Cartelloni pubblicitari

di Iurin
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Cose che succedono dal dentista ***
Capitolo 2: *** Di nuovo dal dentista ***
Capitolo 3: *** Willy Wonka ***
Capitolo 4: *** In ufficio ***
Capitolo 5: *** La Brown Graphic Society ***
Capitolo 6: *** Rivelazione! ***
Capitolo 7: *** La fabbrica di cioccolato ***
Capitolo 8: *** L'ascensore di cristallo ***
Capitolo 9: *** Top Secret - trattasi della Wonkavite ***
Capitolo 10: *** Uhm... ***
Capitolo 11: *** Caro Willy, ti stai per...! ***
Capitolo 12: *** Senza parole ***
Capitolo 13: *** Soqquadro ***
Capitolo 14: *** Una piccola...insignificante...minuscola...bugia. ***
Capitolo 15: *** La febbre del mio sabato sera ***
Capitolo 16: *** 4 differenti punti di vista ***
Capitolo 17: *** Mark Sanders ***
Capitolo 18: *** Tra malintesi, pensieri e presunti cambiamenti ***
Capitolo 19: *** Amicizia ***
Capitolo 20: *** Boris e la portentosa Wonkavite ***
Capitolo 21: *** Fine! ***



Capitolo 1
*** Cose che succedono dal dentista ***


“Dica ah.”
Aprii la bocca e il dentista iniziò ad osservarmi i denti. Era già da un po’ di tempo, infatti, che avevo la sensazione che mi fosse spuntata una carie, così avevo dovuto chiedere una mattinata di permesso a lavoro per farmi visitare…nessun problema nel darmela…in fondo praticamente lì non avevo niente da fare, a parte forse qualche partita al computer…magari girovagando per qualche forum…comunque in quel momento ero lì, sdraiata su una poltrona, e il dentista stava per farmi il punto della situazione:
“Va male, signorina, proprio male…mi chiedo se lei sappia dell’esistenza dello spazzolino da denti.”
Ma che simpatico! I dentisti così mi irritavano e basta.
“Comunque si rilassi…” continuò “adesso le otturo questo buco.”
Stavo aprendo la bocca, dato che lui aveva preso il trapano in mano, quando il dottore si bloccò,come se stesse ascoltando qualcosa. In effetti anch’io mi ero accorta di alcuni rumori: una porta che sbatteva; di seguito si udirono dei passi frettolosi e una voce maschile che diceva:
“Papà! Papà! Ci sei?”
Il medico si mise dritto con la schiena e attese guardando verso la porta; si sentirono ancora dei passi: quel qualcuno stava salendo di corsa per le scale dicendo:
“Papà! Papà!”
Finì di salire le scale, e quella persona corse verso la stanza in cui ci trovavamo io e il dentista, solo che…beh, non riuscì a frenare la sua corsa e superando la porta andò a sbattere contro il muro…comunque tornò subito indietro ed entrò nella stanza sempre con lo stesso entusiasmo e disse al dentista, naturalmente senza calcolare che stava visitando me:
“Papà! È successa una cosa favolosa!”
Il padre fu un tantino sorpreso, ma disse suito:
“Davvero? E cosa?”
“Ho fatto una nuova scoperta!”
L’uomo iniziò a frugarsi nelle tasche, e io iniziai ad esaminarlo: era…beh…piuttosto strano…era vestito completamente di viola, con una lunga giacca a due punte; sulla testa aveva un cappello a cilindro, sempre viola, e aveva degli enormi occhiali da solo che gli ricoprivano quasi metà faccia; i capelli, poi, tutto dire…per me se li era appena piastrati. Comunque riuscì a trovare ciò che cercava e tirò fuori un piccolo quadratino bianco. Lo mise in mano al padre e disse:
“Avanti! Assaggia!”
Il dentista lo mise in bocca ed iniziò ad assaporarlo…qualunque cosa fosse. Dopo un po’ disse:
“Ehm…scusa…ma non sa di niente!”
“Infatti! Non è magnifico?”
Strani gusti il tizio…
“Ce l’hai ancora in bocca?” disse l’uomo.”
“Sì, perché?”
“E dimmi…cosa ti andrebbe in questo momento?”
“Mah! Non so…una fetta di pandoro?”
“Perfetto! Allora pensa intensamente al pandoro……………ci stai pensando?”
“Sì.”
“E…quindi?”
Guardai il medico e improvvisamente fece una faccia più che stupita ed esclamò:
“Ma…ma è come se me lo sentissi in bocca! Cioè…sento il suo sapore!”
“Sì! Non è grandioso? Questa caramella permette alla persona che la mangia di percepire appunto il sapore della cosa a cui si pensa…eh…una scoperta straordinaria!”
“Mi congratulo vivamente con te! Hai fatto centro!”
“Grazie, ma adesso devo scappare. Ci si vede!”
E così quel tizio se ne andò, sempre senza neanche accorgersi che c’ero pure io, comunque a quel punto il dentista si ricompose nella sua serietà e riprendendo in mano il trapano disse:
“Era mio figlio…sà…fa il cioccolatiere…adesso apra la bocca.”

“Hai conosciuto Willy Wonka?!”
Era la mia amica e collega Stacy…forse un po’ euforica, ma niente di che…quel giorno mi trovavo a lavoro, durante la pausa pranzo…facevo la fotografa: non quella classica, però, che cattura delle vere opere d’arte…ero negata per quello…così decisi di dedicarmi alla creazione delle pubblicità: immortalavo il soggetto in una posizione da me appositamente scelta, la modificavo al computer inserendo uno sfondo, le scritte e il resto, e poi mandavo il tutto alla stampa. Stacy faceva la stessa cosa.
Quel giorno le avevo raccontato della mia visita dal dentista e dell’arrivo del figlio di questo e dato che il mio dentista si chiamava Wilbur Wonka…feci 2 + 2.
“Ti ho detto che non l’ho proprio conosciuto!” dissi “non mi ha neanche guardato!”
“Ma che tipo è?” fece Stacy “è carino?”
“Perché ogni volta come prima cosa mi chiedi sempre se è carino?”
“Non è mica strano che te lo chieda! È strano che non te lo sia domandato tu!”
“Zitta và…”
“Guarda che ho ragione io: insomma, sei una bella ragazza, di 23 anni, sei simpatica…non è ora che ti trovi un ragazzo?”
“Ma io guarda che l’ho già trovato un ragazzo!”
“Oh mamma mia, ci risiamo…Alex non conta!”
“Sì invece!”
“Senti…è da un anno che praticamente sbavi dietro ad Alex, e lui non ti ha ancora notata…guardati intorno, no?”
“Non è vero che sbavo dietro ad Alex…mi piace, mica ci muoio!”
In quel preciso istante, però, passò proprio lui…proprio vero che se parli del diavolo spuntano le corna…Alex era…era…stupendo! *.* E…beh…era anche il mio capo…tanto vicino ma anche tanto irraggiungibile…Ogni volta che lo vedevo speravo sempre che mi salutasse, o che per lo meno mi guardasse! Invece niente…sob…e così mi ritrovavo ad ammirarlo da lontano; aveva i capelli neri, non corti, ma neanche lunghi…diciamo una via di mezzo…poi aveva dei magnifici occhi verdi…come degli smeraldi! Era alto, e quando sorrideva…beh…mi scioglievo come burro fuso sul pavimento…mi stavo appunto per liquefare sulla scrivania quando Stacy mi disse:
“Vedi? Devi iniziare a conoscere gente nuova. Perché non fai amicizia con questo Willy Wonka? Conosci il padre, no?”
“Ma che dici? Ti pare che uso il padre per attaccare bottone col figlio? E poi Wonka è un tipo che non si vede mai in giro, ergo non vuole essere disturbato! Infatti se il mio dentista non mi avesse detto che suo figlio fa il cioccolatiere non avrei mai potuto intuire che fosse proprio Willy Wonka! Al massimo avrei detto che fa parte di un circo!”
“Oddio…è messo così male?”
“Sinceramente non lo so…è…è…boh! È alquanto strano.”
“Dimmi, quand’è che devi tornare dal dentista?”
“La prossima settimana, perché?”
“Perché se c’è pure Willy Wonka, presentati, no?”
“Ma torna a lavorare, và, che è meglio!”
“Lavorare? E da quando si lavora qui dentro? Io ho lasciato in sospeso una partita a solitario.”
“Ok, buon solitario allora.”
Stacy tornò alla sua scrivania e io alla mia, e mi misi a fare degli scarabocchi su un foglio…dico subito che questo non voleva dire che eravamo tutte e due delle scansafatiche! È che praticamente in ufficio non avevamo niente da fare: era una marea di tempo che non avevamo un incarico da parte di un cliente importante. Ricevevamo richieste per i nostri servizi solo da piccole industrie, o al massimo da qualche compagnia di trasposti…niente di che…ci servivano praticamente per arrivare alla fine del mese. Alex infatti si lamentava sempre perché eravamo degli sfigati e che non ci cercava mai nessuno. Eh…se avessi portato alla nostra azienda un cliente importante…chissà…magari Alex mi avrebbe pure notata…

