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Erica
non ne era poi tanto convinta. Se tutto succedeva per una ragione, perché a lei
stava succedendo proprio quello? Non riusciva a spiegarselo.
Era
forse una questione di karma?
Sì, probabilmente
sì. E lei non poteva farci niente. Doveva subire. Punto.
Non
poteva combattere, non poteva rifiutarsi. Nessuna via d’uscita, nessuna
scorciatoia.
Il
peggio era che la colpa era tutta sua e lei lo sapeva. Non aveva nemmeno la
dolce e tenue illusione che fosse stato deciso da una forza maggiore.
In quel
caso la forza maggiore era lei. Lei e nessun altro.
Doveva
ammettere però che occorreva una discreta abilità a cacciarsi in una situazione
del genere. E fra le ben poche abilità che possedeva, Erica era sicura che
quella di scavarsi la fossa da sola fosse la più sviluppata.
Piangere
sul latte versato non serve a niente, questo si ripeteva mentre con difficoltà
metteva un piede davanti all’altro. Doveva andare avanti.
Doveva
girare l’angolo.
Non aveva
scelta.
Con un
sospiro spinse le mani ancora più a fondo nelle tasche dell’impermeabile:
era nero, lucido ed enorme. Almeno tre taglie buone più di lei. Dal momento
stesso in cui lo aveva preso dall’attaccapanni non aveva fatto altro che
darsi della stupida: c’era stato solo un attimo in cui, guardando i
nuvoloni carichi di pioggia in avvicinamento dalle montagne, si era detta che
era una buona idea prendere in prestito l’impermeabile del padre. Era
stato solo un unico, minuscolo attimo. Veloce come un temporale estivo.
E ora si
ritrovava a camminare sotto quel telo pesante e completamente inutile che non
faceva altro che intralciarle i movimenti.
Non
pioveva nemmeno, santo Dio!
Prese un
bel respiro, smettendo di pensare al giaccone: aveva svoltato l’angolo.
Ce l’aveva fatta. E ora? Sarebbe riuscita a raggiungere lui? Certo che
sì. Che poteva fare altrimenti, girare i tacchi con la coda fra le gambe e
tornare indietro? No. Non c’erano né se né ma.
Con il
cuore in gola Erica si incamminò lungo il marciapiede.
La sua
meta era solamente un puntino alla fine della strada: piccolo e nero, semplice
conferma del fatto che la sua passeggiata non era stata inutile. Passeggiata
poi… piuttosto via crucis. Scuotendo la testa alzò gli occhi al cielo,
osservandolo.
Azzurrissimo,
limpido come non si vedeva da giorni. Sorridendo con amarezza Erica spostò gli
occhi da una nuvola che non c’era all’altra.
Cos’era
quella, ironia della vita?
Uno
squillo del cellulare le ricordò che erano le sei. Non aveva tutta la giornata,
perdio!
Si era
alzata alle quattro. Si era lavata, vestita e preparata, il tutto in un quarto
d’ora. I successivi quarantacinque minuti erano serviti a prepararla
psicologicamente. Intorno alle cinque era finalmente riuscita ad uscire di
casa, avviandosi incerta.
Normalmente
il tragitto casa-scuola non le impegnava più di dieci minuti. Questa volta ci
aveva messo un’ora. E non era ancora arrivata… che dire, non è
facile camminare a passo spedito quando si ha la sensazione di starsi avviando
verso la propria esecuzione.
Erica
sospirò, studiando la strada dinanzi a sé. Deserta. Non una persona.
Sembrava
di essere in un quadro da due soldi.
Non
c’era un alito di vento a smuovere l’aria: gli alberi, radi e quasi
morti, somigliavano a sculture. Le case e i palazzi dai colori pastello
svettavano su di lei imponenti. Nemmeno una bicicletta o un cane. Il vuoto
assoluto.
Quando
Erica raggiunse l’entrata della scuola si fermò davanti al cancello nero
sprangato e trattenne il fiato.
Ma che,
era forse finita in “Ai confini della realtà” ?
Ci mise
qualche istante a realizzare che no, Spielberg non c’entrava niente: con
buone possibilità quelle anomalie erano tutte da attribuirsi al fatto che da
poco era passata l’alba.
E lei
era l’unica idiota a trovarsi in mezzo alla strada a quell’ora, che
diavolo.
No, non
l’unica. Ce n’erano altri due alla fine del marciapiede. Ed era
proprio da uno dei due che era diretta.
Sorrise,
trovando difficile credere che lo stesse facendo.
Mancavano
quasi due ore all’inizio delle lezioni e lei era già là, in un
impermeabile che non era il suo, diretta all’unico bar aperto a
quell’ora del mattino: Asilo politico.
Nome
assurdo per lei, come per tutto il resto della popolazione. Eppure non
c’era un solo liceale che non lo frequentasse. L’idiota che lei
cercava non era un’eccezione.
Leonardo
Viscardi.
Ultimo
anno, metro e ottanta, campione di nuoto. Fisico scultoreo, capelli neri, occhi
scuri. Bello. Il solito ragazzetto da dieci e lode, quello che tutte sognano e
desiderano. Il tipico clichè. Uno così c’è sempre. Ovunque. Libri,
film… un Viscardi non manca mai.
A Erica
piaceva pensare di essere superiore, diversa dal resto della popolazione
femminile.
Si
divertiva a credere che lei non lo desiderasse. Affermava che le era
completamente indifferente: vederlo non le faceva né caldo né freddo. Non le
succedeva come alle altre: sudorazione eccessiva, balbettio incontrollato,
ormoni fuori uso e battito da ricovero.
No, per
lei Viscardi non era niente.
Ora, di
tutto questo qualcosa di vero forse c’è… poco, molto poco.
Perché a
dirla tutta, bisogna ammettere che il ragazzo non è male, per niente. Del tutto
indifferenti quindi non gli si può essere. Erica però aveva avuto la fortuna di
capire che era inutile e malsano anche solo fantasticarci sopra. Si era quindi
rassegnata.
Se
capitava di incontrarlo, passargli accanto, vederlo, lei non faceva una piega:
sollevava gli occhi e lo guardava. Sentiva quel piccolo tuffo al cuore che è
normale provare davanti a un ragazzo così e poi basta. Fine della storia.
Nessuna storia d’amore, nessun lieto fine.
Detto
questo, si chiedeva ancora perché gli stava andando incontro allora.
Misurò
lo spazio che ormai li separava: meno di cinque minuti e lo avrebbe raggiunto.
Aveva
chiesto in giro, con discrezione, cercando di capire se c’era un momento
in cui avrebbe potuto trovarlo solo. A quanto pareva no: non era mai solo.
La
mattina però, poco dopo l’alba, diciamo verso le sei, lo si poteva
trovare fuori l’Asilo politico.
Erica
aveva sgranato gli occhi a quelle parole: alle sei?! Di mattina! Per quanto
potesse sembrare assurdo, dopo giorni di tormento, si era decisa ad affrontarlo
proprio in quel momento: la sua mente contorta le aveva suggerito che a
quell’orario improponibile c’era qualche possibilità che non fosse
come al solito accerchiato da dozzine di persone.
Erica
prese a grattarsi i palmi delle mani, accorgendosi di non poter più tornare
indietro.
Lo vide,
rifulgente nella sua bellezza anche di prima mattina. Seduto al tavolino
d’angolo, le gambe allungate e i piedi accavallati, chiacchierava con un
ragazzo al suo fianco.
Parlavano
a bocca piena, in maniera quasi disgustosa, addentando a turno cornetti al
cioccolato. Cornetti enormi, della grandezza di due mani, grondanti nutella da
ogni poro.
Al centro
del tavolo ve n’era un piatto pieno, già svuotato della metà. A
completare il tutto, due tazze che sembravano orinali, piene fino
all’orlo di caffèlatte. I due non l’avevano nemmeno vista,
impegnati com’erano nella loro conversazione ed Erica accarezzò
l’idea di estrarre fulminea il cellulare per fotografarli così, con
i baffi di latte e ricoperti di zucchero.
Cambiò
idea all’ultimo momento, ricordandosi che non le conveniva contrariarli
visto quello che doveva fare. Migliore era il loro umore, meglio era per lei.
Così,
fermandosi a qualche metro dal tavolino, aspettò che si accorgessero di lei:
non voleva origliare, non era educato e non ci avrebbe ricavato niente da
discorsi primitivi come quelli. Nonostante la relativa lontananza le arrivarono
all’orecchio sprazzi di conversazione, rigorosamente a base di calcio.
Sospirando cominciò a guardarsi attorno, evitando di chiedersi quando era
diventata invisibile.
Posò lo
sguardo su tutto, tranne che su Viscardi.
L’ultima
cosa che le rimaneva da osservare era l’altro tipo, il suo amico.
Sorrise, soddisfatta dal fatto che come in ogni migliore racconto, anche lui
fosse un clichè. Il migliore amico, quello che conosceva da sempre, la spalla,
sempre presente al punto da far temere una relazione omosessuale.
I tipici
Cip e Ciop, da giuramento per la vita e per la morte.
Iniziò a
temere che per ottenere qualcosa avrebbe dovuto convincere anche lui, il rosso.
In quel caso le cose sarebbero state ancora più difficili. Ma che poteva farci?
Non
c’era modo di acchiappare Viscardi senza il rosso. Sembrava fossero
legati a doppio filo. Dove stava uno, non c’era dubbio che l’altro
non fosse lontano.
E il
rosso non passava inosservato: con quei suoi capelli degni della famiglia
Weasley, o volendo di Pippi Calzelunghe, si notava in mezzo ai mille. Per
quanto incredibile poi, era anche più alto di Viscardi, raggiungendo i temibili
metro e novantadue. Svettava su tutti.
C’era
da aggiungere che non era campione di nuoto come l’amico, ma
semplicemente stella della squadra di rugby, con i suoi buoni chili di muscoli.
Il contrario dell’invisibilità per concludere. Non sarebbe mai capitato,
per esempio, che Giovanni Santillo si fermasse affianco ad un tavolino, come
stava esattamente Erica, e non venisse visto.
Erica
assottigliò lo sguardo, chiedendosi se la stessero prendendo in giro. Poteva
mai essere possibile che davvero non la vedessero?
Forse
era colpa dell’impermeabile.
Con un
sospiro avanzò ancora di qualche passo, trovandosi ormai rasente al tavolo.
I due
continuarono a non guardarla, commentando qualcosa come l’ultimo
grandioso gol di Quagliarella, e lei prese in considerazione l’idea di
farli a fette con il coltello da burro.
Con uno
sforzo riuscì a impedirsi di afferrarlo e si limitò a schiarirsi la voce.
Ci volle
ancora un istante prima che smettessero di parlare, poi si voltarono in
contemporanea, le bocche piene e gli sguardi interrogativi verso di lei.
Erica
perse di colpo ogni certezza e istinto assassino. E ora?
“
Scusate. Potrei parlarti un attimo, Viscardi?”
Il
sopracciglio del diretto interessato schizzò rapido verso l’alto,
facendogli assumere un’espressione se possibile ancora più dubbiosa.
Erica si ricordò solo in quel momento di non avergli mai rivolto prima la
parola. Lui neanche sapeva che esisteva.
“
Con me?” chiese, senza smettere di masticare.
“
E’ un problema?”
“
Credo di no”
Erica
lanciò uno sguardo al rosso, sperando che in un gesto di comprensione si
alzasse, lasciandoli soli, ma l’altro le sorrise divertito e scosse la
testa.
“ Non
ci penso nemmeno, occhi blu”
Erica
fece spallucce, aspettandosi quella risposta da Santillo.
Con
gesti sicuri prese una sedia da un tavolo vicino e l’avvicino ai due,
posizionandosi di fronte a Viscardi e senza dare le spalle all’altro.
L’aveva chiamata occhi blu, pensò Erica. La cosa non le dispiaceva: gli
occhi erano l’unica cosa di cui andava fiera. Del resto l’unico
altro soprannome possibile in quel momento sarebbe stato riferito
all’impermeabile fuori misura e a quello preferiva gli occhi.
“
Allora, da dove comincio?”
Era
stato piuttosto un mormorio indefinito, ma Viscardi la sentì lo stesso.
“
Presentandoti, forse?” domandò, allungandosi sul tavolo per afferrare un
altro cornetto.
“
Non credo. Il mio nome in questo momento non ti serve a niente, fidati.
Ascolta… per me è già difficile essere qui, non peggiorare la situazione.
Fa silenzio e ascolta”
Erica
era stata categorica. Viscardi accennò un sorriso e fece spallucce,
segnalandole che non avrebbe aperto bocca. Lei prese un bel respiro, lanciando
un’occhiata in tralice al rosso che la fissava divertito e poi si decise
a continuare:
“
Avrei un problemino. Veramente nemmeno tanto piccolo, che non ho idea di come
risolvere. In realtà mi sono messa nei guai da sola. Una stronzata dietro
l’altra, come al solito. E mi sono ritrovata in un casino che non ti
dico. Cioè… è per Sandra, non per me! Ma non volevo, ti giuro. E poi mi
sono ricordata del racconto di Daniela, e mi sono detta perché no? Capace che
qualcosa di buono ce ne esce. Naturalmente a questo punto non dipende più da
me, quanto da te. Capisci, Viscardi?”
Il
ragazzo aveva smesso di mordere il cornetto.
Aveva
ascoltato il delirio insensato di Erica senza fiatare, guardandola come fosse
una bomba ad orologeria. Quando sentì l’ultima domanda, il sopracciglio
schizzò di nuovo verso l’alto e il cornetto cadde sul fazzoletto di
fronte a lui.
“
Come?” chiese, in un sussurro incredulo.
