Demon Hunters di Fiamma Drakon (/viewuser.php?uid=64926)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Andando contro le regole ***
Capitolo 2: *** Problemi di tipo demoniaco ***
Capitolo 3: *** Piuma bianca ***
Capitolo 4: *** Il Palazzo degli Angeli ***
Capitolo 5: *** Espedienti angelici ***
Capitolo 6: *** Danza notturna ***
Capitolo 7: *** Gli Immortali ***
Capitolo 8: *** Un altro shinigami in scena, DEATH ☆! ***
Capitolo 9: *** Il primo assassino - una verità nascosta attraverso i secoli ***
Capitolo 10: *** Spiegazioni dovute da tempo ***
Capitolo 11: *** Sguardi che gridano dolore al cielo ***
Capitolo 12: *** Doppio servitore ***
Capitolo 1 *** Andando contro le regole ***
1_Andando contro le regole
1. Andando contro le regole
«Non puoi andare»
«Perché no, Wiiill? Daiii!».
L’altro tacque il tempo necessario a sistemarsi gli occhiali.
«Perché le regole lo impediscono. Vuoi essere degradato ancora?»
«Sei così
cattivooo...!» si lamentò il suo interlocutore, con quella
voce vagamente femminile e lagnosa, incrociando le braccia sul petto.
Si sistemò nuovamente gli occhiali.
«Grell Sutcliff, non puoi rivedere ancora quel demone».
Il suddetto shinigami lo
guardò con un broncio misto a indignazione: a lui delle regole
non importava un beneamato fico secco. Per lui il suo amato poteva
essere un demone, un altro shinigami, addirittura un angelo o Babbo
Natale, non gl’interessava: quando uno era sexy - dannatamente, schifosamente sexy - lo rimaneva qualsiasi cosa fosse.
Anzi, tutti quegli ostacoli
al suo amore non facevano altro che acuire il suo sentimento verso di
lui: il proibito aveva un che di dannatamente attraente ai suoi occhi.
E poi era tutto così romantico...
«Non
m’importa» s’impuntò, distogliendo il viso,
sdegnato «Io voglio rivederlo» sentenziò.
William si massaggiò
le tempie con fare estremamente paziente: cercare di farlo ragionare
era la cosa più difficile che potesse tentare di fare, ma era un
suo obbligo in quanto suo superiore. Tuttavia era del ferreo parere che
non lo pagavano abbastanza per doversi occupare fino a quel punto della
sua insubordinazione - in aggiunta al doversi sorbire tutte le sue
lagne spudoratamente femminee.
Grell era stufo,
semplicemente: cercare di spiegare le proprie ragioni ad uno come
William T. Spears era solo tempo perso. Quel ragazzo non poteva capirlo!
Decise allora di passare
all’azione: senza alcun preavviso, girò sui tacchi e
varcò l’immenso arco che lo separava dal giardino,
ignorando le riprese continue del moro alle sue spalle.
Era troppo ligio al dovere
per i suoi gusti: così la sua vita sentimentale sarebbe andata
in mille pezzi ancor prima di cominciare, anche se quel suo sguardo
così freddo gli dava certi brividi piacevoli e sensuali, di
tanto in tanto.
«Be’, se riuscisse a sciogliersi un po’, sarebbe anche un buon partito»
commentò tra sé, divertito, passandosi la lingua sulle
labbra con fare palesemente malizioso, mentre si dirigeva correndo
verso il ponte che si ergeva imponente sull’immenso giardino
davanti alla Biblioteca degli Shinigami.
La sua meta era semplice quanto mai banale: il Portale per il mondo umano.
Il violento picchiare dei
suoi tacchi sul candido marmo ed il leggero frusciare del suo lungo
cappotto rosso erano gli unici rumori che gli tamburellavano i timpani,
facendo da sottofondo ai suoi pensieri ossessivi riguardanti
l’attuale oggetto di tutto il suo incondizionato amore: il demone
Sebastian Michaelis.
Anche se era proibito in
modo categorico che uno shinigami - l’antica razza dei Demon
Hunter - intrattenesse alcun tipo di relazione con le loro prede
naturali - i demoni, ossia il lato oscuro del mondo - lui se ne era
infischiato altamente e ne aveva pagate le conseguenze. Difatti gli era
stata confiscata la sua arma, la sua tanto amata motosega, sostituita
da una semplice, banalissima coppia di piccole forbici.
Se fosse riuscito a cavare
gli occhi alle sue vittime con quelle mini armi, sarebbe già
stato un risultato eccezionale, ma in fondo a lui importava ben poco:
finché gli altri demoni lasciavano in pace lui e il suo
Sebastian, non aveva motivo di preoccuparsi di quanti ne avrebbe
ammazzati, né - ovviamente - del modo in cui l’avrebbe
fatto.
Raggiunto l’altro
lato del ponte, scavalcò con un salto i cinque gradini che lo
separavano dal suolo, quindi continuò a correre, imperterrito:
la sua fame di amore lo stava divorando dentro.
Lui doveva rivedere Sebastian, a qualsiasi costo.
Si fermò davanti ad
un immenso portale di pietra bianca decorato con fregi dall’aria
antica e vagamente esotica e sorrise di sghembo, mostrando la dentatura
da squalo.
«Eccolo, finalmente: il Portale. Non stavo più nella pelle!».
Si avvicinò ai
grandi battenti - due teste di tigre che reggevano in bocca un anello -
e, dimostrando di possedere una forza ben al di là delle umane
possibilità, afferrò i due cerchi e li tirò a
sé, aprendo la porta.
Nel saltare
all’interno - azione peraltro accompagnata da un malsano
entusiasmo - il suo unico pensiero fu un ben poco maschile: «Eccomi a te, caro Seb-as-stiàn~♥!!».
La falce della luna
risplendeva alta nella notte, riverberando il suo argenteo candore
opalescente nella volta celeste notturna, che quella sera mancava dei
piccoli diamanti che la rendevano ancora più meravigliosa e
luminescente.
La sua perfezione lattea
venne rovinata da un improvviso tremolio, simile a quello
dell’acqua increspata, ma fu solo una cosa momentanea. Allora,
una figura comparve stagliata nel cielo in contrasto con la falce:
cadeva ad una rapidità sconcertante, simile ad una meteora
oscura, ma pareva non preoccuparsi affatto. Dietro di sé, una
moltitudine di lunghissimi capelli scarmigliati lo seguiva, come la
coda di una stella cadente.
Senza emettere un solo
fiato, precipitò sul tetto obliquo di una chiesa, atterrando
indenne in piedi, senza vacillare: le gambe avevano assorbito il colpo
senza conseguenze sul suo perfetto e sovrannaturale equilibrio.
«Da dove iniziamo a
cercare il mio Sebastian?» si domandò ad alta voce,
passandosi la lingua sulle labbra e guardandosi intorno: le case erano
tutte simili tra loro, con il tetto scosceso rischiarato dalla luce
lunare, e si estendevano per quasi un chilometro a raggiera attorno al
punto dove si trovava lui. Probabilmente la chiesa era il fulcro
attorno al quale la città era stata eretta.
Dentro di sé
avvertì l’impulso di recarsi presso un fiume che
costeggiava il lato nord della città. Senza perdere un solo
attimo si diresse lì: la sua parte più istintiva, adibita
alla localizzazione delle sue prede, aveva una strana predisposizione
naturale ad un rilevamento talmente rapido e preciso che se gli avesse
fornito pure coordinate precise su dove il demone di turno si trovasse
non si sarebbe sorpreso affatto.
Fin dall’inizio della
sua “carriera” di Demon Hunter - iniziata pressoché
attorno ai dieci anni - si era rivelata un’abilità
eccezionalmente utile per velocizzare l’individuazione del nemico.
Quella volta, anche se
utilizzata non con lo scopo di localizzare una vittima, si era palesata
essere altrettanto utile, in aggiunta al fatto che in quella cittadina
bazzicavano pochi demoni, quasi tutti di solo passaggio. Se fosse stato
un luogo più “trafficato”, avrebbe dovuto giostrarsi
tra migliaia di imposizioni contrastanti sulla direzione da prendere.
Sebastian, con sommo
sollievo dello shinigami, era l’unico che sembrava essersi
stabilito lì in modo permanente, dato che non aveva accennato a
spostarsi per quasi cinque mesi. Un vero e proprio record, considerata
la natura della sua razza, incline al nomadismo - con eccezioni in casi
particolari, ma solo di pochi giorni.
L’unico demone che
rilevava era quello vicino al fiume, il che gli suggeriva che quello
era proprio il suo amore demoniaco.
Che cosa ci facesse
così lontano dal centro, non ne aveva la più pallida e
remota idea - l’unica ipotesi plausibile che aveva formulato era
che vi si fosse recato in cerca di particolari anime - ma più di
tanto non se ne preoccupava: non erano affari suoi se qualche
insignificante umano moriva in città o in periferia, o moriva e
basta.
In fondo, prolificavano
più in fretta di quanto si potesse credere per essere una razza
di così basso rango. Qualche perdita potevano sopportarla.
«Oltretutto,
se devono perire affinché il mio tesoro adorato possa
sopravvivere, dovrebbero addirittura essere orgogliosi di cedere a lui
la loro inutile vita~♥!» commentò
allegramente tra sé, balzando con tanto di giravolta nel cielo,
superando una delle strade principali della città, a
quell’ora completamente deserta.
Proseguiva a ritmo serrato,
sempre più velocemente man mano che si avvicinava alla sua meta:
la smania di rivederlo era troppo forte perché potesse
semplicemente attendere oltre.
Arrivato sull’ultimo
edificio, saltò giù dal cornicione con una grazia che
definire femminile sarebbe stato un semplice eufemismo, per poi
dirigersi fulmineo attraverso l’erba stopposa ed incolta che si
estendeva per miglia tutt’attorno.
Un vero e proprio paesaggio campestre in rovina.
Ben presto, Grell
iniziò a sentire il rumore dell’acqua che scrociava nel
suo letto, ma non solo quello: grida di dolore che volevano essere
acute e strazianti gli giungevano alle orecchie solo come urla
soffocate, facendolo fremere nel profondo.
Era lì, sempre più vicino.
La distesa
s’interruppe bruscamente su di un piccolo pendio erboso che
portava ad un esteso avvallamento nel quale si trovava il fiume.
Sulla sponda più
vicina a sé, il Demon Hunter scorse un gruppo di corpi inerti
distesi a terra e, tra di loro, una figura nera e slanciata,
l’unica ancora in piedi.
Il suo cuore
accelerò i battiti: era lui, non aveva dubbi. Solo lui poteva
indossare con così tanto charme un completo nero tanto elegante.
Spiccò un salto fin
troppo energico, tale da raggiungere circa i trenta metri
d’altezza, quindi si lanciò in picchiata verso la persona
vestita di nero, aprendo le braccia.
«Seb-as-t...».
Il suo bersaglio si volse di scatto all’udire la sua voce. Solo allora lo shinigami si rese conto che quello non era
il suo demone, ma purtroppo per fermarsi era troppo tardi. Il giovane
sconosciuto rimase immobile ad osservarlo precipitargli contro con
sguardo glaciale finché non gli fu praticamente addosso, quindi
si chinò e, quando gli passò proprio sopra, alzò
la mano con un fulmineo scatto, serrandola attorno alla sua gola.
A quel punto si rialzò e si avvicinò al viso della sua preda tanto che i loro nasi quasi si sfioravano.
Grell riuscì
così a scrutare bene in faccia l’uomo: aveva i capelli
neri, pettinati all’indietro in modo da lasciare completamente
scoperto il viso; indossava un paio di occhiali dalla montatura di
semplice metallo argentato e le lenti squadrate, dietro le quali si
trovavano due pozzi di freddo oro, fissi su di lui.
Era inquietante, ma forse proprio per quello anche terribilmente bello.
«Ehilà! Ti
hanno mai detto che hai dei bellissimi occhi? E chissà che altro
hai di così bello...» lo stuzzicò Grell, passandosi
la lingua sulle labbra, sorridendo con fare lascivo.
«Tu sei... uno shinigami?» gli chiese in risposta lo sconosciuto, senza smettere di fissarlo glacialmente.
«Io sono quello che
vuoi. Baciami...!» esclamò l’altro in tono voglioso,
protendendosi faticosamente verso di lui, il quale serrò ancor
di più la presa sul suo collo con l’evidente intento di
strangolarlo.
«Muori, Demon Hunter...!» sibilò, duro, rinsaldando ancor di più la presa sulla sua giugulare.
Grell era sul punto di
soffocare, eppure tutta la sua attenzione era focalizzata su
quell’affermazione che - contro ogni possibile aspettativa -
reputava quasi alla stessa stregua di una dichiarazione d’amore
in piena regola.
La sua concezione dell’amore, in verità, era tanto distorta quanto malsani erano i suoi gusti sessuali.
I suoi polmoni erano ormai
a secco d’aria ed invocavano pietà, mentre davanti agli
occhi cominciavano a danzargli puntolini bianchi, mentre lentamente
iniziava a scivolare nell’incoscienza della morte.
Paradossale come da cacciatore si fosse trasformato in preda.
Continuò a fissare,
per quel poco che gli rimaneva, gli occhi del suo quasi assassino,
mentre muoveva le mani per far scivolar fuori dalle maniche le sue
forbicine: non aveva certo intenzione di morire lì.
Le strinse saldamente nelle
mani, quindi puntò il suo sguardo sul braccio che lo reggeva: se
fosse riuscito a conficcarne almeno una lì, probabilmente
sarebbe riuscito a fermarlo.
Stava per sferrare il suo attacco quando, con la coda dell’occhio, scorse un improvviso cambiamento nel suo sguardo.
Sentì la sua presa
dissolversi dal suo collo e lo vide saltare indietro uno scatto
repentino a dir poco, mentre una fila di piume nere dall’aspetto
insolitamente affilato andava a conficcarsi con forza nel terreno, nel
medesimo punto dove solo un istante prima era il moro.
«Claude Faustus».
La voce che Grell
udì gli strappò un indecente e fin troppo femminile
“awww!”: conosceva quel tono, e conosceva anche il
detentore di quella splendida voce provvista di una meravigliosa
sfumatura oscura.
Nel voltarsi, ebbe la
conferma di ciò che aveva percepito semplicemente con
l’udito: era arrivato il suo demone, quello per cui aveva lottato
così tanto contro gli altri shinigami, le stupide regole dei
Demon Hunter e perfino quel noioso di William.
«Aww,
Sebastiàn!» esclamò, in tono dolce, squadrandolo da
capo a piedi con un’avidità senza fine.
Come sempre, indossava un
completo nero, sotto al quale s’intravedeva una camicia bianca
abbottonata e fermata sotto i risvolti del colletto da una cravatta
nera che andava a sparire nella giacca chiusa.
Il demone si
avvicinò senza degnarlo della benché minima attenzione:
questa era tutta focalizzata sull’uomo chiamato Claude, il quale
ricambiava con ardente astio.
«Sebastian Michaelis» esclamò.
«Non sei gradito qui. Questo è il mio territorio» ribatté freddamente Sebastian.
Claude affilò lo sguardo in uno più beffardo, senza perciò increspare le labbra.
«Il tuo? Questo è da vedere» replicò.
Michaelis estrasse dalle
maniche un altro set di piume, quindi le lanciò verso il suo
avversario, che le evitò facilmente.
«Sparisci Claude».
Quest’ultimo rimase
immobile un attimo, lo sguardo improvvisamente pieno d’odio, poi
disse: «Sappi che non mi arrendo tanto facilmente,
Sebastian».
Quindi si volse e
saltò dall’altra parte del fiume, girandosi a guardare
un’ultima volta il suo nemico, prima di andarsene.
Sebastian rilassò un poco i muscoli, tenendo alta la guardia, in caso attaccasse ancora all’improvviso.
«Sebas-chan! Mio eroe~♥!».
Sentì qualcosa
strusciarsi contro la propria gamba, perciò abbassò gli
occhi, notando che lo shinigami che Claude aveva quasi ammazzato era lo
stesso che fin da quando si era stabilito lì continuava
imperterrito a tormentarlo.
Se avesse visto prima che
era Grell la sua vittima, avrebbe fatto sì che Faustus lo
ammazzasse, prima di intervenire e cacciarlo: di certo si sarebbe
trovato con una palla al piede in meno.
Lo shinigami,
testardamente, continuava a strusciarglisi contro la gamba alla quale
si era stoicamente avvinghiato, come un gatto in cerca di attenzioni.
Con un gesto alquanto
brusco, gli premette una mano sulla fronte e lo allontanò,
facendolo finire seduto a qualche metro di distanza.
«Stai lontano, shinigami» disse semplicemente, voltandosi a dargli le spalle.
Ma Grell considerava quei tentativi d’allontanamento come azioni volte ad acuire in modo osceno le sue attenzioni.
Rialzatosi, si gettò verso di lui a braccia aperte.
«Sebast...?!».
Non riuscì a terminare: si sentì strattonare per il cappotto e tirare via in malo modo.
L’ultima cosa che
vide fu il demone che si voltava per metà verso di lui con
sguardo totalmente indifferente, poi la sua immagine venne risucchiata
da un vortice bianco.
Quando tutto riprese
colore, si trovava steso bocconi su un pavimento a lui ben noto, gli
occhi incollati non al viso del suo amore, bensì alle scarpe di
qualcuno.
«La ringrazio per essere andato a recuperarlo».
La voce era innegabilmente quella di William.
Sbuffò, risentito, mettendosi carponi: era tornato nella dimensione degli shinigami. No, più corretto, era stato trascinato nella dimensione degli shinigami, di nuovo.
Il Demon Hunter dai capelli
rossi era non poco arrabbiato con colui o colei che si era permesso di
riportarlo in quel noiosissimo posto senza il suo permesso e - cosa
ancora più importante - solo pochi minuti dopo aver finalmente
ritrovato il suo demone.
Non lo accettava: lui voleva vederlo, accidenti!
«Ehi!» esordì, voltandosi «Perché mi ha...?!».
Tacque quando vide chi era stato a strapparlo al mondo umano.
«Ehilà...!».
Lunghi capelli grigi, volto
seminascosto da una folta frangia, vestiti scuri e stravaganti al pari
del loro possessore. Non c’erano dubbi, quello era...
«Undertaker?!» sbottò Grell, drizzandosi e allontanandosi subito.
Il suo interlocutore si
portò un’ampia manica alla bocca e vi affogò una
risatina nervosa, che fece venire la pelle d’oca a Sutcliff.
William, al contrario, era
l’incarnazione della calma. Molto formalmente, si inchinò
davanti al terzo shinigami e domandò: «A cosa dobbiamo la
sua visita?».
L’altro agitò una mano e sorrise.
«Sembra che ci sia un problema...».
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Capitolo 2 *** Problemi di tipo demoniaco ***
2_Problemi di tipo demoniaco
2. Problemi di tipo demoniaco
«Sembra che ci sia un problema...».
William raddrizzò il busto e si sistemò gli occhiali sul naso, inarcando con perplessità le sopracciglia.
Grell rimase a fissarlo
qualche istante: non era cosa di tutti i giorni cogliere di sorpresa
William T. Spears, anzi, si poteva dire che era un evento più
unico che raro.
«Che genere di problema?» domandò, riposizionando le lenti.
Era un’azione che era
solito fare un migliaio di volte al giorno già nella norma, ma
nei momenti di disagio il numero moltiplicava quasi esponenzialmente,
come se ciò riuscisse in un certo senso a calmarlo.
Undertaker rise, facendo
accapponare ancora una volta la pelle a Grell, che spostò su di
lui gli occhi, confuso: se c’era un problema, un guaio di
qualsiasi tipo, perché si era preso il disturbo di andare a
riprenderlo mentre tornava nella loro dimensione?
Non riusciva a carpirne il motivo.
Il becchino si
avvicinò a Spears, poggiandogli le mani sulle spalle, quindi
allungò l’indice e il medio della destra e le mosse lungo
il suo petto elegantemente vestito, protendendo il viso verso il suo,
sorridendo.
«Due demoni stanno
creando un po’ troppo trambusto» esclamò, con quel
suo tono cantilenante e vagamente lugubre.
Risalì rapido il collo, fino a conficcare delicatamente la lunga unghia nera dell’indice nella guancia di William.
«Dovremmo ucciderli... ma sembra difficile al momento, purtroppo» continuò.
Will si sistemò gli occhiali.
«Possiamo andare a discutere i dettagli in separata sede» asserì.
«Come vuoi, ma deve
venire anche lui» disse l’altro, spostando il viso verso
Grell «Non vorrei mai che... un altro shinigami perisse in mia assenza».
Il tono lasciava bene
intendere che, se proprio doveva morire, lui voleva assistere alla
scena. Era abbastanza inquietante come volontà.
«Come desidera. Da
questa parte» affermò semplicemente William, voltandosi e
sottraendosi al contatto con lo shinigami dai capelli grigi, che si
accinse a seguirlo coprendosi la bocca con un’ampia manica,
emettendo una sinistra risatina nervosa.
«Sutcliff, anche tu».
Il richiamo di Will lo
raggiunse un istante prima che lo facesse la sua mano, che lo
arpionò per il cappotto e lo strattonò per un paio di
passi, convincendolo a seguirli con le buone, anziché essere
trascinato con le cattive.
Attraversarono una lunga
serie di ampi corridoi dal soffitto alto e arcuato, fino ad arrivare in
una sala col pavimento piastrellato a scacchiera e arredata
semplicemente con due divani rivestiti di pregiata stoffa viola, tra i
quali era situato un basso tavolino in legno scuro dalle zampe
finemente ed elegantemente lavorate.
«Wow... che lussi!» commentò lo shinigami in rosso, varcando per ultimo la soglia della stanza.
«Normalmente viene
utilizzata per i ricevimenti importanti, per cui non toccare
niente» lo ammonì immediatamente Spears, sistemandosi
ancora una volta gli occhiali.
«Che
antipatico...!» sbuffò Grell, indispettito, quindi si
avvicinò al divano dirimpetto a quello dove si era seduto
Undertaker, rimanendo però in piedi.
«Di che cosa voleva
discutere?» domandò William, ignorando lo sgradito
commento del sottoposto, concentrando tutta la propria attenzione sullo
shinigami leggendario che aveva innanzi.
Per tutta risposta, quello
rise ed estrasse a sorpresa una piccola ampolla di vetro, che gli
lanciò senza alcun preavviso e che, per un soffio, non
s’infranse al suolo.
«Uhm?» fece
Grell, sorpreso, accostandosi a Will per osservare l’oggetto:
all’interno vi era una gran quantità di polvere argentea
opalescente di una sinistra meraviglia.
«Cos’è...?» domandò, passando rapidamente gli occhi dal moro al becchino.
Quest’ultimo
lasciò che il sorriso di poco prima gli rimanesse in viso,
impeccabile e naturale, anche se nel parlare il tono divenne
improvvisamente più tagliente: «Davvero non lo sai?».
«Eh...?» fece per tutta risposta l’altro.
La sua attenzione venne
attirata da un improvviso fremito di William, che sembrava impiegare
ogni suo possibile sforzo nel placarlo, con ovvi scarsi risultati.
Grell poté giurare di non averlo mai visto così: le
spalle erano irrigidite da chissà quale sensazione a lui ignota,
la posa dura e l’intero corpo scosso da piccoli tremiti che
sembravano dovuti a spasmi nervosi.
William aveva qualcosa di
strano: la sua pacatezza era svanita persino dai suoi occhi, nei quali
adesso riusciva distintamente a leggere un peculiare terrore profondo e
intrinseco.
La sua mano stringeva
convulsamente l’ampolla e le sue iridi erano inchiodate al suo
contenuto, segno inequivocabile che era stata quella polverina a
scatenare tutta quella sequela di cambiamenti in lui.
Odiava ammetterlo, ma così faceva quasi paura.
«Will...?» lo chiamò, allontanandosi di mezzo passo «Che cos’è quella?».
«Queste... sono...»
«... le ceneri di uno
shinigami assassinato» completò per lui Undertaker, il
tono che aveva acquistato nuovamente quella sfumatura vagamente ilare
propria di lui.
Per un momento il cervello
di Grell si rifiutò di accettare la notizia, ergendo una
barriera mentale che lo schermasse da ciò, ma poi venne
letteralmente travolto dall’affermazione.
Era stato... ammazzato uno shinigami?
Sapeva per certo che la
loro era una razza longeva ed estremamente difficile da uccidere. Erano
quasi al pari degli angeli, gli Immortali.
Non esisteva arma tale da
ridurre in quel modo uno shinigami, ne era più che sicuro,
eppure quelle ceneri erano lì, davanti ai suoi occhi, racchiuse
in quella piccola, dannata ampolla che William pareva detestare e
temere con ardore indiscutibile.
«Qualcosa non va».
Fu quello l’unico
pensiero coerente che riuscì a formulare in quell’attimo
di surreale trance, dal quale si riprese l’istante successivo con
insolita forza.
«E io che cosa
c’entro in tutto questo?» esclamò, inspiegabilmente
indignato, mettendosi una mano sul petto e l’altra sul fianco,
fissando Undertaker in attesa di responso.
Il becchino era tranquillo,
placido quasi, comportamento alquanto inusuale data la circostanza, ma
decisamente nella norma considerato il soggetto dell’azione.
Quando questo rispose, lo fece con la sua voce lugubremente
cantilenante ed un sorriso divertito ad increspargli le labbra:
«Quello shinigami era l’incaricato a distruggere Sebastian
Michaelis. Raccapricciante come da carnefice si sia trasformato in
vittima, non trovi?».
Senza lasciar adito a
repliche, riprese: «È un vero peccato. Avrei tanto voluto
esser presente alla sua dipartita».
