Elisabeth di LetShizueGo (/viewuser.php?uid=48793)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1. Prologo ***
Capitolo 2: *** Unespected ***
Capitolo 3: *** Contrasting sentiments ***
Capitolo 4: *** The truth ***
Capitolo 5: *** Fars and Differents ***
Capitolo 6: *** Start with... blood ***
Capitolo 7: *** Ragnatele ***
Capitolo 1 *** 1. Prologo ***
A
nessuno
la vita
è stata
data in possesso, a tutti in usufrutto.
Vienna, 1700
Era
una serata tetra , la tempesta infuriava fuori dal palazzo e il rumore
della pioggia sul vetro faceva da sottofondo. Nulla le era apparso
più bello della pioggia che vìbatteva violenta
sui vetri, così irrequieta e contrastante col suo animo
così tranquillo e sereno che le faceva venir voglia di
sorridere beffarda, aveva vinto anche sulla natura, riusciva a stre
calma quando lei infuriava e imperversava. La vittoria ormai era una
sua prerogativa, nessuno gliela toglieva.
Elisabeth era lì, al chiaro di luna che passava
debole attraverso le nuvole nere, illuminando seppure un poco quel
paesaggio così tetro e così infinitamente bello.
Si fissava allo specchio a parete , in piedi, aggiustando di tanto in
tanto una piega del vestito di damasco e velluto che aveva scelto per
il ballo. Un ballo importante dove avrebbe potuto dar sfoggio ai suoi
abiti migliori e alla sua ritrovata felicità.
Era il 14 gennaio del 1700. aveva da poco compiuto 350 anni di
esistenza. Elisabeth si era trasferita in Austria da ormai due anni, ed
era già l'attrazione principale di tutta l'Austria, tutti la
desideravano, persino la regina aveva parlato di lei.
I suoi occhi erano brillanti, segno che si era appena nutrita.
Fissava lo specchio ed i suoi stessi occhi. I suoi pensieri la fecero
sorridere, un sorriso beffardo, che non si addiceva ad una ragazza come
lei, ecco, aveva dato sfogo alle sue voglie, quel sorriso che
così naturalmente le nasceva sul volto, una raggazza
così tremenda che tutto era tranne che la dolce pulzella che
tutti volevano, quello lo era solo fuori.
La porta si aprì e lei si ricompose subito nei suoi
lineamenti dolci, senza alcun' ombra di pensiero. Non voleva destar
alcun pensiero nella servitù, sarebbero state solo noie
inutili.
-Milady, la carrozza è pronta-, disse una ragazzina dalla
soglia della porta.
-Certo Clarisse, arrivo-. Fu la risposta mielata di Elisabeth. -Vammi a
prendere il mantello-.
-Si, Milady-, disse la giovane dai capelli scuri e si chiuse la porta
alle spalle, immergendo di nuovo la stanza nell'oscurità
perfetta della notte.
Elisabeth però uscì da quella camera scura per
riapparire in corridoio, scese le scale lentamente, sfiorando appena la
ringhiera della scalinata, e attese nell'ingresso che Clarisse le
portasse il mantello e l'ombrello per evitare di bagnarsi. Odiava
l'acqua sui vestiti, li rendeva più scuri e non le andava a
genio, il colore dei vestiti doveva esser quello naturale.
Dopo pochi minuti però Clarisse entrò nell'atrio
con in mano il mantello e l'ombrello, entrambi neri.
-Grazie Clarisse-.
Aprì l'ombrello e si sedette in carrozza, dando ordini
precisi al cocchiere sulla direzione; Il palazzo reale.
Era cambiato molto, 350 anni di vita ti fanno diventare unica.
Ero una ragazza comune, con un parde mezzo alcolizzato ed una madre
poco istruita, ora sono contessa, una ragazza che tutti conoscono come
la più affascinante creatura di Vienna, peccato che nessuno
sa cosa sono io, veramente...
Ricordava bene la fine e l'inizio, come quel ragazzo l'aveva
risparmiata e poi salvata, come quella stessa persona per vigliaccheria
l'aveva abbandonata, ma di questo non se ne doleva, anzi lo ricordava
con piacere... O almeno così credeva, così voleva
credere, perchè sapeva di mentire a se stessa, sapeva che
aveva delle ferite che non aveva ricucito facilmente, voleva
dimenticare ma non poteva, cercava di far finta di nulla, di crearsi
una nuova vita ma i riverberi del passato la stavano soffocando. E lei
annegava nel amre dei ricordi...
***
Parigi, 1370
- MA MERE!°-
Era il subbuglio, la casa a soqquadro, sei cadaveri stesi sul
pavimento, quelli della famiglia di Elisa.
Sola, sono completamente sola. Tutto questo per un padre che
non sapeva cosa voleva dire ragionare...
Non ha più senso vivere, ora.
Una figura alta e sottile si stava avvicinando anonima verso l'unica
sopravvissuta della famiglia De Roches.
Ormai nella mente di Elisa non vi era altro che il desiderio di
raggiungere la sua famiglia, coloro a lei più cari. Non era
possibile che nel fiore della giovinezza la morte l'avesse raggiunta e
non voleva pensare che in quel momento eli stava per morire per nulla,
quando lei non sapeva nemmeno il perchè quasi. Ma voelva
morire da donna, come le eroine delle storie che aveva scritto, fiere
ed orgogliose, accettate e rispettate da tutti.
Il pugnale che lei aveva in mano cadde sul pavimento, il rumore
prodotto echeggiò per tutta la casa come oscuro presagio do
dolorosa morte.
