Il Maestro di Ombre

di Aledileo
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Presentazione ***
Capitolo 2: *** Prologo ***
Capitolo 3: *** Quello che accadde ***
Capitolo 4: *** Ricostruire ***
Capitolo 5: *** L'alchimia delle ombre ***
Capitolo 6: *** Rabbia ***
Capitolo 7: *** La donna ragno ***
Capitolo 8: *** Il fuoco dell'oblio ***
Capitolo 9: *** Rossa è l'alba di Asgard ***
Capitolo 10: *** Una vendetta personale ***
Capitolo 11: *** Il segno del drago ***
Capitolo 12: *** Mettersi in cammino ***
Capitolo 13: *** Scontro tra fratelli ***
Capitolo 14: *** Nuvole sull'Olimpo ***
Capitolo 15: *** Il massacro della speranza ***
Capitolo 16: *** I discepoli dimenticati ***
Capitolo 17: *** Angkor ***
Capitolo 18: *** Il riposo interrotto ***
Capitolo 19: *** La caccia ***
Capitolo 20: *** Similitudini ***
Capitolo 21: *** Veleni ***
Capitolo 22: *** Consiglio di guerra ***
Capitolo 23: *** L'attacco delle ombre ***
Capitolo 24: *** Rancore nel cuore ***
Capitolo 25: *** I Cavalieri delle Stelle ***
Capitolo 26: *** Vincere i rimpianti ***
Capitolo 27: *** Il peso del passato ***
Capitolo 28: *** Sinfonia di favole ***
Capitolo 29: *** Amici ***
Capitolo 30: *** Le varie facce della verità ***
Capitolo 31: *** Scontro tra titani ***
Capitolo 32: *** Il cerchio si stringe ***
Capitolo 33: *** Dietro veli di inganni ***
Capitolo 34: *** L'isola maledetta ***
Capitolo 35: *** La Tigre nera ***
Capitolo 36: *** Esperimenti ***
Capitolo 37: *** A volte basta un sogno ***
Capitolo 38: *** Un mondo di guerra ***
Capitolo 39: *** Per amore di Nemes ***
Capitolo 40: *** La fine dei giochi ***
Capitolo 41: *** Il signore delle ombre ***
Capitolo 42: *** Il trionfo della luce ***
Capitolo 43: *** Epilogo ***
Capitolo 44: *** Schede tecniche Cavalieri di Atena e Cavalieri delle Stelle ***
Capitolo 45: *** Schede tecniche Divinità, Cavalieri Celesti e Asgard ***
Capitolo 46: *** Schede tecniche dell'Esercito delle Ombre e delle creature leggendarie ***



Capitolo 1
*** Presentazione ***


Liberamente ispirata a “I CAVALIERI DELLO ZODIACO”, di M

Liberamente ispirata a “I CAVALIERI DELLO ZODIACO”, di M. Kurumada

 

ALEDILEO presenta

 

IL MAESTRO DI OMBRE

 

 

TRILOGIA DI FLEGIAS

Parte 3 di 3

 

 

E lunghi feretri m’attraversano l’anima

senza un rullo, una musica; singhiozza prigioniera

la Speranza; l’Angoscia sul mio riverso cranio

pianta, esosa e feroce, la sua nera bandiera.

(da Spleen, di Charles Baudelaire)

 

 

Nota dell’autore: Questa storia è ambientata cronologicamente dopo Fulmini dall’Olimpo, La Grande Guerra e, eventualmente, Di Dei e di Rimpianti, di cui si consiglia la lettura, prima di questa, per meglio comprendere la trama e numerosi riferimenti al suo interno. In ogni caso ho ritenuto opportuno dedicare il primo capitolo a riassumere i principali eventi dei racconti precedenti, riguardanti il periodo compreso tra la fine della Guerra Sacra contro Ade e gli eventi qui narrati.

 

Grazie a Shiryu, per i consigli e gli utili suggerimenti che non mi ha mai fatto mancare. Grazie a Davide Aldè e Nirti per le illustrazioni che hanno gentilmente realizzato in questi anni. Grazie a Ittentiroku e Sandra, per avermi concesso di utilizzare alcune sue splendide immagini per illustrare le mie storie. E grazie a tutti i lettori che da anni seguono con interesse le mie storie.

 

Aledileo

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Capitolo 2
*** Prologo ***


PROLOGO

PROLOGO

 

Fuggiva. Da giorni fuggiva, da quando lo avevano scoperto in una caverna sul Mar Nero, sulle rive del fiume Termodonte, dove aveva appiccato un violento incendio al Tempio delle Amazzoni, per vendicarsi del tradimento di Ippolita durante la guerra tra Ares e i Cavalieri di Atena. Flegias, figlio di Ares, Flagello degli Uomini, fuggiva di spelonca in spelonca, nascondendosi tra le ombre della notte, negli oscuri antri delle montagne e negli abissi delle terre anatoliche. Rincorso dai suoi inseguitori, braccato come un evaso, tallonato a vista da tre abilissimi e veloci cacciatori, che a stento avevano ritrovato le sue tracce, dopo la fine della Grande Guerra.

 

Phantom dell’Eridano Celeste, Luogotenente dell’Olimpo, Giasone della Colchide e Ermes, il Messaggero degli Dei, non gli davano tregua, continuando a seguire i seppur deboli, quasi impercettibili, barlumi del suo cosmo infernale, che avvampavano a tratti nell’oscuro silenzio della notte. Non intenzionati ad arrendersi. Né ora né mai.

 

Nascosto dalle ombre, di cui era padrone e schiavo, Flegias raggiunse le isole dell’arcipelago greco, così vicine all’antica terra in cui aveva vissuto, e in cui la sua tragedia si era consumata nei mesi precedenti, ed iniziò a vagare tra esse, scegliendo mete poco frequentate, isole abbandonate, morfologicamente irrequiete, come la smania che portava dentro. Come il desiderio di vendetta e di rivalsa. Crono e Ares avevano fallito, come Seth quattordici anni prima di loro, non riuscendo, neppure con l’enorme aiuto della Pietra Nera, a sbarazzarsi dei Cavalieri di Atena e di Zeus, per quanto dolorose perdite i loro eserciti avessero subito. E adesso toccava a lui, a lui soltanto, il supremo compito di preparare il mondo all’avvento di una nuova era: l’ultima, prima della fine.

 

Con lo sguardo carico di odio e malvagia follia, Flegias raggiunse un’isola disabitata dell’Egeo orientale, piccola e priva di qualsiasi forma di vita, a causa dell’inospitale morfologia del luogo, che la rendeva inadatta all’insediamento umano. Arida, priva di corsi d’acqua e di terreno fertile, l’isola si presentava come un tozzo ammasso di montagne e vulcani, uno dei quali ancora in stato di semiattività, circondati da terreni scoscesi e anfratti oscuri, dove il velenoso cosmo del Figlio di Ares iniziò presto a scivolare, facendoli propri, risvegliando le oscure creature che nei tempi antichi vi furono confinate e soggiogandole al proprio dominio.

 

“Che sta succedendo?!” –Domandò Giasone, giunto sull’isola insieme a Phantom e ad Ermes. Una colonna di fumo nero iniziò ad uscire dall’ampia bocca del vulcano principale, presto seguito da gemiti di disumana natura, mentre il terreno sembrò tremare sotto di loro, inquietando i tre inseguitori.

 

“Non lo so... ma tutto questo non mi piace affatto!” –Sibilò Phantom, scrutando il paesaggio di fronte a loro. Ma la sua vista, per quanto acutissima, dovette perdersi nell’oceano di ombre che tutta l’isola aveva iniziato a circondare; e la notte buia, senza luna, non aiutava i tre Cavalieri di Zeus nell’ardua impresa, ordinata dal Signore dell’Olimpo in persona: uccidere Flegias, causa di troppe guerre e dolore.

 

“In guardia, Cavalieri Celesti!” –Esclamò Ermes, sollevandosi in volo sopra di loro, grazie alle ampie ali della sua Veste Divina. –“Quel demonio è capace di tutto! Persino di…” –Ma Ermes non riuscì a terminare la frase che un nuovo boato scosse l’isola, mentre torride ventate di aria infernale travolsero i tre uomini, sollevando polvere e frammenti di roccia. In quell’apocalittica tempesta, una figura, avvolta in un nero manto di ombra, comparve tra le vampe infuocate, e a Phantom sembrò realmente di vedere Satana uscire dagli inferi. Ricoperto dalla sua Armatura Scarlatta, dagli inquietanti toni di morte, Flegias apparve di fronte a loro, con la Spada Infuocata in mano ed un crudele sguardo carico di fiamme letali.

 

“Benvenuti nel mio regno!” –Sogghignò il figlio di Ares, mentre immonde vampate di energia infuocata scivolavano intorno a lui. –“Possa essere per voi luogo di dolore... e di morte!” –Sibilò quindi, lanciandosi avanti con la Spada sfoderata.

 

In un attimo fu su Giasone, obbligando il Cavaliere Celeste a mettere tutta la sua energia cosmica nello Scudo che portava al braccio sinistro per difendersi dalla devastante potenza della Spada Infuocata, che si abbatté come un fulmine sulla sua difesa, spingendolo indietro. Rapidi e violenti erano i fendenti di Flegias, così potenti da scheggiare in più punti lo Scudo della Colchide, mentre Giasone stringeva i denti, venendo spinto indietro, scavando il terreno sotto di lui con i piedi corazzati della sua Armatura.

 

“Scudo della Colchide!!!” –Gridò infine Giasone, concentrando il cosmo sulla sua difesa.

 

Lo scudo rotondo si illuminò improvvisamente, scaricando un violento ventaglio di energia lucente contro Flegias, il quale riuscì ad evitarlo con un abile balzo, portandosi proprio dietro a Giasone, il cui assalto era stato battuto sul tempo. Con la Spada sollevata, Flegias fece per mirare al collo del Cavaliere Celeste, il quale ancora si stava voltando, ma Phantom intervenne in aiuto dell’amico, liberando uno scrosciante vortice energetico, travolgendo Flegias e scaraventandolo in alto. Ermes puntò immediatamente il Caduceo contro la cima del gorgo acquatico, in cui un’oscura figura si dimenava per liberarsi, ma quando scagliò il suo raggio energetico si accorse che esso non raggiunse Flegias, balzato nuovamente a terra, tra le desolate ombre di quell’isola nera.

 

“Maledizione!” –Strinse i denti Phantom, rendendosi conto di quanto ostica fosse quella battaglia. –“Ostica e pericolosa!” –Aggiunse, mentre l’aria si caricava di una violenta energia infuocata. Striature di oscuro cosmo, dagli scarlatti riflessi, scivolarono intorno ai tre Cavalieri Celesti, stridendo sul brullo terreno dell’isola, mentre Flegias, da cui le onde di energia partivano, stava in piedi di fronte a loro, stringendo ancora in mano la sua Spada Infuocata.

 

“Arrenditi, Flegias!!!” –Esclamò Ermes a gran voce, balzando in cima ad un pinnacolo roccioso. –“I tuoi piani sono miseramente falliti! Non hai conquistato l’Olimpo, né con l’aiuto di Crono né con quello di tuo padre! Sei solo adesso! Solo e vinto!”

 

“Solo?! Solooo?!” –Tuonò Flegias, e il suo cosmo si accese improvvisamente, scaricando guizzanti folgori incandescenti nell’aria avanti a sé, frantumando le rocce intorno, facendo tremare il terreno scosceso, obbligando i tre Cavalieri a difendersi e a piantarsi saldamente a terra per non essere scaraventati via. –“Guardami Ermes!!! Guardami!!! Senti l’immensa energia che porto dentro! Sentila... e pregami di non liberarla, pregami di lasciarti vivere ancora!!! Di lasciarti sguazzare ancora nel letamaio che ti è proprio, strisciando come un verme ai piedi del tuo Signore Zeus!!!”

 

“Traditore! Come osi un simile linguaggio?” –Gridò Ermes, puntando contro Flegias il suo Caduceo. –“Pagherai con la vita tale affronto!!!” –E liberò un violento raggio di energia, che partì dalla cima della Divina Bacchetta, dirigendosi verso Flegias, ma il Figlio di Ares lo deviò all’ultimo istante, con un violento colpo della sua Spada Infuocata.

 

Incredibile!!! Rifletté il Dio. Il colpo che aveva distrutto persino le barriere di Syria delle Sirene, valente Generale di Poseidone, e di Shaka di Virgo, il più vicino a Dio tra i Cavalieri d’Oro di Atena, deviato da un semplice gesto di Spada! Che sia davvero così grande il potere di costui?! Che sia davvero così grande il desiderio di morte e distruzione che cova dentro?! Per un momento Ermes socchiuse gli occhi, mentre le dilanianti folgori di Flegias accendevano l’aria intorno a loro, frantumando rocce e stridendo con violenza sulle Divine Vesti dei tre Cavalieri. Ripensò a tutti i morti, uomini e Dei, di quelle folli lotte che avevano combattuto, sia ad Atene che sull’Olimpo, e strinse i pugni con forza. È il momento di mettere la parola fine a queste guerre!!! E senz’altro aggiungere, Ermes si lanciò avanti, sfidando l’impetuosa tempesta energetica che Flegias dirigeva loro contro.

 

“Cadi, demone oscuro!!!” –Gridò Ermes, buttandosi contro Flegias dall’alto dello sperone roccioso.

 

“Iaaah!!!” –Urlò Flegias, scagliando la Spada Infuocata verso l’alto, proprio in direzione di Ermes, che riuscì a scansarla colpendola con un violento raggio energetico del suo Caduceo. Al tempo stesso anche Phantom e Giasone si lanciarono avanti, caricando i pugni di energia cosmica, ma quando furono tutti e tre vicini Flegias liberò il suo devastante potere, travolgendo i Cavalieri Celesti, avvolgendoli in una vorticante tempesta di fiamme oscure.

 

“Apocalisse Divinaaa!!!” –Gridò Flegias, sollevando il braccio destro al cielo, e investendo in pieno i tre Cavalieri, che furono sballottati in aria dal turbinante vortice oscuro, le cui incandescenti vampe erano cariche di nera energia, di spettrali ombre che volevano oscurare la lucentezza dei loro cosmi, e delle loro Armature.

 

“Morite!!!” –Ghignò Flegias, recuperando la sua Spada Infuocata e scattando avanti, sull’onda della sua stessa tempesta di energia. Come un fulmine piombò su Giasone, e sbatté con forza la lama sul suo Scudo rotondo, scheggiandolo, e continuò a colpirlo, a massacrare la sua difesa, senza dargli tregua alcuna, senza possibilità di respiro, mentre il ragazzo arretrava convulsamente, incapace di prendere fiato e rispondere. Con un ultimo violento colpo, Flegias piantò la Spada Infuocata al centro dello Scudo della Colchide, proprio sulla splendida nave di Argo che sull’arma era disegnata, penetrando il nobile metallo e affondando nel braccio sinistro del Cavaliere Celeste, facendolo urlare dal dolore.

 

Come se le fiamme dell’Inferno mi fossero penetrate dentro! Mormorò Giasone, mentre i frammenti dello Scudo si schiantavano ai suoi piedi. Un’oscura potenza sostiene costui... e adesso… adesso sta entrando dentro di me!!!

 

“Giasoneee!!!” –Gridò Phantom, rialzatosi nel frattempo. Senz’altro aggiungere liberò la devastante potenza del Gorgo dell’Eridano, proprio mentre Ermes caricava nuovamente il suo Caduceo. Il violento raggio di energia spinse Flegias indietro, ferendolo alla spalla sinistra, mentre il vortice acquatico di Phantom lo sollevava di nuovo da terra, avvolgendolo nelle sue lucenti correnti energetiche.

 

“Non crediate di avermi già sconfitto!” –Gridò Flegias, delirante, al centro del gorgo. –“Ho ancora molte frecce al mio arco!! E ve lo dimostrerò!” –Aggiunse, riuscendo infine a stabilizzarsi al centro dell’acquatico vortice di energia.

 

“È incredibile! Ha preso il controllo del gorgo!!!” –Sgranò gli occhi Phantom, bruciando ancora il proprio cosmo lucente, cercando di recuperare la guida del suo turbine.

 

Ridendo come un folle, Flegias, in alto, in mezzo alle turbinanti acque energetiche dell’Eridano, sollevò l’indice destro al cielo, richiamando a sé tutte le ombre dell’isola, che scivolarono lente nell’aria oscura, masse indistinte, quasi impercettibili all’occhio umano, concentrandosi sulla punta del dito del Figlio di Ares, il cui volto, in preda ad una delirante estasi universale, sogghignava malignamente.

 

“Non farlo, Flegias!!! Nooo!!!” –Gridò Ermes improvvisamente, che aveva compreso le intenzioni del Rosso Fuoco. Ma il figlio di Ares non si curò neppure delle sue parole, anzi, gli fornirono ulteriore motivo per andare avanti.

 

“Shadows Skill!!!” –Gridò, liberando l’oscuro potere delle ombre. –“Maestria di Ombre!!!”

 

Oscure sagome, simili a striscianti serpenti, partirono dal dito del Figlio di Ares, piombando sui tre Cavalieri Celesti, avvolgendoli nelle loro tenebrose spire, bloccando i loro movimenti, raggiungendo persino la loro anima.

 

“Maledetto…” -Rantolò Phantom, accasciandosi su un ginocchio, prima di far esplodere ancora il proprio cosmo lucente. –“Gorgo dell’Eridano!!!”

 

Il turbinante mulinello di energia acquatica travolse Flegias, il quale sembrò comunque non curarsene, intento com’era a dirigere le sue malefiche ombre su Giasone, che, indebolito dalla velenosa ferita della Spada Infuocata, venne travolto e sollevato in aria, avvolto in una tenebrosa massa indistinta e risucchiato dal vortice stesso, a comando di Flegias.

 

“Nooo… Giasoneeee!!!” –Esclamò Phantom, osservando l’amico scomparire all’interno del mulinello di energia acquatica; energia che ormai era diventata completamente nera, asservita all’oscuro potere del Figlio di Ares.

 

“Caduceo!!!” –Gridò Ermes, puntando la Divina Bacchetta verso la cima del vortice e liberando un violento raggio energetico.

 

L’abbagliante esplosione che ne seguì scaraventò Phantom ed Ermes indietro di parecchi metri, facendoli schiantare contro le rocce retrostanti, mentre il turbinio di ombre scompariva, lasciando apparentemente l’isola.

 

“Uungh...” –Mormorò Phantom, rialzandosi a fatica. Si guardò intorno, mentre Ermes si rialzava a sua volta, ma non trovò niente, solamente una fitta oscurità che pareva scendere sempre più su di loro. I cosmi di Flegias e di Giasone erano scomparsi, al di là di un muro di tenebra che il Luogotenente non riusciva a penetrare.

 

“La Maestria di Ombre!!!” –Rifletté Ermes, affiancando il ragazzo. –“Flegias ha invocato uno dei poteri più arcani e oscuri di questo mondo, Cavaliere! La Maestria di Ombre! Un’ancestrale tecnica che sancisce il dominio su ogni forma di ombra e tenebra che calchi questo mondo!”

 

“Ma… è terribile!!” –Commentò Phantom, in pena per le sorti di Giasone.

 

“Terrificante!!!” –Mormorò Ermes, a bassa voce. –“Non so da quanto Flegias sia capace di evocare un potere simile, né so quanto è effettivamente in grado di controllarlo!”

 

“Spiegati meglio...”

 

“Se Flegias non disponesse della sufficiente fermezza, del sufficiente controllo per dominare le ombre di questo nostro tempo, allora esse potrebbero ribellarsi a lui, facendolo proprio e disperdendosi sull’intero pianeta, portando ovunque l’oscuro manto della notte!” –Spiegò Ermes. –“Ma se Flegias fosse davvero così forte, da riuscire persino dove fallirono gli alchimisti del Mondo Antico, ad avere il controllo sulle ombre, ne diventerebbe indiscusso Signore, creando un esercito di disperazione e tenebra capace di oscurare persino lo splendore del Sole!”

 

“In qualunque modo vada...” –Commentò infine Phantom. –“La Terra corre un grave pericolo!”

 

“La Terra e tutti gli uomini che credono e confidano nella benigna luce del Sole e delle stelle! Luce che le ombre di Flegias cercheranno di oscurare quanto prima! E per sempre!”

 

“Dobbiamo impedire che ciò accada!” –Esclamò Phantom istintivamente, e a quelle parole parve ai due che una fitta cappa di tenebra calasse su di loro.

 

Mormorii indistinti percorsero l’aria, carica di un’innaturale tensione, mentre una gelida aria di morte iniziò a soffiare, gelando le vene dei due Cavalieri. Come se le ombre avessero udito il loro discorso e rispondessero alle loro accuse.

 

“Lo faremo, Luogotenente dell’Olimpo! Lo faremo!” –Strinse i pugni Ermes, prima di riagganciare il Caduceo alla sua Cinta. –“Ma adesso dobbiamo tornare sull’Olimpo! Zeus deve essere immediatamente informato di questo evento!”

 

“E Giasone?!” –Incalzò Phantom, guardandosi intorno. –“Non vorrai abbandonarlo?”

 

“Temo che adesso non potremo fare molto per il Cavaliere tuo amico!” –Rispose Ermes, notevolmente dispiaciuto. –“Siamo stanchi, e questa cappa di ombre limita i nostri sensi! Avvertirò Zeus e decideremo insieme come procedere!”

 

“Ma... Ermes...” –Mormorò Phantom, in cuor suo combattuto tra la ragione, che sapeva che le parole di Ermes erano vere, e i sentimenti, che lo avrebbero lanciato alla ricerca dell’amico, seppure neanche lui sapesse bene dove. –“Torniamo!” –Si limitò a rispondere Phantom, ed in quell’unica parola mise tutta la sua tristezza, e la sua delusione.

 

Ermes gli sorrise dolcemente, prima di incitarlo a bruciare il proprio cosmo, e a lasciare quell’isola maledetta. In un lampo di luce tornarono sull’Olimpo, mentre le tenebrose ombre vorticavano nella notte senza stelle, posandosi poi sul loro nuovo signore e padrone: Flegias, figlio di Ares, Flagello degli Uomini e Maestro di Ombre.

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Capitolo 3
*** Quello che accadde ***


CAPITOLO PRIMO: QUELLO CHE ACCADDE

CAPITOLO PRIMO: QUELLO CHE ACCADDE.

 

Era seduto alla sua scrivania da parecchie ore ormai, ma sembrava non accusare il sonno né la stanchezza. La luce della candela baluginava fioca, rischiarando il rugoso viso segnato dagli anni, ma ancora pieno di vita. Pieno di speranza. La penna d’oca correva veloce sulla pergamena, continuando a scrivere, continuando a scavare nel passato e a ricordare gli eventi appena trascorsi, fissandoli nuovamente nella memoria, per impedire che andassero perduti.

 

Al termine della Guerra Sacra contro il Sovrano dell’Oltretomba, Lady Isabel di Thule, reincarnazione della Dea Atena, aveva deciso di liberare i Cavalieri, che per lei avevano combattuto fino a rischiare la vita, dal gravoso peso di continuare a correre in suo soccorso ogni volta che le tenebre avessero minacciato la Terra e la giustizia. A Pegasus, Andromeda, Dragone, Cristal e Phoenix fu quindi fatta bere la Pozione della Dimenticanza, un’acqua speciale che, se opportunamente gestita da un potere spirituale forte, poteva far dimenticare episodi di vita vissuta, se non addirittura una vita intera. E tanto grande era il potere di una Divinità, che Atena aveva cancellato dalla mente dei cinque amici il ricordo del loro essere Cavalieri.

 

Non posso più vederli soffrire! Non posso più vederli rischiare la vita, per me, a causa mia! È finito il tempo in cui Isabel viene rapita e imprigionata e i suoi cinque eroi rischiano la vita per lei! Da adesso esiste soltanto Atena! E aveva messo al loro collo una pietra, precedentemente immersa nella Pozione e intrisa del suo cosmo divino, che avrebbe contribuito a mantenere quell’equilibrio che Isabel sarebbe durato per sempre. Uno zaffiro per Pegasus, uno smeraldo per Dragone, un topazio per Andromeda, un diamante per Cristal e un rubino per Phoenix.

 

Purtroppo il desiderio di pace tanto bramato da Isabel non trovò realizzazione e pochi mesi più tardi, in una sera di maggio, il Grande Tempio venne assalito da misteriosi Cavalieri dalle Armature Celesti. Li guidava Sterope del Fulmine, uno dei tre Ciclopi Celesti, uomo dagli straordinari poteri, capace di sollevare Asher e gli altri quattro Cavalieri di Bronzo con la sola forza di un dito. Insieme a lui una misteriosa figura ammantata, che nel corso del combattimento che seguì, contro Castalia, Tisifone, Asher e Kiki, si rivelò essere Flegias, il figlio di Ares.

 

Il Rosso Fuoco, Flagello degli Uomini, impegnò duramente gli ultimi difensori in battaglia e se non fosse stato per il fortuito intervento di Ikki di Phoenix sicuramente avrebbe avuto ragione di loro. Phoenix infatti si trovava vicino alla Grecia, grazie a inconsci messaggi che Morfeo, il Dio dei Sogni, gli aveva inviato, su ordine di Issione, altro figlio di Ares. E nel sentire avvampare cosmi inquieti al Grande Tempio aveva risvegliato in lui il ricordo di essere Cavaliere, seppure senza che egli se ne fosse reso conto. Fu Isabel stessa, suo malgrado, a liberarlo infine dalla prigionia della Pietra della Dimenticanza, rendendogli la memoria ed esponendolo nuovamente a rischi e pericoli, per difendere la giustizia.

 

Ma Phoenix non fu il primo dei cinque Cavalieri a riacquistare la memoria. Pochi giorni prima infatti Cristal il Cigno aveva iniziato a sentire voci nella sua mente, che lo chiamavano da lontano. E aveva abbandonato le fredde terre della Siberia per raggiungere la corte di Ilda di Polaris a Midgard, dove era stato accolto con onore e con piacere dalla Celebrante di Odino e dai due Guerrieri del Nord sopravvissuti alla Guerra del Nibelungo, Mizar e Alcor. Insieme a Flare, Cristal intraprese un difficile viaggio per raggiungere la Corte di Odino, nella vera Asgard, al di là delle nubi e delle nevi, un’isola sospesa nel cielo. E durante questo viaggio, l’amore per Flare risvegliò in lui ricordi passati, emozioni sopite che il suo cuore non aveva mai dimenticato. Nel frattempo Ilda, assieme ai suoi Guerrieri, aveva lasciato Midgard, attaccata proprio in seguito all’arrivo di Cristal dai Cavalieri Celesti e messa a fuoco e fiamme, per scendere in Grecia ed avvertire l’amica Isabel. E proprio alla sua corte Ilda si trovava quando Flegias e Sterope assalirono il Grande Tempio, cercando di consolare Atena, che non smetteva di chiedersi perché suo padre, il Sommo Zeus, di cui i Cavalieri Celesti erano i difensori, avesse deciso di muoverle guerra.

 

Sull’Olimpo intanto Flegias complottava con Issione per spingere Zeus ad attaccare Atene, ma i loro progetti bellici vennero frenati da un tentativo di mediazione di Ermes, il Messaggero degli Dei, vecchio consigliere del Dio dell’Olimpo, scalzato dall’homo novo Flegias ma sempre determinato ad evitare inutili spargimenti di sangue. Ma il tentativo fallì e Atena venne incatenata nella Bianca Torre del Fulmine, ermo confine dell’Olimpo, da lucenti folgori divine, restando agonizzante ad assistere allo scoppio di una nuova cruenta guerra. Per prevenire ogni rischio, Flegias ordinò infatti di eliminare gli altri Cavalieri, prima che recuperassero la memoria. Arge lo Splendore, custode della Spada del Fulmine, venne inviato ai Cinque Picchi e uccise apparentemente Sirio, facendolo precipitare nella cascata. Bronte del Tuono invece si recò a Nuova Luxor per uccidere Pegasus e Andromeda, ma il pronto intervento di Nemes e le lacrime di Patricia risvegliarono nei due il ricordo di essere Cavalieri e permise loro di contrastare lo strapotere del Ciclope Celeste. Nella lotta che ne seguì Mylock, il maggiordomo di Isabel, perse la vita per proteggere Patricia, pregando Pegasus di difendere sempre Atena, anche per lui. Patricia fu ricoverata in ospedale insieme a Nemes, guardate dai tre Cavalieri d’Acciaio: Shadir, Benam e Lear.

 

Nel frattempo Phoenix, che aveva accompagnato Atena sull’Olimpo insieme a Castalia, venne avvicinato da Morfeo, Dio dei Sogni, e convinto a distendersi su un lettino, per ritrovare una perduta parte di sé, quella legata ad Esmeralda, giovane amore mai dimenticato. In realtà era stato Issione ad ordinarlo al Dio, per completare l’addestramento al male di Phoenix, che aveva iniziato anni prima, sull’Isola della Regina Nera, ordinando al defunto Guilty di uccidere Esmeralda, per risvegliare completamente in Phoenix il lato oscuro e farne un suo servitore e guerriero.


Castalia conobbe il Luogotenente dell’Olimpo, Phantom dell’Eridano Celeste, uomo scelto da Zeus anni prima, dotato di un’enorme ammirazione verso gli ideali greci di armonia e di giustizia, che ritrovava nelle gesta eroiche dei Cavalieri di Atena, Cavalieri contro i quali mai avrebbe voluto combattere. Salvata da Birnam, Cavaliere d’Argento della Bussola, discepolo di Virgo, grazie all’aiuto esterno di Morfeo, che non poteva fare a meno di sentirsi in colpa per aver ceduto a Issione, Castalia rientrò al Grande Tempio giusto in tempo per organizzarne la difesa insieme a Tisifone, Asher, Mizar, Alcor e agli altri Cavalieri di Bronzo, sicuri che l’attacco di Zeus non si sarebbe fatto attendere. Ed infatti poche ore dopo una decina di Cavalieri Celesti giunse al Grande Tempio, scontrandosi sanguinosamente contro i soldati e i Cavalieri di Atena. Asher fronteggiò Narciso, guerriero di Afrodite, ottenendo la vittoria grazie all’aiuto di Geki e al suicidio finale del nemico. Castalia fu costretta ad affrontare proprio Phantom, restio a combattere con lei ma impossibilitato a venir meno al suo dovere. Dopo aver sconfitto Mizar e Alcor, il Luogotenente iniziò uno scontro con Castalia, conclusosi con un bacio rubato di fronte alla Quinta Casa di Leo, alla Casa dell’uomo che Castalia aveva sempre amato, senza trovare la forza per dichiararsi. Là la Sacerdotessa dell’Aquila si abbandonò tra le braccia dello sconosciuto amante, un giovane che le aveva eccitato l’animo fin da quando l’aveva incontrato sull’Olimpo. Quasi trasportata da una musica silenziosa, la donna si fece distendere sul pavimento, accogliendo il corpo dell’uomo sopra di lei. Dentro di lei.

 

Il secondo assalto al Grande Tempio fu guidato da Eos, Dea dell’Aurora, e dai suoi figli, i quattro venti: Zefiro, Austro, Borea ed Euro. Ma il piano di Eos fallì, grazie all’ultima difesa di Atena: le dodici costellazioni dello Zodiaco iniziarono a brillare e da ognuna di loro partì un raggio luminoso diretto verso la Dea dell’Aurora, e la stessa cosa accadde da ognuna delle Dodici Case. Eos si trovò nel mezzo, trapassata da ventiquattro raggi luminosi, caldi come il sole, lucenti come il firmamento. Zefiro e Austro incontrarono l’inaspettata resistenza di Birnam, che morì per difendere gli abitanti del Grande Tempio. Borea si scontrò con Tisifone e Asher, che dimostrarono una tenace resistenza di fronte ad un nemico infinitamente più potente di loro. In aiuto della Sacerdotessa dell’Ofiuco arrivò l’Armatura d’Oro del Cancro, che le diede nuovo impeto per fronteggiare il suo avversario, fino all’arrivo di Pegasus e Andromeda. I due amici affrontarono Eos, disquisendo con lei sul potere dell’amore, il più grande motore dell’animo umano, e riuscendo a sconfiggerla, mentre il loro cosmo bruciato al massimo risvegliò le Armature Divine, che dopo la fine della Guerra Sacra erano regredite ad Armature di Bronzo. Un aiuto inaspettato venne dalla titubanza di Euro, Vento dell’Est, grande ammiratore delle eroiche gesta ateniesi.

 

“Siete degni della vostra fama, Cavalieri di Atena!” –Aveva esclamato Euro, prima di volare via. –"Ma fate attenzione! Non tutti gli Dei dell’Olimpo saranno così accondiscendenti nei vostri riguardi!"

 

Appresa la verità su Atena, Pegasus decise immediatamente di correre sull’Olimpo, per liberare l’amata Dea, seguito da Andromeda, Castalia, Tisifone, Ilda, Mizar e Alcor, ma il loro cammino fu bloccato prima dai Giganti di Pietra, Custodi del Monte Sacro, e poi da Bronte del Tuono di fronte al Cancello dell’Olimpo. Il nuovo scontro tra i due vide Pegasus vincitore, con l’aiuto di Micene che sempre vegliava su di lui. Questo permise a Castalia, Tisifone e Andromeda di iniziare la scalata dell’Olimpo, ma presto i tre Cavalieri vennero divisi da una nebbia sospetta, che limitò i loro sensi e le proprie percezioni. Castalia e Tisifone vennero attaccate con dardi avvelenati dai Cacciatori di Artemide e la prima fatta prigioniera e condotta alla Caverna del Bosco di Artemide dove la Dea risiedeva. Profondamente irata dalla repressione del suo lato femminile, Artemide tentò di uccidere Castalia che venne inaspettatamente salvata da Phantom dell’Eridano Celeste, suscitando la collera della Dea. Nello scontro tra i due Phantom fu ferito a una spalla dal pugnale avvelenato di Artemide e si salvò grazie all’intervento di Morfeo. Era stato il Dio dei Sogni infatti a pregarlo di condurre un Cavaliere di Atena nelle sue stanze, titubante su una guerra ingiusta, a suo parere condotta soltanto per la volontà di dominio dei figli di Ares, Flegias e Issione, che stavano manipolando la mente di Zeus.

 

“I figli di Ares seminano discordia!” –Sussurrò Morfeo. –“Per colpa loro l’Olimpo si sta tingendo di sangue! Non odi le grida dei corvi, estasiati per banchettare con nuovo cibo, fresche carni di giovani Cavalieri? Non senti l’accendersi impetuoso di cosmi lungo la via che conduce alla Reggia di Zeus? Le verdeggianti distese della nostra terra sono infangate da una guerra che non dovrebbe essere combattuta, e tu, Luogotenente dell’Olimpo, dovresti saperlo meglio di chiunque altro! Tu che hai passato anni ad ammirare le eroiche gesta dei Cavalieri di Atena, di quei giovani che più volte hanno rischiato la vita per difendere la Terra dalle forze dell’Oscurità!”

 

“Sono d’accordo con te, Dio dei Sogni! Ma io sono soltanto un soldato! E non sono colui che comanda sull’Olimpo!” –Commentò Phantom, separandosi dal Dio.

 

“E chi comanda davvero?” –Domandò infine Morfeo, con un filo di voce. –“Chi muove i fili di quest’orrida commedia degli inganni?”

 

Tisifone intanto fu fermata da Atteone, il più valente Cacciatore di Artemide, e per batterlo dovette dare fondo a tutte le sue energie, riuscendovi grazie alla protezione e al cosmo dorato dell’Armatura del Cancro. Andromeda uscì indenne dal Bosco Sacro, per ritrovarsi invece in una radura dove Castore e Polluce, i Dioscuri, figli di Zeus, lo stavano aspettando. Sicuri di una facile vittoria sull’efebico Cavaliere, i due Cavalieri Celesti sottovalutarono il nemico, venendo travolti dalla furia della Nebulosa di Andromeda. Sconfitti i Dioscuri, Andromeda venne attirato da un motivetto suonato da uno strano essere: Pan, Dio dei Boschi e delle Selve, incaricato dal suo Signore, il Dio Dioniso, di condurre il Cavaliere al suo vigneto. Là Andromeda si ritrovò ad essere usato nel rito orgiastico del folle Dio del Vino e fu salvato soltanto dall’intervento inaspettato di Euro, il Vento dell’Est.

 

Nel frattempo Cristal e Flare avevano raggiunto la vera Asgard, passando sopra Bifrost, il Ponte-Arcobaleno, custodito dal Dio Heimdall. Alla corte di Odino, Signore degli Asi, avevano ritrovato i Guerrieri del Nord morti durante la Guerra del Nibelungo, Orion e Artax, elevati per le loro eroiche gesta al rango di einherjar, destinati ad uscire dal Valhalla durante il Ragnarok e combattere per l’ultima volta. Cristal spiegò le motivazioni che lo avevano spinto così lontano, le vibrazioni che sentiva dentro di sé, le stesse che anche il Dio, e Freyr, suo Consigliere, sentivano da giorni. Per trovare la soluzione a ciò Cristal venne inviato nel Niflheimr, il Regno delle Nebbie presieduto da Hel, la Divinità della Morte, un’immensa distesa di ghiaccio da cui provenivano tali vibrazioni, accompagnato da Orion e da Artax. I tre Cavalieri furono costretti ad affrontare gli Hrimthursar, i Giganti del Ghiaccio, e poi Hel stessa, nel suo castello di Helgaror. Nelle prigioni del castello Cristal ritrovò, prigionieri in un muro di ghiaccio, i Cavalieri d’Oro apparentemente scomparsi a causa del crollo del Muro del Pianto: Mur, Ioria, Virgo, Libra e Scorpio. Affrontò Megrez, vendutosi a Hel, e li liberò, prima di innescare la battaglia finale con Hel e scoprire la verità sulla missione di Orion e Artax. I due erano stati infatti incaricati da Odino di liberare Balder, suo figlio, prigioniero a Helgaror, approfittando della necessità, e quindi dell’aiuto, di Cristal di scendere nel Niflheimr. Su pressante richiesta di Flare, intanto, che ricordò al Dio il debito di riconoscenza verso i Cavalieri di Atena, che avevano liberato Ilda dall’Anello del Nibelungo, Odino armò il proprio esercito e marciò su Helgaror, aiutando Cristal a sconfiggere Hel. La Dea venne intrappolata nel ghiaccio, ma l’ultimo suonò che riuscì a pronunciare colpì in pieno Odino, trafiggendolo come una spada affilata. Fu un sibilo, impercettibile per chiunque, tranne che per il Dio: Ragnarok. E più non parlò.

 

Rientrati ad Asgard e curate le ferite dei Cavalieri d’Oro, Cristal e i suoi compagni si prepararono a rientrare in Grecia, avvisati da Freyr di un conflitto scoppiato sull’Olimpo. Per riconoscenza per averlo salvato, Balder fece forgiare nuovamente le Armature d’Oro andate distrutte nell’Elisio: quella del Leone, della Bilancia e della Vergine, e fece rafforzare le corazze dell’Ariete e dello Scorpione dai Giganti di Muspellheimr, la terra delle Fiamme. A Cristal, Orion fece dono di Gramr, la spada con cui uccise il drago Fafnir. Heimdall condusse i sei Cavalieri di Atena sul Ponte-Arcobaleno, allungandolo fino a lambire le pendici meridionali del Monte Olimpo, dove li depositò, prima di scomparire. Là Mur ritrovò il fratellino Kiki, che lo avvisò che pochi minuti prima un gruppo di Cavalieri Celesti aveva disceso il Sacro Colle, armati di tutto punto. Virgo decise di seguire la scia dei loro cosmi, portando Kiki con sé, mentre Cristal, Mur, Ioria e Milo si lanciarono verso la Reggia di Zeus.

 

Virgo e Kiki raggiunsero il Tempio di Poseidone, sotto il Mar Mediterraneo, dove una furiosa battaglia era in corso. Ermes infatti era stato incaricato da Flegias di recuperare il Vaso in cui Atena aveva rinchiuso lo spirito del Dio dei Mari ma aveva trovato Syria delle Sirene, ultimo dei sette Generali, ad opporre strenua resistenza. Per quanto avrebbe preferito evitare quel conflitto, con quel musico che tanto stimava, Ermes fu costretto ad affrontarlo, e lo avrebbe vinto se non fosse stato per l’intervento di Virgo, e per le parole dolci di Syria, che unite alla sua musica di flauto risvegliarono la razionale coscienza del Dio, inducendolo a rinunciare all’impresa.

 

Sull’Olimpo intanto Ilda, Mizar e Alcor furono fermati da una pattuglia di Cavalieri Celesti, guidati da Issione, figlio di Ares, che impegnò Ilda direttamente in battaglia. In soccorso della Celebrante arrivò l’Armatura della Valchiria, che le permise di tenere momentaneamente testa al figlio di Ares, prima dell’intervento, in suo soccorso, di Cristal e dei Cavalieri d’Oro.  Zeus richiamò allora gli spiriti dei tre Giudici Infernali, Radamantis di Wyburn, Aiace di Garuda e Minosse del Grifone, inviandoli contro i Cavalieri di Atena, insieme a Sterope del Fulmine e ad altri Cavalieri Celesti. Di fronte al Tempio dell’Amore si svolse la grande battaglia che vide Ioria contro Radamantis, Mur contro Aiace e Scorpio contro Minosse, e la vittoria dei tre Cavalieri d’Oro. Cristal, su ordine di Mizar e Alcor, fuggì con Ilda, per metterla in salvo, mentre le due tigri affrontavano Sterope, cadendo in quella battaglia sanguinolenta. All’interno del Tempio dell’Amore, dove Cristal e Ilda cercarono rifugio, scoppiò lo scontro più violento della guerra, che vide il Cavaliere di Atena contrapposto ad Eros, Dio delle Forze Primordiali, capace di contrastare il potere dei ghiacci eterni. In soccorso di Cristal giunse Shaka di Virgo, costretto dal Dio a ricordare gli errori del suo passato e il senso di colpa per la morte di Ana, Cavaliere del Pittore, una delle sue allieve, ma anch’egli da solo non riuscì a sconfiggerlo. Fu necessario lanciare l’Urlo di Atena, assieme a Mur e Scorpio, per averne ragione.

 

Dohko della Libra nel frattempo aveva raggiunto i Cinque Picchi, informato da Freyr dell’attacco dei Ciclopi, ed era riuscito a ritrovare Sirio, piuttosto malconcio, naufragato sulla riva del fiume. La sua felicità fu di breve durata perché dovette affrontare due Cavalieri Celesti, mentre Sirio, ripresosi, impegnava battaglia e sconfiggeva da solo un terribile avversario: Arge lo Splendore, custode della Spada del Fulmine. Riposatisi, i due raggiunsero l’Olimpo, in tempo per aiutare Cristal al Tempio dei Mercanti, impegnato contro Efesto, Afrodite ed Ermes, una vecchia conoscenza di Libra, a cui il Cavaliere aveva salvato la vita durante la Guerra Sacra contro Ade nel 1743. Lo scontro tra i tre Cavalieri e le tre Divinità fu però interrotto dall’arrivo violento di due impetuosi cosmi ardenti, quelli dei figli di Ares: Phobos, Dio della Paura, e Deimos, Dio del Terrore, incaricati da Flegias e dallo stesso Zeus di sterminare tutte le Divinità dell’Olimpo. Pan, Dioniso, Estia, Ebe, gli stessi Efesto ed Afrodite furono sgozzati dall’attacco sanguinario dei figli di Ares, un attacco che nessuno aveva preventivato. Anche Artemide, nel Bosco Sacro, venne assalita, ma in suo soccorso giunse Phantom dell’Eridano Celeste, recatosi da lei per saldare il suo debito, riuscendo a far desistere Phobos e Deimos dall’impresa. Tutto questo fece sospettare sia Artemide che Ermes, spingendoli ad una tregua con i Cavalieri di Atena, e a farli correre da Zeus, per avere chiarimenti al riguardo. Anche Ioria, che era corso in aiuto di Castalia ed aveva affrontato Phantom dell’Eridano Celeste dietro al Tempio del Sole, Castalia e Phoenix, che aveva vinto Issione dopo aver scoperto la tremenda verità sul suo conto, raggiunsero gli amici.

 

Nella Sala del Trono i dodici Cavalieri (Sirio, Cristal, Libra, Castalia, Ioria, Phoenix, Tisifone, Phantom, Andromeda, Mur, Scorpio e Virgo) e le due Divinità superstiti, Ermes e Artemide, affrontarono Flegias, accusandolo di aver sedotto Zeus, inquinando la sua mente con malefici consigli, ed attribuendogli la colpa della guerra scoppiata contro Atena. Dal canto suo Flegias tenne loro abilmente testa, prima di scomparire misteriosamente, lasciando i presenti attoniti, di fronte ad una barriera cosmica formata dai cosmi delle Divinità uccise. Una barriera che proteggeva la parte ultima dell’Olimpo ed impediva ai Cavalieri di raggiungere la Torre del Fulmine, ai piedi della quale Pegasus stava già combattendo.

 

Il ragazzo infatti aveva ricevuto istruzioni da due pastori riguardo una via segreta per raggiungere la vetta dell’Olimpo, una via che passava proprio attraverso la montagna. Pegasus l’aveva seguita ed era giunto ai piedi della Torre del Fulmine, tentando di liberare Isabel, ma l’improvviso arrivo di Zeus aveva determinato l’inizio del loro scontro, che sembrava volgere a sfavore del ragazzo. Presto fortunatamente anche Sirio e gli altri Cavalieri giunsero ad aiutare Pegasus, e Ermes e Artemide chiesero al Dio spiegazioni sui figli di Ares. Ma la risposta di Zeus tolse loro ogni dubbio.

 

“Il sacrificio degli Dei si è reso necessario!” –Commentò infine. –“La loro energia è stata per me fonte di nutrimento, permettendomi di erigere una barriera capace di ritardare l’avvento dei Cavalieri di Atena. E liberandomi inoltre da scomodi rivali.”

 

“Come?!” –Chiese Ermes, non comprendendo realmente le parole del Dio.

 

Ma questi più non parlò, limitandosi a scagliare folgori incandescenti contro Ermes e Artemide, che furono travolti e scaraventati lontano, mentre il Dio sogghignava maliziosamente. Un enorme cosmo esplose poco dopo, invadendo l’intero spiazzo ai piedi della Torre Bianca; un’immensa massa di energia che aveva nell’uomo di fronte a loro il suo baricentro. Incredibilmente le sue forme mutarono, cambiando aspetto e rivelando un viso che alcuni tra i presenti già conoscevano, mentre sopra di lui apparve la sua vera Veste Divina, che si scompose e andò a ricoprire il corpo della possente Divinità. Crono, figlio di Gea e di Urano e Signore del Tempo. In mezzo allo stupore dei presenti apparve nuovamente Flegias, colui che aveva liberato Crono dopo la sconfitta inflittagli dai Cavalieri d’Oro otto anni prima ed aveva complottato il piano per sbarazzarsi contemporaneamente di Atena e di Zeus.

 

“Flegias giunse sull’Olimpo, facendosi accogliere da quel vecchio citrullo di Zeus e ottenendo presto i suoi favori!” –Raccontò Crono. –“Ma io giunsi con lui, sotto forma di spirito, nascosto nel suo cuore malato, e pronto a portare la distruzione sul Monte Sacro! Fu facile prendere Zeus di sorpresa, travolgerlo con un attacco congiunto, al quale parteciparono anche i figli di Ares, Phobos e Deimos! E il suo corpo venne risucchiato in un’altra dimensione, grazie al mio Strappo nel Cielo! In quel momento, Flegias, forte di un potere che non avrei mai sospettato che possedesse, innalzò lo Scudo di Ares, il mistico sigillo che avrebbe dovuto raccogliere tutte le energie del Monte Sacro e convogliarle verso la Pietra Nera, oscuro talismano di ignota origine che mise al mio collo, nascondendo il tutto da una fitta coltre di scure nuvole, in grado di limitare anche le capacità sensoriali degli abitanti dell’Olimpo!”

 

Ma Flegias tradì il patto con Crono, togliendo la pietra nera dal suo collo, recuperando l’energia immagazzinata da essa e fuggendo via. Virgo si precipitò quindi sulle sue tracce, lasciando Mur e gli altri a combattere con Crono. Lo scontro fu tremendo e persino le Armi di Libra sembrarono inefficaci, ma in quel momento di disperazione Pegasus e i suoi quattro compagni, memori delle battaglie precedenti per salvare l’umanità, bruciarono al massimo i loro cosmi, riuscendo a ferire il Dio. Il ritorno di Zeus, e di Era, sua moglie, al suo fianco, invertì le sorti della battaglia e Crono venne risucchiato dal suo stesso Strappo del Cielo, ponendo fine a quell’atroce guerra, completamente sbagliata. Zeus, onorato di aver combattuto al fianco di uomini nobili, e dispiaciuto per la morte dei suoi Cavalieri Celesti e delle Divinità a lui fedeli, usò il suo potere per far risorgere l’Olimpo, per riportarlo agli antichi fasti, grazie all’aiuto di Ermes, Phantom e dei Cavalieri di Atena.

 

Ma la pace era lunga a venire, poiché Flegias altro progettava da tempo. Aveva usato infatti il potere della Pietra Nera per far tornare suo padre, Ares, Dio della Guerra, e i suoi due fratelli sulla Terra, risvegliando il possente esercito dei Bersekers, in cui molti altri figli di Ares militavano. La guerra che ne seguì fu altamente violenta, combattuta con tattiche sleali e con tutte le oscure energie che la Pietra Nera poteva mettere a disposizione di Ares e dei suoi figli. Il Grande Tempio di Atena venne occupato; Ban, Geki, Lupo e Aspides massacrati; soltanto Asher si salvò, grazie a Kiki che lo teletrasportò sull’Olimpo, dove riferirono tutto a Zeus e ai Cavalieri di Atena, che lì si erano fermati per rimarginare le loro ferite.

 

Senza esitazione, Pegasus, Sirio, Phoenix e Andromeda si lanciarono in una nuova avventura, per riprendere possesso del Grande Tempio che ad Atena apparteneva e che Ares aveva infangato. Efesto, sopravvissuto come Demetra, Castore, Polluce e Ganimede al massacro dei figli di Ares, riparò le Armature Divine con il mithril, rendendole più resistenti, desideroso di vendetta nei confronti dei figli di Ares che avevano ucciso la sua bella Afrodite. Arrivati al Grande Tempio, Pegasus e gli altri trovarono le teste di Ban e gli altri affisse su picche insanguinate, e non poterono trattenere le lacrime di fronte a tale orribile spettacolo. Flegias apparve in un turbine di demoniache fiamme, spiegando loro che Ares li stava aspettando alla Tredicesima Casa, insieme a persone a loro care. Il sospetto che Ares avesse rapito, e forse ferito, Fiore di Luna, Nemes e Patricia fece adirare ed inquietare Pegasus e gli altri, ma Phoenix li pregò di mantenere la calma, per quanto difficile ciò potesse essere. Detto questo i quattro amici si lanciarono in una nuova Corsa attraverso le Dodici Case dello Zodiaco.

 

Come Eracle nel mito, così Pegasus e i suoi compagni furono costretti ad affrontare Dodici Fatiche. Alla prima Casa trovarono l’Idra di Lerna, che impegnò in combattimento Phoenix e Andromeda, mentre Sirio sconfiggeva il Guerriero dell’Idra di Lerna. Alla seconda Casa Pegasus vinse facilmente il Leone di Nemea e il corrispondente Guerriero, venendo però fermato alla Terza dagli inganni della Cerva di Cerinea. Fu Phoenix ad affrontarla e a vincerla, grazie all’aiuto del vecchio amico Morfeo, prigioniero insieme alle altre divinità uccise in qualche lontano limbo sconosciuto. Alla Quarta Casa Andromeda sconfisse il Guerriero del Cinghiale di Erimanto, mentre alla Quinta Sirio fu duramente provato dal confronto con Diomede, uno dei figli di Ares, potente guerriero e spietato. Alla Sesta Casa i Cavalieri incontrarono un’inaspettata difficoltà a causa dei subdoli trucchi fangosi di Augia, ma in loro soccorso arrivò Cristal, che sconfisse il Guerriero di Ares, permettendo agli amici di raggiungere la Palude di Stinfalo, alla Settima Casa. Là Andromeda fu gravemente ferito dal Custode, il Guerriero di Stinfalo, ma riuscì comunque a vincerlo. All’Ottava Casa Pegasus ebbe ragione del Guerriero del Toro di Creta, mentre alla Nona Phoenix conobbe la Regina delle Amazzoni, Ippolita, una donna non troppo convinta di combattere, ma obbligata per la riconoscenza che la legava ad Ares, che si era offerto di far risorgere Themiskyra, l’antica città delle Amazzoni sul Mar Nero. Phoenix riuscì a vincerla e a darle una nuova ragione per combattere, e per unirsi a loro.

 

Gli ostacoli maggiori arrivarono alle ultime tre Case: alla Decima, custodita dal Gigante Gerione, Pegasus e i suoi quattro amici, stanchi per aver combattuto nelle nove ore precedenti, non riuscirono ad andare oltre. Ma in loro aiuto giunsero Scorpio e Libra, e fu proprio quest’ultimo, insieme al discepolo ed amico Sirio il Dragone, ad affrontare e vincere Gerione. All’Undicesima, il Giardino delle Esperidi, Scorpio abbatté Licaone, mentre Cristal fu duramente stremato dallo scontro con il possente serpente Ladone. In tale battaglia ricevette l’aiuto del Cavaliere di Scorpio, ma entrambi ne uscirono molto deboli, esposti alla mercè del rinnovato assalto di Flegias. Il figlio di Ares arrivò con il suo cosmo demoniaco ed uccise Scorpio, trafiggendo il suo cranio con la Spada Infuocata. Cristal tentò di vendicarlo ma troppo debole sarebbe morto se Sirio e Dohko non fossero intervenuti per salvarlo. Lo scontro tra Flegias e i tre Cavalieri, che usarono persino il colpo proibito, l’Urlo di Atena, distrusse parte della Collina della Divinità, lasciando i Cavalieri deboli e riversi al suolo, insicuri sulla sorte del loro nemico, che sembrava veramente immortale.

 

Alla Dodicesima Casa intanto Phoenix affrontava Deimos, Demonizzazione del Terrore, aiutato da Ippolita, che non esitò a ribellarsi ad Ares per salvare l’uomo che aveva risvegliato la sua vera essenza di donna, facendole capire cosa le mancava: l’amore. Deimos la uccise con lo Strage di Spirito e Phoenix furioso lo massacrò. Fuori dalla Tredicesima Casa Andromeda affrontò e vinse, con grande fatica, l’ultimo figlio di Ares: Phobos, Divinizzazione della Paura, mentre Pegasus raggiungeva quelle che un tempo erano le Stanze del Grande Sacerdote per affrontare Ares. Lo scontro tra i due fu tremendo, la furia battagliera del Dio della Guerra era altissima e fu necessario l’intervento di tutti i quattro amici, e di Dohko di Libra, per riuscire a contrastarla. Improvvisamente però, nel pieno dello scontro, un fascio di luce nera, proveniente dal soffitto distrutto, investì Ares in pieno e subito, all’interno del raggio di luce, la figura del Dio iniziò a scomparire, venendone assorbita, davanti agli occhi sgranati dei Cavalieri di Atena. Istintivamente si voltarono verso l’ingresso della Tredicesima Casa, e là, tra le rovine del Tempio, Flegias, il Rosso Fuoco sogghignava loro con perfidia e violenza. Si tastò il collo, sfiorando con le dita una pietra nera che indossava, prima che un’abbagliante luce, nera come la notte, lo avvolgesse.

 

“L’apocalisse sta per arrivare! E tutti voi sarete travolti!” – E scomparve, lasciando i Cavalieri stupefatti e sconvolti. All'improvviso, mentre Pegasus e gli altri si chiedevano cosa stesse accadendo, Dohko, disteso in terra vicino a loro, iniziò ad avere violente convulsioni, quasi spasmi irrefrenabili.

 

“L’ombra!!! La grande ombra… sta scendendo su di noi! Ci oscurerà!!! L’eclissi, il Sole, tutto si spegnerà quando calerà l’inverno!!!” –Esclamò Dohko, smaniando convulsamente, di fronte agli occhi preoccupati dei cinque amici.

 

Nel frattempo, mentre i Cavalieri combattevano al Grande Tempio, il grosso dell’esercito di Ares marciava sull’Olimpo, guidato da Phobos e Deimos e dagli altri figli bastardi del Dio della Guerra. Orribili mostri furono risvegliati, vecchi fantasmi tornarono a muoversi tra le ombre del mondo, assalendo lo splendore del Monte Sacro, alla cui difesa si riunirono tutti i Cavalieri e le Divinità sopravvissute: Giasone e i Dioscuri, aiutati da Demetra, Dea delle Coltivazioni, fermarono Kampe, terribile bestia che aveva sgominato i Giganti di Pietra, abbattendo il Cancello dell’Olimpo. Stanchi e stremati i Dioscuri vennero attaccati da Cicno, Brigante di Anime, e solo l’intervento di Mur li salvò. Giasone fu costretto ad affrontare due vecchi compagni, figli di Ares, con cui aveva veleggiato verso la Colchide, Ascalafo del Mazzafrusto e Ialmeno dell’Anfesibena, il cui odio per l’antico amico era stato alimentato e incrementato da Ares, e la sua antica amante, Medea, ma riuscì a salvarsi, aiutato da Phantom. Ares risvegliò persino Tifone, incaricando Flegias di liberarlo dalla prigionia dell’Etna, e Zeus, per contrastarlo, fu costretto a risvegliare i tre Ecatonchiri, Gige, Cotto e Briareo, pregandoli di difendere l’Olimpo. Tutti e tre crollarono, come molti Cavalieri Celesti e tutti i bersekers, e la battaglia finale si combatté sulla cima dell’Olimpo tra Tifone e tutti i Cavalieri e le Divinità sopravvissute: Mur, Kiki, Asher, Tisifone, Artemide, Ermes, Euro, Efesto, Atena, Ganimede, Phantom e Zeus, al cui fianco comparve l’Ultima Legione.

 

Secoli prima infatti, dopo la Guerra di Britannia, Zeus aveva ottenuto il permesso dal Signore dell’Isola Sacra di nascondere una Legione di Cavalieri Celesti a Glastonbury, con il compito di difendere l’Isola, rafforzando l’alleanza con Avalon, e al tempo stesso per prepararsi in gran segreto all’ultima guerra. Ascanio del Pendragon, antico allievo del Maestro dei Cinque Picchi, fu nominato tredici anni prima Comandante dell’Ultima Legione e fu lui a guidare l’esercito alla difesa dell’Olimpo, dopo essere stato contattato da Phantom, su incarico di Zeus.

 

Ma Ascanio non fu l’unico nuovo personaggio che i Cavalieri di Atena conobbero in questa guerra. In aiuto della giustizia intervenne anche Reis, Cavaliere delle Stelle, Custode della Spada di Luce, uno dei sacri talismani del Mondo Antico, che aiutò Ioria nello scontro con la terribile Enio, Dea della Strage, dopo che il Cavaliere di Leo era stato massacrato da Ares per salvare Virgo. E questo fece riflettere Castalia sui sentimenti che provava per Ioria e su quelli che il ragazzo sembrava provare per Reis, una donna che quattordici anni prima gli aveva salvato la vita nella Guerra d’Egitto. Un misterioso aiuto lo ricevette anche Cristal, quando venne assalito da un gruppo di bersekers in Siberia, guidati da Enio, incaricati di cercare Jacov e far uscire il Cigno allo scoperto. L’aiuto di un uomo rivestito da una splendida armatura azzurra, dall’aria regale, quasi angelica.

 

Infine, mentre la Grande Guerra era in corso al Grande Tempio e sull’Olimpo, una pattuglia di bersekers venne incaricata di rapire Nemes, Sacerdotessa del Camaleonte, e Patricia, sorella di Pegasus, ma in aiuto della ragazze intervenne un misterioso Cavaliere, ricoperto da una lucente armatura dorata, che eliminò in un colpo solo i guerrieri di Ares, portando al sicuro le due, nascondendole in una caverna sotterranea insieme a Fiore di Luna. In quel luogo, celato agli occhi degli Dei e dei Cavalieri, rimasero al sicuro dalle mire assassine del Dio della Guerra, fino al termine della stessa, in cui furono riportate alle rispettive abitazioni.

 

Una porta si aprì lentamente nella caverna sotterranea e lo spostamento d’aria fece oscillare la debole fiamma della candela sulla scrivania, interrompendo il viaggio nel passato dell’Antico Saggio.

 

“State ancora scrivendo, venerabile Saggio?” –Domandò una giovane voce maschile, avvicinandosi allo scrittoio.

 

“Proprio così, Jonathan!” –Rispose l’uomo. –“Non voglio che le memorie di questi tempi vadano perdute! Ma che diventino cronaca di ciò che è stato, affinché coloro che verranno dopo di noi sappiano cosa è accaduto!”

 

“Voi…” –Mormorò Jonathan. –“Credete davvero che ci sarà qualcuno… dopo di noi?”

 

L’anziano Saggio non rispose, tastandosi la lunga barba bianca. Spostò lo sguardo sulla pergamena scritta finora, sulle antiche rune usate per narrare quello che accadde, sul sigillo a forma di A che sovrastava la pagina, e sospirò.

 

 

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Capitolo 4
*** Ricostruire ***


CAPITOLO SECONDO

CAPITOLO SECONDO. RICOSTRUIRE.

 

Castalia uscì in fretta dalla doccia, asciugandosi i folti capelli arancioni davanti allo specchio. Aveva una pelle morbida e vellutata, per quanto non dedicasse eccessiva attenzione alla cura estetica del corpo, un seno sodo e due belle gambe slanciate, risultato dei lunghi anni di addestramento e dell’esercizio fisico che tuttora non si faceva mai mancare. Per un momento si perse nello sguardo della ragazza che comparve di fronte allo specchio, e lo trovò spento. Quasi come le mancasse una luce, un motivo per andare avanti. Sospirò, colpevolizzandosi per quei pensieri che la distraevano dalla sua missione principale, e si preparò in fretta, indossando i suoi abiti, l’armatura di cuoio e di rame che utilizzava durante l’addestramento e la maschera da Sacerdotessa.

 

La mia prigione! Pensò, indossandola e coprendo così il volto in cui si era specchiata in quei pochi minuti dedicati a se stessa. Il volto che nessuno aveva mai visto, ad eccezione di due uomini che Castalia aveva sentito molto vicini. Per quanto adesso di uno non avesse più notizie, e dall’altro fosse stata costretta a separarsi momentaneamente, impegnato in missione per conto del Sommo Zeus. Il primo era suo fratello, di cui aveva perso le tracce anni addietro, quando aveva abbandonato Nuova Luxor per andare in Grecia e divenire una Sacerdotessa. Il secondo era Phantom dell’Eridano Celeste, il Luogotenente dell’Olimpo, a cui la donna si era unita qualche mese prima, durante la guerra tra Atene e il Monte Sacro, gettando via tutti i dubbi e rimpianti che riguardavano il terzo uomo della sua vita, quello che per molti anni avrebbe voluto considerare l’unico: Ioria, Cavaliere di Leo. Sbuffando, Castalia uscì dalla piccola casa del Grande Tempio dove abitava con Tisifone, nella zona dedicata agli alloggi delle Sacerdotesse, sbattendo la porta dietro di lei e trovandosi di fronte proprio la Sacerdotessa del Serpentario.

 

“Castalia!” –Esclamò Tisifone, stupita nel vederla così agitata. –“Stavo venendo a chiamarti! È l’ora della tua lezione!” –Aggiunse, indicando il campo di allenamento delle Sacerdotesse che sorgeva poco distante, dove tutti i giorni Castalia e Tisifone addestravano le loro allieve ai rudimenti del cosmo. Non erano molto numerose attualmente, poiché la maggioranza era stata barbaramente uccisa mesi prima, durante l’attacco di Flegias e dei bersekers di Ares al Grande Tempio. Ma le poche che erano riuscite a salvarsi, nascondendosi nelle grotte e negli anfratti interni della Collina della Divinità, non avevano perso la determinazione e la volontà di continuare a servire Atena, impegnandosi con uno slancio persino maggiore di quello che avevano dimostrato in precedenza.

 

“Sono pronta, Tisifone! Perdona il mio ritardo!” –Affermò Castalia, con aria distante.

 

“Ti vedo distratta! C’è qualcosa che ti preoccupa, Castalia?!” –Domandò Tisifone, scrutando la compagna con apprensione. –“Ci sono stati diverbi in passato tra di noi, e anche aperta ostilità! Ma grazie alla buona volontà di entrambe siamo riuscite a superare quei momenti, gettandoli indietro, e a stabilire un sereno rapporto! Perciò, se hai bisogno di confidarti con qualcuno, riguardo a qualche pensiero che ti turba, sappi che sono a tua disposizione! Non farti problemi con me!”

 

“Ti ringrazio per il pensiero, Tisifone! Ma non è un peso che posso permettermi di scaricare su altri!” –Commentò Castalia con un sospiro, prima di sollevare lo sguardo e dirigerlo verso settentrione, verso la Collina della Divinità, ove si stagliavano nel sole del mattino le Dodici Case dello Zodiaco e la residenza della Dea Atena.

 

“Si tratta di Ioria, non è vero?” –Esclamò Tisifone, avvicinandosi alla compagna, che subito si voltò zittendola, cercando di divincolarsi da quella conversazione scomoda. –“L’ho notato, sai, che non vi parlate più! Non vi siete più parlati da quando siete tornati dalla Tessaglia, il giorno dell’assalto di Ares all’Olimpo! Cos’è successo, Castalia? Perché sento così tanto dolore nel tuo cuore di donna?!”

 

“Il mio cuore appartiene ad Atena, Tisifone! Dovresti saperlo, poiché anche tu sei una Sacerdotessa Guerriero, proprio come me, ed entrambe abbiamo destinato alla Dea della Giustizia la nostra vita, e tutti i nostri sentimenti, precludendoci qualsiasi altra forma di amore!” –Commentò Castalia.

 

“Ciò non toglie che siamo pur sempre donne, e come tali capaci di amare in maniera meravigliosa!” –Rispose Tisifone, con una certa tristezza nel cuore. –“È sbagliato, lo so! Ma è anche umano! E non si può chiedere ad un uccello di smettere di volare!”

 

“Ogni tanto… vorrei davvero essere un uccello… essere un’aquila! Così, forse, sarei finalmente libera!” –Mormorò Castalia, mentre Tisifone le metteva una mano sulla spalle sorridendole. E lasciò la mente libera di volare lontano dalla casa delle Sacerdotesse, lontano dal Grande Tempio, lontano da quello stesso cielo che anche Ioria del Leone fissava in quel preciso momento.

 

In piedi, sulla rampa di scale che dalla Quinta Casa dello Zodiaco conduceva alla Sesta, il Cavaliere d’Oro, rivestito dalla sua corazza di cuoio, impiegata per gli usi quotidiani, si era fermato per un momento, ad osservare il cielo terso di quel mattino di settembre.

 

“Dove devo portarla questa?!” –Domandò una squillante voce maschile, distraendo Ioria dai suoi pensieri. Il Cavaliere di Leo si voltò e trovò Asher dell’Unicorno qualche scalino sotto di lui, che portava una colonna di marmo sulle spalle, stanco e sudato.

 

“Alla Sesta Casa! Abbiamo ancora molto da lavorare per farla tornare al suo antico splendore!” –Commentò Ioria, dando le spalle al ragazzo e incamminandosi, anch’egli con una colonna sulla spalla destra, lungo la scalinata delle Dodici Case.

 

“Metti un grande impegno nella riparazione della Casa della Vergine!” –Commentò Asher, seguendo Ioria lungo la scalinata. –“Sono tre giorni che portiamo materiali da costruzione alla Sesta Casa! E non abbiamo ancora iniziato a sistemare le case superiori! La settima poi è un immenso pantano! E la decima è da ricostruire totalmente! Maledetto Ares!!!”

 

“Ce ne occuperemo quando avremo finito alla Sesta Casa!” –Tagliò corto Ioria, giungendo nel piazzale antistante ad essa. –“Forse non saremo in grado di ricostruire lo splendore delle statue e degli arazzi che ornavano questa magione, né di far crescere nuovamente i profumati fiori del Giardino di Sala, ove niente è rimasto se non i due alberi sotto i quali Buddha morì, ma faremo tutto ciò che è nei nostri poteri e nelle nostre possibilità per onorare al meglio la memoria di colui che un tempo abitò tra queste quattro mura!”

 

“Sembra quasi che tu abbia un motivo personale per ricostruire questa Casa, Ioria!” –Commentò Asher, poggiando a terra la colonna che portava con sé. –“Qualcosa che va al di là della tua indiscussa fedeltà ad Atena!”

 

“Sia chiara una cosa, Asher!” –Esclamò Ioria, depositando la sua colonna e voltandosi con foga verso Unicorno. Lo afferrò per la maglietta bagnata di sudore, sollevandolo da terra e fissandolo negli occhi. –“Non sono tenuto a giustificare i miei comportamenti con nessuno! Tanto meno con un Cavaliere di Bronzo!”

 

“S... scusami!” –Balbettò Asher, intimidito da quell’improvviso attacco di ira di Ioria, che, accortosi di essere stato troppo irruento, lo depositò nuovamente a terra, dandogli le spalle e incamminandosi verso l’ingresso del tempio, dove un gruppo di soldati semplici stava lavorando, per sistemare le colonne della facciata.

 

“Ti sei mai sentito inutile, Asher?!” –Domandò Ioria, fermandosi improvvisamente. –“Ti sei mai sentito vuoto e stanco, sicuro che qualunque cosa farai sicuramente fallirai? Sicuro di non essere in grado di raggiungere gli obiettivi che ti sei posto?!” –Asher annuì in silenzio, conoscendo bene quella sensazione. Era la stessa che gli dominava il cuore da un paio d’anni, da quando aveva realizzato di essere troppo debole per difendere Atena, troppo inesperto nel combattimento per arrivare laddove Pegasus e i suoi quattro amici erano giunti, compiendo imprese al limite dell’umano e sfiorando l’ambita vetta delle Divinità. –“Se hai provato anche solo una volta ciò per cui il mio cuore si tortura da mesi, allora puoi capire perché desidero dare nuova vita alla Sesta Casa!” –Aggiunse Ioria, sospirando, mentre il vento del mattino gli scombinava i capelli castani.

 

Alla casa del compagno che non sono riuscito a salvare! Alla casa della promessa che non sono stato in grado di mantenere! Mormorò, ricordando quel terribile momento sull’Isola dell’Apocalisse, quando, dopo aver ritrovato Virgo, torturato da Ares e dai suoi figli bastardi, aveva dovuto dirgli nuovamente addio, incapace di fronteggiare la minaccia del Dio della Guerra e di portare in salvo colui che aveva dato la vita per permettere a lui e a Castalia di mettersi in salvo. Non mi perdonerò mai! Si disse, scuotendosi dai suoi rimorsi e incamminandosi verso l’interno della casa, per aiutare i soldati nei lavori di ricostruzione.

 

Aveva trascorso così i mesi successivi al termine della Grande Guerra contro Ares, mettendo tutto se stesso e tutto il suo tempo a disposizione del Grande Tempio, di quello stesso Tempio che fino a due anni prima aveva tanto odiato, in quanto luogo dove aveva perso un fratello e il ricordo di lui era stato infangato dall’infamia. Aveva aiutato i soldati e gli architetti di Rodorio a ricreare lo splendore delle Dodici Case e del Grande Tempio della Dea Guerriera, per riportarlo agli antichi fasti della creazione. Per tutto quel tempo Asher era stato al suo fianco, rifiutandosi di tornare in Giappone, come Pegasus aveva invece fatto per rivedere Patricia, ritenendo di non avere ormai più alcun legame con l’arcipelago asiatico. Ban, Geki, Aspides e Lupo erano morti, Mylock era morto, Villa Thule era stata distrutta, e di tutta la sua vita passata non era rimasto niente. Soltanto il ricordo.

 

Così Asher aveva scelto di rimanere ad Atene, ufficialmente per aiutare Ioria nei lavori di ricostruzione, ma segretamente per restare vicino ad Isabel, reincarnazione della Dea Atena, che aveva deciso di risiedere al Grande Tempio, sia per riposarsi dalle fatiche contro Crono e contro Ares, sia per cercare di accettare realmente quel ruolo di Divinità che spesso le andava stretto. Ma le occasioni per incontrare Isabel erano state molto limitate, poiché la Dea trascorreva alla Tredicesima Casa gran parte del suo tempo, limitandosi a ricevere saltuariamente rapporti da parte del Cavaliere d’Oro di Ariete, sullo stato di avanzamento dei lavori di ricostruzione e sulle condizioni dei suoi Cavalieri. E questo rendeva Asher molto triste. Salutò Ioria, lasciandolo ai suoi lavori, e discese nuovamente la scalinata delle Dodici Case, con la scusa di andare a prendere nuovi materiali, ma in realtà con l’intenzione di rimanere un po’ da solo. Così, come tanto amava stare.

 

Si era trovato bene, negli ultimi mesi, assieme a Ioria, il quale, nonostante fosse più grande di lui e appartenesse ad un rango più elevato, non aveva mostrato alcun problema a relazionarsi con Asher, trascorrendo insieme numerose giornate, impegnati nella manutenzione straordinaria del Grande Tempio. Un modo come un altro, rifletteva spesso Asher, per tenere impegnata la mente! E per non pensare! Anche Ioria, ironicamente, era solito pensarlo spesso, per quanto non lo desse mai a vedere. Se c’era una cosa infatti che Asher aveva imparato del Cavaliere di Leo era che non amava mettere in mostra i propri sentimenti e le proprie emozioni, preferendo tenerle per sé, quasi divorato dalla paura di poter essere ferito. Inoltre Ioria era uno dei pochi Cavalieri presenti al Grande Tempio che Asher conosceva e con cui poteva parlare un po’, essendo Castalia e Tisifone sempre impegnate ad allenare le future Sacerdotesse e mancando Pegasus e gli altri da parecchio tempo. Con quei pensieri in testa, Asher si allontanò dalle Dodici Case, con le mani nelle tasche dei pantaloni e lo sguardo perso, dirigendosi in un’area appartata, che la Dea Atena ordinato di ricreare immediatamente al termine della Grande Guerra contro Ares: il cimitero del Grande Tempio.

 

Nascosto sul fianco orientale della Collina della Divinità da una lunga fila di cipressi, il cimitero del Grande Tempio era stato allestito nuovamente, dopo essere stato bruciato durante la Guerra Sacra contro Ade, su ordine di Tisifone, per mondarlo dall’oscurità che lo aveva inquinato, ed essere stato violato dai turpi eserciti di Ares. Là erano state sistemate le salme dei soldati e dei Cavalieri caduti durante le guerre contro l’Olimpo e contro Ares ed erano state erette lapidi e piccoli altari per celebrare gli altri, i cui resti ormai erano andati perduti. Là aveva parlato Isabel, di fronte a tutti i Cavalieri e i soldati sopravvissuti agli orrori dei massacri di Ares, terminata la Grande Guerra, per ringraziarli per aver donato la loro vita ad un sogno di giustizia, senza chiedere niente in cambio. Là, mentre Asher discendeva la scalinata di marmo delle Dodici Case, improvvisamente il terreno tremò per un istante, mentre due immensi boccioli di rosa, alti quasi due metri, sorgevano dal sottosuolo, aprendosi pochi istanti dopo e lasciando che due uomini, ricoperti da scure vestigia, ne uscissero.

 

“Stavo quasi per morire soffocato!” –Commentò uno dei due, uscendo dall’enorme bocciolo di rosa. –“Tu e le tue stupide idee!”

 

“Le mie stupide idee ci hanno consentito di entrare all’interno del Grande Tempio senza dover ricorrere ai nostri poteri!” –Esclamò l’altro, con voce soddisfatta, mentre i boccioli si richiudevano e sprofondavano nuovamente nel terreno, che subito si richiuse dietro di loro, come se mai ne fossero usciti fuori. –“Hai dimenticato il cosmo protettivo di Atena che avvolge l’intero Grande Tempio? Se avessimo usato il nostro cosmo saremmo subito stati individuati, mentre in questo modo, sfruttando il potere naturale della terra, siamo riusciti a penetrare all’interno senza essere scoperti!”

 

“Come fai ad esserne così certo, Menas?!” –Chiese il primo uomo, indispettito dall’arditezza del suo compagno, che ai suoi occhi pareva soltanto sfrontataggine.

 

“I boccioli delle mie rose si nutrono dei sali minerali presenti nel terreno e possono percorrere chilometri nel sottosuolo, alimentandosi con le loro possenti radici, in modo perfettamente naturale, senza dare adito ad alcuna forma di energia!” –Commentò Menas. –“E non dimenticare che questa missione è stata affidata ad entrambi, non soltanto a te, Siderius! Per quanto ti piaccia considerarla una tua prerogativa!”

 

“Cercherò di non dimenticarlo!” –Lo zittì Siderius, prima di incamminarsi verso la parete di roccia che sovrastava il cimitero del Grande Tempio, nascondendosi nella sua ombra, proprio mentre i passi lenti e stanchi di un ragazzo rompevano la monotonia di quel silenzioso paesaggio. –“Ecco la nostra preda!”

 

Asher era appena entrato nel luogo sacro dove riposavano i guerrieri che avevano dato la vita per Atena. C’erano tutti, o comunque ciò che era rimasto di loro: un ricordo scolpito nel tempo, che niente avrebbe cancellato. Micene, Gemini, Capricorn, Acquarius, Fish, Cancer, Scorpio. E prima di loro Noesis, Sisifo, Asmita, Manigoldo, Albafika, Serian di Orione. Un fiume di eroi che scorreva fin dagli albori del mito. Asher non dovette percorrere molti metri che si trovò di fronte le quattro lapidi che cercava. Le tombe di Geki, Ban, Aspides e Lupo, gli amici che avevano dato la vita, durante l’attacco di Flegias al Grande Tempio, per permettere ad Asher di salvarsi assieme a Kiki, per permettergli di continuare a lottare per Atena, come insieme avevano sempre desiderato fare. L’Unicorno si gettò a terra di fronte alle quattro tombe, crollando sulle ginocchia tra la polvere di quel mattino. A stento soffocò le lacrime e il senso di colpa che lo colpiva ogni volta in cui varcava il cancello del cimitero, trascinando con sé le immagini di quel giorno che ancora non riusciva a dimenticare. Di quel giorno in cui avrebbe preferito morire, piuttosto che continuare a vivere senza di loro.

 

“Un prezzo troppo alto è costata la mia vita!” –Commentò il ragazzo, afferrando una manciata di terra e stringendola tra le mani, fino a farla ricadere nel vento. Quindi sollevò lo sguardo e si perse negli occhi dei suoi compagni, che credette davvero di vedere lì, accanto a lui, pronti per lanciarsi assieme a lui in qualche nuova impresa, in qualche nuova battaglia. Come quando non avevano esitato a lanciarsi contro Mizar di Asgard, nei giardini di Villa Thule, nonostante fossero privi di armatura e di difese, per proteggere Lady Isabel. O come quando, unendo i loro cosmi, avevano cercato di contrastare lo strapotere del Dio Thanatos, per difendere Patricia. Ma adesso quei tempi erano passati e lui era rimasto solo. –“Solo!” –Mormorò Asher.

 

Era proprio così che si sentiva. Solo e svuotato. Proprio come Ioria gli aveva detto poco prima. Privo di un punto di riferimento verso cui indirizzare la sua vita. Quando era un ragazzino, impegnato nel duro addestramento ad Orano, aveva contato i giorni che lo separavano dal suo ritorno in Giappone, dal suo ritorno da Isabel. Per lei, per onorare la sua dinastia, e suo nonno che lo aveva accolto nella sua casa, dandogli un tetto e del cibo, e per amore di lei, nei cui sguardi riusciva sempre a ritrovarsi bambino, Asher era divenuto Cavaliere. Per Isabel, prima ancora che per Atena. Allo stesso modo aveva ingaggiato battaglia nella Guerra Galattica, per sollevarsi agli occhi della ragazza che, ancora senza saperlo, per lui era una Dea. La sua Dea. Prima ancora che la Dea della Giustizia. Ma con il passare del tempo, Asher aveva dovuto ammettere di non essere in grado di difenderla come avrebbe voluto fare, di essere soltanto un Cavaliere di Bronzo, debole e inesperto, e incapace di meritare il suo amore. Così, con il tempo, lentamente aveva iniziato ad abbandonare quell’idea, in maniera inconscia e non premeditata, lasciandosi dominare dalla triste consapevolezza di non essere all’altezza. Di non essere Pegasus.

 

Ciononostante, pur con tutte le difficoltà che avrebbe comportato, sarebbe rimasto a fianco di Isabel, al fianco della sua Dea, sempre pronto a dare la vita per lei e per i suoi ideali. Sorridendo, Asher si rimise in piedi, ringraziando gli amici per il conforto che anche quel giorno, come tutti gli altri in precedenza, erano riusciti a dargli, e sollevò lo sguardo verso il cielo terso, sicuro che Geki e gli altri lo stessero proteggendo da lontano. Un rumore alle sue spalle lo fece voltare, proprio per trovarsi di fronte due uomini sconosciuti, rivestiti da scure armature.

 

L’uomo sulla destra era alto e muscoloso, ricoperto da una corazza scura, dai colori nero e violetto, che copriva buona parte del suo corpo, ma era privo di elmo e questo permise ad Asher di osservarlo in faccia e riconoscerne i tratti marcatamente latini. Viso abbronzato, un bel ciuffo di capelli scuri, folte sopracciglia e occhi neri, segnati da una cicatrice che tagliava a metà l’occhio destro, senza però sfigurare il viso dell’uomo, dall’espressione seria e determinata. Il suo compagno era più basso di lui ed indossava un’armatura leggermente meno coprente, la cui forma ad Asher parve ricordare vagamente quella di una rosa in procinto di schiudersi, con tale nobile fiore inciso sul pettorale della corazza. Con folti capelli rosa, alcuni dei quali raccolti in treccine sparse sul lato destro del cranio, occhi marroni e pelle chiara, il secondo uomo era chiaramente più giovane.

 

“Asher dell’Unicorno?” –Esclamò il primo, con voce decisa, mentre Asher stringeva i pugni, fissando i due uomini con apprensione.

 

“Chi siete? E cosa volete da me?!”

 

“Siamo amici!” –Rispose il primo, spostando leggermente lo sguardo verso il suo compagno. Sornione. –“Puoi chiamarci in questo modo!”

 

“Amici?!” –Balbettò Asher, che non aveva mai visto quei due uomini e, per quanto non avvertisse in loro alcun cosmo, non poteva fare a meno di temerli e di stare in guardia.

 

“Precisamente! Amici, se ti comporterai bene e verrai con noi! Nemici, nel caso in cui tu voglia scioccamente opporre resistenza!” –Concluse il primo uomo, abbandonandosi ad un sogghigno che fece trasalire il Cavaliere dell’Unicorno.

 

“Come sarebbe a dire? Chi siete?!” –Esclamò Asher, lanciandosi avanti verso i due, che non ebbero alcun problema a spostarsi lateralmente, evitando l’affondo del ragazzo.

 

“Nemici dunque?! E sia! Ma non per nostra scelta!” –Commentò il più basso dei due, sollevando il braccio destro verso il cielo, mentre il terreno sotto i piedi di Asher parve tremare per un momento, prima che lunghi fusti di spine si sollevassero, circondando il ragazzo e stringendolo in un pericoloso abbraccio.

 

“Cosa succede? Cosa sono queste spine?!” –Gridò Asher, mentre la gabbia di rovi si chiudeva su di lui, stringendo con forza il suo corpo, affondando le spine nella sua giovane carne e lasciando che il sangue macchiasse i fusti evocati dall’uomo.

 

“Sono le spine del tuo martirio!” –Sentenziò l’uomo, stringendo la presa sul ragazzo, che venne stritolato dai fusti assetati di sangue, che penetrarono a fondo nel corpo di Asher, strappandogli un grido di dolore.

 

In quello stesso momento, sia Lady Isabel, distesa sul letto nelle sue Stanze, sia Ioria, sulla scalinata di marmo dietro la Casa del Toro, che Castalia e Tisifone, alla residenza delle Sacerdotesse, avvertirono infiammarsi il cosmo di Asher. E un cosmo estraneo che aveva violato in qualche modo la barriera protettiva di Atena. All’istante i tre Cavalieri si precipitarono verso il cimitero del Grande Tempio ed il primo a raggiungerlo fu Ioria del Leone, il quale, quando entrò al suo interno, trovò una macabra scena ad attenderlo: Asher era intrappolato in un groviglio di rovi, dai robusti fusti spinosi, che lo stavano dissanguando, mentre una lugubre chiazza di sangue aveva macchiato il terreno di quel luogo sacro.

 

“Maledizione! Asher!!!” –Gridò Ioria, accendendo il pugno del suo cosmo dorato e lanciandosi avanti, per liberare il ragazzo. Gli artigli del Leone, simili a fitta pioggia di luce, si abbatterono sui fusti bagnati dal sangue di Asher, distruggendoli all’istante, trinciandoli con la loro foga ardente, in modo da permettere a Ioria di avvicinarsi e portare l’Unicorno fuori da quella gabbia di sangue.

 

“È lui?!” –Domandò Menas, che si era nascosto nelle ombre del fianco del montagna, rivolgendosi a Siderius, in piedi accanto a lui. Ma non ottenne risposta e fu costretto a voltarsi verso il suo compagno, intento a fissare con attenzione i gesti del Cavaliere di Leo, mentre la sua mente tornava indietro, ad un tempo in cui sinceramente credeva di poter divenire immortale. Al tempo dell’umiliazione subita.

 

“Sì!” –Rispose Siderius, mentre le sue labbra si stendevano in un sogghigno perverso. –“Cavaliere di Leo! Hai un conto aperto con me! E non tarderà a venire il momento in cui mi presenterò per riscuotere il mio credito!”

 

Proprio in quel momento arrivarono correndo anche Tisifone e Castalia, gridando nel vedere il corpo martoriato del povero Asher, segnato da tagli e ferite profonde da cui copioso sgorgava il sangue. Ioria poggiò una mano sul petto del ragazzo, avvolgendolo in un caldo abbraccio con il suo cosmo dorato, nel tentativo di dargli tepore e sollievo da quell’inferno che pareva essergli penetrato dentro. Ma Asher sussultò, scuotendosi improvvisamente, quasi in preda ad un raptus isterico, sputando sangue e tossendo confusamente. Tirò un’occhiata furiosa a Ioria, prima di digrignare i denti, sfoderando aguzzi canini, e avventarsi sul collo del ragazzo. Ioria, d’istinto, lo sbatté a terra, premendo la sua mano sul petto del Cavaliere di Bronzo e abbracciandolo con il cosmo, che, non senza fatica, riuscì a spegnere la fiamma dell’ira ardente nei suoi occhi. Una fiamma che pareva intrisa di morte. E questo fece preoccupare ulteriormente Ioria e le due Sacerdotesse. Castalia si chinò sul ragazzo, sfiorandogli la fronte con la mano e sentendola bollente.

 

“Devo portarlo da Mur!” –Esclamò Ioria, tirandosi su, sorreggendo il corpo di Asher tra le braccia. –“Egli è esperto di medicina e saprà certamente come curarlo!”

 

“Sono d’accordo!” –Affermò seriamente Tisifone, chinandosi sul terreno macchiato di sangue per osservare i fusti di spine, distrutti dall’attacco di Ioria. Sembravano rovi normali, come quelli che crescono nelle regioni interne del Grande Tempio, anche a ridosso dell’Altura delle Stelle, ma Tisifone notò che le loro forme parevano inquietanti. –“Porta anche uno di questi!” –Esclamò la Sacerdotessa, afferrando un pezzo di rovo, facendo attenzione a non pungersi con le spine ancora assetate di sangue. –“È il caso che Mur lo analizzi attentamente! Noi intanto perlustreremo i dintorni, dando ordini ai soldati di stringere i controlli sui Cancelli!”

 

“D’accordo!” –Esclamò Ioria, prima di voltarsi verso Castalia e rivolgerle parola per la prima volta. –“Fate attenzione! Non voglio che vi accada qualcosa di male!” –Aggiunse, scattando via con il corpo ferito di Asher.

 

“Già una volta hai perso l’uomo che amavi!” –Esclamò allora Tisifone. –“Vuoi che la storia si ripeta un’altra volta?” –Aggiunse, cercando di stimolare l’amica ad esprimersi, a tirar fuori ciò che veramente provava.

 

Castalia osservò in silenzio Ioria scomparire in lontananza, prima di voltarsi e scattare via, subito seguita da Tisifone, attraverso i sentieri del cimitero del Grande Tempio, gettando via tutti i suoi pensieri, tutti i freni che le impedivano di vivere pienamente la sua vita. Le due Sacerdotesse raggiunsero l’ingresso orientale, ove alcuni soldati erano radunati, e chiesero loro informazioni su movimenti sospetti. Ma nessuno di loro aveva visto entrare alcun nemico. E questo sconcertò non poco le giovani donne.

 

In quello stesso momento Menas e Siderius, ancora riparati sotto l’oscuro fianco della montagna, da un’alchimia che pareva nasconderli ad occhio umano, sorrisero soddisfatti per la propria opera, fondendo i loro cosmi con l’ombra che li circondava e scomparendo in un turbinar di ebano.

 

Quando Ioria depositò il corpo ferito e febbricitante di Asher su un lettino nella Prima Casa dell’Ariete, Mur gli si avvicinò con aria preoccupata. Osservò i tagli profondi, in parte cicatrizzati grazie ai poteri curativi di Ioria, toccò la fronte e i polsi di Asher, sentendoli ribollire come fiamme e stimolando una reazione nervosa del ragazzo, che si agitò, contorcendosi su se stesso, mormorando parole rabbiose, quasi stesse gridando istericamente.

 

“Ouh!” –Esclamò Kiki, spuntando alle spalle di Mur. –“Come sta Asher, fratello?”

 

“Molto male, Kiki! Molto male!” –Commentò Mur, con voce calma ma preoccupata. –“Medicherò le sue ferite con piante medicinali specifiche per le reazioni febbrili, ma ho bisogno di analizzare immediatamente i rovi che lo hanno massacrato! Sono certo che sono intrisi di un terribile veleno! Nient’altro potrebbe condurre un Cavaliere così facilmente alla pazzia!”

 

“Veleno?!” –Strinse i pugni Ioria, imprecando per quella delicata situazione. –“Sei in grado di curarlo, Mur? Se tu non ci riesci, chi altri potrebbe?!”

 

“Farò del mio meglio, Ioria, per combattere questo virus letale che sta divorando dall’interno il Cavaliere dell’Unicorno!” –Esclamò Mur a bassa voce, incitando Kiki a portargli immediatamente tutto l’occorrente per i medicamenti.

 

“Ne sono certo! Ho fiducia nei tuoi poteri!” –Commentò Ioria, prima di allontanarsi, annunciando di dirigersi da Atena per informarla di questo triste avvenimento. –“Lo affido a te, abbine cura! Mi sono affezionato ad Asher in questi mesi trascorsi insieme, a parlare e a riflettere su quanto blandi siano i sogni degli uomini! È stato bello! È stato come avere nuovamente un allievo!” –E scomparve nel corridoio della Prima Casa, diretto verso l’uscita.

 

Rimasti soli, Kiki aiutò Mur a medicare le ferite di Asher, che si dibatteva continuamente, ringhiando come una fiera in gabbia e obbligando Mur a far uso del suo cosmo per placare i suoi istinti ribelli.

 

“Fratello! Non sapevo che Ioria avesse avuto un allievo!” –Commentò sbadatamente Kiki.

 

“Per la verità, neanch’io!” –Aggiunse Mur, sospirando.

 

 

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Capitolo 5
*** L'alchimia delle ombre ***


CAPITOLO TERZO: L’ALCHIMIA DELLE OMBRE

CAPITOLO TERZO: L’ALCHIMIA DELLE OMBRE.

 

In un’isola dell’Egeo orientale, apparentemente anonima e disabitata, ombre e rancori di una vita intera scivolavano sulla superficie pietrosa, avvolgendola in un oscuro abbraccio capace di nascondere la sua stessa esistenza ai naviganti e agli osservatori esterni. Su quell’isola, nelle grotte delle montagne che la costituivano, aveva sede la base operativa di Flegias, figlio di Ares. Seduto su un trono di amianto, rivestito dalla sua Armatura scarlatta, il Flagello di Uomini e Dei sorseggiava un bicchiere di vino, dall’acceso color rosso sangue, mentre un uomo, dalle nere vesti simili al saio di un monaco, fermate in vita da un vistoso cordone d’argento, era in piedi vicino a lui, in attesa di ordini.

 

Ma Flegias era completamente disinteressato a lui e alle cinque figure inginocchiate ai piedi del trono, i cui cosmi scuri parevano fondersi con la notte che imperava dentro quella reggia. Immerso nei suoi pensieri, Flegias stava lasciando vagare la mente nel fiume del tempo, ritornando a pochi giorni addietro, quando aveva osato avventurarsi nuovamente fuori dalle ombre dell’isola ove si era rifugiato un paio di settimane prima. Non che avesse paura ad uscirne, tutt’altro. Egli non temeva nessuno, ma era certo che, avendo Ermes e Phantom segnalato la sua posizione al Sommo Zeus, avrebbe dovuto affrontare qualche Cavaliere Celeste, inviato dall’Olimpo per pattugliare i dintorni, tenendosi comunque a debita distanza da un luogo che all’apparenza era più inospitale dell’Inferno. Pur tuttavia, escludendo un paio di sentinelle dislocate nelle isole circostanti, e massacrate in pochi attimi, nessuno sembrò fermare Flegias, ed egli fu libero di muoversi a suo piacimento, raggiungendo la penisola anatolica e dirigendosi verso la Troade. Per un appuntamento col destino! Aveva sogghignato il figlio di Ares, sfrecciando nel vento, avvolto da un turbinar di fiamme e di ombre.

 

Conosceva bene le sue abitudini e sapeva che Asclepio, il figlio di colui che gli aveva recato il grande affronto, per quanto fosse un Dio provava un’immensa pietà verso gli uomini, incamminandosi spesso in solitari viaggi lungo le coste del Mediterraneo, seguendo il percorso dei Santuari a lui dedicati. Gli Asclepiei erano prevalentemente dei ricoveri per gli ammalati, posti sotto la protezione del Dio della Medicina, di quello stesso Dio che periodicamente, vestendosi come un semplice uomo, si mescolava ai dottori, prestando il suo operato e le sue competenze per aiutare gli uomini ad uscire dai patimenti della malattia. Spesso la sua stessa vicinanza, il suo cosmo confortante, leniva gli affanni dei moribondi, sanando le ferite o lasciandoli scivolare lieti verso la fine del loro viaggio terreno. E Flegias, che ad Asclepio era direttamente legato, sapeva bene dove adesso si trovava. A Pergamo, in Misia, una zona della Turchia nord-occidentale tra la Bitinia e la Frigia. Là infatti si ergeva un grande santuario dedicato al Dio della Medicina, lo stesso in cui aveva prestato servizio Galeno nel II secolo d.C., un grande medico e chimico che aveva contribuito ad riorganizzare tutta la scienza medica del suo tempo secondo principi originali. E Asclepio, che di Galeno era stato un grande ammiratore, non mancava mai di fermarsi a Pergamo nei suoi viaggi. 

 

Con un agile balzo Flegias aveva raggiunto l’imboccatura della Via Tecta, una via sacra coperta che conduceva al vasto complesso del Santuario di Pergamo dove si trovavano gli stoa, i cortili porticati, sotto cui Asclepio era solito passeggiare. Aveva fatto fuori un paio di guardie, senza dare loro la possibilità di emettere alcun gemito, e poi lo aveva raggiunto, sorprendendolo con un violento attacco di fiamme oscure.

 

“Flegias!!!” –Aveva gridato Asclepio, venendo sbattuto a terra e circondato da quel vorticare imperterrito di fuoco e ombra. Non molto alto, e di gracile costituzione, Asclepio non aveva mai coltivato interesse verso l’arte battagliera, preferendo dedicare il suo tempo a colmare l’immenso desiderio di conoscenza che albergava nel suo animo. Divorava libri, conosceva tutte le poesie del mondo antico, ed era perfettamente istruito nel campo della scienza e della medicina, al punto che tutti sull’Olimpo lo consideravano una perfetta autorità in materia.

 

“Hai dunque riconosciuto l’odore della morte, quando si avvicina, nipote mio?!” –Aveva sogghignato Flegias, uscendo dalle ombre, che parevano danzare attorno alla sua Armatura Divina. Sul fianco destro, fissata con un elegante nastro scarlatto, risplendeva la Spada Infuocata che molte vite aveva reciso, cibandosi del sangue degli sconfitti per accrescere il suo potere e saziare il suo appetito di morte.

 

“Per carità, Flegias, fermati! Zeus ha dato mandato a tutti gli Dei e i Cavalieri al suo comando di ucciderti, per punirti per l’affronto recato all’Olimpo e…” –Ma Flegias lo aveva interrotto con un brusco movimento del braccio, scaraventando il gracile Dio contro un muro laterale e avvolgendolo in un turbine infuocato.

 

“Cosa vuoi che m’importi!!! Che vengano tutti! Che venga Zeus in persona! Neppure lui riuscirà a detronizzare l’Imperatore di tutte le ombre!!!” –Aveva gridato eccitato Flegias, osservando Asclepio venire stritolato di fronte ai suoi occhi. –“L’unico legame che ci univa, l’unica remota possibilità per cui avrei potuto risparmiarti, era l’amore per mia figlia Coronide, colei che ti diede alla luce!” –Aveva mormorato il figlio di Ares, perdendosi per un momento nei suoi pensieri. –“Ma Coronide è morta! Da Apollo barbaramente uccisa! Ed io sterminerò gli Dei dell’Olimpo, per avere la mia vendetta! E tu, che di quella schiera fai parte, adesso morrai!” –E nient’altro aveva aggiunto il Flagello di Ares, portandosi avanti e vibrando un secco colpo della sua Spada Infuocata, che aveva tagliato la gola di Asclepio, gettandolo a terra come un sacco vuoto. Un secondo colpo e il Dio era stato ucciso.

 

Flegias aveva raccolto il corpo pesto e lacero dell’uomo che sua figlia aveva avuto millenni addietro, leccando via il sangue dalle ferite, quasi godendo di quel sapore che tanto lo inebriava. Quindi aveva incendiato il tempio di Pergamo, lasciando che tutti morissero al suo interno, dottori e pazienti, prima di scomparire e rientrare nell’isola con il suo succulento bottino. Con lo strumento che gli avrebbe concesso di disporre di un’ulteriore difesa da mettere in campo contro Atene e contro l’Olimpo.

 

“I Capitani dell’Ombra sono al vostro servizio, potente Signore!” –Esclamò improvvisamente l’uomo dalle vesti nere, rubando Flegias ai suoi pensieri. –“Grazie al prezioso contributo di cui mi avete fatto dono, ho creato per loro le migliori corazze che mai alchimista alcuno aveva forgiato sull’Isola della Regina Nera!”

 

“Lo spero per te, vecchio relitto!” –Commentò Flegias, rizzandosi in piedi e gettando via il calice di vetro, schiantandolo contro una parete laterale. Tirò uno sguardo alle cinque figure inginocchiate ai piedi del trono, tutte con lo sguardo posato sul terreno pietroso sotto di loro, prima di spostarlo nuovamente su Athanor. –“Fa che salvarti dall’apocalisse abbia giovato ai miei interessi, e non sia stato soltanto un inutile spreco di energia!”

 

“Il sangue del Dio della Medicina è stato sfruttato fino all’ultima goccia, prezioso carburante per dare vita alle corazze di coloro che in tuo nome contribuiranno a diffondere l’ombra su questa sterile Terra!” –Rispose Athanor, con viscido servilismo. Perché in fondo a lui di Flegias non importava niente, come non credeva nei suoi progetti deliranti, limitandosi a servirlo e ad aver così salva la vita. Da anni, da quando lo aveva portato via dall’Isola della Regina Nera, Flegias parlava di talismani nascosti nella polvere del tempo e ancora non era riuscito a trovarne uno, inseguendo leggende che, agli occhi di Athanor, uno scienziato e un concreto materialista, altro non erano che falene lontane. Farfalle in volo, sempre troppo distanti da afferrare. Niente di più.

 

Ma in fondo, ad Athanor tutta quella fissazione di Flegias verso l’arcano andava bene, poiché gli aveva permesso di essere utile, e quindi di sopravvivere. Grazie alle conoscenze di cui disponeva, ultimo degli antichi alchimisti che secoli addietro si ribellarono ad Atena, fuggendo sull’Isola della Regina nera, Athanor era stato incaricato da Flegias stesso di forgiare corazze per i suoi guerrieri. Armature particolari che fossero resistenti e leggere, per renderli agili in battaglia, ma soprattutto che nascondessero il tenebroso potere dell’ombra dentro di sé. Un potere che avrebbe permesso a Flegias di contrastare la luce dei suoi avversari. Ma per dare la vita a delle armature, anche nere che fossero, Athanor aveva bisogno di sangue, meglio ancora se il sangue di un Cavaliere, in modo da poterne sfruttare anche il cosmo. E Flegias aveva acconsentito alle sue richieste, fornendogli materia prima in gran quantità, primo tra tutti il martoriato corpo di Asclepio, il cui sangue regale, il mitico Ichor degli Dei greci, aveva permesso di forgiare sette corazze indistruttibili. Dei veri capolavori dell’alchimia nera.

 

“Per secoli gli alchimisti ribelli, fuggiti sull’Isola della Regina Nera, tentarono di emulare le Armature di Atena, ma fallirono continuamente, incapaci di realizzare modelli che fossero più resistenti delle corazze di bronzo! Mancavano loro le conoscenze, e in parte anche un quid rivelatore!” –Spiegò Athanor. –“Ma io, che ho potuto sfruttare l’infinito potere della Pietra Nera di cui mi avete fatto dono, mescolandolo al mio sapere e all’Ichor del Dio della Medicina, ho compiuto il miracolo, giungendo dove i miei predecessori hanno fallito! Io ho vinto il tempo!!!”

 

In quel momento una rozza porta di legno, alle spalle delle cinque figure inginocchiate, si aprì rumorosamente e due uomini fecero la loro comparsa, salutando Flegias sollevando il braccio destro e chiamando a gran voce il suo nome.

 

“Siamo tornati, Flegias, figlio di Ares, Flagello degli Uomini e Gran Maestro di Ombre!” –Esclamarono, avvicinandosi alle cinque figure inginocchiate.

 

“Meglio tardi che mai!” –Ironizzò Flegias, fissando i due in attesa di notizie. –“Siderius! Menas! Avete portato a compimento l’impresa per cui vi ho scelto?!”

 

“Nel migliore dei modi!” –Rispose Siderius, spiegando come avevano operato. –“Il Cavaliere dell’Unicorno giace adesso infettato dal veleno mortale delle spine della rosa di rabbia! Non passerà molto tempo prima che l’agonia del suo destino lo conduca alla sua inevitabile fine!”

 

“Menas?!” –Flegias si rivolse al secondo uomo, per trovare conferma delle parole di Siderius.

 

“I vostri ordini sono stati eseguiti, supremo Maestro di Ombre!” –Si inginocchiò Menas, accennando un sorriso malizioso, che Flegias interpretò come segno d’intesa.

 

“Ottimo!” –Sogghignò il figlio di Ares, strofinandosi le mani, mentre un’avida luce rossastra scintillò nei suoi occhi, illuminando per un momento l’oscurità di quell’anfratto. –“Ritirati, adesso! Il tuo grado inferiore non ti consente di prendere parte a questa discussione!” –Aggiunse, facendo cenno a Menas di uscire dalla sala. Ordine che Menas immediatamente eseguì.

 

“Anche se non capisco perché ci avete chiesto di infettarlo! Quale pericolo può mai costituire un Cavaliere di Bronzo?!” –Domandò Siderius, disturbando i pensieri di Flegias, che, in tutta risposta, lo scaraventò indietro con il suo cosmo infuocato, fino a farlo schiantare contro una parete rocciosa.

 

“Taci!!! Qualcuno ha mai chiesto a Dio perché ha creato il mondo? E tu allora non permetterti di domandare a me, Gran Maestro di Ombre, i motivi del mio operato, ma accetta le linee guida che saprò importi! E poi muori!” –Ringhiò Flegias, digrignando i denti, mentre le altre cinque figure si mettevano in piedi. –“Tutto rientra nel completamento del mio efficace piano! Mentre infatti i Cavalieri di Atena saranno pateticamente impegnati a trovare una cura per la particolare febbre che ha colpito il loro amato Unicorno, noi saremo liberi di muoverci indisturbati e proseguire nell’affannosa ricerca a cui da anni dedico tempo e forze, in vista del traguardo finale!” –Esclamò Flegias, voltandosi verso l’uomo vestito di nero, che si allontanò per un momento, ritornando con un carro su cui erano collocate cinque armature dai colori scuri come la notte. I simboli che rappresentavano erano inquietanti, cinque creature temute dagli uomini, confinate nelle leggende e da Flegias risvegliate: un’immensa tigre con lunghe zanne affilate, un drago con otto teste, un lupo dagli artigli sfoderati, un rigido serpente dalle selvagge spire e un gigantesco mostro marino, dalle forme orribili.

 

Flegias le osservò di sottecchi e anche se non lo ammise rimase soddisfatto, poiché sentì pulsare in loro la vita, la brama di vita, anche a costo di sopraffarne altre. E la tendenza all’ombra di cui voleva fossero intrise. Athanor si strusciò le mani con soddisfazione, per lo splendido lavoro che aveva realizzato, prima di voltarsi verso i cinque uomini e fare loro cenno di espandere i propri cosmi, in modo da entrare in comunione intima con la corazza che nient’altro rappresentava se non il loro simbolo. Una dopo l’altro le cinque Armature si scomposero, aderendo perfettamente ai corpi scolpiti degli uomini, di fronte allo sguardo attento di Flegias e a quello di Siderius. Egli infatti era stato uno dei due Capitani dell’Ombra per cui Athanor aveva già realizzato una corazza, in virtù dell’urgenza della sua missione.

 

“Io sono Iemisch, la Tigre d’Acqua!” –Esclamò quindi il primo uomo, rivestito da un’Armatura dagli oscuri riflessi e dalle fattezze feline. –“Percepisco il dolore delle acque, la sofferenza a cui gli uomini le hanno condannate fin dagli albori della storia, sfruttandole oltre ogni limite e cercando di dominarle, al punto da privarle di ogni rispetto! Del loro rancore mi nutro, nel loro tedio di vivere trovo l’energia necessaria per sfoderare i miei micidiali artigli, che metto al servizio dell’ombra!” –Aggiunse, prima che la seconda figura lo affiancasse, presentandosi a sua volta.

 

“Il mio creatore mi ha chiamato Licantropo, colui che si ciba dei segreti annidati nel cuore degli uomini! Segreti che, per quanto ben custoditi, sono pagine da sfogliare, un serbatoio di peccati a cui attingere per soppiantare quei deboli esseri umani, che a nient’altro sono dediti se non alla gola e alla lussuria, al soddisfacimento di materialistici istinti di godimento! Io saprò farli miei e rivolgerli contro i loro stessi creatori, martiri ineluttabili di una concupiscenza che non potranno evitare!” –Esclamò, prima di essere affiancato dalla terza figura, alta e possente, con lo sguardo di un fiero comandante militare.

 

Orochi è il mio nome, ed è già leggenda! Come il Drago dalle otto teste di cui sono Custode e Padrone!” –Si presentò questi, fissando Flegias con sguardo fermo e deciso. La sua stazza era enorme, quasi il doppio rispetto a quella dei suoi compagni, al punto da essere un vero gigante. –“Con il soffio del mio alito, percepisco i rimpianti degli uomini, tutto ciò che quegli esseri inferiori si torturano di non aver fatto! Tutto ciò che non hanno detto, incapaci di accettare un presente che non possono più modificare! Di tali rimpianti, che continuamente albergano nell’animo degli uomini, le teste del mio Drago si nutrono, innalzandosi al cielo come giovani Atlanti!”

 

Livyatan son io, “l’avvolto”, il mare grande, vasto, immenso! Smisurato potere che rappresenta la brutalità degli uomini!” –Esclamò quindi la quarta figura. –“Gli uomini mi conoscono come Leviatano e temono il mio potere, poiché in origine lo ebbi direttamente da Dio, della cui potenza fui il simbolo! Ed oggi, in quest’epoca sterile e corrosa dalla guerra continua, di uomini contro uomini, di fratelli contro fratelli, è per me facile godimento assorbire tali istinti animali e continuare a crescere e a sollevare immense maree di odio!”

 

“Ed io sono Iaculo, il Serpente Giavellotto!” –Sibilò il quinto uomo, affiancando il Leviatano. –“Rappresento le colpe di cui ogni uomo si è volontariamente macchiato, il veleno che, come un serpente, egli ha covato in seno, scaricandolo sugli altri, quando ha provato invidia o gelosia o è stato irretito dal potere e dalla brama di gloria o ha ceduto al sospetto, lasciandosi cullare dal segreto e dalle trame nascoste!”

 

Infine, l’uomo chiamato Siderius, rimessosi in piedi, si affiancò a Iaculo, chinando leggermente il capo, in segno di obbedienza nei confronti di Flegias.

 

Siderius! Della Supernova Oscura!” –Affermò. –“Rappresento l’ombra del futuro, la paura dell’ignoto, l’ansia che precede il grande balzo verso un mondo sconosciuto e irto di pericoli! Il futuro che è mio compito strappare agli uomini!”

 

“I Capitani delle Ombre sono finalmente riuniti di fronte a voi, Gran Maestro di Ombre!” –Esclamò Athanor. –“Tutti tranne ovviamente colei che…”

 

“So benissimo dove si trova!!!” –Lo zittì bruscamente Flegias. –“Sta facendo il suo lavoro, come voi adesso farete il vostro! A tal riguardo, cosa ne è del mio esercito, Athanor? Perché non è chino di fronte a me, prostrato ai piedi dell’Imperatore dell’Oscurità?”

 

“Il processo di creazione delle Armature è più lungo del previsto, possente Flegias! Ed io sono da solo!” –Cercò di scusarsi Athanor, indietreggiando di un passo alla vista dei fiammeggianti occhi del figlio di Ares che lo fissavano con violenza, penetrandogli nel profondo. –“È fondamentale dare loro la giusta resistenza, o non saranno in grado di reggere il confronto con i Cavalieri di Atena!”

 

“Stupido!” –Lo colpì Flegias con uno schiaffo, sbattendolo a terra. –“Non ripetermi cose che già conosco! Sprechi il tuo fiato a tentennare scuse che non merito! Non ti ho forse concesso una mandria di schiavi, da impiegare nella grande fornace? Schiavi che, quando saranno esausti e ormai improduttivi, potranno essere utilizzati per estrarne il sangue necessario a dare vita a nuove corazze! La quantità sopperirà agli scarsi livelli del loro cosmo!”

 

“Ciò non è sufficiente, mio Signore! Ho bisogno di sangue di Cavaliere, di sangue carico di cosmo, come lo erano il nettare di Asclepio e del Generale di Poseidone! Con esso potrò dare vita a nuove Armature! Più forti, più resistenti di quelle che ho prodotto finora per il suo esercito!”

 

“Taci, zotico! Non permetterti più di esprimere perplessità di fronte a un mio ordine! Non ti è concesso! Ti è soltanto concesso di vivere qualche giorno in più della tua inutile vita con il privilegio di servirmi, sollevato dal fango ove meriti di strisciare!” –Ringhiò Flegias, mentre Iaculo e Iemisch trascinavano fuori da un cunicolo secondario il corpo martoriato di un uomo, il cui volto era quasi irriconoscibile. Era morto una settimana addietro, dopo mesi trascorsi in agonia, torturato da Flegias e da Athanor e spremuto fino all’ultima goccia di sangue, per dare vita ad un paio di Armature dell’esercito dell’ombra, catalizzando il cosmo insito in esso grazie all’oscuro potere della Pietra Nera che Flegias custodiva. La più potente delle sette.

 

“Gettate questa carcassa nella fornace, il suo ruolo è ormai terminato! Syria delle Sirene non suonerà più!” –E troncò in due il flauto del musico, schiantandolo sulle proprie ginocchia, mentre i due Capitani dell’Ombra sollevavano il corpo distrutto dell’ultimo generale di Poseidone, che era crollato difendendo il Tempio del suo Dio dai berseker di Ares, scaraventandolo in un’immensa fornace, incavata al centro della montagna principale dell’isola. Le sue fiamme si allungarono improvvisamente verso il cielo nero, risplendendo di oscuri riflessi di morte. –“Così passò l’ultimo dei sette Generali! Ah ah ah! Continua il tuo lavoro, alchimista oscuro, e abbi fede nel tuo Dio! Presto avrai nuovo e prelibato sangue, ricco di energia cosmica, da usare per i tuoi esperimenti!” –Rise Flegias, prima di ordinare ai Capitani dell’Ombra di dirigersi verso le località concordate in precedenza, con il compito di eseguire la missione assegnata loro.

 

I servitori del Gran Maestro di Ombre uscirono, e anche Athanor li seguì poco dopo, lasciando Flegias in piedi di fronte al trono. Soltanto Orochi, il Capitano dell’Ombra il cui simbolo era il possente Drago a otto teste, rimase immobile ai piedi del palco di pietra, con lo sguardo fisso sul suo Signore.

 

“Vi fidate troppo di quell’umano, mio Signore!” –Esclamò infine, quando furono rimasti da soli. –“Siderius è indubbiamente troppo emotivo per poter servire al meglio l’impero delle ombre che state affannosamente costruendo!”

 

“Sono in grado di valutare da solo l’operato dei miei fedeli, Orochi!” –Ringhiò Flegias, avvolgendo il Capitano delle Ombre in un circolo di oscure fiamme, che stritolarono il suo corpo, facendolo urlare di dolore. –“E tu non sei forse emotivo? Non sono forse grida questi latrati indisponenti che giungono al mio divino orecchio?” –Ironizzò il Maestro di Ombre, liberando Orochi dalla sua morsa e osservandolo crollare in ginocchio, con numerose ustioni sul corpo e l’armatura incandescente.

 

“Ciò che volevo dire, mio Signore, è che conoscete anche voi il passato di Siderius, i suoi legami con il Grande Tempio di Atena! Non vorrei che la sua umanità diventasse per voi uno svantaggio anziché un punto a favore!” –Commentò Orochi, rimettendosi in piedi.

 

“In tal caso sarà lui a fornire il sangue necessario per completare il rito delle ombre! Ah ah ah!” –Sghignazzò Flegias, ordinando a Orochi di controllare le sue mosse, per precauzione. –“Uccidilo, se necessario! Ma portami il cadavere, cosicché io possa servirmene per i miei piani! Niente, neppure una goccia di sangue, dovrà andare sprecata, ma tutto dovrà servire al tutto!” –Rise il figlio di Ares, mentre Orochi abbandonava la sala, lasciandolo finalmente da solo.

 

Il Gran Maestro di Ombre impiegò quei minuti di solitudine per tirare le fila del suo complesso piano, architettato con maestria nel corso di quindici lunghi anni. Così tanto era infatti trascorso da quella notte in cui aveva assaltato la Biblioteca di Alessandria, massacrando Galen, il suo anziano custode, alla ricerca della mappa che gli avrebbe permesso di localizzare i Talismani del Mondo Antico. Una mappa redatta ad Avalon millenni addietro, agli albori del tempo, che ben illustrava l’oggetto della sua intricata e disperata ricerca. Le uniche armi che avrebbero potuto consentire, o ostacolare, la discesa della grande ombra sulla Terra intera. Non trovando la mappa, che Galen aveva bruciato poco prima di morire, Flegias aveva dovuto cercarli da solo, affidandosi all’odore delle leggende e penetrando in ogni luogo sacro in cui riteneva plausibile che fossero custoditi. Aveva saccheggiato il tempio di Isla del Sol, dedicato a Inti, Dio del Sole e generatore della vita nella mitologia inca, e il tempio del Sole a Cuzco, tra le cime inaccessibili delle Ande, senza trovarvi alcunché. Quindi aveva irretito Ra e Seth, antiche Divinità Egizie, spingendoli nuovamente l’uno contro l’altro, in modo da poter avere accesso ai segreti nascosti tra le mura di Karnak e nella Piramide di Tebe. Ma anche là non aveva scovato niente e questo lo aveva in parte portato a credere che i Talismani fossero custoditi totalmente ad Atene. Eppure anche quell’idea non lo soddisfaceva, anche quell’idea lo lasciava frustrato e insoddisfatto, incapace di mettere a fuoco un dettaglio che ancora non aveva compreso. Incapace di comprendere realmente cosa fossero i Talismani che da anni andava cercando.

 

Sbraitò, maledicendo Atena e tutti gli Dei dell’Olimpo, mentre il suo cosmo si accendeva di oscure fiamme di morte, avvolgendosi nel suo nero mantello e incamminandosi verso le celle sotterranee per conferire con Athanor. Sogghignò, sicuro di avere ancora un po’ di tempo a disposizione. Un arco di tempo nel quale avrebbe dovuto completare l’esercito di ombre che stava creando da mesi e nel quale i Cavalieri di Atena sarebbero stati troppo impegnati per preoccuparsi di lui. Troppo arrabbiati! Ghignò Flegias, con un sorriso bastardo sul volto.

 

Proprio in quel momento Ioria del Leone giungeva nel piazzale antistante alla Tredicesima Casa, dirigendosi a passo sicuro verso le Stanze del Grande Sacerdote, occupate dalla reincarnazione di Atena dalla fine della guerra contro Poseidone, combattutasi l’anno precedente. Vedendolo, i soldati di guardia si scansarono, lasciando passare il Cavaliere dal fiero portamento e, in quel momento, dallo sguardo preoccupato. Non appena Ioria entrò nella Sala del Trono, Lady Isabel gli corse incontro, chiedendogli immediatamente spiegazioni.

 

“Cos’è accaduto Ioria? Chi ha violato i confini del Grande Tempio?!”

 

“Non lo sappiamo, Dea Atena!” –Esclamò Ioria, inginocchiandosi. –“Chiunque sia stato è stato abile a non lasciare tracce! Le Sacerdotesse dell’Aquila e del Serpentario stanno ancora perlustrando l’intera aria del cimitero e i confini orientali, ma dubito che troveranno qualcosa! Pare che il nostro avversario sia svanito tra le ombre!”

 

“E Asher? Come sta? Ho sentito il suo cosmo infiammarsi improvvisamente, come se mille serpenti di fuoco lo avessero penetrato, avvelenandolo!” –Mormorò Isabel, con apprensione.

 

“Il Grande Mur si sta occupando di lui! Pare che una febbre particolarmente violenta lo abbia colpito, dovuta ad un veleno che gli è stato iniettato nel corpo!” –Rispose Ioria, mentre Isabel, angosciata, si lasciava cadere a terra, sul tappeto rosso al centro del salone. –“Confidiamo tuttavia nel sapere del Cavaliere di Ariete! Egli è il discendente degli antichi abitanti di Mu, le cui conoscenze raggiunsero livelli notevolmente superiori a quelli delle civiltà mediterranee! Sono certo che riuscirà a salvarlo!” –A quelle parole, Isabel sembrò riprendersi per un momento e riuscì a rimettersi in piedi, sospirando preoccupata.

 

“Grazie!” –Mormorò infine, accennando un sorriso al Cavaliere di Leo, ancora in ginocchio di fronte a lei. Isabel lo fissò con attenzione per qualche secondo, notando i suoi lineamenti robusti e maschili, il suo sguardo pieno di apprensione per la sorte di Asher e per il nuovo attacco di cui il Grande Tempio era stato fatto oggetto. Ciò che Isabel non riuscì a leggere nello sguardo di Ioria era un nuovo sentimento, che mai aveva albergato nell’animo del Cavaliere di Leo. Un sentimento di odio nei confronti della donna che aveva di fronte, della donna che per lui rappresentava Atena, la Dea a cui aveva giurato fedeltà. Della donna per cui suo fratello Micene aveva dato la vita. La causa della sua morte. –“Mi sento in colpa, Ioria!” –Aggiunse Isabel. –“So che Asher è rimasto qua, da solo, per starmi vicino, per poter essere utile! Forse dovrei ordinargli di tornare in Giappone, dove potrebbe essere lontano dai pericoli, ma sono certa che non ubbidirebbe mai!”

 

“Lo credo anch’io! Troppo grande è il suo desiderio di starvi accanto! Troppo grande è il suo desiderio di servirvi e proteggervi!” –Rispose automaticamente Ioria, chiedendosi per la prima volta perché. Che cosa aveva quella donna da cui tutti sembravano essere magneticamente attratti al punto da rischiare la loro vita, al punto da arrivare persino ad uccidere, condannandosi così al dolore eterno?

 

Che strano! Si disse Ioria, sollevando lo sguardo a fatica e incrociando quello, preoccupato e amabile, di Lady Isabel. Non ho mai pensato a lei in questo modo! Da quando scoprii la verità, in quel pomeriggio di sole a Nuova Luxor, inginocchiandomi per la prima volta di fronte a lei, l’ho sempre considerata Atena, la mia Dea, colei a cui l’intera mia esistenza è stata destinata fin da piccolo. Fin da quando, allora un bambino di quattro anni, iniziai ad allenarmi, per il volere di mio padre e mia madre, sotto l’occhio attento di mio fratello Micene, l’uomo che per anni è stato il mio tramite verso Atena. Il mio ponte verso il futuro. Ma adesso che ho accantonato l’idea che mi aveva torturato per tredici lunghi anni, l’idea che mi aveva spinto ad odiare mio fratello per aver rinnegato i valori e gli ideali che avevamo condiviso insieme, adesso che sono libero dal suo fantasma e che posso pensare a lui come un eroe, come un martire per la libertà, non riesco a fare a meno di odiarla. Sì! Odiarla! Perché questa donna, che mi sorride fingendosi preoccupata per me e per Asher, e per Pegasus o per un altro Cavaliere disposto a dare la vita per lei, è in realtà colei che ha condannato mio fratello a morte! È colei la cui esistenza ha messo in pericolo la vita di mio fratello, portandomelo via!

 

“Ioria! Tutto bene?!” –Domandò la voce calma di Lady Isabel, avvicinandosi al ragazzo e sfiorandogli una mano.

 

“Sì!” –Rispose bruscamente Ioria, sollevandosi e liberando la sua mano dal tocco della donna, che parve infiammarlo per un momento. –“Dea Atena, tornerò alle Dodici Case, per avere ulteriori informazioni su Asher e sul nostro eventuale nemico! Vi comunicherò quanto prima eventuali notizie utili!” –Aggiunse, voltando le spalle ad Isabel e incamminandosi per andarsene, lasciando la donna, con le mani giunte e lo sguardo preoccupato, al centro della stanza.

 

Appena uscito dalla Sala del Trono, Ioria si appoggiò con tutto se stesso alla massiccia porta che aveva prontamente richiuso dietro di sé. Alla porta che lo separava da quello che in quel momento era l’oggetto della sua vendetta, la donna il cui peccato non sarebbe mai riuscito ad accettare: la sua esistenza. La sua stessa esistenza che aveva condannato suo fratello Micene, i cui ideali erano talmente puri e così genuinamente sentiti da trascinarlo verso la morte. Per lei.

 

Ioria si scosse, sudando copiosamente e cercando di trattenere la rabbia che si era improvvisamente impossessata di lui, accendendo i suoi occhi verdi di un fuoco che soltanto una volta vi aveva albergato, quando Arles lo aveva posseduto con il suo Demone dell’Oscurità. Se avesse ascoltato i suoi sensi, istintivo e irruento come era solito comportarsi, avrebbe sfondato il portone e raggiunto la Sala del Trono per trafiggere, per dilaniare, per massacrare la donna che così tanto male aveva recato a suo fratello, e a lui. La donna che in quel momento non vedeva più come Atena, né come Isabel, né come una semplice indifesa, ma soltanto come la causa della morte di Micene e dei suoi tredici anni di dolore. Facendosi forza, strinse i denti e si allontanò, correndo verso l’esterno, sperando che l’aria fresca di quel mezzogiorno di settembre potesse aiutarlo a riprendersi, a risvegliarsi da quell’incubo in cui credeva di essere precipitato. Non fu così. Tutt’altro. L’aria era improvvisamente cambiata e al posto dei luminosi raggi di sole, che avevano illuminato il suo sguardo fin dalle prime luci dell’alba, Ioria dovette fronteggiare una nebbiolina fine e tenue, quasi impalpabile per un essere umano ma percettibile da un Cavaliere. Una nebbiolina rossastra, carica di odio, di sangue e soprattutto di rabbia.

 

 

 

 

 

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Capitolo 6
*** Rabbia ***


CAPITOLO QUARTO: RABBIA

CAPITOLO QUARTO: RABBIA.

 

“Bastarda! Non provarci più!” –Gridò Tisifone, balzando addosso a Castalia e sbattendola a terra, mentre i suoi affilati artigli le strappavano via un pezzo della maglietta che aveva indosso, ferendole la pelle e facendo zampillare getti di sangue. –“Ti ho soltanto chiesto come ti senti, che cosa hai provato a rivedere Ioria e a poter parlare di nuovo con lui, anche soltanto per un minuto, e tu mi hai aggredito in questo modo!” –Aggiunse rabbiosa, indicando un graffio che la Sacerdotessa dell’Aquila le aveva causato poco prima, rispondendo stizzita alle sue domande.

 

“Togliti, Tisifone! Non vorrei essere costretta a farti del male!” –Esclamò agitatamente Castalia, scagliando Tisifone indietro con un calcio e rimettendosi in piedi. –“La mia vita appartiene a me soltanto, non a te! E per quanto ti piaccia considerarti come mia amica, non lo sei affatto!”

 

“Neanche tu lo sei, se è per questo! Ma almeno io mi sforzo di comportarmi come tale!” –Rispose Tisifone, sollevando le braccia con le lunghe unghie affilate.

 

“L’unico sforzo che fai, l’unico motivo per cui io posso interessarti, è per arrivare a Pegasus! Soltanto lui ti interessa! Non credere che non abbia capito che falsa persona opportunista si nasconda dietro quella maschera!” –Le sputò in faccia la verità Castalia. –“Ma da me non avrai aiuto alcuno! Non ti permetterò di fare del male al mio adorato discepolo!”

 

“Taci, bugiarda e calunniatrice!” –Ringhiò Tisifone, scattando avanti e muovendo rapidamente le braccia, liberando violenti fendenti di energia che si abbatterono su Castalia, obbligandola a sollevare le braccia avanti a sé, per proteggersi. –“Proprio tu parli! Tu che ti sei abbandonata tra le braccia del Luogotenente dell’Olimpo, rinnegando l’amore nascosto per Ioria che ti ha corroso l’animo per anni? Sei un’ipocrita!” –Gridò Tisifone, muovendo il braccio destro con forza e affondando i lunghi artigli nella carne di Castalia, all’altezza del suo polso.

 

“Tisifone!!! Non sono più una bambina, per quanto ti piaccia considerarmi tale! Ed ho anch’io artigli che possono offendere!” –Rispose irata Castalia, scansando la donna bruscamente e colpendola con un pugno in pieno sterno, facendola sputare sangue e accasciare in avanti. Ma Castalia non le diede tempo di rifiatare, colpendola dal basso con un violento calcio sulla mascella, che la spinse indietro, sbattendola a terra e facendole perdere la maschera.

 

“Bastarda!!!” –Gridò Tisifone, rialzandosi prontamente e asciugandosi il sangue che le colava da un labbro. Sollevò il braccio destro al cielo e lo caricò del suo cosmo dai riflessi violetti. –“Cobra incantatoreee!!!” –E si lanciò su Castalia, mirando al suo viso con i suoi artigli affilati. Ma la Sacerdotessa dell’Aquila, che ben conosceva quel colpo, lo evitò spostandosi di lato, venendo raggiunta soltanto alla spalla destra, la cui spallina protettiva andò in frantumi, potendo così contrattaccare con la sua Cometa pungente da distanza ravvicinata.

 

L’attacco di Castalia scaraventò Tisifone indietro vari metri, danneggiando la sua cotta protettiva e causandole numerosi lividi sul corpo, ma neppure questo servì per placare l’improvviso sfogo di violenza che era avvampato tra le due Sacerdotesse. Attirati dal rumore della lotta, alcuni soldati semplici si avvicinarono, chiamando inorriditi i due Cavalieri d’Argento, intimando loro di smettere e ricordando che lotte intestine al Grande Tempio, per motivi personali, erano strettamente vietate da Atena e, come tali, suscettibili di punizione. Castalia e Tisifone non risposero, limitandosi a scambiarsi un’occhiata carica di rabbia e balzando di scatto contro i soldati semplici. Li travolsero tutti, uno dopo l’altro, affondando i loro artigli affilati nella carne degli uomini, dilaniando le loro effimere protezioni e lasciandoli a terra, ad agonizzare in una pozza di sangue.

 

“Pe... perché?!” –Mormorò l’ultimo soldato, prima di crollare al suolo esanime.

 

“Perché siamo in guerra!” –Ringhiò Castalia. –“E in ogni guerra può esservi un solo vincitore!” –E si voltò verso Tisifone, in piedi davanti a lei, con le braccia tese avanti e gli artigli carichi di energia cosmica. Senz’altro aggiungere, Castalia balzò in aria, gettandosi contro la sua rivale. –“Volo dell’Aquila reale!!!” –Gridò, mentre la sagoma di un aquila, con gli artigli pronti a ghermire, compariva dietro di lei.

 

Tisifone, preparata a tale assalto, incrociò le braccia di fronte a sé, contenendo l’impatto dell’attacco, prima di rispondere con violente scariche di energia, dal colore violetto, che avvolsero il corpo di Castalia, stritolandolo con forza e schiantando la sua maschera e parte della sua protezione, mentre Tisifone portava il braccio destro avanti, caricando il Cobra Incantatore. La Sacerdotessa dell’Aquila riuscì a rispondere con la sua Cometa pungente e il contraccolpo tra i due poteri, così accesi e così vicini, scaraventò entrambe indietro di una decina di metri, facendole schiantare a terra, dove rimasero, perdendo conoscenza.

 

Pochi minuti dopo arrivò Kiki, teletrasportatosi direttamente al Cancello Orientale, attirato dai rumori dello scontro, e si trovò di fronte una distesa di corpi feriti e massacrati, dilaniati da violenti segni di lotta. Vicino ai corpi dei soldati semplici, Kiki rinvenne quelli di Castalia e di Tisifone, chinandosi immediatamente su di loro, preoccupato per le condizioni delle Sacerdotesse. Le chiamò a gran voce, pensando che le due fossero state sorprese da un attacco improvviso, magari portato dallo stesso nemico che aveva assalito Asher al cimitero un paio d’ore prima.

 

“Tisifone! Tisifone!!!” –La scosse Kiki. –“Come stai? Cos’è successo?!”

 

“Ooh, Kiki! Sei tu?” –Balbettò la Sacerdotessa del Serpentario.

 

“Non parlare, conserva le forze! Vi porterò subito all’infermeria del Grande Tempio! Chi è stato a ridurvi così? Dov’è il nemico?!” –Esclamò Kiki confusamente, stringendo la donna a sé.

 

“Ca… Castalia…” –Mormorò Tisifone, prima di perdere i sensi, stanca per la lotta sostenuta.

 

“Castalia è qua, anche lei è ferita! Non temere! Vi salverò io!” –Aggiunse il ragazzo, usando i propri poteri per teletrasportare la donna all’ospedale del Grande Tempio, affidandola alle cure delle giovani infermiere, alcune delle quali erano proprio le allieve delle due Sacerdotesse. Quindi Kiki ritornò al Cancello Orientale, sollevando il corpo di Castalia e portando anch’esso all’infermeria, prima di avvisare un gruppo di soldati di andare a controllare lo stato di salute della decina di guerrieri massacrati vicino al Cancello.

 

Un nuovo nemico! Commentò il ragazzo, mentre le infermiere portavano dentro i corpi feriti di Castalia e Tisifone. Questo Grande Tempio è davvero un luogo irto di pericoli! Riusciremo a starcene un po’ in pace? Si chiese, mettendosi le mani in tasca e tirando un calcio ad un sasso, nel polveroso piazzale antistante l’ospedale. E allora, dopo qualche giorno in cui non aveva pensato a loro, indaffarato con l’addestramento, che Mur aveva deciso di ricominciare, Kiki lasciò volare via la mente, pensando a Pegasus e ai suoi quattro compagni, gli amici al cui fianco aveva affrontato numerose battaglie. Certo, non aveva combattuto in prima linea, non avendo i poteri per farlo, ma Kiki non si era mai tirato indietro, nonostante la sua giovane età, lanciandosi senza indugio nelle fredde terre di Asgard e poi nel Regno Sottomarino, ove la sua presenza si era rivelata quanto mai necessaria per portare l’Armatura di Libra ai Cavalieri suoi amici alle sette Colonne dei Mari.

 

I suoi amici. Era così che Kiki considerava ormai Pegasus, Dragone, Cristal, Andromeda e Phoenix. Ed anche loro avevano riconosciuto il valore del fratello di Mur, considerandolo non soltanto un apprendista, ma un ragazzo sorretto dagli stessi valori, dalla stessa determinazione che albergava in loro. Nell’ultimo anno avevano avuto modo di vedersi molto poco, prima a causa del Talismano della Dimenticanza, che li aveva privati della memoria, riportandoli nelle loro terre natali, poi, terminata la Grande Guerra contro Ares, ognuno di loro aveva voluto prendersi un momento per se stesso. Per quanto Pegasus avesse avuto intenzione di lanciarsi a capofitto alla ricerca di Flegias, dopo la sua scomparsa dalla Tredicesima Casa, aveva dovuto riconoscere di non avere più la forza per muoversi, come non l’avevano i suoi quattro compagni. Lady Isabel li aveva pregati di non affaticarsi ulteriormente, mentre Ermes, il Messaggero degli Dei, che aveva accompagnato Atena al Grande Tempio dopo la caduta di Tifone, aveva spiegato che se ne sarebbero occupati i Cavalieri Celesti di catturare Flegias e condannarlo per gli atroci crimini di cui si era macchiato.

 

Così Pegasus e i suoi quattro compagni si erano nuovamente separati, decidendo di trascorrere del tempo con le persone che amavano, quelle stesse persone da cui la guerra continuamente voleva separarle. Andromeda era tornato con Nemes sull’Isola di Andromeda, per rendere omaggio al suo maestro Albione e ai discepoli di lui, mentre Sirio e Libra erano rientrati ai Cinque Picchi, per ricostruire la pagoda distrutta e per trascorrere del tempo con Fiore di Luna. Pegasus aveva fatto altrettanto, rientrando a Nuova Luxor e perdendosi nel caldo abbraccio di sua sorella Patricia, mentre Cristal aveva fatto rotta su Asgard. L’unico che non aveva annunciato il luogo ove si sarebbe recato era stato Phoenix, ma Andromeda non se l’era presa più di quel tanto, immaginando che anch’egli, come tutti loro, fosse soltanto in cerca di un po’ di serenità.

 

Il tempo del riposo è nuovamente finito, amici miei! Una nuova prova attende tutti noi! Mormorò Kiki, incamminandosi verso la Prima Casa di Ariete e accorgendosi soltanto allora che l’intero paesaggio era costellato da rose rosse, i cui petali parevano intrisi del colore del sangue.

 

Quella notte al Grande Tempio nessuno parve dormire sonni tranquilli, né la Dea, che si rigirava ansiosa tra le lenzuola alla Tredicesima Casa, né i Cavalieri e i soldati rimasti, preoccupati per l’aria di guerra che nuovamente sembrava aleggiare su tutti loro. Il Grande Mur dell’Ariete, dopo aver addormentato Asher con un potente sedativo naturale, era sceso di persona alla fine della scalinata di marmo della Prima Casa, ove l’anno prima Lady Isabel aveva giaciuto per dodici lunghe ore, per dare ordine ai soldati di rafforzare la vigilanza e di chiudere tutte le possibili vie di entrata al Grande Tempio, accendendo i fuochi lungo le ricostruite mura e vegliando continuamente, certo che qualcosa di grosso fosse nell’aria. In quell’aria che nelle ultime ore si era inspiegabilmente fatta sempre più soffocante, sempre più torrida, giungendo a incombere sull’intero Grande Tempio con un perverso colorito rosso sangue. Quasi volesse annunciare un’alba di tragedia.

 

Mur aveva trascorso l’intera giornata rinchiuso nella Prima Casa, per prendersi cura di Asher, la cui agitazione aveva iniziato a diminuire solamente nel tardo pomeriggio, dopo numerosi impacchi di erbe che sembravano aver raffreddato la fiamma che ardeva dentro al suo corpo, e che lo stava divorando con rabbia. Fu solo allora che, dopo essere stato avvisato da Kiki, era riuscito a tirare un’occhiata verso il cielo, notando la cappa di nebbiolina rossastra che sovrastava il Grande Tempio. Aveva sospirato preoccupato, augurandosi che il vento della sera disperdesse quella sinistra foschia, che rimaneva per il momento ad una certa distanza dalle Dodici Case, quasi rappresentasse l’avamposto dell’assedio che il nuovo nemico di Atena stava preparando.

 

Durante la notte, Mur non riuscì a prendere sonno, rigirandosi continuamente nel letto, inseguendo pensieri sfuggenti che ronzavano nella sua mente, lontani insegnamenti di Sion e di sua madre che aveva ricevuto durante l’infanzia. Un grido lo risvegliò di scatto, obbligandolo ad alzarsi e a correre attraverso le ampie stanze della Prima Casa, richiamato da quella voce terrorizzata che ben conosceva. La voce di suo fratello Kiki.

 

Quando raggiunse la stanza dove riposava suo fratello, Mur impiegò qualche secondo per comprendere cosa stesse accadendo, tra le grida terrorizzate di Kiki e i latrati, o forse i grugniti, inferociti di una creatura che lo aveva afferrato per la maglietta, sbattendolo al muro, intenzionato a cibarsi della sua giovane carne. Il Cavaliere di Ariete scattò subito in aiuto del fratello, generando un piano verticale di energia in mezzo ai due contendenti, in modo da separarli e da spingere il suo nemico indietro bruscamente. Con apprensione, Mur corse da Kiki, ma non ebbe tempo di sincerarsi delle sue condizioni che dovette fronteggiare l’imbestialito assalto della creatura avvolta dalle ombre che balzò contro di lui, in un nido di versi osceni, sbattendolo con la schiena al muro, sfoderando fauci risplendenti di un acceso rosso sangue. Il sangue di suo fratello Kiki, che il suo avversario aveva azzannato a un braccio poco prima. A quel pensiero, Mur reagì d’istinto, scaraventando indietro la creatura deforme con la sola forza del pensiero, schiacciandolo contro la parete dall’altro lato della stanza.

 

Solo in quel momento poté avvicinarsi a Kiki, rannicchiato a terra, indebolito per essere stato stramazzato come un cencio, e ferito a un braccio. Sentì il battito accelerato del suo cuore, dovuto alla paura che era montata in lui, quando era stato svegliato di corpo, dall’alitare affamato di qualcuno, o di qualcosa, che si era avvicinato al suo letto per affondare i canini nel suo giovane corpo, lasciando avvampare la rabbia che covava dentro. Kiki, ansimando a fatica, poté pronunciare soltanto due parole, che terrorizzarono Mur, prima che il Cavaliere di Ariete fosse obbligato a voltarsi, per fronteggiare il nuovo assalto del suo nemico.

 

“È Asher!!!” –Gridò Kiki, con il cuore in gola, mentre Mur evitava l’attacco del suo avversario, spostandosi di lato e fermandolo di scatto, afferrandolo per il collo con una poderosa stretta della sua mano. Lo spostò, roteando la sua testa all’indietro, tra i gemiti imprecanti, fino a portarlo in direzione della luce della luna, proveniente dalle alte finestre della stanza, e solo allora lo riconobbe. Anche se di Asher c’era rimasto veramente poco.

 

“Dea Atena!!!” –Sussultò Mur, spingendo il ragazzo indietro, intimorito dall’orrida visione. Il volto di Asher era trasfigurato, simile al muso di una belva inferocita, desiderosa di caccia e di sangue. I suoi occhi traboccavano odio e fiamme, mentre i denti sporgenti parevano le zanne di una fiera pronta ad assalire la sua preda. Con un nuovo scatto Asher si lanciò avanti, emettendo versi osceni, quasi incapace di esprimersi in una lingua corrente, capace soltanto di muoversi, di dirigere i suoi attacchi contro il Cavaliere di Ariete, il quale, per proteggere Kiki e se stesso, creò la sua barriera difensiva, il Muro di Cristallo, che scaraventò Asher indietro.

 

Ansimando, con rivoli di bava che gli colavano dalle labbra, Asher si sollevò nuovamente in piedi, come se non sentisse il dolore di crollare a terra ad ogni assalto che dirigeva contro Mur. Una volta. Due volte. Tre volte. Sembrava una bestia priva di qualsiasi raziocinio, mossa da semplici istinti animali. Mur tentò di parlargli, di calmarlo, lo chiamò più volte, parlandogli anche di Atena, di Lady Isabel, ma non vi era niente che potesse suscitare l’interesse di Asher. Non vi era niente che potesse anche soltanto raggiungere le orecchie di Asher, refrattarie a qualsiasi suono, salvo a quello dei lamentevoli grugniti che emetteva di continuo, lanciandosi imbestialito contro la barriera di Mur.

 

“Fratello!” –Lo chiamò Kiki, avvicinandosi alle gambe di Mur e fissando Asher strusciarsi con tutto il corpo alla limpida protezione di cristallo, prima di percuoterla con violenti attacchi e stridere le sue unghie su di essa, come a graffiarla, dominato da un instancabile istinto animale.

 

“Perdonami, Asher!” –Mormorò infine Mur, consapevole che non vi fossero altri modi per porre termine alla sua agonia. Di scatto, mentre Asher scattava nuovamente verso di lui, tolse il Muro di Cristallo, facendo ruzzolare il ragazzo in avanti, per l’eccessivo slancio, portandosi dietro di lui e sollevando il braccio destro al cielo, espandendo il suo cosmo, che scintillò nella semioscurità della stanza. –“Ragnatela di Cristallo!” –Gridò Mur, scagliando contro l’Unicorno uno dei suoi attacchi, con il quale fermò i suoi movimenti, imprigionandolo in una tela di energia, come un ragno intrappola una mosca, in modo da precludergli qualsiasi altro tentativo di attacco.

 

Asher cercò di sfuggire da quella morsa, dimenandosi e bruciando il suo cosmo, ma pareva diventato incapace persino di controllarlo. Era solo una bestia furiosa che si barcamenava in trappola, fissando il suo cacciatore con occhi di brace. Mur si avvicinò a lui, mentre Kiki rimase leggermente indietro, ancora impaurito da quell’improvvisa e preoccupante trasformazione del ragazzo, e lo osservò con aria rattristata, consapevole che ciò che stava accadendo al Cavaliere dell’Unicorno non era affatto imputabile alla sua volontà. No! Rifletté Mur, che aveva ormai compreso cosa stesse accadendo. È il veleno di quelle rose! Aggiunse, medicando in fretta il fratellino e sistemando le sue ferite con dei medicamenti, prima di pregarlo di prepararsi in fretta.

 

“Corri a Nuova Luxor, con i tuoi poteri, e porta qua prima che puoi il Cavaliere di Andromeda!” –Ordinò Mur, con voce calma ma decisa al tempo stesso. –“Egli è il solo che possa esserci d’aiuto per risolvere questo delicato problema!”

 

“Andromeda?! Ma se fosse ancora sulla sua Isola?” –Balbettò Kiki, senza comprendere molto.

 

“Allora è là che lo cercherai! Sbrigati, Kiki, te ne supplico! Porta qua Andromeda! Ma soltanto lui!” –Incalzò Mur, mentre Kiki annuiva, concentrando i propri sensi e scomparendo dalla Prima Casa in un lampo di luce.

 

Mur sospirò, voltandosi verso Asher e collegando quanto avvenuto agli insegnamenti che aveva ricevuto da Sion e dai discendenti di Mu anni addietro, quando era ancora un apprendista Cavaliere. Adesso, ripensando alla nebbia che aveva visto sollevarsi sulla parte bassa del Grande Tempio, alle rose di cui Kiki lo aveva informato, e all’attacco di cui erano rimaste apparentemente vittime Castalia e Tisifone, il Grande Mur riuscì a mettere insieme tutti i dettagli. E pregò che Pegasus e gli altri rimanessero lontani da Atene.

 

Era quasi l’alba quando l’affaticato cosmo di Kiki lanciò un appello al fratello, che attraverso lo spaziotempo riuscì a percepirlo e ad aiutarlo a ritornare alla Prima Casa dell’Ariete. Visibilmente sollevato alla vista che Andromeda era con lui.

 

“Ma cosa sta succedendo, Mur?” –Domandò il ragazzo, che indossava i suoi abiti informali, ancora stordito dalla rapida concatenazione degli eventi. –“Kiki è venuto fin sull’Isola di Andromeda a cercarmi!”

 

“Sono… stato bravo!” –Mormorò il bambino, accasciandosi al suolo, esausto per il prolungato sforzo.

 

“Sì! Ti sei comportato da vero Cavaliere, Kiki! Ma il sacrificio che devo chiederti temo che non sia ancora finito! Perciò riposati, in questi pochi minuti che ti sono concessi!” –Commentò Mur, guardando il fratello con occhi pieni di orgoglio, e di rammarico al tempo stesso. –“Andromeda, la situazione è grave! Dobbiamo agire al più presto, o corriamo il rischio di rimanere gli ultimi Cavalieri di Atena!”

 

“Spiegati, Mur! Le tue parole sono enigmatiche!” –Esclamò Andromeda, con apprensione.

 

Il Cavaliere di Ariete narrò al ragazzo gli eventi verificatisi in quella lunga giornata, dall’aggressione di Asher al cimitero al presunto attacco al Cancello Orientale, puntando il dito contro le rose rosse che avevano infestato l’intero Grande Tempio, responsabili, con il loro aroma, della nebbiolina infernale che stava sovrastando l’intera struttura.

 

“Delle rose? Non capisco!” –Balbettò Andromeda.

 

“E invece dovresti! Proprio tu, che alla Dodicesima Casa di Fish hai avuto modo di tastare con mano quanto pericoloso potesse essere quel nobile fiore!” –Commentò Mur. –“Non una specie qualsiasi, bensì una che credevo estinta da secoli! La rosa di rabbia, una rosa demoniaca creata dagli alchimisti di Ares millenni addietro!”

 

“La rosa di rabbia?! Un nome foriero di morte!” –Mormorò Andromeda.

 

“Precisamente! La rosa di rabbia era una specie particolare di rosa, dai petali dal macabro color rosso ombra, capace di attrarre tutte le rabbie e i rancori del mondo, risvegliando così negli uomini il loro istinto animale, azzerando il raziocinio e rendendoli simili a delle bestie! Tali istinti bestiali avrebbero consumato l’uomo, spingendolo ad azzannare il proprio vicino e quindi se stesso, fino a ridurlo alla parvenza di ciò che era stato! Fino a ridurlo… ad un’ombra!”

 

“Inquietante!” –Disse Andromeda, con occhi pieni di timore.

 

“Ares la fece creare da un gruppo di alchimisti che si ribellarono ad Atena, con lo scopo di impiantarne folti gruppi in tutte le zone che intendeva sottomettere, in modo da assistere, divertito spettatore, al massacro operato dai suoi stessi nemici, i quali, privi di difese contro i loro stessi istinti, finivano per uccidersi gli uni con gli altri, lasciando campo libero al Dio della Guerra!”

 

“Ares hai detto, eh?!” –Rifletté Andromeda. –“Che ci sia Flegias dietro tutto questo?”

 

“Non abbiamo tempo per pensare a chi l’abbia impiantata ad Atene, ma soltanto per decidere come noi la estirperemo!” –Incalzò Mur, incamminandosi verso l’ingresso della Prima Casa. Andromeda lo seguì, fermandosi in cima alla scalinata di marmo bianco e tirando uno sguardo verso il basso, verso una fitta siepe di rose di rabbia cresciuta ai piedi della Dodici Case. –“Osserva!” –Esclamò Mur, sollevando il braccio destro al cielo e caricando il suo colpo segreto. –“Stardust Revolution!”

 

Una fitta pioggia di energia, simile a stelle cadenti, sfrecciò nell’alba di Atene, schiantandosi contro la siepe di rose di rabbia, distruggendola come fosse di carta. Ma i petali e i fusti delle rose, crollati sul terreno, ne vennero immediatamente assorbiti, dando vita a nuove e pericolose piante, forse anche in numero maggiore a quelle preesistenti.

 

“È un circolo vizioso! Più le tagli e più ricrescono!” –Affermò Andromeda stupefatto. –“Però… forse… Mur, potrei spazzarle via con la mia Nebulosa di Andromeda!!!”

 

“Riusciresti a estirpare soltanto la parte in superficie di quelle piante assassine, ma non le radici, troppo penetrate nel terreno da poter essere sradicate da mano umana!”

 

“E allora cosa dobbiamo fare? Rimanere qua impotenti mentre tutto il Grande Tempio viene contagiato? Quanti altri, oltre ad Asher, ne saranno stati infettati?” –Gridò Andromeda, rientrando con Mur all’interno della Casa di Ariete.

 

“Due soltanto, per il momento! Castalia e Tisifone! Ma temo che gli effetti sui soldati semplici non mancheranno di farsi sentire quanto prima!” –Commentò Mur. –“Il modo in cui agisce la rosa di rabbia è singolare, ed è forse il nostro piccolo vantaggio per batterla sul tempo! Tu sai, Andromeda, che il legame che unisce ogni Cavaliere con la sua costellazione non è un legame di mera facciata, ma un’influenza profonda, che agisce sull’animo del Cavaliere! Il tuo maestro ti avrà certamente insegnato che tra noi e le stelle esiste una connessione intima, per quanto non apparente, che ci permette di guidarle ed esserne guidati! Di influenzarne il destino e di esserne a sua volta influenzati!”

 

“Ricordo che Albione una volta mi fece un discorso simile!” –Annuì Andromeda. –“Ma questo cosa c’entra con la rosa di rabbia?”

 

“Tutti voi, un tempo Cavalieri di Bronzo, adesso Cavalieri Divini, avete avuto modo di provare sulla vostra pelle tale intima connessione! Non è stato forse il tuo un destino di sacrificio, fin dall’inizio, Andromeda? Non fosti immolato per superare l’ultima prova del tuo addestramento, come nel mito greco la Regina Andromeda fu offerta in sacrificio a Poseidone affinché le acque degli oceani in tempesta si placassero? E non è Pegasus degno di incarnare il cavallo alato della mitologia, le cui possenti ali sempre spiega verso il cielo? E non è forse Sirio saggio e potente, come gli antichi Draghi di Cina, simboli di forza e al tempo stesso di un’arcana saggezza? E cosa dire infine di tuo fratello, Ikki di Phoenix, le cui continue lotte con la morte lo rendono più che meritevole di essere la Fenice del nostro secolo?!” –Esclamò Mur. –“Il legame tra un Cavaliere e la sua costellazione non è mai casuale, ma influisce sui destini di un intero universo! Del suo personale universo! E la rosa di rabbia agisce anche sui Cavalieri, per quanto essi, in virtù dei loro poteri, e dell’addestramento che hanno ricevuto, dovrebbero essere maggiormente in grado di tenere a freno i loro istinti! Ma quando è il legame stesso con la costellazione ad essere intaccato, quando è l’istinto animalesco di Pegaso, o del Drago, o della Fenice, ad essere risvegliato, privo di ogni razionale controllo, cosa ne resta dei freni inibitori degli uomini?”

 

“Dei dell’Olimpo!” –Mormorò Andromeda, che aveva compreso la gravità della situazione. –“Se mio fratello e gli altri fossero ad Atene… in virtù dei simboli che li rappresentano… sarebbe una strage!”

 

“Una catastrofe senza precedenti!” –Concordò Mur, con voce pacata. –“Per questo ho mandato Kiki a cercare proprio te, che, oltre a essere l’uomo con il cuore più puro di questo mondo, e come tale teoricamente inattaccabile, sei anche privo di qualsiasi istinto animalesco, non essendo la tua costellazione legata a bestia alcuna! Ma fai comunque attenzione a non esporti troppo! Questo non ti differenzia dalla massa di uomini comuni che, aspirati gli odori della rosa di rabbia, presto o tardi scivolano nella pazzia!”

 

“Cosa devo fare?!” –Disse infine Andromeda, con un gran sospiro, consapevole del suo delicato ruolo in quella situazione.

 

“Secondo i testi antichi dei discendenti di Mu, c’è solo un modo per distruggere la rosa di rabbia! Un liquido che deve essere cosparso sulle sue radici, in modo da impedirle di riprodursi! Il sangue di Biliku!” –Spiegò infine Mur.

 

“Biliku?! Non ho mai sentito questo nome! Chi è?”

 

“Chi o cosa è!” –Precisò Mur, spiegando la storia della creatura. –“Si tratta di una creatura primordiale che vive nelle isole Andamane, al largo della Birmania, il cui aspetto, narrano i libri, è quello di un’enorme donna-ragno! Un essere in parte umano e in parte bestia!”

 

“Una donna-ragno?!” –Sgranò gli occhi Andromeda.

 

“È una delle creature più antiche del mondo, adorata un tempo dagli indigeni del golfo del Bengala! Abbiamo bisogno del suo sangue, poiché pare proprio che si tratti dell’unica cosa in grado di estirpare queste rose maledette! Probabilmente in virtù della sua origine animalesca, a tratti oscura, pare che il sangue di Biliku sia capace di rendere sterile persino il giardino meglio coltivato!” –Spiegò Mur.

 

“D’accordo, Mur! Troverò questa Biliku e ti porterò… il suo sangue?! Dovrò dunque ucciderla?!” –Chiese infine Andromeda, preoccupato dalla possibilità di dover ferire una creatura che, per quanto disgustosa potesse essere, rimaneva comunque innocente, ed estranea alle loro guerre.

 

“Non sarà necessario! Tieni, prendi quest’ampolla e riempila fino alla cima!” –Esclamò Mur, fissando Andromeda negli occhi. –“Il destino di tutti i Cavalieri è nelle tue mani Andromeda! Andrei io stesso, ma non posso muovermi, con Asher in queste condizioni, e con il Grande Tempio indifeso! Inoltre, a differenza tua, potrei risentire maggiormente degli effluvi delle rose di rabbia! Certo, il cosmo di Atena tiene per il momento queste piante maledette lontane dalla soglia delle Prima Casa, e anche le pozioni di Mu dovrebbero rallentare gli effetti di quell’animalesco odore, ma non possiamo rischiare! L’incertezza è un lusso che adesso non possiamo permetterci!”

 

“Sarò degno della tua fiducia, Grande Mur!” –Esclamò Andromeda, accennando un sorriso.

 

Mur fece un cenno a Kiki, e il ragazzo si avvicinò ad Andromeda, prendendolo per mano. Lo avrebbe accompagnato in quella nuova avventura, fin nelle perigliose Isole Andamane. Scambiarono un ultimo sguardo con il Cavaliere di Ariete, che augurò loro buona fortuna, prima di scomparire in un lampo di luce.

 

“Fate attenzione, amici miei! Se chi ha ricreato le rose di rabbia è a conoscenza anche del segreto di Biliku, potreste incontrare inconvenienti spiacevoli!” –Mormorò.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 7
*** La donna ragno ***


CAPITOLO QUINTO

CAPITOLO QUINTO. LA DONNA RAGNO.

 

Bastarono pochi secondi a Kiki per teletrasportare Andromeda e se stesso nelle Isole Andamane. Ma quei pochi secondi, sommandosi ai viaggi di quella lunga notte, lo stremarono enormemente, costringendolo ad accasciarsi sulle ginocchia non appena arrivati. Andromeda gli carezzò la testa, arruffandogli i capelli e ringraziandolo per lo sforzo, prima di guardarsi intorno, preoccupato su come procedere.

 

È successo tutto così in fretta! Si disse il Cavaliere di Atena, ripensando alle ultime ore, prima della convocazione da parte di Mur. Agli ultimi giorni che aveva trascorso con Nemes sull’Isola di Andromeda. Da soli, avvolti nelle rovine di quella che un tempo era stata la località del suo addestramento, e dell’addestramento di tanti altri ragazzi che, prima di lui, avevano tentato di conquistare l’Armatura di Andromeda, o una delle corazze minori nascoste sull’Isola. Quando l’anno prima Scorpio aveva sterminato Albione e i suoi discepoli, il suolo dell’isola vulcanica era stato sconquassato in più punti e le acque dell’Oceano Atlantico avevano trovato facile via per sommergere alcuni lembi di terra, dando all’isola un aspetto ancora più inospitale.

 

Ma Andromeda aveva voluto recarvisi comunque, per portare un saluto al suo maestro Albione e ai compagni del suo addestramento. Dopo la fine della scalata alle Dodici Case, Atena aveva ordinato che i cadaveri del Cavaliere di Cefeo e dei suoi discepoli fossero recuperati e condotti in Grecia, per avere degna sepoltura nel cimitero del Grande Tempio. Ed era stato proprio Scorpio ad occuparsene. Lui, che nient’altro desiderava se non lavare il disonore dell’atto di cui si era macchiato in passato. Sull’isola erano soltanto rimaste delle croci di legno e di pietra, semplici e spartane, come l’esistenza che Albione era stato solito condurre. E ai piedi di quelle croci Andromeda e Nemes avevano pregato per ore.

 

Dopo la fine della Grande Guerra contro Ares, Andromeda aveva deciso di prendersi un po’ di tempo per sé, per visitare i luoghi in cui era cresciuto e diventato Cavaliere, e prima ancora uomo. E aveva scelto di portare con sé una persona il cui destino sentiva così tanto legato al suo, nonostante non avesse mai potuto dimostrarle quanto affetto provava per lei, impegnato com’era stato nell’ultimo anno in guerre continue. E Nemes, dal canto suo, non aveva mai rinunciato a stargli accanto, a vegliare su di lui, anche solo con una preghiera da lontano. Non aveva osato fiatare neppure quando Atena le aveva confessato, mesi addietro, il suo desiderio di far perdere la memoria ai cinque Cavalieri di Bronzo, per permettergli di dimenticare guerre e dolore e far vivere loro una vita normale. Fedele alla sua Dea, Nemes aveva ingoiato anche quell’amaro boccone, consapevole che Andromeda si sarebbe quindi dimenticato anche di lei. Ma il tempo aveva mescolato nuovamente le carte e adesso, per la prima volta dalla fine dell’addestramento, erano di nuovo insieme, sull’Isola di Andromeda, a contemplare lo sfacelo di un mondo che non esisteva più.

 

Che sia questo il destino di tutti noi? Aveva mormorato Andromeda, osservando il suolo distrutto dell’Isola vulcanica. Nemes gli aveva sorriso, prendendolo per mano e conducendolo nella costruzione dove avevano abitato negli anni dell’addestramento. Quella almeno, seppure con numerose crepe ai muri, era ancora intatta. E entrambi convennero che fosse un segno. Come quella semplice abitazione, di pietra e rozzi massi, aveva resistito alla furia della tempesta, così i sentimenti che provavano da anni, e che difficilmente riuscivano a tirare fuori, avrebbero resistito a tutto. Anche alla morte.

 

Là, tra i dolorosi ricordi di ciò che era stato e le angosciate speranze per un futuro incerto, Andromeda e Nemes si erano uniti per la prima volta, assaporando un momento di pace nell’infinita guerra contro il caos. Là, giorni dopo, Kiki lo aveva trovato, in ginocchio su uno scoglio, intento a guardare il mare scivolare verso una nuova alba. E adesso era stato sbalzato dall’altra parte dell’Africa, vicino alle coste birmane, e vagava per isole sconosciute alla ricerca di un’antica leggenda, l’unica che forse avrebbe potuto salvare la schiera dei Cavalieri di Atena.

 

È come cercare un ago in un pagliaio! Si disse Andromeda, guardandosi intorno. Camminava insieme a Kiki in una fitta foresta, di chiara origine pluviale, senza avere idea alcuna sulla direzione da seguire. Né la certezza di trovarsi sull’isola giusta.

 

“Le Andamane sono un immenso arcipelago di più di cinquecento isole e isolotti, disseminate nel Golfo del Bengala in un arco di 500 km, a più di mille chilometri dalle coste dell’India!” –Mormorò Andromeda, cercando di ricordare le nozioni di geografia che aveva ricevuto un tempo, nelle limpide notti di luna trascorse assieme a suo fratello Phoenix all’orfanotrofio a sfogliare libri ed atlanti, chiedendo spesso perché le nazioni avessero confini. E non potessero vivere in pace. –“Già da piccolo non c’è stato altro che abbia mai veramente voluto! Vivere in pace!”

 

“Ehi, Andromeda?!” –La voce squillante di Kiki lo distrasse dai suoi pensieri. –“E se non fosse l’isola giusta? Come riusciremo a trovare questa fantomatica Biliku in questo labirinto di isolotti? Dovremo girarli tutti?!”

 

“Non lo so, Kiki!” –Rispose Andromeda candidamente, continuando ad avanzare nella fitta vegetazione della foresta.

 

Era ormai mezzogiorno inoltrato e il sole filtrava tra le alte fronde degli alberi, rischiarando a tratti la visibilità, di per sé non eccessivamente accentuata. Kiki, esausto e affamato, si lasciò cadere su un masso sporgente, asciugandosi la fronte con un fazzoletto, pregando Andromeda di riposarsi un attimo. Il ragazzo fece per rispondergli, quando avvertì una vibrazione nella sua catena. Un attimo dopo la formidabile arma del Cavaliere di Atena si sollevò, saettando verso un angolo buio della foresta, scontrandosi poco dopo con un paio di frecce.

 

“Qua, Kiki!!!” –Urlò Andromeda, afferrando il ragazzo e stringendolo a sé, prima di disporre la catena a difesa. Immediatamente un mulinello scintillante avvolse i due giovani, creando un’impenetrabile barriera su cui un nugolo di frecce si infranse pochi istanti dopo, mentre grida selvagge risuonavano dal profondo della foresta.

 

“Che sta succedendo?” –Chiese Kiki impaurito, sentendo frusciare le fronde degli alberi attorno e vedendo figure indistinte sfrecciare nell’ombra.

 

“Non lo so, ma la cosa non mi piace affatto!” –Commentò Andromeda, continuando a roteare la sua catena e frenando l’attacco di un altro nugolo di frecce.

 

Fu allora che li vide, nascosti nell’ombra degli alberi, appollaiati sui rami più alti, come esperti cacciatori pronti a balzare sulle prede ignare. Erano centinaia, e parevano aumentare ad ogni occhiata che Andromeda dava attorno a sé. Piombarono nella radura uno dopo l’altro, continuando a scagliare i loro dardi avvelenati, fatti di semplice legno, contro Andromeda e Kiki, protetti dal vorticare impetuoso della catena. Indossavano soltanto pezzi di pelle, con cui coprivano rade parti del corpo, lasciando il resto scoperto e segnato da schizzi di tinture, che molto probabilmente indicavano il loro ruolo e la tribù di appartenenza. Erano selvaggi, come quelli che Andromeda aveva sempre visto negli atlanti o sui libri di geografia, e li avevano circondati con una rapidità impressionante.

 

Andromeda ne scrutò alcuni, quelli che osavano avvicinarsi con coraggio, continuando a scagliare frecce e rudimentali lance dalla punta di pietra, e li trovò orribili, con schegge di ossa piantate nel naso e nelle orecchie, denti gialli e quei suoni orribili con cui comunicavano. Suoni che non riusciva assolutamente a decifrare, ma che, a giudicare dall’espressione famelica sul volto dei suoi assalitori, non lasciavano presagire niente di buono. Che fossero cannibali o meno, Andromeda non ci teneva a scoprirlo, così decise di agire di scatto, lanciando la Catena di Offesa all’attacco. Veloce come un fulmine, la Catena a Triangolo sfrecciò dall’alto della difesa circolare, piombando sugli avversari e colpendoli alle mani, facendo perdere loro la presa delle armi che stringevano, o distruggendole sul colpo, spaventandoli e spingendoli indietro. In pochi attimi, Andromeda disarmò i selvaggi, falciando le dita di qualcuno e costringendo molti a fuggire via.

 

Ma la maggioranza, seppur disarmata, rimase comunque compatta, formando un semicerchio attorno ad Andromeda e Kiki, osservando con interesse i movimenti del Cavaliere di Atena e borbottando tra loro parole indistinte. Andromeda allora, vedendo che i primitivi si erano tranquillizzati, abbassò la difesa circolare, richiamando a sé anche la Catena di Attacco, che strisciò sul terreno, luccicando nel sole del pomeriggio. Esterrefatti da tale visione, i selvaggi fecero un balzo indietro, abbandonandosi ad espressioni di stupore e profonda ammirazione. Andromeda li sentì mormorare qualcosa, e anche Kiki prestò attenzione alle loro voci, senza però riuscire a decifrare quell’antico linguaggio.

 

“Ser… pente!” –Gli sembrò di sentire infine. –“Grande Serpente!” –Mormorò qualcun altro, prima che un uomo si facesse avanti.

 

Impaurito, indicò le catene che pendevano dalle braccia di Andromeda, prima di buttarsi ai piedi del ragazzo, prostrandosi più volte. Pochi istanti dopo anche gli altri compagni dell’uomo fecero altrettanto, e Andromeda si ritrovò di fronte ad una massa di primitivi abitanti delle Isole Andamane che lo veneravano quasi fosse un Dio, in virtù probabilmente dei poteri della sua catena, qualcosa di sconvolgente e nuovo per le antiche tribù che popolavano quei luoghi.

 

“Non abbiate paura! Non voglio farvi del male!” –Cercò di esprimersi Andromeda, avvicinandosi all’uomo inginocchiato. Ma subito questi si mosse, scattando indietro impaurito. –“Capite la mia lingua?”

 

“Grande Serpente!!!” –Ripeterono confusamente gli uomini, indicando le catene.

 

Andromeda, comprendendo infine la situazione, sciolse le Catene, lasciandole scorrere sul terreno, quasi fossero serpenti dall’argenteo bagliore, di fronte agli sguardi intimoriti, e al tempo stesso affascinati e eccitati, dei selvaggi che arretrarono, prostrandosi al loro nuovo Dio. Il Serpente Cosmico, una delle più antiche Divinità venerate dai popoli del Mondo Antico.

 

“Prova a chiedere loro qualcosa su Biliku!” –Azzardò l’idea Kiki, sentendosi adesso più sollevato, nel vedere gli indigeni succubi del fascino di Andromeda. –“Magari possono aiutarci a risolvere questo enigma!” –Ma bastò nominare l’ancestrale creatura, che subito i selvaggi si inquietarono, muovendo la testa con violenza e facendo gesti che a Kiki parvero dei veri e propri scongiuri.

 

“Biliku!” –Esclamò Andromeda. –“Dobbiamo trovare Biliku! Sapete dove si trova?”

 

“Donna ragno! Nemico del Grande Serpente!” –Mormorò uno degli indigeni, rabbrividendo al solo nominarla. Quindi si scosse, incamminandosi nel fitto della foresta, seguito dai selvaggi suoi compagni, che si disposero su due file parallele, facendo cenno a Andromeda, e a Kiki, di seguirli e camminare all’interno.

 

Seppur riluttanti, e sempre pronti a difendersi o eventualmente a teletrasportarsi via, i due ragazzi annuirono, unendosi all’improvvisata processione che attraversò la foresta equatoriale, giungendo fino ai resti di un antico Tempio. Che fosse un edificio, Andromeda lo comprese guardandolo da lontano, dalla forma che le piante rampicanti avevano assunto nel corso dei secoli crescendo sopra di esso e avvolgendolo nelle loro spire. Da vicino sembrava soltanto un’indistinta massa verde, quasi una collina, tanto soffocante era la presa che le piante avevano esercitato su di esso, segno evidente che da secoli nessuno era penetrato al suo interno.

 

Ad un cenno dell’uomo che aveva guidato la processione, che Andromeda capì essere il capo di tale tribù locale, un gruppo di indigeni si avvicinò ad una parete del tempio, iniziando a bruciare le piante che la coprivano e rivelando solide mura di pietra ornate da antiche iscrizioni. E da una splendida, quanto inquietante, raffigurazione. L’azione erosiva del tempo aveva reso illeggibili alcuni segni, ma il significato apparve chiaro sia agli indigeni che ad Andromeda e Kiki. Sull’enorme muro di fronte a loro era stata incisa una violenta scena di caccia, che ritraeva un immenso ragno, dai lunghi tentacoli sinuosi, avvolto nelle spire di un lugubre serpente, le cui fauci spalancate affondavano nel tozzo corpo della creatura nemica, intenta ad avvolgerlo in fili biancastri. La donna ragno e il serpente cosmico. Impegnati in uno scontro mortale.

 

Kiki osservò le incisioni con attenzione, soffermandosi in particolare sull’ultima, dove sembrava chiaro che il sangue della donna ragno avesse ucciso il serpente, che giaceva disteso al suolo, in procinto di essiccarsi, ma che anche la stessa Biliku fosse rimasta vittima del suo avversario, rinchiudendosi in una grande buca, che rappresentava le profondità della Terra. Che fosse l’antico scontro che si era consumato un tempo tra due potentissime forze primordiali? E che gli indigeni vedessero in Andromeda il rinnovato Serpente Cosmico, tornato per avere la sua vendetta? Questo Kiki non lo sapeva, ma era altamente inquieto, preoccupato da tutta quella situazione che sembrava loro sul punto di sfuggire di mano.

 

In quella, ad un cenno del capo della tribù, un gruppo di uomini spalancò con forza antichi portoni del Tempio, rivelando un’entrata che nessun uomo doveva aver percorso negli ultimi tremila anni. L’aria fetida che fuoriuscì dall’interno disgustò all’istante Andromeda e Kiki, che tossirono ripetutamente, mentre alcuni uomini della tribù accendevano delle fiaccole rudimentali, porgendole loro.

 

“Eeeh?! Non dovremo mica infilarci in questo tunnel?!” –Strabuzzò gli occhi Kiki, lanciando uno sguardo verso l’interno del Tempio. Ma non vedendo niente. Soltanto la notte più nera.

 

“Temo che non abbiamo molte alternative, Kiki!” –Commentò a malincuore Andromeda, afferrando una torcia e passandone un’altra a Kiki. –“Se davvero Biliku si è rinchiusa qua dentro, non possiamo far altro che andare a cercarla! Per salvare il Grande Tempio di Atena dagli istinti animaleschi della rosa di rabbia!” –Detto questo mosse un passo avanti, dirigendosi verso l’ingresso dell’antico tempio, cercando di nascondere la profonda inquietudine che lo aveva invaso. Davanti a Kiki, di cui aveva la responsabilità morale, non poteva mostrarsi debole, ma risoluto, per quanto nel suo cuore turbinassero sentimenti contrastanti. La paura prima su tutti.

 

Kiki sbuffò scocciato più volte, ma poi decise di seguire Andromeda all’interno, non prima di aver afferrato la lancia di un indigeno. Pochi passi e i due amici si ritrovarono avvolti dalle tenebre. L’ampiezza della costruzione era immensa e sembrava scendere progressivamente in profondità, dove l’oscurità era sempre maggiore e il pestilenziale tanfo rendeva difficile la respirazione.

 

“Definirlo un immondezzaio è un complimento!” –Ironizzò Kiki, tossendo più volte, mentre seguiva Andromeda in quel dedalo di gallerie.

 

Le porte aperte dell’ingresso erano ormai un ricordo lasciato alle spalle e la poca luce che aveva illuminato la loro entrata era scomparsa, precipitando entrambi in una tenebra che sembrava non avere fine. Persino con le fiaccole Kiki e Andromeda non riuscivano ad avere una buona visibilità, dovendo continuamente fare attenzione a non cadere in qualche buca o avvallamento del terreno. In silenzio, i due compagni vagarono per una buona mezz’ora per le gallerie del tempio, disgustati dal letamaio in cui erano immersi. Il solido pavimento piastrellato che aveva caratterizzato l’entrata aveva ceduto presto il passo a un terreno molliccio, a tratti fangoso, spezzettato da carcasse di animali sparse, avvolte in bianchi filamenti appiccicosi. Kiki le osservò con disgusto, inghiottendo di colpo, non osando chiedersi cosa le avesse ridotte in quello stato.

 

“Cosa… o chi?!” –Balbettò, affiancando prontamente Andromeda, intento ad osservare le pareti laterali dell’ampia galleria dove stavano camminando. Un tempo probabilmente l’intera costruzione doveva essere stata ornata di decorazioni e di incisioni che raccontavano la storia della creazione dell’universo secondo le credenze animiste dell’antica popolazione di quelle isole. Ma adesso, migliaia di anni più tardi, delle incisioni e delle leggende era rimasto ben poco, crollate sotto il peso del tempo o delle frane, ammuffite nel ricordo o ricoperte da una vischiosa sostanza che Andromeda individuò essere una ragnatela.

 

“Sembra che Biliku abbia saputo come passare il tempo!” –Ironizzò, avvicinandosi ad una parete, interamente ricoperta di fili biancastri, e chiedendosi quanti secoli fossero trascorsi, quanti millenni, da quando la creatura primordiale era venerata apertamente dagli indigeni di quelle isole.

 

Andromeda fece appena in tempo a sfiorare con una mano la vischiosa superficie della parete laterale, che dovette balzare indietro di scatto, mentre un lungo artiglio sbucava fuori dalla massa di fili bianchi e si conficcava con rabbia nel terreno sotto i suoi piedi. Kiki gridò spaventato, alla vista di quel peloso artiglio che scalciava furioso, mentre il roboante movimento di un corpo immenso faceva tremare l’intera struttura del tempio. Qualche pietra e pezzi di muro crollarono immediatamente, mentre un secondo artiglio sfondava la parete di fili biancastri, piantandosi nel terreno con forza e allungandosi verso i due amici, rifugiatisi sul lato opposto. Ma in quel momento a Kiki e ad Andromeda parve non poter trovare rifugio in alcun luogo, poiché l’intera struttura del tempio sembrava gridare di rabbia, smossa in profondità dai pesanti movimenti di una creatura ancestrale che forse non aveva mai conosciuto riposo.