Perverso, sadico
divertimento il suo, eppure era così e lui non poteva far niente
più che star zitto e lasciarlo parlare: se si fosse azzardato a
ribattere qualcosa, Spears l’avrebbe fatto secco sul colpo.
«Non è possibile che un demone sia riuscito a fare questo» disse William, scuotendo appena l’ampolla, fissandola con disprezzo e odio crescenti.
Se non si fosse calmato,
avrebbe finito col perdere il senno. D’altro canto, Grell
riusciva un po’ a capire tutto quell’astio e
quell’incredulità: la loro razza era geneticamente
programmata - se così si poteva dire - per distruggere i demoni,
i quali non avevano alcuna possibilità di prevalere su di loro
con la loro sola forza.
I loro poteri erano
inferiori per natura a quelli degli shinigami, prescelti dal fato per
sistemare i disordini creati nel mondo umano ad opera dei loro
“nemici genetici”.
Undertaker tacque alcuni
istanti. In quel brevissimo lasso di tempo, Sutcliff notò che il
suo sorriso vacillò, per poi riacquisire concretezza.
«Lo sooo...!» esclamò, con un'inflessione vocale vagamente cantilenante ed eccitata «Ma non credete che possa esserci qualcosa che l’ha ucciso, aldilà del piccolo, docile signor Sebastian?» domandò.
Era un quesito retorico, però riuscì comunque ad instillare il dubbio nella mente di Spears.
«... c’è
qualcosa che può fare una cosa simile?» chiese William di
getto, visibilmente - e stranamente - stravolto.
«Io ancora non capisco perché avete coinvolto anche me! Sono oltretutto stato degradato, per cui queste questioni non dovrebbero essere di mia comp...»
«Grell... Sutcliff? Forse non mi hai sentito, prima?».
Con sua immensa sorpresa,
lo shinigami rosso si ritrovò il becchino esattamente davanti,
schiacciato contro il suo petto, il viso a pochissimi centimetri dal
proprio. Undertaker gli portò le mani sul viso, ghignando
divertito, quindi gli passò dolcemente un’unghia affilata
sulla guancia, scendendo fino sul collo.
«Sei un tipo interessante. Se proprio devi
morire, io voglio essere presente» il suo sorriso si
allargò «Vedere uno shinigami passare a miglior vita
è un evento più unico che raro... e non voglio perdermelo
di nuovo».
A quel “di
nuovo”, Grell giurò che i muscoli del suo viso si fossero
contratti impercettibilmente, come se avesse socchiuso momentaneamente
gli occhi - o avesse avuto un momentaneo spasmo nervoso.
La mano del suo interlocutore indugiò sul suo colletto.
«Inizio a pentirmi di
averti trascinato via: sarebbe stato un buon momento per cogliere il
meraviglioso e fugace attimo della tua morte...».
Il Demon Hunter gli prese
la mano e l’allontanò in malo modo, indietreggiando: non
gli piaceva la piega che aveva preso la conversazione.
«Io non morirò per te. Mettitelo bene in testa!» sbottò, stizzito.
«Se proprio devo, lo farò per Sebastian!» aggiunse subito tra sé.
«Che cosa... pensa che abbia fatto una cosa simile?».
L’intervento di
Spears salvò Grell da una nuova vicinanza ristretta con lo
shinigami leggendario, che si voltò verso il moro, abbandonando
ogni proposito di parlare con l’altro.
Si portò la mano
davanti alla bocca, aprendo le dita in modo che coprissero a tratti le
sue labbra, increspate dal solito ghigno malevolo e divertito:
«Non so... sarebbe più divertente se ve lo dicessi... o se
lasciassi a voi il compito di scoprirlo...?».
Sembrava stesse riflettendo ad alta voce.
Dondolava la testa
lentamente, seguendo un ritmo che riusciva ad udire solamente lui e di
tanto in tanto si passava le unghie sulle labbra. Era inquietante.
Infine, si fermò.
Il suo sorriso si allargò, mentre sentenziava: «Ho deciso. Non ve lo dico».
«Che co...?!»
esordì Sutcliff, indignato, ma il suo superiore allungò
una mano davanti al suo petto con il chiaro intento
d’interromperlo.
«No, Sutcliff» disse, senza alzare il viso dall’ampolla.
«Perché no,
Wiiill?» si lamentò l’altro, imbronciato: rifiutarsi
di fornire informazioni non li aiutava certo a migliorare la
situazione, anzi, avrebbe contribuito soltanto a far morire qualche
altro ignaro Hunter.
Spears non gli rispose.
«Tsk!»
sbuffò Grell, voltandosi e andandosene senza aggiungere altro:
tutta quella storia non era affar suo, in fin dei conti.
Non era un Demon Hunter di
grado abbastanza alto perché potesse riguardarlo; inoltre, non
voleva assumersi incarichi che lo avrebbero allontanato da Sebastian.
Percorse a ritroso la
sequela di corridoi che l’avevano condotto fino a quella stanza,
quindi uscì dalla biblioteca e, costeggiando l’edificio,
si diresse verso l’ala adibita a dormitorio, anche se, in
realtà, quello degli shinigami non era un vero e proprio sonno.
Quando chiudevano le
palpebre e si lasciavano vincere dalla stanchezza, si spogliavano del
guscio dei loro sensi e scivolavano in un oblio senza tempo né
spazio dal quale riemergevano obbligatoriamente dopo cinque ore, non un
minuto prima né dopo. Durante quel lasso di tempo, niente
avrebbe potuto rompere il loro riposo.
Inoltre, quel genere di
azione non doveva ripetersi puntualmente come per gli umani, che senza
il sonno non avrebbero potuto ripristinare la loro energia: dato che
possedevano per natura riserve energetiche molto ingenti, gli shinigami
“dormivano” solo se avevano necessità di recuperare
energia in fretta, in seguito ad una ferita o uno scontro
particolarmente violento, oppure - come nel caso di Grell - quando non
avevano niente di meglio da fare.
Lo shinigami varcò
la soglia del dormitorio con nonchalance, ritrovandosi nel piccolo
atrio principale dal quale, mediante una grande scala dorata, si
accedeva ai corridoi - posti ai piani superiori - sui quali si
affacciavano le varie stanze.
Nel camminare, il Demon
Hunter si prese la libertà di calcare i passi in maniera tale da
produrre - mediante i tacchi - il più alto livello di frastuono
possibile, come se ciò costituisse una sorta di sfogo per la
frustrazione residua della discussione.
«Tanto chi sta riposando non può sentirmi» pensò, avvicinandosi a grandi falcate alle scale.
Le salì a passo
spedito, quindi prese il quinto corridoio sulla destra, proseguendo
fino a fermarsi dinanzi alla porta di fondo, che aprì con un
gesto plateale ma carico di stizza.
Vi sparì all’interno, chiudendosi l’uscio alle spalle.
Rimase a contemplare la sua
stanza per alcuni minuti, letteralmente estasiato: le pareti rivestite
d’elegante broccato rosso, il medesimo colore del tappeto che
ricopriva ogni centimetro del pavimento. Diametralmente opposto alla
porta c’era il suo letto, un grande baldacchino a due piazze con
tendaggi, coperta e cuscini coordinati, ovviamente rossi.
Tutt’attorno c’era una folla di rozze bambole di pezza
mutilate d’un braccio o una gamba, qualcuna addirittura col
ventre aperto, dal quale fuoriusciva l’imbottitura. Quando si
annoiava, eviscerare le bambole diventava il suo passatempo preferito.
Posta contro la parete a
destra del letto c’era una specchiera in legno scuro sul cui
piano erano abbandonati disordinatamente spazzole ed oggetti per il
make-up. Di che colore?
Ovviamente, tutto rosso: la sua visuale del mondo era prettamente monocromatica.
Come tocco finale,
l’aria della stanza era permeata da un vago ma persistente odore
di sangue fresco, al di sotto del quale si percepiva l’effluvio
dei cosmetici.
Grell inspirò profondamente, allargando le braccia.
«Casa!»
esclamò semplicemente, proseguendo all’interno,
togliendosi il cappotto per gettarlo da un lato, quindi andare a
sedersi sul letto.
Vi prese posto e
accavallò frivolmente le gambe, accarezzando con disinteresse la
coperta, osservando i dintorni, per posare infine lo sguardo sulla
distesa di bambole ai suoi piedi.
Un sorriso carico di
sinistri significati si allargò sulle sue labbra, mentre si
chinava a raccogliere la sua bambola preferita, con la stessa
capigliatura di Sebastian e due bottoni rossi cuciti al posto degli
occhi. Se la rigirò tra le mani, osservandola, quindi se
l’avvicinò al viso e gli posò un bacio sulla fronte.
«Sebas-chan, tu non
sei cattivo, vero?» gli chiese, scuotendolo un po’, come se
avesse facoltà di parola «Non puoi aver ucciso uno
shinigami».
Se lo depose in grembo,
quindi prese un’altra bambola ed estrasse le sue forbicine, entro
i cui spazi appositi infilò malamente le dita, per poi
conficcarne violentemente la punta nel ventre del pupazzo, iniziando ad
aprirlo.
Inutile dire che ci si
divertiva troppo: la sensazione di poter decidere della
“vita” di qualcuno, anche se appartenente ad una
banalissima bambola, lo eccitava fuor di maniera.
A quel punto, ogni suo
proposito di “dormire” era andato a farsi benedire,
sostituito dal pressante bisogno di fare a pezzi quel giocattolo.
«È
così divertente! Però è un peccato che non
sanguini: sono certo che con un po’ di rosso sarebbe ancora
più bella» pensò, mentre passava a straziare il braccio destro.
La luna vermiglia aveva raggiunto il suo posto nell’infinito blu del cielo notturno degli shinigami.
La sua luce filtrava
attraverso una grande finestra, illuminando il profilo di un uomo
seduto su di una poltroncina, il busto storto, piegato verso il
bracciolo sinistro, dove era appoggiato il gomito del braccio che gli
reggeva il viso, le gambe accavallate spostate verso destra. Il buffo
cappello a cilindro che portava in testa gli ricadeva leggermente
spostato a causa della posizione ed i lunghi capelli, che alla luce del
giorno erano grigi, adesso avevano assunto riflessi rossastri.
La sua attenzione era tutta
concentrata su una semplice, banalissima piuma, che si girava e
rigirava tra l’indice ed il pollice. Ad un tratto, dalle sue
labbra, increspate in uno strano sorriso a metà tra il beffardo
e il divertito, gli sfuggì un ilare: «Le cose potrebbero
farsi interessanti...!».
Angolino autrice
Finalmente riesco ad aggiornare anche questa °-° be', che dire?
Stavolta, nonostante
tutto, penso di essere sfociata un po' nell'OOC -.-'' se non per tutti,
almeno per Undertaker X3 però lascio decidere al pubblico in tal
senso <3
Ringrazio profondamente Tensi e Sachi Mitsuki per le recensioni allo scorso capitolo e coloro che hanno aggiunto la fic alle preferite/ricordate/seguite.
Al prossimo chappy! ^^
F.D.
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Capitolo 3 *** Piuma bianca ***
3_Piuma bianca
3. Piuma bianca
Nella biblioteca, l’unica fonte di illuminazione era la luce
lunare che entrava dalle finestre, proiettando sul pavimento quadrati
luminescenti e rossastri.
Gli scaffali apparivano come cupe ombre incombenti nella penombra in
cui una persona ancora si attardava a cercare, senza arrendersi, un
tomo in particolare.
«Quel libro dovrebbe essere da queste parti...»
commentò tra sé e sé lo shinigami, camminando
lentamente tra due lunghe scaffalature, tenendo sollevato il piccolo
lume che stringeva con la mano libera.
Con l’attrezzo che occupava l’altra si sistemò gli
occhiali sul naso, aguzzando la vista per cercare di scorgere i titoli
dei volumi più in alto.
Si fermò quand’ebbe raggiunto la fine del corridoio,
trovandosi innanzi ad una speciale scaffalatura bianca situata in un
incavo della parete. In essa erano custoditi i libri più rari e
preziosi dell’intera biblioteca - che contava un migliaio circa
di tomi.
Lì lo trovò, proprio al centro dello scaffale di mezzo.
Con implicito sollievo, si alzò in punta di piedi per
raggiungerlo, quindi ripercorse rapidamente i propri passi e
andò a sistemarsi ad un tavolo non troppo distante, sul quale
posò il lume.
Questo gettava una tremula luce dorata sulla copertina del libro,
facendone risplendere il bellissimo color oro ed i quattro piccoli
rubini che l’adornavano, ciascuno incastonato in un angolo.
William rimase alcuni minuti a contemplare il volume, soffermandosi in
particolar modo sul titolo, scritto in vividi e goticheggianti
caratteri al centro:
Ibridi: l’alchimia della vita perfetta
Spears si sistemò
nuovamente gli occhiali, quindi si accinse ad aprire il tomo: se la
situazione non l’avesse richiesto, lui non si sarebbe spinto fino
al punto di andare a cercare quel libro.
Era uno dei tabù imposti ai Demon Hunters di livello più
basso, andare a consultare ciò che era contenuto in quello
scaffale, ma se i “piani alti” volevano che lui risolvesse
la faccenda, era certo che una piccola infrazione come quella
gliel’avrebbero perdonata.
«Più che altro spero che non mi dimezzino lo stipendio per questo» commentò tra sé.
Mentre sfogliava le pagine in cerca dell’indice, la sua mente
ritornò a qualche ora addietro, quando Grell se ne era andato
dalla stanza dove stavano discutendo con lo shinigami leggendario.
«Allora... che cos’hai intenzione di fare, tu?».
La domanda colse alla sprovvista
William, che alzò gli occhi dall’ampolla per posarli
immediatamente sul viso del suo interlocutore.
Il moro serrò ulteriormente la presa sull’ampolla.
«Non vuole concedermi
informazioni nemmeno da solo?» ritentò: brancolare
così nel buio gli dava sui nervi, soprattutto sapendo che
qualcuno dei loro nemici era riuscito a togliere di mezzo un loro
compagno anche se teoricamente era impossibile.
«No» disse semplicemente
il becchino, andando a sedersi nuovamente «Però voglio
dirti che qualcuno sopra di te vuole che sia tu ad occupartene...
personalmente. Sono venuto principalmente perché mi hanno
riferito un messaggio per te».
«Un... messaggio?» ripeté Spears.
Adesso aveva un motivo in più
per essere irritato dalla mancanza di informazioni: la faccenda pareva
passare anche per le sue mani e sapeva che se avesse sbagliato, di
certo gli avrebbero detratto qualcosa dallo stipendio, cosa che non
poteva tollerare, in alcun modo.
Undertaker agitò in aria una mano con fare sufficiente, senza abbandonare il suo solito sorrisino.
«“Sono già morti
tre shinigami per mano del demone Sebastian Michaelis. Qualcosa lo sta
aiutando. Scoprilo e risolvi la questione, Spears, altrimenti sarai
degradato”» disse il becchino con fare annoiato.
A quell’affermazione, lo shinigami dai capelli neri si sentì gelare il sangue nelle vene: già tre...?
No, più importante: degradato?! Addirittura?
L’uomo dai capelli grigi si alzò e con nonchalance si diresse verso la porta.
«Be’, quel che dovevo fare, l’ho fatto. A presto...!» esclamò.
«... Undertaker».
Il suo interlocutore si fermò
sulla soglia: era la prima volta che osava chiamarlo per nome. Sentire
la sua voce che lo pronunciava con così tanto ardore e reverenza
gli fece sfuggire una soffocata risatina dalle labbra ancora dischiuse.
«Sì...? Hai tutta la mia attenzione» disse, voltandosi a fronteggiarlo di nuovo.
«Devo risolvere la cosa... assolutamente?».
Il tono con cui domandò lo
divertì: sembrava che stesse insinuando di dover ricorrere a
misure estreme pur di raggiungere lo scopo. Era lì che stava
tutto il divertimento.
«Assolutamente» replicò, andandosene.
Willian scosse la testa: doveva riuscire a fermare
l’entità che stava facendo tutto ciò prima che
trucidasse qualche altro Demon Hunter, altrimenti altri sarebbero morti
e lui sarebbe stato degradato.
Non c’era il tempo per perdersi nei ricordi.
«Ecco l’indice».
Iniziò a scorrerlo, in cerca di ciò che
gl’interessava. Non fu cosa facile: nonostante fosse un libro di
poche pagine, aveva numerosissimi capitoli, ma alla fine...
«Eccolo»
mormorò tra sé, posando l’indice accanto alla frase
che recitava “Pagina 78, capitolo 21: Ibridi nocivi agli
shinigami”.
Gli tremava un po’ la mano, mentre scorreva le pagine in cerca
della settantotto: in fondo, quando mai uno shinigami del suo rango
aveva osato andare a leggere quali abomini di natura erano capaci di
distruggerli?
Ricordava che l’ultimo Demon Hunter che aveva osato leggere quel
libro - fatto accaduto circa un anno e mezzo prima - era stato
rinchiuso pochi giorni dopo in un centro di cura psicologica. Chi
l’aveva portato via aveva detto qualcosa circa ripetuti tentativi
di suicidio ed instabilità psichica, per cui la cosa lo
preoccupava alquanto.
Eppure, la situazione - al livello a cui era arrivata - non dava adito
ad opzioni alternative: la risposta all’interrogativo che
affliggeva William era contenuta proprio lì.
Chi - o per meglio dire cosa - era l’assassino?
Stava per scoprirlo: con un palpito cardiaco esageratamente accelerato
dalla tensione, nonostante dall’espressione trasparisse poco o
niente, girò l’ultima pagina, trovandosi a leggere
l’intestazione del capitolo che lo interessava. Abbassò
lentamente lo sguardo, sistemandosi per l’ennesima volta gli
occhiali, quindi iniziò a leggere. Il paragrafo trattava vari
tipi di creature ibride create da incroci alquanto bizzarri e al limite
della moralità tramite particolari rituali oscuri nei quali
pareva che il componente principale e ricorrente fosse il sangue dello
stolto di turno che tentava di effettuare il rito. Inoltre, le bestie
che ne venivano fuori erano descritte sia nell’aspetto fisico che
nelle capacità.
Il moro scorse quasi tutto il testo, in cerca di una cosa in
particolare, che trovò nell’ultima sezione del capitolo,
in fondo alla pagina e che, attualmente, era il suo unico indizio: il
fatto che la vittima venisse letteralmente polverizzata. Avido di
sapere, ma anche un po’ spaventato, iniziò a leggere.
“Ma dei molti ibridi nocivi agli shinigami, uno solo ne induce la morte istantanea per carbonizzazione, la...”.
Passando alla pagina successiva, notò che questa esordiva con
una nuova frase, totalmente sconnessa dalla precedente, il che gli
suggerì immancabilmente che...
«La pagina è stata strappata» sussurrò, come
se ciò l’aiutasse ad assimilare la cosa, passando una mano
sull’attaccatura delle pagine, accarezzando l’orlo
irregolare del foglio che era stato brutalmente asportato.
Rimase in trance qualche attimo, prima di alzarsi e chiudere con un
tonfo il libro, andando a riporlo al suo posto. A quel punto, fece
dietrofront e riattraversò la biblioteca, sistemandosi di quando
in quando le lenti sul naso, riflettendo: com’era possibile che
qualcuno fosse riuscito a strappare una pagina di quel tomo? E
perché proprio quella? A loro, Hunters comuni, non era neppure
concesso di toccarlo, perciò come aveva potuto uno shinigami o
addirittura un estraneo toglierne una pagina?
Che lui ricordasse, la sorveglianza era sempre stata rigidissima in
quell’edificio, soprattutto in quella particolare ala della
struttura.
«A proposito di guardie...».
Si fermò e si appostò dietro una scaffalatura, sbirciando
oltre: un guardiano era fermo a pochi metri da lui. Per fortuna si era
bloccato in tempo, altrimenti sarebbe stato visto.
Attese che gli desse le spalle, quindi soffiò più piano
che poté sul lume - spegnendone la candela all’interno - e
scivolò verso la scaffalatura successiva.
Proseguì adagio, non solo per timore d’essere scoperto
dalla sorveglianza, ma anche - e soprattutto - perché al buio
vedeva decisamente peggio.
«Devo riuscire a capire dove
possa essere la pagina mancante. Non può essere scomparsa nel
nulla: qualcuno deve averla presa e nascosta... ma chi? E, soprattutto,
dove?» rifletté, sgusciando via alle spalle
dell’ultimo guardiano, allontanandosi nascosto nell’ombra,
per poi uscire e spostarsi in direzione dell’ala adibita ai
dormitori: aveva bisogno di ponderare il da farsi con calma, nonostante
fosse totalmente consapevole che non c’era così tanto
tempo.
All’improvviso, nel costeggiare il muro che portava
all’entrata della struttura, lo shinigami si sentì
letteralmente trafiggere da qualcosa di inquietante e lugubre. Era uno
sguardo, quello che gli stava facendo prudere la schiena e tendere i
nervi, ma non uno qualunque: era intenso e penetrante. Mai sentita
prima di allora una simile energia sinistra.
D’istinto portò lo sguardo verso l’alto:
l’unica cosa che gli si parò dinanzi fu una pallida mano
che chiudeva una finestra per poi ritirarsi nell’oscurità
della stanza.
Inquietante a dir poco, ma poi...
William sgranò appena gli occhi quando vide una piuma bianca
volteggiare aggraziata nell’aria, a pochi centimetri dal suo
viso. Era immacolata, nonostante il suo candore fosse
“rovinato” dalla luce vermiglia che la luna vi riverberava.
Meccanicamente allungò un braccio, la mano rivolta verso
l’alto, nella quale accolse la piuma come fosse un oggetto di
fragilissimo vetro.
«La piuma... di un angelo...» mormorò tra sé e sé, avvicinandola al viso.
D’angelo...
Un ricordo, subitaneo e fugace, gli balenò alla mente: “Gli
angeli sono i custodi dei segreti reconditi della magia e della
stregoneria, gli unici in grado di apparire e scomparire a loro piacere
ovunque siano”.
Una morsa gli strinse il petto mentre nella sua mente prendeva forma il più banale dei collegamenti: «Potendo apparire e scomparire in ogni luogo, forse è stato uno di loro a prendere la pagina».
L’euforia della scoperta non ebbe neppure il tempo di
manifestarsi che già lui la soffocò, reprimendola e
occultandola in un antro remoto della sua coscienza: non c’era
niente di cui gioire, al momento, perché non aveva ancora idea
di cosa ci fosse dietro il nuovo, incredibile potere di Michaelis,
né sapeva quale angelo si fosse introdotto nella biblioteca - o
se fosse stato veramente uno di loro a prendere la pagina.
Rispetto agli shinigami, gli angeli vivevano in una dimensione che era
quasi inaccessibile per loro: era densa di pericoli ed insidie studiate
per combattere le intrusioni di altre razze, tra cui figurava -
ovviamente - anche quella dei Demon Hunters.
Tuttavia, Spears aveva un’idea di dove fosse l’accesso, e
già era qualcosa. Il secondo passo sarebbe stato verificare se
un angelo fosse in possesso di ciò che gli occorreva.
Alzò gli occhi verso la finestra che si era chiusa solo pochi
attimi prima, domandandosi quale fosse il detentore della stanza e se
fosse stato proprio quest’ultimo a gettargli quella piuma.
Si sistemò gli occhiali sul naso e abbassò lo sguardo,
ignorando deliberatamente il dubbio per concentrarsi sulla logica
conclusione cui il suo cervello l’aveva condotto: se fosse andato
“a caccia” da solo, non ce l’avrebbe mai fatta.
Per questo aveva bisogno - e gli bruciava orribilmente anche solo
concepirlo - di qualcuno che lo accompagnasse, e la prima persona che
gli venne in mente - oltre che l’unica altra a conoscenza della
situazione - non era esattamente quella con cui avrebbe desiderato
passare del tempo in solitudine per un elenco pressoché infinito
di ragioni tutt’altro che pulite.
«Però è l’unica scelta che mi rimane...».
Riassestò per l’ennesima volta gli occhiali sul naso e si
diresse spedito verso l’ingresso dell’ala: se doveva
proprio farlo, tanto valeva farlo subito.
Varcata la soglia, proseguì all’interno, diretto verso una
ben precisa meta, alla quale giunse, in vero, in brevissimo tempo.
Inspirò profondamente e, senza nemmeno bussare, afferrò
il pomello e lo spinse con forza, aprendo l’uscio con veemenza
tale da sbatterlo contro la parete, facendo sobbalzare l’unico
occupante - nonché proprietario - della stanza.
«Gyaaaah! Will?!».
Lo strillo acuto e molto
femminile sfuggì dalle labbra di Grell d’istinto non
appena ebbe messo a fuoco il profilo della persona che si era appena
materializzata sulla soglia. Per lo spavento, si era rannicchiato sul
copriletto, un’espressione sconcertata dipinta in viso, stretti
al petto i pietosi resti di quella che una volta doveva essere stata
una bella bambola di pezza, ma che nel tempo era stata brutalmente
mutilata.
«Sutcliff» lo chiamò semplicemente William, avanzando inesorabilmente per fermarsi poi ai piedi del letto.
«Che sei venuto a fare in camera mia?!» sbottò
l’altro, con un’indignazione in cui Spears carpì
distintamente un’insopportabile somiglianza con il tono delle
attrici il cui spazio privato era stato violato da un fan senza il loro
consenso. Sembrava che si fosse ripreso egregiamente ed in tempo record
dallo shock dell’intrusione.
Passò quasi un minuto prima che il moro riuscisse a trovare il
coraggio e la forza spirituale necessari a porre la sua richiesta,
peraltro sgradita nel modo più assoluto a lui medesimo.