La figura era sempre più vicina, sempre più
assetata...
-Tranquilla, non sentirai nulla-.
Elisa sollevò una mano e con quella si spostò i
capelli biondi sciolti sulla camicia da notte candida, piegò
la testa di lato scoprendo il collo diafano.
-Fa' quel che devi, vampiro, non soffermarti sul mio dolore- disse la
ragazza seria e coincisa, non tradendo alcun sentimento, ricordando
l'alterigia dei suoi personaggi inventati e pensando che forse questo
gesto sarebbe stato ricordato nel tempo dal suo assassino, forse non
per forza il suo nome doveva morire con lei.
Ma il morso non provenne dal ragazzo che aveva di fronte.
Il vampiro non ce la fece ad ucciderla, colpito dalle sue paorle, e la
salvò dal suo compagno, ma la lasciò,
agonizzante, perduta... Troppa paura lo invase. Se avessero scoperto
che lei era viva, sarebbe morto, oltre a lei.
° madre
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Capitolo 2 *** Unespected ***
Vienna, 1700.
Elisabeth scese dalla carrozza tenendo il vestito con le mani, per non
bagnarne l'orlo.
-Miss De Roche- Esclamò un uomo scendendo dalla carrozza che
la precedeva e avvicinandosi a lei.
Appena
Elisa riconobbe la sagoma sospirò rassegnandosi alla
condanna a lei
inflitta dal caso, infatti per lei non vi era maggiore condanna di
questa, di quel Lord.
-Lord Trachtemberg, che piacere vederla-,
disse la contessa con fare ammaliante, la voce dolce, per nascondere
l'irritazione che quell'individuo le suscitava...
Il duca Lord
William Trachtemberg era un uomo sui trentacinque anni, dal volto
delicato, giudicato uno dei più bei lord di Vienna, eppure,
il suo
carattere lo penalizzava molto.
Infatti Lord Trachtemberg era un
uomo molto invadente, che sommergeva di complimenti le dame di
qualsiasi età e molto spesso questi complimenti erano
sfacciati e molto
offensivi per l'epoca.
-Miss, mi faccia l'onore di accompagnarla
dentro-, disse lui, prendendole la mano come se lei avesse
già
accettato, cosa che dovette fare, perchè le regole del bon
ton le
impedivano di rifiutare.
Elisabeth sapeva che al duca importava solo
di farsi vedere dall'aristocrazia austriaca e di essere il soggetto di
molti dei pettegolezzi della serata e fu per questo che la sua
irritazione crebbe e fu con un certo sforzo che la represse.
Aspettò
che venisse annunciata per poi congedarsi dal duca con un sollievo ed
una gioia smisurati, che non facevano affatto onore alla sua indole
veritiera...
Il salone era immenso, pieno di tutta l'aristocrazia
austriaca. Mille colori illuminavano la pista da ballo, damaschi e
vellutti color porpora drappeggiavano le pareti color dell'oro.
Al centro c'era un enorme lampadario con più di 500 candele
e varie torce erano appese ai muri.
Il
trono dove sedeva la regina era difronte l'ingresso alla sala,
sopraelevato rispetto alla pista e lì seduti vi erano i
sovrani: la
regina ed i suoi due figli adottivi.
Ifatti tutti sapevano che la
regina non poteva avere figli e pochi anni prima dell'arrivo di
Elisabeth a Vienna aveva preso sotto protezione quei due ragazzi
incantevoli e dai modi eleganti.
Era la prima volta in due anni che Elisabeth vedeva i due principi ma
nulla vi trovò di allettante.
Scese le scale e si isinuò tra la folla, scambiando due
parole di tanto in tanto, o almeno, quella era la sua intenzione.
Infatti si ritrovò a parlare con molte più
persone di quante ne desiderasse e ad essere il centro di tutti i
discorsi.
-E
così- diceva il barone Gustav -siete la dama più
popolare, nonostante
il vostro trasferimento qui sia così recente. Ma daltronte,
una donna
bella come voi non può passare certo innosservata-.
Elisabeth era
sicura che un tempo sarebbe arrossita a quelle parole, ora le dava
quasi scontate. Ma dietro il suo fascino angelico vi era un demonio, un
demonio incontrollabile. Era questo anche se non per sua scelta.
Tra l'odore del sangue però sentiva delle scie che non
appartenevano a sangue umano, ne era certa.
Fece finta di nulla, non era il momento di estraniarsi dal mondo umano
per entrare nel suo.
-Grazie barone- disse al barone con fare da dama lusingata, anche se in
questo momento la sua mente era altrove...
Sentì
dei passi leggeri dietro di lei, e l'odore già avvertito
prima si fece
ancora più forte fino a riempire le narici della contessa.
Possibile?
Scosse la testa a quell'ipotesi così assurda, in tutta la
sua esistenza non ne aveva incontrato mai uno, eppure...
L'idea
gli veleggiava ancora in testa quando sentì una voce
melodiosa ma
distaccata dietro le sue spalle e un profumo di iris
accompagnò quella
voce. Era una delle scie.
-Milady, mi vorrebbe fare l'onore di un ballo?-
tutto si confuse ancora di più. Elisabeth ricordava
perfettamente quella voce, era limpida nella sua testa.
-Tranquilla, non sentirai nulla-
"Come può essere? possibile che IO mi sbagli?"
Si voltò per vedere il suo interlocutore e la sorpresa si
dipinse su entrambi i volti.
