It's getting dark, too dark to see

di suzako
(/viewuser.php?uid=2382)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prima parte ***
Capitolo 2: *** Seconda Parte ***



Capitolo 1
*** Prima parte ***





<< Vorrei che la smettessi >>

Mentre parlava, sentiva il vetro della finestra freddo sotto il palmo delle sue mani. Fuori era buio, un panno nero che non lasciava alcun appiglio alla vista.

<< Non riesco a vedere niente, Alfred >>

<< Questo perché non c’è nulla da vedere >>

E lui aveva riso.


<< Lo sai che non è possibile >>

America alle sue spalle sedeva con la pistola in mano, poteva udire chiaramente gli scatti del metallo e il rumore morbido del palmo che ne accarezzava la superficie. Poteva quasi sentirla lui stessa.
Aveva parlato in poco più di un sussurro, una risposta automatica priva di convinzione. Dopotutto, non aveva alcun bisogno di convincerlo. Arthur sapeva di non poter combattere.

Oh, America, io so che è possibile tutto ciò che tu vuoi. Non puoi mentire, non a me. Puoi usarmi, puoi costringermi, puoi rinchiudermi, puoi distruggermi come puoi proteggermi. Ma non mi conquisterai, mai. Mai.

Il ticchettio regolare dell’orologio sul muro. I passi quieti sul pavimento, il respiro appena impercettibile, per la paura di fare troppo rumore. L’abbaiare di un cane, lontano anni luce, perso nell’oscurità del mondo al di là di quelle quattro mura.
Ci sono rumori che si svelano solo nel silenzio.

<< Sono molti giorni che non mi fai uscire >>

Giorni? Settimane ormai. Dubitava che Alfred conservasse la benché minima cognizione temporale ormai. Era perso in sé stesso, deciso a trascinare tutti nella sua caduta.

<< Non è sicuro. Non ancora. Ascolta, ancora un poco e potrai tornare alla tua fangosa Inghilterra, okay? >>

Arthur inalò profondamente, lasciando ricadere le braccia lungo i fianchi. Poteva quasi sentirlo, l’odore del muschio silvestre dei suoi boschi, il terriccio umido sotto le unghie, il freddo che dalle punte dei piedi risaliva tutto il corpo. Poteva sentire il silenzio sotto lo scrosciare regolare della pioggia, le macchine e le voci umane attutite dalla coltre maestosa dell’acqua. Li sentiva, e sentiva anche che erano sempre più lontani.

Quanti mesi erano passati dall’ultima volta che aveva messo piede nel suo corpo?
Non sarebbe tornato. Né in una settimana né in altri sei mesi. Era evidente quanto le conseguenze che comportava.

Separare una nazione da sé stessa è come togliere ad un corpo umano quei ventuno grammi che lo rendono vivo. Significa condannare entrambi ad una morte lenta come l’inesorabile sprofondare di un anello nel fango. Arthur poteva sentire i suoi fiumi prosciugarsi, le arterie del suo corpo restringersi, le città assopirsi e il sangue scorrere più lentamente. E la pioggia, la pioggia che continuava incessante a cadere, sui suoi occhi e sulle sue tempie, rendendogli le membra pesanti, gli occhi appannati, incapace di reagire e opporsi alla sua stessa dissoluzione.

Ironico pensare che l’unica guerra che l’avrebbe ucciso sarebbe stata quella che aveva deciso di non combattere.

<< Che cosa hai fatto, Alfred? Che cosa ci hai fatto? >>

Dopotutto, era stato sciocco pensare che la guerra fredda sarebbe rimasta tale per sempre. Era stato stupido pensare che l’America fosse troppo buona, troppo gentile per fare una cosa del genere. L’Inghilterra aveva deciso che ciò che era stato fatto, fosse stato per il bene maggiore. Per la causa, una giusta causa. Alfred aveva visto dopotutto, aveva visto con i suoi stessi occhi la follia di Ludwig, e cosa questa avesse portato ad ognuno di loro. Aveva visto

I fiumi d’Inghilterra rossi di sangue

I cadaveri sbocciare dal terreno come fiori, nell’Aprile più crudele.

Aveva visto. E Arthur aveva pensato avesse imparato. Ma non così. Non per quello. E lui forse, era stato l’unico a non vedere. Accecato dalla luce e dal sangue ormai secco che non era riuscito a lavare via, non aveva capito.



