Il Settimo Cavaliere

di lames76
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Sogno o son desto? ***
Capitolo 3: *** Un giorno prima ***
Capitolo 4: *** Il giuramento di Faerie ***
Capitolo 5: *** L'inizio della prima missione ***
Capitolo 6: *** L'inizio del viaggio ***
Capitolo 7: *** Dopo la battaglia ***
Capitolo 8: *** Spiegazioni ***
Capitolo 9: *** L'Allenamento ***
Capitolo 10: *** Menion de Bergerac ***
Capitolo 11: *** Ma cosa è un bacio? ***
Capitolo 12: *** Un tremendo errore tattico ***
Capitolo 13: *** Se non si torna a casa, che senso ha combattere? ***
Capitolo 14: *** L'Avversario ***
Capitolo 15: *** Il destino di Teseo ***
Capitolo 16: *** Ritorno a Casa ***
Capitolo 17: *** Epilogo ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


   Ancora una volta Menion si guardo' attorno cercando di capire dove si trovava, ed ancora una volta si chiese cosa ci facesse li'. Intorno a lui c'erano solo alberi e nessun sentiero, nessun segno che potesse dirgli dove andare. Sorrise, proprio lui che non era mai stato neanche in campeggio doveva vivere all'aperto, si scherni'.
Prese una decisione e comincio' a camminare andando dritto e confinando di trovare un punto di riferimento prima di perdersi definitivamente. Ma cosa diavolo ci faceva la', un ragazzo del XXI secolo perso in una foresta della Grecia classica?

Due giorni prima...

   "E cosa farai quando arriverai in Inghilterra?", chiese la madre per l'ennesima volta.
"Ti telefonero'", rispose di nuovo il ragazzo meccanicamente, "So che e' la prima volta che vado in vacanza all'estero da solo, ma non c'e' bisogno di farmi tutte queste raccomandazioni, ho gia' ventisei anni..."
Menion DeVille viveva in Francia, in un piccolo paese alla periferia di Parigi. E se l’espansione della capitale francese fosse continuata allo stesso ritmo, ben presto sarebbe stato inglobato dalla stessa. Lui viveva ancora con i suoi genitori e non si vergognava della cosa, per uno studente universitario che ha la fortuna d'avere la sua facolta' a non troppa distanza da casa, quella era la soluzione migliore, si diceva. Niente spese per il mangiare e neppure per il dormire, certo qualche problema di convivenza c’era ma nulla di grave.
Menion aveva studiato archeologia e poi, dopo la laurea, aveva seguito con successo vari corsi di specializzazione in mitologia antica (tutti della durata di pochi mesi); ora si era regalato, con l'aiuto finanziario dei suoi genitori, un viaggio in Inghilterra, per poter visitare il sito archeologico di Stonehenge.

Il viaggio in aereo fu breve e, per lui, fantastico; lui stesso aveva insistito ad usare quel mezzo di trasporto invece del treno, proprio perche' voleva sapere cosa si prova a volare. Era certo che l’esperienza valesse la piccola spesa in piu' e cosi' fu.
Arrivato alla sua meta, prese alloggio in una pensione a poca distanza dal sito archeologico, tanto che distava solo un quarto d'ora a piedi. La sera mangio' in una taverna, l'unica del piccolo villaggio ed ascolto' le storie che i vecchi contadini ed allevatori narravano. Erano proprio quelle che lui si aspettava di sentire in un paesino gallese, storie di fantasmi, di fate e di elfi. Lui era sempre stato affascinato dalla mitologia in generale e si beo' di quei racconti, tanto che fece anche delle domande ai signori suscitando in loro simpatia. Il tempo passo' in fretta e lui si accorse di che ora fosse, solo quando il padrone della taverna lo avviso' che il locale stava per chiudere. Un po' deluso della fine di quella piacevole serata ed un po' alticcio a causa della (troppa) birra che aveva bevuto, si diresse verso la sua pensione.
A meta' del cammino si accorse che qualcuno lo seguiva. Le strade erano deserte e lui non pote' non provare un po' di timore. Anche se quello era un villaggio, non era detto che non ci fosse delinquenza. Affretto' il passo e cerco' con lo sguardo qualche altro passante per farsi coraggio, ma scopri' d'essere solo. A peggiorare la situazione un velo di nebbia rendeva sfocato il paesaggio e ben presto si perse tra le viuzze del paese. Si chiese come era possibile. Durante il giorno aveva contato non piu' di una cinquantina di case, sparse nel piccolo centro urbano. Come poteva aver perso il senso dell’orientamento? Possibile che, a causa della nebbia e dell’alcool stesse girando in tondo?
Improvvisamente si accorse di non essersi sbagliato, ora era certo che qualcuno lo stava seguendo! Si mise a correre senza sapere dove andava. Una paura cieca e istintiva gli riempi' la mente e gli impedi' di capire che stava facendo una grossa stupidata, con quella nebbia sarebbe potuto andare a sbattere contro un muro senza accorgersene. Quando riusci' a riprendere il controllo sul suo corpo si fermo' ma scivolo' e cadde lungo una scarpata. Rotolo' su se stesso prendendo colpi in tutto il corpo e, quando alla fine si fermo', capi' che per lo meno si era rotto un polso. Cerco' di alzarsi puntellandosi a terra con le braccia ma un dolore sordo lo fermo', un velo piu' nero della notte gli calo' sugli occhi e poi perse i sensi.

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Capitolo 2
*** Sogno o son desto? ***


La sua mente danzo' tra il sonno e la veglia per parecchio tempo. Gli sembro' che il suo corpo stesse volando nell'aria e che mille piccole mani lo sorreggessero durante il trasporto. Alla fine senti' la sua schiena adagiarsi su di un giaciglio morbido e profumato e sprofondo' di nuovo in un sonno ristoratore.

A svegliarlo fu una pressione costante sul petto. Non era dolorosa, ma non molto piacevole. Era come se un enorme insetto o un piccolo animale stesse camminando su di lui, ma era impossibile, la pensione non avrebbe tollerato...
La sua mente torno' lucida, non si trovava nella pensione!
La sera prima era caduto ed ora probabilmente giaceva all'aperto, da qualche parte nella campagna circostante al villaggio. Ma se era cosi' forse era proprio un enorme insetto quello che aveva sul petto...
Apri' gli occhi e fu abbagliato dal riflesso della luna piena, ma vide una macchia indistinta muoversi sul suo corpo. Istintivamente cerco' di scacciarla ed intanto si alzo' il piu' velocemente possibile. La sua mano non colpi' che l'aria e quando il suo sguardo si abituo' alla semioscurita' vide dove si trovava.
Era in piedi in mezzo ad un boschetto d'alberi ad alto fusto, vicino a lui gorgogliava un torrentello che formava una piccola cascata. Tutto intorno poteva udire i suoni della notte: i fruscii nei cespugli, i richiami dei gufi e un leggero scampanellio...
Un leggero scampanellio?
Si giro' e vide che l'insetto che fino a poco tempo prima aveva addosso, ora stava volando a poca distanza da lui emettendo una brillante luce.
Menion si stupi' del fatto che l'insetto non ronzasse ma emettesse il trillo che aveva scambiato per il suono di campanelli. Doveva essere un qualche tipo di lucciola di quelle parti, certamente di una specie cui lui non aveva mai sentito parlare. Era grossa a giudicare dalla luce che emetteva e che gli impediva di vedere la sua forma, e non lampeggiava come gli altri insetti della sua specie ma rimaneva costantemente illuminata. Sorrise tra se', e lui che si era spaventato credendo di avere addosso chi sa quale mostro orrendo...
"Mi hai fatto spaventare luccioletta", parlo' ad alta voce per scacciare la tensione accumulata.
"Non sono una lucciola!", gli rispose una voce cristallina un poco stizzita.
Menion arretro' piu' sorpreso che impaurito, dalla risposta, che sembrava provenire proprio dall'insetto. Inciampo' con il tallone su di una radice ed ando' a sbattere la testa contro un ramo dell’albero. Poi le gambe ed i nervi troppo provati non lo sostennero piu' e cosi' scivolo' a terra fino a ritrovarsi seduto sul manto erboso. Massaggiandosi la testa, il ragazzo guardo' meglio la creaturina che si era posata leggera sul suo ginocchio.
Per poco non gli venne un colpo, infatti, in piedi su di lui, stava una donna alta trenta centimetri!
"Ho le allucinazioni", disse tra se' e se', poi si costrinse ad osservarla meglio.
Era donna e bambina assieme, anche se lui non poteva dire con certezza dove iniziava la donna e dove iniziava la bambina, la separazione era piu' una ‘sensazione’. Aveva due lunghe ali, trasparenti e luccicanti come la rugiada, che le spuntavano da dietro la schiena e fremevano riflettendo i raggi della luna. I suoi capelli erano rossi come un tramonto estivo, corti e spettinati e gli conferivano un aspetto sbarazzino. Il suo vestito era bianco come la neve e risplendeva nel buio. Menion rimase a bocca aperta per lo stupore e per la bellezza di quell'apparizione.
"Hai ragione...", riusci' a balbettare quando la tensione allento' un attimo la presa su di lui, "...non sei una lucciola".
Lo disse piu' per capire se era sveglio o se stesse sognando che per rivolgersi alla creaturina.
"Meno male che te ne sei accorto!", l'esserino rispose con voce cristallina e dolce, poi si mise a braccia conserte facendo il broncio.
"Sei... una fata?", chiese con timore il ragazzo. Il timore gli era dato dal fatto che un'eventuale risposta affermativa avrebbe fatto crollare tutte le sue certezze scientifiche. Infatti, nonostante si ostinasse a ripetersi che credeva nelle fate, i suoi studi gli avevano impartito una mentalita' logica. Amava ripetere agli amici, e non si vergognava della cosa, che lui credeva nella magia, ma il ritrovarsi di fronte a quell’apparizione gli fece capire che la sua, alla fin fine, era stata solo una posa.
"Si, sono una fata!", rispose la donnina rendendo concreti i timori del ragazzo, "Mi chiamo Tintinnio", fece una riverenza mentre sul viso aveva stampato un sorriso solare.
Ed a proposito di sole, Menion si accorse che era l'alba ed i primi raggi cominciavano ad illuminare meglio l'ambiente circostante. La luna era ancora alta nel cielo ed aveva assunto un colorito rosato, come quello delle pesche... un momento! Non era possibile che si fosse spostata cosi' in fretta! Aguzzo' lo sguardo e rimase a bocca aperta, nel cielo stavano due lune, una rosa, alta nel cielo, l'altra piu' azzurrina, che ormai volgeva al tramonto.
"Non te l'ho detto?", anticipo' la sua domanda la fata, volandogli davanti alla faccia a pochi centimetri dal suo volto, "Siamo a Faerie!"
Se non fosse stato seduto sicuramente sarebbe caduto a terra, perche' le gambe avevano iniziato a tremargli visibilmente. Degluti' a fatica ma senti' la sua gola seccarsi.
"Vuoi dire che tutte le leggende e le favole sono vere?", si stupi' del filo di voce con cui lo chiese.
"Beh, non proprio tutte ma la maggior parte si!", rispose la fatina svolazzando vicino a lui. Il ragazzo senti' che le ali gli lanciavano sul viso piccole folate d'aria fresca. Questo lo aiuto' a riprendere il controllo di se'. Si chiese se l’esserino lo stesse facendo apposta, ma non trovo' risposta a quella sua domanda. Dopo qualche minuto si senti' un po’ meglio e si alzo' sorreggendosi al tronco dell'albero. Noto' che in lontananza, nella valle sottostante, c'erano degli splendidi cavalli bianchi che stavano rincorrendosi... ma non erano cavalli normali. Avevano un lungo corno sulla fronte.
"Unicorni", l'essere fatato gli parlo' come se quella fosse la spiegazione piu' semplice del mondo, "Carini, vero?"
Quando riusci' a distogliere lo sguardo da quella meravigliosa immagine torno' a guardare la fata, "Ma perche' mi trovo qui?"
Per un attimo l'espressione allegra di Tintinnio si rabbuio'.
"Perche' altrimenti saresti morto", gli rispose andando a posarsi su di un ramo in modo da essergli di fronte agli occhi, "Stavi scappando quando sei caduto lo ricordi?", Menion annui', "La creatura che t'inseguiva non era umana, era un Segugio"
Il ragazzo scosse il capo confuso, troppi concetti nuovi e fantastici gli erano stati propinati ma presto' fede alle parole della fata.
"Un Segugio e' una creatura di magia nera, formata di pura malvagita'. Hai avuto paura, vero?", il ragazzo annui' nuovamente, "E’ il suo potere. Ti fa provare un tale terrore che le persone di solito finiscono con il morire di crepacuore o in qualche incidente"
In effetti, ora che ci pensava, lui stesso si era stupito della paura che aveva provato. Certo non era mai stato una persona estremamente coraggiosa, ma neanche cosi' fifona da spaventarsi solo perche' qualcuno lo seguiva.
"Quando ti abbiamo trovato eri disteso, privo di sensi in un fosso. Avevi un braccio rotto ed alcune costole incrinate cosi' ti abbiamo subito curato e poi portato qui, prima che il Segugio potesse trovarti", nonostante il discorso, il suo sorriso era rassicurante.
"Allora ti devo ringraziare", rispose il ragazzo.
"C'e' un problema...", il viso della fata era serio ora.
C'e' sempre un problema, penso' lui, possibile che non ne vada una giusta, senza intoppi?
"...il Segugio e' un essere particolare, quando fiuta una preda la insegue finche' non riesce a prenderla", gli spiego' Tintinnio.
"Vuoi dire che appena tornero' a casa quella cosa mi verra' a cercare?", Menion era stupefatto dalle implicazioni di quella frase.
"Si e ti uccidera'", si affretto' a continuare la Fata, "A meno che tu non ti unisca a noi"
"Unirmi a voi?", mormoro' il ragazzo sbalordito ed un po' impaurito.
"Camminiamo un po', mentre ti spiego", lo invito' l'essere fatato andando a sedersi sulla sua spalla ed indicandogli il percorso, "Devi sapere che gli unici umani che hanno accesso a questo regno sono i Cavalieri di Faerie", fece una breve pausa ma non gli diede il tempo di interromperla, "Sulla Terra ci sono persone destinate, con i loro gesti, a cambiare la storia ed a fare dei grandi doni all’umanita'. Sono piu' di quanti credi e, una volta nella loro vita, si trovano di fronte ad un bivio. Secondo la scelta che fanno, possono diventare degli eroi del bene o del male. I Cavalieri di Faerie intervengono in questi momenti e si assicurano che tutto scorra senza interventi esterni, qualunque sia la scelta che la persona fara'. Ma purtroppo, non solo loro partecipano a questi eventi; ci sono anche creature malvagie che tentano in ogni modo di traviare queste persone e se non ci riescono, tentano di ucciderle"
Camminando erano giunti in una splendida radura. Al centro del prato verde erano posti, a cerchio, sette grandi funghi che parevano a forma di sedia. Al centro, la lastra di un enorme specchio sembrava essere sospesa nel vuoto. Su sei delle sette sedie/fungo stavano sedute delle fate che parevano simili a Tintinnio seppur diverse e sembravano intente a scrutare verso l'oggetto al centro. Per un attimo si girarono a guardare i nuovi venuti sorridendo, poi tornarono al loro misterioso lavoro come se nulla fosse.
"Loro sono, come me, le Voci dei Cavalieri", ricomincio' a spiegare Tintinnio, "Ognuna di loro e' il contatto, la guida e la consigliera di un Cavaliere"
"Anche tu?", chiese incuriosito Menion.
"Fino ad ora no", rispose enigmatica la fata.
Il ragazzo preferi' lasciare perdere l’argomento per il momento ed invece chiese, "Vuoi dire che sulla mia Terra ci sono sei persone che vegliano sul bene?".
"No, voglio dire che sette cavalieri esistono, esisteranno e sono sempre esistiti", la risposta dell'essere fatato era, nuovamente, sibillina.
Nel frattempo, Menion aveva fatto un giro completo attorno al cerchio di funghi ed aveva notato, con molto stupore, che lo specchio sembrava muoversi con lui. In ogni posizione che lui aveva occupato durante quel breve passeggio, lo specchio gli aveva mostrato sempre la sua faccia, ovvero la sua parte riflettente.
"Non capisco", mormoro' scuotendo il capo il giovane.
"Lo farai se ti unirai a noi diventando il Settimo Cavaliere", rispose la fata tornando a volare.
Lui si fermo' sempre piu' confuso, "Perche' proprio io?"
"Perche' sei speciale", fu la risposta di Tintinnio, "Per questo il Segugio ti ha cercato. Pensaci, tra tutte le persone dell’Inghilterra ha seguito te!", si fermo' un attimo dandogli il tempo di riflettere, "E’ stato creato apposta per cacciare ed uccidere le persone che hanno i requisiti per diventare Cavalieri. Se ti avesse preso avremmo dovuto aspettare altri mille anni prima che tu potessi ritornar...", si blocco' come se avesse detto qualcosa di troppo ma poi riprese come se nulla fosse, "Prima che un altro avesse quelle caratteristiche", si fermo' di nuovo un attimo e sembro' incredibilmente infelice, "Mi dispiace, ma se non ti unisci a noi non ha alcuna speranza di salvarti... non so cosa dire, sembra che questa sia una trappola per te, ma...", le parole gli morirono in bocca.
"E’ una cosa molto difficile da accettare ma penso di potermi fidare di te", la risposta fu emessa a bassa voce, "Dovro' rimanere qui immagino o cosa?"
"Si Menion... diventando cavaliere ti staccherai dal tuo passato... sopravvivrai ma non potrai piu' tornare indietro...", la voce della fatina era sempre piu' triste.
Il ragazzo sospiro' ripensando al terrore che aveva provato e capendo che non aveva via si scampo, "Pero', prima di accettare, devo parlare con i miei genitori, almeno per dir loro addio..."
"Ma e' pericoloso che tu torni sulla Terra", cerco' di fermarlo la fatina, "Il Segugio ti sarebbe addosso entro pochi minuti..."
"Su questo non transigo", rispose Menion scuotendo il capo.
"E va bene", accetto' infine la fata con un profondo sospiro, "Tieni questo", gli adagio' su un palmo un sacchettino, "Contiene Polvere di Fata, ti servira' per tornare..."
Poi gli spiego' cio' che avrebbe dovuto fare.

