Ragazza occhi cielo di Freya Crystal (/viewuser.php?uid=58845)
Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.
Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** 1) Il sorriso ti fa bella. ***
Capitolo 3: *** 2) Il mondo lo vivi solo tu ***
Capitolo 4: *** 3) E' colpa tua ***
Capitolo 5: *** 4) Il disegno della tua vita ***
Capitolo 6: *** 5) Il mio Dio ***
Capitolo 1 *** Prologo ***
Prologo
Nei primi anni del Novecento viveva la famiglia più felice,
fortunata, e di conseguenza invidiata, di tutto il Mississippi.
I signori Brandon, giovani e innamorati sposi e genitori di una
splendida bambina, abitavano nel quartiere più agiato e
sicuro dello stato. Le loro vite si erano incatenate, condannando l'una
a vivere per l'altra. Ma si sa, la felicità è
l'aspirazione più grande a cui l'uomo possa arrivare, e
averne troppa è pericoloso.
La bambina che preannunciava di portare altra gioia ai Brandon
già prima di prendere forma nella pancia della madre,
portò solo mali e sventure. Per i primi quattro anni di
vita, non fu altro che una fragile creatura capace di riscaldare i
cuori della gente con la sua risata cristallina e di suscitare il riso
sulla bocca di chi si soffermava sulla sua chioma corvina spettinata,
ma dopo che ebbe varcato la soglia dei cinque anni, per Amelia e
Jefferson Brandon divenne una spina nel fianco.
Forse furono l'invidia del vicinato, il livore provato per le uniche
due persone che erano riuscite a costruirsi il loro personale mondo da
fiaba, a sgretolare la felicità dei Brandon, incarnandosi
nel corpo della povera Alice. Fatto sta che da quando la piccola si
tuffò piangendo tra le braccia di Amelia per comunicarle che
il suo fratellino, allora nel ventre della madre, sarebbe
soffocato e nato morto, non sbagliò.
Due anni passarono, tra l'esasperazione e il timore dei Brandon per la
loro stessa figlia ogni volta che qualcosa accadeva nel modo descritto
da Alice mesi prima.
Amelia era di nuovo incinta. Alice non disse mai che il bambino sarebbe
morto.
Samantha nacque in buone condizioni di salute e crebbe diventando
più bella di Alice. Ma nonostante ciò, la sorella
maggiore non dimostrò mai di detestarla.
Fu all'età di otto anni che Alice svegliò i
genitori nel cuore della notte con i suoi singhiozzi interminabili.
Continuava a ripetere con voce tremolante che Samantha sarebbe caduta
dalla finestra e si sarebbe spezzata l'osso del collo. Amelia e
Jefferson promisero alla primogenita che avrebbero sorvegliato la sua
sorellina e che le avrebbero impedito di affacciarsi alla finestra, ma
ciò non bastò a respingere la morte inesorabile
che arrivò per portarla via.
I Brandon non seppero mai più cosa significasse la parola
felicità.
Svolto il funerale della loro adorata Samantha e ripresisi dal dolore,
fecero rinchiudere Alice in un manicomio.
- Non mi lasciate! Non mi lasciate! Io vi voglio bene! Mamma,
papà, voglio stare con voi, vi prego! –
ripeté Alice, disperata, quando i medici la trascinarono via
di casa.
Ma in quell'addio mai voluto da Alice, non ci furono gli occhi pieni di
lacrime della madre a salutarla, né il sorriso cordiale del
padre, che lei a stento ricordava di aver visto dopo i suoi primi anni di
vita, a darle conforto. Ci furono solo le spalle di una donna
invecchiata e resa stanca dal dolore della perdita subita, e la porta
di casa che si chiudeva sbattuta da Jefferson. Il rumore che tale gesto
produsse, fu la fine del primo capitolo della storia di Alice, l'ultimo
rintocco della vita che non gli era stato concesso di vivere.
*******
Spazio dell'autrice:
questa fanfiction ha come protagonista Alice. Narra la sua storia, da
quando lei viene portata al manicomio a quando diventa una vampira.
Cercherò di riempire i buchi lasciati dalla Meyer al
riguardo, sperando che ciò che ho in mente di scrivere sia
degno di questo compito.
Ovviamente
modificherò i fatti, soprattutto la parte in cui
diventerà una vampira.
Spero che qualcuno mi lasci un commento ;)
|
Ritorna all'indice
Capitolo 2 *** 1) Il sorriso ti fa bella. ***
Il
sorriso ti fa bella
Avrei
tanto voluto crede che si trattava di uno scherzo. Ma ciò
che stavo vivendo era reale. Ciò che stavo guardando e
sentendo, era qualcosa di concreto e di sconvolgente.
Uomini, donne, vecchi e bambini con completi a righe bianche e grigie,
simili a dei pigiami. Gente che camminava su strane sedie con delle
rotelle e che era senza piedi, gente accasciata contro le spoglie
pareti che singhiozzava o blaterava cose senza senso, lo sguardo
scioccato e perso nel vuoto; gente che, semplicemente, se ne stava
seduta, immobile, pietrificata, ad osservare le piastrelle del
pavimento. Forse furono proprio le persone che non reagivano, come
sedate da un potente sonnifero, a scioccarmi di più.
L’uomo che era venuto a prendermi a casa per portarmi via mi
teneva per un braccio e mi stava scortando per il centro di cura verso
una meta a me ignota.
Ero stata costretta ad abbandonare i miei genitori e a salire su una
macchina -mezzo di trasporto ideato da pochi anni- con gente che non
conoscevo. Ci eravamo fermati davanti ad un edificio che si era
presentato ai miei occhi con la scritta “ Centro di
assistenza e di cura per malati mentali affetti da disturbi psichici,
psicologici e del sistema nervoso.”
Ero appena arrivata nel posto in cui avrei trascorsi il resto della
vita.
La mia mamma e il mio papà avevano creduto che fossi pazza,
non mi avevano più voluta con loro, avevano paura che avrei
portato loro del male.
Ma io cos’altro avrei potuto fare? Non era colpa mia se molto
spesso, all’improvviso, dei flash prendevano forma nella mia
testa ed esplodevano come un film, scombussolandomi la mente. Non era
colpa mia se quei film non sempre avevano un lieto fine. Non era colpa
mia se io ero nata diversa. Non potevo bloccare quella mia
facoltà, si trattava di qualcosa di involontario che agiva
da sé; i film che si creavano dentro di me avevano un
cervello proprio ed erano muniti di una forza indipendente dal resto
del mio corpo. Controllarli mi era impossibile.
Tutto ciò che avevo cercato di fare, era salvare la vita a
mia sorella. Anche la mamma e il papà ci avrebbero provato,
se avessero visto ciò che avevo visto io.
Ma purtroppo, io ero la sola che poteva farlo.
O meglio, per fortuna. Era brutto conoscere gli avvenimenti prima del
tempo: l’ansia e l’attesa snervante mi divoravano;
ciliegina sulla torta, io ero una persona impaziente di natura.
- Anche il mio papà
e la mia mamma avrebbero avvisato l’un l’altra del
pericolo che correva Samantha, se avessero potuto vedere il suo futuro.
Io non ho fatto nulla di male, volevo solo proteggere la mia sorellina.
Non sono pazza! – mi sfogai con il medico che mi teneva
stretta per un braccio e mi portava in giro.
- Sì, sì. Hai
ragione. Ora, da brava, resta seduta su questa branda, mentre io vado a
prepararti qualcosa di buono da mangiare. – mi rispose con
voce annoiata, priva di premura, dopo essere entrato in una stanza e
avermi fatta sedere su un letto.
