Demon Hunters

di Fiamma Drakon
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Andando contro le regole ***
Capitolo 2: *** Problemi di tipo demoniaco ***
Capitolo 3: *** Piuma bianca ***
Capitolo 4: *** Il Palazzo degli Angeli ***
Capitolo 5: *** Espedienti angelici ***
Capitolo 6: *** Danza notturna ***
Capitolo 7: *** Gli Immortali ***
Capitolo 8: *** Un altro shinigami in scena, DEATH ☆! ***
Capitolo 9: *** Il primo assassino - una verità nascosta attraverso i secoli ***
Capitolo 10: *** Spiegazioni dovute da tempo ***
Capitolo 11: *** Sguardi che gridano dolore al cielo ***
Capitolo 12: *** Doppio servitore ***



Capitolo 1
*** Andando contro le regole ***


1_Andando contro le regole
Demon Hunters
1. Andando contro le regole


«Non puoi andare»
«Perché no, Wiiill? Daiii!».
L’altro tacque il tempo necessario a sistemarsi gli occhiali.
«Perché le regole lo impediscono. Vuoi essere degradato ancora?»
«Sei così cattivooo...!» si lamentò il suo interlocutore, con quella voce vagamente femminile e lagnosa, incrociando le braccia sul petto.
Si sistemò nuovamente gli occhiali.
«Grell Sutcliff, non puoi rivedere ancora quel demone».
Il suddetto shinigami lo guardò con un broncio misto a indignazione: a lui delle regole non importava un beneamato fico secco. Per lui il suo amato poteva essere un demone, un altro shinigami, addirittura un angelo o Babbo Natale, non gl’interessava: quando uno era sexy - dannatamente, schifosamente sexy - lo rimaneva qualsiasi cosa fosse.
Anzi, tutti quegli ostacoli al suo amore non facevano altro che acuire il suo sentimento verso di lui: il proibito aveva un che di dannatamente attraente ai suoi occhi. E poi era tutto così romantico...
«Non m’importa» s’impuntò, distogliendo il viso, sdegnato «Io voglio rivederlo» sentenziò.
William si massaggiò le tempie con fare estremamente paziente: cercare di farlo ragionare era la cosa più difficile che potesse tentare di fare, ma era un suo obbligo in quanto suo superiore. Tuttavia era del ferreo parere che non lo pagavano abbastanza per doversi occupare fino a quel punto della sua insubordinazione - in aggiunta al doversi sorbire tutte le sue lagne spudoratamente femminee.
Grell era stufo, semplicemente: cercare di spiegare le proprie ragioni ad uno come William T. Spears era solo tempo perso. Quel ragazzo non poteva capirlo!
Decise allora di passare all’azione: senza alcun preavviso, girò sui tacchi e varcò l’immenso arco che lo separava dal giardino, ignorando le riprese continue del moro alle sue spalle.
Era troppo ligio al dovere per i suoi gusti: così la sua vita sentimentale sarebbe andata in mille pezzi ancor prima di cominciare, anche se quel suo sguardo così freddo gli dava certi brividi piacevoli e sensuali, di tanto in tanto.
«Be’, se riuscisse a sciogliersi un po’, sarebbe anche un buon partito» commentò tra sé, divertito, passandosi la lingua sulle labbra con fare palesemente malizioso, mentre si dirigeva correndo verso il ponte che si ergeva imponente sull’immenso giardino davanti alla Biblioteca degli Shinigami.
La sua meta era semplice quanto mai banale: il Portale per il mondo umano.
Il violento picchiare dei suoi tacchi sul candido marmo ed il leggero frusciare del suo lungo cappotto rosso erano gli unici rumori che gli tamburellavano i timpani, facendo da sottofondo ai suoi pensieri ossessivi riguardanti l’attuale oggetto di tutto il suo incondizionato amore: il demone Sebastian Michaelis.
Anche se era proibito in modo categorico che uno shinigami - l’antica razza dei Demon Hunter - intrattenesse alcun tipo di relazione con le loro prede naturali - i demoni, ossia il lato oscuro del mondo - lui se ne era infischiato altamente e ne aveva pagate le conseguenze. Difatti gli era stata confiscata la sua arma, la sua tanto amata motosega, sostituita da una semplice, banalissima coppia di piccole forbici.
Se fosse riuscito a cavare gli occhi alle sue vittime con quelle mini armi, sarebbe già stato un risultato eccezionale, ma in fondo a lui importava ben poco: finché gli altri demoni lasciavano in pace lui e il suo Sebastian, non aveva motivo di preoccuparsi di quanti ne avrebbe ammazzati, né - ovviamente - del modo in cui l’avrebbe fatto.
Raggiunto l’altro lato del ponte, scavalcò con un salto i cinque gradini che lo separavano dal suolo, quindi continuò a correre, imperterrito: la sua fame di amore lo stava divorando dentro.
Lui doveva rivedere Sebastian, a qualsiasi costo.
Si fermò davanti ad un immenso portale di pietra bianca decorato con fregi dall’aria antica e vagamente esotica e sorrise di sghembo, mostrando la dentatura da squalo.
«Eccolo, finalmente: il Portale. Non stavo più nella pelle!».
Si avvicinò ai grandi battenti - due teste di tigre che reggevano in bocca un anello - e, dimostrando di possedere una forza ben al di là delle umane possibilità, afferrò i due cerchi e li tirò a sé, aprendo la porta.
Nel saltare all’interno - azione peraltro accompagnata da un malsano entusiasmo - il suo unico pensiero fu un ben poco maschile: «Eccomi a te, caro Seb-as-stiàn
~♥!!».

La falce della luna risplendeva alta nella notte, riverberando il suo argenteo candore opalescente nella volta celeste notturna, che quella sera mancava dei piccoli diamanti che la rendevano ancora più meravigliosa e luminescente.
La sua perfezione lattea venne rovinata da un improvviso tremolio, simile a quello dell’acqua increspata, ma fu solo una cosa momentanea. Allora, una figura comparve stagliata nel cielo in contrasto con la falce: cadeva ad una rapidità sconcertante, simile ad una meteora oscura, ma pareva non preoccuparsi affatto. Dietro di sé, una moltitudine di lunghissimi capelli scarmigliati lo seguiva, come la coda di una stella cadente.
Senza emettere un solo fiato, precipitò sul tetto obliquo di una chiesa, atterrando indenne in piedi, senza vacillare: le gambe avevano assorbito il colpo senza conseguenze sul suo perfetto e sovrannaturale equilibrio.
«Da dove iniziamo a cercare il mio Sebastian?» si domandò ad alta voce, passandosi la lingua sulle labbra e guardandosi intorno: le case erano tutte simili tra loro, con il tetto scosceso rischiarato dalla luce lunare, e si estendevano per quasi un chilometro a raggiera attorno al punto dove si trovava lui. Probabilmente la chiesa era il fulcro attorno al quale la città era stata eretta.
Dentro di sé avvertì l’impulso di recarsi presso un fiume che costeggiava il lato nord della città. Senza perdere un solo attimo si diresse lì: la sua parte più istintiva, adibita alla localizzazione delle sue prede, aveva una strana predisposizione naturale ad un rilevamento talmente rapido e preciso che se gli avesse fornito pure coordinate precise su dove il demone di turno si trovasse non si sarebbe sorpreso affatto.
Fin dall’inizio della sua “carriera” di Demon Hunter - iniziata pressoché attorno ai dieci anni - si era rivelata un’abilità eccezionalmente utile per velocizzare l’individuazione del nemico.
Quella volta, anche se utilizzata non con lo scopo di localizzare una vittima, si era palesata essere altrettanto utile, in aggiunta al fatto che in quella cittadina bazzicavano pochi demoni, quasi tutti di solo passaggio. Se fosse stato un luogo più “trafficato”, avrebbe dovuto giostrarsi tra migliaia di imposizioni contrastanti sulla direzione da prendere.
Sebastian, con sommo sollievo dello shinigami, era l’unico che sembrava essersi stabilito lì in modo permanente, dato che non aveva accennato a spostarsi per quasi cinque mesi. Un vero e proprio record, considerata la natura della sua razza, incline al nomadismo - con eccezioni in casi particolari, ma solo di pochi giorni.
L’unico demone che rilevava era quello vicino al fiume, il che gli suggeriva che quello era proprio il suo amore demoniaco.
Che cosa ci facesse così lontano dal centro, non ne aveva la più pallida e remota idea - l’unica ipotesi plausibile che aveva formulato era che vi si fosse recato in cerca di particolari anime - ma più di tanto non se ne preoccupava: non erano affari suoi se qualche insignificante umano moriva in città o in periferia, o moriva e basta.
In fondo, prolificavano più in fretta di quanto si potesse credere per essere una razza di così basso rango. Qualche perdita potevano sopportarla.
«Oltretutto, se devono perire affinché il mio tesoro adorato possa sopravvivere, dovrebbero addirittura essere orgogliosi di cedere a lui la loro inutile vita~
♥!» commentò allegramente tra sé, balzando con tanto di giravolta nel cielo, superando una delle strade principali della città, a quell’ora completamente deserta.
Proseguiva a ritmo serrato, sempre più velocemente man mano che si avvicinava alla sua meta: la smania di rivederlo era troppo forte perché potesse semplicemente attendere oltre.
Arrivato sull’ultimo edificio, saltò giù dal cornicione con una grazia che definire femminile sarebbe stato un semplice eufemismo, per poi dirigersi fulmineo attraverso l’erba stopposa ed incolta che si estendeva per miglia tutt’attorno.
Un vero e proprio paesaggio campestre in rovina.
Ben presto, Grell iniziò a sentire il rumore dell’acqua che scrociava nel suo letto, ma non solo quello: grida di dolore che volevano essere acute e strazianti gli giungevano alle orecchie solo come urla soffocate, facendolo fremere nel profondo.
Era lì, sempre più vicino.
La distesa s’interruppe bruscamente su di un piccolo pendio erboso che portava ad un esteso avvallamento nel quale si trovava il fiume.
Sulla sponda più vicina a sé, il Demon Hunter scorse un gruppo di corpi inerti distesi a terra e, tra di loro, una figura nera e slanciata, l’unica ancora in piedi.
Il suo cuore accelerò i battiti: era lui, non aveva dubbi. Solo lui poteva indossare con così tanto charme un completo nero tanto elegante.
Spiccò un salto fin troppo energico, tale da raggiungere circa i trenta metri d’altezza, quindi si lanciò in picchiata verso la persona vestita di nero, aprendo le braccia.
«Seb-as-t...».
Il suo bersaglio si volse di scatto all’udire la sua voce. Solo allora lo shinigami si rese conto che quello non era il suo demone, ma purtroppo per fermarsi era troppo tardi. Il giovane sconosciuto rimase immobile ad osservarlo precipitargli contro con sguardo glaciale finché non gli fu praticamente addosso, quindi si chinò e, quando gli passò proprio sopra, alzò la mano con un fulmineo scatto, serrandola attorno alla sua gola.
A quel punto si rialzò e si avvicinò al viso della sua preda tanto che i loro nasi quasi si sfioravano.
Grell riuscì così a scrutare bene in faccia l’uomo: aveva i capelli neri, pettinati all’indietro in modo da lasciare completamente scoperto il viso; indossava un paio di occhiali dalla montatura di semplice metallo argentato e le lenti squadrate, dietro le quali si trovavano due pozzi di freddo oro, fissi su di lui.
Era inquietante, ma forse proprio per quello anche terribilmente bello.
«Ehilà! Ti hanno mai detto che hai dei bellissimi occhi? E chissà che altro hai di così bello...» lo stuzzicò Grell, passandosi la lingua sulle labbra, sorridendo con fare lascivo.
«Tu sei... uno shinigami?» gli chiese in risposta lo sconosciuto, senza smettere di fissarlo glacialmente.
«Io sono quello che vuoi. Baciami...!» esclamò l’altro in tono voglioso, protendendosi faticosamente verso di lui, il quale serrò ancor di più la presa sul suo collo con l’evidente intento di strangolarlo.
«Muori, Demon Hunter...!» sibilò, duro, rinsaldando ancor di più la presa sulla sua giugulare.
Grell era sul punto di soffocare, eppure tutta la sua attenzione era focalizzata su quell’affermazione che - contro ogni possibile aspettativa - reputava quasi alla stessa stregua di una dichiarazione d’amore in piena regola.
La sua concezione dell’amore, in verità, era tanto distorta quanto malsani erano i suoi gusti sessuali.
I suoi polmoni erano ormai a secco d’aria ed invocavano pietà, mentre davanti agli occhi cominciavano a danzargli puntolini bianchi, mentre lentamente iniziava a scivolare nell’incoscienza della morte.
Paradossale come da cacciatore si fosse trasformato in preda.
Continuò a fissare, per quel poco che gli rimaneva, gli occhi del suo quasi assassino, mentre muoveva le mani per far scivolar fuori dalle maniche le sue forbicine: non aveva certo intenzione di morire lì.
Le strinse saldamente nelle mani, quindi puntò il suo sguardo sul braccio che lo reggeva: se fosse riuscito a conficcarne almeno una lì, probabilmente sarebbe riuscito a fermarlo.
Stava per sferrare il suo attacco quando, con la coda dell’occhio, scorse un improvviso cambiamento nel suo sguardo.
Sentì la sua presa dissolversi dal suo collo e lo vide saltare indietro uno scatto repentino a dir poco, mentre una fila di piume nere dall’aspetto insolitamente affilato andava a conficcarsi con forza nel terreno, nel medesimo punto dove solo un istante prima era il moro.
«Claude Faustus».
La voce che Grell udì gli strappò un indecente e fin troppo femminile “awww!”: conosceva quel tono, e conosceva anche il detentore di quella splendida voce provvista di una meravigliosa sfumatura oscura.
Nel voltarsi, ebbe la conferma di ciò che aveva percepito semplicemente con l’udito: era arrivato il suo demone, quello per cui aveva lottato così tanto contro gli altri shinigami, le stupide regole dei Demon Hunter e perfino quel noioso di William.
«Aww, Sebastiàn!» esclamò, in tono dolce, squadrandolo da capo a piedi con un’avidità senza fine.
Come sempre, indossava un completo nero, sotto al quale s’intravedeva una camicia bianca abbottonata e fermata sotto i risvolti del colletto da una cravatta nera che andava a sparire nella giacca chiusa.
Il demone si avvicinò senza degnarlo della benché minima attenzione: questa era tutta focalizzata sull’uomo chiamato Claude, il quale ricambiava con ardente astio.
«Sebastian Michaelis» esclamò.
«Non sei gradito qui. Questo è il mio territorio» ribatté freddamente Sebastian.
Claude affilò lo sguardo in uno più beffardo, senza perciò increspare le labbra.
«Il tuo? Questo è da vedere» replicò.
Michaelis estrasse dalle maniche un altro set di piume, quindi le lanciò verso il suo avversario, che le evitò facilmente.
«Sparisci Claude».
Quest’ultimo rimase immobile un attimo, lo sguardo improvvisamente pieno d’odio, poi disse: «Sappi che non mi arrendo tanto facilmente, Sebastian».
Quindi si volse e saltò dall’altra parte del fiume, girandosi a guardare un’ultima volta il suo nemico, prima di andarsene.
Sebastian rilassò un poco i muscoli, tenendo alta la guardia, in caso attaccasse ancora all’improvviso.
«Sebas-chan! Mio eroe~♥!».
Sentì qualcosa strusciarsi contro la propria gamba, perciò abbassò gli occhi, notando che lo shinigami che Claude aveva quasi ammazzato era lo stesso che fin da quando si era stabilito lì continuava imperterrito a tormentarlo.
Se avesse visto prima che era Grell la sua vittima, avrebbe fatto sì che Faustus lo ammazzasse, prima di intervenire e cacciarlo: di certo si sarebbe trovato con una palla al piede in meno.
Lo shinigami, testardamente, continuava a strusciarglisi contro la gamba alla quale si era stoicamente avvinghiato, come un gatto in cerca di attenzioni.
Con un gesto alquanto brusco, gli premette una mano sulla fronte e lo allontanò, facendolo finire seduto a qualche metro di distanza.
«Stai lontano, shinigami» disse semplicemente, voltandosi a dargli le spalle.
Ma Grell considerava quei tentativi d’allontanamento come azioni volte ad acuire in modo osceno le sue attenzioni.
Rialzatosi, si gettò verso di lui a braccia aperte.
«Sebast...?!».
Non riuscì a terminare: si sentì strattonare per il cappotto e tirare via in malo modo.
L’ultima cosa che vide fu il demone che si voltava per metà verso di lui con sguardo totalmente indifferente, poi la sua immagine venne risucchiata da un vortice bianco.
Quando tutto riprese colore, si trovava steso bocconi su un pavimento a lui ben noto, gli occhi incollati non al viso del suo amore, bensì alle scarpe di qualcuno.
«La ringrazio per essere andato a recuperarlo».
La voce era innegabilmente quella di William.
Sbuffò, risentito, mettendosi carponi: era tornato nella dimensione degli shinigami. No, più corretto, era stato trascinato nella dimensione degli shinigami, di nuovo.
Il Demon Hunter dai capelli rossi era non poco arrabbiato con colui o colei che si era permesso di riportarlo in quel noiosissimo posto senza il suo permesso e - cosa ancora più importante - solo pochi minuti dopo aver finalmente ritrovato il suo demone.
Non lo accettava: lui voleva vederlo, accidenti!
«Ehi!» esordì, voltandosi «Perché mi ha...?!».
Tacque quando vide chi era stato a strapparlo al mondo umano.
«Ehilà...!».
Lunghi capelli grigi, volto seminascosto da una folta frangia, vestiti scuri e stravaganti al pari del loro possessore. Non c’erano dubbi, quello era...
«Undertaker?!» sbottò Grell, drizzandosi e allontanandosi subito.
Il suo interlocutore si portò un’ampia manica alla bocca e vi affogò una risatina nervosa, che fece venire la pelle d’oca a Sutcliff.
William, al contrario, era l’incarnazione della calma. Molto formalmente, si inchinò davanti al terzo shinigami e domandò: «A cosa dobbiamo la sua visita?».
L’altro agitò una mano e sorrise.
«Sembra che ci sia un problema...».

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Capitolo 2
*** Problemi di tipo demoniaco ***