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Capitolo 3
*** Un giorno prima ***


   Menion apri' gli occhi e si ritrovo', con sorpresa, in una radura vicino ad una strada asfaltata. Il posto l'aveva visto quando era arrivato al villaggio il giorno prima. Era ancora incredulo su cio' che gli era capitano ma sentiva dentro di se', come una voce, che gli diceva che era tutto vero. Si strinse il giaccone proteggendosi dall'aria fredda del pomeriggio e si diresse verso la locanda, dove avrebbe trovato il telefono. Era pomeriggio inoltrato ed il sole spuntava timido da dietro le nuvole.
Giunse alla taverna e vi entro'. Si stupi' della folla che c'era all'interno, per quell'ora si era aspettato di non trovare nessuno ma poi ricordo' che quel giorno si svolgeva una qualche festa locale. Con passo sicuro s’infilo' nella piccola cabina telefonica sul fondo del locale. Per un attimo guardo' gli altri clienti, poi compose il numero e chiese di effettuare una telefonata a carico dal destinatario. Poco dopo gli diedero la linea.
Passo' i primi minuti della comunicazione con sua madre a cercare di trovare una scusa buona per non tornare a casa e limitandosi a descrivere il villaggio, poi gli venne l'idea.
"Sai una cosa grandiosa? Ho trovato un lavoro!", cerco' di mantenere la sua voce il piu' possibile entusiasta, "Partecipero' a degli scavi vicino a Stonehenge con degli archeologi affermati", aspetto' il commento della madre poi la incalzo', "Mi pagano bene e comincero' oggi stesso, ma purtroppo saremo un po’ fuori mano e non potro' telefonarti spesso...", un brivido gli corse lungo la schiena. Dapprima penso' si trattasse di uno spiffero ma poi capi' che non era cosi'. Si volto' verso l'ingresso ed ammutoli'. Sulla soglia stava una figura da incubo.
Sullo sfondo illuminato dalla luce del giorno, la creatura pareva fatta di un fumo nero che sembrava assorbire la luce, facendola scomparire dentro di se' stesso. Aveva una parvenza umanoide, con braccia e gambe lunghissime e magre e due occhi rossi, brillanti privi di pupilla. Sembrava non possedere una bocca.
Il cuore del francese comincio' a battere all'impazzata per la paura. Riusci' a stento a finire la conversazione con la madre, chiedendole di salutare anche il padre e riaggancio' la cornetta con le mani che gli tremavano.
L'essere d'ombra intanto si stava spostando verso di lui. Non camminava, sembrava scivolare nell'aria. Gli altri avventori del locale non sembravano accorgersi della sua presenza anche se si scostavano con un brivido al suo passaggio.
Menion senti' le gambe cedergli e, con le dita che a stento si muovevano, raggiunse il fagotto che Tintinnio gli aveva consegnato. Tremando come una foglia fini' seduto per terra, dentro la cabina. Il Segugio era ormai a pochi metri da lui e, nonostante l’assenza della bocca, sembrava sogghignare di piacere.
In pochi istanti, che a lui pero' sembrarono eterni, svolse il legaccio del sacchettino e si verso' sul capo la polvere, poi chiuse gli occhi come gli aveva detto di fare la fata.
Senti' come un silenzioso ruggito d'odio e frustrazione provenire dal Segugio, poi la polverina gli fini' nel naso e lui starnuti'.

Anche se sentiva sul suo viso il caldo abbraccio del sole ed avvertiva i rumori di un bosco, non smise subito di tremare. Prima di decidersi ad aprire gli occhi passarono diversi minuti.
Alla fine, dopo un grande respiro, si guardo' intorno e capi' di essere apparso di nuovo dove l'aveva svegliato la fata il giorno prima.
Al sicuro.
A Faerie.
Si alzo' e guardo' la valle sottostante; gli unicorni c’erano sempre, anche se si erano spostati un po’ piu' lontano di prima.
Sorrise prima di avviarsi per raggiungere la radura dove aveva lasciato Tintinnio. Dopo pochi passi nel bosco, pero' capi' che si era perso. Aveva ancora il torrente alla sua destra ma il sentiero che aveva preso la prima volta era scomparso. Si fermo' a guardarsi intorno indeciso sul da farsi.
"Hai bisogno di una mano?", a chiedere era stata una strana voce gorgogliante.
Menion impiego' parecchio tempo a capire chi gli aveva parlato, poi noto' che dal torrente, una carpa argentata lo guardava tenendo la testa fuori dall'acqua facendo tremare i suoi barbigli.
Lui la guardo' e poi oso' porre la domanda: "Sei stato tu a parlare?", si senti' incredibilmente stupido a fare una cosa del genere.
"Certo!", gli rispose con voce burbera il pesce, "E mi dia del lei, io sono il Signor Flush!"
La sua voce sembrava filtrata da un velo d’acqua, se non fosse ancora shockato dal fatto che una carpa potesse parlare avrebbe sorriso per il divertimento.
"Mi scusi...", riusci' a balbettare il ragazzo preso completamente alla sprovvista, "Mi saprebbe dire come posso raggiungere la radura in cui stanno le fate chiamate Voce dei Cavalieri?"
"Si vede che sei foresto!", fu la brusca risposta del pesce, "Ti basta chiedere alle piante!", rimase un attimo in silenzio come se ascoltasse qualcosa, "Mi scusi, ma ora devo andare, mia moglie mi sta chiamando, arrivederci", e con un guizzo s’inabisso' nel fiumiciattolo.
Menion rimase per parecchio tempo con lo sguardo perso nel vuoto completamente incapace di fare nulla. Aveva accettato l’esistenza delle fate, degli unicorni, d’esseri infernali che volevano solo ucciderlo. Era riuscito ad accettare anche che un pesce gli potesse dare delle indicazioni per trovare la strada. Ma parlare con delle piante! Quella era stata la classica goccia che faceva traboccare il vaso.
Alla fine trovo' il coraggio di fare la prova. Si mise di fronte ad un albero e chiese, cautamente, se poteva indicargli dove fosse la radura che cercava. Incredibilmente, le piante si scostarono e rivelarono un sentiero, lo stesso che aveva percorso con Tintinnio sulla spalla.
Lui sia avvio', ma non prima pero', di aver ringraziato il vegetale!

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Capitolo 4
*** Il giuramento di Faerie ***


   Giunse pochi istanti piu' tardi alla sua meta. La radura era esattamente come l'aveva lasciata, l'unica differenza era che tutti i funghi erano occupati, ma appena fece un passo verso di loro, Tintinnio lascio' il suo sedile e gli volo' incontro.
"Mi hai fatto preoccupare parecchio!", gli urlo' con la sua vocina di velo, "Se avessi tardato ancora un istante ad usare la Polvere di Fata ti avrebbe preso!", fini' agitando un ditino davanti al suo viso con aria dura.
"Scusa", riusci' solo a dire il ragazzo. Era dispiaciuto ma gli scappava da ridere per l’atteggiamento ‘da mammina’ dell’essere fatato.
"E va bene ti scuso, ma non farmi piu' prendere uno spavento del genere!", lo ammoni' lei.
Lo guido' nuovamente verso il cerchio di funghi.
"Devi sapere che Faerie e' collegato alla Terra sia nello spazio che nel tempo", la sua voce era tornata dolce e calma, "Ogni Cavaliere, nelle sue missioni, potra' agire nel suo tempo o in tempi antecedenti al suo..."
"Un attimo!", la fermo' Menion, "Mi stai dicendo che potrei dover viaggiare indietro nel tempo?", la fata annui' seria, "Ma a cosa servirebbe? Cerchi di dirmi che le forze del male tentano di cambiare la storia?"
"No", rispose pazientemente l'essere fatato, "Non possono cambiare cio' che e' successo nel passato che consoci tu, ma la tua Terra non e' l'unica", fece una pausa ma ricomincio' a parlare prima che lui potesse dire nulla, "Esistono infiniti pianeta Terra, ognuna e' la conseguenza di un'azione fatta o non fatta...", annui', conosceva la teoria degli universi paralleli ma non aveva mai pensato che potessero esistere veramente.
"Vuoi dire che se alla mattina mi alzo e decido di bere il caffe' invece del the, si crea un'altra realta' dove ho bevuto il the?", fu la domanda del ragazzo.
"Si, anche se, per la verita', si crea un'altra realta' solo in determinati momenti", lo corresse Tintinnio, "Quelli in cui e' necessaria la presenza di un Cavaliere di Faerie"
Molte cose gli si chiarirono ma gli vennero anche in mente moltissime domande, "Come faccio a diventare un Cavaliere?"
In effetti si era sempre sentito un cavaliere, almeno di quelli che lasciano il passo alle donne quando devono entrare in qualche posto o che si preoccupano di aiutare le persone anziane a portare la spesa; tutto naturalmente non a scopo di lucro. I suoi amici spesso lo chiamavano ‘l'ultimo cavaliere’ per prenderlo in giro, anche se alcuni di loro l'invidiavano. Ma la sua non era una posa, pensava che quello fosse il modo giusto per comportarsi e cosi' lo faceva.
"Inginocchiati e chiudi gli occhi", gli ordino' la fata e lui le obbedi'.
Senti' una mano che gentilmente gli si posava sul capo. Per un attimo gli venne voglia di guardare chi fosse, anche perche' le dimensioni erano quelle di un umano come lui, ma lascio' perdere per non rompere la sacralita' di quel momento.
"Menion DeVille ti impegni a servire Faerie in ogni momento della tua vita?", la voce aveva posto la domanda era quella di una donna. Si accorse che sembrava quella di Tintinnio, solo piu' forte e meno acuta, come se provenisse da una persona grande come lui.
"Si", rispose lui con calma.
"Ti impegni ad obbedire al codice d'onore dei Cavalieri?", chiese ancora la donna e quando lui annui' continuo', "Ora ripeti con me"
Le parole risuonarono nella radura come se fossero l'unico suono esistente al mondo, come se tutti gli altri si fossero spenti per stare ad ascoltare. Le parole sembrava fossero l'unica cosa importante di tutta Faerie e dell’intero universo. Nel pronunciarle, Menion senti' come se le stesse scolpendo nella sua anima.

"Giuro di vivere nel coraggio,
Giuro di difendere sempre gli innocenti,
La mia spada colpira' il male,
La mia bocca non mentira'.
La mia vita e' donata a Faerie"


Alla fine del giuramento senti' un calore sprigionarsi dalla mano posta sul suo capo e trasmettersi nel suo corpo. Poi, improvvisamente come era comparsa, la sensazione svani' e cosi' anche la pressione della mano sulla testa. Senti' invece che qualcosa veniva adagiata nelle sue braccia.
"Puoi aprire gli occhi ora", la voce di Tintinnio sembrava di nuovo quella iniziale.
Lui obbedi' e vide che in mano teneva una splendida spada in un fodero adornato di rune. Estrasse la lama e scopri' che era perfettamente bilanciata ed adatta alla sua forza. In piu' era come se fosse viva, ogni volta che la muoveva sentiva, attraverso l’impugnatura, come un palpito vitale.
"Quella, sara' la tua arma contro il male", gli spiego' la fata, "Stai tranquillo, puo' ferire solo esseri malvagi. Anche se la usassi contro un essere vivente non gli faresti nulla, la lama diventerebbe inconsistente ed attraverserebbe la sua carne senza procurare alcun danno. E’ un oggetto magico molto potente che potrai usare solo tu"
Improvvisamente lo specchio' emise un bagliore. Sul viso di Tintinnio apparve un’impercettibile ruga. Velocemente volo' verso il suo sedile e si mise ad osservare da vicino la superficie riflettente, ora luminosa.
"Non e' ancora il momento!", urlo' verso l’oggetto con preoccupazione nella voce, "Non e' ancora pronto e non conosce ancora nulla!", ormai il suo era quasi un lamento.
Alla fine sospiro' e si volto' a guardare il ragazzo.
"Devi gia' partire in missione", per la prima volta la sua voce era roca, "Mi dispiace"
"Cosa devo fare?", Menion era invece ansioso, in effetti per lui era quasi un gioco, non ci vedeva nulla di strano ad essere mandato da qualche parte cosi' presto.
La fata gli volo' vicino e gli fece cadere in mano qualcosa. Il ragazzo lo guardo' e scopri' che si trattava di un piccolo specchietto scintillante.
"Non c'e' molto tempo", si affretto' a dirgli, "Attraversa la superficie illuminata posta al centro del cerchio di funghi"
"Ma cosa devo fare?", chiese ancora Menion, adesso un po' preoccupato.
"Appena sorgera' la luna fai riflettere i suoi raggi sulla superficie dello specchio ed io ti potro' parlare", gli spiego' Tintinnio, "Allora ti diro' tutto"
Non ebbe il tempo di chiedere altro perche' la fatina lo spinse dentro il passaggio.