Si riassettò gli occhiali sul naso e disse: «Sutcliff, ho bisogno del tuo aiuto».
La domanda lasciò momentaneamente basito Grell, che lo
fissò per un lungo momento senza riuscire a dire niente, poi la
sua espressione spiazzata si trasformò in una più
maliziosa.
«Will non è una scusa per poter stare con me solo soletto?».
Il tono volutamente insinuante toccò Spears, ma il suo ferreo
autocontrollo gl’impedì di rispondergli per le rime. Al
contrario, replicò pacato: «Devi aiutarmi per il caso
concernente Michaelis. I superiori vogliono che intervenga,
ma...» esitò un istante «... ma da solo non posso
farcela al momento».
Grell si rabbuiò all’improvviso, incrociando le braccia sul petto con fare indignato.
La più prevedibile delle reazioni.
«Non intendo aiutarti con quella cosa, chiaro?»
replicò lo shinigami, voltando il capo altrove con fare
infantile e capriccioso.
Spears rimase semplicemente fermo, l’espressione indifferente di
poco prima ancora stampata in viso, mentre uno strano scintillio
pericoloso gli appariva sulle lenti: aveva già preso in ampia
considerazione un rifiuto da parte sua e, considerando vari percorsi da
seguire per ovviare al problema, aveva scelto quello che - a parer suo
- sarebbe stato a dir poco infallibile.
«Vorresti riavere la tua arma ed il tuo grado?» chiese in
tono casuale e glacialmente indifferente il moro, sistemandosi ancora
una volta le lenti sul naso.
Grell si volse di scatto, meravigliato e allettato al tempo stesso da
quella implicita proposta: poter finalmente impugnare di nuovo la sua
tanto amata motosega e poter nuovamente fare a pezzi tutto, ma
soprattutto poter vedere ancora il bellissimo colore del sangue delle
sue vittime mentre schizza violentemente ovunque, tingendo ogni cosa di
quel rosso passionale che a lui piaceva tanto...!
Sì, la prospettiva era maledettamente affascinante, e ciò
non era completamente un bene, in quanto, per poter riavere
l’arma, avrebbe dovuto collaborare con Will ai danni del suo
amato Sebastian.
Rifletté qualche minuto sui pro e i contro della cosa, poi la
sua espressione assunse connotazioni vagamente furbesche e maliziose.
«Questo è un colpo davvero basso, Will. Non credevo che
avresti mai fatto ricorso a certi trucchetti per i tuoi fini»
ammise, subdolo.
Il moro si sistemò semplicemente gli occhiali, ancora una volta.
«Rispondi alla mia domanda» disse, lasciando trasparire una
certa impazienza che divertì il suo interlocutore: a quanto
sembrava era di fretta.
Sospirò.
«Sei sempre così serio...» esclamò, in tono
esasperato, alzandosi con un mezzo balzo, abbandonando il grottesco
cadavere del suo pupazzo.
«Sto aspettando. Rivuoi la tua falce?» replicò Spears, inflessibile.
«E c’è bisogno di chiederlo?!».
Le labbra di Grell si ritrassero, lasciando bene in mostra i suoi
affilati denti da squalo, in un sorriso tale da far accapponare la
pelle, unito allo sguardo, acceso da una sinistra e sadica follia.
«Certo che la rivoglio» concluse.
«Allora dovrai aiutarmi»
«Anche se sono contrario a qualsiasi azione contro il mio
Sebastian... ti aiuterò, Will. Però voglio una garanzia
circa quella proposta».
William non si scompose minimamente, come suo solito: con anomalo
flemma, affondò una mano in tasca e ne estrasse una sferetta
grande quanto un pugno chiuso, sfavillante d’un intenso rosso
porpora decisamente accattivante ed etereo. Dal globo cadeva
costantemente un sottile e rado pulviscolo splendente, che svaniva
nell’aria, senza arrivare a toccare il suolo.
Lanciò la pallina all’altro shinigami, che allungò
prontamente una mano ad afferrarla. Appena le sue dita ne sfiorarono la
superficie, questa iniziò ad irradiare un fascio luminoso
piuttosto intenso, rompendosi infine con un rumore come di cristallo
infranto. In sua vece, fece la sua apparizione una grossa motosega
dall’aria tutt’altro che rassicurante, con la lama
scintillante e la parte contenente il motore di un bel rosso passionale.
«Mi sei mancata così tanto, tesoro ♥!»
esclamò Grell, stringendo l’arma con fare nostalgico ed
affettuoso, come se fosse una figlia che non vedeva da anni.
«Bene, ora andiamo» esclamò William, perentorio, con
un tono la cui primaria intenzione era quella di zittire le smielate
moine del subordinato nei confronti della sua falce appena
riconquistata.
«Dove?» chiese quest’ultimo, perplesso.
«A caccia d’angeli».
Angolino autrice
Non sono dispiaciuta del ritardo mostruoso con cui posto, no... sono schifata.
Perché la scuola mi sta trucidando lentamente, pezzo dopo pezzo,
e questo mese mi sono fissata un tot di shot da scrivere - causa
Halloween, prendetevela con lui ç^ç - e sono immersa fino
al collo tra quello, i compiti e lo studio... ç__ç ed
è un casino con le longfic.
Mi dispiaceeee T^T
Passando al capitolo... io
penso di allontanarmi sempre di più con Will ç.ç
arriverò a toccare lidi lontani con il suo carattere? -.-''
Chissà, spero di no.
Comunque, ringrazio Tensi, Sachi Mitsuki, liuba e Chiby Rie_chan
(quanta gente, cielo *O* non credevo che mi sarei guadagnata tanti
lettori) per le recensioni allo scorso capitolo e coloro che hanno
aggiunto la fic alle preferite/ricordate/seguite.
Al prossimo chappy! (sperando di postarlo in tempi accettabili -.-'')
F.D.
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Capitolo 4 *** Il Palazzo degli Angeli ***
4_Il Palazzo degli Angeli
4. Il Palazzo degli Angeli
Grell lo fissò per alcuni istanti, palesemente sconcertato.
«Angeli...?»
domandò, senza azzardarsi a muovere un solo, minuscolo passo in
direzione della porta, verso la quale William già si era avviato
a passo sicuro e rapido, come chi ha una gran fretta di andare a
sbrigare una faccenda importante.
Il moro volse il capo verso
di lui, sistemandosi gli occhiali con la punta della sua arma -
perennemente impugnata e quasi mai utilizzata al fine di uccidere -
quindi replicò un semplice e veloce: «Ti spiegherò
strada facendo».
A quel punto uscì
dalla stanza e Grell non poté far altro che seguirlo: con il
riacquisto della sua arma, aveva il dovere di aiutarlo, purtroppo. Se
non l’avesse fatto, come minimo gli avrebbero sequestrato
nuovamente la falce e l’avrebbero rimpiazzata con qualcosa di
ancor più insulso di un paio di forbicine: conosceva bene,
ahimè, l’indole alquanto vendicativa che riusciva a
manifestare il suo superiore in certi casi.
Le forbici sarebbero divenute solo un pallido miraggio di salvezza.
Mentre percorrevano il
corridoio, non poté fare a meno di soffermare la propria
attenzione su ciò che, a detta di William, sarebbe stato il loro
compito: andare a cercare degli angeli.
«Se
già si inizia con l’andare ad infastidire gli angeli,
allora immagino che la cosa non si concluderà né molto
facilmente né troppo in fretta» commentò tra sé, con una punta d’amarezza.
Diversi metri lo separavano da Spears, che non si preoccupava minimamente di tenere il suo passo.
«Ehi, Will! Wiiill!!!» lo richiamò difatti l’altro dopo un po’, accelerando all’improvviso.
«Sì,
Sutcliff?» domandò il moro, sistemandosi nuovamente gli
occhiali, non accennando minimamente a fermarsi né rallentare.
«Come troviamo gli
angeli?» chiese Grell, incuriosito: era risaputo che gli angeli
vivessero in una specie di isolamento volontario dal quale fuggivano
solo in rarissime occasioni. Trovarne uno a spasso era un’impresa
che aveva dell’impossibile.
William non rispose: si
limitò a continuare a camminare, senza mai voltarsi e senza
fiatare. L’unico rumore che produceva era quello della punta
della sua falce che toccava la montatura degli occhiali per rimetterli
al loro posto.
Uscirono in breve dall’edificio, attorniati da un silenzio che al rosso dava non poco fastidio.
Spears lo condusse sulla strada che portava al ponte di marmo.
«Vuoi degnarti di
rispondermi, Will?!» si lamentò Grell ad un tratto,
indignato dall’ostinato silenzio del suo principale.
«I superiori mi hanno
ordinato di scoprire cosa sia il potere che ha permesso a Michaelis di
uccidere quello shinigami» esordì il moro.
«E cosa c’entra
questo con gli angeli? Non credo proprio che un angelo sarebbe disposto
a dare una mano ad un demone che sta per tirare le cuoia»
esclamò l’altro, sarcastico, sebbene, a suo personalissimo
avviso, lui si sarebbe ben prestato ad un’azione simile, se si
trattava di Sebastian - o di un demone comunque interessante.
E magari ne avrebbe anche approfittato per “approfondire” la loro conoscenza...
«Ci sto arrivando» sentenziò William in tono severo, con il chiaro intento di ammonirlo e zittirlo.
«Sono andato a consultare uno dei libri del Reparto Proibito e...»
«Hai scuriosato nel
Reparto Proibito?!» sbottò Grell a gran voce, sconcertato
alla sola idea di William T. Spears che ficcanasava dove, di norma, non
avrebbe dovuto. Per tutta risposta ricevette una sonora legnata in
testa dall’interessato.
«Ahio! Ma che ho fatto?» si lamentò, massaggiandosi il punto colpito.
«Preferisco che tu
non lo urli in giro, chiaro?» replicò eloquentemente
William, allontanando l’asta della sua falce dall’altro
shinigami, portandola - come al solito - a sistemare gli occhiali sul
naso.
«Dovere, Sutcliff:
certe informazioni su certi argomenti, in questo caso indispensabili ai
fini della risoluzione della vicenda, non si trovano da
nessun’altra parte» rispose poi, in tono pragmatico.
L’altro Demon Hunter
sghignazzò: «Anche tu sei capace di fare di testa tua e
violare le regole, allora...!».
«Sarò
degradato se non riesco a fermare quel demone, o qualsiasi cosa lo stia
aiutando» spiegò Spears, come se ciò fosse il
chiarimento più conciso e lampante per motivare le sue azioni.
«Ecco, ora riconosco il Will di sempre!» commentò ironicamente lo shinigami rosso.
Spears assettò
ancora una volta gli occhiali sul naso, con un gesto un poco più
impaziente del solito, segno che anche la sua pazienza,
incredibilmente, aveva un suo limite.
«Comunque»
esclamò, palesemente intenzionato a riprendere il filo del
discorso «Nel Reparto Proibito ho trovato qualcosa che
teoricamente può esserci utile» proseguì.
«Cioè?»
«Esiste una creatura
ibrida che uccide gli shinigami polverizzandoli» spiegò
«Tuttavia, dal libro in cui ho trovato l’informazione
è stato strappato il corpo del testo, per cui non so cosa sia,
né che forma o che poteri abbia. So solo che esiste».
Grell lo fissò per
alcuni istanti, mentre il suo cervello collegava l’informazione
appena ricevuta con la loro missione.
Infine, concluse: «E
siccome il Reparto Proibito è sorvegliatissimo ventiquattrore su
ventiquattro, sospetti sia stato un angelo per le capacità di
teletrasporto».
«Mi sorprende che tu
sia riuscito ad arrivare a tale conclusione con le tue sole
forze» lo sbeffeggiò pacatamente l’altro,
sistemandosi nuovamente gli occhiali.
Si fermò all’improvviso, e poco mancò che il suo subalterno gli andasse a sbattere contro.
«Ehi, Will! Perché ti sei fermato?!» sbottò, irritato.
«Hanno rinforzato la guardia. Non possiamo passare inosservati» ricevette come risposta.
A quel punto, Grell
sbirciò oltre le spalle del moro: dinanzi a loro c’era un
grande piazzale ricoperto d’erba, al centro del quale era situato
un arco circondato da volute d’energia rosa spiraliforme che
s’innalzavano fino in cielo come una colonna.
Attorno ad essa, vari
shinigami armati erano intenti a girare, con espressioni
tutt’altro che amichevoli stampate in faccia.
I due si apprestarono ad acquattarsi dietro la parete dell’edificio vicino.
«Che caspita sarebbe quell’arco?» sibilò Sutcliff, meravigliato, sporgendosi appena.
«È la risposta
alla tua prima domanda: il passaggio per andare nella dimensione degli
angeli» replicò Spears, senza scomporsi minimamente.
L’espressione
dell’altro rimase ugualmente scioccata: avevano sempre avuto un
“ponte di collegamento” con gli angeli a pochi passi dalla
biblioteca eppure nessuno ne aveva mai approfittato?
Oltretutto, in giro avevano
sparso la voce che il luogo dove gli Immortali vivevano era
inaccessibile tranne che a pochissime eccezioni.
«E invece la porta è proprio qui dietro e nessuno l’ha mai trovata...».
Ricordava perfettamente
d’essersi spinto in quella direzione un paio di volte, arrivando
poco distante da dove adesso si trovavano, eppure non aveva mai visto
quell’arco. Una cosa del genere non è così semplice
da dimenticare.
«E perché in tutti questi anni nessun curioso l’ha mai trovata?» domandò.
«Durante il giorno
viene attivata una speciale barriera che isola il passaggio e impedisce
ai ficcanaso di trovarlo, anche se ci andassero a sbattere contro. Di
notte, invece, la barriera viene mantenuta solo per mascherare un
ristretto raggio attorno al passaggio»
«E perché noi possiamo vederlo?».
William si sistemò gli occhiali sul naso, quindi guardò l’orologio.
«Perché siamo
arrivati giusto nel brevissimo lasso di tempo in cui la barriera viene
modificata per domani: per cinque minuti viene completamente rimossa e
ciò permette di vederla» spiegò Spears, quindi
aggiunse: «Dobbiamo affrettarci ad oltrepassarlo prima che venga
protetto di nuovo».
«Come? Ci sono troppe guardie!» sibilò Grell, indignato: odiava i contrattempi.
Fosse stato per lui li
avrebbe tolti tutti di mezzo con la sua falce, una prospettiva che non
disdegnava affatto: gli mancava terribilmente il tremore trasmessogli
dall’arma in funzione, così come le meravigliose
espressioni delle sue sfortunate vittime nell’estremo atto della
loro vita.
Tuttavia, non poteva farlo: sarebbero accorsi altri shinigami e la cosa si sarebbe protratta troppo a lungo.
Per cui era un’idea da scartare, per quanto ciò gli bruciasse.
«Dobbiamo trovare un
diversivo...» disse semplicemente William, guardandosi intorno
con attenzione, alla ricerca di qualcosa che potesse fare al caso loro.
Sul prato non c’erano
sassolini da poter utilizzare per distrarli né altro.
L’unico ornamento era un folto cespuglio che cresceva sul lato
opposto del giardino.
Nel notarlo, nella mente di
Spears si delineò subitaneamente un piano che, se portato a
compimento con una certa rapidità d’azione, avrebbe loro
permesso di attraversare l’arco prima che la barriera si
richiudesse.
«... Wiiiiill?? Mi
stai ascoltandooo?!» esclamò Grell con voce lamentosa, le
braccia strette davanti al petto e i pugni chiusi, pestando un piede a
terra.
«Sta’ zitto Sutcliff. Ci scopriranno» fu la secca risposta che ricevette.
«Uffaaa, mi spieghi
come facciamo?!» continuò a lamentarsi lo shinigami rosso,
anche se con voce più bassa.
Notando che il suo
superiore non lo stava più degnando nemmeno d’un briciolo
della sua attenzione e che sembrava concentrato nel deporre la propria
arma a terra, si chinò vicino a lui ad osservarlo con ingenua
perplessità.
«Che cosa stai facendo?» gli domandò infatti, dopo pochi secondi.
«Cerco di aprirci una strada» lo rimbeccò con un tono da “sparisci e lasciami lavorare”.
Grell si rialzò,
incrociando le braccia sul petto, indispettito, senza però
perdere di vista William e ciò che stava combinando: stava
facendo allungare l’asta della sua arma, la cui tenaglia, aperta,
si stava dirigendo verso il cespuglio.
Per loro fortuna, nessuno
se ne accorse, se non quando Spears fece oscillare con una certa forza
l’impugnatura dell’asta, la cui vibrazione si ripercosse
anche sul cespuglio.
«Pronto,
Sutcliff» sussurrò il moro, nello stesso attimo in cui, a
seguito del frusciare delle foglie, praticamente tutti i guardiani si
voltavano e si avvicinavano alla fonte del rumore.
Quando furono abbastanza distanti dalle loro postazioni, i due shinigami scivolarono fuori del loro nascondiglio.
Rapidi e furtivi,
attraversarono il prato senza essere visti, poi si gettarono dentro
l’arco, nello stesso momento in cui il gruppo di guardie si
voltava nuovamente per tornare ai propri posti, senza notare alcuna
anomalia.
Grell atterrò violentemente su di un pavimento bianchissimo e durissimo, bocconi.
«Alzati, Sutcliff:
non abbiamo il tempo per riposare» lo rimproverò duramente
William, sistemandosi gli occhiali.
Lui era atterrato in piedi, perfettamente, senza essersi scomposto nemmeno un capello.
Lo shinigami rosso si
rialzò malamente, quindi si poggiò la motosega sulla
spalla, assumendo una involontaria posa da fotomodella.
«Awwwnnn, così questa sarebbe la dimensione degli angeli?»
«Esattamente»
«Accidenti, mica se
la passano così male!» esclamò, osservando
meravigliato l’immenso castello che si ergeva dinanzi a loro.
«Quello è il Palazzo degli Angeli. Probabilmente, la pagina si trova lì dentro».
Angolino autrice
Oddio, gente chiedo scusaaa
>/////< è più di un mese che non aggiorno
ç___ç spero almeno che il capitolo piaccia, per ripagarvi
della lunghissima attesa.
Ringrazio Tensi, Chiby Rie_chan, Sachi Mitsuki e liuba
(o////o mamma, quanta gente...) per le recensioni allo scorso capitolo
e tutti coloro che hanno aggiunto la fic alle
preferite/ricordate/seguite.
Spero che, con l'avvicinarsi delle
feste, i professori allentino un po' la morsa e mi lascino del tempo
per scrivere robe decenti ù-ù'''
Colgo anche l'occasione per farmi un po' di spam <3
Dal 1 dicembre sul mio LJ
avvierò un "flashfic & one-shot on Demand" a tema natalizio.
Se qualcuno fosse interessato, trova il link al meme nel mio profilo
autrice a partire dal 1 dicembre fino alla scadenza delle richieste,
ossia il 14 dello stesso mese.
Well, penso di aver tediato a sufficienza <3
Al prossimo chappy! ^^
F.D.
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Capitolo 5 *** Espedienti angelici ***
5_Espedienti angelici
5. Espedienti angelici
Grell era ancora sorpreso
per l’imponenza della struttura che aveva innanzi: era veramente
possibile che esistesse una simile costruzione?
Da quel che vedeva, la risposta era affermativa.
Il castello - perché
altro termine non lo poteva descrivere in modo tanto esauriente - era
altissimo e completamente fatto di pietra bianca. Il portone era
anch’esso bianco, immenso, ed incastonato nel muro anteriore,
alto e largo un centinaio di metri circa. Ai due lati si ergevano torri
simmetriche che andavano restringendosi man mano che
s’innalzavano, per poi assumere una particolarissima ed alquanto
strana forma conica spiraliforme.
«È...
immenso...!» esclamò, scioccato «Ci impiegheremo
anni prima di trovare quella pagina!!!» si lamentò subito
dopo, mettendo la mano libera sul fianco.
«E allora è
bene iniziare subito... non ti pare?» asserì pacatamente
William, sistemandosi gli occhiali, avviandosi quindi a grandi passi
verso l’ingresso.
Grell esitò qualche
attimo, indeciso se seguirlo o meno: la grandezza della struttura era
tale che anche nella migliore delle ipotesi non avrebbero impiegato
meno di cinque ore nel trovare l’oggetto della loro ricerca. Per
questo era tentato fortemente di desistere, anche se il fatto che Will
gli avesse realmente restituito la sua arma lo vincolava ad aiutarlo.
Era una brutta situazione,
tuttavia non aveva scelta, perciò s’incamminò
dietro al moro, la presa ben salda sul manico della motosega, uno
strano scintillio bramoso negli occhi.
Era evidente che smaniava per iniziare a riutilizzare la sua amata falce.
Il rumore dei suoi tacchi
sul marmo era l’unico che riempiva l’atmosfera attorno a
loro, tesa come una corda di violino, pronta a spezzarsi alla prima
sollecitazione eccessiva.
Spears si sistemò di
nuovo la montatura sul naso, lo sguardo serio e apatico tipico di
quando era sul lavoro. Ispezionò scrupolosamente i dintorni in
cerca di eventuali ostacoli, senza incontrarne alcuno.
Lentamente il castello si avvicinava a loro, divenendo sempre più grande.
Un paio di dita picchiettavano sul piano di cristallo di un tavolo, in manifestazione palese di noia.
«Ti annoi?».
La voce di donna che formulò il quesito era tenue, molto dolce e pacata.
«Rimanere confinati
qui dentro non è divertente» commentò il suo
interlocutore, senza smettere di picchiettare le dita sul tavolo.
La donna gli sorrise, sedendosi sul bordo del tavolo innanzi a lui.
«Non c’è niente che ci possa dar fastidio. Non eri tu quello a cui piacevano le cose facili?».
Attimi di silenzio si frapposero tra la domanda e la risposta.
«Non così facili. È tutto troppo noioso» asserì.
La femmina si strinse nelle
spalle e chiuse dolcemente le palpebre, poi le riaprì ed un
leggiadro sorriso si dipinse sulle sue labbra.
«Abbiamo... degli ospiti inattesi» annunciò, con voce appena velata di dolce felicità.
«Ospiti...?» chiese l’altro «Che genere di ospiti?».
«Sembrerebbero
essere... shinigami?» replicò l’altra, perplessa al
pari del compagno, il quale sorrise furbescamente.
«Potremmo aver trovato... qualcosa con cui divertirci».
«E adesso che si fa,
Will?» domandò Grell, poggiandosi la motosega in spalla
con involontario atteggiamento da modella scocciata «La porta
è chiusa e non credo si aprirà per noi!».
In effetti, il Demon Hunter
non aveva tutti i torti: il portone era chiuso ermeticamente, senza
nessun apparente meccanismo per essere aperto.
«Sto pensando, Sutcliff» gli rispose secco William, spingendosi sul naso gli occhiali.
«Forse
c’è un modo che solo gli angeli conoscono per entrare, per
cui... immagino che la faccenda per noi si concluda qui» disse
l’altro, stringendosi nelle spalle, fingendosi sconsolato, quindi
girò i tacchi e si allontanò.
«Fermati
immediatamente, Sutcliff» lo redarguì Spears, voltandosi
di pochissimo al suo indirizzo, riuscendo ad arrestarne la ritirata.
«Abbiamo fatto un pat...?!».
Fu interrotto da un rumore
meccanico e l’immediato suono di qualcosa che veniva spalancato,
tuttavia non si trattava del portone, bensì di...
«Una botola?!?!» gridò Grell, scettico, sentendosi mancare il terreno sotto i piedi.
Non riuscì a
raggiungere il bordo e trarsi in salvo: era troppo lontano
perché potesse allungarsi ed aggrapparcisi.
Precipitò con William, il quale mostrava sorpresa solo nello sguardo, sgranato e puntato verso il buio sotto di loro.
«Will ci
schianteremo!!» si lagnò lo shinigami rosso, unendo gli
avambracci davanti al petto e scuotendo la testa in
un’orridamente verosimile imitazione di una donna presa dal
panico.
William continuò a tacere.
«Wiiiiiiill!!!» lo chiamò un’altra volta Grell.
Senza alcun preavviso, il
moro si spostò verso il muro, poggiandovi le gambe piegate per
darsi spinta, quindi si lanciò verso il sottoposto,
l’afferrò saldamente per i fianchi - azione che non
riuscì assolutamente a passare inosservata all’attenzione
dell’altro - e alzò la sua arma in modo che fosse
trasversale alle pareti.
L’asta si
allungò in ambedue le direzioni, cozzando violentemente contro
le mura, sulle quali sfregò con un sonoro rumore di mattoni
sgretolati - che riecheggiò contro le pareti - rallentando
sempre di più la caduta finché, dopo un imprecisato
numero di metri, questa si arrestò completamente.
Grell tirò un sonoro
sospiro di sollievo, quindi guardò William, il quale era tutto
preso dall’esaminare ciò che c’era sotto di loro.
Gli occhi gialli dello
shinigami rosso rimasero a lungo fissi sul viso del moro, come
catturati da un qualcosa che solo allora pareva aver notato, poi il suo
sguardo si fece di colpo indignato.
«Se potevi allungare quel bastone, perché non lo hai fatto subito?!? Potevamo risalire!» sbottò.
«Siamo arrivati in fondo» disse invece l’altro, lasciandolo andare.
Grell atterrò
pesantemente al suolo dopo nemmeno due metri, seguito da Spears, il
quale arrivò a terra con un elegante e preciso salto, senza
sbilanciarsi neppure un po’, l’asta - nuovamente delle sue
dimensioni originali - saldamente stretta in mano.