2_Problemi di tipo demoniaco
Demon Hunters
2. Problemi di tipo demoniaco


«Sembra che ci sia un problema...».
William raddrizzò il busto e si sistemò gli occhiali sul naso, inarcando con perplessità le sopracciglia.
Grell rimase a fissarlo qualche istante: non era cosa di tutti i giorni cogliere di sorpresa William T. Spears, anzi, si poteva dire che era un evento più unico che raro.
«Che genere di problema?» domandò, riposizionando le lenti.
Era un’azione che era solito fare un migliaio di volte al giorno già nella norma, ma nei momenti di disagio il numero moltiplicava quasi esponenzialmente, come se ciò riuscisse in un certo senso a calmarlo.
Undertaker rise, facendo accapponare ancora una volta la pelle a Grell, che spostò su di lui gli occhi, confuso: se c’era un problema, un guaio di qualsiasi tipo, perché si era preso il disturbo di andare a riprenderlo mentre tornava nella loro dimensione?
Non riusciva a carpirne il motivo.
Il becchino si avvicinò a Spears, poggiandogli le mani sulle spalle, quindi allungò l’indice e il medio della destra e le mosse lungo il suo petto elegantemente vestito, protendendo il viso verso il suo, sorridendo.
«Due demoni stanno creando un po’ troppo trambusto» esclamò, con quel suo tono cantilenante e vagamente lugubre.
Risalì rapido il collo, fino a conficcare delicatamente la lunga unghia nera dell’indice nella guancia di William.
«Dovremmo ucciderli... ma sembra difficile al momento, purtroppo» continuò.
Will si sistemò gli occhiali.
«Possiamo andare a discutere i dettagli in separata sede» asserì.
«Come vuoi, ma deve venire anche lui» disse l’altro, spostando il viso verso Grell «Non vorrei mai che... un altro shinigami perisse in mia assenza».
Il tono lasciava bene intendere che, se proprio doveva morire, lui voleva assistere alla scena. Era abbastanza inquietante come volontà.
«Come desidera. Da questa parte» affermò semplicemente William, voltandosi e sottraendosi al contatto con lo shinigami dai capelli grigi, che si accinse a seguirlo coprendosi la bocca con un’ampia manica, emettendo una sinistra risatina nervosa.
«Sutcliff, anche tu».
Il richiamo di Will lo raggiunse un istante prima che lo facesse la sua mano, che lo arpionò per il cappotto e lo strattonò per un paio di passi, convincendolo a seguirli con le buone, anziché essere trascinato con le cattive.
Attraversarono una lunga serie di ampi corridoi dal soffitto alto e arcuato, fino ad arrivare in una sala col pavimento piastrellato a scacchiera e arredata semplicemente con due divani rivestiti di pregiata stoffa viola, tra i quali era situato un basso tavolino in legno scuro dalle zampe finemente ed elegantemente lavorate.
«Wow... che lussi!» commentò lo shinigami in rosso, varcando per ultimo la soglia della stanza.
«Normalmente viene utilizzata per i ricevimenti importanti, per cui non toccare niente» lo ammonì immediatamente Spears, sistemandosi ancora una volta gli occhiali.
«Che antipatico...!» sbuffò Grell, indispettito, quindi si avvicinò al divano dirimpetto a quello dove si era seduto Undertaker, rimanendo però in piedi.
«Di che cosa voleva discutere?» domandò William, ignorando lo sgradito commento del sottoposto, concentrando tutta la propria attenzione sullo shinigami leggendario che aveva innanzi.
Per tutta risposta, quello rise ed estrasse a sorpresa una piccola ampolla di vetro, che gli lanciò senza alcun preavviso e che, per un soffio, non s’infranse al suolo.
«Uhm?» fece Grell, sorpreso, accostandosi a Will per osservare l’oggetto: all’interno vi era una gran quantità di polvere argentea opalescente di una sinistra meraviglia.
«Cos’è...?» domandò, passando rapidamente gli occhi dal moro al becchino.
Quest’ultimo lasciò che il sorriso di poco prima gli rimanesse in viso, impeccabile e naturale, anche se nel parlare il tono divenne improvvisamente più tagliente: «Davvero non lo sai?».
«Eh...?» fece per tutta risposta l’altro.
La sua attenzione venne attirata da un improvviso fremito di William, che sembrava impiegare ogni suo possibile sforzo nel placarlo, con ovvi scarsi risultati. Grell poté giurare di non averlo mai visto così: le spalle erano irrigidite da chissà quale sensazione a lui ignota, la posa dura e l’intero corpo scosso da piccoli tremiti che sembravano dovuti a spasmi nervosi.
William aveva qualcosa di strano: la sua pacatezza era svanita persino dai suoi occhi, nei quali adesso riusciva distintamente a leggere un peculiare terrore profondo e intrinseco.
La sua mano stringeva convulsamente l’ampolla e le sue iridi erano inchiodate al suo contenuto, segno inequivocabile che era stata quella polverina a scatenare tutta quella sequela di cambiamenti in lui.
Odiava ammetterlo, ma così faceva quasi paura.
«Will...?» lo chiamò, allontanandosi di mezzo passo «Che cos’è quella?».
«Queste... sono...»
«... le ceneri di uno shinigami assassinato» completò per lui Undertaker, il tono che aveva acquistato nuovamente quella sfumatura vagamente ilare propria di lui.
Per un momento il cervello di Grell si rifiutò di accettare la notizia, ergendo una barriera mentale che lo schermasse da ciò, ma poi venne letteralmente travolto dall’affermazione.
Era stato... ammazzato uno shinigami?
Sapeva per certo che la loro era una razza longeva ed estremamente difficile da uccidere. Erano quasi al pari degli angeli, gli Immortali.
Non esisteva arma tale da ridurre in quel modo uno shinigami, ne era più che sicuro, eppure quelle ceneri erano lì, davanti ai suoi occhi, racchiuse in quella piccola, dannata ampolla che William pareva detestare e temere con ardore indiscutibile.
«Qualcosa non va».
Fu quello l’unico pensiero coerente che riuscì a formulare in quell’attimo di surreale trance, dal quale si riprese l’istante successivo con insolita forza.
«E io che cosa c’entro in tutto questo?» esclamò, inspiegabilmente indignato, mettendosi una mano sul petto e l’altra sul fianco, fissando Undertaker in attesa di responso.
Il becchino era tranquillo, placido quasi, comportamento alquanto inusuale data la circostanza, ma decisamente nella norma considerato il soggetto dell’azione. Quando questo rispose, lo fece con la sua voce lugubremente cantilenante ed un sorriso divertito ad increspargli le labbra: «Quello shinigami era l’incaricato a distruggere Sebastian Michaelis. Raccapricciante come da carnefice si sia trasformato in vittima, non trovi?».
Senza lasciar adito a repliche, riprese: «È un vero peccato. Avrei tanto voluto esser presente alla sua dipartita».
Perverso, sadico divertimento il suo, eppure era così e lui non poteva far niente più che star zitto e lasciarlo parlare: se si fosse azzardato a ribattere qualcosa, Spears l’avrebbe fatto secco sul colpo.
«Non è possibile che un demone sia riuscito a fare questo» disse William, scuotendo appena l’ampolla, fissandola con disprezzo e odio crescenti.
Se non si fosse calmato, avrebbe finito col perdere il senno. D’altro canto, Grell riusciva un po’ a capire tutto quell’astio e quell’incredulità: la loro razza era geneticamente programmata - se così si poteva dire - per distruggere i demoni, i quali non avevano alcuna possibilità di prevalere su di loro con la loro sola forza.
I loro poteri erano inferiori per natura a quelli degli shinigami, prescelti dal fato per sistemare i disordini creati nel mondo umano ad opera dei loro “nemici genetici”.
Undertaker tacque alcuni istanti. In quel brevissimo lasso di tempo, Sutcliff notò che il suo sorriso vacillò, per poi riacquisire concretezza.
«Lo sooo...!
» esclamò, con un'inflessione vocale vagamente cantilenante ed eccitata «Ma non credete che possa esserci qualcosa che l’ha ucciso, aldilà del piccolo, docile signor Sebastian?» domandò.
Era un quesito retorico, però riuscì comunque ad instillare il dubbio nella mente di Spears.
«... c’è qualcosa che può fare una cosa simile?» chiese William di getto, visibilmente - e stranamente - stravolto.
«Io ancora non capisco perché avete coinvolto anche me! Sono oltretutto stato degradato, per cui queste questioni non dovrebbero essere di mia comp...»
«Grell... Sutcliff? Forse non mi hai sentito, prima?».
Con sua immensa sorpresa, lo shinigami rosso si ritrovò il becchino esattamente davanti, schiacciato contro il suo petto, il viso a pochissimi centimetri dal proprio. Undertaker gli portò le mani sul viso, ghignando divertito, quindi gli passò dolcemente un’unghia affilata sulla guancia, scendendo fino sul collo.
«Sei un tipo interessante. Se proprio devi morire, io voglio essere presente» il suo sorriso si allargò «Vedere uno shinigami passare a miglior vita è un evento più unico che raro... e non voglio perdermelo di nuovo».
A quel “di nuovo”, Grell giurò che i muscoli del suo viso si fossero contratti impercettibilmente, come se avesse socchiuso momentaneamente gli occhi - o avesse avuto un momentaneo spasmo nervoso.
La mano del suo interlocutore indugiò sul suo colletto.
«Inizio a pentirmi di averti trascinato via: sarebbe stato un buon momento per cogliere il meraviglioso e fugace attimo della tua morte...».
Il Demon Hunter gli prese la mano e l’allontanò in malo modo, indietreggiando: non gli piaceva la piega che aveva preso la conversazione.
«Io non morirò per te. Mettitelo bene in testa!» sbottò, stizzito.
«Se proprio devo, lo farò per Sebastian!» aggiunse subito tra sé.
«Che cosa... pensa che abbia fatto una cosa simile?».
L’intervento di Spears salvò Grell da una nuova vicinanza ristretta con lo shinigami leggendario, che si voltò verso il moro, abbandonando ogni proposito di parlare con l’altro.
Si portò la mano davanti alla bocca, aprendo le dita in modo che coprissero a tratti le sue labbra, increspate dal solito ghigno malevolo e divertito: «Non so... sarebbe più divertente se ve lo dicessi... o se lasciassi a voi il compito di scoprirlo...?».
Sembrava stesse riflettendo ad alta voce.
Dondolava la testa lentamente, seguendo un ritmo che riusciva ad udire solamente lui e di tanto in tanto si passava le unghie sulle labbra. Era inquietante.
Infine, si fermò.
Il suo sorriso si allargò, mentre sentenziava: «Ho deciso. Non ve lo dico».
«Che co...?!» esordì Sutcliff, indignato, ma il suo superiore allungò una mano davanti al suo petto con il chiaro intento d’interromperlo.
«No, Sutcliff» disse, senza alzare il viso dall’ampolla.
«Perché no, Wiiill?» si lamentò l’altro, imbronciato: rifiutarsi di fornire informazioni non li aiutava certo a migliorare la situazione, anzi, avrebbe contribuito soltanto a far morire qualche altro ignaro Hunter.
Spears non gli rispose.
«Tsk!» sbuffò Grell, voltandosi e andandosene senza aggiungere altro: tutta quella storia non era affar suo, in fin dei conti.
Non era un Demon Hunter di grado abbastanza alto perché potesse riguardarlo; inoltre, non voleva assumersi incarichi che lo avrebbero allontanato da Sebastian.
Percorse a ritroso la sequela di corridoi che l’avevano condotto fino a quella stanza, quindi uscì dalla biblioteca e, costeggiando l’edificio, si diresse verso l’ala adibita a dormitorio, anche se, in realtà, quello degli shinigami non era un vero e proprio sonno.
Quando chiudevano le palpebre e si lasciavano vincere dalla stanchezza, si spogliavano del guscio dei loro sensi e scivolavano in un oblio senza tempo né spazio dal quale riemergevano obbligatoriamente dopo cinque ore, non un minuto prima né dopo. Durante quel lasso di tempo, niente avrebbe potuto rompere il loro riposo.
Inoltre, quel genere di azione non doveva ripetersi puntualmente come per gli umani, che senza il sonno non avrebbero potuto ripristinare la loro energia: dato che possedevano per natura riserve energetiche molto ingenti, gli shinigami “dormivano” solo se avevano necessità di recuperare energia in fretta, in seguito ad una ferita o uno scontro particolarmente violento, oppure - come nel caso di Grell - quando non avevano niente di meglio da fare.
Lo shinigami varcò la soglia del dormitorio con nonchalance, ritrovandosi nel piccolo atrio principale dal quale, mediante una grande scala dorata, si accedeva ai corridoi - posti ai piani superiori - sui quali si affacciavano le varie stanze.
Nel camminare, il Demon Hunter si prese la libertà di calcare i passi in maniera tale da produrre - mediante i tacchi - il più alto livello di frastuono possibile, come se ciò costituisse una sorta di sfogo per la frustrazione residua della discussione.
«Tanto chi sta riposando non può sentirmi» pensò, avvicinandosi a grandi falcate alle scale.
Le salì a passo spedito, quindi prese il quinto corridoio sulla destra, proseguendo fino a fermarsi dinanzi alla porta di fondo, che aprì con un gesto plateale ma carico di stizza.
Vi sparì all’interno, chiudendosi l’uscio alle spalle.
Rimase a contemplare la sua stanza per alcuni minuti, letteralmente estasiato: le pareti rivestite d’elegante broccato rosso, il medesimo colore del tappeto che ricopriva ogni centimetro del pavimento. Diametralmente opposto alla porta c’era il suo letto, un grande baldacchino a due piazze con tendaggi, coperta e cuscini coordinati, ovviamente rossi. Tutt’attorno c’era una folla di rozze bambole di pezza mutilate d’un braccio o una gamba, qualcuna addirittura col ventre aperto, dal quale fuoriusciva l’imbottitura. Quando si annoiava, eviscerare le bambole diventava il suo passatempo preferito.
Posta contro la parete a destra del letto c’era una specchiera in legno scuro sul cui piano erano abbandonati disordinatamente spazzole ed oggetti per il make-up. Di che colore?
Ovviamente, tutto rosso: la sua visuale del mondo era prettamente monocromatica.
Come tocco finale, l’aria della stanza era permeata da un vago ma persistente odore di sangue fresco, al di sotto del quale si percepiva l’effluvio dei cosmetici.
Grell inspirò profondamente, allargando le braccia.
«Casa!» esclamò semplicemente, proseguendo all’interno, togliendosi il cappotto per gettarlo da un lato, quindi andare a sedersi sul letto.
Vi prese posto e accavallò frivolmente le gambe, accarezzando con disinteresse la coperta, osservando i dintorni, per posare infine lo sguardo sulla distesa di bambole ai suoi piedi.
Un sorriso carico di sinistri significati si allargò sulle sue labbra, mentre si chinava a raccogliere la sua bambola preferita, con la stessa capigliatura di Sebastian e due bottoni rossi cuciti al posto degli occhi. Se la rigirò tra le mani, osservandola, quindi se l’avvicinò al viso e gli posò un bacio sulla fronte.
«Sebas-chan, tu non sei cattivo, vero?» gli chiese, scuotendolo un po’, come se avesse facoltà di parola «Non puoi aver ucciso uno shinigami».
Se lo depose in grembo, quindi prese un’altra bambola ed estrasse le sue forbicine, entro i cui spazi appositi infilò malamente le dita, per poi conficcarne violentemente la punta nel ventre del pupazzo, iniziando ad aprirlo.
Inutile dire che ci si divertiva troppo: la sensazione di poter decidere della “vita” di qualcuno, anche se appartenente ad una banalissima bambola, lo eccitava fuor di maniera.
A quel punto, ogni suo proposito di “dormire” era andato a farsi benedire, sostituito dal pressante bisogno di fare a pezzi quel giocattolo.
«È così divertente! Però è un peccato che non sanguini: sono certo che con un po’ di rosso sarebbe ancora più bella» pensò, mentre passava a straziare il braccio destro.

La luna vermiglia aveva raggiunto il suo posto nell’infinito blu del cielo notturno degli shinigami.
La sua luce filtrava attraverso una grande finestra, illuminando il profilo di un uomo seduto su di una poltroncina, il busto storto, piegato verso il bracciolo sinistro, dove era appoggiato il gomito del braccio che gli reggeva il viso, le gambe accavallate spostate verso destra. Il buffo cappello a cilindro che portava in testa gli ricadeva leggermente spostato a causa della posizione ed i lunghi capelli, che alla luce del giorno erano grigi, adesso avevano assunto riflessi rossastri.
La sua attenzione era tutta concentrata su una semplice, banalissima piuma, che si girava e rigirava tra l’indice ed il pollice. Ad un tratto, dalle sue labbra, increspate in uno strano sorriso a metà tra il beffardo e il divertito, gli sfuggì un ilare: «Le cose potrebbero farsi interessanti...!».





Angolino autrice
Finalmente riesco ad aggiornare anche questa °-° be', che dire?
Stavolta, nonostante tutto, penso di essere sfociata un po' nell'OOC -.-'' se non per tutti, almeno per Undertaker X3 però lascio decidere al pubblico in tal senso <3
Ringrazio profondamente Tensi e Sachi Mitsuki per le recensioni allo scorso capitolo e coloro che hanno aggiunto la fic alle preferite/ricordate/seguite.
Al prossimo chappy! ^^
F.D.

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Capitolo 3
*** Piuma bianca ***


3_Piuma bianca
Demon Hunters
3. Piuma bianca


Nella biblioteca, l’unica fonte di illuminazione era la luce lunare che entrava dalle finestre, proiettando sul pavimento quadrati luminescenti e rossastri.
Gli scaffali apparivano come cupe ombre incombenti nella penombra in cui una persona ancora si attardava a cercare, senza arrendersi, un tomo in particolare.
«Quel libro dovrebbe essere da queste parti...» commentò tra sé e sé lo shinigami, camminando lentamente tra due lunghe scaffalature, tenendo sollevato il piccolo lume che stringeva con la mano libera.
Con l’attrezzo che occupava l’altra si sistemò gli occhiali sul naso, aguzzando la vista per cercare di scorgere i titoli dei volumi più in alto.
Si fermò quand’ebbe raggiunto la fine del corridoio, trovandosi innanzi ad una speciale scaffalatura bianca situata in un incavo della parete. In essa erano custoditi i libri più rari e preziosi dell’intera biblioteca - che contava un migliaio circa di tomi.
Lì lo trovò, proprio al centro dello scaffale di mezzo. Con implicito sollievo, si alzò in punta di piedi per raggiungerlo, quindi ripercorse rapidamente i propri passi e andò a sistemarsi ad un tavolo non troppo distante, sul quale posò il lume.
Questo gettava una tremula luce dorata sulla copertina del libro, facendone risplendere il bellissimo color oro ed i quattro piccoli rubini che l’adornavano, ciascuno incastonato in un angolo.
William rimase alcuni minuti a contemplare il volume, soffermandosi in particolar modo sul titolo, scritto in vividi e goticheggianti caratteri al centro:
Ibridi: l’alchimia della vita perfetta
Spears si sistemò nuovamente gli occhiali, quindi si accinse ad aprire il tomo: se la situazione non l’avesse richiesto, lui non si sarebbe spinto fino al punto di andare a cercare quel libro. Era uno dei tabù imposti ai Demon Hunters di livello più basso, andare a consultare ciò che era contenuto in quello scaffale, ma se i “piani alti” volevano che lui risolvesse la faccenda, era certo che una piccola infrazione come quella gliel’avrebbero perdonata.
«Più che altro spero che non mi dimezzino lo stipendio per questo» commentò tra sé.
Mentre sfogliava le pagine in cerca dell’indice, la sua mente ritornò a qualche ora addietro, quando Grell se ne era andato dalla stanza dove stavano discutendo con lo shinigami leggendario.
«Allora... che cos’hai intenzione di fare, tu?».
La domanda colse alla sprovvista William, che alzò gli occhi dall’ampolla per posarli immediatamente sul viso del suo interlocutore.
Il moro serrò ulteriormente la presa sull’ampolla.
«Non vuole concedermi informazioni nemmeno da solo?» ritentò: brancolare così nel buio gli dava sui nervi, soprattutto sapendo che qualcuno dei loro nemici era riuscito a togliere di mezzo un loro compagno anche se teoricamente era impossibile.
«No» disse semplicemente il becchino, andando a sedersi nuovamente «Però voglio dirti che qualcuno sopra di te vuole che sia tu ad occupartene... personalmente. Sono venuto principalmente perché mi hanno riferito un messaggio per te».
«Un... messaggio?» ripeté Spears.
Adesso aveva un motivo in più per essere irritato dalla mancanza di informazioni: la faccenda pareva passare anche per le sue mani e sapeva che se avesse sbagliato, di certo gli avrebbero detratto qualcosa dallo stipendio, cosa che non poteva tollerare, in alcun modo.
Undertaker agitò in aria una mano con fare sufficiente, senza abbandonare il suo solito sorrisino.
«“Sono già morti tre shinigami per mano del demone Sebastian Michaelis. Qualcosa lo sta aiutando. Scoprilo e risolvi la questione, Spears, altrimenti sarai degradato”» disse il becchino con fare annoiato.
A quell’affermazione, lo shinigami dai capelli neri si sentì gelare il sangue nelle vene: già tre...?
No, più importante: degradato?! Addirittura?
L’uomo dai capelli grigi si alzò e con nonchalance si diresse verso la porta.
«Be’, quel che dovevo fare, l’ho fatto. A presto...!» esclamò.
«... Undertaker».
Il suo interlocutore si fermò sulla soglia: era la prima volta che osava chiamarlo per nome. Sentire la sua voce che lo pronunciava con così tanto ardore e reverenza gli fece sfuggire una soffocata risatina dalle labbra ancora dischiuse.
«Sì...? Hai tutta la mia attenzione» disse, voltandosi a fronteggiarlo di nuovo.
«Devo risolvere la cosa... assolutamente?».
Il tono con cui domandò lo divertì: sembrava che stesse insinuando di dover ricorrere a misure estreme pur di raggiungere lo scopo. Era lì che stava tutto il divertimento.
«Assolutamente» replicò, andandosene.
Willian scosse la testa: doveva riuscire a fermare l’entità che stava facendo tutto ciò prima che trucidasse qualche altro Demon Hunter, altrimenti altri sarebbero morti e lui sarebbe stato degradato.
Non c’era il tempo per perdersi nei ricordi.
«Ecco l’indice».
Iniziò a scorrerlo, in cerca di ciò che gl’interessava. Non fu cosa facile: nonostante fosse un libro di poche pagine, aveva numerosissimi capitoli, ma alla fine...
«Eccolo» mormorò tra sé, posando l’indice accanto alla frase che recitava “Pagina 78, capitolo 21: Ibridi nocivi agli shinigami”.
Gli tremava un po’ la mano, mentre scorreva le pagine in cerca della settantotto: in fondo, quando mai uno shinigami del suo rango aveva osato andare a leggere quali abomini di natura erano capaci di distruggerli?
Ricordava che l’ultimo Demon Hunter che aveva osato leggere quel libro - fatto accaduto circa un anno e mezzo prima - era stato rinchiuso pochi giorni dopo in un centro di cura psicologica. Chi l’aveva portato via aveva detto qualcosa circa ripetuti tentativi di suicidio ed instabilità psichica, per cui la cosa lo preoccupava alquanto.
Eppure, la situazione - al livello a cui era arrivata - non dava adito ad opzioni alternative: la risposta all’interrogativo che affliggeva William era contenuta proprio lì.
Chi - o per meglio dire cosa - era l’assassino?
Stava per scoprirlo: con un palpito cardiaco esageratamente accelerato dalla tensione, nonostante dall’espressione trasparisse poco o niente, girò l’ultima pagina, trovandosi a leggere l’intestazione del capitolo che lo interessava. Abbassò lentamente lo sguardo, sistemandosi per l’ennesima volta gli occhiali, quindi iniziò a leggere. Il paragrafo trattava vari tipi di creature ibride create da incroci alquanto bizzarri e al limite della moralità tramite particolari rituali oscuri nei quali pareva che il componente principale e ricorrente fosse il sangue dello stolto di turno che tentava di effettuare il rito. Inoltre, le bestie che ne venivano fuori erano descritte sia nell’aspetto fisico che nelle capacità.
Il moro scorse quasi tutto il testo, in cerca di una cosa in particolare, che trovò nell’ultima sezione del capitolo, in fondo alla pagina e che, attualmente, era il suo unico indizio: il fatto che la vittima venisse letteralmente polverizzata. Avido di sapere, ma anche un po’ spaventato, iniziò a leggere.
“Ma dei molti ibridi nocivi agli shinigami, uno solo ne induce la morte istantanea per carbonizzazione, la...”.
Passando alla pagina successiva, notò che questa esordiva con una nuova frase, totalmente sconnessa dalla precedente, il che gli suggerì immancabilmente che...
«La pagina è stata strappata» sussurrò, come se ciò l’aiutasse ad assimilare la cosa, passando una mano sull’attaccatura delle pagine, accarezzando l’orlo irregolare del foglio che era stato brutalmente asportato.
Rimase in trance qualche attimo, prima di alzarsi e chiudere con un tonfo il libro, andando a riporlo al suo posto. A quel punto, fece dietrofront e riattraversò la biblioteca, sistemandosi di quando in quando le lenti sul naso, riflettendo: com’era possibile che qualcuno fosse riuscito a strappare una pagina di quel tomo? E perché proprio quella? A loro, Hunters comuni, non era neppure concesso di toccarlo, perciò come aveva potuto uno shinigami o addirittura un estraneo toglierne una pagina?
Che lui ricordasse, la sorveglianza era sempre stata rigidissima in quell’edificio, soprattutto in quella particolare ala della struttura.
«A proposito di guardie...».
Si fermò e si appostò dietro una scaffalatura, sbirciando oltre: un guardiano era fermo a pochi metri da lui. Per fortuna si era bloccato in tempo, altrimenti sarebbe stato visto.
Attese che gli desse le spalle, quindi soffiò più piano che poté sul lume - spegnendone la candela all’interno - e scivolò verso la scaffalatura successiva.
Proseguì adagio, non solo per timore d’essere scoperto dalla sorveglianza, ma anche - e soprattutto - perché al buio vedeva decisamente peggio.
«Devo riuscire a capire dove possa essere la pagina mancante. Non può essere scomparsa nel nulla: qualcuno deve averla presa e nascosta... ma chi? E, soprattutto, dove?» rifletté, sgusciando via alle spalle dell’ultimo guardiano, allontanandosi nascosto nell’ombra, per poi uscire e spostarsi in direzione dell’ala adibita ai dormitori: aveva bisogno di ponderare il da farsi con calma, nonostante fosse totalmente consapevole che non c’era così tanto tempo.
All’improvviso, nel costeggiare il muro che portava all’entrata della struttura, lo shinigami si sentì letteralmente trafiggere da qualcosa di inquietante e lugubre. Era uno sguardo, quello che gli stava facendo prudere la schiena e tendere i nervi, ma non uno qualunque: era intenso e penetrante. Mai sentita prima di allora una simile energia sinistra.
D’istinto portò lo sguardo verso l’alto: l’unica cosa che gli si parò dinanzi fu una pallida mano che chiudeva una finestra per poi ritirarsi nell’oscurità della stanza.
Inquietante a dir poco, ma poi...
William sgranò appena gli occhi quando vide una piuma bianca volteggiare aggraziata nell’aria, a pochi centimetri dal suo viso. Era immacolata, nonostante il suo candore fosse “rovinato” dalla luce vermiglia che la luna vi riverberava.
Meccanicamente allungò un braccio, la mano rivolta verso l’alto, nella quale accolse la piuma come fosse un oggetto di fragilissimo vetro.
«La piuma... di un angelo...» mormorò tra sé e sé, avvicinandola al viso.
D’angelo...
Un ricordo, subitaneo e fugace, gli balenò alla mente: “Gli angeli sono i custodi dei segreti reconditi della magia e della stregoneria, gli unici in grado di apparire e scomparire a loro piacere ovunque siano”.
Una morsa gli strinse il petto mentre nella sua mente prendeva forma il più banale dei collegamenti: «Potendo apparire e scomparire in ogni luogo, forse è stato uno di loro a prendere la pagina».
L’euforia della scoperta non ebbe neppure il tempo di manifestarsi che già lui la soffocò, reprimendola e occultandola in un antro remoto della sua coscienza: non c’era niente di cui gioire, al momento, perché non aveva ancora idea di cosa ci fosse dietro il nuovo, incredibile potere di Michaelis, né sapeva quale angelo si fosse introdotto nella biblioteca - o se fosse stato veramente uno di loro a prendere la pagina.
Rispetto agli shinigami, gli angeli vivevano in una dimensione che era quasi inaccessibile per loro: era densa di pericoli ed insidie studiate per combattere le intrusioni di altre razze, tra cui figurava - ovviamente - anche quella dei Demon Hunters.
Tuttavia, Spears aveva un’idea di dove fosse l’accesso, e già era qualcosa. Il secondo passo sarebbe stato verificare se un angelo fosse in possesso di ciò che gli occorreva.
Alzò gli occhi verso la finestra che si era chiusa solo pochi attimi prima, domandandosi quale fosse il detentore della stanza e se fosse stato proprio quest’ultimo a gettargli quella piuma.
Si sistemò gli occhiali sul naso e abbassò lo sguardo, ignorando deliberatamente il dubbio per concentrarsi sulla logica conclusione cui il suo cervello l’aveva condotto: se fosse andato “a caccia” da solo, non ce l’avrebbe mai fatta.
Per questo aveva bisogno - e gli bruciava orribilmente anche solo concepirlo - di qualcuno che lo accompagnasse, e la prima persona che gli venne in mente - oltre che l’unica altra a conoscenza della situazione - non era esattamente quella con cui avrebbe desiderato passare del tempo in solitudine per un elenco pressoché infinito di ragioni tutt’altro che pulite.
«Però è l’unica scelta che mi rimane...».
Riassestò per l’ennesima volta gli occhiali sul naso e si diresse spedito verso l’ingresso dell’ala: se doveva proprio farlo, tanto valeva farlo subito.
Varcata la soglia, proseguì all’interno, diretto verso una ben precisa meta, alla quale giunse, in vero, in brevissimo tempo.
Inspirò profondamente e, senza nemmeno bussare, afferrò il pomello e lo spinse con forza, aprendo l’uscio con veemenza tale da sbatterlo contro la parete, facendo sobbalzare l’unico occupante - nonché proprietario - della stanza.
«Gyaaaah! Will?!».
Lo strillo acuto e molto femminile sfuggì dalle labbra di Grell d’istinto non appena ebbe messo a fuoco il profilo della persona che si era appena materializzata sulla soglia. Per lo spavento, si era rannicchiato sul copriletto, un’espressione sconcertata dipinta in viso, stretti al petto i pietosi resti di quella che una volta doveva essere stata una bella bambola di pezza, ma che nel tempo era stata brutalmente mutilata.
«Sutcliff» lo chiamò semplicemente William, avanzando inesorabilmente per fermarsi poi ai piedi del letto.
«Che sei venuto a fare in camera mia?!» sbottò l’altro, con un’indignazione in cui Spears carpì distintamente un’insopportabile somiglianza con il tono delle attrici il cui spazio privato era stato violato da un fan senza il loro consenso. Sembrava che si fosse ripreso egregiamente ed in tempo record dallo shock dell’intrusione.
Passò quasi un minuto prima che il moro riuscisse a trovare il coraggio e la forza spirituale necessari a porre la sua richiesta, peraltro sgradita nel modo più assoluto a lui medesimo.
Si riassettò gli occhiali sul naso e disse: «Sutcliff, ho bisogno del tuo aiuto».
La domanda lasciò momentaneamente basito Grell, che lo fissò per un lungo momento senza riuscire a dire niente, poi la sua espressione spiazzata si trasformò in una più maliziosa.
«Will non è una scusa per poter stare con me solo soletto?».
Il tono volutamente insinuante toccò Spears, ma il suo ferreo autocontrollo gl’impedì di rispondergli per le rime. Al contrario, replicò pacato: «Devi aiutarmi per il caso concernente Michaelis. I superiori vogliono che intervenga, ma...» esitò un istante «... ma da solo non posso farcela al momento».
Grell si rabbuiò all’improvviso, incrociando le braccia sul petto con fare indignato.
La più prevedibile delle reazioni.
«Non intendo aiutarti con quella cosa, chiaro?» replicò lo shinigami, voltando il capo altrove con fare infantile e capriccioso.
Spears rimase semplicemente fermo, l’espressione indifferente di poco prima ancora stampata in viso, mentre uno strano scintillio pericoloso gli appariva sulle lenti: aveva già preso in ampia considerazione un rifiuto da parte sua e, considerando vari percorsi da seguire per ovviare al problema, aveva scelto quello che - a parer suo - sarebbe stato a dir poco infallibile.
«Vorresti riavere la tua arma ed il tuo grado?» chiese in tono casuale e glacialmente indifferente il moro, sistemandosi ancora una volta le lenti sul naso.
Grell si volse di scatto, meravigliato e allettato al tempo stesso da quella implicita proposta: poter finalmente impugnare di nuovo la sua tanto amata motosega e poter nuovamente fare a pezzi tutto, ma soprattutto poter vedere ancora il bellissimo colore del sangue delle sue vittime mentre schizza violentemente ovunque, tingendo ogni cosa di quel rosso passionale che a lui piaceva tanto...!
Sì, la prospettiva era maledettamente affascinante, e ciò non era completamente un bene, in quanto, per poter riavere l’arma, avrebbe dovuto collaborare con Will ai danni del suo amato Sebastian.
Rifletté qualche minuto sui pro e i contro della cosa, poi la sua espressione assunse connotazioni vagamente furbesche e maliziose.
«Questo è un colpo davvero basso, Will. Non credevo che avresti mai fatto ricorso a certi trucchetti per i tuoi fini» ammise, subdolo.
Il moro si sistemò semplicemente gli occhiali, ancora una volta.
«Rispondi alla mia domanda» disse, lasciando trasparire una certa impazienza che divertì il suo interlocutore: a quanto sembrava era di fretta.
Sospirò.
«Sei sempre così serio...» esclamò, in tono esasperato, alzandosi con un mezzo balzo, abbandonando il grottesco cadavere del suo pupazzo.
«Sto aspettando. Rivuoi la tua falce?» replicò Spears, inflessibile.
«E c’è bisogno di chiederlo?!».
Le labbra di Grell si ritrassero, lasciando bene in mostra i suoi affilati denti da squalo, in un sorriso tale da far accapponare la pelle, unito allo sguardo, acceso da una sinistra e sadica follia.
«Certo che la rivoglio» concluse.
«Allora dovrai aiutarmi»
«Anche se sono contrario a qualsiasi azione contro il mio Sebastian... ti aiuterò, Will. Però voglio una garanzia circa quella proposta».
William non si scompose minimamente, come suo solito: con anomalo flemma, affondò una mano in tasca e ne estrasse una sferetta grande quanto un pugno chiuso, sfavillante d’un intenso rosso porpora decisamente accattivante ed etereo. Dal globo cadeva costantemente un sottile e rado pulviscolo splendente, che svaniva nell’aria, senza arrivare a toccare il suolo.
Lanciò la pallina all’altro shinigami, che allungò prontamente una mano ad afferrarla. Appena le sue dita ne sfiorarono la superficie, questa iniziò ad irradiare un fascio luminoso piuttosto intenso, rompendosi infine con un rumore come di cristallo infranto. In sua vece, fece la sua apparizione una grossa motosega dall’aria tutt’altro che rassicurante, con la  lama scintillante e la parte contenente il motore di un bel rosso passionale.
«Mi sei mancata così tanto, tesoro ♥!» esclamò Grell, stringendo l’arma con fare nostalgico ed affettuoso, come se fosse una figlia che non vedeva da anni.
«Bene, ora andiamo» esclamò William, perentorio, con un tono la cui primaria intenzione era quella di zittire le smielate moine del subordinato nei confronti della sua falce appena riconquistata.
«Dove?» chiese quest’ultimo, perplesso.
«A caccia d’angeli».





