Seven sins

di Night Sins
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Lussuria ***
Capitolo 2: *** Superbia ***
Capitolo 3: *** Ira ***
Capitolo 4: *** Invidia ***
Capitolo 5: *** Avarizia ***
Capitolo 6: *** Gola ***
Capitolo 7: *** Accidia ***



Capitolo 1
*** Lussuria ***


Titolo: Seven Sins. (Lussuria)
Fandom: White Collar
Personaggi:  Neal Caffrey, Peter Burke
Pairing: Peter/Neal
Rating: PG15? R?
Genere:  introspettivo, slice of live
Avvertimenti: one-shot, slash
Timeline irrilevante
Spoiler  nessuno
Conteggio Parole: 1401 (FDP)
Prompt: lussuria scritta per il contest sui sette vizi capitali indetto da AkaneMikael sul forum di EFP.
Betareader: nessie_sun  ♥ ♥
& ioio10 (per l'IC, è una mano santa ♥)
Disclaimer: "Io scherzo... forse." (cit. A.Costa) // I personaggi non sono miei, ma degli autori e di chiunque ne abbia diritto; tanto meno sono utilizzati a fini di lucro, ma solo per mero piacere personale. 
Note: Intanto voglio ringraziare Akane per aver indetto il contest. Mi ero iscritta per riprendere l'ispirazione, pensavo di scriverne al massimo una, e invece ho finito la raccolta e con storie che, la maggior parte, mi piacciono. XD
Per seconda cosa devo ringraziare la moglia e ioio, senza di loro sarei persa. ù.ù
Infine, oggi è martedì. T_T E' la seconda settimana senza White Collar ed io mi sento triste. ;O; Quindi comincio oggi a postare queste fic, e comincio con la lussuria per più di un motivo (nello specifico: perché è la prima che ho scritto e perché è inutile, non si può guardar WC senza aver pensieri impuri, quindi dato che oggi è/era il giorno dedicato a WC mi pareva l'ideale XD).
Ora la smetto.
Enjoy.




Era sempre stato un uomo irreprensibile e un marito fedele, soprattutto un marito fedele. Non aveva mai pensato di tradire sua moglie, non certo perché non avesse avuto a che fare con donne bellissime o per qualche banale motivo morale, semplicemente amava Elizabeth e non trovava piacere nell’immaginarsi a letto con qualche altra ragazza, per quanto affascinante potesse essere.
Era sempre stato così, eppure ultimamente qualcosa era cambiato. In modo talmente repentino e improvviso che ne era stato travolto senza possibilità di difendersi, senza poter nemmeno tentare di opporsi o trovare un’alternativa.
Semplicemente, un giorno, si era reso conto che voleva portarsi a letto un'altra persona -beh, a questo punto, se doveva dire tutta la verità, se lo sarebbe volentieri fatto lì, sul tavolo della sua scrivania, senza troppi complimenti.
Lo, esatto, un uomo e non uno qualsiasi, ma colui che aveva inseguito per tre anni prima di riuscire a catturare e che ora girava per le strade di New York sotto la sua custodia.
Ma non poteva per un’infinita lista di motivi che non avrebbe saputo nemmeno da dove partire a elencare; non poteva e, si diceva, non doveva. Non doveva nemmeno volerlo; doveva almeno far finta di non volerlo e continuare come sempre: lavorare, tenerlo d’occhio, andare a casa da sua moglie e non pensare più a lui. L’ultima parte era ancora fattibile, ma il primo punto si rivelava sempre più difficile.
Lavorare significava averlo accanto, davanti, intorno per otto e più ore al giorno, tutti i giorni, e diventava sempre più difficile non ritrovarsi a fissarlo (almeno quando lui non lo vedeva) o sfiorarlo (fingendo solo una semplice casualità) o reprimere l’istinto di togliergli dalle labbra quel suo sorriso strafottente e compiaciuto con un bacio e poi non fermarsi certo a quello.
Tutto questo era troppo da sopportare perfino per lui.
Accasciò la testa sulle braccia incrociate sul tavolo, nonostante fosse in riunione con la sua squadra e Hughes, quando lo vide entrare nella divisione White Collar con il suo solito andamento disinvolto e alzare appena una mano a salutarlo. Non sapeva se fosse stata solo la sua immaginazione, ma gli era parso che il sorriso di Neal fosse ancora più luminoso del solito.

“Qualcosa non va?” domandò Hughes preoccupato.

Peter non rispose subito, non aveva la forza per rispondere, nella sua testa solo il volto di quel dannato truffatore e il pensiero di come sarebbe la sua voce sotto i suoi tocchi.
Decisamente non poteva andare avanti così.

“Scu-scusate”, disse alzandosi e uscendo velocemente; non poteva restare lì.



Con le mani puntate contro la ceramica del lavandino, osservò il proprio riflesso nello specchio: aveva dovuto disfare l’aspetto sempre composto per prendere un po’ d’aria ed ora la cravatta pendeva lente sulle sue spalle; la camicia aperta di un paio di bottoni mostrava il neo alla base del collo, di solito sempre nascosto, e non poté evitare di chiedersi se -quanti- nei non aveva mai visto, ma si trovavano sul corpo di Neal; non poté evitare di desiderare di poterlo sapere.
Cosa gli stava succedendo? Quando era diventato così debole? Quando si era perso così tanto dietro a quell'uomo?

“Ehi, come stai?”

Lo sguardo scattò spaventato al riflesso di Neal, dietro di sé. Quando era entrato? Perché lo aveva seguito?

“Ti senti male? Hai spaventato tutti…” continuò avvicinandosi.
“Fermo!” ordinò abbassando la testa e stringendo la presa sul lavandino.
Il più giovane obbedì istintivamente, allarmato dal tono che l’altro aveva usato, osservando la sua schiena come se questa potesse rispondere alle decine di domande che gli si stavano affollando in testa.
“Peter…”

L’agente dell'FBI sospirò sconsolato; non doveva essere umanamente possibile avere certi pensieri solo per il suono della sua voce, per come lo aveva chiamato preoccupato.
Deglutì a vuoto, aveva la gola e le labbra secche.

“Niente. Vai via”, riuscì a dire a fatica.
“Non credo sia il caso di lasciarti solo, mi sembri molto provato.”

Ancora quella preoccupazione nel suo tono, non la sopportava più.

“Sei tu il problema!” sbottò serio e alzò la testa solo per vederlo aprire la bocca un paio di volte prima di riuscire a chiedere un debole: “Io?”
“Tu, la tua voce, il tuo corpo. Tutto”, rispose voltandosi lentamente e nascondendosi il volto tra le mani prima di lasciarle scivolare tra i capelli.
“Tutto? Peter…” ripeté riprendendo la sua avanzata.
Lui alzò la testa di scatto. “Non farlo”, implorò e si ritrovò suo malgrado a fissarlo negli occhi, incapace di far altro se non inumidirsi le labbra.

“Non farlo, non avvicinarti,” continuava a ripetersi mentalmente, e, poi, “non devo.”
Non doveva cedere, anche se oramai riusciva a sentire l’odore del suo dopobarba e la volontà lo stava abbandonando velocemente.
Troppo velocemente; non riusciva nemmeno a seguire quello che l’altro gli stava dicendo.
Si stava ripetendo per l’ennesima volta che non doveva lasciarsi andare, quando già aveva posato una mano sul volto di Neal e l’altra dietro la sua schiena, attirandolo a sé e baciandolo con foga.
Solo quando sentì le sue mani aggrapparsi alla propria schiena si rese conto di quanto, esattamente, tutto quello fosse reale, di quanto non ne potesse più fare a meno.

“Pet- Ah!
La voce gli era morta in gola quando l’uomo era sceso a baciargli il collo, mentre con le mani stava andando a liberarlo dai vestiti.
“Te lo avevo detto di andare via”, gli ricordò facendolo indietreggiare fino al muro, prima di baciarlo nuovamente mentre si strusciava contro di lui.
Si faceva pena; si rendeva conto di quanto dovesse far pena a ricercare in modo così spasmodico e unilaterale un contatto sempre più profondo, ma non poteva evitarlo.

Era tutto talmente forte e improvviso e lo desiderava così tanto che il piacere si mischiava al dolore e non riusciva a capire più nulla, talmente era ebbro di lui. Non aveva altri termini per descrivere come si sentiva se non ubriaco, e dire che erano settimane che non toccava una birra per paura che anche solo quel poco d’alcool avesse potuto fargli commettere qualche sciocchezza. E invece era bastata la sua sola presenza a fargli perdere la testa definitivamente.

“Peter. Peter!” chiamò Neal stringendo la presa sulle sue spalle.
L’uomo si riscosse dai propri pensieri, come se non fosse stato pienamente cosciente di sé fino a quel momento, e lo fissò negli occhi; occhi azzurri, grandi, spalancati, così come le labbra che cercavano più ossigeno.
“Fammi respirare”, chiese con un leggero sorriso che fece passare un lampo di puro terrore nello sguardo dell'altro.
“Peter?”
“Oddio…” mormorò cominciando a tremare. “Oddio, oddiooddiooddio”, continuò a ripetere poggiando la fronte contro il muro, poco sopra la spalla del truffatore. Le sue mani erano ancora sui suoi fianchi, ma ora la sua pelle scottava più di quanto fosse immaginabile, e non per l’eccitazione. Le scostò e cercò di risistemargli la camicia, anche se non aveva ancora pieno controllo di sé. Non sapeva cosa avrebbe potuto fare -non voleva pensarci-, ma non sarebbe stato niente di buono.
“Mi dispiace, Neal… Mi dispiace.”
Il giovane lo abbracciò, stringendolo sicuro. “Va tutto bene, sul serio, non mi hai fatto niente di male”, lo tranquillizzò.
Peter si scostò, anche se non riusciva a guardarlo in faccia, e sospirò. “Te ne avrei fatto.”
Neal gli prese il volto tra le mani e lo obbligò a incrociare i propri occhi con i suoi; “Non lo hai fatto,” ripeté serio, “e poi…” continuò mordendosi il labbro inferiore, “lo avrei voluto anche io. Lo voglio anche io”.
“Co-cosa?”
Il truffatore sorrise malizioso e questa volta fu lui a baciarlo, anche se più dolcemente. “Però non è il caso ora, di là sono tutti preoccupati. Ce la fai a resistere fino a stasera?” chiese ridacchiando.
Peter annuì, ancora troppo sconvolto da quella scoperta perfino per arrabbiarsi del -più o meno- velato modo in cui lo stava prendendo in giro.
“Bene, ora sistemiamoci”, disse andando ad abbottonargli la camicia.
“Ehm… è meglio se faccio da solo”, lo interruppe il federale fin troppo serio, tanto che Neal rise nuovamente.
“È meglio”, concordò allontanandosi per specchiarsi e sistemarsi a propria volta.