Rimasi ad osservarlo con aria titubante e spaesata. – Ma tu
mi credi o no? – domandai, irritata.
- Certo che ti credo. –
Ero una bambina di otto anni, ma non ero stupida: non ci voleva un
genio per capire che le sue parole erano false.
L’uomo mi lasciò sola e si richiuse la porta alle
spalle. Scesi dal letto e mi affacciai alla finestra, aprendo le tende.
Tutto era bianco in quel posto, suggeriva l’idea
dell’ordine e della gradevolezza, ma in realtà era
uno dei peggiori centri di cura esistente in America.
Appoggiata contro il muro c’era una sedia con un completino a
righe bianche e grigie. Questo
no, pensai.
Non avrei mai indossato dei capi dai colori
così spenti e tristi. Incrociai le esili braccia al petto,
sperando di riuscire così a incollare il vestitino giallo
sole al mio corpo.
Nel cortile passeggiavano rare persone, chi in silenzio, chi urlando di
tanto in tanto, chi indicando con le dita punti indefiniti nel cielo in
preda a una crisi di risate. Almeno questi ultimi sembravano felici.
Non sapevo quanto mi stessi sbagliando. Quei poveretti avevano subito
il lavaggio del cervello. Erano stati rovinati.
Mi ritrovai a chiedermi più volte se io fossi come loro, se
davvero gli somigliassi, e per poco quasi me ne convinsi.
Il riflesso del mio viso si materializzò sul vetro quando
una nuvola oscurò il sole. Il mio viso era imbronciato,
nella tipica espressione che assumevo quando litigavo con Samantha per
delle sciocchezze, fingendomi offesa.
Incoraggiai le mie labbra a dispiegarsi in un sorriso: il sorriso mi
faceva bella, era lo specchio della mia forza, regalarlo al mondo mi
permetteva di stare meglio anche con me stessa.
Brava, Mary Alice.
Un lamento maschile giunse dalla stanza adiacente alla mia. Il ragazzo
che stava producendo quel verso passava dal riso a dei ringhi rabbiosi
a intervalli di pochi secondi. Mi faceva senso.
Mi tappai le orecchie e mi voltai verso la porta con occhi vigili.
Avevo paura.
Cercai di convincermi che se mi fossi comportata bene e avrei fatto
tutto quello che mi avrebbero chiesto, mamma e papà
sarebbero tornati a prendermi. Dovevo solo trovare un modo per riuscire
a bloccare i miei flash.
Quando volevo una cosa, la ottenevo, in un modo o nell’altro.
Un lamento più acuto mi scosse in un fremito. Mi lasciai
scivolare lungo la parete, le mani premute sulla testa.
Iniziai a cantare la canzone che la mamma mi sussurrava
all’orecchio appena mi svegliavo la mattina.
Smile makes you
beatiful, my dear personal sun...
*******
Spazio dell'autrice: eccomi qui con il
primo capitolo. Che dire, vi adoro! *_* Non mi aspettavo di ricevere
così tanti commenti con un prologo così.
Dunque, questo è l'assaggio iniziale. La piccola Alice, ora
conosciuta come Mary Alice, è arrivata nel suo "nuovo
mondo". Vi farò ridere, perché più
scrivo e più mi accorgo che mi affascina il manicomio
descritto dal suo punto di vista.
La frase finale è di mia invenzione, pensando alla madre di
Alice non ho potuto scrivere altro che potesse essere più
efficace ;)
Scusate se magari il capitolo è corto.
Cavolo, se recensiste sempre così, sfornerei capitoli con
uno sbadiglio! ;)
Ringrazio
tutti quelli che mi hanno aggiuna alle preferite, alle seguite e alle
ricordate ;) , e ovviamente chi ha recensito:
jenny
cullen [Contatta] |
Segnala
violazione
|
12/05/10,
ore 15:53 - Capitolo 1: Prologo |
Il
mio compito sarà riempire quei buchi a modo mio. Purtroppo i
primi capitoli avranno un'atmosfera malinconica e triste, ma in seguito
si sprigionerà l'azione, vedrai. Grazie mille ;)
|
|
|
|
|
gegge_cullenina [Contatta] |
Segnala
violazione
|
10/05/10,
ore 19:22 - Capitolo 1: Prologo |
Grazie
per i complimenti. Spero di non deludere le tue aspettative. Mano a
mano che pubblicherò capitoli, mi saprai dire se sono stata
originale o no ;)
|
|
LadyEl [Contatta] |
Segnala
violazione
|
10/05/10,
ore 19:10 - Capitolo 1: Prologo |
Davvero
ne hai scritta una anche tu? *_* Vorrà dire che quando
finirò questa passerò a leggerla. Non lo faccio
adesso perché: primo, potrei confondere le mie idee con le
tue; secondo, ho il sospetto che tu sia mooooolto più brava
e potrei non sentirmi all'altezza XD
Grazie infinite per aver letto ;)
|
|
|
|
Ritorna all'indice
Capitolo 3 *** 2) Il mondo lo vivi solo tu ***
Il
mondo lo vivi solo tu
La porta si
riaprì e io per lo spavento balzai in piedi. Il medico che
mi aveva scortata in quella stanza alzò le mani in alto come
se si fosse trovato davanti ad un animale pericoloso. Strinsi i pugni
sotto al collo, per crearmi uno scudo difensivo e mostrarmi allo stesso
tempo pronta ad attaccare.
-
Ehi, buona, piccola. Ti ho portato da mangiare. –
cercò di tranquillizzarmi il medico.
Presi a
disegnare cerchi immaginari sul pavimento con il piede destro,
incantata a fissare le mie scarpette nere da bambola. Non dovevo
comportarmi in maniera aggressiva, nessuno mi aveva negato che
quell’uomo avrebbe potuto farmela pagare severamente.
- Grazie.
– risposi a labbra strette.
Il ragazzo
nella stanza adiacente alla mia continuava a immettere lamenti;
sembrava provasse un palese e crescente piacere nell’alzare
sempre più il tono di voce.
-
Ma che cos’ha ? – domandai, alzando lo
sguardo.
-
E’ malato, Mary. E’ malato come te. Se
non vuoi diventare così, dovrai prendere tutte le cose che
io e gli altri medici ti faremo mangiare. –
Spostai la
testa di lato, mettendo il broncio, le sopracciglia inarcate in un
espressione contrariata.
- Tu non te ne
rendi conto, ma hai un urgente bisogno di cure. Lascio qui sulla
scrivania la tua minestra. Mangiala prima che si raffreddi. -
Riportai le
mani sulle orecchie per isolarmi dai suoni esterni.
-
Non puoi farlo smettere? –
In risposta
alla mia domanda, giunse il rumore indistinto di un’altra
voce dalla camera affianco alla mia. Lasciai ricadere le mani sui
fianchi, ad occhi spalancati.
- Fai
silenzio! Dannazione, smettila con questo strazio, smettila!
– urlava una donna.
Mi spaventai
ancor di più, e mi accucciai vicino al letto, nascondendo il
volto fra le mani.
Più
la donna lo sgridava, più il ragazzo urlava.
Finché non ci fu uno schiocco ed entrambi tacquero.
Fissai il
medico che era rimasto immobile davanti a me e continuava a guardarmi
con occhi strani. Fui percorsa da un tremito.
-
Ecco, è tutto finito. –
Presi un altro
respiro profondo e mi imposi di sorridere. –
C’è qualcosa che posso indossare? Vorrei
cambiarmi, possibilmente non con quel completo dai colori
spenti. -
Il medico
rise. Scoprii che poteva diventare perfino bello quando il suo viso si
addolciva e gli occhi azzurri gli si accendevano.
