L'altra figlia

di Benzina
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Samhain ***
Capitolo 2: *** Come tutto ebbe inizio ***
Capitolo 3: *** Paura ***
Capitolo 4: *** Un mare d'inquietudine ***
Capitolo 5: *** Promessa ***
Capitolo 6: *** Dalla potenza all'atto ***
Capitolo 7: *** Galahad del Lago ***
Capitolo 8: *** Amore e solitudine ***
Capitolo 9: *** Antipatie ***
Capitolo 10: *** Debole ***
Capitolo 11: *** Lena ***



Capitolo 1
*** Samhain ***


S A M H A I N



L’aria che si respirava quella sera a corte era frizzante, piena di vivacità e spensieratezza .

Come ogni anno Re Marven aveva organizzato un grande banchetto

per festeggiare l’avvento dell’anno nuovo .

Era il 31 di Ottobre nell’Isola di Emblemon e Samhain era alle porte .

A Salem tre splendide sorelle, le figlie del re, danzavano in cerchio , mescolandosi alla folla presente a corte, deliziando la vista del padre e dei suoi ospiti con i loro movimenti sinuosi e dolci, che risaltavano la loro appartenenza alla stirpe elfica .

Regnava di sottofondo una musica trascinante, a tratti melanconica, proveniente da un flauto che un bardo suonava per allietare la serata del suo padrone .

L’intera sala ribolliva di profumi, provenienti dall’ampia tavolata imbandita per i festeggiamenti . Su di essa era raffinatamente esposta la migliore selvaggina che i cacciatori del re potessero procurare, pietanze che aspettavano solo di esser gustate con vino, birra e idromele a fiumi .

Ad un certo punto il bardo smise di suonare e nella stanza da pranzo cadde il silenzio .

Re Marven sollevò il calice colmo di vino ed invitò tutti i commensali a fare lo stesso .

« Amici miei, » disse schiarendosi la voce « diamo il benvenuto alla notte degli spiriti!

Con il sopraggiungere dell’inverno festeggiamo adeguatamente l’inizio di un nuovo semestre, augurandoci che esso ci porti fortuna e un buon raccolto per la prossima stagione!

Per stanotte e per i prossimi due giorni dimentichiamo gli affanni terreni e dedichiamoci al culto del Dio e della Dea! Onoriamo i nostri cari defunti e apriamo la nostra mente affinché sia pronta a ricevere i loro messaggi e le loro apparizioni! ».

Un applauso si propagò per la sala . Tutti gli invitati pendevano dalle labbra del Re.

« Ed ora, continuiamo a divertirci! » gridò e la festa ricominciò ancora più allegra di prima.

 La bella Morwen, secondogenita del re, smise di danzare e cominciò ad esporre sui davanzali piccole rape che durante il giorno aveva intagliato .

Al loro interno collocava una piccola candela, simbolo della speranza contro l’oscurità che l’inverno recava seco .

Nel frattempo alcune dame iniziarono ad intonare i canti tradizionali della festa , i bambini stanchi si riunirono in cerchio intorno a qualche vecchio saggio in cerca di orecchi per le sue storie fantastiche e le indovine continuavano a presiedere sedute divinatorie .

Ma all’improvviso un rumore sovrastò le voci degli invitati : qualcuno picchiava alla porta. Immediatamente un servo andò ad aprire il grande portone d’accesso alla sala, facendo entrare un ospite molto atteso : Re Hirduin di Faith fece il suo ingresso accompagnato dal suo vasto seguito . Re Marven batté con gioia le mani e si alzò dal suo trono andando gaio incontro al suo vecchio amico .

I due sovrani si strinsero in un abbraccio informale che sottolineava il profondo legame che li univa .

« Benvenuto, amico mio! Benvenuto a Salem! » urlò Re Marven .

« Sei in ritardo! Ma d’altronde la notte è lunga e non siamo che all’inizio dei nostri festeggiamenti! Orsù dimmi : com’è stato il viaggio ? » chiese il Re.

Per la prima volta dal suo ingresso in sala Re Hirduin parlò :

« È stato un ottimo viaggio, sire, anche se il tempo non è stato per tutto il tratto favorevole. » rispose Hirduin levandosi il mantello da viaggio e porgendolo alla dama che gli stava vicino . Egli era di altezza statuaria, un tratto non molto comune tra la sua gente, e di gran vigore fisico . Re Hirduin aveva larghe spalle e lunghe braccia, proprie di un cavaliere .

Il suo volto, dai lineamenti severi ma attraenti, era adornato da due gemme preziose :

splendidi occhi marroni, profondi, specchi di un’anima buona .

Un po’ di barba, perfettamente rasata, gli dava un aspetto ancor più virile e dignitoso e

sebbene non fosse più il giovane capitano avventato di una volta, la bellezza continuava a dimorare in lui, concedendogli un’aura di regalità e rispetto ad ogni movimento .

Re Hirduin giungeva a Salem dalla lontana Faith, la più grande e maestosa città del Regno del Nord .

Il suo viaggio era stato di durata di una settimana, poiché egli aveva dovuto attraversare con il suo seguito e la sua scorta tutte le terre del Nord fino ad arrivare alla città elfica di Lena . Da lì il Re aveva proseguito verso sud e si era imbarcato vero l’Isola di Emblemon, patria del suo anfitrione .

« Sarai stanco, Hirduin. Vieni a sederti con me! » disse Marven, conducendo il suo amico al tavolo dove lentamente gli invitati stavano riprendendo posto .

Egli si sedette a destra del capotavola ed intraprese una lunga conversazione con il re che non vedeva da troppo tempo .Sedute di fronte a lui vi erano le tre figlie di Marven : Aranel, Morwen e Fimbrethil .

Il Re le chiamava le sue gioie, le reminescenze della sua adorata sposa defunta .

La moglie di Re Marven, un’ elfa di nobile stirpe proveniente dal Regno del Sud, era infatti morta diciotto anni prima nel dare alla luce Morwen lasciando il cuore del Re un luogo impervio nel quale entrare .

Quella sera le sue gioie erano uno spettacolo di meravigliosa bellezza al quale assistere :

Aranel, la Stella del Re, la primogenita, indossava una semplice veste in raso color di rosa  dalle maniche a punta  che risaltava ancor di più il biondo dei suoi capelli e l’azzurro dei suoi occhi .  Era un creatura sempre col sorriso a fior di labbra, amante delle arti e soprattutto della danza, diventata la padrona di casa subito dopo la morte della madre . Era lei ad occuparsi del padre e dei suoi bisogni . Ed era lei che coordinava i lavori delle ancelle, dei servi e dei domestici .

Poi vi era  Fimbrethil, l’Esile Betulla, sorella gemella di Aranel, una  fragile creatura in abito con strascico color verde acqua, cucito da lei stessa .

Era una ragazza molto alta, e molto diversa dalla gemella . Se Aranel era di carnagione chiara e aveva lunghi boccoli biondi, lei era di carnagione olivastra e con lunghi capelli neri lisci come l’olio . La bocca sottile e il naso all’insù completavano il viso, così delicato da sembrare di porcellana . La sua descrizione si sposava perfettamente con il suo carattere schivo e riservato , amante dei sentimenti semplici e della tranquillità .

Infine la terza giovane, Morwen, la Fanciulla Scura, era un concentrato di allegria,coraggio e orgoglio dentro una piccola veste in velluto verde scuro, decorata da foglie dorate, dalla linea scivolata e dalle maniche molto ampie . Una giovane strega bionda, iniziata al culto degli Dei dalla governante . Era una mezzelfa dal carattere forte, che amava tirare con l’arco e di scherma, il canto e le antiche leggende del suo popolo .

Fu così che osservandole nella mente di Re Hirduin balenò nuovamente un’idea rinchiusa nei meandri del suo cuore ormai da molto tempo . Si trovò a desiderare la compagnia di una di quelle fanciulle,ed era certo che al suo sol domandare , il suo ospite generoso, gliene avrebbe offerta una in sposa . Si ricordò in quel momento del dono che aveva portato con sé lungo il viaggio e dunque mandò a chiamare il suo servitore con l’ordine di andarlo a prendere .

Dieci minuti dopo il giovane servo tornò con un pacco e inginocchiandosi, lo offrì a Re Marven .

 

« Un dono del mio sire, Re Marven » annunciò il ragazzetto .

Il Re di Salem strappò immediatamente l’involucro del pacco, volgendo uno sguardo di gratitudine all’amico .

« Sbalorditivo! » esclamò vedendo l’arma che si passava tra le mani :  una splendente spada .

« è stata forgiata dai nani di Knar . è un’ottima lama, amico mio » disse Hirduin certo di averlo conquistato .

Infatti Re Marven l’osservava ancora :nel pomolo era incastonato uno smeraldo e aveva l’impugnatura e la guardia d’oro .

La lama era di forte acciaio nel quale erano incise delle rune che significavano “ Nyang, fortuna al portatore” .

« Spero sia di tuo gradimento » continuò Hirduin .

« Certamente! » esclamò il Re che nel frattempo faceva ammirare l’arma ad alcuni commensali.

Hirduin gli diede una pacca sulla spalla .

« A questo punto, tocca a me donarti qualcosa a mia volta. »  sentenziò Re Marven .

“ Ma cosa?” si chiedeva quando ad un certo punto la risata cristallina di una delle sue figlie lo colpì .

Si girò verso la ragazza e capì cos’avrebbe dovuto fare .

« Ecco il dono adeguato! » disse sottovoce ad Hirduin.

« Che cosa, sire? » domandò l’altro .

« Se vorrai, potrai prendere come tua sposa la minore delle mie figlie : Morwen ».

« Tu mi onori con questo regalo! ».

« Sciocchezze! Glielo comunicherò quando la festa sarà conclusa ma ora, divertiamoci e festeggiamo con gioia fino all’alba! » concluse Re Marven, noncurante di ciò che la sua decisione avrebbe potuto provocare in un cuore indipendente come quello di Morwen.

Cominciò il banchetto e tutti i commensali si buttarono sulle deliziose pietanze che man mano venivano servite . Poi, una volta finito il pasto, si ridiede il via alle danze e iniziarono i riti principali : lo sbucciamento della mela  e l’immersione di questa .

Lo sbucciamento della mela consisteva nello sbucciare appunto il frutto e vedere, in base alla lunghezza del pezzo sbucciato, quanto sarebbe stata lunga la propria vita .

L’immersione, invece, preannunziava che la prima persona che avesse morso una mela immersa in un catino d’acqua si sarebbe sposata entro l’anno .

Il festeggiamento per il Giorno dei Morti continuò fino alle prime luci dell’alba,indi il Re,

 le figlie e i suoi ospiti andarono a riposare .

 

Note dell'autrice

 I nomi Morwen e Fimbrethil sono proprietà di J.R.R.Tolkien.

