Fantasmagoria di Lalani (/viewuser.php?uid=32632)
Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.
Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Neverland ***
Capitolo 2: *** Alcune città sono splendide, di notte. ***
Capitolo 3: *** La sento negli occhi, in fondo ai miei occhi, Salire dal mare passando dal cuore ***
Capitolo 4: *** Why does it rain, rain, rain, down on Utopia? ***
Capitolo 1 *** Neverland ***
Buongiorno, fandom di Hetalia!
Lalani è approdata anche qui, per portare terrore e follia!
Allora, nonostante abbia persino indetto un concorso su questa
tematica, non ho saputo resistere:
ecco a voi una raccolta su OC
di paesi non reali, ovvero derivati dalla fantasia
dell’uomo, o libri, o leggende, o miti, ecc…
Ma iniziamo subito!
Ecco voi:
James Kirkland: Neverland,
ovvero l’Isola che non c’è.
Can
we
pretend that airplanes
In
the night sky
Are
like shooting
stars
Era stato facilissimo.
Si era sciolto nei suoi pensieri, ormai liquefatti
dall’acido, dalla folla della guerra: erano
puzzolenti e pieni di sangue, cosce magre e catrame.
Scorrevano in una fogna, proprio come il suo amato paese, vivendo
grazie a brandelli di memoria e nutrendosi di deboli speranze.
Era stato facilissimo, come lasciarsi morire.
Arthur imprecò e mandò al diavolo la sua tipica
eleganza inglese quando i suoi occhi verdi vennero bruciati da un sole
troppo intenso e le mani vennero mangiucchiate da incandescenti
granelli di sabbia: non c’era più l’acre
sapore della guerra e grida disperate, acute e irreali.
Questo era l’odore del mare, un mare senza cadaveri?
Queste erano canzoni indiane?
Erano canti di sirena e non pianti di donne?
Era in paradiso?
Il paradiso erano due occhi verdi come i suoi, contro
l’azzurro del cielo e la luce del sole.
“Cavoli!Guardate, bimbi sperduti! Un umano proprio come me,
ma…molto più grande! E anche le sue sopracciglia
lo sono…cavoli, sono davvero orrende…e ridicole!
Guardate, guardate: ci potrei fare una scopa e spazzarci la
casa!”
Il paradiso…per un attimo ci aveva creduto.
“Dai, prendimi, vecchione!”
“Fermati, piccolo mostro, fermati!”
Com’era possibile che James, con quel diafano volto da
angelo, così diverso da quello di Arthur, che era gelido e
spigoloso, riuscisse a fargli a saltare i nervi con un solo ghigno?
Non bastava la guerra…persino in quella minuscola isola
delle meraviglie si poteva trasformare in un inferno.
“James, non lo ripeterò di nuovo: lasciala andare,
i-m-m-e-d-i-a-t-a-m-e-n-t-e!!”.
“Eh no!La tua fata medievale ha offeso Tinkerbell!”
esclamò cocciuto il bambino, che teneva per le ali una
grossa e rubiconda fata “Non le hai insegnato le buone
maniere??”.
“Cresci, ragazzino!” borbottò Arthur,
riuscendo a salvare la sua povera creatura magica. E pensare che pochi
mesi prima aveva sostenuto che non ci fosse nessuno più fastidioso di Alfred e Peter: ora avevano un valido
avversario.
“Crescere??!!” inorridì James, facendo
finta di vomitare, gli occhi smeraldini indignati “E
diventare un acido vecchione come te?? E fare tutte quelle cose
noiose?? Scordatelo!”.
Noiose, come no: i morti, le bombe e il terrore erano tutto meno che
noiosi. Ma andava bene così: Arthur non avrebbe permesso a
nessuno, nemmeno al suo terrore, alla sua ossessione e alla sua invidia
di rovinare quel viso incorniciato da un’aureola di ciuffi
biondi. Invidia…quanto detestava non poter sognare e dormire
per tutta la vita, come James.
“Se potessimo sognare per sempre, non avremmo tempo per farci
la guerra…” mormorò Arthur,
sovrappensiero, mentre osservava l’onirico tramonto che
scivolava dietro il mare.
“Cos’è la guerra, Arthur??”
chiese James, curioso.
“Una delle cose noiose che fanno gli adulti, James”.
Aveva portato la follia, in quel piccolo Eden.
Era come se l’arrivo di Arthur, l’unico adulto
ammesso nell’Isola che non c’è,
l’illusione di una mente troppo stanca, avesse contaminato il
paradiso dei bambini.
Troppe volte ad Arthur sembrava vedere una mano morta dietro un cactus
o spirali di sangue nella sabbia.
