Quando finisce un amore di EstrellaLunar (/viewuser.php?uid=108891)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Fine. ***
Capitolo 3: *** L'ultimo ritorno. ***
Capitolo 1 *** Prologo ***
Salve
a tutti!!
Questa
che state per leggere è una raccolta di storie che ho
scritto quando
ero più piccina.
Mi
è sembrato divertente postarle qui, anche se lo stile
è leggermente
più banale di quello che ho attualmente(non che ora sia una
scrittrice provetta, però diciamo che mi sono migliorata),
potrebbero comunque risultare piacevoli per qualcuno.
La
loro tematica centrale, una sorta di filo conduttore è la
fine a cui
un amore può andare incontro, che sia per colpa di una
tragedia,
della noia, di un tradimento, ecc.
GRAZIE
a tutti quelli che recensiranno o si soffermeranno semplicemente sui
miei scritti!
EstrellaLunar
^_^
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Capitolo 2 *** Fine. ***
Fine.
Il
53 si era fermato davanti a me. Non ero nemmeno sicuro che fosse il
53, non riuscivo ad alzare lo sguardo e leggere i led rossi che
indicavano il numero sulla vettura. Perché avrei dovuto
farlo? Mi
diressi verso il ciglio della strada e mi unii al fiume di persone
che stava attraversando. Probabilmente il semaforo era verde, ma io
non avevo voglia di alzare la testa per controllarlo. Mi stupii di me
stesso: mi ero soffermato su pensieri inutili, senza senso,
metropolitani, quasi esistenziali non essendo in grado di pensare ad
altro, a quello.
Una
ragazzina mi sbatté contro, riuscì a vederla in
viso solo perché
era bassa e quindi non dovetti alzare lo sguardo, non riuscivo ad
alzare lo sguardo. La ragazzina mi insultò, dicendomi che
ero un
deficiente e dovevo starmene a casa. Avrei voluto essere a casa anche
io,cara e rintanarmi sotto le coperte per non uscirci mai
più, per
dormire e mettere a tacere la mia testa che turbinava in un insieme
di pensieri stupidi e senza significato.
Tutto
a un tratto sentii caldo addosso a me, mi ero dimenticato che cosa
indossassi, probabilmente il mio solito giaccone verde militare e
sotto avrò avuto un maglione. Chissà com'era il
cielo, ma non
potevo vederlo: avrei dovuto alzare la testa. I colori delle
automobili però erano scintillanti, accecanti, probabilmente
il sole
splendeva, comunque non avevo voglia di togliermi la giacca.
Dove
stavo andando? Non lo sapevo e non mi interessava. Non sapevo nemmeno
se stessi camminando, il mio cervello non mi rendeva partecipe di
quei movimenti. Oltre ai miei pensieri stupidi, nella mia testa non
c'era niente. Mi sentivo però come se me la stessero
comprimendo da
fuori, come se qualcuno me la stesse stringendo dalle tempie fin
sotto la nuca. Alzai le mani a toccarmi il capo per assicurarmi che
non fosse davvero così. Toccai qualcosa che
scivolò di lato e cadde
per terra. Il mio cappello! Mi chinai per raccoglierlo e fui
risvegliato da un clacson che suonò praticamente dentro le
mie
orecchie, accompagnato da una serie di insulti non meglio
identificabili. Forse il solo istinto di sopravvivenza mi fece alzare
la testa e guardare verso i fanali della macchina a pochi centimetri
dal mio viso.
<>
sbraitò un uomo sporgendosi fuori dal finestrino. Mi alzai e
camminai svelto fino al ciglio opposto della strada, accompagnato nel
mio percorso da una melodia di clacson e strombazzate.
Sì,
ero un coglione o forse un deficiente, ma non mi interessava
più.
Niente mi interessava più di quella città, della
nostra città. A
un tratto ogni angolo della strada era un ricordo, una risata, una
parola, un'avventura, un bacio, un sorriso. Quella città non
era mia, ma era nostra. Era
la testimonianza in cemento e mattoni di tutto quello che avevamo
vissuto, volevo scappare. Chiusi gli occhi per non vedere
più nulla
e li sentii umidi dietro le mie palpebre. Mi chiesi quanto tempo e
quanto coraggio ci sarebbe voluto per riaprirli.
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Capitolo 3 *** L'ultimo ritorno. ***
Fine
luglio.
Il
volo in aereo era durato 4 ore, avevo dormito la maggior parte del
tempo. Tranquilla, appoggiata sulla forte spalla di Luca. Mi sentivo
protetta, al sicuro, al suo fianco sapevo che niente sarebbe potuto
accadere.
Arrivati
all'aeroporto di Malpensa, Luca mi sfiorò la fronte con un
leggero
bacio.
-Buongiorno
cucciola, siamo arrivati. Come va?-
-Ciao
tesoro..-eravamo già atterrati, la musica nelle mie orecchie
e il
respiro regolare di Luca mi avevano trascinato in un altro mondo. Ero
stordita e con le orecchie tappate.
