Lacrime di Nessuno

di F a i r
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Chapter I: Ci rivedremo ***
Capitolo 2: *** Chapter II: Una promessa è una promessa ***
Capitolo 3: *** Chapter III: Fotografie ***
Capitolo 4: *** Chapter IV: Conoscenza vecchia o nuova? ***
Capitolo 5: *** Chapter V: Ricordi ***
Capitolo 6: *** Chapter VI: Una sorpresa inaspettata ***
Capitolo 7: *** Chapter VII: Di nuovo insieme ***
Capitolo 8: *** Chapter VIII: Il risveglio ***
Capitolo 9: *** Chapter IX: L'inizio di una nuova avventura ***
Capitolo 10: *** Chapter X: Resa dei conti ***
Capitolo 11: *** Chapter XI: L'Organizzazione XIII ***
Capitolo 12: *** Chapter XII: La fuga ***
Capitolo 13: *** Chapter XIII: Un vecchio amico ***
Capitolo 14: *** Chapter XIV: Le tre gemelle ***
Capitolo 15: *** Chapter XV: Rimorso ***
Capitolo 16: *** Chapter XVI: Nella tana del nemico ***
Capitolo 17: *** Chapter XVII: Sacrificio per amicizia ***
Capitolo 18: *** Chapter XVIII: Una spalla su cui piangere ***
Capitolo 19: *** Chapter XIX: Atterraggio brusco ***



Capitolo 1
*** Chapter I: Ci rivedremo ***


Chapter I: Ci rivedremo
Era chiusa nel castello di Xemnas nella sua stanza odiosamente bianca. Naminé aspettava che riunione finisse e Roxas e Axel la raggiungessero.
La sua speranza era che “qualcuno” non li disturbasse in quel poco tempo che aveva per stare insieme.

Nel corridoio…
«Cosa farai?» chiese Axel ad un Roxas completamente assorto nei suoi pensieri.
Il ragazzo rimase in silenzio.
«Roxas?» chiamò alzando la voce quanto bastava per far rimbombare il richiamo nel corridoio vuoto.
Roxas sbatté due volte le palpebre e chiese: «che c‘è?».
«Ne parlerai a Nam?».
«Ci stavo pensando. Voglio trovare un modo per non farla soffrire».
«Non sarà semplice, si sentirà sola quando te ne sarai andato dal castello».
Roxas rimase a fissare il pavimento. «Dovrete andarvene anche voi» disse con voce mesta.
«Lo so, ma affrontiamo una cosa per volta» rispose Axel con un mezzo sorriso.
Il biondo cercò di far comparire un’espressione meno triste sul viso, alzò il capo e disse al suo migliore amico: «Stalle accanto e prenditi cura di lei, d’accordo?».
La sua voce era quasi supplicante. Dai suoi occhi traspariva una preoccupazione che non sarebbe dovuta esistere in un Nessuno.
Axel fu sorpreso dal tanto affetto che Roxas provava per Naminé. «Sta tranquillo» promise. «Lo farò».
Roxas abbozzò un sorriso.
Raggiunsero la porta e Roxas bussò una volta lunga e due corte.
Naminé si avvicinò alla porta e disse: «We’ll…»
«…meet again» completò Roxas e la ragazza aprì la porta.
Appena entrarono, Naminé chiese: «Com’è andata?».
«Niente di nuovo» rispose Axel. «Xemnas è ancora intenzionato ad aprire Kingdom Hearts per riavere un cuore, ma…».
«Ma?» chiese Naminé.
Axel guardò Roxas come per dire: “E’ arrivato il momento di dirglielo. E‘ meglio che non lo scopra da sola”. Poi si fece da parte.
Roxas prese un lungo sospiro e cominciò: «Nam, domani devo andarmene. Non so quanto tempo starò via ma ti prometto che tornerò, quando tutto sarà finito».
Quando Roxas finì di parlare, Naminé rimase in silenzio e si sentì crollare il mondo addosso. Poi disse: «perché? Cosa non so?».
«Qualcuno ci ha traditi» si intromise Axel. «Xemnas comincia a sospettare che Roxas non sia esattamente il burattino che lui si aspettava, quindi...».
Naminé rivolse ad entrambi uno sguardo preoccupato. «Significa che…?» cominciò la ragazza.
«Sì» confermò Roxas. «Vuole eliminarmi per impedire a Sora di svegliarsi. Sa che ha bisogno di me».
Fra i due calò il silenzio, mentre Naminé si sentiva profondamente in conflitto: aveva promesso a Sora che avrebbe seguito il suo risveglio, ma quando aveva conosciuto Roxas, le carte in tavola erano cambiate e non aveva più saputo decidere.
«Ci rincontreremo, vedrai» esordì Roxas rompendo il silenzio.
Naminé sorrise a quel tentativo, anche se sapeva bene più di chiunque altro che non sarebbe potuta andare diversamente.
Gli avvolse le braccia attorno all’addome come se fosse convinta che da un momento all’altro potesse scomparirle davanti agli occhi. «Però fai attenzione» si raccomandò.
Roxas sorrise divertito da quella raccomandazione e annuì, ricambiando l'abbraccio.
Passarono il resto della giornata insieme, pensando a cosa avrebbero fatto quando quella situazione sarebbe passata.
«Il minimo che potremmo fare sarebbe andare a Crepuscopoli e comprare un gelato al sale marino» disse Axel.
Naminé sussultò con una risata, mentre aveva la guancia sulla spalla sinistra di Roxas e lui le cingeva le spalle con il braccio e poggiava il capo sui suoi capelli biondi.
«Quello era scontato» esclamò Roxas rivolto ad Axel.
Nel Mondo che Non Esiste non c‘era qualche paesaggio che ispirasse tranquillità, ma tutti e tre immaginavano il tramonto di Crepuscopoli, seduti sulla torre della Stazione.
Purtroppo la giornata passò più in fretta di quanto avessero voluto e furono costretti a salutarsi per l‘ultima volta.
«Mi mancherai tanto» disse Naminé.
«Anche tu mi mancherai» rispose Roxas. «Quando sarà possibile, tornerò a prenderti».
La ragazza restò in silenzio cercando di convincersi che si trattasse della verità.
Si abbracciarono per l‘ultima volta, Naminé si sentiva protetta quando Roxas la stringeva. Sarebbero rimasti così per sempre. Ma non si scambiarono un bacio d‘addio. Nessuno dei due si sentiva pronto. Sapevano che non era ancora il momento giusto.
Axel, che era rimasto in disparte, si schiarì la voce per attirare la loro attenzione.
I due lo guardarono e Axel disse: «Non vorrei interrompervi, ma è ora di andare».
«Sì, andiamo» aggiunse Roxas. Si allontanò dalla ragazza e prima di andare la baciò sulla guancia.
Rimasta sola, la ragazza si sfiorò la guancia baciata con il dorso della mano.
Axel accompagnò Roxas all‘uscita del castello.
«Stammi bene, amico» fu il suo saluto.
Roxas lo fissò per una frazione di secondo e lo abbracciò.
Axel rimase sorpreso da quel gesto e ricambiò l‘abbraccio. Lo separò da sé e Roxas capì che era il momento di andare. Sorrise, si voltò e si allontanò.
Ora poteva cominciare il viaggio che avrebbe voluto intraprendere tanto tempo prima: incontrare Sora.
Uscito da quel “mondo-di-mezzo” si ritrovò nel caldo sole morente di Crepuscopoli.

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Capitolo 2
*** Chapter II: Una promessa è una promessa ***



Chapter II: Una promessa è una promessa
La mattina dopo, Naminé era seduta sul suo letto. Aveva in mano il suo blocco che usava per disegnare. Era più un‘abitudine che altro, perché aveva in mano la matita, ma non sapeva cosa ritrarre.
Fissava il foglio bianco, persa nella sua testa, e senza che se ne rendesse conto le scivolò una lacrima sulla guancia che cadde sul blocco lasciando un perfetto cerchio bagnato.
Era tanto distratta che non sentì il sordo cigolio della porta della sua stanza.
Di soppiatto entrò una figura scura che non poteva ben nascondersi nella camera completamente bianca.
Naminé intravide un‘ombra e alzò lo sguardo. Ispezionò la stanza con occhi sospettosi, ma non trovò nulla d’insolito.
Non era più tranquilla. Sentiva che qualcosa non andava.
All‘improvviso l‘oscura figura la afferrò alle spalle con una risatina acuta.
«Adesso non hai più nessuna protezione, eh?» esclamò con la stessa voce stridula.
Si scoprì il capo dal cappuccio nero rivelando dei capelli biondi.
«Larxene!» esclamò Naminé che stava per essere strozzata dalla sua stretta.
Nel frattempo, Axel stava per raggiungere la porta della stanza, quando Marluxia gli si parò davanti.
«Non è il momento!» esclamò irritato il numero VIII dell‘Organizzazione. «Ho di meglio da fare» concluse cercando di superarlo.
Ma Marluxia intromise la sua falce davanti alla porta. Voleva infastidire Axel a tal punto da indurlo ad affrontarlo.
«Ti ho detto…» cominciò il ragazzo con voce falsamente calma. «…che non è il momento!» ruggì.
Alzò la mano destra e chiamò a sé i suoi chakram avvolti da fiamme. Li afferrò soppesandoli e guardò Marluxia, aspettando la sua reazione.
L‘uomo sorrise fra sé soddisfatto. Lo squadrò, afferrò la falce con entrambe le mani e scagliò un fendente diretto alla sua spalla destra. Axel aspettò che l‘arma del suo avversario arrivasse quasi a toccargli il soprabito nero e poi balzò indietro evitando il colpo. Non era intenzionato ad attaccare, voleva solo stancare Marluxia.
Quello invece faceva sul serio e più Axel cercava di evitare il confronto diretto, più lui s’irritava e proseguiva il suo inseguimento scagliando attacchi sempre più feroci.
Uno di questi andò a segno, colpendo Axel alla schiena vicino alla spalla sinistra. Il colpo era stato ben studiato in modo da impedirgli l‘uso di una delle due armi e dimezzare le potenzialità d’attacco del ragazzo.
Axel gli lanciò un’occhiata inferocita e scagliò il chakram contro Marluxia, senza mirare in modo preciso e per l‘avversario non fu difficile evitare l‘attacco.
Axel richiamò l‘arma osservando Marluxia che sorrideva compiaciuto della riuscita del suo inganno.
Ti faccio pentire di essere nato! pensò Axel con rabbia e corse abbastanza in fretta da poter scagliare contro l’avversario entrambi i chakram, uno dopo l’altro con la stessa mano.
Marluxia evitò il primo, ma non riuscì a schivare il secondo che lo colpì in pieno petto avvolgendolo in delle fiamme per qualche istante.
Axel rimase in attesa dell‘esito del suo attacco.
Marluxia sembrava finito. Non muoveva muscolo, ma non cadeva a terra senza vita.
Al contrario di ogni aspettativa, l‘uomo guardò Axel con sguardo sfidante, estrasse il chakram che lo aveva colpito e lo gettò via. Senza aspettare alcuna reazione, impugnò la falce e scagliò un altro potente attacco, come se Axel non gli avesse inferto il minimo danno.
Il ragazzo si allontanò con prodezza in direzione dell‘arma che voleva recuperare.
L‘afferrò e ripartì in una corsa sfrenata per non essere colpito di nuovo da Marluxia. La spalla gli dava problemi. Reggeva i chakram a malapena, figurarsi lanciarlo e recuperarlo senza lasciarlo cadere. Questo comprometteva ogni suo tentativo e Marluxia diventava sempre più invincibile.
Il dilemma di Axel era pensare a cosa stesse succedendo a Naminé in tutto quel tempo che Marluxia gli stava facendo perdere. Il numero XI non agiva mai da solo e Axel lo sapeva molto bene. Non gli avevano perdonato di averli traditi quando erano quasi riusciti a rovesciare l‘Organizzazione. Perciò volevano fargliela pagare e Naminé rischiava di fare una brutta fine se non si fosse sbrigato.
Questo pensiero lo assillava e in quel momento decise di farla finita. Si fermò e Marluxia gli fu subito vicino. Attaccò ancora e Axel parò con il chakram che aveva nella mano destra. Le due armi cozzarono con un rumore metallico e per la forza dei due colpi si allontanarono di circa un metro.
Axel non aspettò di riprendere l‘equilibrio e attaccò di nuovo Marluxia indirizzando l‘arma verso il fianco sinistro.
L‘uomo si fece indietro, ma non abbastanza e l‘arma gli provocò una ferita superficiale e gli strappò il soprabito. Ma nulla di grave dopotutto.
Perciò Axel decise di ricorrere alle risorse estreme e utilizzare il suo elemento: il fuoco.
I chakram furono avvolti da fiamme, mentre Marluxia si faceva indietro per ristabilire il peso dell’arma.
Axel ricominciò la lotta, intenzionato a concluderla. La promessa che aveva fatto a Roxas l’avrebbe mantenuta anche a costo della vita.
Per questo attaccò ancora l‘avversario, per quello che il braccio gli permetteva. Il colpo era diretto alla clavicola di Marluxia.
L‘uomo parò il colpo con la falce e Axel lo scartò finendo alle sue spalle. Aveva poco tempo. Il nemico si sarebbe voltato in fretta e Axel fu costretto ad usare il braccio sinistro, ferito, per poterlo finire. Lanciò il chakram contro Marluxia, trafiggendogli il fianco destro e provocandogli un ferita moto profonda. Improvvisamente, gli sembrò che la spalla fosse di fuoco e in quel momento Axel credette di sentirsi il cuore battergli nella profonda ferita.
Marluxia rimase immobile e dopo qualche istante cadde a terra senza vita. Il suo corpo cominciò a diradarsi in polvere e in poco scomparve, non lasciando alcun segno del suo passaggio.
Axel recuperò il chakram e sparì in un corridoio oscuro per comparire nella stanza di Naminé. Lì trovò Larxene che teneva la ragazza per il ventre e il collo.
«Larxene, lasciala» le disse Axel serio.
«E perché dovrei?» chiese lei con tono di sfida.
Il ragazzo cominciò ad avvicinarsi osservando prima Larxene e poi Naminé, il cui collo era stato ferito in modo leggero da uno dei coltelli di Larxene.
«Prenditela con qualcuno della tua taglia!» sfidò Axel.
Larxene rise a quella provocazione.
«Cosa c‘è?» provocò a sua volta. «Ora che il tuo amico non c‘è, puoi prenderti cura di lei senza ostacoli, eh?».
«Cosa?!» sbottò Axel.
«Credi che non abbia sentito tu e il tuo amichetto che confabulavate? Ora che so che tradirai l‘Organizzazione, posso eliminarti anche con il consenso di Xemnas».
«Tu!» esclamò allora Axel. «Strega, come ti sei permessa di ascoltare ciò che ci siamo detti io e Roxas?».
«Passavo di là» rispose lei con tono innocente. I suoi grandi occhi verdi tradivano un gran divertimento nel guardare la frustrazione altrui.
«La prossima volta ci penserai due volte prima di immischiati in una faccenda come questa!».
Larxene rise di nuovo. «Oh, e che avresti intenzione di fare? Passerai sul cadavere del piccola Naminé?»
Axel trattenne a stento l’odio che stava maturando contro Larxene e gli bastò uno sguardo per far prendere fuoco al soprabito dell’avversaria.
«Brutt-!». Larxene cominciò a dimentarsi per far spegnere le fiamme e tanto bastò a Naminé per divincolarsi dalla sua stretta e correre verso Axel in lacrime.
Il rosso sentì un profondo senso di rammarico invaderlo e la face rifugiare sotto il suo braccio.
«Sta‘ tranquilla, Nam» rassicurò Axel sussurrando. «Andrà tutto bene».
Poi la guardò e lei capì che doveva farsi da parte.
Larxene si avventò su Axel, impugnando i suoi kunai azzurri, senza alcun preavviso e il ragazzo parò in avanti i chakram spingendola in avanti.
Naminé si spostò in un angolo riparato e non poté far altro che osservare la scena impietrita.
Axel bloccò i kunai fra le fessure di una delle armi. Appena Larxene fu completamente immobilizzata, Axel lanciò il chakram e la donna fu trascinata sul pavimento bianco fra qualche scintilla.
Larxene si rialzò subito senza alcun danno grave: aveva il polso leggermente slogato e qualche ustione sulle dita. Lo guardò minacciosa e dai suoi occhi si poteva intravedere una piccola nota d’isteria. Partì una scarica elettrica, segno che Larxene si stava innervosendo.
Axel si allontanò di circa mezzo metro per sicurezza, aspettando l’intervento della donna. Impulsiva come sempre, quella scattò di nuovo verso di lui, avvolta da fulmini e saette.
Dopo alcuni attacchi senza esito, Larxene cominciava a stancarsi e, ai kunai e all’elettricità, preferiva colpi diretti con calci e pugni.
Vista la situazione nervosa della donna, Axel sorrise soddisfatto e lanciò il chakram verso il collo di Larxene. Lei si riparò con il braccio e le procurò un taglio superficiale sulla guancia. I due continuarono lo scontro sotto gli occhi di Naminé che osservava sperando che finisse in fretta. Stava pensando al probabile affronto che c’era stato fra Axel e Marluxia e a come il ragazzo avesse fatto a sconfiggerlo.
Mentre li osservava, notò la ferita alla spalla sinistra di Axel e solo in quel momento capì perché era così lento e attento nei movimenti, cosa che non era da lui.
Nonostante ciò non impiegò molto tempo a ridurre la donna in uno stato tale da non poter continuare la battaglia.
Axel la costrinse al muro, ma lei, prima che il ragazzo potesse finirla, aprì un corridoio oscuro e sparì attraverso la parete con un sussurro intimidatorio: «Non finisce qui! Prega di non incontrarmi ancora».
Axel rimase imbambolato per una manciata di secondi che gli impedirono di fermarla. Poi scagliò il chakram contro il muro, ma riuscì solo a danneggiarlo.
Naminé gli si avvicinò e lo abbracciò.
Axel la guardò e si piegò per raggiungere la sua altezza.
«Stai bene?» chiese con voce calma, quasi paterna.
La ragazza annuì, mentre Axel esaminava la sua ferita, per assicurarsi che non fosse nulla di grave.
«Adesso, ci conviene andare» riprese. «Prendi quello che ti può servire, dobbiamo fare in fretta».
Naminé obbedì e mentre raccoglieva quelle poche cose che aveva chiese quasi felice di andarsene: «Dove andiamo?»
«Non lo so ancora» rispose Axel. «Nel posto più lontano da qui. Ho la remota speranza di trovare Roxas».
Al nome di Roxas, Naminé si rattristò. Solo ora aveva ricordato quanto le mancava.
«Perché vuoi trovarlo, Axel?» sussurrò scura in volto e seguì l’amico nel corridoio oscuro. «Lui ha fatto la sua scelta...»
«Perché temo che commetta qualche imprudenza» rispose Axel.
Naminé si sorprese a quella risposta. «Non capisco cosa intendi».
«Te lo spiegherò appena saremo al sicuro» promise il rosso e anche loro si trovarono in poco tempo a Crepuscopoli, con la priorità di allontanarsi da lì in fretta. Quello sarebbe stato il luogo nel quale li avrebbero cercati, perché erano a conoscenza delle loro abitudini. Pertanto, decisero di fermarsi nelle campagne periferiche, per pianificare dove andare.

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Capitolo 3
*** Chapter III: Fotografie ***



Chapter III: Fotografie
Si sistemarono in una zona discreta vicino ad una fonte.
Arrivava la pseudo-notte di Crepuscopoli e ne approfittarono per riposare e recuperare le forze. Accesero un fuoco discreto, che non attirasse troppo l’attenzione. Ci si sedettero intorno e rimasero ad osservare il fuoco che crepitava.
Mentre guardava la legna ardente, Naminé si ricordò che Axel era ferito. Perciò si alzò senza molte spiegazioni e cominciò a rovistare nella sua borsa bianca.
«Cosa cerchi?» chiese Axel.
Naminé non rispose, rimanendo chinata. Quella sua borsa non le era sembrata tanto piena di cianfrusaglie fino a quel momento. Estrasse del disinfettante, dell’ovatta e delle bende. Li mostrò ad Axel dicendo: «Questi. Voglio medicarti quel taglio».
Axel lanciò un’occhiata alla spalla sinistra e disse: «Ma no! Non ce n’è bisogno».
La ragazza gli girò intorno e cominciò a scoprirgli la schiena. «Lo deciderò io» disse.
Osservò la ferita. Era molto più grave di quanto Axel non volesse far credere. Non voleva pensare a ciò che sarebbe successo se non se ne fosse ricordata. Cominciò a ripulirla mentre parlava: «Non venirmi a dire che questa è una fesseria, Axel».
«Lascia stare, Nam!» protestò lui.
«Non esiste!» ribatté la ragazza.
«Ne ho viste di molto peggio – ah! Hey Nam!»
«Ti lamenti come un bambino».
«Ma fa male!»
«Che fine ha fatto la tua forza, Axel?»
Allora Axel la guardò imbronciato e non ribatté.
Naminé non impiegò molto tempo a medicare la spalla di Axel e quando finì, chiese: «Non ti senti meglio?».
Axel si stiracchiò, mosse la spalla, poi il braccio.
«Fai miracoli con quel disinfettante, lo sai?» disse Axel sorridendo.
La ragazza sorrise, appena imbarazzata e tornò a sedersi vicino al fuoco.
«Che cosa facciamo adesso?» chiese mettendosi le braccia attorno alle gambe.
Axel sospirò. «Non lo so, l’Organizzazione ti da la caccia ora che Roxas non c’è più e io sono un traditore».
«Dà la caccia a me?!» chiese Naminé sopresa e gli lanciò un’occhiata indagatrice.
«Il patto era che tu saresti stata salva finché lui avesse adempiuto ai suoi compiti» rispose Axel. «Ma credo che Xemnas si aspettasse che dopo i primi contatti con te, Roxas sarebbe cambiato e ha cominciato a meditare di eliminarlo».
Naminé restò in silenzio ad ascoltare mentre una sola domanda le frullava in mente: «Da quanto tempo sapete questa cosa?»
Axel esitò. «Il patto esiste da quando sei venuta con me dal Castello dell’Oblio, mentre… eliminazione di Roxas è un progetto recente».
Naminé si portò una mano sugli occhi, mentre pensava che fino al quel momento aveva vissuto sull’orlo di un baratro di cui ignorava l’esistenza, e di colpo si sentì stanca.
«Magari ditemelo la prossima volta che rischio la vita anche solo respirando» sussurrò ancora incredula, ma scoprì di non riuscire ad essere arrabbiata con nessuno dei due anche se non seppe spiegarsi il perché.
Più tardi si coricarono, ma senza stare troppo vicini. Axel non aveva mai avuto problemi a coccolare Naminé, finché erano stati tutti e tre insieme.
Adesso si sentiva strano a starle troppo vicino, soprattutto dopo quello che Larxene gli aveva detto al castello. Voleva bene a Naminé, quanto ne voleva a Roxas e forse proprio perché sapeva quanto l’amico tenesse a lei.
Mentre pensava, la osservava prepararsi il giaciglio freddo.
Si alzò, coprì parte del legname con del terreno ed entrambi andarono a dormire.
Erano passate circa tre ore, quando Axel si svegliò e vide Naminé rannicchiata che dormiva, ma tremava appena.
Anche se si era ripromesso di non farlo, gli sembrava ingiusto farsi condizionare da qualche sensazione infondata. Che ragione aveva di pensarci? Larxene non doveva avere nessuna voce in capitolo in quella faccenda. Perciò si alzò, le si avvicinò e si stese accanto a lei. La abbracciò, cingendole le spalle per riscaldarla.
«Roxas...» mormorò Naminé nel sonno e smise di tremare. Si girò e si sistemò poggiando la testa sul petto di Axel senza svegliarsi e lui rimase a guardarla dormire.

E pensare che eri così piccola quando ti trovai…

Ricordava bene quel momento. Xemnas l’aveva inviato al Castello dell’Oblio insieme ad altri membri dell’Organizzazione. Voleva che conducessero delle ricerche all’interno di quel labirinto di stanze bianche.
Axel non aveva mai avuto molto da fare lì. Non era uno studioso e la ricerca dell’Organizzazione non gli interessava più di tanto. Piuttosto era curioso di sapere cosa ci fosse in quel castello di tanto importante e perciò gironzolava a caccia di indizi. In realtà non aveva un vero interesse, era solo per passare il tempo. Gli piaceva credere di essere alla ricerca di qualcosa di nuovo e misterioso.
In una di queste sue esplorazioni raggiunse la stanza più alta dove trovò una ragazzina bionda con un blocco da disegno in mano. Era intenta a disegnare tutto ciò che le veniva in mente, seduta su una sedia bianca come il resto del castello.
Non si spaventò quando lo vide, cosa che lo sorprese molto. Piuttosto sorrise e gli mostrò il disegno che stava facendo.