Lei
sapeva bene a chi appartenevano quei lineamenti. Capelli neri, occhi
color ghiaccio, mascella quadrata e labbra piene, quel volto che lei
aveva amato segretamente quando era in vita gli si ripresentava
davanti, non più umano.
Infatti Jared Black, inglese di nascita, era molto più
pallido di quando aveva ventun'anni, pallido come Elisabeth ora.
I denti Brillavano nel suo sorriso pietrificato dallo stupore, i canini
erano appuntiti.
Il più giovane dei principi austriaci era un vampiro.
Da
parte sua Jared impallidì ancora di più quando si
rese conto che
l'angelo di cui tutti parlavano era Elisabeth De Roche, la stessa
Elisabeth che lui doveva uccidere, la stessa che abbandonò
agonizzante
quella sera di Dicembre, la stessa che lui voleva credere morta per
mano di altri come loro...
-Certamente- disse Elisabeth sorridendo
con quell'antico sentimento che era rimasto a tacere per secoli.
Finalmente si accorse che si poteva amare anche quando si era dannati.
Naturalmente
Elisabeth non sospettava affatto che la stessa persona che ora le
parlava era colui a cui doveva la sua esistenza, a cui doveva di essere
un vampiro e non un cadavere, a cui doveva rimproverare tutta la
sofferenza subita nei suoi secoli di vita.
Entrambi si avvicinarono alla pista da ballo e gli occhi dei presenti
furono tutti per loro.
quando
iniziarono le danze Elisabeth, con gli occhi smeraldo fissi in quelli
color ghiaccio di lui, si lasciò traspostare dal suo partner
per quella
sera, provando una gioia assurda, incomprensibile a lei stessa.
Perchè
quel ballo le faceva provare emozioni così forti?
-E così, non sono solo- disse Jared sorridendo dolce,
comprensivo.
Scoprendo
che l'impavida ragazza pronta a rinunciare alla vita, che egli aveva
visto nel suo più alto splendore di allora quella notte di
Dicembre,
era soprevvissuta, il principe viennese si sentì leggero,
rincuorato.
La sua coscienza non si era macchiata dell'abbandono di quella donna
che ora gli donava il suo sorriso.
-No, di Grazia- disse Elisa in un sussurro precettibile solo ai due
vampiri. -Non siete affatto solo-.
-La
cosa che più mi impressiona, Miss De Roche, è che
quello che dicono gli
umani su di lei è condizionato dal suo essere, cosa che non
dovrebbe
condizionare me, invece mi trovo a concordare con tutta la gente normale
che dice questo di lei- proseguì il principe guardando
altrove,
perdendosi nel vuoto.
-Mi scusi, di Grazia, non credo di aver capito a cosa Lei si stia
riferendo- disse Elisabeth, vergognandosi di non capire.
-Milady,
sa cosa dicono di lei?-, chiese a sua volta Jared alla contessa, ma era
una domanda retorica perchè continuò: -La
definiscono un'angelo dalla
bellezza abbagliante, e per loro lo è, ma per me che sono
come lei,
potrebbe non essere così eppure...-
Lasciò la frase incompleta ed Elisa inizio a smontare pezzo
per pezzo quell'affermazione. Cosa voleva dire con quell' eppure?
Il giro di ballo finì e con esso anche la festa. Elisabeth
si ritirò conle parole del Principe Jared in testa...
-La definiscono un'angelo dalla bellezza abbagliante, e per
loro lo è,
ma per me che sono come lei, potrebbe non essere così
eppure...-
Elisabeth si sfiorò uno dei suoi ricci dorati pensando...
Quando arrivò a casa trovò ad aspettarla Clarisse.
-Milady, com'è andato il ballo?- chiese prendendo l'ombrello
e il mantello di Elisa.
-Oh
Clarisse è stato il più bel ballo della mia vita-
disse Elisabeth in
tono gaio, dolce nel ripensare a cosa il Destino le aveva riservato.
Colui che aveva amato e che credeva perso era come lei, in tutto e per
tutto.
-Come mai Miss, sempre se non sono scortese nel chiederlo-
disse cauta la domenstica avendo paura di una reazione brusca della
contessa.
Elisabeth si sedette sul divano inclinando la testa all'indietro e
chiudendo gli occhi.
-Clarisse- dise senza muoversi, in tono serio. -Credo di essermi
innamorata-
A/N: Grazie a lady wolf per avermi fatto notare che il testo non andava a capo (perchè avevo sbagliato l'html xD)
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Capitolo 3 *** Contrasting sentiments ***
Vienna, 1700
Era passata una settimana da quel ballo e per Elisabeth fu una
settimama molto tesa e tormentata.
Non
riusciva a reprimere come voleva quella sensazione che l'accompagnava
ormai da quando aveva riconosciuto nel principe la fiamma della sua
giovinezza.
All' inizio era felice, provò una gioia assurda nel vederlo
per la prima volta, ma ora riusciva a vederne solo il lato doloroso.
Sapeva
che era inutile sperare, ma soprattutto, era lei che voleva sfuggire a
qualcosa di devastante, di inciampare di nuovo in quel sentimento che
non aveva fatto altro che straziargli il cuore...
Inoltre lui non
aveva mostrato nulla. I suoi modi erano stati distaccati, freddi,
nonostante la voce dolce, una dolcezza forzata, di questo Elisa ne era
sicura.
C'era solo quell' eppure che non riusciva a dar
pace alla contessa, che cosa voleva dire che poi ha segregato?
-Dannazione!- esclamò nella solitudine della sua camera
gettando contro la parete il bicchiere che stringeva nella mano diafana.
