Elisabeth

di LetShizueGo
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1. Prologo ***
Capitolo 2: *** Unespected ***
Capitolo 3: *** Contrasting sentiments ***
Capitolo 4: *** The truth ***
Capitolo 5: *** Fars and Differents ***
Capitolo 6: *** Start with... blood ***
Capitolo 7: *** Ragnatele ***



Capitolo 1
*** 1. Prologo ***


 A nessuno la vita è stata data in possesso, a tutti in usufrutto.

Vienna, 1700

Era una serata tetra , la tempesta infuriava fuori dal palazzo e il rumore della pioggia sul vetro faceva da sottofondo. Nulla le era apparso più bello della pioggia che vìbatteva violenta sui vetri, così irrequieta e contrastante col suo animo così tranquillo e sereno che le faceva venir voglia di sorridere beffarda, aveva vinto anche sulla natura, riusciva a stre calma quando lei infuriava e imperversava. La vittoria ormai era una sua prerogativa, nessuno gliela toglieva.
Elisabeth era lì, al chiaro di luna che passava debole attraverso le nuvole nere, illuminando seppure un poco quel paesaggio così tetro e così infinitamente bello.
Si fissava allo specchio a parete , in piedi, aggiustando di tanto in tanto una piega del vestito di damasco e velluto che aveva scelto per il ballo. Un ballo importante dove avrebbe potuto dar sfoggio ai suoi abiti migliori e alla sua ritrovata felicità.
Era il 14 gennaio del 1700. aveva da poco compiuto 350 anni di esistenza. Elisabeth si era trasferita in Austria da ormai due anni, ed era già l'attrazione principale di tutta l'Austria, tutti la desideravano, persino la regina aveva parlato di lei.
I suoi occhi erano brillanti, segno che si era appena nutrita.
Fissava lo specchio ed i suoi stessi occhi. I suoi pensieri la fecero sorridere, un sorriso beffardo, che non si addiceva ad una ragazza come lei, ecco, aveva dato sfogo alle sue voglie, quel sorriso che così naturalmente le nasceva sul volto, una raggazza così tremenda che tutto era tranne che la dolce pulzella che tutti volevano, quello lo era solo fuori.
La porta si aprì e lei si ricompose subito nei suoi lineamenti dolci, senza alcun' ombra di pensiero. Non voleva destar alcun pensiero nella servitù, sarebbero state solo noie inutili.
-Milady, la carrozza è pronta-, disse una ragazzina dalla soglia della porta.
-Certo Clarisse, arrivo-. Fu la risposta mielata di Elisabeth. -Vammi a prendere il mantello-.
-Si, Milady-, disse la giovane dai capelli scuri e si chiuse la porta alle spalle, immergendo di nuovo la stanza nell'oscurità perfetta della notte.
Elisabeth però uscì da quella camera scura per riapparire in corridoio, scese le scale lentamente, sfiorando appena la ringhiera della scalinata, e attese nell'ingresso che Clarisse le portasse il mantello e l'ombrello per evitare di bagnarsi. Odiava l'acqua sui vestiti, li rendeva più scuri e non le andava a genio, il colore dei vestiti doveva esser quello naturale.
Dopo pochi minuti però Clarisse entrò nell'atrio con in mano il mantello e l'ombrello, entrambi neri.
-Grazie Clarisse-.
Aprì l'ombrello e si sedette in carrozza, dando ordini precisi al cocchiere sulla direzione; Il palazzo reale.
Era cambiato molto, 350 anni di vita ti fanno diventare unica.

Ero una ragazza comune, con un parde mezzo alcolizzato ed una madre poco istruita, ora sono contessa, una ragazza che tutti conoscono come la più affascinante creatura di Vienna, peccato che nessuno sa cosa sono io, veramente...


Ricordava bene la fine e l'inizio, come quel ragazzo l'aveva risparmiata e poi salvata, come quella stessa persona per vigliaccheria l'aveva abbandonata, ma di questo non se ne doleva, anzi lo ricordava con piacere... O almeno così credeva, così voleva credere, perchè sapeva di mentire a se stessa, sapeva che aveva delle ferite che non aveva ricucito facilmente, voleva dimenticare ma non poteva, cercava di far finta di nulla, di crearsi una nuova vita ma i riverberi del passato la stavano soffocando. E lei annegava nel amre dei ricordi...

***

Parigi, 1370

- MA MERE!°-

Era il subbuglio, la casa a soqquadro, sei cadaveri stesi sul pavimento, quelli della famiglia di Elisa.

Sola, sono completamente sola. Tutto questo per un padre che non sapeva cosa voleva dire ragionare...
Non ha più senso vivere, ora.


Una figura alta e sottile si stava avvicinando anonima verso l'unica sopravvissuta della famiglia De Roches.
Ormai nella mente di Elisa non vi era altro che il desiderio di raggiungere la sua famiglia, coloro a lei più cari. Non era possibile che nel fiore della giovinezza la morte l'avesse raggiunta e non voleva pensare che in quel momento eli stava per morire per nulla, quando lei non sapeva nemmeno il perchè quasi. Ma voelva morire da donna, come le eroine delle storie che aveva scritto, fiere ed orgogliose, accettate e rispettate da tutti.
Il pugnale che lei aveva in mano cadde sul pavimento, il rumore prodotto echeggiò per tutta la casa come oscuro presagio do dolorosa morte.
La figura era sempre più vicina, sempre più assetata...
-Tranquilla, non sentirai nulla-.
Elisa sollevò una mano e con quella si spostò i capelli biondi sciolti sulla camicia da notte candida, piegò la testa di lato scoprendo il collo diafano.
-Fa' quel che devi, vampiro, non soffermarti sul mio dolore- disse la ragazza seria e coincisa, non tradendo alcun sentimento, ricordando l'alterigia dei suoi personaggi inventati e pensando che forse questo gesto sarebbe stato ricordato nel tempo dal suo assassino, forse non per forza il suo nome doveva morire con lei.
Ma il morso non provenne dal ragazzo che aveva di fronte.
Il vampiro non ce la fece ad ucciderla, colpito dalle sue paorle, e la salvò dal suo compagno, ma la lasciò, agonizzante, perduta... Troppa paura lo invase. Se avessero scoperto che lei era viva, sarebbe morto, oltre a lei.

° madre




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Capitolo 2
*** Unespected ***


Vienna, 1700.


Elisabeth scese dalla carrozza tenendo il vestito con le mani, per non bagnarne l'orlo.
-Miss De Roche- Esclamò un uomo scendendo dalla carrozza che la precedeva e avvicinandosi a lei.
Appena Elisa riconobbe la sagoma sospirò rassegnandosi alla condanna a lei inflitta dal caso, infatti per lei non vi era maggiore condanna di questa, di quel Lord.
-Lord Trachtemberg, che piacere vederla-, disse la contessa con fare ammaliante, la voce dolce, per nascondere l'irritazione che quell'individuo le suscitava...
Il duca Lord William Trachtemberg era un uomo sui trentacinque anni, dal volto delicato, giudicato uno dei più bei lord di Vienna, eppure, il suo carattere lo penalizzava molto.
Infatti Lord Trachtemberg era un uomo molto invadente, che sommergeva di complimenti le dame di qualsiasi età e molto spesso questi complimenti erano sfacciati e molto offensivi per l'epoca.
-Miss, mi faccia l'onore di accompagnarla dentro-, disse lui, prendendole la mano come se lei avesse già accettato, cosa che dovette fare, perchè le regole del bon ton le impedivano di rifiutare.
Elisabeth sapeva che al duca importava solo di farsi vedere dall'aristocrazia austriaca e di essere il soggetto di molti dei pettegolezzi della serata e fu per questo che la sua irritazione crebbe e fu con un certo sforzo che la represse.
Aspettò che venisse annunciata per poi congedarsi dal duca con un sollievo ed una gioia smisurati, che non facevano affatto onore alla sua indole veritiera...
Il salone era immenso, pieno di tutta l'aristocrazia austriaca. Mille colori illuminavano la pista da ballo, damaschi e vellutti color porpora drappeggiavano le pareti color dell'oro.
Al centro c'era un enorme lampadario con più di 500 candele e varie torce erano appese ai muri.
Il trono dove sedeva la regina era difronte l'ingresso alla sala, sopraelevato rispetto alla pista e lì seduti vi erano i sovrani: la regina ed i suoi due figli adottivi.
Ifatti tutti sapevano che la regina non poteva avere figli e pochi anni prima dell'arrivo di Elisabeth a Vienna aveva preso sotto protezione quei due ragazzi incantevoli e dai modi eleganti.
Era la prima volta in due anni che Elisabeth vedeva i due principi ma nulla vi trovò di allettante.
Scese le scale e si isinuò tra la folla, scambiando due parole di tanto in tanto, o almeno, quella era la sua intenzione.
Infatti si ritrovò a parlare con molte più persone di quante ne desiderasse e ad essere il centro di tutti i discorsi.
-E così- diceva il barone Gustav -siete la dama più popolare, nonostante il vostro trasferimento qui sia così recente. Ma daltronte, una donna bella come voi non può passare certo innosservata-.
Elisabeth era sicura che un tempo sarebbe arrossita a quelle parole, ora le dava quasi scontate. Ma dietro il suo fascino angelico vi era un demonio, un demonio incontrollabile. Era questo anche se non per sua scelta.
Tra l'odore del sangue però sentiva delle scie che non appartenevano a sangue umano, ne era certa.
Fece finta di nulla, non era il momento di estraniarsi dal mondo umano per entrare nel suo.
-Grazie barone- disse al barone con fare da dama lusingata, anche se in questo momento la sua mente era altrove...
Sentì dei passi leggeri dietro di lei, e l'odore già avvertito prima si fece ancora più forte fino a riempire le narici della contessa. Possibile?
Scosse la testa a quell'ipotesi così assurda, in tutta la sua esistenza non ne aveva incontrato mai uno, eppure...
L'idea gli veleggiava ancora in testa quando sentì una voce melodiosa ma distaccata dietro le sue spalle e un profumo di iris accompagnò quella voce. Era una delle scie.
-Milady, mi vorrebbe fare l'onore di un ballo?-
tutto si confuse ancora di più. Elisabeth ricordava perfettamente quella voce, era limpida nella sua testa.