Spero questo racconto vi piaccia, naturalmente. La sua stesura non è delle più semplici, ma mi diverte moltissimo :)

Ci saranno molti colpi di scena e tanti bei capitoli... se ne avrete voglia, potrete farmi compagnia durante il cammino ;)


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Capitolo 2
*** Come tutto ebbe inizio ***


COME TUTTO EBBE INIZIO

 Quando, qualche ora dopo, Talulah si svegliò di soprassalto il sole era già alto nel cielo ma l’intera città-castello di Salem era immersa in un profondo silenzio e ciò non fece che alimentare la convinzione di Talulah che prima della tempesta ci fosse sempre una strana calma. Ella era stata la balia, ed ora istitutrice, delle figlie di Re Marven da quando la sua diletta moglie era morta . Era stata colei che le aveva cresciute e che aveva insegnato loro i primi rudimenti della letteratura, della matematica e della magia .

E naturalmente il loro legame era sempre stato molto forte e amorevole .

Adesso che l’effetto dell’incubo era passato, Talulah capì che ciò che aveva sempre temuto si era avverato e che non c’era più tempo da perdere .

 

*

 

La fanciulla bionda venne strappata via dal tepore del suo sonno e dalla dolcezza dei suoi sogni in maniera rude. Morwen aprì gli occhi e si ritrovò innanzi ad un’espressione grave e inquieta sul volto di colei che l’aveva destata.

Capì immediatamente che qualcosa non andava e si alzò dal letto seguendo Talulah verso un’altra stanza . Fimbrethil subì il suo stesso risveglio . E anche lei come Morwen apparve turbata dai gesti impazienti della balia .

Talulah le condusse, senza dire una parola, nel piccolo salottino dove erano solite passare ore ed ore a rammendare vecchia biancheria .

« Sedetevi » disse loro .

Le ragazze obbedirono e si accomodarono in un divanetto .

« Stanotte ho fatto un sogno e purtroppo esso non è favorevole, ma ha un suo preciso significato ».

« Fimbrethil, » disse voltandosi verso la fanciulla « sei in pericolo di vita ».

Nessuna delle due sorelle proferì verbo bensì guardarono Talulah con aria interrogativa .

« Dovete lasciare immediatamente Salem, senza essere viste, e raggiungere la costa settentrionale. Lì vi imbarcherete in una nave e raggiungerete il Regno del Nord .

Cercherete la città di Lena : là una mia vecchia conoscenza vi ospiterà e sarete al sicuro .

Soprattutto tu, Fimbrethil, sarai al sicuro ».

« Non capisco, Talulah. Che sta accadendo ? » chiese Morwen agitata .

« La vita di tua sorella è in pericolo qui a Salem. »spiegò « Ora non posso dirvi esattamente come stanno le cose ma dovete fidarvi di me ».

Talulah si alzò .

« Preparatevi a partire : una sacca ciascuno, portate lo stretto indispensabile per il viaggio, due mantelli e Morwen » aggiunse «…porta la tua spada e il tuo arco ».

« Io non vedo alcun pericolo. Prima di prendere decisioni avventate non sarebbe meglio consultare nostro padre? » domandò Fimbrethil .

« Lo informerò io ma ora dovete partire!Su, preparatevi! Fate presto! » ordinò la balia .

« Se Fimbrethil è in pericolo sarebbe bene che rimanesse dov’è . Abbiamo il migliore esercito dell’Isola, chiunque voglia farle del male dovrà radere al suolo la città » osservò Morwen .

« Piccole mie ...» disse affettuosa « Credete che non ci abbia riflettuto? Ma il potere che reclama Fimbrethil non si fermerà fin quando non l’avrà trovata. Non possiamo rischiare , dovete recarvi a Lena dove sarete al sicuro! » concluse l’anziana balia .

« Non ho intenzione di muovermi!Avete idea di quanti pericoli ci siano là fuori ? » esclamò Fimbrethil guardando la sorella e Talulah avviarsi a preparare il necessario per il cammino.

« So combattere e in ogni caso io mi fido di Talulah e se dice che dobbiamo partire, dobbiamo farlo » e così fu chiuso l’argomento .

Morwen tirò fuori dall’armadio della sua stanza due sacche di tela e ne porse una alla sorella. Vi mise dentro tutto ciò che poteva tornare utile, poi andò a vestirsi con abiti da viaggio meno ingombranti di quelli che portava di solito . Prese la spada che suo padre le aveva regalato poco tempo prima, l’arco e la faretra con le frecce .

Fimbrethil nel frattempo passò nelle cucine a prendere tutto ciò che avrebbe trovato .

Lei era la più turbata delle due sorelle, non solo perché era la diretta interessata del pericolo dal quale stava per fuggire ma anche perché lei non si era mai allontanata dalla sua dimora .

Era una fanciulla che amava la tranquillità e fuggiva la natura e le scomodità : uscire nel mondo esterno sarebbe stato arduo per lei . Nonostante ciò si trovò costretta a farlo e pregò per tutto il tempo della preparazione la Dea aiutarla .

Mezzora dopo erano pronte,  Talulah le condusse lungo un passaggio segreto per uscire indisturbate dal loro castello con i cavalli che aveva fatto sellare .

« Mi raccomando » disse loro « non rivelate i vostri nomi e non viaggiate di notte . Fate quanta più attenzione possibile e non esitate ad utilizzare la magia in caso di bisogno »

Morwen e Fimbrethil annuirono .

Arrivarono con Talulah all’imboccare del sentiero per abbandonare la città .

«Siate prudenti, bambine mie!» esclamò «E che il Dio e la Dea proteggano il vostro cammino.» aggiunse piano, così che la sua voce sembrò un mormorio rivolto al vento .

Le due sorelle diedero le spalle a Talulah e s’incamminarono verso la loro avventura .


 

Note dell'autrice

Grazie a tutte per le recensioni ;)

Pareri e critiche sono sempre ben accetti!

Un bacio!

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Capitolo 3
*** Paura ***


PAURA

 Forti tuoni squarciavano il blu notte del cielo, disturbando l’equilibrio che si era venuto a creare fra il lento piovigginare e la natura del boschetto nel quale Morwen e Fimbrethil si erano accampate per la notte. Le ragazze non parlavano fra loro, si limitavano ad osservare Asfelath e Ylak, i loro cavalli morelli, che brucavano l’erba bagnata .

La giornata era stata particolarmente dura e sfiancante : avevano cavalcato per tutto il tempo, attraversando piccoli boschi ed evitando villaggi, seguendo il sentiero che le avrebbe portate nelle terre settentrionali dell’isola . Si erano fermate solo due volte, per riposare le loro membra, stanche della lunga cavalcata, consumando pasti freddi a base di pane e formaggio e per abbeverare i cavalli. All’inizio il bel tempo, contraddistinto da un sole cocente, le aveva favorite ma improvvisamente era cambiato dopo l’arrivo di alcune nuvolacce nere .Così aveva iniziato a piovere e le mezzelfe si erano ritrovate bagnate fino all’osso nonostante i mantelli . Ovviamente quel cambiamento di tempo non aveva che alimentato il malumore, facendo inoltre sparire i savi e gradevoli canti con i quali le ragazze si erano accompagnate durante la giornata . Presto si era fatto buio e loro, consapevoli di aver percorso solo un quarto del loro cammino avevano cercato, abbattute nello spirito e stanche, un luogo dove trascorrere la notte. Bisognava fosse più o meno riparato dalla pioggia e dagli sguardi indiscreti per poter accendere un fuoco e riposare tranquillamente anche se né Morwen né Fimbrethil erano convinte che avrebbero preso sonno . Trovarono un boschetto e si accamparono all’ombra di un enorme quercia .

Legarono Asfelath e Ylak ad un alto albero e allungarono la corda quel tanto di cui i cavalli avevano bisogno per raggiungere dell’altra erba .

Poi,  in un silenzio degno di un rituale funebre, si divisero : una andò a cercare della legna per accendere il fuoco e l’altra uscì dalle sacche il necessario per un frugale pasto e per il riposo notturno . Quando tutto fu pronto la forte pioggia impedì loro di accendere il fuoco, così si raggomitolarono nelle loro coperte, amareggiate abbastanza da non voler toccare né cibo né l’acqua delle borracce . Presto tutto calò nel silenzio e le ragazze si convinsero entrambe che l’altra fosse già sprofondata nel mondo dei sogni .

Morwen si era accoccolata contro la corteccia dell’albero, tirandosi la coperta sopra la testa. Si abbandonò ad un singhiozzo .

Quando quella mattina Talulah l’aveva esortata ad accettare il suo destino  contribuendo alla salvezza di Fimbrethil, per lei si era come spalancata una porta immaginaria che conduceva alle sue ambizioni . Per tutta la vita aveva sognato di mettersi alla prova, di dimostrare il suo ardore e le sue capacità. E finalmente ciò le era stato concesso tramite quella missione .Era partita piena di coraggio ma ora, dopo una sola giornata, i suoi nervi erano a pezzi .Temeva che la giornata successiva sarebbe stata peggiore e che lei avrebbe esitato di fronte ad una difficoltà qualunque . Dopotutto, era una donna lei . Era il sesso debole, avrebbe fallito, e da Fimbrethil, suo padre, Talulah e il suo popolo non ci sarebbero stati rimproveri : infondo era solo una fanciulla di sedici anni .

Cosa avrebbe potuto contro le difficoltà di un viaggio come quello? Tutto ciò andava contro i suoi principi, pensava . Ma come poteva dimostrarsi forte senza neppure conoscere la verità sulla situazione nella quale era? Non sapeva chi fosse e come eventualmente affrontare il nemico che voleva la morte della sorella! Era tutto così complicato! Forse aveva sbagliato a fidarsi di Talulah, forse avrebbe dovuto davvero consultare suo padre prima di partire!

Come poteva aver creduto a delle semplici parole? Ma ormai era partita, e non sarebbe tornata indietro .

“ Oh Dea, dimmi cosa devo fare!” sussurrò Morwen, pregando .

Ora, dopo tanto tempo, si ritrovava pensare a sua madre . E a come sarebbe stato bello se in quel momento avesse potuto confortarla solo come una madre sa fare .

 

Nello stesso momento anche la mente di Fimbrethil vagava libera .

Ella piangeva, noncurante di farsi sentire, e pregava gli dei .

Per tutta la giornata era stata nervosa ma solo l’oscurità amica della notte le permise di dare ampio sfogo ai suoi sentimenti :

aveva paura,sì .

Era semplicemente terrorizzata.

Fimbrethil si era sempre ritenuta diversa da Morwen e Aranel : loro erano ragazze allegre e disinvolte, mentre lei era di un carattere talmente schivo da amare la quiete della sua quotidianità a Salem . Questo improvviso cambiamento, questo viaggio la rendeva insicura e più debole del solito. Fimbrethil avrebbe tanto voluto convincere Morwen a tornare a casa ma si rendeva conto di non avere abbastanza forza per andare contro la sola volontà della sorella . E si disprezzava per questo : lei era solo una smidollata . Non valeva neppure la metà di Morwen che era così brava in tutto quello che faceva, così attraente, così perfetta!La fanciulla voleva tornare a casa, voleva dormire nel suo letto e non preoccuparsi di un nemico invisibile . Era chiedere troppo? Evidentemente sì .