Peter rimase a fissare il muro in silenzio finché non sentì la porta del bagno che si chiudeva, segnando l’uscita definitiva del truffatore, e andò a sua volta davanti al lavandino; prima di ogni altra cosa, si sciacquò il viso. Non riusciva a credere a quanto era appena successo e gli sembrava tutto assurdo, quasi un sogno, anche se avvertiva ancora la sensazione del suo corpo contro il proprio e delle sue labbra sulle proprie.
Scosse la testa, non avrebbe dovuto pensarci se avesse voluto riuscir ad arrivare fino a quella sera. Controllò un’ultima volta lo specchio, per accertarsi che fosse tutto a posto e uscì, lasciando finalmente da parte qualsiasi pensiero che non riguardasse il lavoro.




Nota finale: il neo sul collo di Tim esiste sul serio e appare in questa fic solo perché ioio me l'ha fatto notare/mi ci ha fatto ossessionare in modo quasi impossibile, per esser un neo. XD #questaèunanotamoltoutileu_u

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Capitolo 2
*** Superbia ***


Titolo: Seven Sins. (Superbia)
Fandom: White Collar
Personaggi:  Neal Caffrey, Peter Burke
Pairing: nessuno
Rating: G
Genere:  commedia (?)
Avvertimenti: flashfic
Timeline dopo la 2x03
Spoiler  la prima frase in corsivo Neal la dice nella 2x03, ma se non lo sapreste non vi direbbe nulla di nulla. XD
Conteggio Parole: 580 (FDP)
Prompt: superbia scritta per il contest sui sette vizi capitali indetto da AkaneMikael sul forum di EFP.
Betareader: nessie_sun ♥ ♥ & ioio10 (per l'IC, è una mano santa ♥)
Disclaimer: "Io scherzo... forse." (cit. A.Costa) // I personaggi non sono miei, ma degli autori e di chiunque ne abbia diritto; tanto meno sono utilizzati a fini di lucro, ma solo per mero piacere personale. 
Note: tecnicamente, questa fic avrebbe un "prequel". In pratica, non ho fatto in tempo a scriverlo e quindi è solo nella mia testa. Magari un giorno vedrà la luce. XD Però credo/spero si possa capir lo stesso... T__T
Ah, poi, non ricordo se lo dicono o meno, ma io ho questa convinzione che Elizabeth abbia una sorella. xD E ho deciso che almeno una delle due avesse un figlio...


"Mai credersi il più intelligente nella stanza. Almeno che tu non lo sia.”
Lo aveva detto lui a quello studente così pieno di sé e glielo aveva dimostrato. Eppure ora aveva commesso lo stesso, fatale errore.
Si era sopravvalutato, si era mostrato talmente orgoglioso e saccente da finire per credere sul serio di essere il migliore del gioco e che nessuno avrebbe potuto batterlo se si parlava di furbizia; ed ora ne avrebbe pagato le conseguenze.
E sarebbero state care da pagare; questa volta non l’avrebbe passata liscia, lo sapeva.
Deglutì a vuoto, mentre avanzava lentamente; la sua sorte lo avrebbe atteso oltre quella porta e già poteva sentire il rumore degli ingranaggi che si muovevano contro di lui.
La mano si posò lentamente sulla maniglia e spinse cercando di non far rumore, come se questo potesse aiutarlo, dargli tempo.
Quella casa di solito così confortevole ora gli sembrava la bocca dell'inferno, perfino Satchmo, accucciato davanti al divano, gli ricordava Cerbero.
Si richiuse la porta alle spalle e raggiunse il labrador che continuava a non muoversi; evidentemente anche lui sentiva che non era aria.
“Ciao, Neal”, lo salutò Peter quando raggiunse la sua visuale.
Era seduto a capotavola, ma era rivolto verso il salottino e il suo sguardo non prometteva niente di buono.
“C-ciao, Peter.”
Il ghigno che passò sulle labbra dell'agente lo bloccò sul posto.
“Sono contento che tu sia venuto di tua spontanea volontà.”
“Non credo sia il termine più adatto…” replicò, ripensando al messaggio che gli aveva lasciato sulla segreteria del cellulare e in cui lo minacciava piuttosto poco velatamente di rimandarlo in cella se non lo avesse raggiunto lì.
Peter inarcò un sopracciglio, scettico, e il truffatore fu costretto nuovamente a ingoiare un po’ di saliva.
“Sono venuto di mia spontanea volontà, sì”, confermò e l'uomo fece un sorriso compiaciuto, mentre sfogliava un fascicolo sulla tavola che il più giovane non fece fatica a riconoscere.
“C’è qualcosa che devi dirmi?” chiese e Neal sapeva benissimo cosa voleva sentirsi dire; non era stato il più intelligente nella stanza, ma non per questo era uno stupido.
Si voltò di nuovo verso Satchmo sperando in un aiuto, ma lui continuava a non considerarli e quindi tornò a guardare Peter.
“E va bene, sapevo chi era il tuo appuntamento al buio”, soffiò fuori e attese una qualsiasi reazione.
Peter scosse la testa. “Non è tanto quello il problema, Neal,” cominciò placidamente, anche se così il truffatore aveva ancora più paura. “Non è chi, è quanto… Quanto sono dovuto stare fuori, perché tu avevi organizzato tutto senza consultarmi.”
“Oh… Il compleanno di tuo nipote!” si ricordò all'improvviso. “Peter, io, mi dis-”
Il padrone di casa lo interruppe con un nuovo ghigno. “Oh, no, non devi scusarti con me,” disse voltandosi verso la porta che dava sul giardino sul retro, dove sapeva trovarsi sua moglie. “Devi spiegare, esattamente, a Elizabeth perché ho fatto tardi e, quando sono arrivato, il negozio dove dovevo prendere il regalo era chiuso e per questo lei si sia dovuta sorbire per tutta la serata i capricci di Jordan.”
“No-non puoi dire sul serio!” esclamò il giovane, ora certo della propria, imminente morte.
Peter si alzò tranquillamente e prese il fascicolo con cui stava giocherellando poco prima; lo raggiunse al centro della stanza e lasciò i fogli tra le mani dell'altro. “La prossima volta potresti scegliere anche meglio. Se ne avrai l'occasione”, terminò posandogli una pacca sulla spalla prima di abbandonarlo al proprio destino per andare a prendere il collare di Satchmo.
Se fosse uscito indenne da quell'uragano chiamato Elizabeth, giurò Neal, avrebbe fatto più attenzione a non sopravvalutarsi la prossima volta.

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Capitolo 3
*** Ira ***


Titolo: Seven Sins. (Ira)
Fandom: White Collar
Personaggi:  Neal Caffrey, Peter Burke
Pairing: nessuno
Rating: PG
Genere: angst, suspance (sort of? XD)
Avvertimenti: oneshot
Timeline post seconda serie, una volta che la questione di Kate è risolta
Spoiler  nessuno
Conteggio Parole: 1405 (FDP)
Prompt: ira scritta per il contest sui sette vizi capitali indetto da AkaneMikael sul forum di EFP.
Betareader: nessie_sun ♥ ♥ & ioio10 (per l'IC, è una mano santa ♥)
Disclaimer: "Io scherzo... forse." (cit. A.Costa) // I personaggi non sono miei, ma degli autori e di chiunque ne abbia diritto; tanto meno sono utilizzati a fini di lucro, ma solo per mero piacere personale. 
Note: questa fic mi è stata ispirata da Tim DeKay in persona. XD In un’intervista al Comic-con ha detto che se qualcuno avesse osato mettere Neal in “guai seri” Peter sarebbe diventato un "cane rabbioso" ([URL=http://www.youtube.com/watch?v=RGbHMwB1Xpo&feature=player_embedded]QUI[/URL], minuto 6, circa). Per questo, ho voluto restare nel canon in tutto e per tutto, senza cadere nello slash. E ci son riuscita e sono molto fiera di me! *_* (E c'è una frase che m'è uscita da sola, che potrebbe fuorviare, ma l'ho lasciata perché Ruiz ♥ nella 1x03 dice qualcosa di simile, o almeno sul solito tono. XD)



Peter era un uomo di legge. Conosceva le regole e le rispettava quasi pedissequamente; se qualcuno le aveva messe, voleva dire che era giusto che ci fossero e lui doveva rispettarle e farle rispettare.
O almeno aveva pensato ciò fino a nemmeno due anni prima, prima che Neal entrasse ancora più in profondità nella sua vita, sconvolgendo tutto quello in cui credeva. Gli aveva fatto mettere in gioco ogni cosa; gli aveva fatto vedere un aspetto della legalità che non conosceva, un aspetto dove giusto e sbagliato si avvicinavano così tanto da confondersi e, a volte, scambiarsi. Molte volte.
E aveva capito che non sempre trattenersi era la cosa migliore; che le leggi della ragione non dovevano sovrastare sempre quelle dell’istinto.
Allo stesso modo, era riuscito a far capire al suo protetto che la strada che aveva intrapreso era sbagliata, che anche vivere totalmente dall’altro lato non era positivo. E lentamente Neal l’aveva capito. Non era diventato un santo, ma era una persona onesta, la maggior parte delle volte e sulle cose importanti.
Peter si era assicurato con tutto sé stesso che così fosse ed era certo d’aver raggiunto il proprio scopo; era stato il suo lavoro e la sua missione, per questo -e per il fatto che conosceva Neal e fosse suo amico- non poteva sopportare una cosa del genere.
Era palese a tutti; Diana, Jones e perfino Hughes sapevano che Neal era stato incastrano, eppure non potevano far niente per salvarlo. Tutte le prove erano contro di lui; per la legge, Neal Caffrey, famoso truffatore di fama internazionale, era colpevole non solo di aver violato gli accordi per la libertà vigilata rubando e falsificando qualche opera di valore più o meno alto, ma, preso da chissà che raptus, aveva anche ucciso un uomo. Con una pistola calibro 45.
Era una delle storie più inverosimili che Peter avesse mai sentito.
Man mano che le indagini andavano avanti, la rabbia del federale cresceva sempre più, e sapeva di chi fosse la colpa. Agente Joe Rivera, divisione Violent Crime, assegnato al caso affianco ai White Collar. Aveva mostrato fin da subito dei pregiudizi verso Neal e Peter era sicuro che fosse stato lui a incastrarlo, anche se non era riuscito ancora a trovare le prove per dimostrarlo. Ma non c’era più tempo, il processo ci sarebbe stato quel pomeriggio ed era praticamente certo che Neal sarebbe stato giudicato colpevole. L’unica via d’uscita possibile era che l’uomo avesse confessato il proprio intervento, ma non c’era modo che lo facesse; non di sua iniziativa.