-Tranquilla, non sentirai nulla-

"Come può essere? possibile che IO mi sbagli?"

Si voltò per vedere il suo interlocutore e la sorpresa si dipinse su entrambi i volti.
Lei sapeva bene a chi appartenevano quei lineamenti. Capelli neri, occhi color ghiaccio, mascella quadrata e labbra piene, quel volto che lei aveva amato segretamente quando era in vita gli si ripresentava davanti, non più umano.
Infatti Jared Black, inglese di nascita, era molto più pallido di quando aveva ventun'anni, pallido come Elisabeth ora.
I denti Brillavano nel suo sorriso pietrificato dallo stupore, i canini erano appuntiti.
Il più giovane dei principi austriaci era un vampiro.
Da parte sua Jared impallidì ancora di più quando si rese conto che l'angelo di cui tutti parlavano era Elisabeth De Roche, la stessa Elisabeth che lui doveva uccidere, la stessa che abbandonò agonizzante quella sera di Dicembre, la stessa che lui voleva credere morta per mano di altri come loro...
-Certamente- disse Elisabeth sorridendo con quell'antico sentimento che era rimasto a tacere per secoli. Finalmente si accorse che si poteva amare anche quando si era dannati.
Naturalmente Elisabeth non sospettava affatto che la stessa persona che ora le parlava era colui a cui doveva la sua esistenza, a cui doveva di essere un vampiro e non un cadavere, a cui doveva rimproverare tutta la sofferenza subita nei suoi secoli di vita.
Entrambi si avvicinarono alla pista da ballo e gli occhi dei presenti furono tutti per loro.
quando iniziarono le danze Elisabeth, con gli occhi smeraldo fissi in quelli color ghiaccio di lui, si lasciò traspostare dal suo partner per quella sera, provando una gioia assurda, incomprensibile a lei stessa. Perchè quel ballo le faceva provare emozioni così forti?
-E così, non sono solo- disse Jared sorridendo dolce, comprensivo.
Scoprendo che l'impavida ragazza pronta a rinunciare alla vita, che egli aveva visto nel suo più alto splendore di allora quella notte di Dicembre, era soprevvissuta, il principe viennese si sentì leggero, rincuorato. La sua coscienza non si era macchiata dell'abbandono di quella donna che ora gli donava il suo sorriso.
-No, di Grazia- disse Elisa in un sussurro precettibile solo ai due vampiri. -Non siete affatto solo-.
-La cosa che più mi impressiona, Miss De Roche, è che quello che dicono gli umani su di lei è condizionato dal suo essere, cosa che non dovrebbe condizionare me, invece mi trovo a concordare con tutta la gente normale che dice questo di lei- proseguì il principe guardando altrove, perdendosi nel vuoto.
-Mi scusi, di Grazia, non credo di aver capito a cosa Lei si stia riferendo- disse Elisabeth, vergognandosi di non capire.
-Milady, sa cosa dicono di lei?-, chiese a sua volta Jared alla contessa, ma era una domanda retorica perchè continuò: -La definiscono un'angelo dalla bellezza abbagliante, e per loro lo è, ma per me che sono come lei, potrebbe non essere così eppure...-
Lasciò la frase incompleta ed Elisa inizio a smontare pezzo per pezzo quell'affermazione. Cosa voleva dire con quell' eppure?
Il giro di ballo finì e con esso anche la festa. Elisabeth si ritirò conle parole del Principe Jared in testa...

-La definiscono un'angelo dalla bellezza abbagliante, e per loro lo è, ma per me che sono come lei, potrebbe non essere così eppure...-

Elisabeth si sfiorò uno dei suoi ricci dorati pensando...
Quando arrivò a casa trovò ad aspettarla Clarisse.
-Milady, com'è andato il ballo?- chiese prendendo l'ombrello e il mantello di Elisa.
-Oh Clarisse è stato il più bel ballo della mia vita- disse Elisabeth in tono gaio, dolce nel ripensare a cosa il Destino le aveva riservato. Colui che aveva amato e che credeva perso era come lei, in tutto e per tutto.
-Come mai Miss, sempre se non sono scortese nel chiederlo- disse cauta la domenstica avendo paura di una reazione brusca della contessa.
Elisabeth si sedette sul divano inclinando la testa all'indietro e chiudendo gli occhi.
-Clarisse- dise senza muoversi, in tono serio. -Credo di essermi innamorata-




A/N: Grazie a lady wolf per avermi fatto notare che il testo non andava a capo (perchè avevo sbagliato l'html xD)


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Capitolo 3
*** Contrasting sentiments ***