Il
bicchiere si infranse sulla parete opposta creando sul pavimento mille
piccolissime schegge di cristallo sonante che brillavano nella stanza
buia.
Elisabeth prese respiro e si sedette sul letto ancora intatto.
La luna illuminò il suo viso segnato dalla tensione a cui
era stata sottoposta per tutto quel tempo.
I
riccioli biondi, sempre perfetti ed impeccabili, ora erano indefiniti,
tanto che Elisa li aveva girati e rigirati sulle sue dita sottili.
Dei passi si facevano sempre più nitidi man mano che si
avvicinavano alla porta bianca della stanza da letto della contessa.
Elisabeth
si ricompose, eretta in tutta la sua statura, con lo sguardo fuori
dalla finestra scoperta, con uno sguardo languido, quasi malato.
La porta si aprì ed entrò una Clarisse agitata e
nervosa.
-Milady,
non si sente bene? Vuole qualcosa?- chiese avvicinandosi alla contessa
e prendendole la mano per controllarne la temperatura. Gelida, come
sempre.
-Sto bene Clarisse, sono solo un po' agitata- le disse Elisabeth senza
abbandonare la posizione prima assunta.
"Possibile
che io riesca a soffrire così? Sarà forse per il
fatto che le
sensazioni che noi proviamo siano più forti di quelle umane?"
-Va' via ora- concluse secca Elisa. Clarisse si inchinò e
uscì dalla sala senza proferire parola.
(...)
La notte trascorse senza ulteriori cambiamenti nell' umore della
ragazza. Ma con una decisione: dimenticare il ballo e reprimere
qualsiasi sentimento legato a lui.
La
mattina seguente Elisabeth si aggiustò alla
bell'è meglio. Ci vollero
quasi due ore di toeletta per farle riacquistare il suo aspetto
angelico e perfetto. Una volta fatto questo, si apprestò ad
uscire.
-Clarisse, di' al cuoco di non aspettarmi per il pranzo- avverti Elisa
quand' era sulla soglia del portone.
-Ma Milady...-. Clarisse, non finì la frase, Elisabeth era
già uscita.
Era una giornata tranquilla e nuvolosa, come sempre in quel periodo.
Era
giorno di mercato e la piazza di Vienna era piena di tende di ogni
colore, che donavano allegria al cielo grigio. La gente che passeggiava
per le vie era molta, tutti con il sorriso sulle labbra, il giorno del
mercato era sempre un giorno di risa e felicità per tutti
gli abitanti
della capitale austriaca.
Solo Elisa non se la sentiva di sorridere, non ce la faceva... era per
questo che tutti la osservavano?
-Miss- salutò il barone Gustav che passeggiava insieme a sua
moglie.
La baronessa, Lady Gustav, non si poteva certo definire una bella dama.
Il suo aspetto fisico era mediocre: lei era bassa e
tozza, molto piena e impostata, con un viso gonfio e degli occhi
piccoli e scuri, come i suoi capelli.
Inoltre, punto a suo svantaggio, non era molto ben educata, era
abbastanza goffa nei modi e nell'esporsi era molto grezza; insomma, non
conosceva bene le regole di bon ton. L'unico motivo per cui a suo tempo
facevano a gara per averla come moglie, erano i soldi. Nient'
altro.
-Barone-, salutò Elisabeth con un inchino ed un tono di
cordiale rispetto. Altrettanto fece con la baronessa.
-Ohh- fu un esclamazione sorpresa della baronessa mentre metteva a
fuoco qualcosa dietro Elisabeth, ignorando il saluto di quest'ultima.
La contessa alzò la testa per scrutare la faccia sbalordita
di Mrs. Gustav, chiedendosi per cosa avesse esclamato e
perchè l'avesse ignorata.
Una
scia dal profumo inresistibile si insinuò debole nel suo
naso
affiancata all'aria che per istinto e non per necessità
Elisabeth
inspirava. Tutto fu chiaro.
Elisabeth scattò e si girò all' indietro
guardando verso
il vicolo scuro e stretto che sorgeva alle sue spalle; una figura
sesile e molto alta si intravedeva nella penombra di quello stretto
passaggio per nulla adatto a colui che lo stava attraversando.
Elisabeth
vide il Principe avvicinarsi verso di lei con un passo lento e
costante, il volto serio, gli occhi di ghiaccio che fissavano il volto
della contessa sotto le lunghe ciglia.
-Mi scusi Milord, ma devo proprio andare- disse frettolosa Elisabeth.
-Arrivederci-.
Aveva detto basta quella notte e sapeva che vedendolo non sarebbe
riuscita a dirlo un'altra volta. Voleva voltarsi, ed una parte di lei
lo reputava necessario, ma non lo fece.
Elisa
si feceva spazio tra la folla sempre più numerosa nella
piazza, sentiva
il peso di quell' atto avventato, e sicuramente disonorevole per lei,
sullo stomaco, ma non voleva avere a
che fare con lui, voleva farlo uscire dalla sua vita. Se lo avesse
visto ancora, in segiuto sarebbe stata sicuramente peggio di com' era
stata la settimana passata.
Accellerò
il passo, diretta verso casa quando lui le prese un polso per fermarla.
Elisabeth si girò verso di lui incredula, con gli occhi
sbarrati.
"Cosa diamine vuole da me?"
Perchè
l'aveva fermata così bruscamente? Non riusciva a
spiegarselo, ma
certamente non lo aveva fatto per salutarla, qualcosa sotto ci doveva
essere ma lei non era ostinata a scoprirlo, almeno non chiedendolo a
lui.