 

“Ci ha osservato per tutto questo tempo!!! Da quando siamo entrati nel tempio!” –Esclamò Andromeda, prendendo Kiki per mano e correndo via, mentre la grossa massa deforme si muoveva accanto a lui, separati da un muro sottile che i rozzi movimenti della creatura facevano crollare continuamente. –“In tutti questi secoli deve aver lavorato freneticamente, scavando tunnel paralleli a queste gallerie, da cui usciva per uccidere le poche prede che osavano avventurarsi in queste profondità! Ciò che non mi spiego è perché la mia catena non abbia avvertito il pericolooo!!!” –Ma Andromeda non riuscì a terminare la frase che precipitò di colpo verso l’abisso, trascinando Kiki con sé.

 

C’era una fossa improvvisa, scavata nel bel mezzo di una galleria, e per la fretta e la scarsa luminosità i due amici non se ne avvidero, piombandoci proprio dentro. Ma non caddero per molto, soltanto per cinque o sei metri, il tempo di ritrovarsi sospesi a mezz’aria, con i corpi appiccicati ad una vischiosa sostanza che rendeva difficili i loro movimenti. Andromeda perse la presa della fiaccola, che precipitò nell’abisso, spegnendosi in lontananza. E questo portò il ragazzo a chiedersi quanto fosse profondo quell’anfratto, e quali altri orribili segreti nascondesse. Con la luce dell’unica torcia rimasta, che Kiki stringeva ancora mano, per quanto cercasse di liberarsi da quei filamenti appiccicosi, Andromeda si rese conto che erano caduti su un’immensa ragnatela, che si estendeva da lato a lato della cavità. Una ragnatela appositamente tessuta per ospitare due deliziose mosche, come Andromeda e Kiki apparivano in quel momento agli occhi di Biliku.

 

“Andromedaaa!!!” –Gridò Kiki, dimenandosi selvaggiamente, prigioniero di quella tela appiccicosa.

 

“Stai calmo, Kiki! Più ti agiti, più rischi di invischiarti in questo… in questa…” –Esclamò Andromeda, prima che un luccichio lontano attirasse la sua attenzione.

 

Due piccoli fari, dal colore giallo opaco, erano proprio sopra di loro, a neanche dieci metri di distanza, e sembravano farsi sempre più vicini, mentre una pesante massa sguazzava dietro di loro, smuovendo le pareti laterali e i fili a cui i due ragazzi erano appesi. Biliku era finalmente arrivata, uscita dai suoi infami nascondigli per saziarsi di carne umana, di cui da molto tempo non si cibava.

 

“Aaaah!!!” –Gridò Kiki, riconoscendo la sagoma deforme che torreggiava sopra di loro. E d’istinto concentrò i sensi, per teletrasportarsi via da lì, in un qualsiasi altro posto, anche fuori in compagnia degli indigeni. Ma non vi riuscì. Provò più volte senza ottenere risultati, realizzando che vi era qualcosa, forse una mistica barriera di energia, che non era in grado di vincere. Qualche arcano sigillo che gli impediva di esercitare i suoi poteri.

 

“Ma certo! Adesso ricordo le parole di Mur!” –Esclamò Andromeda. –“Biliku, come altri ragni delle isole micronesiane per esempio, è considerata un’entità creatrice, grande madre da cui ha avuto origine il mondo! Non è soltanto una bestia, tutt’altro, questo è solo il suo aspetto esteriore! Lei è molto di più! Nasconde un potere arcano tipico delle Divinità primordiali, che fa di questo tempio un immenso luogo di culto! Ecco perché i tuoi poteri non funzionano, e la mia Catena non ha segnalato la sua presenza, Kiki! Perché siamo nella sua casa, nella sua tela, e l’unico vero potere, originario e creatore, è il suo!”

 

“Questo cosa significa, Andromeda? Che non abbiamo speranze e dovremo restare qua, a farci mangiare come mosche?” –Gridò Kiki, continuando a scalciare.

 

“No, ma liberarci non sarà facile!” –Commentò l’amico, cercando di tagliare i fili che lo intrappolavano.

 

Andromeda riuscì a liberare le braccia e parte del busto, ma non osò trinciare altri fili, per paura di cadere nell’abisso. Cercò di avvicinarsi a Kiki, ma in quel momento l’intera ragnatela venne scossa da un fremito. Andromeda voltò lo sguardo verso l’alto e vide che Biliku stava scendendo verso di loro. L’antica creatura genitrice del mondo non aveva più voglia di aspettare. Adesso aveva fame.

 

“Sulle mie spalle, coraggio, Kiki!” –Esclamò Andromeda, raggiungendo Kiki e aiutando il ragazzino a liberarsi da quei fili vischiosi. –“Reggiti a me, e tieni sempre la fiaccola puntata verso l’alto!”

 

Kiki obbedì agli ordini di Andromeda, montando sulle sue spalle e tremando di paura come mai prima d’allora. Non appena sollevò lo sguardo, seguendo il fascio di luce generato dalla torcia, incrociò gli spaventosi occhi di Biliku, che gli mozzarono il respiro, impedendogli persino di urlare. La creatura era immensa, e il suo tozzo corpo pareva spingersi ancora nell’interno, in zone d’ombra che Kiki e Andromeda non riuscivano a scrutare bene. Aveva un grosso busto di ragno, putrido e peloso, da cui spuntavano quattro lunghi artigli su ciascun lato, che Biliku muoveva in perfetta sintonia, sulle note di una melodia che pareva averla cullata per anni. Non aveva niente di umano, niente più, rovinata dal trascorrere del tempo, dalla solitudine e dalla follia che l’aveva colta in quegli anfratti oscuri. Soltanto il volto pareva avere una lontana parvenza di donna, forse nella scapigliata massa di peli che lo sovrastavano, che ricordavano mossi capelli neri, o forse nella bocca, da cui lunghi fili di bava uscivano ogni volta che mostrava loro i gialli denti appuntiti. O forse negli occhi, di un pallido color ocra, macchiati al centro da una pupilla iniettata di sangue.

 

“È… orribile!” –Mormorò Kiki, mentre Biliku si fermava qualche metro sopra di loro, perfettamente in equilibrio sulla tela da lei stessa creata. –“Cosa aspetta? Perché non ci attacca?” –Ma Andromeda gli fece cenno di tacere. E soprattutto di non guardarsi intorno. Aveva percepito dei leggeri movimenti laterali, provenienti dai lunghi fili che li sostenevano, ma non aveva osato informare Kiki.

 

Il ragazzino voltò un attimo lo sguardo solo per rigirarlo schifato alla vista di migliaia di ragni neri che avanzavano in fila indiana lungo i fili, dirigendosi proprio verso il centro della tela, dove Kiki e Andromeda erano annidati. I figli di Biliku, entità terribile e generatrice.

 

“Dobbiamo difenderci!” –Esclamò infine Andromeda, cercando di reagire. E nel far questo bruciò il proprio cosmo, muovendo le catene affinché si sollevassero. Ma non accadde niente, e le due armi ciondolarono stanche lungo le sue braccia. Andromeda espanse ancora il suo cosmo, dirigendo le catene verso l’alto, ma queste ricaddero poco dopo, incollandosi ai vischiosi filamenti. –“Anche le catene risentono del campo mistico di Biliku!!! L’arma su cui facevo maggiore affidamento è inutilizzabile! Possibile? Che sia così grande il potere di Biliku? Che sia davvero fonte di creazione… e di distruzione?”

 

“Non resteremo certo qua a scoprirlo!” –Rispose Kiki, scendendo dalle spalle di Andromeda e ergendosi sui fili della tela, mostrando una spavalderia che non sentiva affatto, ma con cui sperava di nascondere il proprio timore. Concentrò il cosmo, dal color verde acqua, tra le mani e poi diresse una sfera di energia contro un mucchio di ragni che si stava avvicinando, annientandoli sul colpo.

 

“No, Kiki!!!” –Gridò Andromeda, ma non fece in tempo ad impedire al ragazzo di caricare di nuovo il colpo, che qualche filo si schiantò, facendo barcollare i due amici su una tela che, in quel momento, si rivelò in tutta la sua fragilità. –“Colpendoli colpisci anche i filamenti che ci sostengono! E senza il tuo teletrasporto, né la mia Catena a sostenerci, precipiteremmo nell’abisso!”

 

“E allora cosa facciamo, Andromeda?!” –Urlò il ragazzo, spaventato. –“Stanno venendo a prenderci!!!” –Aggiunse, vedendo gli occhi gialli di Biliku sogghignare sinistramente.

 

Proprio in quel momento due uomini ricoperti da nere armature caddero dal cielo, atterrando nel bel mezzo della foresta equatoriale, a un centinaio di metri dal tempio di Biliku. Inviati da Flegias per controllare che l’ancestrale creatura eseguisse alla perfezione il compito su cui il Maestro di Ombre faceva molto affidamento, Iemisch e Iaculo si incamminarono verso l’antico Santuario, di fronte agli sguardi atterriti degli indigeni. Quasi sconvolti che qualcuno osasse disturbare il rito che si stava consumando all’interno della costruzione, molti primitivi si lanciarono contro i due guerrieri, puntando le loro lance appuntite, ma bastò che Iaculo volgesse loro il palmo della mano per trafiggerli tutti con sottili lance di luce, proprio all’altezza del collo. Uno dopo l’altro gli indigeni crollarono a terra sanguinanti, portandosi le mani alla gola, prima di esalare l’ultimo respiro. I pochi superstiti si diedero alla fuga, disperdendosi urlando nella verde macchia circostante, di fronte agli sguardi divertiti dei due Capitani dell’Ombra.

 

Le probabilità che Andromeda uscisse vivo da uno scontro con Biliku, all’interno del luogo sacro alla Divinità, erano molto poche, ma Flegias, che ben conosceva i Cavalieri di Atena, che parecchio filo da torcere gli avevano dato in passato, aveva preferito non rischiare, inviando due potenti guerrieri a controllare. E, eventualmente, a terminare l’opera, avvertendo però loro di non avvicinarsi all’ancestrale Biliku, i cui poteri li avrebbero certamente sopraffatti.

 

“Vi fidate molto di quella Donna-Ragno!” –Esclamò la viscida voce di Athanor, l’alchimista oscuro, in ginocchio di fronte al figlio di Ares, assiso sul trono nella caverna dell’Isola delle Ombre. –“Credete davvero che una simile bestia possa vincere un Cavaliere che ha sconfitto gli Dei?”

 

“Tu non conosci i poteri di Biliku, il retaggio delle Divinità ancestrali di cui è portatrice! Si narra che lei stessa abbia contribuito a creare il mondo, aggirandosi furtiva nella vasta notte vuota, prima di sedersi e modellare la Terra con i suoi artigli. Contenta della sua creazione Biliku vi si trasferì, portandovi il fuoco e la luce e governandone ogni aspetto a seconda del suo umore, in particolare il tempo atmosferico!” –Spiegò il figlio di Ares.

 

“Non sapevo che la conosceste così bene!” –Commentò Athanor.

 

“In un certo senso… siamo figli dello stesso creatore! Uah ah ah!” –Sghignazzò con gusto il Flagello degli Uomini e degli Dei. –“Piuttosto… i miei servitori stanno eseguendo i compiti che ho assegnato loro?”

 

“I Capitani sono già in posizione! Dislocati dove voi avete ordinato!” –Rispose Athanor, ancora in ginocchio di fronte al Maestro di Ombre, che annuì soddisfatto, sfregandosi le mani, quasi gustando una vittoria vicina.

 

“Ma?!” –Ringhiò Flegias improvvisamente, vedendo che Athanor non accennava ad alzarsi. –“Cosa c’è che non va?!”

 

“Ikki di Phoenix, mio Signore! Noi… non riusciamo a trovarlo!” –Confessò a bassa voce l’antico alchimista della Regina Nera.

 

“Che cosa?!” –Gridò Flegias, balzando in piedi di scatto, mentre tutto attorno a sé esplodeva il suo furibondo cosmo di fuoco e ombre. –“Controlliamo ogni angolo di questo patetico pianeta, forgiamo i destini degli esseri inferiori che lo popolano e non siamo capaci di individuare un Cavaliere, uno soltanto, i cui movimenti dovreste monitorare da mesi?!” –E afferrò Athanor per il colletto della lunga veste nera, sbattendolo con forza contro una parete rocciosa. –“Voglio il mio esercito pronto entro poche ore! O userò il tuo sangue per saziare la mia fame di vita!”

 

“Sì, sì, mio Signore!” –Balbettò Athanor, ricadendo a terra e strisciando via sul terreno roccioso, diretto verso il suo laboratorio.

 

Maledetto Phoenix! Che il diavolo se lo porti! Già una volta mi ha interrotto sul più bello! Esclamò Flegias, ricordando il suo primo, fallito, attacco al Grande Tempio, assieme a Sterope del Fulmine, e la sorpresa con cui il Cavaliere di Phoenix lo aveva travolto. Non voleva incorrere in altre brutte sorprese, per questo motivo aveva fatto controllare le mosse dei cinque prediletti Cavalieri di Atena, per metterli in condizione di non nuocere. Per Sirio, Cristal, Pegasus e Phoenix, che avevano degli animali come simboli protettori, sarebbe bastata una rosa di rabbia a scatenare i loro istinti primordiali e portarli alla guerra perpetua. Per Andromeda era stato necessario risvegliare Biliku.

 

Non che a Flegias dispiacesse, in fondo era stato molte volte a farle visita, nel corso dei lunghi millenni che aveva trascorso da sola, rifugiata negli abissi di quell’antico Santuario. E ogni volta le aveva portato qualcosa con cui ingannare il tempo: uccelli, mammiferi, persino qualche rettile che popolava la foresta equatoriale, quando non aveva voglia di andare a caccia di uomini. Del resto, gli indigeni delle Andamane erano in abbondanza. E Biliku amava intrattenersi con loro, per sconfiggere la monotonia in cui era immersa. Pare che avesse scavato gallerie così lunghe e profonde da essere in grado persino di superare il mare e giungere sulla terraferma. Ma neppure il figlio di Ares si era mai arrischiato a penetrarvi in sua compagnia, né quando ancora vagava sotto forma di spirito né dopo essere stato dotato di un nuovo corpo. Quello stesso corpo che lo avrebbe condotto alla vittoria, anticipando l’avvento della grande ombra. Ormai, a quel momento aspettato da secoli, e dai saggi tanto temuto, mancava più poco tempo, una manciata di granelli di sabbia nella clessidra del mondo, e non sarebbe certamente stato Phoenix, né nessun altro, a fermare i suoi propositi imperiali.

 

 

 

 

 

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Capitolo 8
*** Il fuoco dell'oblio ***


CAPITOLO SESTO

CAPITOLO SESTO. IL FUOCO DELL’OBLIO.

 

Avvolta da nebbie eterne, che la nascondevano agli occhi degli uomini mortali, l’Isola Sacra pareva essersi sottratta al trascorrere del tempo. O almeno questo era ciò che percepivano i suoi abitanti, i discendenti degli antichi druidi e gli apprendisti e le Sacerdotesse che giornalmente vi si allenavano. Ma Avalon, che ne era il Signore, sapeva che quel sentimento era solo un’illusione, un velo con cui aveva mascherato per secoli l’isolamento dell’Isola Sacra. Un isolamento di pura facciata, poiché non tramontava sole senza che egli non fosse venuto a conoscenza di tutto ciò che in quel giorno era accaduto. Silenzioso, con i sensi affinati e attenti a udire ogni singolo respiro del mondo, il Signore dell’Isola Sacra osservava gli eventi svolgersi nelle limpide acque del Pozzo Sacro, sulla cima dell’alto colle di Avalon, racchiuso in un cerchio di pietre dalla mistica potenza. E proprio in quel Pozzo aveva visto Flegias strisciare fuori dalle tenebre che lo avevano partorito e muovere i primi passi verso la distruzione. Verso l’abisso di oscurità in cui avrebbe voluto precipitare l’intera Terra.

 

Una veste frusciò leggera sull’erba bagnata di rugiada, spezzando l’incantesimo sulla sommità dell’Isola Sacra. Avalon si voltò e trovò l’Antico di fronte a sé, avvolto in quella tunica che portava da secoli, forse da millenni, senza mai averla rovinata.

 

“Un messaggio da Andrei!” –Esclamò l’Antico, con voce leggera. –“L’ombra ha allungato i suoi confini!”

 

“Lo so!” –Rispose semplicemente Avalon, fissando l’anziano saggio negli occhi. –“L’ho appena visto! E ho ordinato ad Andrei di intervenire!”

 

“Usciremo dunque dal nostro isolamento?” –Domandò l’Antico, con una certa ironia nel tono di voce. –“Traghetterai l’Isola Sacra verso il nuovo millennio?”

 

“Verso il nuovo millennio… o verso la fine del tempo?!” –Mormorò Avalon, allontanandosi dal Pozzo Sacro e dando ordini all’anziano saggio di radunare l’esercito che aveva composto in quegli ultimi anni, i giovani che sull’Isola Sacra erano stati addestrati: i Cavalieri delle Stelle.

 

Non amava mandarli a combattere, per quanto fossero dei guerrieri. Non ancora. Anche se sapeva che presto non avrebbe potuto impedirglielo né avrebbe potuto impedire a se stesso di proibirglielo. Perché quello era il loro destino. Quello era lo scopo ultimo per cui erano stati addestrati tutti quegli anni. E per quanto li amasse, come ogni uomo sterile ama i figli degli altri, aveva insegnato loro a esercitare il distacco. Da ogni bene materiale, da ogni sentimento, da ogni emozione che avrebbe potuto frenare il loro operato. Due soltanto erano le fedi a cui dovevano prestare ascolto: la vittoria, necessaria per sé e per la Terra intera, e il rispetto agli ordini del loro comandante, il migliore che avrebbero potuto avere. L’uomo scelto da Zeus per guidare la Legione che Avalon gli aveva concesso di nascondere a Glastonbury secoli addietro. Il figlio del Drago.

 

In quello stesso momento, all’interno del Santuario sotterraneo in un’isola delle Andamane, Andromeda stava bruciando il proprio cosmo, tentando di risvegliare la sopita Catena che pareva essere in completa balia dei mistici poteri di Biliku, gli stessi che impedivano a Kiki di teletrasportarsi altrove. La Donna-Ragno amava infatti combattimenti corpo a corpo, in modo da potersi avvicinare alla vittima e infettarla con il suo mortale veleno.

 

“Non deve venirci troppo vicino!” –Esclamò Andromeda, espandendo il proprio cosmo, che rischiarò l’intera cavità con il suo chiarore, e concentrandolo sulla mano destra. –“Onda energetica!!!” –Gridò, scagliando guizzanti folgori rosa verso l’alto.

 

Ma Biliku sorprese ancora i paladini di Atena, emettendo delle onde energetiche dalle antenne e rallentando così l’assalto di Andromeda, che scemò, frizzando soltanto sulla grossa massa pelosa di Biliku, senza provocarle danno alcuno.

 

“Incredibile!” –Mormorò Andromeda. E anche Kiki sgranò gli occhi, prima di lanciarsi avanti, concentrando il cosmo in una sfera di energia. –“Para anche questa, bestiaccia!!!” –Gridò, scagliando la sfera contro Biliku.

 

Questa volta la Donna-Ragno non ebbe bisogno di usare le sue antenne e si limitò ad aprire la bocca e a scaricare fuori un violento getto di fili biancastri, con cui avvolse la sfera energetica di Kiki, prima di scuotere il muso e rimandargliela contro. Il ragazzino cercò di scansarsi, ma i fili appiccicosi su cui camminava frenarono i suoi movimenti, così venne investito in pieno e sbattuto sulla tela, intrappolato da quella sostanza vischiosa e maleodorante.

 

“Kiki!!!” –Gridò Andromeda, vedendo il ragazzino che si dimenava, mentre centinaia di ragni percorrevano i fili della ragnatela, da ogni direzione, avvicinandosi sempre più. –“Maledizione!!! Catena di Andromeda, sollevati!!!” –Ma nonostante l’enorme impegno del ragazzo, e lo sforzo cosmico a cui si abbandonava, non riusciva a recuperare il controllo della sua arma, srotolata inutilizzabile lungo le sue braccia. –“Devo fare qualcosa! Kiki ha bisogno di me! Il Grande Mur ha bisogno di me! E forse mio fratello e i nostri compagni! Andromeda non vi lascerà in difficoltà, amici! Io tornerò! E il sangue di Biliku sarà con me!!!” –Esclamò il ragazzo, bruciando al massimo il proprio cosmo, come non aveva ancora fatto, illuminando l’intero anfratto e costringendo persino Biliku ad arrestarsi, tappandosi gli occhi per la luce eccessiva. –“Dunque la luce ti disturba, mia cara Donna-Ragno! Come mai? Troppo tempo trascorso nelle profondità di quest’abisso a nutrirti di ombre e carogne ti hanno fatto dimenticare quanto radioso e magnifico sia il potere delle stelle? E sia, Andromeda adesso te lo ricorderà! Risplendi, Nebulosa di Andromeda!!!” –Gridò il ragazzo, rilasciando il suo vasto potere, pur senza portarlo ai limiti massimi.

 

Il cosmo rosa di Andromeda vorticò attorno a lui, travolgendo le migliaia di ragni sui fili della ragnatela e schiacciandoli contro le pareti laterali, avendo cura a non colpire la tela stessa, prima di dirigersi verso l’alto, risplendendo come la galassia luminosa della costellazione omonima. Con forza, Andromeda investì Biliku con la sua tempesta di energia, spingendola verso l’alto, nonostante le forti resistenze della creatura, che piantò gli artigli nelle mura laterali per non essere scaraventata via. Ma Andromeda non voleva ucciderla, soltanto metterla momentaneamente in condizioni di non nuocere, per liberare Kiki e tornare insieme a lui nella galleria, su un terreno stabile e più sicuro di quella ragnatela dove ogni secondo qualche filo si schiantava, travolto dall’impetuosa tempesta di Andromeda. E forse quello fu l’errore del Cavaliere di Atena.

 

“Adesso, spingila via, Nebulosa di Andromeda!!!” –Gridò il ragazzo, potenziando il suo assalto e travolgendo Biliku, che venne scaraventata verso l’alto dal vento energetico, schiantando il filo a cui era aggrappata. E facendo così ondeggiare ulteriormente la ragnatela dove si trovavano i due amici. –“Ora, Kiki! Vieni!”

 

Andromeda aiutò il ragazzo a liberarsi da quella vischiosa sostanza, mentre la corrente energetica continuava a soffiare verso l’alto, prima impetuosa, poi rallentando progressivamente. Quando Kiki riuscì ad alzarsi nuovamente in piedi, e Andromeda gli disse di salire sulle sue spalle, per balzare verso la galleria da dove erano precipitati, i due amici si accorsero che Biliku non era stata affatto sbalzata via. Con maestria, la Donna-Ragno aveva scagliato lunghi filamenti bianchi dalla bocca, mentre la Nebulosa la investiva in pieno, usandoli per arpionarsi alle pareti della cavità e resistere alla tempesta. Placatosi l’assalto energetico, aveva usato quegli stessi filamenti per discendere verso il basso, portandosi proprio sopra i due amici e sollevando minacciosa i suoi artigli.

 

“Aaah! Attento, Andromeda! È qua!!!” –Gridò Kiki, alla vista di quei famelici occhi gialli a pochi metri di distanza.

 

All’istante, Andromeda si spostò a destra, cercando di rimanere in equilibrio sulla ragnatela, proprio mentre Biliku falciava alcuni fili con rabbia, quindi si spostò verso il centro, continuando ad evitare i ripetuti assalti degli artigli della Donna-Ragno. Kiki cercò di scacciarla, dirigendo contro i suoi occhi una raffica di sfere di energia, ma non sortendo altro effetto che farla infuriare ulteriormente. Un ultimo filo e la ragnatela si schiantò e Andromeda, Kiki e la stessa Biliku precipitarono nell’abisso oscuro.

 

“Aaaah!!!” –Gridò Kiki, alla vista dell’enorme massa di Biliku che crollava su di loro, mentre ancora agitava famelica i suoi artigli.

 

Onda energeticaaa!!!” –Urlò Andromeda, dirigendo violente scariche di energia cosmica contro la creatura, soprattutto verso il volto e gli occhi, una zona notoriamente delicata nei ragni.

 

Le folgori stridettero con forza sulla pelle corazzata di Biliku, facendola infuriare e, per quanto cercasse di difendersi con le sue onde psichiche, venne raggiunta più volte e ferita, finché, stufa di quella situazione, di quel precipitare vuoto verso abissi che ben conosceva, non si voltò verso l’alto, sparando alcuni filamenti biancastri per rallentare la sua caduta. Andromeda nel frattempo mise tutto se stesso nell’espandere il suo cosmo lucente, per riattivare la vitalità delle Catene. Vi riuscì infine, tra le grida di gioia di Kiki, giusto in tempo per scagliarle verso le pareti laterali e piantarvi entrambe le punte, in modo da frenare il loro pericoloso precipitare. Andromeda strinse con forza le mani sulla Catena, mentre fiotti di sangue fumavano fuori dalla pelle, allo stridere violento sul metallo, ma riuscì ad arrestare la loro caduta.

 

Dopo aver tirato un sospiro di sollievo, Kiki, ancora abbracciato al collo di Andromeda, si sporse a guardare in basso, rendendosi conto di non essere a più di una decina di metri da terra. Così Andromeda decise di scendere, ordinando a Kiki di tenersi ben saldo, mentre lui lasciava allungare le Catene dell’Armatura, usandole come corda per scendere verso terra, con perfetta maestria.

 

“Bravo Andromeda! Finalmente abbiamo nuovamente i piedi su qualcosa di solido!” –Commentò il ragazzo, arrivati a terra, prima di guardarsi intorno e realizzare di essere in una grande caverna sotterranea, la cui poca luce derivava da rocce particolari che costellavano il soffitto. Rocce probabilmente capaci di immagazzinare una certa quantità di luce e di disperderla lentamente, permettendo così ai due amici una discreta visibilità.

 

“Preferirei non vedere, in realtà!” –Commentò Andromeda, osservando disgustato il paesaggio.

 

Ossa e carcasse di bestie avvolte in bianchi filamenti, mucchi di escrementi che emanavano un fetore bestiale e grandi fosse nel terreno, probabilmente scavate dalla stessa Biliku. E, in lontananza, un leggero soffio di vento, che faceva loro ben sperare sulla possibilità di un’uscita.

 

“Credo che questo sia uno dei tanti tunnel che la Donna-Ragno ha scavato nel corso della vita! E, a giudicare da quanto siamo precipitati, dovremmo trovarci al di fuori del suo suolo sacro, per questo la mia Catena ha ripreso vitalità!” –Commentò Andromeda, sollevando la Catena e generando un luccicante mulinello, che per un momento risollevò l’animo di Kiki. Durò un attimo, prima che entrambi udissero il pesante tonfo del corpo di Biliku strusciare contro la parete sopra di loro, e capissero di essere di nuovo due ambite prede.

 

“Corri via, Kiki!” –Gridò Andromeda, incitando il ragazzo a raggiungere l’altro lato dell’immensa caverna sotterranea. Ma Biliku, con un’agilità sorprendente, balzò tra loro e l’uscita, investendoli con una pioggia di appiccicosi filamenti. –“Oh noo!!!”

 

Kiki venne completamente immobilizzato, mentre la Donna-Ragno si avvicinava al ragazzo, terminando di avvolgerlo nella tela con le sue zampe, che si muovevano con una sincronia allucinante. Andromeda, impossibilitato a muoversi, bruciò il proprio cosmo, per sollevare le Catene, ma Biliku diresse contro di lui violenti schizzi di bianchi filamenti, avvolgendolo e tirandolo poi a sé con forza. Strattonato dalla creatura, Andromeda cadde in avanti, con la faccia sull’orrido filamento che Biliku arrotolava con impressionante velocità, per farne solidi bozzoli dentro cui lasciar morire le proprie prede. Kiki era già stato interamente avvolto, e Andromeda si dimenava furioso, mentre Biliku lo tirava a sé con rabbia, sbattendo i suoi eccitati artigli sul terreno. Agitato com’era, in preda alla paura, anche per la sorte di Kiki, che stava morendo soffocato in quel bozzolo, Andromeda perse per un momento la concentrazione necessaria, venendo afferrato da Biliku e stretto a sé, quasi a ricreare una di quelle scene di lotta incise sui pannelli esterni del tempio. Fu in quel momento, invischiato in quell’orrido filamento, vicino alle antenne di quell’antica e deforme creatura, che ad Andromeda sembrò quasi di sentirla parlare. O meglio, ebbe la percezione di sentire i pensieri di Biliku dentro di sé, nella sua mente, come se le onde psichiche emanate dalla Donna-Ragno potessero entrare nel suo animo e chiarire ciò che non poteva esprimere a voce.

 

“Creazione… e distruzione!” –Furono le uniche cose che Andromeda percepì, insieme ad un’immensa solitudine, ma furono abbastanza per spingerlo a reagire. Aveva perso fin troppo tempo, non volendo ferire un essere che, per quanto orribile apparisse, era comunque innocente, e un tempo venerato come forza progenitrice del mondo. Ma Kiki stava morendo, e anche Asher e gli altri Cavalieri di Atena. Per questo non poteva più esitare.

 

Espanse al massimo il proprio cosmo, lasciandolo esplodere pochi istanti dopo, mentre tutto l’antro sotterraneo risplendeva di un’intensa luce color rosa. Biliku venne accecata da quell’improvvisato sole e costretta a balzare indietro e a correre a nascondersi in qualche anfratto laterale, mentre i filamenti che avevano intrappolato Andromeda fino a quel momento esplosero, avvampando, e il ragazzo ne uscì, tossendo e sputando più volte, finalmente libero. Immediatamente, ancora avvolto dal suo lucente cosmo, Andromeda corse verso il bozzolo di Kiki, strappando con rabbia i fili bianchi che lo avevano intrappolato. Ma lo trovò vuoto, e di questo si stupì sinceramente. Non ebbe però il tempo per riflettere che dovette fronteggiare un attacco diretto di Biliku, balzata contro di lui, con i pelosi artigli sfoderati, pronta a trafiggerlo con il suo veleno.

 

Andromeda sollevò le sue Catene, creando un’impenetrabile difesa circolare su cui gli artigli di Biliku si scheggiarono più volte, senza riuscire a penetrarla. Allora, la Donna-Ragno tentò di fermare quel vorticoso mulinare, avvolgendo la Catena con i suoi filamenti, ma quella volta Andromeda non glielo permise, scagliando la punta a Triangolo all’assalto. Veloce e rabbiosa, la Catena di Andromeda trinciò tutti i filamenti di Biliku, prima di arrotolarsi attorno ai quattro artigli sul lato destro del suo tozzo corpo. Quindi Andromeda diede un brusco strattone, sbattendo la Donna-Ragno a terra e facendola gridare di rabbia e dolore, prima di concentrare nelle braccia tutte le sue forze. Iniziò a girarle intorno, sempre più velocemente, finché non riuscì a sollevare la carcassa della creatura, che sputava fili bianchi in gran quantità, e allora la scaraventò con forza contro una parete laterale, che venne sfondata dalla sua mole. Quando Andromeda richiamò la sua Catena si accorse che era in parte macchiata di sangue, e ritenne che probabilmente gli aveva spezzato qualche artiglio. Biliku ricomparve poco dopo, risollevandosi tra le macerie che le erano franate addosso, con un’antenna troncata e chiazze di sangue sparso sul corpo, che la rendevano ancora più demoniaca. Zoppicando, la Donna-Ragno fece per correre verso Andromeda e avvolgerlo nei suoi bianchi filamenti, ma il ragazzo fu abile a saltarla con un balzo, atterrando alle sue spalle e caricando il cosmo sulle braccia.

 

Onda energeticaaa!!!” –Gridò Andromeda, scagliando guizzanti folgori di energia contro la Donna-Ragno, che venne investita in pieno, impossibilitata ormai a difendersi, priva di una delle sue antenne e delle zampe che le garantivano agilità nei movimenti. Venne percorsa da fremiti violenti, mentre schizzi di sangue esplodevano dal suo tozzo corpo, finché non si accasciò a terra, boccheggiando stanca.

 

Andromeda rimase un attimo ad osservarla, in parte dispiaciuto per il dolore che le aveva recato. Era indubbio che Biliku fosse una creatura distruttrice, e che avrebbe voluto ucciderli, come aveva ucciso tutti gli uomini e gli animali che nei secoli avevano tentato di avvicinarla, ma a suo tempo era stata una Dea della creazione. E tutto ciò che aveva fatto in seguito forse rientrava nell’equilibrio del mondo. Un equilibrio fatto di creazione e distruzione. Di nascita e di morte.

 

Sospirando, Andromeda si avvicinò alla carcassa deforme della Donna-Ragno, con la Catena ancora in tensione, e pronta per scattare in caso di attacco. Ma Biliku non lo degnò neanche di uno sguardo, limitandosi a guaire dolorante. Andromeda allora riempì l’ampolla che gli aveva dato Mur del sangue che sgorgava da una ferita sul ventre, avendo cura di non venirne a contatto. Distratto dal pensiero di Kiki, Andromeda non si avvide di un brusco movimento della Donna-Ragno, che lo raggiunse al collo con un artiglio, spingendolo indietro e strappandogli un pezzo di pelle. Il ragazzo ricadde a terra, tastandosi la ferita e sentendola ardere, come se un fuoco primordiale gli fosse entrato dentro. Fece per rimettersi in piedi, ma per un momento la vista gli si appannò, e crollò sulle ginocchia, febbricitante. L’ultimo suo pensiero, mentre confuse immagini di una lotta continua tra luce e ombra si susseguivano nella sua mente, andò all’amico che lo aveva accompagnato in Asia. Quindi svenne, senza sapere dove fosse finito Kiki.

 

Il ragazzino infatti, dopo essere stato immobilizzato da Biliku e avvolto in quel bozzolo per morire, aveva iniziato a perdere conoscenza, debole, stanco e con profonde difficoltà respiratorie. Lentamente aveva sentito i sensi abbandonarlo e la vita scorrere via, prima che una voce lo risvegliasse di scatto.

 

“Kiki! Che fai, già ti arrendi? Non vorrai morire adesso e non diventare mai un Cavaliere, come hai sempre sognato?!” –Esclamò una donna, e Kiki, anche se intontito e debole, la riconobbe subito.

 

“Mamma!” –Mormorò.

 

“Coraggio, figlio mio! Trova la forza per reagire! Sei l’ultimo discendente di Mu, l’ultimo di una stirpe di uomini saggi e potenti! In te scorre il sangue del nostro popolo, un sangue che ribolle di forza e di sapienza! Dimostrati degno di questa eredità! Dimostrati degno del sapere che ti è stato affidato!” –Lo incitò sua madre. –“Alzati, adesso!”

 

Kiki, incantato dalle parole di sua madre, bruciò il proprio cosmo, molto più di come aveva fatto fino ad allora, dando fondo a tutte le sue risorse, come nello scontro con Thanatos, desideroso di non deludere sua madre e gli insegnamenti ricevuti da suo fratello. Di dimostrarsi all’altezza, di non essere soltanto un’appendice, ma di possedere lo spirito di un vero Cavaliere. Lasciò esplodere il suo cosmo, in un’abbagliante luce color verde acqua, e quando riaprì gli occhi si accorse di essere di nuovo nella foresta, fuori dal tempio della Dea Ragno. Un po’ stordito, Kiki si tirò su, toccandosi la testa indolenzita e osservando le sue vesti, lacere e sporche di quella vischiosa sostanza. D’un tratto si ricordò dell’amico, ancora alle prese con la terrificante creatura.

 

“Andromeda!!!” –Gridò, balzando in piedi e accorgendosi di essere sul tetto di un edificio laterale del tempio, non troppo distante dalla costruzione in cui erano entrati originariamente. Concentrò il proprio cosmo, cercando di vincere le resistenze spaziotemporali di quel luogo mistico, ma non riuscì a muoversi di un passo. Non riuscì a teletrasportarsi all’interno del tempio, ancora protetto dagli ancestrali poteri della Donna-Ragno. Sospirando, e cercando di accantonare la paura che provava al solo pensiero di entrare di nuovo in quell’anfratto oscuro, Kiki balzò a terra, rotolando sul terreno erboso, prima di scattare verso l’edificio principale, deciso a sfruttare nuovamente la porta d’ingresso per accedere al tempio.

 

Ma ancora prima di giungere di fronte all’entrata percepì due violente emanazioni cosmiche, che, seppure non ostentassero la loro oscurità così chiaramente, sprigionavano una potente energia satura di ombra. Due emanazioni cosmiche che apparvero proprio di fianco a lui.

 

“Chi è questo ragazzino?!” –Esclamò un uomo alto e robusto, afferrando Kiki per la maglietta e sollevandolo da terra.

 

“Non deve essere uno delle tribù! I suoi lineamenti sono diversi da quelli degli indigeni!” –Intervenne un altro avvicinandosi. Alto e magro, un po’ curvo sullo schiena, con lunghi capelli marrone sbiadito che scivolavano sinuosi sulla sua nera corazza, le cui oscene fattezze parevano rappresentare le squame di un serpente, Iaculo sembrava proprio uno storpio.

 

“Certo che no! Indigeno io?! Pfui! Ma per chi mi avete preso? Io sono molto acculturato!” –Esclamò Kiki, facendo la linguaccia.

 

“Che caratterino! Interessante!” –Ironizzò l’uomo alto e magro. E a Kiki sembrò di sentirlo quasi sibilare.

 

“Cos’ha di interessante questo moccioso, Iaculo?” –Brontolò l’uomo robusto, scrutando Kiki con attenzione e storcendo il naso, nel percepire il disgustoso odore che emanava. –“Credo che non si lavi da settimane!”

 

“Lui niente! Ma i resti di filamenti sul suo corpo mi fanno pensare che abbia incontrato Biliku!” –Esclamò Iaculo, sfregandosi le mani, prima di esplodere in una sottile sghignazzata, alla vista di Kiki irrigidirsi impaurito al solo udire il nome della Donna-Ragno.

 

“Non so come tu abbia fatto a sfuggire a quel mostro, ragazzino! Ma certo non sfuggirai a noi!” –Tuonò l’uomo robusto, con voce possente.

 

“Buono tu, Iemisch! Non terrorizzarlo! Possiamo estorcergli qualche informazione… prima di ucciderlo! Ih ih ih!” –Sibilò Iaculo.

 

“Da me non saprete niente! Piuttosto voi chi siete?” –Brontolò Kiki, dimenandosi, ma Iemisch non accennava a lasciarlo andare.

 

“Puoi chiamarci “i controllori”! Ah ah ah!” –Esclamò Iemisch, prima di sbattere con forza Kiki contro un albero. –“Adesso parla, bamboccio! Che ne è stato del tuo compagno? Dov’è il Cavaliere di Andromeda?”

 

“Perché non lo credete direttamente a Biliku?!” –Gridò Kiki, rimettendosi in piedi e scattando via, in direzione del tempio.

 

“Fermati, maledetto!” –Esclamò Iaculo, dirigendo verso di lui cinque lance di energia cosmica, che si piantarono nel terreno proprio di fronte ai piedi di Kiki, fermando la sua avanzata, come una palizzata che sorge improvvisa. –“Non abbiamo voglia di scherzare, ragazzino!”

 

“Se è per questo nemmeno io!” –Gridò Kiki, concentrando il cosmo tra le mani e lanciando un paio di sfere di energia contro i due uomini, che non ebbero alcun problema ad evitarle semplicemente spostandosi di lato. –“Oh oh!” –Mormorò il bambino, vedendo Iaculo sollevare nuovamente la mano destra al cielo e caricare le proprie dita di cosmo, fino a farle allungare e divenire lunghe aste di energia.

 

“Parla ora, o taci per sempre!” –Esclamò Iaculo, muovendo il braccio avanti a sé. Ma prima che potesse scagliare le cinque lance di energia, venne afferrato al polso da una lunga catena luminosa e strattonato all’indietro, obbligato a vedere in faccia il volto di colui che aveva fermato il suo attacco. –“Andromeda!!! Sei ancora vivo?”

 

“Vivo e più in forma che mai!” –Esclamò il ragazzo, richiamando a sé la propria Catena, mentre Kiki si teletrasportava per riapparire al suo fianco, di fronte agli occhi sgranati di Iemisch e Iaculo. –“Voi piuttosto, chi siete? E come fate a conoscere il mio nome?”

 

“Siamo coloro che finiranno il lavoro, Andromeda!” –Ironizzò baldanzoso Iemisch, entrando nella conversazione. –“Perciò facci un favore! Lasciati uccidere, come Flegias ha ordinato che sia! E sentiti lieto di divenire il mio trofeo di caccia!”

 

“Flegias?! C’è dunque lui dietro tutto questo? Cos’altro ha ordito quel bastardo figlio di Ares?” –Esclamò arrabbiato Andromeda, non dimentico del dolore e delle morti causate dal Flagello degli Uomini.

 

“Questo!!!” –Esclamò Iaculo, dirigendo contro Andromeda un violento attacco, costituito da cinque lance di energia che si piantarono nel terreno davanti e accanto a lui, obbligandolo a schizzare via, portando Kiki con sé.

 

Catena di Andromeda! Viaaa!!!” –Gridò il ragazzo, lanciando avanti la sua guizzante Catena, che sfrecciò verso i due uomini, obbligandone uno a scansarsi, per non essere investito.

 

L’altro invece rimase curiosamente al suo posto, irrigidendo il corpo e caricandosi di una violacea energia, prima di scattare come una lancia verso Andromeda. Strusciò contro la Catena, senza venirne frenato, piantandosi con forza contro il pettorale dell’Armatura Divina del Cavaliere di Atena, spingendolo indietro, fino a farlo schiantare contro uno dei millenari alberi della foresta equatoriale.

 

“Ouch!” –Mormorò Andromeda, rialzandosi e toccandosi il petto, ancora caldo per l’assalto subito. –“Che singolare tecnica di assalto! Lanciarsi come un’asta contro il nemico, per trafiggerlo?!”

 

Iaculo son io, il Serpente Giavellotto!” –Esclamò l’uomo che lo aveva abbattuto, atterrando compostamente davanti a lui. –“Il Capitano dell’Ombra custode dei veleni degli uomini! Quei sentimenti di odio e di invidia, di brama e di sospetto, o di trame nascoste, che hanno provato nella vita, e che hanno avvelenato il loro cuore, depravandolo nel peccato!”

 

“Ed io sono Iemisch!” –Intervenne l’uomo alto e robusto. –“La possente Tigre d’Acqua, i cui artigli sono così potenti da dividere in due i flutti di un fiume!”

 

“Iaculo?!” –Mormorò Andromeda, rimettendosi in piedi. –“Ricordo qualcosa! È una delle strane bestie citate da Plinio il Vecchio nella Naturalis Historia! Gli Iaculi cacciano restando sopra gli alberi, aspettando che la preda passi sotto di loro e lanciandosi come frecce contro di essa, per trafiggerla sul colpo! Ugualmente tu, guerriero che ne sfrutti i poteri, ti scagli contro i nemici per ucciderli! E ci saresti riuscito se non avessi indosso la mia Armatura Divina!”

 

“Adesso che le presentazioni sono state fatte, Cavaliere di Andromeda, spero che morirai più facilmente! È sempre bello sapere il nome del proprio carnefice! Soprattutto se questi è uno dei possenti e oscuri Capitani dell’Ombra!” –Sogghignò Iaculo, sollevando la mano destra verso Andromeda e concentrandovi il cosmo.

 

“Capitani dell’Ombra? Che titolo è mai questo?!” –Gridò il ragazzo, ma Iaculo lo zittì dirigendogli contro il suo assalto.

 

“Contentati di sapere il tuo! Colui che morrà! Concatenazione!!!” –E migliaia e migliaia di lance, lunghe e appuntite, caddero dal cielo, piovendo su Andromeda, obbligato a schizzare in mille direzioni diverse per evitarle. Così facendo però si espose all’assalto del secondo avversario, la possente Tigre d’Acqua, che caricò ringhiando, travolgendolo con i suoi artigli di pura energia. Roventi, si conficcarono negli spazi non protetti dall’armatura, incendiando i vestiti e la carne, e facendo gridare Andromeda dal dolore, mentre profondi squarci si aprivano sul suo corpo e la corazza si crepava in più punti.

 

“È veloce costui! E i suoi attacchi sono precisi e potenti! Tantissimi, cadono a pioggia su di me, come il pentagramma di energia di Mime! Ma devastanti come gli artigli di Alcor!” –Rifletté Andromeda, sollevando la Catena per difendersi. Ma la foga di Iemisch lo travolse ugualmente, sbattendolo a terra, con la faccia sul terreno.

 

“Andromedaaa!!!” –Gridò Kiki, correndo in aiuto dell’amico. Ma questi lo pregò di non preoccuparsi e gli consegnò un’ampolla carica di un liquido dal colore rosso scuro.

 

“Torna al Grande Tempio, Kiki! Adesso!!!” –Sorrise Andromeda, mettendo una mano sulla testa del ragazzino e arruffandogli i capelli, come erano soliti fare quando giocavano insieme.

 

“Ma Andromeda…” –Mormorò Kiki, con gli occhi lucidi. –“Non me ne andrò senza di te!”

 

“Sei grande abbastanza per capire quando è il momento di comportarsi da uomini!” – Ma Andromeda non riuscì ad aggiungere altro che Iemisch fu subito su di loro, caricandoli e sbattendoli a terra, uno su un lato e uno sull’altro. Iaculo fece cadere una nuova pioggia di lance energetiche su Andromeda, obbligandolo a ricreare la sua difesa circolare, su cui l’attacco del Capitano dell’Ombra si infranse. Ma Iaculo non demorse, irrigidendosi e caricando nuovamente con tutto il suo corpo, con lo scopo di trafiggere Andromeda. Non ci riuscì, grazie alla difesa della sua Catena, ma fu comunque in grado di spingerlo indietro, facendolo ruzzolare a terra, proprio mentre Iemisch si avventava su Kiki come una belva pronta a sbranare.

 

“Cedimi quell’ampolla, marmocchio!” –Ringhiò il Capitano dell’Ombra.

 

“Né ora né mai!” –Rispose Kiki con una smorfia, prima di scomparire dal suo campo d’azione e ricomparire dietro di lui, con una sfera di energia tra le mani. –“Prendi, bestione!”

 

Ma l’attacco di Kiki venne afferrato da Iemisch semplicemente con la mano destra, che riuscì a contenere il piccolo globo energetico, rinviandolo poi contro il ragazzo. Kiki venne spinto indietro dall’esplosione della sfera, perdendo la presa dell’ampolla col sangue di Biliku, che rotolò per qualche metro sul terreno. Iaculo, a tal vista, gli diresse contro una pioggia di lance energetiche, per circondarla interamente, creando una barriera così stretta che Kiki non riusciva neppure a infilarci un braccio per recuperarla. Poco dopo Iemisch torreggiava nuovamente su di lui, guardandolo con i suoi occhi argentati, prima di calare la mano per afferrarlo al collo e strangolarlo. Ma Kiki, per quanto avesse deplorato fino in fondo quell’eventualità, scomparve all’istante, lasciando la mano di Iemisch ad afferrare l’aria, riapparendo all’interno della palizzata di energia creata dalle lance di Iaculo e recuperando l’ampolla perduta. Con un sorriso triste sul volto si voltò verso Andromeda, impegnato a combattere contro Iaculo, e pianse, prima di scomparire, lasciando definitivamente le Isole Andamane.

 

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Capitolo 9
*** Rossa è l'alba di Asgard ***


CAPITOLO SETTIMO: ROSSA E’ L’ALBA DI ASGARD

CAPITOLO SETTIMO: ROSSA E’ L’ALBA DI ASGARD.

 

Quando quella mattina Cristal il Cigno si svegliò, trovò il grande letto vuoto. Le lenzuola sfatte, l’odore di donna ancora nell’aria. Allungò una mano, per sfiorare il corpo della Principessa di Asgard, ma si accorse che il materasso era freddo. Flare doveva essersi alzata già da parecchio tempo.

 

Sbadigliando, Cristal si sollevò dal letto e scese al piano di sotto dell’immenso palazzo di Midgard, dopo essersi concesso un bagno rigenerante. La trovò nel Salone del Fuoco, ritta di fronte ad una grande finestra, intenta ad osservare in silenzio il paesaggio innevato d’autunno. Nella direzione che volgeva ad Asgard. Alla vera Asgard. La città di Odino al di là delle nuvole.

 

“Buongiorno Principessa!” –Esclamò il Cavaliere di Atena. –“Vi siete svegliata presto questa mattina!”

 

“Ben alzato Cavaliere!” –Sorrise Flare, voltandosi verso il ragazzo e mettendo via tutti i malinconici pensieri che l’avevano dominata nelle ultime ore. O forse negli ultimi mesi. Da quando aveva perso l’amico con cui era cresciuta e aveva condiviso la vita fin dall’infanzia. L’amico che non aveva mai capito cosa rappresentasse davvero per lei finché non era morto. E con lui tutti i suoi ricordi.

 

“Qualcosa vi turba?” –Mormorò Cristal, afferrandole le mani con le proprie e fissandola con i suoi occhi di ghiaccio.

 

“Sono soltanto stanca!” –Si limitò a rispondere lei, scansando le mani del ragazzo e facendo cenno di incamminarsi verso la tavola, dove alcuni servitori avevano già imbandito un’abbondante colazione.

 

Già! Sono stanca di molte cose! Della guerra, che fa strage ogni giorno di uomini e di ideali! Di Cavalieri che combattono, e che antepongono il dovere guerriero agli affetti personali. E forse anche di me stessa, che stupida e indolente non riesco a focalizzare la mia strada, il sentiero da seguire per sopravvivere in questa valle di lacrime! Rifletté Flare, sedendo alla grande tavola con Cristal, che continuava ad osservarla, a squadrare il suo sguardo assorto, quasi volesse penetrare i suoi pensieri.

 

“Credo che questa mattina me ne andrò!” –Esclamò infine, sperando così di catturare l’attenzione della ragazza. –“Devo tornare ad Atene! Sento nubi nere addensarsi sopra i cieli di Grecia!”

 

“Quando mai i nostri cieli sono stati tinti di colori diversi?” –Rispose sarcastica Flare. –“Negli ultimi anni gli unici colori che sono stata abituata a vedere al mattino, alzandomi dal mio letto solitario, sono stati il rosso, del sangue dei martiri caduti per un ideale, di pace o di guerra, e il nero, dell’ombra che tutto sovrasta! Dell’ombra che sembra lambire nuovamente i confini di Asgard!”

 

“Non dite così, Principessa! Voi dovete vedere anche i colori della luce e della speranza!” –Esclamò Cristal, con un sorriso.

 

“Temo di aver perso ogni attesa nel futuro!” –Mormorò Flare. –“E la vostra partenza è solo un altro amaro boccone da ingoiare!”

 

“Credevo avreste potuto approfittare di questo momento per stare da sola! E per riflettere! Su ciò che volete!” –Esclamò Cristal. E a Flare quella apparve come una sentenza.

 

“Hai ragione!” –Commentò infine, dandogli nuovamente del tu, come era solita fare nelle loro serate intime, quando si lasciava andare, stringendosi al petto dell’uomo che amava, di fronte al fuoco del caminetto. In quei momenti, in cui davvero sembrava felice, dimenticava di essere la Principessa di Asgard, Signora di un regno obliato dagli Dei e dal sole, per essere soltanto Flare. Come avrebbe davvero voluto essere.

 

“Prima di andarmene, vorrei salutare vostra sorella! Se è possibile!” –La voce di Cristal la rubò ai suoi pensieri. –“Sono molti giorni che non ho il piacere di incontrarla!”

 

“Per la verità anch’io, Cavaliere! Mia sorella è diventata irraggiungibile! Chiusa nella sua stanza, nella torre più alta del Palazzo di Midgard, Ilda trascorre le sue ore in preghiera, e a studiare antichi tomi della nostra Biblioteca! Solo in pochi l’hanno avvicinata di recente, per consegnarle dell’acqua e qualcosa da mangiare, e quei pochi hanno riferito di aver visto una sovrana pallida e smunta, lo spettro dell’ardita Regina che era un tempo! Un’ombra!” –Confessò infine, con forte apprensione. –“Un’ombra offusca i suoi pensieri, ne sono certa! L’ho vista la prima volta quando sono ritornata a Midgard dopo i giorni trascorsi alla corte di Odino, nella vera Asgard! E da quel momento, per quanto lieti notizie giungessero dalla Grecia, sulla sconfitta di Ares e di Tifone, mia sorella ha perso il sorriso, chiudendosi in un mondo di silenzio, e celandomi le chiavi per potervi accedere!”

 

“Non abbiate timore! Vostra sorella è una donna forte! Ha affrontato grandi prove nel corso della vita, sopportando il peso di colpe che non le appartenevano e dimostrando un’infinita generosità! Non posso dimenticare l’aiuto che ci ha donato durante la scalata all’Olimpo! È stata disposta a dare la vita per Atena e per salvare la Terra! Chi dimostra un cuore così puro, un affetto così sincero, abbaglia i mondi con la sua fede!” –Sorrise Cristal.

 

Ma Flare, per quanto ricambiasse stanca il sorriso del ragazzo, non parve molto convinta, limitandosi ad annuire stanca. Fece chiamare Enji, un servitore, chiedendogli di avvisare la Regina di Asgard della partenza del Cavaliere del Cigno.

 

“La Celebrante di Odino non si trova nelle sue stanze! Mi hanno detto di averla vista al promontorio ghiacciato! Pare che vi abbia trascorso molte ore questa mattina a pregare il Signore degli Asi!” –Esclamò Enji, prima di ritirarsi.

 

“Con questo vento?!” –Brontolò Flare, tirando un’occhiata fuori dalla finestra e vedendo fredde raffiche smuovere il paesaggio innevato, tinteggiando le strade e i tetti degli edifici di spruzzi di neve. Non era ancora iniziato il vero inverno nordico, ma i prodromi erano già tutti presenti. –“Mia sorella non ha ancora perdonato se stessa per i suoi errori! E cerca in ogni modo di lenire il senso di colpa!”

 

“Vediamo se riusciamo a parlarle…” –Esclamò Cristal, alzandosi dal tavolo e incamminandosi verso l’uscita. Flare lo seguì poco dopo ed entrambi uscirono nel freddo mattino di Midgard avvolti in lunghe pellicce, che li riparavano un poco dal vento gelido.

 

Percorsero in silenzio l’antica strada fino al promontorio ghiacciato, lo stesso su cui Lady Isabel, l’anno precedente, aveva pregato Odino affinché i ghiacci non si sciogliessero. Lo stesso su cui la Celebrante del Signore degli Asi era solita recarsi per rendere grazia al suo Dio ed elevargli una preghiera.

 

La trovarono là, in ginocchio sul freddo suolo di quel pezzo di terra, con le mani giunte e la testa china, immobile come una statua. A giudicare dalla neve caduta sul mantello e sui capelli, doveva essere intenta a pregare il Dio da parecchie ore, generosa e temeraria, incurante del freddo che le era entrato nelle ossa.

 

Flare avrebbe voluto chiamarla, ma Cristal la pregò di non disturbare la sua preghiera, di non rompere l’armonia della sua concentrazione. Probabilmente Ilda aveva già sentito che il ragazzo se ne sarebbe andato quella mattina ed egli non aggiunse altro, limitandosi a volgerle le spalle con un sorriso, augurandole che la preghiera potesse compensare le colpe di cui continuamente si accusava e lenire i suoi affanni. Flare rimase immobile, combattuta sul da farsi, prima di correre dietro a Cristal, prendendolo per una mano e facendolo voltare, con lo stupore per la prima volta negli occhi.

 

“Torna da me!” –Gli sussurrò, prima di tirarlo a sé e baciarlo. –“Sono soltanto una Principessa impaurita, il cui cuore non ha mai dimenticato i giochi d’infanzia, incapace di chiudere il cassetto della memoria e metterli via! Ma questo non significa che non sia capace di comprendere i sentimenti di coloro che mi dimostrano affetto!”

 

Cristal sorrise, ricambiando il bacio della ragazza, ma prima che potesse aggiungere qualsiasi parola un boato improvviso scosse entrambi, facendo tremare il suolo lungo tutta la costa. E fin quasi al castello lontano. Un secondo boato, che spinse Cristal e Flare a terra, fu accompagnato da violenti spruzzi di acqua gelata, che il mare schizzò contro di loro, mentre un’immensa massa oscura sorgeva dalle sue profondità.

 

“Che diavolo succede?!” –Mormorò Cristal, rimettendosi in piedi e aiutando Flare a fare altrettanto.

 

“Cos’è quello?!” –Gridò la principessa, indicando un mostro colossale comparso nel mare di Asgard. –“Ildaaa!!!” –E corse in direzione del promontorio ghiacciato, dove la Celebrante di Odino si era appena messa in piedi, con gli occhi pieni di stupore e di paura.

 

Era una creatura immensa, dal corpo lungo decine di metri, in parte ancora immersa nell’acqua fredda del Mare Artico. Aveva denti spaventevoli, dalle cui fessure parevano uscire le fiamme dell’inferno, e un’oscena pelle squamata, formata di scaglie come fosse una corazza. Sembrava un drago, o forse un immenso coccodrillo. Ilda non sapeva descriverlo meglio, non avendo mai incontrato una simile figura, se non nei libri di storia o nelle illustrazioni dei testi dell’Antico Testamento. Anche Cristal e Flare, avvicinatisi alla costa, fissavano con sgomento quella gigantesca apparizione, osservando con quale brutalità sbatteva la sua immensa coda contro la terraferma, scuotendola fino in profondità.

 

“Ecco là! Il mare grande, vasto, immenso… e il mostro che Tu hai creato per scherzare con esso!” –Esclamò improvvisamente una voce maschile. –“Riconoscete questi versetti, voi Cavalieri di Grecia, che di cultura dovreste essere imbevuti, e non soltanto di strategie belliche?” –E nel dir questo un cosmo aggressivo apparve poco distante, invadendo l’aria con le sue striature grigiastre.

 

“Chi sei? Palesati!” –Gridò Cristal, proprio mentre l’uomo avanzava verso di loro.

 

Non era molto alto, non più di Cristal certamente, ma era robusto e dal fisico curato. Il suo viso sembrava quello di un adulto, nonostante la pelle chiara e i corti capelli biondi indubbiamente lo ringiovanissero. Sul collo un graffio in bella mostra, forse il residuo di una vecchia battaglia. Gli occhi piccoli, di colore argento, sormontati da sopracciglia così chiare da sembrare inesistenti. Nello sguardo una luce di crudeltà che a Cristal parve di aver già veduto. Indossava un’Armatura nera come la notte, decorata da fregi argentati e violetti, le cui fattezze richiamavano quelle oscene della bestia appena sorta dal mare. Quelle del Leviatano.

 

Livyatan son io! L’avvolto! Il Capitano dell’Ombra che si nutre della brutalità degli uomini! Come il simbolo che mi rappresenta, il possente Leviatano, espressione della volontà Divina, caos primordiale, potenza priva di ogni controllo, io esprimo la violenza animalesca insita nel cuore degli uomini, la loro bestialità sopita!” –Si presentò l’uomo.

 

“Leviatano hai detto? Non era forse un mostro biblico? Ricordo che mia madre me ne parlò da bambino, leggendomi alcuni brani dei Salmi e del libro di Giobbe! Un mostro incontrollabile! Se la sua potenza fosse scatenata non oso pensare cosa potrebbe accadere!” –Mormorò Cristal, pregando Flare di mettersi dietro di lui.

 

“Non ti chiedo di pensare infatti! Poiché tu stesso tra poco vedrai i poteri del Leviatano! Lui è qua, giunto dal mare per portare la distruzione in quest’ermo di terra! Vai, Leviatano, e compi la tua opera!!!” –Gridò il Capitano dell’Ombra, mentre il possente mostro emetteva suoni bestiali, sbuffando fumo dalla bocca e muovendo la coda e tutto il suo corpo.

 

Immediatamente il suolo fu scosso in profondità, e a Cristal e Flare parve di trovarsi nell’epicentro di un terremoto. Ilda, ancora sul promontorio sacro, osservò la coda del Leviatano distruggere il lembo di terra che lo congiungeva alla terraferma, lasciandola sola, in cima al picco ghiacciato, mentre le fauci della creatura torreggiavano su di lei.

 

“Ildaaa!!!” –Urlò Flare, alla vista della sorella indifesa di fronte a quel mostro.

 

“Maledizione!!!” –Strinse i pugni Cristal, lanciandosi avanti. Ma subito il Capitano dell’Ombra fu su di lui, gettandolo a terra con un pugno sul viso e facendolo ruzzolare sul pendio ghiacciato.

 

“Non così in fretta, biondino!” –Esclamò l’uomo. –“Il Leviatano non ha certo bisogno di me per portare la distruzione ad Asgard! Non mi aspettavo di trovarti qua, ma la tua presenza mi riempie il cuore di gioia! Da molto desideravo affrontare un Cavaliere di Grecia! Perciò alzati e combatti! Difendi la gloria di Atene!”

 

“La gloria di Atene?! Ma che stai dicendo? Chi sei tu, che giungi qua, nelle pacifiche terre del Nord, a portar guerra e follia?” –Ringhiò Cristal, rimettendosi in piedi.

 

“Un uomo che ha perso un fratello, e che adesso chiede vendetta!” –Si limitò a rispondere il Capitano dell’Ombra, lanciandosi avanti alla velocità della luce, con il pugno chiuso e puntando su Cristal.

 

Il ragazzo fu svelto a scansarsi di lato, ma non poté evitare di essere colpito allo sterno dall’altro pugno. E poi sulle spalle, e di nuovo sulle spalle, finché non fu costretto a prostrarsi in ginocchio sul terreno ghiacciato. Quindi il Capitano dell’Ombra lo afferrò per il colletto della pelliccia, fissandolo con occhi pieni di disprezzo, prima di scagliarlo in alto, avvolto in un turbine di energia.

 

“Sollevati, Leviatano!!!” –Gridò l’uomo, mentre Cristal ricadeva a terra, rotolando sul terreno, con numerosi tagli sul corpo e i vestiti lacerati.

 

In quella il Leviatano si abbassò sulla Celebrante di Odino, emettendo violenti sbuffi di fumo dalla bocca, mentre Ilda cercava di mantenersi a distanza, per non respirare quell’aria venefica. Sbatté nuovamente la coda sul promontorio, distruggendone un altro pezzo e facendo tremare ancora la costa circostante. E poi un altro ancora, fino ad annientarlo completamente, scaraventando Ilda nelle fredde acque del Mare Artico. La Regina di Asgard cercò svelta di aggrapparsi a qualche lastrone sporgente, per uscire subito dalle gelide acque, ma il Leviatano, con la sua immensa mole, smuoveva con foga l’intero mare, aumentando le difficoltà dell’operazione.

 

Cristal, rimessosi in piedi, con il labbro inferiore sanguinante, tirò un’occhiata verso il mare, inorridendo a tale scena. Ma per un attimo non seppe cosa fare, intrappolato da due nemici mortali. Fu Flare a venire in suo soccorso, gridando al ragazzo di non guardarsi indietro. E risparmiandogli così una scelta che non sapeva prendere.

 

“Salva mia sorella, Cavaliere!!! Ti prego! Salva la Celebrante di Odino!” –Urlò Flare, rimasta qualche metro dietro di lui, prima che il Capitano dell’Ombra la colpisse con uno schiaffo secco e la sbattesse a terra.

 

In un modo o nell’altro, Cristal sapeva che avrebbe perso.

 

Chiuse gli occhi, reprimendo la rabbia montante, cercando di raggiungere quello stato di intangibilità morale che Acquarius aveva cercato di insegnargli alle Dodici Case. Quindi scattò come un fulmine verso la riva, gettando via la pelliccia poco prima di tuffarsi nel mare ghiacciato. Se avesse potuto in quel momento avrebbe sorriso, realizzando di essere ancora ben lontano da quel freddo stato ideale tanto cantato da Acquarius.

 

“Sciocco!” –Mormorò il Capitano dell’Ombra, osservando il biondino dimenarsi nelle acque agitate dal Leviatano, la cui oscura presenza incombeva sull’intera costa, tra grida bestiali e sbuffi di fumo. Quindi si voltò verso la Principessa di Asgard, che si toccava la guancia gonfia dove l’uomo l’aveva colpita poco prima, e le rivolse un sorriso beffardo e gelido. –“Veniamo a noi adesso! Inizierò a estirpare la dinastia dei Polaris proprio da te!” –E si mosse per avvicinarci a Flare, che rimase distesa sulla neve, bloccata dal freddo e dalla paura.

 

Soltanto quando l’uomo fu a pochi passi, la Principessa si sollevò di scatto, sfoderando un pugnale nascosto dalla pelliccia e mirando alla gola dell’uomo. Per quanto non amasse portare armi con sé, Flare era stata costretta a cedere alle richieste di Ilda, che dopo la ribellione del conte Turin temeva ulteriori disordini.

 

“Tentativo fallito!” –Esclamò questi, fermandole la mano a mezz’aria e piegandola all’indietro, strappando a Flare un grido di dolore. –“Adesso ti resta solo un’opzione! Quella di morire!” –E la strattonò con forza, gettandola nuovamente a terra, poco distante dal pugnale che non era riuscita ad utilizzare. Quindi le calpestò il polso, schiacciando uno ad uno i suoi fragili diti di donna, sghignazzando soddisfatto, mentre Flare, dolorante, cercava di rialzarsi. –“Muori!” –Gridò infine, sollevando il tacco, pronto per sfondarle la testa. Ma proprio in quel momento un nugolo di frecce saettò nell’aria, conficcandosi nel terreno attorno a lui e obbligandolo ad un improvviso balzo indietro. –“Chi osa fermarmi?”

 

“Non osare avvicinarti alla Principessa di Asgard!” –Esclamò la voce di un ragazzino, subito seguito da altre, giovani e squillanti come la sua. –“Allontanati, uomo oscuro!” –E una nuova scarica di frecce scivolò nell’aria, conficcandosi ai piedi del Capitano dell’Ombra, che balzò nuovamente indietro, individuando il punto da cui proveniva l’assalto.

 

C’era un gruppo di ragazzetti, di quattordici anni, non di più, riuniti sulla cima del colle vicino, ricoperti da pezzi di pelle e di cuoio, che incoccavano archi e portavano asce e lame alla cintura. Dalle voci sembravano decisi, ma lo sguardo tradiva un’infinita paura. Livyatan sogghignò, prima di portare avanti il pugno e scagliare un violento attacco di energia contro la base del colle, facendolo esplodere in uno scoppio di roccia e neve, mentre i ragazzi venivano scaraventati in ogni direzione. Uno di loro però riuscì ad anticipare l’attacco del Capitano dell’Ombra, balzando in alto poco prima che il suo pugno sfondasse il colle e atterrando non molto distante da lui, stringendo in mano una lancia d’argento.

 

“Per Asgard!!!” –Gridò, scagliandola verso la gola dell’uomo, che, per quanto fu in grado di evitarla semplicemente spostandosi a destra, dovette ammettere di aver sottovalutato quel ragazzetto, la cui agilità era a dir poco prodigiosa. O sospetta.

 

“Così giovane e così desideroso di morte? La vita forse non ti attrae, che preferisci lo sterile abbraccio della Nera Signora?” –Sogghignò il Capitano dell’Ombra, muovendo di scatto il braccio destro e dirigendo contro il ragazzo decine e decine di scaglie della propria Armatura.

 

Il giovane arciere si mosse per evitarle, balzando di lato e compiendo acrobazie su se stesso, ma non poté evitare di essere raggiunto ad un polso. La strana scaglia si conficcò dentro di lui, strappandogli un grido di dolore nel sentire un’improvvisa fiamma accendergli il corpo. La osservò, e gli sembrò proprio la scaglia di un drago, viscida e sinuosa, prima di strapparla e gettarla via. Ma questo non fece diminuire il suo dolore, rendendogli difficoltoso l’utilizzo della mano destra.

 

“Sono le scaglie del Leviatano! Intrise del suo immenso ardore, un fuoco inestinguibile che ti divorerà da dentro!” –Commentò il Capitano, prima di allontanarsi e dirigersi verso la Principessa di Asgard.

 

“Aspetta!!! Dove vai? Vuoi umiliarmi così?” –Gridò il ragazzo.

 

“Umiliarti?! Morirai tra poco, divorato dall’interno dalla fiamma del Leviatano! Accetta il fato che hai scelto e lasciami completare la mia opera!” –Rise l’uomo, continuando a volgergli le spalle.

 

“Tutta quest’arroganza non può restare impunita!” –Esclamò il ragazzo, con una luce di determinazione negli occhi. –“Bard l’arciere, allievo del grande Orion, non accetta quest’umiliazione!” –E incoccò una freccia, nonostante la mano gli dolesse e gli rendesse i movimenti più difficili. –“Vai, freccia di Asgard!” –Aggiunse, rivelando per la prima volta il suo cosmo bianco e azzurro. Pallido se confrontato con l’immenso cosmo oscuro del Leviatano, ma sufficiente per ridargli fiducia e spingerlo a non mollare.

 

Il Capitano dell’Ombra allora si voltò, proprio mentre la freccia scoccata da Bard si schiantava contro il collare protettivo della sua armatura, esplodendo poco dopo tra scintille e fumo.

 

“Incredibile!” –Balbettò il ragazzo, mentre una grande nube si espandeva attorno al Capitano dell’Ombra, un cosmo simile agli sbuffi di fiamme del mostro che in quel momento scuoteva le coste di Asgard.

 

“Cosa credevi, ragazzino? Il mio potere è pari a quello del Leviatano! Anzi, è lo stesso! E tu che hai osato offenderlo adesso lo sentirai interamente!” –Esclamò l’uomo con voce decisa, mentre il cosmo turbinava attorno a sé, assumendo la forma di immensi marosi. In quel momento, gli altri ragazzini amici di Bard accorsero in fretta, per difendere l’amico, scagliando nugoli di frecce e asce contro l’uomo. –“Sollevatevi, frangenti di distruzione!!!” –Gridò, mentre il suolo esplodeva di fronte a lui e immense onde di acqua scura scagliavano in alto Bard e i suoi amici, di fronte agli occhi addolorati di Flare, sbattendoli poi a terra con violenza, schiacciandoli con un peso troppo grande affinché i loro giovani corpi potessero sopportarlo.

 

Quando l’immenso potere dei frangenti oscuri parve scemare, il paesaggio costiero era completamente distrutto e i corpi agonizzanti degli arcieri giacevano in mezzo a macchie di sangue. Flare, raggiunta in parte dai potenti marosi, avanzava nel fango, trascinandosi sul terreno, per raggiungere la costa e trovare Cristal con lo sguardo.

 

Il Cavaliere del Cigno era duramente impegnato ad affrontare l’immonda creatura la cui stazza pareva riempire il mare. Grande e grosso, ma anche agile e molto resistente, il Leviatano sembrava esprimere veramente la potenza della Creazione. La potenza di una forza primigenia in grado di modellare il mondo a suo modo. Un violento colpo di coda spezzò il lastrone su cui Ilda e Cristal cercavano di stare in piedi, scagliandoli nuovamente in mare. Il ragazzo nuotò subito verso Ilda, che annaspava nella torbida corrente, afferrandola e cercando di avvicinarsi alla costa. Ma la furia del Leviatano pareva non fermarsi minimamente, continuando ad agitare le acque e a dirigere contro di loro violenti sbuffi di fumo nocivo. Con un secco sbatter di coda scaraventò entrambi contro le pareti di ghiaccio della scogliera, dove Ilda si dibatté per cercare una sporgenza o un punto a cui aggrapparsi.

 

“Resta qua!” –Le disse Cristal perentoriamente, prima di bruciare il suo cosmo, bianco e candido come la neve, come il mondo ghiacciato che lo circondava. Gettò un’occhiata verso l’acqua increspata di fronte a lui e questa si congelò dopo poco, divenendo una rozza massa di ghiaccio che si unì ai lastroni sparsi tutt’attorno. –“Oooh!!!” –Mormorò, socchiudendo gli occhi e iniziando a muovere le braccia, quasi come fosse un cigno intento a sbattere le ali. Quindi scagliò due pugni verso l’alto, mentre una fitta cortina di ghiaccio iniziò a cadere sulla costa. –“Vortice… Fulminante… dell’Aurora! Viaaa!!!” –Gridò Cristal, sbattendo congiuntamente i pugni avanti e dirigendo il poderoso attacco contro il Leviatano.

 

Le acque e i lastroni sparsi nel mare attorno parvero fondersi gli uni agli altri, mentre il freddo cosmo del Cigno congelava ogni cosa attorno, iniziando a ricoprire il corpo squamoso del Leviatano di un freddo gelo, che scendeva sempre di più, facendosi sempre più resistente, all’aumentare del cosmo di Cristal. Ma il Leviatano si agitò, sbattendo la coda con forza e colpendo con violenza irrazionale il mare ghiacciato, squarciandolo in più punti, impegnando Cristal ad aumentare ancora il potere gelante del suo cosmo.

 

Ilda, vedendo il ragazzo mettere un ginocchio a terra, ancora intento a lanciare il suo colpo segreto, parve riscuotersi improvvisamente. Gettò via il mantello bagnato e corse avanti, affiancando Cristal con il proprio cosmo scintillante.

 

“Odinooo!!!” –Gridò, allungando una mano verso il cielo e afferrando il suo tridente, che comparve brillando nel freddo mattino. –“Presto non ti agiterai più, bestione!” –Esclamò la Celebrante del Dio degli Asi, correndo avanti, incurante dello smuoversi della precaria piattaforma di ghiaccio. –“Vai, tridente di Polaris!!!” –Balzò in alto e diresse l’arma contro il ventre della creatura, mirando ad una zona spoglia da scaglie e da croste.

 

La punta del tridente si conficcò nel corpo rozzo della bestia, che subito si contorse, agitando selvaggiamente la coda, senza riuscire però a toglierla. Cristal approfittò di quel momento per rinnovare la potenza del suo assalto e ricoprire l’orrido corpo del Leviatano di uno strato di gelo, che raggiunse la fredda acqua del mare nordico, fondendosi con essa, divenendo un’immensa massa di ghiaccio. Ansimando per la fatica, il ragazzo crollò a terra, sul lastrone innevato, mentre Ilda tornava correndo da lui, per sincerarsi delle sue condizioni.

 

“Cristal!” –Mormorò la Celebrante di Odino, sfiorando il corpo del ragazzo. Freddo. Come la lastra di ghiaccio su cui erano accasciati, come il mare attorno a loro, come il vento che sferzava senza tregua i loro pallidi visi.

 

“Lascialo morire, Regina di Asgard! Presto sarà in buona compagnia!” –La chiamò improvvisamente una voce, obbligando Ilda a voltarsi verso la cima della scogliera, dove incontrò il divertito sguardo del Capitano dell’Ombra, in piedi a pochi passi dal dirupo, con il braccio destro sollevato davanti a sé e il collo di Flare stretto nel suo pugno.

 

“Flare!!!” –Gridò Ilda, correndo avanti e osservando la sagoma di sua sorella dimenarsi con forza, cercando di allentare quella morsa soffocante.

 

“Non temere, Ilda di Polaris, presto la raggiungerai!” –Sogghignò il Capitano. –“Sono venuto per te, per estirpare la tua dinastia e distruggere Asgard, cancellandola dalla storia! È questa la punizione che Flegias ha decretato per te! Per aver osato ostacolare l’avvento dell’ombra! Perciò non agitarti, prima tu o tua sorella che importanza vuoi che abbia? A chi vuoi che importi di sentirvi strillare? Tra pochi minuti, dopo che il Leviatano si sarà liberato, la sua furia annienterà Asgard, e tutta la sua gente!”

 

“Mai!” –Esclamò una terza voce, interrompendo la conversazione e obbligando Ilda a voltarsi verso Cristal, che cercava di rimettersi in piedi. –“Passerai sul mio cadavere prima di abbattere le mura di Asgard, maledetto!” –Aggiunse, sollevandosi infine e volgendo lo sguardo verso l’alta rupe, su cui la figura del Capitano dell’Ombra si stagliava.

 

“Non aspettavo altro che te, Cavaliere di Atena!” –Rispose sogghignando l’uomo, muovendo il braccio sinistro di scatto e dirigendo centinaia di scaglie verso il basso.

 

“Attenta!!!” –Gridò Cristal, lanciandosi su Ilda per proteggerla e rotolando con lei sul lastrone di ghiaccio.

 

Le scaglie di drago si conficcarono sulla piattaforma congelata, esplodendo all’istante, liberando violente vampate che incrinarono la lastra di ghiaccio, e poi la fecero schiantare. Livyatan scoppiò in una risata soddisfatta, prima di evocare il suo potere arcano, sollevando immense ondate nere, con cui travolse Ilda e Cristal, sbattendoli con foga contro la parete della scogliera. Desideroso ancora di divertirsi, il Capitano dell’Ombra tentò ancora di sollevare i suoi frangenti distruttivi, prima di accorgersi, con una punta di timore, che si erano completamente congelati.

 

“Ma… che cosa?!” –Esclamò stupefatto, alla vista di quegli alti marosi di acque nere bloccati davanti a sé, come se qualcuno avesse fermato il tempo. Come se qualcuno avesse fermato il loro movimento.

 

In quel momento esplose il cosmo del Cigno, mentre una violenta tempesta di ghiaccio iniziò a soffiare impetuosa attorno al corpo di Cristal. Una tempesta che non aveva niente di aggressivo, ma che invece parve cullarlo e rinfrancarlo. Una stella lampeggiò improvvisa nel cielo sopra di loro, calando su Cristal e rivelandosi poi come uno scrigno di luce, da cui l’Armatura Divina del Cigno uscì poco dopo, in tutto il suo splendore. Era l’unica, delle corazze dei cinque amici, a non essere stata potenziata dal mithril di Efesto, ma il tempo trascorso dal termine della Grande Guerra contro Ares era stato sufficiente per riparare i gravi danni subiti e darle nuova forza. Ilda sorrise, mentre l’Armatura si scompose in tanti pezzi, aderendo con cura al corpo del giovane Cavaliere. Un attimo dopo, Cristal era già lanciato verso l’alto, con le ali del Cigno spalancate dietro di lui, diretto verso il Capitano dell’Ombra.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 10
*** Una vendetta personale ***


CAPITOLO OTTAVO: UNA VENDETTA PERSONALE

CAPITOLO OTTAVO: UNA VENDETTA PERSONALE.

 

Con un balzo Cristal il Cigno si lanciò verso l’alta scogliera, a pugno teso contro il Capitano dell’Ombra, ma questi, forse aspettandosi il suo attacco, fu svelto a sollevare il braccio sinistro al cielo, evocando immensi marosi oscuri che spinsero il Cavaliere di Atena verso l’alto, al punto da scavalcare l’uomo e Flare, ancora stretta per il collo dal suo braccio destro. Cristal si liberò dall’agitata tempesta, balzando al suolo, proprio dove Bard e gli altri arcieri erano stati travolti poco prima. Il ragazzo si guardò un attimo attorno, senza capire chi fossero tutti quei giovani corpi sanguinanti, prima di concentrarsi nuovamente sul suo avversario.

 

“Senti questi scricchiolii, Cigno?” –Domandò il Capitano dell’Ombra. –“È la foga del Leviatano, che non può essere trattenuta! Presto la potenza della Creazione sarà nuovamente libera di esplodere, nuovamente pronta per portare il caos! E tu, uomo, conta i minuti che ti restano, gli attimi che ancora ti separano dal momento in cui dovrai affrontarla ancora!”

 

Ha ragione! Mormorò Cristal, sentendo scricchiolare il ghiaccio con cui aveva ricoperto il Leviatano e parte del Mare Artico attorno alla costa di Asgard. Quella bara di ghiaccio non resisterà a lungo! E a quel punto dovrò nuovamente occuparmi di due nemici allo stesso tempo! Infidi e pericolosi! E serrò i pugni, arrabbiato.

 

Livyatan sorrideva soddisfatto, avvolto nel suo nebuloso cosmo grigiasto, simile agli sbuffi di fumo della creatura primordiale, solleticando il volto di Flare con un dito, senza mai togliere lo sguardo dal Cavaliere del Cigno, sul cui volto si dipinse un’ardente collera. Ma gli insegnamenti di Acquarius, e lo spirito di saggezza, lo spinsero a essere cauto e a non lanciarsi a testa bassa contro il nemico. Sospirando, Cristal lasciò scivolare il suo freddo cosmo sulla ripa scoscesa, abbracciando il Capitano dell’Ombra e il terreno attorno, che subito iniziò a congelarsi in un’indistinta lastra di ghiaccio azzurro, prima che il ragazzo scattasse avanti.

 

“Folle! Ti stai gettando allo sbaraglio!” –Sogghignò Livyatan, tenendo Flare stretta a sé e portando l’altro pugno avanti, per colpire il Cigno. Ma questi lo sorprese, gettandosi a terra e scivolando sul suolo fino a portarsi al di sotto del Capitano dell’Ombra, il quale, stordito per la repentinità dell’attacco e sbilanciato per la carica, non riuscì ad impedirgli di afferrargli entrambe le gambe. Subito il servitore di Flegias sentì un gelo pungente scavalcare le difese della sua nera corazza, penetrandogli nelle ossa, mentre Cristal stringeva con forza i polpacci del suo avversario, ricoprendoli di ghiaccio, per impedirgli di muoversi. –“Bastardo, la uccido!!!” –Gridò il Capitano, torcendo la testa di Flare all’indietro e strappandole un nuovo grido di paura.

 

Ma Cristal lo batté sul tempo, muovendo di scatto il braccio destro verso l’alto e generando un fendente di energia ghiacciata che tagliò a metà i bracciali protettivi dell’armatura del Capitano dell’Ombra, facendogli perdere la presa sulla ragazza e sanguinare le vene, quasi fossero state recise da una lama affilata. Cristal balzò indietro, spalancando le ali dell’Armatura del Cigno e recuperando Flare in volo, prima che toccasse terra, stringendola a sé, per un momentaneo abbraccio d’affetto.

 

“Stai bene?” –Le mormorò, osservando il suo volto straziato dal dolore e dalla paura. –“Cerca di essere forte! Questi ragazzi hanno bisogno di cure!” –E le indicò i corpi dei giovani ammassati attorno, pregandola di aiutarli e di rimanere indietro.

 

“Cigno!!!” –Gridò il Capitano dell’Ombra, espandendo il suo cosmo oscuro, che generò un gorgo di energia attorno al suo corpo, che distrusse il ghiaccio attorno ai polpacci, scivolando poi verso il cielo in una sinuosa spirale nera. –“Subisci i miei frangenti distruttivi!” –Aggiunse, sollevando nuovi marosi oscuri e spingendo Cristal verso l’alto, travolto da quel violento flusso, così simile ai movimenti bestiali del Leviatano.

 

Il Capitano dell’Ombra sorrise, quasi convinto di avere la vittoria in tasca, prima di assistere stupefatto al rallentamento dei suoi flutti di energia nera, che lentamente parvero solidificarsi, a causa del potere congelante di Cristal. Non vi riuscì del tutto, ma li fermò quanto gli bastò per lanciarsi in mezzo a loro e piombare, come una cometa di ghiaccio, sul servitore di Flegias, che poté difendersi soltanto incrociando le braccia di fronte a sé, contenendo in parte l’attacco del Cigno Bianco. Ruzzolò sul terreno ghiacciato per qualche metro, sbattendo le labbra e assaporando il gusto del suo stesso sangue. Un rivolo rosso macchiò il suo pallido viso nordico, conferendogli un aspetto ancora più spettrale.

 

Cristal lo fissò, mentre l’uomo si toglieva l’elmo della corazza, per pulirsi il labbro insanguinato, e qualcosa lo frenò, impedendogli di attaccarlo. Qualcosa di lui gli sembrava familiare. I suoi tratti, marcatamente russi.

 

“Cosa guardi?” –Domandò pungente il Capitano dell’Ombra. –“Non siamo poi così diversi, no?”

 

“Poco prima che il nostro scontro iniziasse, Livyatan, mi hai detto che avevi un fratello da vendicare! Chi è costui? E perché nutri così tanto odio per Asgard e Atene?”

 

“Di Asgard non m’importa niente! Io sono qua solo per eseguire l’ordine impartitomi dal Maestro di Ombre, ma la tua presenza aggiunge un sapore nuovo alla mia missione! Il sapore della vendetta di un uomo che ha sofferto la perdita di un fratello, massacrato proprio da uno di voi Cavalieri di Atena! Da un uomo che vi ha offeso e che poi avete comunque accettato tra le vostre fila, poco importa se a causa sua tanto sangue era stato versato e milioni di innocenti erano morti!”

 

“Un uomo?! Che stai dicendo?!” –Domandò Cristal, senza capire le parole del Capitano. Poi ebbe un guizzo. –“Ci ha offeso e lo abbiamo accettato?! Intendi dire… Kanon?!”

 

“Dragone del Mare! Questo è il nome di quell’impostore! Il nome della corazza di scaglie che spettava a mio fratello Dimitri!” –Confessò l’uomo. –“Da sempre banditi dall’accesso ai ranghi di Generali degli Abissi, a causa del tradimento di uno della nostra stirpe, di un nostro antenato, all’epoca della prima Guerra Sacra tra Atena e Nettuno, noi russi siamo sempre stati malvisti dal Dio dei Mari, e confinati in un gelido isolamento! Le fredde acque del Mar Glaciale Artico, che lambiscono i confini settentrionali della nostra terra, ci sono sempre state ostili, quasi pervase dalla volontà di Nettuno di cancellare il disonore recatogli dalla nostra stirpe! Ma mio fratello, con cui mi allenai per molti anni nei fitti boschi della taiga, credeva fermamente che il Dio ci avrebbe un giorno perdonati, riconoscendo il nostro valore guerriero! Per questo motivo si era allenato per tutta la vita, da solo, risvegliando il cosmo del Generale sopito dentro di lui! E quando il cosmo di Nettuno, anni or sono, iniziò a radunare i suoi seguaci sparsi in tutto il mondo, anch’egli obbedì all’ordine, scendendo nei profondi abissi del Tempio Sottomarino. Ma non fece mai più ritorno!” –Mormorò il Capitano dell’Ombra, reprimendo un sospiro, prima di stringere il pugno e volgerlo contro Cristal.

 

“Lui lo uccise! E prese il suo posto, il posto che a mio fratello spettava, per aver continuato a credere nel Dio dei Mari anche dopo che questi ci aveva dimenticato! Quando lo seppi, informato da una pattuglia di soldati che ogni tanto osava spingersi lungo le coste settentrionali dell’Asia, probabilmente per controllare Asgard, su cui il nuovo Dragone del Mare aveva allungato lo sguardo, decisi con tutto me stesso che mi sarei vendicato! Che avrei ucciso io l’uomo che aveva distrutto i sogni di mio fratello! Così intensificai il mio allenamento, potenziando il mio cosmo, ma quando ritenni di essere pronto scoprii che Kanon, questo il nome di quel maledetto, non soltanto era passato dalla parte di Atena, ma era persino morto in suo nome!”

 

“Capisco la tua sofferenza, Capitano dell’Ombra, e la sento mia, poiché anch’io, proprio come te, ho perso una persona a me cara, a causa degli intrighi di Kanon!” –Sospirò Cristal, ripensando all’amico Abadir, Generale del Kraken. –“Ma anch’egli, come tutti gli uomini, si è lasciato tentare dal male!”

 

“Storie!!!” –Gridò Livyatan. –“Quel bastardo ha ucciso mio fratello! E io lo vendicherò, sterminando tutti voi Cavalieri di Atena che lo avete accettato tra le vostre fila! Nessun piacere potrebbe essere più sublime del vedere le vostre teste penzolare dal patibolo del giudizio!” –Aggiunse, prima di espandere il proprio cosmo. –“Mai avrei creduto che Flegias potesse offrirmi opportunità più propizia per soddisfare la mia vendetta!”

 

“Flegias ti sta usando, Livyatan, come ha usato Crono e persino suo padre Ares prima di te! Sta sfruttando i tuoi sentimenti di rivalsa per creare una macchina da guerra!!!”

 

“Taciii!!!” –Gridò Livyatan, scagliando contro Cristal un nugolo di scaglie del Leviatano, che piovvero fitte, esplodendo a contatto con il suo suolo o con la corazza del Cavaliere, obbligandolo a spostarsi di lato per evitarle. –“La guerra, sì! Nient’altro voglio! Tirar fuori l’animalità sopita negli uomini e trasformarli in bestie! Innalzatevi, Marosi Oscuri!!!” –Ed espanse il suo cosmo, sollevando immense onde di energia, simili a scroscianti frangenti di acqua nera, che spaccarono il suolo, schizzando Cristal verso il cielo e travolgendolo continuamente, impedendogli di riprendere stabilità. –“È inutile, Cigno! Non riuscirai a congelarli tutti! Sono troppi! Sono tanti! Sono immensiii!!!” –Gridò, aumentando la loro intensità e osservandoli con perfidia sballottare il Cavaliere di Atena, premendo con vigore sulla sua corazza.

 

Cristal, dal canto suo, non accennava a lasciarsi andare, stringendo i denti per il dolore e lo stordimento provocato da quell’ondeggiare continuo. A tratti gli pareva di perdere i sensi, o di soffocare in quelle torbide acque. Cercò allora di reagire, espandendo il proprio cosmo, che parve avvolgere l’intera costa con il suo gelo eterno, ma per quanto deciso l’attacco di Cristal non riusciva ad essere incisivo, a frenare quell’agitare continuo di oscurità.

 

Devo cambiare strategia! Si disse, ritenendo che la Polvere di Diamanti, avendo un raggio d’azione troppo vasto, non sarebbe stata in grado di aprirgli una via in quelle torbide acque, né di congelarle interamente. Sirio! Amico mio! Sei per me un compagno e una fonte di insegnamento! Come già all’Undicesima Casa mi suggeristi la via per il cosmo ultimo, così adesso aprimi la strada verso la vittoria! Mormorò, concentrando il cosmo nel braccio destro e sollevandolo verso il cielo. Quindi lo abbassò di scatto, generando un fendente di energia congelante che squarciò in diagonale i marosi del Capitano dell’Ombra, abbattendosi sul suo braccio destro e distruggendo definitivamente l’armatura che lo proteggeva. Stupito per la precisione e per l’astuzia del ragazzo, Livyatan cercò di recuperare il controllo sui marosi, il cui flusso era stato in parte congelato e disperso dall’attacco del ragazzo, accorgendosi che Cristal stava per caricare di nuovo. Con le ali del Cigno spalancate, il Cavaliere piombò sul Capitano dell’Ombra, scaricando tutto il suo potere congelante.

 

Polvere di Diamanti!!!” –Gridò Cristal, poco prima che Livyatan rispondesse con un gorgo di energia oscura, lasciando i due poteri liberi di scontrarsi e di esplodere all’istante, scagliando i due indietro di parecchi metri e crepando il suolo sottostante.

 

Un pezzo della scogliera franò verso il mare, distruggendo la banchisa sottostante, e Livyatan precipitò con esso, senza trovare appigli sulla liscia superficie della parete ghiacciata. Il crollo contribuì ad incrinare ulteriormente l’enorme sarcofago di ghiaccio in cui Cristal aveva rinchiuso il mostro mitologico, preoccupando il Cavaliere di Atena, che, rimessosi in piedi, si avvicinò al precipizio proprio in tempo per vedere il Capitano dell’Ombra uscire dall’acqua gelida e a aggrapparsi ad un lastrone di ghiaccio, parecchi metri più in basso. Senza dire niente, Cristal espanse il proprio cosmo, dirigendolo verso il mare sottostante, cercando di recuperarne almeno in parte il controllo. Vi riuscì a malapena, ottenendo soltanto di fermare le gambe del nemico nell’acqua, mentre questi cercava di salire sul lastrone ghiacciato, solidificandole in una rozza statua, prima di lanciarsi verso il basso e cadere proprio sulla precaria piattaforma.

 

“Tu sia maledetto, Cavaliere di Atena! Tu e quell’ipocrita della tua Dea! Si fa chiamare Dea della Giustizia, ma cosa vi è di giusto nei suoi ideali? Porta la guerra ovunque si rechi, distrugge tutto quello che tocca… e accetta senza problemi assassini macchiatisi di innumerevoli reati, pur di aumentare il numero dei suoi guerrieri!!!” –Ringhiò il Capitano dell’Ombra, il cui viso bianco e leggiadro era ormai rigato dall’ira.

 

“Non sai di cosa parli, servitore di Flegias!” –Esclamò Cristal, scuotendo la testa con disapprovazione.

 

“Ne so fin troppo! E non voglio sapere altro!” –Aggiunse, lasciando esplodere il suo cosmo, che turbinò attorno a sé, liberandolo da quell’effimera prigionia e sollevando immense colonne di acqua, tinte dal nero dell’ombra. –“Marosi oscuri!!!”

 

“E sia! Che il Sacro Acquarius decida la mia sorte!” –Mormorò Cristal, sollevando le braccia al cielo, unite nel colpo segreto del maestro del suo maestro. –“In nomine tuo, Acquarius!!!” –Gridò, liberando la potente energia dello zero assoluto, che si riversò come un fiume di luce sui marosi del Capitano dell’Ombra, estirpando la tenebra di cui erano intrisi e paralizzandoli in rozze statue di ghiaccio che presto esplosero. Anche Livyatan venne raggiunto dal Sacro Acquarius e ricoperto di ghiaccio, fermato in una posa innaturale, con il volto deformato dall’odio. Cristal lo osservò per una manciata di secondi, quel poco che gli bastò per osservare il grigio cosmo del Capitano dell’Ombra accendersi nuovamente. E per prendere la sua decisione.

 

Evocò la spada che Orion gli aveva donato mesi addietro, la stessa con cui il Principe dei Cavalieri di Asgard aveva ucciso il drago Fafnir, la stessa che Cristal aveva piantato nella gola di Ladone. Gramr! E si lanciò avanti, piombando dall’alto sul suo nemico e trinciando la statua di ghiaccio all’altezza della testa. Con gli occhi pieni di lacrime per l’ennesimo omicidio che era stato costretto a compiere. Per impedirne altri. Spesso, con Andromeda, aveva parlato di quanto male fossero obbligati a commettere, ma il pensiero che quel male servisse per fare molto più bene li aveva sempre confortati. Pur tuttavia restava comunque difficile, per tutti loro, anche per Phoenix, per quanto poco amasse farlo notare, uccidere qualcuno.

 

I suoi pensieri furono interrotti da un macabro evento, che richiamò la sua attenzione sul corpo martoriato del Capitano dell’Ombra. Non aveva ancora asciugato la lama, da quello che sembrava il sangue del suo nemico, che guizzi neri, quasi fossero getti di inchiostro, sgorgarono dal collo reciso di Livyatan e dalla testa rotolata distante. Guizzi simili ad ombre. Serpenti di pura energia nera, che si avventarono su Cristal, circondandolo, stritolandolo, quasi volessero cibarsi della luce del suo cosmo. E oscurarla.

 

“Cristal!!!” –La voce di Ilda distrasse per un momento il Cavaliere del Cigno, che riuscì a torcere il collo per vedere la Celebrante di Odino arrivare in suo soccorso, avvolta nella luminosa energia del suo cosmo. Alla vista di tale accecante bagliore, i guizzi di ombre abbandonarono Cristal, avventandosi su Ilda, la quale, aspettandosi quell’assalto, chiuse il cosmo su se stessa, fino a creare una sfera protettiva di energia, all’interno della quale le ombre non riuscirono ad entrare. Stupefatta, dovette però osservare come quelle strisce di tenebra sembrassero cibarsi della sua stessa energia, avvolgendosi attorno alla sfera e fagocitandone l’essenza vitale. –“State indietro, mostri!” –Gridò Ilda, lasciando esplodere il suo cosmo e disintegrandone a fatica alcune. Ma osservando sconcertata il loro immediato riprodursi.

 

“Insieme, Ilda!” –Esclamò Cristal, sollevando nuovamente le braccia giunte verso il cielo, mentre il freddo cosmo del Cigno scintillava attorno a lui. –“Aurora del Nord!!!” –Gridò, dirigendo il getto di energia congelante contro Ilda, la quale, ancora avvolta nella sua sfera protettiva, lasciò esplodere il cosmo, disintegrando numerose ombre e gettando a terra le altre, subito inghiottite dai ghiacci eterni di Siberia. –“Che creature terribili!” –Mormorò infine il Cavaliere di Atena, lasciandosi cadere sulle ginocchia, stanco per il combattimento. Ma non ebbe neppure il tempo di fiatare che assistette sconcertato alla distruzione del ghiaccio da lui creato, da cui le serpi di energia nera uscirono di nuovo, sollevandosi minacciose verso di lui e verso Ilda. –“Dei dell’Olimpo!!! È incredibile! Ma cosa sono?!”

 

“Ombre!” –Esclamò una voce decisa, risuonando lungo l’intera costa. –“Nient’altro che ombre! Risvegliate dalle tenebre del mondo per oscurare la luce degli uomini!” –E in quella un fulmine azzurro si schiantò sulla banchisa, incenerendo all’istante un gruppo di guizzi neri, disintegrandoli come se mai fossero esistiti. Subito dopo un altro raggiunse le ombre ancora rimaste, e un altro ancora, facendone piazza pulita.

 

Cristal e Ilda sollevarono lo sguardo verso la scogliera distrutta, su cui si stagliava la figura di un uomo, avvolto in una luce azzurra. Alto e robusto, con un viso maschile e un sottile strato di barba incolta, indossava una bellissima armatura di colore azzurro, con pregiate decorazioni d’argento, che gli conferivano un aspetto angelico, quasi etereo. Lungo la schiena un mantello bianco e grigio svolazzava nel vento del mattino. Cristal lo osservò, realizzando di averlo già incontrato una volta. Pochi mesi prima, nel suo villaggio natale in Siberia. Era l’uomo che lo aveva salvato da Enio.

 

“Il Principe… Alexer!” –Mormorò la Celebrante di Odino, accasciandosi indebolita ai piedi del ragazzo. E a Cristal, per quanto Ilda avesse parlato piano, quasi un suono impercettibile, parve di vedere l’uomo sorridere, con un gesto sincero, come il cosmo che aveva invaso la banchisa. Un cosmo ricco di storia e di mito, un cosmo che traboccava delle leggende degli angeli e delle gesta degli eroi del mondo antico.

 

Improvvisamente la terra si scosse e il mare parve sollevarsi minaccioso, mentre un violento sbuffo di fiamme e fumo distruggeva quel che restava dell’effimera prigione di ghiaccio in cui il Leviatano era stato rinchiuso per quell’ora scarsa. Cristal afferrò Ilda, prendendola in braccio e iniziando a correre verso la costa, mentre la banchisa si schiantava in più punti. Il Cavaliere azzurro sfiorò il terreno ai suoi piedi, in cima alla scogliera, e il suo cosmo profondo generò una scala di ghiaccio, che scivolò verso il basso, un gradino dopo l’altro, fino a portarsi al livello della banchina. Cristal, senza esitare, vi salì sopra, correndo verso la cima, mentre la scala di ghiaccio scompariva al suo rapido passaggio.

 

“Bentrovato, Cristal!” –Esclamò l’uomo, cordialmente. –“Mi fa piacere vederti sano e salvo!”

 

“Gra… grazie…” –Balbettò Cristal, depositando Ilda a terra, proprio mentre Flare lo raggiungeva correndo, seguita da Bard e da un paio di ragazzetti. –“Ma tu… chi sei?”

 

“Cristaaal!!!” –Gridò Flare, gettandosi in lacrime su di lui, abbracciandolo e baciandolo più volte. Quindi si chinò su sua sorella, preoccupata e affranta per l’ennesima fatica che aveva dovuto affrontare. –“Sorella mia! Come ti senti? Ti porterò subito a palazzo per le cure necessarie!” –E Bard incalzò, per spronare la Regina.

 

“Condurremo noi la Celebrante di Odino al Palazzo di Asgard! I nostri cavalli sono legati poco distante!”

 

“Non solo io ho bisogno di cure, Flare!” –Sorrise Ilda, osservando le guance gonfie della sorella e il vestito sporco e stracciato. –“Ma non lascerò il campo di battaglia! Non ora che la mia terra e tutto il mio popolo sono in pericolo! No, io combatterò!”

 

“Nobili parole le vostre, Regina di Midgard! Mai Odino avrebbe potuto trovare una Celebrante più degna di tale compito!” –Esclamò il Cavaliere azzurro, avvicinandosi.

 

“Oooh, ma voi siete… Principe Alexer!!!” –Mormorò Flare, quasi estasiata da quella visione. E anche Bard e i due ragazzi fecero un passo indietro, chinando il capo in segno di rispetto. –“Cristal, quest’uomo è un fedele servitore di Odino! Vive in un castello ai margini orientali delle nostre terre, in una valle che, per il particolare gioco di luci del sole al mattino, viene chiamata Valle di Cristallo!”

 

“È un piacere incontrarti di persona, Cavaliere del Cigno!” –Esclamò Alexer, allungando una mano, con un sorriso sincero sul volto. Cristal la afferrò, stringendola cordialmente e perdendosi nello sguardo senza età del Principe. Gli occhi più azzurri che mai avesse visto. Occhi del colore del ghiaccio. –“Temo però che dovremo rimandare la nostra conversazione… a momenti di migliore calma!”

 

In quel momento il Leviatano si sollevò dal mare, gettando via quel rozzo cumulo di ghiaccio con cui Cristal aveva tentato di fermarlo, e ricominciò a sbattere il suo immenso corpo contro la costa, provocando smottamenti nel terreno. Alexer aiutò Ilda a rimettersi in piedi e Cristal afferrò Flare, prima di correre via verso l’interno, mentre una faglia si apriva poco distante da loro. La grande terrazza a monte del promontorio ghiacciato, dove l’anno precedente Flare aveva supplicato Lady Isabel di intervenire in aiuto della sorella, prigioniera dell’anello del Nibelungo, scomparve, precipitando in un mare di ghiaccio e di fango. Bard e gli altri due ragazzi seguirono la comitiva, raggiungendo il luogo dove avevano legato i cavalli, ma questi, probabilmente spaventati dal frastuono, avevano strappato i lacci ed erano fuggiti, lasciandoli a piedi.

 

“Non sarà questa difficoltà a fermarci!” –Esclamò Bard, rincuorando gli amici. –“Anche senza cavallo, il grande Orion avrebbe comunque affrontato Fafnir!”

 

“Orion?!” –Mormorò Cristal a Flare, continuando a correre lungo il sentiero.

 

“Sì! Bard e i suoi amici sono un gruppo di orfanelli che vivono nelle foreste! Cresciuti tra i lupi e tra gli orsi, hanno imparato ad adattarsi alla vita rude del freddo Nord, allenandosi nella caccia e nel tiro con l’arco e soprattutto rifiutando di entrare a Palazzo finché non sapranno di essere degni di indossare l’uniforme dei Cavalieri di Asgard! Sono stati allenati da Orion in persona, che aveva per loro, soprattutto per il giovane Bard, una grande ammirazione e fiducia!” –Spiegò Flare, prima di fermarsi, assieme agli altri compagni, ed osservare l’immensa figura del Leviatano che si muoveva lungo la costa, dirigendosi verso Nord.

 

“Sta andando verso Midgard! Il palazzo e tutta la città sono in pericolo!” –Esclamò Alexer.

 

“Dobbiamo fermarlo immediatamente!” –Si agitò Cristal.

 

“Non possiamo affrontarlo qua! Non abbiamo spazi di manovra! Davanti a noi c’è solo il mare e in esso egli è padrone! Dietro quelle montagne però c’è un’insenatura, dieci chilometri prima di raggiungere le mura inferiori della cittadella! Se riuscissimo ad attirarvelo sarebbe un terreno propizio per lo scontro e potremmo circondarlo su tre lati, persino quattro se riuscissimo a congelare l’entrata e a rinchiudervelo!” –Propose Alexer, lanciando un’occhiata verso Cristal, il quale annuì poco dopo.

 

“Dimmi dove devo andare e io lo affronterò!” –Esclamò il Cavaliere di Atena.

 

“Venite di qua! Vi guiderò io! Passando per la foresta faremo prima!” –Li incitò Bard, iniziando a correre lungo il pendio, lasciando il sentiero e inoltrandosi tra gli alberi. Alexer e Cristal si scambiarono un’occhiata di intesa, prima di seguirlo, pregando gli altri giovani di scortare la Regina e la Principessa a palazzo.

 

“Siate prudenti!!!” –Gridò Flare, con gli occhi gonfi di lacrime. Ma Cristal era già scomparso tra gli alberi. Ilda la pregò di essere forte, incamminandosi lungo il sentiero diretta verso la cittadella di Midgard.

 

Cristal e Alexer seguirono Bard nella foresta, sfrecciando in un intrico di alberi in cui si sarebbero persi senza una guida. E Bard pareva conoscere la foresta palmo a palmo, dopo anni trascorsi ad addentrarvisi. Era veloce, per essere ancora un apprendista, ed era anche molto agile, perfettamente a suo agio nonostante le avversità del terreno impervio.

 

“Eccoci!” –Esclamò infine, conducendo Cristal e Alexer fuori dalla foresta, a pochi metri da un’irta scogliera che si apriva sulla baia di cui il Principe aveva parlato poco prima. Chiusa a nord da picchi rocciosi, al di là dei quali sorgeva la Cittadella di Midgard, o Asgard come ormai la chiamavano comunemente gli uomini, persino i loro stessi abitanti, dimentichi della vera città divina, persa tra le nuvole e nel tempo.

 

“Il luogo ideale dove affrontare e fermare quel mostro!” –Affermò Cristal, prima che un fremito improvviso scuotesse il terreno, smuovendo alberi e rocce e anticipando l’arrivo della rozza sagoma della creatura primordiale, all’imboccatura della baia.

 

“O dove morire!” –Sorrise Alexer, espandendo il suo cosmo, che risplendette in mille striature di azzurro. Quindi, con un gesto così rapido del braccio che Cristal nemmeno lo vide, puntò l’indice destro avanti a sé, dirigendo un fulmine blu contro il Leviatano e colpendolo alla base del mostruoso collo, facendogli schizzar via alcune scaglie, tra sbuffi di fumo e grida disumane. –“Prendi posizione, Cigno!” –Esclamò, ordinando a Cristal di mettersi a nord, mentre lui sarebbe rimasto al centro.

 

“Combatterò anch’io!” –Incalzò Bard, non disposto a rimanere indietro. Non disposto ad assistere inerme alla battaglia che avrebbe deciso le sorti di Asgard. Il mondo in cui avrebbe voluto entrare da vincitore. –“Ho troppi motivi per non andare avanti!”

 

“E forse ne hai anche troppi per non tornare indietro!” –Sorrise Alexer, intuendo che il ragazzo, come i suoi compagni, orfano e senza famiglia, non aveva il pensiero di una casa, né di un amore, ove fare ritorno. Chi non ha niente da perdere è sempre il primo a farsi avanti! Sospirò, pregandolo di posizionarsi sulla sponda sud. Ma noi abbiamo troppo da perdere! Una vita intera! Una terra intera! Un futuro! E senza aggiungere altro diresse altri fulmini contro l’infuriato corpo del Leviatano, che, attratto dall’avvenente preda, si agitò nelle fredde acque del Mare Artico, entrando nella baia e scuotendo la coda. Così facendo abbatté una parte della scogliera meridionale, obbligando Bard a balzare indietro. Ma nel farlo il ragazzo incoccò due frecce, le posizionò sull’arco e le scagliò, mirando allo squarcio aperto da Ilda col tridente ore prima. Lo raggiunse, ma la sua coriacea pelle impedì al Leviatano di riportare gravi danni. Solo di infuriarsi ulteriormente.

 

“Dobbiamo colpirlo!!!” –Gridò Alexer, sollevando il braccio destro e aprendo il palmo al cielo, ove subito si schiantò un gruppo di fulmini azzurri, che elettrizzarono l’aria, in un turbinare di energia fredda, prima che il Principe li dirigesse contro il viso della creatura. –“Fulmini siderali, squarciate il cielo!!!” –Il Leviatano venne raggiunto dalle potenti scariche di energia di Alexer, che stridettero sulla pelle squamata, scheggiando scaglie e bruciandone altre, mentre continuava ad agitarsi e a sbattere la coda contro le pareti dell’insenatura.

 

“Ora!!!” –Esclamò Cristal, puntando verso la bocca spalancata del Leviatano. –“Aurora del Nord!!!” –L’attacco congelante raggiunse il bersaglio, estinguendo le fiamme amare della creatura, che svanirono in un ultimo sbuffo di fumo. Ma neppure questo parve frenare la sua furia, l’immane potenza con cui dirigeva il suo tozzo corpo contro le pareti di roccia e ghiaccio, scuotendole in profondità e sconquassando la terra, persino al di là delle montagne. Anche Ilda e Flare, sulla via per la Cittadella, e gli abitanti di Midgard, rinchiusi nelle loro abitazioni, sentirono tremare il suolo e temettero per le loro vite e quelle dei loro cari.

 

“Giobbe scrisse che Dio si vantava di aver generato questo mostro, simbolo della potenza del Creatore, e forse aveva ragione!” –Sospirò Alexer, osservando dall’alto della rupe la spaventosa possanza del Leviatano. Stava per ordinare a Cristal di concentrare le forze per un nuovo attacco, quando si avvide con la coda dell’occhio dei movimenti di Bard. Ma era troppo tardi per ordinargli di fermarsi. Il ragazzo era già in acqua, tuffatosi con somma maestria nel Mare Artico, con un pugnale stretto tra i denti, e nuotava con tutte le sue forze sotto la superficie increspata. –“Cosa ha intenzione di fare? Morirà all’istante!!!”

 

“Forse no, se gli diamo una possibilità!” –Commentò Cristal, espandendo il suo cosmo e concentrandosi sulla distesa d’acqua sotto di lui, iniziando a congelarla. Alexer unì il proprio cosmo al suo e Cristal si accorse di come a tratti pareva somigliargli, freddo e pungente, ma con sfumature angeliche e mitiche che mai aveva percepito in Cavaliere alcuno. Nemmeno negli Dei.

 

Bard sbucò fuori dall’acqua proprio mentre la coda del Leviatano si abbatteva su di lui, sprofondandolo di nuovo nel Mare Artico. Ma quando la bestia risollevò l’arto, Bard si teneva ben stretto ad esso, aiutandosi con le scaglie spigolose. In quel momento Cristal e Alexer completarono il congelamento dell’acqua della baia, incastrando il mostro in una banchisa di ghiaccio. Con un fulmine, che si schiantò sulla sommità della bocca dell’insenatura, provocando uno smottamento di rocce e massi, Alexer chiuse anche l’uscita, togliendo ogni possibilità di fuga. Bard balzò sulla schiena del mostro, approfittando dell’ondeggiare confuso della sua coda, e si trascinò sul rozzo corpo piantando il coltello tra le squame, per tenersi con maggiore saldezza, fino a raggiungere il punto ove Ilda aveva conficcato il suo tridente. Là, tra il nero sangue coagulato e pezzi di scaglie carbonizzate, l’arma era ancora incastrata e Bard usò il coltello per liberarla, mentre il Leviatano si dimenava furioso, nonostante la cappa di gelo che Alexer e Cristal stavano facendo scendere su di lui.

 

“A un certo punto tutto si blocca! Uomini, liquidi, materiali! E questo mostro leggendario non fa eccezione!” –Esclamò Alexer. –“Il raffreddamento degli atomi genera la loro progressiva diminuzione di velocità!”

 

“Conosco bene queste teorie! Il mio maestro me le ha insegnate! E anche il maestro di lui!” –Rispose Cristal, continuando ad espandere il cosmo e a coprire il Leviatano.

 

“Lo so! Sono stato io ad insegnargliele!” –Commentò Alexer, voltandosi verso Cristal con un sorriso. Ma il Cavaliere, sorpreso dalla rivelazione, non ebbe tempo di chiedere altro che dovette balzare indietro, assieme al Principe, poiché il Leviatano, dimenandosi, era riuscito a squarciare parte della piattaforma di ghiaccio, ruggendo sinistramente. Proprio in quel momento Bard riuscì a liberare il tridente dal sangue rappreso e a sollevarlo verso il cielo, mostrandolo ai compagni.

 

“Adesso, Principe!!! Diriga i suoi fulmini contro il tridente! Il metallo farà da conduttore e io lo pianterò in questa bestia!” –Gridò, cercando di mantenersi in equilibrio, a causa del continuo smuoversi del Leviatano.

 

“È una pazzia! Sarai incenerito!” –Gridò Cristal, sgranando gli occhi.

 

“Degna di un eroe!” –Commentò Alexer, sollevando il braccio destro al cielo e chiamando a sé una dozzina di fulmini. –“Il tuo nome, ragazzo, sarà scolpito nella storia! Perdonami!” –Mormorò, socchiudendo gli occhi ed eseguendo il suo dovere. I fulmini azzurri si schiantarono sul tridente di Ilda, caricandolo di elettricità, che Bard diresse al cuore del Leviatano, piantando l’arma nella ferita aperta. Durò una manciata di secondi, ma in quell’attimo parve a Cristal di vedere l’immensa creatura avvolta da fitte scariche di energia sollevarsi verso il cielo, quasi tentasse di fuggire al castigo del destino. Poi vide Bard crollare a terra, scivolare lungo la lugubre schiena del mostro e crollare sulla banchisa di ghiaccio, mentre il Leviatano ancora esitava. Ancora sbuffava, cercando la forza per dimenarsi ulteriormente.

 

Così Cristal si lanciò contro di lui, con la spada donatagli da Orion in mano, e la conficcò tra le squame della bestia, più in profondità che poté, scaricandogli dentro tutto il gelo che fu in grado di produrre. Il freddo cosmo di Cristal riempì il Leviatano, impedendogli di muoversi ancora, prima di farlo esplodere con un boato che scaraventò indietro il Cavaliere di Atena, che ruzzolò per diversi metri sulla banchisa ghiacciata. Ripresosi, Cristal osservò Gramr andare in frantumi, tanto grande era il gelo che aveva prodotto, e Alexer avvicinarsi a Bard, avvolgerlo nel suo mantello e sollevarlo.

 

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Capitolo 11
*** Il segno del drago ***


CAPITOLO NONO: IL SEGNO DEL DRAGO

CAPITOLO NONO: IL SEGNO DEL DRAGO.

 

Erano trascorsi quattordici anni dalla sua partenza, ma ad Ascanio quella mattina il paesaggio dei Cinque Picchi sembrò ancora spettacolare. Proprio come l’aveva visto per l’ultima volta quel giorno dell’estate del 1973 in cui aveva lasciato la Cina, il Vecchio Maestro e il suo addestramento, per raggiungere Atene e assistere alle Panatenee. La storia era però andata diversamente e si era ritrovato sull’Olimpo, convocato da Zeus in persona per diventare un Cavaliere Celeste. Da quel giorno la sua vita era cambiata e tutto ciò che aveva vissuto fino a quel momento era scomparso. La sua casa era cambiata, un giaciglio di paglia in una capanna di legno, la sua terra era cambiata, un’isola dimenticata e avvolta dalle nebbie, il suo maestro era cambiato. Un uomo di cui aveva udito soltanto il nome, che risaliva agli albori del tempo. Ma gli ci erano voluti anni per comprendere il grandioso progetto a cui era stato chiamato a far parte. Un progetto che era scritto nel suo destino, come i serpenti incrociati che portava tatuati sui polsi.

 

Li portava da sempre, nonostante mai li avesse fatti incidere, apparsi a lui in una notte di fuochi. In una notte che, per gli antichi Druidi celtici, era chiamata Beltane, o “fuoco luminoso”. Simboli del suo potere e del suo ruolo, i serpenti intrecciati gli ricordavano ogni giorno chi fosse. Il Comandante della Legione nascosta, Ascanio Testa di Drago, o Ascanio Pendragon, come i druidi e i Cavalieri di Glastonbury amavano chiamarlo. In realtà, in vita sua era stato molte cose, e ancora non aveva ben chiaro dove fosse giunto.

 

“Non sei cambiato affatto!” –Esclamò una voce, rubando il giovane ai suoi pensieri.

 

Ascanio si voltò e vide un ragazzo sui vent’anni fissarlo a braccia conserte, sulla soglia di una piccola pagoda. Il suo viso non gli era noto, né il tatuaggio della tigre che splendeva sulla sua schiena nuda nel sole del mattino, ma ne percepì il cosmo, e  ciò gli bastò per riconoscerlo. Per riconoscere il primo dei suoi maestri. Il Vecchio Maestro di Libra.

 

“Di vecchio ormai non avete più niente, Maestro!” –Sorrise Ascanio, avanzando verso il Cavaliere d’Oro. –“Non credevo che le erbe di Cina funzionassero così bene! Dovreste consigliarmi un impacco!”

 

“Non hai mai avuto fiducia nelle terapie naturali, Ascanio, preferendo il lato fisico di tutte le cose!” –Rispose Libra, avvicinandosi al ragazzo e fermandosi a mezzo metro da lui. Lo fissò negli occhi, neri come i suoi scombinati capelli, gli osservò il viso, maschile e abbronzato, e infine squadrò i suoi vestiti, una canottiera bianca sopra un paio di pantaloni grigi. Identico all’ultima volta che l’aveva visto, quando l’aveva autorizzato ad andare in Grecia, assieme a Tebaldo, l’altro suo allievo.

 

Non aveva mai più rivisto nessuno di loro.

 

“È un piacere rivedervi, Maestro!” –Commentò Ascanio, con voce sincera. –“Non ho mai dimenticato i vostri insegnamenti! Ed essere qua, oggi, a ringraziarvi per avermi insegnato a vivere, è per me una grande gioia, oltre che qualcosa che sentivo di fare da tempo, nonostante non ne abbia avuto la possibilità!”

 

“Non hai niente di cui ringraziarmi, Ascanio! Ho fatto soltanto il mio dovere, ho fatto ciò che andava fatto! Come tu, a tuo modo, hai fatto altrettanto!” –Rispose Libra, dando le spalle al giovane e incamminandosi lungo una sporgenza rocciosa, fino a portarsi vicino alla grande cascata dei Cinque Picchi. Da quando era tornato in Cina non era trascorso giorno senza che non vi si fosse tuffato, per nutrirsi di quell’energia primordiale che tanta forza gli aveva dato negli anni, anche solo con la sua vicinanza. –“Cavaliere di Zeus!” –Esclamò infine. –“Ne hai fatta di strada, ragazzo, e non sbagliavo quando credevo che il tuo posto non fosse qua! Che non vi fosse Armatura per te sotto questa cascata di stelle! Non era questo il drago che doveva segnare il tuo destino!”

 

“Voi… sapete?!” –Balbettò Ascanio, sfiorandosi i polsi improvvisamente.

 

“Ho abbastanza nozioni di storia delle civiltà antiche per conoscere il significato di quei serpenti intrecciati, Ascanio! E per temere per te! Poiché essi possono dare vita, ma anche morte! Bianco e rosso! I colori dei draghi di Glastonbury, simboli del potere della creazione e dell’ordine cosmico!” –Spiegò Libra.

 

“Sapete una cosa?! È ironico ma se Ares non avesse attaccato l’Olimpo, Zeus non avrebbe mai risvegliato la Legione nascosta e io non vi avrei rivisto! La mia vita è di nuovo cambiata, la mia vita è un continuo cambiamento! Un ciclo di rinascita e morte, proprio come quello del Drago! Proprio come quello che Avalon teme che la Terra stia vivendo!” –Esclamò Ascanio, abbassando infine lo sguardo, con aria preoccupata.

 

In quel momento Sirio e Fiore di Luna comparvero lungo il sentiero, tenendosi per mano e ridendo tra loro, sereni come non erano riusciti ad essere da molto tempo. Neppure nei mesi trascorsi insieme tra la fine della Guerra Sacra contro Ade e l’attacco di Arge lo Splendore, poiché in tutto quel tempo Sirio non era stato se stesso e Fiore di Luna aveva combattuto ogni giorno contro i sensi di colpa che lodavano Atena per la decisione presa. Per aver tolto il suo amato Sirio dalla guerra. Anche a costo di perdere i difensori della giustizia e dei popoli della Terra.

 

“Maestro!” –Esclamò Sirio, avvicinandosi alla cascata, incuriosito dall’uomo in piedi accanto al Cavaliere di Libra. Un uomo che non aveva mai incontrato prima e di cui il suo Maestro non gli aveva mai parlato.

 

“Finalmente ci incontriamo, Sirio!” –Affermò Ascanio. –“Tu e i tuoi compagni avete compiuto grandi imprese, prima contro Ade e Crono e infine contro Ares! Gli avete dato una bella lezione a quella carogna!”

 

“Avremmo voluto fare anche di più!” –Sorrise Sirio, un po’ imbarazzato.

 

“Sirio, ti presento il Comandante della Legione dei Cavalieri Celesti di Glastonbury, Ascanio Pendragon, al servizio del Sommo Zeus!” –Esclamò Libra.

 

“Di Zeus e di Avalon!” –Precisò Ascanio, stringendo la mano di Sirio e sorridendogli sinceramente.

 

“Come mai ai Cinque Picchi? È successo qualcosa sull’Olimpo?” –Si preoccupò Sirio immediatamente.

 

“Niente più dell’eterna guerra in cui siamo ormai immersi da millenni!” –Ironizzò Ascanio. –“In realtà non sono in missione per conto di Zeus, ma solo per conto di me stesso, per quanto un Cavaliere abbia così poco tempo per sé! Da tempo desideravo incontrare di nuovo l’uomo che mi ha addestrato! L’uomo che forse ho abbandonato troppo in fretta, per inseguire il fatuo fuoco di un sogno, pur insicuro che fosse!”

 

“I rimpianti non si addicono ad un Comandante Celeste, né tanto meno al figlio del Drago!” –Disse Libra, tirandogli un’occhiata ambigua, mentre Ascanio si voltava di nuovo verso Sirio.

 

“Non sapevo che aveste avuto altri allievi, maestro!” –Commentò Sirio.

 

“Per la verità… ne ho avuto parecchi! Ed il primo è stato proprio l’antecedente Cavaliere di Pegasus! Eh eh!” –Sorrise Libra, prima di mettere un braccio sulle spalle di Sirio e uno su quelle di Ascanio e incamminarsi con loro verso la pagoda. –“Ma vi assicuro che in duecentocinquanta anni non ho mai assaggiato un riso migliore di quello preparato da Fiore di Luna! Soprattutto quando Sirio le sei vicino!” –Aggiunse, facendo arrossire la ragazza, timidamente rimasta dietro Sirio per tutta la durata della conversazione. –“Cosa ne diresti di deliziarci con un tuo pasto?”

 

I tre ragazzi entrarono nella pagoda, ricostruita da Sirio dopo gli attacchi dei mesi precedenti, e Fiore di Luna si affaccendò in cucina, lasciandoli a chiacchierare attorno a un tavolo. Della Grande Guerra contro Ares, dell’Olimpo e dei progetti di Zeus, e della vita a Glastonbury. E Sirio si accorse che Ascanio, per quanto desse l’idea di un uomo rude e incolto, possedeva un’abile parlantina e una grande conoscenza dei misteri, di cui sembrava un attento indagatore, e anche veneratore. Era un guerriero e anche uno studioso. Un Comandante e forse anche un Sacerdote. E chissà cos’altro ancora! Si disse Sirio, prima che l’aroma del riso alla cantonese di Fiore di Luna lo distraesse.

 

Terminato il delizioso pranzo, Ascanio uscì fuori dalla pagoda, a respirare la fresca aria dei Cinque Picchi, quel corroborante sapore che nei mesi del suo addestramento gli aveva riempito il cuore ogni mattina, quando si alzava per iniziare ad allenarsi. Sorrise, rivedendosi intento a correre tra i fulmini, a lanciare calci contro la cascata e a cercare di colpire gli uccelli con gli occhi bendati. Di tutte le prove a cui il Vecchio Maestro lo aveva sottoposto, quelle di meditazione erano quelle che non Ascanio non aveva mai sopportato, non avendo un carattere particolarmente dedito alla calma o all’indagine personale. Aveva sempre preferito tirar di spada, allenandosi con Tebaldo, o correre per cento miglia, dando libero sfogo alla frenesia di vita che lo attanagliava. Ma il tempo poi lo aveva cambiato, la permanenza sull’Isola Sacra lo aveva cresciuto e adesso Ascanio era maturato e aveva trovato nella profonda conoscenza di sé e dei misteri del mondo un fascino e una potenza insormontabili.

 

Siamo tutti diretti da qualche parte! Si disse il giovane, camminando lungo gli spuntoni di roccia dei Cinque Picchi. E sarebbe stupido restare fermi e non cambiare mai, non adattarsi ai tempi che vengono e alle nuove circostanze! Siamo uomini, e dobbiamo esserlo fino in fondo! Nel bene e nel male! E si voltò verso la piccola pagoda, rivedendosi bambino. Rivedendosi quel ragazzo di nove anni che aveva raggiunto la Cina da solo, in una notte di pioggia, arrancando lungo le rive del fiume, diretto verso neppure lui sapeva dove. Soltanto avanti. Gli avevano detto che nelle vallate interne dei Cinque Picchi viveva un antico saggio, forse un anacoreta, che possedeva le chiavi del cosmo, e ciò era stato sufficiente per muovere i suoi passi in quella direzione. Sacca in spalla e a denti stretti aveva camminato per giorni, rubacchiando qualcosa nei campi attorno per sopravvivere, finché non era crollato, inzuppato fradicio e affamato, poco distante da uno stagno, ai margini di un campo di bambù. Proprio dove Tebaldo lo aveva trovato la mattina successiva, in uno dei suoi giri di corsa, e dove lo aveva preso in braccio e portato alla casa del Vecchio Maestro, per dargli le cure necessarie. Non aveva avuto bisogno di fare molto, il Cavaliere di Libra, soltanto di sfiorargli la fronte con la rugosa mano e infondergli il calore del suo cosmo d’oro, riavviando la sopita scintilla della vita. Mi avete salvato la vita, quel giorno, Venerabile Maestro! E Ascanio Pendragon non dimentica i suoi debiti d’onore! Mormorò il ragazzo, osservando da lontano Sirio e Libra parlare tra loro, al piccolo tavolo della pagoda.

 

“Non mi avevate mai parlato di lui, Vecchio Maestro!” –Esclamò Sirio, un po’ sorpreso e un po’ intimorito.

 

“Non credevo neppure che fosse ancora vivo!” –Rise Libra, cercando di sdrammatizzare. Ma il volto serio di Sirio gli fece mutare espressione. –“Hai ragione, Dragone, non l’ho mai fatto! Forse non ho mai pensato che potesse essere interessante per te conoscere i miei trascorsi di insegnante, o forse non mi sono mai considerato il suo maestro! Del resto, in Ascanio c’è molto più di quanto si veda all’occhio! Ci sono poteri che sfuggono ad ogni tentativo di comprensione!”

 

“L’ho notato anch’io! Come ho notato i serpenti sulle braccia! E mi hanno ricordato le antiche leggende di cui mi parlavate nelle notti trascorse a leggere, durante l’addestramento!” –Rispose Sirio. –“Saggezza e forza si fondono in lui, in un’armonia perfetta! Lo sento nel cosmo che emana!”

 

“Non sentirti inferiore a lui, Sirio! Non hai niente che ti manca né vi sono vette che non hai raggiunto! Ma sentiti fiero di ciò che sei, e dei limiti che hai superato più volte!” –Sorrise Libra, rincuorando l’allievo. –“Hai sconfitto delle Divinità, dando il massimo in nome di Atena! Nessun maestro potrebbe desiderare allievo migliore!”

 

Sirio si commosse, e anche Fiore di Luna, che stava rassettando in cucina, udì le parole di Libra e si abbandonò ad un sorriso di orgoglio. Per il ragazzo che aveva visto crescere e diventare uomo. Per il ragazzo che le aveva riempito il cuore fin dal primo giorno in cui l’aveva visto, sorridendo birichina dietro canne di bambù. Non provava soltanto amore per Sirio, ma anche orgoglio, un immenso orgoglio che mai sarebbe riuscita a dimostrargli.

 

La voce di Ascanio riportò tutti al presente, a salutare il giovane che aveva deciso di fare ritorno sull’Olimpo, per riorganizzare con Zeus la disposizione delle Legioni Celesti. Prima di tornare a Glastonbury. Prima di tornare a casa! Sospirò, abbracciando Libra e scomparendo poi lungo il vialetto polveroso. Mani in tasca, un calcio ad un sasso e il rumore sordo del suo tonfo nelle acque del fiume, molti metri sotto di lui. Con un ultimo sguardo, Ascanio si allontanò dalla pagoda, notando la cura che Fiore di Luna aveva dedicato alla casa, il suo tocco femminile. Un aiuola ben curata, e un piccolo orticello sul retro, il tutto circondato da fitti cespugli di rose rosse. Di rose dal colore del sangue.

 

“Forse dovremmo tornare in Grecia, Sirio!” –Affermò Libra, alzandosi in piedi. –“Troppi enigmi irrisolti meritano di essere svelati quanto prima! Temo per la salvezza del mondo!”

 

“No!” –Esclamò di scatto Fiore di Luna, intervenendo nella conversazione. –“Vi prego, Maestro, non portate Sirio nuovamente via! Ha bisogno di riposarsi, di vivere come un uomo normale, non di essere trascinato di continuo su un campo di battaglia!”

 

“Sirio non è un uomo normale, Fiore di Luna, come non lo sono io né alcuno dei Cavalieri di Atena!”

 

“Lui non è una macchina da guerra, vi prego!” –Continuò Fiore di Luna, alzando il tono della voce, e costringendo Sirio ad intervenire, pregandola di calmarsi. –“Non mi calmo affatto! Sono stufa, Sirio, stufa di questa vita! Stufa di attendere sempre il tuo ritorno, logorandomi nell’angoscia per la tua sorte, mentre quell’inconcludente ragazza non è mai capace di risolvere da sola i suoi problemi!”

 

“I problemi di Atena sono problemi di tutti noi, Fiore di Luna! E mi sorprende che tu non li capisca!” –Sbottò Libra, adirato. –“Il tuo egoismo non aiuta certamente Sirio a svolgere al meglio la sua missione!”

 

“Il mio egoismo o il vostro e quello della Dea che si fa chiamare della giustizia, mentre io credo che il termine corretto sarebbe ingiustizia?” –Gridò Fiore di Luna, prima che Sirio si mettesse in mezzo ai due pregandoli di calmarsi e chiudere quella discussione. Libra scosse le spalle e uscì dalla pagoda, non prima di aver lanciato una torva occhiata a Fiore di Luna, per comunicarle tutto il suo disprezzo.

 

“Cosa ti prende, Fiore di Luna? Non è da te un simile sbotto d’ira!” –Le disse Sirio, con voce suadente. –“Capisco la tua preoccupazione, ma vorrei che tu ti sforzassi di comprendere il mio ruolo!”

 

“E tu il mio non lo capisci, Sirio?” –Pianse Fiore di Luna, gettandosi tra le braccia dell’amato. –“Confinata in questa pagoda di solitudine, trascorro le notti a chiedermi se mai ti rivedrò comparire sulla soglia di casa! E l’unica immagine che riesce a rimanermi dentro è quella maledetta Armatura che ti porti sempre in spalla! Quella croce che non ti dà mai pace, che non ci darà mai pace!!!”

 

“L’Armatura è il mio simbolo, e forse anche la mia maledizione!” –Commentò Sirio, asciugandole le lacrime, prima di pregarla di stendersi e riposarsi un po’. Ma lei, scocciata e delusa dalla sua mancanza di comprensione, brontolò qualcosa e se ne andò nel giardino sul retro, stufa di essere considerata solo un oggetto da difendere, ma desiderosa che i propri desideri, i propri istinti, potessero emergere.

 

Sirio sospirò, sconcertato e dispiaciuto per quella scomoda situazione, prima di uscire e incamminarsi lungo la sporgenza rocciosa di fronte alla cascata, dove Libra si era seduto in posizione meditativa, per ritrovare la concentrazione che aveva perso improvvisamente poco prima. In una maniera così brusca da spaventarlo.

 

“Perdonate Fiore di Luna! È soltanto preoccupata e straziata dall’angoscia!” –Esordì Sirio, con voce pacata.

 

“È soltanto una ragazzina stupida!” –Esclamò Libra, con voce tagliente. –“Un’egoista che antepone la propria felicità, la soddisfazione dei primordiali istinti di lussuria del suo corpo, al benessere dell’umanità! Cosa ne sarebbe dei popoli liberi e della pace se nessuno combattesse per difenderli?”

 

“Maestro, avete ragione, ma non siate così severo! È una ragazzina, certo, ma è dolce ed è stata un sostegno per me in questi anni!”

 

“Una palla al piede, niente di più! Ecco cos’è stata quella mocciosa! Rimpiango il giorno in cui l’ho salvata dalla tempesta! Avrebbe meritato di morire con i suoi genitori affogata nel fiume!” –Sbraitò Libra.

 

“Ma… Maestro! Come potete dire una cosa simile? Vergognatevi delle vostre parole! E vi professate un servitore di Atena e della giustizia?!” –Esclamò Sirio, incredulo, mentre Libra si metteva in piedi, lanciandogli un’occhiata furba.

 

“Non sei molto diverso da lei, Sirio! Uno smidollato! Così attaccato all’amore da non vedere più con i tuoi occhi ma con quelli di lei!” –Continuò Libra, con tono volutamente provocatorio.

 

“Basta! Non permettetevi più di parlare dei nostri sentimenti, di sentimenti che non conoscete!” –Ringhiò Sirio. –“Per duecentocinquanta anni non avete provato mai emozione alcuna, distaccato spettatore di un amore che non conoscete! E volete accusare me di essere un debole solo perché il mio cuore batte per qualcosa di più che non servire ciecamente la mia Dea?! Siete meschino!”

 

“E tu sei un debole! E per questo…” –Sogghignò Libra, mentre un inferno di luce esplodeva nei suoi occhi. –“…devi morire!” –Aggiunse, muovendo la gamba destra di scatto e sollevandola verso il collo di Sirio. A tale vista, il ragazzo fu svelto a balzare indietro, venendo raggiunto solo superficialmente dall’improvviso attacco del suo maestro, che non riusciva neanche più a riconoscere. Trasformato in un mostro di fattezze orribili, con marcate rughe di ira che gli solcavano il volto, Libra sembrava davvero una tigre pronta ad azzannare il suo nemico. E a Sirio, nonostante tutto, nonostante la follia insita in quell’assurdo scontro, quella caccia sanguinaria esaltava i sensi, stimolava i suoi istinti, risvegliando il sopito drago di Oriente.

 

“Fatti avanti, bamboccio! Mostrami la forza di quest’amore di cui tanto parli! Io ti mostrerò la forza della solitudine!” –Gridò Libra spavaldo, gettando via la veste che aveva addosso e rimanendo solo in pantaloni. Sirio fece altrettanto, prima di lanciarsi contro il suo Maestro, nello stesso tempo in cui anch’egli si mosse. Si scontrarono a mezz’aria, colpendosi sul viso e ricadendo a terra per la spinta dell’altro, ma subito si rimisero in piedi, toccandosi le guance doloranti. –“Hai un bel destro! Ti ho insegnato bene!”

 

 

“Tacete e combattete!” –Gridò Sirio, la cui ira stava emergendo sempre di più, incapace di controllarla con distacco, come sempre era stato in grado di fare, grazie alla meditazione e alla pace interiore. E senza aggiungere altro si lanciò verso Libra, muovendo i pugni velocemente, prima il destro poi il sinistro, e poi di nuovo, e di nuovo ancora, costringendo l’uomo a schivargli e ad arretrare, fino a ritrovarsi sul bordo dello spuntone roccioso. Libra incrociò le braccia avanti a sé, proprio mentre Sirio caricava nuovamente il pugno destro, e parò il suo attacco, fermandogli poi il braccio, per spezzarlo. Ma Sirio fu svelto a colpirlo alle gambe con un calcio secco, che gli fece perdere stabilità, prima di spingerlo indietro con una ginocchiata, facendolo precipitare di sotto dalla sporgenza rocciosa. Soddisfatto, il ragazzo si scosse le mani e si sporse per osservare il lago sottostante, dove il corpo di Libra avrebbe dovuto galleggiare. Ma non c’era niente, soltanto l’immenso scrosciare della Cascata del Drago. E quando capì, fu troppo tardi.

 

Libra era riuscito ad aggrapparsi ad una sporgenza del terreno, dondolandosi con le gambe e dandosi la spinta per ritornare di sopra, balzando contro Sirio e colpendolo in pieno petto, fino a sbatterlo a terra. Quindi fu su di lui, lo afferrò per il lungo vestito e gli sputò in faccia. Esprimendo tutto il disprezzo che provava per lui. O forse per se stesso, per non essere in grado di reprimere quell’istinto animale che lo stava sopraffacendo sempre di più. Mostrò il palmo della mano destra al ragazzo, sogghignando perversamente e allungando le unghie delle dita fino a creare artigli simili a quelli di una tigre.

 

“Mira gli artigli che ti strapperanno il cuore, Sirio!” –Ringhiò Libra, calando la mano su di lui. Ma Sirio fu abile a balzare indietro, mentre gli artigli strappavano via la sua veste, lasciandogli solo qualche unghiata sul petto. –“Sangue!!!” –Mormorò Libra, alla vista di alcune gocce rosse scivolare sul corpo del ragazzo. E ciò lo fece eccitare ancora di più, inebriato da quell’aroma che pareva stuzzicare i suoi istinti più primordiali.

 

Colpo segreto del Drago Nascente!!!” –Urlò improvvisamente Sirio, scagliando il suo colpo segreto con la gamba sinistra, sollevandola di colpo e dirigendo l’attacco verso Libra, che non poté far altro che incrociare le braccia avanti a sé e pararlo con il cosmo.

 

“Occasione sprecata, tocca a me adesso!” –Ringhiò Libra, portando avanti il pugno destro e caricandolo della sua energia cosmica. Sirio fece altrettanto e lo scontro tra i due poteri generò una piccola esplosione che scaraventò entrambi indietro, sbattendoli a terra, sempre più arrabbiati, sempre più vittime dei loro istinti.

 

L’esplosione venne udita anche nelle vallate circostanti e fece sorridere Menas della Rosa, in piedi su un altopiano poco distante, soddisfatto del suo operato. Arrivare non visto ai Cinque Picchi non era stato un problema, utilizzando i bozzoli dei suoi fiori per passare sottoterra. Né lo era stato disseminare il giardino della pagoda di semi di rabbia, che in pochi attimi avevano dato vita a rigogliosi cespugli di rose rosse, le stesse che avrebbero ucciso Sirio e il Cavaliere suo maestro. Come era nei piani di Flegias. Ciò di cui Menas non aveva però tenuto conto, e che non poteva sapere, era che Ascanio fosse refrattario a quell’aroma.

 

Un colpo energetico lo raggiunse alla spalla destra, sbattendolo a terra e frantumando il coprispalla della sua nera corazza. Stupito, Menas si rimise in piedi, tastandosi la spalla sanguinante, per trovarsi di fronte un ragazzo, di non più di trent’anni, con un volto scuro e uno sguardo determinato, avvolto da una lucente aura cosmica.

 

“È a te che devo quest’inutile spargimento di sangue?!” –Esclamò l’uomo, avanzando a passo deciso verso Menas. –“Ho sentito scontrarsi i cosmi del Cavaliere del Dragone e del mio Maestro, e dubito che volontariamente quei due generosi e pacati uomini si affronterebbero!”

 

“Dubiti bene!” –Sogghignò Menas, mostrando una rosa rossa sul palmo della mano. –“E ti mostrerò in che modo ho agito! Così!!!” –Gridò, scagliando un mucchio di rose, dai petali color sangue, contro Ascanio. –“Rosa di rabbia!!!” –Ma Ascanio, per niente impressionato da quell’assalto, si limitò a far esplodere il cosmo e a distruggere tutte le rose di Menas, spargendo a terra i loro petali. –“Non gioire nell’apparenza di una facile vittoria! Le rose di rabbia continuano il loro venefico effetto anche estirpate, anche se i loro steli fossero recisi e i loro petali gettati al vento! Porterebbero comunque gli uomini alla pazzia!”

 

“È dunque questo il loro potere?!” –Commentò Ascanio. –“Terribile arma! Agisce sulle pulsioni nascoste degli uomini, tirando fuori i loro istinti primordiali, facendoli diventare bestie pronte ad azzannarsi! La tigre e il dragone! Un lago di sangue!” –Rifletté raggelandosi.

 

“Presto anche tu scivolerai nei tormenti della bestialità furiosa, Cavaliere senza nome! La tua aria superba non ti salverà!” –Sghignazzò Menas, ma Ascanio fugò ogni dubbio, atterrandolo con un semplice movimento del braccio e schiacciandolo a terra con il suo cosmo.

 

“Dubito che su me, addestrato agli antichi misteri di Avalon, istruito dal Signore dell’Isola Sacra in persona, tali poteri possano avere effetto! Non vi è droga o effluvio che io non abbia sperimentato e saputo domare! E la tua rosa di rabbia non fa certo differenza!” –Esclamò Ascanio, calpestando alcuni petali con il tacco delle calzature. –“Tuttavia sono in pena per Sirio e il Maestro! Devo tornare ad aiutarli!”

 

“Ormai saranno già morti!” –Ridacchiò Menas. –“Gli animaleschi spiriti della Tigre e del Drago li avranno condotti verso gli abissi di Ade, in mezzo a tormenti atroci! Come bestie si saranno azzannate, sfregiando i loro corpi e inebriandosi dell’odore del sangue, odore che nient’altro effetto avrà avuto se non quello di aizzarli ancora l’uno contro l’altro, sempre di più, fino a divorarsi corpo e anima!”

 

“Sei un miserabile! Soltanto i vigliacchi combattono in questo modo!” –Esclamò Ascanio, espandendo il suo cosmo. –“Parli di sangue e di istinti con un distaccato fascino che mi fa pensare che tu sia immune, come me, a questo artifizio!”

 

“E lo sono infatti! Nel mio sangue scorre il siero della rosa di rabbia, dal Gran Maestro di Ombre in persona iniettatami! Nessun onore potrebbe essere più grande di quello che mi vede suo servitore personale, l’araldo della grande ombra!”

 

“Il Maestro di Ombre? Chi è costui?” –Rifletté Ascanio, ma Menas parve non aver più voglia di parlare. Concentrò il cosmo sul pugno e si lanciò avanti, per colpire il ragazzo in pieno viso, ma Ascanio fu svelto ad evitarlo, spostandosi di lato. –“Troppo lento! Il tuo genio non funziona con me!” –E travolse Menas con un’onda di cosmo, paralizzando i suoi movimenti. –“Adesso parla! Chi ti ha inviato ai Cinque Picchi? Sei al servizio del figlio bastardo di Ares, che i Cavalieri Celesti miei compagni cercano di catturare da settimane?”

 

“E se anche fosse?!” –Sogghignò Menas, cercando di liberarsi dalla prigionia mentale di Ascanio. –“Flegias vi sterminerà tutti e sulle ceneri di questo mondo sorgerà un impero di tenebra, di cui egli sarà sovrano incontrastato, ambasciatore dell’ombra e del caos!”

 

“Dunque è così! Non ha rinunciato ai suoi folli progetti di dominio!” –Rifletté Ascanio. –“Devo rientrare sull’Olimpo e conferire subito con Phantom e con Zeus!”

 

“Mi dispiace per te, ma non andrai da nessuna parte!” –Esclamò Menas, con gli occhi che gli luccicavano di rabbia. In quel momento il terreno tremò sotto i piedi di Ascanio e numerosi fusti di rovi sorsero attorno a lui, avvinghiandosi stretti al suo corpo e lacerando le sue vesti con le loro spine aguzze. Ascanio tentò di dibattersi, per sradicare quei rovi assetati del suo sangue, e nel farlo abbandonò la presa mentale su Menas, che fu di nuovo libero di muoversi. –“Stritolatelo, rovi di sangue!” –Gridò, aumentando il numero dei fusti spinosi, che si attorcigliarono attorno al corpo del ragazzo, proprio come avevano fatto con Asher il giorno prima. Lo afferrarono per gambe e braccia, bloccandogli i movimenti e affondando nella sua giovane carne.

 

“Non penserai di battermi con così poco! Non ho neanche bisogno della mia Armatura per sconfiggerti!” –Esclamò Ascanio, espandendo il cosmo, con i muscoli tesi per lo sforzo, e annientando tutti i rovi, che vennero inceneriti da un’onda di luce. Menas la osservò, impressionato dall’immane potenza, e gli parve di vedere la sagoma di un dragone rosso dipingersi davanti a sé. Un dragone con le fauci aperte, che Ascanio diresse contro di lui. –“Attacco del Drago di Sangue!!!” –E travolse Menas, trapassando il suo corpo da parte a parte e gettandolo a terra, con l’armatura in frantumi e ferite aperte ovunque.

 

“Ma… maledetto…” –Rantolò Menas, respirando a fatica e realizzando di non essere all’altezza per un avversario del genere. Lui era solo un guerriero di basso rango, dalla potenza ben lontana da quella dei Capitani dell’Ombra, specializzato in agguati e infiltrazioni, scelto da Flegias proprio perché sapeva arrivare e andarsene non visto. Ma in battaglia i suoi poteri erano minimi. –“Tuttavia non mi arrendo… no, non deluderò il Gran Maestro di Ombre!” –Ringhiò, rimettendosi in piedi.

 

Ascanio lo osservò ma non provò alcuna ammirazione per la sua tenacia, considerandola soltanto un passo avanti lungo i gradini dell’inferno. Portò il braccio destro davanti al petto, lasciando che i serpenti intrecciati si illuminassero e invadessero l’intero altopiano, stritolando Menas in un abbraccio di luce. Quindi fece per colpirlo al cuore con un pugno, per porre fine alla sua straziante agonia, quando una bomba di energia esplose proprio su di loro, scaraventandoli indietro di parecchi metri. Ascanio rotolò sul terreno roccioso, prima di rimettersi agilmente in piedi e gettar via la maglietta strappata. Di fronte a lui, magnifico e terribile, si ergeva un nuovo avversario, dal cosmo oscuro come le tenebre.

 

Alto più di tre metri, un colosso dalle spalle robuste, ricoperto da un’armatura nera dai riflessi violacei, con otto teste di drago disseminate sul corpo che le davano un’aria inquietante. Ma Ascanio, che quel simbolo ben conosceva, essendo anche il suo, ne provò rispetto, più che timore. Quell’uomo era Orochi, il più forte dei sette Capitani dell’Ombra.

 

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Capitolo 12
*** Mettersi in cammino ***


CAPITOLO DECIMO: METTERSI IN CAMMINO

CAPITOLO DECIMO: METTERSI IN CAMMINO.

 

“Sei un fallimento!” –Esclamò la rude voce di Orochi, rivolgendosi a Menas, che piagnucolava sul terreno, trascinandosi a fatica verso l’alto corpo del suo superiore. –“Riferirò al Maestro di Ombre la tua condotta e non ne sarà affatto contento! Ho dovuto scomodarmi persino io per salvare il tuo insignificante posteriore!”

 

“Abbiate pietà, nobile Orochi, al mio compito ho saputo comunque adempiere! Stavo per tornare all’Isola delle Ombre, quando ho incontrato questo viscido Cavaliere di Atena!” –Disse Menas della Rosa, visibilmente intimorito dal Capitano dell’Ombra.

 

“Non di Atena sono Cavaliere, ma del Sommo Zeus, Signore dell’Olimpo!” –Precisò Ascanio Testa di Drago, con voce decisa.

 

“Per chiunque tu combatta, incontrerai la morte come tutti gli altri! Nessuno resisterà all’avvento dell’ombra!” –Sentenziò Orochi, invadendo l’altopiano con il suo esteso e oscuro cosmo.

 

“Questo è tutto da dimostrare!” –Esclamò Ascanio, espandendo il proprio cosmo e dirigendo il suo colpo segreto contro l’avversario. –“Attacco del Drago di sangue!” –Ma l’impetuosa corsa del dragone rossastro venne fermata dal palmo aperto della mano destra di Orochi, che il gigantesco guerriero mostrò ad Ascanio, continuando a fissarlo negli occhi, con aria di sfida. Quindi, sopraffacendo la sua energia cosmica con la propria, chiuse il pugno, spegnendo l’attacco del ragazzo, estinguendolo senza lasciarne traccia alcuna, di fronte ai suoi occhi sgranati. –“Incredibile!!! Mai nessuno era uscito indenne da un mio assalto frontale!” –E subito parve udire la voce del suo maestro, il potentissimo uomo che l’aveva addestrato negli anni della sua permanenza a Glastonbury, ricordargli di non sorprendersi mai, ma di aspettarsi sempre tutto.

 

“Poiché esisterà sempre qualcuno o qualcosa più grande di noi! Sii consapevole dei tuoi limiti, cosicché tu possa superarli!” –Amava ripetergli il suo mentore. E Ascanio, sorridendo, realizzò di non aver ancora messo in pratica quell’insegnamento.

 

Non ebbe il tempo però di pensare ad altro che venne avvolto da una massa indistinta di energia cosmica e sollevato da terra, mentre un fiume in piena ribolliva sotto di lui. Orochi sogghignò beffardo, scaraventando Ascanio in cielo e osservandolo esplodere in una bomba di luce. Quindi, soddisfatto per la sua azione distruttiva, compiuta con un minimo sforzo e senza sporcarsi troppo, afferrò Menas per una spalla, sbattendolo a terra e avvolgendolo nel suo cosmo, prima di scomparire con lui e fare ritorno all’Isola delle Ombre.

 

Ascanio, nel frattempo, stava precipitando dall’alto del picco roccioso, rotolando sui pendii scoscesi, con il corpo pieno di ferite, per l’attacco energetico di Orochi e per lo sbattere continuo lungo la pietra. Ma sembrava non riuscire a trovare la forza per reagire e fermarsi. Confuso, stava cercando di rimettere insieme i pezzi di quegli ultimi minuti, chiedendosi come era stato possibile che un avversario lo avesse travolto così facilmente, dopo averlo sorpreso con un attacco improvviso. I suoi sensi erano altamente sviluppati, grazie all’addestramento che aveva ricevuto ad Avalon, e mesi prima a Glastonbury era stato in grado di percepire persino la presenza di Phantom dell’Eridano Celeste, per quanto questi si celasse ad occhi umani grazie ad un talismano divino. Come era stato possibile che non avesse sentito l’arrivo di Orochi? E come aveva potuto questi colpirlo così velocemente? Rotolando lungo il pendio scosceso, Ascanio convenne che, nonostante avesse creduto di esserne immune, non doveva esserlo interamente e i velenosi rovi di Menas della Rosa dovevano aver indebolito i suoi sensi, rendendolo goffo e portandolo alla sconfitta.

 

Ma non accadrà una seconda volta! Si disse, aggrappandosi ad una sporgenza rocciosa, poco prima di rotolare di sotto da uno strapiombo. No, non gli permetterò di accadere! Maestro, abbiate fiducia, ho imparato la lezione! La superbia in battaglia non aiuta, e anche quando siamo certi di essere in vantaggio è sciocco abusare della propria superiorità! E nel dir questo si tirò su, cercando di rimettersi in equilibrio, prima di iniziare a scalare il ripido pendio, fino a raggiungere un piccolo sentiero su un fianco della montagna. Si riposò per pochi istanti, giusto il tempo di scuotere via le gocce di sudore che colavano sulla sua fronte abbronzata, prima di lanciarsi in una rapida corsa verso la residenza del Cavaliere di Libra, sicuro che lui e Sirio avessero bisogno del suo aiuto.

 

Quando arrivò alla pagoda, trovò tracce di sangue disseminate su tutto il terreno attorno e pezzi di roccia franata, simboli evidenti di uno scontro che aveva assunto dimensioni preoccupanti. Chiamò Sirio e il Maestro a gran voce, guardandosi attorno con circospezione, lasciando che i suoi sensi prestassero ascolto al vento e al richiamo della natura, di cui quel luogo, così semplice e al tempo stesso così immortale, era profondamente intriso. Infine li trovò. Deboli e affaticati dal brutale scontro, che doveva essersi protratto fino ad esaurirli entrambi, giacevano lungo le rive del fiume, le cui limpide acque erano macchiate dal sangue di quel delirio. Dal sangue che così tanto li aveva inebriati. Ascanio vide i loro corpi dall’alto della rupe e balzò verso il basso, saltando di sporgenza in sporgenza, fino ad atterrare sul bordo del fiume, a pochi passi dai due Cavalieri stremati. I tatuaggi sulla schiena ben in mostra, i visi scorticati dalle unghiate a cui erano abbandonati, numerosi lividi ed escoriazioni sul corpo. Ascanio sospirò, preoccupato per le loro condizioni, e mosse un passo avanti, prima che i sensi lo avvertissero di stare in guardia.

 

Sirio e Libra si rialzarono infatti di colpo, quasi dimentichi di essersi affrontati fino ad allora, e si lanciarono sul Cavaliere Celeste, con gli artigli sguainati e pronti per affondare dentro di lui. Ascanio fu abile a evitare entrambi, scivolando in mezzo ai due e portandosi alle loro spalle, abbattendoli poi con un’onda di energia. Non erano davvero in sé, con quegli occhi indemoniati, carichi di sangue e follia, tutto l’opposto della pacata consapevolezza che li aveva sempre contraddistinti. Ma erano comunque due Cavalieri di immani poteri e Ascanio non poteva rischiare di affrontarli direttamente. Ne andava della sua, e della loro, incolumità.

 

Così si lasciò cadere sulle ginocchia, di fronte agli sguardi incuriositi dei due uomini, socchiudendo gli occhi e lasciando che il cosmo fluisse dentro di lui, entrando in comunione con la natura circostante, con l’energia mistica che da millenni risiedeva in quel luogo. Sirio e Libra rimasero per qualche momento ad osservarlo, quasi assaporando la preda che, ormai vinta, si offriva per saziare la fame di sangue che stava divorando la loro anima. Ma quando fecero per lanciarsi contro di lui, si accorsero che Ascanio stava facendo dei cerchi sul terreno, prima di stringere un mucchio di terra nel pugno e scagliarla contro di loro, con tutto il suo cosmo. Una pressione micidiale fermò i movimenti di Sirio e di Libra, bloccandoli a mezz’aria, mentre una corrente di energia lambiva i loro corpi, schiacciandoli ogni volta che tentavano di muoversi.

 

“Maestro!” –Lo chiamò Ascanio, sollevando lo sguardo verso di lui. –“Risvegliate la vostra vera essenza! Cacciate il demone annidato dentro di voi! Vincete la demoniaca fragranza della Rosa di Rabbia! Potete farlo! Ne sono certo!”

 

“Io…” –Balbettò Libra, per un momento colpito dalle parole di Ascanio. Ma subito gli istinti animaleschi presero il sopravvento, inebriati dall’odore del sangue attorno, dalla nuova preda che avrebbero sventrato entro pochi minuti, e spinsero Libra a dimenarsi furiosamente, cercando di estirpare quella corrente di fuoco fatuo che lo teneva prigioniero. Stessa cosa fece Sirio, e ad Ascanio sembrò che, in virtù del maggior livello raggiunto, il ragazzo fosse sul punto di riuscirvi. Per questo decise di agire, senza perdere altro tempo. Concentrò il cosmo dentro al cuore, lasciandolo fluire all’esterno sotto forma di un drago di luce bianca, il drago della vita, proprio mentre Sirio e Libra si liberavano dalla sua prigionia mentale.

 

“Nella cultura celtica i draghi o serpenti sono il simbolo del duplice potere della creazione! Mantengono le forze in equilibrio dinamico, rappresentando la potenza dell’universo! Un potere capace di dare vita e morte! Contro i nemici, che alla guerra soltanto anelano, Avalon solleva il drago rosso, intinto di sangue e distruzione, ma verso gli amici, per purificare il vostro animo infetto, rivolgerò il dragone bianco, i cui poteri, come quelli del Pozzo del Calice di Glastonbury, sanano le ferite e donano la vitaaa!!!” –Gridò Ascanio, liberando il suo potere. –“Attacco del Drago Bianco!!!” –E la maestosa sagoma di un drago di energia, risplendente di vivida luce bianca, travolse Sirio e Libra, intenti a scagliare i loro colpi segreti.

 

Gli attacchi dei due Cavalieri, portati confusamente e senza concentrazione, svanirono all’istante, fagocitati dal lucente sfolgorio del Dragone bianco, che trapassò i loro corpi, scaraventandoli a terra. In quel momento arrivò correndo Fiore di Luna, piangendo e chiamando Sirio a gran voce. Anche nei suoi occhi brillava una luce sinistra, un fuoco infernale, a causa degli effluvi della rosa di rabbia.

 

“Che cosa gli hai fatto? Come hai osato colpire Sirio?!” –Gridò, avventandosi su Ascanio e iniziando a tempestarlo di schiaffi e di colpi, finché il ragazzo non la interruppe, afferrandole le braccia, senza stringere troppo, e fissandola con il suo sguardo, quasi volesse leggerle nell’anima. Lentamente Fiore di Luna iniziò a tranquillizzarsi, mentre un’angelica presenza pareva fluire dentro di sé, una voce lontana, un sospiro nel vento, che la spinse a farsi forza e ad aggrapparsi all’unica cosa che potesse cancellare la rabbia dal suo cuore. La preghiera.

 

Soffocando le lacrime, la ragazza cadde a terra, rannicchiandosi e iniziando a mormorare parole che Ascanio non riuscì a comprendere interamente, ma che sembravano il Padre Nostro della religione cristiana. Tra le mani scintillò un crocifisso d’argento, l’unico legame che la ragazza aveva ancora con i suoi genitori. Tutto ciò che aveva in tasca quando il Vecchio Maestro l’aveva trovata anni addietro. Ascanio sorrise, prima di chinarsi sui corpi dei due uomini, avvolgendoli in un confortevole abbraccio con il suo cosmo curativo.

 

Sirio fu il primo a risvegliarsi, scuotendo la testa stordito, ed ebbe bisogno di qualche minuto per riordinare i confusi frammenti del suo passato recente. Per un attimo le immagini di Libra che si lanciava contro di lui ad artigli sguainati lo invasero, piegandolo in due dal dolore, e Ascanio dovette incitarlo a far appello a tutta la sua energia interiore, a tutta la saggezza accumulata negli anni, affinché l’istinto bestiale di nuovo non lo sopraffacesse.

 

“Resisti, Sirio! La tua sapienza lo vincerà!” –Commentò, mentre anche Libra si risollevò, guardandosi attorno confuso. Ascanio sorrise a entrambi, prima di crollare sulle ginocchia, stanco per il lungo sforzo mentale. –“Non ho cacciato del tutto l’ombra dai vostri cuori, perché essa è anche parte di voi! L’istinto è delle bestie come è dell’uomo, ma il nostro raziocinio, il nostro controllo, deve saperlo dominare senza estirparlo completamente!”

 

Libra si mise in piedi, osservando le ferite sul suo corpo e su quello dei suoi allievi, e sentendosi tremendamente in colpa per l’accaduto. Allungò una mano verso Sirio, accennando un sorriso e aiutandolo a rialzarsi, proprio mentre Fiore di Luna si riscuoteva dalla sua preghiera, voltandosi verso di loro. Arrossì non appena incrociò lo sguardo del Cavaliere di Libra, e spostò lo sguardo, per nascondere gli occhi rossi dalle lacrime. Ma l’uomo le si avvicinò, prendendole una mano e costringendola a voltarsi e a fissarlo negli occhi. In occhi sereni, adesso.

 

“Perdona le mie parole, Fiore di Luna! Sono state dettate soltanto dalla rabbia!”

 

“No, Maestro! Perdonate voi questa stupida ragazza! Per un attimo, accecata dai miei sentimenti, ho dimenticato la riconoscenza che provo per voi, e l’abnegazione con cui da anni servite la giustizia! Sono stata molto infantile, vi prego di scusarmi!”

 

“Credo che tutti dovremmo un po’ scusarci, prima di tutto con noi stessi!” –Intervenne Sirio, avvicinandosi e abbracciando entrambi.

 

Ascanio si risollevò in quel momento, attirando gli sguardi su di lui. Sirio avrebbe voluto ringraziarlo ma il Cavaliere di Zeus con un gesto lo pregò di non parlarne più. Non era ancora finita. Doveva distruggere le rose fuori dalla pagoda e poi tornare sull’Olimpo ad informare Zeus. E c’era un’altra cosa che si stava chiedendo da un’ora ormai, cosa fosse quell’Isola delle Ombre di cui Orochi e Menas avevano parlato? Forse il luogo ove Flegias si era rifugiato? Non aggiunse altro e iniziò a correre verso il sentiero, raggiungendo in fretta l’abitazione del Cavaliere di Libra. Là, con un veloce attacco energetico strappò via tutte le rose di rabbia, ma sgranò gli occhi quando vide che nuovi fiori sorgevano dal terreno appena estirpato.

 

Maledizione, Menas aveva ragione! È un cerchio senza fine! Commentò Ascanio, osservando il fallimento di un nuovo attacco. Ed io sono pure stanco! Non aggiunse altro e tornò indietro, ai piedi della montagna, dove Sirio e Libra stavano pulendo le loro ferite con l’acqua del fiume dei Cinque Picchi. Spiegò loro la situazione, pregandoli di andarsene quanto prima, per non essere nuovamente infettati.

 

“Trovate un riparo, Maestro, per voi e per Sirio e Fiore di Luna, una sistemazione qualunque! Ma lasciate la Cina! Finché le rose di rabbia non saranno estirpate i vostri istinti bestiali potrebbero riprendere il sopravvento in qualsiasi momento! Andate al Grande Tempio, io mi recherò ad Avalon! Il mio Maestro forse conoscerà un modo per risolvere questa fastidiosa situazione!” –Spiegò Ascanio, preparandosi per partire. Libra gli si avvicinò, con aria piena di orgoglio per la maturazione del discepolo, e gli mise una mano sulla spalla.

 

“Come già ebbi modo di dire a Sirio, durante il suo scontro con Arge lo Splendore… non sono più il tuo maestro, Ascanio! Adesso sono un amico! Un compagno al cui fianco combattere!” –Sorrise il Cavaliere d’Oro, commuovendo il ragazzo.

 

Ma quando Ascanio concentrò i propri sensi per raggiungere l’Olimpo, percepì un’oscura perturbazione nel cosmo. Un’immensa ombra che pareva sopraffare corpi di uomini straziati dal dolore. Tra le grida, riconobbe quelle di Gwynn, Cavaliere Celeste del Biancospino, e la voce solida di Phantom, che lo incitava a resistere, nonostante la ferita al petto. In mezzo al sangue, e al delirio di mille uomini in fuga, strati di ombre avanzavano inghiottendo ogni forma di luce. Il tempo era infine scaduto e la grande oscurità era arrivata. Ascanio scosse la testa, cercando di liberarsi da quel mistero che aveva appena vissuto, da quella strage di eroi a cui aveva appena assistito. Libra si accorse del turbamento del ragazzo e avrebbe voluto chiedergli qualcosa, ma quando fece per parlare Ascanio era già scomparso. Svanito in una nube di luce.

 

Anche se non era riuscito a distinguere il luogo, Ascanio aveva compreso dove si trovavano Phantom, Gwynn e gli altri Cavalieri Celesti. Sull’Isola delle Ombre, ove Flegias aveva aperto le porte dell’inferno.

 

Avvolto nel suo mantello scarlatto, nella caverna sotterranea dell’isola dell’Egeo, il Maestro di Ombre aveva ascoltato con attenzione il resoconto di Orochi, che si era lamentato con Menas per essersi lasciato scoprire.

 

“Così adesso i Cavalieri staranno all’erta, impedendoci nuove incursioni! Razza di incapace, avresti dovuto farlo fuori quel galoppino di Zeus!”

 

“Non è delle incursioni che mi preoccupo!” –Lo interruppe Flegias, meditando attentamente sul da farsi. –“Avvolti nelle ombre che ho generato, potremmo raggiungere ogni angolo di questa sporca terra! Ma è della tua livrea che mi dispiaccio! Cosa ne è della nera corazza che Athanor aveva forgiato per te? Ne restano pezzi sparsi sul tuo inutile corpo, macchiati di sangue e vergogna!”

 

“Pietà, Grande Maestro di Ombre! Ho cercato di oppormi, ma il potere di quell’uomo mi ha sovrastato! E l’armatura nera è andata subito in frantumi!” –Esclamò Menas.

 

“Bugia!!!” –Intervenne Athanor, che stava origliando la conversazione.

 

“Devo dunque dedurre che le tue corazze valgano meno della tua vita, Alchimista Oscuro?!” –Ringhiò Flegias, sfoderando gli artigli della mano destra, su cui concentrò il cosmo, prima di sferzare Athanor in pieno viso, gettandolo a terra, con la veste tinta di sangue e il volto sfregiato.

 

“No, no!!! La corazza di Menas era la prima, la prima che ho creato! Era ancora imperfetta, come le armature dell’Isola Nera! Ma grazie al sangue del Dio Asclepio e al potere della pietra nera ho potuto migliorare la loro resistenza, ho potuto…”

 

“Prega che la mia corazza non subisca danno alcuno, viscido servitore, o pulirò i graffi con il tuo sangue!” –Esclamò Orochi. –“Non vorrei che costui fosse ancora legato ad Atena, mio Signore! Potrebbe venderci ai greci!”

 

“Fa silenzio, Orochi! Sei un guerriero, non un filosofo, e non ti ho chiesto di pensare!” –Lo zittì Flegias, avvicinandosi poi a Menas e a Athanor, rintanati in un angolo della caverna. –“Parlami di quel Cavaliere di Zeus! Chi era? Qual era il suo nome?”

 

“Non lo so, non conosco il suo nome, non l’avevo mai visto! Emanava una potenza mistica, un cosmo intriso di storia e leggenda, ed ha nominato Avalon! Sì sì, l’Isola Sacra! Diceva di essere immune agli effluvi della mia rosa, ma credo comunque che abbia risentito del veleno dei rovi!” –Spiegò Menas, con agitazione.

 

“Avalon?!” –Gridò Flegias, avvampando di fuoco e di ombra. –“Quei bastardi!!! Sanno dei talismani e vogliono impedirmi di trovarli! Vogliono raggiungerli prima di me, ma glielo impedirò!!! Sì, glielo impedirò!” –Ringhiò, sfoderando la spada infuocata, che portava alla cinta della lunga veste, e mozzando con un secco colpo la testa di Menas. –“Il tuo ruolo nella storia è concluso! Hai finito di servirmi, inetto!”

 

Athanor e Orochi non dissero niente, limitandosi ad un breve sguardo di intesa. Il silenzio era per loro l’arma migliore da usare, ne convennero entrambi, seppur Orochi mantenesse il fiero e composto atteggiamento di un guerriero, mentre Athanor arrancasse ancora, accanto al corpo sanguinante di Menas. Un’occhiata di Flegias lo fece impallidire.

 

“Cosa aspetti, alchimista? La benedizione degli angeli e di tutto l’Olimpo?! Aspetteresti invano, perché presto li caccerò tutti nel Tartaro, sprofondando ognuno di loro in una tenebra senza fine!!! Ah ah ah!” –Rise Flegias, nel cosmo che avvampava attorno a sé. –“Prendi il sangue di quell’inutile bestia e fanne buon uso, di modo che possa almeno servire a qualcosa da morto! Che non si dica che il Gran Maestro di Ombre non rende omaggio ai suoi fedeli!!! Ah ah ah!” –Rise ancora, mentre Athanor sollevava, con un certo ribrezzo, il corpo mutilato di Menas e lo portava via, verso le grandi fornaci, scomparendo nell’ombra dei sotterranei. –“Idiota! Quanto ancora credi che mi servirai?” –E sghignazzò, voltandosi verso Orochi, ed osservandolo compiaciuto ridere a sua volta.

 

In quella, sentì decine di cosmi lucenti apparire nelle lande di quell’isola brulla, e sogghignò, pronto a scendere in campo. Gettò via il nero mantello che lo rivestiva, sfoderando la sua scarlatta Armatura, i cui oscuri riflessi parevano fondersi con la tenebra circostante.

 

“Che si facciano avanti, i prodi difensori delle stelle! Li osserverò cadere uno ad uno, decomporsi sul terreno, fino a diventare cibo per le mie ombre! Fino a diventare l’esercito silenzioso con cui invaderò il mondo!” –Declamò a gran voce, sollevando la Pietra Nera verso l’alto e lasciando che liberasse un’immensa nube di energia nera. Una nuvola tetra, quasi indistinguibile in quell’antro oscuro, da cui Orochi vide fluttuare via centinaia e centinaia di ombre, neri spiriti vaganti che traboccarono all’esterno, per oscurare la luce delle stelle e di tutti coloro che l’avrebbero difesa.

 

Che vi fosse movimento, sull’Isola delle Ombre, era evidente anche per le decine di giovani imprigionati nelle caverne, costretti a lavorare nella grande fucina e sorvegliati a vista dai servitori del figlio di Ares. Feriti durante l’assalto dei berseker al Grande Tempio, erano stati sequestrati e condotti in quell’oscuro antro, impossibilitati a scappare a causa della paura che il solo sguardo di Flegias pareva incutere nei loro cuori. Erano orfani, erano smarriti, erano solo dei ragazzini arrivati in Grecia alla ricerca della Terra Promessa, di uno scopo nella vita, sulla scia delle leggende udite sui Cavalieri di Atena. E adesso erano degli schiavi, che lavoravano da settimane nelle prigioni sotterranee dell’isola, trasportando materiale e fondendone altro, sotto lo sguardo attento di Athanor e di Flegias. Denutriti e debilitati, dormivano solo quattro ore a notte, costretti a mangiare pane raffermo e pezzi di carne cruda, di chissà quale animale, e a sorseggiare sporca acqua, che periodicamente gli veniva fornita. Qualcuno era pure morto per denutrizione, ma questo non impediva a Flegias di diminuire le scorte per gli schiavi, tanto poca era la considerazione che aveva di loro, dettata soltanto dall’utilitarismo.

 

Avevano provato una sola volta a ribellarsi, approfittando dell’assenza del figlio di Ares, impegnato a massacrare Asclepio a Pergamo, ma il tentativo era finito in un bagno di sangue. Ne erano morti tredici, e i loro corpi erano stati gettati nell’immonda fornace, che era parsa saziarsi di quel giovane sangue, allungandosi verso la sommità del vulcano con sinuose lingue di fuoco nero. Da allora avevano abbandonato ogni proposito di fuga, continuando a servire Flegias passivamente, come fossero automi, contando i minuti che li separavano da una fine che a tutti pareva inevitabile. Come i loro compagni, anch’essi sarebbero divenuti cenere.

 

“Stai attenta, Miha!!!” –Esclamò un ragazzo, dai biondi capelli sfilacciati. –“Non farti vedere in terra, rialzati, presto!”

 

“Io… non ci riesco, Matthew… Non ho più forze!” –Mormorò la ragazza, crollata sotto il peso di lastre di metallo che non riusciva più a portare, stanca e sfinita.

 

“Coraggio, Miha! Alzati!!!” –Cercò di incitarla Matthew, prima che la cavernosa voce del loro sorvegliante li richiamasse.

 

“Cosa fate, schiavi? Osate interrompere la catena di produzione? Alzati, inutile femmina!!!” –Esclamò rozzamente il carceriere, avvicinandosi ai due e schioccando una lunga frusta fiammeggiante sul suolo. Bastò quel rumore, agli altri schiavi, per scuotersi e ricominciare a lavorare, dimenticando quella scena che li aveva distratti per un momento. –“Alzati, ti ho detto! Flegias vi ha risparmiato la vita, abbiate almeno il buon senso di rendergli grazie!” –E la sferzò sulla schiena, bruciandole la maglietta strappata che indossava, e sbattendola a terra, mentre la ragazza gridava di dolore. –“Non ho capito le tue parole!” –E la colpì di nuovo. E di nuovo ancora. Fino a scavare lunghi solchi di fuoco sulla sua giovane schiena.

 

“Miha!!!” –Gridò Matthew, di fronte a quell’orribile visione. E gettò via il materiale che stava trasportando, lanciandosi sul carceriere, per fermare quella tortura. Ma l’uomo non si fece sorprendere, colpendo Matthew in pieno viso e sbattendolo a terra.

 

“A cuccia, ragazzino!” –Ringhiò il sorvegliante, stringendo con fierezza la frusta nelle sue mani. L’unica arma che lo poteva realmente far sentire uomo, che lo poteva realmente far sentire interessante e utile. Poiché senza quella, che Flegias gli aveva dato affinché tenesse d’occhio quella mandria di mocciosi, non sarebbe stato nessuno, e di questo era consapevole anche lui. E in tal caso, semplicemente uno tra i tanti, sarebbe finito in schiavitù proprio come loro. –“Non accadrà!” –Mormorò, stringendo i vecchi denti gialli. –“Non accadrà!!!” –E colpì di nuovo Miha, che stava cercando di rimettersi in piedi, sbattendola nuovamente a terra, in un lago di sangue.

 

A tale vista, tutti gli altri schiavi si abbandonarono ad espressioni di disgusto e di paura, dispiaciuti per la sorte della ragazza ma troppo impauriti per muovere un dito per salvarla. Tutti tranne Matthew, che si rimise in piedi, pulendosi con un braccio il sangue che gli colava dal labbro rotto e fissando il carceriere con immenso disprezzo.

 

“Abbassa quello sguardo, moccioso!” –Esclamò l’uomo, sbattendo la frusta nel terreno di fronte a lui, e gettando contro Matthew schizzi di terra. Ma il ragazzo non si mosse, e continuò deciso a fissarlo, mostrandogli tutto il suo disprezzo. –“Abbassa lo sguardo, hai capito?!” –Ringhiò, facendo schizzare la frusta nell’aria, diretta verso il volto di Matthew, ma questi fu abile a chinarsi e a evitarla, afferrandola poi con un braccio. –“Come osi, lurido orfano bastardo?! Rimpiangerai quest’arroganza!”

 

“E la tua non è arroganza, Bahrein?! Un uomo che non vale niente e fa bella mostra della sua presunta superiorità agitando una frusta avuta in dono da un Dio crudele!” –Lo derise Matthew, stringendo la frusta con forza. –“Ho pietà di te, perché sei un debole! Un debole che ha bisogno di un’arma per farsi rispettare!”

