccio. Solo per accorgersi
che Cristal era già di fronte a lui, con il gelo attorno al pugno destro.
“Polvere di Diamanti!!!”
–Gridò il Cigno, travolgendo Flegias e spingendolo indietro, mentre la sua
Veste Divina veniva ricoperta da un consistente strato di ghiaccio, di
temperatura uguale allo Zero Assoluto, che la spaccò in più punti.
“Colpo dei Cento Draghi!”
–Tuonò allora Sirio, liberando le fauci delle sacre bestie di Cina, che
sfrecciarono verso Flegias, che tentò di contrastarle con un’impetuosa Apocalisse
Divina, annientandone in parte il potere. Ma non fece in tempo a rendersi
conto che alcune zanne di luce lo avevano raggiunto che dovette coprirsi gli
occhi, abbagliato dallo splendore di Pegasus, che si era appena lanciato in
alto, avvolgendosi su se stesso e divenendo un’accecante cometa di energia. –“Cometa
di Pegasus!!!” –Esclamò il ragazzo, piombando su Flegias e centrandolo in
pieno petto, fino a schiantarlo contro rocce franate alle sue spalle,
spaccandogli la Veste Divina e facendogli schizzar via altro sangue.
“Come si sta in terra, Flegias?
C’è duro?!” –Ironizzò il ragazzo, atterrando di fronte al nemico.
Ma il figlio di Ares, per quanto
già lo credessero sconfitto, aveva ancora energia per permettersi di rialzarsi
e fissare Pegasus con i suoi occhi di brace, scaraventandolo indietro e
dirigendo sui cinque compagni un violento turbine di fiamme nere.
“Tu che ne dici, Pegasus?!”
–Ringhiò Flegias, sballottando i Cavalieri a terra, mentre una pioggia di fuoco
e ombra, simile a dardi appuntiti, martoriava i loro corpi.
“Pegasus!!!” –Gridò subito
Ioria, muovendosi per intervenire, affiancato da Libra, Virgo e Phantom.
“No!” –Li fermò il Cavaliere,
cercando di rimettersi in piedi, nonostante la violenta e continua pioggia di
fiamme. –“State indietro, è pericoloso! Finiremo noi quanto iniziato! Del
resto, è abbastanza chiaro che fin dall’inizio Flegias ci ha preso di mira,
preoccupato che proprio noi, essendo riusciti a sconfiggere degli Dei,
potessimo ostacolarlo! Non è così, Flegias?” –Gridò Pegasus, accendendo il
proprio cosmo, che disintegrò le fiamme oscure, unendosi presto a quello dei
quattro compagni che stavano facendo altrettanto. –“Non è per questo che
ordinasti a Issione di ucciderci, prima che ricordassimo? E che tentasti di
rapire Patricia, Nemes, Jacob e Fiore di Luna? Perché in fondo, di noi
Cavalieri di Atena, hai sempre avuto timore!”
Non giunsero parole di risposta,
solo un nuovo turbinar di fiamme e ombra, che spinse Pegasus e gli altri
indietro, obbligandoli a sollevare le braccia per difendersi. Ma non riuscendo
a piegarli. Non più.
“Privo della Pietra Nera, ben più
deboli sono i tuoi attacchi! Potresti uccidere il Pegasus della Guerra
Galattica, o quello che scalò la cima del Jandara per un amico, o forse quello
che combatté contro i nobili Cavalieri di Asgard! Ma il Pegasus di oggi, a
queste fiamme di odio sa opporsi!” –Esclamò il Cavaliere di Atena, scattando
avanti, con il pugno carico di energia cosmica. –“Fulmine di Pegasus!!!”
–Gridò, colpendo più e più volte Flegias, che venne spinto indietro, mentre i
frammenti della sua Veste Divina schizzavano in aria, assieme a fiotti di
sangue.
“E altrettanto sappiamo fare
noi!” –Intervenne Andromeda, liberando l’ultima configurazione della catena. –“Melodia
scintillante di Andromeda!!!” –E l’arma si moltiplicò in infinite copie,
abbattendosi su Flegias, intrappolandolo nella sua stretta maglia,
arrotolandosi attorno al suo corpo, in modo da fermare i suoi movimenti.
“In nomine tuo Acquarius!”
–Esclamò Cristal, liberando il colpo massimo delle energie fredde e dedicando
quell’assalto a sua madre, al Maestro dei Ghiacci, a Acquarius e all’amico
Abadir. A tutti coloro grazie ai quali era cresciuto.
L’attacco del Cigno congelò le
gambe di Flegias al suolo, in una rozza massa di ghiaccio, per quanto il figlio
di Ares continuasse a dimenarsi, prigioniero anche della gabbia creata dalla Catena
di Andromeda. Sirio approfittò di quel momento per concentrare il cosmo sul
braccio destro, sollevandolo e poi calandolo di colpo, in modo da generare un
fendente di energia, che mozzò un braccio di Flegias, poco sotto il polso,
strappandogli un grido di dolore.
“E questo è niente rispetto a
quello che hai inflitto alle tue vittime! Subisci su te stesso l’agonia della
morte!” –Esclamò Phoenix, che aveva ancora ben vivo il ricordo dell’uccisione
di Esmeralda, voluta dal fratello bastardo di Flegias. E quella di Ippolita,
causata da un altro fratello di una stirpe che aveva infangato il mondo.
Il cosmo incandescente di
Phoenix sfrecciò verso Flegias, sotto forma di un maestoso uccello di fuoco,
che lo trapassò all’altezza del ventre, distruggendo quel che restava della
Veste Divina e facendolo crollare in avanti, sputando bava. Ma le Catene di
Andromeda, e i resti del gelo del Cigno, in parte evaporato con l’attacco
di Phoenix, gli impedirono di cadere a terra. E lo lasciarono lì, come un
carcerato, a sollevare lo sguardo e a vedere Pegasus sfrecciare verso di lui.
Una cometa azzurra che gli sfondò il cuore, passandolo da parte a parte.
“Iaiii!!!” –Gridò il Cavaliere
di Atena, fermando la propria corsa qualche metro alle spalle di Flegias, il
cui corpo esplose all’istante, ardendo in un rogo di fiamme nere, da cui
pestilenziali vapori fuoriuscirono, spingendo tutti ad allontanarsi.
“L’incubo è giunto alla fine!”
–Commentò Phantom. –“Lode ai Cavalieri di Atena che ci hanno liberato dal suo
mortifero giogo!”
Improvvisamente dalle vampe
ardenti si sollevò un’oscura evanescenza, simile a quelle che avevano
affrontato in quei giorni, ma molto più grande e potente, che a Pegasus e
Phoenix ricordò l’anima di Ade fuori dal mausoleo nell’Elisio. Un’ombra in
grado di parlare.
“Maledetti!!! Maledetti
Cavalieri di Atena!!!” –Ringhiò Flegias, adesso rimasto solo in forma di
spirito. –“Avete rovinato il piano perfetto che avevo elaborato per anni!
Sapevo che avrei dovuto uccidervi quando potevo! Sapevo che avrei rischiato,
che il mito celato tra di voi avrebbe potuto ostacolarmi! E l’ho temuto! Temuto
fin troppo!”
“Hai cercato di cambiare la
storia, affogando il mito, e tu stesso ne sei rimasto travolto!” –Commentò
allora Avalon, avanzando tra gli stanchi Cavalieri di Atena, e tenendo fisso lo
sguardo verso l’ombra. –“Le profezie non sono favole per dormire, ma ansie e
timori di un’epoca che si proiettano su quelle che verranno! E il mito, che i
saggi avevano predetto, in questi giovani uomini ha trovato compimento!”
“Non avrò il mio impero, né sarò
araldo dell’ombra! Ma tu, burattinaio dimondi, pagherai con la vita l’avermi umiliato una seconda volta!”
–Esclamò Flegias, infiammando l’aria con vampe di fuoco, che circondarono Avalon,
infiammando parti delle sue lunghe vesti argentee. –“Ti ucciderò! E brucerò la
tua carcassa sulla cima dell’Isola Sacra, assieme ai vetusti corpi dei druidi
che mi rifiutarono!” –E nel dir questo piombò su di lui, in un turbine di
fiamme nere.
“Mio Signoreee!!!” –Gridò Ascanio,
vedendo l’ombra schiantarsi su Avalon, che nient’altro fece se non sollevare il
braccio destro, volgendogli contro il palmo carico di vivida luce. –“Dei delle
Stelle!!!” –Esclamarono Mur e Libra, preoccupati.
“Pegasus! Siamo stati compagni
quest’oggi, e abbiamo affrontato un nemico comune! È stato bello, è stato
intenso! Ma non sarà eterno! Forse un giorno mi odierai, e non approverai il
mio operato, poiché in fondo, per quanto il fine sia diverso, è simile a quello
di Flegias! A quello della mia nemesi!” –Mormorò Avalon, parlando all’animo di
Pegasus, prima che il cosmo di Flegias lo sormontasse.
Lo scontro tra le due potenti
energie cosmiche produsse una deflagrazione che spinse tutti indietro di
qualche metro, aprendo nuove faglie sul martoriato suolo dell’isola. In quella
il vulcano ricominciò a eruttare, in maniera più consistente, mentre lapilli
incandescenti piovevano sui Cavalieri di Atena.
“Dobbiamo andarcene!” –Esclamò
Ascanio, mentre il terreno tremava sotto di loro, come se l’intera isola fosse
sul punto di scoppiare. Una situazione che, a Pegasus e compagni, ricordò
l’inabissamento della Regina Nera lo scorso anno.
“Ma…” –Mormorò Pegasus, notando
che di Avalon non erano rimaste tracce.