“Guarda, vecchione, guarda!” esclamò
James, che tratteneva il fiato assieme agli altri bambini sperduti
“Una stella cadente!”.
“James, quello è…”
“Esprimi un desiderio, un desiderio!”.
Un aereo, ecco cos’era. Era riuscita a contaminare persino
nel cielo stellato dell’Isola che non
c’è, quella guerra assurda. Si vedevano, da dietro
le nuvole bombe, esplosioni e aerei che fischiavano.
James aveva gli occhi chiusi e concentrati, mentre cercava di
desiderare qualcosa che non c’era sulla sua amata isola.
Le mani callose di Arthur accarezzarono, piano, i capelli morbidi del
bimbo ed espresse un desiderio, Arthur: sperò che quel corpo
abbandonato in mezzo al mare non fosse un bambino che stava sognando
l’Isola che non c’è.
Dolore, troppo dolore.
Il mare stava scivolando via, il sole si spegneva e Arthur sapeva che
sarebbe diventato una candela piena di cera morta.
E poi si sarebbe svegliato, come sempre.
Voleva dimenticare la guerra, voleva rimanere sull’Isola,
voleva guardare per sempre i suoi stessi occhi nel volto di James.
Alfred e Francis, per sdrammatizzare il terrore che li avvelenava in
quel tragico periodo, scaricavo su Arthur la loro paura, schernendo
l’Isola che non c’è e i suoi abitanti,
che, secondo loro, non erano nient’altro che mere illusioni,
come gli unicorni e le fatine.
Ma Arthur non ci credeva: James era lì, vivo, aveva i suoi
occhi, era il fratellino che non sarebbe mai cresciuto e che non
l’avrebbe abbandonato.
Non può
essere solo un sogno!
“Ho paura, James”.
“Cos’è, la paura? Un’altra
cosa noiosa?”.
Arthur sorrise, faticosamente.
Già, noiosa e prevedibile.
“Ogni volta che mi sveglio, ho paura che la notte successiva
non potrò più tornare sull’Isola che
non c’è…non voglio che la mia vita
diventi un incubo!”
Non voglio svegliarmi
per sempre, James.
Sorride, sorride sempre, l’eterno bambino. E il suo sorriso
sembra sospeso nell’aria.
“Senti vecchione, tu potrai anche aver perso la speranza, ma
fin quando i bambini continueranno a sognare e volare con la fantasia,
io non morirò. E non arriverà mai un giorno in
cui i bambini abbandoneranno i loro sogni, mai. Non ti libererai di me, ah!
Arthur ride di quella minaccia.
“E se non riuscissi più a trovare la strada per
Neverland?”
“Eddai vecchione, tutti la conoscono: seconda stella a destra
e poi dritto fino al mattino!”.
“E poi?”
“E poi la strada la trovi da te”.
Cominciamo con le note finali^^:
1)Avrei voluto chiamare il mio OC Peter, come l’abitante
più famoso dell’Isola, ma c’era
già Sealand…quindi ho ripiegato sul nome dello
scrittore che ha inventato questo luogo: James Barrier.
2)Gli altri stati credono che l’isola che non
c’è sia una delle solite visioni di Arthur, mentre
lui sostiene il contrario…chi ha ragione??Questo spetta deciderlo solo a
voi^^.
4)Il titolo della storia significa “Congerie di concetti,
idee, dati, elementi che lascia confusi”.
3) Il titolo del capitolo deriva dalla canzone
“Airplanes” di B.o.B.
4)La guerra a cui faccio riferimento è la seconda guerra
mondiale, così cruenta e dolorosa che riesce ad avvelenare
la mente di Inghilterra, che porta la sua “adulta”
angoscia nella stessa Neverland(che è il nome originale
dell’Isola che non c’è).
5) Accetto richieste e
consigli: purtroppo il mio elenco di OC irreali non
è lunghissimo…se volete propormi qualche idea
sarò solo felice! Accetto felicemente anche critiche su un
possibile OOC di Arthur, dato che non sono ancora pratica di questo
fandom!
Grazie per la vostra
attenzione,
LaLa
|
Ritorna all'indice
Capitolo 2 *** Alcune città sono splendide, di notte. ***
Attenzione:
vagamente non-sense.
La
visione del Cavaliere Oscuro nuoce gravemente alla mia salute.
Gotham
City---> Bruce Jones
Alcune
città sono splendide, di notte.
Brillavano.
Non
erano dipinti con delicata acqua limpida, senza misteri, come quelli di
Alfred.
Erano
di ghiaccio, come la loro anima.
“E
dire che hai il nome e il cognome di un eroe, Bruce”.