 

“Maledetto cane! Ti taglierò quella lingua saccente!” –Ringhiò Bahrein, tirando la frusta a sé e caricandola di fiamme oscure, che avvolsero l’arma, ustionando le mani di Matthew, che fu obbligato a lasciare la presa. Questo permise all’uomo di richiamare a sé il suo scudiscio, prima di lanciarlo di nuovo contro Matthew, sbattendolo a terra e avvolgendolo in una stretta presa, con la sua frusta di fuoco. –“Stringe, vero, ragazzo? Adesso non sputi più sentenze, ma ti contorci dal dolore, e ne godo! Sì, trabocco di goduria nel vederti dimenare quel tuo esile corpo! Soffri, cane! E voialtri guardate i segni dell’infamia, impressi dalla mia frusta! Stessa sorte subirete voi se oserete ribellarvi a me!!!” –Esclamò Bahrein, mentre gli altri schiavi indietreggiavano intimoriti. –“E adesso…” –Aggiunse, stringendo ancora la presa su Matthew, ma accorgendosi che il ragazzo non si dimenava più. –“Sei già morto?!” –Si disse, non capendo cosa stesse accadendo, come potesse non provare più alcun dolore sottoposto alla stretta ustionante della sua frusta.

 

“Bahrein!” –Lo chiamò Matthew infine, mentre tutto il suo corpo veniva avvolto da un sottile strato di luce bianca. –“Il segno dell’infamia… lo proverai tu, sul tuo corpo!” –Gridò il ragazzo, allargando improvvisamente le braccia, facendo forza, e strappando i lacci della frusta che lo imprigionavano, di fronte agli occhi stupefatti di Bahrein e degli altri schiavi. Quindi, a fatica, Matthew si rimise in piedi, ancora avvolto in quella nube di luce bianca. –“Hai calpestato la dignità degli uomini troppo a lungo! Devi pagare, adesso!” –E si lanciò contro di lui, con il pugno destro avanti, colpendo l’uomo in pieno volto e spingendolo indietro, fino a farlo accasciare a terra.

 

Il servitore di Flegias si tastò la guancia distrutta, sputando sangue e qualche vecchio dente giallo, prima di rimettersi in piedi a fatica, afferrando quel che rimaneva della sua lunga frusta, ormai ridotta a un misero scudiscio di mezzo metro. Ma Matthew non gli diede possibilità di utilizzarlo, lanciandosi contro di lui e colpendolo con una spallata decisa in pieno petto, sbattendolo contro il muro, prima di iniziare a tempestarlo di pugni. Uno dopo l’altro, destro e sinistro, sinistro e destro, con una compostezza formale che non aveva niente di improvvisato, ma era il frutto di due anni di addestramento. Anni che Matthew aveva creduto di aver dimenticato per molto tempo e che adesso aveva improvvisamente riscoperto. Con un ultimo affondo gettò Bahrein a terra, il volto trasfigurato dalla violenza dei pugni, il sangue che colava copioso dalla bocca e dagli occhi. Il vecchio aguzzino arrancò per qualche metro sul suolo, allungando la mano verso lo scudiscio, prima di spirare.

 

Un attimo dopo Matthew venne circondato da un gruppetto di schiavi, che si congratularono con lui per la splendida azione. Ma il ragazzo non diede loro troppo ascolto, preoccupato per le condizioni di Miha. Si chinò su di lei, debole e febbricitante in un lago di sangue, e le sfiorò la fronte, incrociando il suo sguardo spento. Miha sorrise, e in quel gesto parve comunicare molte cose, ricordare tutto ciò che lei e Matthew avevano vissuto negli ultimi anni, da quando si erano conosciuti.

 

“Hai ritrovato te stesso!” –Mormorò la ragazza a fatica, sollevando una mano verso il viso di Matthew. Stanco come il giorno in cui l’aveva incontrato per la prima volta, al porto di Atene, intento a scaricare merci da un battello per guadagnarsi da vivere. –“Ma in fondo al cuore, credo che tu non l’avessi mai dimenticato! Sono stata felice… di assistere… alla tua rinascita!” –Tossì Miha, parlando con difficoltà, mentre Matthew cercava di sollevarla, per portarla via. Ma lei lo fermò, fissandolo un’ultima volta, prima di parlare direttamente al suo cosmo. –“Sii onesto con te stesso, Matthew, e non aver mai paura di essere quello che sei!”

 

“Miha!!!” –Gridò Matthew, osservando la ragazza chiudere gli occhi. –“Miha!!!” –La scosse, quasi per ridestarla dal sonno in cui era precipitata e per non ammettere che l’aveva lasciato. Anche lei. Come i suoi genitori e il suo maestro prima di lei. Pianse, chino sul corpo straziato della ragazza, prima che un gruppo di schiavi gli si avvicinasse.

 

“Vattene, Matthew! Almeno tu!” –Gli dissero. –“Noi siamo stanchi e deboli, non faremmo molta strada! Ma tu hai dimostrato di avere un fuoco dentro, un fuoco che non si spegnerà mai, perché arde per la giustizia e per le stelle! Lascia che il tuo cosmo ti guidi via da questo inferno!”

 

“Voi… verrete con me!” –Esclamò Matthew, rimettendosi in piedi e cercando di incitare gli altri a seguirlo.

 

“E dove? Verso la morte?” –Ironizzò qualcuno, proprio mentre il vulcano rombò, sbuffando fumo nero dalla sua cima e facendo tremare le profondità delle caverne, strappando grida di terrore a tutti gli schiavi rinchiusi. Matthew abbassò di nuovo lo sguardo verso Miha, e la vide dormire con un sorriso sereno sul volto, che le ricordò quello in cui si era specchiato per mesi. E che gli aveva dato la forza di andare avanti, e tornare al Grande Tempio. Strinse i pugni, sospirando, prima di annuire con il capo e correre via, lanciandosi verso le scale scavate nella roccia che conducevano in superficie. Si fermò un’ultima volta, ad osservare i compagni che abbandonava nella fornace, promettendo loro di fare ritorno.

 

“Per salvarvi!” –Si disse. –“Per salvare tutti noi!” –E si lanciò nell’ombra a capofitto.

 

 

 

 

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Capitolo 13
*** Scontro tra fratelli ***


CAPITOLO UNDICESIMO: SCONTRO TRA FRATELLI

CAPITOLO UNDICESIMO: SCONTRO TRA FRATELLI.

 

Pegasus non fu troppo sorpreso di vedere una cortina di nebbia rossastra circondare il Grande Tempio, quasi volesse stringerlo in un abbraccio mortale. Lungo le mura esterne e i sentieri che tra le montagne conducevano da Atene al santuario della Dea Guerriera erano fioriti migliaia di cespugli di rose rosse, riproducendosi ad un ritmo spaventoso e diffondendo nell’aria il malizioso aroma della rabbia che Ares aveva instillato in loro. Una rabbia che aveva portato i soldati e i servitori di Atena, che avevano inalato per ore quell’aria inquinata, a scontrarsi gli uni con gli altri, dando libero sfogo ai loro primordiali istinti. Poche ore prima, in quel torrido pomeriggio, un gruppo di soldati aveva avuto persino l’ardire di lanciarsi lungo la scalinata di marmo diretti verso la Prima Casa, ma il Grande Mur dell’Ariete aveva frenato la loro avanzata con un muro di energia, prima di respingerli, scaraventandoli a terra. Non voleva fare loro del male, ma non poteva permettergli di avvicinarsi ad Atena.

 

Il cosmo della Dea pareva rappresentare l’ultima difesa delle Dodici Case, un freno intangibile all’avanzata delle rose di rabbia, che non riuscivano ad aderire alle pareti rocciose della Collina della Divinità, concentrandosi lungo i fianchi esterni e alla base, dove la nebbia risplendeva di un acceso color rosso. Reso ancora più forte dal sangue dei soldati che si stavano uccidendo tra di loro.

 

“Atena!” –Aveva mormorato Mur poco prima, volgendo lo sguardo verso le Stanze della Dea, e sentendo improvvisamente un canto risuonare per l’intero Grande Tempio. Un canto di pace, una voce melodica, piena di speranza, come quella che aveva echeggiato nel Regno Sottomarino durante la prigionia di Atena nella Colonna Portante di Nettuno.

 

E infatti la Dea aveva cercato di contrastare l’effetto della rosa di rabbia, di cui Mur l’aveva avvisata, infondendo pace e di serenità nei cuori corrosi degli uomini del suo santuario. Ma l’impresa, che aveva considerato facile all’apparenza, si era rivelata ostica e fallimentare, poiché il veleno delle rose di rabbia era intriso del diabolico cosmo di Ares, che le aveva create secoli addietro, e di un’ombra immensa con cui Flegias le aveva potenziate. Atena aveva potuto soltanto alleviare i loro cuori per pochi minuti, sentendoli ansimare per il dolore e per la colpa di cui sapevano di macchiarsi, ma non riusciva a estirpare per sempre quel male di vivere. Così, su suggerimento di Ariete, la Dea aveva creato una cupola difensiva attorno alle Dodici Case, per limitare al minimo il contagio, augurandosi che Andromeda tornasse presto dalla missione nelle Andamane.

 

Pegasus apparve sul Cancello Principale del Grande Tempio nel tardo pomeriggio, in jeans e maglietta, e con lo scrigno dell’Armatura sulle spalle. Si guardò intorno e non vide guardia alcuna. Soltanto mucchi di feriti sparsi nel piazzale antistante e altri soldati che si affrontavano poco distante. E mura altissime di rose che sembravano saturare l’aria con la loro presenza. Pegasus le osservò, con lo sguardo spento, quasi annebbiato, e le sembrarono proprio le stesse che aveva osservato crescere, negli ultimi giorni, lungo la parete esterna della sua casa alla Darsena di Nuova Luxor, e che avevano risvegliato in lui il desiderio di rivedere Isabel.

 

Giusto qualche giorno prima, Patricia aveva aperto la finestra del monolocale, per cambiare l’aria e occuparsi delle pulizie, che il fratello era solito rimandare, e aveva sorriso alla vista di quel bel mucchio di rose rosse, piantate di recente in un’aiuola al piano terra. E i ragazzi avevano creduto fosse stato il vecchio custode, che amava dilettarsi col giardinaggio, a farne loro dono. Ma adesso, alla vista di quell’immensa nube tossica, foriera di sangue e di morte, Pegasus pensò di aver sbagliato tutto. E che forse avrebbe fatto bene a non lasciare il Giappone e tornare in Grecia. Ma l’istinto, che negli ultimi giorni si era impossessato di lui come mai prima di allora, lo dominò ancora, facendolo accasciare sulle ginocchia, tenendosi la testa, in preda a violente fitte, che cercavano di piegare la sua volontà.

 

Ansimò, battendo la terra con le mani, sputacchiando e sudando copiosamente. Poi si rimise in piedi, deciso ad andare fino in fondo. Voleva rivedere Isabel, per stare con lei, per parlare con lei, anche solo per perdersi una volta nei suoi occhi. E trovare il coraggio di confessare ciò che ormai non riusciva più a nascondere. Sospirò, ricordando una notte stellata, di un anno e mezzo prima, quando, nelle montagne fuori da Nuova Luxor, l’aveva vista per la prima volta in maniera diversa. Non come la proprietaria della Grande Fondazione, non come la figlia dell’uomo che gli aveva portato via sua sorella, ma come una donna. Come una Dea. La sua Dea. La stessa per cui aveva sempre rischiato la vita. La stessa che ormai non rappresentava più solo un ideale universale ma un progetto più personale. Si scosse, iniziando a correre lungo le vie del Grande Tempio, passando in mezzo a mucchi di feriti che si trascinavano sul terreno e a resse di altri soldati, intenti a fare a botte.

 

Doveva raggiungere le Stanze del Grande Sacerdote, ma per farlo non poteva passare dalle Dodici Case. No, Mur non glielo avrebbe permesso. In una situazione di emergenza nessuno poteva incontrare la Dea, soprattutto un uomo il cui simbolo era un animale, e come tale preda dei più bassi istinti. Così Pegasus si lasciò alle spalle il nucleo centrale del Grande Tempio, dove sorgevano alcune abitazioni, il mercato e le residenze dei soldati, per spingersi lungo il fianco occidentale della Collina della Divinità, in una zona spoglia e poco frequentata.

 

Là, su un piccolo rialzo del terreno, un tempo era stato costruito il primo osservatorio dagli antichi Grandi Sacerdoti, presto caduto in disuso e sostituito da quello in cima alla Collina delle Stelle. Là iniziava un sentiero, irto e poco battuto, che tagliava le montagne, aggirando le Dodici Case dello Zodiaco e permettendo di giungere fino alla residenza del Grande Sacerdote. Glielo aveva insegnato Castalia, poco dopo la fine della battaglia con Gemini, chiedendo al vecchio allievo di mantenere il segreto. Era una via di fuga, apprestata un tempo per mettere in salvo gli Oracoli, ma adesso per Pegasus era l’unico passaggio per raggiungere la Dea.

 

Isabel, presto saremo insieme! Si disse, iniziando la scalata.

 

Impiegò soltanto un paio d’ore per arrampicarsi lungo gli scoscesi pendii del fianco della Collina della Divinità, esperto scalatore quale era, e in tutto quel tempo nessuno fermò la sua avanzata. Pegasus sorrise, convinto che ormai non vi fosse più alcuna persona a conoscenza di tale via segreta. Senza sapere invece che qualcuno aveva avvertito la sua presenza. Qualcuno i cui sensi erano affilati quanto quelli di un felino e che non avrebbe mai lasciato sfuggire un topo dalla sua gabbia.

 

Con un ultimo balzo Pegasus raggiunse la cima e rotolò dall’altra parte della parete rocciosa, trovandosi proprio a metà della scalinata di marmo che separava la Dodicesima Casa dalle Stanze del Sacerdote. Proprio dove Castalia lo aveva raggiunto l’anno prima, per aiutarlo con le rose di Fish. Senza perdere troppo tempo con i ricordi, Pegasus scattò verso la cima, raggiungendo con un balzo il piazzale antistante alla Tredicesima Casa. Nonostante i lavori proseguissero ormai da mesi, con costanza e solerzia, vi era ancora molto da fare per riparare ai danni causati dagli scontri con Ares e i suoi figli. Alcuni soldati gli si fecero incontro, ma Pegasus li colpì con una serie di calci volanti, senza dare loro tempo neppure di aprire bocca. Atena, ne era certo, si trovava nelle sue stanze, sul retro del grande complesso architettonico della Tredicesima Casa.

 

Ed infatti in quel momento Lady Isabel era distesa sul letto, nella stanza riservata alla Dea, con il viso rigato dalle lacrime. Poiché sentiva tutto quello che stava accadendo. Sentiva tutto ciò che i Cavalieri covavano nel cuore, dolendosi per non poterli aiutare. Dolendosi per essere nuovamente inerme. Quel demone rabbioso che li aveva infettati era anche nel suo cuore, e gli permetteva di vedere con i loro occhi. Vide così Pegasus apparire tra le tende della Sala del Sacerdote, mentre il sole scendeva nel mare lontano, abbagliando l’orizzonte con un acceso rosso sangue. Vide Pegasus sollevare il trono e afferrare lo scrigno che vi era nascosto, lo scrigno contenente l’arma macchiata dall’odio e dall’infamia. La stessa che il ragazzo le rivolse contro poco dopo.

 

“Isabel…” –Mormorò Pegasus, apparendo sulla porta della stanza della Dea, con il volto straziato dall’angoscia e dal dolore, e gli occhi, solitamente pieni di voglia di vivere, adesso carichi di rabbia. –“Isabel… devo farlo… questo è quello che sento!” –Mormorò, socchiudendo gli occhi, prima di scattare contro di lei, sollevando il gladio d’oro con cui Gemini aveva tentato di ucciderla quasi quindici anni prima.

 

“Pegasus!!!” –Gridò Isabel, espandendo di colpo il suo cosmo e scaraventando il ragazzo indietro, fino a farlo schiantare contro il muro alle sue spalle. Lo scrigno dell’Armatura ricadde rumorosamente sul pavimento, e anche Pegasus si accasciò a terra, perdendo la presa del pugnale d’oro. –“Fermati, Pegasus! Torna in te! La rabbia di Ares ti domina! La rabbia di un Dio che non è riuscito a vincerci con l’onestà e adesso torna a torturarci con l’inganno! Sei un Cavaliere, sei un uomo! Non puoi farti sconfiggere da lui!”

 

“Io… io…” –Esclamò Pegasus, confuso, tenendosi la testa con le mani. –“Io volevo soltanto vederti… soltanto vederti ancora! Mi sei mancata, Isabel!” –Mormorò il ragazzo, ma subito si scosse, afferrando il gladio d’oro e rialzandosi di scatto. Come se mettere in campo i suoi veri sentimenti, tirare fuori la passione che covava nel cuore, non facesse altro che infiammare il suo spirito, lasciandolo divorare dall’ira. Da quel fuoco che ardeva dentro di lui e che gli ricordava continuamente ciò che non avrebbe mai avuto. –“Sei una Dea! Ed io non potrò mai averti!!!” –Ringhiò Pegasus, con gli occhi stravolti dal dolore. –“Ad un uomo non sarà concesso di unirsi ad una Divinità, neppure se è colei che ama!” –Aggiunse in lacrime, prima di lanciarsi di nuovo contro Lady Isabel, con il pugnale diretto alla sua gola.

 

“Pegasus, nooo!!!” –Gridò la ragazza, lasciandosi avvolgere da un globo protettivo di energia, su cui si schiantò la lama dorata, senza incrinarlo minimamente. –“Pegasus, ascoltami! Mur mi ha spiegato il funzionamento della rosa di rabbia! Agisce sui tuoi sentimenti, sui tuoi istinti, potenziandoli e privandoti di ogni raziocinio! Torna in te Cavaliere! Io so che puoi farlo! Tu devi farlo!” –Esclamò Isabel, prima di volgere lo sguardo verso destra, verso il mobile a cui aveva appoggiato lo scettro di Nike, e abbassarlo poi con un sospiro, spaventata da ciò che avrebbe potuto, e forse dovuto, fare. –“Basterebbe così poco…” –Mormorò la Dea, rivelando il suo lato fragile e umano.

 

Ma Pegasus non le diede tempo di riflettere ulteriormente, caricando il pugno destro del suo cosmo acceso e scagliando migliaia di pugni luminosi contro la barriera della Dea, la quale, presa alla sprovvista, venne spinta indietro, sbattendo contro il muro dietro di lei. Pegasus approfittò di quel momento per balzare sopra di lei, con il gladio sguainato, ma si ritrovò bloccato a mezz’aria dal potere della Divinità e avvolto in un caldo e confortevole cosmo. Isabel affannò, rimettendosi in piedi e chiamando a sé lo Scettro di Nike, a cui si appoggiò stanca, come se quel semplice gesto l’avesse sfinita. O forse il significato di ciò che stava dietro.

 

“I… Isabeeelll!!!” –Gridò Pegasus, dimenandosi come un disperato, cercando di liberarsi dal cosmo della Dea, che lentamente lo depositò a terra, senza mai smettere di lasciarlo anche solo per un momento. Senza mai smettere di restare avvolto al suo corpo e liberarlo dall’ombra e dalla rabbia. Per qualche istante a Isabel parve davvero di riuscirvi, parve davvero di vedere la bestialità scomparire dagli occhi di Pegasus, il cui animo stava probabilmente lottando per ritornare ciò che era un tempo. Il Cavaliere della Speranza. Ma bastarono poche parole per rompere l’incantesimo.

 

“Non affannarti troppo, Pegasus! Ucciderò io la Dea Atena!” –Esclamò una voce, obbligando Isabel a voltarsi verso l’ingresso, dove Ioria del Leone entrò pochi attimi dopo. Indossava soltanto la corazza di cuoio e di bronzo tipica degli allenamenti e avanzava a passo deciso verso il centro della stanza, fissando con fermezza Atena negli occhi.

 

“Ioria… tu?!” –Mormorò Isabel, stupita da quell’apparizione. E ricordò l’ultimo incontro avuto con lui, il suo volto stanco e preoccupato, e ritenne che forse già allora aveva iniziato a serpeggiare in lui l’odio e la rabbia. Ma la sua forza interiore e il suo cosmo puro erano riusciti a trattenerlo. –“Dunque anche tu sei stato corroso?!”

 

“Non parlare, Atena! E muoriiii!!!” –Sibilò Ioria, aprendo il palmo della mano destra e caricando affilati artigli di cosmo. Rapido, come un leone sulla preda, Ioria scattò contro Atena, strappando tutto ciò che era tra loro. Il letto, il pavimento, le tende svolazzanti, tutto venne lacerato dai fendenti luminosi di Ioria, obbligando Isabel a ricreare la sua barriera protettiva, su cui si schiantarono con fragore.

 

Provò più volte il Cavaliere di Leo a superare quell’aura celestiale, venendo sempre respinto, finché Isabel non fu costretta a puntare Nike contro di lui e a scaraventarlo contro il muro. Ioria ricadde a terra, con una spallina della corazza distrutta, ma anche ciò non bastò a placare il suo animo irato. Il suo animo che chiedeva vendetta, alla donna per cui suo fratello aveva dato la vita. Alla donna che troppo umana si era dimostrata in quegli anni, lasciando che altri morissero, dopo Micene, per coprire la sua incapacità nel difendere la giustizia. Con il fuoco negli occhi, Ioria si rimise in piedi, trovando Pegasus proprio di fronte a lui, con le braccia lungo i fianchi e i pugni chiusi, come se non aspettasse altro che confrontarsi con lui.

 

“Togliti, Pegasus! Non è te che voglio, ma affondare nel corpo della donna che mi ha portato via mio fratello!” –Ringhiò Ioria, espandendo il proprio cosmo. Pegasus fece altrettanto, lasciando che fulmini e scintille crepitassero attorno a loro, incendiando l’aria e saturandola di odio.

 

“Fermatevi! Basta!!!” –Gridò Atena, avanzando verso i due Cavalieri. Ma nessuno di loro sembrò prestarle ascolto, quasi non la vedessero più. In un lampo di luce si scagliarono uno contro l’altro, Pegasus con il pugno destro avanti e Ioria con gli artigli che avvampavano vendetta. Il Cavaliere di Leo venne raggiunto sul mento da un destro di Pegasus e scaraventato indietro, ruzzolando per molti metri fuori dalla stanza, ma anche il favorito di Atena fu ferito e costretto ad accasciarsi e a porre un ginocchio a terra.

 

Maledicendo l’avversario, Pegasus si tastò il fianco destro, dove la zampata del Leone l’aveva raggiunto, strappandogli via la maglietta e pezzi di carne e facendo colare fuori parecchio sangue, che imbrattò la sua mano e il pavimento del tempio. Isabel, a quella vista, corse verso di lui, per sincerarsi delle sue condizioni, quasi dimenticandosi che poco prima aveva tentato di ucciderla.

 

“Stammi lontano!” –Gridò Pegasus, spingendola via con un secco colpo di braccio e sbattendola contro il muro. –“Conduci alla morte e alla pazzia tutti quelli che ti stanno attorno! Tutti quelli che vogliono starti accanto e che si struggono per te! Che muoiono per te!!!” –Strillò, rimettendosi in piedi e incamminandosi fuori dalla stanza, sempre tenendosi il fianco insanguinato.

 

Ioria lo aspettava al centro della Sala del Sacerdote, appoggiato al trono con entrambe le braccia. Respirava a fatica, sudando abbondantemente, non tanto per la fatica fisica ma per l’angoscia che lo stava divorando. Perché, come Pegasus e gli altri infetti dalla rosa di rabbia, una parte del suo io, la più integra e razionale, continuava ad assistere, impotente spettatrice, al massacro a cui l’istinto e la bestialità stavano dando luogo. Senza poter fare niente per intervenire. Senza essere abbastanza forte per spegnere quell’inferno di passioni.

 

“Cedi il passo, Pegasus! Vendicherò mio fratello! E non sarai tu ad impedirmelo!” –Ringhiò il Cavaliere di Leo, voltandosi verso Pegasus, apparso sulla porta laterale. Lo squadrò mentre si avvicinava e gli cadde l’occhio sul sangue che colava dalla ferita sul fianco. E bastò quello per farlo avvampare, per eccitarlo oltremisura, inebriando i suoi istinti battaglieri. Non aggiunse altro e si lanciò contro Pegasus, con gli artigli sfoderati, sbattendo il ragazzo a terra e montando sopra di lui, che cercava di difendersi, di dibattersi per cacciar via l’agile fiera.

 

“Difenderò Atena!” –Esclamò il ragazzo, nella confusione che lo accecava. –“Perché sarò io ad ucciderla! Se non potrà averla io, se non potrò avere colei che amo, allora morirà con me!” –E spinse via Ioria con una ginocchiata al petto, osservandolo balzare indietro agilmente.

 

Ansimando, si rimise in piedi, pulendosi il sudore dal volto con il braccio destro e macchiandosi del proprio stesso sangue. Così poco bastò per inebriarlo ancora e dare nuovo impeto ai suoi istinti primordiali, in una giostra continua, in un ciclo a catena che nessuno dei due riusciva a rompere.

“Prendi, Pegasus! Artigli del Leone colpite nel segno!!!” –Gridò Ioria, scattando avanti e scagliando violenti fendenti di energia dorata, che falciarono il pavimento e le colonne attorno, obbligando Pegasus ad incrociare le braccia avanti a sé, venendo raggiunto da qualche unghiata, prima di concentrare il cosmo sul pugno destro e contrattaccare.

 

Fulmine di Pegasuuus!!!” –Esclamò, colpendo Ioria in pieno petto, a una spanna dal cuore, e scagliandolo indietro, fino a farlo schiantare contro una colonna e ricadere a terra, sul freddo pavimento di marmo. Da cui il Leone non si rialzò più. –“Ioriaaa!!!” –Gridò Pegasus, crollando sulle ginocchia. –“Cosa ho fatto?!” –Si disse, piangendo e dando pugni continui sul pavimento, in preda al demone dell’ira.

 

Fu in quel momento che il caldo cosmo di Atena lo raggiunse, avvolgendolo in un abbraccio carico di amore. L’intero salone fu invaso da quel tepore, che cacciò per un momento la rabbia dal suo cuore. Lady Isabel apparve sulla porta poco dopo, attorniata da un’aura di celestiale purezza, la stessa con cui mondare dall’ombra il suo animo inquieto. Senza paura, Isabel si chinò su Pegasus, sfiorandogli il volto con una carezza e socchiudendo i suoi occhi, invitandolo a lasciarsi andare, a lasciarsi cullare dall’abbraccio della Dea. Dall’abbraccio di una madre.

 

Perché in fondo Atena era così che si sentiva. La madre di tutti i Cavalieri. Vergine da sempre, per scelta personale, fin dai tempi del mito, Atena aveva sempre messo se stessa al primo posto, rifiutando di concedersi a qualsivoglia uomo o Dio, e donando tutto l’amore di cui sarebbe stata capace agli unici che veramente provavano un sentimento sincero per lei al punto da rischiare la vita. I suoi Cavalieri. Molti erano orfani, molti erano soli, tutti avevano certamente sofferto. E lei, abbracciandoli tutti con il cosmo, avrebbe trasmesso loro l’amore necessario per continuare a vivere.

 

“I… Isabel…” –Mormorò Pegasus, lo sguardo spento e languido, e mille pensieri in testa. –“Perdonami!” –Aggiunse, crollando tra le braccia della Dea.

 

Proprio in quel momento si spalancò il grande portone d’ingresso e Mur dell’Ariete arrivò correndo, ansimando preoccupato per l’accaduto. Aveva sentito cosmi pieni di rabbia infiammarsi alla Tredicesima Casa, e aveva inghiottito a fatica riconoscendo che si trattava di quelli di Pegasus e di Ioria. Ma una nuova crisi di Asher lo aveva obbligato a rimanere ancora alla Prima Casa, a prendersi cura di un ragazzo che ormai di umano non aveva più niente. Soltanto adesso aveva potuto raggiungere Atena, che subito gli andò incontro, spiegandogli la situazione.

 

“Se Andromeda e Kiki non tornano in fretta, chissà quanti altri casi come questi si presenteranno?!” –Mormorò Mur, prima di chinarsi su Ioria, che non si era più mosso da quando Pegasus lo aveva colpito. Lo girò sulla schiena, osservando i lividi, e toccò il suo cuore, sussultando quando lo trovò fermo.

 

“Fermo?!” –Balbettò Isabel, inorridita da quel pensiero. –“Mur, ti prego, fai qualcosa!”

 

“Il cuore del Leone è spento, Atena!” –Mormorò Mur, strappando via la cotta protettiva di Ioria e rivelando il suo petto scolpito. Proprio accanto al cuore c’era un grande ematoma, una chiazza scura che odorava di morte, il marchio con cui Pegasus lo aveva condannato. –“Un arresto cardiaco!” –Commentò il Cavaliere di Ariete, iniziando a pompare il cuore di Ioria con entrambe le mani, mentre Isabel si buttava a terra accanto a lui, infondendo al Cavaliere di Leo tutto il suo cosmo. –“Coraggio, Ioria! Svegliati! Coraggio, amico mio! Non… puoi lasciarci! No, non te lo permetto!”

 

“L’ho ucciso io!” –Esclamò improvvisamente la voce di Pegasus, facendo voltare Isabel e Mur verso il palchetto rialzato, dove il ragazzo si era rimesso in piedi e adesso avanzava barcollando verso di loro. Gli occhi gonfi di dolore, le lacrime lungo il volto e numerose ferite sul corpo, di cui la più grande al cuore.

 

“Non darti pena, Pegasus! Siamo tutti vittime quest’oggi!” –Commentò Mur con amarezza, continuando a pompare il cuore di Ioria.

 

Passarono quattro lunghissimi minuti, durante i quali nessuno osò parlare, durante i quali Pegasus e Isabel si limitarono ad osservare la mano esperta di Mur e a cedere a Ioria parte del loro cosmo, affinché si riprendesse. Proprio quando Ariete stava per smettere, chiudendo gli occhi per il dispiacere, Ioria tossì, sputando bava e sangue. E Pegasus si buttò su di lui, abbracciandolo con affetto e felicità. Stordito, il Cavaliere di Leo si sollevò, tenendosi la testa e cercando di riordinare i confusi frammenti della sua esistenza.

 

“Non sforzarti troppo, Ioria!” –Esclamò Mur, aiutandolo a rialzarsi. –“Non siamo ancora fuori pericolo!” –La voce di Mur suonò come un campanello d’allarme tra tutti i presenti, ricordando che le rose di rabbia non erano ancora state estirpate e che, per quanto il cosmo di Atena e il loro enorme senso di giustizia e fedeltà le avessero vinte per il momento, esse aleggiavano ancora come una minaccia presente. –“Non so quanto autocontrollo potrete ancora avere voi due! Né quanto potrò averne io!” –Aggiunse, abbassando gli occhi.

 

Le pozioni vegetali del popolo di Mu, unite alla maggior compostezza e razionalità del Cavaliere di Ariete, gli avevano permesso di rimanere immune al contagio, ma Mur sentiva che l’effetto delle rose di rabbia avrebbe presto raggiunto anche lui. E il pensiero che potesse trasformarsi in una bestia, come aveva visto ridursi Asher, lo turbò profondamente.

 

“Come hai detto tu stesso a Pegasus, Mur, non darti pena per qualcosa che nessuno di noi è in grado di controllare!” –Commentò Atena. –“Non dobbiamo farci prendere dal panico, ma mantenere la calma! Credevo che la barriera di Atena avrebbe fermato il diffondersi della rosa di rabbia, ma evidentemente i suoi effluvi superano persino le muraglie di cosmo! Non ci vorrà molto prima che l’intero Grande Tempio e le Dodici Case ne siano invasi!”

 

“Terrificante!” –Mormorò Pegasus. –“E dove sono Sirio e gli altri? Che ne è di loro? Sono stati… contagiati?!”

 

“Non lo sappiamo! Sirio è ai Cinque Picchi, Cristal ad Asgard, e Phoenix… beh, Phoenix è irreperibile come sempre! Ma ho inviato Andromeda in missione con Kiki! E se avranno successo potremo risolvere definitivamente il problema!”

 

“In missione?!” –Domandò Pegasus, prima che Mur gli raccontasse di Biliku e delle Isole Andamane, senza omettere il fatto che i due erano partiti da dodici ore e non aveva più avuto loro notizie. –“Non vorrei che avessero incontrato ostacoli imprevisti! Affrontare Biliku non è certo una passeggiata!”

 

“Affrontare una tizia che si crede un ragno?!” –Brontolò Pegasus. –“Ehi Mur, Andromeda ha affrontato Ade e altre Divinità! Credi che non sappia schiacciare un ragno troppo cresciuto?!”

 

“Sottovaluti il potere dell’arcano, Pegasus! Biliku è molto più di un ragno! E temo che questa scomoda verità abbia intrappolato Kiki e Andromeda in una tela così fitta da non permettere loro di fuggirne!” –Commentò Mur, incrociando lo sguardo preoccupato di Atena.

 

Pochi istanti dopo le porte dello spaziotempo vibrarono confusamente, e a Mur parve udire una voce chiamarlo da lontano. Anche Atena lo sentì, e aiutò Kiki ad apparire direttamente alla Tredicesima Casa, superando i campi difensivi del Grande Tempio. Sporco, con graffi e ferite dappertutto, Kiki comparve davanti ai tre Cavalieri e alla Dea, accasciandosi sulle ginocchia all’istante, troppo debole anche solo per parlare.

 

“Gra… grazie!” –Commentò il ragazzo, allungando un’ampolla verso Mur. –“Non avevo forza abbastanza per…” –E crollò avanti, ma Ioria lo afferrò prima che toccasse terra, prendendolo in braccio e lasciando che si riposasse.

 

“Sei stato un vero Cavaliere, Kiki!” –Esclamò Ioria, sorridendo al bambino. –“Un degno combattente di Atena!”

 

“Sono fiera di te!” –Aggiunse Atena, prima di chiedergli dove fosse Andromeda.

 

“Lui… è rimasto sull’isola!” –Commentò Kiki, pregando Ioria di depositarlo a terra. –“Siamo stati attaccati! Prima da Biliku, quel mostro orrendo! Fratello è stato spaventoso! Adesso so cosa prova una mosca a finire su una tela di ragno! E poi da due Cavalieri neri! Non so chi fossero… non li ho mai visti, né ho mai sentito i loro nomi: Iaculo e Iemisch! Emanavano un cosmo oscuro, figli della notte più nera! Andromeda ha ingaggiato battaglia con loro, permettendomi così di tornare ad Atene e portarvi il sangue di Biliku!” –Concluse Kiki.

 

“Hai fatto uno splendido lavoro, e anche Andromeda si è dimostrato degno di tutta la nostra fiducia! Grazie a questo sangue, potrò creare l’antidoto per estirpare le rose di rabbia! Corro subito a prepararlo!” –Esclamò Mur, inchinandosi di fronte ad Atena e accomiatandosi poco dopo. Kiki decise di seguirlo, per essere medicato dal fratello e nella speranza di riuscire a riposarsi un po’.

 

Pegasus e Ioria rimasero ancora con Atena, per quanto Mur avesse insistito affinché lasciassero le Stanze del Sacerdote, per paura che i loro istinti bestiali potessero riprendere il sopravvento. Ma Isabel lo pregò di non preoccuparsi. Sarebbe stata capace di calmarli con il suo cosmo divino.

 

“Chi saranno questi misteriosi Cavalieri neri? Che siano un nuovo nemico da affrontare?” –Mormorò Pegasus.

 

“Non so dirtelo, Pegasus! Quello che è certo è che devono essere gli stessi che ieri mattina hanno assalito Asher nel cimitero del Grande Tempio!” –Esclamò Isabel.

 

“Asher?! Che storia è mai questa?!” –Esclamò il ragazzo, prima che Isabel gli raccontasse l’accaduto. –“Adesso mi è tutto chiaro! Hanno infettato il Grande Tempio dall’interno e probabilmente anche loro conoscevano la leggenda di Biliku, così hanno inviato due sicari nelle Andamane per impedire ad Andromeda di portare l’antidoto! Maledetti! Tutto per colpa di quelle rose bastarde!!!”

 

“Non è così esatto, Pegasus!” –Lo interruppe Ioria, con voce gentile ma ferma. –“Le rose di rabbia non ci hanno trasformato, ma hanno solo agito sui nostri desideri inconsci, estremizzandoli e privandoci di ogni raziocinio! Ma ciò che provavamo, che tenevamo celato nei nostri cuori, è qualcosa che esiste davvero, che sentiamo davvero!” –Aggiunse, incrociando lo sguardo di Atena, e sospirando con tristezza.

 

“Ioria…” –Mormorò Atena, comprendendo il senso di colpa del ragazzo, che le si avvicinò, inginocchiandosi di fronte a lei.

 

“Dea Atena! Già una volta ho errato volgendovi contro il pugno, e non è passato giorno, in questi due anni, senza che me ne sia pentito, senza che mi sia maledetto per essere stato così cieco, per non aver saputo comprendere a pieno gli insegnamenti di mio fratello! Ho cercato di andare avanti, di rimediare ai miei errori, ma credo di non aver capito niente se oggi mi sono nuovamente permesso di arrischiare alla vostra vita!” –Confessò il Cavaliere di Leo, di fronte agli occhi commossi di Atena, che si chinò su di lui, prendendogli le mani tra le proprie e sorridendogli.

 

“La follia guidava la tua mano, Ioria! Come quella di tutti noi! Non hai colpe, se non quelle di cui vorrai tu stesso farti carico!” –Gli disse Isabel. Ma Ioria non fu convinto. La ringraziò, allontanandola dolcemente, e si rimise in piedi.

 

“Chiedo il permesso di andare sulle Andamane! Andromeda è in pericolo e voglio porgerli aiuto! Ho bisogno di rimediare al mio errore, Atena! Ho bisogno di cancellare la vergogna della mia colpa! La vergogna di avere, anche solo per una volta, pensato che voi foste la causa della morte di mio fratello! E questa verità non l’ha inventata la rosa, ma albergava già dentro il mio animo! Nascosta, ma forse non troppo a fondo!”

 

“Impara a perdonare te stesso, Cavaliere di Leo!” –Sorrise Lady Isabel, prima che Ioria le desse le spalle e si avviasse verso il portone d’ingresso. Ma non fece in tempo a fare neppure quattro passi che un vento improvviso si levò all’interno della Sala del Sacerdote, sollevando tende e polvere e obbligando i presenti a voltarsi verso la terrazza, su cui una luminosa sagoma si stagliava in silenzio. Atena sorrise, riconoscendo il volto di un vecchio amico: Ermes, il Messaggero degli Dei.

 

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Capitolo 14
*** Nuvole sull'Olimpo ***


CAPITOLO DODICESIMO: NUVOLE SULL’OLIMPO

CAPITOLO DODICESIMO: NUVOLE SULL’OLIMPO.

 

Ermes e Atena trascorsero buona parte della notte a parlare nella Sala delle Udienze alla Tredicesima Casa, alla presenza di Pegasus e di Ioria del Leone, a cui dopo qualche ora si aggiunse anche il Grande Mur. Questi infatti, dopo aver spruzzato il distillato del sangue di Biliku sulle rose di tutto il Grande Tempio e dintorni, e averle osservate con soddisfazione decomporsi nel terreno, si era preso cura di Asher, Tisifone e Castalia, imbottendoli di un sedativo naturale e restando con loro finché non li aveva visti addormentarsi, finalmente cullati da un sonno sereno.

 

“Quando domattina si sveglieranno ricorderanno poco o nulla di quanto è accaduto! Accuseranno solo un gran mal di testa!” –Aveva commentato Mur, raggiungendo i compagni alla Tredicesima Casa.

 

Ermes aveva accennato un timido sorriso, sollevato dalle notizie del Cavaliere di Ariete, ma ancora carico di così tanti pensieri da non riuscire a vederne la fine. Sospirò, appoggiando sul vassoio una tazza di tisana, che Isabel aveva fatto preparare, davanti agli occhi attenti dei Cavalieri e della stessa Dea.

 

“Zeus sta male!” –Esclamò infine, rivelando il motivo della sua visita. –“Da parecchi giorni ormai! E non riusciamo a scoprire la causa del suo malessere! È pallido, spesso febbricitante, e il suo fisico è molto debole, al punto che spesso non riesce neppure a camminare e deve appoggiarsi a Era o a Ganimede per rimanere in piedi! Non sapete quanto il suo orgoglio regale ne soffra e lo faccia sentire impotente! Sono convinto che preferirebbe farsi uccidere in battaglia che vivere come un invalido!”

 

“Ma com’è possibile, Ermes? Cosa è accaduto al Padre di tutti gli Dei?!” –Chiese Atena, visibilmente preoccupata per la sua sorte.

 

“Non so dirtelo Atena! Non conosco il male che ha infettato il Signore del Fulmine, ma sento il suo cosmo indebolirsi ogni giorno di più! E questa insolita stanchezza si riflette su tutto il Sacro Monte! La sempiterna primavera dell’Olimpo sta scomparendo, appassendo sotto i colpi di un autunno improvviso di cui non riusciamo a scoprire le cause!” –Sospirò Ermes, con voce triste.

 

“E Ascelpio cosa ne pensa? Non riesco a credere che il Dio della Medicina non conosca un rimedio per aiutare Zeus!”

 

“Asclepio è scomparso!” –Confessò Ermes. –“Temo proprio che gli sia successo qualcosa di grave! Come a Morfeo e alle altre Divinità massacrate dai figli di Ares! Una settimana fa ho sentito il suo cosmo esplodere a Pergamo, in Asia Minore, e ho subito inviato alcuni Cavalieri Celesti a controllare! Ma non hanno trovato niente, soltanto l’immenso Santuario del Dio ardere sotto una violenta pioggia di fuoco! Un rogo di morte come quello che ha raso al suolo Themiskyra, città sacra alle Amazzoni di Ippolita, e altri luoghi di culto sull’intero pianeta Terra!”

 

“Questo è terribile!” –Esclamò Isabel, reprimendo un singhiozzo. –“Asclepio…”

 

“È tutta colpa di quel bastardo di Flegias!” –Intervenne Pegasus, improvvisamente. –“Sono sicuro che, non pago del dolore che ha provocato a tutti noi risvegliando Crono e Ares, ha ancora in mente qualcosa!”

 

“Credevo che Flegias fosse stato catturato e ucciso dai Cavalieri di Zeus!” –Precisò il Grande Mur, cercando poi l’assenso di Ermes.

 

“Ahimè! Temo che i poteri del Flagello degli Uomini siano superiori alle nostre aspettative!” –Commentò il Messaggero degli Dei, raccontando a Pegasus e agli altri le vicende dell’inseguimento, e della cattura di Giasone da parte di Flegias, dopo che questi aveva risvegliato la Maestria di Ombre. –“Apprese tali notizie, Zeus dichiarò che se ne sarebbe occupato personalmente e fece preparare da Efesto nuovi fulmini da usare, pur senza conseguire alcun risultato effettivo! L’innaturale male che l’ha colto non gli ha dato infatti pace alcuna, impedendogli qualsiasi movimento! Era, Demetra ed io, ormai le ultime Divinità superstiti, siamo rimasti al suo fianco sull’Olimpo, per tutti questi giorni, impossibilitati ad occuparci di altro!”

 

“Avreste dovuto avvisarci prima, Messaggero degli Dei!” –Esclamò Pegasus, sfregandosi le mani al pensiero di ingaggiare battaglia con Flegias.

 

“Avremmo voluto evitare di farvi lottare ancora, ragazzo!” –Commentò Ermes, con un timido sorriso. Prima che il suo sguardo si incupisse nuovamente. –“L’isola dove Flegias si è rifugiato… è una vera e propria terra di ombra! Mai avevo provato una sensazione simile, neppure messo di fronte alla prospettiva del Tartaro! Il vento che spira da quella landa desolata è un’immensa ombra, che pare sul punto di avvolgere la Terra intera! Persino i fulmini di Zeus, scagliati dalla cima del Sacro Monte, prima che egli crollasse riverso al suolo, troppo debole persino per sollevarli, non sono riusciti a penetrare la cortina di tenebra che la avvolge! Né alcuno dei poteri degli ultimi Dei Olimpici è stato in grado di entrarvi!”

 

“E Giasone? È ancora prigioniero di Flegias? O… peggio ancora?!” –Mormorò Ioria.

 

“Il Luogotenente dell’Olimpo ha armato tutti i Cavalieri Celesti e, noncurante dei miei avvertimenti, li ha condotti sull’Isola delle Ombre, nel disperato tentativo di liberare un amico!” –Spiegò Ermes, mentre i suoi occhi si caricavano di lacrime. –“L’ho pregato ripetutamente di non farlo, di non condurre i Cavalieri al suicidio, perché solo una prospettiva di morte si apre loro, e sono certo che Phantom ne sia a conoscenza! Ciononostante è voluto lo stesso partire, valoroso e nobile fino alla fine, e con lui sono andati Gwynn e tutti gli altri! Nessuno è rimasto sull’Olimpo, a parte Era, Demetra, Ganimede e alcune ancelle, e nessuno dei Cavalieri Celesti più vedrà i Templi del Sacro Monte! Moriranno tutti! Sì, moriranno tutti!” –Pianse Ermes, di fronte agli sguardi inquieti di Atena e dei Cavalieri.

 

In quello stesso momento i cosmi lucenti dei Cavalieri di Zeus apparvero nel mare al largo dell’Isola delle Ombre. Erano in diciotto, quel che restava della Legione di Glastonbury, e li guidava Phantom dell’Eridano Celeste. Al suo fianco Gwynn del Biancospino e l’intrepida Artemide, Dea della Caccia, che non aveva esitato ad appoggiare il Luogotenente dell’Olimpo nella missione suicida. Del resto, anch’ella aveva validi motivi per voler mettere fine a quella guerra che strage aveva fatto di tutti i suoi Cacciatori, Atteone per primo, e di tanti Dei suoi compagni.

 

Arrivarono da ovest, cavalcando un’immensa onda, che Phantom aveva generato grazie ai suoi poteri di controllo sull’acqua, aiutato dal Talismano di Demetra, a cui la Dea aveva infuso nuova energia poco prima di partire. In questo modo sarebbero giunti sull’Isola senza dover ricorrere al teletrasporto, che il manto di oscurità sovrastante pareva impedire. Flegias comunque non si lasciò cogliere impreparato, salutando l’arrivo dei suoi ospiti con una violenta esplosione del vulcano principale dell’Isola, che sbuffò improvvisamente, liberando scintille e immense ombre, che piovvero dal cielo, abbattendosi sull’onda e sui Cavalieri Celesti, che furono sbalzati bruscamente a terra. Non passarono neanche pochi secondi, che un esercito di soldati dalle Armature nere venne loro incontro, armati di lance e di spade.

 

“Attenti!!! Attaccate subito!” –Gridò Phantom dell’Eridano, incitando i Cavalieri e dando l’esempio per primo. –“Gorgo dell’Eridano!!!” –Tuonò, liberando una sfera di energia acquatica che si abbatté su un gruppo di avversari, esplodendo al contatto e scaraventandoli indietro.

 

Ma non ebbe il tempo di gioire che dovette coprirsi gli occhi con il braccio destro, a causa dell’improvvisa luce color violetto che comparve di fronte a lui. Non era poi così intensa, ma nell’oscurità dell’Isola abbagliava come un piccolo sole.

 

“Scansati!!!” –Gridò Artemide, gettandosi su Phantom e sbattendolo a terra, proprio mentre un disco di energia violacea sfrecciava sopra di loro, schiantandosi sulle rocce retrostanti e sbalzando in aria alcuni Cavalieri Celesti.

 

“Grazie!” –Si limitò a rispondere il Luogotenente dell’Olimpo, rialzandosi.

 

“Adesso siamo pari! Tu mi hai salvato una volta ed io ti ho reso il favore!” –Commentò Artemide, radunando un gruppo di Cavalieri Celesti. –“Non credere però che questo faccia di noi due amici! Al massimo due compagni d’arme, destinati a vivere e a morire insieme!” –Precisò, prima di lanciarsi nell’ombra, seguita da tali Cavalieri.

 

Phantom rimase qualche secondo ad osservarla, ricordando quel giorno nella Foresta di Artemide, dove aveva dovuto ingannarla per salvare Castalia. E forse, con lei, anche le sorti di quella guerra. Castalia! Mormorò il Luogotenente, pensando alla donna a cui si era unito mesi addietro. La donna che non aveva potuto rivedere, impegnato com’era in una guerra che pareva non avere mai fine. Una guerra che lo rubò di nuovo ai suoi pensieri, proprio mentre la luce di energia violetta che l’aveva abbagliato in precedenza appariva nuovamente sulla cima di una sporgenza rocciosa poco distante, circondando la sagoma di un uomo in armatura.

 

“Chi sei, Cavaliere? Mostrati a Phantom, Luogotenente dell’Olimpo!”

 

“Ambita preda si presenta a Siderius della Supernova Oscura! Addirittura l’Olimpico campione si offre alla mia mano di morte, quale onore!” –Commentò l’uomo, mentre la luce viola del suo cosmo scemava d’intensità, permettendo a Phantom di vedere i suoi tratti, marcatamente latini, e l’armatura che lo rivestiva. Nera come la notte in cui erano immersi, da cui riusciva a distinguerla solo grazie alle rifiniture violacee e argentee che la ornavano. –“Sono il Capitano dell’Ombra preposto a rubare il futuro agli uomini! E per te, Luogotenente, prevedo una fine in miseria! La sorte che spetta a chi impudentemente conduce i propri seguaci allo sbaraglio!”

 

“Non per obbligo mi hanno seguito, Siderius della Supernova, ma per dare agli uomini un futuro, proprio quello che tu intendi strappare loro!” –Esclamò Phantom, lasciandosi avvolgere dal suo cosmo, dallo scintillante color verde acqua. –“Non avrei potuto trovare avversario migliore, per confrontare i nostri ideali! Così diversi, così contrari!” –Aggiunse, lanciandosi verso l’alto, con il pugno carico di lucente energia cosmica.

 

Ma non riuscì a raggiungere Siderius che questi scomparve all’istante, fondendosi con la tenebra attorno e lasciando dietro di sé solo una sottile ma pungente risata.

 

“Dove sei, Capitano?!” –Domandò Phantom, atterrando sulla rupe dove Siderius si era mostrato poco prima, con i sensi tesi a captare ogni singolo movimento.

 

“Qua!” –Esclamò Siderius all’improvviso, apparendo proprio sul fianco destro di Phantom e poggiando una mano sul suo petto, mentre una sfera di energia viola esplodeva, schizzando il Luogotenente indietro di decine di metri, fino a farlo schiantare contro una roccia.

 

“Ma… maledetto!” –Rantolò Phantom, crollando sulle ginocchia e tastandosi la corazza dell’Eridano Celeste, fumante per l’assalto ricevuto e piena di crepe. –“Sei un vigliacco! Ti nascondi nell’ombra, attaccando di sorpresa!!!”

 

“Tutt’altro!” –Ironizzò Siderius, avanzando a passo deciso verso il Luogotenente. –“Cerco soltanto di carpire dall’ambiente ogni profitto che potrei trarvi! Usandolo a mio vantaggio!” –Aggiunse, dirigendo una nuova sfera di energia violacea contro Phantom, che quella volta fu agile a evitarla, saltando in alto, mentre la sfera distruggeva la roccia dietro di sé.

 

Ma anche Siderius balzò in alto, intuendo il movimento dell’avversario, e lo afferrò per le gambe mentre era ancora in volo, roteandolo in cerchio e scagliandolo poi con forza verso terra. A fatica Phantom riuscì a recuperare l’equilibrio, prima di schiantarsi alla meno peggio sull’arido suolo.

 

“Ah ah ah! Più che un Luogotenente, mi sembri un giullare di corte, Eridano Celeste!” –Lo sbeffeggiò Siderius, atterrando compostamente a terra.

 

“Pagherai la tua insolenza, Capitano dell’Ombra! Flegias avrebbe dovuto insegnarti anche l’onore e il rispetto verso il tuo avversario, oltre che a guerreggiare e a togliere la vita!” –Esclamò Phantom, rimettendosi in piedi.

 

“Non Flegias è stato mio maestro! Ma un Cavaliere d’Oro di Atene! È a lui che devo il merito di avermi avviato alle arti della battaglia!” –Commentò Siderius.

 

“Bugia! I Cavalieri di Atena sono nobili e valorosi! Mai avrebbero potuto addestrare biechi assassini come i servitori del figlio di Ares!” –Esclamò Phantom indispettito, concentrando il cosmo tra le mani. –“Gorgo dell’Eridano, risplendi!!!” –E lo lanciò contro Siderius, il quale, in tutta risposta, si limitò a portare entrambe le mani avanti, caricandole con il proprio cosmo oscuro e fermando con esse il globo di energia acquatica di Phantom. –“Che cosa?! Non può essere!!!”

 

“Hai decretato la tua morte quando hai messo piede su quest’isola, Luogotenente dell’Olimpo! La notte che sovrasta questa terra mira all’estinzione di ogni forma di luce, di ogni stella che si azzardi a risplendere sotto questo cielo di tenebra! Perciò più espandi il tuo cosmo, più lucente esso si palesa, e molto più in fretta la tua energia sarà risucchiata, inghiottita dalla grande ombra!” –Spiegò Siderius, avvolgendo il Gorgo dell’Eridano in una matassa indistinta di tenebra. –“Sono quindi vani i tuoi sforzi, e destinati a concludersi in un nulla!” –Precisò, rispedendo indietro l’attacco di Phantom, che investì in pieno il Cavaliere Celeste, esplodendo al contatto e scaraventandolo a terra. –“Osserva, adesso, il potere della Supernova Oscura!!! Esplosione della Supernova!!!” –Gridò Siderius, liberando un devastante potere sotto forma di uno sferoide di energia violacea, che sfrecciò sul terreno, rendendolo incandescente, fino a schiantarsi contro il petto del Luogotenente dell’Olimpo, scaraventandolo indietro e strappandogli un grido di dolore.

 

Phantom precipitò sul terreno, schiantandosi in una pozza di sangue, tra i frammenti della sua Armatura Celeste, distrutta in più punti, come mai lo era stata prima di allora. Del leggiadro colore che Efesto gli aveva dato nelle fucine nell’Etna adesso non era rimasto niente, soltanto polvere e un macabro rossore di sangue.

 

“Comandante!!!” –Gridarono alcuni Cavalieri Celesti, accorrendo in aiuto del Luogotenente dell’Olimpo, ma Phantom li pregò di rimanere indietro, per non essere feriti a loro volta.

 

“Restate, invece! E lasciate che io recida anche lo stelo del vostro futuro!” –Sentenziò Siderius, generando un nuovo sferoide di energia violacea e dirigendolo contro i Cavalieri Celesti, i quali non riuscirono ad evitarlo, tanto elevata era la sua velocità, venendo travolti in pieno e scaraventati ovunque.

 

Il Capitano dell’Ombra osservò le corazze e i corpi dei suoi avversari schiantarsi in più punti, prima che i loro resti ricadessero sul terreno sterile dell’Isola maledetta. Quindi, scuotendosi le mani dalla polvere, diede loro le spalle, per dirigersi altrove, dove sentiva che vi era battaglia. Ma dopo sette passi Phantom lo richiamò.

 

“As… petta!!!” –Mormorò il Luogotenente dell’Olimpo, avanzando a quattro zampe sul terreno e cercando di rimettersi in piedi, per quanto le ferite gli dolessero e sentisse di avere il petto in fiamme.

 

“Ti alzi ancora? Non credevo che a voi Cavalieri Celesti venisse insegnato come perseguire la morte sempre e comunque! Sei un kamikaze?” –Ironizzò Siderius, tirandogli un’occhiata di sbieco, con i suoi occhi neri. –“Ma se tanto la brami, allora la aiuterò a venirti incontro! Sono o no l’ambasciatore del futuro?!” –Aggiunse, balzando in aria e gettandosi a piedi uniti contro Phantom.

 

Ma il suo attacco quella volta non riuscì a raggiungere il risultato previsto, venendo frenato da uno scrosciante getto di energia acquatica, che Phantom diresse contro di lui, con il proposito di rallentare la sua discesa, prima di afferrargli i piedi con entrambe le braccia, cariche del suo cosmo scintillante.

 

“Per quello che mi riguarda, appari troppo pretenzioso per ergerti ad ambasciatore della Nera Signora!” –Commentò Phantom, ansimando, prima di sollevare a fatica le braccia e spingere Siderius indietro.

 

Il Capitano dell’Ombra compì un’agile piroetta nel cielo tetro ed atterrò compostamente a gambe unite molti metri addietro, ammettendo di essere stupito dalle capacità di ripresa del giovane.

 

“Non che comunque in queste condizioni tu possa fare molto!” –Ironizzò Siderius, prima di espandere il suo cosmo violetto e caricare un nuovo sferoide di energia.

 

“Posso combattere per Zeus e per il futuro che voglio offrire agli uomini!” –Esclamò Phantom, bruciando al massimo il proprio cosmo e dirigendo contro Siderius il Gorgo dell’Eridano. –“Madre! Padre! Che avete sempre pregato per me, dal basso versante dell’Olimpo, assistete vostro figlio maggiore un’ultima volta!!!” –Aggiunse, ricordando Elena e Deucalione.

 

Esplosione della Supernova!!!” –Gridò il Capitano dell’Ombra, liberando la sfera di energia, che si schiantò contro l’attacco di Phantom producendo una violenta deflagrazione, la cui onda d’urto spinse entrambi indietro, fino a farli schiantare contro le pareti di roccia circostante.

 

Quando Siderius si rimise in piedi, scuotendo la testa, un po’ stordito dalla violenza dell’attacco, notò che, al di là del cratere generatosi nel terreno, del Luogotenente dell’Olimpo non vi era più traccia. Ad eccezione di macchie di sangue sparse e frammenti di Armatura Celeste. Sorrise soddisfatto, convinto di averlo eliminato, prima di allontanarsi, balzando di rupe in rupe. Se fosse rimasto qualche attimo di più, avrebbe intravisto Phantom riapparire poco distante, appoggiato a una parete di roccia, sudato, sfinito e sanguinante. L’effetto del Talismano di Demetra, che gli permetteva di mimetizzare la propria Armatura con l’ambiente circostante, era ormai esaurito, sia a causa della distruzione della sua corazza, sia per colpa dell’immensa ombra che tutto sovrastava. Ma era comunque durato a sufficienza per impedirgli di fare la fine dei suoi compagni.

 

Si strusciò gli occhi con una mano, cacciando via le lacrime che non riuscì a trattenere, prima di cercare di rimettersi in piedi. Ma, troppo debole per i colpi ricevuti, crollò sulle ginocchia, poggiando le mani a terra e osservando il sangue bagnare l’arido suolo dell’Isola delle Ombre. Ovunque attorno a lui vi era guerra, ovunque scorreva il sangue degli uomini che aveva portato a morire. E gli tornarono in mente le parole di Ermes, con cui aveva cercato di fermarlo.

 

“Non per codardia ti dico di non andare, Luogotenente! Ma per amore verso la vita!” –Aveva esclamato il Dio, ore prima, mentre Phantom e i Cavalieri Celesti si stavano preparando per partire. –“Senza Zeus, non avrete alcuna speranza! Nessuno di noi l’avrà!”

 

“Saremo noi la speranza di Zeus!” –Avevano risposto in coro i suoi compagni.

 

“Devo… morire con loro!” –Rantolò Phantom, facendo leva su un ginocchio per rimettersi in piedi. Ci riuscì a fatica, giusto per incrociare lo sguardo di un ragazzo, nascosto tra le rocce poco distanti. Vistosi scoperto, il giovane iniziò a fuggire ma Phantom lo chiamò, spiegando di non volergli fare alcun male. –“Resta!!!”

 

Il giovane si fermò pochi passi più avanti, voltandosi indietro verso l’uomo ferito, tremando combattuto sul da farsi. Ma poi, osservando meglio la sua corazza e lo sguardo del Cavaliere, pieno di giustizia e speranza, tornò indietro, avvicinandosi a Phantom.

 

“Sei un Cavaliere di Atena?” –Domandò il ragazzo, magro e gracilino, con una falda di capelli biondi, sporchi e strappati, come se fossero giorni che non potesse lavarli.

 

“Sono il Luogotenente dell’Olimpo, al servizio del Sommo Zeus! Di Atena e dei suoi Cavalieri amico e alleato!” –Rispose Phantom.

 

“È il cielo che ti manda!” –Esclamò il biondino. –“O forse la follia!” –Aggiunse, mentre la sua voce veniva sovrastata da un nuovo rombo del vulcano, che liberò altre vampate di fumo e di ombra, aumentando ancora l’oscurità sull’Isola. –“Io sono Matthew, uno dei tanti apprendisti del Grande Tempio di Atena ridotti in schiavitù durante la Grande Guerra e trascinati nei sottosuoli di quest’isola, a lavorare in condizioni disumane, dove ho visto cose orribili venir generate! A stento sono fuggito, ti prego Cavaliere conducimi via di qua, portami in Grecia!” –Esclamò il ragazzo con agitazione.

 

“Ti aiuterò per quello che posso, Matthew di Atene!” –Commentò Phantom. –“Ma anche tu dovrai aiutare me! Qual è la via per i sotterranei? Indicamela, di modo che io possa raggiungerli e distruggere i progetti del figlio di Ares!”

 

“Indicarti la via per la morte? Vuoi dunque fare di me il tuo carnefice?! A tal punto giunge la tua follia?!” –Esclamò Matthew, inorridendo alle parole di Phantom. –“Sei solo, Luogotenente! Solo contro un esercito di ombre e Cavalieri assetati di sangue! Andiamocene, ti prego! O posso dirti con certezza che né tu, né alcuno dei pochi Cavalieri che ti accompagnano, riuscirà a sopravvivere a così tanta oscurità! Non senza l’aiuto di qualche Dio che vi sorregga!”

 

“Maledetto Flegias!!! C’è Giasone là dentro! Ed io devo salvarlo!”

 

“Giasone?!” –Domandò Matthew incuriosito. –“È questo il nome del giovane Cavaliere della spada e dello scudo?”

 

“Lo conosci? Lo hai visto? È salvo?!” –Incalzò Phantom.

 

Matthew si distanziò da lui di qualche passo, iniziando ad incamminarsi lungo la riva scoscesa. Solo dopo qualche metro si fermò, voltandosi indietro verso il Cavaliere.

 

“Se salvare lui era lo scopo della tua missione, Luogotenente Olimpico, mi duole informarti che essa è fallita! La sorte di Giasone è ormai segnata! Un tunnel di fuoco e di ombra lo attende! E la morte alla fine di esso!” –Sentenziò Matthew con un sospiro. –“Stessa sorte attenderà noi se non ce ne andremo! Perciò ti prego, desisti dal procedere e conducimi in Grecia! Se moriremo qua, nessuno informerà Atena, né Zeus, degli oscuri progetti del figlio di Ares! Hai delle responsabilità maggiori che non dare libero sfogo alla tua vendetta, per quanto giusto il tuo desiderio sia!”

 

Phantom strinse i pugni, maledicendo Flegias con rabbia. E maledicendo anche se stesso. Sconfitto per la seconda volta. Sapeva che le parole di Matthew erano giuste, che sull’Isola avrebbe incontrato certamente la morte, ma il pensiero di dover abbandonare Giasone nuovamente lo torturava. Nuovamente lo faceva sentire in colpa. Sospirò, prestando orecchio al vento, alle grida dei cosmi di Artemide, di Gwynn e degli altri Cavalieri Celesti impegnati in una dura battaglia.

 

La Dea della Caccia aveva infatti guidato un gruppo di Cavalieri di Zeus contro i soldati di Flegias, sbaragliandoli in fretta, essendo soltanto degli uomini maligni e armati, privi di ogni conoscenza del cosmo. Ma la loro avanzata sull’Isola delle Ombre era stata fermata poco dopo, da una violenta esplosione cosmica, che li aveva spinti indietro, facendoli ruzzolare sul terreno, mentre un uomo alto e possente usciva dall’ombra, avanzando fiero verso di loro.

 

“Dove credete di andare?!” –Esordì l’uomo, rivelando le sue fattezze e l’Armatura nera che lo rivestiva, dalle forme simili ad un drago.

 

“Dobbiamo forse rendere conto a te?” –Ribatté Artemide con baldanza.

 

“Modera i toni, Dea delle Pecore! Hai davanti a te il Comandante del mio Esercito di Ombre!” –Esclamò una voce acuta che Artemide ben conosceva.

 

Di scatto, la Dea sollevò lo sguardo verso la rupe alla destra del gigantesco guerriero, ove Flegias apparve all’istante, rivestito dalla sua scarlatta Armatura, le cui sfumature parevano fondersi con il turbinio di fiamme e di ombra che lo avvolgeva. Non indossava elmo alcuno, lasciando i neri capelli fluttuare nel vento. E lasciando il suo demoniaco sguardo posarsi su Artemide, senza remore alcuna, e paralizzare i suoi movimenti, mentre un brivido scuoteva la sua colonna vertebrale.

 

“Phobos e Deimos hanno fallito due volte con te! Ma a me basterà un solo incontro… per dimostrarti quanto sono speciale!” –Sogghignò il figlio di Ares, espandendo il proprio cosmo oscuro e infuocato.

 

“Quanto sei pazzo, vorrai dire, Flegias!!!” –Ringhiò la Dea, cercando di liberarsi da quella morsa mentale con cui il figlio di Ares l’aveva intrappolata. Ci riuscì, grazie al suo cosmo divino, ma non fece in tempo ad incoccare una freccia dell’Arco della Caccia che Flegias era già di fronte a lei, avvinghiandola in un turbine di fiamme, che parevano davvero volersi saziare del suo corpo e del suo spirito.

 

“Sbranatela viva, fiamme dell’ombra! Allungatevi lungo il prosperoso corpo della Dea selvaggia e siate rudi con lei! Come la Dea essere trattata!” –Sibilò Flegias, sfoderando la Spada infuocata che portava affissa alla cintura. –“E tu, Orochi, occupati dei suoi tirapiedi! Che nessuno lasci vivo l’Isola! Saranno l’aperitivo per celebrare il mio trionfo!”

 

“Ungh… bastardo!!!” –Ringhiò Artemide, dimenandosi per cacciar via quelle fiamme che parevano essere vive, che parevano strisciare sulla sua corazza, cercando i punti scoperti e penetrando nel suo corpo, per bruciarla dall’interno. –“Ma non mi avrai così facilmente, no!!! Vendicherò Atteone e i miei Cacciatori, caduti a causa dei tuoi inganni! E lo farò uccidendo te, cane figlio di Ares!”

 

“Uuuh, lingua biforcuta la tua!” –Ironizzò Flegias. –“Poco adatta per gli Olimpici fasti! Forse sarà meglio tagliarla!” –E si avvicinò a passo lento verso Artemide, sollevando la lama di fuoco davanti al volto e lasciando che le fiamme si mescolassero a quelle che ardevano tetre nei suoi occhi. Gli occhi di un demonio.

 

“Vi invoco, antichi Spiriti della Foresta di Artemide, che da millenni custodite le immacolate pendici del Monte Sacro! Datemi la forza affinché io possa estirpare le fiamme dell’odio da cui sono avvolta!” –Mormorò la Dea, con voce placida e tranquilla, quasi volesse dimenticarsi della rabbia che l’aveva colta fino ad allora. –“Mi rivolgo a voi, Spiriti della Foresta, alla vostra sapienza e all’ancestrale forza di cui siete custodi!”

 

“Mormora pure le tue preghiere, vacca dissennata! Non sarà il tuo rosario ad impedire il martirio che ti ho riservato!!!” –Sibilò Flegias, sollevando un braccio e mostrando ad Artemide il polso, avvolto in fiamme d’ombra. Sogghignando, Flegias chiuse le dita della mano, a stringere il fuoco dentro sé, aumentando in tal modo la stretta sulla Dea della Caccia, che sentì le ossa scricchiolare sinistramente, la pelle incendiarsi per le ustioni e addirittura la Veste Divina schiantarsi in più punti.

 

“Spiritiii!!!” –Gridò Artemide, espandendo al massimo il suo cosmo e generando un’esplosione di luce che squarciò le tenebre di quel giorno, sfilacciando le fiamme che l’avevano avvolta e permettendole così di impugnare il proprio Arco della Caccia e puntare una freccia contro Flegias, che era stato sbalzato indietro di qualche metro dalla deflagrazione. –“Dardo di Artemide!” –Esclamò, liberando lo strale lucente, che sfrecciò verso il figlio di Ares ad una velocità superiore a quella della luce.

 

Ma Flegias lo colpì con rabbia e con precisione, tagliandolo perfettamente a metà con un secco colpo della sua Spada Infuocata, stupendo la Dea della Caccia, e balzando su di lei, con la lama sollevata, prima di calarla sul suo braccio destro.

 

“Aaaah!!!” –Gridò Artemide, mentre la Spada Infuocata scheggiava la Veste Divina, bruciandole la pelle al di sotto e facendole perdere la presa dell’Arco, che cadde a terra. Quindi Flegias la spinse indietro, con una secca ginocchiata in pieno petto, gettandola in malo modo tra la polvere. Un attimo dopo le montò sopra, schiacciandola con il suo peso e stritolandola con il suo cosmo carico di fiamme e ombra. Le afferrò i capelli, tirandole su la testa con rabbia, giusto in tempo per osservare il Drago dell’Ombra strappar via la vita degli ultimi Cavalieri Celesti.

 

“Guarda, oh Dea delle Pecore, la strage del tuo gregge!” –Sibilò Flegias, strusciando la lama infuocata sul collo di Artemide, assaporando gocce del suo sangue divino e lasciando che le fiamme incendiassero i lunghi capelli corvini della Dea.

 

“Male… Maledettooo!!!” –Gridò infine Artemide, espandendo al massimo il suo potere e scaraventando indietro Flegias dalla violenza dell’onda d’urto che generò. Si risollevò in piedi, avvolta nel suo cosmo color indaco, e portò entrambe le braccia avanti, invocando le ancestrali evanescenze della Foresta di cui era custode sull’Olimpo. –“Gli Spiriti della Foresta non avranno pietà di te, Flegias! Troppo hai peccato per concederti di vivere ancora!” –E diresse contro il figlio di Ares le evanescenti figure di cosmo con cui aveva contrastato Phobos e Deimos mesi addietro.

 

“Non mi avrai!” –Ringhiò Flegias, sollevando il braccio destro al cielo e generando una violenta tempesta di energia, ove fiamme e ombra parevano mescolarsi in un reciproco gioco al massacro. –“Apocalisse Divina!!! Impera!!!”

 

Gli Spiriti della Foresta di Artemide cozzarono contro la tempesta di energia, fiamme ed ombra, stridendo gli uni contro l’altra, mentre i due avversari riversavano il massimo del loro potere per strappare la vittoria. Flegias, sogghignante, pareva non sentire neppure lo sforzo immenso a cui Artemide lo stava chiamando. O se anche lo sentì, fu abile a non mostrare cenno alcuno di cedimento, né davanti alla Dea, né davanti a Orochi.

 

“Eccitante!” –Sibilò il figlio di Ares, i cui occhi lampeggiavano di un fuoco di morte. E subito dopo aumentò il potere della tempesta di energia, che sopraffece gli Spiriti della Foresta, disperdendoli nell’ombra circostante, abbattendosi su Artemide e sollevandola in un’onda di fiamme e tenebra. Con violenza inusitata, Flegias sbatté la Dea contro il terreno roccioso, molti metri addietro, ghignando soddisfatto nel vedere i cocci della sua Veste Divina e una macchia di sangue allargarsi sotto di lei.

 

 

 

 

 

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Capitolo 15
*** Il massacro della speranza ***


CAPITOLO TREDICESIMO: IL MASSACRO DELLA SPERANZA

CAPITOLO TREDICESIMO: IL MASSACRO DELLA SPERANZA.

 

Dei diciotto Cavalieri Celesti che avevano accompagnato Phantom dell’Eridano Celeste sull’Isola delle Ombre, ne era rimasto soltanto uno, Gwynn del Biancospino, intento a combattere per la sua sopravvivenza in una caverna oscura.

 

Gwynn infatti aveva seguito una strada diversa da quella di Phantom e di Artemide, dirigendosi verso le profondità dell’Isola, per scoprire cosa Flegias stesse tramando di pericoloso. Era l’unico, tra i Cavalieri suoi compagni, a disporre di un potere particolare, che gli derivava dall’essere stato allievo di Ascanio a Glastonbury. Potere che gli permetteva di rendere il suo cosmo impercettibile e fondere la propria corazza con l’ambiente circostante, grazie ad una tecnica chiamata Mimesis, senza bisogno di manufatti divini.

 

Non era però riuscito a scoprire granché, perdendo molto tempo alla ricerca della via per i sotterranei, in quel paesaggio roccioso e spigoloso, che pareva essere stato creato apposta per privare anche il viaggiatore più scrupoloso di qualsiasi punto di riferimento. E proprio quando aveva trovato l’ingresso per un antro sul fianco orientale del vulcano principale, e lo stava cautamente esplorando, qualcosa lo aveva colpito alla schiena, sbattendolo a terra e calpestandolo.

 

“Dove credi di andare, agnellino?” –Ringhiò una voce ruvida.

 

“Chi… sei?!” –Balbettò Gwynn, schiacciato al suolo dal robusto piede di una figura in ombra. –“Come… come hai potuto vedermi?!”

 

“Non ti ho visto infatti! Ti ho sentito!” –Rispose la voce maschile. –“Annusando l’aria con il mio olfatto, ho percepito la presenza di carne giovane!” –E si chinò sul ragazzo, afferrandolo per il collo e sollevandolo da terra, per guardarlo meglio.

 

Gwynn vide così l’uomo che lo aveva sorpreso, anche se di uomo aveva ormai ben poco. Il corpo, alto e robusto, era forse umano, ma i lineamenti animaleschi avevano deformato il suo aspetto, rendendolo simile ad un lupo. Il volto era pieno di peli, come le braccia e le gambe, per quello che si poteva notare dalle parti non coperte dalla sua nera corazza, la cui forma era chiaramente quella di un lupo. Ma la cosa che stupì Gwynn particolarmente furono i denti, aguzzi e taglienti, e le mani, grandi e pelose, e dotate di lunghe unghie affilate, che spuntavano fuori da dita tozze.

 

“Uuuh! Odore di carne giovane! Sarai un pasto prelibato!” –Commentò l’uomo-lupo, strusciandosi le labbra con la sua lingua.

 

“Ma che razza di bestia sei?!” –Esclamò Gwynn, dimenandosi per liberarsi dalla stretta presa del nemico. Non riuscendovi, evocò allora un mucchio di biancospini, che arrotolò attorno al braccio con cui l’uomo-lupo lo stava tenendo, lasciando che vi si avvinghiassero, affondando le loro spine nella sua carne, e strappandogli un grido di dolore.

 

“Auuh!!!” –Gridò l’uomo-lupo, scaraventando Gwynn contro una parete della caverna, e scuotendo il braccio per togliere quelle fastidiose spine. –“Non fare resistenza, agnellino! Il Licantropo è affamato!”

 

“Il Licantropo?!” –Sgranò gli occhi Gwynn, convinto che personaggi grotteschi esistessero soltanto nelle leggende. –“Intendi un uomo che durante le notti di luna piena si trasforma in lupo? Mi prendi per stupido?!”

 

“Molto meglio! Auuuh!!! Io non ho bisogno della luna piena per essere un uomo-lupo! Grazie a Seth, e ad Anhar, lo diventai molti anni fa! Per sempre!” –Esclamò il Licantropo, senza che Gwynn comprendesse. Ma non gli diede tempo per fare nuove domande che scattò verso di lui, sfoderando i lunghi artigli, determinato a piantarli nel suo corpo.

 

Gwynn invocò nuovamente il potere della Mimesis e si gettò di lato, per evitare l’affondo del Licantropo, ma questi cambiò ugualmente direzione, seguendo gli spostamenti del Cavaliere di Glastonbury.

 

“Inutile tentativo il tuo! Nasconderti ai miei occhi non servirà a niente! Ho percepito il tuo odore! Mi basta seguire quello, per arrivare al cosmo! Non sai che l’olfatto è senso molto sviluppato nei lupi?” –Commentò il Licantropo, balzando avanti e abbattendo Gwynn, che rotolò sul pavimento della caverna, perdendo l’elmo della sua corazza e decidendo infine di rendersi nuovamente visibile.

 

“Se la Mimesis è priva di efficacia, meglio che conservi le mie forze per affrontare quest’essere grottesco!” –Commentò tra sé, mentre il Licantropo caricava di nuovo, cercando di affondare i suoi affilati artigli nel corpo di Gwynn, che doveva muoversi continuamente per evitarli. –“Non posso rimanere sempre sulla difensiva, devo contrattaccare! Biancospino di Glastonbury, avvinghiati al tuo nemico e monda la sua brutalità con la purezza del tuo simbolo!” –Esclamò, intrappolando il Licantropo in un mucchio di biancospini e osservando le spine penetrare la coriacea pelle pelosa.

 

“Auh auh auh! Vuoi fermare il Licantropo con quest’odorosa erba di campo?!” –Rise l’uomo-lupo, prima di stupire Gwynn, lasciando esplodere il cosmo che finora aveva tenuto nascosto, estirpando così il mucchio di biancospini, incenerendoli all’istante. –“Credevi fossi solo un mostro? Un mucchio di peli rivestito da una cotta d’ombra? Ebbene, sbagliavi! E adesso vedrai quanta fame ha il Capitano dell’Ombra che domina i peccati di gola e lussuria!”

 

Gwynn venne spinto contro una parete laterale dal contraccolpo, scheggiando la sua corazza verde e bianca, ma non appena fece per rimettersi in piedi, il Licantropo fu su di lui allungando gli artigli della mano destra fino a generare delle punte di energia che conficcò nel corpo del Cavaliere di Zeus, all’altezza dell’ombelico, piantandolo in malo modo alla roccia.

 

“Aaargh!!!” –Gridò Gwynn, mentre una chiazza di sangue si espandeva dal ventre, colando lungo le gambe e imbrattando l’Armatura Celeste.

 

“Non strillare, agnellino! Muori con dignità!” –Esclamò il Licantropo, piantando di nuovo i suoi artigli affilati nel corpo di Gwynn, quella volta al centro del petto. Gli sfondò l’Armatura, fracassandogli le costole, mentre il ragazzo vomitava sangue e perdeva sempre più i sensi. Ritornò indietro con la mente, al primo incontro con l’uomo che aveva cambiato la sua vita, donandogli la sua completa e indiscussa ammirazione. Il Comandante dell’Ultima Legione, Ascanio Testa di Drago.

 

Era stato lui infatti, una mattina di dieci anni prima, ad aiutare Gwynn e sua madre durante un’alluvione nel Somerset. Era apparso in mezzo ai campi annacquati, senza che nessuno se ne fosse accorto, rivestito da un’Armatura luminosa che pareva mescolarsi con il verde dell’erba e con il marrone del fango. Con il celeste del cielo e con il bianco della luce. Aveva generato barriere di energia così trasparenti da risultare impalpabili, con cui aveva frenato lo scorrere delle acque, permettendo a Gwynn, allora un bambino di otto anni, e alla madre malata di uscire dal villaggio e mettersi in salvo sulle colline, assieme ad altri contadini.


Accolto come un Dio, Ascanio non aveva voluto niente in cambio, dei tanti doni che la povera gente voleva offrirgli, e terminata la grande pioggia aveva lavorato in prima persona per sistemare i danni del villaggio. Gwynn lo guardava con una sconfinata ammirazione, vedendo in lui il discendente degli antichi eroi celtici di cui sua madre amava raccontargli la sera, nelle loro chiacchierate vicino al fuoco. Era una famiglia povera, la loro, e la donna non aveva potuto offrirgli di meglio che sincero affetto, certa comunque che il figlio meritasse di più. Certa di sentire in lui qualcosa di più.

 

Così aveva accettato la richiesta di Ascanio, che le aveva chiesto il permesso di portare via Gwynn. Di condurlo a Glastonbury, dove sarebbe stato addestrato per divenire Cavaliere. Come la madre, anche il Comandante della Legione di Zeus aveva percepito infatti un cosmo latente dentro il ragazzo. Un cosmo che meritava essere sviluppato.

 

“Diventerò forte per proteggere mia madre e gli abitanti del mio villaggio!” –Amava ripetere Gwynn nei primi giorni dell’addestramento. E Ascanio sorrideva di fronte a tanto sincero affetto. Ma col tempo anche Gwynn aveva compreso che i poteri acquisiti avrebbe dovuto metterli al servizio non solo della gente del suo paese, ma di ideali ben maggiori, da cui potevano dipendere i destini del mondo.

 

Gwynn fu l’unico Cavaliere della Legione Nascosta ad essere scelto personalmente da Ascanio e da lui addestrato a Glastonbury, ma fu anche quello che gli diede maggiori soddisfazioni. Grazie ai suoi sviluppati poteri di percezione sensoriale, Gwynn era impiegato spesso come spia o ricognitore, e fu proprio lui infatti ad avvisare Ascanio, mesi addietro, dell’arrivo di Phantom dell’Eridano Celeste.

 

“Quanti ricordi…” –Mormorò Gwynn, piantato alla parete, con le viscere squarciate da puntelli di energia. –“Quanti motivi… per andare avanti! Comandante Ascanio! Per voi, per ringraziarvi di avermi portato via quel giorno, salvandomi dal fango della mia vita e concedendomi l’onore di servire causa ben più alta!” –Rifletté tra sé, espandendo il proprio cosmo.

 

“Auuh!!!” –Ringhiò il Licantropo, vedendo che Gwynn aveva ripreso a muoversi. Ma non riuscì a colpirlo nuovamente con i suoi artigli, che venne travolto da un’onda di energia, scaturita dal corpo del ragazzo, che bruciò al massimo il suo cosmo, come mai aveva fatto prima. Bruciò la sua stessa vita, i ricordi che lo avevano invaso, le speranze che aveva provato quel giorno, dando l’ultimo addio alla vecchia casa di sua madre, donna stanca e malata che mai più avrebbe rivisto.

 

“Brucia, cosmo del Biancospino! Glastonbury Thorn!!!” –Gridò Gwynn, dirigendo un violento assalto, costituito da migliaia e migliaia di biancospini di energia, contro il Licantropo, il quale, dal canto suo, non stette ad aspettarlo, muovendo le braccia con forza e distruggendo con i suoi artigli tutti i fiori che lo investivano. Quindi, quando Gwynn fu ormai privo di forze, e costretto a crollare a terra sulle ginocchia, lo travolse con i suoi unghioni di energia, sbattendolo al muro e azzannando il ventre del ragazzo con i suoi canini, per portargli via pezzi interi di carne.

 

“Che mostro sei?!” –Esclamò improvvisamente una voce, disturbando il banchetto dell’uomo-lupo e costringendolo a voltarsi verso l’entrata della caverna, dove una figura si stagliava controluce, accecandolo con il bagliore del suo cosmo. –“Come una bestia ti avventi sulle carcasse dei tuoi nemici?! Non hai rispetto per niente, né per la vita, né per la morte?! Ebbene, ti insegnerò io ad avere timore della fine!”

 

“Come può quest’uomo emanare un cosmo di così accecante bagliore?” –Mormorò l’uomo-lupo, che non riusciva a vedere in volto il suo nemico. –“Il cielo d’ombra dell’Isola dovrebbe assorbire ogni forma di luce! Perché la sua persiste?” –Ma l’altro uomo non gli diede tempo di riflettere ancora, che già aveva espanso il proprio cosmo, concentrandolo sulle braccia e dirigendo un rapido e preciso attacco contro di lui. Un attacco che aveva la forma di un immenso drago dalle squame rosse.

 

Attacco del Drago di Sangue!!!” –Gridò Ascanio Testa di Drago, travolgendo il Licantropo e scaraventandolo indietro, fino a farlo schiantare contro una parete di roccia, che crollò sopra di lui. Quindi corse verso Gwynn, chinandosi e sollevando il suo corpo distrutto e sfregiato e poggiandolo sulle sue ginocchia. –“Oh, Gwynn! Sono arrivato tardi!” –Pianse il Comandante dell’Ultima Legione, bagnando il volto del ragazzo che era per lui un fratello minore. Un fratello di cui avrebbe dovuto prendersi cura. –“Ho visto la tua sorte, in uno dei misteri che spesso si aprono ai miei occhi! Ma non ho fatto in tempo ad arrivare… in tempo… non sono giunto! Potrai mai perdonarmi, Gwynn?!”

 

Ascanio singhiozzò sul corpo del giovane, pulendogli il volto dal sangue, quasi volesse ricreare il candore dei lontani giorni d’infanzia. Per un momento gli sembrò di vedere Gwynn sorridere, mentre correvano nei prati di Glastonbury o mentre studiavano le ley lines dall’alto del Tor. Sospirò, chiudendogli infine gli occhi e depositando a terra il suo corpo. Tirò uno sguardo verso il Licantropo, svenuto sotto mucchi di macerie, e lo invase l’istinto di massacrarlo adesso che era inerme. Ma era un Cavaliere, e prima ancora era un figlio dell’Isola Sacra, scelto dai druidi per portare l’equilibrio, non per condurre stragi, pur giuste che fossero.

 

Proprio in quel momento sentì esplodere il cosmo di Artemide, mentre ombre immense si allungavano nel cielo sopra l’Isola, e questo lo fece scattare, riportandolo all’ordine. E ricordandogli la sua missione. Diede l’ultimo saluto a Gwynn, prima di correre fuori, alla ricerca di Phantom o di qualche altro superstite.

 

In un’altra zona dell’Isola delle Ombre, non troppo distante dalla scogliera, la Dea della Caccia stava infatti affrontando Flegias, il Maestro di Ombre, che aveva deciso di occuparsi personalmente di lei, inebriato da uno scontro che i suoi fratelli non erano riusciti a concludere, per ben due volte.

 

“Hai condotto bene il gioco, Dea delle Pecore! Ma spesso la tattica non basta, serve anche la forza!” –Sibilò il figlio di Ares, avvicinandosi al corpo inerme della Dea della Caccia, distesa in una pozza di sangue, dopo essere stata abbattuta dall’Apocalisse Divina. –“Che tu non hai più!”

 

“Dovessi morire nel tentativo, io ti fermerò, demone!” –Si limitò a rispondere Artemide, sputando sangue e risollevandosi a fatica, spingendo indietro il Flagello degli Uomini con un’onda di lucente energia.

 

“L’hai detto! E gli Dei mi siano testimoni se non hai appena firmato la tua condanna a morte!” –Esclamò Flegias a gran voce, volgendo leggermente lo sguardo verso il Comandante dei Capitani dell’Ombra, il possente Orochi, che osservava entrambi da poco distante. Aveva atterrato senza problemi gli ultimi Cavalieri Celesti, ma non si era azzardato ad interrompere lo scontro del Maestro di Ombre, per non incorrere nella sua ira. Del resto, si era detto Orochi, Flegias è ben in grado di eliminare quella rozza Divinità senza il mio aiuto, che potrebbe persino offenderlo!

 

“Taci, blasfemo! Non rivolgerti agli Dei, tu che hai tradito la loro stirpe, vendendoli all’ombra!” –Affermò Artemide, rimettendosi in piedi. –“Hai utilizzato Zeus, Crono, Ares, i tuoi fratelli, tutti coloro che ti hanno dato fiducia e che in te credevano! Te ne sei servito per i tuoi scopi, gettandoli via per non dover dividere il potere con loro!”

 

“Non sapevo che tu fossi una psicologa, Dea delle Pecore! Forse questo mi aiuta a capire come mai sei così scarsa in battaglia! Ah ah ah!” –Sghignazzò Flegias, bruciando il suo cosmo e avvolgendosi in esso, prima di dirigerlo contro la Dea, sotto forma di un vortice di fiamme e ombra. Ma Artemide, che ben si aspettava un nuovo assalto, fu svelta a contrattaccare all’istante, generando un dardo di puro cosmo lucente, che scagliò contro Flegias, penetrando il turbine di fuoco e tenebra e schiantandosi proprio alle spalle del figlio di Ares.

 

Sorpreso dalla repentinità di quell’attacco, e convinto che Artemide fosse ormai sul punto di cadere, Flegias sollevò il sopracciglio destro, sinceramente stupito.

 

Dardi di luce!!!” –Gridò Artemide, scagliando contro il Flagello degli Uomini un nugolo di brillanti strali di energia, che obbligarono Flegias a scattare via, muovendosi continuamente per non essere raggiunto.

 

Il figlio di Ares cercò di pararli con la Spada Infuocata, rotandola continuamente e deviandone tantissimi con abilità e precisione. Ma la pioggia di frecce era così fitta, e così continua, che alcuni non riuscì a colpirli, osservandoli con rabbia mentre scheggiavano la sua Armatura Divina. Un dardo gli trafisse la mano destra, facendogli perdere la presa della Lama Infuocata e obbligandolo a muoversi indietro, venendo subito raggiunto da un secondo strale in cima al braccio sinistro, poco sotto la protezione del coprispalla.

 

Quello, per quanto Flegias non lo ammise, stringendo i denti con rabbia, gli strappò un gemito di dolore, costringendolo ad arretrare di qualche passo, prima che l’ira si impadronisse di lui. E la volontà di piegare la Mandriana dell’Olimpo che aveva osato recargli un simile oltraggio.

 

Sollevò un muro di fiamme e di ombra, su cui i dardi di luce si schiantarono, esplodendo al suo interno, per poi spingerlo verso Artemide con un movimento secco del braccio destro. La Dea si rannicchiò su se stessa, cercando di limitare al massimo i danni di quell’impatto, prima di far nuovamente esplodere il suo cosmo lucente, disperdendo il fuoco. Quando sollevò lo sguardo vide Flegias di fronte a lei, con il palmo della mano destra rivolto verso il suo viso, su cui una pietra nera brillava di riflessi oscuri.

 

“Assisti, Mandriana dell’Olimpo, alla fine di ogni forma di luce! La Maestria di Ombre, da me invocata, trova adesso completamento!” –Esclamò Flegias, sollevando la pietra sopra di sé e lasciando che esplodesse, liberando un’onda di energia nera che si abbatté su Artemide, scaraventandola indietro di parecchi metri, e obbligando persino Orochi a mettersi da parte, per non essere travolto. –“Rapsodia di Demoni!”

 

A quell’invocazione, migliaia e migliaia di ombre fuoriuscirono dalla pietra nera, fluttuanti spiriti in quel cielo tetro, liberando i loro angosciosi lamenti, prima di abbattersi su Artemide e sui Cavalieri Celesti ancora in vita, che cercavano di rimettersi in piedi e reagire. Ma non appena volsero lo sguardo al cielo, videro quelle figure evanescenti piombare su di loro e penetrarli da parte a parte, succhiando via la vita e la loro energia. Cibandosi della luce del loro cosmo.

 

“Che Zeus ci protegga!” –Mormorò Artemide, inorridendo alla vista dei Cavalieri Celesti che crollavano a terra, senza più un alito di vita, privati della brillantezza del loro cosmo e ridotti a meri gusci vuoti.

 

In quella un turbine di ombre si abbatté su di lei, che cercò di difendersi con i suoi Dardi di Luce, prima di accorgersi, con disperato stupore, che gli spiriti di tenebra sembravano correre verso i suoi attacchi per cibarsene, per annientarli, per sovrastarli con l’oscurità del loro potere.

 

“Quale incantesimo malvagio hai evocato, figlio di Ares?!” –Gridò Artemide, bruciando ancora il proprio cosmo per generare onde di luce con cui travolgere e annientare le ombre. Senza però riuscirvi.

 

“Ti restituisco l’energia che anche tu, combattendo sull’Olimpo, mi hai prestato! L’energia che lo Scudo di Ares ha assorbito, concentrandola nella Pietra Nera e fornendomi un potenziale immenso, con cui generare l’Esercito di Ombre che invaderà la Terra, assorbendo ogni forma di luce!” –Sibilò Flegias, mentre Artemide veniva sopraffatta, intrappolata in un groviglio di ombre, che continuamente penetravano il suo corpo, prosciugandola sempre un po’ di più. Fino a prostrarla a terra, con il volto pallido e lo sguardo spento, mentre la linfa vitale della sua Divina Essenza scivolava via. –“Muori, Dea delle Pecore!!!” –Ringhiò Flegias, balzando su di lei, con la Lama Infuocata in mano. E affondando nel ventre della Dea.

 

Non riuscì neanche a parlare Artemide, tanto debole si sentiva, mentre la Spada Infuocata sfondava la Veste Divina, e il corpo di donna che non aveva mai cercato di nascondere, orgogliosa della propria selvaggia femminilità. Le si chiusero gli occhi poco dopo, mentre rivedeva frammenti della sua esistenza sull’Olimpo, momenti di caccia nella Foresta Sacra, assieme ad Atteone e ai suoi Cacciatori, e banchetti di prede di fronte alla caverna ove riposava. Poi, d’un tratto, l’immagine cambiò e una fiamma immensa divorò la Foresta, trasformando gli alberi, gli animali e i suoi ricordi in cenere.

 

“Avrai la mia vita! Ma non il mio onore!” –Sentenziò, concentrando quel che restava del suo cosmo in un unico dardo di luce, che scagliò contro Flegias, ancora intento ad affondare la Spada Infuocata dentro di lei.

 

La freccia di energia scaraventò il figlio di Ares indietro, sbattendolo contro una parete rocciosa e schiantando il pettorale della sua Armatura scarlatta, fino a farlo ricadere a terra, tra imprecazioni e macchie di sangue.

 

Orochi, a tal vista, corse verso il Maestro di Ombre, per aiutarlo a rimettersi in piedi, ma questi lo scansò in malo modo, rialzandosi, ansimando a fatica, e toccandosi il petto insanguinato. Tirò un’occhiata verso il corpo esanime di Artemide, e capì che la Dea era morta. E perché Phobos e Deimos avessero incontrato così tante difficoltà.

 

Proprio in quel momento, Ermes, il Messaggero degli Dei, percepì una violenta fitta al cuore, che lo prostrò a terra, sul tappeto rosso della Sala delle Udienze, al Grande Tempio di Atena. La Dea della Giustizia e i suoi Cavalieri furono subito su di lui, per porgergli aiuto, ma questi si limitò a ringraziarli con un sorriso.

 

“Un’amica! Un’amica ci ha lasciato!” –Mormorò, tra le lacrime.

 

Anche Phantom dell’Eridano Celeste percepì la scomparsa del cosmo di Artemide, crollando sull’arido suolo dell’Isola delle Ombre e tenendosi la testa tra le braccia. Pianse, sbattendo i pugni sulla polvere, colpevolizzandosi per l’accaduto, mentre la voce di Matthew cercava di consolarlo e al tempo stesso di incitarlo a reagire.

 

Ascanio lo raggiunse proprio in quel momento, felice di vederlo ancora vivo.

 

“Afferra la mia mano, Phantom! Dobbiamo andarcene da quest’Isola maledetta! O i nostri compagni saranno caduti invano!” –Esclamò Ascanio, mentre il Luogotenente allungava la mano verso quella del compagno, facendosi forza per rialzarsi.

 

“Forse dovremmo morire con loro…” –Mormorò Phantom, a testa bassa.

 

“In tal caso li uccideresti una seconda volta!” –Commentò Ascanio, avvolgendo Phantom e Matthew nel suo cosmo ed invocando l’aiuto del suo maestro, lo stesso che gli aveva permesso di raggiungere l’Isola delle Ombre, nonostante le resistenze della cortina di tenebra.

 

“Ascanio!” –Parlò improvvisamente una voce al suo cosmo. E anche Phantom la sentì, e gli parve di riconoscerla nella figura ammantata che aveva salutato Ascanio in cima al Tor, quel giorno in cui si era recato a Glastonbury per risvegliare l’Ultima Legione. –“Getta via le lacrime, per cui adesso non c’è tempo! Ti porterò sull’Olimpo! Zeus ha bisogno del suo Comandante!” –Nient’altro aggiunse, il Signore dell’Isola Sacra, prelevando Ascanio, Phantom e Matthew e portandoli via da quell’isola di morte.

 

La momentanea presenza di Avalon fu avvertita anche da Flegias, che sbuffò inviperito, maledicendolo assieme a tutti i druidi e ai suoi Cavalieri delle Stelle. Ma neanche ciò lo fece desistere, alimentando ancora di più la fiamma dell’ira nei suoi occhi. Orochi lo avvicinò in quel momento, mentre il vulcano sbuffava fumo nero e scintille piovevano sull’intera landa desolata.

 

“I preparativi per il grande rito sono stati compiuti!” –Mormorò infine il figlio di Ares, sollevando la pietra nera al cielo che liberò un arco di oscura energia, con cui invase l’isola, travolgendo le ombre, inglobando le evanescenti figure che vagavano erranti. –“Adesso è il momento di celebrarlo! Di rendere onore alla grande ombra!!!”

 

L’onda di luce nera che travolse le ombre parve dare una nuova linfa vitale a quelle figure fluttuanti, modellando le loro forme e sagomandole in modo da renderle simili a uomini. A uomini armati, di nero vestiti, con gli occhi iniettati di sangue.

 

“L’esercito delle ombre, che invaderà la Terra, estirpando ogni forma di luce, è infine nato! Ah ah ah!!!” –Esclamò Flegias, ridendo come un pazzo, mentre ovunque attorno a lui le ombre prendevano forma, inginocchiandosi ai piedi di colui che le aveva risvegliate, donando loro un proprio destino.

 

In quel momento arrivarono anche Siderius della Supernova Oscura, cavalcando un disco di energia violacea e sfrecciando sul terreno, balzando a terra poco distante da Flegias, di fronte agli occhi di Orochi, scocciato per tanto manifesto esibizionismo, e il Licantropo, che gettò con noncuranza i resti di un corpo massacrato sopra i cadaveri dei Cavalieri Celesti. Forse avrebbe dovuto informare Flegias dell’attacco a sorpresa ricevuto nella caverna, ma preferì inginocchiarsi di fronte a lui, come fecero Orochi e Siderius, e tacere, onde evitare di essere punito per la sua sconfitta.

 

“Il mio lavoro è terminato, Gran Maestro di Ombre!” –Esclamò una stridula voce, anticipando l’arrivo di Athanor, l’ultimo Alchimista della Regina Nera, avvolto nelle sue vecchie e tenebrose vesti. Dietro di lui un carro contenente armature dalle forme inquietanti, spinto a fatica da un gruppo di schiavi. –“Bagnate col sangue della Dea della Caccia e degli Olimpici Difensori, piegato al nostro volere dall’avvento dell’ombra, le nere corazze da me forgiate diverranno solide come quelle dei Cavalieri nostri rivali! Forse anche superiori!”

 

E nel dir questo Athanor si avvicinò ai corpi di Artemide e dei Cavalieri Celesti caduti, intingendo nel sangue la rachitica mano e macchiando con esso le Armature costruite nei sotterranei dell’Isola delle Ombre. Flegias sogghignò soddisfatto, osservandole brillare di una tetra luce di morte, mentre la pietra nera inquinava la loro linfa vitale, come aveva fatto con l’Ichor di Asclepio per le corazze dei Capitani dell’Ombra. Quindi le osservò scomporsi in numerosi pezzi, aderendo al corpo di una quindicina di uomini incolonnati di fronte a lui. Uomini come era stato Menas della Rosa, decisi a servire il Maestro di Ombre, aiutandolo nella sua missione. I sottoposti dei sette Capitani, che lo avrebbero aiutato a sconfiggere i Cavalieri di Atena.

 

“Risvegliatevi, costellazioni dimenticate!!!” –Gridò Flegias infine, mentre gli uomini, appena investiti delle loro nere corazze, osservavano il tetro splendore di tali manufatti, sogghignando al pensiero del male che avrebbero adesso potuto compiere. –“Sorgete a nuova vita, astri dell’ombra! Stelle che la storia ha confinato all’oblio! Uomini che Atena ha dimenticato, cancellando le gesta che in passato avevano compiuto per lei, ripulendo le cronache dai loro nomi! Tornate a vivere, tornate a camminare su questa sterile Terra, costellazioni dimenticate!!!”

 

Di fronte a lui, dietro a Orochi, Siderius e al Licantropo, e ad Athanor inginocchiato alla sua destra, ricomposero le fila gli uomini che avevano ricevuto le Armature di Cavalieri che Atena aveva sconfessato nel corso dei secoli. Cavalieri che l’avevano tradita, o che non erano stati all’altezza. Cavalieri i cui simboli erano stati soppiantati dalla modernità, che del loro antico splendore aveva fatto strage.

 

Il Vendemmiatore, il Sudario di Cristo, la Tartaruga, lo Scettro di Brandeburgo, l’Ape nera, le Spade Incrociate, il Quadrante Oscuro, il Galletto e altri simboli, le cui corazze erano state forgiate nuovamente da Athanor, sugli schemi degli Alchimisti che molte volte vi avevano provato in passato, senza riuscirvi.

 

“Voi esistete ancora, stelle estinte! E Atena, che è stata vostra carnefice, accettando il destino d’oblio che la storia vi fu imposto, pagherà in prima persona l’errore di cui si è macchiata! Sentirà sul suo fragile collo di donna l’alitare furioso delle costellazioni dimenticate!!!” –Ringhiò Flegias, infiammando i cuori dell’esercito inginocchiato di fronte a lui. L’Esercito delle Ombre, che presto avrebbe invaso il mondo.

 

“Ho un’altra buona notizia, mio Signore!” –Sibilò Athanor, con il capo chino, attirando l’attenzione del Maestro di Ombre. –“Ikki di Phoenix! È stato trovato! Non era poi così distante da noi, anche se prima non avevamo posto lo sguardo su quella vecchia isola!”

 

“Molto bene, mio viscido servitore! Questa notizia forse mi farà dimenticare i ritardi con cui non hai rispettato le consegne! Ah ah ah!” –Sghignazzò Flegias, tirando un calcio sul viso ad Athanor e sbattendolo a terra, prima di voltarsi verso i tre Capitani dell’Ombra. –“Orochi! Ho una missione per te! Conducila come vuoi, ma il risultato dev’essere uno! Voglio la testa dell’Araba Fenice servita su un piatto di tenebra! Voglio appenderla nella sala del trono e guardare il suo volto ogni giorno, per ricordarmi la sua sconfitta!”

 

“Come comanda!” –Affermò semplicemente Orochi, mettendosi in piedi e facendo per muoversi, prima che una voce squillante lo distrasse.

 

“Inviate me, Maestro di Ombre!” –Esclamò uno dei Cavalieri investito poco prima della sua nera armatura. –“Ucciderò io Ikki di Phoenix!”

 

“Tu, Scettro? Neanche sei uno dei Capitani dell’Ombra, e dovrei essere così sciocco da inviarti ad affrontare un uomo capace di tenere testa persino a me?!” –Domandò Flegias, disturbato ma al tempo stesso incuriosito da quell’intrigante personaggio. In fondo, conosceva bene la sua storia, per averlo lui stesso preso con sé anni addietro, e conosceva l’uomo che aveva avuto come maestro.

 

“Avrei potuto tranquillamente essere l’ottavo! O prendere il posto di uno di loro!” –Esclamò fiero il Cavaliere nero dello Scettro di Brandeburgo, incontrando lo sguardo ostile di Orochi e di Siderius. –“Vi porterò la testa di Phoenix in poche ore! Ho una motivazione in più rispetto a chiunque per confrontarmi con lui! Una motivazione che mi permetterà di vincere!”

 

“E sia, Scettro! Occupatene tu! Torna con la testa di Phoenix o non tornare affatto!” –Esclamò Flegias, dando le spalle al Cavaliere Nero e agli altri Capitani dell’Ombra e incamminandosi verso i sotterranei dell’Isola. Blindato nella sua caverna, dall’alto del suo trono di amianto, avrebbe assistito alla trionfale marcia dell’Esercito delle Ombre, una marcia destinata ad annientare la Terra intera.

 

 

 

 

 

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Capitolo 16
*** I discepoli dimenticati ***


CAPITOLO QUATTORDICESIMO: I DISCEPOLI DIMENTICATI

CAPITOLO QUATTORDICESIMO: I DISCEPOLI DIMENTICATI.

 

Con un balzo Andromeda evitò la pioggia di lance energetiche che Iaculo, il Serpente Giavellotto, gli aveva appena lanciato contro. Quindi contrattaccò in fretta, dirigendo la saettante Catena verso il nemico e osservandola moltiplicarsi in tantissime copie, che guizzarono nel tramonto asiatico, incendiando l’aria di scintille. Nuovamente Iaculo si irrigidì, piantandosi nel terreno e diventando un duro ammasso di materia contro cui la Catena si schiantò, senza riuscire a scheggiarlo né a ferirlo. Inerme, proprio come Andromeda aveva avuto modo di verificare nei minuti precedenti. Il Capitano dell’Ombra assumeva quell’innaturale posizione, sfruttando il potere del suo simbolo anche per difendersi, non soltanto per attaccare.

 

Le sue riflessioni furono interrotte dallo scatto rapido del suo avversario, che si lanciò contro di lui con tutto il corpo, rigido e pungente, come un giavellotto di energia. Andromeda richiamò le Catene, di cui si circondò per proteggersi, ma venne comunque spinto indietro dall’urto, barcollando sul terreno erboso ed esponendosi in questo modo alla carica del suo secondo nemico. Iemisch, la nera Tigre d’Acqua, affondò nell’interno coscia i sottili e taglienti artigli che ben maneggiava, lasciando che sangue sprizzasse copioso. Di fronte al suo sguardo soddisfatto e malizioso.

 

“Sei in difficoltà, Cavaliere di Andromeda?!” –Sogghignò Iemisch, osservando il ragazzo tastarsi la gamba, che gli ardeva di dolore per le unghiate appena subite. –“Non sembri proprio corrispondere alla preoccupazione che affliggeva il nostro Signore!” –Ironizzò, prima di concentrare il cosmo sulle mani e caricare un nuovo assalto. Veloce e preciso, ma anche molto potente.

 

Per difendersi, Andromeda liberò la catena, disponendola sul terreno sotto forma di tagliola, falciando così l’assalto della Tigre d’Acqua, che rimase inizialmente stupito da quella strana tecnica del Cavaliere di Atena. Con un colpo secco Andromeda lo colpì alle gambe, fermando la sua rapida corsa, ma non appena sollevò la Catena d’Attacco, per scagliarla contro di lui, venne raggiunto in pieno petto dal nuovo assalto di Iaculo e spinto indietro.

 

“Non riesci proprio ad affrontarci entrambi!” –Commentò Iaculo, sfoderando un arcigno sorriso di denti gialli. –“O forse ti trascini nell’attesa che Phoenix venga a salvarti?”

 

“Co…come?!” –Balbettò Andromeda, incredulo.

 

“Flegias ci ha informato che tuo fratello ha il vizio di correre sempre in tuo aiuto, ogni volta che sei nei guai! Praticamente… sempre!” –Ironizzò Iaculo, lasciando piovere una fitta sequela di lance di energia contro Andromeda, obbligandolo a muoversi continuamente, a non restare mai fermo, neanche un centesimo di secondo, onde evitare di essere trafitto da quegli attacchi così precisi.

 

“Non ho bisogno di mio fratello per vincere i miei avversari!” –Precisò Andromeda, disponendo la catena attorno a sé, in modo da formare un mulinello contro cui le lance energetiche di Iaculo si schiantarono.

 

“Usi ancora la tua arma?! Non hai capito che non basta per fermarmi?!” –Mormorò Iaculo, irrigidendosi nuovamente e scattando verso Andromeda, come fosse un giavellotto vivente. Iemisch, rimasto in disparte, si abbandonò a un sorriso divertito quando vide Andromeda respingere il Capitano dell’Ombra con un’onda di energia.

 

“Credi che sia stupido? È vero, la Catena non può impedirti di sbilanciarmi all’indietro, ma posso sempre fermarti prima che tu mi raggiunga!” –Esclamò, con il braccio destro ancora carico di scintille incandescenti.

 

“Urgh! Astuto l’amico! Con quell’aria da vergine immacolata…. Ammetto di averlo sottovalutato!” –Disse Iaculo, rimettendosi in piedi e pulendosi il sangue che gli colava dal labbro. –“Ma non accadrà una seconda volta!” –Aggiunse, aprendo il palmo della mano e creando una lancia di energia cosmica verdastra. –“Conosco bene la tua arma, Flegias me ne ha parlato! E so anche qual è il suo punto debole!” –Sogghignò Iaculo, iniziando a correre avanti. Andromeda rimase ad osservarlo con attenzione, pronto per caricare una nuova onda energetica con il quale respingerlo, nel caso avesse tentato di lanciarsi contro di lui. Ma Iaculo si fermò a pochi metri dal Cavaliere, piantando la lancia nel terreno e scaricandovi violente folgori di energia, che infiammarono il suolo, esplodendo proprio sotto i piedi di Andromeda.

 

“Aaaah!!!” –Esclamò il ragazzo, sbalzato in alto, mentre migliaia di lance di energia sorgevano dal terreno, dirigendosi contro di lui. Molte colpirono l’Armatura Divina, una protezione difficilmente superabile, ma qualcuna raggiunse le parti del corpo lasciate scoperte dalla corazza, soprattutto le mani e l’interno coscia.

 

Quando Andromeda ricadde sul terreno, con le Catene tutte sparse attorno a lui, non fece in tempo neppure a rimettersi in piedi, che venne afferrato per il collo da Iemisch e sbattuto contro un albero. Un po’ stordito per le scariche energetiche subite, il ragazzo sembrò non udire altro che lo scricchiolare sinistro delle ossa del suo collo, un rumore così vicino al suo orecchio. Fece per muovere le Catene ma Iaculo piantò due lance di energia nei palmi delle sue mani, crocifiggendolo all’albero in una posa innaturale, che gli piegò le braccia all’esterno, strappando ad Andromeda uno strillo di dolore, subito soffocato da Iemisch.

 

“Addio, ragazzo!” –Sogghignò la Tigre nera, con soddisfazione e orgoglio per quella missione che doveva concludersi proprio così. Con il suo trionfo. Non avrebbe accettato una soluzione diversa, perché qualunque fosse stata non sarebbe stato ciò che Flegias aveva chiesto. E ciò che egli si era impegnato a mantenere.

 

Di Andromeda e dei Cavalieri di Atena a Iemisch non importava particolarmente. Lui era un soldato e ciò che voleva era combattere, abbandonandosi a continue prove di forza, dove avrebbe potuto ben dimostrare tutto il suo valore e la sua potenza. Per questo serviva Flegias, affinché i suoi meriti e le sue qualità fossero riconosciute. E anche se il Maestro di Ombre aveva scelto Orochi come Capitano supremo, egli era certo di riuscire a fargli cambiare idea, grazie ai successi che avrebbe riportato in battaglia. Del resto Iemisch era perfettamente convinto di essere l’unico in grado di guidare l’esercito delle ombre che Flegias stava organizzando, poiché era l’unico che disponesse in misura equilibrata di forza e cervello. Cosa che, secondo lui,  non poteva affatto dirsi degli altri Capitani.

 

Orochi era infatti un colosso, privo di qualsiasi forma di intelligenza, e Iaculo e Licantropo erano esseri deformi e grotteschi, buoni solo per insanguinare il campo di battaglia, in attesa dell’arrivo dei veri condottieri. Lamia era una donna, e come tale era inferiore. E Leviatano era troppo coinvolto emotivamente per poter essere veramente utile in guerra. Infine c’era Siderius, di cui Iemisch sapeva ben poco, soltanto che era stato addestrato al Grande Tempio di Atene e che adesso cercasse vendetta, per un qualche torto subito. Quali che fossero i suoi poteri Iemisch non lo sapeva, ma era certo che non sarebbero potuti essere più grandi dei suoi. Del resto egli era stato il primo a stringere tra le mani il collo di un Cavaliere Divino, e lo avrebbe stretto finché Andromeda non avesse esalato l’ultimo respiro. Poi, tenendolo sempre nel suo pugno, lo avrebbe portato a Flegias, trofeo della sua vittoria.

 

Ciò che non aveva però considerato era la capacità di ripresa dei Cavalieri di Atena, ricchi di valori più profondi dei suoi. Valori per cui valesse davvero la pena combattere.

 

Improvvisamente la mano di Iemisch iniziò a surriscaldarsi, mentre l’uomo osservava interessato, e con un certo stupore, il corpo di Andromeda avvolto interamente in un cosmo rosa e lucente. Un cosmo che andava crescendo sempre di più, fino a sovrastare il suo. Fino a strappar via le lance di energia piantatesi nelle sue insanguinate mani e a spingere indietro anche lo stesso Iemisch, travolto da una corrente di energia cosmica che non aveva mai provato prima.

 

Nebulosa di Andromedaaa!!!” –Gridò il Cavaliere di Atena, liberando la galassia che celava dentro e riversandola sotto forma di tempesta energetica contro i due Capitani dell’Ombra.

 

Iemisch venne travolto in pieno e, per quanto cercasse di resistere, piantando i piedi nel terreno, venne scaraventato indietro, ruzzolando sul terreno per diversi metri fino a schiantarsi contro un albero, con l’armatura danneggiata in più punti. Iaculo, avvertito il pericolo, balzò in cima ad un albero, prima di irrigidirsi e lanciarsi nella tempesta, come un giavellotto di energia, diretto verso Andromeda. Ma la potenza della Nebulosa era talmente grande da respingere persino il suo assalto, scaraventandolo via quando era a pochi metri dal Cavaliere di Atena. Iaculo riuscì però a far cadere una pioggia di lance energetiche contro Andromeda, colpendolo sulle spalle e scheggiando la sua Armatura, obbligandolo a portare un ginocchio a terra, indebolito dal susseguirsi di scontri di quella lunga giornata e dalla ferita di Biliku, che non aveva mai smesso di infiammarlo.

 

Questo permise alla corrente della Nebulosa di scemare leggermente e a Iemisch di rimettersi in piedi, osservando Andromeda crollare a terra sfinito, toccandosi lo squarcio al collo. Lo scontro con Biliku aveva succhiato parte della sua energia vitale, come se l’antica creatura non fosse stata interessata a nutrirsi del suo corpo, ma della sua stessa linfa esistenziale. In quell’attimo in cui Andromeda aveva sentito Biliku dentro di sé, nella sua mente, gli era sembrato di scomparire, quasi risucchiato da un vortice di creazione e distruzione capace di portarlo indietro, all’alba dei tempi. Completamente immerso nel nulla.

 

“Hai combattuto bene, Cavaliere di Andromeda! E forse, se tu non avessi affrontato Biliku, avresti anche potuto vincerci entrambi!” –Esclamò Iemisch, con tono serio, di fronte allo sguardo stupito di Iaculo. –“In effetti, credo proprio di esserti inferiore!”

 

“Ma che sciocchezze stai dicendo? Uccidiamolo e facciamola finita!” –Ringhiò Iaculo, concentrando il cosmo nella mano destra in una lunga lancia di energia. –“Muori, cane di Atena!” –Gridò, calandola sulla testa di Andromeda.

 

Ma improvvisamente una luce dorata invase la foresta equatoriale, accecando i Capitani dell’Ombra e spingendoli indietro, con un’onda di energia che risucchiò la lancia di Iaculo, sbattendolo a terra a gambe all’aria. Iemisch invece, per quanto spinto indietro, riuscì a mantenersi saldamente in equilibrio, incrociando le braccia avanti a sé e proteggendo lo sguardo calando una visiera di vetro nero sugli occhi.

 

“Che succede adesso? È giunto davvero Phoenix a salvarlo?!” –Esclamò Iaculo, rimettendosi in piedi.

 

Ma del Cavaliere della Fenice non c’era alcuna traccia. Bensì, sospesi nell’aria sopra il corpo svenuto di Andromeda, tre figure avvolte da un aureo manto di luce erano appena comparse, avvolgendo il Cavaliere di Atena in una cupola protettiva, per rinfrancare il suo corpo ferito. Osservandoli, i Capitani dell’Ombra riconobbero che erano due uomini e una donna e non indossavano alcuna armatura da battaglia, soltanto abiti color arancione, di aspetto simile a quelli dei monaci. E questo li stupì non poco, poiché percepivano in loro un potenziale livello di conoscenza del cosmo che soltanto dei Cavalieri avrebbero potuto avere.

 

“Monaci volanti?!” –Sgranò gli occhi Iaculo. –“Chi diavolo siete, voialtri?”

 

“Hai così tanta necessità di saperlo? Potremmo anche dirtelo, ma in fondo cos’è un nome? Niente più di un’etichetta con cui indicare una persona, rendendola simile ad un oggetto!” –Commentò uno dei due uomini. –“E il materialismo è deplorevole come la guerra!”

 

“Anche filosofi siete? Beh, poco importa! Toglietevi di mezzo e lasciateci completare la nostra missione! Ne ho fin sopra i capelli di quest’isola e di tutte le sue stramberie!” –Esclamò Iaculo, facendo avvampare il suo cosmo, che concentrò sulla mano sotto forma di un mucchio di lance di energia.

 

“Misura le tue parole, straniero! Offendi i misteri di quest’isola e di colei che vi dimora!” –Rispose la donna, mentre l’uomo che ancora non aveva parlato abbandonò la sua posizione meditativa, levitando fino a terra e chinandosi su Andromeda, per aiutarlo a riprendersi e a mettersi in piedi.

 

“Sei debole? Riesci a camminare?” –Gli domandò con sincera preoccupazione.

 

“Sì… io credo di sì!” –Balbettò Andromeda, senza capire chi fossero quei tre uomini.

 

“Adesso basta! Filosofi o mentecatti, vi manderò tutti all’Inferno! Morite! Concatenazione!!!” –E fece piovere sui quattro una pioggia fittissima di lance di energia, che piombarono all’istante dal cielo. Andromeda si mosse per evitarle, ma l’uomo al suo fianco lo pregò di restare calmo e di risparmiare forze. Proprio in quel momento una cupola di luce accecante apparve attorno a loro, sormontandoli e proteggendoli dall’assalto di Iaculo, che non riuscì ad incrinare tale difesa, apparentemente sottile ma molto resistente.

 

Kaan!!!” –Gridarono l’uomo e la donna ancora sospesi in aria, prima che anche il cosmo del secondo uomo si unisse a loro, generando un’onda di luce che scivolò fuori dalla cupola di energia, travolgendo la pioggia di lance e abbattendosi su Iaculo. –“Abbandono dell’Oriente!!!” –Esclamarono i tre, mentre il Capitano dell’Ombra veniva scaraventato molti metri addietro, con l’armatura distrutta in più punti.

 

A sentire quel grido Andromeda si voltò verso di loro e si accorse soltanto allora che i tre avevano gli occhi chiusi, e questo lo fece sobbalzare, ricordandogli un Cavaliere d’Oro che aveva affrontato in passato. Il custode della Sesta Casa di Virgo.

 

“Ma… questo colpo segreto!!! È il colpo di Virgo!” –Esclamò.

 

“Di lui infatti siamo stati discepoli, Andromeda!” –Affermò l’uomo sospeso più in alto: Dhaval, il puro.

 

“Discepoli di Virgo, hai detto? Mio fratello me ne parlò. Durante la scalata alle Dodici Case, prima di giungere in nostro aiuto, egli affrontò due di voi! Loto e Pavone erano i loro nomi!” –Esclamò Andromeda.

 

“Umpf, Loto e Pavone!” –Affermò Dhaval, con tono dubbioso, e a tratti scocciato. –“Non sono certo stati un modello da imitare! Troppo chiusi e accecati dal loro borioso integralismo da non saper discernere la verità dalla menzogna!”

 

“Pur tuttavia sono stati nostri compagni, e abbiamo pregato per loro quando abbiamo udito i loro cosmi spegnersi nell’oblio!” –Aggiunse la donna, prima che la voce di Iaculo richiamasse tutti loro.

 

“Credete forse di essere in un salotto a conversare?!” –Ringhiò, stringendo una lancia di energia in mano. –“Qua siamo in un guerra, e in guerra… si combatte!!!” –Aggiunse, scattando contro di loro, ancora protetti dalla dorata cupola del Kaan, e piantando la sua lancia nella barriera, infondendogli violente scariche di energia, che la fecero tremare fino in profondità, obbligando i tre discepoli di Virgo ad uno sforzo ancora maggiore per mantenerla integra.

 

Non ci riuscirono, a causa delle tremende scariche cosmiche di Iaculo, e il Kaan andò in frantumi, proprio mentre i tre discepoli e Andromeda scattavano in direzioni diverse, portandosi attorno al Capitano dell’Ombra, in modo da accerchiarlo. Iemisch rimase di lato, con le braccia incrociate al petto, ad osservare interessato quel nuovo scontro. Era un felino, e possedeva l’istinto del predatore, e come tale sapeva bene che prima di scattare verso la preda era importante studiarla attentamente. Per poter sfruttare i suoi errori e le sue debolezze. Tattica, la chiamava lui. Codardia, gli avrebbe risposto Iaculo.

 

Ma il Serpente Giavellotto non si lasciò intimorire dalla superiorità numerica dei suoi avversari, che sapeva fosse soltanto di facciata. Poiché, a livello di cosmo, era certo di essere loro superiore.

 

Concatenazione!!!” –Gridò, dirigendo verso la donna una pioggia di giavellotti di energia, obbligandola a ricreare una nuova cupola dorata attorno al suo corpo, onde evitare di essere trafitta. Ma l’altro discepolo, quello che ad Andromeda era parso colui che li guidasse, storse subito il naso per tale azione avventata.

 

“In guerra bisogna comunque rischiare!” –Disse Dhaval, concentrando il cosmo tra le mani e liberando un ventaglio di energia, che si chiuse su Iaculo, proprio mentre la cupola della donna andava in frantumi ed ella veniva raggiunta da un nugolo di lance affilate. –“Tirtha, la tua strategia difensiva lascia molto a desiderare!” –Aggiunse, rimproverando la donna, che cercava di rimettersi in piedi, nonostante le ferite e i tagli sul corpo. Iaculo venne spinto indietro dall’attacco energetico del discepolo di Virgo e quando fece per contrattaccare si accorse di non essere in grado di muoversi, immobilizzato in una posa innaturale da cerchi di energia dorata che l’altro uomo aveva generato con la mente.

 

“Ottima mossa, Pavit!” –Si complimentò Dhaval, avvicinandosi assieme ai compagni al Capitano dell’Ombra, intrappolato all’interno di cerchi concentrici di energia spirituale, dalle intense sfumature oro. –“L’intelletto vince sempre sulla forza bruta!”

 

“Lasciami, bastardo!!!” –Ringhiò Iaculo, dimenandosi furioso.

 

“Uuh, che linguaggio volgare! Di buone maniere non sei certo maestro!” –Ironizzò Dhaval, prima di volgere lo sguardo verso Iemisch, che continuava ad osservare la scena a debita distanza, con le braccia incrociate al petto. –“E tu non corri a liberare il tuo compagno?”

 

“Quale compagno?! Io vedo solo uno sconfitto! Un guerriero che non è capace di portare a termine la propria missione, facendosi sconfiggere da tre ragazzini che ancora non hanno visto l’alba della pubertà, non è degno di definirsi tale!” –Esclamò Iemisch, con tono sprezzante.

 

“Attento a come parli, Iemisch! O pianterò nel tuo cranio le mie lance di vittoria!” –Ringhiò Iaculo, espandendo il proprio cosmo, dalle oscure sfumature verdastre.

 

“Attenti! Allontanatevi!!!” –Gridò Andromeda ai tre discepoli, i quali, troppo vicini al Capitano dell’Ombra, vennero spinti indietro dalla repentina esplosione del suo cosmo oscuro, incapaci di continuare a bloccare i suoi movimenti. Subito Iaculo caricò uno di loro, il ragazzo dai capelli fulvi che lo aveva immobilizzato con i cerchi di energia, colpendolo con un violento calcio sul mento e scaraventandolo contro un albero poco distante. Quindi si voltò verso gli altri due, sollevando un braccio al cielo, pronto per trafiggerli con le sue lance, ma Andromeda, che non aspettava che quel momento, fu più svelto di lui, lanciando la catena, che si attorcigliò attorno al suo polso, strattonandolo con forza verso di sé. –“Iaculo!!! Sono io il tuo avversario!!!”

 

“Siete tutti miei avversari!” –Sogghignò il Serpente Giavellotto, avvampando nel suo tetro cosmo. Ma Andromeda, determinato ormai a concludere quello scontro prima che l’isteria del Capitano dell’Ombra dilagasse ulteriormente, seppe rispondergli con le sue stesse parole.

 

“Non riuscirai ad affrontarci entrambi!” –Esclamò, prima di scagliare anche l’altra catena. –“E non ti permetterò di sconfiggere questa mia convinzione!!! Vai, Onda del Tuono!!!” –L’agile arma di Andromeda procedette a zigzag nell’aria satura di energia, schiantandosi con forza sul bracciale destro del Serpente Giavellotto, mandandolo in frantumi e affondando nel suo esile arto.

 

“Aaargh!!! Maledetto, ti farò soffrire Andromeda!” –Gridò Iaculo, stringendo i denti per il dolore. Ma il Cavaliere di Atena non gli diede tregua alcuna, caricando il polso destro di guizzanti folgori di energia, che diresse contro di lui, stritolandolo in un incandescente abbraccio.

 

Onda energeticaaa!!!” –Esclamò, scaraventando Iaculo molti metri addietro, con l’armatura in frantumi e numerose ustioni su tutto il corpo. Non lo aveva notato fino a quel momento, ma il Capitano dell’Ombra era veramente magro, molto più di lui, secco come un chiodo. Come le lance di energia con cui amava torturare i propri nemici. La guerra, per lui, non era mai stato un dovere, né una missione, ma solo un sadico piacere, che soddisfaceva al vuoto della sua vita. Per questo Flegias lo aveva scelto, convinto che, con un unico scopo da raggiungere, e con tanto piacere da provare nell’avvicinarsi ad esso, egli non avrebbe mai fallito.

 

Iaculo rantolò sul terreno, contorcendosi come un serpente, con i lunghi capelli marroni strappati dalle folgori di Andromeda. Lanciò un’occhiata piena d’ira verso il ragazzo ed espanse ancora il suo cosmo, ma non riuscì a rimettersi in piedi che venne travolto da un’onda di energia dorata, scagliata congiuntamente dai tre discepoli di Virgo.

 

Abbandono dell’Oriente!!!” –Gridarono Dhaval, Tirtha e Pavit, falciando la vita del Capitano dell’Ombra, di cui rimase solo una carcassa ossuta e tinta di sangue. A causa dello sforzo, Tirtha e Pavit crollarono sulle ginocchia, e persino Dhaval, che sempre amava mostrarsi integro e senza sbavature, si abbandonò ad un respiro affannoso. E comunque soddisfatto.

 

“Molto bravi! Mi avete impressionato! Sì, lo ammetto: sorpreso e impressionato!” –Esclamò Iemisch, battendo le mani in segno di applauso e avvicinandosi a Andromeda e ai tre discepoli di Virgo. –“Ciò non toglie che porterò a termine la mia missione, Andromeda! Flegias mi ha ordinato di ucciderti e io lo farò! Costi quello che costi, tu sarai il mio trofeo! La preda della mia caccia!” –Sogghignò, sfoderando un arco di denti brillanti e aguzzi, simili a quelli di una fiera. –“Cura le tue ferite, Cavaliere! La Tigre d’Acqua non ama nutrirsi delle carcasse dei moribondi! Quelle le lascio agli avvoltoi, a gente infima come Iaculo! Io cerco la sfida, l’ebbrezza della caccia! E sono certo che tu saprai regalarmi tali emozioni!” –E strizzò un occhio al Cavaliere di Atena, prima di avvolgersi nel suo cosmo e scomparire nella notte che ormai era calata su tutti loro. –“Aspettami, Andromeda! Perché io tornerò!!!” –Nient’altro aggiunse, la nera Tigre d’Acqua, se non una risata squillante, che risuonò nella notte della foresta equatoriale.

 

Andromeda rimase in silenzio per qualche secondo, con lo sguardo cupo, a tratti malinconico, a tirare le fila di quella lunga giornata. Era la prima volta, da quando Kiki lo aveva trascinato via dall’Isola di Andromeda, in cui poteva essere veramente libero per pensare. Al Grande Tempio, e all’ampolla con il sangue di Biliku che avrebbe dovuto salvare i Cavalieri suoi amici. A suo fratello Phoenix, ancora in giro chissà dove, spirito errante negli angusti confini del mondo. E infine a Nemes, la donna che aveva ammesso di amare.

 

“Cavaliere di Andromeda!” –Lo chiamò Dhaval, avvicinandosi. –“Hai bisogno di cure e di cibo! Vieni con noi! Saremo ben lieti di condividere la nostra mensa con te!”

 

“Vi ringrazio, nobili discepoli di Virgo, ma credo che la mia presenza sia richiesta altrove!” –Commentò il ragazzo. –“Inoltre… ho un gran mal di testa, per tante cose che ancora non riesco a capire!”

 

“Forse possiamo aiutarti a chiarire alcuni tuoi dubbi!” –Sorrise Dhaval, per la prima volta, allungando un braccio verso Andromeda, il quale, seppur riluttante, ricambiò il gesto dell’uomo, afferrandolo e venendo avvolto da una sottile aura dorata. Tirtha e Pavit arrivarono all’istante, stringendo le mani degli altri due, in modo da creare un piccolo cerchio intimo, ove i loro cosmi si mescolarono, rinfrancandosi l’un l’altro.

 

Senza che Andromeda neppure se ne rendesse conto, si ritrovò sospeso in aria, a qualche metro da terra, con il corpo ricoperto da una luccicante polvere d’oro. Una polvere che era molto simile a quella che aveva visto usare a Mur per riparare le loro armature. I discepoli di Virgo chiusero gli occhi, concentrando i sensi, e a un cenno di Dhaval il piccolo cerchio iniziò a muoversi, dapprima lentamente, poi sempre più velocemente, fino a sfrecciare nella foresta, e a passare oltre. Al di là del mare. Fino a ritrovarsi sulla terraferma.

 

“Dove siamo?!” –Chiese infine Andromeda, quando il cerchio mistico toccò di nuovo terra e le luci dei loro cosmi calarono di intensità. Tutto attorno vi era una fitta foresta scura e soltanto la luce della luna, alta sopra di loro, illuminava l’ambiente circostante. Andromeda si guardò intorno per capire, ma Pavit gli fece cenno di non porsi domande. In fondo ne aveva già molte a cui dover dare una risposta.

 

“A casa!” –Esclamò Dhaval, incamminandosi lungo un sentiero tra gli alberi altissimi, procedendo a passo sicuro in un luogo che l’uomo e i suoi compagni dovevano conoscere molto bene, essendo infatti stata la loro dimora negli ultimi anni. Da quando avevano abbandonato Kasia Kusinagara. Da quando avevano fallito e non erano riusciti a divenire Cavalieri di Atena. –“A casa!” –Ripeté l’uomo, spostando alcune felci e rivelando la loro destinazione. Un paesaggio magnifico. Un edificio che Andromeda aveva ammirato soltanto in sbiadite fotografie in bianco e nero negli atlanti dell’orfanotrofio.

 

Angkor Wat, l’immenso sito ove erano sorte alcune capitali dell’impero Khmer, a nord del lago Tonle Sap, la più grande distesa d’acqua interna del Sud-Est asiatico.

 

Andromeda rimase a bocca aperta ad osservare l’affascinante complesso templare, considerato il più grande del mondo. La luce della luna illuminava le antiche torri, lasciando rifulgere i visi sorridenti che ornavano le terrazze superiori. Era un luogo di culto enorme, che aveva visto susseguirsi secoli di storia, di religioni, di cambiamenti nella mentalità degli uomini. E di Dei che caddero in rovina, venendo sostituiti da nuovi idoli. Pavit, immaginando lo stupore del ragazzo, gli mise una mano su una spalla, incitandolo a procedere, in silenzio, attraverso il terreno libero di fronte alle mura esterne.

 

“Fece anche a me lo stesso effetto la prima volta che vi giunsi!” –Disse a bassa voce, strappando un sorriso al Cavaliere. Ma Tirtha lo pregò di tacere, avvolgendosi ancora di più nelle sue vesti e iniziando lentamente a divenire evanescente. Fino a quel momento Andromeda non l’aveva notato, ma adesso, sotto la pallida luna dell’Asia orientale, i tre discepoli di Virgo parvero davvero eterei, parvero davvero nascondersi allo sguardo umano e a divenire un tutt’uno con l’aria del tempio sacro.

 

Dhaval guidò Andromeda a passo sicuro sopra il terrazzamento della città, lungo la galleria più esterna, tra sculture in pietra e simboli incisi sulla roccia che Andromeda aveva timore anche solo ad osservare, tanto grande era la sacralità che parevano emanare. Ricordava poco delle nozioni apprese su Angkor, ma era certo che fosse stato in passato un tempio induista, e poi buddista. Prima di essere dimenticato, e poi depredato meschinamente. Giunti in un chiostro a forma di croce, Dhaval rallentò il passo, invitando Andromeda a rilassarsi, poiché in quel luogo erano certamente al sicuro. Il Cavaliere di Atena sorrise, sforzandosi di mostrarsi grato, continuando a guardarsi attorno estasiato e a incrociare lo sguardo di mille raffigurazioni di Buddha e di molte altre iscrizioni che tappezzavano le pareti del chiostro.

 

“Questo è il Preah Pohan di Angkor Wat! Il Salone dei Mille Buddha!” –Spiegò Dhaval, con orgoglio. –“Ed è qua che ci rechiamo a pregare, e a incidere una nostra buona azione, come tutti i pellegrini prima di noi!”

 

“Ma voi… chi siete realmente?!” –Domandò infine Andromeda, pieno di riconoscenza per l’aiuto che aveva ricevuto, ma anche pieno di dubbi.

 

“Domanda lecita la tua! E a rispondere sarò io, Dhaval il puro, discepolo di Virgo, anche se non tra i suoi prediletti!” –Commentò l’uomo, sedendo sul pavimento in posizione meditativa. Presto imitato dai suoi compagni. –“Loro sono Tirtha, la pellegrina, e Pavit, il devoto! Siamo tutto ciò che resta di un gruppo di dieci discepoli indiani, desiderosi di attingere alle vie infinite della conoscenza, che avevano riposto in Shaka, Cavaliere d’Oro di Virgo, le loro massime aspettative, credendo che egli potesse realmente aprirci la via verso l’assoluto! Ammetto oggi, non senza un certo dispiacere, che tali speranze sono rimaste disilluse! Virgo è stato un ottimo maestro, non lo metto in dubbio, ma era troppo accecato dal suo orgoglio, dalla sua presunta superiorità, per provare pietà e sincero interesse verso il prossimo! E questo era contrario ai nostri ideali, questo era qualcosa che realmente non riuscivamo a capire! Noi volevamo divenire Cavalieri di Atena per esportare la giustizia, soprattutto lungo il Gange, sulle cui rive siamo nati e dove abbiamo assistito alla morte per malattia e per denutrizione dei nostri amici e parenti stretti! Ma Virgo voleva da noi qualcosa di più! Voleva che lasciassimo ogni legame con questa Terra per assurgere alla conoscenza assoluta, qualcosa a cui non siamo mai riusciti ad arrivare! Per questo non abbiamo ottenuto l’investitura!”

 

“Quattro erano le armature a cui ambire!” –Intervenne allora Tirtha. –“Tre corazze d’Argento, che sarebbero andate ai più meritevoli, e una di Bronzo! Ma nessuna di loro aderì ai nostri corpi! Loto, Pavone e Birnam furono i beneficiari delle Armature d’Argento!” –Sospirò, prima che Pavit riprendesse, con voce spezzata.

 

“E ad Ana andò la quarta corazza, quella del Pittore!” –Non aggiunse altro e abbassò lo sguardo, senza nascondere il dolore che soltanto al nome della donna si era impossessato di lui. E Andromeda intuì che vi fosse dietro una lunga storia.

 

“Investiti i migliori, Virgo ebbe altro di cui occuparsi! La guerra contro Crono, la necessità di fermare i Titani, il suo ruolo di consigliere del Sacerdote! I discepoli che non aveva saputo aprire alla conoscenza furono dimenticati e le porte di Kasia Kusinagara ci vennero chiuse! Così lasciammo l’India, con l’angoscia nel cuore per non aver saputo aiutare i nostri cari, e vagammo per le terre del Sud-Est Asiatico, nutrendoci di frutti e di bacche, fino a lambire i confini occidentali dell’immenso complesso templare di Angkor Wat! Qua ci stabilimmo e continuammo ad addestrarci per tutti questi anni, tentando ancora, questa volta da soli, di raggiungere quei livelli di conoscenza che avevamo soltanto sfiorato durante l’addestramento con Virgo! E ci riuscimmo! In parte ci siamo riusciti! Abbiamo ottenuto la padronanza del cosmo e affinato i nostri poteri! Certo, come avrai visto anche tu, non siamo dei guerrieri, né vogliamo esserlo, ma siamo in grado di difendere noi stessi e i deboli dai soprusi dei grandi! I deboli di cui nessuno vuole mai farsi carico!”

 

“Capisco, nobile Dhaval!” –Commentò Andromeda. –“Una storia triste, di ideali delusi e di speranze mai abbandonate, è la vostra! Ma è anche una storia di felicità e di soddisfazioni, perché infine avete trovato la vostra strada, infine avete raggiunto l’illuminazione che avevate tanto inseguito! Dovreste esserne contenti, non è così?”

 

“Contenti?!” –Mormorò Dhaval, non troppo convinto. –“Non saprei Andromeda… Credo che la felicità sia qualcosa che non raggiungerò mai in questa vita! Ci sono sempre ogni giorno troppi motivi per non essere felici! I cadaveri che galleggiano nel Gange, le grida soffocate degli affamati che latrano nel fango, la guerra che in questi anni sta insanguinando questa nazione! Vedi forse motivi per sorridere?”

 

“Vedo motivi per cui lottare!” –Rispose deciso Andromeda. E Dhaval annuì con il capo, prima di alzarsi in piedi e invitarlo a seguirlo. Con Tirtha e Pavit dietro di loro.

 

Percorsero in silenzio la galleria superiore fino a raggiungere il sacrario centrale e salire in cima alla sua torre, a sessantacinque metri dal suolo. Là, in un’ampia sala decorata con corpi di serpente che terminano in teste di leone o garuda, Andromeda sembrò notare qualcosa di strano. Una parete era simile ad uno specchio e pareva ondeggiare al muoversi dell’osservatore, rischiarata lievemente dai raggi della luna. Su quella strana superficie il corpo di un uomo era appoggiato, e riusciva a rimanere sospeso senza toccare terra, apparentemente privo di sostegno. Avvicinandosi, Andromeda notò che il corpo non era appoggiato, ma era proprio dentro allo specchio, intrappolato tra due mondi, in bilico tra due dimensioni. Il Cavaliere di Atena represse un grido di stupore quando si accorse di conoscere il suo volto.

 

Quell’uomo era infatti il maestro di Dhaval, Tirtha e Pavit, il Custode della Sesta Casa dello Zodiaco. Shaka della Vergine.

 

 

 

 

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Capitolo 17
*** Angkor ***


CAPITOLO QUINDICESIMO: ANGKOR

CAPITOLO QUINDICESIMO: ANGKOR.

 

Andromeda non credeva ai suoi occhi. Di fronte a lui, bloccato a mezza via in un portale tra due mondi, il corpo del Cavaliere di Virgo risplendeva di pallida luce. Fermo ed immobile. Come il Custode della Sesta Casa poteva rimanere per ore, nelle sue lunghe meditazioni solitarie.

 

Stupito, Andromeda si voltò verso Dhaval, il Puro, chiedendo spiegazioni, mentre anche Tirtha e Pavit si avvicinavano, con uno sguardo assente che non lasciava trasparire alcun dubbio o timore.

 

“Cosa ci fa Virgo qua ad Angkor? E perché è prigioniero di questo… di questo specchio?! Credevo che egli fosse scomparso!”

 

“È una storia che risale a parecchi mesi fa!” –Rispose Dhaval con voce calma. –“Ai giorni in cui affrontavate il Dio della Guerra che aveva occupato il Grande Tempio e marciava con i suoi berseker sull’Olimpo! Ai giorni in cui Virgo, nostro maestro, venne massacrato da Ares e crocifisso sull’Isola dell’Apocalisse!”

 

“Ricordo questi eventi!” –Mormorò Andromeda, abbandonandosi ad un sospiro. –“Castalia raccontò a Pegasus e ad Atena tutto ciò che accadde sull’Isola, poiché Ioria sembrava non volerne parlare, ancora afflitto dai sensi di colpa per non aver potuto salvare il compagno!”

 

“Già! Mai come in quel momento percepii il cosmo di Virgo ridotto al minimo! Neppure quando affrontaste Ade!” –Affermò Dhaval.

 

“Voi sapete anche di Ade?” –Sgranò gli occhi Andromeda, stupito da tutte le informazioni di cui il discepolo di Virgo pareva disporre.

 

“Non siamo scomparsi dal mondo, Andromeda! Tutt’altro! In questi anni vi abbiamo vissuto molto più di quanto altri Cavalieri abbiano fatto, usando le nostre forze e i nostri poteri per aiutare un popolo ridotto alla fame!” –Esclamò Dhaval, alzando il tono della voce. –“La Cambogia è insanguinata da quasi vent’anni da una violenta guerra civile, per stupide motivazioni politiche! Gli eserciti si combattono su tutto il territorio nazionale e anche altri Stati sono entrati nel gioco! E chi soffre maggiormente per tutto questo, chi davvero sente la guerra sulla sua stessa pelle è la povera gente, la gente comune, che vive ammassata in villaggi tra la polvere e il fango, mendicando acqua e un pugno di riso! Ecco cosa abbiamo fatto negli ultimi anni! Abbiamo espanso il nostro cosmo fino a raggiungere l’illuminazione, quella che per noi è stata tale! La consapevolezza che i nostri poteri dovevano essere usati per aiutare i bisognosi, non per combattere! Così, il giorno ci mescolavamo alle genti dei villaggi, per aiutarli nei lavori umili, e la notte studiavamo ed esercitavamo i nostri poteri nel sepolcrale silenzio di questo tempio! Nessuno ci ha mai disturbato! Nessuno ha mai varcato il perimetro di Angkor Wat, neppure i soldati, che combattono in aree distanti! Né i popoli delle terre attorno, troppo intimoriti dalla mistica influenza di questo luogo! Soltanto due volte la nostra meditazione è stata interrotta! E in entrambi i casi abbiamo ottenuto preziose informazioni, sul mondo e sui nostri compagni, voi Cavalieri di Atena, impegnati a dar battaglia agli Dei nemici nelle lontane terre di Grecia!

 

La prima volta è stata poco più di un anno fa, in una notte senza vento come questa. Sentimmo una grande agitazione nella foresta, e rumori di lotta poco distante. Per un momento credemmo che i Khmer fossero arrivati fin qua, a sterminare coloro che rifiutavano di combattere per loro, ma poi percepimmo un’oscura energia annidarsi lungo i confini di Angkor! Un’energia intrisa di ombra e di fuoco!” –Esclamò Dhaval, tenendo fisso lo sguardo su Andromeda, il quale, a quelle parole, provò un brivido improvviso lungo la schiena, realizzando improvvisamente.

 

“Flegias!!! Quel demonio… era giunto fin qua?” –Esclamò.

 

“Non conosco il suo nome, né voglio saperlo! Mi è bastato guardarlo negli occhi per un momento per sentire la morte dentro al cuore! La morte di tutto ciò che credevo sacro! Quell’uomo covava nell’animo un fuoco più dannato dell’Inferno e non esitò a rivolgerlo contro di noi! Angkor venne messa a ferro e fuoco e le gallerie del tempio si accesero di oscure fiamme di morte, che non riuscivamo a spegnere! Arnav e Mahendra, due nostri compagni, allievi anche loro del Cavaliere di Virgo, terminarono la loro esistenza terrena quella notte, ardendo in un rogo di disperazione, per difendere questo santuario dal male! Nessuno di noi pareva possedere l’energia necessaria per fermarlo, nessuno di noi che fosse abbastanza folle da lanciarsi contro di lui! Pavit lo fu, e tutt’oggi ne porta i segni!” –Commentò Dhaval, non nascondendo un sorriso sincero, mentre Andromeda si voltava verso il discepolo dai capelli fulvi, che scopriva entrambe le braccia dalla tunica, rivelando i cimeli di quella notte. Ustioni profonde lungo gli arti.

 

“Ma cosa voleva Flegias? Perché attaccò Angkor?” –Chiese Andromeda.

 

“Cercava qualcosa!” –Rispose Dhaval a bassa voce. –“Un segreto nascosto tra le piaghe del tempo! Ancestrali manufatti che, a sentir lui, erano stati celati nel mondo antico, forse proprio in questo santuario! Ma non li trovò, e la sua cerca venne interrotta! Quando tutto sembrava perduto, e Tirtha, Pavit ed io ci stringevamo assieme, di fronte ai bassorilievi del Kurma, nella galleria orientale, un angelo discese  infatti dal cielo per porgerci aiuto! E allora ci rendemmo veramente conto che al mondo esistono misteri così profondi, e ancora inesplorati, che è sciocco presumere di conoscere tutto!” –Sospirò Dhaval, prima di ricominciare a narrare. –“Un uomo apparve tra le fiamme, che sembravano inchinarsi al suo passaggio, quasi egli ne fosse il principe! Un uomo alto e bello, rivestito da un’Armatura rossastra che pareva essere costruita con il manto delle stelle tanto era luminosa e al tempo stesso eterea! Si rivolse al demonio, che credo già conoscesse, con aria di sfida, prima di scontrarsi brevemente con lui! Il suo intervento probabilmente distrasse Flegias che, convinto forse che non era questo il luogo della sua cerca, scomparve sogghignando in un turbine di ombre e fuoco! L’angelo si rivolse a noi con un sorriso, pregandoci di abbandonare le nostre preoccupazioni e di tornare a pregare, poiché la forza delle nostre preghiere, pure come i nostri ideali, avrebbero dissipato ogni angoscia! Quindi scomparve anche lui, portandosi dietro tutte le fiamme che avevano invaso Angkor, e sprofondandola nuovamente nel silenzio della notte!”

 

“Incredibile! Il mistero si infittisce! Flegias era dunque già attivo ben prima di recarsi sull’Olimpo! Mi chiedo cosa stesse cercando!” –Rifletté Andromeda, tra sé, prima di chiedere notizie sull’uomo che venne in loro aiuto. –“Era un Cavaliere di Atena?”

 

“Era un uomo che non avevo mai visto prima, ma posso dirti per certo, e i miei compagni ben testimonieranno, che nessun Cavaliere di Atena ha mai posseduto un cosmo simile! L’energia da lui sprigionata rasentava livelli divini, come se cumuli di spiriti e di mito albergassero in lui. Livelli che neppure il nostro maestro Virgo aveva mai raggiunto!”

 

“Non mi avete ancora detto cosa fa Virgo dentro questo specchio!” –Commentò Andromeda.

 

“Quella fu la seconda volta in cui le nostre meditazioni vennero interrotte!” –Rispose Dhaval. –“Non pensavo a lui da un po’ di tempo, troppo presi com’eravamo dalle cure ai feriti e ai moribondi dei villaggi qua attorno, quando una sera sentii il suo cosmo esplodere, portato al parossismo! Anche Tirtha e Pavit lo sentirono e mi raggiunsero all’istante, sicuri che il nostro maestro stesse bruciando tutto ciò che restava della sua stessa vita! Quali che fossero le sue motivazioni non lo sapevamo, ma bastò uno sguardo, a tutti e tre, per prendere la nostra decisione! Era il nostro mentore, colui che ci aveva avviato lungo la via del cosmo, insegnandoci a prendere confidenza con l’energia latente dentro di noi! Potevamo non essere d’accordo sull’uso da farne, ma non saremmo mai potuti restare inermi ad osservare Virgo scomparire dal mondo!

 

Così usammo tutta la nostra energia, tutto il potere del nostro cosmo, spingendoci oltre i nostri stessi limiti, per salvarlo dalla dimenticanza, per afferrarlo in tempo prima che precipitasse negli abissi dell’oblio! Ma la nostra padronanza del cosmo era imperfetta, come lo è tuttora, e il trasferimento da noi auspicato rimase incompleto! Così adesso il Cavaliere di Virgo è prigioniero tra due dimensioni, intrappolato tra due realtà diverse. Dietro di lui c’è la morte, il corso che la sua vita avrebbe dovuto prendere senza il nostro intervento, e davanti a lui, ancora avvolta nella nebbia, c’è la vita!” –Concluse Dhaval infine.

 

“Abbiamo tentato per tutti questi mesi di condurlo da noi!” –Intervenne Tirtha, la Pellegrina. –“Ci abbiamo trascorso nottate intere, dando fondo a tutte le nostre energie, ma lo sforzo che ci chiediamo è qualcosa che va oltre i nostri stessi limiti! Dobbiamo ammettere, Andromeda, di non essere capaci di salvare il nostro maestro, e di averlo condannato ad una prigionia perpetua, in bilico tra due mondi!”

 

“Non crucciatevi! Avete dato il massimo!” –Sorrise Andromeda. –“E lo avete fatto con onore, per salvare una vita, in conformità al vostro credo! Non avete niente da rimproverarvi!”

 

“Quest’oggi abbiamo sentito cosmi inquieti avvolgere le Andamane e il risveglio di Biliku ci ha messo sull’avviso! Da anni non percepivamo l’energia psichica della Donna-Ragno! Così abbiamo deciso di seguire la scia e siamo giunti in tempo per porgerti aiuto!” –Esclamò Pavit, il Devoto. –“Non è stato difficile comprendere quali fossero i nemici e quali gli amici!” –Aggiunse, ridacchiando.

 

“Questo non risolve comunque il nostro problema! Nessuno di noi può togliere Virgo da tale posizione, a patto di non sacrificare tutto se stesso!” –Tagliò corto Dhaval.

 

“Io conosco chi può farlo! Il Grande Mur dell’Ariete!” –Esclamò Andromeda. –“Già una volta ha aiutato il Cavaliere di Virgo a tornare da un’altra dimensione! Collaborerà con piacere! E se i suoi poteri non dovessero bastare, sono certo che Atena sarà lieta di dare una mano!”

 

“Atena…” –Mormorò Dhaval, allontanandosi e sfiorandosi la barba grigia. –“Vedi, Cavaliere di Andromeda, c’è un motivo se non siamo mai andati al Grande Tempio! C’è un motivo per cui dopo aver lasciato Kasia Kusinagara, luogo del nostro addestramento, ci siamo diretti verso Est e non verso la Grecia! E non è stato soltanto l’orgoglio per non aver ottenuto l’investitura! No, è stato qualcosa di più! Qualcosa che, a oggi, non ci permette di credere completamente in Atena e nei suoi Cavalieri, al punto da sentirci rasserenati per non esserlo diventati!”

 

“Non capisco, nobile Dhaval! Avevo capito che voi amaste la giustizia e l’aiutare gli altri!” –Commentò Andromeda.

 

“È proprio così, Andromeda! Abbiamo dato la vita a questo piccolo sogno! Ma dimmi, tu che di Atena sei Cavaliere, credi davvero che l’esserlo sia la strada per la vera giustizia? Credi davvero che il lanciarsi in guerre continue, di uomini contro uomini armati, sia l’antidoto per debellare il male che adombra la nostra Terra?”

 

“Io…” –Esitò per un momento Andromeda, incerto sulla risposta, prima di abbandonarsi ad un sorriso disteso. –“Credo che lo abbiate chiesto alla persona sbagliata! Ho passato mesi interi, forse anni, a combattere contro me stesso, contro il vero istinto di me che avrebbe abbandonato le armi all’istante, offrendosi al nemico per non doverlo combattere, per non dover spargere ulteriore sangue! Ma crescendo ho maturato la convinzione del male minore e ho capito che se non arginiamo l’ombra, affrontandola con tutte le nostre forze, ne saremo sopraffatti, e con noi saranno vinti anche tutti i popoli, tutti i deboli, che vorremmo proteggere!”

 

“Hai ceduto al lato peggiore di te, quindi?” –Commentò schietto Dhaval. –“Hai risposto alla guerra con altrettanta guerra!”

 

“Ho dovuto farlo, per difendere un ideale! Quando si crede davvero in qualcosa, in un sogno che ci portiamo dentro da sempre, spesso bisogna essere disposti a fare dei sacrifici, a perdere una parte di noi, affinché l’altra possa sopravvivere! E continuare la sua missione!”

 

“Parole vuote le tue, che non ti rendono poi così diverso dai nemici che hai affrontato quest’oggi!” –Rispose Dhaval.

 

“Dhaval!” –Esclamò Pavit, non condividendo le parole del Puro. Ma Tirtha lo pregò di non aggiungere altro e lasciare che il loro compagno si ritirasse, stanco di quella conversazione, e di tutta la lunga giornata.

 

“Non è mio interesse incontrare Atena, né nessun’altro dei Cavalieri! Ho deciso di contattarti quest’oggi per un solo motivo! Per mostrarti questo! Se davvero hai a cuore la sua vita, portalo al Grande Tempio e liberalo da quella prigionia!” –Concluse Dhaval, scomparendo nei corridoi scuri del tempio.

 

Andromeda rimase in silenzio per alcuni secondi, ad osservare l’oscurità, sperando quasi di vederlo ricomparire davanti a sé. La mano amica di Pavit gli sfiorò la spalla, sorridendogli amichevolmente e invitandolo a non prendersela troppo.

 

“Dhaval ama parlare con schiettezza e i suoi pensieri a volte possono non piacere! Ma è un uomo giusto e onesto, che desidera il meglio per tutti!”

 

“È quello che vogliono molte persone, Pavit! Ma non tutti conoscono il modo migliore per raggiungerlo!” –Commendò Andromeda, prima di chiedere che ne fosse stato dell’ultimo discepolo. –“Dhaval ha parlato di dieci discepoli, ma sommando a voi Ana, Loto, Pavone, Birnam e i due uccisi da Flegias ne manca ancora uno!”

 

“Di lui non amiamo molto parlare!” –Commentò Tirtha, con voce dura. –“Arne è la vergogna di tutti noi, e forse ciò che Dhaval davvero temeva potesse accaderci qualora avessimo raggiunto l’illuminazione!”

 

“Non capisco…” –Mormorò Andromeda.

 

“Arne ci ha tradito, Andromeda! Ha sfruttato le nostre conoscenze per mirare al potere assoluto, accrescendo la propria forza e facendone strumento di imperio!” –Spiegò Pavit. –“E quella notte… si unì a Flegias, e se ne andò con lui!” –Aggiunse, chinando il capo e sospirando. –“Dhaval da quel momento ha perso ogni fiducia nel cosmo e nei Cavalieri, credendo che tutti, presto o tardi, useranno i loro poteri per fini puramente egoistici, dimenticando l’altruismo che li aveva mossi in origine!”

 

Andromeda annuì con il capo, conscio della verità di quelle poche parole. I Cavalieri in fondo restano uomini, con tutti i loro pregi e con tutti i loro difetti! Commentò, voltandosi infine verso il Cavaliere d’Oro. Sospeso di fronte a lui, quasi retto da un immaginario piano verticale, che risplendeva tenue sotto la luce della luna. –“Ioria, Mur, mio fratello! In molti saranno felici di rivederti, Cavaliere di Virgo! Devo rientrare subito ad Atene e informare Lady Isabel! Non c’è altro che possa fare in questo luogo!” –Aggiunse, e Tirtha e Pavit gli diedero ragione. Il ragazzo si offrì addirittura di accompagnarlo, desideroso, com’era sempre stato, di ammirare lo splendore del Grande Tempio.

 

“Dhaval non approverà! Questo viaggio potrebbe compromettere la tua formazione spirituale!” –Commentò Tirtha, dubbiosa sul da farsi.

 

“Credo che Dhaval avrà altro di cui occuparsi prossimamente! Eh eh eh!” –Esclamò improvvisamente una quarta voce. Secca e tagliente, quasi la sghignazzata di un ragazzo, sembrava provenire dall’oscurità attorno a loro, dagli androni bui della torre sopra il sacrario centrale.

 

“Chi sei?!” –Gridò Andromeda, muovendo lo sguardo nella vasta sala, ma non incontrando altro che ombra.

 

“Sono Sakis del Quadrante Oscuro!” –Esclamò decisa la voce, mentre un uomo, rivestito da una nera armatura, dalle spigolose forme geometriche, appariva proprio di fronte a loro, uscendo da un quadrato di luce grigia, che scivolò lungo tutto il suo corpo prima di scomparire. Non era molto alto, ma aveva un fisico ben piazzato, con corti capelli grigi e una cicatrice sulla guancia destra, vicina all’angolo della bocca.

 

“Co… come hai fatto a entrare all’interno di Angkor?” –Gridò Pavit, sconcertato da tale accadimento. –“Non ho percepito assolutamente la tua presenza!”

 

“È da parecchi minuti che ascolto i vostri discorsi! Conversazioni interessanti, devo dire, soprattutto la scoperta che il Cavaliere di Virgo è ancora vivo! Il Gran Maestro di Ombre pagherà bene questa informazione!” –Scoppiò a ridere Sakis, che sembrava essere perfettamente a suo agio. –“Chissà, forse ordinerà proprio a me di ucciderlo!”

 

“Sei un servitore di Flegias, eh? Ma non ti permetterò di rivelare questo segreto, né di avvicinarti a Virgo!” –Esclamò Andromeda, scagliando la sua Catena avanti. Ma l’arma non raggiunse Sakis, che aprì le braccia di scatto, generando un quadrato di luce oscura, ove la Catena precipitò dentro, senza trovare mai una fine. –“Cosa?! Una distorsione dimensionale?!” –Sgranò gli occhi il Cavaliere di Atena.

 

“Vedi, Andromeda, non hai potuto impedire che arrivassi in questa stanza dieci minuti fa, come potresti evitare che io appaia accanto al Cavaliere tuo amico e lo colpisca al cuore?” –Esclamò Sakis, con voce divertita. –“Ma resto comunque un bastardo onesto, e ho un mio codice d’onore! Forse perché il ricordo di essere stato un orfano come te non è mai scomparso dal mio cuore? Il ricordo di aver vissuto per anni in quello stesso orfanotrofio dove tu e tuo fratello Phoenix siete cresciuti!”

 

“Un orfano? Eri anche tu uno dei bambini inviati dalla Fondazione…”

 

“Per divenire Cavaliere? Sì, lo ero! Ma non ho mai ottenuto un’Armatura, perché non l’ho mai desiderata intensamente!” –Continuò Sakis, toccandosi il naso. –“Il mio maestro mi cacciò dandomi dell’indolente, stufo dello scarso impegno che infondevo nell’addestramento! Neanche un mese fa gli ho spaccato il cranio, con un secco colpo di mano! Non che sia stato difficile, in fondo, apparire dietro di lui e toglierlo dal mondo! Anche se, ammetto, questa personalissima vendetta non mi ha soddisfatto poi così tanto! Eh eh eh!” –Rise Sakis, in modo scanzonato e superficiale.

 

“Hai ucciso il tuo maestro a sangue freddo, e ridi delle tue azioni! Che persona sei?” –Esclamò Andromeda, ma Pavit gli fermò la mano, facendosi avanti e dichiarando di voler affrontare lui l’invasore del sacro suolo di Angkor.

 

“Fai meno lo sbruffone, testa rossa! Verrà il tempo anche per la tua morte! Ma non è adesso!” –Lo zittì Sakis, spingendo il ragazzo indietro con un’onda di energia nera. –“Sono soltanto venuto in ricognizione, a tastare il terreno prima della battaglia! Ah, dimenticavo, vi ho detto che Angkor è sotto assedio?”

 

Proprio in quel momento una violenta esplosione assordò i presenti, facendo tremare l’intera torre sopra il sacrario principale, mentre grida confuse provenivano dal piazzale anteriore, proprio dove Andromeda aveva ammirato le monumentali torre di Angkor, e i visi scolpiti su molte di esse.

 

“Temo che il portone principale sia saltato! Iemisch non è tipo da andarci leggero!” –Ironizzò Sakis, posando di nuovo lo sguardo su Andromeda. –“La Tigre Nera è arrivata, Cavaliere, ed è in cerca della sua preda! Ti consiglio di farti trovare quanto prima, onde evitare che si abbandoni a qualche… spuntino, per stimolare l’appetito!” –E strizzò l’occhio ai due discepoli di Virgo.

 

“Dhaval!” –Esclamò Tirtha, sentendo il cosmo del compagno ardere impetuosamente.

 

“Maledetto!!!” –Strinse i pugni Pavit, lanciandosi contro Sakis, senza però raggiungerlo, in quanto l’esploratore oscuro stava già scomparendo in un quadrante di energia grigia, che dissolse il suo corpo, strascicando via la sua risata beffarda. –“Cosa facciamo?!” –Chiese quindi ad Andromeda, riluttante all’idea di correre fuori e lasciare Virgo da solo.

 

Il Cavaliere di Andromeda esitò per un momento, prima di annuire con il capo e lanciarsi in una rapida corsa lungo la galleria, diretto verso l’esterno in aiuto di Dhaval. Sakis ricomparve proprio davanti a Virgo, osservando i tre compagni scivolare verso la battaglia, con un sorriso di sfida sul volto. Quindi si voltò verso l’inerme Cavaliere d’Oro, realizzando che sarebbe bastato un colpo solo per spaccargli la testa, proprio come aveva fatto con il suo mentore. Scoppiò a ridere, scuotendo la testa, prima di disegnare nuovamente nell’aria il suo quadrante oscuro e tuffarvisi dentro, realizzando di possedere ancora un senso dell’onore.

 

Quando Andromeda, Pavit e Tirtha uscirono nel cortile esterno, trovarono Dhaval intento a difendersi, con una cupola dorata di energia, dagli attacchi congiunti di un gruppo di nemici. Con un colpo d’occhio Andromeda ne contò ben quattro, oltre al Capitano dell’Ombra che ben conosceva. Alto e robusto, con larghe spalle e portamento fiero, Iemisch, la Tigre d’Acqua, avanzò con baldanza, tenendo l’elmo a forma di muso felino sotto il braccio e lasciando che il leggero vento del Sud-Est Asiatico muovesse i suoi folti capelli viola.

 

“Ben trovato Cavaliere di Andromeda! Spero non ti dispiaccia se ho portato qualche amico!” –Esclamò, abbandonandosi ad un perverso sorriso di sfida.

 

“Chi sono costoro?!” –Gridò Andromeda, mentre Tirtha e Pavit correvano in aiuto di Dhaval.

 

“I miei compagni d’avventura! Lascia che ti presenti i miei allievi!” –Ridacchiò Iemisch. –“Timos del Gatto Nero, il cui umore altalenante dipende molto dalla luna! Questa è una delle sere in cui è particolarmente… come definirlo, affamato? Sì, credo sia il termine giusto, vero Timos?” –L’uomo indicato da Iemisch non rispose, limitandosi ad accucciarsi sul terreno a quattro zampe, proprio come fosse un gatto, mentre la luce lunare illuminava le feline forme della sua nera corazza. Da Athanor di recente forgiata.

 

Emise un suono indecifrabile, simile ad un miagolio, prima di scattare avanti, ad una velocità superiore a quella del suono, diretto contro Tirtha, che venne atterrata e sbalzata indietro. Pavit fece per intervenire, ma la voce imperiosa di Iemisch lo richiamò, presentandogli il secondo Cavaliere nero che lo accompagnava.

 

Dario del Fiume Tigri! È persiano, ed è un po’ pazzo! La notte sogna di essere la reincarnazione di Dario il Grande!” –Scoppiò a ridere il Capitano dell’Ombra. –“Ma anche la pazzia, dico sempre, ha il suo fascino! Soprattutto quando è volta al male!” –In quel momento l’uomo chiamato Dario si portò di fronte a Pavit, separandolo da Tirtha ed impedendogli di correre in aiuto della sua compagna.

 

Stratis e Stelios, dei Capretti!” –Esclamò Iemisch, mentre gli ultimi due uomini al suo fianco si lanciavano contro Dhaval, obbligandolo a fronteggiarli entrambi. –“Sono assai scarsi, ma spero che almeno in due riusciranno a tenergli testa! Ah ah ah!” –Scoppiò a ridere Iemisch, prima che un movimento nello spaziotempo accanto a lui lo distrasse. –“Ah, e ovviamente già conosci Sakis, del Quadrante Oscuro?!” –Esclamò, mentre il giovane appariva vicino a lui, uscendo dal portale dimensionale.

 

“Il Cavaliere di Virgo è prigioniero tra due mondi nell’alta torre sopra il sacrario centrale!” –Affermò Sakis, inginocchiandosi di fronte a Iemisch, mentre tutto intorno la battaglia tra i discepoli di Virgo e i Cavalieri neri seguaci di Flegias iniziava. –“Inerme e impotente, si offre a voi come un agnello sull’altare del sacrificio!”

 

“E perché non l’hai ucciso subito?” –Esclamò sorpreso Iemisch.

 

“Credevo che voi avreste voluto gloriarvi di tale onore! Il Maestro di Ombre loderà indiscutibilmente chi gli farà dono di una simile vittoria!” –Commentò Sakis, ancora a testa bassa, volgendo piano lo sguardo verso Andromeda e strizzandogli un occhio.

 

“Brillante intuizione la tua, Sakis! E sia, me ne occuperò io! Trincerò la vita di quell’efebico santone con questi miei artigli! Rimani in disparte e osserva come si vince un Cavaliere di Atena!” –Esclamò ruggente la Tigre d’Acqua, indossando il proprio elmo. Osserva come si diventa il Comandante dell’Esercito delle Ombre! Rifletté, espandendo il cosmo e sfrecciando contro Andromeda, dirigendogli contro migliaia e migliaia di fendenti energetici, simili alle unghiate incandescenti di un felino. –“Fiera di sangue!”

 

Il Cavaliere di Atena non si fece prendere alla sprovvista, sollevando le Catene e generando una difesa circolare che non lasciò passare neanche uno dei sottili artigli di energia di Iemisch, per quanto Andromeda fosse obbligato a mantenere la massima concentrazione, per garantire un movimento costante della Catena. Sarebbe bastata una minima incertezza, un ritardo anche se piccolo nella rotazione di un paio di anelli e la Tigre Nera avrebbe sicuramente trovato un varco nella sua difesa, raggiungendo e dilaniando le sue carni.

 

Era agile e determinato, e questo Andromeda glielo leggeva negli occhi, in quell’iride grigia dalle attraenti sfumature argentee. Lo sguardo di una fiera desiderosa di affondare nel corpo della preda, saziando il suo inesauribile appetito. Per quanto fisicamente lo fosse, ad Andromeda Iemisch non appariva affatto umano. Tutt’altro. Molto più che Mizar e Alcor, o Kira, i cui simboli erano anch’essi animali, Iemisch pareva aver acquisito movenze squisitamente feline, pareva davvero cacciare come una tigre. Senza dargli tregua, rimanendo sempre con il fiato sul collo della preda.

 

Onda del Tuono!!!” –Esclamò il ragazzo, lanciando la Catena a Triangolo e cercando di smuovere la situazione, per togliersi da una pericolosa impasse. Ma Iemisch, come Eligor della Mantide l’anno precedente, pareva davvero distruggere la Catena ad ogni attacco che portava, scheggiandone ogni volta un pezzo. E il fatto che l’arma fosse stata ricostruita con parti di mithril la diceva lunga sulla precisione e la potenza del Capitano dell’Ombra. Che sembrava sapere dove e come colpire. –“Disponiti a tagliola!!!”

 

“Non servirà!” –Precisò Iemisch, con un sorriso bieco sul volto, mentre la Catena di Andromeda assumeva la forma di una trappola per belve, al fine di bloccare i suoi movimenti. Sembrò riuscirci per un attimo, prima che il Capitano dell’Ombra ne sgusciasse fuori, con l’agilità di un delfino, stupendo lo stesso Andromeda.

 

“Come hai fatto?! Nessuno si è mai liberato dalla stretta dalla mia Catena!”

 

“Forse perché nessuno possedeva la corazza della Tigre d’Acqua, Andromeda! Agile e potente, si aggira nelle acque dei fiumi e dei laghi della Patagonia, catturando le sue prede e trascinandole sott’acqua!” –Spiegò il Capitano dell’Ombra. –“L’Armatura che mi veste è tale e quale al manto del leggendario animale, vischiosa quanto basta da poter scivolare via, nell’ombra ove cacciare! Difficilmente la tua Catena potrà intrappolarmi, poiché io potrò sempre liberarmi!” –Aggiunse, mentre Andromeda scagliava nuovamente la sua arma contro di lui, che si annodò attorno al suo braccio destro. Ma bastò uno strattone di Iemisch per scioglierla e liberare l’arto. Un attimo dopo la Tigre Nera già caricava il suo nemico. –“Fiera di sangue!!!”

 

L’energia di Iemisch elettrificò l’aria circostante, abbattendosi su Andromeda sotto forma di un poderoso reticolato di luce argentata, fitto e incisivo, obbligando nuovamente il Cavaliere d’Atena alla difensiva. Ma così vigoroso era l’attacco della Tigre d’Acqua che Andromeda venne sbilanciato e barcollò all’indietro, dando modo a Iemisch di trovare un varco nelle sue difese. E sfruttarlo.

 

“Assaggia gli artigli della Tigre Nera, Andromeda!” –Ringhiò Iemisch, strusciando una violenta unghiata di cosmo sul fianco destro dell’Armatura Divina, che sfrigolò tra mucchi di scintille. –“Contentati della coriacea pelle che t’han donato gli Dei! Non fosse per quella, saresti già un agnello sacrificato! Come Virgo presto sarà! Eh eh!” –Rise Iemisch, caricando di nuovo con gli artigli incandescenti di pura energia.

 

Onda energetica!!!” –Gridò Andromeda, liberando guizzanti fulmini dal palmo della mano destra. Ma Iemisch, che aveva osservato bene la sua preda mentre combatteva con Iaculo, si aspettava quella mossa, così la anticipò, gettandosi a terra, scivolando con facilità sul notturno manto erboso e portandosi proprio ai piedi di Andromeda. Sogghignò, notando lo stupore sul volto del ragazzo, e la paura montare in lui, prima di colpirlo dal basso con una raffica di calci. Mille e forse più. Andromeda non riuscì a contarne altri perché venne spinto indietro, perdendo l’elmo dell’Armatura Divina e sbattendo la testa su qualche masso sporgente.

 

Iemisch non gli diede tempo di rifiatare, lanciandosi su di lui, con gli artigli sguainati e montando sopra il corpo ferito del Cavaliere, in modo da bloccargli le braccia e le gambe. Andromeda si dimenò, usando le Catene per cacciar via il suo avversario, ma le vide con orrore sgusciare sulla vischiosa corazza nera, proprio mentre Iemisch gli mostrava le dita della mano destra, ove artigli di energia argentata si allungarono all’istante, dietro al suo eccitato sorriso di vittoria. Un attimo dopo il Capitano li piantò nel collo di Andromeda, strappandogli un grido così violento da fermare persino gli altri tre scontri in atto fuori da Angkor.

 

Pavit e Tirtha avrebbero voluto correre in suo soccorso, ma Timos e Dario non glielo permisero, rinnovando i loro assalti e obbligandoli alla difensiva. Dhaval si liberò in quel momento di Stelios e Stratos, travolgendoli con un’onda di energia dorata e gettandoli a terra a gambe all’aria. Troppo deboli per lui, ma ugualmente noiosi da impedirgli di fare altro.

 

 

 

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Capitolo 18
*** Il riposo interrotto ***


CAPITOLO SEDICESIMO: IL RIPOSO INTERROTTO

CAPITOLO SEDICESIMO: IL RIPOSO INTERROTTO.

 

Anche quel pomeriggio Phoenix aveva pranzato a casa di Elena, sotto insistenti richieste della ragazzina, che si sentiva molto più sicura quando il Cavaliere di Atena era vicino a lei. Da quando aveva visto suo nonno morire davanti ai suoi occhi, calpestato dai piedi sporchi dei soldati di Arles, poco più di un anno prima, Elena era rimasta sola, ma non aveva mai abbandonato la sua modesta casa di pietra nell’unico villaggio dell’Isola del Riposo. Né aveva mai abbandonato la speranza di una vita migliore, proprio come suo nonno le aveva insegnato.

 

Phoenix la ammirava, poiché nonostante la sua apparente fragilità di orfanella Elena non aveva mai mostrato di cedere alla disperazione, non aveva mai tentennato di fronte alla vita, continuando ad andare avanti, incurante della propria solitudine. Di una solitudine che la ragazzina sembrava non sentire, trovando forza e consolazione nella preghiera e nella fede in Atena.

 

Terminata la corsa attraverso le Dodici Case, Lady Isabel, accompagnata da Phoenix, aveva visitato personalmente l’Isola del Riposo, a cui la Dea aveva dato la sua protezione millenni addietro, per la fedeltà e la dedizione che gli abitanti avevano dimostrato alla causa della giustizia. Aveva celebrato lei stessa una piccola funzione per ricordare il nonno di Elena, capo del villaggio, e ne aveva nominato un altro, lasciando sull’isola un piccolo gruppo di soldati, con il compito di difenderla in caso di ulteriori attacchi e di aiutare gli abitanti a ricostruire le case distrutte dall’incendio appiccato dagli scagnozzi di Arles.

 

Phoenix faceva spesso visita ad Elena, trovandola sempre intenta in qualche lavoro manuale, che fosse la coltivazione dei pochi terreni fertili che l’isola vulcanica offriva o la cucitura o il rammendo di abiti e di sacchi. Attività che la ragazzina praticava con costanza e dedizione, amando rendersi utile, a se stessa e alla piccola comunità. Si era sentito spesso in colpa Phoenix, per aver tardato nel suo intervento, quel fosco pomeriggio dell’anno precedente, e non essere riuscito a salvare il vecchio capo. E aveva cercato di compensare i suoi sensi di colpa con le continue visite alla nipote, approfittando della necessità di riparare la propria armatura. Le aveva fatto visita dopo la corsa alle Dodici Case, nei pochi giorni trascorsi tra la fine della Guerra del Nibelungo e la sua discesa nel regno sottomarino e infine dopo il crollo del Tempio di Nettuno. E anche in quei giorni, terminata la Grande Guerra contro Ares, e solidificata nuovamente l’Armatura Divina nel fuoco di Kabir, non aveva rinunciato a passare da lei, anche solo per farle un saluto. Ed Elena aveva insistito affinché si trattenesse ancora.

