Patrick Jane: incubo o sogno?

di rees
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Introduzione ***
Capitolo 2: *** Capitolo uno: Dove Jane si fa conoscere ***
Capitolo 3: *** Capitolo due: dove Lisbon si sente in imbarazzo. ***
Capitolo 4: *** Capitolo tre: dove Cho e Rigsby scommettono ***
Capitolo 5: *** Capitolo quattro: Dove Lisbon scopre di essere attraente. ***
Capitolo 6: *** Capitolo cinque: Dove Lisbon scopre cos'è una squadra ***
Capitolo 7: *** Capitolo sei: Dove Jane ricorda di essere in lutto. ***
Capitolo 8: *** Capitolo sette: Dove Lisbon e Jane stringono un accordo. ***
Capitolo 9: *** Capitolo otto: dove Lisbon sceglie il Rosso. ***



Capitolo 1
*** Introduzione ***


Calmati, Teresa. Calmati.
Inutile, per quante volte me lo ripetessi non riuscivo a calmarmi. Era il mio primo giorno da capo della settima squadra del C.B.I. Come facevo a calmarmi? Non potevo.
Non potevo per troppe ragioni.
Prima tra tutte: Le regole.
Per essere il capo avevo dovuto rompere con il mio uomo, ora mio sottoposto. Certo dovevo ammettere che era solo una scusa, in fondo da quanto avrei voluto lasciarlo? Tanto, tanto tempo.
La prima ragione quindi non era importante. La seconda si.
L'imbarazzo.
Come potevo dargli ordini? Solitamente era lui a darli a me, a casa, quando... Era lui a darli a me. Punto. Meglio non addentrarsi in particolari imbarazzanti.
Il ticchettio dei tacchi delle mie décolleté rimbombava negli uffici vuoti. Tac tac tac. Arrivare con due ore d'anticipo era una cosa che solo io potevo fare. Però volevo rivedere, per la ventesima volta?, le scartoffie lasciate dall'agente capo prima di me. Agente che ovviamente io non avevo conosciuto.
E questo era forse l'unico punto positivo. Non avendola conosciuta non potevo paragonarmi a lei.
Il trasferimento da una squadra ad un'altra nel complesso non aveva portato nulla di drammatico. Più o meno.
Mark mi odiava.
Amen.
Kimball mi metteva ansia.
Potevo superarlo.
Wayne era talvolta imbarazzante.
Bastava ignorarlo.
Ah, c'era anche la storia del consulente che sarebbe dovuto arrivare la settimana successiva. Ricordavo le parole di Virgil, quando mi aveva accolta come capo.

Teresa ho la piena fiducia in te, questo lo sai. Ma il tuo team si occupa del caso di John il Rosso e non voglio lo prendiate alla leggera. Inoltre ho pensato, essendo un caso complesso e tu molto giovane, di affiancare al vostro team un consulente. È un uomo che conosce bene John, nonostante non lo abbia mai incontrato. Con lui evita di informarti della sua vita privata. Se vorrà te ne parlerà.


Bene, un tipo particolare era tutto ciò di cui avevo bisogno. Mi chiusi nel mio ufficio, guardandomi intorno. La stanza mi era praticamente sconosciuta. L'avevo vista la sera prima quando avevo conosciuto il mio team e sistemato le mie cose. Poche cose. Giusto una foto che ritrae i miei fratelli e un regalo del mio fratellino Tommy. In realtà il pacchetto. Conteneva un ciondolo che io avevo abilmente perso nel trasloco da casa mia a quella di Mark. Un anno prima. Inutile dire che avevo fatto bene a non vendere la mia vecchia abitazione.
Sedetti alla scrivania e iniziai a compilare tutti i documenti arretrati del vecchio capo e a dividere i rapporti da consegnare tra i miei sottoposti.
Due ore dopo arrivò il mio incubo.



Eccomi qui con questa nuova Long Fiction :)
volevo ringraziarvi delle recensioni a "Cosa porta la morte" e spero di avervi incuriosite almeno un pochino :)

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Capitolo 2
*** Capitolo uno: Dove Jane si fa conoscere ***


-Cho occupati di compilare i rapporti dell'ultimo caso. Rigsby fai una ricerca su tutti gli omicidi di John il Rosso. Monroe controlla i tabulati telefonici della bambina. Senza quelli non possiamo andare avanti nelle indagini.
-Capo scusi ma i fascicoli di John sono tutti in ordine nel suo ufficio.
-Non voglio i casi già controllati, ma quelli su cui non avete indagato. Quelli di cui si sono occupate altre squadre. I primi, insomma.
-Ok. Ci penso subito.
-Tess...Capo, ho controllato i tabulati. Piuttosto semplice se si considera che lo stesso numero si ripete circa trenta volte nel giro di poche ore.
-Quante ore?
-Cinque.
-Davvero poche, direi.
-Già.
Dovevo sistemare tutto entro quel giorno, in modo che la mattina successiva avremmo potuto iniziare ad indagare seriamente sul nuovo caso.
Entrai nel cucinino che si trovava di fronte al bullpen per farmi una tazza di caffè. Avevo bisogno di rimanere sveglia, sarebbe stata una lunga giornata.
-Capo, ho tre casi di John di cui non ci siamo occupati e Cho ha finito con il rapporto.
-Ottimo allora controlla se Monroe è riuscito a risalire al proprietario del numero, se si, vai con Cho ad interrogarlo.
-Va bene.
Attesi uscisse per parlare con Mark e Kimball, e a quanto pareva Mark aveva lavorato bene perché dopo nemmeno un minuto Cho e Rigsby uscirono dal bullpen diretti verso l'ascensore. Io invece dovevo dirigermi nel mio ufficio per studiare i casi del nostro caso più importante. Per fare questo dovevo passare nel bullpen. Dove c'era Mark. Solo. Non era affatto una cosa positiva. Decisamente no. Non per me. Per Mark.
Presi i documenti dalla scrivania di Rigsby e mi diressi nel mio ufficio, ignorando la sensazione di sentirmi osservata. Anzi, la sensazione di essere sotto uno scanner a raggi x. In quel momento se avessi avuto un solo, stupido, ossicino fuori posto, Mark lo avrebbe saputo.
Sentii anche i suoi passi alle mie spalle ma li ignorai. Finché non decise di bussare alla porta per intrufolarsi nella mia stanza. Alzai lo sguardo.
-Devi chiedermi qualcosa?
-Teresa, non possiamo tornare insieme? Fingeremo di esserci lasciati. Ti prego.
-No. Le regole sono regole.
-Non riesco a lavorare, penso solo a te.
-Eppure per eseguire gli ordini hai impiegato pochissimo tempo.
-Ma era solo perché...
-No. Discorso chiuso. E ora esci, grazie.
Fece due passi verso la porta mentre io mi alzavo per prendere i fascicoli dalla libreria vicino alla scrivania. E questa fu la cosa più stupida che potessi fare. Con due passi annullò lo spazio tra noi e avvicinò pericolosamente le sue labbra alle mie.
Ma non lo avrei baciato.
La mia mano partì prima che la mia mente potesse formulare il pensiero. Il suono sordo di un ceffone rimbombò nella stanza, lasciando sul volto del mio ex un bellissimo tatuaggio rosso rappresentante cinque dita esili. Le mie. Il suono del telefono mi salvò da una situazione ancora più imbarazzante della precedente.
-Lisbon.
-Lisbon è arrivato il consulente. Ti aspetto nel mio ufficio.
-Cosa? Ma capo...?
Inutile. Minelli aveva già attaccato. Uscii a passo di marcia dall'ufficio, lasciando Mark incredulo ancora imbambolato alle mie spalle.
Due colpetti alla porta di vetro del mio capo prima di entrare.
E improvvisamente la sensazione di imbarazzo svanì. Avevo visto Lui.
Non che fosse tutta questa bellezza, però di certo non mi aspettavo un uomo biondo sui quaranta, occhi azzurri, ben piazzato, fisico da...nuotatore, forse? Sorriso smagliante. Ok, era “tutta questa bellezza”, lo ammetto. Ma non era proprio il mio tipo. Solo che mi aspettavo qualcuno di più...maturo. Un po' come Minelli.
-Patrick Jane. Tu devi essere Teresa Lisbon. Posso darti del tu vero?
-Si, ovviamente.
-Ottimo.
La sua voce era suadente, calma, rilassata. O forse ero io che la percepivo in questo modo a causa della pacatezza del tono.
-Lisbon, porta il signor Jane a fare un giro e spiegagli come lavorate. Aggiornalo sul caso di John e...
-Oh, non serve. Su John conosco tutto. Ogni singolo omicidio, le vittime, il loro stato civile, le condizioni di ritrovo. Tutto.
E in quel momento mi chiesi se non fosse un maniaco. Chi cavolo poteva sapere tutti questi dettagli? Un maniaco, appunto.
-Bene, allora mi limiterò a farti fare un giro, mentre aspettiamo i tuoi colleghi. Stiamo indagando su un rapimento.
Uscimmo dalla stanza e ci dirigemmo verso il bullpen dove si trovava la scrivania del nuovo arrivato.
-Dicevo, caso di rapimento. A essere rapita è una bambina, Lilian Jones, dieci anni. Orfana di madre, tre fratelli, padre alcolizzato.
-Mmm.
-Che c'è?
-Perché pensi che sia fortunata? E non sospetti del padre?
-Che?
-Pensi che la bambina sia fortunata a non dover vivere con il padre, e che chiunque l'abbia rapita in fondo le sta facendo un favore. Non è un rapimento per soldi, dato che non sono molto ricchi.
-E questo...
-E sei convinta non si tratti del padre. Ma sei preoccupata perché... perché temi che il padre possa fare del male ai fratelli più piccoli
-Ma come...
-Sono un mentalista. Leggo le menti.
-Io direi sensitivo.
-Nah, i sensitivi non esistono. Sono solo truffatori in cerca di soldi.
Rimanemmo in silenzio per qualche secondo mentre io pensavo ai motivi che mi spingevano a ragionare proprio come aveva detto il mio consulente.
-Ah, perdonami.
-Per cosa?
-Beh, con il discorso di prima sono entrato nella tua privacy. Non immaginavo avessi passato un periodo come quello della piccola.
-Esci. Dalla. Mia. Testa.
Sibilai quelle parole proprio mentre entravamo nel bullpen sotto lo sguardo di un incredulo Monroe.
-Portalo nella sala interrogatori due.
Mi voltai verso l'ascensore per vedere i miei sottoposti tornare con una ragazza sui vent'anni, bionda, alta e magrissima, occhi verdi, pelle chiara.
-Capo, siamo stati fortunati. La bambina era con la ragazza, ora è con i servizi sociali, andranno a prendere anche gli altri fratelli.
-D'accordo. Jane, con me. Devo interrogare la ragazza, tu assisterai, per capire come lavorare.
-Va bene.
Sul volto del consulente si dipinse un sorriso da bambino che mi stupì, perché quel sorriso non riuscì a celare la tristezza negli occhi. Dovevo informarmi sull'uomo che avevo davanti.
Entrammo nella sala interrogatori.
-Come sta? Come sta Lilian?
-Ora è con i servizi sociali.
-Tornerà dal padre?
-No. Né lei né i fratelli. Credo verranno adottati.
-Posso chiedere io l'affidamento?
-Tu andrai in prigione per sequestro di minore.
-L'ho fatto per salvarla! A lei e ai fratellini!
-Salvarla?
-I servizi sociali non sono mai passati a vedere se le accuse sporte contro il padre alcolizzato sulla violenza verso i figli erano fondate. Dovevano notarla, conoscerla, per sapere che erano vere. E io rapendola l'ho fatta conoscere. Ora sanno che esiste e si occuperanno di lei. È stato tutto quello che mi è venuto in mente di fare.
-Curioso. La tua mente non mi dice questo.
-Jane?
-Scusi, ma sta bene?
La ragazza si rivolse a me con sguardo interrogativo.
-Non ne ho idea.
-Sto benissimo. Lisbon questo non è sequestro di minore.
-Come scusa?
-Lei è Marie Suzanne Harper, la zia della piccola. E... la madrina di battesimo. Ecco perché ha preso Lilian.
-Jane è comunque perseguibile per legge.
-Mmm. Ma se il padre, ubriaco, sapesse che è stata lei potrebbe pensare che si sia trattato di una visita dalla zia. E potrebbe chiedere l'affidamento dei bambini.
-Jane! È sbagliato! Le regole...
-Le regole sono fatte per essere infrante. Alcune, s'intende.
Mi guardò negli occhi, uno sguardo magnetico con quel velo di tristezza che li rendeva più profondi.
-Possiamo tentare...
-Grazie Lisbon.
Sapeva già avrei accettato, perché aveva conosciuto il mio passato. Non sapevo ancora come, ma lo conosceva.
Dopo due ore riuscimmo a far scagionare la donna. Jane era stato parecchio...convincente? Non capivo come, ma era riuscito a far calmare il padre della bambina semplicemente contando all'indietro da cento. Sembrava quasi ipnosi.
Ipnosi?
Impossibile. Nessuno poteva essere in grado di ipnotizzare qualcuno così, senza dire nulla, senza farsi scoprire. Però Minelli mi aveva detto che in passato l'ipnosi faceva parte del suo lavoro, magari lui ne era in grado?
-Si, Lisbon, l'ho ipnotizzato. È sbagliato?
-In effetti si. Sai, è contro la legge. Ah sei pregato di non entrare nella mia testa, grazie.
-Ma non sono io. È la tua mente che grida.
-Si e io sono Cleopatra.
-Magari lo eri, in una vita precedente...i capelli sono quelli, dopotutto.
-Già. Già.
Era il caso di far terminare quella conversazione. I miei sottoposti erano estremamente preoccupati: stavo sorridendo.
Ora, ero il loro capo da meno di ventiquattro ore, però uscendo con Mark li avevo frequentati qualche volta e mi ero sempre mostrata fredda e cinica. Come mio solito.
-Ter...Capo, tutto bene?
-Voi stavate insieme.
Non era una domanda, quindi non risposi.
-Ragazzi, lui è Patrick Jane, da oggi affiancherà il nostro team come consulente. Jane, loro sono Kimball Cho...
-L'uomo di ghiaccio.
Lo ignorai.
-Wayne Rigsby
-L'ingenuo.
Di nuovo tentai di ignorarlo.
-E Mark Monroe.
-Il tuo ex.
-Quella è la tua scrivania. Ragazzi se ci sono nuovi casi chiamatemi.
Uscii dal bullpen per chiudermi nel mio ufficio. In quella giornata avevo capito una sola cosa...
-Lisbon a che ora è la pausa pranzo?
-Inizia all'una.
-Dato che è l'una meno tre... Ci vieni a pranzo con me? Facciamo una chiacchierata.
-Va bene.
...L'uomo che mi aveva invitata a pranzo sarebbe stato il mio incubo.



Grazie per le recensioni del capitolo precedente.
Mi scuso immensamente con Doralice per averle preso l'idea per la nomenclatura dei capitoli ma mi è piaciuta troppo!!:)
Soarez, non volevo farti prendere un colpo...il pezzo Chisbon ci sarà più avanti. Un capitoletto tutto per te.
Sasita e Allanon, sono felice la troviate una bella idea, ero indecisa se scriverla o meno!

