Attraverso lo specchio e quello che Kyon vi trovò

di Kuri
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** [ Nella tana del Coniglio ] ***
Capitolo 2: *** [ Un té di matti ] ***
Capitolo 3: *** [ Chi ha rubato le paste? ] ***
Capitolo 4: *** [ Il Coniglio presenta un conticino ] ***
Capitolo 5: *** [ La casa dello Specchio ] ***
Capitolo 6: *** [ Chi l'ha sognato? ] ***



Capitolo 1
*** [ Nella tana del Coniglio ] ***


Fic scritta per il contest Alice nel paese di... [Multifandom, Originali e Crossover], indetto da Fabi_Fabi, ed arrivata terza. Ottimo contest, non c'è che dire! Perfetta l'idea della giudiciA di fare un crossover tra i libri di Alice e un fandom a nostra scelta. Oltre al crossover dovevamo inserire un'immagine, o meglio la sensazione che ci veniva data da un'immagine, e una citazione tratta dai libri di Carroll.
Sono assurdamente soddisfatta di questa storia. Ho riso tanto, tanto, tanto, e spero riderete anche voi.
Volevo inoltre ringraziare Diffy, Eragon1001, HimeChan XD, Aerith1992 e JJMaoriheart che sono state tanto gentili a recensire la mia precedente storia su Haruhi, e che io non ho adeguatamente ringraziato perchè sono una stordita all'ultimo stadio... perdonatemi! T.T Vi ringrazio per le vostre buone parole e se leggerete anche questa storia... vi prego di bastonarmi, e di non avere pietà: amo molto questo fandom, perchè è un'assoluta perla comica, e voglio "sfruttare" i vostri commenti per migliorare sempre di più. Perciò se c'è qualcosa che non vi convince... dateci sotto! XD
Enjoy! *w*






Attraverso lo specchio e quello che Kyon vi trovò

[ Nella tana del Coniglio ] [1]





Stavo cadendo.
Lentamente, come se l’aria offrisse l’insolita resistenza di un budino.
Tuttavia, non ero affatto preoccupato. In un angolo della mia mente ero ben consapevole di essere serenamente addormentato nel mio letto, nel fresco bozzolo delle lenzuola in una tranquilla notte di maggio.
Era una semplice caduta, in un buio profondo ma allo stesso tempo stranamente rassicurante, in cui si intravedevano i contorni indistinti di altre figure, che però non mi incutevano timore.
Era piacevole.
Mi abbandonai alla sensazione del mio corpo che si lasciava trascinare dalla gravità.
Chissà se mi sarei svegliato prima di scoprire cosa mi aspettava sul fondo di questo leggero precipitare.













[1] Tutti i titoli dei capitoli sono presi dai due libri di Carroll su Alice.

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Capitolo 2
*** [ Un té di matti ] ***









[ Un té di matti ]