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Capitolo 2
*** Di nuovo dal dentista ***


Di nuovo dal dentista

Una settimana dopo tornai dal dottor Wilbur Wonka…viveva in una palazzina in un quartiere non molto lontano da casa mia…ero venuta a conoscenza che prima la sua abitazione era collocata in una zona praticamente in mezzo al nulla, ma credo che poi si sia trasferito per stare un po’ più vicino a suo figlio…per fortuna! Perché sinceramente di macinare chilometri e chilometri con la mia macchina scassata non mi andava per niente! Comunque come stavo dicendo mi ero recata dal dentista, e avevo suonato il campanello, infatti poco dopo il signor Wonka mi venne ad aprire con una faccia molto…vampiresca oserei dire…come suo solito d’altronde.
“Sì?” mi disse
“ehm…”risposi “Sono Julia Davis…si ricorda di me? Doveva controllarmi i denti.”
“Oh , sì, venga dentro prego, prima che muoia congelata.”
Mi fece entrare. Era un ambiente molto sobrio, ma anche molto caldo. Meno male, perché faceva freddissimo: eravamo più o meno a metà gennaio, e già la neve era alta più di un metro! Ma visto un inverno così! Comunque mi tolsi il cappotto e la sciarpa e salii le scale insieme al dentista. Entrammo nello studio e io mi sedetti come la settimana precedente su quella poltrona senza braccioli e quando il signor Wonka abbassò una leva lo schienale si inclinò di botto, e io lo seguii…dando per altro una capocciata al poggiatesta…aprii la bocca e il medico iniziò nel vero senso della parola a scrutarmi i denti con sguardo preciso e professionale. Dopo qualche minuto di silenzio passato in questa maniera il dottor Wonka mi disse:
“Perfetto…l’otturazione non ha subito danni e gli altri denti sono come al solito, cioè…”
Ecco, lo sapevo: avrebbe fatto un commento poco gentile, c’avrei giurato…ma feci bene a non giurare, perché il telefono squillò, e il dentista non finì la frase, bensì andò a rispondere:
“Pronto?”Silenzio.“Sì, l’avevo capito che eri tu………davvero? E per la pubblicità?.............sicuro? non attirano molto………ok, tanto sei tu che decidi………forse una rimodernata………ehm, ci sei ancora? Ah, ok….ok, va bene pure così! Si sono sicuro…ok…va bene…ciao.”
La cornetta venne riattaccata e il dottor Wonka tornò alla mia postazione pensoso…si vedeva chiaramente che un dubbio lo assaliva, e forse voleva un consiglio, perché infatti dopo che si fu accomodato sullo sgabello disse:
“Era mio figlio…il ragazzo dell’altra volta. Se lo ricorda?”
E come dimenticarselo!
“Sì, Willy Wonka, no?” risposi.
“Proprio lui. Lo conosce?”
“Sì, beh, di fama più che altro.”
“Ah…comunque ha inventato una nuova caramella.”
“Sì, quella dell’altra volta.”
“Esattamente…e mi ha telefonato adesso per dirmi che tutto è pronto per lanciarla sul mercato.”
“Davvero? Non vedo l’ora di assaggiarla. Deve essere spettacolare!”
“oh sì, su questo non ci piove, però…insomma…non crede che per far vendere un prodotto ci voglia anche una buona pubblicità?”
“Sì, è naturale! Una buona immagine invoglia il consumatore a provare quel prodotto…perché lo incuriosisce.”
“Stessa cosa che penso io…e infatti gli stavo suggerendo di modificare i suoi cartelloni pubblicitari, perché…sinceramente…non attirano per niente…”
“Sì, sono un po’…come dire…sciapi.”
“Sì, infatti…sempre quelle marionette…lui le adora, ma sono monotone…sempre con quel sorriso finto in faccia…ci vorrebbe, come ho già detto a Willy, una rimodernata, qualcosa di accattivante.”
Eh già, il dottor Wonka aveva perfettamente ragione: è la prima impressione che conta…certo, non sto parlando delle persone! Dico a livello commerciale! Comunque fato sta che il signor Wonka di punto in bianco mi chiese:
“Non è che lei conosce qualcuno che potrebbe aiutarmi in questa opera di rimodernizzazione?”
We! E c’era bisogno di chiederlo?
“Mais oui!” risposi “ci sono io! Creare cartelloni pubblicitari è la mia professione!”
Wilbur Wonka mi guardò in un modo un po’ sorpreso…forse non si aspettava che io potessi aiutarlo in prima persona…mah! Fatto sta che lui mi rispose:
“Sul serio? E…e se prova a convincerlo lei? Insomma…se è il suo lavoro dovrebbe darle retta se è lei che gli dà dei consigli.”
“Io? Intende…proprio io?”
“Certo, perché no? Chiamo Willy e fisso un appuntamento per lei, così ne parlate un po’ e magari riesce pure a convincerlo.”
Che…che…non riuscivo più a pensare… che occasione meravigliosa! Avevo un appuntamento niente popo di meno che con Willy Wonka! Il produttore di dolci più conosciuto al mondo! Quello era il mio momento: avrei convinto Wonka e gli avrei fatto fare un contratto, e Alex finalmente mi avrebbe notata! Risposi al dottor Wonka praticamente balbettando:
“io…io…dice davvero? Lei…sarebbe disposto?”
“Sicuro! È un bene per il lavoro di Willy piacere alla gente, no?”
Caso mai è un bene per me! Comunque risposi:
“Certo!”
“Perfetto allora. Lo chiamo subito.”
E si alzò di nuovo dallo sgabello.
“Intende adesso?” esclamai “Proprio adesso?”
Mi stava venendo l’ansia…mamma mia…che avrebbe detto lui? Sarebbe stato disposto ad accettare?
“Sì, adesso.” Rispose il dentista “Ci metto due minuti.”
Alzò la cornetta del telefono e compose un numero. Poco dopo disse:
“Pronto? Sì salve, vorrei parlare con il signor Wonka…...suo padre…ah, è occupato? Gli può dire che è importante? Sì, attendo.” Passò qualche secondo e poi ricominciò a parlare: “Oh, ciao! Scusa se ti disturbo.”
Stranamente quello che diceva il figlio lo sentivo pure io…magari era un problema nella linea, o Willy Wonka parlava troppo forte…comunque infatti sentii un leggero non c’è problema dall’altra parte del filo.
“Comunque,” disse il dottore “Ti volevo dire che ho trovato qualcuno disposto a risolvere quel problema dei cartelloni…”
“Quale problema?”
“Ma sì, la rimodernizzazione…”
“non ce n’è bisogno, grazie.”
“Per me sarebbe meglio…” pausa “ma ci sei?”
“Sì, ci sono. Credo però che tu stia errando: la mia fabbrica è perfetta, sia per i fattori interni che per quelli esterni.”
Acido…
“Se almeno ci provassi!” disse il padre “Sei come quand’eri bambino…ti impunti sulle cose e allora quello che dici è legge! Possibile che non accetti i consigli di nessuno?”
Oh mamma mia…si prevedeva una bella litigata, ma con tutta me stessa speravo che non avvenisse: poi io sarei passata come la causa di quella discussione! Ci fu un attimo di pausa, dopodiché Willy rispose:
“E va bene…che vorresti fare?”
“Allora…Ho qui davanti a me una ragazza che si occupa proprio di ciò che ti serve: potrebbe aiutarti! Incontratevi, così…”
“può parlare al telefono con un Umpa Lumpa.”
Oddio…e adesso di che stava parlando? Uffa! Oltre che acido questo qui parla pure strano!
“non sarebbe meglio se ne discuteste insieme a quattr’occhi? Se non ha nessuna idea di dove tu viva o di come sia la fabbrica esattamente, come fa a fare un buon lavoro?”
“Ok ,ok, dille di venire dopodomani alle 11 davanti ai cancelli.”
Il dottor Wonka si girò verso di me dicendomi:
“Va bene dopodomani alle 11?”
Stavo per rispondere, ma Willy parlò al posto mio:
“Certo che va bene! Gli altri giorni sono impegnato!”
Io annuii quasi tremando, e il dottore dopo aver salutato il figlio chiuse la conversazione…pensai subito a come sarebbe stato incontrare il famoso e misterioso Willy Wonka…e di tutta risposta un brivido mi salì lungo la schiena. Quell’uomo mi spaventava…mi avrebbe sicuramente trattata da zerbino…ma se volevo farmi notare da Alex dovevo andarci per forza.
Il dottor Wonka a quel punto riprese a visitarmi…chissà che avrebbe detto Stacy quando le avrei parlato di tutto ciò che era successo!