-Come mai questa fretta
Miss?- chiese Jared in tono freddo senza lasciar andare il polso della
ragazza. I suoi occhi penetravano come delle lame affilate nello
sguardo stupito e, in un certo qual modo, intimorito di lei.
-Mi
lasci andare Di Grazia!- fu la risposta acida di Elisabeth che agitava
inutilmente il polso nella stretta di ferro del vampiro.
-No, Miss, non prima che le avrò parlato-.
-Mi parlerà un' altra volta Di Grazia, ora ho qualcosa di
più urgente- continuò sempre sullo stesso tono
Elisa.
Tra
i due non si poteva decidere chi era il più infuriato.
Elisabeth
ribolliva di irritazione nel suo interno per la scortesia prestatagli
dal Principe e questo si ripercuoteva sul suo viso: i dolci lineamenti
erano alterati da quel sentimento che imperversava dentro di lei.
Jared
dal canto suo era strabiliato del cambiamento della contessa e irato da
quella noncuranza ed impertinenza che Elisa gli riservava. Ma
soprattutto era furioso perchè sapeva che la ragazza aveva
capito che
era per lei che si era scomodato e, per tutta risposta, lei era
"fuggita" appena lo aveva scorto. Quello che però lui non
sapeva e che
in fondo era il vero motivo della sua rabbia, era il perchè
essa si
comprtava così...
-Non le interessa più il suo passato?-, chiese in un
sussurro Jared alla ragazza che rimase pietrificata a quella
affermazione...
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Capitolo 4 *** The truth ***
chapter four
Vienna, 1700
-I...Il mio passato?- chiese Elisabeth incapace di
mantenere la calma.
"Cosa sa lui su di me che io non so? Di cosa mai mi
vorrà parlare?"
-Si.
Se starai calma ti dirò tutto quello che tu non sai e che
non avresti
mai immaginato- disse Jared serio, con la sua voce melodica che
risuonava nel silenzioso parco in cui aveva bloccato la ragazza.
Elisabeth
non ce la fece a parlare ancora, si limitò ad annuire con un
cenno del
capo e a sedersi sull'erba umida, in attesa di scoprire cosa voleva
quel vampiro e cosa sapeva di lei.
-Dev' essere stata molto dura per
te civilizzarti da sola, senza una guida, trattenere gli istinti e
realizzare il tuo carattere così come lo vedo ora-.
Elisa annuì di
nuovo, ipnotizzata dalla voce del ragazzo, gli occhi color di foglia
fissi sulle sue labbra. Era in suo possesso ora, la coraggiosa e
indomabile vampira ora pendeva dalle labbra di quel ragazzo,
così
affascinante, così inesplicabile, così mistico...
-Era il 1358
quando mi trasferii a Parigi insieme ai miei genitori, stufi di stare a
Londra. La casa che comperammo venne subito chiamata la belle
ville, per via di mio padre, che l'aveva resa tale, dato che
se lo poteva permettere.
Ma non siamo qui per parlare di me e dei miei, giusto Elisa?
Come
penso avrà capito ma cherì*, sono il marchese
Jared Black, figlio di
Thomas Black, che lei e suo padre avete avuto l'onore di conoscere.
Mi dica, però signorina, sa la causa del massacro della Rue
Rouge?- chiese il Principe chinandosi affianco ad Elisabeth e
osservando intensamente i suoi occhi smeraldo.
-No, Di Grazia-, rispose Elisa osservando l'erba su cui era seduta e
distogliendo lo sguardo dal ragazzo che le era affianco.
-La
Rue Rouge, la ricordo benissimo. La mia Rue Rouge. E' stata la mia casa
per vent'anni, mi ha visto crescere e mi ha visto morire...-
continuò
Elisabeth con la voce tremante nei ricordi che lei era convinta di aver
represso.
-Già- disse Jared poggiandole una mano sulla spalla. -La
casa che vi ha visto morire, ma sopravvivere-.
Elisa girò la testa di scatto verso il suo interlocutore con
gli occhi spalancati.
"Eppure ci sarei dovuta arrivare, se no perchè
avrebbe nominato la Rue Rouge?"
-Quando
lei aveva diciannove anni, suo parde entrò nel gioco
d'azzardo,
procurandosi molti debiti, non è così?-
continuò il Principe spostando
lo sguardo dalla Contessa a ciò che aveva di fronte.
-Si-.
-Ma li saldò tutti, o mi sbaglio?-
-Tranne
uno- disse Elisa. Subito seguì un'irrtazione che le
impedì di pensare e
le parole le uscirono dalla bocca come serpenti velenosi.
-Ma se lei
già lo sa perchè me lo chiede a me? Vuole
rigirare il coltello nelle
ferite del passato, per giunta in quelle più dolorose?-
urlò la
contessa e il suo urlo rimbombò nel parco desolato.
Il vento le scompigliò l'acconciatura, già
rovinata dalla corsa e dal litigio precedenti.
Jared si alzò e le si avvicinò cauto chiedendole
cortesemente di accomodarsi.
Elisabeth acconsentì scettica e il Principe le si
affiancò di nuovo.
-Appunto,
il debito peggiore che aveva, quello da duemila franchi del Duca
Lacroix. Se fosse stato un'altro non avrebbe fatto quello che avrebeb
fatto Lacroix a noi
...- riprese Jared con un voce piena di rancore e odio.
-A noi?- chiese la contessa spaesata, credendo di aver capito male.