Strinsi le palpebre con un moto di stizza. La luce le colpiva con una discreta forza e, dietro quello schermo cremisi, i miei occhi non ne volevano sapere di aprirsi.
Avvertivo ancora, tra le pieghe del sonno che svaniva con riluttanza, la sensazione del sogno appena fatto.
Eppure c’era qualcosa che mi infastidiva. I miei muscoli bruciavano, come se avessi passato tutta la notte in una posizione assurda, e la mia guancia premeva contro qualcosa di duro e freddo che non sembrava affatto il mio cuscino. Allungai le dita con circospezione, stringendo con più forza le palpebre.
Non sentii sotto i polpastrelli la consistenza soffice della moquette di camera mia, quindi potevo escludere di aver fatto uno di quei sogni dove alla fine si cade davvero.
Invece, continuavo ad urtare oggetti che producevano un delicato tintinnio e di cui non riuscivo ad intuire le molteplici forme.
Quella situazione iniziava a non piacermi, e sapevo che, se avessi aperto gli occhi, avrei dovuto constatare con mia immensa costernazione che era successo di nuovo qualcosa in relazione alle bizzarrie di quella persona.
Improvvisamente, mentre continuavo a perlustrare alla cieca quello che mi circondava, le mie dita incontrarono qualcosa di soffice, dalla consistenza elastica.
«Ahi.»
L’esclamazione irruppe nel silenzio frusciante del sogno.
«Ahi, ahi, ahi! Mi stai tirando i capelli!»
Mi sollevai a sedere di scatto spalancando gli occhi.
Non potevo sbagliarmi, quella era la voce di Tsuruya-san. Cosa ci faceva in camera mia?
Poi girai la testa a destra, con lentezza. E poi a sinistra, con altrettanta concentrazione.
Ovviamente, non mi trovavo nella mia camera immersa nella luce dell’alba. Sembrava piuttosto una radura erbosa, circondata da un bosco di strane piante dai colori iridescenti e vibranti di vita, come se gli alberi stessi si stessero muovendo sussurrando qualcosa con un filo di voce.
«Ehi, Kyon-kun… adesso potresti lasciarmi andare?»
Gettai un’occhiata verso la mia mano guantata. Tra le dita stringevo una lunga ciocca di capelli scuri. La seguii con gli occhi, finché non incrociai il viso allegro di Tsuruya-san a poca distanza dal mio. Sussultai, sbilanciandomi pericolosamente indietro sulla sedia traballante su cui ero accomodato.
«Tsuruya-san…»
La lasciai andare e mi alzai in piedi, distanziandomi da lei di qualche metro. Tra di noi si trovava uno strano tavolo imbandito, pieno di tazze, tazzine, piattini ricolmi di dolci e teiere, probabilmente gli oggetti che avevano prodotto prima quel lieve tintinnare.
«Che c’è, Kyon-kun?» mi fissò con la sua consueta espressione straripante di energia, e infine scoppiò a ridere, lasciandosi cadere indietro sulla sedia e stringendosi le mani sulla pancia «Quanto sei buffo, sembri proprio un damerino, Kyon-kun! Non avrei mai immaginato che un sogno potesse essere così divertente!»
Chissà perché, avevo la sensazione che non si trattasse di un semplice sogno.
Abbassai lo sguardo su di me. Indossavo uno strano completo a pezze di vari colori, sui toni del marrone e del verde scuro, completo di panciotto e di una giacca con le code. Sollevai le mani guantate verso la mia testa e mi tolsi il capello, un ridicolo cilindro dalla cui falda uscivano foglietti e piccoli ramoscelli ricolmi di fiorellini viola.
No, non sono ancora del tutto idiota. Avevo capito abbastanza velocemente dove ci trovavamo. Erano stati più che sufficienti il tavolo da té e le lunghe orecchie pelose che sbucavano dai lati della testa di Tsuruya-san per capire che qualcuno aveva deciso di precipitarci nella lezione d’inglese del giorno prima. Ormai la conoscevo troppo bene per illudermi che quello fosse solo un semplice, innocuo sogno. Riconoscevo l’impronta lasciata dal suo discutibilissimo senso dell’umorismo.
«A te invece le orecchie stanno molto bene, Tsuruya-san.» le dissi mentre mi guardavo attorno, nella speranza di intravedere qualcuno che potesse illuminarmi su quanto stava accadendo. Nei momenti più opportuni, quell’odioso Koizumi non si faceva mai vivo.
Lei sollevò le mani e si tastò le lunghe orecchie grigie che le spuntavano tra i capelli. Sembrò interdetta per qualche istante, poi scoppiò a ridere.
«È troppo divertente! Non vedo l’ora di vedere da cosa è travestita Mikuru-chan…»
Un lungo sospiro si alzò dalla tavola. Girammo entrambi lo sguardo nella direzione da cui era arrivato quel suono ovattato, e oltre una grossa torta alla crema e una teiera da cui usciva un sottile filo di vapore, vedemmo due piccole orecchie tonde e bianche.
Mi avvicinai con circospezione.
Giunto ormai alla conclusione che mi trovavo all’interno di uno dei closed circles di Haruhi, sapevo che non potevo sottovalutare nulla. Giganteschi ominidi blu, preistorici grilli alti come palazzi di sei piani… non potevo intuire con certezza sotto quale forma si sarebbe presentato il pericolo, la prossima volta.
Scostai con lentezza la teiera. Le orecchie sussultarono con un ronzio infastidito, seguito nuovamente da quel lungo placido sospiro. Tsuruya-san allungò le mani verso il vassoio che reggeva l’enorme torta e lo spostò con un gesto pieno di effetto drammatico.
Appoggiata con la guancia contro le braccia conserte, si trovava mia sorella, tranquillamente addormentata. Sospirai di sollievo. Aveva solo un buffo paio di orecchie in testa e una codina bianca che le spuntava dal pigiama, ma per il resto sembrava che stesse bene, e che non ci fosse alcun pericolo di svegliarla.
«Una lepre, un ghiro e un cappellaio… direi che questo è il sogno più divertente che io abbia mai fatto!» esclamò Tsuruya facendo una piroetta su sé stessa.
Chissà perché, io non mi sentivo altrettanto allegro.
Tsuruya si rimise a sedere su una delle sedie attorno al tavolo. Allungò una mano verso un vassoio di pasticcini e ne prese uno ricoperto di soffice glassa azzurra e zuccherini gialli.