 

Sorrise. Ricordò di essersi sentito strano, osservando quel gesto.
Alzò lo sguardo al cielo rosso fuoco. Se si osservava bene si intravedeva anche qualche stella. Pensò di nuovo a Roxas.
Chissà dove sei ora, amico pensò. Ho fatto la cosa giusta, vero?
Non passò che qualche minuto che si addormentò anche lui.
La mattina seguente, Naminé aprì gli occhi e si ritrovò davanti gli occhi verdi di Axel che la guardavano. Non se ne accorse subito, d’istinto si alzò a sedere e andò a sbattere la fronte contro la sua.
Axel si spostò dolorante con il volto fra le mani.
«Scusami, Axel!» esclamò Naminé.
«Tu!» disse Axel indicandola. «Tu sei l’alter ego gentile di Roxas!» sbottò.
Lei rise appena ripensando a quando Roxas le aveva raccontato l‘episodio e a come Axel interrompesse continuamente per giustificare quello che Roxas raccontava. «Ti rispose così solo perché non ti perdonava di averlo fatto entrare nell’Organizzazione» gli fece notare. «Se non fosse stato per te avrebbe vissuto sempre a Crepuscopoli senza tutti questi problemi».
«Se non fosse sto per me» ripeté Axel. «Voi due non vi sareste mai conosciuti» precisò puntandole l‘indice. «Non hai altro disinfettante?».
«Solo in caso di necessità» rispose Naminé sorridente.
Subito dopo, sistemarono la zona in cui avevano dormito, per non lasciare tracce molto evidenti. Cercarono di far restare l’Organizzazione senza indizi su dove avessero intenzione di andare.
Passarono molti giorni tranquilli durante i quali i ragazzi ebbero anche modo di visitare altri mondi. Prima di lasciare Crepuscopoli, si procurarono una macchina fotografica. Utilizzarono quasi tutti il rullino, ma Naminé volle conservare gli ultimi due o tre scatti per quando avrebbero trovato Roxas.
Axel rimase sorpreso da quella richiesta. Per quanto ne sapeva potevano anche non rivedersi mai più.
«E dai, Axel!» pregò Naminé, mentre erano di nuovo intorno ad un falò crepitante.
Axel sospirò fingendosi esasperato e le diede la macchina fotografica. Lei la prese e la ripose nella borsa bianca dove conservava tutto quello che aveva preso come souvenir da ogni mondo.
Più il tempo passava, più la ferita di Axel si rimarginava e i ragazzi dimenticavano di essere in fuga. Quasi sembrava che si fossero in vacanza, si fossero presi un periodo di pausa.
Era come voleva farlo sembrare a Naminé. Qualcosa che non le pesasse. Non voleva addossarle la tristezza e la paura. Perciò la trattava sempre con gioia e spensieratezza, per non farle pesare quella situazione.
Forse anche Axel si stava abituando a quel modo di vivere e cominciò ad abbassare la guardia. Se all’inizio del viaggio aspettava due o tre ore prima di coricarsi, ora aspettava solo mezz’ora o un’ora e poi andava a dormire con Naminé.
Non controllava più se fossero seguiti, stava sottovalutando la possibilità di essere rintracciati.
Era notte fonda quando si svegliò perché aveva sentito un rumore di foglie calpestate. Si alzò lasciando Naminé sola e si allontanò nella boscaglia.
Era buio e la visibilità era scarsa. Axel camminava lentamente esaminando ogni particolare.
All’improvviso il silenzio della notte fu squarciato da un urlo. «Axel!» diceva.
Idiota, perché l’ho lasciata sola?! si rimproverò il ragazzo mentre correva verso il fuoco.
Lo raggiunse solo per avere il tempo di vedere un uomo incappucciato, che portava il suo stesso soprabito, sparire in un corridoio oscuro.
Era arrivato tardi. Che razza di protezione aveva dato? L’unica cosa che Roxas gli aveva chiesto era di proteggere la persona a cui teneva di più al mondo. Con quale scusa si sarebbe giustificato? No, non voleva giustificarsi, né con se stesso, né con gli altri.
Era tutto e solo colpa sua.
Con questi pensieri per la mente, si diresse malinconico verso il fuoco quasi spento a sguardo basso. Mentre lo raggiungeva gli cadde l’attenzione sulla borsa di Naminé. La prese con un gesto gentile, quasi fosse una parte di lei. L’aprì e cominciò a vedere cosa c‘era dentro. Trovò la macchina fotografica , il disinfettante, l’ovatta e tanti altri piccoli oggetti che Naminé aveva raccolto tra cui anche la stecca dell‘ultimo ghiacciolo che avevano preso tutti e tre insieme. Pensò ancora a lei e si sentì come se avesse qualcosa nel petto: quel cuore che non aveva. Era la stessa sensazione che aveva quando tempo prima pensava che Roxas sarebbe potuto andar via.
Ma lasciamo Axel a sé stesso. Cosa stava succedendo a Roxas?

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Capitolo 4
*** Chapter IV: Conoscenza vecchia o nuova? ***



Chapter IV: Conoscenza vecchia o nuova?
Il nostro Roxas aveva intrapreso un lungo viaggio alla scoperta di se stesso. Incontrare Sora era il suo obiettivo principale e, per quanto sapesse di poterlo trovare a Crepuscopoli, la solitudine lo portò a rimuginare sui ricordi che aveva della sua vita.
Qual era stato il suo compito nell’Organizzazione?
Raccogliere cuori ricordava la voce di Axel, forse un po’ troppo meccanica.
Xemnas voleva raccogliere cuori e creare un nuovo Kingdom Hearts per avere un nuovo cuore… Qualcosa dentro di lui continuava a ripetergli che c’era qualcosa di sbagliato nelle intenzioni di Xemnas, ma non riusciva a ricordare il perché.
Quel pensiero era così persistente da riuscire a togliergli il sonno e perciò decise infine che c’era qualcosa che doveva fare prima di ricongiungersi a Sora.
Perciò si diresse verso la piazza del Grattacielo che conduceva alla strada più breve per raggiungere il castello di Xemnas.
Continuava anche a chiedersi se Naminé e Axel stessero bene e se fossero riusciti a sparire da quel mondo senza troppo clamore.
Camminava lentamente ai piedi del grande Grattacielo con quei pensieri per la testa, quando la sua attenzione fu attratta da un rumore di passi.
Si fermò per ascoltare meglio e ne sentì altri.
Rimase immobile e sentì camminare ancora il suo inseguitore.
<«Chi è là?» chiese calmo.
«È strano che non ricordi il mio nome» rispose la voce di un ragazzo che non doveva avere più di sedici anni.
«Huh?» fece Roxas voltandosi verso dove proveniva la voce.
Il ragazzo uscì dalla penombra delle case che affollavano la strada. Era alto e magro, vestito con un soprabito nero che lo faceva sembrare un membro dell‘Organizzazione.
Non era possibile guardarlo in volto: portava un cappuccio nero sul capo.
«È così che pensi ai tuoi amici, eh?» chiese il ragazzo scoprendosi la testa. Rivelò dei capelli argentei e una carnagione chiara. I suoi occhi erano coperti da una benda nera.
«Chi sei?» chiese Roxas con voce pacata. Il suo sguardo tradiva una sensazione di disagio, nascosta da un’espressione fredda e non curante.
«Il nome Riku ti dice niente?» chiese il suo interlocutore.
Riku? si chiese Roxas. Dove aveva già sentito quel nome? Naminé non lo aveva nominato qualche settimana dopo il loro primo incontro? E quel volto non l‘aveva già visto nei suoi sogni che aveva disturbato il suo sonno quando era entrato da poco nell‘Organizzazione?
«Cosa vuoi da me?» chiese ancora senza scomporsi.
«Dovresti sapere che Sora ci sveglierà presto, no?» rispose Riku.
«Tu cosa ne sai? Non sono affari che ti riguardano» interruppe Roxas. Detto questo si voltò e fece il primo passo verso il lato opposto della strada.
«Hey!» chiamò Riku alzando la voce che forse conteneva una piccola nota di rabbia. «Tu devi venire con me, altrimenti Sora non si sveglierà!» proseguì.
«E se io ti dicessi che non ho intenzione di seguirti?» disse Roxas senza voltarsi in tono di sfida.
Riku gli lanciò contro il suo Keyblade rosso e nero che gli era comparso nella mano destra.
«Che cos’è? Una sfida?» chiese Roxas.
«Vedremo se avrai ancora la faccia tosta di rispondermi così quando ti avrò sconfitto!» esclamò Riku che cominciava ad innervosirsi.
Roxas rise fra sé. «Non sai con chi hai a che fare» disse sottovoce più a se stesso che all’avversario.
Si voltò verso Riku, mentre gli comparivano in mano il Portafortuna e il Lontano Ricordo, il primo nella sinistra e il secondo nella destra.
Riku lo guardò in modo strano, forse era sorpreso dal fatto che potesse impugnare due Keyblade. Per quanto ne sapeva lui, neanche Sora poteva.
Roxas si diresse verso Riku e diede inizio allo scontro.
Riku recuperò il suo Keyblade, non avendo intenzione di tirarsi indietro. Attese l‘intervento di Roxas, che non si fece attendere.
Infatti, Roxas alzò il Lontano Ricordo e lo scagliò contro la spalla sinistra di Riku, che alzò il Keyblade e parò il colpo saltando indietro.
Roxas lo seguì, attaccò ancora e ancora. Riku lo aveva sfidato, alla lontana aveva toccato dei tasti abbastanza delicati e Roxas non era riuscito a restare calmo. Il pensiero di dover far risvegliare Sora, lo opprimeva e in parte lo spaventava: quasi ci stava ripensando. Sarebbe significato che non avrebbe più rivisto Naminé, né Axel; mai più.
Com‘era brutto pensarci; immaginarsi separati per sempre. Per evitare che succedesse continuava a colpire, forse anche un po‘ alla cieca.
Forse Riku non si era aspettato tanta forza in lui, forse credeva ancora di trovarsi di fronte al piccolo Sora con cui era cresciuto e che non riusciva mai a batterlo.
Tutta l‘energia di Roxas cominciò a metterlo in difficoltà e all‘ultimo fendente dell‘avversario, saltò verso l‘enorme grattacielo che assisteva silenzioso al loro scontro, raggiungendone la cima.
Roxas si guardò intorno spaesato per qualche secondo. Osservò la piazza, i vicoli e poi il cielo. Si era annuvolato. Le grandi nubi scure rendeva il cielo plumbeo e minaccioso. Una goccia di pioggia gli bagnò la guancia e Roxas abbassò la testa di scatto. Si sistemò il cappuccio sul capo anche se si intravedevano delle ciocche bionde.
Tornò ad osservare la strada e vide apparire delle macchie nere.
Cosa diavolo sono? si chiese sorpreso.
Dalle macchie indefinite, emersero degli strani esseri. La loro forma ricordava quella umana: mani e piedi erano molto grandi, con dita munite di lunghe unghie affilate. Il viso non mostrava lineamenti e dal capo partivano delle lunghe appendici che parevano orecchie. Gli esseri erano completamente neri e gli occhi gialli spiccavano nella notte.
Erano molto alti, forse più di due metri.
Un ricordo gli balenò nella mente, come una fotografia. Si era già trovato in una situazione simile, durante una missione con Axel: la sua prima missione. Anche se quelli che ricordava erano un po‘ diversi. Erano più bassi, lenti e goffi. Ricordò con un po‘ d‘amarezza la voce amica di Axel che diceva: “Sono Heartless. Ne vedrai parecchi d‘ora in poi”.
Heartless… Ecco qual era il nome di quegli esseri.
I nuovi nemici erano molto più svelti, agli e potenti rispetto a quelli con cui aveva avuto a che fare.
Con uno scatto sincronizzato le creature saltarono tutte verso Roxas. Il ragazzo intervenne subito per difendersi: saltò verso i nemici brandendo i due Keyblade, eliminandoli uno dopo l‘altro.
Era molto migliorato dall‘ultima volta!
Per sua sfortuna, appena la prima schiera di nemici di dissolse nell‘aria con uno sbuffo nero, una seconda la sostituì.
Roxas si guardò intorno sorpreso e forse anche un po‘ spaventato. Si scagliò ancora contro gli Heartless, ma nulla di nuovo: più ne sconfiggeva, più ne apparivano.
In un attimo di tregua, alzò lo sguardo. Riku era ancora lì. Con l‘arrivo degli Heartless si era quasi dimenticato di lui. Impugnando bene i Keyblade, balzò verso il grattacielo e corse lungo la facciata del palazzo, eliminando ogni essere che si frapponeva fra lui e Riku.
Raggiunta un‘altezza sostanziosa vide Riku gettarsi dalla cima del palazzo senza la propria arma in mano. Non capendo bene quali fossero le sue intenzioni, Roxas lanciò il Lontano Ricordo contro l‘avversario, che lo afferrò.
Entrambi tornarono al suolo schiena a schiena e si scagliarono contro la marea di Heartless che li circondava. In due riuscirono ad eliminarli in poco tempo, poi si guardarono e balzarono indietro per allontanarsi l‘uno dall‘altro.
Anche se si erano aiutati contro gli Heartless tornarono a scontrarsi.
Data la velocità con cui Riku attaccava, Roxas cominciò solo a difendersi.
Meglio farlo stancare pensò il ragazzo. Lui si è riposato e ha studiato il mio stile di combattimento, mentre io non ho avuto tregua.
Infatti Riku sembrava rinvigorito dalla sosta sulla cima del grattacielo e non era affatto affaticato. Continuò a sferrare fendenti a destra e a manca, cercando un breccia nelle difese di Roxas. Il ragazzo era provato. Non riusciva a tenergli testa.
Respinse altri colpi, ma all‘ultimo il ginocchio cedette e Riku lo disarmò, spingendolo indietro. Il colpo procurò a Roxas un taglio sulla guancia che cominciò a sanguinare.
Il ragazzo fu spinto con la schiena a terra. Rimase immobile.
Riku brandì in aria il Lontano Ricordo e lo conficcò nella fuga della pavimentazione della piazza a pochi centimetri dal petto di Roxas.
Si voltò come se volesse andarsene.
Roxas si rialzò a fatica. Afferrò il Keyblade che aveva accatto e corse di nuovo verso Riku. Quello si voltò e fece apparire il suo Keyblade per respingere il colpo dell‘avversario.
Deviò il colpo, ma finì a sua volta schiena al suolo.
«Dov‘è Xion?» chiese d‘improvviso. Il suo tono era molto nervoso.
Roxas non capì, ma quel nome gli rieccheggiò nella mente in modo inusuale. Di cosa stava parlando? Esitò. E se si fosse pentito di aver eliminato Riku? Si rese conto di non essere pronto e che d’improvviso c‘erano ancora troppe cose che non sapeva.. Quell‘esitazione bastò a Riku per farsi circondare da una coltre scura.
Il ragazzo si sollevò da terra di qualche centimetro e la coltre informe si trasformò in una sfera nero-violacea che in un‘esplosione di oscurità rivelò un uomo alto dalla carnagione olivastra.
Fluttuava in modo sinistro e alle sue spalle un enorme Heartless, più grande di qualsiasi altro Roxas avesse mai visto, lo proteggeva. Sembrava la sua ombra.
Roxas osservò la scena impallidendo. Ora non sapeva più cosa fare.
Non ebbe tempo di riflettere: l‘Heartless lo afferrò immobilizzandolo e cominciò a stringere la presa.
Roxas tentò di opporsi con le forze che gli rimanevano, ma quello ebbe il sopravvento. Il ragazzo lasciò cadere i Keyblade che si dissolsero uno in una nuvola scura e l‘altro in un raggio di luce.
Gli mancava il respiro, gli si stava annebbiando la vista e la testa gli ciondolò sul collo.
Poi fu tutto nero.


~ • ~

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Capitolo 5
*** Chapter V: Ricordi ***



Chapter V: Ricordi
Si sentiva strano con un grande peso sulla testa. C‘erano molti ricordi che ronzavano in tondo e li rivedeva senza alcun ordine.

Si rivide nella stanza di Naminé al castello di Xemnas. La stava abbracciando, la teneva stretta a sé. Nessuno avrebbe potuto portargliela via. Rivide i suoi occhi, il suo sorriso. Solo ora si rendeva conto che forse non era stato abbastanza con lei, non le aveva detto quanto teneva a lei e quanto temeva di poterla perdere.


Una sensazione di disagio lo investì all‘improvviso: si sentiva in colpa per ogni sua mancanza.
In un istante, la scena cambiò:


Vide se stesso in uno dei tanti luoghi che aveva visitato, nel suo lungo viaggio lontano da quel che conosceva. Era solo. E i suoi occhi vedevano soltanto Naminé e Axel in trappola, senza che nessuno potesse aiutarli.
Guardava le stelle, e tentando di scacciare via quei pensieri, cercava di immaginarseli salvi e… felici. Sarebbero stati felici senza di lui? E se lui fosse stato solo d‘intralcio nelle loro vite?

Se non lo avessero conosciuto non avrebbero corso tutti quei rischi: avrebbero vissuto una vita normale, come quella di un qualsiasi altro Nessuno.

Lo scenario cambiò ancora:

Si trovava al Grattacielo della Memoria con Axel.
«… Come la prenderebbe Naminé?» stava dicendo il rosso.
«Neanch‘io voglio andarmene» esclamò Roxas esasperato. «Ma è l‘unico modo per proteggerla!»
«Non ci pensi mai, eh?»
«Di che parli?»
«Di me!» esordì Axel. «Non ti viene mai in mente che anche a me mancheresti e non passerebbe un solo giorno durante il quale mi chiederei dove sei e se stai bene?»
Il ragazzo rimase in silenzio, lo sguardo sul pavimento.
«Mi fa male, Roxas, capire che non ci pensi mai» ammise.
«Axel, io…» cominciò Roxas, ma la sua voce era tanto bassa per il dispiacere che l‘amico non avvertì le sue parole.
«Potresti andare via senza neanche dirmi dove vai e assicurarmi che starai bene» proseguì Axel che ormai pensava ad alta voce. «Non puoi farlo, Rox! Ti prego non andare».
Il ragazzo capì subito che quella di Axel era una supplica: solo Naminé lo chiamava così. Se Axel era arrivato a tanto voleva dire che ci stava soffrendo davvero molto: teneva a Roxas più che a chiunque altro.


La mente di Roxas viaggiò per altri ricordi, alcuni molto confusi, altri più nitidi e si fermò su uno molto speciale:


Dormiva. Stava facendo un altro di quei sogni che riguardavano Sora. Aprì gli occhi e si alzò a sedere, quando andò a sbattere la fronte contro quella di Axel.
Il ragazzo balzò lontano dal letto con le mani sul volto.
«Questo succede quando mi guardi dormire!» disse Roxas brusco, non si era fatto molto male.
«Nessuna pietà, eh?» sbottò Axel un po‘ risentito.
«Perché dovrei?» rincarò Roxas. «E‘ un tuo difetto guardarmi dormire!»
«E‘ questo il modo di parlare ad un amico che è tornato da una lunga missione?»
Era la prima volta che Axel diceva che erano amici. Amicizia… Un sentimento che non poteva esistere fra Nessuno. Eppure con Axel, Roxas aveva un‘affinità speciale che non aveva con nessun altro membro dell‘Organizzazione.


Alla parola amici, Roxas si era sentito rassicurato. Dal fatto che Axel non ce l‘avesse con lui per tutto quello che aveva dovuto sopportare per colpa sua.
Aveva combinato un bel pasticcio facendosi catturare da Riku. Non aveva la minima idea di quello che gli sarebbe successo e lo temeva.


«Mi dispiace, domani non posso» disse Roxas con voce fredda.
«Va bene» rispose Xemnas senza sorpresa. «Ma voglio che quel lavoro sia finito! Trova un ritaglio di tempo!» Il suo tono era leggermente impaziente, ma ci teneva a non farlo capire.
Gli altri membri bisbigliarono qualcosa che Roxas non afferrò. Lanciò un‘occhiata ad Axel che lo guardò serio e gli fece capire di non aggiungere altro.
«Non voglio discussioni» ricominciò Xemnas rompendo il silenzio. «Non ho altro da dirvi». Detto questo scomparve in un corridoio oscuro.
Gli altri membri si divisero e alcuni scomparvero come Xemnas, altri uscirono usando la porta della stanza riunioni.
Axel e Roxas usarono la porta e si poteva affermare che avessero una certa fretta. Xigbar e Xaldin si erano fermati a perder tempo, quando i due li superarono e Xaldin, afferrando Roxas per una manica, chiese malevolo: «E cos‘hai da fare di tanto importante?»
«Già, sei molto impegnato?» fece eco Xigbar.
Prima che Axel potesse dirgli di non rispondere, Roxas lanciò un’occhiataccia a Xigbar e intervenne rivolgendosi solo a Xaldin: «Non sono affari che ti riguardano». Il suo tono era secco e distaccato.
«Hey ragazzino non rispondermi così, ti faccio vedere io…»
«Tu cosa, Xaldin?» intervenne Axel, intromettendosi fra i due. Lo fissò negli occhi con sguardo freddo da gelare le ossa. Afferrò il braccio di Xaldin, che lasciò andare Roxas, e disse in tono sommesso come se gli stesse confidando un segreto: «Prova a toccarlo e ti faccio pentire di essere nato». La sua voce era pacata, gelida. Per un momento, Roxas non lo riconobbe: non era da lui perdere le staffe a quel modo.
Axel lasciò il braccio di Xaldin con uno strattone e si allontanò con Roxas in tutta fretta.


Ripensando a quella scena, a Roxas venne da ridere. Aveva ammirato il suo modo di tenere testa a Xaldin. Axel non aveva mai mancato alla sua promessa di difenderli, sia Roxas che Naminé. Roxas gli era riconoscente per quella sua protezione. Per lui era più di un amico: era come un fratello maggiore. Gli chiedeva consiglio per qualsiasi cosa e Axel non gli diceva mai che non aveva tempo o che c’erano cose che non poteva dirgli. Aveva abbandonato quella tattica molto tempo addietro.

«Ma l‘hai sentito?!» sbottò Axel irritato, quando fu sicuro che fossero soli.
«Dài Axel, sai com‘è fatto» disse Roxas tentando di calmarlo.
«Se mi capita di nuovo sotto tiro non immagini che gli succede!» continuò il rosso che ancora ribolliva di rabbia. «Ti faccio vedere io… Se prova a sfiorarti imparerà cosa vuol dire correre a gambe levate con il soprabito in fiamme!»
«Non credi che dovrei essere io quello in escandescenza?» gli fece notare Roxas con una nota di ironia nella voce.
Ad Axel, che stava per continuare a sfogarsi, morirono le parole in gola. «Hai ragione» si scusò mettendosi una mano dietro la nuca.
«E poi non è contento se ogni volta non mi minaccia di morte» proseguì Roxas. Fece un pausa. «Ci sono abituato» concluse con voce sommessa.
«Dovresti reagire un po‘ invece» rispose Axel con voce più gentile.
Roxas abbozzò un sorriso. «Credo che ormai i miei problemi siano finiti. Oggi è l‘ultima riunione per me, no?»
Axel non rispose subito. Era come se stesse cercando le parole più giuste per confortarlo. Alla fine optò per qualcosa di più semplice, perché disse: «Vedrai che andrà tutto bene».


Subito dopo si erano diretti da Naminé per permettere a Roxas di salutarla.

Ripensò a quando l’aveva conosciuta per la prima volta.
Aveva notato che Axel la proteggeva spesso dai membri dell‘Organizzazione; un giorno però gli aveva proposto di conoscerla. Era una ragazzina timida o, per meglio dire, spaventata, semplice e molto gentile. Aveva sempre un blocco per disegnare fra le mani.
Ma furono proprio la sua bellezza e semplicità a colpire Roxas che da allora non faceva altro che parlare di lei con Axel.
«Tu sei cotto, amico mio» lo punzecchiava lui ogni tanto e Roxas lo guardava male.
Ricordò i suoi occhi, i suoi capelli, il suo sorriso e il profumo di gelsomino che la avvolgeva sempre.


Gli mancava tanto, ma era felice di averla conosciuta: era tutto quello che aveva e non aveva intenzione di rinunciarci per quella stupida Organizzazione o chiunque altro si fosse posto fra loro. Lei era la ragione più importante per la quale continuava a respirare e combattere; senza di lei la sua vita non avrebbe più avuto senso: sarebbe stata… vuota. Lui sarebbe stato un Nessuno qualsiasi: era sicuro di essere speciale grazie a lei.

Erano tutti e tre sulla Torre della Stazione a Crepuscopoli a mangiare il gelato al sale marino. Osservavano il tramonto come rapiti.
Roxas tentò di ricordare ogni minimo dettaglio di quel momento: gli odori, i sapori, le sensazioni… Quando l‘aveva vissuta, non gli era sembrata una situazione da ricordare. Se avesse saputo che sarebbe stata l‘ultima volta che sarebbero stati insieme senza preoccupazioni, era sicuro che l‘avrebbe apprezzata di più.
Uno dei migliori giorni della sua vita.

~ • ~

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Capitolo 6
*** Chapter VI: Una sorpresa inaspettata ***


 

Chapter VI: Una sorpresa inaspettata
Naminé era a Crepuscopoli da cinque giorni ormai. Si chiedeva cosa le sarebbe successo e cosa stava succedendo a Roxas e Axel.
La sua stanza, nella vecchia villa della città, era accogliente ed era lampante che DiZ tentasse in tutti i modi di farla sentire a proprio agio.
Il suo compito era monitorare e seguire il processo di risveglio di Sora, che proseguiva molto a rilento senza Roxas. Avrebbe voluto che lui fosse stato lì, ma avrebbe preferito che DiZ stesse alla larga da loro.
Da quando aveva lasciato il Castello dell’Oblio e aveva deciso di restare nel Mondo che Non Esiste insieme a Roxas, DiZ aveva trasferito la capsula di ibernazione di Sora nella vecchia villa. Lì il ragazzo sarebbe sto al sicuro dall’Organizzazione XIII e avrebbe potuto riposare.
Naminé si era ripromessa tante volte di raggiungere Sora, ma aveva sempre rimandato perché non voleva separarsi da Roxas.
Non ho altra scelta si ripeteva spessa.