Vienna, 1700



Era passata una settimana da quel ballo e per Elisabeth fu una settimama molto tesa e tormentata.
Non riusciva a reprimere come voleva quella sensazione che l'accompagnava ormai da quando aveva riconosciuto nel principe la fiamma della sua giovinezza.
All' inizio era felice, provò una gioia assurda nel vederlo per la prima volta, ma ora riusciva a vederne solo il lato doloroso.
Sapeva che era inutile sperare, ma soprattutto, era lei che voleva sfuggire a qualcosa di devastante, di inciampare di nuovo in quel sentimento che non aveva fatto altro che straziargli il cuore...
Inoltre lui non aveva mostrato nulla. I suoi modi erano stati distaccati, freddi, nonostante la voce dolce, una dolcezza forzata, di questo Elisa ne era sicura.
C'era solo quell' eppure che non riusciva a dar pace alla contessa, che cosa voleva dire che poi ha segregato?
-Dannazione!- esclamò nella solitudine della sua camera gettando contro la parete il bicchiere che stringeva nella mano diafana.
Il bicchiere si infranse sulla parete opposta creando sul pavimento mille piccolissime schegge di cristallo sonante che brillavano nella stanza buia.
Elisabeth prese respiro e si sedette sul letto ancora intatto.
La luna illuminò il suo viso segnato dalla tensione a cui era stata sottoposta per tutto quel tempo.
I riccioli biondi, sempre perfetti ed impeccabili, ora erano indefiniti, tanto che Elisa li aveva girati e rigirati sulle sue dita sottili.
Dei passi si facevano sempre più nitidi man mano che si avvicinavano alla porta bianca della stanza da letto della contessa.
Elisabeth si ricompose, eretta in tutta la sua statura, con lo sguardo fuori dalla finestra scoperta, con uno sguardo languido, quasi malato.
La porta si aprì ed entrò una Clarisse agitata e nervosa.
-Milady, non si sente bene? Vuole qualcosa?- chiese avvicinandosi alla contessa e prendendole la mano per controllarne la temperatura. Gelida, come sempre.
-Sto bene Clarisse, sono solo un po' agitata- le disse Elisabeth senza abbandonare la posizione prima assunta.
"Possibile che io riesca a soffrire così? Sarà forse per il fatto che le sensazioni che noi proviamo siano più forti di quelle umane?"
-Va' via ora- concluse secca Elisa. Clarisse si inchinò e uscì dalla sala senza proferire parola.
(...)
La notte trascorse senza ulteriori cambiamenti nell' umore della ragazza. Ma con una decisione: dimenticare il ballo e reprimere qualsiasi sentimento legato a lui.
La mattina seguente Elisabeth si aggiustò alla bell'è meglio. Ci vollero quasi due ore di toeletta per farle riacquistare il suo aspetto angelico e perfetto. Una volta fatto questo, si apprestò ad uscire.
-Clarisse, di' al cuoco di non aspettarmi per il pranzo- avverti Elisa quand' era sulla soglia del portone.
-Ma Milady...-. Clarisse, non finì la frase, Elisabeth era già uscita.
Era una giornata tranquilla e nuvolosa, come sempre in quel periodo.
Era giorno di mercato e la piazza di Vienna era piena di tende di ogni colore, che donavano allegria al cielo grigio. La gente che passeggiava per le vie era molta, tutti con il sorriso sulle labbra, il giorno del mercato era sempre un giorno di risa e felicità per tutti gli abitanti della capitale austriaca.
Solo Elisa non se la sentiva di sorridere, non ce la faceva... era per questo che tutti la osservavano?
-Miss- salutò il barone Gustav che passeggiava insieme a sua moglie.
La baronessa, Lady Gustav, non si poteva certo definire una bella dama. Il suo aspetto fisico era mediocre: lei era bassa e tozza, molto piena e impostata, con un viso gonfio e degli occhi piccoli e scuri, come i suoi capelli.
Inoltre, punto a suo svantaggio, non era molto ben educata, era abbastanza goffa nei modi e nell'esporsi era molto grezza; insomma, non conosceva bene le regole di bon ton. L'unico motivo per cui a suo tempo facevano a gara per averla come moglie, erano i soldi. Nient' altro.
-Barone-, salutò Elisabeth con un inchino ed un tono di cordiale rispetto. Altrettanto fece con la baronessa.
-Ohh- fu un esclamazione sorpresa della baronessa mentre metteva a fuoco qualcosa dietro Elisabeth, ignorando il saluto di quest'ultima.
La contessa alzò la testa per scrutare la faccia sbalordita di Mrs. Gustav, chiedendosi per cosa avesse esclamato e perchè l'avesse ignorata.
Una scia dal profumo inresistibile si insinuò debole nel suo naso affiancata all'aria che per istinto e non per necessità Elisabeth inspirava. Tutto fu chiaro.
Elisabeth scattò e si girò all' indietro guardando verso il vicolo scuro e stretto che sorgeva alle sue spalle; una figura sesile e molto alta si intravedeva nella penombra di quello stretto passaggio per nulla adatto a colui che lo stava attraversando.
Elisabeth vide il Principe avvicinarsi verso di lei con un passo lento e costante, il volto serio, gli occhi di ghiaccio che fissavano il volto della contessa sotto le lunghe ciglia.
-Mi scusi Milord, ma devo proprio andare- disse frettolosa Elisabeth. -Arrivederci-.
Aveva detto basta quella notte e sapeva che vedendolo non sarebbe riuscita a dirlo un'altra volta. Voleva voltarsi, ed una parte di lei lo reputava necessario, ma non lo fece.
Elisa si feceva spazio tra la folla sempre più numerosa nella piazza, sentiva il peso di quell' atto avventato, e sicuramente disonorevole per lei, sullo stomaco, ma non voleva avere a che fare con lui, voleva farlo uscire dalla sua vita. Se lo avesse visto ancora, in segiuto sarebbe stata sicuramente peggio di com' era stata la settimana passata.
Accellerò il passo, diretta verso casa quando lui le prese un polso per fermarla. Elisabeth si girò verso di lui incredula, con gli occhi sbarrati.
"Cosa diamine vuole da me?"
Perchè l'aveva fermata così bruscamente? Non riusciva a spiegarselo, ma certamente non lo aveva fatto per salutarla, qualcosa sotto ci doveva essere ma lei non era ostinata a scoprirlo, almeno non chiedendolo a lui.
-Come mai questa fretta Miss?- chiese Jared in tono freddo senza lasciar andare il polso della ragazza. I suoi occhi penetravano come delle lame affilate nello sguardo stupito e, in un certo qual modo, intimorito di lei.
-Mi lasci andare Di Grazia!- fu la risposta acida di Elisabeth che agitava inutilmente il polso nella stretta di ferro del vampiro.
-No, Miss, non prima che le avrò parlato-.
-Mi parlerà un' altra volta Di Grazia, ora ho qualcosa di più urgente- continuò sempre sullo stesso tono Elisa.
Tra i due non si poteva decidere chi era il più infuriato. Elisabeth ribolliva di irritazione nel suo interno per la scortesia prestatagli dal Principe e questo si ripercuoteva sul suo viso: i dolci lineamenti erano alterati da quel sentimento che imperversava dentro di lei.
Jared dal canto suo era strabiliato del cambiamento della contessa e irato da quella noncuranza ed impertinenza che Elisa gli riservava. Ma soprattutto era furioso perchè sapeva che la ragazza aveva capito che era per lei che si era scomodato e, per tutta risposta, lei era "fuggita" appena lo aveva scorto. Quello che però lui non sapeva e che in fondo era il vero motivo della sua rabbia, era il perchè essa si comprtava così...
-Non le interessa più il suo passato?-, chiese in un sussurro Jared alla ragazza che rimase pietrificata a quella affermazione...


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Capitolo 4
*** The truth ***


chapter four

Vienna, 1700



-I...Il mio passato?- chiese Elisabeth incapace di mantenere la calma.
"Cosa sa lui su di me che io non so? Di cosa mai mi vorrà parlare?"
-Si. Se starai calma ti dirò tutto quello che tu non sai e che non avresti mai immaginato- disse Jared serio, con la sua voce melodica che risuonava nel silenzioso parco in cui aveva bloccato la ragazza.
Elisabeth non ce la fece a parlare ancora, si limitò ad annuire con un cenno del capo e a sedersi sull'erba umida, in attesa di scoprire cosa voleva quel vampiro e cosa sapeva di lei.
-Dev' essere stata molto dura per te civilizzarti da sola, senza una guida, trattenere gli istinti e realizzare il tuo carattere così come lo vedo ora-.
Elisa annuì di nuovo, ipnotizzata dalla voce del ragazzo, gli occhi color di foglia fissi sulle sue labbra. Era in suo possesso ora, la coraggiosa e indomabile vampira ora pendeva dalle labbra di quel ragazzo, così affascinante, così inesplicabile, così mistico...
-Era il 1358 quando mi trasferii a Parigi insieme ai miei genitori, stufi di stare a Londra. La casa che comperammo venne subito chiamata la belle ville, per via di mio padre, che l'aveva resa tale, dato che se lo poteva permettere.
Ma non siamo qui per parlare di me e dei miei, giusto Elisa?
Come penso avrà capito ma cherì*, sono il marchese Jared Black, figlio di Thomas Black, che lei e suo padre avete avuto l'onore di conoscere.
Mi dica, però signorina, sa la causa del massacro della Rue Rouge?- chiese il Principe chinandosi affianco ad Elisabeth e osservando intensamente i suoi occhi smeraldo.
-No, Di Grazia-, rispose Elisa osservando l'erba su cui era seduta e distogliendo lo sguardo dal ragazzo che le era affianco.
-La Rue Rouge, la ricordo benissimo. La mia Rue Rouge. E' stata la mia casa per vent'anni, mi ha visto crescere e mi ha visto morire...- continuò Elisabeth con la voce tremante nei ricordi che lei era convinta di aver represso.
-Già- disse Jared poggiandole una mano sulla spalla. -La casa che vi ha visto morire, ma sopravvivere-.
Elisa girò la testa di scatto verso il suo interlocutore con gli occhi spalancati.
"Eppure ci sarei dovuta arrivare, se no perchè avrebbe nominato la Rue Rouge?"
-Quando lei aveva diciannove anni, suo parde entrò nel gioco d'azzardo, procurandosi molti debiti, non è così?- continuò il Principe spostando lo sguardo dalla Contessa a ciò che aveva di fronte.
-Si-.
-Ma li saldò tutti, o mi sbaglio?-
-Tranne uno- disse Elisa. Subito seguì un'irrtazione che le impedì di pensare e le parole le uscirono dalla bocca come serpenti velenosi.
-Ma se lei già lo sa perchè me lo chiede a me? Vuole rigirare il coltello nelle ferite del passato, per giunta in quelle più dolorose?- urlò la contessa e il suo urlo rimbombò nel parco desolato.
Il vento le scompigliò l'acconciatura, già rovinata dalla corsa e dal litigio precedenti.
Jared si alzò e le si avvicinò cauto chiedendole cortesemente di accomodarsi.
Elisabeth acconsentì scettica e il Principe le si affiancò di nuovo.
-Appunto, il debito peggiore che aveva, quello da duemila franchi del Duca Lacroix. Se fosse stato un'altro non avrebbe fatto quello che avrebeb fatto Lacroix a noi
...- riprese Jared con un voce piena di rancore e odio.
-A noi?- chiese la contessa spaesata, credendo di aver capito male.
-Si, ma chere, a noi. le chiarirò tutto ora, stia tranquilla- disse quando Elisa stava per parlare di nuovo.
-Suo padre non riuscì a saldare il debito entro l'anno prestabilito così Lacroix mise in atto il suo piano omicida.
Scelse tre giovani nobili forti e di fama, tra questi vi ero io...- fece una breve pausa nascondando il volto alla vista della contessa, il perchè si può immaginare.
-Ci trasformò, noi saremmo state le pedine.
-Era il 31 dicembre e noi eravamo dei neo-vampiri assetati di sangue. Lacroix ci ordinò di sterminare la famiglia De Roche, che abitava nella Rue Rouge.
A mezzanotte entrammo e iniziammo la strage-.
Il ragazzo si voltò verso Elisabeth che aveva sul suo volto incantevole un' espressione di dolore immenso.
"E così, colui che amavo è stato uno dei tre assassini della mia famiglia, dei miei genitori, dei mei unici parenti..."
-Ti avevamo lasciato per ultima per via del tuo sangue, aveva un' odore terribilmente buono, profumava di vaniglia lo ricordo come se fosse ieri che l'ho sentito.
Fui il primo a liberarmi e a me toccava il dolce- disse amaro, mortificato.
-Tu dovei uccidere me?- esclamò Elisabeth sconcertata e meravigliata.
"Impossibile, impossibile!"
-Si, ma non ti uccisi per via delle tue parole. E non solo. Sembrava l' angel del dolore in quel momento Miss Elisa, mi creda.-
-Quindi di Grazia, devo a lei essere un vampiro?- chiese Elisabeth interrogativa scrutando il volto del suo interlocutore.
-No. Non ti morsi io Eisabeth. Il tuo creatore morì per mano mia quella sera stessa-.
-Perchè lo uccise?-.
-Perchè sennò lui avrebbe ucciso lei Miss, e non volevo succedesse-.
-Ma poi, perchè mi ritovai da sola?-
-Per colpa della mia vigliaccheria. Avevo paura a tenerla con me, avevo paura di fare la stessa fine del mio compagno. Così la lasciai lì, agonizzante. E' stato l'errore più grande che abbia mai fatto-.
La rabbia riaffiorò nel cuore, ormai spento, di Elisabeth. Fulminò con i suoi occhi taglienti il Principe.
- E così lei mi ha abbandonato per paura di morire? Devo a lei tutto il dolore che ho sopportato in trecento, badi bene, trecento anni?-
Non attese la risposta, era ovvia ormai.
E così era morta per vendetta di un vampiro, ecco spiegato tutto. Ecco perchè Jared era un vampiro. Ecco perchè era sola anche in questa vita.
Iniziò a correre, lasciando il principe austriaco dietro di sè. Arrivò a palazzò in pochi secondi.
Spalancò il portone e si precipitò in camera sua prendendo i bauli vuoti nel ripostiglio e riempendoli dei suoi effetti personali.
-Milady! Cosa succede?- chiese terrorizzata Clarisse sbucando dalla porta di servizio.
-Fa' preparare i bagagli Clarisse, non rimmarrò in Austria un secondo di più-,ordinò Elisabeth con la voce traboccante di rabbia.
-Milady...!-
-Si, Clarisse, me ne vado. Sei libera di non seguirmi. Sono stata sola più di una vita, lo sarò anche ora-.
Un'occhio azzurro come il ghiaccio si intravedeva dalle tende di raso chiare. Ed una lacrima scese da quell' occhio. Jared Black piangeva per averla persa ancora...
Si voltò e scavalcò di nuovo il balcone ed il cancello e sparì nel nulla del pomeriggio...