“Infatti
non sono venuto meno ai miei nobili doveri, caro fratello”.
“Dici?”
Alfred
F. Jones avrebbe dato qualsiasi per sentirsi a suo agio nella gemella
di New York, nella sua perversa sorella, quella con le gambe
lunghissime e il languido sorriso da puttana, da mangiarselo; e invece
le vie di Gotham city gli trasmettevano paura, rabbia, fame e una
crescente agitazione.
Il
baratro della malavita era talmente profondo e appiccicoso che ci si
poteva sguazzare senza rendersene conto.
Come
gli occhi del…del suo distorto riflesso, della sua nemesi.
Nella sua narcisistica megalomania, Alfred non riesce a considerarlo
suo fratello.
“Dico,
certo, Alfred” mormorò Bruce, spostandosi
elegantemente un ciuffo color pece dietro l’orecchio
“Ho salvato da una morte atroce diversi grattacieli, questo
week-end...Gotham ne avrebbe risentito dal punto di vista scenico!E
ovviamente, con essi, anche decine di vite!”.
“Dimmi…quale
dei due nomi ti ispira queste nobili gesta?”
mormorò Alfred, socchiudendo appena le palpebre stanche:
quella lampada da interrogatorio lo stava uccidendo “Bruce o
Jones? Perché l’altra parte ti induce a mettere
l’esplosivo proprio in quei grattacieli scenici”.
Bruce
avrebbe voluto allargare le mani, eleganti e sottili, ma i suoi polsi
erano incatenati dalle manette.
Sorrise,
mellifluo, semi-nascosto dall’oscurità.
“Io
sono un angelo misericordioso. Un angelo furbo”
mormorò amabilmente, sistemandosi la cravatta con le mani
imprigionate “Non come te: io nascondo le mie malefatte nella
notte, il mio elemento, e di giorno mostro il mio sorriso migliore. Di
giorno, divento l’eroe del mio paese. Non come te,
fratellino: tu affronti glorie e catastrofi con lo stesso volto beota.
Ad esempio, se avessi scaricato la colpa su un altro o su un tuo
alter-ego, per quella brutta faccenda sul
petrolio…”.
Fratellino:
l’aveva sentito troppe volte, quel dannato diminutivo.
“È
una filosofia grottesca, Bruce…”
“Ed
efficace, Alfred”.
Sorrise,
il ragazzo biondo, con la sua solita smorfia ingenua.
Allungò la mano e accarezzò quella della sua
gemella maligna e tenebrosa: gemella ma differente, pallida e
flessuosa. Bruce ricambiò la carezza, dolcemente.
Labbra
da baciare, labbra da mangiare.
“Hai
ragione, caro Bruce, hai perfettamente ragione”
esclamò con il suo solito sorriso gioioso “Ma
vedi, anch’io posso contare su una maschera, su
un’identità oscura”.
Bruce
sollevò le fini sopracciglia: l’unico della
famiglia anglo-americana che usava le pinzette.
“E
chi sarebbe questa maschera??” chiese, vagamente curioso.
“Tu,
ovviamente. E come ogni maschera si può buttare. Si deve
buttare”.
Niente
più luce o tenebra: c’era sola la pallida paura
sul volto stravolto di Bruce.
“Tu
hai due volti, come la tua città, ma anch’io
possiedo un lato oscuro: quello che uso con te, o meglio, quello che tu
rappresenti. E proprio per i recenti avvenimenti che hanno sconvolto il
mio paese, che hanno sconvolto Alfred F. Jones, ho deciso che
sarò un eroe a tutti gli effetti, senza macchie o timori.
Non ho più bisogno di scaricare i miei dissapori su di te:
il mio paese mi accetterà per ciò che sono
veramente, anche se non sarò sempre un angelo
misericordioso. Non ho più bisogno di te: puoi anche
sparire”.
Non
era facile, per nessuno dei due: lasciar crollare una città
come Gotham nell’ombra e lasciarla morire con una lenta
eutanasia sembrava un’eresia e l’abbandono di ogni
violenza, di ogni ombra da parte Alfred sembrava paradossale,
impossibile.
Ma
ora, mentre il sole tramontava per l’ultima volta su Gotham,
nemmeno Bruce riusciva più a ghignare. Era rimasto solo il
sorriso sincero e troppo, troppo splendente di Alfred.
Brillava.
“Why
so serious, Bruce?”
"Alcune
città sono splendide, di notte.