Si era svegliata da circa un‘ora quando qualcuno bussò.
«Avanti» rispose la ragazza senza espressione: la sua voce era piatta.
Entrò un uomo alto, dalla stazza imponente. Come ormai succedeva spesso, l‘uomo indossava un soprabito nero e il suo volto non era visibile.
«Cosa vuoi Riku?» anticipò Naminé senza che lui potesse proferir parola.
«DiZ vuole vederti subito» rispose Riku. «Ha detto che c‘è una sorpresa per te».
Alla parola sorpresa, Naminé si voltò a guardarlo: qualcosa in lei si era mosso come una molla. Le sorprese di DiZ non erano mai nulla di buono.
Senza farselo ripetere, si alzò e uscì dalla sua stanza, superando Riku che era sulla porta. Scese le scale, voltò a destra due volte e raggiunse la biblioteca. Si diresse spedita verso la libreria sulla sinistra, toccò un libro e una porta poco più in là si aprì con un leggero ronzio.
Varcò la soglia e trovò DiZ: sembrava molto indaffarato.
Era immerso in grandi calcoli e, cosa insolita, la piattaforma di passaggio verso la Crepuscopoli-virtuale era coperta.
«Cosa c‘è questa volta?» chiese Naminé cercando di sembrare calma.
«Oh, sei arrivata» cominciò DiZ. Si voltò ed esordì dicendo: «Rallegrati mia cara. Da oggi il tuo lavoro sarà più facile!» La sua voce era odiosamente lenta e cupa. «Dopo tante ricerche senza esito, sono riuscito ad individuare ciò che ti serviva, l‘anello mancante per permettere a Sora di tornare fra noi». Sembrava molto compiaciuto del suo discorso.
Naminé era davvero preoccupata, questa volta: la descrizione che DiZ stava dando riguardava solo una persona.
L‘uomo si avvicinò alla piattaforma coperta, sotto gli occhi della ragazza. Il suo mantello produceva un fruscio fastidioso, ma ciò che la infastidiva ancor più era non poterlo guardare in volto: l‘uomo portava un serie di bende intorno alla testa che lasciavano visibile solo un occhio color ambra.
Scoprì il passaggio e Naminé trattenne il respiro: Roxas era seduto sulla piattaforma circondata da una lastra di vetro.
Era privo di coscienza e la testa gli ciondolava in avanti. Su uno zigomo era visibile un taglio che non si era ancora rimarginato.
«Rox» mormorò la ragazza. Per lei era orribile vederlo in quello stato, ma DiZ sembrava molto contento: per i Nessuno non avevano ragione di vivere, pertanto uno in più che scompariva, diminuiva i suoi problemi.
«Oh, vedo che vi conoscete già» notò. «Meglio così: eviterete le presentazioni». Rise da solo a quella battuta di poco gusto. La sua risata era profonda, tradiva malafede.
Naminé lo guardò ridere, furente.
«Cosa gli hai fatto?» chiese acida.
«E‘ solo svenuto» rispose lui, sminuendo il problema. «E presto tornerà in Sora e noi non dovremo più occuparcene».
La ragazza rimase in silenzio. Doveva davvero finire così? Destinati per sempre a vivere separati? Sapeva che prima o poi sarebbe successo, ma aveva sperato che non fosse così traumatico.
Nel frattempo era arrivato anche Riku.
«Voglio che sia tu, Naminé, ad occuparti di della reintegrazione di Roxas».
«Te lo puoi scordare!» esclamò Naminé furiosa. «Cos‘è? Una tortura? Una punizione per aver cambiato i ricordi di Sora? Beh, non è colpa mia e se ti aspetti che io mi attenga a quello che dici, potrai morire prima di vecchiaia!» Quando concluse, si rese conto di aver parlato troppo.
DiZ era un tipo che ascoltava qualsiasi cosa, ma poi si vendicava in altro modo infatti si avvicinò alla piattaforma e, spinto un tasto dell‘enorme computer, Roxas sparì nella Crepuscopoli-virtuale.
A quella scena, a Naminé si riempirono gli occhi di lacrime. Si voltò e corse via verso la sua stanza.
Riku, rimasto solo con DiZ, lo osservò da sotto il cappuccio con sguardo truce.
«Potevi evitare di costringerla ad assistere all‘agonia di quel ragazzo» sbottò e si voltò verso la porta.
«Nessuno, Riku! Un essere vuoto non è degno di essere chiamato ragazzo» disse DiZ prima che varcasse la soglia.
Riku si fermò ad ascoltarlo suo malgrado. Non ribatté e uscì.
Naminé era corsa in camera sua; non aveva neanche chiuso la porta e si era accovacciata ai piedi del letto, il volto sulle braccia.
Sentì bussare gentilmente e chiese cercando di mascherare la voce rotta: «Chi è?»
«Sono io, vengo in pace» rispose la voce di Riku. Era di nuovo quella di un ragazzo. «Posso entrare?»
Naminé mugugnò qualcosa che voleva dire “sì”.
«Mi dispiace, Nam» cominciò Riku. Stava azzardando a chiamarla in modo più confidenziale. «Non volevo che assistessi a quella scena».
«Roxas mi chiamava così» notò lei senza guardarlo.
«Oh, scusami» rispose il ragazzo amareggiato. Si avvicinò di più a lei. «Non avevo pensato che potesse darti fastidio».
«No, al contrario» chiarì Naminé. Singhiozzò. «Mi… fa sentire a casa. Potresti toglierti il cappuccio?»
Riku esitò, ma decise di seguire il suo consiglio. Estrasse una fascia nera da una tasca, si tolse il cappuccio e se la legò sugli occhi. Fra qualche sbuffo di fumo, riprese l‘aspetto di un ragazzo.
Raggiunse Naminé e le si sedette accanto.
Lei sollevò il volto dalle braccia e tentò di asciugarsi le lacrime dagli zigomi. «Si dimenticherà di me, vero?»
«Ehm… Forse sembrerà, ma sono certo che non ti dimenticherà mai. Resterai sempre nel suo…» Si interruppe. Forse la parola cuore non era la migliore.
«Non so se Roxas abbia un cuore…» disse Naminé comprendendo l‘origine della sua esitazione.
«Ma ti voleva bene, no?» ribatté Riku. «E anche tu gliene vuoi, vero?»
Naminé si voltò a guardarlo.
«L‘ho capito da come lo guardavi» spiegò il ragazzo. Le sfiorò una guancia con un dito e raccolse una lacrima. «E da questa. I Nessuno normali non amano e non piangono».
Naminé abbozzò un sorriso. «Grazie, Riku».
Il ragazzo sorrise a sua volta. Ma poi ripensò al fatto che era colpa sua se Roxas era lì; il suo sorrise si spense. Volse lo sguardo verso il soffitto. «Nam» disse. «Sono stato io a portarlo qui».
«Che cosa?!» Lo sguardo di Naminé divenne duro.
Non aveva il coraggio di guardarla. «Non credevo che DiZ fosse così perfido. Io… volevo solo rivedere Sora tutto intero» confessò.
L‘espressione di Naminé si addolcì. Axel non avrebbe fatto lo stesso per Roxas?
Sospirò. «Dopotutto era solo una mia stupida illusione. Sapevo meglio degli altri che sarebbe finita così, speravo solo di potermi abituare all’idea...».
Di perderlo.

Riku rimase in silenzio; forse non sapeva cosa dire.
«Seguirai comunque il risveglio di Sora?» chiese esitante.
«Glielo devo» rispose la ragazza. «Ho fatto una promessa».
Il ragazzo sembrò sollevato. Probabilmente credeva che Naminé si sarebbe rifiutata categoricamente di aiutare DiZ anche in modo indiretto. Disse solo: «Grazie, Nam».
Rimasero in silenzio per dei minuti che sembrarono interminabili.
«Se volessi rivederlo un‘ultima volta, mi aiuteresti?» chiese d‘improvviso la ragazza rompendo il muro d‘imbarazzo che li stava separando.
Riku non rispose subito, sembrava in conflitto.
«Va bene, lo farò» decise di rispondere. «E‘ il minimo che posso fare per aver messo te e Roxas in questa situazione».
«Riku!» chiamò DiZ dal corridoio con la sua voce profonda.
Il ragazzo sorrise a Naminé e si alzò. «Devo andare» disse.
«Grazie» disse ancora lei prima che lui sparisse oltre la porta.
«Ti avevo detto di non parlarci» sentì dire da DiZ.
«Aveva bisogno di qualcuno» rispose Riku. «E visto che su di te non si può contare…»
Uno schiocco riempì l‘aria: sembrava il rumore di uno schiaffo.
Riku non disse altro e Naminé sentì i suoi passi che si allontanavano.

~~

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Capitolo 7
*** Chapter VII: Di nuovo insieme ***



Chapter VII: Di nuovo insieme
Quella mattina Naminé si era svegliata con l‘umore abbastanza alto. Anche se DiZ le chiedeva continuamente di passare più tempo nel laboratorio dove Sora dormiva, Riku riusciva sempre a rendere la situazione più leggera.
Da quando Roxas era entrato nella Crepuscopoli-virtuale aveva dimenticato tutto quello che gli era accaduto in precedenza. Era tornato a vivere la vita di quando non faceva ancora parte dell‘Organizzazione.
Aveva incontrato tre nuovi amici: Hayner, Pence e Olette. Naminé, che cercava di seguire la vita di Roxas attraverso un monitor, li aveva trovati molto simpatici. Erano il tipo di persone che sperava trovasse prima di sparire. Questa parte della situazione faceva rattristare Naminé che a volte preferiva restare chiusa in camera.
Si vestì. Preferiva non fare troppo tardi. Appena raggiunse la sala computer la trovò stranamente vuota.
Meglio così pensò. Non avrebbe avuto DiZ fra i piedi.
Osservò il monitor e vide che Roxas era al ring di sabbia. Ma tutto era fermo! Si avvicinò allo schermo e vide comparire un passaggio per un corridoio oscuro.
«A…» esclamò Naminé, ma si tappò subito la bocca. Sperava che nessuno l‘avesse sentita. Osservò Axel nello schermo. Quanto le era mancato! Finalmente lui e Roxas si rincontravano dopo tanto tempo. Purtroppo Roxas non aveva ricordi della loro amicizia.
Vedendo tutti immobili, Roxas disse: «Chi sei?»
«Chi sono?» chiese Axel incredulo. «Sono Axel. Non ti ricordi di me?»
Roxas rimase serio e non rispose. Impugnò meglio l‘arma da Struggle.
«Ti hanno procurato una perdita di memoria con la lettera maiuscola» commentò Axel.
«Cosa vuoi da me?»
«Deja vù. Eh, Axel?» commentò a sua volta Naminé.
«Solo che vieni via con me» rispose. «Non voglio farti del male».
«Roxas!» si sentì chiamare. Da un altro passaggi oscuro era comparso DiZ.
«Ah brutto…» esclamò Naminé che assisteva alla scena.
«Non dargli retta» riprese DiZ. «Quell‘uomo mente».
«Allora sei tu!» esclamò Axel traboccante di rabbia. Allargò le braccia e i suoi chakram gli comparirono fra le mani avvolti da fiamme. Li scagliò contro DiZ ma non sortì alcun effetto. Le armi furono respinte da una barriera che avvolgeva DiZ e gli impediva di essere colpito.
Axel si rivolse di nuovo a Roxas.
«Roxas» disse. «Vieni via di qui! Ti distruggeranno se resti!»
Poi DiZ fece qualcosa che ripristinò la situazione del torneo di Struggle.
Axel era scomparso, e anche DiZ.
Roxas si guardò intorno stranito, ma fu subito raggiunto dai suoi amici che lo proclamavano vincitore del torneo.
«Almeno ci hai provato, Axel» sospirò Naminé sedendosi sulla sedia vicino al monitor.
«Naminé!» sentì chiamare la voce di DiZ. Lo vide entrare: sprizzava collera da ogni poro. «Perché hai lasciato un bug del sistema?!» esclamò fuori di sé.
«Che cosa?! Io non ho fatto niente!» si difese Naminé.
«Niente, eh?» ripeté DiZ. «Come ha fatto un membro dell‘Organizzazione ad entrare nella Crepuscopoli-virtuale?»
«Quello non è un membro dell‘Organizzazione!» esclamò la ragazza. «Axel ne è uscito molto tempo fa!»
«Ah sì?!» Alzò il braccio pronto a colpire, quando Riku si intromise fra loro.
«Questi non sono gli accordi» ricordò.
DiZ abbassò il braccio trattenendosi dal colpire. Naminé notò che gli era costato parecchio non sfogare la sua rabbia, ma era più che felice che Riku si fosse intromesso.
«Come ha fatto ad entrare?» riprese DiZ mascherando la propria ira.
«Ci impiegheremo un po‘ per scoprirlo» rispose Riku. «E Naminé avrà un momento di pausa». Riku era riuscito ad incastrarlo: Naminé non si occupava della sistemazione dei bug.
Era un’attività svolta solo da DiZ. La reintegrazione di Roxas sarebbe proseguita comunque e Naminé avrebbe avuto un po‘ di tregua.
La ragazza, con molta cautela, si alzò dalla sedia e si diresse verso la porta. Poco dopo Riku la seguì, lasciando DiZ solo.
Entrambi uscirono dal laboratorio.
«Sicuro che non combinerà qualche guaio?» chiese Naminé.
«Non gli conviene» rispose Riku. Sembrava molto sicuro di quello che stava dicendo. «Ho una cosa per te» aggiunse.
Raggiunsero la stanza di Naminé e quando entrarono Riku mostrò una borsa bianca. All‘apparenza sembrava pesante perché carica di molti oggetti.
La ragazza la riconobbe subito. «E‘ la mia borsa!» esclamò contenta. L‘afferrò e istintivamente ci guardò dentro: c‘era ancora tutto. «Dove l‘hai presa?» chiese alzando lo sguardo verso di lui.
«Diciamo che me l‘ha data un tuo amico» rispose Riku. «Ha detto che ci teneva che l‘avessi».
«Un amico?»
Naminé ci rifletté. Chi poteva aver conversato così scrupolosamente le sue cose? La risposta le affiorò alle labbra. «Axel?»
Riku sorrise. «Ha detto anche che si è preso la libertà di scattare qualche foto a Roxas mentre vinceva il torneo contro Seifer».
Sul viso di Naminé comparve un largo sorriso.
Al posto della macchina fotografica trovò una pila di foto. Si ripromise di guardarle tutte prima di andare a dormire.
Le posò sul comodino.
«Non le guardi adesso?» chiese Riku.
«Beh… Vorrei» rispose Naminé. Sorrise con espressione dolce. Aveva capito che Riku desiderava solo un po‘ di tranquillità e normalità che non aveva più da quando aveva lasciato l‘isola. Una situazione di amici che condividono parte della loro vita non gli avrebbe fatto male.
«Ti va di vederle con me?» chiese.
Il ragazzo le sembrò contento di quella proposta.
Si sedettero sul letto e cominciarono a commentare le fotografie.
Arrivarono a vederne tre simili: le prime due erano da scartare, mentre la terza rientrava nella normalità. Alle tre seguiva una foto non molto felice di Axel.
«Perché queste le avete scattate più volte?» chiese Riku.
Naminé si trattenne a stento dal ridere. «perché non abbiamo trovato nessuno che ce la scattasse e Axel ha tentato con l‘auto-scatto».

«Nessuno sa usare una macchina fotografica?!» esclamò Axel.
«Non possiamo provare con l‘auto-scatto?» chiese Naminé. «Basta trovare il posto giusto dove poggiarla».
Non furono molto fortunati. Il posto più stabile fu un ramo di un albero. La Terra dei Dragoni non offriva molta scelta.
Primo scatto: una coltre di neve decise di cadere, spostando il ramo e facendo cadere la macchina.
Naminé sentì Axel trattenersi dall‘urlare.
Il ragazzo risistemò la macchina che scattò un‘altra foto ritraendolo in pieno volto. Sbatté le palpebre parecchie volte per riprendersi dal flash. Reimpostò l‘auto-scatto.
Tornò verso Naminé e ammonì: «Non la butto solo perché è tua». Rideva. Naminé sapeva che scherzava.
Tentarono ancora. L‘albero si mosse ancora: colpa di un volatile.
«Nam, mi sa che oggi non è giornata» rise Axel.
«Sei tu che non hai tatto con le macchine» rispose Naminé.
La ragazza si avvicinò all‘albero, sistemò la macchina e finalmente scattarono la fatidica foto.


Naminé rise più volte mentre raccontava l‘episodio a Riku.
Il ragazzo sembrò lieto di averla fatta, finalmente, sorridere.
Continuarono a guardarle e raggiunsero quelle che Naminé non aveva visto scattare.
Erano tutte di Roxas: Axel le aveva fatto davvero un grande regalo ed era certa che lo sapeva.
Ma avrebbe voluto ringraziarlo di persona.
Una delle migliori foto era quella della vittoria di Roxas al torneo di Struggle.
«Axel ha detto che era quella che ti sarebbe piaciuta di più» disse Riku.
«Mi conosce bene» rise Naminé, ma il suo sguardo cadde sull‘orologio che teneva sul comodino: 19.54. Il suo sorriso si spense. «Meglio che tu vada. Non vorrei che DiZ se la prendesse di nuovo con te».
Anche Riku guardò l‘orologio. «Hai ragione; devo andare».
Si alzò, Naminé notò, a malincuore.
«Vedrai che si risolverà tutto» disse prima di uscire e abbozzò un sorriso.
La ragazza lo guardò varcare la soglia e richiudersi la porta alle spalle. Questa volta sembrava che DiZ si fosse accorto del tempo che Riku aveva passato con lei.
Non le restava molto da fare.
Prese il suo blocco da disegno e cominciò a ricopiare quella foto che le era tanto piaciuta. Poi si rimise a guardare le foto, finché non si infilò nel letto e si addormentò con quei bei ricordi davanti agli occhi.

La mattina dopo era serena. Per la prima volta da quando era a Crepuscopoli.
Si scoprì e si alzò a sedere. Istintivamente guardò il comodino: le foto erano ancora lì, come le aveva lasciate. Sorrise.
Si era svegliata tardi, ma non le importava. Appena rivide Roxas stampato sulla foto, si invogliò a scendere nella sala computer. Voleva vederlo ancora.
Si vestì in fretta e uscì dalla sua stanza. Corse verso la biblioteca ed entrò nella sala computer.
La trovò vuota. Questa è la mia giornata pensò ingenua.
Si avvicinò al monitor e lesse: Reintegrazione al 97%.
Quella sera Sora si sarebbe risvegliato.
Naminé spostò lo sguardo sullo schermo che mostrava la posizione di Roxas: era nero. La ragazza sgranò gli occhi, qualcosa non andava.
Analizzò lo stato alterato dello schermo in alto: i valori non erano normali, per quanto ne capiva.
Voleva raggiungerlo, vederlo per l‘ultima volta.
Non seppe mai come ci riuscì, ma si trovò nel buio.
Riku, non volermene pensò.
Non vedeva niente. L‘oscurità le premeva contro gli occhi, infastidendola. Provò a muovere un passo: c‘era qualcosa dove poggiare i piedi.
E lo vide: era poco distante da lei e si dimenava nel buio ad occhi chiusi.
Naminé gli si avvicinò e gli afferrò il polso.
Avrebbe voluto dirgli qualcosa come Rox, sono io oppure Sta‘ tranquillo, ma non lo fece.
Al contatto della sua mano con il polso di Roxas, furono avvolti da un‘intensa luce e si trovarono nella stanza di Naminé della Crepuscopoli-virtuale.
La ragazza analizzò la stanza con sguardo sorpreso, ma non lo diede a vedere. Roxas invece si guardava intorno spaesato. Probabilmente si stava chiedendo: Dove diavolo sono?
Naminé si diresse verso il suo letto e si sedette. Fu allora che Roxas la notò.
«Chi…?» chiese avvicinandosi.
La ragazza si portò l‘indice alla bocca con gesto gentile e sorrise. «Mi chiamo Naminé».
«Io sono Roxas» si presentò il ragazzo. Come dargli torto? Era la prima volta che si parlavano per lui e, dopotutto, in circostanze piuttosto strane.
Naminé sorrise. Lo so, Rox. Mi sei mancato tanto...
«Da dove vieni?» chiese Roxas interrompendo il silenzio. «E come sei arrivata qui?»
Le sembrò molto curioso. Non era cambiato.
«Vengo da un posto non molto diverso da qui» rispose la ragazza. Sorrise. «Sono venuta per vederti almeno una volta».
Roxas sgranò gli occhi. «Mi conosci?» chiese sbalordito.
Naminé annuì. «Anche se non ti ricordi di me».
Il ragazzo non le sembrò sorpreso, piuttosto compiaciuto.
«Senti…» proseguì. «Conosci qualcuno di nome Axel?»
«Sì» rispose Naminé. Si alzò e cercò una foto di Axel fra quelle che aveva. Ne recuperò una in cui c’erano tutti e tre, prima che Roxas partisse.
«Eccola!» esclamò contenta.
Roxas si avvicinò a lei. «Siamo noi tre insieme?»
«Sì» sorrise Naminé. «Tu e Axel siete migliori amici».
«Molto divertente» esclamò il ragazzo, ma rise con lei. «Sembriamo felici qui. Era un giorno particolare?»
«Già»rispose lei. «Ci eravamo appena conosciuti io e te. Axel aveva detto che avremmo ricordato quel giorno come uno speciale».
«Ne hai altre?» chiese Roxas.
A quelle parole Naminé rimase senza fiato. Davvero glielo aveva sentito dire? O lo aveva immaginato?
«Naminé, tutto bene?» chiese il ragazzo poggiandole una mano sulla spalla.
Quel contatto le fece venire una voglia matta di abbracciarlo e dirgli a gran voce quanto le era mancato, ma non poteva farlo. Secondo Roxas si conoscevano da cinque minuti appena e sarebbe risultato molto insolito.
Perciò raccolse la pila di foto e gliele porse. «Sono queste» disse senza perdere il suo sorriso.
Roxas ricambiò il sorriso.
«Perché io e Axel siamo vestiti di nero?» chiese il ragazzo dopo aver visto alcune di quelle foto.
«Perché facevate parte dell‘Organizzazione XIII allora» rispose Naminé.
«Organizzazione XIII? Cos‘è?»
«Era un gruppo di Nessuno che cercano di essere completi» spiegò la ragazza.
«Cos‘è un Nessuno?»
«I Nessuno sono degli essere incompleti che cercano disperatamente un cuore per diventare persone normali. DiZ dice che non possono provare sentimenti».
Per la prima volta Roxas sembrò davvero sorpreso. Nei suoi occhi, Naminé poté vedere del timore.
«Anche Axel è un Nessuno?» chiese. Il timore era ben udibile nel suo tono di voce.
«Sì, ma stare con te lo ha cambiato». Si voltò a guardarlo negli occhi. «Ti vuole molto bene».
Roxas ricambiò il suo sguardo. Anche i suoi occhi non erano cambiati.
Ma Naminé non riuscì a sostenere il suo sguardo. Troppi ricordi.
Si voltò distogliendo i suoi occhi dai suoi e si allontanò di qualche passo.
«Naminé qualcosa non va?» chiese il ragazzo.
La ragazza si voltò verso di lui.
«Roxas, tu…»
Ma non ebbe il tempo di concludere la frase.
Dietro di lei comparve un passaggio di un corridoio oscuro e ne emerse una figura nera incappucciata.
L‘uomo afferrò la ragazza per un braccio e disse con voce grave: «Non dire altro, Naminé».
«Ma Roxas…» tentò di protestare lei.
«Così mi fai uccidere!» esclamò bisbigliando la voce di Riku. «Non puoi venire a spifferargli tutto!»
«Doveva saperlo prima o poi, no?»
«Scusami, ma prima che DiZ mi frigga in padella, devo fare la parte del cattivo».
Roxas, che nel frattempo aveva assistito ad un susseguirsi di bisbigli, esclamò: «Hey, lasciala andare!»
Riku non rispose. Si limitò ad aprire un altro passaggio alle spalle del ragazzo e a spingerlo dentro. Sicuramente portava in qualche altro luogo della Crepuscopoli-vituale.
Poi portò Naminé nel laboratorio. DiZ non c‘era.
«Ma sei impazzita?! Se DiZ ti…» esclamò accertatosi che fossero soli.
«Ho visto il monitor nero» si scusò Naminé. «Non sapevo cosa stesse succedendo».
Riku impallidì. «Il monitor nero hai detto?»
Naminé annuì. «Cosa vuol dire?»
«Che Roxas ha fatto il Tuffo nel Cuore. Darà un po‘ di problemi a Sora, stasera».
Naminé sospirò e si sedette. «Non bastavano i problemi che avevamo…?»
«Io non posso farci niente se il tuo fidanzato si va ad immischiare in affari più grandi di lui…» commentò Riku.
Prima che Naminé potesse ribattere, entrò DiZ. «Come prosegue?»
Naminé lanciò un‘occhiata a Riku che diceva: Per questa volta, passi. Mentre il ragazzo ricambiò un occhiata un po‘ preoccupata.
«Tutto normale» rispose la ragazza. «Entro stasera dovrebbe finire».
Vide i suoi occhi illuminarsi di un lampo.
«Naminé puoi lasciarci soli?» chiese DiZ. «Devo parlare con Riku, in privato».
La ragazza non replicò. Sapeva che sarebbe stato inutile tentare di contraddirlo.
Si alzò, ma non voleva perdere una parola della loro conversazione. Sapeva che Riku le avrebbe riferito tutto, però preferiva ascoltare con le sue orecchie.
Aprì la porta e uscì, chiudendosela alle spalle.
Si accovacciò dietro la porta chiusa e rimase in ascolto.
«Allora…» sentì esordire la voce di DiZ. «Noto che fra te e Naminé c‘è un‘affinità speciale».
«Forse noti male» sfidò Riku. Aveva mantenuto la voce da ragazzo.
«Oh, io non credo, ragazzo mio» ribatté DiZ. «La tua attenzione per quella ragazza si sta rivelando una bella gatta da pelare». Si sentirono dei passi. Si stava accovacciando alla porta.
«Hai forse dimenticato gli accordi?»
«Non ho idea di cosa tu stia parlando» rispose Riku. A Naminé il suo tono sembrò basso, di scusa. Come se fosse nei suoi confronti.
«Davvero?» l‘inclinazione della voce di DiZ, invece, sembrava divertita, quasi denigratoria. «Vediamo se riesco a rinfrescarti la memoria… Gli accordi erano che alla fine della reintegrazione di Roxas, tu l‘avresti eliminata!» concluse alzando la voce.
Poi si sentì uno scatto e una serie di mugugni.
Naminé si rese conto che DiZ aveva insonorizzato la stanza, ma rimase immobile, scossa dalla notizia.
Cadde seduta non riuscendo a restare in equilibrio sui piedi. Davvero era tutta una messa in scena? Non voleva crederci, ma… che certezze aveva?
Più ci pensava e più non riusciva a fidarsi di Riku. Doveva saperne di più. Uscì dalla biblioteca e cominciò e girovagare per la vecchia villa. Forse avrebbe trovato un‘altra stanza da dove origliare.
Scese al piano inferiore. L‘atrio era molto grande anche se ingombro di vecchi mobili ormai a pezzi. Quando la casa era stata abitata, doveva essere stata davvero bella.
Cominciò a controllare ogni porta che poteva portare in una possibile stanza della grande casa.
Tutte chiuse. Naminé sospirò delusa.
Continuò la sua ricerca con fare annoiato finché una maniglia che girava non riaccese la sua attenzione.
La forzò finché non scattò.
Con un colpo secco, la maniglia si girò aprendo la porta. Un odore di aria chiusa e una folata di fresco investirono Naminé.
L‘interno era molto buio, ma dopo qualche secondo la ragazza cominciò ad abituarsi alla luce fioca che proveniva da una parete della stanza permettendole di vedere dove metteva i piedi.
Si avviò nella nuova stanza guidata dal bagliore bluastro alla sua sinistra.
Scoprì ben presto che la luce era prodotta da un computer identico a quello che usava per controllare il risveglio di Sora. Ecco come aveva fatto DiZ a sapere che Axel era entrato nella Crepuscopoli-virtuale.
Volse lo sguardo verso il monitor che seguiva Roxas e notò che il tempo era trascorso in modo diverso. Prima non l‘aveva notato, forse non ci aveva davvero dato attenzione. Dovevano essere passati circa due giorni, perché poté contrastare che non aveva idea di quello che il gruppo di Hayner stava facendo.
Seguendo i loro discorsi, capì che erano alla ricerca della settima meraviglia di Crepuscopoli.
In precedenza ne aveva sentito parlare, non gli aveva mai dato tanto peso. Dicerie popolari. Aveva pensato.
Ma Pence sembrava molto convinto che esistessero.
«Qual è la settima?» chiese Roxas.
«Dicono che sia alla vecchia villa» rispose Pence. «Ma non so se voglio vederla…»
«Perché mai?»
«Dicono ci siano i fantasmi…» rispose Pence in tono confidenziale.
«Fantasmi?» ridacchiò Roxas. «Io vado a darci un‘occhiata» concluse divertito. E, lasciando Pence solo alla Stazione dell‘Alba, corse verso la vecchia villa.
Raggiuntala, rimase a fissare il cancello. Osservò con attenzione la facciata della casa e si fermò alla finestra che Naminé riconobbe della sua camera.
Come in precedenza senza qualche motivo apparente, il ragazzo si trovò all‘interno della stanza.
E‘ giornata oggi, eh? pensò Naminé. Dopotutto aveva ragione: non erano mai successe tante cose strane, tutte insieme come quel giorno.
«Roxas» le sfuggì di chiamare.
«Naminé?» rispose il ragazzo sentendosi nominare e riconoscendo la sua voce.
Mi sente? Mi sente! pensò Naminé entusiasta.
Nel frattempo Roxas si era soffermato su uno dei disegni che la ragazza aveva attaccato alle pareti. Non era un granché come disegno ma lo aveva conservato per ciò che raffigurava.
«Questo… sono io?» chiese il ragazzo incredulo. «E c‘è anche Axel».
Naminé ridacchiò. «Quel disegno è di tanto tempo fa» disse divertita.
«Sembra che tu sappia molte cose» osservò Roxas.
La ragazza tornò seria. Sospirò. «Vorresti sapere la verità?»
«Nessuno mi conosce meglio di me» scherzò lui.
Le strappò un sorriso. «Certo».
Roxas osservò ancora la parete. Spostò lo sguardo, scorrendo su più disegni. «Ma mi chiedo cosa mi stia succedendo in questi ultimi giorni».
Naminé non rispose, ma Roxas non parve accorgersene.
Si fermò su un disegno che gli sembrò curioso.
«Sai chi sono?» chiese Naminé. Era una domanda che si era posta molte volte.
«Sì, certo» rispose Roxas con naturalezza. «Sora, Paperino e Pippo. Li ho visti nei miei sogni, ma forse non ne so abbastanza».
Naminé, d‘improvviso, si sentì risucchiata.
Di nuovo pensò. Non oppose resistenza. Voleva sfruttare quell‘opportunità.
Finì seduta sulla sedia della sua scrivania. Roxas non le sembrò sorpreso del suo arrivo.
Scostò lo sguardo dalla parete e lo rivolse al pavimento.
A sguardo basso, raggiunse la scrivania e, poggiando la mano su uno spigolo, chiese: «Cosa sai di me… che io non so?» Poi alzò gli occhi verso di lei.
Naminé esitò. Era arrivato il momento di raccontagli la verità, anche se non aveva molto tempo: DiZ si sarebbe accorto di quella intrusione in poco e molto dipendeva da come Riku avrebbe attirato la sua attenzione.Forse era l‘unico modo per sapere anche da che parte stava.
«Beh… Forse noi non saremmo mai dovuti esistere, Roxas» disse e si odiò per non essere riuscita a trovare parole migliori.
Roxas la fissò, turbato. «Come puoi dire una cosa del genere?» chiese.
«Mi dispiace…» disse con rammarico.
Il ragazzo sorrise con fare apprensivo. Si avvicinò a lei e disse per rincuorarla: «Anche se non saremmo dovuti esistere siamo qui, no? E sono certo che non è un caso che tu mi abbia fatto uscire dall‘oscurità e mi abbia fatto arrivare qui tutto in due giorni».
Naminé sorrise al suo tentativo.
Pensò al processo di reintegrazione. Doveva essere arrivato al 98% ormai.
Una domanda le affiorò dalle labbra: «Hai fatto qualche sogno strano in queste notti?»
Roxas la guardò sorpreso. «Sì, ma come fai a saperlo?»
Non sapeva cosa rispondere, ma le interessava sapere altro.
«Cosa hai sognato?» chiese.
Il ragazzo ci pensò su, prima di rispondere.
«Erano piuttosto confusi, ma ricordo che molti riguardavano Sora e i suoi amici. Mentre altri… te e Axel» concluse. «Sembravano molto reali» rifletté.
«Non hai mai notato di assomigliare a Sora?» chiese Naminé. Il tempo stringe pensò.
«Beh… forse sì, per certe cose. Ma vorrei conoscerlo» confessò con un sorriso imbarazzato.
«Lo conoscerai molto presto» sentirono dire dalla voce di DiZ. Si voltarono simultaneamente verso la sua provenienza.
DiZ, con Riku al suo seguito con il cappuccio sul capo, li osservava con aria di disprezzo.
«Ancora tu?!» esclamò Roxas. Dalla sua voce, Naminé capì che il ragazzo non doveva aver apprezzato molto quell‘interruzione e si era innervosito all‘arrivo dell‘uomo. «Cosa vuoi da me?» chiese irritato.
«Un Nessuno come te non è degno di conoscere cosa ho in mente» ribatté DiZ sprezzante. «Riku, sai quel che devi fare».
Poi scomparve in un corridoio oscuro, per ricomparire alle spalle di Naminé. «DiZ, no!» esclamò lei.
La afferrò immobilizzandola, e Riku si frappose fra la ragazza e Roxas che arretrò di qualche passo.
Riku, non farlo. Ti prego pensò Naminé. Non voleva ancora credere che l‘avesse presa in giro per tutto quel tempo.
«Roxas! I Nessuno come noi non sono semplici persone a metà. Tu non sparirai, sarai completo!» esclamò. DiZ tentò di impedirle di parlare con una mano sulla bocca.
«Io… scomparire?» chiese Roxas non comprendendo il senso di quelle parole.
«No, tu non sparirai!» promise Naminé. DiZ continuava a costringerla ad arretrare.
«Naminé!» esclamò Roxas e tentò di avvicinarsi, ma Riku glielo impedì.
«Roxas! Ci rivedremo. E allora potremo parlare di tutto. Forse io non saprò che sei tu e tu non saprai che sono io, ma ci rivedremo. Un giorno, presto. Te lo prometto!»
DiZ la trascinò via.
Roxas tentò di superare Riku. «Lasciala andare!» urlò. «Naminé!»