- Mi spiace,
ma non ti trovi a casa di uno stilista. D’ora in avanti i
tuoi vestiti saranno uguali al completo che c’è su
quella sedia. -
Spalancai gli
occhi, sbigottita.
Io che non
potevo passare un giorno senza tirare fuori dall’armadio i
miei vestiti e sperimentare nuovi abbinamenti, anche dopo i rimproveri
della mamma, avrei dovuto indossare per sempre un pigiama a righe
bianche e grigie?
-
Non indosserò mai quella roba! –
sbottai.
-
Bene. Tieniti il tuo vestitino fino a che non
marcirà. – assentì il medico con
espressione improvvisamente dura.
-
Bene! – confermai.
L porta si
richiuse e io fui di nuovo sola. Rimasi a fissare con aria di sfida il
completo a righe per un lungo lasso di tempo, finché, quando
ne fui stanca, passai a contemplare il cielo dai colori aranciati che
si stava screziando di rosso. Mi decisi ad avvicinarmi al piatto di
minestra solo quando fuori dalla finestra si poté vedere un
paesaggio blu.
Riluttante,
rigirai il cucchiaio nella brodaglia e l’annusai un paio di
volte. Temevo che il medico ci avesse messo dentro qualcosa di cattivo.
L’odore non ricordava per niente quella che faceva la mia
mamma; lei, anche se era una cuoca maldestra, ci metteva sempre il
cuore e l’anima in ciò che cucinava, tanto che a
volte riusciva a creare, con effetto a sorpresa, bizzarre e particolari
pietanze dal buon sapore, prima fra tutte la minestra di verdure.
Una lacrima
minacciò di cadere dal mio occhio sinistro. Strinsi con
forza il cucchiaino, prendendo a torturarmi il labbro con i denti per
bloccare l’impulso di piangere.
Non avevo
ancora avuto dei flash, ma sentivo che la mamma e il papà
sarebbero tornati a prendermi presto.
Per poco non
mi rovesciai la minestra sul vestito quando mi misi in punta di piedi
per mangiarla. Quella scrivania era troppo alta per me.
Rinunciai al
piatto ancora fumante, spensi la luce e mi infilai sotto le coperte.
Col mio vestito giallo, ovviamente.
Quello me lo
aveva comprato il papà quando era tornato dal suo viaggio di
lavoro a New York.
Mi addormentai
sognando il papà che mi correva incontro a braccia levate, i
corti capelli corvini spettinati, mentre la mamma si lamentava della
pettinata inadatta che si ostinava a tenere; a lei dava fastidio vedere
il mio papà in disordine quando era davanti a me.
Ma quando lui
aveva mostrato i due splendidi abiti che ci aveva regalato, la mamma si
era raddolcita e aveva lasciato perdere; era corsa in camera a
provarsi l’abito verde pastello, un colore usato di rado
dalla gente comune, ma la mamma era una che amava i colori vivi, accesi
o chiari che fossero.
Avevo
fantasticato di indossare quell’abito, un giorno, quando
sarei stata abbastanza grande per farlo. La mamma era
semplicemente stupenda, il verde pastello risaltava il suo incarnato
chiaro e accendeva i riflessi dorati dei suoi capelli castani. Quando
la vidi fare il suo ingresso nel giardino, le guance rosse di imbarazzo
e contentezza, non resistetti e le gettai le braccia al collo spiccando
un balzo degno di una lepre. Giocherellai con le ciocche di capelli
mossi che le incorniciavano il viso stuzzicate dalla leggera brezza,
mentre lei rideva e mi chiedeva di scendere per provare
l’abitino giallo sole che mi aveva regalato il
papà.
Mi risvegliai
con le labbra distese in un sorriso sereno quando udii dei colpi alla
porta.
- Mary,
è ora di alzarsi. -
Girai per il
centro di cura, mentre il medico mi riempiva la testa di parole a cui
non volevo credere.
-
Le vedi tutte queste persone? Devi avere paura di loro, sono
pericolose e potrebbero farti del male involontariamente. –
-
Questa è la tua casa, adesso. All’inizio
sarà dura viverci, ma poi ti ci abituerai. –
-
Quel signore laggiù è fuori di testa.
Quando inizia a dimenarsi così gli diamo delle pastiglie per
farlo dormire. Diventa docile e mansueto, perché noi
sappiamo come aiutarlo; se mai dovessimo avere bisogno di darti quelle
pastiglie, non opporre resistenza, Mary. –
Avrei tanto
voluto dirgli la mia su tutto, dirgli che le persone che lui mi
indicava erano incurabili perché i medici non sapevano
qual’era la cosa giusta da fare, ma mi trattenei. Dovevo
comportarmi bene se volevo tornare alla mia vera casa.
- Ora ti porto
nella mensa, così mangi qualcosa. -
Il mio
stomaco, in risposta, prese a borbottare fastidiosamente; avevo una
voragine interna che pretendeva di essere riempita.
La mensa era
uno dei luoghi del centro di cura meno rumoroso. Ai quattro lati della
stanza quattro uomini con una divisa diversa dal mio medico personale
stavano in piedi a braccia conserte, tenendo d’occhio gli
altri.
La maggior
parte delle persone sedute ai tavoli era da sola, ma alcune stavano
anche in gruppi di tre o quattro. Più che infondermi paura,
m’incuriosivano. Non sapevo cosa aspettarmi da loro,
perché ognuna di loro aveva un’unicità
e una stranezza di essere tutta sua. Ma forse quella
diversità serviva a qualcosa nel mondo, forse se esistevano
persone strambe, c’era un motivo. Positivo, per me.
Non riuscivo a
detestarle.
-
Un’infermiera arriverà presto per
portarti del cibo. Accomodati qui, per conto tuo. Oggi resto io a farti
compagnia. –
Il medico
dagli occhi azzurri era convinto, evidentemente, di farmi un piacere
facendomi sedere ad un tavolo vuoto. Ma si sbagliava.
C’era
un vecchietto vicino a noi dal viso espressivo che teneva un cucchiaio
in mano e mangiava in silenzio. Quasi tutti borbottavano o
ridacchiavano, lui invece era serio; probabilmente non sentiva neanche
i rumori e le voci che lo circondavano. Ingoiava di tanto in tanto dei
bocconi di brodaglia, poi rilasciava cadere pesantemente il cucchiaio
dentro al piatto, come se stesse tenendo tra le dita un grosso sasso;
quando lo rialzava, lo ripuliva per bene con la lingua e lo fissava.
Solo dopo averlo osservato più volte, capii che si stava
specchiando nella piccola e tonda superficie di metallo. Spalancai gli
occhi per lo stupore quando mi accorsi che il vecchietto nel guardarsi
dilatava gli occhi e inarcava le sopracciglia all’improvviso,
oppure si controllava i denti e ammiccava, cercando di produrre le
più insolite e assurde espressioni facciali. Dopo aver fatto
ciò, tornava a mangiare come se nulla fosse successo, da
serio.
Ero a bocca
aperta. Avevo voglia di ridere.
- Voglio
mangiare al tavolo con quel signore. – dichiarai .
Il medico
guardò lui, poi me, e alla fine acconsentì.
- Signor
Foster, questa piccolina vorrebbe fare colazione al suo tavolo. Non le
dispiace? -
Il signor
Foster alzò lo sguardo, sporgendo in fuori il labbro
inferiore, nel tipico broncio che anch’io facevo da piccola
quando volevo intenerire gli altri. Mi ricordò fortemente
Samantha. Sotto quest’aspetto, io e lei eravamo uguali;
rivedevo me stessa in quel musetto adorabile. E quel vecchietto mi
aveva già conquistata. Il bello era proprio
l’incomprensibilità dei suoi gesti e dei suoi
sguardi, ma i suoi occhi verdi erano talmente dolci che era impossibile
avere paura di lui.