Fimbrethil si asciugò le lacrime e guardò il cielo nuvoloso : non c’era nemmeno una stella . Non c’era nemmeno speranza .

Lei sarebbe stata per sempre succube del suo carattere e degli altri. Durante quella prima notte le ragazze si resero conto di essere sole .

Forse non potevano contare nemmeno l’una sull’altra .

Erano troppo diverse anche nelle difficoltà : se Morwen voleva sapere da cosa fuggiva vano, la sorella non ne era minimamente preoccupata . Se Morwen era pronta al cambiamento, Fimbrethil lo temeva .

 

*

La mattina seguente le mezzelfe si svegliarono di buon’ora e fecero un’abbondante colazione prima di sellare i cavalli.

Il sole illuminava debolmente la vallata e Morwen pensò che sarebbe durato molto poco poiché le stesse nuvole del giorno prima stavano tornando .Una volta sistemate le sacche partirono lanciando i cavalli al galoppo verso nord. In mattinata poterono già scorgere la costa e almeno questo le rallegrò un po’ . Decisero di costeggiare il fiume Antha, così avrebbero potuto riempire le borracce e dare un po’ di tregua ai cavalli, stremati . Quando arrivarono smontarono e lasciarono liberi Asfelath e Ylak .

« Che ne dici di un bagno? » propose Morwen alla sorella e senza aspettare risposta si tolse il mantello e il vestito da viaggio tuffandosi nell’acqua cristallina in sottoveste. Un bel bagno le ci voleva proprio. Fimbrethil la imitò anche se più riluttante .

Le ragazze si lavarono e si rilassarono ma come al solito non riuscivano a parlare fra loro : forse non avevano argomenti, oppure non volevano rischiare uno dei soliti battibecchi .

Non appena furono pulite si stesero sull’erba e si lasciarono asciugare dai pochi raggi del sole .

Si erano quasi addormentate quando Morwen sentì lo spezzarsi di un ramo, sicuramente calpestato. Ella si girò immediatamente, alzandosi in piedi : briganti . Ed erano in tre. Grossi e nerboruti .

« Buongiorno, bambolina! » le disse il più vecchio del gruppo .

Fimbrethil si alzò subito e si posizionò alle spalle di Morwen, atterrita .

I tre briganti stavano frugando nelle loro borse.

Morwen venne prese da uno scatto d’ira : non avrebbe sopportato che tre mascalzoni la derubassero. Così corse immediatamente al luogo dove aveva lasciato la spada mentre che il vecchio che le aveva rivolto la parola la inseguiva . Ma Morwen fu più veloce : prese la sua spada e la puntò contro l’uomo.

Quello estrasse un coltello, sporco di sangue .

« Non ti farò del male se collabori, bambolina. Ora tu butti la tua spada e noi ti lasciamo in vita » annunciò il brigante avvicinandosi alla fanciulla .

Morwen gli sputò in faccia. Fimbrethil tremò per l’impudenza della sorella e si nascose il volto con le mani .

« Come osi! » urlò quello zotico e si scagliò con il coltello contro il collo della sua giovane avversaria . Lei gli bloccò il braccio, affondando la sua lama nel ventre di quello, il quale urlò di dolore, nonostante il colpo fosse stato poco profondo. Ma ciò lo fece imbestialire ancora di più. Cominciò a sferrare colpi a destra e a sinistra. Morwen li schivava con destrezza ma solo dopo un paio di minuti riuscì con un calcio a far cadere il vecchio a terra, immobilizzandolo.

« Ehi voi! » urlò rivolta agli altri due ladri che si stavano dando alla fuga « Restituite ciò che avete rubato o il vostro amico muore! » li minacciò .

I due briganti si guardarono negli occhi e si lanciarono in una folle corsa .

Morwen cedette alla rabbia, lasciandosi sfuggire dalla sua presa il vecchio .

Lui le diede un pugno sul naso e iniziò a lottare a mani nude dato che aveva perso il coltello . Morwen vacillò per un istante e l’uomo le fu addosso . Era sporco e il suo alito puzzava incredibilmente di pesce rancido.

Lottarono a terra, e per un momento, data la diversa mole fisica, sembrò che il ladro avesse la meglio ma alla fine Morwen lo ebbe di nuovo in pugno : cercò a tentoni la sua arma a terra e non trovandola afferrò il coltello. Con tutta la rabbia che poté tagliò la gola al vecchio .La fanciulla lasciò andare il corpo e sputò sangue dalla bocca .

Sentì Fimbrethil urlare e poi … svenne .

 

Piccole gocce le bagnavano il viso. Morwen schiuse gli occhi e vide la figura della sorella china su di sé : stava curando con un erba dall’odore intenso un piccolo taglio nel suo braccio . All’improvviso ricordò il motivo per il quale era svenuta  e l’amarezza

l' attanagliò nella sua presa di ferro .

« Come ti senti? » le domandò una Fimbrethil dagli occhi arrossati, probabilmente reduce da una crisi di pianto .

« Bene » mentì Morwen, alzandosi a sedere . Non riusciva ancora a credere di aver ucciso un uomo, di aver avuto il coraggio necessario, ma aveva dovuto . Quel brigante avrebbe fatto altrettanto al suo posto. Sì, ma il senso di colpa non si attenuava e certamente il doversi difendere non era una scusa accettabile per aver posto fine ad un uomo creato dal Dio e dalla Dea.

La sorella interruppe le sue riflessioni porgendole un pezzo di pane, preso da una sacca ormai vuota, ma lei si sentì la bile in bocca .

« Dovremmo rifornirci di viveri in un villaggio » decretò.

« Come facciamo a sapere di chi possiamo fidarci? Non ti sembra rischioso entrare in un villaggio? ».

« Mi sembra più rischioso morire di fame ».

« Almeno non hanno trovato il denaro ».

« Già ».

Era pomeriggio inoltrato e il tempo non accennava a migliorare .

« Perché non riposi un altro po’ ? » consigliò Fimbrethil alla sorella .

« No, prepariamoci a partire. » rispose risoluta la fanciulla . Dormire e sfuggire al rimorso sarebbe stata una scelta troppo facile, bisognava che quel cruccio la opprimesse ancora per qualche tempo . Anche se era sicura che il ricordo del vecchio dissanguato non l’avrebbe abbandonata facilmente .

 

Le due sorelle cavalcarono fino all’imbrunire fino a che non trovarono rifugio fra cespugli ai piedi di una collinetta .

Il sonno le colse quasi subito questa volta, nonostante continuasse a piovere . Quella era stata davvero un’intensa giornata .

 

*

L’indomani sembrava che finalmente il mal tempo si fosse placato .

Sembrava che la natura si stesse risvegliando dopo due giorni di fitta pioggia a catinelle .

Fimbrethil fu la prima ad aprire gli occhi e , cercando di non far rumore, andò a cercare qualcosa di più commestibile del pane vecchio di tre giorni.

Scrutò gli alberi con la speranza di trovare qualche bacca o frutto commestibile ma riuscì a trovare di meglio : un nido con quattro uova . Fimbrethil le prese e tornò al luogo dove si erano accampate . Velocemente accese un piccolo fuoco e le frisse con una piccola stregoneria .Quando Morwen si svegliò trovò ad attenderla una deliziosa colazione che venne accompagnata da alcune gallette di riso . Le ragazze mangiarono velocemente, pronte per rimettersi in viaggio. Entro qualche ora avrebbero raggiunto la costa e allora, una volta imbarcate su una nave, le stanchezze della lunga camminata sarebbero terminate … o almeno così credevano .

 

Arrivarono nel piccolo villaggio di Serma all’ora di pranzo .

Lì dovettero vendere i cavalli per potersi pagare due biglietti per arrivare via nave nel Regno del Nord e per acquistare le provviste necessarie per i due giorni di navigazione previsti . Morwen pianse nel dover abbandonare il suo Asfelath : era il suo destriero da quando era bambina, ma non aveva scelta . Forse un giorno, o in un’altra vita, si sarebbero rincontrati .

 

Le ragazze, dopo aver consumato un breve pasto in una locanda poco raccomandabile ma economica, entrarono al porto di Serma e attesero con le loro sacche il momento dell’imbarco.

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Capitolo 4
*** Un mare d'inquietudine ***


UN MARE D'INQUIETUDINE


 

Il sole si apprestava a sorgere all’orizzonte riflettendo i suoi raggi sul mare calmo e pacifico. Un leggero vento gelido scompigliava i boccoli biondi di Morwen e la faceva rabbrividire . La mezzelfa osservava la distesa infinita d’acqua che le stava intorno e non poteva farsi a meno di chiedere quando avrebbe rivisto la sua casa . Lei non era mai stata un tipo nostalgico ma non aveva mai viaggiato, per di più sola, e ciò la riempiva di un insicurezza di cui avrebbe volentieri fatto a meno . Non avrebbe mai creduto di poter formulare certi pensieri mesti e malinconici ma dopotutto stava solcando alla volta di una terra straniera per fuggire da un nemico sconosciuto .

Era il sesto giorno di Novembre e prima dell’ottavo la Speranza non avrebbe visto terra .

La Speranza era una piccola cocca mercantile, contraddistinta da una singolare forma rotonda che possedeva una piccola stiva divisa fra una zona per le merci e una zona nella quale riposavano i marinai .Morwen e Fimbrethil,invece, alloggiavano in una minuscola stanzetta, a stento dotata di letti e una finestra ma sicura .

La Speranza era stata l’unica nave disposta ad avere due giovani donne a bordo, dopotutto avere una “femmina” a bordo portava solo iella. Ma l’importante era stato avere un “tetto” e dormire finalmente su una superficie morbida a differenza del suolo duro e freddo .Il viaggio sino a quel momento si era rivelato tranquillo, le ragazze avevano passato due giorni a girovagare sul ponte attirando indesiderati sguardi avidi che i marinai della nave rivolgevano loro. Morwen non era partita con la convinzione di essere rispettata come nel suo castello ma si sarebbe accontentata di non venire osservata insistentemente, come carne fresca .

Chissà da quanto tempo quei marinai non avevano goduto del contatto carnale con una donna, rifletté Morwen un po’ più ammorbidita nei loro confronti . Persino il capitano, Jared si chiamava, l’ aveva messa in guardia comunque.

« Non è consigliabile,signorina, rimanere troppo tempo sopracoperta, sa. Questi vecchi balordi potrebbero infastidirvi o prendersi un po’ troppa confidenza … vi consiglio di non dare troppo nell’occhio » aveva detto sperando che questo l’ avrebbe tenuta nella stiva per quattro giorni ma, ovviamente, Morwen aveva trascorso le giornate seduta a poppa, come in quel momento, a fissare il mare e ad ascoltare il verso dei gabbiani che volavano verso terre lontane .Lei non era il tipo da farsi spaventare da un gruppo di canaglie.