A
rispondergli, con fare complice, fu Santillo:
“
Sherlock Holmes ti ha chiesto se per assurdo hai afferrato qualcosa del suo
alquanto torbido discorso, Nardo”
Erica
sobbalzò, non aspettandosi l’intervento dell’altro. Si girò,
guardando il rosso, e gli rivolse un’occhiata di fuoco, dimenticandosi
momentaneamente del resto:
“
Come mi hai chiamata, Cita?” chiese, con aria di sfida.
“
Holmes. Hai presente l’investigatore, no? Credevo ti fossi inspirata a
lui con quella sotto specie di impermeabile”
“
Io… tu, sotto specie di gorilla! Non osare più aprire bocca. E che razza
di…”
“
Vedi, Nardo? Io dico che ha qualche problema ad esprimersi, occhi blu. Forse
dovresti intervenire, sai com’è, capace che ne tiri fuori qualcosa di
sensato”
Erica lo
fissò incredula, senza riuscire nemmeno ad aprire bocca. Era mai possibile che
l’anello mancante fra l’uomo e la scimmia la trattasse in quel modo?
Indecisa
sul dirsi stava per assestargli un calcio su uno stinco da sotto il tavolo,
quando la voce di Viscardi la distrasse, costringendola a guardarlo.
“
Non credo di aver ben capito cosa hai cercato di dirmi. Ho afferrato che
è colpa tua, che c’entra una certa Sandra e una tale Daniela… ma
non ho capito cosa ho a che fare io con tutto questo”
Erica
sorrise appena, imbarazzata. Avrebbe voluto rispondere che nemmeno lei lo aveva
ben capito, che era ancora un’idea molto confusa in cui non c’era
né capo né coda.
Non
poteva però, lei doveva far vedere che era sicura, che era già tutto pronto,
preparato e che avrebbe solo dovuto dire di sì.
“
Viscardi. Ho bisogno del tuo aiuto e non hai la minima idea di quanto mi costi
dirtelo. Ho tantissimi difetti e uno di questi è l’orgoglio. Non posso
farci niente. Ci ho messo tre giorni per decidermi a venire da te. Ora sono
qui. Ed ecco che entra in scena un altro dei troppi difetti di cui ti parlavo:
sono una bugiarda patologica. Dico balle senza nemmeno rendermene conto, in
continuazione… non ne vado fiera, ti assicuro. Ormai però mi ci ero
abituata, era diventata una routine, capisci? E poi che faccio? Rovino tutto.
Come mio solito oserei dire… Vedi, non sono il tipo che si fa tanti amici.
Una vera amica però ce l’ho. Unica e insostituibile, sai? Come credo sia
Cita qui per te. Sandra. A lei non avevo mai mentito, almeno fino a qualche
tempo fa. Poi ho mentito anche a lei… non avrei mai voluto farlo. Non
avrei mai dovuto farlo. Eppure l’ho fatto Viscardi”
Erica
aveva parlato quasi senza prendere fiato.
Viscardi
la guardava con tanto d’occhi, non sapendo come affrontare la situazione.
Era la
prima volta che aveva a che fare con una ragazza del genere.
Si perse
nei suoi enormi e languidi occhi blu, sorpreso dal fatto che non desiderasse
con tutto se stesso cacciarla via. Eppure era strano. Si era presentata al loro
tavolo, alle sei del mattino, interrompendolo mentre parlava con Giovanni. Lei,
con quell’impermeabile insensato che le lasciava scoperta solo una parte
del viso bianco e gli occhi.
E aveva
cominciato a parlare, senza smettere un secondo, mitragliandolo con un discorso
incoerente e folle. L’unica cosa che aveva capito era che voleva aiuto.
Ma perché da lui? E che razza di modi erano quelli? Scosse piano la testa,
pulendosi la bocca con un fazzoletto.
“
Ehy, ehy. Prendi aria. Rilascia ossigeno al cervello, ragazzina. La smetti di
farneticare e mi dici una volta per tutte come dovrei aiutarti?”
Ne
osservò la reazione senza smuoversi di una virgola.
La vide
indietreggiare quasi involontariamente, colpita dal tono duro che aveva usato.
Aveva
assottigliato gli occhi, osservandolo truce, aprendo la bocca come per
ribattere a tono e farlo pentire di averla trattata in quel modo.
All’ultimo
momento si era fermata però, reprimendo a stento un sospiro.
“
Ho bisogno di un ragazzo”
Non
sorrideva. Nessuno sorrideva.
“
Ho bisogno di un ragazzo, perché ho mentito a Sandra, la mia migliore amica,
dicendole che stavo con un certo Leonardo. Ho mentito”
Lui la
osservava sempre più basito, incredulo a ogni parola di più.
“
Avrei voluto rimediare da sola ma era troppo tardi. Allora mi sono ricordata di
te. Più precisamente di quando Daniela mi ha raccontato di te… di quella volta
in cui ad una cena con i suoi cugini hai finto di essere il suo ragazzo. E mi
sono detta, perché no?”
Viscardi
avrebbe voluto dire qualcosa, interromperla e parlare, ma non ci riuscì.
“
Non so perché sono qui. So solo che mi sento umiliata. Ferita, anche. E tutto
per una stupidaggine. Non ne faccio una buona. Ma avrei proprio bisogno di
aiuto. Sai, come in tutti quei film di serie b? Ho bisogno di un attoruncolo
disposto ad assecondarmi”
Viscardi
socchiuse gli occhi, non riuscendo a distogliere lo sguardo dal suo.
“
Ora basta. Prendo l’ultimo brandello di dignità che mi rimane e me ne
vado. Ti lascio il mio numero, nel caso che… non lo so. Te lo lascio.
Scusate ancora”
Erica si
alzò, facendo strusciare la sedia e lasciando scivolare sul tavolo un pezzettino
di carta. Cosa cavolo aveva appena fatto?
Scuotendo
la testa diede le spalle ai due ragazzi e si incamminò lungo la strada.
A testa
bassa, confusa come non mai. Le mani nelle tasche, il respiro affannoso e
spezzato.
Non si
accorse nemmeno dell’acquazzone che era scoppiato.
*
Dite un po', qualcuno è riuscito a leggere
tutto il capitolo? ^^
Per prima cosa, buon agosto a tutti! Si avvicina ferragosto, così vi faccio gli
auguri anche per quello, seppure in anticipo **
La storia è nuova, ed oserei dire alquanto banale.
Non era mia intenzione creare un capolavoro, e di fatti non è quello che è
uscito fuori.
E' solamente un passatempo, di quelli estivi per l'appunto.
Da leggere senza impegno quando non si ha niente da fare.
Il
ragazzo sollevò lo sguardo dalla pagina del libro per incontrare quello di
Santillo.
Una
guancia poggiata alla mano, la matita dietro l’orecchio,
l’osservava curioso.
“Cosa
dovrei avere?” chiese, lasciando perdere Diderot, D’Alembert e la
loro Encyclopédie.
Il rosso sorrise, fissandolo con l’aria di chi la sapeva
lunga.
“ Sei distratto, Nardo. Assente, anzi. Completamente fra le
nuvole, probabilmente anche in un’altra galassia. Non è da te. A che
pensi, giovane?”
“ A niente” rispose, tassativo.
Giovanni sospirò, passandosi una mano sugli occhi. Ci voleva
pazienza con Nardo.
Non era facile capirlo, ma con un po’ d’impegno si
poteva tirargli fuori di bocca qualcosa.
“ Nardo… sto aspettando”
“ Per quanto mi riguarda, aspetterai ancora a lungo”
ribattè Leonardo, distogliendo lo sguardo con uno sbuffo.
Giovanni scosse la testa, accarezzandosi i capelli rossissimi.
“ E dai! Tira fuori gli attributi e parla, che diamine.
Preferisco ascoltare qualunque sciocchezza uscirà dalla tua bocca, piuttosto
che la storia di questi due e della loro enciclopedia… proprio sfigati
dovevano essere. A ragazze no, eh?”
Un sorrisetto esasperato sfuggì a Leonardo che lo guardò incerto
sul da farsi.
Giovanni gli annuì con fare condiscendente, aspettando che si
decidesse.
“ Va bene, ma è una stronzata lo sai” mormorò,
aspettandosi che l’altro perdesse interesse.
Non successe.
“ E’ per quella tipa di stamattina. Continuo a pensare
a lei. Non è assurdo?”
“ A Sherlock Holmes?” chiese Giovanni, per niente
sorpreso.
“ Sì, a lei. Non so perché. E’ assurdo, vero?”
Giovanni scosse la testa, assottigliando gli occhi scuri.
“ Perché dovrebbe esserlo?”
“ Ma perché lo è! Si è presentata così, alle sei di mattina.
Per chiedere aiuto e perché? Perché ha mentito alla migliore amica?!
Cioè… che ne può importare a me?”
Giovanni sorrise, sornione.
“ Ti importa, ti importa… Diciamo che occhi blu era
particolare, okay?”
“ Vedila come vuoi. Se pure la definisci particolare, a me che
ne esce?” chiese, duro.
“ Ne esce che è una novità. E che non sei uno stronzo. E che
quando qualcuno ti chiede aiuto tu non rimani indifferente. Anche se chi te lo
chiede è vestito da Holmes”
Leonardo scosse la testa, contrariato.
“ Giò, ma che vuoi che faccia? Quella ha bisogno di uno
psicologo, non di un attore”
“ Nardo… lo sai meglio di me che non è vero. E poi,
come la metti con Daniela?”
“ Che c’entra?! A Daniela dovevo un favore! Ero in
debito. Ed è stata cosa di una sera. Ma poi la conoscevo, santo Dio!
Quest’altra, occhi blu come la chiami tu, ma chi la conosce? Ti pare mica
che posso così accettare e fare la mia parte?”
Giovanni ghignò, divertito come non mai.
Se aveva ragione Leonardo era sulla buona strada, ancora qualche
minuto sarebbe bastato.
“ Potrebbe essere divertente” mormorò, quasi a se
stesso.
L’altro lo sentì e alzò gli occhi al cielo.
“ Cosa? Fingere di essere il ragazzo per una
sconosciuta?” chiese, sarcastico.
“ Perché no? Io lo farei. Per occhi blu. E perché mi annoio.
Tu no?”
Leonardo negò con il capo, con minore convinzione di prima.
Giovanni ne approfittò per rincarare la dose.
“ Non devi mica accettare subito. Chiamala, ti ha lasciato
il numero, no? E vedi come va”
Ci fu un momento di silenzio, rotto solamente dalla voce del
professore che indifferente al fatto che nessuno lo ascoltasse, continuava il
suo monologo.
Giovanni si accomodò per bene sulla sedia, piegando le braccia
dietro la testa.
Con la coda dell’occhio osservava l’amico che, occhi
fissi sul banco, teneva con aria di noncuranza la mano nella tasca della
giacca.
Leonardo si alzò, chiedendo al professore il permesso di uscire.
Senza attendere risposta lasciò l’aula, le dita strette
attorno ad un foglietto bianco.
Raggiunse il corridoio, percorrendolo fino alla fine. Si fermò
davanti alla finestra che dava sul cortile, lo sguardo perso sulle gocce di
pioggia. Scendevano lente, disegnando linee nere sui vetri. Con un sospiro
poggiò le spalle al muro.
E adesso?
Le idee confuse, afferrò il cellulare dalla tasca dei jeans senza
essere davvero sicuro di quello che faceva. Aprì lo slide, osservando i tasti
come fossero pericolosi.
Dannato Giovanni.
Come faceva a convincerlo sempre? Scosse la testa, spiegando
il foglietto di carta che stringeva fra le dita. Guardò le cifre nere, scritte
in maniera frettolosa.
Senza più pensarci compose il numero.
Dopo un numero indefinito di squilli sentì il segnale di risposta.
“ Pronto?”
Leonardo prese aria, accorgendosi solo in quel momento di aver
trattenuto il fiato fino a quel momento. Riconobbe subito la voce, ora tesa e
perplessa.
“ Con chi parlo?” chiese Leonardo, ritrovando la
solita sfrontatezza.
“ Erica” rispose la voce, sempre più esitante.
Leonardo sorrise, incamminandosi per il corridoio quasi vuoto.
Erica.
“ Ecco, ora che abbiamo fatto anche le presentazioni,
possiamo proseguire”
“ Viscardi!”
Era stato un singulto, quello di Erica. Leonardo sorrise,
divertito.
“ Proprio io. Dove sei?”
“ In Antartide. Dove vuoi che sia?”
“ Ti ricordo principessa che tu conosci me, ma io non
conosco te. Per quanto ne so puoi anche non frequentare la mia scuola”
rispose, il tono di voce più severo.
“ Bagno delle ragazze” rispose Erica, rassegnata.
“ Già andiamo meglio. Mi dici di che piano?”
“ Certo che no. Preferisco essere mandata a quel paese per
telefono”
Leonardo si fermò, aggrottando le sopracciglia.
“ Chi ti dice che voglia mandarti a quel paese?”
chiese, il tono raddolcito.
“ Nessuno. Lo immagino. C’è anche la possibilità che
tu mi stia avvertendo, in un eccesso di magnanimità, che hai avvisato della mia
precaria sanità mentale l’ospedale più vicino”
Scuotendo la testa, Leonardo si guardò attorno, incontrando
l’occhiata inquisitoria della bidella del piano. Fece spallucce,
mostrandole il sorriso più angelico che avesse.
“ Per quanto preoccupato no, tranquilla, per
l’internamento coatto c’è ancora tempo”
Erica non rispose subito.
“ Ci sei ancora?” chiese Leonardo, deluso che lei non
avesse ribattuto.
“ Cosa vuoi allora?” replicò lei, la voce dura.
Leonardo rimase qualche attimo in silenzio, chiedendosi cosa
voleva. Si appoggiò al muro, scivolando lentamente verso il basso, fino a
trovarsi con il sedere per terra.
“ Non lo so”
“ Prego?” domandò la voce dall’altra parte.
“ Hai capito, non lo so. O meglio non ne sono sicuro”
rispose, infastidito.