«Ahiooo...! Potevi
lasciarmi cadere con un po’ più di garbo!!» lo
rimproverò Grell, rialzandosi, spolverandosi i pantaloni e
risistemandosi il cappotto.
«C’è una
porta lì» asserì semplicemente William,
sistemandosi gli occhiali, superandolo come se non ci fosse.
L’altro shinigami
provò l’improvviso impulso di fermarlo e dirgliene
quattro, ma sapeva che provarci sarebbe solo stato uno spreco di tempo:
quando mai Will si era interessato di problemi che non lo
coinvolgessero in prima persona?
Mai. E di certo non avrebbe iniziato adesso.
Quest’ultimo si avvicinò alla soglia, studiandola con disinteresse: era una porta, in fin dei conti.
Aveva elaborati intarsi
d’oro sul fronte, simmetrici su ciascun battente, ed era
più grande delle porte normali, anche se non esageratamente.
«Dobbiamo
forzarla?» domandò Grell, appuntandosi una mano sul
fianco, pensando a possibili metodi “bruti” di aprirla.
Il suo preferito, fin da subito, fu senz’altro quello mediante l’utilizzo della sua amata arma da taglio.
Ignorandolo completamente,
il suo superiore prese direttamente l’iniziativa: si
accostò ancora di più all’uscio, quindi vi pose una
mano e spinse.
L’anta si aprì
con una lieve pressione da parte del moro, che si volse al subordinato
sistemandosi le lenti sul naso e chiamandolo con un piatto:
«Andiamo Sutcliff».
In vero, Grell ci rimase un
po’ male: non tanto per la semplicità quasi oscena con cui
William era riuscito a superare l’ostacolo, quanto piuttosto per
la smania di ricominciare ad usare la motosega, repressa ogni volta che
si presentava l’occasione di darle sfogo.
Varcò la soglia con una smorfia di malcontento ad increspargli le labbra, senza però proferire alcuna parola.
Assieme a Spears
s’immise in un ampio corridoio illuminato da candele argentee con
le fiammelle color del ghiaccio che riverberavano il loro tremulo
bagliore azzurro su pareti di quella che pareva essere madreperla,
d’un colore incredibilmente bello.
L’effetto ottenuto
era quello di camminare in un luogo avvolto di luce pura e dal vago
sentore etereo, una delle caratteristiche principali degli angeli: per
quanto potessero commettere peccati ed atti allucinanti, il loro
aspetto era sempre perfettamente immacolato e dava l’idea di
qualcosa che mai avrebbe potuto sporcarsi - né fisicamente
né moralmente.
Nel percorrere
l’andito, Grell riprese a lambiccarsi su come riuscire a trovare
la maledetta pagina che erano andati a cercare: già se fossero
entrati per la porta principale non avrebbero avuto il minimo senso
dell’orientamento, figurarsi nell’entrare da una porta
situata chilometri e chilometri sottoterra.
Non c’era alcun modo sicuro per far sì che trovassero l’oggetto della loro ricerca. L’unico era, ahimè, andare per tentativi.
I minuti iniziarono a
scivolar via, mentre camminavano lungo il corridoio, senza sapere
quanto fosse lungo - a giudicare da quel che potevano vedere, doveva
esserlo parecchio - né tantomeno dove portasse.
William, nella sua andatura a dir poco impeccabile, nel porre l’ennesimo passo avanti con meccanica rigidità affondò la mattonella nel pavimento.
Si fermò, ritraendo la gamba, guardandosi intorno.
«Will, che succede?».
Grell non aveva visto
cos’aveva inavvertitamente combinato il superiore, però
gli pareva strano che si fosse fermato così improvvisamente: non
era proprio da lui.
E non era da lui nemmeno
guardarsi intorno così furtivamente e con studiata attenzione,
come se s’aspettasse che qualche imprevisto sbucasse fuori da
qualche parte, magari dalle pareti.
«Wiiill?!» lo richiamò, una nota leggermente spazientita nella voce.
La risposta del moro fu prevenuta da un improvviso tremore, che fece barcollare lo shinigami rosso.
«Che altro
succede?!» esclamò, allarmato: dopo la sorpresa della
botola, non si fidava più tanto di quel posto.
La risposta gli
arrivò fin troppo tempestivamente: nelle pareti si aprirono
bruscamente migliaia di piccoli fori, dai quali iniziarono a partire
dardi a velocità tale da riuscire a fracassare qualsiasi cosa.
«Corri!».
Lo shinigami rosso
afferrò per un braccio l’altro e prese a correre, cercando
di sfuggire alla miriade di frecce che attraversavano l’andito
alle loro spalle, incombendo su di loro.
«Will che hai
combinato?!» chiese Grell, voltandosi a lanciare
un’occhiata al moro, che si stava sistemando gli occhiali con la
punta della sua arma.
Lo sguardo, contrariamente a quello del subalterno, era il ritratto della serietà e della compostezza professionale.
«Ho attivato per
sbaglio il meccanismo della trappola» asserì, senza
cambiare espressione - né dare alla voce un qualsivoglia tono
che fosse più “vivo”.
«Poi vieni a dire a me
che devo stare attento a cosa faccio!» lo rimbeccò Grell,
un mezzo sorriso di scherno e rimprovero ad increspargli le labbra.
«Non perderti in chiacchiere, Sutcliff: pensa a correre» lo riprese William.
Quella frase fu una sorta
di doccia fredda per il Demon Hunter: per una volta che trovava una
pecca in tutto l’operato del superiore, questo continuava ad
ostentare deliberatamente un’irritante e fredda pacatezza.
Non c’era gusto a prenderlo per i fondelli se non reagiva, ma anzi, ignorava completamente la provocazione.
Abbandonò ogni
tentativo di infastidirlo: al momento, la sua più grande
preoccupazione era quella di portare in salvo la pelle.
Assieme percorsero correndo
tutto il pezzo rimanente di corridoio - che, come aveva ipotizzato
all’inizio lo shinigami rosso, era parecchio lungo. Arrivati in
fondo, svoltarono l’angolo e subito udirono diversi scatti
meccanici.
Grell, col fiato corto, sbirciò oltre la parete.
«Il meccanismo... si
è... blocca... to» ansimò, cercando di respirare
profondamente e lentamente, per riprender fiato.
Era estremamente sollevato dell’arresto della trappola: non avrebbe resistito ancora a lungo ad una corsa del genere.
«Andiamo
avanti» asserì William, perfettamente composto,
avviandosi, sistemandosi gli occhiali sul naso con la sua arma.
«È colpa tua
se ci troviamo in questa situazione!» esclamò
l’altro, indignato, guardandolo allontanarsi lungo l’andito.
«Muoviti Sutcliff» ribatté Spears pacato, senza accennare a fermarsi.
Grell dovette correre per raggiungerlo.
Camminarono per un’altra decina di metri seguiti da un costante silenzio tombale.
I nervi di ambedue erano
tesi, pronti a cogliere qualsiasi avvisaglia di pericolo, anche il
più piccolo, nonostante l’espressione che il moro portava
in viso non lasciasse trasparire niente. L’altro, al contrario,
palesava bene la paura ed il nervosismo che l’animavano, anche se
con un atteggiamento ed un’espressione che non erano poi molto
virili.
Ma in fondo, quando mai Grell Sutcliff si era mai dimostrato veramente virile innanzi ad una qualsiasi situazione?
Finalmente, dopo un tempo
indefinito, in fondo al corridoio apparve una luce, segno
inequivocabile che erano arrivati da qualche parte.
«L’uscita!»
esclamò Grell al settimo cielo, iniziando a correre, senza
più badare a dove camminava.
Fu proprio per
l’eccessivo entusiasmo che calpestò inavvertitamente un
altro pulsante nel pavimento, inciampando nel bordo rialzato delle
mattonelle che lo circondavano, rovinando scompostamente a terra.
Tutto cominciò a tremare.
«C-che succede adesso?» domandò, mettendosi carponi e massaggiandosi il capo, guardandosi allarmato attorno.
William si sistemò gli occhiali sul naso con calma infinita.
Alle sue spalle precipitò dal soffitto un gigantesco masso, che prese a rotolare verso di loro.
Grell lanciò un gridolino di sorpresa e terrore, rialzandosi in piedi.
«Wiiill!» chiamò, indietreggiando di qualche passo, iniziando poi a correre.
William si volse per
metà all’indietro, mentre l’altro correva e metteva
quanta più distanza possibile tra se stesso e il masso.
Spears si accorse in
ritardo del pericolo, quando ormai il suo subalterno era a metri di
distanza ed iniziò a correre anche lui, ma in modo estremamente
composto, come se dietro di sé non ci fosse assolutamente niente
di che.
Attraversarono il resto
dell’andito di corsa, cercando di sfuggire al masso che,
implacabile, si apprestava a raggiungerli.
Arrivati in fondo, Grell si
lanciò letteralmente attraverso l’uscita, seguito a poca
distanza dal moro, che si fermò poco oltre la soglia.
Quest’ultimo si
sistemò gli occhiali sul naso, voltandosi ad osservare
l’entrata, ora bloccata in modo definitivo.
«Dobbiamo procedere» asserì, pacato.
Sentì
all’improvviso qualcosa di viscido strisciargli su un piede, per
poi iniziare ad avvolgerglisi attorno alla caviglia.
Abbassò
immediatamente gli occhi, incrociando un tentacolo verde che pareva
appartenere ad una pianta. Insospettito dalla cosa, si volse con
un’apatica meccanicità a dir poco anormale, trovandosi ad
osservare un immenso groviglio verde con fattezze mostruose:
il pavimento era oscurato da un tappeto di radici simili a serpi e al
centro si ergeva il corpo centrale, un fusto gigantesco ed oscillante
sormontato da una corolla di immensi petali rosa a due strati. Il primo
stava disteso, rigido attorno alla base, simile ad una corona di spine;
l’altro era chiuso a mo’ di bocciolo e formava una sorta di
bocca da cui uscivano sibili grotteschi ed inquietanti.
Le radici ed il corpo erano cosparsi per ogni dove di una sostanza vischiosa e violacea prodotta dal fiore.
Tra i “rami”
della pianta William scorse Grell, sollevato a quasi un metro da terra,
avvinghiato saldamente ed in fase di progressivo stritolamento.
«Sutcliff, non abbiamo tempo da perdere» esclamò Spears, sistemandosi ancora una volta gli occhiali sul naso.
«Mmmmpfh...!»
cercò di rispondere l’altro, costretto al silenzio da un
ramo stretto attorno alla bocca - e a mezzo viso - cercando di
divincolarsi.
William inclinò le sopracciglia, assumendo un’inusuale espressione scocciata.
Alzò la sua arma,
poggiandone un’estremità sul pavimento. L’altra la
indirizzò contro la pianta.
La tenaglia alzata
scattò in avanti repentinamente, aprendosi, per poi chiudersi
con un rumore vischioso attorno alla radice che bloccava Grell.
La pianta emise un acuto e
stridulo verso di dolore, talmente alto da poter perforare i timpani
dei due shinigami, poi cominciò ad agitare le sue lunghe
propaggini, menando frustate al niente con una rabbia ed una potenza
assurde.
Grell fu sbatacchiato a destra e a manca come fosse una semplice bambola, senza possibilità d’appello.
Will occhieggiò la motosega del subalterno, abbandonata poco distante dalla distesa d’erba semovente.
«Se proprio non c’è altro che possa usare...» commentò tra sé il moro, amareggiato.
Con uno scatto repentino si
lanciò verso l’arma, sollevandola con non poca fatica da
terra: per la sua esile corporatura - e i suoi muscoli poco allenati -
sollevare quell’arnese si rivelava essere un’impresa
leggermente difficoltosa.
Una volta impugnata
più o meno saldamente l’arma, l’alzò sopra la
spalla destra, avviando con l’altra mano - e con qualche
difficoltà - il motore.
La motosega si accese con un cupo ma chiassoso rombo dai connotati vagamente pericolosi.
Così armato,
s’accostò alla pianta e prese a farsi lentamente strada
attraverso il pavimento di radici, trinciando senza esitazione tutto
quel che trovava innanzi a sé, aiutandosi anche con la propria
arma.
Quando arrivò a
pochi metri dal suo obiettivo, lasciò cadere momentaneamente a
terra la sua asta munita di tenaglie e afferrò con ambedue le
mani l’impugnatura della motosega.
Facendo leva sulla schiena,
si piegò leggermente all’indietro e lanciò la falce
motorizzata con quanta più forza poté, indirizzandola
verso il ramo che immobilizzava Grell - col rischio che, se avesse
sbagliato bersaglio, lo shinigami rosso sarebbe incorso in morte certa.
Fortunatamente William
riuscì a centrare il bersaglio: la lama rotante della motosega
affondò nella radice, trinciandola di netto.
Grell cadde sul letto di radici mentre il moncone di pianta iniziava ad agitarsi e dal fiore usciva un nuovo stridulo verso.
Lo shinigami rosso si liberò dal ramo ormai inerte, rimettendosi in piedi e correndo a prendere la sua motosega.
Quando la impugnò
emise un gridolino di gioia ed eccitazione insieme. A quel punto,
“rincuorato” dalla riacquisizione della sua diletta arma,
si apprestò a tornare verso William.
«Sutcliff distruggi questa pianta» gli ordinò glacialmente quest’ultimo, sistemandosi gli occhiali.
«Yuppiee ~!» esclamò l’altro.
Con un entusiasmo senza
pari s’avventò contro la pianta, agitando la motosega in
aria, falciando tutto ciò che trovava davanti a sé con la
malsana eccitazione di un sadico e perverso assassino completamente
fuori di testa.
In un certo senso faceva paura.
Infine, dopo essersi fatto
largo fino al fulcro della pianta con un’inquietante
facilità, ne recise brutalmente il fusto, che cadde con un tonfo
sordo al suolo, fra le radici che rapidamente iniziavano a marcire e
sbriciolarsi.
Con un sorrisetto
soddisfatto sulle labbra, lo shinigami rosso si portò
l’arma sulla spalla, appuntandosi una mano sul fianco e
voltandosi per metà verso il suo superiore.
«Fatto!» esclamò, soddisfatto del proprio operato.
Il moro lo raggiunse e si fermò accanto a lui senza dire niente.
«Andiamo»
asserì dopo un momento, precedendolo attraverso la sala, diretto
verso la porta che s’intravedeva all’altro capo della
stanza.
«Will, aspettamiii!» lo richiamò l’altro, correndogli appresso.
Appena ebbero varcato la
soglia si ritrovarono in un nuovo andito, più stretto e basso
del precedente, che iniziarono a percorrere a passo rapido, quasi di
corsa.
Stavolta però non
erano seguiti da un silenzio surreale, rotto solo dal rumore dei loro
stessi passi, bensì da un leggero ticchettio, simile a quello
prodotto dalle gocce d’acqua che s’infrangono al suolo.
Era strano, curioso più che altro: che cos’era ad emettere quel gocciolio?
Grell era incuriosito da
esso, ma anche intimorito: che potesse essere il preludio a qualche
nuovo incontro con piante sbavanti con tendenze omicide...? Sperava
davvero che non fosse così: era stufo di tutte quelle trappole
disseminate ovunque.
Il ticchettio continuava, senza tregua, con un’ossessiva ripetitività che sconfinava nello sfibrante.
Lungo il corridoio non
incontrarono niente per quasi venti minuti, durante i quali il rumore
di sottofondo parve farsi gradualmente più intenso.
Poi, dopo un po’, Grell sentì qualcosa di viscido e scivoloso colargli su una spalla.
«Bleaaah... che roba è?» esclamò, schifato.
William, che camminava
qualche passo avanti a lui, si voltò a guardarlo: sulla sua
spalla sinistra c’era una macchia di un liquido grigiastro che
prima, ne era più che certo, non c’era.
«Cos’hai fatto, Sutcliff? Cos’è quella roba?» chiese in tono rigido.
«Non ne ho
idea!» si difese prontamente l’altro, un velo
d’indignazione nella voce «Fino a un momento fa non
c’era!».
Il ticchettio, adesso, si era fatto più lento e forte, come se provenisse...
William portò il
proprio sguardo sul soffitto, incrociando il profilo di una cosa
indefinita e indefinibile della quale riuscì solo a identificare
gli occhi, due grandi sfere gialle i cui brillavano iridi vermiglie con
un che di profondamente animalesco e aggressivo che non prometteva
niente di buono.
Quando anche Grell
portò gli occhi sulla cosa, dalle labbra gli sfuggì un
acuto, stridulo gridolino femminile, al che la creatura si mosse.
Saltò giù dalla sua postazione, atterrando sul pavimento con un rumore di ossa scricchiolanti.
Visto da vicino era a dir
poco orrendo: la pelle era grinzosa, di un color carbone abbastanza
singolare, che la faceva sembrare carne bruciata. La testa era
completamente glabra e oviforme, allungata sulla schiena. Dalla bocca
fuoriuscivano un paio di grosse zanne d’un grigio opaco, dalle
quali grondavano viscosi filamenti di bava, uguale in tutto e per tutto
a quella colata sulla spalla di Grell.
Era mostruoso.
La bestia iniziò a ringhiare verso di loro, emettendo cupi versi grotteschi con la gola.
Lo shinigami rosso indietreggiò d’un passo, intimorito, mentre William, semplicemente, si sistemava gli occhiali.
L’attimo di calma che precede la tempesta.
La creatura si accucciò sulle zampe e scattò, agilmente, puntando alla gola di Spears.
Quest’ultimo gli
menò una bastonata in bocca mantenendo una compostezza
indescrivibile, scaraventando la creatura contro una parete, alla base
della quale si accasciò per un attimo, prima di riacquisire una
posizione offensiva.
Il moro ruotò
l’asta in modo da rivolgerne la punta acuminata contro la cosa,
la quale stava tornando all’attacco con foga selvaggia.
Grell lanciò un altro gridolino.
«Sutcliff renditi utile!» esclamò il suo superiore, respingendo ancora una volta la bestia.
La domanda che gli sorse
spontanea di fare fu “come?”, tuttavia preferì
tenersela per sé: l’ultima cosa che voleva era far
arrabbiare Will in un momento del genere.
Si sarebbe deconcentrato e
quella creature li avrebbe ammazzati tutti e due, e lui di certo non
voleva morire: aveva ancora così tante cose da fare nella vita!
Strinse con più forza la sua amata motosega ed accese il motore, che rombò nel silenzio, cupa e attraente.
Mentre William si preparava
a parare coraggiosamente un altro attacco della bestia - che pareva
essere ancora nel pieno delle forze nonostante il gran numero di colpi
incassati - Grell si frappose tra di loro e penetrò il torace
della cosa con la punta rotante della sua arma.
Questa produsse il tipico rumore del metallo che cozza violentemente contro le ossa.
Spruzzi di sangue furono
proiettati ovunque e pezzi di carne dall’aspetto rivoltante
schizzarono in ogni direzione. La lama penetrò più a
fondo, spinta dalla pressione esercitata su di essa dal suo possessore,
finché nell’aria risuonò il secco, caratteristico
rumore delle ossa che venivano frantumate di netto.
Grell tolse la motosega violentemente dal suo petto e la bestia cadde all’indietro, supina sul pavimento, inerte.
Morta.
William si sistemò gli occhiali sul naso, calmo e di nuovo composto.
«Finalmente di sei
reso utile, Sutcliff» esclamò, senza aver di certo
l’intenzione di elogiarlo, tuttavia l’altro Demon Hunter
parve ignorarlo volutamente.
«Coraggio, andiamo avanti» proseguì il moro, avviandosi.
Grell rimase per qualche
attimo fermo vicino alla sua ultima vittima, contemplandone il sangue
schizzato a formare una divina corolla rossa sul pavimento, infine si
decise a seguire il suo superiore.
«Dove altro volete andare, shinigami...?».
Angolino autrice
Finalmente riesco a postare questo capitolo, su cui ho sputato sangue
per settimane +w+ yay, mi sento realizzata, in un certo senso <3
Spero solo di non aver fatto troppo OOC, il dubbio qui mi rimane sempre èwé
Anyway, ringrazio coloro che hanno aggiunto la fanfic alle preferite/ricordate/seguite.
Al prossimo chappy! ^^''
F.D.
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Capitolo 6 *** Danza notturna ***
6_Danza notturna
6. Danza notturna
La notte avvolgeva il mondo nel suo pacifico manto.
Da ore ormai la
città era caduta nell'immobilità tipica della notte: le
luci erano spente in tutte le case, fuori non c'era più nessuno o quasi.
«Il momento perfetto per cacciare».
Un'ombra dal profilo
slanciato si stagliava contro la volta celeste da sopra uno dei tetti,
misteriosa e bellissima. L'unica cosa che si distingueva in essa erano
due sfere rosse, simili a braci incandescenti, che sfavillavano
inquietantemente nel viso, dove avrebbero dovuto esserci gli occhi.
Una leggera brezza si
alzò improvvisamente, spazzando le strade e salendo fino ai
tetti, frusciando tra i capelli dell'uomo.
D'un tratto i suoi occhi
assunsero un'espressione concentrata e lievemente corrugata, un attimo
prima che si gettasse con un elegante scatto dal suo punto
d'osservazione.
Si librò nel cielo
come uno spettro, inquietante ed intrigante al tempo stesso, atterrando
infine al suolo senza nemmeno scomporsi. Scivolò quindi con
indicibile scioltezza e raffinatezza attraverso le tenebre, passando
per vicoli e stradicciole umide e sporche.
La sua meta - a giudicare
dal percorso che stava seguendo - era la periferia ad ovest della
cittadina, l'unica parte di quest'ultima che rimaneva sveglia fino a
notte inoltrata: lì , infatti, si riunivano tutti coloro che non
avevano una morale o un qualche seppur minimo senso del pudore -
ubriaconi, rissosi, violenti e prostitute.
Gente che non aveva una
vita né una famiglia di cui preoccuparsi o che venisse a
cercarli per un'eventuale loro scomparsa.
In poche parole, le vittime perfette.
Sebastian, oltretutto, era
un demone d'innegabile bell'aspetto, per cui gli sarebbe stato
estremamente facile attirare e catturare le sue prede.
Anche quella notte si
prospettava essere ricca di vittime le cui anime sarebbero andate non
solo a nutrire la sua essenza demoniaca, ma anche colei alla quale
attualmente prestava servizio, la sua "Lady". Non ne conosceva il nome,
ma non gliene importava: lui le si rivolgeva semplicemente con
quell'appellativo, e tanto gli bastava.
Con un fluido movimento
s'arrestò nell'ultimo filamento di tenebra del vicolo che dava
sulla stradina dove si trovava uno dei tanti pub, punto di ritrovo
preferito della gentaglia che abitava nei dintorni.
La strada era lercia: sul
terreno c'erano sputi ed altre svariate schifezze sulle quali il demone
non si preoccupò minimamente di porre la propria attenzione.
Tutto ciò su cui
doveva impegnare la sua concentrazione erano le donne che berciavano
tra gli uomini mezzi ubriachi che stavano davanti la porta, occupando
anche una parte della strada.
In mezzo a quei vestiti
bucati e sudici, Sebastian era fin troppo riconoscibile: il suo
completo era esageratamente elegante. D'altra parte, lui parve non
preoccuparsene minimamente e sbucò dal suo punto di
osservazione, avanzando a passi lenti ed eleganti verso il locale.
Non appena si
avvicinò al gruppetto appostato vicino all’uscio, da
quest'ultimo si staccarono diverse donne, che lo guardarono con
disgustoso interesse - un qualcosa che il demone a primo impatto
paragonò quasi alle attenzioni più che superflue e
fastidiose di quello shinigami dai capelli rossi, Grell.
«Ehi, bello. Ti sei
perso?» esclamò una mora coi capelli ricci che gli si era
avvicinata più delle altre.
I suoi occhi lampeggiavano
di malizia ed un desiderio sfrenato di lussuria l'avvolgeva come una
seconda pelle quasi palpabile tant'era addensata attorno a lei.
«No» rispose
lui in tono abbastanza secco, senza degnare di particolari attenzioni
il seno prosperoso ed i fianchi che muoveva in un modo che voleva
essere sensuale, ma che ai suoi occhi era solamente patetico.
La smorfia che le si
dipinse in viso dava ad intendere perfettamente che non era abituata a
vedere il suo bel corpo ignorato in modo tanto palese; tuttavia, parve
non volersi arrendere alla prima difficoltà, poiché
riprese ad avanzare ancheggiando.
«Dai, bel damerino...
vieni a giocare un po' con noi... sono certa che ti divertirai»
esclamò, raggiungendolo, fissandolo negli occhi con espressione
quasi ammiccante.
Sebastian aveva un'idea ben
precisa di cosa intendesse con "divertirsi" e sapeva bene che il suo
divertimento, in caso le avesse dato filo, sarebbe stato farla gridare
di piacere fino a farle perdere la voce e il senno.
Per certe cose, i demoni erano particolarmente portati, decisamente più degli umani.
Comunque, se lei si voleva
offrire come pasto per quella sera, Sebastian non aveva niente in
contrario: la sua anima sembrava sufficientemente nera da poter
costituire un buon apporto di nutrimento.
«Preferirei andare in un luogo più appartato...» le rispose con garbo ed educazione Sebastian, sorridendole.
La donna fu scossa da un brivido caldo e pervasa di desiderio libidinoso.
«Ma certo. Ovunque
desideri, mio caro...» disse, con tono strascicato e volutamente
sensuale, accostandoglisi e sfiorandogli il petto con le mani, giocando
coi risvolti della sua giacca.
Il demone si sottrasse al contatto e si allontanò, esortandola silenziosamente a seguirlo.