 

“C’è così tanto lavoro da fare qua! Ci servirebbero altre due braccia forti e robuste!” –Le sorrideva sempre la ragazzina, pur sapendo che Phoenix non si sarebbe mai fermato stabilmente. Perché non era nel suo carattere, e perché il suo rango di Cavaliere gli imponeva di scendere sempre in battaglia contro le forze oscure.

 

“Non hai ancora terminato con il tuo lavoro?” –Le domandò Phoenix, alzandosi da tavola, dopo aver consumato il frugale pasto che Elena gli aveva preparato.

 

“Non ancora! Questa sciarpa è più difficile del previsto ed io non sono molto esperta! Vorrei che mia nonna fosse ancora viva, lei avrebbe eseguito in fretta un lavoro di precisione! Era una sarta abilissima!” –Commentò Elena, seduta su uno sgabello vicino al caminetto, intenta a cucire pezzi di stoffa.

 

“Con i campi ancora da irrigare e le bestie da rigovernare, perdi tempo dietro a una sciarpa?!” –Ironizzò Phoenix, grattandosi dietro la nuca. Ma la risposta di Elena lo colse impreparato.

 

“È una sciarpa per te, Cavaliere! So che è poco, un dono umile per un eroe come te, ma vorrei finirla prima della tua partenza!” –Esclamò la ragazzina, fissando Phoenix e arrossendo. –“Ormai ti conosco, e so che possono passare mesi prima di rivederti! Vorrei dartela prima dell’arrivo dell’inverno!”

 

“Elena… io…” –Balbettò Phoenix, non sapendo cosa dire, commosso da quel piccolo gesto, carico di un affetto sincero e profondo che così poche volte aveva conosciuto nella vita. Suo fratello e i suoi tre compagni a parte, con cui aveva stabilito un legame che andava al di là dell’amicizia, un legame che scivolava in un’unione eterna, c’era stata solo una ragazza che gli aveva dimostrato un amore sincero. E quella ragazza era morta proprio a causa sua.

 

Quindi aveva conosciuto Ippolita, Regina delle Amazzoni, così simile a lui, così diversa. E proprio quando aveva ammesso i suoi sentimenti per lei, era stata uccisa da Deimos. Sospirando, il ragazzo aveva iniziato a credere che fosse meglio non affezionarsi a nessuno, poiché tutte le persone che venivano a contatto con lui parevano destinate a morire. E non avrebbe voluto che anche quella bambina incorresse in un destino simile.

 

I pensieri di Phoenix furono interrotti da un rumore acuto proveniente dal porto poco distante. Il fischio di una nave spezzò di nuovo il silenzio del villaggio, obbligando Phoenix a seguire Elena in strada, condotto da lei per mano lungo la via principale, che scendeva verso la costa. Proprio in quel momento un cargo stava entrando in porto e molta gente si era ammassata lungo i pontili, pronta per procedere allo scarico delle merci di cui avevano bisogno.

 

“Ogni mese la duchessa di Thule ci invia i rifornimenti che da soli non riusciamo a produrre!” –Spiegò Elena. –“Purtroppo il terreno dell’isola non si presta a grandi coltivazioni e spesso, a causa del tempo ostile, non riusciamo a coprire le richieste della popolazione! Ma Atena è una Dea molto buona, lei ci dà tanto senza chiedere niente in cambio!”

 

Phoenix sorrise, osservando la gioia dipingersi sul volto della bambina, che corse assieme ad altri abitanti ad aiutare i marinai a scaricare le casse lungo il molo. Era ormai pomeriggio e il ragazzo pensò che presto se ne sarebbe andato. L’Armatura Divina della Fenice era tornata perfetta, come il giorno in cui Efesto l’aveva potenziata con il mithril, ed egli non amava trascorrere troppo tempo nello stesso posto. Sempre inquieto e vagabondo, incapace di mettere stabili radici. Sempre alla ricerca di qualcosa che neppure lui sapeva bene cosa fosse.

 

“Cavaliere di Phoenix?!” –Lo chiamò una voce maschile, facendolo voltare e trovandosi di fronte un ragazzo sui venticinque anni, con un simpatico accento scozzese. Indossava una divisa da marinaio e aveva il volto coperto di sudore, per aver scaricato finora casse di indumenti e generi alimentari per il villaggio. –“Cavaliere di Phoenix, posso disturbarvi?”

 

“Puoi chiamarmi Phoenix, ragazzo! Di cosa vuoi parlarmi? State facendo un bel lavoro!” –Commentò, con la sua solita aria noncurante, che nascondeva invece un profondo interesse.

 

“È stata Elena a parlarmi di voi, Cavaliere! E so che potete capire le mie parole!” –Esclamò il ragazzo, con voce a tratti tremante, obbligando Phoenix a fissarlo con attenzione. –“C’è un’ombra nell’Egeo! Un’ombra generata da un’isola non troppo distante dalle coste turche, la cui oscura influenza pare estendersi su tutto il cielo! Le navi cambiano spesso direzione, e negli ultimi giorni due cargo sono scomparsi, addentrandosi in quella nera foschia!”

 

“Un’ombra, dici?!” –Commentò Phoenix, toccandosi il mento con interesse. –“Poco lontano da qui?!” –E si incamminò verso il pontile più rivolto a oriente, tirando uno sguardo in lontananza. Non vide niente, soltanto un cielo scuro che copriva la sua visuale. Ma quando fece per voltarsi, un brivido gli corse lungo la schiena, anticipando un sinistro sogghigno che ben conosceva. –“Flegias!!! È sua quest’aura cosmica che avverto minacciosa!!!”

 

“Lo avete percepito anche voi, Cavaliere? È un mostro! Sì, un mostro come quelli di cui le leggende sono costellate! Come quello che vidi quando ero bambino, al largo delle coste di Sicilia!” –Esclamò il ragazzo, con voce quasi terrorizzata.

 

“Non temere per i mostri, li rimanderemo nella leggenda da cui hanno avuto l’ardire di uscire! Piuttosto fai in modo che nessuna nave segua quella rotta! Non è sicura!” –Esclamò Phoenix, incamminandosi lungo la strada principale, per rientrare al villaggio e tornare a Kabir. Si fermò pochi passi dopo, con le mani nelle tasche dei pantaloni, voltandosi indietro. –“Come hai detto di chiamarti, ragazzo?”

 

“Mi chiamo Cliff, signore! Cliff O’Kents!” –Rispose questi.

 

Non ci fu tempo di aggiungere altro che il cielo si oscurò all’istante, mentre violente folgori lampeggiarono nell’aria, schiantandosi sui moli, sulle casse e sulle navi ormeggiate. Gli abitanti del villaggio scapparono via gridando, ma molti vennero raggiunti da quei potenti fulmini neri, che ustionarono i loro corpi, stramazzandoli a terra. Le navi esplosero e fiamme immense lambirono il cielo, in un crepitare sinistro di ombre. Phoenix corse verso il porto, cercando Elena e chiamandola a gran voce, senza riuscire a localizzarla, in quella ressa confusa di persone in preda al panico.

 

“Cavaliere di Phoenix!” –Gridò Cliff, rialzandosi, dopo essere stato sbalzato a terra dallo schianto di un fulmine.

 

“Mettiti in salvo, ragazzo!” –Lo intimò Phoenix, guardandosi nervosamente attorno e riuscendo finalmente a localizzare Elena, appoggiata al muro di un edificio, assieme ad altre donne. –“Elena!!!” –Phoenix scattò verso di lei, ma non appena si mosse un muro di fulmini neri si schiantò di fronte a lui, impedendogli di andare oltre. Un muro che pareva muoversi ad ogni gesto del Cavaliere, seguendolo in ogni piccolo movimento e imprigionandolo in una gabbia di oscura energia.

 

“Non avere tanta fretta, Phoenix!” –Esclamò infine una voce, che sembrava provenire da quel cielo nero che aveva sormontato l’Isola del Riposo in un’innaturale fretta. –“I giochi sono appena iniziati, e non ti è concessa la facoltà di ritirarti!” –Aggiunse, mentre un violento schianto fece esplodere il cargo con cui Cliff e gli altri marinai erano giunti, generando un’onda d’urto che sbatté a terra decine di persone, uccidendone alcune, e distrusse quel che restava del molo e dei bei pontili di legno recentemente ricostruiti.

 

Un uomo apparve tra le fiamme, avvolto in un turbinare di fulmini neri. E sogghignò avvicinandosi a Phoenix. Soltanto quando gli fu vicino, e poté incrociare il suo sguardo perverso, il Cavaliere di Atena si accorse che il suo nemico stava camminando sull’aria, a mezzo metro da terra, incurante delle fiamme che lambivano i piedi della sua armatura. Nera come la notte, la corazza dell’uomo era simile alle vesti di un monarca, ornata di gemme e di fregi, con un elmo a forma di corona e un lungo mantello nero con il collo di pelliccia. In mano stringeva uno scettro, corto e massiccio, con il volto di una fiera feroce sulla sommità. Non era affatto alto, né robusto, ma l’emanazione cosmica che ostentava con fierezza fece trasalire Phoenix, spingendolo a rialzarsi in fretta, prima che l’uomo gli puntasse contro lo scettro nero e scagliasse un raggio di energia verso di lui.

 

“Sono Arne dello Scettro di Brandeburgo!” –Si presentò l’uomo, accennando un inchino. Più per ironia che per sentimento. –“Ed è inutile che ti dica che sono qua per te, Cavaliere di Phoenix! Perciò indossa la tua Armatura Divina e combatti! Qua! Adesso! Concedimi l’onore di affrontare chi ha dimostrato una forza necessaria per sconfiggere il mio maledetto mentore!”

 

“Il tuo mentore?! Ma che stai dicendo? Chi diavolo sei?!” –Esclamò Phoenix, tenendosi a debita distanza dal raggio d’azione di quello scettro.

 

“La permanenza nel vulcano Kabir ti ha liquefatto l’udito?” –Ironizzò Arne, sfoderando un sorriso che a Phoenix parve una vera smorfia. –“Sono il servitore di Flegias incaricato di porre termine alla tua esistenza! E sono stato io a chiedere di essere il tuo avversario, desideroso di confrontarmi con l’uomo che ha zittito la superbia del Cavaliere di Virgo! Perciò non farmi rimpiangere la mia scelta!”

 

“Il Cavaliere di Virgo?!” –Balbettò Phoenix, non capendo.

 

“Non ti ho forse detto che è stato il mio mentore? Di lui fui uno dei tanti discepoli, assieme a Loto e Pavone, e ad altri sette compagni, e da lui appresi molto, riuscendo a sviluppare la fiamma del cosmo latente dentro di me! Ma a differenza degli altri discepoli non avevo interesse alcuno a servire Atena o la giustizia, intendendo usare i miei poteri solo ed esclusivamente per me stesso! Virgo non era molto d’accordo con questa mia teoria egocentrica, il che tutt’oggi mi sorprende, considerando quanto arrogante e pieno di sé quell’uomo fosse! Un uomo che non ha adorato nessun’altro che se stesso, più di quanto abbia mai venerato Atena!” –Esclamò Arne. –“Ma dovevo comunque seguire i suoi insegnamenti o da solo non sarei riuscito ad imparare così in fretta come invece ho avuto modo di apprendere durante l’addestramento! Molto prima di Loto e Pavone, di Birnam o di Ana, io avevo mostrato un potenziale bellico da far impallidire il Cavaliere della Vergine, un potenziale che lo spaventava, perché sapeva essere pari al suo! O forse anche superiore! Per questo mi negò l’investitura, dichiarandomi indegno! E per questo rifiutò di continuare ad addestrarmi! Perché sapeva che avrei potuto sorpassarlo, ed umiliarlo quand’anche avessi voluto!”

 

“Superare Virgo? Difetti anche tu di modestia a quanto pare!” –Ironizzò Phoenix.

 

“Ti sbagli, Cavaliere di Phoenix! Io sono un uomo che non ha mai preteso di essere un Dio, né una sua pallida imitazione! Ma sono fiero dei miei poteri e perfettamente in grado di valutare i miei stessi limiti! Non trovi?!” –Aggiunse, puntando lo scettro verso Phoenix e scagliandogli contro un raggio di luce nera, avvolto in un turbinio di fulmini, che sbatté il Cavaliere a terra, stringendolo in una morsa di folgori. Quindi, sogghignando con soddisfazione, Arne mosse il braccio con cui reggeva lo scettro, continuando a tenere Phoenix prigioniero del raggio di energia nera, e lo scaraventò contro il muro di un edificio, osservandolo mentre le macerie cadevano su di lui.

 

“Phoenix!!!” –Gridò Elena a tale vista. E iniziò a correre verso di lui.

 

“Dove vai, ragazzina?” –Esclamò Arne, scagliando guizzanti scariche di energia nera addosso ad Elena, che venne sbattuta a terra.

 

“Vigliacco! Prenditela con me!” –Urlò Cliff, lanciandosi contro Arne con un bastone.

 

“Come desideri!” –Ironizzò Arne, avvolgendo Cliff in un groviglio di fulmini neri e scaraventandolo a terra, poco distante da Elena, con i vestiti strappati e numerose ustioni sul corpo. –“Qualcun altro vuol morire quest’oggi? Non temete, che lo vogliate o meno, accadrà comunque! Ah ah ah!”

 

“Sei un pazzo!!!” –Gridò una voce, obbligando Arne a voltarsi verso i ruderi dell’edificio crollato sopra Phoenix, che esplosero improvvisamente, rivelando un’abbagliante luce color amaranto. Il Cavaliere della Fenice apparve tra le macerie, rivestito della sua splendida Armatura Divina, richiamata dall’espandersi del suo cosmo, che si concretizzò in un mucchio di fiamme che gli avvolsero la mano destra. –“Prendi questo, Arne! Pugno infuocato!!!” –Gridò il Cavaliere, dirigendo un turbinoso attacco di fuoco contro il suo avversario, che, per niente impressionato, non fece altro che roteare lo scettro avanti a sé, generando una barriera di energia di forma circolare su cui si infranse l’assalto di Phoenix.

 

“Nient’altro?!” –Esclamò Arne, sollevando il sopracciglio destro.

 

In quel momento due uomini, rivestiti da armature nere come la sua, seppure di fattezze diverse, apparvero dietro di lui, rimasti fino a quel momento nascosti nelle tenebre di cui Flegias era signore. Thalis della Renna e Viron del Galletto.

 

“Portateli tutti sull’Isola delle Ombre! Pare che il fabbisogno di schiavi sia aumentato!” –Ironizzò Arne, mentre i due Cavalieri neri si dirigevano verso Cliff, che aiutava Elena e altre persone a rialzarsi.

 

A quella visione Phoenix si mosse, correndo in loro soccorso, ma Arne si interpose tra loro, piombando sul Cavaliere di Atena con lo scettro nero puntato verso di lui. Un raggio di energia scaturì dal volto della fiera, ma Phoenix lo schivò in fretta, balzando in alto e lanciandosi contro Arne, che fu abile a roteare lo scettro e a colpire al petto Phoenix ancora in volo, sbattendolo a terra ed esponendolo nuovamente al tiro del bastone energetico.

 

“Scettro Nero, libera il tuo potere!!!” –Gridò Arne, scagliando migliaia di fasci di luce nera contro Phoenix, che si muoveva rapidamente, sfrecciando in ogni direzione, per evitare di essere raggiunto, mentre i raggi di energia distruggevano il suolo e gli edifici attorno.

 

“Maledizione! Devo contrattaccare!!!” –Si disse Phoenix, evitando un fascio di energia con una capriola in avanti e dandosi poi la spinta con le mani per balzare in alto, sopra la pioggia di raggi neri. –“Cadi, Arne!!!” –Gridò, piombando su di lui con la gamba tesa e il tacco dell’Armatura rivolta verso il viso del nemico.

 

Quella volta il guerriero dello Scettro di Brandeburgo non riuscì a sollevare l’arma in tempo, venendo raggiunto dal tacco di Phoenix sulla guancia destra e spinto a terra. Ruzzolò per diversi metri sul selciato, perdendo l’elmo a corona e la presa dell’arma che, cadendo, sembrò spegnersi della sua luce nera. Phoenix si avvicinò allo scettro, con l’intenzione di distruggerlo, e a tal vista Arne inorridì, gridando da lontano.

 

“No, ti prego non farlo!!!” –E schizzò come un fulmine verso Phoenix, ma questi lo respinse scagliandogli contro un centinaio di piume infuocate, che si conficcarono nel terreno sotto i piedi di Arne, esplodendo all’istante e scaraventandolo indietro.

 

“La tua magia oscura finisce qui!” –Sentenziò Phoenix, calando con forza il tacco sullo scettro e spezzandolo in due. Ma non appena lo ebbe troncato, migliaia di indistinte forme nere ne uscirono, fluttuando nell’aria e avvolgendosi attorno all’incredulo corpo del Cavaliere di Atena. –“Che succede? Che trucco è questo?!”

 

“Nessun trucco, nessun inganno! Non sono un prestigiatore come il Cavaliere mio maestro! I miei poteri sono reali, Phoenix!” –Sogghignò Arne, avvicinandosi e osservando la determinazione con cui la Fenice Divina tentava di liberarsi da quel groviglio di ombre, da quell’ammasso di tenebra che stava lentamente spegnendo il fuoco del suo cosmo. –“Hai davvero creduto che temessi per il mio scettro? Povero stolto, così poco conosci dei misteri dell’ombra! Noi Cavalieri delle costellazioni dimenticate siamo stati risvegliati da Flegias, che ci ha fatto dono di questo nuovo corpo e di nuove corazze appositamente forgiate! La nostra vera sostanza, che ci sorregge e ci mantiene in vita, è un’ombra! Niente di più! E adesso tu, che un tempo hai camminato sotto un cielo oscuro, ergendoti a signore della Regina Nera, assaporerai nuovamente il gusto di quei momenti! Precipita, Phoenix, nella notte più buia!” –Esclamò Arne, mentre i due pezzi dello Scettro fluttuavano in aria riunendosi in un’unica asta, nella sua solida presa. Quindi scaraventò indietro il Cavaliere di Atena, ancora avvolto in un groviglio indistinto di spiriti neri.

 

“Phoenix!!!” –Gridò Elena, cercando di liberarsi dalla presa di Thalis della Renna, senza riuscirvi. Venne ammucchiata assieme ad altre persone nei pressi del molo in fiamme, in attesa di essere condotta sull’Isola delle Ombre, a terminare la sua vita come una schiava della grande fornace.

 

“Sprechi il fiato, bambolina! Il Cavaliere di Phoenix sta veleggiando verso le profondità del Tartaro, condotto dalle ombre nostre alleate! Per quanto si dimeni e cerchi di liberarsi da quella stretta poderosa, egli fallirà! Ah ah ah! Sta già fallendo!” –Esclamò Arne, tirando un’ultima occhiata al suo avversario. –“Sei stato forse il meno adatto, Phoenix, ad affrontare i miei poteri! Forse Pegasus, Cavaliere della luce, avrebbe avuto meno difficoltà! Ma tu, che del fuoco sei signore, e che nel cuore covi l’ombra del male che hai recato un tempo alle persone a te care, difficilmente riuscirai a far strage delle creature della notte! Perché in fondo siete figli della stessa madre! Ah ah ah!” –E gli volse le spalle, incamminandosi verso il molo, dando ordini a Thalis di controllare che nel resto del villaggio non vi fossero abitanti nascosti. –“I lavori, quando si fanno, devono essere eseguiti bene! Flegias ha chiesto la morte di Phoenix e la schiavitù di questo misero popolo, ed io eseguirò i suoi ordini! Forse in questo modo riuscirà a vedermi diversamente, alla pari con coloro che ha nominato Capitani dell’Ombra! Devo ringraziarti Ikki di Phoenix! Forse Flegias sostituirà uno di quegli incapaci di Iaculo o di Licantropo con me, che sono più degno di loro di comandare!”

 

“Sbagli!!!” –Urlò Phoenix, con tutta la voce che aveva in corpo, espandendo il suo cosmo, molto più di quanto avesse fatto finora. Era rimasto in silenzio per tutto quel tempo, per quei lunghissimi minuti in cui aveva creduto di morire davvero. Soffocato, strozzato da quel groviglio di ombre che non gli davano pace, che sembravano cibarsi dei suoi dubbi, dei suoi sensi di colpa, per il male commesso un tempo e per la sorte di Ippolita, che non era stato in grado di salvare, Phoenix era stato sul punto di cedere, ammettendo con disperazione di non riuscire a strappar via quei tetri fantasmi dal suo corpo. Ammettendo che più si dimenava e più si scuoteva, e nient’altro risultato otteneva che sentirli entrare sempre più dentro di sé.

 

Così aveva aspettato, aveva socchiuso gli occhi, inspirando a fatica, lasciando che la calma spazzasse via l’angoscia che lo aveva invaso per essere caduto in trappola. Indirettamente era stato proprio il Cavaliere dello Scettro di Brandeburgo, con le sue parole sull’origine delle ombre, a dargli la soluzione per vincere, probabilmente perché non lo credeva capace di tanto. Ma si sbagliava! Commentò Phoenix, bruciando il cosmo, lasciandolo risplendere come vivida fiamma. Sì! Sbagliava di grosso! Ardi fuoco della speranza!!!

 

Un ventaglio di fiamme si aprì dal corpo di Phoenix, sprigionando un’accecante bagliore, che sembrò spazzar via per un momento l’oscura cappa che sovrastava l’Isola del Riposo. Un ventaglio di fiamme dall’energia così potente da incenerire le stesse ombre che lo tenevano imprigionato.

 

“Aaahhh!!!” –Gridò Phoenix, lasciando esplodere il cosmo ardente che celava dentro. La potenza che veniva dal cuore. La consapevolezza di un uomo che ha perdonato se stesso, accettando il passato e non lasciandosi più travolgere da esso. –“Ippolita! Guardami dal Paradiso dei Cavalieri dove riposi adesso, assieme alle compagne a cui avresti voluto donare una terra! Guardami e ammira lo splendore del presente che ti è stato negato! Io, Phoenix, saprò viverlo anche per te! Questa è la fiamma della vita, Arne, e né tu né alcun’ombra o fantasma potrà mai spegnerla!!!” –Esclamò fiero, liberandosi di quel mucchio di spiriti neri e generando una violenta tempesta di fuoco e stelle, che invase l’intera baia. –“Ali della Fenice!!!” –E scagliò il suo devastante colpo contro il custode dello Scettro di Brandeburgo, il quale, troppo sconvolto per la repentinità dell’assalto, poté solo dirigergli contro un grosso fascio di luce nera, che servì soltanto a scemare l’attacco ma non a evitarlo.

 

Arne venne travolto in pieno dal battito di ali della Fenice Divina e scaraventato in alto, trapassato da parte a parte dal fuoco incandescente, fino a ricadere sui resti di un pontile crollato, con l’armatura notevolmente danneggiata. E lo scettro ricadde accanto a sé, andando definitivamente in frantumi. A quella visione, Thalis della Renna e Viron del Galletto indietreggiarono impauriti, sicuri di non avere alcuna speranza con Phoenix.

 

“Se persino Arne ha fallito…” –Balbettarono. Ma si lanciarono comunque contro il Cavaliere di Atena, non volendo passare per codardi, dirigendo contro di lui due attacchi di energia, che Phoenix non ebbe problemi ad evitare, balzando in mezzo a loro e colpendoli entrambi con un pugno di fuoco. Proprio in mezzo al petto.  Crollarono a terra all’istante, con il busto spezzato in due e fiotti di sangue nero che sgorgavano fuori.

 

Quindi Phoenix fece per incamminarsi verso Elena, Cliff e gli altri abitanti, che si abbandonarono a grida gioiose e a esclamazioni di sollievo, congratulandosi con il Cavaliere per la vittoria riportata. Ma il cielo sopra l’Isola del Riposo ancora non accennava a schiarirsi.

 

“Ti faccio i miei complimenti, Phoenix! Adesso capisco come hai potuto superare il Cavaliere di Virgo!” –Esclamò Arne, rimettendosi in piedi e pulendosi il sangue che gli colava da un labbro. –“E adesso mi rendo conto che sconfiggerti sarà per me ulteriore motivo di vanto e di orgoglio! La consapevolezza di aver sconfitto anche il mio mentore, che così vicino a Dio si proclamava! Un sillogismo così semplice, quanto banale! Io vinco te, che hai vinto lui, e come tale sono superiore a entrambi!”

 

“Che diavolo stai dicendo, Arne? Il colpo subito ti ha dato alla testa?!” –Ironizzò Phoenix, nascondendo lo stupore nel vedere il Cavaliere ancora vivo e pronto a dar battaglia. –“Vuoi forse ridurre le lotte tra Cavalieri a mere equazioni matematiche, a sterili rapporti di forza che non esprimono realmente tutto ciò che vi sta dietro?!”

 

“Silenzio!!! Non di una morale hai bisogno! Ma di buone difese! Perché l’attacco che ti travolgerà sarà potente! Come immensa e vasta è la notte senza confini!” –Esclamò Arne, espandendo il proprio cosmo, che calò sull’intera isola come un manto di velluto scuro, impaurendo gli abitanti, che corsero a rifugiarsi dietro i resti di alcuni edifici. –“Credevi che i miei poteri fossero tutti nello Scettro? Ebbene, sbagliavi! Ammira adesso la grande ombra che Flegias ha risvegliato in me! Avvento delle tenebre!!!” –Gridò, sollevando un immenso muro di energia nera, che al suo comando si mosse, sfrecciando nell’aria e abbattendosi violentemente su Phoenix, il quale, sopraffatto da quel distruttivo potere, venne scaraventato contro una costruzione, abbattendola e rovinando all’interno.

 

“Come vorrei che Virgo fosse qua, a lamentarsi ancora per la mia scarsa propensione alla giustizia! O che ci fosse Dhaval, vecchio illuso convinto che i nostri poteri vadano usati al servizio degli altri!” –Commentò Arne, avvolto in concentriche pareti di energia nera, una protezione invalicabile e al tempo stesso un efficace strumento di offesa. –“Mostrerei loro cosa ho ottenuto, da quando ho lasciato Angkor Wat seguendo le orme del Maestro di Ombre! Ho ottenuto di essere il suo araldo, e di portare nel mondo le tenebre in suo nome!!! Ah ah ah!”

 

In quella Phoenix si risollevò, scuotendosi dalla polvere e dai frammenti di pietra franati su di lui. Gettò via l’elmo scheggiato dell’Armatura Divina, ringraziando Efesto e il fuoco di Kabir che lo avevano salvato. Ma riconobbe che il potere di Arne superava quello di molti avversari affrontati fino a quel momento, caricandosi dell’odio e delle tenebre con cui Flegias e i suoi adepti tentavano di coprire il mondo intero. Un potere reale, che non doveva sottovalutare.

 

“Ancora in piedi?! Non preferiresti stare seduto?!” –Ironizzò Arne, smuovendo le pareti di energia nera che lo avvolgevano e dirigendole contro Phoenix. –“Avvento delle tenebre!!!”

 

Il Cavaliere di Atena, che si era preparato a quella mossa, incrociò le braccia avanti a sé, caricandole di tutto il fulgore del suo cosmo e preparandosi a ricevere le immense pareti di energia oscura che Arne gli diresse contro. L’impatto fu tremendo e Phoenix venne spinto indietro, scavando profondi solchi nel terreno con i piedi. Tuttavia non cedette, bruciando al massimo il proprio cosmo e tentando di opporre la luce della speranza a quel muro di ombra. Vedendolo così impegnato, così carico di determinazione, Arne si infuriò, aumentando l’intensità del proprio assalto, generando una nuova parete nera che si abbatté su Phoenix, scaraventandolo ancora una volta indietro. Ancora una volta tra le macerie di un edificio distrutto.

 

Quando il Cavaliere si rialzò, notò alcune crepe sull’Armatura Divina, dovute alla violenta pressione esercitata dal Cavaliere dello Scettro di Brandeburgo, il quale sembrava però aver perso la sua parlantina e il suo modo superbo, forse a causa del prolungarsi dello scontro.

 

“Hai perso il fiato?” –Ironizzò Phoenix, avanzando e portandosi di fronte a lui.

 

“Lo conservo per il nostro scontro, Phoenix! Consapevole che soltanto uno di noi si salverà! Io non riuscirò a piegarti con i miei muri di ombra, ma neppure tu riuscirai a raggiungermi con i tuoi attacchi, protetto come sono da una difesa insormontabile che trae dalla tenebra la sua forza!” –Affermò Arne, bruciando ancora il proprio cosmo. –“Ma in un modo o nell’altro tutte le battaglie giungono alla fine!”

 

“Potrebbe essere la tua fine, Arne!” –Rispose Phoenix, avvolto nell’ardente aura del suo cosmo. –“E forse la meriti per non aver compreso gli insegnamenti di Virgo e aver abbandonato Atena e la giustizia! Un uomo come te, con il tuo potenziale cosmico, sarebbe stato un valido aiuto nella lotta contro le forze oscure!”

 

“Dovrei lottare contro me stesso, Phoenix?! Ah ah ah! Trovo più soddisfazione nel lottare con teee!!!” –Gridò Arne, scagliando contro Phoenix una sequenza di muri di ombra. Ma il Cavaliere di Atena caricò il pugno destro di cosmo incendiario e iniziò a tempestare ogni piano di energia di colpi, frenando la loro avanzata, senza arretrare di un passo. –“Che stai facendo, Phoenix? Sbatti i pugni contro il muro? Ah ah ah! Provo pena nel vedere come ti sei ridotto, incapace di idee migliori! Avvento delle tenebre!!!” –Caricò nuovamente Arne.

 

Ma in quel momento, in quella frazione di secondo, che Phoenix così tanto aspettava, il Cavaliere di Atena balzò avanti, lanciandosi in mezzo alle pareti di ombra, non curandosi del dolore che provava, con il pugno destro che ardeva di incandescente energia. Prima che Arne completasse l’attacco, e che nuovi muri di tenebra si abbattessero su di lui, Phoenix lo colpì al petto, sul lato opposto del cuore, fracassando la sua armatura e sbattendolo a terra. Il contraccolpo spinse anch’egli indietro di qualche metro, ma il Cavaliere di Atena fu abile ad aprire le ali della sua corazza e planare compostamente a terra.

 

“Co… come hai fatto, Phoenix?!” –Tossicchiò Arne, rantolando sul terreno. –“Come hai potuto calcolare il momento esatto in cui colpirmi?”

 

“Non è stato poi così difficile, Arne! C’era una falla nella tua difesa! Una falla che forse avresti potuto prevedere tu stesso se invece di pensare a come usare i tuoi poteri avessi trascorso più tempo ad ascoltare gli insegnamenti del tuo maestro!” –Commentò Phoenix, avvicinandosi. –“I tuoi muri di ombra sono una difesa insormontabile, questo è un dato di fatto! Ma non eterna! Poiché essi scompaiono per un breve istante quando li lanci contro il tuo nemico, durante l’attacco! La prima volta ho creduto che tu avessi generato nuove pareti di ombra, ma poi, durante il secondo assalto, ho percepito chiaramente la tua mossa! Tu spingevi i muri avanti, ricreandoli poco dopo, un millesimo di secondo dopo! Un tempo così breve da non lasciare spazio a nessuno per avvicinarsi, sfidando la pressione dell’attacco, e colpirti! Ma hai fallito! La superbia ti ha punito! Io sono certo che tu conoscessi tale punto debole, ma il desiderio di primeggiare con Virgo, credendoti capace di un colpo segreto che unisce attacco e difesa, ti ha tradito, portandoti alla rovina!”

 

“Maledetto Phoenix! Maledetto quel cane di Virgo!” –Ringhiò Arne, rimettendosi in piedi e espandendo ancora il suo cosmo. –“Ma avrò comunque la mia vittoria!!! Avvento delle tenebre!!!” –Esclamò, dirigendo un mucchio di pareti oscure contro Phoenix, il quale, quella volta, si limitò a volgere i palmi aperti delle braccia verso di lui, fermando l’avanzata dei muri di tenebra. Quindi, bruciando il proprio cosmo ardente, spinse indietro tali pareti, travolgendo Arne e distruggendo la sua corazza, il suo corpo e i suoi sogni di gloria.

 

Quando i resti del Cavaliere nero ricaddero sul selciato, parve a Phoenix di vedere uno spirito nero abbandonarli e fluttuare via, perdendosi nel vento. Forse richiamato dal Maestro di tutte le ombre. Phoenix sospirò, accasciandosi sulle ginocchia per riprendere fiato, prima che Cliff e Elena corressero verso di lui, per sincerarsi delle sue condizioni. Il ragazzo li pregò di non preoccuparsi, di non aver tempo neppure per curarsi. Doveva raggiungere i suoi compagni e affrontare assieme a loro questa nuova minaccia. Cercò Andromeda con il cosmo, e non fu affatto stupito di trovarlo impegnato in battaglia. In una dura battaglia. Strinse i pugni, chiedendosi però cosa ci facesse suo fratello nella penisola del Siam.

 

 

 

 

 

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Capitolo 19
*** La caccia ***


CAPITOLO DICIASSETTESIMO: LA CACCIA

CAPITOLO DICIASSETTESIMO: LA CACCIA.

 

Nel cortile più esterno di Angkor Wat, di fronte al gopura con tre torri in rovina, un tempo la grande entrata occidentale dell’immenso tempio, si stava consumando un violento scontro tra il Cavaliere di Andromeda, coadiuvato dai tre discepoli superstiti di Virgo, e Iemisch, la Tigre d’Acqua, e altri cinque Cavalieri neri al servizio di Flegias. Anche se soltanto quattro per il momento erano scesi in campo.

 

Sakis del Quadrante Oscuro aveva infatti preferito distanziarsi per osservare lo scontro, pronto a intervenire, in caso di necessità, in aiuto del Capitano dell’Ombra. E pronto anche a ricordargli che da solo sarebbe andato poco lontano. Per quanto tutti loro, Capitani e semplici soldati, amassero emergere, per ingraziarsi le glorie del Maestro di Ombre, Sakis aveva capito, ben prima di Iemisch e di molti altri, che i Cavalieri di Atena potevano essere vinti solo con la loro stessa formula: rimanendo uniti. E mirando a separarli, a spezzare il legame che li univa, mettendoli uno contro l’altro. Per questo Flegias aveva ordinato a Menas di diffondere le rose di rabbia in Grecia, a Nuova Luxor e ai Cinque Picchi, tenendo fede alla locuzione latina “divide et impera”, già messa in atto da suo padre, pur senza troppo successo.

 

“Cosa gli fa credere di poter riuscire dove persino Ares ha fallito?!” –Si domandò Sakis, continuando a seguire gli scontri in atto. –“Flegias parla da anni di mistici talismani in grado di garantire l’avvento della grande ombra, ma ad oggi non è riuscito a mettere le mani su neanche uno di essi! Mi chiedo se esistano davvero o non siano invece un trucco messo in atto da Avalon millenni addietro per confondere le idee, per sviare i nemici come specchietti per allodole! E dire che Flegias dovrebbe conoscere Avalon molto bene…”

 

Le sue riflessioni furono interrotte dal grido di dolore di Stelios, uno dei due Capretti Oscuri, stritolato in un ventaglio di luce dorata da parte di Dhaval il Puro e scaraventato indietro, tra i frammenti della sua corazza insanguinata. E lasciato moribondo a spirare sotto la luna del Siam.

 

“Te la cavi bene, per essere un vecchio!” –Ironizzò Stratis, l’altro Cavaliere dei Capretti Oscuri, abbassando la testa e caricando con le corna del suo elmo.

 

“Non lasciarti ingannare dalle apparenze!” –Commentò Dhaval, fermando l’avanzata di Stratis, afferrando le corna con le sue braccia. Per quanto Stratis continuasse a scalciare, infiammando l’erba con il suo cosmo oscuro, Dhaval riusciva a esercitare sufficiente pressione sulle corna senza essere spinto indietro. –“Posso sembrare anziano a causa del mio trasandato aspetto! Del resto mi sono dedicato più ad aiutare il prossimo che non a curare il mio corpo!” –Ammise Dhaval, quasi stesse parlando con se stesso. –“Ma ho soltanto ventisette anni! E anche se temo che la mia vita giungerà presto al termine, il mio cuore batte ancora come quello di un bambino! E come un bambino continuo ad avere i miei sogni!” –Aggiunse, sollevando Stratis a testa in giù, reggendolo per le corna dell’elmo, e scaraventandolo molti metri addietro, fino a farlo ruzzolare sul terreno. –“E non sarai tu, patetico surrogato di un’ombra, a farmi desistere da essi!”

 

“Lo vedremo!” –Esclamò Stratis, rimettendosi in piedi ed espandendo il suo cosmo.

 

“Non vedremo niente invece!” –Commentò Dhaval, socchiudendo gli occhi e sedendosi sull’erba, con le gambe incrociate e le mani giunte in segno di preghiera.

 

“Prega, sì! Prega vecchio! Nient’altro ti resta!” –Gridò Stratis, correndo verso di lui, con il pugno carico di energia cosmica. Ma non riuscì neanche ad avvicinarsi che venne investito in pieno da un abbraccio di cosmo, che si aprì dalle mani di Dhaval rischiarando la fredda notte asiatica. –“Aaaah!!! Sto… Mi sto… disintegrando!!!” –Strillò Stratis, osservando il suo corpo distruggersi e venire assorbito dal ventaglio di luce. Pochi attimi dopo e anche del secondo Capretto Oscuro non era rimasto niente.

 

Dhaval sospirò, asciugando il sudore sulla fronte con una manica della tunica arancio, prima di rimettersi in piedi, indebolito dal susseguirsi di scontri. Tirò un’occhiata verso Tirtha e Pavit, ancora intenti ad affrontare il Gatto Nero e il Fiume Tigri, e verso Andromeda. E capì che da soli non ce l’avrebbero fatta. Capì che per quanto deplorasse quella possibilità, doveva volgere i suoi poteri alla guerra, come aveva fatto quel pomeriggio per la prima volta. Venendo meno a tutti i principi di pace e di generosità su cui aveva basato la sua vita.

 

“Non fare mai agli altri ciò che non vorresti fosse fatto a te!” –Aveva ripetuto per anni. –“Anche a costo di subirlo tu stesso!” –Ma adesso, con l’ombra così vicina al tempio di Angkor Wat, con le forze che vacillavano, anch’egli era stato costretto a fare una scelta. Proprio come Andromeda prima di lui. Sorrise, capendo infine le parole del Cavaliere di Atena e lanciandosi in una folle corsa nelle gallerie interne.

 

Sakis se ne accorse subito, intuendo le intenzioni dell’uomo, e scomparve in un quadrante dimensionale, apparendo proprio di fronte a Dhaval, intento a correre lungo la galleria occidentale. Lo sorprese, spingendolo a terra e ponendosi davanti a lui.

 

“La tua corsa termina qua, vecchio indiano!” –Commentò Sakis, il volto rischiarato dalla luce della luna che filtrava dalle colonne e illuminava i bassorilievi del Ramayana e del Mahābhārata, due grandi poemi epici della mitologia induista. –“Ammira le gesta dei tuoi padri! Presto sarai con loro! Eh eh eh!”


“Chissà, straniero, potresti essere tu a rivedere i compagni già caduti!” –Affermò Dhaval, senza tradire alcun timore. E nel dir questo iniziò a concentrare il cosmo tra le mani, socchiudendo gli occhi. Ma la voce di Sakis disturbò la sua meditazione.


Quadrante oscuro, ingoia il tuo nemico!” –Esclamò, disegnando nell’aria un quadrato di energia con l’indice destro, che aumentò di estensione, giungendo a inglobare Dhaval al suo interno, risucchiandolo come fosse un piccolo buco nero.

 

“Che cosa succede? Cos’è questa forza di attrazione… che mi trascina via?!!” –Gridò Dhaval, venendo assorbito dal quadrante di energia di Sakis, il quale, soddisfatto per il nuovo successo, richiuse la distorsione dimensionale, facendo per muoversi verso il sacrario centrale. Non riuscì però ad arrivare neppure alla fine della galleria occidentale che una voce lo riscosse improvvisa.

 

“Credi che il nostro scontro sia già concluso?!” –Domandò Dhaval, riapparendo al centro della galleria, avvolto da una leggera polvere di stelle.

 

“Che cosa?! Come puoi essere tornato?!” –Sgranò gli occhi Sakis, per la prima volta stupito. –“Il Quadrante Oscuro attinge ogni volta in cui lo apro a migliaia di dimensioni casuali, a infinite possibilità che neanche un Dio potrebbe enumerare! Come sei potuto tornare esattamente in questa? È impossibile ritrovare la via, una volta che il portale è stato richiuso!!!”

 

“Impossibile per un uomo, ma non per chi ha ricevuto un addestramento completo dal miglior maestro che avesse mai potuto avere!” –Commentò Dhaval. –“Noi discepoli di Virgo siamo abituati a non perdere la calma, persino nelle situazioni più drammatiche, e tale tranquillità interiore mi è stata utile per concentrarmi e ritrovare la via, attratto dall’energia mistica di questo luogo, che molto bene conosco! E forse da una nuova, che mi è sembrato mi chiamasse!” –Mormorò infine, quasi a se stesso.

 

“Avresti fatto meglio a restare in un’altra dimensione, vecchio indiano! Sarebbe stata una fine migliore! Adesso che mi hai fatto arrabbiare, sarò costretto a metter via il Sakis buono e misericordioso, che compiange i compagni orfani di un tempo, e a sfoderare il mio lato guerriero, quello sadico e senza pietà!” –Gridò Sakis, generando un’onda di energia nera con cui tentò di travolgere Dhaval, il quale, in tutta risposta, creò una cupola di luce dorata con cui difendersi. Resistette pochi secondi, quanto gli bastò per concentrare il cosmo tra le mani e rilasciarlo sotto forma di un ventaglio di energia.

 

Abbandono dell’Oriente!!!” –Tuonò, dirigendo l’assalto contro Sakis. Ma questi aveva già ricreato il suo quadrilatero di energia, disponendolo come scudo di fronte a sé. Il portale spaziotemporale questa volta non si limitò ad ingoiare l’energia cosmica di Dhaval, quasi fosse un imbuto, ma la rilasciò dal lato opposto, offrendola a Sakis, il quale ne attinse a piene mani, cibandosi avidamente delle forze del suo nemico. Quindi concentrò il cosmo sulle mani, illuminando l’indice di luce argentea, e fece per sfiorare la superficie del quadrante oscuro.

 

A quella visione Dhaval scomparve, credendo che Sakis volesse risucchiarlo di nuovo, e riapparve alla spalle del Cavaliere nero, per travolgerlo con il suo ventaglio di luce. Ma ebbe un’amara sorpresa, realizzando di non riuscire più a muoversi.

 

“Che… succede?!” –Balbettò Dhaval, incapace di muovere ogni muscolo, anche il più piccolo, fermo e immobilizzato in una posa innaturale.

 

Sigilli dell’Impero!” –Commentò Sakis, voltandosi e ponendosi di fronte alla direzione del suo sguardo, di modo che Dhaval potesse vedere il suo volto distendersi in un sorriso beffardo, mentre mostrava un simbolo disegnato in aria con l’indice. Un simbolo che brillava di una tenue luce argentea. –“Ho fermato i tuoi movimenti, paralizzando il senso del tatto! Non durerà a lungo, vecchio santone, ma sarà sufficiente per impedirti di provocare altri danni!”

 

“Ungh!!!” –Dhaval espanse il proprio cosmo, cercando di liberarsi da quella morsa. Ma per quanto i suoi poteri mentali fossero ben allenati, dovette ammettere che non vi era via d’uscita. Il suo senso del tatto non gli rispondeva più.

 

“Non affannarti! I Sigilli dell’Impero, una volta disegnati, bloccano il senso per cui sono stati invocati! Non durano in eterno, purtroppo, ma questo problema nel tuo caso non si pone! Vedi il simbolo di luce argentea che risplende al tuo fianco? Quando svanirà sarai di nuovo libero di muoverti! Peccato che non potrai vederlo, poiché in quel momento sarai già morto!” –Sogghignò Sakis, mostrando a Dhaval l’indice e il medio della mano destra, uniti tra loro da un sottile filamento di cosmo.

 

Non aggiunse altro e li conficcò nell’occhio destro di Dhaval, e poi nel sinistro, strappandogli grida disumane. Quindi cavò fuori gli occhi dell’uomo, scoppiando a ridere, e si incamminò verso l’uscita del tempio, portandoli con sé e lasciando Dhaval, con il volto grondante di sangue, paralizzato sotto i bassorilievi dei suoi avi. 

 

Tirtha, la Pellegrina, nel frattempo era ancora alle prese con Timos del Gatto Nero, un Cavaliere che, alla ragazza, sembrava più una bestia che un uomo, tanto agile e felino era nei movimenti. Un tipo di poche parole, che preferiva l’azione al pensiero, con cui difficilmente si sarebbe potuto ragionare. L’unica cosa che sapeva di lui era che fosse stato allievo di Iemisch, da cui aveva appreso le tecniche di caccia e il piacere di muoversi come un predatore.

 

Artigli del Gatto Nero!” –Sibilò Timos, balzando nuovamente avanti e scagliando rapidi fendenti di energia oscura contro Tirtha, obbligata a muoversi in ogni direzione, per non lasciarsi trafiggere. Non erano eccessivamente potenti, ma erano tanti ed erano precisi, e Tirtha non poté evitare di essere raggiunta in varie parti del corpo, osservando la veste incendiarsi al contatto con quell’energia incandescente e ferite comparire sul suo corpo. –“Quanto sangue!” –Commentò Timos, leccandosi le labbra. –“Farò in modo che non vada sprecato, donna! Il tuo sangue sarà il latte di cui mi sazierò stanotte!!!” –Ridacchiò, prima di caricare nuovamente.

 

Kaan!!!” –Gridò Tirtha, fermando l’avanzata del Gatto Nero con una cupola di energia, su cui Timos si schiantò in malo modo. Ma anche Tirtha venne spinta indietro, non padroneggiando completamente tale tecnica, come Dhaval le aveva più volte rimproverato.

 

“Se non ha solide fondamenta, anche il castello più grande e minaccioso può essere spazzato via da una folata di vento!” –Amava ripeterle durante le loro sedute di allenamento. –“Mantieni i piedi saldi nel terreno o anche tu sarai travolta dalla tempesta!”

 

“Temo di non aver ancora appreso la lezione!” –Sorrise Tirtha, rimettendosi in piedi e tastandosi un fianco indolenzito. –“Forse sarà questa l’occasione per migliorarmi!”

 

“O per morire!” –Esclamò Timos, sfoderando i suoi artigli di energia cosmica e sfrecciando verso Tirtha, la quale, per la prima volta, decise di non rimanere in difesa bensì contrattaccò direttamente, lanciandosi contro il Gatto Nero. Si scontrarono a mezz’aria, e lui riuscì ad affondare i suoi artigli nel fianco già ferito di Tirtha, mozzandole un grido di dolore, prima che lei lo travolgesse da vicino con un’abbagliante esplosione di luce, scaraventandolo molti metri addietro.

 

Tirtha ricadde al suolo, accasciandosi sul fianco ferito, mentre una macchia di sangue si allargava sul manto erboso di Angkor. Pavit, il Devoto, poco distante, intento a fronteggiare Dario del Fiume Tigri, se ne accorse e fece per correre da lei, per aiutarla, ma il Cavaliere nero non glielo permise, travolgendolo con impetuose onde di nera energia acquatica.

 

“Dove fuggi, Cavaliere? Ad aiutare la tua bella?!” –Esclamò Dario, avvolgendosi nel suo cosmo, dal colore blu notte. –“Non darti troppa pena, vi ritroverete certamente al di là del Lete e allora potrete stare uniti per l’eternità!”

 

“Togliti dalla mia strada, Cavaliere nero! Mi preme molto più salvare un’amica che non guerreggiare con te!” –Rispose il ragazzo dai capelli fulvi.

 

“Quale affronto! Nessuno ha mai rifiutato un duello con Dario il Grande, il Re dei Re! Vuoi forse tu essere il primo ad incorrere nella mia ira?” –Esclamò Dario, generando immense onde di energia acquatica, simili allo scrosciare di un fiume in piena. –“Fiumana del Tigri!!!” –Gridò, riversandole contro Pavit, che non riuscì a difendersi e venne spinto indietro, fino a schiantarsi contro un muro del tempio e a crollare a terra, in mezzo a mucchi di pietra e di fango. Il fango della sua vita. –“Il regime del Tigri è sempre stato soggetto a forte variazioni stagionali, creando le condizioni per piene catastrofiche! Come quella che ho appena riversato su di te!” –Esclamò Dario, avvicinandosi al corpo stanco di Pavit.

 

“Sentiti fortunato ragazzo! Millenni di storia sono piovuti su di te! Fin dai tempi più antichi la Mesopotamia è stata infatti culla di civiltà, spettatrice di nascite e di crolli imprevisti!” –Affermò il Cavaliere nero, afferrando Pavit per la tunica e sollevandolo di peso. –“Adesso tu sopporterai il peso della storia sulla tua fragile schiena! Sii uomo, come lo furono i miei guerrieri a Maratona! E muori! Fiumana del Tigri!!!” –Gridò, sollevando Pavit con una piena impetuosa di acque oscure e scagliandolo in cielo, travolto da una forza oscura e naturale.

 

“Pavit!!!” –Urlò Tirtha spaventata, cercando di rimettersi in piedi. Sia pur a fatica.

 

“Non temere! Adesso lo raggiungerai!” –Esclamò Dario, incamminandosi verso il corpo agonizzante di Tirtha.

 

Pavit, sollevato in cielo dall’impetuosa fiumana del Tigri, sballottato come un naufrago in mezzo alla tempesta, sentì le forze venire meno e per un attimo provò la sensazione di lasciarsi andare. Di lasciarsi travolgere da quell’oscura marea e trovare finalmente pace. Fu la voce di Tirtha a risvegliarlo da quel torpore. La voce della ragazza al cui fianco era cresciuto ed era diventato uomo. Anche se tra loro vi erano tre anni di differenza, Tirtha non aveva mai osteggiato superiorità alcuna verso Pavit, mostrandogli sempre affetto, quasi fosse una sorella maggiore. E Pavit, in cuor suo, l’aveva sempre ammirata, ascoltando i suoi consigli, molto più di quelli di Dhaval, che pure era più saggio e illuminato di loro. Forse perché, in fondo al cuore, Pavit non aveva mai rinunciato all’infantile, ma romantica, idea di vivere un futuro insieme a lei. Un futuro che in quel momento avrebbe potuto sfuggirgli via.

 

“Tirthaaa!!!” –Gridò Pavit, espandendo al massimo il proprio cosmo e avvolgendosi in esso, in modo da impedire alla fiumana del Tigri di colpirlo ancora. Con forza, cercò di rimettersi in piedi e respingere quel tumultuoso flusso.

 

“Ma… è incredibile!!!” –Balbettò Dario, osservando la scena dal basso. –“Nessun uomo può fare ciò! Nessuno può separare l’acqua!”

 

“Non un uomo! Ma un Cavaliere sì!” –Sorrise Tirtha, con le lacrime agli occhi per il risultato conseguito dall’amico. –“Anche se non abbiamo mai ricevuto un’Armatura né alcuna investitura ufficiale, i nostri poteri sono pari a quelli dei Cavalieri di Atena della media casta! E Pavit ha pienamente dimostrato di esserne degno!”

 

In quel momento Pavit, ancora sospeso in aria, con le braccia aperte di lato, intento a separare le correnti d’acqua oscura con il suo cosmo, abbassò di colpo gli arti verso il basso, rimandando indietro l’attacco ricevuto. Con orrore, Dario vide un’immensa massa d’energia acquatica piombare su di sé e schiacciarlo al suolo, incrinando parti della sua corazza e mettendo fine alle sue certezze di una rapida vittoria.

 

Pavit precipitò a terra poco dopo, frenando l’impatto con i suoi poteri di telecinesi, ma non riuscendo comunque a evitare di slogarsi la spalla destra. Tirtha si trascinò fino al corpo dell’amico, afferrandogli una mano e abbandonandosi ad un sorriso. Ma la risatina di Dario distrasse entrambi, obbligandoli a sollevare lo sguardo verso il Cavaliere del Tigri, che si era appena rimesso in piedi, con crepe sulla corazza e un coprispalla completamente distrutto. Dall’altro lato del cortile anche Timos del Gatto Nero riusciva finalmente a sollevarsi e bastò un breve sguardo con l’altro allievo di Iemisch per trovare una taciturna intesa.

 

Timos si mise a quattro zampe, iniziando una rapida corsa verso i due discepoli, avvolto nel suo cosmo oscuro, mentre Dario, sull’altro fronte, generava tumultuosi marosi di energia acquatica. La Fiumana del Tigri e gli artigli del Gatto Nero si abbatterono insieme contro una cupola di energia che avvolse Tirtha e Pavit, creata dal cosmo congiunto dei due compagni. Con grande sforzo, e mettendo tutta l’energia che avevano accumulato in anni di studi e meditazioni, Tirtha e Pavit riuscirono a respingere le burrascose acque del Tigri, rivoltandole nuovamente contro il loro creatore, e a ricacciare indietro il Gatto Nero. Ciò di cui però non si avvidero fu del balzo di Dario, il quale, approfittando della sua stessa piena, scavalcò la marea oscura portandosi proprio sopra i due discepoli, che se ne accorsero troppo tardi.

 

Una bomba di energia si schiantò contro la cupola dorata, mandandola in frantumi e scaraventando Tirtha e Pavit indietro di parecchi metri, facendoli ruzzolare al suolo, pieni di graffi e ustioni. Timos balzò subito su Tirtha, iniziando con lei un’eccitante corpo a corpo, nel quale la ragazza cercava di allontanare quegli artigli assetati di sangue e l’uomo a nient’altro anelava se non ad affondare ancora in lei. Pavit allungò le braccia sul terreno, cercando di rimettersi in piedi, ma privo ormai di forze fu raggiunto da un calcio di Dario sul fondoschiena, che lo capovolse, sbattendolo contro un mucchio di rocce franate.

 

“Un’ottima esibizione, ragazzo! Degna degli Immortali Persiani! Tu fossi vissuto duemilacinquecento anni fa forse avrei potuto assumerti tra le loro fila!” –Rise Dario, chinandosi su Pavit e afferrandolo per il collo. Lo sbatté contro un muro e iniziò a tempestarlo di pugni e calci, senza bisogno neppure di utilizzare il cosmo. –“Non si addice molto ad un re, lo ammetto! Ma era molto tempo che volevo menar le mani!”

 

Pavit tentò di sollevare un braccio, per difendersi da quella tempesta di colpi, ma venne raggiunto da un pugno sull’orecchio destro, che gli sbatté la faccia nel muro, spaccandogli un paio di denti e facendolo sanguinare ancora. Con la coda dell’occhio, cercò Tirtha, sentendola urlare nel tentativo di dimenarsi dal Gatto Nero. Quindi cercò Dhaval, ma non lo trovò. Vide soltanto Andromeda spingere via Iemisch con foga, espandendo il cosmo e liberando lo sfavillante potere della sua costellazione.

 

“Sei un osso duro, eh, Cavaliere di Andromeda?!” –Esclamò Iemisch, atterrando compostamente in piedi, a una decina di metri dal ragazzo. –“Ma ti stimo per questo! Dietro la maschera di fragilità che porti sul volto si nasconde un Cavaliere deciso e sicuro di sé, non disposto a cedere alle avversità, pur aspre che siano! Sembri più un predatore che una preda!”

 

“È un compromesso che ho dovuto fare con me stesso molto tempo fa!” –Commentò Andromeda, cercando di rialzarsi, con rivoli di sangue che gli colavano dal collo, dove gli artigli di Iemisch lo avevano raggiunto.

 

“Un ottimo compromesso!” –Esclamò baldanzoso Iemisch. –“Del resto, spesso bisogna rinunciare a qualcosa pur di perseguire i nostri obiettivi!”

 

Andromeda rimase un attimo a pensare, quasi stregato dall’ardito Capitano dell’Ombra che aveva di fronte. Era un nemico, su questo non aveva dubbi. Ma c’era qualcosa in lui che lo incantava. Il suo modo di affrontare le cose. Con fermezza, ma non con ottusità. Iemisch, agli occhi di Andromeda, era come un poeta, sempre alla ricerca della rima perfetta, sempre pronto a cogliere tutto ciò che il mondo potesse offrire, per raggiungere l’ispirazione, senza mai sforzarsi di ottenerla qualora non ve ne fosse la possibilità. Era un calcolatore, meticoloso, in grado di prevedere le mosse del suo rivale. Ed era in grado di penetrarlo a fondo, con quello sguardo da felino, con quelle iridi grigie, tinte d’argento dal bagliore della luna.

 

Andromeda sospirò, prima di scuotere le proprie Catene, preparandosi per un nuovo assalto e gli vennero in mente le parole con cui suo fratello Phoenix, dopo la sconfitta di Discordia, aveva commentato il suo scontro con Serian di Orione.

 

“Ti sembra sempre di combattere contro un altro te stesso!” –E forse non aveva tutti i torti.

 

Le riflessioni del ragazzo furono interrotte dal violento attacco di Iemisch, che caricò avvolto nel suo cosmo color argento. Centinaia di migliaia di fendenti energetici sferzarono l’aria, incendiando il prato del cortile, e Andromeda non riuscì ad evitarli tutti, venendo spinto in aria, sollevato dall’onda d’urto dello spostamento della Tigre Nera, che lo aveva superato, portandosi dietro di lui. Con gli artigli ancora affilati.

 

“Devo reagire!!!” –Si disse Andromeda, voltandosi in aria su se stesso e scagliando avanti la Catena a Triangolo. –“Onda del Tuono, vai!!!” –L’arma del Cavaliere zigzagò tra i fendenti energetici di Iemisch, mirando al cuore del Capitano, ma questi fu agile a balzare indietro, compiendo una capriola su se stesso e atterrando a piedi uniti sul tetto del gopura, evitando la punta del Triangolo che si conficcò nel terreno.

 

“Dall’alto di Angkor contemplo la tua disfatta, Andromeda! Ah ah ah!” –Rise con fierezza, prima di lanciarsi avanti, avvolto nel suo cosmo argentato, e piombare su Andromeda dall’alto, con la furia devastante di una bestia feroce. –“Fiera maestosa!” –Tuonò, portando avanti il pugno destro e sbattendo il Cavaliere nel terreno, sprofondandolo in una conca di dolore e schegge di Armatura.

 

Tanto potente era stato l’attacco subito che Andromeda pensò di avere tutte le ossa rotte. Fece per sollevarsi, ma ad ogni piccolo movimento doveva reprimere un gemito di dolore. E questo confermò le sue supposizioni iniziali. Iemisch era un guerriero perfetto, che sapeva combinare strategia e forza fisica, precisione e potenza. Come avrebbe potuto opporsi a lui, soprattutto in quelle condizioni? Le ferite al collo gli strappavano fitte continue, e tutti i suoi sensi parevano rallentati da quando Biliku lo aveva colpito. Cosa conteneva il sangue di quella creatura? Se ha davvero il potere di distruggere le rose di rabbia, quale mutazione potrebbe causare nel corpo di un uomo? Si chiese il Cavaliere, tossendo e sputando sangue. Avrebbe dovuto usare la Nebulosa di Andromeda per vincerlo, come aveva fatto con Fish, Mizar, Sirya e i Dioscuri. Ma in quel momento non ne aveva la forza. Non aveva la forza per niente, soltanto per abbandonarsi ed essere cullato.

 

Poco dopo aprì gli occhi di scatto, accorgendosi che quello che gli era parso un dolce oscillare era in realtà Iemisch che lo stava tirando a sé, strattonando con forza la Catena di Andromeda e trascinandolo fuori dalla grande conca. Cercò di sollevarsi, mentre Iemisch continuava a tirare la Catena, ridendo divertito da quella situazione. Le mani del Capitano sfrigolavano scintille, per il contatto con l’arma, ma egli sembrava non risentirne troppo, a causa del rivestimento vischioso della sua corazza, capace di disperdere l’elettricità.

 

Onda energetica!!!” –Gridò Andromeda, scagliando guizzanti folgori contro il Capitano, che lasciò quindi la presa, balzando agilmente indietro.

 

“Ti sei svegliato, allora!” –Ironizzò Iemisch, mentre Andromeda si rimetteva in piedi a fatica, tenendosi la testa, che sembrava sul punto di scoppiargli.

 

“Svegliato?! Quanto ho perso conoscenza?!” –Balbettò il Cavaliere confusamente.

 

“Tre minuti e sette secondi!” –Commentò Iemisch, incrociando le mani al petto. –“Decisamente troppo!”

 

“Tre minuti?!” –Mormorò tra sé Andromeda, realizzando che in tutto quell’arco di tempo Iemisch avrebbe potuto ucciderlo più volte e dare i suoi resti in pasto ai coccodrilli. –“Perché non…?!”

 

“Perché non ti ho ucciso? Credevo di essere stato chiaro al nostro primo incontro, Andromeda! La Tigre d’Acqua non vuole scarti altrui né favori di alcun genere, ma uno scontro diretto, una caccia nella quale rincorrere la sua preda, annusandola, seguendola e poi balzandole addosso! Che soddisfazioni potrei avere nell’avventarmi su un corpo inerme e mezzo morto, abbandonato alle mosche e agli avvoltoi? No, Cavaliere, la Tigre d’Acqua si nutre solo di cibi prelibati!”

 

Andromeda non seppe cosa rispondere, limitandosi a bruciare il proprio cosmo e a sollevare la Catena, avvolgendola in fulmini scintillanti. Combatteva da un giorno intero, senza essersi mai fermato, e la stanchezza gli era crollata addosso inesorabile. Aveva affrontato Biliku, Iaculo e adesso Iemisch. Ma ancora non avrebbe ceduto.

 

“Andromeda non cederà!!!” –Si disse, lanciando avanti la propria arma, che si moltiplicò in infinite copie, che sfrecciarono nella notte asiatica illuminandola come strali di luce. –“Melodia scintillante di Andromedaaa!!!” –Gridò, liberando la configurazione ultima della Catena, quella che era in grado di comprenderle tutte. Attacco e difesa. Una tecnica che fino a quel momento, contro il Custode della Palude di Stinfalo e contro Phobos, si era rivelata mortale.

 

Fiera maestosa!!!” –Rispose Iemisch, scattando avanti con baldanza e lanciandosi nel nugolo di Catene, colpendo tutte quelle con cui entrava in contatto con violente zampate di energia comica, che incendiarono l’aria, scheggiando in più punti l’arma del Cavaliere di Atena. Ma le Catene erano troppe, sembravano infinite, e anche se la sua corazza era in grado di lasciarle scivolare via, l’eccessiva quantità alla fine lo sbilanciò, spingendolo a terra.

 

“Adesso! Onda energetica!!!” –Gridò Andromeda, volgendo il palmo della mano destra a Iemisch e investendolo con brillanti fulmini di energia.

 

Il Capitano dell’Ombra, appoggiato a terra con un ginocchio, sollevò il bracciale sinistro dell’Armatura, caricandolo del suo cosmo argentato, nel tentativo di scemare l’assalto di Andromeda, che comunque lo raggiunse, facendo vibrare tutto il suo corpo e strappandogli un moto di dolore. Quindi concentrò la propria energia sul pugno destro, portandolo avanti di scatto e facendolo scontrare con l’attacco avversario, generando una violenta esplosione che scaraventò indietro entrambi. Il Cavaliere di Atena ruzzolò per vari metri sul terreno, fino a cadere nella conca scavata in precedenza, mentre Iemisch, pur se sbilanciato, riuscì ad atterrare in piedi.

 

Tirò un’occhiata ai bracciali dell’Armatura e li trovò scheggiati in più punti, come i coprispalla e i gambali. L’elmo poi aveva perso qualche zanna del volto felino che riproduceva. Sorridendo tra sé, Iemisch se lo tolse, mettendoselo sotto il braccio sinistro, e si incamminò verso la conca per dare il colpo di grazia ad Andromeda.

 

Come previsto, lo trovò che tentava di rialzarsi ancora, arrancando sul terreno, determinato a non arrendersi. Iemisch annuì, soddisfatto per la sua caccia e deciso a mettervi fine e a prendere il suo trofeo. Concentrò il cosmo sulla mano destra, allungando affilati artigli di energia, prima di calarli verso Andromeda. In quel momento un’immensa esplosione di luce, proveniente dall’interno di Angkor, scosse il terreno, rischiarando l’esterno del tempio come fosse giorno.

 

“Ma… che diavolo succede?!” –Esclamò Iemisch, sollevando lo sguardo e rimanendo accecato da tale intenso bagliore.

 

Sakis del Quadrante Oscuro apparve poco dopo al suo fianco, prendendolo per un braccio e portandolo indietro, mentre una gigantesca bolla di energia dorata fuoriuscì dal tempio di Angkor, inglobando tutto ciò che incontrava sul suo cammino. I resti di Stratis e Stelios vennero fagocitati, disintegrandosi poco dopo, e stessa sorte incontrò il corpo di Timos del Gatto Nero. Dario del Tigri riuscì in parte a ripararsi, venendo soltanto spinto a terra e sommerso da alcune rovine. Anche Sakis e Iemisch furono scaraventati contro le mura di confine, scheggiando le loro corazze, e quando riemersero dal mucchio di detriti franati su di loro scoprirono l’origine di quel sole improvviso.

 

Sopra le loro teste, seduto in posizione meditativa, si ergeva il semidivino Shaka, Cavaliere di Virgo.

 

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Capitolo 20
*** Similitudini ***


CAPITOLO DICIOTTESIMO: SIMILITUDINI

CAPITOLO DICIOTTESIMO: SIMILITUDINI.

 

Bastò inarcare un sopracciglio, a Shaka di Virgo, per generare un ventaglio di luce abbagliante con cui scaraventò Iemisch e Sakis contro il muro di confine, stampando i loro corpi sulla pietra grezza. Non disse niente, limitandosi a restare sospeso in aria sopra Angkor Wat, in posa meditativa e con gli occhi chiusi. Iemisch, la Tigre d’Acqua, fu il primo a rimettersi in piedi, gettando via l’elmo in frantumi e ringhiando contro il Cavaliere d’Oro.

 

“Maledizione!!! Com’è possibile che Virgo sia ancora vivo?! Sakis?!” –Esclamò il Capitano dell’Ombra.

 

“Nemmeno io riesco a crederci!” –Affermò Sakis del Quadrante Oscuro. –“Era inerme, prigioniero tra due mondi, incapace di trovare la strada per la nostra dimensione! Qualcuno deve averlo richiamato! Forse Atena?!”

 

“Tutto questo non piacerà al Maestro di Ombre!” –Commentò Iemisch, visibilmente preoccupato.

 

“Né gli piacerà sapere che non lo abbiamo ucciso quando ne avevamo la possibilità!” –Ironizzò Sakis, prima di essere colpito con uno schiaffo da Iemisch.

 

“Potrei occuparmi di Andromeda e finirlo, ma sono troppo stanco per lottare anche con Virgo! E Sakis e Dario non sarebbero alla sua altezza!” –Rifletté Iemisch, dando ordine a Sakis di recuperare Dario e aprire il quadrante dimensionale. –“Porteremo a Flegias almeno un souvenir dal Sud-Est Asiatico! Ma prima di lasciare Angkor, voglio darti il colpo della bandiera, caro il mio santone!” –Esclamò fiero Iemisch, caricando il braccio destro della sua incandescente energia e balzando in alto, diretto verso Virgo. –“Fiera maestosa!!!” –Tuonò, mentre migliaia e migliaia di tigri d’acqua, con le zanne e gli artigli affilati, piombavano sulla cupola protettiva del Cavaliere d’Oro, distruggendola.

 

Andromeda, rimasto a terra ad osservare la scena, pieno di stupore per l’improvvisa ricomparsa di Virgo, vide il Cavaliere d’Oro giungere le mani e liberare una violenta onda di energia cosmica, con cui spinse indietro il Capitano dell’Ombra, abbagliando il cortile una seconda volta. Iemisch ricadde sul terreno, appoggiando male una gamba e prendendo una storta, che non gli impedì comunque di raggiungere zoppicando Dario e Sakis, il quale aveva già aperto il suo portale dimensionale.

 

“Ci rivedremo Andromeda! Stanne certo!” –Esclamò Iemisch, mentre il quadrato oscuro calava sui tre Cavalieri neri, e su una quarta figura che Dario stringeva forte a sé. –“Del resto… abbiamo qualcosa che vi appartiene!!! Eh eh eh!”

 

“Tirtha!!!” –Gridò Pavit, ansimando sul terreno. Ma non riuscì a rimettersi in piedi, pieno di lividi e di ferite com’era. Il quadrante oscuro ingoiò Iemisch, Sakis, Dario e Tirtha, richiudendosi all’istante e a Pavit non restò altro che battere pugni sul terreno.

 

Andromeda tirò uno sguardo verso il cielo, che andava lentamente schiarendosi, e vide la figura di Virgo dissolversi, lasciando dietro di sé una scia di polvere di stelle, che nevicò sul Cavaliere di Atena, lenendo per un momento i suoi affanni. Senza perdere altro tempo, Andromeda raggiunse Pavit, aiutandolo a rimettersi in piedi, e pregandolo di reggersi a lui.

 

“Virgo! Dov’è finito il Cavaliere di Virgo? L’ho visto apparire nel cielo e adesso è scomparso? Che Iemisch l’abbia dunque sconfitto?!” –Mormorò Pavit, camminando a fatica, aiutato da Andromeda.

 

“Non credo! Ho sentito il suo cosmo risplendere vividamente! Virgo è ancora vivo, e credo di sapere dove si trovi adesso! A onorare il suo debito!” –Commentò Andromeda, guidando Pavit nei corridoi di Angkor, seguendo la stessa strada che poche ore prima Dhaval gli aveva indicato, giungendo fino alla torre sopra il sacrario centrale.

 

Pavit si lasciò trascinare da Andromeda, troppo debole per stare in piedi, troppo debole anche solo per parlare. Gli doleva la mandibola e aveva un paio di denti rotti, grumi di sangue coagulato in bocca e alcune costole spaccate. Ma al di là del male fisico, il Devoto non poteva fare a meno di sentirsi in colpa. Di sentirsi debole. Poiché a causa sua Tirtha era stata rapita ed egli non era stato in grado di proteggerla. Se fossi stato più forte… Rifletté, con le lacrime agli occhi, gonfi di botte e di dolore, mentre Andromeda lo trascinava lungo le gallerie di Angkor. Prima di entrare nella sala della torre sopra il sacrario centrale, ove per tre lunghi mesi avevano tentato di liberare Virgo dalla sua prigionia dimensionale, non gli sfuggirono tracce di sangue sparse lasciate sul pavimento.

 

“Dhaval!!!” –Esclamò Pavit, inorridendo alla scena che si aprì di fronte ai suoi occhi.

 

Seduto, con il corpo esanime di Dhaval il Puro sulle gambe, il Cavaliere di Virgo carezzava i capelli grigi dell’uomo che l’aveva salvato. Dell’uomo che aveva dato la vita per aprire il portale spaziotemporale e completare il trasferimento.

 

Dopo essere stato lasciato da Sakis nella galleria occidentale, privo del tatto e dei suoi occhi, Dhaval aveva atteso, sforzandosi di non perdere la calma e di sopportare il dolore, interiorizzandolo come aveva fatto in tutti quegli anni. Quando l’effetto del sigillo era terminato, ed egli aveva potuto riacquistare il controllo dei movimenti, si era accasciato a terra, con la schiena contro gli antichi bassorilievi indiani, agitando le mani e portandole davanti al viso. Senza poterle più vedere. Per un attimo si era sentito perso, per un attimo aveva creduto davvero di impazzire, travolto dal dolore e dalle ferite. Ma poi aveva ricordato gli insegnamenti di Virgo, aveva sentito i cosmi di Andromeda, Tirtha e Pavit esplodere all’esterno, e si era convinto che vi fosse soltanto un modo per vincere quella battaglia. A fatica si era trascinato lungo i corridoi delle gallerie, salendo fino alla torre, ove aveva messo tutto il suo cosmo nello specchio, fornendo l’energia necessaria per completare il teletrasporto e riportare il suo maestro nella loro dimensione.

 

“Cavaliere di Virgo!” –Esclamò Andromeda, con le lacrime agli occhi, avvicinandosi ai due uomini, uniti in un abbraccio di affetto che non si erano mai concessi prima.

 

“È strano! Dopo aver conosciuto tuo fratello e voi Cavalieri dovrei essere abituato alle sorprese! Dovrei essere abituato al dubbio!” –Commentò Virgo, con voce triste. –“Eppure, c’è sempre qualcosa che manda in frantumi le mie certezze! C’è qualcosa che ancora riesce a stupirmi! L’irrazionale imprevedibilità umana!”

 

“Dhaval!!!” –Gridò Pavit, chinandosi sul corpo moribondo del Puro e osservando il suo volto deformato e sporco di sangue. –“Oh Dei delle stelle! Dhaval!!!”

 

“Non… temere…” –Balbettò Dhaval. –“Presto sarò con te! Presto sarò in te!” –Quindi allungò a fatica un braccio verso Andromeda, fino a sfiorare la sua mano, sforzandosi di sorridere. –“Hai visto, Cavaliere di Andromeda? Non c’è stato bisogno di scomodare Atena!”

 

“Siete stato ammirevole, nobile Dhaval! Avete portato a massimo compimento gli ideali di altruismo e generosità che vi hanno sempre sorretto!” –Pianse Andromeda. –“C’è così tanto da imparare dal vostro pensiero, e dai vostri gesti di nobiltà!”

 

“Non quanto io ho imparato oggi da te!” –Rispose Dhaval, citando le parole che Andromeda gli aveva rivolto ore prima. –“Quando si crede davvero in qualcosa, in un sogno che ci portiamo dentro da sempre, bisogna essere disposti a fare dei sacrifici, a perdere una parte di noi, affinché l’altra possa sopravvivere! E continuare la sua missione!”

 

“Il tuo ricordo non svanirà mai, allievo mio!” –Commentò Virgo, poggiando una mano, carica del suo cosmo dorato, sulle cavità degli occhi dell’uomo. Quando la tolse, pochi attimi dopo, Dhaval era spirato. –“Ti devo la vita! Ti devo tutto!” –Aggiunse il Cavaliere d’Oro, depositando a terra il corpo freddo dell’allievo. Lo osservò ancora un momento, prima di incamminarsi fuori dalla sala della torre, seguito da Andromeda, lasciando Pavit a piangere sul cadavere del compagno.

 

“Eravate molto simili!” –Esclamò il Cavaliere di Atena. –“Per quanto non volesse ammetterlo, Dhaval ti somigliava moltissimo! Fermo nei suoi propositi, difficilmente accettava intromissioni nel suo progetto di fede! Ma, come te, è stato pronto a dare la vita per qualcosa in cui credeva davvero! Aiutare gli altri!”

 

“Dici il vero, Cavaliere di Andromeda! E rabbrividisco all’idea di averlo scoperto soltanto adesso, quando tutto è ormai perduto!” –Commentò Virgo. –“Ho trascorso gli ultimi tre mesi in uno stato di trance, simile a quello che la medicina moderna definirebbe coma! Dopo aver esaurito le mie forze, per salvare Ioria e Castalia, ho osservato l’Isola dell’Apocalisse esplodere, ed io con essa, mentre mi preparavo per il grande balzo! Del resto, ero morto già una volta e non temevo di dover affrontare di nuovo il mio destino! Ma un attimo prima della fine, giunse a me, da lontano, una flebile luce, sufficiente per togliermi dal presente e proiettarmi verso un futuro incerto! In bilico tra due mondi, ho perso ogni cognizione, paralizzato in uno stato dove la coscienza non esisteva più. Poi, tutto ad un tratto, una nuova luce mi ha risvegliato, attirandomi a sé. Mi sono lasciato cullare e quando ho potuto aprire di nuovo gli occhi ho visto il corpo esanime di Dhaval crollare ai miei piedi. E allora ho capito!” –Affermò Virgo, fissando Andromeda con i suoi profondi occhi blu. –“Ho capito che persone che io avevo dimenticato, forse perché consideravo deboli o poco degne della mia attenzione, forse perché preso da questioni più importanti che non mantenere minimi rapporti umani, non hanno fatto lo stesso con me! E hanno dato la vita affinché io potessi continuare a combattere! Anche per loro!”

 

“Sono certo che lo hanno fatto col cuore!” –Commentò Andromeda, uscendo assieme a Virgo nel cortile occidentale di Angkor Wat, mentre il primo sole del mattino asiatico si affacciava timidamente alle loro spalle, proiettando sul giardino le ombre della devastazione di quella notte. Fosse nel terreno, muri crollati, macchie di sangue sparse sul suolo. –“Abbiamo trasformato questo luogo sacro in un campo da guerra!”

 

“In guerra molto deve essere sacrificato, Cavaliere di Andromeda, per poter porre l’ultima pietra del palazzo della pace! La pietra della fine!” –Esclamò pacato Virgo.

 

“E riusciremo mai a completare questo sogno?!” –Domandò Andromeda. Ma Virgo non rispose, volgendo lo sguardo verso il cortile. Un’ombra sfrecciò sul terreno di fronte a loro, proiettando la sagoma di un immenso uccello di fuoco.

 

“Un amico è venuto a farci visita!” –Sorrise, mentre una palla di fuoco esplodeva poco distante e un Cavaliere dalla scintillante Armatura Divina ne usciva fuori. Ikki di Phoenix aveva infine raggiunto Angkor.

 

“Fratello!!!” –Esclamò Andromeda, correndo verso di lui, felice di vederlo.

 

“Cos’è tutto questo macello?!” –Ironizzò Phoenix. –“Ero venuto per aiutarti Andromeda, ma a quanto pare non hai più bisogno di me!”

 

“Il mondo ha sempre bisogno di eroi che combattano per la libertà!” –Esclamò Virgo.

 

“Mi fa piacere rivederti, Custode della Porta Eterna!” –Affermò Phoenix, scambiandosi un deciso sguardo d’intesa con il Cavaliere d’Oro.

 

Andromeda raccontò in breve al fratello quanto accaduto nelle ultime ore, dalle rose di rabbia a Biliku, ai Capitani dell’Ombra e infine al ritorno di Virgo. Quindi rientrò nella torre sopra il sacrario centrale, lasciando Phoenix e il Cavaliere d’Oro a parlare tra loro e preoccupandosi di Pavit, il ragazzo dai capelli fulvi che lo aveva accolto con sincero affetto e che adesso era rimasto solo.

 

Lo trovò ancora disteso sul corpo di Dhaval, imbrattato di terra e di sangue, che non accennava a volersi rialzare, troppo sconvolto per il rapido e catastrofico succedersi degli eventi. Nelle ultime ore tutta la sua vita era cambiata e le persone con cui aveva vissuto per anni, condividendo gli stessi ideali, la stessa ansia esistenziale, erano scomparse. Cosa mi resta adesso? Si domandò Pavit, sollevando lo sguardo verso Andromeda, mentre ruscelli di lacrime gli rigavano il volto deformato.

 

Il Cavaliere di Andromeda allungò un braccio verso di lui, sfoderando un sorriso sincero, pieno di affetto, lo stesso che Pavit gli aveva dimostrato fin dal giorno prima. Titubante, il ragazzo afferrò la mano di Andromeda, stringendola con forza e tirandosi su. C’era ancora molto da fare, per rendere onore a Dhaval, per salvare Tirtha e per combattere per i loro ideali.

 

Neanche un’ora dopo il corpo di Dhaval il Puro ardeva sopra una pira di rami di alberi antichi, come lui stesso aveva sempre desiderato morire, mentre Pavit, ancora con il volto sporco di sangue e di fango, pregava davanti ad esso, inginocchiato e colpevole. Ma risoluto ad andare avanti.

 

Andromeda, Phoenix e il Cavaliere di Virgo assistettero silenziosi alla piccola cerimonia funebre e quando le fiamme iniziarono a scemare di intensità convennero che era il momento di andare. Di ritornare al Grande Tempio. Andromeda appoggiò una mano sulla spalla di Pavit, pregandolo di alzarsi e di preparare le sue cose. Anche lui sarebbe andato ad Atene con loro.

 

“Non avrei mai pensato di trovarmi di fronte altri discepoli di Virgo!” –Disse Phoenix, tirando un’occhiata a Pavit, che rientrata dentro Angkor per l’ultima volta. –“Né, ammetto, di ritrovarmi di fronte a te!”

 

“Non mi sono mai dedicato a loro con passione, Cavaliere di Phoenix!” –Rispose Virgo, con voce pacata e inflessibile. –“Credevo che il culto del migliore fosse l’unica strategia perseguibile e che degli altri non valesse la pena prendersi cura!”

 

“Ma loro, a quanto pare, si sono presi cura di te, anche a distanza di anni!”

 

“Ciò rasserena e rattrista il mio cuore al tempo stesso!” –Commentò Virgo, aprendo gli occhi di scatto e voltandosi verso Phoenix. –“Ma onorerò il debito che ho con loro! Questa è una promessa! Tirtha sarà salva!” –Phoenix annuì senza dire niente, mentre Pavit usciva nuovamente da Angkor, avvicinandosi ad Andromeda, ma quella, a lui, non sembrò affatto una promessa. Ma una somma verità.

 

Il caldo cosmo del Cavaliere della Vergine avvolse i quattro compagni, schiudendosi come un fiore di loto, prima che le porte dello spaziotempo vibrassero ed essi ne venissero risucchiati. Prima di lasciare Angkor, prima di dare l’ultimo addio al sacro tempio Khmer, Andromeda sospirò, chiedendosi dove fossero i suoi amici, chiedendosi cosa stessero facendo Cristal, Pegasus e Dragone.

 

In quello stesso momento Cristal il Cigno fissava il fuoco nel grande salone della cittadella di Midgard, lo stesso dove aveva fatto colazione quasi un giorno prima con Flare. Avvolta in calde coperte, la Principessa era rannicchiata su una poltrona, poco distante da lui, con il volto medicato per le ferite subite e una fasciatura attorno alla mano, che Livyatan le aveva strattonato. Entrambi in silenzio, come se fossero soli.

 

“Cavaliere!” –Esclamò Flare infine, facendo voltare Cristal verso di lei. Ma non fece in tempo ad aggiungere altro che le porte della grande sala si aprirono e Ilda di Polaris ne entrò, camminando stanca verso di loro, seguita dal Principe Alexer, che osservava le condizioni della donna, pregandola di non affaticarsi.

 

“Ilda, sorella mia! Come stai? E come sta Bard?” –Si agitò Flare, correndo verso la Celebrante e prendendola per mano, per condurla verso una morbida poltrona.

 

“Sto bene, Flare, non preoccuparti! Ben di peggio hanno sopportato gli uomini del Nord e i Cavalieri preposti alla nostra difesa!” –Commentò Ilda, accennando uno scarno sorriso. –“E anche i Cavalieri non soggetti a vincolo alcuno nei nostri confronti!” –Aggiunse, tirando un’occhiata verso il Cavaliere del Cigno.

 

“Per qualunque problema, saremo qua a difendere Asgard e la sua Celebrante!” –Affermò prontamente Cristal, mentre Alexer, dietro la donna, annuiva con orgoglio.

 

“Non è della Celebrante che dovete preoccuparvi, ma del popolo! Delle genti libere! L’ombra che sta oscurando il mondo, quanto spazio lascerà ancora alla luce?” –Sospirò Ilda. –“La vedo da giorni ormai, forse da mesi! È in ogni sogno a cui mi abbandono, in ogni visione che scorre davanti ai miei occhi! Un inverno immenso che sembra non avere mai fine!”

 

“Un inverno immenso?!” –Ripeté il Principe Alexer, con aria preoccupata.

 

“Voi sapete a cosa mi riferisco, Principe Alexer! E temo che il crepuscolo degli Dei non sia affatto lontano!” –Commentò Ilda, accasciandosi sulla poltrona, di fronte allo sguardo apprensivo di Flare. –“Bard comunque sta bene! La sua temperatura corporea era bassissima, a causa della permanenza nelle acque del Mare Artico, e numerose ustioni stridevano sulla sua pelle! Ma un allievo di Orion non poteva mollare così, doveva essere forte come il suo predecessore! Si salverà, ne sono certa! Ha solo bisogno di cure e di molto riposo!”

 

“Oh, sia lodato Odino!” –Sospirò Flare.

 

“Adesso riposa in un letto nell’ala orientale del palazzo e quando si sveglierà, e potrà camminare di nuovo, sarà nominato membro della guardia della Cittadella, per il valore e l’abnegazione che ha dimostrato!”

 

“Sarà un onore per il giovane Bard ricevere questa nomina!” –Commentò Alexer, ma Ilda lo interruppe.

 

“Sarà un onore per Asgard avere un simile difensore alle sue porte!”

 

Cristal annuì in silenzio, senza aggiungere altro, ancora avvolto nei suoi pensieri. Gli stessi che gli ronzavano in testa da quando Alexer gli aveva confessato di essere il maestro di Acquarius. Indirettamente, Cristal sorrise, era stato anche il suo maestro. E forse era per questo che si sentiva così legato a lui. Alexer intuì i pensieri del ragazzo e gli rivolse uno sguardo di assenso, prima di inginocchiarsi di fronte alla Regina e alla Principessa di Midgard, congedandosi da loro.

 

“Spero che potremo incontrarci di nuovo in occasioni più felici!” –Commentò. –“Purtroppo la guerra, pur con la sua scia di morti, è sempre un momento in cui i vicini lontani tendono a ritrovarsi! Vicini che dovrebbero comunque non allontanarsi mai!” –E lanciò un ultimo sguardo a Ilda, prima di avvolgersi nel suo mantello azzurro e incamminarsi verso l’uscita del Salone del Fuoco.

 

Cristal lo seguì poco dopo, accomiatandosi da Ilda e Flare, con un certo dispiacere. Aveva trascorso qualche mese ad Asgard, e la considerava ormai come la sua terza casa, dopo il villaggio di Kobotec in Siberia e Villa Thule a Nuova Luxor. Ma aveva bisogno di informazioni, prima di partire per la Grecia e scendere di nuovo sul campo di battaglia.

 

“Sii prudente!” –Mormorò Flare, stringendolo in un abbraccio che avrebbe voluto non finisse mai.

 

“Lo sarò!” –Rispose lui con decisione. –“Siatelo anche voi!” –Aggiunse, fissando poi Ilda e andandosene.

 

Alexer lo aspettava nel piazzale fuori dal Palazzo, proprio dove Cristal e i suoi compagni avevano affrontato Orion l’anno prima. Avvolto nel suo lungo mantello, con l’Armatura d’azzurro lucente che risplendeva nella fredda notte artica, Alexer sembrava davvero un Dio, uno degli antichi eroi della stirpe degli Asi che aveva lottato contro le forze primordiali nel Mondo Antico.

 

“Alexer!” –Esordì Cristal, affiancando il Principe, intento ad osservare la fredda notte artica. –“Permettimi di ringraziarti! Due volte sei intervenuto in mio aiuto e…”

 

“Non hai motivo di ringraziarmi! Sei l’allievo dell’uomo che il mio allievo insignì del titolo di Maestro dei Ghiacci! Tra noi c’è un legame profondo, Cristal, un legame che ci rende anelli congiunti della stessa catena!” –Esclamò Alexer.

 

“Hai dunque insegnato tu al Cavaliere di Acquarius?” –Domandò infine Cristal.

 

“Camus!” –Sorrise Alexer. –“Questo era il suo nome, anche se non amava farsi chiamare così! Gli ricordava un passato che avrebbe voluto cancellare! Un passato in cui era stato debole, una vittima delle emozioni, proprio come lo sei stato tu! Eravate in fondo più simili di quanto entrambi abbiate mai creduto!” –Disse Alexer, raccontando in breve la vita di Acquarius a Cristal, che pendeva interessato dalle sue labbra. –“Era nato in Francia, da Celine, la figlia di un commediografo! Una famiglia borghese caduta in rovina nel secondo Dopoguerra! Così sua madre aveva deciso di tentare fortuna all’estero, trasferendosi in Scandinavia, ma durante la traversata la nave su cui viaggiavano affondò e la donna morì! A quanto pare la storia si ripete!” –Commentò il Principe, accennando un sorriso.

 

“Lo trovai per caso, in un porto del Mare del Nord, e vidi nei suoi occhi una ferma determinazione! La stessa che nei primi anni d’addestramento mosse i suoi passi, la stessa che lo sorresse nel fallito tentativo di recuperare la nave dove era morta sua madre! Crescendo, Acquarius capì che non si poteva riportare indietro le lancette del tempo, che ciò che era stato doveva essere consegnato alla storia e che egli poteva soltanto ripromettersi di essere forte in futuro, per non lasciare che le sue emozioni lo turbassero! Da quel momento dedicò anima e corpo al suo allenamento, diventando degno del rango di Cavaliere d’Oro. Addestrò un allievo e lo nominò Maestro dei Ghiacci, impressionato dall’abilità tecnica che aveva dimostrato, ma per quanto forte e valoroso il Cavaliere d’Argento della Corona Boreale non aveva fatto breccia nel suo cuore! Così rimase ad osservarlo da lontano, mentre addestrava due nuovi allievi, sperando che in uno di essi vi fosse l’erede che aveva cercato, l’uomo che sarebbe dovuto divenire il futuro Signore dei Ghiacci Eterni, un uomo talmente privo di emozioni da risultare freddo e gelido in battaglia!”

 

“Immagino la delusione quando si rese conto che ero ben lungi dall’esserlo!” –Commentò Cristal.

 

“Le delusioni maturano quando matura una forte aspettativa, Cavaliere del Cigno! E Acquarius forse aveva preteso troppo da te, come troppo aveva chiesto alle sue forze quando, neanche undicenne, si era gettato nel Mare del Nord alla ricerca della nave della madre!” –Precisò Alexer. –“Ciò non toglie che sia stato un ottimo Cavaliere, il miglior allievo che abbia mai potuto chiedere! E per rispetto a lui, che in te tanto aveva creduto, e al Maestro dei Ghiacci, vittima di una guerra che non avrebbe dovuto essere combattuta, io ti ho aiutato! Anche se, ne sono certo, avresti comunque ottenuto la vittoria! Acquarius ha fatto molto per te, forse più di quanto io ho fatto per lui, poiché ti ha fatto crescere e diventare uomo, anche se a caro prezzo! Del resto, egli ti amava e odiava al tempo stesso, così simile a com’era stato lui, così umano!”

 

“Ad Acquarius e al Maestro dei Ghiacci devo tutto! Così pure al mio amico Abadir!” –Sospirò Cristal, con gli occhi umidi pensiero dei suoi cari.

 

“Ricordali Cristal! Ricorda sempre i tuoi affetti, e portali con te! Stringili al petto, come stringi la Croce del Nord che Natassia ti donò! Ma non disperare per la loro sorte, poiché adesso sono in pace e ti assistono dal Paradiso dei Cavalieri! Trova nel ricordo di quegli uomini valorosi la forza per andare avanti!” –Affermò Alexer, poggiando entrambe le mani sulle spalle di Cristal e fissandolo con i suoi occhi di ghiaccio. –“Per vivere anche per loro!”

 

“Lo farò!” –Rispose il Cigno. –“Già una volta mi promisi di saper essere Cavaliere anche tra ricordi e tristi rimpianti, e non rinnegherò mai quel giuramento!”

 

“Le responsabilità di un’epoca intera gravano sulle tue spalle, come su quelle di tutti noi preposti a vivere questo scorcio di secolo!” –Commentò Alexer, allontanandosi e abbandonandosi a un sospiro, che lo fece apparire per un momento vecchio e stanco, agli occhi del Cigno. –“In un tempo non lontano combatteremo nuovamente fianco a fianco Cristal, contro la grande ombra che copre già i confini meridionali dell’Europa! Nell’attesa torna al Grande Tempio, per riunirti con i tuoi compagni! Essi sono la forza del tuo presente!”

 

“Alexer! Aspetta!” –Esclamò Cristal, correndo verso il Principe, il cui corpo già risplendeva di luce azzurra. –“Ci sono ancora tante cose che vorrei sapere, tante cose che vorrei chiederti, su Acquarius, sul Maestro dei Ghiacci, su di te!”

 

“Siamo guerrieri, prima ancora che uomini, Cavaliere del Cigno! E il nostro destino è la guerra! Soltanto in seguito, se gli Dei lo vorranno, potremo abbandonarci alle chiacchiere da focolare!” –Commentò Alexer, scomparendo. Non voleva affatto essere brusco con Cristal, ma vi erano esigenze in quel momento che non poteva assolutamente sottovalutare. Una necessità di azione che si faceva sempre più impellente. Chiuse gli occhi, avvolgendosi nel freddo cosmo azzurro, e cercò nel cuore la strada verso Avalon.

 

Il gelo di Asgard Flegias se lo sentì nelle ossa, quando una ventata d’aria fredda smosse le fiamme del braciere al centro della caverna sotterranea, non troppo distante dal trono di amianto, su cui era comodamente assiso. Una figura ammantata di nero apparve proprio di là dal fuoco, stupendo Orochi, il Capitano dell’Ombra rimasto di guardia poco distante.

 

“Un nemico?!” –Brontolò il gigantesco guerriero, lanciandosi contro l’imprevisto ospite, al quale bastò volgere il palmo della mano destra verso di lui per fermare i suoi movimenti e scaraventarlo contro una parete laterale, stordendolo.

 

“Vuoi obbligarmi a ristrutturare la mia dimora?” –Ironizzò Flegias, divertito comunque nel vedere Orochi lanciato a gambe all’aria.

 

“Perdona i miei modi bruschi, oh Rosso Fuoco, ma il tempo di tergiversare è ormai finito! Dopo aver atteso secoli, ammetto di essere per la prima volta di fretta!” –Esclamò la figura ammantata, avvicinandosi al Maestro di Ombre e lasciando che le fiamme del braciere rischiarassero un viso che Flegias ben conosceva.

 

“Benvenuto sull’Isola delle Ombre, possente Loky, Dio dell’Inganno!” –Esclamò Flegias, alzandosi dal trono e scuotendo l’elegante martello color porpora. –“Vuoi dunque assistere con me all’avanzata della grande ombra? Le fiamme di questo braciere, maledette dal sangue che quest’oggi ho versato, mi mostreranno i risultati dell’Esercito di Ombre, una macchina bellica che nessuno sarà in grado di fermare!”

 

“Non sapevo che tu possedessi la Vista!” –Commentò Loky, sinceramente stupito.

 

“Vi sono molte cose che non sai di me, Loky! Ma non è mai stato un ostacolo nella nostra alleanza!”

 

“Né lo sarà adesso!” –Precisò Loky. –“Spero anche che tu sappia che il Principe Alexer in persona si è mosso! Ha abbandonato la Valle di Cristallo, correndo in aiuto della Celebrante di Odino a Midgard e vincendo il Leviatano, su cui tanto riponevo fiducia! Pregustavo già di vedere la Cittadella crollare sotto i colpi di tale brutalità!”

 

“Ne sono al corrente, Loky! E so anche dove è diretto!” –Commentò Flegias, stringendo con forza l’impugnatura della Spada Infuocata che pendeva alla sua cintura. –“Nella culla ove da millenni tentano di impedire l’avvento dell’oscurità! Gelosi del loro potere, arroccati nel loro integralismo conservatore, rifiutano di dare al Dio la possibilità di cambiare il mondo che lui stesso plasmò!”

 

“Se ne sei al corrente allora il mio compito di informatore è finito! Tornerò ad Asgard ad occuparmi dei miei affari, e dubito che ci rivedremo figlio di Ares!” –Tagliò corto Loky, a cui i farneticanti vaneggiamenti di Flegias non molto interessavano.

 

“Ne dubito anch’io! Ma non chiamarmi più con quell’epiteto! Lo disprezzo! Mi ricorda i fallimenti di un Dio che si è proclamato grande ma che non è stato capace neppure di chiudere il suo pugno!” –Sbottò Flegias.

 

“Che la sua sorte non segni anche il tuo cammino!” –Mormorò Loky, facendo cenno di andarsene.

 

“Tsè! Uccello del malaugurio!” –Borbottò Flegias, osservando il Dio nordico dell’Inganno scomparire dalla caverna sotterranea, lasciando dietro di sé soltanto una scia di nervosismo. Con rabbia, Flegias gettò un altro pezzo di uomo nel grande braciere, osservando le fiamme nere deliziarsi di quel gustoso aperitivo. I resti dei corpi dei Cavalieri Celesti massacrati poche ore prima.

 

Quindi si incamminò verso i sotterranei, addentrandosi fino alla base dell’immensa fornace ove Athanor aveva installato il suo laboratorio, sorprendendo l’Alchimista oscuro a lucidare un oggetto che fece subito infiammare i suoi occhi di brace.

 

“Quale dono migliore per il futuro Imperatore delle Ombre?!” –Ironizzò Flegias, avvicinandosi all’uomo, che subito si prostrò ai suoi piedi, sollevando con ambo le mani una corona di oro nero, dalle forme terribili e sublimi. La afferrò avidamente, rimirando il suo ghigno sulla limpida superficie, e poi si incoronò da solo, fiero del suo trionfo.

 

“La considero la mia opera più riuscita, mio Signore! L’ultima creazione di cui vi faccio dono!” –Mormorò Athanor, rimettendosi lentamente in piedi.

 

“L’ultima creazione, sì! Hai detto bene, servo!” –Sibilò Flegias, con un ghigno sadico. –“Perché adesso il tuo compito è finito! Hai fatto ciò che volevo, ciò che ti aveva permesso di continuare ad alitare, e ora posso congedarti!” –E allungò il braccio destro afferrando la testa di Athanor, stringendola con forza tra le dita robuste e cariche di fiamme nere, mentre l’Alchimista si dimenava per liberarsi dalla morsa.

 

“Mio Signore, no!!! Posso fare ancora molto!!! Posso essere ancora utile…” –Strillò Athanor, mentre la presa delle dita di Flegias stringeva sempre di più, sfondandogli il cranio e infiammando le sue interiora, fino a carbonizzarlo dall’interno.

 

Flegias scoppiò a ridere, sghignazzando come un pazzo, nell’udire le tremende grida dell’Alchimista Oscuro, che risuonarono per tutti i sotterranei, generando terrore negli schiavi ancora presenti. Con rabbia, Flegias scaraventò Athanor nell’immensa fornace, restando ad osservare il suo corpo ardere nel fuoco nero che lui stesso aveva contribuito ad accendere. Il fuoco purificatore che avrebbe mondato la Terra.

 

“Il tempo della rabbia è finito! È iniziata l’era dell’ombra!” –Sentenziò Flegias.

 

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Capitolo 21
*** Veleni ***


CAPITOLO DICIANNOVESIMO: VELENI

CAPITOLO DICIANNOVESIMO: VELENI.

 

L’Isola del Sole è un’isola situata nella parte meridionale del lago Titicaca, vicino alle coste della Bolivia, lungo la Cordigliera delle Ande a 3800 metri di altezza. Nel cuore della leggenda e della storia dell’impero Inca. Narra infatti il mito che Manco Capac, il primo imperatore Inca, e sua moglie Mama Ocllo, figli di Inti, Dea del Sole, uscirono dalle acque di quel lago per fondare la città di Cuzco, da cui avrebbe avuto origine l’Impero Inca.

 

Per molti erano soltanto favole, ricordi sbiaditi destinati a perdersi nel vortice del tempo. Ma per Andrei, che aveva trascorso anni ad Isla del Sol, cibandosi di quello sconfinato patrimonio culturale, era molto di più. Era storia, era Mito. Ed erano gli insegnamenti che aveva tramandato al suo allievo, il Cavaliere delle Stelle che era stato preposto ad addestrare sulle rive del lago Titicaca, imbevendosi dei ricordi degli avi che lo avevano preceduto, e da cui orgogliosamente discendeva.

 

Seduto a gambe conserte, nell’alto tempio dedicato a Inti, Dea del Sole, Andrei ascoltava il frusciare del vento di quella mattina, che increspava la superficie del lago generando onde che si abbattevano alla base dei terrazzamenti delle colline dell’isola. In un moto continuo, a tratti perverso, ma mai uguale. Come era la Storia per lui. Non quella da imparare sui manuali scolastici o sui polverosi testi del Mondo Antico, bensì quella da vivere, da sentire sulla propria pelle.

 

“Maestro!” –Lo disturbò una voce, mentre la snella sagoma di un ragazzo appariva all’ingresso del Tempio, proiettando la sua ombra sulla sala dove Andrei stava meditando. –“È ora che vada!” –Andrei aprì gli occhi e osservò Jonathan avvicinarsi.

 

Alto e ben fatto, con capelli biondissimi che il vento muoveva nell’alba andina, il Cavaliere delle Stelle indossava la sua lucente Armatura, dalle forme aerodinamiche, i cui riflessi parevano cambiare ad ogni movimento del giovane, come se il sole lo seguisse e non volesse lasciarlo andare senza cedergli qualcosa di sé. In mano stringeva un lungo bastone dorato, in cima al quale splendeva un fiore ornato al centro da una gemma bianca: lo Scettro d’Oro.

 

Andrei si limitò ad annuire, alzandosi in piedi. Nonostante fosse un individualista e preferisse agire da solo, senza dover rendere conto a nessuno, era consapevole che quella volta non potevano esserci imprese solitarie, ma un’unica azione, coordinata a livello centrale. Un’unica mossa per arginare la marea d’ombra.

 

In passato non s’era fatto problemi ad intervenire autonomamente, anche senza attendere ordini da Avalon, incapace di lasciar trascorrere il tempo senza far niente, incapace di perdersi in troppe riflessioni. Andrei era un uomo d’azione, che soffriva nel rimanere inerme ad osservare i pezzi del mosaico andare a posto uno dopo l’altro, con una lentezza che gli pareva disarmante. Lui avrebbe composto subito l’immagine completa, anche a scapito della qualità. Per questo aveva esercitato pressioni su Avalon, affinché gli concedesse maggiori spazi di manovra, desideroso di confrontarsi con la causa primaria del dolore che aveva provato. Il demone intriso di fuoco e di ombra che stava conducendo il mondo verso l’apocalisse.

 

Quello stesso maledetto demone che negli ultimi anni aveva assunto identità diverse, cercando di sollevare i sopiti rancori del mondo, asservendoli alla causa dell’ombra. Seth, Apopi, Atene, Angkor, Loky, Crono, Ares, Tifone, tutti erano stati usati. Flegias non aveva risparmiato niente e nessuno, disposto a vendere persino l’anima pur di perseguire l’obiettivo finale. E Andrei aveva con lui un conto in sospeso, per qualcosa che lo aveva toccato da vicino. Il Rosso Fuoco infatti, nella sua disperata ricerca, aveva appiccato violenti incendi sia al tempio dedicato a Inti, a Isla del Sol, sia a Cuzco, sterminando sacerdoti e fedeli, senza trovare alcun talismano antico. Perché non aveva saputo cercare. O, come Avalon amava spesso ripetere ad Andrei e ai Cavalieri delle Stelle, perché non sapeva esattamente cosa cercare.

 

La soddisfazione per il fallimento di Flegias non aveva lavato le lacrime di Andrei, per la morte dei Sacerdoti e dei fedeli che ancora continuavano ad adorare Inti e il Sole, quegli stessi fedeli che anni addietro lo avevano accolto come un Dio, invocando la sua benevola protezione. E proprio quel rancore lo aveva portato a disobbedire agli ordini di Avalon, abbandonando Isla del Sol e scendendo per la prima volta in guerra.


Andrei sospirò, ricordando la devastazione apertasi davanti ai suoi occhi mesi prima, quando era apparso tra le fiamme di Angkor, in una macabra notte di guerra. Mura crollate, templi sfregiati e un gruppo di superstiti rannicchiati sotto i bassorilievi del Kurma, vittime innocenti della violenza di un diavolo. Flegias era in mezzo alle fiamme e lo fissava con aria di sfida, né sorpreso né intimorito dalla sua apparizione.

 

“Questa spirale di violenza deve terminare!” –Aveva esclamato Andrei, mostrandosi ai tre discepoli di Virgo sopravvissuti, rivestito dalla sua splendida Armatura di fuoco. –“Gli Dei e gli uomini che hai oltraggiato, disonorando i loro culti e i templi a loro dedicati, scateneranno una tremenda vendetta su di te!”

 

“Né gli Dei né gli uomini potranno mai sfiorare l’araldo della grande ombra! Le loro effimere vite sono un niente paragonato all’abisso oscuro che si sta aprendo! Un niente di fronte all’eternità!” –Aveva sibilato Flegias, avvolto nel suo cosmo di fiamme e ombra. –“E tu, e il marionettista codardo che tiene i fili di questa sporca commedia, nascosto tra le nebbie di un’isola dimenticata, scomparirete con loro!”

 

“Se anche accadrà, saremo vissuti comunque per fermarti, Flagello di Uomini e Dei!” –Aveva esclamato Andrei, cercando di non tradire l’ira montante. Aveva espanso il cosmo, avvolgendosi in un turbine di fiamme rosse e lucenti, e lo aveva scatenato contro Flegias con un semplice gesto della mano. –“Aurora infuocata!!! Risplendi!”

 

Apocalisse Divina!!!” –Aveva ringhiato Flegias in tutta risposta, generando una tempesta di energia che si era schiantata contro l’attacco infuocato di Andrei, scagliando entrambi indietro e distruggendo parte della galleria orientale di Angkor.

 

Quando Andrei si era rimesso in piedi, usando i suoi poteri per controllare le fiamme circostanti e abbassarle d’intensità, Flegias era già scomparso. Nuovamente lo aveva perso. Aveva sospirato, incamminandosi verso i tre uomini superstiti, rannicchiati e feriti, e li aveva pregati di essere forti e non perdere la speranza. Quindi, aveva invaso l’intero tempio con il suo cosmo, mondando le fiamme dalla loro oscurità, ed era scomparso, portandole via con sé e liberando Angkor dalla maledizione di Flegias.

 

“Mai come in questo momento la frase di Esopo sembra acquistare una nuova luce!” –Commentò Andrei, salutando Jonathan. –“Se davvero l’unione fa la forza, allora avremo qualche speranza di vittoria!”

 

Jonathan annuì alle parole del maestro, volgendogli le spalle e uscendo nella fresca alba andina. Dall’alto del Tempio di Inti il lago Titicaca risplendeva come una chiazza d’oro, e Jonathan ritenne fosse di buon auspicio. Raggiunse il portale, ai piedi della scalinata, e si fermò sotto l’arco di pietra, sentendo su di sé secoli di storia e di mito. Sorrise, stringendo i pugni e pensando ai compagni che avrebbe rivisto tra poco. Reis, Febo e Marins erano già pronti. Soltanto il Comandante Ascanio era ancora impegnato sull’Olimpo.

 

Il Comandante dell’Ultima Legione era infatti rientrato sul Monte Sacro, sorreggendo il corpo debole di Phantom dell’Eridano Celeste e portando con loro anche Matthew, il giovane schiavo che era riuscito a liberarsi dall’inferno dell’Isola delle Ombre. Ma non li accolsero né squilli di trombe né corone di alloro, soltanto la silenziosa solitudine dell’Olimpo, interrotta saltuariamente dalle urla di dolore di Zeus, disteso sul letto nelle sue stanze, sotto le amorose cure di Era e delle ancelle.

 

“Che tristezza!” –Mormorò Ascanio, guardandosi attorno e notando le vuote sale della Reggia Olimpica, dove ormai non era rimasto neanche un Cavaliere, né una Divinità, tutti massacrati dalla guerra che nell’ultimo anno aveva imperato.

 

E ripensò a quando, quasi quindici anni prima, vi era giunto, recuperato da Ermes ad Atene e salvato dall’assalto dell’Esercito del Sole Nero. Quel giorno era rimasto estasiato, ad osservare lo splendore del Monte Sacro, la lucentezza del suo cielo, l’incanto dei suoi giardini. Tutto gli era parso fosse fatto di luce. Tutto gli era parso fosse colmo di mito e di storia. Adesso, dei bei marmi scolpiti, delle legioni di Cavalieri che marciavano di fronte alla Reggia del Fulmine, e della pacata ma ferma autorevolezza di Zeus, non era rimasto niente. Soltanto Ganimede, il coppiere degli Dei, che sorrideva loro stancamente, al centro del grande salone.

 

“Temevo che non vi avrei rivisto mai più!” –Commentò il giovane, avvicinandosi.

 

“I tuoi timori erano ben fondati, coppiere degli Dei!” –Esclamò Ascanio, pregandolo di occuparsi di Phantom, che necessitava di cure immediate. Gli presentò pure Matthew, anch’egli bisognoso di assistenza e di qualcosa da mangiare, per rimettersi in forze. –“Poi ti condurremo ad Atene, al cospetto della Dea tua Signora! Adesso devo assolutamente incontrare Zeus!”

 

“Sii forte!” –Mormorò Ganimede, mettendo un braccio di Phantom sulle sue spalle e aiutandolo a stare in piedi. –“Lo troverai molto diverso dall’ultima volta in cui l’hai visto! Forse più vecchio, sicuramente più debole!” –Aggiunse con tono inquietante, prima di allontanarsi verso le stanze del Dio del Fulmine.

 

Ascanio sospirò, avendo intuito a cosa Ganimede si riferisse. Aveva avvertito da subito, fin da quando aveva messo piede sull’Olimpo, che qualcosa era in atto. Qualcosa di oscuro stava prosciugando lo splendore del Sacro Monte e del suo Signore. Senza perdere altro tempo, si incamminò verso le stanze private di Zeus, bussando con forza al portone.

 

Fu una voce di donna a rispondergli e ad autorizzarlo ad entrare. Era, Regina degli Dei, consorte del Signore del Fulmine, sedeva sul letto accanto a Zeus, disteso sotto lenzuola di seta, con il viso rivolto al soffitto. Verso gli splendidi affreschi delle sue imprese mitologiche, realizzati da Apollo secoli addietro. Attorno al letto, sempre pronte per esaudire ogni desiderio del Dio, alcune ancelle si affaccendavano operose.

 

“Mio Signore!” –Esclamò Ascanio, avvicinandosi al letto.

 

“Oh Ascanio! Sei tornato!” –Mormorò Era, con voce strozzata dal dolore. –“Ha chiesto spesso di te!”

 

“Cosa è successo?” –Domandò il Comandante dell’Ultima Legione, osservando il volto pallido del Dio, su cui vistosi spuntavano i segni di una vecchiaia che non aveva mai dimostrato. –“Che ne è del cosmo del Signore di tutti gli Dei?”

 

“Svanito!” –Sentenziò Zeus, con un filo di voce. Senza neanche muovere lo sguardo verso Ascanio. –“Sommerso da una tenebra senza fine che mi ha divorato l’animo!”

 

“Non cedete, mio Signore!” –Esclamò Ascanio. –“Voi siete l’esempio, l’orgoglio di tutti noi Cavalieri Celesti! E siete anche la guida di uomini e di Dei che confidano nella benigna potenza delle stelle!”

 

“Vorrei esserlo davvero, Ascanio!” –Borbottò Zeus, cercando di sollevarsi, di appoggiare la schiena al mucchio di cuscini, prontamente aiutato da Era e da alcune ancelle. –“Ma non so quale maledizione ha deciso di ridurmi così! Guarda le mie mani, guarda la grinzosa pelle che ricopre ossa che sento sempre più deboli! Per la prima volta percepisco il peso dell’età, il peso del tempo che non ho mai sostenuto!”

 

“Cosa posso fare, mio Signore? Ci sarà una cura, un antidoto, una soluzione qualsiasi!” –Incalzò Ascanio. –“Non possiamo cedere adesso! La lotta contro l’ombra richiede l’unione di tutti noi, uomini e Dei, e voi dovete prenderne la guida!”

 

“Te ne occuperai tu, Ascanio! Tu, assieme al mio Luogotenente! Sarete il braccio che non riesco più a muovere, il braccio che coordinerà i Cavalieri Celesti in vece mia!” –Disse Zeus, tossendo più volte. –“Quanto alla cura… io non ho veramente idea di cosa mi stia succedendo…”

 

“Mio Signore!” –Confessò Ascanio con voce rigida, ergendosi come un soldato. –“Il Luogotenente dell’Olimpo riposa adesso nelle stanze di Asclepio, gravemente ferito durante l’assalto all’Isola delle Ombre! La Dea Artemide è caduta, massacrata dal figlio di Ares, e con lei sono caduti tutti i Cavalieri Celesti! Soltanto Phantom ed io siamo riusciti a scampare a tale atroce massacro!”

 

Zeus volse di scatto lo sguardo verso Ascanio, quasi non credesse alle sue parole. Non aveva sentito niente, neppure percepito lo spegnersi dei cosmi dei suoi Cavalieri, e questo lo fece avvampare di rabbia, oltre che di dolore. Per un momento, ad Ascanio sembrò quasi di vedere gli occhi argentei del Signore del Fulmine tingersi di lacrime, prima che crollasse contro i cuscini, respirando a fatica.

 

“È dunque la fine per tutti noi?” –Mormorò Zeus.

 

“Marito mio, riposa adesso! Parlerai più tardi con Ascanio!” –Intervenne allora Era. –“E voi, ancelle, aiutate Ganimede a prendersi cura del Luogotenente dell’Olimpo!”

 

“Subito, Regina!” –Risposero in coro le ancelle, accomiatandosi poco dopo.

 

Ascanio le seguì con lo sguardo fino al portone della stanza, attirando i loro sorrisi audaci, da sempre ammaliate dai fisici scultorei dei Cavalieri Celesti. Ne conosceva un paio, che aveva visto altre volte, ma non aveva mai dato loro molta importanza, impegnato com’era sempre stato con questioni di sicurezza molto più importanti. Soltanto una attirò la sua attenzione, l’ultima della fila. Forse per il seno abbondante e la veste leggera, che lasciava intravedere due splendide gambe, forse per gli occhi piccoli e neri che parevano leggergli nell’anima, o forse perché, per un momento, gli parve di percepire un baluginare di cosmo proveniente proprio da lei. Scosse la testa, per non pensarci più, e riportò lo sguardo su Zeus.

 

“Non possiamo tardare, mio Signore! Il futuro della Terra, e dell’Olimpo, sarà deciso a breve!” –Esclamò. –“E per quanto mi dolga di dovervi strappare all’abbraccio della vostra sposa, credo che il Dio del Fulmine dovrebbe essere sul campo di battaglia e non disteso sul letto di morte!”

 

“Ma Ascanio!!!” –Brontolò subito Era, per quanto Zeus le fece cenno di tacere. –“Zeus è debole, si regge a malapena in piedi! E tu vorresti mandarlo a combattere? Sarebbe la fine del Signore dell’Olimpo! Una fine ingloriosa e immeritevole!”

 

“E credete davvero che restando qua, avvolti negli ultimi resti delle nuvole del Mondo Antico, la fine non ci coglierà comunque?” –Mormorò Ascanio, abbandonandosi a un sospiro. Si avvicinò alla vetrata del lato sud, lasciando correre lo sguardo lungo le vallate dell’Olimpo, fino a perdersi nel mare lontano. Un mare che in quel momento sembrava ribollire di fiamme nere.

 

Anche Phantom dell’Eridano Celeste stava fissando quel mare, dai vetri della stanza dedicata ad Asclepio. Ganimede lo aveva disteso su un letto, spogliandolo dai resti insanguinati della sua armatura, e stava medicando le sue ferite, mentre Matthew riposava poco distante, sprofondato dopo pochi minuti in un sonno quasi innaturale.

 

“Non so da quanto tempo quel ragazzo non chiudesse gli occhi, ma spero che sull’Olimpo riesca a curare le sue ferite! Quelle esteriori per lo meno!” –Commentò Ganimede.

 

“Quelle che ci portiamo dentro non si chiuderanno mai!” –Mormorò stanco il Luogotenente dell’Olimpo.

 

Proprio in quel momento entrarono le ancelle inviate da Era per portare aiuto a Ganimede e subito si affaccendarono con solerzia attorno al corpo del bel Luogotenente, non lesinando sorrisi e sguardi ammiccanti.

 

“Non tutti i mali vengono per nuocere, in fondo, no?” –Scherzò Ganimede, alzandosi dal letto e uscendo poco dopo dalla stanza, strizzando un occhio alle ancelle. –“Lascio a voi il posto, per tornare da Zeus, ma vedete di non stancarlo troppo!”

 

Le ragazze sorrisero, scivolando sulle lenzuola lungo il corpo del Luogotenente, che chiuse per un momento gli occhi, lasciando alle dolci mani femminili il compito di pulire le sue ferite, con le erbe e gli unguenti di Asclepio. Per un momento Phantom si sentì sollevato, quasi elettrizzato da quella situazione. Ma era troppo stanco per tutto, anche solo per guardare i bei visi delle ancelle di Zeus, le stesse con cui il Dio amava sollazzarsi nelle sue notti brave. Chiuse gli occhi e si lasciò cullare da una profonda cantilena, quasi una nenia, che sembrò dissipare per un momento il velo di tenebra che lo aveva avvolto.

 

La sua mente lasciò l’Olimpo, perdendosi nei polverosi sentieri della memoria, ritrovandosi bambino, a correre dietro ai greggi di pecore allevate da suo padre Deucalione, lungo le pendici meridionali del Monte Sacro. Ai tempi in cui ancora lo chiamavano Nikolaos, nome scelto da sua madre, grande amante delle storie di eroi, e abbandonato in seguito all’epiteto ricevuto per le sue capacità di muoversi senza farsi scoprire. Aveva trascorso così i primi anni della giovinezza, gli stessi in cui sua madre allattava a fatica un’altra figlia. Una figlia che non avrebbe voluto avere, tanto difficile e delicata era stata per lei quella gravidanza. Era stato un miracolo che la bambina si fosse salvata.

 

“Un miracolo… o una maledizione?!” –Ripeteva spesso Elena, reggendo la piccola Teria tra le braccia. Era magra, con la pelle chiara e piccoli occhi spenti, ben diversi dal verde luminoso di quelli di Nikolaos, e sembrava non sorridere mai, quasi avvertisse la tensione che quel parto aveva generato nei suoi genitori.

 

Deucalione era stato davvero convinto che avrebbe perso sia la moglie che la figlia. E Nikolaos, che aveva osservato di nascosto la madre gemere su un letto di dolore, piangendo alla vista di tetre macchie di sangue e nell’udire gli urli a cui Elena si abbandonava spesso, non poteva fare a meno di notare gli sguardi di odio che continuamente Teria le rivolgeva. Il rancore che la bambina sembrava provare per la felicità che a lei era stata negata.

 

Così erano trascorsi dieci inverni, in cui Nikolaos era cresciuto, aiutando il padre nel lavoro, e in cui Teria si era chiusa sempre più in se stessa, parlando poco anche con la madre, fino al giorno in cui il ragazzo non aveva deciso di partecipare a dei giochi olimpici ad Atene. Era molto giovane ma aveva un fisico ben allenato e questo gli aveva permesso di conquistare qualche premio e molti applausi. E soprattutto le attenzioni di Zeus, che aveva incaricato Ermes di condurlo sull’Olimpo per farne un Cavaliere Celeste.

 

Elena e Deucalione, appresa la notizia, per quanto preoccupati all’idea delle battaglie che il figlio avrebbe dovuto affrontare, lo avevano abbracciato, colmi di gioia e di orgoglio. Ma Teria lo aveva fulminato con lo sguardo, per le attenzioni che ancora le strappava. Pochi giorni dopo Nikolaos era partito per l’addestramento e soltanto anni più tardi, quando era rientrato a casa, ottenuta l’investitura, aveva appreso che Teria era scomparsa, e né lui né i suoi genitori avevano avuto più sue notizie.

 

Al ricordo della sorella, che ogni tanto tornava a turbare i suoi pensieri, Phantom si agitò, ansimando sul letto delle stanze di Asclepio, mentre l’immagine di lei pareva fissarlo con sguardo severo, quasi volesse imputargli le colpe della sua mancata felicità. Phantom cercò di gridare qualcosa, di dirle che aveva tentato di volerle bene, di accettarla come una sorella, ma lei non glielo aveva mai permesso. Né sembrò intenzionata a farlo quella volta, puntando l’indice contro di lui e condannandolo a una vita di infelicità. La stessa che aveva vissuto lei.

 

Phantom si svegliò di scatto, tirandosi su e respirando agitatamente. Tirò un’occhiata veloce alla stanza e vide che tutte le ancelle se ne erano andate. Tutte tranne una.

 

“Ti sei svegliato? Credevo tu volessi riposare, Cavaliere!” –Commentò una ragazza con voce melodica, allontanandosi dalla vetrata e avvicinandosi al letto.

 

“Quanto ho dormito?!” –Balbettò Phantom, quasi impaurito all’idea di chiudere nuovamente gli occhi.

 

“Non abbastanza!” –Rispose lei, ancora con voce incantevole, sfiorandogli il volto e sollevandolo, in modo che lui potesse guardarla negli occhi.

 

Erano piccoli, erano spenti, ma sembravano attrarlo come niente prima di allora aveva fatto. Né il desiderio di servire Zeus, dimostrandogli di non aver sbagliato a sceglierlo tra gli uomini mortali, né il sentimento che provava per Castalia. Era qualcosa di nuovo, e al tempo stesso di antico, che lo aveva adescato, quasi intrappolato in un mondo di favole, e da cui non riusciva a liberarsi.

 

La donna sorrise, chiudendo gli occhi del Luogotenente dell’Olimpo con un leggero gesto della mano e osservandolo crollare nuovamente nella prigionia in cui l’aveva confinato, cullato da una melodia di fate e di sirene. Di colpo, il suo volto bello ed eterno si trasformò, divenendo un muso di bestia, e i suoi occhi avvamparono, gridando rabbia e vendetta. Si chinò sul corpo del giovane, odorandone la pelle, e scoppiò in una risata isterica, prima di affondare i denti nel suo braccio sinistro.

 

Proprio in quel momento Phantom cacciò un grido, con gli ultimi barlumi di coscienza che gli erano rimasti, e riconobbe Teria intenta a succhiare via il suo sangue, e con esso la sua vita. Trasfigurata, rovinata dal tempo e nell’aspetto, di sua sorella non aveva più niente ormai. Adesso era Lamia, l’ultimo dei sette Capitani dell’Ombra, la rapitrice di sogni e di bambini. Flegias le aveva donato una nuova vita, affidandole il supremo incarico di strappar via i sogni dell’infanzia, prosciugando i corpi degli uomini della loro stessa linfa vitale.

 

“Il Maestro di Ombre sarà fiero di me!” –Commentò Lamia, divorando il corpo del fratello che non aveva mai amato.

 

Di Lamia, Flegias era sempre rimasto contento. Nonostante fosse una donna, l’unica tra le fila dei Capitani dell’Ombra, non temeva niente e nessuno, audace come un uomo e sempre disposta a servire la sua causa. Non aveva esitato, una volta, a colpire Orochi con un calcio secco tra le gambe, dopo che il gigante si era abbandonato a qualche commento sulle sue forme.

 

Ma in quel momento Flegias non pensava affatto a lodare Lamia, gridando arrabbiato come non lo era da tempo. Fissava Iemisch e Sakis, in ginocchio ai piedi del trono, nella caverna dell’Isola delle Ombre, con due occhi fiammeggianti di ira e di sangue, chiedendosi se fossero davvero due guerrieri al suo servizio o un maledetto scherzo del destino.

 

“Idioti!!!” –Strillò, scaraventando entrambi contro una parete rocciosa, avvolgendoli in un vortice di fiamme e tenebra. –“Siete due incapaci, la vergogna dell’Esercito delle Ombre!”

 

“Ma… Maestro di Ombre!” –Rantolò Iemisch, cercando di rialzarsi, mentre le fiamme vorticavano attorno al suo corpo, insinuandosi tra le crepe della corazza, sporca di guerra e di vergogna. –“Ci lasci spiegare!”

 

“Che cosa vuoi spiegare, Iemisch? Il motivo per cui non avete ucciso il Cavaliere di Virgo quando ne avevate la possibilità, lasciando invece che tornasse a nuova vita? O il motivo per cui hai condotto tre Cavalieri Neri alla morte, senza portarmi alcun trofeo di vittoria, soltanto il debole corpo di quell’infima ragazzina?!” –Gridò Flegias, fiammeggiando di rancore. –“Sei un fallimento, su tutta la linea!” –Sentenziò infine, placando l’assalto infuocato e liberando Iemisch e Sakis dalla stretta morsa.

 

Quelle parole ferirono Iemisch più di quanto le fiamme, o lo scontro con Andromeda, avessero fatto fino ad allora. Un fallimento, ecco cos’era. Nient’altro che uno sconfitto. Anziché tornare da vincitore, sorreggendo le teste dei suoi trofei, e ricevere quell’accoglienza trionfale che aveva tanto sognato, era finito nel fango. E da lì, ne era certo, non si sarebbe più rialzato. Almeno per Flegias. Qualunque desiderio di affermazione, qualunque volontà di emergere, era stato stroncato per sempre.

 

“Non sarai mai il Comandante dei Capitani dell’Ombra!” –Affermò infine Flegias, mentre Iemisch e Sakis si rimettevano in piedi. –“Non potrei affidare le mie truppe ad un inconcludente!”

 

Orochi, il grande Drago Nero, uscì dall’ombra in quel momento, calpestando il suolo con i suoi tozzi piedi e rivelando il ghigno di soddisfazione che aveva mascherato fino a quel momento, nel vedere Iemisch piegato ai piedi del Maestro di Ombre. Con tutte le sue inutili ambizioni.

 

“Ci sono errori che, una volta commessi, non possono più essere perdonati!” –Sentenziò Flegias, facendo infine cenno a Iemisch e a Sakis di ritirarsi. Il Capitano dell’Ombra e l’Esploratore Oscuro si incamminarono verso l’uscita della sala, deboli e malconci, ma Iemisch trovò comunque la forza di procedere a testa alta, senza degnare neppure di uno sguardo il Comandante Orochi, che continuava ad osservarlo con aria di superbia, certo che quel gesto aveva segnato la fine della loro guerra interna per il potere.

 

“Ben fatto, mio Signore! Ordine e disciplina sono quanto mai necessari in un esercito!” –Esclamò Orochi, non appena Iemisch e Sakis erano usciti.

 

“Da quando passi il tempo libero a coniare massime e aforismi?” –Brontolò Flegias, rimettendosi a sedere sul trono e zittendo il suo Comandante. –“Occupati piuttosto di coordinare l’Esercito e verificare la produzione di armi da parte degli schiavi!”

 

“Tutto è già in funzione, mio Signore! La macchina bellica del Maestro di Ombre funziona a pieno regime!” –Rispose Orochi, chinando il capo in segno di sottomissione. –“Pur tuttavia, mi duole informarvi che i miei sospetti su Siderius avevano ben ragione di esistere! Non ho sue notizie da qualche ora e non so dove possa essere! Considerando la sua avventatezza, non mi sorprenderebbe sapere che si è abbandonato a qualche azione individuale!”

 

“Siderius?!” –Sgranò gli occhi Flegias. –“Dove diavolo può essere finito?” –Si chiese, strusciandosi il mento, prima che un’intuizione lo illuminasse, rilassando il volto in un ghigno perfido. –“Mi auguro soltanto che le sue azioni non autorizzate portino qualche successo! Pare che ultimamente deludermi sia l’aspirazione massima di voi Capitani dell’Ombra! Ah ah ah!”

 

La risata sinistra di Flegias risuonò per l’intero sotterraneo scavato sotto l’Isola delle Ombre, raggiungendo Iemisch e Sakis, intenti a medicare le loro ferite in una sala poco distante. Dario del Fiume Tigri era sceso nell’armeria, per cercare qualche pezzo di ricambio per la sua corazza, e Tirtha era stata resa inoffensiva, pronta per essere usata contro gli stessi difensori di Atena.

 

“Non sopporto come sono andate le cose, Sakis!” –Brontolò Iemisch, con voce piena di rabbia. –“Avevamo la vittoria in pugno!”

 

“Non agitarti, Iemisch! Gli imprevisti possono capitare anche nelle battaglie meglio strutturate!” –Esclamò Sakis del Quadrante Oscuro, il migliore degli allievi della Tigre Nera. –“Anche se, bisogna ammettere, la colpa principale è nostra! Siamo stati troppo buoni con i Cavalieri di Atena! È tempo che il senso dell’onore venga calpestato e che sangue sia sparso, per vendicare l’onta da noi subita!”

 

“Te ne occuperai tu? Io ho le mani legate, e Flegias non autorizzerà mai una mia nuova uscita dall’Isola!” –Mormorò Iemisch. –“Maledizione! La Tigre è in gabbia!”

 

“Lascia fare a me! Sarà un’azione rapida e indolore, con cui dimostreremo di saper giocare sporco! Molto sporco!” –Sorrise Sakis, espandendo il proprio cosmo.

 

“Confido in te!” –Esclamò Iemisch, mentre il corpo dell’Esploratore Oscuro veniva avvolto da un quadrato di luce nera, dentro il quale scomparve all’istante.

 

Sakis riapparve poco dopo sulla riva scoscesa di un’isola nell’Oceano Indiano, all’altezza dell’Equatore, incamminandosi verso l’interno. I passi attutiti dallo scrosciare del mare sugli scogli poco distanti. Non dovette impiegare molto tempo per localizzare la sua vittima, l’unica abitante di quell’isterilita landa.

 

Nemes del Camaleonte uscì dall’abitazione di pietra in quel momento, indossando soltanto la cotta di rame e bronzo degli addestramenti. Non aveva alcuna maschera sul volto, così Sakis poté ammirare la paura impadronirsi di lei quando si avvide del Cavaliere nero.

 

“Chi sei?!” –Esclamò Nemes, cercando di riprendersi dalla sorpresa.

 

Sakis sogghignò, ripensando al primo incontro con il Cavaliere di Andromeda, nella torre sopra il sacrario centrale di Angkor, e al senso dell’onore che aveva dimostrato.

 

“Proprio per rispetto a quel senso, adesso sono qua!” –Esclamò divertito, sollevando l’indice destro, su cui concentrò il cosmo.

 

Nemes fece per lanciarsi verso l’interno dell’abitazione, per afferrare la frusta che usava in combattimento, ma fece soltanto due passi e si trovò paralizzata con una gamba alzata, bloccata in una posizione innaturale da un semplice disegno che Sakis aveva realizzato in aria. Il sigillo del tatto aveva intrappolato Nemes.

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Capitolo 22
*** Consiglio di guerra ***


CAPITOLO VENTESIMO: CONSIGLIO DI GUERRA

CAPITOLO VENTESIMO: CONSIGLIO DI GUERRA.

 

Quando i cosmi di Andromeda, Phoenix e Virgo risplendettero nel cielo sopra il Grande Tempio di Atene, lo stupore sul volto della Dea Guerriera fu evidente. Pegasus, seduto con Ioria e Mur nella Sala delle Udienze, si alzò di scatto, senza riuscire a trattenere un grido di sorpresa, mentre l’accecante bagliore invadeva la stanza, spegnendosi ai piedi di Atena. Anche Cristal, Sirio e Libra erano rientrati al Grande Tempio, e stavano parlando proprio con Pegasus degli attacchi subiti ad Asgard e ai Cinque Picchi.

 

“Andromeda! Phoenix! Virgo!” –Esclamò Lady Isabel, avvicinandosi ai tre Cavalieri, con gli occhi pieni di gioia e luccicanti di lacrime. –“Siete salvi!!!”

 

“Salvi e sempre pronti a combattere per la giustizia, Dea Atena!” –Commentò subito il Cavaliere di Virgo, il quale, nonostante tenesse gli occhi chiusi, riuscì comunque a leggere i sorrisi sui volti dei compagni. Soprattutto sulle labbra di Ioria.

 

“Virgo!!!” –Gridò il Cavaliere di Leo, avvicinandosi, con un volto a metà tra lo stupefatto e il gioioso.

 

“La vita trova sempre un modo per sorprenderci, non è così, Ioria del Leone?” –Esclamò Virgo, abbandonandosi per la prima volta ad un sorriso sincero.

 

Ioria non rispose, troppo felice per rivedere il compagno che credeva perduto, il compagno che non era riuscito a salvare. Agì d’impulso, com’era suo carattere, tirando Virgo a sé ed abbracciandolo, e quel gesto, nella sua apparente semplicità, stupì ed emozionò al tempo stesso il Cavaliere della Vergine. Che non riuscì a pronunciare nient’altra parola che non un misero, ma sentito, grazie.

 

Le ore successive Atena le trascorse a parlare con Virgo, Libra e Ioria degli eventi occorsi recentemente, per elaborare una strategia d’azione, alla luce anche dei dettagli riferiti da Ermes, ritornato sull’Olimpo, preoccupato per la salute di Zeus. Pavit, che Atena fu ben lieta di conoscere, fu affidato alle cure di Mur e ricoverato nell’ospedale del Grande Tempio, bisognoso di cure dopo la battaglia ad Angkor.

 

Pegasus, Sirio, Cristal, Andromeda e Phoenix poterono finalmente trascorrere qualche ora assieme, ritrovandosi, forse per la prima volta dopo tanto tempo, a parlare tra loro. A parlare di loro. Seduti sulla scalinata ai piedi della Statua di Atena, proprio dove Shin l’anno prima li aveva bagnati con il sangue. Sigillando un tacito giuramento, un passaggio di consegne.

 

“Dov’è Fiore di Luna?” –Domandò Pegasus

 

“È rimasta con Kiki ai piedi delle Dodici Case! Credo che voglia mostrarle il Grande Tempio, di cui ha sempre sentito parlare, restandone affascinata!” –Rispose Dragone, prima di chiedere a Cristal e Andromeda notizie da Asgard e su Nemes.

 

“Cieli neri si addensano sulla Cittadella di Asgard!” –Mormorò Cristal, alzando lo sguardo pensieroso. –“Anche se Ilda è taciturna, i suoi occhi hanno tradito una grande ansia! Una paura che non avevo mai visto nella Celebrante di Odino!”

 

“Questa guerra avrà mai fine?” –Domandò Andromeda, tenendosi la testa tra le mani. E non nascondendo un gemito di dolore, che spinse Phoenix, in ansia per le condizioni del fratello, a chiedergli come si sentisse. –“Sto bene, grazie Phoenix! Io… sono soltanto stanco per le lunghe battaglie!” –Mormorò, toccandosi il collo.

 

Aveva coperto il taglio di Biliku con un fazzoletto, ma a Phoenix non sfuggì comunque il gesto del fratello, e continuò ad osservarlo in silenzio. –“Puoi sempre farti dare un’occhiata da Mur!” –Aggiunse, prima di alzarsi e incamminarsi verso la ringhiera di marmo della terrazza panoramica.

 

Andromeda scosse la testa, non desiderando disturbare ulteriormente il Cavaliere di Ariete, che sapeva molto impegnato a curare i feriti di quegli stupidi scontri scoppiati all’interno di Atene. Asher, Castalia e Tisifone erano stati imbottiti di sedativi naturali e soltanto un’ora prima avevano ripreso conoscenza, abbandonandosi a qualche passo prudente nel cortile dell’ospedale, desiderosi di un po’ d’aria pura. Ma c’erano soldati le cui condizioni erano decisamente peggiori, vittime delle violenze scatenate dalla rosa di rabbia. Feriti, sfregiati, qualcuno aveva perso pure l’uso delle braccia o delle gambe, mutilati dai propri stessi compagni.

 

Mur dell’Ariete tuttavia non perdeva la sua sempiterna calma, continuando a girare per i letti dell’ospedale, seguito dalle allieve sacerdotesse, per prestare aiuto ai bisognosi, grazie alle sue conoscenze mediche e ai rimedi naturali che la cultura di Mu gli aveva tramandato. Fu proprio quando uscì dall’edificio adibito ad infermeria che Mur sentì una voce chiamarlo, dal profondo della sua anima. Una voce antica, forse quanto il mondo, che pareva salutarlo con affetto. Pochi attimi dopo, mentre posava il piede sul primo gradino della scalinata delle Dodici Case, Mur percepì cinque energie cosmiche comparire proprio dietro di lui. Si voltò di scatto, espandendo il cosmo, pronto per combattere, e si imbatté nello sguardo senza tempo di un uomo anziano, lo stesso che gli era apparso nella mente poco prima.

 

“Felice di rivederti, Cavaliere d’Ariete!” –Esclamò il vecchio, senza muoversi di un passo, appoggiato a un lungo bastone intarsiato, che pareva ricavato da un albero millenario, tanto nodose erano le sue forme.

 

“Chi siete?!” –Domandò Mur, stupefatto che avessero potuto giungere fin là, ai piedi della Prima Casa, nonostante gli scudi di Atena proteggessero l’intero Grande Tempio. E spostò lo sguardo sulle quattro figure che accompagnavano l’anziano, due su ogni lato. Quattro Cavalieri che non aveva mai visto, rivestiti da scintillanti armature, dalle forme aerodinamiche, che parevano risplendere nel sole del mattino.

 

“Amici!” –Rispose il vecchio dalla lunga barba bianca, abbandonandosi a un sorriso. “È trascorso tanto tempo dal nostro primo incontro, Cavaliere di Ariete! All’epoca eri solo un ragazzino, ma leggo nei tuoi occhi lo stesso sguardo curioso e interessato, desideroso di conoscere e di ampliare la propria cultura e le proprie esperienze!” –Aggiunse, fissando Mur con i suoi vividi occhi grigi, che parvero riportarlo indietro nel tempo. Indietro di qualche anno, quasi quindici ormai. Al giorno dell’investitura dei Cavalieri d’Oro.

 

Per un attimo, a Mur sembrò di rivedere il vecchio sollevare la statua di Nike, quella che Micene aveva messo in salvo assieme ad Atena, e unirla all’Egida, lo scudo della Dea, portato da Shin, Grande Sacerdote, in uno scintillante gioco di luci. Ma non ebbe il tempo di porre domande che l’anziano parlò di nuovo.

 

“Siamo qua per incontrare Atena! Abbiamo bisogno di consigli e di aiuto! Un aiuto che, immaginiamo, sarà reciproco!” –Esclamò, lasciando Mur interdetto.

 

“Vedere Atena?” –Mormorò preoccupato il custode della Prima Casa. Nonostante avesse percepito chiaramente che il cosmo dell’anziano e dei suoi accompagnatori non fosse ostile, ma benevolo, si trattava comunque di portare cinque sconosciuti, alcuni dei quali armati, a giudicare dalla spada fissata alla cintura di una guerriera, di fronte alla Dea della Giustizia. E in quel particolare frangente così carico di tensione.

 

“Comprendo le tue incertezze, Cavaliere di Ariete, ed esse rendono onore al tuo ruolo! Se perciò le mie parole, né la purezza del mio cosmo, non bastano per tranquillizzarti, prendi questo anello! Esso è il simbolo del mio potere, e di colui che mi ha inviato per parlare con Atena!” –Esclamò l’anziano, porgendo a Mur un anello d’oro, su cui erano state incise rune in una lingua antica, simile al celtico. Al centro campeggiava una A. –“Lei sicuramente lo riconoscerà!”

 

Nient’altro aggiunse, l’anziano saggio, ritirandosi con i suoi quattro Cavalieri poco distante, all’ombra di una sporgenza rocciosa, lasciando che Mur raggiungesse Atena, per conferire con lei.

 

“Aspetteremo qua la sua convocazione!” –Commentò il vecchio, abbandonandosi a una sottile risata, mentre Mur, ancora stupito dai fatti, iniziava a correre lungo la scalinata diretto verso la Tredicesima Casa. Mentalmente il Cavaliere di Ariete contattò Kiki, pregandolo di tenere d’occhio i cinque individui, senza farsi notare, per quanto fosse sicuro che non avessero cattive intenzioni. Non uomini con il cosmo così limpido, come pochi soltanto riescono ad avere! Si disse, raggiungendo infine Atena e spiegandole la situazione, prima di porgerle l’anello dorato.

 

La Dea Guerriera trasalì, riconoscendo le rune celtiche e il simbolo al centro dell’anello. Un simbolo che lei stessa, secoli addietro, durante la guerra di Britannia aveva ammirato da vicino. Sventolava sulle bandiere dell’esercito di Glastonbury, campeggiava sulle cotte dei Cavalieri che avevano dato la vita per ricacciare indietro il nemico oscuro. E marchiava infine le tombe di coloro che se ne erano andati, fossero Cavalieri di Atena o Celesti, o druidi e servitori dell’Isola Sacra.

 

Quello era infatti il simbolo di Avalon.

 

“Conducili qua immediatamente! Te ne prego, Mur!” –Esclamò la Dea, con agitazione. E dentro sé parve ricordare le parole che il Signore dell’Isola Sacra le aveva rivolto in occasione del loro ultimo incontro. Parole che aveva rimosso ma che adesso splendevano davanti ai suoi occhi, marchiate a fuoco nel suo cuore.

 

“In questo mondo non esiste niente che duri per sempre, Atena! Né la tensione dell’ombra all’oscuramento della luce, né la gioia dei popoli liberi in occasione delle loro vittorie! Tutto è effimero, tutto è vacuo! Tutto è destinato ad essere capovolto, in un ciclo continuo di creazione e distruzione, di luce e di ombra, di genesi e caos!” –Atena aveva sorriso, accomiatandosi da Avalon con Zeus, Ermes e i Cavalieri rimasti in vita, e con il dono che aveva ricevuto dai druidi di Britannia. –“Un giorno combatteremo nuovamente fianco a fianco! Uniti contro l’ombra, uniti per l’ultima guerra!” –Le aveva sorriso il Signore dell’Isola Sacra, sollevando la mano destra e lasciando che le nebbie di Avalon si chiudessero sull’anello che portava al dito. Lo stesso che adesso Lady Isabel osservava sul palmo della sua mano.

 

“Che sia davvero giunto quel momento? Che stia davvero soffiando il vento dell’ultima guerra?” –Mormorò la Dea, abbandonandosi a un sospiro.

 

“Prudenza, mia Dea!” –Esclamarono Ioria e Libra. –“Non conosciamo niente di costoro! E anche se si presentano come amici, dobbiamo comunque fare attenzione!”

 

“Non credo che avremo niente da temere da loro, Cavalieri! Al contrario, avremo molto da sapere!” –Si limitò a rispondere Atena, mentre Mur lasciava nuovamente la Tredicesima Casa per teletrasportarsi, su approvazione della Dea, ai piedi della scalinata di marmo.

 

“La Dea Atena è lieta di incontrarvi, venerabile saggio!” –Esclamò Mur, chinando lievemente il capo, in segno di rispetto. Quindi si spostò di lato, facendo cenno all’anziano e ai suoi quattro servitori di incamminarsi lungo la scalinata, ma l’uomo gli sfiorò un braccio, invitandolo a camminare al suo fianco.

 

“E dispensa pure tuo fratello dall’obbligo di badare a noi! Lascia che torni ai suoi giochi, adesso che ne ha ancora la possibilità!” –Sorrise l’anziano, strappando a Mur uno sguardo di sorpresa. Nonostante non l’avesse visto, sentiva che Kiki era poco distante, nascosto dietro qualche roccia, ma non aveva immaginato che anche loro ne avrebbero avvertito la presenza.

 

Lo avvertì telepaticamente di tornare da Fiore di Luna e si unì ai cinque ospiti, ritrovandosi dopo pochi minuti a parlare con l’anziano con grande naturalezza, come se quell’uomo, di cui non conosceva neppure il nome, fosse un amico perso da molto tempo. Un amico con abili doti oratorie e che soprattutto pareva conoscere molte cose sul Grande Tempio e su Atena, forse anche più di quelle che Mur stesso sapeva.

 

“Un vero peccato che queste splendide dimore siano andate distrutte!” –Commentò rattristato l’anziano, giungendo sul terreno ove un tempo sorgeva la Decima Casa di Capricorn. Per quanto Ioria e Asher si fossero occupati della ristrutturazione del Grande Tempio, c’era ancora molto lavoro da effettuare e non erano riusciti ad andare oltre la Casa di Virgo. –“Ricordo ancora il giorno in cui Atena decise di innalzarle! Magnifiche, svettavano contro il cielo di Grecia come lacrime di stelle! Non fu un periodo facile quello, tutt’altro! Dopo la costruzione delle Dodici Case Atena dovette affrontare i Giganti, guidati dal mostruoso Tifone, e poi Ares! Una guerra dopo l’altra! Una strage dopo l’altra! Ma Atena non ha mai ceduto! Degna di ammirazione è la Dea che servi, Cavaliere di Ariete, non credi?”

 

“Ne sono più che convinto, venerabile saggio!” –Commentò Mur. –“Voi dunque non la servite?”

 

“Io?! Oh oh! In un certo senso l’ho sempre servita! Come ho servito tutte le Divinità e coloro che hanno lottato per rendere questo mondo un posto migliore, che hanno dato la vita per il sogno di pace in cui credevano e per il futuro a cui anelavano per coloro che avevano cari! Invero, Cavaliere di Ariete, io credo che tutti gli Dei siano un unico Dio, e che qualunque nome gli si dia, Atena, Minerva o Maat, in realtà si stia solo servendo l’equilibrio del mondo, un equilibrio che, fin dalle origini, si è retto sulla coesistenza di luce e di ombra!” –Quindi, vedendo che il suo interlocutore era rimasto silenzioso, a riflettere sulle sue parole, l’anziano mosse il braccio, per scacciar via tutti quei pensieri. –“Aah, lascia stare le mie parole! Ho vissuto troppe ere del mondo e forse adesso inizio soltanto ad essere stanco! Piuttosto, dovremmo essere arrivati!”

 

La Tredicesima Casa si ergeva proprio di fronte a loro, giunti in cima alla scalinata di marmo. Alcuni soldati erano disposti all’esterno, allineati su due file, in modo da far passare Mur e i cinque ospiti, scortandoli fino al portone d’ingresso delle Stanze del Grande Sacerdote. Là, Atena li attendeva, in piedi di fronte al trono, con lo scettro di Nike nella mano destra. Al suo fianco, disposti su ambo i lati della sala, i Cavalieri d’Oro sopravvissuti, Ioria, Virgo e Libra, e i cinque Cavalieri Divini, Pegasus, Sirio, Cristal, Andromeda e Phoenix.

 

“Dea Atena, ad ogni incarnazione siete sempre più bella!” –Esclamò l’anziano uomo, avanzando a passo svelto al centro del salone, aiutandosi con il lungo bastone.

 

Mur prese posizione accanto a Ioria, mentre i quattro guerrieri sconosciuti rimasero indietro, attirando gli sguardi interessati dei Cavalieri di Atena. Tra loro, Ioria riconobbe Reis, la donna che lo aveva aiutato in Egitto e poi in Tessaglia contro Enio, restando stupito e abbagliato dalla sua bellezza. E riconobbe anche il Cavaliere dai biondi capelli e dall’armatura luminosa a fianco del quale aveva combattuto contro Apopi. Egli era Febo, figlio di Amon-Ra, Dio egizio del Sole.

 

“Sono lieto di incontrarti di nuovo, Cavaliere di Leo!” –Esclamò Febo, avvicinandosi a Ioria e rompendo per primo le righe. –“È passato molto tempo dalla guerra d’Egitto ma non è mutata la riconoscenza che provo verso voi Cavalieri di Atena, tuo fratello Micene di Sagitter in particolare! Devo a lui la salvezza della mia terra, e anche la rinascita di mio padre!”

 

“Ti sono grato per le tue parole, Febo, figlio di Amon-Ra! E sono certo che anche Micene le apprezzerebbe!” –Commentò Ioria, mentre Febo annuiva con il capo.

 

“Triste destino è stato il suo! Ma questo non mi esime dal debito che avevo nei suoi confronti, debito che, se me lo permetterai, sarò lieto di estinguere combattendo al tuo fianco!” –Esclamò il figlio di Amon-Ra, inginocchiandosi di fronte a Ioria.

 

“Non come un debitore combatterai, figlio del Sole, ma come Cavaliere mio pari, come mio compagno d’armi!” –Affermò Ioria, mentre Febo si rialzava, con un sorriso sul volto. Dietro di lui, Reis annuiva soddisfatta, scambiando uno sguardo d’intesa con il Cavaliere di Leo, l’uomo a cui non aveva smesso di pensare negli ultimi anni. Fu la voce dell’anziano saggio a rubare tutti ai loro pensieri.

 

“Dea Atena! Vi ringrazio per averci accolto nella vostra dimora!” –Esclamò, inginocchiandosi di fronte a lei. –“Non vi disturberemo molto, poiché l’ora è tarda e ogni minuto che passa è solo un granello di sabbia che si consuma! Un granello della clessidra del tempo che ancora ci resta per sconfiggere la grande ombra!”

 

“Parole enigmatiche, venerabile saggio!” –Rispose la Dea. –“La vostra stessa presenza, per quanto gradita, genera in me sorpresa! Ho riconosciuto l’anello che Mur mi ha porto, lo stesso che vidi al dito del Signore dell’Isola Sacra millenni fa!”

 

“Di Avalon infatti sono ambasciatore e maestro!” –Commentò l’uomo, alzandosi in piedi e scuotendo la propria veste bianca, lasciando che fluttuasse davanti agli occhi dei Cavalieri di Atena, quasi incantati dall’eterea leggerezza dei suoi movimenti. –“Io sono l’Antico, il Primo dei Saggi! Discendente di una longeva stirpe di druidi del popolo celtico e missionario di pace e amore! Ci siamo incontrati molto tempo fa, quando le terre di Britannia erano minacciate dalle forze oscure e voi, Dea della Guerra Giusta, e vostro padre Zeus, Signore dell’Olimpo, combatteste a fianco dei nostri guerrieri, i druidi e i bianchi Cavalieri di Glastonbury! Per ringraziarvi del vostro intervento, il Signore dell’Isola Sacra concesse a Zeus il permesso di nascondere una legione all’ombra del Tor e a voi fece dono di una spada mitica, forgiata dai druidi sulle sponde di Avalon: Caledvwlch, il grande fendente!”

 

“Excalibur!” –Balbettò Sirio. –“La spada donata da Atena al Cavaliere di Capricorn!”

 

“Io… sto ricordando questi eventi, venerabile Saggio!” –Esclamò Atena, con voce non troppo convinta. A sprazzi, nella sua mente apparivano confuse immagini di guerra. Suoni di corni che ululavano in lontananza, mentre le verdi piane di Britannia si tingevano del sangue dei caduti. Centinaia di morti, la cui ultima immagine, prima che le loro anime si perdessero nelle delizie di Annwn, l’oltretomba celtico, era il vessillo di Avalon che sventolava sul Tor.

 

“È naturale!” –Sorrise l’Antico. –“La vostra memoria divina non è altro che una continua presa di coscienza, una consapevolezza sempre maggiore che avete acquisito, e state ancora acquisendo, nel corso della vostra vita! Non è un semplice cassetto da aprire, ma un insieme di ricordi della Dea, che confluiscono nel vostro corpo umano ad ogni incarnazione! Non chiedete troppo a voi stessa, avete già dato molto agli uomini in questi anni! Pensiamo piuttosto a questa nuova sfida che abbiamo di fronte!”

 

“Cosa succede nel mondo? Cos’è quest’immensa tenebra che pare coprire la Terra? È l’ultima guerra profetizzata dal Signore dell’Isola Sacra?” –Chiese Atena, con ansia.

 

“Non ancora! Abbiamo un’ultima speranza per contrastare l’ombra!” –Rispose l’Antico, prima di voltarsi verso i suoi quattro Cavalieri e fare loro un sorriso. –“Un’alleanza esisteva un tempo, tra Avalon e la Grecia, un’alleanza che ci permise di respingere il nemico! Sono qua, quest’oggi, per rinnovare quel patto dimenticato, affinché i nostri Cavalieri possano combattere assieme contro l’oscurità! Nessuno di noi, da solo, potrebbe averne ragione, poiché il potere del Maestro di Ombre è pericolosamente aumentato!”

 

“Il Maestro di Ombre?! Dunque anche voi siete a conoscenza dei misfatti del figlio di Ares!” –Esclamò Atena, mentre Pegasus e gli altri ascoltavano interessati.

 

“Purtroppo sì! Seguiamo le sue mosse da molto tempo, forse da troppo! E, per ciò che ci è stato concesso, abbiamo cercato di intervenire, limitando i danni! Ma l’argine del fiume si è ormai spezzato e la marea d’ombra si sta riversando sulla Terra intera! Entro poco tempo nessun posto sarà più sicuro! Neppure Atene, neppure l’Olimpo!” –Affermò l’Antico.

 

“Se seguivate Flegias da molto tempo, perché non siete mai intervenuti? Perché non vi siete mostrati? Avreste potuto aiutarci anche nelle guerre precedenti!!!” –Incalzò Pegasus, interrompendo la conversazione.

 

“Calmati, Pegasus!” –Cercò di tranquillizzarlo Sirio, ma l’amico sbuffò scocciato.

 

“Avevamo anche noi il nostro addestramento da compiere, Cavaliere di Pegasus, i nostri riti da seguire! Non è cosa da poco affrontare impreparati la grande ombra!” –Rispose l’Antico. –“In quanto all’essere o meno intervenuti, ti prego di mostrare più gratitudine verso i Cavalieri che hanno salvato tua sorella!”

 

“Mia… sorella?!” –Balbettò Pegasus, voltandosi di scatto verso i guerrieri che accompagnavano l’anziano. Soltanto allora si accorse che uno di loro, forse il più giovane a giudicare dal viso fanciullesco, impugnava un lungo bastone, simile a uno scettro, e la sua corazza risplendeva di oro vivo, di una luminosità accecante, superiore persino ai riflessi delle Armature d’Oro. –“Un giovane biondino con uno scettro dorato…” –Gli sembrò di ricordare le parole di Patricia, quando gli aveva raccontato del misterioso salvatore che aveva sconfitto i berseker a Nuova Luxor, proteggendo lei e Nemes e portandole al sicuro in un antro sotterraneo.

 

Il guerriero con lo scettro parve intuire i suoi pensieri e si abbandonò a un sorriso sincero, prima che la voce dell’Antico richiamasse entrambi.

 

“Durante la Grande Guerra contro Ares, Avalon diede ordine ai Cavalieri delle Stelle di intervenire in vostro aiuto, proprio come aveva fatto durante la campagna d’Egitto, quattordici anni fa! Gesti piccoli, possono sembrare così ai tuoi occhi, ma gesti che si sono rivelati significativi, perché forse hanno contribuito a cambiare la storia, a dare al futuro una diversa direzione!” –E anche Ioria concordò con le sue parole.

 

“È vero! Io stesso, assieme a Capricorn, Cancer e a mio fratello Micene, combattei Apopi a fianco del figlio di Amon-Ra! E ricevemmo aiuto anche dagli altri Cavalieri!”

 

“I Cavalieri delle Stelle?!” –Mormorò Pegasus, studiando i quattro guerrieri, ancora non troppo convinto dalle parole dell’Antico.

 

“È l’ordine istituito dal Signore dell’Isola Sacra per proteggere i confini di Avalon e per combattere la minaccia dell’ombra! Le loro Armature furono realizzate con gli stessi elementi usati dai discendenti di Mu, con cui fitti rapporti di scambio culturale abbiamo intrattenuto in passato!” –Spiegò il Primo Saggio, cercando lo sguardo del Cavaliere di Ariete, che gli rispose con un sorriso. –“Aggiungendo a questi un frammento di mithril, materiale raro sulla Terra ma abbondante sull’Isola Sacra! È il mithril infatti che dona loro la lucentezza che abbaglia i vostri occhi, oltre che notevole resistenza!”

 

“Il leggendario mithril!” –Mormorò Andromeda, ricordando le parole di Efesto. –“Il figlio dell’universo, prodotto congiunto di aria, acqua, fuoco e terra! Il quinto elemento, che racchiude la forza della natura!”

 

“E come il mithril anche i Cavalieri delle Stelle devono i loro poteri alle forze della natura, che hanno lasciato scorrere dentro sé durante anni di duro addestramento!” –Spiegò ancora l’Antico, prima di presentare i quattro guerrieri, che fecero ciascuno un passo avanti all’udire il loro nome. –“Jonathan di Dinasty, Cavaliere dei Sogni e custode dello Scettro d’Oro! Giovanissimo, combatté in Egitto a fianco di Micene di Sagitter, sotto ordine diretto del Signore dell’Isola Sacra, che decise di prestare aiuto al suo allievo prediletto!” –Quindi si volse verso l’unica ragazza del gruppo. –“Reis di Lighthouse, Cavaliere di Luce, custode della Spada di Luce! Coraggiosa e tenace, Reis possiede la tempra di un leone che non dorme mai!” –Aggiunse, fiero di lei, mentre la ragazza dagli occhi blu sorrideva timidamente.

 

Febo, Cavaliere del Sole, figlio di Amon-Ra e discendente della regale stirpe d’Egitto! Nobile portatore di una tradizione che lui stesso ha contribuito a impedire che si perdesse nell’oblio del tempo, tra Dei stanchi e rimpianti! Infine, ultimo, ma non certo per importanza, Marins, il Cavaliere dei Mari Azzurri, che mise in salvo il Vaso di Nettuno impedendo ai berseker di venirne in possesso! A loro si deve il salvataggio delle persone a voi care dalla violenza dei guerrieri di Ares!”

 

“Fiore di Luna…” –Mormorò Sirio. –“Nemes…” –Aggiunse subito Andromeda, prima di ringraziare i quattro Cavalieri per l’aiuto prestato loro.

 

“Non dovete ringraziarci, Cavalieri di Atena!” –Rispose subito Febo. –“Avremmo voluto fare molto di più, e forse questo è il momento per provarci davvero!”

 

“Soltanto uno è assente, il Comandante dei Cavalieri delle Stelle, ma credo che di lui abbiate già sentito parlare!” –Continuò il vecchio saggio, voltandosi verso Libra e fissandolo con sguardo penetrante. Fino a che Libra non trasalì, capendo.

 

“Che cosa sapete, oh Antico? Cosa progetta il figlio di Ares tra le tenebre dell’Isola maledetta? Ermes mi ha riferito che mio Padre Zeus sta male! Credete sia imputabile a lui la debolezza del Signore dell’Olimpo?”

 

“Ammetto che di questo non ero informato!” –Esclamò l’Antico, per la prima volta sorpreso. –“Ma il Comandante dei Cavalieri delle Stelle è rientrato sul Monte Sacro, per conferire con Zeus, e sono certo che quando arriverà ci porterà notizie approfondite! Nell’attesa, Dea Atena, credo sia opportuno elaborare una strategia d’azione! Le forze oscure risvegliate dal Maestro di Ombre invadono ormai la Terra, espandendosi a macchia d’olio dall’Isola nell’Egeo, trascinate da un unico istinto, da un solo comandamento! Estirpare ogni forma di luce! La marea d’ombra scatenata da Flegias lambisce già i confini occidentali della Penisola Anatolica, l’isola di Creta a sud e la Tessaglia a nord. Non passerà molto tempo prima che giunga ad Atene! E anche se il Grande Tempio è protetto dal Divino cosmo della Dea Guerriera, come Avalon lo è dal potere del suo Signore, ciò non basterà a tenere l’ombra lontana per sempre!” –Esclamò, fissando Atena negli occhi. –“Ne avrebbe comunque senso nascondersi mentre il mondo sprofonda nell’abisso delle tenebre!”

 

“Sono d’accordo con voi, Primo Saggio!” –Affermò Pegasus, con baldanza. –“I miei compagni ed io siamo pronti a combattere! Abbiamo tutti un conto in sospeso con quella canaglia di Flegias!”

 

“Non soltanto lui sarà il nostro nemico, Pegasus! Ma le ombre che lo circondano e che ha risvegliato! Ombre che marciano sul pianeta Terra per avere la loro vendetta!”

 

“La loro vendetta?! E cosa può volere un’ombra?” –Chiese Andromeda, prima che l’Antico si voltasse, fissandolo con i suoi occhi senza tempo.

 

“Vivere in un mondo di tenebra, dove luce non vi sia più!” –Mormorò, con voce così bassa che parve un sospiro. –“Grazie al potere della Shadow Skills, Flegias ha donato una vita alle ombre, per quanto effimera essa sia! E adesso, questo esercito silenzioso sta marciando sul mondo per avvolgerlo in una notte senza stelle e per dare vera forma alla loro fatua essenza, cibandosi delle energie vitali degli uomini! Già i governi della Terra stanno discutendo, e gli eserciti cercano di fermare quella marea nera, ma nessun’arma convenzionale potrà niente contro di essa! Del resto, come può un missile ferire un’ombra?”

 

“Tutto questo è altamente inquietante!” –Commentò Andromeda, prima che la mano di Cristal si appoggiasse sulla sua spalla, sorridendogli per confortarlo.

 

“Io stesso ho affrontato alcune ombre, ad Asgard! E ho avuto modo di verificare la fondatezza delle preoccupazioni dell’Antico! Il mio gelo non riusciva a fermarle, neppure le intimoriva, anzi sembravano attratte dal cosmo, quasi volessero cibarsene!” –Esclamò il Cigno, al ricordo dell’attacco subito da lui e Ilda sulla piattaforma di ghiaccio e da come le ombre parevano fagocitare ogni forma di luce.

 

“Era proprio ciò che volevano, Cristal il Cigno!” –Confermò l’Antico. –“In fondo, cos’altro è il cosmo, se non la luce dell’anima? E se essa è il loro nemico principale, cercheranno di vincerlo in due modi: annientandolo o privandolo della fiamma vitale! Proprio come un guerriero cerca di sconfiggere il proprio avversario: vincendolo in battaglia o diventandone amico!”

 

“Terrificante!” –Mormorò Sirio. E Pegasus subito intervenne. –“E come possiamo affrontarle? Come si fa a combattere contro un’ombra?!”

 

“Per fortuna, in tanti anni di preparazione, abbiamo trovato l’arma giusta! L’arma che forse ci darà una possibilità di sopravvivere!” –Esclamò l’anziano saggio, fissando i suoi guerrieri e annuendo. –“Talismani forgiati nel Mondo Antico, intrisi della prima luce divina, di cui i Cavalieri delle Stelle sono i custodi! Gli stessi Talismani che Flegias ha cercato per anni, senza riuscire a trovarli, per nostra fortuna!”

 

“I Talismani? Forse quelli che stava cercando ad Angkor?!” –Incalzò Andromeda, mentre l’Antico annuiva.

 

“Li ha cercati ovunque, uccidendo senza vergogna! Anche amici sono caduti per difendere il loro segreto!” –Mormorò il saggio, ricordando Galen, il custode della Biblioteca di Alessandria, e suo amato fratello, che aveva gettato nel fuoco l’unico manoscritto con le ubicazioni dei Talismani pur di non cederlo al demonio. –“Ma non li ha mai trovati, poiché non ha mai capito cosa fossero! Vorrei spiegarvi molto di più, sui Talismani e su Avalon, ma credo che ci sia rimasto poco tempo! E ogni minuto perso in discorsi è solo terreno guadagnato dall’Esercito delle Ombre! Dobbiamo fermarlo, e dobbiamo farlo insieme!!!”

 

A quelle parole, Pegasus si voltò verso i suoi quattro compagni e scambiò con loro un tacito segno di intesa. Avevano vissuto così tante esperienze insieme che ormai, per capirsi, non avevano più bisogno neanche di parlare. La loro forza, la loro unione, era nell’amicizia che li legava. E notarlo fece sorridere l’Antico.

 

“Siamo pronti!” –Esclamò con determinazione Pegasus, serrando il pugno.

 

Poco dopo una violenta esplosione scosse l’intero santuario. L’Esercito delle Ombre era arrivato ad Atene.

 

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Capitolo 23
*** L'attacco delle ombre ***


CAPITOLO VENTUNESIMO: L’ATTACCO DELLE OMBRE

CAPITOLO VENTUNESIMO: L’ATTACCO DELLE OMBRE.

 

Pegasus e gli altri Cavalieri di Atena e delle Stelle uscirono di corsa dalla Tredicesima Casa, osservando dall’alto l’immensa distesa di tenebra che giungeva da est. Un mare nero che pareva sommergere la Grecia intera. Tutto il versante orientale del Grande Tempio era già stato raggiunto e i Cavalieri potevano udire le grida dei soldati spegnersi una dopo l’altra, nel tentativo di fermare quella devastante avanzata. Ma per quanto provassero, non potevano in nessun modo fermare le ombre risvegliate da Flegias, che penetrarono i loro fragili corpi, strappando via il loro soffio vitale, di cui avide si cibarono, usandolo per alimentare nuove ombre, le stesse dei soldati caduti.

 

“È… immenso!” –Commentò semplicemente Pegasus, sgranando gli occhi stupito.

 

“E non è che una parte dei rancori del mondo!” –Affermò l’Antico, con una grande amarezza.

 

“Dobbiamo intervenire subito! Primo Saggio, siamo pronti ad agire!” –Incalzò Marins, mentre anche gli altri tre Cavalieri delle Stelle annuivano.

 

“Questo non cambia i nostri piani! Partirete immediatamente per prestare aiuto alle popolazioni minacciate! Non possiamo permettere che questa marea dilaghi ancora! O diverrebbe un esercito troppo numeroso, troppo potente, per poter essere contrastato!” –Esclamò l’Antico, prima di voltarsi verso Atena, rimasta prudentemente all’ingresso della Tredicesima Casa, sorvegliata a vista da Mur e Libra. –“Dea Atena, ritengo che questo santuario non sia per voi un luogo sicuro! La guerra l’ha ormai raggiunto! Forse dovreste trovare riparo altrove, per quanto pochi rimarranno i posti ove l’ombra non potrà arrivare!”

 

“Vi ringrazio per la premura, Primo Saggio! Ma non posso più fuggire!” –Esclamò Atena, stupendo anche i suoi Cavalieri per quell’affermazione. –“Ho lasciato per troppo tempo i miei paladini da soli! È tempo che anch’io combatta al loro fianco, condividendo le pene di questa guerra!”

 

“Lady Isabel!!!” –Esclamò Pegasus. –“Siate prudente, potrebbe essere rischioso!”

 

“E per voi non lo è?” –Rispose Atena, poggiando lo sguardo su quello del Cavaliere e fissandolo per qualche interminabile secondo. Quasi a comunicargli qualcosa che soltanto loro poterono comprendere.

 

“Dea Atena, perdonatemi se insisto! Ma credo che garantire l’incolumità vostra sia uno dei compiti dei Cavalieri, che non riuscirebbero a combattere al meglio con voi al loro fianco, timorosi che qualcosa di male possa accadervi! Inoltre il vostro ruolo in questa guerra potrebbe essere ben maggiore rispetto a questa prima schermaglia! Mettetevi in salvo, ve ne prego! Andate ad Avalon, se volete! Il mio Signore sarebbe lieto di ospitarvi e difendervi!” –Continuò l’Antico, nel perorare la sua causa.

 

“Credo che in fondo le vostre parole siano sensate, Primo Saggio!” –Commentò Atena, abbandonandosi infine ad un sospiro. –“Ma non andrò ad Avalon, per quanto grande sia il mio desiderio di incontrare di nuovo il Signore dell’Isola Sacra! Bensì porterò aiuto a mio Padre, raggiungendo l’Olimpo!”

 

“Questa è un’ottima idea!” –Affermò Pegasus, e anche gli altri annuirono. –“Mentre Milady sarà al sicuro sul Monte Sacro, noi ci occuperemo di queste creature disgustose! Che provino a estirpare la fiamma dei nostri cosmi, sentiranno quanto è resistente questa gramigna!!!”

 

“I Cavalieri delle Stelle invece cercheranno di impedire che la marea si espanda ancora!” –Intervenne l’Antico. –“Reis e Jonathan andranno a Smirne, in Anatolia, mentre Marins e Febo raggiungeranno Creta! Siate prudenti ma risoluti, e fermate, ad ogni costo, l’avanzata dell’Esercito delle Ombre!”

 

“Non falliremo!” –Esclamò Jonathan di Dinasty, inchinandosi. –“Ci siamo allenati per tutta la vita per questo momento! Renderemo onore ai nostri Maestri!”

 

“Perfetto, andiamo allora? Ho una gran voglia di mostrare a quelle canaglie di che pasta sono i Cavalieri di Atena!” –Incalzò Pegasus, sbattendo un pugno nella mano opposta. Ma Sirio lo frenò prudentemente.

 

“Non essere troppo spavaldo, Pegasus! Cristal ci ha raccontato che razza di mostri sono queste creature! Dovremo essere prudenti o finiranno per prosciugare la nostra energia!”

 

Un nuovo boato disturbò la conversazione in corso, attirando le attenzioni dei vari Cavalieri sul Cancello Principale. Sembrò a tutti di vedere una gigantesca sagoma sollevarsi verso il cielo, mentre nugoli di fiamme si abbattevano sulle mura perimetrali del Grande Tempio, incendiandole, prima di farle saltare in aria.

 

“C’è qualcos’altro!” –Commentò Sirio, tenendo fisso lo sguardo verso il basso. Ma non riuscì a mettere a fuoco l’immagine, a causa dell’immensa cappa di ombra che pareva riempire il cielo.

 

“Qualunque cosa voglia varcare i confini di questa terra sacra, troverà i Cavalieri di Atena ad attenderla!” –Esclamò deciso Ioria del Leone, e Libra e Virgo si unirono al compagno, iniziando a correre verso le scale. –“Tu non vieni, Mur?” –Chiese, voltandosi verso il Cavaliere di Ariete.

 

“Accompagnerò Atena sull’Olimpo! Un’ulteriore protezione è necessaria! Inoltre, forse potrei essere utile alla malattia di Zeus!” –Commentò Mur.

 

“Ci affidiamo a te!” –Gli disse Ioria, approfittando di quel momento per lanciare un ultimo sguardo alla bellissima Reis di Lighthouse e perdersi nei suoi occhi blu. Senza che nessuno dei due parlasse. Ma Ioria sentì la sua voce dentro di lui. Una voce che gli chiedeva di fare attenzione, così forse, se gli Dei avessero voluto, finita la guerra avrebbero potuto vedersi. –“Non gli Dei lo vorranno!” –Precisò il ragazzo, prima di lanciarsi in una rapida corsa lungo la scalinata delle Dodici Case. –“Ma noi!”

 

Libra, Virgo e i cinque Cavalieri Divini lo seguirono senza indugio, mentre Lady Isabel rimase ancora per qualche istante sul piazzale di fronte alle Stanze del Sacerdote, osservandoli scomparire in lontananza, piccole macchie di luce che baluginavano nell’oscurità di quel giorno. La calda voce dell’Antico la richiamò poco dopo, avvertendo che egli sarebbe rientrato ad Avalon, mentre i Cavalieri delle Stelle scomparvero all’istante, rischiarando il cielo come quattro comete.

 

“Faranno il loro dovere, Dea Atena! Proprio come i vostri Cavalieri!” –Commentò, soddisfatto dei ragazzi che anch’egli aveva contribuito a formare.

 

“Ne sono certo, venerabile Saggio!” –Rispose Atena, rientrando nella Tredicesima Casa. –“Mi chiedo soltanto se non siate troppo fiducioso! L’oscurità è forte adesso! Riusciremo a contrastarla?”

 

“La fiducia in Avalon è l’unica certezza della mia vita! Ad essa non ho fatto altro che aggrapparmi in tutti questi millenni di esistenza terrena! In cos’altro avrei dovuto credere? Nell’intervento di un Dio risolutore? Difficile sperarvi quando è proprio Dio a voler distruggere il mondo che ha creato!” –Sospirò l’Antico, avvolgendosi infine nel suo cosmo, caldo e vasto, simile all’abbraccio con cui un nonno stringe il nipote.

 

Lady Isabel rabbrividì per un momento, ma non riuscì a domandare altro che il Primo Saggio già se ne era andato, lasciandola con i suoi dubbi. Scosse la testa, per non pensare, e si voltò verso Mur, pronta per partire. Il Cavaliere annuì ed entrambi concentrarono il cosmo, invocando l’aiuto di Zeus per raggiungere l’Olimpo.

 

“Siate prudenti, miei Cavalieri!” –Mormorò la Dea, scomparendo dal Grande Tempio e tirando un’ultima occhiata allo scettro di Nike, rimasto saldamente in piedi a pochi passi dal trono.

 

La scomparsa del cosmo di Atena fu avvertita dai suoi Cavalieri, che tirarono un sospiro di sollievo, prima di giungere fuori dalla Casa di Ariete e osservare lo sfacelo che si apriva attorno a loro. Sotto un cielo di tenebra, migliaia di oscure figure evanescenti fluttuavano in aria, penetrando i corpi dei soldati e lasciandoli ricadere a terra senza vita. Ovunque divampavano incendi, che i difensori del Grande Tempio non riuscivano a spegnere, continuamente alimentati da una pioggia di fuoco che sembrava provenire dall’esterno.

 

“L’infermeria!!!” –Gridò Sirio, correndo verso l’edificio avvolto da lingue di fuoco, seguito da Cristal.

 

Dall’interno della costruzione provenivano grida di terrore, alla vista di quell’atroce spettacolo. Il ricordo della strage compiuta dai seguaci di Ares era ancora vivo nella mente di tutti gli abitanti del Grande Tempio e la possibilità che potesse essere replicata fece inorridire i Cavalieri di Atena. –“Dobbiamo spegnere il fuoco! E lo farò con le fresche acque di Cina, le stesse che da millenni scivolano dalla Cascata del Drago, intrise dell’energia cosmica di una cometa! Scorrete, Acque della Cascata!!!” –Esclamò Sirio, mentre attorno al suo corpo si sollevavano scintillanti getti di energia acquatica, che assunsero la forma di cento e più dragoni, rischiarando il cielo tetro di quel giorno, prima di abbattersi sugli incendi sparsi attorno.

 

Cristal imitò subito l’amico, concentrando il cosmo sull’indice destro e dirigendo il suo potere glaciante contro l’infermeria, in modo da creare una cupola di ghiaccio per difenderla dalle fiamme.

 

Anelli del Cigno!!!” –Esclamò l’allievo del Maestro dei Ghiacci.

 

“Ben fatto, Cristal!” –Sorrise Sirio, prima che una strillante voce chiamasse entrambi.

 

“Siriooo!!!” –Gridò Kiki, arrivando correndo in mezzo alle fiamme, portando Fiore di Luna con sé.

 

“Kiki! Fiore di Luna!!! Cosa fate qua? Andate via, è pericoloso!” –Esclamò subito Sirio.

 

“Eravamo nell’infermeria quando è scoppiato l’inferno! Hanno iniziato a cadere dal cielo, gigantesche vampate di fuoco, e quando siamo usciti lo abbiamo visto torreggiare su di noi!” –Spiegò Kiki con agitazione. –“Oh Sirio, è stato orribile!” –Aggiunse subito Fiore di Luna.

 

“Cosa avete visto?! Chi ha acceso questo fuoco?!” –Domandò Sirio.