Ascanio gli sorrise e lo invitò
a non preoccuparsi. Per quel giorno aveva fatto abbastanza e adesso, sia lui
che i suoi compagni, avevano bisogno soltanto di riposo. E di un po’ di tempo
per loro stessi.
“Ci rivedremo, Cavalieri della
Speranza! E combatteremo di nuovo fianco a fianco!” –Esclamò il Comandante dei
Cavalieri delle Stelle, avvolgendosi nel suo bianco cosmo e svanendo, portando
Phantom dell’Eridano Celeste con sé.
Phoenix sentì che i cosmi delle
Amazzoni erano scomparsi e ritenne che si fossero già allontanate. Virgo e Mur
radunarono i Cavalieri di Atena, aprendo un varco dimensionale con il quale
lasciarono l’Isola delle Ombre, mentre la lava scorreva ormai ovunque attorno a
loro, annientando quel che restava dell’impero di tenebra e odio che Flegias
avrebbe voluto instaurare. Un impero sconfitto sul nascere dallo splendore
delle stelle.
“Avrei voluto ringraziare Avalon
e i Cavalieri delle Stelle per l’aiuto che ci hanno concesso!” –Mormorò
Pegasus, scomparendo.
“Sono certo che avrai modo di
farlo di persona!” –Commentò Sirio. –“Qualcosa mi dice che li incontreremo di
nuovo! Molto presto!” –E gli sorrise, dandogli una pacca sulla spalla, prima di
ritornare al Grande Tempio di Atena. Prima di tornare a casa.
Pegasus camminava con Lamia nel giardino dell’orfanotrofio
St. Charles, sorridendo rilassato e prendendo in giro l’amica di infanzia per i
suoi buffi codini. Sereno e scanzonato com’era solito essere. Come non era da
parecchio tempo.
Lamia era stata molto in pena
per lui, negli ultimi mesi in cui l’aveva frequentato, perché, essendo il
ragazzo sotto l’effetto del Talismano della Dimenticanza, si era sentita
impacciata nel parlargli, sapendo di celargli qualcosa di molto importante per
lui. In seguito l’aveva visto di meno e aveva trascorso molte notti insonni a
pregare davanti alla sua foto e a chiedersi in quale luogo della Terra, e
contro quale nemico, Pegasus stesse combattendo. Per lei, e per tutti gli
uomini.
“Vieni, Pegasus!” –Gli disse
improvvisamente, prendendo il ragazzo per mano e conducendolo via, lungo la
strada che portava al porto di Nuova Luxor, mentre Smarty, Sancho e gli altri
bambini li salutavano a gran voce.
“Ma quando vi mettete insieme?!”
–Scherzò Smarty, che tanto avrebbe voluto Pegasus come fratello maggiore.
Trovarono Patricia sotto casa di
Pegasus, alla Darsena, intenta a parlare con Kiki, che le stava raccontando le
loro ultime avventure, illustrandole con simpatiche smorfie.
“Non le avrai nascosto quando ti
sei fatto la pipì addosso?” –Ironizzò Pegasus, a cui Kiki rispose subito con
una linguaccia.
“Pegasus, non sono più un
bambino! Adesso sono un uomo!” –Rispose il fratello di Mur, mentre Pegasus,
Patricia e Lamia scoppiavano a ridere. Sotto un cielo terso e solcato da
bianchi gabbiani.
Da un’altra parte del porto,
nella zona riservata allo scalo delle grandi imbarcazioni, un giovane
dall’accento scozzese supervisionava le attività di carico sul mercantile della
Grande Fondazione, controllando che tutte le casse venissero imbarcate. Quella
volta, i rifornimenti per l’Isola del Riposo dovevano essere abbondanti.
“Tutto procede per il meglio,
Milady!” –Esclamò il giovane, rivolgendosi alla fanciulla dai lunghi capelli
viola.
“Stai facendo un ottimo lavoro,
Cliff!” –Commentò Lady Isabel con un sorriso, prima di incamminarsi
verso Andromeda e Phoenix, in piedi sulla banchina, per scambiare
un ultimo saluto, mentre nuove casse venivano issate a bordo della Nike.
“Strano nome per una barca, non
trovi Andromeda?” –Esclamò Phoenix, voltandosi verso suo fratello, che ci pensò
un po’ su, prima di rispondere.
“No, in fondo!” –Sorrise
Andromeda. –“Nike ci ha sempre portato fortuna, e ci ha protetto fin
dall’inizio della nostra avventura! Meritava di essere ricordata anche lei!”
Lady Isabel si accostò ai due
fratelli, abbandonandosi a qualche raccomandazione nei confronti di Andromeda,
il quale, sebbene fosse cresciuto, era per lei sempre lo stesso ragazzo
sensibile che avrebbe preferito ferire se stesso piuttosto che un nemico.
“Porta i tuoi saluti a Nemes!”
–Esclamò la ragazza.
“Non mancherò!” –Sorrise lui,
prima di voltarsi verso il fratello ed abbracciarlo.
Aveva deciso di ritornare
sull’Isola di Andromeda, per prendersi cura di Nemes e per dirle quanto
l’amasse. E in cuor suo, per quanto in parte gli suonasse strano, avrebbe
voluto che anche Phoenix avesse qualcuno da cui tornare.
Sirio era partito prima di tutti, assieme a Cristal e
Fiore di Luna, diretto verso i Cinque Picchi, dove, grazie all’antidoto
consegnatogli da Mur, avrebbe estirpato quel che restava della rose di rabbia,
ponendo definitivamente fine a quella vicenda.
Il Cigno lo aveva accompagnato
dalla Grecia fino in Cina, che non aveva mai avuto occasione di visitare, prima
di proseguire per la Siberia, dove Jacob, Katia e gli altri abitanti lo
aspettavano presso il villaggio di Kobotec. E dove avrebbe potuto sedere alla
tomba del suo mentore, il Maestro dei Ghiacci, per ringraziarlo di averlo
avviato sulla strada che lo aveva condotto fin lì. E dove avrebbe pregato per
sua madre, rimirando le eterne superfici del mare ghiacciato ove riposava.
“Non tornerai ad Asgard?” –Gli
avevano chiesto Andromeda e gli altri, al momento di separarsi.
“Lo farò! Ma non adesso!” –Aveva
risposto Cristal. –“Voglio lasciare un po’ di tempo a Flare… per pensare a se
stessa… a cosa vuole realmente!”
Andromeda aveva sorriso,
riflettendo su quanto l’amico fosse cambiato, su quanto tutti fossero cambiati,
da quando si erano ritrovati, dopo sei anni di duro addestramento, intorno al
ring del Palazzo dei Tornei. Sembrava passata un’epoca, invece era soltanto l’anno
prima.
La voce di Cliff O’Kents
disturbò i pensieri di Andromeda, riportandolo sulla banchina, a salutare il
fratello che avrebbe accompagnato Atena sull’Isola del Riposo.
“Siamo pronti per partire!”
–Esclamò il giovane.
“Molto bene! Grazie Cliff!” –Annuì
la donna, prima di voltarsi verso Andromeda e abbracciarlo. In parte restia ad
abbandonare Nuova Luxor.
Phoenix e Andromeda si
scambiarono un breve cenno con lo sguardo, prima che il ragazzo dai capelli blu
si incamminasse, con le mani in tasca, lungo la passerella che conduceva sulla
Nike. Lady Isabel lo seguì poco dopo, fermandosi un attimo prima di salire a
bordo, quasi come aspettasse di vederlo arrivare di corsa, tra i capannoni del
porto, per darsi un ultimo saluto.
Ma non arrivò nessuno. E il
comignolo della nave sbuffò più volte, mentre Isabel poggiava il piede sul
ponte di comando, e la passerella alle sue spalle veniva ritirata. La nave
salpò all’istante, uscendo dal porto di Nuova Luxor, diretta verso l’Indocina,
alla nuova base petrolifera che Mr Newcomber vi aveva impiantato, e poi verso
il Mediterraneo.
Pegasus, seduto in cima al molo,
con Lamia e Patricia, la osservò scomparire in lontananza, abbandonandosi ad un
sospiro.
“A presto, Isabel!” –Mormorò.
–“Abbiamo ancora tante cose da dirci, molto di cui parlare!” –E ripensò a
quando, una decina di giorni prima, l’aveva aggredita alla Tredicesima Casa.
Ma, come Ioria gli aveva ricordato, la rosa di rabbia non aveva inventato
niente, limitandosi ad estremizzare sentimenti latenti nell’animo di ognuno. E
Pegasus sapeva cosa voleva dire. Ciò che aveva trovato il coraggio di ammettere
durante lo scontro con Orochi. L’amore che provava per lei. Per la sua Dea.
Un amore profano, un amore
disperato. Un amore umano.
Lo stesso amore che anche Asher
dell’Unicorno aveva accettato, ben sapendo che non vi era posto per lui. E
che Isabel lo avrebbe sempre visto come uno dei suoi più fedeli e cari
Cavalieri, ma niente di più. Quella consapevolezza, per quanto lo rattristasse
di frequente, aveva contribuito a farlo crescere e a farlo sentire meglio con
se stesso.
Unicorno rimase al Grande
Tempio, vivendo con i soldati semplici nelle residenze a loro assegnate e
allenandosi continuamente. Non più per compiacere la donna che per lui era
stata tutto. Ma per sé. Per migliorare ancora.
Si scontrava spesso con Tisifone
del Serpentario, nell’arena del Grande Tempio, in brevi ma intensi incontri
in cui la donna voleva saggiare le sue capacità difensive e aiutarlo a coprire
le sue mancanze, notando quanto il ragazzo fosse migliorato da quando avevano
combattuto assieme contro Sterope e Flegias, davanti alla Casa di Ariete.