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Capitolo 3
*** Capitolo due: dove Lisbon si sente in imbarazzo. ***


Uscimmo dal CBI sotto lo sguardo assassino di Mark. Non lo potevo soffrire più. Era decisamente troppo, troppo, troppo possessivo.
-Smettila di pensare a lui. Lo odierai ancora di più.
-Senti, io non ti conosco. Non ho la minima idea di come tu faccia a leggermi la mente ma se vuoi davvero lavorare con noi non entrare mai più nella mia testa.
-Un giorno o l'altro me ne darai il permesso, conosco un sacco di giochini carini, sai?
-Tipo trucchi di magia?
-Molto, molto meglio. Ma per quelli c'è tempo. Ti ho chiesto di venire a pranzo con me perché oggi è come se fosse anche il tuo primo giorno di lavoro.
-In effetti.
Ci sedemmo al tavolo di un bar ristorante ed ordinammo il nostro pranzo. Io un'insalata, lui una brioche al cioccolato fondente accompagnata da una tazza di the e un uovo all'occhio di bue. Avrei preso volentieri un hot dog ma...bloccai il pensiero prima di riuscire a formularlo, con il terrore che potesse capire anche questo.
Il mio sguardo cadde sulle mani che si contorceva convulsamente. Portava la fede.
“Troppo bello per essere vero”
Frena. Frena. Che vai a pensare?
“Era un pensiero innocuo”
Innocuo? Era più innocuo spogliarlo davvero invece che limitarti a pensarlo.
Misi a tacere la mia coscienza per volgere nuovamente l'attenzione all'uomo che avevo davanti, che mi fece sobbalzare in meno di un secondo con un piuttosto urlato:
-Ah! Cameriere, per favore, potrei cambiare l'ordinazione?
-Si, non c'è problema.
-Perfetto. Al posto dell'insalata potrebbe portare un altro uovo all'occhio di bue, una tortina alle fragole e una tazza di caffellatte con panna?
-Certamente.
Attesi se ne andasse per guardarlo in malo modo.
-Scusa?
-Beh, non credo tu debba fingere di fare la salutista. Sei in ottima forma, perché dovresti mangiare un'insalata? Domani magari. Oggi sei qui con me e mangerai ciò che vuoi veramente. Tanto non puoi mentirmi.
-Sei sposato?
-Vedovo.
-Mi dispiace.
-Anche a me.
Rimanemmo qualche secondo in silenzio finché non capii tutto. I pezzi si erano uniti nella mia testa senza che io potessi evitarlo.
-Ah.
-Che succede? Stai bene?
-Si. È che... non importa.
-L'hai capito.
-Tua moglie...era Rose Jane?
-Già.
-Quindi tua figlia...Lily Jane? Entrambe...
-Uccise da John il Rosso. Ecco perché so tutto su di lui.
-Merda. Sono stata una stupida, mi dispiace, io non avrei dovuto.
-Nah, un po' di curiosità non ha mai fatto male a nessuno.
-Perché indaghi con la polizia? Solitamente i parenti delle vittime si limitano ad aspettare che le forze dell'ordine catturino l'omicida per ottenere la loro piccola vendetta.
-Fidati, non vuoi sapere perché. Prima o poi, forse. Ma ora non è il caso.

*Pov Mark

Era andata a pranzo con quel tipo? Lei, la donna della mia vita, che usciva con un uomo appena conosciuto? Impossibile.
Però avevo la soluzione. E non era qualcosa di stupido come boicottare il loro pranzo, quell'uomo portava la fede nuziale, era abbastanza innocuo, per ora.
La mia idea era dieci, cento, mille volte più interessante. Avevo letto e riletto il regolamento per trovare una scappatoia. La mia Tess era molto ligia alle regole ed io non potevo far altro che rispettare questa sua caratteristica. Ma volevo stare con lei senza cambiare team.
-Mark? Hai intenzione di pranzare qui?
Ecco quali erano i problemi di Rigsby. Mangiare e Mangiare.
-No, devo fare una commissione.
Uscii per recarmi nel negozio davanti al bar dove Teresa stava conversando amabilmente con il consulente. Non che lo avessi fatto apposta ma quello era il più vicino gioielliere per comprare alla mia amata il regalo che avrebbe tenuto con sé per il resto dei suoi giorni. Più o meno.
Vidi in vetrina uno splendido anello, d'argento, con dei diamanti incastonati su un basamento, d'argento anch'esso. Formavano un piccolo diamante visti tutti insieme e brillavano in un modo impressionante. Non costava nemmeno tanto. Novanta dollari. La mia Tess valeva molto di più. Però questo anello lo avrebbe adorato, non poteva dirmi di no, non con questo.
Lo comprai senza pensarci due volte e tornai al CBI non senza aver lanciato un'occhiataccia alla mia amata e al suo “amico” che fortunatamente non si erano accorti di me.
Mangiai un panino rubandolo dalla scorta di cibo che Wayne teneva nascosta, o almeno credeva di tenerla nascosta, tanto per dire di aver pranzato e attesi andando su e giù per il bullpen che quei due tornassero.
Non dovetti aspettare molto in effetti. Vidi il consulente passare una mano tra i capelli di Tess e ci vidi nero, dopodiché Lei si diresse verso il suo ufficio mentre lui entrava nella stanza. Feci per seguire Teresa ma il biondo mi bloccò.
-Non lo farei, se fossi in te. Rischi una delusione.
-Che vuoi saperne, tu?
-Credi abbiamo parlato del tempo al bar?
-E comunque non capisco di cosa tu stia parlando.
-Dell'anello. Posso leggerti nella mente, sai? E, più semplicemente, ti ho visto uscire dalla gioielleria.
-Cosa ti fa pensare si tratti di un anello?
-Te l'ho detto, io leggo le menti.
Non gli badai e mi diressi ugualmente verso quella porta, verso il mio obiettivo, verso la mia vittoria.

*Pov Teresa

Era stato un pranzo molto, molto piacevole. Continuavo a rigirare tra le dita quel piccolo origami a forma di fiore che Jane aveva fatto apparire magicamente dai miei capelli. Incredibile quanto amassi ancora questi trucchi ingenui.
La porta del mio ufficio si aprì mostrando la testa di Mark affacciata. Tutto l'imbarazzo che avevo provato la mattina tornò in men che non si dica, ricordando il sonoro ceffone che avevo stampata sul suo volto.
-Posso?
-Vieni, certo.
-Ecco, Teresa,...
-Lisbon, non Teresa.
-No, Teresa. Ho studiato a fondo il regolamento, sai. E ho scoperto che, nel caso in cui due agenti siano sposati possono lavorare nello stesso team...
-Mark...
-Aspetta, fammi finire...Possono lavorare nello stesso team a patto che quando si fa irruzione non siano insieme. Sai si può sempre rimanere feriti per paura del compagno, e cose varie.
-Mark...
-Aspetta, per favore.
Si inginocchiò davanti a me, ma a questo punto rimasi zitta. Avevo capito cosa stava per fare già la prima volta che lo avevo interrotto. E ora avevo deciso che erano problemi suoi.
-Teresa, mi andrà bene per sempre rimanere in disparte, qui nel bullpen, se so che potrò vederti ogni secondo, ogni minuto della mia vita. Ti amo, voglio svegliarmi con te, addormentarmi con te, sentire il tuo profumo sulla mia pelle. Mi vuoi sposare?
-No.
-No?
-No.
Aveva tirato fuori le parole più banali, inutili e stupide di questo mondo, e comunque nemmeno l'anello che aveva attirato la mia attenzione in vetrina una settimana prima poteva farmi cambiare idea.
Uscì dal mio ufficio con la coda tra le gambe, non si aspettava una risposta negativa, ma io avevo tentato di fermarlo. Questo porta non dare retta al capo.
Presi di nuovo il fiorellino di carta tra le dita, forse quell'uomo non sarebbe stato un incubo, ma un sogno piacevole. Patrick Jane, non Mark.

*Pov Jane
Quella donna, così piccola, sembrava urlare “proteggimi” mentre tentava di tenere le distanze. Era così risoluta, con quegli occhioni verdi da cerbiatta che chiedevano affetto. Mi sarei affezionato a lei, era impossibile il contrario.



Eccomi con il terzo capitolo, perdonatemi se non ci sono Cho e Wayne (Wayne c'è ma non è che faccia molto)ma volevo concentrarla su questo piccolo triangolo che si va instaurando sempre di più (:
Sia chiaro che non ci saranno scene Jisbon in senso di baci e varie, perchè come ben sappiamo loro non stanno insieme (:
comunque, la scena Chisbon ci sarà tra tre o quattro capitoli, e per la gioia di serena, sarà proprio Chisbon...non di amicizia^^
Come vedete poi, Jane dice che si affezionerà a Lisbon... mentre Lisbon già fa pensieri oscuri...dopotutto già dalla nona puntata della prima serie lei teme che lui le legga la mente per motivi alquanto ovvi!!xD
Spero recensiate in molti (se così non fosse adotterò la tecnica del ricatto di Gre!xD)
Ultima cosa...Van Pelt arriverà solo nell'ultimo capitolo...poi fine (: quindi quando leggerete "Van Pelt" ...sarà la fine della storiella!!T-T
Baci

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Capitolo 4
*** Capitolo tre: dove Cho e Rigsby scommettono ***