Peter raggiunse l’agente nel suo ufficio, chiudendosi la porta alle spalle e assicurandosi di girare la chiave nella serratura.
“Cosa stai facendo, Burke?” domandò Rivera, stupito.
Un sorriso gelido apparve sulle labbra di Peter. “Non preoccuparti, dobbiamo solo parlare”, rispose mentre chiudeva le tapparelle con fare solo apparentemente affabile.
“Parlare di cosa?” domandò ancora, mentre spostava le mani dai fogli che stava leggendo prima che Burke entrasse nel suo ufficio.
“Ah-ah. Non farlo”, consigliò. “Non ti conviene chiamare qualcuno.”
“È una minaccia?”
“Un consiglio amichevole”, rispose avvicinandosi alla scrivania e parandosi davanti a lui.
Rivera sbuffò. “Allora, cosa vuoi?” continuò con le domande, spazientito.
“Che tu confessi di aver incastrato Neal, che è stato tutto un piano per proteggere i veri colpevoli.”
L’agente scoppiò a ridere. “Sei impazzito, Burke?”
“Lo hai incastrato!” urlò di nuovo, la voce più acuta del normale, il colorito che andava a imporporarsi di rabbia e lo sguardo che, se avesse potuto, avrebbe trafitto l’uomo che stava osservando.
“Sei un pazzo!” replicò l'altro. “Hai perso così tanto la testa dietro quel criminale che non ti rendi nemmeno più conto dell’evidenza!” esclamò scattando in piedi e sbattendo le mani sulla scrivania.
Alcuni fogli caddero per terra in un fruscio che non riuscì a coprire il battito del proprio cuore nelle orecchie di Peter mentre, senza nemmeno pensarci, estraeva la pistola e la puntava al petto del collega.
“Alza quelle mani.”
Scandì ogni parola attentamente, cercava ancora di mantenere un minimo di autocontrollo.
“Sei un pazzo!” ripeté.
“Allora non ti conviene contraddirmi, no?” chiese spostando la mira dell'arma dal petto al centro della fronte. “Metti le mani ben in vista. Ora!”
Joe fece come gli era stato ordinato, cominciava a credere sul serio che Peter Burke avesse perso la ragione. “Senti, non so perché tu pensi che sia stato io, ma ti stai sbagliando.”
“So di non starmi sbagliando e lo sai anche tu. Ora,” disse riprendendo fiato, “le cose sono due: o confessi di tua spontanea volontà e mi dai tutte le prove che Neal è stato incastrato, oppure posso piazzarti una pallottola in testa e poi cercamele da sole. Ma non vorresti rovinare questa splendida moquette, vero?”
“Non sono stato io!”
Peter tolse la sicura alla pistola, “Ne sei sicuro?”
“Ovvio!”
“Oh, dai, vuoi sul serio farmi perder tempo a cercare tra tutte le scartoffie della tua scrivania?” sbuffò Peter con tono forzatamente cantilenante. Ritrasse il braccio e andò ad osservare la propria pistola prima d’alzare lo sguardo su Rivera.
“La riconosci?” chiese mostrandogliela e solo in quel momento l’altro federale prestò reale attenzione all’arma. Non era una di quelle in dotazione all’FBI, ma una Smith&Wesson con il caricatore a tamburo, calibro 45 Long Colt. La consapevolezza si fece velocemente strada in lui, trasparendo dal suo sguardo.
“Sì, è dello stesso modello di quella che ha ucciso Carlton. È una bella arma, non è vero?” chiese ancora Peter, rigirandola per osservarla da diverse angolazioni. “Sai cosa amo delle pistole a tamburo? Che ci si possono fare giochetti interessanti.”
Mentre parlava aveva aperto il caricatore e aveva estratto i proiettili. “Ti senti fortunato questa mattina?” domandò mostrandogli una pallottola che riposizionò al suo posto originario prima di far rullare il tamburo.
“No-Non starai facendo sul serio, vero?”
“Ovvio che faccio sul serio”, rispose ridendo del suo sguardo spaventato, mentre richiudeva l’arma. “Andiamo, cominciamo da una domanda semplice semplice: hai incastrato tu Neal?”
“N-no.”
“Risposta sbagliata, amico”, commentò premendo il grilletto.
Joe chiuse gli occhi attendendo il colpo, ma lo raggiunse solo il rumore dello scatto del cane che aveva battuto sul percursore.
Quando Peter parlò nuovamente, lui li riaprì. “Sembra che questa volta ti sia andata bene. Allora? Sei ancora sicuro della tua risposta?”
“Certo! Sono un federale, perché dovrei fare una cosa del genere?”
L’agente Burke lo guardò scettico. “Chissà… Ci sono tanti motivi che possono spingere un uomo a venderne un altro, proprio come tu hai venduto Neal.”
“Non ho venduto nessuno!” urlò ancora Joe.
“Pessima mossa continuare su questa strada”, lo informò prima di premere nuovamente il grilletto.
Anche questa volta il colpo era a vuoto.
“Ancora niente, ma fino ad ora la probabilità è stata dalla tua. I colpi disponibili, però, stanno diminuendo”, avvisò Burke. “Allora, che vogliamo fare? Provo il prossimo colpo?”
“E va bene, va bene! Hai ragione!” esclamò Rivera e un sorriso soddisfatto apparve sulle labbra di Peter, “Ora però-”
L’ingresso nell’ufficio di alcuni agenti lo interruppe; “Oh, siete arrivati!” un sospiro di sollievo lo rimise quasi letteralmente al mondo, mentre aveva ripreso tutta la sua sicurezza. “Arrestatelo!” ordinò indicando Peter, che aveva di già abbassato la pistola.
“Veramente siamo qui per lei”, disse Diana, dopo essere entrata nella stanza, e si avvicinò all'uomo porgendogli un foglio. “È il mandato firmato dal giudice per perquisire il suo ufficio.”
“Ce ne avete messo di tempo, non sapevo più che inventarmi”, si lamentò Burke quando Jones lo raggiunse.
“Scusaci, capo.”
Joe Rivera si guardò intorno, spaesato, mentre tre uomini controllavano dappertutto. Poi all’improvviso una consapevolezza. “La porta era chiusa.”
“No, tu hai sentito due scatti. Il primo di quando ho chiuso, il secondo quando l'ho riaperta”, spiegò Peter. “Dovevo tenerti impegnato e impedirti di nascondere le prove fino a che non avessero avuto il mandato”.
“Mah… mah… E la pistola? Volevi spararmi, anzi, lo hai fatto! Due volte. Potevi uccidermi!” chiese ed oramai stava blaterando quasi senza rendersene conto.
Peter aprì nuovamente il caricatore e lo capovolse, ma non cadde nessun proiettile. “Era scarica. A stare accanto a quel criminale qualcosa ho imparato anche io.”
“Non è possibile…”
“Agente Burke, abbiamo trovato i documenti”, disse uno dei tre uomini.
“Bene!” esclamò avvicinandosi e prendendogli i fogli per controllare che fossero proprio quelli che cercavano. Sorrise soddisfatto. “Arrestatelo.”
“Jones, andiamo!” chiamò subito dopo, uscendo dall’ufficio.
Mentre si dirigevano al palazzo di giustizia pensò a quanto avrebbe voluto sparare sul serio a Rivera; per un istante aveva pensato di non togliere il proiettile, che sarebbe valsa la pena di finire in carcere.
Poi, in un corridoio del tribunale, vide Neal, vide il suo sguardo illuminarsi quando gli sorrise soddisfatto e pensò che aveva fatto bene a trattenersi, che quello era il finale perfetto e non avrebbe voluto rovinarlo solo perché non era riuscito a contenere la propria rabbia.

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Capitolo 4
*** Invidia ***


Titolo: Seven Sins. (Invidia)
Fandom: White Collar
Personaggi:  Neal Caffrey, Peter Burke ("presenti" Elizabeth Burke e Kate Moreau)
Pairing: Peter/Neal, Neal/Kate (Peter/Neal/El a discrezione)
Rating: PG
Genere: fluff, introspettivo
Avvertimenti: oneshot
Timeline post seconda serie, una volta che la questione di Kate è risolta
Spoiler  nessuno
Conteggio Parole: 1376 (FDP)
Prompt: invidia scritta per il contest sui sette vizi capitali indetto da AkaneMikael sul forum di EFP.
Betareader: nessie_sun ♥ ♥ & ioio10 (per l'IC, è una mano santa ♥)
Disclaimer: "Io scherzo... forse." (cit. A.Costa) // I personaggi non sono miei, ma degli autori e di chiunque ne abbia diritto; tanto meno sono utilizzati a fini di lucro, ma solo per mero piacere personale. 
Note: che Neal invidi Peter e El e quello che hanno e 'vorrebbe averlo' è canon, tra Matt, Jeff, Tim e Tiffani l'hanno ripetuto un centinaio di volte X°°°°D! 




Era stato un lavoro biunivoco fin dall’inizio quello tra Neal e Peter, fin da quando il primo era ancora un truffatore libero di vivere come più preferisse e il secondo indagava su di lui per arrestarlo.
Fin da allora che lo osservava da lontano, Neal invidiava la sua vita a tratti perfetta. Peter Burke aveva una donna meravigliosa che lo amava, che lo attendeva a casa quando tornava da lavoro e con cui poteva vivere alla luce del sole senza dover usare trucchi e messaggi segreti per comunicare.
Aveva sempre voluto poter raggiungere quella situazione con Kate, perché tutto quello che aveva fatto l’aveva fatto per Kate. Kate e solo Kate nella sua mente; aveva preso lentamente il posto di Alex ed era diventata ancora più importante di lei.
Non erano più dei ragazzini quando si promettevano che un giorno avrebbero brindato con grandi vini e avrebbero vissuto una vita meravigliosa, Neal ci credeva con tutto sé stesso. Era riuscito a superare gli anni in prigione solo perché sapeva che, una volta fuori, lei sarebbe stata lì ad attenderlo e, magari, avrebbero potuto davvero cominciare quella vita che desideravano.
E invece niente era andato come aveva sognato, non uno dei suoi progetti si era realizzato.
Oh, certo, viveva in una casa lussuosa e beveva vini squisiti, ma non era quello che voleva; avrebbe rinunciato a tutto ciò, perfino all’incredibile caffè dalla tostatura italiana che Peter amava tanto, se avesse potuto vivere con lei.
Invece tutto ciò che aveva avuto era stata un’assurda caccia al tesoro finita con i suoi amici che gli dicevano che la donna della sua vita non l’aveva mai amato e con l’esplosione di un aereo in cui c’era suddetta donna -e in cui avrebbe dovuto esserci anche lui.
Si era ritrovato, così, non solo ad osservare da lontano quella famiglia che tanto agognava, ma anche a viverci assieme, dentro. Ci si era tuffato a capofitto, non sapeva nemmeno lui se per illudersi di far parte di quella perfezione o se, solamente, per afferrare almeno un po’ di quella atmosfera magica.
Ma oramai era diventata un’abitudine alla quale non sapeva rinunciare.
Entrare in casa Burke senza preoccuparsi di suonare il campanello, appropriarsi di una tazza di cereali al mattino, portare Satchmo a fare una passeggiata o anche solo stare ad osservare Peter e Elizabeth. Erano tutte attività che faceva per un proprio bisogno, non per dar loro noia, come pensava i primi tempi l’altro uomo.
Poi le cose erano cambiate, in meglio avrebbe dovuto dire, eppure sentiva che tutto quello sarebbe finito; non poteva andare avanti così in eterno, no? Non era normale, Peter aveva una moglie, lui non era un bambino e la coppia aveva diritto alla propria vita -di cui lui non ne era una parte fondamentale, nonostante tutto.
Doveva trovar un modo per dar un taglio a tutto quello, o almeno a qualcosa, poi gradualmente sarebbe riuscito ad allontanarsi, sperava.