 

“Io!!!” –Esclamò una voce, risuonando sull’intero campo di battaglia, quasi provenisse dalle tenebre tutte.

 

Sirio, Cristal e gli altri si voltarono verso le mura del Grande Tempio, mentre un’indistinta sagoma prendeva forma al di là di esse, nascosta, quasi avvolta, da un vorticare di ombre. Una fiammata improvvisa rischiarò la visuale dei Cavalieri di Atena, che dovettero lanciarsi di lato per non essere raggiunti. Kiki protesse Fiore di Luna con un campo di forza, mentre Cristal liberava il gelo della Siberia per congelare l’attacco.

 

“Ben più devastante freddo dovrai scatenare, Cavaliere del Cigno, se vorrai avere l’ardire di congelare le fiamme del possente Orochi!” –Esclamò di nuovo la voce, mentre la terra tremava sotto di loro, smossa dal rovinoso passaggio di un’immensa creatura, avvolta in fiamme e in ombra.

 

“Attentiii!!!” –Fece solo in tempo a gridare Sirio, gettandosi su Kiki e Fiore di Luna, per proteggerli con il suo corpo, mentre il muro del Grande Tempio esplodeva e rozzi pezzi di pietra e granito schizzavano verso di loro. Cristal cercò di proteggersi sollevando un muro di ghiaccio, ma non fece in tempo e venne travolto dalla pioggia di blocchi di pietra e scaraventato indietro, rovinando sul terreno. Stessa sorte incontrarono Pegasus, Phoenix e Andromeda, di poco dietro di loro.

 

Quando si rialzarono, i cinque compagni videro una creatura immensa ergersi sopra di loro. Una creatura simile a un drago avanzava dentro il Grande Tempio, sfondando le mura con la sua gigantesca mole. Aveva otto teste e otto code, che muoveva all’impazzata, falciando tutto ciò che incontrava, uomini e costruzioni, e il corpo era così gigantesco da estendersi per buona parte del versante meridionale del santuario di Atena. Sul dorso crescevano muschi, cipressi e cedri, mentre il petto esplodeva di fiamme e di sangue.

 

“O… Orochi?!” –Balbettò Phoenix, aiutando Andromeda a rialzarsi. –“Il drago serpente dello shintoismo?!”

 

“In carne… e fuoco!” –Esclamò una terza volta una possente voce maschile, prima che un rapido movimento attirasse l’attenzione dei Cavalieri di Atena. In piedi, in mezzo agli archi distrutti del Cancello Principale, si ergeva un Cavaliere rivestito da una nera corazza. Alto quasi tre metri, dal corpo simile al tronco di una quercia, il Comandante dei Capitani dell’Ombra era infine sceso sul campo di battaglia.

 

Orochi son io, custode e padrone del leggendario drago!” –Si presentò l’uomo, sulla cui Armatura, disposte in varie parti del corpo, spiccavano otto terrificanti teste di drago. –“Sono il Capitano dell’Ombra che trae dai rimpianti degli uomini la forza per vincerli, abbattendo i loro fragili sentimenti con la verità della vita che han perduto!”

 

“Un altro Capitano dell’Ombra?!” –Mormorò Cristal, ricordando Livyatan, da lui sconfitto ad Asgard. –“Ma quanti sono in tutto?”

 

“Sette!” –Disse Orochi. –“E tra tutti io sono il più forte, il Comandante dell’Esercito delle Ombre, la nera milizia che abbatterà questo santuario, spegnendone la luce!”

 

“Non sei un tipo modesto, vero?!” –Esclamò Pegasus con baldanza, accendendo il suo cosmo azzurro. –“Bene, vediamo se sei bravo anche nei fatti, oltre che con le parole! Prendi il Fulmine di Pegasus!!!” –Gridò, scattando verso il Capitano dell’Ombra e dirigendogli contro migliaia di sfere di energia cosmica.

 

“Prudenza, Pegasus!!!” –Lo chiamò Cristal. Ma non riuscì ad aggiungere altro, ammutolendo di fronte alla scena.

 

Orochi non si mosse neppure, lasciando che i colpi di Pegasus si infrangessero su un’invisibile barriera di energia cosmica, che si erse come un muro di fronte a lui. Uno dopo l’altro i pugni del Cavaliere di Atena vi cozzarono senza abbatterla, mentre Orochi sorrideva soddisfatto.

 

“No! Non ci credo! Possiede una barriera come quelle di Eris e Cavallo del Mare!!!” –Esclamò Pegasus, cessando infine l’attacco.

 

“Stupito, ragazzo? Eppure ti avevo avvertito fin da subito su chi fosse il più forte!” –Ringhiò il Capitano dell’Ombra, concentrando il cosmo attorno al pugno destro, che venne avvolto da una sfera di energia color ruggine. –“Subisci adesso il Pugno del Drago!!!” –Aggiunse, portando avanti il braccio e colpendo Pegasus in pieno petto, scaraventandolo indietro di molti metri, fino a farlo schiantare sulla scalinata della Prima Casa, dove sprofondò malamente.

 

“Pegasus!!!” –Gridarono Phoenix e gli altri, mentre Sirio, preoccupato dal peggiorare della situazione, ordinava a Kiki di portare via Fiore di Luna. –“Conducila alla Tredicesima Casa, è forse il luogo più sicuro del Grande Tempio! Noi cercheremo di resistere!” –Il fratello di Mur annuì, per quanto Fiore di Luna fosse restia ad abbandonare ancora l’amato. Ma un ruggito violento del gigantesco drago fece sobbalzare tutti quanti, obbligando la ragazza a scappare via con Kiki.

 

Il drago iniziò a smuoversi lungo le mura del Grande Tempio, abbattendole definitivamente e penetrando del tutto all’interno, avvolto da sangue e fiamme, che dirigeva verso i Cavalieri e le costruzioni attorno da tutte le sue otto fauci.

 

“Maledizione!!!” –Ringhiò Cristal, evitando una vampata incandescente ed espandendo il proprio cosmo glaciante. –“Vediamo se riesco a spegnere questo scomodo incendio! Polvere di Diamanti!!!” –Gridò, dirigendo l’assalto verso una delle otto teste di Orochi, ma tutte le altre parvero dirigere in sincronia i loro sbuffi infuocati sul Cavaliere del Cigno, che fu obbligato a interrompere l’attacco e a usare il ghiaccio per creare una cupola con cui proteggersi da tale inferno improvviso.

 

“Resisti, Cristal!!!” –Intervenne Sirio, balzando in alto e sollevando il braccio destro, carico del suo cosmo scintillante. –“Excalibur!!!” –E falciò le fiammate del drago, disperdendole momentaneamente. Sotto di lui Andromeda e Phoenix si mossero per unirsi all’amico, ma il Capitano dell’Ombra fu subito di fronte a loro, colpendo entrambi con robusti pugni e scaraventandoli indietro. Quindi si volse verso Cristal, schiantando la sua muraglia di ghiaccio e sbattendolo a terra, prima di sollevare un piede e cercare di schiacciarlo.

 

Ma il Cavaliere del Cigno riuscì a difendersi, afferrando il tacco del Comandante oscuro con le mani e spingendo con forza per contrastarlo. Al qual tempo iniziò a sprigionare il suo freddo cosmo con il quale avvolse il grande piede di Orochi, stringendolo in una morsa di ghiaccio, senza che questo turbasse minimamente il Capitano dell’Ombra, che si limitò ad un ghigno perverso.

 

D’un tratto, fece esplodere una fiamma incandescente, che liquefece il ghiaccio creato da Cristal, avvolgendo anche il Cavaliere di Atena, strappandogli un grido di dolore. Incurante delle fiamme, Orochi calò il braccio su di lui, afferrandolo per il collo e sollevandolo, senza mai smettere di fissarlo con i suoi occhi neri.

 

“Credevo di averti già spiegato che il gelo del tuo cosmo è misera cosa di fronte alla fiamma di Orochi! L’Alito del Drago può rivelarsi tossico per chi non è abituato a temperature così calde!” –Esclamò il Capitano dell’Ombra, stritolando Cristal nel vivido fuoco, per quanto il Cavaliere cercasse di difendersi con il suo gelo. Gli afferrò il braccio con cui lo stava reggendo e concentrò su quella presa tutto il suo potere congelante, bruciando al massimo il proprio cosmo.

 

“Ehi bestione! Non ti sarai scordato di me!” –Gridò Pegasus improvvisamente, sfrecciando verso di lui con il pugno destro carico di energia cosmica. –“Cometa di Pegasuuus!!!” –Esclamò, dirigendo il suo attacco verso il fianco destro del Capitano dell’Ombra, che riuscì a ricreare in tempo la sua barriera di cosmo, impedendo alla cometa di raggiungerlo. Ma venne comunque spinto indietro e perse la presa sul Cavaliere del Cigno, che fu libero di muoversi e allontanarsi di qualche metro.

 

“Ha una forza immensa costui!” –Commentò Cristal, riunendosi con gli amici. –“Oltre che una difesa difficilmente penetrabile! E padroneggia persino il fuoco, combinando tecniche letali!” –Aggiunse Pegasus.

 

Le grida di Sirio distrassero tutti quanti, che si voltarono verso il compagno, intento a battagliare con l’immenso drago. Andromeda intervenne subito in suo aiuto, liberando la Catena con cui afferrò la testa di un drago, strattonandola bruscamente, mentre Phoenix lo seguiva a ruota, dirigendo un violento pugno infuocato contro un’altra testa, non sortendo altro effetto che farlo imbestialire ulteriormente.

 

“Questa bestia mi ricorda l’Idra di Lerna!” –Commentò Phoenix.

 

“Ma è molto più forte!!!” –Esclamò Andromeda, venendo bruscamente sollevato da terra dai movimenti del drago e scaraventato in aria. Ma il Cavaliere riuscì a liberare le proprie catene e a compiere un’abile piroetta, prima di scagliarle di nuovo contro Orochi, nella sua configurazione finale. –“Melodia scintillante di Andromeda!!!” –Gridò, mentre migliaia di strali luccicanti splendevano in cielo, conficcandosi nella squamosa pelle del drago.

 

“Vuoi ferire il grande serpente con quei catenacci? Ah ah ah, credete che sia un drago comune? Un misero mostro da palude?” –Rise il Capitano dell’Ombra, avvicinandosi nuovamente. –“Non conoscete dunque la storia di Yamato no Orochi? Essa è descritta nella Cronaca degli Antichi Eventi, meglio nota come Kojiki!”

 

“Il più antico testo letterario nipponico?!” –Esclamò Sirio, a cui il Vecchio Maestro ne aveva parlato.

 

“Se lo hai letto, Cavaliere del Dragone, ricorderai anche il combattimento di Susanoo contro Yamato no Orochi, il grande drago a otto teste del Koshi!”

 

“Adesso ricordo! Orochi dominava la regione di Iuzmo, in Giappone, dove chiedeva delle vergini in sacrificio, in cambio della promessa di non devastare i terreni! Un giorno Susanoo, Dio del mare e delle tempeste, giunse nella regione, dove incontrò la fanciulla che avrebbe dovuto essere la prossima vittima del drago! L’ottava! E non credo sia casuale questa ricorrenza del numero otto!” –Spiegò Sirio ai compagni. –“Susanoo, innamoratosi della bellissima Kushinada, promise di salvarle la vita, in cambio della promessa di matrimonio! Il Dio combatté allora contro Orochi, e fu uno scontro terribile, dove intere vallate vennero squassate, tanto immenso era il corpo del drago, e tanto potente da resistere persino al Dio!”

 

“E quello stesso drago adesso è qua, risvegliato da Flegias grazie al potere della Pietra Nera, e desideroso di cibarsi, non più di vergini fanciulle, ma di Cavalieri! Ha già assaggiato qualche soldato, ma pare non vi abbia trovato grandi soddisfazioni! Ah ah ah!” –Rise di gusto il Capitano dell’Ombra, mentre Orochi avanzava distruggendo ogni cosa, falciando terra e aria con le sue otto code e sprigionando vampate di fuoco che infiammarono l’intero Grande Tempio.

 

“Dobbiamo fermarlo prima che distrugga ogni cosa!” –Esclamò Sirio. –“E dobbiamo sbrigarci! I Cavalieri d’Oro hanno bisogno di aiuto! Non resisteranno a lungo contro le ombre!” –Aggiunse Cristal, ricordando che Ioria, Virgo e Libra, giunti alla Prima Casa, si erano diretti verso il versante orientale del santuario, per frenare l’avanzata dell’Esercito delle Ombre.

 

“E voi, quanto invece pensate di resistere?!” –Sogghignò Orochi, prima di caricare il pugno destro di cosmo ardente e scagliarlo contro di loro. –“Pugno del Drago!!!”

 

“Attentiii!!!” –Gridarono i cinque amici, separandosi e scattando di lato, ma l’impatto dell’assalto fu tale da sbilanciarli e spingerli indietro. –“Così non funziona! Affrontare sia lui che il Drago insieme è una pessima strategia, ci fa soltanto distrarre!” –Disse Phoenix, e Cristal subito gli diede ragione. –“Mi occuperò io del mostro! Ho una certa esperienza nel trattare creature di questo tipo!” –Aggiunse, riferendosi a Ladone e al Leviatano.

 

“E io ti darò una mano!” –Esclamò subito Dragone, affiancando l’amico e ponendosi di fronte a una delle otto teste di Orochi.

 

“Molto bene! Pare che a me toccherà la parte più difficile!” –Ironizzò Pegasus, indicando il Capitano dell’Ombra che, a braccia conserte, sembrava non aspettasse altro che un nuovo attacco.

 

“Io sarò al tuo fianco, come contro Ade!” –Intervenne Phoenix, ma Pegasus gli fece cenno di stare indietro.

 

“Se sarò sconfitto, allora lo vincerai tu! Nell’attesa... occupati di Andromeda! In confidenza, credo che non stia affatto bene!” –Aggiunse, prima di scattare verso il Capitano dell’Ombra.

 

Il Cavaliere della Fenice si voltò verso Andromeda, che ancora non si era rialzato dopo l’ultimo assalto di Orochi e si teneva una mano sul collo, trattenendo il dolore. Phoenix scosse la testa, correndo in aiuto del fratello, proprio mentre Pegasus caricava un nuovo poderoso assalto contro il Comandante dell’Esercito delle Ombre. Quello stesso esercito che i Cavalieri d’Oro stavano affrontando poco distante, sul versante orientale del Grande Tempio, a ridosso del cimitero dei Cavalieri che volevano assolutamente difendere.

 

“Non possiamo permettere loro di profanare questo luogo sacro!” –Esclamò Ioria del Leone. –“Già sangue amico è stato versato giorni addietro, macchiando la terra di dolore! Voi, ombre, non passerete mai! Non finché uno di noi Cavalieri d’Oro esisterà!”

 

“Vorrei avere la tua convinzione, Ioria!” –Commentò pensieroso Dohko di Libra, osservando sconcertato l’immensa marea nera che circondava il Grande Tempio. Era un ammasso indistinto di ombre, da cui ogni tanto qualche fatua evanescenza si staccava, spingendosi all’interno dei confini sacri, forse in esplorazione, forse in cerca di energia. Ma ancora esitavano, forse respinti da ciò che restava della Divina Volontà di Atena, che aveva plasmato la Collina della Divinità millenni addietro.

 

Accanto a loro, Shaka della Vergine meditava in silenzio, con le mani giunte in segno di preghiera e gli occhi chiusi, teso a captare con i sensi ogni minima vibrazione. Ancor prima che Ioria e Libra si accorgessero dei movimenti delle ombre, il Cavaliere d’Oro parlò. –“Arrivano!”

 

Strati di ombre piovvero dal cielo, abbattendosi sui tre Cavalieri e sull’ultimo gruppo di soldati che ancora coraggiosamente resisteva. All’istante, Ioria, Libra e Virgo infiammarono i loro cosmi, generando un’onda di luce che respinse le tenebre indietro di qualche passo, non aspettandosi forse una così accesa resistenza. Ma non vi fu tempo di gioire che una nuova avanzata delle ombre obbligò i Cavalieri d’Oro a tirar fuori tutto il loro potenziale.

 

Per il Sacro Leo! Lightning Plasma!!!” –Gridò Ioria, generando un reticolato di luce dorata, con cui falciò alcune ombre che puntavano su di lui per la violenza repentina dell’assalto. Ma le altre, rimaste attorno ad osservare quel nuovo serbatoio di energia, iniziarono ad avvolgersi attorno ai raggi di luce, assorbendoli progressivamente. –“Maledizione! Si cibano dei miei assalti!!!”

 

“Cerca di resistere!” –Esclamò Libra. –“Colpo del Drago Nascente!!!” –E diresse l’attacco contro le ombre avvinghiatesi al reticolato di Ioria, annientandone un paio e disperdendo le altre. –“È terrificante! L’Antico non aveva torto quando ci ha parlato dei loro poteri! Sembrano davvero fagocitare ogni forma di luce!”

 

“E come potremo vincere un simile nemico?” –Gridò Ioria, intento a cacciar via un gruppo di ombre che gli fluttuavano attorno.

 

“Con una luce ancora maggiore! Ancora più splendente!” –Parlò infine Virgo, rilasciando il cosmo che finora aveva concentrato tra le mani. Il ventaglio di energia annientò tutte le ombre attorno ai tre compagni, permettendo a Ioria e a Libra di riunirsi al Cavaliere loro amico. –“Con la luce del nostro cosmo, in grado di bruciare fino all’ultimo afflato di vita! Non abbiate timore, amici! Non siate avari! Bruciate il vostro cosmo, come ben sapete fare, e tutto ciò per cui vale la pena vivere!” –Aggiunse Virgo, mentre un’immensa onda nera pareva sormontare i tre Cavalieri.

 

Migliaia e migliaia di ombre invasero il cielo, gettandosi a picco contro i difensori del Grande Tempio e facendo strage degli ultimi soldati semplici, assorbendo la loro fiamma vitale, mentre Ioria, Libra e Virgo riuscivano a ripararsi dietro una cupola di energia dorata.

 

Kaan!!!” –Gridò la Vergine d’Oro, fulminando qualche ombra che coraggiosamente si faceva avanti. –“Non demordono!!!” –Aggiunse Libra, osservando gli stuoli di tenebra che avvolgevano la cupola dorata. –“Lasciali posare! Lascia che si avvicinino ancora un po’! Insegnerò loro a non giocare con il fuoco!” –Esclamò Ioria, concentrando il cosmo sul pugno destro e piantandolo nel suolo. –“Assaggiate le zanne del Leone, spregevoli creature! Assaggiate il Lightning Fang!!!”

 

L’energia liberata nel terreno da Ioria sfrecciò sul Kaan, liberando violente scintille dorate che fulminarono tutte le ombre avvinghiatesi attorno, incenerendole sul colpo, prima che una nuova onda di energia, generata da Virgo, spazzasse via le superstiti.

 

“Bel colpo!” –Commentò Libra, applaudendo la loro azione congiunta. –“Temo però che non sia bastato!” –Aggiunse, sollevando lo sguardo verso la marea nera che nuovamente li sovrastava, fin quasi a soffocarli. –“Ho vissuto duecentocinquant’anni, e ho pensato a molti modi in cui avrei lasciato questo mondo! Ma non avevo mai immaginato che sarei stato vinto da un’ombra!” –Ironizzò, strappando un sorriso a Ioria e persino a Virgo.

 

Ma non vi fu tempo per aggiungere altro che nuovamente le ombre avvolsero la cupola dorata, facendosi sempre più numerose, sempre più affamate dell’energia dei tre Cavalieri. Virgo tentò ancora di cacciarle via, ma si accorse che anch’egli stava iniziando a perdere potenza, stancato dalla sete di luce dell’Esercito di Tenebra, e non si avvide in tempo di una bomba di energia violetta che si schiantò proprio sul Kaan, mandandolo infine in frantumi.

 

L’esplosione scaraventò i Cavalieri d’Oro a terra, separandoli l’un l’altro, e incenerì anche qualche ombra, senza comunque che le altre demordessero dal loro assalto. Ioria si tenne la testa, un po’ stordito, cercando di rialzarsi, ma venne afferrato per un braccio e trascinato via, sollevato da terra di qualche metro, fino ad essere scaraventato in una conca interna della Collina della Divinità. Ruzzolò sul suolo per qualche metro, prima di rimettersi in piedi con rabbia, fissando l’uomo che lo aveva tolto dal campo di battaglia.

 

“Certo non per salvarti! Ma per darti io stesso la morte che meriti!” –Commentò una giovane voce maschile.

 

“Chi sei?!” –Gridò Ioria, osservando il Cavaliere dalla nera Armatura e dalle forme aerodinamiche che aveva di fronte. Poi, alla vista dell’incendiarsi del suo cosmo violetto, un ricordo che aveva rimosso sembrò andare al posto giusto e l’uomo si tolse l’elmo, rivelando il volto del passato.

 

Era il suo vecchio, e unico, allievo. Siderius della Supernova Oscura.

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Capitolo 24
*** Rancore nel cuore ***


CAPITOLO VENTIDUESIMO: RANCORE NEL CUORE

CAPITOLO VENTIDUESIMO: RANCORE NEL CUORE.

 

Siderius della Supernova Oscura, il Capitano dell’Ombra predisposto a rubare il futuro agli uomini, era in piedi su una rupe, a pochi metri da Ioria del Leone, l’uomo che un tempo lo aveva iniziato ai segreti del cosmo, proprio lì, al Grande Tempio di Atene. Erano passati cinque anni da allora, ma la rabbia non aveva mai smesso di dominare l’animo di Siderius, che si sentiva umiliato dal Cavaliere d’Oro.

 

“Si... Siderius!” –Balbettò Ioria, rimettendosi in piedi, quasi non credendo di averlo davvero di fronte. –“Che è successo? Cosa ne hai fatto della tua vita? Ti sei venduto all’ombra?”

 

“Quello che ho fatto nella vita non è cosa che ti riguardi, maestro!” –Rispose Siderius con sdegno. –“Proprio come non ti è interessata la mia sorte in questi ultimi anni lontano da Atene!”

 

“Ti sbagli! Ho avuto a cuore il tuo destino! Ammetto di non essere stato un maestro perfetto, di non averti seguito con costanza come invece era tuo diritto! Ma non è passato giorno in questi anni senza che mi sia augurato di sapere che tu stessi bene, che tu avessi trovato la tua strada, ovunque essa portasse!”

 

“Porterà alla tua morte, Cavaliere di Leo!” –Ringhiò Siderius, accendendo il suo cosmo di riflessi viola. –“E mi basterà un dito, uno soltanto, per piegarti a me! Per vedere il tuo volto implorare pietà, umiliandoti come tu umiliasti me anni fa!”

 

“Ma che stai dicendo, Siderius?! Nessuno ha mai voluto umiliarti! Hai soltanto avuto…” – Ma Ioria non riuscì a terminare la frase che venne investito in pieno da un’esplosione improvvisa del cosmo di Siderius.

 

“Quello che meritavo?!” –Ringhiò il Capitano. –“Me lo dicesti anche quel giorno e quelle parole mi risuonano dentro tuttora! Perché furono ingiuste! Io non meritavo tale umiliazione! E questa…” –Aggiunse, concentrando il cosmo sull’indice destro e puntandolo contro Ioria. –“…è la mia vendetta! Raggi siderali!!!”

 

Un fascio di luce viola sfrecciò nell’aria, diretto verso Ioria, che fu svelto a lanciarsi di lato, rotolando sul terreno per non essere travolto. Ma quando si rimise in piedi, una fitta al fianco destro lo piegò di nuovo a terra, mozzandogli il fiato. Il raggio di energia lo aveva comunque raggiunto.

 

“Com’è possibile?!” –Si chiese il Cavaliere di Leo, certo di aver superato in velocità l’assalto nemico. La corazza d’Oro non aveva segni di danneggiamento, soltanto un filo di fumo saliva dal punto dove era stato raggiunto, quasi fosse il fuoco della pelle che ustionava al di sotto.

 

“Rotola pure quanto vuoi, non sfuggirai ai miei Raggi siderali! Essi, una volta che io ho deciso il bersaglio, seguono i suoi movimenti, raggiungendolo sempre e comunque!” –Sghignazzò Siderius, puntando il dito verso Ioria. –“Non puoi sfuggire al tuo destino!” –E scaricò una nuova raffica di fasci energetici viola.

 

Ancora una volta Ioria tentò di evitarli, balzando agilmente indietro, atterrando sulle rocce circostanti e spostandosi a zig-zag, per disorientare il nemico. Ma ad ogni balzo doveva ammettere di venire comunque raggiunto dai sottili raggi di Siderius, che sapevano colpire con la precisione di un tracciatore automatico.

 

“Maledizione!!!” –Si disse Ioria, atterrando nuovamente al suolo, con il corpo che pareva bruciare, tanti erano stati i fasci di energia che lo avevano raggiunto. Fasci che, lasciando intatta l’armatura di Leo, ustionavano la pelle sotto di essa.

 

Ioria affannò, sudando copiosamente, prima di togliersi l’elmo e gettarlo a terra, di fronte allo sguardo divertito del Capitano dell’Ombra, che voleva guardarlo negli occhi, in quegli stessi occhi che cinque anni prima lo avevano umiliato.

 

“Prostrati a me!!!” –Ringhiò Siderius. Ma Ioria gli rispose sollevando lo sguardo. Uno sguardo deluso. –“Prostrati, ti ho detto!!!” –E lanciò due nuovi raggi di energia, che Ioria non provò neanche ad evitare, venendo raggiunto alle caviglie e crollando a terra, poggiando le mani sull’arido suolo. Un attimo dopo Siderius fu su di lui, afferrandogli il mento e torcendogli il volto verso l’alto affinché i loro occhi potessero incontrarsi di nuovo. –“Proprio come cinque anni prima! Solo che adesso la situazione si è capovolta! E sono io a tenere il coltello dalla parte del manico! Ah ah ah!”

 

Ioria, stretto in una morsa dal cosmo del Capitano dell’Ombra, lasciò vagare la mente indietro, ricordando gli anni in cui lo aveva addestrato. I due anni in cui le loro vite, così simili e così piene di rancore, avevano percorso strade parallele.

 

Era terminata da pochi mesi la guerra contro i Titani, e Ioria si sentiva solo. Lythos e Galan, la sua famiglia, erano scomparsi, Micene non c’era più e anche se gli altri Cavalieri d’Oro avevano iniziato ad accettarlo e a rispettarlo, nonostante fosse il fratello di un traditore, la triste nomea sul suo conto era ancora diffusa. Soltanto Castalia pareva dimostrargli affetto sincero e forse, se non ci fossero state le restrizioni a cui erano soggette le Sacerdotesse Guerriero, da lei avrebbe potuto avere qualcosa di più.

 

“Se fossimo vissuti in un’altra epoca, se il nostro destino fosse stato diverso…” –Le aveva detto una notte di cinque anni prima, mentre guardavano le stelle di Grecia seduti sui leoni all’ingresso della Quinta Casa.

 

Castalia aveva sospirato, il volto nascosto dietro la maschera d’argento, rendendosi conto che Ioria aveva ragione, e che qualunque sentimento provasse per lui avrebbe dovuto essere abolito.

 

“Io non credo nel destino! Non c’ho mai creduto, perché questo significherebbe accettare che mio fratello doveva morire! Ed io non lo crederò mai!” –Aveva commentato Ioria. –“Pur tuttavia questa è la nostra vita, sia che l’abbiamo scelta sia che ci sia stata data in dono, e dobbiamo viverla nel migliore dei modi, rispettando noi stessi e le leggi a cui siamo soggetti! Anche se, talvolta, non è proprio quello che vorremmo!” –Quindi se ne era andato, rientrando nella Quinta Casa e lasciando Castalia sul leone di pietra, ad osservarlo scomparire nelle tenebre dell’interno. Nelle tenebre della sua vita.

 

Da quel giorno Ioria aveva chiesto al Sacerdote di essere inviato in missioni continue, in parte per lavare l’onta di suo fratello, per ristabilire la bontà del suo nome, in parte per fuggire al tedium vitae che lo attanagliava restando ad Atene. E forse, in fondo al cuore, sperava anche di imbattersi nuovamente in Reis. In quegli occhi blu di cui non si era mai liberato.

 

Fu durante una delle sue avventure, incaricato dal Grande Sacerdote di risolvere una disputa territoriale tra la Grecia e la Turchia, che aveva incontrato Siderius, il figlio di un ufficiale greco. Morto da poco, in uno scontro a fuoco lungo il confine, il padre non gli aveva lasciato niente, soltanto la rabbia per averlo abbandonato, la rabbia per averlo continuamente lasciato da solo mentre egli era impegnato in azioni di guerra. Il cuore nobile di Ioria aveva subito capito l’angoscia che divorava quel ragazzo di neanche quindici anni, e lo aveva preso sotto la sua cura, portandolo al Grande Tempio per farne un Cavaliere. E forse per surrogare la perdita di Galan e Lythos e avere una nuova famiglia.

 

Ioria aveva addestrato Siderius per quasi due anni, insegnandogli a prendere confidenza con il cosmo latente dentro di sé. E inizialmente i rapporti tra i due erano stati buoni ed entrambi servivano all’altro, per compensare qualcosa che era mancato loro. Col tempo però, a causa delle molte missioni in cui Ioria spesso era impegnato, che lo trattenevano per settimane fuori da Atene, qualcosa iniziò ad incrinarsi e il clima di fiducia che inizialmente aveva regnato scivolò in malumori continui. E in forti incomprensioni.

 

“Non sei poi così diverso da mio padre!” –Aveva detto un giorno Siderius, nascondendo la tristezza dietro un velo di rabbia. –“Anche lui aveva sempre altro da fare che occuparsi di me!”

 

Quelle parole avevano ferito il Cavaliere di Leo, che a Siderius era affezionato, e in cui riponeva fiducia, nonostante forse fosse troppo schivo per dimostrarglielo.

 

“Sei troppo assente, Ioria!” –Gli aveva fatto notare, in amicizia, Castalia. –“E questa discontinuità non aiuta Siderius a migliorarsi! Né a crescere!”

 

“Sono impegnato per il Grande Tempio fuori Atene!” –Aveva commentato Ioria.

 

“Per il Grande Tempio o per te stesso?” –Gli aveva chiesto Castalia. –“Sei sempre così inquieto! A volte, quando mi addormento, mi chiedo se l’indomani ti vedrò o se non sarai in qualche luogo del mondo a combattere contro i tuoi nemici! I fantasmi del passato, primi tra tutti!”

 

Ioria non aveva risposto, sospirando e ringraziando l’amica per la chiacchierata. Quindi era partito per una nuova missione e quando era tornato Siderius era migliorato ancora, da un punto di vista tecnico, riuscendo a raggiungere uno stadio di sviluppo del cosmo piuttosto avanzato.

 

“Bruci le tappe, ragazzo!” –Gli aveva detto Ioria con un sorriso. –“Hai imparato in due anni quello che un apprendista Cavaliere impara in quattro!”

 

“Da soli il tempo passa più lentamente!” –Aveva commentato Siderius, con aria schiva. –“Così preferisco tenermi impegnato, sperando di affrettare i tempi per la mia investitura!”

 

“Cosa ti fa credere che la meriterai?” –Gli aveva chiesto Ioria. E la risposta di Siderius aveva cambiato tutto.

 

“Il fatto che so di meritarmela! Sento dentro di me un potere così grande da essere in grado di vincere qualsiasi avversario!” –Aveva esclamato, guardando il suo corpo muscoloso. –“Non ci saranno più lacrime nella vita di Siderius! L’energia che sto accumulando mi permetterà di non perdere più!”

 

“Non essere troppo sicuro di sé! Un Cavaliere deve essere umile e deve saper imparare dagli altri! Talvolta anche dagli avversari!” –Aveva commentato Ioria, ricordando Ceo e Iperione, e i loro scontri durante la Titanomachia. Due avversari da cui, ognuno a modo suo, aveva avuto modo di trarre insegnamenti utili.

 

“In effetti c’è una cosa che vorrei imparare, maestro!” –Aveva esclamato Siderius, fissando Ioria con i suoi occhi neri. –“Il vostro colpo massimo! Insegnatemelo, ve ne prego! Con quello sarò invincibile!”

 

“Il Photon Burst?!” –Aveva sgranato gli occhi Ioria. –“Impossibile! Quel colpo non può essere insegnato! Né addestrerò mai alcun allievo ad usarlo!”

 

“Perché, maestro? È l’unica cosa che mi manca per diventare veramente forte! Vi prego! Volete privarmi della certezza della vittoria?!” –Aveva gridato Siderius.

 

“La vittoria non si ottiene con un colpo segreto, Siderius, ma con la capacità che un Cavaliere ha di bruciare il proprio cosmo, sostenuto da motivazioni che crede irrinunciabili! Nessuno combatte solo per il piacere di farlo! Perlomeno non un Cavaliere di Atena!” –Aveva sentenziato Ioria. –“Non ti insegnerò il Photon Burst, né ora mai! È un colpo nato per difendere, non per offendere!”

 

“Maestro, mi umiliate così…” –Aveva ringhiato Siderius, avvampando.

 

“Nient’affatto! Ti sto dando la possibilità di mostrare quanto vali! Chi dimostra più valore, secondo te, un soldato dell’esercito, che spara ai nemici con una mitragliatrice, o un indigeno d’Africa che caccia ogni giorno, con le sole mani, tra leoni e predatori, per procurarsi il cibo?”

 

“Io… io… vi odiooo!!!” –Aveva esclamato Siderius, voltandosi verso Ioria e portando avanti il pugno destro con rabbia, avvolto nel suo cosmo violetto. Ma Ioria non si era mosso di un centimetro, parando il colpo dell’allievo con il palmo della mano, su cui risplendeva il suo cosmo dorato.

 

“Ho passato gli ultimi mesi nel dubbio, Siderius! Chiedendomi ogni giorno se fossi un valido maestro per te, o se tu non avessi invece bisogno di qualcuno che ti seguisse ogni giorno, insegnandoti, nelle piccole cose, ciò che è giusto e ciò che non lo è! Temo proprio di aver sbagliato tutto con te! Di non essere stato in grado di formare il Cavaliere che dovresti essere un giorno!” –Aveva commentato Ioria, con voce triste.

 

“Quel giorno è oggi! Sono forte abbastanza per essere Cavaliere!!!” –Aveva ringhiato Siderius, prima che Ioria lo scaraventasse contro un mucchio di rocce con la sola forza del pensiero.

 

“Io non lo credo… e in fondo al cuore credo che lo sappia anche tu!” –Aveva sospirato Ioria, decretando la fine del suo addestramento e pregandolo di lasciare il Grande Tempio quanto prima.

 

“Mi cacciate così? Lasciandomi un’altra volta da solo?!” –Aveva ringhiato Siderius. –“Perché?!”

 

“Ognuno ha quello che merita!” –Aveva commentato Ioria, andandosene.

 

“E ora ti mostrerò cos’è che meriti tu!” –Esclamò Siderius, riportando Ioria al presente, inginocchiato di fronte a lui, con il mento stretto dalla vigorosa presa del Capitano dell’Ombra e un dito carico di energia cosmica puntato al cranio. –“Ora finalmente laverò l’onta dell’umiliazione di quel giorno! L’umiliazione di essere stato abbandonato una seconda volta, proprio da te, a cui avevo dato fiducia!”

 

“Lo avevo fatto anch’io! Sbagliando, a quanto vedo!” –Commentò Ioria, accendendo ancora di più la rabbia nello sguardo di Siderius.

 

“Basta parlare! Muori adesso!!!” –Ringhiò, portando l’indice sotto l’occhio sinistro di Ioria. Ma non fece in tempo a liberare il proprio colpo segreto che il suo braccio venne afferrato dal Cavaliere di Leo, all’altezza del polso, con un movimento così rapido che neppure lo vide. Venne afferrato e stretto con forza, stritolato dal cosmo d’oro del Leone. –“Ma… cosa?!” –Sbraitò, sentendo la corazza schiantarsi.

 

“Non credere di essere il solo ad aver provato l’abbandono e la delusione! Né di essere l’unico ad aver avvelenato il cuore con troppi rancori, spesso immeritati!” –Esclamò Ioria, avvolto nel suo cosmo luminoso. –“Ma se sei uomo, se lo sei davvero, trovi comunque un modo per andare avanti! Un modo per rimanere te stesso! Se tu, come davvero dici, sei fiero di ciò che sei diventato, una macchina da guerra e niente più, allora ammetto di non aver capito niente di te!” –Senz’altro aggiungere, soltanto un ultimo sguardo, Ioria concentrò il cosmo attorno al pugno destro, sbattendolo contro il petto di Siderius, che venne scaraventato indietro di parecchi metri, schiantandosi contro una parete rocciosa. Proprio come cinque anni prima.

 

“Tu sia maledetto!!!” –Ringhiò, crollando a terra, con il pettorale della corazza crepato in più punti e il bracciale destro frantumato all’altezza del polso. –“Lo stesso sguardo di allora! Lo odio! Odio quel disprezzo con cui mi guardi, come se fossi la cosa peggiore che ti sia capitata in vita!”

 

“Questo lo credi tu! Io non l’ho mai pensato, neppure una volta!” –Commentò Ioria, rialzandosi a fatica.

 

“Strano modo per coprire le tue manchevolezze, maestro!” –Sputò Siderius, bruciando il proprio cosmo, che invase la piccola valle dove combattevano, stridendo ai piedi di Ioria sotto forma di onde di luce viola. –“E adesso pagherai!!! Raggi siderali!!!” –Gridò, puntando l’indice contro Ioria.

 

“Umpf! Non ricordi niente del nostro addestramento?” –Esclamò il Cavaliere d’Oro con voce decisa, muovendo il braccio destro velocemente e generando migliaia di fasci di luce, che sfrecciarono nell’aria scontrandosi con i Raggi Siderali di Siderius. –“La prima regola in uno scontro è analizzare le armi nemiche e trovare il modo per neutralizzarle!” –Aggiunse, osservando i due attacchi vanificarsi a vicenda.

 

“Sta usando i fendenti del Lightning Plasma, anziché per creare un reticolato di luce, per colpire ogni mio singolo raggio di energia!” –Ghignò Siderius irato, aumentando il numero dei suoi strali. Ma Ioria fece altrettanto e l’aria si caricò di scintille generate dall’attrito dei due attacchi. –“Io… non sopporto… di perdere!!!” –Gridò, concentrando il cosmo in un unico immenso raggio di energia, simile ad una bomba di luce, che esplose su Ioria, scaraventandolo indietro.

 

“Aaah, che soddisfazione!” –Esclamò Siderius, con voce tronfia, cercando di nascondere la stanchezza che l’aveva comunque invaso. –“Pare che l’elenco delle mie vittorie in questi giorni aumenterà cospicuamente! Dopo il Luogotenente dell’Olimpo prenderò anche la vita di un Cavaliere d’Oro! Quale trionfo per un apprendista un tempo rifiutato!”

 

“Hai ucciso Phantom?!” –Sgranò gli occhi Ioria. Con voce invasa dal terrore e dal dispiacere per il destino del Cavaliere Celeste. E per il pensiero di cosa avrebbe dovuto dire a Castalia.

 

“Un altro trofeo! Un’altra vittoria!”

 

“Ti fai vanto dei tuoi successi in battaglia? Non mi sorprende, dopo tutto!” –Affermò Ioria, rimettendosi in piedi e toccandosi lo stomaco dolorante. Ripensò a suo padre, e alle poche ore che in quindici anni aveva trascorso col figlio, in quella vecchia casa della Tessaglia. Metà del tempo a parlare delle sue vittorie, delle decine di turchi ammazzati. L’altra metà a bere e a picchiare un figlio che non capiva, che sembrava volesse soltanto un po’ d’affetto. –“Come saresti potuto crescere diversamente?”

 

“Se avessi avuto un amico…” –Mormorò Siderius, quasi parlando a se stesso. –“Se non mi fossi illuso di averne trovato uno… Uno per cui valevo davvero qualcosa, e che mi aveva portato via dal fango del mio presente… Forse molte cose sarebbero andate diversamente! Ma non l’ho avuto, e sono rimasto solo! E quando si è soli, si trova un modo per diventare forti!” –Gridò infine, quasi come se il tono della voce potesse cancellare il dolore che aveva provato.

 

“Ma tu non lo sei diventato! Sei rimasto debole! Perché soltanto i deboli cedono all’ombra! I forti, costi quello che costi, continuano a tirare dritto per la loro strada! Se si crede davvero in qualcosa, se realmente si ha fede, si è pronti a morire pur di dimostrarla!” –Affermò Ioria. Ma Siderius ormai non lo ascoltava più, avendo bruciato il cosmo al massimo, concentrandolo in una sfera di energia viola.

 

“Basta!!! Ti ucciderò! Esplosione della Supernova!!!” –Gridò, liberando un devastante potere che sfrecciò sul suolo, diretto verso Ioria, che tentò di contrastarlo con una sfera di luce dorata. La mossa, seppur tardiva, risultò efficace e generò un’esplosione che lo scaraventò indietro di qualche metro, facendo tremare il terreno e franare la sporgenza su cui si ergeva Siderius.

 

Il Capitano dell’Ombra fu abile a creare un disco di energia violacea, su cui si mise in piedi, evitando di rovinare a terra. Ioria si rialzò all’istante, caricando nuovamente il braccio di sfolgorante energia, che diresse verso di lui, per stringerlo in una gabbia di luce.

 

Per il Sacro Leo!!! Lightning Plasma!!!” –Gridò, ma Siderius sembrava scivolarvi all’interno, guizzando tra le folgori del Leone, per quanto alcune scalfissero comunque la sua corazza. In un attimo fu davanti a Ioria, in piedi sul disco di energia, con due sfere di cosmo incandescente in mano, che subito diresse contro il Cavaliere di Leo, che riuscì ad evitarne una, venendo travolto dall’altra, e sbattuto contro la parete rocciosa retrostante, crollando poi a terra.

 

Siderius fu subito su di lui, schiacciandolo sulla schiena con il potere del disco di energia, che si espanse generando folgori incandescenti che sfrigolarono sul corpo disteso del Cavaliere di Leo.

 

“Urla!!! Dimenati!!! Soffri!!! Almeno un po’ di quel che ho sofferto anch’io!” –Gridò Siderius, quasi istericamente. –“Ci ho pensato molto in questi anni, e spesso mi sono detto che avrei preferito morire in quella topaia della Tessaglia che subire l’immeritata umiliazione di quel giorno! Poi, grazie a Flegias, ho capito che potevo avere la mia rivincita, la possibilità di stroncare il futuro degli uomini come tu, anni fa, stroncasti il mio!”

 

“Non era quella la mia intenzione, Siderius, né mai lo è stata! Ma se ancora non lo capisci, se continui a credere che solo la forza renda gli uomini grandi, allora non vali poi molto!” –Commentò Ioria a denti stretti, stritolato dalle folgori violacee della Supernova Oscura. –“Parli di rubare il futuro agli uomini, quando tu, per primo, ne hai chiuso le porte, rifiutando ogni insegnamento e credendo di sapere già tutto!”

 

“Non è così, forse?” –Ironizzò Siderius, sollevando infine il disco di energia e spostandosi fino a portarsi di fronte a Ioria, agonizzante davanti a lui.

 

“No! Non lo è!” –Esclamò il Cavaliere d’Oro, sollevando lo sguardo. E Siderius, per un momento, sembrò avvampare, leggendovi una critica, quasi una condanna. Poi, qualcosa lo spinse a soffermarsi ancora sugli occhi del vecchio maestro e notò, che al di là del verde splendente, trapelava un’immensa tristezza. La stessa di quel giorno. –“Per crescere è necessario imparare anche dai propri errori, perché tutti li facciamo! Con umiltà, bisogna accettare le lezioni di vita! Ed è quello che cercai di fare con te! Ho sbagliato, è vero, ad essere distante e a farti pagare un tedio che era soltanto mio! Ma in questi anni non ti ho mai odiato neanche un giorno!”

 

“Menti!!!” –Gridò Siderius, con il pugno carico di rabbia e di cosmo.

 

“Dico il vero! Ma se non vuoi credere a me, crederai alla lucentezza del mio cosmo!” –Aggiunse Ioria, espandendo il proprio cosmo dorato, che avvolse lui e Siderius, prima di concentrarsi in affilate zanne che squarciarono il disco di energia viola. –“Lightning Fang!!!” –Gridò il Cavaliere, piantando il pugno, dal basso, sotto il disco di energia e avvolgendo Siderius in mille fulmini dorati, che schiantarono la sua corazza in più punti, strappandogli grida di dolore.

 

Con forza, Ioria lo scaraventò indietro, facendolo ruzzolare sul terreno e perdere l’elmo dell’armatura. Quando Siderius si rimise in piedi, con numerose ferite sul corpo, da cui sgorgava parecchio sangue, vide che Ioria si era già messo in posa. Nella posa che aspettava da anni. Quella del colpo che avrebbe voluto possedere.

 

Photon Invoke!!!” –Esclamò Ioria, sollevando il braccio destro e tenendolo su con il sinistro, mentre il suo cosmo cresceva oltre ogni immaginazione, generando una galassia che ricoprì l’intera valle in cui i due combattevano da un’ora ormai. –“Cosmos Open!!!”

 

“Ti sei deciso infine!” –Esclamò Siderius, bruciando il cosmo. –“Mostrami dunque la fede che ti sostiene, vediamo se riuscirà a resistere all’ombra!” –Ma la sicurezza del Capitano dell’Ombra parve vacillare quando vide il cielo coprirsi di stelle, così tante come non ne aveva mai viste prima. Risplendevano, di una luce accecante, simboleggiando l’infinito e oltre. –“Papà!” –Mormorò, distraendosi per un momento e ricordando una notte di quasi dieci anni prima, trascorsa con suo padre sul tetto di casa, a fissare le stelle cadenti.

 

“Vedi quelle stelle, Zenas?” –Gli aveva detto suo padre. –“Sono le medaglie di un condottiero! Ogni stella simboleggia una vittoria, un successo! Tante quante quelle appuntate sulla mia giacca!”

 

Zenas aveva sorriso. Forse aveva capito poco, ma era così raro che suo padre si fermasse un po’ con lui che solo la sua presenza era motivo di gioia. Anni dopo, in ricordo di quella notte, aveva deciso di cambiare il suo nome in Siderius, proprio in virtù di cosa rappresentavano per lui le stelle.

 

“Il futuro…” –Balbettò, mentre il cosmo di Ioria raggiungeva limiti così estremi che mai aveva percepito.

 

“Photon…” –Gridò il Cavaliere di Leo, incrociando lo sguardo di Siderius. E restando a fissarlo per interminabili secondi, senza che nessuno dei due accennasse ad allontanare lo sguardo.

 

Fu Ioria, infine, a rompere la tensione, abbassando le braccia e placando il suo cosmo, mentre la galassia da lui generata si spegneva progressivamente.

 

“Che diavolo stai facendo?!” –Gridò Siderius esterrefatto.

 

“Te lo dissi cinque anni fa, ma credo rientri tra le cose che non hai capito! Questo colpo non è nato per offendere! No! È nato per difendere! Per proteggere la persona che ho avuto più cara al mondo, e che non ho mai compreso! Sarebbe un insulto, verso il migliore tra i Cavalieri, verso mio fratello, se lo usassi adesso!”

 

“Il senso dell’onore ti ha reso sciocco, maestro! Insulto o meno, era l’unico modo che avevi per vincermi! L’hai sprecato! Pagane il fio!” –Esclamò Siderius, avvolgendosi nel suo cosmo violaceo e generando un’immensa sfera di energia. –“Esplosione della Supernova!!!”

 

“Ho ben altre frecce al mio arco! Che risiedono nel ricordo di mio fratello, Micene di Sagitter!” –Rispose Ioria, avvolto nel suo cosmo dorato. –“E adesso te le mostrerò! Ti mostrerò come combatte un Cavaliere di Atena!” –E concentrò il cosmo in due globi di energia incandescente, che crebbero attorno ai suoi pugni, prima di scagliarli contro Siderius. –“Double Bolt!!!”

 

Le sfere di Ioria travolsero l’attacco del Capitano dell’Ombra, schiantandosi sul suo petto ed esplodendo al contatto, scaraventandolo in alto, fino a farlo crollare a terra, tra i frammenti della sua corazza. E dei suoi ricordi. Anche Ioria venne raggiunto dall’assalto di Siderius e sollevato da terra di parecchi metri, ma riuscì comunque ad atterrare, flettendosi sulle ginocchia. Debole, ma soddisfatto per non aver infranto una promessa che aveva fatto a Micene. E prima ancora a se stesso.

 

A fatica si incamminò verso Siderius, che giaceva disteso in una pozza di sangue, con lo sguardo perso nel cielo. Privo del cosmo di Ioria, adesso appariva per quello che era realmente. Un’ombra immensa, sconfinata, dove stelle non brillavano più.

 

“Ho fallito con te, Siderius!” –Commentò Ioria, con voce triste. –“Due volte! La prima perché come maestro sono stato distante e non ti ho seguito, come Castalia ha invece dedicato sei anni intensi a Pegasus. Eppure in te credevo! Credevo davvero che tu fossi destinato a grandi cose! Dovevi soltanto liberarti dall’odio e dalla diffidenza verso gli altri, per essere stato abbandonato! E qua ho fallito una seconda volta, riuscendo soltanto ad aumentare il tuo rancore! Ma non mi stupisco, dato che non sono mai riuscito a liberarmi dal mio!”

 

“Io… Ioria…” –Balbettò Siderius, cercando di rialzarsi.

 

“In realtà, quando partivo in missione, partivo sempre sereno, perché sapevo di lasciare un ragazzo con un enorme potenziale, che anche da solo avrebbe saputo sviluppare le proprie capacità! Forse meglio di quanto avevo fatto io! E cacciarti non è stata una punizione, ma un gesto necessario, per farti crescere, per responsabilizzarti, per insegnarti che la grandezza non sta nel pugno di un uomo…”

 

“Ma nel suo cuore!” –Lo interruppe Siderius, rimettendosi in piedi e tossendo per lo sforzo.

 

Ioria annuì, mentre l’allievo allungava un braccio avanti, non per offendere, ma per appoggiarsi sulla spalla del Cavaliere d’Oro, sforzandosi di sorridere. Ma una fitta al costato smorzò il suo tentativo, facendolo accasciare nuovamente.

 

“Siderius!” –Esclamò Ioria, chinandosi su di lui. Ma Siderius lo scansò prontamente, ricordandogli di essere ancora un suo nemico.

 

“Sono un Capitano dell’Ombra! Non più l’allievo che cacciasti quel giorno!”

 

“No! Sei soltanto un traditore!” –Esclamò improvvisamente una terza voce, distraendo Ioria e Siderius, che voltarono lo sguardo verso l’entrata della vallata, dove la figura di un guerriero pareva quasi confondersi con le tenebre circostanti.

 

“Lo… Lothar?!” –Balbettò Siderius, riconoscendo il Cavaliere del Sudario di Cristo.

 

“Il maestro Orochi aveva ragione di sospettare di te! Del resto, cosa potevamo aspettarci dall’allievo di un Cavaliere d’Oro? Che fallisse!” –Affermò Lothar. –“I tuoi sentimenti ti hanno sconfitto, Siderius! Fatti da parte adesso, porterò io la carcassa del Leone d’Oro a Flegias! E chissà che non gli porti anche la tua pelle!”

 

“Mai!!!” –Ringhiò Siderius, cercando di rimettersi in piedi. Ma Lothar gli puntò contro un dito della mano destra.

 

Corona di spine!!!” –Gridò, mentre un cerchio di energia cosmica circondava il cranio di Siderius e acuminate punte penetravano dentro di lui, strappandogli un grido di dolore e prostrandolo al suolo, con le mani alla testa, nel tentativo di porre fine a quel martirio.

 

“Maledetto!!! Chi diavolo sei?” –Esclamò Ioria, gettandosi su di lui, con il pugno carico di energia.

 

“Sono Lothar del Sudario di Cristo, Cavaliere di Leo! E sono qua per giudicare i tuoi peccati!”

 

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Capitolo 25
*** I Cavalieri delle Stelle ***


CAPITOLO VENTITREESIMO: I CAVALIERI DELLE STELLE

CAPITOLO VENTITREESIMO: I CAVALIERI DELLE STELLE.

 

Una gran folla in fuga si ammassava caoticamente in piazza Konak, il centro storico di Smirne, nell’Anatolia Occidentale, tentando di trovare un qualsiasi riparo che la proteggesse dalla marea nera che aveva invaso il cielo. All’inizio erano state scambiate per nuvole, poi per un immenso stormo di uccelli. Infine si erano rivelate per quello che erano. Nient’altro che ombre.

 

Era subito scoppiato il caos, con gruppi di persone che fuggivano ovunque, gridando disperate di fronte a quell’ammasso di tenebre giunto dal mare. Le autorità, prontamente allertate, avevano inviato prima le forze dell’ordine, poi addirittura l’esercito, ma tutti avevano incontrato la stessa tragica fine. Caduti, trapassati da parte a parte dalle ombre che fluttuavano in cielo e parevano cibarsi di ogni stilla di linfa vitale che potevano fare propria. Per realizzare quell’unico sogno che Flegias aveva instillato in loro. Smettere di essere solo fatue evanescenze ma concretizzarsi in solide entità.

 

“Terribile piano è il loro!” –Commentò Jonathan, il Cavaliere dei Sogni, arrivando in città e osservando la marea nera dilagare al suo interno, invadendo le strade e i vicoli del porto, saturandoli con la sua oscurità. –“Se dovesse realizzarsi, se davvero le ombre riuscissero a divenire solide…”

 

“Sarebbe l’esercito più potente che abbia mai solcato questa Terra!” –Concluse Reis, Cavaliere di Luce, in piedi vicino a lui. –“Un esercito che nessuno sarebbe in grado di sconfiggere!”

 

“Dobbiamo impedire che accada!” –Esclamò il ragazzo, stringendo in una salda presa lo Scettro d’Oro.

 

“Siamo qui per questo!” –Annuì Reis, prima di lanciarsi insieme a Jonathan in una corsa attraverso le strade di Smirne, fino a raggiungere piazza Konak.

 

La loro apparizione non fece che aumentare lo stupore e il terrore nell’animo delle persone, in preda a un panico incontrollabile. Reis sorrise, immaginando che non fosse troppo normale vedere uomini rivestiti di armature scintillanti circolare in città. Ma non prestò loro troppa attenzione, impegnata come subito si trovò a difendersi dagli attacchi improvvisi delle ombre. Non appena entrati in piazza infatti, le ombre avevano percepito la loro presenza e si erano lanciate in picchiata contro le nuove prede, terribilmente attratte dal loro cosmo e dalla luce che i loro corpi sprigionavano, rischiarando le tenebre di quel cielo.  Jonathan sollevò immediatamente lo Scettro d’Oro, lasciando che sprigionasse un abbagliante ventaglio di luce, che respinse per un momento le ombre, annientandone qualcuna, tanto accecante era lo splendore che emanava.

 

“Il Primo Saggio non scherzava!” –Commentò. –“Queste creature sembrano vere!”

 

“Sembrano?! Mi pare che lo siano abbastanza!” –Ironizzò Reis, impegnata ad evitare di essere avvolta da un mucchio di nere figure evanescenti piombate su di lei.

 

“Sai cosa intendo! C’è qualcosa di terribile e oscuro in loro! Non sono soltanto spiriti erranti, ma qualcosa di più! È come se avessero una, sia pur debole, coscienza di sé, che le spinge a muoversi incessantemente, a fagocitare ogni forma di luce, per ottenere l’energia necessaria! L’energia per essere!”

 

“La tua acuta capacità di sintesi mi sorprende! Andrei ti ha insegnato bene!” –Esclamò Reis, espandendo il proprio cosmo, che le scivolò addosso come una cascata di stelle. –“Perdonami però se non mi perdo in troppe riflessioni, ma io amo combattere!” –E sollevò la Spada che stringeva in mano, caricando la lama di un’accecante luce che disperse le ombre attorno. –“Spada di Luce!!!” –Gridò, lanciandosi avanti, verso la marea oscura e liberando violenti fendenti di energia dorata che aprirono squarci continui nel mucchio di ombre. Squarci che, poco dopo, nuove ombre andavano subito a richiudere.

 

Per quanto agile e precisa nel colpire, Reis non ottenne altro risultato e dovette infine fermarsi, stanca per l’azione continua. Subito, stuoli di ombre piombarono su di lei, avvolgendola in un oscuro abbraccio, desiderose di cibarsi della lucentezza del suo cosmo. Ma la ragazza non si perse d’animo, spalancando le braccia e lasciando che un fiume di stelle scorresse tutto attorno a lei, travolgendo le orride creature.

 

Cascata di luce!!!” –Esclamò, facendo piazza pulita di tutte le ombre che l’avevano circondata. Ma non ebbe neppure tempo per rifiatare che già nuove figure evanescenti le erano addosso, determinate a non darle pace. Determinate soltanto a prendere quel che volevano. La sua linfa vitale. L’essenza cosmica che avrebbe sancito per sempre la loro effettiva esistenza. –“Maledette!!!” –Ringhiò Reis, ancora avvolta nel suo cosmo lucente, agitando la Spada in ogni direzione, fin quasi a sentirsi soffocare da quella cappa di tenebra.

 

Scettro d’Oro, illumina la via!!!” –Esclamò infine una squillante voce giovanile, mentre una pioggia di raggi di luce rischiarava il cielo, penetrando le ombre e annientandole all’istante. –“Reis! Stai bene?” –Chiese Jonathan con premura, avvicinandosi alla compagna.

 

“Ho vissuto momenti migliori!” –Ironizzò lei, ringraziando il Cavaliere delle Stelle. Quindi volsero entrambi lo sguardo verso il cielo, verso la nube nera che sovrastava Smirne e pareva espandersi sempre di più, lungo la costa della penisola anatolica.

 

Reis non sapeva quante persone fossero già state raggiunte, quante vite fossero state strappate, ma sapeva che Smirne era la terza città più popolosa della Turchia, un serbatoio di potere a cui le ombre non avrebbero mai rinunciato. Per questo dovevano fermarle, anche a costo di morire. Per questo, in fondo, erano stati addestrati.

 

Vent’anni prima, quando aveva sentito per la prima volta qualcosa dentro di sé, qualcosa che faceva fatica a spiegare, aveva capito che il suo destino sarebbe stato quello. Un destino di guerra, ma anche un destino di speranza. Era stato proprio l’Antico a trovarla, un’orfana dimenticata in un villaggio del Galles, i cui genitori erano stati portati via da una delle tante periodiche alluvioni. E la bambina avrebbe incontrato il loro stesso destino se, quasi inconsciamente, non avesse creato una cupola di energia dorata attorno al suo corpo, sufficiente per proteggerla dal disastro naturale. Vi era rimasta per giorni, forse per settimane, sospesa in uno stato di trance, dovuto all’eccessivo sforzo a cui si era abbandonata. Ancora inconsapevole dei propri poteri. E del proprio destino.

 

Quel piccolo barlume di cosmo non era però sfuggito ad Avalon, che aveva inviato il Primo tra tutti i Saggi a controllarne l’origine. E a condurre la bambina sull’Isola Sacra, dove venne iniziata alle arti del cosmo, con un unico obiettivo finale. Lo stesso di Jonathan, di Marins, di Febo e del Comandante Ascanio.

 

“Lasciare che il sole sorga ancora!” –Mormorò Reis, espandendo il cosmo e gettandosi verso la marea oscura, liberando violenti fendenti di energia che squarciarono le tenebre circostanti.

 

Improvvisamente le ombre parvero muoversi, spostandosi di lato, fino quasi a disporsi a cerchio attorno a Jonathan e a Reis, lasciando soltanto uno stretto corridoio, dove poco dopo apparvero due individui, rivestiti da Armature nere come la notte.

 

“Come se un esercito di ombre non fosse sufficiente!” –Ironizzò Jonathan.

 

“La prossima volta che mi proponi di uscire insieme, lascia che scelga io il posto del nostro appuntamento!”

 

“Non ho problemi al riguardo! Sempre sperando che ci sia una prossima volta…” –Mormorò Jonathan, osservando i Cavalieri Neri avvicinarsi.

 

Quello sulla destra era alto quanto lui, con folti capelli blu scuro e un viso maschile, rovinato da una brutta cicatrice sul naso. Indossava un’armatura non troppo coprente, simile a una corazza d’argento dei Cavalieri di Atena, caratterizzata dall’accentuata spigolosità delle forme, al punto che pareva uscita dallo studio di un geometra. Il suo compagno era invece un vero colosso e lo superava di un metro in altezza. Ma era anche altrettanto largo, al punto che Jonathan si chiese come riuscisse un simile ammasso di carne a muoversi.

 

“E soprattutto mi chiedo come riesca a entrare in quella corazza? Se non sapessi che le armature tendono ad adattarsi a chi le indossa, mi verrebbe da credere che gli sia stata forgiata addosso!” –Ironizzò, prima di domandare chi fossero e cosa volessero.

 

“Il mio nome è Gienah della Croce di Sant’Elena!” –Esclamò l’uomo dall’armatura spigolosa. –“E io sono Bode del Monte Menalo!” –Aggiunse il colosso. –“In quanto a cosa vogliamo, credo che tu già conosca la risposta! Abbiamo il compito di impedirvi qualsiasi azione che possa nuocere all’avanzata dell’Esercito delle Ombre!”

 

“Flegias ha dunque così timore che i suoi progetti di dominio falliscano da inviare anche dei supervisori?” –Li schernì Jonathan, sollevando lo Scettro d’Oro.

 

“Umpf! I piani di Flegias non falliscono mai! Tutto ciò che ha progettato in questi anni ha trovato degna realizzazione! Questo non è che l’ultimo tassello del mosaico di tenebra con cui coprirà il mondo!” –Precisò Gienah. –“E se è vostra intenzione opporvi, fatevi avanti, pianterò la croce di Sant’Elena nei vostri cuori!”

 

“Il solito maschio sbruffone!” –Commentò Reis, avanzando verso di lui, con la Spada di Luce stretta in mano. Ma Jonathan la fermò, trattenendola per un braccio.

 

“Lascia a me questi due e pensa a tenere a bada le ombre! Siamo qua per impedire la loro avanzata!”

 

“Vorresti combattere con entrambi?” –Mormorò Reis, con preoccupazione. Ma realizzò che l’osservazione di Jonathan era giusta e che già le ombre stavano muovendo verso l’interno. Se avessero perso altro tempo con i Cavalieri Neri, la loro missione sarebbe certamente fallita. –“La impediremo!” –Affermò con un sorriso, prima di voltarsi e scattare verso la marea nera. –“Ma questo maschilismo lo detesto, ricordatelo Jonny! Voi uomini dovete sempre mettervi in mostra e dimostrare quanto siate forti e bravi in battaglia, forse per nascondere chissà quale altra carenza!” –Ironizzò, strappando a Jonathan un sorriso, prima che questi si voltasse verso i due Cavalieri Neri, espandendo il suo cosmo dorato.

 

“Rimandare la fine non vi servirà! Entrambi cadrete qua, quest’oggi!” –Esclamò Gienah, scattando avanti, con le braccia avvolte in un’accesa luce bluastra. –“Per mano delle lame di Sant’Elena!” –E, con il continuo roteare degli avambracci, scatenò dei fendenti energetici che saettarono verso Jonathan da ogni direzione, sottili e taglienti, come rapidi affondi di spada. Ma il Cavaliere delle Stelle non si fece prendere alla sprovvista, muovendo lesto lo Scettro e parando con la lunga asta ogni fendente di energia, persino quello più piccolo o quello più laterale.

 

“I miei complimenti!” –Commentò Gienah, portatosi nel frattempo su un fianco di Jonathan. –“Ci vuole occhio allenato per evitare le mie lame di energia! Occhi che solo uno spadaccino professionista può avere!”

 

“Non sono uno spadaccino!” –Rispose Jonathan. –“Né ho ricevuto un addestramento simile! Ma, a modo mio, posso dire di avere l’occhio ben allenato!” –Ironizzò, prima di lanciarsi a sua volta avanti, puntando lo scettro verso Gienah e liberando una raffica di fasci di luce dorata, che sfrecciarono nell’aria, abbattendosi sul Cavaliere Nero, che cercò di evitarli scattando di lato. Ma quando comprese che erano troppi decise di affrontarli frontalmente, colpendoli uno ad uno con le sue lame.

 

Bode, rimasto in disparte, osservò lo scontro tra i due attacchi, la precisa e costante abilità di entrambi nel colpire al punto giusto. E fu quasi invaso dall’invidia, non essendo egli, a causa della sua stazza, né agile né scattante come loro.

 

“In compenso sono molto potente!” –Si disse, sbattendo un pugno nel palmo dell’altra mano ed espandendo il proprio cosmo, dal colore ocra. Quindi affondò entrambi i pugni nell’asfalto sotto di lui, sollevando un grosso pezzo di strada con le sue robuste braccia e scaraventandolo contro Jonathan, che non ebbe problemi a distruggerlo con un paio di raggi energetici.

 

Ma nel far questo dovette distrarsi per un momento, permettendo a Gienah di avvicinarsi, con gli avambracci che roteavano come lame di pura energia, e di colpirlo su un fianco, strappandogli un grido di dolore. Prima che il Cavaliere Nero potesse colpirlo di nuovo, Jonathan fu però svelto a muovere lo Scettro d’Oro, sbattendolo contro l’addome di Gienah e scaraventandolo indietro, fino a schiantarsi contro il muro di un palazzo circostante.

 

Bode approfittò di quel momento per caricare il Cavaliere delle Stelle, a cui sembrò di vedere una montagna crollare su di lui, tanto imponente era la sua mole. Jonathan gli diresse contro alcuni raggi di energia, che stridettero sulla corazza di Bode, senza comunque rallentare la sua corsa. Allora decise di fare altrettanto e si lanciò contro di lui, piantando l’asta dorata nel terreno e usandola per balzare al di sopra del Cavaliere Nero, che rimase sorpreso dall’agilità del ragazzo. Fece per voltarsi, ma Jonathan lo anticipò ancora, colpendolo con un colpo di scettro sul mento, spaccandogli l’elmo della corazza e portandogli via anche un paio di denti.

 

Nonostante la violenza del colpo, Bode rimase comunque in piedi e trovò la forza per afferrare Jonathan per una gamba, prima che toccasse terra, e scaraventarlo via. Il Cavaliere delle Stelle fu abile a compiere una piroetta su se stesso, ma mentre stava per atterrare compostamente in piedi, venne raggiunto da centinaia di fendenti di energia, scagliati da Gienah, rimessosi da poco in piedi.

 

“Adesso basta!” –Esclamò Jonathan, sprigionando un accecante bagliore con cui spazzò via tutte le lame di energia del Cavaliere di Sant’Elena, obbligando sia lui che il suo compagno a coprirsi gli occhi. Un attimo dopo i due li riaprirono, notando che la luce era calata d’intensità, ma subito vennero accecati nuovamente, quella volta da una direzione diversa. Quindi la luminosità calò di nuovo, prima di abbagliarli ancora, stordendoli ed esponendoli all’assalto del Cavaliere delle Stelle.

 

Aberrazione della luce!” –Gridò Jonathan, piombando sui servitori di Flegias, mentre migliaia di raggi di luce risplendevano attorno a loro, senza che potessero capire da dove provenissero. Li videro troppo tardi, quando ormai avevano frantumato le loro corazze.

 

Jonathan atterrò proprio di fronte a Gienah, muovendo lo Scettro con un colpo a spazzare e spaccandogli il fianco sinistro dell’Armatura della Croce di Sant’Elena, gettandolo a terra sanguinante. Ma quando fece per colpire Bode, sentì le braccia robuste del colosso afferrarlo per le braccia e tirarlo a sé, schiacciandolo con violenza contro il suo corpo.

 

“Eccoti qua, bel biondino!” –Commentò, con il volto deformato dal sangue che gli colava dalla mascella distrutta. –“Lascia che mi prenda cura di te! Che ne dici di un bel massaggio?!” –E strinse Jonathan a sé con forza maggiore, stritolandolo con le sue braccia possenti, fino a udire scricchiolare la corazza delle stelle e le ossa del ragazzo.

 

“Ma… maledizione! Lasciami bestione!” –Esclamò Jonathan, dimenandosi. Ma la presa del Cavaliere del Monte Menalo era così forte da mozzargli il respiro. Per un momento le forze gli cedettero e perse la presa dello Scettro d’Oro, che cadde a terra con fragore, rotolando di qualche metro sull’asfalto.

 

Gienah si avvicinò all’arma, osservandola con interesse. Non sapeva cosa fosse, né da dove provenisse, ma era certo che i suoi poteri fossero grandi, avendola vista in azione fino a poco prima.

 

“Uno solo dei suoi fasci sembra contenere l’energia di un piccolo sole!” –Commentò, allungando la mano fino a sfiorare la lunga asta. –“Arma pericolosa per il Maestro di Ombre! Arma che potrebbe danneggiare l’Esercito di Tenebra che ha faticosamente costruito!” –Ma non appena la afferrò, deciso a spezzarla o a portarla a Flegias, una violentissima scarica di energia lo travolse, scuotendo tutto il suo corpo e schiantando parte della sua corazza, fino a farlo ricadere a terra.

 

“Gienah!!!” –Gridò Bode, osservando il compagno esausto sputare sangue e crollare sull’asfalto distrutto. Nonostante i rapporti tra la maggioranza dei Cavalieri Neri fossero di semplice opportunismo, uniti soltanto dal fine comune di servire il Maestro di Ombre, tra Bode e Gienah era sorta una mezza amicizia, dovuta essenzialmente alla simpatia del gigante, e al modo di Gienah di rapportarsi a lui. Era infatti l’unico a non canzonarlo per la sua stazza, convinto che in battaglia, a modo suo, avrebbe potuto comunque rendersi utile.

 

Jonathan approfittò di quel momento per far esplodere il suo cosmo, accecando Bode e incendiando parte della sua corazza, obbligandolo ad allentare la presa. Non di molto, ma quanto fu sufficiente a Jonathan per liberare il braccio destro e distenderlo, richiamando a sé lo Scettro d’Oro, che saettò subito nella sua mano. Jonathan lo infilò nello spazio tra il suo corpo e il petto di Bode, usandolo come leva per spingersi indietro, aprendo le braccia del gigante e balzando fuori dalla sua stretta. Atterrato all’esterno, puntò l’asta avanti, colpendo il Cavaliere Nero più volte sull’addome, spaccando la sua corazza fino a sfondarla e a piantare lo Scettro dentro di lui. L’energia cosmica che lo invase fu tremenda e Bode venne percorso da un fremito violento, al punto da crollare all’indietro, scuotendo il terreno con la sua caduta.

 

“Stolti!” –Esclamò Jonathan, balzando indietro e portandosi a distanza di sicurezza. –“Pretendere di toccare con mano indegna uno dei Talismani del Mondo Antico è quasi pretendere di vedere Dio!”

 

“I Talismani?!” –Mormorò Gienah, rimettendosi in piedi a fatica e trascinandosi verso il corpo di Bode.

 

“Proprio così! Armi che nessuno può toccare, se non coloro che i Talismani stessi scelgono come custodi! Una mano impura non potrebbe neppure sfiorarli!”

 

“Che siano quelli che Flegias ha cercato per anni?!” –Rifletté Gienah. –“E se anche li avesse trovati non avrebbe potuto possederli! Quale ironia!”

 

“Flegias non ha mai capito cosa fossero i Talismani! Lui ha cercato comuni armi in tutti i templi che ha visitato! Ma la verità era ben lontana dalla sua ricerca! Ricerca che avrebbe potuto evitare se avesse avuto l’insegnamento di Avalon al riguardo! Pur tuttavia le paure dell’Isola Sacra erano fondate! È vero, soltanto i prescelti possono impugnare i Talismani, ma se un uomo malvagio e dal cosmo impuro fosse così forte, così potente, così carico di tenebra da riuscire a sottomettere persino la volontà degli antichi manufatti…”

 

“Avrebbe potuto asservirli alla sua causa e anziché portare luce avrebbero portato ombra!” –Concluse la frase Gienah, intuendo i pensieri del Cavaliere delle Stelle, e cercando un modo per mettersi in contatto con l’Isola delle Ombre. Ben sapendo che i suoi scarsi poteri mentali non avrebbero potuto giungere così lontano, né superare la cappa di tenebra che la avvolgeva.

 

Proprio in quel momento Flegias, che amava rimirare il suo volto nella corona nera che Athanor aveva forgiato per lui, gettava un altro pezzo di carne umana nel braciere della sua caverna. I resti dei Cavalieri Celesti che avevano osato invadere il suo impero. Alte fiamme nere vorticarono sinuose verso il soffitto, mentre confuse immagini si accavallavano davanti agli occhi del Maestro di Ombre. Concentrandosi, ed espandendo il cosmo, Flegias cercò di focalizzare ciò che voleva vedere. La Turchia. Smirne. Piazza Konak. E i due Cavalieri Neri che venivano travolti da un ragazzino armato di uno Scettro d’Oro.

 

Flegias storse il naso, deluso da quei due incapaci, troppo teneri per essere i soldati perfetti e sanguinari che avrebbe voluto, quando la sua attenzione fu attirata proprio dallo Scettro. Un’arma che non aveva mai visto. E da colui che lo impugnava, un ragazzino dai capelli biondo cenere che riluceva di mistici bagliori. A quella vista, Flegias avvampò e le fiamme sussultarono, espandendosi per l’intera caverna.

 

“Avalon!!!” –Mormorò. –“Puzza di Avalon anche a distanza di miglia! Dunque hai finalmente mosso le tue pedine! Hai trovato i Talismani e li stai usando contro di me! Non so quanti tu ne abbia trovati, ma non ti permetterò di usarli! No! Volgerò la loro luce all’ombra e ne farò araldi del mio potere!” –Ringhiò Flegias, avvolgendosi nel suo mantello scarlatto. E per un attimo si vide in cima al cerchio di pietre dell’Isola Sacra, mentre la mistica energia della natura fluiva dentro di lui, prima che un rogo immenso divorasse ogni cosa, spazzando via quella visione di cui non seppe riconoscere la provenienza. Passata, presente o futura.

 

“Orochi è al Grande Tempio! E su Iemisch non posso più fare affidamento!” –Rifletté Flegias, che ritenne necessario un intervento immediato contro i Cavalieri di Avalon. –“Pazienza! Vorrà dire che dovrò fare alla vecchia maniera e occuparmene personalmente! Ah ah ah!”

 

Si tagliò un polso con la spada, lasciando che gocce di sangue centellinassero nel braciere, alimentando il fuoco della Vista. Una nuova immagine prese consistenza di fronte ai suoi occhi e il Maestro di Ombre riconobbe l’isola di Creta, la cui parte orientale era già stata raggiunta dalla marea nera. Anche là qualcuno combatteva, anche là qualcuno osava opporsi all’avvento dell’ombra. Flegias sogghignò, riconoscendo il volto di uno dei due Cavalieri delle Stelle. Il figlio di un sovrano che aveva ingannato a suo tempo.

 

“Non ci vediamo da molto tempo, Febo del Sole!” –Sogghignò. –“Credo sia l’ora di una bella rimpatriata! Ah ah ah!” –E si avvolse in un turbine di fiamme e ombra, all’interno del quale scomparve dopo poco.

 

Gienah non poteva conoscere le azioni di Flegias e si limitò a rimettersi in piedi, per quanto ferito, con una nuova determinazione negli occhi. Vincere Jonathan anche per correre ad informare il Maestro di Ombre. Ma per farlo doveva togliergli la presa dello Scettro e l’impresa era tutt’altro che facile.

 

“Il vostro spirito guerriero si è già sopito? Dov’è dunque tutto il vostro coraggio?” –Gridò Jonathan, scattando avanti e liberando il suo colpo segreto. –“Aberrazione della luce!” –Nuovamente migliaia di raggi di luce sfrecciarono da ogni direzione contro i due Cavalieri Neri, lampeggiando attorno a loro e stordendoli. Ma Bode ebbe la funzionale idea di usare il suo cosmo per generare una barriera energetica dalla tozza forma di una montagna, con il quale protesse lui e il suo compagno.

 

“Non supererai le difese del Monte Menalo! Il monte dove Ercole catturò la Cerva dalle Corna d’Oro!” –Ruggì Bode, con le braccia sollevate verso il cielo ed il cosmo sfolgorante attorno a sé.

 

“Credi che quella barriera basti per proteggervi? Se lo ritieni davvero, allora non hai capito niente del mio attacco!” –Esclamò Jonathan. –“L’aberrazione della luce è un fenomeno che fa apparire deviata, ad un osservatore in moto, la direzione di un raggio luminoso proveniente da un corpo celeste, così come sembrano inclinate le gocce di piaggia che cadono perpendicolarmente al suolo ad un osservatore che cammina velocemente! Allo stesso modo io utilizzo questa tecnica per disorientare i miei avversari, stordendoli con continui lampi di luce provenienti da ogni dove!” –E nel dir questo sollevò nuovamente lo Scettro, mentre migliaia di flash luminosi si accendevano attorno a lui, disturbando la vista dei Cavalieri Neri.

 

“Non possiamo rimanere passivi! Dobbiamo attaccare!” –Gridò Gienah, uscendo dalla barriera e incrociando le braccia avanti a sé, fino a creare una x, su cui concentrò il suo cosmo bluastro. –“Croce di Sant’Elena!!!” –E scagliò un violento attacco energetico contro Jonathan, che cercò di difendersi colpendolo in corsa con lo Scettro. Ma l’esplosione che ne seguì lo scaraventò indietro di qualche metro, facendolo ruzzolare sul terreno, mentre Gienah incrociava nuovamente le braccia, liberando una nuova croce di energia cosmica.

 

Jonathan si gettò a terra, scivolando abilmente tra i rami inferiori della croce, lasciando che gli passassero di lato, strusciando soltanto parti della sua corazza, ma quando fece per rialzarsi si accorse che Bode aveva generato un’immensa montagna di cosmo e l’aveva appena lanciata su di lui. Jonathan cercò di sfrecciar via, ma nella fretta inciampò nel suo stesso Scettro, cadendo a terra e non potendo far altro che sollevare entrambe le braccia per sostenere il peso di quella montagna. Il peso del Monte Menalo.

 

“Che te pare, Gienah?! Non ti ricorda Atlante?!” –Rise Bode, osservando Jonathan, con un ginocchio a terra, che puntava le mani verso l’alto, per reggere quell’immensa massa che lo stava schiacciando. Una massa formata essenzialmente da cosmo, ma che Bode aveva il potere di rendere terribilmente pesante.

 

“Atlante lo immaginavo forse più robusto!” –Ironizzò Gienah, approfittando di quel momento per riprendere fiato. Vide lo Scettro d’Oro in terra, a pochi passi da Jonathan, chino sotto il peso del Monte Menalo, e pensò di appropriarsene. Ma il pensiero di una nuova scarica energetica lo fece desistere. –“Dobbiamo ucciderlo! Soltanto così potremo impossessarci dello Scettro, privo ormai del cosmo del suo guardiano!” –E nel dir questo incrociò nuovamente le braccia davanti al petto, ricreando una croce di energia. –“Croce di Sant’Elena!” –Gridò, liberando il suo assalto, che falciò le braccia e le gambe di Jonathan, facendolo cedere, mentre l’immensa massa del Menalo crollava su di lui, schiacciandolo.

 

“Vittoria!!!” –Gridò Bode. Ma Gienah gli disse di non esultare troppo, poiché avevano ancora un nemico da affrontare. Si voltarono verso l’altro lato della piazza, dove Reis stava affrontando da mezz’ora ormai un nugolo di ombre, disperatamente assetate della luce della sua Spada. Quando i due si mossero per andare da lei, un’abbagliante esplosione li distrasse e si voltarono contemporaneamente per osservare Jonathan risollevarsi da terra, prima appoggiato ad un ginocchio, poi con entrambe le gambe diritte, mentre teneva con le braccia sopra di sé l’immensa mole del Monte Menalo, avvolto in uno sfavillio di stelle.

 

Così abbagliante era la luce prodotta che molte ombre, intente a lottare con Reis o a vagare per Smirne, furono attratte dalla sua energia vitale, lanciandosi verso di lui. Gienah, stupefatto, incrociò nuovamente le braccia di fronte a sé, ma Jonathan lo anticipò, scaraventando contro di lui l’intera montagna generata da Bode e schiacciandolo sul colpo.

 

“Gienah!!!” –Gridò Bode, muovendosi per soccorrerlo. Ma Jonathan non gliene diede il tempo, concentrando il cosmo tra le mani.

 

“Sai dove vanno a finire i sogni?! Secondo Ariosto tutto ciò che l’uomo ha perso va a finire sulla Luna! E indubbiamente, tra le cose che gli uomini tendono a perdere e a dimenticare, vi sono anche i sogni! Ma io credo che essi volino molto più lontano! In un posto dove soltanto le stelle possono arrivare! In un luogo dove nascono le comete!” –Affermò Jonathan, concentrando il cosmo attorno al braccio destro e scattando poi avanti. –“Cometa d’oro! Risplendi!!!” –E scagliò un assalto luminoso contro Bode, che travolse in pieno il Cavaliere Nero, trapassandolo da parte a parte senza che egli neppure se ne accorgesse. L’ultima cosa che vide, prima di spegnersi, fu lo scintillio di una cometa, che lasciava dietro di sé una scia di polvere di stelle.

 

Gienah ebbe ancora la forza di rimettersi in piedi, nonostante l’armatura distrutta e numerose ferite sul corpo. E Jonathan, osservandolo, decise di privarlo di ogni sofferenza. Lo colpì con un raggio di energia, mentre incrociava le braccia al petto, scaraventandolo indietro, fino a farlo affondare all’interno della marea nera che li aveva accerchiati. In un attimo le ombre furono su di lui, cibandosi di quel che restava della sua energia vitale. Jonathan volse lo sguardo, disgustato da quello spettacolo e corse ad aiutare Reis, avvolta da un turbine di nere evanescenze.

 

“Te la sei presa comoda!” –Ironizzò la ragazza, muovendo la Spada di Luce per falciare via quegli strati di tenebra che parevano non avere mai fine.

 

Cometa d’oro!!!” –Gridò Jonathan, liberando il suo attacco migliore, che estinse sul colpo alcune decine di ombre, liberando Reis da quella stretta morsa.

 

La ragazza affiancò subito il compagno, mentre la cappa scura sembrava chiudersi sempre più su di loro. Nonostante combattessero da quasi due ore, non era cambiato fondamentalmente niente, sennonché si sentivano più deboli e spossati.

 

“Se proprio dobbiamo morire qua, moriremo con onore!” –Esclamò Reis, lasciando che il suo cosmo dorato scivolasse attorno al suo corpo femminile. –“Cascata di luce!!!” –Gridò, liberando i flutti di vivida luce.

 

Sciame di comete!!!” –La affiancò Jonathan, dirigendo migliaia di comete dorate contro la massa di ombre, estinguendone alcune, proprio come l’attacco dell’amica. Ma non abbastanza. Non la totalità di esse.

 

“Il cerchio si stringe!” –Commentò Reis, osservando l’Esercito delle Tenebre accerchiarli sempre di più, limitando i loro spazi di azione e avvolgendoli in una notte senza fine. Sembrava quasi che avessero compreso il pericolo potenziale rappresentato dai due Cavalieri delle Stelle, ma che al tempo stesso ne fossero attratti, vedendovi un serbatoio di energia a cui non potevano fare a meno di attingere.

 

“Insieme, Reis!” –Gridò Jonathan, sollevando lo Scettro d’Oro verso il cielo.

 

Ma proprio in quel momento un’ondata immensa di fiamme risplendette in piazza Konak, vorticando attorno ai Cavalieri delle Stelle. A quella visione le ombre parvero disperdersi, impaurite da così tanta luce violenta, da così tanto fuoco astrale capace di divorarle. Persino Jonathan e Reis dovettero coprirsi gli occhi, accecati da tale bagliore, che scoprirono provenire da un uomo rivestito da una splendida armatura luminosa, dai colori rossastri come l’alba. Un uomo che Jonathan conosceva bene.

 

“So già che Avalon se la prenderà! Ma non potevo restare inerme e perdermi tutto il divertimento!” –Esclamò Andrei, salutando l’allievo.

 

 

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Capitolo 26
*** Vincere i rimpianti ***


CAPITOLO VENTIQUATTRESIMO: VINCERE I RIMPIANTI

CAPITOLO VENTIQUATTRESIMO: VINCERE I RIMPIANTI.

 

Dopo un paio di tentativi falliti, in cui si era lanciato con decisione contro la barriera protettiva, a Pegasus fu chiaro che contro Orochi non avrebbe avuto vittoria facile. Alto e possente, il Capitano dell’Ombra restava impassibile, con il volto in parte celato dall’elmo a forma di testa di drago nero, riparato da quella protezione di cosmo tanto sottile all’apparenza, quanto insuperabile in verità. Un gioiello di tecnica che a Pegasus ricordò il Muro di Cristallo di Mur, dotato anch’esso della capacità di rimandare indietro l’attacco ricevuto.

 

Ma a Orochi pareva che non importasse neppure quello, convinto di poter vincere il nemico con l’ausilio delle sue sole forze. Quelle stesse forze che avevano così tanto impressionato Flegias al punto da nominarlo Comandante dell’Esercito di Ombre. Un titolo di cui andava orgogliosamente fiero.

 

“Sei tenace, ragazzino!” –Commentò, osservando Pegasus balzare indietro, grazie alle ali dell’Armatura Divina, e atterrare a gambe unite al suolo, evitando il ritorno dei colpi da lui scagliati.

 

“Non sei il primo che me lo dice!” –Ironizzò Pegasus, respirando affannosamente.

 

“Beh, allora sarò l’ultimo!” –Sogghignò Orochi, bruciando il proprio cosmo color ruggine e concentrandolo sul pugno destro. –“Pugno del Drago!!!” –Gridò, portando avanti il braccio e liberando un violento assalto energetico, che elettrificò l’aria circostante, sollevando polvere e detriti.

 

Pegasus cercò di contrattaccare, colpendo l’assalto nemico con migliaia e migliaia di pugni di luce, sperando di frenare la sua avanzata distruttiva. Ma vi riuscì solo in minima parte, venendo raggiunto allo sterno dal pugno di Orochi e scaraventato indietro, fino a schiantarsi sulla scalinata che conduceva alla prima Casa di Ariete. Non troppo distante da dove si era schiantato una mezz’ora prima.

 

Sono di casa, qui! Ironizzò Pegasus, rialzandosi a fatica e sputando sangue. Gli doleva la cassa toracica e il pettorale incandescente dell’Armatura Divina fumava ancora a causa dell’impatto. Meglio tenersi a distanza di sicurezza! Commentò, osservando il possente nemico, con le braccia appoggiate ai fianchi, quasi fosse nel bel mezzo di una conversazione e non di una battaglia.

 

Non era la prima volta che Pegasus affrontava nemici di taglia a lui superiori. Gerki, Docrates, Toro e Thor erano esempi illustri. E anche Bronte del Tuono e il Toro di Creta, benché non fossero dei colossi come gli altri, si erano rivelati avversari insidiosi e potenti. Aveva comunque saputo vincerli tutti, scovando i loro punti deboli e sfruttando le loro debolezze. Ma, nel caso di Orochi, Pegasus non era certo che esistessero. Sembrava davvero che un muro si ergesse di fronte a lui. Un muro che non sapeva come sfondare.

 

Fiammate improvvise sferzarono l’aria, ricordando al ragazzo che, poco distante, Sirio e Cristal stavano affrontando il gigantesco drago e che egli avrebbe dovuto fare il suo dovere, impedendo al Capitano dell’Ombra di correre in aiuto di tale creatura.

 

“Sei pronto alla lotta, Cavaliere?!” –Esclamò infine Pegasus, espandendo il cosmo e disegnando nell’aria le tredici stelle della sua costellazione.

 

“Io sono sempre pronto! Mi chiedo solo se tu lo sia!” –Commentò Orochi, accennando un sorriso di scherno. Ma Pegasus non colse la sua provocazione, continuando a bruciare il cosmo e scattando infine avanti, dirigendo contro il colosso migliaia e migliaia di pugni lucenti, simili ad una vera e propria pioggia di stelle.

 

“Iaiii!!! Pegasus, la tua forza è in meee!!!” –Gridò, lanciandosi contro Orochi, che, dal canto suo, si limitò ad aprire le braccia avanti a sé, osservando le migliaia di sfere luminose generate da Pegasus schiantarsi sulla barriera protettiva. Ma, quando mosse il braccio per rimandarle indietro, notò che nessuna di esse raggiunse il Cavaliere di Atena, che prontamente aveva spiccato un balzo verso l’alto, per superare Orochi e atterrare dietro di lui. –“Dove la tua barriera non ha effetto!!!” –Commentò Pegasus, ricadendo verso terra.

 

Ma Orochi, sorpreso ma nient’affatto preoccupato, saltò in aria a sua volta, dimostrando un’agilità che Pegasus non avrebbe mai creduto, e afferrò il ragazzo per le gambe, roteando più volte su se stesso e gettandolo infine a terra, dove Pegasus ruzzolò malamente. Fece per rimettersi in piedi, ma venne atterrato di nuovo, raggiunto alla schiena da una ginocchiata possente di Orochi, che lo schiacciò sul terreno, incrinando le ali della sua corazza e mozzandogli il respiro.

 

“Quale agilità!” –Sputò Pegasus, arrancando per rimettersi in piedi.

 

“E agile in effetti sono!” –Commentò Orochi, continuando a esercitare violenta pressione sul ginocchio, avvolgendo Pegasus con il cosmo e bloccando i suoi movimenti. –“Ma ancor più… potente!” –Aggiunse, sollevando la gamba di scatto e calpestando il corpo del ragazzo, sprofondandolo vari metri sottoterra.

 

“Pegasus!!!” –Gridò Phoenix, riparato tra le colonne del Tempio di Ariete, intento a prendersi cura di Andromeda, la cui salute fisica era piuttosto precaria. Da quasi un’ora il ragazzo era sbiancato, sudando copiosamente, in preda ad una febbre improvvisa. A fatica riusciva a mantenersi in piedi, con la testa che gli doleva e confuse immagini che si accavallavano davanti ai suoi occhi. Scene già viste, scene di morte, scene che non aveva idea come potessero apparirgli. –“Andromeda…”

 

Ma il fratello era troppo debole persino per rispondere. Aveva indicato a Phoenix la ferita sul collo, uno squarcio di una decina di centimetri, e poi era crollato tra le sue braccia, vittima di una stanchezza che lo stava sopraffacendo.

 

“Maledizione! Se Mur fosse ancora qua…” –Strinse i pugni Phoenix, volgendo lo sguardo verso il cielo. –“Ma ti salverò Andromeda! A costo di portarti in spalla sull’Olimpo!”

 

“Fratello… non…” –Ma Andromeda non riuscì ad aggiungere altro che una nuova fitta al cervello lo fece accasciare, obbligandolo a tenersi la testa tra le mani, come se stesse per scoppiargli. Guerre, stragi, uomini armati, e una sinfonia di favole che suonava in lontananza. Scogli, onde e mari in tempesta, e una risata sardonica che pareva riempire tutto lo spazio.

 

Phoenix aveva disteso il fratello sul pavimento della casa di Ariete, dopo avergli tolto l’Armatura Divina, e stava logorandosi non sapendo cosa fare. Avrebbe voluto essere in battaglia con Pegasus e i suoi compagni, ma non poteva in nessun modo lasciare Andromeda da solo.

 

Orochi, sprofondato Pegasus nel terreno, si mosse per raggiungere il drago della leggenda, ma non riuscì a fare neppure qualche passo che sentì esplodere nuovamente il cosmo di Pegasus. Si voltò verso il cratere aperto nel terreno, proprio mentre un cumulo di detriti saliva verso il cielo, all’interno di un cilindro di luce azzurra dove presto comparve la figura di Pegasus, con lo sguardo determinato a non arrendersi.

 

Il Cavaliere di Atena continuò a salire verso l’alto, avvolto nel cilindro di luce, fino a roteare su se stesso, grazie alle ali dell’Armatura Divina, e assumere la forma di una cometa di luce azzurra.

 

“Orochi! Sto arrivando!!!” –Gridò, aumentando la rotazione del suo corpo e l’intensità del cosmo.

 

“Ti aspetto, ragazzo!” –Esclamò soltanto il Comandante oscuro, esaltato da quella nuova sfida. Proprio in quel momento Pegasus sfrecciò verso di lui, deciso a sfondare la barriera di energia come aveva distrutto quella di Eris quasi un paio d’anni prima. Ma ebbe una brutta sorpresa, quando sentì che quella volta Orochi non aveva creato alcuna barriera difensiva, permettendo a Pegasus di piombare su di lui, che lo aspettava invece con il pugno destro carico di incandescente energia. Tutta quella che era riuscito ad accumulare in quei pochi istanti.

 

Il contraccolpo fu tremendo, e il boato fu udito in tutto il Grande Tempio, bloccando per un momento anche Sirio e Cristal, intenti a difendersi dalle fiamme del drago.

 

Pegasus, colpito in corsa dal pugno di Orochi, venne scaraventato indietro ad una velocità impressionante, finendo per schiantarsi contro il timpano della Casa di Ariete, distruggendolo sul colpo e rovinando all’interno, tra mucchi di pietre e marmo che crollavano su di lui. Ma anche il Capitano dell’Ombra non uscì indenne dall’impatto, osservando il guanto protettivo dell’armatura andare in frantumi, così come parte dell’avambraccio. Per la prima volta inoltre, Orochi emise un lamento di dolore, afferrandosi il braccio ferito con l’altro, per lenirlo con il cosmo.

 

“Pegasus!!!” –Gridò Sirio, sconvolto da quanto accaduto. Ma Cristal lo pregò di non darsi pena per lui, e di concentrarsi sul loro avversario, o avrebbero vanificato quanto fatto finora.

 

L’ingombrante sagoma del drago a otto teste incombeva su tutti loro, squassando il terreno ad ogni movimento, abbattendo alberi e costruzioni e minacciando l’area del Grande Tempio ove sorgevano l’infermeria e alcune abitazioni.

 

“Dobbiamo fermarlo adesso, Sirio!” –Esclamò Cristal, espandendo il cosmo. Sbatté i pugni verso il cielo, lasciando che una fitta ragnatela di ghiaccio cadesse sul drago, limitando per un momento i suoi movimenti e spegnendo qualche fiamma sparsa. –“Vortice… fulminante… dell’aurora!!!” –E liberò una corrente di gelo che avvolse Yamata no Orochi, vorticando attorno al suo immenso corpo e salendo sempre più verso il cielo, con il fine di bloccarlo tra pareti circolari di ghiaccio. –“A te, Sirio!!!” –Incitò infine l’amico.

 

“Non ti deluderò!” –Disse Sirio, balzando in alto e calando la sua lama energetica su una delle otto teste del drago. –“Excalibur!!!” –E con essa la mozzò via, facendo strillare la creatura dal dolore, che iniziò a dimenarsi con forza, decisa a distruggere quella prigione con il suo immenso corpo. Fiammate violente si abbatterono sulle mura di ghiaccio, liquefacendole dopo poco, ma Cristal fu lesto a intervenire.

 

“Ancora! Risplendi Vortice… fulminante… dell’aurora!!!” –Ma non ebbe tempo di portare a compimento il suo rinnovato assalto che un getto di fiamme, diretto da un paio di teste del drago, si abbatté su di lui, infiammando l’Armatura Divina del Cigno e obbligando Sirio a gettarsi sull’amico, portandolo fuori dal getto nemico. –“Grazie!” –Commentò Cristal, un po’ stordito, rimettendosi in piedi.

 

“Non funziona!” –Rifletté Sirio. –“Colpire una testa per volta è una fatica immensa! E lui non è il genere di paziente che si possa definire tranquillo, durante un’operazione del genere!”

 

Proprio in quel momento il drago distrusse un lato della muraglia di ghiaccio con un colpo di coda, facendone piovere pezzi sui due Cavalieri, che balzarono prontamente indietro, per osservare la vasta massa della creatura sollevarsi di fronte a loro. Rapidi getti di fiamma piombarono sui due amici, e Cristal fu svelto a creare una protezione, simile alla struttura esterna di una bara di ghiaccio, che impedì alle vampe di raggiungerli. Ma Orochi era determinato ad arderli vivi e ben presto Sirio si accorse che a Cristal mantenere quella barriera costava troppo in termini di dispendio energetico.

 

“Potrei provare a girarla contro di lui!” –Commentò il Cavaliere del Cigno. –“Fosse possibile fermarlo… in un immenso sarcofago di ghiaccio!” –Aggiunse, sollevando il braccio destro al cielo e lasciando che una cristallina luce scaturisse dalle dita, creando una piramide attorno al corpo del drago, all’interno del quale il ghiaccio prese a formarsi ad un ritmo molto elevato.

 

“Non ci riuscirai, Cristal! È troppo persino per te!!! Guarda quant’è grosso!” –Esclamò Sirio con preoccupazione, mentre vampe di fuoco si abbattevano su di loro.

 

Il Cavaliere del Drago fu svelto a rotolare di lato, evitandole, ma Cristal rimase al suo posto, in piedi di fronte a Orochi, subendo gli sbuffi infuocati e continuando al tempo stesso a sollevare le pareti della bara di ghiaccio, espandendo sempre più il suo cosmo.

 

“Cristaaal!!!” –Gridò Sirio. –“È una pazzia!!!”

 

“Forse!” –Commentò l’amico con voce pacata, cercando di nascondere il dolore e la stanchezza. –“Ma se ti sarà utile per abbatterlo, allora non lo sarà!” –Non aggiunse altro, richiamando a sé tutta l’energia della sua costellazione.

 

“D’accordo!” –Disse Sirio, chiudendo il pugno. Volse lo sguardo verso il drago, che si dimenava all’interno di quelle pareti di ghiaccio sempre più alte, e bruciò il proprio cosmo verde smeraldo. Verde speranza.

 

Per prima cosa liberò violenti getti di energia acquatica, sotto forma di scintillanti dragoni, dirigendoli verso le fauci spalancate di Orochi, spegnendo le sue fiamme. Un paio di teste si tuffarono su di lui, per azzannarlo, ma Sirio fu svelto ad evitarle, lasciando che i loro lunghi colli sinuosi si attorcigliassero tra loro. Quindi le recise entrambe con un unico colpo, strappando alle altre un nuovo grido di terrore.

 

In quel momento si accorse che Cristal, indebolito per il prolungato sforzo di mantenere una temperatura bassissima, era crollato sulle ginocchia, e che la bara di ghiaccio stava iniziando a cedere, sottoposta a indescrivibile pressione da parte del drago. Così balzò di lato, evitando nuove vampe del drago, fino a portarsi alle spalle della creatura, incapace di girarsi a causa del ghiaccio che le aveva congelato la parte inferiore del rozzo corpo. Aiutandosi con i cedri e le alte piante che crescevano sul dorso del drago, Sirio si arrampicò verso l’alto, tagliando loro il collo, proprio come aveva fatto con Gerione mesi prima.

 

Così facendo recise altre tre teste, prima di essere scaraventato a terra da un brusco movimento del drago, infuriato e esagitato come mai era stato prima. Il nero sangue imbrattava l’enorme petto, ardendo in un rogo di fiamme che odorava di morte. Soltanto due teste fissavano ancora i Cavalieri di Atena, prontamente riunitisi, e sembravano sul punto di esplodere nuove vampe di fuoco da un momento all’altro.

 

“Sei con me?” –Esclamò Sirio.

 

“E lo chiedi?!” –Sorrise Cristal, bruciando al massimo il suo cosmo gelido.

 

Sirio fece altrettanto ed entrambi balzarono in alto, portandosi proprio davanti alle due teste di drago, che spalancarono le fauci in quel momento, eruttando fiammate incandescenti. Cristal diresse una tempesta di gelo contro una delle bocche aperte, subito seguito dalle fresche acque della cascata di Cina evocate da Sirio. Quindi, scambiandosi un’ultima occhiata, entrambi sollevarono il braccio destro al cielo, concentrando su esso tutto il loro cosmo. Tutto il loro potere.

 

“In nomine tuo Capricorn!” –Gridò Sirio. –“Excalibur colpisci!!!”

 

“Che il potere di Asgard sia con me! Spada di ghiaccio!!!” –Gli fece eco Cristal, generando un fendente di energia congelante, che si unì a quello di Sirio, sventrando le teste del drago, proprio mentre i due Cavalieri ricadevano a terra. Cristal spalancò le ali dell’Armatura Divina, afferrando Sirio per un braccio e planando con lui sul terreno.

 

La terrificante sagoma di Orochi torreggiò ancora per qualche istante su di loro, prima di crollare senza vita, giù lungo distesa, schiacciando altri edifici e squassando ulteriormente il terreno. La sua rovinosa caduta fu accolta con rabbia dal Comandante dei Capitani dell’Ombra, che si incamminò verso Sirio e Cristal, deciso a vendicare la creatura di cui era custode, ma verso cui era anche debitore, essendo il simbolo del suo potere e la fonte di parte dei suoi poteri.

 

“Se è la vendetta che brami, allora è motivo che spinge anche Sirio il Dragone a combatterti!” –Esclamò il Cavaliere, espandendo il proprio cosmo verde. –“Perché ho anch’io un amico per cui desidero lottare!”

 

“Il debole che giace tra le macerie della Prima Casa? È luogo adatto per i vinti da Orochi!” –Commentò il Capitano dell’Ombra, facendo infervorare Sirio, che si lanciò verso di lui, con il braccio destro teso e carico di energia cosmica.

 

Colpo segreto del Drago Nascente!” –Gridò Sirio. Ma anche il suo attacco, per potente che fosse, si schiantò sull’invalicabile difesa del Comandante oscuro, presto seguito dalla Polvere di Diamanti di Cristal.

 

“È il mio turno, adesso! Apprestate le migliori difese che avete o invocate la clemenza divina, altrimenti sarete spazzati via dal Pugno del Drago!!!” –Gridò Orochi, scagliando un violento attacco di energia, che abbatté Sirio e Cristal, schiantandoli contro una parete rocciosa, con le Armature Divine crepate in più punti.

 

Ricaddero entrambi a terra, perdendo i sensi, e Orochi, deciso a eliminare la loro minaccia, si avvicinò per colpirli definitivamente. Era un perfezionista, lo era sempre stato, e sapeva che i lavori andavano eseguiti scrupolosamente. Altrimenti è meglio non farli! Sorridendo cinicamente, ripensò a Iemisch, il Capitano dell’Ombra della Tigre Nera, che aveva ardito chiedere a Flegias il comando del suo Esercito.

 

Avrebbe dovuto essere folle, o desideroso di sconfitta, il Maestro di Ombre, per nominare quel fallimentare soldato al comando delle sue armate! Rifletté Orochi, ricordando la sconfitta subita da Iemisch ad Angkor. Una sconfitta che aveva messo definitivamente fine alla disputa per il primo posto. Meritatissimo, oserei dire! Si disse, concentrando il cosmo sul pugno destro, pronto per calarlo sui due Cavalieri.

 

Ma fu obbligato a voltarsi indietro e a parare una raffica di meteore energetiche che sfrecciarono sul terreno dirette verso di lui. Le neutralizzò tutte, stringendo l’ultima nel pugno della mano e spegnendola, in modo da disperderne l’energia. Pegasus non ne fu troppo sorpreso, ma quanto meno era riuscito a impedirgli di fare del male ai suoi amici.

 

“Hai dimenticato contro chi stavi combattendo, bestione? O la materia grigia ti fa difetto?” –Esclamò il Cavaliere, in piedi a una decina di metri da Orochi.

 

“L’ironia non ti manca, ragazzo, ma da sola non basta a garantirti la vittoria!” –Precisò Orochi, iniziando a incamminarsi verso Pegasus, espandendo il suo cosmo. –“Serve anche la forza e, benché certo non ti manchi, non ne hai abbastanza per confrontarti con me! No!” –Si fermò per un momento, fissando Pegasus con i suoi occhi color oro. Da cui guizzò una luce che stupì per un momento il Cavaliere. –“Non lo è affatto! E ora vedrai! Alitar del drago!!!” –Esclamò Orochi, portando entrambe le braccia avanti e volgendo i palmi al ragazzo, che subito venne investito da vampe di fuoco, simili a quelle emesse dal drago a otto teste.

 

Pegasus incrociò le braccia davanti al volto, per difendersi da quell’assalto, prima di balzare indietro, spalancando le ali dell’Armatura Divina e sbattendole in modo da generare una corrente d’aria che disperdesse le fiamme. Ma si accorse di essere un po’ stordito, e si toccò la testa con una mano, sentendola improvvisamente pesante. Orochi approfittò di quel momento di distrazione del ragazzo per balzare su di lui e colpirlo con un pugno in pieno petto, scaraventandolo a terra, ancora una volta in un cratere che si aprì sotto di lui. Ancora una volta crepando l’Armatura Divina, spaccando le ali in più punti.

 

“Co… cos’è successo?!” –Balbettò Pegasus, cercando di rimettersi in piedi, mentre, a un cenno di Orochi, le fiamme si chiusero a cerchio attorno al Cavaliere, che le osservò stranito, come fossero qualcosa che non aveva mai visto. Ed in effetti, si disse, tenendosi ancora la testa, erano diverse da ogni altro tipo di fuoco.

 

“Non hai imparato niente dagli errori precedenti, Cavaliere di Pegasus!” –Commentò Orochi, avvicinandosi al bordo del cratere. –“Già ti avevo avvertito di quanto fosse pericoloso l’alito del drago! Non è semplice fiamma, che un getto d’acqua potrebbe spegnere! Tutt’altro! È pestilenziale soltanto l’odore ed inalarlo in grande quantità può rivelarsi dannoso! E mortale!”

 

“I… Inalarlo?!” –Mormorò Pegasus, rialzandosi a fatica, privo dell’elmo della corazza, perso nello scontro.

 

“Proprio così! Può rivelarsi gas tossico per chi non vi è avvezzo! Dapprima accuserai mal di testa e stordimento, che limiteranno i tuoi sensi in battaglia, rendendoti impreciso e vulnerabile, poi nausea e conati di stomaco, che ti piegheranno a terra, finché una febbre violenta, alternata a spasimi convulsivi, non ti porterà via, liberando il mondo da un altro sconfitto!”

 

“Io non sono uno sconfitto!” –Commentò Pegasus, bruciando il cosmo e concentrandolo sul pugno destro. Ma non fece in tempo a caricare il suo colpo segreto che già Orochi gli aveva stretto la mano sulla propria, chiudendogliela a morsa e stritolandola con violenza, prima di sollevare il ragazzo e sbatterlo a terra dietro di lui. Scosso come fosse un cencio.

 

“Hai iniziato ad ammalarti non appena hai inalato il primo alito del drago, di fronte al Cancello Principale! Da quel momento in poi, la vita è stata per te una progressiva perdita di te stesso! Non puoi vincermi, Pegasus!”

 

“Io… saprò trovare la forza per farlo!” –Commentò il ragazzo, cercando di rimettersi in piedi. Ma Orochi spezzò il suo tentativo colpendolo alla schiena con il tacco della sua corazza e schiacciandolo a terra, calpestando la sua corazza e scheggiando ancora le ali.

 

“Fallirai! Come hanno fallito tutti coloro che hanno affrontato Orochi il grande! Poiché nessuno, neppure gli Dei, può dire di non aver mai provato un rimpianto!”

 

“Un rimpianto?!” –Balbettò Pegasus, mentre Orochi ancora continuava a schiacciarlo sotto il possente tacco.

 

“Proprio ti è difficile ascoltare i tuoi nemici, eh?” –Esclamò Orochi, ricordando la sua carica a Pegasus. –“Sono il Capitano dell’Ombra che si nutre dei rimpianti degli uomini, di tutto ciò che disperano per non aver detto o fatto! E, ti assicuro, sono più di quanto loro stessi credano!”

 

“Dunque… è così!” –Commentò Pegasus, capendo infine cosa lo aveva sconfitto. –“Percepisci i rimpianti degli uomini, nutrendoti di essi e svuotando parte dell’energia vitale dei tuoi nemici!”

 

“È l’Alito del Drago la fiamma capace di scavare a fondo nell’animo di ognuno!” –Spiegò Orochi. –“Una fiamma che nessuno è in grado di spegnere, poiché sarebbe come spegnere se stessi!”

 

“Io ci riuscirò!” –Esclamò Pegasus infine, espandendo il proprio cosmo azzurro.

 

“Tu, Pegasus?! Tu che rimpiangi ogni giorno la tua esistenza per non poterla trascorrere assieme alla donna che ami? Tu che ti colpevolizzi in ogni momento per aver violentato la sacralità del tuo ruolo di Cavaliere, scambiando la riconoscenza di una Dea per i suoi combattenti con un vago sentimento di amore?” –Tuonò Orochi, prima di scoppiare a ridere, calando nuovamente il tacco su Pegasus.

 

Ma quella volta il ragazzo fu svelto a voltarsi e ad afferrare il piede del Capitano con entrambe le braccia, venendo spinto in profondità dalla pressione, ma riuscendo comunque a contrastarla. Mise tutto se stesso, tutta l’energia che aveva dentro, nonostante le fiamme di Orochi circondassero la fossa in cui giaceva, continuando a esercitare la loro silenziosa minaccia, quasi a voler ricordare continuamente a Pegasus di essere un uomo. E come tale suscettibile di errori e rimpianti.

 

“Io… saprò vincerti!” –Mormorò il ragazzo, concentrando il cosmo sulle braccia. –“Perché vincendo te, vincerò anche i sentimenti che mi attanagliano!” –E spinse sul piede con forza, fino a sollevarlo di qualche centimetro, allontanandolo dal suo corpo, riuscendo infine a scaraventare Orochi in alto, facendovi leva con tutto se stesso.

 

Il Capitano dell’Ombra fu abile a roteare su se stesso e ad atterrare compostamente a terra, a qualche metro di distanza, sorpreso per le capacità di ripresa di Pegasus, ma ancora consapevole della propria superiorità. Un uomo in balia dei sentimenti, un uomo dominato dai rimpianti, anche fosse soltanto uno, è debole, e in battaglia non potrà mai vincere! Sentenziò, espandendo il suo cosmo color ruggine, mentre Pegasus usciva dalla fossa e si posizionava di fronte a lui.

 

Alitar del Drago!!!” –Gridò, generando nuove vampe di fuoco che si abbatterono sul Cavaliere di Atena, che nient’altro poté fare per difendersi che incrociare le braccia davanti al volto, per non bruciarsi.

 

Orochi osservò Pegasus ergersi in mezzo a quel piccolo inferno, ove le fiamme da lui generate si allungavano sul corpo del ragazzo, non tanto per bruciarlo vivo, ma per cibarsi dei segreti del suo cuore. Quegli stessi che Orochi stava ormai leggendo da un paio d’ore. Rimase stupito tuttavia quando vide che, quella volta, Pegasus non accennava a cadere, non sembrava neanche stordito, né avere qualche mancamento, come invece era accaduto prima.

 

“Cosa?!” –Gridò, rivelando per la prima volta un tono di voce insicura.

 

“Adesso sei tu che non ascolti me! Non ti ho forse detto che ti avrei battuto?” –Ironizzò Pegasus, avvolto in un’aura di luce azzurra. –“Ebbene lo farò, e nel farlo saprò domare i sentimenti che non mi danno pace da tempo! Sì, ho passato giorni, anzi mesi, a chiedermi se l’amore per Isabel fosse giusto, se si può definire tale un sentimento. Essendo qualcosa che si prova, non credo però che sia il termine adatto. Potrei definirlo pazzo, o forse sacrilego, o semplicemente umano!” –Aggiunse con un sorriso, prima di spalancare le braccia e lasciar esplodere il cosmo. –“Se un giorno dovrò essere punito, da Zeus o dagli Dei tutti, per aver osato amare la Dea al cui culto sono devoto, allora accetterò qualsiasi punizione, ma mai rinnegherò quest’amore! Mai rinnegherò i miei sentimenti!!! Perché viene dal cuore, e dalle stelle che in me albergano! Sappilo, Orochi! E non ti permetterò più di usarlo contro di me! Fulmine di Pegasus!!!” –Gridò, scattando avanti, tra le fiamme che ormai non riuscivano più a frenarne la corsa.

 

Orochi portò le braccia avanti, volgendo i palmi verso Pegasus, in tempo per ricreare la barriera su cui la pioggia di stelle cadenti si schiantò, senza riuscire a superarla. Con rabbia, Pegasus balzò di fronte a essa, concentrando il cosmo in un unico pugno e colpendola con forza, venendo subito scaraventato indietro.

 

“Questa non dipende certamente dai rimpianti…” –Esclamò Orochi, prima di chinarsi e toccare il fianco sinistro, dove la corazza sembrava essere stata incrinata da un pugno di luce. –“Possibile?!” –E sollevò lo sguardo verso Pegasus, che si era nuovamente rialzato, ansimando per lo sforzo ma deciso a non arrendersi.

 

Vedendo il Capitano che si teneva un fianco, il ragazzo sorrise, rinnovando la promessa fatta poco prima. Senz’altro aggiungere, concentrò ancora il cosmo sul pugno destro, dirigendo un unico attacco contro Orochi. Una scintillante cometa di luce che scivolò nella tetra aria del santuario insanguinato.

 

Cometa lucenteee!!!” –Gridò Pegasus, mentre Orochi portava in fretta le mani avanti, per generare la barriera protettiva. Ma l’azione tardiva, e la maggior potenza d’attacco del Cavaliere, fecero vacillare la sua difesa e lo spinsero indietro di una decina di metri, scavando solchi nel terreno con i suoi grossi piedi.

 

Quando l’energia scemò, Orochi si accorse di avere ancora le braccia tese, con gli ultimi barlumi del cosmo di Pegasus che si spegnevano tra le sue mani. E il ragazzo, che respirava a fatica per lo sforzo, ancora in piedi di fronte a lui.

 

“Incredibile! Se non fosse stato per la barriera difensiva, contro cui la cometa di luce è esplosa, sarei stato scaraventato indietro! E non soltanto…” –Rifletté il Capitano, iniziando a vedere Pegasus sotto una nuova luce. Intrigante, certo, per la sfida che si apriva di fronte a sé, ma anche pericoloso, poiché non aveva affatto previsto di perdere così tanto tempo con lui.

 

C’erano cinque Cavalieri Divini e quattro Cavalieri d’Oro al Grande Tempio, oltre a qualche Cavaliere di grado inferiore, di nulla importanza. Due erano stati messi fuori gioco per il momento, ma Orochi era certo che, se avevano anche solo un quarto dello spirito combattivo e tenace di Pegasus, sarebbero certamente stati un problema. Per questo doveva affrettare i tempi, e favorire l’avanzata dell’Esercito delle Ombre, sbarazzandosi di quel ragazzetto al più presto. Non aggiunse altro e sollevò il pugno destro al cielo, avvolgendolo nel suo cosmo color ruggine, mentre numerose saette guizzarono attorno a lui, seguendo i rapidi movimenti del braccio.

 

Pugno del Drago!!!” –Gridò, liberando un poderoso assalto che sfrecciò verso Pegasus alla velocità della luce. Ma quando sollevò lo sguardo, per seguire l’attacco da lui lanciato, si accorse di un sorriso di sfida dipinto sul volto del ragazzo. Un sorriso sospetto.

 

Pegasus infatti, aspettando che Orochi avrebbe tentato quel colpo, visto il fallimento dell’Alito del Drago, aveva raccolto il proprio cosmo, liberandolo soltanto quando il pugno del Comandante oscuro era giunto di fronte a lui. Con decisione, spalancò le braccia, generando un quadrilatero di energia su cui si schiantò l’attacco di Orochi.

 

Quadrato di Pegasus!!!” –Esclamò, cercando il suo avversario con lo sguardo. –“Le sorprese non sono ancora finite!”

 

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Capitolo 27
*** Il peso del passato ***


CAPITOLO VENTICINQUESIMO: IL PESO DEL PASSATO

CAPITOLO VENTICINQUESIMO: IL PESO DEL PASSATO.

 

Mentre Libra e Virgo cercavano di frenare l’avanzata dell’Esercito delle Ombre sul versante orientale del Grande Tempio, e Pegasus e i suoi compagni affrontavano il Comandante dei Capitani dell’Ombra e l’immenso drago Orochi, Ioria del Leone assisteva al martirio a cui il suo vecchio allievo, Siderius della Supernova Oscura, era stato condannato. Una corona di spine energetiche gli aveva penetrato la scatola cranica, prostrandolo a terra, tra sangue e grida di dolore.

 

“Siderius!!!” –Gridò Ioria, scattando avanti per intervenire. Ma venne spinto indietro da un’onda di energia, che lo scaraventò a terra come fosse di carta, indebolito per lo scontro appena sostenuto.

 

“Lascialo al suo destino, Cavaliere di Leo! È lo stesso che adesso riserverò a te! Un martirio indicibile, degna conclusione per un uomo che così tanto ha peccato!”

 

Alto e magro, con un viso pallido e scavato e profondi solchi sotto gli occhi, il carnefice di Siderius indossava un’Armatura Nera, decorata da fregi dorati simili ad un groviglio di spine, ricoperta in parte da un mantello color crema. Il suo nome era Lothar del Sudario di Cristo, fedelissimo del Comandante Orochi e da lui inviato a controllare Siderius, sospettato di un possibile tradimento a causa dei suoi legami con il Grande Tempio. Legami che si concretizzavano essenzialmente nell’uomo dal cuore divorato dal rancore che adesso giaceva ai suoi piedi. Il Cavaliere d’Oro maledetto che portava con sé i segni della sciagura.

 

“Ammetto di non essere sorpreso di incontrarti, Ioria del Leone! Sapevo che Siderius era stato tuo allievo, e quando ha lasciato l’Isola delle Ombre, senza alcuna autorizzazione, ho immaginato che volesse approfittare dell’avvento della ombre per entrare nel Grande Tempio e confrontarsi con te! Povero sciocco! Le emozioni lo hanno tradito! Un errore che non avrebbe dovuto commettere!” –Sibilò Lothar, osservando il Capitano aggrovigliato sul terreno, che cercava di liberarsi dalla corona che lo stava facendo impazzire. –“Su ben altri sentimenti avrebbe dovuto far leva per vincerti! Del resto, non sei certo il più forte tra i difensori di Atena!”

 

“Il tuo maestro ti ha insegnato anche a combattere o soltanto a blaterale inutili frasi, Cavaliere nero?” 

 

“Da Orochi ho soltanto appreso qualche tecnica di lotta, prettamente fisica! Quanto alla mia formazione spirituale, ci avevo già pensato da me! Nelle lunghe notti di preghiere, nelle lunghe notti trascorse a condannare i peccati degli uomini!”

 

Ioria concentrò un groviglio di fulmini sul pugno destro, scattando avanti, ma il Cavaliere Nero sollevò il braccio, bruciando il suo cosmo color crema e osservando soddisfatto una cintura di spine avvolgersi attorno all’arto del Cavaliere del Leone.

 

“Che diavolo succede?!” –Domandò Ioria, prima di sentire centinaia di spine energetiche che lo penetravano con violenza, insinuandosi tra le giunture dell’Armatura d’Oro e nelle crepe aperte in precedenza da Siderius.

 

“Vestigia magnifiche le tue, Cavaliere di Leo! Vestigia che un mio attacco diretto non riuscirebbe a scalfire! Ma, come prima ti ho detto, in battaglia ci sono tanti modi per vincere!” –Ironizzò Lothar. Ma Ioria parve non voler perdere tempo ad ascoltarlo, muovendo di scatto il braccio destro, espandendo il cosmo dorato, con cui fece strage di quel mucchio di spine, e generando un reticolato di luce che si abbatté sul Cavaliere Nero.

 

“Il tuo colpo sacro, se non erro?!” –Disse Lothar, senza scomparsi, limitandosi ad avvolgersi interamente nel proprio mantello, coprendosi persino il volto e lasciando che i raggi di energia schizzassero sul suo corpo, senza produrgli danno alcuno.

 

“Eh?! Come puoi non riportare ferite?!” –Sgranò gli occhi Ioria, ansimando per lo sforzo.

 

“Il mantello che mi protegge non è mero indumento decorativo, ma è un vero e proprio manufatto, una reliquia di potere, come furono la croce e il sudario di Cristo! Fu tessuto sull’Isola della Regina Nera secoli fa e me ne è stato fatto dono dall’ultimo alchimista oscuro, impressionato dalla mia profonda fede! Da quello che definiva integralismo religioso! Ah ah! Tutto ciò che vi sta dentro non può essere scalfito dall’esterno, perciò deponi le armi! Vani sarebbero i tuoi tentativi di recarmi offesa!” –Spiegò Lothar, abbassando il mantello e rivelando nuovamente il suo volto sarcastico e superbo. –“Ma già so che le mie parole si perdono nel vento! Cosa posso in fondo aspettarmi da un uomo che non ha creduto neppure a suo fratello?!”

 

“Che… cosa?!” –Ringhiò Ioria, avvampando nel suo cosmo dorato e generando una sfera di energia dorata che liberò all’istante, dirigendola contro Lothar, che fu svelto a balzare in aria per evitarla. Ma Ioria non gli diede tregua, saltando in alto a sua volta, con il pugno pronto a colpire, ma Lothar gli lanciò contro il suo stesso mantello, che si abbatté sul Cavaliere, oscurandogli la visuale e facendolo incespicare, prima che il servitore di Flegias lo colpisse con un calcio. Quando Ioria fece per rialzarsi, si accorse di non potersi più muovere, prigioniero di quel mantello che sembrava avvolgerlo come un sarcofago.

 

“Dimenarti è inutile! Il rito di crocifissione è già iniziato!” –Esclamò Lothar, atterrando davanti al Cavaliere. –“Presto morirai ma, com’è giusto che sia, prima ti mostrerò i peccati di cui ti sei macchiato, affinché tu sappia perché meriti la morte! Prima subirai la Crocifissione dell’Anima!!!” –Gridò il Cavaliere nero, richiamando a sé il mantello, che liberò Ioria, il quale realizzò finalmente in che posizione si trovasse.

 

Era sospeso a mezz’aria, proprio di fronte a Lothar, con le braccia spalancate ai lati e le gambe leggermente aperte. Nei palmi delle mani erano conficcati due grossi chiodi di energia cosmica, da cui sangue sgorgava copioso, imbrattando i guanti della corazza d’oro e cadendo poi a terra.

 

“Sprechi il tuo tempo e le tue forze!” –Esclamò il servitore di Flegias, osservando i continui sforzi di Ioria, che stava bruciando il cosmo nel tentativo di liberarsi. –“Conservale per ascoltarmi! L’enumerazione dei tuoi peccati richiederà tempo, poiché numerosi sono i comportamenti deplorevoli a cui ti sei abbandonato in vita, tanti quanti i chiodi che ti pianterò nel corpo! Riuscirai a sopportarli tutti? Riuscirai a sopportare la verità?”

 

“Sei un pazzo sanguinario, Lothar!” –Ringhio Ioria, cercando di strappare le braccia da quella prigionia.

 

“Sanguinario mi definisci? E con che aggettivi definiresti invece il tuo carattere, oltre che irruento e stupido?” –Lo zittì Lothar, avanzando fino a porsi di fronte a lui, ancora avvolto nel mantello color crema, con le mani giunte quasi in segno di preghiera, al punto che a Ioria, per un momento, sembrò davvero di vedervi un prete. –“La tua prima colpa è quella di essere nato! Già il fatto stesso di venire al mondo è stato un errore, un atto che ha determinato la morte di tua madre! Stanca, senza più forze ormai, ha trascorso gli ultimi mesi della sua vita a sfamare un figlio che avrebbe soltanto contribuito a portare il male sulla Terra!”

 

“Bastardo!!!” –Esclamò Ioria con rabbia, nel sentire quelle parole dure. Parole che, purtroppo lo sapeva, erano vere, dato che sua madre era realmente morta pochi mesi dopo la sua nascita, pochi mesi dopo aver completato un parto difficile. Suo padre, il valoroso Agamennone, che aveva servito il Grande Tempio di Atena per molti anni, aveva interpretato ciò come un segno, come un presagio, e avrebbe voluto liberarsi del figlio maledetto. Ma lo sguardo del fratello, l’affetto che trapelava dagli occhi del suo primogenito, lo aveva frenato. E di questo, anni dopo, era stato grato a Micene.

 

Perché in fondo Agamennone voleva bene a entrambi, per quanto, anche quando Ioria aveva iniziato l’addestramento, sotto l’attento sguardo del fratello, appena investito Cavaliere d’Oro di Sagitter, non fosse mai riuscito a liberarsi da quei pensieri nefasti. Di quella stella che pareva sovrastare il ragazzo e gridare al maleficio. Era morto così, con un male nel cuore, prima ancora di vedere il secondogenito diventare Cavaliere di Leo e assistere alle sue prime imprese nella campagna d’Africa.

 

“Una strage! Nient’altro fu!” –Sentenziò Lothar, manipolando la mente di Ioria e mostrandogli i ricordi di quei giorni, quasi quindici anni prima. –“Quanti nemici uccidesti quel giorno sotto il sole d’Egitto? A quanti soldati strappasti la vita, privando mille famiglie dell’affetto dei propri cari?”

 

“L’Esercito del Sole Nero voleva conquistare Atene e la Terra! Era mio dovere combattere, per difendere la pace!” –Ringhiò Ioria. Ma Lothar gli piantò un altro chiodo, nel calcagno, bloccandogli la gamba destra.

 

“Proclamare la pace portando la guerra?! Un modo non troppo originale per far valere le proprie idee, Cavaliere! Oltre che debole di forze, sei debole anche di ideali!” –Esclamò ancora Lothar, mostrando nuovi ricordi al Cavaliere d’Oro. –“Anche Niso del Tucano e Eurialo del Dorado volevano conquistare Atene? Anche loro erano nemici? O li hai lasciati morire, senza fare niente per salvarli, sacrificando le loro vite per aver salva la tua, soltanto per codardia?!”

 

“Io… non li ho lasciati morire! Loro… loro mi dissero di voler combattere!” –Affermò Ioria, sentendo per la prima volta l’insicurezza nel tono della sua voce.

 

“Loro, deboli e feriti Cavalieri di Bronzo, hanno chiesto a te, uno dei Cavalieri d’Oro, che sulla carta dovresti essere l’onore e il vanto del Grande Tempio, di combattere da soli e tu li hai lasciati fare?! Li hai lasciati andare incontro al loro destino di morte?! Poiché, ben lo sapevi, che soltanto la morte poteva attenderli nei sotterranei della Piramide Nera! Se tu fossi stato più forte, se tu fossi stato capace, avresti salvato le loro vite e adesso sarebbero qua, a combattere al tuo fianco contro l’ombra!” –Esclamò Lothar, prima di smuovere altri ricordi di Ioria, piantando un nuovo chiodo di energia, stavolta nella gamba sinistra. –“Del resto, pare che la tua migliore qualità sia l’incapacità nel salvare amici e compagni! Non morì forse John Black davanti a te? Perché fosti troppo lento per impedirgli di agire? E Pegasus non uccise Cassios a causa tua, portando via l’allievo che per amore della sua maestra era giunto persino a dare la vita? Guarda, Ioria! Guarda e pentiti!!! Il buco che esplose nel petto di Cassios tu lo causasti, nessun’altro, soltanto tu!”

 

Ioria vide scorrere davanti a sé gli eventi di quei giorni infami. L’addio di Eurialo e Niso, l’uccisione di John Black, la morte di Cassios, che lui stesso aveva causato, incapace di reagire al Demone dell’Oscurità che gli aveva dominato la mente. Incapace, proprio come in quel momento, di liberarsi da un potere più forte di lui.

 

“E cosa dire di Virgo, che sacrificò la propria vita per permetterti di fuggire dall’Isola dell’Apocalisse? E di Asher dell’Unicorno, che fosti incapace di salvare dai rovi di Menas della Rosa? E di Castalia dell’Aquila, che per anni ti sostenne, unica spalla su cui appoggiare il peso della tua debolezza, unica amica in un oceano di sospetti, i cui sentimenti mai hai ricambiato, lasciandola struggere in un solitario dolore?” –Continuò Lothar, piantando chiodi di energia nel petto di Ioria, nelle spaccature aperte da Siderius sulla corazza d’Oro. –“Ma le tre colpe maggiori, i tre peccati capitali per cui ti condannerò, li ho lasciati per ultimi, affinché tu fossi sufficientemente sconvolto, sufficientemente disperato per implorare la mia clemenza e farti dono della morte, al fine di non dover assistere ancora!”

 

Ioria non rispose, il corpo imbrattato di sangue che scivolava sull’Armatura d’Oro, il volto rivolto verso Siderius, riverso a terra, incapace di muoversi più. Gli occhi gonfi di lacrime che non riusciva a trattenere.

 

“Tre colpe che a un uomo non potrebbero essere perdonate! A un Cavaliere meno che mai! Come si può infatti perdonare uno spergiuro che rivolge i propri colpi contro la Dea che dovrebbe proteggere? Hai giurato di credere in qualcosa, hai giurato di difendere Atena, ma non l’hai riconosciuta, per quanto palese fosse il suo cosmo, e l’hai attaccata per provare qualcosa che il tuo cuore da solo non era in grado di capire! Neppure la morte è punizione sufficiente per tale crimine!” –Tuonò Lothar, puntando l’indice verso Ioria e poi verso Siderius, moribondo in una pozza di sangue. –“Ma perché mi stupisco?! Avevi già dimostrato di non credere in niente! In cosa crede un uomo che caccia l’allievo che lui stesso ha scelto? L’allievo in cui ha visto la famiglia che aveva perduto, trasfigurandolo in un surrogato di felicità che gli era stata strappata?!”

 

In quel momento due Cavalieri Neri fecero la loro comparsa, raggiungendo Lothar di corsa.

 

Aglaia dell’Oca e Areti del Fenicottero, due orfane che incontrai anni addietro, durante i miei pellegrinaggi in Europa Orientale!” –Esclamò Lothar, lasciando vagare la mente indietro nel tempo. Nascoste nella sacrestia di una chiesa ortodossa sconfessata, la due sorelle avevano accolto di buon grado la proposta dell’uomo di seguirlo, attratte dalla speranza di un futuro e dalla prospettiva di essere veramente utili.

 

“Missionarie di Dio! Ecco cosa sarete!” –Aveva detto loro Lothar, molti anni prima. E quando aveva incontrato Flegias, turbolento spirito errante lungo le coste del Mar Nero, aveva compreso che egli era il Dio che stava cercando. Egli era il giudice che avrebbe punito l’umanità per i suoi eccessi, per i suoi peccati.

 

Figlio di una famiglia puritana della vecchia Inghilterra, Lothar aveva viaggiato per tutta l’Europa e il Vicino Oriente nel corso della sua giovinezza e aveva maturato la convinzione che la società moderna avesse dimenticato Dio e i suoi valori. Le antiche radici religiose erano state sacrificate sull’altare del progresso. Per questo aveva seguito Flegias, per mondare la Terra e tutti gli uomini dai loro peccati.

 

“Sai anche tu che un giorno sarai punito per questo!” –Gli aveva detto Flegias, con un sorriso sarcastico sul volto, osservando Lothar dispensare giudizi severi su tutto e su tutti. –“Condannare gli uomini per i loro peccati non è propriamente diffondere la parola di Dio! Ah ah ah!”

 

“Ne sono consapevole!” –Aveva semplicemente risposto Lothar. –“Ma qualcuno deve pur svolgere questo ingrato compito! Qualcuno deve condannare la specie umana per la dissolutezza a cui si è abbandonata!”


Flegias non aveva replicato. In fondo, quali che fossero le sue convinzioni, l’integralismo che lo muoveva, Lothar era un buon soldato e dalla sua totale dedizione alla causa non avrebbe potuto che trarre giovamento.

 

“Portatelo sull’Isola! Tanto grave è stata la sua colpa, che sarà il Maestro di Ombre a decidere che pena assegnargli!” –Esclamò Lothar, rivolgendosi alle due donne, che si chinarono su Siderius, che ancora si dimenava, con il volto stravolto e macchiato dal sangue. Lo afferrarono per le gambe e lo trascinarono via. Solo allora Lothar tornò a volgersi verso Ioria, riprendendo il suo sermone, distratto dal ricordo di quel giorno in cui si era proclamato missionario di fede.

 

“Non aveva torto quando affermava che non l’hai mai amato! Hai visto in lui solo un modo per sfogare il tedio che ti attanagliava, trasferendo il tuo rancore su di lui, senza curarti dei suoi sentimenti, del suo bisogno d’affetto o del suo desiderio di avere un maestro, un amico, che si prendesse cura di lui! Ma tu, uomo meschino, che mai sei stato in grado di aver cura di se stesso, come hai potuto illuderlo, e illuderti, di potergli dare ciò che gli era stato portato via? Come potevi dargli un futuro, se neppure per te eri in grado di vederlo?!” –Lothar fece una pausa, quindi riprese, avvicinandosi a Ioria e piantandogli un chiodo di energia proprio vicino al cuore, sfondando i resti dell’Armatura d’Oro e strappandogli un grido.

 

“Godo nel sentirti disperare! Godo anche se so, e mi dispiaccio, che quest’espiazione non ripagherà al male che hai commesso! Soprattutto al male supremo! Prima ancora di non credere in Siderius, o nell’amore di Castalia, o in Atena, o nei tuoi compagni, tu hai calpestato qualcosa di più sacro, che ogni uomo dovrebbe tenere caro nel cuore! Hai insultato la tua famiglia, voltando le spalle a tuo fratello Micene, l’uomo che ti aveva addestrato, l’uomo a cui tutto dovevi, persino la possibilità di essere in vita! Lui, che ti amava così tanto, è stato cancellato da parole di tradimento a cui non ti sei mai preoccupato di rispondere, che non ti sei mai curato di mettere in dubbio! Hai creduto ad Arles ma non a Micene! Non all’uomo che per te era tutto! E questo io lo disprezzo, questo io lo aborro!!!” –Gridò Lothar, espandendo il cosmo e caricando i chiodi piantati nel corpo di Ioria di tutta l’energia che aveva.

 

Quindi, vedendo che il Cavaliere di Leo ancora non accennava a morire, che ancora si agitava lungo la strada del martirio, Lothar gli si avvicinò, sollevando il braccio destro e generando una corona di spine energetiche, sogghignando perversamente. –“Con questa, ogni lamento avrà termine! La Via Crucis del Leone finirà!”

 

Ma in quel momento una cometa azzurra sfrecciò nel cielo, piombando su di loro, schiantandosi sul bracciale destro della corazza del Sudario di Cristo, ferendo Lothar che venne spinto indietro dall’urto, perdendo la presa della sua corona di cosmo che si dissolse dopo pochi istanti. Quando si rimise in piedi, il Cavaliere Nero notò che c’era una donna di fronte a lui, una Sacerdotessa Guerriero a giudicare dalla maschera argentea che indossava. Una donna che, posizionatasi proprio di fronte a Ioria, pareva intenzionata a non lasciargli continuare il suo rito.

 

“Liberalo!!!” –Esclamò la Sacerdotessa.

 

“Mai!!!” –Si limitò a rispondere Lothar, tastandosi il braccio destro indolenzito. –“Ma se vuoi raggiungerlo… te ne darò la possibilità! Ci sono sempre troppi pochi martiri in questo mondo di colpevoli!”

 

“Ioria ha già sofferto anche troppo per le colpe di cui si è fatto, senza motivo, carico! Non di un martirio ha bisogno, solo di comprensione!” –Affermò la donna, prima di scattare avanti. –“Cometa pungente!!!” –E scagliò centinaia e centinaia di pugni di luce contro Lothar, che, per niente impressionato, si limitò a sollevare il mantello, avvolgendosi in esso e parando così l’attacco della Sacerdotessa Guerriero.

 

“Adesso ti riconosco! E ben comprendo il motivo del tuo intervento!” –Sogghignò Lothar. –“Come potrebbe Castalia dell’Aquila assistere impotente alla morte dell’uomo che ama da sempre, dell’uomo che l’ha rifiutata!”

 

“Che sciocchezze vai dicendo?” –Brontolò Castalia. –“Pensa a combattere piuttosto!”

 

“Come desideri!” –Ironizzò Lothar, evocando un cerchio di spine che avvolsero Castalia, penetrando nel suo corpo all’altezza dell’addome, dove non era protetta dall’armatura, e prostrandola a terra. –“Corona di spine!”

 

“Ma… maledetto!!!” –Ansimò Castalia, cercando di rimettersi in piedi. Ma Lothar fu subito su di lei, torcendole il volto e spaccandole la maschera con l’altra mano.

 

A quel gesto Castalia trasalì, scossa nel profondo da un immenso disagio, e lasciò esplodere il suo cosmo, scagliando Lothar indietro di qualche metro. Quindi, stanca per la convalescenza e per le ferite, si accasciò a terra, boccheggiando.

 

“Sentiti onorata! Concluderai accanto al tuo amato la tua poco onorevole carriera di Sacerdotessa! Ih ih ih!” –Esclamò Lothar, prima che un’abbagliante esplosione di luce lo distraesse. –“Ma… che succede?! Ancora vivo?!” –Sgranò gli occhi, osservando il corpo di Ioria ardere in una fiamma di oro lucente, mentre il ragazzo, con i muscoli tesi al massimo, strappava via i chiodi che lo avevano finora bloccato. I chiodi dei suoi rimorsi e, forse, delle sue colpe.

 

“Iaaah!!!” –Gridò Ioria, espandendo al massimo il suo cosmo e generando un’onda di energia che scivolò avanti, sorpassando Castalia e travolgendo Lothar, scaraventandolo molti metri addietro, contro una parete rocciosa nella quale si schiantò, rovinando a terra, con l’armatura danneggiata in più punti.

 

“Incredibile!!!” –Ammise, rimettendosi in piedi e sputando sangue. –“Un uomo in punto di morte, colpevole di innumerevoli peccati, di stragi e manchevolezze, per le quali qualsiasi Cavaliere si sarebbe tolto la vita, continua a rifiutare la propria punizione? Non hai dunque rispetto per niente, Ioria del Leone? Non credi davvero in nulla per continuare a offendere così Micene, Atena, John Black, e tutti coloro che hanno sofferto a causa tua?!”

 

“Credo nella vita, e credo nel futuro!” –Rispose semplicemente Ioria. –“E sono certo che, se sono qua, in questo mondo, un motivo deve esserci! Quello stesso motivo per cui non mi arrenderò mai, stringendo i denti e rialzandomi sempre, ogni volta in cui inciamperò, in memoria di coloro che sono passati, e che mi hanno lasciato qualcosa di insostituibile! Il diritto degli uomini di sbagliare, e di migliorarsi!”

 

“Diritto di cui ti sei arrogato, strumentalizzandolo fino al parossismo! Diritto di cui dichiaro la sospensione immediata!” –Affermò Lothar, bruciando il proprio cosmo e dandogli la forma di una corona di spine, che strinse attorno al corpo di Ioria, il quale non si lasciò però dominare e scatenò l’ardente potenziale del Leone, strappando via le spine e liberandosi da quella morsa. –“Folle! A tal punto giunge la tua eresia?”

 

“E la tua fin dove si spinge, Lothar del Sudario di Cristo? Ti fai vanto di un nome che non ti appartiene, poiché il figlio del Dio cristiano certo non ha chiesto ai suoi servitori di abbandonarsi a isteriche crociate contro i peccatori! No, nessun Dio vuole il male per i suoi fedeli! E tu, così facendo, hai calpestato la tua stessa fede, sfigurandola in un odio che non gli appartiene!” –Esclamò Ioria pacatamente. –“Pur tuttavia ti ringrazio! Perché mi hai aiutato a crescere!” –Aggiunse, tirando un sorriso a Castalia, appena rimessasi in piedi, pochi passi dietro di lui. –“Quest’oggi, finalmente, mi sono liberato di un demone che mi portavo dentro da tempo! Il fantasma dei miei ricordi, e dei miei rimpianti! E ho ricordato un insegnamento di Micene, uno dei primi, con cui rispose ad una mia domanda!”

 

“Il demone sei tu, Cavaliere di Leo! L’uomo che sciolse i sigilli di Crono anni addietro, dando inizio alla Titanomachia! Il tuo cosmo è intriso di peccato e io lo monderò con questa Pioggia del Martirio!!!” –Gridò Lothar, sollevando il braccio destro al cielo, mentre migliaia di chiodi energetici comparivano attorno e sopra di lui, sfrecciando nell’aria, diretti verso Ioria al suo segnale.

 

Ma Ioria non perse tempo, muovendo il braccio destro alla velocità della luce e generando un reticolato di cosmo che si chiuse a sua protezione, lasciando che i chiodi si schiantassero contro i raggi di energia dorata, neutralizzandosi a vicenda.

 

“Non vedi i doni degli uomini, confessore dell’ombra? Il magnifico potere di saper imparare e crescere!” –Commentò Ioria, aumentando l’intensità della gabbia di luce, che si fece sempre più aggressiva, ricacciando indietro la pioggia di chiodi, fin quasi a raggiungere Lothar, rimasto allibito ad osservare la scena. –“Ho sempre saputo di avere una difesa fallace, e ammetto che per anni non me ne sono fatto un problema! Sono un guerriero in fondo, e il mio compito è attaccare i nemici, non rimanere inerme ad attendere il loro assalto! Ciononostante credo di aver saputo in parte ovviare al problema!” –Sorrise Ioria, prima di fissare Lothar con determinazione e lasciare che il reticolato di luce si chiudesse su di lui. –“Per il Sacro Leo!!!”

 

“Stolto! Non hai imparato niente? Il sudario di Cristo mi difende!” –Commentò Lothar, avvolgendosi nel suo mantello. Ma tanto ardente era il cosmo del Leone, molto più di quanto era stato prima, che la protezione del Cavaliere Nero non bastò per contrastarlo e Lothar dovette osservare sgomento i raggi di energia lacerare il suo mantello, stridendo sulla corazza e scheggiandola in più punti.

 

Quando cercò di contrattaccare era troppo tardi. Le sue difese erano cadute e la stretta morsa della gabbia di luce si era chiusa su di lui, dilaniandogli il corpo. Crollò a terra, in una pozza di sangue, pezzi di pelle e frammenti di Armatura, mentre Ioria abbassava il capo, disgustato, voltandosi poi verso Castalia.

 

“Sto bene!” –Commentò lei, prima ancora che lui chiedesse qualcosa.

 

“Devo dirti qualcosa che non ti piacerà!” –Mormorò Ioria, avvicinandosi, con aria dispiaciuta.

 

“Ioria?!” –Balbettò Castalia, non capendo a cosa si riferisse il ragazzo. Mesi addietro, in Tessaglia, gli aveva confessato di vederla solo come un’amica, come una sorella con cui confidarsi. E quelle poche frasi erano bastate per spegnere qualsiasi fiamma del desiderio potenzialmente albergante dentro di lei. –“Hai fatto la tua scelta quel giorno! Così io ho fatto la mia!” –Rifletté, alludendo ai suoi sentimenti per Phantom.

 

“Cavaliere di Leo!” –Esclamò la rauca voce di Lothar, facendo voltare Ioria, sorpreso che fosse ancora vivo. –“Cavaliere di Leo, vieni qua!” –Aggiunse, stupendo Ioria ulteriormente. Che acconsentì comunque alla sua richiesta, avvicinandosi, ma con prudenza. –“Quale… quale insegnamento ti diede tuo fratello? Cosa può essere così forte da far camminare ancora un peccatore quale tu sei?”

 

“Perché combatti?” –Aveva chiesto Ioria quel giorno a Micene. E la risposta del fratello gli aveva tolto ogni dubbio.

 

“Per un ideale! Perché Atena, e la giustizia che proclama, non è altro che un ideale, la somma di desideri di pace e giustizia che anelano nel cuore di tutti gli uomini! Come potremmo infatti difendere i nostri amici, la nostra famiglia, le persone che amiamo, se non imbracciassimo le armi e combattessimo anche per loro? Forse falliremo, forse saremo travolti per via, ma se anche uno solo di coloro che abbiamo cari si salverà, potremo dire di non aver vissuto invano!”

 

“Un ideale…” –Balbettò Lothar, sputando sangue e crollando al suolo. –“Qualcosa che avevo provato anch’io! Qualcosa che ho tradito!” –E la sua mente volò via, ricordando la sua adolescenza, i suoi studi di teologia, gli anni trascorsi in seminario prima e in giro per il mondo poi, a meditare sul degrado della società presente. Una società che non aveva mai cercato di conoscere.

 

“Perché se tu lo avessi fatto, Lothar, avresti capito che al mondo c’è sempre una ragione per vivere!” –Commentò Ioria, ricoprendo il corpo martoriato del Cavaliere Nero con i resti del suo mantello sbrindellato.

 

“Ioria!” –Lo chiamò Castalia, avvicinandosi.

 

“Devo andare sull’Isola! Devo salvare Siderius! Non mi importa se adesso è un Capitano dell’Ombra! È tutto ciò che mi resta della mia famiglia, è l’ultima persona che posso essere in grado di salvare!”

 

“Sai che è una follia, vero?!” –Commentò Castalia.

 

“So soltanto che, tra le tante verità distorte, Lothar aveva ragione su una cosa! Ci sono persone che non sono riuscito a salvare, per quanto tutte loro abbiano sempre salvato me, soprattutto oggi! Siderius, almeno lui, non permetterò che me lo portino via!” –Disse Ioria, prima di prendere le mani di Castalia e chiuderle a pugno con le proprie. –“Promettimi di essere forte, perché c’è qualcosa che devi sapere!”

 

Castalia annuì, iniziando a tremare e ascoltando in silenzio le parole del ragazzo, da cui apprese della morte del Luogotenente dell’Olimpo, l’uomo a cui si era unita mesi addietro. Singhiozzando, la Sacerdotessa si lasciò cadere sul terreno, coprendosi il volto con le mani, cercando di cacciar via quella maledetta verità. Ioria si chinò su di lei, cercando di consolarla, e la abbracciò, donandogli un po’ di luce del suo cosmo.  Rimasero così per qualche minuto. In silenzio, confortandosi l’un l’altro, finché un rumore di passi affrettati non li disturbò. Ioria si rialzò giusto in tempo per vedere Asher e Tisifone spuntare dall’imboccatura della piccola valle interna, entrambi che reggevano il corpo di un Cavaliere Nero sconfitto.

 

“Umpf! Non valevano poi così tanto!” –Commentò Tisifone, gettando a terra il cadavere dell’avversaria. Asher fece altrettanto e Ioria, avvicinatosi per osservarle, le riconobbe. Erano Aglaia dell’Oca e Areti del Fenicottero, le due discepole di Lothar.

 

“Ma… se loro sono qua… questo significa che…” –Mormorò, prima che Asher, con un sorriso, gli ponesse una mano su una spalla.

 

“Ti sta aspettando fuori dalla valle! Era troppo stanco per camminar fin qua!”

 

“Credevo aveste raggiunto i Cavalieri d’Oro!” –Commentò Castalia, rivolta a Asher e Tisifone, da cui si era separata prima di correre in aiuto di Ioria contro Lothar.

 

“Era là che ci stavamo recando, quando ci siamo imbattute in queste donnette, e nel prezioso carico che portavano con sé! Così, avendo appreso da te quanto Siderius fosse importante per Ioria, abbiamo ben pensato di fermarle!” –Esclamò Tisifone. –“Avevo proprio bisogno di un po’ d’azione!”

 

Ioria sorrise, ringraziando la Sacerdotessa per l’intervento, e corse verso l’uscita dalla valle, incitando i tre Cavalieri a seguirlo. La marea nera stava ormai sommergendo il Grande Tempio e, Ioria ne era certo, Libra e Virgo avrebbero avuto bisogno d’aiuto.

 

“Cosa ne pensi?” –Chiese una voce antica, mentre le immagini dei quattro Cavalieri di Atena scomparivano, e la superficie di fresche acque del pozzo sacro si increspava.

 

“Ardente e battagliero è il cosmo del Leone!” –Commentò il Signore dell’Isola Sacra. –“Tale e quale a suo fratello!”

 

“In lui risplende la fiamma di Adamant!” –Rispose l’Antico, con voce piena d’orgoglio.

 

“Adamant?! Immagino che questa sia una delle tante storie che conosci, Primo Saggio! Storie che, voglio ben sperare, un giorno mi racconterai!” –Sorrise Avalon.

 

“Ne sarei ben lieto… se mai ne avremo il tempo!” –Commentò l’Antico, a cui non sfuggì un sospiro.

 

Avalon annuì in silenzio, tornando ad osservare le immagini che comparivano sulle acque del pozzo sacro. Sorrise alla vista di Ioria del Leone. Non troppo diverso, si disse, dall’allievo che aveva un tempo addestrato.

 

 

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Capitolo 28
*** Sinfonia di favole ***


CAPITOLO VENTISEIESIMO: SINFONIA DI FAVOLE

CAPITOLO VENTISEIESIMO: SINFONIA DI FAVOLE.

 

Dopo aver lasciato Phantom alle cure delle ancelle, Ganimede, il coppiere degli Dei, stava camminando nei corridoi di marmo dell’Olimpica Reggia, per raggiungere le Stanze del Dio del Fulmine, preoccupato per le sorti del suo Signore. Non lo aveva mai visto, in tutti quei secoli in cui aveva vissuto al suo fianco, in simili condizioni, così debole, quasi svuotato dell’energia vitale. Né aveva mai visto l’Olimpo sfiorire sotto i colpi di un autunno improvviso.

 

Era stato proprio lui, qualche giorno prima, a trovare Zeus disteso in terra, a pochi passi dalla vetrata della camera da letto. Debole e pallido. E sempre lui si era recato a Pergamo, sulle tracce di Asclepio, l’unico che potesse scoprire quale malattia attanagliava il Dio del Fulmine. Era stato un grande passo, quello, per Ganimede, che non aveva mai lasciato l’Olimpo fin dal giorno in cui Zeus lo aveva fatto rapire da un’aquila, abbagliato dalla sua bellezza. E se aveva scelto di farlo, proprio in quel momento, era per l’affetto e la riconoscenza che provava per il suo Signore. Il Dio di cui era stato l’amante.

 

Non ne era mai stato troppo fiero Ganimede, né amava le voci di scherno che giravano sul suo conto, messe in giro dalla Regina dell’Olimpo, gelosa delle attenzioni che il fratello e sposo dedicava al Coppiere degli Dei. Ma aveva sempre lasciato correre, chinando il capo e accettando il prezzo che aveva dovuto pagare per salire sul Monte Sacro. Del resto, si era detto spesso, abbandonandosi tra le braccia vigorose del Dio del Fulmine, l’eternità val bene qualche sospiro!

 

Col tempo si era affezionato a Zeus, e il Dio aveva fatto altrettanto con Ganimede, investendolo del titolo di Cavaliere della Coppa Celeste e insegnandogli i rudimenti fondamentali del cosmo, certo che egli, come figlio della ninfa Calliroe, possedesse di per sé un’energia latente. Ganimede era diventato in seguito amico di Giasone, il più valente tra i Cavalieri Celesti, nonché uno dei pochi che non prestava ascolto alle voci sul suo conto, instaurando con lui un’amicizia profonda.

 

“Vere o false che siano, non mi servo delle voci per giudicare un amico!” –Amava ripetere il Cavaliere della Colchide, nel tempo trascorso con Ganimede. Quel tempo che adesso al Coppiere degli Dei mancava. Quel tempo che temeva di perdere per sempre.

 

Non aveva saputo trattenere le lacrime quando Phantom, rientrato dall’inseguimento di Flegias assieme a Ermes, lo aveva informato del destino del Cavaliere Celeste. E per un momento avrebbe voluto che i loro posti si fossero scambiati, e che Giasone fosse ancora vivo. Lui che, come Ganimede, aveva ricevuto in dono l’immortalità. Lui che, come Ganimede, era destinato a vivere in eterno e non una pallida parentesi di vita, come quella di Phantom e di tutti i mortali appariva al Coppiere degli Dei.

 

Ma poi aveva sospirato, reprimendo il dolore e facendosi forza, grazie al ricordo che aveva di Giasone. Ricordo che l’amico non avrebbe voluto fosse turbato da simili pensieri. Per un momento lo aveva invaso anche l’istinto di scendere sull’Isola delle Ombre, non così distante in linea d’aria dalla Grecia, e liberare l’amico, salvo poi ammettere di non avere speranza alcuna.

 

“O è stata codardia a impedirmi d’agire?” –Si chiese il giovane, fermandosi improvvisamente e voltandosi verso una parete laterale del corridoio, così splendida e lucida da potervisi specchiare.

 

“Soltanto la consapevolezza di non poter essere utile!” –Si corresse una parte di sé. –“Se fossi partito per l’Isola delle Ombre sarei stato certamente ucciso, e adesso non potrei essere qua a servire il mio Signore!”

 

“Perché medicare le ferite di Zeus e di Phantom è un compito così gravoso e delicato che nessun’altro può eseguire? Se io fossi morto, al posto di Giasone, dubito che qualcuno se ne sarebbe accorto! Era e qualche ancella sarebbero state ben liete di prendere il mio posto, e curare le ferite di Dei e Cavalieri!”

 

Ganimede incrociò lo sguardo del giovane riflesso nella parete di marmo di fronte a lui. Alto e splendente, con viso lucido e mossi capelli ricciuti, il figlio di Calliope sembrava non essere mai cambiato in tutti quegli anni, rimanendo l’eterno giovinetto di cui Zeus si era invaghito un tempo.

 

“Quando?” –Si disse, sfiorando la fredda superficie del marmo. –“Quanto tempo è passato, o ha semplicemente fatto finta di passare?” –Sospirò, sentendosi per un momento in colpa, prigioniero di un’eternità che non aveva chiesto, ma di cui mai si era lamentato nei secoli precedenti.

 

“Avrei dovuto trascorrerli diversamente, allenandomi per essere un Cavaliere migliore, come Phantom e Giasone, anziché abbandonarmi ai sollazzi nelle Stanze di Zeus!” –Rifletté, mentre un’ombra oscurava il suo sguardo perfetto. Si tastò la testa, sentendosi improvvisamente fiacco, come se le angosce degli ultimi giorni, che aveva cercato di nascondere buttandosi a capofitto nelle amorevoli cure di cui Zeus necessitava, fossero esplose tutte assieme.

 

“Ho fallito!” –Mormorò, incontrando nuovamente lo sguardo della figura riflessa nel muro. Uno sguardo carico di tormento, per la malattia di Zeus e le sorti dell’Olimpo e di Giasone. Uno sguardo carico d’amore, verso un amico a cui non aveva mai dichiarato i suoi veri sentimenti. Svenne così, crollando sul pavimento di marmo, vittima di troppi pensieri confusi e contrastanti. Ma la figura riflessa sulla parete non svenne con lui.

 

Pochi minuti dopo Ascanio Testa di Drago sbucò all’estremità del corridoio, notando la sagoma di Ganimede accasciata in terra. E corse subito verso di lui per sincerarsi delle sue condizioni. Lo sollevò, scuotendolo e chiamando il suo nome, finché il ragazzo non aprì nuovamente gli occhi.

 

“Ganimede?! Che è successo?” –Incalzò il Cavaliere Celeste.

 

“Io… devo essere svenuto…” –Mormorò Ganimede, ancora un po’ stordito. –“Troppi pensieri… troppe preoccupazioni mi hanno abbattuto!”

 

“Hai faticato troppo in questi giorni! Ti accompagno a riposarti?” –Gli disse Ascanio, aiutando il giovane a rimettersi in piedi.

 

“No, non preoccuparti! Riposerò più tardi! Adesso voglio occuparmi di Zeus!” –Esclamò Ganimede, iniziando ad avanzare nel corridoio, lasciando Ascanio indietro, ancora a fissarlo.

 

“Non chiedere troppo a te stesso!” –Esclamò il Comandante della Legione Nascosta.

 

“Solo quello che devo!” –Rispose Ganimede, continuando a camminare, diretto verso le Stanze di Zeus, con un sorriso di sfida sul volto.

 

Ascanio sospirò, osservando il ragazzo scomparire in lontananza, prima di incamminarsi verso le stanze ove riposava Phantom. Aveva sentito il suo cosmo accendersi impetuosamente poco prima, solo per un momento, prima di ritornare allo stato di quiete abituale. Subito aveva sussultato, guardando Era e Zeus negli occhi, ma nessuno di loro pareva aver avvertito niente.

 

“Cos’è stata quella vibrazione?” –Si era detto, uscendo dalle Stanze di Zeus. E adesso si pose nuovamente quella domanda, aumentando il passo e giungendo di fronte alla porta delle Stanze di Asclepio. La spalancò con forza ed entrò, precipitando in una silenziosa calma, un silenzio quasi assoluto.

 

Phantom giaceva su un letto sul lato sinistro della stanza, sotto morbide lenzuola che coprivano il suo corpo atletico e ferito. Dormiva, apparentemente senza alcun motivo di agitazione. Poco distante, sedute su una panca vicino alla vetrata, alcune ancelle erano cadute in un sonno profondo, con la testa poggiata al muro o sulla spalla della compagna. Stanche probabilmente per il continuo lavoro.

 

Ascanio sorrise, avvicinandosi quindi al corpo del Luogotenente dell’Olimpo, il cui volto, seppur pulito e medicato, tradiva ancora i segni delle battaglie recenti.

 

“Torna presto, Phantom!” –Disse a bassa voce. –“Abbiamo ancora bisogno di te!” –E gli diede le spalle, incamminandosi verso l’uscita, quando ebbe un mancamento improvviso. Sudando freddo, Ascanio si appoggiò al bordo di un letto poco distante, inspirando profondamente, senza capire cosa gli fosse successo. Per quanto stanco, non aveva riportato gravi ferite in battaglia, e la sua preparazione spirituale era tale da permettergli di dominare sempre ogni situazione.

 

“Che siano ancora gli effluvi della rosa di rabbia?” –Si domandò, scuotendo subito la testa, certo che non avesse potuto troppo su di lui. –“O è il timore di una scelta che troppo a lungo ho rimandato?” –Aggiunse, abbandonandosi a un sospiro.

 

Si voltò verso il Luogotenente, ricordando il giorno in cui si erano incontrati per la prima volta, nei verdi campi di Glastonbury, alla base del Tor. Phantom alla ricerca dell’Ultima Legione, e Ascanio a difesa di un mondo perduto tra le nebbie.

 

Non era infatti soltanto il Comandante della Legione che Zeus aveva nascosto in Britannia secoli addietro, e che egli aveva contribuito a mantenere in efficienza e a migliorare negli ultimi quattordici anni, da quando Ermes lo aveva portato via da Atene, su richiesta di Zeus stesso. No, Ascanio era molto di più. Legato a Glastonbury, e ad Avalon, che nelle sue nebbie era nascosta, da un’arma a doppio taglio. Una promessa a cui sapeva bene di non potersi sottrarre.

 

“Avalon ti ha scelto come Comandante dei suoi Cavalieri, Ascanio Testa di Drago!” –Gli aveva detto quel giorno, quattordici anni prima, il Signore dell’Isola Sacra. –“Perché ha intravisto in te l’eredità di un popolo, il sangue della leggenda che da Uther Pendragon scorre in tutti i suoi discendenti, la speranza che tu possa condurre Avalon verso il futuro!”

 

“Sarò degno della vostra fiducia!” –Aveva commentato Ascanio, inginocchiato di fronte ad Avalon e alla confraternita dei saggi, presieduta dall’Antico.

 

“Non ne dubito! Poiché ho letto nel tuo cuore, e vi ho visto la salvezza!” –Aveva risposto il Signore dell’Isola Sacra. –“Ricorda tuttavia che come Avalon ti ha messo sul trono, potrà sempre farti cadere, qualora disobbedirai le leggi dell’Isola Sacra e di coloro che ti hanno scelto! Appartieni a Zeus tanto quanto appartieni ad Avalon!”

 

Quelle parole gli erano rimaste dentro per sempre. Impresse a fuoco nella sua mente e nel suo cuore, erano il suo orgoglio, ma anche la sua maledizione. Servire nello stesso tempo la Divinità più grande del pantheon greco e il Signore dell’Isola Sacra poteva essere soltanto fonte di soddisfazione per Ascanio, che vedeva se stesso sormontato da una corona di vittoria. Unico tra tutte le genti.

 

Ma al tempo stesso lo faceva riflettere, poiché, per quanto fosse certo che per il momento le strade dei due regni proseguissero parallele, determinate a respingere il nemico comune, doveva anche considerare l’ipotesi contraria. Cosa accadrà quando gli interessi di Avalon contrasteranno quelli dell’Olimpo? Non aveva smesso di chiedersi negli ultimi anni, quando l’ombra era cresciuta sempre più, giungendo a lambire anche i nebbiosi confini dell’Isola Sacra.

 

“Come Avalon ti ha messo sul trono, così potrà farti cadere!” –Le parole del maestro non gli davano pace, e mai come in quei giorni, in cui Avalon aveva deciso di far calare il velo di leggenda che la separava dal mondo, gli davano da pensare.

 

Cosa farò io in quel momento? Si chiese nuovamente, combattuto tra i doveri di servitore di Zeus, in quanto Cavaliere Celeste, e quelli di fedele dell’Isola Sacra, a cui era unito da un legame indissolubile, che i serpenti tatuati sulle braccia gli ricordavano continuamente. Anche Libra li aveva notati, durante il loro incontro ai Cinque Picchi, e aveva subito compreso quanto dualistico fosse il loro significato. Di vita e di morte.

 

Soltanto allora Ascanio realizzò che tale dualismo non riguardava soltanto i nemici. Ma anche colui che li portava.

 

“Del resto anche il mio ruolo è frutto di un equilibrio! Avalon aveva indicato il mio nome a Zeus, ed egli mi aveva nominato Comandante della Legione Nascosta, in una simmetria perfetta!” –Rifletté Ascanio, mentre le gambe gli cedevano ed egli vacillava all’indietro. –“Che strano… destino…” –E cadde a terra, sul pavimento di marmo, perdendosi sotto le placide note di una sinfonia di favole. Di una sinfonia di ricordi.

 

Sorridendo soddisfatta un’ancella si sollevò dalla panca in cui era seduta. Dalla panca in cui fingeva di riposare, osservando l’intera scena da un diverso strato dimensionale. La stessa ancella che Ascanio aveva osservato uscire dalle Stanze di Zeus, attratto non dal suo seno formoso, ma dal cosmo che celava dentro. Il cosmo di Lamia, la rapitrice di sogni e di infanzie perdute.

 

“Sciocco!” –Si disse il Capitano dell’Ombra, avvicinandosi al corpo inerme del Comandante della Legione Nascosta. –“Ero stata informata che un Cavaliere Celeste era stato addestrato ad Avalon e che aveva quindi ricevuto un addestramento perfetto, capace di combinare una gran forza fisica con ottimi poteri mentali! Poteri che hai ben dimostrato di saper usare nel resistere a me, nell’opporti alla sinfonia di ricordi con la quale ti ho travolto fin dal nostro primo incontro, nelle Stanze di Zeus, e che hai trovato ad accoglierti quando sei entrato in questa stanza! Come una rete nella cui maglia sei rimasto intrappolato ad ogni secondo in più in cui sei rimasto qua dentro!”

 

“Ho appreso molto da te, Comandante Ascanio! O forse dovrei chiamarti discendente di Re!” –Sogghignò Lamia, inginocchiandosi accanto al ragazzo e sfiorandone la pelle abbronzata. –“Il sangue del Pendragon scorre in te! Un sangue carico di storia e di leggenda! Un potere così arcano che sarebbe degno di servire la grande ombra!” –Aggiunse, montando sopra Ascanio e avvicinando il volto a quello del giovane, mentre le linee del suo corpo cambiavano, rivelando le vere fattezze della sorella di Phantom dell’Eridano Celeste, colei che Elena e Deucalione avevano chiamato Teria.

 

Gli strinse il viso con le dita della mano, magra come un ramo d’albero, e lo baciò sulla bocca, strusciando le sue violacee labbra contro quelle del ragazzo, lasciando che il veleno, in esse contenuto, fluisse dentro di lui. Sorrise, nient’affatto turbata da un simile lavoro, che stava finalmente mostrando il suo lato piacevole.

 

Il contatto fisico con il Comandante della Legione Nascosta le strappò una risatina beffarda, a tratti isterica, mentre la donna si sollevava su di lui, scuotendo i lunghi capelli viola all’indietro. Tirò un ultimo sguardo a Phantom, ancora disteso sul letto ove lo aveva ferito a morte. E lo trovò immobile come l’aveva lasciato poco prima, quando era stata interrotta dal suo compare, il Cavaliere Nero che Flegias le aveva affiancato per questa missione.

 

“Finiscila di trastullarti con lui, Lamia!” –Aveva esclamato l’uomo, osservandola succhiar via la linfa vitale di Phantom, penetrando così parte dei suoi segreti.

 

“Notizie importanti mi riveli, fratellino!” –Aveva sogghignato, scavando nei ricordi del Luogotenente, vittima dei suoi poteri mentali, della sinfonia di favole con cui l’aveva avvolto, precipitandolo nel passato, al fine di estirpare i suoi ricordi più belli, privandolo di sogni e desideri, e soprattutto della fiducia nella vita. –“Cos’altro può restare in fondo ad un bambino a cui sono stati strappati i sogni e la capacità di volare lontano, se non cadere nel baratro della morte?!”

 

“C’è un uomo che può far fallire il nostro piano! È il Comandante della Legione di Glastonbury!” –Aveva incalzato il Cavaliere Nero. –“Non tarderà ad arrivare!”

 

“Mi occuperò anche di lui, se è questo che ti preoccupa così tanto da far scricchiolare le tue gambe!” –Aveva sorriso Lamia, con perfidia. –“Tu prenditi cura di Zeus! Non manca molto al suo trapasso!”

 

“Il Tartaro sarà ben lieto di ospitare colui che ha così tanto contribuito a popolarlo nei millenni precedenti! Ah ah ah!” –Aveva sghignazzato l’uomo, prima di scomparire.

 

Lamia sogghignò, certa che non molto tempo sarebbe ancora dovuto passare prima che le foglie degli alberi Olimpici cadessero, travolte dall’autunno d’ombra di cui era stata portatrice. Si chinò nuovamente su Ascanio, decisa a terminare il lavoro, quando le cadde l’occhio sul letto ove Matthew aveva riposato finora. E lo trovò vuoto.

 

Quell’attimo di distrazione le fu fatale, poiché un potente calcio la raggiunse tra le gambe, sollevandola da terra e catapultandola contro il pavimento di marmo, molti metri addietro, facendole sbattere la testa e spaccandole un labbro. Rialzatasi di scatto, si pulì il sangue dalla ferita, proprio mentre Ascanio tentava di rimettersi in piedi, confuso e disorientato dalla situazione.

 

Lamia non esitò un istante, decisa a mettere il Cavaliere Celeste in condizione di non nuocere, prima che riprendesse completamente i sensi. Balzò su di lui, sbattendolo con la faccia a terra e contorcendosi sul suo corpo, fino a fermarlo con le agili gambe, stringendolo in una singolare morsa. Ascanio si dimenò, per liberarsi di lei, ma la donna gli piantò lunghe unghie affilate nel collo, strappandogli un selvaggio grido di dolore, prima di chinare il viso su di lui e sfiorare con le labbra le ferite aperte del ragazzo.  

 

“Lasciati cullare, figlio di re! Lascia che la mia sinfonia di favole lenisca i tuoi affanni, ponendo termine ai tormenti che dilaniano il tuo animo!” –Sussurrò Lamia nell’orecchio del Cavaliere. –“Non dovrai così prendere nessuna scelta!”

 

Ascanio non capiva perfettamente cosa stesse accadendo, ma le poche parole che udì furono sufficienti per farlo infervorare, e anziché spingerlo a cedere, ad abbandonarsi ai piaceri della tranquillità, lo spinsero a reagire. Poiché non poteva permettere che un nemico fosse a conoscenza di uno dei segreti più intimi del suo animo. Un segreto che gli era stato carpito contro la sua volontà. E che adesso si sarebbe ripreso.

 

“Togliti!!!” –Esclamò Ascanio, lasciando esplodere il proprio cosmo e scaraventando Lamia indietro, fino a farla schiantare contro la vetrata e precipitare nel cortile esterno, tra schegge di vetro che le strapparono le vesti e la pelle.

 

“Bastardo!” –Ringhiò la donna, rimettendosi in piedi, di fronte agli occhi incuriositi di Ascanio, sia pur ancora offuscati dal torpore e dal veleno che Lamia gli aveva iniettato. –“Alzati sì! Pochi passi ancora potrai fare, giusto quelli che ti separano dall’Ade! Perché, con tutto il veleno che hai in corpo, dubito che potrai sopravvivere a lungo! Probabilmente moriresti da solo, nel giro di qualche ora, ma sarà divertente anticipare il tuo trapasso, per vendicarmi delle ferite che mi hai inflitto!”

 

“Tu forse non mi hai inflitto ferite, donna? O anche questa lesione al collo è irreale, come il mondo in cui hai cercato di precipitarmi?” –Esclamò Ascanio, tastandosi il collo e macchiando le sue dita di sangue.

 

“Niente di ciò che hai visto è stato irreale, Ascanio Pendragon! Niente di ciò che hai provato è stato da me creato!” –Rispose Lamia, con perfida superbia. –“Ho soltanto scavato tra i tuoi ricordi, per carpirne l’essenza profonda e farli miei, nel tentativo di privartene! E di privarti, con essi, dei tuoi sogni, delle tue speranze, dei motivi che ti spingono nel tuo barcamenante agire!”

 

“Per rendermi vecchio e vuoto? È così che mi sarei ridotto, donna? Come un albero privo di luce e di acqua sarei ripiegato su me stesso, consumandomi al pensiero di ciò che ho perso e non potrò mai più riavere?! E in quella profonda disperazione avrei invocato la morte, affinché tu potessi assumere il volto della nera signora e guidarmi alle porte di Ade?! Umpf, ben poco hai carpito dei miei segreti allora se credi che a una siffatta sorte bastarda mi sarei abbandonato!” –Esclamò Ascanio, bruciando il suo cosmo. –“Forse non hai capito chi hai davanti? Un figlio dell’Isola Sacra, discendente dei Pendragon, addestrato da tre maestri così speciali che nessun’altro uomo ha potuto godere di tale onore!”

 

“Conosco su di te quello che mi importava sapere, Comandante dell’Ultima Legione, nonché guida della setta dei Cavalieri delle Stelle che Avalon ha messo su per opporsi alla grande ombra! Pallido tentativo il vostro, destinato a naufragare contro la marea nera!” –Affermò Lamia. –“Ma se hai deciso di rifiutare la morte dei sogni, allora dovrò agire in modo più violento! Un attacco diretto non servirebbe con te! No, la Sinfonia di Favole sarebbe respinta dai tuoi poteri mentali! Perciò lascerò che a finirti siano i sogni degli uomini che ho derubato, e di cui mi sono impossessata facendoli miei e confinandoli ad una prigionia eterna! Falene lontane, destinate a non trovare mai riposo!”

 

Nel dir questo espanse il suo cosmo color verde acqua, che invase la stanza, mentre migliaia di falene di energia apparivano attorno a loro, sbattendo le ali e piombando sul Comandante Ascanio.

 

“Se a una dolce morte ti sei opposto, altrettanto non potrai fare con questa, che si prospetta crudele e sanguinaria! Come i tormenti che le falene ti provocheranno, addentando il tuo bel corpo e nutrendosi della tua stessa energia!”

 

“Quale energia?!” –Ironizzò Ascanio, abbassando di poco lo sguardo e sollevando il braccio destro, fino a sfiorare i serpenti tatuati, che subito si illuminarono, rischiarando la stanza con la loro luce e spazzando via sciami di falene energetiche. –“Attacco del Drago Bianco!!!” –Gridò il Cavaliere Celeste, mentre la maestosa sagoma di un dragone di luce scivolava attorno al suo corpo, facendo strage del potere nemico, travolgendo poi il resto delle falene e abbattendosi sul Capitano dell’Ombra, che non poté opporre difesa alcuna. Soltanto venire scaraventata a terra, trapassata dalla leggendaria creatura.

 

A fatica, Lamia fece per rialzarsi, sentendo il corpo spezzarsi a causa delle ferite ricevute per essere priva della propria corazza, che non aveva potuto indossare nei giorni trascorsi sull’Olimpo come anonima ancella al servizio di Zeus. Ma quando si mosse sentì la mano di Ascanio premerle sul petto con forza e sbatterla a terra, prigioniera del suo potere mentale.

 

Metempsicosi!” –Mormorò il Comandante della Legione Nascosta.

 

“Metem… la trasmigrazione dell’anima?!” –Esclamò Lamia, cercando di liberarsi dalla gabbia mentale con cui Ascanio la stava tenendo prigioniera. Ma realizzò di non esserne in grado. Di essere completamente succube del rito evocato dal Cavaliere Celeste.

 

Maledicendosi per essersi fatta sorprendere, Lamia gettò la testa all’indietro, stanca e impotente, mentre il cosmo di Ascanio fluiva dentro di lei. Non tentò neanche di contrastarlo, poiché era certa che non vi sarebbe riuscita. Ed era certa che, come lei aveva fatto con lui e Phantom, anch’egli cercasse informazioni.

 

Ascanio scoprì cos’era accaduto a Phantom, svelando il complotto del Capitano dell’Ombra, arrivata sull’Olimpo mascherata da ancella. La vide inginocchiarsi di fronte a Flegias, tra le tenebre dell’Isola dove Gwynn e i suoi compagni erano morti, fedele servitrice che aveva da lui ricevuto un’armatura nera. E vide anche ricordi che non le appartenevano, ricordi così antichi da sconfinare nella leggenda. Sospirando, Ascanio capì che la donna aveva rubato anche i ricordi di Zeus.

 

“Lamia!” –Mormorò infine, alzandosi e placando il cosmo, in modo da allentare la morsa psichica sul Capitano dell’Ombra. –“Figure in parte umane e in parte animalesche, che nel Mondo Antico rapivano i bambini, privandoli dei loro sogni, seducendo anche gli uomini per poi nutrirsi del loro sangue e della loro carne! Ugualmente tu sfrutti i tuoi poteri per rapire i sogni e i ricordi dei nemici, prosciugandoli di un serbatoio di emozioni, svuotandoli dalla loro umanità!”

 

“Un’analisi perfetta, Testa di Drago!” –Ironizzò Lamia, rimettendosi in piedi, libera dal potere mentale di Ascanio. –“Ad Avalon organizzano anche corsi di psicologia?”