<< …E’ un pericolo, Inghilterra. Per noi e per se stesso >>

<< Non dire idiozie, Francis! Ci ha salvati tutti, mi ha salvato, dopo che tutti ve ne siete lavati le mani, dopo che anche te mi hai lasciato a morire! >>

La Francia aveva chiuso gli occhi dalle lunghe ciglia, per non guardare o per meglio colpire, come tante volte aveva fatto nella sua, nella
loro lunga storia. Codardo era la parola non pronunciata che risuonava ad ogni respiro.

<< Sono stato sconfitto. Per la seconda volta in trent’anni, Arthur. Non ne vado fiero, ma non parlare come se avessi avuto scelta. Lo spirito della Francia, il mio spirito è sempre stato con la resistenza: ma il mio corpo, la mia nazione, sono stati calpestati. Ho lottato, ho perduto, e ora vivo perché non accada di nuovo >>

Arthur poteva sentire il tumulto di Londra nel proprio petto, le folle urlanti il giorno della vittoria e i cori delle proteste. Poteva sentire il clamore la battaglia, il fuoco bruciare e le fondamenta scuotersi. Era una rabbia che non poteva contenere, amplificata dai pensieri di migliaia di altri individui che erano lui, ma non esattamente.

Lo afferrò per il bavero dell’uniforme, sbattendolo al muro con la poca forza che gli rimaneva, utilizzandola per costringerlo a stare lì, fermo, e l’avrebbe crocifisso a quel muro se solo avesse potuto.
Non sarebbe stato difficile. Nessuno di loro era più stato lo stesso dopo quella guerra, ma se L’Inghilterra poteva essere un cadavere chiuso nella propria corazza, la Francia non era altro che una corazza vuota.

<< Tu. Tu sei vivo perché io l’ho deciso, idiota incapace che non sei altro! Sei vivo perché io ho resistito, perché ho combattuto da solo contro un intero continente che per tre anni ha tentato di farmi a pezzi! Sei vivo grazie alla tua codardia, e alla doppia faccia che adorna la tua bella persona: sei sempre stato infimo e basso, e per questo non c’è mai stata pace tra noi, solo tregua. Sapevo che la nostra alleanza non avrebbe portato nulla di buono, ma te comunque sei riuscito a tirarne fuori il meglio, non è così? Non è cosi, amico mio? >>

Arthur gli vomitò tutto in faccia, tutto il rancore, la fatica e la delusione di quegli anni in un sibilo basso e ringhioso. Per cosa aveva lottato, per chi aveva sacrificato sé stesso?
Teneva gli occhi vitrei infissi nei suoi per trapassarlo da parte a parte come una pallottola, ma Francis non abbassò lo sguardo pallido neanche un secondo. I suoi occhi erano vuoti, e le pallottole lo attraversavano senza potere veramente ferirlo.

<< Oh, Arthur. Piccola amena Inghilterra, così sola e sperduta, così vuota senza il suo potere. Hai perso tutto, non è così? La tua gloria e la tua potenza, tutto perduto! Ormai ti rimane solo il ricordo, e lo sai bene. Cosa avresti fatto tu, senza l’America? Con tutto il tuo coraggio e la tua testardaggine, da solo non avresti vinto questa guerra. Si, tu hai resistito. E’ stato il tuo canto del cigno, l’ultimo baluardo di una forza ormai esistita. Hai resistito, mandando al macello migliaia dei tuoi uomini, lasciandoli cadere sulla tua terra con le ali spezzate. Sai cosa significhi morire in volo? Conosci il muto terrore della morte a seimila piedi da terra, quello che provi nell’esatto momento in cui comprendi che tutto è perduto, e le fiamme iniziano a divorarti la pelle? >>

Francis si lasciò sfuggire il più impercettibile dei sorrisi. Arthur se ne accorse, e strinse la presa attorno al suo collo. << Bastardo. Stai zitto! Stai zitto! >>

<< Sì, dalla tua reazione vedo che è un terrore che conosci molto bene >>, andrò avanti, ignorandone gli insulti e le minacce << L’hai provato sulla tua stessa pelle e tutte le volte che è toccato ai tuoi uomini >>

<< Smettila Francis, smettila subito >>, era una minaccia o una preghiera? Oramai, era impossibile dirlo. Il nemico e l’alleato. Il bene maggiore e il male minore. La vittima. L’assassino. Chi erano? Dov’erano adesso? Tutte le certezze delle guerra cancellate. In un solo gesto. Una sola parola.