«Perché non prendi una fetta di torta anche tu, Kyon-kun?» mi chiese alzando allegramente lo sguardo su di me.
Mi avvicinai di un passo.
«Dov’è Alice?!»
Il grido risuonò nella radura così forte, che persino gli alberi smisero di sussurrare tra di loro. Mia sorella si rigirò appena, strofinando il viso contro l’avambraccio, ma continuò a dormire.
Io e Tsuruya guardammo verso il bordo della radura dall’erba azzurrina. Un omettino che indossava abiti come i miei ci osservava con un’espressione buffa, un misto di determinazione e follia che lo rendeva lievemente strabico. Accanto a lui una lepre si reggeva sulle zampe posteriori e ci squadrava con un’occhiata ancora più inquietante di quella del piccolo cappellaio. Sulla sua testa, al centro di una corona fatta di spighe di grano, era appollaiata una teiera, da cui spuntava la il muso addormentato di un ghiro.
«Dove avete nascosto la nostra Alice?»
Tsuruya-san mi lanciò un’occhiata interrogativa. Teneva ancora il pasticcino a mezz’aria, e la bocca socchiusa.
«Non ve ne andrete di qui finché non avrete parlato, e visto che durante il té non si parla con la bocca piena, dovrete rimanere qui fino alla fine.» esclamò la lepre con una vocetta stridula. Si mise a fare dei velocissimi piegamenti sulle ginocchia, e la teiera sulla sua testa traballò pericolosamente.
«No, ma noi non…»
«Non si parla con la bocca piena di negazioni!» strillò il cappellaio, mentre il suo grosso naso fremeva sotto la falda del cappello. Alzò la mano che aveva tenuto fino a quel momento dietro la schiena e puntò un uzi verso di noi.
Richiusi la bocca con uno scatto secco.
Quello che stringeva tra le mani era veramente uno di quei grossi mitragliatori che si vedevano nei film di guerra o di spionaggio. Era un gigantesco, nero uzi spianato nella nostra direzione.
«Ma due negazioni non fanno un’affermazione?» chiese la lepre, mentre si frugava nelle tasche del panciotto con concentrazione. La teiera sembrò sul punto di cadere. Poi la lepre si raddrizzò e dalle tasche sbucarono quelle che sembravano due pistole semiautomatiche.
«Vuoi dire quindi che se “non si può parlare con la bocca piena di negazioni”, si può parlare con la bocca piena durante il té? Sono felice che tu non sia più maleducata, mia cara lepre!»
Non potevo crederci. Mi portai le dita alla fronte e cercai di pensare, anche se la sensazione di avere di fronte due personaggi di un innocuo racconto per bambini con in mano armi da reduce di guerra in cerca di vendetta mi impediva di essere completamente razionale.
Tsuruya si alzò e si mise accanto a me. Tra le dita stringeva ancora il dolcetto che aveva ripescato dal tavolo.
«Certo che è un sogno molto strano, questo.»
Non riuscivo a staccare gli occhi dalle due figure in fondo alla radura che continuavano a scambiarsi inchini e frasi senza senso.
Questa volta Haruhi me l’avrebbe pagata. Mettermi in una situazione del genere e non presentarsi neppure era davvero imperdonabile, per quanto convenissi che era perfettamente coerente al suo personaggio.
«Però siamo venuti qui per cercare Alice, la nostra Alice!» disse il cappellaio tornando a rivolgere la propria attenzione verso di noi. Imbracciò il mitragliatore con più forza, portandoselo all’altezza del viso. Chiuse un occhio e lo appoggiò contro il mirino, rimanendo a fissarci con l’occhio aperto.
Per certo, questa situazione aveva superato di gran lunga tutte quelle in cui Haruhi aveva avuto la sfrontatezza di cacciarci. Con il problema che questa volta non sapevo dov’erano Nagato con i suoi speciali poteri extraterrestri e Koizumi con la sua sfacciata sfrontatezza. Per non parlare che non riuscivo ad immaginarmi in quale situazione poteva trovarsi Asahina-san, in un posto come questo.
«Credo che sia meglio andarsene, Tsuruya-san.» le dissi in un sussurro, osservando mia sorella che continuava a dormire.
«Perché? Tanto è solo un sogno.»
Il cappellaio e la lepre avanzarono di qualche passo.
«Tsuruya-san.» lei sollevò il viso verso di me «Quando te lo dico, corri. Non fare nessuna domanda, tu corri e basta.»
Lei mi fissò per qualche secondo, poi annuì impercettibilmente. Strinsi la mano a pugno.
Detestavo la parte dell’eroe.
«Dov’è Alice?»
Scattai verso il tavolo. Afferrai un vassoio pieno di pasticcini e li lanciai verso le creature che avanzavano nella nostra direzione. Vidi i dolcetti volteggiare nell'aria con inquietante lentezza, mentre i visi del cappellaio e della lepre si deformavano, al rallentatore, in espressioni di sgomento. Poi afferrai la vita di mia sorella e la sollevai dal tavolo, stringendola contro di me, cercando di ripararla con il vassoio d’argento. Non avrei permesso a quei due di farle male.
«Corri, Tsuruya-san!»
Non se lo fece ripetere. Scattò verso il lato opposto della radura, tuffandosi tra i cespugli violetti e lilla del sottobosco. La seguii, facendo attenzione a non far scivolare mia sorella, che continuava a dormire beatamente.
«Stanno scappando, stanno scappando! Come sono maleducati a scappare durante l’ora del té, e per aver sprecato tutte quelle madeline calde e imburrate!» sentii esclamare alle mie spalle, insieme allo scatto secco delle sicure delle armi.
Mi voltai appena in tempo per ripararmi con il vassoio, mentre stavo per immergermi nella vegetazione sussurrante del bosco. Avvertii l’urto di qualcosa contro il metallo, ma era un suono viscido, e il contraccolpo molto più debole di quanto avessi immaginato.
«Kyon-kun!» la voce di Tsuruya mi chiamò. Lasciai cadere il vassoio a terra e cominciai a correre nel sottobosco.
Dovevo trovare Haruhi. Doveva spiegarmi perché aveva creato tutto ciò, anche se non avevo difficoltà ad immaginarlo.
Sapevo che i cartoni animati erano folli, ma quella a cui stavo assistendo era una follia fin troppo gratuita, persino per Haruhi.