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Capitolo 5
*** L'inizio della prima missione ***


Menion precipito', o almeno questa fu la sua impressione, mentre attraversava lo spazio multicolore. Non riusciva a scorgersi, anche quando cerco' di portare le sue mani davanti al viso non riusci' a vederle. Si chiese quanto tempo fosse passato durante la sua discesa ma non seppe cosa rispondersi visto che non aveva nessun punto di riferimento. Attorno a se' c’era un caleidoscopio di luci e colori diversi, alcuni piu' accesi, altri piu' spenti. Ero uno spettacolo incredibile. Improvvisamente come era cominciata, l’esperienza di viaggio termino' e lui cadde a terra. Sbatte' contro il terreno abbastanza duramente ma la corazza di cuoio attenuo' l’urto.
Massaggiandosi il fondo schiena si alzo' e si guardo' intorno con curiosita'. Era finto in mezzo a un bosco di conifere. Il sole splendeva nel cielo, oltre le cime degli alberi, in una splendida giornata primaverile. Si accorse che non indossava piu' i suoi vestiti, quelli che aveva quando era a Faerie, ma brache di tela, giacchetta, una corazza di cuoio leggero, schinieri e copribraccia sempre di cuoio. La sua spada pendeva dal suo fianco e sentiva, nella tasca dei suoi pantaloni, il rassicurante freddo dello specchietto. Si guardo' intorno. Chissa' dove si trovava... o meglio chissa' in che tempo si trovava. Se i suoi vestiti erano mutati per adattarsi a quel periodo storico, poteva essere in qualunque tempo prima del 1300. Ed ora cosa avrebbe dovuto fare? Sembrava fosse da poco passato mezzogiorno anche se non ne era sicuro visto che il suo orologio da polso era scomparso con il resto dei suoi abiti moderni.
Decise di mettersi in marcia, pur non sapendo dove andare.
Ora
Cammino' per mezza giornata e, quando il sole fu prossimo a tramontare, il cielo si oscuro' di nubi nere ed inizio' a piovere a dirotto. Menion decise che non era il caso di ripararsi sotto gli alberi, visto che tuonava, cosi' comincio' a correre alla ricerca di un riparo. La pioggia gli cadeva sul volto con violenza. Noto' un bagliore in lontananza e vi si diresse sentendosi come una falena.
Alla fine giunse all'ingresso di una caverna. All'interno erano accampate, davanti ad un fuoco caldo, quattro donne. La prima aveva capelli, occhi e pelle color ebano, fisico asciutto e slanciato, sembrava una pantera nera pronta a colpire. Il suo portamento indicava che era quella la donna che comandava, nei suoi occhi scorse una decisione incredibile ed anche un profondo odio. La seconda era l'esatto contrario, occhi verdi, capelli biondo platino e pelle candida, fisico alto e possente. Sembrava che il suo corpo fosse stato scolpito nel granito, solido e potente. La terza era una tipica donna greca, capelli neri, occhi neri e carnagione olivastra, fisico minuto ma estremamente atletico. Queste prime tre erano sicuramente delle combattenti, infatti due portavano delle spade mentre quella dai capelli quasi bianchi aveva, al fianco, un'enorme ascia a due mani. Inoltre indossavano delle corazze di cuoio leggero simile alla sua ma che lasciavano le spalle scoperte, schinieri e bracciali di metallo oltre ad un piccolo scudo rotondo. Da buon archeologo riconobbe subito le tre guerriere come appartenenti ad un gruppo di persone dell'antica Grecia, le Amazzoni.
L'ultima invece era completamente diversa. Capelli castano chiari, carnagione rosea, fisico minuto ma ben proporzionato ed occhi di un colore indefinito, tra il verde e l’azzurro. Portava un vestito verde e pantaloni di cuoio scuri. Agganciato dietro la schiena aveva un lungo mantello granata e calzava leggeri stivali di cuoio. Era armata con un lungo bastone nodoso ed al suo fianco, aveva un borsone di stoffa nera.
"Posso dividere con voi la caverna?", cerco' di mantenere la voce ferma nonostante gli ansimi dovuti alla fatica. Subito si chiese se lo avrebbero capito, d’altronde lui aveva parlato come al solito nella sua lingua.
"No", fu la secca risposta della donna di colore, "Ed ora vattene!"
"Per lo meno ora so che quello che ha cambiato i miei vestiti mi fa anche comprendere e parlare come loro", si consolo' lui, poi si volto' verso l'esterno ed osservo' la pioggia ed i fulmini cadere, indeciso. Torno' a fronteggiare le donne.
"Beh, preferisco incorrere nelle vostre ire piuttosto che in quelle di Zeus", poi si sedette vicino all’uscita. La caverna era abbastanza piccola da fare si' che si trovasse solo a pochi metri dal fuoco delle amazzoni. Le tre lo scrutavano con sospetto. Lui le guardo' diritto negli occhi.
"Sono solo un viandante che e' stato sorpreso dalla tempesta", intanto si stava strizzando una manica della sua camicia, "E poi sono sicuro che mi battereste facilmente se lo voleste"
Ci fu di nuovo un attimo di silenzio tra loro.
"Conosci la strada per Anfipoli?", a parlare con voce dolce era stata la ragazza che portava il bastone. Le altre le lanciarono un'occhiataccia che lei ignoro'.
"No, mi spiace", si affretto' a rispondere lui, "Sono straniero di questi posti...", fece una pausa pensando se dire di piu', "...potremmo cercare la strada assieme..."
"Non se ne parla neppure!", ruggi' la donna greca.
"E perche'?", chiese con aria ingenua la prima ragazza.
"Non capisci che probabilmente cerca solo un pretesto per derubarci o ucciderci?", a parlare era stata di nuovo la donna di colore.
"Mettiamo le cose in chiaro", intervenne Menion seccato, "Conosco le amazzoni per la loro fama e capisco che dubitiate degli uomini ma io non sono ne' un ladro, ne' un assassino", si fermo' un attimo a guardarle poi aggiunse mormorando, "In piu' vi confesso che non so combattere, ne' tantomeno potrei mai fare del male ad una donna..."
"Se e' vero che non sai combattere sei uno stupido!", gli rispose la donna armata d'ascia con accento nordico, "Ora che lo sappiamo potremmo attaccarti per derubarti"
"Oh, so perfettamente che non corro rischi con voi", continuo' il ragazzo attirando gli sguardi interessati di tutte e quattro le donne, "Da quello che so, le amazzoni sono persone onorevoli e non si abbasserebbero mai ad uccidere qualcuno per derubarlo"
In effetti era una cosa che aveva scoperto quando aveva cominciato ad interessarsi della mitologia Greca con metodo scientifico. Ora sapeva che i cosiddetti ‘eroi’ erano per la maggior parte degli stupratori, vili e codardi, anche i piu' famosi, mentre le ‘mostruosi’ amazzoni, dimostravano una lealta' ed un onore unico.
Gli sguardi delle altre rimasero sospettosi ma persero l'iniziale odio che li caratterizzava.
"Si vede che non sei di queste parti", affermo' la donna greca stupita.
"No, vengo da molto lontano...", fece una pausa cercando di trovare un luogo abbastanza lontano, "...vengo da un paese che sta oltre le Colonne d'Ercole. Mi chiamo Menion"
"Non ho giurato di dire sempre la verita'?", si chiese, "Eppure adesso mento... ma non posso dire loro che vengo dal futuro!"
"Che diavolo di nome e' Menion!", esclamo' la donna di colore.
In effetti era una domanda che si era posto piu' volte. Suo padre era un francese puro sangue, Christian DeVille, sua madre un’italiana, Carla Parodi. Da dove avessero tirato fuori il nome Menion non lo sapeva. Quando lo aveva chiesto anche loro erano rimasti indecisi su cosa rispondere.
"E’ la prima cosa che chiesi a mia madre quando imparai a parlare!", rispose lui sorridendo.
Incredibilmente vide le quattro amazzoni sorridere piacevolmente con lui poi, addirittura, lo invitarono a scaldarsi vicino al fuoco.
"Io mi chiamo Olimpia", si presento' la ragazza con il bastone, "Lei e' Pentea", continuo' indicando la donna greca, "Lei Frida", indico' quella armata d'ascia, "E lei Aura", fini' indicando la donna d'ebano.
"Posso fare una domanda?", le altre annuirono, "Loro sono amazzoni...", disse indicando Pentea, Frida ed Aura, "...si capisce dall'abbigliamento e dalle armi, ma tu?", fini' rivolto ad Olimpia.
"Anche io sono un’amazzone ma in modo diverso", rispose lei, "Vivevo in un piccolo villaggio dell’Attica ma poi la voglia di diventare un Aedo mi fece andare verso Atene", inizio' a spiegare, "Passai diverse disavventure ed alla fine fui accolta dalle amazzoni come una di loro"
Gli Aedi erano i bardi dell'antica Grecia ed erano molto importanti visto che la maggior parte delle storie era tramandata attraverso di loro. Olimpia doveva essere davvero una ragazza speciale per voler fare quel lavoro, visto che non vi era notizia di Aedi donne... che fosse lei la persona che era stato mandato a proteggere?
"Cosa vi porta ad Anfipoli?", chiese ancora Menion. Le amazzoni lo guardarono male, "Se non volete dirmelo e' lo stesso", aggiunse in fretta.
"Ed a te cosa ti porta qui?", chiese Pentea sospettosa.
"Sono in missione", disse ed anticipo' la domanda seguente continuando, "Devo salvare una persona"
"Chi?", chiese incuriosita Olimpia.
"Non lo so ancora", sospiro', "Faccio parte di un ordine speciale di cavalieri..."
"Ma tu non hai il cavallo!", esclamo' Frida.
"Ah, che stupido!", si disse lui, "In quest’epoca il termine cavaliere non viene ancora accostato a quello di persona dedita alla giustizia ma solo a truppa a cavallo! Mi sa che ho fatto una gaffe storica!"
"Mi sono spiegato male", cerco' di correggersi, "Nel mio paese cavaliere, ha un significato diverso. Diciamo che faccio parte di un ordine di persone dedite alla protezione degli innocenti", si, come spiegazione poteva andare, "Una... uh... sacerdotessa... mi ha ordinato di venire qui per salvare una persona, ma sapro' chi e' solo quando l'incontrero'"
Dopo quella spiegazione Menion si accorse d'avere sonno e cosi' si congedo' da loro e si sdraio' a terra poco distante. Purtroppo per lui non aveva mai dormito sulla nuda terra e non riusci' ad addormentarsi subito.
"Sta dormendo?", era la voce di Pentea a parlare.
Il ragazzo senti' che qualcuno gli si avvicinava e lui finse di dormire.
"Si, ma usiamo la nostra lingua... cosa dovremo fare di lui?", rispose Frida.
"Ho un piano", disse Aura, "Gli daremo la possibilita' di accompagnarci e poi manderemo lui a fare lo scambio, cosi' se Gerione cerca di tradirci...", lascio' in sospeso la frase.
"Ma non ci ha fatto nulla di male...", inizio' a protestare Olimpia ma immediatamente fu fermata.
"La decisione e' presa oramai!", fini' secca Pentea.
Dopo aver ascoltato quella discussione Menion riusci' ad addormentarsi.


NOTE: Prima di tutto volevo ringraziare chi ha recensito i precedenti capitoli, grazie grazie grazie davvero e scusate se non vi ho ringraziato subito!

Elos: grazie per la recensione e non preoccuparti se non sei riuscita a lasciarmene una per ogni capitolo, tu hai già letto tutto il racconto e mi hai già dato il tuo giudizio! Comunque grazie mille lo stesso!

debbie95: grazie per l'incoraggiamento e l'entusiasmo :D mi raccomando, fammi sapere se qualcosa ti stona o non ti piace!

redarcher: grazie per la fiducia di aver inserito la mia storia tra le tue preferite. Spero che quando arriverai in fondo non ti ricrederai!

Ciao a tutti ed ancora grazie! :D

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Capitolo 6
*** L'inizio del viaggio ***


   La mattina dopo si sveglio' proprio all'alba. Quando si alzo' scopri' che il suo corpo non aveva accettato bene il fatto di non dormire piu' su di un comodo materasso. Infatti non c'era parte di se' che non fosse dolorante, ma trangugio' il dolore e si alzo'. Si accorse anche che le amazzoni erano gia' pronte e stavano sellando due cavalli.
"Puoi unirti alla nostra carovana", Pentea parlo' sorridendo, "Andremo al passo cosi' non ti distanzieremo", lui annui' e si mise in marcia dietro alle cavallerizze.
Olimpia camminava al suo fianco insieme a Frida, e sembrava d'umore cupo. Dopo un'ora di cammino la ragazza fece in modo che rimanessero leggermente indietro e poi gli parlo'.
"Menion devi andartene...", inizio' a dirgli sottovoce.
"Non preoccuparti", la fermo' lui, "Ho sentito cosa vi siete dette ieri sera"
"Ma abbiamo parlato usando la lingua segreta delle amazzoni!", sussurro' la ragazza esterrefatta.
"Pensi che l'ordine di cavalier... il gruppo di cui faccio parte, mandi delle persone completamente prive di mezzi in missione?", gli rispose lui, "Comunque mi ha fatto piacere che tu ti sia preoccupata per me", fini' sorridendogli.
"Non farti strane idee", si affretto' a dire la giovane, "Io non voglio tradire le mie amiche e' solo che, ogni tanto mi trovo in disaccordo con loro", sospiro', "Sara' il fatto che non sono nata amazzone oppure che non ho mai ucciso nessuno e non credo che ne avrei il coraggio..."