Erica soppesò quelle parole e non riuscì a tirarne fuori niente.
Non sapendo cosa dire, aspettò che a spiegarsi fosse lui.
“ Mi hai chiesto aiuto, giusto? E io non sono il tipo che si
rifiuta. C’è tuttavia che non ti conosco e che fino a cinque minuti fa
non sapevo nemmeno il tuo nome”
Leonardo sospirò, irritato per un qualcosa di indefinito.
Si aspettava che lei dicesse qualcosa, ma riusciva solo a sentire
il respiro di lei.
“ Erica?”
“ Ci sono, ci sono. Senti Viscardi, te lo avevo già detto
che era assurda come cosa. Non credevo nemmeno che avresti chiamato. Non sapevo
cosa aspettarmi, capisci? Perché nemmeno io ti conosco. So il tuo nome e quello
che si dice di te nei bagni, niente di più”
Leonardo chiuse gli occhi, reclinando la testa verso il muro.
“ E che si dice di me nei bagni?” domandò, cercando di
allentare la tensione.
Erica ridacchiò e rispose con leggerezza.
“ Non credo ti convenga saperlo”
Leonardo sorrise e aprì appena gli occhi.
“ Allora facciamo così: quando esci di scuola fatti trovare
a via Ferrara”
“ Perché?”
Il ragazzo sospirò, aspettandosi quella domanda.
“ Sempre perché tu, eh? Perché sì. Non ti assicuro niente ma
c’è la possibilità che mi trovi lì. Nel caso ci sarebbe un fortuito
incontro. E forse potremmo parlare”
Erica ridacchiò, in modo non proprio rilassato.
“ Ah, va bene allora. Un incontro fortuito mi fa sempre
piacere. Soprattutto se poi ne ricavo anche una pizza e una birra”
rispose in un sussurro.
“ Non prometto niente”
Leonardo fece per alzarsi, chiedendosi come mettere fine a quella
conversazione.
Il suono della campanella li tolse dall’imbarazzo.
*
Da dove comincio?
Così per iniziare, sono stata veloce, eh? ^^
Come avrete capito, per chi è riuscito a
leggere è chiaro, questo è il vero primo capitolo…
… che ve ne pare? Orrendo? Passabile?
Fatemi sapere vi prego! Siamo ad Agosto e
non c’è quasi nessuno ^^
Il parere di voi pochi e importanti
rimanenti mi è di vitale importanza! **
Scherzo. Grazie comunque, anche solo a chi
legge! ^^
Un bacione e buone vacanze,
Sara
*
Un grazie speciale a_Jade_che, angelo,
mi ha commentato *
Erica guardava la strada con lo sguardo appannato.
Non pioveva più. Le nuvole nere erano rimaste ad incombere sopra
di loro, ma lei nemmeno ci faceva caso.
Cercava lui con lo sguardo, con impazienza e miscredenza.
Dieci a uno che l’aveva solo presa in giro. Poteva mai
davvero aver, anche se solo approssimativamente, acconsentito?
No, non lo credeva possibile. Non era possibile.
Erica se ne stava ferma, le mani affondate
nell’impermeabile, seminascosta nel portone di un antico palazzo.
Osservava la fiumana di ragazzi che via via andava
sfoltendosi… chi con il motorino, chi in macchina, chi a piedi. Nessuno
sembrò notarla e, una volta tanto, si compiacque della cosa. Stava per perdere
le speranze quando lo vide.
Passeggiava per via Oppio, con il suo solito gruppo. Arrivò
all’altezza di via Ferrara e superò l’incrocio. Erica se lo
aspettava: sapeva che non avrebbe girato.
Guardò Viscardi attraversare la strada e superare via Ferrara. Non
avrebbe girato.
Con un groppo in gola ed una sensazione di sconfitta, Erica sentì
gli occhi pizzicarle.
Stava per andarsene, i denti serrati per il risentimento, quando
lui si fermò. Si era bloccato, poco prima di svoltare l’angolo e sparire
alla sua vista. Portandosi una mano alla fronte, aveva detto qualcosa che lei
non poteva sentire. E anche gli altri si erano fermati.
Lo avevano guardato tutti: chi con delusione, chi con meraviglia.
Avevano detto anche loro qualcosa mentre Viscardi cominciava ad arretrare. Ma
lui non si era fermato.
Aveva continuato a retrocedere, tornando svelto verso
l’incrocio e salutando gli amici con la mano. Erica sentì il cuore che
perdeva un battito mentre osservava la scena incredula.
Viscardi aveva lasciato andare avanti gli amici. Era tornato
indietro.
Erica stava ancora guardando con tanto d’occhi quando
inaspettatamente incontrò gli occhi del rosso: Giovanni le sorrise e la salutò
con un cenno del capo. Andandosene poi, le fece anche l’occhiolino. Erica
rispose a mala pena al sorriso, per poi distogliere lo sguardo.
Viscardi aveva attraversato la strada e, gli occhi puntati a
terra, percorreva il marciapiede verso di lei. Quando superò il portone in cui
lei si trovava, senza degnarla di una parola, Erica temette fosse tutto uno
scherzo di pessimo gusto. In un moto di rabbia stava per raggiungerlo e
spingerlo rovinosamente a terra quando lo sentì:
“ Allora, vieni o no?”
Erica rimase un attimo interdetta, provando la sensazione di
trovarsi in un sogno.
Senza nemmeno pensarci si incamminò dietro di lui, affiancandolo
in pochi passi.
“ Sei venuto” sussurrò, ancora incapace di crederci.
“ No. Ti ricordo che è un fortuito incontro” rispose
lui, senza guardarla.
“ Ah, giusto. Ricominciamo”
Erica si fermò un attimo e sotto lo sguardo attonito di lui lo
affiancò dall’altra parte.
“ Viscardi, come mai anche tu qui?” domandò, fingendo
sorpresa.
“ Casualità della vita” ribattè lui, il sorriso nella
voce.
“ Non mi dire… e hai intenzione di fermarti, prima o
poi?”
“ Sì, alla prima pizzeria. Ho una certa fame”
Erica sorrise, rallentando lo stretto necessario a poter osservare
la figura del ragazzo.
Mani nelle tasche come lei, giubbotto di pelle e jeans scuri,
sembrava uno dei tanti.
Da dietro però. Erica indugiò ancora un po’ prima di tornare
ad affiancarlo. Viscardi continuava a non guardarla, concentrato su
qualcosa che sapeva solo lui. Con un soffio fece sollevare un ciuffo di capelli
che gli era caduto davanti agli occhi.
“ Stop”
Si fermò quasi di botto, prendendo Erica di sorpresa.
“ Qui va bene” aggiunse, entrando in un locale ancora
aperto.
Si avvicinò al bancone, osservando con occhio critico i tranci di
pizza esposti dietro il vetro. Fece segno ad Erica di raggiungerlo e le fece un
segno interrogativo con il capo.
Lei indicò con il dito una fetta di pizza margherita e poi cercò
lo sguardo del ragazzo, senza trovarlo. Viscardi si era già allontanato,
seguendo il pizzaiolo verso la cassa.
Erica si aggiustò la tracolla, facendo per seguirlo, ma lui con la
mano le segnalò di aspettarlo fuori. Non sapendo cos’altro fare, seppure
controvoglia, ubbidì.
Uscì dal locale e percorse qualche metro ancora, fermandosi alla
fine sui gradini del municipio. Ne salì tre e prese posto sul quinto. Erano
ancora umidi ma lei non vi fece caso.
Viscardi uscì poco dopo di lei, individuandola senza problemi.
Aveva uno scatolo di pizza in mano e due birre sotto braccio.
Schivando lo sguardo di lei la raggiunse, sedendosi di fianco a lei. Poggiò lo
scatolo sullo scalino ai loro piedi e tentennò nel porgerle la birra.
“ Non scherzavi dicendo che la volevi?” chiese,
titubante.
Erica sorrise, divertita dalla sua preoccupazione e gliela tolse
dalle mani.
“ No” rispose, sicura, bevendo il primo sorso.
“ E grazie per tutto” aggiunse, riferendosi alla pizza
che si stava servendo.
“ Non c’è di che. Ho pensato che è meglio non
contrariare i pazzi”
Erica finse una risata divertita, lanciandogli un’occhiata
in tralice e urtandogli la gamba con il piede. Si girò di qualche grado, così
da poterlo osservare meglio.
“ Cosa cavolo ti stai mangiando?” chiese,
scandalizzata, riferendosi alla pizza.
“ Quello che mangi tu”
“ Oh no, ti assicuro di no. Che porcheria è?”
Viscardi non riuscì a reprimere un sorriso vedendola storcere il
naso.
“ Dai, fammi vedere. Che ci sta qua sopra?”
“ Va bene. Mais, panna, pancetta, pomodorini, pepe e una
verdura a caso”
Erica rimase interdetta, osservandolo come se improvvisamente il
pazzo fosse lui. Ancora incredula si sporse verso di lui, avvicinando il viso
alla sua pizza.
“ E’ vero… non ci credo. Non è più pizza!”
mormorò, scuotendo la testa.
“ Perché sarebbe meglio la tua, con solo pomodoro e
mozzarella?”
“ C’è anche il basilico. E comunque certo che sì.
Questa, si chiama pizza” rispose.
“ Posso farci una foto?” chiese poi, sporgendosi
ancora verso quella del ragazzo.
Viscardi ridacchiò, annuendo divertito.
Lei estrasse il cellulare e scattò, prima alla pizza e poi a lui
che mordeva la pizza.
“ Soddisfatta?”
Erica annuì, posando il telefono. Diede un altro morso alla sua
banale margherita e lo guardò, interrogativa.
“ E ora?”
“ Cosa? Ti sei stancata di discutere di pizza?”
“ No, per carità, potrei continuare a vita. Ma mi chiedevo
tu dove volessi andare a parare”
Viscardi quasi si strozzò con il sorso di birra che aveva appena
preso.
“ Io?! Ma se sei tu che ti sei presentata da me”
“ Lo so. Ma sei tu che hai programmato questo
non-incontro” ribattè lei.
Il ragazzo sospirò, pulendosi le mani con un fazzoletto.
“ Va bene. Comincio io. Hai detto di aver mentito alla tua
amica, giusto?”
“ Sì”
“ Dicendole di avere un ragazzo che non hai, vero?”
“ Sì”
“ E le hai detto che questo povero disgraziato si chiama
Leonardo, sì?”
“ Sì”
Leonardo annuì, sconfortato senza sapere bene perché.
“ E come mai sei venuta da me?”
“ Perché ti chiami Leonardo” rispose lei con ovvietà.
“ E non conosci altri Leonardo?”
“ No”
Leonardo sospirò, alzandosi con difficoltà in piedi. Afferrò lo
scatolo di pizza vuoto e si avviò verso il cestino più vicino. Lo spinse nella
busta con forza e poi tornò verso di lei.
“ Quindi, in conclusione, vorresti che io fingessi di stare
con te”
“ Sì”
Vedendola calma e tranquilla mentre finiva la sua birra, Leonardo
si innervosì.
“ Smettila di rispondere a monosillabi, santo Dio! Per
quanto dovrei fingere, con chi, dove, come, e perché! Rispondi a questo!”
Aveva a mala pena alzato la voce, ma Erica sobbalzò lo stesso.
Posò la bottiglia sul gradino e fece per alzarsi. Si ricordò
troppo tardi del fatto che era ancora bagnato. Il piede scivolò e lei non
aveva niente a cui aggrapparsi.
Si vedeva già per terra, quando si sentì afferrare per il braccio.
Si ritrovò ai piedi della scalinata, appoggiata a Leonardo che la
teneva in equilibrio.
“ Viva?” chiese lui, senza sarcasmo nella voce.
“ Credo di sì. Ottimi riflessi comunque”
Lui accennò un sorriso, lasciandole al contempo il braccio.
Erica annuì, lisciandosi le maniche della giacca e poi distolse lo
sguardo. Quindi bisbigliò:
“ Una sera. Sabato. A cena. Con Sandra e il suo
ragazzo”
Aveva risposto a tutte le domande tranne che ad una. La più
difficile.
“ Perché… peché te lo chiedo io” mormorò,
mordendosi il labbro.
“ Perché me lo chiedi tu?” chiese Viscardi, cercando
di incontrarne lo sguardo.
Erica annuì, sollevando il viso. Intravide una luce negli occhi
neri di lui, come se non fosse ancora stata posta la parola fine a quella
conversazione.
“ Per favore?” aggiunse allora, nel tono più dolce che
aveva.
Lui sorrise, divertito sebbene non avesse voluto.
“ E ti aspetti che con un per favore ti si aprano tutte le
porte?” chiese, sollevando le sopracciglia, per poi finire la birra che
ancora era piena a metà.
Erica fece spallucce.
“ Le paroline magiche aiutano sempre” spiegò, con una
sicurezza che non era sua.
Non ottenendo risposta smise di osservarlo e, presa la bottiglia
vuota, si incamminò lungo il marciapiede. Non sapeva se Viscardi la stesse
seguendo o no.
Prese in considerazione tutte le varie possibilità: che si fosse
riseduto sugli scalini, che si fosse girato e se ne fosse andato senza pensarci
due volte, che avesse chiamato il 911…
L’unica che non aveva immaginato era quella che invece si
avverò: il ragazzo dopo qualche attimo di indecisione si era incamminato dietro
di lei, affiancandola in pochi minuti.
Silenzioso la seguiva, osservandola di soppiatto, senza sapere
cosa dire.
Erica si accorse della sua presenza e sospirò, non riuscendo a
capirlo. In qualche modo la sorprendeva sempre, con comportamenti che mai si
sarebbe aspettata. Come ora.
Erica sospirò, sentendosi a disagio come non mai.
Sentendosi gli occhi di lui puntati addosso, ustionanti come
braci, provò a distrarsi prendendo a camminare sul bordo del marciapiede.
Pessima idea.