Entrai nel bullpen dopo nemmeno un'ora. Possibile che i casi fossero così tanti?
-Non sono i casi che sono tanti, è questo team che è in gamba e ne chiude parecchi, quindi li affidano a voi.
Riservai un'occhiataccia imbronciata a Jane.
-Bene, non avete bisogno di me, quindi. Io ci sono solo per John.
-Cosa ti dice che questo non sia un suo caso?
-Nah, lo avresti già detto, saresti più preoccupata e mi avresti lanciato infinite occhiate.
Cho ci guardava stupefatto.
-Capo, ci siamo persi qualcosa?
-Tu che dici?
-Rigsby!
-Avete finito?
Nell'ordine a parlare erano stati i miei tre sottoposti: Cho, Rigsby e Mark. Il primo aveva parlato per pura curiosità, credo. Come sempre non dava intonazioni di alcun tipo alla sua voce. Il secondo perché era un ingenuo cronico ed era impossibile non aspettarsi una battuta del genere. Il terzo semplicemente perché non voleva nemmeno pensare ad un'eventuale “approfondimento di conoscenza reciproca” tra me e Jane. Questa era la definizione che utilizzava Mark per spiegare la nostra storia all'interno del CBI. Io utilizzavo, appunto, la parola “relazione”.
-Si, capo.
Ermetico. Indovinate chi poteva essere? Appunto. Cho.
-Torniamo al caso. Uomo di trentacinque anni, ucciso nel suo appartamento, viveva da solo.
-Questo “uomo” ha un nome?
Mi rivolsi verso Jane. In effetti non capivo perché era l'ultima cosa che ero solita dire durante il resoconto, facevo così io, faceva così il mio vecchio capo Samuel Bosco. Facevano così un po' tutti.
-Omar Norris. A ritrovare il cadavere è stata la sorella che era andata a trovarlo. A prima vista sembra un suicidio ma...
-Ma stava per pubblicare un libro che aveva tutti i requisiti per diventare un best-seller quindi non si capisce perché...ops...scusa.
-Come diceva Jane, aveva ottenuto da un'importante casa editrice di pubblicare il suo libro, un sogno che, da quello che ci dice la sorella, aveva da quando era un bambino. Inoltre ci sono segni di scasso sulla serratura della porta ma la sorella aveva la chiave. Lei e la fidanzata del signor Norris.
-Come è morto?
-Avvelenato.
-La scientifica sa di che veleno si tratta?
-Non c'è stato bisogno di fare le analisi. La morte è stata istantanea, l'odore predominante era mandorla.
-Cianuro di potassio.
Guardai il coreano, possibile conoscesse anche tutti i vari tipi di cianuro? Certo in Oriente tre quarti degli avvelenamenti avvenivano con questo particolare tipo di cianuro che, se si esclude l'odore di mandorla, lascia pochissimi segni all'interno del cadavere. Solo che Cho era americano, non nato in Corea.
-Esatto. Cianuro di potassio. Cho, Rigsby andate ad interrogare la sorella, Natalie Norris. Jane io e te andiamo a vedere il luogo del delitto e poi ad interrogare la fidanzata.
-Lisbon io voglio lavorare solo su John.
-Sei un consulente del CBI. O lavori con noi sempre o sei fuori e non ti avvicini nemmeno ai casi di John il Rosso. Chiaro?
-Cristallino.
-Monroe tu occupati di indagare sul passato del signor Norris.
-Capo ma se ci sono segni di scasso perché dobbiamo indagare su loro due?
-Semplicemente perché un assassino qualunque avrebbe scassinato la porta e sparato. Dobbiamo ricostruire i movimenti del signor Norris per sapere con chi era all'ora del delitto...che non vi ho detto. Scusate. L'omicidio è avvenuto tra le 23 e le 24. Infatti la vittima fino alle 23 era al telefono con un amico e dalle 24 in poi si attiva il sistema di sicurezza della porta. Era spaventatissimo dei ladri ed aveva fatto istallare un sistema di allarme ogni volta che veniva aperta la porta dopo le 24. Se rientrava più tardi bastava spegnerlo, solo lui conosceva il codice e, ovviamente, era acceso. Quindi tra le 23 e le 24. Dopo sentiremo anche il suo amico.
-Ok, andiamo.
Cho e Rigsby partirono immediatamente, io mi limitai a dare un altro paio di direttive a Monroe prima di voltarmi per uscire solo che avevo perso il consulente.
-Jane? Jane?
-Oh, si, eccomi.
-Che diavolo ci facevi nel mio ufficio?
-Niente.
-Farò finta di crederci. Andiamo?
Ci dirigemmo verso l'appartamento del signor Norris. Appena entrati un forte odore di disinfettante uscì dalla stanza tanto che dovetti uscire. Quell'odore di candeggina mista a un qualche sterilizzante mi faceva lacrimare gli occhi. Sentii Jane alle mie spalle.
-Hey Lisbon, tutto ok?
-Si, solo l'odore mi ha investita troppo in fretta.
-Beh ora sappiamo che oltre che dei ladri aveva il terrore anche dei germi.
-Divertente.
Rientrammo ed iniziammo a cercare qualche indizio ma quella stanza sembrava una sala operatoria.
-Lisbon!
-Che hai trovato?
Uscii dalla cucina per dirigermi in camera da letto. Il consulente era sdraiato sul letto ed osservava il soffitto divertito.
-Sdraiati qui, vicino a me.
Lo guardai scettica.
-Su!
Serve proprio dirlo che alla fine mi sdraiai al suo fianco? No, vero? Comunque, appena poggiai la testa sul materasso indicò il soffitto in un punto imprecisato. E pretendeva anche che capissi cosa stava guardando.
-Hai visto?
-Visto cosa?
-La linea.
-Linea?! Jane ti rendi conto che è un muro perfettamente...oh. Vista.
Non era una “linea” era più che altro un solco, che indicava un'apertura.
-Ottimo.
Si tolse le scarpe e salì in piedi sul letto mentre io ero ancora sdraiata.
-Spostati o la polvere ti cadrà in faccia.
Mi alzai rapidamente, cosa che tra l'altro stavo già facendo.
Con un po' di sforzo aprì il soffitto. Ci mise un po' a trovare il gancio, ben mimetizzato con il resto del muro ma quello che scoprì fu rilevante per le indagini.
Nel soppalco quell'uomo teneva un laboratorio di metadone.
-Wow. Non aveva paura dei ladri. Doveva proteggere la sua “fabbrica”.
-Già. E ora?
-Ora indaghiamo comunque solo su sorella e fidanzata. Credo che la tua prima idea fosse giusta, i segni di scasso sono stati fatti apposta.
-Dici?
-Si. Si notano troppo, di solito bisogna osservarla con attenzione per distinguere i tipi di graffi. Qui sono messi a bella posta. Nessun ladro o omicida farebbe un errore così stupido.
-Quindi andiamo dalla fidanzata?
-Andiamo dalla fidanzata.
Iniziai a rendermi conto di quanta fiducia riponevo in quell'uomo appena conosciuto. Era assurdo. Che poi non era fiducia nei suoi confronti ma nella sua capacità di giudizio. Sentivo che era un tipo piuttosto in gamba quindi gli davo ascolto.
Chiamai Cho per sapere come era andato il colloquio con la sorella della vittima.
-Cho, come è andata?
-Dice che il fratello fabbricava metadone in casa e che è probabile che sia stato uno dei suoi clienti.
-Si, abbiamo trovato il laboratorio nel sottotetto. Una specie di mansarda, alta poco più di un metro e ottanta.
-Dice che sul tavolo dovrebbe esserci un taccuino con i nomi dei suoi clienti. Tutti conoscenti, non ne prendeva di nuovi per non farsi notare e destare sospetti dato che li riceveva in casa.
-Jane, dovrebbe esserci un taccuino sul tavolo.
Il consulente salì al piano superiore.
-Ta-dan!
Alzai gli occhi al cielo con un sorriso. Quell'uomo era un genio e allo stesso tempo una specie di persecuzione. Piacevole.
“Dio mio, Tess. A cosa vai pensando!”
Zittii la mia coscienza.
-Grazie Cho. Ci sentiamo.
-Allora?
-Ci sono una decina di nomi, ma...
-Cosa non ti convince?
-Stavo pensando...che i segni di scasso sono troppo evidenti, come hai detto tu, quindi potrebbero essere stati fatti per coprire reali segni di scasso...
-E quindi il campo si restringerebbe ai clienti...
-Oppure, e propendo per questa ipotesi, sono stati messi per farci credere che si sia trattato di qualcuno che aveva le chiavi e che ha finto di scassinare.
-E in questo caso chi lo avrebbe ucciso?
-Suicidio. Per far ricadere la colpa sulla fidanzata.
-Perché non sulla sorella?
-Tu a mezzanotte andresti da tuo fratello o dal tuo uomo?
-Presupponendo che io abbia un uomo? Da lui, credo.
-Appunto. Però non ci sono foto della sua donna qui. E questo fa pensare. Si è suicidato e voleva far ricadere la colpa su di lei.
-Ok, ma le prove?
-Beh il cianuro di potassio non si compra mica in farmacia, o lo si crea o lo si ruba in ospedale.
-E questo è un indizio.
Il mio telefono squillò mentre Jane si metteva carponi e iniziava a gattonare per la camera cercando non sapevo cosa.
-Lisbon.
-Capo?
-Dimmi, Monroe.
-Ecco, credo che l'ipotesi del suicidio non sia da escludere. A quanto pare due giorni fa la casa editrice ha annullato il contratto perché ha ricevuto un libro che potrebbe vendere ancora di più.
-Liiiiiiiiiiiiiiiisbon?!
Sentii Mark tossire dall'altra parte della comunicazione, il tono con cui Jane mi aveva chiamata era parecchio equivocabile.
-Grazie, Monroe. Devo lasciarti.
-Certo.
Chiusi la chiamata per dedicarmi al consulente.
-Cosa hai trovato?
-Il bicchiere con il veleno. Odora di mandorle. Possibile che la scientifica non l'abbia trovato?
-Quelli fanno quattro foto, pensano al cadavere e contaminano la scena del crimine. Portiamolo ad analizzare e vediamo. Intanto torniamo al CBI.
Chiamammo Cho e Rigsby per dire loro di tornare in ufficio e convocammo la donna. Venimmo a sapere che il libro che la casa editrice stava per pubblicare al posto di quello del signor Norris era della donna. La teoria di Jane reggeva, dovevamo solo aspettare i risultati della scientifica sul bicchiere contenente il veleno.
-Capo dov'è Jane?
Mi guardai intorno, ero certa fosse dietro di me. Almeno due secondi prima lo era.
-Sarà nel cucinino. Onestamente non...Che cosa sta facendo nel mio ufficio?
Mi diressi a passo di carica nella mia stanza per trovare il consulente seduto sul divano con un sorriso sornione sul volto.
-Che ci fai qui?
-Ti aspetto.
-Perché?
-Perché i tre agenti non li conosco ma a quanto ne so loro potrebbero conoscere me, dato che indagate su John.
-Non credo, ma comunque non direbbero nulla.
-Ne sei certa?
-Assolutamente. Cho non parla quasi mai e se lo fa sembra ti stia facendo un favore. Rigsby è così ingenuo che non te lo chiederà mai, soprattutto perché si sentirebbe in imbarazzo. E Monroe ti odia, anche se devo ancora capire perché.
-Oh, crede sia colpa mia se non vi sposerete.
-Eh? Come fai a saperlo? Cosa? Perché dovrebbe essere colpa tua?
-Una cosa alla volta. Primo, leggo le menti, te l'ho già detto, no? Secondo io lo avevo avvertito che non avresti accettato ma non mi ha dato retta.
-Sicuro che i sensitivi non esistono?
-Assolutamente certo.
-Ok.
-Ok.


*Pov Cho
Il capo e il biondo erano nell'ufficio di lei a chiacchierare. Lui sembrava preoccupato.
-Cho?
-Mmh?
-Scommettiamo venti dollari?
-Su cosa?
-Che il capo e il consulente finiscono a letto insieme.
-Entro quanto?
-Secondo me un anno.
-Mmm. No, direi un po' di più. Almeno due o tre.
-Due o tre?
-Tre.
-Andata.
Avrei vinto sicuramente. Quell'uomo era ancora troppo devastato per la fine che aveva fatto la sua famiglia.
-Sono arrivati i risultati dalla scientifica.
Monroe mi passò il foglio. Le impronte erano solo della vittima.
Il biondino ci sapeva fare.


Eccomi con il nuovo capitolo!
Questo è stato difficilissimo! Non riesco proprio a scrivere di omicidi! >.<
Grazie a tutte per le recensioni ma dato che erano solo tre...qui ne voglio minimo cinque, oppure attendete fino a domenica 26 (ovvero poco più di una settimana) o se sono buona fino al 25 (il 26 devo vedere the mentalist *-*)
Ebbene sì ragazze, Mark nel cervello ha la segatura, ma tranquille, potrete insultarlo quanto vorrete nei prossimi capitoli!! (:
Dedicato a Serena il POV Cho, dato che per il Chisbon devi attendere che non riesco a inserirlo nella situazione adatta...devo ragionarci un po' su...
Recensitemi per favore!!
Alla prossima,
Giuls

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Capitolo 5
*** Capitolo quattro: Dove Lisbon scopre di essere attraente. ***


Uscii dal mio ufficio dopo quasi due ore, durante le quali il mio team si era occupato della trascrizione degli interrogatori, il mio consulente era rimasto sdraiato sul divano del mio ufficio in religioso silenzio ed io avevo terminato di compilare dei moduli dei quali già al quarto avevo dimenticato l'utilità.
-Ragazzi se avete fatto potete andare. Rimanete reperibili.
Wayne non se lo fece ripetere due volte e nemmeno Mark.
Kimball invece non si mosse dalla sedia.
-Tu resti?
-Qualcuno deve rispondere al telefono e comunque cercherebbero me, tanto vale rimanere qui.
-Ti faccio compagnia.
-Non serve, davvero. Poi c'è Jane che dorme nel mio ufficio, appena si sveglia me ne vado.
-Nessun problema. Devo compilare un rapporto vecchio.
-Non c'è bisogno. Oggi abbiamo lavorato a due casi. Sarai stanco. Ci puoi pensare domani.
Per tutta risposta si voltò riportando lo sguardo sulle pratiche.
Tornai nel mio ufficio borbottando frasi che suonavano come: “Problemi suoi, io più di così tanto non posso fare. Vuole rimanere qui? Ok. Io appena quello si sveglia me ne vado a casa”
-Sono sveglio. E Cho fa così perché è attratto da te.
-Ah. Ok. No, aspetta... Cho è attratto da me? Stai scherzando? Hai presente chi è Cho?
-Si. So che a vederlo sembra uno che non ha mai provato un'emozione ma fidati: tu gli piaci.
Io e Cho. Kimball Cho. Il mio secondo. Un bell'uomo, senza dubbio, ma avrei mai potuto pensare a lui come qualcosa di più di un collega? Si, ovviamente. Come un amico. Ma oltre? Oltre ancora no.
-Oh ma tu sei innamorata! Non di Mark, o di Cho...di chi allora?
-Non sono innamorata!
-Sei arrossita, quindi è vero. Beh non so chi sia, non ti conosco quasi per niente.
“Mi conosci più tu di molti altri....”
Sospirai.
-Beh io andrei a casa.
Uscii dalla stanza lasciando il biondino davanti alla mia scrivania. Il mio sguardo cadde su Kim e questo mi portò inevitabilmente a fare dietro-front e a imboccare di nuovo l'ingresso del mio ufficio.
-Ne sei assolutamente certo?
Mi stava aspettando con un sorriso malizioso in volto e un bagliore di sicurezza negli occhi.
-Non è innamorato di te. Solo attratto da te. Ed essendo Monroe suo amico non penserà mai seriamente a qualcosa tra voi.
-Uhm. Ok.
Questa volta appena messo piede fuori dall'ufficio non mi fermai più ma andai dritta verso l'ascensore e poi verso la mia auto, appena dentro l'abitacolo sospirai. Che diavolo mi stava succedendo? Non a me Teresa Lisbon, ma alla mia vita. Una settimana prima ero una donna felice di stare con il suo uomo. Felice ed innamorata. Beh, innamorata forse nemmeno più tanto, ma felice sì. E parecchio. Poi è arrivata la promozione. Positiva per la carriera, disastrosa per la mia vita privata. Probabilmente tra me e Mark sarebbe finita comunque di lì a poco, già da alcune settimane non gli dedicavo più molte attenzioni. Ma dopotutto sono sempre stata una stacanovista. Non proprio felice di lavorare, di gran lunga le ferie sono sempre state al primo posto, ma comunque il mio lavoro mi è sempre piaciuto. E ora invece? Mi ritrovavo con un ex costantemente indeciso tra l'ignorarmi o il provarci apertamente; un secondo che a quanto pareva aveva una cotta per me ed un consulente che stava per scoprire che ero attratta da lui. “Innamorata”, aveva detto. Ma da quando io credevo nell'amore? Forse non lo avevo mai nemmeno provato davvero e sapevo per certo che quello che sentivo nei confronti di quell'angelo dannato non era nemmeno lontanamente paragonabile all'amore. Quindi, avendo capito che lui aveva sempre ragione...di chi ero innamorata?
Stavo per mettere in moto quando il cellulare squillò. Non era difficile immaginare che a quell'ora giusto di lavoro poteva trattarsi.
-Lisbon.
-Capo, abbiamo un nuovo caso.
-Ok, chiama Monroe e Rigsby.
-Subito.
Chiusi la chiamata e sospirai.
-Merda.
Salii in ascensore e mi ritrovai nel bullpen dopo nemmeno un minuto ma con tantissimi santi che sicuramente erano pieni di rabbia nei miei confronti per quante ne avevo tirate Lassù.
Cho mi vide entrare e mi fissò senza una particolare espressione ma capii comunque a cosa stava pensando.
-Non ero ancora partita.
-Oh.
-Il fascicolo del caso?
Mi porse una cartellina e il mio sguardo saettò verso il mio ufficio.
-È ancora lì?
-No. - Lo guardai interrogativa -Nel cucinino.
-Bene, hai già chiamato gli altri?
-Stanno arrivando.
-Vado da Jane. Puoi tenere Rigsby lontano dal cibo finché non torniamo?
-Certo.
-Grazie.
Entrai nel cucinino rimanendo paralizzata. Patrick Jane si teneva la testa tra le mani. Immobile, le spalle che tremavano leggermente. Stava piangendo.
-Jane...
-Lisbon, per favore qualsiasi cosa sia può aspettare.
-Io...non...Jane non credo che questa possa aspettare.
-John?
Sollevò lo sguardo dal tavolo, gli occhi gonfi. Non c'era traccia di lacrime, ma si vedeva le stava trattenendo con estrema fatica.
-A San Francisco. Dobbiamo partire subito per arrivare lì in un paio d'ore.
-Guido io, sei troppo stanca.
-Uhm. Va bene.
Partimmo subito lasciando Cho ad aspettare Rigsby e Monroe. Sarebbe venuto la mattina seguente con Rigsby, gli avevo espressamente ordinato di non presentarsi prima delle nove e di andare a dormire. Io e il consulente ce la saremmo cavata.
Avevamo imboccato l'autostrada in silenzio, ma sentivo di dovermi scusare.
-Non preoccuparti, Lisbon, era solo la stanchezza. Soffro d'insonnia e a causa del sonno ho sempre gli occhi gonfi, alla sera.
Finsi di crederci e sorrisi. Per una volta il fatto che capiva i miei pensieri era tornato utile risparmiandomi scuse imbarazzanti.
-Dormi, ti farà bene.
-Non sono stanca.
-Bugiarda.
-Beh, forse un pochino. Ma abbastanza da rimanere sveglia fino all'arrivo a San Francisco.
-E poi? Ti addormenterai davanti al cadavere della donna?
Rimanemmo in silenzio qualche minuto. Le luci dei lampioni che passavano ad intermittenza mi conciliavano il sonno. Immaginai la scena. Addormentarmi davanti all'orrore di un omicidio. Senza contare che di John avevo solo letto, ma mai visto omicidi.
-Credo tu abbia ragione...farò un sonnellino.
Chiusi gli occhi sentendo la voce ovattata di Jane al mio fianco.
-Buonanotte, Lisbon.







spazio autrice
Ho pubblicato il capitolo oggi (invece di domani) solo perchè mi sentivo buona, a quanto pare The Mentalist ha un effetto molto rilassante su di me...ok non è vero...è peggio di un'endovena di caffeina...comunque...ho pensato di rimuovere il ricatto delle recensioni tanto non posso comunque aggiornare prima del week-end per colpa dello studio e molti di voi non hanno il tempo di recensire per via dello studio quindi...che ricatto a fare??
Non ho molto tempo (sono le 21.45 e non ho ancora cenato) ma ringrazio Allanon e Ilaria che mi hanno recensita e anche tutte le altre che mi hanno seguita senza recensire per mancanza di tempo.
Mi scuso per il capitolo così breve ma la scuola prosciuga la mia fantasia u.u
Baciotti, Giuls