La donna non se lo fece
ripetere una seconda volta: ansiosa di rimanere a tu per tu con quel
tenebroso ed attraente sconosciuto, lo seguì lungo la strada,
tirandosi dietro le occhiate infuocate delle altre donne che avevano
adocchiato Sebastian e che avrebbero voluto passare da sole con lui
quanto più tempo possibile.
Molte delle
“respinte” appuntarono le loro attenzioni sul fondoschiena
del moro, fantasticando su come potesse essere affascinante sotto quel completo nero da damerino.
Sebastian guidò la
sua vittima attraverso varie stradicciole secondarie e spettrali,
finché non furono fuori della città, nei pressi del fiume
dove aveva incontrato l’altro demone, Claude Faustus, ed il
fastidioso Hunter che lo inseguiva ormai da mesi e l’altro demone.
Era veramente snervante averlo sempre intorno, soprattutto quand’era in missione per la sua Lady.
«Manca ancora molto?» domandò la donna.
Trepidava nell’attesa di giungere a destinazione: il demone riusciva a percepire il suo desiderio vibrare nella sua voce.
Lanciò
un’occhiata nei dintorni e, notando che non c’era nessuno
nei paraggi, si fermò, voltandosi verso di lei.
Le posò una mano
sulla guancia, allungando le dita a carezzare coi polpastrelli i suoi
capelli, mentre incatenava i propri occhi di brace ai suoi, assumendo
il suo miglior sguardo seducente.
La donna rimase attonita ad
osservare i lineamenti del suo viso, incantata dalla loro
armoniosità e dall’intensità del rosso dei suoi
occhi.
Sebastian stirò le
labbra in un sorriso carico di macabre promesse, mentre le sue iridi
cominciavano a sfavillare del colore delle fiamme infernali.
Gli occhi sono lo specchio dell’anima.
Per gli esseri umani era un
proverbio, ma per i demoni era il fulcro stesso del loro modo di
nutrirsi: gli occhi degli umani erano il punto dove la loro anima era
più vicina che mai all’esterno.
Le iridi erano il portale
per l’anima di una persona ed era proprio tramite queste che un
demone poteva estrarla per poi nutrirsene.
La vittima si accorse solo
dopo diversi minuti che c’era qualcosa che non andava nel suo
accompagnatore e che i suoi occhi ardevano di una fiamma viva e
sovrannaturale.
Aprì la bocca per gridare, ma la voce non voleva uscire.
Il demone posò
l’indice della mano libera sulle sue labbra, intimandole
cortesemente il silenzio: era quasi fatta. Vedeva già la patina
argentea dell’anima che affiorava ispessirsi e farsi sempre
più consistente.
Era quasi pronta ad uscire, mancava veramente poco.
All’improvviso udì qualcosa fendere l’aria.
I suoi riflessi non furono
abbastanza rapidi: vide la patina d’argento svanire dagli occhi
della sua vittima mentre questi divenivano vacui e la luce della vita
si spegneva in essi. Dalle sue labbra tracimò un rivolo di
sangue, che scivolò solitario e lugubre lungo il suo mento e la
pelle a poco a poco sempre più diafana.
Il corpo tremò e
cadde riverso addosso a lui, il quale si sottrasse con un abile salto
all’indietro. Quando il cadavere cadde sul suolo, il demone dagli
occhi scarlatti vide che nella schiena aveva conficcati tre coltelli
d’oro che riconobbe all’istante.
«È qui» constatò tra sé, flettendo leggermente le gambe, assumendo una posizione offensiva.
I suoi occhi vagavano sul
paesaggio in cerca del suo avversario, il quale non tardò molto
ad arrivare: la sua figura slanciata ed inquietante affiorò
dalle tenebre con portamento fiero ed elegante, stretti tra le dita i
suoi immancabili coltelli dorati, che scintillavano di una sinistra ed
ammaliante luce al riverbero della luna, gli occhi - dello stesso
colore degli utensili da cucina - corrugati in uno sguardo composto
seppur feroce.
Il sorriso di sfida che si dipinse sulle labbra di Sebastian era intriso di velenoso risentimento.
«Che cosa ci fai qui, Claude?» domandò, la voce simile ad una stilettata di gelo puro.
L’altro si sistemò gli occhiali sul naso con fare autoritario e composto.
«Sono a caccia, Sebastian. Come te» replicò, freddo.
Michaelis inasprì lo sguardo.
«Era la mia
preda» constatò, ergendosi in tutta la sua non
indifferente altezza. Ogni sua parola era fiele, eppure il suo tono
manteneva ancora la sua caratteristica inflessione raffinata ed
elegante, da perfetto maggiordomo.
«E questo è il mio territorio» aggiunse l’attimo dopo.
Dalle maniche della sua giacca apparvero quasi per magia affilati coltelli d’argento.
Claude affilò l’espressione.
«Non esserne così sicuro...» minacciò.
I due si scrutarono vicendevolmente con odio profondo. Li attendeva lo scontro, lo sapevano.
La situazione rimase
invariata ancora per qualche minuto, poi, come ad un tacito segnale
convenuto, i due scattarono in avanti, fluidi ed energici, portando
davanti a sé le mani, così da poter avere a disposizione
le loro armi.
Il primo attacco fu
frontale e non vide nessun vincitore né vinto: ambedue si
protessero il viso con le braccia, che cozzarono violentemente tra
loro, mentre i due cercavano di avanzare per gettare al suolo
l’avversario.
L’impatto fu violento
ed i due sfidanti vennero sbalzati dopo pochi minuti, durante i quali
misurarono la loro forza fisica senza risparmiare energie.
Saltarono indietro con eleganza e atterrarono con grazia e leggerezza.
Claude fu il primo a
ripartire all’attacco: fletté le gambe e piegò in
avanti il busto in modo da creare meno attrito possibile con
l’aria, dandosi poi una poderosa spinta iniziale grazie alla
quale acquisì rapidamente velocità.
Sebastian arretrò
con un altro salto, poi balzò in aria e, calcolando la
traiettoria del nemico, lanciò la prima pioggia di coltelli.
Questi scintillarono alla
luce lunare e si conficcarono nel suolo, a pochi centimetri dai piedi
del demone dagli occhi gialli, il quale schivò il colpo
all’ultimo momento e saltò in aria a propria volta.
Mentre raggiungeva
l’altezza del nemico - che lentamente stava ricadendo al suolo -
gli lanciò contro le proprie armi.
Il demone dagli occhi rossi
contrattaccò con un’altra pioggia di coltelli, annullando
così gli effetti della sua offensiva, ma rimanendo disarmato -
così come il suo sfidante.
Per un momento i due si
trovarono alla stessa altezza e si scrutarono dritti negli occhi:
fiamme scarlatte si accesero nelle iridi di entrambi, segno che da quel
momento in avanti avrebbero fatto sul serio.
Precipitarono al suolo
acquistando velocità e, toccando terra, vi scavarono un
avvallamento circolare con un diametro d’un paio di metri e
profondo altrettanto.
La loro potenza come demoni
stava venendo rilasciata appieno: attorno a loro si alzò una
brezza violenta che frusciò tra i loro capelli, scompigliando
questi e sollevando i lembi delle loro giacche.
Adesso si sarebbe trattato di uno scontro prettamente fisico.
Sebastian scattò verso l’avversario e quest’ultimo fece altrettanto per riflesso.
Lo scontro assunse i
connotati di una macabra danza letale: i due demoni lottavano senza mai
lasciare un attimo di tregua al nemico, i muscoli tesi e le membra che
si aggrovigliavano per poi districarsi nuovamente con violenza, gli
occhi di brace che si fissavano senza mai perdersi di vista, come se
distogliere lo sguardo avesse potuto decretare chi dei due fosse lo
sconfitto.
La lotta divenne sempre
più violenta: sia Claude che Sebastian cominciarono ben presto a
mirare ai punti più esposti del corpo, come le gambe e la testa.
Faustus riuscì a
ferire l’avversario ad una guancia e a graffiargli le braccia ed
il torace in modo considerevole, tanto da ridurre a brandelli i suoi
abiti, che s’inzupparono del sangue che grondava dalle ferite.
Michaelis, per contro, gli
ferì con successo le gambe, ricoprendole di lunghi tagli
profondi con le unghie affilate come rasoi e riuscì anche a
slogargli un polso.
Sembrava quasi una sfida di
resistenza: per quanto riuscissero a ferirsi reciprocamente, nessuno
dei due contendenti demordeva. Nel vincolo quasi palpabile che si era
creato fra i loro sguardi sembrava fosse presente il fuoco che
alimentava quello scontro che pareva destinato a rimanere irrisolto.
L’ennesimo calcio incrociato al viso ed ambedue si scaraventarono a terra, a diversi metri di lontananza.
Sebastian si
puntellò sui gomiti per rialzarsi e sentì qualcosa
pulsargli dentro, una vibrazione che gli scosse l’intera cassa
toracica.
«Devo tornare».
Si rialzò e,
nell’attimo in cui il suo nemico si gettò contro di lui
con le unghie della mano ancora sana dirette contro la sua giugulare,
accadde una cosa straordinaria persino per loro: due globi di luce -
quello di Sebastian purpureo e quello di Claude blu intenso -
comparvero attorno a loro, cozzando tanto violentemente da liberare
scosse elettriche che si riversarono sul campo di battaglia già
di per sé distrutto, creando buche nel terreno che variavano da
semplici squarci a grossi e profondi crateri.
Faustus assottigliò gli occhi.
«La mia Lady mi sta chiamando» disse.
Michaelis arricciò le labbra in un sorriso beffardo.
«Anche la mia» sentenziò.
Si spostarono, interrompendo il contatto tra le due sfere d’energia che li proteggevano.
«Ci rivedremo, Sebastian Michaelis» minacciò Claude.
«Sarà un piacere distruggerti, Claude Faustus» controbatté Sebastian.
Le parole di entrambi erano
cariche di odio e di veleno e tutti e due erano assolutamente certi che
il loro prossimo incontro non sarebbe stato meno movimentato di quello.
Senza aggiungere altro, si diedero le spalle e partirono alla volta delle rispettive padrone.
«Sono tornato, my Lady».
Sebastian s’inchinò al cospetto della sua padrona senza osare guardarla in viso.
L’aria era satura
dell’odore di stantio e di muffa e l’acqua
s’infiltrava tra i mattoni del soffitto, gocciolando
rumorosamente sul pavimento.
Nel vuoto silenzio nel
quale era riecheggiata la sua voce risuonò un gorgoglio
strozzato e femmineo, poi una voce roca e sibilante: «Ho...
fame...».
«Mi spiace ma non sono riuscito a portarle ciò che mi ha richiesto, my Lady» si scusò formalmente il maggiordomo.
«Cosa...? Sento odore di... sangue».
Sebastian - in effetti -
sentiva ancora le gocce di sangue zampillare dal taglio che gli correva
lungo la guancia, non ancora rimarginato.
«Sono dispiaciuto. Ho avuto un contrattempo» proseguì.
«Un... contrattempo?» ripeté la sua padrona. Sembrava che ogni parola le costasse una fatica immane.
«Un altro demone. Mi
ha sottratto la preda e mi ha attaccato. Non sono stato in grado di
cercare altre anime da portarle».
Un grido agghiacciante lacerò l’aria, penetrandola come migliaia di frammenti di ghiaccio.
Sebastian rimase
imperturbabile al suo posto, finché un’onda d’urto
lo sollevò e lo scaraventò contro la parete alle sue
spalle. Sbatté con forza la testa e cadde seduto ai piedi del
muro, rialzandosi l’attimo dopo e spolverandosi i vestiti.
«Ho bisogno di anime! Quel demone... morirà!».
Gli occhi di Sebastian scintillarono: era esattamente quello che voleva anche lui.
Angolino autrice
Finalmente riprendo a
scrivere/aggiornare questa longfic çOç *commossa*
sperando di riuscire ad aggiornare più frequentemente in questi
mesi estivi vista l'assenza dell'odiata scuola *-*
Ringrazio Selly Michaelis, doc11 e lalupanera per le recensioni allo scorso capitolo e chi ha aggiunto la fic alle preferite/ricordate/seguite.
Al prossimo chappy! ^^
F.D.
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Capitolo 7 *** Gli Immortali ***
7_Gli Immortali
7. Gli Immortali
«Dove altro volete andare, shinigami...?».
La voce che si era appena levata nel silenzio era indubbiamente femminile, e proveniva da dietro di loro.
Will fu il primo a girarsi
a fronteggiare la nuova venuta, rinsaldando la presa sulla sua falce,
sistemandosi gli occhiali sul naso.
Non sapeva se avrebbe dovuto lottare di nuovo e sperava di no, ma doveva prepararsi all’evenienza.
«E tu chi saresti?» chiese, glaciale, senza tanti giri di parole.
Grell si volse a propria
volta, incrociando la figura di una donna vestita di lilla e di bianco,
con lisci capelli di quest’ultimo colore che le arrivavano a
sfiorare le spalle. Una riga posta a sinistra sul capo divideva la
corta chioma ed il ciuffo di destra - più consistente - le
cadeva a coprire in parte la fronte.
Gli occhi erano di un intenso ed intrigante viola scuro e le labbra sottili incurvate in un’espressione altera.
Il vestito era lilla e le
fasciava il torace, mettendo in risalto il seno, poi si apriva in vita
in un’ampia gonna che le arrivava fino alle ginocchia, da sotto
le quali facevano bella mostra di loro un paio di stivali alti bianchi
con una porzione di tacco a spillo non indifferente.
Le maniche dell’abito erano a sbuffo e la parte aderente a braccia ed avambracci era bianca e le arrivava fino al polso.
Sulla schiena erano
ripiegate un paio di enormi ali bianche le cui piume parevano brillare
di luce propria, una candida luce eterea che a Grell ricordava quella
della madreperla.
Quanto avrebbe dato perché potesse vedere quelle immacolate piume bianche tingersi del più vivo rosso sangue...!
«Io sono
Angela» si presentò la donna, seria «E quelli come
voi qui non dovrebbero starci» aggiunse in tono più acido.
«Siamo venuti a
cercare qualcosa che voi ci avete preso» interloquì
William, avvicinandosi a lei, sistemandosi per l’ennesima volta
gli occhiali sul naso.
Sul viso della femmina si materializzò uno sguardo di viva indignazione mista a furore.
«Noi non siamo ladri! Non abbiamo preso niente da voi cacciatori!» esclamò a gran voce.
Grell poteva percepire la
tensione salire man mano che i secondi passavano, mentre nella donna
dalle ali candide montava la rabbia.
Lo shinigami rosso fremeva
nel tentativo di reprimere l’impulso di ucciderla e vedere
sgorgare il suo sangue a fiotti: era un’immagine così viva
e pulsante nella sua mente da indebolire sempre di più la sua
forza di volontà, spingerlo inesorabilmente verso il gorgo della
follia.
«Owww, Will ti prego! Fammela uccidere!» domandò, la voce altalenante ed instabile.
Spears percepì distintamente la nota di pazzia nella sua voce.
«Non puoi, Sutcliff.
Non siamo qui per questo» sentenziò apatico,
accostandoglisi per bloccare sue eventuali reazioni poco consone,
vedendolo metter mano al motore della motosega.
Angela pareva pronta a combattere: incurvò leggermente le spalle in avanti e fletté le ginocchia, aprendo le ali.
«Non è carino attaccare così gli ospiti, Angela».
Stavolta a parlare era
stata l’inequivocabile voce di un maschio il cui tono, per quanto
di timbro differente, somigliava incredibilmente a quello della donna.
Quest’ultima si bloccò e si volse indietro, ricomponendosi.
«Ash, questi sono...»
«So chi sono».
Da oltre le spalle di lei
emerse una figura maschile che - inutile tentare di negarlo - le
somigliava dannatamente, nonostante la differenza di sesso: la
capigliatura e la pettinatura erano identiche, così come il
colore degli occhi, anche se quelli di lui avevano una forma
leggermente più allungata. Le sue labbra - a differenza di
quelle di lei - erano increspate in un accenno di sorriso di cui
William non si fidava affatto.
Era un poco più alto rispetto ad Angela ed anche le ali erano più grandi.
Indosso portava
un’elegante giacca bianca sotto alla quale si intravedeva un
gilet lilla ed un paio di lunghi pantaloni bianchi. Le mani erano
protette da un paio di guanti bianchi.
Camminando a lunghe
falcate, superò la donna e si fermò poco più
avanti, coprendola con un’ala a mo’ di protezione.
«Stavano per attaccarmi!» si lamentò Angela.
«Sono convinto che
sia solo un fraintendimento causato dal tuo atteggiamento apertamente
ostile» ribatté l’uomo, pacato e mellifluo, quindi
si rivolse ai due Demon Hunter: «Io mi chiamo Ash. Che cosa siete
venuti a cercare presso la nostra dimora? Noi Immortali non abbiamo
fatto niente che possa aver attirato su di noi le ire di voi
shinigami».
«Non siamo qui per lavoro... non esattamente» replicò William, abbassando la falce: a quanto pareva, non c’era più motivo di temere attacchi.
Avrebbero potuto risolvere
la cosa discutendo come le persone civili - scelta che gli era di gran
lunga più congeniale di uno scontro.
Sentendo la tensione allentarsi, la smania di violenza e sangue di Grell si placò fino ad assopirsi nuovamente in lui.
«Cioè? Spiegati» sentenziò Ash, incuriosito dal tono criptico utilizzato dal Dio della Morte.
Spears si risistemò gli occhiali, alzando gli occhi a guardare l’angelo dritto in viso.
«Tra i nostri libri più preziosi e antichi ce n’è uno cui manca una pagina. Si intitola “Ibridi: l’alchimia della vita perfetta”. Abbiamo ragione di credere che l’abbiate rubata voi» spiegò pragmaticamente Will.
Grell notò lo sguardo dell’angelo maschio farsi improvvisamente più buio e severo.
«Perché avete bisogno di quella pagina? Vi serve per qualcosa in particolare...?» chiese Ash.
«Da ciò devo dedurne che l’avete realmente voi?» insinuò senza la minima esitazione Spears.
«Che cosa volete farci?» domandò di nuovo Angela, ma in modo più esplicito, diretto e aggressivo.
Stavolta fu Grell ad intervenire: «C’è un problema con il mio Sebastiàn!».
I due angeli spostarono
confusi la loro attenzione allo shinigami vestito di nero in cerca di
una spiegazione. Quest’ultimo si sistemò gli occhiali sul
naso.
«C’è un
problema con un demone. Sembra che qualsiasi shinigami gli si avvicini
per ucciderlo venga carbonizzato» asserì senza scomporsi
Spears.
I due angeli si scambiarono
un’occhiata leggermente sconvolta. In essa, Grell riuscì a
leggere un’intesa circa qualcosa di cui loro quasi certamente non
erano a conoscenza.
«Venite» li invitò Angela, mentre Ash si avviava lungo il corridoio, precedendoli.
I due shinigami si fecero
condurre senza obiettare attraverso diversi anditi, finché Ash
non si fermò e si accostò ad una parete che, almeno
all’apparenza, era identica in tutto e per tutto a tutte le altre.
Vi passò sopra la mano, accarezzando l’intonaco, poi premette le dita sul mattone.
Quest’ultimo
s’incuneò nel muro, cominciando a scintillare di una luce
madreperlacea talmente intensa che per qualche momento Grell ne rimase
abbagliato e accecato.
Quando riuscì a
rimettere a fuoco il mondo, notò che dove prima c’era il
blocco scintillante adesso si era creato un varco con lo stipite
composto di due onde le cui estremità culminavano sulla
sommità dell’arco in due riccioli semplici e perciò
ancor più belli.
«Wow...!» esclamò.
Ash ed Angela li precedettero all’interno.
«Fate attenzione alle scale, sono particolarmente ripide» li avvisò la donna, prima di sparire.
Grell fu il primo ad
affacciarsi all’interno, trovando un minuscolo spazio da cui
partiva una scala a chiocciola veramente stretta che spariva dietro una
colonna di pietra azzurra adorna di fregi a spirale in bassorilievo.
«Coraggio, Sutcliff
muoviti. Non abbiamo tutta la giornata» sentenziò William
severo, punzecchiandolo in mezzo alla schiena con la punta della sua
falce.
«Sì, sì vado Will. Come sei noioso!» si lamentò lo shinigami rosso, salendo le scale.
Le scale parevano non aver
mai fine: si inerpicavano sempre più su, ripide e strette, tanto
che Grell si domandò più volte se non fosse semplicemente
una trappola.
Iniziava a perdere
l’orientamento, nonché la scansione temporale: gli
sembrava che il tempo si fosse fermato o che addirittura fosse passata un’eternità
da quando aveva messo piede sul primo gradino. In aggiunta a
ciò, cominciava a sentirsi oppresso in quello spazio che - man
mano che saliva - gli sembrava restringersi sempre più.
Infine, finalmente, vide apparire un altro arco, che superò con sollievo: quell’ascesa infernale era terminata.
William si
materializzò alle sue spalle e lo superò mentre lui si
riposava, appoggiandosi contro la parete. Osservò il luogo dove
si trovavano adesso: si trattava di un’immensa biblioteca con le
pareti bianche decorate con fregi spiraliformi di un argento che quasi
pareva liquido tant’era brillante e vivo.
Gli innumerevoli scaffali
che occupavano l’intera sala erano altissimi e fatti
completamente di cristallo, così come i tavoli e le sedie che
vedeva sistemati con cura qua e là. La luce del sole che entrava
dalle grandi finestre sulla parete sinistra faceva sì che le
librerie ed ogni altro pezzo di mobilio risplendessero di un fulgore
indescrivibilmente bello, rendendo il posto un qualcosa di quasi magico.
William, però, non
ne rimase affatto sorpreso: sapeva perfettamente che gli angeli amavano
i luoghi illuminati e ciò che risplendeva. Era naturale che
tentassero di ricreare tale effetto nella loro dimora.
Qualcuno degli angeli che erano seduti al tavolo più vicino si voltarono incuriositi al vedere entrare i due shinigami.
«Da questa parte» disse Ash, invitandoli a seguirlo con un gesto della mano.
Il gruppetto attraversava
la sala attirando su di sé gli sguardi di tutti coloro che
incrociavano. Su tutti i loro visi, per quanto diversi potessero essere
gli uni dagli altri, Grell riuscì a leggere la stessa
espressione: sorpresa e diffidenza.
Sapeva che gli angeli
fossero diffidenti nei confronti degli estranei, ma che potessero
esserlo fino a quel punto gli pareva un tantino esagerato: sembravano
quasi sul punto di saltare loro addosso con l’intento di
trucidarli.
Erano cacciatori di demoni, non di angeli: perché provavano tanta palese rabbia nei loro confronti?
Ogni passo che metteva
avanti sentiva altri sguardi aggiungersi a quelli già presenti,
simili ad aghi che gli pungolavano ogni centimetro della pelle.
Era una sensazione
veramente fastidiosa e la tentazione di porvi fine era forte; tuttavia,
si limitò a procedere facendo il bravo, addirittura cercando di
far meno rumore possibile con i tacchi - e sfortunatamente il pavimento
non lo aiutava in ciò, visto che le grandi mattonelle erano
fatte di un materiale che pareva amplificare spontaneamente ogni suono
che rimbalzava su di esse.
Era talmente concentrato su
ciò che aveva intorno che, quando la comitiva si fermò,
sbatté contro la schiena di William, che volse leggermente il
busto indietro e gli lanciò una severa occhiata di sbieco.
«Sta’ attento a dove cammini, Sutcliff» gli intimò semplicemente.
«Scusa, Will» si affrettò a dire l’altro, indietreggiando di qualche passo.
«Ecco, è qui» li interruppe Ash, spostandosi di lato per lasciare sopravanzare i due shinigami.
I due si fecero avanti,
fermandosi a ridosso della sottile catena che impediva di accedere
all’angolo in cui erano arrivati. A poco meno di un metro da loro
c’era un piedistallo di marmo bianco sormontato da una piccola
custodia rettangolare dello stesso materiale.
Angela si protese e la
sollevò con la mano, rivelando una sottostante superficie di
vetro che permetteva di vedere cosa c’era all’interno.
William, non appena fu
alzato il “coperchio”, intravide una sottile pagina bianca
che somigliava incredibilmente a quelle del libro che aveva letto.
Doveva essere quella.
Senza nemmeno chiedere, si
sporse per poter finalmente completare la sua lettura. Al suo fianco,
Grell si allungò a propria volta, curioso di leggere.
Nonostante la distanza, i due riuscirono a scorgere ed interpretare le parole che vi erano scritte: “Nìade.
Creata
dall’unione di una giovane vergine ed una vedova nera tramite un
rituale che prevede la recisione di un seno della donna ed un circolo
tracciato con il suo stesso sangue - oltre che un complesso rituale di
evocazione di un'anima dagli Inferi. La Nìade ha l’aspetto
di una femmina nuda avvolta da catene di sangue che ne coprono il seno
rimasto, il pube e ne avvinghiano gli arti. Pare essere priva di piedi.
La testa è oscurata da un velo di tenebra dal quale traspaiono
solo due sfere bianche.
Le
catene, otto in totale, la rendono incapace di muoversi a suo
piacimento; per questo tende a richiamare a sé persone che le
procurino anime di cui nutrirsi.
Per
proteggere il suo servitore rilascia un sottile ed invisibile velo
protettivo attorno a lui, che si attiva ogni qualvolta il servo si
trovi in pericolo di vita. In tal caso, non appena l'aggressore entra
in contatto con la barriera, viene immediatamente ucciso da un fuoco
fatuo che lo incenerisce in pochi secondi.”.