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Capitolo 8
*** Chapter VIII: Il risveglio ***



Chapter VIII: Il risveglio
Roxas rimase solo nella stanza, stordito.
Cosa sarebbe successo a Naminé? Quell‘uomo in nero gli aveva impedito di raggiungerla.
Si sentiva inutile per questo. E si chiedeva cosa gli sarebbe successo. Sembrava che Sora fosse davvero importante per molte persone e che il suo “ritorno” dipendesse da lui.
Sentiva uno strano formicolio per la tempia destra che lo infastidiva e non gli permetteva di concentrarsi.
Solo, in quella stanza, non sapeva da dove cominciare.
Si guardò intorno e la sua attenzione tornò sui disegni alle pareti. In uno di questi aveva in mano una grande chiave come una spada e correva in una strada piena di alti palazzi neri.
Il formicolio alla tempia aumentò tanto da fargli male. Nella mente gli balenò un ricordo che fino ad allora non credeva di avere. Naminé aveva ragione pensò.

Era vicino al Grattacielo della Memoria. Anche se Axel era poggiato su una parete dei tanti palazzi neri, continuava a camminare ignorandolo.
«Allora hai deciso?» chiese Axel con lo sguardo basso. Sembrava non avesse il coraggio di guardarlo.
Roxas si fermò. Non si voltò a guardarlo. Sentiva che se lo avesse fatto non avrebbe avuto più la forza di andarsene. Preferiva sembrare distaccato.
«Perché il Keyblade ha scelto me?» chiese.
Axel non rispose subito. A dire il vero, non sembrava che avesse intenzione di rispondere.
«Devo saperlo» aggiunse Roxas.
Axel si allontanò dal muro su cui poggiava la schiena e sbottò: «Non puoi voltare le spalle all‘Organizzazione in questo modo!»


Poi la scena fu avvolta da una luce chiarissima che impediva di vedere il resto della conversazione.
Non ricordava altro. All‘Organizzazione o a te Axel? si chiese.
Non aveva senso restare in quella stanza.
Si era anche dimenticato di aver lasciato Pence alla stazione, ma adesso non gli importava.
Sentiva che doveva fare qualcos‘altro, anche se non sapeva cosa. Forse staccare il collo a quel DiZ pensò divertito.
Uscì dalla stanza trovandosi un ambiente color legno.
Un corridoio a ferro di cavallo univa la stanza dalla quale era uscita au un‘altra che all‘esterno sembrava gemella.
Il corridoio sovrastava l‘atrio, raggiungibile grazie ad una grande scalinata posta di fronte all‘ingresso.
In conclusione doveva essere stata una bellissima dimora. Peccato che stesse cadendo a pezzi.
Roxas percorse il corridoio rialzato, voltò due volte a destra trovandosi di fronte alla porta dell‘altra stanza.
L‘aprì e la varcò. Si trovò in un stanza che doveva essere una biblioteca.
Le pareti erano tappezzate da delle librerie cariche di libri. Una statua a sinistra della porta guardava in basso, in direzione del pavimento.
Al centro della stanza si trovava un grande tavolo con su una bella fioriera.
Su un lato del tavolo c‘era disegnato uno strano simbolo con tre cerchi. Due erano pieni, mentre il terzo non era stato completato. Lì accanto c‘era anche un blocco da disegno. Lo riconobbe: era quello di Naminé. C‘era disegnato lo stesso simbolo, ma era completo.
Non ne capiva il senso. Cosa doveva fare?
Un pastello dello stesso colore del disegno era appoggiato lì vicino. Non aveva molte alternative. Afferrò il pastello e copiò il simbolo che mancava nel disegno sul tavolo.
Tutti e tre ricordavano la forma di un cuore, due diritti e quello in alto a destra rovesciato.
Quello era sicuro di averlo già visto.

In una stanza bianca, sul pavimento era ritratto lo stesso simbolo che occupava tutta la superficie circolare.
Le pareti erano interrotte da grandi sedie marmoree tutte di altezze diverse. Su di essere erano seduti degli individui in nero, simbolo dell‘Organizzazione.
Alcuni di loro avevo il volto scoperto, fra loro riconobbe anche Axel, mentre altri tenevano il cappuccio sul capo.

E poi si vide anche lui seduto su una di quelle sedie.


Il formicolio alla tempia diminuì di nuovo, dopo quel nuovo flusso di ricordi.
Concluse lo strano simbolo e d‘improvviso il tavolo e poi anche il pavimento sotto i suoi piedi si illuminarono. Non capì cosa stava succedendo. Lasciò cadere sul tavolo il pastello che aveva in mano e rimase a guardare quello che succedeva. Capì troppo tardi che il pavimento gli stava scomparendo sotto i piedi e si trovò di schiena a terra su una scalinata.
Le scale conducevano in un piano seminterrato dall‘aspetto molto diverso dalla biblioteca: ricordava più una sala computer.
Si alzò. Non si era fatto poi tanto male. Scese le scale guardandosi intorno. Si chiedeva se qualcuno avesse mai trovato quella stanza sotterranea.
Attraversò una porta che lo condusse in un‘altra stanza come la prima.
In un angolo sulla destra c‘era un grande computer acceso formato da molti monitor. Ognuno sembrava riprodurre un diverso aspetto di uno stesso lavoro.
Sulla parete destra, in una nicchia, si trovava una capsula; sembrava una sorta di passaggio verso qualcosa.
Tornò a concentrarsi sul monitor principale. In parte ritraeva il volto di una persona molto familiare: Sora era il soggetto su cui il computer stava lavorando.
Fu sommerso da un‘altra ondata di ricordi, mentre il dolore alla tempia aumentava a dismisura. Stava recuperando i ricordi di tutta una vita in pochi minuti. Non gli dispiaceva, dopotutto. Finalmente cercava di capirci qualcosa, ma si rese conto in fretta che Hayner e i suoi amici centravano ben poco.
E poi: doveva per forza fare tanto male?

Sempre lo stesso scenario: il Grattacielo della Memoria.
Brandiva due Keyblade e combatteva. Combatteva freneticamente contro delle ombre.
Sapeva cos‘erano, lo ricordava. Erano degli Heartless: grandi, alti, veloci, Forti avversari.
Ma li sconfiggeva con facilità: pochi colpi bastavano a farli sparire in nuvole di fumo e, purtroppo, a farne arrivare degli altri.


La scena si confuse e una nuova si sostituì alla prima.

«È così che pensi ai tuoi amici?» chiese il ragazzo scoprendosi la testa. Rivelò dei capelli argentei e una carnagione chiara. I suoi occhi erano coperti da una benda nera.
«Chi sei?» chiese Roxas con voce pacata. Il suo sguardo tradiva una sensazione di disagio, che tentava di nascondere con un‘espressione fredda e non curante.
«Il nome Riku ti dice niente?»


Il flash si concluse riportandolo al ricordo iniziale.

Riku era accanto a lui, combatteva al suo fianco e insieme stavano eliminando quella moltitudine di nemici.
Non capiva perché lo stesse aiutando. Fino ad un secondo prima erano uno contro l‘altro.
Ed eliminati quegli esseri, tornarono a scontarsi.
Riku attaccava e non risparmiava colpi.
Roxas era provato. Non riusciva a tenergli testa. Respinse altri colpo, ma all‘ultimo il ginocchio cedette e Riku lo disarmò, spingendolo indietro.
Il colpo gli provocò un taglio sulla guancia che cominciò a sanguinare.
Fu spinto indietro, schiena a terra.
Si susseguirono altri scontri, ma Roxas non riuscì a vincere.
Fu tutto nero.
Non aveva altri ricordi visivi.
Ricordava degli odori, dei rumori, delle voci e delle sensazioni.
Era sicuro di essere stato seduto su una grata e averci passato un tempo sufficiente per ascoltare una conversazione.
«Rallegrati mia cara» diceva la voce dell‘uomo che Naminé aveva chiamato DiZ. «Da oggi il tuo lavoro sarà più semplice. Dopo tante ricerche senza esito sono riuscito ad individuare ciò che ti serviva, l‘anello mancante per permettere a Sora di tornare fra noi».
Parlava con Naminé e in quel momento sentì un impeto di rabbia verso DiZ. Da quel che aveva capito, lui la teneva in quel luogo con la forza o qualcosa del genere. La stava facendo soffrire e si promise che gliel‘avrebbe fatta pagare cara.


Lentamente il dolore alla tempia scemò fino a ridursi al formicolio a cui si stava abituando.
Sbatté le palpebre uno paio di volte rendendosi conto di essere tornato alla realtà.
Lanciò un‘occhiata piena di rancore al computer. Forse non sapeva con chi o cosa prendersela per quel che gli stava succedendo ma in un impeto d‘ira, si trovò con un Keyblade in mano e diede sfogo a tutti ciò che covava dentro di sé.
Colpì il computer più volte fra molte scintille, fino a ridurlo ad un rottame. Non sapeva se era la cosa giusta da fare, ma dopotutto era un modo per sfogarsi.
Osservò il computer in pezzi. Piccole scariche elettriche ne indicavano l‘irrimediabile danno.
Non si dispiacque per quello che aveva fatto. Non doveva scusarsi con nessuno per quello che era successo.
Non rimase ancora a guardare quello spettacolo. Si voltò e vide un‘altra porta alla sua sinistra.
Cosa gli restava da fare? Il Keyblade gli sparì dalle mani e si incamminò verso la nuova stanza.
Anche se non se ne sorprese, anche questa era uguale alle due precedenti; era vuota.
Si addentrò e con suo sommo stupore vide formarsi delle chiazze biancastre sul pavimento.
Rimase immobile ad osservare l‘arrivo di nuove creature. Erano bianche e sembravano fatte di gomma. Ondeggiavano in modo piuttosto buffo e la loro bocca era chiusa da una cerniera. Erano prive di occhi, ma la loro forma ricordava quella umana. Le estremità degli arti erano affusolate e prive di dita.
Non aspettavano che Roxas si preparasse allo scontro. Lo circondarono, tentarono di colpirlo.
Roxas chiamò a sé il Keyblade appena in tempo per parare quella serie di attacchi.
Quelli ripartirono all‘opera. Puntavano sui colpi sincronizzati e non sbagliavano. Roxas non combatteva da parecchio tempo una battaglia vera. Evitò il colpo di due esseri, ma il terzo lo colpì fra la spalla e il collo.
Scoprì che non ferivano. Certo, facevano male e lo facevano deconcentrare ma non provocavano ferite.
Meglio pensò Roxas.
Ripartì all‘attacco con questo nuovo aiuto. Roteò il Keyblade e inflisse diversi colpi su quelle creature che cominciarono a capire che avevano davanti un vero nemico.
Ai loro tentativi di attacco, Roxas li aggirò e li colpì alle spalle. Due di loro sparirono in una strana successione di luci che ricordavano dei fuochi d‘artificio.
Il terzo di guardò intorno, rimasto solo.
Si allontanò di mezzo metro e fece come per chiamare a raccolta i compagni. Altri due esseri bianchi sostituirono i primi.
Quello centrale è il più debole analizzò.
Puntò il nemico centrale. I due laterali si pararono davanti al centrale, ma Roxas aggirò quello a sinistra, colpì quello a destra per farlo allontanare e sferzò un colpo di Keyblade verso il suo obiettivo.
L‘essere gommoso si dissolse allo stesso modo dei primi due.
Roxas saltò lontano dagli ultimi due. Non voleva essere colpito alle spalle.
I due si avvicinarono muovendosi con quel loro andamento buffo.
È il vostro momento ora pensò Roxas divertito. Combattere gli riusciva molto semplice, ma non voleva abituarsi.
Naminé diceva sempre che non era nato per combattere e doveva farlo solo per difendersi.
Rimase sorpreso da se stesso. Altri frammenti di ricordi stavano fluendo alla sua mente.
Scagliò altri colpi verso i nuovi esseri. Aggirò uno colpendolo alle spalle, sferzò qualche altro fendente e guardò dissolversi anche quelli.
Si voltò a guardarsi intorno. La stanza era tornata tranquilla.
«Davvero sorprendente, Roxas!» esclamò Axel uscendo da uno dei corridoi oscuro. Aveva una strana voce. Non ricordava di averlo sentito parlare con lui in quel modo.

«Tu cosa, Xaldin?» intervenne Axel, intromettendosi fra i due. Lo fissò negli occhi con sguardo freddo da gelare le ossa. Afferrò il braccio di Xaldin, che lasciò andare Roxas, e disse in tono sommesso come se gli stesse confidando un segreto: «Prova a toccarlo e ti faccio pentire di essere nato».


Il tono che Axel aveva usato in quell'occasione era lo stesso.
«Axel...» cominciò Roxas. Ma in realtà non sapeva cosa dire. Comprendeva quanto stesse male Axel in quel momento.
«Oh, adesso ti ricordi di me...» osservò lui, ma la sua voce manteneva un'inflessione di distanza, chissà forse anche di rancore. «Sono così ONORATO!» esclamò irritato.
Intorno a loro si formò una circonferenza di fiamme. Erano alte, invalicabili. «Ma è troppo tardi!»
Roxas si trovò spaesato. Cosa doveva fare?
Affrontare il suo migliore amico? Non voleva farlo, ma aveva scelta? Concluse che non ne aveva. Estrasse i Keyblade. Erano quelli che usava quand'era nell'Organizzazione: il Lontano Ricordo nella destra e il Portafortuna nella sinistra.
«Due?!» esclamò Axel sorpreso, ma non si scompose più di tanto. Allargò le braccia e tra le mani comparvero i suoi chakram fra le fiamme.
Non aspettò che Roxas si preparasse; partì all'attacco. Lanciò un chakram sul pavimento che prese fuoco riempiendosi di carboni ardenti.
Roxas cominciò a correre. Restare in un punto non era saggio. Axel l'aveva imprigionato in un cilindro di fuoco e questo era un vantaggio per l'avversario.
Sapeva bene che alla presenza del fuoco, Axel combatteva al massimo delle sue potenzialità.
Si diresse verso di lui e cominciò a sferrare colpi di Keyblade. Axel parò con i chakram, indietreggiando. Non c’era verso di colpirlo.
Provò ancora e cercò di aggirarlo e colpirlo alle spalle, ma Axel si voltò d'improvviso, frappose il chakram e si allontanò dicendo: «Ti conosco, Roxas. Non mi inganni così!»
Non voleva continuare ad attaccare. La verità era che si sentiva in colpa per averlo ferito nell'animo e non si sarebbe perdonato di fargliene ancora.
Axel approfittò della sua esitazione. Era ostinato. Gli lanciò contro un chakram che Roxas evitò per miracolo.
Continuava a colpire e Roxas non reagiva.

Alzò il capo e disse al suo migliore amico: «Stalle accanto e prenditi cura di lei, d'accordo?»
La sua era quasi una supplica. Dai suoi occhi traspariva una preoccupazione che non sarebbe dovuta esistere in un Nessuno.
Axel rimase sorpreso dal tanto affetto che Roxas aveva per Naminé.
«Stai tranquillo» promise. «Lo farò».


Nella sua situazione quel ricordo gli risultò molto amaro. Voleva far capire ad Axel che non voleva combattere, ma non ci riuscì e fu costretto a riprendere l'offensiva.
Si fiondò contro l'avversario e un paio di colpi andarono a segno.
Axel si fece indietro fino a raggiungere la parete di fronte. Rincorso da Roxas, vi salì, e continuarono ad affrontarsi sulla parete finché Roxas non lanciò il Keyblade in alto tanto forte da spezzare le difese di Axel.
Il ragazzo tornò sul pavimento scombussolato: la parete e il pavimento di fuoco erano scomparsi.
I loro sguardi si incrociarono per qualche secondo, Axel lo abbassò subito. Non voleva guardarlo negli occhi.
Si scagliò contro Roxas e le loro armi cozzarono rumorosamente.
Roxas tentò di opporsi alla forza che Axel imprimeva sulle sue armi.
«È questo quello che vuoi, Axel?» chiese tentando di farlo ragionare.
Axel non rispose, rinunciò all'attacco. Saltò lontano di qualche metro.
Roxas tentò di avvicinarsi.
«Sta' indietro!» esclamò lanciandogli contro delle sfere infuocate.
Roxas parò i Keyblade innanzi a sé.
Mentre si avvicinava ancora, Axel saltò in alto tentando di colpirlo con i chakram dall’alto.
La sua trovata sorprese Roxas. Non respinse in tempo quel tentativo che gli strappò la felpa e provocò una ferita al petto, sulla sinistra.
Te la sei cercata, Axel pensò Roxas.
Se fino ad allora si era difeso, cominciò a sferrare colpi che per una buona parte andarono a segno. Non stava dando il massimo. Non voleva.
Un suo fendente colpì la spalla di Axel che sussultò.
Non sapeva perchè, ma era certo che non fosse perché si era fatto male. Forse non era l'unico che aveva dei flash con i propri ricordi.
Qualcosa successe nella mente di Axel che lo costrinse a cambiare tattica.
Con un ringhio, scattò contro Roxas avvolgendosi di fiamme. Lanciò il chakram colpendolo più volte e facendolo rimbalzare indietro.
Roxas si spostò di lato con il fiatone, cercando un attimo di tregua.
Axel gli fu subito vicino. Roxas era stremato, ma non voleva arrendersi. Axel tentò di colpirlo ancora, ma non lo fece subito.
Nei suoi occhi Roxas vide quello che Naminé gli aveva detto: Axel gli voleva davvero bene.
Ebbe appena il tempo di aggirarlo e spingerlo in avanti con il Lontano Ricordo.
Axel si allontanò e, se fino ad allora aveva tentato di alimentare le fiamme che li circondavano per riformare la parete di fuoco, smise di provare a bloccarli in quella stanza. Ansimava.
Lo guardò con occhi pieni di dispiacere. Roxas capì che non riusciva più a fingere di non tenere a lui.

«Se passassi dalla parte sbagliata, ti distruggerebbero!» esclamò Axel. Continuava il ricordo al Grattacielo della Memoria. «Come la prenderebbe Naminé?»
«Neanch’io voglio andarmene!» esclamò Roxas esasperato. «Ma è l‘unico modo per proteggerla!»
«Non ci pensi mai, eh?»
«Di che parli?»
«Di me!» esordì Axel. «Non ti viene mai in mente che anche a me mancheresti e non passerebbe un solo giorno durante il quale non mi chiederei dove sei e se stai bene?»


Ripensarci lo fece star male.
«Axel...» disse. Voleva scusarsi ma non sapeva come. Axel capì il suo tentativo. «Incontriamoci ancora nella prossima vita».
Roxas annuì. «Aspetterò». Fu l'unica cosa che riuscì a dire e si odiò per questo.
Axel ridacchiò. «Ingenuo, solo perchè tu hai una prossima vita» disse fra sé. Aprì un corridoio oscuro e ci sparì dentro.
Roxas avrebbe voluto fermarlo. Restare insieme. Ma non riuscì a farlo.
Axel sparì troppo in fretta per essere fermato.
Roxas sospirò. Si guardò intorno. Poco più in là c'era una porta che sembrava portare nell'ennesima identica stanza.
L‘attraversò e si trovò, con sorpresa, in un corridoio sulla cui parete si trovavano molte capsule di contenimento a grandezza d‘uomo dalla forma curiosa.
Erano vuote anche se sembravano funzionanti. Compì qualche passo osservandole e chiedendosi a cosa servissero.
Il corridoio voltava a destra e nell‘angolo notò che due capsule erano piene.
Strabuzzò gli occhi. «Paperino?» esclamò.
Guardò l‘altra capsula. «Pippo?»
Rimase a guardarli per qualche secondo chiedendosi cosa ci facessero lì dentro.
Non impiegò molto a chiedersi: Se ci sono loro, ci sarà anche Sora.
In quel labirinto di stanza non lo aveva trovato, ma un‘altra porta attirò la sua attenzione.
Non aveva altra scelta. L‘attraversò.
Si trovò in una stanza tanto grande da non riuscire a vederne le pareti. Era tutta bianca e al centro troneggiava una capsula come quelle che aveva visto nel corridoio.
A mutare lo stato di quiete che regnava nella stanza, vide comparire DiZ da una proiezione di numeri che lo facevano sembrare parte integrante di un computer.
Roxas lo guardò con sguardo truce.
«Alla fine eccolo qui» disse DiZ. «Il prescelto del Keyblade».
La sua voce gli risultò irritante. «Con chi stai parlando?» chiese irritato. «Con me o con Sora?»
L‘uomo sembrava avere la risposta pronta. «Con una metà di Sora, ovviamente». Quelle parole stuzzicarono ancora di più la rabbia di Roxas.
DiZ riprese la parola. «Tu fai parte dell‘Oscurità. Io ho bisogno che faccia parte della Luce e distrugga l‘Organizzazione XIII».
Se me ne sono andato vuol dire che anch‘io li avrei distrutti pensò Roxas. Ma decise di dire qualcos‘altro: «Perché? Che interesse hai?»
«Lo faccio perché sono un servo del mondo» rispose lui. Non gli sembrò molto modesta come risposta. Rise. «E se io sono un servo tu dovresti considerarti, al massimo, uno strumento». Rise da solo a quella battuta di poco gusto.
Roxas si sentì ribollire di rabbia. Ora aveva capito come si era sentito Axel dopo aver minacciato Xaldin.
«Era una battuta?!» sbottò. «Perché non sto ridendo!»
Concluse la frase alzando la voce a dismisura. Corse verso di lui, Keyblade alla mano, e lo trafisse in pieno addome.
Gli passò attraverso senza avergli inferto alcun danno.
«Le mie scuse» disse DiZ. Era evidente che non gli dispiaceva. «questa è solo una proiezione di dati».
Roxas lanciò un urlo e cominciò a colpirlo sfogando tutta la sua rabbia. Lo vide scomparire e ricomparire alle sue spalle, più vicino alla capsula.
«Forza, fatti avanti» disse.
Fidarsi? Non lo sapeva.
«Non sai quanto ti odio» annunciò franco.
«Dovresti dare un po‘ di quell‘odio a Sora» rispose DiZ. «Lui è fin troppo buono».
Capì che voleva infastidirlo, ma non riuscì a restare calmo.
«No!» esclamò. «Il mio cuore appartiene a me!»
Corse di nuovo verso di lui e lo trafisse ancora, ma non ottenne alcun risultato.
La proiezione di DiZ si dissolse, lasciandolo solo di fronte alla grande capsula.
Si aprì di fronte a lui e finalmente si ritrovò faccia a faccia con Sora.
Naminé aveva ragione: gli assomigliava molto. Dormiva e i capelli gli fluttuavano come se fossero in acqua.
«Sora…» disse lasciando cadere il Keyblade che scomparve. «Sai, sei fortunato. Sembra che le mie vacanze estive siano finite».