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Capitolo 3
*** Willy Wonka ***


Willy Wonka

Il giorno dopo mi recai in ufficio tutta pimpante per raccontare tutto a Stacy; sicuramente lei se ne sarebbe uscita dicendo che aveva avuto ragione lei, che in realtà era tutto uno stratagemma per attaccare bottone con Willy Wonka, ma non mi importava; in quel momento ciò che mi rendeva felice era che avevo buone possibilità di fare amicizia con Alex, sperando che poi quest’amicizia si sarebbe trasformata in qualcos’altro. Come ho già detto arrivai in ufficio e poggiai la mia borsa sulla scrivania. Mi sedetti con un sorriso che partiva da un orecchio e arrivava all’altro. Stavo con gli occhi puntati sulla porta, in attesa che Stacy arrivasse; la porta si aprì, ma invece di Stacy entrò Alex. Io avevo ancora quel sorriso da ebete sulla faccia e a quanto pare quella…ehm…particolarità che avevo in quel momento attirò la sua attenzione! Alex mi guardò! Certo…un po’ sconcertato, ma meglio di niente! Comunque passò oltre la mia scrivania ed andò a salutare un collega che si trovava non molto distante da me. Mente ripensavo alla figuraccia appena compiuta, però, arrivò Stacy, che vedendomi pensierosa venne da me e mi salutò dicendo:
“Ehi, ciao! Successo qualcosa di grave?”
“Uh? Oh ciao! Ti devo raccontare cosa è successo ieri!”
Lei si diede una patacca in fronte e disse:
“è vero! Il dentista! Me ne stavo quasi per dimenticare!”
E così le riportai per filo e per segno la mia visita dal dottor Wonka. Quando ebbi finito Stacy sembrava più eccitata di me:
“Non ci posso credere!! Ma…ma…oddio, sono felicissima per te! E meno male che sono tua amica, perché altrimenti sarei verde d’invidia!” stava praticamente urlando: “Quindi non solo conoscerai Willy Wonka, ma lui diventerà pure un nostro cliente! Hai avuto un culo grosso come la sua fabbrica!”
All’improvviso, però, una voce proprio dietro a Stacy esclamò:
“Lei ha fatto cosa?!”
Stacy si voltò e poi si scansò da un lato liberando la visuale: e davanti a me, che mi guardava come se non credesse alle proprie orecchie, c’era il mio capo…c’era Alex!!
“Io…io…” balbettai “Devo incontrare Willy Wonka…”
“E è vero quello che ha detto lei?” continuò lui indicando Stacy“Sarà nostro cliente?”
“Beh…sì…sempre se vuole…”
“ma lei proverà a convincerlo, giusto?”
“Sicuro…”
Non mi sembrava vero che stessi parlando con Alex! Non riuscivo a crederci! E per di più, poi, lui si avvicinò di più alla mia scrivania e mi disse:
“Ha fatto un ottimo lavoro. Credo che questa sia la migliore notizia che oggi potessi sentire. Congratulazioni…ehm…mi sfugge il suo nome.”
“Oh, Julia.”
“Bel nome.”
“Grazie.”
“Ehm…quand’è che deve incontrare Wonka?”
“D-domani.”
“Bene! E…e mi raccomando, appena ha notizie venga subito a dirle a me, ok?”
“Sì, certo…”
“Perfetto! Ehm…adesso dovrei…sì, dovrei andare nel mio ufficio.”
“Sì, sì, non c’è problema.”
E così Alex se ne andò grattandosi la nuca, come se fosse imbarazzato. Che giornata meravigliosa! Io lo stavo ancora guardando andar via, quando Stacy interruppe i miei pensieri di matrimonio con Alex dicendo:
“Adesso hai più probabilità di fidanzarti.”
Io le risposi sognante:
“Sì…io e Alex non siamo una bellissima coppia?”
“Ma io parlavo di Wonka…”
La guardai sperando che stesse scherzando, e invece lei era più seria che mai.
“Ancora?!” le dissi “Proprio adesso che ho spiccicato due parole con Alex mi vieni a parlare di fidanzarmi con Wonka?”
“E’ solo che…boh! Non ti ci vedo con Alex.”
“Oh, io mi ci vedo benissimo.”
E ricominciai a immaginarmi già il menù del nostro matrimonio;
“Sarà,” fece Stacy “ma per me sei troppo negativa con Wonka. È come se ritenessi impossibile che si possa instaurare un qualche rapporto con lui.”
“Da quello che ho potuto constatare fino ad adesso quel tipo mi fa solo paura. Credo che sia troppo pieno di sé…e poi penso che sia uno che non ci metta tanto a mandare qualcuno a quel paese…mi sa che lo si dovrà trattare coi guanti.”
“Non so…io in fondo non l’ho mai visto manco in faccia, però che ne sai…magari quella che hai è solo una prima impressione!”
“Sarà! Beh, adesso mi metto al lavoro!”
“Ok, ma mi raccomando, non ti stressare troppo.”
“Non c’è pericolo, te l’assicuro.”
Accesi il computer e nell’archivio presi un modello di contratto. Lo lessi per vedere se andasse bene e poi lo stampai. Quando lo ebbi tra le mani una strana eccitazione mi pervase: non ero abituata a sentirmi così…così…così importante! Era un misto tra primo giorno di scuola e compito in classe; e all’improvviso, tutto d’un tratto, pensai a cosa mi sarei dovuta aspettare il giorno dopo: sapevo solo che avrei incontrato il celeberrimo Willy Wonka, ma come sarebbe stato in realtà?