*mia cara



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Capitolo 5
*** Fars and Differents ***


N.A. Inanzitutto ringrazio per le recensioni che avete lasciato, sono felice che la storia vi piaccia, pensate che non la volevo pubblicare, mi sembrava troppo scontata xD
Volevo spiegare ora come vedo io i vampiri, insomma come li voglio immaginare, perchè credo che sia suggerito dato che d'ora in poi si svilupperà il carattere dei personaggi principali e non, ed il racconto verrà basato soprtattutto sui sentimenti di questi.
Io i vampiri li vedo come creature affascinanti, sia caratterialmente, sia psicologicamente, sia esteticamente. Infatto come si inizia a notare, i loro caratteri e i loro pensieri sono complessi, strani, sembrano quasi lunatici.
Prendiamo ad esempio Elisabeth. Lei è molto, sensibile e volubile, nonostante sia molto fredda e spietata, caratteri acquisiti con il maturare del suo rancore attraverso il tempo. Passa facilmente e di scatto da un' emozione all' altra.
I vampiri inoltre per me sono umani, con qualcosa in più.Infatti loro provano le stesse emozioni umane, solo che in maniera molto più violenta, causa di ciò che sono. Per come la vedo io, un vampiro può anche piangere, in fondo è una dimostrazione di dolore ed uno sfogo, perchè non concederglielo?
Per ora non credo sia opportuno aggiungere altro, se poi si vedrà neccessario ai fini della storia, di certo vi darò altre informazioni. Per ora buona lettura ^^

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Parigi, 1700.



Impara a leggere il silenzio del mio cuore
è intelletto sottil d'amore intendere con gli occhi.



Parigi. Rue Rouge. Ebbene sì, è lì che Elisabeth decise di abitare, nell'unico posto che lei chiamava casa.
Erano passati due mesi da quel giorno al parco di Vienna e ancora lo ricordava con dolore.
Lo aveva perso... di nuovo.
Si, lei non si rimproverava di aver lasciato Vienna, si rimproverava di aver lasciato lui. Se ne era resa conto a metà del viaggio, ma Elisa era troppo orgogliosa per tornare indietro e chiedere scusa al principe. L' idea la inorridiva solamente.
Era sola, nel salotto adiacente all'ingresso. Clarisse era rimasta a Vienna a curare la casa che Elisabeth si era rifiutata di fittare, dando alla ragazzina un barlume di speranza in un eventuale ritorno di Elisabeth.
-Cosa ho fatto?- si domandò nell'oscurità che l'avvolgeva, -Perchè l'ho lasciato?-
"Per un momento di stupida ira irrazionale" pensò e di nuovo un dolore incomprensibile le cinse lo stomaco. La fame? No. Solo il rimorso.
Infatti lei aveva perdonato Jared Black nello stesso momento in cui si era calmata, appena riuscì ad analizzare le frasi uscite dalla bocca del Principe austriaco con un briciolo di razionalità. Sapeva che anche lei avrebbe fatto lo stesso, per questo non se la sentiva di condannare Jared.
"Chissà cosa starà facendo ora..."
Si alzò e si avviò alla finestra osservando la luna piena brillare alta e chiara nel cielo blu intenso della notte, una notte tersa, contornata da milioni di stelle luminose, che splendevano come diamanti, i più preziosi...
- tutte quelle promesse di dimenticarlo, di far finta che non esistesse...- sussurrò Elisabeth al suo riflesso sul vetro. Lo sapeva già allora che rivedendolo sarebbe stato peggio, era fuggita da lui inutilmente, era come un' ombra.
-Tutto è stato vano, è sempre nella mia mente-.
La contessa iniziò a singhiozzare e cadde in ginocchio, piegata dal pianto, da un pianto antico più di trecento anni.
Lei, Elisabeth, che non si era mai piegata a nulla, sempre forte e decisa, era lì, singhiozzante, vinta da un sentimento più forte di lei, così terribilmente crudele...

_____


Il pomeriggio seguente Elisa uscì a prendere una boccata d'aria, ancora provata dalle forti emozioni della sera precedente.
Passeggiava a testa alta, senza dare a vedere le sue lotte interiori, i suoi occhi verdi e brillanti come smeraldi osservavano quelle vie così familiari ma così diverse da come le ricordava.
Tutti rimanevano ammaliati da quella creatura demoniaca, non per suo volere.
Elisabeth non ci faceva molto caso, con il tempo tutte quelle attenzioni sarebbero svanite, anche entro una settimana...
Arrivata in Place de la Bastille, Elisabeth si fermò e fulminò un palazzo molto vistoso e altamente decorato, quasi una reggia.
-Monsieur- chiese la ragazza ad un passante, -Qui habite in ce palace?*-
-Oh, l' habite le duc Juan Lacroix -rispose l'uomo indicando il palazzo in questione con un dito sottile.
Elisabeth rimase sbalordita quando sentì il nome.
"Possibile che abiti ancora lì?"
-Mademoiselle, vouz-allez bien?- chiese preoccupato l'uomo vedendo il volto di Elisa.
-Oui, je vais bien, merci bon homme- disse Elisa congedandosi.
-De rien- rispose l'uomo salutando chinando il capo e andando per la sua strada.
Elisabeth si voltò ad osservare quel luogo che ricordava bene. Una volta lo giudicava bellissimo, avrebbe dato di tutto pur di vivere in una casa come quella, ora lo guardava con odio, con disprezzo perchè chi lo abitava era la causa di tutti i loro dolori. Già non i suoi, ma i loro perchè in quel momento non pensava solo a lei, ma inevitabilmente pensava anche a lui.