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Capitolo 3
*** [ Chi ha rubato le paste? ] ***









[ Chi ha rubato le paste? ]





Sbucammo in un sentiero stretto in un tunnel di alberi. I rami intrecciati impedivano di vedere il cielo, e tutto era immerso in una luce soffusa e smeraldina.
Mi voltai indietro, ma non sembrava che la lepre e il cappellaio ci avessero seguito.
Tirai un sospiro di sollievo, seguito dal leggero sussultare di mia sorella, che continuò tuttavia a dormire.
«Wow, che corsa!» esclamò Tsuruya sollevando le mani in alto, stiracchiandosi. Con le dita sfiorò le fronde degli alberi sopra la sua testa «Era parecchio che non ne facevo una del genere, almeno in sogno!»
Poi il suo viso si contrasse appena, e si fece pensieroso.
«Tutto ok, Tsuruya-san?»
«Mmm…» guardò in alto, verso le proprie braccia alzate. Si scosse appena e tornò a fissarmi «Non riesco ad abbassare le braccia.»
Arretrai di un passo. Non potevo lasciare mia sorella, e non potevo aiutare Tsuruya che continuava a guardare incuriosita tra i rami degli alberi.
«Non sono rimasta incastrata. È come se qualcosa mi stesse trattenendo…»
Una risatina risuonò tra le foglie, scuotendole appena. Era bassa e ruvida, quasi ipnotica.
Tsuruya scoppiò a ridere.
«Mi fa il solletico!»
Lentamente, come se si stesse condensando poco a poco, attorno ai polsi di Tsuruya comparve quella che sembrava una morbida coda azzurra, la cui punta le solleticava pigramente i palmi.
«Oh, è spuntato un albero di pasticcini sul sentiero?» disse una voce profonda e impostata che sembrava provenire dal nulla. Il pasticcino che teneva ancora in mano Tsuruya si sollevò, fluttuando nell’aria e poi, morso dopo morso, scomparve. Solamente una piccola lingua rosa sbucò dal nulla per leccare alcuni residui di crema e di zuccherini che lievitavano nel nulla, seguita da prolungate fusa di soddisfazione.
«Non sono un albero di pasticcini, che idiozia!» esclamò Tsuruya ridendo ancora.
Come poteva divertirsi in un momento simile?
«Beh, hai due rami da cui si possono cogliere cose commestibili e le tue radici sono appoggiate a terra. Non scorri e gorgogli come l’acqua, non voli come gli uccelli e non sei calda e splendente come il sole. Perciò sei un albero.»
Una larga bocca comparve dal nulla, e pronunciò quelle ultime parole con un sorriso.
«Non si può dire che, in un certo senso, il discorso non fili…»
Sospirai. Tsuruya-san si era ambientata fin troppo bene.
«Infatti, ma non credo che questo discorso mi sarebbe utile per rammendare la veste rotta della Duchessa…» la testa del gatto comparve tra le foglie degli alberi. Il sorriso continuava ad aleggiargli sul muso beffardo «Però potresti dirmi dov’è Alice…»
Indietreggiai di un passo, mentre anche Tsuruya si faceva seria.
Di nuovo quella storia. Cosa aveva fatto Haruhi che costringeva tutti coloro che avevamo incontrato a ritenerci responsabili della sparizione della loro protagonista?
Il gatto ricominciò a fare le fusa.
«Dov’è la mia Alice?»
«Forse sta giocando a nascondino così bene che non riuscite più a trovarla…» disse Tsuruya, tentando di abbassare le braccia con un leggero colpetto.
Il gatto sogghignò, ma la strinse saldamente con la coda.
«Mi piaci, potrei piantarti nel mio giardino…»
«Mi dispiace, ma non potrai portarla da nessuna parte…» disse una voce che proveniva dal folto degli alberi.
Voce che conoscevo bene. Perché ci aveva messo così tanto tempo ad arrivare, quel maledetto?
Le fronde di una pianta poco lontano si mossero, mentre il terreno del sentiero veniva calpestato da passi invisibili.
«Saresti così cortese da lasciarla andare, signor gatto?» continuò la voce di Koizumi.
«Sarei più cortese a non lasciarla andare, signor gatto. Altrimenti questa bella piantina crescerà tutta storta…» la coda azzurra si sollevò un poco, e i piedi di Tsuruya, chiusi in un paio di babbucce dalla punta arricciata, si staccarono da terra.
Nella penombra del sentiero si sentì un leggero scatto. Mi irrigidii. Avevo già sentito quel suono pochi minuti prima, e già allora non mi era piaciuto per niente.
Il sorriso di Koizumi comparve a mezz’aria. Chissà perché, non mi stupii per niente.
«Loro non sanno dov’è Alice. Lasciali andare, per favore.»
«Tu sai dov’è Alice?» esclamò il gatto lasciando andare Tsuruya, che cadde a terra. Si mise a zampettare sul ramo dell’albero su cui era appollaiato, fino a trovarsi accanto a Koizumi, la cui testa era apparsa nel frattempo, sospesa in aria. Un paio di buffe orecchie violette gli spuntavano ai lati della testa. Cominciavo ad essere un po’ invidioso di essere l’unico a non averne.
«Penso di sì, ma purtroppo non posso dirtelo, signor gatto.»
L’animale inclinò la testa di lato. Koizumi l’imitò, con il suo consueto sorrisetto che mi faceva rabbrividire. Improvvisamente una pistola gli comparve nella mano chiusa a pugno.
«Mi dispiace, signor gatto.»
E premette il dito sul grilletto.
«No!» sentì il fiato uscirmi dai polmoni con violenza, mentre stringevo mia sorella al petto pregando che non si svegliasse proprio in quell’istante. Consideravo Koizumi in grado di fare molte cose, anche poco onorevoli, e il suo modo di fare non mi piaceva per niente, ma non riuscivo a crede che sarebbe mai stato in grado di sparare ad un animale, sebbene ci trovassimo in una di quelle assurde distorsioni della realtà create da Haruhi.
«Uff. Me lo dicevano sempre i miei compaesani, di non fidarmi di un gatto che sorride su una forma di formaggio.» [2]
Alzai gli occhi, verso il ramo su cui era appollaiato il gatto. Sulla cima della grossa testa pelosa, a sporcare la pelliccia iridescente, c’era una larga macchia di vernice gialla. Il gatto sembrava solo vagamente deluso, come se un bel gioco fosse finito prima del previsto. Per il resto, scoppiava di salute.
«Credo che sia un ottimo consiglio.» disse Koizumi abbassando il braccio. Il gatto annuì con un grosso sorriso stampato sul muso, poi la sua figura tremolò appena, come se fosse passato un disturbo sullo schermo della tivvù. Infine, la sua immagine si disintegrò in una pioggia di carte da gioco che ricaddero, svolazzando, sul sentiero.
Mi voltai verso Koizumi. Sogghignai appena posai lo sguardo su di lui. Per qualche motivo sconosciuto – ma per cui mi trovai stranamente a ringraziare Haruhi per l’inventiva – era chiuso in una sorta di tuta integrale che ricalcava in modo buffo la pelliccia del gatto appena scomparso.
«Era ora che arrivassi.» dissi lanciando un’occhiata a Tsuruya-san che nel frattempo si era rimessa in piedi, spazzolandosi la polvere del sentiero dalla giacca da lepre.
«Non è stato molto semplice trovarvi, in questo posto.» rispose con il suo consueto sorriso da schiaffi. Poi si avvicinò velocemente a Tsuruya e, mentre lei lo osservava incuriosita, le posò una mano sulla fronte. Immediatamente il suo corpo si afflosciò, e Koizumi la prese al volo prima che potesse finire ancora a terra «Anche se Tsuruya-san è convinta che questo sia solo un sogno, è meglio che non senta troppo.»
«Haruhi?» gli chiesi spostando il peso di mia sorella da un braccio all’altro.
Koizumi annuì.
«Questa volta ha dato davvero il meglio di sé.» girò la testa, come se avesse sentito qualcosa provenire dal sottobosco «Però è meglio che ci spostiamo da qui. La scomparsa del gatto sarà già stata notata, e non tarderanno ad arrivare. E come avrai capito, è meglio non farsi trovare.»
Ci gettammo nella vegetazione colorata.
Lanciai l’ennesima occhiata divertita al costume di Koizumi.
Dovevo convenire. Haruhi questa volta aveva dato veramente il meglio di sé.