 

“Arti più antiche si praticano sull’Isola Sacra! Arti come la Metempsicosi, che hanno permesso alla mia anima di migrare brevemente dentro di te e vedere con i miei occhi cos’è accaduto al Luogotenente dell’Olimpo! Cos’è accaduto a tuo fratello!” –Commentò Ascanio, fissandola con i suoi occhi scuri, con uno sguardo che a Lamia parve tagliarle l’anima in due. –“Teria! Sei dunque tu la sorella per cui tanto è stato male, al punto da avvelenarsi il cuore!”

 

“Ooh, immagino quanto Nikolaos abbia pianto per me!” –Ironizzò Lamia.

 

“Sbagli nel giudicarlo! E di molto anche!” –La zittì Ascanio. –“Ho passato tante notti a conversare con tuo fratello e ogni volta in cui il tuo nome compariva nei suoi discorsi portava con sé un’ombra che oscurava il suo sorriso! Un’ombra che gli ricordava continuamente di non sapere più niente di te, anzi forse di non avere mai saputo niente di una sorella che invece ha tanto amato! Soprattutto di non aver mai saputo perché così tanto l’hai odiato!” –Sospirò, senza smettere di fissarla. –“Adesso l’ho capito e non sai quanto mi rattrista il cuore! Poiché se già la guerra è deprecabile, ma talvolta necessaria, una guerra tra fratelli, figli della stessa madre, è quanto di più infimo possa esistere su questa Terra!”

 

“Parli bene, Comandante, tu che non hai vissuto il dramma della mia vita! Né hai subito l’umiliazione di un affetto mancato, che i tuoi genitori non sono stati in grado di darti!”

 

“Parlo come un uomo che ha perso sua sorella da piccolo, e non l’ha più incontrata!” –Sentenziò Ascanio, zittendo Lamia, che rimase ammutolita dall’imprevista confessione, e anche sconcertata dai poteri del Cavaliere, le cui difese psichiche erano così alte da non averle permesso di penetrarle a fondo, nonostante lo avesse aggredito quando egli non pensava nemmeno di essere in battaglia.

 

E questo la fece riflettere sui propri limiti, ricordandole una frase da cui si era sentita offesa, ammettendo adesso che era invece verità.

 

“Puoi rubare i sogni ai bambini…” –Le aveva detto Flegias il giorno in cui Lamia si era offerta per la missione avvelenatrice sull’Olimpo. –“Ma contro gli adulti potrai fare ben poco! Anche perché… gli adulti sognano ancora?!” –Si era chiesto, con un pizzico di malinconia.

 

Lamia non aveva risposto, chinando il capo sconfitta, incapace di sondare la psiche del Maestro di Ombre, che le aveva chiesto una dimostrazione dei suoi poteri. Pur tuttavia aveva insistito nella sua richiesta e Flegias aveva comunque acconsentito, essendo l’unica in grado di poter raggiungere di nascosto l’Olimpo.

 

“Questo rancore ti perderà!” –Esclamò Ascanio, espandendo il cosmo, mentre le scintillanti sagome di due dragoni di luce, uno bianco e uno rosso, apparivano dietro di lui. Ma prima che potesse scagliare il suo nuovo attacco, una voce lo distrasse, attirando l’attenzione di entrambi.

 

Phantom dell’Eridano Celeste si era sollevato dal letto, gettando via le lenzuola e rivelando il corpo macchiato di sangue rappreso, ove Lamia lo aveva addentato.

 

“Phantom!!!” –Gridò Ascanio, osservando le condizioni disperate dell’amico.

 

“Ascanio! Grazie per tutto ciò che hai fatto, ma voglio chiederti di non combattere più contro mia sorella!” –Esordì il Luogotenente, avanzando a fatica verso il centro della stanza, di fronte agli occhi increduli di Ascanio e di Lamia. –“Mi occuperò io di lei! Da tanto volevo incontrarla nuovamente!”

 

“Phantom! Non sarà un incontro di piacere! Lei ti ucciderà! È qua per questo!” –Lo mise in guardia Ascanio.

 

“Credi che non lo sappia?!” –Sorrise semplicemente il Luogotenente dell’Olimpo, prima di volgere lo sguardo verso Teria.

 

***

 

Proprio in quelle ore un violento scossone sismico scuoteva una tetra grotta nell’Asia centrale. Dove un uomo rinvenne improvvisamente. Si tirò su, cercando di capire dove fosse, usando i sensi e il cosmo per dare una logica agli ultimi eventi. Così rapidi si succedevano nella sua mente, confondendolo, senza che riuscisse a farsi un’idea chiara dell’accaduto. Stragi, guerre, macchie di sangue, e fiamme immense che salivano verso il cielo. Un cono d’ombra, e nulla più.

 

Si guardò intorno, ma vide soltanto la notte avvolgerlo con le sue spire mortali, precipitandolo in un nulla che sembrava non avere fine. D’un tratto gli parve di udire una voce chiamarlo da lontano. Una voce che risuonava dentro di sé, dentro la tenebra in cui era immerso. Così potente, così antica, che il suo corpo si irrigidì, vittima di un timore che non aveva mai provato prima.

 

Infine capì. Capì tutto. E crollò sulle ginocchia, vomitando in faccia al destino.

 

 

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Capitolo 29
*** Amici ***


CAPITOLO VENTISETTESIMO: AMICI

CAPITOLO VENTISETTESIMO: AMICI.

 

“Peggio di quanto immaginavamo, vero?!” –Ironizzò Marins, dall’alto della collina di Sitia.

 

“Non che queste immagini mi siano estranee! Del resto conviviamo con la guerra e con la morte da sempre!” –Sospirò Febo. –“Ma ogni volta sembra sempre diversa! Ogni volta è sempre una nuova volta! Come se uno non riesca ad abituarsi mai!”

 

“Vorresti abituarti alla morte?” –Chiese Marins. Ma Febo scosse il capo.

 

“Soltanto sentirmi pronto! Ogni tanto penso che tutti questi anni lontano da casa, lontano dall’Egitto, e da mio padre, non siano serviti a prepararmi, non siano serviti a farmi crescere! Ogni tanto mi sento ancora lo stesso ragazzino che portasti via da Karnak quel giorno, strappandomi all’eternità e confinandomi nel tempo reale!” –Commentò il figlio di Amon-Ra, per poi inspirare profondamente. –“Spesso mi chiedo se Avalon abbia fatto la scelta giusta, nominandomi Cavaliere delle Stelle! Non so quanto questo ruolo mi si addica!”

 

“Avalon ha soltanto letto quel che le stelle e il tuo cuore gli hanno mostrato! E i Talismani non sarebbero andati a uomini indegni, Febo! Abbi fiducia in te, nella stirpe regale che rappresenti! Tu sei un ponte tra due mondi, tra due culture, greca ed egizia, un perfetto garante dell’equilibrio! Ed è questo che Avalon si aspetta da te, e da noi! Garantire l’equilibrio!” –Sorrise Marins, dando una pacca sulle spalle all’amico e voltandosi verso il mare.

 

Dall’alto della collinetta di Sitia, sulla costa nord-orientale di Creta, i due Cavalieri delle Stelle osservarono l’avanzare dell’Esercito delle Ombre, la nera marea che aveva lambito i confini dell’antica terra, penetrando nella baia incorniciata dalle Isole Dionisiadis. E scatenando il panico tra i suoi diecimila abitanti.

 

“Una testa di ponte!” –Commentò Marins, osservando la posizione di Sitia. –“Da cui procedere poi verso occidente, alla conquista dell’intera isola, e verso sud, per raggiungere le coste africane! La Libia e l’Egitto!”

 

“L’Egitto!” –Mormorò Febo, ricordando la sua eterna giovinezza tra le mura di Karnak, Iside e Osiride, per lui due genitori adottivi, e il suo vero padre, il potente Amon Ra.

 

Da quanto tempo non lo vedeva. Dall’unica volta in cui avevano combattuto assieme. Fianco a fianco. Contro il mostruoso serpente cosmico. Dal giorno in cui Amon-Ra aveva abbandonato i suoi rimpianti ed era entrato nel presente. Dal giorno in cui Febo se ne era andato, seguendo la sua strada.

 

“Attentooo!!!” –Gridò Marins, balzando indietro, mentre un gruppo di ombre si tuffava in picchiata su di loro, costringendo Febo a metter via i pensieri e a concentrarsi sulla battaglia. Non una qualunque, ma la prima tappa di una guerra contro l’oscurità a cui Avalon stava cercando di opporsi da secoli.

 

“Sono migliaia!” –Disse, colpendone alcune con raggi di infuocata energia. Marins fece altrettanto, evitando di essere divorato da un mucchio di ombre, prima di balzare vicino all’amico, mettendosi dietro di lui.

 

Schiena contro schiena, spalla contro spalla, mare contro sole. Uniti da un legame che non era solo cameratismo guerriero. Ma vera amicizia. Nata quindici anni prima, quando Marins aveva ricevuto l’incarico da Avalon di condurre il figlio di Ra sull’Isola Sacra, e consolidata in seguito, durante l’addestramento e le missioni che a loro erano state assegnate. E che avevano portato a termine insieme. Prime tra tutte recuperare il Vaso di Nettuno, nel Tempio Sottomarino, e proteggere Fiore di Luna dall’assalto dei berseker.

 

Entrambi espansero i loro cosmi, incandescente quello di Febo e rinfrescante quello di Marins, prima di dirigere i loro attacchi contro la massa di tenebra che stava chiudendosi su di loro.

 

Bomba del Sole!!!” –Gridò Febo, scatenando una sfera di energia rossa e gialla, simile a un piccolo sole, che esplose al contatto con quella massa nera. –“Maremoto dei Mari azzurri!!!” –Gli fece eco Marins, mentre un inestinguibile flusso di energia acquatica scivolava nell’aria, investendo le ombre e annientandole.

 

Ma, come Reis e Jonathan avevano sperimentato, e come l’Antico li aveva messi in guardia, contro la marea nera non vi era vittoria. Soltanto brevi attimi di calma in cui le ombre parevano riorganizzarsi, prima di gettarsi di nuovo in picchiata, determinate ad assorbire quella luminosità di cui Febo e Marins erano rivestiti.

 

Barriera corallina!!!” –Esclamò Marins, muovendo il braccio sopra di entrambi, in modo da creare una cupola di coralli con cui protesse Febo e se stesso.

 

Subito le ombre si chiusero su di loro, avvolgendo la barriera corallina, per cibarsi della sua stessa essenza. Ma Febo, che non aspettava che quel momento, di sentirle così vicine, lasciò esplodere il suo caldo potere, infiammando il cielo sopra Creta del potere del sole. La barriera di coralli andò in frantumi e centinaia di ombre vennero annientate sul colpo, arse da una vivida fiamma che pareva provenire dalla corona solare, tanto abbagliante e distruttiva riusciva ad essere. Lo stesso Marins, che detestava le eccessive temperature, accusò il colpo, espandendo prontamente il suo fresco cosmo, per trovare momentaneo refrigerio.

 

“Avvertimi la prossima volta!” –Ironizzò. –“Mi rinchiudo in una ghiacciaia per tempo!”

 

“E vorresti perderti il divertimento?!” –Sorrise Febo, concentrando il cosmo tra le mani e liberando una nuova sfera incandescente, dalle sfumature gialle e rosse. –“Ammirate il potere del sole, ombre! Esso farà strage della vostra essenza!”

 

“Temo che il tuo discorso non le abbia impressionate!” –Commentò Marins, osservando la marea nera chiudersi sempre più su di loro. Erano tantissime, forse più di quante erano sembrate loro all’inizio. Forse perché già si erano cibate delle energie vitali degli abitanti di Sitia.

 

“In questo caso…” –Mormorò Febo. E Marins, di nuovo schiena contro schiena all’amico, annuì all’istante. Sollevarono una mano verso il cielo, portando il cosmo al suo parossismo. –“Talismani!!!” –Gridarono, mentre due cristalli di luce apparvero sui palmi delle loro mani. Rosso quello di Febo, azzurro quello di Marins.

 

Subito i cristalli presero la forma di uno splendido specchio, dal manico rifinito d’oro, il cui vetro rotondo pareva simboleggiare la sfera solare, e di un lungo tridente ornato di scaglie d’oro, il cui lavoro di intarsio era stato così ben eseguito al punto che Nettuno, millenni addietro, ne era rimasto abbagliato e lo aveva preso come modello per realizzare la sua arma d’attacco. Ma i Talismani erano molto di più. Capaci di contenere in sé millenni di energia del simbolo da cui traevano origine e forza. Il sole, per Febo, e il mare, per Marins.

 

Specchio del Sole!!! Risplendi!!!” –Esclamò Febo, impugnando il sacro oggetto e volgendo il vetro verso le ombre, osservando con soddisfazione un ventaglio di luce aprirsi dal vetro stesso, inglobando parte della marea nera e annientandola al suo interno, come se le ombre evaporassero di fronte a così infuocata energia.

 

Tridente dei Mari Azzurri!!!” –Gridò Marins, afferrando l’asta dorata e volgendo le punte verso le ombre, da cui subito scaturirono guizzanti fulmini di energia, che si schiantarono sull’oscura massa, dilaniandola in profondità, aprendo squarci così profondi e incandescenti che le ombre non riuscirono a richiuderli all’istante. Febo, approfittando di quell’istante, fu lesto a completare l’opera con lo Specchio del Sole.

 

“Di mirabili poteri sono i Talismani dotati! Ogni volta mi stupisco sempre un po’ di più di quanta energia sia in essi contenuta! L’energia di millenni di attesa!” –Commentò Febo, ricordando il giorno in cui per la prima volta, senza neppure sapere della sua esistenza, aveva impugnato lo Specchio del Sole. Nelle prigioni di Amenti, ove aveva combattuto contro il malvagio Anhar, traditore d’Egitto, per liberare Osiride e Horus.

 

“Creati per un unico scopo, per essere usati soltanto in un’occasione, i Talismani hanno atteso silenziosi per tutti questi secoli, per tutti questi millenni, che uomini degni li risvegliassero dentro di loro! E sapessero impugnarli per l’ultima guerra!” –Disse Marins, abbandonandosi a un sospiro. –“Ripenso a quanto mi hai confessato poco prima, e non ti nascondo che spesso mi sento in colpa per averti strappato al tuo placido mondo fuori dal tempo! Ma poi, non soltanto perché era un ordine di Avalon, non soltanto perché era destino, dico a me stesso di essere contento di averlo fatto! Perché in questo modo ho trovato un amico! Il migliore! E niente cambierà mai questa verità!”

 

Febo sorrise, poggiando una mano sulla spalla del compagno e annuendo in silenzio. Ma non ebbe tempo di aggiungere altro che un’esplosione di fiamme e ombra li raggiunse, scaraventandoli in aria e facendoli ruzzolare per molti metri a terra, lungo i pendii scoscesi della collina. Tossendo e ansimando, i due Cavalieri delle Stelle si rimisero in piedi, giusto per osservare un immenso uccello, dal bianco piumaggio, con le ali spalancate sopra di loro. E un uomo, avvolto in un mantello di fiamme e ombra, che lo cavalcava. Entrambi circondati da una marea di tenebra, su cui la sagoma della creatura risaltava vistosamente.

 

Alto e ben fatto, con il corpo rivestito da una scarlatta armatura su cui scivolavano sinuose le perfide fiamme dell’odio e le tenebre della disperazione, Flegias, il Maestro di Ombre, stringeva in mano la Spada Infuocata, fissando Febo e Marins con sguardo maligno, desideroso di nient’altro che non fosse piantarla nei loro corpi.

 

“Anhar?!” –Balbettò Febo, riconoscendo il consigliere che aveva tradito Karnak, vendendola a Seth.

 

“Ne è passato di tempo, figlio di Amon Ra! Ma vedo che tutti questi anni non hanno migliorato il tuo aspetto! Sei sempre il solito rachitico figlio bastardo che Ra non ha mai amato! Né nutrito!” –Ironizzò Flegias, mettendosi in piedi sul dorso dell’uccello.

 

“Le tue amare parole non feriscono più il mio animo!” –Esclamò Febo, con fierezza. –“È passato il tempo in cui potevi burlarti di me, approfittando dei miei sentimenti e deridendomi per essere stato abbandonato! Mio padre non ha mai voluto farlo, ha cercato soltanto di salvarmi dal mondo. E forse di salvare anche se stesso!”

 

“Macina pure tutte le scuse che vuoi, piccolo Febo, forse serviranno a farti stare meglio! A darti l’illusione di valere davvero qualcosa! Ma nessuna parola di conforto che la tua debole mente partorirà potrà mai negare l’assoluta verità! Che Amon Ra ha preferito uscire dal tempo che trascorrere un altro giorno con te! Che ha preferito rinchiudersi tra le quattro mura del santuario di Karnak piuttosto che continuare ad osservare il prodotto bastardo dei suoi errori!” –Ironizzò Flegias, avvampando nel suo cosmo scarlatto. –“Mettila come vuoi, ma non sei mai stato per lui un motivo di vanto, né una ragione per vivere!”

 

“Bastardo!!!” –Esclamò Marins, sollevando il tridente e liberando una violenta scarica energetica. Ma il Maestro di Ombre non ebbe problemi a pararla con la sua Spada Infuocata, prima di respingerla, atterrando lo stesso Marins. Ridendo eccitato, Flegias scosse il mantello, gettandosi dall’alto sui Cavalieri delle Stelle, mentre l’immenso uccello spalancava le bianche ali, agitando il vortice di ombre in cui erano immersi.

 

“Morite!!!” –Gridò Flegias, piombando sui due compagni, avvolto in un turbinare di fiamme e tenebra. Febo e Marins cercarono di difendersi, ma i loro attacchi vennero spazzati via dall’indemoniato cosmo del figlio di Ares, che li scaraventò a gambe all’aria. –“Ho osservato le vostre imprese, nel fuoco della visione, e ho notato che avete qualcosa di cui volete disperatamente farmi dono! Perciò vi prego, non esitate, concedetemi ciò di cui bramate liberarvi, e poi crepate!!!” –Rise, mentre Febo e Marins si rimettevano in piedi.

 

“I Talismani vuoi? Povero sciocco! Servono ad altro che alla tua ben misera ambizione di dominio!” –Esclamò Febo, bruciando il proprio cosmo incandescente.

 

“Credi che non lo sappia? È proprio per questo che devo impedirvi di usarli! Sento la loro energia! La percepisco fluire nelle correnti del mondo! È contro di me, sì, è contro di me! E io devo spezzare questo secolare flusso!!!” –Ringhiò, volgendo loro il palmo della mano destra, da cui un vorticar di fiamme e ombra si liberò, avvolgendo l’intero pendio e i corpi di Febo e Marins, che si barcamenavano al loro interno.

 

“Io odio gli ambienti troppo caldi!” –Commentò Marins, sollevando alti flutti di energia acquatica, con cui spense parte delle fiamme attorno, prima di dirigerli verso Flegias. –“Maremoto dei Mari Azzurri!!!”

 

“Vorresti estinguere con questo debole cosmo l’ardente impeto del mio fuoco di morte?” –Ironizzò Flegias, liberando filari di vampe nere che lacerarono i celesti marosi di Marins, infiammandoli dall’interno.

 

“Incredibile!!! Il calore del suo cosmo è tale da far evaporare le acque degli oceani!” –Sgranò gli occhi Marins, osservando lo spegnersi del suo assalto e sollevando le braccia per proteggersi da un impetuoso vortice di fiamme e ombra che Flegias diresse contro di lui, facendolo schiantare a terra e perdere persino la presa sul Tridente dei Mari Azzurri.

 

“A te, Roc!!!” –Gridò Flegias, infervorando l’uccello dal bianco piumaggio, che smosse le sue immense ali, generando violente raffiche d’aria, e riempì il cielo con stridule grida, prima di abbattersi su Febo e Marins.

 

“Un roc?! Credevo che tali creature fossero estinte!” –Mormorò Febo, ricordando le storie che Amon Ra e Iside erano soliti raccontargli, durante la sua fanciullezza. –“Assalivano le navi nell’Oceano Indiano! Mio padre sosteneva avessero la forza di ghermire persino un elefante!”

 

“Un roc può molto di più, ragazzo! E ora ve ne accorgerete a vostre spese!” –Sibilò Flegias, mentre l’immensa sagoma dell’uccello distruttore piombava sui Cavalieri delle Stelle, sbattendoli a terra.

 

Marins venne afferrato dai giganteschi artigli del roc, proprio mentre annaspava sul terreno per raggiungere il suo tridente, e intrappolato in una presa così stretta da non riuscire a muovere un muscolo. Febo si lanciò subito in suo soccorso, puntando lo Specchio del Sole verso il volto del roc e inondandolo di un ventaglio di luce che stordì l’uccello, facendolo gridare dal dolore. Ma non poté fare altro che un turbine di vampe nere lo avvolse, sollevandolo da terra e scaraventandolo indietro, facendolo ruzzolare nuovamente sul pendio di Sitia.

 

“Birichino!” –Commentò Flegias, avvicinandosi, mentre il mantello scarlatto che gli copriva la schiena fluttuava tra nere evanescenze, che presto avvolsero il roc e Marins, cingendoli in un abbraccio di tenebra. –“Non si gioca con il fuoco, Febo! Potresti… scottarti!” –Aggiunse, volgendogli nuovamente contro il palmo della mano destra e schiacciando il Cavaliere del Sole a terra, sotto vorticanti fiamme di ombra, che stridettero sulla sua corazza, facendola schiantare in più punti.

 

“Aaargh! Devo… resistere!” –Strinse i denti Febo, concentrando il cosmo per poi liberarlo sotto forma di una bomba di luce, che spazzò via le nere vampe di Flegias, disperdendole nell’aria attorno. –“Raggi gamma!!!” –Tuonò Febo, balzando in piedi e dirigendo un cono di raggi verso Flegias, che fu svelto a volgergli contro la lama della Spada Infuocata, caricandola del suo inquietante cosmo.

 

Ma Febo era determinato a cedere e aumentò l’intensità del suo assalto, obbligando Flegias a fare altrettanto nella difesa, fintantoché il Maestro di Ombre non sentì bruciare la propria mano, quasi fosse ustionata nonostante l’Armatura Divina. La spada infuocata raggiunse temperature altissime, a causa della pressione dei raggi gamma, e Flegias dovette gettarla via, gridando e scuotendosi la mano, la cui corazza protettiva andò in frantumi in quel punto.

 

“Ora!!! Bomba del Sole!!!” –Gridò Febo, concentrando il cosmo in una sfera di energia simile all’astro solare e dirigendola contro Flegias, che si difese incrociando le braccia di fronte al viso, limitando i danni, ma venendo comunque travolto e spinto indietro di qualche metro.

 

Proprio in quel momento Marins, ancora prigioniero del roc, espanse al massimo il suo cosmo, usando le braccia per aprire gli artigli del leggendario uccello e liberarsi dalla sua morsa. Quanto gli bastò per allungare una mano all’esterno e richiamare il Talismano di cui era custode. Il Tridente dei Mari Azzurri sfrecciò nella sua mano e subito Marins lo impugnò, conficcandone le aguzze punte nell’arto del roc, inondandolo con la sua energia cosmica.

 

L’uccello strillò, scuotendo le ali e dimenandosi nel cielo oscuro, e spalancò d’istinto gli artigli, permettendo a Marins di ricadere a terra. Il Cavaliere dei Mari Azzurri ruzzolò sul pendio scosceso per una decina di metri, lussandosi una spalla per lo schianto, ma fu svelto a rimettersi in piedi e ad affiancare Febo, che aveva appena atterrato Flegias.

 

“Stai bene?” –Gli chiese subito Febo.

 

“Ora capisco come si sente una palla da baseball dopo essere stata lanciata!” –Commentò Marins, ripensando ai suoi trascorsi, quando si allenava allo Yankee Stadium di New York, sognando di divenire famoso come Joe DiMaggio. Quindi volse lo sguardo verso la cima della collina, dove Flegias si era prontamente rimesso in piedi, tenendosi la mano indolenzita dall’ustionante attacco di Febo. Sopra di lui torreggiava un cielo di tenebra, ove rilucevano le scarlatte vampe del suo cosmo.

 

“Credevo che sarebbe stato piacevole rivederti, Febo! Invece hai fatto il possibile per rovinare la nostra rimpatriata! Non biasimarti perciò se altrettanto farò io!” –Sogghignò il Maestro di Ombre, sollevando il braccio destro al cielo e scatenando una violenta tempesta di energia incandescente, che si abbatté sui Cavalieri delle Stelle vibrando sulle loro corazze. –“Apocalisse Divina!!!”

 

“Incredibile…” –Mormorò Marins, sentendo scricchiolare l’Armatura delle Stelle. –“Persino il mithril sembra cedere di fronte a questo devastante potere! Chi è davvero costui? Quale ombra ha partorito questo demone infame?!”

 

“Dobbiamo resistere, Marins!!!” –Gridò Febo, liberando l’infuocato potere del sole, subito seguito dall’amico. –“Maremoto dei Mari Azzurri!!!” –I due assalti collisero contro la tempesta energetica di Flegias, bloccandone per un momento l’avanzata, ma bastò un cenno del Maestro di Ombre che l’oscura marea, rimasta finora intorno ai contendenti, quasi soldati in attesa di un ordine, piombasse sui Cavalieri delle Stelle, avvolgendoli in un abbraccio di tenebra.

 

L’Apocalisse Divina prese il sopravvento, travolgendo l’energia del sole e del mare e scaraventando Febo e Marins molti metri addietro, aprendo crepe sulle loro corazze e lanciando i Talismani a terra. Flegias, con ghigno soddisfatto, si incamminò verso di loro, verso gli oggetti che aveva cercato da tutta una vita.

 

Non aveva mai saputo come fossero fatti, né dove fossero nascosti, poiché Galen, il custode della Biblioteca di Alessandria, aveva bruciato l’unica mappa esistente sulla ubicazione dei Talismani. Ma Flegias era sempre stato convinto che gli antichi saggi li avessero dislocati in posizioni strategiche, nei principali centri di culto del Mondo Antico, onde evitare un’eccessiva concentrazione di potere. E adesso sono qua! E si offrono al mio giudizio divino! Sogghignò, osservando dall’alto le rifiniture dello Specchio del Sole. E chiedendosi in quale luogo di Karnak fosse stato custodito per millenni. Lui stesso, negli anni trascorsi al servizio di Amon Ra, aveva esplorato il santuario ovunque, ma non ne aveva trovato traccia alcuna.

 

Sollevò lo Specchio del Sole, avvolgendolo in un vortice di fiamme oscure, fino a portarlo di fronte al suo sguardo, indeciso se sfiorarlo o meno. Era a conoscenza della sacralità di quegli oggetti e sapeva che, una volta risvegliati, difficilmente altri avrebbero potuto impugnarli, senza il consenso del portatore stesso. Ma Flegias possedeva un’altra carta da giocare, la stessa che gli aveva garantito quell’esistenza di tenebra di cui si era cibato negli ultimi secoli. Il potere della Pietra Nera, un’energia così infinita, così tenebrosa, così ancestrale, che persino Avalon avrebbe chinato il capo di fronte ad essa.

 

Posizionò la mano destra, deformata dall’ustione subita, sopra lo Specchio del Sole, socchiudendo gli occhi e lasciando che il suo cosmo si caricasse di tutta l’ombra, di tutte le fiamme del male che covava dentro, e fluisse all’interno del Talismano.

 

“Nooo!!!” –Gridò Marins, rimettendosi in piedi. E richiamò a sé il Tridente dei Mari Azzurri. Ma quando si voltò verso Febo, trovò il volto stanco dell’amico, quasi rassegnato a tale fallimento.

 

“È finita!” –Si limitò a commentare il figlio di Amon Ra.

 

“Non vorrei rubare una frase al mio mentore, ma non è finita finché non è finita!” –Rispose Marins, accennando un sorriso.

 

“Non sapevo che Avalon amasse citare aforismi!”

 

“Non a lui mi riferisco!” –Sorrise Marins, espandendo il suo fresco cosmo azzurro. –“Ma a Yogi Berra! Dimentichi forse i miei trascorsi nel baseball?”

 

Febo sorrise a sua volta, rinfrancato dall’eterno ottimismo del compagno. Forse era dovuto alle sue origini statunitensi, che ne faceva membro di un popolo che sembrava non arrendersi mai, o forse perché semplicemente aveva ragione. Non disse altro, bruciando il cosmo e affiancando l’amico nell’ultima azione contro Flegias.

 

Tridente dei Mari Azzurri!!!” –Esclamò Marins, liberando guizzanti scariche di energia che sferzarono l’aria, abbattendosi su Flegias e disturbando la concentrazione necessaria per completare la possessione del Talismano. –“Specchio del Sole!!!” –Gridò Febo, portando al massimo il suo caldo cosmo e ristabilendo quell’intima connessione con il Talismano che l’ombra aveva cercato di ricoprire.

 

Immediatamente lo Specchio del Sole emanò un accecante arco di luce, con cui incenerì un cumulo di ombre circostanti e scaraventò indietro Flegias, prima di saettare nell’aria e tornare nelle mani del suo custode. Il Maestro di Ombre, irato per l’accaduto, scatenò subito un violento assalto di fiamme e ombra contro di loro, a cui Febo e Marins cercarono di opporsi.

 

“Insieme! Tridente dei Mari Azzurri!!!” –Gridò Marins, sul fianco destro del compagno. –“Specchio del Sole!!!” –Aggiunse l’amico.

 

“Non fermerete la Rapsodia di Demoni!!!” –Tuonò Flegias, mentre l’immensa marea nera scivolava a cascata verso i Cavalieri delle Stelle, oscurandoli in un universo ove le uniche luci erano quelle dei loro cuori. Le luci dei Talismani.

 

Febo e Marins bruciarono il loro cosmo come mai avevano fatto prima e l’energia prodotta generò una violenta deflagrazione che sconquassò il fianco della collina di Sitia, aprendovi fenditure e distruggendone l’ameno paesaggio, fino a scaraventare i tre avversari a terra. La luce scaturita fu talmente vasta da travolgere, come l’onda di uno tsunami, il mucchio di ombre sopra di loro e annientarle.

 

Flegias si rimise prontamente in piedi, muovendo con difficoltà le dita della mano destra ma riuscendo comunque ad impugnare la Spada Infuocata. Con essa balzò su Marins, che ansimante stava rialzandosi, per punirlo per aver osato interromperlo poco prima. Ma il Cavaliere delle Stelle fu abile a sollevare il Tridente e a bloccare la mortale lama tra le sue punte. Flegias tuttavia perseverò, liberando la spada e lanciando nuovi pericolosi affondi, a cui Marins dovette opporsi con determinazione, per non lasciare spazio alcuno di manovra al Maestro di Ombre. Ad ogni colpo, ad ogni collisione tra le due armi, scintille schizzavano in aria, e a Flegias sembrava di sentire la Spada Divina sul punto di andare in frantumi.

 

Incastrata nuovamente la nemica lama nelle punte del Tridente, Marins bruciò il cosmo, per travolgere Flegias da vicino con un maremoto di energia, ma il Maestro di Ombre paralizzò l’avversario in un cerchio di fiamme oscure, limitando i suoi movimenti. Quindi liberò con un colpo brusco la spada e torse il polso, in modo da roteare la lama e trinciare di netto la mano del Cavaliere delle Stelle all’altezza del proprio polso, strappandogli un grido di dolore.

 

“Marins!!!” –Gridò Febo, osservando il compagno mutilato crollare a terra, mentre Flegias sogghignante torreggiava su di lui, e gli diresse contro una bomba di energia solare, che il Maestro di Ombre fermò con un muro di fiamme e tenebra, lasciandola esplodere al suo fianco.

 

“Addio!” –Commentò semplicemente, puntando la spada infuocata verso Marins, che a fatica si stava rimettendo in piedi. Ma mentre Flegias stava per penetrare il corpo infiacchito del Cavaliere dei Mari Azzurri, qualcosa si interpose tra i due e la lama affondò nel basso ventre del figlio di Amon Ra.

 

“Febo!!!” –Urlò Marins, osservando il compagno sputare sangue ma trovare comunque la forza di afferrare la lama all’altezza della mano di Flegias, stringendo anche le ustionate dita del Maestro di Ombre in una morsa sempre più calda.

 

“Che diavolo stai facendo, Febo? Lasciala andare! Lasciala!!!” –Gridò Flegias, che non riusciva a togliere la mano dalla stretta infuocata del Cavaliere del Sole. Sollevò allora il braccio sinistro con cui iniziò a tempestare di colpi il viso etereo del ragazzo, senza che questi accennasse reazione alcuna, ancora intento a sprigionare i suoi raggi sull’arma e sull’arto di Flegias.

 

Raggi gamma!” –Sibilò infine, liberando al massimo il suo potere.


Flegias sentì per la prima volta un dolore immenso alla mano destra, come se il sole lo avesse penetrato con tutto il suo calore. La lama infuocata vibrò per l’ultima volta, prima di fondersi e colare sul terreno, sottoposta a temperature troppo elevate, macchiando le corazze dei due guerrieri, mentre la mano di Flegias fu divorata da una fiamma lucente che neppure l’oscuro cosmo del Maestro di Ombre riusciva a estinguere. Una fiamma all’interno della quale la sua mano avvizzì di colpo, iniziando a squagliarsi, di fronte ai suoi occhi inorriditi.

 

Febo crollò poco dopo, tra le braccia di Marins che lo afferrò in tempo, tenendolo stretto a sé e ammirandone il coraggio. Degno del sangue nobile che gli scorreva dentro. E ringraziandolo per averlo salvato.

 

“A… amici!” –Mormorò Febo, con un sorriso stanco.

 

Flegias, dal canto suo, barcollò per qualche istante, fino a incespicare sul suo mantello scarlatto e cadere a terra, continuando ad osservare attonito la propria mano che stava ripiegando su se stessa, vittima di un potere così grande, così infuocato da distruggere persino la Divina Spada che tante vittime aveva mietuto in passato. Fu in quel momento che una voce lo contattò tramite il cosmo.

 

“Mio Signore! Auuuhh!!!” –Esclamò il Capitano dell’Ombra che percepisce i segreti lussuriosi degli uomini. –“Siderius è caduto! E di Orochi e Lamia abbiamo perso le tracce! Inoltre un gruppo di soldati sta attaccando l’Isola delle Ombre da nord!”

 

“Ho capito!” –Si limitò a rispondere Flegias, rialzandosi e chiudendo la comunicazione con Licantropo. Fischiò due volte e l’immenso roc ricomparve sopra di lui, planando vicino al Maestro di Ombre, che gli montò sopra con un balzo, afferrandosi al bianco piumaggio con la mano ancora sana. –“Non crediate che sia finita qua! Impegni più urgenti mi aspettano! E anche se ammetto che avete giocato bene, non significa che io non abbia il potere di vincere anche questa battaglia!” –Non aggiunse altro e se ne andò, tenendo per sé la rabbia di essere stato mutilato.

 

Aveva affrontato quasi tutti i Cavalieri di Atena, sia al Grande Tempio che sull’Olimpo, e i Cavalieri Celesti e le Divinità al servizio di Zeus, e per quanto spesso avesse dovuto subire i loro colpi, era la prima volta che sentiva di aver perso. La prima volta in cui non poteva dirsi soddisfatto di una sua azione. Persino quando Artemide lo aveva ferito, aveva assaggiato comunque il sapore della vittoria, che gli era stata offerta sul piatto su cui era morta la Dea. Ma stavolta qualcosa era andato diversamente. E quel qualcosa, Flegias lo sapeva benissimo, era l’energia solare che aveva invaso il suo corpo, un’energia di origini diverse rispetto ai cosmi che aveva fronteggiato finora. Un’energia ancestrale, proprio come quella che albergava dentro di lui.

 

A fatica si trascinò fino al trono, nella caverna sotterranea dell’isola, illuminata soltanto dal baluginare fioco dei resti del braciere, crollando su di esso e gettando via la corona nera che portava sul capo. Per un momento sentì di non esserne degno, di non meritare il titolo di ambasciatore delle tenebre di cui era stato investito. Ciò che temeva, ciò che realmente aveva temuto per anni, aveva iniziato a verificarsi. E per quanto egli fosse forte e temerario, non poteva sottovalutare la minaccia che veniva da Avalon. Poiché era l’unica energia che realmente avrebbe potuto spazzarlo via.

 

Sogghignando, Flegias si sfiorò infine il collo alla ricerca della sola fonte di potere in grado di contrastare i Talismani. La Pietra Nera emanò un’oscura luce di morte, che infuse nuova energia allo stanco corpo del Maestro di Ombre, sopendo gli affanni di quella giornata. Flegias sollevò il braccio destro, osservando le avvizzite dita cibarsi della tenebra più nera, fino a ricominciare a muoversi, ad allungarsi, riprendendo le forme perfette che avevano sempre avuto.

 

Avalon poteva avere pure i suoi Talismani, ma lui avrebbe sempre avuto l’energia primordiale di colui che lo aveva generato.

 

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Capitolo 30
*** Le varie facce della verità ***


CAPITOLO VENTOTTESIMO: LE VARIE FACCE DELLA VERITA’

CAPITOLO VENTOTTESIMO: LE VARIE FACCE DELLA VERITA’.

 

Ermes era rientrato sull’Olimpo dopo un’intera nottata trascorsa a colloquio con Atena, nella Sala delle Udienze del Grande Tempio. Un colloquio che non aveva risolto molto, ma che aveva comunque arrecato piacere al suo cuore pieno di affanni. La malattia di Zeus lo colpiva da vicino, come la morte di tutti i Cavalieri Celesti, ultimo atto di una commedia degli inganni che Flegias aveva iniziato a dirigere mesi addietro, quando era giunto sull’Olimpo mendicando pietà. E Zeus, magnanimo, gliel’aveva concessa, per quanto fosse il figlio del Dio della Guerra.

 

Fu un errore aprire le porte al Rosso Fuoco! Un errore di cui avevo prontamente avvertito il Sommo Zeus, per quanto nessuno di noi potesse prevederne la portata! Rifletté Ermes, camminando tra le vuote stanze della Reggia Olimpica. Poiché con lui, oltre allo spirito di Crono, è entrata la guerra e la rovina di un mondo intero! Quanti amici abbiam perduto! Quanti compagni abbiam smarrito per strada! Sospirò, ricordando le Divinità massacrate da Flegias e dai figli di Ares. Da Afrodite, proprio nel Tempio dei Mercanti, da lui presieduto, fino alla cacciatrice Artemide.

 

Un rumore nel salone delle feste attirò la sua attenzione, ed Ermes vi entrò, non troppo sorpreso di trovare Ganimede intento a trafficare con del vasellame.

 

“Nobile Ermes!” –Gli sorrise il Coppiere degli Dei, senza nascondere la sorpresa. –“Non pensavo sareste rientrato così in fretta! Atene non era di vostro gradimento?”

 

“Atene è sempre di mio gradimento, Ganimede!” –Rispose cordiale Ermes, a cui la compagnia della Dea della Giustizia e dei suoi Cavalieri faceva sempre piacere. –“È la guerra che invece aborro! Questa guerra in cui siamo immersi, come fango che non riusciamo a toglierci di dosso!” –Aggiunse, sedendo su una seggiola.

 

“Sono certo che il Sommo Zeus, quando si riprenderà, saprà porre fine a questo stupido conflitto, scaturito dall’infantile ambizione di una semidivinità!” –Commentò Ganimede, versando del liquido in una coppa dorata.

 

“Infantile, sì! È un modo colorito per descrivere il figlio di Ares!” –Rifletté Ermes. –“Anche se avrei giusto una lista di aggettivi con cui rischierei di essere scurrile!”

 

“Non trattenetevi con me, Messaggero degli Dei!” –Ironizzò Ganimede, porgendo la coppa d’ambrosia al Dio. –“Prendete, e rilassatevi per un momento! Ci sarà tempo per gli affanni del cuore!”

 

“Vorrei avere la tua sempiterna calma!” –Rispose Ermes. –“Certe volte mi sembra davvero che non t’importi di niente, a parte la tua gioventù, forse soltanto di Zeus, che te ne ha fatto dono!”

 

“Non siete poi così lontano dalla verità!” –Commentò Ganimede, mentre il Dio degustava l’odoroso nettare.

 

Ne bastarono due sorsi tuttavia per stordirlo, e per piegargli la testa di lato, incapace di comprendere cosa stesse accadendo, come mai si sentisse così debole tutto ad un tratto. Fece per rialzarsi, ma scivolò, facendo cadere rumorosamente la coppa d’oro sul pavimento di marmo, crollando ai piedi di Ganimede, che rimase immobile, ad osservarlo con un ghigno di soddisfazione sul volto.

 

“Volevate sapere di cosa m’importava davvero? Ebbene, di certo non di voi!” –E lo colpì con la mano tesa dietro la nuca, penetrando con violenza dentro di lui, mentre schizzi di sangue macchiarono l’immacolato pavimento.

 

Ermes ansimò ancora per qualche istante, prima di crollare a terra in una pozza di sangue, mentre il veleno mescolato all’ambrosia paralizzava i suoi nervi, soffocando qualsiasi tentativo di chiedere aiuto.

 

“Anche perché ormai nessuno più può aiutarti! Gli Dei dell’Olimpo sono tutti morti, e le legioni che un tempo marciavano lungo la Via Principale errano adesso per le valli di Ade! Pochi minuti ancora, pochi attimi, e anche la vita di Zeus si spegnerà, e con essa quella della sua consorte! Niente più potrà fermare l’avvento dell’ombra!” –Rise Ganimede sguaiatamente, senza curarsi che qualcuno potesse udirlo, poiché non vi era più nessuno sull’Olimpo. Escluso Phantom, moribondo sul letto di morte, e Ascanio, intento a combattere con Lamia.

 

“Ah ah ah! Se qualcuno un giorno mi avesse predetto che avrei regnato sul Monte Sacro, certo gli avrei riso in faccia! E gli avrei spaccato la testa, per avermi recato offesa burlandosi di me!” –Esclamò Ganimede. –“Ma oggi posso ben dire di aver io stesso burlato Zeus e il destino! Fratello, sono arrivato più in alto di te!” –E voltò le spalle al corpo esanime di Ermes, incamminandosi verso l’uscita del salone delle feste, ma dopo pochi passi incrociò lo sguardo inorridito di un ragazzo.

 

Magrolino, con spettinati capelli biondi e il viso segnato dalle fatiche degli ultimi giorni, Matthew era stato attirato nella sala dal rumore dei cocci, ma era rimasto pietrificato nel vedere Ganimede far fuori con soddisfazione il Dio, che, sebbene non l’avesse mai incontrato, intuì fosse Ermes, dai tipici calzari che indossava.

 

“Ancora vivo, ragazzino?” –Storse il naso Ganimede, continuando a camminare verso di lui. –“Credevo che Lamia si fosse occupata anche di te!”

 

Matthew non rispose, dando le spalle al Coppiere degli Dei e scappando via, gettandosi in una folle corsa nei corridoi della Reggia Olimpica, in cerca di qualcuno che potesse aiutarlo. In cerca di qualcuno che potesse salvare Zeus.

 

“Corri pure quanto vuoi! Tornerai comunque da me!” –Ironizzò Ganimede, uscendo dalla sala a sua volta e inseguendo il ragazzo, con un sorriso divertito sul volto. –“Ho argomenti piuttosto convincenti!” –Aggiunse, prima di sfiorare il pavimento con il palmo della mano destra, avvolta nel suo cosmo rosato, proprio mentre Matthew correva accanto ad una grande vetrata che dava sul giardino interno della Reggia di Zeus, non troppo lontano da dove mesi prima il Dio del Fulmine, aiutato da Atena e da Era, aveva risvegliato gli Ecatonchiri dal sonno leggendario.

 

Immediatamente le porte a vetro andarono in frantumi mentre ammassi confusi di piante entrarono all’interno, avvolgendo i loro sinuosi filari attorno al corpo di Matthew, che scalciava e si dimenava, gridando aiuto in continuazione.

 

“Zitto, ragazzino isterico!” –Rise Ganimede, muovendo le piante che si arrotolarono attorno al viso di Matthew, tappandogli la bocca. E solo allora il giovane si rese conto che si trattava di filari di vite. –“Ah ah ah! Che buffo che sei! Sembri un acino d’uva ancora acerbo! Chissà che, spremendoti bene, non esca fuori un bel rosso acceso!”

 

Matthew si dimenò ancora, cercando di strappar via quel groviglio di piante che non soltanto lo stava facendo soffocare, ma anche lo stordiva, con il suo violento odore. Anche lo feriva, strusciando sulla sua pelle e aprendogli nuove ferite.

 

“Smettila di agitarti, non vedi che è inutile? Le viti che io controllo sono intrise di un veleno potentissimo, capace di portare gli uomini alla pazzia, vittime di un’ebbrezza che non riescono a dominare!” –Spiegò Ganimede. –“Come potrebbe un ragazzino come te, con la sola forza di quelle gracili braccia, strapparle via? Ah ah ah!”

 

Matthew non prestò ascolto alle parole di scherno del Coppiere degli Dei, cercando di recuperare il controllo sul suo corpo e sulle proprie emozioni, dopo la sbandata improvvisa dovuta alla sorpresa di vedere proprio Ganimede, che gli si era presentato con affabilità e gentilezza, complottare contro Zeus. E questo gli ricordò quanto fosse volubile l’animo umano, quanto bastasse poco per mutare un angelo in un demone.

 

Egli lo sapeva bene, poiché la stessa cosa era accaduta al suo maestro, il nobile Cavaliere che aveva iniziato ad addestrarlo nei primi anni ’70, senza riuscire però a terminare la sua opera. Tentato dal lato oscuro, l’uomo che al Grande Tempio veniva considerato reincarnazione di un Dio, tanto onesta e pura era la sua anima, era precipitato in un abisso di perdizione. E Ganimede, in fondo, non era poi così diverso. Forse differente, agli occhi di Matthew, era la motivazione che li aveva portati ad abbracciare l’ombra, ma certo non il gesto in sé.

 

“Ecco, adesso ti riconosco!” –Esclamò Ganimede, ridendo in maniera quasi delirante. –“Riconosco l’ebbrezza del momento! L’incontenibile gioia di assistere al massacro di un nemico! Pochi altri sono i momenti che invero regalano emozioni! E la morte, la succulenta fine di un corpo divorato dalle viti della passione, è il culmine dell’emozione! È il massimo dell’ebbrezza! Dioniso sarebbe fiero di me!”

 

Matthew, radunate le forze, iniziò a dimenarsi con foga sempre maggiore, riuscendo piano piano a recuperare il controllo dei propri arti e a raddrizzare la testa, in modo da fissare Ganimede negli occhi. Voleva proprio vedere la sua faccia quando avrebbe liberato il cosmo che celava dentro. Ora! Si disse, lasciando esplodere l’energia e incendiando le viti che lo avevano intrappolato, liberandosi infine e balzando a terra, di fronte allo sguardo stupito di Ganimede, che non era assolutamente a conoscenza del fatto che Matthew fosse un Cavaliere, o un apprendista tale.

 

“Sorpreso?!” –Ironizzò Matthew, scattando avanti, con il cosmo concentrato sul pugno destro, e liberando decine e decine di colpi luminosi, che sfrecciarono verso Ganimede, obbligandolo a balzare di lato per evitarne alcuni, parando gli altri semplicemente spostando i palmi delle mani.

 

“Non abbastanza!” –Esclamò il Coppiere degli Dei, stirando le labbra in un sorriso divertito, realizzando che gli attacchi di Matthew non avrebbero potuto recargli danno, essendo lenti e poco numerosi. –“Perché dovrei esserlo? Perché un moccioso che si atteggia a Cavaliere mi si erge davanti?! È lui che dovrei temere?! Io che ho ucciso persino il Signore degli Dei! Ih ih ih! Patetico sarei, se da te venissi sconfitto!”

 

“Stai attento a ciò che chiedi agli Dei, poiché essi potrebbero esaudirti! Diceva un vecchio detto giapponese!” –Commentò Matthew, ansimando per lo sforzo e approfittando di quel momento per recuperare un po’ di forze.

 

“Arguto!” –Ironizzò Ganimede. –“Chiedo allora la tua testa, intinta in una coppa d’ambrosia!” –E gli volse il palmo della mano, liberando un’onda di energia rossastra che scaraventò Matthew indietro, schiantandolo contro una parete. –“Yuhuu?! Dei mi ascoltate? C’è qualcuno che mi risponde?! Ah già, dimenticavo… gli Dei sono tutti morti! Ah ah ah!” –Rise istericamente, mentre Matthew si rialzava a fatica, con le ossa che gli dolevano dalle botte ricevute e un rivolo di sangue che scendeva dal labbro inferiore. –“Puoi farmi un favore? Ti prego, accontentami! Vai all’inferno e chiedi a Zeus che risponda alle mie suppliche?! Detesto non essere ascoltato!” –E nel dir questo gli volse nuovamente il palmo contro, ma mentre liberava una nuova onda di energia, un piano verticale si interpose tra i due, liberando un’accecante onda di luce che spinse entrambi indietro, obbligandoli a coprirsi gli occhi. Quando poterono aprirli di nuovo, trovarono un Cavaliere, dall’Armatura dorata e dai lunghi capelli lilla, e una fanciulla, con un grazioso abito bianco, in piedi di fronte a loro.

 

“A… A…” –Mormorò Matthew, quasi abbagliato dalla divina bellezza della giovane.

 

“Ganimede! Che sta succedendo?” –Le sentì subito domandare. –“Chi è questo ragazzo con cui stai combattendo?”

 

“Un invasore dell’Olimpo, Dea Atena! Una spia che il figlio di Ares ha astutamente inserito nelle nostre fila, per causarci danno e dolore!” –Rispose subito Ganimede, assumendo una rigida postura di fronte alla Dea della Giustizia.

 

“Non è vero! Tu sei la spia! Tu hai avvelenato Zeus, come hai ucciso il Messaggero degli Dei nel Salone delle Feste!” –Strillò Matthew, cercando lo sguardo di conforto di Atena. Ma Ganimede lo fece tacere, travolgendolo con un’onda di energia e sbattendolo nuovamente al muro.

 

“Taci! Non calpesterai più il sacro suolo dell’Olimpo, sporcandolo di menzogna!”

 

“Fermati, Ganimede! Aspetta! Dov’è Zeus? E che ne è di Ermes?” –Incalzò Atena, a cui tutta quella situazione appariva confusa.

 

“Morti!” –Rispose soltanto il Coppiere degli Dei, abbandonandosi a un sospiro. –“Morti!” –Ripeté, prima di volgere lo sguardo rabbioso verso Matthew. –“Ed ecco chi dobbiamo ringraziare!”

 

“Ringrazia te stesso, traditore!” –Esclamò Matthew, rimettendosi in piedi a fatica. –“Io non sono un servitore di Flegias, ma un apprendista Cavaliere di Atena!”

 

“Che cosa?!” –Balbettò la Dea, bonariamente presa alla sprovvista.

 

Mur, intuendo la delicatezza della situazione, si fece avanti, ponendosi di fronte ad Atena, per proteggerla da eventuali attacchi. Senza togliere lo sguardo dal ragazzo, che gli ricordava qualcuno che aveva visto molto tempo prima.

 

“Dea Atena…” –Mormorò Matthew, cercando di inginocchiarsi di fronte a lei. Ma le gambe gli cedettero, e cadde a terra. –“Perdonatemi! Le forze mi abbandonano! La prigionia nell’Isola delle Ombre ha massacrato il mio fisico! Ma il mio cuore, quello mai, batte ancora per la giustizia!”

 

“Eri prigioniero sull’Isola delle Ombre? Come hai fatto ad arrivare qua?”

 

“Il Luogotenente dell’Olimpo! Lui e il Comandante Ascanio mi hanno salvato, e adesso combattono contro una donna al servizio di Flegias nelle Stanze di Asclepio!” –Spiegò Matthew, rialzandosi. –“L’ho vista, io l’ho vista affondare i suoi canini nel braccio del Cavaliere dell’Eridano Celeste! E sono fuggito in cerca di aiuto, quando mi sono imbattuto in un tradimento inaspettato!”

 

“In te stesso, forse?” –Ironizzò Ganimede, sbuffando irato. Ma Matthew non prestò ascolto alle sue parole, continuando a volgere lo sguardo, e il cuore, verso Atena.

 

“Ho fatto i miei errori, in passato! Ho abbandonato anche l’addestramento, dopo la scomparsa del mio maestro! Ma mai ho smesso di credere nella giustizia Atena, e in voi! Il mio nome è Matthew, e sono l’allievo del Cavaliere di Gemini! L’allievo che Gemini non riuscì mai a investire del titolo!” –Si presentò il ragazzo, e allora Mur lo riconobbe, ricordando le poche settimane trascorse al Grande Tempio, i giorni dell’investitura dei Cavalieri d’Oro, nell’estate del 1973.

 

“Matthew…” –Mormorò Atena, sentendo che il cosmo del ragazzo traboccava di purezza e di verità. Ma anche di tanto dolore. Sospirò, pensando a quali torture avesse subito sull’isola maledetta, prima di voltarsi verso Ganimede e chiedergli spiegazioni. –“C’è qualcosa che non riesco a comprendere! Ma voglio vedere Zeus con i miei occhi!”

 

“Conoscete la strada, Atena!” –Rispose stizzito Ganimede. –“Ma non lamentatevi se lo spettacolo non sarà di vostro gradimento! Io vi ho avvisato!”

 

“Questo tono non ti si addice, Coppiere degli Dei! Questo non sei tu, ma una brutta copia del ragazzo che mi salvò la vita mesi addietro, durante lo scontro con Tifone!” –Esclamò Atena, iniziando a muoversi, diretta verso le Stanze di Zeus.

 

Ganimede allora le sfrecciò davanti, con il palmo sfolgorante di energia cosmica, ma Mur prontamente erse un muro difensivo con il quale rinviò indietro l’attacco nemico, scaraventando il Coppiere degli Dei contro una parete laterale.

 

“Andate, Atena! Lo terrò impegnato io! Scoprite cos’è accaduto a Zeus!” –Affermò.

 

“Ti dirò io cos’è accaduto!” –Esclamò Ganimede, rialzandosi ed espandendo il cosmo. –“La verità ha molte facce, e adesso te ne mostrerò una! La più folle di tutte!”

 

In quel momento una violenta esplosione cosmica distrasse i presenti, mentre la terra tremava sotto di loro. Mur si voltò di scatto verso destra, osservando una colonna di fumo sorgere poco distante, in linea con il Tempio della Medicina. Sospirò, riconoscendo i cosmi di Phantom e di Ascanio.

 

Il Luogotenente dell’Olimpo aveva infatti chiesto al Comandante dell’Ultima Legione di non combattere più contro Lamia, il Capitano dell’Ombra preposto a rubare i sogni, nel tentativo di ritrovare la perduta parte di lei che un tempo era nata dal grembo di sua madre. Teria, la sorella che sempre lo aveva odiato.

 

“I miei sentimenti per te, Nikolaos, non sono affatto cambiati!” –Esclamò Lamia, con voce piena di disprezzo. –“E proprio per l’odio che covo da anni, verso il fratello che mi adombrò agli occhi dei miei genitori, ho scelto te come prima vittima! Ho scelto te come agnello da offrire in sacrificio al Maestro di Ombre!”

 

“Calmati, Teria! E ascoltami!” –Disse Phantom, avanzando di un passo verso di lei. Ma Lamia, nell’udire quel nome, si avventò inviperita sul Cavaliere, con il cosmo acceso, sbattendolo a terra e colpendolo con una rapida successione di pugni.

 

“Umpf!” –Esclamò allora una terza voce, mentre Lamia veniva sollevata con la sola forza del pensiero e scaraventata contro quel che restava della vetrata esterna, precipitando nel fango del giardino. Quando si rialzò, con numerose ferite aperte sul corpo, riempite da schegge di vetro, incrociò lo sguardo ostile di Ascanio Pendragon, il Comandante della Legione Nascosta, e servitore di Avalon.

 

“Di che t’impicci, figlio dell’Isola Sacra?” –Gli ringhiò contro, mostrandogli i denti gialli e putrefatti dall’odio.

 

Ascanio non rispose, avvicinandosi a Phantom, che a fatica stava cercando di rialzarsi. Allungò una mano e lo tirò su, di fronte agli occhi fiammeggianti di rancore di Lamia. Quel gesto, quel piccolo gesto, gliene portò alla mente un altro, di molti anni addietro. Quando suo padre Deucalione aveva aiutato Nikolaos a rimettersi in piedi, dopo che era caduto da cavallo. Un gesto che a lei nessuno aveva mai offerto.

 

“Maledettooo!!!” –Gridò, balzando su di loro, avvolta nel suo cosmo color verde acqua. Ma ad Ascanio bastò sollevare lo sguardo verso di lei, per spingerla indietro e scaraventarla all’esterno, osservandola ruzzolare sul prato per parecchi metri. Con un certo grado di soddisfazione.

 

“Tuo fratello è troppo buono con te!” –Esclamò infine, incamminandosi fuori dal Tempio della Medicina, per non macchiare ulteriormente le sacre stanze di un Dio che aveva sempre fatto il possibile per curare i suoi feriti. –“Per la colpa di cui ti sei macchiata, violentando i tuoi legami familiari, io ti condannerei seduta stante! Ma se c’è una cosa che ho capito di Phantom, in questi mesi trascorsi assieme, è che non lascerebbe mai un amico affogare da solo! Figuriamoci un nemico!” –Ironizzò, voltandosi ed osservando il Luogotenente dell’Olimpo uscire a sua volta dalle stanze di Asclepio, camminando con difficoltà.

 

“Teria, ascoltami! Sei ancora in tempo! Liberati dall’ombra che porti nel cuore! Liberati da quest’odio che ti ha consumato! Puoi ancora essere felice!” –Disse Phantom, con voce gentile. –“Possiamo ancora essere felici!”

 

“Possiamo?!” –Ringhiò Lamia.

 

“Sì! Tu, io e i nostri genitori!” –Rispose Phantom. –“Non crederai che ti abbiano dimenticato? Tutt’altro! Non è passato giorno, in questi anni, in cui non si siano chiesti cosa avessero sbagliato con te, e come potessero rimediare, in nome di un amore che non hai mai permesso loro di dimostrare!”

 

“Un amore che non esiste, Nikolaos! Lo sappiamo entrambi! Non mi hanno mai voluto! Non volevano neppure che nascessi!!!!” –Gridò Lamia.

 

“È vero! Non eri prevista!” –Ammise Phantom, sospirando. –“Ma questo non significa che non ti abbiano accettata, né che abbiano rimpianto, anche solo una volta, quella scelta! E tu lo sai! Sono certo che lo sai! Perché l’hai letto nei miei ricordi!”

 

“Che cosa?!” –Strillò Lamia.

 

“Sì! Quei ricordi che mi hai strappato dal cuore contengono tracce dell’affetto che i nostri genitori ed io abbiamo provato per te, del dolore che ci ha invaso quando te ne sei andata e della speranza di poterti rivedere un giorno! Che tu voglia leggerli o no!”

 

“Menzogne!!! Tardive e inopportune! Speri di coprire così il male che mi hai fatto confinandomi nell’ombra della solitudine?” –Ringhiò Lamia, bruciando il cosmo e generando migliaia di falene energetiche che diresse contro Phantom. –“Credevo che al servizio di Zeus vi fossero uomini onesti, non vili bugiardi incapaci di ammettere le proprie manchevolezze!!! Sinfonia delle Favole!!! Risuona!!!”

 

“Se non vi è altro modo…” –Sospirò Phantom, espandendo il cosmo a sua volta e avvolgendosi in una cascata di energia acquatica, che vorticò attorno a sé impedendo alle falene di raggiungerlo e travolgendole ogni volta in cui si immergevano in essa. –“Gorgo dell’Eridano!!!” –Gridò infine, radunando le fresche acque del fiume di stelle in un mulinello di energia e scagliandolo contro Lamia, che venne travolta e spinta indietro.

 

Per quanto l’attacco non fosse nel pieno della potenza, Phantom, stanco e indebolito, dovette appoggiare un piede a terra, ansimando a fatica, mentre Ascanio si avvicinava per porgergli aiuto. Ma il Luogotenente lo fermò, sollevando lo sguardo verso di lui.

 

“Questa battaglia non ti appartiene!” –Gli sorrise, sforzandosi di rimettersi in piedi. –“Aspettavo da tempo di poterla risolvere! Anche se, temo, avrò bisogno di te… prima della fine!”

 

Lamia si rialzò in quel momento, bruciando il cosmo come mai aveva fatto prima, invadendo con le sue falene energetiche l’intero giardino dietro al Tempio della Medicina. Immediatamente, sopra di lei apparve un’immensa falena nera, le cui ali parevano aprirsi sull’Olimpo, in modo da cingerlo in un inquietante abbraccio. Lamia sorrise, lasciando che il suo cosmo entrasse in sincronia con la prima corazza dei Capitani dell’Ombra che Athanor aveva forgiato, che subito si scompose in vari pezzi, aderendo al corpo della donna e donandole nuove energie.

 

“Sei proprio decisa a tutto, a quanto pare!” –Commentò Phantom, con malinconia.

 

“L’hai detto!” –Rispose lei. –“Sarebbe sciocco fermarsi adesso, ad un passo dalla conquista dell’Olimpo!”

 

“Credi di essere grande, di sentirti un Dio, di sentirti finalmente superiore a me, come hai sempre voluto! Ma sei ben lontana dalla verità!” –Sospirò Phantom. –“Flegias ha soltanto usato i tuoi sentimenti di rivalsa, volgendoli contro di me, come ha sempre distrutto ogni cosa bella che ha incontrato nel cammino, piegandola ai suoi fini! Ha ottenebrato la luce del tuo cuore, quel che restava dell’affetto che hai sempre desiderato provare per la tua famiglia!”

 

“Vuote parole le tue, fratello! Quell’affetto non è mai esistito!” –Ridacchiò Lamia, ma Phantom non mutò il tono delle sue argomentazioni.

 

“Adesso sei tu a mentire a te stessa!” –Sentenziò, fissandola con determinazione. –“Hai dimenticato la gita al fiume?”

 

“La gita al fiume?!” –Borbottò Lamia, esitando un momento. Ci rifletté su e bastarono quelle poche parole per riportarle alla mente un ricordo che aveva obliato, sotterrandolo sotto strati di rancore. Una domenica di settembre Elena aveva avuto la splendida idea di organizzare una gita con il marito e i figli lungo il fiume, preparando deliziosi manicaretti, aiutata proprio da Teria, desiderosa di partecipare all’armonia familiare e ottenere uno spicchio dell’affetto che i suoi destinavano solitamente a Nikolaos.

 

Durante la giornata, per un banale incidente, la bambina era scivolata nel fiume, dove la corrente era più forte, e Nikolaos si era subito tuffato per inseguirla. A fatica l’aveva salvata, trascinandola via dalla furia del fiume, e con l’aiuto di Deucalione i due erano stati tratti a riva. Che sollievo aveva provato Elena in quel momento! Li aveva abbracciati entrambi, i figli che amava, soprattutto Teria, piangendo dalla paura che aveva provato al pensiero di perderla. Le sue lacrime avevano inondato il volto della bambina che si era sentita per la prima volta felice. Per la prima volta parte di qualcosa di più grande dell’odio che covava dentro.

 

“Quel qualcosa era l’amore per la tua famiglia, che tanto hai provato, credendo di non disporne mai, quando invece ne eri immersa! Avresti soltanto dovuto goderne!”

 

Ma Lamia non prestò ascolto alle parole del fratello, infervorandosi ancora di più. Balzò in alto, spalancando le ali della corazza e piombò con il tacco teso su Phantom, avvolta nel suo cosmo verde. Lo colpì in pieno volto, sbattendolo a terra e iniziando una violenta colluttazione, di fronte agli occhi incerti di Ascanio, che faceva fatica a trattenersi dall’intervenire, nonostante l’amico fosse stato perentorio al riguardo.

 

Gorgo…” –Esclamò Phantom, radunando il cosmo, ma nel muovere il braccio una fitta gli mozzò il movimento a metà, mentre sangue ricominciava a schizzar fuori dalla ferita che Lamia gli aveva provocato sul letto. A tal vista, la ragazza vi si avventò, immobilizzando il fratello e avvolgendolo con le falene di luce, mentre la sinfonia di favole nuovamente le permetteva di scavare nel suo passato. In tutti quei ricordi di cui Teria era sempre stata invidiosa e che adesso avrebbe potuto cancellare.

 

“La tua vita, Nikolaos, sta per svanire… con tutta la serenità di cui hai goduto…” –Mormorò la ragazza, determinata a privare il fratello di tutti i suoi sogni e ricordi.

 

“Phantom!!!” –Gridò Ascanio, avvicinandosi. Ma il Luogotenente, disteso a terra, si voltò un’ultima volta verso di lui, e ad Ascanio parve quasi di vederlo sorridere. Fece per muoversi, per fare qualsiasi cosa, credendo che il compagno fosse impazzito, quando vide Lamia sollevarsi di scatto, strillando dal dolore, e portarsi le mani alla testa, scuotendola confusamente.

 

“Non… non è possibileee!!!” –Gridò la donna, agitandosi, mentre le immagini che aveva rubato dall’animo di Phantom ancora turbinavano dentro di lei, senza darle pace. Immagini che erano ben lontane dall’essere ciò che lei aveva creduto di trovare.

 

Vide il dolore che sua madre aveva provato nel partorirla e la determinazione che aveva mostrato nel voler andare avanti, nel voler mettere alla luce suo figlio, anche se le fosse costata la vita. Vide Phantom ridere di gioia, quando per la prima volta aveva preso in braccio il corpicino di Teria, scherzando sui giochi con cui si sarebbero divertiti insieme. Poi lo vide lottare contro la corrente del fiume, per salvare la sorella che l’aveva sempre odiato. E infine lo vide partire per l’addestramento, tornare con l’Armatura Celeste e apprendere, con sommo sgomento, della fuga di Teria.

 

“Non ci siamo mai conosciuti realmente!” –Aveva detto quella notte a Deucalione, sotto il portico della casa di famiglia. –“Quanto rimpiango la sua scomparsa!”

 

E adesso tutto quell’amore, con la triste consapevolezza di non essere mai riusciti a dimostrarlo, era dentro Teria. Era dentro Lamia.

 

“Aaargh!!!” –Gridò il Capitano dell’Ombra, che non riusciva a credere a ciò che aveva visto, a ciò che adesso sentiva nel suo animo, in quel serbatoio dove radunava i ricordi di tutte le vittime. Ma l’odio, il rancore, l’ombra che Flegias aveva sfruttato per farne sua schiava, erano così radicati in lei, da vincere persino sulla verità. Da offuscare persino l’affetto che aveva sempre desiderato. –“Io… è troppo tardi ormai… è tardi per tutto… soprattutto per amare! Muori, Nikolaos!!!” –Ringhiò Lamia, in lacrime, calando una mano carica di cosmo sul viso del fratello.

 

“E sia… Sorgenti dell’Eridano, liberate il fiume di stelle!!!” –Mormorò questi, mentre molteplici getti di energia acquatica sorgevano dal suo corpo, sollevando Lamia e scagliandola in alto, trapassando da parte a parte e schiantandola poco distante, tra i frammenti dell’Armatura Nera.

 

Quando il Capitano dell’Ombra si rimise in piedi, ansimando a fatica, con l’elmo spaccato e il sangue che le colava sul viso, trovò Phantom già in piedi di fronte a lei, con lo sguardo inespressivo, che nascondeva un’infinita tristezza. Poiché, comunque sarebbe terminato lo scontro, sapeva di aver perso, di non essere riuscito a ritrovare colei che a lungo aveva cercato.

 

“È andata così…” –Commentò Lamia, con un nodo in gola, prima di espandere al massimo il suo cosmo e circondarsi da sciami di falene energetiche.

 

“Non hai altro da dirmi?” –Rispose Phantom, laconico, preparando le sue difese.

 

“No!” –Disse soltanto Lamia, mentendo. Calò lo sguardo e liberò l’ultimo assalto delle falene di energia, mentre il suo cuore veniva spezzato dai ricordi di Phantom, dai ricordi che il Luogotenente aveva deliberatamente lasciato che lei vedesse, che lei vivesse attraverso i suoi occhi.

 

Avrebbe voluto dirgli molte cose, probabilmente che aveva capito, e che avevano sbagliato tutto. Ma la disperazione della scoperta, mescolata all’ombra germogliata dentro di lei negli anni in cui aveva servito Flegias, le tolse il fiato, lasciandola in lacrime ad osservare le falene ricoprire il corpo del Luogotenente dell’Olimpo. Il corpo di suo fratello Nikolaos.

 

Improvvisamente un’esplosione di energia avvampò dietro di lui e Lamia vide due draghi di luce, uno rosso e l’altro bianco, passare accanto al fratello e spazzar via le falene, puntando infine su di lei. Per primo la raggiunse il drago rosso, che frantumò la corazza nera, schiantando il suo fragile corpo in più punti, lasciando schizzare fiotti di sangue ovunque. Poi il drago bianco spazzò via quel che restava dei suoi pensieri, della sua disperazione, lasciando che finalmente la sua anima trovasse pace.

 

“Ci sarà… un’altra vita… per noi…” –Mormorò Lamia, con quel che restava del suo cosmo, prima di crollare a terra e spegnersi.

 

Phantom la osservò un’ultima volta, abbandonandosi ad un sospiro e gettando via la speranza che aveva provato all’inizio di quello scontro. La speranza che forse avrebbe potuto salvarla. Si voltò verso Ascanio, ancora con le braccia tese, avvolte nel suo cosmo incandescente, e gli sorrise.

 

“Grazie! Io non avrei mai potuto farlo…” –Commentò. –“Non avrei mai saputo cosa dire ai nostri genitori!”

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 31
*** Scontro tra titani ***


CAPITOLO VENTINOVESIMO: SCONTRO TRA TITANI

CAPITOLO VENTINOVESIMO: SCONTRO TRA TITANI.

 

Orochi, il Comandante dei Capitani dell’Ombra, osservò con stupore il suo colpo segreto schiantarsi contro una piccola barriera di energia cosmica che Pegasus aveva messo su per proteggersi. Un quadrilatero di un metro e mezzo scarso, creato dal Cavaliere aprendo leggermente le braccia. Ma qualcosa, nel sorriso sarcastico del ragazzo, gli fece pensare che quella trovata non era affatto improvvisata, ma il risultato di una progettazione e di una maturazione individuale.

 

“Quadrato di Pegasus?!” –Sgranò gli occhi Orochi, ancora con il braccio destro teso e l’energia rovente nel pugno. –“Che diavoleria è mai questa? Un surrogato della mia barriera difensiva?!”

 

“Tutt’altro, bestione! Tutt’altro!” –Sorrise Pegasus, continuando a mantenere il suo quadrilatero difensivo. –“È soltanto un sogno che si realizza!” –Aggiunse, iniziando a spingere, in maniera sempre più consistente, per allontanare da sé la minaccia del pugno energetico di Orochi.

 

“Misera esistenza la tua, ragazzo, se non hai aspettato altro che aprir le braccia per difenderti!” –Commentò Orochi sprezzante.

 

“In realtà è molto di più! Ma non pretendo che un bestione come te abbia il cervello per capire!” –Rispose Pegasus, spingendo con tutta la forza che aveva in corpo e rinviando indietro il pugno energetico di Orochi, che investì in parte il Capitano dell’Ombra, facendolo accasciare per la prima volta sulle ginocchia.

 

Quel momento di soddisfazione non durò che pochi secondi, ma Pegasus ne approfittò per un respiro profondo e per concentrare ulteriori energie, sicuro che la vittoria avrebbe dovuto davvero sudarsela. Orochi si rimise in piedi all’istante, con un fianco della scura corazza distrutto e numerose crepe sulle braccia.

 

“Non gioire! Il fatto che tu mi abbia colpito una volta non significa che tu mi abbia sconfitto!” –Commentò Orochi. –“Del resto… quante volte ti ho colpito io e ancora sei in piedi ad opporti a me!”

 

“Ho validi motivi per restare in piedi!” –Rispose Pegasus. –“Difendere il Santuario della mia Dea, per esempio, e gli amici che con me sono cresciuti e hanno condiviso la vita! Motivazioni del genere trascendono tutto il resto!”

 

“Ma che comunque non ti daranno la vittoria!” –Sentenziò Orochi, espandendo il proprio cosmo color ruggine, mentre la sagoma di un immenso drago a otto teste, avvolto in un oceano di fiamme, compariva dietro di lui. –“Voglio mettere alla prova la difesa di cui hai appena fatto sfoggio! Prima mi hai colto di sorpresa, lo ammetto, ma adesso che so di cosa sei capace, non mi tratterrò più!”

 

“È stata una sorpresa anche per me, devo dire!” –Esclamò Pegasus, senza nascondere una risata sottile. –“Solo una volta l’avevo provato, e devo dire che contro Ares non era andata poi così bene!”

 

“Era dunque la prima volta che usavi tale tecnica difensiva?” –Chiese Orochi, stupito dalle parole del ragazzo, poiché comunque aveva dimostrato sapienza nell’utilizzo.

 

“Tecnicamente sì, nonostante l’abbia studiata a lungo, ispirandomi ad un quadrilatero di stelle che risplendono nella costellazione che mi difende! Il Quadrato di Pegasus, appunto!” –Rispose il Cavaliere. –“A differenza dei miei compagni, io non ho mai posseduto una tecnica difensiva! Sirio ha lo scudo, Cristal può usare il ghiaccio per generare solide mura e Andromeda ha una catena impenetrabile! Ma io non ho mai sviluppato alcuna tecnica del genere, forse perché ho sempre creduto, e tuttora lo credo, che in battaglia si vinca andando avanti e non restando ad attendere passivamente gli eventi!”

 

“Un’ottima riflessione!” –Concordò Orochi. –“Anche se così facendo offri un fianco al nemico!”

 

“E così è sempre stato! Non vi è mai stata battaglia in cui non sia stato ferito, in cui non abbia incassato almeno un colpo! Ma non lo rimpiango, se ti preme saperlo, né mi biasimo per questo, poiché ogni colpo ricevuto è stato un insegnamento appreso! È stata una medaglia che un maschio combattente porterà sempre con sé!” –Esclamò Pegasus con decisione.

 

“E cosa ti ha fatto cambiare idea adesso? Cosa ti ha spinto a sviluppare anche una difesa?”

 

“Tu!” –Rispose Pegasus, bruciando il cosmo e lasciando che il bianco cavallo alato risplendesse dietro di lui.

 

“Io?!” –Esclamò Orochi stupito. Ma non ebbe tempo di chiedere altro che già Pegasus galoppava verso di lui, avvolto nel suo cosmo scintillante.

 

Fulmine di Pegasus!!!” –Gridò il ragazzo, a cui il Capitano dell’Ombra oppose il suo Pugno del Drago.

 

Lo scontro tra le due roventi energie fu tremendo e aprì una faglia nel terreno, scaraventando entrambi i combattenti indietro di decine di metri. Quando la polvere si diradò, Orochi, nell’atto di rimettersi in piedi, poté notare lo sfacelo prodotto. Ma non trovò tracce di Pegasus, nemmeno del suo cosmo. Stupito, fece per guardarsi attorno, e soltanto allora poté percepirlo di nuovo. E inorridì. Perché era dietro di lui.

 

“Così grande e grosso e nessun occhio che ti copra la schiena?! Che te ne fai di otto teste se non sai usarne nemmeno una?!” –Ironizzò Pegasus, afferrando con entrambe le braccia il gigante attorno all’addome, bruciando il cosmo e balzando in aria, avvolto in una turbinante energia simile ad una cometa. –“Spirale di Pegasus!!!”

 

“Spirale?! Quanti trucchi conosci, ragazzo?!” –Balbettò Orochi, nuovamente stupito dalla decisione di Pegasus. –“Bah! Quali che siano, non mi toccano affatto!” –E nel dir questo fece esplodere il suo cosmo, liberando violente vampe di fuoco proprio mentre, superato il punto più alto dell’arco, i due contendenti avevano iniziato a precipitare al suolo.

 

Pegasus, a stretto contatto con tale incandescente calore, lanciò un’esclamazione di sorpresa, allentando brevemente la presa sul Capitano dell’Ombra, che fu abile a dimenarsi e a colpirlo al ventre, scaraventandolo a terra a velocità impressionante, quasi fosse una bomba umana. Pegasus, anche a causa della spinta che lui stesso si era dato, si schiantò contro i resti di un edificio crollato, lanciando in aria polvere e detriti, mentre Orochi, con un’agile piroetta, ricadeva compostamente a terra poco distante, osservando lo sfacelo prodotto dal Cavaliere. E, in cuor suo, temendo che avrebbe potuto essere assieme a lui.

 

“Non sei ancora immune all’Alito del Drago!” –Ironizzò Orochi, mentre Pegasus a fatica si liberava delle macerie e ricompariva davanti a lui. –“Una fiammata da distanza ravvicinata potrebbe uccidere un uomo, precipitandolo nel martirio dei suoi rimpianti! Ma tu, che sembri non conoscere la paura del passato, te la sei cavata con qualche scottatura!” –Aggiunse, osservando il volto randagio di Pegasus e alcune parti annerite della corazza.

 

“Del passato non ho affatto paura, Orochi! Già una volta mi hanno giudicato, al Tribunale della Prima Prigione dell’Inferno, e conosco i miei peccati! Ma tutto ciò che ho fatto l’ho fatto in nome di Atena, in nome di una fede giusta, e non cambierei una virgola!” –Precisò Pegasus, posizionandosi di nuovo di fronte a lui. –“Tu puoi dire altrettanto?!”

 

Orochi non rispose, scuotendo la testa ed espandendo quindi il proprio cosmo color ruggine. Concentrò l’energia sul  braccio destro, pronto per portarlo avanti, ma fu fermato da un rapido movimento dietro di lui. Un piano energetico schizzò di fronte al suo volto, impedendogli di avanzare, mentre quel che restava della sua corazza lungo l’avambraccio fu ricoperta da un consistente strato di ghiaccio.

 

Excalibur!” –Gridò una voce. Subito seguita da un’altra. –“Polvere di Diamanti!”

 

Sirio e Cristal comparvero all’istante, appena rialzatisi dallo stordimento, e Pegasus fu felice di vederli.

 

“Stai bene, amico?!” –Domandò Cristal.

 

“Lascia che combattiamo insieme!” –Esclamò premurosamente Sirio.

 

“Grazie amici, sto bene! Ma dovete andare! I Cavalieri d’Oro hanno bisogno d’aiuto, e il silenzio di Phoenix e Andromeda mi preoccupa!” –Dichiarò Pegasus, avanzando verso Orochi. –“Terminerò quanto ho iniziato!”

 

“Ma Pegasus… Sei sicuro?!” –Domandò Sirio, che aveva avuto modo di verificare lo strapotere del Comandante dei Capitani dell’Ombra.

 

Fu Cristal a mettersi in mezzo, poggiando una mano sulla spalla di Dragone, che non poté far altro che annuire, salutando Pegasus e sfrecciando via, verso l’area orientale del Grande Tempio.

 

“Solo per curiosità… dove credete di andare?” –Disse semplicemente Orochi. L’impenetrabile sguardo nascosto dall’elmo a forma di testa di drago.

 

Vampate improvvise sorsero dal terreno, fermando la fuga dei due amici, che si ritrovarono all’istante prigionieri di una gabbia di muri concentrici che salivano sempre di più, togliendo loro il respiro tanto intenso e pestilenziale era l’odore che quelle fiamme emanavano.

 

“Amici!!!” –Gridò Pegasus. E scattò avanti, con il pugno destro carico di energia. Ma l’agitazione e la fretta lo resero impreciso e Orochi non dovette far altro che scansarsi di lato, osservando Pegasus passargli accanto, quasi in un’azione al rallentatore. Sogghignando, il Capitano dell’Ombra sferrò un sinistro micidiale allo sterno di Pegasus, dove altre volte lo aveva già colpito, scaraventandolo indietro e facendolo schiantare nuovamente a terra, con un buco consistente sull’Armatura Divina.

 

In quella, Cristal balzò in alto, spalancando le ali della corazza, e diresse contro le fiamme la Polvere di Diamanti, per congelarle, ma Orochi ordinò alle vampe di sollevarsi ancora, aumentando d’intensità e sciogliendo il ghiaccio. Sirio, stupito, raccolse il cosmo tra le mani, per generare un’ondata di energia acquatica, ma fu vinto sul tempo e raggiunto da un destro potentissimo di Orochi, a cui riuscì a opporsi soltanto in parte, sollevando all’ultimo lo scudo del Dragone e limitando i danni. Ma venne comunque scaraventato indietro, schiantandosi contro i resti di un edificio.

 

Cristal, preoccupato per l’amico, unì le braccia sopra la testa e scagliò il massimo colpo delle energie fredde, al quale Orochi oppose il suo miglior sorriso sarcastico.

 

Riparato dietro la sua barriera protettiva, il Capitano dell’Ombra la osservò ricoprirsi di ghiaccio, segno evidente che il Cigno, nonostante l’Alito del Drago, riusciva comunque a sprigionare una fredda energia. Quindi, volgendo lo sguardo al di là di essa, vide Cristal crollare sulle ginocchia, stanco e sudato, più di quanto egli stesso si aspettasse. Sorrise, schiantando con un pugno la barriera ricoperta di ghiaccio e spingendo indietro il Cavaliere, prima di balzare su di lui e afferrarlo per il collo.

 

“Di tutti gli avversari che ho affrontato quest’oggi, sei l’unico che vincerei soltanto restando immobile! Poiché per sconfiggerti non c’è bisogno di fare nulla, soltanto di lasciarti fare! Ti uccideresti da solo, vittima dei rimpianti di cui non riesci a liberarti!” –Esclamò Orochi, sollevando il Cigno e stringendolo per il collare dell’Armatura Divina. –“Quanto tempo è passato? Un anno? Due? E ancora non ti dai pace per la morte del tuo Maestro! Morte che tu stesso hai causato! Morte che, ti ripeti ogni giorno, avresti potuto evitare!”

 

“Come… sai?!” –Balbettò Cristal, cercando di reagire, e afferrò il braccio con cui Orochi lo stava stritolando. Ma il Capitano dell’Ombra sollevò nuove fiamme, che avvolsero il Cavaliere di Atena, facendolo urlare dal dolore, poiché era un fuoco che non agiva solo sul corpo, ma sulla sua stessa anima. Mostrandogli di nuovo ciò che tanto aveva cercato di cancellare.

 

“Fuggire non risolve i problemi!” –Commentò Orochi. –“Puoi provare a dimenticarli ogni volta che vuoi! Ma ciò non cambierà il fatto che tu hai ucciso il tuo Maestro e il Maestro di lui, e l’amico che ti salvò la vita dalle correnti artiche! E, ultimo ma così ardente tra i tuoi rimpianti, così ancora caldo, ti tormenti per aver tolto la felicità a colei che più di tutti ami davvero! Ah ah ah!”

 

A quelle parole, mentre i ricordi di Flare e Artax si accavallavano nella sua mente, Cristal fece esplodere il suo cosmo, freddo come mai era stato prima, portandolo allo Zero Assoluto, di cui ormai era maestro. Congelò le fiamme del suo martirio e paralizzò il braccio di Orochi, che neppure se ne rese conto, prima di allontanarlo con un calcio dal basso. Il Comandante dell’Ombra venne spinto indietro ma rimase comunque in piedi, grazie alla sua stazza, e riuscì ad afferrare il pugno di Cristal mentre questi lo caricava con rabbia.

 

Lo capovolse, come aveva fatto con Pegasus poco prima, stritolandolo con la sua guizzante energia cosmica, prima di scaraventarlo contro i resti di un edificio. Ma Cristal si rimise subito in piedi, memore dell’ultimo insegnamento ricevuto, neppure un giorno prima, da un uomo che aveva incontrato solo una volta prima di allora, ma che sembrava conoscerlo meglio di chiunque altro.

 

“Trova nel ricordo di quegli uomini valorosi la forza per andare avanti!” –Gli aveva detto Alexer, riferendosi a sua madre, al Maestro di Ghiacci, Acquarius e Abadir. –“Per vivere anche per loro!” –Ed era ciò che Cristal aveva intenzione di fare. Sollevò le braccia al cielo, unendole a pugno, mentre un’anfora di energia compariva dietro di lui, prima di abbassarle e liberare il colpo sacro dell’Acquario.

 

Scorrete, Divine Acque!” –Esclamò. Ma Orochi lo aspettava al varco, riparato dalla sua barriera difensiva.

 

Il Capitano dell’Ombra non temeva niente e nessuno, proprio come Flegias gli aveva insegnato. Soprattutto l’indebolito attacco di un cuore disperato, ancora restio ad accettare gli eventi di cui lui stesso è stato protagonista.

 

“Incredibile!” –Esclamò Cristal stupefatto. –“Neppure lo Zero Assoluto basta per abbattere la sua difesa! Somiglia… allo Scudo di Ares!!!”

 

“Il tuo gelo non attacca con me, Cigno!” –Disse Orochi infine. –“Questa barriera, che il Maestro di Ombre mi ha insegnato a sollevare, racchiude tutto il mio cosmo, tutta l’energia da me prodotta e da me raccolta dai rimpianti degli uomini! Lascia che l’Alito del Drago lenisca le tue ferite!” –E nel dir questo lasciò esplodere il suo cosmo, mentre violente vampe di fuoco liquefacevano il gelo del Cigno, liberando la barriera protettiva e correndo poi verso Cristal, investendolo in pieno e prostrandolo a terra. –“Muori, adesso! Pugno del Drago!!!” –Gridò Orochi, scattando avanti, con il pugno sinistro carico di violenta energia cosmica.

 

Ma l’assalto non raggiunse il Cavaliere del Cigno, riparato dietro una sottile barriera quadrangolare che un amico aveva prontamente creato, portandosi di fronte a lui.

 

Quadrato di Pegasus!!!” –Urlò il Cavaliere, sorprendendo lo stesso Orochi per la velocità con cui il ragazzo era schizzato in difesa del compagno.

 

“Credi che basterà?!” –Tuonò il Comandante oscuro.

 

“La faremo bastare!” –Ironizzò Pegasus, spingendo con tutta la forza che aveva in corpo, riuscendo a spostare indietro il gigantesco Capitano dell’Ombra, dapprima lentamente, poi in maniera sempre più decisa, di fronte agli occhi sgranati di Cristal. –“Iaiii!!!” –Gridò il ragazzo, rimandando l’intero attacco, potenziato dal suo cosmo,  contro Orochi, che fu sollevato da terra e scaraventato contro i ruderi di alcuni edifici.

 

Cristal ringraziò l’amico per averlo salvato e poi crollò a terra, indebolito dal fuoco, mentre Pegasus lo pregava di non preoccuparsi, poiché avrebbe difeso sia lui che Sirio.

 

L’esplosione del cosmo di Orochi richiamò l’attenzione di Pegasus, che vide una bomba di energia color ruggine spazzar via i resti degli edifici abbattuti in precedenza dal drago a otto teste, e la possente sagoma del Capitano dell’Ombra rimettersi in piedi. Aveva numerose crepe sulla corazza, un coprispalla distrutto ed era ormai privo dell’elmo, cosicché Pegasus poté guardarlo per la prima volta negli occhi.

 

Aveva lunghi capelli castani che gli cadevano sulla schiena, a prima vista sporchi e poco curati, probabilmente tenuti fermi dall’elmo, un viso adulto su cui spiccavano un paio di cicatrici e due occhi color oro che fissavano Pegasus intensamente.

 

“Dunque è bastato!” –Commentò semplicemente, uscendo dalla macerie e portandosi di fronte a Pegasus, che aveva già concentrato sul pugno destro una gran quantità di energia cosmica, pronto per scattare avanti.

 

Fulmine di Pegasus!!!” –Gridò il ragazzo, caricando il Capitano dell’Ombra con rinnovata baldanza, come se aver visto il suo volto avesse smascherato l’uomo che tanto timore gli aveva infuso finora.

 

“Non così in fretta!” –Esclamò Orochi, dirigendo una massa indistinta di energia contro Pegasus, investendolo in pieno e facendolo esplodere verso l’alto, mentre un fiume di cosmo ribolliva sotto di lui. Lo stesso modo con cui aveva fermato Ascanio.

 

Pegasus ricadde a terra dopo poco, con l’Armatura ancora più danneggiata e le ali che ormai non si aprivano più. Ma si rialzò di scatto, sollevando le difese, convinto che Orochi fosse sopra di lui, con il pugno pronto a sfondargli il petto. Invece il Capitano dell’Ombra non c’era e Pegasus dovette fendere l’aria tenebrosa con lo sguardo, per ritrovare la sagoma del suo avversario vicino alla carcassa ancora fumante del drago a otto teste.

 

Orochi sembrava cercare qualcosa, disinteressato per un momento alla battaglia. E Pegasus non comprese ciò che stava facendo. Il Capitano dell’Ombra avanzava tra i resti dell’immenso drago, facendo attenzione a non venire in contatto con l’ancora ribollente sangue oscuro, seguendo una direzione ben precisa. Una direzione che lo portò sul dorso della creatura, fino a raggiungere la parte inferiore, ove le otto code parevano unirsi. Le tagliò tutte, una ad una, distruggendole con fendenti energetici, mentre Pegasus, stordito dal bizzarro comportamento del Capitano, si avvicinava guardingo. Soltanto l’ultima non si staccò, e Orochi capì che essa nascondeva ciò che stava cercando.

 

“Ame no Murakumu!” –Disse, affondando le unghia nella coda maggiore e squarciando la pelle del drago, rivelando l’oggetto dei suoi desideri. Il tesoro che Flegias gli aveva promesso, come Comandante dell’Esercito dell’Ombra. –“La Spada del Paradiso!” –Mormorò orgoglioso, sollevando una scintillante lama, lunga un’ottantina di centimetri, il cui splendore fu tale da rischiarare per un momento l’aria di tenebra in cui era immerso il Grande Tempio.

 

“La Spada del Paradiso?!” –Balbettò Pegasus, coprendosi per un momento gli occhi con un braccio, disturbato da quell’accecante riflesso.

 

“Ancora qui, ragazzino? O sei folle o mediti il suicidio?!” –Ironizzò Orochi, muovendo la lama con tale rapidità da scatenare un fendente energetico simile ad un piano diagonale, che falciò l’aria, sfrecciando verso Pegasus, che fu abile a gettarsi a terra, per non essere colpito.

 

Quando si rialzò, dovette ammettere che tanto affilata e precisa era quella lama, che il bracciale destro della corazza fumava per essere soltanto stato sfiorato.

 

“Questo è il tesoro di Orochi! La Spada che il drago custodiva nella coda maggiore! L’hanno chiamata in molti modi, tra cui Kusanagi, ovvero Spada falciatrice d’erba! Un nome appropriato per una lama così tagliente! Non credi, Pegasus?” –Sogghignò Orochi, muovendo ancora la spada ad altissima velocità, in modo da generare una raffica di fendenti di energia che viaggiarono verso il ragazzo, obbligato a muoversi continuamente in ogni direzione per non essere raggiunto. –“Cosa ne è ora della tua parlantina? Ti sei chetato? Bravo, conserva il fiato per saltare!” –Ironizzò, scagliando un ultimo violento fendente.

 

È incredibile! Quella Spada è un prodigio di sapienza guerriera! È sufficiente che Orochi la sposti, senza neppure troppo sforzo, per generare un piano di luce, sottile ma preciso! Commentò Pegasus, stringendo i denti ogni volta in cui un fendente lo toccava anche solo di striscio.

 

“È uno dei tre tesori di Yamato, cui il Maestro di Ombre mi fece dono al termine del mio addestramento!” –Spiegò Orochi, avvicinandosi minaccioso. –“Ma, come ben sai, Flegias detesta gli sprechi e ritiene che ogni cosa vada usata al momento giusto! Ogni carta va sfoderata alla mano vincente! Ed io credo che questo sia il momento per Kusanagi! Credo sia il momento per falciare con essa lo stelo della tua vita!” –E nel dir questo scattò avanti, colpendo Pegasus in pieno petto con una spallata, così potente da scagliare il ragazzo indietro, facendogli sputare bava e sangue.

 

Subito fu su di lui, calando la lama sul Cavaliere, che fu svelto a rotolare di lato, mentre Kusanagi si piantava accanto a lui, falciandogli qualche capello. Pegasus cercò di colpire Orochi ad una gamba, con un calcio laterale, ma non ottenne altro risultato che lo stridere incandescente delle loro corazze. Ben piantato nel terreno, il Capitano dell’Ombra era un vero macigno e Pegasus si chiese se avesse abbastanza forze per farlo rotolare via.

 

“Assaggia il potere della Spada del Paradiso, Pegasus! Essa ti condurrà verso l’eternità!” –Esclamò Orochi, calando di nuovo la lama su di lui. Ma Pegasus riuscì a colpire con un calcio il braccio del Capitano, facendogli perdere la presa su Kusanagi, che schizzò a terra, a parecchi metri di distanza, proprio mentre il Cavaliere, con un colpo di reni, effettuava un’agile capriola all’indietro, rimettendosi in piedi, di fronte ad Orochi.

 

“Perché continuo a stupirmi?!” –Commentò il Comandante oscuro, mentre Pegasus caricava da distanza ravvicinata, con il pugno destro carico di energia lucente.

 

Ma Orochi fermò il suo assalto, con il palmo della mano sinistra, su cui l’energia di Pegasus si schiantò, ferma su una barriera difensiva dal diametro ridotto ma sufficiente per respingerla e scaraventare indietro il Cavaliere di Atena.

 

Correndo verso la Spada del Paradiso, Orochi la recuperò e quel breve gesto gli ricordò la prima volta in cui il Maestro di Ombre gliel’aveva mostrata. Era dipinta in un’illustrazione di un autore sconosciuto che accompagnava un’edizione di Kojiki, il più antico testo giapponese, risalente all’ottavo secolo d.C. Uno dei pochi libri che Flegias era riuscito a sgraffignare dalla Biblioteca di Alessandria prima che le fiamme la divorassero per sempre. Preso a caso da uno scaffale vicino all’entrata, Koijki si era invece rivelato ricco di informazioni utili e Flegias aveva addirittura pensato che la Spada del Paradiso potesse essere uno dei Talismani.

 

Così aveva fatto visita a Biliku, negli antri oscuri del santuario nelle Isole Andamane, per avere una goccia del suo sangue. Il sangue di una Divinità primordiale, di cui necessitava per risvegliare Yamato no Orochi, grazie al potere della Pietra Nera. Persino Flegias era rimasto a bocca aperta quando il gigantesco drago era tornato ad alitare fiamme di morte sulla Terra, più grande di quanto lui stesso si aspettasse, e lo aveva messo di guardia all’isola che aveva scelto come base segreta, una delle tante nell’Egeo orientale, ordinandogli di scavare gallerie e antri in profondità.

 

Col passare degli anni, Flegias si era convinto che la lama contenuta nell’ottava coda del drago non poteva essere uno dei Talismani, sia perché non avvertiva alcuna energia ancestrale provenire da essa, sia perché, se fosse stato, non avrebbe certo potuto raggiungerlo così facilmente.

 

“I Talismani sorgeranno da soli il giorno in cui l’ombra minaccerà di nuovo la nostra Terra!” –Aveva sentito ripetere spesso ad Avalon. –“Loro stessi sceglieranno i custodi che dovranno impugnarli, per portare il messaggio di luce! E non viceversa!”

 

Anni dopo, mentre definiva i dettagli per la conquista dell’Olimpo, Flegias vi aveva adescato Orochi, con la promessa di cederla al più potente tra i suoi guerrieri, colui che avrebbe guidato l’Esercito delle Ombre alla conquista del mondo. Orochi ne era rimasto affascinato e da allora aveva incrementato il suo addestramento per migliorarsi sempre di più.

 

“E adesso è nelle mie mani! Il mio percorso è concluso!” –Commentò il Capitano dell’Ombra, volgendosi verso Pegasus, nel frattempo rimessosi in piedi. –“Non potrai averne ragione, ragazzo! Questa spada è tutto ciò per cui ho lottato finora! Questa spada è il potere!!!” –E scagliò una moltitudine di fendenti energetici contro Pegasus, che dovette muoversi continuamente in ogni direzione per evitarli.

 

Quindi, stufo di stare sulla difensiva, Pegasus scattò avanti, dirigendo una fitta pioggia di stelle contro Orochi, con una velocità e un’intensità sempre maggiori, che il Capitano dell’Ombra fermò tagliandoli in due con la Spada del Paradiso, muovendola di fronte a sé, con l’abilità di uno spadaccino. Quelli che non riusciva a colpire, li parava con il palmo della mano sinistra. Una protezione invalicabile, che presto stancò Pegasus, obbligandolo a frenare l’attacco.

 

Orochi sorrise, convinto di averlo in pugno, ma il Cavaliere di Atena concentrò tutto il cosmo in un’unica sfera di luce, determinato ad abbattere quella barriera.

 

Cometa di Pegasus!!!” –Gridò, scagliandola contro il Capitano dell’Ombra, che le volse il palmo della mano sinistra, caricandolo di tutto il suo cosmo e lasciando che vi si infrangesse, limitandone l’impatto ma venendo comunque spinto indietro di qualche metro.

 

A fatica, sollevò lo sguardo verso Pegasus, già intento a scattare contro di lui con il pugno carico di energia, e lo falciò con un fendente di Kusanagi, che si abbatté sulla gamba sinistra del Cavaliere, scheggiando la sua corazza e strappandogli un grido di dolore. Pegasus si tastò il ginocchio, dove il fendente l’aveva raggiunto, e Orochi approfittò di quel momento per balzare su di lui. Con la Spada del Paradiso sollevata sopra la testa, la calò giù di colpo con entrambe le mani, avvolto nel suo cosmo color ruggine.

 

Pegasus aprì le braccia in fretta, creando il quadrilatero protettivo, ma esso andò in frantumi come fosse di vetro e la lama gli trinciò il pettorale dell’Armatura Divina, in senso verticale, falciando via qualche capello e ferendolo ad una guancia. Quindi Orochi cambiò l’impugnatura, puntando la spada direttamente al cuore del Cavaliere, ma Pegasus, stringendo i denti per lo sforzo, la fermò con le mani a pochi centimetri.

 

I guanti protettivi della corazza andarono in frantumi e sangue iniziò a sgorgare copioso dalle mani del ragazzo, che dovette esercitare un’immensa pressione con il cosmo sulla lama, per non farla schizzar via. E lasciarla lì, intrappolata tra le sue mani, con Orochi che tentava di sfilarla e sollevarla di nuovo. Ma Pegasus lo anticipò, colpendolo dal basso sull’addome, prima con un calcio, con cui lo allontanò di mezzo metro, facendogli perdere la presa su Kusanagi, poi con un pugno in cui concentrò tutta l’energia cosmica accumulata fino a quel momento.

 

Il Capitano dell’Ombra venne sbalzato in aria dalla potenza di Pegasus, crollando a terra molti metri addietro, con l’armatura in frantumi e il basso ventre squarciato, da cui uscivano fiotti di sangue, imbrattando il suolo sotto di lui. Pegasus piantò con rabbia Kusanagi a terra, prima di scattare verso Orochi, avvolto nel suo sfolgorante cosmo di luce. Lo afferrò ad un braccio, mentre stava rimettendosi in piedi, e con sforzo immane lo capovolse, sbattendolo nuovamente a terra. Quindi lo afferrò sotto le ascelle, per portarlo in aria con la sua Spirale, ma il Capitano dell’Ombra fece esplodere quel che rimaneva del suo cosmo, allontanando bruscamente il ragazzo in un vortice di fiamme.

 

“Quel che mi resta…” –Commentò Orochi, rimettendosi in piedi, ancora avvolto nel suo cosmo color ruggine. Tirò un veloce sguardo alla Spada del Paradiso, conficcata nel terreno a una decina di metri da entrambi, prima di concentrarsi su Pegasus, pronto per l’ultimo attacco. –“È qua!!! Pugno del Drago!!!” –Gridò, dirigendo un violento pugno di energia verso il Cavaliere di Atena, il quale aveva radunato tutto il suo cosmo, concentrandolo in una cometa di luce che diresse contro Orochi.

 

I due poteri si fronteggiarono per qualche istante, incendiando l’aria attorno, finché, neanche troppo sorpreso di ciò, Orochi vide la cometa azzurra spingere indietro il Pugno del Drago. Un metro dopo l’altro. Inesorabilmente. Inspirò a fondo, mentre un sorriso si dipingeva infine sul suo volto, prima che la sfera di energia di Pegasus gli sfondasse il petto, scaraventandolo indietro, schiantandosi contro una parete di roccia, e poi crollando al suolo disteso.

 

“È… finita!” –Balbettò Pegasus. –“Il Comandante dei Capitani dell’Ombra è caduto! Molto… bene!” –Socchiuse gli occhi, mentre le forze gli venivano meno, e crollò sulle ginocchia, sentendo il peso di quelle ore di scontro piombargli improvvisamente addosso. Prima che toccasse terra, due braccia amiche lo afferrarono in tempo, e Pegasus vide il volto sorridente di Sirio chinarsi su di lui.

 

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Capitolo 32
*** Il cerchio si stringe ***


CAPITOLO TRENTESIMO: IL CERCHIO SI STRINGE

CAPITOLO TRENTESIMO: IL CERCHIO SI STRINGE.

 

Sirio aiutò Pegasus a stare in piedi, indebolito dal lungo scontro sostenuto, con crepe sull’Armatura Divina, le ali in frantumi e ferite sparse lungo il corpo. Non era un’immagine nuova quella che appariva agli occhi di Dragone, abituato a vedere sui compagni i segni della guerra. Ma era comunque qualcosa che lo faceva stare male.

 

“Appoggiati a me!” –Gli disse, passando un braccio dell’amico sopra le sue spalle, mentre anche Cristal si avvicinava loro.

 

“Pegasus…” –Commentò il Cavaliere del Cigno. –“Grazie!”

 

I tre amici fecero per incamminarsi verso le Dodici Case dello Zodiaco, quando la flebile voce di Orochi attirò la loro attenzione.

 

“Cavaliere di Pegasus!” –Mormorò il gigantesco guerriero, disteso a terra, con il corpo spezzato dai colpi ricevuti.

 

“Orochi?!” –Balbettò Pegasus, liberandosi dalla presa di Sirio e iniziando ad avanzare verso la carcassa del suo avversario.

 

“Muoio contento, Cavaliere di Pegasus! Contento e soddisfatto!” –Esclamò l’uomo. –“Poiché ho finalmente ottenuto quel che volevo!”

 

“Il potere?!” –Esclamò Pegasus, riferendosi alla Spada del Paradiso.

 

“No! Quello, in fondo, l’ho avuto anni addietro, quando il Maestro di Ombre mi mise a capo dell’Esercito che un giorno avrebbe marciato per oscurare la luce!” –Disse Orochi. –“Ho avuto uno scontro con un vero guerriero! Uno scontro che mi ha dato soddisfazione sin dal primo pugno che hai sferrato contro la mia barriera! Uno scontro in cui mi sono confrontato con qualcuno che non soltanto era forte quanto me, ma aveva anche la stessa risoluzione nel vincere che avevo io! Sei stato un avversario alla mia altezza, Cavaliere di Pegasus, per questo avrai la mia benedizione! O forse sono stato io ad esserlo per te!”

 

“Orochi… i nostri poteri non erano poi così diversi! Ma diverso era il fine per cui lottavamo!” –Commentò Pegasus, con una certa tristezza nella voce.

 

“Non credere però che la mia sconfitta ti apra le porte della vittoria! Perché non è così!” –Tuonò infine Orochi. –“Il potere di Flegias è troppo grande, è troppo oscuro, che non può essere vinto, da nessuno di voi!”

 

“Ci proveremo comunque, Orochi!” –Esclamò Pegasus, raggiunto in quel momento da Cristal e Sirio.

 

“Stolti!” –Sorrise infine Orochi. –“Anche se vi riuscireste, perdereste comunque! Contro la grande ombra non può esservi vittoria! Né per me… né per voi! Eh eh eh!”

 

Morì così, il più forte tra i sette Capitani dell’Ombra, l’uomo scelto da Flegias anni addietro, e da lui segretamente istruito, per divenire un guerriero abile e potente. Morì con il sorriso sulle labbra per aver ottenuto il combattimento che aveva sempre perseguito. Contro un avversario che, in fondo, aveva imparato ad ammirare.

 

Pegasus si rialzò, abbandonandosi ad un sospiro, e si incamminò verso la Spada del Paradiso. La estrasse dal terreno, scuotendo via la polvere e il terriccio, e ne ammirò le rifiniture, sublime esempio di arte scintoista. Quindi ritornò dal cadavere di Orochi, ricordando il mito del drago a otto teste e del Dio Susanoo.

 

“Credo che la lama fosse in fondo l’ultima difesa del drago!” –Commentò. –“Fosse qualcosa che faceva sentire Orochi sicuro, sempre e comunque, nonostante i nemici che gli si paravano di fronte! Poiché sapeva che, per male che le cose potessero andare, aveva sempre un approdo sicuro a cui fare riferimento! Potremmo usarla, in battaglia, e per certo sarebbe arma utilissima! Ma la meritiamo davvero? Meritiamo un’arma che non ci appartiene?!” –Sirio e Cristal non risposero, abbassando lo sguardo con un sospiro, concordi con la riflessione del compagno. E con la scelta migliore da fare.

 

Proprio in quel momento un nugolo di ombre discese su di loro, probabilmente parte delle ondate che i Cavalieri d’Oro non erano riusciti ad arginare. Ma, per quanto i tre amici alzassero subito le difese, le ombre parvero ignorarli e dirigersi verso la carcassa del loro Comandante. Gli entrarono dentro, cibandosi del suo sangue, di quel che restava del suo cosmo, in un’avida danza che fece inorridire i Cavalieri di Atena. E diede a Pegasus la spinta finale.

 

Stringendo la lama con entrambe le mani, il ragazzo la sollevò al cielo, lasciando che il suo caldo cosmo vi fluisse dentro, prima di piantarla nel cuore di Orochi, mentre le ombre ancora vorticavano attorno al suo cadavere. Come se Kusanagi o Orochi stesso avessero compreso, un arco di luce si aprì dalla lama stessa, spingendo Pegasus indietro, prima di richiudersi sui resti del Comandante oscuro e sulle ombre, inghiottendoli entrambi, e infine esplodere.

 

Quando Pegasus, Sirio e Cristal, scaraventati indietro di qualche metro, aprirono di nuovo gli occhi, videro che di Orochi e della Spada del Paradiso non era rimasto niente. Neppure le ceneri. Pegasus sorrise, stringendo i pugni e augurandosi che il suo avversario avesse davvero trovato la strada verso la pace interiore.

 

“Dobbiamo andare!” –Sirio mise una mano sulla spalla del compagno, incitandolo a procedere oltre, e Pegasus annuì, seguendo gli amici lungo la strada che un tempo correva a fianco delle mura perimetrali del Grande Tempio. Adesso cumuli di rovine giacevano in mezzo a fosse nel terreno e a cadaveri di soldati.

 

“I Cavalieri d’Oro staranno…” –Esclamò Cristal, raggiunta la piazza antistante alla scalinata di marmo che conduceva alla Casa di Ariete. Ma la sua frase venne interrotta da un attacco improvviso di cumuli di ombre che, dall’alto del cielo nero, piombarono su di loro. –“Maledette!!!” –Gridò il Cavaliere, ben sapendo che il suo gelo sarebbe stato inutile contro di loro.

 

“Correte alla Prima Casa! Cercherò di trattenerle!” –Affermò Sirio, espandendo il proprio cosmo, dal lucente color verde acqua.

 

“Sirio, sei pazzo?! Ti uccideranno!” –Gridò Pegasus, faticando a stare in piedi.

 

“Andate!” –Disse il ragazzo, balzando in alto e dirigendo un deciso attacco di luce contro gli strati di nere evanescenze. –“Colpo del Drago Volante!!!”

 

L’assalto disperse un mucchio di ombre, impedendo loro di raggiungere la scalinata, dove Cristal stava incitando Pegasus a seguirlo. Ma l’amico non aveva intenzione di abbandonare Dragone, così caricò il cosmo nel pugno destro, lanciandosi avanti, ma le gambe gli cedettero poco dopo e ruzzolò lungo i gradini del santuario.

 

“Sei un gran testone, eh!?” –Ironizzò Sirio, atterrando a fianco dell’amico, mentre le ombre, nuovamente radunatesi, piombavano su di loro, come fitta pioggia nera.

 

“Mi conosci, ormai!” –Sorrise Pegasus, cercando di rialzarsi.

 

Anelli di Ghiaccio!!!” –Gridò Cristal, che si trovava una ventina di scalini sopra i due amici. E creò cerchi concentrici di gelo attorno a Sirio e Pegasus, che roteando continuamente impedirono alle ombre di raggiungerli. –“Non basteranno per fermarle, ma quantomeno vi proteggeranno!”

 

“E adesso… spazziamole via!!!” –Esclamò Sirio, generando un gorgo di energia acquatica, dallo scintillante color verde acqua, che sollevò verso il cielo, travolgendo tutte le ombre attorno. –“Acque della Cascata di Cina! Purificate quest’infangato santuario!” –E mille dragoni illuminarono il piazzale, abbattendosi sulla marea oscura e disintegrandone una parte.

 

Cristal fece loro cenno di proseguire e Sirio e Pegasus seguirono l’amico fino alla Prima Casa di Ariete, dove trovarono Andromeda disteso su un lettino, con indosso solo una maglietta e un paio di pantaloni, guardato a vista da Kiki e da Fiore di Luna.

 

“Andromeda!!!” –Esclamarono i tre compagni, avvicinandosi di corsa.

 

“Kiki! Cosa fai qua?” –Incalzò Sirio. –“Non ti avevo detto di aspettare alla Tredicesima Casa con Fiore di Luna?!”

 

“Ci stavo andando, Dragone, ma …” –Balbettò il ragazzino, quando una voce lo interruppe.

 

“Gli ho chiesto io di tornare!” –Esclamò Phoenix, entrando nella stanza. –“Perdonami Dragone! Non volevo mettere a repentaglio la vita di Fiore di Luna, ma confidavo che Kiki sapesse curare il male che infetta mio fratello! O potesse condurlo sull’Olimpo dal Grande Mur!”

 

“Phoenix!” –Mormorò Sirio, volgendo poi lo sguardo verso il volto di Andromeda. Pallido come non mai, con rivoli di sudore che colavano senza dargli tregua e spasimi continui che scuotevano il suo fragile corpo.

 

Non disse altro e si avvicinò a Phoenix, tirandolo a sé e abbracciandolo. Fu un abbraccio strano, si disse il Cavaliere del Dragone, e un po’ impacciato, a causa delle armature che indossavano. Ma fu un abbraccio sincero.

 

“Cos’ha Andromeda, Kiki?!” –Incalzò Pegasus, inginocchiatosi accanto al letto.

 

“Non lo so, Pegasus! Non capisco! Sembra una febbre, ma di proporzioni mai viste!” –Esclamò il bambino. –“Ho usato alcune medicine di Mur, le stesse con cui aveva cercato di frenare la rabbia in Asher, ma sembra che non abbiano effetto! Qualunque cosa stia accadendo dentro Andromeda è qualcosa su cui lui solo ha potere!”

 

Pegasus sospirò preoccupato, sollevando lo sguardo prima verso Sirio e Cristal, poi verso Phoenix, e ammettendo che raramente aveva visto il Cavaliere della Fenice così ansioso come in quel momento. Ma la cosa è comunque più che comprensibile!

 

“Cos’è questo graffio?” –Domandò infine Sirio, indicando uno squarcio sul collo.

 

“Temo sia ciò che lo fa soffrire così tanto!” –Intervenne Phoenix. –“Per quanto Andromeda non mi abbia detto niente, credo che quella ferita non sia stata causata dai Capitani dell’Ombra! No… credo sia un residuo dello scontro con Biliku!”

 

A quelle parole Pegasus e gli altri sussultarono spaventati, ricordando le descrizioni della Donna-Ragno, e dei suoi poteri ancestrali, che Mur prima, e Kiki e Andromeda poi, avevano dato loro. Kiki si gettò tra le braccia di Fiore di Luna, scoppiando in lacrime, sentendosi in parte in colpa per non aver potuto aiutare l’amico, che invece non aveva esitato a rischiare in prima persona per metterlo in salvo.

 

Era accaduto tutto così in fretta che Andromeda non si era neppure accorto dell’arto che Biliku aveva sollevato, forse per caso, e gli aveva piantato nel collo. Aveva riempito l’ampolla con il sangue e stava per mettersi alla ricerca di Kiki, quando un fuoco primordiale gli era entrato dentro. Per un momento si era sentito perso, fuori dal mondo. La vista gli si era appannata, la gola sembrava prendergli fuoco. Ed era crollato sulle ginocchia, incapace di sopportare il peso di ciò che Biliku voleva trasmettergli. In quei pochi minuti, mentre Kiki veniva sorpreso da Iaculo e Iemisch, Andromeda aveva viaggiato lontano, pur senza spostarsi fisicamente dalla caverna sotterranea. Aveva viaggiato nel tempo, vedendo il mondo attraverso gli occhi della Donna-Ragno.

 

Confuse immagini si affastellavano nella sua mente, alcune che non era ancora riuscito a comprendere, in un vortice continuo di ricordi, in uno scontro continuo tra luce e ombra, che andava ormai avanti da millenni. D’un tratto ad Andromeda sembrò di sentire su di sé il peso di un’epoca intera, condividendo i ricordi della più antica forma di vita esistente sul pianeta. La vide ergersi nel sole d’oriente, quando le sue forme erano più eleganti e ancora non era la sgraziata bestia che aveva trascorso secoli divorando carogne nei sotterranei delle Andamane. La vide deliziarsi con le offerte che gli abitanti del luogo, adorandola come Madre Terra, come Entità Creatrice, le rivolgevano con affetto prima, e poi con la paura di una sua rappresaglia.

 

La vide corrodersi dall’ombra che aveva sempre dimorato nel suo cuore, incapace di estirparla poiché essa faceva parte di sé. E infine la vide rinchiudersi nel santuario sotterraneo, ove febbrilmente aveva scavato tunnel che portavano in ogni luogo, anche al di là del mare, raggiungendo la penisola indocinese. Era stata proprio una di quelle gallerie a metterla in contatto con un demonio, uno spirito senza corpo che vagava per il mondo, strisciando silenzioso tra le tenebre. Uno spirito che, seppur con forma diversa, non poteva che ricordargli il suo creatore. Il creatore di tutte le cose.

 

“Andromeda!!!” –Esclamò Phoenix, vedendolo in preda a nuove convulsioni.

 

“Andromeda!!!” –Lo chiamarono altre voci, disturbando le visioni che si alternavano confuse nell’animo del Cavaliere, senza che egli avesse ancora capito come controllarle. Senza che egli avesse ancora capito che non erano casuali.

 

No! Si disse una parte di sé, naufraga solitaria in quell’oceano di ricordi. Biliku ha voluto dirmi qualcosa! Non c’è niente di casuale in tutto questo! È come un filo, che si dipana dagli albori della storia e adesso è giunto a noi! Biliku sapeva che stava morendo, che l’ombra aveva corroso talmente il suo cuore che nient’altro poteva fare se non liberarsi da ciò che desiderava non andasse perduto. Le sue memorie.

 

Un’onda si abbatté su un gruppo di scogli, cambiando ancora la visione nella mente di Andromeda. Quindi un’altra, e altre ancora, scrosciando tempestose sulla riva scoscesa di un’isola deserta. Un’isola che ad Andromeda apparve familiare. Una donna, dal volto livido di percosse e di dolore, singhiozzava incatenata a due enormi rocce affioranti dal fondo marino.

 

“Nemes!!!” –Esclamò Andromeda, alzandosi di scatto e stupendo tutti gli amici, soprattutto Pegasus, che, in ginocchio vicino a lui, fece un balzo indietro per la paura. –“Nemes è in pericolo!”

 

In quel momento le ombre attaccarono in massa il Grande Tempio, chiudendosi come una cupola sull’intero perimetro del santuario della Dea Guerriera, con l’intento di soffocare ogni forma di luce. E divorare l’energia vitale degli ultimi difensori.

 

Sul fronte orientale, poco distante dal cimitero, Virgo e Libra tentavano da ore di opporsi a quella nera avanzata, ma ogni volta in cui lasciavano esplodere il loro cosmo dorato, ogni volta in cui il sole sembrava tornare a splendere sul Grande Tempio, non ottenevano che una vittoria momentanea. Effimera. Mai capaci di arginare quella marea di tenebra che stava sommergendo la Grecia.

 

Anche Pavit, il Devoto, l’ultimo discepolo di Virgo, era intervenuto in aiuto del maestro, stufo di restare sdraiato nell’infermeria.

 

“Se proprio devo morire, voglio farlo per qualcosa in cui credo!” –Aveva esordito il ragazzo, apparendo accanto al Cavaliere di Virgo, avvolto in una cupola di energia dorata. –“Il credo di Dhaval non deve andare perduto!”

 

“Non lo sarà!” –Aveva risposto Virgo, accennando un sorriso al discepolo. E per un attimo, leggendogli nel cuore, vi aveva trovato la stessa fede che aveva animato anche lui quando era un bambino e trascorreva le giornate intento a conversare con il Buddha, alla ricerca dell’illuminazione. Pavit forse nel Buddha non aveva troppa fede, ma il credo che lo spingeva a non arrendersi non era certo troppo diverso dal suo. Entrambi all’affannosa ricerca della verità.

 

In quella, una nuova avanzata della marea oscura li obbligò a riportare l’attenzione sul cielo nero, dove i cento luminosi dragoni di Cina aveva appena annientato un mucchio di ombre. E stimolato le altre ad una nuova carica.

 

“Sono troppe! Non riusciremo mai a fermarle!” –Commentò Libra, atterrando a fianco del Cavaliere di Virgo.

 

“Forse no!” –Aveva sorriso il compagno. –“Ma di certo non ci arrenderemo! Come la rupe massiccia non si scuote per il vento, così pure non vacillano i saggi!”

 

“Siddharta Gautama!” –Commentò Pavit, prima di bruciare il proprio cosmo. Virgo fece altrettanto e i due crearono una cupola di energia, che circondò anche Libra, su cui si schiantarono le ombre, vorticandovi intorno senza mai riuscire a penetrarla.

 

“Non possiamo restare sulla difensiva!” –Esclamò Libra, osservando le ombre avvolgere il Kaan e cibarsi della sua luminosità. –“Succhieranno la nostra energia!”

 

Virgo iniziò a concentrare il proprio cosmo tra le braccia, sforzandosi di mantenere la calma, in quel frangente così carico d’angoscia. Ma prima ancora che potesse rilasciare l’energia accumulata, percepì una violenta corrente elettrica sfrigolare sul terreno e lungo la sfera dorata del Kaan. Una corrente che esplose poco dopo, sotto forma di incandescenti fulmini d’oro che dilaniarono le ombre, liberando i tre compagni da quella morsa, anticipando una voce che Virgo ben conosceva.

 

Lightning Fang!” –Esclamò Ioria del Leone, una decina di metri addietro, con il pugno piantato nel terreno. Castalia era al suo fianco e reggeva il corpo stanco di Siderius della Supernova Oscura, il Capitano dell’Ombra un tempo allievo di Ioria.

 

“Anche noi vogliamo prestare aiuto!” –Aggiunse Asher dell’Unicorno, spuntando dietro ai due, affiancato da Tisifone del Serpentario.

 

“Anche voi volete morire, vorrai dire!” –Ironizzò Libra, comunque felice di vederli.

 

“Unendo i nostri cosmi sarà possibile contrastare l’avanzata di quest’oscura marea!” –Esclamò Tisifone, che non vedeva l’ora di rendersi utile e tornare in azione, dopo i giorni trascorsi in ospedale. Giorni che a lei erano parsi mesi di prigionia.

 

“Donna di grandi speranze sei, Sacerdotessa del Serpentario, se ritieni possibile un simile miracolo!” –Affermò Virgo, girando il volto verso di lei, pur senza aprire gli occhi. –“Tuttavia anche San Tommaso dovette ricredersi riguardo alla resurrezione del suo Signore Gesù Cristo! E sarò ben lieto di ricredermi anch’io qualora riuscissimo a superare indenni questo momento di grave crisi!”

 

“Proprio per questo dobbiamo restare uniti!” –Esclamò Ioria, incitando i compagni.

 

“E dare il massimo per salvare Atena!” –Intervenne Asher, eccitato dalle parole di Ioria. –“E noi stessi!”

 

“E allora facciamolo!!! Sia quel che sia!” –Gridò Ioria, espandendo il proprio cosmo.

 

Gli altri fecero altrettanto, e ben presto i sette cosmi entrarono in sincronia tra loro, mescolandosi in un arcobaleno di colori che rischiarò il cielo sopra il Grande Tempio. Pegasus e i suoi compagni, Kiki e Fiore di Luna, assediati alla Prima Casa, i soldati ancora vivi, i feriti, le apprendiste sacerdotesse e tutti i fedeli sparsi per il santuario di Atena rimasero impressionati da tale fenomeno ottico, che rubò loro un sospiro di sollievo. Durò un attimo, ma fu intenso.

 

Corno d’Argento!!!” –Gridò Asher, in prima fila, liberando una guizzante scarica elettrica, che sfrecciò nel cielo, presto raggiunta e superata dai colpi dei compagni. –“Che le zanne dei Cento Draghi di Cina disperdano l’oscurità!!!” –Lo seguì Libra. –“Abbandono dell’Oriente!!!” –Tuonarono Virgo e Pavit. –“Artigli del Leone, irradiate! Che lo spirito di Micene sia con voi!” –Gridò Ioria, seguito infine da Castalia e Tisifone.

 

L’assalto dei sette compagni parve davvero ottenere qualche successo, disintegrando una massa di ombre, osservandole scomparire come polvere. Ma per quanta energia profondessero, per quanto ardenti fossero i loro spiriti, la marea oscura pareva non trovare mai fine. Nuove continue tetre evanescenze venivano generate e i Cavalieri di Atena dovettero bruciare al massimo i loro cosmi per non essere sopraffatti.

 

“È… un nulla immenso…” –Commentò infine Tisifone, barcollando. –“Io… non ce la faccio…”

 

“Resisti, Tisifone!!!” –La incitò Castalia, vicino all’amica. –“Quanti motivi hai per andare avanti? Più di quanti ne hai per cedere!”

 

“Castalia…” –Mormorò la Sacerdotessa, cercando di resistere, di mantenersi in piedi, con le braccia sollevate, intenta a dirigere il suo cosmo violetto verso il cielo.

 

Improvvisamente Ioria notò una sagoma trascinarsi sul terreno, fino a portarsi di fronte ai sette compagni. Per un momento credette si trattasse di un’ombra, ma quando a fatica si sollevò Ioria riconobbe il suo vecchio allievo.

 

“Siderius…” –Esclamò il Leone, osservandolo barcollare, pieno di ferite sul corpo e con grumi di sangue rappreso sul capo. Quel che restava della sua armatura nera e viola pareva confondersi con l’oscurità circostante, ma, per la prima volta, Ioria notò che il ragazzo era avvolto in un cosmo che trasudava luce. Il cosmo che aveva sentito in lui anni addietro, quando lo aveva portato via dalla vecchia casa in Tessaglia.

 

“Maestro…” –Commentò Siderius, espandendo quel che restava del suo cosmo e generando una violacea luminescenza che immediatamente attirò strati di ombre, che piombarono su di lui, vorticando attorno al suo corpo, prima di penetrarlo. Una dopo l’altra. Strappandogli ogni volta un gemito di dolore.

 

“Siderius!!!” –Gridò Ioria, muovendosi per correre da lui. Ma Virgo lo fermò, afferrandogli il braccio con una mano e voltandosi verso di lui.

 

“Abbiamo bisogno di te!” –Disse, con voce pacata, prima di dischiudere i suoi occhi.

 

Immediatamente un’onda di luce si sollevò dal gruppo dei sette compagni, ridando nuova energia all’assalto congiunto e spazzando via un mucchio di ombre, tra cui tutte quelle che avevano assalito Siderius poco prima. Vista la gravità del momento, Virgo aveva deciso di usare l’ultima riserva del suo cosmo. E forse anche per permettere a Siderius di fare ciò che sentiva.

 

“Non era questo ciò che volevo…” –Commentò Siderius, voltandosi un’ultima volta verso Ioria, con gli occhi lucidi di lacrime, mentre le ombre nuovamente turbinavano minacciose attorno a tutti loro. –“Non ho mai sposato gli obiettivi di Flegias, limitandomi ad eseguire gli ordini, come mio padre riteneva che un soldato dovesse sempre fare! Tutto ciò che desideravo, ciò che volevo realmente, l’ho avuto quest’oggi! Che tu mi guardassi con occhi diversi! Che tu mi degnassi di uno sguardo d’affetto! Non come l’allievo che non hai saputo addestrare, ma come il fratello con cui hai condiviso una parte del cammino!”

 

Ioria rimase ad ascoltare la confessione del ragazzo e avrebbe voluto davvero poter mandare indietro le lancette del tempo. E cambiare qualcosa. Forse capirsi un po’ di più, quando ancora c’era il tempo per farlo. Siderius, in quel momento, gli sorrise per la prima volta, bruciando al massimo il proprio cosmo e voltandosi poi verso il mare di tenebra che stava avanzando verso di loro.

 

“Per te, maestro mio! Per dimostrarti che ho imparato la lezione! Almeno una!” –Esclamò Siderius, lanciandosi in alto, con le ultime forze che ancora gli restavano. –“Essere Cavalieri non significa avere una grande virtù d’attacco, ma saper bruciare il cosmo per qualcosa in cui si crede! Saper usare il cosmo per difendere chi abbiamo caro! Prendete ombre, questa è la rabbia di Siderius!!! La rabbia di cui mai mi sono liberato!!! Esplosione della Supernova Oscura!!!” –Gridò il Capitano dell’Ombra, piombando all’interno della marea nera e lasciandosi fagocitare da essa, prima di liberare tutto il cosmo che aveva raccolto. Tutto quel che gli restava. E spazzarla via.

 

“Siderius!!!” –Gridò Ioria, mentre l’onda d’urto generata spezzò la sincronia cosmica tra i sette compagni, sollevandoli da terra e scaraventandoli indietro, facendoli ruzzolare sul terreno pietroso. Si rialzarono dopo poco, storditi dalla deflagrazione, e per un attimo sembrò loro che il cielo fosse meno nero.

 

Ioria strinse i pugni, con gli occhi lucidi di commozione. E di dolore. Ma non disse niente. Si mosse soltanto per riprendere la sua posizione, a fianco di Virgo e di Libra.

 

“L’aura cosmica di Siderius è rimasta a difesa del suo maestro!” –Commentò allora Castalia. –“Dell’amico che tanto gli è mancato! Ancora balugina fioca in questa cappa di tenebra! Ancora posso sentire la rabbia che non è mai riuscito a vincere, la rabbia che non ha mai indirizzato verso qualcosa di costruttivo, verso un futuro per sé! È ironico, e a tratti triste, pensare che amasse strappare il futuro ai nemici, quando lui per primo non credeva affatto nel suo!”

 

“Credo che in fondo ci abbia insegnato qualcosa!” –Intervenne Tisifone, che aveva compreso la riflessione dell’amica. –“A tirare fuori i nostri sentimenti, di gioia o di rabbia che siano, perché tenerli dentro, nasconderli a noi stessi e agli altri, può soltanto farci del male!”

 

Ioria, Castalia e Asher si scambiarono un’occhiata significativa, prima che la voce decisa di Libra richiamasse tutti quanti, obbligandoli a unirsi di nuovo tra loro e a creare una barriera con i cosmi, con cui contrastare l’avanzata delle ombre. L’ultima, a giudicare dalla determinatezza con cui i neri spiriti avanzavano. Assetate più che mai delle energie vitali dei Cavalieri di Atena, le ombre adesso non si sarebbero più arrestate. 

 

Vorticarono attorno ai sette compagni, avvolti nelle loro auree lucenti, chiudendosi sempre più su di loro, quasi a guscio, decise a ricoprire l’intero Grande Tempio con il loro manto di tenebra. Nello stesso momento infatti la marea nera dilagò all’interno del perimetro sacro, invadendo l’infermeria, le residenze dei soldati, perfino le Dodici Case dello Zodiaco, senza che nessun potere riuscisse più a osteggiarla.

 

“È davvero questa la fine?” –Mormorò la Sacerdotessa dell’Aquila, che stava ormai per crollare. –“Morirò così… completa solo a metà?! Fratello… Phantom… Ioria…”

 

D’un tratto, mentre tutto sembrava svanire, mentre i confini sembravano farsi indistinti, i suoni lontani e il mondo pareva precipitare in una notte senza fine, Castalia udì una voce che la chiamava. E anche Asher e Tisifone la udirono. E Ioria e Libra. E Virgo, Pavit e tutti i presenti al Grande Tempio.

 

Le ombre parvero fermarsi, vorticare stordite su loro stesse, incapaci di comprendere quella rapsodia celestiale che aveva invaso l’intero santuario, mentre un raggio di sole, prima timido poi sempre più consistente, sbucò nel cielo, perforando il soffitto di tenebra tanto bramato da Flegias. Un raggio il cui baricentro era la Tredicesima Casa dello Zodiaco, la residenza del Sacerdote, ove Atena aveva lasciato il simbolo del suo potere, affinché fosse d’aiuto e conforto ai suoi Cavalieri.

 

Lo scettro di Nike brillò nel cielo sopra il Grande Tempio, risplendendo in un arcobaleno di colori che profusero calore agli stanchi combattenti. Un immenso arco di luce si allargò all’istante, invadendo ogni angolo del santuario e investendo in pieno la marea di tenebra, sommandosi ai cosmi dei Cavalieri. Le ombre cercarono di sfuggire, di nascondersi di fronte a quel sole improvviso. Ma fallirono e vennero annientate. Tutte.

 

Quando la luce calò d’intensità, e i Cavalieri poterono aprire di nuovo gli occhi, un bagliore amaranto proveniente dal mare lontano li fece sorridere. E ricordò loro che il giorno stava volgendo al tramonto. La marea d’ombra era stata provvisoriamente sconfitta, pur se a prezzo di molti sacrifici e sangue.

 

“Amici!!!” –Esclamò Pegasus, comparendo all’estremità occidentale del campo dove i Cavalieri d’Oro avevano combattuto, seguito da Phoenix, Cristal e Dragone. –“Siamo rimasti bloccati dalla marea nera alla Prima Casa, assediati dalle ombre che non riuscivamo ad annientare!”

 

“Ma qualcuno ci è venuto in aiuto!” –Commentò Cristal.

 

“Atena è sempre con noi! Con tutti i suoi Cavalieri!” –Aggiunse Sirio. E anche gli altri annuirono, chiedendosi come stesse Atena e cosa stesse accadendo sull’Olimpo.

 

“Questa vittoria non cambia niente, in fondo!” –Incalzò allora Ioria. –“Flegias non modificherà i suoi programmi per noi! Anzi, sapendo che siamo ancora vivi, invierà presto nuovi Cavalieri neri e una seconda ondata di ombre per ucciderci e coprire il Grande Tempio con il manto oscuro della notte!”

 

“Sono d’accordo con te, Ioria del Leone!” –Esclamò Libra. –“Per questo credo che restare qua, a compiacersi di quest’effimero successo, sia inutile e pretestuoso!”

 

“Cosa suggerisci di fare allora, Dohko?!” –Chiese Sirio, sorridendo nel pronunciare il nome del Vecchio Maestro.

 

“Quello che abbiamo sempre fatto! Contro Ade e contro Crono! Attaccarlo al cuore! Invadere l’Isola delle Ombre e estirpare una volta per tutte questa minaccia!”

 

“Rischiosa impresa, Dohko di Libra! Siderius mi ha informato degli esperimenti che il Maestro di Ombre ha messo in atto!” –Affermò Ioria. –“Ma certo non meno rischiosa che rimanere inermi ad affrontare un nemico che non sappiamo respingere!”

 

“Ma come andremo sull’Isola? Secondo Ermes, la cappa di ombre rende difficoltoso il teletrasporto!” –Incalzò Pegasus.

 

“Per questo, se volete, posso darvi una mano io!” –Esclamò una voce cristallina, attirando l’attenzione dei Cavalieri di Atena.

 

Un uomo alto e bello, con mossi capelli argentati, discese dal cielo, ripiegando le colorate ali della sua Veste Divina, e sorrise a Pegasus e ai suoi compagni, felice di vederli sani e salvi. 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 33
*** Dietro veli di inganni ***


CAPITOLO TRENTUNESIMO: DIETRO VELI DI INGANNI

CAPITOLO TRENTUNESIMO: DIETRO VELI DI INGANNI.

 

Mur dell’Ariete capì subito che c’era qualcosa di strano nel ragazzo con cui stava combattendo. Non poteva essere lo stesso Coppiere degli Dei che pochi mesi prima aveva lottato al suo fianco, sulla cima dell’Olimpo, per proteggere il Sommo Zeus dalla furia di Tifone. No, il suo cosmo non è lo stesso! Mormorò Mur, osservando l’aura violacea di cui Ganimede era circondato, simile alla nebbiolina che aveva visto attorno al Grande Tempio negli ultimi giorni, la nebbia causata dalle rose di rabbia.

 

“Di simile matrice è infatti il mio potere!” –Esclamò Ganimede, intuendo i pensieri del Cavaliere. –“Mentre il cosmo di Menas traeva forza dalla rabbia degli uomini, io traggo giovamento dalla loro pazzia! Ah ah ah! Dall’ebbrezza mortale che stordisce, che ottenebra i sensi, trasportando in un paradiso di estasi pura!”

 

“Il tuo sguardo allucinato tradisce la follia delle tue parole, Coppiere degli Dei! Cosa ti è accaduto? Cosa ti ha spinto a volgere la mano contro il Dio a cui eri fedele?”

 

“Non ho fatto ciò di cui mi accusi! Mai ho levato la mano contro Zeus!” –Sogghignò. –“L’ho soltanto aiutato a scendere i primi gradini verso il Tartaro! Ah ah ah!”

 

“Questa confessione di omicidio non ti fa onore, Cavaliere Celeste! Ma quanto meno mi toglie ogni dubbio che ancora mi frenava nel combatterti! Per quanto mi dispiaccia, non posso esimermi da questa sfida!”

 

“Perché ancora mi indichi con un grado che non mi appartiene, Cavaliere di Ariete?!” –Esclamò Ganimede beffardo, espandendo il cosmo che iniziò a fluttuare attorno a sé come un fiume dalle acque violacee, simile a ribollente mosto. –“Non hai dunque ancora compreso chi hai di fronte?” –E sogghignando sollevò le braccia sopra la testa, giungendole in una posa che a Mur ricordò il colpo sacro del Cavaliere di Acquarius. Quindi le abbassò di scatto, scatenando l’impeto di quel torrente violaceo contro Mur, che fu svelto ad aprire le braccia di lato, creando un sottile muro di energia su cui quel mareggiare strano si infranse.

 

Ma Mur notò subito che per la prima volta il Muro di Cristallo non era capace di rimandare indietro l’attacco subito, la cui natura non era ancora riuscito a comprendere. Il ribollente mosto continuava a fluire verso di lui, fermato dalla diga energetica di Mur, accumulandosi contro la stessa ed esercitandovi pressione sempre maggiore, gorgogliando, fumando, come acqua a temperature altissime. Ganimede sorrise, rinnovando l’assalto di quel mosto incandescente e obbligando Mur a potenziare la propria difesa.

 

D’un tratto il Cavaliere di Ariete si accorse di un filo di fumo che saliva dal Muro di Cristallo, come se l’eterea barriera stesse ardendo, e con orrore la vide iniziare a sciogliersi, a liquefarsi davanti ai suoi occhi. Stupefatto da un simile fenomeno, ebbe comunque la prontezza di lasciar esplodere il suo cosmo, generando un’onda di energia cosmica che travolse l’ardente mosto, annientandolo, abbattendosi poi su Ganimede e scaraventandolo contro una parete retrostante.

 

Affaticato, Mur dovette poggiare un ginocchio a terra, rendendosi conto di aver dovuto usare buona parte delle sue energie, per fronteggiare una minaccia che, nella sua apparente semplicità, si era invece rivelata letale. Si rimise in piedi proprio mentre Ganimede scuoteva via la polvere dell’intonaco dalle sue vesti, dimostrando assoluta noncuranza verso la battaglia in atto.

 

“È ben potente il tuo cosmo, Ariete! Molto più vasto del timido barlume sprigionato da quel ragazzino isterico!” –Commentò, indicando Matthew, rannicchiato contro il muro, debole e ferito. –“Ma da un Cavaliere d’Oro di Atene non avrei potuto aspettarmi di meno! Forse qualcosa di più! Una follia che non fa parte di te, un’ebbrezza che possa travolgere il senso di pacatezza che ti è proprio e mostrarti un altro lato di te! Meno calmo e più dionisiaco!”

 

“Nonostante il mio placido aspetto, posso essere un distruttore, se è questo che desideri!” –Mormorò Mur, socchiudendo gli occhi e bloccando Ganimede in una morsa di cerchi di energia psichica. –“È di tuo gradimento questa prigionia? Mi auguro che lo sia, perché durerà fino a quando Zeus, mosso a compassione, non interverrà di persona per salvarti! Sempre che tu non sia morto prima!” –E iniziò a roteare il corpo di Ganimede su se stesso, a una velocità sempre maggiore, strappando un grido al Coppiere degli Dei.

 

Lo osservò vorticare per un momento prima di dargli le spalle e incamminarsi verso Matthew, per verificare le sue condizioni. Respirava a fatica, a causa delle infezioni prodotte dai filari di vite con cui Ganimede lo aveva stritolato, intrisi di un veleno che Mur in quel momento non aveva le medicine per curare. Poté soltanto sfiorargli le ferite con la mano, inondandole con il cosmo e donandogli un breve tepore.

 

“Grazie!” –Mormorò Matthew, cercando di rimettersi in piedi, preoccupato, così come Mur, per Atena e il Sommo Zeus.

 

Proprio in quel momento Ganimede strillò ancora e Mur si voltò verso di lui, ancora intento a vorticare su se stesso, accorgendosi che nuovamente la fitta nebbia violacea lo aveva circondato. E che le grida che aveva sentito finora non erano altro che le sguaiate risate a cui il Coppiere degli Dei si era abbandonato, divertito da quella che lui stesso definì una giostra. Niente di più.

 

Il suo cosmo esplose poco dopo, avvampando nel corridoio della Reggia di Zeus e spingendo indietro persino Mur e Matthew, mentre la nebbia violacea penetrava i cerchi di energia psichica, distruggendoli dall’interno e liberando infine il ragazzo.

 

“Un bel gioco, Cavaliere di Ariete! Davvero!” –Rise, scuotendo la testa e cercando di mantenere una postura eretta. –“Ma come tutti i bei giochi, deve durare poco!” –Sogghignò, bruciando il cosmo e sollevando una nube di energia rossastra.

 

Mur sollevò le difese, credendo che il ragazzo volesse scagliargli contro un nuovo assalto, ma Ganimede lo sorprese ancora, chiudendo le braccia al petto, mentre l’intera cortina energetica penetrava dentro di lui, che parve inebriarsene, tra risatine confuse e mormorii di piacere. D’un tratto riaprì le braccia di lato e Mur osservò la sagoma di Ganimede schizzar via da un corpo che ancora rimase in piedi davanti a lui. Il Coppiere degli Dei crollò a terra poco distante, mentre Mur stupefatto portava lo sguardo sull’uomo dal cosmo violaceo, rivestito da una corazza scura sul cui pettorale erano incisi filari di viti intrecciati.

 

Ampelo! Ma puoi chiamarmi il Vendemmiatore, se più ti aggrada! Il Cavaliere Nero che si nutre dei fumi dell’ebbrezza!” –Esclamò.

 

“Eri dunque tu a guidare le azioni del Coppiere degli Dei?! Avrei dovuto capire che il suo animo non poteva essere cambiato al punto da rivoltarsi contro Zeus!” –Affermò Mur, mentre Ampelo avanzava verso di lui.

 

“Come già ti ho detto, Ariete, io non ho levato mano alcuna sul Dio del Fulmine! Ganimede è stato! Lui ha avvelenato l’ambrosia di Zeus, Era e Ermes! Io ho soltanto… favorito gli eventi! Ih ih ih!” –Rise sguaiatamente, prima di sollevare il braccio verso Mur e dirigergli contro un nuovo assalto. –“Correnti di follia!” –Gridò, liberando il mosto incandescente, che si abbatté sul ricostruito Muro di Cristallo. Ma presto, com’era accaduto prima, la difesa di Mur iniziò a liquefarsi e schizzi di liquido bollente raggiunsero il Cavaliere, protetto dall’Armatura d’Oro.

 

“Attento!!!” –Gridò Matthew, osservando il Muro di Cristallo sciogliersi come neve al sole e le correnti di mosto sommergere Mur con foga. Ma quando la corrente scemò d’intensità Ampelo si accorse che Ariete era scomparso, salvatosi probabilmente con il teletrasporto. Sornione, fendette l’aria attorno con i propri sensi, prima di sollevare il braccio destro, attorno al quale strati di nebbia violacea vorticavano incessantemente, e scagliare tale cortina alla caccia del suo avversario.

 

“Non puoi sfuggire, Ariete!” –Esclamò Ampelo. –“È nei miei poteri percepire la follia degli uomini! E poiché questa reggia è satura dell’ebbrezza mortale che in questi giorni vi ho portato, basterà sentire dove regna la quiete, la pacata armonia del tuo animo! E là i miei vapori ti troveranno!” –Poco dopo infatti la cortina violacea si concentrò in un lato del salone, iniziando ad assumere la forma del Cavaliere di Ariete, al cui corpo aveva infatti aderito.

 

“Incredibile!” –Esclamò Mur, rendendosi visibile, sorpreso da tale abilità. –“Come ha potuto questa tua nebbiolina?”

 

“Non è nebbia ciò che ti avvolge, indebolendo i tuoi sensi e precipitandoti verso gli abissi della follia! Ma i vapori del mosto, il ribollir dei tini, che è punto di forza del Vendemmiatore Oscuro!” –Spiegò Ampelo, dirigendo verso Mur le sue Correnti di Follia. Ma il Cavaliere di Atena scomparve nuovamente alla sua vista, riapparendo vicino al corpo di Ganimede e caricandolo sulle sue spalle, prima che il mosto ardente lo raggiungesse, facendo un cenno a Matthew ed uscendo con lui nel giardino, sfruttando proprio l’apertura nella vetrata creata da Ampelo in precedenza.

 

“Mettiti in salvo! E porta Ganimede con te!” –Disse Mur, indicando a Matthew delle costruzioni poco distanti. Il ragazzo esitò per un attimo, desiderando combattere al suo fianco, ma poi annuì, prendendo il Coppiere degli Dei sulle spalle e correndo via.

 

“Fuggire non li salverà! Mi occuperò di loro prima ancora di aver terminato con te!” –Commentò Ampelo, uscendo nel giardino. E schioccò le dita, facendo tremare il terreno sotto di loro.

 

Immediatamente lunghi fusti verdi sorsero dal suolo, immensi filari di viti che si avvolsero attorno al corpo del Cavaliere di Ariete. Altri ne sorsero poco distante, fermando l’avanzata di Matthew e attorcigliandosi alle sue gambe, buttandolo a terra e facendo ruzzolare anche Ganimede sul prato. Ampelo rise divertito, nel vedere Matthew dimenarsi come un selvaggio all’interno della foresta cresciuta in fretta attorno a lui, ma quando volse di nuovo lo sguardo su Mur, ringhiò insoddisfatto, vedendo il Cavaliere di Ariete crivellare i suoi pampini con una fitta pioggia di stelle.

 

Per il Sacro Ariete! Rivoluzione stellare!!!” –Gridò Mur, distruggendo i filari di viti di Ampelo e dirigendo poi l’assalto verso di lui.

 

Ampelo cercò di evitare la fitta pioggia, ma ben presto si accorse che, nonostante lo stordimento provocatogli dagli odori inalati, la velocità di Mur superava la sua, e venne raggiunto in più parti e scaraventato indietro, con crepe vistose sulla corazza.

 

“Ecco il tuo lato distruttivo!” –Commentò rialzandosi. –“Non è inebriante?” –Rise, cercando di nascondere il timore che si stava impadronendo di lui. Il timore di non essere all’altezza di affrontare un Cavaliere d’Oro.

 

I suoi poteri erano prevalentemente mentali e potevano avere ragione di soggetti deboli, come Ganimede gli era apparso poco prima, in balia al dolore per la perdita dell’amico Giasone. Inganni, espedienti, trucchi da prestigiatore, come Menas amava definirli, schernendo spesso il fratello. Se ne era servito per ingannare alcune ancelle e versare continuamente un oscuro veleno, che Flegias gli aveva fornito, nelle coppe destinate a Zeus e alla Regina. Lamia aveva completato l’opera, avvolgendo il Dio in una silenziosa sinfonia di favole, per privarlo dei ricordi e della sua linfa vitale. Ma l’arrivo di Atena e di un Cavaliere d’Oro sull’Olimpo aveva stravolto ogni piano, proprio quando Ampelo era convinto di avere la vittoria a portata di mano.

 

“Così vicina!” –Ringhiò, mentre sul suo volto appariva per la prima volta una smorfia di disappunto, come se tutta l’ebbrezza dello scontro fosse stata cancellata dalle ferite che Mur gli aveva aperto su un fianco. Raccolse il cosmo e evocò di nuovo le correnti di mosto incandescente, ma quella volta non riuscì nemmeno a dirigerle contro Mur che vennero inglobate da una sfera di luce, all’interno della quale esplosero poco dopo, svanendo interamente.

 

“Niente resiste all’Onda di luce stellare! Neppure un colpo che ha avuto ragione del Muro di Cristallo!” –Affermò Mur, avanzando verso Ampelo. –“Devo ammetterlo, poche volte la mia difesa si è dimostrata fallace, riuscendo a respingere persino più terrificanti odori, come i gas tossici di Niobe di Deep e la rosa di rabbia i cui semi avete sparso al Grande Tempio!”

 

“Hai resistito alle rose di Menas?! Impresa non da poco! Conoscevo bene le insidiose armi di mio fratello! E questo mi porta allora ad usare la mia tecnica più potente! L’unica con cui potrei sconfiggere qualcuno in grado di contrastare l’eccitante ebbrezza del Vendemmiatore!” –Esclamò Ampelo, bruciando al massimo il cosmo e sollevando una mano al cielo, sul cui palmo apparve un cristallo di luce, dall’acceso color giallo. –“Nel Mondo Antico la stella Vindemiatrix indicava ai coltivatori il tempo ideale della vendemmia! A te, Ariete, indicherà il tempo per morire!”

 

Non aggiunse altro e la scagliò con forza contro Mur, che fu svelto ad aprire le braccia e creare il Muro di Cristallo, contro cui la stella si schiantò, esplodendo sul colpo e distruggendolo, spingendo il Cavaliere indietro di parecchi metri, facendogli scavare solchi nel terreno con i piedi. Ampelo non gli diede tempo di rifiatare, scagliandogli contro una nuova stella, dalla devastante potenza, che Mur evitò con il teletrasporto, portandosi di lato al Vendemmiatore Oscuro, mentre la stella esplodeva distruggendo parte del giardino.

 

Vindemiatrix!!!” –Gridò Ampelo, voltandosi e evocando un nuovo cristallo di luce. Ma Mur, mentre Vindemiatrix sfrecciava verso di lui, liberò una ragnatela luminosa, avvolgendo la stella al suo interno e, tenendo i fili con una mano, la fece roteare sopra di lui, stupendo lo stesso Ampelo, prima di rispedirgliela contro.

 

Il Vendemmiatore Oscuro non fece in tempo a muoversi, venendo raggiunto in pieno petto dalla stella, che esplose al contatto con la sua corazza, scaraventandolo indietro di parecchi metri, fino a farlo schiantare contro il muro esterno della Reggia di Zeus. Quando riuscì a rimettersi in piedi, scansando i detriti crollati su di lui, vide un buco sul suo costato, da cui fiotti di sangue uscivano abbondanti. Ma, nonostante avesse sempre provato un folle piacere nel godere delle disperazioni altrui, in quel momento sentì solo una fitta di dolore piegarlo in due, facendolo crollare al suolo. Sollevò lo sguardo in tempo per vedere un globo di luce, scagliato da Mur, investirlo in pieno e assorbirlo al suo interno.

 

Onda di luce stellare!” –Disse Mur, mentre la sfera lucente esplodeva, disintegrando il Cavaliere Nero. –“Questa è l’esecuzione della stella della vendemmia!” –Quindi si voltò verso Matthew, mentre quel che restava della nebbia violacea si disperdeva nel cielo dell’Olimpo. Soltanto un’ultima frase lo raggiunse, l’ultimo lascito di Ampelo.

 

“Nemmeno la tua sempiterna calma potrà fermare la grande ombra! Morirete tutti, e di questo infine ne godo! Il tramonto degli eroi è appena iniziato!”

 

Mur sentì un brivido lungo la schiena, al timore che quelle parole fossero vere, ma cercò di non perdere la sua compostezza e corse verso Matthew, ancora avvolto nel suo cosmo bianco, grazie al quale aveva distrutto i pampini aggroviglianti di Ampelo.

 

Quella seppur debole traccia cosmica non sfuggì al Comandante della Legione Nascosta, che camminava per i corridoi della Reggia di Zeus, sorreggendo il corpo stanco del Luogotenente dell’Olimpo.

 

“Quest’energia… mi è familiare…” –Commentò Ascanio, affrettando il passo verso le Stanze di Zeus.

 

Phantom, stretto tra le sue braccia, non aveva aggiunto altro da quando avevano lasciato il Tempio di Asclepio, rattristato per la morte di Teria. Una fine che aveva temuto fin dall’inizio e che aveva infine realizzato di non poter evitare. Improvvisamente Ascanio percepì una presenza avvicinarsi, scivolando silenziosa lungo i corridoi di marmo dell’Olimpica Reggia, e poco dopo l’elegante figura di Demetra, Dea delle Coltivazioni, apparve di fronte a loro, sorridendo stanca.

 

“Dea delle Messi!” –Mormorò il Luogotenente dell’Olimpo.

 

“Ho appena medicato le ferite del Messaggero degli Dei! Mi chiedevo se forse potevo essere utile anche a te!” –Esclamò Demetra, che gli era molto affezionata.

 

“Sarò onorato di accettare le vostre cure, ma credo che adesso salvare il Sommo Zeus sia l’indispensabile!”

 

“Nobile cuore come sempre!” –Sorrise Demetra, incamminandosi a fianco dei due verso le Stanze di Zeus.

 

Quando vi arrivarono, trovarono le porte aperte e una fanciulla dai lunghi capelli viola che reggeva la mano del Signore dell’Olimpo, disteso sul letto, con il corpo stanco di Era al suo fianco, entrambi vittime dell’oscura ebbrezza mortale.

 

“Atena!!!” –Esclamò Demetra, entrando nella sala, seguita da Ascanio e Phantom.

 

“Demetra!” –Si voltò Atena, sorridendo ai tre ma continuando a mantenere la concentrazione sul suo cosmo, con cui aveva avvolto Zeus nel tentativo di curare le sue ferite. Mur e Matthew arrivarono poco dopo, scambiando qualche battuta con Ascanio e Phantom sul combattimento appena affrontato.

 

“Il Coppiere degli Dei riposa in una stanza poco distante!” –Spiegò Mur. –“E, a meno che non vi siano altri demoni nascosti, credo fosse l’ultimo invasore dell’Olimpo!”

 

“Era l’ultimo, sì!” –Confermò Ascanio, che aveva letto nell’animo di Lamia. –“Due soltanto erano i figli dell’ombra che Flegias ha rivolto contro di noi, i più abili a passare inosservati, mescolandosi ai vapori d’ebbrezza del Monte Sacro e alle ancelle che ogni giorno si prendevano cura di Zeus! In questo modo Ampelo ha avvelenato il Dio del Fulmine e Lamia ha completato l’opera, estendendo la loro mano di morte sulla Regina dell’Olimpo!”

 

“Non riesco a credere che mia sorella sia stata capace di tanto!” –Commentò Phantom, ma Ascanio gli mise una mano su una spalla.

 

“Non tua sorella ha ucciso il Signore degli Dei, ma l’ombra che si è cibata del suo cuore ferito!” –Gli disse, prima che Mur si avvicinasse loro.

 

“Tra i ricordi di Lamia non vi è niente che ci sia d’aiuto per salvare il Sommo Zeus?”

 

“Purtroppo no, Cavaliere! Pare che Flegias progetti così bene i suoi piani da non dare le chiavi delle soluzioni neppure ai suoi servitori!” –Disse Ascanio. –“Ma, se la storia non mi inganna, credo che ad un male ci si possa opporre soltanto con un bene!”

 

“Cosa vuoi dire?” –Chiese Phantom.

 

“Che per aiutare Zeus è necessaria un’energia altrettanto forte da sopraffare l’ombra che lo ha invaso!” –Rispose Atena, ancora intenta ad avvolgere il Dio con il cosmo. –“Non sono forse la più adatta, tra le Divinità, troppo giovane e distante dai fasti olimpici, ma cedo con gioia il mio Ichor nella speranza che possa guarire mio Padre!”

 

“Altrettanto farò io!” –Aggiunse Demetra, inginocchiandosi accanto ad Atena, davanti al letto di Zeus e tagliandosi il polso destro con un secco colpo di mano.

 

“Ed io mi unirò a voi, Dea della Guerra Giusta e Dea delle Messi!” –Esclamò la voce stanca, ma sempre pronta a portare aiuto, di Ermes, comparendo sulla porta e trascinandosi verso di loro. Si chinò di fronte a Zeus, dall’altro lato del letto, e sorrise ad Atena, prima che entrambi imitassero Demetra, bagnando con il loro Ichor il corpo pallido e silente del Signore dell’Olimpo.

 

Per qualche minuto le tre Divinità mantennero un elevato grado di concentrazione sul cosmo, guardate a debita distanza da Mur, Matthew, Phantom e Ascanio, che attendevano trepidanti un segnale da parte del Dio. Ma dopo molte gocce, anziché osservare l’adamantino cosmo di Zeus splendere di nuovo, assistettero sgomenti a una violenta fiammata che esplose sopra il corpo inerme del Signore del Fulmine, nutrendosi del sangue stesso che Atena, Demetra e Ermes avevano offerto.

 

La vampa di fuoco spinse indietro le tre Divinità, allungandosi sinuosa verso il soffitto, avvolta da un turbinare di ombre, e presto assunse forma diabolica, il volto di un demone che tanto male aveva portato sulla Terra negli ultimi mesi.

 

“Flegias!!!” –Gridò Ermes, riconoscendo il sogghignare bastardo del figlio di Ares.

 

“Non eccitarti troppo, Messaggero degli Dei! Mi tratterrò ben poco! Sono venuto soltanto a porgervi l’ultimo saluto! Che non si dica che il Maestro di Ombre, araldo dell’oscurità, non riconosca i meriti di coloro che lo hanno aiutato!”

 

“Noi non ti abbiamo mai aiutato, Flegias! Non direttamente almeno!” –Esclamò Ermes, ricordando l’inganno della guerra contro Atene voluta da Crono.

 

“Tu credi, galoppino degli Dei? Misera fede è allora la tua da non saper discernere ciò che è utile da ciò che non lo è!” –Sogghignò Flegias, mentre le vampe di fuoco ricoprivano il corpo di Zeus, assaporando l’energia vitale dell’Ichor. –“Immaginavo che avreste tentato questa strada per guarire Zeus! L’unica agibile del resto! Ma sospetto che voi non credevate che fosse proprio ciò che volevo? Che fosse proprio ciò che mi serviva per espandere ulteriormente il mio cosmo in vista dell’ultima guerra! L’avvento dell’ombra è ormai realtà!”

 

“Era questo il tuo piano? A questo Lamia e Ampelo sono serviti? Per ottenere il sangue delle ultime Divinità?” –Esclamò Ascanio.

 

“Perché sprecare la propria energia quando si può usare quella degli altri? E dire che avreste dovuto imparare a conoscermi, in tutto questo tempo che abbiamo trascorso insieme! Ah ah!” –Ironizzò il Maestro di Ombre. –“Sapevo che avreste sconfitto quella psicotica di Lamia e quel patetico surrogato di Cavaliere! Ma vi hanno stancato a sufficienza per permettermi di vincervi adesso! E di estirpare per sempre la casata degli Olimpi!”

 

“Bastardo!!! Hai usato anche mia sorella per la tua sete di potere!” –Ringhiò Phantom, espandendo il cosmo e generando un mulinello di energia acquatica.

 

“Di cosa ti lamenti, figlio di un pastore?! Ti ho dato la possibilità di incontrarla di nuovo, prima di ritrovarvi in Ade!” –Lo derise Flegias, mentre Phantom scagliava il Gorgo dell’Eridano contro di lui.

 

L’attacco venne inglobato dalle vampe di fuoco e ombra che torreggiavano su Zeus, all’interno delle quali esplose, senza provocare loro danno alcuno, semplicemente eccitando l’indemoniato spirito del Flagello di Uomini e Dei, che allungò le proprie lingue fiammeggianti fino a infilzare Phantom, trapassando il suo corpo e prostrandolo a terra, in un lago di sangue.

 

“Phantom!!!” –Gridò Ascanio, concentrando il cosmo sul braccio destro. –“Prendi, maledetto! Attacco del Drago di Sangue!!!” –E liberò uno scintillante dragone di luce rossa, subito seguito dalla pioggia di stelle di Mur. –“Per il Sacro Ariete!!!” –Ma nuovamente Flegias non si fece intimorire e la sua sagoma si scompose in tante fiamme che evitarono la moltitudine di stelle cadenti e si cibarono dell’energia del Cavaliere Celeste, prima di travolgere entrambi con un vortice di fuoco nero.

 

“Muori, Flegias!!!” –Gridò Ermes, puntando il Caduceo e liberando rapidi e precisi fasci energetici.

 

“È inutile Ermes! Puoi colpirmi quanto vuoi, ma non mi ferirai, poiché non sono fisicamente sull’Olimpo! Guarda quanto è diventata pallida la luce del Monte Sacro, neppure riesce più ad impedire che estranee presenze si materializzino sul cadavere del suo Signore, sfruttando il veleno che diedi a Lamia! Veleno che conteneva polvere della Pietra Nera! Veleno… letale! Ah ah ah!”

 

Atena e Demetra affiancarono prontamente Ermes, unendo i loro cosmi divini e dirigendo un violento assalto contro le vampe di fuoco, che subito si scomposero in una miriade, invadendo l’intera stanza e avvolgendo i corpi stanchi degli Dei.

 

“O ciechi, il tanto affaticar che giova? Tutti torniamo alla grande madre antica!” –Rise Flegias, citando Petrarca, uno dei testi trovati ad Alessandria, con cui si era trastullato nelle notti in cui aveva elaborato il suo piano. Nelle lunghe notti d’attesa.

 

“Alla… grande madre?!” –Balbettò Atena, stritolata dalle fiamme del demonio.

 

Ascanio si lanciò verso il figlio di Ares, avvolto nel brillante cosmo del drago bianco, ma venne atterrato da un vortice di fiamme e ombra. La stessa sorte che conobbero Atena, Ermes e Demetra, schiantandosi contro le pareti laterali delle Stanze di Zeus. Flegias ricompose allora la propria sagoma, osservando la distruzione che aveva portato. Fu piuttosto sorpreso nel vedere però che qualcuno era ancora in piedi. Un ragazzo dagli sfilacciati capelli biondi, che lo fissava con sguardo carico di disprezzo.

 

“Cos’hai da guardare? Non riconosci la morte quando la incontri?” –Rise Flegias, allungando le vampe di fuoco fino a circondare il corpicino di Matthew.

 

“La conosco troppo bene! Perché ha il volto della donna che ho amato!” –Mormorò il ragazzo, ricordando Miha e l’amore che aveva saputo donargli. L’amore per la vita. –“Ed ho giurato a me stesso che l’avrei affrontata!!!” –Gridò, bruciando il proprio cosmo, che lo avvolse come un’aura di neve bianca, prima di lanciarsi contro le fiamme oscure e perdervisi dentro.

 

“Che l’avresti accolta a braccia aperte, vorrai dire! Ah ah!” –Rise Flegias, osservando il ragazzo barcamenarsi all’interno del vortice di fuoco, mentre tirava pugni in ogni direzione, e le vampe incandescenti gli scottavano la pelle, togliendogli il respiro.

 

Fu in quel momento, mentre Matthew bruciava il cosmo sempre di più, determinato ad onorare la promessa fatta a Miha morente, nella caverna dell’Isola delle Ombre, che gli tornarono in mente gli insegnamenti del Cavaliere di Gemini, un maestro che aveva definito il suo allievo come uno svogliato.

 

“Non è la forza né l’agilità che ti mancano!” –Gli aveva spesso ripetuto. –“Ma la motivazione! Se non ti è chiaro per cosa combatti, per cosa rischi la vita, non riuscirai a sviluppare un cosmo necessario per vincere!”

 

“Maestro! Adesso lo so!” –Mormorò Matthew, espandendo al massimo il cosmo, che da bianco lentamente parve colorarsi dei sette colori dell’arcobaleno, che scivolarono come un torrente di stelle attorno al suo corpo, allontanando le vampe di fuoco e attirando nuovamente l’attenzione del Comandante Ascanio.

 

“Ancora questa sensazione…” –Mormorò. –“Così simile ai cosmi di Reis e Marins!”

 

E in quel momento, avvolto da inquietanti lingue di fuoco e ombra, eccitate all’idea di cibarsi di lui, Matthew sollevò un braccio al cielo, con la naturalezza di un gesto che aveva fatto da sempre, liberando lo sfavillante arcobaleno di energia.

 

“Talismani!!!” –Gridò, senza sapere neppure perché. E si ritrovò sollevato da terra, avvolto dall’iride luminoso che aveva generato, mentre sopra di lui appariva una corazza dagli argentei bagliori, disposta in modo da formare una cintura.

 

“Ma quella è la Cintura dell’Arcobaleno! Il Talismano che Avalon ha a lungo cercato!” –Mormorò Ascanio, osservando stupefatto l’armatura scomporsi in tanti pezzi che andarono ad aderire al corpo stanco di Matthew, lenendo i suoi affanni e donandogli un risvegliato potere. –“Meraviglioso!” –E sorrise.

 

Lo stesso stupore invase Flegias, che ritrasse le lunghe fiamme nere, mentre Matthew portava entrambe le braccia avanti, cariche di bagliore cosmico.

 

Arcobaleno incandescente!!!” –Gridò, mentre un ponte di luce, di sette colori, sfrecciava verso il Maestro di Ombre, annientando l’oscurità delle vampe di fuoco. Quindi, d’istinto, il ragazzo sfiorò la cintura della sua armatura, ornata da sette pietre diverse, simili a vetri colorati, che sprigionarono un’intensa luce, rischiarando l’aria triste dell’Olimpo, prima di chiudersi a ventaglio su Flegias.

 

“Ora!!!” –Incalzò Ermes, puntando il Caduceo verso la demoniaca sagoma di fuoco. E subito i cosmi dei Cavalieri e delle altre Divinità si unirono al suo, generando un’onda di energia che investì il Maestro di Ombre, proprio mentre i lembi del ventaglio di luce si chiudevano su di lui. Vi fu una violenta esplosione, che scagliò tutti indietro di qualche metro, facendo tremare persino l’intera struttura della Reggia Olimpica, quindi tutto si placò. Le vampe di fuoco erano scomparse e il corpo di Zeus giaceva ancora sul letto, come se nulla lo avesse scalfito.

 

“Tornatene sulla tua Isola!” –Commentò Ermes. –“Non c’è posto per te su questa terra che hai tradito!”

 

Ascanio non gli prestò troppo ascolto, avvicinandosi a Matthew, che per l’enorme sforzo era crollato sulle ginocchia, confuso dalla sequela di azioni che si era ritrovato a compiere senza capire neppure perché. Il Comandante gli mise una mano su una spalla, invitandolo con un sorriso ad alzarsi, poiché da quel giorno avrebbe fatto parte dei Cavalieri delle Stelle.

 

“Questa effimera vittoria non ci ha riportato Zeus!” –Commentò Demetra, accorsa con Ermes e Atena al capezzale del Dio del Fulmine.

 

“Dobbiamo ritentare!” –Incalzò il Messaggero degli Dei. Anche se iniziava a nutrire seri dubbi che l’Ichor fosse sufficiente per salvare un Dio travolto dall’ombra. Lo stesso dubbio albergava anche nelle menti di Atena e Demetra, che accettarono comunque la proposta di Ermes, senza lasciarsi scappare un sospiro.

 

“Una vittoria non è mai effimera, ma un sasso che, appoggiato ad altri, permette di costruire la torre dall’alto della quale vedremo sconfitti i nostri nemici!” –Parlò improvvisamente una voce, risuonando per l’intera stanza. Per l’intera Reggia.

 

Atena, Demetra, Ermes, Mur, Matthew e Phantom si guardarono attorno, cercando di capire da dove provenisse quel cosmo ancestrale che aveva invaso l’Olimpo, quando notarono un uomo appoggiato tranquillamente alla parete occidentale. Lunghe vesti bianche, rifinite di simboli argentei, parevano danzare ad ogni movimento dell’uomo, il cui corpo perfetto scivolò nel silenzio delle Stanze di Zeus, di fronte agli occhi stupefatti, e a tratti ammaliati, dei presenti. Per un momento neppure Ermes lo riconobbe, nonostante fossero passati quindici anni scarsi dal loro ultimo incontro. Soltanto Ascanio, in segno di rispetto e sottomissione, si inginocchiò. Di fronte al suo maestro.

 

“Benvenuto sull’Olimpo, potente Avalon!” –Commentò Atena, riconoscendolo. E si inchinò davanti al Signore dell’Isola Sacra, che tanta sacralità emanava soltanto con lo sguardo, al punto che Mur, Matthew e Phantom ne furono quasi intimiditi.

 

Ermes e Demetra si scansarono prontamente, lasciando che il Signore dell’Isola Sacra si accostasse al letto di Zeus, fissando il vecchio compagno di battaglie con un’espressione indecifrabile.

 

“Persino da Avalon odo i tuoi lamenti, possente Zeus!” –Commentò infine, infilando una mano sotto le bianche vesti e tirando fuori un pugnale dalla lama argentea, uno di quelli che venivano donati alle sacerdotesse iniziate al culto della Dea Madre. –“Sono venuto per porre fine alle tue sofferenze!” –Aggiunse, sollevando la lama sopra Zeus.

 

 

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Capitolo 34
*** L'isola maledetta ***


CAPITOLO TRENTADUESIMO: L’ISOLA MALEDETTA.

 

Quando Jonathan sollevò il capo e vide Andrei uscire dall’oceano di fiamme che aveva scatenato contro le ombre non ne fu poi così sorpreso. Conosceva bene il suo Maestro, con cui aveva trascorso molto tempo ad addestrarsi sulle rive del lago Titicaca, e se c’era una cosa che aveva capito di lui era che detestava rimanere con le mani in mano, incapace di lasciar passare gli eventi senza fare niente per modificarli.

 

Andrei non aveva, né aveva mai avuto, la millenaria calma di Avalon e, per quanto stimasse il Signore dell’Isola Sacra, obbedendo ad ogni suo comandamento, non gli dispiaceva affatto essere diverso.

 

“Non ti invidio, sai?!” –Gli aveva detto un giorno. –“Trascorrere tutto il tempo tra le nebbie di quest’isola, ad osservare gli eventi dipanarsi nelle acque del Pozzo Sacro… credo che impazzirei qua dentro!”

 

“Sei un topo in gabbia!” –Gli aveva sorriso il Signore dell’Isola Sacra. –“Per questo i nostri destini sono diversi! Per consentirci di viverli al meglio!”

 

Andrei aveva annuito ed era scomparso, sfrecciando nel cielo come una cometa di fuoco e rientrando al Tempio di Isla del Sol. Non che quell’eremo lo facesse sentire più libero, ma la gentilezza degli abitanti e le molteplici località da visitare, e da studiare, gli permettevano di non trascorrere i giorni in ozio, addestrando lo spirito e il corpo e preparandosi ad accogliere il figlio che da quelle terre sarebbe nato. Avalon era infatti certo che là fosse custodito uno dei Talismani, il più potente. Il portale verso il mondo dei sogni. Un mondo che gli uomini spesso avevano dimenticato.

 

Anni dopo era nato Jonathan, da una sacerdotessa del Tempio di Inti, e per quanto i suoi capelli biondissimi contrastassero con i tratti somatici del suo popolo, Andrei non aveva avuto dubbi. Egli era un figlio delle stelle, destinato a custodire lo scettro capace di spalancare nuovi mondi. E portare la luce.

 

“Qualcosa di turba, giovane allievo?” –Domandò Andrei, mentre Jonathan e Reis si mettevano in piedi.

 

“Sono lieto di vedervi, Maestro! Ma sono anche preoccupato!” –Rispose il Cavaliere dei Sogni. –“Se persino voi, che siete uno dei Quattro, siete dovuto scendere sul campo di battaglia, ciò significa che la situazione è più grave del previsto!”

 

“Lascia gli allarmismi ad Avalon! Egli adora crogiolarsi nei perché del mondo!” –Ironizzò Andrei. Ma notando che la battuta non tolse la preoccupazione dal volto del ragazzo lo pregò di non stare in pena. –“Non sono intervenuto per dovere, bensì per piacere! Per porgerti aiuto, se me lo concedi, e arginare insieme a te la deriva di questa marea di tenebra!”

 

“Sarebbe un onore combattere al vostro fianco!” –Commentò Jonathan, accennando un sorriso ad Andrei, che si guardò intorno, tra le fiamme e le macerie di Piazza Konak. Un paesaggio simile a quello che aveva trovato ad Angkor quando vi aveva affrontato Flegias. A sua volta simile alla distruzione che il Maestro di Ombre aveva portato a Isla del Sol e a Cuzco.

 

Andrei strinse i pugni, reprimendo la rabbia che lo invadeva ogni volta in cui pensava al demone annidato nell’isola dell’Egeo. Ogni volta in cui si chiedeva perché gli Dei gli avessero concesso così tanto potere sulla vita, e sulla morte, degli uomini. E la risposta di Avalon da tempo non lo soddisfaceva più.

 

“Rientra tutto nell’equilibrio del mondo!” –Gli aveva detto più volte. –“E tu, come garante, dovresti ben saperlo!”

 

“Lo so! Ma non lo accetto!” –Aveva sempre risposto Andrei. E adesso ne era più che mai convinto.

 

“C’è un altro motivo per cui sono intervenuto in fretta! L’esercito delle ombre sta crescendo e mentre voi combattevate qua a Smirne la marea nera ha raggiunto i confini settentrionali della Grecia!” –Spiegò Andrei ai due Cavalieri delle Stelle, che ascoltarono con interesse e ansia crescente. –“La Tracia è stata invasa ed è là che stavo dirigendomi, quando mi è parso opportuno intervenire in vostro soccorso!”

 

“Dubitavate forse delle nostre qualità guerriere?” –Ironizzò Reis. –“O temevate che la presenza di una donna potesse distrarre il vostro allievo dalle sue mansioni?!”

 

“Bel caratterino!” –Commentò Andrei. –“Degna allieva di Avalon! Anche se per la verità ero venuto a chiedere a Jonathan di accompagnarmi! La presenza di uno dei Talismani potrebbe essere decisiva nel frenare la marea d’ombra!”

 

“E avete ben pensato di proporlo a lui! Questo continuo maschilismo mi indispone, Comandante Andrei! Non credete che sarebbe stato più gratificante se questo incarico fosse stato concesso a me?”

 

“È tuo se lo desideri, Reis di Lighthouse! Ma non lamentarti con Avalon se le fatiche che ti impongo sono troppo gravose per il tuo corpo di donna!” –Scherzò Andrei, mentre il Cavaliere di Luce già si allontanava, avvolgendosi nel suo cosmo dorato.

 

“Saprò sopportarle! Spero che altrettanto riuscirete a fare voi!” –Ironizzò, prima di tirare un’ultima occhiata al cielo nero sopra di loro, ove già cumuli di ombre si erano nuovamente radunate, e scomparire.

 

Jonathan sorrise, scambiando uno sguardo d’intesa con Andrei ed espandendo il suo cosmo lucente, pronto per combattere. Il suo ultimo pensiero, prima di lanciarsi verso le ombre, con lo Scettro d’Oro carico di sfolgorante energia, andò a Febo e Marins, chiedendosi se fossero riusciti a difendere Creta.

 

In quel momento il Cavaliere dei Mari Azzurri si trascinava a fatica sul versante occidentale della collina di Sitia, sorreggendo il corpo stanco di Febo che lo aveva protetto dalla furia assassina di Flegias. Aveva fermato con il cosmo l’emorragia al ventre dell’amico, come aveva fatto con il proprio polso, ricordando alcune tecniche insegnate loro ad Avalon. Ma era certo che le ferite della Spada Infuocata avrebbero meritato cure migliori, a causa dell’ombra di cui era intrisa.

 

Spostò lo sguardo verso il Mediterraneo, stentando a riconoscere il bel mare che tanto lo aveva attratto da piccolo, seconda passione della sua vita dopo il baseball. Era rimasto ben poco delle fresche distese d’acqua che aveva ammirato quindici anni prima, in occasione del suo primo viaggio sulle coste africane, interamente sovrastato da tossiche nubi nere, da cui sporadici gruppi di ombre precipitavano verso terra.

 

Fu proprio allora che Marins percepì un movimento dietro di lui e si voltò in tempo per vedere un’onda di energia nera in procinto di abbattersi su di loro. In fretta spinse Febo di lato, prima di bruciare il cosmo e contrapporre a quel maroso oscuro le spumeggianti acque dei mari azzurri.

 

“Arguto!” –Commentò una figura, apparendo tra le torbide acque. –“Degno di un re!”

 

Marins osservò il Cavaliere Nero avvolto nel suo cosmo blu notte avanzare verso di lui, perfettamente a suo agio in quella linfa oscura. Alto e magro, con un folto pizzetto grigio, come la barba di una capra, indossava una corazza che proteggeva poco più della metà del corpo e che, se non fosse stata nera, con qualche striatura blu, avrebbe potuto essere scambiata per un’Armatura di Bronzo dei Cavalieri di Atena.