*****


Vienna, 1700
[La cronologia della storia è differente in questa parte di capitolo. Questa vicenda è ambientata la sera stessa in cui Elisa lascia Vienna.]



Un tonfo e la finestra chiusa della camera del Principe si spalancò lasciando entrare una figura alta, sottile e, oltre al ragazzo anche una quantità d'acqua indecifrabile.
-Dannazione Jared, dove diavolo eri finito? Almeno avverti così riesco a trovare una scusa decente per coprirti!- escamò Lucas, alzando di qualche ottava la voce profonda, appena vide il fratello entrare dalla finestra.
-Non sono dovuto a darti spiegazioni Lucas- rispose acido il minore dei Principi austriaci al fratello.
Lucas non rispose, limitò le sue lamentele a se stesso, non era il caso di esprimerle ad alta voce. Conosceva la testardaggine del fratello e quindi era inutile insistere.
Jared si scosse i capelli bagnati dalla pioggia, gesto che fece irritare ancora di più Lucas, e se ne andò in camera sua lasciandosi dietro la porta della stanza ed il fratello.
Non riusciva a pensare ad altro che alla partenza della ragazza, ma non capiva perchè, nonostante stesse cercando in tutti i modi di non pensarci, la scena vista dal balcone della contessa gli ritornava vivida nella mente.
Aprì silenziosamente la porta della sua camera, non era il caso di svegliare il palazzo, e si buttò sul letto intatto.
La camera era buia, le tende tirate, ma per Jared non era affatto un problema. Riusciva benissimo a distinguere i contorni della camera.
La scivania era proprio di fronte a lui, piena di carte disordinate, come sempre.
L'armadio che era alla sua destra era chiuso a chiave, anche se non ne capiva l'utilità, ma lo chiudeva pur di non sentire le lagne dell' imperatrice, già noiosa normalmente.
Proprio sopra il letto vi era un quadro che ritraeva un antenato chissà quanto lontano della regnante attuale.
"Ho sbagliato tutto" non faceva altro che ripetersi nella mente.
Si scosse sentendo dei passi leggeri dietro la porta, sapeva benissimo chi era, solo loro potevano produrre quel suono leggero e sottile.
Un lieve ticchettio alla porta era il modo di chiedere il permesso di entrare in quella stanza, il modo più garbato oltrettutto, in quella situazione.
-Entra- fu la risposta secca di Jared. Così con un sospiro di rassegnazione per l'umore nero del fratello, Lucas entrò.
-E' successo qualcosa?- azzardò a chiedere Lucas al fratello, non sperando in una risposta normale, ovviamente. Da quando in qua Jared rispondeva normalmente? Non l'aveva mai fatto e non si aspettava lo facesse in quel momento, soprattutto con quell' umore.
Jared si avvicinò alla finestra spalancandola e lasciando che la pioggia gli frustasse il viso, il vento gli scompigliasse i capelli corvini, il chiaro di luna gli accendesse le iridi azzurre.
Si sedette lateralmente sul bordo con i piedi sul davanzale.
-Si- rispose guardando fuori, osservando Vienna buia e spenta, priva dell'allegria della mattina, che comunque le eccezioni non condividevano.
Scosse la testa irritato e represse quel pensiero, e tutti quelli che potevano condurre a lei.
Si fece coraggio, pronto a sopportare per l'ultima volta il suo viso angelico, i suoi riccioli e i suoi occhi profondi e liquidi.
-Ti ricordi di Elisabeth?- chiese al fratello guardandolo con occhi languidi, sofferenti, aperti a stento.
-La contessa, ovviamente-, rispose Lucas non capendo cosa c' entrasse la contessa con suo fratello.
-Non lei, quella la so che te la ricordi- disse Jared alzando gli occhi al cielo, quasi esasperato dalla poca voglia del fratello di capire e evitare a lui minuti di chiusura di stomaco inutili.
-La ragazza che dovevamo uccidere a Parigi tempo addietro-.
"Molto tempo addietro"
-Ah, quella Elisabeth, ma non era Elisa? Comunque sia...- disse Lucas in un lampo di "genio".
-...Quella che tu dovevi uccidere e che non hai ucciso- precisò poi con amarezza, sentiva ancora dentro di sè il peso del fallimento.
-Uff Lucas, smettila!- sibilò il ragazzo al fratello.
-Comunque si, quella-
-Eh, e che c'entra ora?- chiese di nuovo Lucas, perdendosi nel discorso.
-Fratellino, sarà stata uccisa, come faceva a sopravvivere sola? Tutti si sarebbero resi conto che c'era un neonato in giro non credi?- concluse, cacciando la scusa su cui entrambi si erano cullati per secoli.
-No, Lucas è viva-. La voce del ragazzo era un fievole sussurro, pregno di tutti quei sentimenti strani e forti che provava in quel momento, non avrebbe mai immaginato di arrivare a tanto.
-Cosa?!?- esclamò Lucas strabuzzando gli occhi. -Viva?-
-Si Lucas, la contessa e quella ragazzina sono la stessa medesima persona- continuò Jared sullo stesso tono sofferente di prima, cosa avrebbe dato per tenersi tutto per sè, ma non poteva, infondo con Lucas aveva condiviso tutto, pure la morte...
-E lei sa chi sono io-concluse Jared chinando il capo, incapace di sostenere lo sguardo del fratello.
.A quella affermazione Lucas rimase pietrificato, nella sua faccia si leggeva tutto il terrore che sentiva dentro, e la rabbia per quello che il fratello aveva fatto, li aveva rovinati, o quasi.
-Sei un pazzo Jared! Sai cosa farà ora che sa?- chiese furioso ad un fratello che non lo guardava, che, con gli occhi chiusi, ripercorreva il pomeriggio trascorso con la ragazza, al ballo in cui lei, ignara di chi aveva davanti, gli sorrideva dolce, quasi intimidita.
-Cosa potrebbe fare scusa? Tanto se n'è andata- rispose Jared continuando a tenere gli occhi chiusi, si era accorto che non vedere placava un po' quel dolore che gli appesantiva lo stomaco, e che non era la sete.
-Andata via o no, lei si vendicherà Jared, e lo farà presto, appena può, stanne certo. E' nota tra di noi per la sua impassibilità verso le sue prede e la sua ferocia nel vendicarsi-.
Jared alzò la testa, nei suoi occhi ghiacciati, si leggeva la paura incredula che quella frase aveva scatenato in lui.
Poteva essere capace di tanto? Si chiese.
"Si"

*Traduco di seguito il discorso in francese.
E -Signore chi abita in quel palazzo?-
P -Oh, lì abita il Duca Juan Lacroix-
-Signorina si sente bene?-
E -Si, sto bene, grazie buon uomo-
P -Di nulla-


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Capitolo 6
*** Start with... blood ***


Parigi 1700

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Sangue.

Il suo vestito era intriso di sangue.

Le bellissime labbra rilucevano nel buio di quel vicolo stretto ai laiti di rue St.Paul… la via dei nobili condannati alla fine, al vuoto mortale.

Labbra rosse in risalto sulla rosea carnagione, pallida, diafana.

Rantolava ancora nel buio la donna vestita di bianca seta, distesa vicino ai piedi di lei, seduta nell’ombra.

Un ragazzo poco lontano giaceva immobile, la pelle grigia illuminata da un lampione a olio aveva un’ aspetto sinistro, accentuato da quel fievole funereo bagliore.

Aveva i capelli biondi, le morbide onde fuoriuscivano dal nastro con cui aveva legato i capelli, spettinate e madide di freddo sudore,che in vita aveva provato.

La donna gemette e Elisabeth le lanciò un’ occhiata piena di odio. Umana sensazione l’odio. Lei riusciva ancora a percepirne la lacerazione.

Un nuovo gemito uscì dalla bocca della donna implorante: -Sono ancora giovane-.

-Ero più giovane di te- rispose fredda Elisabeth affondando i canini nella carne della fanciulla e bevendone il caldo sangue. Lentamente.

Omicidio, assassinio, questa era la vita del vapiro.

E il sangue lentamente scorreva nel corpo di Elisa, bollente, scottante, rincuorante.

Sentiva la donna morire, il battito del suo cuore affievolirsi.

Il corpo aveva già perso conoscenza, la bruna testa abbandonata all’indietro priva di qualsiasi coscienza…

Era morta.