Il Cavaliere di Libra aveva deciso di non tornare ai Cinque Picchi. Dopo due
secoli trascorsi seduto vicino a una cascata, voleva godersi quella vita che in
passato aveva dovuto sacrificare in nome di uno scopo più grande. Inoltre,
riteneva che Sirio avesse diritto a trascorrere del tempo con Fiore di Luna. Si
stabilì quindi alla Settima Casa, aiutando Ioria e Asher nell’opera di
ristrutturazione del Grande Tempio. E Mur e gli altri Cavalieri furono felici
di saperlo vicino.
Pavit ritornò ad Angkor assieme
a Tirtha, e il Cavaliere di Virgo andò per un breve tempo con loro, per
celebrare Dhaval e aiutare i discepoli a riparare i danni subiti dall’antico
santuario, decisi a preservarne lo splendore e il valore spirituale.
“Ciò che va fatto è meglio farlo
bene, perché non ci si penta!” –Esclamò il giovane dai capelli fulvi,
sorridendo al maestro, che colse subito la citazione di Buddha.
Ioria del Leone incontrò finalmente Reis di Lighthouse, la ragazza
dagli occhi blu che lo aveva ammaliato quindici anni prima, sotto il sole
d’Egitto. Una scottatura, come l’aveva definita, che non era mai guarita.
“Né voglio che guarisca!”
–Commentò, stringendola sulla riva del mare, in una piccola baia sull’Egeo.
Reis lo lasciò fare, felice per
essersi infine unita a lui, e lo baciò, mentre gli ultimi raggi del tramonto
greco sorridevano loro.
Gli stessi raggi che Castalia
dell’Aquila e Phantom dell’Eridano Celeste, seduti sotto un albero
ai piedi del Monte Olimpo, videro illuminare il gregge che Deucalione stava
conducendo all’ovile, dopo un’altra giornata di pascolo. Abbracciati,
finalmente insieme, mentre il vento della sera smuoveva l’erba e i fiori attorno,
il cui odore stuzzicò il naso della Sacerdotessa, priva ormai della maschera
che intrappolava la sua femminilità. E libera di guardare con i suoi occhi
l’uomo che amava.
Giorni prima Phantom aveva
seppellito il corpo di Teria nel campo dietro casa, dove Elena e Deucalione
avevano pianto per la figlia che non avevano mai conosciuto. La figlia che
sarebbe comunque rimasta nei loro cuori.
“Come non ho mai abbandonato la
speranza di ritrovarti in vita, non la abbandonerò adesso di ritrovarti in
morte!” –Aveva sospirato Phantom, sollevando poi lo sguardo verso la cima del
Monte Sacro.
Il cosmo di Zeus,
ripresosi grazie alle cure di Demetra e alle premure di Era e Ganimede, era
tornato a splendere come vivida fiamma, invadendo di nuovo l’intera collina e
permeandola di quell’infinita primavera che lasciava sempre a bocca aperta ogni
visitatore che vi si recava per la prima volta. In gran segreto, inoltre,
poiché Era paventava la possibilità di un’altra guerra, il Dio dell’Olimpo
aveva ordinato a Ermes di volare in Sicilia e chiedere a Efesto di mettersi al
lavoro quanto prima, nella ricostruita fornace che Tifone aveva distrutto al
momento della rinascita.
“Mio Padre si sta facendo
prudente! Preferisce fare buona scorta di armi e di fulmini!!” –Commentò l’operoso
Efesto.
“O si sta semplicemente
preparando all’ultima guerra?!” –Mormorò il Messaggero degli Dei, con un
sospiro, prima di volare via.
Marins aveva finalmente visitato il santuario del Sole d’Egitto,
camminando a braccetto con il possente Amon Ra, ben lieto di mostrargli lo
splendore dell’arte antica e offrirgli in seguito un sontuoso banchetto di
tipiche specialità locali, alla presenza di Osiride e dei soldati dell’Esercito
del Sole.
Febo li seguiva nei corridoi di Karnak, sorridendo alla vista del
padre, socievole e sereno, lo stesso di cui sua madre si era innamorata
millenni addietro. Iside era al suo fianco, protettiva nei suoi confronti
com’era stata fin da quando era nato, scortati a vista da Horus, il Dio del
Falco, che non perdeva occasione per chiedere a Febo di restare, di trattenersi
ancora in quella che era anche casa sua.
Febo cercava di evitare il
discorso, poiché sapeva che non era quello il suo destino. Non era quello il
luogo ove la sua storia avrebbe trovato conclusione.
Jonathan ritornò a Isla del Sol, sul lago Titicaca, con Andrei,
dopo una breve, e riservata, conversazione che quest’ultimo aveva avuto con
Avalon. Non seppe mai cosa si erano detti, ma era certo che riguardasse
l’ultimo Talismano. Quello che ancora mancava all’appello.
Il Comandante Ascanio,
rientrato in Inghilterra, stava osservando la cittadina di Glastonbury
sprofondare in un fresco tramonto settembrino. Dall’alto del Tor, proprio da
dove l’aveva guardata un’ultima volta mesi addietro, prima di partire per la
Grecia, dopo che Zeus aveva risvegliato la Legione Dormiente.
Ma quel giorno non era solo, ma
circondato da tanti compagni, amici con cui aveva condiviso la vita. Amici con
cui aveva seguito un percorso comune.
Adesso, di tutti loro, non era
rimasto niente. Uccisi dai berseker di Ares, schiacciati o inceneriti da
Tifone, massacrati dalle ombre e dai seguaci di Flegias, erano caduti per
difendere la Terra. Quella splendida verde terra che si apriva sotto di lui.
“Gwynn!” –Mormorò Ascanio,
ricordando l’amico che aveva personalmente addestrato. E sollevò un fiore di
biancospino, osservandolo volare via, perdersi nel vento della campagna inglese
e non tornare più.
Anche la sua vita, in fondo, era
cambiata. Per quanto questo non lo stupisse più di tanto, abituato a bruschi
cambiamenti di rotta. Capace, come lo aveva definito una volta l’Antico, di
seguire il vento.
Sospirando, Ascanio discese il
Tor sull’altro versante, addentrandosi nelle nebbie che invadevano perennemente
quella regione. Un territorio sacro, il cui accesso era celato ai più, e che
soltanto i druidi e le Sacerdotesse potevano percorrere senza timore. Un
percorso di silenzio che conduceva al lago.
Espanse il proprio cosmo,
entrando in sintonia con la natura che lo circondava e percependola, in un
istante solo, dentro di sé, con tutta l’ineffabile potenza di cui sapeva farsi
carico. Con tutto quel mistero che in quelle terre era racchiuso.
Una barca arrivò pochi istanti
dopo, ma così intensa era la concentrazione dell’uomo che non udì nemmeno il
rumore del remo che la spingeva. Vi montò sopra, ancora avvolto nei suoi
pensieri, ancora intento a nutrirsi dell’energia spirituale di quel luogo.
Soltanto quando scese dalla barca, mettendo piede sul pontile di legno
dell’isola, aprì nuovamente gli occhi, conscio di essere al di là delle nebbie.
Conscio di essere finalmente ad Avalon.
Si incamminò lungo il sentiero
che correva attorno al colle più alto dell’isola, il cui silenzio era rotto
soltanto dalle campane del Tor, che suonavano sull’altro lato del lago, retaggi
di un mondo che adesso appariva lontano, giungendo infine al tempio dove aveva
completato l’addestramento. Al tempio dove era stato iniziato ai misteri,
stipulando un patto con Avalon, simboleggiato dai serpenti intrecciati tatuati
sulle braccia.
“Benvenuto Ascanio Pendragon,
figlio dell’Isola Sacra, Cavaliere della Natura e Comandante dei Cavalieri
delle Stelle!” –Esclamò la voce del suo maestro, seduto su un trono di legno al
centro del modesto edificio, illuminato solo da candele sparse. –“Bentornato a
casa!” –Aggiunse, mentre Ascanio si inchinava in segno di rispetto.
“Sono lieto di rivedervi,
maestro!” –Commentò il giovane.
“La lontananza non lo ha reso
certo meno educato!” –Commentò allora il Primo Saggio, seduto in ombra sull’altro
lato della stanza.
“Ma ha aumentato il suo dolore!”
–Sentenziò Avalon, scrutando a fondo nell’animo di Ascanio. –“E forse anche il
mio!”
“La scoperta della Cintura
dell’Arcobaleno non può che giocare a nostro favore!” –Intervenne l’Antico.
–“Adesso conosciamo l’ubicazione di tutti i Talismani!”
“Di tutti?!” –Si stupì Ascanio.
–“Credevo ne mancasse ancora uno, il settimo!”
“Esso si trova al sicuro! Nel
luogo più sicuro dell’intera Terra!” –Rispose Avalon con voce ferma. –“Anche se
forse non è proprio il termine adatto per definirlo!” –E rise per la prima
volta, stupendo il figlio del Drago.
“Come valuti il loro operato?
Non credi che i Cavalieri delle Stelle si siano comportati bene?” –Chiese
l’Antico.
“Come prova generale non posso
che essere contento!” –Commentò Avalon, prima di mandare a chiamare alcune
sacerdotesse. Il suo allievo aveva bisogno di lavarsi e di curarsi, per essere
riposato e pronto per le battaglie future. Sospirò, mentre una raffica di vento
fece vibrare l’intera collina dell’Isola Sacra, avvolgendola per un attimo
sotto un manto di gelo.
Un vento che veniva da
settentrione e che anticipava l’arrivo dell’inverno.