«Sora. È ora di svegliarsi» chiamò.

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Capitolo 9
*** Chapter IX: L'inizio di una nuova avventura ***


Chapter IX: L’inizio di una nuova avventura
«Sora?» si sentì chiamare.
«Sora, selchia» sentì ancora. Li riconobbe: erano Pippo e Paperino.
Il suo primo pensiero fu: Chissà come sta Kairi.
Aprì gli occhi e sbatté le palpebre.
Intorno era tutto bianco e vide una luce di fronte a sé. Capì che si stava aprendo qualcosa di fronte a lui. Doveva aver dormito parecchio, perché si sentiva un po‘ rintontito.
Si stiracchiò e saltò giù da dove si trovava.
Inciampò e si ritrovò fra le braccia di Paperino e Pippo.
«Paperino! Pippo!» esclamò.
Li abbracciò. Si rese conto che gli erano mancati. Ma ciò che lo sorprese il fatto che era più alto di Pippo!
Sentì qualcosa muoversi nella felpa. Lanciò un‘occhiata alle sue spalle e vide il Grillo Parlante che gli stava scalando la spalla destra.
Quando la raggiunse, sbadigliò e saltò giù. «Sono un po‘ assonnato» confessò.
«Intendi, che stavamo dormendo?» chiese Sora. Non ricordava di essersi addormentato e neanche quella stanza bianca era familiare.
«Beh, credo di sì» rispose il Grillo. «O non saremmo confusi».
«E quando credi che ci siamo addormentati?» chiese Pippo.
Allora non sono l‘unico a non ricordarlo pensò Sora. Poi disse: «Beh… Vediamo… Abbiamo sconfitto Ansem, riportato i mondi alla normalità, trovato Kairi…» Era certo che gli amici avessero notato che aveva inserito Kairi fra i suoi obiettivi principali.
Rimase a riflettere ancora qualche secondo. «Oh sì!» esclamò. «E poi siamo andati a cercare Riku… e il Re… Credo di ricordare fin qui».
«E poi?» chiese Paperino con quella sua voce gracchiante. Ormai ci aveva fatto l‘abitudine e capiva ciò che Paperino voleva dirgli, ma ricordava molto bene quanto tempo ci aveva impiegato.
«Non ricordo altro» confessò. Era vero. Non ricordava assolutamente nulla di quello che era successo dopo.
«Cosa dice il tuo diario, Grillo?» chiese Pippo.
L‘esserino frugò nelle tasche della piccola giaccia che indossava e ne estrasse un diario della sua misura.
Con sua sorpresa disse: «È bianco! C‘è scritto solo una frase che dice: Ringraziare Naminé. Mi chiedo chi sia…» aggiunse.
Quel nome non gli ricordava nulla, pensò Sora.
Nam… sentì sussurrare ad una voce. Sgranò appena gli occhi, ma gli altri non sembravano aver sentito nulla.
Mentre rifletteva a braccia conserte si osservò le maniche della maglietta. Erano dieci centimetri più corte!
Se davvero aveva dormito, quanto tempo era passato?
«Che raccia di diacrio!» commentò Paperino.
«Beh» ribatté il Grillo, un po' sulla difensiva. «Perché non usciamo di qui e vediamo dove siamo?»
Non era cattiva come idea. Era curioso di sapere cosa ci fosse oltre quelle mura bianche.
Non impiegarono molto a trovare una porta che li condusse in un‘altra stanza e ben presto scoprirono di trovarsi in uno strano labirinto di stanze tutte uguali. In una di queste trovarono un enorme computer composto da molti monitor che, anche se acceso, non sembrava funzionante.
Proseguirono imbattendosi in una grande scalinata che li condusse al pian terreno di una grande casa che constatarono disabitata.
Più che disabitata, cadeva a pezzi e, prima che qualche asse pericolante del tetto, gli cadesse in testa, Sora consigliò di uscire.
All‘esterno la villa dominava in un grande giardino che il tempo aveva riempito di erbacce.
Anche se lo assillava la domanda di dove si trovasse, preferì portare il gruppo lontano da lì. Un presentimento, che credeva infondato, gli consigliava di non aver niente a che fare con quel luogo.
Attraversarono i cancelli della villa, ritrovandosi in un boschetto che non doveva essere poi tanto grande, perché raggiunsero in poco tempo la piazza di una città.
Lesse su un palazzo molto alto: Benvenuti nell‘Area del Tram di Crepuscopoli
La cittadina sembrava tranquilla, perennemente inondata della luce del sole morente.
Qui e lì, si vedevano dei bambini che giocavano o dei negozianti che illustravano l‘uso della loro merce ai clienti.
Eppure quel posto gli era familiare. Più ci pensava e più si convinceva che qualcosa non tornava.
«Non vi sembra di essere già stati qui?» chiese ai suoi compagni.
Paperino scosse il capo e Pippo lo imitò.
La cosa lo preoccupò. Forse stava solo sognando ad occhi aperti e non si era svegliato del tutto.
Continuarono a camminare, finché non si trovarono in un vicolo cieco.
Una porta metallica aperta ne indicava la proprietà privata.
Vide Pippo e Paperino proseguire verso la strada principale e, chiamandoli, disse: «Perché non entriamo e dare un‘occhiata?»
I due si guardarono e, non trovando argomenti per dissentire, annuirono e lo seguirono oltre la porta.
All‘interno, trovarono due ragazzi e una ragazza.
L‘ambiente sembrava accogliente e pieno di oggetti che dovevano appartenere ai tre.
Sora pensò che fosse qualcosa come un ritrovo di amici.
Un ragazzo biondino attirò la loro attenzione dicendo: «Cosa volete?» Il suo tono era un po‘ scorbutico.
Sora sperò di non aver esagerato con la sua curiosità. Cercò di scusarsi il meglio possibile.
«Niente» disse imbarazzato. «Stavamo solo dando un‘occhiata in giro…»
«Non siete di queste parti, vero?» chiese un ragazzo paffuto. Osservava Paperino e Pippo con una strana espressione. Come dargli torto? Non si incontravano tutti i giorni gente come loro.
«Già» ammise.
«Io sono Pence» si presentò.
«Noi siamo Sora, Paperino e Pippo» rispose Pippo. Era sempre lui quello delle presentazioni.
«Io mi chiamo Olette» intervenne la ragazza alzandosi in piedi.
«Hayner» aggiunse il biondino. «Piacere di conoscervi». In realtà, dalla sua espressione, Sora non lo vide molto convinto.
Pence riprese la parola. «Qualche minuto fa è venuto qualcuno che ha chiesto di voi».
Sora guardò i compagni.
«Chi?» chiese.

«Non ha detto il suo nome» rispose Pence. «Ma indossava un soprabito nero e… aveva delle grandi orecchie tonde».
Paperino sgranò gli occhi. «È il Cre!» esclamò.
Re Topolino li cercava… Sore non lo aveva mai conosciuto di persona e non nascondeva la sua curiosità nel volerlo incontrare.
«Per caso vi ha detto di riferirci qualcosa se ci aveste incontrati?» chiese infatti.
«Ha detto che vi avrebbe aspettato alla Stazione» rispose Pence.
«Alla Stazione» ripeté Sora. «Grazie. Ah, scusate ancora».
Detto questo sorrise e il gruppo si allontanò.
Seguirono altre strade, chiesero indicazioni a qualcuno e poi furono aiutati da alcuni segnali stradali.
Raggiunsero una grande piazza dove troneggiava alta la torre dell‘orologio della Stazione.
Sora osservò la piazza: gli sembrò deserta. Sperò che le informazioni di Pence fossero esatte.
Mosse qualche passo verso l‘edificio della Stazione e d‘improvviso vide comparire delle macchie dalle quali emersero delle strane creature bianche.
Sora balzò indietro. Era abituato a combattere degli esseri neri, gli Heartless, e delle creature bianche gli parvero piuttosto insolite. Sul capo avevano il simbolo di uno strano cuore rovesciato.
A guardarlo sentì un formicolio alla tempia che represse all‘istante. Era una nuova sensazione e non poi tanto piacevole.
Chiamò a sé il Keyblade che gli comparve nella mano destra.
Sperò di non essersi arrugginito troppo.
Gli esseri bianchi si mossero verso di loro, circondandoli.
Pippo e Paperino cominciarono ad attaccare e Sora poté constatare che non avevano affatto perso colpi.
Si fiondò contro uno di quegli esseri volendo prenderlo di sorpresa, ma fu preso alla spovvista dal fatto che l‘avversario si rivelò molto più agile di quello che aveva immaginato.
Fu scartato dall‘avversario, se lo ritrovò alle spalle e fu colpito molto duramente dalle sue mani. Non che si potessero definire tali.
Il colpo non gli procurò una ferita, ma sentì le spalle parecchio indolenzite.
Aveva perso un po‘ la mano negli scontri…
A destra, Sora! sentì urlare nella sua mente.
Si voltò appena in tempo per trafiggere un altro di quegli esseri.
«Chi è là?» chiese ad alta voce.
Nessuno gli rispose.
Continuò a combattere al fianco dei suoi amici, ma strani esseri non finivano mai.
Più ne sconfiggevano e più ne comparivano e il gruppo non riusciva a tener loro testa.
Sora indietreggiò fino a trovarsi schiena a schiena con i suoi compagni.
«Qualcuno ha un‘idea di riserva?» ironizzò bisbigliando.
Lanciò un‘occhiata a destra e sinistra della piazza. Se la città gli era sembrata viva fino a quel momento, divenne deserta.
Si sentì cedere le ginocchia e si ritrovò seduto a terra.
L‘essere bianco e gommoso che aveva di fronte, tentò di approfittare della sua debolezza.
Sora parò innanzi a sé il Kayblade nel timido tentativo di difendersi, quando vide un‘ombra scendere dall‘alto e affrontare i suoi nemici.
Con pochi colpi d‘arma riportò la calma nella piazza.
Atterrò con fare aggraziato, la sua arma ben in vista.
Sora sgranò gli occhi. Un Keyblade!
Osservò il loro nuovo allenato: indossava un soprabito nero e aveva due grandi orecchie rotonde.
Si mise sulle ginocchia per osservare meglio: non credeva ai suoi occhi.
Si ritrovò sommerso da Paperino e Pippo che esclamarono all‘unisono: «Vostra Maestà!»
«Shhh» rispose Topolino portandosi l‘indice alla bocca.
Sora guardò meglio il Re facendosi strada fra Paperino e Pippo. A pensarci bene se lo era immaginato più alto, ma non sollevò mai la questione. Meglio evitare convenne. Paperino l'avrebbe perennemente accusato di irriverenza!
Topolino non diede loro il tempo per poter parlare.
«Il treno sa dove portarvi» disse solo. Poi spari correndo verso il corso principale di Crepuscopoli.
«Quello era il Re?» chiese Sora quando rimasero soli.
«In perfciona» rispose Paperino. «Ma se il Re è qui…» rifletté ancora il ragazzo. «…Vuol dire che c‘è anche Riku!» esclamò.
Era entusiasta per questo. Era sicuro che lo avrebbe ritrovato in poco tempo.
Poi si voltò per guardare il grande cancello vetrato della Stazione. Topolino aveva lasciato intendere che un treno li stava aspettando.
«Andiamo?» chiese indicando la Stazione.
«Yuk, meglio non farci aspettare» rispose Pippo.
I tre entrarono nella Stazione e su uno dei binari videro un treno formato da un solo vagone. Aveva un colore molto acceso che lo rendeva estraneo al contesto.
Sora sospettò che davvero quel treno non appartenesse al mondo di Crepuscopoli e questo preannunciava l‘inizio di un nuovo viaggio, forse più lungo di quello che aveva portato a termine.
Prima che potessero salire sul treno, Sora si sentì chiamare da una voce conosciuta.
«Hayner, Pence, Olette» salutò quando riconobbe i nuovi amici.
«Ci hanno detto che stavate partendo» spiegò Hayner senza che Sora gli avesse chiesto perhé erano lì.
«Siamo venuti a salutarvi» aggiunse Olette sorridendo.
«Grazie, yuk» rispose Pippo mentre apriva lo sportello del vagone ed entrava seguito a ruota da Paperino.
Sora guardò i tre ragazzi.
Si sentiva strano. Una parte di lui era felice che i tre fossero venuti a salutarlo ed era eccitato per l‘inizio del nuovo viaggio. L‘altra parte non voleva lasciare Crepuscopoli, per un motivo che neanche lui riusciva a comprendere a pieno.
Sentì rotolargli una lacrima lungo la guancia e gli sembrò legittima. Cosa c‘era di male?
Notò che i tre ragazzi avevano sgranato gli occhi alla vista del suo cedimento.
Tornò a pensare a quello che stava facendo. Si sentì un po‘ in imbarazzo.
«Hey, riprenditi» si disse asciugandosi la lacrima.
Il sorriso tornò sul suo volto.
«Beh, è stato un piacere conoscervi» disse rivolto ad Hayner, Pence e Olette.
Li salutò con un gesto della mano e seguì Pippo e Paperino sul treno.
Vide che i tre amici erano rimasti ad osservare il treno che lentamente partiva e si allontanava.
Sora rimase a guardare fuori dal finestrino. Rifletteva e la sua mente vagava da un pensiero all‘altro.
«Che cosf‘hai?» chiese Paperino.
«Sapete…» rispose Sora. «Sono triste».
«Vectrai che ciorneremo» disse Paperino per consolarlo.
«Già, hai ragione».

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Capitolo 10
*** Chapter X: Resa dei conti ***



Chapter X: Resa dei conti
Lanciò un chakram contro altri due Simili, ma non servì a toglierlo dai guai.
Via di qui! pensò Axel.
Attraversò un corridoio oscuro che lo portò lontano da dove si trovava. Appena in tempo…
Non si accorse nemmeno di essere finito in un ambiente buio: la Città di Halloween.
Non gli piaceva affrontare i Simili, lo trovava molto irritante.
Mosse qualche passo a testa bassa. Non gli importava molto dove stesse andando. Durante la sua fuga, un posto valeva l’altro ormai.
Probabilmente, pensò, l’Organizzazione aveva sospetti su quella sua ritrosia perché non inviava altri. O forse voleva solo ricordargli che non si era dimenticata di lui.
Era certo che non ce ne fosse alcun bisogno. Se ne ricordava bene anche da solo.
Molto spesso si chiedeva come stessero Roxas e Naminé. Non aveva più loro notizie da settimane ormai. Si posò una mano sulla spalla ormai guarita.
 

Se fino ad allora Roxas si era difeso, cominciò a sferrare colpi che per una buona parte andarono a segno. Non stava dando il massimo. Axel lo sapeva. Un suo fendente gli colpì la spalla facendolo sussultare.

«Non ti senti meglio?»
Axel si stiracchiò, mosse la spalla, poi il braccio.
«Fai miracoli con quel disinfettante, lo sai?» disse Axel sorridendo.
La ragazza sorrise, appena imbarazzata.


Quel colpo in realtà non gli fece male. Servì solo a ricordargli che non aveva portato a compimento l’unica promessa che aveva fatto al suo migliore amico prima che partisse.


Non si era perdonato di non essere riuscito a proteggerla, ma in fondo sperava che se avesse incontrato Roxas, lui lo avrebbe perdonato.
Quel ragazzo, Riku, gli aveva assicurato che stavano bene.
Chissà se Naminé avrà avuto la sua borsa… si chiese.
Non sapeva se credere a quel ragazzo vestito di nero. Voleva, ma qualcuno che indossava il soprabito dell‘Organizzazione lo rendeva esitante.
E poi l‘altro suo grande pensiero era…
Una familiare risatina acuta ruppe il silenzio. Axel alzò istintivamente il capo e il suo sguardo guizzò da un tetro albero all‘altro.
«Parli del diavolo…» sussurrò.
Era lì, da qualche parte. Chissà da quanto tempo è sulle mie tracce pensò con un po’ di allarme.
Sentì un altro risolino, questa volta alle sua spalle.
Axel rivoltò prontamente, mentre i suoi occhi continuavano a sondare il grigio paesaggio.
Percepì un fruscio: si stava muovendo.
«Esci fuori, Larxene!» esclamò Axel al limite della pazienza.
«Ai tuoi ordini» rispose la voce irritante di Larxene.
Comparve in una nuvola di fumo nero, un sorriso beffardo.
A mani incrociate, teneva bene in vista i kunai azzurri. I grandi occhi verdi risaltavano degli smeraldi nella notte di quel mondo.
Non aspettò che Axel parlasse di nuovo, ma disse: «Mi sembri sorpreso di vedermi. Credevi che mi sarei dimenticata del tuo affronto?»
Ora che l‘aveva sentita parlare, la paura era fuggita via.
Lo aveva un po‘ spaventato l‘attesa della sua vendetta, ma ora era certo che l‘unico modo per mettere un freno alla sua fuga era affrontare Larxene.
«E come avrei potuto?» chiese Axel con falsa riverenza. Il suo sarcasmo non sembrò divertire la donna.
«Dì le tue preghiere, Axel» rispose irritata.
Axel trattenne una risata di soddisfazione.
Larxene si slanciò verso di lui, brandendo i kunai.
Axel chiamò a sé i chakram e se li parò innanzi appena Larxene gli fu vicina. Le armi cozzarono rumorosamente.
Larxene si allontanò di qualche decina di centimetri. «Vuoi giocare, Axel?» chiese ancora più irritata. «Bene!»
Cominciarono a piovere scariche elettriche.
Axel saltò a destra, poi a sinistra, inseguito dalle saette che Larxene gli scagliava contro.
Si allontanò ancora raggiungendo un vecchio cancello arrugginito.
Lanciò i chakram contro la donna, mentre ergeva intorno a sé delle pareti di fuoco, costringendo Larxene a restar lì intrappolata.
La vide guardarsi intorno per un attimo spaesata. Probabilmente sapeva che Axel questa volta stava dando il massimo di sé.
Axel, dal canto suo, non ritenne fosse il caso di farsi sfuggire la donna che gli aveva fatto passare tante notti insonni.
Ciò che in quel momento gli premeva di più era trovare un modo per rintracciare Roxas. Sarebbe stato molto più complicato di quanto si fosse aspettato.
Larxene gli fu di nuovo vicina. Sferrò un pugno verso il suo volto, ma Axel intromise ancora i chakram. Aggirò la donna, finendo alle sue spalle e le scagliò delle sfere infuocate.
Le prime colpirono Larxene in piena schiena, mentre le successive si dispersero, rimbalzando sulla barriera protettiva che Larxene aveva creato intorno a sé.
Sei migliorata dall‘ultima volta, maledizione… pensò il ragazzo.
Si avvicinò di nuovo alla donna, questa volta deciso a riprendere l‘offensiva.
Saltò verso l‘alto di qualche metro, prima che Larxene potesse difendersi, e lanciò i chakram contro di lei.
Le armi la colpirono, provocando una forte esplosione che riecheggiò per tutto il cimitero.
Tornò a terra con destrezza, mentre i chakram gli tornavano in mano.
Aspettò che il fumo, causato dall‘attacco si diradasse e che la polvere tornasse lentamente in terra, scoprendo il tetro scenario che gli si parava di fronte: Larxene in ginocchio; ansimava per la fatica di resistere all‘esplosione.
Rimase a guardarla senza far nulla. Si sorprese del non provare pietà per lei. Credeva che dopotutto si sarebbe dispiaciuto.
Invece quasi godeva nel vederla definitivamente sconfitta.
Si avvicinò di qualche passo, tanto quanto gli servì per vedere Larxene lentamente dissolversi in piccole scaglie nere.
A differenza di Marluxia, lei non era caduta a terra senza vita, ma era rimasta ansimante finché non aveva cominciato a dissolversi.
Scomparve.
Axel rimase a guardare quei piccoli frammenti neri che si perdevano nel vento.
Per un attimo lo sfiorò l‘idea che probabilmente anche lui avrebbe fatto la stessa misera fine, ma scacciò quel pensiero e si concentrò su Roxas e Naminé.
Doveva trovarli.
E forse il modo migliore era trovare Sora.
Non era ancora molto sicuro sul dove andare, ma forse avere con sé qualcuno a cui Sora teneva sarebbe stato un vantaggio.

~~

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Capitolo 11
*** Chapter XI: L'Organizzazione XIII ***


Chapter XI: L’Organizzazione XIII
Non gli era mai piaciuto essere schiacciato da un Heartless, soprattutto se era uno Shadow.
Non ricordava che il pavimento della Fortezza Oscura fosse così duro!
Tutte le nozioni che aveva appreso ancora gli ronzavano nella mente.
Crepuscopoli, i nuovi nemici, Yen Sid e la nuova missione. E ora la Fortezza Oscura di nuovo invasa da Heartless e il Comitato di Restauro.
Ma era certo che ci fossero altre cose delle quali non era cosciente.
Fu raggiunto da Leon che con un colpo di Gunblade fece scomparire lo Shadow che lo stava schiacciando.
«Grazie» disse.
«Sicuro di stare bene?» chiese Leon.
«Sì, certo» rispose Sora. «Sono solo un po‘ arrugginito».
Si rimise in piedi e corse di nuovo verso un Heartless. Alzò il Keyblade pronto a colpire, ma il piccolo Shadow scomparve in una nube scura.
Udì una risata profonda.
Quel che lo sorprese di più fu il fatto che gli risultò tremendamente familiare.
«Ecco il detentore del Keyblade» disse la voce.
Sora corse via dalla balconata, raggiungendo la zona fortificata della Fortezza Oscura. Inseguiva la fonte della voce.
«Ma forse sarebbe stato più fruttuoso in mani più abili».
Si sentì raggiungere da Pippo e Paperino.
Altre voci risero.
«Fatti vedere!» esclamò Sora adirato.
Apparvero sei figure in nero.
Ognuno sembrava avere una propria personalità dalla propria postura e modo di indossare il lungo soprabito nero.
Erano molto più in alto rispetto a Sora. Non li avrebbe potuti raggiungere.
«Fatevi sotto!»
Gli uomini in nero non risposero.
La voce che aveva parlato prima, che Sora scoprì appartenere alla figura centrale, pronunciò altre parole: «Dopotutto non siete così diversi».
Poi tutti e sei scomparvero in dei portali oscuri.
Sora scattò in avanti, rimproverandosi di non aver provato prima a raggiungerli.
Non percorse più di qualche metro, che uno dei sei uomini gli si parò innanzi.
«Levati di mezzo!» esclamò vinto dall'istinto.
«Hey, hey calmati» lo apostrofò l'uomo. «Dovresti avere rispetto per i tuoi superiori».
Sora lo guardò stranito. Era piuttosto stanco di non capire le allusioni che riceveva.
«Cerca solo di cionfonderci» lo avvertì Paperino con voce gracchiante.
«Non ricordi proprio nulla?» chiese l'uomo in nero con grande ironia. Rise.
Sora gli lanciò un'occhiataccia.
«Anche lui mi guardava nello stesso modo» disse l'uomo rispondendo all'occhiata.
Aprì un portale nero e scomparve nell'Oscurità senza un'altra parola.
Sora rimase a fissare il vuoto.
«Secondo voi, cosa voleva dire?» chiese.
«Non lo so» rispose Pippo. «Ma non credo che dovresti dargli molta importanza».
Il ragazzo mugugnò in segno di assenso. «Credo... dovremmo partire subito» aggiunse.
«Sora ha ragione» intervenne Leon. «I mondi hanno bisogno di voi e dobbismo capire cosa sta succedendo».
Paperino e Pippo non sembrarono respingere l'idea.
D'improvviso Sora sentì muoversi qualcosa nella tasca. Vide un piccolo oggetto luminoso emergere dalla stoffa dei pantaloni neri.
Era l'attesta di Membro Onorario del Comitato di Restauro. Che si era illuminato w aveva emanato un raggio di luce bianca.
Questo disegno nel cielo una grande serratura e il Keyblade di Sora si era subito attivato.
Con grande maestria il ragazzo posizionò la chiave verso la serratura luminosa che fu attraversata da un altro raggio di luce.
Aveva appena aperto una nuova strada verso un altro mondo.
La sua missione era appena incominciata.

Ti troverò, Nam. Te lo prometto.