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Capitolo 6
*** Capitolo cinque: Dove Lisbon scopre cos'è una squadra ***


-Lisbon?
-Mmm?
-Siamo arrivati.
Aprii lentamente gli occhi per trovare a pochi centimetri dal mio naso quello di Jane. Trasalii. Si era sporto all'interno dell'abitacolo dal lato del passeggero. Mi spostai all'indietro per aumentare la distanza ma il risultato che ottenni fu inesistente, mi ero graffiata il collo con la cintura di sicurezza ed avevo battuto contro il poggiatesta.
-Ehi, tranquilla. Non mordo mica. Appena ti senti sveglia andiamo.
Uscì dall'auto ed iniziò a passeggiare lì vicino.
Sospirai.
Era ora di tornare al lavoro. Evviva. Accantonai tutti i pensieri su Patrick e uscii nella notturna San Francisco. L'aria era stranamente pungente e dovetti stringermi nella giacca.
-Sono d'accordo con te, dovrebbero inventare degli scalda-naso.
-Eh?!
-Non è a questo che stavi pensando?
No, ma quasi. Stavo pensando che il mio naso si era congelato e sicuramente era diventato di un bellissimo color ciliegia. Forse di lì a qualche secondo sarei giunta alla “geniale” idea degli scalda-naso. Non volevo crederlo davvero capace di leggere le menti, anche se a quanto sembrava era convinto di saperlo fare, e riusciva a farlo anche bene.
-Si, è vero.
Liquidai la questione con tre parole. Non volevo davvero iniziare a temere l'incolumità dei miei pensieri e proteggerli dal consulente.
“Rischi di pensare a poco fa.”
Zitta.
“Al fatto che le vostre labbra erano a pochi centimetri di distanza.”
E avrei potuto baciarlo.
“E al fatto che 'non morde mica'.”
Er...Peccato?
“E ti stai chiedendo perché non si sentiva in imbarazzo in una situazione così intima avendoti conosciuta poche ore fa.”
Mentre io ero in imbarazzo eccome.
“E allora domandati: perché eri in imbarazzo?”
Zitta.
Entrammo nel luogo del delitto. Jane aveva cambiato completamente espressione. Gli occhi limpidi erano diventati ancora più impenetrabili e il velo di tristezza che avevo notato si era trasformato in una vera e propria ombra celata sul fondo di quelle polle azzurre. La mascella rigida e le labbra serrate facevano sembrare gli zigomi ancora più pronunciati; le mani strette a pugno calcate all'interno delle tasche della giacca. Si sforzava di rimanere impassibile ma con scarsi risultati. Nonostante mentisse spudoratamente in quel momento sembrava incapace di fingere. E nonostante tutto questo fosse leggermente inquietante, mi trovai nuovamente a pensare che l'unica parola in grado di descriverlo adeguatamente fosse “bello”.
“Anche Kim è bello, però”.
Cosa c'entra Kim ora?
“Sono la tua coscienza, do voce ai tuoi pensieri”.
E io sono stanca, tanto che immagino di parlare con la mia coscienza.
Il mio delirio interiore, causato dalla mancanza di caffeina appena sveglia, fu bruscamente interrotto dalla visione della ragazza riversa sul materasso. Avevo visto alcune foto delle vittime di John mostratemi da Mark (si, mi interessavo di cadaveri anche fuori dal lavoro ma del serial killer non avevo avuto occasione di conoscere nulla), ma vedere “dal vivo” il volto della vittima mi aveva fatta rabbrividire. Gli occhi verdi erano volti a fissare il soffitto senza poterlo vedere, le labbra contratte, il colorito pallido contrastava con violenza il nero dei capelli sporchi di sangue rappreso, sul braccio destro la scottatura del taser usato per stordirla, ma la visione più inquietante fu lo smile beffardo che catturava l'attenzione. Era la prima cosa che si notava entrando nella stanza e anche dopo aver visto il corpo lo sguardo sembrava cercarlo come una calamita.
Volevo voltarmi ed andarmene. Lasciare il ruolo di capo a Kim e non tornare più. Volevo avvicinarmi a Jane per sapere come si sentiva ma quel corpo me lo impediva. Quella ragazza chiedeva giustizia come tutte quelle che l'avevano preceduta, dovevo solo tentare di non farne seguire altre. E confidavo in Jane, aveva risolto il caso precedente con intuizioni geniali. Mi sembrava impossibile pensare che non sarebbe riuscito a chiudere questo.
Ma il consulente che avevo davanti non sembrava lo stesso di poche ore prima. Aveva lo stesso sguardo attento ma, al contrario di me che non riuscivo a pensare a nulla che non fosse il corpo senza vita steso sul materasso, si ostinava a guardare altrove, a cercare dettagli e non posava mai gli occhi sul cadavere, come se questo si trovasse in una bolla invisibile.
Spostai l'attenzione sulla stanza cercando io stessa qualcosa che potesse aiutarci rovistando tra gli scaffali e i cassetti finché il mio cellulare non squillò facendomi sobbalzare.
-Lisbon.
Avevo il cuore in gola. La stanza era estremamente silenziosa perché la scientifica aveva già ripulito tutto nelle due ore che noi avevamo impiegato per il viaggio.
-Capo, Cho ed io siamo a San Francisco ma hai portato via il fascicolo con l'indirizzo.
-No, è nel cucinino. Sono certa di averlo lasciato lì.
-Eppure non c'era.
La voce lapidaria di Cho, fredda e concisa, mi fece pensare a dove potevo aver messo quella dannata cartella. Già il fatto di averla lasciata nel cucinino era un errore, dimenticare dove si trovava e perderla era ancora peggio. E al mio primo (tecnicamente secondo) giorno di lavoro.
-Jane, ricordi dove ho lasciato il fascicolo del caso?
-Nel cucinino, sul tavolo.
-Anche Jane ricorda che l'ho lasciato lì. Sul tavolo.
-Ok. L'indirizzo?
-Julius Street 253.
-Chiamo Monroe per cercarlo.
-L'indirizzo?
-Il fascicolo.
-Ah, giusto.-rimanemmo in silenzio per qualche secondo. -Cho?
-Si?
-Non ti avevo detto di partire domani mattina?
-No. Non direi.
Riagganciò. Sospirai. Possibile che ignorasse gli ordini che gli avevo dato? Nessuno del team sembrava il tipo. Mi aspettavo un commento da parte di Jane ma (fortunatamente?) rimase in silenzio, contro ogni mia aspettativa. Non per molto ovvio.
-Lisbon, vieni.
Mi portai al suo fianco e lo guardai dubbiosa. Teneva tra le mani un carillon.
-E questo vuol dire che...?
-Che è madre, ovvio.
-Ma aveva solo sedici anni!
-I tempi cambiano, Lisbon. Non tutti sono coscienti e giudiziosi come lo eri tu, a questa età.
E questo cos'era? Un'affermazione con cui tentava di capire a che età avevo perso la verginità? E comunque non a sedici anni.
-Non potrebbe essere un regalo?
-Ad una ragazza di sedici anni un carillon di regala solo se è un portagioie. Questa invece è solo una noiosissima ninnananna. Perfetta per far addormentare un neonato.
-Che ne sai? Non l'hai nemmeno ascoltata!
Lo so, divento molto irascibile in assenza di caffè al mio risveglio.
-Ne avevo una uguale per mia figlia. Si addormentava subito.
Possibile che continuassi a fare gaffe con quell'uomo? Neanche a farlo apposta, poi.
-Oh, mi...
-Smettila di dire che ti dispiace. Se non avessi voluto dirtelo, non lo avrei fatto.
Lo disse con un tono piatto e dolce, non come un rimprovero, più come uno scherzo, ma alle mie orecchie non suonò come tale. Sarei voluta sprofondare dalla vergogna. Io e le mie guance in fiamme.
-Cerchiamo la figlia?
-La? Ne sei sicura?
-Si, credevo fosse una foto con una cuginetta o una parente e l'ho ignorata, ma a questo punto...
Presi una foto trovata nel diario di scuola della ragazza. Vi era ritratta lei insieme ad una bambina dai folti capelli neri. Aveva più o meno un anno.
-E brava Lisbon.
Ma mi prendeva in giro o cosa? Credeva di essere il migliore lì dentro? Forse la mia autostima sarebbe calata drasticamente a contatto con quell'uomo.
-Dobbiamo cercare i genitori anche se non credo sappiano molto della condizione della figlia. Chiamo Cho per informarlo.
Composi il numero sotto lo sguardo vigile del consulente.
-Cho.
-Ho bisogno tu dica a Monroe di cercare i genitori di Katherine Sachs il prima possibile, poi andate da loro.
-Sono le due del mattino.
Alzai gli occhi al cielo.
-Non sanno che la figlia è morta. Io vorrei saperlo al loro posto, tu no?
-Piangeranno.
-Certo che piangeranno. È morta loro la figlia!
Esasperata posi fine alla chiamata premendo sul tasto rosso del mio cellulare con forza.
Possibile che un uomo come Cho odiare le lacrime? Si, in effetti lo era.
-Perché non lo hai chiamato tu Monroe?
-Perché noi dobbiamo cercare la bambina.
-Dì piuttosto che non vuoi sentirlo. Sai, non è molto professionale.
-Grazie Jane, tu sì che sai come tirarmi su il morale.
-Lo dico solo perché so che ci tieni alla tua carriera.
-Dove andiamo?
-Non sei brava a cambiare discorso.
-E tu non sai cosa sia la professionalità. Siamo in servizio, si lavora. Le chiacchiere a dopo.
-Se dopo non vorrò parlare?
-Riuscirò a superarlo.
-Sarcastica, eh?
Mi morsi un labbro per non sorridere. Sì, il sarcasmo era forse ciò che mi distingueva maggiormente, ma quel battibecco, se avessi potuto, lo avrei rivissuto almeno un altro paio di volte. Era stato catartico esternare tutta la noia che provavo verso Mark senza chiamarlo troppo in causa.
Comunque lo ignorai e non risposi. Ricominciai a cercare tra le cianfrusaglie accatastate per trovare un indizio sulle amicizie della ragazza. Trovai solo un post-it infilato senza troppe cerimonie in un'agenda. Composi il numero scritto sopra. A caratteri cubitali dominava la scritta “In Caso Di Emergenza”.
Una voce roca rispose al quarto squillo.
-Chi cazzo sei a quest'ora?
-Janice? Sono l'agente Lisbon, del Dipartimento Investigativo della California. Ho trovato il tuo numero nell'agenda di Katherine Sachs.
-Si, ce ne sono migliaia di numeri là dentro. Scassi le palle a qualcun altro.
-Il tuo è sotto la scritta “In caso di Emergenza”. Abbiamo davvero bisogno del tuo aiuto.
-Senta, se si è ubriacata e avete bisogno di qualcuno che tenga la figlia chiamate Rose, la trovate scritta nell'agenda come Rossella J., il cognome è Johnsonn.
-È morta. È stata uccisa e la figlia è scomparsa.
-Kitty è morta? Ed hanno rapito Mary?
-Si.
-Oh, Cristo! Senta, io davvero non sono la persona più adatta. La conoscevo pochissimo, sono solo la più normale tra la gente che frequentava.
-Cercherò questa Rose. Però vorrei interrogarla domani.
Mi assicurò che si sarebbe presentata alla caserma di polizia del luogo, quella che ci avevano gentilmente concesso per le indagini fuori porta, la mattina seguente. Riagganciai cercando il numero di quest'altra ragazza. Di nuovo composi il numero e mi preparai a dover rispiegare la situazione.
-Pronto?
La voce, questa volta, era sveglia. Forse Janice aveva ragione. Quale ragazza sana di mente a sedici anni era ancora sveglia nel cuore di un martedì notte?
-Rossella?
-Rose.
-Sono l'agente Lisbon, del CBI. Stiamo indagando sulla morte di Katherine Sachs.
-Kitty. E quindi?
-Cerchiamo la bambina, Mary.
-Maryanne.
A stento trattenni un sospiro di irritazione. Jane mi guardò curioso ma gli feci cenno di non preoccuparsi.
-Si. Sai dove potremmo cercarla? Ci è stato detto che veniva affidata a te.
-Esatto. Ma sono le due del mattino. Richiamate verso le undici, quando mi sarò svegliata ed avrò fatto colazione, che ne dice?
Mi chiuse il telefono in faccia. Non sembrava affatto...
-Addolorata? Forse era semplicemente scossa.
-Sembrava più...menefreghista, ecco.
Per tutta risposta uscì dalla stanza e di nuovo alzai gli occhi verso il soffitto.
“Ma si, andiamocene, abbiamo molti indizi”.
Lo seguii nel freddo del cortile.
-Allora?
-Allora cosa?
-Beh, prendi e te ne vai senza nemmeno un indizio concreto.
-La bambina è da Rossella.
-Come, scusa?
-L'hai detto tu che non era scossa.
-Non possiamo accusare così le persone.
-Ma se non convinceva nemmeno te!
-E questo non mi sembra un indizio concreto.
-Senti, che ci costa andare a controllare? Al massimo avremo fatto un viaggio a vuoto.
Sbuffai e salii in auto.
-Non mi fai guidare?
-No, ora sono sveglia.
-Ne sei certa?
Lo guardai imbronciata. Gli sembrava forse che stessi dormendo in piedi?
-Assolutamente. Sali e metti la cintura di sicurezza.
-Sissignora.