 Più che altro la sua preoccupazione principale era il vedere sua sorella confinata nella cabina  per paura d’incontrare uno di quei brutti ceffi in giro per la nave. Morwen temeva che questo avrebbe aggravato il suo mal di mare .

E sapeva anche, con suo grande disappunto, che quando sua sorella, ipocondriaca per natura, soffriva per un qualche malanno diventava automaticamente intrattabile e permalosa all’estremo .

Ad interrompere le riflessioni mattutine della ragazza pensò una campanella che richiamava i marinai sopracoperta e i passeggeri, eventuali, a fare colazione nella cabina del Capitano Jared. La cabina del capitano era una stanza situata a prua della nave sopra la quale stava il timone .

Morwen trovò la sorella lì, già seduta di fronte al capitano nella lunga tavolata che qualche sguattero doveva aver imbandito .

Appena la bionda  ebbe varcato la soglia, il capitano si alzò e la fece accomodare al suo fianco, scusandosi di non aver aspettato anche “ la signorina” per sedersi a tavola .

Morwen rispose che non importava, si sedette e cominciò affamata la sua colazione a base di zuppa di cipolle e uova fritte.

« Come ti senti stamattina? » domandò Morwen alla sorella .

« Molto meglio! Per fortuna l’arrivo è previsto per domani sera, dico bene, capitano? » rispose quella .

« Dite bene, signorina. Se il vento è favorevole l’attracco a Yvra sarà anticipato a domani sera invece che fra due giorni. » dichiarò il capitano afferrando un tozzo di pane .

« Bene. » disse Morwen, che non sapeva se essere lieta di non dover essere più oggetto di sconci pensieri da parte dei marinai oppure di dover essere dispiaciuta di dover, nuovamente, dormire all’aperto .

La colazione proseguì in silenzio fino a quando al capitano non venne un’irrefrenabile, e alquanto scomoda, voglia di ciarlare.

« Ditemi, signorine, da dove venite? » chiese loro .

Fimbrethil stava per aprir bocca quando Morwen la interruppe .

« Veniamo da Jedra » mentì spontaneamente lei .

« E dove si trova? » s’informò il capitano .

« A sud di Salem, è un piccolo villaggio di contadini ».

« E come mai avete intrapreso questo viaggio? »

« Siamo dirette in visita da una nostra parente … molto, molto malata ».

« Capisco. E che mansione svolgete nel vostro villaggio ? »

« Mia sorella ed io siamo le dame di compagnia di una signora rimasta vedova ».

Morwen si vergognò di tutte quelle menzogne sparate  a raffica ma … non poteva di certo rischiare di svelare la loro identità ad un uomo quasi sconosciuto! Fortunatamente dopo quell’ultima domanda la curiosità del capitano sembrò placata e tutti prestarono l’attenzione al proprio piatto.

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Capitolo 5
*** Promessa ***


  PROMESSA

 

Tra le nuvole grigiastre e un cielo ancor più cupo si ergeva la fortezza di Karthra.

Era circondata da spesse mura di pietra che si susseguivano per centinaia e centinaia di passi e l’unico modo per accedervi era l’alto cancello nero che veniva sorvegliato giorno e notte da due ogre. Gli ogre erano creature antiche, nate e cresciute selvaggiamente sui Monti Bianchi dove era stata costruita Karthra. Imparavano a spaccare le cose ancor prima d’imparare a camminare.

La razza ogre era primitiva, priva di una qualsiasi forma di civilizzazione, non sapeva parlare e di fatti comunicava con gesti che

il più delle volte risultavano incomprensibili ai loro padroni. Essendo privi di una qualsivoglia forma di intelligenza, gli ogre erano stati sottomessi subito dal nemico che premiava la loro brutalità.

Erano incredibilmente massicci e muscolosi, alti quanto tre uomini, e il loro unico abbigliamento era un pezzo di pelliccia, rozzamente conciata, legata alla vita.

Il loro aspetto incuteva un immediato ribrezzo poiché erano privi di capelli, con piccoli occhi neri infidi e un’espressione arcigna resa ancor più orribile da una dentatura sporgente che avrebbe potuto far concorrenza a quella di un drago di montagna.

Comunque, erano quelle le creature che facevano da guardia all’oscuro castello .

Questa era una costruzione a piramide su dieci livelli sui quali si ergevano imponenti torri dalle punte aguzze, avvolte dalle tenebre.

La fortezza, imponente e inquietante, ospitava numerose stanze al suo interno di cui la maggior parte prive di mobilio. Solamente nella torre centrale vi era vita: nella camera più alta il Nemico elaborava i suoi piani, lasciando le stanze attigue ai sovrintendenti dell’esercito che pian piano andava costruendo.

Sembrava che la vita non fosse mai sopraggiunta a Karthra, terra desolata e arida.

Infatti di vegetazione non ce n’era e tanto meno fauna, fatta eccezione per i corvi.

Quei rapaci neri come la pece sorvolavano in cerchio la fortezza, gracchiando, come a simboleggiare il male e il malocchio che la opprimeva.

 

Il Nemico se ne stava altero seduto sul suo trono, in attesa.

Aspettava, domandandosi per quale motivo la sua vecchia consigliera non avesse risposto alla sua inequivocabile chiamata. Eppure, pensava, il sortilegio avrebbe dovuto far effetto sin dalle prime ore del mattino precedente. Lei non aveva voglia di aspettare.

L’attesa la opprimeva: voleva tutto, e subito.

Aveva già portato pazienza per diciotto lunghi anni ma adesso desiderava che sua figlia fosse immediatamente condotta al suo cospetto.

Dopo tutto quel tempo il momento della vendetta sarebbe giunto veloce e inesorabile.

Stavolta nessuno avrebbe contrastato la rinascita e il ritorno al potere della dinastia degli Indil. Nessuno. Il Nemico si alzò di scatto, stufo di attendere.

Se Talulah non aveva ancora risposto qualcosa doveva essere andato storto.

Il Nemico se lo sentiva. Dopotutto, anche se le sue doti magiche non erano molto sviluppate, un po’ di sesto senso l’aveva sempre dominata.

Abbandonò la sua camera e si diresse in un’ altra più piccola, che conteneva tre soli oggetti: un tavolino rotondo, uno scrigno e il suo contenuto.

Non aveva mai osato usare quella potente arma, temeva che le sue forze non sarebbero state sufficienti. Ma stavolta la curiosità prevalse sulla ragione.

Il Nemico aprì lo scrigno e posizionò il contenuto nel tavolino, lasciando cadere a terra il suo contenitore. Poi con un gessetto marcò un ampio cerchio intorno a sé.

Il Nemico chiuse gli occhi e si concentrò sulla sfera che le stava di fronte.

Cercò l’energia nella parte più remota del suo Io, preparandosi ad entrare in contatto con l’Entità superiore. Quando percepì la presenza divina in sé, aprì gli occhi e prese un profondo respiro. Ma un ricordo lontano l’allontanò dal suo compito.

Rivide la madre, colei che l’aveva iniziata al sapere magico, che le rammentava le leggi di ciò che stava apprendendo.

Una in particolare:” Bada bene” le diceva sovente “ alla legge del Tre: le tue azioni per tre volte torneranno a te. Questa legge bene devi imparare perché lega il ricevere al meritare”.

“ Sciocchezze” pensò , lei non aveva mai prestato attenzione alle leggi del potere e di certo non lo avrebbe fatto ora.

Quindi scacciò via la voce della madre e richiuse gli occhi.

La concentrazione la invase e in breve il mondo cessò di esistere. Non era neppure sicura che fosse mai esistito.

In quel momento sentiva solo una grande forza, intrisa di conoscenza, dentro di sé. Ora percepiva esattamente il potere degli Dei.

« Mostratemi, o Dei, dove si trova mia figlia Fimbrethil e la mia serva Talulah. Io invoco il vostro potere affinché realizziate il mio volere » mormorò.

Lentamente nella sfera di cristallo cominciarono ad apparire due immagini separate dalle nebbie: da un lato vi erano due fanciulle , dall’altro una vecchia che si aggirava in un giardino. Il Nemico osservò con più attenzione: riconobbe la graziosa figura elfica di sua figlia  e della sua compagna che erano prossime a raggiungere la costa.

Mentre la vecchia si rivelò essere Talulah, la sua vecchia confidente e consigliera.

E lì il tradimento si mostrò palese. Il Nemico urlò di rabbia e la visione della sfera scomparve. Il cerchio sacro venne chiuso e il suo emblema a terra cancellato.

Il Nemico ribolliva di rabbia: Fimbrethil non stava di certo venendo a Karthra bensì si preparava a raggiungere il Regno del Nord.

Il Nemico urlò ancora più forte: questa volta accorse un servitore incappucciato.

«Mia signora, posso esserle utile? » domandò quello, un elfo oscuro.

« Raduna i Goblin, subito! » ringhiò Lilith, la Folle.

« Che vadano nella costa a sud di Lena e mi portino questa ragazza! »

All’improvviso, allo schiocco di dita di Lilith,comparve il riflesso dell’elfa.

« Sarà fatto, mia signora Lilith. » rispose servile l’elfo e sparì.

No, Lilith, figlia di Lilion e discendente della nobile famiglia degli Indil non si sarebbe fatta soggiogare dalla patetica insubordinazione di Talulah. Era una promessa.

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Capitolo 6
*** Dalla potenza all'atto ***


 

 DALLA POTENZA ALL'ATTO

Sin da quando era bambina, in Lilith era stato instillato un odio profondo nei confronti delle popolazioni del Regno del Nord che avevano spodestato la sua famiglia dal trono.

La sua mano di sofferenza non aveva perso tempo una volta mandata a cercare Fimbrethil.

Lilith aveva immediatamente messo in atto un piano che da decenni covava fra le mura della sua fortezza. E sarebbe stata proprio quella figlia sconosciuta che avrebbe sferrato nel momento opportuno l’attacco finale ai suoi nemici.

Il mattino dopo aver inviato il suo messaggio a Talulah, Lilith aveva mandato il suo servo più fidato, l’elfo Sventura, a risvegliare un antico male che da tempo era confinato nelle oscure grotte dei Monti Bianchi.

Ed ora la terra di Karthra, sei giorni dopo, rimbombava dei passi delle creature aberranti a mostruose che Sventura aveva condotto dalla sua padrona. Egli si era assicurato l’aiuto di troll, goblin, orchi ed ogre che aspettavano soltanto di essere istruiti sul da farsi.

Erano ansiosi di distruggere, depredare, uccidere, vincere per la regina di Karthra.

Lilith si era bardata a festa quella sera, algida e terrificante come non mai.

Gli occhi scintillanti per l’emozione di constatare per la prima volta il suo potere.

Questa si schiarì la voce e si affacciò al balcone della sua fortezza.