Angolino autrice
Non sono dispiaciuta del ritardo mostruoso con cui posto, no... sono schifata. Perché la scuola mi sta trucidando lentamente, pezzo dopo pezzo, e questo mese mi sono fissata un tot di shot da scrivere - causa Halloween, prendetevela con lui ç^ç - e sono immersa fino al collo tra quello, i compiti e lo studio... ç__ç ed è un casino con le longfic.
Mi dispiaceeee T^T
Passando al capitolo... io penso di allontanarmi sempre di più con Will ç.ç arriverò a toccare lidi lontani con il suo carattere? -.-'' Chissà, spero di no.
Comunque, ringrazio Tensi, Sachi Mitsuki, liuba e Chiby Rie_chan (quanta gente, cielo *O* non credevo che mi sarei guadagnata tanti lettori) per le recensioni allo scorso capitolo e coloro che hanno aggiunto la fic alle preferite/ricordate/seguite.
Al prossimo chappy! (sperando di postarlo in tempi accettabili -.-'')
F.D.

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Capitolo 4
*** Il Palazzo degli Angeli ***


4_Il Palazzo degli Angeli
Demon Hunters
4. Il Palazzo degli Angeli

Grell lo fissò per alcuni istanti, palesemente sconcertato.
«Angeli...?» domandò, senza azzardarsi a muovere un solo, minuscolo passo in direzione della porta, verso la quale William già si era avviato a passo sicuro e rapido, come chi ha una gran fretta di andare a sbrigare una faccenda importante.
Il moro volse il capo verso di lui, sistemandosi gli occhiali con la punta della sua arma - perennemente impugnata e quasi mai utilizzata al fine di uccidere - quindi replicò un semplice e veloce: «Ti spiegherò strada facendo».
A quel punto uscì dalla stanza e Grell non poté far altro che seguirlo: con il riacquisto della sua arma, aveva il dovere di aiutarlo, purtroppo. Se non l’avesse fatto, come minimo gli avrebbero sequestrato nuovamente la falce e l’avrebbero rimpiazzata con qualcosa di ancor più insulso di un paio di forbicine: conosceva bene, ahimè, l’indole alquanto vendicativa che riusciva a manifestare il suo superiore in certi casi.
Le forbici sarebbero divenute solo un pallido miraggio di salvezza.
Mentre percorrevano il corridoio, non poté fare a meno di soffermare la propria attenzione su ciò che, a detta di William, sarebbe stato il loro compito: andare a cercare degli angeli.
«Se già si inizia con l’andare ad infastidire gli angeli, allora immagino che la cosa non si concluderà né molto facilmente né troppo in fretta» commentò tra sé, con una punta d’amarezza.
Diversi metri lo separavano da Spears, che non si preoccupava minimamente di tenere il suo passo.
«Ehi, Will! Wiiill!!!» lo richiamò difatti l’altro dopo un po’, accelerando all’improvviso.
«Sì, Sutcliff?» domandò il moro, sistemandosi nuovamente gli occhiali, non accennando minimamente a fermarsi né rallentare.
«Come troviamo gli angeli?» chiese Grell, incuriosito: era risaputo che gli angeli vivessero in una specie di isolamento volontario dal quale fuggivano solo in rarissime occasioni. Trovarne uno a spasso era un’impresa che aveva dell’impossibile.
William non rispose: si limitò a continuare a camminare, senza mai voltarsi e senza fiatare. L’unico rumore che produceva era quello della punta della sua falce che toccava la montatura degli occhiali per rimetterli al loro posto.
Uscirono in breve dall’edificio, attorniati da un silenzio che al rosso dava non poco fastidio.
Spears lo condusse sulla strada che portava al ponte di marmo.
«Vuoi degnarti di rispondermi, Will?!» si lamentò Grell ad un tratto, indignato dall’ostinato silenzio del suo principale.
«I superiori mi hanno ordinato di scoprire cosa sia il potere che ha permesso a Michaelis di uccidere quello shinigami» esordì il moro.
«E cosa c’entra questo con gli angeli? Non credo proprio che un angelo sarebbe disposto a dare una mano ad un demone che sta per tirare le cuoia» esclamò l’altro, sarcastico, sebbene, a suo personalissimo avviso, lui si sarebbe ben prestato ad un’azione simile, se si trattava di Sebastian - o di un demone comunque interessante.
E magari ne avrebbe anche approfittato per “approfondire” la loro conoscenza...
«Ci sto arrivando» sentenziò William in tono severo, con il chiaro intento di ammonirlo e zittirlo.
«Sono andato a consultare uno dei libri del Reparto Proibito e...»
«Hai scuriosato nel Reparto Proibito?!» sbottò Grell a gran voce, sconcertato alla sola idea di William T. Spears che ficcanasava dove, di norma, non avrebbe dovuto. Per tutta risposta ricevette una sonora legnata in testa dall’interessato.
«Ahio! Ma che ho fatto?» si lamentò, massaggiandosi il punto colpito.
«Preferisco che tu non lo urli in giro, chiaro?» replicò eloquentemente William, allontanando l’asta della sua falce dall’altro shinigami, portandola - come al solito - a sistemare gli occhiali sul naso.
«Dovere, Sutcliff: certe informazioni su certi argomenti, in questo caso indispensabili ai fini della risoluzione della vicenda, non si trovano da nessun’altra parte» rispose poi, in tono pragmatico.
L’altro Demon Hunter sghignazzò: «Anche tu sei capace di fare di testa tua e violare le regole, allora...!».
«Sarò degradato se non riesco a fermare quel demone, o qualsiasi cosa lo stia aiutando» spiegò Spears, come se ciò fosse il chiarimento più conciso e lampante per motivare le sue azioni.
«Ecco, ora riconosco il Will di sempre!» commentò ironicamente lo shinigami rosso.
Spears assettò ancora una volta gli occhiali sul naso, con un gesto un poco più impaziente del solito, segno che anche la sua pazienza, incredibilmente, aveva un suo limite.
«Comunque» esclamò, palesemente intenzionato a riprendere il filo del discorso «Nel Reparto Proibito ho trovato qualcosa che teoricamente può esserci utile» proseguì.
«Cioè?»
«Esiste una creatura ibrida che uccide gli shinigami polverizzandoli» spiegò «Tuttavia, dal libro in cui ho trovato l’informazione è stato strappato il corpo del testo, per cui non so cosa sia, né che forma o che poteri abbia. So solo che esiste».
Grell lo fissò per alcuni istanti, mentre il suo cervello collegava l’informazione appena ricevuta con la loro missione.
Infine, concluse: «E siccome il Reparto Proibito è sorvegliatissimo ventiquattrore su ventiquattro, sospetti sia stato un angelo per le capacità di teletrasporto».
«Mi sorprende che tu sia riuscito ad arrivare a tale conclusione con le tue sole forze» lo sbeffeggiò pacatamente l’altro, sistemandosi nuovamente gli occhiali.
Si fermò all’improvviso, e poco mancò che il suo subalterno gli andasse a sbattere contro.
«Ehi, Will! Perché ti sei fermato?!» sbottò, irritato.
«Hanno rinforzato la guardia. Non possiamo passare inosservati» ricevette come risposta.
A quel punto, Grell sbirciò oltre le spalle del moro: dinanzi a loro c’era un grande piazzale ricoperto d’erba, al centro del quale era situato un arco circondato da volute d’energia rosa spiraliforme che s’innalzavano fino in cielo come una colonna.
Attorno ad essa, vari shinigami armati erano intenti a girare, con espressioni tutt’altro che amichevoli stampate in faccia.
I due si apprestarono ad acquattarsi dietro la parete dell’edificio vicino.
«Che caspita sarebbe quell’arco?» sibilò Sutcliff, meravigliato, sporgendosi appena.
«È la risposta alla tua prima domanda: il passaggio per andare nella dimensione degli angeli» replicò Spears, senza scomporsi minimamente.
L’espressione dell’altro rimase ugualmente scioccata: avevano sempre avuto un “ponte di collegamento” con gli angeli a pochi passi dalla biblioteca eppure nessuno ne aveva mai approfittato?
Oltretutto, in giro avevano sparso la voce che il luogo dove gli Immortali vivevano era inaccessibile tranne che a pochissime eccezioni.
«E invece la porta è proprio qui dietro e nessuno l’ha mai trovata...».
Ricordava perfettamente d’essersi spinto in quella direzione un paio di volte, arrivando poco distante da dove adesso si trovavano, eppure non aveva mai visto quell’arco. Una cosa del genere non è così semplice da dimenticare.
«E perché in tutti questi anni nessun curioso l’ha mai trovata?» domandò.
«Durante il giorno viene attivata una speciale barriera che isola il passaggio e impedisce ai ficcanaso di trovarlo, anche se ci andassero a sbattere contro. Di notte, invece, la barriera viene mantenuta solo per mascherare un ristretto raggio attorno al passaggio»
«E perché noi possiamo vederlo?».
William si sistemò gli occhiali sul naso, quindi guardò l’orologio.
«Perché siamo arrivati giusto nel brevissimo lasso di tempo in cui la barriera viene modificata per domani: per cinque minuti viene completamente rimossa e ciò permette di vederla» spiegò Spears, quindi aggiunse: «Dobbiamo affrettarci ad oltrepassarlo prima che venga protetto di nuovo».
«Come? Ci sono troppe guardie!» sibilò Grell, indignato: odiava i contrattempi.
Fosse stato per lui li avrebbe tolti tutti di mezzo con la sua falce, una prospettiva che non disdegnava affatto: gli mancava terribilmente il tremore trasmessogli dall’arma in funzione, così come le meravigliose espressioni delle sue sfortunate vittime nell’estremo atto della loro vita.
Tuttavia, non poteva farlo: sarebbero accorsi altri shinigami e la cosa si sarebbe protratta troppo a lungo.
Per cui era un’idea da scartare, per quanto ciò gli bruciasse.
«Dobbiamo trovare un diversivo...» disse semplicemente William, guardandosi intorno con attenzione, alla ricerca di qualcosa che potesse fare al caso loro.
Sul prato non c’erano sassolini da poter utilizzare per distrarli né altro. L’unico ornamento era un folto cespuglio che cresceva sul lato opposto del giardino.
Nel notarlo, nella mente di Spears si delineò subitaneamente un piano che, se portato a compimento con una certa rapidità d’azione, avrebbe loro permesso di attraversare l’arco prima che la barriera si richiudesse.
«... Wiiiiill?? Mi stai ascoltandooo?!» esclamò Grell con voce lamentosa, le braccia strette davanti al petto e i pugni chiusi, pestando un piede a terra.
«Sta’ zitto Sutcliff. Ci scopriranno» fu la secca risposta che ricevette.
«Uffaaa, mi spieghi come facciamo?!» continuò a lamentarsi lo shinigami rosso, anche se con voce più bassa.
Notando che il suo superiore non lo stava più degnando nemmeno d’un briciolo della sua attenzione e che sembrava concentrato nel deporre la propria arma a terra, si chinò vicino a lui ad osservarlo con ingenua perplessità.
«Che cosa stai facendo?» gli domandò infatti, dopo pochi secondi.
«Cerco di aprirci una strada» lo rimbeccò con un tono da “sparisci e lasciami lavorare”.
Grell si rialzò, incrociando le braccia sul petto, indispettito, senza però perdere di vista William e ciò che stava combinando: stava facendo allungare l’asta della sua arma, la cui tenaglia, aperta, si stava dirigendo verso il cespuglio.
Per loro fortuna, nessuno se ne accorse, se non quando Spears fece oscillare con una certa forza l’impugnatura dell’asta, la cui vibrazione si ripercosse anche sul cespuglio.
«Pronto, Sutcliff» sussurrò il moro, nello stesso attimo in cui, a seguito del frusciare delle foglie, praticamente tutti i guardiani si voltavano e si avvicinavano alla fonte del rumore.
Quando furono abbastanza distanti dalle loro postazioni, i due shinigami scivolarono fuori del loro nascondiglio.
Rapidi e furtivi, attraversarono il prato senza essere visti, poi si gettarono dentro l’arco, nello stesso momento in cui il gruppo di guardie si voltava nuovamente per tornare ai propri posti, senza notare alcuna anomalia.

Grell atterrò violentemente su di un pavimento bianchissimo e durissimo, bocconi.
«Alzati, Sutcliff: non abbiamo il tempo per riposare» lo rimproverò duramente William, sistemandosi gli occhiali.
Lui era atterrato in piedi, perfettamente, senza essersi scomposto nemmeno un capello.
Lo shinigami rosso si rialzò malamente, quindi si poggiò la motosega sulla spalla, assumendo una involontaria posa da fotomodella.
«Awwwnnn, così questa sarebbe la dimensione degli angeli?»
«Esattamente»
«Accidenti, mica se la passano così male!» esclamò, osservando meravigliato l’immenso castello che si ergeva dinanzi a loro.
«Quello è il Palazzo degli Angeli. Probabilmente, la pagina si trova lì dentro».





Angolino autrice
Oddio, gente chiedo scusaaa >/////< è più di un mese che non aggiorno ç___ç spero almeno che il capitolo piaccia, per ripagarvi della lunghissima attesa.
Ringrazio Tensi, Chiby Rie_chan, Sachi Mitsuki e liuba (o////o mamma, quanta gente...) per le recensioni allo scorso capitolo e tutti coloro che hanno aggiunto la fic alle preferite/ricordate/seguite.
Spero che, con l'avvicinarsi delle feste, i professori allentino un po' la morsa e mi lascino del tempo per scrivere robe decenti ù-ù'''
Colgo anche l'occasione per farmi un po' di spam <3
Dal 1 dicembre sul mio LJ avvierò un "flashfic & one-shot on Demand" a tema natalizio. Se qualcuno fosse interessato, trova il link al meme nel mio profilo autrice a partire dal 1 dicembre fino alla scadenza delle richieste, ossia il 14 dello stesso mese.
Well, penso di aver tediato a sufficienza <3
Al prossimo chappy! ^^
F.D.

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Capitolo 5
*** Espedienti angelici ***


5_Espedienti angelici
Demon Hunters
5. Espedienti angelici


Grell era ancora sorpreso per l’imponenza della struttura che aveva innanzi: era veramente possibile che esistesse una simile costruzione?
Da quel che vedeva, la risposta era affermativa.
Il castello - perché altro termine non lo poteva descrivere in modo tanto esauriente - era altissimo e completamente fatto di pietra bianca. Il portone era anch’esso bianco, immenso, ed incastonato nel muro anteriore, alto e largo un centinaio di metri circa. Ai due lati si ergevano torri simmetriche che andavano restringendosi man mano che s’innalzavano, per poi assumere una particolarissima ed alquanto strana forma conica spiraliforme.
«È... immenso...!» esclamò, scioccato «Ci impiegheremo anni prima di trovare quella pagina!!!» si lamentò subito dopo, mettendo la mano libera sul fianco.
«E allora è bene iniziare subito... non ti pare?» asserì pacatamente William, sistemandosi gli occhiali, avviandosi quindi a grandi passi verso l’ingresso.
Grell esitò qualche attimo, indeciso se seguirlo o meno: la grandezza della struttura era tale che anche nella migliore delle ipotesi non avrebbero impiegato meno di cinque ore nel trovare l’oggetto della loro ricerca. Per questo era tentato fortemente di desistere, anche se il fatto che Will gli avesse realmente restituito la sua arma lo vincolava ad aiutarlo.
Era una brutta situazione, tuttavia non aveva scelta, perciò s’incamminò dietro al moro, la presa ben salda sul manico della motosega, uno strano scintillio bramoso negli occhi.
Era evidente che smaniava per iniziare a riutilizzare la sua amata falce.
Il rumore dei suoi tacchi sul marmo era l’unico che riempiva l’atmosfera attorno a loro, tesa come una corda di violino, pronta a spezzarsi alla prima sollecitazione eccessiva.
Spears si sistemò di nuovo la montatura sul naso, lo sguardo serio e apatico tipico di quando era sul lavoro. Ispezionò scrupolosamente i dintorni in cerca di eventuali ostacoli, senza incontrarne alcuno.
Lentamente il castello si avvicinava a loro, divenendo sempre più grande.

Un paio di dita picchiettavano sul piano di cristallo di un tavolo, in manifestazione palese di noia.
«Ti annoi?».
La voce di donna che formulò il quesito era tenue, molto dolce e pacata.
«Rimanere confinati qui dentro non è divertente» commentò il suo interlocutore, senza smettere di picchiettare le dita sul tavolo.
La donna gli sorrise, sedendosi sul bordo del tavolo innanzi a lui.
«Non c’è niente che ci possa dar fastidio. Non eri tu quello a cui piacevano le cose facili?».
Attimi di silenzio si frapposero tra la domanda e la risposta.
«Non così facili. È tutto troppo noioso» asserì.
La femmina si strinse nelle spalle e chiuse dolcemente le palpebre, poi le riaprì ed un leggiadro sorriso si dipinse sulle sue labbra.
«Abbiamo... degli ospiti inattesi» annunciò, con voce appena velata di dolce felicità.
«Ospiti...?» chiese l’altro «Che genere di ospiti?».
«Sembrerebbero essere... shinigami?» replicò l’altra, perplessa al pari del compagno, il quale sorrise furbescamente.
«Potremmo aver trovato... qualcosa con cui divertirci».