[2] Una delle possibili ispirazioni che hanno portato Carroll ad ideare il Gatto del Cheshire sarebbe stata l'etichetta del formaggio tipico prodotto nella contea del Cheshire, che ritraeva appunto la testa di un gatto sorridente.

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Capitolo 4
*** [ Il Coniglio presenta un conticino ] ***









[ Il Coniglio presenta un conticino ]





Continuavo a fissare pensieroso Tsuruya e mia sorella che dormivano appoggiate alla parete della piccola grotta in cui ci eravamo nascosti.
«Perciò questo è l’ennesimo closed circle creato dai sogni di Haruhi…» dissi mentre mi accucciavo accanto a loro. Scostai un ciuffo di capelli dalla fronte della mia sorellina.
«Esatto, solo che, stranamente, invece di inglobare semplicemente la realtà, l’ha fusa con un mondo di fantasia. Questa è un’interessante evoluzione dello schema consueto.»
Si, interessante. Tranne quando vedi delle strane creature puntarti contro uzi caricati a palline di vernice pronunciando frasi senza senso. Sarò solo un adolescente medio, ma certe cose mi risultavano incomprensibili.
«Questa è la lezione di ieri d’inglese, tutto qui.» gli risposi alzandomi.
«Interessante. Quindi devo immaginare che non tutte le lezioni scolastiche sono così noiose, per Suzumiya-san!»
Avvertii il desiderio di rispondere a quella sua affermazione con un pugno.
«Hai già capito qual è lo scopo di questa follia? Cosa vuole Haruhi? E dov’è?»
«A differenza delle altre volte, credo che ora sia all’interno del closed circle. Ho la stessa netta percezione di quando tu e Suzumiya eravate rimasti intrappolati nel suo sogno a scuola. Potrebbe trovarsi nel cuore di questo mondo, in prossimità dell’unica via d’uscita, ma non sono ancora riuscito ad individuarlo.» mi sorrise ancora «Tuttavia, adesso che ci sei, sono sicuro che riusciremo a trovarlo.»
Sospirai. Mi tolsi il ridicolo cilindro che avevo in testa e me lo rigirai tra le mani.
«E cos’è accaduto all’Alice di questo mondo? Perché la stanno cercando così disperatamente?»
Koizumi sollevò le spalle.
«Non lo so. Da quello che mi ha detto un bruco che ho incontrato mentre ti cercavo, sembra che tutti gli abitanti di questo mondo siano collegati tra di loro attraverso lo spirito della loro creatrice, Alice. Non trovandola più, hanno iniziato ad aver paura di dover scomparire, per sempre. È per questo motivo che la stanno cercando. Pensano che siamo stati noi a prenderla.»
«Noi?»
«Da quello che mi ha raccontato il bruco sono state avvistate anche Asahina e Nagato. A quanto pare l’ha saputo da un coniglio con il panciotto.»
Detestavo quando quel maledetto trovava quel genere di cose così dannatamente divertente. Tuttavia, sapevo anche che era indispensabile che ci fosse anche lui, per risolvere quel casino.
«Dobbiamo trovarle…»
«È tardissimo!» squittì una vocetta al di là dei cespugli che nascondevano la grotta alla vista dall’esterno.
Mi irrigidii.
Haruhi, che di solito trascorreva tutte le lezioni con quel suo broncio annoiato sul viso e lo sguardo perso fuori dalla finestra, doveva essere stata particolarmente attenta, il giorno prima.
Koizumi si accucciò, trascinandomi con sé. Velocemente, fece scivolare un fucile, sbucato da chissà dove, tra le mie mani e mi fece cenno di tacere. Fissai l’arma. Come tutte le altre che avevo visto, era completamente nera e la luce che ci circondava sembrava non colpirla, con il risultato di apparire come un collage fatto da un bambino con ritagli di giornale.
Quando scostammo con delicatezza il fogliame arancione dei cespugli, potemmo vedere un coniglio bianco con un panciotto e un grosso orologio in mano che correva affannando sulle corte zampette.
Si fermò per un istante e picchiettò con evidente nervosismo sul vetro dell’orologio.
«È tardi, tardissimo, dobbiamo trovare Alice, Alice! Altrimenti saremo perduti, perduti per sempre, per sempre!»
Si voltò, per osservare nel sottobosco con i piccoli occhietti miopi. Sulla schiena gli ballonzolava un tozzo mitragliatore dello stesso inquietante colore del mio fucile.
«Dove sono andate, dove sono andate? Di qua, di là? Di su, di giù? Oh, santi numi, e se fossero andate a destra o a manca? Povero me, povero me!»
Koizumi mi fece un cenno con la testa. Annuii. Non c’erano dubbi, quella creaturina alta poco meno di un metro stava inseguendo Nagato e Asahina-san, e io non avrei mai permesso che le facesse scomparire in una pioggia di carte da gioco.
Mi voltai tuttavia preoccupato verso mia sorella e Tsuruya.
«Non ti preoccupare. Non dimenticarti che nei closed circles di Suzumiya-san i miei poteri funzionano. Saranno schermate da un’illusione che le renderà invisibili.» sussurrò al mio orecchio per non farsi sentire dal coniglio.
Malgrado la perfetta ragionevolezza di quel gesto, non riuscii ad impedire al mio corpo di rabbrividire per il ribrezzo. Prima o poi lo avrei picchiato.
Il coniglio si allontanò saltellando, mentre continuava a borbottare una litania senza senso.
Iniziammo a seguirlo attraverso la vegetazione intricata del sottobosco. Strani fiori ci osservavano mentre passavamo, girando le loro corolle dal volto umano nella nostra direzione. Piccoli insetti alati a forma di cavalli a dondolo ci ronzavano attorno alla testa, per poi allontanarsi svolazzando verso qualche fiore dai colori psichedelici.
Tutto ciò era semplicemente ridicolo.
Volevo trovare Nagato a tutti i costi, e sincerarmi che Asahina-san stesse bene. E volevo uscire da lì, beninteso.
Improvvisamente il coniglio si fermò, e io e Koizumi ci gettammo a terra, nascosti dall’erba alta. La bestiola sollevò il muso verso l’alto, togliendosi il monocolo per riporlo in una tasca del panciotto. Annusò l’aria un paio di volte, prima da un lato, poi dall’altro. Infine rimase pensieroso a saltellare sulle zampe, scosso da un tremito nervoso che faceva muovere il suo corpo dalla coda a batuffolo fino alla punta delle lunghe orecchie spioventi.
L’erba frusciò.
«Banzaiii… iii… ii… i.» esclamò flebilmente una vocettina impaurita. Mi portai le mani alla fronte e sospirai. Come avevo immaginato.
Sollevai lo sguardo e vidi Asahina-san in piedi di fronte al coniglio. Non avrei saputo dire chi dei due tremava di più per il terrore.
Asahina indossava un abito azzurro cielo corredato di un delicato grembiule bianco, che la faceva sembrare appena uscita da una favola. I suoi capelli castani erano stretti da un cerchietto nero decorato da un grande fiocco e ai piedi calzava scarpine di vernice.
Sarebbe stata una visione semplicemente incantevole, se non fosse stato per la mitragliatrice che stringeva tra le mani.
Si sentì un plop secco, mentre Asahina cadeva all’indietro con un gridolino a causa del rinculo dell’arma. La pallina di vernice gialla si schiantò vicino a noi, e il liquido dal colore vivido macchiò l’erba.
«Tu…tutu... tu, tu non sei Alice, non sei Alice, io lo so. Lo so!» gridò il coniglio con un tremito convulso del corpo, mentre cercava di allungare le corte zampette anteriori per recuperare la propria arma.
Asahina si sollevò, massaggiandosi il fondoschiena con una smorfietta di dolore.
Quello, era decisamente uno scontro tra titani. Eppure non potevo permettere che qualcuno facesse del male ad Asahina-san, soprattutto prima che io potessi godere a pieno del cosplay più strepitoso che Haruhi l’avesse mai costretta a fare.
Mi alzai in piedi, uscendo dal sottobosco che aveva protetto me e Koizumi. Il coniglio sobbalzò con un scatto nevrotico e lasciò cadere a terra la propria mitragliatrice.
«Kyon-kun…» il lamento di Asahina si affievolì, mentre lei sveniva per l’emozione.
«Non ti permetterò di…»
«Tuttavia, se neghiamo una negazione, facendola così diventare un’affermazione, se noi affermiamo una negazione negata, tu risulti ancora maleducata, mia cara lepre?»
«La questione principale credo stia tutta nel fatto che non si può mangiare né bere durante il thé, per non risultare maleducati…»
No.
No, vi prego. Non era possibile concludere la puntata prima del previsto? Uno sbalzo improvviso di corrente, un’edizione speciale del telegiornale? [3]
Il cappellaio e la lepre puntarono le loro armi verso di me, mentre il coniglio tentava di recuperare la propria da terra e di tenermi sotto tiro, senza che il tremito delle sue zampette avesse il sopravvento sulla tensione del momento.
Se non fosse stata per l’ambientazione surreale, la situazione avrebbe avuto la drammatica suspense di uno spaghetti western.
Plop, plop, plop.
Nel bosco sembrò calare una sorta di silenzio sospeso, come se ogni creatura avesse trattenuto il respiro per conoscere l’esito dello scontro.
Da un albero vicino giunse un fruscio. Poi, come dei fiori che stessero sbocciando sotto il sole di primavera, tre grosse macchie gialle si allargarono sui panciotti del cappellaio, della lepre e del coniglio.
Infine, mentre il vento riprendeva a soffiare, i loro corpi di frantumarono in centinaia di carte da gioco che ricaddero sul terreno con un lieve svolazzare.
Di nuovo quel fruscio tra le fronde e, con un tonfo appena attutito dall’erba, Nagato saltò a terra, imbracciando ancora il proprio fucile da cecchino.
Sospirai per il sollievo, sorvolando sul fatto che, molto probabilmente, l’entità aliena dagli occhi di metallo che ci aveva appena salvato aveva consapevolmente usato Asahina-san come esca.
«Oh, buongiorno Nagato-san, Asahina-san.» disse Koizumi sbucando fuori dal proprio nascondiglio e aiutando Asahina a rialzarsi.
Maledetto vigliacco!
Mi voltai verso Nagato che mi osservava impassibile. Lei indossava un costume bianco da coniglietta, identico a quelli che Haruhi e Asahina avevano già usato per costringere gli altri studenti ad iscriversi alla totale follia che era il nostro club.
Lei era l’unica in grado di fornirmi le risposte che cercavo.