Urla di ovazione la accolsero e Lilith poté finalmente ammirare un’immensa schiera di cavie per il suo piano.

« Il tempo di riprendere ciò che mi spetta di diritto è giunto » gridò, mentre con un‘espressione che già pregustava la vittoria contemplava la moltitudine di mostri.

Ascoltatemi attentamente! Desiderate la libertà? Desiderate vendetta contro quegli uomini e quegli elfi che vi confinarono a vivere sui Monti? Desiderate cacciare indisturbati lungo tutte le Terre? Aiutatemi nel mio intento: scatenate il vostro odio contro le città dei Nani, Knar e Zvaith, e contro Hirys, l’odiosa città degli uomini! Portatemi i loro re vivi ed insieme, vi prometto, costruiremo un nuovo mondo! –

Le creature esultarono alzando verso il cielo lance ed asce ed immediatamente sciamarono verso i loro obiettivi. Lilith rise della facilità con la quale si era comprata la fedeltà di quelle stupide bestie : sapeva che da quando i Re delle Terre del Nord e del Sud le avevano confinate perché pericolose sui Monti Bianchi avevano patito la fame e si erano fatte guerra fra loro. E sapeva anche che per la più insignificante promessa di libertà si sarebbero vendute l’anima… se mai ne avevano avuta una.

Perciò, vendendo loro false speranza, si era assicurato un esercito spietato guidato non solo dall’odio ma dal bisogno supremo di uccidere. Inoltre non aveva certo bisogno di incoraggiamenti : quei mostri erano venuti al mondo solo per combattere ed essere comandati. Non possedevano veri sentimenti se non quelli instillati in loro.

Non erano nulla se non pedine per un piano più grande e un futuro glorioso.

 

*

 

Cador sentiva il cuore battere a più non posso contro il suo giovane petto.

La paura lo coglieva ogni attimo di più ma l’indignazione..ah, l’indignazione era maggiore ad ogni altri sentimento in quei momenti.

Quando quella mattina si era svegliato, non avrebbe mai potuto immaginare che la sua città, la piccola Hirys, sarebbe stata attaccata a sorpresa da dei nemici sconosciuti.

Da quando era Capitano dell’esercito non c’era mai stata una guerra e lui era in servizio da dieci anni! La fronte era impregnata di sudore, la mano stringeva saldamente la spada.

Accanto a lui i suoi uomini : increduli, preoccupati, terrorizzati. Non avevano avuto modo di mobilitarsi come si conveniva d un esercito. Erano in pochi: troppo pochi per affrontare un intero plotone d’esecuzione che quella mattina avevano visto marciare contro di loro, una semplice città composta da un castello ed alcuni villaggi.

Quella realtà, quelle vite, erano tutte nelle sue mani e in quelle dei suoi uomini, pensò Cador. Tuttavia non riusciva ad essere ottimista! Quelli che marciavano alla volta della sua Hirys non erano soldati! Erano mostri immondi!E il suo esercito contava a sento duecento uomini mentre quello nemico almeno duemila.

La ragione diceva a Cador che la battaglia era persa in partenza ma il suo cuore impavido e coraggioso di soldato gli rispondeva che lui, comandante dell’esercito, sarebbe perito fra le macerie della sua amata città piuttosto che fuggire come un codardo con la coda fra le gambe! Eppure in quegli ultimi momenti in cui poteva ancora concedersi d’essere lucido e riflettere… i suoi pensieri volavano alla sua vita che di lì a poco si sarebbe conclusa, a sua moglie che non lo avrebbe più rivisto e che probabilmente sarebbe stata uccisa.

Al suo Re e alla sua Regina, al suo popolo. Cador si sentiva così debole . Non riusciva a scacciare quell’odiosa paura che percepiva in ogni centimetro del suo corpo.

Ma in fondo, si rese conto che non contava. Non contava affatto. L’importante era andare fino in fondo, lottando per i propri ideali, morendo per essi.

Tutto venne interrotto dallo sbattere pesante dei mostri contro il protone principale.

Sulle mura gli arcieri scagliavano frecce che non sarebbero bastate a respingere gli orchi.

Infine il portone cadde e i nemici entrarono in città.

Per Hirys, pensò Cador, buttando in mezzo alla mischia con la spada sguainata.

 

Un’ora dopo era tutto tragicamente finito. Un macabro silenzio regnava su una città distrutta, quasi rasa al suolo da un’ondata di odio troppo forte.

Non vi era un filo di vento, non si udiva nemmeno una voce disperata chiedere aiuto.

Solo sconcertante ed infinito silenzio. Erano morti tutti.

 

*

 

Un forte bussare rimbombò per tutto il salone e una guardia, che fino ad allora era stata appoggiata alla porta senza emettere suono alcuno,  andò lesta ad aprire.

Annunciò lo Zaarecth, il capo degli Orchi, il quale conduceva seco due prigionieri che scaraventò con forza inaudita ai piedi di Lilith.

Lilith osservò quelle due piccole creature barbute e decisamente contrariate guardarla con infimo disprezzo.

« Padrona » disse lo Zaarecth « Re Jani e Re Erik ».

Rispettivamente sovrani di Knar e Zvaith.

« Suppongo che le loro città siano cadute…» accennò Lilith con un sorriso a trantadue denti.

Il capo orco annuì. E la sua signora gli riservò un’occhiata densa di disgusto per la sua pellaccia di fango e gli occhi iniettati di sangue.

Nel frattempo i due Re Nani guardavano quella strana donna in cagnesco senza però poter fare a meno di essere allo stesso tempo soggezionati e ammaliati dalla sua figura.

Vi era in lei qualcosa che non quadrava, pensarono. Aveva lunghi capelli rossi ad incorniciare un viso di straordinaria bellezza ma dai lineamenti duri e marcati, occhi verdi smeraldini e un’anomalia alla mano sinistra: un sesto dito.

Ma certo!, esclamò dentro di sé re Erik, quella era chiaramente una maliarda, come chiamavano quelle come lei a casa. Si premurò d’informare l’amico del presentimento ed insieme iniziarono a cianciare con strane parole nella loro lingua gutturale.

« Abbiamo ammazzato chi ha opposto resistenza » aggiunse l’Orco.

Lilith annuì compiaciuta e gli intimò di lasciarla sola con i suoi “ospiti” .

«Perdonate l’insolenza del mio servo » disse la strega con voce melliflua « Non sapeva, di stare trattando con miei pari ».

I Nani si scambiarono occhiate perplesse ma preferirono tacere.

« Vi starete chiedendo il perché della vostra venuta qui » cominciò Lilith.

«Ho bisogno del vostro aiuto, miei signori » continuò senza attendere risposta « Intendo strappare dalle mani degli uomini e degli elfi il Regno del Nord. Ma mi occorre sostegno militare ed economico e spero vogliate darmelo ».

« Dite…signora, perché quale motivo dovremmo aiutarvi? » domandò Re Erik, un nano diretto, incauto e sgarbato.

« Pensate forse che non vi ricompenserò? » domandò Lilith, fingendosi offesa.

« E con cosa intendete ricompensarci? Oro, gioielli, diamanti? » chiese re Jani, sicuramente il più pratico ed avido dei due.

Lilith rise fra sé e sé : curioso come alla prima menzione di una ricompensa le gente sia pronta a rinnegare gli amici e gli alleati.

« Ho di meglio da offrirvi, signori. In cambio dei vostri servigi avrete le città di Darya e Darnahall, ma… Faith sarà mia. Non appena le avremo conquistate, s’intende ».

Ai Nani brillarono i piccoli occhietti neri. Non ebbero bisogno di consultarsi, comunque.

«Allora! » esordì la strega « Accettate la mia offerta? ».

I re dei Nani annuirono ed insieme alla loro nuova alleata si lanciarono in una risata intrisa di perfidia.

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Capitolo 7
*** Galahad del Lago ***


GALAHAD DEL LAGO

 

Era il crepuscolo quando la Speranza attraccò.

Finalmente la prima parte del viaggio poteva dirsi conclusa, pensò Morwen, mentre insieme a Fimbrethil si congedavano velocemente dal capitano.

Poche parole di ringraziamento e scesero a terra.

Fimbrethil avrebbe baciato il suolo se solo non fosse stato terribilmente sconveniente! Infatti non era stata affatto bene in quei giorni passati in mare : il viaggio le pareva un ricordo confuso, caratterizzato da frequenti mal di testa e nausee.

Di conseguenza era ben grata di essere arrivata; molto meno invece lo era sua sorella che già immaginava, per colpa della sua fantasia sempre troppo fervida, tutta una serie di difficoltà che si sarebbero trovate ad affrontare.

Perciò, con due stati d’animo completamente differenti, come di consueto, le due sorelle andarono alla ricerca di un posto dove acquistare due cavalli con i quali arrivare a Lena .

Il porto di Yvra era decisamente tranquillo quella sera : gli ultimi raggi di sole illuminavano le vecchie case e i magazzini e qua e là s’intravedeva solo qualche soldato di guardia alle numerose navi e un paio di venditori ambulanti.

Proprio da uno di questi che tirava con fare stanco il suo carretto, le sorelle acquistarono qualche provvista  e qualche informazione riguardo dove poter acquistare due cavalli.

L’uomo indicò loro una scuderia lungo la strada. Morwen e Fimbrethil la raggiunsero e trovarono ad accoglierle un vecchi seduto a terra, sporco e con gli abiti laceri.

E probabilmente anche ubriaco dato che teneva un boccale di birra nella mano destra.

« Cosa volete?- esclamò non appena scorse le ragazze nella penombra.

« Vorremmo comprare due cavalli – rispose Morwen, perché Fimbrethil se ne stava nascosta dietro di lei inorridita dalle condizioni di quell’essere.

«Avete di che pagare?- gracchiò il vecchio.

« Duecento bastano? »domandò la bionda sventolando sotto il naso dell’uomo un sacchetto pieno di monete d’oro.

« Seguitemi » disse quindi alzandosi e aprendo la porta della scuderia.

Il richiamo dei soldi fa miracoli, pensarono entrambe le ragazze.

Il vecchio rivelò un ambiente scuro e puzzolente e le fece avvicinare con un gesto all’unico box : là dentro mangiavano avena due ronzini luridi e lerci almeno quanto il loro padrone.

« Ma sono in pessime condizioni » constatò indignata Morwen.

«Povere bestie » sussurrò Fimbrethil la quale era molto sensibile nei confronti degli animali.

« Non ne troverete di migliori per le prossime cinque miglia . Quindi prendere o lasciare, signorine » rispose scorbutico l’approfittatore.

Morwen sbuffò e gli lanciò il sacchetto col denaro promesso.

Fimbrethil entrò nella stalla e condusse fuori i cavalli sui quali posò due sella di tela : il loro credo imponeva loro di non maltrattare gli animali,  tantomeno i cavalli con le briglie.