Capitolo 44 *** Schede tecniche Cavalieri di Atena e Cavalieri delle Stelle ***
IL MAESTRO DI OMBRE – Schede tecniche
IL MAESTRO DI OMBRE – Schede tecniche
Cavalieri di Atena e Cavalieri delle Stelle
CAVALIERI DI BRONZO:
Pegasus:
Pegasus sta crescendo, e sta
finalmente trovando il coraggio di ammettere a se stesso qualcosa che provava
da tempo, ma che il suo senso dell’onore gli avevano fatto mettere da parte. L’amore
per Isabel. Per la sua Dea.
Costretto dalla rosa di
rabbia a tirare fuori le sue vere emozioni, Pegasus cerca di trovare la forza
in questa consapevolezza. Affronta Ioria alla Tredicesima Casa, giungendo quasi
ad ucciderlo, e poi conduce uno splendido scontro con Orochi, il più forte tra
i Capitani dell’Ombra. Sull’isola maledetta guida i compagni nello scontro
finale con Flegias, determinato a porre fine alla minaccia rappresentata dal
figlio di Ares, ulteriormente motivato dall’aver scoperto la sorte del
Cavaliere di Gemini, da Flegias manovrato segretamente.
(Colpi segreti: Fulmine
di Pegasus, Spirale di Pegasus, Cometa Lucente, Quadrato di Pegasus)
Andromeda:
Come Pegasus, anche
Andromeda cresce e trova la forza di ammettere quello che prova per Nemes, a
cui si è unito nei giorni precedenti la battaglia finale contro Flegias.
Richiamato dal Grande Mur dell’Ariete, in quanto l’unico a risentire in minima
misura degli effetti della rosa di rabbia, Andromeda viene inviato in missione
nelle Andamane con Kiki, dove affronta prima Biliku, e poi due Capitani
dell’Ombra, Iaculo e Iemisch, stabilendo con il secondo uno strano rapporto di
stima.
Aiutato dai discepoli di
Virgo, Andromeda assiste al ritorno alla vita del Cavaliere della Sesta Casa,
prima di tornare al Grande Tempio e sentirsi fiacco e debole, a causa della
ferita di Biliku. Andromeda scopre di disporre di limitati poteri sensitivi,
che gli permettono di vedere cose anche lontane, nel tempo e nello spazio.
Questo lo porta sull’Isola di Andromeda, ad affrontare Sakis del Quadrante
Oscuro e a salvare Nemes. Il gesto finale di Sakis, con cui disegna una omega,
gli fa presagire qualcosa di terribile all’orizzonte.
(Colpi segreti: Catena di
Andromeda, Onde del Tuono, Nebulosa di Andromeda, Onda energetica, Melodia
scintillante di Andromeda)
Sirio il Dragone:
Sirio è inizialmente vittima
della rosa di rabbia e costretto ad affrontare il suo stesso maestro, Libra, ai
Cinque Picchi, per difendere Fiore di Luna dalle offese dell’uomo. Grazie
all’intervento di Ascanio, la calma ritorna a impossessarsi di lui e il ragazzo
si reca ad Atene con Libra. Là affronterà il grande drago Orochi, assieme a
Cristal, prima di raggiungere l’Isola delle Ombre e combattere con Iemisch, il
Capitano dell’Ombra affrontato da Andromeda in Indocina.
Nel finale Sirio ritorna ai
Cinque Picchi, dove può finalmente, dopo mesi di peripezie, concedersi un
momento per se stesso e per Fiore di Luna. Un momento per loro.
(Colpi segreti: Colpo
segreto del Drago Nascente, Colpo del Drago Volante, Colpo dei Cento Draghi,
Excalibur, Fuoco del Dragone, Acque della Cascata).
Cristal il Cigno:
Cristal è innamorato di
Flare, l’unica ragazza che abbia saputo sciogliere il suo freddo cuore. Ma al
tempo stesso è consapevole del fragile equilibrio su cui si basa la loro
relazione, essendo la ragazza ancora emotivamente coinvolta nella morte di
Artax. Combatte contro il Capitano dell’Ombra, Lyviatan, incaricato di
distruggere Asgard, e con l’aiuto del Principe Alexer riesce a respingere la
minaccia del Leviatano, distruggendo Gramr, la spada che Orion gli aveva
donato.
Scopre notizie interessanti
sul passato del Maestro dei Ghiacci e di Acquarius, prima di tornare in Grecia
e combattere contro il grande drago Orochi a fianco di Sirio. Sull’Isola delle Ombre
unirà infine il proprio potere a quello dei compagni per risolvere
definitivamente il problema Flegias.
(Colpi segreti: Polvere di
Diamanti, Aurora del Nord/Vortice fulminante dell’Aurora, Sacro Acquarius,
Anelli di Ghiaccio, Spada di Ghiaccio)
Phoenix:
Il Cavaliere di Phoenix,
dopo ogni battaglia, si ritira sull’Isola del Riposo, per riparare la propria
corazza nel fuoco di Kabir. Approfitta del soggiorno per far visita a Elena,
nipote del vecchio che tardò a salvare quel giorno, quando affrontò Loto e
Pavone. Proprio sull’Isola del Riposo Phoenix è costretto a combattere contro
un altro discepolo di Virgo, Arne dello Scettro di Brandeburgo, vincendolo.
Si reca quindi ad Angkor,
per aiutare Andromeda, che in realtà se l’è cavata bene anche senza di lui, e
scopre con piacere che Virgo è ancora vivo. Preoccupato per le sorti del
fratello, che non vuole farsi curare la ferita di Biliku, Phoenix si unisce a
Pegasus e agli altri negli scontri sull’Isola delle Ombre, dove affronta il
Licantropo, vincendolo, anche grazie all’aiuto di Ippolita che sente sempre
dentro di sé.
Phoenix rivede anche
Pentesilea, nuova Regina delle Amazzoni, aiutandole contro i lupi mannari,
prima di unire il cosmo a quello dei compagni e vincere Flegias.
(Colpi segreti: Ali della
Fenice, Piume della Fenice, Pugno infuocato, Fantasma diabolico, Volo
dell’Araba Fenice).
Asher dell’Unicorno:
Asher è il primo Cavaliere
ad essere infettato dalla rosa di rabbia, su suggerimento del suo vecchio
compagno d’addestramento Lothar, che credeva fosse un debole e un fallito.
Diventato molto amico di Ioria, Asher trascorre del tempo con il Cavaliere di
Leo, a cui crede di somigliare molto.
Dopo la convalescenza, si
unisce ai compagni per lottare contro le ombre, sia al Grande Tempio che
sull’isola maledetta, dove sconfigge Lothar.
Nemes viene sconfitta
brutalmente da Sakis del Quadrante Oscuro, che sfregia il suo volto
guardandola. Legata con catene oscure, che le sottraggono il cosmo, agli scogli
dove Andromeda affrontò il rituale per ottenere l’investitura, la Sacerdotessa
viene infine salvata dal ragazzo, a cui dichiara tutto il suo amore.
CAVALIERI D’ARGENTO:
Castalia dell’Aquila:
Castalia è inizialmente
vittima della rosa di rabbia, che la porta a scontrarsi con Tisifone, ferendosi
entrambe. Nel cuore è infatti ancora confusa, ancora incerta sulla strada da
seguire: se il passato, rappresentato da Ioria, o il futuro, rappresentato da
Phantom. Sarà la voglia di vivere, e di andare avanti, a spingerla verso il
Luogotenente dell’Olimpo.
Tisifone affronta Borneo
della Tartaruga, un bizzarro Cavaliere Nero che le sbarra la strada sull’Isola
delle Ombre. Per quanto consapevole che Pegasus non la amerà mai, tuttavia non
è disposta a lasciarsi andare. Non è disposta a cedere. E, come Asher ha
trovato la forza per andare avanti, anche senza Isabel, altrettanto decide di
fare anche lei.
(Colpi segreti: Cobra
incantatore, Artigli del Cobra)
CAVALIERI D’ORO:
Il Grande Mur dell’Ariete:
Il Grande Mur scopre
inizialmente i venefici effetti della rosa di rabbia, pregando Andromeda e Kiki
di recuperare il sangue di Biliku. Accompagna Atena sull’Olimpo, dove affronta
Ampelo del Vendemmiatore, mettendo fine all’avvelenamento di Zeus. Si riunisce
in seguito ai compagni sull’Isola delle Ombre, per la battaglia finale.
(Colpi segreti: Stardust
revolution, Onda di luce stellare, Muro di Cristallo, Ragnatela di Cristallo)
Ioria del Leone:
Ardito e coraggioso, Ioria
affronta i fantasmi del suo passato che si presentano sia sotto forma del suo
vecchio allievo, Siderius della Supernova Oscura, sia sotto forma di peccati a
cui, secondo Lothar del Sudario di Cristo, il ragazzo si è abbandonato. Ma lo
fa a testa alta, senza vergogna, con la determinazione di andare avanti, e
vivere anche per Micene, John Black e tutti quelli che gli hanno insegnato
qualcosa.
Libra si scontra ai Cinque
Picchi con Sirio, a causa dell’effetto della rosa di rabbia, ma viene
fortunatamente ricondotto alla ragione dall’intervento di Ascanio, il suo
vecchio allievo. Rientrato ad Atena, affianca Ioria e Virgo nella guerra contro
le ombre, scontrandosi in seguito con Avel delle Spade Incrociate. Capisce
subito il significato dei serpenti tatuati sulle braccia di Ascanio e teme per
il destino del ragazzo.
(Colpi segreti: Colpo del
Drago Nascente, Colpo dei Cento Draghi, Sacro Libra)
Shaka di Virgo:
Miracolosamente ancora vivo,
grazie all’intervento dei discepoli che lui stesso in passato aveva snobbato,
giudicandoli poco degni, il Cavaliere di Virgo interverrà per aiutare Andromeda
contro Iemisch. Quindi si unirà a Ioria per affrontare le ombre, sia al Grande
Tempio che sull’isola di Flegias, deciso a salvare Tirtha, unica allieva
rimastagli assieme a Pavit.