Gotham
non è una di queste"
AiutoO_O
1)
Il nome di Gotham deriva da Bruce Wayne, la vera identità di
Batman. E Alfred è il suo maggiordomoXD
2)Allora,
come avrete capito il rapporto tra i due è piuttosto
complesso: Alfred si è “inventato”
Gotham city per scaricare tutta l’ira e la frustrazione per i
vari problemi mondiali che non può mostrare in pubblico( per
questo appare sempre sorridente e giocondoXD). Insomma, Gotham
è l’alter-ego di New York, il posto più
nascosto della mente di America dove poter essere il cattivo e non
l’eroe, per una volta. Ecco perché Gotham viene
rappresentata come la maschera di Alfred. Una maschera che
però lo sta avvelenando e proprio per questo decide di
buttare prima che prenda il controllo sulla sua mente.
3)
Bruce è un’antitesi continua perché
alterna personaggi fin troppo nobili e, oserei dire, ingenui, a
psicopatici totali. Ecco perché viene rappresentato come un
“angelo della morte”, ovvero qualcuno che di
nascosto crea scompiglio solo per risolverlo e passare per
l’eroe di turno.
4)
Il problema del petrolio, sì, è quello attuale:
un ulteriore macchia sul nostro bel mondo.
5)
"Alcune città sono splendide, di notte. Gotham non
è una di queste", citazioni di Batman in persona. Se lo dice
lui…
6)
“Why so serious?”…aaaahh Joker*___*
Risposte
alle recensioni!
Kurohime: dopo
sopracciglione e assassino culinario ci mancava
vecchione…XDpovero Arthur! D’altra parte cosa si
aspetta da un eterno bambino?? Sono felice che ti sia piaciuta la mia
idea e specialmente che Inghilterra ti sembri IC! Grazie mille!
amby: per fortuna
alla fine hai aggiunto un’altra recensione perché
cominciavo a preoccuparmiXDXD Scherzo^^ ho apprezzato moltissimo la tua
analisi: hai capito benissimo il legame tra i due
“fratelli” e il loro tentativo di istaurare un
rapporto, anche se sono completamente differenti. E ovviamente sono
felice che ti piaccia il mio stile!Sarei felicissima di ricevere
un’altra tua critica elaborata( ma anche il tuo
entusiasmo^^!)Grazie mille!
Grazie
per la vostra attenzione,
LaLa
|
Ritorna all'indice
Capitolo 3 *** La sento negli occhi, in fondo ai miei occhi, Salire dal mare passando dal cuore ***
Consiglio:
Se
non sapete cosa sia l’effetto Fatamorgana(no, non
è la strega del ciclo bretone) vi consiglio di andare a
leggere la nota
n°1.
Effetto
Fatamorgana--->Scilla Vargas
La sento negli occhi,
in fondo ai miei occhi,
Salire dal mare
passando dal cuore
“Ciao,
Ita-chan!”
Era
una voce che sembrava un tintinnio di campana, un sibilo nel
dormiveglia, uno sogno sbucciato dalla realtà.
Eppure
la bellezza di quella voce non era lontanamente paragonabile a quella
del viso e del soffice corpo a cui apparteneva.
Era
una ragazza emersa dal mare.
“C-ciao”
mormorò timidamente la piccola Italia: nonostante la sua
evidente indole pacifica, quella ragazza la intimidiva, come
d’altra parte tutti i dettagli di quell’Italia che
lei, preclusa nella casa di Austria e tra le nebbie del nord, non aveva
mai visto.
Davvero
nella sua terra esisteva un mare così limpido, che si
tingeva di sangue e zafferano all’alba?
Davvero
c’erano così tanti ulivi, annodati su stessi?
Era
sempre la sua Italia, quella piena di colori, di danze forsennate e
dialetti incomprensibili?
“S-stavo
cercando mio fratello…” balbettò
l’Italia del Nord, impaurita.
“Ma
anch’io sono tua sorella!” esclamò
entusiasta “Io sono Scilla Vargas!”.
L’avrebbe
abbracciata e baciata, questa sorella sconosciuta dai capelli celesti,
occhi blu e un tenero sorriso “alla Vargas” sul
volto bruciato dal sole. Ma lei fluttuò via, come
un’onda.
“Nostro
fratello Lovino è andato a farsi una gita su
quell’isola” spiegò allegra la ragazza,
puntando l’indice curato contro il breve tratto di mare che
separava la punta meridionale delle sua nazione con un enorme isola.
Chibitalia allargò la bocca, sorpresa: le sue isole nella
laguna Veneta erano atolli, al suo confronto.
“Vuoi
raggiungerlo, Italia-chan?” chiese melliflua sua sorella; le
sue parole erano dense e lente come miele e i suoi capelli celesti si
avviluppavano sul suo corpo come se lo stessero abbracciando.