Elisabeth l’aveva lasciata e ora la stava fissando.

La pettinatura curata ora era amorfa, priva di ogni eleganza, a dispetto di come era stata qualche ora prima. Il viso ancora roseo e incipriato splendeva nel buio rigato da lucide lacrime.

Il velo da sposta strappato e sul petto immacolato risaltava il sangue vermiglio, che sgorgava dal seno tondo protetto dal corpetto ricamato. Ah come riluceva quel sangue dal profumo innocente!

Elisabeth si alzò e voltò le spalle alla sposa dando una fuggevole occhiata allo sposo sotto il lampione, dopodiché sparì nelle vie illuminate, dove tutti passeggiavano sereni, ignari del fresco omicidio.

 

***

 

Si lasciava accarezzare la pelle dal fievole bagliore lunare come assorta nel vuoto, trasportata in un mondo in cui la domestica che origliava alla porta, lo sguattero che lavava i piatti, la puttana dietro l’angolo della strada e il cliente che la seguiva non potevano entrare, un mondo proibito ai comuni mortali e agli altri immortali.

Solo lei poteva entrare.

La candela brillava debole, la fragile fiammella tremolante era testimone dell’innaturalità di quella donna, immobile come nessun mortale riusciva a stare, inespressiva come una lastra di marmo; lo specchio non riuscirebbe a riprodurre quella seducente staticità.

La luce tremolante minacciava di spegnersi da un momento all’altro ma non sembrò che Elisabeth se ne curasse, al contrario sembrava che Elisabeth fosse del tutto assente, come se non fosse affatto lì, in quella stanza e in quel corpo pallido sfumato dal roseo colorito donatole dal sangue.

E, in un certo qual modo, Elisabeth non era lì.

Vedeva il suo passato da umana e nulla sembrava potesse interessarle. Le era indifferente. Anzi, non riusciva a comprendere gli scatti emotivi avuti quando era a Vienna qualche mese prima. Reazioni così volgarmente umane!

Se ne vergognava di quella debolezza.

Non aveva più nulla a che fare con gli umani, perché provare le loro emozioni? Perché abbassarsi a quegl’ infimi livelli?

Eppure anche lei era stata umana… ma era cieca, accecata dalla sua immortale natura di vampiro, rinnegandola sua origine umana, mortale.

Si sorprese a fissare la mano marmorea, liscia e luminosa: la chiuse e la riaprì osservando le pieghe che si creavano sulla pelle pura mentre si plasmava il movimento.

Si sentiva stanca , stava pensando di coricarsi, cullata dal ticchettio della pioggia che si infrangeva sulla finestra. Amava la pioggia, adorava il suo profumo.

-Che mente pericolosa- si ritrovò a sussurrare alla sua mano bianca, senza sapere quale pensiero le avesse fatto scaturire quel flebile respiro articolato di cui un orecchio umano non ne avrebbe potuto cogliere le vibrazioni.

Si alzò e si fermò davanti al vestito di seta e velluto grigio perla appeso affianco allo specchio, un fulmine illuminò la figura slanciata della ragazza dagli occhi smeraldini che fissava attonita e persa nei ricordi un vestito.

Si riprese quando sentì una carrozza passare sotto la sua finestra, alchè afferrò il vestito e se lo infilò con la velocità che sono un immortale può avere. Dopodiché si acconciò i capelli che raccolse sulla nuca , usando un nastro come ornamento.

Afferrò il mantello e scese nell’atrio dove la cameriera l’aspettava.

Le venne aperto il portone e salì in carrozza per recarsi alle Tuileries, dove avrebbe avuto luogo il ballo a cui la contessa era stata invitata, come prevedibile… dato che ormai non si faceva altro che parlar di lei.

Così arrivata scese dalla carrozza con più rassegnazione che speranza, sapeva che nulla di buono ne sarebbe entrato o uscito.


E come tutte le feste a cui aveva partecipato da quando aveva lasciato l’Austria, questo ballo non si dimostrò più allettante dei precedenti. Non gli erano mai piaciute le feste o i balli ad Elisabeth, troppa gente per i suoi gusti: lei era un tipo molto solitario.
Era seduta in fondo alla sala, in disparte, ad osservava le persone presenti volteggiare e ondeggiare a ritmo di quel valzer…
Di quel valzer a lei familiare.
-Mademoiselle, vuole farmi l’onore di un giro di ballo?- chiese un ragazzo alla contessa, che era l’attrazione principale della serata. La pietra più preziosa e sfavillante, che molti collezionisti contendono, ma che nessuno può avere, perché lei sa chi può meritarla e nessuno di quei monsieur poteva.
-Mi spiace rifiutare ma non sono in vena di valzer- rispose per l’ennesima volta all’ennesimo collezionista di pietre.
Il giovane si allontanò sconfitto, ma d’altronde, chi poteva sperare di avere un si da lei?
Nel tempo trascorso a Parigi, aveva acquistato la fama di essere una donna poco socievole e molto seria, i parigini iniziavano a credere che non sorridesse mai.
Perché non sorridesse più però nessuno lo sapeva e nemmeno lei voleva accettare la palese verità: soffriva ancora, nonostante fosse passato del tempo ormai.
“Come faccio a non pensare a lui se appena chiudo gli occhi per riflettere il suo volto mi appare davanti?”
Combatteva contro quei pensieri, reprimeva ogni cosa che lo ricordasse, ma allo stesso tempo non riusciva a fare a meno di ricordarlo, era un’ossessione.
Più volte era stata sul punto di fare le valigie ma il suo orgoglio l’aveva trattenuta, e lei era felice così, sapeva che prima o poi Jared Black sarebbe rimasto solo un ombra del passato…
“Un ombra indistinta, unico ricordo di questi momenti”.

Ma nonostante quei pensieri, quel sentimento che molti chiamerebbero amore, lei si era resa conto che in realtà tutto ciò era solo il riverbero della sua vita da mortale, non era un vero sentimento, ma solo un’illusione razionale di un ricordo sbiadito di una mortalità consunta e sgualcita.
Ma apparte i suoi pensieri, quella festa iniziava a darle sui nervi, preferì congedarsi prima di rovinare la sua reputazione. (..)

Mademoiselle, sicura che vuole continuare ad andare in giro senza una scorta?- chiese seriamente preoccupata Rosalie, una donna tra i trentacinque e i quarant’anni che, come molte dame, non aveva avuto la fortuna di poter metter su famiglia. Certamente, di certo non colpiranno me- disse ridendo beffarda Elisabeth, in uno di quegli scatti irrazionali e spontanei che spaventavano la povera donna. Era più di un mese che in città non si parlava d’altro… Omicidi.

Molti aristocratici, quasi tutti imparentati con la famiglia regale austriaca o con la ormai francese Black, o comunque che avevano avuto a che fare con queste famiglie, erano morti senza lasciar traccia. Sparivano nella notte desolatrice, senza consolazione di alcun tipo, per poi ricongiungere i morti ai propri cari.

E si trovava il corpo la mattina… decapitato.

Ma Elisabeth non se ne preoccupava, non ce n’era motivo dato che l’omicida colpiva di notte e soprattutto dato che l’omicida era una donna, una povera donna.

Nevicava a Parigi nel Marzo del 1700, e tutto era candido, immacolato, tutto sembrava innocente…

… ma nell’ombra vi era un angelo tutt’altro che innocente.

Passeggiava canticchiando una melodia leggera e fluida, armoniosa e dolce, ma in chi la ascoltava suscitava involontariamente un brivido che i passanti attribuivano alla bellezza di quella voce sublime.

Ovunque andava lasciava dietro di sé sussurri e occhi increduli, che fossero pece, smeraldo o zaffiro… solo un occhio, incrocio tra terra e foglie, esprimeva odio e amore, gelosia e terrore, vendetta e malinconica tristezza.

E tra i ricordi incorporei, tra i fantasmi del passato, tra i rimorsi che vengono a galla vagava senza una meta, sotto la neve Elisabeth, lo spettro di quella creatura affascinante che era stata un tempo, la visione di ciò che potrà essere in un futuro, la personificazione di un delitto sconsiderato che nella tragedia della risoluzione trova l’apice del suo splendore, l’eterna ventenne, l’eterna dannata.

 

Del sangue le fungeva da rossetto quella notte, un corpo disteso al suo fianco da partner per un valzer di morte, oscuro e inquietante, come preda e predatore quelle due creature facevano parte di una catena che nessuno poteva distruggere o fermare, reazioni chimiche di due elementi complementari e differenti…

Pedine dell’inizio di una vendetta lunga secoli e millenni…


A/N: Dopo un anno e mezzo ecco il sesto capitolo finalmente... è stata molto dura trovare un'idea decente e infatti non è venuto bene, però sempre meglio di niente no? Ah non so perchè ci sia venuta questa linea stupida, I'm sorry .-.