 

“Perché mi guardi con così fosche pupille? Non riconosci Dario il grande, Cavaliere del Tigri e Re di Persia, tornato a vivere in questo scorcio di secolo per ottenere nuove celebrazioni, le stesse di cui godetti millenni or sono?” –Esclamò infine, fermandosi davanti a Marins.

 

“Per la verità…” –Ironizzò Marins, strusciandosi volgarmente il naso. –“Vedo solo un pagliaccio! Dove hai lasciato la tua corte?”

 

“Umpf, ti pentirai delle tue parole di scherno, mano monca! Terminerò l’opera che il mio Signore ha dovuto interrompere, per correre a rimediare ai pasticci del Licantropo! Mai fidarsi delle bestie!”

 

“Mi chiedo allora come faccia Flegias a fidarsi di te!” –Scherzò Marins, facendo infuriare Dario, che sollevò subito marosi di oscura energia acquatica, mescolandoli al fango della collina e dirigendoli contro di lui. –“Suscettibile l’amico!” –Ironizzò il Cavaliere dei Mari, muovendo il braccio sinistro sopra la testa e creando in fretta una barriera di coralli con cui protesse momentaneamente Febo e se stesso.

 

Ma l’attacco di Dario non si esaurì e nuove onde si abbatterono sulla protezione di Marins, danneggiandola e facendo filtrare acqua all’interno. Proprio quando il Cavaliere dei Mari si decise a contrattaccare, notò che la pressione dei marosi oscuri stava diminuendo, poiché Dario aveva infatti richiamato a sé tutta l’energia cosmica per generare un assalto più efficace.

 

Mille bighe di Persia! Travolgete gli scostumati Cavalieri che si son burlati della nostra regia maestà!” –Gridò il Cavaliere del Tigri, portando le braccia avanti e liberando migliaia di bighe di oscura energia acquatica, che galopparono verso Marins, travolgendo la sua difesa e scaraventandolo indietro assieme all’amico, fino a quel momento intontito.

 

“Ordunque, uomo mortale, non provi delizia nel rotolarti in quest’oceano di fango?” –Lo derise Dario, incamminandosi verso Marins, schiantatosi a terra poco distante. –“Come una scrofa ansimi divertito nell’ambiente che più ti è congeniale!”

 

“Congeniale non troppo…” –Bofonchiò Marins, con il volto e i capelli castani sporchi di letame, Si rimise in piedi e strinse con la mano sinistra il Tridente dei Mari Azzurri. –“Ma utile senza dubbio!” –Sogghignò, piantando l’arma nel terreno acquitrinoso e liberando una violenta scarica di energia, che percorse in fretta l’intera distanza tra lui e Dario, fulminando all’istante il Cavaliere Nero. –“Avresti dovuto spenderli meglio questi duemila anni, magari a studiare le leggi della fisica, che non a rimirare il tuo profilo ovino in un impallidito specchio!”

 

Dario crollò a terra, con numerose crepe sull’armatura e ustioni sul corpo, il respiro affannato e il cuore che sembrava scoppiargli in petto, tanto violenta e fulminante era stata la scarica energetica subita. Inspirando a fatica si rimise in piedi, con la rabbia dipinta sul volto e l’indomita volontà di vincere un essere che considerava inferiore. Ma Marins lo aveva anticipato, espandendo il proprio cosmo e generando cavalloni di celeste energia.

 

Maremoto dei Mari Azzurri!!!” –Gridò, scaricando tale immenso potenziale cosmico verso il Cavaliere Nero, che cercò di reagire sollevando l’impetuosa fiumana del Tigri, osservando i due attacchi di energia acquatica fronteggiarsi a mezza via, inondando il disastrato versante del colle di Sitia.

 

Per qualche istante i due poteri si equivalsero, stanchi entrambi per i colpi subiti, soprattutto Marins che aveva fronteggiato il Maestro di Ombre, ma alla fine i mari azzurri del Cavaliere delle Stelle iniziarono a sormontare la putrida fanghiglia del Tigri, obbligando Dario a modificare in corsa la composizione del suo attacco, ricreando migliaia di carri energetici che diresse in una folle corsa contro Marins.

 

“Scalpitate mille bighe di Persia!!!” –Gridò delirante, osservando con godimento sublime alcuni carri sfondare le acque azzurre del Cavaliere e ferirlo ai fianchi. Ma la maggioranza fu spazzata via dal rinnovato assalto di Marins, i cui cavalloni energetici travolsero Dario, scaraventandolo molti metri in alto, fino a schiantarlo al suolo tra i cocci della corazza insanguinata.

 

Senza dargli tregua, il Cavaliere dei Mari Azzurri balzò in aria, stringendo i denti per il dolore, e scagliò il Tridente contro di lui, piantandoglielo nell’alto petto e strappando via anche quell’ispida barba caprina per cui lo aveva tanto deriso. Quindi ricadde a terra, ruzzolando per qualche metro sul terreno smosso, ansimando per riprendersi dallo sforzo. Il dolore al braccio destro, che aveva cercato di reprimere per tutto quel tempo, stava riapparendo più intenso di prima e, quasi se ne fossero accorte, nere evanescenze stavano scendendo in picchiata su di lui, per cibarsi della sua linfa vitale.

 

A fatica Marins si rimise in piedi, determinato a non arrendersi, proprio come il suo primo mentore, Yogi Berra, gli aveva insegnato. Richiamò a sé il Tridente dei Mari Azzurri, ma prima ancora che riuscisse a muoverlo una bomba di fuoco esplose attorno a lui, allontanando le ombre, alcune delle quali vennero incenerite sul colpo. Marins si voltò verso il fondo della collina, dove Febo si era rimesso in piedi.

 

“Ti sei ripreso!” –Sorrise, mentre l’amico avanzava verso di lui, tenendosi una mano sulla ferita al ventre, che ancora gli doleva.

 

“Devo ringraziare te!” –Affermò Febo, bruciando il cosmo. Marins fece altrettanto e insieme diressero i loro attacchi energetici verso le ombre, rallentando la loro discesa. Ma molte altre ne apparvero, circondando i due ragazzi, che, stanchi e feriti, crollarono sulle ginocchia, avvolgendosi in una cupola di energia.

 

“Che fine poco regale per il figlio di un Dio!” –Ironizzò Marins. –“Altrettanto per una giovane promessa degli Yankees!” –Rise Febo, trovando un motivo per sorridere anche in quella tragica situazione. Un amico.

 

Improvvisamente, mentre le ombre si chiudevano su di loro, fagocitando la stessa cupola di energia, e i due Cavalieri imbracciavano i Talismani, pronti per liberare, forse per l’ultima volta, il loro potere, entrambi furono accecati, e disorientati, da un bagliore proveniente dalla sommità della collina di Sitia. Una luce gialla, calda e avvolgente, simile al sole che sorge. In un attimo un’onda di energia travolse le ombre che vorticavano loro attorno, annientandole all’istante, e proseguì la sua corsa fino a infrangersi contro la marea nera che sovrastava l’isola di Creta.

 

“Sono certo che ve la sareste cavata anche da soli…” –Esclamò una decisa voce adulta. –“Ma permettimi di aiutarti, figlio mio!”

 

Febo si voltò verso oriente, abituando gli occhi all’intensa luce che proveniva da un uomo rivestito da una splendida armatura. Una Veste Divina dagli accesi colori oro e arancio, formata da un gonnellino pieghevole, in grado di adattarsi ai movimenti bruschi di una battaglia, da un pettorale rifinito in oro, al centro del quale splendeva un cerchio con un punto in mezzo, il simbolo del Sole, da due coprispalla arcuati, dai bracciali intarsiati e dall’elmo, un copricapo regale con due corna di ariete, al centro delle quali era incastonato il Disco del Sole.

 

Alto e magnifico, privo di quella vecchiaia che vi aveva visto il giorno in cui aveva spalancato le porte del Tempio di Karnak, Amon Ra, il Dio del Sole egizio, sorrise al figlio che aveva avuto secoli addietro dalla Sacerdotessa di Apollo a Delfi.

 

“Pa… Padre?!” –Mormorò Febo, sorpreso da quell’apparizione, ma anche felice di rivederlo. Così felice che non esitò a gettar via tutte le formalità e a corrergli incontro, abbracciandolo tra le lacrime.

 

“Sono lieto anch’io di rivederti, Febo!” –Sorrise Amon Ra, carezzando i biondi capelli sporchi del figlio. –“Ne è passato di tempo!”

 

“Padre… io…” –Commentò Febo, sentendosi in colpa per averlo abbandonato, senza neppure dargli una spiegazione, inseguendo l’onda del proprio destino, pur incerto che fosse.

 

“Non hai niente di cui scusarti!” –Sentenziò Amon Ra, con voce gentile, prima di voltarsi verso Marins, rimasto in disparte per non disturbare la riunione familiare. –“Mi fa piacere rivederti, Cavaliere dei Mari Azzurri, per quanto non vi siano state molte occasioni di dialogo durante il nostro precedente incontro! Spero che, quando le tenebre del mondo ci concederanno un momento di pace, mi farai l’onore di farmi visita nel mio Santuario di Karnak, affinché possa offrirti l’accoglienza che merita un Cavaliere delle Stelle, nonché il più caro amico di Febo!”

 

“Ne sarei onorato, nobile Ra!” –Disse Marins. –“Perdonatemi se vi ho portato via vostro figlio… ma…”

 

“Credevo foste andati ad Avalon per diventare guerrieri, non per imparare tutte queste smancerie!” –Esclamò Amon Ra, prima di scoppiare a ridere, davanti agli occhi straniti di Febo e di Marins.

 

“Non sapevo tu fossi a conoscenza…” –Balbettò Febo, ma Amon Ra lo interruppe.

 

“Di Avalon? E a fianco di chi credi che abbia innalzato quel capolavoro di architettura che nel Mondo Antico raccolse tutto lo scibile umano?! Prima che mi abbandonassi ai rimpianti, sapevo essere un Dio saggio e prudente! Come Avalon è stato per tutti questi secoli, soprattutto negli ultimi anni! Non mancando di far sapere a un padre, in ansia per le sorti del figlio, che non aveva niente da temere!”

 

“Febo sta crescendo!” –Gli aveva detto il Signore dell’Isola Sacra durante il loro ultimo colloquio. –“Diventa più forte ogni giorno che passa, diventa padrone di sé! E quella nobiltà nei modi di fare, retaggio di una dinastia che non ha mai dimenticato, adesso è mutata in nobiltà di cuore! Puoi soltanto essere orgoglioso che sia tuo figlio!”

 

“E aveva ragione!” –Sorrise Amon Ra.

 

“La meticolosità di Avalon sorprende persino me! Quell’uomo prevede ogni cosa!” –Commentò Febo, a cui anche Marins diede subito ragione.

 

“È questo il suo ruolo! Come è nel ruolo di noi combattere a difesa delle nostre genti! Come l’Esercito del Sole ha lottato in Egitto, contro un manipolo di bestie e Cavalieri Neri che il Maestro di Ombre ha inviato per terminare l’opera iniziata quindici anni fa, per radere al suolo Karnak e Tebe!”

 

“L’Egitto è stato attaccato?! Non ne sapevamo niente!” –Sgranò gli occhi Febo.

 

“Ho chiesto io al Signore dell’Isola Sacra di tenervi all’oscuro!” –Confessò Ra. –“Poiché sapere la tua terra d’origine, la tua casa e coloro che hai cari in pericolo ti avrebbe distratto dalla tua missione, spingendoti a correre rischi avventati, per magari scendere in Africa a combattere! E ciò non doveva accadere!”

 

“Padre…” –Balbettò Febo confuso. –“Avrei soltanto fatto…”

 

“Ciò che andava fatto? No, non credo! Avresti fatto ciò che sentivi di fare! E non è per questo che ti sei allenato per tutto questo tempo! Avalon e i Talismani non vi hanno nominato Cavalieri delle Stelle affinché le speranze degli uomini di respingere la grande ombra naufragassero per i capricci di un bambino!” –Esclamò Amon Ra, mettendo le mani sulle spalle del figlio. –“Ci sono in gioco destini ben più grandi di quanto le nostre misere esistenze, di uomini e di Dei, possano meritare!”

 

“Che è successo in Egitto? Spiegami!” –Incalzò Febo, prima che una fitta al ventre lo facesse accasciare a terra, e Marins si chinasse prontamente su di lui.

 

“Impetuoso cuore il tuo, Febo! Prima pensi agli altri, poi a te stesso!” –Commentò una quarta voce, mentre la sagoma di un giovane uomo appariva alle spalle di Ra. –“Come quando scendesti in Amenti, lottando contro Anhar e Apopi, solo per salvare mio padre e me, e per vedere nuovamente il sorriso sul volto di Iside!”

 

Febo si rimise in piedi, sorretto da Marins, per incrociare lo sguardo acuto e penetrante del figlio di Osiride, Horus, il Dio Falco, grande amico e suo fratello adottivo. Dietro di lui, sulla cima del colle di Sitia, si andavano ammassando decine di soldati dai cosmi luminosi, che indossavano le uniformi verdi e dorate che Iside aveva preparato per loro. L’Esercito del Sole, che Amon Ra aveva radunato dopo aver sconfitto i servitori di Flegias in Egitto, quel che restava dei macabri esperimenti condotti da Seth e da Anhar anni addietro, nei sotterranei della Piramide Nera.

 

Il Dio del Sole si chinò sul figlio, sfiorando con la mano la ferita al ventre e lasciando che il suo cosmo fluisse dentro di lui, cicatrizzando il taglio e donandogli nuove energie. Altrettanto fece con Marins, prima di dargli una pacca sulla spalla e strizzargli un occhio.

 

“Finita la guerra, fai un salto a casa, ragazzo! Mi hanno detto che in America, di questi tempi, fanno progressi nel campo delle protesi!”

 

Febo lo osservò con un sorriso disteso. Non soltanto perché era felice di rivederlo, e di saperlo orgoglioso del suo operato, ma perché aveva visto sul suo volto lo stesso sguardo desideroso di conoscere, desideroso di scrutare il mondo, che lo aveva spinto millenni addietro a raggiungere Delfi. E a unirsi ad Hannah.

 

“Horus! Avvisa l’Esercito del Sole di tenersi pronti!” –Ordinò Amon Ra, disturbando le riflessioni di Febo. –“Le ombre non tarderanno ad attaccare, e dovremo essere in grado di fronteggiarle finché colui che le ha generate non venga sconfitto!”

 

Cavalieri di Atena! Il destino della Terra, e di tutte le forme di luce, è adesso nelle vostre mani! Rifletté il Dio, spostando lo sguardo verso nord-est, in direzione di una delle migliaia di isole che costellavano l’Egeo. La stessa su cui Pegasus e i suoi compagni si stavano dirigendo in quel momento.

 

Trasportati da Euro, ultimo figlio di Eos, Pegasus, Phoenix, Sirio e Cristal stavano volando nel cielo del tramonto, con le ali delle Armature Divine spiegate, sospinti dal vento che il Dio generava semplicemente soffiando. Volavano sopra le nuvole, sopra la cappa di tenebra che dall’Isola delle Ombre si era estesa sull’intero Egeo e parte del Mediterraneo Orientale, arrivando in Tracia a nord, nell’entroterra turco a est, a Creta a sud e fino alle pendici dell’Olimpo a ovest.

 

In silenzio, con i cosmi azzerati, speravano di prendere Flegias di sorpresa, attaccandolo al cuore prima che potesse riorganizzare un nuovo plotone di ombre con cui marciare sul Grande Tempio. Pegasus, le cui ali erano state danneggiate dallo scontro con Orochi, si teneva al braccio di Phoenix, mentre Cristal sorreggeva Sirio, come nella superdimensione tra Inferno ed Elisio.

 

“Per quanto possa sembrare ironico, vi dico: guardate!” –Parlò infine Euro, indicando un’enorme massa nera sotto di loro. –“La concentrazione di ombre è così fitta in questo punto che neppure i miei occhi riescono a penetrarla, e immagino che siamo infine giunti alla roccaforte di Flegias! Alla fonte d’origine di tutti i mali!”

 

“Molto bene! Scendiamo e diamogli addosso, senza dargli tempo di fiatare!” –Incalzò subito Pegasus, che desiderava ardentemente confrontarsi con lui.

 

“Non vi ho portato all’altare del sacrificio, Cavaliere di Pegasus! Ed anche se il tuo cuore è mosso da nobili ideali, ti invito ad essere prudente, poiché non sappiamo quali trucchi quel demone nasconda ancora nella terra in cui regna come signore incontrastato!” –Lo pregò Euro. E anche Dragone e gli altri annuirono.

 

“D’accordo, d’accordo! Ma scendiamo, vi prego! Non ne posso più di svolazzare come un cardellino!” –Brontolò Pegasus, mentre Phoenix lo teneva per un braccio.

 

“Non soffrirai mica di vertigini?!” –Ironizzò, facendo ridere gli altri compagni. Fu un breve momento, ma fu intenso. E fu l’ultimo per quella notte di guerra.

 

“Le nostre strade si separano di nuovo, Cavalieri di Atena! Mi preme raggiungere l’Olimpo quanto prima!” –Esclamò Euro. –“Per quanto detesti queste inutili guerre, l’urlo disperato di Zeus ha macerato la mia anima, spingendomi a rientrare sul Monte Sacro! Che la benedizione del Vento dell’Est scenda su tutti voi! E possa sostenervi nei momenti in cui l’ombra cercherà di prostrarvi a sé!”

 

“Ti ringraziamo, potente Euro, per la generosità che ancora hai dimostrato!” –Sorrise Sirio, parlando anche a nome degli altri.

 

“Di un atto generoso o di un suicidio di massa mi sono reso complice?!” –Ironizzò Euro, prima di sospirare e volare via, sbattendo le variopinte ali della Veste Divina e svanendo in lontananza.

 

I quattro amici discesero verso terra, scivolando all’interno di una corrente d’aria che il Vento dell’Est aveva creato per loro, ma non appena entrarono nelle nubi nere che sovrastavano l’Isola delle Ombre, vennero scossi da una violenta tempesta energetica, mentre i loro corpi venivano avvolti in un turbinare di fiamme e di tenebra. Confusi e disorientati da quell’improvviso assalto, a cui non riuscivano ad opporsi, i quattro compagni vennero separati, precipitando a terra in malo modo, mentre il demoniaco cosmo del Maestro di Ombre fiammeggiava attorno ai loro corpi, provocando agonia e sofferenza.

 

“Aaargh!!!” –Strinsero i denti i Cavalieri di Atena, schiantandosi in varie parti dell’Isola, ancora avvolti in turbini di fuoco e ombra. –“Maledetto!!!”

 

“È dunque questo il modo in cui vi presentate nella mia modesta magione?” –Parlò loro il Flagello di Uomini e Dei. –“Di soppiatto, come ladri dal tetto! Neanche foste ospiti di cui non aspettavo la visita! Ah ah ah!”

 

“Ci avevi… notato?!” –Ringhiò Phoenix, cercando di rimettersi in piedi, nonostante le vampe di fuoco e di tenebra non gli dessero un attimo di pace, spingendolo a terra e stridendo sull’Armatura Divina.

 

“È naturale!” –Esclamò Flegias, la cui voce risuonava sull’intera Isola delle Ombre. –“Credete forse che su questo sterile mondo, destinato a scomparire in brevi tempi, sopraffatto dall’antica ombra che lo generò, possa esistere qualcosa che i miei occhi di brace, gli occhi della creazione, non giungono a vedere?! Soltanto al di là delle nebbie di Avalon non posso spingermi! Né oltre la cortina di primavera che un tempo cingeva la vetta dell’Olimpo! Ma presto anche il primo problema sarà risolto, come è stato per il secondo!”

 

“Dannato!” –Gridò Pegasus, a cui Flegias rispose con una risata beffarda.

 

“Lo sono già da tempo, Pegasus! Più di quanto lo siate voi!” –Aggiunse, con tono per la prima volta serio. –“Dannato a vivere quest’esistenza continuamente ostacolata da un gruppetto di ragazzini!”

 

“Devi scusarci se ti abbiamo reso la vita difficile!” –Ironizzò Pegasus. –“Ma non è che tu abbia fatto diversamente con noi!”

 

“Scusarvi?! E perché mai?! Avete soltanto reso indimenticabili questi momenti vissuti assieme! Ah ah ah! Eccitanti, li definirei!” –Sghignazzò Flegias, prima che la sua voce venisse coperta da un’esplosione violenta e i Cavalieri potessero vedere il vulcano principale dell’Isola delle Ombre sbuffare fumo, lava e squarci di tenebra. –“Addio per sempre, Cavalieri di Atena! Che la notte vi accolga in un abbraccio mortale!” –E nel dir questo espanse il proprio cosmo oscuro e infuocato, che piombò sui quattro compagni, sbattendoli a terra, avvolgendoli in strati di fiamme e di ombre, desiderose di succhiar via la loro energia vitale, per poter finalmente essere. Per poter finalmente esistere.

 

Pegasus e Cristal cercarono di reagire, agitandosi confusamente, ma fulmini neri si schiantarono ai loro piedi, frantumando la terra e precipitandoli verso fosse ancestrali.

 

“Pegasuuus!!!” –Gridò Sirio, senza poterlo impedire, ancora intento a liberarsi dalle ostiche avversarie che lo avevano circondato, lasciandogli un minimo margine d’azione. –“E sia dunque!” –Mormorò, socchiudendo gli occhi e portando le braccia al petto, radunando tutto il cosmo che poté. Le ombre, vedendo quella stuzzicante luce verdolina, si avvinghiarono al corpo del Cavaliere, prima che un’avvampante fiamma le annientasse. –“Fuoco del Dragone!!!”

 

“Adesso cominciamo a ragionare!” –Disse, liberandosi da quella scomoda prigionia e iniziando a correre verso il luogo dove aveva sentito per l’ultima volta i cosmi di Pegasus e Cristal. Ma venne raggiunto dai fulmini neri scagliati da Flegias e precipitò in una conca interna, inseguito da un turbinar di fiamme e ombra, che si sfaldò al momento di schiantarsi nell’acqua, lasciandolo finalmente libero. Il Cavaliere, tossendo infastidito, sollevò lo sguardo e vide che si trovava in una piccola baia circondata da alte scogliere rocciose e sormontata da una cappa di tenebra. Si mosse per balzare fuori dall’acqua, quando sentì qualcosa afferrarlo per le gambe.

 

Una presa solida, ben più consistente dell’effimero vorticare del cosmo di Flegias. Una presa che lo trascinò sott’acqua, obbligandolo a trattenere il fiato. Faticò non poco per comprendere cosa stesse accadendo, cosa fosse quella massa nera che si era avvinghiata al suo corpo, stridendo con forza sulla corazza. Per un istante gli parve quasi di vedere la felina sagoma di un animale dagli artigli sguainati, mentre fasci di energia gli ferivano un braccio, spingendolo a reagire drasticamente, colpendo con un calcio violento il suo aggressore. Quindi cercò di tornare a galla, bisognoso di respirare, ma quando mise il viso fuori dall’acqua, ansimando a fatica, notò la sagoma nera spuntare proprio al suo fianco.

 

“Come la tigre d’acqua trascina le prede sul fondo, per cibarsi dei suoi trofei, altrettanto farò io, il Capitano dell’Ombra che percepisce il dolore delle acque!  Iemisch, la Tigre Nera!” –Esclamò questi.

 

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Capitolo 35
*** La Tigre nera ***


CAPITOLO TRENTATREESIMO: LA TIGRE NERA

CAPITOLO TRENTATREESIMO: LA TIGRE NERA.

 

“Iemisch?!” –Ansimò Sirio, muovendosi con difficoltà nella pozza d’acqua interna. –“Ricordo le storie di miti che il Vecchio Maestro era solito raccontarmi nelle notti d’estate ai Cinque Picchi! Era un animale leggendario, simile a un puma di grossa taglia, che si aggirava nei fiumi e nei laghi della Patagonia!”

 

“Mito corretto!” –Esclamò Iemisch, non molto distante da lui. –“E in queste mie braccia risiede la forza della Tigre d’Acqua, capace di trascinare sul fondo del fiume anche un robusto cavallo! E tu, mio buon amico, nonostante il morbido crine che ti copre la schiena, sembri piuttosto un pony! Ah ah ah!” –Rise infine il Capitano, scomparendo nelle scure acque della conca prima che Sirio potesse rispondergli.

 

“Maledizione!!!” –Mormorò Dragone, venendo nuovamente afferrato per le gambe e trascinato sott’acqua, mentre la possente sagoma della Tigre Nera sembrava stringerlo a sé, per soffocarlo e dilaniarlo con i suoi artigli.

 

Sirio cercò di opporre resistenza, per quanto goffi fossero i suoi movimenti, appesantito dall’Armatura Divina, mentre Iemisch, nonostante anch’egli indossasse una corazza, nera come la notte, sembrava non risentirne affatto. Anzi, parve a Sirio che proprio grazie all’armatura il Capitano dell’Ombra potesse scivolare meglio tra le acque, come il vellutato pelo della Tigre Nera la rendeva sfuggente e simile ad una grossa lontra.

 

Iniziando a sentire la mancanza di ossigeno, Sirio decise di reagire, liberandosi della morsa di Iemisch con un secco colpo di ginocchio. Ma incredibilmente la sua gamba sembrò scivolare sulla corazza scura, sgusciando via, di fronte al sorriso beffardo che si dipinse sul volto del Capitano dell’Ombra, che approfittò di quel momento per piegare indietro la testa di Sirio, per spezzargli il collo e portarlo a ingoiare acqua.

 

Dragone, per quanto spaventato, mantenne i nervi saldi e lasciò esplodere il cosmo, generando una bomba di energia che smosse le acque della conca interna, spingendo indietro anche il Capitano dell’Ombra. Quindi, esercitando un sempre maggior potere sull’ambiente circostante, Sirio creò una colonna d’acqua che lo sollevò all’esterno, permettendogli di respirare di nuovo. Ansimando, vide Iemisch spuntare a galla e decise di passare al contrattacco, riunendo le acque in un vortice di energia e dirigendole contro di lui, dall’alto della colonna. Il Capitano dell’Ombra fu svelto a scattar via, scivolando sull’acqua come se stesse correndo su un prato ed evitando l’assalto del Cavaliere, prima di contrattaccare balzando in alto e sfoderando gli artigli energetici di cui era padrone.

 

Fiera di sangue!” –Gridò, mentre migliaia e migliaia di unghioni di luce, provenienti da svariate direzioni, convergevano sul Cavaliere del Dragone, con precisione e potenza, falciando addirittura l’acqua della colonna su cui era sollevato.

 

Sirio cercò di difendersi con lo scudo, parando la maggior parte dei fendenti di energia, ma la posizione scomoda lo sbilanciò, facendolo cadere all’indietro. Precipitando verso la conca d’acqua, il Cavaliere notò che Iemisch era balzato nuovamente su di lui, afferrandolo per un piede e tirandolo con forza a sé, facendolo roteare confusamente, prima di scagliarlo contro una parete circostante.

 

Sirio fu svelto a recuperare una posizione corretta, atterrando a gambe unite contro la parete rocciosa e dandosi la spinta per poi balzare contro Iemisch, rimasto spiazzato dalla capacità di ripresa del ragazzo, e colpirlo con un destro in pieno petto, che lo fece precipitare dentro la conca, sollevando spruzzi d’acqua che inondarono le tenebre di quella baia.

 

Con un’agile capriola a mezz’aria, Sirio atterrò sul limitare roccioso che circondava la pozza, approfittando di quel momento per riprendere fiato, senza togliere mai lo sguardo dall’acqua scura, certo che Iemisch sarebbe ricomparso entro breve. Ma l’oscurità era tale da limitare la visuale a tre metri scarsi, così Sirio, prudentemente, socchiuse gli occhi, espandendo il cosmo e concentrando i sensi sull’ambiente circostante, come il Vecchio Maestro ben gli aveva insegnato anni addietro.

 

Immediatamente migliaia di fasci energetici, di colore argenteo, sfrecciarono verso Sirio, provenendo proprio dalla pozza d’acqua tetra. Da nessun punto in particolare, ma dall’intera superficie, senza che Dragone riuscisse a comprenderne l’origine.

 

Mosse in fretta lo scudo, per parare il maggior numero possibile di quegli aguzzi fendenti energetici, che sembravano mirare alle giunture tra i pezzi dell’Armatura Divina, quasi consapevoli di non aver altra possibilità per ferirlo. Attacchi continui e precisi, mossi da una meticolosità che poche volte Sirio aveva trovato in un nemico.

 

Cercò ancora di individuare la fonte di origine di quegli assalti, percependo soltanto un’unica grande presenza nascosta nelle torbide acque della baia. Una presenza che pareva fondersi con l’acqua stessa, tanto profondo era il legame che li univa. Così, Sirio pensò di aggirare il problema.

 

“Se Maometto non va alla montagna…” –Commentò, caricando il braccio destro del suo cosmo lucente. –“…sarà la montagna ad andare da Maometto!” –E lo sollevò con forza e velocità, generando un fendente di energia così potente da spaccare in due le acque della conca interna, sollevandole di colpo.

 

A causa dell’onda d’urto anche Iemisch venne sbalzato in alto, sballottando all’interno di quel turbinare inquieto, e spuntò nuovamente alla vista di Sirio, che non ebbe tempo neppure di gioire, obbligato a ripararsi di nuovo dietro lo scudo per proteggersi dal rinnovato assalto del Capitano dell’Ombra.

 

Fiera maestosa!” –Tuonò Iemisch, piombando sul Cavaliere di Atena, mentre tutto attorno a lui migliaia di sagome feline, con le zanne affilate, schizzavano su Dragone, che muoveva lo scudo con rapidità impressionante e destrezza. Non riuscì a respingerle tutte, venendo raggiunto sulle braccia e sulle gambe da qualche affondo energetico, ma fu abile comunque a non farsi travolgere.

 

Fece per abbassare lo scudo, notando che l’attacco era scemato di intensità, quando si accorse che il Capitano dell’Ombra era proprio davanti a lui, avvolto da una spirale di tenebre e acqua scura che lo rendevano difficile da individuare. Senza proferir parola Iemisch concentrò il cosmo sulla mano destra, dirigendo guizzanti scintille di energia verso Dragone, che sollevò di nuovo lo scudo per difendersi, caricandolo del suo cosmo verde lucente.

 

Lo scontro tra i due poteri spinse Sirio indietro di qualche metro, facendogli scavare solchi nel suolo con i piedi, senza comunque smuoverlo dalla sua posizione difensiva. Per quanto stridessero sulla corazza divina, scheggiandone lo splendore, gli artigli di Iemisch non ebbero ragione dello scudo del Dragone, trovando in esso insormontabile ostacolo. Sirio approfittò di quel momento per colpire il Capitano dell’Ombra dal basso, con un violento calcio a cui infuse la forza del suo colpo.

 

Drago Nascente!!!” –Gridò, colpendo Iemisch da distanza ravvicinata. Ma, per quanto scaraventato in alto, il Capitano dell’Ombra seppe comunque recuperare una posizione eretta, effettuando una capriola all’indietro proprio sopra la conca d’acqua e atterrando sull’altro lato della stessa, con il pettorale della corazza ancora fumante per il colpo ricevuto. Perse però l’elmo a muso di tigre, che schizzò via per l’urto, schiantandosi a pochi metri di distanza e rivelando il volto maschile dell’uomo.

 

“Ottima mossa, Cavaliere del Dragone! Ad Andromeda certo non sei inferiore, quanto a strategia e tecniche di combattimento!” –Commentò allora Iemisch, fissando Sirio con i suoi penetranti occhi grigi, simili a preziose pietre che riuscivano a splendere nella coltre di tenebra anche a distanza.

 

“Hai affrontato Andromeda sull’isola di Biliku?” –Domandò allora Sirio, a cui l’amico aveva brevemente fatto cenno degli eventi, senza sbilanciarsi in eccessive considerazioni, stanco e fiacco com’era stato fin da quando era tornato dall’Asia.

 

“E ad Angkor! Due volte ho combattuto con lui e in entrambe ho trovato godimento da quella caccia che l’amico tuo così tanto voleva evitare! Pur tuttavia, non potendo cambiare la realtà dei fatti, infine l’accettò! E ci scontrammo a lungo, sotto i gopura di Angkor Wat, finché il Cavaliere di Virgo non interruppe il mio improvvisato safari!” –Spiegò Iemisch, con orgoglio. –“Safari che continuerò adesso, affrontando te, che rispetto al tuo compagno sembri meno eloquente ma ben più combattivo!”

 

“Lotta vuoi, Iemisch?! E lotta avrai!” –Esclamò Sirio, espandendo il proprio cosmo, mentre la lucente sagoma di un dragone verde scivolava attorno a lui, prima di salire verso il tetro cielo dell’Egeo. –“Sirio non cederà! Per i suoi compagni e la Dea per cui ha scelto di lottare! Colpo segreto del Drago Nascente!” –Gridò, lanciandosi verso l’altro versante della conca d’acqua, con il braccio destro teso avanti a sé.

 

“Mi correggo!” –Commentò allora Iemisch, strusciandosi il naso con malizia. –“Ad Andromeda, in quanto a strategia, sei nettamente inferiore!”

 

In quell’esatto momento, mentre Sirio risplendeva sopra la conca d’acqua, proprio al centro della stessa, immense onde si sollevarono verso di lui, assumendo la forma di fameliche tigri nere, con le zanne affilate e gli artigli carichi di sfolgorante energia, che travolsero il drago di luce, azzannandolo e precipitandolo nuovamente nell’abisso oscuro, di fronte agli occhi divertiti, ma mai sazi di sfide, di Iemisch.

 

“La prima regola del guerriero perfetto è quella di sfruttare al meglio l’ambiente circostante, prendendo da esso tutto ciò che possa essergli utile per vincere!” –Commentò, prima di avvicinarsi al bordo della conca. –“Ed io ho infatti scelto questo luogo, ove a lungo mi sono allenato, per vincere voi Cavalieri e ottenere il trofeo che merito di conquistare!”

 

Tirò un’occhiata alla pozza d’acqua e vide che, al di sotto della superficie increspata, brillava una luce verde, che si stava facendo sempre più grande, sempre più intensa, fino a inglobare l’intera massa di tenebre e sollevarla verso l’alto, dandogli la forma di scintillanti dragoni di energia.

 

“Un trofeo vuoi?! Per vanagloriarti della tua forza e dei massacri a cui ti sei abbandonato?!” –Ringhiò Sirio, comparendo di fronte a Iemisch, spinto verso l’alto da colonne di energia acquatica. –“Non una testa di drago appenderai nella sala dei tuoi ricordi, Capitano! Al massimo una testa di tigre! La tua!” –E nel dir questo si abbatté contro Iemisch, avvolto nello scintillio del suo cosmo.

 

L’immenso dragone di luce si schiantò sul Capitano dell’Ombra, che per difendersi incrociò le braccia avanti a sé, contenendo in parte l’assalto, ma venendo comunque scaraventato indietro, fino a sbattere contro la parete rocciosa dietro di lui, crepando parte della sua corazza nera. Fu comunque abile, mentre precipitava verso terra, a capovolgersi e ad atterrare con il braccio destro, molleggiandolo in modo da balzare nuovamente in piedi.

 

“Ben poco conosci delle mie feline abitudini, Cavaliere del Drago!” –Commentò, senza scomporsi troppo, né per le ferite, né per i danni all’armatura. –“Altrimenti sapresti che una tigre mai si abbandona a massacri indiscriminati, ma fa sempre buon uso delle prede che ha catturato, nutrendosi di ogni loro parte, senza gettar via niente! Una tigre caccia per sopravvivere, non per divertimento!”

 

“E tu per cosa cacci, Iemisch?!” –Esclamò Sirio, sollevando le braccia per prevenire un eventuale attacco del Capitano dell’Ombra.

 

“Per il piacere di sopravvivere!” –Rispose Iemisch, abbandonandosi a un sorriso divertito, prima di accendere il suo cosmo argenteo e caricarlo sul braccio destro, per poi muoverlo ad altissima velocità, generando migliaia di fendenti energetici che si chiusero su Sirio, come le fauci di un gigantesco felino. –“Fiera di sangue!!!”

 

Sirio, aspettandosi tale mossa, roteò svelto lo scudo attorno a sé, cercando di proteggersi il più possibile da quella pioggia di spilli che pareva non avere mai fine. Nel contempo, concentrò il cosmo sul pugno destro, portando il braccio avanti e scagliando un Drago Nascente contro Iemisch. Ma l’attacco non raggiunse il Capitano dell’Ombra, che molto abilmente si era lanciato avanti, gettandosi in scivolata sul terreno, sfruttando la permeabilità della sua corazza, e portandosi proprio sotto Dragone, colpendolo alle gambe con un calcio secco.

 

Il ragazzo accusò il colpo, gridando dal dolore nel sentire le ossa della tibia destra spezzarsi sotto la potenza dell’attacco nemico. Con un secondo calcio dal basso, Iemisch scaraventò Sirio indietro, sbattendolo a terra poco distante, prima di rialzarsi e avventarsi contro di lui con gli artigli sguainati. Come le tigri schiacciano a terra le loro prede con la loro immensa muscolatura.

 

Ma Sirio, per quanto indebolito, ebbe la prontezza di sollevare il braccio destro, drizzando la mano in modo da formare una spada. Una spada di cosmo ardente. E su essa Iemisch si schiantò, avvedendosi all’ultimo del movimento del Cavaliere.

 

“Ouch!” –Mormorò, sputando sangue e accasciandosi sul braccio teso di Sirio, la cui lama gli aveva sfondato la corazza, penetrando nel basso ventre. Con una certa fatica Sirio riuscì a scaraventare via il corpo ferito del Capitano dell’Ombra, schiantandolo contro la parete rocciosa e precipitandolo poi a terra. Stringendo i denti per il dolore alla gamba, Sirio cercò di rimettersi in piedi, avvolto nel suo cosmo verde, proprio mentre Iemisch, non molto distante, faceva altrettanto.

 

“Mi rimangio le mie parole, Cavaliere del Drago! La tua prontezza e precisione nel colpire è stata geniale! Da leccarsi i baffi!” –Commentò il Capitano dell’Ombra, sforzandosi di mantenere una certa ironia nel tono di voce, per quanto lo squarcio aperto sul ventre gli dolesse e gli mozzasse il fiato.

 

“A un dono che mi fu fatto devo tale abilità!” –Affermò Sirio, ricordando il Cavaliere di Capricorn che, oltre a salvargli la vita donandogli la propria Armatura d’Oro, gli aveva anche passato un’eredità di immenso valore. –“La spada di Excalibur sono io!”

 

“La spada dei druidi di Avalon? Non mi sorprende allora che il Maestro di Ombre tema l’Isola Sacra, se persino voi Cavalieri di Atena possedete armi di tale potenza!” –Commentò Iemisch, con voce interessata. –“Ma una spada è arma utile da distanza ravvicinata! Da lontano invece può fare ben poco!” –Sorrise, espandendo il proprio cosmo argenteo, che illuminò l’intera vallata.

 

“Questo è tutto da dimostrarsi!” –Affermò Sirio, sollevando di colpo il braccio destro e generando un fendente di energia, che sfrecciò rapido verso Iemisch senza però raggiungerlo.

 

Il Capitano dell’Ombra era stato lesto a scattare di lato, prima di scagliare una pioggia di fasci energetici contro Sirio, che cercò di pararne alcuni con lo scudo e recidere gli altri con un nuovo fendente. Ma nuovamente Iemisch lo evitò, muovendosi alla stessa velocità degli attacchi di Sirio, anticipandone le direzioni e sfruttando l’onda d’urto della stessa Excalibur per darsi maggiore spinta.

 

“Non ho certo perso la mia velocità! Non basta una ferita per vincere la Tigre Nera! Fiera maestosa, dilania il suo cuore!” –Gridò, indirizzando un assalto composto da migliaia di sagome feline contro Sirio, che mosse lesto lo scudo per proteggersi, ma non poté evitare di essere raggiunto in più punti, sentendo quasi i morsi delle zanne nere strappargli via pezzi di pelle e di vita.

 

“Anche se Flegias non vuole crederci, sono sempre il migliore!” –Mormorò Iemisch, avventandosi su Sirio, con la mano destra ove sfolgoravano scintille di pura energia.

 

Dragone sollevò svelto lo scudo, parando con esso l’attacco del Capitano dell’Ombra, anche se venne spinto indietro di qualche metro, prima di muovere il braccio sinistro di scatto e afferrare il polso del suo rivale, ancora davanti a lui, stringendolo con forza. Iemisch sgranò gli occhi sorpreso, alla vista della presa di Sirio che gli schiantò la corazza nera, frantumandogli le ossa al di sotto, e cercò di contrattaccare portando avanti il braccio sinistro, carico di energia cosmica.

 

Ma Dragone fece altrettanto con il destro e i due pugni cozzarono l’uno contro l’altro, da distanza ravvicinata, generando una deflagrazione che scaraventò entrambi indietro. Ma non potendo allontanarsi l’uno dall’altro, stringendo ancora Sirio il polso destro di Iemisch, ne vennero travolti e danneggiati.

 

Il Capitano dell’Ombra, con anche il secondo bracciale distrutto, ansimò per la fatica, leggendo negli occhi di Sirio la stessa determinazione che c’era nei suoi. Così lo colpì lesto allo stomaco con una ginocchiata, piegandolo in avanti, liberandosi infine dalla presa al polso, mentre con un balzo saltava sopra di lui e gli stringeva la testa tra le gambe, deciso a soffocare la sua preda.

 

“Tecnica alquanto rozza, ma sempre efficace!” –Rise Iemisch, chiudendo sempre più le gambe sulla testa di Sirio e avvolgendosi nel suo cosmo, che elettrificò l’aria, concentrandosi sulla mano destra sotto forma di guizzanti fulmini. –“E adesso… muori!!!” –Esclamò, calandola su Sirio, per sbranargli il petto con i suoi artigli.

 

Ma il ragazzo, che aveva radunato abbastanza energia, lasciò esplodere il proprio cosmo, scaraventando Iemisch molti metri addietro, travolto da un dragone di pura luce. Quindi si voltò verso il Capitano dell’Ombra, caduto in malo modo sul terreno, a pochi passi dalla pozza d’acqua, tra i frammenti insanguinati dell’armatura.

 

“Pare che questa preda abbia zanne altrettanto affilate da non lasciarsi vincere!” –Disse, ancora avvolto nel suo cosmo verde. –“E cosa fa un cacciatore di fronte a una situazione simile?”

 

“Cosa fanno gli altri io non lo so! E neanche me ne importa! Ma per certo so ciò che farò io!” –Rispose fiero Iemisch, rialzandosi ancora. –“In questa danza di morte non vi è possibilità di abbandono! La Tigre Nera non rinuncia mai alla sua preda, neanche se per catturarla dovesse morire! Le cacce interrotte sono per i deboli! Quelle difficili, quelle stimolanti, che danno un senso al nostro essere, quelle sono per me!” –E nel dir questo lasciò esplodere il cosmo, scagliandosi contro Sirio, circondato da migliaia di migliaia di fiere energetiche con gli artigli digrignati, per l’ultima volta. –“Ooh, che notte magnifica! Che notte di caccia!!!”

 

“La tua determinazione ti fa onore, Tigre Nera! Ma talvolta, accade, l’onore non rende paghi!” –Mormorò Sirio, socchiudendo gli occhi e espandendo al massimo il proprio cosmo. –“Colpo dei Cento Draghi!!!” –E portò entrambe le braccia avanti, liberando le zanne dei dragoni di Cina, che trapassarono tutte le fiere sanguinarie di Iemisch, prima di abbattersi sul Capitano dell’Ombra e dilaniare il suo corpo.

 

La Tigre d’Acqua crollò a terra, in una pozza di sangue, con l’armatura distrutta e ferite aperte sul corpo. E tutti i suoi sogni di gloria crollarono accanto a lui, avvolti nello stesso fantasma di morte.

 

“Stimavo molto… il Cavaliere di Andromeda!” –Parlò infine, cercando di rimettersi in piedi, di fronte agli occhi stravolti di Sirio, esausto per lo scontro sostenuto. –“E altrettanta stima ho riservato a te, Drago di Cina! Peccato…” –Mormorò, con le ultime forze, sollevando lo sguardo verso il cielo nero che incombeva su entrambi. –“Fossi stato un uomo diverso, un uomo migliore, avremmo potuto combattere assieme! Cacciare… assieme! Anziché uno contro l’altro…”

 

“Iemisch…” –Commentò Sirio, facendo un passo avanti. Ma il dolore alla tibia lo costrinse ad accasciarsi a terra, strappandogli un gemito di dolore.

 

“Buona fortuna… Cavalieri… Possa la vostra caccia all’oscurità non avere mai termine!” –Aggiunse Iemisch, privo ormai di forze, lasciandosi cadere all’indietro.

 

Crollò nelle acque della baia, dove aveva trascorso mesi ad allenarsi, fin da quando Flegias lo aveva trovato anni addietro, ramingo lungo i fiumi della Patagonia. Là aveva imparato a nuotare e a pescare senza usare strumento alcuno che non fosse il corpo. In Grecia aveva invece capito come utilizzare le sue conoscenze, trasferendole su un piano puramente bellico, per diventare un soldato perfetto. E Flegias aveva di proposito fomentato le sue speranze di gloria, promettendogli un posto al sole nel futuro impero dell’ombra. Un posto per cui avrebbe dovuto competere con Orochi.

 

A tutto questo ripensò Iemisch mentre le tetre acque della conca si chiudevano su di lui, sprofondandolo verso quegli abissi dove la Tigre d’Acqua era solita condurre le sue prede. La scomparsa del cosmo del Capitano dell’Ombra fu avvertita anche da Flegias, seduto sul suo trono d’amianto, nella parte più protetta dell’Isola delle Ombre. Ma non lo toccò più di quel tanto. Semplicemente lo infastidì.

 

“Anche Iemisch è caduto!” –Commentò scocciato, osservando nel fuoco del braciere il corpo della Tigre Nera venire risucchiato dalle acque. –“Un altro incapace libera il mondo dalla sua presenza! Pare che, dei sette Capitani, non resti che tu, a compiacerti di servirmi! Per quanto più danni tu abbia provocato che altro!”

 

“Auuuh!!!” –Ululò il Licantropo, inginocchiato di fronte allo scranno del Maestro di Ombre. –“Non siate in collera mio Signore! L’Egitto ha opposto resistenza! Ma le donne guerriere che hanno invaso l’isola presto saranno sopraffatte! Le loro carni diverranno pasto prelibato per i miei compagni!”

 

“Voglio ben sperarlo! O sarò io a nutrirmi dei tuoi resti, uomo-lupo!” –Esclamò Flegias, prima di ordinare all’ultimo Capitano dell’Ombra di prendere posizione. –“Un cosmo ardente sta per raggiungere la punta settentrionale dell’isola! Intervieni! Ed eliminalo, se ne sei capace!”

 

“Nessun altro compito per me, Maestro di Ombre?!” –Intervenne allora una decisa voce maschile, tagliente come le affilate lame che portava con sé.

 

“Hai bisogno di ordini, Avel?! Credevo che fossi abituato a lavorare da solo!” –Ironizzò Flegias, ricordando il passato dell’uomo, il quale non ne parve affatto turbato. –“Se di stragi non sei ancora sazio e cerchi carne giovane da affettare, dirigiti sul versante meridionale dell’isola, ove alcuni cosmi si stanno avvicinando! E porta con te gli ultimi Cavalieri Neri!”

 

“Farò strage dei vostri nemici!” –Commentò Avel, inchinandosi e uscendo poi dalla caverna sotterranea.

 

“Sempre che non siano loro a far strage di voi! Stupidi!” –Sghignazzò Flegias, che nient’altro vedeva nei Cavalieri delle costellazioni dimenticate se non carne da macello, schiavi da utilizzare per i suoi scopi e niente più. Come Ares aveva considerato i berseker per anni, senza dare loro neppure un nome, chiamandoli come l’arma con cui combattevano.

 

Di scatto, si alzò dal trono d’amianto, scuotendo il lungo mantello scarlatto, e si incamminò verso le profondità dell’Isola delle Ombre, verso le fornaci ove gli schiavi rapiti al Grande Tempio avevano lavorato senza sosta giorno e notte per produrre le corazze dei Cavalieri Neri, agli ordini di Athanor. Flegias sogghignò, pensando che né dell’alchimista oscuro, né dei suoi involontari servitori, era rimasto niente.

 

Le fiamme del nero forno ardevano ancora, cibandosi dei corpi degli schiavi che Avel aveva massacrato poco prima, obbedendo agli ordini del Maestro di Ombre, che in fondo pensava di aver fatto un favore al Cavaliere delle Spade Incrociate, ben sapendo quanto amasse uccidere per il piacere di farlo. Strusciandosi le mani soddisfatto, Flegias passò in mezzo ai corpi mutilati ammassati a terra, sguazzando nel sangue ancora fresco, il cui odore lo inebriò, strappandogli una sghignazzata, prima di avvicinarsi ad una rientranza nel muro, una cavità naturale che aveva sfruttato per creare la prigione adatta al suo ospite privilegiato.

 

All’interno dell’incavatura infatti, avvolto da un turbinare di ombre, che da settimane si cibavano del suo spirito massacrato, un uomo dal volto stravolto non aveva più la forza neppure di alzare lo sguardo.

 

“Ben trovato Giasone della Colchide! I tuoi amici hanno deciso infine di farci visita! Spero che onorerai tutti loro dell’accoglienza che meritano! Ah ah ah!” –Ridacchiò il Maestro di Ombre, scomparendo nell’oscurità, ben consapevole di avere ancora un’arma da giocare. La più pericolosa di tutte. Forse anche per lui.

 

Proprio in quel momento, una ventina di metri sopra di lui, nella parte settentrionale dell’isola, un gruppo di donne, equipaggiate da soldati, stavano affrontando l’ultima guarnigione a difesa del regno di Flegias. Bestie senza nome, per metà uomini e per metà lupi, risultati di chissà quale oscuro esperimento che aveva stravolto la loro conformazione, generando un branco di famelici servitori.

 

“Non arretrate!!!” –Esclamò una decisa voce di donna, caricando le compagne ad avanzare. Impugnò l’arco che portava in vita e scagliò una freccia nel petto di una bestia, che ricadde a terra, contorcendosi per il dolore, prima di strappar via il dardo, e con esso pezzi di pelle, leccando il sangue di cui la punta era bagnata.

 

“Disgustoso!” –Commentò un’altra donna, avvicinandosi alla prima.

 

“Attenta, Mirina!!!” –La avvertì la compagna, mentre l’orrida bestia, voltatasi nuovamente verso le donne, balzò in alto, piombando su di loro con gli artigli delle mani sguainati. Ma subito una raffica di frecce proveniente dalle retrovie la raggiunse, schiantandola al suolo.

 

Immediatamente, come reazione, il resto del branco ululò, digrignando i denti con rabbia, prima di avventarsi confusamente contro il gruppo di donne-soldato, sfoderando una ferocia che sorprese molte di loro.

 

“Non temete la morte, pavide! Combattete! Per la nostra Regina Ippolita! Per la nostra terra macchiata dal sangue dell’infamia! Per le sorti del nostro popolo!” –Gridò la donna che aveva ferito la prima bestia. –“Amazzoni! Avanzate!!!”

 

Subito una creatura fu su di lei, sbattendola a terra e montandole sulla schiena, strappando via la sua cotta protettiva con un solo colpo dei suoi artigli, che affondarono nel corpo della donna, alla cui vista le compagne inorridirono.

 

“Non siamo venute… qui… per morire!” –Rantolò la donna, recuperando l’ascia bipenne che portava alla cintura. –“Ma per avere vendetta!” –E la mosse con rapidità, conficcandola nel collo della bestia, prima di voltarsi e spingerla indietro con le gambe, osservandola ruzzolare sulla superficie rocciosa della costa.

 

La creatura cercò di afferrare l’ascia, per toglierla dal suo corpo, ma venne raggiunta improvvisamente da un ciuffo di piume metalliche, che si conficcarono nella sua schiena, incendiandosi all’istante e avvolgendola in un turbinio di fiamme.

 

“Vedo che non avete particolarmente bisogno d’aiuto!” –Esclamò un uomo, rivestito da una splendida Armatura Divina, con le ali spiegate, comparendo su una sporgenza rocciosa, poco distante dall’insenatura settentrionale dell’isola, dove le Amazzoni stavano combattendo.

 

“Ci rivediamo, Ikki di Phoenix!” –Commentò la donna, rialzandosi a fatica, nonostante la ferita alla schiena le dolesse.

 

“Il piacere è tutto tuo, Pentesilea!” –Rispose il ragazzo, salutando l’attuale Regina del popolo di donne guerriere.

 

“Se sei qua per fare conversazione, allora hai sbagliato momento!” –Disse Pentesilea, incoccando una freccia e scagliandola contro una bestia che la stava caricando.

 

“Veramente sono qua per combattere!” –Si limitò a rispondere Phoenix, balzando dall’alto della rupe in mezzo a un gruppo di creature, che subito si lanciarono su di lui, con gli artigli sguainati. –“Ali della Fenice!!!” –Gridò il Cavaliere, spazzando via l’intero branco.

 

“Cerchi di impressionarmi?” –Affermò stizzita Pentesilea, mentre altre Amazzoni la raggiungevano. Ma Phoenix non ebbe tempo di risponderle che una creatura, più grossa delle altre, piombò su di lui dall’alto della rupe, sbattendolo a terra e iniziando una violenta colluttazione.

 

Il Cavaliere della Fenice cercò di cacciar via quell’orrida bestia, quando si accorse che, a differenza degli altri che aveva appena ucciso, questa era rivestita da una cotta di materiale scuro, simile a quella che Arne dello Scettro di Brandeburgo possedeva. Una cotta che pareva essere un’Armatura.

 

Phoenix non poteva saperlo ma aveva iniziato ad azzuffarsi con l’ultimo Capitano dell’Ombra ancora vivo. Il Licantropo.

 

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Capitolo 36
*** Esperimenti ***


CAPITOLO TRENTAQUATTRESIMO: ESPERIMENTI

CAPITOLO TRENTAQUATTRESIMO: ESPERIMENTI.

 

L’apparizione di Avalon aveva preso tutti di sorpresa. Persino il Comandante Ascanio non si aspettava di vedere il Signore dell’Isola Sacra giungere sull’Olimpo. Né si aspettava di vederlo tirare fuori, da sotto le sontuose vesti che indossava, un pugnale dalla lama ricurva, di quelli che venivano consegnati alle Sacerdotesse di Avalon quando terminavano il loro addestramento.

 

“Odo i tuoi lamenti fin dall’Isola Sacra!” –Esclamò, sollevando l’argentea lama sopra il volto di Zeus. –“Per questo sono venuto! Per mettere fine alle tue sofferenze!” –E nel dir questo calò il pugnale verso il basso, davanti agli occhi stupefatti di Atena e degli altri Dei e Cavalieri presenti, che non riuscirono a muovere un muscolo, sorpresi dalla rapida concatenazione degli eventi.

 

La lama strusciò il polso sinistro del Signore dell’Isola Sacra, recidendo alcune vene e lasciando schizzare gocce di sangue sul corpo inerme del Dio del Fulmine. Senz’altro aggiungere, Avalon portò il braccio sopra il volto di Zeus, bagnandolo con la sua linfa vitale, una linfa che, come Ascanio subito notò, sembrava risplendere del bagliore delle stelle, tanto intrisa era del cosmo del suo Signore.

 

“Avete agito bene, Atena!” –Commentò Avalon, volgendo i suoi occhi scuri verso la Dea e smorzando la silenziosa tensione che si era creata. –“Il vostro Ichor ha contribuito a tenere in vita il Re dell’Olimpo, impedendo che il suo cosmo infiacchito si spegnesse! Ma da solo non era sufficiente, necessitava di qualcosa di più! Di un catalizzatore che potesse far ardere di nuovo la fiamma della speranza, viva nei vostri cosmi, nel cuore di Zeus! Lasciate che sia la fiamma di Avalon a risvegliare il Padre di tutti gli Dei!”

 

“Maestro, voi…” –Affermò Ascanio, osservando il corpo del Signore dell’Isola Sacra ricoprirsi di uno strato di luce, dapprima leggero, poi sempre più consistente, fino ad inglobare il letto e i corpi di Zeus e di Era. –“Quale potenza!” –Commentò il giovane, mentre il cosmo di Avalon riempiva la Reggia del Dio del Fulmine, traboccando in fretta all’esterno, come un fiume che nessun’argine poteva permettersi di trattenere.

 

Dopo qualche istante la luce sfumò d’intensità e quando Ascanio e gli altri poterono vedere di nuovo, notarono per prima cosa che il volto del Sommo Zeus aveva ripreso colore. Lavato via il bianco pallore della malattia di Ampelo, il viso del Dio stava tornando quello in cui si erano sempre specchiati. Un viso eternamente giovane.

 

“Mio Signore…” –Mormorò Ermes, avvicinandosi e notando che Zeus sembrava ricominciare a muoversi.

 

“E… Ermes?!” –Balbettò il Dio del Fulmine, riaprendo gli occhi e scuotendoli, come se si riavesse da un brutto incubo.

 

“Sì, mio Signore! Sono io! Al vostro servizio come sempre!” –Sorrise il Messaggero, con gli occhi colmi di lacrime di gioia. –“E non sono solo! Ci siamo tutti!”

 

“Padre!” –Esclamò Atena felice, avvicinandosi, seguita da Demetra e da Phantom, Ascanio e Mur, che si disposero a cerchio attorno al letto.

 

In quella anche Era rinvenne, scuotendosi dal torpore che l’aveva invasa di recente. La sua malattia era stata provocata in seguito, su decisione soprattutto di Ampelo, deciso ad estirpare la dinastia degli Olimpi, e si era palesata con sintomi inferiori.

 

“Sono… lieto di rivedervi! E anche se vedo ferite e sudore sui vostri corpi, sapervi vivi è una gioia immensa, come mai ho provato prima, in millenni di storia!” –Sorrise Zeus, spostando lo sguardo da un volto all’altro. –“È strano! È come se mi risvegliassi da un sonno durato secoli!”

 

“Non è durato poi tanto il tuo riposo! Un pisolino è stato, di fronte all’eternità che hai vissuto!” –Commentò allora una voce proveniente dall’esterno del cerchio di affetti riunitosi attorno al Dio dell’Olimpo. –“Ma ti ha privato di qualcosa che nessun’altro potrà renderti! Soltanto la tua forza interiore e la volontà di ricordare ciò che è andato smarrito!”

 

Zeus riconobbe quella voce, per quanto ritenesse improbabile che egli si trovasse sull’Olimpo. Pregò Atena e gli altri di scansarsi, mentre Ermes lo aiutava a sollevare la schiena, poggiandola su un mucchio di cuscini, di modo che il Dio potesse incontrare nuovamente, dopo quindici anni, lo sguardo del Signore dell’Isola Sacra.

 

“Tu? Qui?!” –Affermò Zeus. Ma non aveva ancora terminato di parlare che realizzò di non essere poi così sorpreso. Aveva sentito, nel suo cosmo, qualcosa di diverso. Qualcosa di antico. Qualcosa che apparteneva agli albori del mondo. Una sapienza ancestrale di cui Avalon gli aveva fatto dono per guarire.

 

“Ricordi quel che ti dissi anni addietro, quando lamentai lo squallore in cui era caduto l’Olimpo, tra feste e bordelli? Che se vogliamo combattere la grande ombra, dovremo farlo restando uniti!” –Esclamò Avalon. –“Non ho cambiato idea al riguardo, ma noto con piacere che amici non ti mancano, Signore del Monte Sacro! Amici che darebbero la vita, per salvare quella di chi hanno caro!”

 

Zeus sorrise, e altrettanto fecero Atena e gli altri, mentre Era si avvicinava al fratello e sposo, cingendolo in un affettuoso abbraccio. Demetra disse allora a Phantom che forse era il momento di curare le ferite di cui il suo corpo era cosparso e fece apparire alcune foglie di timo, cariche del suo cosmo guaritore, pregando il Luogotenente di seguirlo in un’altra stanza, ove lo avrebbe medicato, e Matthew e Mur di unirsi a loro. Atena aiutò Era ad alzarsi e Ascanio ne approfittò per accostarsi a Zeus.

 

“Mio Signore… Lamia, il Capitano dell’Ombra al servizio del figlio di Ares…” –Iniziò a parlare il Cavaliere Celeste. Ma Zeus lo interruppe bonariamente.

 

“So cos’è che hai visto! Perché è sempre nella mia mente!” –Affermò, alzandosi in piedi per la prima volta, dopo aver trascorso gli ultimi giorni sdraiato sul letto, in uno stato di semicoscienza. –“Anche se parte dei miei ricordi mi è stata sottratta, vi sono cose che non dimenticherò mai! L’affetto per coloro che amo è tra queste! Al pari di minacce ben più gravi di una cappa di nuvole nere!”

 

“È dunque questo ciò che ci aspetta?!” –Mormorò Ascanio, avvicinandosi assieme al Dio alla vetrata del lato sud, osservando l’Olimpo scivolare verso il mare lontano.

 

Zeus non rispose, ponendo una mano sulla spalla del Comandante dell’Ultima Legione e sospirando. Ascanio annuì, prima di voltarsi verso l’interno della stanza e accorgersi di ciò che Zeus aveva notato già da tempo. Avalon era scomparso. Silenzioso come era venuto, il Signore dell’Isola Sacra se ne era andato. Senza tanti discorsi.

 

Ascanio si incamminò fuori dalle Stanze di Zeus, per sincerarsi delle condizioni di Phantom. Sentiva i cosmi di Pegasus e dei suoi compagni infiammarsi sull’Isola delle Ombre e voleva essere al loro fianco per combattere l’oscurità.

 

Proprio in quel momento Phoenix era nel pieno dello scontro con l’avversario più bizzarro che avesse mai affrontato. Un uomo, alto e robusto, ricoperto da un folto pelo grigio, che lo rendeva simile ad un lupo su due zampe, era balzato su di lui e lo aveva atterrato, abbandonandosi a frequenti ululati.

 

“Spuntino prelibato sarai per il Licantropo!” –Sogghignò, mostrando a Phoenix mani grosse e pelose, da cui si allungarono cinque dita simili a spuntoni di energia, che la bestia mosse per piantarle nel corpo di Phoenix. Ma il Cavaliere lo colpì con una ginocchiata in pieno addome, sbalzandolo in alto di qualche metro, a sufficienza per rimettersi in piedi e caricare il pugno destro del suo cosmo infuocato. L’attacco colpì il Licantropo, per quanto questi cercasse di smorzarlo incrociando le braccia davanti al volto, e lo scagliò contro una parete rocciosa, strappandogli un bizzarro ululato.

 

“Che razza di bestia è mai questa?!” –Si chiese Phoenix, presto raggiunto da Pentesilea e da altre Amazzoni.

 

“Deve essere il capo di questo branco di strane creature!” –Commentò la donna, notando che gli uomini-lupo avevano iniziato a circondarli, girando in cerchio attorno alle succulenti prede.

 

“Non avete mai visto dei Licantropi?!” –Ironizzò l’uomo abbattuto da Phoenix, rialzandosi.

 

“Lupi mannari?! Grottesco! Credevo esistessero solo nelle favole! Uomini condannati da una maledizione a ricoprirsi di peli e a munirsi di zanne ad ogni luna piena, fino a divenire veri e propri lupi feroci!”

 

“Quello era il passato! Noi siamo i soldati del futuro! Coloro che hanno saputo andare oltre le sterili leggende medievali!” –Esclamò fiero il Licantropo, espandendo il proprio cosmo. –“Non abbiamo più bisogno della luna piena per essere quello che siamo! Possiamo esserlo sempre!” –E nel dir questo spiccò un balzo agilissimo, sorprendendo Phoenix e piombando in mezzo alle Amazzoni, squartandone una con un secco colpo dei suoi artigli, prima di gettare il cadavere contro le altre.

 

Il resto dei lupi mannari imitò il capo, gettandosi contro le Amazzoni, incitate da Pentesilea e da Phoenix a sfoderare le armi e a resistere. Fu proprio il Cavaliere di Atena ad avventarsi sul Licantropo, sbattendolo a terra e iniziando una violenta colluttazione fisica, stando attento ad evitare le unghiate mortali della creatura.

 

“Auuuh!!! Sento la frenesia che ti domina, l’adrenalina che scuote il tuo corpo! Lascia che diventi paura! Lascia che di essa possa nutrirmi!” –Ululò il Licantropo, allungando gli artigli per ferire Phoenix al collo.

 

“Paura dici? E di cosa dovrei averne? Di un mucchio d’ossa pelose?!” –Ironizzò Phoenix, continuando a rotolare al suolo con il suo nemico, fino a precipitare da una sporgenza rocciosa.

 

Il Cavaliere fu abile a spalancare al volo le ali dell’Armatura Divina, planando a terra senza difficoltà, mentre il Licantropo ruzzolò per diversi metri, rimettendosi però subito in piedi, con sguardo affamato e pericoloso. Senz’aggiungere altro, il Capitano dell’Ombra concentrò il cosmo sulle dita, scagliando contro Phoenix lunghi stiletti di energia, che il ragazzo fu svelto ad evitare. Ma il Licantropo continuò l’attacco, seguendo ogni movimento del Cavaliere di Atena, dirigendogli contro gruppi continui di cinque punte energetiche, obbligandolo infine ad un attacco diretto.

 

Pugno infuocato!!!” –Gridò Phoenix, scattando avanti con il braccio teso e travolgendo il Licantropo con un vortice di fuoco, che lo schiantò indietro di qualche metro, crepando parte della sua cotta scura, senza impedirgli di liberare cinque nuovi stiletti energetici, due dei quali si conficcarono nel pugno di Phoenix.

 

“I prossimi te li pianterò nel cuore!” –Ringhiò il Licantropo, rialzandosi, mentre Phoenix strappava dalla mano le punte di energia, lasciando zampillare il sangue all’esterno. –“E dopo che ti avrò ucciso, mi ciberò della tua giovane carne, come i miei compagni si nutriranno dei corpi di quelle donne senza seno!”

 

“Come puoi essere una bestia di questo genere? Cosa ti ha reso così animalesco e poco umano?!”

 

“Una maledizione!” –Commentò il Licantropo, con una certa tristezza nella voce, prima di scattare verso Phoenix, balzando su di lui con gli artigli sguainati.

 

Il Cavaliere venne atterrato dalla grossa mole del Licantropo, perdendo l’elmo nello scontro, ma fu abile a spingerlo di lato in tempo, permettendogli soltanto di graffiargli una guancia con i suoi unghioni. E quando il Capitano dell’Ombra cercò di caricare di nuovo, gli scagliò contro un nugolo di piume infuocate, che si piantarono nel suo corpo, incenerendogli mucchi di peli e facendolo strillare dal dolore.

 

“Dunque sei proprio come i lupi mannari, che temono il fuoco più di ogni altra cosa!” –Commentò Phoenix, rialzandosi e mettendosi a distanza di sicurezza, avvolto nel suo cosmo incandescente.

 

“Cosa credevi che fossi? Una maschera da teatro?!” –Ringhiò il Licantropo, spegnendo le fiamme sul suo corpo. –“Io sono vero e vivo, proprio quanto lo sei tu!” –E mosse il braccio destro con sorprendente rapidità, scagliando cinque punte di energia che si conficcarono nelle rocce ai piedi di Phoenix, esplodendo sul colpo. Il ragazzo le anticipò di un istante, saltando in alto e atterrando a piedi uniti su un masso sporgente.

 

“Quale maledizione ti condanna? Un patto che forse hai fatto con Flegias?!” –Chiese Phoenix, mentre il Licantropo ansimava di fronte a lui.

 

“Qualcosa di più antico, che risale alla Guerra d’Egitto, combattuta quindici anni fa! Guerra con cui il Dio Seth cercò di sottomettere l’Egitto, soppiantando Amon Ra, e il Tempio della vostra Dea Atena!”

 

“Ne ho sentito parlare…” –Disse Phoenix, ricordando qualche commento di Ioria.

 

“È là che fui creato, nei sotterranei della Piramide Nera, dal desiderio di Seth e Anhar di ottenere il guerriero perfetto! Molti soldati dell’allora Esercito del Sole Nero furono generati in laboratorio, ma nessuno eccitò Anhar a tal punto come feci io, un incrocio tra un lupo e un soldato!” –Ridacchiò il Capitano dell’Ombra. –“Lo eccitai al punto che nascose persino a Seth la sua perfetta creazione, adducendo un fallimento nel processo generativo, mentre in gran segreto continuò a incrociare uomini e lupi, creando un intero branco di creature sanguinarie! Un branco che rimase celato nei sotterranei di Tebe, nutrendosi di carogne e di quei pochi sventurati che avevano l’ardire di spingersi così in profondità! Un branco che il Maestro di Ombre risvegliò poche settimane fa, con il compito di assalire l’Egitto e sterminare la dinastia di Amon Ra!”

 

“Flegias era dunque Anhar?” –Commentò Phoenix. –“Sembra che i suoi progetti imperiali siano più antichi di quanto credessimo! Beh, è proprio il caso di dire che il lupo perde il pelo ma non il vizio!”

 

“Esattamente! Il vizio di cacciare e fare strage dei nostri nemici mai lo perderemo! Anche se siamo rimasti in pochi, una quindicina ormai, dopo la sconfitta subita in Egitto per mano dell’Esercito del Sole di Amon Ra, siamo più che sufficienti per uccidere te e massacrare le giovani donne che strillano impaurite sopra di noi!”

 

“Uh?! Le Amazzoni!” –Mormorò Phoenix, ricordandosi di Pentesilea e delle altre guerriere, in balia del resto del branco di lupi mannari.

 

Il Licantropo approfittò di quel momento di distrazione del Cavaliere per balzargli addosso, sbattendolo al suolo e mirare al suo collo con gli unghioni di energia. Ma Phoenix, per quanto stretto nella sua morsa, fu comunque abile a spostarsi in tempo, lasciando che gli stiletti energetici si piantassero nel suo braccio.

 

“Uuuh! Sangue!” –Ululò eccitato il Licantropo, alla vista del liquido rosso che colava sull’Armatura Divina.

 

“A cuccia, bestia!” –Lo colpì Phoenix con un pugno dal basso, scaraventandolo a terra molti metri addietro, con la corazza distrutta all’altezza dell’addome.

 

“Non temere! I miei compagni non hanno i miei stessi poteri! Sono soltanto dei cloni, delle bestie prive di cosmo, e prive anche di quel minimo raziocinio che mi ha permesso di divenire Capitano dell’Ombra!” –Ringhiò il Licantropo. –“Non parleranno molto con le Amazzoni! No! Le squarteranno vive!”

 

“Maledetto!” –Gridò Phoenix, liberando un turbine di fuoco che si abbatté sul Licantropo, obbligandolo a balzare indietro, fino ad atterrare su una sporgenza rocciosa. Il Cavaliere di Atena fece per attaccarlo ancora ma si fermò alla vista della strana posizione che il Capitano dell’Ombra aveva assunto.

 

Se ne stava in piedi, con il braccio destro sollevato e il palmo volto al cielo, su cui una vasta sfera di energia, dal colore giallastro, stava aumentando le sue dimensioni, somigliando, in maniera palese, all’unico satellite del pianeta Terra.

 

Luna piena!” –Gridò il Licantropo, muovendo il braccio e scagliando l’enorme globo energetico contro Phoenix, schiacciandolo a terra, piegandogli bruscamente le ali dell’Armatura Divina, crepandole in più punti, e obbligandolo a sopportare il peso di quella massa che pareva aumentare sempre di più. –“Ti piace il mio colpo segreto, Cavaliere di Phoenix? È un omaggio a colei che, per secoli, ha permesso a molti uomini di tirar fuori il loro lato nascosto, lasciando che gola e lussuria prendessero possesso della loro anima! Uuuh!!!” –Ridacchiò l’uomo-lupo, schiacciando sempre più Phoenix nel terreno.

 

Il Cavaliere cercò di spingere via la massa di energia ma si accorse di non riuscire a farlo, vittima di una pressione gravitazionale che lo pressava sempre di più contro di essa, mentre le sue mani, con cui tentava di sollevare l’enorme globo, stridevano al contatto con le guizzanti scariche di cui era circondato. A fatica, tentò di colpire la sfera ma le sue braccia affondarono in quell’ardente magma, bloccando i suoi movimenti.

 

“E adesso… Luna calante! Uuuh!!!” –Rise il Licantropo, spostando il braccio verso destra e scagliando la gigantesca sfera, con Phoenix attaccato ad essa, contro una parete di roccia, lasciandola esplodere con un gran boato. –“Fatto male, Cavaliere? Permettimi di leccare le tue ferite! Auuuh!” –Ironizzò il Capitano dell’Ombra, balzando su Phoenix, che stava cercando di rimettersi in piedi.

 

Il Cavaliere venne spinto a terra e subito il Licantropo gli piantò cinque unghioni di energia nel braccio destro, dove lo aveva già colpito in precedenza, e altri cinque nel sinistro, inchiodandolo al suolo, proprio come aveva fissato Gwynn al muro il giorno prima. Ma Phoenix, rispetto al giovane Cavaliere di Glastonbury, aveva sopportato ben maggiori sofferenze nella vita, e proprio nel ricordo di quel che aveva subito trovò la forza per accendere il suo cosmo, sprigionando violente fiammate che scaraventarono indietro il Licantropo, annientando le punte di energia.

 

“Perdonami, ma non ho mai avuto simpatia per gli animali! Neppure quelli addomesticati!” –Ironizzò Phoenix, liberando il battito d’ali dell’uccello immortale. –“Ali della Fenice!!!”

 

L’impetuoso turbine di fiamme e energia si abbatté sul Licantropo, il quale, per quanto temesse il fuoco, nemico primario degli uomini lupo, non ne fu particolarmente sorpreso, ben conoscendo le tecniche di tutti i Cavalieri di Atena, avendo Flegias istruito i suoi servitori al riguardo. Si limitò a sogghignare e a ricreare l’immenso globo lunare, quella volta non sul palmo della mano destra ma intorno a lui, utilizzandolo come cupola protettiva, sulla quale si schiantò l’infuocato assalto della Fenice. Senza riuscire a penetrarlo.

 

“Dannazione!” –Strinse i denti Phoenix, ammettendo di aver sottovalutato l’astuzia di quel bizzarro avversario.

 

Luna Piena!!!” –Esclamò il Licantropo, espandendo il globo energetico, assorbendo anche parte dell’attacco di Phoenix, e scagliandolo ad alta velocità contro il ragazzo, che venne investito in pieno e scagliato contro un mucchio di rocce, distruggendole.

 

Per qualche secondo Phoenix perse i sensi, riflettendo che il nemico che aveva di fronte era riuscito a metterlo in difficoltà come, e forse anche più, avevano fatto altri avversari in passato. Sorrise, chiedendosi come fosse possibile che un cumulo di pelo e zanne potesse confrontarsi con un Cavaliere che aveva combattuto con gli Dei.

 

“Sciocco!” –Lo rimproverò bonariamente una voce, risuonando d’improvviso dentro di sé. –“Mai prendere sottogamba un nemico, ma considerarlo sempre insidioso e degno della massima attenzione! Anche un topo può aver ragione di un elefante!”

 

“I… Ippolita?!” –Mormorò Phoenix, riconoscendo la voce della Regina delle Amazzoni, la donna con cui aveva trascorso ore di impetuosi combattimenti. Prima contro di lei, poi al suo fianco. E in quelle ore, in cui avevano condiviso i destini del mondo, aveva immaginato per la prima volta un futuro. Per sé, e per una persona al suo fianco.

 

“Ricordi il nostro scontro alla Nona Casa del Grande Tempio?!” –Continuò Ippolita. –“Mi affrontasti a testa alta, senza timore di ferire una donna, considerandomi a te pari! Considerandomi un guerriero! Devi fare lo stesso con il Licantropo, per quanto grottesco sia, e con gli avversari che in futuro incontrerai! Perché, Ikki, ce ne saranno ancora tanti che minacceranno la pace! E tu dovrai combatterli! Anche per me!”

 

“Ikki…” –Ripeté Phoenix, ascoltando il nome che sua madre gli aveva dato. Un nome che in battaglia non usava mai, ma che adorava sentire pronunciato da Ippolita.

 

“Togliti dalla mente ogni stupida suggestione leggendaria e pensa che chi hai di fronte è soltanto un bieco assassino! E nulla più! Una belva che non esiterebbe a cibarsi dei tuoi resti e di quelli delle guerriere del mio popolo!” –Concluse Ippolita, prima che la sua voce svanisse. –“Ricorda quello che sei, Phoenix, e dove vuoi andare! Tienilo bene a mente, perché là, alla fine del percorso, che ti conduca a Themiskyra o a qualsiasi altro luogo, sarai finalmente felice!”

 

“Ippolitaaa!!!” –Gridò Phoenix, bruciando il proprio cosmo, che fiammeggiò sull’intero versante settentrionale dell’Isola delle Ombre, mentre la maestosa sagoma dell’uccello infuocato solcava il cielo tetro, rischiarandolo per un momento.

 

Anche Pentesilea, Mirina e le Amazzoni, impegnate a lottare contro i lupi mannari, la videro e, seppure troppo fiere per ammetterlo, furono liete di vederla volare ancora.

 

“Ancora ti rialzi, Cavaliere di Phoenix? Sei dunque immortale come il tuo simbolo?” –Ringhiò il Licantropo, espandendo il cosmo e concentrandolo sul palmo della mano destra, rivolta al cielo, su cui apparve la sfera lunare, ingrandendosi piano piano.

 

“Non ho bisogno dell’eternità per finirti! Mi bastano un paio di minuti!” –Esclamò Phoenix, scattando avanti, avvolto nel suo cosmo incandescente.

 

Proprio in quel momento il Licantropo liberò la sfera energetica, che sfrecciò verso Phoenix, ma questi fu svelto ad evitarla, balzando in alto, aiutato dalle ali dell’Armatura Divina. Ma il globo di energia seguì i suoi movimenti, attratto quasi magneticamente da lui, raggiungendolo e tirandolo a sé, fino a schiacciarlo contro la sua superficie solcata da scariche elettriche.

 

“Dicono che la forza di gravità sulla Luna sia minore che sulla Terra!” –Ironizzò il Licantropo, osservando la sfera di energia precipitare al suolo, con Phoenix incollato ad essa. –“Io non ci sono mai stato, ma a ben vedere ne dubito! Tu cosa ne pensi?!”

 

Il Cavaliere di Atena non rispose, bruciando il proprio cosmo, le cui ali di fuoco avvolsero il globo lunare, vincendone, sia pur con un certo sforzo, l’attrazione e prendendone possesso, al punto che Phoenix poté spingerlo con forza contro il Licantropo, travolgerlo e scaraventarlo indietro, con gravi danni alla corazza.

 

“Penso che la tua lunga notte stia per volgere al termine!” –Esclamò Phoenix, atterrando di fronte a lui. –“Presto il sole tornerà a splendere e tutte le orride creature al servizio dell’ombra saranno sommerse da un mare di luce!”

 

“Auuuh! Fai la voce grossa!” –Ululò il Licantropo, rimettendosi in piedi e bruciando il cosmo, che lo avvolse fino a creare un’immagine ridotta della luna, proprio mentre Phoenix caricava nuovamente il suo fiammeggiante colpo segreto.

 

Ali della Fenice!!!” –Gridò il Cavaliere. Ma ancora una volta, seppure il Capitano dell’Ombra dovette impegnarsi al massimo affinché la sua cupola protettiva non fosse spazzata via, l’attacco di Phoenix, essendo di tipo indiretto, non riuscì a superare la sua difesa. E fu in quel momento che il Cavaliere capì, dandosi persino un buffetto in testa. –“Sciocco!” –Si disse, e gli scappò un sorriso, pensando a Ippolita. –“Colpito una volta, colpito per sempre!” –E scattò avanti, con il pugno destro carico di energia incandescente, fino a sbatterlo con violenza contro la sfera che proteggeva il Licantropo, facendola vibrare in profondità e mandandola in frantumi.

 

“Aaargh!!!” –Urlò il Capitano dell’Ombra, spinto indietro e raggiunto dal lucente fuoco della Fenice.

 

“È strano che non ci abbia pensato prima!” –Commentò Phoenix, osservando, con un certo divertimento, il Licantropo ardere in una vampa di fuoco. –“Ma la convinzione di essere superiore a una bestia, e forse il ricordo di Ippolita, mi ha distratto, facendomi dimenticare un nemico, affrontato al Grande Tempio occupato da Ares, che utilizzava una tecnica difensiva pari alla tua! La Cerva di Cerinea!”

 

“Non crederai di avermi già vinto?!” –Ringhiò il Licantropo, avanzando verso Phoenix, pur con numerose ustioni sul corpo e crepe sulla corazza. Sollevò il braccio destro per generare una nuova sfera energetica, ma il Cavaliere lo anticipò, colpendolo con decine di piume infuocate, che distrussero l’armatura nera, infiammando le sue carni in profondità.

 

Un attimo dopo, senza che il Licantropo se ne fosse reso conto, Phoenix era già dietro di lui e lo teneva ben stretto da sotto le ascelle, avvolgendolo in un turbine di fiamme e luce, prima di sollevarlo verso il cielo.

 

Volo dell’Araba Fenice!!!” –Gridò il Cavaliere di Atena, mentre il cosmo ardeva attorno a sé, facendo strillare il Capitano dell’Ombra dal dolore. –“Secondo le leggende la difesa più efficace contro i Licantropi è l’argento! Ma, non disponendone al momento, sono costretto a ricorrere ad una soluzione radicale! Il fuoco!”

 

La cometa fiammeggiante compì una parabola sull’Isola delle Ombre fino a schiantarsi a terra, poco distante da dove Pentesilea e le altre Amazzoni fronteggiavano gli ultimi lupi mannari, facendone scappar via qualcuno, dalla paura del fuoco. Phoenix, anche se un po’ stordito, si rimise in piedi subito dopo, mentre il Licantropo arrancò sul terreno, con l’armatura distrutta e il corpo incenerito in più punti. Gli altri uomini lupo, alla vista del capo sconfitto, si guardarono tra loro per un momento, prima di caricare congiuntamente contro il Cavaliere di Atena.

 

“Phoenix! Attentooo!!!” –Gridò Pentesilea, ma il ragazzo non ebbe bisogno del suo avvertimento, che aveva già espanso il proprio cosmo, scatenando la furia dell’uccello di fuoco. –“Ali della Fenice!!!” –E quel che restava del branco di uomini lupo, delle orribili mutazioni a cui Flegias aveva dato vita a Tebe, scomparve.

 

“È tutta colpa della Luna! Quando si avvicina troppo alla Terra fa impazzire tutti!” –Ironizzò Phoenix, citando Shakespeare. –“State bene?!” –Si rivolse allora alle Amazzoni, vedendo che molte di loro giacevano a terra, ferite o mutilate, mentre altre le medicavano.

 

“Siamo soldati, e siamo abituati alle perdite!” –Commentò Pentesilea, cercando di mostrarsi forte. –“Ma ogni volta è sempre un dolore!”

 

“Sarà sempre così, finché non spezzeremo tutti gli anelli di questa catena di morte!” –Rispose Phoenix, avvicinandosi e lasciando che la Regina delle Amazzoni potesse osservarlo in volto. E ritrovarvi la stessa luce che vi aveva scorto quel giorno, molti mesi prima, quando aveva combattuto a distanza contro di lui, scagliandogli dardi da dietro le colonne della Casa di Sagitter.

 

Per molto tempo si era chiesta come avesse potuto Ippolita, che sapeva essere abile combattente, ma prima ancora ferma nei suoi propositi, lasciar passare un avversario. Un uomo, per di più. Le era sembrato quasi un tradimento dei loro ideali, delle loro tradizioni di Amazzoni. E quando lo aveva incontrato sul Mar Nero, venuto a presenziare al funerale della Regina, per poco non aveva ordinato alle guerriere di colpirlo, rifiutandogli di prendere parte ad un rito che era il simbolo massimo di un mondo squisitamente femminile.

 

“Non sono venuto per combattere con te, Pentesilea, né con nessun guerriero del tuo popolo! Ma per onorare la memoria della vostra Regina, che per amore mio combatté contro il figlio di colui che l’aveva innalzata, donandole persino il cinto del potere!” –Aveva esclamato Phoenix. –“Non rimpiango di averla fermata, perché è stata una sua scelta, ed è stato il momento massimo in cui Ippolita si è sentita davvero se stessa!”

 

E adesso, vedendolo uscire dalle fiamme, con il volto scuro e i segni della guerra ancora addosso, Pentesilea capì cosa Ippolita vi avesse trovato. Una parte di se stessa. Quella che tutte le persone tengono nascosta dentro al cuore, finché non vale davvero la pena liberarla.

 

“Vai a fare il tuo dovere, Cavaliere!” –Esclamò allora Pentesilea, prima di volgergli le spalle e incamminarsi verso le compagne ferite. –“Noi abbiamo fatto il nostro! Combattere! Che è ciò che sappiamo fare meglio!”

 

Phoenix non rispose, limitandosi ad annuire con il capo, prima di incamminarsi verso il vulcano principale dell’Isola delle Ombre, ai piedi del quale, poteva ben sentirlo, c’era battaglia.

 

“Ma non morire!” –Lo richiamò infine la nuova Regina delle Amazzoni, accennando un sorriso. –“Ippolita non vorrebbe che tu la raggiunga anzitempo!”

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Capitolo 37
*** A volte basta un sogno ***


CAPITOLO TRENTACINQUESIMO: A VOLTE BASTA UN SOGNO

CAPITOLO TRENTACINQUESIMO: A VOLTE BASTA UN SOGNO.

 

Mentre Sirio affrontava Iemisch, nella conca interna, e Phoenix correva verso la parte settentrionale dell’Isola delle Ombre, attratto da rumori di lotta in corso, quattro motoscafi, di proprietà della Grande Fondazione Thule, sfrecciavano nel tramonto dell’Egeo, diretti verso la punta meridionale dell’isola. Con Pegasus e gli altri avevano infatti concordato di raggiungere il covo di Flegias separatamente, sperando in questo modo di distrarre il Maestro di Ombre, obbligandolo a porre la sua attenzione su vari problemi nello stesso momento. Sperando anche che, così facendo, almeno un fianco restasse scoperto.

 

“Speranza vana!” –Mormorò il Cavaliere di Libra avvicinandosi all’isola e notando l’immensa cappa di tenebra che la sovrastava. Asher, Castalia e Tisifone erano dietro di lui, disposti a semicerchio attorno al Cavaliere d’Oro, ognuno su un motoscafo.

 

Non riuscirono a raggiungere nemmeno le sporgenze meridionali che un’imponente energia si sollevò dall’isola, scuotendo le acque del mare e generando violente ondate che investirono i Cavalieri di Atena, sbalzando qualcuno di loro via dal motoscafo e facendolo cadere in mare. Fulmini neri e vampe di fuoco piovvero dal cielo, abbattendosi sui quattro compagni e facendo scoppiare i loro mezzi di trasporto.

 

“Cercate di arrivare all’isola a nuoto!!!” –Gridò Libra, annaspando nell’agitata corrente, mentre saette oscure si schiantavano attorno a lui.

 

Asher dell’Unicorno fu il primo a raggiungere la sporgenza meridionale dell’Isola delle Ombre, un lungo corridoio di roccia che confluiva poi in un’arida conca interna, rotta da alcune fenditure, in fondo alle quali turbinava l’acqua di mare.

 

“Posso aiutarti?!” –Domandò una voce, mentre Asher si arrampicava sulle rocce del promontorio. Non fece in tempo a sollevare la testa, per vedere chi avesse parlato, che sentì una corda arrotolarsi attorno al suo collo e venne strattonato con forza verso l’alto, fino a schiantarsi sulla polverosa superficie del corridoio.

 

Quando si rialzò, digrignando i denti, trovò un Cavaliere dall’Armatura Nera di fronte a sé. Un uomo, alto poco più di lui, con una lunga corda di scuro metallo elastico arrotolata attorno al braccio destro. La stessa con cui lo aveva strattonato.

 

“Chi sei?!” –Esclamò subito l’Unicorno, ponendosi in posizione da battaglia.

 

“Quanta fretta, Asher! Non dovresti prima ringraziarmi? Ti ho risparmiato un bel po’ di fatica, non trovi? Ah ah ah!” –Rise il Cavaliere Nero. E Asher per un momento fu invaso dalla strana sensazione di conoscere la sua voce. L’uomo se ne accorse e sogghignò, prima di sfilare il casco della sua corazza, a forma di pesce.

 

“Lukas?!” –Balbettò Asher, sgranando gli occhi esterrefatto, di fronte al compagno di addestramento insieme al quale aveva vissuto per parecchi mesi ad Orano.

 

“Proprio io! Lukas della Cordicella dei Pesci! Non Cavaliere dell’Unicorno, come tu sei diventato, bensì Cavaliere Nero al servizio di Flegias!” –Esclamò il giovane, rimettendosi l’elmo. –“E prima ancora che tu me lo chieda, la risposta è no! Non ti farò passare, ma ti combatterò!” –E nel dir questo schioccò la lunga corda nera sul terreno ai piedi di Asher, generando scintille di energia e spingendo il ragazzo indietro. –“Ero convinto che tu fossi morto, che non saresti riuscito nell’impresa di diventare Cavaliere, non essendo mai stato in grado di produrre un cosmo vasto a sufficienza, tanto risibili erano le motivazioni che ti spingevano ad andare avanti!”

 

“Lukas! Come osi?!” –Ringhiò l’Unicorno, muovendosi per gettarsi contro di lui, ma un secco colpo di corda gli falciò le gambe, sbattendolo a terra, con la corazza fumante dallo stridore incandescente dell’arma.

 

“Oso quanto voglio! Definirti un fallito mosso da infantili propositi è un complimento!” –Commentò acido Lukas. –“È stato quasi per caso che venni a sapere da Flegias, poche settimane fa, che eri ancora vivo! E fui io a suggerire al Maestro di Ombre di infettare proprio te, con la rosa di rabbia, il più debole tra i Cavalieri superstiti, intuendo che non avresti opposto troppa resistenza, come infatti è stato! Ah ah ah! Anche anni dopo non deludi affatto le mie aspettative, Asher, se riesci a farti vincere persino da un debole come Menas!”

 

“Ti farò pentire delle tue parole di scherno, mentecatto!” –Esclamò Asher, bruciando il cosmo e scattando avanti, balzando sopra Lukas e cercando di colpirlo con un calcio. –“Criniera dell’Unicorno!”

 

“Dove vuoi menar le gambe?” –Commentò infastidito Lukas, liberando la cordicella scura, con cui afferrò Asher per un calcagno, mentre era in volo sopra di lui, sbattendolo nuovamente a terra. Con forza sempre maggiore. Non contento, il Cavaliere Nero liberò una scarica energetica che attraversò la corda, avvolgendo Asher, il cui corpo vibrò con forza, e strappandogli un grido di dolore.

 

“Parere confermato! Sei ancora il solito bamboccio che non vale nulla! Tutto fumo e niente arrosto!” –Affermò Lukas, ritirando la corda, che strisciò verso di lui, quasi fosse un serpente, arrotolandosi al braccio destro. –“Continuo a chiedermi come tu abbia potuto conquistare l’Armatura dell’Unicorno e con che coraggio il nostro maestro osasse ripetere che tu ne eri più degno di me! Io almeno sapevo cosa fosse il cosmo, e riuscivo a controllare le sue manifestazioni!”

 

“Hai dimenticato gli insegnamenti ricevuti a Orano, Lukas?” –Esclamò Asher, rialzandosi. –“Non la forza determina la grandezza di un Cavaliere! Per lo meno non soltanto la forza fisica!”

 

“Quella interiore dunque?! Ah ah ah!” –Rise Lukas beffardo. –“E quale forza interiore avresti tu, che, da quel che mi raccontavi, ti facevi cavalcare e frustare da una bambina, solo per attirare le sue attenzioni?!”

 

“Taci, bastardo!!!” –Ringhiò Asher, scattando nuovamente verso Lukas, che fu svelto a muovere la corda, frustando il ragazzo in pieno volto, aprendogli un taglio su una guancia, e poi ad una coscia, facendo schizzare altro sangue, finché Asher non riuscì ad afferrare quella saettante arma, lasciando che si avvolgesse attorno al suo polso sinistro, incurante delle scariche di energia che Lukas continuamente gli dirigeva.

 

“Puoi deridermi quanto vuoi, Lukas, se ti fa sentire meglio! Spesso mi sono deriso anch’io e, anche se ammetto di aver accettato umiliazioni in passato, ho il cuore sereno quando penso al motivo per cui le ho subite! Quando penso all’affetto, alla riconoscenza, all’amore che ho sempre provato per lei, sebbene mai abbia ricambiato i miei sentimenti!” –Confessò Asher, con una certa tristezza nella voce.

 

“Un comportamento da vero uomo, Asher! Complimenti!” –Ironizzò Lukas beffardo, aumentando l’intensità delle scariche di energia, che avvolsero l’Unicorno, stridendo sulla corazza di bronzo e scheggiandola in più punti, per quanto Asher non avesse intenzione di mollare la presa. –“Vuoi suicidarti?! Così tanta pena provi per te stesso da preferire la morte a una vita di disonore? Ebbene, ti aiuterò se vuoi!”

 

“In verità…” –Mormorò Asher, socchiudendo gli occhi ed espandendo al massimo il proprio cosmo. –“Sto cercando di completarmi!”

 

“Completarti?!” –Bofonchiò Lukas, non capendo a cosa il ragazzo si riferisse.

 

Asher non aggiunse altro, fissandolo con sguardo deciso, mentre, quasi nascessero dal suo corno, cerchi concentrici di energia cosmica dal colore verde stridevano contro le folgori di Lukas, erodendole progressivamente, prima di distruggerle.

 

“Prendi, Lukas! Quel che non ho terminato ad Orano, saprò concluderlo oggi!” –Gridò Asher, investendo il Cavaliere nero con quegli anelli di energia cosmica, che stridettero sulla corazza di Lukas, schiantandola in più punti, prima di spingerlo indietro, più per la sorpresa dell’attacco che non per la potenza.

 

“Adesso capisco! Il secondo colpo dell’Unicorno!” –Esclamò Lukas, raddrizzandosi. –“Il colpo psichico che il maestro avrebbe insegnato soltanto al vincitore dell’Armatura di Bronzo! Un’altra pecca nella tua poco promettente carriera di Cavaliere! Ah ah ah!”

 

“Ridi pure, se ti fa sentire soddisfatto!” –Commentò Asher, senza scomporsi troppo. –“È stato un onore per me essere investito di quest’Armatura, poiché essa rappresenta tutto ciò per cui ho lottato, tutto ciò per cui ho ritenuto sacro vivere! E se anche è vero che per molto tempo ho combattuto soltanto per amore di una donna, adesso sono riuscito ad andare avanti, imparando da me stesso e dai miei limiti!”

 

“Limiti molto evidenti!” –Ridacchiò Lukas, schioccando nuovamente la corda a terra e sollevando scintille energetiche, prima di dirigerla verso Asher, il quale, quella volta, riuscì ad evitarla, balzando in alto e cercando di colpire il vecchio compagno con un calcio in pieno viso. Ma anche quella volta, benché fosse stato più veloce, venne nuovamente afferrato per le gambe e sbattuto a terra. –“Mi hai stufato!” –Sibilò Lukas, mentre la corda si allungava attorno al corpo di Asher, bloccando i suoi arti, per quanto il ragazzo si dimenasse con foga, giungendo fino al collo, che strinse con forza, decisa a togliergli il respiro. –“Hai imparato bene, Asher! E hai fallito! Da oggi non proverai più!”

 

E scaricò una violenta scarica di energia lungo la cordicella oscura, che stritolò il Cavaliere dell’Unicorno, schiantando la corazza in più punti, senza riuscire a strappargli però alcun grido di dolore, soffocato com’era dalla stretta mortale.

 

Lukas, osservandolo, vide lo stesso bamboccio arrogante giunto ad Orano l’anno successivo al suo. Un bamboccio che non aveva chiaro cosa volesse dire diventare Cavalieri di Atena, ma che era interessato soltanto all’Armatura. Alla sua conquista materiale. Quando ne aveva scoperto il motivo, Lukas lo aveva deriso, spiegandogli che, con quella debole motivazione, non sarebbe andato lontano. Per questo avrebbe dovuto divenire lui il Cavaliere dell’Unicorno, perché sorretto dalla ferrea volontà di essere il migliore. E da una risolutezza in battaglia che Asher non aveva.

 

Il maestro di entrambi non la pensava però così e vide nella volontà di emergere di Asher, e di ricompensare chi aveva avuto fiducia in lui, un bene, e nella voglia di lotte continue di Lukas, dettate non da senso di giustizia ma da desiderio di confermarsi il migliore, un male. E fu questo il motivo per cui lo allontanò, giudicandolo indegno di concorrere ad un’Armatura della giustizia.

 

“Non era poi così lontano dalla verità!” –Sogghignò Lukas, osservando Asher dimenarsi come un lombrico sul terreno, stritolato dalle scariche di energia che la corda emetteva. Ripensò ad alcuni mesi prima, quando, durante la Guerra Sacra contro Ade, aveva aggredito il suo maestro in Algeria, mentre pregava per Atena, uccidendolo proprio con quei fulmini energetici che adesso avrebbero avuto ragione anche del suo vecchio compagno. –“L’immeritevole!” –Così lo definì Lukas.

 

Ma dovette reprimere un moto di stupore quando vide un’aura di colore verdolina espandersi dal corpo di Asher, un’aura che aumentò d’intensità, crescendo fino ad inglobare le scariche di energia e la corda stessa.

 

“Ho perso molte cose in vita!” –Mormorò Asher, cercando di rialzarsi. –“La guerra galattica, prima tra tutte! E il vero obiettivo che si nascondeva dietro quell’effimero confronto! La donna che ho amato in silenzio per anni, e per cui non sono stato niente più di un compagno di giochi! La Dea che ho infine scelto di difendere, e che vede in me un combattente per la giustizia! Leale certamente, ma non degno del suo amore di donna!” –Sospirò il ragazzo, bruciando ancora il cosmo e ripensando al giorno in cui Pegasus era tornato dalla Grecia e si era scontrato con Lady Isabel nell’atrio di Villa Thule. –“Fin da quel giorno avrei dovuto capirlo, che nel cuore di Milady c’era posto solo per Pegasus, il mio antico rivale! Quanto l’ho odiato, per futili motivi, nascondendo l’unica vera ragione alla base del mio malessere! Quanto ho inquinato il mio cuore per un amore non corrisposto! Ma adesso sono cresciuto, e ho trovato nel dolore, e nella solitudine, la forza per andare avanti! A volte basta poco! Basta un sogno!” –Esclamò, ormai avvolto nel suo cosmo scintillante.

 

“Fermati, maledetto!!!” –Ringhiò Lukas, liberando la guizzante corda, che venne però raggiunta e mandata in frantumi dalle scariche di energia, simili a piccoli fulmini, che Asher controllava con la forza della mente, portando a compimento il lungo processo di apprendimento che aveva iniziato ad Orano e non aveva mai concluso. Perché forse non ne aveva mai avuto la determinazione.

 

“Questo mio amore infantile, che tanto hai schernito, è stato il motore che mi ha permesso di andare avanti per anni! E anche se so che mai si realizzerà, continuerò a vivere lo stesso, con tale consapevolezza nel cuore!” –Affermò Asher, concentrando il cosmo sul braccio destro. –“Isabel! Maestro! Amici miei, che dal Paradiso dei Cavalieri mi sostenente ogni giorno! Datemi la forza per lottare ancora! Datemi la forza per vincere!!!”

 

“Sei un folle! Muori Asher!” –Gridò Lukas, lanciandosi su di lui, con il pugno destro carico di energia. Ma l’esplosivo cosmo di Asher lo bloccò a mezz’aria, mentre il ragazzo portava avanti il braccio, dirigendo un preciso attacco contro il Cavaliere Nero, simile al corno dell’animale leggendario da cui era protetto.

 

Corno d’Argento!!!” –Urlò, trapassando il ventre di Lukas e gettandolo a terra, in una pozza di sangue.

 

“Bra… Bravo Asher!” –Rantolò il Cavaliere Nero. –“Sei cresciuto infine… del ragazzino arrogante che si è allenato con me ad Orano non è rimasto niente… ormai sei diventato un uomo…” –E morì, con gli occhi aperti e pieni di rimpianti.

 

Asher si avvicinò al vecchio compagno, inginocchiandosi di fronte a lui e prendendogli una mano. Sospirò, pensando infine che, nonostante si fossero ritrovati da nemici, non provava odio per lui. Soltanto una grande pena, la stessa che Lukas gli aveva rivolto contro, ma che nascondeva soltanto la certezza di non essere mai divenuto quel Cavaliere migliore di lui a cui tanto aveva aspirato.

 

Fece per rimettersi in piedi, e correre in aiuto di Tisifone, il cui cosmo sentiva agitarsi poco distante, quando un sottile raggio energetico gli perforò il collo e uno spruzzo di sangue gli macchiò il pettorale dell’Armatura. Non riuscì a dire nulla, sentendosi soffocare, e crollò a terra, sopra il cadavere di Lukas, mentre una sensuale figura di donna appariva dietro di lui, rivestita da un’Armatura Nera.  uQu

 

 

Proprio Tisifone del Serpentario era vicina, in linea d’aria, al Cavaliere dell’Unicorno, intenta a combattere contro un altro servitore di Flegias, che le si era rivelato in maniera piuttosto singolare. Raggiunta la riva a fatica, a causa delle violente ondate sobillate da Flegias, la Sacerdotessa era balzata di scoglio in scoglio, fino ad atterrare su un ripiano roccioso, a occidente rispetto al corridoio di pietra dove Asher stava affrontando Lukas. Ma improvvisamente un masso enorme le era franato addosso, schiacciandola a terra e crepandole persino l’Armatura d’Argento. Tisifone aveva cercato di liberarsi, ma non appena aveva afferrato l’enorme macigno si era accorta che non era affatto quel che credeva. Toccandolo, sentì che era duro come corno, e a tratti vischioso, simile al guscio di una tartaruga.

 

“Che diavolo è questo…?” –Brontolò la Sacerdotessa del Serpentario, muovendolo verso destra, in modo da uscirne da sotto, quando improvvisamente la parte superiore dello strano macigno si aprì e una testa di uomo ne sbucò fuori, sorprendendo la donna, che non riuscì a reprimere un grido di sorpresa.

 

“Non pensavo di essere così brutto!” –Commentò una voce goffa, mentre nuovi buchi si aprivano sul masso e due braccia e due gambe ne spuntavano, rivelando parti del corpo di un uomo, sui quarant’anni d’aspetto, il cui busto era ancora coperto dal macigno che aveva schiacciato Tisifone.

 

“Chi sei? Cosa sei?!” –Incalzò la Sacerdotessa, spingendolo via, prima che una robusta mano le afferrasse un braccio, stringendola in una presa d’acciaio.

 

“Non così in fretta! Una volta che una donna mi si avvicina, non voglio lasciarla scappare!” –Commentò l’uomo, accennando un sorriso malizioso, a cui Tisifone, da dietro la maschera, rispose con una smorfia di disgusto. Ma, vedendo che questi non accennava a liberarla, concentrò il cosmo sul braccio destro, colpendolo in pieno petto, sul guscio che lo ricopriva.

 

“Aaah!!!” –Gridò Tisifone, mentre il guanto protettivo dell’Armatura del Serpentario andava in frantumi, schiantandosi contro quella protezione resistente.

 

“Fa male, eh? Beh, vado piuttosto orgoglioso del mio guscio!” –Sorrise beffardo l’uomo. –“È la mia casa, la mia protezione, dentro la quale mi sento sereno e sicuro!”

 

“Il tuo guscio?! Ma cosa sei? Una tartaruga?!”

 

“Sono Borneo della Tartaruga, Cavaliere Nero al servizio di Flegias, incaricato di fermare l’avanzata di questa bella signorina!” –Si presentò l’uomo, continuando a stringere il braccio di Tisifone con forza.

 

“Provaci, se ne sei capace!” –Sibilò la donna, espandendo il cosmo e dirigendo, da distanza ravvicinata, il suo attacco energetico contro Borneo. –“Cobra Incantatore! Colpisci!!!”

 

Borneo infilò svelto la testa dentro il guscio protettivo, sul quale si schiantarono le scariche di energia di Tisifone, senza scalfirlo minimamente.

 

“Incredibile!” –Mormorò la donna, ansimando per la fatica. E iniziando poi a tempestare il guscio di pugni, con l’unico risultato di ferirsi alla mano e distruggere definitivamente la protezione dell’armatura.

 

“Ti sei calmata?” –Domandò infine Borneo, ritirando fuori la testa. –“Sei un tipo piuttosto agitato!”

 

“Non mi sono calmata, e pretendo tu liberi immediatamente il mio braccio…” –Incalzò Tisifone, calando la mano con le unghie affilate sul volto di Borneo, il quale, senza scomporsi affatto, si limitò a scuotere la testa.

 

“Non mi piacciono le esaltate!” –Commentò, colpendo con un pugno dal basso il ventre di Tisifone, scaraventandola indietro ad altissima velocità, fino a schiantarla contro una parete di roccia, che franò su di lei. –“Spero che questo serva a calmarti!”

 

A fatica, Tisifone riuscì a liberarsi dalle pietre crollate su di lei, ansimando per il colpo ricevuto, che gli aveva mozzato il respiro. Si tastò il ventre, dove Borneo l’aveva raggiunta, e immaginò che sotto la maglietta spiccasse un vistoso ematoma.

 

“Che forza micidiale!” –Mormorò la donna, ammettendo di aver sottovalutato quel grottesco individuo, che disponeva non solo di una protezione che i suoi attacchi non erano in grado di penetrare, ma anche di un pugno duro come l’acciaio.

 

“Stai meglio?!” –Le chiese Borneo, con aria genuinamente preoccupata, che stupì la stessa Tisifone.

 

“Cosa ti importa come mi sento? Preparati a combattere, servo dell’ombra!” –Incalzò la Sacerdotessa, espandendo il proprio cosmo violaceo.

 

“Se proprio insisti…” –Sbuffò Borneo. –“Anche se non capisco tutta questa tua tendenza all’autodistruzione! Hai avuto una delusione amorosa così grande da preferire la morte piuttosto che continuare a vivere senza l’amato al tuo fianco?!”

 

“Ma di cosa vai parlando, Borneo?! Pensi di vincermi con le parole?!” –Tuonò Tisifone, balzando in alto e caricando l’elettrico cosmo del Serpentario. –“Cobra Incantatore!!!” –E piombò sul Cavaliere Nero, avvolta in guizzanti folgori di energia. Ma questi non si scompose affatto, limitandosi a rientrare nel suo guscio, lasciando che le scariche energetiche si schiantassero all’esterno, senza scalfirlo, scivolando via come onde sugli scogli. –“Incredibile!!!” –Ringhiò Tisifone.

 

Non ebbe però la prontezza di allontanarsi, che Borneo, tirati nuovamente fuori gli arti e la testa, la afferrò per entrambe le braccia, con una velocità che Tisifone non avrebbe mai sospettato possedesse, bloccandola davanti a sé, per quanto la donna si dimenasse combattiva.

 

“Che caratterino tutto pepe!” –Commentò Borneo. –“Più che una Sacerdotessa, mi sembri un’Amazzone! Ih ih ih!”

 

“Lo prenderò come un complimento…” –Ironizzò Tisifone, che comunque ben si rispecchiava in quella descrizione, non essendo molto diversa da come Artemide l’aveva definita.

 

Al pensiero della Dea della Caccia, e della sua tragica fine, proprio su quella stessa isola, Tisifone si infiammò. Non aveva mai avuto amici, e soltanto negli ultimi mesi con Castalia aveva raggiunto un equilibrio, dopo anni di scherno e litigi continui. Ma in Artemide aveva saputo trovare qualcosa che andava al di là del mero rapporto tra Divinità e Cavalieri. Un’emozione più profonda, un’amicizia che Tisifone aveva condiviso con la Dea, nella quale aveva ritrovato qualcosa di sé.

 

Sola, combattiva, aveva imparato a difendersi per non essere aggredita dal mondo esterno, senza rinunciare mai alla sua femminilità. Aveva ricoperto il suo cuore di un guscio, per non essere debole. Ma nel profondo aveva coltivato la speranza di poter un giorno cambiare. Come aveva fatto Tisifone dopo che Pegasus l’aveva vista in volto, quel lontano giorno al campo d’addestramento delle sacerdotesse.

 

Aveva infine scelto di amarlo. E non se ne era mai pentita, nemmeno per un istante.

 

“E certo non lo farò adesso!!!” –Ringhiò Tisifone, bruciando al massimo il proprio cosmo, che la avvolse in un turbinar di folgori incandescenti, che stridettero anche sulle braccia e sul guscio di Borneo, strappandogli un mugugno infastidito.

 

D’un tratto, Borneo liberò il braccio sinistro della Sacerdotessa, portando indietro il pugno, e Tisifone, credendo fosse a causa delle scariche di energia, fece per caricare il suo colpo segreto. Ma il Cavaliere Nero aveva soltanto ritratto il braccio per poterla colpire direttamente, con un destro in pieno petto, che sfondò l’Armatura d’Argento, ferendole il seno e strappandole un grido di atroce dolore.

 

“Mi sembra proprio che tu non mi ascolti!” –Commentò sbadatamente Borneo, mentre Tisifone si accasciava al suolo, tenuta ancora per il braccio destro. –“Capisco di non essere molto attraente, ma sono anch’io capace di parlare! E pretendo di essere ascoltato!” –E nel dir questo strattonò la donna, tirandola a sé e afferrandole le gambe, in modo da sollevarla come fosse un tronco d’albero.

 

Con le sue braccia possenti, Borneo stiracchiò il corpo della Sacerdotessa da destra e da sinistra, estorcendole urla di sofferenza, prima di lanciarla in alto di qualche metro e colpirla in pieno mentre la donna precipitava a terra a peso vuoto. Il pugno fu così forte che la scaraventò contro una parete di roccia, frantumando quel che restava dell’Armatura del Serpentario e sotterrandola sotto mucchi di detriti. Quindi, come se quel combattimento fosse stato una gran fatica, Borneo sbadigliò, prima di rientrare nel suo guscio e riposarsi.

 

Tisifone, con numerose ossa rotte e ematomi sparsi sul corpo, con un tremendo dolore al seno, che le ricordava quanto fosse difficile vivere la sua femminilità di Sacerdotessa Guerriero, giaceva sotto mucchi di pietrisco franati su di lei, respirando a fatica. Ripensò ai potenti guerrieri che aveva affrontato nell’ultimo anno, Borea, Vento del Nord, e Atteone tra tutti, e a quando aveva indossato l’Armatura del Cancro. Per un attimo la invase la sensazione di chiedere aiuto, di poter indossare ancora una protezione che la riparasse dai colpi di Borneo, un avversario che, seppur grottesco, si stava rivelando insidioso.

 

Ma tutti stanno combattendo! Si disse la Sacerdotessa, percependo i cosmi di Asher, di Pegasus e dei suoi compagni, espandersi tra le tenebre dell’isola. E anche il minimo aiuto potrebbe essere loro indispensabile! Chi sono io per restare qua sotto, a contare i minuti che mi separano dalla fine? Non sarà certo un’armatura a fare la differenza in battaglia, ma lo splendore del mio cosmo!

 

“Ben detto, Sacerdotessa del Serpentario!” –Esclamò una decisa voce di donna, che risuonò nella sua mente. –“Era questo che volevo sentirti dire! Non parole d’accidia, ma di dinamismo!”

 

“A… Artemide?!” –Balbettò Tisifone, riconoscendo il cosmo della Dea della Caccia. –“Dove… sei?!”

 

“Lontano! E non posso porgerti aiuto in alcun modo, prigioniera di un limbo da cui uscirò soltanto per l’ultima guerra!” –Commentò Artemide. –“Ma questo non mi impedisce di ricordarti chi sei! Una donna sola, e orgogliosa di esserlo! Una guerriera che mai si è tirata indietro, né davanti ai figli della possente Eos, né di fronte ai Cacciatori di Artemide o alla bastarda progenie di Ares! Non dimenticare chi sei, e cosa hai fatto Tisifone! E trova nella tua solitudine di donna la forza per rialzarti!”

 

“Lo farò!” –Affermò seria Tisifone, sentendo il cosmo di Artemide scomparire. –“Come ho sempre fatto! Quello che per altre donne è dolore, per me sarà forza!” –E in quel momento sentì il cosmo di Asher risplendere come una piccola stella, rischiarando il buio in cui la Sacerdotessa era immersa. –“Anche lui, come me, ha perso qualcosa! Qualcuno che forse non ha avuto mai! Ma non per questo si è lasciato andare… e io non sarò certo da meno!!!” –Ringhiò la donna, bruciando al massimo il suo cosmo, che la avvolse come le spire di un serpente, turbinando attorno al suo corpo ferito e disintegrando la roccia sotto cui era intrappolata.

 

Ansimando, Tisifone si rimise in piedi, mentre la balenante sagoma di un cobra dalle spire di luce compariva dietro di lei. Borneo, disturbato nel suo sonnecchiare da quei rumori confusi, lasciò spuntare nuovamente la testa dal guscio, prima di sollevarsi con l’intero tozzo corpo, mentre Tisifone, avvolta nel suo cosmo incandescente, balzava verso di lui, schiacciandolo a terra sotto folgori di energia, veri e propri fulmini viola che stridettero contro la corazza protettiva del Cavaliere della Tartaruga, scheggiandola in più punti.

 

“Non hai ancora capito?! Il guscio mi difende! E i tuoi esigui poteri di donna non potranno neanche scalfirlo!”

 

“Non potrò scalfirlo?! Esatto, perché non è mia intenzione infatti!” –Esclamò Tisifone, irritata dal dichiarato maschilismo del suo avversario. –“Io voglio distruggerlo!!!” –Aggiunse, liberando violente unghiate di energia, che creparono il guscio di Borneo, di fronte ai suoi occhi sgranati.

 

Borneo mosse le braccia, per cercare di fermare quella pioggia di folgori, ma Tisifone fu più svelta di lui, balzando in alto ed evitando la stretta presa da cui, ben lo sapeva, non avrebbe potuto liberarsi. Atterrò dietro di lui e lo continuò a bombardare di scariche di energia, osservando nuove crepe aprirsi sul guscio protettivo.

 

Artigli del Cobra!!! Anche senza la corazza che Cancer ci prestò, sappiate lo stesso mutarvi in oro! Sappiate mutarvi… in luce!!!” –Gridò Tisifone, portando il braccio destro avanti, proprio mentre Borneo si voltava verso di lei, e aprendogli uno squarcio sulla corazza all’altezza del petto.

 

Tisifone vi infilò allora la mano destra, carica del suo cosmo sfolgorante, e lo scaricò all’interno del guscio, fulminando il Cavaliere della Tartaruga che non poteva più opporre nessuna protezione al suo corpo. Soltanto muovere il braccio destro e colpire la Sacerdotessa con un pugno allo sterno, in modo da spingerla indietro. Ma era comunque troppo tardi per aver salva la pelle.

 

Borneo crollò all’indietro, con il corpo incenerito dalle scariche energetiche di Tisifone e il guscio semidistrutto. Ma anche la Sacerdotessa Guerriero accusò il colpo, tenendosi il torace che pareva sul punto di scoppiarle. A fatica cercò di rimettersi in piedi, ma barcollò e cadde sulle ginocchia, giusto in tempo per notare un’ombra comparire dietro di lei.

 

Fu un attimo e si ritrovò a terra, ferita alla spalla destra da un sottile raggio di energia, con il sangue che macchiava la sua maglia marrone. Cercò di voltarsi, per vedere in faccia il suo nuovo nemico, ma fu raggiunta da un calcio sul viso, che la spinse indietro in malo modo, spaccandole la maschera d’argento.

 

“Bel visino!” –Commentò allora una voce di donna. –“Sarà un piacere deturparlo!”

 

Tisifone sollevò lo sguardo e, nonostante l’aria tenebrosa, riuscì a intravedere la sagoma di un Cavaliere Nero la cui corazza rappresentava un insetto.

 

Scura, con striature di giallo, l’armatura era ornata di ali sottili lungo la schiena, che si aprivano verso il basso, e da un elmo che copriva interamente il volto, su cui spiccavano due grossi occhi laterali, simili a quelli delle api. Il Cavaliere Nero aveva l’indice puntato verso Tisifone, sulla cui cima lampeggiava ancora una luce giallastra.

 

“I personaggi grotteschi non sono ancora finiti!” –Ironizzò la Sacerdotessa, tenendosi la spalla ferita e preparandosi ad un nuovo scontro.

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Capitolo 38
*** Un mondo di guerra ***


CAPITOLO TRENTASEIESIMO: UN MONDO DI GUERRA

CAPITOLO TRENTASEIESIMO: UN MONDO DI GUERRA.

 

Un secondo raggio di energia, sprigionato dall’indice del Cavaliere Nero che aveva di fronte, lacerò il ventre di Tisifone, prostrandola a terra in una pozza di sangue.

 

“Come sei sozza!” –Commentò la voce da dietro l’elmo a forma di testa di ape. –“Un comportamento ben poco adatto ad una donna!”

 

“Mostrati!!!” –Gridò Tisifone, facendo la voce grossa, per quanto la sua situazione fosse precaria. Ma non trovò di meglio per prendere tempo e recuperare le forze.

 

“Vuoi vedere il mio viso regale? Ebbene, eccoti accontentata!” –Rise la donna, sollevando l’elmo e rivelando un sorriso beffardo, contornato da piccoli occhi color zaffiro e lunghi capelli biondi. –“Sono Cassandra, l’Ape Nera! E sono l’ultimo volto che vedrai! Ma non disperarti, poiché hai avuto comunque l’onore di ammirare la mia bellezza prima di morire! Ah ah ah!”

 

Tisifone non le rispose, storcendo la bocca con disprezzo di fronte a così tanta ostentazione di artificiale bellezza. Cercò soltanto di rimettersi in piedi, ma i dolori che accusava in varie parti del corpo la piegarono nuovamente a terra.

 

“Addio!” –Si limitò a commentare Cassandra, puntando l’indice destro. Ma prima che il bagliore sulla punta si trasformasse in un raggio di energia, il Cavaliere Nero fu obbligato a sollevare lo sguardo verso l’alto, dove una cometa di luce era appena comparsa, riuscendo a compiere un balzo indietro appena in tempo.

 

Volo dell’Aquilaaa!!!” –Gridò Castalia, atterrando proprio di fronte a Cassandra e aprendo una piccola fossa nel terreno.

 

“Attenta, Castaliaaa!!!” –Le urlò subito Tisifone, vedendo che l’Ape Nera stava nuovamente caricando il suo pungiglione.

 

“Troppo tardi!” –Sorrise Cassandra, poggiando l’indice sul fianco destro della donna e spingendola indietro, trafitta da un deciso raggio di energia. –“Sarebbe stata una bella entrata in scena, degna di un’attrice di Hollywood, se fosse stata più discreta! Magari in una giornata di sole, dove veder comparire una luce azzurra nel cielo non mi avrebbe distratto più di quel tanto! A differenza di uno sfondo nero come le tenebre che avvolgono quest’isola!”

 

“Come stai, Tisifone?” –Rantolò Castalia, cercando di rimettersi in piedi e notando le condizioni dell’amica, piena di lividi, ferite e macchie di sangue. Ma non ebbe il tempo di aggiungere altro che Cassandra si avvicinò loro, puntando l’indice e caricandolo di nuova energia cosmica.

 

“Restate vicine, così vi manderò insieme all’altro mondo! Poiché in questo il vostro ruolo è ormai finito! Pungiglione dell’Ape Nera!” –Esclamò la donna, sprigionando sottili raggi di energia.

 

Castalia fu svelta ad afferrare Tisifone e balzare via dalla traiettoria delle punture, atterrando dietro un mucchio di rocce e pregando l’amica di rimanere là dietro.

 

“Qua sarai al sicuro!” –Affermò, prima di tornare sul campo di battaglia.

 

“Fai… attenzione!” –Mormorò Tisifone, a denti stretti, prima di crollare esanime.

 

“Credevo tu fossi fuggita!” –Commentò sprezzante Cassandra, spostandosi i capelli indietro con un gesto di vanità. –“Sconvolta dalla mia superiore bellezza! Del resto, da voi donne guerriere cosa posso aspettarmi? Certo non sensualità!”

 

“E tu non sei forse una combattente? Non stai ritta di fronte a me, con il dito pronto a trafiggermi con i tuoi strali di energia?” –Le rispose Castalia.

 

“Una combattente io?! Non sia mai, è mestiere poco adatto alla mia sublime femminilità! Io lotto per diletto e per soddisfare le voglie del Maestro di Ombre!” –Ridacchiò Cassandra. –“Ma mi hai visto?! Hai visto le mie forme? Non noti come l’Armatura Nera aderisce al mio corpo, sì da preservare la naturalezza delle mie curve? Non è stato difficile convincere Athanor a realizzare una versione sensuale della corazza dell’Ape Nera, grazie all’intercessione di Flegias, che è stato ben lieto di sollazzarsi con me nelle sue serate di veglia!”

 

“Che orrore…” –Commentò Castalia. Ma Cassandra non si curò del suo disprezzo, continuando ad accarezzare le snelle forme del suo corpo, che parevano rilucere di un’oscurità magnetica, al di sotto dell’Armatura che aveva indosso.

 

“È stato piacevole essere l’amante del Maestro di Ombre, la donna da lui scelta per unirsi alle tenebre che già coprono la Terra! È stato un onore! Anche se so che non mi ha mai visto come vide, nel Mondo Antico, la sua prima sposa!” –Confessò.

 

“La sua prima sposa?! Non sapevo che Flegias si fosse mai unito a qualcuno!”

 

“Una volta sola! Con una donna, di cui non conosco il nome, che ha intensamente amato e da cui ebbe Coronide, sua unica figlia!” –Spiegò Cassandra. –“Pare che la giovane fosse così bella da attirare persino le attenzioni del Dio del Sole, che la sedusse, la mise in cinta e infine la uccise! Flegias, per vendicarsi, appiccò il fuoco al Tempio di Apollo a Delfi, venendo punito e dannato dagli Dei! Di Coronide, a Flegias rimase soltanto il figlio che aveva generato con Apollo, il Dio della Medicina Asclepio, da lui amato e al tempo stesso odiato, per tutto ciò che rappresentava!”

 

“Interessante…” –Commentò Castalia. –“Che Flegias sia diventato pazzo e sanguinario dopo la scoperta della seduzione di Coronide da parte di Apollo? E che abbia deciso di scaricare il suo odio sull’intera umanità per farle provare quel che lui un tempo ha provato? Il dolore per la perdita dell’unica persona che avesse amato!”

 

“Non so rispondere a queste domande, Sacerdotessa di Atene! E nemmeno me ne curo! Ciò che so, e che mi importa, è che tra pochi minuti sarai sconfitta, come i Cavalieri tuoi compagni, e le tenebre riempiranno il mondo! Flegias, al posto di Zeus e degli Olimpi bastardi e corrotti, siederà su un trono d’ombra, ed io, Cassandra, sarò al suo fianco, come consorte dell’oscurità!”

 

“Sei una sciocca!” –La zittì Castalia. –“Un’illusa che non si accorge di chi la usa per soddisfare soltanto i propri effimeri piaceri! L’amore è ben altra cosa!”

 

“E chi ha parlato d’amore?” –Ironizzò Cassandra. –“Non è a questo che anelo! Ma a sedere come sovrana sul nascituro impero delle tenebre! Io, Cassandra, l’Ape Regina! Ah ah ah!” –E nel dir questo espanse il proprio cosmo, che si palesò sotto forma di onde di energia gialle e nere, che travolsero Castalia, paralizzando i suoi movimenti, mentre Cassandra sollevava l’indice verso di lei. –“Pungiglione dell’Ape Nera!!!”

 

Castalia cercò di fuggire, ma le onde energetiche la resero lenta, permettendo a un raggio energetico di raggiungerla al braccio sinistro e ad un altro di scheggiarle i coprispalla azzurri. Decise allora di passare al contrattacco, concentrando il cosmo sul pugno destro e lanciandosi avanti.

 

Cometa pungente!!!” –Gridò, liberando il colpo che aveva insegnato a Pegasus. Una moltitudine di pugni di energia sfrecciarono verso Cassandra, obbligandola a spalancare le ali della sua corazza e a balzare in alto, per non essere travolta.

 

Venne comunque raggiunta di striscio da alcuni colpi di Castalia, che scalfirono a malapena l’Armatura Nera ma furono sufficienti per farla sbilanciare, non essendo la donna molto pratica di tecniche di combattimento. La Sacerdotessa di Atene approfittò di quel momento per balzare su di lei, a gamba tesa, e colpirla con il tacco sul ventre, sbattendola a terra. Quindi caricò nuovamente il pugno, ma Cassandra, distesa sul selciato, sollevò il braccio destro e la colpì in mezzo al petto con un raggio di energia, che spinse Castalia indietro, piegandola a terra dal dolore.

 

Stringendo i denti, la Sacerdotessa usò il pezzo di stoffa che portava attorno alla vita per tamponare la ferita, accorgendosi dell’arrossamento della pelle e di un leggero gonfiore, quindi cercò di rimettersi in piedi, sia pur barcollando leggermente.

 

“Per adesso ti limiti a traballare! Ma se continuerò a colpirti, e ad iniettarti il veleno d’ape in gran quantità, potrai avanzare solo strisciando!” –Commentò Cassandra.

 

“Le tue parole fasulle non mi spaventano, Cavaliere Nero!” –Esclamò Castalia di rimando, ma Cassandra continuò a spiegarle gli effetti del suo colpo.

 

“È come la puntura di un’ape! Provoca arrossamento, gonfiore e dolore bruciante! Ma, essendo nato come colpo mortale, con sintomi molto più gravi! Eh eh eh!” –Rise Cassandra, tirandosi nuovamente i capelli all’indietro.

 

Castalia non fu troppo colpita dalle sue parole e si preparò per concentrare di nuovo il cosmo sul pugno destro, per quanto un senso di nausea e di debolezza l’avesse invasa in quel momento. L’Ape Nera si accorse della sua perdita di concentrazione e ne approfittò per colpirla ancora, con tre nuovi raggi energetici: al collo, distruggendo l’aquila azzurra, sulla spalla destra e su una coscia, prostrandola a terra.

 

“Sei molto fortunata!” –Commentò Cassandra avvicinandosi al Cavaliere d’Argento. –“Sai che molte persone sono allergiche al veleno di alcuni insetti e, se punte, possono morire in fretta in conseguenza dello shock anafilattico che ne deriva? Ti va bene che non sei tra queste… la tua sarà una fine dolorosa ma lenta, in cui giungerai ad invocare persino la mia pietà! La pietà della Regina Oscura!”

 

“Sei folle!” –Mormorò Castalia.

 

“Come?!” –Si fermò Cassandra, proprio di fronte alla Sacerdotessa prostrata a terra.

 

“Sei folle!” –Ripeté Castalia, sollevando lo sguardo verso la donna. –“Folle e stupida! Innamorata di un uomo che ti ha soltanto usata per scaldare le sue notti solinghe, perso nei ricordi dell’unica donna che ha amato! Ho pena di te, perché, per quanto ti piaccia atteggiarti a femmina fatale, inganni il tuo cuore, nascondendo i veri sentimenti dietro una maschera d’ombra!”

 

Cassandra, in tutta risposta, la colpì con un calcio sul mento, spingendola indietro, fino a farla ruzzolare sul selciato, con un’espressione terribile sul volto.

 

“Ecco la conferma alle mie parole!” –Mormorò Castalia, cercando di rimettersi in piedi. Ma Cassandra la colpì di nuovo, aprendole tre nuovi fori sulla schiena, da cui sangue schizzò fuori, aumentando il dolore e il prurito che già provava. –“Colpiscimi se ti farà stare meglio! Ma questo non cambierà la realtà dei fatti! Non ti farà sentire migliore, né la donna che non sei mai stata per Flegias! Anch’io, per molto tempo, ho avuto paura dei miei sentimenti, finché un amico, che non pensavo di avere, mi ha spinto a guardarmi dentro, e ad ammettere quello che sono! E quello che provo!”

 

“Quello che sei, Sacerdotessa dell’Aquila, è solo una donna vinta, sporca di sangue e polvere, che si strascica al suolo come una serpe agonizzante!” –Ringhiò Cassandra, con voce adirata e i lineamenti del volto deformati rispetto alla sensuale donzella che aveva narrato la storia di Flegias. E la colpì un’ultima volta, con un raggio di energia così potente da sollevare Castalia e spingerla molti metri avanti, schiantandola a terra in una pozza di sangue. Soddisfatta, Cassandra le voltò le spalle, incamminandosi, con improvvisa lentezza, verso le rocce dietro le quali Tisifone riposava. Per terminare il suo lavoro.

 

Castalia, rimasta sola, faticò a respirare, a causa del veleno iniettato dentro al corpo. Veleno che, se avesse avuto il tempo, avrebbe potuto provare a succhiar via. Ma Cassandra stava per uccidere Tisifone e lei doveva alzarsi. Doveva farlo per salvarla. Ma non ci riusciva. Crollava a terra ogni volta in cui cercava di rimettersi in piedi.

 

Si ricordò di Moses, di quando le aveva quasi spaccato il cranio, sulla spiaggia di Nuova Luxor, e di Danes, assieme al quale era precipitata in un burrone ad Atene. Ma entrambe le volte ne era uscita indenne. E da sola, con l’uso delle sue forze, aveva scalato la Collina delle Stelle. E sempre da sola aveva ammesso di provare qualcosa per un uomo. Che fosse Ioria o Phantom non lo aveva ancora capito, combattuta tra l’ancora felice del passato e l’incerta, ma inebriante, prospettiva del futuro. Proprio per quello, per le conquiste che aveva ottenuto, grazie anche a Morfeo, che l’aveva aiutata a guardarsi dentro, doveva rialzarsi ancora.

 

Bruciò il proprio cosmo, come aveva sempre incitato Pegasus a fare altrettanto, oltre i limiti della propria costellazione, rimarginando le ferite subite, mentre cercava di rimettersi in piedi, chiamando con forza il nome della sua avversaria.

 

Cassandra, con l’indice teso verso Tisifone, inerme al suolo di fronte a lei, si voltò giusto in tempo per vedere migliaia di comete azzurre piombare su di lei, senza che potesse far niente per pararle. Cercò di volar via, ma fu battuta sul tempo e spinta indietro, fino a schiantarsi contro un muro di roccia, con numerose crepe sull’armatura, mentre Castalia, sia pur a fatica, atterrava di fronte a lei.

 

“Non mi colpisci più?!” –Ironizzò la Sacerdotessa. –“Tremi all’idea di usare nuovamente il tuo veleno, non è vero, Cassandra? All’idea di terminare la tua esistenza, come quella delle api dei cui poteri ti sei cibata!”

 

“Hai dunque compreso!” –Mormorò la donna, rimettendosi in piedi. –“Come Ape Regina ho avuto il massimo dei privilegi, ma anche degli oneri! Potere e morte! Ecco il mio segreto! Come le api muoiono in un paio di giorni, dopo aver perso il pungiglione, ugualmente le mie forze diminuiscono col prolungato uso della puntura venefica!”

 

“Sei ancora in tempo per fermarti!” –Esclamò Castalia. –“Di certo non chiedo la tua morte, né ti obbligo a lottare ancora! Concedimi di salvare i miei compagni e di recarmi a combattere il Maestro di Ombre! E sarai salva!”

 

“Salva?! Come potrei esserlo sapendo che qualcuno attenta alla vita dell’uomo che amo?!” –Ironizzò Cassandra, accennando un sorriso sincero alla Sacerdotessa. –“Preferirei ardere all’inferno cento volte che regnare da sola su un mondo di luce!” –Ed espanse al massimo il proprio cosmo, caricandolo sull’indice destro, mentre l’inquietante sagoma di un’ape nera comparve dietro di lei. –“Stai pronta, Castalia! Per fermarti dovrò dare fondo a tutto il mio potere! E lo farò!”

 

“Lo so!” –Rispose semplicemente la Sacerdotessa, balzando in alto, avvolta nel suo cosmo azzurro e lasciandosi circondare dalla maestosità di un’aquila d’argento. –“Volo dell’Aquila Reale!” –Gridò, piombando a gamba tesa in picchiata su Cassandra, che, in tutta risposta, liberò un unico raggio di energia, preciso e potente, che raggiunse Castalia in mezzo al seno, distruggendo la corazza protettiva. Ciò non le impedì comunque di colpire l’Ape Regina, dilaniandola con gli artigli del rapace imperiale e sbattendola a terra, tra i frammenti della sua veste distrutta.

 

“Lo hai ammesso… infine!” –Commentò Castalia, trascinandosi verso il corpo ferito di Cassandra e sollevandolo, in modo che le due potessero guardarsi un’ultima volta.

 

“Non volevo morire senza aver trovato il coraggio di dichiarare a me stessa quanto l’ho amato! Per quanto folle e suicida questo amore… sia stato!” –Spirò così l’Ape Nera, con tutti i sogni che aveva sempre nascosto, persino a se stessa.

 

Castalia non ebbe il tempo di piangerla che fu travolta, assieme al corpo della donna, da un fendente di energia infuocata, che spaccò in due il terreno, sollevando entrambe e scagliandole indietro, distruggendo definitivamente le loro corazze e avvolgendole in vampe di fuoco. Tossendo e sputando sangue, Castalia riuscì a volgere lo sguardo verso il punto da cui era partito l’attacco. Ma non vi trovò nessuno.

 

Solo allora si accorse che il nemico era già accanto a lei e osservava con freddezza il cadavere di Cassandra. Alto e ben fatto, con folti capelli grigi, che ben si intonavano alle decorazioni argentate della sua corazza nera, un uomo piantò una delle due spade che stringeva in mano nel corpo dell’Ape Nera, incendiandolo all’istante.

 

“Nooo!!!” –Gridò Castalia, muovendosi verso Cassandra. –“Che fai?!” –Ma l’uomo neanche le rispose, muovendo l’altra spada e falciando la Sacerdotessa fino a spingerla indietro, con una bruciatura alla gamba sinistra e tagli sparsi sul corpo.

 

“Ha fallito!” –Si limitò a commentare l’uomo dal volto inespressivo, prima di togliere la spada dal cadavere di Cassandra e incamminarsi verso il Cavaliere d’Argento.

 

Castalia non aveva più forze nemmeno per parlare, per chiedergli chi fosse e come potesse essere così freddo. Ma capì che, anche se avesse potuto, non sarebbe servito a niente, poiché quell’uomo la morte l’aveva tatuata in fronte. Il Cavaliere Nero sollevò una spada, ma prima che potesse calarla su Castalia due voci lo raggiunsero.

 

Criniera dell’Unicorno!!!” –Gridò Asher. –“Cobra Incantatore!” –Gli andò dietro Tisifone, balzando sul servitore di Flegias da ambo i lati. Ma questi non si scompose affatto, limitandosi ad incrociare le spade avanti al petto, prima di scagliarle indietro, senza neanche voltarsi.

 

La prima spada raggiunse Tisifone, falciandole via un pezzo di coscia e facendola crollare in una pozza di sangue, mentre la seconda si conficcò precisa nella spalla destra di Asher, distruggendo la sua corazza e prostrando il ragazzo a terra. A quella visione, Castalia scattò avanti, con il pugno teso, per proteggere gli amici che, seppur deboli, avevano rischiato la vita per aiutarla. Ma l’uomo non ebbe problemi a scansarsi di lato, evitando l’affondo della donna, prima di colpirla con una secca ginocchiata in pieno addome e scaraventarla contro una parete di roccia.

 

Senz’altro aggiungere, soddisfatto della sua prestazione, aprì i palmi delle mani, dove le spade tornarono in un secondo, salde nella presa dell’uomo che, tra tutti i servitori di Flegias, era il più temuto. Notando che Asher ansimava ancora, rantolando sul terreno, il Cavaliere Nero gli si avvicinò, puntandogli la spada alla gola. Non mosse neanche un sopracciglio, sollevando la lama e calandola di nuovo su di lui.

 

Ma, rapido come un fulmine, un lampo di luce spinse il sicario di Flegias indietro, mentre la sagoma di uno scudo rotondo compariva a proteggere Asher. Dietro di lui, con il cosmo acceso, il Cavaliere d’Oro della Bilancia.

 

“Approfitti di un uomo indifeso?!” –Esordì Libra, abbassando leggermente lo scudo. –“Che Cavaliere sei? Non hai onore?!”

 

“Faccio solo il mio lavoro!” –Si limitò a commentare l’uomo, con voce flemmatica. E mosse una spada così in fretta da generare un fendente energetico che sfrecciò verso Libra, obbligandolo a sollevare nuovamente lo scudo d’oro per proteggersi, venendo comunque spinto indietro dal contraccolpo. Non ebbe bisogno di abbassare di nuovo lo scudo per sentire che il Cavaliere Nero non era più di fronte a lui, ma era balzato in alto, piombando contro la sua difesa con le lame sfoderate.

 

“Incredibile!” –Rifletté Libra, osservando con quanta forza, precisione e perizia il suo avversario sapeva muovere perfettamente in sincronia le due spade che stringeva in mano, sbattendole contro lo scudo e costringendolo ad una continua posizione di difesa. –“Non posso restare passivo!” –Si disse, cercando una falla nei movimenti dell’uomo, scoprendo con terrore che non ve ne erano. –“Devo tentare ugualmente!” –Affermò, caricando il cosmo sul braccio destro e muovendolo dal basso verso l’alto, per generare un Drago Nascente da distanza ravvicinata.

 

L’attacco, per quanto lo sollevasse da terra, non stupì particolarmente il Cavaliere Nero, che si lasciò trascinare per una decina di metri, senza opporre resistenza, prima di scivolare lungo il dorso del dragone energetico, di fronte agli occhi sorpresi di Libra, e colpirlo a piedi uniti, spingendolo indietro di qualche metro.

 

Senza neppure il tempo per rifiatare, il Cavaliere Nero liberò nuovi fendenti energetici, costringendo Libra a muoversi continuamente per non essere travolto e a parare con lo scudo quelli, troppo fitti e vicini tra loro, che non poteva schivare.

 

“Sta conducendo nuovamente il gioco!” –Mormorò Libra, cercando un modo per limitare quel vantaggio avversario. E decise di provare un attacco frontale, caricando di nuovo il braccio destro. –“Colpo segreto del Drago Nascente!” –Gridò, portando avanti il pugno e liberando uno scintillante dragone di energia, che sfrecciò verso il servitore di Flegias, senza strappargli alcuna espressione di stupore.

 

Libra, sempre più sconvolto, osservò il suo avversario incrociare le lame di fronte a sé, caricandole del suo cosmo infuocato, e contenere con esse l’impatto dell’attacco. Ma, non contento, l’uomo spinse con forza le lame avanti, in modo da trinciare la sagoma del dragone di luce con dei fendenti energetici, che dilaniarono dall’interno la bestia sacra di Cina, dissolvendo l’assalto del Cavaliere d’Oro.

 

“Muori!” –Esclamò infine l’imperturbabile nemico, scagliando una spada ai piedi di Libra, dove si piantò, esplodendo sul colpo e scagliando il Cavaliere indietro di qualche metro.

 

Con abilità, Libra si raddrizzò ancora in volo, ricadendo compostamente a terra, ma subito dovette fronteggiare la furia del servitore di Flegias, che con l’altra spada torreggiava già su di lui, scheggiando più volte lo scudo d’oro che Libra aveva prontamente sollevato. Poco importava che avesse solo una lama, la precisione e la potenza dei suoi colpi non ne risentivano affatto e, per quanto fosse un nemico, Libra non poteva che ammirare una tale preparazione atletica e battagliera.

 

“Mi dispiace!” –Disse infine, caricando lo scudo del suo cosmo dorato e fermando il susseguirsi di colpi del nemico. –“Ma questo schema deve cambiare!” –Aggiunse, muovendo il braccio a spazzare, in modo da spingere via la spada incandescente, a costo di aprire nel qual tempo una breccia nelle sue difese. –“Ora!” –E portò avanti il braccio destro, per colpire il servitore di Flegias da vicino, ma questi, in quella frazione di secondo, aveva aperto il palmo della mano sinistra, richiamando a sé l’altra spada, che saettò verso di lui proprio mentre il pugno di Libra stava per colpirlo, piantandosi nel polso del Cavaliere d’Oro e avvolgendolo in un nugolo di fiamme. Non aggiunse altro e lo colpì con un calcio dal basso, scagliandolo indietro di molti metri, osservandolo ruzzolare sul terreno roccioso fino a perdere l’elmo della sua corazza dorata.

 

“Sapiente e abile!” –Commentò Libra, rimettendosi in piedi. –“Sei una macchina da guerra perfetta! Non tradisci affatto le tue emozioni e sembra che niente ti turbi sul campo! Mi chiedo soltanto… perché adesso non mi hai finito? Adesso che ero inerme, perché non ne hai approfittato per colpirmi come hai fatto finora?!”

 

“Toglimi le spade! E solo allora lo saprai!” –Rispose l’uomo, scattando avanti, con entrambe le lame impugnate, roteandole in modo da generare turbini di fiamme, che si abbatterono su Libra, costretto a ripararsi dietro lo scudo dorato.

 

“Se è una sfida…” –Mormorò il Cavaliere, concentrando il cosmo. –“La accetto con piacere!” –E nel dir questo liberò l’energia raccolta, che si espanse dallo scudo come un ventaglio di luce dorata, annientando le fiamme e obbligando il servitore di Flegias a interrompere l’avanzata.

 

Questi incrociò le spade di fronte a sé, cariche del suo cosmo incendiario, e generò un attacco di energia incandescente, a forma di croce, che si schiantò su Libra, spingendolo indietro di qualche metro. Quando l’assalto si placò, il Cavaliere d’Oro non perse neanche tempo a cercare il nemico con lo sguardo, avendo ben sentito che si era lanciato in alto, e altrettanto fece lui, evitando in tempo una lama infuocata, che l’uomo gli aveva appena scagliato contro, e approfittando dell’onda d’urto che la stessa generò esplodendo a terra per farsi spingere proprio verso di lui.

 

Colpo del Drago Nascente!!!” –Gridò Libra, piombando sul Cavaliere Nero, con le scintillanti fauci spalancate.

 

Il volto del servitore di Flegias tradì per la prima volta un’emozione di sorpresa, ma non gli impedì di portare l’altra spada di fronte a sé, caricandola del suo cosmo e usandola per parare l’attacco, rallentandone la portata. Venne raggiunto ugualmente a un fianco e costretto a tornare a terra, portandosi fuori dal raggio d’azione avversario.

 

“Dunque non sei invincibile!” –Commentò Libra a denti stretti, atterrando a qualche metro di distanza dal Cavaliere Nero, che aveva nel frattempo richiamato a sé la prima spada, unendone l’impugnatura a quella che già stringeva, in modo da ottenere un’unica arma con un’elsa centrale e due lunghe lame affilate da ambo i lati.

 

Filo diritto!” –Declamò, muovendo l’arma verso sinistra con velocità sorprendente e generando un fendente di energia infuocata, che scavò una fossa nel suolo prima di abbattersi con foga contro lo scudo d’oro. –“Filo falso!” –Seguitò, muovendo l’arma verso destra. Ma Libra fu più rapido, evitando il piano energetico e gettandosi di lato, prima di contrattaccare, volgendo entrambe le braccia verso il suo nemico.

 

Colpo dei Cento Draghi!” –Esclamò, liberando tantissimi dragoni lucenti, che sfrecciarono nell’aria torbida dell’Isola delle Ombre, diretti verso il Cavaliere Nero, il quale roteò con forza l’arma a due lame di fronte a sé, in modo da generare uno scudo d’aria e fuoco con cui smorzò l’assalto, spuntando le zanne dei Cento Draghi. –“Impossibile! Nemmeno il Muro di Cristallo del mio vecchio amico Shin può parare il massimo colpo del custode dei Cinque Picchi!!!” –Incalzò Libra, rinnovando l’assalto, espandendo al massimo il proprio cosmo.

 

Il servitore di Flegias continuò a ruotare la propria arma, ma la pressione che i Cento Draghi esercitavano era superiore rispetto alla capacità di rotazione della stessa e presto molte zanne di luce scheggiarono la sua corazza, distruggendola in più punti e raggiungendo la carne al di sotto di essa. Un ulteriore aumento della potenza cosmica di Libra scaraventò indietro l’abile spadaccino, schiantandolo contro una parete di roccia, mentre l’arma gli sfuggì di mano, piantandosi nel terreno poco distante.

 

“Adesso possiamo parlare?” –Ironizzò Libra, avvicinandosi al suo nemico, sempre tenendosi a una certa distanza di sicurezza.

 

“Cosa vuoi sapere?!” –Rispose lo spadaccino, quasi stupito da quella domanda.

 

“Qualcosa di te! Il tuo nome, per esempio! Le norme della cavalleria impongono che ci si presenti prima di iniziare un duello!” –Esclamò Libra.

 

“Non ho nome, o se l’ho avuto non ne sono a conoscenza!” –Rispose l’uomo. –“Ma nell’ordine dei Cavalieri Neri sono conosciuto come Avel, delle Spade Incrociate, il Cavaliere dell’Elettore di Sassonia! Questo è il nome che Flegias mi diede anni fa, ispirato dal fiume di Berlino presso le cui rive mi trovò! L’Havel, appunto!”

 

“Berlino?!” –Sgranò gli occhi Libra, non capendo le parole dell’uomo.

 

“È una città della Germania orientale!” –Ironizzò Avel, rimettendosi intanto in piedi. –“Ed è là che ho lavorato per anni! Finché i miei superiori non mi hanno tradito!”

 

“Quali superiori? Per chi lavoravi?” –Incalzò Libra, che da quella spiegazione confusa aveva capito ben poco. Ma Avel sembrava aver perso la voglia di parlare, per quanto poca fosse comunque stata, e si limitò a sogghignare, mentre le spade si liberavano dal terreno, separandosi di nuovo, e sfrecciavano nelle sue mani.

 

“Troppe domande!” –Commentò semplicemente, prima di lanciarsi contro Libra, muovendo le lame con perfetta sincronia e obbligando il Cavaliere a sollevare lo scudo, sottoposto a una pressione continua.

 

Devo fermarlo! Si disse il maestro di Sirio. Ma come? Da questa distanza ravvicinata il Drago Nascente si è rivelato inefficace e per lanciare i Cento Draghi ho bisogno di entrambe le mani libere! Un colpo secco di spada lo sbilanciò all’indietro, facendolo cadere a terra, ma riuscì a tenere lo scudo sollevato in modo che, per lo slancio, Avel vi finisse sopra. Poi lo mosse con forza di lato, scaraventando via lo spadaccino, che fu comunque abile ad atterrare compostamente al suolo. Alla distanza perfetta per il colpo che Libra intendeva scagliare.

 

“Questo è l’ago della Bilancia, la chiave di volta tra le benigne stelle e le forze dell'oscurità!” –Esclamò, rimettendosi in piedi e caricando il braccio destro del suo cosmo. –“Per il Sacro Libra!!!” –Gridò, calandolo di colpo e generando un piano di energia che sfrecciò verso Avel alla velocità della luce, falciandogli un braccio e distruggendo parte della sua corazza, facendogli perdere la presa su una spada.

 

Sanguinante, il Cavaliere delle Spade Incrociate si gettò comunque contro Libra, che lo aspettava avvolto nella sua dorata aura cosmica, con le braccia raggianti di energia.

 

Colpo dei Cento Draghi!!!” –Gridò il maestro di Sirio, scatenando le sfolgoranti fauci dei dragoni d’Oriente, che trapassarono il corpo di Avel, schiantandolo a terra in una pozza di sangue. Fu abile comunque, l’Elettore di Sassonia, a scagliare la spada contro Libra, piantandogliela nella coscia sinistra, proprio sopra la protezione dell’armatura, strappando al Cavaliere un grido di dolore.

 

Crollando su un ginocchio, Libra estrasse l’arma dalla gamba, cercando di fermare l’emorragia con il tepore delle stelle, ammettendo al qual tempo l’estrema precisione del sicario di Flegias, un uomo che del cosmo conosceva solo i rudimenti, ma che in quanto a preparazione fisica non aveva niente da invidiare a un Cavaliere.

 

“KGB!” –Mormorò Avel, sdraiato a terra. –“Lavoravo… per il KGB!”

 

“I servizi segreti sovietici?!” –Commentò Libra incuriosito, incamminandosi verso il corpo massacrato e grondante sangue dell’uomo, che annuì a fatica.

 

“Ho lavorato per dodici anni a Berlino, svolgendo sempre bene i compiti… assegnatimi.” –Disse, e Libra intuì a cosa si riferisse. –“Finché, per cancellare ogni traccia di un suo possibile coinvolgimento nello sterminio della famiglia di un noto politico liberale, il KGB non decise di sacrificarmi! Fuggii per giorni, braccato da ogni dove, trovando rifugio nella foresta di Wannsee, sulle rive dell’Havel, dove Flegias mi incontrò!” –Tossì Avel, sputando sangue e continuando con un filo di voce. –“Restò impressionato dalle mie capacità! Silenzioso e preciso, perciò letale, mi definì, proponendomi di seguirlo! Nel KGB non ero nessuno, soltanto un numero di codice! Per Flegias, e per i Cavalieri dell’Ombra, almeno sono stato qualcuno…”

 

Libra sospirò, chiudendo gli occhi del sicario, mentre Asher, Tisifone e Castalia, tenendosi l’un l’altro, si avvicinavano in silenzio. Tutti sentirono un’immensa energia cosmica, superiore a quella di tutti i Cavalieri e Capitani dell’Ombra affrontati finora. Un’energia dalle sfumature infuocate e divine, che ben conoscevano.

 

Flegias, il Maestro di Ombre, era infine sceso sul campo di battaglia e da qualche parte, in quell’isola maledetta, stava affrontando Pegasus e i suoi amici.

 

 

 

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Capitolo 39
*** Per amore di Nemes ***


CAPITOLO TRENTASETTESIMO: PER AMORE DI NEMES

CAPITOLO TRENTASETTESIMO: PER AMORE DI NEMES.

 

Andromeda aveva chiesto a Kiki di accompagnarlo sull’isola dove aveva ottenuto l’investitura, sicuro che Nemes fosse in pericolo. Lo aveva visto con i suoi occhi, grazie al sangue di Biliku, che gli aveva concesso la facoltà di leggere al di là del fenomenico, per trovare l’essenza di tutte le cose. Ciò che non si aspettava fu però di vedere l’amica che aveva medicato le sue ferite durante l’addestramento, e di cui col tempo si era innamorato, incatenata agli stessi scogli dove lui era stato legato per affrontare il rituale dell’ultima prova.

 

“Nemes!!!” –Gridò, alla vista della ragazza stritolata da oscure catene, che impedivano al suo corpo, ferito e sanguinante, di muoversi, lasciandola in balia delle onde che continuamente la travolgevano. –“Resisti!!!” –Aggiunse, dall’alto della scogliera dove un tempo Albione lo aveva osservato conquistare l’Armatura.

 

E da cui oggi io contemplo questo orrore! Mormorò il ragazzo, a cui non era sfuggito un particolare molto delicato. Nemes non indossava infatti alcuna maschera e sul suo viso erano presenti graffi vistosi, segno evidente che chiunque l’avesse ridotta in quello stato aveva deciso di oltraggiarla ulteriormente.

 

Andromeda e Kiki fecero per incamminarsi lungo l’irto sentiero che conduceva agli scogli quando, dall’alto della rupe, qualcosa cadde loro in testa, spaccandosi in vari pezzi toccando terra. Inorridito, Andromeda riconobbe la maschera di Nemes, macchiata di sangue, e si voltò verso l’alto, per incrociare lo sguardo soddisfatto e divertito di Sakis del Quadrante Oscuro, uno degli allievi di Iemisch, la Tigre Nera.

 

“Ben arrivato Andromeda! Spero che lo spettacolo sia di tuo gradimento!” –Esclamò il giovane dai corti capelli grigi, prima di scoppiare a ridere.

 

“Sakis?! Tu hai sfregiato Nemes a tal punto?! Perché?!” –Esclamò Andromeda, a cui il comportamento del Cavaliere Nero era apparso alquanto sospetto durante il loro primo incontro ad Angkor. –“Non hai ucciso Virgo quando ne hai avuto la possibilità, né hai approfittato della sorpresa per massacrare me e i suoi discepoli! Cosa ti ha spinto adesso a un gesto di così atroce brutalità?”

 

“Non è ovvio, Cavaliere di Andromeda?!” –Sorrise Sakis, storcendo la bocca in un ghigno perverso. –“La stessa bestialità che mi ha invaso quando ho ucciso Dhaval! La stessa lussuria che ho provato sfregiando il corpo della bionda a cui tanto sei legato! Ih ih ih!”

 

“Carogna!” –Ringhiò Andromeda, scagliando le catene verso l’alto della rupe. Ma Sakis fu svelto a balzare via, mentre le armi si schiantavano contro il terriccio, facendolo franare su Andromeda e Kiki. Si infilò dentro il groviglio di catene, servendosi di esse per scivolare fino a terra e colpendo Andromeda con un calcio in pieno viso, sbattendolo al suolo.

 

“Andromeda!!!” –Gridò Kiki, avvicinandosi all’amico. Quindi, vedendo che si stava subito rialzando, gli mise una mano su una spalla, annuendo in silenzio e scattando via. Con l’intento di salvare Nemes.

 

“Altolà!” –Esclamò Sakis, apparendo di fronte a lui e afferrandolo per i capelli, strattonandolo di fronte agli occhi incolleriti, ma timorosi, di Andromeda. –“Stai al tuo posto, ragazzino!” –E scaraventò Kiki contro la parete di roccia, facendogli sputare sangue, prima che crollasse a terra. –“Mi hai deluso!” –Commentò quindi, voltandosi verso il Cavaliere, preoccupato per le sorti del suo piccolo amico. –“Due volte!”

 

“Io deluso te?!” –Sgranò gli occhi Andromeda, che, sebbene sapesse che era un nemico, aveva sentito qualcosa di diverso nel Cavaliere del Quadrante Oscuro. Qualcosa che risaliva agli anni perduti in cui erano stati entrambi orfani alla Grande Fondazione. Qualcosa che avevano condiviso.

 

“Punto uno: mi aspettavo tu venissi da solo! Senza la guardia del corpo!” –Ironizzò, mentre Kiki cercava di rimettersi in piedi, con la schiena indolenzita per la botta. –“Pazienza, vorrà dire che massacrerò anche lui di fronte ai tuoi occhi, come ho abusato del corpo della tua bella!”

 

“Cosa hai fatto, bastardo?!” –Si infuriò Andromeda, liberando la catena, che sfrecciò verso il volto divertito di Sakis, che si limitò a disegnare un simbolo in aria con l’indice destro, carico del suo cosmo argentato.

 

“Punto secondo!” –Sentenziò, mentre la Catena di Andromeda si fermava proprio di fronte a lui, con la punta incollata al simbolo che aveva tratteggiato. –“Che ne è della tua famosa calma? Del tuo placido timore di ferire gli avversari, speranzoso sempre di una via d’uscita che non passi dal baratro della morte?!”

 

“Perché dovrei esitare di fronte a te, Sakis, che non ti sei fatto scrupoli nel torturare una donna, e un bambino? E, cosa forse peggiore, l’hai deliberatamente umiliata!” –Incalzò Andromeda, cercando di recuperare il controllo sulla sua Catena d’Attacco, che parve pietrificata, bloccata in aria davanti a sé. –“Avendo ricevuto anche tu un minimo di addestramento, saprai certamente che ruolo una maschera gioca per una Sacerdotessa! E, per quanto Lady Isabel, dopo la corsa alle Dodici Case, abbia abolito la regola per cui una Sacerdotessa sia costretta a scegliere se uccidere o amare chi l’ha vista in volto, rimane comunque un simbolo di fede! Il simbolo di una scelta! E tu l’hai calpestato senza ritegno alcuno!”

 

“Non l’ho calpestato! Te l’ho semplicemente spaccato in testa!” –Rise Sakis. –“Ah, dimenticavo! Ho un altro regalo per te!” –E gli lanciò un oggetto che inizialmente Andromeda non capì cosa fosse. Lo afferrò al volo e notò che erano due sfere biancastre, mollicce al tatto, che gli sfuggirono di mano, rotolando in terra, fino a fermarsi ai piedi di Kiki, che, inorridito, fece un balzo all’indietro, riconoscendo due occhi umani.

 

“Dhaval non ne aveva più bisogno…” –Commentò Sakis, esplodendo in una risata isterica, di fronte al volto incollerito e nauseato di Andromeda.

 

“Come puoi essere così macabro?!” –Gridò il ragazzo, scagliando anche la seconda catena contro di lui. Ma anch’essa venne fermata da un simbolo che Sakis disegnò con l’indice, tingendo l’aria di un vivido argento, che privò le armi di Andromeda della loro vitalità.

 

“Credo che tu non abbia capito!” –Ironizzò l’allievo di Iemisch, spostandosi e iniziando a camminare attorno ad Andromeda, mentre le catene rimanevano bloccate a mezz’aria, come scatti improvvisati di fotografia. –“Il sigillo del tatto sta già agendo su di te, come ha agito su Nemes e su Dhaval! È solo questione che tu te ne renda conto! Ih ih ih!”


“Rendermi conto di cosa?!” –Esclamò Andromeda, facendo per lanciarsi su di lui. E solo allora si accorse di non potersi più muovere. Di non poter spostare neanche un braccio, bloccato da una forza a cui non sapeva opporsi, al punto che persino aprire la bocca per parlare gli costava uno sforzo e un dolore immensi.

 

Sigilli dell’Impero!” –Sogghignò Sakis, fissando il ragazzo negli occhi. E percependo tutto l’odio che, forse per la prima volta, Andromeda stava provando per qualcuno. –“E dopo il tatto, l’odorato! A cosa ti serve in fondo? Ad annusare il corpo putrefatto della tua bella, dopo che sarà morta affogata? Ih ih ih!” –Rise, disegnando un secondo simbolo in aria.

 

“Sakis! Fermati! Perché questo sadismo? Sei cresciuto con me, hai condiviso le perdite che hanno segnato l’infanzia di tutti noi! Dovresti capire, dovresti essere al nostro fianco per combattere l’ombra!”

 

“Ah ah ah! Che sciocchezze vai dicendo Andromeda?” –Esclamò Sakis, prima che il suo volto si facesse terribile. –“Non siamo tutti uguali! Non vogliamo tutti essere degli eroi! E quest’illusione in cui vivi, speranzoso di portare sempre a galla quel che di buono c’è in ognuno di noi, è una chimera che oggi morrà!” –E nel dir questo disegnò in aria un terzo simbolo argentato, sigillando la bocca del Cavaliere. –“Non posso toglierti definitivamente i cinque sensi! Ma i Sigilli dell’Impero ti renderanno comunque inerme, bloccandoti il tempo necessario perché Nemes affoghi, e tu la raggiunga in Ade! Ih ih ih!” –Rise Sakis, di fronte agli occhi inorriditi di Andromeda, prima di essere distratto da un movimento alla sua destra.

 

Un globo di luce verde sfrecciò verso di lui, ad una velocità così bassa che non ebbe alcun problema ad afferrarlo con il palmo della mano e a rinviarlo indietro. Kiki fu comunque abile a schivarlo, scomparendo grazie al teletrasporto e riapparendo alle spalle del Cavaliere Nero, con un’altra sfera di energia in mano.

 

“Notevole!” –Si limitò a commentare Sakis, con aria divertita, disegnando un sigillo argentato in aria e paralizzando i movimenti del ragazzino, voltandosi poi per osservare la sua buffa posa. –“Credevi che non avessi percepito dove saresti ricomparso? Possiedo anch’io poteri telecinetici, e superiori ai tuoi!” –Aggiunse, sollevando Kiki con la forza del pensiero, mentre il ragazzino, a parte strillare impaurito, nient’altro poteva fare per opporsi. Quindi lo scaraventò via, con un semplice movimento del braccio, davanti agli occhi sconvolti di Andromeda, che osservò Kiki tramutarsi in una piccola cometa di luce e sfrecciare in mezzo al mare, scomparendo in lontananza.

 

“Cibo per gli squali diverrai!” –Commentò Sakis. –“E adesso torniamo a noi! Basta con queste distrazioni!” –Aggiunse, fissando Andromeda e disegnando il quarto sigillo nell’aria. Quello dell’udito. –“Fa strano, vero? Non sentire più niente, non udire più alcun rumore, nemmeno un sospiro! È un dolce nulla che ti avvolge e ti conduce per mano all’Anticamera di Ade! Mira la Porta dell’Inferno e abbandona l’ultima speranza!” –Rise Sakis, sollevando di nuovo l’indice.

 

Ma prima di disegnare l’ultimo sigillo si fermò, ponderando la situazione e incamminandosi infine verso Andromeda.

 

“Ho cambiato idea! Non ti priverò del senso della vista! Ma ti degnerò dello stesso onore che ho riservato a Dhaval il saggio!” –Esclamò, portandosi di fronte al Cavaliere e sollevando l’indice e il medio della mano destra, carichi del suo cosmo color argento. –“A che ti servono in fondo gli occhi all’Inferno?! Ah ah ah!”

 

E in quel momento, mentre Sakis muoveva le dita per cavargli gli occhi, Andromeda lasciò esplodere il suo cosmo, espandendolo più di quanto avesse mai fatto prima. Per tutti quei minuti, che gli erano parsi un’eternità, incapace com’era stato di muoversi e far qualcosa, non aveva fatto altro che pensare a se stesso, a quanto fosse cresciuto negli ultimi due anni, non solo come soldato, ma anche come persona, giungendo persino ad ammettere di provare un sentimento d’amore per qualcuno. Qualcuno che non fosse suo fratello, la sua Dea o i suoi tre amici, compagni di vita.

 

E non voglio che tutto questo scompaia! Esclamò Andromeda, bruciando il proprio cosmo, portandolo oltre i limiti della sua costellazione, recuperando l’uso dei sensi, come Pegasus aveva fatto contro Gemini durante lo scontro alla statua di Atena, e liberandosi dai sigilli di Sakis. Io voglio un futuro! Per me, e per coloro a cui tengo!

 

L’onda d’urto scaraventò Sakis indietro di parecchi metri, facendolo ruzzolare sulla scogliera e spaccandogli l’elmo della corazza. Sorpreso e stupefatto dalla capacità di ripresa del Cavaliere di Andromeda, e dal potere che aveva dimostrato nel liberarsi dei suoi sigilli, riuscendo dove persino Dhaval il saggio aveva fallito.

 

“Strepitoso…” –Mormorò Sakis, rimettendosi in piedi. Ma Andromeda aveva perso la voglia di parlare, sepolta sotto il sadismo che l’Esploratore Oscuro aveva dimostrato.

 

“Hai calpestato l’affetto e il rispetto delle persone troppo a lungo per permettermi di provare ancora comprensione per te!” –Commentò, agitando le catene, cariche del suo scintillante cosmo. –“Ho sempre cercato di non essere crudele con i miei nemici, di evitare lo scontro se possibile! Persino con gli spectre di Ade e con i berseker di Ares, che pietà certo non meritavano! Ma con te, che ti sei burlato di me fin dal primo istante, che hai abusato dei miei sentimenti, ferendomi in quanto persona e non come Cavaliere, non provo più alcuna remora! Sfrecciate, Onde del Tuono!!!” –Gridò infine, scatenando la furia devastante delle Catene di Andromeda, che incendiarono l’aria con le loro scariche energetiche, dirigendosi verso Sakis.

 

“Tut tut…” –Si limitò a mormorare il Cavaliere Nero, nient’affatto preoccupato, mentre un quadrato di energia allo stato puro, simile ad un piccolo buco nero, si apriva davanti a lui, e le catene vi precipitavano dentro. –“Quadrante oscuro, ingoia il Cavaliere di Atena, perdendolo in un limbo dimenticato dagli Dei!”

 

“Ma… cosa?!” –Balbettò Andromeda, strattonando le catene e cercando di tirarle indietro, accorgendosi però di non riuscirvi. E accorgendosi anche che il quadrante oscuro stava esercitando una forza d’attrazione sempre maggiore, capace di chiamare a sé il resto delle catene e lo stesso Cavaliere di Atena.

 

“Addio Andromeda… e buon viaggio!” –Rise Sakis, aprendo le braccia e allargando il diametro del quadrante oscuro, che attirò a sé tutto ciò che rientrava nel suo campo visivo. Sassi, rocce e Andromeda.

 

“Devo… resistere… la sua forza d’attrazione è micidiale! È come… la Dimensione Oscura di Gemini!” –Ansimò il ragazzo, piantando i piedi a terra e inarcando la schiena indietro, per contrastare il risucchio del buco nero. Ma lentamente fu costretto ad avanzare, impossibilitato a liberare le catene, le cui cime già si erano perse all’interno della distorsione dimensionale. Lentamente fu costretto ad avvicinarsi all’oblio, mentre Sakis, al di là del quadrante, rideva soddisfatto.

 

“Potrei complicarti la vita, anzi la morte, sigillando di nuovo il tuo senso del tatto! Ma godo troppo nel vederti arrabattare affannosamente, per conquistare una vittoria che non ti spetterà!” –Commentò divertito l’Esploratore Oscuro, aumentando l’apertura del quadrante e la sua forza d’attrazione, che sradicò letteralmente Andromeda, risucchiandolo al suo interno, mentre le grida del Cavaliere si perdevano in universi lontani. –“Nella tua fine è il mio principio!” –Mormorò, facendo il verso a Maria Stuarta.

 

Quindi si voltò verso gli scogli, lasciando che il portale dimensionale si richiudesse progressivamente, fino a divenire mera evanescenza, e notò con rabbia che il ragazzino che aveva scagliato in mezzo al mare boccheggiava attorno a Nemes, travolto dall’agitarsi delle onde, nel tentativo di liberarla dalle catene.

 

Kiki infatti era stato scaraventato a un paio di chilometri dalla costa, piombando in acqua senza possibilità di muoversi, prigioniero del sigillo di Sakis. Così era andato a fondo, e per un momento si era sentito perduto. Poi aveva ripensato a sua madre, all’incitamento che le aveva dato nelle Andamane, e a suo fratello, che aveva visto in lui notevoli miglioramenti, grazie anche alle molte avventure vissute sul campo, a fianco di Pegasus e degli altri amici.

 

“Stai crescendo!” –Gli aveva detto Mur mettendolo a letto, dopo aver curato le sue ferite per lo scontro con Biliku. –“Da bambino stai diventando ragazzo! Spero di vivere abbastanza a lungo per vedere l’uomo che diventerai, il fedele Cavaliere di Atena che hai sempre sognato essere!”

 

Quei pochi pensieri, così intensi, gli avevano dato la forza per reagire, spingendolo a bruciare al massimo il proprio cosmo, a bruciare la sua stessa vita, mentre scivolava nell’abisso, liberandosi dal sigillo del tatto e teletrasportandosi sulla riva scoscesa dell’Isola di Andromeda. A pochi metri da Nemes, che ansimava, con la marea sempre più alta intorno a lei e onde continue che non le davano tregua.

 

“La gramigna non muore davvero mai!” –Commentò Sakis, concentrando il cosmo sull’indice destro. Ma prima che potesse colpire Kiki, fu distratto da un rumore metallico proveniente da dietro di sé.

 

Le Catene di Andromeda erano infatti rispuntate dal quadrante oscuro, che stava ormai per chiudersi, conficcando le loro estremità nel terreno, creando un’ancora con cui il Cavaliere aveva potuto stabilizzare la sua posizione nella distorsione dimensionale. E impedendo al portale di richiudersi.

 

“Mossa inutile, Andromeda!” –Sorrise sarcastico Sakis, avvicinandosi al piccolo buco nero, largo ormai una ventina scarsa di centimetri, da cui spuntavano le catene in tensione estrema, e iniziando a colpirle con violenti calci. –“Dannate!” –Ringhiò, notando che i suoi colpi non producevano loro danno alcuno, grazie al sangue di Atena e al mithril con cui erano state potenziate.

 

Così concentrò il cosmo sull’indice destro, creando un raggio di energia che calò sugli anelli delle catene, come per segarli, in modo da distruggere l’ultimo legame materiale di Andromeda con quel mondo. Ruppe un anello della prima catena e il resto di essa scomparve, risucchiato dalle tenebre, lasciando solo la punta conficcata nel terreno. Quindi trinciò anche l’anello della seconda catena, impegnando buona parte delle sue forze, tanto resistente era il materiale di cui era composta. E non appena anch’essa venne risucchiata, il portale si richiuse e Sakis si lasciò cadere a terra sfinito. Andromeda era scomparso dalla loro dimensione ed egli aveva vinto, vendicando l’umiliazione subita da Iemisch ad Angkor.

 

“No!” –Si disse, rialzandosi e incamminandosi verso il bordo della rupe. –“Affinché la vittoria sia completa c’è ancora una cosa da fare! Ancora due vite da recidere!” –E si affacciò giusto in tempo per vedere Kiki che, nonostante le onde lo sballottassero ovunque, era riuscito ad aggrapparsi ad uno degli scogli e stava lavorando per sciogliere le catene.

 

“Con la scomparsa di Andromeda, nessun’esca mi è più necessaria! Sparirete anche voi in un’altra dimensione!” –Esclamò Sakis, espandendo il cosmo e generando un nuovo quadrante oscuro, che comparve sulla testa di tutti loro, aprendosi a spirale e iniziando ad esercitare la sua forza d’attrazione su Kiki, Nemes e l’acqua di mare, increspandola sempre più. –“Ah ah! Che divertimento!” –Commentò Sakis, osservando Kiki aggrapparsi con forza alle catene per non essere risucchiato nel portale dimensionale. –“È come essere in giostra! Non trovi, ragazzino?!”

 

Improvvisamente un clangore metallico attirò l’attenzione di Sakis, che si voltò verso i resti delle Catene di Andromeda rimasti al suolo e notò che stavano vibrando. Attraversati da una corrente elettromagnetica, non smettevano di tintinnare e a Sakis parve quasi che stessero parlando. E allora capì. Che era un richiamo.

 

Lunghe catene scintillarono fuori dal portale dimensionale che l’Esploratore Oscuro aveva aperto nel cielo sopra la scogliera, riunendosi ai pezzi segati da Sakis in precedenza e anticipando la fuoriuscita di Andromeda, completamente avvolto nel suo accecante cosmo rosa.

 

“Andromeda?! Non può essere!!!” –Gridò Sakis, sorpreso, mettendo via tutta l’allegria sfoderata fino a quel momento.

 

“In persona, Cavaliere!” –Rispose Andromeda con orgoglio, piombando sull’allievo di Iemisch, lanciando avanti le catene, che subito si moltiplicarono in infinite copie.


Sakis cercò di evitarne alcune, balzando lateralmente, ma la stanchezza per aver usato parte del cosmo per distruggere quelle stesse armi, che si erano riforgiate davanti ai suoi occhi, lo rese lento e goffo e permise a numerose punte di scheggiare la sua corazza, ferendolo. Strinse i denti e scomparve, nascondendosi in una distorsione dimensionale, mentre il portale da cui Andromeda era uscito svanì e il Cavaliere di Atena atterrava a piedi uniti sul terreno.

 

“Nasconderti è inutile, Sakis! Hai visto tu stesso di quali spaventosi poteri è dotata la mia Catena! Ha saputo ritrovare la strada, grazie alle vibrazioni emanate da una parte di sé, guidandomi attraverso sconosciute dimensioni e riportandomi qua!” –Esclamò fiero Andromeda. –“Cosa le ci vorrà mai per trovarti adesso?! Vai, Catena di Andromeda, strappa via il velo d’inganno che riveste il Quadrante Oscuro!” –E scagliò le proprie catene lungo il bordo della scogliera, fino ad osservarle urtare contro un muro invisibile.

 

“Male… dizione!” –Mormorò Sakis, ricomparendo alla vista di Andromeda, con la corazza danneggiata in più punti.

 

Subito la Catena di Andromeda si dispose a tagliola, intrappolando il servitore di Flegias e impedendogli di scattar via, ma Sakis, bruciando il cosmo, sollevò l’indice, deciso a togliere nuovamente ad Andromeda il sigillo del tatto, per mettersi in salvo.

 

“Non te lo permetterò! Melodia scintillante di Andromeda!!!” –Gridò il Cavaliere, liberando la configurazione ultima della catena, che si moltiplicò in migliaia di copie, piombando sull’allievo di Iemisch da ogni direzione, fermando i suoi movimenti e trapassando il suo corpo, fino a lasciarlo crollare al suolo, inerme e sanguinante.

 

Per precauzione, Andromeda lo avvolse in una serie di cerchi concentrici con le sue catene, impedendogli di muoversi, continuando a guardarlo con sospetto. Del resto, l’Esploratore Oscuro aveva dimostrato di saper essere infido nemico e conoscere trucchi sufficienti per ribaltare una sconfitta in vittoria. Avrebbe dovuto usare la Nebulosa, per spazzare definitivamente via il problema, ma, per quanto lo avesse odiato per il male fatto a Dhaval, Nemes e Kiki, adesso che lo vedeva così moribondo, adesso che lo vedeva prostrato a terra, con le catene che stridevano sul suo corpo, macchiandosi del suo stesso sangue, Andromeda tornò il ragazzo che era sempre stato. Il Cavaliere che non voleva combattere, ma doveva farlo.

 

“Perché è giusto!” –Commentò, incamminandosi verso il bordo della scogliera.

 

Sporgendosi, notò che Kiki ce l’aveva fatta. Aveva liberato Nemes dalle catene e adesso stavano annaspando sugli scogli. Andromeda sorrise e fece per calare una catena, per aiutarli a salire, quando la violenta esplosione del cosmo di Sakis lo obbligò a riportare l’attenzione su di lui. L’Esploratore Oscuro era infatti uscito dalla stretta morsa, svanendo in un’altra dimensione e riapparendo proprio accanto ad Andromeda, con il volto pallido e il corpo striato da mille ferite sanguinanti. Non l’aveva notato prima, ma una delle catene lo aveva perfino trapassato ad un occhio.

 

Andromeda fece per sollevare le difese, vedendo Sakis illuminare l’indice destro con l’argento del suo cosmo. Ma l’Esploratore Oscuro fu più rapido e disegnò nell’aria un simbolo greco. Una omega. Di cui Andromeda conosceva il significato.