Così si era fatto sempre più sfuggente, aveva cercato di limitare le visite ai momenti strettamente necessari. Si inventava brunch a casa di June, che Mozzie aveva bisogno di una mano o qualsiasi altra cosa gli venisse in mente sul momento per rifiutare i gentili inviti di Elizabeth.
E lei sorrideva comprensiva e gli diceva che sarebbe stato per la prossima volta.
Pensava di riuscirci, aveva considerato tutto, in fondo; tutto tranne l’insistenza di Peter e quanto lui lo conoscesse, per questo fu stupito di ritrovarselo davanti alla porta quando lo immaginava a casa con sua moglie, mangiando qualche delizioso manicaretto che lei gli aveva preparato.
“Proprio un pranzo imperdibile, quello di June, vedo”, commentò secco il federale.
“Non ho detto che ci sarei andato…” rispose alzando le spalle e guadagnandosi così una delle peggiori occhiate di Peter.
Senza commentare oltre, si spostò e gli fece cenno d’entrare.
“Come mai qui?”
“Come mai tu non sei a casa mia?”
“Non si risponde ad una domanda con un'altra domanda; non lo sai, Peter?” chiese ancora il truffatore dirigendosi verso il frigo per estrarne una bottiglia di vino ed una birra.
“El è preoccupata… e anche io”, confessò prendendo la propria bevanda.
Neal sollevò gli occhi dal bicchiere che stava riempiendo e lo guardò stupito -Peter non aveva mai smesso di meravigliarlo, in un modo o nell'altro- prima di lasciarsi andare in un lieve sorriso. “Non dovete, è tutto a posto.”
“Rifiuti gli inviti di El, non sbuchi in casa mia da ogni dove incurante di che ora sia… insomma, la mia vita è tornata quasi normale. Niente è a posto”, spiegò il federale, allargando le braccia a indicare quanto tutta quella situazione lo sorprendesse e preoccupasse.
“Non è quello che volevi?” rispose voltandogli le spalle.
Gli occhi del più grande si spalancarono ancora di più. “Che diavolo stai dicendo, Neal?”
“La verità, lo volevi e probabilmente lo vorrai di nuovo più in là… meglio farla finita subito.”
Peter lo fece girare verso di sé senza troppi complimenti. “Hai preso una botta in testa?”
Il ragazzo non rispose ed evitò di guardarlo, obbligando il federale a prendersi da solo la sua attenzione. “Ehi,” chiamò dopo aver spostato una mano sul suo volto, portandolo ad incrociare i suoi occhi con i propri, “che è successo?” domandò più dolcemente.
Neal posò il bicchiere di vino sul tavolo prima di andare a portare le proprie braccia attorno al suo collo e, quindi, baciarlo delicatamente, a fior di labbra, quasi come se avesse paura.
“Non è giusto,” cominciò poi, allontanandosi lentamente, “tutto questo… non so se lo faccio solo perché sono geloso di quello che voi avete o se è quello che provo sul serio…”
“Che stai dicendo?” chiese ancora Peter, accarezzandogli una guancia.
“Ho sempre invidiato te e Elizabeth, il vostro matrimonio, quello che avete e…” abbassò lo sguardo, “era qualcosa che avrei voluto con Kate”, confessò a bassa voce.
Peter lo osservò in silenzio alcuni istanti, metabolizzando quelle notizie.
“Mi dispiace”, continuò Neal.
L’agente sospirò, la mano scese sulla sua spalla, in una lenta carezza, prima di stringerlo a sé. “Non devi dispiacerti. Amavi Kate, ma ora è morta, è normale che tu voglia rifarti una vita.”
Il più giovane si aggrappò alla sua giacca, rimanendo in silenzio a riflettere su quanto gli aveva detto; si accorse che quell’abbraccio e quelle parole erano ciò di cui aveva bisogno e si rilassò. “Grazie,” disse prima di allontanarsi per guardarlo in volto; sorrise appena, ritrovando un po’ della propria spensieratezza, “ma non prendertela a male, lei era più bella.”
Peter ricambiò il sorriso. “Lo so”, replicò baciandolo.
Neal si allontanò, mordendosi il labbro inferiore. “C’è un’altra cosa…” iniziò stringendo la presa sulle sue braccia. Aveva paura di quanto stava per dire, di come potesse reagire, anche se non aveva senso continuare a nascondere le cose. Sospirò. “Non era solo questo, il problema… Io… Voi… Non andrà avanti così per sempre, non mi vorrete per sempre tra di voi. Forse tu, forse lei…”
“Che stai dicendo?” domandò per l’ennesima volta l’agente guardandolo sconcertato, non riusciva proprio a capirlo ed era una situazione nuova. Si era abituato a comprenderlo solo da piccoli indizi, anche se lui non era presente fisicamente, mentre ora che l’aveva lì davanti, che gli stava rivelando cose importanti, non sapeva cosa provava, di cosa avesse paura. Non gli piaceva quella situazione.
“Non stai parlando sul serio…”
Il giovane abbassò la testa, restando in silenzio e riprendendo a torturarsi il labbro.
“Stai parlando sul serio!” esclamò, ancora più sconvolto, l’uomo.
“Cioè, lo pensi davvero… non posso crederci!”
“Perché non dovrei pensarlo?” domandò debolmente.
“Perché mi conosci? E nessuna battuta come quella di prima”, ammonì.
“Appunto. So che amavi la tua vita tranquilla e io ti ho stravolto tutti i piani, e-”
Peter gli sorrise, interrompendolo. “Amavo, hai detto bene… Ora non sopporterei più tutto quel silenzio. Non lo sopporto più.”
Lo attirò di nuovo a sé e passò una mano tra i suoi capelli.
Neal non poté fare a meno di sentirsi stupido e infantile. Aveva ancora paura che un giorno sarebbe finito, ma il calore al petto che stava provando in quel momento, tra le braccia di Peter, lo confondeva e stordiva; gli faceva credere d’aver detto e pensato sul serio solo una lunga sequela di stupidaggini senza fondamento, anche se ne era, o almeno ne era stato, fermamente convinto.
“Se le confessioni sono finite -e non ne hai mai fatte così tante-” cominciò di nuovo il federale, dopo diversi istanti di silenzio e sorridendo bonariamente alla propria battuta, “penso che ci sia ancora un pranzo che ci attende, a casa mia.”

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Capitolo 5
*** Avarizia ***


Titolo: Seven Sins. (Avarizia)
Fandom: White Collar
Personaggi:  Neal Caffrey
Pairing: Peter/Neal (one side)
Rating: G
Genere: introspettivo, malinconico
Avvertimenti: oneshot, pre-slash
Timeline post seconda serie, una volta che la questione di Kate è risolta
Spoiler  nessuno
Conteggio Parole: 933 (FDP)
Prompt: avarizia scritta per il contest sui sette vizi capitali indetto da AkaneMikael sul forum di EFP.
Betareader: nessie_sun ♥ ♥ & ioio10 (per l'IC, è una mano santa ♥)
Disclaimer: "Io scherzo... forse." (cit. A.Costa) // I personaggi non sono miei, ma degli autori e di chiunque ne abbia diritto; tanto meno sono utilizzati a fini di lucro, ma solo per mero piacere personale. 
Note: ahem... un po' strana, forse, ma questo vizio era difficile... XD


Sentendo le sue imprese, nel corso degli anni, molti erano stati quelli che avevano pensato che Neal Caffrey avesse una smania incredibile di accumulare piccoli e grandi tesori. Tutti sapevano quello che aveva rubato, o che faceva credere d’aver rubato, ma nessuno aveva idea di dove tenesse il suo bottino.
Il truffatore sorrideva e si compiaceva della sua fama; si vedeva, nella sua testa, tutti a immaginarlo come il nuovo Zio Paperone, a nuotare immerso in tutti gli averi che aveva conquistato con l’inganno e l’astuzia e che aveva ammucchiato in una personale banca segreta.
Il prezzo da pagare, però, per apparire così ricco e potente, era quello di esser sempre mira di qualcuno che voleva trovarlo -sia tra i buoni, per arrestarlo, sia tra i cattivi, per farsi dire dove fossero nascoste tali meraviglie- e non sempre era facile stare al sicuro.
Doveva, però, ammettere che le cose erano state abbastanza semplici fino a che l’FBI non aveva messo sulle sue tracce l’ennesimo agente… E quella volta gli stava dando sul serio del filo dal torcere, gli piaceva. Prima di lui avevano provato in diversi a cercarlo, ma nessuno era durato più di un anno. Invece questo -no, l’agente Peter Burke- Peter aveva scoperto più di tutti loro messi assieme, e in nemmeno dieci mesi.
Era impressionato e eccitato, finalmente qualcuno che era riuscito a stargli dietro. Era stato così difficile trovare un valido avversario… Se si escludeva Keller, ma lui era un caso a parte, appunto, e decisamente non era un federale.

Ora che quegli anni erano passati, però, erano anche mutate molte cose. Non accumulava tesori su tesori, o almeno non quel genere di tesori che tutti consideravano tali.
Da quando era stato arrestato e, poi, aveva cominciato a lavorare per l’FBI, non aveva più avuto modo di continuare sulla propria strada, ma non gli importava più. Non era, in fondo, per semplice avarizia che aveva intrapreso quella strada e benché il suo ego amasse tutta quella ammirazione, non aveva più senso e non era interessato realmente a cosa pensassero gli altri.