Figlio di una Sacerdotessa
del Tempio di Inti, a Isla del Sol, Jonathan ha assistito al massacro della sua
famiglia e del suo popolo, operato da Flegias e dai suoi oscuri seguaci, quasi
venti anni fa. Fu salvato da Avalon, che gli apparve avvolto nella luce, quasi
fosse un angelo, e condotto sull’Isola Sacra, dove fu iniziato ai misteri e al
cosmo. Crescendo, risvegliò il Talismano custodito dentro di sé, lo Scettro
d’Oro, un tramite tra il Sole e la Luna. Il suo maestro fu Andrei, che lo
addestrò sulle rive del lago Titicaca.
Combatte contro Bode del
Monte Menalo e Gienah della Croce di Sant’Elena a Smirne, prima di venire
affiancato da Andrei e lottare contro le ombre.
(Colpi segreti: Scettro
d’Oro, Luce dello Scettro, Aberrazione della luce, Cometa d’Oro, Sciame di
Comete)
Reis di Lighthouse, Cavaliere di Luce, Custode della Spada di
Luce:
Reis è allieva di Avalon, la
stessa ragazza frizzante che aveva aiutato Ioria quindici anni addietro sotto
il sole d’Egitto. Ancora eccitata da quell’incontro, cerca comunque di mettere
il dovere di Cavaliere delle Stelle prima dei suoi piaceri e tiene testa alle
ombre a Smirne e poi in Tracia, unendo il suo cosmo a quello degli altri
custodi dei Talismani.
Nel finale, finalmente potrà
unirsi a Ioria. Momento che a lungo aveva atteso.
(Colpi segreti: Spada di
Luce, Flashing sword, Cascata di luce).
Marins, Cavaliere dei Mari, Custode del
Tridente dei Mari Azzurri:
Un americano innamorato del
baseball, allenato da Yogi Berra, e attratto dal mare. Marins stipula uno
splendido rapporto di amicizia con Febo, che si concretizza nelle varie
missioni che sempre compiono insieme. Come quella a Creta, che vede entrambi
fronteggiare il Maestro di Ombre.
Sconfigge Dario del Fiume Tigri e assiste al ricongiungersi di Febo con
il padre, il sommo Amon Ra, prima di liberare il potere del Talismano dei Mari
Azzurri e contribuire alla sconfitta di Flegias.
(Colpi segreti: Maremoto
dei Mari Azzurri, Tridente dei Mari Azzurri, Barriera corallina)
Febo, Cavaliere del Sole, Custode dello Specchio del
Sole:
Figlio di Amon Ra e di una
Sacerdotessa di Apollo, Febo possiede sangue reale e un portamento fiero, oltre
che un grande senso dell’onore. Trova in Marins un grandissimo amico, il
migliore, a fianco del quale combattere e morire. Riesce a distruggere la Spada
Infuocata di Flegias, sia pur rischiando di morire, ferito dalla stessa. Viene
salvato da Amon Ra, prima di unire il suo cosmo a quello dei compagni e
contribuire alla sconfitta dell’ombra.
(Colpi segreti: Bomba del
Sole, Raggi gamma, Specchio del Sole)
Matthew, Cavaliere dell’Arcobaleno:
Allievo di Gemini, pur senza
aver mai completato l’addestramento, Matthew nasconde in sé uno dei Talismani,
la Cintura dell’Arcobaleno, che risveglia sull’Olimpo, affrontando lo spirito
infuocato di Flegias, determinato a onorare Miha, la donna che gli aveva
permesso di ritrovare se stesso.
In seguito sarà condotto ad
Avalon, dove sarà addestrato in maniera intensiva e dove verrà informato del
ruolo dei Cavalieri delle Stelle.
Phantom è sempre mosso da
nobili ideali, deciso soprattutto a vendicare Giasone e gli altri Cavalieri Celesti
morti a causa del figlio di Ares. Viene quasi ucciso dalla violenza di Siderius
della Supernova Oscura, salvandosi grazie al Talismano di Demetra e
all’intervento di Ascanio.
Sull’Olimpo ritrova Teria,
la sorella perduta anni addietro, divenuta adesso un Capitano dell’Ombra, e
cerca di estirpare l’oscurità dal suo animo, fallendo. In seguito, dopo il
risveglio di Zeus, raggiunge l’isola maledetta, per unire le sue forze a quelle
dei Cavalieri di Atena contro Flegias.
Nel finale ritorna alla sua
casa ai piedi dell’Olimpo, seppellendo Teria, assieme ai suoi genitori, e
abbracciando serenamente Castalia.
Triste sorte quella
dell’antico Argonauta, catturato da Flegias durante la prima incursione dei
Cavalieri Celesti sull’Isola delle Ombre. Avvolto in un turbinare continuo di
tenebra, Giasone continua ad attendere, continua a sperare. E quando le sue
preghiere sono esaudite, e ha modo di rivedere un’ultima volta i compagni, si
fa esplodere all’interno del signore di ombre, danneggiandolo parzialmente, e
dando l’ultimo addio a Zeus e ai Cavalieri suoi compagni.
(Colpi segreti: Scudo
della Colchide)
Ganimede della Coppa Celeste:
Il Coppiere degli Dei soffre
per la scomparsa di Giasone, e Ampelo approfitta di questo rancore per entrare
dentro di lui, trovando un cuore agitato e una mente facilmente controllabile.
Liberato da Mur, Ganimede trascorre ore in convalescenza, dove Giasone gli
appare un’ultima volta, per salutarlo.
Ascanio Pendragon:
Il Comandante della Legione
Nascosta diventa in questo capitolo della “Trilogia di Flegias” il
Comandante dei Cavalieri delle Stelle, anche se mai lo vediamo assieme ai suoi
sottoposti. Il ruolo di Ascanio nella storia si fa sempre più pressante,
soprattutto per la natura dualistica della sua formazione. Greca, da un lato, e
celtica, dall’altro. Un conflitto che Ascanio sente sempre di più dentro di sé,
per quanto non abbia dubbi a fianco di chi si schiererà.
Sconfigge Menas in un breve
duello, prima di liberare Sirio e Libra dagli effetti della rosa di rabbia.
Corre in aiuto di Phantom sull’Isola delle Ombre, ma arriva in ritardo per
salvare Gwynn, che muore tra le sue braccia. Combatte contro Teria sull’Olimpo,
prima di raggiungere Pegasus e gli altri sull’Isola delle Ombre, dove, ben lo
sa, il suo maestro intendeva sferrare l’ultimo attacco a Flegias.
(Colpi segreti: Metempsicosi,
Attacco del Drago di Sangue, Attacco del Drago Bianco)
Gwynn del Biancospino:
Amico di Ascanio, da lui
addestrato e condotto a Glastonbury, Gwynn viene massacrato dal Licantropo
sull’Isola delle Ombre. Per quanto debole e ferito, il ragazzo continua a
lottare e morirà tra le braccia del Comandante della Legione Nascosta, che
tanto aveva ammirato.
(Colpi segreti: Mimesis,
Biancospino di Glastonbury)
DIVINITÀ:
Zeus, Dio supremo dell’Olimpo:
Zeus è malato. Intrappolato da
Lamia in una prigione di favole, e avvelenato da Ampelo con un veleno
procuratogli da Flegias, Zeus trascorre giorni difficili, ma viene salvato
dall’intervento congiunto di Atena e di Avalon, che riaccendono la fiamma della
vita nel suo cuore.
Tra i ricordi che Lamia gli
ha portato via, ve n’è uno che turba particolarmente il giovane Ascanio. Lo
stesso di cui Avalon molto gli aveva parlato. L’ultima guerra che i Cavalieri
un giorno dovranno combattere. E che Zeus ben sa.
Era, Signora degli Dei:
Come il fratello e sposo,
Era viene avvelenata da Ampelo e Lamia, seppur in maniera meno grave, riuscendo
a rimettersi. Guarita, si augura che le guerre siano finite e gli Dei e gli
uomini possano vivere in pace. Ma non è così.
Ermes, Messaggero degli Dei:
Ermes inizialmente è sulle
tracce di Flegias e lo affronta brevemente, assieme a Phantom e a Giasone
sull’Isola delle Ombre, costretto a ripiegare dalla furia del figlio di Ares.
Sull’Olimpo, cerca di aiutare Zeus, la cui improvvisa malattia ha preso tutti
di sorpresa, prima di scendere sulla Terra per parlare con Atena.
Disperato per le morti di Artemide e dei Cavalieri
Celesti, Ermes fa ritorno sull’Olimpo, dove viene ferito a tradimento da
Ampelo. Ripresosi, viene curato da Demetra, e nel finale viene inviato da Zeus
in Sicilia per chiedere a Efesto nuove armi per la prossima guerra. L’ultima.
(Colpi segreti: Caduceo)
Atena, Dea della Giustizia:
Atena continua la sua missione di protezione verso gli uomini,
mostrando sempre il lato umano che la contraddistingue. Cerca infatti, se
possibile, di limitare i danni e si rifiuta di far male a Pegasus e a Ioria,
quando i due la attaccano sotto effetto della rosa di rabbia. Parla con Ermes,
e poi con il Primo Saggio, ricordando le battaglie di secoli addietro a fianco
di Avalon.
Decide quindi di recarsi
sull’Olimpo, arrivando in tempo per salvare Zeus dai veleni dell’ombra. Spera
sempre di poter parlare con Pegasus, di poter avere un momento per incontrarsi
con lui. Anche se, in fondo al cuore, non ha ancora capito cosa vorrebbe
dirgli. Forse niente, forse tutto.