<< Ma a cosa è servito? Sei stato rimpiazzato, vecchio nemico. Nessuno avrà più paura di te oramai. Chi ha vinto la guerra? Né io né te, lo sai bene. L’America ha vinto. Noi abbiamo perso. E ora dobbiamo pagare le conseguenze. La sua crudeltà e la sua indifferenza hanno eguali soltanto in Ivan, e con ciò la nostra sorte è segnata >>

<< E’ stato necessario, Francis! Non era crudeltà non più di tutto il resto! Chi sei tu per parlare di pietà? Sai bene cosa hai fatto, come lo so io! Sappiamo entrambi di cosa siamo stati capaci! E Ludwig? La sua follia ci ha trascinato in due guerre, ci ha portato nel baratro e ci avrebbe lasciati lì! Tu hai visto Francis, e sai che quella è crudeltà. America ha fatto solo ciò che era necessario, e non l’ha fatto volentieri! La tua lingua velenosa non può più ferirmi. Non sei più niente per me. Non sei neanche un nemico. Non sei nulla >>

Lentamente, le sue mani lasciarono la presa. E non c’era soddisfazione nella sua voce, non c’era piacere, non c’era niente. Era come uno di quei crateri lasciati dalle bombe, sui quali si deposita la polvere eterna delle case circostanti, che sono lì in tutta la loro mostruosità, ed è ancora più mostruoso quando iniziano ad apparire normali.

Arthur si schiarì la voce, e la sua postura e il suo sguardo tornarono quelli di sempre. Un militare. Un ambasciatore. Un uomo politico. Un rappresentante ufficiale. Una nazione.

<< Hiroshima è stata… Un sacrificio necessario. E che Dio ci perdoni per essere arrivato a questo punto, per non essere riusciti a fermare questa follia prima che fosse necessario arrivare a tanto. Ma lo era. Era indispensabile, non si poteva fare altrimenti >>

Francis lasciò che ci pensasse il muro a sostenere il suo peso. E lo guardava, con quello stesso piccolo sorriso che si faceva sempre più larghi, e quegli occhi vuoti sempre più cattivi.

E poi disse una parola.

Una sola parola

E quella parola era

<< Nagasaki >>

Tutte le certezze della guerra… cancellate.
Se solo avesse guardato.





<< Arthur? Arthur, dove sei? >>





.



Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Seconda Parte ***





<< Arthur? Arthur, dove sei? >>

C’era urgenza nella sua voce.
E bisogno. E disperazione. E paura del buio.

<< Sono qui. >>


Dove vuoi che vada? Sono sempre qui

Sempre

Sempre con te.


<< Oh, Arthur! Temevo ti fossi perduto. Oppure che fossi caduto cercando di inseguire uno dei tuoi amici immaginari. Ma non saresti mai così stupido da fare una cosa del genere, eh? >>

Credere in qualcosa che non aveva il minimo fondamento. Inseguirla. Cadere. Portarsi dietro nella propria distruzione tutto ciò che si aveva con sé. L’Inghilterra aveva fatto molti errori nel corso della sua storia, ma l’America aveva ragione: questo, mai.

Ed era stanco. Come ogni nazione, era nato nella solitudine: non c’era nessuno al suo fianco per ricordare il giorno della sua nascita. Non sapeva esattamente da quanto fosse a questo mondo. Mille e seicento anni. Mille e ottocentoundici. Duemila. Che cos’erano i giorni, le ore, la cognizione del tempo umano per loro? Conoscevano i dubbi e le paure umane come un entomologo poteva studiare un insetto, ma non c’era spazio per tali sentimenti in loro. I dubbi sul proprio destino e sul senso dell’esistenza, il tormento che caratterizzava anche la più insignificante delle vite umane era a loro sconosciuto. Essere una nazione voleva dire rispondere ad uno scopo ben preciso: la domanda ultima per ogni uomo, in loro non era insita, non era iscritta da nessuna parte. Dopotutto, la loro esistenza aveva un senso. Perfetto. Unico. Indescrivibile.
Completo.

Espandere e conquistare, crescere e fortificarsi. Resistere. Combattere. Lottare fino all’ultima goccia di sangue, ma sapersi arrendere. Conoscere la gloria e accettare la decadenza. Ricostruirsi dalle fondamenta. Prosperare. Fallire. Cadere. Ricordare. Entrare a far parte della Storia.
Anche le nazioni potevano cessare di esistere, e questo Arthur lo sapeva.
Dopotutto, era stato lui a causare la fine della Prussia.
Nessun bombardamento o sanguinosa battaglia. Solo un’amichevole stretta di mano e qualche firma, era il 1947 quando la Prussia era stata cancellata da qualsiasi mappa.
E Gilbert era sparito. Era diventata presenza assente delle loro vite, un ricordo, come L’Impero Romano e tanti altri prima di lui. Aveva accettato il suo destino, perché faceva parte del suo dovere, l’ultimo, in quanto nazione. Perché era inutile cercare di salvare una cosa ormai morta.
Totalmente inutile.