“Ehi, Neal, andiamo a bere qualcosa?” domandò Peter fermandosi davanti alla sua scrivania, giacca buttata su un braccio, all’ora di tornare a casa.
“Elizabeth non c’è?” domandò alzando la testa verso di lui, mentre già rimetteva a posto i fogli che stava leggendo.
“No, torna martedì.”
“Oh, il lavoro le sta andando bene”, notò contento alzandosi e raggiungendolo dall’altro lato del tavolo dopo aver preso anche lui la propria giacca.
“Già”, confermò soltanto il federale, mentre si dirigevano alla macchina.

Neal sapeva che non avrebbe dovuto esser così contento, o meglio, sapeva che quel sentimento non era dettato solo dal piacere di sapere che la carriera della moglie del suo amico andasse così bene; era felice di quei momenti che lui e Peter passavano insieme e se Elizabeth era fuori casa quei momenti erano molti di più, soprattutto ora che le cose si erano chiarite.
Ed erano quei momenti i tesori che ora andava rubando, strappandogli ogni attimo libero con la scusa di una bevuta, o anche per parlare di qualche caso; non gli importava realmente cosa facessero, bastava che fossero loro due, soli da qualche parte -l’ufficio, un bar o la casa di uno dei due non era rilevante. E poi li conservava gelosamente nell’unico posto dove nessuno avrebbe potuto toglierglieli, l’unica banca in cui nessuno avrebbe potuto accedere che era la sua memoria e lì, sul serio, a volte si rinchiudeva e navigava tra i ricordi, a volte trovandone perfino qualcuno che non credeva d’aver conservato, come la prima volta che lo vide -in realtà vide solo la sua ombra, dato che era messo contro la luce potente del sole; quella era anche la prima volta in cui andò vicino ad essere catturato.

“Come mai così silenzioso?” domandò ad un tratto Peter voltandosi verso di lui.
“Hm? La macchina!” urlò improvvisamente notando che la vettura davanti a loro stava frenando, mentre la Ford su cui si trovavano inchiodava automaticamente facendogli quasi sbattere la testa contro il vetro. “Peter, per essere un federale presti decisamente poca attenzione alla guida!”
A quello, nonostante avesse decine di ricordi di scene simili, non si sarebbe mai abituato.
“È colpa tua”, sbottò l’uomo mettendo la prima e ripartendo dietro l’Audi che li precedeva.
“Mia?”, la faccia del truffatore era il ritratto dello sgomento.
“Assolutamente. Cosa stai architettando?”
“Nulla!”
“Andiamo, non hai detto una parola per tutto il tempo che siamo stati in macchina e non hai tentato di cambiare stazione alla radio, è ovvio che stai pensando a qualcosa”, lo rimbeccò il più grande.
“Certo che penso a qualcosa, non si può non pensare, ma non sto progettando niente di illegale.”
”Niente per cui è prevista una multa o la reclusione in carcere, almeno”, pensò.
Peter lo osservò ancora alcuni attimi, con la coda dell’occhio, poi tornò a concentrarsi sulla strada. “C’è qualcosa che non va?” domandò ancora, ora preoccupato.
Neal sorrise appena; sapeva che avrebbe dovuto sentirsi un po’ offeso che il suo primo pensiero era stato così scettico e solo dopo si era preoccupato per lui, ma in fondo Peter era anche quello, e l’importante era che si preoccupasse, no?
“Neal?”
“Stavo pensando se sarei riuscito a farti bere qualcosa di diverso da una birra,” butto fuori ridendo, “sarebbe una cosa così unica che non riesco nemmeno a immaginarla!”
Peter sospirò e il truffatore poté quasi sentire cosa stava pensando. “Eccone un’altra delle tue! Sapevo che stavi tramando qualcosa”, o delle frasi molto simili.
Ma andava bene così, finché avrebbe creduto che era un irresponsabile e si sarebbe preoccupato per lui, avrebbe avuto altri momenti in cui avrebbe rubato agli altri la sua attenzione per tenerlo concentrato solo su di sé; altri tesori da nascondere avidamente all’altrui conoscenza.

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Capitolo 6
*** Gola ***


Titolo: Seven Sins. (Gola)
Fandom: White Collar
Personaggi:  Peter Burke, Neal Caffrey
Pairing: Peter/Neal
Rating: PG13
Genere: sentimentale
Avvertimenti: oneshot, slash
Timeline post seconda serie, una volta che la questione di Kate è risolta
Spoiler  nessuno, anche se la prima battuta è della 2x05.
Conteggio Parole: 1605 (FDP)
Prompt: gola scritta per il contest sui sette vizi capitali indetto da AkaneMikael sul forum di EFP.
Betareader: nessie_sun ♥ ♥ & ioio10 (per l'IC, è una mano santa ♥)
Disclaimer: "Io scherzo... forse." (cit. A.Costa) // I personaggi non sono miei, ma degli autori e di chiunque ne abbia diritto; tanto meno sono utilizzati a fini di lucro, ma solo per mero piacere personale. 
Note: un'altra rivisitazione de "la prima volta", diciamo così. xD Ma sempre senza molti dettagli, anzi... E' inutile, non riesco a mandarli 'oltre' (e la cosa mi fa solo rabbia perché col Tim/Matt non ho problemi... XD).



“Ti sei dimenticata che cucinavo spesso io quando ci siamo conosciuti?”
Avrebbe dimostrato a El che era ancora in grado di prepararsi da solo un pasto decente, senza dover ricorrere per forza al cibo dei take away.

Quella giornata era stata semplice, quindi era tornato a casa ad un orario decente -peccato che El fosse via- e aveva occasione di cucinare qualcosa. Certo, preparare per una persona sola non era proprio il massimo, ma in fondo, proprio per quello, non doveva far cose complicate. Un piatto di pasta, un po’ d’insalata e, se aveva voglia, una fettina di carne, andavano più che bene.
Stava preparando il sugo per la pasta quando sentì Satchmo agitarsi. Abbandonò i fornelli e andò in sala a controllare, il cane puntava la porta e Peter vide la maniglia girare.
Prese prontamente la propria pistola dalla fondina che aveva appeso alla sedia e si avvicinò all’uscita, facendo scattare la serratura quando l’ebbe raggiunta.
Frazioni di secondo e la porta si aprì.
“Fermo!” urlò puntando la pistola contro l’intruso.
Intruso che aveva il terrorizzato volto di Neal Caffrey.
“Peter, ma sei impazzito? Metti giù quell’arma!” esclamò lui, ma Peter lo aveva anticipato e stava già rimettendo la sicura alla pistola.
“Cosa volevi fare?” domandò il padrone di casa, perplesso. “Perché stavi tentando di forzare la porta?”
“Credevo che fosse aperta, come sempre”, rispose l’altro, alzando le spalle.
“Non aspettavo visite e non prevedevo di uscire, questa notte,” disse Peter, senza sapere perché si era ritrovato ad esser lui quello che stava dando spiegazioni. “E comunque, non potevi suonare come tutte le persone normali?”
Neal stava per rispondere quando si bloccò all’improvviso.
“Cos’è quest’odore di bruciato?”
Il federale si fermò ad annusare l’aria e riflettere prima di ricordarsi della cena. “Oddio!” esclamò correndo in cucina solo per notare come, oramai, il sugo fosse irrimediabilmente perso.
“Addio, cena,” mormorò, “ed è tutta colpa tua!” disse voltandosi verso il giovane che lo aveva seguito nella stanza.
“Ops…”
Peter sospirò rassegnato gettando la pentola nel lavello. “Ordinerò una pizza”, sbuffò nuovamente avviandosi verso il telefono.
“Cucino io!” lo fermò Neal e l’uomo lo guardò sorpreso.
“Cosa?”
“Cucino io. Qualcosa troverò anche se è da qualche giorno che Elizabeth non c’è.”
“Sai cucinare?” domando ancora Peter, non facendo nulla per nascondere il crescente stupore.
“Evvero sì. Ed ora lasciami vedere cosa c’è,” rispose osservandosi intorno per controllare la disposizione dei mobili e immaginare, bene o male, dove potesse esser cosa; dopo una rapida occhiata tornò a rivolgersi all’altro uomo. “Tu puoi andare a vederti qualche partita o fare quello che vuoi. Fidati di me.”
Peter lo guardò scettico, a lasciar intendere che la fiducia non era proprio il primo dei sentimenti che provava nei suoi confronti.
“E dai, Peter!”
Il più grande cedette e lasciò la stanza per andare a vedere la tv in salotto, in fondo, non aveva ancora così fame e avrebbe potuto sempre ordinare una pizza più tardi.
Dopo nemmeno un’oretta, cominciò a diffondersi per la casa un delizioso profumino che stupì positivamente il federale; si voltò a guardare verso la cucina, chiedendosi cosa stesse preparando.
“Non entrare ancora”, lo raggiunse la voce autoritaria di Neal, quasi come se l’avesse visto e gli avesse letto nella mente.
Peter sbuffò prima di cambiare canale, chiedendosi se il sapore avrebbe equiparato l’odore.

“Okay, puoi entrare… per prendere il necessario per apparecchiare”, disse ad un certo punto l’improvvisato cuoco.
“Cosa?” domandò il padrone di casa volgendosi verso la porta della cucina solo per notare Neal che ne spuntava con la testa e parte del busto, per una volta libero da giacca e gilet, ma protetto da un grembiule con scritto ‘Attenzione! Oggi cucino io’ che El gli aveva regalato svariati anni prima e di cui Peter non ricordava nemmeno l’esistenza.
“Apparecchiare, è una parola che dovresti conoscere; o mangiamo con le mani?”
“Oh, sì, certo”, rispose spengendo automaticamente la tv e alzandosi dal divano per raggiungerlo.
Entrò nella stanza con un pizzico di malcelata curiosità, quasi come se non fosse la sua cucina e stesse entrando in un mondo tutto nuovo. Sentì Neal alle sue spalle che rideva, mentre lo superava e scolava gli spaghetti per poi condirli con la salsa che aveva preparato.
Peter era rimasto ad osservarlo, dimentico di quello che doveva fare, concentrato solo sui gesti dell’altro.
“Vuoi assaggiare?” chiese lui, voltandosi a guardarlo a sua volta e tendendogli una forchetta su cui erano avvolti alcuni spaghetti e un pezzo di quello che l’uomo ipotizzò fosse un fungo.
“Eh?”
“Non ho avvelenato il cibo, ma se non ti fidi…” continuò mangiando lui il boccone.
Il federale l’aveva fissato stupito, seguendo attentamente i suoi gesti e poi ingoiando a vuoto; improvvisamente aveva sentito tutta insieme la morsa della fame.
“Non intendevo dire che non mi fido, comunque”, dichiarò, ripresa coscienza di sé, abbassandosi a recuperare la tovaglia da uno dei cassetti della credenza.
“Bene, allora assaggia”, insisté Neal quando l’altro tornò a guardarlo, porgendogli una nuova forchettata di pasta.
Peter lo osservò alcuni istanti, stupito, prima di avvicinarsi per lasciare che lo imboccasse. Non si era accorto di quanto potesse essere imbarazzante quel gesto finché non si era ritrovato ad assaporare con gusto quel boccone e desiderarne ancora, in quel modo.
“Allora, com’è?” domandò Neal, impaziente.
“Buono, davvero, non lo avrei mai detto”, rispose, osservando la zuppiera piena con interesse.
“Visto?” chiese ancora il truffatore e Peter sobbalzò quando sentì il suo pollice sull’angolo della propria bocca, a ripulirlo dai residui di condimento. “Eri sporco”, spiegò solamente alzando le spalle al suo sguardo perplesso.
“Grazie.”
Senza dire altro, l’uomo andò nella stanza accanto per apparecchiare.