Asclepio, Dio della Medicina:
Il figlio di Coronide,
l’unica figlia di Flegias, da Apollo sedotta e uccisa, viene massacrato
brutalmente dal Maestro di Ombre, sia per cancellare ogni traccia di quel
disonore, sia per impedirgli di prestare aiuto a Zeus e ai Cavalieri di Atena.
Artemide, Dea della Caccia:
Bellicosa e combattiva, Artemide
accompagna Phantom e i Cavalieri Celesti sull’Isola delle Ombre, dove trova la
morta per mano di Flegias. In seguito, prigioniera di un limbo senza fine, ove
ritrova Morfeo e le altre Divinità cadute in precedenza, sostiene Tisifone in
combattimento, ritrovando in lei una parte di sé.
(Colpi segreti: Dardo di
Artemide, Spiriti della Foresta, Dardi di luce)
Demetra, Dea delle Messi e delle Coltivazioni:
Demetra non ama combattere e
preferisce stare nelle retrovie, usando i suoi poteri per aiutare i Cavalieri,
soprattutto Phantom, a cui molto è legata.
Euro, Vento dell’Est:
Ultimo figlio di Eos ancora
vivo, Euro interviene in aiuto di Pegasus e dei Cavalieri di Atena,
accompagnandoli sull’Isola delle Ombre, in volo, grazie a delle correnti
d’aria. Schivo verso la guerra, non può rifiutarsi però di correre in aiuto del
suo Signore Zeus, la cui salute era stata gravemente compromessa da Flegias. In
cuor suo, anche se non vuole ammetterlo, Euro sa che prima o poi dovrà
combattere la battaglia finale.
ASGARD:
Ilda di Polaris, Celebrante di Odino:
Ilda è preoccupata, in ansia
per le sorti di Asgard e del mondo. Trascorre le giornate chiusa a studiare, a
consultare antichi libri, e a pregare Odino sul promontorio ghiacciato, in
cerca di risposte che confermino o smentiscano la sua tesi. Ilda sa che
l’inverno sta arrivando. L’ultimo inverno è vicino.
Flare di Polaris, Principessa di Asgard:
La sorella di Ilda è
combattuta, tra l’amore per Cristal e il ricordo di Artax, incapace di
ammettere se in quella caverna ha perso solo un amico o qualcosa di più.
Assiste allo scontro di Cristal con il Capitano dell’Ombra, venendo ferita e
condotta poi al Palazzo di Asgard dai compagni di Bard, dove continua a pregare
per la pace.
Bard, l’arciere:
Allievo di Orion, guida i
giovani apprendisti Cavalieri di Asgard. Orfano, vive nei boschi fuori dalla
Cittadella, dove si allena con i compagni. È un abile arciere e interviene in
aiuto di Cristal contro il Capitano dell’Ombra, e poi contro il Leviatano.
ALTRI PERSONAGGI:
L’Antico:
Il Primo di tutti i Saggi,
il cui nome si è perso nella storia, capo della gilda di druidi che nominò
Avalon Signore dell’Isola Sacra. È il fratello di Galen, il custode della
Biblioteca di Alessandria ucciso da Flegias quindici anni addietro. Nonostante
la sua tarda età, e la stanchezza crescente, dovuta in parte all’ombra che ha
ricoperto il mondo, l’Antico esplica efficientemente le sue funzioni di
messaggero e consigliere di Avalon.
Avalon, Signore dell’Isola Sacra:
Definito dal Maestro di
Ombre “grande tessitore” o “abile burattinaio”, Avalon è la nemesi di Flegias,
il suo principale antagonista. Entrambi candidati a guidare l’Isola Sacra,
Avalon venne giudicato idoneo, sia per i suoi poteri, sia per la consapevolezza
con la quale avrebbe, come infatti ha, esercitato il suo ruolo. Per Avalon (la
sua terra) sacrificherebbe tutto, come è nel suo compito di garante
dell’equilibrio. Si serve degli altri, non per fini di guerra, ma in vista del
futuro.
Andrei:
Maestro di Jonathan e
signore del fuoco, Andrei obbedisce agli ordini di Avalon, anche se spesso non
li approva. Di carattere sveglio e combattivo, vorrebbe essere sempre in prima
fila, a lottare contro il nemico, anziché nascondersi dietro piani e strategie.
(Colpi segreti: Aurora
infuocata)
Alexer:
Maestro di Acquarius, Alexer
è uno dei Quattro. Legato segretamente ad Avalon, che lo inviò secoli addietro
al nord per controllare la situazione, il Principe regna su una Valle di
Cristallo, intervenendo nuovamente in aiuto di Cristal, come già aveva fatto
contro Enio.
(Colpi segreti: Fulmini
siderali)
Patricia:
La sorella di Pegasus
continua a vivere con lui alla Darsena.
Syria delle Sirene:
L’ultimo Generale degli
Abissi muore ucciso da Flegias e il suo sangue servirà ad Athanor per
potenziare le Armature Nere dei Cavalieri delle costellazioni dimenticate.
Fiore di Luna:
Fiore di Luna è inizialmente
vittima degli effetti della rosa di rabbia, scontrandosi con Sirio e
soprattutto con Libra. In seguito viene condotta al Grande Tempio, dove viene affidata
alla protezione di Kiki. Tornerà, dopo la sconfitta di Flegias, ai Cinque
Picchi con l’amato Sirio.
Kiki:
Il fratello di Mur sta
decisamente crescendo, sia come poteri, che come consapevolezza di sé. Sta
diventando un giovane guerriero che non esita a lanciarsi in prima fila per
Atena e per i suoi compagni. Sostenuto sempre da Mur e dalla madre, Kiki
accompagna Andromeda nelle Andamane, e poi sull’Isola di Andromeda, dove libera
Nemes dalla prigionia delle catene oscure.
Dhaval, il Puro:
Discepolo di Virgo. Il più
potente e il più saggio tra i tre che ancora vivono ad Angkor, ma anche il più
chiuso. Deluso dal tradimento di Arne, e incapace di comprendere la filosofia
di Virgo, Dhaval non crede più in Atena né nel futuro. Usa i poteri per aiutare
la povera gente della Cambogia a vivere, sperando di fare loro del bene. Morirà
tenendo fede ai propri ideali, salvando Virgo.
Pavit, il Devoto:
Discepolo di Virgo, dai
capelli fulvi e l’aria sbarazzina. Pavit è il più infantile tra i tre allievi,
ma quello che maggiormente crede nella vita e nel futuro. Innamorato di Tirtha,
non esita a scendere nelle profondità dell’Isola delle Ombre per liberarla.
Tirtha, la Pellegrina:
L’unica donna rimasta viva
dei discepoli di Virgo, Tirtha cerca di mediare tra il conservatorismo di
Dhaval e la voglia di aperture di Pavit. Viene sconfitta ad Angkor e trascinata
via, sull’Isola delle Ombre, dove Flegias la imprigiona in una gabbia di
oscurità, che si ciberà del suo cuore, spingendola ad attaccare persino Pavit e
Virgo. Solo l’amore di Pavit per lei la libererà.
Arnav e Mahendra:
Discepoli di Virgo. Morirono
durante l’attacco di Flegias ad Angkor, arsi vivi dalle fiamme del Flagello
degli Uomini.
Miha:
Ragazza amata da Matthew, da
lui incontrata in un porto ad Atene e che risvegliò in lui il desiderio di
essere Cavaliere di Atena. Viene uccisa dalle frustate di Bahrein e dalla
debolezza della schiavitù nei sotterranei dell’Isola delle Ombre.
Amazzoni:
Il popolo di donne guerriero
attacca l’Isola delle Ombre, per vendicare la Regina Ippolita, morta durante la
guerra al Grande Tempio occupato da Ares, e lo sfregio subito al Tempio delle
Amazzoni, sulle rive del fiume Termodonte.
Pentesilea è la nuova
Regina, molto radicata alle tradizioni e, per quanto amasse Ippolita, non
capisce come abbia potuto sacrificarsi per un uomo. Guardando Phoenix in azione
però dovrà ricredersi su di lui.
Capitolo 46 *** Schede tecniche dell'Esercito delle Ombre e delle creature leggendarie ***
Il Maestro di Ombre – Schede Tecniche Esercito delle Ombre e creature
leggendarie
Il
Maestro di Ombre – Schede Tecniche Esercito delle Ombre e creature leggendarie
ESERCITO DELLE OMBRE:
Flegias, Figlio di Ares, Flagello di Uomini e Dei, Rosso
Fuoco, Maestro di Ombre:
In quest’ultimo capitolo
della “Trilogia di Flegias”, emerge finalmente il piano finale
dell’araldo dell’ombra: coprire il mondo con una nuova oscurità. Grazie al
potere della Pietra Nera, che gli fu donata millenni addietro, mentre il suo
spirito vagava in un limbo infinito dopo essere stato ucciso da Zeus, Flegias
organizza un Esercito di Ombre e di Cavalieri Neri, lanciandoli contro
l’umanità.
Non fidandosi
particolarmente di nessuno, vedendo nei suoi servitori solo meri strumenti per
arrivare alla vittoria finale, spesso Flegias preferisce intervenire
personalmente, affrontando per esempio Artemide sull’Isola delle Ombre, o
Marins e Febo a Creta. Nel finale si ritrova faccia a faccia con Avalon, la sua
nemesi, colui che lo aveva cacciato dall’Isola Sacra secoli addietro, vedendo
in lui soltanto un demone interessato a carpire ancestrali segreti, per usarli
a suo piacimento.