Non aveva mai avuto una grande coordinazione. Equilibrio carente.
E ne aveva già dato prova sulla scalinata, non c’era che dire. Certo lo
scalino era umido ma lei…
“ Ci sto”
Erica sobbalzò, perdendo quel po’ di equilibrio che aveva
trovato.
Ondeggiò, rischiando di cadere di lato, e all’ultimo per
pura fortuna riuscì ad afferrare qualcosa. Solo in seguito si rese conto che il
qualcosa era il braccio di Viscardi e che la fortuna non c’entrava
niente. Merito del ragazzo.
“ Grazie” mormorò, tornando al centro del marciapiede.
“ Sei sempre così?” chiese lui, sarcastico.
Lei non rispose e lui continuò, imperterrito e sfacciato.
“ Cioè cadi così? Da sola, due volte in dieci minuti?
E’ una casualità o è normale? No, chiedo così, per capire se devo
abituarmi e tenermi pronto ad afferrarti”
Erica sbuffò, seccata di dover rispondere.
“ E’ normale. Bella Swan mi fa un baffo”
biascicò, sconfortata.
Viscardi annuì, sorridente.
Continuarono a camminare in silenzio per qualche minuto, poi lei
lo guardò, fermandosi.
“ Ci stai in che senso?” chiese, circospetta.
“ Nel senso che sabato sera vengo con te da Sandra e il suo
ragazzo” rispose, di nuovo serio.
“ E vieni come…?”
“ Come ragazzo, se ho capito bene”
Erica sorrise appena, sentendo il divertimento nella voce di lui.
“ Sei sicuro?” domandò, ancora dubbiosa.
“ Abbastanza”
Il sorriso di Erica si fece più sincero, mentre lui soffiava di
nuovo per allontanare la stessa ciocca. Viscardi la guardò, sentendosi svagato
senza motivo.
“ Posso farti una domanda?” le chiese, curioso.
“ Accordata”
“ E’ tuo l’impermeabile?” domandò,
l’ironia nella voce.
Erica si accorse solo in quel momento del suo sguardo ilare. E
solo in quel momento si ricordò dell’impermeabile.
“ No, è di mio padre”
“ E perché lo hai messo?”
“ Sospettavo avrebbe piovuto e non mi andava di portare
l’ombrello”
“ Era meglio l’ombrello”
“ E perché mai, sentiamo?”
“ Perché quello che indossi è un impermeabile più grande di
te di quattro taglie e inoltre…”
Erica strinse gli occhi, quasi contenta che qualcuno finalmente
avesse notato il giaccone.
“ E inoltre, se permetti, fatti dire che il tenere sempre
quel dannato cappuccio calcato in testa non ti rende esattamente…”
Erica arrossì, non aspettandosi quelle ultime parole.
“ Che mi fa il cappuccio?” chiese, nervosa.
“ No, non fraintendere… è che ti lascia visibili solo
gli occhi!” ribattè lui, esasperato.
Lei sorrise, osservando il proprio riflesso in una vetrina: altro
che Sherlock Holmes, era la personificazione della morte!
“ Mi manca solo la falce, eh?” scherzò, divertita.
Viscardi non capì subito il senso delle sue parole. Lei ne osservò
l’ espressione concentrata e subito dopo lo vide ridacchiare mentre la
guardava sotto una nuova luce.
Quasi in contemporanea poi si voltarono, cercando entrambi con lo
sguardo l’orologio del municipio. Sorpresi si accorsero dell’ora.
Le tre e un quarto.
Erano passate più di due ore e nessuno dei due lo aveva nemmeno
immaginato.
Erica affondò ancora di più le mani nelle tasche.
Leonardo soffiò per scostare la ciocca.
“ Devo andare”
Lo avevano mormorato insieme, senza guardarsi negli occhi.
Con un ultimo sorriso e un’occhiata complice si salutarono,
avviandosi per strade separate.
*
Benissimo, ecco il nuovo
capitolo…
Sempre che ci fosse
qualcuno ad aspettarlo ^^
Prima di tutto un grazie
colossale a tutti quelli che hanno letto e uno ancora più speciale a chi ha
commentato *__*
Siete fantastici!
Io no invece, anzi sono
terribilmente incoerente.
Pochi giorni fa quasi mi
mettevo in ginocchio chiedendo l’opinione dei pochi lettori di agosto, e
ora?
Ora sono io che vi
abbandono per quasi quindici giorni per andarmene in Grecia…
Sono orribile, vero?
Vi prego di perdonarmi e
ancora di più spero che qualcuno, al mio ritorno, stia aspettando di sapere
cosa succederà ^^
Nel caso proprio non
sappiate cosa fare poi, ne approfitto per farmi pubblicità ^^
Ho scritto altre storia,
più o meno pazze di questa che, chi sa, potrebbero piacervi! **
Un bacio,
Sara
Spazio recensioni
Maka27:
Ciao! Grazie infinite, sono
contentissima che ti sia piaciuta ^^ Spero di essere riuscita a non annoiarti e
invece, a farti diventare ancora più curiosa! ** Mi dispiace solo che mentre tu
stai con il portatile, io il mio lo debba lasciare a casa… Spero di
risentirti comunque! ^^
Mary___02:
Ciao! Mi sono divertita a leggere
quello che pensavi di Leonardo, sai? Forse è presto per chi legge, ma almeno io
non riesco proprio a vederlo come un amore ^^Certo, come dici tu al 99% dei casi,
chiunque altro avrebbe non solo riso ma fatto anche molto peggio… ti
assicuro tuttavia che il ragazzo non è placido come sembra. Grazie ancora, e
fammi sapere che ne penserai poi! ^^
Derekkina2: Ho aggiornato
abbastanza in fretta? ^^ Sono contentissima che lo scorso capitolo ti sia
piaciuto, e non ti mentirò, spero con tutto il cuore ti sia piaciuto anche
questo! Certo, non merito di sapere niente dato che me ne parto, abbandonandovi
per due settimane… spero lo stesso però, di trovare ancora qualcuno
interessato, al mio ritorno ** Grazie ancora!
mayetta:
Ciao! Mmm… niente di meno tu
pensi che Leonardo sia troppo buono? Mio Dio, aspetta e vedrai! ^^ Giovanni
sono d’accordo è simpaticissimo, ma non temere, Nardo non sarà da meno ^^
Per quanto riguarda Erica, bè certo simpatica sì… ma sono curiosa di cosa
ne penserete dopo ^^
leti10:
La tua recensione è stata la
ciliegina sulla torta, sai? ** Sei stata troppo buona, ti assicuro! Quanti
complimenti… mi hai fatto andare in brodo di giuggiole! Per quanto
riguarda Leonardo, sono pienamente d’accordo con te! Anche io mi ero
stancata dei soliti stereotipi, così ho pensato di cambiare un po’…
non ero sicura di aver fatto bene però! Poi ho letto la tua recensione e, wow!
Soprattutto per il fatto che ci tenevi a spronarmi ** a me proprio quello
manca! Di solito le storie le lascio perdere per mancanza di autostima ^^ Detto
questo… per la scimmia avevi ragione tu: è Cheeta,
ma ti assicuro che non ne avevo la minima idea! Grazie ancora, di tutto cuore!
Alla prossima… spero!
Leonardo con un sospiro mal represso aprì la porta della sua
camera.
“ Ti avevo già dato per perso, sai? Ero indeciso sul da
farsi… iniziare a pensare a cosa scrivere sulla tua lapide, meditare su come
farti evadere di prigione, finire l’ultimo livello alla Wii, concupire
tua sorella… le possibilità sono tante, c’era solo
l’imbarazzo della scelta”
Leonardo lasciò cadere la borsa sul tappeto e, indolente, prese a
togliersi la giacca.
La voce si era zittita, lasciandogli modo di respirare.
Ancora stordito, si passò una mano sugli occhi, scuotendo piano la
testa.
“ Che ci fai qui?” chiese, voltandosi lentamente.
Giovanni, sdraiato sul suo letto, le braccia piegate dietro la
testa, lo guardò sorridendo:
“ Qui, in che senso?” domandò, angelico.
“ Qui, in casa mia. Qui, in camera mia. Qui, sul mio
letto” rispose, gelido.
Giovanni sogghignò, stringendosi nelle spalle.
“ Capirai. Mia madre ormai crede mi sia trasferito
qui…”
“ La cosa non mi riempie di gioia, Giò”
“ Ma sì che ti fa piacere. Hai bisogno di me e lo sai. Ora
più che mai” ribattè l’amico.
Leonardo ridacchiò, di una risata isterica.
Con pochi passi raggiunse la scrivania dall’altro lato della
stanza e si lasciò cadere sulla poltroncina, un grugnito di disapprovazione in
direzione dell’occupante del letto.
“ Fuori di qui”
“ Che tono perentorio, complimenti” approvò Giovanni.
“ Non scherzo. Sono distrutto. Vai, per favore”
Giovanni scosse la testa, come a rimarcare che era inutile
sperarci.
“ Ma che avrai fatto mai?!”
La domanda era retorica. E imperscrutabile era l’espressione
di Leonardo.
Giovanni mugolò, illuminandosi di colpo.
“ Non mi dirai che lo avete già fatto?!” saltò su,
entusiasmandosi improvvisamente.
“ Cosa?”
Leonardo lo guardò allibito.
Lo stava prendendo per i fondelli o faceva sul serio?
“ Davvero ci avete già dato dentro?! Ma è fantastico! O
forse no… cioè che siete, animali? No, ma che dico? E’ incredibile!
E com’è stato? Cioè…”
Leonardo reclinò la testa all’indietro, sconfitto.
Giovanni allora si interruppe, aspettando che l’altro
dicesse qualcosa.
“ Tu sei fuori di testa” mormorò, sempre senza
guardarlo.
“ Io? Non sono io che mi sono fatto occhi blu”
“ Ma nemmeno io mi sono fatto occhi blu!” scoppiò
l’altro, esasperato.
Leonardo si risollevò, fissando gli occhi in quelli divertiti e
saputi di Giovanni.
“ Lo so, genio” sibilò, sorridendo a fior di labbra.
“ Lo sai?” chiese, non sapendo cosa dire.
“ Certo che lo so, idiota”
Leonardo scattò in piedi, gettandosi di colpo sul letto e
travolgendo l’amico. Rovinarono entrambi sul pavimento, rotolando fin sul
tappeto. Braccia e gambe aggrovigliate.
“ Questa me la paghi!” sibilò Leonardo, portandosi
sopra l’altro.
Giovanni assottigliò gli occhi, capovolgendo facilmente la
situazione.
“ Te la prendi troppo, devi prendere le cose con più
filosofia, Nardo!” ghignò, ilare.
“ Due settimane senza Wii” minacciò Leonardo,
piantandogli un gomito nel fianco destro.
Giovanni ridacchiò, bloccandogli il braccio.
“ Addirittura? Come farò?” piagnucolò, prendendolo in
giro.
“ E non ti racconto più niente di occhi blu” esalò,
agitando il piede sinistro, bloccato da un ginocchio che non gli apparteneva.
“ C’è qualcosa da raccontare allora! Ti sei tradito,
Nardo” si esaltò Giovanni, distraendosi.
Leonardo ne approfittò, afferrando improvvisamente le spalle
dell’altro.
Senza nemmeno sapere bene come si ritrovò disteso sopra Giovanni,
a cavalcioni.
“ Chi è sotto adesso?” chiese, vincitore.
Giovanni fece per ribattere, guardandolo in tono di sfida ma
qualcuno fu più veloce.
“ Dio, come siete carini! Vi siete finalmente decisi ad
uscire allo scoperto?”
Trasalirono entrambi, sollevando la testa di scatto.
Leonardo si rese conto solo in quel momento della loro posizione: sdraiati
sul tappeto, uno sopra l’altro. I corpi completamente aderenti, i visi a
pochi centimetri di distanza, i respiri affannati e le voci concitate.
Con un sospiro affranto incontrò lo sguardo esilarato della
sorella, ferma sulla porta.
Loredana era appoggiata allo stipite, le braccia incrociate al
petto e l’espressione vincente.
“ A quando le nozze?” chiese, inarcando le
sopracciglia.
Leonardo si alzò a fatica in piedi, lisciandosi i vestiti ed
avvicinandosi a lei.
“ Posso fare qualcosa per te, sorellina?” le domandò,
la voce vibrante frustrazione.
“ Ah, sì, mi chiedevo: avete intenzione di adottare un
marmocchio? Ci tengo a diventare zia, sappilo”
“ Loredana” la avvisò, lui.
“ E naturalmente spero che tu e il tuo compagno me lo
lascerete spesso” continuò lei.
“ Loredana!”
La ragazza sorrise ancor di più, indifferente alla rabbia del
fratello.
Giovanni era ancora sdraiato, perfettamente a suo agio, gli occhi
socchiusi e il sorriso sotto i baffi, mentre li ascoltava discutere
amorevolmente.
“ Che vuoi?”
Leonardo lo aveva quasi ringhiato, ma la ragazza non ne sembrò
scalfita più di tanto.
“ La mamma mi ha mandata a controllare. Vi manda a dire che
per quanto la riguarda potete anche uccidervi, basta che non sporchiate i
mobili di sangue”
Il ragazzo annuì, stringendosi nelle spalle.
Con un cenno del capo le intimò di andarsene ma lei continuò ad
osservarli indifferente.
Leonardo allora sospirò, afferrando la maniglia della porta per
chiuderla fuori, Loredana oppose qualche resistenza, guardandolo in cagnesco,
ma poi si decise a voltargli le spalle.
Si allontanò altera, non prima di aver mormorato così che lui la
sentisse:
“ Divertitevi mi raccomando e ricordate che i muri sono di
cartapesta”
Leonardo si appoggiò di peso alla porta appena chiusa, lasciandosi
scivolare lentamente verso il basso. Fece appena in tempo a sedersi che
Giovanni lo tirò di nuovo in piedi.