Si erano messi a tavola e Peter stava mangiando la propria porzione con particolare interesse, concentrato solo su quello che aveva nel piatto.
“Ehi, piano! Nessuno ti insegue”, commentò Neal, a metà tra il divertito e il preoccupato. Il compagno non era mai stata una persona che esagerava con il cibo o nel modo in cui lo mangiava -anche se lui avrebbe avuto molto da ridire su cosa mangiava.
“Scusa”, disse il federale, “non so perché, ma stasera ho veramente fame.”

Non era sicuro nemmeno lui delle proprie parole -come se fosse un argomento su cui avere dubbi… pensava fosse un po’ assurdo, o avevi fame o non l’avevi- o forse solo non voleva vedere il motivo reale.
Concentrarsi sul cibo era un ottimo modo per non prestare attenzione ad altro come, per esempio, Neal.
Era stata una cosa così improvvisa e talmente inaspettata che non aveva trovato altro modo per gestirla.

“Non preoccuparti, basta solo che non ti strozzi”, rise ancora il truffatore e il padrone di casa nascose il volto nel bicchiere di vino che si era trovato davanti -aveva solo un vago ricordo di Neal che apriva la bottiglia e riempiva i bicchieri.
“Sono contento, però, che ti piaccia”, continuò il ragazzo, sempre sorridendogli felice, e riprendendo a mangiare a sua volta.

Peter non rispose e continuò a dedicarsi al cibo, almeno per un po’ poteva non pensare e poi… e poi avrebbe trovato il modo di distogliere i propri pensieri da argomenti che non dovevano essere presi in considerazione nemmeno in momenti di assoluta follia -o qualsiasi altra cosa lo avesse colpito in cucina, pochi minuti prima, senza che lui riuscisse a rendersene conto, almeno non finché il pensiero non si era già fatto strada e radicato in lui come un lampo che squarcia istantaneamente e senza preavviso il cielo in due. Con la differenza che la volta celeste, dopo quel singolo istante, ritrova la propria integrità, mentre quel tarlo nella sua mente non voleva sparire.

Mezz’ora dopo avevano finito di cenare e stavano sistemando piatti e pentole nella lavastoviglie.
“Allora, passata la fame?” chiese Neal, spostando lo sguardo verso l’altro.
“Hm… Sì…” rispose questi, poco sicuro.
“Non ne sembri molto convinto. E dire che ti sei finito anche il gelato che aveva lasciato Elizabeth”, constatò adocchiando la confezione vuota, ancora abbandonata sul tavolo.
“Non tutto.”
Neal lo guardò senza capire, mentre Peter posava una mano sulla sua guancia e si chinava verso il suo volto, andando poi ad assaggiare il suo labbro dove era rimasta, indisturbata, una scaglia di cioccolato.

E in quel momento, forse, avrebbe dovuto dire qualcosa, una battuta magari; avrebbe dovuto allontanarsi, di sicuro, e cercare di salvare il salvabile; qualsiasi cosa sarebbe stata apprezzabile e, presumibilmente, preferibile a quello che stava facendo. O almeno questo pensava una parte del suo cervello, quella più razionale e che era stata messa sotto silenzio in qualche attimo tra il cercare un dolce con cui terminare la cena e la fine della stessa.
Invece Peter se ne stava fregando di quello che avrebbe dovuto fare e continuava con quello che voleva fare, ossia baciare Neal -che era intrappolato tra il suo corpo e il ripiano della cucina- e assaporarlo lentamente, come se fosse chissà quale raffinatezza culinaria.
Ed era un’inaspettata quanto estremamente piacevole sorpresa registrare che non cercava di tirarsi indietro, anzi, assecondava i suoi gesti e i suoi voleri con accondiscendenza e altrettanta cupidigia, anche se riusciva a sentire il suo riso sulle labbra e glielo vedeva negli occhi assieme al desiderio.
“Zitto”, ordinò prima ancora di dargli il tempo di formulare una qualsiasi frase, mentre andava a sbottonargli la camicia e ringraziava che non avesse avuto modo di rivestirsi.

Alla fine aveva ceduto. Senza nemmeno opporre poi questa gran resistenza, doveva ammetterlo, ma la tentazione era stata più forte di lui e dei suoi grami tentativi di ignorarla. Aveva perso una battaglia che, si rendeva conto, non aveva mai voluto combattere ed ora stava scontando la più dolce delle pene, anche se sapeva che fin troppo presto sarebbe arrivato lo scotto vero e proprio e sarebbe stato decisamente amaro.
Ma andava bene così, per ora andava bene così; gli bastava stringerlo a sé e cercarlo con le labbra, come se fosse l’unico nutrimento di cui avesse bisogno, e sentire che anche per Neal era lo stesso. Poi si sarebbe sentito male, ma non riusciva proprio a preoccuparsene in quel momento.




Risposte ai commenti (anche futuri). (E ne approfitto anche per 'ringraziare' chi ha inserito la raccolta tra le seguite. Mi fa piacere che, per lo meno, desti il vostro interesse. :D)

Cory90 Grazie mille! :D Sono contenta che le mie storie ti piacciano! ^_^ E figurati, non annoi affatto! :D
Farò un commento generale perché è un po' il pensiero che guida tutti i miei scritti. Neal mi ispira per lo più solo tanto fluff e coccole... mentre Peter, beh, se il Peter/Neal deve esserci, per me è più probabile che la prima mossa sia sua. Più che altro perché sono sicura che Neal lo rispetti e lo ami (e qui in senso generale, non solo romantico) tanto da non fare niente che potrebbe mettere a rischio il suo matrimonio e il loro rapporto se prima non è certo che Peter lo voglia (questo non vuol dire che non possa punzecchiarlo xD). E ovviamente la sicurezza che Peter lo voglia colpa è di Tim. E' sempre colpa di Tim! XD (No, cioè, vogliamo PARLARNE? Matt ha confermato quello che per me era quasi certo: l'idea per quella posa è stata di Tim! XD) Un po' anche di Matt che ha il vizio di fissargli il collo o le labbra e devo ancora capire se è recitazione o gli viene naturale. XD Poi, è anche colpa mia che mi lascio influenzare troppo... ù.ù Ma quei due mi uccideranno... XD Ok, scusa, mi perdo a parlare di loro... xD
Quindi, avevo da dire... Ah, sì! Per l'ira. Peter ha già violato più volte la legge per Neal, in canon. ;) E ora la smetto pure io. XD Ancora grazie mille, spero che ti sia piaciuta anche questa. :)

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Capitolo 7
*** Accidia ***


Titolo: Seven Sins. (Accidia)
Fandom: White Collar
Personaggi:  Peter Burke, Neal Caffrey
Pairing: Peter/Neal
Rating: PG13
Genere: fluff, sentimentale
Avvertimenti: future!fic, oneshot, slash, relazione stabile
Timeline Neal ha scontato i suoi quattro anni -bye bye anklet~
Spoiler  nessuno, anche se viene nominato un personaggio che appare nella seconda serie.
Conteggio Parole: 3171 (FDP)
Prompt: accidia scritta per il contest sui sette vizi capitali indetto da AkaneMikael sul forum di EFP.
Betareader: nessie_sun ♥ ♥ & ioio10 (per l'IC, è una mano santa ♥)
Dedica: alla nipota flannery_flame che oggi compie gli anni. Purtroppo non ho niente di personalizzato... ç^ç TANTISSIMI AUGURI, TESORO!!!
Disclaimer: "Io scherzo... forse." (cit. A.Costa) // I personaggi non sono miei, ma degli autori e di chiunque ne abbia diritto; tanto meno sono utilizzati a fini di lucro, ma solo per mero piacere personale. 
Note: Fluff, tanto fluff, forse troppo. XD Ma ne avevo bisogno. ♥ Mi si potrebbe additare di sfiorare e non solo l'OOC, ma vi rimando agli avvertimenti e vi riporto le parole di Tim Dekay (sì, oramai è il mio spacciatore ufficiale di plot xD): “se arrivassero a fidarsi al 100% l’uno dell’altro, finirebbero a letto” e questa shot è solo un seguito a ciò. Penso quindi di essere rimasta IC, se si esclude appunto questa 'evoluzione' e questo cambiamento nel loro rapporto.