Viene sconfitto dai colpi
uniti di Pegasus, Cristal, Sirio, Andromeda e Phoenix, perdendo la sua forma
umana e tramutandosi in un nero spirito, che esplode al contatto con il caldo
cosmo di Avalon.
(Colpi segreti: Apocalisse
Divina, Spada Infuocata, Maestria di Ombre, Rapsodia di Demoni)
Athanor, ultimo alchimista della Regina Nera:
Salvato anni addietro
dall’inferno della Regina Nera, durante un viaggio che Flegias e Issione
compirono, Athanor utilizza le antiche sapienze degli alchimisti per creare le
corazze per l’esercito delle Ombre: sette di grado maggiore, per cui usa il
sangue di Asclepio e di Sirya della Sirena, e altre di grado minore, potenziate
dall’Ichor di Artemide e dal sangue dei Cavalieri Celesti.
Viscido e servile, non ha mai
il coraggio di opporsi a Flegias, continuando a obbedire ai suoi ordini, fino a
creare la corona nera per il Maestro di Ombre, terminando con questo gesto la
sua utilità e venendo quindi ucciso.
I SETTE CAPITANI DELL’OMBRA:
Orochi:
Il più forte dei sette
Capitani dell’Ombra, addestrato personalmente da Flegias, anche con la speranza
di ricevere la Spada del Paradiso, il massimo onore per un guerriero, come
Orochi si considerava. Forte, deciso, sicuro di sé, Orochi non mostra alcuna
esitazione, restando impassibile di fronte ad ogni decisione del Maestro di
Ombre, che sempre esegue con la massima solerzia.
Flegias gli affida
l’incarico di eliminare i Cavalieri Divini ed egli si reca al Grande Tempio,
dove inizia un violento scontro con Pegasus, in cui entrambi danno il meglio di
loro stessi. In Pegasus, Orochi vede la battaglia che aveva sempre sognato,
l’avversario che potesse davvero metterlo in crisi. Morirà soddisfatto di aver
trovato quello che cercava e di aver potuto impugnare, anche se solo per una
volta, Kusanagi.
(Colpi segreti: Pugno del
Drago, Alito del Drago, Spada del Paradiso)
Iemisch, la tigre d’acqua:
Determinato a occupare il
grado di Comandante dei sette Capitani dell’Ombra, Iemisch è il soldato
perfetto dell’Esercito di Flegias. Potente e distruttivo, preciso nel colpire
ma anche acuto e intelligente, e dotato di un grande senso dell’onore, che gli
deriva non dal riconoscere ai suoi avversari il rango di difensori della
giustizia, ma dal considerarli, come qualsiasi nemico abbia affrontato in
passato, delle prede. Degli animali da cacciare in un gioco che è anche una
processione di sensi.
Affronta Andromeda nelle
Andamane e ad Angkor, commettendo però l’errore di lasciare ampio margine
d’azione a Dhaval, che resuscita Virgo, venendo per questo punito dal Maestro
di Ombre. Sull’Isola di Flegias combatte infine contro Sirio, venendo
sconfitto.
(Colpi segreti: Fiera di
sangue, Fiera maestosa)
Iaculo, il serpente giavellotto:
Stupido e con poco cervello,
Iaculo è un guerriero che combatte per il piacere di lottare, per il gusto di
spargere sangue. Di forza inferiore a quella di un Cavaliere d’Oro, Iaculo
sfrutta la particolarità del suo attacco e del suo sistema difensivo, che
spesso prendono l’avversario di sorpresa. Ma in uno scontro diretto, sul piano
fisico, per quanto sia scattante, ha scarse probabilità di vittoria.
Poco stratega e molto
attaccabrighe, Iaculo pensa soltanto ad eseguire gli ordini di Flegias.
Affronta Andromeda e i tre discepoli di Virgo, sull’Isola delle Andamane,
venendo da loro ucciso.
(Colpi segreti: Concatenazione)
Lamia, la rapitrice di sogni:
Il suo vero nome è Teria,
sorella di Nikolaos, ovvero Phantom dell’Eridano Celeste. Nata da Elena dopo un
parto difficile, ha covato per anni la sensazione di non essere gradita. Di non
essere voluta. E ha lasciato che l’odio divorasse il suo cuore, spingendola ad
abbandonare la sua famiglia.
Trovata da Flegias, attratto
dal rancore di cui il suo cuore si era cibato, l’aveva addestrata alla sottile
arte dell’inganno, eleggendola unica donna tra i Capitani dell’Ombra. Grazie ai
suoi poteri che le permettevano di cambiare forma, aveva assunto la falsa
identità di un’ancella di Zeus, avvelenando quotidianamente il Dio del Fulmine,
avvolgendolo con un sinfonia di favole che gli aveva permesso di scavare nei
suoi ricordi. Là aveva appreso qualcosa di terribile, qualcosa che persino
Flegias le aveva tenuto nascosta. L’identità di colui che così tanto aveva
potenziato il figlio di Ares. Ma tale segreto morì con Lamia, uccisa da Ascanio
all’esterno del Tempio della Medicina, dopo il fallito tentativo di Phantom di
ritrovare la perduta sorella.
(Colpi segreti: Sinfonia
di Favole, Falene energetiche)
Licantropo, l’uomo-lupo:
Uno degli esperimenti che
Anhar e Seth condussero quindici anni addietro, nei sotterranei della Piramide
Nera di Tebe, incrociando lupi con un uomini, al fine di creare i soldati
perfetti. Delle bestie assassine, dotate di un minimo raziocinio, quel tanto
che bastava per ottenerne la fedeltà.
Richiamato da Flegias dopo
quindici anni trascorsi nelle profondità di Tebe, il Licantropo ha guidato i
suoi cloni contro Karnak, ma Amon Ra, avvertito da Avalon di stare in guardia,
aveva nel frattempo riorganizzato l’Esercito del Sole, sconfiggendo i lupi
mannari. Con la coda tra le gambe, il Licantropo era rientrato sull’Isola delle
Ombre, dove aveva guidato i mannari superstiti contro le Amazzoni, prima di
morire per mano di Phoenix.
(Colpi segreti: Unghioni
di energia, Luna Piena, Luna calante)
Lyviatan, la bestialità:
Fratello di Dimitri, il vero
Generali degli Abissi destinato a prendere il posto di Kanon come Dragone del
Mare, non si è mai liberato dall’ossessione del fratello, e dall’odio verso i
Cavalieri di Atena. Un gran guerriero, con ottime potenzialità, vittima di
emozioni che non è stato in grado di controllare.
Si reca ad Asgard, per
ordine di Flegias, col compito di uccidere Ilda e Flare mentre il Leviatano
distrugge la città, ma incontra Cristal, iniziando a guerreggiare con lui, e
venendo da lui sconfitto.
(Colpi segreti: Marosi
oscuri)
Siderius, della Supernova Oscura:
Allievo di Ioria, che il
Cavaliere di Leo non ha mai seguito con costanza, a causa dei suoi continui
impegni fuori Atene, e dei suoi presentimenti verso il ragazzo, che gli hanno
precluso l’insegnamento del suo colpo massimo, il Photon Burst, che Ioria aveva
pensato per proteggere, non per offendere.
Massacra Phantom
dell’Eridano sull’Isola delle Ombre, prima di dirigersi da solo ad Atene, dove
combatte con Ioria, esternando tutto il rancore che provava per lui. Sconfitto,
viene ferito da Lothar e poi si sacrifica per liberare il Grande Tempio dalle
ombre.
(Colpi segreti:
Esplosione della Supernova, Raggi siderali)
LE COSTELLAZIONI DIMENTICATE:
Menas, della Rosa:
Fratello di Ampelo del Vendemmiatore,
Menas è il primo dei Cavalieri Neri a potersi fregiare di un’Armatura, forgiata
da Athanor su richiesta di Flegias, per sfruttare i poteri del guerriero, il
quale può infatti arrivare non visto in territorio nemico, e la Rosa di Rabbia
che egli comanda.
Viene inviato in missione ad
Atene, per infettare Asher e disseminare il Grande Tempio di Rose di Rabbia,
come aveva fatto il giorno prima a Nuova Luxor, e nel pomeriggio di quel giorno
in Cina. Ai Cinque Picchi viene però scoperto da Ascanio, che lo sconfigge in
pochi minuti, obbligando Orochi ad intervenire in suo soccorso. Flegias non
accetta tale sconfitta e lo uccide tagliandogli la testa.
(Colpi segreti: Rosa di
Rabbia)
Ampelo, del Vendemmiatore:
Fratello di Menas della
Rosa, ma decisamente più pazzo e irrazionale del primo. Intriso di
quell’ebbrezza che tanto amava ritrovare negli altri e nei suoi scontri.
Nominato da Flegias come aiutante di Lamia, nell’impresa di piegare gli Olimpi,
Ampelo era quasi riuscito nel suo scopo, sostituendosi addirittura a Ganimede e
ferendo gravemente sia Ermes, che Zeus ed Era.
Matthew disturba però i suoi
piani, tenendolo impegnato a sufficienza per permettere ad Atena e a Mur di
arrivare sull’Olimpo e al Cavaliere di Ariete di sconfiggerlo. La sua frase
finale, in punto di morte, è una volontaria citazione de “Il tramonto degli
Eroi”.
(Colpi segreti: Pampini
aggroviglianti, Correnti di follia)
Lothar, del Sudario di Cristo:
Figlio di una famiglia
protestante della vecchia Inghilterra, Lothar è deluso, quasi schifato, dal
materialismo della società presente, dalla negazione di valori a cui l’uomo
moderno si è abbandonato. Sviluppa quindi un forte integralismo religioso, che
lo porta a condannare tutte le azioni di tutti gli uomini, difformi da quella
che considera la volontà di Dio.