[3] E... se Kyon sapesse di essere un cartone animato? XD

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Capitolo 5
*** [ La casa dello Specchio ] ***









[ La casa dello Specchio ]





Camminavamo velocemente lungo i sentieri del bosco, saltando di tanto in tanto quelli che assomigliavano a dei piccoli ruscelli che suddividevano regolarmente il terreno.
Nagato non ci aveva spiegato ancora nulla, ma ci aveva invitato a muoverci con quanta più fretta potevamo.
Come di consueto, aveva usato il minimo numero di parole indispensabile per trasmettere il proprio messaggio. Tuttavia avevo visto nei suoi occhi impassibili un’urgenza tutta sua che non potevo ignorare.
«Quindi sei in grado di individuare il nucleo di questo sogno, Nagato?» le chiesi voltandomi a guardarla. Speravo solo che questo non mi costasse l’andare a sbattere come un idiota contro un albero.
Lei annuì.
«Hai trovato Haruhi?»
Annuì nuovamente.
«La distorsione di questo mondo ha origine nel punto in cui il suo pattern specifico collide con quello di Sauzumiya-san. C’è una possibilità del 99,9987% che in quel punto ci sia Suzumiya-san e anche l’unica via di fuga.»
«Sai cos’è successo?»
«Suzumiya-san ha creato una distorsione della realtà nella sua fase Rem.»
Ok. Fino a quel punto c’ero arrivato anch’io, visto che, a quanto sembrava, ero una delle vittime preferite della fase Rem di Haruhi.
«Che fine hanno fatto le creature a cui hai sparato?»
«Il loro pattern è stato annullato.»
«Vuoi dire che… sono morte?»
Mi fermai. Anche Koizumi e Asahina si bloccarono.
Nagato continuò a guardarmi con i suoi occhi impassibili. Non disse nulla.
Probabilmente stava calcolando la possibilità che, nel suo stranissimo vocabolario alieno, morte fosse un sinonimo di annullamento.
«E cosa accadrebbe a noi, se venissimo colpiti?»
«Il nostro pattern verrebbe annullato.»
Non potevo crederci. Perché dovevi sempre incasinare così le cose, Haruhi?
«Questo significa che se noi vinciamo, loro spariscono. E se loro vincono, a sparire saremo noi. E tutto questo per un sogno, un maledettissimo sogno.»
Sollevai il fucile e feci scattare il caricatore. Per quanto mi seccasse ammetterlo, e per quanto mi rendessi conto di essere ridicolo con un cilindro in testa, arrivava un momento in cui l’eroe doveva farsi carico delle proprie decisioni e della salvezza dei propri compagni.
«Troviamo Haruhi e andiamocene di qui.»
Riprendemmo a camminare nella boscaglia.
Sentivo mille pensieri che mi ronzavano in testa, eppure non riuscivo ad afferrarne neppure uno. Sapevo che la soluzione era a portata di mano, me l’aveva insegnato un anno di vita accanto ad Haruhi, che in verità era stato come poco più di seicento anni di fatica e sopportazione e qualche realtà parallela di pazienza. [4] Eppure questa volta stentavo a capire cosa fosse successo, e non riuscivo neppure ad immaginare quale contorto pensiero avesse spinto Haruhi a creare tutto ciò.
Gli alberi iniziarono a diradarsi mentre procedevamo, finché arrivammo al limitare del bosco colpito dalla luce arancione del sole. Al di là del confine ombroso si stendeva un paesaggio sconfinato, dai colori sgargianti e dalla morfologia assurda. La visione d’insieme, tuttavia, era impedita da un castello che sorgeva quasi al limitare della vegetazione. Più che un castello vero e proprio sembrava un’enorme villa bianca decorata da cupole e finestre rosse a forma di cuore, cinta da un alto muro pieno di feritoie.
Davanti alla villa era schierato un esercito di carte da gioco. In prima linea, impettita ed enorme, drappeggiata di un abito cremisi, si trovava una donna che stringeva tra le mani un grosso bazooka nero. Sulla testa campeggiava una corona che, rispetto al resto del corpo, appariva minuscola.
«Voglio che catturiate quella svergognata che tiene in ostaggio Alice! Catturatela, catturatela o vi giustizierò tutti! Anche tu, boia, perderai la testa per mezzo delle tue stesse mani!» gridò puntando la bocca del bazooka contro la testa di un asso di picche che si trovava accanto a lei.
Svergognata. Avrei aggiunto anche questo alla lista degli aggettivi che ben si adattavano ad Haruhi.
Nagato spianò il suo fucile di precisione. Avrebbe potuto far fuori tutti i presenti in poco meno di qualche frazione di secondo. Tuttavia, sembrava attendere un ordine.
Improvvisamente, nel prato che circondava la villa, risuonò una risata fragorosa, una risata inconfondibile.
«Non potete fare nulla, contro di me. Nessuno mi può battere a questo gioco!»
Egocentrica. Ed esasperatamente competitiva.
Tre leggeri colpi, e tre delle carte da gioco si frantumarono nell’aria.
«Lascia andare Alice e forse mi limiterò a chiuderti in prigione fino alla fine dell’ora del té.»
«Qui non c’è nessuno!» una delle finestrelle del corpo centrale della villa si aprì, e Haruhi comparve al di là delle stipite. Indossava un costume identico a quello delle regina e anche lei stringeva tra le mani un’arma.
La vidi sorridere da lontano, prendere la mira, e freddare due carte da gioco che avevano tentato di scalare il muro.
«Usurpatrice! Ti farò tagliare la testa! E poi te la farò riattaccare per fartela tagliare nuovamente!»
Strinse le mani intorno al fucile. Per quanto desiderassi ardentemente che qualcuno assestasse una sonora lezione ad Haruhi, non potevo permettere che arrivassero a farle del male. Anche se la cosa, a ben vedere, sembrava di più una velleità da principe azzurro che una possibile eventualità.
«Nagato, Koizumi, copritemi. Cercherò di scavalcare il muro dal versante vicino al bosco, quelle feritoie dovrebbero consentirmi di scalarlo facilmente.» mi tosi la giacca, appoggiai il cilindro per terra, ma con quei pantaloni da signorotto inglese e il panciotto sembravo ancora un idiota «Asahina…» lei rivolse verso di me gli occhi gonfi di lacrime. Non avrei mai saputo quanto aveva pianto in quella follia «Prega per me.»
Non mi mancavano di certo le frasi da repertorio.
Nagato mi bloccò con il suo lungo sguardo inespressivo.
«E’ necessario che l’interferenza tra le due fasi Rem venga annullata con il risveglio di Suzumiya-san. Devi lasciare qui la creatrice di questo mondo e dare scacco alla Regina. Buona partita.»
Come il solito, non avevo capito assolutamente nulla, ma annuii ugualmente.
Scivolai lungo il limitare del bosco, tenendo gli occhi puntati verso il piccolo esercito che stazionava davanti alla villa. Non avevano di certo l’aspetto inquietante degli ominidi blu che uscivano dal subconscio di Haruhi, ma proprio perché provenivano da quello stesso terrificante luogo, sapevo di non doverli sottovalutare.
Corsi attraverso la sottile lingua di prato che separava la vegetazione dall’ombra del muro. Mi appoggiai alla parete bianca, avvertendo il contatto con l’intonaco grezzo. Nessuno sembrava avermi visto.
Iniziai a scalare il muro. Poco prima di arrivare sulla sommità, stranamente sottile e aguzza, cercai di gettare un’occhiata nel giardino sottostante, per capire dove sarei atterrato nel caso mi fossi lanciato dall’altra parte.
«Ehi, Kyon! Era ora che venissi ad aiutarmi!»
Mi gettai maledicendo Haruhi, mentre un rumore inconfondibile mi confermava che non avevano risparmiato i colpi contro il muro appena avevano sentito il suo grido. Precipitai a terra, finendo dentro un gruppetto di cespugli di rose, che non attutirono per nulla la caduta.