Ingranai la marcia e subito mi rilassai. Guidare mi svuotava la mente. Soprattutto di notte. Molti avevano il terrore di guidare al buio io non ne capivo il motivo. La strada buia non mi spaventava. I lampioni accesi mi facevano pensare all'inizio di un lungo viaggio. Possibilmente senza una meta.
-Sarei il compagno di viaggio ideale.
E questo che voleva dire? Mugugnai per non dover rispondere. Dovevo ammettere a me stessa che nonostante la mia poca fiducia nell'amore e negli uomini (e con uno come Mark non è che la mia fiducia potesse aumentare), mi piaceva la compagnia del consulente, le piccole ed irrilevanti attenzioni, il fatto che avesse preferito parlare con me, la minuta capo team, piuttosto che con un uomo serio ed autorevole come Cho. Forse perché Cho non parlava. O forse perché incuteva timore. Comunque aveva preferito me. E questo bastava.
-Andiamo da Rose?
-Esatto.
-Come hai detto che si chiama? Per intero, dico.
-Rossella Johnsonn.
Rise amaro mentre lo guardavo incredula e lui ricambiò il mio sguardo con una punta di comprensione, lo stesso sguardo che si riserva ai bambini quando si deve spiegar loro qualcosa.
-John sceglie attentamente i suoi complici. Poi li uccide. Rose è un nome che ricorda il rosso. Nel cognome Johnsonn è contenuto il nome John. Insieme John e Rosso, John il Rosso. È un calcolatore, impossibile da prendere e da prevedere, gioca con gli agenti con vittime sempre nuove, l'unico modo per sperare di catturarlo dovrebbe essere prevedere tutti i possibili complici, tutte le donne o gli uomini che hanno a che fare con il rosso o con il nome John.
Ero rimasta a bocca aperta. Ora che ci pensavo tutti i dossier che avevo letto parlavano di un complice, solitamente donna, chiamata Rose, Rossella, Rosalie, solo una volta vi era stata una Scarlett. Rosso scarlatto. Fico. Era un maniaco-seriale-omicida-schifoso-bastardo, ma aveva stile.
-Si, è un genio. E sembra assurdo ma ha molti amici che studiano le sue vittime.
-Conosci tutto su di lui.
-Tranne la sua identità.
-Si, ma almeno ora abbiamo una possibilità in più di catturarlo.
-Catturarlo, già.
Non diedi peso a quella frase, anche se mi sembrò piuttosto strana. Come se non volesse che quel pazzo finisse in prigione.
-Siamo arrivati.
Scendemmo dall'auto per suonare al campanello di Rose. Fortunatamente la vittima era molto ordinata e teneva numeri e indirizzi segnati con una precisione maniacale.
La ragazza che venne ad aprirci la porta era una delle più carine e stravaganti avessi mai visto. Aveva i capelli neri come la pece, ricci che sembravano molle e riflessi blu elettrico sparsi qua e là. Gli occhi erano di un azzurro pallido e spiccavano come lampioni sulla pelle bronzea.
-Non mi serve niente.
-Rose, sono Patrick, lei è Teresa. Siamo venuti a darti una mano con Mary.
-Non ho bisogno di aiuto, grazie.
Tirai fuori il distintivo.
-Credo di si, invece.
Ci sbatté la porta in faccia urlando insulti in spagnolo. Il consulente le urlò dietro:
-Devi migliorare la pronuncia!
Lo guardai stralunata mentre cercavo un modo di aprire la porta. Minuta come ero non ce l'avrei mai fatta con una spallata. Non potevo nemmeno prendere e sfondare la porta con un proiettile senza un motivo valido.
-Una bambina non è un motivo valido?
Lo squadrai. Perché sembrava così calmo?
-Ok, fanculo le regole.
Sparai un colpo ed entrai, il consulente alle mie spalle.
-Rose, dammi Mary.
-Ormai siete finiti. Lui arriverà a minuti. Non è molto contento del suo ingresso in polizia, Patrick.
-Posso sopravvivere. Intanto perché non ci spieghi come mai gli hai chiesto di uccidere Kitty?
-Mary è così bella. Non meritava una madre del genere. Una che si andava ad ubriacare e che non la voleva perché era troppo giovane.
-Hai ragione, tu sei migliore di lei. Vuoi solo il meglio. Posso tenerla in braccio per un po'? Mi puoi tenere d'occhio tranquillamente.
Sembrò soppesare le sue parole mentre io capivo il piano, o almeno speravo. Il mio unico pensiero era che nessuno sapeva che eravamo lì.
-Mmm. Ok.
Gli porse la bambina e immediatamente le puntai la pistola contro. Si rese conto dell'errore che aveva fatto. Ora non aveva più uno scudo.
-Jane, chiama Cho e digli di raggiungerci.
-Non ho il numero.
-Prendi il cellulare dalla mia tasca, idiota! E tu non osare muoverti. Sono andate storte già troppe cose oggi e non ho in circolo nemmeno un po' di caffeina. Sappi che questo mi rende molto nervosa.
Jane tirò fuori dai miei jeans il cellulare e chiamò Kim.
-Siamo a casa di Rossella Johnsonn. John sta arrivando. Siamo all'incrocio tra Magnolia Road e St. Louis Street. - Chiuse la chiamata – Arrivano.
Teneva la bambina tra le braccia e lo sguardo puntato sulla mia Glock, come se stesse pensando di strapparmela dalle mani. Per un momento ebbi l'idea che fosse realmente così, che volesse uccidere seduta stante la ragazza e, al suo arrivo, John. Mi resi conto che era impossibile. Non conoscevo quell'uomo ma l'impressione era quella di un angelo dannato, divorato dai sensi di colpa ma estremamente buono. Oltretutto da quando teneva in braccio la piccola i suoi occhi si erano illuminati.
-Non verrà.
Tornai a guardare Rose.
-Perché no?
-Mi ama, non rischierà mai di farmi morire.
-Lui non ti ama, sta approfittando del tuo aiuto, poi ti ucciderà o sarà l'agente Lisbon a farlo se ti mostrerai in qualche modo “pericolosa”. - mimò con le dita le virgolette tenendo ancora la bambina tra le braccia – Qualsiasi cosa farai morirai, quindi perché non provi a darci una mano per aiutare Mary?
-In che modo la potrei aiutare?
-Beh tu non hai fatto nulla, se ci aiuti non sarai nemmeno complice, potresti chiedere l'affidamento.
Complice forse no. Ma mandante si. Sperai non giungesse a questa conclusione anche Rose altrimenti saremmo stati fregati.
-Ma così tradirei la sua fiducia.
-Rose, noi siamo i poliziotti. Siamo i buoni.
-Va bene. Non so molto di lui. Mi si è presentato come Red John senza temere che lo denunciassi. È un bell'uomo, credo. Vede, il fatto è che lui...
Un proiettile la colpì in testa. La ragazza cadde a terra con un foro su una tempia. Morta.
-È lì fuori. Sta giù.
La bambina piangeva. Patrick si nascose dietro il divano mentre io mi avvicinavo alla finestra ormai in frantumi.
-Lisbon, giù!
Mi abbassai appena in tempo. Un secondo proiettile si conficcò nel muro dall'altra parte della stanza.
-È un complice.
Cho e Rigsby entrarono in quel preciso istante, armi alzate a coprire il volto. Per un po' non capii più nulla. Sentivo le urla della piccola, Cho che tentava di farmi parlare, rimanere con lui, Rigsby soccorreva Jane e Mary ma era tutto così ovattato e mescolato. Era un complice? Un altro? Con un fucile con laser? E come stava Jane?
-Capo perde sangue.
Mi ero buttata sui vetri in frantumi della finestra per proteggermi senza rendermene conto. -Perfetto. - gracchiai – Ottimo inizio, davvero.
-Ho chiamato l'ospedale. Stanno arrivando.
-La bambina?
-Sta bene. - Jane mi teneva qualcosa arrotolato intorno al braccio. - Ora rilassati, vuoi?
-Mmm. Ok.
Chiusi gli occhi, evidentemente non ero così grave se Patrick mi permetteva di riposare. Sentii delle voci provenire dall'ingresso. I medici erano arrivati. Mi sollevarono e mi caricarono in ambulanza. Dopodiché non provai più nulla e mi addormentai.
Aprii gli occhi infastidita dall'odore asettico della stanza d'ospedale.
-Finalmente ti sei svegliata.
Non lo feci di proposito, ma sbuffai. Perché al mio capezzale c'era Mark? E non Jane? O Cho? Anche Rigsby, ma non lui.
-Che ci fai qui?
-Sono venuto a trovarti.
-Ma dai? Intendevo a San Francisco.
-Guarda che siamo a Sacramento. Ti hanno portata qui con l'eliambulanza. Minelli era furioso perché i medici si rifiutavano.
-Che mi hanno fatto?
-Ti hanno rimosso le schegge di vetro, suturato le ferite ed imbottita di sangue.
-Imbottita? - Inarcai un sopracciglio – Vuoi dire che mi hanno fatto una trasfusione?
-Esatto. Ne avevi perso un sacco. Di sangue.
-Il complice di John?
-Fuggito. Sicuri non fosse proprio lui?
-Jane dice di no.
-Jane dice? Non si indaga più? Ci fidiamo di quell'egoista che per soldi ha causato la morte della sua famiglia? Non credevo fossi così sciocca.
Aveva alzato la voce. Sicuramente ci sentivano benissimo anche dalle altre stanze.
-Lui conosce John più di noi.
-Più di te, forse. Noi cerchiamo di prenderlo da anni. Noi. Io, Cho e Rigsby, abbiamo indagato su di lui. Non ci siamo basati sulle parole di un uomo solo perché è alto, bello, biondo e con gli occhi azzurri.
-Vattene. Esci. Subito.
Si alzò ed uscì dalla camera. Avrei voluto piangere ma ero fermamente decisa a non voler dare a quell'uomo nemmeno una lacrima.
-Si può?
Jane si era affacciato alla porta con un sorriso smagliante. Mi venne da chiedermi quanto tempo ero rimasta addormentata ma quando entrò e vidi il suo completo ancora sporco del mio sangue mi dissi che non doveva essere molto. Il mio sangue. Per aiutarmi aveva ridotto il suo apparentemente costosissimo completo ad uno scempio.
-Tranquilla, se ti dispiace per il mio tre pezzi posso sempre mandarti il conto della tintoria.
Sorrisi. Avrei voluto fargli così tante domande, ringraziarlo, scusarmi, ma non sapevo da dove iniziare.
-Jane...Grazie. Per avermi aiutata, per avermi avvertita ed avermi salvato la vita.
-Nah, non è grazie a me, è grazie ai tuoi riflessi pronti.
Sorrisi. Era un complimento quello? Perché potevo iniziare a farci l'abitudine, volendo.
-Mi dispiace non averlo preso e non essere giunti a nulla. Oltretutto anche il mio aiuto non è servito a molto.
-Abbiamo salvato una bambina. Grazie a te che mi hai convinta ad andare da Rose.
-Già.
Rimanemmo in silenzio qualche minuto. Quel silenzio privo di imbarazzo.
-Devo andare. Se vuoi torno a trovarti.
-Mi farebbe piacere. - Aprii e chiusi la bocca a vuoto. - Quanto ho dormito?
-Circa cinque ore, incluso il tempo in cui ti hanno curata. Sono appena le otto del mattino.
-Ok. Grazie.
-Posso chiederti una cosa?
-Dimmi.
-Non è che Mark è bisessuale vero? Dopo tutti i complimenti che mi ha fatto prima urlando, non vorrei doverlo evitare.
Gli lanciai un cuscino ridendo.
-Anche se fosse, ricordati che ti odia.
-Giusto. Vado. Torno appena Minelli mi dà il permesso. Non vorrei fare danni al mio secondo giorno.
Glissai sul fatto che di danni ne avevo combinati parecchi su suo suggerimento e che lui stesso non aveva perso tempo ad ipnotizzare un uomo il giorno precedente.
-Ok. Ciao, Jane.
-Ciao, Lisbon.
A quanto pareva era tempo di visite. Il volto di Cho sbucò da dietro la porta, seguito a ruota da Rigsby e da un ottimo odore di dolci.
-La colazione.
Rigsby mi posò in grembo una bustina, la aprii. Una ciambella e una tazza di caffè nero. -Grazie, non dovevate.
Gli ero grata per quel gesto, anche se in realtà pensavo che dopo essere stata quasi uccisa la colazione me la meritavo tutta.
-Vuoi che uccida Monroe?
-Mmphf?
Mi voltai verso Cho con la bocca piena. Perché avrebbe dovuto uccidere Mark?
-Sei il nostro capo ora. Non si deve permettere di sminuire il tuo ruolo.
Sgranai gli occhi. Sicuramente la sorpresa si leggeva sul mio volto.
-Poi dovremo cercare un sostituto.
-E sarà noioso. E pieno di burocrazia. Ricevuto. Resta in vita.
-Grazie comunque per l'offerta.
Rimasero nella stanza con me per metà mattinata, dato che Mark non aveva chiamato per casi da risolvere. Mi raccontarono di come avevano detto ai signori Sachs della figlia e della nipote. Mi raccontarono di come indagavano su John in modo da non dovermi più trovare a litigare con Mark. Di come Jane avesse stupito tutti giungendo alla conclusione così velocemente e mentre andavano via mi resi conto che il team non era più formato da cinque persone, ma da quattro. Mark con la sfuriata di prima aveva allontanato da sé il resto della squadra ed ora era a me trovare la soluzione. Tentare di farlo reintegrare, licenziarlo, o aspettare che se ne andasse. Altrimenti c'era sempre l'alternativa di Cho.