Se c’era una cosa che Neal rimproverava a Peter era il suo essere un impenitente stacanovista. Lo era sempre stato, il lavoro prima di tutto, e lui lo sapeva bene -era anche per questo che Elizabeth era stata gelosa di lui; nei tre anni che gli aveva dato la caccia, probabilmente aveva avuto con Peter più rapporti lui che sua moglie.
Però aveva deciso che quel giorno le cose sarebbero state diverse.
Sorrise girandosi nel letto solo per vedere Peter placidamente addormentato affianco a sé e poi lasciò il tepore delle lenzuola e scese in cucina senza preoccuparsi di essere solo in boxer.
Ritornò in camera venti minuti dopo, in mano un vassoio con la colazione, e fu contento di vedere che l’uomo non si era ancora svegliato. Posò il tutto sul comodino e poi si mise a sedere ai bordi del letto; sapeva che Peter aveva dei ritmi fin troppo regolari e, per questo, che era solo questione di minuti prima che si svegliasse.
Anche se per un attimo si chiese se fosse saggio attendere così vicino; ma oramai era tardi, lo vide aprire gli occhi e poi sorridere quando incrociò i suoi occhi, ma Neal sapeva che sarebbe durato poco.
Infatti sparì non appena il federale tentò di mettersi a sedere e venne frenato da un sonoro clank che gli tenne il polso sinistro legato alla testata del letto. Le ultime tracce di sonno gli permisero solo uno sguardo confuso, ma era il più severo sguardo confuso che l’ex truffatore avesse mai ricevuto; tentò un sorriso stirato, “Buon giorno, Peter”.
“Che- che cos’è questo?” domandò l’uomo, lentamente, spostando lo sguardo da Neal alle manette che gli impedivano di muoversi liberamente.
“Oggi non devi andare al Bureau”, gli ricordò il più giovane.
“E quindi?”
“E quindi ho deciso che sarà una giornata dedicata al più rilassante e semplice dei vizi, senza pensare a niente, tanto meno il lavoro”, rispose Neal sporgendosi verso di lui per baciarlo.
Lo sguardo di Peter era ancora perplesso e anche, si sbagliava?, un po’ malizioso. “No, Peter, stavo parlando dell’Accidia. Una giornata di solo relax”, spiegò sorridendo, “poi se farai il bravo, chissà…”
“Okay, ma perché mi hai ammanettato?”
“Perché se no a quest’ora saresti già schizzato a fare qualcosa. Ho anche staccato il telefono e spento il cellulare.”
Il federale lo guardò ora boccheggiando, sempre più incredulo, e anche un po’ innervosito. “Neal, non puoi-”
“L’ho fatto,” ghignò divertito, interrompendolo e posando una mano sul suo braccio, per calmarlo, “e ti ho anche preparato la colazione. Dovresti mangiare, prima che il caffè si freddi del tutto.”
Peter spostò lo sguardo dal ragazzo al comodino, osservando attentamente il cibo che vi era sopra prima di decidere che forse era il caso di dare retta almeno all’ultima frase dell’ex truffatore e quindi si mise a sedere sul bordo del letto, cercando una posizione comoda. Neal gattonò fino alle sue spalle, alzandosi poi in ginocchio e abbracciandolo prima di posargli un bacio sul collo. “Se mi prometti che seguirai le mie istruzioni, potrei anche liberarti il polso”, mormorò contro il suo orecchio, mentre l’altro reclinava la testa all’indietro e poi si voltava a cercare la sua bocca.
“E cosa dovrei fare?”
Il più giovane sorrise, “Te l’ho detto. Una giornata dedicata solamente a rilassarsi, senza pensare al lavoro, ai problemi, alle preoccupazioni, a niente che non sia come spendere le prossime dodici ore in completo ozio”.
Peter non poteva negare che fosse una prospettiva piuttosto attraente, soprattutto mentre le mani dell’altro vagavano sul suo petto; mugugnò di piacere lasciandosi andare contro il suo corpo. “È un piano interessante…”
“È più di quanto mi aspettassi”, confessò Neal.
“Ma si riattacca il telefono. Devo essere raggiungibile”, continuò serio, ignorando il suo sbuffo.
Il ragazzo si spostò di lato e Peter dovette puntellarsi con il braccio libero per non farsi troppo male all’altro polso. “Ehi!”
“Allora resti così”, annunciò Neal scendendo dal letto e avviandosi verso la porta, prima aveva recuperato da una sedia i propri pantaloni e la camicia, “mangia, è già freddo.”
Il padrone di casa lo seguì con lo sguardo, perplesso e anche un po’ spaventato, finché non sparì alla sua vista, quindi guardò la propria colazione. Non poteva certo dire che non si fosse impegnato; sospirò, forse aveva reagito troppo duramente, ma era un federale e Neal doveva capire che non poteva fare sempre quello che voleva, doveva essere sempre pronto ad andare se c’era bisogno di lui.

Caffrey sapeva che non sarebbe stato facile convincerlo, ma si era scioccamente illuso che per una volta avrebbe ceduto. Si illudeva sempre troppo spesso, ma si rendeva anche conto che ogni volta doveva biasimare solo sé stesso. Era sempre troppo romantico e idealista e troppo poco con i piedi per terra, per quello si ritrovava spesso in quelle situazioni.
Sospirò e scosse la testa, conosceva Peter e poi non riusciva ad essere completamente arrabbiato con lui -non c'era riuscito in situazioni ben più gravi, in cui aveva motivo di essere arrabbiato (un motivo sbagliato, certo, ma per lui era la verità).
Tornò in camera mezz’ora dopo; Peter aveva mangiato qualche cosa, ma per lo più il cibo era rimasto intatto.
L’uomo si voltò verso di lui e gli rivolse un sorriso colpevole, “Mi dispiace, ho esagerato. Grazie per la colazione”.
“Ho portato Satchmo a fare un giro, e ho riattaccato il telefono”, borbottò Neal sbottonandosi la camicia e raggiungendolo.
Il sorriso di Peter divenne reale mentre allungava il braccio verso di lui. “Grazie”, ripeté attirandolo a sé, per baciarlo.
“Quest’idea, di passare la giornata a fare nulla”, riprese poi il più grande, “non è male, in fondo.”
“Mi fa piacere che tu la veda così”, sorrise Neal togliendosi la camicia e invitandolo, dopo averla posata accuratamente sul bordo della sedia, a sdraiarsi sul letto mentre si stendeva sopra di lui e allungava un braccio, per liberarlo dalle manette.
Peter fu molto contento di quel cambiamento e andò ad abbracciare il ragazzo con entrambe le mani, prima di baciarlo nuovamente.
“Ho detto dopo”, gli ricordò il giovane facendosi forza sul letto con le braccia, per spostarsi di lato, accanto a lui.
Questo mi rilassa molto”, lo informò in cambio il federale, voltandosi nella sua direzione.
Neal rise, nascondendo la testa nella sua spalla e avvicinandosi poi al suo orecchio, “Dopo, se farai il bravo”, ripeté stringendosi a lui.
“Hm… E cosa vorresti fare, ora?” domandò Peter.
“Stare così.”
“Stare così? E fare completamente nulla?”
“Esatto.”
“Sei incredibile”, sbuffò, dopo essersi concesso una risata e aver passato una mano tra i capelli dell’altro.
“Grazie.”
L’ex truffatore sorrise a sua volta e Peter capitolò definitivamente, concedendosi di mandar via la tensione e di trascorrere qualche ora in serenità con l’uomo che amava, senza preoccuparsi di nulla.
All’inizio era stato complicato, Neal lo aveva sentito sbuffare un paio di volte, ma certo quella non era un’occupazione che richiedesse molti sforzi per abituarvisi.

“E quindi, visto? All’FBI riescono ad andare avanti benissimo anche se per un giorno tu non ci sei”, esordì ad un certo punto Neal, sporgendosi sopra di lui per raggiungere il comodino dove ora, a distanza di ore dalla colazione e a qualche decina di minuti da un leggero e veloce pranzo, si trovava una ciotola ricca di ciliegie e afferrandone qualcuna.
“A quanto pare è così”, concordò Peter bloccandogli la mano con la propria, quando fu davanti al proprio volto, e avvicinandosi per appropriarsi di una ciliegia con le labbra.
Il giovane rise. “Avevo ragione.”
“Avevi ragione”, soffiò fuori il federale, fingendo un tono tra il disinteressato e lo scocciato che fece solo ridere maggiormente l’altro.
Neal si mise a sedere, voltandosi poi a guardarlo in silenzio, mentre mangiava i frutti che aveva ancora in mano; avrebbe fermato quell’attimo in eterno, la luce del primo pomeriggio che filtrava attraverso le tende inondava il letto e i loro corpi in un’atmosfera da favola, perfetta per…
Un lampo di consapevolezza gli attraversò gli occhi, andando poi a piegargli le labbra nel sorriso allegro e genuino di chi aveva trovato davanti a sé un tesoro, o il significato stesso della vita. Peter ne era affascinato e ne aveva paura, perché era conscio che ciò voleva dire che aveva in mente qualcosa, ma il non sapere cosa fosse lo metteva sempre in allarme.
“Aspetta qui un attimo”, aveva appena detto il ragazzo, scendendo dal letto.
“Neal, cosa vuoi-”
Non fece in tempo a finire la frase che l’altro era nuovamente uscito dalla stanza.

Oramai il giovane riusciva a muoversi in quella casa come se avesse sempre abitato lì, proprio per quello sapeva che non avrebbe trovato esattamente quello che gli serviva, ma sapeva anche di poter mettere le mani su qualcosa che almeno era un elementare sostituto.
Scese le scale e si voltò subito a sinistra; controllò il cassetto del tavolino su cui era posato il telefono, trovando velocemente una delle cose che cercava, e poi si spostò davanti alla libreria, prendendo un libro dalla copertina rigida e alcuni fogli bianchi dalla risma che serviva per la stampante.
Tornò al piano di sopra solo per trovare la stanza vuota; si guardò intorno accigliato, stava già per chiamare Peter quando venne bloccato da due braccia che lo avevano ghermito da dietro.
“Avevi paura fossi scappato?” domandò l’uomo contro il suo orecchio.
“Era una possibilità… Rimetti a letto”, rispose soltanto, non potendo nascondere il broncio che gli era venuto istintivamente.
“Ehi, ero solo andato in bagno, non devi-”
Neal scosse la testa, interrompendolo, “Non è questo, sul serio, solo… rimettiti come prima”, chiese, voltando la testa per baciarlo sulle labbra.
Solo in quel momento Peter si accorse degli oggetti nelle sue mani e comprese. “Non vorrai sul serio- Insomma, non sono il soggetto migliore per un ritratto.”
“Sei il soggetto perfetto. È tutto perfetto… beh, la luce lo sarà ancora per poco, quindi…” spiegò girandosi completamente verso di lui e fissandogli negli occhi, cercando di fargli capire quanto ci tenesse. “Tu devi solo stare fermo. Per favore”, continuò.
Peter annuì, anche se la cosa lo imbarazzava enormemente, ma non se l’era sentita di dirgli di no -non ci era riuscito, come oramai sempre più spesso accadeva. Lasciò che l’altro lo guidasse, in una sorta di reverenza verso l’artista, permettendo che gli dicesse come dovesse posare, ma Neal lo fece mettere esattamente come lo aveva lasciato pochi minuti prima e poi si posizionò davanti a lui, sistemando i fogli sopra il libro.
Peter non lo aveva mai visto al lavoro, non in quella parte che comprendeva il creare all’atto pratico un’opera d’arte; era una vera sorpresa notare quanta concentrazione e serietà poteva avere e riporre quando si trovava in quello che sembrava niente di meno che il suo ambiente naturale. Si era ritrovato quasi a trattenere il respiro ogni volta che lo vedeva lanciargli anche solo una fugace occhiata da sopra i fogli; restare fermi in posa non era assolutamente così facile come poteva sembrare, o tanto meno rilassante, ma valeva la pena sopportare tutto quello per vedere la vasta gamma di espressioni che potevano passare sul viso di Neal, espressioni che nulla avevano a che fare con l’aria giocosa e leggera che usava con tutti e che variavano a seconda di cosa si trovava a ritrarre o come gli veniva un segno invece di un altro. Peter sapeva che in quel momento il compagno lo stava studiando molto più di quanto avesse mai fatto, ma poteva dire di star facendo altrettanto; era sempre così, un analizzarsi reciproco, per un motivo o per l’altro. Probabilmente era proprio per quel conoscersi in un modo così concatenato che erano finiti per innamorarsi, anche se era una cosa che prima non avevano mai preso in considerazione come possibile.