«E adesso che si fa, Will?» domandò Grell, poggiandosi la motosega in spalla con involontario atteggiamento da modella scocciata «La porta è chiusa e non credo si aprirà per noi!».
In effetti, il Demon Hunter non aveva tutti i torti: il portone era chiuso ermeticamente, senza nessun apparente meccanismo per essere aperto.
«Sto pensando, Sutcliff» gli rispose secco William, spingendosi sul naso gli occhiali.
«Forse c’è un modo che solo gli angeli conoscono per entrare, per cui... immagino che la faccenda per noi si concluda qui» disse l’altro, stringendosi nelle spalle, fingendosi sconsolato, quindi girò i tacchi e si allontanò.
«Fermati immediatamente, Sutcliff» lo redarguì Spears, voltandosi di pochissimo al suo indirizzo, riuscendo ad arrestarne la ritirata.
«Abbiamo fatto un pat...?!».
Fu interrotto da un rumore meccanico e l’immediato suono di qualcosa che veniva spalancato, tuttavia non si trattava del portone, bensì di...
«Una botola?!?!» gridò Grell, scettico, sentendosi mancare il terreno sotto i piedi.
Non riuscì a raggiungere il bordo e trarsi in salvo: era troppo lontano perché potesse allungarsi ed aggrapparcisi.
Precipitò con William, il quale mostrava sorpresa solo nello sguardo, sgranato e puntato verso il buio sotto di loro.
«Will ci schianteremo!!» si lagnò lo shinigami rosso, unendo gli avambracci davanti al petto e scuotendo la testa in un’orridamente verosimile imitazione di una donna presa dal panico.
William continuò a tacere.
«Wiiiiiiill!!!» lo chiamò un’altra volta Grell.
Senza alcun preavviso, il moro si spostò verso il muro, poggiandovi le gambe piegate per darsi spinta, quindi si lanciò verso il sottoposto, l’afferrò saldamente per i fianchi - azione che non riuscì assolutamente a passare inosservata all’attenzione dell’altro - e alzò la sua arma in modo che fosse trasversale alle pareti.
L’asta si allungò in ambedue le direzioni, cozzando violentemente contro le mura, sulle quali sfregò con un sonoro rumore di mattoni sgretolati - che riecheggiò contro le pareti - rallentando sempre di più la caduta finché, dopo un imprecisato numero di metri, questa si arrestò completamente.
Grell tirò un sonoro sospiro di sollievo, quindi guardò William, il quale era tutto preso dall’esaminare ciò che c’era sotto di loro.
Gli occhi gialli dello shinigami rosso rimasero a lungo fissi sul viso del moro, come catturati da un qualcosa che solo allora pareva aver notato, poi il suo sguardo si fece di colpo indignato.
«Se potevi allungare quel bastone, perché non lo hai fatto subito?!? Potevamo risalire!» sbottò.
«Siamo arrivati in fondo» disse invece l’altro, lasciandolo andare.
Grell atterrò pesantemente al suolo dopo nemmeno due metri, seguito da Spears, il quale arrivò a terra con un elegante e preciso salto, senza sbilanciarsi neppure un po’, l’asta - nuovamente delle sue dimensioni originali - saldamente stretta in mano.
«Ahiooo...! Potevi lasciarmi cadere con un po’ più di garbo!!» lo rimproverò Grell, rialzandosi, spolverandosi i pantaloni e risistemandosi il cappotto.
«C’è una porta lì» asserì semplicemente William, sistemandosi gli occhiali, superandolo come se non ci fosse.
L’altro shinigami provò l’improvviso impulso di fermarlo e dirgliene quattro, ma sapeva che provarci sarebbe solo stato uno spreco di tempo: quando mai Will si era interessato di problemi che non lo coinvolgessero in prima persona?
Mai. E di certo non avrebbe iniziato adesso.
Quest’ultimo si avvicinò alla soglia, studiandola con disinteresse: era una porta, in fin dei conti.
Aveva elaborati intarsi d’oro sul fronte, simmetrici su ciascun battente, ed era più grande delle porte normali, anche se non esageratamente.
«Dobbiamo forzarla?» domandò Grell, appuntandosi una mano sul fianco, pensando a possibili metodi “bruti” di aprirla.
Il suo preferito, fin da subito, fu senz’altro quello mediante l’utilizzo della sua amata arma da taglio.
Ignorandolo completamente, il suo superiore prese direttamente l’iniziativa: si accostò ancora di più all’uscio, quindi vi pose una mano e spinse.
L’anta si aprì con una lieve pressione da parte del moro, che si volse al subordinato sistemandosi le lenti sul naso e chiamandolo con un piatto: «Andiamo Sutcliff».
In vero, Grell ci rimase un po’ male: non tanto per la semplicità quasi oscena con cui William era riuscito a superare l’ostacolo, quanto piuttosto per la smania di ricominciare ad usare la motosega, repressa ogni volta che si presentava l’occasione di darle sfogo.
Varcò la soglia con una smorfia di malcontento ad increspargli le labbra, senza però proferire alcuna parola.
Assieme a Spears s’immise in un ampio corridoio illuminato da candele argentee con le fiammelle color del ghiaccio che riverberavano il loro tremulo bagliore azzurro su pareti di quella che pareva essere madreperla, d’un colore incredibilmente bello.
L’effetto ottenuto era quello di camminare in un luogo avvolto di luce pura e dal vago sentore etereo, una delle caratteristiche principali degli angeli: per quanto potessero commettere peccati ed atti allucinanti, il loro aspetto era sempre perfettamente immacolato e dava l’idea di qualcosa che mai avrebbe potuto sporcarsi - né fisicamente né moralmente.
Nel percorrere l’andito, Grell riprese a lambiccarsi su come riuscire a trovare la maledetta pagina che erano andati a cercare: già se fossero entrati per la porta principale non avrebbero avuto il minimo senso dell’orientamento, figurarsi nell’entrare da una porta situata chilometri e chilometri sottoterra.
Non c’era alcun modo sicuro per far sì che trovassero l’oggetto della loro ricerca. L’unico era, ahimè, andare per tentativi.
I minuti iniziarono a scivolar via, mentre camminavano lungo il corridoio, senza sapere quanto fosse lungo - a giudicare da quel che potevano vedere, doveva esserlo parecchio - né tantomeno dove portasse.
William, nella sua andatura a dir poco impeccabile, nel porre l’ennesimo passo avanti con meccanica rigidità affondò la mattonella nel pavimento.
Si fermò, ritraendo la gamba, guardandosi intorno.
«Will, che succede?».
Grell non aveva visto cos’aveva inavvertitamente combinato il superiore, però gli pareva strano che si fosse fermato così improvvisamente: non era proprio da lui.
E non era da lui nemmeno guardarsi intorno così furtivamente e con studiata attenzione, come se s’aspettasse che qualche imprevisto sbucasse fuori da qualche parte, magari dalle pareti.
«Wiiill?!» lo richiamò, una nota leggermente spazientita nella voce.
La risposta del moro fu prevenuta da un improvviso tremore, che fece barcollare lo shinigami rosso.
«Che altro succede?!» esclamò, allarmato: dopo la sorpresa della botola, non si fidava più tanto di quel posto.
La risposta gli arrivò fin troppo tempestivamente: nelle pareti si aprirono bruscamente migliaia di piccoli fori, dai quali iniziarono a partire dardi a velocità tale da riuscire a fracassare qualsiasi cosa.
«Corri!».
Lo shinigami rosso afferrò per un braccio l’altro e prese a correre, cercando di sfuggire alla miriade di frecce che attraversavano l’andito alle loro spalle, incombendo su di loro.
«Will che hai combinato?!» chiese Grell, voltandosi a lanciare un’occhiata al moro, che si stava sistemando gli occhiali con la punta della sua arma.
Lo sguardo, contrariamente a quello del subalterno, era il ritratto della serietà e della compostezza professionale.
«Ho attivato per sbaglio il meccanismo della trappola» asserì, senza cambiare espressione - né dare alla voce un qualsivoglia tono che fosse più “vivo”.
«Poi vieni a dire a me che devo stare attento a cosa faccio!» lo rimbeccò Grell, un mezzo sorriso di scherno e rimprovero ad increspargli le labbra.
«Non perderti in chiacchiere, Sutcliff: pensa a correre» lo riprese William.
Quella frase fu una sorta di doccia fredda per il Demon Hunter: per una volta che trovava una pecca in tutto l’operato del superiore, questo continuava ad ostentare deliberatamente un’irritante e fredda pacatezza.
Non c’era gusto a prenderlo per i fondelli se non reagiva, ma anzi, ignorava completamente la provocazione.
Abbandonò ogni tentativo di infastidirlo: al momento, la sua più grande preoccupazione era quella di portare in salvo la pelle.
Assieme percorsero correndo tutto il pezzo rimanente di corridoio - che, come aveva ipotizzato all’inizio lo shinigami rosso, era parecchio lungo. Arrivati in fondo, svoltarono l’angolo e subito udirono diversi scatti meccanici.
Grell, col fiato corto, sbirciò oltre la parete.
«Il meccanismo... si è... blocca... to» ansimò, cercando di respirare profondamente e lentamente, per riprender fiato.
Era estremamente sollevato dell’arresto della trappola: non avrebbe resistito ancora a lungo ad una corsa del genere.
«Andiamo avanti» asserì William, perfettamente composto, avviandosi, sistemandosi gli occhiali sul naso con la sua arma.
«È colpa tua se ci troviamo in questa situazione!» esclamò l’altro, indignato, guardandolo allontanarsi lungo l’andito.
«Muoviti Sutcliff» ribatté Spears pacato, senza accennare a fermarsi.
Grell dovette correre per raggiungerlo.
Camminarono per un’altra decina di metri seguiti da un costante silenzio tombale.
I nervi di ambedue erano tesi, pronti a cogliere qualsiasi avvisaglia di pericolo, anche il più piccolo, nonostante l’espressione che il moro portava in viso non lasciasse trasparire niente. L’altro, al contrario, palesava bene la paura ed il nervosismo che l’animavano, anche se con un atteggiamento ed un’espressione che non erano poi molto virili.
Ma in fondo, quando mai Grell Sutcliff si era mai dimostrato veramente virile innanzi ad una qualsiasi situazione?
Finalmente, dopo un tempo indefinito, in fondo al corridoio apparve una luce, segno inequivocabile che erano arrivati da qualche parte.
«L’uscita!» esclamò Grell al settimo cielo, iniziando a correre, senza più badare a dove camminava.
Fu proprio per l’eccessivo entusiasmo che calpestò inavvertitamente un altro pulsante nel pavimento, inciampando nel bordo rialzato delle mattonelle che lo circondavano, rovinando scompostamente a terra.
Tutto cominciò a tremare.
«C-che succede adesso?» domandò, mettendosi carponi e massaggiandosi il capo, guardandosi allarmato attorno.
William si sistemò gli occhiali sul naso con calma infinita.
Alle sue spalle precipitò dal soffitto un gigantesco masso, che prese a rotolare verso di loro.
Grell lanciò un gridolino di sorpresa e terrore, rialzandosi in piedi.
«Wiiill!» chiamò, indietreggiando di qualche passo, iniziando poi a correre.
William si volse per metà all’indietro, mentre l’altro correva e metteva quanta più distanza possibile tra se stesso e il masso.
Spears si accorse in ritardo del pericolo, quando ormai il suo subalterno era a metri di distanza ed iniziò a correre anche lui, ma in modo estremamente composto, come se dietro di sé non ci fosse assolutamente niente di che.
Attraversarono il resto dell’andito di corsa, cercando di sfuggire al masso che, implacabile, si apprestava a raggiungerli.
Arrivati in fondo, Grell si lanciò letteralmente attraverso l’uscita, seguito a poca distanza dal moro, che si fermò poco oltre la soglia.
Quest’ultimo si sistemò gli occhiali sul naso, voltandosi ad osservare l’entrata, ora bloccata in modo definitivo.
«Dobbiamo procedere» asserì, pacato.
Sentì all’improvviso qualcosa di viscido strisciargli su un piede, per poi iniziare ad avvolgerglisi attorno alla caviglia.
Abbassò immediatamente gli occhi, incrociando un tentacolo verde che pareva appartenere ad una pianta. Insospettito dalla cosa, si volse con un’apatica meccanicità a dir poco anormale, trovandosi ad osservare un immenso groviglio verde con fattezze mostruose: il pavimento era oscurato da un tappeto di radici simili a serpi e al centro si ergeva il corpo centrale, un fusto gigantesco ed oscillante sormontato da una corolla di immensi petali rosa a due strati. Il primo stava disteso, rigido attorno alla base, simile ad una corona di spine; l’altro era chiuso a mo’ di bocciolo e formava una sorta di bocca da cui uscivano sibili grotteschi ed inquietanti.
Le radici ed il corpo erano cosparsi per ogni dove di una sostanza vischiosa e violacea prodotta dal fiore.
Tra i “rami” della pianta William scorse Grell, sollevato a quasi un metro da terra, avvinghiato saldamente ed in fase di progressivo stritolamento.
«Sutcliff, non abbiamo tempo da perdere» esclamò Spears, sistemandosi ancora una volta gli occhiali sul naso.
«Mmmmpfh...!» cercò di rispondere l’altro, costretto al silenzio da un ramo stretto attorno alla bocca - e a mezzo viso - cercando di divincolarsi.
William inclinò le sopracciglia, assumendo un’inusuale espressione scocciata.
Alzò la sua arma, poggiandone un’estremità sul pavimento. L’altra la indirizzò contro la pianta.
La tenaglia alzata scattò in avanti repentinamente, aprendosi, per poi chiudersi con un rumore vischioso attorno alla radice che bloccava Grell.
La pianta emise un acuto e stridulo verso di dolore, talmente alto da poter perforare i timpani dei due shinigami, poi cominciò ad agitare le sue lunghe propaggini, menando frustate al niente con una rabbia ed una potenza assurde.
Grell fu sbatacchiato a destra e a manca come fosse una semplice bambola, senza possibilità d’appello.
Will occhieggiò la motosega del subalterno, abbandonata poco distante dalla distesa d’erba semovente.
«Se proprio non c’è altro che possa usare...» commentò tra sé il moro, amareggiato.
Con uno scatto repentino si lanciò verso l’arma, sollevandola con non poca fatica da terra: per la sua esile corporatura - e i suoi muscoli poco allenati - sollevare quell’arnese si rivelava essere un’impresa leggermente difficoltosa.
Una volta impugnata più o meno saldamente l’arma, l’alzò sopra la spalla destra, avviando con l’altra mano - e con qualche difficoltà - il motore.
La motosega si accese con un cupo ma chiassoso rombo dai connotati vagamente pericolosi.
Così armato, s’accostò alla pianta e prese a farsi lentamente strada attraverso il pavimento di radici, trinciando senza esitazione tutto quel che trovava innanzi a sé, aiutandosi anche con la propria arma.
Quando arrivò a pochi metri dal suo obiettivo, lasciò cadere momentaneamente a terra la sua asta munita di tenaglie e afferrò con ambedue le mani l’impugnatura della motosega.
Facendo leva sulla schiena, si piegò leggermente all’indietro e lanciò la falce motorizzata con quanta più forza poté, indirizzandola verso il ramo che immobilizzava Grell - col rischio che, se avesse sbagliato bersaglio, lo shinigami rosso sarebbe incorso in morte certa.
Fortunatamente William riuscì a centrare il bersaglio: la lama rotante della motosega affondò nella radice, trinciandola di netto.
Grell cadde sul letto di radici mentre il moncone di pianta iniziava ad agitarsi e dal fiore usciva un nuovo stridulo verso.
Lo shinigami rosso si liberò dal ramo ormai inerte, rimettendosi in piedi e correndo a prendere la sua motosega.
Quando la impugnò emise un gridolino di gioia ed eccitazione insieme. A quel punto, “rincuorato” dalla riacquisizione della sua diletta arma, si apprestò a tornare verso William.
«Sutcliff distruggi questa pianta» gli ordinò glacialmente quest’ultimo, sistemandosi gli occhiali.
«Yuppiee ~!» esclamò l’altro.
Con un entusiasmo senza pari s’avventò contro la pianta, agitando la motosega in aria, falciando tutto ciò che trovava davanti a sé con la malsana eccitazione di un sadico e perverso assassino completamente fuori di testa.
In un certo senso faceva paura.
Infine, dopo essersi fatto largo fino al fulcro della pianta con un’inquietante facilità, ne recise brutalmente il fusto, che cadde con un tonfo sordo al suolo, fra le radici che rapidamente iniziavano a marcire e sbriciolarsi.
Con un sorrisetto soddisfatto sulle labbra, lo shinigami rosso si portò l’arma sulla spalla, appuntandosi una mano sul fianco e voltandosi per metà verso il suo superiore.
«Fatto!» esclamò, soddisfatto del proprio operato.
Il moro lo raggiunse e si fermò accanto a lui senza dire niente.
«Andiamo» asserì dopo un momento, precedendolo attraverso la sala, diretto verso la porta che s’intravedeva all’altro capo della stanza.
«Will, aspettamiii!» lo richiamò l’altro, correndogli appresso.
Appena ebbero varcato la soglia si ritrovarono in un nuovo andito, più stretto e basso del precedente, che iniziarono a percorrere a passo rapido, quasi di corsa.
Stavolta però non erano seguiti da un silenzio surreale, rotto solo dal rumore dei loro stessi passi, bensì da un leggero ticchettio, simile a quello prodotto dalle gocce d’acqua che s’infrangono al suolo.
Era strano, curioso più che altro: che cos’era ad emettere quel gocciolio?
Grell era incuriosito da esso, ma anche intimorito: che potesse essere il preludio a qualche nuovo incontro con piante sbavanti con tendenze omicide...? Sperava davvero che non fosse così: era stufo di tutte quelle trappole disseminate ovunque.
Il ticchettio continuava, senza tregua, con un’ossessiva ripetitività che sconfinava nello sfibrante.
Lungo il corridoio non incontrarono niente per quasi venti minuti, durante i quali il rumore di sottofondo parve farsi gradualmente più intenso.
Poi, dopo un po’, Grell sentì qualcosa di viscido e scivoloso colargli su una spalla.
«Bleaaah... che roba è?» esclamò, schifato.
William, che camminava qualche passo avanti a lui, si voltò a guardarlo: sulla sua spalla sinistra c’era una macchia di un liquido grigiastro che prima, ne era più che certo, non c’era.
«Cos’hai fatto, Sutcliff? Cos’è quella roba?» chiese in tono rigido.
«Non ne ho idea!» si difese prontamente l’altro, un velo d’indignazione nella voce «Fino a un momento fa non c’era!».
Il ticchettio, adesso, si era fatto più lento e forte, come se provenisse...
William portò il proprio sguardo sul soffitto, incrociando il profilo di una cosa indefinita e indefinibile della quale riuscì solo a identificare gli occhi, due grandi sfere gialle i cui brillavano iridi vermiglie con un che di profondamente animalesco e aggressivo che non prometteva niente di buono.
Quando anche Grell portò gli occhi sulla cosa, dalle labbra gli sfuggì un acuto, stridulo gridolino femminile, al che la creatura si mosse.
Saltò giù dalla sua postazione, atterrando sul pavimento con un rumore di ossa scricchiolanti.
Visto da vicino era a dir poco orrendo: la pelle era grinzosa, di un color carbone abbastanza singolare, che la faceva sembrare carne bruciata. La testa era completamente glabra e oviforme, allungata sulla schiena. Dalla bocca fuoriuscivano un paio di grosse zanne d’un grigio opaco, dalle quali grondavano viscosi filamenti di bava, uguale in tutto e per tutto a quella colata sulla spalla di Grell.
Era mostruoso.
La bestia iniziò a ringhiare verso di loro, emettendo cupi versi grotteschi con la gola.
Lo shinigami rosso indietreggiò d’un passo, intimorito, mentre William, semplicemente, si sistemava gli occhiali.
L’attimo di calma che precede la tempesta.
La creatura si accucciò sulle zampe e scattò, agilmente, puntando alla gola di Spears.
Quest’ultimo gli menò una bastonata in bocca mantenendo una compostezza indescrivibile, scaraventando la creatura contro una parete, alla base della quale si accasciò per un attimo, prima di riacquisire una posizione offensiva.
Il moro ruotò l’asta in modo da rivolgerne la punta acuminata contro la cosa, la quale stava tornando all’attacco con foga selvaggia.
Grell lanciò un altro gridolino.
«Sutcliff renditi utile!» esclamò il suo superiore, respingendo ancora una volta la bestia.
La domanda che gli sorse spontanea di fare fu “come?”, tuttavia preferì tenersela per sé: l’ultima cosa che voleva era far arrabbiare Will in un momento del genere.
Si sarebbe deconcentrato e quella creature li avrebbe ammazzati tutti e due, e lui di certo non voleva morire: aveva ancora così tante cose da fare nella vita!
Strinse con più forza la sua amata motosega ed accese il motore, che rombò nel silenzio, cupa e attraente.
Mentre William si preparava a parare coraggiosamente un altro attacco della bestia - che pareva essere ancora nel pieno delle forze nonostante il gran numero di colpi incassati - Grell si frappose tra di loro e penetrò il torace della cosa con la punta rotante della sua arma.
Questa produsse il tipico rumore del metallo che cozza violentemente contro le ossa.
Spruzzi di sangue furono proiettati ovunque e pezzi di carne dall’aspetto rivoltante schizzarono in ogni direzione. La lama penetrò più a fondo, spinta dalla pressione esercitata su di essa dal suo possessore, finché nell’aria risuonò il secco, caratteristico rumore delle ossa che venivano frantumate di netto.
Grell tolse la motosega violentemente dal suo petto e la bestia cadde all’indietro, supina sul pavimento, inerte.
Morta.
William si sistemò gli occhiali sul naso, calmo e di nuovo composto.
«Finalmente di sei reso utile, Sutcliff» esclamò, senza aver di certo l’intenzione di elogiarlo, tuttavia l’altro Demon Hunter parve ignorarlo volutamente.
«Coraggio, andiamo avanti» proseguì il moro, avviandosi.
Grell rimase per qualche attimo fermo vicino alla sua ultima vittima, contemplandone il sangue schizzato a formare una divina corolla rossa sul pavimento, infine si decise a seguire il suo superiore.
«Dove altro volete andare, shinigami...?».





Angolino autrice
Finalmente riesco a postare questo capitolo, su cui ho sputato sangue per settimane +w+ yay, mi sento realizzata, in un certo senso <3
Spero solo di non aver fatto troppo OOC, il dubbio qui mi rimane sempre èwé
Anyway, ringrazio coloro che hanno aggiunto la fanfic alle preferite/ricordate/seguite.
Al prossimo chappy! ^^''
F.D.

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Capitolo 6
*** Danza notturna ***