Ore 10:57.
Ero davanti ai cancelli di quell’enorme fabbrica; un dolce odore di cioccolato mi riempiva il naso: un caldo aroma che rappresentava il lavoro di un uomo comune, figlio di un dentista comune che ha trasformato un prodotto così comune come il cioccolato in un’opera d’arte…proprio quella mattina avevo comprato una scatolina di praline Wonka alla fragola; ne avevo messa una in bocca, e dopo qualche istante il cioccolato in superficie si era sciolto, rivelando un cremoso cuore alla frutta. Come ho già detto: un’opera d’arte.
Ore 10:59.
Basta pensare ora, mancava pochissimo all’apertura dei cancelli ed ero emozionantissima. Tenevo la mia borsa stretta al petto, in attesa. Iniziò a nevicare; l’avevo già detto che quello era un inverno terribile? Faceva un freddo spaventoso, e infatti ero tutta incappottata; guardai l’orologio: erano le 11:01. possibile che Wonka si fosse dimenticato? Poggiai una mano sulle fredde sbarre del cancello e spinsi...era aperto. Entrai nel cortile e mi diressi verso la fabbrica. Mentre camminavo alzai gli occhi verso il cielo bianco che faceva come sfondo agli imponenti tetti e all’enorme ciminiera della fabbrica, da cui usciva un sottile fumo. Era tutto così grande! Rivolsi di nuovo il mio sguardo in avanti e salii alcuni gradini; aprii una porta ed entrai. Appena misi la testa lall’interno una calda aria mi accolse, dandomi il benvenuto e mi feci più avanti; solo che, guardando bene, c’era qualcosa di insolito: lasciando perdere il lungo tappeto rosso che c’era per terra, notai davanti a me un filo, rosso anch’esso che passava da una parte all’altra di quell’enorme stanza in cui mi trovavo. All’improvviso il filo si mosse e si accorciò e potei notare che ad un capo di quello c’era Willy Wonka! Quello era il filo di una cornetta del telefono!
“Sì! No!” diceva Wonka “Insomma come lo devo dire? In Cucubambese? No! Ecco, quello sì! Uffa, non hai capito niente! Quello sì, l’altro no, lo scatolone no e quell’altro decidi tu! Ok? Bene, ciao.”
L’interessantissima telefonata era finita, e così Wonka molto tranquillamente lasciò andare la cornetta, e quella partì a razzo finendo chissà dove! Beh, sperando che a quel punto Wonka si fosse accorto di me, aspettai, e mi misi a guardarlo: aveva sempre il cappello a cilindro e la giacca viola a due punte, ma a differenza dall’ultima volta che lo avevo visto non aveva più gli occhiali. Finalmente si girà verso di me con un gran sorriso esclamano:
“Benvenuta! Lei dev’essere Julia Davis, presumo.”
“Io…sì, sono io.”
Guardai gli occhi, e vidi che erano viola!
“Bene! Io sono Willy Wonka!”
Mi tese la mano e io la strinsi. Iniziai:
“Sono venuta a parlarle del mio lavoro, illustrandole le qualit della nostra azienda.”
Gli porsi un biglietto da visita e lui prendendolo se lo mise in tansa dicendo:
“Sì, sì, va bene.”
E si girò iniziando a camminare sul lungo tappeto rosso. Cioè! Vabbè…scusa se stavo parlando, eh? Gli andai dietro dicendo:
“Rappresento la Brown Graphic Society, e volevo rassicurarla che scegliendo noi ha fatto un’ottima…”
“Non m’interessa!” disse Wonka girandosi verso di me all’improvviso.
“Non…non le interessa?”
“Ma certo che no! È solo per far contento mio padre che lei si trova nella mia fabbrica! Quindi prima finiamo questa…questa roba dei cartelloni e meglio è.”
Si stava per rigirare e per ricominciare a camminare, ma io lo fermai dicendo abbastanza alterata:
“Questa roba dei cartelloni?! Quella che lai chiama roba è il mio lavoro! E si dia il caso che io il mio lavoro lo ami!” Mi ero avvicinata considerevolmente a lui, puntandogli l’indice contro, e lui non faceva nulla, assolutamente nulla! Se non guardarmi privo di espressione. Ripresi: “Quindi non mi importa se lei è Willy Wonka! Per quanto mi riguarda potrebbe anche essere Johnny Depp! Il mio lavoro va rispettato! Che direbbe se le dicessi che i suoi dolci fanno schifo? Quindi dato che io non sono qui per parlare di bruscolini, ma di affari, la prego di tenersi per lei le sue considerazioni!”
Beh…ehm…A quel punto avrei detto che poteva bastare…Willy mi guardava sempre senza espressione…e io già mi pregustavo l’immagine di Wonka che mi buttava fuori dalla sua fabbrica a calci nel sedere…invece, con mia grande sorpresa, lui mi disse:
“Bene. Sarà un piacere fare affari con lei.”
“C-come?”
“Non ci sente?” Mi prese per le spalle e girandomi iniziò pian piano a singermi verso l’uscita. Continuò: “Mi è piaciuto come si è imposta…lei è una persona determinata e la determinazione è molto utile nel campo lavorativo…”
Arrivammo alla porta e lui la aprì, e facendomi uscire disse:
“Verrò più tardi nel suo ufficio per firmare il contratto, va bene fra 1 ora?”
“Io…io…”
“Perfetto allora! A dopo!”
E mi chiuse la porta in faccia. Beh…poteva andare come primo colloquio? A quanto pareva sì. Comunque a quel punto non potei far altro che pensare che Wonka fosse davvero bizzarro…interessante a modo suo, ma bizzarro.
E…un momento! Poco dopo sarebbe venuto nel mio ufficio! Help!
E corsi via alla velocità della luce.

Commentate, se vi va! ;)

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Capitolo 4
*** In ufficio ***


In ufficio

Arrivai in ufficio un quarto d’ora dopo, ansimante, perché infatti avevo corso come una pazza per arrivare in ufficio il prima possibile. Salii le scale a due a due e spalancai la porta dello studio facendo sobbalzare tutti i miei colleghi, e senza fermarmi neanche un secondo attraversai di filato la stanza, ignorando anche Stacy che mi chiedeva preoccupata cosa fosse successo. Mi precipitai verso la stanza in cui lavorava Alex, e lì, solo lì, mi fermai. Feci un bel respiro profondo cercando di calmarmi, dopodiché mi stirai con le mani i pantaloni e bussai.
“Avanti.”
Entrai; Alex era seduto dietro la sua scrivania ad esaminare alcune scartoffie; quandi mi vide lui si alzò in piedi e io lo salutai:
“Oh, salve. Se…se è occupato io…”
“Oh, no, resti, mi dica pure.”
Mi avvicinai alla scrivania e così gli raccontai del mio incontro con Wonka, che in fin dei conti non avevo concluso un gran che, ma che lui si sarebbe presentato in quello stesso studio precisamente…
“…tra trenta minuti esatti.” Conclusi.
“Tra trenta minuti?” esclamò lui “Cioè tra mezz’ora? Cioè tra 1800 secondi? Oh mamma mia…”
Io me lo guardavo preoccupata: se andava avanti così avrebbe finito per perdere il controllo, e infatti iniziavano già a verificarsi i primi sintomi: Alex era scattato verso i quadri e li aveva raddrizzati nonostante fossero già dritti, e poi era tornato alla scrivania e stava ammucchiando in ordine tutte le carte che stava leggendo. Si mise persino a mettere in fila le matite! Io lo fermai dicendo:
“Ehi, su! Non…non deve preoccuparsi! Wonka non è una persona tutta precisione e rigore, almeno credo…è piuttosto eccentrico, a dire il vero. Non penso che noterà se una matita è fuori posto.”
Alex si sedette e mi guardò negli occhi appoggiando i gomiti alla scrivania e non disse nulla per qualche istante, continuando a fissarmi, e io, sperando di non diventare come un peperone, sostenni lo sguardo. Alla fine parlò:
“Davvero? Eccentrico in che senso?”
“Beh…”risposi “è…un tipo originale…quindi quando arriverà e lo guarderà, magari non pensi subito male.”
Lui abbassò lo sguardo e pensò un secondo poggiando il mento sulle nocche della mano. Poi si alzò e con un balzo arrivò alla porta del suo officio, la spalancò e si rivolse a tutti i dipendenti dicendo:
“Signori e signore, vi comunico che fra pochissimo Willy Wonka arriverà proprio qui.” Mormorii si diffusero per la stanza. “Quindi vi prego di non agitarvi e di comportarvi con naturalezza…insomma fate quello che fate sempre.”
“Cioè niente, Al?” Chiese un uomo intento a prendersi un caffè dalla macchinetta.
“Nel tuo caso credo che tanto non cambi nulla, George.” Rispose Alex.
Ci fu qualche risatina qua e là, dopodiché Alex tornò nel suo ufficio e io alla mia scrivania. Dopo neanche un millisecondo Stacy si precipitò da me sussurrando in maniera impetuosa:
“Allora? Com’è? Simpatico? Antipatico? Che vi siete detti? Ti piace? Non ti piace?”
Io alzai gli occhi al cielo e dissi:
“Prima dimmi di chi stai parlando: conoscendoti però penso di Wonka, no?”
Lei mi guardò con aria raggiante e disse:
“Visto? Anche il tuo pensiero è andato subito a lui e non ad Alex! Lo sapevo! Ti piace!”
Io di tutta risposta dissi esasperata:
“Ci ho pensato perché sei stata tu a farmi la domanda, no, intelligentona? Data la tua fissazione sugli eventuali sviluppi della mia vita privata era naturale a chi ti riferissi!”
“Sì, va bene, mettiamola pure così. Ma insomma…com’è?”
“Ti dico solo che non è il mio tipo.”
“Perché? Racconta, che gli hai detto?”
“Praticamente che si stava comportando da gran cafone.” Risposi tranquillamente.
Stacy rimase a bocca aperta, allibita; poi disse:
“Cosa?! Stai scherzando…”
“Per niente!”
“E…e lui? Non sarà mica che sta venendo qui per lamentarsi?”
“No, certo che no! Ha detto una cosa del tipo che sono una persona determinata a poi non so che. E ha aggiunto che sarà un piacere fare affari con me.”
“Non ci credo…”
“Credici.”
“Allora gli piaci tu!” disse lei infine.
………
“Che?!” esclamai
“Ragiona…se non si è arrabbiato vuol dire che hai fatto colpo! Non ha voluto ferirti e allora ti ha fatto un complimento nonostante tu avessi torto!”
“Io non avevo torto!”
“Non importa! Il punto è che gli piaci!” era troppo fumentata per i miei gusti…
“Non gli piaccio…” dissi cercando di restare calma “è che è fatto così…se non lo vedi non puoi capire…è strano forte! Ti ho detto che da come è vestito pare venire da un circo, no?”
“Un circo?” disse qualcuno alle mie spalle “lo stesso dal quale siete scappate voi due?”
Io mi girai e mi ritrovai George davanti: era un uomo alto, non particolarmente bello, ma non era neanche brutto…aveva i capelli rossi e gli occhi marroni, e mannaggia a lui era magro come uno spillo nonostante mangiasse sempre come se non toccasse cibo da settimane.
“Certo che è lo stesso circo!” gli dissi io sarcastica “quello vicino allo zoo da cui ti abbiamo portato via!”
Stacy si mise a ridere, e rise pure George…non si offendeva mai quando ci punzecchiavamo a vicenda.
“Ah ah!” fece lui infine “Comunque di chi stavate parlando? Chi è che pare uno del circo?”
“Willy Wonka.” Rispose Stacy
“Davvero?” fece lui “Io me lo immagino come il tipico uomo d’affari sempre indaffarato al telefono.”
“Beh, toppi in pieno.” Gli dissi io “è un tipo strano…lo vedrai.”
“Oh, sarà strano quanto volete ma i suoi dolci a me fanno impazzire…”
“A te fa impazzire tutto, George.” Disse Stacy
“Non come il suo cioccolato! Quello è speciale!”
“Sì, vabbè…”
La discussione tra i due non andò avanti a lungo, e già dopo un paio di minuti erano entrambi tornati al loro posto. In quanto a me mi stava per riprendere l’agitazione: mancavano solo quindici minuti e poi Wonka sarebbe arrivato…dovevo stare calma…in fondo l’avevo già incontrato e gli avevo persino sbroccato in faccia. Di che mi preoccupavo? Dovevo farmi vedere tranquilla, quasi indifferente…ma non ci riuscivo: a intervalli regolari i miei occhi saettavano verso l’orologio, e notai che anche altra gente faceva lo stesso, anche più frequentemente di me, e il tempo passava lento…maledettamente lento.