Una descrizione minuziosa
condensata in poche righe. L’unica impressione che ne
ricavò Grell - nonché il solo commento che riuscì
a formulare mentalmente - fu un secco “inquietante”.
«Nìade...?»
ripeté, ritraendosi «Non ne ho mai sentito parlare»
aggiunse, incrociando le braccia sul petto e voltandosi a fissare i due
angeli, che adesso erano in piedi alle loro spalle.
«Nemmeno io. Ma,
chiunque o qualunque cosa sia, è questo ciò che
cerchiamo: gli shinigami morti sono stati uccisi come descritto»
sentenziò William, risistemandosi gli occhiali con la punta
della falce.
Si volse a propria volta verso Ash ed Angela.
«Perché questa è qui?» domandò.
«Ci è stata
portata molti decenni fa» spiegò l’uomo «Con
l’ordine di proteggerla ed impedire che qualsiasi persona potesse
avvicinarsi o leggerla» proseguì la donna.
«Perché?! Esigo una spiegazione chiara!» insistette lo shinigami rosso: era stufo di sentirsi rifilare mezze verità ed informazioni per enigmi.
Se doveva lavorare - ed
oltretutto su un caso concernente l’incolumità del suo
Sebastian - esigeva farlo senza intralci inutili.
Seguì un silenzio carico di tensione ed attesa.
«Perché nessun altro riuscisse a creare quel mostro» spiegò Ash in tono greve.
S’interruppe un
momento, prese fiato e si lanciò in una nuova spiegazione:
«Secoli fa qualcuno riuscì a creare una Nìade che
sterminò moltissimi shinigami come voi. Ne erano rimasti
pochissimi ed i sopravvissuti vennero a rifugiarsi qui da noi. Qualcuno
di voi, però, riuscì miracolosamente ad ucciderla e la
vostra specie risorse, riconquistando la libertà. Fu dopo quel
periodo che una persona si presentò qui e ci affidò il
compito di proteggere quella pagina».
«Chi era?» domandò di getto Grell, interessato alla narrazione.
Angela scosse la testa e
prese parola: «Non lo sappiamo. Venne avvolto in un mantello nero
ed un cappuccio calato sul volto. Si presentò dicendo di
possedere un compendio in cui erano annotate tutte le nozioni circa gli
ibridi esistenti in tutto il mondo. Ed aveva anche notizie sulla
Nìade, su come si creava e com’era possibile distruggerla.
Di fronte ai nostri occhi strappò quella pagina e ce la diede,
dicendo che “per nessun motivo quelle informazioni dovevano
essere lette da nessuno, poiché il rischio per gli shinigami
sarebbe stato altissimo e pagato con il sangue”».
Sembrava sconvolta dalle
sue stesse memorie: le mani che teneva giunte sul seno erano scosse da
fremiti violenti e ai lati dei suoi occhi cominciavano ad affacciarsi
le prime lacrime.
«Avete detto che
degli shinigami sono stati uccisi, bruciati come descritto nella
pagina. Allora ciò significa che un’altra Nìade
è stata creata in questi secoli. Dovete fermarla»
sentenziò Ash.
«Come? Nel libro non è scritto come ucciderla» obiettò Will.
«La risposta che cercate è da un’altra parte, non qui» continuò l’angelo.
«Cioè?» incalzò Spears.
«Quando
quell’uomo venne qui» interloquì la donna, cercando
una fermezza in sé e nelle sue parole che non riusciva a trovare
«Menzionò un altro libro, un quaderno di appunti. Disse
che l’avrebbe tenuto con sé per sicurezza e che
l’avrebbe ceduto solamente quando il Male avrebbe tentato
nuovamente di distruggere la stirpe dei Demon Hunter».
Grell pestò un piede a terra, stizzito.
«È successo secoli fa! Come possiamo sapere chi abbia o dove sia quel quaderno?!» sbottò.
William non poté che
trovarsi d’accordo con lui: senza alcun indizio circa
l’identità dello shinigami che era stato lì non
avevano in mano niente che potesse aiutarli a trovare l’ubicazione del manoscritto o un eventuale discendente che potesse averlo custodito.
«Siete sicuri di non
aver visto niente di lui?» domandò di nuovo,
risistemandosi per l’ennesima volta gli occhiali sul naso.
«No, niente: era completamente coperto» ribadì Ash.
«Anche se... ora che mi ci fate pensare, ho visto una parte del viso...» intervenne Angela, sovrappensiero.
I due shinigami fissarono
la loro attenzione su di lei, la quale tacque qualche altro momento,
poi annuì, per rafforzare la sua affermazione e proseguì:
«Sì, ho intravisto la carnagione cinerea ed alcuni ciuffi
di capelli d’un argento spento che sembravano cadergli davanti al
volto coperto».
Vedendo l’espressione
un po’ delusa che si era dipinta in viso a Grell aggiunse:
«Mi spiace, so che non è molto, ma è tutto
ciò che so dirvi a riguardo».
«Non importa»
esclamò Spears, sistemandosi gli occhiali «Penseremo noi a
trovarlo. Andiamo, Sutcliff» disse, facendo dietrofront per
tornare da dove venivano. Lo shinigami rosso si affrettò a
seguirlo per non rischiare di rimanere indietro.
«Un momento» li richiamò Ash.
I due Hunter si volsero in contemporanea a guardarlo.
«Se avete veramente
intenzione di intervenire personalmente contro quella bestia, cercate
qualcuno che possa aiutarvi. In due soli non potrete mai farcela»
«Grazie del
consiglio, ma non era necessario» replicò gelido William,
spostando gli occhiali sul naso con la punta della sua arma
«Perché ci avevo già pensato io».
Detto ciò, si
girò e si avviò, fianco a fianco con un Grell alquanto
sorpreso per quell’affermazione: «Hai intenzione di
coinvolgere veramente qualcun altro? Non bastiamo noi?».
«Non sono abituato a
lavorare con così tanta gente intorno, ma devo, se voglio finire
in fretta questo lavoro. E non ho intenzione di fare
straordinari» sentenziò Spears.
«Aspettatemi, vi
conduco all’uscita!» esclamò Angela, raggiungendoli
e mettendosi alla guida del gruppetto.
«E a chi hai
intenzione di chiedere?» chiese il Dio della Morte rosso,
piegandosi curioso verso il compagno, lanciandogli un’occhiata
interrogativa dal basso verso l’alto.
«L’unico altro con cui abbia mai lavorato...» fu la criptica risposta che ottenne.
Angolino autrice
Ecco - finalmente *^* - il settimo capitolo!
ò-ò spero di non aver fatto attendere molto >/////<
Ringrazio quanti hanno aggiunto la fic alle preferite/ricordate/seguite.
Al prossimo chappy! ^^
F.D.
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Capitolo 8 *** Un altro shinigami in scena, DEATH ☆! ***
8_Un altro shinigami in scena, DEATH ☆!
8. Un altro shinigami in scena, DEATH ☆!
«C-che cosa ci fate voi due nella mia stanza?!».
Dopo diversi minuti di
sconvolto silenzio, quella fu l’unica cosa che il proprietario
della camera riuscì a gridare contro i due Hunter che si era
trovato davanti non appena aveva aperto la porta.
«Ehilà, Ron! È da parecchio che non ci vediamo!».
Grell Sutcliff
ammiccò verso di lui con fare complice. Il Dio della Morte stava
seduto sul suo letto, carezzando il lenzuolo con la mano sinistra
mentre dondolava frivolmente la gamba accavallata sull’altra.
Nell’altra mano stringeva il manico della sua motosega, che - da
quel che riusciva a vedere da quella distanza - era stata utilizzata
molto di recente: schizzi di sangue rosso scuro ne decoravano il
margine.
«G-Grell...? Cosa ci
fai qui?» domandò Ronald, mentre gli occhiali gli
scivolavano un po’ giù sul naso: non si aspettava certo di
vederselo comparire a sorpresa in camera, oltretutto a quell’ora
del mattino.
«Ci serve il tuo aiuto, Knox» tagliò corto William.
Quest’ultimo era in
piedi accanto all’altro con una postura rigida e le braccia stese
lungo il busto. Se non fosse stato per la sua affermazione, avrebbe
potuto benissimo essere scambiato per una statua.
Lo sguardo che Spears gli
lanciò l’attimo dopo non lasciava presagire niente di
buono: sembrava che fosse successo qualcosa di veramente grave.
Ron sospirò.
«Proprio adesso? Non
mi va di fare straordinari a quest’ora...» sbuffò,
entrando nella stanza con aria esausta, abbandonando la sua falce - un
formidabile tagliaerba rosso scuro - nei pressi della porta.
Grell si alzò in
piedi e si piegò in avanti, verso di lui, appuntando le mani sui
fianchi. Un sorriso che di sano aveva ben poco gli increspò le
labbra.
«Non credo tu abbia capito la situazione, mh? Qui non si tratta degli straordinari, ma di vita o morte»
esclamò, calcando particolarmente la voce sulle ultime parole.
Il suo sguardo era corrugato in un’espressione incisiva e greve,
per quanto minata in parte dalla sua caratteristica follia.
«Come?» domandò, perplesso: non aveva mai visto Grell assumere un cipiglio tanto serio.
Passò lo sguardo
dall’uno all’altro, senza capire, poi la sua espressione si
fece più dura, diventando quasi rabbiosa.
«Potete spiegarmi che cosa sta succedendo e perché
io dovrei venire con voi?» chiese in tono poco paziente, cercando
così di nascondere l’accenno di paura che cominciava a
provare: quella loro apparizione nella sua camera ad un’ora tanto
insolita e l’alone di mistero che si portavano dietro non lo
faceva affatto ben sperare.
Grell si volse a guardare l’altro con una smorfia d’impazienza sul viso.
William si sistemò
gli occhiali sul naso e fissò penetrantemente lo shinigami
biondo, quasi a volerlo trapassare da parte a parte con la sola forza
dello sguardo.
«Ti racconterò tutto, ma niente dovrà uscire da questa stanza, per nessuno motivo» asserì flemmatico.
Sutcliff sospirò.
«È meglio se
ti siedi, Ronald: è una storia lunga» avvisò,
andando ad appoggiarsi contro la parete per lasciargli il posto sul
letto.
Knox sbatté le palpebre, perplesso, ed obbedì, andando a sedersi sul materasso.
«C-CHE COSAAA?!?!» esclamò, allucinato.
Il racconto di William era terminato e adesso spettava a lui accettarlo, solo che gli sembrava tutto così... pazzesco.
«State scherzando, vero?» domandò, quasi supplicando.
«Ti sembra la faccia
di uno che scherza, Ron?» fece ironico Grell, additando
l’espressione greve e composta di Will.
«No, affatto» constatò tristemente il più giovane.
«Abbiamo bisogno di un’altra persona per questo incarico» intervenne Spears, sistemandosi gli occhiali.
Ronald stava cercando di
far ordine nei suoi pensieri: qualcosa stava aiutando un demone,
Sebastian Michaelis, a scampare alla morte. Degli shinigami erano morti
arsi vivi da questo qualcosa - una Nìade,
a quanto aveva capito, anche se non ne aveva mai sentito parlare prima
di allora - e loro dovevano trovarlo ed ucciderlo prima che altri ne
andassero di mezzo. Solo che il modo di far fuori quella cosiddetta
Nìade non lo sapevano.
Troppe cose incredibili in troppo poco tempo.
«Ehi, sentite... cioè... davvero avete così bisogno proprio di me? Mi pare un compito abbastanza diff...»
«Se rifiuti ti faccio
dimezzare lo stipendio. A te la scelta» tagliò corto
William in tono pragmatico e crudele: se doveva passare il suo tempo in
un incarico nel quale poteva addirittura perdere la vita ed aveva
bisogno di collaboratori, era disposto a tutto pur di averli. Anche a
minacciarli.
Grell gli lanciò
un’occhiata interessata: quando diventava così spietato,
Will diventava improvvisamente un tipo decisamente più
interessante.
Ronald incrociò le
gambe sul materasso con fare un po’ da bambino, sbuffando:
«Che cosa? Ma non è giusto, mi pagano già una
miseria!».
«A te la scelta» ripeté il moro in tono più incisivo, occhieggiandolo con l’espressione tipica di chi odia ripetersi.
Il biondo si alzò in piedi.
«Aaah...!» si lamentò, grattandosi la testa, pensieroso.
«Non te ne importa
proprio niente del fatto che pian piano potremmo morire tutti?»
intervenne Grell scocciato. Lui non si sentiva molto toccato dalla
cosa, in effetti: per nessun motivo al mondo si sarebbe avvicinato a
Sebastian con l’intento di ucciderlo. E se non aveva cattive
intenzioni, quello strano potere che bruciava gli Dei della Morte non
si sarebbe attivato.
Lui partecipava solo perché così poteva avere di nuovo tutta per sé la sua motosega.
«Uhm... be’, in effetti...» esordì il ragazzo.
Lo shinigami rosso spostò oltre la spalla un ciuffo di capelli con fare molto femminile e sprezzante.
«Se non
t’interessa per quello, pensa che se contribuirai, le ragazze
faranno la fila per uscire con te!» gli fece notare. Era un modo
subdolo per farlo passare dalla loro parte, ma Grell - che con lui
aveva avuto a che fare per diverso tempo nei panni di un quasi mentore
- sapeva che se c’era qualcosa che poteva piegarlo al suo volere,
quello era senz’altro puntare alla sua reputazione tra le
shinigami che lavoravano presso i vari uffici.
Ronald non si peritava affatto a fermarsi a flirtare con qualcuna di loro, se ne aveva l’occasione.
Appena proferite quelle fatidiche parole, gli occhi di Ronald si accesero all’improvviso di una luce entusiasta.
«Dici davvero?»
esclamò, balzando in piedi di scatto «Perché non me
l’hai detto prima? Consideratemi dei vostri!».
Grell sorrise compiaciuto,
guardando William con sguardo d’attesa: si aspettava perlomeno un
“grazie” per essere riuscito dove lui aveva fallito;
invece, non ottenne un bel niente. Nessun elogio, nemmeno una misera
parola: tutto ciò che si limitò a fare fu riassettarsi
per la miliardesima volta gli occhiali sul naso.
«Perfetto, allora andiamo» disse, avviandosi verso la porta.
«Dove si va stavolta? Non c’è nessun indizio da seguire...» osservò Grell, perplesso.
«Andiamo a cercare in biblioteca» replicò l’altro senza nessun tono particolare.
Ronald andò verso la porta e si fermò, issandosi in spalla il suo tagliaerba come fosse uno zaino da escursione.
«Il modo di ammazzare quel coso?» domandò, voltandosi ai suoi due nuovi compagni d’avventure.
«No»
negò Spears, raggiungendolo «L’identità
dell’autore di “Ibridi: l’alchimia della vita
perfetta”» lo corresse, uscendo.
Gli altri due si lanciarono
un’occhiata perplessa, poi il biondo lo seguì a ruota,
mentre lo shinigami rosso si attardava a sbuffare un risentito:
«Comincio ad averne abbastanza di tutte queste gite in
biblioteca!».
Quando giunsero a
destinazione, i tre constatarono con un certo sollievo che la
biblioteca era praticamente deserta: c’erano giusto un paio di
persone sedute a leggere in assoluto silenzio.
«Certa gente non ha proprio niente di meglio da fare a quest’ora...!»
pensò Grell, osservando uno dei lettori mattutini che sedeva
poco distante dal corridoio principale per cui stavano passando loro.
Ronald camminava davanti a
lui, il suo fidato tagliaerba posato a terra accanto a sé,
ronzando attorno a William e tempestandolo di domande.
«In che sezione
cerchiamo? Storia? Creature mistiche? Letteratura? E cosa dovremmo
cercare esattamente? Date? Un n...».
Fu interrotto dalla falce di Spears che gli venne puntata pericolosamente vicino al naso.
«Zitto. Nessun altro
deve sapere di questa storia, chiaro?» lo ragguagliò con
un fil di voce, il tono tagliente.
Il poveretto annuì
impercettibilmente, tirando un muto sospiro di sollievo quando la punta
della tenaglia del moro si allontanò dal suo viso.
«O-okay...».
Procedettero per qualche altro minuto, guardandosi intorno senza osare proferir parola.
Infine, finalmente, Spears si fermò e dietro di lui gli altri due.
«Qui forse troveremmo
qualcosa...» disse, alzando la tenaglia ed utilizzandola per
riassettarsi gli occhiali sul naso, osservando lo stretto corridoio
laterale formato dalle due alte librerie.
«Sono un sacco di
libri...!» commentò Grell senza fiato a voce abbastanza
alta da guadagnarsi un secco: «Abbassa la voce, Sutcliff. Questa
è una biblioteca».
«Stai scherzando, vero Will?» fece in un bisbiglio appena udibile «Sono troppi».
«Non credo tu abbia
idee migliori in merito a come procurarci altri indizi. E non posso
lasciar perdere: mi degraderebbero, o peggio ancora mi licenzierebbero» disse acido William.
«Sì, ma...» esordì il Dio della Morte vestito di rosso, ma fu interrotto da una voce alle sue spalle.
«Ronald Knox?».
Ronald, che in quel
battibecco non si era ancora pronunciato, rimasto ad osservare a bocca
aperta la quantità di libri che c’erano in quella sezione
- tanto che diverse decine, non trovando spazio sulle varie mensole,
erano state accatastate sul pavimento alla base delle librerie - si
volse sentendosi chiamare.
Grell si spostò un po’ di lato, sorpreso anch’egli del richiamo.
Alle sue spalle c’era un altro shinigami che prima d’ora non ricordava d’aver mai visto.
«Sono io. Che c’è?» domandò Ronald, perplesso.
«C’è un
incarico per te, seguimi: ti spiegherò i dettagli andando verso
il portale. La tua missione consiste nell’uccidere il demone
Claude Faustus».
«Claude Faustus...?» ripeté tra sé Grell, sorpreso: aveva una strana sensazione di dejavù relativa a quel nome.
«Sì,
vengo...» disse, dirigendosi verso il Dio della Morte che gli
aveva portato il messaggio «Cercherò di sbrigarmi»
asserì rivolto agli altri due, issandosi in spalla il suo fidato
tagliaerba.
Detto ciò, se ne andò.
Angolino autrice
Sono. In. Ritardo - e ormai me ne sono fatta una triste ragione -.-' chiedo venia.
Ringrazio comunque Tensi
che ha recensito l'ultimo capitolo - sperando che anche questo ti
piaccia ^^ - e coloro che hanno aggiunto la fanfic alle
preferite/ricordate/seguite.
Al prossimo chappy! ^^
F.D.
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Capitolo 9 *** Il primo assassino - una verità nascosta attraverso i secoli ***
9_Il primo assassino - una verità nascosta attraverso i secoli
9. Il primo assassino - una verità nascosta attraverso i secoli
Grell si addossò contro lo schienale della sedia, stanco.
«Uffa...! Non ce la faccio più! Sono ore che cerchiamo in questi libri e non si trova niente!»
sbottò, accavallando stizzito le gambe «Avrei preferito di
gran lunga andare a caccia come Ronald...» sospirò.
Senza alcun preavviso gli arrivò una sonora batosta in testa
dall’altro lato del tavolo, dove William stava seduto, leggendo
un altro libro del cumulo che occupava quasi tutto il tavolo.
«La tua Death Scythe ti è stata restituita solo temporaneamente, a meno che tu non collabori. Per cui non puoi occuparti di nessun tipo di missione, Sutcliff».
«Uff... come sei antipatico...» borbottò Grell,
massaggiandosi la testa «E che bisogno c’era di
picchiarmi?».
William sollevò lo sguardo dal libro che stava consultando ed assettò con fare minaccioso gli occhiali sul naso.
«Stavi alzando troppo il tono» spiegò semplicemente.
Il Dio della Morte rosso sbuffò contrariato e riprese il libro
che stava leggendo, anche se interruppe un’altra volta la lettura
dopo appena pochi istanti.
«Quando Ron è stato chiamato, ho avuto una strana
sensazione sentendo il nome di quel demone...» disse,
sovrappensiero, guardando il moro.
«Una strana sensazione, Sutcliff...?» domandò
quest’ultimo, alzando a propria volta gli occhi dal suo volume,
inaspettatamente interessato.
«Sì, è stato come un déjàvu...»
rispose l’altro, più come se stesse parlando a sé
stesso che con il suo superiore.
Quest’ultimo ebbe il tremendo presentimento che non fosse un
qualcosa di completamente slegato da ciò in cui erano coinvolti.
Per la prima volta in tutta la sua vita sperimentò che cosa
fosse il terrore viscerale di qualcosa, un sentimento strisciante che
gli attanagliava la bocca dello stomaco nella sua temibile morsa senza
dargli pace.
Grell notò con un solo colpo d’occhio il cambiamento nella
sua espressione, abituato com’era ad incontrare sempre la
medesima maschera di perfetta impassibilità. Nei suoi occhi,
adesso, c’era qualcosa che lui non riusciva a definire, ma che
non gli piaceva affatto, perché snaturava completamente lo
sguardo ed il volto di William.
«E dove l’hai già sentito?» domandò
quest’ultimo, una nota di tensione che vibrava in modo palpabile
nella sua voce, nonostante i suoi sforzi di apparire imperturbabile
come sempre.
«Il problema è questo, Will. Non riesco a ricordarmelo» ammise Grell senza alcuna esitazione.
«Sei inutile come sempre, Sutcliff» replicò Spears
fermo, sistemandosi gli occhiali «Torna a lavorare».
Le prime ore del mattino erano quelle a parer suo più fresche
dell’intera giornata: il gelo della notte si attenuava per
lasciare il posto al tepore dei primi raggi del sole.
Ronald, in piedi sul campanile della chiesa centrale, il fedele tagliaerba in spalla, osservava la cittadina.
Una piacevole brezzolina s’inerpicava fino al tetto,
frusciandogli sotto le vesti e carezzandogli i capelli, simili a dita
invisibili.
L’aria fresca che gli riempiva i polmoni lo rinvigoriva e lo faceva sentire più vivo, pronto alla caccia.
La sua missione consisteva nel trovare ed uccidere Claude Faustus, un
demone che era stato avvistato nelle vicinanze del fiume che scorreva
appena fuori la periferia del centro abitato.
Per cui l’unica cosa sensata da fare era andare a cercarlo da quelle parti.
Lo shinigami fletté le ginocchia e si lanciò nel vuoto
con un balzo fin troppo energico, il vento che gli frustava il viso per
la velocità dello slancio, l’esaltazione della caccia che
rapidamente lo pervadeva.
Era ancora giovane - uno degli Hunter più giovani - perciò era comprensibile tanta esuberanza da parte sua.
Saltando da un tetto all’altro, Ronald si avviò nella
direzione che portava al fiume, sperando nella possibilità di
riuscire a trovare lì il suo demone.
Era poco probabile che vi fosse vista l’ora, ma lui non si dava
per vinto: finché c’era anche solo un’esigua
possibilità di trovarlo, lui era disposto a tentare. Anche
perché quel luogo era l’unico in cui sapeva per certo
fosse stato avvistato. In caso non l’avesse trovato, avrebbe
rimandato l’incarico alla sera successiva nelle ore precedenti la
mezzanotte, l’arco di tempo in cui era più alta la
probabilità di incrociare demoni in caccia d’anime umane
di cui nutrirsi.
Non gli occorse molto per raggiungere il limitare estremo della cittadina, vista la velocità con cui si muoveva.
Giunto sulla sommità dell’ultima casa, il Dio della Morte
si diede una spinta particolarmente poderosa e si lasciò
precipitare al suolo con entusiasmo, atterrando senza riportare il
minimo danno.
Si guardò intorno, stupito: sembrava che in riva al fiume si
fossero scontrate forze ancestrali con un potere distruttivo oltre ogni
immaginazione.
Il terreno era costellato di crateri di svariate dimensioni e crepe che
s’intrecciavano e si dipanavano come le fila di una immensa
ragnatela.
Poco distante dal punto in cui lui si trovava riuscì inoltre a
scorgere delle tracce di terreno bruciato che andavano espandendosi a
raggiera, come se lì ci fosse stato qualcosa di sferico ed
incandescente.
Nell’aria si avvertiva quasi a tatto il silenzio della
desolazione di un campo di battaglia che Ronald violò con passo
incerto, mentre avanzava e dava un’occhiata più da vicino.
Non lavorava da tanto come Demon Hunter, pertanto aveva poca confidenza
con il mondo degli umani, ma tutto in quel posto gli suggeriva - anzi,
gli gridava - che quella non era opera di alcun essere umano.
«Quel Claude Faustus dev’essere stato qui» mormorò tra sé, chinandosi vicino al punto in cui il terreno era bruciato, sfiorandolo «Per
fare tutto questo casino, deve aver combattuto contro qualcun altro
potente quanto lui. Ma allora ci sono due demoni?».
Mentre ispezionava più da vicino il suolo, si accorse che molto
distante da lui c’era qualcosa abbandonato a terra e che sopra di
esso s’intravedevano sottili strisce di luce dorata proiettata
dal tenue riverbero residuo della luna.
Incuriosito, si alzò e si avvicinò, scoprendo che si
trattava del corpo di una donna evidentemente morta, a giudicare dal
colorito cereo delle guance, l’espressione vacua ed il sangue che
era dilagato sull’intera schiena, nella quale erano conficcati
tre coltelli d’oro.
«Coltelli...?» borbottò il biondo, inarcando confuso un sopracciglio.
In quel momento udì qualcosa fendere l’aria.
Si volse e si scansò goffamente, indietreggiando ed incespicando
nel cadavere dell’umana, cadendo all’indietro. Nonostante
la caduta, però, riuscì ad evitare un coltello che,
vibrante, si andò a conficcare nel terreno a qualche metro da
lui.