Il signor
Foster annuì con un lieve cenno d’assenso del capo
in risposta alla domanda appena rivoltagli.
Raggiante, mi
accomodai nella sedia di fronte alla sua con un piccolo salto. I miei
piedi erano distanti più di trenta centimetri dal pavimento.
Iniziai a
dondolare le gambe avanti e indietro, i gomiti appoggiati al tavolo, la
testa posata sulle mani. Osservavo il signor Foster incuriosita, dire
che pendevo dalle sue labbra è poco.
-
Io mi siedo qui vicino. – annunciò il
medico dagli occhi azzurri.
Annuii
distrattamente.
Il signor
Foster avvicinò il piatto di brodaglia a me, porgendomi il
cucchiaio.
- No, grazie.
– rifiutai, sorridendogli. – Perché
quando ti specchi fai quelle facce buffe?-
-
Intendi questa? –
Il signor
Foster sfoderò un sorriso a trentadue denti, inarcando
quanto più possibile le sopracciglia.
Risi di cuore.
– Sì, questa e tutte le altre. –
-
Per divertirmi, piccola…? –
-
Mary Alice. – lo informai.
-
Sì, per divertirmi, Mary Alice. Il mio angelo
è orgoglioso di me, è orgoglioso della mia
tenacia. –
-
Il tuo angelo?- domandai, sbattendo le ciglia.
-
Il mio angelo si chiama Eufemio, cioè, sono io che
lo chiamo così. In realtà non so come si chiami,
forse non ha nemmeno un nome, o forse… non me lo vuole dire.
–
-
Esistono gli angeli? Io pensavo fossero presenti solo nelle
favole, me lo ha detto la mamma. –
Il signor
Foster spalancò la bocca, incredulo.
- Una bambina
così giovane che non crede
all’autenticità degli angeli? -
-
Tu sai che ci sono veramente? –
-
Ce n’è uno per tutti. Ma in pochi lo
riescono a vedere nel corso della breve vita che ci è stata
donata. Io sono stato graziato dal mio angelo. –
-
E io sarà mai graziata dal mio? Potrò
mai vederlo? –
-
Solo se un giorno riuscirai a crederci veramente, solo se chi
ti circonda non concretizzerà il tuo mondo. Devi scoprire il
mondo con i tuoi occhi, Mary Alice. Nessun’altro ha il
diritto di mostrartelo. Se dovesse succedere il contrario, perderai per
sempre la possibilità di conoscere le verità
nascoste a cui l’uomo anela. -
Il signor
Foster mi sorrise. – Non lasciare che nessuno intacchi la tua
anima. -
Non capii il
significato di quelle parole. Una voce, alle mie spalle, mi fece
sobbalzare.
-
Non ascoltarlo, Mary, è pazzo. –
Non mi curai
nemmeno di guardare il medico, mentre un’infermiera posava un
vassoio di cibo per me sul tavolo.
Spazio
dell’autrice: mmh… insolito, non
trovate? Nel corso della sua permanenza al centro di cura, Alice
avrà modo di parlare con tante persone. Ciascuna
l’affascinerà in modo diverso, proprio come ha
fatto il signor Foster. Il suo comportamento ha sdrammatizzato la
situazione di tristezza iniziale, o almeno, è ciò
che io spero di essere riuscita a trasmettere XD
Se avete
iniziato a leggere questa storia alla ricerca della coppietta
innamorata, sappiate che questa entrerà in scena
più avanti. Anzi, ce ne saranno due a dire la
verità. E con Jasper, non sarà per niente
facile…
Ma adesso è il tempo della storia di Alice, quindi, se
volete leggerla, dovrete leggerla tutta quanta XD Non ho voglia di
correre.
Ora rispondo alle vostre recensioni ( *_* Vi adoro, mi state aiutando
bene ora. Continuate così *_*)
|
|
|
|
PAZZA96 [Contatta] |
Segnala
violazione
|
13/05/10,
ore 14:13 - Capitolo 2: 1)
Il sorriso ti fa bella. |
Puoi
star certa che scriverò un bel po' sulla parte del
manicomio, è proprio questo uno dei miei scopi principali,
assieme a quello di cambiare l'incontro tra lei e.. argh, mannaggia a
me, devo tacere! Grazie di tutto.
|
|
nanerottola [Contatta] |
Segnala
violazione
|
13/05/10,
ore 14:02 - Capitolo 2: 1)
Il sorriso ti fa bella. |
Ahahahah,
credo che ci siamo fraintese. Quando ho detto " Vi farò
ridere", mi riferivo a me stessa perchè ho detto che mi
affascina scrivere sulla permanenza di Alice al manicomio.
Però vedi che il signor Foster è divertente ;)
Chissà, magari in futuro ti farò ridere davvero!!
Grazie di tutto.
|
|
|
|
Ritorna all'indice
Capitolo 4 *** 3) E' colpa tua ***
E'
colpa tua
Passò una
settimana dal mio arrivo al centro di cura. Mangiai e presi le medicine
ogni volta, senza fare capricci.
Impiegavo la maggior parte del mio tempo a parlare con il signor
Foster, a ridere quando mi proponeva un nuovo repertorio di espressioni
facciali, ignorando i medici che mi dicevano di non badare a
ciò che mi raccontava. Facevo tesoro dei racconti del signor
Foster, lui era il vecchietto più bizzarro e allo stesso
tempo interessante che avessi mai incontrato, e non mi importava se era
considerato pazzo. Se credere di aver conosciuto il proprio angelo
custode era sinonimo di pazzia, allora avrei voluto essere pazza.
- Come mai una piccolina così
graziosa e intelligente si trova qui? – mi aveva chiesto il
signor Foster il giorno successivo alla nostra prima conversazione,
mentre eravamo seduti in giardino.
- Perché posso creare dei film
nella mia mente, che molto spesso diventano reali. – avevo
spiegato. – La mia mamma e il mio papà si sono
spaventati, evidentemente. Vogliono che io guarisca. Non vedo
l’ora che succeda, così potrò tornare a
casa con loro. –
- Non credo di aver capito bene.
–
- Tu stesso mi dici che a volte sbarro
gli occhi e prendo a fissare qualcosa di indefinito. Ecco, in quei
momenti vedo cose che succederanno a coloro che vivono qui. Grazie ai
flash della mia mente ho scoperto che a volte Jamie viene picchiato.
–
Jamie era il ragazzo affetto da crisi epilettiche che stava rinchiuso
nella stanza adiacente alla mia.
- Forse sarebbe stato meglio non
scoprirlo mai. Ho visto morire il bambino che stava prendendo forma
nella pancia della mia mamma, le ho detto che sarebbe nata femmina e
soffocata dal cordone ombelicale. Così è
successo. Tre settimane fa… ho visto morire mia sorella
Samantha senza poter fare nulla per salvarla. Io l’avevo
detto ai miei genitori che sarebbe successo. –
- Incredibile… -
mormorò il signor Foster con una strana luce negli occhi.
Sembrava indeciso se pensare che la mia anormalità fosse un
dono o una maledizione.
- Tu vedi il futuro, Mary Alice.
–
- Il futuro? – avevo
domandato, sbigottita.
- Non devi pensare che le cose succedono
perché tu vedi determinate immagini dentro di te.