 

~ • ~
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Capitolo 12
*** Chapter XII: La fuga ***



Chapter XII: La fuga
Era curioso come avesse imparato a detestare un luogo nero, dopo aver passato la vita in uno completamente bianco.
Non ricordava da quanto tempo fosse lì. Ormai aveva perso il conto.
Se ne stava ranicchiata in un angolo di quella stanza buia, tenendo la tracolla della borsa stretta nella mano.
Era l'unica certezza che aveva dopo quello che era successo.
DiZ l'aveva fatta rinchiudere nei sotterranei della Vecchia Villa nell'attesa che Riku ricevesse l'ordine di eliminarla.
Non riusciva a credere che l'avesse tradita così, che avesse finto per tutto quel tempo di essere dalla sua parte.
Pensava a Roxas più di quanto non ci avesse pensato durante la reintegrazione. Le mancava terribilmente.
Che cosa devo fare, Rox? Ogni volta mi ritrovo imprigionata da qualcuno. Ma ora non ho nessuno accanto...
Piangeva, al contrario di ogni definizione di Nessuno, e nel tentativo di consolarsi guardava e riguardava le foto che aveva nella borsa.
All'improvviso sentì scattare la serratura dell'imponente porta che l'improgionava.
Alzò il capo e fu investita dalla luce esterna.
Emerse una figura scura.
Era arrivato il momento. Riku doveva aver avuto l'ordine di eliminarla.
Lo vide socchiudere la porta e avvicinarsi.
La poca luce non le permetteva di distinguere bene le figure, ma ebbe la sensazione che Riku avesse un po' di fretta.
Tentò di alzarsi, ma si sentì trattenuta. Aveva dimenticato che DiZ l'aveva bloccata al muro per le spalle, quando la porta era aperta, con uno strano marchingegno invisibile.
Sospirò sconfortata.
Riku non le rivolse la parola, ma si chinò a cercare ciò che la bloccava.
Naminé gli lanciò un'occhiata sorpresa.
«Cosa stai facendo?» chiese in un sussurro.
«Cosa credi che stia facendo?» rispose Riku con lo stesso tono lieve. «Devo farti uscire di qui».
«Ma sei impazzito?!» esclamò Naminé. Sentì scattare il lucchetto che la bloccava.
«Ecco fatto» sussurrò Riku soddisfatto.
«Riku, Riku ascoltami» disse Naminé afferrandolo e costringendolo a guardarla negli occhi. «E' una pazzia. Se mi fai scappare DiZ lo verrà a sapere e l'ultima cosa che voglio è averti sulla coscienza».
Riku sorrise.
«Ho già fatto troppi errori in troppo poco tempo e questo mi serve per cominciare a rimediare. DiZ potrà dire o fare quelo che vuole, ma non mi pentirò di quello che sto facendo. Forse è l'unica cosa buona che ho fatto fin ora» concluse.
Naminé si alzò e si sistemò la borsa a tracolla.
«Ma...»
«Non preoccuparti per me» la interruppe il ragazzo trascinandola verso la porta. «Ora vai».
«Grazie» disse Naminé.
Riku abbozzò un sorriso.
Naminé esitò quando raggiunse la porta. Si voltò verso Riku.
«Ti riporterò Xion» disse. «Promesso».
Il ragazzo sussultò a sentire quel nome. Naminé capì che gli aveva atto molto male perderla.
«Grazie, Nam» rispose.
«Ma che scenetta commovente» sentirono interrompere da una voce odiosamente familiare.
Riku si voltò di scatto.
Videro emergere una figura da un corridoio oscuro all'interno della staza buia. DiZ li aveva scoperti prima del previsto.
Maledizione pensò Naminé. Perché non mi lasci in pace?!
«Sapevo che non saresti riuscito a resistere, Riku» esordì con una irritante ironia.
«Volevi controllare personalmente» rispose Riku con tagliente sarcasmo.
Si parò dinanzi a Naminé non appena vide muovere un passo dall'uomo.
«Esatto» continuò DiZ. «E guarda cosa trovo? Un quadretto così romantico!»
Riku gli lanciò un'occhiata piena d'odio.
Ma Naminé continuava a chiedersi come avesse fatto DiZ a capire che Riku lo avrebbe tradito.
DiZ riprese a parlare.
«Devo ammettere che il gene ha colpito in pieno! Terra è riuescito ad ingannarmi come te. Ma almeno tuo fratello aveva un certo gusto per le donne!». Lanciò un'occhiata a Naminé.
«Mio fratello ha fatto bene a non fidarsi di uno come te!» rimbeccò Riku con voce minacciosa, mentre faceva cmparire il suo Keyblade nella mano destra.
«Tuo fratello?!» esclamò Naminé colpita dalla notizia. «Terra era tuo fratello?!»
Riku le rivolse un sorriso triste. «Perché credi che sia costretto a portare questo?» chiese stringendo nella mano sinistra il soprabito nel all'altezza del petto.
«Riku...» sussurrò Naminé.
«Lo troverò, Nam» la interruppe il ragazzo. «Lo troverò e lo riporterò a casa».
«Ha! E tu credi...?» cominciò DiZ.
«Taci, serpe!» lo zittì Naminé con tanta grinta che si sorprendette di sé. «Chiudi quella bocca!».
Anche lei era convinta che Riku ce l'avrebbe fatta. Aveva sofferto toppo per non meritarselo.
DiZ la guardò contrariato. Non si sarebbe mai fatto comandare a bacchetta da una ragazzina, una Nessuno per di più.
«Non dire sciocchezze!» riprese. «Posso assicurarti che non uscirai vivo da questa stanza!».
Riku gli lanciò un'occhiata di sfida parando il Keyblade davanti a sé. «Staremo a vedere» disse.
Alzò l'altra mano per aprire un corridoio oscuro e ci spinse Naminé.
«Riku, aspetta!» urlò Naminé prima di venire risucchiata.
Non preoccuparti, Nam. Starò bene pensò il ragazzo rivolgendole un leggero sorriso.
«Corri, Nam. Corri!» fu l'ultima cosa che riuscì a sentire prima che il vortice di oscurità la conducesse in un luogo che non conosceva.
Si guardò intorno dopo essere caduta sulle ginocchia.
Sabbia. Tanta sabbia. Ponti di legno e palme.
Ora che lo guardava megio non le era completamente estraneo.
Ma... Questa è l'Isola del Destino! pensò. Era proprio come Sora la ricordava.
Era fra i suoi ricordi che l'aveva vista.
Si rimise in piedi e si tolse la sabbia che era rimasta sul vestito bianco e sulle ginocchia.
Continuò a guardarsi intorno, mentre si incamminava sulla strada principale.
Non c'era molta gente. La cosa la sorprese un po'.
Poi notò che era già il tramonto.
Abituata com'era a Crepuscopoli, non aveva tenuto a mente che nelle Isole del Destino ci fossero anche altri momenti della giornata e che stesse ormai arrivando la notte.
«Kairi!» sentì chiamare.
Si voltò come se il richiamo fosse stato diretto a lei.
Vide una ragazza con i caplli biondo cenere che arrancava sotto una pila di libri.
La raggiunse con il fiatone. Alzò lo sguardo verso il suo volto.
«Che cosa hai fatto ai capelli?» chiese sorpresa.
«E-ehm...» cominciò Naminé un po' imbarazzata dal malinteso. «I-io non sono Kairi...».
«Siete parenti per caso?» continuò a chiedere la ragazza.
«N-no...» rispose Naminé. «Io non l'ho mai incontrata». Non poteva mica dirle di conoscerla da una vita, se Kairi non sapeva nemmeno della sua esistenza!
«Strano» riprese la ragazza. «Vi assomigliate tantissimo».
«Selphie!» sentirono chiamare da un'altra voce.
Entrambe si voltarono.
Una ragazza con i capelli rosso intenso stava risalendo la strada con dei libri sotto braccio.
«Ciao Kairi!» esclamò Selphie alzando il braccio e agitandolo in un saluto.
Kairi le raggiunse. «Come mai non mi hai aspettata?» chiese.
«Perché credevo di averti vista più avanti» si giustificò Selphie.
Kairi le rivolse un'occhiata disorientata e Selphie rispose indicando Naminé con uno spostamento d'occhi.
Allora la ragazza le rivolse la sua attenzione.
Le due rimasero ad osservarsi.
Selphie non aveva tutti i torti. A parte il colore dei capelli, Kairi e Naminé erano due giocce d'acqua.
Era più o meno come guardarsi allo specchio.
Kairi sorrise. «Io sono Kairi» si presentò mantenendo un sorriso cordiale mentre le porgeva la mano destra.
«I-io sono Naminé» rispose l'altra strinendole la mano.
«Credo che diventeremo ottime amiche» aggiunse.
Naminé annuì. «Lo credo anch'io».
«Come mai da queste parti, Naminé?» chiese Selphie intrufolandosi nella conversazione. «Non ti avevo mai vista prima...».
Ecco la domanda tanto temuta.
«Beh» cominciò. «Non so spiegartelo esattamente, Mi sono ritrovata qui dopo aver corso a lungo». In fondo aveva detto una parte di verità,
«E adesso dove andrai?» continuò Selphie. In realtà non sembrava molto interessata alle domande che riceveva. L'importante era fare domande per non rimanere in silenzio.
«Non ho una meta precisa» rispose Naminé. «Dovrò drmi un po' da fare per trovare un posto dove dormire».
«Potresti venire da me» propose Kairi. «I miei non ci sono questa settimana e avremmo la casa tutta er noi!».
Naminé esitò. «Sicura che non sia un problema? Posso comunque...»
«Non preoccuparti» la rassicurò Kairi. «Sei la benvenuta».
Naminé sorrise.
Proseguirono superando un grande parco e raggiungendo un fine quartiere residenziale.
Kairi si fermò davanti ad una bella villetta a due piani e salutò Selphie che stava proseguendo.
«E ricordati di riportarmi gli appunti di scienze!» aggiunse Kairi.
«Mi ricorderò!»
Kairi e Naminé superarno il cancello e si diressero verso la porta principale. Kairi l'aprì ed entrarono.
Naminé rimase sulla soglia ad ammirare l'ingresso.
«Entra» la invitò Kairi con un sorriso.
«E' bellissima» disse Naminé chiudendosi la porta alle spalle.
«Vieni, ti faccio vedere la nostra stanza».
Salirono le scale e percorsero un corridoio che si affacciava su diverse camere.
Raggiunsero l'ultima porta e l'aprirono.
«Benvenuta» disse Kairi e con una mezza giravolta si sedette sul suo letto.
Naminé entrò timidamente nella stanza e posò la borsa sull'altro letto.
«Come mai due letti?» chiese.
«Selphie viene spesso qui, quindi i miei hanno lasciato un letto in più» rispose Kairi.
Naminé si guardò ancora intorno e la sua attenzione fu attratta da una foto che Kairi teneva sul comò.
Si avvicinò e vide ritratti Sora, Riku e Kairi prima che incominciasse la loro avventura attraverso i mondi.
Posò la mano sul viso di Riku e si sentì salire le lacrime agli occhi.
Mi dispiace, Riku pensò.
«Hey, sicura di stare bene?» le chiese Kairi un po' preoccupata.
«Sì, certo!» assicurò Naminé asciugandosi qualche lacrima, in modo che Kairi non se ne accorgesse.
«Chi-chi sono?» chiese per deviare il discorso.
Kairi si alzò e si avvicinò alla fotografia. «Questi sono Sora e Riku» rispose indicando i ragazzi. «E questa sono io quando portavo capelli corti» concluse.
«E' un bel ricordo» disse Naminé con un mezzo sorriso.

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Capitolo 13
*** Chapter XIII: Un vecchio amico ***


Chapter XIII: Un vecchio amico
Vivere con Kairi si rivelò molto divertente.
Entravano, uscivano, parlavano, scherzavano come se si conoscessero da una vita.
Fra loro c'era un'intesa particolare che forse si trova fra le sorelle più unite.
Parlavano di tutto senza riserve, anche se Naminé aveva accuratamente evitato l'argomento 'passato'.
Aveva presto imparato che la meta preferita di Kairi era la spiaggia. Ci andavano sempre verso il tramonto.
Camminavano sulla sabbia giocando a non farsi bagnare dalle onde, quando comparve un portale oscuro.
Ma che...? si chiese Naminé mentre la sua espressione diventava d'improvviso seria.
Vide emergere una figura scura. Portava il soprabito nero dell'Organizzazione e aveva... dei folti capelli rossi!
«Axel!» esclamò Naminé e corse a perdifiato verso di lui.
Lo abbracciò forte prima che lui potesse rendersi conto di chi fosse.
La separò da sé giusto quanto serviva per guardarla in volto.
«Nam!» esclamò sorpreso. «Tu... tu che ci fai qui?»
«Riku si è opposto a DiZ e mi ha fatta...»
«Riku?!» chiese Kairi che si era avvicinata. «Tu lo conosci?»
Naminé abbassò lo sguardo dispiaciuta. «Mi dispiace di non avertelo detto. Sarebbe stato difficile da spiegare» si scusò.
«E Sora come sta?» chiese Kairi preoccupata. «Conosci anche lui, vero?»
«Sta bene» assicurò Naminé.
«Portami da lui, ti prego» implorò la ragazza.
«Non posso. Sora ha lavorato duro per farti tornare qui ed è sicuro di trovarti al suo ritorno».
«Nam, dov'è Roxas?» chiese Axel.
«Roxas è...»
«Ho capito» la interruppe Axel. «Vieni con me e lo riporteremo a casa».
«Ma Axel...!»
«Lo so! Ma troveremo un modo!»
Naminé annuì. Era arrivato il momento di salutare Kairi. Avrebbe voluto restare con lei per più tempo.
«Portatemi con voi!» insistette Kairi.
«Ma...»
«Ti prego, Nam».
«Dai, Nam» disse Axel. «Possiamo viaggiare tutti insieme».
Lo sguardo di Naminé si spostò da Axel a Kairi per un paio di volte. Annuì. Che c'era di male?
Kairi sorrise. «Grazie».
«Allora venite» disse Axel e le due lo seguirono attraverso il corridoio oscuro.
«Hai qualche idea su dove sarebbe andato Sora?» chiese Naminé mentre continuavano a camminare.
«Ho saputo che sarebbero andati verso la Fortezza Oscura, ma credo che ormai siano ripartiti» rispose Axel.
Secondo Naminé sarebbe stato davvero complicato trovarli. Teoricamente potevano rincorrerli all'infinito, senza mai incontrarsi.
Chissà se mi pensi qualche volta, Rox... si ritrovò a pensare suo malgrado.
«E tu che altre novità porti da Crepuscopoli?» continuò Axel.
Bella domanda...
«Che...» cominciò Naminé. Non sapeva se poteva dirlo ad Axel oppure no. Soprattutto in presenza di Kairi! Decise di non avere altra scelta. «Che Riku è il fratello di Terra» concluse.
«Che cosa?!» esclamò Axel sorpreso. «Stai scherzando spero!»
Naminé scosse il capo. «Me lo ha detto lui» aggiunse a scanso di equivoci.
«Chi è Terra?» chiese innocentemente Kairi per partecipare alla conversazione.
«Il capo dell'Organizzazione XIII che ora si fa chiamare Xemnas» rispose Axel con voce triste.
«Attualmente il nostro peggiore nemico» spiegò Naminé.
Kairi sbiancò a quella risposta. «E credete che si ricordi di Riku?»
«Non ne ha mai parlato» rispose Axel. Era lui l'esperto in materia. «Ma se se ne ricorda, non vorrà mai ammettere di avere qualche legame affettivo e cercherà in tutti i modi di distruggere Riku».
Naminé e Kairi trattennero il fiato all'unisono. Per entrambe era un caro amico, ma Naminé di sentiva in colpa per aver dubitato di lui anche se per pochi giorni.
«Voi... due avete parlato, vero?» chiese Axel per cambiare discorso.
Certo che passavano da una tragedia all'altra...
«Beh... Veramente no» rispose Naminé.
«A proposito di cosa?» chiese Kairi.
«Del fatto che noi due ci assomigliamo come due gocce d'acqua» rispose Naminé.
«Me l'ero chiesto» ammise Kairi.
«Beh, perché io sono il tuo Nessuno».
«Nessuno?»
«Nascono quando una persona perde il cuore» spiegò Naminé. «Il tuo è migrato nel corpo di Sora e poi lui te l'ha restituito».
Per Kairi fu istintivo portarsi una mano al petto all'altezza del cuore. «Quindi noi due è come se fossimo...»
«La stessa persona più o meno» completò Naminé. «Ma è un caso» continuò. «Vedi Sora e Roxas per esempio. I loro caratteri sono agli antipodi».
«E Roxas è...?»

«Roxas è il mio...»
«Ragazzo» completò Axel lanciando un'occhiata furba a Naminé.
A Naminé morirono le parole in gola. Aveva torto forse?
Annuì per confermare la sua definizione.
Kairi le rivolse uno sguardo entusiasta. «Vuoi dire che voi due...?»
«Noi due».
Kairi sospirò. «Com'è romantico».
«Beh, anche tu e Sora...» riprese Naminé.
«Io e Sora?»
«Credi che non sappia dei disegni nella caverna?»
Vide Kairi arrossire. Era certa che anche loro fossero più che semplici amici. Forse non se l'erano mai detto.
«Dove stiamo andando?» riprese Naminé per non far scendere il velo di un imbarazzante silenzio.
«Beh... ecco» cominciò Axel. «Precisamente non so dove andare, ma forse potremmo provare alla Fortezza Oscura. Io non sono la persona più indicata per parlare con Loen, ma comunque...»
«Potrei parlarci io» intervenne Kairi con un sorriso. «Loro mi conoscono».
Naminé sorrise. Grazie, Kairi pensò.
«Bene!» riprese Axel. «Allora in marcia!»
 
Camminarono per molto tempo, tempo che servì a Naminé per poter raccontare ciò che era successo durante la reintegrazione di Roxas, dell'amicizia con Riku e per fare ancor più amicizia con Kairi. Amava chiacchierare con lei.
E ora finalmente poteva stare con Axel. Aveva tremendamente sentito la sua mancanza.
Riservava sempre un attimo per Roxas, che le mancava sempre più.
La speranza di trovarlo non era poi tanto stabile. Anche se lo avesse trovato, non avrebbero potuto stare insieme, visto che lui dimorava nel corpo di Sora.
Axel, dal canto suo, sembrava molto più speranzoso e cercava in tutti i modi di alzarle il morale.
Naminé sorrideva ad ogni suo tentativo. Lo riteneva carino da parte sua.
All'improvviso il corridoio oscuro finì e i tre si ritrovarono a camminare sul pavimento di pietra della Fortezza Oscura.
«Beh, siamo arrivati» annunciò Axel.
Le ragazze si guardarono intorno. Tutto la faceva sembrare una città normale, forse un po' malandata.
«Adesso...?» cominciò Naminé.
«Dobbiamo trovare il Comitato di Restauro» rispose il ragazzo.
Che strano nome pensò Naminé, ma sorrise e si incamminarono verso il centro della cittadina.
«Ma guarda, guarda» sentirono dire improvvisamente da una voce maschile. «Non credevo fossi così prevedibile».
Axel si voltò all'istante e Naminé lo imitò.
Saix
«E guarda un po' che cosa trovo» proseguì Saix con un tono pungente. «Due donzelle molto utili». Sorrise. Ma il suo non era un sorriso di gioia. Dai suoi occhi si percepiva la malvagità con la quale aveva iniettato le sue parole. «Devo ringraziarti per aver fatto il lavoro al posto mio, traditore».
Axel si parò davanti alle ragazze. «Non provare a toccarle» sibilò.
«E così i vecchi amici si rincontrano» disse Saix con un sorriso malvagio.
«Tu non sai più cosa significa l'amicizia» ribatté Axel. «Da molto tempo, Isa».
Naminé notò l'espressione di Saix irrigidirsi, mentre il sorriso lentamente spariva. «Fatti da parte, pivello» ordinò con voce dura. «Ho da lavorare io!»
Axel si fece comparire i chakram fra le mani, mentre si parava davanti a Naminé e Kairi per impedire a Saix di portarle via.
Non fallirò pensò. Non questa volta.
Saix si avventò contro di lui, mentre il Berserk gli compariva in mano.
Lo slanciò contro Axel.
Il ragazzo parò i chakram davanti a sé, cercando di respingere il peso dell'altra arma.
Fu sbalzato indietro di qualche metro.
Saix lo sfidò con un sorriso malevolo. Non gli rivolse la parola.
Si avvicinò alle ragazze.
Kairi lanciò un'occhiata spaventata a Naminé. Era sicura che fosse lei il suo obiettivo.
«Devo ammettere che sei molto cresciuta, Naminé» disse l'uomo.
La ragazza di parò davanti a Kairi. Era certa che se fossero scappate, Saix le avrebbe raggiunte in un batter d'occhio.
«Lasciale stare!» sentì urlar da Axel, mentre si cimentava in una nuova offensiva.
Saix parò il Berserk sulla destra, dove Axel lo stava raggiungendo, sbalzandolo di nuovo indietro.
L'uomo saltò in avanti, pronto Naminé e Kairi. Non doveva perdere tempo!
Naminé afferrò la mano di Kairi in un disperato tentativo di fuga. «Corri, Kairi!» gridò.
Si sentì afferrare. Quella stretta era insopportabile! Odiava Saix. Non poteva permettergli di averla vinta.
La stringeva sempre di più, finché non le mancò il respiro.
Si dimenò con tutte le sue forze, ma non servì. Nulla servì ad impedire a quell'uomo senza cuore di portarla via da Axel che l'aveva cercata in lungo ed in largo e ora la vedeva di nuovo dileguarsi.
Lo vide correre verso di loro mentre scomparivano all'interno di un corridoio oscuro.
Il ragazzo rovinò al suolo. Non riuscì a seguirle.
«Maledizione!» imprecò colpendo l'asfalto con un possente pugno.

~ • ~


Angoletto di Fair ~

Vorrei scusarmi infinitamente con coloro che stanno seguendo la storia per questo mio ritardo. Purtroppo non avendo più il mio PC sono costretta a ricopiare di nuovo tutto dalla bozza cartacea da postazioni di fortuna. Spero possiate perdonarmi *w*

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Capitolo 14
*** Chapter XIV: Le tre gemelle ***


Vorrei scusarmi immensamente per la lunghissima, se non infinita attesa, ma putroppo è da Natale che non ho più un mio computer personale e, ahimé, nessuno ha avuto ancora pietà di me per comprarmene uno nuovo T^T
Comunque questo è il nuovo capitolo, spero vi piaccia! (:
 

 

 

Chapter XIV: Le tre gemelle
Aprì lentamente gli occhi. Di nuovo in gabbia.
Cominciava ad essere un po' stanca di essere imprigionata a destra e a manca. Si alzò a scrutare la camera in cui le avevano rinchiuse. Kairi era appoggiata su un muro. Sembrava addormentata.
Naminé si diresse verso di lei.
«Kairi» chiamò scuotendola.
La ragazza aprì gli occhi e le rivolse un'espressione confusa. «Dove siamo?» chiese sottovoce.
«Siamo nel quartier generale dell'Organizzazione XIII» rispose Naminé mantenendo lo stesso tono lieve.
«Non era l'Organizzazione del fr...?»
«Sì» rispose Naminé. «Xemnas è qui, ma non dire a nessuno che è il fratello di Riku».
«Va bene» acconsentì Kairi.
Prima che Naminé potesse dire altro, le ragazze sentirono aprire la porta.
Naminé si voltò di scatto e vide Saix sulla soglia.
«Xemnas vuole vedervi» annunciò.
Lanciò un'occhiata eloquente a Kairi ed entrambe seguirono l'uomo.
Il Castello del Mondo che Non Esiste non era cambiato da come lo ricordava. Era ancora odiosamente bianco.
Saix le scortò lungo le infinite scale. Non potevano scappare. Erano circondate da molti Nessuno che le controllavano.
Naminé, mentre camminava, pensava ad una strategia per poter convincere Xemnas ad obbedire alle sue condizioni.
Raggiunsero la stanza circolare. Naminé osservò il grande simbolo dei Nessuno impresso sul pavimento. Le alte sedie marmoree imperavano nella stanza.
Xemnas sedeva sulla sedia più alta. Stavano discutendo di qualcosa che Naminé non riuscì ad afferrare.
«L'ultima pecorella è tornata all'ovile» esordì il Superiore.
Terra... pensò Naminé. Come hai fatto a diventare così?
«Nulla è cambiato Xemnas» rispose dura. «Trattate gli ospiti ancora allo stesso modo».
«Il tuo sarcasmo mi sorprende, Naminé. Stai crescendo» riprese Xemnas. «Dov'è Roxas?» chiese l'uomo senza altri preamboli.
Naminé sgranò gli occhi a sentire quel nome. Rox, dove sei finito...? si chiese. «Anche se lo sapessi, non te lo direi» rispose la ragazza.
Sentì Saix muoversi alle sue spalle e Kairi emettere un grido. «Lasciami!» la sentì protestare.
Naminé si voltò verso Saix e poi tornò a guardare Xemnas.
«Dov'è Roxas, Naminé?» chiese con insistenza. Afferrò i braccioli della sedia di marmo e si sporse un po'.
Naminé esitò combattuta sul da farsi. Doveva tenere Kairi lontana dai guai, se no Sora non glielo avrebbe perdonato. Forse anche lei non lo avrebbe fatto.
Avrei voluto darvi più vantaggio, Rox... pensò. Mi dispiace.
«Roxas è stato reintegrato in Sora» rispose Naminé. «Ormai non avete alcun potere su di lui...»
«Allora voi non ci servite più» disse Xemnas senza espressione.
Per un attimo, Naminé si sentì persa, mentre osservava i Nessuno che affollavano la stanza dirigersi verso di loro. «Fermi!» esclamò sperando di riuscire nel proprio intento.
«Aspettate» ordinò Xemnas a messa voce.
«Credete che Roxas potrebbe tornare dalla vostra sapendo che mi avete fatto del male?» sfidò la ragazza.
Xemnas lanciò un'occhiata che tradiva disappunto.
«Sono io che ho seguito la sua reintegrazione e potrò anche modificarla se non dovreste rispettare le mie condizioni».
«E quali sarebbero?!» chiese Saix interrompendo il dialogo.
«Liberate Kairi» cominciò Naminé. Abbassò lo sguardo per pensare se la sua richiesta fosse eccessiva o meno. Aveva promesso di fare di tutto per riaverla. Alzò gli occhi e guardò decisa quell'uomo in nero. «E ridatemi Xion!».
Xemnas fu sorpreso dalla richiesta. Naminé sapeva di essere riuscita ad incastrarlo. Non poteva dirle di no a quelle condizioni.
«E va bene» disse anche se nella sua espressione si intuiva che lo stava facendo uno sforzo per restare calmo.
Schioccò le dita e Xion comparve a mezz'aria e cadde sul pavimento bianco in ginocchio.
Si guardò intorno un po' spaesata.
«Xion!» esclamò Naminé e corse verso di lei. L'abbracciò cercando di farla sentire al sicuro.
«Naminé?» chiese la ragazza a mezza voce.
«Potete tornare dove eravate» annunciò Xemnas, sicuramente nauseato da tutta quella dimostrazione di sentimenti.
Lanciò un cenno a Saix che le riaccompagnò nella loro cella aveva una strana riverenza nei loro confronti. Naminé pensò che la cosa lo infastidisse molto.
Ritornarono nella loro stanza e Xion si sedette subito sul pavimento. Appoggiò la testa contro il muro ad occhi chiusi.
Naminé le si avvicinò e si sedette accanto a lei.
«Come ti senti?» chiese.
«Mi gira la testa» rispose la bruna con un filo di voce.
Le labbra di Naminé si arricciarono in un lieve sorriso. «Vieni Kairi» invitò. Kairi si avvicinò. «Questa è Xion. Riku mi aveva chiesto di riportarla fra noi».
«Riku?!» Xion era scattata in avanti al solo sentire quel nome. «Sta bene, vero?»
Naminé annuì. «Non preoccuparti». In realtà non era molto convinta d quello che stava dicendo. Non sapeva effettivamente come stesse Riku e per questo si sentiva in colpa.
«Co-come mai conosci Riku?» intervenne Kairi.
«Una volta mi ha sconfitta» rispose Xion. «Poi ci siamo incontrati di nuovo alle Isole del Destino».
Kairi rimase ad ascoltare le parole di Xion in silenzio, con grande stupore. «Credo che voi due sappiate molte cose che io non so» sentenziò.
Naminé sorrise.
«Per esempio» riprese Kairi. «Perché noi tre ci somigliamo come tre gocce d'acqua? Credevo che ogni persona potesse avere un solo Nessuno».
«Perché io non sono propriamente un Nessuno» rispose Xion. «Xemnas mi ha creata per eliminare Roxas». Tossì.
«Che cosa?!» sbottò Naminé. «Perché nessuno me l'ha mai detto?»
«Credo che Roxas non lo sapesse...» rispose la brunetta.
Naminé rimase in silenzio. Credeva di essere l'unica a sapere com'erano andate le cose e invece si era resa conto del contrario.
Le ragazze continuarono a scambiarsi domande reciproce cercando di ricostruire com'erano andare le cose. Ma più parlavano e più Naminé capiva che la situazione era molto più ingarbugliata di quanto avesse creduto.
«Credi che ci sia un modo per separare di nuovo Sora da Roxas?» chiese la ragazza. Era certa che non ce ne fossero, ma Xemnas aveva così alterato le regole del gioco che in fondo al cuore Naminé sperava di poterlo rivedere ancora.
«Non lo so...» rispose Xion. «Ma forse in seguito ad un forte shock emotivo, la coscienza di Roxas potrebbe risvegliarsi ad un punto tale da separarsi di nuovo da quella di Sora. Però non so cosa succederebbe ai loro corpi».
Uno shock emotivo... si ripeté Naminé. Se il prezzo doveva essere così alto, forse era meglio che le cose rimanessero com'erano.
Fra le tre calò il silenzio.
Ora che aveva adempiuto ala promessa fatta a Riku, Naminé non poté fare a meno di pensare a Roxas.
Una cosa era certa: quel ragazzo non sapeva fare altro che cacciarsi nei guai!
Appoggiò la testa contro il muro, frustrata. Non potevamo vivere in pace su un'isoletta sperduta solo io e te? Si chiese.
Più il tempo passava e più si rendeva conto del fatto che non conosceva quel ragazzo che le era sembrato tanto familiare. Oltre a sapere com'era entrato nell'Organizzazione, non si erano mai soffermati sul passato. Non le avrebbe nemmeno parlato di Xion se un volta Axel non avesse tirato fuori qul nome. Non aveva mai parlato di lei. E questo a Naminé non era mai piaciuto. Perché invece non ne aveva parlato con sincerità? Nascondeva forse qualcosa?
«Xion» intervenne anche se una parte di lei diceva che avrebbe dovuto avere più fiducia nel ragazzo che amava. «Tu e Roxas siete mai..?»
La bruna scosse il capo. «Siamo solo stati amici» rispose. «Credo una specie di fratelli o una cosa del genere».
Naminé tirò un sospiro di sollievo anche se sperò che Xion non se ne accorgesse.
«Non ti avrei mai fatto questo torto, Naminé» aggiunse.
«T-tu..?»
«Anche se non ti conoscevo personalmente, sapevo che eri da qualche parte nel castello. Era come se sapessi che c'era una parte di me che aveva delle gambe e sulla quale non avevo controllo».
Naminé rimase in silenzio pensierosa.
Fino a quel momento aveva sempre creduto di avere tutte le risposte e la situazione sotto controllo.
Xion sembrava essere più infomata di lei. Si chiese se anche lei sapeva di Terra e dell'intenzione di Riku di riprendersi suo fratello.
«Riku ti ha parlato di Terra?» chiese esitante.
«Cosa gli è saltato in mente?» chiese a sua volta Xion che tutto un tratto le sembrò allarmata.
«Mi ha detto che vuole liberare Terra» rispose Naminé.
«Digli di toglierselo dalla testa» sbottò Xion. «Ne abbiamo già parlato e avevamo deciso di lasciar perdere!» Tossì ancora, con insistenza.
Naminé abbassò lo sguardo, dispiaciuta; non poteva nemmeno nascondere che era preoccupata per la salute di Xion che le sembrava piuttosto instabile.
«Dai, non preoccuparti» cercò di alleviare la bruna poggiandole una mano su un ginocchio. «Andrà bene».
Naminé cercò di capire se si riferiva a Riku, a quella sua tosse che peggiorava o ad entrambi.
Xion si sforzò di mostrare un'espressione serena, ma Naminé sapeva cosa stava provando. In fondo Xion era una parte di lei e si conosceva bene, molto bene.