“ Prendi la giacca, è ora” disse, afferrando la sua.
“ Come?”
“ E’ ora” ripeté, scandendo le lettere come si
fa con i bambini.
Leonardo sgranò gli occhi, guardandolo senza capire.
“ Ma ora di che?”
“ Di andare” rispose l’altro, enigmatico.
Leonardo sbuffò, maledicendo quella giornata.
Puntò i piedi, incrociando le braccia. Giovanni lo guardò, neanche
fosse un bambino che faceva i capricci, ostinato.
“ Vuoi la caramellina? Te la do se prendi la giacca”
disse, amorevole.
“ Mi spieghi dove staremmo andando?”
Giovanni spinse le mani nelle tasche, alzando gli occhi al cielo.
“ Quello stronzo del preside ha deciso che quest anno non
farà partecipare la squadra di rugby alle gare giovanili” mormorò,
amareggiato.
Leonardo sembrò cadere dalle nuvole.
“ Perché?” chiese, colpito.
“ E chi lo sa! E’ un infame” sospirò
l’altro, scoraggiato.
Leonardo si riprese subito, irritato da quell’ingiustizia
come se fosse stata fatta a lui.
“ Cosa hai in mente?” domandò, prendendo la giacca.
Giovanni sorrise, guardandolo con riconoscenza.
“ Niente di drastico. Rischiamo di peggiorare tutto
altrimenti”
“ E quindi? Gli puntiamo solo una pistola alla gola?”
Giovanni ridacchiò, aprendo la porta e facendo segno
all’amico di passare.
“ Mai sentito dire, ferisce più la penna che la spada?”
*
Ed ecco il nuovo capitolo, in ritardo lo so ^^
Che ve ne pare? E’ orrendo? Se sì, basta dirlo, vediamo che si
può fare ^^
Nel caso sia proprio un caso disperato poi, bè, pazienza.
Come sempre grazie a tutti.
A chi legge, a chi segue, a chi commenta.
Siete tantissimi e non avete idea di come la cosa mi faccia piacere!
A ogni recensione mi si scioglie il cuore, vi assicuro *.*
Sperando di ritrovarvi in ancor più numerosi,
alla prossima,
Sara.
Spazio recensioni ^^
Derekkina2: Ciao! Spero che questo, in confronto
al precedente non ti abbia fatto rabbrividire dall’orrore ^^Sperando che il ritardo non ti abbia fatta
demordere dal seguirmi, grazie ancora, Sara.
mayetta:
Ma no che non è troppo buono! ^^ Te l’ho detto che devi aspettare ancora
un po’ :DSpero continuerai a
seguire, fosse anche solo per scoprire il lato oscuro di Leonardo ^^
leti10: Addirittura pronta a commentare ogni starnuto? **
Sei troppo buona, mi hai fatto venire i lucciconi agli occhi! ^^ Guarda, una
come te mi servirebbe come beta! :D Amore incondizionato per Leonardo, eh?
Aspetta ancora un po’ e sarai pronta a tutto per lui e la sua panna ^^
Grazie ancora, Sara.
XXX_Ice_Princess_XXX: Grazieeee! Ti è
piaciuta tanto? ^^ Mi fai andare in brodo di giuggiole! Eee..
hai toccato un bel tasto: Sandra! Quando entrerà anche lei in scena, bè… diciamo
che tutto il precedente sarà niente! ^^ Un bacio, Sara.
ChiaraBella: Mio Dio, tesoro, immagino mi odierai. E fai bene.
Ne hai tutte le ragioni. Ma è un brutto periodo. Internet come al solito mi
muore ad intervalli di dieci minuti, problemi vari e… il peggio non
riesco neanche a dirlo. Diciamo che c’è stata una rottura. Probabilmente
penserai siano tutte scuse inutili, ma di più non posso fare, oltre a dirti che
ti voglio un bene enorme… grande quanto casa Cullen! Un bacione, la tua
gemellina.
4lb1c0cc4: Ciao! ^^ Eh sì, ha accettato. Anche tu hai
pensato a Sandra, eh? Lei, se Erica la trovi strampalata, non so come la troverai!
^^ Diciamo che al confronto l’amica è la persona più normale e moderata
del pianeta. ^^ Sperando continui ad interessarti, un bacio, Sara.
Glycine: Quanti complimenti! Ma grazieee!
^^ Davvero ti piace tanto? E ti piace ancora? ^^ Mi hai incuriosita dicendo che
è stato Giovanni a colpirti di più… Davvero? E come mai? °.°No, perché… è Cheta! :D Scherzo!
E’ adorabile anche lui, lo so. Grazie ancora, di tutto! **
“
Sei pronto a parlare o hai bisogno che il vento ti schiarisca ancora un
po’ le idee?”
Leonardo
sospirò, sfregando le mani l’una contro l’altra.
“
Non c’è niente da raccontare” mormorò, senza guardare in viso
l’amico.
“ Parlare
con un muro è più facile che farlo con te, sai?”
Leonardo
fece spallucce, sorridendo sornione ad un paio di ragazze che camminavano verso
di loro:
“
Firmate, ragazze?” chiese, una voce che avrebbe convinto chiunque.
“
Certo!” risposero loro, rosse in viso e non solo per il freddo.
Giovanni
ghignò, soddisfatto ed esclamò:
“
Ci scaldate il cuore così, sapete? E passate parola, mi raccomando!”
“
Noi siamo qui” rincarò la dose Leonardo, sorridendo instancabilmente.
“
Lo faremo” chiocciarono le due, allontanandosi in un crescere di risatine.
Giovanni
aspettò qualche istante, guardando il foglio che aveva davanti, poi riprese:
“
E ora sei pronto a raccontare?”
Leonardo
chiuse gli occhi, scuotendo la testa.
“
Ti dico che non è successo assolutamente niente” mormorò, sfinito.
“
E va bene, non siete andati a letto insieme” acconsentì placido Giovanni,
stringendosi indifferente nelle spalle.
“
Posso anche accettare l’idea che non abbiate subito ceduto alla passione
e ai più lussuriosi desideri carnali, assalendovi l’un l’altro; tu
stregato dagli occhioni di lei e lei da… qualcosa di tuo”
Leonardo
si voltò verso l’amico, reprimendo a stento un sorriso.
“
Non puoi dirmi però che non è successo assolutamente niente. Non sono idiota,
sai”
“
Ma…”
“
Niente ma. Ti ho aspettato per più di due ore a casa tua, sai? In due ore
qualcosa si fa”
Leonardo
sbuffò, non sapendo come controbattere.
“
Una firma, bellezza?” chiese Giovanni, facendo qualche passo verso una
brunetta che lo fissava con la bava alla bocca.
“
Per cosa?” domandò lei, senza riuscire a smettere di guardarlo.
“
Per noi non ti basta?”
Lei
ridacchiò, firmò e sparì dietro l’angolo.
“
Quindi. In due ore. Che è successo?” ritornò alla carica il rosso.
“
Le ho offerto una pizza” si arrese Leonardo.
“
Bene” approvò Giovanni. “ Che animo da cavaliere”
“
E una birra”
“
Birra?” chiese, stupito.
“
Oh, sì. E dovresti vedere come se l’è scesa. In niente”
Giovanni
sorrise, come se la cosa lo rendesse orgoglioso. Osservò divertito
l’espressione stupita ed ammirata che Leonardo aveva stampata in faccia,
poi continuò, deciso a non lasciarsi sfuggire niente.
“
Ma quanti anni ha, la fanciulla?” chiese, curioso.
“
E che ne so. Con quella sottospecie di burqa che indossava, se le vedevo gli
occhi era tanto”
“
Capito” sospirò, Giovanni mentre l’altro tornava scostante come
sempre.
“
Poi?” domandò, con il sangue che iniziava a gelarsi nelle vene.
Leonardo
gli voltò le spalle fermando un gruppo di ragazzine dall’altra parte
della strada.
“
Firmate, signorine?” chiese, porgendo loro il foglio con una riverenza.
“
Sarà un piacere, messere” rispose la più audace, avvicinandosi e
prendendo la penna.
Firmarono
anche le altre, una dopo l’altra, scambiandosi sguardi divertiti.
“
Fra una mezz’oretta vi troviamo ancora qui?” chiese la prima.
Giovanni
si strinse nelle spalle, cercando di riattivare la circolazione prima che fosse
tardi.
“
A meno di un malanno improvviso, sì” rispose, divertito.
Loro
risero, allontanandosi pian piano, girandosi a guardarli di tanto in tanto.
“
Poi?” domandò nuovamente il rosso, un pizzico di nervosismo nella voce.
“
Poi abbiamo parlato”
“
Di…?”
“
Socialismo e Anarchia” sbottò Leonardo, prima di scoppiare a ridere.
“
Di che potevamo parlare, Giò?!” chiese, esasperato dalle troppe domande.
Giovanni
ghignò, facendogli la linguaccia.
“
E’ colpa tua che mi costringi a tirarti le parole di bocca”
L’altro
sbuffò, allontanando la solita ciocca.
“
Le ho chiesto qualche spiegazione in più, ecco”
Prima
che l’amico potesse domandarlo, continuò da solo, fulminandolo con lo
sguardo.
“
E lei mi ha detto che la farsa durerà solo per sabato sera, ad una cena con
l’amica e il fidanzato”
“
E tu?”
“
Io cosa?”
“
Tu che hai risposto?” chiese Giovanni, guardandolo con tanto
d’occhi.
“
Ho accettato” mormorò l’altro. Fu un bisbiglio, a mala pena udibile.
“
Come?”
Leonardo
non rispose.
“
No, davvero! Non ho sentito!” si accalorò l’altro, palesemente
divertito.
“
Hai sentito”
“
Ti giuro di no” continuò, il riso nella voce.
“
E invece sì”
“
Nardo, per la miseria!”
Leonardo
soffiò per scostare la ciocca di capelli dalla fronte.
“
Ho accettato” scandì, irritato.
Giovanni
a quel punto non si trattenne più, sollevò la mano e se la batté sul ginocchio
in segno di vittoria. Aprì la bocca, come emettendo un grido di giubilo e
chiuse gli occhi.
“
Hai intenzione di metterti a ballare?” gli chiese l’altro, frustato.
“
Ancora non lo so. Nel caso, ti unisci a me?”
Leonardo
sbuffò, osservando concentrato la nuvoletta grigia che si era formata.
“
Mi si stanno congelando le chiappe, Giò” mugugnò.
“
Non solo a te, fratello. Per questo dovremmo ballare”
“
Dici che servirebbe?” chiese, guardandolo.
“
O quello, o facciamo come gli eschimesi”
Leonardo
sollevò un sopracciglio, il sorriso sotto i baffi.
“
Mia sorella aveva ragione” gongolò.
“
Perché?”
“
Vuoi segretamente venire a letto con me, dì la verità” sorrise Leonardo.
Giovanni
gli si avvicinò, lo sguardo divertito.
“
Lo sospettavo anch’io a essere sincera”
La voce
li colse completamente alla sprovvista, riuscendo a spaventarli. Si voltarono
in contemporanea, trovandosi faccia a faccia con il sorriso di una ragazza.
Leonardo
la fissò, un’espressione sorpresa e incuriosita.
“
Possiamo fare qualcosa per te?” chiese, cercando di riprendersi.
“
Mi chiedevo da quanto steste insieme, voi due”
Giovanni
la guardò con tanto d’occhi, colpito dall’audacia che mostrava.
“
Ma chi ti credi di essere, ragazzina? Sai con chi stai parlando?” le
chiese, divertito.
La
ragazza sorrise ancor di più, avvicinandosi di qualche passo.
“
Io lo so, voi forse no”
Leonardo
scambiò uno sguardo veloce con Giovanni, confuso quanto lui.
“
Mi deludete, Cip e Ciop” mormorò lei, per poi continuare:
“
In poche ore passo da Holmes a nessuno?”
Se prima
li aveva sorpresi, questa volta li aveva tramortiti.
“
Erica?!” sfiatò Leonardo, incredulo.
Guardò
la ragazza che aveva davanti e sgranò gli occhi, incredulo. Ne studiò la figura
sottile e le belle forme, quindi i lunghi capelli rossi. Erano mossi, e le
cadevano perfettamente attorno al piccolo viso arrossato dal freddo. Con
sollievo riconobbe gli occhi blu.
Solo
quelli riusciva ad abbinare all’Erica che aveva conosciuto.
“
In borghese, Holmes?”
La
domanda proveniva da un Giovanni abbacinato non meno di lui.
Erica
sollevò un sopracciglio, le labbra appena schiuse.
“
Qualcuno mi ha fatto notare che l’impermeabile non mi dona”
rispose, candida.
Giovanni
annuì, un sorriso appena accennato.
“
E aveva ragione” mormorò a mezza voce.
Erica
sorrise, spingendo più a fondo le mani nelle tasche della piccola giacca blu.
Si
avvicinò di un passo a Leonardo, guardandolo con aria di sfida.
Lui ne
sostenne lo sguardo per pochi secondi, prima di deviarlo:
“
Una firma?” chiese, poco più di un sussurro.
Erica lo
ignorò.
“
Non mi avevi riconosciuta” lo accusò, divertita.
Lui non
rispose, arretrando di un passo.
“
Mi dovrei sentire offesa?” continuò lei, senza chiederlo a nessuno in
particolare.
A
rispondere fu Giovanni, un pizzico di malizia nella voce.
“
Nessuno ti avrebbe potuto riconoscere dopo la tua apparizione di stamattina,
Holmes. Mancava solo la mascherina e potevi fare concorrenza a Zorro”
“
Qualcuno ti ha forse interpellato, Cheta?”
“
Che c’è, rossa, non ti piace se ti chiamo Zorro?” continuò lui.
Erica lo
fulminò con lo sguardo.
“
Ti sembra di essere in una posizione di vantaggio?” gli chiese, con aria
superiore.