6_Danza notturna
Demon Hunters
6. Danza notturna


La notte avvolgeva il mondo nel suo pacifico manto.
Da ore ormai la città era caduta nell'immobilità tipica della notte: le luci erano spente in tutte le case, fuori non c'era più nessuno o quasi.
«Il momento perfetto per cacciare».
Un'ombra dal profilo slanciato si stagliava contro la volta celeste da sopra uno dei tetti, misteriosa e bellissima. L'unica cosa che si distingueva in essa erano due sfere rosse, simili a braci incandescenti, che sfavillavano inquietantemente nel viso, dove avrebbero dovuto esserci gli occhi.
Una leggera brezza si alzò improvvisamente, spazzando le strade e salendo fino ai tetti, frusciando tra i capelli dell'uomo.
D'un tratto i suoi occhi assunsero un'espressione concentrata e lievemente corrugata, un attimo prima che si gettasse con un elegante scatto dal suo punto d'osservazione.
Si librò nel cielo come uno spettro, inquietante ed intrigante al tempo stesso, atterrando infine al suolo senza nemmeno scomporsi. Scivolò quindi con indicibile scioltezza e raffinatezza attraverso le tenebre, passando per vicoli e stradicciole umide e sporche.
La sua meta - a giudicare dal percorso che stava seguendo - era la periferia ad ovest della cittadina, l'unica parte di quest'ultima che rimaneva sveglia fino a notte inoltrata: lì , infatti, si riunivano tutti coloro che non avevano una morale o un qualche seppur minimo senso del pudore - ubriaconi, rissosi, violenti e prostitute.
Gente che non aveva una vita né una famiglia di cui preoccuparsi o che venisse a cercarli per un'eventuale loro scomparsa.
In poche parole, le vittime perfette.
Sebastian, oltretutto, era un demone d'innegabile bell'aspetto, per cui gli sarebbe stato estremamente facile attirare e catturare le sue prede.
Anche quella notte si prospettava essere ricca di vittime le cui anime sarebbero andate non solo a nutrire la sua essenza demoniaca, ma anche colei alla quale attualmente prestava servizio, la sua "Lady". Non ne conosceva il nome, ma non gliene importava: lui le si rivolgeva semplicemente con quell'appellativo, e tanto gli bastava.
Con un fluido movimento s'arrestò nell'ultimo filamento di tenebra del vicolo che dava sulla stradina dove si trovava uno dei tanti pub, punto di ritrovo preferito della gentaglia che abitava nei dintorni.
La strada era lercia: sul terreno c'erano sputi ed altre svariate schifezze sulle quali il demone non si preoccupò minimamente di porre la propria attenzione.
Tutto ciò su cui doveva impegnare la sua concentrazione erano le donne che berciavano tra gli uomini mezzi ubriachi che stavano davanti la porta, occupando anche una parte della strada.
In mezzo a quei vestiti bucati e sudici, Sebastian era fin troppo riconoscibile: il suo completo era esageratamente elegante. D'altra parte, lui parve non preoccuparsene minimamente e sbucò dal suo punto di osservazione, avanzando a passi lenti ed eleganti verso il locale.
Non appena si avvicinò al gruppetto appostato vicino all’uscio, da quest'ultimo si staccarono diverse donne, che lo guardarono con disgustoso interesse - un qualcosa che il demone a primo impatto paragonò quasi alle attenzioni più che superflue e fastidiose di quello shinigami dai capelli rossi, Grell.
«Ehi, bello. Ti sei perso?» esclamò una mora coi capelli ricci che gli si era avvicinata più delle altre.
I suoi occhi lampeggiavano di malizia ed un desiderio sfrenato di lussuria l'avvolgeva come una seconda pelle quasi palpabile tant'era addensata attorno a lei.
«No» rispose lui in tono abbastanza secco, senza degnare di particolari attenzioni il seno prosperoso ed i fianchi che muoveva in un modo che voleva essere sensuale, ma che ai suoi occhi era solamente patetico.
La smorfia che le si dipinse in viso dava ad intendere perfettamente che non era abituata a vedere il suo bel corpo ignorato in modo tanto palese; tuttavia, parve non volersi arrendere alla prima difficoltà, poiché riprese ad avanzare ancheggiando.
«Dai, bel damerino... vieni a giocare un po' con noi... sono certa che ti divertirai» esclamò, raggiungendolo, fissandolo negli occhi con espressione quasi ammiccante.
Sebastian aveva un'idea ben precisa di cosa intendesse con "divertirsi" e sapeva bene che il suo divertimento, in caso le avesse dato filo, sarebbe stato farla gridare di piacere fino a farle perdere la voce e il senno.
Per certe cose, i demoni erano particolarmente portati, decisamente più degli umani.
Comunque, se lei si voleva offrire come pasto per quella sera, Sebastian non aveva niente in contrario: la sua anima sembrava sufficientemente nera da poter costituire un buon apporto di nutrimento.
«Preferirei andare in un luogo più appartato...» le rispose con garbo ed educazione Sebastian, sorridendole.
La donna fu scossa da un brivido caldo e pervasa di desiderio libidinoso.
«Ma certo. Ovunque desideri, mio caro...» disse, con tono strascicato e volutamente sensuale, accostandoglisi e sfiorandogli il petto con le mani, giocando coi risvolti della sua giacca.
Il demone si sottrasse al contatto e si allontanò, esortandola silenziosamente a seguirlo.
La donna non se lo fece ripetere una seconda volta: ansiosa di rimanere a tu per tu con quel tenebroso ed attraente sconosciuto, lo seguì lungo la strada, tirandosi dietro le occhiate infuocate delle altre donne che avevano adocchiato Sebastian e che avrebbero voluto passare da sole con lui quanto più tempo possibile.
Molte delle “respinte” appuntarono le loro attenzioni sul fondoschiena del moro, fantasticando su come potesse essere affascinante sotto quel completo nero da damerino.
Sebastian guidò la sua vittima attraverso varie stradicciole secondarie e spettrali, finché non furono fuori della città, nei pressi del fiume dove aveva incontrato l’altro demone, Claude Faustus, ed il fastidioso Hunter che lo inseguiva ormai da mesi e l’altro demone.
Era veramente snervante averlo sempre intorno, soprattutto quand’era in missione per la sua Lady.
«Manca ancora molto?» domandò la donna.
Trepidava nell’attesa di giungere a destinazione: il demone riusciva a percepire il suo desiderio vibrare nella sua voce.
Lanciò un’occhiata nei dintorni e, notando che non c’era nessuno nei paraggi, si fermò, voltandosi verso di lei.
Le posò una mano sulla guancia, allungando le dita a carezzare coi polpastrelli i suoi capelli, mentre incatenava i propri occhi di brace ai suoi, assumendo il suo miglior sguardo seducente.
La donna rimase attonita ad osservare i lineamenti del suo viso, incantata dalla loro armoniosità e dall’intensità del rosso dei suoi occhi.
Sebastian stirò le labbra in un sorriso carico di macabre promesse, mentre le sue iridi cominciavano a sfavillare del colore delle fiamme infernali.
Gli occhi sono lo specchio dell’anima.
Per gli esseri umani era un proverbio, ma per i demoni era il fulcro stesso del loro modo di nutrirsi: gli occhi degli umani erano il punto dove la loro anima era più vicina che mai all’esterno.
Le iridi erano il portale per l’anima di una persona ed era proprio tramite queste che un demone poteva estrarla per poi nutrirsene.
La vittima si accorse solo dopo diversi minuti che c’era qualcosa che non andava nel suo accompagnatore e che i suoi occhi ardevano di una fiamma viva e sovrannaturale.
Aprì la bocca per gridare, ma la voce non voleva uscire.
Il demone posò l’indice della mano libera sulle sue labbra, intimandole cortesemente il silenzio: era quasi fatta. Vedeva già la patina argentea dell’anima che affiorava ispessirsi e farsi sempre più consistente.
Era quasi pronta ad uscire, mancava veramente poco.
All’improvviso udì qualcosa fendere l’aria.
I suoi riflessi non furono abbastanza rapidi: vide la patina d’argento svanire dagli occhi della sua vittima mentre questi divenivano vacui e la luce della vita si spegneva in essi. Dalle sue labbra tracimò un rivolo di sangue, che scivolò solitario e lugubre lungo il suo mento e la pelle a poco a poco sempre più diafana.
Il corpo tremò e cadde riverso addosso a lui, il quale si sottrasse con un abile salto all’indietro. Quando il cadavere cadde sul suolo, il demone dagli occhi scarlatti vide che nella schiena aveva conficcati tre coltelli d’oro che riconobbe all’istante.
«È qui» constatò tra sé, flettendo leggermente le gambe, assumendo una posizione offensiva.
I suoi occhi vagavano sul paesaggio in cerca del suo avversario, il quale non tardò molto ad arrivare: la sua figura slanciata ed inquietante affiorò dalle tenebre con portamento fiero ed elegante, stretti tra le dita i suoi immancabili coltelli dorati, che scintillavano di una sinistra ed ammaliante luce al riverbero della luna, gli occhi - dello stesso colore degli utensili da cucina - corrugati in uno sguardo composto seppur feroce.
Il sorriso di sfida che si dipinse sulle labbra di Sebastian era intriso di velenoso risentimento.
«Che cosa ci fai qui, Claude?» domandò, la voce simile ad una stilettata di gelo puro.
L’altro si sistemò gli occhiali sul naso con fare autoritario e composto.
«Sono a caccia, Sebastian. Come te» replicò, freddo.
Michaelis inasprì lo sguardo.
«Era la mia preda» constatò, ergendosi in tutta la sua non indifferente altezza. Ogni sua parola era fiele, eppure il suo tono manteneva ancora la sua caratteristica inflessione raffinata ed elegante, da perfetto maggiordomo.
«E questo è il mio territorio» aggiunse l’attimo dopo.
Dalle maniche della sua giacca apparvero quasi per magia affilati coltelli d’argento.
Claude affilò l’espressione.
«Non esserne così sicuro...» minacciò.
I due si scrutarono vicendevolmente con odio profondo. Li attendeva lo scontro, lo sapevano.
La situazione rimase invariata ancora per qualche minuto, poi, come ad un tacito segnale convenuto, i due scattarono in avanti, fluidi ed energici, portando davanti a sé le mani, così da poter avere a disposizione le loro armi.
Il primo attacco fu frontale e non vide nessun vincitore né vinto: ambedue si protessero il viso con le braccia, che cozzarono violentemente tra loro, mentre i due cercavano di avanzare per gettare al suolo l’avversario.
L’impatto fu violento ed i due sfidanti vennero sbalzati dopo pochi minuti, durante i quali misurarono la loro forza fisica senza risparmiare energie.
Saltarono indietro con eleganza e atterrarono con grazia e leggerezza.
Claude fu il primo a ripartire all’attacco: fletté le gambe e piegò in avanti il busto in modo da creare meno attrito possibile con l’aria, dandosi poi una poderosa spinta iniziale grazie alla quale acquisì rapidamente velocità.
Sebastian arretrò con un altro salto, poi balzò in aria e, calcolando la traiettoria del nemico, lanciò la prima pioggia di coltelli.
Questi scintillarono alla luce lunare e si conficcarono nel suolo, a pochi centimetri dai piedi del demone dagli occhi gialli, il quale schivò il colpo all’ultimo momento e saltò in aria a propria volta.
Mentre raggiungeva l’altezza del nemico - che lentamente stava ricadendo al suolo - gli lanciò contro le proprie armi.
Il demone dagli occhi rossi contrattaccò con un’altra pioggia di coltelli, annullando così gli effetti della sua offensiva, ma rimanendo disarmato - così come il suo sfidante.
Per un momento i due si trovarono alla stessa altezza e si scrutarono dritti negli occhi: fiamme scarlatte si accesero nelle iridi di entrambi, segno che da quel momento in avanti avrebbero fatto sul serio.
Precipitarono al suolo acquistando velocità e, toccando terra, vi scavarono un avvallamento circolare con un diametro d’un paio di metri e profondo altrettanto.
La loro potenza come demoni stava venendo rilasciata appieno: attorno a loro si alzò una brezza violenta che frusciò tra i loro capelli, scompigliando questi e sollevando i lembi delle loro giacche.
Adesso si sarebbe trattato di uno scontro prettamente fisico.
Sebastian scattò verso l’avversario e quest’ultimo fece altrettanto per riflesso.
Lo scontro assunse i connotati di una macabra danza letale: i due demoni lottavano senza mai lasciare un attimo di tregua al nemico, i muscoli tesi e le membra che si aggrovigliavano per poi districarsi nuovamente con violenza, gli occhi di brace che si fissavano senza mai perdersi di vista, come se distogliere lo sguardo avesse potuto decretare chi dei due fosse lo sconfitto.
La lotta divenne sempre più violenta: sia Claude che Sebastian cominciarono ben presto a mirare ai punti più esposti del corpo, come le gambe e la testa.
Faustus riuscì a ferire l’avversario ad una guancia e a graffiargli le braccia ed il torace in modo considerevole, tanto da ridurre a brandelli i suoi abiti, che s’inzupparono del sangue che grondava dalle ferite.
Michaelis, per contro, gli ferì con successo le gambe, ricoprendole di lunghi tagli profondi con le unghie affilate come rasoi e riuscì anche a slogargli un polso.
Sembrava quasi una sfida di resistenza: per quanto riuscissero a ferirsi reciprocamente, nessuno dei due contendenti demordeva. Nel vincolo quasi palpabile che si era creato fra i loro sguardi sembrava fosse presente il fuoco che alimentava quello scontro che pareva destinato a rimanere irrisolto.
L’ennesimo calcio incrociato al viso ed ambedue si scaraventarono a terra, a diversi metri di lontananza.
Sebastian si puntellò sui gomiti per rialzarsi e sentì qualcosa pulsargli dentro, una vibrazione che gli scosse l’intera cassa toracica.
«Devo tornare».
Si rialzò e, nell’attimo in cui il suo nemico si gettò contro di lui con le unghie della mano ancora sana dirette contro la sua giugulare, accadde una cosa straordinaria persino per loro: due globi di luce - quello di Sebastian purpureo e quello di Claude blu intenso - comparvero attorno a loro, cozzando tanto violentemente da liberare scosse elettriche che si riversarono sul campo di battaglia già di per sé distrutto, creando buche nel terreno che variavano da semplici squarci a grossi e profondi crateri.
Faustus assottigliò gli occhi.
«La mia Lady mi sta chiamando» disse.
Michaelis arricciò le labbra in un sorriso beffardo.
«Anche la mia» sentenziò.
Si spostarono, interrompendo il contatto tra le due sfere d’energia che li proteggevano.
«Ci rivedremo, Sebastian Michaelis» minacciò Claude.
«Sarà un piacere distruggerti, Claude Faustus» controbatté Sebastian.
Le parole di entrambi erano cariche di odio e di veleno e tutti e due erano assolutamente certi che il loro prossimo incontro non sarebbe stato meno movimentato di quello.
Senza aggiungere altro, si diedero le spalle e partirono alla volta delle rispettive padrone.

«Sono tornato, my Lady».
Sebastian s’inchinò al cospetto della sua padrona senza osare guardarla in viso.
L’aria era satura dell’odore di stantio e di muffa e l’acqua s’infiltrava tra i mattoni del soffitto, gocciolando rumorosamente sul pavimento.
Nel vuoto silenzio nel quale era riecheggiata la sua voce risuonò un gorgoglio strozzato e femmineo, poi una voce roca e sibilante: «Ho... fame...».
«Mi spiace ma non sono riuscito a portarle ciò che mi ha richiesto, my Lady» si scusò formalmente il maggiordomo.
«Cosa...? Sento odore di... sangue».
Sebastian - in effetti - sentiva ancora le gocce di sangue zampillare dal taglio che gli correva lungo la guancia, non ancora rimarginato.
«Sono dispiaciuto. Ho avuto un contrattempo» proseguì.
«Un... contrattempo?» ripeté la sua padrona. Sembrava che ogni parola le costasse una fatica immane.
«Un altro demone. Mi ha sottratto la preda e mi ha attaccato. Non sono stato in grado di cercare altre anime da portarle».
Un grido agghiacciante lacerò l’aria, penetrandola come migliaia di frammenti di ghiaccio.
Sebastian rimase imperturbabile al suo posto, finché un’onda d’urto lo sollevò e lo scaraventò contro la parete alle sue spalle. Sbatté con forza la testa e cadde seduto ai piedi del muro, rialzandosi l’attimo dopo e spolverandosi i vestiti.
«Ho bisogno di anime! Quel demone... morirà!».
Gli occhi di Sebastian scintillarono: era esattamente quello che voleva anche lui.





Angolino autrice
Finalmente riprendo a scrivere/aggiornare questa longfic çOç *commossa* sperando di riuscire ad aggiornare più frequentemente in questi mesi estivi vista l'assenza dell'odiata scuola *-*
Ringrazio Selly Michaelis, doc11 e lalupanera  per le recensioni allo scorso capitolo e chi ha aggiunto la fic alle preferite/ricordate/seguite.
Al prossimo chappy! ^^
F.D.

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Capitolo 7
*** Gli Immortali ***


7_Gli Immortali
Demon Hunters
7. Gli Immortali

«Dove altro volete andare, shinigami...?».
La voce che si era appena levata nel silenzio era indubbiamente femminile, e proveniva da dietro di loro.
Will fu il primo a girarsi a fronteggiare la nuova venuta, rinsaldando la presa sulla sua falce, sistemandosi gli occhiali sul naso.
Non sapeva se avrebbe dovuto lottare di nuovo e sperava di no, ma doveva prepararsi all’evenienza.
«E tu chi saresti?» chiese, glaciale, senza tanti giri di parole.
Grell si volse a propria volta, incrociando la figura di una donna vestita di lilla e di bianco, con lisci capelli di quest’ultimo colore che le arrivavano a sfiorare le spalle. Una riga posta a sinistra sul capo divideva la corta chioma ed il ciuffo di destra - più consistente - le cadeva a coprire in parte la fronte.
Gli occhi erano di un intenso ed intrigante viola scuro e le labbra sottili incurvate in un’espressione altera.
Il vestito era lilla e le fasciava il torace, mettendo in risalto il seno, poi si apriva in vita in un’ampia gonna che le arrivava fino alle ginocchia, da sotto le quali facevano bella mostra di loro un paio di stivali alti bianchi con una porzione di tacco a spillo non indifferente.
Le maniche dell’abito erano a sbuffo e la parte aderente a braccia ed avambracci era bianca e le arrivava fino al polso.
Sulla schiena erano ripiegate un paio di enormi ali bianche le cui piume parevano brillare di luce propria, una candida luce eterea che a Grell ricordava quella della madreperla.
Quanto avrebbe dato perché potesse vedere quelle immacolate piume bianche tingersi del più vivo rosso sangue...!
«Io sono Angela» si presentò la donna, seria «E quelli come voi qui non dovrebbero starci» aggiunse in tono più acido.
«Siamo venuti a cercare qualcosa che voi ci avete preso» interloquì William, avvicinandosi a lei, sistemandosi per l’ennesima volta gli occhiali sul naso.
Sul viso della femmina si materializzò uno sguardo di viva indignazione mista a furore.
«Noi non siamo ladri! Non abbiamo preso niente da voi cacciatori!» esclamò a gran voce.
Grell poteva percepire la tensione salire man mano che i secondi passavano, mentre nella donna dalle ali candide montava la rabbia.
Lo shinigami rosso fremeva nel tentativo di reprimere l’impulso di ucciderla e vedere sgorgare il suo sangue a fiotti: era un’immagine così viva e pulsante nella sua mente da indebolire sempre di più la sua forza di volontà, spingerlo inesorabilmente verso il gorgo della follia.
«Owww, Will ti prego! Fammela uccidere!» domandò, la voce altalenante ed instabile.
Spears percepì distintamente la nota di pazzia nella sua voce.
«Non puoi, Sutcliff. Non siamo qui per questo» sentenziò apatico, accostandoglisi per bloccare sue eventuali reazioni poco consone, vedendolo metter mano al motore della motosega.
Angela pareva pronta a combattere: incurvò leggermente le spalle in avanti e fletté le ginocchia, aprendo le ali.
«Non è carino attaccare così gli ospiti, Angela».
Stavolta a parlare era stata l’inequivocabile voce di un maschio il cui tono, per quanto di timbro differente, somigliava incredibilmente a quello della donna.
Quest’ultima si bloccò e si volse indietro, ricomponendosi.
«Ash, questi sono...»
«So chi sono».
Da oltre le spalle di lei emerse una figura maschile che - inutile tentare di negarlo - le somigliava dannatamente, nonostante la differenza di sesso: la capigliatura e la pettinatura erano identiche, così come il colore degli occhi, anche se quelli di lui avevano una forma leggermente più allungata. Le sue labbra - a differenza di quelle di lei - erano increspate in un accenno di sorriso di cui William non si fidava affatto.
Era un poco più alto rispetto ad Angela ed anche le ali erano più grandi.
Indosso portava un’elegante giacca bianca sotto alla quale si intravedeva un gilet lilla ed un paio di lunghi pantaloni bianchi. Le mani erano protette da un paio di guanti bianchi.
Camminando a lunghe falcate, superò la donna e si fermò poco più avanti, coprendola con un’ala a mo’ di protezione.
«Stavano per attaccarmi!» si lamentò Angela.
«Sono convinto che sia solo un fraintendimento causato dal tuo atteggiamento apertamente ostile» ribatté l’uomo, pacato e mellifluo, quindi si rivolse ai due Demon Hunter: «Io mi chiamo Ash. Che cosa siete venuti a cercare presso la nostra dimora? Noi Immortali non abbiamo fatto niente che possa aver attirato su di noi le ire di voi shinigami».
«Non siamo qui per lavoro... non esattamente» replicò William, abbassando la falce: a quanto pareva, non c’era più motivo di temere attacchi.
Avrebbero potuto risolvere la cosa discutendo come le persone civili - scelta che gli era di gran lunga più congeniale di uno scontro.
Sentendo la tensione allentarsi, la smania di violenza e sangue di Grell si placò fino ad assopirsi nuovamente in lui.
«Cioè? Spiegati» sentenziò Ash, incuriosito dal tono criptico utilizzato dal Dio della Morte.
Spears si risistemò gli occhiali, alzando gli occhi a guardare l’angelo dritto in viso.
«Tra i nostri libri più preziosi e antichi ce n’è uno cui manca una pagina. Si intitola “Ibridi: l’alchimia della vita perfetta”. Abbiamo ragione di credere che l’abbiate rubata voi» spiegò pragmaticamente Will.
Grell notò lo sguardo dell’angelo maschio farsi improvvisamente più buio e severo.
«Perché avete bisogno di quella pagina? Vi serve per qualcosa in particolare...?» chiese Ash.
«Da ciò devo dedurne che l’avete realmente voi?» insinuò senza la minima esitazione Spears.
«Che cosa volete farci?» domandò di nuovo Angela, ma in modo più esplicito, diretto e aggressivo.
Stavolta fu Grell ad intervenire: «C’è un problema con il mio Sebastiàn!».
I due angeli spostarono confusi la loro attenzione allo shinigami vestito di nero in cerca di una spiegazione. Quest’ultimo si sistemò gli occhiali sul naso.
«C’è un problema con un demone. Sembra che qualsiasi shinigami gli si avvicini per ucciderlo venga carbonizzato» asserì senza scomporsi Spears.
I due angeli si scambiarono un’occhiata leggermente sconvolta. In essa, Grell riuscì a leggere un’intesa circa qualcosa di cui loro quasi certamente non erano a conoscenza.
«Venite» li invitò Angela, mentre Ash si avviava lungo il corridoio, precedendoli.
I due shinigami si fecero condurre senza obiettare attraverso diversi anditi, finché Ash non si fermò e si accostò ad una parete che, almeno all’apparenza, era identica in tutto e per tutto a tutte le altre.
Vi passò sopra la mano, accarezzando l’intonaco, poi premette le dita sul mattone.
Quest’ultimo s’incuneò nel muro, cominciando a scintillare di una luce madreperlacea talmente intensa che per qualche momento Grell ne rimase abbagliato e accecato.
Quando riuscì a rimettere a fuoco il mondo, notò che dove prima c’era il blocco scintillante adesso si era creato un varco con lo stipite composto di due onde le cui estremità culminavano sulla sommità dell’arco in due riccioli semplici e perciò ancor più belli.
«Wow...!» esclamò.
Ash ed Angela li precedettero all’interno.
«Fate attenzione alle scale, sono particolarmente ripide» li avvisò la donna, prima di sparire.
Grell fu il primo ad affacciarsi all’interno, trovando un minuscolo spazio da cui partiva una scala a chiocciola veramente stretta che spariva dietro una colonna di pietra azzurra adorna di fregi a spirale in bassorilievo.
«Coraggio, Sutcliff muoviti. Non abbiamo tutta la giornata» sentenziò William severo, punzecchiandolo in mezzo alla schiena con la punta della sua falce.
«Sì, sì vado Will. Come sei noioso!» si lamentò lo shinigami rosso, salendo le scale.
Le scale parevano non aver mai fine: si inerpicavano sempre più su, ripide e strette, tanto che Grell si domandò più volte se non fosse semplicemente una trappola.
Iniziava a perdere l’orientamento, nonché la scansione temporale: gli sembrava che il tempo si fosse fermato o che addirittura fosse passata un’eternità da quando aveva messo piede sul primo gradino. In aggiunta a ciò, cominciava a sentirsi oppresso in quello spazio che - man mano che saliva - gli sembrava restringersi sempre più.
Infine, finalmente, vide apparire un altro arco, che superò con sollievo: quell’ascesa infernale era terminata.
William si materializzò alle sue spalle e lo superò mentre lui si riposava, appoggiandosi contro la parete. Osservò il luogo dove si trovavano adesso: si trattava di un’immensa biblioteca con le pareti bianche decorate con fregi spiraliformi di un argento che quasi pareva liquido tant’era brillante e vivo.
Gli innumerevoli scaffali che occupavano l’intera sala erano altissimi e fatti completamente di cristallo, così come i tavoli e le sedie che vedeva sistemati con cura qua e là. La luce del sole che entrava dalle grandi finestre sulla parete sinistra faceva sì che le librerie ed ogni altro pezzo di mobilio risplendessero di un fulgore indescrivibilmente bello, rendendo il posto un qualcosa di quasi magico.
William, però, non ne rimase affatto sorpreso: sapeva perfettamente che gli angeli amavano i luoghi illuminati e ciò che risplendeva. Era naturale che tentassero di ricreare tale effetto nella loro dimora.
Qualcuno degli angeli che erano seduti al tavolo più vicino si voltarono incuriositi al vedere entrare i due shinigami.
«Da questa parte» disse Ash, invitandoli a seguirlo con un gesto della mano.
Il gruppetto attraversava la sala attirando su di sé gli sguardi di tutti coloro che incrociavano. Su tutti i loro visi, per quanto diversi potessero essere gli uni dagli altri, Grell riuscì a leggere la stessa espressione: sorpresa e diffidenza.
Sapeva che gli angeli fossero diffidenti nei confronti degli estranei, ma che potessero esserlo fino a quel punto gli pareva un tantino esagerato: sembravano quasi sul punto di saltare loro addosso con l’intento di trucidarli.
Erano cacciatori di demoni, non di angeli: perché provavano tanta palese rabbia nei loro confronti?
Ogni passo che metteva avanti sentiva altri sguardi aggiungersi a quelli già presenti, simili ad aghi che gli pungolavano ogni centimetro della pelle.
Era una sensazione veramente fastidiosa e la tentazione di porvi fine era forte; tuttavia, si limitò a procedere facendo il bravo, addirittura cercando di far meno rumore possibile con i tacchi - e sfortunatamente il pavimento non lo aiutava in ciò, visto che le grandi mattonelle erano fatte di un materiale che pareva amplificare spontaneamente ogni suono che rimbalzava su di esse.
Era talmente concentrato su ciò che aveva intorno che, quando la comitiva si fermò, sbatté contro la schiena di William, che volse leggermente il busto indietro e gli lanciò una severa occhiata di sbieco.
«Sta’ attento a dove cammini, Sutcliff» gli intimò semplicemente.
«Scusa, Will» si affrettò a dire l’altro, indietreggiando di qualche passo.
«Ecco, è qui» li interruppe Ash, spostandosi di lato per lasciare sopravanzare i due shinigami.
I due si fecero avanti, fermandosi a ridosso della sottile catena che impediva di accedere all’angolo in cui erano arrivati. A poco meno di un metro da loro c’era un piedistallo di marmo bianco sormontato da una piccola custodia rettangolare dello stesso materiale.
Angela si protese e la sollevò con la mano, rivelando una sottostante superficie di vetro che permetteva di vedere cosa c’era all’interno.
William, non appena fu alzato il “coperchio”, intravide una sottile pagina bianca che somigliava incredibilmente a quelle del libro che aveva letto.
Doveva essere quella.
Senza nemmeno chiedere, si sporse per poter finalmente completare la sua lettura. Al suo fianco, Grell si allungò a propria volta, curioso di leggere.
Nonostante la distanza, i due riuscirono a scorgere ed interpretare le parole che vi erano scritte: “Nìade.
Creata dall’unione di una giovane vergine ed una vedova nera tramite un rituale che prevede la recisione di un seno della donna ed un circolo tracciato con il suo stesso sangue - oltre che un complesso rituale di evocazione di un'anima dagli Inferi. La Nìade ha l’aspetto di una femmina nuda avvolta da catene di sangue che ne coprono il seno rimasto, il pube e ne avvinghiano gli arti. Pare essere priva di piedi. La testa è oscurata da un velo di tenebra dal quale traspaiono solo due sfere bianche.
Le catene, otto in totale, la rendono incapace di muoversi a suo piacimento; per questo tende a richiamare a sé persone che le procurino anime di cui nutrirsi.
Per proteggere il suo servitore rilascia un sottile ed invisibile velo protettivo attorno a lui, che si attiva ogni qualvolta il servo si trovi in pericolo di vita. In tal caso, non appena l'aggressore entra in contatto con la barriera, viene immediatamente ucciso da un fuoco fatuo che lo incenerisce in pochi secondi.”.
Una descrizione minuziosa condensata in poche righe. L’unica impressione che ne ricavò Grell - nonché il solo commento che riuscì a formulare mentalmente - fu un secco “inquietante”.
«Nìade...?» ripeté, ritraendosi «Non ne ho mai sentito parlare» aggiunse, incrociando le braccia sul petto e voltandosi a fissare i due angeli, che adesso erano in piedi alle loro spalle.
«Nemmeno io. Ma, chiunque o qualunque cosa sia, è questo ciò che cerchiamo: gli shinigami morti sono stati uccisi come descritto» sentenziò William, risistemandosi gli occhiali con la punta della falce.
Si volse a propria volta verso Ash ed Angela.
«Perché questa è qui?» domandò.
«Ci è stata portata molti decenni fa» spiegò l’uomo «Con l’ordine di proteggerla ed impedire che qualsiasi persona potesse avvicinarsi o leggerla» proseguì la donna.
«Perché?! Esigo una spiegazione chiara!» insistette lo shinigami rosso: era stufo di sentirsi rifilare mezze verità ed informazioni per enigmi.
Se doveva lavorare - ed oltretutto su un caso concernente l’incolumità del suo Sebastian - esigeva farlo senza intralci inutili.
Seguì un silenzio carico di tensione ed attesa.
«Perché nessun altro riuscisse a creare quel mostro» spiegò Ash in tono greve.
S’interruppe un momento, prese fiato e si lanciò in una nuova spiegazione: «Secoli fa qualcuno riuscì a creare una Nìade che sterminò moltissimi shinigami come voi. Ne erano rimasti pochissimi ed i sopravvissuti vennero a rifugiarsi qui da noi. Qualcuno di voi, però, riuscì miracolosamente ad ucciderla e la vostra specie risorse, riconquistando la libertà. Fu dopo quel periodo che una persona si presentò qui e ci affidò il compito di proteggere quella pagina».
«Chi era?» domandò di getto Grell, interessato alla narrazione.
Angela scosse la testa e prese parola: «Non lo sappiamo. Venne avvolto in un mantello nero ed un cappuccio calato sul volto. Si presentò dicendo di possedere un compendio in cui erano annotate tutte le nozioni circa gli ibridi esistenti in tutto il mondo. Ed aveva anche notizie sulla Nìade, su come si creava e com’era possibile distruggerla. Di fronte ai nostri occhi strappò quella pagina e ce la diede, dicendo che “per nessun motivo quelle informazioni dovevano essere lette da nessuno, poiché il rischio per gli shinigami sarebbe stato altissimo e pagato con il sangue”».
Sembrava sconvolta dalle sue stesse memorie: le mani che teneva giunte sul seno erano scosse da fremiti violenti e ai lati dei suoi occhi cominciavano ad affacciarsi le prime lacrime.
«Avete detto che degli shinigami sono stati uccisi, bruciati come descritto nella pagina. Allora ciò significa che un’altra Nìade è stata creata in questi secoli. Dovete fermarla» sentenziò Ash.
«Come? Nel libro non è scritto come ucciderla» obiettò Will.
«La risposta che cercate è da un’altra parte, non qui» continuò l’angelo.
«Cioè?» incalzò Spears.
«Quando quell’uomo venne qui» interloquì la donna, cercando una fermezza in sé e nelle sue parole che non riusciva a trovare «Menzionò un altro libro, un quaderno di appunti. Disse che l’avrebbe tenuto con sé per sicurezza e che l’avrebbe ceduto solamente quando il Male avrebbe tentato nuovamente di distruggere la stirpe dei Demon Hunter».
Grell pestò un piede a terra, stizzito.
«È successo secoli fa! Come possiamo sapere chi abbia o dove sia quel quaderno?!» sbottò.
William non poté che trovarsi d’accordo con lui: senza alcun indizio circa l’identità dello shinigami che era stato lì non avevano in mano niente che potesse aiutarli a trovare l’ubicazione del manoscritto o un eventuale discendente che potesse averlo custodito.
«Siete sicuri di non aver visto niente di lui?» domandò di nuovo, risistemandosi per l’ennesima volta gli occhiali sul naso.
«No, niente: era completamente coperto» ribadì Ash.
«Anche se... ora che mi ci fate pensare, ho visto una parte del viso...» intervenne Angela, sovrappensiero.
I due shinigami fissarono la loro attenzione su di lei, la quale tacque qualche altro momento, poi annuì, per rafforzare la sua affermazione e proseguì: «Sì, ho intravisto la carnagione cinerea ed alcuni ciuffi di capelli d’un argento spento che sembravano cadergli davanti al volto coperto».
Vedendo l’espressione un po’ delusa che si era dipinta in viso a Grell aggiunse: «Mi spiace, so che non è molto, ma è tutto ciò che so dirvi a riguardo».
«Non importa» esclamò Spears, sistemandosi gli occhiali «Penseremo noi a trovarlo. Andiamo, Sutcliff» disse, facendo dietrofront per tornare da dove venivano. Lo shinigami rosso si affrettò a seguirlo per non rischiare di rimanere indietro.
«Un momento» li richiamò Ash.
I due Hunter si volsero in contemporanea a guardarlo.
«Se avete veramente intenzione di intervenire personalmente contro quella bestia, cercate qualcuno che possa aiutarvi. In due soli non potrete mai farcela»
«Grazie del consiglio, ma non era necessario» replicò gelido William, spostando gli occhiali sul naso con la punta della sua arma «Perché ci avevo già pensato io».
Detto ciò, si girò e si avviò, fianco a fianco con un Grell alquanto sorpreso per quell’affermazione: «Hai intenzione di coinvolgere veramente qualcun altro? Non bastiamo noi?».
«Non sono abituato a lavorare con così tanta gente intorno, ma devo, se voglio finire in fretta questo lavoro. E non ho intenzione di fare straordinari» sentenziò Spears.
«Aspettatemi, vi conduco all’uscita!» esclamò Angela, raggiungendoli e mettendosi alla guida del gruppetto.
«E a chi hai intenzione di chiedere?» chiese il Dio della Morte rosso, piegandosi curioso verso il compagno, lanciandogli un’occhiata interrogativa dal basso verso l’alto.
«L’unico altro con cui abbia mai lavorato...» fu la criptica risposta che ottenne.