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Capitolo 7
*** Ragnatele ***


Elisabeth 7

 Al mondo non c'è coraggio e non c'è paura, ci sono solo coscienza e incoscienza. La coscienza è paura, l'incoscienza è coraggio.


Vienna, 1700


Piove qui a Vienna, il sole ha smesso di sorgere per tutti, non solo per i vampiri. Anche se, per alcuni di noi, il sole sorge ancora. Sono i cosiddetti "figli dell'oro" e non se ne trovano molti in giro. Io e mio fratello siamo fra questi.
Non mi piace il sole, sinceramente. Invece Lucas lo adora, ama soprattutto l'alba, esce spesso a vederla.
In quel momento invece eravamo entrambi nel suo studio, stavamo leggendo un quotidiano, un articolo di prima pagina: "Morta dopo l'ingresso in società". Raccontava di una ragazza, Mary Jane Black, trovata morta dopo il suo ballo di debutto in società, la morte era misteriosa, più o meno.: decapitata e la gola dilaniata, come se non bastasse che le avevano tagliato la testa. E questa non era la prima... era la parente più vicina al nostro ramo genealogico.
-Non è possibile Jared, dobbiamo fare qualcosa, subito!- disse Lucas sottovoce, con tono minaccioso, in modo che solo io potessi sentirlo.
-Lo so Lucas, ma cosa?- risposi. Avevamo un'idea su chi fosse la causa di tutto questo ma non osavo pensarci, mi faceva troppo male. Possibile che Elisabeth potesse fare ciò? L'immagine scarlatta del suo viso perfetto mi attraversò la mente facendomi salire la nausea.. quel viso pallido coperto di liquido caldo, color rubino, così tanto bramato, con gli occhi  verdi illuminati da un sinistro bagliore, un sorriso malvagio e beffardo deformava la sua bocca delicata.. Scacciai quell'immagine dalla mia mente prima che di venirne sopraffatto.
-Prima di tutto, scoprire chi è e dov'è, in parte però sappiamo già la risposta- continuò Lucas, moderando il suo tono, ora che si stava calmando mentre esponeva le sue domande, le sue risposte e i suoi eventuali piani, ammesso sempre che ne avesse, non era mica sicuro che ci avesse già pensato, bisognava agire con molta cautela affinchè i nostri nomi non apparissero neanche per sbaglio o avremmo dovuto dare troppe spiegazioni per non far venire dei dubbi.
Noi avevamo sempre mantenuto i contatti con la nostra vera famiglia, via lettere e anche con qualche visita durante l'anno, non avevamo alcun problema a farci vedere. La nostra famiglia infatti tramandava la nostra storia di padre in figlio, non chiedetemi perchè, li faceva sentir speciali, comunque sapevano che eravamo vampiri, ma per loro non era importante cosa fossimo, per loro eravamo parte della famiglia, ci volevano bene.. e non perchè eravamo affascinanti o ricchi o principi da rispettare.
Noi ci eravamo affezionati a loro. E qualcuno ce li stava portando via uno dopo l'altro. Non potevo davvero accettare che la causa di tutto ciò fosse realmente lei, lei che aveva perso la sua famiglia, che dopo secoli ancora faceva trasparire il suo dolore se qualcuno ne evocava il ricordo che cercava di sopprimere.
Ma forse mi aggrappavo a tutte queste scuse perchè sentivo per lei un sentimento che non voleva accettare la realtà dei fatti: la sua vendetta era iniziata.
Lucas si avvicinò, sedendosi di fianco a me e stingendomi una mano affettuosamente.
-Lo so che non lo accetterai mai Jared, ma è la verità, devi aprirli quei tuoi occhi ghiacciati!- disse con un sussurro comprensivo, osservandomi quasi preoccupato... o forse pienamente preoccupato, non riuscivo a decifrargli le emozioni che esprimeva il più delle volte.
Sorrisi triste mentre continuavo a fissare la finestra e la pioggia che scendeva imparziale, cieca, che non provava pietà per quei poveri barboni malati che sotto la pioggia dormivano, trovando sulla loro strada la morte senza compassione.
Avevo paura di alzare gli occhi, di guardare mio fratello e di fargli vedere il mio dissidio interiore, la mia lotta fra la verità e il ritratto che mi ero fatto di Elisabeth.. l'avevo idealizzata troppo, pensavo che solo perchè aveva sofferto non avrebbe fatto soffrire, quando il più delle volte il dolore rende crudeli e privi di cuore. Elisabeth era fra quelli che il dolore aveva reso di pietra, senza più un'emozione che smuovesse quell'anima priva di vita.
In ogni caso di fronte a mio fratello mi sentivo fin troppo scoperto, sembrava che lui leggesse ogni mia occhiata, ogni mia espressione, mi capiva come se riuscisse a leggermi nel pensiero. Non per nulla però era mio fratello maggiore.
-Mi piacerebbe solo che la verità fosse diversa! Ma non posso ignorare che succede qui- asserii con un sospiro. Sarà tutto diverso d'ora in avanti, dovevo iniziare a fare i conti con la realtà, qualsiasi essa fosse, dovevo fare una scelta e quella era la mia famiglia.
-Dobbiamo trovarla- continuai voltandomi e fissando mio fratello.
-Non sarà difficile Jad-
 