E’ il contrario: tu vedi ciò che è
destinato ad accadere. –
- Ma non voglio! – avevo
protestato. – Che gusto c’è a vivere in
questo modo? So già che questa sera mangeremo ancora la
minestra e che Jamie verrà picchiato domani mattina.
–
- Tutto accade per una ragione, piccola
Mary. Se gli angeli ti hanno donato questo potere, significa che ti
servirà a qualcosa nella vita. –
- Gli angeli non fanno azioni a fin di
bene? –
- Certo, ma non sempre i mezzi con i
quali lo ricercano portano felicità e fortuna. A volte
bisogna convivere con la fastidiosa presenza di qualcosa che ci fa
soffrire, per poter arrivare al bello delle cose. -
Avevo incrociato le braccia al petto con forza. – Gli angeli
sono ingiusti e si burlano di noi. Non è carino! –
Il signor Foster mi aveva fatto una linguaccia. Io avevo ricambiato il
gesto, sentendo l’indignazione svanire, sostituita dal
divertimento.
Quel vecchietto speciale dimostrò di sapere come tirarmi su
di morale nei giorni che seguirono.
Fu lui a ricordarmi la regola che mi ero imposta, ovvero di
non perdere mai il sorriso, quando le mie visioni e la sofferenza dei
pazienti mi avvilivano.
Ogni mattina mi risvegliavo con le grida di Jamie che mi rimbombavano
nelle orecchie, arrestate dal ciocco degli schiaffi che gli venivano
dati. E ogni volta desideravo diventare sorda per un istante e poter
correre subito dal signor Foster. Quando glielo raccontavo, lui mi
diceva che non potevamo fare nulla per impedirlo, mentre io mi
arrovellavo il cervello alla ricerca di una soluzione capace di porre
fine al dolore di Jamie. Forse era proprio quello uno dei casi di cui
mi aveva parlato il signor Foster: avrei dovuto usare il mio potere per
impedire che a Jamie venisse fatto del male. Sì, io ero solo
una bambina di otto anni, ma se credevo fino in fondo in ciò
che volevo, potevo fare in modo che accadesse.
Avevo la sensazione che fosse trascorsa
un’eternità da quando avevo lasciato casa mia.
Ancora non sapevo quanto sarei rimasta in quel centro di cura.
La speranza di riabbracciare mamma e papà e di perdere la
capacità di vedere il futuro era viva in me quanto un fuoco
splendente alimentato da instancabili fiamme. Un giorno me ne sarei
andata da quel posto, e avrei portato con me il signor Foster.
- La mamma e il papà vengono
domani? –
Questa era la domanda che rivolgevo al medico ogni sera, prima di
andare a dormire.
- Forse, non è detto.
– mi rispondeva lui, Caleb Smith, l’unico
medico che non sembrava sempre arrabbiato o svogliato di fare il suo
lavoro. Anche se, tuttavia, certe volte mi lanciava strane occhiate che
mi facevano rabbrividire di un momentaneo senso
d’inquietudine.
E ogni volta io annuivo senza protestare, senza insistere sulla
domanda. Non sapevo che i medici che mi vedevano fissare qualcosa con
occhi sbarrati e fare scatti, come se una creatura invisibile mi avesse
dato la scossa, consideravano quel mio comportamento come un
inconfondibile sintomo di pazzia. Sintomo per il quale non mi avrebbero
mai mandata a casa.
- Non devi mai dire a nessuno quello che
vedi. Capito? A nessuno. – mi disse una mattina il signor
Foster, gli occhi verdi che risplendevano di un’energia
assoggettante. – Purtroppo in questo posto nessuno
ammirerà mai il tuo talento, non serve che tu ne parli.
–
E aveva ragione. I pazienti non facevano altro che darsi del pazzo
l’uno con l’altro, o ripetere che erano in ottime
condizioni di salute. Ma dovevo ammettere che io stessa faticavo a
crederci, quando li vedevo ridere e battere le mani o conversare
amabilmente con una sedia.
Una sera Caleb mi salutò dandomi un bacio sulla guancia.
– Sei la mia piccolina preferita. Continua a
prendere le medicine, e vedrai Dio scaccerà il male da te.
–
Non seppi capire cosa mi turbò maggiormente, se il suo gesto
d’affetto o le sue parole.
Quella notte sognai Samantha, come sempre, ma la sua presenza pura e
confortante si rivelò piena di risentimento e disprezzo nei
miei confronti, diversamente dalle altre volte.
- Guardami, Alice, volo! –
diceva, nel sogno, con voce sarcastica, sporgendosi fuori dalla
finestra e saltando giù.
Io, sotto di lei, cercavo stupidamente di afferrarla, ma lei ricadeva
sul prato lontano da me, come attratta da una misteriosa calamita.
La scena si ripeté svariate volte, accompagnata dalle mie
grida. Iniziai a chiamare mamma e papà, nella speranza che
quello strazio finisse, ma loro non arrivarono. Era inesistenti in
quella dimensione
Quando mi svegliai, udii la voce di Samantha ronzarmi nelle orecchie: -
E’ colpa tua! Sei tu che mi hai fatta cadere, sei tu che lo
hai deciso con la tua mente! –
Balzai fuori dal letto, il pigiama a righe bianche e grigie che ero
stata drasticamente forzata ad indossare incollato addosso; spalancai
la porta e mi precipitai di corsa nel corridoio buio.
Volevo andarmene via da lì. Ma non ricordavo dove fosse la
via d’uscita e le guardie mediche che facevano i turni di
notte avrebbero potuto sorprendermi. Non vi era alcuna soluzione per
fuggire da quell’incubo.
- Signor Foster! Signor Foster!
– presi ad urlare correndo per i corridoi.
Le lacrime minacciavano di fuoriuscire dai miei occhi, ma non
volevo perdere la mia sfida personale nella quale mi ero ripromessa di
non piangere se non per gioia, così lottai per fermarle. Nel
giro di un minuto alle mie grida si unirono quelle di altri malati,
spaventati da quel rumore inaspettato e non identificato al
dì fuori delle loro camere.
Una mano mi artigliò la spalla costringendomi a voltarmi.
Ricevetti uno schiaffo in piena faccia che mi fece cadere a terra. Il
dolore mi stordì. Persi per un istante l’uso della
vista e dell’udito, mentre il fuoco bruciante si diffondeva
sulla mia pelle.
- Figlio di puttana, non toccarla!
–
Riconobbi la voce di Caleb, ma nonostante ciò presi a
scalciare violentemente quando sentii che mi aveva presa in braccio.
- Non dovevi picchiarla così
forte! –
- Questa mocciosa ha svegliato mezzo
manicomio! – protestò l’uomo che mi
aveva colpita.
Tremante, cercavo di massaggiarmi la guancia dolorante, il labbro
gonfio che pulsava quanto il mio cuore.
- L’hai fatta sanguinare, hai
rischiato di spaccarle la faccia, idiota! –
Non avevo mai sentito Caleb usare quel tono.
- Signor Foster! Signor Foster!
– ripetevo disperata, ad occhi chiusi, le mani serrate a
pugno davanti alla faccia.
- Sssh, smettila! Dannazione, Mary Alice,
hai già fatto abbastanza danni questa sera! – mi
ammonì Caleb.
- Difendila pure… Ma il fatto
che sia piccola non fa di lei una favorita. Qui dentro è
come tutti gli altri, stessa barca, stesso trattamento. –
Caleb mi strinse a sé e si incamminò per il
corridoio, senza degnarsi di rispondere all’uomo cattivo che
mi aveva ferita. Mi addormentai, scioccata e spaventata, nonostante le
grida di Jamie risuonassero per il corridoio che stavamo percorrendo.