<< Dimmi, Alfred… >>, parlò improvvisamente, con voce quieta e quasi esitante. Eppure, non ne era piena tutta la casa? Non sembravano i corridoi bui, e le stanze in ombra, anche le finestre nere, tutte piene e sormontate da quella voce, come fosse stata l’unica cosa vera nell’immensità dello spazio? << Per quanto tempo ancora pensi che la radioattività ci impedirà di uscire? Le scorie nucleari avranno ormai ucciso quel poco della tua popolazione che era riuscito a sopravvivere i bombardamenti, ma dubito che potrebbero avere lo stesso effetto su di noi. Dopotutto te sai già cosa si prova, non è così? Speri forse di tenermi rinchiuso fino a che non dimentichi me stesso? La mia gente? Prego che tu non sia così ingenuo, dovrai pur sapere che ne morirò molto prima! Ma dopotutto, tu sei giovane Alfred. Così giovane… eppure così incapace >>

Aveva parlato in fretta, senza prendere fiato, per non lasciargli il tempo di ribattere. Sapeva quanto potesse farlo imbestialire. Alla fine, Arthur lasciò andare un profondo sospiro, curvando le labbra in un sorriso che assomigliava solo un poco ad un ghigno.
Ma Alfred non aveva neanche cercato di rispondere. Non si era mosso, fermo a diversi passi di distanza da lui, gli occhi fissi e la bocca stretta in un linea sottile. Lo vide irrigidirsi e stringere i pugni, e in quel momento Arthur si accorse che aveva ancora la pistola con sè.

<< Tu… >>, si interruppe, confuso, << Tu non intendi veramente… Non sai quello che stai dicendo, eh Arthur? Dev’essere la vecchiaia, ormai ti confondi! Ahah, io non so neanche di cosa tu stia parlando, non c’è stata nessuna guerra nucleare, lo sai benissimo che non avrei mai attaccato Ivan, mai, te l’avevo promesso… >>

<< Si, si, esatto, è proprio così! Me l’avevi promesso, avevi giurato di fronte a tutta la nazione, di fronte a tutto il mondo! Hai firmato un trattato, ricordi? Il Patto di York, Alfred! Era Dicembre, e il tuo presidente lo definì “un impegno solenne per il nostro maggiore alleato”, non è così? Ricordi? Oh, giusto, quasi dimenticavo, dopo la firma mi sono lasciato fottere da te tutta la notte, ma quello scommetto che non l’hai rimosso, non è così? >>

<< Sei pazzo. Sei impazzito, non lo vedi? Io quel patto l’ho rispettato! L’ho rispettato sempre, ho sempre rispettato ogni promessa che ti abbia fatto, al contrario di te! Non sai quello che stai dicendo, sei impazzito e non c’è stata nessuna guerra, per questo devi rimanere qui, io devo proteggerti capisci? Devo proteggerti da te stesso, Arthur io so che se ti lascio andare ti farai del male, non posso accettarlo, non posso lasciartelo fare… >>

Alfred si avvicinò tentativamente, coprendo in pochi passi la distanza che li separava. Arthur indietreggiò, per puro istinto, ma Alfred non sembrò neanche accorgersene. Lo circondò con le proprie braccia, cercando di stringerlo.

<< Alfred. Alfred, lasciami. Non mi toccare >>

<< No >>

<< Alfred! >>, questo volta Arthur si svincolò dalla sua stretta, spingendolo il più lontano possibile da se. Inutilmente, in realtà, l’America era molto più forte, e il legame indebolito tra sé e la sua terra lo rendeva ancora più vulnerabile.
Alfred appariva confuso.

<< Non basterà questo. Non questa volta. Tutto ciò deve finire >>

L’altro aggrottò le sopracciglia, apparentemente confuso. Era ancora vicino, le braccia lungo i fianchi e la pistola stretta nella mano destra.