 

Pochi minuti dopo avevano già imboccato la Vecchia Strada alla ricerca di un villaggio qualunque dove passare la notte ma, non essendo le ragazze esperte di quei luoghi, non potevano sapere che davanti a loro si estendevano solo un’ampia pianura e poi un bosco ad est.

Dunque proseguirono il loro cammino, avendo deciso di fermarsi solo quando avessero trovato un posto adatto alle loro esigenze.

 

Ma erano già passate diverse ore da quando avevano iniziato la cavalcata ed ancora non si intravedeva nulla di diverso dalla sterpaglia. La monotonia del viaggio venne interrotta solo quando il cavallo di Morwen iniziò inspiegabilmente a scalpitare e quello di Fimbrethil a nitrire.

Qualcosa non andava se i cavalli erano così agitati ed infatti, ad un certo punto, un rumore di passi si frappose a quello dei nitriti.

Le ragazze smontarono subito e continuarono a camminare in silenzio fino a quando non scorsero una macchia in movimento all’orizzonte.

Morwen aguzzò la vista e afferrare la mano di Fimbrethil ed iniziare a correre furono un tutt’uno.

« Che succede? » strillò quella spaventata.

« Goblin! E vengono verso di noi! »

« Che facciamo? »

« Nascondiamoci fra l’erba alta. Forse non stanno cercando noi, dopotutto ».

« Sì, come no! Restiamo qua a farci ammazzare! Devono essere il nemico di cui parlava Talulah! ».

« Calmati e stai zitta! » le intimò Morwen, spazientita dall’allarmismo di sua sorella.

Poi estraé la sua spada e si acquattò a terra, tentando di calmare il cavallo.

Rimasero in quella posizione per un numero indefinito di minuti… la corsa dei Goblin si era arrestata… come se … non riuscissero a trovare più l’obiettivo.

Fimbrethil, ingenua, si lasciò sfuggire un respiro di sollievo ma Morwen se ne stava ancora all’erta con l’arma pronta. Passarono cinque, dieci, quindici minuti.

Ad un certo punto la pazienza di Fimbrethil cessò e questa si alzò dal nascondiglio fra l’erba.

Vide gli occhi dei Goblin puntati su di lei e la poca distanza che separava loro dai nemici quasi annullata nella folle corsa che stavano ingaggiando verso di loro.

Fimbrethil urlò ma la sorella fu più decisa : saltò in sella al suo cavallo, esortando l’altra a fare lo stesso, e cominciò un disperato galoppo verso il bosco non lontano.

Spronava l’animale al limite dello sforzo fisico e guardava di fronte a sé i Goblin venire loro incontro : non ce l’avrebbero fatta ad arrivare nel bosco per prime. Si sarebbero sicuramente scontrate con quelle orride creature.

Tuttavia entrambe continuarono a cavalcare col cuore in gola.

Ma i Goblin in men che non si dica furono loro addosso… un paio erano già a portata di spada di Morwen che non osò distrarsi dalla galoppata per combatterli.

Quelli non si fecero scrupoli: iniziarono a colpire alla ceca con le loro pesanti asce mentre le sorelle tentavano di schivarli, pur sapendo che non avrebbero potuto continuare così per molto.

Erano quasi ai pressi del boschetto quando un Goblin prese a correre accanto a Morwen.

Ecco, si disse la mezz’elfa, è la fine. Chiuse gli occhi. Ciononostante non sentì l’atroce dolore che si aspettava… un’altra lama si era frapposta fra il suo corpo e l’ascia del mostro.

Fu in quel momento che la Fanciulla Scura sollevò le palpebre e lo vide : una figura incappucciata, vestita di grigio, le salvava la vita iniziando ad uccidere tutti i Goblin che le avevano ormai accerchiate. Il cavaliere misterioso in sella ad un cavallo nero finì i nemici mentre Morwen e Fimbrethil lo osservavano al sicuro dal bosco.

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Capitolo 8
*** Amore e solitudine ***


AMORE E SOLITUDINE

 

« Chi siete? » chiesero all’unisono al cavaliere che stava loro di fronte.

Egli si tolse il cappuccio e scoprì il suo volto : era poco più di un ragazzo, con folti riccioli castani scompigliati e occhi scuri e languidi. La mascella quadrata e un leggero accenno di barba rendevano il suo personale deciso ma allo stesso tempo gradevolmente bello .

« Perdonatemi »disse, cominciando a pulire la spada dal sangue rappreso degli orchi « Il mio nome è Galahad del Lago e sono il Capitano dell’esercito di Faith ».

« Lasciate allora che vi ringrazi, sir Galahad, per averci salvate da morte certa » rispose Morwen.

« Dovere » ribatté il cavaliere con sorriso.

« Suppongo siate il fratello minore di Re Hirduin o sbaglio? »

« Esattamente e invece voi chi siete? »

Morwen e Fimbrethil fecero una riverenza e si presentarono come le figlie di Re Marven, signore di Salem.

« Che fortuita coincidenza allora incontrarvi! » esclamò Galahad.

« Stavo per l’appunto raggiungendo mio fratello per unirmi ai festeggiamenti di Samhain » aggiunse mentre guardava con più attenzione le fanciulle.

Morwen tentò di dire qualcosa’altro ma si sentì improvvisamente tagliata fuori dal discorso silenzioso fra sua sorella e il cavaliere. Fimbrethil lo scrutava con interesse e tentava, sorridendo, un approccio più diretto con il loro salvatore. I loro sguardi mantennero un contatto fino a quando Galahad non ruppe l’incantesimo distogliendo lo sguardo per tornare con l’attenzione alla ragazza bionda.

« Toglietemi una curiosità: cosa ci fanno due dame come voi in piena notte a miglia di distanza da casa? » domandò.

Morwen rimase per un attimo rapita dal movimento delle sue labbra e dalle piccole fossette che spuntavano ogni volta che il cavaliere accennava un sorriso.

« È una lunga storia, non vorremmo annoiarvi. Sicuramente sarete ansioso di riprendere il vostro viaggio ».

« Ho tempo a sufficienza » disse convinto « Ma prima di raccontarmi tutto… cerchiamo un riparo per la notte » decretò.

Morwen e Fimbrethil annuirono e imitarono Galahad nel rimontare a cavallo.

La Fanciulla Scura pensò alla fortuna che avevano avuto ad averlo incontrato. E il pensiero venne seguito da una fitta allo stomaco : non digeriva proprio quell’aria spavalda del cavaliere, sicuramente orgoglioso di aver tirato due povere ragazze fuori dai guai.

Ad ogni modo egli le condusse fuori dal bosco cavalcando verso un villaggio che ricordava essere solo ad un ‘ora di distanza.

Le ragazze lo seguirono, certe di potersi fidare, fino alla locanda dove lui aveva deciso avrebbero alloggiato. Egli cercò una scuderia per il cavalli e poi si congedò dalle fanciulle con la scusa di dover spedire una lettera urgentemente.

Così, durante la sua assenza, le mezzelfe si sistemarono nell’alloggio, liete di avere un tetto sopra la testa e un morbido materasso sul quale riposare.

Fimbrethil fu stranamente loquace in quel lasso di tempo in cui si ritrovò sola con la sorella.

Non faceva altro che decantare le lodi di Galahad : quanto fosse coraggioso, bello, affascinante e chi più ne ha più ne metta.

« È bellissimo, non è vero? » ripeté almeno un milione di volte, ottenendo come risposta solamente dei deludenti cenni di assenso poco convinti.

A Morwen la sorella stava iniziando a dare sui nervi. Per la prima volta in vita sua desiderò tapparle la bocca.

Quando il cavaliere tornò dalle sorelle, queste se ne stavano affacciate alla finestra ad osservare uno dopo l’altro i tanti viaggiatori della notte per ingannare il tempo.

« Scusate se vi ho fatto aspettare ma dovevo proprio inviare quella missiva ».

« Non importa – rispose servilmente Fimbrethil, dando immediatamente sui nervi alla sorella.

« Ora sono pronto ad ascoltare la vostra storia » disse Galahad sedendosi su una sedia.

Morwen non se lo fece ripetere due volte, si accomodò sul letto e cominciò la narrazione degli eventi. Raccontò di come la loro balia le avesse spinte a partire per la città di Lena, dell’incertezza e delle paure durante il viaggio, dell’attacco da parte dei briganti, dei giorni per mare, insomma, di tutti gli avvenimenti della loro fuga.

Una volta finito di parlare Morwen si rese conto che il cavaliere doveva essere stanco e decise dunque di lasciarlo al suo riposo, augurandogli una buona notte e mettendosi anche lei sotto le coperte. Fimbrethil e Galahad rimasero soli per qualche istante, ma l’imbarazzo prevalse e anche loro andarono a coricarsi nei rispettivi letti.

Non appena fu sola nell’intimità del suo letto, Fimbrethil si lasciò andare ad un grande sorriso.

Era la prima volta che si sentiva così emozionata! Mai era stata così piena di vita come in quel momento però, allo stesso tempo,

la paura e l’angoscia dei giorni precedenti tornarono a farle visita e non poté far nulla contro i singhiozzi che la scuotevano tutta.

Non voleva svegliare né Morwen né Galahad per cui, senza far rumore, scese dal letto, indossò il mantello e si diresse nel giardinetto della locanda.

Fimbrethil si sedette su un muretto e lì poté finalmente dare sfogo alle sue emozioni contrastanti.

Piangeva per ma allo stesso tempo rideva per la sua debolezza e per Galahad.

Le sembrava quasi di vederlo venire, facendosi strada fra la lussureggiante vegetazione verso di lei. Rise anche di questa sciocca fantasia.

Però continuava a rivivere l’incontro di poche ore prima, continuava a sognare quel volto angelico che quell’orrendo cappuccio aveva rivelato.

Ma i suoi castelli in aria erano destinati inevitabilmente a crollare : un contatto, una carezza venivano sognati, poi un gufo si lamentava nella notte e il sogno era già infranto prima che la ragazza se ne rendesse conto anche se le lasciava addosso una sensazione di felicità.

La fanciulla sbuffò fra le lacrime : non riusciva a credere a quel colpo di fulmine.

Inoltre le sembrava che l’oscurità s’addensasse tutta intorno a lei facendola sentire più sola che mai fra quegli alberi. All’improvviso il bisogno di qualcuno si fece incalzante. Qualcuno che la confortasse e la tenesse stretta a sé. Qualcuno che la proteggesse. Qualcuno come Galahad.

Era incredibile come quel giovane quasi sconosciuto le avesse sconvolto a tal punto il cuore…così velocemente, senza troppe aspirazioni, ritagliandosi un piccolo ma importante spazio.

Persa com’era in quelle fantasticherie Fimbrethil non si accorse delle ore che passavano e ad un certo punto della figura che si avvicinava a lei.

« Che fate qui tutta sola? »

La mezzelfa sussultò e si asciugò frettolosamente le lacrime, limitandosi a rispondere con una timida scrollata di spalle.