   Viaggiarono per tutta la giornata ed al tramonto si accamparono vicino alla strada. Accesero il fuoco e mangiarono la cacciagione che le amazzoni avevano catturato durante il giorno.
Menion quando vide che luna era alta nel cielo si allontano' con una scusa. Prese il piccolo specchietto dalla sua tasca e vi fece riflettere i raggi d'argento, subito Tintinnio apparve come se fosse nello schermo di un minuscolo televisore.
"Ciao Menion, tutto bene?", la fata gli sorrise, "La persona che devi proteggere e' una donna. Si chiama Aura ed e' un'amazzone", l'immagine della scura guerriera apparve per un attimo.
"Sei sicura?", il ragazzo non era del tutto contento della notizia.
"Si", rispose risoluta Tintinnio, "Ora devo andare, contattami domani", fini' e l'immagine scomparve.
Menion torno' all'accampamento e si sedette intorno al fuoco con le altre. Passarono diversi minuti senza nulla di strano, poi, improvvisamente, senti' che la spada al suo fianco stava fremendo. Senza badarci appoggio' una mano sull'impugnatura e senti' che era calda. Improvvisamente dalla lama si irradio' un’ondata di energia, poteva definirla solo cosi', che si insinuo' dentro di lui come una scossa elettrica. Era una sensazione piacevole ed esaltante allo stesso tempo.
Si volto' e noto', con stupore, che da dietro un cespuglio, stava spuntando un arco. Vide partire una freccia diretta verso il campo, precisamente verso Aura. Si lancio' verso la donna, piu' per puro istinto che per altro ed incredibilmente scopri' di muoversi piu' veloce del dardo. Era come se tutto il mondo, tranne lui, fosse rallentato. Raggiunse la schiena della donna ed afferro' al volo lo strale bloccandolo. Un attimo dopo, tutto riprese a scorrere a velocita' normale.
L'amazzone si volto' e, dopo aver dato un'occhiata alla freccia, gli lancio' un rapido sguardo, infine si alzo' ed estrasse la spada con un unico fluido movimento. Dai cespugli sbucarono una decina di guerrieri corazzati ed armati di spade e subito inizio' una furibonda battaglia. Aura, mostrando un'incredibile abilita' impegno' tre uomini, Frida e Pentea due a testa mentre Olimpia si difendeva egregiamente con il suo bastone. Menion si ritrovo' a fronteggiare un solo avversario. Con la spada in pugno paro' gli affondi dell'altro e si stupi' perche', come era successo poco prima con la freccia, quando il suo avversario tentava un affondo lui riusciva a vederlo rallentato e quindi a pararlo o schivarlo facilmente. Alla fine riusci' a disarmare il guerriero che, vedendosi battuto scappo'. Il ragazzo si guardo' intorno e noto' che le amazzoni avevano gia' la situazione in pugno, Olimpia aveva allontano un avversario e stava per stendere anche il secondo.
Il ragazzo senti' come una forza che lo costringeva a girarsi e, quando lo fece, vide una figura a cavallo che lo guardava a sua volta. Sicuramente era il capo di quegli uomini. Ma non fu questo a farlo rimanere, per un attimo, allibito. Fu il fatto che l'uomo, guardandolo piu' accuratamente, aveva un 'contorno nero' intorno alla sua figura e gli occhi brillavano rossi. Era simile al Segugio che lo aveva inseguito ma meno scuro e terrificante. Immediatamente capi' che era lui il suo avversario, l’emissario del Male che avrebbe cerato di uccidere Aura. Quando comprese quelle cose, si lancio' di corsa verso di esso con l'intenzione di fermarlo ma l'altro sprono' il cavallo e spari' nella notte. Intanto la situazione si era calmata. Le amazzoni stavano pulendo le armi e rimettevano a posto il campo. Si sedettero le une a fianco delle altre ed anche Menion le raggiunse.
"Ho bisogno di sapere cosa andate a fare ad Anfipoli", la sua voce era calma.
Le amazzoni lo guardarono diffidenti.
"Capisco che non vi fidiate di me in quanto uomo", aggiunse il ragazzo, "Ma dovrete farlo. Ieri sera vi ho detto che era venuto qui per salvare una persona ma non sapevo chi fosse. Ora lo so", affermo' sicuro, poi si giro' verso Aura, "Sei tu"
Ci fu un attimo di silenzio poi la donna parlo'.
"Mi hai salvato la vita e quindi ti devo un grande favore", la sua voce tratteneva a stento la rabbia, "Stiamo andando ad Anfipoli per salvare una di noi che e' stata rapita dal re di Atene Teseo, il suo nome e' Antiope"
Improvvisamente Menion capi'. Aveva studiato quella storia all'universita'. Ercole ando', per compiere una delle sue dodici fatiche, a rubare la cintura della regina delle amazzoni, Ippolita. Durante quell'avventura la regina mori' e Teseo, che accompagnava l'eroe, aveva rapito Antiope e l'aveva portata ad Atene. Lui sapeva che un esercito d'amazzoni sarebbe sceso dal suo paese per affrontare quello dell'Attica. Dopo lunghe battaglie, con un tranello sarebbe stato distrutto e dopo di allora non si sarebbe piu' sentito parlare delle amazzoni.
Ma sapeva anche che a causare la disfatta di quell'armata di donne, era stato il tradimento della stessa Antiope, che si era innamorata del greco. Il suo tradimento fu ripagato con la morte, proprio per mano di colui che amava, Teseo.
Una brutta storia, anche perche' non si parlava del ruolo di Aura. In effetti, si disse, se lui non fosse intervenuto ora l'amazzone sarebbe morta e la sua missione sarebbe fallita.
"Verro' con voi", decise e poi aggiunse, prima che le sue compagne potessero protestare, "Se non volete farvi vedere con un uomo mi terro' a distanza, ma ho una missione da portare a termine", fini' guardando Aura, "E non intendo fallire"
Per il resto della notte nessuno parlo' piu'.

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Capitolo 7
*** Dopo la battaglia ***


   Il viaggio riprese all'alba. Menion aveva dormito male, perche' aveva cercato di pensare come affrontare quella cosa. Per sua fortuna i suoi studi e la sua passione per la Mitologia Greca, gli facilitavano il compito. Per lo meno sapeva chi erano tutti i 'personaggi famosi' che sentiva nominare e capiva le battute su dei ed eroi.
Mentre riprendevano il cammino si accorse che Olimpia si teneva a distanza mentre Frida gli si avvicino' di piu'. Anche se disse che lo faceva perche' era rimasta impressionata dal suo modo di combattere, Menion capi' che lo faceva piu' che altro per tenerlo d'occhio. Durante la sosta che fecero per il pranzo pero', il ragazzo non resistette piu' e si sedette di fianco ad Olimpia. Si stupi' della sua azione anche perche' non voleva fare colpo sulla ragazza. Non che non fosse bella, anzi, ma a lui interessava solo mettere le cose in chiaro. D'altronde la giovane aveva rischiato molto a dirgli di fuggire e lui si sentiva in debito con lei.
"Perche' stai cercando di evitarmi?", chiese e poi anticipo' la sua possibile risposta, "E non dirmi che non lo stai facendo"
Olimpia rimase in silenzio distogliendo lo sguardo. Poi alzo' il viso e fisso' gli occhi su di lui, ma non disse nulla.
"Perche' dovremmo crederti?", chiese infine, "Ci hai mentito"
"Non e' vero", rispose il ragazzo non capendo a cosa si riferisse la giovane, ma poi intui' la cosa, "Quando vi ho incontrate per la prima volta vi ho detto che non sapevo combattere ed era vero. So che puo' sembrare assurdo e capirei se non mi credessi, ma io prima di ieri non avevo mai affrontato nessuno in combattimento", sospiro' distogliendo lo sguardo dai suoi occhi azzurri, "Non so come sono riuscito a fare cio' che ho fatto", fece un'altra pausa, "Sai e' strano, per me e' la prima missione e tutto sta accadendo cosi' in fretta... Tutti gli eventi mi stanno travolgendo e trasportando come l'onda di un fiume in piena"
"E' difficile da credere", mormoro' la ragazza, "Mi stai dicendo la verita'?"
"Si", rispose semplicemente lui, "E' importante che tu mi creda", era vero, forse soprattutto perche' se qualcun altro ci avesse creduto anche per lui sarebbe stato piu' facile farlo.
"E va bene ti credo", disse infine Olimpia regalandogli un sorriso.
Alla sera giunsero ad Anfipoli. Era un grande paese, per gli occhi di Menion ma per le donne era una vera metropoli, difesa da possenti mura di legno. Entrarono all'interno e si diressero verso una locanda. Il ragazzo noto' diverse persone, sia uomini che donne, guardare con sospetto e paura le amazzoni. Il taverniere accetto' di ospitarli solo dopo che gli fu fatto vedere il denaro, che Menion come per magia aveva trovato in una tasca.
Dopo la cena ad Olimpia fu dato il permesso di intrattenere gli avventori raccontando una storia. Fu un successo. La ragazza aveva davvero del talento a narrare ed alla fine guadagno' anche piu' denaro di quanto ne avevano speso per la stanza ed il vitto.
Una cosa che aveva molto colpito Menion, da quando si era messo in viaggio con le quattro amazzoni, era l’igiene di quest’ultime. Aveva sempre creduto che l’igiene fosse "un’invenzione moderna" e che fosse figlia del fatto che tutte le case avevano l’acqua corrente. Sapeva anche che ai tempi del Medioevo ed anche successivamente nelle opalescenti corti dei re dei secoli successivi, il lavarsi non era considerato importante. Ed invece li', approssimamene piu' di cinquemila anni prima della nascita di Cristo, quelle donne l’avevano fatto ricredere. Alla fine di ogni giornata di cammino riuscivano a trovare un ruscello o un fiume in cui poter fare il bagno; utilizzavano dei bastoncini di legno per lavarsi i denti e una specie di cenere come sapone. Alla fine di ogni giornata si erano lavate di tutto il sudore e la polvere accumulati durante il giorno e profumavano di pulito.

   Il mattino dopo Menion si sveglio' presto e riusci' cosi' a non essere seminato dalle donne. Aveva infatti sospettato che avrebbero cercato di lasciarlo indietro ma lui riusci' ad anticiparle. Scopri' che dovevano incontrarsi con un certo Gerione, un poco di buono, per trattare un passaggio in incognito fino ad Atene. L'incontro avvenne fuori della citta', in un bosco. Menion segui' le amazzoni che lo accettarono come una seccatura. La discussione fu breve e portata avanti da Aura e dall'uomo. Alla fine Gerione sembro' infuriarsi per qualcosa ma si trattenne e poi strinse la mano alla donna. Menion era tranquillo, la sua spada non dava alcun segno di vita e da quello che aveva capito questo era una cosa buona. Ma mentre Aura si allontanava dando le spalle all'uomo, questi estrasse un lungo pugnale. Piu' per istinto che per altro il ragazzo corse verso l'amazzone e la raggiunse proprio mentre Gerione lanciava la sua arma. Aura lo guardo' sorpresa e inconsapevole di stare rischiando la sua vita, poi Menion la spinse di lato.
Un attimo dopo lui giaceva sul terreno con un tremendo dolore al fianco. Abbasso' lo sguardo e noto' la sua veste era bagnata da del liquido rosso che colava anche sulla sua corazza di cuoio. Non ebbe il tempo di fare altro perche' poco dopo perse i sensi.



NOTE: ringrazio ancora tutti coloro che continuano a leggermi, grazie grazie!

Mi raccomando, fatemi sapere le vostre impressioni. :)

Bersa: grazie mille per aver inserito la mia storia tra quelle da ricordare! :-)

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Capitolo 8
*** Spiegazioni ***



   Quando si sveglio' disteso a terra, nel cielo brillavano le stelle. Per un istante temette di essere stato abbandonato dalle donne, ma poi volto' il capo e noto' che le amazzoni stavano poco distanti a badare ad un fuoco da campo. Cerco' di alzarsi ma un dolore lancinante gli colpi' il fianco e cosi' ricadde disteso lanciando, suo malgrado, un gemito.
"Ti sei svegliato finalmente", esclamo' Aura avvicinandosi, "Salvarmi la vita sta diventando un'abitudine per te", la sua voce non nascondeva una certa irritazione per la cosa.
"Come sto?", chiese lui in risposta.
"Per tua fortuna il pugnale ti ha preso di striscio e non ha colpito nessuna parte vitale", gli rispose Olimpia, "Ti abbiamo bendato la ferita"
"Ora dormi, e' l'unica cosa che puoi fare per riprenderti", gli ordino' Aura e poi accompagno' piu' lontano anche l'altra ragazza perche' non lo disturbasse.
Menion, con uno sforzo che gli sembro' mostruoso, riusci' a tirare fuori lo specchietto e poi vi fece riflettere i raggi della luna. Pochi istanti dopo apparve il volto preoccupato di Tintinnio.
"Come stai?", chiese cercando di mantenere calma la voce.
"Bene, ma non grazie alla tua spada!", protesto' sottovoce lui.
"Scusa", mormoro' la fata, "Ma potrai usare la magia della spada solo se c'e' di mezzo l’emissario del Male"
"Non capisco", rispose Menion confuso.
"Ti ho detto che i Cavalieri di Faerie sono incaricati di fare in modo che la storia proceda senza interventi", inizio' a spiegare, "Aura, nel tuo caso, dovra' svolgere una missione molto difficile ed il tuo compito consiste nel proteggerla dal male ma non dal suo destino"
"Vuoi dire che la pugnalata di Gerione era scritta nel suo destino e doveva arrivargli anche se io potevo impedirlo?", chiese stupito il ragazzo.
"Si", rispose Tintinnio, "Vedi, hai gia' fatto un bel guaio salvandola. Noi dobbiamo preservare il giusto compimento della storia, sono i nostri nemici che cercano d'alterarlo. La magia ti aiutera' solo contro di loro, contro le altre persone normali e' del tutto inutile"
"Ma perche' non mi hai spiegato tutto questo ieri sera?", chiese Menion per cambiare discorso.
"Lo Specchio non era ancora pronto per collegarmi con te", rispose la fatina, "Non lo sarebbe neppure ora se il Primo Cavaliere non ci avesse concesso il suo tempo"
"Primo Cavaliere?", si chiese ancora piu' confuso, "Sentimi Tintinnio, io ho accettato questa storia solo perche' pensavo di potere fare del bene. Se non posso salvare Aura, che sta dalla parte giusta, come faccio a..."
"Vedo che non hai capito niente...", la fatina scosse il capo frustrata, "Aspetta, ti spiego come sarebbe andata se tu non avessi alterato tutto. La pugnalata avrebbe ferito Aura ad una spalla, di conseguenza le sue compagne avrebbero interrotto la loro missione e l’avrebbero portata indietro. Nessuna delle tre avrebbe partecipato alla battaglia contro l’esercito di Atene e, proprio loro, sarebbero state le nuove fondatrici di un vero e proprio stato delle Amazzoni!"
"Ma come potevo sapere tutto cio'!", protesto' Menion, "Nella mia Terra non esiste uno stato delle Amazzoni! E poi, per quanto ne sapevo, quella pugnalata avrebbe potuto ucciderla!"
"Credi che ti avremmo mandato a salvarla dal male solo per vederla uccisa dal primo che capita?", la fatina era ironica, "So che per te e' difficile capire, ma devi adeguarti!", si voltò per un attimo, "Menion il tempo a nostra disposizione e' quasi finito", lo saluto' l'essere fatato, "Ma rifletti su di questo, ora, dopo il tuo intervento, chi ti dice che Aura stia dalla parte giusta? Non sai neppure cosa vuole fare ad Atene o a Teseo!"
Dette queste parole l'immagine scomparve ed il ragazzo rimase solo, a fissare il suo ritratto nello specchio ed a riflettere sui suoi foschi pensieri.





Graaaaaazie a tutti voi che continuate a leggermi!!!!

Beatrix Bonnie: grazie mille per le recensioni mi sono molto molto utili (e sono anche utili al mio ego! ^_^). Si in effetti non mi sono soffermato molto nell'introspezione per la scelta ma... attendi la fine lì un pochino di più c'è. ^_^ Tieni anche presente che questa storia l'ho scritta un pò ti tempo fa, quindi pecca parecchio di inesperienza (seee la colpa alla storia... sono io che peccavo di insperienza!)

Targul: Grazie dello "inseguimento" della storia! Benvenuto a bordo!

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Capitolo 9
*** L'Allenamento ***



   La ferita non doveva essere poi cosi' grave, visto che l'indomani si sentiva gia' molto meglio e riusci' ad alzarsi per mangiare. Durante la notte aveva maturato un'idea. Aveva capito quello che gli aveva detto la fata ed aveva deciso che avrebbe aiutato quelle amazzoni... anche solo per controllarle. Ma per farlo non avrebbe potuto contare sulla magia ma solo su se' stesso, e come combattente non valeva molto. Cosi' chiese alle amazzoni un favore, quello di essere allenato da loro. Non menti' e gli riferi' dei suoi poteri magici. Le donne rifletterono sulla richiesta per tutto il giorno ed alla sera Olimpia lo raggiunse e gli disse che lo avrebbero aiutato. A convincerle era stata Aura che pensava, cosi' di sdebitarsi con lui.