-Si, ma chere, a noi. le chiarirò tutto ora, stia
tranquilla- disse quando Elisa stava per parlare di nuovo.
-Suo padre non riuscì a saldare il debito entro l'anno
prestabilito così Lacroix mise in atto il suo piano omicida.
Scelse
tre giovani nobili forti e di fama, tra questi vi ero io...- fece una
breve pausa nascondando il volto alla vista della contessa, il
perchè
si può immaginare.
-Ci trasformò, noi saremmo state le pedine.
-Era
il 31 dicembre e noi eravamo dei neo-vampiri assetati di sangue.
Lacroix ci ordinò di sterminare la famiglia De Roche, che
abitava nella
Rue Rouge.
A mezzanotte entrammo e iniziammo la strage-.
Il ragazzo si voltò verso Elisabeth che aveva sul suo volto
incantevole un' espressione di dolore immenso.
"E così, colui che amavo è stato uno dei
tre assassini
della mia famiglia, dei miei genitori, dei mei unici parenti..."
-Ti
avevamo lasciato per ultima per via del tuo sangue, aveva un' odore
terribilmente buono, profumava di vaniglia lo ricordo come se fosse
ieri che l'ho sentito.
Fui il primo a liberarmi e a me toccava il dolce- disse amaro,
mortificato.
-Tu dovei uccidere me?-
esclamò Elisabeth sconcertata e meravigliata.
"Impossibile, impossibile!"
-Si, ma non ti uccisi per via delle tue parole. E non solo. Sembrava l'
angel del dolore in quel momento Miss Elisa, mi creda.-
-Quindi di Grazia, devo a lei essere un vampiro?- chiese Elisabeth
interrogativa scrutando il volto del suo interlocutore.
-No. Non ti morsi io Eisabeth. Il tuo creatore morì per mano
mia quella sera stessa-.
-Perchè lo uccise?-.
-Perchè sennò lui avrebbe ucciso lei Miss, e non
volevo succedesse-.
-Ma poi, perchè mi ritovai da sola?-
-Per
colpa della mia vigliaccheria. Avevo paura a tenerla con me, avevo
paura di fare la stessa fine del mio compagno. Così la
lasciai lì,
agonizzante. E' stato l'errore più grande che abbia mai
fatto-.
La rabbia riaffiorò nel cuore, ormai spento, di Elisabeth.
Fulminò con i suoi occhi taglienti il Principe.
- E così lei mi ha abbandonato per paura di morire? Devo a
lei tutto il dolore che ho sopportato in trecento,
badi bene, trecento anni?-
Non attese la risposta, era ovvia ormai.
E
così era morta per vendetta di un vampiro, ecco spiegato
tutto. Ecco
perchè Jared era un vampiro. Ecco perchè era sola
anche in questa vita.
Iniziò a correre, lasciando il principe austriaco dietro di
sè. Arrivò a palazzò in pochi secondi.
Spalancò
il portone e si precipitò in camera sua prendendo i bauli
vuoti nel
ripostiglio e riempendoli dei suoi effetti personali.
-Milady! Cosa succede?- chiese terrorizzata Clarisse sbucando dalla
porta di servizio.
-Fa'
preparare i bagagli Clarisse, non rimmarrò in Austria un
secondo di
più-,ordinò Elisabeth con la voce traboccante di
rabbia.
-Milady...!-
-Si, Clarisse, me ne vado. Sei libera di non seguirmi. Sono stata sola
più di una vita, lo sarò anche ora-.
Un'occhio
azzurro come il ghiaccio si intravedeva dalle tende di raso chiare. Ed
una lacrima scese da quell' occhio. Jared Black piangeva per averla
persa ancora...
Si voltò e scavalcò di nuovo il balcone ed il
cancello e sparì nel nulla del pomeriggio...
*mia cara
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Capitolo 5 *** Fars and Differents ***
N.A. Inanzitutto ringrazio
per le recensioni che avete lasciato, sono felice che la storia vi
piaccia, pensate che non la volevo pubblicare, mi sembrava troppo
scontata xD
Volevo spiegare ora come vedo io i vampiri, insomma come li voglio
immaginare, perchè credo che sia suggerito dato che d'ora in
poi si svilupperà il carattere dei personaggi principali e
non, ed il racconto verrà basato soprtattutto sui sentimenti
di questi.
Io i vampiri li vedo come creature affascinanti, sia caratterialmente,
sia psicologicamente, sia esteticamente. Infatto come si inizia a
notare, i loro caratteri e i loro pensieri sono complessi, strani,
sembrano quasi lunatici.
Prendiamo ad esempio Elisabeth. Lei è molto,
sensibile e volubile, nonostante sia molto fredda e spietata, caratteri
acquisiti con il maturare del suo rancore attraverso il tempo. Passa
facilmente e di scatto da un' emozione all' altra.
I vampiri inoltre per me sono umani,
con qualcosa in più.Infatti loro provano le stesse emozioni
umane, solo che in maniera molto più violenta, causa di
ciò che sono. Per come la vedo io, un vampiro può
anche piangere, in fondo è una dimostrazione di dolore ed
uno sfogo, perchè non concederglielo?
Per ora non credo sia opportuno aggiungere altro, se poi si
vedrà neccessario ai fini della storia, di certo vi
darò altre informazioni. Per ora buona lettura ^^
----------
Parigi, 1700.
Impara a
leggere il silenzio del mio cuore
è intelletto sottil d'amore intendere con
gli occhi.
Parigi. Rue Rouge. Ebbene sì, è lì che
Elisabeth decise di abitare, nell'unico posto che lei chiamava casa.