Spazio autrice:
lo so, è sempre più triste. Ma in un manicomio
del 1900 di certo non se la spassavano.
Apro
un sondaggio: volete che io restringa la storia di Alice da umana per
dare più spazio a quella in cui è vampira, oppure
do spazio ad entrambe?
Io preferirei la seconda opzione, ma la mia paura è di
annoiarvi! Rispondete, per favore.
Passiamo ai ringraziamenti ;) :
darling [Contatta] |
Segnala
violazione
|
18/05/10,
ore 23:27 - Capitolo 3: 2)
Il mondo lo vivi solo tu |
Sì
che Alice è speciale. E' la mia sorellina adorata *_*
L'angelo non posso dirti chi sarà... ma credo che ti
piacerà se ami la dolcezza.
Spero che questo capitolo ulteriormente triste non ti abbia delusa.
Piacere anche da parte mia! XD
|
|
Isangel [Contatta] |
Segnala
violazione
|
17/05/10,
ore 18:58 - Capitolo 3: 2)
Il mondo lo vivi solo tu |
Dunque,
Alice e Jasper avranno un incontro diverso, non del tutto diverso
magari, devo ancora decicere... ma sicuramente sarà
complicato! Ne vedrai delle belle! Ogni domanda
è sempre ben accetta, non farti problemi ;)
|
|
Mary_Whitlock [Contatta] |
Segnala
violazione
|
17/05/10,
ore 14:12 - Capitolo 3: 2)
Il mondo lo vivi solo tu |
Che
coincidenza...! Esiste un sig Foster in un cartone? Non lo sapevo,
davvero!
Grazie mille per tutti i complimenti. Adoro descrivere un Alice bambina
*_* Mi confortano le tue parole, però non so se tutti la
pensano come te, quindi ho aperto questa specie di sondaggio XD
|
|
|
|
|
Ritorna all'indice
Capitolo 5 *** 4) Il disegno della tua vita ***
Il
disegno della tua vita
Mi strinsi al braccio di Caleb quando riconobbi il medico cattivo che
la sera prima mi aveva picchiata.
- Sta tranquilla, non gli
permetterò di farti del male. E’ venuto solo per
fare un controllo. – mi rassicurò immediatamente
lui.
Un ragazzo seduto ad un altro tavolo indicava la mia faccia con un dito
e rideva. Il livido viola sulla mia guancia e il labbro gonfio come un
piccolo salvagente lo divertivano.
- Il signor Foster… Voglio il
signor Foster. – mormorai.
- Oggi non lo vedrai. – mi
informò Caleb.
Lo fissai negli occhi azzurri. – Perché?
–
Percepii una nota di allarme nella mia voce.
- Perché si è
sentito poco bene. –
- Che cos’ha? –
- Troppe domande. Pensa alla tua salute,
Mary Alice. –
Sbuffai. Nonostante Caleb mi avesse dato una brutta notizia, non ero
preoccupata. Avevo la sensazione che il signor Foster ed io ci saremmo
rivisti. Anche se la curiosità di sapere cosa avrebbe fatto
quel giorno era tanta…Soppesai per un attimo
l’ipotesi di chiudere gli occhi e di provare a scoprirlo
grazie alla mia capacità, ma poi cambiai idea. Non dovevo
vedere il futuro.
Il medico cattivo era appoggiato contro al muro e teneva le braccia
conserte, fissandomi di tanto in tanto di sottecchi. Rabbrividii di
terrore al ricordo della sua mano forzuta che mi colpiva in viso. Quasi
potei risentire il dolore provato sulla mia pelle. Caleb mi aveva messo
del ghiaccio per fare in modo che il livido enorme non si gonfiasse.
- Piccola, devo farti una domanda.
Perché questa notte sei fuggita dalla tua camera? Cosa ti ha
spaventata? –
Mi rigirai una ciocca di capelli neri tra le dita e puntai gli occhi
sulla finestra che dava sul giardino. – Samantha. –
Caleb mi posò una mano sulla spalla. – E chi
è Samantha? –
Lui era l’unico, a parte il signor Foster, che riusciva a
conservare un tono gentile quando mi parlava. Il modo in cui mi si
rivolse in quel momento mi spinse a rispondere alla sua domanda.
- Samantha è mia sorella.
–
- Era
tua sorella. Devi accettare il fatto che… non ci sia
più. Sai, molti bambini alla tua età non riescono
ad accettare che una persona sia andata in cielo, ma… -
- Lo so che è morta. Solo, non
mi piace parlare al passato. Io non la dimenticherò mai, il
suo ricordò vivrà per sempre, per questo parlo al
presente. –
Caleb mi fissò sconcertato. Non mi era sembrato di aver
detto qualcosa di strano, perciò non riuscii a
capire perché Caleb assunse quell'espressione..
- D’accordo, Mary Alice. E cosa
ti ha detto Samantha? –
Strinsi gli occhi, concentrata ad osservare Jamie che rideva e saltava
in giardino. – La verità: che sono stata io a
farla morire. –
- E come? –
- … Avevo visto che sarebbe
caduta dalla finestra, e così è successo,
nonostante mamma e papà avessero cercato di fare il
possibile per impedirlo. –
Parlavo senza rendermene conto, sentivo l’impellente bisogno
di condividere con qualcuno le mie angosce.
Caleb mi posò una mano sulla spalla. - In che senso lo hai
visto? Non si possono vedere
le cose che devono accadere. –
- Io l’ho visto. –
replicai, imperterrita. – Non so come e perché, ma
è così. Samantha è morta per colpa
mia. –
- Piccola… vedrai, presto
sarà tutto finito. Se continuerai a prendere le medicine
starai meglio. –
Invece di arrabbiarmi, provai a trovare una consolazione in quelle
parole. Se tutto ciò che ero costretta ad ingerire mi
avrebbe impedito di vedere il futuro, allora ero ben lieta di avere le
vertigini ogni volta che assumevo le medicine. Forse quel sintomo era
un segnale di guarigione.
- Sì, lo spero tanto.
–
*******
Quel giorno il signor Foster non avrebbe potuto tenermi compagnia,
così rimasi in giardino ad ascoltare il fruscio delle foglie
degli alberi smosse dal vento. Mi mancava sentire l’allegro
cinguettio degli uccellini, nel posto in cui mi trovavo io non venivano
mai perché le grida dei pazienti li spaventavano.
Seduta sull’erba, mi beavo del calore del sole sulla mia
pelle, la mente sgombera da ogni pensiero, finalmente. Almeno
finché una voce familiare non giunse alle mie orecchie.
- Non puoi lasciarla lì tutto
il giorno. Presto dovrà iniziare la terapia, è
meglio se l’abitui da subito all’idea che non
potrà restare all’aperto tanto spesso nei giorni a
venire. –
Avevo la sensazione che quel signore stesse parlando di me, tuttavia
non mi voltai per inquadrarlo: era il medico cattivo, quello che la
sera prima mi aveva picchiata.
- Voglio solo che sia serena prima
di… -
Ma non udii la fine della frase, perché Jamie
cacciò un urlo, pieno di rabbia perché non era
riuscito a catturare una farfalla che gli stava svolazzando attorno.
Una paura improvvisa si impossessò di me. Istintivamente
chiusi gli occhi e mi concentrai sul nero che avevo davanti per dare
forma a un’immagine.