«Chi...?» mormorò il Dio della Morte, osservando
l’impugnatura dell’utensile vibrare per il contraccolpo,
girando poi la testa nella direzione da cui era pervenuta
l’insolita arma, già immaginando chi fosse il suo
aggressore. Era riuscito a riconoscere in quel coltello lo stesso con
cui la donna era stata ammazzata.
Knox si rialzò, aggrappandosi in parte al manico del suo
tagliaerba, girandosi poi verso il sopravvenuto che lo osservava a
qualche decina di metri di distanza.
Il biondo sorrise sprezzante, assumendo una posa impettita con l’intenzione di apparire spavaldo.
«Immagino che tu sia il demone Claude Faustus» disse.
Sollevò la sua falce della morte e se la mise in spalla,
puntando verso l’uomo in veste nera e gli occhi dorati
l’indice della mano libera con fare minatorio.
«Io sono Ronald Knox, l’Hunter che stanotte ti ucciderà! ☆».
Informazioni.
Centinaia, migliaia di informazioni delle epoche più disparate,
da quelle antiche di diverse migliaia d’anni a quelle di
“appena” un secolo prima.
William continuava a sfogliare senza sosta le pagine, scorrendole con
lo sguardo e la mente, accumulando tutto ciò che leggeva nel
cervello, liberandosene in un secondo momento, accorgendosi che tra
quelle notizie non c’era ciò che lui cercava.
Instancabile, leggeva un libro dopo l’altro, senza distogliere da
essi la propria attenzione: voleva concludere alla svelta la questione.
Lavorare a quel ritmo era frustrante, ma doveva farlo, se non voleva
vedersi cacciare dai superiori. Si chiese perché non
intervenissero in modo diretto, vista la gravità della faccenda,
ma mise subito da parte la domanda, concentrandosi sul da farsi.
Seduto davanti a lui, Grell di tanto in tanto lo spiava da sopra il
libro che leggeva annoiato, ammirando la serietà e la dedizione
con cui Will si dedicava all’incarico.
Non poteva negare che fosse attraente quand’aveva quello sguardo così concentrato e penetrante.
«Ho trovato qualcosa».
L’Hunter dai capelli rossi sbatté le palpebre, riportando
la propria mente alla realtà, notando che William aveva
appoggiato il volume sul tavolo.
Riassettandosi gli occhiali sul naso con la tenaglia, lesse ad alta
voce: «Nei secoli addietro la razza degli shinigami ha incontrato
non poche difficoltà nel sopravvivere. Clamoroso fu il caso
della Nìade, un mostro ibrido capace di uccidere gli shinigami
senza esporsi a rischi, per mezzo di un tramite. La popolazione degli
shinigami si ridusse drasticamente, ma grazie all’intervento di
uno di loro, la minaccia fu debellata. L’eroe aveva...»
«... lunghi capelli grigi e gli occhi coperti» lesse Grell.
Scrollò le spalle, guardando il moro negli occhi.
«È una semplice descrizione fisica. Chissà da
quant’è morto questo tizio...» commentò
con leggerezza.
«Sutcliff, c’è dell’altro» disse Spears
in tono risoluto, voltando il libro verso di lui, girando pagina.
Grell sgranò gli occhi, aprendo sbigottito la bocca:
nell’angolo in alto a sinistra della pagina c’era un
disegno - probabilmente una riproduzione di un dipinto dell’epoca
descritta - che rappresentava una donna nuda cui mancavano i piedi,
avvinghiata da catene che sembravano trattenerla alla parete che doveva
esserci sul margine sinistro della raffigurazione. Il viso non
c’era: nell’angolo della stanza - che Grell paragonò
immediatamente ad uno scantinato - c’era un’oscurità
impenetrabile nella quale dovevano trovarsi il suo viso ed il suo
collo. Tutto ciò che si vedeva erano due globi chiari che
probabilmente erano gli occhi.
Ma ciò che aveva maggiormente attirato l’attenzione del
Demon Hunter non era stata la figura femminile, bensì la persona
che le stava trafiggendo il petto con la punta acuminata e ricurva di
una lunga falce: era un giovane uomo con lunghi capelli grigi che gli
arrivavano fino alle scapole ed una frangia lunga che gli copriva quasi
completamente la metà superiore del viso, lasciando vedere
solamente la parte inferiore della montatura degli occhiali. Era
disegnato di profilo, per cui era possibile vedere solamente una delle
catenelle che pendevano dall’asta che sorreggeva gli occhiali.
Indosso portava un lungo e curioso abito nero con le maniche larghe.
Nonostante fosse diverso, vedendo quel personaggio a Grell veniva in mente soltanto una persona.
«Questo è...» esordì, ma William chiuse con un gesto secco il volume.
«Avrebbe dovuto parlarcene prima» disse solamente, irritato, sistemandosi gli occhiali sul naso.
«Andiamo a chiedere, non è così?»
domandò Sutcliff, sperando in una conferma che gli venne pochi
momenti dopo: non vedeva l’ora di metterlo sotto torchio a dovere.
Mentre riponevano i volumi ai loro posti, Grell ripensò al suo
Sebastian: erano due giorni ormai che non lo vedeva e ne sentiva
dannatamente la mancanza. Con quello che stava succedendo agli
shinigami, chissà quando avrebbe potuto rivederlo. Soffriva
così tanto standogli lontano...!
Ripensò all’ultima volta che si erano visti e si
bloccò mentre si stava allungando a rimettere a posto un libro
in uno scaffale particolarmente alto. Si ritrasse, afferrando
nuovamente con ambedue le mani il volume.
«Will, ora ricordo!» esclamò, voltandosi verso il moro.
«Sutcliff, lavora. Dobbiamo mettere a posto i libri prima di andare e non m’interessa se ti sei scheggiato un’unghia mentr...».
«Come sei antipatico!» sbottò il rosso, appuntandosi
le mani sui fianchi, poi proseguì: «Will, il nome di quel
demone l’ho sentito dire da Sebastian l’ultima volta che
l’ho visto».
William lo guardò, poi gli menò una bastonata in testa.
«Ahio! Ma che ho fatto?!»
«Inutile, Sutcliff. Sei completamente inutile:
potevi ricordartelo prima» lo ammonì Spears, mentre dentro
di sé sentiva concretizzarsi la sensazione di pericolo
incombente che aveva precedentemente avvertito.
«Perché, scusa?»
«Perché Knox è andato a cacciarlo».
Claude inarcò elegantemente un sopracciglio, senza scomporsi minimamente.
«Un Demon Hunter...?» ripeté, avanzando di qualche passo.
«Ero venuto a cercare qualche anima per la mia padrona»
aggiunse, irrigidendo la postura ed affilando lo sguardo tanto da farlo
diventare estremamente minaccioso.
«E tu mi sei d’intralcio» esclamò, severo «Perciò dovrai sparire».
Ronald sorrise sprezzante, posando a terra la sua falce, accendendone il motore.
«E allora fatti sotto!».
Il demone non se lo fece ripetere due volte: scattò in avanti
rapido, pronto ad ucciderlo e strappargli l’anima. Dopotutto,
un’anima era pur sempre un’anima, di chiunque essa fosse.
Ronald parò con il tagliaerba il calcio che Claude gli
menò con furia sorprendente al fianco sinistro, respingendo il
suo aggressore. Quest’ultimo arretrò di un paio di passi e
caricò di nuovo.
Lo shinigami fece leva sul manico della sua falce e si sollevò
da terra alzando i piedi fino ad essere in perfetta verticale sopra il
suo attrezzo. Rimase in equilibrio per un momento, poi si diede una
spinta e schivò con una giravolta nell’aria il suo
avversario, il quale colpì il vuoto.
Il biondo atterrò qualche metro dietro di lui.
«Troppo lento» esclamò, schizzando in avanti,
caricando un pugno col quale intendeva colpirlo in mezzo alle scapole.
Quando gli arrivò a tiro ed allungò il braccio per
colpirlo, tuttavia, Ronald avvertì qualcosa sfiorargli
l’arto, come se avesse appena superato un’invisibile tenda
di velo sottilissimo.
Subito dopo un’esplosione di dolore l’accecò, facendolo arretrare con tanta forza da farlo cadere.
Il suo braccio stava bruciando: fiamme violette lambivano il suo guanto
e la manica della sua giacca, consumando in fretta il tessuto. Il
calore era atroce e lentamente il fuoco arrampicò lungo il suo
arto.
Ronald si mise seduto, cercando di spegnere la vampa in ogni modo.
Nelle lenti dei suoi occhiali erano riflesse le lingue di fuoco, mentre
nei suoi occhi brillava una scintilla di terrore e di panico.
Claude lo dominava, imponente e intimidatorio, negli occhi le fiamme
dell’Inferno che ardevano più vive e guizzanti che mai.
Ronald cominciò a gridare. Un grido col quale non voleva
implorare soccorso - e a chi, poi? Di Hunter, nei dintorni, c’era
solamente lui - ma piuttosto esprimere il dolore di quel piccolo ma
vorace incendio che gli stava consumando l’arto e che si stava
propagando alla spalla.
Ben presto avrebbe conquistato tutto il suo corpo, ma lui non aveva la minima intenzione di morire lì.
«E adesso, mi prendo la tua anima» sentenziò Claude, piegandosi su di lui per afferrargli il viso.
Qualcosa fendette l’aria all’improvviso, senza dare la
possibilità a nessuno dei due di spostarsi dal punto dove si
trovavano. Fortunatamente, il colpo non era indirizzato
all’Hunter, bensì al suo avversario: il demone venne
colpito di striscio al polso da una tenaglia che Ronald conosceva bene.
Ferito, Claude arretrò digrignando i denti.
Il ragazzo dai capelli biondi voltò all’indietro il capo, vedendo due profili a lui familiari venire verso di lui.
«Ron!» esclamò la voce di Grell, mentre quest’ultimo avanzava veloce verso di lui.
«Oddio, e questo cosa...?!» fece, senza parole, vedendo il suo arto bruciare.
«Fa’ in fretta, Sutcliff. Prendilo e vai, prima che
carbonizzi» lo redarguì William, ritraendo la propria asta
e puntandola di nuovo verso il demone.
Grell sollevò malamente Ronald da terra, prendendolo in grembo
cercando di non prender fuoco a sua volta, quindi si allontanò,
lasciando William a vedersela con Claude.
«Non voglio perdere tempo con te» asserì il moro,
pacato, allungando l’asta in direzione del tagliaerba,
afferrandolo e trascinandolo verso di sé «Anche se
risparmiare la vita di uno di voi mi disgusta» aggiunse.
Il demone dagli occhi dorati fece per attaccarlo, lanciandosi contro di
lui, ma Spears fu più veloce e, non appena fu a tiro, gli
menò un fulmineo calcio sotto il mento, scaraventandolo lontano.
A quel punto, prese la falce di Knox e se la issò sulla spalla, allontanandosi a propria volta.
«Arrivederci... Claude Faustus» si congedò gelido
una volta giunto in prossimità delle case, balzando sul tetto
della più vicina, dirigendosi verso il Portale per la loro
dimensione che si trovava sopra il campanile della chiesa.
«Non finisce qui, Demon Hunters» sibilò Claude,
rialzandosi, pulendosi il rivolo di sangue che gli scivolava lungo il
mento.
Se ne andò anche lui, dirigendosi in città, in cerca di qualche anima da portare alla sua padrona.
Angolino autrice
Sono mesi che non aggiorno questa storia ç__ç mi dispiace
*si sente colpevole* colpa un po' dell'Ispirazione e della scuola che
sta sempre tra i piedi è-é
Ringrazio PattyOnTheRollercoaster per la recensione allo scorso capitolo e quanti hanno aggiunto la fic alle preferite/ricordate/seguite.
Al prossimo chappy! ^^
F.D.
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Capitolo 10 *** Spiegazioni dovute da tempo ***
10_Spiegazioni dovute da tempo
10. Spiegazioni dovute da tempo
Appena ebbe varcato il Portale, William appoggiò a terra
l’arma di Ronald: gli faceva male la spalla e si era stufato di
portarla in quella posizione così scomoda - anche perché
non aveva più alcun motivo per andare di fretta, visto che
adesso era di nuovo nella sua dimensione d’appartenenza, al
sicuro.
Lo shinigami prese ad avanzare a grandi falcate attraverso il giardino,
seguendo a distanza la figura in corsa di Grell Sutcliff, decisamente
più agitato del normale.
Tra le braccia portava il corpo di Ronald: dalla posizione in cui
William si trovava riusciva a vedere le gambe dello sfortunato Hunter e
parte della testa.
Le fiamme che pian piano lo stavano consumando si erano propagate alla
spalla e si stavano spandendo sul torace. Se Grell non si fosse
sbrigato, avrebbe finito col prender fuoco a propria volta.
Doveva raggiungere l’infermeria il più presto possibile.
Lo shinigami rosso accelerò ancora, acquistando una
velocità tale da lasciare William indietro, ma a quanto pareva
quest’ultimo non se ne preoccupava particolarmente:
l’avrebbe raggiunto poi, visto che aveva un’idea abbastanza
chiara di dove lo stesse portando.
I tacchi di Sutcliff sbattevano con violenza sul terreno, producendo un
rumore sordo che rimbombava nei dintorni, comunicando a Spears la
distanza e la posizione del compagno.
Grell notò che il fuoco aveva rallentato il suo avanzamento -
anche se non sembrava intenzionato a fermarsi. Era come se
l’atmosfera della loro dimensione d’appartenenza lenisse le
fiamme, facendo loro perdere potere in modo graduale.
Ronald si contorceva a malapena tra le braccia di Sutcliff, mordendosi
a sangue le labbra nel tentativo di sopportare l’atroce dolore
che lo opprimeva. Non aveva più le forze neppure per dibattersi:
la sua carne stava bruciando. L’avambraccio ormai era
completamente scarnificato: i muscoli erano visibili e si stavano
sciogliendo come la cera dei mozziconi di candela con l’unica
differenza che la cera colava, mentre i suoi tendini semplicemente polverizzavano.
Avrebbero trovato una cura?
Non voleva perdere il braccio per un qualche strano potere demoniaco
del quale lui non era a conoscenza. Non era stata un’azione
avventata la sua, dopotutto. Aveva solamente fatto il suo dovere di
Demon Hunter; tuttavia, in quel frangente l’aver tentato di
svolgere il suo lavoro di routine gli stava costando più di quel
che era disposto a cedere.
Morire o rimanere mutilato l’avrebbero reso un Hunter inutile.
Grell superò con un balzo la porta che conduceva
all’edificio principale degli Hunters, attraversando
l’atrio principale senza preoccuparsi degli Dei della Morte che
si voltarono al suo ingresso a guardarlo passare, in viso espressioni
scioccate o semplicemente perplesse: Sutcliff, nella condizione in cui
si trovava a causa del suo amore per Sebastian - fatto di cui erano a
conoscenza ormai tutti - non poteva andare a cacciare i demoni e non
aveva alcuna mansione specifica che potesse essergli affidata. E allora
come mai correva così velocemente con un ragazzo che stava
prendendo fuoco tra le sue braccia?
Cosa poteva essere mai accaduto?
Non avevano avuto il tempo di riconoscere chi fosse il giovane che
portava tra le braccia, ma gli altri Hunters avevano un certo desiderio
di scoprirlo.
Alcuni si mossero per seguire Grell, ma quando Spears entrò
dalla porta d’ingresso l’atmosfera raggelò
all’istante e tutti decisero di tornare alle loro mansioni: farsi
beccare a vagabondare da William T. Spears avrebbe assicurato loro un
biglietto di sola andata per il licenziamento.
Il moro attraversò l’androne senza degnare della minima
attenzione i colleghi, dirigendosi invece verso le scale situate in
fondo ad esso. Le salì a passo svelto, sistemandosi un paio di
volte le lenti sul ponte del naso, svoltando a destra una volta giunto
sul pianerottolo del secondo piano.
L’infermeria era l’ultima porta in fondo all’andito,
sulla sinistra. Quando giunse a metà strada, da essa uscirono
diversi infermieri, diretti verso varie destinazioni.
Il moro non alterò il passo e, nel giro di qualche altro minuto, giunse a destinazione ed entrò.
Chiese all’infermiere che si trovava di guardia all’entrata
dove fosse stato portato lo shinigami biondo parzialmente ustionato che
era appena entrato.
«La seconda porta a destra» disse, accennandogli con la
testa al corridoio a sinistra del bancone d’informazioni dietro
il quale si trovava lui.
«Però è strano... sei la seconda persona che chiede
di quel ragazzo, nonostante sia stato appena portato»
commentò lo shinigami, perplesso.
«Come?» fece William, interessato «Ricordi che
aspetto aveva l’altra persona?» chiese subito dopo, senza
perdersi in chiacchiere inutili.
Il suo interlocutore annuì.
«Era un tipo abbastanza stravagante, con una lunga veste nera, un
gran cappello a cilindro nero in testa e gli occhi non si
vedevano» descrisse l’infermiere «Non l’avevo
mai visto prima d’ora qui...» aggiunse soprappensiero.
Spears inarcò fugacemente le sopracciglia in
un’espressione sorpresa, poi si congedò con un rapido:
«Grazie» e si avviò verso il corridoio che gli era
stato precedentemente indicato.
Se quel Dio della Morte non s’era sbagliato, allora quello doveva essere proprio...
«Undertaker».
La voce di William riecheggiò secca nella stanza dov’era
appena entrato, nella quale c’erano solamente lui, Grell e lo
shinigami dai capelli grigi, in piedi accanto al letto dove Ronald
giaceva privo di conoscenza, con un braccio quasi carbonizzato ma privo
della fiamma violacea che lo stava bruciando fino a poco prima.
Sutcliff - che fino ad un momento prima era appoggiato alla sbarra
inferiore del letto - non appena lo vide entrare si alzò e gli
andò incontro.
«Wiiill!» esclamò, ma il moro interruppe quella
melensa scena con un colpo di falce ben piazzato sulla sua testa che lo
fece capitolare a terra.
Undertaker si volse verso colui che l’aveva appena chiamato, sorridendo in modo lugubre.
«William sei arrivato» esclamò, portandosi una larga
manica a coprire la bocca, soffocandovi una snervante risatina.
Si accarezzò una guancia con le lunghe unghie colorate di nero,
affondandole un poco nella pelle, lasciandovi dei leggeri segni di
graffi cui non badò minimamente.
Spears si sistemò gli occhiali sul ponte del naso.
«Dovrei farle qualche domanda... a proposito di una
Nìade» proseguì il moro, fissando intensamente in
volto lo shinigami dai capelli grigi.
Quest’ultimo incurvò apertamente le labbra in un sorriso compiaciuto.
«L’avete scoperto anche senza di me, eh?» disse, con voce altalenante «Come siete stati bravi».
«Adesso però deve dirci tutto, altrimenti non potremo
portare a termine l’incarico» asserì deciso William,
guardandolo con espressione greve mentre spostava indietro una mano per
chiudersi la porta alle spalle, in modo che nessuno potesse udirli.
«E va bene, William. Hai vinto» concesse Undertaker in tono
arrendevole, anche se nella sua voce c’era ancora una sfumatura
di divertimento.
All’improvviso fecero irruzione nella stanza un dottore e diversi
infermieri, che costrinsero i tre shinigami ad uscire e recarsi in
un’altra stanza, una sala d’attesa che - per loro fortuna -
trovarono completamente deserta.
«Allora, Undertaker? Parla!» esclamò Grell non
appena furono arrivati, lasciandosi cadere su una sedia con un gesto
impaziente, accavallando le gambe in modo molto femminile.
«Ha ucciso la prima Nìade, non è
così?» domandò Will, ignorando pazientemente lo
shinigami rosso.
«Sì, sono stato io» rivelò Undertaker, ridacchiando «Ma è stato tanto tempo fa».
«E la pagina con le informazioni su di lei l’ha consegnata di persona agli angeli» continuò Spears.
Il Dio della Morte scrollò le spalle.
«Gli angeli hanno un modo veramente originale ed efficace di
tenere lontani gli intrusi» disse «Anche se voi siete
riusciti a passare...» continuò, senza smettere di
ridacchiare.
Grell lo trovava irritante.
«E poi cos’è successo? Dov’è finito il
quaderno dei suoi appunti?» domandò quest’ultimo.
«È andato distrutto col tempo» replicò, come se niente fosse.
«Che cos...?!» gridò Sutcliff, ma Spears lo
interruppe bruscamente: «Però lei può dirci come
distruggere la Nìade, non è così?». Senza
aspettare risposta, proseguì: «Allora ce lo dica,
affinché possiamo terminare quest’orribile incarico».
William cominciava ad essere stufo di quella situazione e voleva
sbrigarsela in fretta, così da non rischiare il posto e non
doversi sovraccaricare eccessivamente di lavoro.
E poi era stanco di dover sopportare l’esuberante temperamento di Grell Sutcliff.
«Come sei noioso» borbottò deluso Undertaker, lasciandosi cadere seduto su una sedia.
«Va bene. Vi dirò come si uccide una Nìade...».
«Sono tornato».
Claude emerse dall’oscurità con lo sguardo gelido puntato a terra, in segno di sottomissione.
Dall’angolo in ombra innanzi a sé provenne solamente un debole sibilo, nessuna parola concreta e definita.
Poi la sua padrona parlò: «Le hai trovate...?».
Le parole uscirono tremolanti e strascicate, colme di fatica. Sembrava
che le sue corde vocali si fossero rattrappite e stesse cercando di
forzarle a far produrre loro suoni che poi la bocca potesse articolare
in parole di senso compiuto.
«Sì».
Così dicendo, Faustus estrasse dall’interno della giacca a
coda di rondine una piccola ampolla contenente un liquido viscoso di un
rosso sfumato nel magenta, che si muoveva all’interno del
contenitore, simile ad un mare in tempesta.
«Quante sono?»
«Sono riuscito a trovarne solamente tre...» asserì
Claude con una sfumatura di rammarico nella voce, avvicinandosi
all’angolo, porgendole alla creatura che si trovava
nell’ombra.
L’ampolla si sollevò dalle sue mani e rimase sospesa
nell’aria per qualche momento, poi esplose in una pioggia di
pezzi di vetro, ma il contenuto restò a mezz’aria, un
ammasso semiliquido che brillava sinistro nella penombra.
Con uno schiocco secco, come di frusta, l’ammasso di anime si volatilizzò.
«Claude... chi ti ha attaccato oggi...?» chiese la voce
femminile di poco prima «Il tuo odore è coperto... da
quello di qualcos altro...» aggiunse, con un’inflessione leggermente schifata.
Il demone chinò leggermente il capo e rispose: «Ho incontrato un Demon Hunter...».
All’udire quelle ultime parole un grido agghiacciante
lacerò il silenzio e le tenebre, rimbombando contro le pareti.
Il moro rimase momentaneamente spiazzato da quell’urlo inatteso.
«Sanno di me, quegli orridi Hunter...» sputò fuori
la creatura in ombra «Vogliono farmi del male, come a quelli
prima di me...» continuò, la voce che pian piano si
affievoliva, inacidendosi sempre più fino a diventare un
sussurro stridulo.
Sembrava che stesse rivivendo un ricordo orribile e Faustus non se la
sentì di intervenire in alcun modo: quella creatura era
abbastanza potente da soverchiarlo senza alcuna fatica.
«Claude!» urlò quest’ultima sgraziatamente dopo qualche momento di assoluto silenzio.
«Sì, mia signora?»
«Va’ a cercare gli Immortali, coloro che custodiscono
informazioni su di me e distruggili. Distruggi le loro
informazioni» ordinò con voce crudele ed ancora stridula.
Era come se già stesse assaporando la scena che si sarebbe in
realtà consumata in un secondo momento ed in un luogo molto
lontano da quello dove lei si trovava.
Inchinandosi, il demone esclamò: «Yes, your Highness».
Si volse verso la parete alla sua destra ed i suoi occhi
s’infiammarono di rosso mentre chiamava a raccolta il suo potere
demoniaco.
Un’impalpabile aura violacea lo avvolse dai piedi salendo
progressivamente verso la testa, liberando poco per volta filamenti
d’energia che sbiadivano man mano che s’irradiavano dal suo
corpo.
Quell’aura non proveniva dalla sua essenza demoniaca, ma era un
potere aggiuntivo che la sua padrona gli stava concedendo in via
eccezionale per adempiere all’apertura di un varco per la
dimensione degli Immortali.
Era una dimensione lontana e difficilmente raggiungibile dal mondo
umano, ma con una ingente quantità di energie - molte più
di quelle che il suo solo corpo poteva contenere - per un demone era
un’impresa fattibile.
Quando percepì un accumulo sufficiente di forze, Claude le rilasciò, concentrandosi sulla sua destinazione.
Queste si ripercossero come onde d’urto nell’aria,
provocandovi uno squarcio sottile al di là del quale
s’intravedeva una luce madreperlacea che accecò
momentaneamente l’uomo, i cui occhi si erano abituati
perfettamente alle tenebre del sotterraneo ove si trovava.
«Va’ Claude e fa’ ciò che ti ho chiesto» sibilò la sua padrona.
Il demone increspò le labbra in un ghigno e balzò
agilmente all’interno dello squarcio, un momento prima che questo
si richiudesse.
Angolino autrice
Finalmente trovo il tempo per
aggiornare anche questa longfic *coro angelico* Ringrazio i lettori per
la pazienza con cui aspettano i capitoli. Cercherò di postare
più regolarmente con l'arrivo dell'estate.
Intanto, ringrazio BeaLovesOscarinobello e Gothick project per le recensioni all'ultimo capitolo e quanti hanno aggiunto la fic alle preferite/ricordate/seguite.