“
Perché, non lo sono?”
Erica
ridacchiò, mordendosi un labbro.
“
Sono sicura di no”
“
Una firma?” ripeté Leonardo, mettendosi fra di loro.
“
Per cosa dovrei firmare?” chiese lei, seccata.
Leonardo
le porse il foglio, incontrandone finalmente gli occhi.
“
Il preside non vuole far partecipare la scuola ai giochi della gioventù”
spiegò.
“
Oh, che grande perdita” lo scimmiottò lei.
Giovanni
sospirò, trattenendosi a stento dall’intervenire di nuovo.
“
Che sia o meno una perdita, è comunque ingiusto” continuò Leonardo,
sicuro.
Erica
fermò lo sguardo negli occhi scuri di lui, allungando una mano verso la penna.
Firmò in
silenzio, rapida e sfuggente.
“
A quante siete?” domandò.
“
Cinquecentosettantaquattro” rispose, Leonardo.
“
E quante ve ne servono?”
“
Quattrocento dovrebbero bastare”
Erica
sgranò gli occhi, fissandoli incredula.
“
Perché diavolo allora siete ancora qui?” sbottò, meravigliata.
“ Vorresti
negare la nostra vista alla fauna femminile?” la canzonò Giovanni.
Lei
sospirò, scuotendo la testa.
Si
allontanò senza salutare, lo sguardo basso e le mani nelle tasche.
Per
quanto le costasse ammetterlo era vero.
Non
poteva negare alle altre la vista di quei due.
Non se
erano a torso nudo.
*
Non vi ho fatto
aspettare troppo, eh?
Vi sono mancata almeno
un po’ ? ^^
Tornando a noi, ormai il
solito grazie non basta più… aumentate in continuazione!
Posso solo sperare che
la storia continui a piacervi *__*
Aspetto consigli, mi
raccomando! Impressioni, critiche, dubbi, idee… qualunque cosa!
Solo, voglio sentirvi ^^
Ancora grazie, un
bacione a tutte,
Sara
Spazio recensioni:
machi: Ciao! Sono contentissima
che il titolo ti abbia incuriosito, e ancor di più che poi ti sia piaciuta la
storia! ^^ Per l’evolversi della storia ci vorrà ancora un po’…
ma non vi farò aspettare troppo :D Spero ti sia piaciuto anche questo capitolo,
ciao, Sara.
leti10: Come potrei
dimenticarmi di voi? Di te poi, è proprio impossibile! ^^ Piaciuta la mamma di
Leo, eh? Aspetta e vedrai cosa combina… Capitolo troppo stupido, secondo
te? Avevo seri dubbi sulla pubblicazione, per poco non lo cancellavo xD Poi
però ho pensato a te, e mi sono ricreduta ^^
Glycine: Ho fatto abbastanza in fretta? Pensando a te, anche
in questo capitolo non ho escluso Giovanni ^^Ti è ancora simpatico? ** Per Loredana poi, aspetta qualche cap. e non
te ne libererai più xD
smemorato:Grazie infinite per i complimenti, davvero! Troppo
buona ** Spero di non averti deluso stavolta ^_^
S chan:
Ciao! Sono contenta ti sia piaciuta la storia, ed Erica in particolare
^^ Per l’imbarazzo e i suoi folli discorsi, ci sarà ampio spazio, non
temere. Per quanto riguarda la situazione con l’amica, Sandra, è più
difficile da spiegare invece. Vedrai che con i capitoli che verranno diventerà
tutto più chiaro, non temere ^^ Grazie ancora, Sara.
Camminava, lo sguardo puntato per terra. Non riusciva a pensare
razionalmente, sconvolta dall’incontro che aveva appena avuto.
Non riusciva a capacitarsene.
A stento ricordava di aver firmato. Per cosa, poi?
Scosse la testa, furiosa con se stessa senza nemmeno
sapere il perché e furiosa con lui.
Lui, Leonardo. Lui, a torso nudo con cinque gradi al sole.
Almeno ricordava perché ce l’aveva con lui? Ah, sì,
non l’aveva riconosciuta.
Cose dell’altro mondo! Come diavolo aveva fatto a
non capire che era lei?!
Ci aveva parlato la mattina, poi al telefono, quindi in
piazza, sulle scale… e lui niente.
Possiamo fare qualcosa per te?
Questo aveva detto.
Non Erica, che piacere! o Erica, anche tu qui?
No, lui nemmeno
l’aveva capito che lei era Erica!
Sorrise, amareggiata,
rallentando il passo veloce a causa del nervosismo.
In fondo, non era poi
davvero colpa sua. Cosa aveva detto l’orango?
Nessuno ti avrebbe potuta riconoscere dopo
l’apparizione di stamattina, Holmes.
Erica sospirò,
maledicendosi ancora una volta.
Lo avrebbe bruciato
quel dannato impermeabile.
“ Erica!”
Non sentì nemmeno
quello, di grido. Troppo presa dai suoi stessi pensieri.
Le capitava spesso: i
pensieri prendevano forma, e con la forma anche un suono. Più erano, più
aumentava il suono. Fino a diventare un rumore vero e proprio. Un rumore
indefinito ed opprimente che le occupava la mente, estraniandola dal mondo
esterno.
Come se ci fosse una
nebbia tutt’intorno a lei…
A tirarla fuori,
riportandola alla realtà, fu una mano che decisa le afferrò la spalla,
bloccandola.
Erica si girò,
sorpresa e stranita, presa in contropiede.
Incredula osservò
Leonardo, piegato in due, che tentava di riprendere fiato.
Ansando sollevò il
viso, fissandola con occhi confusi.
“ Perché…
perché non ti sei fermata?” le chiese, respirando a fatica.
Erica si strinse nelle
spalle, poco dispiaciuta di averlo fatto correre tanto.
Lui continuò a
guardarla interrogativo e lei si decise a rispondere, contrariata.
“ Non ti ho
sentito” borbottò, rigida.
Poi continuò, inquieta
e risentita:
“ Posso fare
qualcosa per te?”
Leonardo sospirò,
avvertendo l’ostilità della ragazza.
Aprì bocca per dire
qualcosa ma poi cambiò idea, richiudendola.
Con un soffio
allontanò una ciocca di capelli dalla fronte, scuotendo piano la testa.
“ Non riesco a
crederci, aveva ragione” mormorò, lo sguardo basso.
“ Non ti
seguo” rispose Erica, glaciale.
Senza guardarlo gli
voltò le spalle, prendendo a camminare.
Era confusa. Cercava
di allontanarsi, mettendo più spazio possibile fra di loro.
Leonardo la seguì,
senza pensarci sopra due volte.
“ Ti sei
offesa” disse, il tono incolore.
Erica sobbalzò a
quelle parole, accelerando volutamente il passo.
Alzò gli occhi al
cielo, sperando di perdersi nei disegni delle nuvole. Osservò i colori che pian
piano diventavano più scuri, passando da tinte tenui a forti accenti bruni.
Mancava poco al tramonto, poco al momento di dover rincasare.
Riportò gli occhi
sulla strada, stringendo i denti.
Non voleva pensare più
a niente. Né a se stessa né a Leonardo né a Sandra.
E per non pensare
aveva bisogno di restare sola.
“ Non mi sono
offesa. Per quale motivo avrei dovuto?” chiese, fermandosi di colpo.
Leonardo si bloccò,
colto alla sprovvista da quel repentino cambiamento.
Osservò la figura
della ragazza, il volto atteggiato in un falso sorriso e si chiese a che gioco
stesse giocando. Rabbrividendo, strinse gli occhi.
“ Non ti ho
riconosciuto” rispose, cauto.
Erica rise, una risata
forzata.
“ Ma scherzi? E
come avresti potuto? Ero vestita come la morte, ricordi?”
Leonardo soffiò ancora
una volta, pensando con attenzione a cosa rispondere.
La guardò, mentre si
mordeva il labbro inferiore, gli occhi fissi sul marciapiede e il respiro
accelerato. I capelli rossi le cadevano davanti al viso, coprendolo in parte.
Non riusciva a capirla.
L’aveva
rincorsa, rischiando di rompersi il collo diverse volte per raggiungerla.
Tutto per chiederle
scusa. Scuse insensate, ma che sapeva di doverle dare.
E ora sembrava che lei
non volesse altro che mandarlo via.
Sorrise, imbarazzata,
sentendosi una perfetta idiota. Cercò gli occhi di lui e li trovò subito.
Non c’era alcun
accenno di sarcasmo né di ironia, in quegli occhi.
“ Fa
niente” mormorò, a mezza voce.
Lasciò passare qualche
secondo, riempito solo da un silenzio imbarazzato.
Aveva poche
possibilità: o guardava il marciapiedi o gli occhi di lui. Altro non poteva.
Perché sapeva
benissimo che se avesse abbassato la guardia anche solo di un millimetro lo
sguardo si sarebbe immediatamente portato sul petto di lui.
E non poteva.
Se si fosse distratta,
si sarebbe ritrovata a fissarne i muscoli, la pelle chiara, e no, non poteva.
Fece per andarsene, i
pugni stretti nelle tasche, il battito veloce.
Leonardo reagì con
qualche attimo di ritardo, afferrandole di nuovo la spalla per fermarla.
“ No”
esclamò, incontrando lo sguardo sorpreso di lei.
“ Ti andrebbe
una ciocc…”
Non concluse la frase,
interrompendosi con un improvviso starnuto.
A quello ne seguì un
altro, più forte del precedente.
“ Tu sei
pazzo” borbottò Erica, avvicinandosi a lui in pochi passi.
Con un gesto deciso
afferrò la felpa arancione che il ragazzo teneva legata in vita. La rimise nel
verso giusto, ignorando l’espressione curiosa di lui e gli fece segno di
piegarsi in avanti.
Quando lo ebbe ad
un’altezza più accettabile gliela calcò in testa, tirandola poi verso il
basso.
Si assicurò che fosse
messa in maniera passabile e infine gli sollevò anche il cappuccio sopra la
testa, stringendolo bene attorno al collo.
“ Cosa caspita
vi dice la testa, me lo spieghi?” borbottò ancora, senza lasciar andare
il collo della maglia arancione.
“ Vi prenderete
un malanno così, brutti idioti”
Leonardo sorrise,
confortato tanto dall’improvviso calore della felpa tanto dagli occhi di
lei.
Gli piaceva quel blu.
Era un blu
particolare. Fatto di tanti blu messi insieme. Cangiante, quasi.
Chiari se sorrideva,
si scurivano se si arrabbiava, o forse era solo la sua immaginazione.
“ Dici?”
chiese, il tono di chi sa di aver fatto una marachella.
Erica sospirò,
annuendo divertita.
“ Dico sì”
rispose, il sorriso nella voce.
“ Sai che la
cioccolata calda ha poteri terapeutici?”
Erica trasalì,
rendendosi conto solo in quel momento di essergli così vicina. Arretrò rapida,
mettendo un buon metro fra di loro e riportando le mani nelle tasche.
“ Vieni a
prendere una cioccolata con me?” chiese ancora Leonardo, aspettando una risposta.
Lei ne sviò lo
sguardo, non sapendo cosa rispondere.
Se da un lato non
desiderava altro, sapeva anche che non sarebbe stato il caso.
Magari lo stava
facendo solo per mettersi a posto la coscienza, non lo voleva davvero.
“ Per
favore”
Quelle due paroline la
colpirono in pieno, lasciandola di stucco.
Leonardo si era
avvicinato di nuovo, una ciocca davanti agli occhi, sorridendo incerto.
Tratteneva il fiato,
aspettando un qualunque cenno da parte di lei. E poi lo vide.
Quel leggero annuire,
quel sì appena accennato.
E il sorriso si fece
sincero, illuminandogli il volto senza che se ne rendesse conto.
“ Conosco un
posto dove la fanno eccezionale” disse, precedendola di qualche passo.
Camminava davanti a
lei, stando attento a non distanziarla troppo.
Si girava spesso,
tenendola sempre d’occhio, timoroso di vederla scomparire.
Non si capacitava
delle sue stranezze, dei suoi cambiamenti d’umore.
Passava da disinibita
e audace, a timida e sfuggente. Pantera e gattina.
Non riusciva a starle
dietro.
Erica lo seguiva, il
passo indeciso, seguendolo meccanicamente. Cercò di non distrarsi, di non dar
modo ai pensieri di avere la meglio, loro e il loro dannato fracasso.
Si concentrò sui piedi
di Leonardo, sulle sue scarpette bianche.
E fu proprio perché le
fissava che riuscì a non sbattergli contro quando si fermò.
Avevano camminato per
poco, a mala pena dieci minuti. Si erano inoltrati all’interno della
città, percorrendo stradine piccole e contorte di cui Erica non era nemmeno a
conoscenza.
Leonardo però sembrava
conoscerle come le sue tasche, camminando sicuro.
Erica si fermò,
sollevando lo sguardo sulla porta che aveva davanti: era anonima, malridotta,
piccola e scura. Non c’era nessun insegna. Si voltò verso Leonardo,
confusa.
“ Qui?”
chiese, inarcando le sopracciglia.
Lui annuì,
afferrandola per il gomito ed aprendo la porta.
Fuori ormai era quasi
buio. La luce e il calore dell’interno la colsero così alla sprovvista.
La sala era piccola:
tavolini rotondi e poco distanziati, poltrone e divani dai colori caldi,
tappeti morbidi e pelosi. Le luci erano soffuse, accompagnate dalle fiamme di
un enorme camino che occupava quasi metà parete.
Erica sgranò gli
occhi, osservando il tutto allibita. Guardò le coppiette sedute negli angoli
più remoti, gli studenti che dormivano sui libri, gli amici assembrati vicino
alle fiamme.
E lei che nemmeno
sapeva esistesse quel posto.
“ Perché non ha
un’insegna?” chiese, imitando Leonardo e prendendo posto a un
tavolo.