Pochi giorni dopo ripresero il viaggio. Visto che Gerione non li avrebbe aiutati, Menion sospettava che lo avessero ucciso per il tradimento anche se non ne poteva essere sicuro, le amazzoni decisero di fare un largo giro per raggiungere Atene; cosi' salirono a bordo di una nave di mercanti che commerciava anche con le citta' dall'altra parte dell'Egeo. Avrebbero impiegato tre settimane per giungere alla capitale dell'Attica e durante quel periodo gli fu impartito un duro allenamento.

Si svegliava all'alba e fino a mezzogiorno si allenava nel corpo a corpo con Frida. All'inizio, con una certa malizia, aveva sorriso all'idea di battersi con la donna del nord, ma dopo il loro primo incontro aveva cambiato idea. Menion infatti finiva quegli scontri sempre pieno di lividi e dolorante. La sua insegnate glielo aveva detto, anche quello gli sarebbe servito, per rafforzarlo.

Dopo la pausa per il pranzo, che a lui pareva un paradiso, lavorava con Pentea che gli insegnava l'uso dei pugnali e dell’arco e poi con Aura che gli insegnava la scherma.

Alla sera riusciva a stento a mangiare la cena per la fatica e poi si lasciava cadere sul suo giaciglio sfinito. Per sua fortuna la cabina di Olimpia era a fianco della sua e la ragazza, prima di addormentarsi, ripeteva a voce alta le sue storie. Il poter ascoltare la voce dell'Aedo era la parte della giornata che amava di piu', perche' quelle storie lo aiutavano a dimenticare le fatiche appena passate ed a prendere sonno.




Nessuna rivelazione epocale, capitoletto corto e di puro passaggio come quello che seguirà. Un pò per riprendere il fiato prima dello sprint finale.

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Capitolo 10
*** Menion de Bergerac ***


   Dopo due settimane di quella vita pero' aveva imparato a conviverci ed in piu' stava facendo dei progressi. La mattina prima era riuscito, per la prima volta, a stendere Frida, anche se lui sospettava che la donna si fosse fatta battere per non demoralizzarlo troppo. Il pomeriggio era riuscito a centrare il bersaglio di Pentea col pugnale. L'unica che non riusciva minimamente a battere era Aura, che sembrava invincibile. La sera si senti' meno stanco del solito e decise di restare sul ponte della nave. Cosi' fece e si sdraio' a guardare le stelle ed a pensare al futuro.
"Ti disturbo?", chiese Olimpia. Lui le indico' il posto vicino a lui e la ragazza si sedette, "Stai migliorando molto", inizio' l'Aedo, "Le mie compagne erano sicure che avresti ceduto prima della fine della prima settimana"
"Sono andato vicino a farlo", rispose franco il ragazzo, "Ma non potevo", fece una pausa, "Dimmi, racconterai questa avventura una volta che sara' finita?"
"Penso di si'", rispose la ragazza.
"Mi piacerebbe sentirti", continuo' Menion, "Almeno sentire come mi descriverai"
Un silenzio imbarazzato calo' tra di loro.
"Sai cosa mi piacerebbe ora?", chiese improvvisamente il ragazzo per rompere il ghiaccio. Quando la ragazza fece cenno di no con la testa lui prosegui', "Vorrei proprio un bel pezzo di cioccolato"
"E cosa e'?", chiese Olimpia.
Menion capi' di aver fatto un’altra gaffe, infatti la cioccolata veniva fatta con il cacao che era una pianta americana ed essendo in un periodo storico antecedente alla scoperta dell'America...
"E' un dolce del mio paese", rispose senza scomporsi, ormai si era quasi abituato a trovare una risposta rapida ai suoi strafalcioni, "E' molto buono"
"Mi hai incuriosito", gli disse la ragazza.
Il ragazzo fece una prova, aveva infatti scoperto che, ogni volta che doveva pagare qualcuno, gli bastava cercare in tasca per scoprirvi la cifra richiesta. Cosi' infilo' una mano in saccoccia e cerco'. Quando estrasse la mano teneva in pugno una tavoletta di cioccolata. Sorrise compiaciuto.
"Guarda ne avevo un po' in tasca", disse ad Olimpia porgendogli il dolce.
La ragazza scarto' titubante il piccolo pacchetto e poi diede un morso alla tavoletta.
Un sorriso increspo' le sue labbra.
"E’ buono!", esclamo' sorridendo, e poi diede un altro morso.


Approdarono pochi giorni dopo e ripresero il percorso. Viaggiarono fino a mezzodi'. Poco tempo dopo il loro pranzo Frida, Pentea ed Aura si avvicinarono a loro e dissero che sarebbero andate avanti fino alla citta' per fare una ricognizione. Si sarebbero riuniti in un villaggio che distava pochi minuti dalla loro attuale posizione. Detto questo spronarono i loro cavalli e scomparvero alla vista. Interrogata sul fatto che l'avessero lasciata indietro Olimpia disse che erano solite farlo quando dovevano usare tutta la loro furtivita'.
Il loro viaggio prosegui' per un'altra ora ed alla fine giunsero al villaggio di Tristonio. Chiesero in giro a varie persone e scoprirono che le amazzoni non erano ancora arrivate e cosi' decisero di ascoltare lo spettacolo di un cantore, Arimeo, che era, anche lui, appena arrivato nel paese. Chiedendo in giro scoprirono che questi si era definito ‘il piu' grande di tutti i tempi’. Dubbiosi si sederono ad ascoltare su dei giacigli che erano stati disposti intorno ad un piccolo palco.
Il racconto inizio' e subito si accorsero che Arimeo non era un buon Aedo. Infatti invento' tutte le storie stravolgendole e, tra l’altro le racconto' senza enfasi. Olimpia s'infurio' quando questi defini' le amazzoni delle ‘combattenti senza costrutto e senza onore’.
"Come ti permetti di definirle cosi'!", gli urlo' perdendo la pazienza, "Scommetto che tu non hai nemmeno mai visto un’amazzone!"
"Come ti permetti tu di interrompermi", si indigno' lui, "Sei solo una contadina!"
Menion fu preso dall'ira, Olimpia e' stata buona con lui, si disse, ed era ora che contraccambiasse la sua gentilezza. Si accorse che quella situazione gli ricordava qualcosa e gli venne un’idea. Quando l’altro ricomincio' a recitare lui si alzo' dal suo posto.
"Non hai sentito la ragazza? Occorre che tu taccia, emetti un solo suono e ti sculaccio la faccia!", la sua voce aveva fatto ammutolire tutti. "Sapevo che imparare il ‘Cirano del Bergerac’ mi sarebbe servito", penso' divertito. Lo aveva imparato perche' la storia gli era sempre piaciuta e poi l'aveva recitata in una rappresentazione che era stata allestita nella sua universita' per raccogliere fondi per la beneficenza. Tutti gli occhi erano rivolti su di lui.
"Riprenda a recitare", alcune persone incitarono il cantore. A dire la verita' sembravano la sua ‘clac’, erano gli unici armanti, ben vestiti e soprattutto erano quelli che iniziavano tutti gli applausi.
Menion con uno sguardo ricco di rabbia li freddo' e poi s'avvicino' al palchetto.
"Vattene se non vuoi, che io ti strappi le orecchie, ti sbudelli e ti scuoi!"
Adesso anche le altre persone del villaggio rumoreggiavano ed incitavano Arimeo. Lui si giro' e ringhio' al pubblico.
"Io ordino, che non si muova foglia, e collettivamente sfido chi ne abbia voglia. Mi segno i nomi, avanti eroi d'ogni eta', distribuiro' dei numeri per le priorita'. Suvvia chi vuole aprire la gloriosa lista?", disse scendendo e dirigendosi verso una persona, "Voi signore? No?", poi ando' da un altro, "Voi? No?", torno' sul palco e si giro' verso il suo pubblico, "Il primo duellista sia certo che con tutti gli onori, nell’Ade, sara' spedito. Tutti quelli che vogliono morire, alzino un dito!", si guardo' attorno. Ora nessuno osava fiatare. Un'interpretazione da Oscar, si complimento' da solo sorridendo.
"Il pudore non tollera del vedere un'arma a nudo? Non un nome? Non un dito? Bene io qui concludo!", si giro' verso il cantore che fuggi' a gambe levate. Dagli spettatori parti' un applauso. Come e' facile far cambiare parere la gente, penso' divertito. Uno della clac, il capo probabilmente, gli si avvicino' e lo guardo'.
"Che aria arrogante, un contadino senza nemmeno un vestito decente, neanche una spilla ad ornarlo...", inizio'.
"Ma io e' moralmente che sono un figurino", lo interruppe Menion continuando a recitare con sempre maggior enfasi, "Io non uscirei mai cosi' per negligenza con la minima macchia sul cuore, con la coscienza gialla ancor di dormita nell'angolo dell'occhio, con l'onore sgualcito, gli scrupoli in ginocchio. Ma io procedo e sono in piena lucentezza, piuma d'indipendenza, pennacchio di franchezza", l’altro lo guardo' malissimo.
"Fetente, lercio, zotico, gran pezzo di villano", lo insulto'.
"A si, ed io Menion, Luis, DeVille, molto piacere", gli rispose tendendogli una mano. L’uomo non gradi' lo scherzo ed estrasse la spada. Anche Menion lo imito'.
"Adora queste uscite, le ama carnalmente!", gli disse indicando la lama della sua spada. Tintinnio gli aveva detto che la lama era magica ed il suo dovere primario come Cavaliere di Faerie era difendere gli innocenti. Ebbene, per lui Olimpia era un'innocente e quindi andava difesa. E poi si sentiva come posseduto da una strana sicurezza di se'. Probabilmente si stava cacciando in un guaio ma incredibilmente non se ne curava, gli sembrava tutto irreale. Sembrava di vivere un sogno in cui lui era il protagonista, l’eroe invincibile.
"Mentre spadacciamo comporro' all’improvvisata, una... ballata", rispose lui.
"Una ballata?", chiese l’uomo.
"Tre strofe, in rima ed una fine", spiego'.
"La tua fine!", disse arrogante l’avversario.
"Mia? Ballata del duello che in brutta compagnia, vinse DeVille senza nemmeno un graffio", disse a voce alta.
"E questo cosa sarebbe il titolo?", l’uomo era sconcertato.
"E' il tuo epitaffio", lo scherni' lui.
Si era creato uno spazio, la folla li attorniava a distanza di sicurezza. Menion lancio' uno sguardo a Olimpia e gli sorrise per rassicurarla ma, a dire il vero pero', voleva cercare di farsi rassicurare dal suo sguardo.
"Scelgo le rime", disse, "’Accio’ e ‘ono’ ho trovato", spiego'.
"Getto con grazia il cappellaccio...", disse e quando si accorse di essere a capo scoperto sorrise imbarazzato, "Lentissimamente abbandono il ferraiolo che mi da' impaccio...", si tolse la giacchetta, "E con il mio spadone tenzono", incrocio' la lama con quella del suo avversario. Si rese conto che l’altro non era un ‘virtuoso’ della spada e soprattutto si stupi' per il fatto che riusciva a vedere tutti i colpi che l’uomo tentava esattamente come quando la magia l’aveva supportato... solo che stavolta non sentiva la magia aiutarlo! Riuscendo a vedere gli affondi riusciva anche a pararli facilmente
"Celadone adesso qui sono, Scaramuccia re dello stocco, vi avverto o voi che canzono", continuo' bloccando il braccio dell’altro, "Che a fin di ripresa io tocco", fini' sfiorando con un dito l’uomo. Si divincolarono e continuarono a combattere.
"Neutral dovea restarvi il braccio...", disse parando un’altra volta, "Dove tacchino vi bastono? Nel fianco sotto il vostro straccio? Al petto dove il cuore ha trono?", le else delle spade si scontrarono con un suono metallico e lui continuo', "Le cocce ‘Tin’, senti che suono. Una mosca e viro e incocco e te poi non perdono", blocco' la spada dell’avversario un’altra volta, "Lied a fin ripresa, io tocco", gli disse sfiorandolo ancora.
"E mi manca una rima in Accio", continuo' a decantare arretrando, "Rinculate bianco di tomo, e per darvi il motto vi spaccio, paro l'affondo e vi abbuono l'idea di ripetermi il dono", si fermo' ed allargo' le braccia, "Invito il tuo tiro, lo blocco!", era spavaldo.
L’altro lo attacco' e lui paro' il colpo e fermo' la lama della sua spada sotto il suo piede.
"Reggi lo spiedo o ti abbandono, tanto a fin di ripresa io tocco", continuo' lambendo la giacca del suo nemico con un dito. Poi sollevo' il piede e lascio' libera la sua arma.
"Ripresa!", annuncio' a tutti e poi finalmente decise di attaccare. Compi' vari affondi di prova e trovo' il suo avversario impreparato.
"Principe chiedi a Dio perdono, io ho girato di quarto, io ho incoccato, io ho fintato", continuo' ad attaccare ed infine fece lo sgambetto all’altro che cadendo perse l’arma.
"Giusto a fin di ripresa ti ho toccato", fini' puntandogli la lama alla gola.
Un grande applauso risuono' tutto attorno. Si sollevo' a guardare la folla facendo un largo inchino, "Non riesco a capire come abbia fatto a farlo", penso' il ragazzo, "Ma comunque e' troppo bello, e' cio' che ho sempre sognato". Senza pensarci si giro' e fece per allontanarsi.
"Menion attento!", senti' la voce di Olimpia.
Lui si volto' e vide l’uomo che aveva appena battuto scagliarsi addosso a lui con la spada in pugno. Non sarebbe riuscito a fermarlo in tempo. Credeva di essere spacciato ma un pugno fermo' il suo carnefice che fini' a qualche metro di distanza privo di sensi. Lui senza fiato guardo' il suo salvatore e subito riconobbe chi era. Aura era in piedi davanti a lui con sul viso la solita espressione neutra.
"Grazie", riusci' a dire. La sua salvatrice gli lancio' uno sguardo duro ma alla fine annui' scrollando i capelli d’ebano.




Note: Allora per me è d'obbligo ringraziarvi, quindi: grazie, grazie, grazie, grazie mille, grazie diecimila, grazie millemila!
Grazie per essere ancora qui a leggermi, non sapete che piacere e che felicità mi date!
Una precisazione, la parte di "Cirano" di questo pezzo non è quella che si trova nelle traduzioni della piece teatrale ma è presa dalla traduzione italiana del film "Cirano de Bergerac", quello con Gerard Depardieu.

Rubs: grazie anche a te per aver aggiunto il mio racconto nelle storie da ricordare!

Beatrix Bonnie: Grazie mille! Sei gentilissima a recensirmi ogni capitolo ed i tuoi consigli mi fanno molto piacere e li terrò sempre a mente durante le mie prossime scritture.
Per quanto riguarda il nome di Menion, beh io l'ho sempre pronunciato come si scrive. Non è un nome francese (anche da qui il suo piccolo sproloquio quando si presenta alle amazzoni) l'ho scelto perchè... boh mi piaceva : )
Per Frida mi sono ispirato alla figura delle valchirie hai ragione, effettivamente mi piaceva l’idea di avere tre amazzoni “diverse” (nordica, greca e di colore). Ammetto che delle tre, solo Olimpia (la quarta!) è delineata pi in profondità ed ha una psicologia forte. Anche Aura è un po’ una macchietta, nel senso che è stata creata "solo per la parte" (non sò se mi spiego).
Effettivamente, ora che me lo dici, ammetto che avrei potuto ricamarci, allungare il racconto con maggiori descrizioni e maggiore approfondimento dei personaggi... ma è nato così. Ti confesso che anche l’altro racconto di Menion che ho scritto (pardon che sto scrivendo, visto che non è ancora finito) è sullo stesso stile. Veloce, che non si prende troppo sul serio e senza troppi fronzoli. Penso che sia proprio “il genere” (se mi passi questo termine) che mi spinge a scriverli in questo modo.
Chiudo ringraziandoti ancora e mi riprometto di sdebitarmi (se ti fa piacere) leggendo le tue opere (appena il lavoro mi da un po’ di tregua :-s) e dicendoti le mie impressioni!