Macchie di colore giallastro si fusero e si mescolarono, dando vita ai
contorni di un oggetto dalla forma rettangolare; sopra di esso si
creò la miniatura di una persona, e tutt’intorno
macchie indistinte di altri esseri viventi. Cercai di mettere a fuoco
gli oggetti comparsi, finché essi non presero colore: la
figura rettangolare era un letto, la persona che vi era sdraiata sopra
ero io, e non avevo un’espressione felice; le sagome che mi
erano attorno appartenevano a medici e dottoresse che avevo visto di
sfuggita, e Caleb non era fra loro. Ma la cosa che più mi
spaventò e mi fece aprire gli occhi, fu osservare
impotentemente la mia fotocopia coi polsi, il busto e le gambe
imprigionate da dei cerchi di ferro.
Fu come risvegliarsi dopo un lungo sonno in un posto sconosciuto, senza
sapere cosa mi fosse accaduto. Analizzai con circospezione ogni
particolare del luogo che mi circondava, finché a poco a
poco la consapevolezza si fece strada in me. Mi ritrovai in piedi senza
sapere quando mi ero alzata.
D’istinto mi girai, dando le spalle al prato che riluceva
dorato, per incrociare gli occhi di Caleb e il medico cattivo che
stavano parlando sotto il portico, osservandomi. Feci uno sforzo per
sorridere e agitai la manina per salutare Caleb, che
ricambiò il mio gesto. Non dovevo far loro capire che mi ero
spaventata, così mi risedetti allargando le braccia verso il
sole. Ah, semplicemente lo amavo. Non avrei potuto vivere senza di
esso. Il solo pensiero delle parole pronunciate dal medico cattivo mi
fecero rabbrividire della paura che si prova quando si teme di perdere
qualcosa di estremamente caro; anche se allora ero troppo piccola per
capire a fondo quel tipo di sentimento.
- Mary Alice, posso sedermi qui con te?
–
Alzai la testa, incuriosita. Mi faceva piacere l’idea che
qualcuno fosse interessato a conoscermi.
Una donna magrissima con un viso spigoloso e due grandi occhi castani
sporgenti mi stava fissando, con espressione indecifrabile, forse
triste, forse compassionevole. Il suo viso mi incusse* inquietudine.
- Ma certo, faccia pure. –
acconsentii.
Dovevo imparare ad abituarmi più velocemente alle stranezze,
se volevo stare bene in quel posto.
- Posso prenderti la mano? –
La curiosità mi stava soffocando. Annuii, posando la mia
mano destra sulla sua secca e dalle dita affusolate.
Non avevo mai parlato prima d’ora con quella donna,
l’avevo vista rare volte seduta a tavola durante
l’ora di cena. Non mi aveva mai suscitato emozioni
particolari, ma ora che me la trovavo davanti, mi stavo impressionando.
Ero in grado di avvertire che le persone in quel posto erano diverse
dalla massa. Che in qualche modo erano speciali.
- Come ti chiami? –
- Audrey. Sono di origine francese. -
La voce di quella donna era roca, dolce e piacevole da ascoltare.
Guardai Audrey tracciare segni sul palmo della mia mano, accarezzandomi
delicatamente la pelle. Il tocco delle sue dita mi lasciò un
marchio, provocandomi brividi di stupore in tutto il corpo.
- Che cosa stai facendo? –
Audrey alzò lo sguardo, puntando i suoi grandi occhi marroni
e luminosi nei miei. – Sto leggendo il disegno della tua
vita. –
Spazio
dell’autrice: scusate, scusate, scusate.
E… ricusate! Ho fatto tardi, ma è colpa della
scuola, è lei l’ antipatica! XD Scherzi a parte,
penso di aggiornare meno frequentemente in questo periodo, o almeno,
non dopo tre giorni come ho fatto coi primi due capitoli. Sono
impegnata a scrivere altre due fanfiction, di cui una per un contest, e
ne ho un’altra in sospeso ( ahimé, la diminuzione
delle recensioni mi ha demotivata a continuare quella
ç_ç ), quindi non aspettatevi una produzione
lampo XD
Noto, con
piacere, che alla maggior parte delle persone che hanno commentato,
piace l’idea di un seguito approfondito. Chiedo a chi non
è d’accordo di segnalarmelo, così
deciderò cosa fare.
Che ve ne pare di questa Audrey?
Incusse* E’ raro trovarlo al passato remoto, e suona anche in
modo
orribile, però è corretto, quindi l’ho
usato. Sarebbe il verbo incutere.
Ringrazio tutti coloro che seguono questa storia e ovviamente chi
commenta.
Ecco le risposte alle vostre recensioni:
Mademoiselle
Shy [Contatta] |
Segnala
violazione
|
24/05/10,
ore 14:52 - Capitolo 4: 3)
E' colpa tua |
Graaazie,
non credevo che il sig. Foster avrebbe potutot risucotere questo
successo ;)
Vedo che sei consapevole più di me di ciò che
accadeva nei manicomi in questo periodo. Sono felice che anche tu abbia
deciso per una storia approfondita XD
|
|
darling [Contatta] |
Segnala
violazione
|
21/05/10,
ore 20:09 - Capitolo 4: 3)
E' colpa tua |
Sì,
ho quasi pianto quando Alice è stata picchiata. Lei
è la mia bambolina *.* ç_ç
Ahahahah, dai, tieni duro, Jasper arriverà... e ne
combinerà delle belle... anzi, delle brutte!!!
|
|
Isangel [Contatta] |
Segnala
violazione
|
21/05/10,
ore 16:13 - Capitolo 4: 3)
E' colpa tua |
Ovvio
che ci saranno dei salti temporali, altrimenti ci vorrebbe una Bibbia
per scrivere di anni e anni interi di vita. Grazie come sempre per
darmi il tuo parere ;)
|
|
|
|
|
|
|
Ritorna all'indice
Capitolo 6 *** 5) Il mio Dio ***
Il
mio Dio
Erano passati due anni dalla mia prima chiacchierata con Audrey. Non
l’avrei mai dimenticata.
Quando mi aveva preso una mano tra le sue e aveva iniziato ad
accarezzarmi il palmo con le dita, aveva dilatato gli occhi,
suscitandomi uno strano senso di inquietudine. Quei caldi e vivi occhi
castani erano avvolti da un alone di mistero, che le conferivano
un’aura diversa da tutte le altre persone presenti nel centro
di cura.
Inizialmente Audrey mi aveva detto che ero speciale, sorridendo e
increspando la fronte sottile ogni qualvolta le sue dita cambiavano
direzione sul palmo della mia mano. Era sembrato che stesse davvero
leggendo la mia vita, o meglio, che ne stesse tracciando i
contorni.
Per un attimo avevo creduto di aver davanti a me una persona col mio
stesso problema, o dono, come lo chiamava il signor Foster. Ma poi,
quando Audrey mi aveva mollato la mano e si era allontanata di scatto
da me, punta da un’invisibile ape, le mie speranze si erano
tramutate in paura e dispiacere.
- Ti ho spaventata? – le avevo
domandato.
- N-no. Non tu… No. –
Audrey si teneva una mano sul cuore ed evitava di incrociare il mio
sguardo. Aveva gli occhi di una bambina spaesata la cui pelle avvizzita
e la magrezza ne testimoniavano l’invecchiamento precoce.
Negli ultimi due anni avevo trascorso le mie giornate parlando del
più e del meno col signor Foster, viaggiando in mondi
lontani, immersa nei suoi discorsi bizzarri. Lui stesso mi aveva detto
di non badare al comportamento di Audrey, perché un giorno
avrei scoperto da me cosa l’aveva turbata tanto.