« Mi sono svegliato, ho visto che non c’eravate e mi sono preoccupato » disse Galahad sedendosi accanto a lei.

« Qualcosa vi turba? ». le chiese diretto.

Nessuna risposta giunse dalla fanciulla che teneva lo sguardo basso.

« Potete confidarvi con me, davvero… ».

Fimbrethil tirò su col naso.

« Vi ringrazio ma non me la sento di parlare… a dire il vero io non parlo molto in ogni caso ».

« Beh, sappiate che per qualunque cosa doveste avere bisogno, mi trovate qui ».

« Grazie » disse Fimbrethil commossa.

« Di nulla » le sussurrò Galahad, incatenando nuovamente lo sguardo della ragazza al suo.

Fu un momento, Fimbrethil raccolse tutto il coraggio che possedeva e avvicinò le sue labbra a quelle del ragazzo.

Galahad spostò lievemente la testa per evitare il contatto e scese dal muretto.

Non aveva intenzione di approfittarsi di una fanciulla in quello stato.

« Io torno a letto » disse.

La ragazza annuì e lo seguì, più imbarazzata che mai, all’interno della locanda prima che il sole sorgesse.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 9
*** Antipatie ***


ANTIPATIE

 

 Deboli raggi di sole filtravano dalla finestra della sua stanza.

Morwen aprì gli occhi e un momento dopo aver realizzato dove si trovava, vide sua sorella e Galahad seduti in un angola a parlare di quello che, all’apparenza, doveva essere un argomento importante. La mezzelfa si alzò e andò a sciacquarsi il viso con l’acqua gelida della bacinella posta accanto al suo letto.

« Buongiorno » le augurarono i due ragazzi, accortisi della sua presenza.

Morwen ricambiò e prese a spazzolare quel groviglio che quella mattina erano i suoi capelli dorati.

« Il piano è il seguente : » esordì Galahad avvicinandosi a lei « prenderemo una scorciatoia per arrivare a Lena attraverso il bosco. Conosco bene questi luoghi, dovremmo arrivare entro quattro giorni ».

« Ma non dovevate raggiungere vostro fratello a Salem? » si ricordò a malincuore Morwen.

« E dovrei lasciarvi sole ed indifese ad affrontare il viaggio? »

Morwen velocemente estraé la sua spada dal fodero vicino al letto e rispose :

« Stiate certo, mio signore, che sappiamo badare bene a noi stesse! » e nel dirlo il suo orgoglio subì un’impennata.

« Infatti, con tutto il rispetto, la prima cosa che ho dovuto fare è stata salvarvi la pelle » ribatté con un filo di ironia il ragazzo, facendo ridere la silenziosa Fimbrethil e provocando una reazione di profondo imbarazzo nell’altra sorella. Morwen era infatti diventata rossa fino alle punte delle orecchie e in quel momento avrebbe tanto desiderato un mestolo da sbattere in testa al cavaliere anche se effettivamente era ben consapevole della veridicità delle sue parole.

Ma che poteva farci? Morwen odiava decisamente il dover essere riconoscente a qualcuno, soprattutto quando questo qualcuno

le ricordava che per quanto indomita e coraggiosa non poteva di certo eguagliare un uomo nel combattimento.

“ Ho avuto solo sfortuna e un pizzico di paura, ecco tutto” si rassicurò Morwen. Non sarebbe accaduto mai più . Lei aveva sempre voluto primeggiare su tutti e in tutto, senza essere mai seconda a nessuno, tantomeno ad un uomo. La prossima volta che se ne fosse presentata l’occasione … sarebbe stata lei a difendere i suoi compagni dal pericolo.

 

*

 

Da un po’ di giorni il tempo era parecchio peggiorato nella Terra del Nord : i temporali erano stati frequenti come il vento freddo e pungente che aveva procurato a Morwen un fastidioso mal di gola che avrebbe necessitato di una bella tisana calda.

Ma lei e i suoi due compagni di viaggio non avevano voluto fermarsi nemmeno per mangiare: volevano arrivare il prima possibile e si erano dunque costretti a proseguire malgrado le cattive condizioni atmosferiche e la stanchezze evidente dei cavalli.

Morwen fu molto taciturna e pensierosa per tutto il tempo, non partecipò granché alla conversazione e si limitò ad osservare. Sì, ad osservare il nuovo membro della loro improvvisata compagnia : Galahad. Ovviamente non poteva dubitare delle sue buone intenzioni giacché era il fratello del caro amico di suo padre ma il fatto che avesse deciso di accompagnarle così di buon grado le faceva nascere dei sospetti tutt’altro che onorevoli.

Era infatti convinta che lui le stesse seguendo nel loro viaggio più che altro perché attratto da Fimbrethil. “ Non sa con che regina di ghiaccio ha a che fare” si ritrovò a pensare, anche se, doveva ammetterlo, sembrava davvero, e ciò le faceva venire davvero i nervi, che sua sorella si stesse… come dire…sbloccando. Non poteva accettare che la sola presenza di un ragazzo avesse potuto fareil miracolo : erano anni che lei tentava di entrare nelle confidenze della sorella, senza alcun risultato. Fimbrethil aveva sempre vissuto dietro un vetro, sì, erano sorelle, ma non si erano mai sentite tali tranne che per nome. Insomma, Morwen le voleva un gran bene ma il rapporto fra di loro era pressoché inesistente! Fimbrethil non le parlava, non la considerava ed era persino infastidita da certi suoi comportamenti.

Dal canto suo Morwen non sopportava la remissività della sorella che mai, mai!, una volta aveva espresso una sua opinione o lottato per essa. Forse perché se ne vergognava, forse perché si credeva inferiore e credeva che le sua parole non contassero oppure, semplicemente, non le importava. Era questo che Morwen aveva sempre temuto di più : che a lei, appunto, non importasse… che fosse indifferente a tutto!

Ma era davvero possibile che Galahad fosse riuscito a rompere il vetro? No, non lo era per Morwen! Fimbrethil non si sarebbe dovuta aprire con lui ma con lei! Lei era la sua famiglia.. lui era uno sconosciuto! Nessuno per loro. Eppure Fimbrethil sembrava trovarsi a suo agio con lui : chiaccheravano per ore, ridevano e scherzavano pure! E Morwen si ritrovò a pensare per la prima volta che, dopotutto, anche sia sorella era un essere umano dotato di sentimenti oltre la paura.

Forse l’aveva sempre giudicato con cattiveria quel lato del suo carattere ma… era così diverso dal suo! E in più nessuno in famiglia aveva fatto nulla per farla cambiare. Non importava se una delle principesse di Salem fosse silenziosa e introversa. Solo Morwen se ne faceva un problema : per lei era davvero inconcepibile che una persona non lottasse per far valere le proprie idee.

Quindi il ruolo di Galahad ci confidente della sua sorella maggiore non le piacque.

E avrebbe preferito, inoltre, che la smettessero una buona volta di cianciare per concentrarsi sul viaggio che in quel momento era la cosa più importante. Era il loro viaggio e Galahad non c’entrava niente. Alla fine, per quanto la riguardava, il cavaliere se ne sarebbe potuto andare benissimo per la sua strada, non avrebbe di certo sofferto nel vederlo andare via!

Le stava rubando il ruolo che aveva sempre desiderato ricoprire con sua sorella.

Chissà cosa avrebbe pensato Aranel di tutta questa storia, pensò. Come le mancava.

 

*

Una sera, finalmente, Morwen decise di scmabiare due parole con i due ragazzi.. così, tanto per poter dire di essere “un minimo” di compagnia.

« Siete mai stato a Lena? » chiese dunque a Galahad.

«Oh, sì… diverse volte! Soprattutto quand’ero bambino e mio padre mio portava con lui a far visita alla nuova regina » raccontò lui.

« Che tipo era vostro padre? » domandò ancora Morwen per continuare il discorso.

Il cavaliere dapprima sembrò infastidito dalla domanda poi però rispose con la sua solita cortesia.

« Non ho passato molto tempo con lui, a dire il vero…fino a due anni fa ho vissuto a Darya, per “ curare la mente e il corpo”. Ricordo solo che era un tipo collerico e altero, non molto affettuoso, così quando morì non ne soffrii molto ».

Morwen sapeva che Re Handir era polvere già da un po’ di anni poiché sua padre si era rammaricato molto al momento della sua morte: infatti era stato per lui un grande amico nonché compagno di numerose avventure. Si stupiva però che il figlio ne avesse una così bassa opinione. Morwen non avrebbe mai detto una cosa del genere su suo padre, anche se fosse stata vera, e non avrebbe accettato sicuramente che quell’amore incondizionato che tutti i figli devono avere per chi li ha messi al mondo ne venisse intaccato.

«Non avete sentito la sua mancanza? »

« Mai » rispose il Capitano « Sopperiva alla sua assenza la mia matrigna, Lady Helene » aggiunse.

Questa risposta sembrò chiudere il discorso definitivamente.

La bionda aveva intuito che il cavaliere non voleva ricordare altro per quella sera.

Però non aveva ancora finito con lui… voleva sapere di più sul suo conto.

« Che posto è Lena? » cambiò discorso la fanciulla.

A Galahad brillarono i grandi occhi, profondi come due pozze d’acqua.

« Lena è… » gli mancarono le parole per un attimo « è come sognare ad occhi aperti. È un’immensa vallata circondata da ruscelli e cascate, una città nel bosco dove gli elfi vivono in pace e in armonia fra loro. Le è un paradiso. Lì gli elfi vivono in perenne contatto con la natura, dedicando intere giornate all’osservazione della complessità di un fiore o ballando e cantando le loro leggende.

Sì, Lena è quel luogo straordinario che tutti dovrebbero visitare, prima o poi- concluse.

Morwen e Fimbrethil restarono interdette di fronte alle belle parole del ragazzo, riuscendo a commentare solo con un ‘meraviglioso’.

Fimbrethil pregustava già la tranquillità di quel luogo.. ed in più sarebbe stata al sicuro con Galahad al suo fianco per molto tempo.

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Capitolo 10
*** Debole ***


DEBOLE

 

Lei aveva sempre trovato nella solitudine il suo equilibrio. Non si era mai domandata come potesse essere avere un’amica, una confidente. Perché quel privilegio sembrava essere stato riservato a chi, come le sue sorelle, aveva fatto della propria allegria e del proprio carattere estroverso le principali attrattive. Lei si era sempre convinta di non essere portata a cercare la compagni altrui, di conseguenza, i suoi unici affetti erano all’interno della sua famiglia.

Ma ora, mentre contemplava le fiamme del fuoco che Morwen aveva acceso qualche ora prima, Fimbrethil sentiva che l’attenzione e l’affetto di Galahad le erano necessari.

Era tutto talmente nuovo per lei! Sentirsi considerata non era una cosa da poco.