Spazio Autrice
Eccomi, finalmente, con questo capitolo estremamente sofferto. Basta John, decisamente xD
Mark anche qui si fa riconoscere xD
La storia è molto veloce ma proprio non sono riuscita a gestirla .-.
Passo ora ai ringraziamenti:
@Allanon: Ti ringrazio ;) le tue recensioni mi fanno molto piacere :D Il terreno per il Chisbon lo sto preparando con calma, almeno altri tre o quattro capitoli. Dato che in futuro non ci sarà, perchè non metterlo al passato?
@Sasita: non ho aggiornato prestissimo e mi dispiace tanto per questo, ma almeno ho scritto un po' ogni giorno, è stato difficilissimo -.-"
Anche se con un po' di ritardo, se non vi spiace, volevo spiegare perchè ho scelto di far arrivare Jane insieme a Lisbon e non dopo come dovrebbe essere.
Semplicemente perchè mi è sembrato più semplice nel far unire la squadra, in questo modo sono in due a doversi integrare e si spiega il perchè del loro rapporto cameratesco :)
fatemi sapere che ne pensate del capitolo,
Giulia

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Capitolo 7
*** Capitolo sei: Dove Jane ricorda di essere in lutto. ***


Finalmente ero tornata al lavoro. Dopo due lunghe settimane. Cinque giorni di degenza in ospedale e dieci a casa. Fosse dipeso dalla mia dottoressa sarei dovuta rimanere a riposo almeno un'altra settimana. Illusa. Comunque, almeno i primi giorni erano stati piacevoli. Jane e Cho erano passati ogni giorno, appena avevano un po' di tempo, Rigsby solo una volta, Minelli lo aveva caricato di scartoffie, poverino. In compenso, Monroe aveva intelligentemente evitato l'ospedale.
-Lisbon!
La voce squillante di un Jane particolarmente allegro mi fece voltare verso la sua scrivania, vuota. Spostai di poco lo sguardo e lo trovai, sdraiato sul divano con espressione allegra.
-Jane! Perché sei sul divano?
-È comodo.
La voce lamentosa di un bimbo cui hanno tolto il giocattolo preferito mi fece sorridere.
-Stasera c'è una festa.
Si era alzato così velocemente che sembrava esser saltato su dal divano.
-Una festa? E perché?
-Ma per il tuo ritorno, Lisbon!
-Eh?
-Scherzo. Anche se potrebbero organizzarne una tutta per te. - Mi fece l'occhiolino. Mi stava prendendo in giro? - È per il compleanno di un tizio qualunque che festeggia per due motivi: è pieno di soldi ed è uno dei “Piani Alti”. E tutti i membri di tutti i team sono tenuti a partecipare. Minelli è stato molto esplicito. Mi raccomando in abito da sera.
-Ma...non ho un abito, la mia auto ha deciso di rompersi non so per quale motivo e ho moltissimo lavoro arretrato da smaltire.
-Alt. E cosa sono io? Un consulente? - Mi guardava sorridendo. Dove voleva andare a parare? - No, mia cara Lisbon, sono la tua fata madrina.
Per un momento l'immagine di Jane vestito come la fata Smemorina di Cenerentola mi attraversò la mente.
-E come avresti intenzione di aiutarmi?
-Ti ho trovato un accompagnatore, passerà a casa tua alle otto, questa sera. Il lavoro arretrato ce lo siamo spartito Rigsby, Cho ed io, quindi a scartoffie non hai problemi. L'unico dubbio che ho riguarda la taglia dell'abito. Non sapevo quale prendere e sono andato un po' ad occhio. Se non ti sta bene, è troppo largo o stretto, anche se non credo, mi chiami e te ne procuro uno di taglia diversa. - Mi squadrò alcuni secondi per soffermarsi sulla mia espressione incredula. - Tranquilla, l'abito lo ha fatto una mia amica, non devi preoccuparti per il costo.
A mente avevo fatto un rapido calcolo dell'impegno che tutti, specialmente Jane, avevano messo per aiutarmi e questo mi fece commuovere.
-Grazie.
Mark entrò in quel preciso istante, trovandomi con gli occhi lucidi ed un sorriso che paragonato a quello da duemila watt del consulente non era nulla, ma che arrivava da un orecchio all'altro. Sbuffò sonoramente. Conoscendolo bene non avevo bisogno delle doti del mio pseudo-amico lì davanti per sapere cosa stava pensando il mio ex: era in dubbio, licenziarsi e lasciare a Jane, perché era convinta che me lo sarei fatto volentieri, campo libero, senza poi nemmeno considerare Kim; o rimanere e boicottarlo, pur sapendo che non glielo avrei permesso e con la sicurezza che anche lui se la sarebbe cavata egregiamente se non meglio.
Minelli interruppe quel momento di lieve imbarazzo entrando nel bullpen.
-Cho e Rigsby?
-Erano di turno questa notte, sono tornati a casa, dovrebbero arrivare verso le dieci.
-Abbiamo un nuovo caso?
La mia voce era forse troppo speranzosa. Un nuovo caso voleva dire partire e partire significava non fare in tempo ad arrivare alla festa. Magari avremmo potuto impiegare più di qualche giorno per indagare ed in tal caso c'era anche il fattore positivo del pernottare in un albergo pagato dal Quartier Generale e visitare una cittadina nuova nella torrida California.
-No per oggi il CBI non rileva casi. Dobbiamo evitare che il Grande Capo si trovi senza qualche team. Volevo solo essere certo che non fossero malati. Spero tu abbia un abito, Teresa.
Annuii. Minelli era una sorta di secondo padre per me. Pensare che lo avevo conosciuto per caso, quando ero al liceo. Era il padre della mia migliore amica, morta in un incidente d'auto, investita sulle strisce pedonali e, anche se può sembrare assurdo, è per questo motivo che decisi di entrare in polizia e, dopo alcune promozioni, ero arrivata sotto il comando di quell'uomo conosciuto dieci anni prima.
Appena fu uscito Jane mi sorrise, di nuovo.
-Tranquilla, troveremo qualcosa da fare, hai cinque dollari?
Tirai fuori il portafogli e gli porsi una banconota.
-Ora?
-Ora vieni con me.
-Monroe...
-Resto qui.
-Bravissimo.
Mi feci trascinare per un braccio fuori dal bullpen fino alla sala interrogatori, non avevo ancora capito che di quell'uomo non dovevo fidarmi ciecamente.
-E ora?
-Smettila di chiedermi “E ora?”, facciamo una chiacchierata, di sicuro Monroe ha visto che siamo entrati qui.
-Ok, e con questo?
Mi ridiede i cinque dollari.
-Lo so che vuoi che se ne vada, sto solo cercando di darti una mano. Ora potrebbe pensare qualsiasi cosa.
Sbuffai sonoramente e mi avvicinai al suo volto sporgendo il labbro inferiore nel mio solito ed inimitabile broncio.
-Ma io speravo mi facessi vedere qualche giochino di prestigio. Come l'origami tra i capelli. -Non sei mai stata ad uno spettacolo di magia?
Tornai ad accasciarmi sulla sedia, con le braccia incrociate al petto e lo guardai di sottecchi. Solitamente il broncio funzionava sempre per ottenere ciò che volevo.
-Una volta sola. Ma non mi hanno scelta tra il pubblico quindi ho visto da lontano.
-Potrei ipnotizzarti, se vuoi.
-NO!
Avevo davvero urlato come una scema? Si lo avevo fatto. Però ancora non ero pronta a farlo entrare nella mia testa. C'erano troppe cose che nessuno conosceva di me, nemmeno i miei amici più cari, sempre potendo chiamare amici quelle quattro persone che salutavo ogni tanto al centro commerciale quando uscivo con Mark. Figurarsi se potevo permettermi che un estraneo, anche se ancora per poco, abbattesse come plastilina i muri che mi ero costruita intorno. Con il padre della bambina rapita due settimane prima era stato traumatico solo osservare. No, i miei muri potevano resistere ancora un po', non per molto, magari, ma almeno il tempo di capire che genere di persona fosse.
-Potrei invitarti nuovamente a pranzo o potresti andare a casa per provare l'abito. Il fattorino dovrebbe essere qui a minuti.
-Potrei provarlo qui, per farti vedere come mi sta.
-E rovinarmi la sorpresa? No, grazie. Piuttosto non ho pensato a qualcuno per il trucco e i capelli.
La mia bocca spalancata al punto da farvi passare due tir sovrapposti gli fece capire che forse aveva esagerato un pochino. Nessuno, ma proprio nessuno, aveva fatto per me una cosa del genere.
-Wow. Ehm...grazie, ma credo di essere in grado di pensarci da sola.
-Sicura? Guarda che con l'abito che ho scelto non puoi lasciarli così lisci e sciolti o raccolti in una coda, capisco che fosse per te verresti in jeans e T-shirt – mi osservò un istante – no, niente T-shirt. Camicia e maglioncino, giusto?
Annuii. Mi sarei mai abituata all'originalità di quell'uomo? Una parte di me lo sperava, l'altra invece era piuttosto scettica alla prospettiva.
-Prima che vada a casa a provare l'abito, ti va di venire a prendere un caffè? Ho i cinque dollari che mi hai restituito. Offro io.
Mi alzai dalla sedia. Feci per uscire ma il consulente bloccò la porta. Lo guardai con uno sguardo che era un misto tra l'esasperato e il divertito.
-Che c'è ora?
Mi passò una mano tra i capelli, scompigliandoli, e fece lo stesso con i suoi. Solo dopo mi fece passare. Di sicuro voleva che Monroe pensasse male.
-Accetto volentieri l'invito.
Uscimmo dalla sala dirigendoci verso il mio ufficio dove avevo posato la mia giacca.
-Capo è arrivato un pacco per te.
Il consulente mi sorrise radioso, segno evidente che si trattava di quel pacco.
-Grazie lo stavamo aspettando.
-Più io di te, in realtà.
Risi. In effetti, come aveva detto lui, io non avevo alcuna voglia di andare alla festa ma da come Minelli mi aveva parlato avevo avuto l'impressione che avevano programmato la festa anche in base al mio ritorno. Che assurdità.
-In realtà è così. Il Grande Capo, come lo chiama Minelli, anche se sarebbe più appropriato Grande Puffo data la sua considerevole statura che si aggira intorno al metro e cinquanta, dicevo, il Grande Capo, ha fatto combaciare tutto per non avere disertori.
Gli tirai un pugno leggero sulla spalla con un sorriso appena accennato.
-Non entrare nella mia testa! Credevo di avertelo già detto.
Era intento a massaggiarsi la parte offesa, come se avessi davvero potuto fargli del male. -Non lo faccio di proposito! È la tua mente che urla.
Continuando a battibeccare sotto lo sguardo indagatore di Monroe, uscimmo dal bullpen e dal CBI. Andammo a prendere il caffè a meno di un isolato di distanza, in un bar che entrò subito nella mia lista nera il caffè che prendemmo insieme fu il peggiore della mia vita ma la presenza di Jane riuscì a renderlo almeno sopportabile. Il resto della giornata passò rapidissimo, forse perché mi addormentai sul letto poco dopo essere tornata a casa svegliandomi alle sei e mezza di sera, a stomaco vuoto, tremendamente insonnolita e...
-Diamine!
… in estremo ritardo. Correndo da una parte all'altra dell'appartamento raccattai shampoo, bagnoschiuma e tutti i cosmetici che riuscii a trovare nei vari armadietti. Alcune cose erano ancora fuori posto dopo il mio trasferimento da casa di Mark alla mia e il mio riposo forzato non mi aveva certo spinta a mettere in ordine, anzi. Fortunatamente appena tornata, quella mattina, aveva cercato subito le scarpe da abbinare o sarebbe stato un disastro totale per tutto l'impegno che Jane, Cho e Rigsby vi avevano messo.
In meno di dieci minuti, un record per i miei standard, ero fuori dalla doccia. Iniziai ad asciugare i capelli sentendomi estremamente rilassata, tanto che decisi di concedermi il lusso di perdere altro tempo utilizzando diffusore e arricciacapelli. Tanto per dar loro un po' di movimento e far contento Jane.
Con uno sbuffo tolsi la frangia da davanti gli occhi ed iniziai ad intrecciare i capelli dietro la nuca in quell'acconciatura che anni prima avevo inventato per il ballo di fine anno, sperando di distogliere l'attenzione dall'abito di seconda mano. Ora invece li raccolsi lasciando alcune ciocche cadere dando un look un po' spettinato, per far risaltare quel miracolo che mi aveva regalato il biondo consulente.
Quando lo avevo visto ero rimasta estasiata ed anche mentre lo indossavo la sensazione di perfezione dell'abito sembrava, in qualche modo, farmi sentire a mia volta più bella.
Era stupendo, lungo fino alle caviglie, verde chiaro, con uno spacco laterale che arrivava sopra al ginocchio. Lungo i fianchi vi erano due spaccature che lasciavano scoperta la pelle e la scollatura era ad incrocio, legata dietro il collo. Indossai un paio di sandali bianchi e adorai la crema abbronzante che un mese prima mi aveva permesso di ottenere un buon colorito, sdraiata in spiaggia durante le meritate ferie.
Truccai solo gli occhi, l'essere vanitosa non faceva parte del mio carattere ma dato che avevo l'occasione e che a quanto pareva doveva essere tutto perfetto, ne approfittai. Mi chiesi se avrei dovuto indossare gioielli o meno. Tanto per essere certa ma senza esagerare indossai solo un paio di anonimi pendenti in argento. Feci appena in tempo a chiudere il secondo ce il mio misterioso accompagnatore suonò alla porta. Scesi le scale con passo incerto sui tacchi non troppo alti.
Fortunatamente era appena giunto al termine settembre e il tempo californiano era ancora, salvo eccezioni come la sera dell'omicidio di Katherine Sachs, piuttosto afoso, altrimenti col cavolo che sarei uscita di casa in quello stato di semi nudità.
Aprii la porta per rimanere a bocca aperta. Non so se avete presente Kim. Quello che di solito si presenta a lavoro in Jeans e camicia per stare comodo e spaccare l'osso del collo agli indiziati con più facilità. Me lo ritrovai davanti in smoking nero e camicia bianca e cravatta stretta al collo. E visibilmente stupito dalla mia figura. Probabilmente avevamo la stessa espressione in volto. Boccheggiai un paio di volte.
-Ti inviterei ad entrare ma...
-Rischiamo di fare tardi.
-Già.
-Già.
Rimanemmo lì imbambolati ed imbarazzati per qualche secondo guardandoci in faccia aspettando che l'altro facesse qualcosa.
-Non dovresti chiudere?
-Ehm. Già.
Chiusi la porta a chiave e, non avendo una borsetta con me, riposi le chiavi sotto al vaso davanti l'ingresso. Un classico.
-Non è molto sicuro lì.
-Lo so, ma non ho altra idea di dove metterle.
-Nella mia auto, sotto il vestito, di posti ce ne sono.
Se non avesse fatto una pausa tra “vestito” e “di” non sarei riuscita ad ignorare il doppiosenso che avevo colto.
-Opterò per la tua auto.
-Ok.
Scendemmo i gradini davanti la porta per arrivare all'auto di Cho. Conoscendolo mi sarei aspettata una moto, di quelle grandi dal motore roboante, una Ducati per esempio. Decisamente meglio l'Audi che avevo davanti, visto l'abbigliamento.
-Jane ha detto che con quest'abito la moto non sarebbe stata il caso. - mi squadrò – aveva ragione.
Nel giro di dieci minuti, trascorsi in perfetto silenzio, giungemmo al luogo del party. Un hotel al quale avrei dato un numero di stelle infinito. L'ingresso era quello di una reggia. Il soffitto era una semi cupola retta da colonne che poggiavano su una pavimentazione in marmo profonda solo tre o quattro metri e terminante in una sorta si balcone che si affacciava sul piano inferiore, al quale si accedeva tramite due scalinate poste ai lati del balconcino. Dalla cupola scendeva un lampadario in cristallo che illuminava a giorno l'insieme grazie anche ad altri piccoli impianti nascosti dietro le colonne per non rovinare l'insieme.
Tenendomi a Cho, scendemmo le scale sottobraccio e con un piccolo moto d'orgoglio osservai parecchi invitati voltarsi al nostro arrivo.

POV Jane

Ero arrivato al party da pochi minuti. Per una sera avevo abbandonato il mio tre pezzi per indossare uno smoking nero con papillon abbinato. Vidi molti invitati voltarsi verso le scale e seguii il loro esempio, chiedendomi chi fosse arrivato di così importante.
Dovetti ripetermi a lungo “Sono vedovo e in lutto, Sono vedovo e in lutto, Sono vedovo e in lutto” per fermare quel moto che sentii nascermi dentro. E mi pentii anche di aver praticamente gettato quella bellissima donna tra le braccia del suo accompagnatore.