Angolino autrice
Ecco - finalmente *^* - il settimo capitolo!
ò-ò spero di non aver fatto attendere molto >/////<
Ringrazio quanti hanno aggiunto la fic alle preferite/ricordate/seguite.
Al prossimo chappy! ^^
F.D.

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Capitolo 8
*** Un altro shinigami in scena, DEATH ☆! ***


8_Un altro shinigami in scena, DEATH ☆!
Demon Hunters
8. Un altro shinigami in scena, DEATH ☆!


«C-che cosa ci fate voi due nella mia stanza?!».
Dopo diversi minuti di sconvolto silenzio, quella fu l’unica cosa che il proprietario della camera riuscì a gridare contro i due Hunter che si era trovato davanti non appena aveva aperto la porta.
«Ehilà, Ron! È da parecchio che non ci vediamo!».
Grell Sutcliff ammiccò verso di lui con fare complice. Il Dio della Morte stava seduto sul suo letto, carezzando il lenzuolo con la mano sinistra mentre dondolava frivolmente la gamba accavallata sull’altra. Nell’altra mano stringeva il manico della sua motosega, che - da quel che riusciva a vedere da quella distanza - era stata utilizzata molto di recente: schizzi di sangue rosso scuro ne decoravano il margine.
«G-Grell...? Cosa ci fai qui?» domandò Ronald, mentre gli occhiali gli scivolavano un po’ giù sul naso: non si aspettava certo di vederselo comparire a sorpresa in camera, oltretutto a quell’ora del mattino.
«Ci serve il tuo aiuto, Knox» tagliò corto William.
Quest’ultimo era in piedi accanto all’altro con una postura rigida e le braccia stese lungo il busto. Se non fosse stato per la sua affermazione, avrebbe potuto benissimo essere scambiato per una statua.
Lo sguardo che Spears gli lanciò l’attimo dopo non lasciava presagire niente di buono: sembrava che fosse successo qualcosa di veramente grave.
Ron sospirò.
«Proprio adesso? Non mi va di fare straordinari a quest’ora...» sbuffò, entrando nella stanza con aria esausta, abbandonando la sua falce - un formidabile tagliaerba rosso scuro - nei pressi della porta.
Grell si alzò in piedi e si piegò in avanti, verso di lui, appuntando le mani sui fianchi. Un sorriso che di sano aveva ben poco gli increspò le labbra.
«Non credo tu abbia capito la situazione, mh? Qui non si tratta degli straordinari, ma di vita o morte» esclamò, calcando particolarmente la voce sulle ultime parole. Il suo sguardo era corrugato in un’espressione incisiva e greve, per quanto minata in parte dalla sua caratteristica follia.
«Come?» domandò, perplesso: non aveva mai visto Grell assumere un cipiglio tanto serio.
Passò lo sguardo dall’uno all’altro, senza capire, poi la sua espressione si fece più dura, diventando quasi rabbiosa.
«Potete spiegarmi che cosa sta succedendo e perché io dovrei venire con voi?» chiese in tono poco paziente, cercando così di nascondere l’accenno di paura che cominciava a provare: quella loro apparizione nella sua camera ad un’ora tanto insolita e l’alone di mistero che si portavano dietro non lo faceva affatto ben sperare.
Grell si volse a guardare l’altro con una smorfia d’impazienza sul viso.
William si sistemò gli occhiali sul naso e fissò penetrantemente lo shinigami biondo, quasi a volerlo trapassare da parte a parte con la sola forza dello sguardo.
«Ti racconterò tutto, ma niente dovrà uscire da questa stanza, per nessuno motivo» asserì flemmatico.
Sutcliff sospirò.
«È meglio se ti siedi, Ronald: è una storia lunga» avvisò, andando ad appoggiarsi contro la parete per lasciargli il posto sul letto.
Knox sbatté le palpebre, perplesso, ed obbedì, andando a sedersi sul materasso.

«C-CHE COSAAA?!?!» esclamò, allucinato.
Il racconto di William era terminato e adesso spettava a lui accettarlo, solo che gli sembrava tutto così... pazzesco.
«State scherzando, vero?» domandò, quasi supplicando.
«Ti sembra la faccia di uno che scherza, Ron?» fece ironico Grell, additando l’espressione greve e composta di Will.
«No, affatto» constatò tristemente il più giovane.
«Abbiamo bisogno di un’altra persona per questo incarico» intervenne Spears, sistemandosi gli occhiali.
Ronald stava cercando di far ordine nei suoi pensieri: qualcosa stava aiutando un demone, Sebastian Michaelis, a scampare alla morte. Degli shinigami erano morti arsi vivi da questo qualcosa - una Nìade, a quanto aveva capito, anche se non ne aveva mai sentito parlare prima di allora - e loro dovevano trovarlo ed ucciderlo prima che altri ne andassero di mezzo. Solo che il modo di far fuori quella cosiddetta Nìade non lo sapevano.
Troppe cose incredibili in troppo poco tempo.
«Ehi, sentite... cioè... davvero avete così bisogno proprio di me? Mi pare un compito abbastanza diff...»
«Se rifiuti ti faccio dimezzare lo stipendio. A te la scelta» tagliò corto William in tono pragmatico e crudele: se doveva passare il suo tempo in un incarico nel quale poteva addirittura perdere la vita ed aveva bisogno di collaboratori, era disposto a tutto pur di averli. Anche a minacciarli.
Grell gli lanciò un’occhiata interessata: quando diventava così spietato, Will diventava improvvisamente un tipo decisamente più interessante.
Ronald incrociò le gambe sul materasso con fare un po’ da bambino, sbuffando: «Che cosa? Ma non è giusto, mi pagano già una miseria!».
«A te la scelta» ripeté il moro in tono più incisivo, occhieggiandolo con l’espressione tipica di chi odia ripetersi.
Il biondo si alzò in piedi.
«Aaah...!» si lamentò, grattandosi la testa, pensieroso.
«Non te ne importa proprio niente del fatto che pian piano potremmo morire tutti?» intervenne Grell scocciato. Lui non si sentiva molto toccato dalla cosa, in effetti: per nessun motivo al mondo si sarebbe avvicinato a Sebastian con l’intento di ucciderlo. E se non aveva cattive intenzioni, quello strano potere che bruciava gli Dei della Morte non si sarebbe attivato.
Lui partecipava solo perché così poteva avere di nuovo tutta per sé la sua motosega.
«Uhm... be’, in effetti...» esordì il ragazzo.
Lo shinigami rosso spostò oltre la spalla un ciuffo di capelli con fare molto femminile e sprezzante.
«Se non t’interessa per quello, pensa che se contribuirai, le ragazze faranno la fila per uscire con te!» gli fece notare. Era un modo subdolo per farlo passare dalla loro parte, ma Grell - che con lui aveva avuto a che fare per diverso tempo nei panni di un quasi mentore - sapeva che se c’era qualcosa che poteva piegarlo al suo volere, quello era senz’altro puntare alla sua reputazione tra le shinigami che lavoravano presso i vari uffici.
Ronald non si peritava affatto a fermarsi a flirtare con qualcuna di loro, se ne aveva l’occasione.
Appena proferite quelle fatidiche parole, gli occhi di Ronald si accesero all’improvviso di una luce entusiasta.
«Dici davvero?» esclamò, balzando in piedi di scatto «Perché non me l’hai detto prima? Consideratemi dei vostri!».
Grell sorrise compiaciuto, guardando William con sguardo d’attesa: si aspettava perlomeno un “grazie” per essere riuscito dove lui aveva fallito; invece, non ottenne un bel niente. Nessun elogio, nemmeno una misera parola: tutto ciò che si limitò a fare fu riassettarsi per la miliardesima volta gli occhiali sul naso.
«Perfetto, allora andiamo» disse, avviandosi verso la porta.
«Dove si va stavolta? Non c’è nessun indizio da seguire...» osservò Grell, perplesso.
«Andiamo a cercare in biblioteca» replicò l’altro senza nessun tono particolare.
Ronald andò verso la porta e si fermò, issandosi in spalla il suo tagliaerba come fosse uno zaino da escursione.
«Il modo di ammazzare quel coso?» domandò, voltandosi ai suoi due nuovi compagni d’avventure.
«No» negò Spears, raggiungendolo «L’identità dell’autore di “Ibridi: l’alchimia della vita perfetta”» lo corresse, uscendo.
Gli altri due si lanciarono un’occhiata perplessa, poi il biondo lo seguì a ruota, mentre lo shinigami rosso si attardava a sbuffare un risentito: «Comincio ad averne abbastanza di tutte queste gite in biblioteca!».

Quando giunsero a destinazione, i tre constatarono con un certo sollievo che la biblioteca era praticamente deserta: c’erano giusto un paio di persone sedute a leggere in assoluto silenzio.
«Certa gente non ha proprio niente di meglio da fare a quest’ora...!» pensò Grell, osservando uno dei lettori mattutini che sedeva poco distante dal corridoio principale per cui stavano passando loro.
Ronald camminava davanti a lui, il suo fidato tagliaerba posato a terra accanto a sé, ronzando attorno a William e tempestandolo di domande.
«In che sezione cerchiamo? Storia? Creature mistiche? Letteratura? E cosa dovremmo cercare esattamente? Date? Un n...».
Fu interrotto dalla falce di Spears che gli venne puntata pericolosamente vicino al naso.
«Zitto. Nessun altro deve sapere di questa storia, chiaro?» lo ragguagliò con un fil di voce, il tono tagliente.
Il poveretto annuì impercettibilmente, tirando un muto sospiro di sollievo quando la punta della tenaglia del moro si allontanò dal suo viso.
«O-okay...».
Procedettero per qualche altro minuto, guardandosi intorno senza osare proferir parola.
Infine, finalmente, Spears si fermò e dietro di lui gli altri due.
«Qui forse troveremmo qualcosa...» disse, alzando la tenaglia ed utilizzandola per riassettarsi gli occhiali sul naso, osservando lo stretto corridoio laterale formato dalle due alte librerie.
«Sono un sacco di libri...!» commentò Grell senza fiato a voce abbastanza alta da guadagnarsi un secco: «Abbassa la voce, Sutcliff. Questa è una biblioteca».
«Stai scherzando, vero Will?» fece in un bisbiglio appena udibile «Sono troppi».
«Non credo tu abbia idee migliori in merito a come procurarci altri indizi. E non posso lasciar perdere: mi degraderebbero, o peggio ancora mi licenzierebbero» disse acido William.
«Sì, ma...» esordì il Dio della Morte vestito di rosso, ma fu interrotto da una voce alle sue spalle.
«Ronald Knox?».
Ronald, che in quel battibecco non si era ancora pronunciato, rimasto ad osservare a bocca aperta la quantità di libri che c’erano in quella sezione - tanto che diverse decine, non trovando spazio sulle varie mensole, erano state accatastate sul pavimento alla base delle librerie - si volse sentendosi chiamare.
Grell si spostò un po’ di lato, sorpreso anch’egli del richiamo.
Alle sue spalle c’era un altro shinigami che prima d’ora non ricordava d’aver mai visto.
«Sono io. Che c’è?» domandò Ronald, perplesso.
«C’è un incarico per te, seguimi: ti spiegherò i dettagli andando verso il portale. La tua missione consiste nell’uccidere il demone Claude Faustus».
«Claude Faustus...?» ripeté tra sé Grell, sorpreso: aveva una strana sensazione di dejavù relativa a quel nome.
«Sì, vengo...» disse, dirigendosi verso il Dio della Morte che gli aveva portato il messaggio «Cercherò di sbrigarmi» asserì rivolto agli altri due, issandosi in spalla il suo fidato tagliaerba.
Detto ciò, se ne andò.





Angolino autrice
Sono. In. Ritardo - e ormai me ne sono fatta una triste ragione -.-' chiedo venia.
Ringrazio comunque Tensi che ha recensito l'ultimo capitolo - sperando che anche questo ti piaccia ^^ - e coloro che hanno aggiunto la fanfic alle preferite/ricordate/seguite.
Al prossimo chappy! ^^
F.D.

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Capitolo 9
*** Il primo assassino - una verità nascosta attraverso i secoli ***


9_Il primo assassino - una verità nascosta attraverso i secoli
Demon Hunters
9. Il primo assassino - una verità nascosta attraverso i secoli


Grell si addossò contro lo schienale della sedia, stanco.
«Uffa...! Non ce la faccio più! Sono ore che cerchiamo in questi libri e non si trova niente!» sbottò, accavallando stizzito le gambe «Avrei preferito di gran lunga andare a caccia come Ronald...» sospirò.
Senza alcun preavviso gli arrivò una sonora batosta in testa dall’altro lato del tavolo, dove William stava seduto, leggendo un altro libro del cumulo che occupava quasi tutto il tavolo.
«La tua Death Scythe ti è stata restituita solo temporaneamente, a meno che tu non collabori. Per cui non puoi occuparti di nessun tipo di missione, Sutcliff».
«Uff... come sei antipatico...» borbottò Grell, massaggiandosi la testa «E che bisogno c’era di picchiarmi?».
William sollevò lo sguardo dal libro che stava consultando ed assettò con fare minaccioso gli occhiali sul naso.
«Stavi alzando troppo il tono» spiegò semplicemente.
Il Dio della Morte rosso sbuffò contrariato e riprese il libro che stava leggendo, anche se interruppe un’altra volta la lettura dopo appena pochi istanti.
«Quando Ron è stato chiamato, ho avuto una strana sensazione sentendo il nome di quel demone...» disse, sovrappensiero, guardando il moro.
«Una strana sensazione, Sutcliff...?» domandò quest’ultimo, alzando a propria volta gli occhi dal suo volume, inaspettatamente interessato.
«Sì, è stato come un déjàvu...» rispose l’altro, più come se stesse parlando a sé stesso che con il suo superiore.
Quest’ultimo ebbe il tremendo presentimento che non fosse un qualcosa di completamente slegato da ciò in cui erano coinvolti.
Per la prima volta in tutta la sua vita sperimentò che cosa fosse il terrore viscerale di qualcosa, un sentimento strisciante che gli attanagliava la bocca dello stomaco nella sua temibile morsa senza dargli pace.
Grell notò con un solo colpo d’occhio il cambiamento nella sua espressione, abituato com’era ad incontrare sempre la medesima maschera di perfetta impassibilità. Nei suoi occhi, adesso, c’era qualcosa che lui non riusciva a definire, ma che non gli piaceva affatto, perché snaturava completamente lo sguardo ed il volto di William.
«E dove l’hai già sentito?» domandò quest’ultimo, una nota di tensione che vibrava in modo palpabile nella sua voce, nonostante i suoi sforzi di apparire imperturbabile come sempre.
«Il problema è questo, Will. Non riesco a ricordarmelo» ammise Grell senza alcuna esitazione.
«Sei inutile come sempre, Sutcliff» replicò Spears fermo, sistemandosi gli occhiali «Torna a lavorare».

Le prime ore del mattino erano quelle a parer suo più fresche dell’intera giornata: il gelo della notte si attenuava per lasciare il posto al tepore dei primi raggi del sole.
Ronald, in piedi sul campanile della chiesa centrale, il fedele tagliaerba in spalla, osservava la cittadina.
Una piacevole brezzolina s’inerpicava fino al tetto, frusciandogli sotto le vesti e carezzandogli i capelli, simili a dita invisibili.
L’aria fresca che gli riempiva i polmoni lo rinvigoriva e lo faceva sentire più vivo, pronto alla caccia.
La sua missione consisteva nel trovare ed uccidere Claude Faustus, un demone che era stato avvistato nelle vicinanze del fiume che scorreva appena fuori la periferia del centro abitato.
Per cui l’unica cosa sensata da fare era andare a cercarlo da quelle parti.
Lo shinigami fletté le ginocchia e si lanciò nel vuoto con un balzo fin troppo energico, il vento che gli frustava il viso per la velocità dello slancio, l’esaltazione della caccia che rapidamente lo pervadeva.
Era ancora giovane - uno degli Hunter più giovani - perciò era comprensibile tanta esuberanza da parte sua.
Saltando da un tetto all’altro, Ronald si avviò nella direzione che portava al fiume, sperando nella possibilità di riuscire a trovare lì il suo demone.
Era poco probabile che vi fosse vista l’ora, ma lui non si dava per vinto: finché c’era anche solo un’esigua possibilità di trovarlo, lui era disposto a tentare. Anche perché quel luogo era l’unico in cui sapeva per certo fosse stato avvistato. In caso non l’avesse trovato, avrebbe rimandato l’incarico alla sera successiva nelle ore precedenti la mezzanotte, l’arco di tempo in cui era più alta la probabilità di incrociare demoni in caccia d’anime umane di cui nutrirsi.
Non gli occorse molto per raggiungere il limitare estremo della cittadina, vista la velocità con cui si muoveva.
Giunto sulla sommità dell’ultima casa, il Dio della Morte si diede una spinta particolarmente poderosa e si lasciò precipitare al suolo con entusiasmo, atterrando senza riportare il minimo danno.
Si guardò intorno, stupito: sembrava che in riva al fiume si fossero scontrate forze ancestrali con un potere distruttivo oltre ogni immaginazione.
Il terreno era costellato di crateri di svariate dimensioni e crepe che s’intrecciavano e si dipanavano come le fila di una immensa ragnatela.
Poco distante dal punto in cui lui si trovava riuscì inoltre a scorgere delle tracce di terreno bruciato che andavano espandendosi a raggiera, come se lì ci fosse stato qualcosa di sferico ed incandescente.
Nell’aria si avvertiva quasi a tatto il silenzio della desolazione di un campo di battaglia che Ronald violò con passo incerto, mentre avanzava e dava un’occhiata più da vicino.
Non lavorava da tanto come Demon Hunter, pertanto aveva poca confidenza con il mondo degli umani, ma tutto in quel posto gli suggeriva - anzi, gli gridava - che quella non era opera di alcun essere umano.
«Quel Claude Faustus dev’essere stato qui» mormorò tra sé, chinandosi vicino al punto in cui il terreno era bruciato, sfiorandolo «Per fare tutto questo casino, deve aver combattuto contro qualcun altro potente quanto lui. Ma allora ci sono due demoni?».
Mentre ispezionava più da vicino il suolo, si accorse che molto distante da lui c’era qualcosa abbandonato a terra e che sopra di esso s’intravedevano sottili strisce di luce dorata proiettata dal tenue riverbero residuo della luna.
Incuriosito, si alzò e si avvicinò, scoprendo che si trattava del corpo di una donna evidentemente morta, a giudicare dal colorito cereo delle guance, l’espressione vacua ed il sangue che era dilagato sull’intera schiena, nella quale erano conficcati tre coltelli d’oro.
«Coltelli...?» borbottò il biondo, inarcando confuso un sopracciglio.
In quel momento udì qualcosa fendere l’aria.
Si volse e si scansò goffamente, indietreggiando ed incespicando nel cadavere dell’umana, cadendo all’indietro. Nonostante la caduta, però, riuscì ad evitare un coltello che, vibrante, si andò a conficcare nel terreno a qualche metro da lui.
«Chi...?» mormorò il Dio della Morte, osservando l’impugnatura dell’utensile vibrare per il contraccolpo, girando poi la testa nella direzione da cui era pervenuta l’insolita arma, già immaginando chi fosse il suo aggressore. Era riuscito a riconoscere in quel coltello lo stesso con cui la donna era stata ammazzata.
Knox si rialzò, aggrappandosi in parte al manico del suo tagliaerba, girandosi poi verso il sopravvenuto che lo osservava a qualche decina di metri di distanza.
Il biondo sorrise sprezzante, assumendo una posa impettita con l’intenzione di apparire spavaldo.
«Immagino che tu sia il demone Claude Faustus» disse.
Sollevò la sua falce della morte e se la mise in spalla, puntando verso l’uomo in veste nera e gli occhi dorati l’indice della mano libera con fare minatorio.
«Io sono Ronald Knox, l’Hunter che stanotte ti ucciderà! ☆».