Accetta di seguire Flegias
proprio perché, così facendo, potrà combattere la corruzione e il permissivismo
moderno. Istruisce due discepole, a cui cercherà di trasmettere lo stesso senso
del dovere, la stessa fanatica fede. Combatte contro Ioria del Leone, al Grande
Tempio, dopo aver seguito Siderius su ordine del suo maestro Orochi. Ma viene
sconfitto dal diritto degli uomini a sbagliare, proclamato da Ioria.
(Colpi segreti: Crocifissione
dell’Anima, Corona di spine, Pioggia del martirio)
Borneo, della Tartaruga:
Bizzarro avversario, non troppo
interessato al combattimento, affronta Tisifone sull’Isola delle Ombre,
mettendo la Sacerdotessa in seria difficoltà. Grazie all’aiuto di Artemide
però, Tisifone riesce a distruggere il guscio protettivo di Borneo e a
ucciderlo incenerendolo con scariche incandescenti.
(Colpi segreti: Borneo non
possiede un vero colpo segreto, ma il suo guscio è un’ottima difesa e i suoi
pugni sono duri e resistenti)
Avel, dell’Elettore di Sassonia:
Un tempo lavorava per il
KGB, i servivi segreti sovietici, ma al termine di una delicata operazione a
Berlino viene scaricato e costretto a fuggire per lottare per la propria vita.
Flegias lo incontra proprio sulle rive dell’Havel, restando impressionato dalla
sua freddezza e dalle sue abilità guerriere, facendolo entrare nel suo
esercito.
Freddo e impassibile, Avel
esegue ogni ordine del Maestro di Ombre, anche quando si tratta di massacrare
uomini e donne innocenti. Si scontra con Libra, venendo da lui sconfitto.
(Colpi segreti: Spade
Incrociate).
Arne, dello Scettro di Brandeburgo:
Uno dei dieci discepoli di
Virgo. Quello che si considerava più vicino alla celeste pienezza del Cavaliere
d’Oro e che, a suo parere, meritava un’Armatura. Desideroso di emergere, e di
dimostrare quanto fosse forte e potente, Arne si unisce a Flegias, durante
l’assalto di questi ad Angkor, e si recherà in seguito sull’Isola del Riposo
per affrontare Phoenix.
Per lui, vincere Phoenix era
come vincere Virgo. Ma, per quanto i suoi poteri potessero rivaleggiare con
quelli di alcuni Capitani dell’Ombra, viene sconfitto.
(Colpi segreti: Scettro
nero, Avvento delle tenebre)
Cassandra, dell’ApeNera:
L’amante di Flegias, la
donna che ha lenito i suoi affanni nelle lunghe notti senza stelle. La donna
che però il Maestro di Ombre non ha mai considerato come la sua prima sposa, la
madre di Coronide. Con questa consapevolezza nel cuore, Cassandra ha cercato di
mascherare i suoi veri sentimenti, convinta di voler davvero essere la Regina
Oscura, che a fianco di Flegias avrebbe regnato sul mondo. In realtà, come lei
stessa ammetterà al termine del breve scontro con Castalia, avrebbe voluto lui
più di ogni altra cosa.
(Colpi segreti: Pungiglione
dell’Ape nera: Cassandra non può usare eccessivamente i suoi poteri,
poiché, come le api muoiono dopo aver perso il pungiglione, il prolungato uso
del suo colpo segreto le consuma molto cosmo)
Lukas, della Cordicella dei Pesci:
Compagno d’addestramento di
Asher, Lukas ha sempre criticato il ragazzo, convinto che le sue motivazioni
fossero troppo deboli ed egli non fosse degno di divenire Cavaliere. Lui voleva
esserlo, lui che era sempre stato convinto di essere il migliore. Ma il maestro
di entrambi non la pensava così, e lo scacciò. Lukas affronta Asher sull’Isola
delle Ombre, deridendo i suoi miseri sentimenti e la sua vita fallimentare, ma
dovendo infine ammettere che il ragazzo è migliorato, al punto di riuscire a
sconfiggerlo da solo.
(Colpi segreti: Lukas usa le
corde frustare il nemico, intrappolarlo e liberare scariche elettriche)
Dario, del Fiume Tigri:
Un po’ pazzo e sanguinario,
Dario è convinto di essere la reincarnazione di Dario il Grande, sovrano di
Persia, e di essere tornato per avere onori e gloria. È uno degli allievi di
Iemisch, la Tigre Nera. Affronta Tirtha e soprattutto Pavit ad Angkor,
massacrando il ragazzo, prima di essere costretto a ritirarsi, a causa del
ritorno di Virgo. Viene inviato in seguito a Creta da Flegias per sconfiggere
Febo e Marins, già provati dallo scontro con il Maestro di Ombre, ma viene
sconfitto dal Cavaliere dei Mari Azzurri.
(Colpi segreti: Fiumana
del Tigri, Mille dighe di Persia)
Sakis, del Quadrante Oscuro:
Allievo di Iemisch, la Tigre
d’Acqua, Sakis è il migliore, assieme ad Arne, dei Cavalieri Neri delle costellazioni
dimenticate. Era uno dei tanti orfani inviati da Alman di Thule in giro per il
mondo, che però mai aveva conquistato l’armatura.
Viene chiamato l’Esploratore
Oscuro a causa dei suoi poteri che gli permettono di entrare non visto in
qualsiasi luogo, aprendo varchi dimensionali. Scopre che Virgo è ancora vivo,
ma non lo uccide, preferendo che sia Iemisch a farlo. Massacra Dhaval e, in
seguito al fallimento della spedizione ad Angkor, decide di iniziare a giocare
sporco, rapendo e sfregiando Nemes e obbligando Andromeda a correre a salvarla.
Morirà travolto dalle Catene di Andromeda, lanciando un’ultima profezia,
simboleggiata dal segno greco della omega.
Accompagnano Iemisch ad Angkor
Wat e iniziano un combattimento con Dhaval il puro. Iemisch non ha molta
fiducia in loro ed in effetti sono guerrieri di basso valore. Stelios viene
sconfitto per primo, da Dhaval, quindi Stratis, che si dimostra più combattivo.
Attaccano il nemico caricando proprio come delle capre, usando le corna degli
elmi delle loro corazze oscure.
Timos, del Gatto Nero:
Allievo di Iemisch. Accompagna
il suo maestro e gli altri Cavalieri Neri ad Angkor, dove inizia un breve
scontro con Tirtha, discepola di Virgo, venendo però sconfitto e infine ucciso
dall’esplosione del cosmo del Cavaliere d’Oro della Sesta Casa.
(Colpi segreti: Artigli del
gatto nero)
Bode del Monte Menalo:
Gigantesco guerriero, compagno
e amico di Gienah, che Flegias invia a Smirne, in Anatolia, per impedire a
Jonathan e a Reis di frenare l’avanzata dell’Esercito delle Ombre. Può creare
un monte di energia cosmica e scagliarlo contro i nemici, essendo molto forte
fisicamente, ma non riesce a contrastare lo splendore dello Scettro d’Oro,
venendone sopraffatto.
Gienah della Croce di Sant’Elena:
Grande amico di Bode, Gienah
sa muovere le braccia roteandole come fossero lame, caricandole del suo cosmo
oscuro. Viene sconfitto da Jonathan a Smirne.
(Colpi segreti: Croce di
Sant’Elena)
Thalis, della Renna:
Cavaliere Nero inviato da
Flegias sull’Isola del Riposo, per affiancare Arne nell’azione contro Phoenix.
Viene ucciso dal Cavaliere di Atena senza minimo sforzo.
Viron, del Galletto:
Fratello di Thalis, Viron lo
accompagna sull’Isola del Riposo, al seguito di Arne, ma viene sconfitto da
Phoenix.
Aglaia, dell’Oca:
Discepola di Lothar, da cui ha
ricevuto un forte sentimento religioso, Aglaia viene facilmente sconfitta da
Tisifone al Grande Tempio, permettendo alla Sacerdotessa di salvare Siderius.
Areti, del Fenicottero:
Sorella di Aglaia, trovata
anch’essa da Lothar in una chiesa sconfessata dell’Europa Orientale, Areti
riceve un addestramento prevalentemente spirituale. Molto debole fisicamente,
viene sconfitta da Asher al Grande Tempio.
MOSTRI E CREATURE LEGGENDARIE:
Leviatano:
Bestia mitica, risvegliata da
Flegias, e da lui inviata ad Asgard per distruggerla. Viene fermata da Cristal,
Bard e dal Principe Alexer dopo una dura battaglia in una baia non molto
distante dalla Cittadella. Gramr, la Spada di Orion, andrà in frantumi dopo
essere stata piantata nel corpo dell’orrida creatura.
Orochi:
Il leggendario drago a otto
teste è il simbolo del Comandante Orochi ed è anche il luogo ove viene
conservata la Spada del Paradiso, nell’ottava coda del drago. Inviato ad Atene,
per distruggere il Grande Tempio, Orochi provoca notevoli danni, finché Sirio e
Cristal non lo uccidono. La sua carcassa sarà bruciata e i suoi resti saranno
gettati in mare.
Roc:
Uccello enorme, dallo
splendido piumaggio, che Flegias utilizza come cavalcatura.
Biliku:
Donna-Ragno, Divinità
ancestrale adorata nelle Isole Andamane, nell’Oceano Indiano e da Flegias ben
conosciuta, e in parte temuta, essendo figlie dello stesso creatore. Andromeda
e Kiki la incontreranno, combattendo con lei per avere alcune gocce del suo
sangue, un elemento così putrido da distruggere le rose di rabbia. Tramite una
ferita che Biliku gli provoca volontariamente, Andromeda riuscirà ad avere il
dono della Vista.