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Capitolo 5
*** La Brown Graphic Society ***


La Brown Graphic Society

Guardai l’orologio e lo fissai per un paio di secondi, rendendomi conto che era ora di uscire e così mi alzai di malavoglia dalla mie bella poltrona rossa e indossai giacca e cappello, mi sistemai gli occhiali e uscii. Stavo per entrare nell’ascensore di vetro quando mi ricordai di non sapere dove si trovasse esattamente lo studio di quella Davis; mi venne però miracolosamente in mente che io avevo il suo biglietto da visita! Mi infilai una mano nella tasca della giacca e subito ci sentii dentro una miriade di oggetti di varie dimensioni che non avevo idea di cosa fossero…ne presi uno: bolletta dell’acqua – ecco dov’era! Credevo di averla persa! – poi ne tirai fuori un altro: un residuo di gomma da masticare! Masticato per di più! Oh mamma mia che schifezza, che obbrobrio! E la gettai il più lontano possibile da me…che ci faceva poi là dentro data la mia repulsione per le gomme era un mistero…mah! Comunque infilai la mano nella tasca stavolta con un po’ di timore, ma fortunatamente sentii un pezzo di carta, e tirandolo subito fuori notai che era proprio il biglietto da visita che stavo cercando. Salii così sul mio ascensore e pochi minuti dopo, passando in colo sopra la città – fortuna che non soffro di vertigini – arrivai a destinazione. Scesi dall’ascensore che si aprì con un sonoro dlin dlon e andai al portone d’ingresso della Brown Graphic Society; suonai il campanello e un uomo dall’altra parte del citofono mi disse:
“Sì?”
“Sono Willy Wonka.” Risposi avvicinando la bocca alla grata.
Per qualche secondo non rispose più nessuno, ma poi riecco l’uomo che mi disse:
“é…è…terzo piano signor Wonka.”
Andai al terso piano di quel palazzo e stavo appunto per bussare quando qualcuno aprì la porta prima che mi desse la possibilità di farlo – che stesse spiando dall’occhiello? – ; subito quel qualcuno, un uomo, fece un sorriso che gli arrivava da un orecchio all’altro e con un ampio gesto del braccio mi invitò ad entrare. Feci un passo in avanti sorridendo anch’io, anche se un po’ più debolmente, e mi ritrovai in un piccolo ingresso dalle pareti di un fioco giallino chiaro opaco…che colore monotono…comunque, a parte ciò, mi resi conto che mentre io fissavo le pareti l’uomo che mi era venuto ad aprire stava parlando tutto agitato facendo degli ampi gesti con le mani, ma d’altronde anche se avessi iniziato a prestargli attenzione si dall’inizio del suo discorso non ci avrei capito neanche un’acca, tanto parlava veloce:
“OhSignorWonkaChePiacereIncontrarlaSignorWonkaComeStaSignorWonka?SperoBeneSignorWonkaVuoleDarmiIlCappottoIlBastoneIlCilindro?NeAvròLaMassimaCuraSignorWonkaNonSiDevePreoccupareSignorWonkaCiPensoIoSignorWonka.”
Ehm…sì, caro mio, stai fresco se pensi che ti lascerò con i miei effetti!
Con un tizio così agitato e nervoso me li sarei ritrovati tutti mangiucchiati…
“Non si disturbi, grazie.” Risposi “e visto che c’è si prenda un calmante, ok?”
Il suo sorriso si attenuò tutto d’un colpo, e si fece serio…oh, beh, meno male, perché altrimenti gli sarebbe venuta una paralisi facciale…comunque a quel punto mi disse:
“Se aspetta qui vado a chiamare il signor Brown.”
Aprì un’altra porta e se ne andò…permalosetto l’amico comunque…
Rimasi allora in quell’ingresso a fissare le pareti color uovo quando dopo qualche istante la porta si riaprì, mostrandomi un altro uomo, dai capelli neri e dagli occhi di un verde intenso…
“Signor Wonka!” mi disse “Che piacere! Come sta, tutto bene?”E rieccone un altro di esagitato…ma delle persone normali no?! “sono Alex Brown. Fondatore di questa società. Sono onorato di fare la sua conoscenza.
“Non proprio altrettanto, però…vabbè…”pensai, però risposi con un sorriso: “piacere mio.”
“Venga da questa parte, prego, così parleremo d’affari su delle comode poltrone invece che in piedi.”
Ecco, finalmente un’idea sensata.
Varcai la porta che Brown mi teneva aperta e stavolta mi ritrovai in un’ampia stanza, sempre rigorosamente gialla, ovviamente, con tante scrivanie occupate da altrettanti uomini e donne, che quando entrai abbassarono la testa di scatto, come se fossero tutti stati con le orecchie il più tese possibili fino a quel momento…
Impiccioni…
“Prego mi segua.” Fece Brown, e detto questo mi passò avanti e si incamminò per il corridoio che si insinuava tra le scrivanie, e io gli andai dietro. Mi guardai intorno mentre camminavo e vidi ad un certo punto una ragazza china su un foglio che scriveva, o che almeno faceva finta di scrivere, dato che teneva la matita immobile ferma a mezz’aria. Mi fermai e mi diressi verso di lei, e quando arrivai poggiai una mano sulla sua scrivania. Solo allora alzò la testa e mi guardò, anche se presumo che si fosse già accorta della mia presenza…non sembrava una brava attrice…e poi avrebbe dovuto notarmi per forza…sono Willy Wonka!
“Buon giorno signor Wonka.” Mi disse lei
“Quanto tempo che non ci vediamo, eh?”dissi io.
“Non è mai troppo.” Rispose lei con ostentata fierezza.
“Sempre molto gentile a quanto vedo…credevo che le fosse passata la sfuriata di un’ora fa.”
In effetti, parlando sinceramente, mi aveva abbastanza colpito come si era imposta alla fabbrica…e adesso mi rendevo conto che lì dentro, nonostante avessi conosciuto solo de persone, sembrava una delle poche a non comportarsi da…uhm…come si può dire…
…………
…da lecchino, ecco.
Comunque dopo quella mia piccola osservazione la Davis arrossì violentemente e disse:
“Ecco…a proposito…mi volevo scusare. So che non avrei dovuto comportarmi co…”
“Fa nulla, fa nulla.” La interruppi con un gesto della mano.
In quel preciso istante mi ritrovai il signor Brown di fianco che fece:
“Ehm…signor Wonka? Il mio ufficio è da questa parte…”
“Sì sì, stavo solo aspettando che la signorina Davis ci raggiungesse.”
Lei fece un’espressione stupita e guardò prima me e poi Brown; poi di nuovo me e di nuovo Brown. Alla fine disse:
“dovrei?”
E Brown le fece eco: “dovrebbe?”
“Certo che dovrebbe!” dissi io “Non è stata lei a fare da tramite tra me e lei, signor Brown?”
“Sì, ma…” disse la Davis, ma io dissi continuando a rivolgermi a Brown:
“Quindi mi pare ovvio che lei assista alla trattativa…”
“Ma…” fece la Davis e io continuai a dire a Brown:
“Mi pare più che opportuno, no?”
“ma…”
“Parlerà per monosillabi ancora per molto?” le dissi alla fine.
La Davis non si accinse a rispondere, così la misi in piedi prendendola per un braccio.
“Va bene, allora…” disse Brown che si voltò e dopodiché si voltò e ricominciò a camminare.
Io andai dietro a lai, e la Davis mi seguì; con la coda dell’occhio vidi un’altra ragazza che rivolgendosi alla Davis faceva un segno in aria, che non capii cosa fosse, e la Davis che la guardava arrabbiata…oh beh…chissà perché…comunque, dopo tutto ciò, finalmente il signor Brown aprì la porta del suo studio e non ci accomodammo all’interno.