Al prossimo chappy ^^
F.D.
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Capitolo 11 *** Sguardi che gridano dolore al cielo ***
11_Sguardi che gridano dolore al cielo
11. Sguardi che gridano dolore al cielo
«Trovo strano che una
Nìade abbia utilizzato come suo “cacciatore di
anime” un demone...» esclamò Undertaker
all’improvviso, dondolandosi col busto sulla sedia «Quando
hanno assolto al loro compito, i cacciatori vengono divorati dalla
padrona. L’ho visto fare... e devo dire che è stato
decisamente divertente» commentò il becchino, tornando momentaneamente indietro con la memoria a molti decenni prima.
«Quell’essere
mediocre si dimenava atrocemente mentre la Nìade gli dilaniava
il ventre per mangiarlo! Ho avuto tutto il tempo di assistere alla
scena, prima di uccidere anche lei» esclamò, sinceramente
divertito.
«Che cosa?! Quel mostro non può mangiarsi il mio Sebastian!» sbottò Grell inviperito «Non glielo permetterò!».
«Ohoh... tu e chi
altro...? Da solo non sei minimamente in grado di affrontarla... anche
se vederti morire, chissà, potrebbe essere divertente...».
Mentre Sutcliff dava in
escandescenze e Undertaker rievocava memorie del suo glorioso passato,
William stava riflettendo sulle parole che quest’ultimo aveva
pronunciato poco prima: di solito gli intermediari delle Nìadi
erano umani...?
E allora perché quella non aveva scelto una persona qualsiasi, ma proprio un demone...? Che ci fosse un motivo particolare...?
Spears si spinse gli occhiali sul naso, alzando lo sguardo per portarlo sul becchino.
«Potrebbe esserci un
motivo particolare per cui abbia scelto un demone come Sebastian
Michaelis...?» domandò in tono secco.
Undertaker e Grell
distolsero l’attenzione l’uno dall’altro e la
fissarono sul terzo shinigami, del quale apparentemente parevano
essersi dimenticati.
Il Dio della Morte dai
capelli grigi si addossò contro lo schienale portandosi al mento
una mano con fare teatrale, assumendo un atteggiamento di curiosa
riflessione.
«Potrebbe essere che
abbia in mente un rituale di qualche tipo...» borbottò,
soppesando mentalmente l’eventualità «Però
è impossibile portarlo a termine, non senza almeno...»
s’interruppe un momento, poi alzò indice e medio a formare
una "V" «... due demoni».
Cadde un silenzio teso,
carico di riflessione, che Grell interruppe d’impulso:
«Però non è stato il mio Sebastian a far del male a
Ron, ma quell’altro, quel Claude...».
Gli altri due shinigami si
girarono verso di lui e gli rivolsero - perlomeno William - una lunga
occhiata penetrante, mentre un’ipotesi si faceva strada nelle
loro menti.
«E se ce ne fosse
più d’una?» propose William e, sull’onda di
quel pensiero, continuò: «Oppure la stessa abbia...».
«Sono tornato, DEATH ☆!».
La porta della sala
d’attesa venne spalancata in quello stesso momento con forza da
Ronald, che a quanto pareva sembrava essere di nuovo in perfetta forma.
«Ron!»
esclamò Sutcliff, sorpreso «Sei già
guarito?!» domandò stupito, guardandogli il braccio: sotto
la manica logora - praticamente in brandelli - il suo braccio era
tornato integro ed era fasciato con una spessa benda bianca.
Però riusciva a muoverlo.
«Già, gli
infermieri mi hanno dato una roba schifosa che però ha
velocizzato la ricostruzione della struttura ossea e dei muscoli...
quindi eccomi qui, pronto per la missione!» esclamò,
entusiasta, riappropriandosi del suo tagliaerba di ultima generazione
appoggiato in un angolo, solo e abbandonato a se stesso.
Notando la presenza di Undertaker, sbatté le palpebre e domandò: «Lui chi sarebbe?».
Uno scossone fece tremare all’improvviso la stanza, cogliendoli totalmente di sorpresa.
«Un terremoto?!» gridò Grell, guardandosi terrorizzato intorno.
«Usciamo di qui» intervenne Spears, alzandosi dalla sedia in contemporanea con Undertaker.
Non era normale un
terremoto nella loro dimensione, però il moro non era
intenzionato a rimanere lì: la situazione sarebbe potuta
peggiorare.
Il gruppo di shinigami
uscì di gran fretta dall’infermeria, scendendo nel
corridoio d’ingresso dell’edificio.
Mentre correvano verso l’uscita, William colse uno spezzone di discorso tra due suoi colleghi.
«È comparso qualcosa nel giardino! Sembra una grande porta luminescente...!».
«Cosa? Dici davvero?».
Udendo quelle parole, Will
non riuscì a pensare ad altro che alla porta per la dimensione
degli angeli, eppure non sarebbe dovuta apparire: non era ancora
mezzanotte!
Seguendo quel ragionamento,
se si era materializzata “fuori orario” poteva significare
solamente una cosa: c’era qualche problema nella dimensione di
Ash ed Angela.
E, molto probabilmente, quel problema era collegato con quell’inspiegabile scossa di terremoto.
«Sutcliff, Knox! Dobbiamo andare dagli angeli, subito!» ordinò, rivolto ai due shinigami che correvano dietro di lui.
«Che cosa?! Ma perché, Will?» domandò Grell, confuso.
«Dagli angeli...?» si aggiunse Ronald, palesando una certa perplessità.
Uscirono fuori
dall’edificio e subito Spears si diresse verso il portale,
seguito a poca distanza dagli altri due, che ancora non capivano il
perché della sua fretta.
Undertaker si fermò
in mezzo al prato e si guardò alle spalle, osservando
l’edificio da cui erano appena fuggiti che si stava parzialmente
sgretolando.
Non poteva andare con gli altri tre: doveva rimanere lì, nel caso qualche nemico si fosse fatto vivo.
«È un peccato:
con loro ci sarebbe stato di che divertirsi...» borbottò,
rivolto più a sé stesso che ad altri, sorridendo.
«Il terremoto
dev’essere stato causato da un problema nella dimensione degli
Immortali. Per questo il portale si è materializzato fuori
tempo» spiegò William, mentre giungevano in vista della
porta.
In effetti, questa era
completamente visibile, forse anche troppo: la luce che irradiava era
d’un biancore a dir poco accecante.
«Dobbiamo entrare?» domandò Grell.
«Mi pare ovvio,
Sutcliff» rispose severo Spears, rallentando fino ad
un’andatura di piccola corsa, sistemandosi gli occhiali sul naso.
Ronald era sorpreso
dall’intensità della luce emanata dal portale, ma
più che altro era meravigliato dal fatto che ci fosse sempre
stata una cosa del genere nel giardino e nessuno se ne fosse mai
accorto.
«Le misure di sicurezza dovevano essere perfette» si ritrovò a commentare esterrefatto.
William superò
l'uscio con una compostezza ed una rigidità che stonavano
completamente con la circostanza in cui si trovavano.
Grell lo seguì con
un balzo ed anche Knox - benché un po’ intimorito da
cos’avrebbero trovato dall’altra parte - si azzardò
ad oltrepassare la porta.
Lo scenario che si materializzò loro innanzi fu di desolazione e silenzio.
I tre shinigami avanzarono verso il castello, osservandolo con tutti i sensi all’erta.
Grell riusciva a percepire
una sorta di cappa funerea opprimere quel luogo, rendendolo più
spettrale rispetto all’ultima volta che ci erano stati.
Da lontano si riuscivano a
scorgere, come unico cambiamento palese, i battenti della porta
scardinati e spezzati trasversalmente a metà, appoggiati contro
gli stipiti.
Però, più si
avvicinavano più Sutcliff riusciva a percepire un odore di rame
e carne che gli era ben familiare e che sembrava provenire dal varco
aperto nella porta.
Ronald si guardava intorno,
serrando la presa sul suo fidato tagliaerba. La sua recente esperienza
con il demone Claude Faustus gli aveva insegnato che era meglio tenere
sempre alta la guardia, anche quando si aveva a che fare con creature
contro cui si è già combattuto - e a maggior ragione
quando si va in un territorio i cui abitanti sono esseri ignoti come
gli angeli.
Mentre esaminava i
dintorni, i suoi occhi si posarono sulle mura dell’edificio a
sé antistante, incrociando ben presto qualcosa che gli fece
assumere un’espressione tutt’altro che piacevole.
«A quella finestra...» disse, indicando il punto che stava osservando con occhi sbarrati dall’orrore.
Will e Grell seguirono la
traiettoria del suo dito, incontrando anche loro ciò che
l’aveva atterrito: dal davanzale della finestra penzolava un
braccio, inerte e coperto del liquido rosso scuro che incrostava anche
la parete circostante.
Anche da quella distanza
Spears riuscì a vedere che il sangue era schizzato violentemente
dall’interno, come se il corpo che lo conteneva fosse esploso o
fosse stato violentemente e brutalmente dilaniato.
Il cadavere giaceva con il
capo rivolto verso l’alto appoggiato contro il davanzale ed il
braccio - a giudicare dalla posizione - doveva essere stato spezzato.
William si fermò, si sistemò gli occhiali sul naso ed assunse un’espressione contrariata.
«Che ti prende, Will?» chiese Grell, fermandosi al vedere l’altro immobile ad osservare la finestra.
«Gli Immortali non
sono facili da uccidere neppure per noi» disse il moro, senza
rispondere direttamente alla domanda precedentemente postagli.
«Allora chi...?» esordì Ronald, poi cambiò espressione e domanda: «Un demone?».
«Probabile, ma dev’essere uno di quelli assoggettati alla Nìade» replicò Spears.
«Allora potrebbe essere...»
«Sebastian!» esclamò Sutcliff, improvvisamente su di giri, correndo verso la porta.
S’infilò nel varco con un balzo e sparì nelle tenebre che stavano oltre.
«Grell, dove vai?!» lo richiamò Knox, inutilmente.
«Quell’irresponsabile...!
Finirà col farsi ammazzare» borbottò compostamente
William, avviandosi a passo veloce verso la porta sfondata.
Ronald lo seguì senza dir niente.
Varcato l’ingresso,
la luce si riduceva notevolmente. La condizione
dell’illuminazione era molto differente da quella che avevano
precedentemente trovato William e Grell: invece della mistica luce
madreperlacea che impregnava ogni antro più remoto senza una
precisa fonte, c’era solo una lievissima luce argentea smorzata e
fievole che illuminava solo un’esigua striscia centrale del
corridoio.
Per di più, era
presente solo seguendo un determinato percorso. Formava una specie di
sinistra guida che conduceva verso un luogo sconosciuto.
Ronald ebbe la sensazione
che, ovunque quel fascio luminoso portasse, sarebbero arrivati al cuore
di quel mastodontico edificio, dove avrebbero trovato Grell e, forse,
non solo lui. Probabilmente ci sarebbero stati dei cadaveri simili a
quello che aveva avvistato lui penzolare dalla finestra - se non in
condizioni peggiori.
Era come se il castello
stesso volesse condurli verso il campo di battaglia dove si era svolto
quello che probabilmente era stato uno sterminio di massa.
Il tempo parve distorcersi,
allungarsi fino all’infinito e poi fermarsi, mentre loro
procedevano sempre più all’interno.
Ogni tanto trovavano del sangue a decorare le pareti ed il pavimento, ma dei corpi non c’era la minima traccia.
Infine, i due Demon Hunter
arrivarono davanti ad un antro che si apriva in una parete,
all’interno del quale c’era una ripida scala a chiocciola
estremamente familiare a Will.
Quest’ultimo si
affrettò a salire i gradini, inseguito da Knox, che si
limitò a porre la più ovvia delle domande: «Dove
stiamo andando?».
«Alla biblioteca» rispose laconicamente William.
Il primo cadavere si rivelò all’improvviso e poco mancò che Spears ci inciampasse.
Si trattava di una donna che il moro non aveva mai visto.
I capelli erano
d’argento, lunghi e lisci. La veste bianca che indossava era
insanguinata e strappata in corrispondenza del braccio sinistro - che
le era stato brutalmente asportato - e del cuore, dove c’era
solamente un foro che le passava da parte a parte il torace sfondato.
Sotto di lei c’era una pozza di sangue che aveva impregnato tutti
i gradini su cui era stesa.
I suoi occhi erano vacui e
fissavano il cielo, come se volessero gridare tutto il dolore che
quella creatura aveva provato in punto di morte.
Ronald spinse da parte William e scavalcò il corpo.
«Grell è in cima?» domandò.
«È probabile» replicò Spears, seguendolo.
Salirono rapidamente la
lunghissima scala a chiocciola, evitando i corpi che sempre più
frequentemente incontravano sul loro cammino e che parevano essere
accomunati tutti dal fatto che il torace era stato squarciato in
corrispondenza del cuore, strappato dal suo posto.
Quando arrivarono
finalmente in cima, trovarono Grell immobile a fissare la stanza che si
trovava innanzi: gli scaffali ed il mobilio in cristallo erano andati
in mille pezzi ed i libri erano sparsi ovunque sotto la distesa di
cadaveri che occupava l’intero pavimento.
Il sangue parzialmente raggrumato macchiava le pareti ed il soffitto e si estendeva in grosse chiazze sotto i corpi.
Il cuore era stato
strappato a tutti ed alcuni giacevano nei pressi di qualche cadavere,
anche se difficilmente l’organo doveva essere quello appartenente
alle persone all’intorno.
Mutilazioni varie erano
state fatte agli angeli: ad alcuni mancava la testa, ad altri un pezzo
del torace, altri ancora erano privi di un arto o due.
In mezzo a quel cumulo di
corpi si ergeva un uomo vestito di nero che dava loro le spalle e che
Ronald riconobbe come il demone contro cui aveva rischiato di morire.
Claude Faustus.
Dietro di lui c’erano
due immense schegge di vetro su cui erano stati impalati i cadaveri dei
due angeli che avevano aiutato William e Grell, Ash ed Angela.
Lui era infilzato per il torace, mentre lei per la gola.
Sopra di loro, nella punta insanguinata delle schegge, erano infilati quelli che dovevano essere i loro cuori.
I loro sguardi vuoti - così come quelli di tutti gli altri morti - fissavano il cielo, come in preghiera.
Era stato un vero e proprio genocidio: non c’era nessun sopravvissuto.
Faustus si voltò e si fermò nel vedere i tre shinigami a sbarrargli la strada.
Ronald digrignò i
denti e si preparò a combattere, ma Claude scartò di lato
e corse verso la parete destra, nella quale era aperto uno squarcio
dimensionale violaceo del quale prima i tre non si erano accorti,
troppo impegnati a guardare l'orripilante spettacolo che era loro
offerto.
Spinto dal suo impulso di
Hunter, Knox gli corse appresso e così fecero anche gli altri
due Dei della Morte, seguendo il demone all’interno del
passaggio, ignari di dove questo li avrebbe portati.
Angolino autrice
Mi vergogno profondamente del tempo
che ci ho messo a postare questo capitolo. Mi dispiace >/////<
comunque, alla fine eccolo, in tutta la sua... bellezza(?)
Ringrazio sinceramente Gothick project
per la recensione allo scorso capitolo, tutti coloro che hanno aggiunto
la fiffi alle preferite/ricordate/seguite e chi segue e basta.
Al prossimo chappy! ^^
F.D.
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Capitolo 12 *** Doppio servitore ***
12_Doppio servitore
12. Doppio servitore
Ronald fu il primo ad atterrare, assorbendo l’impatto improvviso col suolo con le gambe, flettendole.
Si rialzò e si
guardò intorno: si trovava in un sotterraneo umido e scarsamente
illuminato che puzzava di muffa. Il soffitto non era molto alto, ma la
stanza era grande.
Grell atterrò in piedi alle sue spalle accompagnato da un familiare e riecheggiante rumore di tacchi, seguito da William.
«Che posto è questo?» domandò lo shinigami rosso, palesemente disgustato.
«Sento... sono shinigami...?».
A parlare era stata una voce sibilante, femminile ed inquietante proveniente da uno degli angoli in ombra.
«Ti sei fatto seguire... Claude?» esclamò di nuovo la voce, stavolta con un’inflessione iraconda.
Il demone apparve dal nulla
davanti ai tre shinigami, gli occhi che brillavano scarlatti.
Avanzò di qualche passo, lentamente e minacciosamente.
«Me ne libero
subito» disse. Dal tono di voce utilizzato traspariva quanto
fosse amareggiato e irritato per quella visita non gradita.
Scattò fulmineo verso i tre.
«Non fatevi
toccare!» rammentò Ronald, mentre rievocava alla memoria
l’orribile certezza d’essere prossimo alla morte ed il
dolore atroce che aveva pervaso ogni fibra del suo essere nel contatto
con quelle fiamme demoniache che non si spegnevano.
Alzò il tagliaerba
sopra la spalla, abbattendolo contro il petto di Claude, sbalzandolo
all’indietro, anche se di pochi metri.
Quest’ultimo
caricò di nuovo, e stavolta ad incassare il colpo fu nuovamente
Ronald, che parò con la sua falce ma venne scaraventato via.
Grell lo superò
d’un balzo con in pugno la sua amata motosega, che accese
l’attimo prima di saltare addosso a Faustus, che schivò
appena un momento prima che la lama rotante della falce si facesse
strada nella sua spalla.
Spears, nel frattempo,
aveva aggirato il combattimento e si era avvicinato all’angolo
dal quale poc’anzi era pervenuta la voce.
Esaminò il buio che
impregnava tutta la parte superiore dell’angolo, cercando di
scorgere qualcosa, ma non vide niente finché due sfere luminose
e bianche si aprirono, fissandosi su di lui come fosse una preda.
William non si fece
prendere dal panico: arretrò di un passo e sollevò la sua
arma, puntando la tenaglia verso gli occhi della creatura. Aveva letto
- e se ne ricordava bene - che la Nìade non si poteva muovere,
perciò non avrebbe tentato di scappare.
Convinto di ciò,
abbandonò ogni prudenza e tentò d'attaccarla; purtroppo
per lui, la bestia non era incline a farsi ammazzare tanto facilmente.
Fu così che William
fu colpito a sorpresa da ben quattro catene grosse e pesanti, che lo
frustarono una volta ciascuna e poi si avvinghiarono attorno a polsi e
caviglie, sbattendolo a terra violentemente.
La falce gli volò via di mano, atterrando con un rumore metallico a diversi metri di distanza da lui.
«William!»
chiamò Ron, vedendolo a terra, ma non poté preoccuparsi a
lungo di lui perché dovette saltare all'indietro per evitare che
Claude lo infilzasse con i suoi coltelli d'oro.
«Shinigami...?».
Una voce maschile, irritata e lievemente intrisa di sorpresa risuonò nel sotterraneo.
Sutcliff - che si stava
preparando ad attaccare di nuovo Faustus - si fermò a
metà del movimento, la motosega alzata sopra la testa in modo
minaccioso, pronta ad abbattersi sul cranio del demone dagli occhi
dorati.
Il suo sguardo si
spostò immediatamente - così come quello di Claude -
sulla sagoma che era apparsa dalle scale ad un capo della stanza, alta
e smilza, con due pupille di brace che s’accendevano come fuochi
nella penombra del locale.
Grell si distrasse dal
combattimento e si voltò completamente verso il nuovo venuto
abbassando la sua arma, in viso un’espressione estatica ed
ammirata che incuriosì Ronald.
«Sebastian
Michaelis» nominò Faustus, cambiando posizione,
abbandonando quella offensiva per assumere quella eretta.
Il suo sguardo era severo, irritato.
«Che cosa ci fai tu
qui, nella casa della mia padrona?» domandò Sebastian,
corrugando gli occhi in un’espressione rabbiosa ed inquisitoria
al tempo stesso.
«Questa è la mia padrona» sentenziò Claude.
Fu allora che William,
bloccato a terra più in là, al vedere i due demoni
scrutarsi vicendevolmente con odio, si ricordò cosa gli aveva
detto Undertaker poco prima, nell’infermeria, circa le possibili
“opzioni” sulla Nìade.
Siccome era ormai appurato che ce ne fosse solamente una e che avesse ai suoi comandi ben due demoni, il quadro generale della situazione si era fatto improvvisamente un tantino più chiaro ed inquietante.
«Sebastian... Claude...».
La voce del mostro si era arrochita, anche se aveva mantenuto la sua sfumatura sibilante.
L’azione parve
rallentare fino a fermarsi completamente per un momento, un fatale
attimo, l’istante prima della tempesta.
Poi tutto si rimise in moto
freneticamente e un grido femminile talmente acuto da far sanguinare i
timpani lacerò l’aria.
«Fermateli!» urlò Spears, rivolto ai due compagni.
Claude e Sebastian furono
sollevati da terra e posti parallelamente al suolo, mentre
un’aura purpurea ed una blu intenso si spandevano dai loro corpi
nell’aria circostante.
Ronald era piegato in due,
le mani premute sulle orecchie nel vano tentativo di proteggerle da
quel chiasso, mentre assisteva atterrito alla scena. Accanto a lui,
Grell osservava attonito, anche lui con le orecchie tappate.
Una lama di luce si fece strada nei toraci dei due demoni e schizzi di sangue vennero proiettati in aria con violenza.
William era stordito da quell’urlo atroce, la testa afflitta da un’emicrania lancinante.
«Interrompete il rito!» esclamò a gran voce, cercando di sovrastare il rumore.
«Sebastian!».
Sutcliff cominciò a chiamare il demone con un tono di voce melodrammatico.
«Sebastian! Sebastiàn!» ripeté, cominciando ad agitarsi.
Si voltò verso l’angolo vicino al quale Spears era steso a terra e digrignò i denti.
«Non puoi far del male al mio Sebastiàn!» gridò.
Iniziò a correre con
la motosega accesa in mano e si lanciò alla carica. Ricordava
ancora bene cosa gli aveva detto Undertaker riguardo a come ammazzare
una Nìade e non aveva intenzione d’aspettare un minuto di
più, considerato ciò che stava facendo al suo Sebastian.
Ad un metro circa dalla
Nìade si fermò e scaraventò verso di lei la
motosega, mirando al buio dove doveva essere la sua testa, scartando
indietro in un secondo momento, arretrando e piegandosi a prendere la
falce di William.
Una catena s’avvolse
intorno alla falce e la spinse via, ma la creatura non riuscì a
parare il secondo affondo: Grell era balzato in aria approfittando
della sua distrazione impugnando l’asta allungata dell’arma
del compagno.
Conficcò con forza
la tenaglia nel buio e, percependo al tatto d’aver colpito
qualcosa, mulinò l’attrezzo in modo da recidere qualsiasi
cosa avesse colpito.
Il grido ebbe un picco improvviso poi sparì di colpo e tutto fu silenzio.
In quell’assenza totale di suono, il rumore di una testa che cadeva al suolo riecheggiò amplificata diverse volte.
Il cranio della
Nìade, rimasta fino ad allora nell’ombra sia a loro che al
mondo intero, finalmente si rivelò: il viso era di donna,
scheletrico, la pelle avvizzita e le orbite scavate, prive di bulbi. Le
labbra secche erano aperte in una “o” muta che lasciava
scoperti i denti, tutti piccoli quadratini perfetti tranne i canini,
che erano più lunghi, grossi ed incurvati, simili alle mandibole
dei ragni.
Alle spalle di Grell,
Ronald assistette in silenzio alla dissolvenza delle aure colorate che
li avevano avvolti fino ad allora e della lama di luce bianca dai loro
corpi, che caddero a terra con un tonfo, immobili.
Knox sapeva bene che quelle
creature erano dure a morire e che le loro capacità di
guarigione erano a dir poco formidabili, per cui non si preoccupava
minimamente per loro ma anzi, si aspettava di vederli rimettersi in
piedi da un momento all’altro - come infatti accadde.
Sutcliff, intanto, aveva
recuperato la sua motosega - ancora accesa e finita abbandonata al
suolo - ed aveva spezzato le catene che ancora immobilizzavano William,
permettendogli così di rialzarsi.
Spears si sistemò
gli occhiali - spostatisi leggermente verso la punta del naso - di
nuovo al loro posto, quindi si volse verso i due demoni, che si stavano
scrutando reciprocamente con una certa rabbia.
Prima che potesse dire o fare qualunque cosa, Grell s’interpose: «Fermo! Non puoi far del male a Sebastian!».
Michaelis e Faustus si voltarono ambedue verso di lui.
«Cosa stai blaterando, Sutcliff? Sono demoni ed hanno ucciso alcuni Hunter» replicò in risposta Will.
«E quel Claude ha quasi carbonizzato me!» si lamentò Ronald, agitando le mani con fare stizzito.
I due demoni approfittarono della loro momentanea distrazione per aggirarli e correr via verso le scale.
Sebastian solo si girò un momento, col piede sul primo gradino, per rivolgere un’occhiata al Dio della Morte rosso.
«Spero che questo sia un addio».
Ciò detto stirò le labbra sottili e pallide in un sorriso sghembo e la sua figura svanì su per le scale.
«Li hai lasciati
scappare!» fece notare Ronald, arrabbiato: lui avrebbe voluto
vendicarsi per quello aveva subito. Voleva farla pagare cara a quel
Claude Faustus.
Grell lanciò un gridolino eccitato che fece rabbrividire William.
«Sebastiàn! Mio amoreee...! ♥».
Angolino autrice
Anche se con un mostruoso ritardo,
ecco finalmente l'ultimo capitolo. Ringrazio sentitamente coloro che
hanno seguito la fic e che l'hanno aggiunta alle
preferite/ricordate/seguite.
Bye bye <3
F.D.
|
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