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Capitolo 11
*** Ma cosa è un bacio? ***


La sera cenarono alla locanda del paese. Olimpia aveva raccontato alle altre il modo in cui Menion aveva preso in giro quell'uomo, finendo per umiliarlo. Ora che si era riunito alle altre donne il ragazzo si sentiva molto piu' al sicuro, ma si sentiva anche un po’ abbandonato. Infatti non aveva piu' avuto l’occasione di parlare, se non per frasi di circostanza, con Olimpia. Si era ripromesso di non chiedere nulla ad Aura sulla perlustrazione perche' l'aveva vista abbastanza ‘scocciata’ nonostante gli avesse salvato la vita annullando quindi almeno uno dei debiti che lui aveva con lei.
La sera affittarono delle stanze, lui si ritrovo' nell’unica camera singola. Stava per spegnere il lume per vedere se la luna emanava i suoi raggi d'argento quando senti' bussare alla porta. Ando' ad aprire e si sorprese quando vide che la sua ospite era Olimpia.
"Posso entrare?", la sua voce era quasi un sussurro.
Lui si fece da parte e lei si ando' a sedere sul suo letto.
"Cosa posso fare per te?", Menion gli si sedette a fianco.
"Volevo parlarti", fece una pausa come per trovare le parole e poi riprese, "Prima di tutto ti volevo ringraziare per avere difeso le mie idee oggi, quando hai battuto il tuo avversario. Sembrava un giocattolo completamente in balia tua"
"Non ce ne' bisogno, anche a me pareva: ‘Un cane insensibile che abbaia a squarcia gola e che solleva, neanche fosse Atlante con il mondo, il verso che senz’ansimo san volare’", rispose lui, poi scosse il capo e riprese, "E’ una bugia, perche' ‘Io oggi ho spadacciato, amica con i balocchi, non per una brutta poesia, ma per i tuoi bei occhi’"
"La seconda cosa e' proprio la tua poesia", continuo' la ragazza fingendo di non averlo sentito, "Quei versi che hai usato prima e durante il duello erano tuoi?"
"No, non sono farina del mio sacco, sono tutti del ‘Cirano de Bergerac’", rispose lui sincero, "E' una rappresentazione teatrale del mio paese"
"Bene, perche' ti volevo chiedere un favore. Potresti recitarmi alcuni altri brani?", ora la sua voce era piu'... come dire... calda.
"Con vero piacere. Di che tipo: d’amore, di guerra...", Menino era divertito da quella richiesta.
"D’amore", fu la rapida risposta della ragazza.
"Come vuoi. Ma perche' questa richiesta?", ora si era incuriosito.
"Forse dopodomani entreremo ad Atene e, se ci scoprissero, potremo anche morire. Non voglio farlo senza aver sentito quei versi", gli spiego'.
Perche' mi sta dicendo questo, si chiese il ragazzo sempre piu' turbato. Scaccio' quei pensieri, si schiari' la voce. Si affretto' a spiegare, con poche parole, la trama generale, poi parlo'.
"La scena e' questa, Cirano e Cristiano sono sotto la finestra di Rossana ed il poeta, nascosto, detta cosa dire, per conquistare la ragazza, all’altro. Ma ad un tratto lei si accorge che Cristiano balbetta e gli chiede perche' le sue parole sono cosi' lente. Velocemente Cirano prende il posto di quest’ultimo e risponde: E che e' notte, e le mie parole cercano a tastoni nell’ombra il vostro orecchio"
Pero' non va bene, si disse dopo aver recitato quella frase, mi serve una risposta.
"Olimpia", chiese imbarazzato, "Dovresti aiutarmi rispondendomi"
"E cosa dovrei dire?", fu la risposta della ragazza.
"Quello che pensi sia giusto, d’altronde sei o non sei un Aedo?", le sorrise per incoraggiarla e poi riprese, "E che e' notte e le mie parole cercano a tastoni nell’ombra il vostro orecchio"
"Ma le mie pero' arrivano subito", disse Olimpia. Fu il turno di Menion di rimanere allibito.
Come faceva a sapere che doveva dire proprio quella frase? Scosse il capo e continuo'.
"Trovano subito la strada e si capisce bene, ogni vostra parola fino al mio cuore viene. Ora io ho ben grande il cuore, voi l’orecchio piccino ed i vostri detti scendono piu' spedito e' il cammino, i miei salendo tardano ad arrivare in alto", continuo' a recitare.
"Pero', ora arrivano bene"
"Dopo un po’ di ginnastica ci hanno fatto l’abitudine"
"Che altro mi dirai"
"T'amo, son pazzo non ne posso piu' e' troppo. Il tuo nome e' come un nodo, un cappio, un groppo. Io di te tutto ricordo ho di te tutto amato, io so che poco tempo fa, il giorno passato, hai cambiato per viaggiare la mattin pettinatura, fu come un nuovo sole la tua capigliatura"
Rimase un attimo interdetto, avrebbe dovuto dire ‘l’anno passato’ e non ‘il giorno passato’, si corresse, pero' e' ieri che lei ha cambiato pettinatura. Ed e' cosi' bella...
"E come quando al sole si e' troppo fisso il ciglio, si vede poi ovunque un gran disco vermiglio, quando io gli occhi distolgo dal sole con cui m'inondi, ovunque mi appaiono i tuoi capelli biondi", continuo' facendosi prendere dall’ardore poetico.
"Se uno te lo chiedesse come mi descriveresti?", ora si vedeva che non conosceva la storia.
"Direi: Chi la vide sorridere conobbe l’ideale, Ella fa della grazia un niente, Ella e' tale, che pone tutto il divino nel minor dei suoi gesti, ne' tu montare in conca, Afrodite, sapresti, ne' camminare nei boschi fioriti, tu Lucina, com’Ella monta in seggiola e com’Ella cammina", queste sue frasi gli uscirono di bocca tutte d’un fiato.
Olimpia sospiro'.
"Ti e' chiara allora adesso, in fin lo vuoi capire, senti l'anima mia nell'oscurita' salire. Oh, e' vero che stasera c'e' un sogno intorno a noi, io che vi dico questo, voi m'ascoltate, voi. Beh e' troppo! Nella speranza piu' modesta, mai ho sperato tanto. Per questo non mi resta, null'altro che morire. E per i miei sussurri ch’ella trema furtiva lassu' sui rami azzurri. Scende il tremor bramato della tua mano insino all'ultimo dei fili di questo gelsomino", ora ardeva di ardore poetico.
I secondi di silenzio che passarono sembrarono ore.
"Non mi chiedi nulla?", fu Olimpia a rompere l’incanto con un filo di voce.
Che cosa vorra' dire, penso' lui. Beh, non mi resta che improvvisare.
"Si, io ti chiedo... un bacio", dopo che lo disse si chiese da dove gli era uscita una frase del genere. Proprio lui che davanti ad una ragazza non riusciva mai a spiccicar parola!.
"Un... bacio?", Olimpia si era come svegliata dalla trance in cui era finita.
"Si, un bacio, perche' la vostra bocca e' cosi' timorosa, se la parola e' dolce, che sara' mai la cosa? Irragionevol taccia, non vi turbi la mente, poco fa non lasciaste quasi insensibilmente, l’arguto cinguettio per passar senza schianto, dal sorriso al sospiro e dal sospiro al pianto? Ancora solo un poco, un poco solo ancora vedrete, non c’e' dal pianto al bacio che un brivido", ora stava, di nuovo, recitando.
"Ma...", balbetto' lei.
"Ma che cosa e' un bacio? Un giuramento fatto un poco piu' da presso, un piu' preciso patto, una confessione che sigillar si vuole, un apostrofo roseo messo tra le parole "t’amo"; un segreto detto sulla bocca, un istante che ha il fruscio di un’ape tra le piante, una comunione che ha gusto di fiore, un mezzo per potersi respirare un po’ il cuore e assaporarsi l’anima a fior di labbra!"
"E sia", sospiro' la ragazza.
Olimpia aveva chiuso gli occhi e si stava tendendo verso di lui. Menion le si avvicino' fino a che le loro labbra non si incontrarono, a quel punto la bacio'. La ragazza rispose al bacio incerta. Fu un bacio dolce, come non ne aveva mai dati. Lo assaporo' con trasporto, centellinando ogni momento come un uomo centellina l’acqua della sua borraccia quando si trova ad attraversare un deserto.
Dopo un lungo attimo le loro labbra si staccarono. Ci fu un momento di silenzio tra i due.
"Non vorrei che tu pensassi... ehm, che io bacio... ehm, tutti quelli che conosco...", Olimpia sorrideva imbarazzata.
"Non ti preoccupare, "io so che poco fa, le tue labbra tremanti, han baciato le parole che io dissi poco avanti"", rispose lui.
Si senti' bussare alla porta e quando si apri' sbuco' Aura.
"A sei qui. Domani ci dobbiamo alzare presto, vieni a dormire", disse alla ragazza lanciando uno sguardo torvo a Menion. Olimpia si alzo' e si affretto' ad andare.
Menion torno' a sdraiarsi sul letto pensieroso.
Cerco' di fare mente locale sulla sua missione ma non ci riusci'. Era tutto troppo incredibile, era certo di stare sognando, prima il duello in versi, poi quel bacio... ma cosa gli stava succedendo?
Un pensiero non del tutto roseo s'insinuo' nella sua mente. Doveva partire dal presupposto che tutto cio' che sapeva sui miti Greci fosse vero, d’altronde aveva toccato con mano la magia della sua spada. Durante i suoi studi aveva letto che la musica e la poesia, nel passato, erano usati per fare degli incantesimi. Se questo era vero non aveva vinto il duello grazie alle sue capacita' o a quelle della spada, ma per la magia dei versi (e che quei versi fossero magici ci avrebbe giurato!). Questo avrebbe spiegato anche perche' era riuscito a baciare Olimpia, una ragazza che non gli sembrava potesse concedersi al primo che conosce. Se cosi' era, l’indomani avrebbe dovuto chiedergli scusa.
Poi senza accorgersene il sonno ebbe il sopravvento e lui si addormento'.



Prima di tutto, ancora grazie per essere qui a leggere! Grazie a tutti! :D

Beatrix Bonnie e Rubs: grazie mille per le recensioni! Hanno fatto mooooolto bene al mio ego! :D
Spero che resterete con me fino alla fine della storia. Sono curioso di sapere cosa pensate di questo capitolo: avrà ragione Menion a pensare che il bacio gli è arrivato per "colpa" della magia della poesia o no?

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Capitolo 12
*** Un tremendo errore tattico ***


La mattina dopo si alzarono all’alba e lasciarono il villaggio. Menion avrebbe voluto parlare con la sua amica (ma dalla sera prima non riusciva piu' a pensarla solo come una ‘amica’) ma questa era sempre stata vicino ad Aura e lui non aveva avuto il coraggio d'avvicinarsi a lei. Cosi' ando' a chiedere consiglio a Pentea. La greca era la donna, a parte Olimpia, con cui aveva piu' legato durante il suo tirocinio.
"Scusa, ti posso fare una domanda?", chiese un po' incerto. Si sentiva un idiota.
"Dimmi pure", rispose l’altra.
"Che tu sappia, e' possibile che la poesia possa evocare della magia?"
"Da quello che ne so e' possibile", la donna lo guardava incuriosita, "Comunque dovresti chiedere a qualche sciamano o una sacerdotessa, sono loro che se ne capiscono di queste cose"
Dopo quella discussione Menion prese il coraggio a due mani e si avvicino' ad Olimpia.
"Ti posso parlare?", era riuscito a non fare incrinare la sua voce. Lei annui'.
"Io intendevo in privato", aggiunse guardando Aura.
"Allora puoi parlare, tra me e Aura non ci sono segreti", Olimpia sembrava sicura.
"Beh, volevo chiederti scusa per ieri sera", sospiro' Menion.
"Perche'?", chiese la giovane aggrottando le sopraciglia.
"Ho scoperto che la poesia puo' generare della magia ed io non lo sapevo", disse quasi balbettando, "Penso che ieri sera sia stato quell’incantesimo a far si che tu mi... ehm... baciassi. Io non intendevo approfittar..."
"Credi che io sia tanto stupida da farmi incantare da una magia?", la giovane era imbestialita, "Non sono forse venuta di mia spontanea volonta' nella tua stanza?", respiro' affannosamente cercando di calmarsi ma poi esplose, "Non hai capito niente!", si allontano' con passo pesante. Gli occhi di Menion e quelli di Aura s'incontrarono e il ragazzo lesse, in quelli della guerriera, per la prima volta qualcosa di diverso dall’odio puro... del divertimento.
"Ho sbagliato tutto vero?", chiese piu' a se stesso che a lei.
Ora Aura si stava mordendo un labbro per non scoppiare a ridergli in faccia.
Il ragazzo affretto' il passo e si mise al fianco di Olimpia.
"Se ti puo' far sentire meglio puoi picchiarmi con il tuo bastone", era una frase stupida ma non sapeva proprio che altro dire. Lei non gli rivolse lo sguardo.
"Il fatto e' che io... con le donne, non sono... anzi sono, come hai potuto vedere, un perfetto imbranato", ora era completamente sincero, "Ti chiedo scusa dal profondo del cuore. Io non sono un tipo che ha molto successo in campo amoroso ed ho pensato che...", non trovo' altre parole e maledi' la sua timidezza.
La ragazza improvvisamente si volto' verso di lui.
"Si, ti perdono", sospiro' ancora, "Ma non aspettarti piu' che venga nella tua stanza!"


   La sera passarono la notte in un’altra locanda e Menion si ritrovo' di nuovo solo. Vide che la luna era alta nel cielo, anche se era solo uno spicchio così estrasse dalla sua tasca lo specchietto. Appena la luce lunare vi si rifranse contro apparve il volto di Tintinnio.
"Era l’ora!", sbuffo' con finta rabbia l’essere fatato, "Pensavo ti fossi dimenticata di me..."
"Ma figurati, come potrei dimenticarmi della mia fata preferita!", gli rispose il ragazzo adulandola, "Ti volevo chiedere una cosa..."
"Lo so gia' e ti posso rispondere", lo anticipo' lei, "Esiste la magia legata alla poesia ma tu non ne sei in possesso", di nuovo, prima che Menion potesse aprire bocca per ribattere lei lo anticipo', "Ti chiedi come hai fatto allora a battere quel tipo in quel duello?", sorrise magnanima davanti alla sua espressione interrogativa, "Secondo te cosa ti sei allenato a fare su quella nave?"
"Vuoi dire che ci sono riuscito da solo?", ora la voce di Menion era incredula.
"Ma certo!", rispose la fata, "Ma non ti montare la testa, quel tipo non era certo un buon schermitore!", smorzo' i suoi entusiasmi lei, che pareva un pochino gelosa.