Informazioni.
Centinaia, migliaia di informazioni delle epoche più disparate, da quelle antiche di diverse migliaia d’anni a quelle di “appena” un secolo prima.
William continuava a sfogliare senza sosta le pagine, scorrendole con lo sguardo e la mente, accumulando tutto ciò che leggeva nel cervello, liberandosene in un secondo momento, accorgendosi che tra quelle notizie non c’era ciò che lui cercava.
Instancabile, leggeva un libro dopo l’altro, senza distogliere da essi la propria attenzione: voleva concludere alla svelta la questione. Lavorare a quel ritmo era frustrante, ma doveva farlo, se non voleva vedersi cacciare dai superiori. Si chiese perché non intervenissero in modo diretto, vista la gravità della faccenda, ma mise subito da parte la domanda, concentrandosi sul da farsi.
Seduto davanti a lui, Grell di tanto in tanto lo spiava da sopra il libro che leggeva annoiato, ammirando la serietà e la dedizione con cui Will si dedicava all’incarico.
Non poteva negare che fosse attraente quand’aveva quello sguardo così concentrato e penetrante.
«Ho trovato qualcosa».
L’Hunter dai capelli rossi sbatté le palpebre, riportando la propria mente alla realtà, notando che William aveva appoggiato il volume sul tavolo.
Riassettandosi gli occhiali sul naso con la tenaglia, lesse ad alta voce: «Nei secoli addietro la razza degli shinigami ha incontrato non poche difficoltà nel sopravvivere. Clamoroso fu il caso della Nìade, un mostro ibrido capace di uccidere gli shinigami senza esporsi a rischi, per mezzo di un tramite. La popolazione degli shinigami si ridusse drasticamente, ma grazie all’intervento di uno di loro, la minaccia fu debellata. L’eroe aveva...»
«... lunghi capelli grigi e gli occhi coperti» lesse Grell.
Scrollò le spalle, guardando il moro negli occhi.
«È una semplice descrizione fisica. Chissà da quant’è morto questo tizio...»  commentò con leggerezza.
«Sutcliff, c’è dell’altro» disse Spears in tono risoluto, voltando il libro verso di lui, girando pagina.
Grell sgranò gli occhi, aprendo sbigottito la bocca: nell’angolo in alto a sinistra della pagina c’era un disegno - probabilmente una riproduzione di un dipinto dell’epoca descritta - che rappresentava una donna nuda cui mancavano i piedi, avvinghiata da catene che sembravano trattenerla alla parete che doveva esserci sul margine sinistro della raffigurazione. Il viso non c’era: nell’angolo della stanza - che Grell paragonò immediatamente ad uno scantinato - c’era un’oscurità impenetrabile nella quale dovevano trovarsi il suo viso ed il suo collo. Tutto ciò che si vedeva erano due globi chiari che probabilmente erano gli occhi.
Ma ciò che aveva maggiormente attirato l’attenzione del Demon Hunter non era stata la figura femminile, bensì la persona che le stava trafiggendo il petto con la punta acuminata e ricurva di una lunga falce: era un giovane uomo con lunghi capelli grigi che gli arrivavano fino alle scapole ed una frangia lunga che gli copriva quasi completamente la metà superiore del viso, lasciando vedere solamente la parte inferiore della montatura degli occhiali. Era disegnato di profilo, per cui era possibile vedere solamente una delle catenelle che pendevano dall’asta che sorreggeva gli occhiali.
Indosso portava un lungo e curioso abito nero con le maniche larghe.
Nonostante fosse diverso, vedendo quel personaggio a Grell veniva in mente soltanto una persona.
«Questo è...» esordì, ma William chiuse con un gesto secco il volume.
«Avrebbe dovuto parlarcene prima» disse solamente, irritato, sistemandosi gli occhiali sul naso.
«Andiamo a chiedere, non è così?» domandò Sutcliff, sperando in una conferma che gli venne pochi momenti dopo: non vedeva l’ora di metterlo sotto torchio a dovere.
Mentre riponevano i volumi ai loro posti, Grell ripensò al suo Sebastian: erano due giorni ormai che non lo vedeva e ne sentiva dannatamente la mancanza. Con quello che stava succedendo agli shinigami, chissà quando avrebbe potuto rivederlo. Soffriva così tanto standogli lontano...!
Ripensò all’ultima volta che si erano visti e si bloccò mentre si stava allungando a rimettere a posto un libro in uno scaffale particolarmente alto. Si ritrasse, afferrando nuovamente con ambedue le mani il volume.
«Will, ora ricordo!» esclamò, voltandosi verso il moro.
«Sutcliff, lavora. Dobbiamo mettere a posto i libri prima di andare e non m’interessa se ti sei scheggiato un’unghia mentr...».
«Come sei antipatico!» sbottò il rosso, appuntandosi le mani sui fianchi, poi proseguì: «Will, il nome di quel demone l’ho sentito dire da Sebastian l’ultima volta che l’ho visto».
William lo guardò, poi gli menò una bastonata in testa.
«Ahio! Ma che ho fatto?!»
«Inutile, Sutcliff. Sei completamente inutile: potevi ricordartelo prima» lo ammonì Spears, mentre dentro di sé sentiva concretizzarsi la sensazione di pericolo incombente che aveva precedentemente avvertito.
«Perché, scusa?»
«Perché Knox è andato a cacciarlo».

Claude inarcò elegantemente un sopracciglio, senza scomporsi minimamente.
«Un Demon Hunter...?» ripeté, avanzando di qualche passo.
«Ero venuto a cercare qualche anima per la mia padrona» aggiunse, irrigidendo la postura ed affilando lo sguardo tanto da farlo diventare estremamente minaccioso.
«E tu mi sei d’intralcio» esclamò, severo «Perciò dovrai sparire».
Ronald sorrise sprezzante, posando a terra la sua falce, accendendone il motore.
«E allora fatti sotto!».
Il demone non se lo fece ripetere due volte: scattò in avanti rapido, pronto ad ucciderlo e strappargli l’anima. Dopotutto, un’anima era pur sempre un’anima, di chiunque essa fosse.
Ronald parò con il tagliaerba il calcio che Claude gli menò con furia sorprendente al fianco sinistro, respingendo il suo aggressore. Quest’ultimo arretrò di un paio di passi e caricò di nuovo.
Lo shinigami fece leva sul manico della sua falce e si sollevò da terra alzando i piedi fino ad essere in perfetta verticale sopra il suo attrezzo. Rimase in equilibrio per un momento, poi si diede una spinta e schivò con una giravolta nell’aria il suo avversario, il quale colpì il vuoto.
Il biondo atterrò qualche metro dietro di lui.
«Troppo lento» esclamò, schizzando in avanti, caricando un pugno col quale intendeva colpirlo in mezzo alle scapole.
Quando gli arrivò a tiro ed allungò il braccio per colpirlo, tuttavia, Ronald avvertì qualcosa sfiorargli l’arto, come se avesse appena superato un’invisibile tenda di velo sottilissimo.
Subito dopo un’esplosione di dolore l’accecò, facendolo arretrare con tanta forza da farlo cadere.
Il suo braccio stava bruciando: fiamme violette lambivano il suo guanto e la manica della sua giacca, consumando in fretta il tessuto. Il calore era atroce e lentamente il fuoco arrampicò lungo il suo arto.
Ronald si mise seduto, cercando di spegnere la vampa in ogni modo.
Nelle lenti dei suoi occhiali erano riflesse le lingue di fuoco, mentre nei suoi occhi brillava una scintilla di terrore e di panico.
Claude lo dominava, imponente e intimidatorio, negli occhi le fiamme dell’Inferno che ardevano più vive e guizzanti che mai.
Ronald cominciò a gridare. Un grido col quale non voleva implorare soccorso - e a chi, poi? Di Hunter, nei dintorni, c’era solamente lui - ma piuttosto esprimere il dolore di quel piccolo ma vorace incendio che gli stava consumando l’arto e che si stava propagando alla spalla.
Ben presto avrebbe conquistato tutto il suo corpo, ma lui non aveva la minima intenzione di morire lì.
«E adesso, mi prendo la tua anima» sentenziò Claude, piegandosi su di lui per afferrargli il viso.
Qualcosa fendette l’aria all’improvviso, senza dare la possibilità a nessuno dei due di spostarsi dal punto dove si trovavano. Fortunatamente, il colpo non era indirizzato all’Hunter, bensì al suo avversario: il demone venne colpito di striscio al polso da una tenaglia che Ronald conosceva bene.
Ferito, Claude arretrò digrignando i denti.
Il ragazzo dai capelli biondi voltò all’indietro il capo, vedendo due profili a lui familiari venire verso di lui.
«Ron!» esclamò la voce di Grell, mentre quest’ultimo avanzava veloce verso di lui.
«Oddio, e questo cosa...?!» fece, senza parole, vedendo il suo arto bruciare.
«Fa’ in fretta, Sutcliff. Prendilo e vai, prima che carbonizzi» lo redarguì William, ritraendo la propria asta e puntandola di nuovo verso il demone.
Grell sollevò malamente Ronald da terra, prendendolo in grembo cercando di non prender fuoco a sua volta, quindi si allontanò, lasciando William a vedersela con Claude.
«Non voglio perdere tempo con te» asserì il moro, pacato, allungando l’asta in direzione del tagliaerba, afferrandolo e trascinandolo verso di sé «Anche se risparmiare la vita di uno di voi mi disgusta» aggiunse.
Il demone dagli occhi dorati fece per attaccarlo, lanciandosi contro di lui, ma Spears fu più veloce e, non appena fu a tiro, gli menò un fulmineo calcio sotto il mento, scaraventandolo lontano.
A quel punto, prese la falce di Knox e se la issò sulla spalla, allontanandosi a propria volta.
«Arrivederci... Claude Faustus» si congedò gelido una volta giunto in prossimità delle case, balzando sul tetto della più vicina, dirigendosi verso il Portale per la loro dimensione che si trovava sopra il campanile della chiesa.
«Non finisce qui, Demon Hunters» sibilò Claude, rialzandosi, pulendosi il rivolo di sangue che gli scivolava lungo il mento.
Se ne andò anche lui, dirigendosi in città, in cerca di qualche anima da portare alla sua padrona.





Angolino autrice
Sono mesi che non aggiorno questa storia ç__ç mi dispiace *si sente colpevole* colpa un po' dell'Ispirazione e della scuola che sta sempre tra i piedi è-é
Ringrazio PattyOnTheRollercoaster per la recensione allo scorso capitolo e quanti hanno aggiunto la fic alle preferite/ricordate/seguite.
Al prossimo chappy! ^^
F.D.

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Capitolo 10
*** Spiegazioni dovute da tempo ***


10_Spiegazioni dovute da tempo
Demon Hunters
10. Spiegazioni dovute da tempo


Appena ebbe varcato il Portale, William appoggiò a terra l’arma di Ronald: gli faceva male la spalla e si era stufato di portarla in quella posizione così scomoda - anche perché non aveva più alcun motivo per andare di fretta, visto che adesso era di nuovo nella sua dimensione d’appartenenza, al sicuro.
Lo shinigami prese ad avanzare a grandi falcate attraverso il giardino, seguendo a distanza la figura in corsa di Grell Sutcliff, decisamente più agitato del normale.
Tra le braccia portava il corpo di Ronald: dalla posizione in cui William si trovava riusciva a vedere le gambe dello sfortunato Hunter e parte della testa.
Le fiamme che pian piano lo stavano consumando si erano propagate alla spalla e si stavano spandendo sul torace. Se Grell non si fosse sbrigato, avrebbe finito col prender fuoco a propria volta.
Doveva raggiungere l’infermeria il più presto possibile.
Lo shinigami rosso accelerò ancora, acquistando una velocità tale da lasciare William indietro, ma a quanto pareva quest’ultimo non se ne preoccupava particolarmente: l’avrebbe raggiunto poi, visto che aveva un’idea abbastanza chiara di dove lo stesse portando.
I tacchi di Sutcliff sbattevano con violenza sul terreno, producendo un rumore sordo che rimbombava nei dintorni, comunicando a Spears la distanza e la posizione del compagno.
Grell notò che il fuoco aveva rallentato il suo avanzamento - anche se non sembrava intenzionato a fermarsi. Era come se l’atmosfera della loro dimensione d’appartenenza lenisse le fiamme, facendo loro perdere potere in modo graduale.
Ronald si contorceva a malapena tra le braccia di Sutcliff, mordendosi a sangue le labbra nel tentativo di sopportare l’atroce dolore che lo opprimeva. Non aveva più le forze neppure per dibattersi: la sua carne stava bruciando. L’avambraccio ormai era completamente scarnificato: i muscoli erano visibili e si stavano sciogliendo come la cera dei mozziconi di candela con l’unica differenza che la cera colava, mentre i suoi tendini semplicemente polverizzavano.
Avrebbero trovato una cura?
Non voleva perdere il braccio per un qualche strano potere demoniaco del quale lui non era a conoscenza. Non era stata un’azione avventata la sua, dopotutto. Aveva solamente fatto il suo dovere di Demon Hunter; tuttavia, in quel frangente l’aver tentato di svolgere il suo lavoro di routine gli stava costando più di quel che era disposto a cedere.
Morire o rimanere mutilato l’avrebbero reso un Hunter inutile.
Grell superò con un balzo la porta che conduceva all’edificio principale degli Hunters, attraversando l’atrio principale senza preoccuparsi degli Dei della Morte che si voltarono al suo ingresso a guardarlo passare, in viso espressioni scioccate o semplicemente perplesse: Sutcliff, nella condizione in cui si trovava a causa del suo amore per Sebastian - fatto di cui erano a conoscenza ormai tutti - non poteva andare a cacciare i demoni e non aveva alcuna mansione specifica che potesse essergli affidata. E allora come mai correva così velocemente con un ragazzo che stava prendendo fuoco tra le sue braccia?
Cosa poteva essere mai accaduto?
Non avevano avuto il tempo di riconoscere chi fosse il giovane che portava tra le braccia, ma gli altri Hunters avevano un certo desiderio di scoprirlo.
Alcuni si mossero per seguire Grell, ma quando Spears entrò dalla porta d’ingresso l’atmosfera raggelò all’istante e tutti decisero di tornare alle loro mansioni: farsi beccare a vagabondare da William T. Spears avrebbe assicurato loro un biglietto di sola andata per il licenziamento.
Il moro attraversò l’androne senza degnare della minima attenzione i colleghi, dirigendosi invece verso le scale situate in fondo ad esso. Le salì a passo svelto, sistemandosi un paio di volte le lenti sul ponte del naso, svoltando a destra una volta giunto sul pianerottolo del secondo piano.
L’infermeria era l’ultima porta in fondo all’andito, sulla sinistra. Quando giunse a metà strada, da essa uscirono diversi infermieri, diretti verso varie destinazioni.
Il moro non alterò il passo e, nel giro di qualche altro minuto, giunse a destinazione ed entrò.
Chiese all’infermiere che si trovava di guardia all’entrata dove fosse stato portato lo shinigami biondo parzialmente ustionato che era appena entrato.
«La seconda porta a destra» disse, accennandogli con la testa al corridoio a sinistra del bancone d’informazioni dietro il quale si trovava lui.
«Però è strano... sei la seconda persona che chiede di quel ragazzo, nonostante sia stato appena portato» commentò lo shinigami, perplesso.
«Come?» fece William, interessato «Ricordi che aspetto aveva l’altra persona?» chiese subito dopo, senza perdersi in chiacchiere inutili.
Il suo interlocutore annuì.
«Era un tipo abbastanza stravagante, con una lunga veste nera, un gran cappello a cilindro nero in testa e gli occhi non si vedevano» descrisse l’infermiere «Non l’avevo mai visto prima d’ora qui...» aggiunse soprappensiero.
Spears inarcò fugacemente le sopracciglia in un’espressione sorpresa, poi si congedò con un rapido: «Grazie» e si avviò verso il corridoio che gli era stato precedentemente indicato.
Se quel Dio della Morte non s’era sbagliato, allora quello doveva essere proprio...
«Undertaker».
La voce di William riecheggiò secca nella stanza dov’era appena entrato, nella quale c’erano solamente lui, Grell e lo shinigami dai capelli grigi, in piedi accanto al letto dove Ronald giaceva privo di conoscenza, con un braccio quasi carbonizzato ma privo della fiamma violacea che lo stava bruciando fino a poco prima.
Sutcliff - che fino ad un momento prima era appoggiato alla sbarra inferiore del letto - non appena lo vide entrare si alzò e gli andò incontro.
«Wiiill!» esclamò, ma il moro interruppe quella melensa scena con un colpo di falce ben piazzato sulla sua testa che lo fece capitolare a terra.
Undertaker si volse verso colui che l’aveva appena chiamato, sorridendo in modo lugubre.
«William sei arrivato» esclamò, portandosi una larga manica a coprire la bocca, soffocandovi una snervante risatina.
Si accarezzò una guancia con le lunghe unghie colorate di nero, affondandole un poco nella pelle, lasciandovi dei leggeri segni di graffi cui non badò minimamente.
Spears si sistemò gli occhiali sul ponte del naso.
«Dovrei farle qualche domanda... a proposito di una Nìade» proseguì il moro, fissando intensamente in volto lo shinigami dai capelli grigi.
Quest’ultimo incurvò apertamente le labbra in un sorriso compiaciuto.
«L’avete scoperto anche senza di me, eh?» disse, con voce altalenante «Come siete stati bravi».
«Adesso però deve dirci tutto, altrimenti non potremo portare a termine l’incarico» asserì deciso William, guardandolo con espressione greve mentre spostava indietro una mano per chiudersi la porta alle spalle, in modo che nessuno potesse udirli.
«E va bene, William. Hai vinto» concesse Undertaker in tono arrendevole, anche se nella sua voce c’era ancora una sfumatura di divertimento.
All’improvviso fecero irruzione nella stanza un dottore e diversi infermieri, che costrinsero i tre shinigami ad uscire e recarsi in un’altra stanza, una sala d’attesa che - per loro fortuna - trovarono completamente deserta.
«Allora, Undertaker? Parla!» esclamò Grell non appena furono arrivati, lasciandosi cadere su una sedia con un gesto impaziente, accavallando le gambe in modo molto femminile.
«Ha ucciso la prima Nìade, non è così?» domandò Will, ignorando pazientemente lo shinigami rosso.
«Sì, sono stato io» rivelò Undertaker, ridacchiando «Ma è stato tanto tempo fa».
«E la pagina con le informazioni su di lei l’ha consegnata di persona agli angeli» continuò Spears.
Il Dio della Morte scrollò le spalle.
«Gli angeli hanno un modo veramente originale ed efficace di tenere lontani gli intrusi» disse «Anche se voi siete riusciti a passare...» continuò, senza smettere di ridacchiare.
Grell lo trovava irritante.
«E poi cos’è successo? Dov’è finito il quaderno dei suoi appunti?» domandò quest’ultimo.
«È andato distrutto col tempo» replicò, come se niente fosse.
«Che cos...?!» gridò Sutcliff, ma Spears lo interruppe bruscamente: «Però lei può dirci come distruggere la Nìade, non è così?». Senza aspettare risposta, proseguì: «Allora ce lo dica, affinché possiamo terminare quest’orribile incarico».
William cominciava ad essere stufo di quella situazione e voleva sbrigarsela in fretta, così da non rischiare il posto e non doversi sovraccaricare eccessivamente di lavoro.
E poi era stanco di dover sopportare l’esuberante temperamento di Grell Sutcliff.
«Come sei noioso» borbottò deluso Undertaker, lasciandosi cadere seduto su una sedia.
«Va bene. Vi dirò come si uccide una Nìade...».

«Sono tornato».
Claude emerse dall’oscurità con lo sguardo gelido puntato a terra, in segno di sottomissione.
Dall’angolo in ombra innanzi a sé provenne solamente un debole sibilo, nessuna parola concreta e definita.
Poi la sua padrona parlò: «Le hai trovate...?».
Le parole uscirono tremolanti e strascicate, colme di fatica. Sembrava che le sue corde vocali si fossero rattrappite e stesse cercando di forzarle a far produrre loro suoni che poi la bocca potesse articolare in parole di senso compiuto.
«Sì».
Così dicendo, Faustus estrasse dall’interno della giacca a coda di rondine una piccola ampolla contenente un liquido viscoso di un rosso sfumato nel magenta, che si muoveva all’interno del contenitore, simile ad un mare in tempesta.
«Quante sono?»
«Sono riuscito a trovarne solamente tre...» asserì Claude con una sfumatura di rammarico nella voce, avvicinandosi all’angolo, porgendole alla creatura che si trovava nell’ombra.
L’ampolla si sollevò dalle sue mani e rimase sospesa nell’aria per qualche momento, poi esplose in una pioggia di pezzi di vetro, ma il contenuto restò a mezz’aria, un ammasso semiliquido che brillava sinistro nella penombra.
Con uno schiocco secco, come di frusta, l’ammasso di anime si volatilizzò.
«Claude... chi ti ha attaccato oggi...?» chiese la voce femminile di poco prima «Il tuo odore è coperto... da quello di qualcos altro...» aggiunse, con un’inflessione leggermente schifata.
Il demone chinò leggermente il capo e rispose: «Ho incontrato un Demon Hunter...».
All’udire quelle ultime parole un grido agghiacciante lacerò il silenzio e le tenebre, rimbombando contro le pareti. Il moro rimase momentaneamente spiazzato da quell’urlo inatteso.
«Sanno di me, quegli orridi Hunter...» sputò fuori la creatura in ombra «Vogliono farmi del male, come a quelli prima di me...» continuò, la voce che pian piano si affievoliva, inacidendosi sempre più fino a diventare un sussurro stridulo.
Sembrava che stesse rivivendo un ricordo orribile e Faustus non se la sentì di intervenire in alcun modo: quella creatura era abbastanza potente da soverchiarlo senza alcuna fatica.
«Claude!» urlò quest’ultima sgraziatamente dopo qualche momento di assoluto silenzio.
«Sì, mia signora?»
«Va’ a cercare gli Immortali, coloro che custodiscono informazioni su di me e distruggili. Distruggi le loro informazioni» ordinò con voce crudele ed ancora stridula.
Era come se già stesse assaporando la scena che si sarebbe in realtà consumata in un secondo momento ed in un luogo molto lontano da quello dove lei si trovava.
Inchinandosi, il demone esclamò: «Yes, your Highness».
Si volse verso la parete alla sua destra ed i suoi occhi s’infiammarono di rosso mentre chiamava a raccolta il suo potere demoniaco.
Un’impalpabile aura violacea lo avvolse dai piedi salendo progressivamente verso la testa, liberando poco per volta filamenti d’energia che sbiadivano man mano che s’irradiavano dal suo corpo.
Quell’aura non proveniva dalla sua essenza demoniaca, ma era un potere aggiuntivo che la sua padrona gli stava concedendo in via eccezionale per adempiere all’apertura di un varco per la dimensione degli Immortali.
Era una dimensione lontana e difficilmente raggiungibile dal mondo umano, ma con una ingente quantità di energie - molte più di quelle che il suo solo corpo poteva contenere - per un demone era un’impresa fattibile.
Quando percepì un accumulo sufficiente di forze, Claude le rilasciò, concentrandosi sulla sua destinazione.
Queste si ripercossero come onde d’urto nell’aria, provocandovi uno squarcio sottile al di là del quale s’intravedeva una luce madreperlacea che accecò momentaneamente l’uomo, i cui occhi si erano abituati perfettamente alle tenebre del sotterraneo ove si trovava.
«Va’ Claude e fa’ ciò che ti ho chiesto» sibilò la sua padrona.
Il demone increspò le labbra in un ghigno e balzò agilmente all’interno dello squarcio, un momento prima che questo si richiudesse.





Angolino autrice
Finalmente trovo il tempo per aggiornare anche questa longfic *coro angelico* Ringrazio i lettori per la pazienza con cui aspettano i capitoli. Cercherò di postare più regolarmente con l'arrivo dell'estate.
Intanto, ringrazio BeaLovesOscarinobello e Gothick project per le recensioni all'ultimo capitolo e quanti hanno aggiunto la fic alle preferite/ricordate/seguite.
Al prossimo chappy ^^
F.D.