Sfortunatamente dubitava che il cavaliere sarebbe stato interessato a lei ancora per molto… perché era così noiosa! Non aveva argomenti sui quali discutere, gusti da condividere, storie da raccontare. Fimbrethil si rendeva conto della sua passività per la prima volta.

E, sempre per la prima volta, desiderò essere sua sorella Morwen: lei di certo non aveva di questi problemi e non avrebbe tardato ad interessare Galahad più della sorella.

Fimbrethil gettò un legnetto sulla brace… era ora di agire. Non poteva davvero perdere Galahad ancora prima che il loro rapporto fosse iniziato, si ripeteva.

Forse il suo amore era l’unica possibilità che la Madre le offriva per essere, finalmente, come tutti gli altri. Aveva passato sin troppo tempo da sola.

Fu così che quella notte Fimbrethil decise di eliminare la concorrenza della sorella o di chiunque altra nell’unico modo che conosceva: con la magia.

La flebile luce della luna e un leggero alito di vento complici, la mezzelfa si alzò dal suo giaciglio e s’inoltrò fra gli alberi della foresta portando seco la sua sacca da viaggio.

Fimbrethil avanzò fra rovi e cespugli, facendosi strada con una sfera di luce che fioccava dal suo palmo. Ad un certo punto si fermò lungo uno spiazzo adatto al rituale che doveva compiere.

S’inginocchiò e prese dalla sacca alcune foglie secche di verdena e maggiorana e l’athame, un coltello a doppia lama sul quale era scritto il suo nome.

Con questo tracciò una stella a cinque punte racchiusa in un cerchio, il pentacolo. Era un simbolo magico che racchiudeva l’essenza ultima di tutti gli elementi: Spirito unito ad terra, acqua, aria e fuoco. Fimbrethil accese un fuoco davanti a questo e bruciò le foglie di verdena  ei rametti di maggiorana, i quali sprigionarono immediatamente un fumo di colore lilla dall’odore intenso.

Poi aggiunse un capello che aveva sottratto dal mantello di Galahad e lo gettò tra le fiamme.

La ragazza alzò gli occhi al cielo e mormorò a bassavoce :

« Chiedo alla Dea amore infinito, senza peccato. In nome della Madre e del Padre, prego che queste erbe producano l’effetto desiderato affinché io possa unirmi a Galahad del Lago, il mio essere amato! »

Una volta finite di pronunciare queste parole Fimbrethil riprese in mano l’athame  etracciò una X nel pentacolo, sussurrando “Il cerchio è spezzato”.

L’aveva fatto : il più potente incantesimo d’amore che conoscesse.

Si sentì immediatamente male. Era una debole. Il suo unico modo per farsi amare era attraverso un’illusione.

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Capitolo 11
*** Lena ***


LENA

Il viaggio proseguì lentamente per altri tre giorni fino a quando un’immensa distesa di alberi non fece intuire loro di essere ormai prossimi al confine con la terra degli elfi.

Camminavano fra l’erba alta ormai da un paio d’ore, lontani dal sentiero principale battuto dai viandanti, quando Fimbrethil percepì un rumore di passi che si avvicinava alla loro posizione.

Galahad fu più veloce di lei a dar atto ai pensieri e, portandosi un dito alla bocca, intimò alle sorelle di restare in silenzio. Sguainò immediatamente la spada e attese lo spuntare di volti dal fitto buio della foresta a pochi metri da lui.

Morwen, impaziente come al solito, ignorò l’ordine di Galahad e s’incamminò con l’arco teso e una freccia già inforcata verso il fogliame, ma venne subito respinta da una barriera invisibile.

« Non possiamo procedere. » disse allora Fimbrethil di rimando agli sbuffi della sorella che insieme al cavaliere si voltò verso di lei.

« E per quale motivo? » domandò Morwen infastidita dal fatto che sua sorella sapesse qualcosa che lei in quel momento ignorava.

« Shhh. »

Fimbrethil chiuse gli occhi e inquieta si portò una mano alla tempia come se un improvviso mal di testa l’avesse colpita.

“ Benvenuta, Fimbrethil di Salem. La nostra Signora attendeva con ansia la tua venuta.Chi sono costoro che rechi con te? “

Le parole le risuonarono chiare e precise in testa e le venne quasi naturale rispondere anche lei nella stessa maniera.

“ Sono mia sorella Morwen e Galahad del Lago, Capitano dell’esercito di Faith.”

“ Sta bene. Ora non perdiamo tempo in discussioni, seguiteci. “ concluse sbrigativa la voce.

Fimbrethil riaprì gli occhi e vide, dietro i volti confusi dei suoi compagni, l’avanzare composito di un gruppo di elfi dalle vesti grigio-argento.

Fu allora che, attratta dalle loro luminose chiome bionde e dai loro volti eterei, avanzò verso di loro, riconoscendo di appartenere, seppure lontanamente, a quella gente.

Morwen e Galahad fecero altrettanto, entrambi raggianti in volto: per lei terminava così il viaggio e i giorni seguenti sarebbero stati certamente meravigliosi alla scoperta di quell’avamposto elfico. In lui il ricordo di quel padre che aveva conosciuto così poco veniva raffiorando, così come gli tornarono in mente le lunghe ore passate ad esplorare quei boschi antichi e intrisi di magia.

« Benvenuti, dama Morwen e sire Galahad. Vogliate lasciarci l’onore di scortarvi nella Casa. » disse grave lo stesso elfo con il quale Fimbrethil aveva avuto quel breve contatto mentale.

I due annuirono e si apprestarono a seguire il gruppo formato da quattro elfi giovani nell’aspetto, ma dagli occhi saggi e profondi come quella terra che stavano per conoscere.

La fredda notte li accolse alla fine dei boschi in una grande vallata circondata dai monti le cui alture i tre giovani avevano ammirato intere giornate.

Lo scrosciare delle acque delle numerose cascate era l’unico suono ad interrompere la placida quiete di quel luogo, angolo di un paradiso splendido e perfetto.

La vegetazione era fitta e lussureggiante e ricopriva ogni cosa, persino la Grande Casa, dimora della regina Korinne, che sorgeva sopra grandi bastioni di pietra.

Morwen, Fimbrethil e Galahad vennero condotti su di un ponte stretto e lungo, uno dei tanti passaggi che portavano dai villaggi alla Casa e viceversa.

Da lì ebbero la visione completa di Lena nella quale tutto sembrava custode di storie mai dimenticate, di magie e incanti, di vita. Ogni suo albero, pianta, fiore brillava di luce propria e sembrava parlare ai visitatori. Persino le stelle sopra il cielo di Lena sembravano più fulgide che mai. Man mano che il gruppo procedeva attraverso la città, centinaia di occhi scrutavano i nuovi arrivati dalle finestre delle case o dalle fronde degli alberi. Grandi e piccoli iniziarono a riunirsi ai margini delle strade per dare il benvenuto alle signore di Salem e al loro salvatore.

Iniziarono ad intonare un canto dolce e soave che avrebbe riempito per tanto tempo ancora le orecchie di Morwen e dei suoi compagni.

L’ingresso della Casa era una scala tortuosa che girava su stessa fino a giungere su un livello superiore. Da lì altre scale ancora si diramavano in tutte le direzioni verso le varie camere da letto, la sala del trono e la sala dei consigli. La Casa non era sfarzosa e riccamente decorata come si sarebbe aspettata Morwen, abituata al lusso principesco del suo castello a Salem.

Era qualcosa che non aveva mai avuto il piacere di contemplare prima : una struttura semplice con numerosi balconi che si affacciavano sulle cascate d’acqua, grandi corridoi e piccole stanze. Gli elfi li scortarono nel cuore della Casa, aprirono loro un grande portone e si congedarono. I tre entrarono allora in una sala vasta e sobria, le cui uniche decorazioni consistevano nei dipinti raffiguranti storie lontane, i vari strumenti musicali disposti un po’ ovunque e un elaborato trono sul quale stava compostamente seduta la sovrana.

Quella, non appena li vide varcare la soglia, si alzò e andò loro incontro, così come fecero tutti gli altri presenti curiosi e che avevano sentito tanto parlare della straordinaria bellezza ed intelligenza di queste loro parenti lontane che discendevano dai mezzelfi.

« Salute a voi, mia Signora. » esclamò allora Galahad, sinceramente contento di rivedere la regina dopo tanti anni.

« Noto con dispiacere che è passato il tempo in cui potevo salutarvi con un’arruffata di capelli, Galahad. Ma guardate come siete cresciuto nel giro di poche estati! Siete un uomo adesso. » disse con un tono materno e andando ad abbracciare quel caro ragazzo che così tante volte aveva avuto il piacere di ospitare nella sua reggia.

Se Fimbrethil osservava la scena estasiata e rassicurata, Morwen fissava la regina con un misto di dubbio e interesse: era un personaggio decisamente particolare, a suo parere.

Era passata dal contegno altero con il quale si era loro inchinata all’affettuosità di una madre separata dal figlio per troppo tempo. Anche il suo aspetto era mutevole: la regina era difatti una bellezza elegante e piena di grazia, ma dai tratti del volto marcati e decisi resi splendenti da uno sguardo fiero color del ghiaccio. A coronare quel viso vi era un particolare copricapo che le lasciava scoperte le lunghe orecchie a punta e dal qualche si potevano intravedere le ciocche intrecciate dei suoi capelli ramati.

Dopo quell’attenta analisi Morwen se ne ritrovò affascinata, ma al contempo spaventata.

Percepiva un’aura di grande potere intorno alla figura di Korinne, mascherata da sguardi benevoli e gesti delicati.

Mentre la mezzelfa si perdeva in tali pensieri, la regina Korinne si avvicinò a Fimbrethil e prendendole una mano le aveva sussurrato: « Siete al sicuro, ora. »

Poi aveva proseguito indirizzandosi verso Morwen e Galahad :

« Perdonatemi, sarete stanchi del lungo viaggio. Seguite pure le mie ancelle, vi condurranno nelle stanze che ho predisposto per il vostro soggiorno. Avremo tanto tempo per parlare e potrete raccontarmi meglio ogni cosa. Vi auguro una buona notte. »




Note dell'autrice :

Mi perdonate, vero? So di essere incredibilmente in ritardo! Ma non ho avuto un filo di ispirazione per questa storia T_T

Nonostante la trama sia già definita mi mancava come scrivere. Anche perché i capitoli precedenti a questo sono stati scritti tutti all'inizio dello scorso anno, dunque ho dovuto riadattare il mio nuovo stile a quello vecchio.

Altrimenti sarebbe uscita fuori una porcheria xD

Comunque, sperando che non vi siate dimenticati di me, volevo ringraziare una nuova fantastica lettrice (Absteria) e tutte le persone che hanno seguito, recensito, preferito questa storia: Astrid von Hardenberg, Emily Alexandre, Esha, Fabi_, hermana, Leowynn95, Lulabi e elyl :)

Vi lascio con i volti dei protagonisti ;)


Fimbrethil


Morwen (Emilie de Ravin)



Galahad (James Franco)

 

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