Beatrix: A quanto pare ci avevi azzeccato!

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Capitolo 13
*** Se non si torna a casa, che senso ha combattere? ***


Due giorni dopo arrivarono in prossimita' di Atene.
Il ragazzo prese in disparte le quattro amazzoni e gli parlo', "Non potete entrare in citta' cosi' come siete. Teseo non e' uno sprovveduto e stara' certamente all’erta"
"Ed allora come faremo?", chiese Olimpia.
"Beh, ho un piano ma per realizzarlo ho bisogno di un mulo e di quattro abiti da contadina...", poi spiego' tutto alle sue compagne.
La sua idea era semplice. Lui sarebbe entrato trascinandosi dietro il mulo carico delle armi delle amazzoni, se lo avessero fermato avrebbe detto di essere un mercante. Le quattro ragazze sarebbero entrate accodandosi ad un gruppo di contadini di quelli che continuamente andavano e venivano dalla citta'.
Cosi' fecero e tutto ando' al meglio. Quando entro', Menion riusci' a stento a trattenere la gioia di vedere la capitale della Grecia all’apice del suo splendore. Fece scorrere il suo sguardo dappertutto cercando di analizzare e memorizzare tutti i minimi particolari ma non ci riusci' perche' erano troppi.
Si rincontrarono in una malfamata taverna dei bassifondi e le amazzoni tornarono, con un sospiro di sollievo, a indossare le loro vesti. Decisero che avrebbero agito l’indomani notte.
Per quel giorno Menion giro' per la citta' e parlo' con parecchia gente. Quello che scopri' lo allarmo'. Lui era sicuro che Aura avrebbe fatto di tutto per uccidere Teseo, forse quello era il suo vero scopo, prima anche di quello di liberare Antiope. Ma, da quello che aveva sentito dire dalla gente, Teseo era un buon re. Aveva emanato leggi giuste (anche a costo di andare contro i nobili) e stava cercando di organizzare, contro il parere dei suoi consiglieri, un torneo di giochi a cui avrebbero partecipato gli atleti di tutte le nazioni conosciute e che si sarebbe tenuto nella citta' di Olimpia.
"Ma certo!", penso' improvvisamente, "Secondo una leggenda e' stato proprio Teseo ad inventare le Olimpiadi!", inizio' a rimuginare, "Se Aura uccidesse Teseo questa linea temporale perderebbe le Olimpiadi. Una delle espressioni piu' belle della competizione umana... non posso permetterlo!"
Rimase a riflettere seduto nella stanza centrale della taverna. Olimpia aveva appena finito di raccontare una storia ed aveva guadagnato parecchi denari, poi lo raggiunse.
"A cosa pensi?", gli chiese sedendosi al suo tavolino.
"Alla mia missione...", la sua voce era un sussurro.
"Deve essere strano dover andare cosi' lontano per salvare una persona che non conosci neppure", Olimpia gli sorrideva e prese le sue mani spronandolo a continuare a parlare.
"Si ma devo farlo per il bene..."
"Ed anche perche' cosi' potrai tornare a casa sicuro di aver fatto il tuo dovere!"
"Si tornare a casa...", mormoro' Menion confuso ripensando al Segugio che lo attendeva.
"Anche io faro' cosi'. Una volta liberata Antiope tornero' a casa con le mie compagne. Anche perche' se non si torna a casa che senso ha combattere?"
"Gia', che senso ha combattere?", penso' tristemente il ragazzo.

   La sera le quattro amazzoni si riunirono intorno ad un tavolo per studiare il piano che l’indomani le avrebbe fatto liberare Antiope. Menion si uni' a loro.
"Olimpia tu resterai qui alla locanda...", ordino' Aura e poi prosegui' prima che la ragazza potesse protestare, "...ci servirai di piu' li' ad attenderci con i cavalli piuttosto che nella reggia", la ragazza annui', seppur con riluttanza, "Useremo una corda con un rampino per entrare direttamente nelle stanze superiori, passando dalla parte anteriore, che essendo la piu' illuminata e' anche la meno sorvegliata. Frida rimarra' fuori a controllare la corda ed ad eliminare eventuali scocciatori", anche la bionda vichinga annui', "Pentea salira' con me ma restera' a proteggere la mia ritirata rimanendo nei pressi del rampino", la donna greca sembro' sul punto di obiettare qualcosa ma poi annui'.
"Ed io?", chiese il ragazzo.
"Tu resterai qui", sibilo' la donna di colore.
"Mi spiace, io devo proteggerti e quindi verro' con te", Menion era calmo.
"No", fu la secca risposta di Aura.
"Si", le fece eco lui.
Per un attimo si fronteggiarono e l’amazzone appoggio' una mano sull’elsa della sua spada... poi sospiro' e cedette, "Ma ti terrai fuori dai piedi!"



Grazie a tutte/i per essere ancora qui. Ci avviciniamo a grandi passi allo sprinti finale... ma prima questo capitolo che fa riflettere Menion... il prossimo vedrà il confronto con l'Avversario! :-)

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Capitolo 14
*** L'Avversario ***


Agirono la sera, dopo aver passato la giornata a ripassare migliaia di volte il loro piano. Ognuna di loro usci' per conto proprio per non destare sospetti. Olimpia fu lasciata presso la locanda con i cavalli pronti per la fuga. Gli altri quattro giunsero di fronte al palazzo reale senza problemi, anche se Menion stentava a tenere il passo delle tre amazzoni. Frida si occupo' di lanciare la corda che avrebbe permesso agli altri di salire e poi rimase in basso a proteggere la via di fuga. Giunti in cima senza problemi, anche se per Menion fu ancora piu' difficile issarsi per tutta la lunghezza della scalata, Pentea rimase nel punto in cui il rampino aveva fatto presa a controllare che nessuno si accorgesse di loro mentre il ragazzo ed Aura si inoltrarono all’interno del maniero.

L’amazzone s’intrufolo' nel castello scivolando come un’ombra tra le ombre e Menion fatico' non poco a starle dietro. Grazie alla maestria della donna di colore superarono tutte le guardie e giunsero all’ala che ospitava le camere reali e che stava nel piano piu' alto. Con un secco gesto Aura indico' una pesante porta di legno e poi vi si diresse camminando furtivamente.
Menion stava per seguirla quando senti' come una strana forza che lo costringeva a voltarsi verso il corridoio che avevano appena percorso. Lui lo fece e cosi' si ritrovo' a fissare negli occhi il suo nemico. Era lo stesso uomo che aveva guidato l’assalto contro Aura e le sue compagne pochi giorni dopo il suo arrivo in quel tempo.
La sua spada magica sembro' letteralmente guizzargli in pungo e lui si preparo' allo scontro. L’altro gli sorrise ed impugno' a sua volta una spada.

Incrociarono le lame e Menion si accorse subito che, seppur la magia lo aiutasse amplificando i suoi sensi ed i suoi riflessi, questo gli serviva solo per pareggiare l’abilita' del suo avversario. Ora che gli stava cosi' vicino vedeva solo la "cosa" nera e maligna che abitava quel corpo. Mentre combattevano, si chiese se l’uomo che ospitava quell’empieta' fosse ancora vivo o fosse solo un involucro vuoto. Per un istante si distrasse e la lama del suo avversario baleno' a pochissimi centimetri dal suo volto. Allontano' con uno spintone il mostro e cerco' di riprendere fiato e, soprattutto, cerco' di far tornare ad un ritmo normale il battito del suo cuore. Per la prima volta da quando era giunto nel passato capi' che quella missione non era un gioco e che avrebbe potuto morire.
La paura lo attanaglio'. Lui non era mai stato un codardo ma neppure una persona spericolata. Come poteva pensare di cavarsela in uno scontro contro una creatura che doveva essere abituata ad uccidere? Come poteva solo pensare di poter sopravvivere a quell’incontro? Anche se, per ora, la magia della sua arma lo aveva aiutato, sapeva che presto si sarebbe stancato tanto da fare un errore... ed in un combattimento un errore corrisponde alla morte.
Intanto era indietreggiato sempre di piu' fino a trovarsi con le spalle appoggiate al muro del corridoio. Il suo nemico lo incalzava sembrando incurante della fatica o del dolore. Il mostro gli si avvento' contro e sul volto dell’uomo che lo conteneva apparve un ghigno soddisfatto. Lui cerco' di schivare ma riusci' solo a cadere a terra e la sua spada rotolo' lontano dalla sua mano. L’altro sollevo' la sua arma pronto ad ucciderlo. Era la fine...
I suoi ultimi pensieri furono strani. Gli ritorno' in mente un dialogo che aveva letto in una cronaca storica molto tempo prima. Era il dialogo tra un apprendista ed il suo maestro di spada. Alla domanda, "Hai mai incontrato un guerriero piu' forte di te?", il maestro rispose, "Certo. Non tutto quello che scrivono su di me e' vero, non solo imbattibile. Una volta mi battei contro un cavaliere molto piu' forte. Mi aveva ormai battuto e costretto in un angolo. Gli sarebbe bastato un secondo per infilzarmi, quando io gli sorrisi. Con quel sorriso lo colsi di sorpresa. Pensava di avermi in pugno e proprio quando stava per colpirmi a morte io gli sorridevo. Se gli sorridevo significava che non ero sconfitto e stavo per fargli un brutto scherzo. Non era vero ma lui tentenno' abbastanza per permettermi di infilzarlo. Basto' un sorriso per battere un avversario molto piu' forte di me..."
Menion riapri' gli occhi e rotolo' da un lato.
Il suo avversario calo' il colpo che pero' lo manco' di un soffio.
Intanto il ragazzo si era alzato ed aveva raccolto la sua spada. Di nuovo il mostro gli fu addosso ma stavolta Menion lo aspetto' e quando si ritrovo' di nuovo con le spalle al muro cerco' dentro di se' tutta la calma che poteva e gli sorrise. Era una mostra disperata, la strategia di quel maestro di spada era vecchia, risaliva infatti al 1200, e poteva non funzionare... ma invece funziono'.
Il suo avversario tentenno' un attimo confuso e lascio' la guardia aperta. Lo fece solo per un breve istante ma fu sufficiente. Menion allungo' il braccio armato verso di lui e gli trapasso' il ventre con la spada. La lama attraverso' la carne con estrema facilita' e spunto' dall’altra parte. Il mostro sgrano' gli occhi e poi si accascio' a terra privo di vita.
"Dopotutto quella vecchia strategia funziona ancora...", penso' lui riprendendo fiato, "Ed a pensarci bene, non e' poi cosi' vecchia, anzi, da dove sono ora deve ancora essere inventata!"



Eliminato l'impedimento "sovrannaturale", a poco a poco ci avviciniamo al finale. Quale sarà il destino di Teseo? E quello di Menion?

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Capitolo 15
*** Il destino di Teseo ***


Menion udi' delle voci concitate ed un forte clangore metallico provenire dai piani piu' bassi e capi' che entro poco sarebbero stati raggiunti. Il rumore del suo combattimento doveva aver attirato l’attenzione delle guardie del palazzo. Il cavaliere giunse sull’uscio della stanza in cui era entrata la donna e rimase interdetto dalla scena che gli si paro' di fronte.
Teseo era steso a terra con negli occhi un’espressione terrorizzata mentre Aura lo sovrastava puntandogli la punta della spada alla gola. In un angolo della stanza un’altra donna, Antiope probabilmente, giaceva svenuta a terra.
"Ora pagherai per i tuoi crimini contro le Amazzoni", la voce della donna d’ebano era un ringhio sordo. I muscoli del suo braccio si tesero pronti ad affondare la lama nella soffice carne della gola dell’uomo.
"Fermati!", intervenne il ragazzo.
Aura si giro' verso di lui e gli scocco' un’occhiata che gli fece gelare il sangue nelle vene. Era odio puro quello che vedeva nei suoi occhi.
"Tu non ti immischiare!", gli intimo'.
"Non puoi farlo!", cerco' di fermarla lui.
"Dammi solo una buona ragione per non uccidere questo cane rabbioso!", fu la secca risposta della donna.
Incredibilmente Menion non seppe cosa risponderle. Non poteva dirle delle Olimpiadi, l’amazzone non avrebbe compreso il valore simbolico dei giochi, e sicuramente il fatto che Teseo avesse emanato leggi giuste non le sarebbe importato. Per il resto non trovo' altri motivi per desistere... poi gli venne l’idea.
"Le guardie sono quasi giunte qui, se lo uccidi non potremmo andarcene e verremo uccisi... se lo prendiamo come ostaggio...", lascio' cadere la frase.
"Sono pronta a morire pur di avere il piacere di ucciderlo!", la sua voce era roca ma sincera.
"E sei pronta anche a sacrificare le tue amiche?", la incalzo' lui, "Anche Olimpia?"
Passo' un lungo istante e Menion credette di essere riuscito a convincerla, poi Aura sollevo' il braccio che impugnava la spada e colpi' Teseo.


Colpi' il re con il piatto della lama tramortendolo, poi si sposto' a prendere in braccio Antiope che era ancora priva di sensi. Menion si affretto' a raggiungere Teseo e se lo isso' in spalla. Nonostante il regnante non fosse un vecchio pesava davvero poco, si stupi' il ragazzo. A sentire le leggende Teseo era un gigante pieno di muscoli, anche negli ultimi anni della sua vita, ma nella realta' non era cosi'. Con quei pensieri in testa e cosi' carichi si spostarono per uscire ma vennero fermati dalle guardie che gli sbarrarono il passo.
"Fermatevi!", fu lo sprezzante ordine di Aura, "Lasciateci andare oppure il mio compagno uccidera' il vostro re!"
Menion accosto' la lama della sua spada alla gola dell’uomo per assecondarla.
I guerrieri si fecero da parte lasciandogli lo spazio per passare ed Aura si avvio' verso il basso seguita da Menion.
"Teseo ora ci serve ma appena saremo al sicuro sono certo che Aura lo uccidera'", penso' il cavaliere, "E se anche lo liberassi lei tornerebbe indietro per ucciderlo anche a costo di perdere la vita nel tentativo"
Mentre aveva la mente occupata da questo foschi pensieri gli cadde lo sguardo sull’uomo che aveva affrontato poco prima, quello che ospitava il suo nemico. Incredibilmente stava scuotendo il capo confuso e si stava rialzando apparentemente illeso. L’uomo pareva confuso ma non si vedeva piu' la sagoma nera che aveva ospitato il suo corpo.
"Io ho trapassato il corpo di quell’uomo con la mia spada, dovrebbe essere morto!", poi l’idea gli illumino' la mente, "Ma certo! Ho ucciso solo la creatura del male che utilizzava il suo corpo...", nel mentre avevano raggiunto la posizione che occupava Pentea ed anche lei si era accodata al piccolo corteo. Orami stavano per uscire dalla reggia e le guardie continuavano a seguirli tenendosi a distanza di sicurezza, pronte ad intervenire. Il sole iniziava a lanciare i suoi raggi da dietro i tetti delle case, l’alba era oramai vicina.
Le parole che gli aveva detto Tintinnio quando gli aveva consegnato la spada gli tornarono prepotentemente nella mente: "Stai tranquillo, puo' ferire solo esseri malvagi. Anche se la usassi contro un essere vivente non gli faresti nulla, la lama diventerebbe inconsistente ed attraverserebbe la sua carne senza procurare nessun danno".
Ormai erano arrivati, dopo aver recuperato anche Frida, ai cavalli che Olimpia stava custodendo.
"Salite in sella", ordino' Aura, "Penso io a Teseo"
"No, ci penso io", gli rispose il ragazzo spostandosi verso le guardie che stavano iniziando a spazientirsi non sapendo che fare. Menion lascio' a terra il re, che intanto stava iniziando a riprendersi e stava cercando, faticosamente, di rialzarsi. Aura lo raggiunse con sul viso uno sguardo truce, "Se pensi che te lo lascero' lasciare andare sei proprio un ingenuo"
"Ma io non voglio lasciarlo andare", fu la secca risposta del cavaliere.
Teseo si era intanto rialzato e stava scuotendo il capo frastornato.
"Volete il vostro re?", urlo' alle guardie il ragazzo, "Allora prendetevelo!"
Con un rapido gesto estrasse la spada magica e trafisse la schiena all’uomo. Aura sgrano' gli occhi stupida dal quel gesto, poi vide la punta della spada del cavaliere sbucare dal petto dell’uomo e sorrise. Teseo sgrano' gli occhi e poi si accascio' al suolo, solo svenuto... ma morto, agli occhi di tutti.
Menion si affretto' ad allontanarsi seguito dalla scura amazzone e raggiunti i cavalli si allontano' con le sua compagne.
Alle sue spalle lascio' le guardie ad urlare confuse.