***

Ero senza parole…forse però non in negativo questa volta, ma penso che il sempre più strano Willy Wonka abbia acquistato qualche punto a suo favore. Quando si era presentato in studio avevo cercato il più possibile di mantenermi calma, distaccata…ma senza riuscirci, e lui se ne accorse senza ombra di dubbio…forse fu proprio per questo motivo che raggiunse la mia scrivania…oh beh…quando poi aveva proposto di seguirlo nello studio ero rimasta letteralmente senza parole…perché…boh! Sinceramente non me l’aspettavo: credevo che Wonka sarebbe stato tutto il tempo sulle sue senza curarsi minimamente dei poveri comuni mortali, mentre invece mi ero miseramente illusa…considerai il fatto che magari in fondo in fondo Wonka potesse essere diverso da come appariva (cioè un pazzo antipatico). Poi dopo qualche istante tornai alla dura realtà, grazie anche a Stacy, che mi fece imbestialire (si fa per dire) come al solito: aveva subito guardato Wonka e poi me e dopodiché disegnò con le dita un cuoricino nell’aria…e io ebbi la netta sensazione che lui se ne sia accorto! Che figura…sperai che fosse stata solo una mia impressione, perché altrimenti il mio pensiero più prossimo sarebbe stato quello di sotterrarmi il più presto possibile. Alla fine, comunque, entrammo nell’ufficio di Alex, e quest’ultimo ci fece accomodare sulle poltrone che c’erano di fronte alla scrivania, mentre lui si sedette dietro di essa. Subito Alex prese la parola:
“Inutile dirle, signor Wonka, che sono immensamente lieto che lei sia qui.”. L’espressione degli occhi di Wonka, però, era completamente assente. “Passando a parlare di cose più serie, però…”
Iniziò a parlare dei costi eccetera eccetera, e Wonka sembrava leggermente più interessato.
“Naturalmente prima di tutto, prima che uno dei nostri addetti prenda il lavoro in mano, dovrei chiederle se ha in mente un posto che lei ritenga…sì…che lei ritenga bello.”
“La mia fabbrica, no?” rispose lui.
“ma lei…crede proprio che vada bene?” chiese scettico “Insomma…una fabbrica tutta grigia e piena di macchinari e monotonia non mi pare il massimo dell’aspettativa…senza offesa.”
Wonka, però, pareva indignato:
“Lei non sa com’è la mia fabbrica! La mia grande, magnifica, insuperabile fabbrica! Non c’è nessun posto al mondo, e sottolineo nessuno, che possa competere per maestosità, grandiosità, originalità e perfetta armonia con la mia fabbrica!”
Insomma quella fabbrica non gli piaceva per niente, eh?
“Sì sì! Naturalmente non volevo assolutamente mettere in discussione le qualità della sua fabbrica!” intervenne subito Alex per calmare quell’eccesso di esuberanza di Wonka “Mi rendo conto che è…la più grande…e spettacolare fabbrica che io abbia mai visto…”
Sul volto di Wonka c’era un’espressione compiaciuta, ma devo anche dire che in qualche modo era piuttosto divertita. “…mi chiedevo soltanto se un ambiente come la sua fabbrica possa essere adatto ad un servizio fotografico.”
Wonka si piegò leggermente in avanti portando il peso sul bastone che teneva ben piantato in terra.
“Servizio…fotografico?” disse con una voce strana.
“Beh sì.” Rispose Alex “Le foto per la pubblicità ovviamente…”
“Ah, sì, giusto.”
Il suo volto si distese: forse aveva frainteso la domanda e si era preoccupato inutilmente.
“Allora a questo punto presumo che sarà la signorina Davis a fare questo «servizio fotografico».”.
Alex si girò verso di me e mi sorrise apertamente…sembrava un sorriso davvero sincero…forse di ringraziamento, dato il fatto che il famoso Willy Wonka si trovava in quella stessa stanza.
“Certamente.” Disse alla fine il mio capo “Ottima scelta.”
Io mi sentii avvampare.
Wonka non disse nulla, e per qualche istante io e Alex restammo a guardarci. Poi però Alex distolse lo sguardo e allora io posai il mio su Wonka: lui muoveva i suoi occhi viola puntandoli prima su di me e poi su Alex…
Sorrideva, ma era un sorriso strano…si divertiva in silenzio…oddio…e se fosse stato canzonatorio? Non poteva mica aver capito che Alex mi piaceva…vero? Sarebbe stato alquanto imbarazzante…ma poi, pensandoci…a lui che gliene fregava? E poi se vedeva l’amore considerandolo un qualcosa per cui valeva la pena ridere non mi sarei meravigliata se non fosse stato sposato, e per lo meno fidanzato. Mi era diventato ancora più antipatico.
Alla fine mi scossi da tutti quei pensieri, anche perché Wonka stava parlando con me:
“Allora se abbiamo concordato tutto la aspetto domani alla mia fabbrica, hm?”
“A…a che ora?” chiesi.
“Alle 7…di sera, non di mattina, ovvio.” Si alzò in piedi e continuò: “Bene, se non c’è altro…”
Ci alzammo anche io ed Alex, e quest’ultimo disse:
“Un momento, non ha firmato.”
Wonka allora infilo la mano in una tasca interna della sua giacca e prese una penna blu scura con rifinimenti di color argento. Scrisse il suo non sul contratto e così ci avviamo tutti e tre verso la porta principale, passando tra le scrivanie dei miei colleghi. Salutammo Wonka e quando questo stava per uscire si girò verso di me e mi disse:
“Ci vediamo domani. Sia puntuale, porti tutto l’occorrente…e tenga sotto controllo le endorfine.”
Sorrise mostrando tutti i suoi 32 denti perfettamente bianchi e perfetti e uscì; io chiusi la porta e dopo un attimo di silenzio chiesi ad Alex:
“Devo tenere sotto controllo che cosa?”
“Le endo-qualcosa.”. Rispose pensieroso.
“E cosa sarebbero?”
“Non ne ho la più pallida idea.”.

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Capitolo 6
*** Rivelazione! ***


Rivelazione!