“Sì,
sì, voglio vedere Lovino!” esclamò
Italia estasiata. E per un attimo, la Sicilia appariva molto
più vicina: ecco il profumo delle arance, le morbide colline
e qualche tempio che assomigliava a quelli di Hercules.
Un
piccolo paradiso immerso tra acque sacrali.
“Andiamo,
Scilla, andiamo da Lovino!” gridò eccitata la
piccola Italia gettandosi in acqua, con una voce da usignolo che venne
coperta dalle onde scure in pochi attimi.
Era
là, ne era sicura, proprio là, a pochi metri, la
poteva sfiorare, la Sicilia; com’era possibile che si stesse
allontanando, come un sogno?
Come
un…miraggio?
“Sorellona
Scilla, aiuto! L’acqua è troppo profonda e la
corrente troppo forte…” annaspò
Chibitalia, mentre la paura che le stava lentamente attanagliando il
piccolo corpo la trascinava sul fondo. L’acqua cristallina
era diventata petrolio. Petrolio sul quale Morgana volteggiava, come un
fata. Ma il suo sorriso tenero, alla “Vargas”,
degnerò in un smorfia demoniaca e i suoi capelli
volteggiarono come un mare in tempesta. La furia distorceva
l’eleganza del suo viso e dei suoi movimenti, una furia
indomabile e intensa che Chibitalia, nella sua ingenua tenerezza, non
poteva concepire.
“Italia
e Italia…non è una coincidenza che siate in due:
potete credere di essere fratelli, di avere la stessa storia e la
stessa lingua, di mangiare lo stesso cibo e di prostrarvi davanti agli
stessi padroni, di condannare gli stessi criminali e di festeggiare gli
stessi santi…ma non sarete mai una cosa sola,
l’Italia rimarrà divisa per sempre!”.
Ma
Chibitalia non aveva sentito che metà di quel delirante
discorso, prima di essere inghiottita dal mare. Una fredda morsa che
congelava il sole più caldo, il sole della Sicilia.
Quando
si era risvegliata, Chibitalia era tra le braccia di un ancora
più chibi Romano; il suo viso arrossato e collerico sembrava
proprio un succoso pomodoro. Questa sua innocente contestazione le
costò una dura strigliata.
“Io
non sono un pomodoro, razza di ingrata!Ringrazia che conosco al meglio
i mari della mia terra, scema che non sei altro! Eri finita in una zona
pericolosissima, piena di vortici e mulinelli!”
“Io…”
balbettò ancora terrorizzata la piccola Italia “Io
volevo soltanto stare con te, fratellone…oppure non posso?
Davvero non potremo mai stare insieme? Scilla ha
detto…”.
“Hai
visto Scilla? Ah, ora ho capito…”
l’espressione di Romano si addolcì, e
accarezzò i capelli color castagna di Chibitalia con una
tenerezza solitamente estranea nei suoi gesti.
“Non
dovrai più ascoltarla, mai più. È come
tutti gli altri, ci vuole dividere; è veleno, per noi,
è nostra nemica…”.
Romano
strinse forte la mano di Chibitalia, talmente forte da lasciare sulla
sua pelle pallida un giuramento, una promessa, scottante come il
tramonto che riposava sull’orizzonte.
“Un
giorno staremo insieme. Staremo insieme per sempre”.
“Non
ce la farete mai. Te lo dico io, non ce la farete mai! Lo dice persino
Cariddi…vero, micio??”.
Scilla
alzò il suo gatto al livello del viso e attese invano una
sua risposta, che si tradusse in un indecifrabile miagolio lamentoso.
“Ve…”
mormorò Feliciano, che si stava godendo un immeritata pausa
sotto il cocente sole calabrese “Non essere così
pessimista, sorellina!”.
“Pessimista?
Come potrò vivere con quel serpente d’acciaio tra
le mie acque! Non è giusto, sporgerò denuncia,
non posso avere un’autostrada in casa!!”
ululò Scilla con una cadenza vagamente isterica, indicando
la strada che avrebbe attraversato lo stretto di Messina.
Romano
nascose la faccia, rossa come un pomodoro dalla rabbia, nei grafici
della costruzione, per evitare di prendere a pugni quella strega.
Per
fortuna Feliciano aveva adottato una strategia infallibile: non
bisognava disperare dei parenti noiosi…bastava renderli
utili!
“Vee,
Scilla, perché non dimostri che le culture settentrionali
sono troppo diverse da quelle meridionali: mostra a loro gli
arancini!”.
“Giusto!”
esclamò Scilla, entusiasta, mentre prendeva il vassoio e
correva verso i turisti che osservavano la futura autostrada
e attendevano i traghetti “Hey gente!Vendo arancini! Guardate
come sono starni, non preferite tornare nelle vostre montagne, dalla
vostra polenta?? ”.