<< Perché? Non vuoi stare qui con me? Vuoi andare via, come sempre. Te hai sempre voluto andare via, sai, alle volte pensavo che mi odiassi. Perché non vuoi restare neanche questa volta? >>

Perso. Totalmente perso in sé stesso. Chi sei? Dov’è Alfred?, sperava, doveva sperare, che da qualche parte sotto la polvere bianca e fine dei detriti, sotto le rovine e i corpi bruciati, ci fosse ancora qualcosa della nazione che conosceva. Doveva sperare che non fosse morto tutto sotto i bombardamenti.
Ma non poteva sperare per sempre.

<< Alfred. Alfred, guardami >>, rifiutava di incontrare il suo sguardo, il volto girato testardamente da un lato. Come fanno i bambini. Arthur lo afferrò per i lati del volto, obbligandolo ad abbassare la testa, rendendogli inevitabile guardarlo, << E’ successo, tu lo sai. Due anni fa, la Russia ha mandato un ultimatum alle tue truppe in Bielorussia. L’hai ignorato. Non hai voluto arretrare neanche di un passo, ricordi? Per non dargliela vinta, così avevi detto. Quelle truppe sono state massacrate in una notte. E tu hai bombardato. Hai distrutto San Pietroburgo. Poi Minsk. Poi, Ivan ha risposto. Ti ricordi York, Alfred? E’ stata distrutta. Ricordi Washington, Dallas, Pittsbourgh, San Francisco, New York? Tutto distrutto. Sono morti tutti. E’ morto tutto, proprio come volevate. Adesso devi lasciarmi andare Alfred. Devi lasciarmi tornare, perché anche io possa morire. Devi lasciarmi morire, Alfred. Alfred >>

L’America, gloriosa, invicibile America, sbattè le palpebre un paio di volte, stupidamente sorpreso.
E poi rise

<< Oh, Arthur, sai essere così divertente quando vuoi! Perché tu scherzi, certamente: io non ti lascerò andare, né ora né mai. Mai! E’ tipico di te, voler fuggire e lasciarmi solo per tornartene alla tua isola grigia di pioggia. Cos’ha lei che mi manca? Cos’è che non trovi qui? Ma non importa. Non importa >>

Il sorriso era svanito. Alfred borbottava confusamente, fece qualche passo indietro, poi tornò indietro, lo afferrò per il polso sottile. Strinse. Poteva sentire, ancora impercettibilmente, lo scorrere regolare del Thames nelle sue vene, la acque grigiastre che pulsavano nelle vene scure sotto la pelle chiara.

<< Non ti lascerò andare via di nuovo. Hai idea di cosa si provi? Certo, potrai dire, io ti ho lasciato dopotutto. Ma è stata solo una volta, una soltanto! Non sai cosa si prova a venir lasciati dieci, cento, mille volte! Io ti ho voltato le spalle un’unica volta e te non mi hai mai perdonato. Allora forse, è il caso che tu capisca. Tu devi capire quanto ti adoro, quanto ti amo, Arthur. Non ti lascerò perché so che anche tu non puoi fare a meno di me, non è così? Io devo proteggerti, devo difenderti da tutti loro, altrimenti verrai fatto a pezzi. E io questo non lo permetterò. Non ti lascerò andare, non ti lascerò morire. Tu non mi abbandonerai mai più. Arthur. >>

Questa volte, venne per Arthur il turno di ridere. Era una risata bassa e roca, sforzata. Non c’era più stato nulla per cui ridere in Inghilterra per molto, molto tempo ormai.

<< E come pensi di costringermi? Con cosa esattamente credi di minacciarmi, per persuadermi a restare qua? La tua arte oratoria, tutto il potere della tua eloquenza? O Credi bastino semplicemente le dichiarazioni d’adorazione che ultimamente così frequentemente mi dedichi? Sono stronzate. Sono tutte stronzate. E’ vero, io ti lasciato, mille e più volte. Ma sono sempre tornato. E non ti ho mai tradito. Tu hai fatto anche di peggio, Alfred. Mi hai pugnalato alle spalle, mi hai messo una mano nel petto e hai chiuso il pugno. E io non mi fiderò di te, mai più. Non puoi costringermi a fare nulla. Te non hai assolutamente niente con cui minacciarmi… niente! >>, concluso con un sibilo a denti stretti, e sorrise. Quel suo piccolo, sporco e insopportabile sorriso di vittoria. Alfred strinse gli occhi, e lo squadrò dall’alto.