Uscimmo
dall'aereo e decidemmo di mangiare un panino lì
all'aeroporto. La
nostra ultima cena di vacanza, prima di tornare alla vita di tutti i
giorni. Dopo aver preso le valigie e aver riempito lo stomaco erano
ormai le 21 e decidemmo di prendere un taxi.
Abitavamo
ancora con i nostri genitori, a pochi isolati di distanza l'uno
dall'altra nella zona residenziale. Il viaggio in taxi sarebbe durato
poco più che 3 quarti d'ora.
Dopo
aver caricato le valigie nel baule, mi sedetti sul sedile posteriore
e appoggiai la testa sulla spalla di Luca, proprio come avevo fatto
sull'aereo. Lui mi abbracciò amorevolmente.
-Non
è giusto che siano già finite, caspita queste tre
settimane sono
volate!- sospirai sbuffando. In mente mi tornarono molti ricordi di
quel viaggio, forse ancora troppo freschi per apprezzarli appieno, mi
sentivo ancora in vacanza.
-Dai
tesoro, io sono contento. Sono state settimane fantastiche e tu.. tu
sei splendida lo sai?-
Mi
voltai verso di lui, guardando il suo viso abbronzato, i capelli
scuri tagliati corti corti e i suoi occhi castani, davvero felici e
sereni. Quanto lo amavo.
-Sì,
grazie lo so!. Risposi ironica.
-Ti
amo Ste- disse lui baciando la mia testa.
-Anche
io! Svegliami quando arriviamo!- lui si mise ad accarezzarmi i
capelli, canticchiando sottovoce una canzone egiziana che avevamo
sentito durante le molti notti passate fra risate, cocktail colorati
e gente allegra.
Ritornai
presto in un piacevole dormiveglia. Fui svegliata di soprassalto,
sentivo l'autista gridare e il corpo rigido di Luca vicino a me. Poi
niente. Non un suono, non una luce, non un ricordo. Buio, vuoto,
nulla.
Quando
riaprii gli occhi c'era una luce bianca, finta, da ospedale sopra di
me.
Mi
guardai attorno preoccupata, non ricordavo niente. Avevo un
respiratore sulla bocca e cercai di alzare il braccio destro, ma mi
pervase un dolore atroce, non potevo nemmeno muovere la testa, che mi
accorsi essere fasciata. Riuscì a muovere il braccio
sinistro, lo
sollevai e osservai le piccole ferite, i graffi sulle mani e l'ago
della flebo uscire dall'incavo del gomito.
Lo
riportai sul letto. Cercai di girare lentamente la testa, vidi un
uomo con molte fasciature e una grande ferita sul viso, mi sembrava
una figura familiare. Lentamente riaffiorarono alcuni ricordi: era
l'autista del taxi. Subito pensai a Luca e girai la testa verso
destra, ma il letto a fianco era vuoto, con le lenzuola ancora
intatte.
Cercai
di parlare senza riuscirci, subito apparve ai piedi del mio letto
un'infermiera molto giovane.
-Ti
sei svegliata, meno male. Come stai Stefania?-
Era
sorridente, anche se appariva imbarazzata, tesa.
-Dov'è..
Lu...Luca?- riuscì solo a sospirare.
-Riposati
ora tranquilla, devi dormire.- aumentò il flusso della flebo
e tutto
ricominciò a essere buio.
Quando
mi risvegliai mi sentivo meglio. Provavo meno male e riuscivo a
muovere la testa senza difficoltà. Cercai allora di alzarmi
a
sedere, ma non ci riuscii. L'autista di fianco a me dormiva ancora,
probabilmente era in coma.
Luca
non c'era, incominciavo a preoccuparmi.
Suonai
il campanello appoggiato alla sponda del mio letto, comparve subito
l'infermiera e dietro di lei mia madre.
-Piccola
mia, che bello vederti sveglia!- Aveva delle lacrime tristi in viso.
-Mamma,
Luca?- la mia domanda echeggiò nella stanza senza risposta.
Mi stavo
agitando.
-Mamma,
Luca? Dov'è Luca?- la mia voce era diventata un urlo.
Mia
madre incominciò a singhiozzare, l'infermiera
indietreggiò.
-Mamma...!-
i miei occhi si stavano già velando di lacrime.
Mia
madre mi guardò e il suo sguardo mi raccontò ogni
cosa.
-Tesoro
mio..non ce l'ha fatta..-
Non
riuscivo a respirare, non riuscivo a far uscire un suono dalla mia
gola, non riuscivo a muovermi o a chiudere gli occhi. Era come se
un'ombra pesante e scura si fosse posata su di me, inglobandomi. Non
poteva essere vero, non doveva. Tornai a osservare il letto vuoto a
fianco a me e cominciai a piangere. Non smisi per un paio di giorni,
piansi talmente tanto che alla fine non avevo più lacrime,
ma solo
urla.
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