Feliciano
sorrise seraficamente, mentre osservava la sua inconsapevole sorella
fare del lavoro utile: ora non si spaventava più per la
delirante disperazione di Scilla e per la sua ira velenosa. Erano
passati anni e aveva assaggiato la sua stessa paura, il terrore che
animava quell’iracondo miraggio: la paura di morire.
Mhà.
Capitolo strano, non mi soddisfa un granché.
Ma
Lei mi intrigaXD
1)
Ecco la spiegazione delle’effetto fata Morgana. Da wikipedia
“In ottica la Fata Morgana, o Fatamorgana, è un
tipo di miraggio in cui l'immagine apparente muta velocemente forma;
Italia, questo raro fenomeno si manifesta nelle calde giornate estive
dalla costa calabrese dello Stretto di Messina.
Si
tratta di un effetto dovuto alla particolare distribuzione dell'indice
di rifrazione della luce del sole in diversi strati d'aria e quindi per
certi versi analogo al miraggio. La differenza consiste nel fatto che
fino ad una certa altezza l'indice di rifrazione assume un valore
crescente con essa per poi tornare a diminuire, per questo a differenza
del miraggio le immagini sono molto mutevoli e deformate, difficilmente
riconoscibili”.
2)
Ecco una divertente leggenda su questo effetto ottico: “Una
leggenda ampiamente diffusa in tutta l'area dello Stretto narra che
durante le invasioni barbariche in agosto, mentre il cielo e il mare
erano senza un alito di vento, e una leggera nebbiolina velava
l'orizzonte, un'orda di conquistatori dopo avere attraversato tutta la
penisola giunse alle rive della città di Reggio e si
trovò davanti allo stretto che divide la Calabria dalla
Sicilia. A pochi chilometri sull'altra sponda sorgeva un'isola - la
Sicilia - con un gran monte fumante - l'Etna - ed il Re barbaro si
domandava come fare a raggiungerla trovandosi sprovvisto di
imbarcazioni, quindi impotente davanti al mare. All'improvviso apparve
una donna molto bella, che offrì l'isola al conquistatore, e
con un cenno la fece apparire a due passi da lui. Guardando nell'acqua
egli vedeva nitidi, i monti, le spiagge, le vie di campagna e le navi
nel porto come se potesse toccarli con le mani. Esultando il Re barbaro
balzò giù da cavallo e si gettò in
acqua, sicuro di poter raggiungere l'isola con un paio di bracciate, ma
l'incanto si ruppe e il Re affogò miseramente. Tutto infatti
era un miraggio.”
3)La
prima parte è ambientata prima
dell’unità d’Italia e durante il primo
ipotetico viaggio al sud di Chibitalia. La seconda parte invece si
svolge ai tempi nostri.
4)
Ho deciso di chiamare questo OC Scilla in onore la mitologico mostro
che dimora nello stretto di Messina e che ha dato del filo da torcere
al povero Ulisse assieme al suo collega Cariddi, un altro mostro(per
questo ha chiamato così il suo gatto).
5)
il carattere di Scilla è mellifluo e ingannevole, ma
principalmente perché ha paura di scomparire. Infatti, nella
prima parte delle storia, ha il terrore che con
l’unità d’Italia, il paese diventi
più forte, e che possa “avvicinare” la
sua isola, o meglio, le sue usanze e le sue tradizioni, alla
terraferma, facendole perdere potere. Inoltre lei è molto
orgogliosa e protettiva verso la Sicilia: vuole che sia solo sua. Per
questo è terrorizzata dalla costruzione di una strada sullo
stretto di Messina. Oddio, è una
leghista!!°___°
6)
non ti preoccupare Scilla!!Non riusciranno mai a costruire quella
dannata stradaç___ç.
7)Il
titolo deriva dalla canzone “Fata Morgana” dei
Litfiba.
Risposta
alle recensioni:
Kurohime:
grazie per il commento^^Ci aveva pensato a Narnia e alla terra di
Mezzo, ma non so ancora in quale contesto porli…ci
dovrò ragionare ben bene e soprattutto, sapendo che ti
interessano, mi impegnerò a scrivere qualcosa su di loro^__^
amby: “non
pochi cadono dalle stelle alle stalle in pochissimo” ecco
appunto^^’’ mi sa che questo capitolo è
un po’ una caduta di stileXD La sintesi sul mio precedente
capitolo è perfetta: mi è piaciuto far vedere la
natura un po’ più seria di Alfred e di come riesca
a rimanere sempre sorridente nonostante il mondo gravi praticamente
sulle sue spalle. È vero, non mi dilungo tanto sulle
descrizioni perché le ultime fic che ho scritto erano tutti
polpettoni prolissi e sospesi per aria: questa raccolta invece
sarà perlopiù composta da capitoli brevi e
incisivi. Grazie mille!!!*__*
Grazie
per la vostra attenzione,
LaLa
|
Ritorna all'indice
Capitolo 4 *** Why does it rain, rain, rain, down on Utopia? ***
Storia
di fine estate, per racimolare gli ultimi ricordi e poi riporli.