Signori e Signore siamo giunti quasi al finale. Dopo di questo capitolo restano ancora due post e si concluderanno le vicende del nostro novello cavaliere.
Vi preannuncio che, di seguito, pubblicherò il racconto conclusivo di questa mia "mini" saga, intitolato "Il Destino di Faerie".
Ancora un enorme, gigantesco, immenso grazie a tutti, soprattutto a Beatrix Bonnie!

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Capitolo 16
*** Ritorno a Casa ***


Si fermarono solo alla sera dello stesso giorno quando i cavalli furono sul punto di stramazzare a terra stremati. Orami potevano permettersi una pausa poiche' erano ad una distanza tale da non correre piu' pericoli. Durante il tragitto, fatto a rotta di collo, non si erano scambiati una sola parola. Aura aveva guardato il giovane con uno sguardo nuovo negli occhi, forse conteneva rispetto, mentre Olimpia aveva evitato di incontrare il suo sguardo. Pareva inorridita dalla sua sola presenza.
"La capisco", si ritrovo' a pensare Menion, "Io avrei reagito allo stesso modo se pensassi che lei fosse un’assassina a sangue freddo"
Mentre le amazzoni preparavano il campo per la notte lui si allontano' con una scusa e, quando fu lontano da sguardi indiscreti, estrasse dalla sua tasca il suo specchio fatato e vi fece riflettere i raggi della luna.
"Menion ti sei comportato bene dopotutto", fu la prima frase che gli disse Tintinnio, "Ora devi tornare a Faerie, la tua missione e' finita"
"E come faccio?", solo in quel momento il ragazzo si rese conto che non si era mai posto il problema del ritorno.
"Appoggia a terra lo specchietto con la parte riflettente in alto, poi trapassa la sua superficie con la lama della tua spada magica, si aprira' un passaggio con cui potrai tornare. Ti aspetto!", detto questo la sua immagine scomparve.
Il cavaliere fece come gli era stato detto ed appena la lama della sua arma tocco' la lastra dello specchietto, questi scomparve ed al suo posto apparve invece una specie di buco, da cui filtrava un’accecante luce bianca.
"Ora non mi resta che saltarci dentro", si disse.
Inspiro' profondamente pronto a saltare... pero' non lo fece.
"Non posso andarmene lasciandole credere che sono un assassino!", estrasse la spada e subito il passaggio scomparve lasciando al suo posto lo specchio.
Lo raccolse e poi torno' al campo.



"Olimpia devo dirti una cosa"
Lei fece finta di non averlo sentito e si giro' dalla parte opposta. Lui allora la afferro' per un braccio e la trascino' nel bosco. La ragazza cerco' di protestare ma Menion la zitti'.
"Stammi a sentire", le disse non appena si ritrovarono soli, "Sto per andarmene e sono certo che non ci rivedremo piu'..."
"Meno male!", lo interruppe lei.
Menion non fece caso al suo commento e prosegui', "...ma non posso andare via lasciandoti credere che sono un assassino!"
"Ma e' questo che sei!"
Il ragazzo estrasse la sua arma ed Olimpia arretro' spaventata.
"Guarda!", le disse lui, poi si trapasso' un braccio con la lama. Senti' un forte formicolio mentre la spada gli attraversava la carne senza procurare danni, un formicolio simile a quello che si prova quando si "addormenta" un arto. La sensazione inizio' a scemare solo quando lui allontano' l’arma.
"Visto? Neanche un graffio!", le disse trionfante.
"Ma com’e' possibile!", la ragazza era esterrefatta mentre osservava e tastava il suo braccio da tutti i lati cercando di capire.
"Ti avevo detto che la mia arma e' magica!"
"Ma se non hai ucciso Teseo perche' hai finto di farlo?", non gli diede il tempo di rispondere perche' capi' da sola, "Per evitare che Aura lo facesse..."
Menion annui'.
"Se tu e le altre le starete vicino e tornerete con lei alla vostra patria, non sapra' mai che Teseo e' ancora in vita"
Olimpia rimase di fronte a lui ad osservarlo senza sapere cosa dire.
"E’ ora che me ne vada, la mia missione e' finita", fu la sola frase che gli venne in mente per rompere la tensione, "Ma non potevo andarmene lasciandoti credere che fossi un assassino... io... non ho mai incontrato una persona come te e mi dispiace dovermene andare..."
Vedendo che la ragazza rimaneva immobile lui la saluto' e si giro' per addentrarsi nella foresta.
Si senti' tirare per un braccio e quando si volto' Olimpia lo attiro' a se' e lo bacio'. Dopo un attimo di indecisione, la strinse a se e rispose al bacio.
Quando le loro labbra si staccarono lei gli sorrise imbarazzata, "Cosi' ti ricorderai di me"
Detto questo si volto' e torno' verso l’accampamento.
Menion rimase a fissarla fino a che non scomparve alla vista, poi prese lo specchietto e si preparo' a tornare.


   Ancora una volta il viaggio fu accompagnato dal caleidoscopio di luci e colori e dalla sensazione di cadere. Pochi istanti dopo (o furono ore?) cadde a terra e quando apri' gli occhi si ritrovo' nello stesso posto in cui era apparso le altre due volte. Si alzo' e si avvio' verso la sua meta, oramai sapeva la strada... beh sapeva come farsela mostrare. Cosi', pochi istanti dopo, giunse nella radura di Faerie delle "Voci dei Cavalieri". Tintinnio gli volo' subito in spalla a complimentarsi con lui.
"Sei stato davvero bravo per la tua prima missione...", la sua voce era una specie di musica, "...ed anche il modo in cui hai evitato la morte di Teseo e' stata una trovata geniale..."
"Io torno a casa"
"...e vedrai che con l’andare del tempo migliorerai sempre piu'... CHE COSA?", improvvisamente si rese conto della frase di Menion.
"Torno sulla mia Terra", la sua voce era lontana, pareva provenire da un altro posto, "Se mi rivorrete saro' a casa mia"
"Ma il Segugio..."
"Ora, con la spada che mi hai dato lo uccidero' e poi..."
"La spada non funzionera' contro di lui!", gli spiego' la fata, "Non potrai fare nulla e ti uccidera'!"
"Non mi importa", rispose il ragazzo con una calma che stupi' anche se stesso, "Anche perche' se non si torna a casa che senso ha combattere?", le parole di Olimpia risuonarono nella sua mente, "Io posso lottare per il bene solo se posso vedere ogni giorno il mio mondo... solo cosi', sapendo che posso proteggerlo e posso sperare di migliorarlo potro' continuare"
"Ho capito", Tintinnio abbasso' il capo, "Ma se torni il Segugio ti uccidera'...", disse con un filo di voce.
"Ormai ho deciso"
"Come vuoi, non posso importi nulla", lo guido' fino allo specchio, "Vai pure...", i suoi occhi erano colmi di lacrime.
Lui le sorrise e poi entro' nel passaggio.




Ultimo capitolo prima dell'epilogo che chiuderà il racconto e che dovrei pubblicare domenica prossima.
Spero vi siate divertite/i a leggere le avventure di Menion. Di seguito pubblicherò l'altro racconto di questa serie, conclusivo e, secondo me, molto più maturo e poetico.

Un ringraziamento (ancora) a Beatrix Bonnie, sempre gentile ed anche a Rubs, non ti preoccupare se non hai recensito tutti i capitoli, sono contento che ti sia piaciuto quello che hai letto.

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Capitolo 17
*** Epilogo ***


Menion si ritrovo' nella radura vicino al villaggio gallese in cui era apparso quando era tornato per telefonare ai suoi genitori. Senti' immediatamente un brivido corrergli lungo la schiena e si giro'.
Ad un centinaio di metri da lui il Segugio lo stava fissando.
Il ragazzo sollevo' la spada magica usandola come uno scudo e cercando di farsi coraggio. L’essere maligno inizio' ad avanzare verso di lui. Sembrava fluttuare nell’aria e la sua espressione, se di espressione si poteva parlare, era esultante.
Man mano che la distanza che li separava diminuiva Menion senti' tutta la sua sicurezza scomparire come neve al sole, le gambe gli iniziarono a tremare con sempre maggiore vigore, le braccia gli parevano di burro e la spada sembrava un semplice pezzo di metallo morto tra le sue mani. La magia della lama sembrava scomparsa.
Quando il Segugio gli arrivo' a cinque metri non riusci' piu' a guardarlo, mentre le sue braccia crollarono di fronte a lui come prive di forza. La paura che lo pervadeva era troppo forte. La spada gli sfuggi' di mano e cadde a terra sonoramente. Non poteva fare niente per resistergli.
Il mostro gli arrivo' a pochi passi ed il ragazzo si ritrovo' a ranicchiarsi a terra in un ultimo tentativo di resistere al terrore... un tentativo completamente inutile.
Un semplice tocco e lui sarebbe letteralmente morto di crepacuore. Senti' una gelida risata risuonargli nelle orecchie mentre il Segugio si chinava per toccarlo.
Ebbe solo il tempo di pensare ai suoi genitori ed a Olimpia e poi... nulla.
Improvvisamente la paura svani' e lui senti' di essere di nuovo in grado di agire. Si alzo' ed afferro' la sua spada mettendosi in guardia. Ora sarebbe riuscito a battere quel mostro...
Sbatte' gli occhi sorpreso. Il Segugio si stava contorcendo dal dolore, mentre la lama di una spada gli spuntava dal mezzo del suo oscuro petto. Menion capi' che il terrore si era interrotto perche' il mostro era ormai morente. L’essere agonizzo' ancora un istante e poi scomparve in uno sbuffo di fumo nero. Cerco' di raccapezzarsi meglio e guardo' il suo salvatore.
Era una persona che indossava un’armatura da cavaliere completa di elmo con celata abbassata. Sotto i raggi del sole, la sua corazza sembrava risplendere di luce propria e dai suoi gesti calmi e ragionati emanava un senso di pace e calma.
"Grazie", si afferro' a dire lui ancora poco sicuro di cio' che era successo.
"Non c’e' di che", la voce dell’altro rimbombava da dentro il cimiero.
"Chi sei?", Menion ormai era curioso di sapere chi fosse il suo salvatore.
"Io sono il Primo Cavaliere di Faerie...", rispose l’altro rinfoderando la spada e spostando le mani per togliersi l’elmo. Menion si aspettava di vedere il viso di un arcigno uomo di mezza eta', magari con il viso adornato da qualche cicatrice, ricordo di epiche battaglie, ma si ritrovo' a scrutare le dolci fattezze del volto di una giovane ragazza. Aveva i capelli castani tagliati molto corti, occhi verdi con sfumature grigie e sul suo viso non v’era ombra di trucco. Il suo sorriso gli parve essere il riflesso del sole, tanto lo abbaglio'.
"...ma tu puoi chiamarmi, Giovanna", fini' la ragazza con voce dolce.
Il ragazzo rimase un lungo attimo a fissarla, stupito. Poi il suo occhio da archeologo e storico riconobbe le insegne dell’armatura della sua salvatrice.
"Insegne francesi", penso', "Giovanna... possibile che sia..."
"Si sono, la Pulzella d’Orleans", disse la ragazza come a leggergli nella mente, "Giovanna d’Arco"
"Perche' mi hai salvato?", chiese Menion allora.
"Perche' tu sei diverso da noi altri cavalieri di Faerie", spiego' la ragazza avvicinandosi a lui, "Noi siamo tutti morti...", il viso del ragazzo lascio' trasparire tutto il suo stupore, "...si, siamo morti per il nostro tempo e per le persone che conoscevamo, tu no. Tu potrai continuare la tua vita anche se resterai un cavaliere"
Menion era confuso da quella spiegazione.
"Prendi queste cose", Giovanna gli stava porgendo una collana e lo specchietto che aveva usato nella sua missione, "Lo specchio sai come usarlo e ti servira' per tornare a Faerie quando ti sara' richiesto", il ragazzo se lo infilo' in una tasca, "Questa collana servira' per chiamarti. Quando sentirai divenire calda la pietra che le fa da ciondolo saprai che c’e' bisogno di te"
Menion la prese e la indosso'. Il ciondolo era fatto di un materiale simile all’ematite, riflettente quasi come uno specchio.
"Ma la spada?", chiese allora, "Come potro' portarla con me nella mia vita di tutti i giorni..."
"Ti bastera' pensare che sparisca e lo fara'", rispose il Primo Cavaliere, poi vide il volto incredulo del ragazzo ed aggiunse, "Si, proprio cosi'. Desidera che sparisca e lo fara', se poi la rivuoi in pugno pensa a lei e la tua lama ti riapparira' in mano"
Per un istante Menion penso' che lo stesse prendendo in giro, ma poi noto' lo sguardo serio della ragazza e decise di provarci. Penso' intensamente che la spada gli scomparisse di mano e, come per magia, la spada lo fece! Dopo un attimo di sgomento penso' di rivolerla e la sua lama magica riapparve nel suo pugno.
"Bravo!", si complimento' con lui Giovanna, anche se c’era un pizzico di ironia nella sua voce, "Ora posso tornare a Faerie tranquillamente", dopo averlo estratto da una tasca, la ragazza poso' a terra uno specchietto simile a quello del ragazzo, "Un’ultima cosa, ti rimarra' anche la capacita' di poter capire e parlare tutte le lingue che sentirai"
"Un attimo!", la blocco' Menion confuso, "Ti potro' parlare di nuovo?"
Aveva mille domande da porgere a quella ragazza che per lui era sempre stata una grande eroina.
"Certo", rispose lei con un sorriso, "Sai dove trovarmi"
Intanto aveva estratto la sua spada e l’aveva piantata sulla superficie dello specchietto. Un passaggio di luce si era gia' formato ai suoi piedi.
"Un’altra cosa...", la blocco' ancora Menion, "Grazie"
Lei gli sorrise un’ultima volta mentre il sole luccicava sui suoi capelli corti, poi entro' nella luce.
Un istante dopo Menion era solo nella radura.




E così si conclude questo racconto.
Spero di avervi regalato qualche ora di divertimento e di svago.
Vi ringrazio tutte/i per avermi seguito fino alla fine, grazie per la pazienza e la compagnia.
Vi aspetto sul prossimo racconto del nostro Settimo Cavaliere, che inizierò a pubblicare dalla prossima settimana.
Ciao a tutte/i ed ancora grazie!

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