<< Con cosa penso di costringerti? >> mormorò fra se e se, << E va bene. Te lo mostrerò subito >>

In un istante, Arthur si sentì trascinato verso il lato opposto del corridoio. Alfred lo teneva saldamente per il polso, la mano che reggeva la pistola sul suo collo, caldo e freddo allo stesso tempo. Poi spostò la mano sulla sua testa, e afferratolo per i capelli, lo fece sbattere violentemente contro il vetro.
Una. Due volte.

<< La vedi la tua piccola isola, Artie? Eh? La vedi laggiù oltre al buio e all’oscurità e a tutta questa terribile nebbia, riesci a vedere le sue scogliere bianche tinte di rosso, il mare nero che si avventa su di lei, pronto a sommergerla? >>

Ovviamente, Alfred stava farneticando. Il buio era più denso che mai, Arthur non poteva vedere neanche il proprio riflesso. Solo la striscia di sangue rosso che dalla fronte gli colò sul naso, e sugli occhi. Non avrebbe potuto vedere l’Inghilterra neanche nella più limpida giornata di sole.
Ma farlo notare ad Alfred sarebbe stato inutile. Le parole non potevano più raggiungerlo.

<< Volevi sapere come pensavo di costringerti? Eccoti accontentato. Io non distruggerò la tua isola, non ti darò questa soddisfazione e non ti lascerò morire. Ma la farò a pezzi, la logorerò e la deturperò in tutti i modi possibili. La torturerò fino a renderla sterile e vuota, deserta. E’ ciò che ti meriteresti, dopotutto te hai sempre amato stare da solo, non è così? Ebbene, è ciò che farò: non lascerò crepare la tua terra, ma se tu ci provi, se tu provi ad abbandonarmi di nuovo, farò in modo di rendere ogni giorno della tua storia da qui alla notte dei tempi, un vero e proprio Inferno. Posso farlo. Lo farò >>

Arthus non rispose. Non subito. Cosa c’era da dire? Cos’era rimasto?
Niente.

Sentiva il freddo del vetro contro la sua fronte. Ci si appoggiò completamente, rilassando il peso del corpo contro la parete e nella stretta tutt’altro che gentile di Alfred. Chiuse gli occhi, con un sospiro.

<< Morirò, comunque Alfred. Non posso andare avanti così >>

<< Non morirai. Non permetterò che ti succeda niente. Non ti fidi di me? >>

<< Non posso farlo. Tu non puoi farlo >>

Alfred gettò la testa all’indietro e rise, senza allegria: << Ho appena ridotto in polvere metà continente, pensi veramente che ci sia qualcosa che non sia in grado di fare? >>


Oh, America




L’oscurità era totale, priva di scampo. Ovunque si girasse, era buio. La terra nera, il cielo privo di bagliori. L’aria era fredda e statica.
Arthur rabbrividì, avanzando lentamente nella landa desolata. Ogni passo comportava un’enorme sforzo, i suoi piedi sprofondavano nella polvere e nel fango: era come se quel suolo straniero cercasse di trattenerlo, di catturarlo ad ogni suo passo, cementarlo al suolo per non lasciarlo andare mai mai mai.
Alfred. Era opera sua. Tuttavia non sarebbe riuscito a bloccarlo, anche lui era ormai troppo debole. Arthur si lasciò sfuggire un sorriso. Forse, chissà, sarebbero morti insieme, nello stesso momento, solo un oceano di distanza a dividerli. L’aria crepitava di un’elettricità mortale, che mordeva la pelle e appannava la vista.
Doveva andare avanti, doveva proseguire. Sentiva quella stretta come sentiva il proprio respiro. Era un richiamo, il grido desolato e monocorde delle banshee nelle paludi, il rombo sordo delle città distrutte, i rantoli degli ultimi sopravvissuti.

Voglio tornare.

La sua terra stava per morire, e lo richiamava a sé. Arthur si chiese cosa ne fosse stato dei suoi fratelli, se l’avessero aspettato. Si sarebbero sdraiati al suolo, aspettando che le loro colline li inghiottissero. La loro morte sarebbe stato solo un piccolo sussulto.

Si voltò un’ultima volta. La casa, Alfred, erano ormai lontani, e mandavano solo un fioco bagliore, una luce fredda e oramai quasi spenta. Forse, pensò, forse lui potrà sopravvivere. Forse non ancora tutto è perduto, l’America è forte. Forse rinascerà per ridare la vita a tutti noi…

Ma fu solo un’istante. Una piccola fantasticheria, una favola prima di andare a dormire. Scosse la testa, si strinse la braccia al petto, e riprese il cammino.

















.end

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=568060