Capitolo
tristissimo e confusionario, ma, bè, ci doveva essere per
forza^^’’
Non-sense
a go-go.
Utopia--->Sharon
Why does it
rain, rain, rain
down
on Utopia?
Solo a
coloro che possiedono, con innocenza, il sorriso è dato di
evocare l'utopia.
“Piangi?”
“No,
piovo.”
Non
c’è aria, in quella candida stanza
d’ospedale, e se ci fosse, sarebbe pesante come neve. Forse
le sue lacrime l’avrebbero lavata via…eppure Ivan
non le vuole lo stesso, quelle lacrime dal sapore dolce.
“Non
piangere, Lituania”.
Come
poteva anche solo paragonare quelle mani tiepide e lunghissime a quelle
morbide e minuscole del suo Toris?
Un
fruscio, e una mano sui suoi occhi ciechi, stanchi.
“È
comodo vivere in un mondo avvolto dalle tenebre, Ivan? È
facile fingere?” mormora una voce vellutata e angustiata.
Oh,
l’avrebbe ammazzata. Sì, le avrebbe mangiato via
quegli occhi porpora, quegli occhi demoniaci, avrebbe scavato nelle sue
orbite come i più viscidi vermi. Eppure lei sarebbe rimasta
perfetta, per sempre, come un sogno, come un incubo.
“Dormi,
Ivan”.
“Sarai
ancora qui quando mi sveglierò?” implora la
nazione ferita.
Ha
il corpo di un uomo troppo vecchio, i capelli di un biondo surreale,
un’aureola di cristallo e le mani di un assassino; eppure
è solo un bambino, un bambino che non sa più
sognare.
“Toris…Toris…rimarrai
qui?”.
L’aria
odora di rivoluzione, di bandiere rosse e di neve fangosa. Ma
là fuori c’è ancora la guerra, quella
che ha attanagliato tutto il mondo, e a Sharon basta alzarsi in punta
di piedi per vederla.
Oh,
eccola là, oltre il cielo russo, con i suoi occhi affamati:
li aspetta, aspetta che la rivoluzione russa si affoghi con le sue
stesse mani per tornare a cacciarli.
Sharon
sbuffa, preoccupata, e uno dei miliardi dei suoi boccoli color lilla
scivola tra i suoi seni, alla ricerca di calore.
Un
respiro gracchiante, ferito, esce dalle labbra martoriate.
“Quando
ti ho portato a casa mia, eri…un miracolo” mormora
Ivan, stanco e disperato “ho visto Dio, sai, quando ti ho
vista. Il mio popolo non ci vuole più credere, a Dio e alla
chiesa, ma io…io ho visto te. E tu sembravi avere tutte le
risposte, eri la mia salvezza…lo eri, vero,
Sharon?”.
Non
parla, non respira nemmeno, Sharon.
Piange
e basta.
Piange.
Piange.
Piange.
Si
alza come una marionetta spezzata e apre gli occhi, finalmente.
Le
iridi di Ivan bruciano.
Per
la neve, troppo candida, troppo pura. La neve è come sale,
per la sua anima ferita.
Per
i corpi ancora ammassati tra le strade e i bambini che chiedono aiuto,
a tutti e a nessuno. Non chiamano i genitori: non possono ricordarli,
non sanno chi o cosa siano. Il generale Inverno li ha rapiti tutti.
Bruciano
per quella ragazza troppo bella, surreale, in quell’aurea
miracolosa, avvolta in una bandiera rossa che puzza di fumo.
“Eri
la mia salvezza, Sharon!”
Smash,
smash. Perché il rumore della neve è
così assordante?
“Guarda
cosa ci hai fatto! Mi hai trascinato in una rivoluzione, in una guerra
civile, un ennesima guerra! Io devo schiacciare Germania e Austria, non
rimanere qui, nel fango e nel sangue: ora chi devo proteggere, chi devo
comandare, chi devo uccidere? I miei figli, i miei figli, i miei figli,
mi stai portando via i miei figli! Mi hai fatto uccidere il mio
popolo!Per che cosa??Per un mondo che non esiste!”.
Sharon
piove e piange.