Sentii Haruhi ridere soddisfatta mentre mi rialzavo e mi precipitavo verso la villa. I corridoi erano deserti, interamente decorati con cuori enormi e grosse colonne bianche ritorte. Controllai in ogni stanza finché non arrivai di fronte ad una gigantesca porta rossa. Spinsi i battenti con entrambe le mani e appena entrai, la vidi, accanto alla finestra, che attendeva il mio arrivo.
«Finalmente! Certo che per essere una semplice proiezione della mia mente ce ne hai messo di tempo!» mi salutò senza allontanarsi dalla finestra. Era chiaro che voleva tenere sotto d’occhio l’esercito che più in basso si stava apprestando ad assaltare la villa «Speravo di aver sognato anche gli altri… sarebbe stato molto più divertente, ma credo che mi accontenterò di te!»
Afferrò un’arma che giaceva sul davanzale e me la porse. Io rimasi immobile.
Stavo pensando, non avevo tempo per sparare. Dovevo scoprire dove diavolo poteva essere quella maledettissima via di fuga. La stanza non conteneva nulla di particolare, eccetto un trono accanto alla finestra a cui si trovava Haruhi e un grosso specchio poco distante, che rifletteva il resto della stanza.
Cosa mi aveva detto Nagato? Che dovevo dare scacco alla Regina, lasciare qui Alice e annullare due non ben precisate fasi Rem, di cui una era sicuramente di Haruhi… ma cosa diavolo significava?
«Kyon?»
Sollevai lo sguardo verso di lei. Anche il suo cosplay non era niente male, dovevo ammetterlo. Se avesse avuto i capelli appena più lunghi…
Accidenti.
«Gli altri sono fuori, Haruhi. Dobbiamo andare, è ora di svegliarsi.» avanzai di qualche passo, allungando la mano guantata verso di lei. Mi sarei inventato qualcosa, come sempre, per uscire di lì.
«È ridicolo. Questo è il mio sogno, ci posso stare quanto mi pare. E poi mi sto divertendo troppo.» rispose lei con una scrollata di spalle. Tuttavia osservò a lungo la mia mano tesa.
«Tra un po’ suonerà la sveglia. Andiamo.»
Haruhi avanzò di qualche passo, portandosi nello spazio tra il trono e lo specchio.
«Ma perché devi essere il solito guastafeste? Se lo sapevo, avrei fatto di tutto per non comprendere te nel mio sogno!» disse spazientita.
Avanzai ancora. Ma dov’era quella maledetta via d’uscita? Come si faceva a dare scacco alla Regina? E dove poteva essere Alice?
Improvvisamente, un balenio azzurro catturò il mio sguardo. Non era stato nulla più di un breve lampo, quasi come le illusioni create dalla luce di un sole accecante, eppure avevo riconosciuto quel colore nello specchio.
Mi lanciai verso Haruhi e le strappai le armi che stringeva in mano.
«Ma cosa accidenti…»
La afferrai per le braccia e la costrinsi a voltarsi, di fronte allo specchio.
Al di là della superficie, ci osservava una ragazzina che indossava un vestitino azzurro. Aveva lunghi capelli chiusi da un nastro nero, e ai piedi calzava scarpette di vernice. Alle sue spalle, incessanti, cadevano centinaia di carte da gioco. Ci osservava con espressione di sottile e ambigua soddisfazione, e il suo viso era in tutto identico alla versione più piccola di Haruhi che avevo visto in passato. [5]
«Impossibile.»
Ma come faceva Haruhi a dire certe cose, in un frangente come questo? Considerando oltretutto il fatto che avrei dovuto dire io “Impossibile” e non la responsabile di tutto quel disastro.
«Come fai a dire che è impossibile?» le risposi come in trance, mentre continuavo a fissare la ragazzina che ci guardava attraverso lo specchio.
«Perché è contro qualsiasi logica!»
Io, invece, avevo capito tutto. Mi ero talmente allenato a credere a cose impossibili, che ormai ogni mattina riuscivo a pensare a ben sei situazioni impossibili in cui Haruhi sarebbe riuscita a cacciarmi prima di colazione. [6]
In questo caso, Haruhi era Alice.
Ripensai a una delle tante conversazioni avute con Koizumi, il quale sosteneva che Haruhi era una specie di dio dormiente che aveva probabilmente creato in sogno la realtà che vivevamo. Come accadeva per Alice.
E l’unico modo per svegliarla era farla passare attraverso lo specchio, come era accaduto alla bambina della favola.
Improvvisamente sentimmo un boato fortissimo, e il pavimento e le pareti della villa iniziarono a tremare con forza, come se il palazzo fosse stato vivo e stesse ridendo di gusto.
«Maledetti, hanno portato l’artiglieria pesante!» sibilò Haruhi lanciando un’occhiata attraverso la finestra, mantenendosi tuttavia nascosta.
«Non è tempo di pensare a queste cose, Haruhi, dobbiamo andare!» esclamai costringendola a voltarsi di nuovo verso di me. Non potevamo sprecare neppure un istante.
Afferrai la sua mano e mi diressi verso lo specchio, ma sentii che mi resisteva.
«Perché non vuoi venire?» le chiesi. Un altro scoppio fece tremare la villa, ma finsi di non sentirlo. Tutta la mia attenzione era concentrata sul viso di Haruhi, su quell’espressione seria e allo stesso tempo malinconica che a volte prendeva possesso dei suoi lineamenti e che mi lasciava sempre senza parole.
«Non ho voglia di alzarmi, e di andare a scuola. Non voglio che sia già iniziato il secondo anno. Non voglio vedere gli alberi di ciliegio sfiorire. Non voglio…» mi strinse la mano e intrecciò le sue dita con le mie.
Parlava così solo perché pensava che io non fossi altro che una delle componenti del suo sogno, una presenza costruita dalla sua mente.
Era sempre così, con lei. Un momento avevi voglia di afferrarle le spalle e scrollarla con tutte le tue forze, fino a farle sbattere i denti. Subito dopo era in grado di osservarti con uno sguardo tanto intenso da cancellare ogni pensiero e farti fermare il cuore.
«Non può essere così terribile. Scommetto che ti sei già inventata qualcosa per le attività del club di oggi pomeriggio.»
Haruhi sorrise, tenendo lo sguardo fisso sulle nostre mani intrecciate.
«Può darsi.»
Fuori il mondo del sogno stava crollando sotto il fragore delle armi, eppure la stanza del trono nel cuore della villa sembrava stranamente calma.
«Allora andiamo…» feci un passo indietro. Quando il mio piede incontrò la superficie del vetro dello specchio, avvertii un leggero formicolio, una sensazione di leggera resistenza, poi la carezza fredda del mondo che si trovava al di là e che mi stava chiamando con forza. Sentii una spinta che mi trascinava indietro, sempre più velocemente, con un'accelerazione inevitabile.
Avvolsi il braccio libero attorno alle spalle di Haruhi e la strinsi a me. Abbassai lo sguardo verso di lei che mi osservava con occhi immensi.
«Grazie per il sogno meraviglioso.» le sussurrai.
Sentii il mio corpo attraversare lo specchio. Haruhi ebbe un sussulto, e si strinse ancora più forte a me. Quando guardai alle sue spalle, dallo spazio nero e profondo in cui eravamo sprofondati, vidi la bambina che avevamo scorto riflessa nello specchio, ormai salva nel suo mondo.
Alzò la mano e mi lanciò un saluto muto, mentre sulle sue labbra aleggiava un sorriso, lo stesso trionfante di Haruhi bambina.
Lasciai che la sensazione di caduta pervadesse tutto il mio corpo, mentre avvertivo la presenza di Haruhi farsi sempre più rarefatta, mentre anche lei si svegliava.
Have a good new day, Kyon.