POV Lisbon

Trovai tra tutte quelle teste voltate quella di Jane, con un'espressione imperscrutabile in volto e sentii un sorriso tendersi sulle mie labbra. Dovevo davvero molto alla mia fata madrina, ecco perché quando ci avvicinammo non potei evitare di accelerare il passo e ringraziarlo.
-Nah, qualcuno doveva pur pensare alla nostra malatina.
Mi rispose radioso e sorridente, anche se per un momento ebbi l'impressione che anche quella fosse una sorta di maschera ai suoi veri pensieri e sentimenti.
-Allora, Cho, porta a divertire la tua dama. Io vado a parlare un po' con Rigsby.
-Mark dove è?
Entrambi mi osservarono stupiti. Evidentemente non si aspettavano la mia domanda.
-Non ci possono essere disertori, sono su un paio di scarpe scomodissime, sembra tanto strano pensare che se non viene lo vado a prendere e lo porto qui a calci in culo?
Meritai di nuovo uno sguardo stupito. Evidentemente per l'occasione il mio linguaggio era stato un po' troppo volgare.
-Mark è intento a provarci con una ragazza che lavora qui.
Indicò un angolo del salone con un cenno del capo e i nostri sguardi si posarono sulla coppia male assortita, lui quarantenne, lei di dieci anni più piccola. E di dieci centimetri più bassa. -Direi che sono passati alla “fase due”.
-Le infilo la lingua in gola? - osservai Cho con occhi sgranati – magari è un nuovo metodo per controllare le tonsille.
Sorrisi. Sentivo lo sguardo di Jane intento a studiare le mie reazioni ma non mi importava, non mi dava fastidio l'atteggiamento di Mark. Non provocava nulla, se non un leggero senso di vergogna, un po' per essere stata con lui, un po' perché ero il suo capo e non stava facendo proprio una bellissima figura lì con quella donna.
Quando Jane fu felice del risultato ottenuto ci lasciò soli dirigendosi verso Rigsby, accanto al buffet.
-Balli?
-Solo se costretta.
-Non obbligarmi a costringerti.
Sorrisi nuovamente, l'imbarazzo che avevo provato nei confronti del mio sottoposto all'inizio sembrava svanire lentamente. Strinsi la sua mano e poggiai l'altra sulla sua spalla, mentre sentivo la sua poggiarsi sulla mia pelle. Era calda e sembrò scottarmi mentre iniziavo a sentirmi estremamente accaldata. Ballammo un lento, forse due, abbracciati, la mia testa sulla sua spalla, il suo profumo che mi inebriava, la ragione ormai andata in vacanza. Forse a questo mirava Jane, quando aveva chiesto all'orientale di accompagnarmi. E non era stata una buona idea.
-Fa caldo. Vado... vado a rinfrescarmi un attimo. Torno subito.
-Ti aspetto con gli altri.
Mi allontanai per dirigermi verso la toilette. Quasi non riconobbi la donna che mi osservava dall'altra parte dello specchio. Aveva i miei lineamenti ma l'espressione colpevole e il volto arrossato. Non potevo essere io. Non volevo essere io.
Rimasi a fissarmi incitandomi di ricompormi, ripetendo a me stessa che non era il comportamento di una donna adulta e matura.
Bussarono alla porta.
-Capo tutto bene?
Mi guardai intorno, ero l'unica in quel bagno e non potevo sviare fingendo di non aver sentito o Kim si sarebbe preoccupato e, conoscendolo, sarebbe stato capace di sfondare la porta senza farsi troppi problemi al riguardo.
Aprii la porta per trovarmi faccia a faccia con l'impassibile agente.
-Stai bene?
Annuii, non riuscii a fare di meglio, mi sembrava di poter sentire i miei neuroni intenti a ballare la samba. Avevo perduto definitivamente ogni briciolo di lucidità.
-Non sembra.
Capitan Ovvio. Sorrisi, possibile che dovessi far sempre la figura della cretina quando eravamo soli?
-Te la senti di rientrare in scena?
Negai debolmente. Forse la mia dottoressa aveva ragione, sarei dovuta rimanere a casa un'altra settimana. Almeno mi sarei evitata certe situazioni imbarazzanti.
Perché non se ne andava?
-Vuoi che ti faccia compagnia?
Ecco perché. Perché doveva comportarsi da... da Kim!
Iniziai a torturare il labbro inferiore mordendolo. Avrei dovuto dirgli di si, doveva andare, perché la sua presenza era la causa di tutto. Però non volevo rimanere lì da sola. D'altra parte, sì, c'era anche un altro problema, non potevo chiedergli di mandarmi Jane, anche se era di lui che avevo bisogno in quel momento. Oltretutto sapere che Kim mi trovava attraente mi creava ancora più imbarazzo. Eppure lui non sembrava confuso come me. Kim non era il mio tipo, troppo silenzioso e taciturno, bello, certamente, e proibito, in quanto mio collega, ma non sarebbe mai potuto essere il mio uomo o simili.
Il silenzio era divenuto opprimente, lui si aspettava una risposta ed io non sapevo quale fosse. Dove era la mia fata madrina quando ne avevo bisogno? Sicuramente aveva pensato bene di concederci un po' di privacy. Stupido biondo. E stupida me, che per porre fine al silenzio imbarazzante (“bella scusa” diceva la mia coscienza) poggiai le mie labbra sulle sue, cercando un bacio che impiegò meno di mezzo secondo ad arrivare. Le sue mani si poggiarono sui miei fianchi scoperti, forti e leggere allo stesso tempo, dolci e possessive. Allacciai le mie mani dietro il suo collo mentre mi spingeva verso l'interno della stanza chiudendo la porta alle sue spalle.
Lo so, avevo detto che tra me e Kim non poteva esserci nulla, ma non riuscivo a spiegarlo al mio cervello, intento a preparare in tutta fretta le valigie per le Hawaii.
Non riuscivo a pensare al fatto che era contro le regole mentre mi spingeva in una delle cabine della toilette e mi sollevava la gonna; non riuscivo a pensare al fatto che tra lui e Monroe sarebbe stata guerra aperta mentre le mie dita si insinuavano sotto il colletto della sua camicia per slacciare la cravatta; non riuscii più a pensare quando entrò dentro di me e le mie dita stringevano sulla sua pelle.
E nonostante tutto, quando uscimmo dalla stanza, dopo esserci risitemati, non potei evitare di sentirmi in colpa.
-Cho...
-È contro le regole.
-Già.
-Potremmo fingere non sia accaduto nulla.
-Potremmo.
-Solo amici?
-Solo amici.
Sorrisi radiosa. Si, avevo fatto l'amore con quell'uomo, però ora avevo davvero smesso di sentirmi in imbarazzo. Vallo a capire il mio cervello.
-Lisbon!
Il mio sorriso aumentò notevolmente d'intensità quando seguii quella voce per dirigermi dal consulente. Ecco, questo era un problema. Ora chi poteva tenergli nascosto quello che era appena successo?
-Vieni, andiamo a ballare!
-Jane, sono stanca. Mi dispiace.
-In cambio domani ti faccio vedere un trucchetto di magia.
Sbuffai. Era ingiusto, adoravo quei giochini proprio perché non li avevo mai visti ma non volevo ballare con lui. Non dopo quello che si era appena consumato nel bagno dell'hotel.
-Dai... ti prego... per favore...
Che diavolo voleva dirmi? Perché un'insistenza tale era giustificata solo da un'importante notizia da darmi. Del tipo che Mark si era strozzato con un gamberetto del buffet ed era morto soffocato.
Gli porsi la mano, che prese immediatamente sorridendomi. Mi trascinò dall'altra parte della grande sala ma non iniziammo a danzare. Mi spinse verso il muro intrappolandomi con un braccio ed incatenandomi al suo sguardo.
-Tranquilla, domani ti mostrerò comunque uno di quei giochi di prestigio. Volevo solo sapere se la serata procede bene e se l'accompagnatore ti... soddisfa.
Il doppio senso era voluto? Tanto valeva rispondere per le rime.
-La serata procede benissimo e l'accompagnatore mi soddisfa.
Sorrise a quella risposta e notai un lampo malizioso attraversargli lo sguardo.
-Comunque, Monroe ha capito tutto e credo che, trovandoci in un albergo, avreste anche potuto prendere una camera.
Arrossii violentemente a quella seconda parte della frase.
-Beh, spero che ora, anche se non era calcolato che Monroe capisse, si decida ad andarsene. - feci una pausa per lasciar cadere il discorso – dici che Minelli mi odierà se me ne vado a casa?
-Nah, tanto il tuo ingresso non è passato inosservato.
Se possibile divenni ancora più rossa di quanto già non fossi, mentre tornavamo da Rigsby e Cho.
Fu Jane a rivolgersi al coreano.
-Puoi riaccompagnarla a casa? È esausta.
L'agente annuì ed insieme ci dirigemmo verso l'uscita.




Spazio Autrice
Ringrazio tutte quante rapidamente delle recensioni, dalle prossime risponderò con il messaggio apposito, ora devo correre a scout :D
Il capitolo Chisbon è arrivato prima del previsto ma ho sognato la scena (amo i miei sogni xD)
Che dire, spero vi piaccia e spero di aggiornare presto (ma non prometto nulla)
Baci chicche,
Giuls

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Capitolo 8
*** Capitolo sette: Dove Lisbon e Jane stringono un accordo. ***


Era passato più di un mese dalla festa del Grande Capo. Il mio umore era sempre mutevole, rilassata in ufficio, tesa sulle indagini. E il tutto a causa di Jane. Al CBI si sdraiava sul suo divano e rimaneva in silenzio, intento a riflettere su chissà quali drammi amletici. Durante le indagini tendeva a fare tutto di testa sua, ignorando tutte le regole, anche quelle della buona educazione. Oltre a Jane, poi, c'era Monroe, che approfittava di ogni singola stupidaggine, anche il colore della cravatta, per attaccare Cho. Non considerava il fatto che l'uomo avesse conosciuto una donna di nome Elise, della quale si era innamorato. Io lo sapevo tramite Jane che mi aveva detto che Cho aveva informato il mio ex per far cessare la situazione. Da quello che avevo capito Cho gli aveva detto che con quel comportamento mi esasperava e che poteva stare tranquillo perché aveva conosciuto una donna, Elise, con la quale usciva, anche se per ora solo come amici. A quel punto Monroe aveva ribattuto che l'orientale si preoccupava troppo per me e che automaticamente provava ancora qualcosa nei confronti della sottoscritta, che avrebbe dovuto informarlo dei suoi sentimenti, prima di saltarmi addosso. Non sapeva che era stato il contrario. Riflettendoci mi resi conto di non voler sapere in che modo il consulente fosse venuto a conoscenza di tutti questi dettagli.
Entrai nel bullpen per salutare il team, quella mattina ero leggermente in ritardo perché la mia macchina aveva deciso di non partire ed ero dovuta arrivare a piedi.
-Buongiorno ragazzi, novità?
-Buongiorno a te, cara Lisbon! A cosa dobbiamo il tuo stress odierno? Non ho ancora combinato nulla di male.
-Buongiorno, Rigsby sta arrivando.
-Mmmphf.
Sorrisi alle tre diverse reazioni, Jane allegro e solare, Cho concentrato su chissà quali carte e Monroe... lui rimaneva se stesso.
-Sono arrivata a piedi, la macchina non partiva, dovrò farla vedere da qualcuno. Dì a Rigsby di non preoccuparsi, finché non abbiamo casi non ci sono problemi se fa un po' tardi. E buongiorno anche a te, Monroe.
Mi diressi verso l'ufficio, per trovare una lettera sulla scrivania non appena ebbi chiuso la porta. Aprii e ne lessi il contenuto circa tre volte prima di spalancare nuovamente la vetrata d'ingresso.
-JANE!
Il biondo si precipitò nel mio ufficio con aria innocente, ormai aveva imparato che un urlo del genere significava “spero tu abbia una spiegazione convincente perché potrei ucciderti”.
-Che ho fatto?
Gli sventolai la lettera davanti agli occhi, prima di lasciargliela prendere.
-Davvero credi di potermi prendere in giro così? Cosa hai fatto? Lo hai pagato? Ipnotizzato? Ricattato? O la lettera l'hai scritta tu e lui nemmeno ne è a conoscenza? Spiegati. Ora.
Il consulente lesse il tutto in meno di trenta secondi, per poi riconsegnarmela sotto il mio sguardo scettico.
-Si è deciso, allora. - posò il suo sguardo su di me, portando una mano al cuore. - Davvero non c'entro nulla, erano già alcuni giorni che ci pensava. Giuro.
Lo guardai se possibile ancora più scettica. Non riuscivo davvero a credergli. Non aveva mai nemmeno mostrato l'intenzione ad andarsene, anche se non potevo negare di essere felice della piega che stavano prendendo gli eventi all'interno del team.
-E ora?
-Puoi tornare nel bullpen e dirgli “Ciao.”, lui se ne va e voi siete tutti più felici.
-Tu no?
-Mah, l'unico problema è che la sua mente urla il suo amore per te ed il suo odio per Cho. È snervante! - annuii imbarazzata, parlare dei miei problemi sentimentali con Jane era una cosa che non facevo dalla sera del ballo. - Questo mi fa ripensare ad una domanda... ricordi? Era il nostro primo giorno di lavoro insieme. Ti stavo chiedendo di chi sei innamorata. Me lo chiedo ancora, per due motivi: il primo, non mi era mai capitato di non capire una così semplice, la tieni ben nascosta; il secondo, sei una bella donna, perché non provi a farti avanti?
Il mio colore si avvicinava ora al blu, più che al rosso. Non respiravo, non pensavo, non parlavo. In quell'ultimo mese mi ero trovata a pensare a Jane più del dovuto, ero arrivata a sognarlo la notte, cosa mai accaduta in precedenza, nemmeno con Mark. Ovviamente il motivo era che lo stress quotidiano che mi causava, anche se, qualche volta, nei sogni provocava reazioni ben diverse dallo stress. Ehm...
-Non... non ho tempo per... per una relazione.
-Se la smettessi di rimanere qui in ufficio fino a notte fonda e di presentarti praticamente all'alba forse il tempo lo troveresti. Sfido qualsiasi uomo libero a non pensare a te. Scommetto che anche alcuni uomini sposati, magari infedeli ma pur sempre sposati, penserebbero a te in quel senso.
La situazione si stava facendo troppo imbarazzante. Lui si considerava ancora sposato, l'avevo capito dal modo in cui rigirava la fede ogni volta che rivolgeva parola ad una donna e soprattutto si considerava fedele alla famiglia. Quindi non parlava di lui. La cosa mi turbò un poco, forse più per il mio già scarso amor proprio che per il velato rifiuto nei miei confronti. Dopotutto avevo già ammesso che lo trovavo bello, decisamente. Ma quel carattere così infantile, da ammaliatore ingenuo, mi faceva impazzire di rabbia. Sembrava non riuscire ad accettare una critica e, anche se di solito tendeva a non prenderla sul personale, questo era uno dei pochi, grandi difetti che aveva.
-Sai quale è il problema? Tendi a cercare la perfezione in un umo. Mark è troppo permaloso, Kim troppo taciturno, se te lo chiedessi scommetto mi diresti che sono infantile. Ognuno di noi ha un difetto, anche tu ne hai sicuramente, il primo che mi viene in mente, per ora l'unico perché devo pensarci, è che sei troppo cinica. Direi che è per questo che non hai tempo. Se non credi sia possibile avere una relazione è solo perché non vuoi.
-Scusa?!
-Non credi nell'amore, lo cerchi, ma non ci credi. Ecco perché non lo trovi. Se ti fidassi un po' di più degli uomini noteresti che ti basta morderti le labbra per far cadere ai tuoi piedi chiunque.
Battei le palpebre incredula. Mi stava psicanalizzando. I nostri toni erano normali, per chi ci vedeva attraverso il vetro del mio ufficio potevamo sembrare intenti a parlare del tempo eppure lì seduti ad una scrivania c'erano due colleghi che parlavano dell'arte della conquista, o qualcosa del genere.
-Mordermi le labbra?
-Lo fai sempre quando sei nervosa. E so per certo che Kim e Mark lo trovano sexy. Rigsby è troppo ingenuo e non ha mai pensato a te in ambiti esterni al CBI.
-E tu?
La domanda mi era uscita spontanea, fortunatamente ero riuscita a mantenere un tono adatto al tipo di conversazione. La giusta dose di malizia ed indifferenza. Ed avevo messo in difficoltà Jane che non si aspettava una mia risposta.
-Io sono sposato. E non tradirei mai mia moglie e mia figlia. Nemmeno con una donna attraente come te. Quindi sì, credo tu sia una bellissima donna ma non faccio pensieri su altre.
Ecco, questa poteva essere definita una risposta “alla Jane”. Però non aveva nemmeno sfiorato l'argomento labbra, che era quello che mi interessava. Sorrisi leggermente imbarazzata da quei complimenti, prima di sbuffare.
-Devo andare a parlare con Mark e Minelli.
Sorridemmo entrambi mentre uscivamo dall'ufficio. Tornai nel bullpen trovammo Rigsby intento a mangiare una ciambella.
-Buongiorno capo.
-Buongiorno Rigsby. Monroe, vieni un attimo nel mio ufficio?
Mark si alzò dalla sua postazione precedendomi. Chiusi la porta alle mie spalle prima di pormi davanti a lui a braccia conserte.
-È la tipica posizione di Cho, questa. Tutto torna, di nuovo.
-È per questo, quindi? Per Cho, che te ne vai?
-Ho capito che c'è un motivo se le regole esistono. E non posso continuare a lavorare qui, con te, sapendo che sei andata a letto con un mio amico e che ti faresti volentieri il consulente.
-Non sono una puttana come credi.
-Certo che no, ti saresti fatta anche Wayne, in quel caso.
Sentivo le lacrime salirmi agli occhi. Non tanto per lui quanto per quello che pensava di me, della donna con cui aveva convissuto. Tra di noi il baratro si era triplicato, lui non era l'uomo che avevo amato, anche se a modo mio. In lui non riconoscevo più l'uomo dolce che la sera mi preparava la cena, con cui invece di litigare iniziavamo estenuanti battaglie a colpi di cuscini. Il mio Mark non era lui. Era sparito, andato via.
-C'è un modo per convincerti che non voglio avere relazioni con nessun agente del CBI e nemmeno con Jane?
-No, ti conosco, Tess. Riesci a mentire a te stessa ma non puoi sperare di riuscire a mentire a chi ti conosce.
-Non sto mentendo, davvero. E dato che stiamo parlando con sincerità, sono felice che te ne vai solo perché la tensione all'interno del team è insopportabile e sei tu a causarla, ma credo che non dovresti lasciare il CBI dato che è uno dei migliori dipartimenti investigativi degli Stati Uniti.
-Ho fatto richiesta per il trasferimento a Washington, al FBI, inizio tra un mese, il tempo di organizzarmi.
-Allora sgomberi la scrivania oggi stesso?
-Già. Mi mancherai, Tessie.
-Credo mi mancherai anche tu, Mark, ma non credo di poterlo giurare.
Uscì dal mio ufficio mentre io mi dirigevo verso quello di Minelli. Rimasi con lui a discutere sul da farsi per un paio d'ore, vagliando dei curricula per vedere chi mettere in prova. Virgil puntava molto sulla nostra squadra, riteneva fossi un ottimo capo ma che potessi ancora migliorare, considerava Cho vitale per il bene del team e riteneva Jane un'ottima carta. L'unico del quale non riuscivo a capire l'utilità nell'ottica del capo era Rigsby. Nonostante la sua ingenuità, era sicuramente un importante punto di forza del team, ma Minelli diceva che era il nostro Jolly, ovvero che ne avremmo scoperto l'utilità solo a tempo debito. Era snervante, dato che sapevo che lui un'idea su questa utilità già l'aveva.
Cercare qualcuno fu estremamente estenuante e senza esiti apparentemente positivi. Avevamo trovato cinque agenti che potevano fare al nostro caso e che avevamo convocato per il giorno successivo.
Tornai in ufficio che il team era a pranzo, la scrivania di Monroe era vuota, ripulita; cercai Jane sul divano prima di dirigermi verso la mia stanza, anche quello, come la scrivania, era vuoto, ma fortunatamente il suo occupante abituale era sdraiato comodamente sul mio.
-Vuoi parlare?
Mi sedetti al suo fianco, nel posto in cui mia aveva lasciato alzandosi. Annuii leggermente ed iniziai a tirare fuori tutto quello che avevo dentro, contro Mark, contro me stessa, contro il ballo che aveva creato quell'ulteriore frattura. La verità era che non lo amavo ma mi sarebbe mancato. Doveva essere per forza così dopo aver lavorato insieme e convissuto per più di un anno. Non piansi, non singhiozzai o urlai. Parlavamo come quella mattina, Patrick cercava di mettermi a mio agio e mi ascoltava. Mi ascoltava sul serio, non fingeva, non manteneva il volto impassibile ma mi prendeva in giro o rimaneva serio a seconda di quello che dicevo.
Rimanemmo così per tutta la pausa pranzo e, alla fine, ero molto più rilassata rispetto al mattino. Mentre usciva per tornare nel bullpen mi sorrise conciliante:
-Non scambiarmi per il tuo amico gay, ora.
-Ringrazia che non ho matite da tirarti a portata di mano.
Chiusi la porta e tornai ad esaminare le scartoffie del caso risolto la settimana precedente. Ora dovevamo cercare di integrarci con qualcun altro e non sarebbe stato affatto semplice.