“Miracolo”
sussurra disperato Ivan, mentre si avvicina alla ragazza e le prende il
viso tra le mani, con incredibile delicatezza “Guardati, sei
un mostro!Non sei come noi!”.
Sharon
aveva contemplato decine di volte il suo viso allo specchio: oh,
sembrava puro e bellissimo, come quello delle bambole. Ma poi, eccoli:
gli occhi cangianti pieni di sfumature marce e mostruose, il naso con
quell’ attaccatura irreale e le labbra storte, come due
serpenti attorcigliati.
Era
stata spezzettata e assemblata, stuprata e accarezzata, bruciata e
baciata: erano troppe le ideologie che conteneva, troppe le speranze di
scrittori e di poeti che conservava, troppi erano gli uomini che la
sognavano. E i russi le avevano dato un volto, un nome, persino un
governo: l’avevano eletta come dea, come regina.
L’avevano idolatrata e adorata.
“Non
riesci nemmeno ad essere Toris, per un attimo!!”
urlò Ivan, sofferente, mentre si accartocciava di nuovo sul
letto “Perché se n’è andato?
Perché sei rimasta tu?”.
Sharon
gli accarezza la guancia, dolcemente.
“Ti
prego, Ivan…dormi e sogna”.
Sognami, perché solo
lì potrò continuare a vivere.
Sogna
i girasoli e un sole caldo che abbracci tutto il tuo
paese…è anche questa un’Utopia, lo sai?
Sharon
continua a sfregare quel volto perfetto, umano, finché Ivan
non cade addormentato.
Piove,
piove sempre su Utopia.
Sono
le lacrime di una ragazza che sa di non esistere, ma che
vivrà per sempre.
Allora…questo
capitolo angosciante è scritto per riprendere questa
raccolta…è triste ma dovevo scrivere
sull’Utopia^^.
1)Il
capitolo è ambientato durante la rivoluzione russa del 1917,
che ha costretto la Russia a lasciare il teatro della prima guerra
mondiale.
2)Cosa
posso dire di Sharon…proprio perché è
un’Utopia l’ho descritta con colori irreali(porpora
e lilla) e come un sogno, agognato, bene o male, da tutti. Purtroppo
gli uomini hanno trasformato Sharon in un progetto realizzabile: lei
è diventata umana proprio perché
c’erano uomini che credevano fermamente in lei, o meglio
nell’ideologia che rappresentava(il comunismo,
l’uguaglianza tra i ceti, ecc…). Ma
l’Utopia non è un fenomeno esclusivamente russo(
è stata pensata e immaginata da tantissimi uomini) e proprio
per questo l’ho descritta come una ragazza dai tratti confusi
e surreali: rappresenta le idee e i sogni di uomini di lingua e
nazionalità totalmente diversa(infatti lei non ha nemmeno un
cognome preciso). Lei stessa piange sempre perché sa che non
potrà mai esistere veramente, non sarà mai un
nazione con il suo popolo. Vive e vivrà per sempre nel mondo
dei sogni.
3)Ivan,
prima del suo popolo, si accorge che l’ideologia
rappresentata da Sharon è impossibile, e per questo se la
prende con lei, rea di averlo condotto verso l’ennesima
strage. Inoltre lei è colpevole di non riuscire a colmare il
vuoto lasciato da Toris. Si, sono una fan della RussiaLituania*____*.
4)
Il nome di Utopia deriva dalla cantante dei Within Temptation, Sharon
den Adel, per cui provo una stima infinita( ma che non voce non hai,
Sharon???). è lei che canta la frase che ho messo nel
titolo, estrapolata dalla canzone “Utopia”, per
l’appunto.
5)Può
non sembrare…ma mi piace tanto tanto la povera Utopia^^.
Recensioni^^:
Kurohime: grazie
mille per la recensione^^Sì, lascerò correre un
po’ di tempo prima di riprendere in mano
Arthur…però ho qualche idea su Narnia**Baci!
Amby: mamma mia,
sono felicissima che anche questo capitolo ti piaccia e sono molto
lusingata da tutti questi complimenti, mi spronano a continuare!(eh,
sì, adoro le tue recensioni^__^). Spero che tu abbia gradito
anche questo capitolo…un po’ angoscianteXD Allora
non siamo lontanissime, io sto vicinissimo a Milano! A proposito, i
miei sono andati dalle tue parti e hanno detto che ci sono dei paesi
davvero bellissimi…insomma, storia a parte, ti invidio
molto! Ci farò sicuramente un salto, prima o poi! Grazie
ancora, bacioni!!
Grazie
per la vostra attenzione,
LaLa
|
Ritorna all'indice
Questa storia è archiviata su: EFP /viewstory.php?sid=528888
|