Erano passati due mesi da quel giorno al parco di Vienna e ancora
lo ricordava con dolore.
Lo aveva perso... di nuovo.
Si,
lei non si rimproverava di aver lasciato Vienna, si rimproverava di
aver lasciato lui. Se ne era resa conto a metà del viaggio,
ma Elisa
era troppo orgogliosa per tornare indietro e chiedere scusa al
principe. L' idea la inorridiva solamente.
Era sola, nel salotto
adiacente all'ingresso. Clarisse era rimasta a Vienna a curare la casa
che Elisabeth si era rifiutata di fittare, dando alla ragazzina un
barlume di speranza in un eventuale ritorno di Elisabeth.
-Cosa ho fatto?- si domandò nell'oscurità che
l'avvolgeva, -Perchè l'ho lasciato?-
"Per
un momento di stupida ira irrazionale" pensò e di nuovo un
dolore
incomprensibile le cinse lo stomaco. La fame? No. Solo il rimorso.
Infatti
lei aveva perdonato Jared Black nello stesso momento in cui si era
calmata, appena riuscì ad analizzare le frasi uscite dalla
bocca del Principe
austriaco con un briciolo di razionalità. Sapeva che anche
lei avrebbe
fatto lo stesso, per questo non se la sentiva di condannare Jared.
"Chissà cosa starà facendo ora..."
Si
alzò e si avviò alla finestra osservando la luna
piena brillare alta e
chiara nel cielo blu intenso della notte, una notte tersa, contornata
da milioni di stelle luminose, che splendevano come diamanti, i
più
preziosi...
- tutte quelle promesse di dimenticarlo, di far finta
che non esistesse...- sussurrò Elisabeth al suo riflesso sul
vetro. Lo
sapeva già allora che rivedendolo sarebbe stato peggio, era
fuggita da
lui inutilmente, era come un' ombra.
-Tutto è stato vano, è sempre nella mia mente-.
La contessa iniziò a singhiozzare e cadde in ginocchio,
piegata dal pianto, da un pianto antico più di trecento anni.
Lei,
Elisabeth, che non si era mai piegata a nulla, sempre forte e decisa,
era lì, singhiozzante, vinta da un sentimento più
forte di lei, così
terribilmente crudele...
_____
Il pomeriggio seguente Elisa uscì a prendere una boccata
d'aria, ancora provata dalle forti emozioni della sera precedente.
Passeggiava
a testa alta, senza dare a vedere le sue lotte interiori, i suoi occhi
verdi e brillanti come smeraldi osservavano quelle vie così familiari ma
così
diverse da come le ricordava.
Tutti rimanevano ammaliati da quella creatura demoniaca, non per suo
volere.
Elisabeth non ci faceva molto caso, con il tempo tutte quelle
attenzioni sarebbero svanite, anche entro una settimana...
Arrivata in Place de la Bastille, Elisabeth si fermò e
fulminò un palazzo molto vistoso e altamente decorato, quasi
una reggia.
-Monsieur- chiese la ragazza ad un passante, -Qui habite in ce palace?*-
-Oh, l' habite le duc Juan Lacroix -rispose l'uomo indicando il palazzo
in questione con un dito sottile.
Elisabeth rimase sbalordita quando sentì il nome.
"Possibile che abiti ancora lì?"
-Mademoiselle, vouz-allez bien?- chiese preoccupato l'uomo vedendo il
volto di Elisa.
-Oui, je vais bien, merci bon homme- disse Elisa congedandosi.
-De rien- rispose l'uomo salutando chinando il capo e andando per la
sua strada.
Elisabeth
si voltò ad osservare quel luogo che ricordava bene. Una
volta lo
giudicava bellissimo, avrebbe dato di tutto pur di vivere in una casa
come quella, ora lo guardava con odio, con disprezzo perchè
chi lo
abitava era la causa di tutti i loro dolori.
Già non i suoi, ma i loro
perchè in quel momento non pensava solo a lei, ma
inevitabilmente pensava anche a lui.
*****
Vienna, 1700
[La
cronologia della storia è differente in questa parte di
capitolo.
Questa vicenda è ambientata la sera stessa in cui Elisa
lascia Vienna.]
Un
tonfo e la finestra chiusa della camera del Principe si
spalancò
lasciando entrare una figura alta, sottile e, oltre al ragazzo anche
una quantità d'acqua indecifrabile.
-Dannazione Jared, dove diavolo
eri finito? Almeno avverti così riesco a trovare una scusa
decente per
coprirti!- escamò Lucas, alzando di qualche ottava la voce
profonda,
appena vide il fratello entrare dalla finestra.
-Non sono dovuto a darti spiegazioni Lucas- rispose acido il minore dei
Principi austriaci al fratello.
Lucas
non rispose, limitò le sue lamentele a se stesso, non era il
caso di
esprimerle ad alta voce. Conosceva la testardaggine del fratello e
quindi era inutile insistere.
Jared si scosse i capelli bagnati
dalla pioggia, gesto che fece irritare ancora di più Lucas,
e se ne
andò in camera sua lasciandosi dietro la porta della stanza
ed il
fratello.
Non riusciva a pensare ad altro che alla partenza della
ragazza, ma non capiva perchè, nonostante stesse cercando in
tutti i
modi di non pensarci, la scena vista dal balcone della contessa gli
ritornava vivida nella mente.
Aprì silenziosamente la porta della sua camera, non era il
caso di svegliare il palazzo, e si buttò sul letto intatto.