- Non sarebbe giusto che tu lo scoprissi
prematuramente. Sai, si dice che Audrey sia specializzata nella lettura
della mano, che è il motivo per cui si trova qui. Era tanto
intuitiva che l’hanno considerata pazza. La gente teme
ciò che non conosce, perciò non lo accetta e non
lo vuole credere. Audrey è qui perché ha voluto
regalare troppo a chi non l’ha saputa capire. –
Il signor Foster conosceva Audrey e aveva avuto occasione di parlarle
svariate volte, tutto sommato lei non era tanto diversa da me. Anche io
non sarei stata capita se avessi detto che vedevo il futuro, o se
avessi provato a parlare a qualcuno delle mie visioni.
Erano passati due anni e i miei genitori non erano venuti a prendermi.
Erano passati due anni, ma non ero guarita.
Erano passati due anni e Caleb si era sempre preso cura di me.
Erano passati due anni e Samantha non mi aveva più fatto
visita nei sogni.
Fu la notte del mio decimo compleanno, che lo vidi per la prima volta.
Colui che aveva sostituto la costante figura di mia sorella durante il
sonno.
Mi dava le spalle, e la sua figura era sfocata. Io ero molto
più bassa di lui, perciò mi apparve come la
statua di un irraggiungibile dio. Correvo a perdifiato per raggiungerlo
e toccarlo, ma le mie braccia non potevano arrivare alle sue spalle.
Quello era un sogno muto. Forse, semplicemente non sentivo il bisogno
di parlare, quasi temessi di allontanare quel dio con la mia voce, se
lo avessi chiamato.
Ad un certo punto riuscii ad avvicinarmi, e lui si accorse della mia
presenza.
In quello stesso momento, incolpai la mia curiosità. E se
l’oggetto del mio desiderio avesse avuto un viso orribile,
come i mostri che popolavano gli incubi? Mi sarei svegliata e avrei
iniziato ad urlare come due anni prima? Samuel, il medico cattivo, mi
avrebbe picchiata ancora?
Trattenei il respiro, quando il dio voltò la testa di lato.
Delle onde di arruffati capelli biondi gli schermavano gli occhi,
tuttavia l’incarnato luminoso della sua guancia non mi
sfuggì. Rimasi incantata.
Quando il dio stava per voltarsi del tutto, mi ritrovai a fissare il
soffitto nero della mia stanza ad occhi sbarrati.
Mancava ancora poco all’alba. A mezzanotte avevo compiuto
dieci anni.
Che quel dio fosse il mio regalo di compleanno? Era possibile che
avessi avuto una visione durante un sogno?
Mi rigirai nel letto, cercando di riprendere sonno e di non pensare al
dio biondo almeno fino al sorgere del sole.
Il sole… Il sole che tanto amavo mi ricordava i suoi capelli
dorati…
*******
Il giorno del mio compleanno fu l’ennesimo in cui fui
costretta a quell’assurda terapia che mi prosciugava le
forze.
La prima volta che la provai, rimasi scioccata. L’oggetto
della mia visione si era avverato in tutta la sua sconcertante
realtà.
Subito dopo aver mangiato, Caleb mi portò nella stanza dove
tutti gli altri medici mi avrebbero esaminato come un topolino da
esperimenti. Mi lasciai legare i polsi e le caviglie quando mi
distesero sul duro tavolo piatto quanto una lastra di vetro. Chiusi gli
occhi e non dissi una parola, mentre le voci concitate dei medici che
mi toccavano e mi aprivano le palpebre mi rimbombavano nelle orecchie
in un incessante ronzio.
Mi piazzarono, anche quel giorno, uno strano apparecchio sulla testa
che mi provocava delle fastidiose scosse, lasciandomi intontita.
A quale scopo dovevano riservarmi quel trattamento faticoso?
A quale scopo dovevano immobilizzarmi? Non ero una bestia piena di
muscoli, ma una bambina alta un metro e un braccio.
Decisi di rimanere zitta e immobile fino a che i medici non sarebbero
stati soddisfatti. Non li avrebbero fermati le mie grida.
Quando finii la terapia, caddi vittima di una stanchezza opprimente.
Non riuscivo a formulare un pensiero o una frase di senso compiuto,
né a muovermi. Venni portata nella mia stanza e dormii fino
all’alba.
Quello che non sarei mai riuscita a capire, era l’effetto di
quella cura, che, invece di rinvigorirmi e farmi sentire più
normale, mi destabilizzava.
Cominciai seriamente a pensare che fosse colpa della mia ostinazione ad
essere speciale se non riuscivo a guarire.
- Tu non sei malata, Mary Alice.
– mi disse il signor Foster, durante un nuvoloso pomeriggio
d’autunno. – Quando lo capirai che tu non devi
dimostrare proprio niente a nessuno? Resisti, un giorno il tuo angelo
ti verrà a prendere per portarti via di qui. –
Due anni erano pochi agli occhi delle persone, eppure
quell’arco di tempo era bastato per farmi cambiare opinione
sul signor Foster. Avevo iniziato ad accorgermi di quanto fossero
candidi e sottili i suoi capelli e bassa la voce. Le iridi verdi e
brillanti che mi avevano convinta dell’esistenza degli angeli
avevano perso il loro potere e non riuscivano a rincuorarmi come in
passato. La mia innata freschezza infantile si era inumidita, lasciando
posto al dubbio di fronte ai miracoli e ai misteri sulla bocca del
bizzarro vecchietto che mi aveva sempre tenuto compagnia.
Stavo crescendo. Stavo crescendo troppo presto. E non volevo farlo.
*******
Spazio dell’autrice:
il ritardo è clamoroso, lo so. E’ colpa mia senza
dubbio XD Il motivo è che ho altre due long-fiction in
corso. Devo completarne una prima o impazzirò a cercare di
aggiornarne una dopo l’altra. E poi c’è
il fattore ispirazione, con cui devo fare continuamente i conti. Il
capitolo è striminzito, ma spero di riuscire a produrne di
più “ricchi” in seguito.
Ringrazio tutti coloro che mi seguono, sempre se dopo così
tanto tempo ci siano ancora XD
Ringraziementi e risposte alle recensioni:
|
|
|
Mademoiselle
Shy [Contatta] |
Segnala
violazione
|
03/06/10,
ore 15:13 - Capitolo 5: 4)
Il disegno della tua vita |
Sì,
ho cercato di rendere l'idea che questi "matti" appaiono come tali
perché etichettati con questa parola. In altri casi, lo sono
perché hanno facoltà particolari come quelle di
Alice, o perché sono diversamente normali. Sto cercando di
far vedere le cose in questo modo attraverso gli occhi di Alice,
perché non riesco a non immaginarla come una bambina che
vede sempre il bello delle cose con la sua fantasia.
|
|
|
|
|
Isangel [Contatta] |
Segnala
violazione
|
01/06/10,
ore 18:25 - Capitolo 5: 4)
Il disegno della tua vita |
Grazie
per il tuo sostegno^^ Ora la scuola è finita, ma come vedi
ho un'altro grattacapo: 3 storie da scrivere XD Audrey è
forse il personaggio più strano che descriverò,
ma non credo che lascerà felici molti lettori XD Non ho
potuto descrivere la terapia, del resto a raccontarla in prima persona
è come ricordare un video mal registrato. La terapia
è sicuramente una delle cose che Alice
dimenticherà per prime... per sua fortuna ;)
|
|
|
Sorrow_Writer [Contatta] |
Segnala
violazione
|
31/05/10,
ore 21:20 - Capitolo 1: Prologo |
Grazie
per entrambe le risposte, mi fa piacere che la maggior parte dei
lettori abbia deciso di leggere la storia che avevo in mente
dall'inizio *-*
|
|
|
Ritorna all'indice
Questa storia è archiviata su: EFP /viewstory.php?sid=503739
|