“ Marica dice
che un posto deve farsi conoscere per l’accoglienza e non per il
nome” rispose lui, sorridendo e mettendosi comodo.
“ Io veramente
ho sempre sospettato che semplicemente non sapesse come chiamarlo”
Ridacchiò, alzando una
mano per chiamare una ragazza.
Quella corse subito,
gli occhi che brillavano dietro i piccoli occhiali.
“ Leonardo!
Finalmente!” esclamò, baciandolo sulle guancie.
“ Non ti facevi
più vedere, vergogna. Marica temeva ci avessi abbandonati” continuò,
petulante.
Lui si strinse nelle spalle, guardandola con
espressione angelica.
“ Ho avuto le gare di nuoto in questi
ultimi tempi. Ma non vi abbandonerei mai, lo sai. Questo posto è come una
seconda casa” sorrise, sincero.
La ragazza ridacchiò, accorgendosi solo in
quel momento di Erica. Sgranò gli occhi, guardandola esterrefatta. Con un dito prese
ad attorcigliarsi la coda di cavallo bionda.
Leonardo se ne accorse, stringendo gli occhi.
“ Annalisa, lei è Erica, una mia
amica” disse, rapido e sicuro.
“ E’ un piacere, Erica”
rispose lei, stringendole la mano.
Arretrò di qualche passo, estraendo un
taccuino dalla tasca della maglia.
“ Cosa vi porto?”
“ Due cioccolate” mormorò
Leonardo, avvertendola con lo sguardo.
Annalisa però se ne infischiò. Un sorriso
impertinente, si allontanò piano.
“ Marica, due cioccolate per Leonardo e
la sua amica!” disse, il tono
alto, facilmente udibile.
Tutti probabilmente nel locale si accorsero di
come aveva calcato sull’ultima parola.
Leonardo alzò gli occhi al cielo, evitando
volutamente il sorrisetto divertito di Erica.
“ Non porto molto spesso le ragazze,
qui” mormorò, a mo’ di spiegazione.
“ E perché ci hai portato me?”
chiese lei, curiosa.
Leonardo tentennò, giocando con il
portatovaglioli che era sul tavolo.
“ Semplice riconoscenza per averti
evitato la broncopolmonite?” continuò Erica.
“ No…” rispose finalmente
lui, interrompendosi poi di colpo.
Prese un bel respiro, incontrandone gli occhi
blu.
“ Abbiamo un problema” azzardò,
insicuro.
Non aveva detto quello che pensava veramente,
si stava arrampicando sugli specchi.
Lo sguardo inizialmente perso si illuminò poi
di un lampo di comprensione.
“ Abbiamo davvero un problema”
esclamò, corrugando la fronte.
Erica trasecolò, incapace di capire cosa
stesse blaterando.
“ Non ti ho riconosciuta” sfiatò
lui, come realizzandolo solo in quel momento.
“ Lo so” ribattè lei, irritata
“ e allora?”
Leonardo si protese sul tavolo, sgranando gli
occhi.
“ Mica va bene! Come facciamo
sabato?” chiese, realmente preoccupato.
Erica sospirò, allungandosi a sua volta sul
tavolo.
“ Ora sai che aspetto ho. Mi
riconoscerai” disse, parlando lentamente, come si fa con i bambini.
“ Non è questo il punto”
“ E qual è?” domandò lei, ancora
più irritata.
“ Ecco le cioccolate” trillò
Annalisa, poggiandole sul tavolo e dividendoli.
Loro arretrarono, lasciando spazio per le due
enormi tazze variopinte e fumanti.
Annalisa gli lanciò un ultimo sguardo saputo e
divertito prima di sparire velocemente.
“ E’ bellissima” mormorò
Erica, indicando la cioccolata.
Nella tazza, piena fino all’orlo,
c’era la cioccolata calda più allettante che avesse mai visto.
Sulla superficie galleggiavano smarties,
praline e confetti; una stecca di cannella fungeva poi da cucchiaino.
Leonardo annuì, senza smettere di guardarla.
“ Non dimenticare il punto, Erica”
“ Non mi hai ancora detto qual è” ribattè lei,
lo sguardo perso nella cioccolata.
“ Sabato non ho intenzione di fare la figura del
fidanzato ignobile”
“ Cosa?” chiese lei, riemergendo dalla
contemplazione.
“ Non so niente di te. Come posso fingere come si
deve?” chiese lui.
Erica si strinse nelle spalle.
“ Ma non ti preoccupare, tu sta buono e andrà tutto
bene”
Leonardo sbuffò, guardandola male.
“ Non dovrei dire una parola per tutta la
serata?”
“ Non sarebbe una cattiva idea” sorrise Erica.
“ E come pretendi che credano alla farsa?”
continuò, seccato.
Erica ci pensò su per un po’, le mani strette
attorno alla tazza bollente.
“ Ogni tanto mi dai un bacio”
“ Con tanto di lingua?” chiese lui, ghignando.
Erica sobbalzò, nervosa.
“ Ma cosa vuoi che ti dica?!” esclamò,
fissandolo truce mentre sorseggiava la cioccolata.
Leonardo se la prese comoda, passandosi con calma il
fazzoletto sulle labbra.
“ E’ la tua migliore amica, giusto?”
Erica annuì.
“ Ti conosce meglio di chiunque altro, no?”
Non attese la risposta di lei e continuò, avvicinando il
viso al suo.
“ Come pretendi allora che creda a una simile farsa?
Devo sapere qualcosa di te. Per forza”
“ Dici?” chiese Erica, improvvisamente tesa.
Non aveva pensato a quel punto della faccenda. Già parlare
con lui era stata un’impresa. Sperava bastasse, fosse necessario solo
aspettare fino a sabato e…
“ Che giorno è oggi?” saltò improvvisamente.
“ Lunedì” rispose Leonardo, lo sguardo perso.
“ Hai meno di una settimana” mormorò lei,
sovrappensiero.
“ Per…?”
“ Sapere questo qualcosa di me” rispose lei,
sicura.
Leonardo sogghignò, pronto a svelare un’altra carta.
“ Solo io?”
Erica bevve ancora un po’ della sua cioccolata,
trovandosi a sperare che non finisse mai.
“ Che vorresti dire?”
“ Che anche tu dovresti sapere qualcosa di me, cara
la mia ragazza” ridacchiò lui.
Erica sbuffò, reclinando la testa all’indietro,
stanca di quel gioco.
“ Ma parliamo di una sola sera. Una sera!”
scandì, scura in volto.
“ Con la tua migliore amica”
“ Sei un bastardo” ringhiò lei, fulminandolo.
Leonardo tirò indietro la sedia, alzando le mani in segno
di resa.
“ Che c’entro io? Tu hai mentito e dato il via
a tutto!”
“ Lo so. Ma sei stato tu a ricordarmi che non posso
semplicemente portarti a cena e tenerti lì come decorazione. Se non me lo
avessi fatto notare nella mia mente saremmo ancora seduti bellini bellini a tavola e tutto finirebbe bene!” esclamò
lei, sfogando la tensione.
“ A tavola, con me muto come un pesce e con la
lingua nella tua gola” riassunse Leonardo.
“ Esattamente”
*
Ci ho messo un
po’ in più questa volta, lo so…
Mi dispiace tanto, ma
la colpa dovete darla alla scuola ^^
In ogni caso non
attendo altro che le vostre opinioni! Dire che adoro i vostri commenti è un
eufemismo **
Devo poi dire che
aumentate sempre, in maniera quasi allarmante :D
E, cosa ancora più
entusiasmante, iniziano a sentirsi le voci di lettori silenziosi *.*
Un grazie enorme
stavolta non ve lo toglie nessuno.
A chi legge, a chi
commenta, a tutti.
Un bacio,
Sara.
*
Spazio recensioni
Glycine: L’idea del
torso nudo è stata di Giovanni -.- Solo a una scimmia come lui poteva venire
un’idea del genere! Certo, ha avuto i suoi frutti, ammettiamolo… e
non erano neanche malaccio a vedersi ^^ Piaciuto l’incontro con la
cioccolata calda o l’assenza di Cheta ha rovinato tutto?
4lb1c0cc4: Sono
contentissima che ti sia piaciuto il capitolo! L’ho fatto apposta a
rivelare solo alla fine che erano a torso nudo, così solo a quel punto si
capivano davvero le reazioni della fauna femminile ^^ Che ne dici di questo?
Troppo lungo e dozzinale?
eveline90: Ciao, piacere mio!
Certo che ti perdono: il gioia di sentirti è troppo grande! ^^ La tua
recensione mi ha fatta andare in brodo di giuggiole ** Hai capito i personaggi
e ti sei soffermata su punti che mi lasciavano ancora dubbiosa (non ero sicura
che il torso nudo fosse un’idea carina)… Con un grazie quindi, non
ti rendo minimamente giustizia. Spero non mi abbandonerai, commentando anche
solo per dire che il capitolo fa schifo ^^
Grazie ancora, un bacio, Sara.
Eky_87: Ciao! Graaziee
per i complimenti! ^^ Mi hanno fatto un piacere enorme! Sono contentissima che
Erica ti vada a genio, per quanto riguarda Leonardo ci vorrà ancora un bel
po’ prima di riuscire davvero ad inquadrarlo… In ogni caso, fammi
sapere se prima o poi ti piacerà ^^
giunigiu95: Ciao! “di tutte le storie che ho letto e che
sto leggendo questa è una delle migliori” … lo sai che quando
ho letto questo, ho rischiato di morire? ^^ Non osare nemmeno pensare che le
tue recensioni possano tediarmi! E’ una bestemmia, lo sai? Come farei
senza qualcuno che muore dalla voglia di conoscere Sandra e impazzisce per le
scimmie dai capelli rossi (io ne conosco troppi, se vuoi te ne spedisco
qualcuno^^ ) Detto questo, ho fatto il più in fretta possibile, spero con tutto
il cuore di non averti delusa! Grazie ancora, Sara.
S chan: Con sei parole
riesco a farti ridere tanto? ^^ Sai che è un complimento bellissimo? ** Chissà
perché tutti aspettate questa cena… :D Ci vorrà ancora un po’, il
tempo di creare qualche altro casino, su per giù… Di questo capitolo che
ne pensi? Orrendo o accettabile?
_deny_: Brava, è
un’ottima idea quella di dar manforte a Erica: ne avrà bisogno! ^^ Sono
contenta che ti vada a genio, certo è un po’ pazza, eccentrica, unica di
certo… ma io l’adoro ** Grazie per i complimenti, davvero! Spero di
non averti deluso, stavolta! Grazie ancora, Sara.
hinata_in_love: Ciao! Descriverti
la mia gioia nel sentire la tua opinione è impossibile: sono contentissima del
fatto che ti piaccia la storia! Ho dato un po’ di spazio alla relazione
fra i due, ma non sono sicura di come sia venuto… tu che dici? Terribile?
^^ Spero davvero di risentirti, un bacio, Sara.
Leonardo annuì, giocando con la
catenella dei jeans.
“
Le è squillato il cellulare, ha letto il messaggio ed è sparita. Senza neanche
passare per il via. Mi ha a mala pena sorriso, un saluto accennato, qualche scusa
senza senso e ha preso la porta”
Giovanni
sogghignò, guardando senza attenzione l’orologio.
“
Certo che hai trovato pane per i tuoi denti. Capace che ti sveglia un
po’…” mormorò.
“
Svegliarmi?”
Fecero
gli ultimi scalini in silenzio, risparmiando il fiato.
Arrivare
al terzo piano era sempre un’impresa.
Giovanni
si appoggiò al muro, annuendo indifferente, cercando con lo sguardo
un’aula vuota.
“
Svegliarti, sì”
“
Perché dovrei svegliarmi?” chiese Leonardo, non capendo.
Giovanni
sospirò, aumentando appena il passo. Girarono a destra, evitando il professore
che si avvicinava. Si voltò a guardarlo, cercando le parole giuste.
“
Non sei esattamente il tipo più… vitale? Diciamo che tendi a farti
trascinare, hai bisogno di qualche incentivo per applicarti, per cacciare fuori
gli artigli. Per far vedere i denti”
Si
fermarono, uno di fronte all’altro.
“
Per far vedere i denti, ecco. E ce li hai i denti, Nardo. Solo non ti piace
mostrarli. Preferisci assistere agli eventi senza lasciarti influenzare troppo,
senza intervenire. Non sei mai quello che prende l’iniziativa, quello che
colpisce. Subisci fino a quando non trovi necessario reagire”
Leonardo
lo guardava in silenzio, le pupille dilatate e le labbra socchiuse.
Senza
rendersene conto erano di nuovo di fronte alle scale, fermi davanti alla
scrivania dell’operatore del piano; naturalmente senza operatore.
“
Non fare così, Nardo. Dico solo la verità. Fai conto ieri, quando di punto in
bianco ti sei messo a rincorrerla, no? E quando mai?! Tu che corri? Dietro una
ragazza?! Ti giuro, stavo per restarci! Anche ammesso che avessi le tue
ragioni, cosa di cui dubito… ma non è da te!”
“
Perché?” chiese ancora, catatonico.
“
Perché non lo hai mai fatto prima. E se qualcuno ti avesse visto non avrebbe
mai creduto al fatto che fossi davvero tu. Semplicemente”
Leonardo
smise di giocare con il cellulare, riprendendo a camminare.
Andavano
adagio, percorrendo la strada già fatta. Senza parlare.
“
Dici che ho sbagliato?”
Giovanni
non lo guardò, sbirciando di nuovo l’orologio.
“
A fare cosa?” domandò, distratto.
“
A seguirla”
Leonardo
si fermò alla fine del corridoio, poggiandosi di peso al muro.
“
No. A proposito, com’era la cioccolata?”
“
Ottima, come sempre”
“
E Annalisa?” continuò, come fosse niente.
Leonardo
sorrise, inarcando il sopracciglio con leggiadra.