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Angolino di F a i r
Allora mi scuso ancora per la lunga attesa, ma anche per non aver ringraziato chi mi sta seguendo *u*
Grazie a:
~ Ekaril, NaminF, RoriKida, Xanum che hanno inserito la storia nelle preferite;
~ sheliveinaFAiRYTALE, tigre, Xanum, _FeDe_IcA_ che hanno inserito la storia nelle ricordate;
~ Cipotta91, NaminF, Xanum.
Alle recensioni rispondo con l'applicazione apposita di EFP.
Fatemi sapere se il capitolo vi è piaciuto, ma soprattutto cosa non vi va molto a genio e ciò che si potrebbe modificare e/o migliorare. Sarei anche curiosa di sapere le vostre supposizioni sul seguito della storia, potrebbero essere ottimi spinti per una svolta della trama o per qualche altra FanFiction (:
Baci e spero a presto <3



 

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Capitolo 15
*** Chapter XV: Rimorso ***


 
Chapter XV:  Rimorso
Camminava, lentamente. Non aveva una meta, non più.
Per un attimo aveva creduto che Roxas sarebbe riuscito a a perdonarlo. Aveva perso Naminé solo per un po'.
Ora come lo avrebbe guardato negli occhi, senza provare vergogna?
Non sapeva più dov'era diretto. Cosa importava ormai?
Mosse un altro passo e sentì il rumore che cambiava sotto le sue scarpe.
Aveva raggiunto una piazza interdetta al traffico, pavimentata di piccoli ciottoli che sotto le scarpe rimandavano un suono diverso dal comune asfalto.
Conosceva quel rumore, fin troppo bene.
Gli si strinse il cuore, se così poteva dirsi. Come faceva la definizione di Nessuno essere così lontana da quello che Axel sentiva dentro di sé?
Alzò gli occhi e si rese conto di trovarsi nella Piazza del Tram di Crepuscopoli.
Dovrei sparire da questo postopensò. Non si sentiva più degno di nessuna fiducia, né amicizia. E quel luogo gli ricordava troppo tutto il suo passato.
Prese un profondo respiro mentre tante immagini gli ricomparivano davanti agli occhi.
E’ così che vuoi passare il resto dell’esistenza? si chiese. Sentì la rabbia montare al posto del rimorso e la tristezza.
Aveva deluso il suo migliore amico, Naminé e Kairi che si erano affidate a lui e, più di tutto, Saix era riuscito a fargliela sotto il naso.
Alzò il capo verso il sole morente e decise. Sto arrivando, Saix.

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Angolino di F a i r
Allora mi scuso ancora per la lunga attesa, ma anche per la cortezza del capitolo ^^" Purtroppo è un capitolo di transizione che mi serviva come intermezzo per far capire la situazione ^^
Sempre grazie a:
~ Ekaril, NaminF, RoriKida, Xanum che hanno inserito la storia nelle preferite;
~ sheliveinaFAiRYTALE, tigre, Xanum, _FeDe_IcA_ che hanno inserito la storia nelle ricordate;
~ Cipotta91, NaminF, Xanum, R y u che hanno inserito la storia fra le seguite.
Alle recensioni rispondo con l'applicazione apposita di EFP.
Fatemi sapere se il capitolo vi è piaciuto, ma soprattutto cosa non vi va molto a genio e ciò che si potrebbe modificare e/o migliorare. Sarei anche curiosa di sapere le vostre supposizioni sul seguito della storia, potrebbero essere ottimi spinti per una svolta della trama o per qualche altra FanFiction (:
Baci e spero a presto <3

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Capitolo 16
*** Chapter XVI: Nella tana del nemico ***


Chapter XVI: Nella tana del nemico
Intrufolarsi nel Mondo che Non Esiste non era mai stato semplice per gli indesiderati, ma Axel conosceva quelle vie come le sue tasche e non gli servì molto tempo per ritrovarsi ad emergere da un portale oscuro nelle segrete del Castello di Xemnas.
Per quanto lo riguardava non avrebbe voluto più metterci piede, ma la sua promessa a Roxas era ancora valida. Mosse qualche passo silenzioso, svoltando prima a sinistra e poi a destra.
Stava per svoltare un altro angolo, quando sentì l’eco di altri passi e delle voci.
«E’ compito tuo sorvegliarle» stava dicendo la voce di Saix e Axel capì che parlava di Kairi e Naminé.
Come hai fatto a diventare così, Isa? pensò Axel e trattenne un sospiro.
«Sarà fatto!» esclamò una voce stranamente allegra. Solo Demyx poteva essere abbastanza inesperto da non comprendere i rischi di un compito come quello.
«Non deluderci, Demyx» concluse il numero VII e sparì in un portale oscuro.
Da quel breve scambio di battute, Axel capì che la cella che cercava non doveva essere molto lontana. Non resta che aspettaresi disse.
Passò meno di qualche ora che Demyx fu chiamato da Xaldin per un’altra missione e Axel potè avvicinarsi senza il minimo rumore.
«Nam» chiamò in un sussurrò, mentre si guardava attentamente intorno.
Naminé sobbalzò credendo alle proprie orecchie. Lanciò un’occhiata a Xion, ma la trovò addormentata. Erano giorni che sperava che Axel arrivasse e nel frattempo le tre architettavano di cogliere il momento buono per aprire un portale oscuro e svignarsela con discrezione.
«Nam, sei qui?»
Al secondo richiamo, Naminé fu sicura di non aver sognato e un sorriso involontario si dipinse sul suo volto.
«Axel!» esclamò a tono basso e corse verso le sbarre della cella. «Ci hai trovate!»
I loro sguardi si incrociarono e il ragazzo si sentì sollevare: stavano bene.
Solo in quel momento Naminé si rese conto di quanto la paura l’avesse oppressa per tutto il tempo che aveva passato in quella cella umida. «Kairi, sveglia Xion, presto!» disse alla compagna.
«Ora vi faccio usc- cosa?»
Axel le rivolse uno sguardo incredulo: non poteva aver nominato il numero XIV.
«Ti aspettavo, Axel».
Il numero VIII sobbalzò a sentira la voce di Saix. «Maledizione» sussurrò fra sè.
Naminé gli rivolse uno sguardo, ma lui non poté fare a meno di restare in silenzio e voltarsi.
«Spero tu sia pronto!» esclamò adirato. Saltò in avanti mentre il berserk gli compariva fra le mani e lo sollevava in un attacco.
Axel chiamò a sè i chakram e li parò davanti giusto in tempo per trovarsi addosso un Saix più furioso che mai.
Si sentì sbalzare indietro dalla violenza del colpo, mentre il cozzare delle armi riempiva l’aria, e scagliò un chakram infuocato mentre si rimetteva in equilibrio.
«Prendi questo!» urlò e le fiamme invasero il corpo del rivale. Axel gli rivolse uno sguardo truce mentre lo guardava contorcersi, ma non durò molto.
Saix dissolve le fiamme in un secondo e mosse ancora il berserk.
«Credi davvero di potermi sconfiggere?!» urlò mentre la cicatrice a X si allargava.
Axel fece un passo indietro. Non riuscirò a contrattaccare si disse e si spostò di lato attimo prima di essere colpito. I chakram presero ancora fuoco per schermargli la fuga e sentì Saix rovinare al suolo mentre il berserk colpiva le sbarre della cella.
«Naminé!» esclamò Axel preoccupato e corse verso le ragazze rivolgendo gli occhi all’interno della cella. «State bene?»
Xion si era affacciata insieme a Naminé e il rosso non poté credere a quella visione. «Sei viva» sussurrò ancora incredulo.
Un dolore lancinante gli attraversò la schiena e l’addome tanto da mozzargli il fiato. Sentì ogni fibra del corpo dolere, tanto da impedirgli di muoversi e la voce di Saix lo raggiunse ansimante e inquietante. «Non è dolce, Axel?»
Il rosso vide le punte del berserk emergere dal suo addome e si sentì mancare.
«Axel, no! » urlò Xion. Aprì un passaggio oscuro e senza nemmeno accorgersene si ritrovò con un Keyblade fra le mani. Si scagliò con Saix e Axel ebbe giusto il tempo di allontanarsi e raccogliere tutte le forze che gli restavano per non cadere.
«Xion stanne fuori, o saranno in due a non perdonarmi!» ammonì Axel.
«Siete pietosi» sbottò Saix mentre il suo sguardo sprezzante guizzava da uno all’altro. «Vi comportate come se provaste qualcosa, mentre siete solo dei gusci vuoti!»
Axel gli ricambiò lo sguardo pieno d’odio e gli lanciò contro i chakram infuocati prima che l’avversario potesse pensare a qualcos’altro.
Saix fu avvolto da fiamme più alte. «Maledetto!» esclamò.
Axel corse verso Xion in un lampo, aprì un portale oscuro e se la trascinò dietro mettendole un braccio attorno all’addome. «Tornerò a prendervi!» esclamò ansimante mentre il portale si chiudeva.
«AXEEEEEEEEL!» urlò Saix in preda all’ira, ma il suo berserk si scagliò contro il muro, producendo una profonda spaccatura. 

Non posso… scomparire… continuava a ripetersi Axel. Non ancora…
Xion l’aveva aiutato ad allontanarsi dalla battaglia e l’aveva sostenuto nel cammino quando la ferita gli faceva troppo male.
Erano di nuovo a Crepuscopoli e Axel sentiva che preso Sora sarebbe stato lì.
«Xion, devi farmi un favore» disse affaticato. «Devi trovare Riku».
«Devo cosa?!» chiese Xion incredula. «Tu hai bis-...»
«Ho bisogno che tu dica a Riku che Kairi e Naminé sono nei guai» replicò il ragazzo. «Io devo avvertire Sora e…»
«Verrà anche Roxas» assicurò Xion.
«Và!» la incitò Axel e aprì un portale oscuro.
«Come farò a trovarlo?» chiese la ragazza mentre ancora rivolgeva all’amico uno sguardo preoccupato.
«Mi prendi in giro?» scherzò Axel. «Da quando lo conosco sei l’unica da cui si sia mai fatto trovare!»
«Sei uno stupido!» esclamò Xion, ma non poté fare a meno di sorridere mentre correva e spariva nel corridoio oscuro.
Axel restò a guardarla finché non sparì e poi si sentì mozzare il respiro dal dolore. Non mi resta molto tempo pensò e si mosse come un’ombra fino alla Torre della Stazione per avere visione completa della cittadina.
Impiegò qualche minuto ad individuare il gruppo di amici di Roxas che scortava Sora, Paperino e Pippo verso la Vecchia Villa.
Fu lì in un attimo in una zona di penombra da dove poteva osservare la scena indisturbato e raccoglie le ultime forze che gli restavano.
Non riesco a credere che sia passato così poco tempo si ritrovò a pensare.

~ • ~

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Capitolo 17
*** Chapter XVII: Sacrificio per amicizia ***


Chapter XVII: Sacrificio per amicizia
Da quando aveva lasciato la Fortezza Oscura, sembrava essere passata un’eternità.
Quel breve incontro con i sei superstiti dell’Organizzazione XIII l’aveva turbato più di quanto si sarebbe aspettato.
Mi chiedo cosa mi stia succedendosi ritrovò a pensare.
Non è molto difficile rispose una voce.
Sora alzò istintivamente lo sguardo ma non vide altro che i soliti comandi della Gummiship.
Me lo sarò immaginato.
Paperino e Pippo sembravano tutt’altro che preoccupati; Sora invece si sentiva inquieto ad ogni passo che muoveva, come se non fosse quello il suo compito.
Sospirò fra sé deluso quando notò un altro mondo all’orizzonte.
«Che ne dite di fermarci qui?»
 
Non aveva collegato di trovarsi a Crepuscopoli finché non aveva letto il messaggio di benvenuto a lettere cubitali sulla torre più alta dell’Area del Tram.
«Siamo già stati qui!» realizzò.
«Potremmo cercare Hayner e i suoi amici e chiedere se ci sono problemi» propose Pippo.
Il gruppetto si infilò in una stradina, quando si ritrovarono i tre ragazzi di fronte.
«Hey Sora!» esclamò Hayner. «Ne è passato di tempo!»
Il ragazzo ricambiò il caloroso saluto. Il biondo mi sembrò molto diverso dal loro primo incontro.
«Vi stavamo cercando» annunciò Pence.
Il sorriso di Sora si congelò per poi lasciare spazio ad un’espressione preoccupata.
«Cos’è successo?»
«Alla Vecchia Villa si sono radunati degli strani esseri e la città è tutta in allarme» rispose Olette.
Questa non ci voleva pensò Sora.
Si voltò a guardare i suoi compagni che gli risposero stringendo in pugno le proprie armi.
Tornò a guardare Hayner.
«Fateci strada».
Corsero a perdifiato verso il boschetto della Vecchia Villa. A guardarlo non sembrava ci fosse nulla di anomalo.
Raggiunsero il grande cancello della casa e improvvisamente furono circondati da strane creature biancastre.
«Nessuno!» esclamò Sora. Lo sapevo pensò.
Una delle creature si avventò contro di lui, ma lo vide subito scomparire in piccole esplosioni, trafitto da una chiave.
«Vostra Maestà!» esclamarono i suoi compagni all’unisono.
«Non distraetevi!» urlò in risposta il Re mentre altri Nessuno si avvicinarono a loro per attaccarli.
Sora mosse in avanti il Keyblade in un affondo, aggirò una creatura e la trafisse alle spalle. Ripeté l’azione più volte, finché fu certo che Hayner, Pence e Olette fossero al sicuro.
Ma quanti sono?! si chiese mentre continuava a muovere il Keyblade come una trottola.
«Non preoccuparti!» rispose Topolino, come se gli avesse letto nel pensiero. «Questi sono gli ultimi!»
Si riferiva a tre Simili che si stavano dirigendo verso di loro.
Bene! sentì dire Sora dentro di sé, come se fosse statoun suo pensiero; era però certo del contrario.
Prima che potesse risponedere alle proprie domande, dovette scagliare un fendente contro un Simile.
Quello si ritrasse con fare molliccio e Sora lo colpì ancora.
Ciò che lo infastidiva era il fatto che il suo avversario non sembrasse minimamente ferito dai colpi che gli venivano inferti. Poi, d’un tratto, spariva in tante bolle di sapone.
«Quegli esseri ci hanno attacati anche quando siamo venuti qui per cercare l’altra Crepuscopoli» disse Hayner.
«Altra Crepuscopoli?»
Hayner annuì. «L’abbiamo pensato per spiegare il fatto che esistano due cristalli blu e due portamonete uguali».
Sora ci rifletté su. Com’era possibile una cosa del genere?
«E dove dovrebbe trovarsi?» chiese.
«Abbiamo pensato che si trovi dentro la Villa» rispose Olette.
«Sembra così assurdo» disse Sora riflettendo ad alta voce.
«Non lo è...» intervenne il Re.
Sora si voltò a guardarlo: gli sembrò che avesse un’espressione triste.
«Voi sapete qualcosa?» chiese Pippo.
Il Re annuì lentamente. «L’altra Crepusopoli serviva a perché l’Organizzazione non disturbasse il risveglio di Sora».
Il ragazzo spalancò gli occhi a quella risposta. Allora aveva davvero dormito! E cosa era successo durante il suo sonno? Quanto tempo aveva dormito? E perché?
Tutte quelle domande gli affollavano la mente, ma decise che trovare l’altra città avrebbe colmato i suoi dubbi.
«Troviamola» disse infine.
L’espressione di Topolino si rasserenò. Il Re li condusse all’interno della casa.
Era rimasta malandata così come Sora l’aveva trovata la prima volta.
Salirono le scale che si trovavano al centro e voltarono a destra,dove una porta impediva l’accesso.
Topolino puntò il Keyblade contro la serratura e quella scattò con un suono secco.
Varcarono la soglia e si trovarono in una biblioteca il cui pavimento era stato sostituito da una lunga scalinata che portava ai piani inferiori.
La percorsero e proseguirono trovandosi in una sala computer.
« È qui» annunciò Topolino.
«E come facciamo ad entrare, yuk?»
«Lasciate fare a me» disse Pence.
«È un genio del computer» assicurò Hayner.
Pence rimase seduto di fronte ai monitor per qualche lungo minuto: premeva tasti, configurava, cancellava e impostava e ogni tanto emetteva qualche breve esclamazione di gioia perché il computer non gli rispondeva con qualche messaggio di errore.
«Mi serve la password» annunciò infine.
«Gelato al sale marino» rispose prontamente Sora e tutti si voltarono a guardarlo.
«Gawsh, come fai a saperla?» chiese Pippo.
Sora, allora, si rese conto che tutti lo osservavano e si chiedevano la stessa cosa. «Non lo so» rispose in tono di scusa. «Davvero». Si chiedeva anche lui come quelle parole gli fossero arrivate in gola. E poi... cos’era il gelato al sale marino?
«Non ci resta che provare» propose Olette.
Hayner annuì. «Avanti, Pence. Prova».
Il ragazzo immise la password e il computer la riconobbe.
«E’ andata!» esclamò entusiasta.
Da una capsula che nessuno aveva notato prima emerse un raggio laser bianco che si concentrava al centro della stessa.
«Andiamo» disse Sora.
«Io devo ancora sistemare degli affari» annunciò il Re. «Vi raggiungerò appena possibile».
Sora annuì e toccò il laser insieme a Paperino e Pippo.
Si sentì invadere da uno strano calore e, quando riaprì gli occhi, si ritrovò in una stanza identica a quella che aveva lasciato, fatta eccezione per il computer in pezzi.
«Questa è l’altra Crepucopoli» disse.
La mia Crepuscopoli completò la solita voce.
Questa volta Sora non gli diede nemmeno molto peso.
Alzò lo sguardo e la sua attenzione fu attirata da una strana sfera verde che aleggiava in un angolo della stanza.
«Sarà quello il passaggio verso il regno dell’Organizzaizone» disse Pippo.
«Dici?»
«Non ci sono altri passaggi» aggiunse Paperino.
Non trovando altra scelta, Sora si avvicinò all’inquietante sfera fluttuante e la toccò.
Si sentì risucchiare da un vortice e finì in una strana dimensione.
Guardò i suoi piedi e per poco non si sentì mancare il respiro: stava fluttuando!
O almeno così gli sembrava...
Provò a muovere un passo e si rese conto di star poggiando i piedi su un qualche tipo di superficie.
Che strano postopensò.
Non ebbe tempo di chiedere il parere dei suoi compagni che si vide circondare dai soliti esseri bianchi e mollicci che gli avevano intralciato il cammino durante il viaggio.
E basta!pensò mentre il Keyblade gli compariva nella mano destra.
Sentì un fruscio alle sue spalle e quando si voltò un Nessuno si dissolse in mille bolle di sapone.
«Continuate a muovervi!» urlò una voce.
Sora ne rincorse il suono e individuò che proveniva da un ragazzo dalla chioma rossa di qualche anno più grande di lui che portava un soprabito nero. Ciò che sembrò assurdo a Sora fu il fatto che quella voce gli era suonata tremendamente familiare.
«Chi sei?» chiese mentre sferrava un colpo ad un Nessuno che gli si era avventato contro.
«Non ha importanza!» ribatté il ragazzo, anche lui impegnato in uno scontro. Le sue armi circolari furono avvolte da fiamme e furono scagliate con i Nessuno che sparivano uno dopo l’altro. «Sono qui per aiutarti!»
Axel, che gioia ri...
Sora si voltò di scatto infastidito quando la voce gli rimbombò nella mente; lo confondeva, a volte credeva di perdere la concentrazione. Colpì un altro Nessuno.
«Ti chiami Axel?» chiese.
Il ragazzo annuì.
«Non distrarti!» disse e ripartì all’attacco.
Sora lo seguì riprendendo ad attaccare  i Nessuno che sembravano non finire mai.
Ogni tanto lanciava qualche occhiata ad Axel per controllare che non gli succedesse nulla.
Si sentiva stranamente preoccupato, ma non riusciva a comprendere il motivo della propria preoccupazione. Si scagliò contro altri Nessuno eliminandoli uno dopo l’altro.
Ma quando finiscono?!si chiese mentre ripoggiava i piedi in terra.
Si ritrovò schiena a schiena con Axel.
«Li preferivo quando erano dalla mia parte» scherzò il rosso.
«Ci stai ripensando?» lo canzonò Sora.
«Nah» assicurò Axel. Si chinò un po’ per raggiungere l’orecchio di Sora. «Sta’a guardare» sussurrò.
Spiccò un salto, venne avvolto da fiamme i chakram cominciarono a ruotare all’impazzata, finché tutto non fu invaso da una intesissima luce bianca.
Sora si coprì gli occhi con le mani per difendersi da quella luce accecante.
Quando gli sembrò che stesse perdendo di intensità, cominciò a guardarsi intorno.
Con sua enorme sorpresa, tutti i Nessuno erano svaniti nel nulla!
Tutto sembrava osì assurdo, ma non vedere Axel lo spaventò.
Abbassò lo sguardo e lo trovò disteso sul pavimento.
«Axel!» esclamò e corse verso di lui.
Si gettò a terra accanto a lui e si accorse che ansimava.
«Cos’è successo?» chiese.
«Questo è quello che succede quando metti tutto te stesso in un attacco» rispose Axel misurando il poco fiato che aveva. «Non che io abbia un me stesso» aggiunse con un po’ di ironia. Tentò di ridere, ma la sua espressione si trasformò in una maschera di dolore.
Sora lanciò un’occhiata al corpo di Axel e non poté fare a meno di sorprendersi.
«Stai... scomparendo» disse senza fiato.
Axel sorrise. «La mia strada finisce qui...»
«Axel non puoi lasciarmi, non puoi!» urlò d’improvviso Sora, ma sentì che quelle parole non gli appartenevano.
Che mi sta succedendo?si chiese. Non poteva dispiacersi così tanto per una persona appena conosciuta.
«Speravo di trovarlo...» sussurrò Axel con un filo di voce, lo sguardo vacuo.
Il bruno si sentì salire le lacrime agli occhi, ma non riusciva a sentirle proprie.
«...e che mi perdonasse» concluse il rosso.
Axeeel! sentì Sora urlare nella sua mente.
Si sentì sbalzare indietro. Portò istintivamente le mani agli occhi e si rese conto che erano asciutti.
Vide una figura in ginocchio vicino ad Axel, ma si soprese del fatto che potesse guardarci attraverso: era semitrasperente.