Dopo quella che sembrò un’eternità, Neal si fermò ad osservare il proprio operato spostando più volte lo sguardo dal disegno al soggetto reale, critico come solo l’autore originale di un’opera sa essere nei confronti della stessa.
“Hai-”
“Shh!”
Aveva zittito Peter senza nemmeno guardarlo in volto, ma lì non erano al Bureau e, soprattutto, il lavoro era il suo e quindi era lui che comandava e decideva cosa fare. E Peter doveva averlo percepito, perché per la prima volta non aveva replicato.
Neal cancellò qualche linea e ne tracciò qualche altra prima di ritenersi soddisfatto; alzò il volto in direzione del compagno, “Finito”.
Il federale si mise a sedere, sgranchendosi finalmente i muscoli indolenziti, e poi, curioso, allungò una mano verso il foglio, per girarlo verso di sé. Osservò il disegno in silenzio, impressionato dal vedersi rappresentato in modo così fedele in quell’incontro di bianco e nero; ogni dettaglio era stato riprodotto sul foglio grazie all’incrocio perfetto di luci e ombre che avevano delineato ogni cosa, dalle pieghe della sua t-shirt a quelle dei lenzuoli, dai capelli arruffati allo sguardo attento.
Sguardo che ora si era posato in quello dell’artista. “È il miglior ritratto che mi sia mai stato fatto.”
“Sono abbastanza sicuro che sia anche l’unico”, rispose lui, mentre si stava stirando le braccia e la schiena, che risentivano delle ore passate a disegnare.
“Vero…” concesse prima di stropicciarsi gli occhi e sbadigliare. “Ah, non far nulla è quasi più stancante di una giornata di lavoro”, si lamentò.
“Non ci sei abituato”, replicò Neal alzandosi dal letto e andando ad aprire le tende per spalancare la finestra.
“Neal.”
Il ragazzo si voltò verso Peter, incrociando il suo sguardo ora serio, e alzò le mani allontanandosi dalla finestra; “Scusa”, disse raggiungendo l’armadio e prendendo una maglietta dell’altro, per poi indossarla. “Ora posso passar indisturbato davanti alla finestra, vero?”
Quando si voltò, si trovò Peter in piedi davanti a sé, “Dai, lo sai…” disse allungando le braccia e prendendolo per i fianchi, attirandolo a sé.
Neal lo abbracciò a sua volta, posando la testa sul suo petto. Lo sapeva, lo sapeva bene, e non era semplice per nulla, non aveva mai pensato potesse essere diversamente -sperato, quello sì, era sempre e ostinatamente colui che credeva nel lieto fine.
“Hm… direi che un bagno ci starebbe bene ora”, annunciò contro il collo di Peter, posandovi un piccolo bacio alla fine della frase.
“Non è una cattiva idea”, convenne l’uomo e prima che potesse dire altro Neal era già scivolato dalla sua presa, diretto nella stanza di fronte.

Il telefono squillò, impedendogli di seguirlo.
“Burke.”
“Ehi, tesoro, tutto bene?” domandò sua moglie, preoccupata.
Anche da centinaia di miglia di distanza riusciva a comprenderlo in un istante, a notare ogni inflessione della sua voce.
Peter sospirò, mandando via la tensione, e sorrise. “Sì, non preoccuparti, è tutto a posto.”
“Il cellulare è spento…”
“Oh, sì… ma tanto sono rimasto a casa”, disse mordendosi un labbro.
“Capisco. Sicuro sia tutto a posto?” domandò ancora sua moglie.
“Certo, è stata una giornata molto oziosa, forse è per questo che sono ancora un po’ confuso”, rispose e non aveva nemmeno finito di parlare che Elizabeth si era messa a ridere, “Ehi!”
“Scusa, tesoro, ma… tu che ti prendi una giornata per far nulla? Ti hanno incatenato da qualche parte, per caso?” propose, sempre tra le risa.
“Più o meno…”
“Neal?”
“Sì”, rispose dopo alcuni istanti, chiudendo gli occhi e stringendo istintivamente la presa sulla cornetta.
“Per una volta è stato gentile, in genere è lui che ti trascina via.”
“Già… Ma piuttosto, come va lì?” domandò poi Peter.
“Per fortuna c’è bel tempo, abbiamo finito di pranzare poco fa in un tavolino all’aperto; ti sarebbe piaciuto”, rispose entusiasta. “Abbiamo fatto molte cose questa mattina, quindi poi Gina mi porterà a fare un giro per la città.”
“Fantastico.”
“Assolutamente. Ringrazia Moz per avermi messo in contatto con lei.”
“Lo dirò a Neal.”
“Cosa?” domandò il ragazzo, rientrato nella stanza, al sentire il proprio nome.
“È lì? Passamelo”, gli disse El al telefono; Peter alzò gli occhi al cielo e obbedì restando a guardare Neal, ancora avvolto in quella maglia un po’ troppo grande per lui.
“Ciao, Elizabeth!” salutò allegramente lui, restando poi in silenzio ad ascoltar le parole della donna. “Sarà felicissimo di sentirlo. Glielo dirò sicuramente”, disse ancora e dopo pochi secondi si mise a ridere.
“Ho capito. Sì, non preoccuparti”, rispose senza perdere il tono gioioso. “Okay, ti ripasso Peter. Ciao.”
“Cosa gli hai detto?” domandò serio.
“Non molto più di quello che ho detto a te”, rispose lei, nella voce la solita nota divertita che aveva sentito in quella di Neal.
“Hm…”
“Si parlava di Mozzie e Gina, dai!” esclamò lei, non trattenendo una risata. “Oh, mi chiamano. Ci sentiamo dopo, ti amo.”
“Okay. Ti amo anche io”, disse prima di posare il ricevitore al proprio posto.
Neal si posizionò alle sue spalle, abbracciandolo da dietro, “Vuoi fare ancora quel bagno?”
“Sicuro.”
Probabilmente ne aveva ancora più bisogno di prima.

Neal guidò Peter fino in bagno, dove li attendeva la vasca già riempita, e lo aiutò a spogliarsi.
“Non sono un bambino, lo sai?” domandò l’uomo sulle sue labbra.
L’ex truffatore sorrise. “Entra”, disse solo baciandolo, per far morire lo sbuffo fasullo dell’altro.
Quando il federale ebbe eseguito l’ordine, si denudò a sua volta e lo raggiunse nella vasca.
Si era messo a sedere dietro di lui e cominciò a bagnargli i capelli; gli piaceva sentirlo rilassarsi sotto i suoi tocchi, era qualcosa che lo rendeva felice, anche se probabilmente lui l’avrebbe trovata una cosa ridicola.
“Perché stai ridendo?” domandò Peter, alzando la testa verso di lui, per cercare di vederlo.
Neal scosse la testa. “Niente”, rispose ancora allegro.
“Non sei convincente.”
Il ragazzo rise nuovamente mentre lo abbracciava e gli si avvicinava per sussurrargli all’orecchio un “Ti amo”, quindi lo baciò sul collo.
“Ruffiano.”
Neal rise per l’ennesima volta. Per quanto Peter avesse sempre dimostrato un chiaro fastidio verso i suoi metodi, non si poteva certamente dire che li odiasse davvero… li invidiava, probabilmente, almeno un po’. E lui aveva sempre trovato il modo per farlo capitolare, comunque, ai propri voleri. Ultimamente era solo diventato più facile.
Stando attento a non scivolare, si alzò e uscì dalla vasca solo per rientrarvi davanti al compagno -che nel frattempo si era spostato più indietro.
“Io preferisco dire gentile e disponibile”, rispose abbassandosi su di lui per baciarlo ora sulle labbra, mentre con una mano si reggeva al bordo della vasca e l’altra vagava sul suo corpo. E, da come stava reagendo, poteva giurare che Peter non era disturbato da nessuna delle due cose; al contrario, dimostrava di saper bene restituire sia la gentilezza che la disponibilità.
“Cominciavo a sospettare che questo dopo non arrivasse più”, fu una delle ultime frasi sensate che uscirono dalla sua bocca per diverso tempo a seguire.

La giornata era quasi a fine; i cartoni di due pizze erano posati sul tavolino basso del salotto -dentro c’erano rimasti ancora qualche spicchi della pietanza- assieme a un bicchiere di vino rosso e una lattina di birra, mentre i due uomini si trovavano sul sofà. Neal aveva concesso a Peter di scegliere l’attività per il dopo cena e l’uomo si era rifiutato categoricamente di perdersi la partita che avrebbero trasmesso in tv, così si era comodamente sistemato sul proprio divano lasciando l’altro libero di fare ciò che più preferisse. Non aveva idea di cosa avrebbe combinato, temeva avrebbe trovato modo per disturbarlo, e invece Neal aveva continuato a prendere seriamente il proposito di rilassarsi; se lo era ritrovato, quindi, a leggere un libro, sdraiato accanto a sé e con la testa poggiata sulle proprie gambe.
Sorrise, istintivamente e senza riuscire a mettere a fuoco l’esatto pensiero che lo aveva fatto sorridere.
“Grazie”, sussurrò appena.
Neal non rispose, ma cercò la sua mano con la propria, intrecciando poi le loro dita in un gesto che valeva molto più di tante parole e sorridendogli quando incrociò i suoi occhi.
Magari, Peter avrebbe anche potuto accettare di avere nuovamente una giornata dedicata al far nulla.




Risposte ai commenti (anche futuri)

Cory90 Sono contenta che la vediamo uguale, e soprattutto che la fic ti sia piaciuta! ^__^
*Non siamo noi slasher che ci lasciamo trascinare da cose inesistenti sono loro che ci trascinano violentemente nello slash!*
Parole sante, amica mia, parole sante! XD Tra Tim che se ne esce con certe interviste (vedi note qui e alla fic sull'Ira) e si 'fa beccare' a... contemplare il fondoschiena di Matt e lo stesso che non riesce a distrarsi troppo dal collo e la bocca di Tim, e entrambi che sempre più non possono fare a meno di guardarsi e chiedersi conferme con lo sguardo prima di rispondere a una domanda (spero qualcuno prima o poi glielo farà notare, tipo "Ehm, potreste ripetere la risposta... ehm... vicino al microfono?" xD) c'è poco da dir 'cose inesistenti' (per quanto riesca benissimo a capire entrambi)... XD
Grazie! :D

@Simphony ops, sono un po' in ritardo con la risposta... T///T Che dire, mi fa enormemente piacere che ti siano piaciute! (e scusa il 'gioco di parole' XD) Inoltre, le tue parole sono enormemente gratificanti! Grazie mille!! *______*

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