Spazio autrice
Non uccidetemi, non infartuatevi, nulla!
Ho solo pensato che per la situazione che c'è già dai primi episodi tra Jane e Lisbon qualcosa doveva essere successo. Quindi qui stringono un tacito accordo (come da titolo) stile "Sappiamo che siamo attratti l'uno dall'altra ma per il nostro bene faremo finta di non saperlo".
Spero vi sia piaciuto, aspetto recensioni :)
Giulia

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Capitolo 9
*** Capitolo otto: dove Lisbon sceglie il Rosso. ***


Quella mattina mi alzai preoccupata. Cinque candidati da esaminare, uno solo da assumere. Sembrava la strana trama di un reality show da quattro soldi. Nella mia testa speravo che delle due donne tra i candidati almeno una fosse degna di tale incarico, in modo di non essere più l'unica componente femminile del team. Probabilmente non avremmo fatto amicizia, visto il mio carattere “particolarmente reticente”, come aveva detto Jane pochi giorni dopo avermi conosciuta, però avrei avuto qualcuno con cui parlare anche di Jane, visto che lì dentro era l'unico che potevo definire, in qualche modo, mio amico.
Arrivata al CBI trovai già due dei candidati, una donna con una folta chioma di lunghi capelli rossi lisci come la seta, di una bellezza davvero invidiabile ed un uomo dall'aspetto anonimo, occhi scuri, capelli castani e il tipico fisico di chi ha praticato a lungo nuoto.
La donna era nervosissima. Con le dita digitava qualcosa sul suo portatile, mentre il piede picchiettava a terra ritmicamente. L'uomo, invece, sembrava più rilassato, gambe e braccia incrociate, ed un'espressione seria e burbera sul volto. Non mi piacevano. Nessuno dei due. Forse la donna poteva salvarsi, però era troppo ansiosa per i miei gusti. Già bastavo io con i complessi di professionalità, puntualità e perfezione, lì dentro.
Entrai nel mio ufficio per trovare Jane spaparanzato sul divano, occhi chiusi e sorriso appena accennato. Sapevo che non stava dormendo, quindi mi avvicinai per dargli un colpetto sulla fronte.
-Sveglia bell'addormentato! Oggi ho bisogno del mio ufficio, devi levare le tende.
-Dai, Lisbon! Lasciami stare qui mentre parli con i candidati. Giuro che sarò buono e tranquillo.
-No.
-Uff, ieri ti ho ascoltato e consolata e così mi ripaghi?
-Ah, bravo, mi ricatti anche?
Alzò le mani in segno di resa per poi uscire dall'ufficio. Sorrisi. Era riuscito a tranquillizzarmi e farmi tornare il buonumore.
Dei cinque candidati, solamente tre si presentarono in orario, ragion per cui esclusi a priori i due ritardatari, un uomo e la seconda donna che volevo prendere in considerazione.
I colloqui furono lunghi ed estenuanti. Iniziai con le solite domande di routine, sull'esperienza lavorativa precedente a quell'incarico, sugli studi, sulla famiglia, … qualsiasi cosa riguardasse il fascicolo che il CBI aveva su di loro era oggetto d'esame.
Dopo i primi due colloqui ero già esausta. Mancava ancora l'ultima donna.
-La signorina Van Pelt?
-Eccomi.
La ragazza dalla chioma rossa e dal nervosismo percepibile come un'aura maligna arrivò nella stanza come un tornado.
-Bene. Iniziamo con una presentazione, le va?
-Certamente. Il mio nome è Grace Van Pelt. Ho da poco compiuto i trent'anni e provengo da un paese di campagna al nord dell'Iowa. Mio padre era un importante allenatore di football americano. Sono cresciuta nel mio paese e ho iniziato lì la mia carriera lavorativa. Sono stata per due anni agente semplice nella polizia locale, per poi trasferirmi qui in California con l'intenzione di lavorare in un dipartimento che fosse più stimolante per me. Non mi reputo pronta per lavorare sempre sul campo ma ho ottime abilità informatiche e so rimboccarmi le maniche e mettere tutta me stessa in quello che faccio. Magari ci sono altri candidati che possono sembrare più adatti di me, però le prometto che, se mi assumerà, non dovrà mai pentirsene. Lego facilmente con le persone a me estranee, mi piace fidarmi di chi mi sta intorno e credo che questo possa essere un punto a mio favore.
Aveva parlato a raffica, all'apparenza sicura di sé, mentre la postura indicava l'esatto contrario. Continuai con le domande, vita privata, ore lavorative accumulate, esperienze di tirocinio, praticantato, eventuali master. Rispose a tutto. Era una specie di robot. Qualsiasi cosa avrebbe potuto aiutarla a far carriera, lei l'aveva già fatta. Un mostro informatico. Mi mostrò come, nell'attesa dei colloqui, era riuscita ad entrare nel sistema del CBI e trovare tutte le informazioni sui suoi eventuali colleghi e sui casi che stavamo risolvendo. Da qui, poi, era riuscita a raggirare il database per arrivare all'indirizzo ip di uno dei sospettati di un caso di omicidio avvenuto il giorno prima dell'abbandono di Mark. Aveva, in un'ora, reso possibile un arresto che Jane ci aveva consigliato solamente grazie alle sue abilità di mentalista. Era riuscita a scovare mail anche cancellate che incastravano sia il mandante che l'esecutore.
-Lei sa che tutto ciò è fuori legge, vero?
-In realtà lo sarà nel caso in cui lei non mi assuma, mentre, se facessi parte del team, sarebbe solamente normale routine lavorativa.
Rimasi abbastanza sconvolta da tale risposta. Questa ragazza mi piaceva sempre di più. Bene, bene, bene. Considerato che gli altri due erano stati strafottenti e maleducati nei miei confronti – l'uomo burbero che avevo visto arrivando addirittura era rimasto sconvolto al solo apprendere che una donna era a capo di un team di soli uomini – era ovvio che avrei scelto lei.
-Benissimo, le farò sapere presto.
Con un sorriso smagliante la donna si alzò per uscire dalla mia stanza. Una ragazza bionda a me sconosciuta intenta a masticare un chewing gum rosa confetto fece capolino con la sua testa nell'ufficio.
-Salve. È l'ufficio di Teresa Lisbon questo?
-Sì.
-Salve.
-Salve.
-Salve, sono Cornelia Edgecombe. Sono qui per il colloquio.
-Lei è la signorina Edgecombe?
-Sì.
-Nel fascicolo la sua foto è totalmente diversa.
-Oh, sì, è vero. Mi sono tinta i capelli la settimana scorsa. Prima erano neri, prima ancora rossi e prima ancora castani. Nemmeno ricordo quale delle mie versioni fosse in quel curriculum. Sa, mi piace molto cambiare d'aspetto ogni volta che ne ho l'occasione.
-E il chewing gum? Non è buona educazione.
-Sì, lo so, e mi dispiace, ma sono qui da pochi minuti. Ero fuori a correre ascoltando musica e non mi ero resa conto dell'ora. Mi sono fatta una doccia rapida, ho messo in bocca la gomma e, arrivata qui, non ho trovato un solo secchio dell'immondizia non riciclabile. Solamente differenziata. Non che non sia una cosa bella, ovvio, solamente che le gomme da masticare non si riciclano.
-Oh. Bene. Comunque i colloqui sono chiusi. Sono andata in ordine alfabetico ed abbiamo appena concluso. Mi dispiace ma abbiamo dei casi da risolvere e non possiamo permetterci di perdere tempo.
-Ma se la ragazza rossa è appena uscita! Avrebbe impiegato lo stesso tempo. La prego, mi dia una possibilità.
E le diedi una possibilità. Nonostante l'apparenza era piuttosto sveglia. Sapeva il fatto suo, proprio come risultava dal curriculum visionato il giorno prima. In effetti, appena entrata nella stanza mi ero chiesta come mai avessi anche solo pensato di assumere una persona del genere. Comunque, nonostante le numerose abilità, dovevo ammettere che anche i due scontrosi uomini erano un gradino sopra di lei, sia per esperienze sia per capacità intuitive.
-Bene, le farò sapere. Arrivederci.
Come un turbine quella si alzò, uscendo dalla stanza e lasciandomi con un gran mal di testa. Rigsby entrò nel mio ufficio dopo pochi minuti.
-Capo, abbiamo arrestato il signor Taylor come richiesto. Abbiamo un nuovo caso. Mercy Tolliver, diciotto anni, scomparsa una settimana fa a Los Angeles, ritrovata morta. Vogliono Jane per capire se il ragazzo accusato è davvero colpevole.
-Bene. Andiamo io e Jane. - mi alzai dalla sedia – Ah, Rigsby, di' a Minelli che ho concluso i colloqui e che vorrei consultarmi con lui appena possibile.
Partimmo insieme, tempo di arrivare che Jane aveva già capito tutto. Aveva capito tutto così bene che la signora Juniper Tolliver aveva ucciso il marito che aveva a sua volta ucciso la loro figlia, Mercy. Grazie, Jane.
Tornammo al CBI quella sera stessa, Minelli era nero di rabbia. Però avevamo un nuovo caso a Palm Springs, ragion per cui dovevo assumere immediatamente il nuovo agente. Anche perché Jane si era beccato una sospensione di una settimana per la sua abilità nel chiudere i casi.
Senza alcuna esitazione chiamai l'agente Van Pelt, il giorno dopo avrebbe preso con il resto del team il volo per Palm Springs. Destinazione: John il Rosso.



Spazietto autrice
Lo so, è un finale affrettato, ma questa storia ha smesso di ispirarmi molto tempo fa, come ben si capisce dalla distanza dall'ultimo aggiornamento.
Anche perché mancano quattro teorici anni tra l'assunzione di Jane e l'arrivo di Van Pelt.
Se avrò voglia creerò dei missing moment :D
A presto,
G ♥

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