~• ~
♦          ♦          ♦





Salve a tutti!
Che interminabile attesa, eh?
Beh, questo capitolo è stato un parto plurigemellare e arrivare a questo punto per me è molto difficile dal punto di vista emotivo perché mi sento molto attaccata ad Axel. Quindi capite bene che questa situazione non è che mi riempia di gioia e pertanto mi è anche difficile da buttare giù.
Comunque!
Questo è quello che sono riuscita a fare e spero che lo apprezziate, anche se vi faccio aspettare sempre troppo^^"
Mi piacerebbe qualche recensione da parte vostra, così sarei anche più invogliata a continuare (:
Beh, buone vacanze a tutti e alla prossima!


Ringraziamenti:
~   Cielo_Chan, Xanum, Cipotta91 e la mia Aerith1992 per aver recensito;
~ Cielo_Chan, Ekaril, il Keyblade del Destino, NaminF, RoriKida e Xanum per aver inserito la storia fra le preferite;
~ sheliveinaFAiRYTALE, tigre, Xanum e _FeDe_IcA per aver inserito la storia fra le ricordate;
~ Cipotta91, NaminF, la mia R y u  e Xanum per aver inserito la storia fra le seguite;

Grazie a tutti (:

 

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Capitolo 18
*** Chapter XVIII: Una spalla su cui piangere ***


Salve a tutti! Se state leggendo questa nota significa che avete una pazienza infinita e di questo vi ringrazio molto!
Volevo avvisare i lettori che il nuovo capitolo non è questo, ma il 16 che nella versione precedente mancava.
Per ricollegare la storia ho apportato qualche modifica al capitolo 15.
Buona lettura! (:



Chapter XVIII: Una spalla su cui piangere
Roxas osservò il suo migliore amico.
Sentiva un dolore lacerante al petto, mentre le lacrime gli rigavano le guance.
«A-axel...» singhiozzò con voce rotta dal pianto.
Il rosso sollevò lentamente lo sguardo, riconoscendo la voce del biondino.
«Roxas...» sussurrò.
«Non parlare» continuò Roxas. «Vedrai che si risolverà tutto».
Axel abbozzò un sorriso, ma scosse il capo. «Devi trovare Naminé» disse in tono grave. «Non sono riuscito a proteggerla come mi avevi chiesto. Saix le ha prese entrambe».
«Entrambe?»
«Ha preso anche Kairi, per attirarvi nel loro covo».
Al nome di Kairi, Roxas sentì un tuffo al cuore. Siamo fregati pensò.
«Mi dispiace...» sussurrò sviando lo sguardo.
«Non importa» assicurò Roxas anche se sentiva come se tutto il mondo gli stesse crollando addosso.
«Trovala Roxas, perché senza di lei nulla avrà più senso» ricominciò il rosso risollevando lentamente gli occhi. «E quando l’avrai trovata dalle un bacio da parte mia e dille che mi dispiace».
Fu allora che Roxas cominciò a temere il peggio. Il rosso ansimava sempre di più e le piccole scaglie del suo corpo continuavano a dissolversi sempre più velocemente.
«Axel, no!» esclamò disperato. «Non puoi lasciarmi! Io ho bisogno di te. Troveremo Nam e anche Kairi. Insieme».
Axel scosse il capo con fatica. «Ero io che avevo bisogno di te».
Le tante scaglie si dissolsero dopo un grande vortice.
«Axeeeeeeel!»
Pianse quella volta, Roxas. Pianse lacrime amare, che nessuno avrebbe mai potuto consolare.
Si sentiva solo, in un mondo che non aveva posto per i Nessuno come lui.
Alcune gocce salate bagnarono il suolo che si illuminò di una luce accecante e bianchissima.
L’attenzione di Roxas fu attirata dalla luce.
Ma che succede?
La vide sollevarsi e assumere una forma sempre più familiare, una forma che non credeva si sarebbe mai trovata davanti ai suoi occhi.
Un cuore cristallino sembrò accorgersi della sua presenza e con disinvoltura gli si avvicinò fino ad entrargli nel petto.
Roxas rimase ad osservare quell’assurdo fenomeno mentre le lacrime gli si asciugavano sulle gote lasciando un sottile strato di sale.
Si sentì invadere da un calore accogliente, mentre tutto il corpo cominciava a formicolare.
Si guardò sorpreso le mani, poi le gambe e infine il petto, ansimante.
Il suo corpo aveva riacquistato la sua sostanza!
Non riusciva a credere che davvero sarebbe potuto succedere; proprio quando stava per perdere ogni speranza.
Ancora aveva la mente piena di domande quando si sentì posare una mano sulla spalla e chiedere dalla voce con cui aveva convissuto per tanti mesi: «Tutto bene?»
Roxas si voltò di scatto come riscosso dai suoi pensieri e si trovò osservato da due enormi occhi azzurri che lasciavano trasparire la loro preoccupazione.
Sora, nel suo spirito da crocerossino, gli si era avvicinato.
Il biondo impiegò qualche secondo ad articolcolare una risposta di senso compiuto e infine disse: «E-ehm... sì, credo di sì».
La preoccupazione sul volto di Sora lasciò spazio ad una beata allegria. «Bene!» disse. «Tu devi essere Roxas, giusto?»
Il ragazzo annuì un po’ spaesato, mentre in cuor suo (eh sì, proprio nel suo cuore!) si chiedeva se fosse una cosa normale che Sora sapesse già il suo nome.
Pensò di essere diventato un libro aperto per il suo “io”, perché Sora gli rispose: «Axel ti ha chiamato così».
Al solo sentirlo nominare, Roxas si sentì di nuovo salire le lacrime agli occhi.
Anche se aveva sempre provato forti emozioni per essere un Nessuno non credeva che gli uomini le provassero in modo tanto intenso: in confronto le sue erano solo pallide imitazioni; e quel che è peggio era il fatto che gli risultavano molto difficili da controllare.
«Hey, hey, hey» intervenne subito Sora. «Non farne un dramma ok?» Poi si rese conto di non aver centrato a pieno il modo migliore per consolarlo e ripiegò: «Cioè, sì, è un dramma, ma non così drammatico. Voglio dire... è un dramma non drammatico!» Arrivò a non raccapezzarsi nemmeno lui in quello che stava dicendo.
Nel frattempo sul volto di Roxas si era trasformato in un’espressione sbigottita sulla quale aveva poi fatto breccia un sorriso. Che strano tipo aveva pensato divertito.
«Mi segui, no?» aveva poi concluso Sora cercando di ridarsi un po’ di contegno.
«Sfora sfei il psfolizto pastficcione!» esclamò Paperino all’improvviso. «E ftu» si rivolse al biondo. «Sfmettizla di piafgnucolafre, hai capifto?»
In realtà Roxas non era riuscito ad afferrare nemmeno una parola di quello che il papero aveva detto e cercò muto soccorso negli occhi di Sora.
Il bruno gli rivolse un sorrisetto furbo e rispose: «Vedrai che ti farai l’abitudine». Gli strizzò un occhio.
 
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«Ma Paperino, cosa dovrei fare secondo te?» esclamò Sora dopo aver dato il dovuto benvenuto a Roxas nel team. Il problema era però, che Paperino non sembrava molto intenzionato a dare un po’ di fiducia al nuovo arrivato.
«Lascfialo qui, mi pfare opvvio!» rispose alle insistenze di Sora.
Il ragazzo cominciò allora ad arrovellarsi il cervello per trovar delle argomentazioni che potessero persuadere Paperino. «Non posso lasciarlo qui!» esclamò. «Non capisci? Per me è più di un fratello! Come faccio a lasciare qui una parte di me?»
Il papero si trovò un po’ spiazzato da quelle parole e cercò soccorso negli occhi di Pippo che invece gli rivolse uno sguardo che diceva: Ha ragione, sai?
«E va fbene!» esclamò allora il papero rassegnato.
Sora emise un gridolino di gioia e corse verso Roxas per annunciargli la notizia.
Roxas ne fu molto felice; trovare un punto d’appoggio come quel ragazzo bruno nel momento che stava passando, fu davvero sollevante.
 
«Forza sali!» lo invitò Sora una volta raggiunta la gummiship. «Ne vedremo delle belle, te l’assicuro!»
~ • ~
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Capitolo 19
*** Chapter XIX: Atterraggio brusco ***


Chapter XIX: Atterraggio brusco
Viaggiare con Sora fu davvero divertente.
Aveva quasi dimenticato cosa significasse avere degli amici e passare del tempo con loro; anche se Sora a dire il vero era più di un amico.
Sarebbe stato difficile da spiegare se glielo avessero chiesto, ma si sentiva legato a Sora in maniera indissolubile.
Il loro perenne peregrinare per i mondi era ricominciato e insieme avevano vissuto tante avventure. Quello che Roxas non riusciva a spiegarsi, però, era il motivo per cui non si fossero precipitati al Castello di Xemnas appena avevano saputo da Axel che Naminé e Kairi erano in pericolo.
Gli sembrava come se nessuno avesse davvero compreso la gravità della situazione ma non voleva intromettersi nelle decisioni del gruppo. Insomma, era l'ultimo arrivato!
Avevano appena lasciato uno dei mondi da visitare, quando il ragazzo decise di avvicinarsi a Sora e domandargli cosa avesse in mente.
«Sora, posso parlarti?» chiese avvicinandosi alla zona comandi della gummiship.
Il bruno alzò gli occhi un po' sorpreso da quella richiesta, ma acconsentì con un sorriso. «Dimmi pure». Gli fece segno con la mano di sedersi accanto a lui.
«Vorrei chiederti come mai non ci siamo ancora diretti nel Mondo Che Non Esiste per cercare Nam e Kairi» disse Roxas sedendosi al posto del pilota in seconda.
Sora rimase in silenzio per qualche secondo e Roxas suppose che fosse perché stesse per spiegargli che la situazione era diversa che quella che si era immaginato.
«Ho pensato che seguire l'istinto e cadere nella loro trappola non sarebbe stato saggio» cominciò Sora. «Mentre invece proseguire con il nostro viaggio come se non fosse successo nulla li avrebbe innervositi e attirati fuori dalla loro tana».
Abbastanza ingegnoso ammise Roxas fra sé.
«Vuoi prima eliminarli uno ad uno per trovarti faccia a faccia con Xemnas?» chiese.
«Esatto!» rispose Sora. «E direi che la cosa ha funzionato: abbiamo eliminato Xaldin al Castello della Bestia e poi ci è mancato per eliminare anche Xigbar, non ti pare?»
«Si, sono d'accordo» acconsentì il biondo. «Ma non funzionerà con tutti» ammonì.
«Che intendi?» chiese Sora non comprendendo a pieno il senso delle sue parole.
«Intendo dire che avresti potuto chiedermi che tipi fossero, prima di tentare questo piano, non ti pare?» lo canzonò.
Sora sentendosi ripetere le sue stesse parole, cambiò espressione. Se fino a quel momento si era sentito un grande genio del male, ora osservava Roxas in attesa di nuove informazioni. Gli mise il broncio per qualche secondo per poi chiedere con un rinnovato sorriso: «Beh campione, sentiamo, chi possiamo attirare fuori dalla tana?»
Roxas restò per un attimo spiazzato, non credeva che gliel’avrebbe chiesto così su due piedi. «Beh vediamo di fare un po' il quadro della situazione: Xemnas è vivo e suppongo anche che goda di buona salute; Xigbar era alla Terra dei Dragoni giusto perché Xemnas ce lo ha mandato a pedate, altrimenti non uscirebbe mai dal castello; Xaldin è morto, Vexen per fortuna è morto, Lexaeus è morto - peccato era simpatico quando parlava -, Zexion è morto...». Cominciò a contarli sulle dita e si sentì stringere il cuore ripensando ad Axel.
Restò in silenzio una frazione di secondo finché non concluse: «Mancano all'appello: Saix, Luxord, Demyx… Marluxia e Larxene, purtroppo».
Il ragazzo si rabbuiò in volto, rimproverandosi di aver dimenticato due come quelli. Si ritrovò a pensare che Axel doveva essere così esausto anche per colpa loro, ma quando lo sguardo ricadde su Sora non poté fare a meno di sorridere.
Il bruno era rimasto ad osservarlo per qualche secondo con un'espressione non troppo intelligente che sembrava dire: e quindi?
«Quindi credo che la caccia sia finita, visto che quelli rimasti non usciranno dal Castello di Xemnas nemmeno se ci impicchiamo» concluse Roxas notando il volto ebete dell'amico.
«Aww, mi hai rovinato il piano!» esclamò Sora quando capì dov'era andato a parare il discorso. «Allora cosa proponi di f-…? »
D'improvviso si sentirono strattonare e il pannello dei comandi della gummiship prese a lampeggiare e suonare a sirene spiegate.
Sentirono un urlo imprecatorio di Paperino che stava inciampando e Pippo cercava di non cadere come un birillo.  «Gawsh, cosa è successo?» chiese ad alta voce anche se nessuno aveva una risposta.
«Comandi in avaria, comandi in avaria» ripeteva la voce automatica pacata e snervante come sempre. «Stiamo precipitando, impatto previsto fra trenta secondi.»
Sora, che era caduto in avanti, cercò con tutte le sue forze di rimettersi in piedi e riprendere quel poco che restava dei comandi della nave.
Roxas invece era scattato vicino al pannello di controllo per cercare di capire il motivo di tutto quel trambusto. Osservò la serie di spie che lampeggiavano cercando di comprendere il loro significato, finché non fu attirato ad una più grande delle altre che indicava una zona della nave. «Siamo stati colpiti da qualcuno!» esclamò sorpreso. «La zona destra della nave è praticamente sparita!»
«Al momento non mi interessa molto, Rox!» gli rispose Sora con voce forzata. Reggeva il timone con entrambe le mani e con tutto ciò non riusciva a fargli assumere la posizione che voleva. «Vieni a darmi una mano, piuttosto!»
«Dieci, nove, otto...» continuava imperterrita la voce metallica.
Sora forzò ancora il timone finché non gli rimase in mano e fu sbalzato malamente indietro.
«Tre, due, uno».
Un boato riempì l'aria tranquilla di quella che sembrava essere una strana foresta piuttosto colorata.
Quando la polvere sollevata dall'impatto si diradò e il rumore si acquietò, si alzarono lenti mugugni doloranti.
«Aah...» borbottò Roxas che si era ritrovato a gambe all'aria con la schiena incastrata fra due blocchi della gummiship.
«Ragazzi!» sentì esclamare da Sora, che sembrava si trovasse dall'altro capo della nave. «State bene?» chiese. La sua voce rimbombò un po' nel silenzio della foresta, che lentamente stava riacquistando i suoi consueti rumori.
«Dove credi siamo finiti?» chiese invece Roxas che con enorme fatica stava cercando di rimettersi in posizione eretta. Sentì il corpo dolere e ogni muscolo tirare nel tentativo di riprendere la propria attività.
Sora si guardò intorno mentre aveva già aperto la bocca per rispondergli, ma di rese conto solo in quel momento di non aver mai messo piede in quel luogo prima di allora. «Non lo so» fu costretto a rispondere e cominciò a guardarsi intorno attirato dagli strani colori che li circondavano.
Si rimisero lentamente in piedi un po' doloranti. «Non siamo mai venuti qui, yuk» notò Pippo mentre si avvicinava ai ragazzi insieme a Paperino.
«Già...» confermò Sora con la sguardo perso. Visitare un nuovo mondo era qualcosa che lo entusiasmava, ma arrivarci così all’improvviso non era di certo una bella esperienza!
«Credo che dovremmo ripartire subito» suggerì Roxas dopo alcuni minuti di silenzio.
Sora sembrò svegliarsi da un trance e ritornare alla realtà senza aver capito una parola.
«Dofremo criparare la nafe!» ricordò Paperino e quella notizia non fu esattamente consolatoria per il povero ragazzo biondo.
«E nel frattempo esploriamo la zona!» esclamò Sora che invece sembrava al culmine della gioia. Aveva già mosso i primi passi, quando si era accorto di non essere seguito dai compagni. «Ehm, ragazzi?»
Decisero che in un posto come quello nessuno avrebbe tentato di rubare una gummiship in quello stato, perciò si addentrarono nella boscaglia.
«Mai vista vegetazione come questa...» commentò Roxas mentre camminavano. Poi notò che Sora si era fermato e si guardava intorno con circospezione.
«Qualcosa non va?»
Sora sibilò di restare in religioso silenzio perché aveva sentito un rumore e anche Roxas si mise in guardia. Non ebbero il tempo di capire cosa stava succedendo che Roxas si ritrovò un enorme peso addosso.
«Ma è fantastico!» esclamava. «Una forma di vita a base di carbonio è venuta a salvarmi, finalmente!»
Roxas non comprese il senso delle sue parole, né perché quell’essere fosse così contento di vederli. Quello, invece, proseguì il suo sfogo di gioia: «io voglio abbracciarti, stritolarti...» e in breve il ragazzo di ritrovò stritolato in un abbraccio che dava di ferraglia.
«Va bene, va bene, fermo» disse con fare spiccio mentre tentava di toglierselo di dosso. «Lasciami andare» proseguì, ma l’essere non ne voleva proprio sapere di ascoltarlo e continuava a blaterare. «Lasciami andare!» disse allora Roxas con più insistenza e finalmente gli parve di essere ascoltato.
Quello, che finalmente Roxas capì essere un robot, si ricompose.
«Scusa, scusa, scusa» disse con più riverenza. «E’ che, vedi, mi hanno abbandonato qui da così tanto tempo che, insomma… la solitudine è anche piacevole - non dico mica di no -, ma per mille megabyte dopo cento anni… ti saltano i circuiti!» urlò cominciando a cambiare voce a più riprese. Nel frattempo si era riavvicinato e si era appoggiato sulla spalla del biondo.
Roxas gli lanciò un’occhiata: forse non aveva capito che non doveva toccarlo?
Il robot non sembrava essersi accorto della presenza degli altri e sobbalzò quando Sora gli rivolse la parola.
«Tu sei… un robot!» esclamò il bruno mentre gli occhi gli brillavano. «Non ci credo, un robot che parla da solo!»
«Ehm, sì, io mi chiamo...» rispose il robot. «Il mio nome è...»
Tutti restarono in attesa un po’ sbalorditi e cominciarono a fissarsi fra loro e rivolgere occhiate al tipo che non sembrava tanto giusto di testa.
«BEN!» esclamò poi, quando tutti ormai avevano perso le speranze. «Ma certo, B.E.N.! Biointelligenza ElettroNumerica, e tu sei?».
Sembrava essersi di nuovo rivolto a Roxas e nessuno riuscì a capirne il motivo.
«Roxas» rispose il ragazzo.
«Oh, che piacere conoscerti, Roxie!»
«Mi chiamo Roxas» puntualizzò il ragazzo.
«Comunque!»
«Senti, andiamo un po’ di fretta, la nostra nave è in frantumi e...»
«Ora che ci penso non siete i primi con una nave in frantumi da queste parti. Una volta… Oh, cielo! Mi avevano mandato a cercare aiuto perché avevano visto che stavate arrivando!» esclamò il robot.
«Chi?!» chiese Sora spalancando gli occhi.
«Venite, presto!»
B.E.N. non sembrò molto intenzionato a dare spiegazioni e cominciò a correre in modo sconnesso per quello strano bosco.
«Andiamo, potrebbe cacciarsi nei guai» suggerì Roxas e tutti furono d’accordo.

Seguirono in lungo e in largo il robot finché non raggiunsero una strana caverna piena di cianfrusaglie e B.E.N. parve cadere nello sconforto.
«Non ci sono più! Mi hanno abbandonato!» si stava disperando.
«Non prenderla male» disse Sora tentando di consolarlo. «Avranno avuto un imprevisto e non hanno potuto avvisarti!»
«E’ impossibile» spiegò B.E.N. «Il capitano era ferito, non avrebbero potuto muoversi...»
«Non avevi detto che avevano bisogno di aiuto?» chiese allora Pippo.
Roxas era rimasto in silenzio ad ascoltare la conversazione, mentre analizzava la zona circostante. La caverna era dotata di una grande apertura che permetteva di osservare l’esterno. A qualche centinaio di metri sopra le loro teste era sospesa una grande nave e il ragazzo di domandò come facesse a restare sospesa a mezz’aria.
«Wow, ma quella è una nave pirata!» esclamò sbalordito.
«Oh, pirati! Non parliamo di pirati, per carità, non mi piacciono!» partì B.E.N. dimenticando in apparenza la domanda di Pippo. «Mi ricordo il capitano Flint, aveva un carattere pessimo!»
«Chi è il capitano Flint?» chiesero Sora e Roxas all’unisono. La storia cominciava a farsi interessante.
«Per quanto mi riguarda soffriva di turbe caratteriali» proseguì il robot ignorando di nuovo le domande. «Io non sono uno psicanalista, per carità, ma SE FACCIO DISCORSI SCONNESSI DITEMELO!»
I ragazzi si scambiarono un’occhiata perplessa: il robot continuava a non rispondere alle loro domande e, da quel che ne avevano potuto capire, c’era qualcuno in difficoltà.
«Quindi… cosa ci fanno dei pirati qui?» ritentò Sora.
«Pirati… qui…» balbettò B.E.N. e sui suoi occhi si dipinse un’espressione di estrema concentrazione che poi lasciò spazio al terrore. «I miei amici sono stati rapiti dai pirati! Cercano un tesoro enorme, i-i-io ricordo... ».
Cominciò di nuovo a balbettare e i fili che pendevano dalla sua testa mandavano leggere scariche elettriche, forse alla ricerca di informazioni che non c’erano più.
Roxas, per la prima volta da quando aveva un cuore, si sentì inquietato e dovette sforzarsi molto per mantenere la calma.
«Il baricen-wsjkn del meccanis-hmn… e poi c’era una porta, grande… che si apriva e si chiudeva e ne passavano delle bruttissime creature… che aggredivano chiunque incontrassero e Flint…»
Di ciò che disse dopo, il gruppo non riuscì a capire più nulla e B.E.N. cominciò ad agitarsi in preda ad un conflitto di informazioni.
Appena sentite nominare le bruttissime creature, Roxas si sentì invadere da un brutto presentimento. Gli Heartless sono qui pensò.
«Sono dati INACCESSIBILI! ERRORE, ERRORE!» aveva preso ad urlare il robot nel frattempo e Roxas, non riuscendo a controllare bene la tempesta di emozioni che aveva cominciato ad invaderlo, lo colpì con uno schiaffo senza quasi accorgersene.
Sora gli rivolse uno sguardo sorpreso, ma quando tornò a guardare il robot poté constatare che avesse funzionato.
Per Roxas quel gesto si rivelò liberatorio e fu sufficiente a scaricare la tensione che quelle notizie gli avevano procurato.
«Chi sei tu?» chiese il robot fissandolo con sguardo indagatore.
«Buono, buono, che dicevi delle orrende creature?» chiese Sora concitato.
«Io dico che sei Larry» sentenziò B.E.N.
«I-il baricentro del meccanismo, il capitano...» suggerì Roxas.
«Sc-cusate, ma la m-mia memoria non è più quella di una volta» rivelò. «Io ho perso una rotella, eh sì, ho proprio perso una rotella! Non è che l’avete trovato voi, vero?»
Cominciò a tastare nelle felpe di entrambi nella speranza di trovare qualcosa. Poi indicò il retro della sua testa, da dove pendevano i fili scollegati. «Il mio pezzo mancante, il mio circuito primario di memoria?»
«Senti B.E.N…» riprese Roxas. «Dobbiamo salvare i tuoi amici, ricordi?»
Il robot restò per un attimo sovrappensiero. «Certo, andiamo!» concluse. «Venite, sono sicuro di sapere dove li hanno portati!»
Il gruppo si scambiò ancora sguardi perplessi e Sora fece spallucce prima di incitare tutti a seguirlo.

Camminarono abbastanza da perdere il senso del tempo.
A lungo andare il paesaggio risultò ripetitivo e B.E.N. non sembrava avere la minima intenzione di stare un momento zitto.
Qualche Heartless di tanto in tanto si frapponeva lungo il loro cammino, ma il lavoro di squadra di Sora e Roxas non dava loro vita lunga e presto non se ne diedero più pensiero.
Anche la voce del robot cominciò a mischiarsi con i rumori d’ambiente e ben presto Roxas si ritrovò a pensare a tutt’altro.
Il suo pensiero tornava costantemente ad Axel, alla sua sorte e a Naminé imprigionata nelle grinfie del loro peggiore nemico.
«Hai una vaga idea di dove stiamo andando?» chiese quando cominciò a sentire i piedi doloranti.
Il robot non parve sentirlo ma interruppe la sua andatura e ammutolì.
Gli occhi del gruppo furono presto puntati verso una compagnia abbastanza numerosa che si guardava intorno sul limitare di un precipizio. Dall’abbigliamento e dai modi impiegarono poco a capire che si trattava dei pirati.
«Jim è vivo!» esclamò B.E.N. ma Paperino provvide subito a zittirlo.
Quel robot ci farà morire tutti pensò Roxas fra sè.
Dai componenti cominciarono a sollevarsi mugugni di disapprovazione quando, con sorpresa di tutti, comparve un portale oscuro e ne emerse un uomo incappucciato con un soprabito nero.
Roxas sobbalzò e sentì un moto d’ira che controllò a stento.
Chi poteva essere uscito dalla tana?
Non ne era sicuro, ma i movimenti e la corporatura cominciarono a far convergere i sospetti su un solo componente.
Bastò un altro secondo di osservazione per esserne certo: ecco una carta che si muoveva veloce e apriva un grande portale triangolare.
«E’ Luxord» sibilò e la cosa non lo rincuorò affatto.
Aveva sperato per un istante che si trattasse di Demyx così da poterla sbrigare in fretta, ma le sue speranze non erano cresciute più di tanto: Demyx non era tagliato per quel tipo di lavoro.
«C’è da preoccuparsi?» chiese Sora voltandosi a guardarlo.
«Dipende da quanto non sopporti giochi di prestigio» rispose Roxas senza distrarsi. I pirati superarono il portale e subito si sentirono grida di gioia: dovevano aver trovato il tesoro. «E’ un illusionista e non fa altro che scappare per farti finire in trappola» continuò il biondo. «Io lo trovo insopportabile».
~ • ~
 
Salve a tutti! Perdonate la lunga attesa, ma spero che dopo questo capitolo sia ripagata ^^"
Vi esorto a farmi sapere cosa ne pensate della storia e soprattutto informarvi su cosa non vi piace.
A presto :3

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