* * *  

Parigi, 1700


-Dannazione, non è possibile!- esclamò Elisabeth con il volto distorto da una rabbia crescente, che la divorava da dentro, che le faceva perdere qualsiasi autocontrollo,  una rabbia a cui è impossibile resistere. La rabbia che nasce dal dolore e dalla sconfitta. *
Rosalie si trovava a passare quando sentì l'esclamazione dura e quasi urlata della sua padrona, perchè si comportava così se non ne aveva motivo? Poi proprio lei che ci teneva così tanto alla disciplina e alla tranquillità, era sempre così pacifica e sorridente.. 
Preoccupata entrò nella stanza senza bussare, facendo capolino dalla porta bianca, osservando la dama come non l'aveva mai vista. In quell'abito turchese sembrava un angelo omicida, con i biondi riccioli che ricadevano scomposti sulle spalle, ciocche che uscivano dall'acconciatura che li legava sul capo.
-Mademoiselle, serve qualco...-
-Fuori di qui! SUBITO!- urlò la donna dagli occhi lampeggianti, voltandosi verso la povera cameriera che si ritirò con ancora più dubbi e preoccupazioni di prima.
-Non è possibile... NON PUO' ESSERE POSSIBILE!- urlò appena la porta si richiuse. Non voleva credere a quel che le si presentava davanti, non poteva davvero crederci.. Lei, Elisabeth, stava cadendo verso il fondo, ma non vedeva il modo di risalire e ritornare sulla vetta del monte. Doveva riuscirci!
Le mani che stringevano uno degli animali di cristallo che ornavano le sue mensole, quelle mani lo stringevano troppo forte per non scalfirlo. Una nuova ondata di furore irrazionale la investì e soffocando un urlo scaraventò il piccolo e fragile oggetto verso lo specchio che si trovava all'angolo della stanza, infrangendo anche quello e, da un solo cielo azzurro, ora quei frammenti d'argento e vetro riflettevano decine di nuvole tutte uguali che viaggiavano contemporaneamente verso una direzione comune.
Forse è meglio calmarmi un po'
Aprì la porta con un po' troppa forza per non farla sbattere più volte senza che si chiudesse ma non se ne curò, proseguendo verso le scale e scendendo di sotto, nella sala vicina all'ingresso, decorata da tappezzeria chiara, per illuminare la stanza rettangolare, piena di scaffali e occupata da un bellissimo pianoforte bianco e lucido, che regnava sovrano in quella stanza dalle mille sfaccettature di luce.
Elisabeth entrò lentamente, e altrettanto lentamente si sedette di fronte al pianoforte, osservandolo e accarezzando i tasti bianchi e neri, color avorio e onice,  e posando le sue mani sulla tastiera iniziò a suonare una delle melodie che conosceva meglio, che più riuscivano a rilassarla, che più la calmavano, perchè riusciva ad entrare all'interno delle note, assorbendo quella calma che la musica voleva trasmettere. Lasciava che le mani corressero sui tasti in una veloce corsa alle note, creando ritmi furiosi o tranquilli, lenti o veloci, seguendo l'andamento del suo umore, evitando di pensare a qualcosa di diverso dalla musica.
Iniziò a riversare tutte le sue emozioni, soprattutto tutte le sue paure, ammesso che ne avesse, nelle dita così che mutassero quei sentimenti in quella passione che guida la melodia. Perché per lei la musica era quello, uno sfogo dell'anima, così come lo era il disegno e la pittura, perché non vi è mai mente razionale che potrà interpretare ciò che il musicista esprime attraverso le sue note.
Fu interrotta dopo un po' da una Rosalie timorosa e titubante, con gli occhi scuri bassi e il capo chino che però ogni tanto si alzava a guardare quella ragazza perfetta che sedeva al piano suonando della musica perfetta.
-Cosa c'è- asserì Elisa senza voltarsi e senza smettere di suonare, il tono calmo e pacifico, come lei voleva che fosse sempre.
-Ehm... un certo Cavendish chiede di voi mademoiselle-
-Fatelo entrare- le ordinò inespressiva alla cameriera, senza smuoversi dalla sua occupazione e senza distrarsi ulteriormente. Chiuse gli occhi e un ricordo le occupò la mente sgombra... un vicolo di Londra molto tempo prima, la luna piena che le sfiorava la pelle diafana e un ragazzo che le sistemava le ultime ciocche che fuoriuscivano dallo chignon, un ragazzo dai capelli ramati e gli occhi cioccolato, vestito di velluto scuro...
-Sempre bravissima- commentò ironica una voce tenorile alle sue spalle, mentre l'uomo si avvicinava alla ragazza sedendosi di fianco a lei sullo sgabello di fronte il piano. 
-Sempre il solito idiota- commentò lei noncurante del giovane che le stava accanto.
-E anche sempre il solito malizioso- ribattè lui  sfiorandole il collo con la mano fredda e baciandoglielo dolcemente ma senza passione. Gli erano mancati quei baci all'inizio come gli era mancata la sua presenza, il suo voler aver ragione, i suoi racconti e i suoi propositi di vendetta verso quel signore sgarbato o quel depravato ubriaco e drogato. Era parte di lei e forse era la cosa più affascinante di quella donna così dannatamente bella.. il non sapere mai cosa le passasse per la testa.
Lei si staccò velocemente, smettendo di suonare, alzandosi e andando alla finestra, osservando quel che succedeva fuori da quelle mura così estese che la separavano dalla vita che si svolgeva indifferente vicino a lei. Era fuggita da quel ragazzo, letteralmente, cosa che non avrebbe mai pensato di fare. Il ricordo riaffiorò di nuovo ed un brivido le percorse la schiena mentre pensava che per quanto tempo potesse passare le passioni si affievoliscono ma non muoiono, l'aveva provato con il principe austriaco ed ora quelle lontane passioni riaffioravano.. e tutto con un semplicissimo contatto delle sue labbra con la sua pelle!
-Cosa sei venuto a fare Daniel?- chiese poi voltandosi e accennando ad un sorriso. Non gli dispiaceva in fondo che era venuto, qualunque motivo fosse.
-Volevo vederti, mi trovo a Parigi per affari ed ho saputo che eri qui e, sinceramente, mi mancavi, Londra non è la stessa con te, sai?- commentò lui avvicinandosi alla ragazza che lo aveva stregato molti anni prima. No, non era la stessa, non lo era più stata.
Le prese una mano e la baciò come per salutarla, ancora non lo aveva fatto infatti, e la riaccompagnò lungo il suo fianco. Sentiva quei gesti di costume cos' freddi per loro, sapeva che non avevano significato con un passato come il loro alle spalle, ma non gli importava se poteva sfiorarla. Anzi si azzardò a cingerle la sottile vita con le sue braccia vestite di seta e cotone. Lei non gli sfuggì come voleva fare, ma rimase lì a fissarlo atona, celando dentro di sè quei sentimenti che sentiva riaffiorare dal suo cuore privo di vita.. Perchè dicevano che il cuore è la sede dell'anima? Il suo era morto eppure un'anima viveva nel suo corpo, dannata, certo, ma pur sempre un'anima no?
-Affari, affari, quando mai non parli di affari? In ogni caso Londra sarà migliore senza di me- 
-Non è vero.. o forse sì, in ogni caso, come stai?-
-Vorrei stare meglio. Hai letto il giornale Daniel?- chiese lei e senza aspettare una risposta si spostò verso un divanetto poco lontano e gli lanciò un giornale austriaco con scritto in tedesco "Morta dopo l'ingresso in società". 
-E' questa la causa del tuo malumore?- chiese il giovane rosso mentre sul suo viso si dipingeva un'espressione spaesata, senza capire subito. Ma poi ricollegò, mentre ricordava una discussione avuta con la giovane donna molti anni prima.. mentre gli raccontava com'era stata trasformata in una vampira, e la sua unica lettera recente, quella dove gli diceva delle sue ultime scoperte.
-Ha a che fare con il tipo viennese?- chiese nuovamente con tono duro, pretendendo una risposta.
-Sì, qualcuno mi sta rubando il lavoro e non lo tollero!- sbottò la ragazza voltandosi verso Daniel e un fuggevole lampo d'isteria le riattraversò gli occhi smeraldini.
-Troverai un modo per vendicarti se lo vuoi davvero-
-Ho un motivo in più per farlo ora che c'è qualcuno che mi limita il lavoro- iniziò per poi fermarsi un attimo, -ho intenzione di tornare a Londra- concluse poggiandosi al tavolino che le stava dietro.
-Ah sì e perche?!- esclamò il giovane sbigottito.. perchè a Londraa, di nuovo?
-Voglio incontrare Lucille, nulla mi fa pensare che i Black non siano convinti che sia io l'omicida, e quanto vorrei che fosse vero!- rispose lei semplicemente e concludendo la frase con un leggero sospiro. Conosceva i due fratelli, sapeva che gli aveva dato modo ad entrambi di sospettare di lei e sapeva che loro l'avrebbero fermata ad ogni costo.. voleva vedere la ragazzina prima di finire in un rogo, ammesso che ci sarebbe finita ovviamente!
-Sei sicura di esser pronta?- chiese lui avvicinandosi e posandole una mano sulla  spalla piccola e delicata.
-Sì, in fondo non corro rischi-
-Se non quello che lei di detesti per ciò che hai deciso di fare- l'ammonì affettuoso. Aveva paura per lei, le era troppo affezionato.
-Correrò il rischio, per ora devo capire se i Black mi cercano o meno-  commentò lei iniziando a pensare a come avrebbero potuto agire i due principi a cui i mezzi per indagare non mancavano affatto, disponendo della polizia reale a loro piacimento.
-Ehm.. a proposito.. sono a Parigi- si azzardò a sussurrare il giovane. Era per quello che era andato alla fin dei conti, per avvertirla che erano lì, ed ora sapeva anche il motivo della loro visita.
-Ed ora me lo dici?!- esclamò lei scattando. Perfetto, erano vicini, troppo vicini, e troppo velocemente per i suoi calcoli, e il solo modo per sfuggirne decentemente era fuggire, il metodo più brutto che potesse sfruttare, il più deplorevole, ma le toccava, doveva incontrare Lucille prima di Jared, prima che la scoprisse, era troppo importante per lei quella ragazzina, voleva vederla, parlarle, averne un'alleata. Con lei avrebbe avuto i Black in pugno.
-Dan, dobbiamo correre a Londra, subito- disse correndo di sopra a fare le valige. Daniel Cavendish uscì senza proferir parola a preparare i suoi bagagli.

* * *

-Sì monsieur?- chiese una donna che ci aprì la gran porta scura della villa. Se fossi stato umani il cuore mi sarebbe battuto forte per le emozioni che mi stavano affratevrsando. Rabbia, gioia, delusione, attesa. Presto avrei rivisto quegli occhi verdi che mi avevano fatto impazzire in dalla prima volta che li avevoi visti, avrei rivisto quei aurei capelli che sembravano appartenere ad una Venere e invece di toccarli, di accarezzarli, avrei dovuto farli diventare scarlatti. Avrei dovuto fare quel che non avevo fatto secoli prima.. Uccidere Elisabeth de Roches.
-Vorrei parlare con miss de Roches- disse Lucas deciso al mio fianco, con una voce fin troppo persuasiva.
-Oh mi dispiace ma Mademoiselle è partita con Sir Cavendish e non so quando tornerà- rispose la donna voltandoci le spalle e rientrando in casa, chiudendo la porta dietro di sé.
-Chi è questo Sir?!- esclamai facendomi prendere dalla gelosia, che fosse una fuga amorosa la sua? Mi venne la nausea al solo pensiero.
-Non ne ho idea... ci è sfuggita- replicò mio fratello a denti stretti e accompagnando le parole con un gesto poco signorile.

* * *

Una mano pallida e scarlatta disegnava ghirigori rubino sul muro castano della cattedrale di Notre Dame, decorando di peccato la soglia immacolata della casa di Dio. Rise al solo pensiero mentre sistemava i corpi di due persone, un uomo e una donna molto più piccola di lui. Scrisse i loro nomi sul loro petto e una R come firma, era andata oltre ma avrebbe vinto questa partita a scacchi contro i due principi, avrebbe avuto la sua vendetta!

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