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Capitolo 11
*** Sguardi che gridano dolore al cielo ***


11_Sguardi che gridano dolore al cielo
Demon Hunters
11. Sguardi che gridano dolore al cielo


«Trovo strano che una Nìade abbia utilizzato come suo “cacciatore di anime” un demone...» esclamò Undertaker all’improvviso, dondolandosi col busto sulla sedia «Quando hanno assolto al loro compito, i cacciatori vengono divorati dalla padrona. L’ho visto fare... e devo dire che è stato decisamente divertente» commentò il becchino, tornando momentaneamente indietro con la memoria a molti decenni prima.
«Quell’essere mediocre si dimenava atrocemente mentre la Nìade gli dilaniava il ventre per mangiarlo! Ho avuto tutto il tempo di assistere alla scena, prima di uccidere anche lei» esclamò, sinceramente divertito.
«Che cosa?! Quel mostro non può mangiarsi il mio Sebastian!» sbottò Grell inviperito «Non glielo permetterò!».
«Ohoh... tu e chi altro...? Da solo non sei minimamente in grado di affrontarla... anche se vederti morire, chissà, potrebbe essere divertente...».
Mentre Sutcliff dava in escandescenze e Undertaker rievocava memorie del suo glorioso passato, William stava riflettendo sulle parole che quest’ultimo aveva pronunciato poco prima: di solito gli intermediari delle Nìadi erano umani...?
E allora perché quella non aveva scelto una persona qualsiasi, ma proprio un demone...? Che ci fosse un motivo particolare...?
Spears si spinse gli occhiali sul naso, alzando lo sguardo per portarlo sul becchino.
«Potrebbe esserci un motivo particolare per cui abbia scelto un demone come Sebastian Michaelis...?» domandò in tono secco.
Undertaker e Grell distolsero l’attenzione l’uno dall’altro e la fissarono sul terzo shinigami, del quale apparentemente parevano essersi dimenticati.
Il Dio della Morte dai capelli grigi si addossò contro lo schienale portandosi al mento una mano con fare teatrale, assumendo un atteggiamento di curiosa riflessione.
«Potrebbe essere che abbia in mente un rituale di qualche tipo...» borbottò, soppesando mentalmente l’eventualità «Però è impossibile portarlo a termine, non senza almeno...» s’interruppe un momento, poi alzò indice e medio a formare una "V" «... due demoni».
Cadde un silenzio teso, carico di riflessione, che Grell interruppe d’impulso: «Però non è stato il mio Sebastian a far del male a Ron, ma quell’altro, quel Claude...».
Gli altri due shinigami si girarono verso di lui e gli rivolsero - perlomeno William - una lunga occhiata penetrante, mentre un’ipotesi si faceva strada nelle loro menti.
«E se ce ne fosse più d’una?» propose William e, sull’onda di quel pensiero, continuò: «Oppure la stessa abbia...».
«Sono tornato, DEATH ☆!».
La porta della sala d’attesa venne spalancata in quello stesso momento con forza da Ronald, che a quanto pareva sembrava essere di nuovo in perfetta forma.
«Ron!» esclamò Sutcliff, sorpreso «Sei già guarito?!» domandò stupito, guardandogli il braccio: sotto la manica logora - praticamente in brandelli - il suo braccio era tornato integro ed era fasciato con una spessa benda bianca.
Però riusciva a muoverlo.
«Già, gli infermieri mi hanno dato una roba schifosa che però ha velocizzato la ricostruzione della struttura ossea e dei muscoli... quindi eccomi qui, pronto per la missione!» esclamò, entusiasta, riappropriandosi del suo tagliaerba di ultima generazione appoggiato in un angolo, solo e abbandonato a se stesso.
Notando la presenza di Undertaker, sbatté le palpebre e domandò: «Lui chi sarebbe?».
Uno scossone fece tremare all’improvviso la stanza, cogliendoli totalmente di sorpresa.
«Un terremoto?!» gridò Grell, guardandosi terrorizzato intorno.
«Usciamo di qui» intervenne Spears, alzandosi dalla sedia in contemporanea con Undertaker.
Non era normale un terremoto nella loro dimensione, però il moro non era intenzionato a rimanere lì: la situazione sarebbe potuta peggiorare.
Il gruppo di shinigami uscì di gran fretta dall’infermeria, scendendo nel corridoio d’ingresso dell’edificio.
Mentre correvano verso l’uscita, William colse uno spezzone di discorso tra due suoi colleghi.
«È comparso qualcosa nel giardino! Sembra una grande porta luminescente...!».
«Cosa? Dici davvero?».
Udendo quelle parole, Will non riuscì a pensare ad altro che alla porta per la dimensione degli angeli, eppure non sarebbe dovuta apparire: non era ancora mezzanotte!
Seguendo quel ragionamento, se si era materializzata “fuori orario” poteva significare solamente una cosa: c’era qualche problema nella dimensione di Ash ed Angela.
E, molto probabilmente, quel problema era collegato con quell’inspiegabile scossa di terremoto.
«Sutcliff, Knox! Dobbiamo andare dagli angeli, subito!» ordinò, rivolto ai due shinigami che correvano dietro di lui.
«Che cosa?! Ma perché, Will?» domandò Grell, confuso.
«Dagli angeli...?» si aggiunse Ronald, palesando una certa perplessità.
Uscirono fuori dall’edificio e subito Spears si diresse verso il portale, seguito a poca distanza dagli altri due, che ancora non capivano il perché della sua fretta.
Undertaker si fermò in mezzo al prato e si guardò alle spalle, osservando l’edificio da cui erano appena fuggiti che si stava parzialmente sgretolando.
Non poteva andare con gli altri tre: doveva rimanere lì, nel caso qualche nemico si fosse fatto vivo.
«È un peccato: con loro ci sarebbe stato di che divertirsi...» borbottò, rivolto più a sé stesso che ad altri, sorridendo.
«Il terremoto dev’essere stato causato da un problema nella dimensione degli Immortali. Per questo il portale si è materializzato fuori tempo» spiegò William, mentre giungevano in vista della porta.
In effetti, questa era completamente visibile, forse anche troppo: la luce che irradiava era d’un biancore a dir poco accecante.
«Dobbiamo entrare?» domandò Grell.
«Mi pare ovvio, Sutcliff» rispose severo Spears, rallentando fino ad un’andatura di piccola corsa, sistemandosi gli occhiali sul naso.
Ronald era sorpreso dall’intensità della luce emanata dal portale, ma più che altro era meravigliato dal fatto che ci fosse sempre stata una cosa del genere nel giardino e nessuno se ne fosse mai accorto.
«Le misure di sicurezza dovevano essere perfette» si ritrovò a commentare esterrefatto.
William superò l'uscio con una compostezza ed una rigidità che stonavano completamente con la circostanza in cui si trovavano.
Grell lo seguì con un balzo ed anche Knox - benché un po’ intimorito da cos’avrebbero trovato dall’altra parte - si azzardò ad oltrepassare la porta.
Lo scenario che si materializzò loro innanzi fu di desolazione e silenzio.
I tre shinigami avanzarono verso il castello, osservandolo con tutti i sensi all’erta.
Grell riusciva a percepire una sorta di cappa funerea opprimere quel luogo, rendendolo più spettrale rispetto all’ultima volta che ci erano stati.
Da lontano si riuscivano a scorgere, come unico cambiamento palese, i battenti della porta scardinati e spezzati trasversalmente a metà, appoggiati contro gli stipiti.
Però, più si avvicinavano più Sutcliff riusciva a percepire un odore di rame e carne che gli era ben familiare e che sembrava provenire dal varco aperto nella porta.
Ronald si guardava intorno, serrando la presa sul suo fidato tagliaerba. La sua recente esperienza con il demone Claude Faustus gli aveva insegnato che era meglio tenere sempre alta la guardia, anche quando si aveva a che fare con creature contro cui si è già combattuto - e a maggior ragione quando si va in un territorio i cui abitanti sono esseri ignoti come gli angeli.
Mentre esaminava i dintorni, i suoi occhi si posarono sulle mura dell’edificio a sé antistante, incrociando ben presto qualcosa che gli fece assumere un’espressione tutt’altro che piacevole.
«A quella finestra...» disse, indicando il punto che stava osservando con occhi sbarrati dall’orrore.
Will e Grell seguirono la traiettoria del suo dito, incontrando anche loro ciò che l’aveva atterrito: dal davanzale della finestra penzolava un braccio, inerte e coperto del liquido rosso scuro che incrostava anche la parete circostante.
Anche da quella distanza Spears riuscì a vedere che il sangue era schizzato violentemente dall’interno, come se il corpo che lo conteneva fosse esploso o fosse stato violentemente e brutalmente dilaniato.
Il cadavere giaceva con il capo rivolto verso l’alto appoggiato contro il davanzale ed il braccio - a giudicare dalla posizione - doveva essere stato spezzato.
William si fermò, si sistemò gli occhiali sul naso ed assunse un’espressione contrariata.
«Che ti prende, Will?» chiese Grell, fermandosi al vedere l’altro immobile ad osservare la finestra.
«Gli Immortali non sono facili da uccidere neppure per noi» disse il moro, senza rispondere direttamente alla domanda precedentemente postagli.
«Allora chi...?» esordì Ronald, poi cambiò espressione e domanda: «Un demone?».
«Probabile, ma dev’essere uno di quelli assoggettati alla Nìade» replicò Spears.
«Allora potrebbe essere...»
«Sebastian!» esclamò Sutcliff, improvvisamente su di giri, correndo verso la porta.
S’infilò nel varco con un balzo e sparì nelle tenebre che stavano oltre.
«Grell, dove vai?!» lo richiamò Knox, inutilmente.
«Quell’irresponsabile...! Finirà col farsi ammazzare» borbottò compostamente William, avviandosi a passo veloce verso la porta sfondata.
Ronald lo seguì senza dir niente.
Varcato l’ingresso, la luce si riduceva notevolmente. La condizione dell’illuminazione era molto differente da quella che avevano precedentemente trovato William e Grell: invece della mistica luce madreperlacea che impregnava ogni antro più remoto senza una precisa fonte, c’era solo una lievissima luce argentea smorzata e fievole che illuminava solo un’esigua striscia centrale del corridoio.
Per di più, era presente solo seguendo un determinato percorso. Formava una specie di sinistra guida che conduceva verso un luogo sconosciuto.
Ronald ebbe la sensazione che, ovunque quel fascio luminoso portasse, sarebbero arrivati al cuore di quel mastodontico edificio, dove avrebbero trovato Grell e, forse, non solo lui. Probabilmente ci sarebbero stati dei cadaveri simili a quello che aveva avvistato lui penzolare dalla finestra - se non in condizioni peggiori.
Era come se il castello stesso volesse condurli verso il campo di battaglia dove si era svolto quello che probabilmente era stato uno sterminio di massa.
Il tempo parve distorcersi, allungarsi fino all’infinito e poi fermarsi, mentre loro procedevano sempre più all’interno.
Ogni tanto trovavano del sangue a decorare le pareti ed il pavimento, ma dei corpi non c’era la minima traccia.
Infine, i due Demon Hunter arrivarono davanti ad un antro che si apriva in una parete, all’interno del quale c’era una ripida scala a chiocciola estremamente familiare a Will.
Quest’ultimo si affrettò a salire i gradini, inseguito da Knox, che si limitò a porre la più ovvia delle domande: «Dove stiamo andando?».
«Alla biblioteca» rispose laconicamente William.
Il primo cadavere si rivelò all’improvviso e poco mancò che Spears ci inciampasse.
Si trattava di una donna che il moro non aveva mai visto.
I capelli erano d’argento, lunghi e lisci. La veste bianca che indossava era insanguinata e strappata in corrispondenza del braccio sinistro - che le era stato brutalmente asportato - e del cuore, dove c’era solamente un foro che le passava da parte a parte il torace sfondato. Sotto di lei c’era una pozza di sangue che aveva impregnato tutti i gradini su cui era stesa.
I suoi occhi erano vacui e fissavano il cielo, come se volessero gridare tutto il dolore che quella creatura aveva provato in punto di morte.
Ronald spinse da parte William e scavalcò il corpo.
«Grell è in cima?» domandò.
«È probabile» replicò Spears, seguendolo.
Salirono rapidamente la lunghissima scala a chiocciola, evitando i corpi che sempre più frequentemente incontravano sul loro cammino e che parevano essere accomunati tutti dal fatto che il torace era stato squarciato in corrispondenza del cuore, strappato dal suo posto.
Quando arrivarono finalmente in cima, trovarono Grell immobile a fissare la stanza che si trovava innanzi: gli scaffali ed il mobilio in cristallo erano andati in mille pezzi ed i libri erano sparsi ovunque sotto la distesa di cadaveri che occupava l’intero pavimento.
Il sangue parzialmente raggrumato macchiava le pareti ed il soffitto e si estendeva in grosse chiazze sotto i corpi.
Il cuore era stato strappato a tutti ed alcuni giacevano nei pressi di qualche cadavere, anche se difficilmente l’organo doveva essere quello appartenente alle persone all’intorno.
Mutilazioni varie erano state fatte agli angeli: ad alcuni mancava la testa, ad altri un pezzo del torace, altri ancora erano privi di un arto o due.
In mezzo a quel cumulo di corpi si ergeva un uomo vestito di nero che dava loro le spalle e che Ronald riconobbe come il demone contro cui aveva rischiato di morire.
Claude Faustus.
Dietro di lui c’erano due immense schegge di vetro su cui erano stati impalati i cadaveri dei due angeli che avevano aiutato William e Grell, Ash ed Angela.
Lui era infilzato per il torace, mentre lei per la gola.
Sopra di loro, nella punta insanguinata delle schegge, erano infilati quelli che dovevano essere i loro cuori.
I loro sguardi vuoti - così come quelli di tutti gli altri morti - fissavano il cielo, come in preghiera.
Era stato un vero e proprio genocidio: non c’era nessun sopravvissuto.
Faustus si voltò e si fermò nel vedere i tre shinigami a sbarrargli la strada.
Ronald digrignò i denti e si preparò a combattere, ma Claude scartò di lato e corse verso la parete destra, nella quale era aperto uno squarcio dimensionale violaceo del quale prima i tre non si erano accorti, troppo impegnati a guardare l'orripilante spettacolo che era loro offerto.
Spinto dal suo impulso di Hunter, Knox gli corse appresso e così fecero anche gli altri due Dei della Morte, seguendo il demone all’interno del passaggio, ignari di dove questo li avrebbe portati.





Angolino autrice
Mi vergogno profondamente del tempo che ci ho messo a postare questo capitolo. Mi dispiace >/////< comunque, alla fine eccolo, in tutta la sua... bellezza(?)
Ringrazio sinceramente Gothick project per la recensione allo scorso capitolo, tutti coloro che hanno aggiunto la fiffi alle preferite/ricordate/seguite e chi segue e basta.
Al prossimo chappy! ^^
F.D.

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Capitolo 12
*** Doppio servitore ***


12_Doppio servitore
Demon Hunters
12. Doppio servitore

Ronald fu il primo ad atterrare, assorbendo l’impatto improvviso col suolo con le gambe, flettendole.
Si rialzò e si guardò intorno: si trovava in un sotterraneo umido e scarsamente illuminato che puzzava di muffa. Il soffitto non era molto alto, ma la stanza era grande.
Grell atterrò in piedi alle sue spalle accompagnato da un familiare e riecheggiante rumore di tacchi, seguito da William.
«Che posto è questo?» domandò lo shinigami rosso, palesemente disgustato.
«Sento... sono shinigami...?».
A parlare era stata una voce sibilante, femminile ed inquietante proveniente da uno degli angoli in ombra.
«Ti sei fatto seguire... Claude?» esclamò di nuovo la voce, stavolta con un’inflessione iraconda.
Il demone apparve dal nulla davanti ai tre shinigami, gli occhi che brillavano scarlatti. Avanzò di qualche passo, lentamente e minacciosamente.
«Me ne libero subito» disse. Dal tono di voce utilizzato traspariva quanto fosse amareggiato e irritato per quella visita non gradita.
Scattò fulmineo verso i tre.
«Non fatevi toccare!» rammentò Ronald, mentre rievocava alla memoria l’orribile certezza d’essere prossimo alla morte ed il dolore atroce che aveva pervaso ogni fibra del suo essere nel contatto con quelle fiamme demoniache che non si spegnevano.
Alzò il tagliaerba sopra la spalla, abbattendolo contro il petto di Claude, sbalzandolo all’indietro, anche se di pochi metri.
Quest’ultimo caricò di nuovo, e stavolta ad incassare il colpo fu nuovamente Ronald, che parò con la sua falce ma venne scaraventato via.
Grell lo superò d’un balzo con in pugno la sua amata motosega, che accese l’attimo prima di saltare addosso a Faustus, che schivò appena un momento prima che la lama rotante della falce si facesse strada nella sua spalla.
Spears, nel frattempo, aveva aggirato il combattimento e si era avvicinato all’angolo dal quale poc’anzi era pervenuta la voce.
Esaminò il buio che impregnava tutta la parte superiore dell’angolo, cercando di scorgere qualcosa, ma non vide niente finché due sfere luminose e bianche si aprirono, fissandosi su di lui come fosse una preda.
William non si fece prendere dal panico: arretrò di un passo e sollevò la sua arma, puntando la tenaglia verso gli occhi della creatura. Aveva letto - e se ne ricordava bene - che la Nìade non si poteva muovere, perciò non avrebbe tentato di scappare.
Convinto di ciò, abbandonò ogni prudenza e tentò d'attaccarla; purtroppo per lui, la bestia non era incline a farsi ammazzare tanto facilmente.
Fu così che William fu colpito a sorpresa da ben quattro catene grosse e pesanti, che lo frustarono una volta ciascuna e poi si avvinghiarono attorno a polsi e caviglie, sbattendolo a terra violentemente.
La falce gli volò via di mano, atterrando con un rumore metallico a diversi metri di distanza da lui.
«William!» chiamò Ron, vedendolo a terra, ma non poté preoccuparsi a lungo di lui perché dovette saltare all'indietro per evitare che Claude lo infilzasse con i suoi coltelli d'oro.
«Shinigami...?».
Una voce maschile, irritata e lievemente intrisa di sorpresa risuonò nel sotterraneo.
Sutcliff - che si stava preparando ad attaccare di nuovo Faustus - si fermò a metà del movimento, la motosega alzata sopra la testa in modo minaccioso, pronta ad abbattersi sul cranio del demone dagli occhi dorati.
Il suo sguardo si spostò immediatamente - così come quello di Claude - sulla sagoma che era apparsa dalle scale ad un capo della stanza, alta e smilza, con due pupille di brace che s’accendevano come fuochi nella penombra del locale.
Grell si distrasse dal combattimento e si voltò completamente verso il nuovo venuto abbassando la sua arma, in viso un’espressione estatica ed ammirata che incuriosì Ronald.
«Sebastian Michaelis» nominò Faustus, cambiando posizione, abbandonando quella offensiva per assumere quella eretta.
Il suo sguardo era severo, irritato.
«Che cosa ci fai tu qui, nella casa della mia padrona?» domandò Sebastian, corrugando gli occhi in un’espressione rabbiosa ed inquisitoria al tempo stesso.
«Questa è la mia padrona» sentenziò Claude.
Fu allora che William, bloccato a terra più in là, al vedere i due demoni scrutarsi vicendevolmente con odio, si ricordò cosa gli aveva detto Undertaker poco prima, nell’infermeria, circa le possibili “opzioni” sulla Nìade.
Siccome era ormai appurato che ce ne fosse solamente una e che avesse ai suoi comandi ben due demoni, il quadro generale della situazione si era fatto improvvisamente un tantino più chiaro ed inquietante.
«Sebastian... Claude...».
La voce del mostro si era arrochita, anche se aveva mantenuto la sua sfumatura sibilante.
L’azione parve rallentare fino a fermarsi completamente per un momento, un fatale attimo, l’istante prima della tempesta.
Poi tutto si rimise in moto freneticamente e un grido femminile talmente acuto da far sanguinare i timpani lacerò l’aria.
«Fermateli!» urlò Spears, rivolto ai due compagni.
Claude e Sebastian furono sollevati da terra e posti parallelamente al suolo, mentre un’aura purpurea ed una blu intenso si spandevano dai loro corpi nell’aria circostante.
Ronald era piegato in due, le mani premute sulle orecchie nel vano tentativo di proteggerle da quel chiasso, mentre assisteva atterrito alla scena. Accanto a lui, Grell osservava attonito, anche lui con le orecchie tappate.
Una lama di luce si fece strada nei toraci dei due demoni e schizzi di sangue vennero proiettati in aria con violenza.
William era stordito da quell’urlo atroce, la testa afflitta da un’emicrania lancinante.
«Interrompete il rito!» esclamò a gran voce, cercando di sovrastare il rumore.
«Sebastian!».
Sutcliff cominciò a chiamare il demone con un tono di voce melodrammatico.
«Sebastian! Sebastiàn!» ripeté, cominciando ad agitarsi.
Si voltò verso l’angolo vicino al quale Spears era steso a terra e digrignò i denti.
«Non puoi far del male al mio Sebastiàn!» gridò.
Iniziò a correre con la motosega accesa in mano e si lanciò alla carica. Ricordava ancora bene cosa gli aveva detto Undertaker riguardo a come ammazzare una Nìade e non aveva intenzione d’aspettare un minuto di più, considerato ciò che stava facendo al suo Sebastian.
Ad un metro circa dalla Nìade si fermò e scaraventò verso di lei la motosega, mirando al buio dove doveva essere la sua testa, scartando indietro in un secondo momento, arretrando e piegandosi a prendere la falce di William.
Una catena s’avvolse intorno alla falce e la spinse via, ma la creatura non riuscì a parare il secondo affondo: Grell era balzato in aria approfittando della sua distrazione impugnando l’asta allungata dell’arma del compagno.
Conficcò con forza la tenaglia nel buio e, percependo al tatto d’aver colpito qualcosa, mulinò l’attrezzo in modo da recidere qualsiasi cosa avesse colpito.
Il grido ebbe un picco improvviso poi sparì di colpo e tutto fu silenzio.
In quell’assenza totale di suono, il rumore di una testa che cadeva al suolo riecheggiò amplificata diverse volte.
Il cranio della Nìade, rimasta fino ad allora nell’ombra sia a loro che al mondo intero, finalmente si rivelò: il viso era di donna, scheletrico, la pelle avvizzita e le orbite scavate, prive di bulbi. Le labbra secche erano aperte in una “o” muta che lasciava scoperti i denti, tutti piccoli quadratini perfetti tranne i canini, che erano più lunghi, grossi ed incurvati, simili alle mandibole dei ragni.
Alle spalle di Grell, Ronald assistette in silenzio alla dissolvenza delle aure colorate che li avevano avvolti fino ad allora e della lama di luce bianca dai loro corpi, che caddero a terra con un tonfo, immobili.
Knox sapeva bene che quelle creature erano dure a morire e che le loro capacità di guarigione erano a dir poco formidabili, per cui non si preoccupava minimamente per loro ma anzi, si aspettava di vederli rimettersi in piedi da un momento all’altro - come infatti accadde.
Sutcliff, intanto, aveva recuperato la sua motosega - ancora accesa e finita abbandonata al suolo - ed aveva spezzato le catene che ancora immobilizzavano William, permettendogli così di rialzarsi.
Spears si sistemò gli occhiali - spostatisi leggermente verso la punta del naso - di nuovo al loro posto, quindi si volse verso i due demoni, che si stavano scrutando reciprocamente con una certa rabbia.
Prima che potesse dire o fare qualunque cosa, Grell s’interpose: «Fermo! Non puoi far del male a Sebastian!».
Michaelis e Faustus si voltarono ambedue verso di lui.
«Cosa stai blaterando, Sutcliff? Sono demoni ed hanno ucciso alcuni Hunter» replicò in risposta Will.
«E quel Claude ha quasi carbonizzato me!» si lamentò Ronald, agitando le mani con fare stizzito.
I due demoni approfittarono della loro momentanea distrazione per aggirarli e correr via verso le scale.
Sebastian solo si girò un momento, col piede sul primo gradino, per rivolgere un’occhiata al Dio della Morte rosso.
«Spero che questo sia un addio».
Ciò detto stirò le labbra sottili e pallide in un sorriso sghembo e la sua figura svanì su per le scale.
«Li hai lasciati scappare!» fece notare Ronald, arrabbiato: lui avrebbe voluto vendicarsi per quello aveva subito. Voleva farla pagare cara a quel Claude Faustus.
Grell lanciò un gridolino eccitato che fece rabbrividire William.
«Sebastiàn! Mio amoreee...! ♥».





Angolino autrice
Anche se con un mostruoso ritardo, ecco finalmente l'ultimo capitolo. Ringrazio sentitamente coloro che hanno seguito la fic e che l'hanno aggiunta alle preferite/ricordate/seguite.
Bye bye <3
F.D.

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