La
camera era buia, le tende tirate, ma per Jared non era affatto un
problema. Riusciva benissimo a distinguere i contorni della camera.
La scivania era proprio di fronte a lui, piena di carte disordinate,
come sempre.
L'armadio
che era alla sua destra era chiuso a chiave, anche se non ne capiva
l'utilità, ma lo chiudeva pur di non sentire le lagne dell'
imperatrice, già noiosa normalmente.
Proprio sopra il letto vi era un quadro che ritraeva un antenato
chissà quanto lontano della regnante attuale.
"Ho sbagliato tutto" non faceva altro che ripetersi
nella mente.
Si
scosse sentendo dei passi leggeri dietro la porta, sapeva benissimo chi
era, solo loro potevano produrre quel suono leggero e sottile.
Un
lieve ticchettio alla porta era il modo di chiedere il permesso di
entrare in quella stanza, il modo più garbato oltrettutto,
in quella
situazione.
-Entra- fu la risposta secca di Jared. Così con un sospiro
di rassegnazione per l'umore nero del fratello, Lucas entrò.
-E'
successo qualcosa?- azzardò a chiedere Lucas al fratello,
non sperando
in una risposta normale, ovviamente. Da quando in qua Jared rispondeva
normalmente? Non l'aveva mai fatto e non si aspettava lo facesse in
quel momento, soprattutto con quell' umore.
Jared si avvicinò alla
finestra spalancandola e lasciando che la pioggia gli frustasse il
viso, il vento gli scompigliasse i capelli corvini, il chiaro di luna
gli accendesse le iridi azzurre.
Si sedette lateralmente sul bordo con i piedi sul davanzale.
-Si-
rispose guardando fuori, osservando Vienna buia e spenta, priva
dell'allegria della mattina, che comunque le eccezioni non
condividevano.
Scosse la testa irritato e represse quel pensiero, e tutti quelli che
potevano condurre a lei.
Si fece coraggio, pronto a sopportare per l'ultima volta il suo viso
angelico, i suoi riccioli e i suoi occhi profondi e liquidi.
-Ti ricordi di Elisabeth?- chiese al fratello guardandolo con occhi
languidi, sofferenti, aperti a stento.
-La contessa, ovviamente-, rispose Lucas non capendo cosa c' entrasse
la contessa con suo fratello.
-Non
lei, quella la so che te la ricordi- disse Jared alzando gli occhi al
cielo, quasi esasperato dalla poca voglia del fratello di capire e
evitare a lui minuti di chiusura di stomaco inutili.
-La ragazza che dovevamo uccidere a Parigi tempo addietro-.
"Molto tempo addietro"
-Ah, quella Elisabeth, ma non era Elisa? Comunque sia...- disse Lucas in un lampo di "genio".
-...Quella che tu dovevi uccidere e che non
hai ucciso- precisò poi con amarezza, sentiva ancora dentro
di sè il peso del fallimento.
-Uff Lucas, smettila!- sibilò il ragazzo al fratello.
-Comunque si, quella-
-Eh, e che c'entra ora?- chiese di nuovo Lucas, perdendosi nel discorso.
-Fratellino, sarà stata uccisa, come faceva a sopravvivere sola?
Tutti si sarebbero resi conto che c'era un neonato in giro non credi?-
concluse, cacciando la scusa su cui entrambi si erano cullati per
secoli.
-No, Lucas è viva-. La voce del ragazzo era un fievole
sussurro, pregno di tutti quei sentimenti strani e forti che provava in
quel momento, non avrebbe mai immaginato di arrivare a tanto.
-Cosa?!?- esclamò Lucas strabuzzando gli occhi. -Viva?-
-Si
Lucas, la contessa e quella ragazzina sono la stessa medesima persona-
continuò Jared sullo stesso tono sofferente di prima, cosa
avrebbe dato
per tenersi tutto per sè, ma non poteva, infondo con Lucas
aveva
condiviso tutto, pure la morte...
-E lei sa chi sono io-concluse Jared chinando il
capo, incapace di sostenere lo sguardo del fratello.
.A
quella affermazione Lucas rimase pietrificato, nella sua faccia si
leggeva tutto il terrore che sentiva dentro, e la rabbia per quello che
il fratello aveva fatto, li aveva rovinati, o quasi.
-Sei un pazzo
Jared! Sai cosa farà ora che sa?- chiese furioso ad un
fratello che non
lo guardava, che, con gli occhi chiusi, ripercorreva il pomeriggio
trascorso con la ragazza, al ballo in cui lei, ignara di chi aveva
davanti, gli sorrideva dolce, quasi intimidita.
-Cosa potrebbe fare
scusa? Tanto se n'è andata- rispose Jared continuando a
tenere gli
occhi chiusi, si era accorto che non vedere placava un po' quel dolore
che gli appesantiva lo stomaco, e che non era la sete.
-Andata via o
no, lei si vendicherà Jared, e lo farà presto,
appena può, stanne
certo. E' nota tra di noi per la sua impassibilità verso le
sue prede e
la sua ferocia nel vendicarsi-.
Jared alzò la testa, nei suoi occhi ghiacciati, si leggeva
la paura incredula che quella frase aveva scatenato in lui.
Poteva essere capace di tanto? Si chiese.
"Si"
*Traduco di seguito il discorso in francese.
E -Signore chi abita in quel palazzo?-
P -Oh, lì abita il Duca Juan Lacroix-
-Signorina si sente bene?-
E -Si, sto bene, grazie buon uomo-
P -Di nulla-
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