“Tu sei pazza. Lo sai, vero?”
Era con quest’affermazione che iniziai una conversazione con Stacy su un argomento ben noto.
“Espongo solo le mie teorie, carissima.”rispose
“Ma se queste sono prive di qualsiasi fondamento allora p tutto frutto di pazzia.”
“Tu dici che non le prove, dunque? È quello che sembra…ma ricorda che nulla è ciò che appare. Io non sono coinvolta in prima persona e allora posso dare dei giudizi obbiettivi che a te però sembrano assurdi. E ti sembrano così perché appunto tu sei nel bel mezzo dell’azione.”
“…da quando Stacy parla così?” fece George “mi devo preoccupare?”
“Lo vedi?” dissi io “Pure Gorge dice che sei pazza!”
“Ok, ok, lascio perdere la parlantina dotta…ma il punto, Julia, l’hai capito benissimo qual è, e dopo di oggi non provare a contrastarmi!”
“Cos’è, un minaccia?”
“Più o meno…”
“Sareste così gentili da informare anche me?” disse George.
“Non sono affari…”
“A Wonka piace Julia!” mi interruppe esclamando Stacy.
“Che cosa?!” disse George
“Che cosa?” feci io “Non eravamo rimaste che era che a me piaceva lui?!”
“Sì,” disse la mia amica “Ma ora si è ribaltata la situazione!”
“Ah sì? E da cosa l’hai dedotto?”
“Ma tu hai dei prosciutti al posto degli occhi? Non hai visto che ci ha tenuto tanto che tu andassi nell’ufficio con lui? Dopo che gli hai dato del cafone chi sarebbe mai stato così gentile con?”
George esclamò: “Hai dato del cafone a Wonka?!”
Io non lo calcolai e dissi a Stacy:
“Guarda che non è stato gentile con me! Mi ha…mi ha presa in giro, ecco.”
“Ah sì?” Dissi lei “e che ti avrebbe detto?”
“Ehm…di esplicito niente…però glielo leggevo in faccia…deve aver capito che mi piace…”
Mi bloccai e guardai George;
lui non sapeva che mi piaceva Alex, e sinceramente nemmeno volevo che lo sapesse, dato che era un suo amico abbastanza fidato…
“…che mi piace tu-sai-chi.”conclusi.
“Ti piace Voldemort?” se ne uscì George
Io e Stacy puntammo lo sguardo su di lui piuttosto scioccate dal suo commento.
“Ma tu provieni da una svendita di cervelli andati a male?” disse Stacy
“Come?” disse lui
“Pensi prima di parlare o dici la prima cosa che ti vieni in mente?” feci
“Oh, sentite un po’,” disse George “potevo pure pensare che voi due stesse parlando dell’attore che fa Voldemort! Che caspita ne sapevo io?”
“Quest’uomo è senza speranza…” commento Stacy.
“Vabbè, ho capito…la mia presenza non è richiesta.”
E detto questo se ne andò.
“Per te si è offeso?” chiesi a Stacy.
“Vedrai che gli passa subito. Allora, dicevamo…dicevamo?”
“Dicevamo che ti fai i film in testa.”
“Ah sì, giusto.”
Guardai George e lo vidi alla macchinetta del caffè…e se si fosse offeso sul serio? Non mi andava di farlo star mele…perché poi la conseguenza sarebbe stata che sarei stata male pure io. Così mi alzai e scusandomi con Stacy raggiunsi George.
“Ehi.” Dissi.
Lui era di spalle e quando mi sentì si girò lentamente.
“Sì?”
“Senti…mi volevo scusare…”
“potrei sapere per cosa?”
Mi stupii leggermente per quella domanda.
“Per…per prima.” Risposi “forse abbiamo esagerato. In fondo eri in minoranza numerica.”
“Ma stai scherzando?! Ti pare che mi offendo per un nonnulla? Ma per chi mi hai preso?” disse con un’espressione da orgoglio ferito; poi però si mise a ridere dicendo: “secondo me ti fai un po’ troppe pippe mentali.”
“Può essere…”
“Dai, era evidente che stavate facendo dei discorsi da migliori amiche e che non volevate che il tutto venisse ascoltato da altri, specialmente se di natura maschile e impicciona come me.”
“Lo sai che ti adoro, vero?”
“E come potrei non saperlo? Tutti mi adorano!”
Io gli saltai al collo: ero davvero affezionata a lui.
“Senti,” mi disse ad un certo punto “visto che siamo in confidenza, vorrei parlarti un momento.”
Mi staccai da lui preoccupata dal suo improvviso tono serio.
“Ti va se usciamo?” mi chiese.
Eh? Mi stava chiedendo di uscire?!
“Scusa ma in che senso?” dissi
“Andiamo un attimo fuori per parlare?” mi rispose mimando con le dita due persone che camminavano.
“aaaaaaaah…ok.”
Ci incappottammo e uscimmo. Appena fummo sul marciapiedi iniziammo a camminare inondati dalla gelida aria invernale; i nostri respiri creavano tante piccole nuvolette di vapore.
“Senti.” Cominciò lui “Ti devo dire una cosa, ma assicurami che non la dirai a nessuno, o per lo meno se lo devi dire a qualcuno non devi fare nomi…cioè il mio, ok? In questo momento io non ti sto dicendo niente.”
“Seguì una piccola pausa, dopo la quale dissi:
“Cos’è, una missione segreta?”
“La mia di sicuro. Se Alex solo immaginasse…”
Il mio cuore mancò un colpo.
“Che centra Alex?” esclamai.
George mi guardò stramo e io mi corressi: “Volevo dire…che centra il signor Brown?”
“Beh…si dia il caso che il signor Brown, altrimenti detto Alex, è uno dei miei carissimo amici…il che mi fa domandare perché diamine lui mi tratti come un mero dipendente, ma comunque…l’altra sera stavamo parlando davanti a un bicchiere di birra quando il discorso è declinato su di te.”
Mi sbalordii: “Su di me? Che centravo io?”
“Lascia perdere, il punto è un altro…” Si zittì improvvisamente e allora io lo incalzai:
“E quindi?”
“E quindi…beh…si dia il caso che lui…Alex, intendo…sia, diciamo…leggermente interessato a te.”
Mi fermai di botto non credendo alle mie orecchie. Istintivamente mi si allargò il sorriso sulle labbra. Il mio cuore prese a battere come un matto. Ero sicura che di lì a poco sarei morta d’infarto.
“Ma leggermente quanto?” riuscii a dire infine.
George iniziò a dire vago: “Beh…nei minimi particolari non so…forse un po’ più di leggermente…anche se ovviamente non ne sono sicuro…ma direi che da 1 a 10 tu stai sull’8.”
Avrei voluto urlare dalla gioia. Piacevo ad Alex! IO piacevo ad Alex! Il mio sorriso si allargò ancora di più…mi stava quasi per far male la mascella.
“Ehm…non dici niente?” fece George.
Di tutta risposta gli saltai di nuovo al collo, rischiando di strozzarlo.
“Vedo che non ti dispiace molto, eh?”
Io mi staccai da lui e lo supplicai dicendo:
“Ti prego, però, non gli dire niente, per favore!”
“E va bene!”
“Me lo prometti?”
“Che le mie mutande vengano usate come stendardo se non mantengo la parola data!” E alzò la mano destra in aria nell’atto del giuramento.
“Grazie.” Dissi.
E gli diedi un bacietto sulla guancia.
Quel giorno nulla sarebbe potuto andare storto.

Recensite, daiiiiiiiiiiiiii ;) ;) xD

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Capitolo 7
*** La fabbrica di cioccolato ***


Grazie a tutti quelli che stanno leggendo questa piccola storia!!! Un bacio!! ;)

 

 

La fabbrica di cioccolato
** Zucchero: “It’s a wonderfull life” **


“Questo è senza dubbio l’inverno più freddo degli ultimi 50 anni. Così dicono i nostri meteorologi e stavolta non stento a crederlo, essendo io stesso con sciarpa e guanti nonostante mi trovi qui allo studio radiofonico. Tu che ne dici, Stè?”
“Beh…considerando il fatto che stamattina sono dovuto arrivare con l’autobus perché la mia macchina era totalmente ricoperta di neve, direi quasi che i meteorologi ci hanno miracolosamente azzeccato.”
“Strano vero? Eh…e adesso mentre voi ascoltatori che siete ancora in macchina pensate con rimpianto alla vostra stufa, vi trasmettiamo It’s a wonderfull life.”
Alzai il volume della radio e accesi i fari.

♪♫ Here I go out to sea again
The sunshine fills my hair
And dreams hang in the air. ♫♪


Quella canzone mi rilassava veramente,specie dopo una stressata giornata di lavoro a pensare a che cosa mi sarebbe successo quella sera. Sarebbe andato tutto ok? Sperando e pregando che non facesse allusioni ad Alex, magari ci scappava qualcosa di buono.