[4] Perchè noi amiamo l'endless eight! <3
[5] L'immagine a cui mi sono ispirata
[6] La citazione: "Alice rise: «È inutile che ci provi», disse; «non si può credere a una cosa impossibile.»
«Oserei dire che non ti sei allenata molto», ribatté la Regina.
«Quando ero giovane, mi esercitavo sempre mezz'ora al giorno. A volte riuscivo a credere anche a sei cose impossibili prima di colazione.» "

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Capitolo 6
*** [ Chi l'ha sognato? ] ***









[ Chi l'ha sognato? ]





Era stata la prima ora di lezione più terrificante di tutta la mia vita.
Sentivo la testa pesante, le palpebre si rifiutavano – comprensibilmente – di stare sollevate, e mi portavo dietro un’aura così pesante che persino Asahina-san, nella sua sconfinata ingenuità, aveva odorato il pericolo e si era tenuta debitamente alla larga.
Appena la professoressa d’inglese uscì dalla classe, mi voltai verso Haruhi, che fissava gongolante la copertina del libro che stringeva tra le mani, una versione commerciale di Alice nel paese delle meraviglie.
Assottigliai lo sguardo. La sua sfrontatezza era semplicemente inaudita.
«Vedo che hai dormito bene, stanotte…»
«Splendidamente! Ho fatto un sogno stranissimo, davvero buffo, ma mi ha messo un sacco di buonumore!»
Non mi dire.
«Invece sì, davvero meraviglioso! Stavi bene con il cappello a tuba, Kyon!»
Finsi di non capire. Lo dovevo alla mia sanità mentale.
«Adoro questo libro, è qualcosa di eccezionale, non trovi?» l’espressione sul suo viso era più straripante che mai. Peccato che non potessi dire lo stesso del mio umore.
Mugugnai in risposta, e mi meritai la solita occhiataccia di disprezzo.
«Certo, per uno che ha l’inventiva e la fantasia di un pesce rosso!» sbottò lei incrociando le braccia. La copertina del suo libro era colpita da un raggio di sole che entrava dalle enormi finestre della classe, dove un buffo coniglio bianco saltellava con un grosso orologio da taschino tra le zampe.
«Sentiamo, cos’ha di tanto speciale questa storia?»
«La possibilità di creare un mondo più divertente, quando la noia è così tanta che ti senti esplodere!» esclamò battendosi una mano chiusa a pugno sul palmo aperto dell’altra «Non credi che sarebbe semplicemente stupendo, desiderandolo, sovvertire le regole del mondo?»
Chiusi gli occhi, portandomi una mano alla fronte.
Non ci potevo credere. No, non volevo credere che Haruhi mi avesse appena detto quello che avevo sentito.
Poi, irrefrenabile, come se fosse stata per tutto il tempo nascosta nei recessi del mio stomaco, arrivò la risata. Una forte, assurda, potente risata che non riuscii in nessun modo a trattenere e che, molto probabilmente, non sarei riuscito a frenare neppure con tutte le mie forze.
Lei mi guardò inizialmente stupita poi, quando vide che non accennavo a smettere, si accigliò.
«Idiota.»
Mi alzai in piedi. Koizumi avrebbe apprezzato l’ironia di tutto ciò.
Allungai la mano verso la testa di Haruhi e l’accarezzai, senza riuscire a smettere di ridere. Lei si lasciò sfuggire un ringhio basso e sollevò le mani per bloccarmi, indispettita.
«Ma sei scemo?» esclamò mentre rialzava la testa completamente arruffata. Uno dei suoi fiocchi si era sciolto e le pendeva floscio di lato.
Mi chinai in avanti, per essere alla sua altezza. Lei si spostò leggermente all’indietro, sulla difensiva. Era adorabile quando faceva così.
«No. Sono solo matto. Matto come un cappellaio.»
Mi rialzai e mi avviai verso la porta, mentre mi infilavo le mani in tasca e un sorriso mi aleggiava ancora sulla faccia.
Sentii Haruhi che mi chiamava mentre uscivo dalla porta, ma non mi voltai.
Per una volta sarei stato io il suo coniglio bianco.













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