“
Perché?”
Giovanni
si strinse nelle spalle, spostando il peso da un piede all’altro.
“
Chiedevo così, non pensare a male”
“
Io penso che ti interessa solo perché non sei riuscito ancora a portartela a
letto” sogghignò, assottigliando con sicurezza lo sguardo.
L’altro
arretrò, fingendosi offeso. Si indicò, un espressione incredula sul volto.
“
Io? Ma per chi mi hai preso?!”
Leonardo
ridacchiò, facendo per ribattere con prontezza.
“
Certo che siete pettegoli. Peggio di due comari!”
La voce
acuta e divertita lo bloccò, facendogli sparire il sorriso. Leonardo la
riconobbe subito. Si voltò piano, con tutta calma, ormai pronto a trovarsi di
fronte gli occhi blu che lo tormentavano dalla sera precedente. Strinse i
denti, incrociando lo sguardo con la ragazza.
“
Ma chi si vede! Quale onore, Holmes” disse, l’espressione seria che
contrastava con l’ironia che trasudava dalla voce. Erica sorrise,
guardandolo per qualche istante senza dire niente.
Lo
osservò da capo a piedi, affatto sorpresa dall’indifferenza che lui
sembrava volerle mostrare. Le labbra serrate, il viso teso e gli occhi vacui la
fecero sorridere ancor di più.
Erica
trattenne una risata e si voltò verso Giovanni, guardandolo con complicità:
“
Che fa, si è offeso?” gli chiese, lanciando un’ ultima occhiata
divertita a Leonardo.
Giovanni
ridacchiò, stringendosi nelle spalle e allontanandosi di un passo dai due.
Alternava esilarato lo sguardo dall’uno all’altro, decidendosi alla
fine a parlare con la ragazza:
“
Tu che dici? Lo hai abbandonato al bar! Lo sai che è un cucciolo, se la prende
facilmente”
A quelle
parole seguì un silenzio pesante. Un silenzio carico di frustrazione da parte
di uno e sorpresa da parte dell’altra. Se Leonardo strinse gli occhi, Erica
li sgranò.
Boccheggiavano
entrambi e a farli riprendere fu la campanella, ancora una volta provvidenziale.
Non
aveva ancora finito di suonare che Erica iniziò a parlare:
“
Io non immaginavo” esordì, allargando le mani “ Scherzavo prima,
non credevo che… Ho avuto un contrattempo, credevo di avertelo spiegato”
Leonardo
prima aveva tentato di interromperla, oltraggiato da quello che aveva detto
l’amico. Poi sentendo Erica si era accalorato, avvicinandosi a lei di un
passo e ribattendo rapido.
“
Cos’è che mi avresti spiegato?! Tu sei scappata! Fuggita peggio di Speedy
Gonzales! Hai preso la porta quasi senza nemmeno salutarmi” prese fiato
un secondo per continuare, subito dopo, davanti all’espressione
stupefatta e ferita della ragazza “ Capisci come mi hai lasciato? Non
sapevo cosa pensare. Ho cominciato ad arrovellarmi cercando di ricordare se per
caso ti avessi in qualche modo offesa, messa in difficoltà. Se avessi detto
qualcosa di sbagliato. Ma niente! Ti giuro mi hai trattato e fatto sentire come
un cretino!”
Erica,
che sotto quell’attacco inaspettato era arretrata di qualche passo, si
fece coraggiosamente avanti a quel punto, pronta a fronteggiarlo:
“
Oh, Dio mio! Ma che stai dicendo?” esclamò, gli occhi che lanciavano
saette “ Una cioccolata, ci stavamo solo prendendo una cioccolata! Ti
rendi conto di star facendo una scenata neanche ti avessi mollato
sull’altare?! Ma che modi sono? Ti ho già detto, ieri come oggi, che ho
avuto un contrattempo a casa, che altro vuoi, che mi metta in ginocchio per
chiederti perdono?”
“
Non sarebbe male come idea, sai? Detto e considerato il piacere che ti sto
facendo, un minimo di gratitudine e rispetto non andrebbero sprecati”
soffiò Leonardo, sempre più vicino.
Erica stava
per rispondere, questa volta con toni molto meno pacati dei precedenti, quando
vennero repentinamente interrotti.
“
Pausa, ragazzi!”
Giovanni
si era frapposto tra i due, allontanandoli e zittendoli con decisione.
Non che
la situazione non fosse estremamente esilarante, ma, cosa di cui forse i
duellanti si erano dimenticati, erano pur sempre in una scuola. Per di più
durante il cambio dell’ora.
Giovanni
si era accorto casualmente della folla che si stava radunando attorno a loro.
Distratto dai toni alti che stava raggiungendo la discussione, ci aveva messo
un po’ a ricordarsi dov’era.
Quando
però aveva realizzato di star permettendo a quei due incoscienti di dare
spettacolo, rinsavì immediatamente bloccandoli e zittendoli senza esitazioni.
Li
afferrò entrambi, sospingendoli lungo il corridoio. Si teneva alle loro spalle,
mantenendo un minimo di distanza fra di loro.
“
Che dite, ci saresti arrivati a usare le mani?” scherzò, sperando di
annientare la tensione che si era venuta a creare. Né Leonardo né Erica si
degnarono di rispondere, le espressioni serie e gli sguardi bassi, si
lasciarono guidare da Giovanni senza opporre la minima lamentela.
“
Non ci pensate, io dico che al piano terra non vi hanno sentito” continuò
Giovanni, cercando con impazienza la porta che gli serviva.
Ancora
una volta non ottenne risposta. Sbuffando, alzò gli occhi al cielo.
“
Ma dove diavolo è quello…” si interruppe, lanciando
un’esclamazione di gioia.
Accelerando
il passo raggiunse una porta più appartata delle altre e, con un calcio, la
aprì.
Un gesto
secco e spinse all’interno della stanza i due che ancora non parlavano.
“
Ecco, qui potete continuare a discutere in santa pace” esclamò,
affrettandosi a chiudere la porta “ Sono sicuro che vi chiarirete”
aggiunse, bloccando la maniglia con una sedia.
Giovanni
poggiò un orecchio contro la porta, sperando in cuor suo che davvero
risolvessero la situazione, senza naturalmente arrivare alle mani… chissà
se avrebbero potuto incolparlo di qualcosa nel caso si fossero uccisi
vicendevolmente. Stringendosi nelle spalle, si avvicinò leggero e privo di
preoccupazioni ad una biondina che conosceva.
“
Dov’è che siamo?” chiese Erica, guardandosi inutilmente attorno. La
stanza era buia, priva della minima illuminazione e piena di umidità. Allungò
una mano, sperando di trovare qualcosa a cui appoggiarsi, ed urtò il petto di
Leonardo. Sbuffando, lasciò la mano lì dov’era, risalendo piano fino al
braccio.
Una
volta che lo ebbe raggiunto strinse la presa, mormorando:
“
Giuro che una volta fuori di qui, lo uccido a quel gorilla del tuo amico”
sibilò “ Non riuscirai a fermarmi, ti avviso”
Leonardo
cercava a tentoni l’interruttore che doveva essere sulla parete al suo
fianco, alle parole della ragazza sorrise, prendendo un bel respiro:
“
Non ho intenzione di fermarti, te lo assicuro” rispose, sentendo un
brivido lungo la schiena mentre la stretta delle dita di lei aumentava
inconsapevolmente.
Con
sollievo le dita di Leonardo trovarono finalmente l’interruttore,
sollevandolo impazienti.
Una
piccola lampadina cominciò a sfrigolare, illuminando man mano l’ambiente.
I due si
guardarono attorno, accorgendosi con crescente disagio e furore delle scope,
dei secchi e della polvere con sporcizia annessa che li attorniavano. Erica fu
la prima a ritrovare la voce:
“
Lo sgabuzzino” sibilò “ Quel deficiente del tuo amico ci ha chiusi
in uno sgabuzzino!”
Leonardo
non disse niente, tentando inutilmente di aprire la porta alle sue spalle.
Batté anche qualche colpo, sperando di essere sentito, ma niente.
Con un
sospiro sollevò lo sguardo sulla ragazza che gli stava di fronte.
“
Propongo di spingerlo sotto un tram” disse alla fine, strappandole un
sorriso tirato.
“
Non male come idea” rispose lei “ Anche se io pensavo a qualcosa di
più devastante per lui”
Leonardo
sollevò un sopracciglio, sorridendo malizioso:
“
Castrarlo?”
“
Evirarlo, anche. Perché no?”
Erica
lanciò un’occhiata all’orologio che aveva al polso, il sorriso che
diventava più fiacco.
“
Le lezioni riprendono fra meno di dieci minuti” mormorò.
“ Iniziamo
a gridare aiuto?” propose lui, stringendosi ancora nelle spalle.
Erica ci
pensò su un secondo, prima di rispondere esasperata:
“
Oh, certo. Così oltre alla scenata di poco fa, inizieranno anche a parlare del
fatto che eravamo chiusi assieme nello sgabuzzino del terzo piano”
“
Ma che te ne importa? Lascia pure che pensino quello che più gli aggrada. Non
sono affari nostri” ribattè lui, alzando inconsciamente la voce.
“
Come sarebbe? Non voglio pensino sia una sgualdrina!”
“
Perché secondo te la prima cosa a cui penseranno è che ci siamo dati da fare
qui dentro?” chiese lui, sarcastico ed irritato. La guardava negli occhi,
cercando di mantenere il controllo. Non gli era mai capitato di accalorarsi
tanto con una ragazza, men che meno per una qualunque stupida discussione.
Stava sudando freddo, il respiro spezzato, e riusciva a dar la colpa solo al
profumo di lei che sembrava aver invaso l’ambiente.
“
Non lo so!” rispose Erica, staccando improvvisamente la mano dal braccio
di lui. Non si era nemmeno accorta di tenerla ancora lì, tanto la cosa gli
sembrava in quel momento naturale “ So solo che ci sono tantissime teste
bacate come quella del tuo amico in questa scuola. E di certo loro non
penseranno che stavamo solo chiacchierando qui dentro!”
Leonardo
chiuse gli occhi, passandosi una mano sul viso. Quella ragazza lo faceva
impazzire.
Lo
strillo acuto quasi non lo sentì, troppo sorpreso dal fatto di trovarsela
improvvisamente addosso. Aprì gli occhi, guardando incredulo Erica che, con un
balzo repentino, gli era quasi saltata in braccio. La ragazza gli stava
incollata, le mani strette a pugno contro il suo torace e gli occhi quasi
chiusi. Leonardo corrugò la fronte, stranito come non mai.
“
Cosa…?” chiese, accorgendosi solo in quel momento del ragno che penzolava
nel punto esatto in cui un momento prima era la ragazza. Guardò
quell’esserino che si agitava e sorrise. Gli ci volle un grande sforzo di
volontà per trattenere una risata, mentre, con due dita, sollevava il viso di
Erica.
“
Paura dei ragni, bimba?”
Lei
avrebbe sicuramente ribattuto prontamente, riprendendolo anche per il nomignolo
con cui lui l’aveva chiamata quasi senza accorgersene, non fosse stato
per quel ragno che sapeva di avere alle spalle. Li odiava. Con tuta se stessa.
Odiava i ragni. Quelle loro orrende zampe, quasi non riusciva ad ammetterlo, ma
la terrorizzavano.
“
Uccidilo, ti prego” sussurrò, stringendosi ancora di più contro il
ragazzo.
Leonardo
non sorrideva. Aveva smesso non appena il corpo di lei aveva aderito al suo.
Senza
dire una parola afferrò la scopa più vicina e fece fuori il ragno,
assicurandosi con una veloce perlustrazione che non ce ne fossero altri.
“
Fatto?” chiese lei, gli occhi ancora serrati.
“
Fatto”
Erica
sospirò, senza però allontanarsi da Leonardo. Lui non disse niente, né fece
alcunché per modificare la situazione.
Fu Erica
alla fine a sollevare lo sguardo verso di lui:
“
Scusa per ieri. Non volevo, davvero”
Leonardo
scosse la testa, sorridendole sincero.
“
Non fa niente” disse, la voce appena un sussurro “ Perdonata”
Erica
ricambiò il sorriso, gli occhi che le si illuminavano.
“
Ancora deciso a voler approfondire la nostra conoscenza?” domandò
lei, il sorriso nella voce.
“
Decisamente” ribattè lui, poggiandosi alla porta con la schiena “
Abbiamo già cominciato, no?”
“
Dici?”
“
Bè, sono convinto che la paura dei ragni non sia poi da trascurare”
sogghignò, divertito dall’espressione di lei. Erica gli si avventò
contro, pizzicandogli giocosamente un braccio.
“
Guarda che non è come pen…”
Non
riuscì a finire la frase, interrotta dall’improvvisa luce che irruppe
nella stanza. Meno di un attimo dopo erano entrambi a terra: Leonardo sdraiato
di schiena e lei sopra di lui.
La porta
era stata aperta di colpo, sorprendendo Leonardo che vi era appoggiato e che
cadde, inaspettatamente privato del sostegno. Erica, quasi attaccata a lui, lo
seguì nella caduta.
Giovanni
sorrise, inarcando le sopracciglia in un’espressione sorpresa.
Li
guardò, rossi ed accaldati, l’uno addosso all’altro e sogghignò.
“
Devo dire…” sospirò “ Sarebbe stato più interessante trovarvi
morti”
*
Un terribile
ritardo, lo so.
Non ho
giustificazioni, so anche questo.
Mi dispiace
tantissimo, vi assicuro, ma sto passando un periodo orrendo.
Non trovo né il
tempo né la voglia di scrivere, per una serie di problemi che credo sia inutile
elencarvi.
Mi scuso
ancora, con tutti voi magnifici lettori.
Sono
mortificata, ma oltre a ringraziarvi tutti, dal primo all’ultimo, non
posso fare altro.