 

Era la fine di tutto. La distruzione di tutte le cose.

 

Il corpo di Sakis si irrigidì ed egli ebbe un ultimo sussulto, prima che il peso lo sbilanciasse in avanti, facendolo crollare in mare. Precipitò nelle acque dell’Oceano Indiano, l’ultimo allievo della Tigre Nera, e non ne riemerse più.

 

Sospirando, Andromeda calò le catene, con cui afferrò Kiki e Nemes per sollevarli, ringraziando il ragazzino per l’aiuto che gli aveva dato. Abbracciò Nemes, anch’ella in lacrime, carezzandole il viso e il corpo più volte, e poi la accompagnò alla vecchia casa dove aveva abitato negli anni dell’addestramento, medicando le sue ferite e mettendola a letto. Oltre alle percosse subite da Sakis, il cosmo della Sacerdotessa era stato prosciugato dalle catene che l’avevano imprigionata, dotate di venefico potere, un ricordino che Athanor aveva portato via dall’Isola della Regina Nera.

 

“Ho temuto per te!” –Le disse Andromeda, seduto sul letto accanto a lei.

 

“Io no…” –Mormorò lei, prima di addormentarsi. –“Perché ero certa che saresti venuto a salvarmi! È quello che fai sempre… salvare gli altri…”

 

Andromeda sorrise, uscendo poi dalla stanza e pregando Kiki di restare sull’isola per prendersi cura della ragazza. Era notte ormai, fredda come tante che aveva sopportato durante l’addestramento. Ma non poteva ancora dormire. Non finché la minaccia delle ombre non fosse stata debellata.

 

Ripensò a Sakis e al simbolo dell’omega da lui disegnato. E per un momento si chiese se l’Esploratore Oscuro non avesse voluto comunicargli qualcosa, prima di morire. Sospirò, prima di concentrare i sensi e sentire i cosmi agitati di suo fratello e degli altri amici ardere impetuosi molte miglia a nord-ovest da lì.

 

Sull’Isola delle Ombre Cristal aveva infatti svegliato Pegasus, precipitato in un avvallamento del terreno poco distante, e si era incamminato insieme a lui lungo un sentiero malandato, dove avevano incontrato Sirio, che si trascinava stanco per il combattimento con Iemisch, con la tibia ancora dolorante. Pegasus lo aveva aiutato, mettendo un braccio sopra le sue spalle, finché non erano giunti ad un ampio spazio alla base del vulcano principale, che continuava a sbuffare nere evanescenze e spruzzi di lava, torreggiando su di loro con la sua minacciosa mole. E là si erano ritrovati prigionieri di mura di fiamme e tenebra, alzatesi attorno a loro, chiudendo ogni possibilità di fuga e liberando violenti turbini di fuoco nero, contro cui, adesso, erano impegnati a lottare.

 

“Attento, Sirio!” –Gridò Pegasus, buttandosi sull’amico e portandolo fuori dalla traiettoria di un vortice di fiamme oscure.

 

“Grazie, Pegasus!” –Ma non poté aggiungere altro che nuove vampate si sollevarono verso il cielo, quasi volessero lambire la cortina di tenebra che sormontava l’isola e buona parte del Mediterraneo Orientale.

 

“Benvenuti all’Inferno! Ah ah ah!” –Esclamò improvvisamente una voce, risuonando ovunque e scatenando, con rinnovato impeto, turbini di fiamme nere, che vorticarono attorno ai tre compagni, stringendoli in un rogo di morte. –“Possa essere per voi luogo di piacevole compagnia! Luogo ove la Nera Signora possa calare il suo manto sui vostri miseri cadaveri, come è stato per tutti quelli che vi hanno preceduto!” –E una vampa di fuoco nero si allungò su una rupe sopra di loro, ove la tenebrosa figura del Flagello di Uomini e Dei comparve poco dopo.

 

Rivestito dalla sua scarlatta Veste Divina, su cui sinuose si allungavano scure evanescenze, Flegias, figlio di Ares e Gran Maestro di Ombre, sogghignava divertito, con il capo cinto dalla corona nera forgiata da Athanor. In mano, per la prima volta, non stringeva la Spada Infuocata, distrutta da Febo a Creta, ma vivide fiamme di morte, che diresse contro di loro semplicemente volgendo il palmo verso il basso.

 

“Lasciatevi avvolgere dal potere dell’ombra!” –Sibilò Flegias, mentre Pegasus, Sirio e Cristal scattavano in diverse direzioni, per evitare di essere travolti.

 

Ma la presenza stessa del Maestro di Ombre parve accendere le vampe di fuoco, che si animarono come fossero serpenti, arrotolandosi ai corpi dei Cavalieri di Atena, mentre strati di ombre vorticavano attorno a loro, attratte ed eccitate dalla lucentezza del loro cosmo. Uno splendore che avrebbero voluto estinguere.

 

“Dannata carogna… Adesso sistemeremo i nostri conti in sospeso!” –Brontolò Pegasus, dimenandosi per liberarsi da quella presa di fuoco e tenebra.

 

“Spero che tu abbia molto denaro con te, Pegasus! Perché il tuo conto… è in rosso! Ah ah ah!” –Sghignazzò Flegias, scaricando nuovi attacchi infuocati contro i tre compagni, schiacciandoli al suolo di quell’arida terra.

 

“Credo proprio che sia il caso di contrattaccare…” –Ironizzò Cristal, espandendo il proprio gelido cosmo. E Sirio gli dette subito ragione, richiamando a sé le fresche acque di Cina. –“Vortice… fulminante… dell’aurora!” –Mormorò il Cigno, lasciando che le correnti di gelo scivolassero attorno al suo corpo, spazzando via il turbinar di fuoco e ombra creato da Flegias.

 

Acque della Cascata! Mondate questa terra dalla demoniaca presenza del figlio di Ares!” –Lo seguì Sirio, sollevando scintillanti onde di energia acquatica, che liberarono lui e Pegasus, allontanando le vampe di fuoco e le ombre, che sembrarono radunarsi a cerchio attorno a loro. In attesa di un cenno del loro creatore.

 

“Fatto progressi, eh?!” –Ironizzò Flegias, sogghignando, avvolto nell’infernale cosmo oscuro. –“Ma non crediate che bastino i vostri poteri per fermare l’ombra! Fallirete, come avete fallito finora! Come vi ho sconfitto durante i nostri precedenti incontri!”

 

“Incontri da cui te ne sei andato sempre sul più bello!” –Commentò Pegasus stizzito. –“Cos’è, hai forse paura di un vero duello, Flegias? Sei talmente sicuro di poterti nascondere dietro i tuoi veli di inganni, che non hai il coraggio di rischiare in prima persona?!”

 

“Cos’hai detto, Pegasus?!” –Ringhiò Flegias, scatenando un turbinante attacco di fiamme e ombra, che si schiantò contro i Cavalieri, sbattendoli a terra. –“C’è più coraggio nel mio dito mignolo che in tutti gli illusi di cui mi sono servito per anni, sperando che potessero aiutarmi a vincere le profezie del mito! Ma, a quanto pare, a ben poco sono serviti Seth, Crono, Zeus, Ares, e persino il mio allievo, Saga di Gemini! Quel che ho ottenuto, quel misero successo avuto su di voi, Cavalieri della Speranza, lo devo soltanto a me stesso!”

 

“Ge… Gemini era… tuo allievo?!” –Sgranarono gli occhi i tre compagni, stupefatti.

 

“Gemini era uno dei primi tasselli del mio glorioso piano, colui che avrebbe dovuto distruggere le legioni di Atena dall’interno! Conoscevo la schizofrenia di cui era affetto, essendovi stato in contatto per sei lunghi anni, e grazie alla Pietra Nera non fu difficile fomentarla affinché diventasse la parte dominante!”

 

“Maledetto!” –Strinse i pugni Pegasus, avvampando nel suo cosmo lucente. –“Hai inquinato la sua anima, che in realtà avrebbe voluto la pace! Che in realtà era fedele ad Atena e alla giustizia, al punto da spingerlo a morire tre volte pur di servirla!” –E non aggiunse altro, balzando in alto verso Flegias, con il pugno carico di energia ardente. –“Anche per Gemini, io ti vincerò! Fulmine di Pegasus!!!”

 

La resa dei conti era arrivata.

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Capitolo 40
*** La fine dei giochi ***


CAPITOLO TRENTOTTESIMO: LA FINE DEI GIOCHI

CAPITOLO TRENTOTTESIMO: LA FINE DEI GIOCHI.

 

“Non è stato poi così difficile!” –Commentò Virgo, uscendo dalla distorsione dimensionale, seguito da Ioria del Leone e da Pavit il devoto. –“Se anche il teletrasporto è reso impossibile dalle correnti di tenebra che pervadono l’isola, altrettanto non può dirsi per i portali dimensionali, che possono essere aperti ovunque!”

 

“In questo modo siamo arrivati anche noi sull’isola!” –Esclamò Ioria, fendendo con i suoi sensi felini l’oscurità in cui erano immersi. –“E, a giudicare dall’impetuoso ardere dei cosmi dei nostri compagni, pare che gli scontri siano già iniziati!”

 

“Lascia a Pegasus e a Libra il compito di tenere impegnate le legioni dell’ombra! Una missione ben più gravosa, e di salvazione, ci attende!” –Disse Virgo con voce pacata.

 

Stavano avanzando alla cieca nei sotterranei dell’Isola delle Ombre, in un dedalo di corridoi scavati nella roccia, inabissandosi sempre di più. Siderius aveva informato Ioria che Flegias aveva catturato decine di abitanti del Grande Tempio, obbligandoli a servirlo come schiavi, e il Cavaliere d’Oro si era promesso di liberarli, anche per onorare la memoria dell’allievo. Virgo aveva annuito, concordando con Libra un piano di attacco incrociato, e Pavit si era unito loro, sperando di ritrovare Tirtha.

 

“Se la ragazza ha saputo rendersi utile, è molto probabile che Flegias l’abbia lasciata in vita!” –Aveva commentato Ioria. E Pavit aveva dovuto dargli ragione, per quanto ciò non lo rendesse meno ansioso.

 

“Per di qua!” –Disse Virgo, scendendo verso gli oscuri antri, attirato da qualcosa che neppure lui riusciva a comprendere cosa fosse. Un fioco chiarore di cosmo.

 

“Questa tranquillità mi inquieta…” –Mormorò Ioria. –“Sopra di noi c’è un’intera guerra in corso, e qua sotto… qua sotto il vuoto primordiale…”

 

“Nemmeno una guardia… nessuno!” –Continuò Pavit, giungendo insieme ai due Cavalieri d’Oro in un ampio stanzone sotterraneo, non molto distante da una fornace, dove l’aria era colma di calore e di un odore pungente che rendeva faticosa la respirazione. Un odore di sangue e di morte.

 

“Dei dell’Olimpo!!!” –Esclamò Ioria, fermandosi e osservando il macabro panorama che si apriva di fronte a loro.

 

Decine, forse un centinaio, di corpi di uomini e donne giacevano sparsi sul terreno, massacrati senza pietà. Qualcuno aveva perso un braccio, ad altri era stato spaccato il cranio, e tutti erano immersi nel sangue, che imbrattava il suolo e saturava l’aria.

 

“Nooo!!!” –Gridò Pavit, correndo verso i cadaveri e girando loro attorno, affannosamente, alla ricerca del volto che tanto temeva di incontrare.

 

“Adesso si spiega l’assenza di guardie!” –Commentò Virgo, con un sospiro. –“Cosa avrebbero dovuto difendere?! Un cimitero di martiri?!”

 

“Maledetto bastardo d’un Flegias!” –Ringhiò Ioria, tirando un pugno contro una parete di roccia e spaccandola a metà. –“Abbiamo fallito!” –Aggiunse, con gli occhi lucidi. –“Siderius, abbiamo fallito!”

 

Virgo fece per voltarsi verso Pavit, ancora intento ad esaminare i corpi, quando notò un’ombra guizzare fuori dal mucchio di cadaveri e balzare proprio sul suo discepolo, sbattendolo a terra, mentre la lama di un pugnale luccicava nell’oscurità.

 

“Pavit!!!” –Lo chiamò Virgo, scaraventando la figura in penombra contro la parete retrostante con la forza del pensiero.

 

“Sto… bene!” –Mormorò il ragazzo, rialzandosi e tastandosi un braccio, dove la lama dell’aggressore l’aveva sfiorato. Quindi si voltò verso la parete, per incrociare lo sguardo di colui che si era finto morto per assalirlo di sorpresa. Per incrociare lo sguardo pieno di ira e di ombra di Tirtha.

 

“Tirtha!!!” –Gridò Pavit, sconvolto, avanzando verso di lei, subito affiancato da Ioria e da Virgo. –“Cosa… che ti è successo?!”

 

La ragazza non rispose, ancora bloccata alla parete dall’immenso potere mentale del Cavaliere della Vergine, limitandosi a ringhiare con rabbia, esternando un cosmo tetro che pareva trarre forza dall’aria di morte che aleggiava su di loro.

 

“Un’altra vittima dell’oscuro potere del Maestro di Ombre!” –Disse Virgo, con una stretta al cuore che non avrebbe mai immaginato di provare. –“Corrosa dall’ombra, la Pellegrina è divenuta schiava innocente di un imperatore che mai avrebbe servito!”

 

“No!!!” –Urlò Pavit. –“Non può essere! Tirtha!!!” –E si avvicinò fin quasi a sfiorarle il corpo, ricoperto da una nera cotta di bronzo e rame, simile a quelle che gli aspiranti Cavalieri indossavano durante l’addestramento. Tirtha approfittò di quel momento per far esplodere il proprio cosmo, potenziato da Flegias tramite il potere della Pietra Nera, spingendo i tre compagni indietro di alcuni metri. Quindi balzò nuovamente contro di loro, ma Virgo fu svelto a creare la sua cupola difensiva, che né la lama di Tirtha, né le continue unghiate che sferrava contro il Kaan, potevano scheggiare.

 

“L’abbiamo persa!” –Commentò il Cavaliere della Vergine, con voce triste. –“Anche lei!” –E in quei brevi istanti rivide gli anni dell’addestramento, trascorsi in India assieme ai dieci discepoli. A tutti aveva cercato di insegnare qualcosa, anche se forse era stato troppo dogmatico per prendersi cura anche dei loro sentimenti. Qualcuno era stato da lui giudicato degno d’attenzione, qualcuno si era sentito offeso e, infine, qualcuno era stato ucciso. Proprio dal silenzio di Virgo.

 

Ana, Sacerdotessa del Pittore, era stata assassinata da Loto e Pavone, e gli stessi discepoli, da Virgo sempre prediletti, avevano incontrato morte violenta sull’Isola del Riposo, per mano di Phoenix. Colui che, sempre su quell’isola, aveva anche sconfitto Arne, il traditore degli ideali. Birnam, Cavaliere della Bussola, aveva sacrificato la vita per proteggere l’infermeria del Grande Tempio dalla furia dei figli di Eos, e Arnav e Mahendra erano stati sterminati dal fuoco oscuro di Flegias. Dhaval, infine, era morto tra le sue braccia. Che anche con Tirtha debba finire così? Che si debba attendere la prossima vita, per abbracciarci di nuovo?

 

“Io non ci credo! Non voglio crederci! Deve esserci qualcosa che possiamo fare per lei!” –La voce acuta di Pavit strappò il Cavaliere della Vergine ai suoi pensieri.

 

“Pavit…” –Disse Virgo. –“Forse dovresti accettare la realtà…”

 

“Se l’avessi fatto, a quest’ora anche voi sareste perso nella dimenticanza, maestro!” –Sorrise il ragazzo.

 

“Cosa vuoi fare?!” –Domandò allora Virgo, già intuendo la risposta.

 

“Offrirle il mio cuore! Saprò liberare il suo cosmo dall’ombra!”

 

“Ma… è rischioso!” –Intervenne allora Ioria, ammirando la risolutezza del ragazzo, che in fondo gli ricordava lui stesso quand’era più giovane, sempre pronto a credere che fosse possibile salvare gli altri. Persino una statua di pietra. Persino i Titani.

 

“Sì, lo è! Ma Pavit ci ha chiesto di lasciargli questa battaglia! Per salvare colei che ama e per dimostrare qualcosa a se stesso!” –Disse Virgo, togliendo il Kaan. –“Non è mia intenzione negargli questo onore… né non avere fiducia in lui!”

 

Tirtha, vedendo venir meno la protezione dorata, si avventò sui tre compagni, con la lama stretta nella mano destra, ma quella volta fu Pavit a fermarla, con i suoi poteri mentali, ponendosi deciso di fronte a lei, avvolto nel suo cosmo lucente.

 

“Ascoltami, Tirtha!” –Mormorò il ragazzo dai capelli fulvi, cercando dentro sé, e dentro il ricordo della vita condivisa assieme alla Pellegrina, la forza per sconfiggere l’ombra. –“So che puoi sentirmi! Frena la tua rabbia, getta via questa maschera di tenebra che non ti appartiene e lascia che il tuo cosmo torni a splendere! Come in India, come ad Angkor, come nella Grecia del Mito che avremmo voluto visitare insieme! Flegias non può vincerti, perché il tuo cuore trabocca d’amore, ed egli non potrà mai piegare i sentimenti umani che, come stelle, continueranno a irradiare!”

 

La ragazza scosse la testa, come se le parole di Pavit avessero trovato un canale d’accesso ma dovessero combattere contro le ombre che le avevano divorato l’anima nelle ultime ore. Si agitò, ringhiando, e sollevò la lama puntandola contro Pavit, che rimase immobile di fronte a lei, continuando a fissarla con sguardo deciso ma dolce.

 

“Se non riesci più a trovare la strada per la felicità, lascia che sia il mio cosmo a farti da guida!” –Esclamò il ragazzo, socchiudendo gli occhi, proprio mentre Tirtha, dominata dall’ombra, calava la lama contro di lui. –“Abbandono dell’Oriente!!!” –Gridò, chiudendo su Tirtha un ventaglio di luce.

 

La Pellegrina affannò per un istante, tentando di opporsi a quel calore improvviso, ma venne sopraffatta e scaraventata indietro, perdendo la presa sul pugnale e ricadendo a terra, con la cotta in frantumi. Pavit, sospirando, le si avvicinò, davanti agli occhi attenti di Ioria e Virgo, e gli parve quasi di sentire, nel silenzio di quell’abisso oscuro, il battere lontano del cuore di Tirtha. Qualcosa che la rendeva viva, e che non aveva percepito nella donna che l’aveva aggredita poco prima.

 

Si chinò su di lei, sfiorandole il polso, prima di voltarsi verso Virgo e abbandonarsi ad un sorriso. Il Cavaliere non poté però rispondere che l’intera caverna venne invasa da un’ombra immensa, così scura da spegnere persino i riflessi delle Armature d’Oro. Calò su tutti loro, scuotendo l’isola maledetta dalle profondità.

 

In quel momento Flegias, il Rosso Fuoco, stava tenendo testa ai Cavalieri di Atena dall’alto della sporgenza rocciosa, sul versante inferiore del vulcano dell’isola. Aveva deciso di intervenire personalmente dopo la scomparsa del cosmo del Licantropo, l’ultimo Capitano dell’Ombra. Scomparsa che lo lasciava da solo.

 

Non si era aspettato grandi cose dai Cavalieri Neri delle costellazioni dimenticate, ma aveva sperato che potessero tenere a bada i Cavalieri d’Oro e d’Argento, lasciando Pegasus e i suoi quattro amici ai sette Capitani. Invece erano stati capaci di fare ben poco. Arne gli aveva promesso la testa di Phoenix e se ne era andato all’altro mondo, portando con sé Viron e Thalis. Menas e Ampelo erano stati sul punto di raggiungere i loro obiettivi, scatenando una guerra fratricida tra i difensori di Atena e avvelenando gli Olimpi, ma alla fine avevano fallito. Così come Gienah e Bode, sconfitti da Jonathan a Smirne, e Dario, ucciso da Marins a Creta, e gli altri discepoli di Iemisch: Timos del Gatto Nero, e Stratis e Stelios dei Capretti, morti ad Angkor. In Lothar del Sudario di Cristo aveva riposto fiducia maggiore, convinto che il suo integralismo avrebbe potuto mietere vittime, ma il Leone d’Oro aveva avuto la meglio su di lui. E anche le sue insulse discepole, Aglaia e Areti, lo avevano seguito in Ade.

 

“Dovevano essere veramente scarse per farsi vincere dall’Unicorno e dalla Sacerdotessa del Serpentario!” –Aveva commentato Flegias, con un ghigno ironico, osservando nel fuoco del braciere le sorti dei suoi seguaci.

 

Gli ultimi a cadere erano stati Lukas della Cordicella dei Pesci, Borneo della Tartaruga, Cassandra dell’Ape Nera e Avel delle Spade Incrociate, da cui si sarebbe aspettato la testa di almeno un paio di Cavalieri di Atena.

 

“Che strano! Cassandra, morendo, ha invocato il mio nome! Chissà per quale motivo?” –Aveva mormorato il Maestro di Ombre, che aveva abbandonato amore e comprensione secoli addietro. –“Forse era convinta che già fossi divenuto un Dio e potessi salvarla dall’Oltretomba! Ah ah ah!”

 

Era rimasto Sakis del Quadrante Oscuro, indubbiamente il migliore tra i Cavalieri Neri, l’unico, al pari di Arne dello Scettro di Brandeburgo, che valeva quanto un Capitano dell’Ombra. E l’unico che aveva portato a casa un mezzo risultato, uccidendo il santone di Angkor e rapendo la bella amata da Andromeda. Ma in quel momento a Flegias non importava più niente di nessuno. Soltanto di se stesso.

 

“Mirate la fine del mondo, le grida di un presente che non avrà futuro!” –Esclamò con enfasi. –“Mirate la notte estendere il suo manto sulla Terra, coprendo quel poco di luce che ancora resta! Quel bagliore effimero che splende nei cuori degli uomini!”

 

Sotto di lui, ansimanti per lo scontro in atto, circondati e travolti da vampe di fuoco e continui strati di tenebre, Pegasus, Dragone, Cristal e Phoenix, unitosi da poco ai compagni, bruciavano i loro cosmi al massimo, nel disperato tentativo di porre un freno ai deliri imperiali del Maestro di Ombre.

 

Lo avevano studiato per tutti quei mesi in cui si erano scontrati più volte, sia sull’Olimpo che al Grande Tempio, cercando di trovare il suo punto debole, la falla nella sua difesa in cui avrebbero potuto far breccia per vincerlo. Ma, neppure un giorno prima, seduti ai piedi della Statua di Atena alla Tredicesima Casa, avevano dovuto ammettere di non averlo trovato.

 

“Flegias sembra non possedere alcun punto debole!” –Aveva commentato Sirio. E a tutti era venuto in mente Orion, il nobile Cavaliere di Asgard, che, proprio come il figlio di Ares, era inizialmente parso invincibile. Per quanto in realtà stesse solo nascondendo la verità.

 

“E Flegias? Starà fingendo ugualmente?!” –Si chiese adesso Pegasus, espandendo il cosmo lucente. –“Nel caso, ci riesce proprio bene!” –Ironizzò, caricando il pugno destro e scattando verso l’alto.

 

“Vuoi ballare, Pegasus? Lascia che le ombre siano le tue accompagnatrici in questa danza di morte!” –Sibilò Flegias, volgendo il palmo della mano verso di lui, da cui sorsero nere evanescenze, avvolte in turbini di fiamme. –“Rapsodia di Demoni!” –E piovvero su Pegasus, sbattendolo a terra e oscurando la sua luce, di cui volevano cibarsi, fino all’ultima preziosa stilla.

 

“Pegasus!!!” –Gridò Sirio, bruciando il proprio cosmo e incenerendo un mucchio di ombre. –“Fuoco del Dragone!!!” –E corse avanti, in aiuto dell’amico, mentre nuovi spiriti demoniaci si avventavano su di loro.

 

Ali della Fenice!!!” –Tuonò allora Phoenix, generando una tempesta di fuoco ed energia, che dissolse un buon numero di ombre attorno, senza che comunque fosse sufficiente per permettere loro di rifiatare, martoriati da quella nera pioggia continua.

 

“Incredibile! Flegias riesce a tener testa a tutti noi, senza muoversi dal suo pinnacolo, semplicemente dirigendo la rapsodia di ombre, come un direttore d’orchestra! Fresco e nel pieno delle forze, mentre noi già iniziamo a sentire la stanchezza!” –Disse Cristal, ansimando per lo sforzo continuo, che pareva rivelarsi vano, dato che nessuno di loro riusciva a fermare l’avanzata delle ombre.

 

“La sua aria superiore mi ha stancato! Attacchiamolo direttamente!” –Propose Pegasus, bruciando il proprio cosmo. Dragone, Cristal e Phoenix fecero altrettanto, pur senza troppa convinzione, e unirono i loro attacchi a quello dell’amico. Ma Flegias non sembrò affatto turbato.

 

Scudo di Ares!” –Esclamò, creando un muro di energia cosmica a sua difesa, su cui l’attacco congiunto dei quattro amici si schiantò, come già accaduto durante i loro scontri precedenti. –“Non avete imparato la lezione! L’unica che avreste dovuto tenere a mente! Contro la grande ombra, per mezzo di me risorta, non vi può essere vittoria alcuna! Soltanto un inutile procrastinarsi degli eventi! Orochi e gli altri lo testimonierebbero!” –E nel dir questo espanse il proprio cosmo fiammeggiante, caricandone lo Scudo di Ares e lasciando che esplodesse all’esterno, riversando sui quattro Cavalieri i loro stessi attacchi, potenziati da vampe di fuoco e strati di ombre.

 

“Di questo passo, finirò per odiare la mia stessa ombra!” –Ironizzò Pegasus, cercando di rialzarsi, in quel turbinare confuso di tenebre e fiamme.

 

“Non ne avrai il tempo, Pegasus! Perché presto sarete un tutt’uno!” –Ghignò Flegias, sollevando un braccio e lasciando esplodere il suo cosmo al massimo. –“Apocalisse Divina! Spazzali via!”

 

La violenta tempesta energetica, potenziata dalle vampe di fuoco e ombra, si abbatté sui quattro compagni, che cercarono di opporsi, ardendo nei loro cosmi lucenti. Ma nel cuore dell’impero di tenebra Flegias regnava incontrastato, riuscendo a trarre forza da quella notte profonda in cui erano immersi. Per un momento, con le braccia tese avanti, e il cosmo che sferragliava al massimo, Pegasus e gli altri pensarono davvero di venir spazzati via. Ma ad un certo punto un quinto cosmo si unì loro, mentre un vento impetuoso iniziò a spirare alle loro spalle.

 

“Spero di non essermi perso la parte migliore dello spettacolo!” –Ironizzò Andromeda, comparendo alle spalle degli amici e liberando il devastante potere della Nebulosa della sua costellazione.

 

“Tutt’altro, Cavaliere! Sei arrivato in tempo per il tuo funerale!” –Ghignò Flegias, aumentando l’intensità della tempesta energetica, a cui i cinque amici si opposero con strenua resistenza, riuscendo infine, con molta fatica, a rivolgerla contro di lui.

 

Lo Scudo di Ares venne travolto, schiantandosi per l’eccessiva pressione, e Flegias fu scaraventato in aria, permettendo a Pegasus e agli altri di respirare un attimo, finché non videro svanire la sua sagoma, dissoltasi nelle tenebre circostanti.

 

“Ah ah ah! Nelle ombre, mie fide alleate, trovo rifugio e ristoro!” –Risuonò la voce del Flagello di Uomini e Dei. Una voce che pareva provenire da ogni parte dell’isola, obbligando i Cavalieri di Atena a stringersi l’un l’altro, guardandosi intorno con sospetto, temendo che Flegias potesse riapparire proprio accanto a loro.

 

“Mostrati! Codardo!” –Ringhiò Phoenix, dirigendo un mucchio di piume infuocate verso una rientranza della parete rocciosa, credendo di aver notato un movimento. Ma non era niente più di un vortice di nere evanescenze.

 

Catena di Andromeda, trova il nemico!” –Esclamò Andromeda, liberando la sua guizzante arma. Ma non fece in tempo a terminare la frase che la demoniaca sagoma del Maestro di Ombre apparve al suo fianco e gli poggiò una mano sul petto.

 

“Muori!” –Sibilò Flegias, scaraventando indietro il discepolo di Albione con un’onda di energia nera, schiantandolo a terra, con numerose crepe sull’Armatura Divina.

 

“Andromeda!!!” –Gridarono Sirio e Cristal, lanciandosi verso Flegias, che li contrastò con una violenta tempesta energetica, mentre strati di ombre si attorcigliavano attorno a Pegasus e a Phoenix, bloccando i loro movimenti e assorbendo parte del loro cosmo.

 

“Avete sbagliato a venire su quest’isola! Avete sbagliato ad attaccarmi al cuore! Poiché io, come vedete, non ho un cuore!” –Ringhiò Flegias, facendo esplodere il suo cosmo infuocato e scaraventando via i cinque compagni, schiacciandoli contro il versante del vulcano, esposti ad una continua pioggia di fiamme e ombra. –“Ah ah ah!”

 

“Maledizione!!!” –Esclamò Phoenix, dimenandosi per liberarsi. –“Non possiamo permettergli di vincere!” –Affermò Sirio. –“Non dopo tutti i sacrifici che abbiamo fatto, e che altri hanno fatto, per arrivare fin qua!” –Aggiunse Andromeda. –“In nome dei Cavalieri e di tutti gli innocenti caduti a causa della follia di un solo uomo!” –Concordò Cristal. –“Ti vinceremo, Flegias!” –Concluse Pegasus.

 

I cosmi dei cinque amici si unirono, generando un arcobaleno di luce abbagliante, che rischiarò il cielo dell’intera Isola delle Ombre, indicando a Libra, Asher, Castalia e Tisifone la via da seguire. Persino Flegias ne rimase impressionato e dovette aumentare l’intensità dell’Apocalisse Divina per contrastare l’impeto dei Cavalieri di Atena, generando un’esplosione di energia che scaraventò indietro tutti i contendenti e squassò il basso versante del vulcano.

 

Ampie fenditure si aprirono nel terreno, da cui vapori sbuffarono improvvisi, mentre una pioggia di lapilli di lava si mescolava a strati di ombre che vorticavano nel cielo, rendendo il paesaggio ancora più terribile alla vista di Libra e degli altri Cavalieri appena arrivati.

 

“Sirio!” –Gridò l’uomo, correndo verso il discepolo. –“Pegasus!” –Esclamarono Castalia e Tisifone, avvicinandosi e sincerandosi delle condizioni dei compagni.

 

“Stiamo… bene!” –Mormorò Pegasus, faticando nel rimettersi in piedi, aiutato da Asher. E subito si guardò attorno, per trovare tracce del figlio di Ares e, benché lo ritenesse impossibile, per un momento credette davvero di averlo sconfitto. Di aver liberato il mondo dalla sua nefasta presenza.

 

“Ah ah ah!” –Una risata anticipò la nuova apparizione di Flegias, che scese davanti a loro, avvolto da un cumulo di tenebre. La corona nera in testa, il mantello scarlatto scosso dai movimenti delle ombre e un inestinguibile fuoco di rabbia negli occhi. –“Cos’abbiamo qua? Dei nuovi ospiti?!”

 

“Ospiti paganti!” –Ironizzò Libra, espandendo il proprio cosmo. –“Accetta questo come anticipo, dannato! Colpo del Drago Nascente!” –E scattò avanti, liberando il lucente drago di Cina, di cui Flegias nemmeno si curò, lasciando che si schiantasse contro lo Scudo di Ares, nuovamente comparso a sua difesa.

 

“Insisti, vecchio monco? Le dita che ti ho falciato ad Atene non erano abbastanza per spingerti a rinunciare? Orbene, vedrò di darti argomenti più convincenti!” –Sogghignò Flegias, assorbendo il potere del Drago Nascente all’interno dello Scudo di Ares e rilasciandolo infine di colpo, con potenza maggiore.

 

“Maestro! Attento!!!” –Gridò Sirio, balzando su Libra e sbattendolo a terra, mentre l’assalto di Flegias passava sopra di loro, colpendoli di striscio.

 

Pugno infuocato!!! Onde del Tuono!!!” –Esclamarono Phoenix e Andromeda, approfittando di quell’occasione, ma Flegias fu svelto a balzare in alto, avvolgendosi in un turbine di ombra, dentro cui si persero le Catene di Andromeda, e fermando la sfera fiammeggiante di Phoenix con il palmo della mano, prendendone il controllo e rinviandola contro i due fratelli, che vennero scaraventati indietro dall’esplosione.

 

Quindi Flegias atterrò in mezzo a Castalia, Asher e Tisifone, che niente poterono contro di lui, venendo travolti da una tempesta di energia infuocata e schiantandosi a terra sanguinanti. Ma quando fece per voltarsi verso Pegasus, con il pugno già carico di energia cosmica, il Maestro di Ombre notò che il terreno sotto i suoi piedi era stato congelato, e che Cristal il Cigno aveva sollevato le braccia congiunte al cielo.

 

Per il Sacro Acquarius!” –Esclamò l’allievo del Maestro dei Ghiacci, liberando un getto di energia gelida verso le gambe di Flegias, che fu obbligato a balzare in alto per non essere raggiunto. Ma Cristal non gli diede tempo di atterrare, rinnovando l’attacco, più e più volte, spingendolo a saltare indietro continuamente. E approfittando di questo, Pegasus lo raggiunse in pieno petto.

 

“Iaiii!!! Fulmine di Pegasus!!!” –Gridò, travolgendo Flegias e scagliandolo contro una parete di roccia, fino a fargli perdere la corona nera, che rotolò via dal suo capo, sul cui volto comparvero un rivolo di sangue e tracce di terriccio. –“Siamo sporchi, eh?!” –Ironizzò il ragazzo, mentre Flegias si rimetteva in piedi.

 

“Non quanto lo siete voi!” –Sibilò il Flagello di Uomini e Dei, volgendo loro il palmo della mano destra, da cui sorsero migliaia di ombre, che fluttuarono in aria, dirette contro i Cavalieri di Atena.

 

“Attenti!!!” –Gridò Andromeda, liberando la catena, che si rivelò però inutile contro le fatue evanescenze. –“Non curatevi di loro…” –Esclamò Sirio, avendo intuito il piano di Flegias. Ma non fece in tempo ad avvertire i compagni, distratti dallo sciabordare confuso delle ombre, che già un’infuocata tempesta cosmica si era abbattuta su tutti loro.

 

Apocalisse Divina!!!” –Tuonò Flegias, travolgendo i Cavalieri con scariche energetiche e vampe di fuoco. Asher, Castalia e Tisifone vennero sbaragliati in un istante, schiantandosi molti metri addietro, stritolati dalle folgori nere liberate dal Maestro di Ombre. Ma Libra, Pegasus e i suoi quattro compagni tentarono di resistere, unendo i loro cosmi, come avevano fatto mesi addietro contro Ares.

 

D’improvviso un’enorme cupola dorata circondò i Cavalieri di Atena, disperdendo la tempesta energetica di Flegias, che venne spinto indietro dall’accecante esplosione di cosmo che anticipò di un secondo una voce ben conosciuta.

 

Kaan!!!” –Gridò il Cavaliere d’Oro di Virgo, apparendo sopra i compagni, seduto in posizione meditativa e con gli occhi chiusi, mentre nel cielo sopra il basso versante del vulcano comparivano migliaia di stelle lucenti, stupefacendo lo stesso Flegias.

 

Photon Invoke! Cosmos Open!!!” –Esclamò Ioria del Leone, avanzando da un sentiero laterale, avvolto nel suo cosmo d’oro. –“Photon Drive!!!” –Aggiunse, mentre le stelle da lui generate piombavano ad altissima velocità contro Flegias, che fece appena in tempo a sollevare lo Scudo di Ares, disponendolo ovunque attorno a lui, all’interno del quale si conficcarono gli astri. –“Photon Burst!!!” –Gridò infine Ioria, con il braccio destro teso e il sinistro che lo sorreggeva al polso, lasciando esplodere la galassia di stelle.

 

“Incredibile!” –Mormorò Pegasus, che non conosceva affatto tale tecnica del Leone. –“È la forza di un intero universo!”

 

L’enorme energia liberata da Ioria aprì numerosi fori sullo Scudo di Ares, che divennero progressivamente più grandi, come se la capacità difensiva dello stesso venisse erosa, di fronte agli occhi sorpresi, e irati, di Flegias. Fu in quel momento che, come avevano concordato, Virgo aprì gli occhi, generando un’onda di energia cosmica che travolse il Maestro di Ombre, annientando l’usurata difesa e scaraventandolo indietro, incenerendo persino il suo mantello scarlatto.

 

Ioria sorrise, ricordando di aver già combattuto assieme al Cavaliere della Vergine, durante la Titanomachia. Contro Giapeto delle Dimensioni e la sua sposa Temi.

 

“Pazzi!” –Ringhiò Flegias, rimettendosi a fatica in piedi, mentre Virgo planava accanto a Ioria, entrambi ansimanti per lo sforzo sostenuto, in cui avevano riversato gran parte delle loro energie. –“Pazziii!!!” –Gridò istericamente, scatenando la furia devastante di una tempesta di energia, fiamme e ombra contro di loro, travolgendoli all’istante, mentre Pegasus e gli altri correvano avanti per aiutarli. –“Fermi voi!” –Sibilò Flegias, sollevando un muro di ombre con cui frenò la corsa dei cinque amici, precipitandoli in una fitta oscurità.

 

“Il gioco è finito!” –Esclamò infine, mentre i Cavalieri annientavano il muro di tenebra con i loro cosmi lucenti, ritrovandosi davanti a Flegias e osservando, con paura crescente, ciò che il figlio di Ares stringeva in mano. La Pietra Nera. Origine e causa di tutti i mali. –“È venuto il momento in cui anch’io imperi su questa isterilita terra, soppiantando le deboli dinastie, di uomini e di Dei, che si sono accavallate per secoli! Pegasus, e voi sciocchi Cavalieri dell’idealismo, combattete da anni crociate inutili, battaglie che non hanno meritato un decimo del sangue versato! Battaglie che avreste potuto risparmiarvi! Poiché, se il loro fine ultimo era difendere la Terra e gli uomini liberi, nella speranza di un futuro pieno di luce, allora avete fallito! E ve ne sareste resi conto molto prima se vi foste fermati per un momento a guardarvi indietro! Leggendo nel passato avreste capito quel che la storia insegna! Che la pace non esiste, è solo un’illusione creata dall’uomo. Niente di più! E i popoli, che ostinatamente difendete, sono solo biechi assassini che ogni giorno si armano gli uni contro gli altri, in una guerra di tutti contro tutti!”

 

“ Questo è cinismo di bassa lega!” –Disse Libra, con disprezzo.

 

“Solo una spiacevole verità!” –Rispose Flegias con un ghigno. –“Non sarebbe allora meglio, anziché un mondo di popoli liberi di farsi la guerra, regnare su una Terra unita sotto un’unica bandiera? Quella delle tenebre, che ha in me, Flegias, indiscusso Signore, rappresentante scelto dal Dio per garantire l’avvento dell’ombra! Un solo impero, che garantirebbe la fine di ogni conflitto!”

 

“Il tuo è un delirio di onnipotenza, Flegias!” –Esclamò Sirio. Ma il figlio di Ares non ne fu affatto toccato, continuando nella sua declamazione, con la Pietra Nera che irradiava una spettrale luce di morte, attorno alla quale le ombre parevano radunarsi.

 

“Sono lieto, in fondo, che siate qua riuniti quest’oggi, per assistere al mio trionfo! Chissà, forse qualcuno di voi potrebbe unirsi a me! Avrei bisogno di un luogotenente, per amministrare parte del mio regno! Ah ah ah!” –Rise Flegias, prima di sollevare la Pietra Nera e travolgere i Cavalieri con un’onda di luce tetra. –“Ho aspettato troppo a lungo, rintanato nelle anguste tenebre del Mondo Antico! Oggi avrò la mia rivalsa!” –E iniziò a recitare una formula appresa molto tempo addietro.

 

Ombre del mondo, da Flegias evocate,

che nelle piaghe del tempo nascoste strisciate

aspettando il giorno in cui il sole morrà

e il manto di Nyx tutto ricoprirà,

destatevi infine dal vostro sonno profondo

affinché io possa con voi piegare il mondo.

Asservitevi a me, gran maestro di ombre,

araldo della tenebra e gregario del caos,

unendovi in un’unica sola essenza

che possa esprimere la vostra infinita potenza.

Ombre del mondo, che vi siate saziate

di secoli di sangue e di lotte armate

di rancori e destini, di uomini profani,

che vi han tenuto vive nel vostro empio vagare,

mostratevi adesso coprendo la Terra

e portando ovunque una notte di guerra.”

 

La Pietra Nera esplose improvvisamente, frantumandosi in polvere che venne sparsa dal vento su tutte le ombre, sia su quelle che volteggiavano attorno a Flegias, sia sull’immensa cappa che aveva ricoperto il Mediterraneo Orientale. Un boato scosse il suolo dell’isola maledetta, subito seguito da un altro. E da altri ancora. Che raggelò il sangue ai Cavalieri di Atena, soprattutto a Ioria e a Virgo, che avevano riconosciuto l’entità oscura che li aveva travolti nei sotterranei. E che li avrebbe uccisi se Virgo non avesse afferrato Ioria, trasportando entrambi all’esterno grazie ad un portale dimensionale.

 

In quel momento, mentre il Cavaliere della Vergine ripensava ai discepoli che aveva dovuto abbandonare nella caverna, troppo distanti per rientrare nella distorsione dimensionale, augurandosi che riuscissero a mettersi in salvo, il suolo si spaccò in nuove fenditure e un ammasso di tenebra ne uscì fuori, così scuro che sembrò ai Cavalieri di aver fino a quel momento combattuto alla luce del sole. Era una sagoma indecifrabile, lontanamente umana, la cui stazza pareva crescere sempre di più, poiché l’entità oscura sembrava nutrirsi di tutte le ombre.

 

“Beh?! Non mi ringraziate per avervi fatto incontrare di nuovo?!” –Ghignò Flegias, osservando l’ammasso di tenebra divenire sempre più grande.

 

Al centro del petto dell’immensa figura, affondato nella tenebra che aveva fagocitato la sua anima negli ultimi giorni, giacevano i resti di un uomo che i Cavalieri di Atena ben conoscevano.

 

Giasone della Colchide.

 

 

 

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Capitolo 41
*** Il signore delle ombre ***


CAPITOLO TRENTANOVESIMO: IL SIGNORE DELLE OMBRE

CAPITOLO TRENTANOVESIMO: IL SIGNORE DELLE OMBRE.

 

Flegias, figlio di Ares e Flagello di Uomini e Dei, aveva deciso di giocare l’ultima carta in suo possesso, liberando il potere della Pietra Nera, che gli era stata donata tempo addietro per portare l’ombra sulla Terra. Un potere così tenebroso, capace di inquinare l’animo umano e trasformarlo in un vuoto immenso, che la notte avrebbe invaso, facendolo suo. Questa era stata la fine di Giasone della Colchide, uno dei Cavalieri Celesti più fedeli a Zeus, che per secoli aveva servito il Dio del Fulmine.

 

Catturato durante la prima incursione sull’Isola delle Ombre, assieme a Phantom e a Ermes, l’antico Argonauta aveva trascorso le ultime settimane inerme e avvelenato, corroso dal demoniaco cosmo di Flegias, che lo aveva avvolto in un oceano di tenebra, di cui il suo animo si era cibato fino a divenirne parte integrante.

 

“Ed ecco cos’è diventato! Il signore di tutte le ombre!” –Esclamò Flegias, dall’alto di una sporgenza rocciosa, mentre il gigante di tenebra aumentava ancora la propria stazza, inglobando le ombre che gli ruotavano attorno. –“Siatene orgogliosi! È la creatura perfetta! L’evoluzione del mito! Egli è il Dio! Ah ah ah!” –Rise il Maestro di Ombre, fissando i volti attoniti e impauriti dei Cavalieri di Atena, vivendo infine quella scena che a lungo aveva immaginato nella sua mente. La battaglia finale.

 

Fin da quando la sua avventura era iniziata, fin da quando aveva messo tutto se stesso nel garantire l’avvento dell’ombra, Flegias aveva ben saputo che l’ostacolo principale sarebbero stati i Cavalieri di Atena e gli alleati che avessero saputo trovare. Asgard in primo luogo. Gli Dei e i Cavalieri dell’Olimpo in secondo. Per questo aveva pensato di premunirsi, addestrando proprio un Cavaliere d’Oro, avendo cura di non svelare mai le sue vere intenzioni. In questo modo aveva sondato la mente di Gemini e l’aveva volta al mare, potenziando, grazie al potere di una Pietra Nera, il suo lato oscuro e facendone un servitore delle tenebre. Facendone l’uccisore della Dea.

 

Per uno strano caso del destino Gemini aveva fallito, e Atena era ancora viva. Ma se non altro l’esercito di Grecia aveva subito numerose perdite, in una sciocca guerra civile, e questo aveva rallegrato l’animo di Flegias. Così, se anche non poteva contare sull’appoggio del Grande Sacerdote, poteva sempre scatenare nuove guerre contro i Cavalieri di Atena, con il doppio scopo di tenerli impegnati e di disporre di maggior tempo per proseguire le ricerche dei Talismani. Una cerca senza successo.

 

Flegias disponeva infatti di pochi elementi, non avendo raggiunto un’elevata preparazione spirituale, e non avendo quindi avuto accesso a segreti che solo i saggi e i druidi dell’Isola Sacra custodivano. Sapeva soltanto che erano celati nei principali luoghi di culto della Terra, ma non conosceva la loro forma, né il modo per averli. E questo lo logorava. Questo consumava il suo animo indemoniato, rendendo le sue notti insonni e prive di soddisfazioni. Anche quelle trascorse con Cassandra, distesi su un letto di ombre nelle profondità dell’isola maledetta.

 

Molte volte aveva pensato di ucciderla, detestando persino il sentirla respirare. Ma si era sempre trattenuto, poiché, anche se non era la sua prima sposa, quella ragazza aveva qualcosa della giovialità di Coronide, l’amata figlia che Apollo gli oltraggiò. E a cui Flegias aveva risposto bruciando il Tempio del Dio e minacciandolo di morte.

 

Fu quello il primo passo verso l’ombra, il primo gradino che Flegias discese verso gli Inferi, ove tanto sarebbe stato di casa nei secoli successivi. Venne condannato da Zeus e da tutti gli Dei, persino da suo padre Ares, che ben temeva all’epoca l’ira degli Olimpi. Incenerito da un fulmine di Zeus, il suo corpo scomparve dalla Terra, mentre l’anima, inquieta ed errabonda, non riuscì a trovare la via per il Tartaro, perdendosi in un limbo di cui nessuno aveva memoria.

 

E in quel vuoto primordiale venne salvato e scelto come araldo della grande ombra, ambasciatore di un impero di tenebra che un giorno sarebbe sorto sulle rovine del vecchio mondo. Gli uomini, e tutti gli Dei da loro venerati, di qualunque civiltà, sarebbero stati piegati ad un’unica volontà o sarebbero morti. Il sole avrebbe smesso di sorgere o se fosse sorto sarebbe stato un globo spento. Persino la luna sarebbe stata nera, come le acque dei mari e il sangue dei dominatori. Come il colore dell’Esercito delle Ombre da lui guidato.

 

Sette Capitani aveva nominato, ordinando ad Athanor di fabbricare corazze ispirate a mostri leggendari. Ben sapeva che tali Armature Nere non sarebbero state resistenti come quelle d’Oro o Divine, ma era certo che il sangue di Asclepio e dei Cavalieri Celesti le avrebbe rinforzate. All’uomo che aveva personalmente addestrato, negli anni successivi alla Guerra d’Egitto, aveva affidato il comando del suo esercito, dandogli il simbolo del grande drago d’Oriente: Orochi. E allettandolo con la promessa della Spada del Paradiso. Della sua forza era certo, e anche della sua fedeltà, poiché sapeva che non vi fosse niente in grado di turbarlo. Per questo motivo lo aveva inviato al Grande Tempio, per affrontare Pegasus e gli altri Cavalieri Divini.

 

“Se c’è qualcuno che può sconfiggerli, quello sei tu!” –Gli aveva detto, prima di congedarlo. E non era andato poi così lontano dalla verità.

 

Negli altri Capitani dell’Ombra aveva nutrito speranze minori, ma tutti, persino il debole Serpente Giavellotto, erano stati utili al suo piano. Per Iaculo, sconfitto da Andromeda e dai discepoli di Virgo, non aveva versato una lacrima. Così come per Livyatan, morto ad Asgard, di cui aveva sfruttato i desideri di vendetta contro i Cavalieri di Atena, rei di aver accettato un assassino come Kanon nelle loro fila. Nello stesso modo si era servito di Lamia e di Siderius della Supernova Oscura, volgendo il loro rancore a qualcosa di più costruttivo. Per sé, ovviamente.

 

Il Licantropo era stato un retaggio del passato che Flegias aveva ben pensato di recuperare, assieme a i cloni generati quindici anni addietro nelle profondità di Tebe. Una truppa che avrebbe scagliato inutilmente contro Amon Ra, non immaginando che il Dio avesse in quegli anni riorganizzato l’Esercito del Sole, messo in guardia proprio da Avalon.

 

Infine Iemisch, l’incognita del suo esercito. Un uomo che aveva le potenzialità per essere il Comandante ma a cui Flegias non voleva dare tale soddisfazione, preferendo lasciarlo in continua tensione, in aspettativa costante, obbligandolo a dare sempre il massimo, sfruttando quell’unica debolezza che la Tigre d’Acqua aveva.

 

Adesso, di Athanor e dei mostri leggendari, dei sette Capitani dell’Ombra e dei Cavalieri delle costellazioni dimenticate non era rimasto niente. Erano stati tutti sconfitti. Ma lui c’era ancora, saldo al suo posto, con la corona nera sul capo e un mantello d’ombre sulla schiena, che gli ricordavano continuamente il suo legame con la notte. Al suo fianco, alto e immenso, il mostruoso prodotto del delirio della Pietra Nera: una creatura composta interamente di ombre.

 

“Uccidili! Annienta la loro luce! Estirpa per sempre la bastarda stirpe dei Cavalieri!” –Gridò Flegias, mentre il signore delle ombre si allungava verso Pegasus e gli altri.

 

E subito i suoi arti di tenebra si scomposero in migliaia di nere evanescenze che piombarono sui Cavalieri di Atena, avvolgendoli, intrappolandoli, trapassando il loro corpo, desiderose di cibarsi della loro luce. Ingorde e mai soddisfatte.

 

“Sono tantissime…” –Mormorò Asher dell’Unicorno, espandendo il cosmo e generando scariche di energia, così come fecero Castalia dell’Aquila e Tisifone del Serpentario, cercando di difendersi da quella marea oscura che si chiudeva su di loro.

 

“Bastarde!” –Gridò Ioria, liberando il colpo sacro del Leone. Subito imitato da Dohko di Libra e da Shaka di Virgo. –“Non serve a niente! Per ogni ombra che colpiamo, altre dieci ne compaiono! Se non interrompiamo il processo creativo non potremo mai averne ragione!” –Commentò il Cavaliere della Bilancia.

 

“E infatti mai le sconfiggerete!” –Sentenziò Flegias, fissando i suoi avversari inermi con fiammeggianti occhi rossi. –“Per voi non ci saranno lapidi di pietra, o mausolei in cui essere venerati come eroi! No! I vostri nomi scompariranno dalla storia, perdendosi in una notte senza stelle!” –E nel dir questo liberò un turbine di fuoco, che si abbatté sui tre Cavalieri d’Oro, spingendoli indietro.

 

“Ioria!!!” –Gridò Pegasus, accorrendo in aiuto dell’amico, seguito da Sirio e dagli altri tre compagni. –“State indietro!” –Ordinò il Cavaliere di Leo. –“Penseremo noi a tenere a bada questo gigante di ombre! Voi trattenete Flegias! Non deve sfuggirci ancora! La mano della giustizia deve calare sul suo capo una volta per tutte!”

 

“Nobili parole, Cavaliere di Leo! Degne del fratello a cui voltasti le spalle!” –Ironizzò Flegias, avvolgendosi in un vortice di fiamme oscure e piombando sui cinque Cavalieri Divini. –“Ma sarà la falce nera a calare su tutti voi!” –Ringhiò, modellando le tenebre in modo da creare una falce energetica, che piantò di scatto nel terreno, generando un’esplosione che scagliò Pegasus e gli altri indietro.

 

Andromeda, subito rialzatosi, scatenò le devastanti Onde del Tuono, chiudendo a Flegias una via e obbligandolo a balzare indietro per non essere travolto, nel momento stesso in cui Phoenix, che aveva intuito la mossa del fratello, caricava il pugno destro di infuocata energia, scattando contro di lui.

 

“Intelligenti!” –Sibilò Flegias, ancora in volo, volgendo il palmo della mano contro Phoenix. –“Ma non abbastanza, per me!” –E lasciò che il pugno infuocato vi si schiantasse, contenendone l’energia e spingendolo indietro, con forza tale da scagliare il Cavaliere contro Andromeda, abbattendoli entrambi. Ma Flegias non poté toccare terra che dovette voltarsi di lato, per evitare due fendenti di energia che sfrecciarono paralleli verso di lui. Uno di luce e l’altro di gelo. Vi passò in mezzo, sentendoli stridere e scheggiare parte della sua Veste Divina, fino a trovarsi di fronte Sirio e Cristal, con le braccia ancora sollevate.

 

“Siete entrati in simbiosi?” –Ironizzò, travolgendoli con un attacco di pura energia incandescente, a cui i due amici cercarono di opporsi con lo scudo del Dragone e con un muro di ghiaccio. Ma la pressione esercitata da Flegias liquefece la barriera di gelo, crepando persino lo scudo di Sirio, spingendoli infine indietro. –“E quattro!” –Commentò il Maestro di Ombre, prima di sentire due braccia spuntare da dietro di lui e chiudersi sul suo petto, stringendolo in una stretta morsa, mentre un lucente cosmo azzurro lo avvolgeva, nel tentativo di contrastare la sua infernale oscurità.

 

Spirale di Pegasus!!!” –Gridò il ragazzo, lanciandosi in cielo, in un turbine di energia rovente. –“Pazzo!!! Pegasus, sei un pazzo suicida!” –Ringhiò Flegias, preso alla sprovvista da quella mossa. –“Pegasuuus!!!” –Urlarono Sirio e gli altri amici, vedendo la cometa azzurra compiere una curva nel cielo nero, annientando tutte le ombre contro cui si scontrava.

 

“Hai scelto il tuo destino!” –Commentò infine Flegias, rilasciando il proprio cosmo demoniaco. –“Morte!” –E scatenò vampe di fuoco nero che incendiarono l’Armatura Divina, ustionando le braccia e il volto di Pegasus, strappandogli grida di dolore. Senza però riuscire a convincerlo a mollare la presa. –“Muori, cane d’Atena! Con tutto il tuo maledetto stoicismo!” –Ringhiò Flegias irato, espandendo al massimo il cosmo, che esplose in un lampo nero poco prima che i due si schiantassero a terra.

 

Sirio e gli altri corsero da Pegasus, che aveva scavato un profondo solco nel terreno, trovandolo stanco e ferito, con crepe sull’Armatura Divina, ancora avvolta in un tetro fuoco di morte. Cristal posò una mano sul petto dell’amico, sprigionando il suo gelido cosmo, con il quale riuscì a raffreddare la corazza e spegnere quel che restava delle vampe infernali, aiutandolo poi a rialzarsi.

 

“Venite tutti insieme!” –Gridò Flegias, infervorato, facendo voltare i cinque ragazzi.

 

Era riuscito a sfuggire alla presa di Pegasus, teletrasportandosi ai piedi del vulcano, in tempo per evitare lo schianto. Ma per farlo aveva dovuto impiegare una gran quantità di energia, tanto vicino e avvolgente era il cosmo di Pegasus, da consentirgli un minimo spazio di manovra.  

 

“Uno alla volta non mi vincerete mai! Fatevi avanti tutti insieme! Il Maestro di Ombre non teme nessuno, soprattutto cinque ragazzini!” –Incalzò, espandendo al massimo il proprio cosmo, liberando vampe di fuoco che incendiarono il terreno, mentre strati di ombre fluttuavano attorno a loro, cingendoli d’assedio.

 

“Detesto doverlo dire, ma credo che Flegias abbia ragione!” –Mormorò Andromeda, bruciando il suo cosmo al punto da generare una corrente di energia. –“Sono con te!” –Esclamò Phoenix, accendendo l’aura della Fenice. –“Ci siamo tutti!” –Gli fecero eco Sirio e Cristal. –“Come sempre! E per sempre!” –Concluse Pegasus, mentre i cosmi dei cinque amici, come molte volte avevano fatto, fin dai tempi della corsa alle Dodici Case, si univano assieme, dando vita ad un potere vasto come l’universo. Al potere dell’amicizia.

 

Nebulosa di Andromeda, che la forza delle stelle sia con teee!!!”

In nomine tuo, Acquarius!!!”

Pienezza del Dragone, nei limiti di Atena, vai e colpisci!”

Ali della Fenice!!!”

“Risplendi, Cometa lucenteee!!!”

 

La devastante ondata di energia cozzò contro la violenta tempesta energetica, striata di fiamme e di ombre, che Flegias aveva già liberato contro di loro.

 

Fermo, piantato a terra con solide gambe, le braccia tese avanti a sé, il Maestro di Ombre scatenò la furia dell’Apocalisse Divina, il massimo colpo che aveva ideato per decretare la fine del genere umano. Una razza debole e inutile, ai suoi occhi buona soltanto per essere ridotta in schiavitù. Lo aveva chiamato così, secoli addietro, ispirato dalle leggende sui quattro Cavalieri dell’Apocalisse.

 

Guerra, fame, morte e malattia. Piaghe che, secondo tali Cavalieri, gli uomini si erano autoinflitti, con i loro comportamenti, con i loro sbagli. E Flegias aveva sposato in pieno tale visione, idolatrando i quattro demoni e desiderando ardentemente far parte di quella gilda di verità. Il destino gli aveva riservato una strada diversa, ma per tutti quei secoli non aveva mai smesso di credere che egli fosse l’ultimo Cavaliere dell’Apocalisse, colui che racchiudeva in sé tutti i mali del mondo.

 

Lo scontro tra i poteri contrapposti di Flegias e dei Cavalieri di Atena continuò per una manciata di minuti, durante i quali l’aria si saturò di scariche di energia, che guizzavano ovunque, e turbini di ombre avvolsero i contendenti, nessuno dei quali era disposto a cedere di un passo.

 

“Sono mesi che aspettiamo questo momento, Flegias! Da quando fuggisti dall’Olimpo, derubando Crono dei poteri della Pietra Nera!” –Esclamò Pegasus, con il cosmo espanso al massimo. –“E adesso scoprire che persino di Gemini, tuo allievo, ti sei servito e che per causa tua inutili guerre sono state combattute mi dà un vigore nuovo per affrontarti!” –E ripensò a quando, nel castello di Heinschtein, aveva visto svanire tra le sue mani le polveri del Cavaliere dei Gemelli. Un uomo che, per fedeltà alla Dea e per volontà di riscattare quel che di malvagio in vita era stato costretto a compiere, aveva accettato di morire di nuovo. Un eroe. Come Micene di Sagitter era stato anni prima. Ed altri assieme a loro.

 

“Quante vite sono state bruciate? Quanto sangue è stato sparso per soddisfare le pretese di un uomo che si crede un Dio?!” –Incalzò Pegasus, spingendo sempre di più e suscitando la reazione collerica del Maestro di Ombre.

 

“Io sono un Dio! Di uomo ormai non ho più niente, neppure la forma!” –Rispose questi, scaricando nuove vampe di fuoco, che sembravano nascere dai suoi occhi indemoniati.

 

“No! Tu non lo sei!” –Mormorò Pegasus. –“Ne ho conosciuti molti e, per quanto li abbia combattuti quasi tutti, non ho trovato in nessuno di loro, neppure in Ade o in tuo padre Ares, la stessa oscura volontà distruttiva che sento nel tuo cosmo, lo stesso desiderio di sprofondare il mondo in un’eterna apocalisse! Per questo ti fermerò! Qua e ora! Troppo abbiamo sofferto per permetterti di vivere ancora!”

 

“Pegasus ha ragione!” –Intervenne allora Cristal, avvolto dallo scintillio dei ghiacci di Siberia. –“Ho visto l’alba di Asgard tingersi di un rosso di sangue! Ho visto donne coraggiose ergersi solitarie per fronteggiare mostri che tu hai risvegliato! E orfani innocenti impugnare archi e frecce per difendere la terra in cui sono nati e cresciuti, la loro patria, ed onorare così le memorie di coloro che li hanno preceduti, morti in battaglie che non dovevano essere combattute!”

 

“Hai disturbato il sonno di creature millenarie, piegando le leggende ai tuoi fini, distorcendo l’animo di uomini, un tempo giusti, per farne biechi assassini, mossi dalla fedeltà ad un re che sa imporsi solo tramite la forza e la paura!” –Continuò Andromeda. –“Ma che non ha niente, neppure l’ombra, dei sovrani del passato o degli eroi dei tempi antichi!”

 

“Solo! Dannato ad un’esistenza di disperazione, non hai fatto altro che scaricare la tua frustrazione sul genere umano, recidendo tutti i legami di cui eri invidioso, mirando ad annientare ogni forma di felicità, ben sapendo che tu non l’avresti mai provata!” –Esclamò Sirio.

 

“Ma quest’oggi proverai qualcos’altro! La vendetta! Per tutte le persone morte a causa della tua folle ambizione, anche tu morrai, Flegias!” –Ringhiò Phoenix, mentre la sua mente, come quella dei compagni, ricordava gli eroi caduti per dare un futuro agli uomini e alla Terra. –“Ippolita!” –Mormorò, rinnovando l’assalto.

 

“Mylock! Lupo, Gerki, Aspides, Leone Minore!” –Li nominò Pegasus. –“Birnam! Shadir, Lear, Benam!” –Aggiunse Andromeda. –“Mizar, Alcor! Scorpio!” –Continuò Cristal, prima che Sirio concludesse. –“Giasone, Artemide, Gwynn e tutti i Cavalieri Celesti e gli Dei, vittime come noi di un inganno che non hanno saputo decifrare!”

 

“Ora, uniti ai loro spiriti, combattiamo!” –Gridarono i cinque amici, generando un’onda di energia così potente da travolgere l’Apocalisse Divina e scagliare Flegias in alto, danneggiando la sua armatura scarlatta e schiantandolo al suolo poco dopo.

 

“Ce… l’abbiamo fatta!” –Mormorò Pegasus, crollando sulle ginocchia. –“Siamo riusciti a colpirlo!” –Aggiunse Sirio, ansimando a fatica. –“Quanto abbiamo realmente ottenuto?!” –Ironizzò Phoenix, senza togliere gli occhi da Flegias.

 

In silenzio, il Maestro di Ombre si stava infatti rialzando, mentre turbinanti pensieri affollavano la sua mente. Primo tra tutti la consapevolezza di non possedere più la Pietra Nera, e quindi il suo potere rigenerante, avendola interamente usata per potenziare le ombre, affinché invadessero la Terra intera.

 

“Devono invaderla!” –Si disse, chiudendo le mani a pugno e accendendo un fuoco d’ira nei suoi occhi, che avvampò istantaneo, mentre con un rapido movimento del braccio scaricava vampe incandescenti contro i cinque compagni, obbligandoli a saltare in direzioni diverse per evitarle. –“Troppo a lungo mi sono spinto! Il punto di non ritorno è stato superato! Da questa battaglia uscirà un solo vincitore! E quello sarò io! Devo essere io!” –Sogghignò, scatenando l’assalto finale della marea nera.

 

Il signore delle ombre, che aveva inglobato il corpo di Giasone al suo interno, cullandolo e cibandosi di quel che restava del suo cosmo, stava liberando strati di nere evanescenze, per distruggere la cupola protettiva all’interno della quale Ioria, Libra e Virgo si erano rifugiati, tirando a sé anche Asher, Castalia e Tisifone.

 

“Queste ombre… sembrano gli abitanti dei pianeti che Giapeto evocò anni addietro a sua difesa!” –Rifletté Ioria, cercando lo sguardo di Virgo. –“Ma sono in quantità maggiore e, seppur non rette da divino cosmo, sono cariche di un’infinita oscurità!”

 

“Ogni minuto che passa sento le forze venirmi meno!” –Commentò Tisifone. –“Sommerse, quasi soffocate, da questa tenebra senza fine!”

 

“Già al Grande Tempio non avevamo speranze, ma ci salvò l’intervento di Atena! Adesso che speranze abbiamo?!” –Mormorò Asher.

 

“La speranza di chi lotta per un ideale!” –Esclamò Ioria, accendendo il cosmo di bagliori dorati e sfrecciando fuori dalla cupola di protezione, con il pugno carico di luce. –“Questo è per mio fratello Micene! Lightning Bolt!” –E diresse un’accecante cometa di energia contro il cumulo di ombre, presto seguita da un’altra. –“E questo è per Siderius!”

 

“Iaaah!!!” –Asher seguì Ioria all’istante, comprendendo le sue parole. Forse le ultime che gli avrebbe sentito dire. –“L’Unicorno non morirà aspettando in difesa! Corno d’Argento, rifulgi!!! Per Atenaaa!!!”

 

Virgo tolse la barriera protettiva, radunando le forze per un nuovo assalto, proprio mentre Libra, avvolto nel suo cosmo d’oro, liberava le armi di cui era custode.

 

“Possano essere per noi il confine dove le benigne stelle fermeranno l’oscurità!” –Commentò, sollevando lo scudo d’oro. Ioria afferrò la spada, Castalia il tridente e Tisifone la barra a tripunte, come contro Crono sull’Olimpo. A Virgo porse la lancia bracciale, prima di voltarsi verso Asher e mostrargli le barre gemellari.

 

“Sarà un onore impugnarle per Atena!” –Commentò il ragazzo, con rivoli di sangue che gli colavano sul volto, ma l’incrollabile fede nella Dea ancora vivida.

 

“Insieme, Cavalieri!!!” –Caricò Libra, lanciandosi contro l’ammasso di ombre, subito seguito dai cinque compagni. La luminosa energia prodotta dall’assalto avvampò al contatto con la marea nera, che per un momento parve davvero intimorita dall’accecante bagliore che le Armature d’Oro, da secoli bagnate dalla luce solare lungo l’Ellittica e potenziate di recente dal fuoco di Muspellheimr, sapevano emettere. Ma fu un attimo, prima che una cappa di oscurità calasse sui sei Cavalieri, inghiottendo il loro timido bagliore, trapassandoli da parte a parte, svuotandoli progressivamente della loro energia vitale.

 

Ohm!!!” –Gridò allora Virgo, liberando il cosmo allo stato puro, che si dischiuse attorno a sé come i petali di un fiore di loto, spingendo via per un attimo le ombre.

 

“Il nostro tempo è scaduto…” –Mormorò Libra, schiantato a terra accanto ai compagni. –“Shin! Presto ci ritroveremo e potremo abbracciarci di nuovo!”

 

Improvvisamente, mentre il signore delle ombre torreggiava sui sei compagni, una pioggia di stelle iniziò a traforare la sua mole immensa, generando piccoli fori dentro i quali si verificarono continue esplosioni.

 

Per il Sacro Ariete! Rivoluzione stellare!” –Gridò una voce. E nello stesso momento un’onda di energia acquatica si sollevò alle spalle di Ioria e degli altri, scavalcandoli e abbattendosi sulle ombre, anticipando l’arrivo di due Cavalieri Celesti. –“Gorgo dell’Eridano!” –Esclamò il Luogotenente dell’Olimpo. –“Attacco del Drago Bianco!” –Gli fece eco il Comandante della Legione Nascosta. E annientarono qualche ombra, liberando i Cavalieri di Atena da quella tetra prigionia.

 

“Phantom…” –Mormorò Castalia, sorpresa, aiutata da Tisifone a rimettersi in piedi.

 

Mur dell’Ariete spuntò proprio dietro a Phantom dell’Eridano Celeste e ad Ascanio Pendragon, salutando Libra e gli altri con un sorriso.

 

“Castalia!” –Esclamò Phantom, felice di vederla. Aveva il volto stanco e l’Armatura Celeste era per metà in frantumi, e questo fece capire a Castalia che il ragazzo doveva aver combattuto parecchio. Ma era sopravvissuto. E quello era l’importante.

 

Anche Ioria fu lieto di vedere il Luogotenente dell’Olimpo ancora vivo. Ma non disse niente, limitandosi a scambiare con lui uno sguardo d’assenso, proprio mentre le ombre tornavano a fluttuare attorno a loro, attratte dalle fresche prede appena giunte.

 

“Ma quello è… Giasone!!!” –Mormorarono sconvolti Phantom e Ascanio. –“Dannato Flegias! Dannato!!!” –Ringhiarono i due, liberando un violento assalto energetico contro l’immensa sagoma di ombre, che parve risentirne per un momento, prima di risanare le proprie ferite, generando nuove oscure evanescenze.

 

“Temo che per il Cavaliere Celeste non ci sia più niente da fare!” –Commentò Libra, con una certa tristezza. Ma mentre Phantom reagì con dolore, reprimendo un singhiozzo, Ascanio si infervorò, rifiutando di accettare la sua terribile sorte.

 

“Non resterò a guardare mentre Giasone viene annientato assieme all’oscurità!”

 

“Ascanio…” –Mormorò Phantom, cercando di far capire all’amico che qualunque loro azione non avrebbe salvato il Cavaliere Celeste.

 

“Se c’è una vita umana da salvare, Ioria del Leone non si tirerà indietro!” –Esclamò il Cavaliere d’Oro, affiancando Ascanio.

 

“E altrettanto farò io!” –Intervenne Asher, ricordando come Giasone, sull’Olimpo, l’avesse riconosciuto un combattente degno di lottare al suo fianco.

 

“Orbene…” –Ironizzò allora Libra. –“Morire per morire, tanto vale farlo nel tentativo di salvare qualcuno…” –E anche gli altri gli diedero ragione, accendendo i loro cosmi incandescenti e lanciandosi verso la massa di tenebra.

 

Ascanio guidava il gruppo e subito uno stormo di ombre piombò su di lui, ma il Cavaliere Celeste sfiorò i serpenti tatuati sul braccio, che si illuminarono, generando un’immensa sagoma illusoria, che lo sormontò, attirando l’attenzione delle ombre.

 

“Il raziocinio di queste entità è limitato! Sono attratte dalla luce ma non distinguono ciò che è reale da ciò che non lo è!” –Rifletté Ascanio, volgendosi verso Virgo.

 

“Ho capito!” –Rispose semplicemente questi, unendo le mani e disegnando simboli in aria, mentre centinaia di copie di sé e dei Cavalieri suoi compagni apparivano attorno a loro, in lampi continui di luce, che eccitarono le ombre, attirandole verso di loro.

 

“Ora!” –Gridò Phantom, concentrando il cosmo sotto i piedi di Ascanio e sollevando un getto di energia acquatica che spinse in alto il Comandante dell’Ultima Legione, fino a portarlo all’altezza del torace del signore delle ombre, al centro del quale, avvolto in un turbinio incessante di tenebre, giaceva Giasone.

 

“Dannate canaglie!” –Ringhiò Ascanio, lanciandosi al suo interno, avvolto in un cosmo bianco, dai sapori ancestrali, su cui le ombre subito si avventarono, senza riuscire però a superare quella splendente, quanto impenetrabile, cortina di luce. –“La Metempsicosi non permette soltanto la trasmigrazione dell’anima, ma costituisce anche una solida difesa contro qualsivoglia attacco mentale o immateriale! E adesso che sono così vicino al cuore, assaggiate, oh infauste tenebre, le fauci del Drago Bianco di Glastonbury!” –Esclamò, aprendo uno squarcio nel torace dell’immensa sagoma, dove bianche folgori risplendettero, illuminando per un momento il volto spento di Giasone, che giaceva proprio là in mezzo.

 

A fatica, Ascanio riuscì ad arrivare a lui, per quanto le ombre cercassero di ostacolarlo. Ma quando gli volse la testa, Ascanio impallidì, alla vista di nient’altro che i resti del valente Cavaliere che aveva difeso l’Olimpo da Tifone e dai figli di Ares. I suoi occhi erano spenti e strati di ombre ne uscivano ed entravano, in una macabra danza di morte.

 

In quel momento, dal basso, Phantom evocò le Liane dell’Eridano, allungandole lungo la sinuosa superficie della creatura di ombre, fino a raggiungere Ascanio e attorcigliarle al polso di Giasone. Cumuli di tenebre si strinsero sul Luogotenente dell’Olimpo, che non poteva difendersi, intento a usare il cosmo per generare le liane e tirare Giasone fuori da lì. Ma Castalia da un lato e Tisifone dall’altro intervennero subito in suo aiuto.

 

Volo dell’Aquilaaa!!! Cobra incantatore!!!” –Gridarono, piombando sulle ombre.

 

Spalla contro spalla, le Sacerdotesse si chiusero su Phantom, mentre Mur evocava il Muro di Cristallo, dandogli la forma di una cupola cubica, per proteggere se stesso e i suoi compagni. Libra lo affiancò all’istante, unendo il cosmo a quello dell’amico.

 

“Insieme! In un’altra battaglia persa in partenza!” –Commentò, ricordando i tredici anni trascorsi da entrambi lontani da Atene, dopo la morte di Micene, in attesa di un segno che permettesse loro di liberare il Grande Tempio dalla tenebra che lo aveva occupato. Una tenebra che proprio in Flegias aveva avuto origine.

 

“Chissà…” –Mormorò Mur. –“Anche allora pensavamo non vi fosse speranza…”

 

Ascanio, nel frattempo, cercava di trascinare Giasone fuori dal cumulo di ombre, aiutato dalle liane di Phantom. Lavorava incessantemente, senza avere il coraggio di fermarsi, perché, se lo avesse fatto, avrebbe dovuto ammettere quel che tutti già sapevano. Che Giasone era ormai perduto.

 

“Il corpo forse!” –Strinse i denti Ascanio, bruciando il cosmo. –“Ma l’anima, quella voglio salvarla!” –Improvvisamente sentì qualcosa sfiorargli un polso e subito si voltò, credendo fossero ombre. Ma rimase sconvolto nel vedere la mano di Giasone che lo aveva appena afferrato. E in quel tocco, in quell’ultimo tocco, il Cavaliere Celeste riversò tutti i suoi ricordi, ringraziando Ascanio per il tentativo.

 

“Ho vissuto una lunga vita, superiore a quella di qualsiasi uomo! Ho viaggiato verso la Colchide, sulle ali del mito, recuperando il Vello d’Oro! Ho sposato una donna, grazie alla quale sono stato fatto re, e ho combattuto contro il suo fantasma per anni! È tempo che anch’io, adesso, assapori la pace!” –Parlò Giasone, tramite il cosmo, incendiando le liane che lo avevano fermato e lasciandosi cadere all’interno del cumulo di ombre. –“Salvati, Ascanio! Proprio come hai salvato me!”

 

“Indietro!!!” –Gridò il Comandante, avendo compreso quel che Giasone voleva fare. Ma la sua voce venne coperta dalla deflagrazione alle sue spalle, che dilaniò dall’interno la creatura di ombre, scaraventando Ascanio, e altri Cavalieri, avanti di una decina di metri, facendoli ruzzolare a terra.

 

“Giasone…” –Mormorò Ascanio, rialzandosi, con gli occhi gonfi di lacrime. –“Hai atteso in silenzio per tutti questi giorni, mentre le ombre ti divoravano l’anima, senza mai perdere la speranza di ritrovare i tuoi compagni. E lottare un’ultima volta al loro fianco! Addio, Cavaliere Celeste! Addio Re di Iolco!”

 

L’immensa sagoma del signore di ombre si sollevò di nuovo, torreggiando sempre più in alto sui Cavalieri e liberando un quantitativo di ombre maggiore che in precedenza. Virgo e Mur si guardarono, comprendendone il motivo.

 

“La morte di Giasone ha interrotto un equilibrio!” –Commentò il Cavaliere della Sesta Casa. –“La sua presenza nel cuore del regno di tenebra consentiva infatti alle ombre di cibarsi continuamente del suo cosmo, tenuto vivo dalla speranza del Cavaliere Celeste, ma al tempo stesso, essendo fonte di luce, limitava le ombre nel loro agire! Adesso, con la sua scomparsa, le creature della notte hanno perso il loro serbatoio primario di rifornimento!”

 

“E immagino che ne cerchino uno nuovo…” –Ironizzò Libra, mentre una smisurata tenebra avvolgeva tutti loro, affievolendo i loro cosmi incandescenti.

 

In quel momento Flegias diede l’ultimo ordine. La carica finale.

 

Le ombre si chiusero su tutti i Cavalieri di Atena e di Zeus, trapassando ogni loro difesa, fisica e spirituale, prostrandoli a terra e stringendoli in un abbraccio oscuro. Privi della forza anche solo per parlare, sopportarono il dolore, come Giasone aveva fatto per settimane, unendosi l’un l’altro in una catena di cosmi che neppure le tenebre potevano disgregare. Un’unità di destini capace di vincere la notte.

 

Fu in quel momento di disperazione massima che Avalon apparve. Silenzioso come era suo solito. Ed anche Flegias se ne accorse quando fu troppo tardi.

 

Sfavillò in mezzo alle ombre, annientandone qualcuna solo con la presenza. Poi mosse un braccio verso destra, generando un’onda di luce che incenerì parte della marea nera, prima di fare altrettanto con il braccio sinistro, liberando quindi un ampio spazio tra lui e il Maestro di Ombre.

 

Apparve così, tra lo stupore dei Cavalieri di Atena e l’ossequioso rispetto di Ascanio, che subito si inginocchiò di fronte al suo maestro, il Signore dell’Isola Sacra.

 

 

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Capitolo 42
*** Il trionfo della luce ***


CAPITOLO QUARANTESIMO: IL TRIONFO DELLA LUCE

CAPITOLO QUARANTESIMO: IL TRIONFO DELLA LUCE.

 

Pegasus non lo aveva mai visto, ma credette di averlo incontrato molte volte. In quelle che Avalon avrebbe definito le sue vite precedenti. Una sensazione di noto lo invase, come se l’uomo dalle vesti bianche e argentee, che si muoveva con grazia e sicurezza, quasi fosse un angelo, avesse combattuto al suo fianco altre volte.

 

Osservò la noncuranza con cui annientò un mucchio di ombre che era piombato su di lui, posandovi semplicemente lo sguardo sopra. Notò la regalità dei movimenti, che restarono a lungo impressi nella sua mente e gli fecero credere di avere un Dio di fronte. Un eroe cantato dagli aedi, il cui nome le stelle avrebbero dipinto in cielo. Gli sembrò di vedere Orion lanciarsi contro il drago Fafnir e immergere Gramr dentro di lui, bagnandosi del suo sangue. O Micene di Sagitter, travolto dalla collera di Gemini, fuggire nella notte, con il corpo segnato dal sangue delle ferite e la piccola Isabel tra le braccia. O infine Serian di Orione combattere i nemici della Dea, ebbro di gloria e di onore.

 

Nell’uomo che aveva di fronte, dai folti capelli neri e dagli occhi scuri e penetranti, Pegasus rivide il mito. E lo stesso probabilmente accadde a Sirio, Cristal, Andromeda e a Phoenix, rimasti estasiati e ammutoliti da tale celeste apparizione.

 

“Sei dunque giunto?!” –Squittì l’irata voce del Maestro di Ombre. –“Dopo anni trascorsi a tramare tra le nebbie dell’Isola Sacra, invocando chissà quale Divinità per averne l’appoggio, hai dunque deciso di rivelarti, gran burattinaio!” –Lo derise Flegias, e questo permise a Pegasus e agli altri di capire chi avessero di fronte. Qualcuno che, senza che ne fossero al corrente, li aveva già aiutati in passato.

 

“Sono qua per fermarti! E per toglierti il potere di modificare gli eventi! Un potere che non ti appartiene!” 

 

“Arrivi tardi, allora, oh Signore dell’Isola Sacra!!!” –Rise Flegias, beffardo, avvolto in un turbine di fiamme e ombra. –“Ho già cambiato gli eventi e quest’oggi riscriverò la storia, uscendone vincitore! E né tu, né nessun’altro dei galoppini che hai addestrato per morire potrà impedirmelo!” –E balzò in alto, gettandosi verso Avalon e scaricando contro di lui un devastante assalto di fuoco e tenebra.

 

“Mio Signore!!! Attento!!!” –Gridò Ascanio.

 

Ma l’attacco non raggiunse Avalon, che scomparve poco prima che le nere fiamme lambissero il suolo, disorientando lo stesso Maestro di Ombre, che non riusciva ad avvertire la sua presenza, per quanto l’isola fosse satura del suo cosmo oscuro. In un lampo di luce Avalon riapparve in volo alle spalle di Flegias, poggiando una mano carica di bianca energia cosmica sullo schienale della sua Veste Divina e schiantandolo a terra in meno di un attimo.

 

“Aaargh!!!” –Ringhiò il Maestro di Ombre, rimettendosi in piedi, con l’armatura logora e in parte distrutta. –“Ti strapperò quel sorriso da ebete dal volto! Fosse l’ultima cosa che faccio!”

 

“Procrastinare nei tuoi intenti ti condurrà inevitabilmente alla fine!” –Disse Avalon con voce calma, fluttuando a terra, avvolto nelle striature ancestrali del suo cosmo.

 

“Ma sarà una goduria estrema se ti porterò con me! Apocalisse Divina!!!” –Gridò Flegias, scaricando la tempesta di energia e fiamme oscure contro Avalon, il quale, nient’affatto turbato, si limitò a lasciarsi trascinare dalla corrente. Venne sollevato da terra e perse il mantello argenteo, che fluttuò in aria, cadendo proprio su Flegias e coprendo il suo volto demoniaco, mentre Avalon, con un’abile capriola, si metteva in piedi su uno spuntone di roccia. Proprio quello da cui Flegias aveva prostrato Pegasus e gli altri ai suoi piedi.

 

“Mi sento leggero!” –Mormorò il Signore dell’Isola Sacra. –“Nell’animo soprattutto! Mentre il tuo è appesantito dall’odio e dal rancore che covi da anni, da secoli ormai, nei confronti degli Dei e degli uomini! Carogne annidate nel tuo cuore!”

 

“Maledetto!!” –Ringhiò Flegias, facendo avvampare il suo cosmo, che incenerì il mantello e infiammò l’aria.

 

“Credevi che gli anni trascorsi sull’Isola Sacra mi avessero infiacchito?!” –Sorrise Avalon. –“Ebbene sbagliavi, come hai errato in altre valutazioni affrettate! Prima su tutte quella sul tuo destino! Poiché nessuno ti ha insignito del titolo di imperatore!”

 

“Avrei dovuto ucciderti secoli addietro, prima di lasciare Avalon e prendere il posto che avrei dovuto occupare!” –Ringhiò Flegias, scaricando un turbine di fuoco oscuro contro la sporgenza rocciosa, obbligando il Signore dell’Isola Sacra a saltare via e ad atterrare non molto distante da Pegasus e dai suoi quattro amici.

 

“Vuoi dire che… anche Flegias viene da Avalon?!” –Sgranarono gli occhi i Cavalieri di Atena. A cui Avalon rispose semplicemente annuendo.

 

“Due erano i candidati per guidare l’Isola Sacra e scoprire a fondo i suoi arcani segreti!” –Spiegò, voltandosi poi verso Flegias. –“Ma qualcuno non aveva le caratteristiche adatte per divenire il faro che avrebbe illuminato il mondo quando le tenebre sarebbero sorte di nuovo!”

 

“Blateri parole di menzogna! Tu corrompesti i druidi, e l’Antico, tuo maestro, che era a capo del consiglio! Ma avrei meritato io quel ruolo, molto più di te che nient’altro hai saputo fare che rinchiudere l’Isola Sacra dietro veli di nebbia, lasciando che scomparisse nel mondo! Io l’avrei trasformata in una potenza!”

 

“Tutto ciò che ho fatto l’ho fatto per la salvezza di Avalon!” –Rispose l’uomo. –“Vi sono cose per cui il mondo non è ancora pronto! E, in cuor mio, mi auguro che mai lo sia! Ma se a nient’altro aneli se non ad una dimostrazione di forza, per dimostrare infine chi fosse degno del titolo, certo non mi tirerò indietro!”

 

Flegias non disse niente, limitandosi a scatenare un turbinio di fiamme e ombra contro Avalon, che rimase immobile ad attenderlo, concentrando il cosmo sulla mano destra e rilasciandolo di colpo, sotto forma di guizzanti scariche energetiche che trafissero il vortice di oscurità schiantandosi su Flegias e facendolo gridare dal dolore. Quindi, con un semplice spostamento del braccio, Avalon sollevò il Maestro di Ombre, scaraventandolo contro una parete di roccia, danneggiando ancora la Veste Divina e prostrandolo infine a terra. In ginocchio. Come Flegias odiava stare, considerandola la massima delle umiliazioni.

 

“Bastardo!” –Sputò il Maestro di Ombre, cercando di rimettersi in piedi. Ma quando sollevò lo sguardo, si accorse che dagli occhi di Avalon trapelava un’infinita tristezza. Il dispiacere per ciò che l’antico compagno era divenuto.

 

“Non sono qua per ucciderti, te l’ho già detto! Ma per fermarti! Il che, semanticamente, è cosa ben diversa!” –Precisò il Signore dell’Isola Sacra, ottenendo in risposta nient’altro che uno scatto d’ira. –“Ora basta!!!” –Tuonò infine, spingendo ancora Flegias indietro, stupendo i Cavalieri di Atena e persino Ascanio per l’autorità che sembrò emanare d’improvviso. –“L’ora è tarda e le recriminazioni di un bambino insoddisfatto dei propri giochi non mi tangono affatto! Hai avuto la possibilità, come ogni uomo di questa terra, di scegliere il tuo destino e hai voltato le spalle alla luce per abbracciare l’ombra! Sii uomo abbastanza per sopportare il castigo divino!”

 

“Dovresti saperlo meglio di me, gran tessitore di inganni, che tutti gli Dei sono un unico Dio!” –Ringhiò Flegias, con il sangue che gli colava sul volto. –“E che quell’unico, un giorno non lontano, impererà di nuovo sul mondo da lui generato!”

 

“Possano le stelle ritardare il fato…” –Mormorò Avalon, prima di voltarsi verso l’uomo da lui addestrato. L’uomo le cui imprese aveva visto disegnarsi sulla superficie del pozzo sacro dell’isola. –“Ascanio!”

 

“Sono pronto, mio Signore!” –Rispose subito il Comandante, espandendo il proprio cosmo, che brillò di una luce accecante, annientando un turbine di ombre che subito volteggiò verso di lui. –“E anche i miei compagni, ne sono certo, lo sono!”

 

“Pegasus! Cavalieri di Atena!” –Esclamò allora Avalon, volgendo lo sguardo verso di loro. A cui apparve l’immagine serena di un angelo avvolto nella luce. –“Molto avete fatto per proteggere la Terra e gli uomini dall’ombra, e mai avete ricevuto anche solo un grazie! Lasciate che sia io a ringraziarvi adesso e ad aiutarvi, come voi avete aiutato tutti noi in questi anni!”

 

“Avalon…” –Mormorarono i Cavalieri di Atena, mentre il Signore dell’Isola Sacra sollevava la mano al cielo e l’anello che portava all’indice irradiava un’immensa luce, che obbligò persino Flegias a coprirsi lo sguardo, disgustato da tale luminosità.

 

“Talismani del Mondo Antico!” –Recitò il Signore dell’Isola Sacra, mentre le rune impresse sull’anello brillavano di un oro vivo, proiettando simboli nell’aria attorno ed entrando in sincronia cosmica con i manufatti del mito. –“In nome di Avalon, e dei sette saggi che vi forgiarono un tempo, io vi invoco! Liberate infine il vostro potere, affinché l’ombra generata dall’odio possa scomparire in un valzer di luce!”

 

“Maledetto! Te lo impedirò!!!” –Gridò Flegias, avventandosi su Avalon. Ma Ascanio e Phantom intervennero prontamente, investendolo con i loro colpi segreti. E quando Flegias si rialzò, notò che il rito era già iniziato. E che aveva perso.

 

In quel momento infatti l’Antico, riunito in un cerchio di drudi sulla sommità dell’Isola Sacra, meditava di fronte al pozzo delle visioni, da cui un raggio di luce spuntò, solcando il cielo e abbattendosi sull’isola delle ombre. Quello era il segnale che i Cavalieri delle Stelle aspettavano.

 

Sulla vetta del devastato colle di Sitia, nella parte orientale di Creta, Febo, Cavaliere del Sole e figlio di Amon Ra, sollevò l’intarsiato Talismano che custodiva, lo Specchio del Sole, volgendolo verso nord. Ed esso subito sprigionò una calda luce, che si aprì a ventaglio sull’isola e sul Mediterraneo. Suo padre, in piedi dietro di lui, sorrise orgoglioso dell’uomo che Febo era diventato e poggiò una mano sul suo coprispalla ammaccato, unendo il proprio cosmo a quello del figlio.

 

Jonathan di Dinasty, Cavaliere dei Sogni, stringeva con forza il lungo bastone dorato di cui era il custode, lasciando che il fiore scolpito sulla punta emettesse una luce così intensa da abbagliare l’intera piazza principale di Smirne. Andrei, suo maestro e signore del fuoco, osservò soddisfatto il fascio di luce proveniente da Creta congiungersi con lo Scettro d’Oro, prima di dirigersi verso nord-ovest.

 

Là infatti, sui colli della Tracia, Reis di Lighthouse, allieva di Avalon, aveva lottato fino ad allora contro la marea oscura, riuscendo a frenare la sua avanzata. Esausta, sollevò la Spada di Luce verso il cielo, mentre un ventaglio di energia dorata risplendeva attorno a lei. Il raggio proveniente dall’Anatolia scivolò sul Talismano, sommandosi al suo potere, prendendo poi la rotta per la Grecia.

 

Sull’Olimpo, assediati da cumuli di ombre che vorticavano attorno alla cima, tenute lontane dal rinnovato cosmo del Padre degli Dei, Zeus e le altre Divinità superstiti aspettavano al confine estremo del Monte Sacro, a pochi passi dalla crollata Torre del Fulmine. Matthew, senza nascondere una certa emozione, bruciò il proprio cosmo, mentre la Cintura dell’Arcobaleno, da lui risvegliata poche ore prima, entrava in sintonia con gli altri Talismani, allungando il raggio di luce e dirigendolo verso sud.

 

Nella parte occidentale dell’isola di Creta, pochi chilometri a sud di Chania, Marins, Cavaliere dei Mari Azzurri, alzò il Talismano da lui custodito, lasciando che la sua energia ancestrale si unisse a quella degli altri quattro, prima di generare un ultimo raggio di luce, che si ricongiunse con lo Specchio del Sole, stretto da Febo nell’est dell’isola. I due amici si erano separati un paio d’ore prima, per cercare di trattenere la marea di ombre che, mentre combattevano con Flegias, era avanzata lungo la costa, nutrendosi di nuove vite. Desiderosa di nuova energia.

 

Horus, il Dio del Falco, aveva affiancato Marins, lasciando che Febo rimanesse così con suo padre, intuendo che avessero molto di cui parlare. O forse avessero solo bisogno di stare un po’ assieme. Adesso, alle spalle di Marins, osservò il Tridente dei Mari Azzurri risplendere sopra di sé, chiudendo infine il pentagono di energia che aveva delimitato l’intera zona del Mediterraneo invasa dall’Esercito delle Ombre.

 

“Il pentacolo è chiuso!” –Esclamò Avalon, concentrando il cosmo sull’anello dorato, che fluttuò nell’aria, sollevandosi verso il cielo, superando le nubi nere, e liberando, dai vari simboli incisi su di esso, cinque raggi di luce, che si unirono ai vertici del pentagono irregolare, fino a creare un’enorme struttura all’interno della quale le ombre furono imprigionate. –“L’avanzata della marea nera si arresta adesso!”

 

“Nooo!!!” –Ringhiò Flegias, disperato al pensiero di quel che stava per accadere.

 

“Pegasus! Cavalieri! Trovatevi un riparo…” –Commentò Avalon, sorridendo loro. –“Perché tra poco tutto svanirà!” –E chiuse gli occhi, liberando il potere dell’Isola Sacra, che tramite l’anello di luce si unì ai Talismani, generando un’immensa onda di energia che sembrò spazzar via l’intero Mar Egeo.

 

Il suolo dell’isola maledetta tremò più volte, mentre aspre fenditure si aprirono nel terreno e sbuffi di lava piovvero sui Cavalieri. Le stesse creature oscure, da Flegias evocate tramite la Maestria di Ombre, parvero vibrare, come indecise, quasi avessero compreso la loro sorte. Un’onda di luce le raggiunse, come raggiunse tutte quelle sparse per il Mediterraneo e nelle terre vicine, annientandole, cancellandole dalla storia. Senza lasciare traccia alcuna.

 

Muro di Cristallo!” –Gridò allora Mur, ricreando la cupola cubica con cui tentò di proteggere Libra e Asher. –“Kaan!!!” –Urlò Virgo, chiudendo la barriera difensiva su se stesso, Ioria, Castalia e Tisifone. –“Catena di Andromeda!!! Anelli del Cigno!!!” –Esclamarono Andromeda e Cristal. Ma tutti i loro tentativi si rivelarono vani, poiché nessuna difesa poté fermare l’onda purificatrice evocata da Avalon.

 

Anche Zeus tremò, dall’alto del Monte Olimpo, osservando le nubi nere spazzate via dalla marea di luce, disgregandosi come polvere nel vento. La Regina degli Dei, in piedi al suo fianco, si abbandonò ad un sospiro di sollievo e altrettanto fece Euro, il Vento dell’Est, per quanto ben sapesse che non tutto il male del mondo era stato disperso quel giorno.

 

“Giasone…” –Commentò Ganimede, in lacrime, disteso sul letto nella Reggia di Zeus, ripensando al patto che si erano scambiati all’inizio di quella guerra. Il giuramento di ritrovarsi assieme.

 

“Non tutte le promesse vengono strette per essere mantenute!” –Risuonò la voce dell’Argonauta Celeste nell’animo del Coppiere degli Dei. –“Spesso si fanno per dare una fede in cui credere a chi ci vuole bene, per dargli una speranza, pur sapendo quanto debole sia! Addio, amico fraterno! Ci ritroveremo nel Paradiso dei Cavalieri! Possa quel giorno essere molto lontano!” –E sorrise, prima di svanire.

 

Quando l’onda di luce esaurì la sua carica distruttiva, dello spigoloso paesaggio dell’Isola delle Ombre era rimasto ben poco. Parte delle sue cime aguzze erano state smussate, se non abbattute interamente, e il terreno era pieno di faglie, dove scorreva la lava del vulcano prima di gettarsi in mare. L’Inferno aveva incontrato il Paradiso.

 

Furono Ioria e Virgo i primi a liberarsi dai detriti franati su di loro, aiutando Castalia e Tisifone, deboli e ferite, a uscire fuori. A godere di nuovo della luce del sole.

 

Accecanti, i primi raggi dell’alba stavano arrivando da oriente, nascosti dietro i monti dell’Anatolia. Un fenomeno naturale a cui gli occhi dei Cavalieri di Atena si erano disabituati negli ultimi giorni.

 

“L’alba!” –Commentò una voce giovanile, richiamando l’attenzione del Cavaliere di Virgo, che si voltò verso un mucchio di rocce, dove vide la fulva zazzera di Pavit comparire poco dopo, con Tirtha svenuta tra le sue braccia.

 

“Sì! Una nuova alba!” –Sorrise il Custode della Porta Eterna, felice di vedere che i due discepoli si erano salvati. Nascosti sotto cumuli di detriti negli abissi dell’isola, ove avevano cercato di sfuggire alle ombre, erano riusciti a liberarsi soltanto adesso.

 

Anche Pegasus e gli altri uscirono dalle macerie poco dopo, seguiti da Mur, Libra, Asher, e da Phantom e Ascanio. E tutti si accorsero che Avalon, nonostante la foga devastante della tempesta, era sempre lì, dove l’avevano lasciato. Fermo nelle sue meditazioni, con il palmo della mano destra rivolto al cielo, ove l’anello dorato si posò pochi istanti dopo, prima di dissolversi in granelli di stelle.

 

“Ogni cosa ha un compito nell’universo, svolto il quale termina di esistere!” –Mormorò Avalon. –“E noi egregiamente lo abbiamo adempiuto!”

 

“Ora capisco perché hai cercato di portare via Giasone dal mucchio di ombre!” –Disse Phantom al Comandante della Legione Nascosta.

 

“Avrei voluto per lui un destino diverso e donargli degna sepoltura sull’Olimpo! Ma sorrido, in fondo, immaginando che sarà sempre con noi! Polvere del cosmo!” –Sospirò Ascanio, prima che un rumore violento attirasse l’attenzione dei Cavalieri.

 

Un rogo di fiamme nere si sollevò dal suolo, anticipando la demoniaca sagoma del figlio di Ares, con la Veste Divina danneggiata e ferite sanguinanti sul volto. In mano i frammenti della corona nera, che lasciò cadere a terra, calpestandola con rabbia, prima di sollevare lo sguardo, rosso di collera, verso il Signore dell’Isola Sacra.

 

“Cadremo entrambi…” –Mormorò a denti stretti, prima di scattare avanti, in un turbine di fuoco oscuro. –“E tu per primo!!!” –Ma non riuscì ad avvicinarsi ad Avalon che un nugolo di catene lucenti sfrecciò verso di lui, tagliandogli la strada e obbligandolo a deviazioni improvvise, per evitare quella pioggia argentea che Andromeda aveva scatenato contro di lui.

 

“E solo non sei, fratello!” –Esclamò Phoenix, lanciandosi contro Flegias con il pugno carico di energia cosmica. –“Pugno Infuocato!!!” –Ringhiò, mentre il figlio di Ares tentava di contenerlo con il palmo della mano, come aveva fatto in precedenza, non riuscendo però quella volta a trattenere l’impeto della Fenice Divina, che lo spinse indietro di vari metri, con il braccio destro in fiamme.

 

“Caldo? Vediamo se posso raffreddarti!” –Commentò allora Cristal, lasciando che cristalli di ghiaccio cadessero su Flegias, mentre il suo dito indice si illuminava, circondando il Flagello di Uomini e Dei con anelli concentrici di gelo.

 

“Vuoi fermare con questi miseri cerchi il fuoco dell’inferno?” –Ringhiò Flegias spalancando le braccia, avvolte in oscure fiamme, e liquefacendo i cristalli di ghiaccio. Solo per accorgersi che Cristal era già di fronte a lui, con il gelo attorno al pugno destro.

 

Polvere di Diamanti!!!” –Gridò il Cigno, travolgendo Flegias e spingendolo indietro, mentre la sua Veste Divina veniva ricoperta da un consistente strato di ghiaccio, di temperatura uguale allo Zero Assoluto, che la spaccò in più punti.

 

Colpo dei Cento Draghi!” –Tuonò allora Sirio, liberando le fauci delle sacre bestie di Cina, che sfrecciarono verso Flegias, che tentò di contrastarle con un’impetuosa Apocalisse Divina, annientandone in parte il potere. Ma non fece in tempo a rendersi conto che alcune zanne di luce lo avevano raggiunto che dovette coprirsi gli occhi, abbagliato dallo splendore di Pegasus, che si era appena lanciato in alto, avvolgendosi su se stesso e divenendo un’accecante cometa di energia. –“Cometa di Pegasus!!!” –Esclamò il ragazzo, piombando su Flegias e centrandolo in pieno petto, fino a schiantarlo contro rocce franate alle sue spalle, spaccandogli la Veste Divina e facendogli schizzar via altro sangue.

 

“Come si sta in terra, Flegias? C’è duro?!” –Ironizzò il ragazzo, atterrando di fronte al nemico.

 

Ma il figlio di Ares, per quanto già lo credessero sconfitto, aveva ancora energia per permettersi di rialzarsi e fissare Pegasus con i suoi occhi di brace, scaraventandolo indietro e dirigendo sui cinque compagni un violento turbine di fiamme nere.

 

“Tu che ne dici, Pegasus?!” –Ringhiò Flegias, sballottando i Cavalieri a terra, mentre una pioggia di fuoco e ombra, simile a dardi appuntiti, martoriava i loro corpi.

 

“Pegasus!!!” –Gridò subito Ioria, muovendosi per intervenire, affiancato da Libra, Virgo e Phantom.

 

“No!” –Li fermò il Cavaliere, cercando di rimettersi in piedi, nonostante la violenta e continua pioggia di fiamme. –“State indietro, è pericoloso! Finiremo noi quanto iniziato! Del resto, è abbastanza chiaro che fin dall’inizio Flegias ci ha preso di mira, preoccupato che proprio noi, essendo riusciti a sconfiggere degli Dei, potessimo ostacolarlo! Non è così, Flegias?” –Gridò Pegasus, accendendo il proprio cosmo, che disintegrò le fiamme oscure, unendosi presto a quello dei quattro compagni che stavano facendo altrettanto. –“Non è per questo che ordinasti a Issione di ucciderci, prima che ricordassimo? E che tentasti di rapire Patricia, Nemes, Jacob e Fiore di Luna? Perché in fondo, di noi Cavalieri di Atena, hai sempre avuto timore!”

 

Non giunsero parole di risposta, solo un nuovo turbinar di fiamme e ombra, che spinse Pegasus e gli altri indietro, obbligandoli a sollevare le braccia per difendersi. Ma non riuscendo a piegarli. Non più.

 

“Privo della Pietra Nera, ben più deboli sono i tuoi attacchi! Potresti uccidere il Pegasus della Guerra Galattica, o quello che scalò la cima del Jandara per un amico, o forse quello che combatté contro i nobili Cavalieri di Asgard! Ma il Pegasus di oggi, a queste fiamme di odio sa opporsi!” –Esclamò il Cavaliere di Atena, scattando avanti, con il pugno carico di energia cosmica. –“Fulmine di Pegasus!!!” –Gridò, colpendo più e più volte Flegias, che venne spinto indietro, mentre i frammenti della sua Veste Divina schizzavano in aria, assieme a fiotti di sangue.

 

“E altrettanto sappiamo fare noi!” –Intervenne Andromeda, liberando l’ultima configurazione della catena. –“Melodia scintillante di Andromeda!!!” –E l’arma si moltiplicò in infinite copie, abbattendosi su Flegias, intrappolandolo nella sua stretta maglia, arrotolandosi attorno al suo corpo, in modo da fermare i suoi movimenti.

 

In nomine tuo Acquarius!” –Esclamò Cristal, liberando il colpo massimo delle energie fredde e dedicando quell’assalto a sua madre, al Maestro dei Ghiacci, a Acquarius e all’amico Abadir. A tutti coloro grazie ai quali era cresciuto.

 

L’attacco del Cigno congelò le gambe di Flegias al suolo, in una rozza massa di ghiaccio, per quanto il figlio di Ares continuasse a dimenarsi, prigioniero anche della gabbia creata dalla Catena di Andromeda. Sirio approfittò di quel momento per concentrare il cosmo sul braccio destro, sollevandolo e poi calandolo di colpo, in modo da generare un fendente di energia, che mozzò un braccio di Flegias, poco sotto il polso, strappandogli un grido di dolore.

 

“E questo è niente rispetto a quello che hai inflitto alle tue vittime! Subisci su te stesso l’agonia della morte!” –Esclamò Phoenix, che aveva ancora ben vivo il ricordo dell’uccisione di Esmeralda, voluta dal fratello bastardo di Flegias. E quella di Ippolita, causata da un altro fratello di una stirpe che aveva infangato il mondo.

 

Il cosmo incandescente di Phoenix sfrecciò verso Flegias, sotto forma di un maestoso uccello di fuoco, che lo trapassò all’altezza del ventre, distruggendo quel che restava della Veste Divina e facendolo crollare in avanti, sputando bava. Ma le Catene di Andromeda, e i resti del gelo del Cigno, in parte evaporato con l’attacco di Phoenix, gli impedirono di cadere a terra. E lo lasciarono lì, come un carcerato, a sollevare lo sguardo e a vedere Pegasus sfrecciare verso di lui. Una cometa azzurra che gli sfondò il cuore, passandolo da parte a parte.

 

“Iaiii!!!” –Gridò il Cavaliere di Atena, fermando la propria corsa qualche metro alle spalle di Flegias, il cui corpo esplose all’istante, ardendo in un rogo di fiamme nere, da cui pestilenziali vapori fuoriuscirono, spingendo tutti ad allontanarsi.

 

“L’incubo è giunto alla fine!” –Commentò Phantom. –“Lode ai Cavalieri di Atena che ci hanno liberato dal suo mortifero giogo!”

 

Improvvisamente dalle vampe ardenti si sollevò un’oscura evanescenza, simile a quelle che avevano affrontato in quei giorni, ma molto più grande e potente, che a Pegasus e Phoenix ricordò l’anima di Ade fuori dal mausoleo nell’Elisio. Un’ombra in grado di parlare.

 

“Maledetti!!! Maledetti Cavalieri di Atena!!!” –Ringhiò Flegias, adesso rimasto solo in forma di spirito. –“Avete rovinato il piano perfetto che avevo elaborato per anni! Sapevo che avrei dovuto uccidervi quando potevo! Sapevo che avrei rischiato, che il mito celato tra di voi avrebbe potuto ostacolarmi! E l’ho temuto! Temuto fin troppo!”

 

“Hai cercato di cambiare la storia, affogando il mito, e tu stesso ne sei rimasto travolto!” –Commentò allora Avalon, avanzando tra gli stanchi Cavalieri di Atena, e tenendo fisso lo sguardo verso l’ombra. –“Le profezie non sono favole per dormire, ma ansie e timori di un’epoca che si proiettano su quelle che verranno! E il mito, che i saggi avevano predetto, in questi giovani uomini ha trovato compimento!”

 

“Non avrò il mio impero, né sarò araldo dell’ombra! Ma tu, burattinaio di  mondi, pagherai con la vita l’avermi umiliato una seconda volta!” –Esclamò Flegias, infiammando l’aria con vampe di fuoco, che circondarono Avalon, infiammando parti delle sue lunghe vesti argentee. –“Ti ucciderò! E brucerò la tua carcassa sulla cima dell’Isola Sacra, assieme ai vetusti corpi dei druidi che mi rifiutarono!” –E nel dir questo piombò su di lui, in un turbine di fiamme nere.

 

“Mio Signoreee!!!” –Gridò Ascanio, vedendo l’ombra schiantarsi su Avalon, che nient’altro fece se non sollevare il braccio destro, volgendogli contro il palmo carico di vivida luce. –“Dei delle Stelle!!!” –Esclamarono Mur e Libra, preoccupati.

 

“Pegasus! Siamo stati compagni quest’oggi, e abbiamo affrontato un nemico comune! È stato bello, è stato intenso! Ma non sarà eterno! Forse un giorno mi odierai, e non approverai il mio operato, poiché in fondo, per quanto il fine sia diverso, è simile a quello di Flegias! A quello della mia nemesi!” –Mormorò Avalon, parlando all’animo di Pegasus, prima che il cosmo di Flegias lo sormontasse.

 

Lo scontro tra le due potenti energie cosmiche produsse una deflagrazione che spinse tutti indietro di qualche metro, aprendo nuove faglie sul martoriato suolo dell’isola. In quella il vulcano ricominciò a eruttare, in maniera più consistente, mentre lapilli incandescenti piovevano sui Cavalieri di Atena.

 

“Dobbiamo andarcene!” –Esclamò Ascanio, mentre il terreno tremava sotto di loro, come se l’intera isola fosse sul punto di scoppiare. Una situazione che, a Pegasus e compagni, ricordò l’inabissamento della Regina Nera lo scorso anno.

 

“Ma…” –Mormorò Pegasus, notando che di Avalon non erano rimaste tracce.

 

Ascanio gli sorrise e lo invitò a non preoccuparsi. Per quel giorno aveva fatto abbastanza e adesso, sia lui che i suoi compagni, avevano bisogno soltanto di riposo. E di un po’ di tempo per loro stessi.

 

“Ci rivedremo, Cavalieri della Speranza! E combatteremo di nuovo fianco a fianco!” –Esclamò il Comandante dei Cavalieri delle Stelle, avvolgendosi nel suo bianco cosmo e svanendo, portando Phantom dell’Eridano Celeste con sé.

 

Phoenix sentì che i cosmi delle Amazzoni erano scomparsi e ritenne che si fossero già allontanate. Virgo e Mur radunarono i Cavalieri di Atena, aprendo un varco dimensionale con il quale lasciarono l’Isola delle Ombre, mentre la lava scorreva ormai ovunque attorno a loro, annientando quel che restava dell’impero di tenebra e odio che Flegias avrebbe voluto instaurare. Un impero sconfitto sul nascere dallo splendore delle stelle.

 

“Avrei voluto ringraziare Avalon e i Cavalieri delle Stelle per l’aiuto che ci hanno concesso!” –Mormorò Pegasus, scomparendo.

 

“Sono certo che avrai modo di farlo di persona!” –Commentò Sirio. –“Qualcosa mi dice che li incontreremo di nuovo! Molto presto!” –E gli sorrise, dandogli una pacca sulla spalla, prima di ritornare al Grande Tempio di Atena. Prima di tornare a casa.

 

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Capitolo 43
*** Epilogo ***


EPILOGO

EPILOGO

 

Pegasus camminava con Lamia nel giardino dell’orfanotrofio St. Charles, sorridendo rilassato e prendendo in giro l’amica di infanzia per i suoi buffi codini. Sereno e scanzonato com’era solito essere. Come non era da parecchio tempo.

 

Lamia era stata molto in pena per lui, negli ultimi mesi in cui l’aveva frequentato, perché, essendo il ragazzo sotto l’effetto del Talismano della Dimenticanza, si era sentita impacciata nel parlargli, sapendo di celargli qualcosa di molto importante per lui. In seguito l’aveva visto di meno e aveva trascorso molte notti insonni a pregare davanti alla sua foto e a chiedersi in quale luogo della Terra, e contro quale nemico, Pegasus stesse combattendo. Per lei, e per tutti gli uomini.

 

“Vieni, Pegasus!” –Gli disse improvvisamente, prendendo il ragazzo per mano e conducendolo via, lungo la strada che portava al porto di Nuova Luxor, mentre Smarty, Sancho e gli altri bambini li salutavano a gran voce.

 

“Ma quando vi mettete insieme?!” –Scherzò Smarty, che tanto avrebbe voluto Pegasus come fratello maggiore.

 

Trovarono Patricia sotto casa di Pegasus, alla Darsena, intenta a parlare con Kiki, che le stava raccontando le loro ultime avventure, illustrandole con simpatiche smorfie.

 

“Non le avrai nascosto quando ti sei fatto la pipì addosso?” –Ironizzò Pegasus, a cui Kiki rispose subito con una linguaccia.

 

“Pegasus, non sono più un bambino! Adesso sono un uomo!” –Rispose il fratello di Mur, mentre Pegasus, Patricia e Lamia scoppiavano a ridere. Sotto un cielo terso e solcato da bianchi gabbiani.

 

Da un’altra parte del porto, nella zona riservata allo scalo delle grandi imbarcazioni, un giovane dall’accento scozzese supervisionava le attività di carico sul mercantile della Grande Fondazione, controllando che tutte le casse venissero imbarcate. Quella volta, i rifornimenti per l’Isola del Riposo dovevano essere abbondanti.

 

“Tutto procede per il meglio, Milady!” –Esclamò il giovane, rivolgendosi alla fanciulla dai lunghi capelli viola.

 

“Stai facendo un ottimo lavoro, Cliff!” –Commentò Lady Isabel con un sorriso, prima di incamminarsi verso Andromeda e Phoenix, in piedi sulla banchina, per scambiare un ultimo saluto, mentre nuove casse venivano issate a bordo della Nike.

 

“Strano nome per una barca, non trovi Andromeda?” –Esclamò Phoenix, voltandosi verso suo fratello, che ci pensò un po’ su, prima di rispondere.

 

“No, in fondo!” –Sorrise Andromeda. –“Nike ci ha sempre portato fortuna, e ci ha protetto fin dall’inizio della nostra avventura! Meritava di essere ricordata anche lei!”

 

Lady Isabel si accostò ai due fratelli, abbandonandosi a qualche raccomandazione nei confronti di Andromeda, il quale, sebbene fosse cresciuto, era per lei sempre lo stesso ragazzo sensibile che avrebbe preferito ferire se stesso piuttosto che un nemico.

 

“Porta i tuoi saluti a Nemes!” –Esclamò la ragazza.

 

“Non mancherò!” –Sorrise lui, prima di voltarsi verso il fratello ed abbracciarlo.

 

Aveva deciso di ritornare sull’Isola di Andromeda, per prendersi cura di Nemes e per dirle quanto l’amasse. E in cuor suo, per quanto in parte gli suonasse strano, avrebbe voluto che anche Phoenix avesse qualcuno da cui tornare.

 

Sirio era partito prima di tutti, assieme a Cristal e Fiore di Luna, diretto verso i Cinque Picchi, dove, grazie all’antidoto consegnatogli da Mur, avrebbe estirpato quel che restava della rose di rabbia, ponendo definitivamente fine a quella vicenda.

 

Il Cigno lo aveva accompagnato dalla Grecia fino in Cina, che non aveva mai avuto occasione di visitare, prima di proseguire per la Siberia, dove Jacob, Katia e gli altri abitanti lo aspettavano presso il villaggio di Kobotec. E dove avrebbe potuto sedere alla tomba del suo mentore, il Maestro dei Ghiacci, per ringraziarlo di averlo avviato sulla strada che lo aveva condotto fin lì. E dove avrebbe pregato per sua madre, rimirando le eterne superfici del mare ghiacciato ove riposava.

 

“Non tornerai ad Asgard?” –Gli avevano chiesto Andromeda e gli altri, al momento di separarsi.

 

“Lo farò! Ma non adesso!” –Aveva risposto Cristal. –“Voglio lasciare un po’ di tempo a Flare… per pensare a se stessa… a cosa vuole realmente!”

 

Andromeda aveva sorriso, riflettendo su quanto l’amico fosse cambiato, su quanto tutti fossero cambiati, da quando si erano ritrovati, dopo sei anni di duro addestramento, intorno al ring del Palazzo dei Tornei. Sembrava passata un’epoca, invece era soltanto l’anno prima.

 

La voce di Cliff O’Kents disturbò i pensieri di Andromeda, riportandolo sulla banchina, a salutare il fratello che avrebbe accompagnato Atena sull’Isola del Riposo.

 

“Siamo pronti per partire!” –Esclamò il giovane.

 

“Molto bene! Grazie Cliff!” –Annuì la donna, prima di voltarsi verso Andromeda e abbracciarlo. In parte restia ad abbandonare Nuova Luxor.

 

Phoenix e Andromeda si scambiarono un breve cenno con lo sguardo, prima che il ragazzo dai capelli blu si incamminasse, con le mani in tasca, lungo la passerella che conduceva sulla Nike. Lady Isabel lo seguì poco dopo, fermandosi un attimo prima di salire a bordo, quasi come aspettasse di vederlo arrivare di corsa, tra i capannoni del porto, per darsi un ultimo saluto.

 

Ma non arrivò nessuno. E il comignolo della nave sbuffò più volte, mentre Isabel poggiava il piede sul ponte di comando, e la passerella alle sue spalle veniva ritirata. La nave salpò all’istante, uscendo dal porto di Nuova Luxor, diretta verso l’Indocina, alla nuova base petrolifera che Mr Newcomber vi aveva impiantato, e poi verso il Mediterraneo.

 

Pegasus, seduto in cima al molo, con Lamia e Patricia, la osservò scomparire in lontananza, abbandonandosi ad un sospiro.

 

“A presto, Isabel!” –Mormorò. –“Abbiamo ancora tante cose da dirci, molto di cui parlare!” –E ripensò a quando, una decina di giorni prima, l’aveva aggredita alla Tredicesima Casa. Ma, come Ioria gli aveva ricordato, la rosa di rabbia non aveva inventato niente, limitandosi ad estremizzare sentimenti latenti nell’animo di ognuno. E Pegasus sapeva cosa voleva dire. Ciò che aveva trovato il coraggio di ammettere durante lo scontro con Orochi. L’amore che provava per lei. Per la sua Dea.

 

Un amore profano, un amore disperato. Un amore umano.

 

Lo stesso amore che anche Asher dell’Unicorno aveva accettato, ben sapendo che non vi era posto per lui. E che Isabel lo avrebbe sempre visto come uno dei suoi più fedeli e cari Cavalieri, ma niente di più. Quella consapevolezza, per quanto lo rattristasse di frequente, aveva contribuito a farlo crescere e a farlo sentire meglio con se stesso.

 

Unicorno rimase al Grande Tempio, vivendo con i soldati semplici nelle residenze a loro assegnate e allenandosi continuamente. Non più per compiacere la donna che per lui era stata tutto. Ma per sé. Per migliorare ancora.

 

Si scontrava spesso con Tisifone del Serpentario, nell’arena del Grande Tempio, in brevi ma intensi incontri in cui la donna voleva saggiare le sue capacità difensive e aiutarlo a coprire le sue mancanze, notando quanto il ragazzo fosse migliorato da quando avevano combattuto assieme contro Sterope e Flegias, davanti alla Casa di Ariete.

 

Il Cavaliere di Libra aveva deciso di non tornare ai Cinque Picchi. Dopo due secoli trascorsi seduto vicino a una cascata, voleva godersi quella vita che in passato aveva dovuto sacrificare in nome di uno scopo più grande. Inoltre, riteneva che Sirio avesse diritto a trascorrere del tempo con Fiore di Luna. Si stabilì quindi alla Settima Casa, aiutando Ioria e Asher nell’opera di ristrutturazione del Grande Tempio. E Mur e gli altri Cavalieri furono felici di saperlo vicino.

 

Pavit ritornò ad Angkor assieme a Tirtha, e il Cavaliere di Virgo andò per un breve tempo con loro, per celebrare Dhaval e aiutare i discepoli a riparare i danni subiti dall’antico santuario, decisi a preservarne lo splendore e il valore spirituale.

 

“Ciò che va fatto è meglio farlo bene, perché non ci si penta!” –Esclamò il giovane dai capelli fulvi, sorridendo al maestro, che colse subito la citazione di Buddha.

 

Ioria del Leone incontrò finalmente Reis di Lighthouse, la ragazza dagli occhi blu che lo aveva ammaliato quindici anni prima, sotto il sole d’Egitto. Una scottatura, come l’aveva definita, che non era mai guarita.

 

“Né voglio che guarisca!” –Commentò, stringendola sulla riva del mare, in una piccola baia sull’Egeo.

 

Reis lo lasciò fare, felice per essersi infine unita a lui, e lo baciò, mentre gli ultimi raggi del tramonto greco sorridevano loro.

 

Gli stessi raggi che Castalia dell’Aquila e Phantom dell’Eridano Celeste, seduti sotto un albero ai piedi del Monte Olimpo, videro illuminare il gregge che Deucalione stava conducendo all’ovile, dopo un’altra giornata di pascolo. Abbracciati, finalmente insieme, mentre il vento della sera smuoveva l’erba e i fiori attorno, il cui odore stuzzicò il naso della Sacerdotessa, priva ormai della maschera che intrappolava la sua femminilità. E libera di guardare con i suoi occhi l’uomo che amava.

 

Giorni prima Phantom aveva seppellito il corpo di Teria nel campo dietro casa, dove Elena e Deucalione avevano pianto per la figlia che non avevano mai conosciuto. La figlia che sarebbe comunque rimasta nei loro cuori.

 

“Come non ho mai abbandonato la speranza di ritrovarti in vita, non la abbandonerò adesso di ritrovarti in morte!” –Aveva sospirato Phantom, sollevando poi lo sguardo verso la cima del Monte Sacro.

 

Il cosmo di Zeus, ripresosi grazie alle cure di Demetra e alle premure di Era e Ganimede, era tornato a splendere come vivida fiamma, invadendo di nuovo l’intera collina e permeandola di quell’infinita primavera che lasciava sempre a bocca aperta ogni visitatore che vi si recava per la prima volta. In gran segreto, inoltre, poiché Era paventava la possibilità di un’altra guerra, il Dio dell’Olimpo aveva ordinato a Ermes di volare in Sicilia e chiedere a Efesto di mettersi al lavoro quanto prima, nella ricostruita fornace che Tifone aveva distrutto al momento della rinascita.

 

“Mio Padre si sta facendo prudente! Preferisce fare buona scorta di armi e di fulmini!!” –Commentò l’operoso Efesto.

 

“O si sta semplicemente preparando all’ultima guerra?!” –Mormorò il Messaggero degli Dei, con un sospiro, prima di volare via.

 

Marins aveva finalmente visitato il santuario del Sole d’Egitto, camminando a braccetto con il possente Amon Ra, ben lieto di mostrargli lo splendore dell’arte antica e offrirgli in seguito un sontuoso banchetto di tipiche specialità locali, alla presenza di Osiride e dei soldati dell’Esercito del Sole.

 

Febo li seguiva nei corridoi di Karnak, sorridendo alla vista del padre, socievole e sereno, lo stesso di cui sua madre si era innamorata millenni addietro. Iside era al suo fianco, protettiva nei suoi confronti com’era stata fin da quando era nato, scortati a vista da Horus, il Dio del Falco, che non perdeva occasione per chiedere a Febo di restare, di trattenersi ancora in quella che era anche casa sua.

 

Febo cercava di evitare il discorso, poiché sapeva che non era quello il suo destino. Non era quello il luogo ove la sua storia avrebbe trovato conclusione.

 

Jonathan ritornò a Isla del Sol, sul lago Titicaca, con Andrei, dopo una breve, e riservata, conversazione che quest’ultimo aveva avuto con Avalon. Non seppe mai cosa si erano detti, ma era certo che riguardasse l’ultimo Talismano. Quello che ancora mancava all’appello.

 

Il Comandante Ascanio, rientrato in Inghilterra, stava osservando la cittadina di Glastonbury sprofondare in un fresco tramonto settembrino. Dall’alto del Tor, proprio da dove l’aveva guardata un’ultima volta mesi addietro, prima di partire per la Grecia, dopo che Zeus aveva risvegliato la Legione Dormiente.

 

Ma quel giorno non era solo, ma circondato da tanti compagni, amici con cui aveva condiviso la vita. Amici con cui aveva seguito un percorso comune.

 

Adesso, di tutti loro, non era rimasto niente. Uccisi dai berseker di Ares, schiacciati o inceneriti da Tifone, massacrati dalle ombre e dai seguaci di Flegias, erano caduti per difendere la Terra. Quella splendida verde terra che si apriva sotto di lui.

 

“Gwynn!” –Mormorò Ascanio, ricordando l’amico che aveva personalmente addestrato. E sollevò un fiore di biancospino, osservandolo volare via, perdersi nel vento della campagna inglese e non tornare più.

 

Anche la sua vita, in fondo, era cambiata. Per quanto questo non lo stupisse più di tanto, abituato a bruschi cambiamenti di rotta. Capace, come lo aveva definito una volta l’Antico, di seguire il vento.

 

Sospirando, Ascanio discese il Tor sull’altro versante, addentrandosi nelle nebbie che invadevano perennemente quella regione. Un territorio sacro, il cui accesso era celato ai più, e che soltanto i druidi e le Sacerdotesse potevano percorrere senza timore. Un percorso di silenzio che conduceva al lago.

 

Espanse il proprio cosmo, entrando in sintonia con la natura che lo circondava e percependola, in un istante solo, dentro di sé, con tutta l’ineffabile potenza di cui sapeva farsi carico. Con tutto quel mistero che in quelle terre era racchiuso.

 

Una barca arrivò pochi istanti dopo, ma così intensa era la concentrazione dell’uomo che non udì nemmeno il rumore del remo che la spingeva. Vi montò sopra, ancora avvolto nei suoi pensieri, ancora intento a nutrirsi dell’energia spirituale di quel luogo. Soltanto quando scese dalla barca, mettendo piede sul pontile di legno dell’isola, aprì nuovamente gli occhi, conscio di essere al di là delle nebbie. Conscio di essere finalmente ad Avalon.

 

Si incamminò lungo il sentiero che correva attorno al colle più alto dell’isola, il cui silenzio era rotto soltanto dalle campane del Tor, che suonavano sull’altro lato del lago, retaggi di un mondo che adesso appariva lontano, giungendo infine al tempio dove aveva completato l’addestramento. Al tempio dove era stato iniziato ai misteri, stipulando un patto con Avalon, simboleggiato dai serpenti intrecciati tatuati sulle braccia.

 

“Benvenuto Ascanio Pendragon, figlio dell’Isola Sacra, Cavaliere della Natura e Comandante dei Cavalieri delle Stelle!” –Esclamò la voce del suo maestro, seduto su un trono di legno al centro del modesto edificio, illuminato solo da candele sparse. –“Bentornato a casa!” –Aggiunse, mentre Ascanio si inchinava in segno di rispetto.

 

“Sono lieto di rivedervi, maestro!” –Commentò il giovane.

 

“La lontananza non lo ha reso certo meno educato!” –Commentò allora il Primo Saggio, seduto in ombra sull’altro lato della stanza.

 

“Ma ha aumentato il suo dolore!” –Sentenziò Avalon, scrutando a fondo nell’animo di Ascanio. –“E forse anche il mio!”

 

“La scoperta della Cintura dell’Arcobaleno non può che giocare a nostro favore!” –Intervenne l’Antico. –“Adesso conosciamo l’ubicazione di tutti i Talismani!”

 

“Di tutti?!” –Si stupì Ascanio. –“Credevo ne mancasse ancora uno, il settimo!”

 

“Esso si trova al sicuro! Nel luogo più sicuro dell’intera Terra!” –Rispose Avalon con voce ferma. –“Anche se forse non è proprio il termine adatto per definirlo!” –E rise per la prima volta, stupendo il figlio del Drago.

 

“Come valuti il loro operato? Non credi che i Cavalieri delle Stelle si siano comportati bene?” –Chiese l’Antico.

 

“Come prova generale non posso che essere contento!” –Commentò Avalon, prima di mandare a chiamare alcune sacerdotesse. Il suo allievo aveva bisogno di lavarsi e di curarsi, per essere riposato e pronto per le battaglie future. Sospirò, mentre una raffica di vento fece vibrare l’intera collina dell’Isola Sacra, avvolgendola per un attimo sotto un manto di gelo.

 

Un vento che veniva da settentrione e che anticipava l’arrivo dell’inverno.

 

© Aledileo

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Capitolo 44
*** Schede tecniche Cavalieri di Atena e Cavalieri delle Stelle ***


IL MAESTRO DI OMBRE – Schede tecniche

IL MAESTRO DI OMBRE – Schede tecniche

Cavalieri di Atena e Cavalieri delle Stelle

 

CAVALIERI DI BRONZO:

 

Pegasus:

Pegasus sta crescendo, e sta finalmente trovando il coraggio di ammettere a se stesso qualcosa che provava da tempo, ma che il suo senso dell’onore gli avevano fatto mettere da parte. L’amore per Isabel. Per la sua Dea.

Costretto dalla rosa di rabbia a tirare fuori le sue vere emozioni, Pegasus cerca di trovare la forza in questa consapevolezza. Affronta Ioria alla Tredicesima Casa, giungendo quasi ad ucciderlo, e poi conduce uno splendido scontro con Orochi, il più forte tra i Capitani dell’Ombra. Sull’isola maledetta guida i compagni nello scontro finale con Flegias, determinato a porre fine alla minaccia rappresentata dal figlio di Ares, ulteriormente motivato dall’aver scoperto la sorte del Cavaliere di Gemini, da Flegias manovrato segretamente.

(Colpi segreti: Fulmine di Pegasus, Spirale di Pegasus, Cometa Lucente, Quadrato di Pegasus)

 

Andromeda:

Come Pegasus, anche Andromeda cresce e trova la forza di ammettere quello che prova per Nemes, a cui si è unito nei giorni precedenti la battaglia finale contro Flegias. Richiamato dal Grande Mur dell’Ariete, in quanto l’unico a risentire in minima misura degli effetti della rosa di rabbia, Andromeda viene inviato in missione nelle Andamane con Kiki, dove affronta prima Biliku, e poi due Capitani dell’Ombra, Iaculo e Iemisch, stabilendo con il secondo uno strano rapporto di stima.

Aiutato dai discepoli di Virgo, Andromeda assiste al ritorno alla vita del Cavaliere della Sesta Casa, prima di tornare al Grande Tempio e sentirsi fiacco e debole, a causa della ferita di Biliku. Andromeda scopre di disporre di limitati poteri sensitivi, che gli permettono di vedere cose anche lontane, nel tempo e nello spazio. Questo lo porta sull’Isola di Andromeda, ad affrontare Sakis del Quadrante Oscuro e a salvare Nemes. Il gesto finale di Sakis, con cui disegna una omega, gli fa presagire qualcosa di terribile all’orizzonte.

(Colpi segreti: Catena di Andromeda, Onde del Tuono, Nebulosa di Andromeda, Onda energetica, Melodia scintillante di Andromeda)

 

Sirio il Dragone:

Sirio è inizialmente vittima della rosa di rabbia e costretto ad affrontare il suo stesso maestro, Libra, ai Cinque Picchi, per difendere Fiore di Luna dalle offese dell’uomo. Grazie all’intervento di Ascanio, la calma ritorna a impossessarsi di lui e il ragazzo si reca ad Atene con Libra. Là affronterà il grande drago Orochi, assieme a Cristal, prima di raggiungere l’Isola delle Ombre e combattere con Iemisch, il Capitano dell’Ombra affrontato da Andromeda in Indocina.

Nel finale Sirio ritorna ai Cinque Picchi, dove può finalmente, dopo mesi di peripezie, concedersi un momento per se stesso e per Fiore di Luna. Un momento per loro.

(Colpi segreti: Colpo segreto del Drago Nascente, Colpo del Drago Volante, Colpo dei Cento Draghi, Excalibur, Fuoco del Dragone, Acque della Cascata).

 

Cristal il Cigno:

Cristal è innamorato di Flare, l’unica ragazza che abbia saputo sciogliere il suo freddo cuore. Ma al tempo stesso è consapevole del fragile equilibrio su cui si basa la loro relazione, essendo la ragazza ancora emotivamente coinvolta nella morte di Artax. Combatte contro il Capitano dell’Ombra, Lyviatan, incaricato di distruggere Asgard, e con l’aiuto del Principe Alexer riesce a respingere la minaccia del Leviatano, distruggendo Gramr, la spada che Orion gli aveva donato.

Scopre notizie interessanti sul passato del Maestro dei Ghiacci e di Acquarius, prima di tornare in Grecia e combattere contro il grande drago Orochi a fianco di Sirio. Sull’Isola delle Ombre unirà infine il proprio potere a quello dei compagni per risolvere definitivamente il problema Flegias.

(Colpi segreti: Polvere di Diamanti, Aurora del Nord/Vortice fulminante dell’Aurora, Sacro Acquarius, Anelli di Ghiaccio, Spada di Ghiaccio)

 

Phoenix:

Il Cavaliere di Phoenix, dopo ogni battaglia, si ritira sull’Isola del Riposo, per riparare la propria corazza nel fuoco di Kabir. Approfitta del soggiorno per far visita a Elena, nipote del vecchio che tardò a salvare quel giorno, quando affrontò Loto e Pavone. Proprio sull’Isola del Riposo Phoenix è costretto a combattere contro un altro discepolo di Virgo, Arne dello Scettro di Brandeburgo, vincendolo.

Si reca quindi ad Angkor, per aiutare Andromeda, che in realtà se l’è cavata bene anche senza di lui, e scopre con piacere che Virgo è ancora vivo. Preoccupato per le sorti del fratello, che non vuole farsi curare la ferita di Biliku, Phoenix si unisce a Pegasus e agli altri negli scontri sull’Isola delle Ombre, dove affronta il Licantropo, vincendolo, anche grazie all’aiuto di Ippolita che sente sempre dentro di sé.

Phoenix rivede anche Pentesilea, nuova Regina delle Amazzoni, aiutandole contro i lupi mannari, prima di unire il cosmo a quello dei compagni e vincere Flegias.

(Colpi segreti: Ali della Fenice, Piume della Fenice, Pugno infuocato, Fantasma diabolico, Volo dell’Araba Fenice).

 

Asher dell’Unicorno:

Asher è il primo Cavaliere ad essere infettato dalla rosa di rabbia, su suggerimento del suo vecchio compagno d’addestramento Lothar, che credeva fosse un debole e un fallito. Diventato molto amico di Ioria, Asher trascorre del tempo con il Cavaliere di Leo, a cui crede di somigliare molto.

Dopo la convalescenza, si unisce ai compagni per lottare contro le ombre, sia al Grande Tempio che sull’isola maledetta, dove sconfigge Lothar.

(Colpi segreti: Criniera dell’Unicorno, Corno d’Argento)

 

Nemes del Camaleonte:

Nemes viene sconfitta brutalmente da Sakis del Quadrante Oscuro, che sfregia il suo volto guardandola. Legata con catene oscure, che le sottraggono il cosmo, agli scogli dove Andromeda affrontò il rituale per ottenere l’investitura, la Sacerdotessa viene infine salvata dal ragazzo, a cui dichiara tutto il suo amore.

 

CAVALIERI D’ARGENTO:

 

Castalia dell’Aquila:

Castalia è inizialmente vittima della rosa di rabbia, che la porta a scontrarsi con Tisifone, ferendosi entrambe. Nel cuore è infatti ancora confusa, ancora incerta sulla strada da seguire: se il passato, rappresentato da Ioria, o il futuro, rappresentato da Phantom. Sarà la voglia di vivere, e di andare avanti, a spingerla verso il Luogotenente dell’Olimpo.

(Colpi segreti: Volo dell’Aquila Reale, Cometa pungente)

 

Tisifone del Serpentario:

Tisifone affronta Borneo della Tartaruga, un bizzarro Cavaliere Nero che le sbarra la strada sull’Isola delle Ombre. Per quanto consapevole che Pegasus non la amerà mai, tuttavia non è disposta a lasciarsi andare. Non è disposta a cedere. E, come Asher ha trovato la forza per andare avanti, anche senza Isabel, altrettanto decide di fare anche lei.

(Colpi segreti: Cobra incantatore, Artigli del Cobra)

 

CAVALIERI D’ORO:

 

Il Grande Mur dell’Ariete:

Il Grande Mur scopre inizialmente i venefici effetti della rosa di rabbia, pregando Andromeda e Kiki di recuperare il sangue di Biliku. Accompagna Atena sull’Olimpo, dove affronta Ampelo del Vendemmiatore, mettendo fine all’avvelenamento di Zeus. Si riunisce in seguito ai compagni sull’Isola delle Ombre, per la battaglia finale.

(Colpi segreti: Stardust revolution, Onda di luce stellare, Muro di Cristallo, Ragnatela di Cristallo)

 

Ioria del Leone:

Ardito e coraggioso, Ioria affronta i fantasmi del suo passato che si presentano sia sotto forma del suo vecchio allievo, Siderius della Supernova Oscura, sia sotto forma di peccati a cui, secondo Lothar del Sudario di Cristo, il ragazzo si è abbandonato. Ma lo fa a testa alta, senza vergogna, con la determinazione di andare avanti, e vivere anche per Micene, John Black e tutti quelli che gli hanno insegnato qualcosa.

(Colpi segreti: Lightning Plasma, Lightning Bolt, Lightning Fang, Photon Burst)

 

Dohko di Libra:

Libra si scontra ai Cinque Picchi con Sirio, a causa dell’effetto della rosa di rabbia, ma viene fortunatamente ricondotto alla ragione dall’intervento di Ascanio, il suo vecchio allievo. Rientrato ad Atena, affianca Ioria e Virgo nella guerra contro le ombre, scontrandosi in seguito con Avel delle Spade Incrociate. Capisce subito il significato dei serpenti tatuati sulle braccia di Ascanio e teme per il destino del ragazzo.

(Colpi segreti: Colpo del Drago Nascente, Colpo dei Cento Draghi, Sacro Libra)

 

Shaka di Virgo:

Miracolosamente ancora vivo, grazie all’intervento dei discepoli che lui stesso in passato aveva snobbato, giudicandoli poco degni, il Cavaliere di Virgo interverrà per aiutare Andromeda contro Iemisch. Quindi si unirà a Ioria per affrontare le ombre, sia al Grande Tempio che sull’isola di Flegias, deciso a salvare Tirtha, unica allieva rimastagli assieme a Pavit.

(Colpi segreti: Ohm, Abbandono dell’Oriente, Kaan)

 

CAVALIERI DELLE STELLE:

 

Jonathan di Dinasty, Custode dello Scettro d’Oro:

Figlio di una Sacerdotessa del Tempio di Inti, a Isla del Sol, Jonathan ha assistito al massacro della sua famiglia e del suo popolo, operato da Flegias e dai suoi oscuri seguaci, quasi venti anni fa. Fu salvato da Avalon, che gli apparve avvolto nella luce, quasi fosse un angelo, e condotto sull’Isola Sacra, dove fu iniziato ai misteri e al cosmo. Crescendo, risvegliò il Talismano custodito dentro di sé, lo Scettro d’Oro, un tramite tra il Sole e la Luna. Il suo maestro fu Andrei, che lo addestrò sulle rive del lago Titicaca.

Combatte contro Bode del Monte Menalo e Gienah della Croce di Sant’Elena a Smirne, prima di venire affiancato da Andrei e lottare contro le ombre.

(Colpi segreti: Scettro d’Oro, Luce dello Scettro, Aberrazione della luce, Cometa d’Oro, Sciame di Comete)

 

Reis di Lighthouse, Cavaliere di Luce, Custode della Spada di Luce:

Reis è allieva di Avalon, la stessa ragazza frizzante che aveva aiutato Ioria quindici anni addietro sotto il sole d’Egitto. Ancora eccitata da quell’incontro, cerca comunque di mettere il dovere di Cavaliere delle Stelle prima dei suoi piaceri e tiene testa alle ombre a Smirne e poi in Tracia, unendo il suo cosmo a quello degli altri custodi dei Talismani.

Nel finale, finalmente potrà unirsi a Ioria. Momento che a lungo aveva atteso.

(Colpi segreti: Spada di Luce, Flashing sword, Cascata di luce).

 

Marins, Cavaliere dei Mari, Custode del Tridente dei Mari Azzurri:

Un americano innamorato del baseball, allenato da Yogi Berra, e attratto dal mare. Marins stipula uno splendido rapporto di amicizia con Febo, che si concretizza nelle varie missioni che sempre compiono insieme. Come quella a Creta, che vede entrambi fronteggiare il Maestro di Ombre.

Sconfigge Dario del Fiume Tigri e assiste al ricongiungersi di Febo con il padre, il sommo Amon Ra, prima di liberare il potere del Talismano dei Mari Azzurri e contribuire alla sconfitta di Flegias.

(Colpi segreti: Maremoto dei Mari Azzurri, Tridente dei Mari Azzurri, Barriera corallina)

 

Febo, Cavaliere del Sole, Custode dello Specchio del Sole:

Figlio di Amon Ra e di una Sacerdotessa di Apollo, Febo possiede sangue reale e un portamento fiero, oltre che un grande senso dell’onore. Trova in Marins un grandissimo amico, il migliore, a fianco del quale combattere e morire. Riesce a distruggere la Spada Infuocata di Flegias, sia pur rischiando di morire, ferito dalla stessa. Viene salvato da Amon Ra, prima di unire il suo cosmo a quello dei compagni e contribuire alla sconfitta dell’ombra.

(Colpi segreti: Bomba del Sole, Raggi gamma, Specchio del Sole)

 

Matthew, Cavaliere dell’Arcobaleno:

Allievo di Gemini, pur senza aver mai completato l’addestramento, Matthew nasconde in sé uno dei Talismani, la Cintura dell’Arcobaleno, che risveglia sull’Olimpo, affrontando lo spirito infuocato di Flegias, determinato a onorare Miha, la donna che gli aveva permesso di ritrovare se stesso.       

In seguito sarà condotto ad Avalon, dove sarà addestrato in maniera intensiva e dove verrà informato del ruolo dei Cavalieri delle Stelle.

(Colpi segreti: Arcobaleno incandescente, Cintura dell’Arcobaleno)

 

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Capitolo 45
*** Schede tecniche Divinità, Cavalieri Celesti e Asgard ***


IL MAESTRO DI OMBRE – Schede tecniche

IL MAESTRO DI OMBRE – Schede tecniche

Divinità, Cavalieri Celesti e Asgard

 

CAVALIERI CELESTI:


Phantom dell’Eridano Celeste, Luogotenente dell’Olimpo:

Phantom è sempre mosso da nobili ideali, deciso soprattutto a vendicare Giasone e gli altri Cavalieri Celesti morti a causa del figlio di Ares. Viene quasi ucciso dalla violenza di Siderius della Supernova Oscura, salvandosi grazie al Talismano di Demetra e all’intervento di Ascanio.

Sull’Olimpo ritrova Teria, la sorella perduta anni addietro, divenuta adesso un Capitano dell’Ombra, e cerca di estirpare l’oscurità dal suo animo, fallendo. In seguito, dopo il risveglio di Zeus, raggiunge l’isola maledetta, per unire le sue forze a quelle dei Cavalieri di Atena contro Flegias.      

Nel finale ritorna alla sua casa ai piedi dell’Olimpo, seppellendo Teria, assieme ai suoi genitori, e abbracciando serenamente Castalia.

(Colpi segreti: Liane dell’Eridano, Gorgo dell’Eridano, Sorgenti dell’Eridano)

 

Giasone della Colchide:

Triste sorte quella dell’antico Argonauta, catturato da Flegias durante la prima incursione dei Cavalieri Celesti sull’Isola delle Ombre. Avvolto in un turbinare continuo di tenebra, Giasone continua ad attendere, continua a sperare. E quando le sue preghiere sono esaudite, e ha modo di rivedere un’ultima volta i compagni, si fa esplodere all’interno del signore di ombre, danneggiandolo parzialmente, e dando l’ultimo addio a Zeus e ai Cavalieri suoi compagni.

(Colpi segreti: Scudo della Colchide)

 

Ganimede della Coppa Celeste:

Il Coppiere degli Dei soffre per la scomparsa di Giasone, e Ampelo approfitta di questo rancore per entrare dentro di lui, trovando un cuore agitato e una mente facilmente controllabile. Liberato da Mur, Ganimede trascorre ore in convalescenza, dove Giasone gli appare un’ultima volta, per salutarlo.

 

Ascanio Pendragon:

Il Comandante della Legione Nascosta diventa in questo capitolo della “Trilogia di Flegias” il Comandante dei Cavalieri delle Stelle, anche se mai lo vediamo assieme ai suoi sottoposti. Il ruolo di Ascanio nella storia si fa sempre più pressante, soprattutto per la natura dualistica della sua formazione. Greca, da un lato, e celtica, dall’altro. Un conflitto che Ascanio sente sempre di più dentro di sé, per quanto non abbia dubbi a fianco di chi si schiererà.    

Sconfigge Menas in un breve duello, prima di liberare Sirio e Libra dagli effetti della rosa di rabbia. Corre in aiuto di Phantom sull’Isola delle Ombre, ma arriva in ritardo per salvare Gwynn, che muore tra le sue braccia. Combatte contro Teria sull’Olimpo, prima di raggiungere Pegasus e gli altri sull’Isola delle Ombre, dove, ben lo sa, il suo maestro intendeva sferrare l’ultimo attacco a Flegias.

(Colpi segreti: Metempsicosi, Attacco del Drago di Sangue, Attacco del Drago Bianco)

 

Gwynn del Biancospino:

Amico di Ascanio, da lui addestrato e condotto a Glastonbury, Gwynn viene massacrato dal Licantropo sull’Isola delle Ombre. Per quanto debole e ferito, il ragazzo continua a lottare e morirà tra le braccia del Comandante della Legione Nascosta, che tanto aveva ammirato.

(Colpi segreti: Mimesis, Biancospino di Glastonbury)

 

DIVINITÀ:

 

Zeus, Dio supremo dell’Olimpo:

Zeus è malato. Intrappolato da Lamia in una prigione di favole, e avvelenato da Ampelo con un veleno procuratogli da Flegias, Zeus trascorre giorni difficili, ma viene salvato dall’intervento congiunto di Atena e di Avalon, che riaccendono la fiamma della vita nel suo cuore.

Tra i ricordi che Lamia gli ha portato via, ve n’è uno che turba particolarmente il giovane Ascanio. Lo stesso di cui Avalon molto gli aveva parlato. L’ultima guerra che i Cavalieri un giorno dovranno combattere. E che Zeus ben sa.


Era, Signora degli Dei:

Come il fratello e sposo, Era viene avvelenata da Ampelo e Lamia, seppur in maniera meno grave, riuscendo a rimettersi. Guarita, si augura che le guerre siano finite e gli Dei e gli uomini possano vivere in pace. Ma non è così.

 

Ermes, Messaggero degli Dei:

Ermes inizialmente è sulle tracce di Flegias e lo affronta brevemente, assieme a Phantom e a Giasone sull’Isola delle Ombre, costretto a ripiegare dalla furia del figlio di Ares. Sull’Olimpo, cerca di aiutare Zeus, la cui improvvisa malattia ha preso tutti di sorpresa, prima di scendere sulla Terra per parlare con Atena.

Disperato per le morti di Artemide e dei Cavalieri Celesti, Ermes fa ritorno sull’Olimpo, dove viene ferito a tradimento da Ampelo. Ripresosi, viene curato da Demetra, e nel finale viene inviato da Zeus in Sicilia per chiedere a Efesto nuove armi per la prossima guerra. L’ultima.

(Colpi segreti: Caduceo)

 

Atena, Dea della Giustizia:

Atena continua la sua missione di protezione verso gli uomini, mostrando sempre il lato umano che la contraddistingue. Cerca infatti, se possibile, di limitare i danni e si rifiuta di far male a Pegasus e a Ioria, quando i due la attaccano sotto effetto della rosa di rabbia. Parla con Ermes, e poi con il Primo Saggio, ricordando le battaglie di secoli addietro a fianco di Avalon.

Decide quindi di recarsi sull’Olimpo, arrivando in tempo per salvare Zeus dai veleni dell’ombra. Spera sempre di poter parlare con Pegasus, di poter avere un momento per incontrarsi con lui. Anche se, in fondo al cuore, non ha ancora capito cosa vorrebbe dirgli. Forse niente, forse tutto.

 

Asclepio, Dio della Medicina:

Il figlio di Coronide, l’unica figlia di Flegias, da Apollo sedotta e uccisa, viene massacrato brutalmente dal Maestro di Ombre, sia per cancellare ogni traccia di quel disonore, sia per impedirgli di prestare aiuto a Zeus e ai Cavalieri di Atena.

 

Artemide, Dea della Caccia:

Bellicosa e combattiva, Artemide accompagna Phantom e i Cavalieri Celesti sull’Isola delle Ombre, dove trova la morta per mano di Flegias. In seguito, prigioniera di un limbo senza fine, ove ritrova Morfeo e le altre Divinità cadute in precedenza, sostiene Tisifone in combattimento, ritrovando in lei una parte di sé.

(Colpi segreti: Dardo di Artemide, Spiriti della Foresta, Dardi di luce)

 

Demetra, Dea delle Messi e delle Coltivazioni:

Demetra non ama combattere e preferisce stare nelle retrovie, usando i suoi poteri per aiutare i Cavalieri, soprattutto Phantom, a cui molto è legata.

 

Euro, Vento dell’Est:

Ultimo figlio di Eos ancora vivo, Euro interviene in aiuto di Pegasus e dei Cavalieri di Atena, accompagnandoli sull’Isola delle Ombre, in volo, grazie a delle correnti d’aria. Schivo verso la guerra, non può rifiutarsi però di correre in aiuto del suo Signore Zeus, la cui salute era stata gravemente compromessa da Flegias. In cuor suo, anche se non vuole ammetterlo, Euro sa che prima o poi dovrà combattere la battaglia finale.

 

ASGARD:

 

Ilda di Polaris, Celebrante di Odino:

Ilda è preoccupata, in ansia per le sorti di Asgard e del mondo. Trascorre le giornate chiusa a studiare, a consultare antichi libri, e a pregare Odino sul promontorio ghiacciato, in cerca di risposte che confermino o smentiscano la sua tesi. Ilda sa che l’inverno sta arrivando. L’ultimo inverno è vicino.

 

Flare di Polaris, Principessa di Asgard:

La sorella di Ilda è combattuta, tra l’amore per Cristal e il ricordo di Artax, incapace di ammettere se in quella caverna ha perso solo un amico o qualcosa di più. Assiste allo scontro di Cristal con il Capitano dell’Ombra, venendo ferita e condotta poi al Palazzo di Asgard dai compagni di Bard, dove continua a pregare per la pace.

 

Bard, l’arciere:

Allievo di Orion, guida i giovani apprendisti Cavalieri di Asgard. Orfano, vive nei boschi fuori dalla Cittadella, dove si allena con i compagni. È un abile arciere e interviene in aiuto di Cristal contro il Capitano dell’Ombra, e poi contro il Leviatano.

 

ALTRI PERSONAGGI:

 

L’Antico:

Il Primo di tutti i Saggi, il cui nome si è perso nella storia, capo della gilda di druidi che nominò Avalon Signore dell’Isola Sacra. È il fratello di Galen, il custode della Biblioteca di Alessandria ucciso da Flegias quindici anni addietro. Nonostante la sua tarda età, e la stanchezza crescente, dovuta in parte all’ombra che ha ricoperto il mondo, l’Antico esplica efficientemente le sue funzioni di messaggero e consigliere di Avalon.

 

Avalon, Signore dell’Isola Sacra:

Definito dal Maestro di Ombre “grande tessitore” o “abile burattinaio”, Avalon è la nemesi di Flegias, il suo principale antagonista. Entrambi candidati a guidare l’Isola Sacra, Avalon venne giudicato idoneo, sia per i suoi poteri, sia per la consapevolezza con la quale avrebbe, come infatti ha, esercitato il suo ruolo. Per Avalon (la sua terra) sacrificherebbe tutto, come è nel suo compito di garante dell’equilibrio. Si serve degli altri, non per fini di guerra, ma in vista del futuro.

 

Andrei:

Maestro di Jonathan e signore del fuoco, Andrei obbedisce agli ordini di Avalon, anche se spesso non li approva. Di carattere sveglio e combattivo, vorrebbe essere sempre in prima fila, a lottare contro il nemico, anziché nascondersi dietro piani e strategie.

(Colpi segreti: Aurora infuocata)

 

Alexer:

Maestro di Acquarius, Alexer è uno dei Quattro. Legato segretamente ad Avalon, che lo inviò secoli addietro al nord per controllare la situazione, il Principe regna su una Valle di Cristallo, intervenendo nuovamente in aiuto di Cristal, come già aveva fatto contro Enio.

(Colpi segreti: Fulmini siderali)

 

Patricia:

La sorella di Pegasus continua a vivere con lui alla Darsena.

 

Syria delle Sirene:

L’ultimo Generale degli Abissi muore ucciso da Flegias e il suo sangue servirà ad Athanor per potenziare le Armature Nere dei Cavalieri delle costellazioni dimenticate.

 

Fiore di Luna:

Fiore di Luna è inizialmente vittima degli effetti della rosa di rabbia, scontrandosi con Sirio e soprattutto con Libra. In seguito viene condotta al Grande Tempio, dove viene affidata alla protezione di Kiki. Tornerà, dopo la sconfitta di Flegias, ai Cinque Picchi con l’amato Sirio.

 

Kiki:

Il fratello di Mur sta decisamente crescendo, sia come poteri, che come consapevolezza di sé. Sta diventando un giovane guerriero che non esita a lanciarsi in prima fila per Atena e per i suoi compagni. Sostenuto sempre da Mur e dalla madre, Kiki accompagna Andromeda nelle Andamane, e poi sull’Isola di Andromeda, dove libera Nemes dalla prigionia delle catene oscure.

 

Dhaval, il Puro:

Discepolo di Virgo. Il più potente e il più saggio tra i tre che ancora vivono ad Angkor, ma anche il più chiuso. Deluso dal tradimento di Arne, e incapace di comprendere la filosofia di Virgo, Dhaval non crede più in Atena né nel futuro. Usa i poteri per aiutare la povera gente della Cambogia a vivere, sperando di fare loro del bene. Morirà tenendo fede ai propri ideali, salvando Virgo.

 

Pavit, il Devoto:

Discepolo di Virgo, dai capelli fulvi e l’aria sbarazzina. Pavit è il più infantile tra i tre allievi, ma quello che maggiormente crede nella vita e nel futuro. Innamorato di Tirtha, non esita a scendere nelle profondità dell’Isola delle Ombre per liberarla.

 

Tirtha, la Pellegrina:

L’unica donna rimasta viva dei discepoli di Virgo, Tirtha cerca di mediare tra il conservatorismo di Dhaval e la voglia di aperture di Pavit. Viene sconfitta ad Angkor e trascinata via, sull’Isola delle Ombre, dove Flegias la imprigiona in una gabbia di oscurità, che si ciberà del suo cuore, spingendola ad attaccare persino Pavit e Virgo. Solo l’amore di Pavit per lei la libererà.

 

Arnav e Mahendra:

Discepoli di Virgo. Morirono durante l’attacco di Flegias ad Angkor, arsi vivi dalle fiamme del Flagello degli Uomini.

 

Miha:

Ragazza amata da Matthew, da lui incontrata in un porto ad Atene e che risvegliò in lui il desiderio di essere Cavaliere di Atena. Viene uccisa dalle frustate di Bahrein e dalla debolezza della schiavitù nei sotterranei dell’Isola delle Ombre.

 

Amazzoni:

Il popolo di donne guerriero attacca l’Isola delle Ombre, per vendicare la Regina Ippolita, morta durante la guerra al Grande Tempio occupato da Ares, e lo sfregio subito al Tempio delle Amazzoni, sulle rive del fiume Termodonte.

Pentesilea è la nuova Regina, molto radicata alle tradizioni e, per quanto amasse Ippolita, non capisce come abbia potuto sacrificarsi per un uomo. Guardando Phoenix in azione però dovrà ricredersi su di lui.

 

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Capitolo 46
*** Schede tecniche dell'Esercito delle Ombre e delle creature leggendarie ***


Il Maestro di Ombre – Schede Tecniche Esercito delle Ombre e creature leggendarie

Il Maestro di Ombre – Schede Tecniche Esercito delle Ombre e creature leggendarie

 

ESERCITO DELLE OMBRE:

 

Flegias, Figlio di Ares, Flagello di Uomini e Dei, Rosso Fuoco, Maestro di Ombre:

In quest’ultimo capitolo della “Trilogia di Flegias”, emerge finalmente il piano finale dell’araldo dell’ombra: coprire il mondo con una nuova oscurità. Grazie al potere della Pietra Nera, che gli fu donata millenni addietro, mentre il suo spirito vagava in un limbo infinito dopo essere stato ucciso da Zeus, Flegias organizza un Esercito di Ombre e di Cavalieri Neri, lanciandoli contro l’umanità.

Non fidandosi particolarmente di nessuno, vedendo nei suoi servitori solo meri strumenti per arrivare alla vittoria finale, spesso Flegias preferisce intervenire personalmente, affrontando per esempio Artemide sull’Isola delle Ombre, o Marins e Febo a Creta. Nel finale si ritrova faccia a faccia con Avalon, la sua nemesi, colui che lo aveva cacciato dall’Isola Sacra secoli addietro, vedendo in lui soltanto un demone interessato a carpire ancestrali segreti, per usarli a suo piacimento.

Viene sconfitto dai colpi uniti di Pegasus, Cristal, Sirio, Andromeda e Phoenix, perdendo la sua forma umana e tramutandosi in un nero spirito, che esplode al contatto con il caldo cosmo di Avalon.

(Colpi segreti: Apocalisse Divina, Spada Infuocata, Maestria di Ombre, Rapsodia di Demoni)

 

Athanor, ultimo alchimista della Regina Nera:

Salvato anni addietro dall’inferno della Regina Nera, durante un viaggio che Flegias e Issione compirono, Athanor utilizza le antiche sapienze degli alchimisti per creare le corazze per l’esercito delle Ombre: sette di grado maggiore, per cui usa il sangue di Asclepio e di Sirya della Sirena, e altre di grado minore, potenziate dall’Ichor di Artemide e dal sangue dei Cavalieri Celesti.

Viscido e servile, non ha mai il coraggio di opporsi a Flegias, continuando a obbedire ai suoi ordini, fino a creare la corona nera per il Maestro di Ombre, terminando con questo gesto la sua utilità e venendo quindi ucciso.

 

I SETTE CAPITANI DELL’OMBRA:

 

Orochi:

Il più forte dei sette Capitani dell’Ombra, addestrato personalmente da Flegias, anche con la speranza di ricevere la Spada del Paradiso, il massimo onore per un guerriero, come Orochi si considerava. Forte, deciso, sicuro di sé, Orochi non mostra alcuna esitazione, restando impassibile di fronte ad ogni decisione del Maestro di Ombre, che sempre esegue con la massima solerzia.

Flegias gli affida l’incarico di eliminare i Cavalieri Divini ed egli si reca al Grande Tempio, dove inizia un violento scontro con Pegasus, in cui entrambi danno il meglio di loro stessi. In Pegasus, Orochi vede la battaglia che aveva sempre sognato, l’avversario che potesse davvero metterlo in crisi. Morirà soddisfatto di aver trovato quello che cercava e di aver potuto impugnare, anche se solo per una volta, Kusanagi.

(Colpi segreti: Pugno del Drago, Alito del Drago, Spada del Paradiso)

 

Iemisch, la tigre d’acqua:

Determinato a occupare il grado di Comandante dei sette Capitani dell’Ombra, Iemisch è il soldato perfetto dell’Esercito di Flegias. Potente e distruttivo, preciso nel colpire ma anche acuto e intelligente, e dotato di un grande senso dell’onore, che gli deriva non dal riconoscere ai suoi avversari il rango di difensori della giustizia, ma dal considerarli, come qualsiasi nemico abbia affrontato in passato, delle prede. Degli animali da cacciare in un gioco che è anche una processione di sensi.

Affronta Andromeda nelle Andamane e ad Angkor, commettendo però l’errore di lasciare ampio margine d’azione a Dhaval, che resuscita Virgo, venendo per questo punito dal Maestro di Ombre. Sull’Isola di Flegias combatte infine contro Sirio, venendo sconfitto.

(Colpi segreti: Fiera di sangue, Fiera maestosa)

 

Iaculo, il serpente giavellotto:

Stupido e con poco cervello, Iaculo è un guerriero che combatte per il piacere di lottare, per il gusto di spargere sangue. Di forza inferiore a quella di un Cavaliere d’Oro, Iaculo sfrutta la particolarità del suo attacco e del suo sistema difensivo, che spesso prendono l’avversario di sorpresa. Ma in uno scontro diretto, sul piano fisico, per quanto sia scattante, ha scarse probabilità di vittoria.

Poco stratega e molto attaccabrighe, Iaculo pensa soltanto ad eseguire gli ordini di Flegias. Affronta Andromeda e i tre discepoli di Virgo, sull’Isola delle Andamane, venendo da loro ucciso.

(Colpi segreti: Concatenazione)

 

Lamia, la rapitrice di sogni:

Il suo vero nome è Teria, sorella di Nikolaos, ovvero Phantom dell’Eridano Celeste. Nata da Elena dopo un parto difficile, ha covato per anni la sensazione di non essere gradita. Di non essere voluta. E ha lasciato che l’odio divorasse il suo cuore, spingendola ad abbandonare la sua famiglia.

Trovata da Flegias, attratto dal rancore di cui il suo cuore si era cibato, l’aveva addestrata alla sottile arte dell’inganno, eleggendola unica donna tra i Capitani dell’Ombra. Grazie ai suoi poteri che le permettevano di cambiare forma, aveva assunto la falsa identità di un’ancella di Zeus, avvelenando quotidianamente il Dio del Fulmine, avvolgendolo con un sinfonia di favole che gli aveva permesso di scavare nei suoi ricordi. Là aveva appreso qualcosa di terribile, qualcosa che persino Flegias le aveva tenuto nascosta. L’identità di colui che così tanto aveva potenziato il figlio di Ares. Ma tale segreto morì con Lamia, uccisa da Ascanio all’esterno del Tempio della Medicina, dopo il fallito tentativo di Phantom di ritrovare la perduta sorella.

(Colpi segreti: Sinfonia di Favole, Falene energetiche)

 

Licantropo, l’uomo-lupo:

Uno degli esperimenti che Anhar e Seth condussero quindici anni addietro, nei sotterranei della Piramide Nera di Tebe, incrociando lupi con un uomini, al fine di creare i soldati perfetti. Delle bestie assassine, dotate di un minimo raziocinio, quel tanto che bastava per ottenerne la fedeltà.

Richiamato da Flegias dopo quindici anni trascorsi nelle profondità di Tebe, il Licantropo ha guidato i suoi cloni contro Karnak, ma Amon Ra, avvertito da Avalon di stare in guardia, aveva nel frattempo riorganizzato l’Esercito del Sole, sconfiggendo i lupi mannari. Con la coda tra le gambe, il Licantropo era rientrato sull’Isola delle Ombre, dove aveva guidato i mannari superstiti contro le Amazzoni, prima di morire per mano di Phoenix.

(Colpi segreti: Unghioni di energia, Luna Piena, Luna calante)

 

Lyviatan, la bestialità:

Fratello di Dimitri, il vero Generali degli Abissi destinato a prendere il posto di Kanon come Dragone del Mare, non si è mai liberato dall’ossessione del fratello, e dall’odio verso i Cavalieri di Atena. Un gran guerriero, con ottime potenzialità, vittima di emozioni che non è stato in grado di controllare.

Si reca ad Asgard, per ordine di Flegias, col compito di uccidere Ilda e Flare mentre il Leviatano distrugge la città, ma incontra Cristal, iniziando a guerreggiare con lui, e venendo da lui sconfitto.

(Colpi segreti: Marosi oscuri)

 

Siderius, della Supernova Oscura:

Allievo di Ioria, che il Cavaliere di Leo non ha mai seguito con costanza, a causa dei suoi continui impegni fuori Atene, e dei suoi presentimenti verso il ragazzo, che gli hanno precluso l’insegnamento del suo colpo massimo, il Photon Burst, che Ioria aveva pensato per proteggere, non per offendere.

Massacra Phantom dell’Eridano sull’Isola delle Ombre, prima di dirigersi da solo ad Atene, dove combatte con Ioria, esternando tutto il rancore che provava per lui. Sconfitto, viene ferito da Lothar e poi si sacrifica per liberare il Grande Tempio dalle ombre.

(Colpi segreti: Esplosione della Supernova, Raggi siderali)

 

LE COSTELLAZIONI DIMENTICATE:

 

Menas, della Rosa:

Fratello di Ampelo del Vendemmiatore, Menas è il primo dei Cavalieri Neri a potersi fregiare di un’Armatura, forgiata da Athanor su richiesta di Flegias, per sfruttare i poteri del guerriero, il quale può infatti arrivare non visto in territorio nemico, e la Rosa di Rabbia che egli comanda.

Viene inviato in missione ad Atene, per infettare Asher e disseminare il Grande Tempio di Rose di Rabbia, come aveva fatto il giorno prima a Nuova Luxor, e nel pomeriggio di quel giorno in Cina. Ai Cinque Picchi viene però scoperto da Ascanio, che lo sconfigge in pochi minuti, obbligando Orochi ad intervenire in suo soccorso. Flegias non accetta tale sconfitta e lo uccide tagliandogli la testa.

(Colpi segreti: Rosa di Rabbia)

 

Ampelo, del Vendemmiatore:

Fratello di Menas della Rosa, ma decisamente più pazzo e irrazionale del primo. Intriso di quell’ebbrezza che tanto amava ritrovare negli altri e nei suoi scontri. Nominato da Flegias come aiutante di Lamia, nell’impresa di piegare gli Olimpi, Ampelo era quasi riuscito nel suo scopo, sostituendosi addirittura a Ganimede e ferendo gravemente sia Ermes, che Zeus ed Era.

Matthew disturba però i suoi piani, tenendolo impegnato a sufficienza per permettere ad Atena e a Mur di arrivare sull’Olimpo e al Cavaliere di Ariete di sconfiggerlo. La sua frase finale, in punto di morte, è una volontaria citazione de “Il tramonto degli Eroi”.

(Colpi segreti: Pampini aggroviglianti, Correnti di follia)

 

Lothar, del Sudario di Cristo:

Figlio di una famiglia protestante della vecchia Inghilterra, Lothar è deluso, quasi schifato, dal materialismo della società presente, dalla negazione di valori a cui l’uomo moderno si è abbandonato. Sviluppa quindi un forte integralismo religioso, che lo porta a condannare tutte le azioni di tutti gli uomini, difformi da quella che considera la volontà di Dio.

Accetta di seguire Flegias proprio perché, così facendo, potrà combattere la corruzione e il permissivismo moderno. Istruisce due discepole, a cui cercherà di trasmettere lo stesso senso del dovere, la stessa fanatica fede. Combatte contro Ioria del Leone, al Grande Tempio, dopo aver seguito Siderius su ordine del suo maestro Orochi. Ma viene sconfitto dal diritto degli uomini a sbagliare, proclamato da Ioria.

(Colpi segreti: Crocifissione dell’Anima, Corona di spine, Pioggia del martirio)

 

Borneo, della Tartaruga:

Bizzarro avversario, non troppo interessato al combattimento, affronta Tisifone sull’Isola delle Ombre, mettendo la Sacerdotessa in seria difficoltà. Grazie all’aiuto di Artemide però, Tisifone riesce a distruggere il guscio protettivo di Borneo e a ucciderlo incenerendolo con scariche incandescenti.

(Colpi segreti: Borneo non possiede un vero colpo segreto, ma il suo guscio è un’ottima difesa e i suoi pugni sono duri e resistenti)

 

Avel, dell’Elettore di Sassonia:

Un tempo lavorava per il KGB, i servivi segreti sovietici, ma al termine di una delicata operazione a Berlino viene scaricato e costretto a fuggire per lottare per la propria vita. Flegias lo incontra proprio sulle rive dell’Havel, restando impressionato dalla sua freddezza e dalle sue abilità guerriere, facendolo entrare nel suo esercito.

Freddo e impassibile, Avel esegue ogni ordine del Maestro di Ombre, anche quando si tratta di massacrare uomini e donne innocenti. Si scontra con Libra, venendo da lui sconfitto.

(Colpi segreti: Spade Incrociate).

 

Arne, dello Scettro di Brandeburgo:

Uno dei dieci discepoli di Virgo. Quello che si considerava più vicino alla celeste pienezza del Cavaliere d’Oro e che, a suo parere, meritava un’Armatura. Desideroso di emergere, e di dimostrare quanto fosse forte e potente, Arne si unisce a Flegias, durante l’assalto di questi ad Angkor, e si recherà in seguito sull’Isola del Riposo per affrontare Phoenix.

Per lui, vincere Phoenix era come vincere Virgo. Ma, per quanto i suoi poteri potessero rivaleggiare con quelli di alcuni Capitani dell’Ombra, viene sconfitto.

(Colpi segreti: Scettro nero, Avvento delle tenebre)

 

Cassandra, dell’Ape Nera:

L’amante di Flegias, la donna che ha lenito i suoi affanni nelle lunghe notti senza stelle. La donna che però il Maestro di Ombre non ha mai considerato come la sua prima sposa, la madre di Coronide. Con questa consapevolezza nel cuore, Cassandra ha cercato di mascherare i suoi veri sentimenti, convinta di voler davvero essere la Regina Oscura, che a fianco di Flegias avrebbe regnato sul mondo. In realtà, come lei stessa ammetterà al termine del breve scontro con Castalia, avrebbe voluto lui più di ogni altra cosa.

(Colpi segreti: Pungiglione dell’Ape nera: Cassandra non può usare eccessivamente i suoi poteri, poiché, come le api muoiono dopo aver perso il pungiglione, il prolungato uso del suo colpo segreto le consuma molto cosmo)

 

Lukas, della Cordicella dei Pesci:

Compagno d’addestramento di Asher, Lukas ha sempre criticato il ragazzo, convinto che le sue motivazioni fossero troppo deboli ed egli non fosse degno di divenire Cavaliere. Lui voleva esserlo, lui che era sempre stato convinto di essere il migliore. Ma il maestro di entrambi non la pensava così, e lo scacciò. Lukas affronta Asher sull’Isola delle Ombre, deridendo i suoi miseri sentimenti e la sua vita fallimentare, ma dovendo infine ammettere che il ragazzo è migliorato, al punto di riuscire a sconfiggerlo da solo.

(Colpi segreti: Lukas usa le corde frustare il nemico, intrappolarlo e liberare scariche elettriche)

 

Dario, del Fiume Tigri:

Un po’ pazzo e sanguinario, Dario è convinto di essere la reincarnazione di Dario il Grande, sovrano di Persia, e di essere tornato per avere onori e gloria. È uno degli allievi di Iemisch, la Tigre Nera. Affronta Tirtha e soprattutto Pavit ad Angkor, massacrando il ragazzo, prima di essere costretto a ritirarsi, a causa del ritorno di Virgo. Viene inviato in seguito a Creta da Flegias per sconfiggere Febo e Marins, già provati dallo scontro con il Maestro di Ombre, ma viene sconfitto dal Cavaliere dei Mari Azzurri.

(Colpi segreti: Fiumana del Tigri, Mille dighe di Persia)

 

Sakis, del Quadrante Oscuro:

Allievo di Iemisch, la Tigre d’Acqua, Sakis è il migliore, assieme ad Arne, dei Cavalieri Neri delle costellazioni dimenticate. Era uno dei tanti orfani inviati da Alman di Thule in giro per il mondo, che però mai aveva conquistato l’armatura.

Viene chiamato l’Esploratore Oscuro a causa dei suoi poteri che gli permettono di entrare non visto in qualsiasi luogo, aprendo varchi dimensionali. Scopre che Virgo è ancora vivo, ma non lo uccide, preferendo che sia Iemisch a farlo. Massacra Dhaval e, in seguito al fallimento della spedizione ad Angkor, decide di iniziare a giocare sporco, rapendo e sfregiando Nemes e obbligando Andromeda a correre a salvarla. Morirà travolto dalle Catene di Andromeda, lanciando un’ultima profezia, simboleggiata dal segno greco della omega.

(Colpi segreti: Quadrante oscuro, Sigilli dell’Impero)

 

Stratis e Stelios, dei Capretti:

Accompagnano Iemisch ad Angkor Wat e iniziano un combattimento con Dhaval il puro. Iemisch non ha molta fiducia in loro ed in effetti sono guerrieri di basso valore. Stelios viene sconfitto per primo, da Dhaval, quindi Stratis, che si dimostra più combattivo. Attaccano il nemico caricando proprio come delle capre, usando le corna degli elmi delle loro corazze oscure.

 

Timos, del Gatto Nero:

Allievo di Iemisch. Accompagna il suo maestro e gli altri Cavalieri Neri ad Angkor, dove inizia un breve scontro con Tirtha, discepola di Virgo, venendo però sconfitto e infine ucciso dall’esplosione del cosmo del Cavaliere d’Oro della Sesta Casa.

(Colpi segreti: Artigli del gatto nero)

 

Bode del Monte Menalo:

Gigantesco guerriero, compagno e amico di Gienah, che Flegias invia a Smirne, in Anatolia, per impedire a Jonathan e a Reis di frenare l’avanzata dell’Esercito delle Ombre. Può creare un monte di energia cosmica e scagliarlo contro i nemici, essendo molto forte fisicamente, ma non riesce a contrastare lo splendore dello Scettro d’Oro, venendone sopraffatto.

 

Gienah della Croce di Sant’Elena:

Grande amico di Bode, Gienah sa muovere le braccia roteandole come fossero lame, caricandole del suo cosmo oscuro. Viene sconfitto da Jonathan a Smirne.

(Colpi segreti: Croce di Sant’Elena)

 

Thalis, della Renna:

Cavaliere Nero inviato da Flegias sull’Isola del Riposo, per affiancare Arne nell’azione contro Phoenix. Viene ucciso dal Cavaliere di Atena senza minimo sforzo.

 

Viron, del Galletto:

Fratello di Thalis, Viron lo accompagna sull’Isola del Riposo, al seguito di Arne, ma viene sconfitto da Phoenix.

 

Aglaia, dell’Oca:

Discepola di Lothar, da cui ha ricevuto un forte sentimento religioso, Aglaia viene facilmente sconfitta da Tisifone al Grande Tempio, permettendo alla Sacerdotessa di salvare Siderius.

        

Areti, del Fenicottero:

Sorella di Aglaia, trovata anch’essa da Lothar in una chiesa sconfessata dell’Europa Orientale, Areti riceve un addestramento prevalentemente spirituale. Molto debole fisicamente, viene sconfitta da Asher al Grande Tempio.

 

MOSTRI E CREATURE LEGGENDARIE:

 

Leviatano:

Bestia mitica, risvegliata da Flegias, e da lui inviata ad Asgard per distruggerla. Viene fermata da Cristal, Bard e dal Principe Alexer dopo una dura battaglia in una baia non molto distante dalla Cittadella. Gramr, la Spada di Orion, andrà in frantumi dopo essere stata piantata nel corpo dell’orrida creatura.

 

 

Orochi:

Il leggendario drago a otto teste è il simbolo del Comandante Orochi ed è anche il luogo ove viene conservata la Spada del Paradiso, nell’ottava coda del drago. Inviato ad Atene, per distruggere il Grande Tempio, Orochi provoca notevoli danni, finché Sirio e Cristal non lo uccidono. La sua carcassa sarà bruciata e i suoi resti saranno gettati in mare.

 

Roc:

Uccello enorme, dallo splendido piumaggio, che Flegias utilizza come cavalcatura.

 

Biliku:

Donna-Ragno, Divinità ancestrale adorata nelle Isole Andamane, nell’Oceano Indiano e da Flegias ben conosciuta, e in parte temuta, essendo figlie dello stesso creatore. Andromeda e Kiki la incontreranno, combattendo con lei per avere alcune gocce del suo sangue, un elemento così putrido da distruggere le rose di rabbia. Tramite una ferita che Biliku gli provoca volontariamente, Andromeda riuscirà ad avere il dono della Vista.

 

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