♪♫ Gulls in the sky and in my blue eyes
You know it feels unfair
There’s magic everywhere. ♫♪


Iniziò a nevicare.
“Bene!” dissi tra me e me.
Un sottile velo bianco mi coprì il parabrezza e allora azionai i tergicristalli. Quel giorno non aveva fatto altro che nevicare. C’era stata verso le sei una piccola pausa e io ne avevo approfittato per uscire di casa e salire i macchina per andare alla fabbrica.

♪♫ Look at me standing
Here on my own again
Up straight in the sunshine. ♫♪


Dopo qualche curva tra le buie strade illuminate dai deboli fari della mia auto finalmente intravidi il cancello della fabbrica…non mi sarei meravigliata se sopra ci fosse stata una targa con su scritto Lasciate Ogni Speranza O Voi Che Entrate.

♪♫ No need to run and hide
It’s a wonderful, wonderful life
No need to laugh and cry
It’s a wonderful, wonderful life. ♫♪


Lo so…forse ero un po’ troppo pessimista, ma che ci potevo fare? Wonka mi metteva in soggezione. Ero sicura che avrebbe sottolineato la mia completa ignoranza in materia “cioccolato” e che mi avrebbe fatto imbestialire come non mai con i suoi sorriseti finti.
Parcheggiai e spensi la radio; nel medesimo istante in cui aprii lo sportello un’ondata gelata di vento mi travolse la faccia e dovetti scendere tenendomi più stretta che mai nel cappotto. Chiusi la macchina in tutta fretta e corsi poi verso i cancelli della fabbrica: va bene che non mi andava molto di andarci, però era un riparo da quello che sembrava un vento capace di sradicare un albero…e per di più c’era pure la neve che si infilava negli occhi dando un fastidio allucinante! Il cancello per fortuna era aperto così entrai e corsi lungo tutto il vialetto che conduceva alla fabbrica e provai ad aprire una delle tre porte; ringraziando il cielo era aperta, e così entrai.
Un brivido subito mi percorse tutta la schiena, perché rispetto a fuori la temperatura era notevolmente più alta. Mi guardai intorno e prendendomi un colpo allucinante mi ritrovai Wonka alla mia destra.
“Ma lei da dove è venuto fuori?” esclamai.
“Da un posto più caldo di quello da dove è venuta fuori lei, presumo.”
“Presume bene. Non ha visto che bufera che c’è in strada?”
“Vagamente.”
Calò il silenzio…all’improvviso però Wonka disse tutto d’un fiato:
“Bene! Allora, è pronta?”
Io risposi sorridente: “Certo che sì!”
“E non ha portato niente? Neanche una macchina fotografica?” chiese scettico.
“Beh, quello di oggi è più che altro un sopralluogo…vedo il posto in cui lavora e poi penserò a qualcosa di originale per la pubblicità. Solo quando avrò qualche idea faremo le fotografie.”
“Oh, credo che di idee gliene verranno a palate.”
“Come fa ad esserne così sicuro?”
Lui sorrise in modo misterioso e mi disse:
“Mi segua, prego…c’è molto da vedere.”
“Si girò e cominciò a camminare sul lungo tappeto rosso che c’era sul pavimento, dirigendosi all’altro capo della stanza. Io lo seguii in silenzio, domandami come mai Wonka era così sicuro di sé. Quando lo raggiunsi Wonka tirò fuori dalle tasche una chiave e si accucciò per aprire una porta, che, notai solo allora, era minuscola! Sembrava quella di Alice nel paese delle meraviglie.
“Perché la porta è così piccola?” chiesi.
“Per mantenere tutto il cioccolatoso sapore all’interno, naturalmente.”
Cioccolatoso sapore? Mah…
Poi sorridendo aprì la porta, quella più grande, che in realtà era la parete, rivelando il contenuto della stanza successiva. Rimasi a bocca aperta ammirando senza parole lo spettacolo che mi si presentò davanti: un giardino, un vero e proprio giardino! Con l’erba, gli alberi…ma la cosa sorprendente era che non era un giardino normale! C’erano alcuni funghi giganti fatti indiscutibilmente di caramelle, c’erano poi dei bastoncini di zucchero giganti! E per finire c’era un enorme cascata che creava un fiume che attraversava il giardino, finendo poi in un tunnel…e la cascata, il fiume, non erano di semplice acqua…erano di cioccolato fuso! Era…era impossibile una cosa del genere! Come…come aveva fato Wonka a creare una simile meraviglia?
“è…è…” riuscii a balbettare alla fine “è stupendo. Non ho mai visto nulla del genere.”
“Oh, sì, è molto bello, non c’è che dire.” Poi mi guardò e aggiunse: “Continuiamo?”
Scendemmo per una breve discesa e ci ritrovammo nel bel mezzo del giardino.
“Naturalmente,” disse Wonka “Deve sapere che qui tutto è commestibile, anche l’erba.”
“Sul serio?”
“Ovvio!”
Mi guardai intorno, sempre ammaliata da quello spettacolo grandioso, quando ad un certo punto notai una casa di legno, piuttosto sbilenca, devo dire, e allora, mossa dalla curiosità, chiesi indicandola:
“E quella invece?”
“Quella è la casa in cui il mio erede, Charlie, vive insieme alla sua famiglia.”
Il suo erede?
“Suo figlio, intende?”
Lui mi guardò sconcertato come se avessi appena detto di aver visto un asino volare ed esclamò:
“No! Certo che no! Figuriamoci…” poi si calmò e aggiunse “non so se lei si ricorda la storia dei biglietti d’oro, avvenuta circa un anno fa.”
“Come no! I media era impazziti!”
“Ebbene, alla fine, Charlie è stato il bambino che ha vinto il premio speciale, ovvero la mia fabbrica intera! Così quando io non ci sarò più li prenderà il mio posto!”
Ah…oh beh…meglio per lui che aveva già pianificato tutto…però non potei non considerare giusta l’idea che mi ero fatta su come Wonka la pensasse dei sentimenti: se era dovuto ricorrere ad un concorso per trovare un erede allora dell’amore non gliene importava proprio niente. Riportando la mia mente a questa considerazione mi ricordai anche che Wonka sospettava che a me piacesse Alex, e così mi ricordai anche della strana raccomandazione che mi aveva fatto prima di uscire dall’ufficio. Non resistetti alla curiosità e allora gli domandai:
“Mi scusi, ma…cosa sono le endorfine?”
Lui mi guardò e sorridendo nel suo solito modo divertito rispose:
“Ogni cosa a suo tempo. Allora, vuole conoscere la famiglia di Charlie?”
Io acconsentii e così ci avviammo verso quella casetta asimmettrica. Wonka bussò alla porta e questa si spalancò mostrando un uomo sulla trentacinquina, con i capelli neri; era molto, molto magro, più o meno come George, e indossava un maglione a rombi blu scuro.
“Sì, Willy?” disse ancor prima che avesse finito di aprire la porta, poi però si accorse di me e disse sorpreso:
“Oh, salve!” e fece un piccolo sorriso.
“Lei è Julia Davis,” Mi presentò Wonka “quella dei cartelloni pubblicitari, te ne avevo parlato.”
“Ah, sì, mi ricordo. Come sta?”
Mi tese la mano e io gliela strinsi.
“è il padre di Charlie Buckett.” Fece Wonka
“Sì, lo immaginavo.” Risposi “tanto piacere anche da parte mia.”
Io e il signor Buckett finimmo di stringerci la mano e quest’ultimo disse:
“Tra poco avevamo intenzione di metterci a cena. Volete fermarvi?”
“No grazie,” fece Wonka “prima devo far finire il giro alla signorina Davis.”
“Oh, molto bene. Allora a dopo.”
“Arrivederci.” Dissi.
Il signor Buckett chiuse la porta e io e Wonka continuammo a camminare. In silenzio raggiungemmo un ponte e lo attraversammo: guardando sotto di me vidi il fiume di cioccolato che scorreva lento; chissà come sarebbe stato farci un bel tuffo dentro…
“Allora!” disse all’improvviso Wonka facendomi zompare in aria – a momenti il tuffo nel fiume lo facevo davvero –. Senza però dar segno di aver visto il mio spavento Wonka continuò imperterrito mentre mettemmo piede sull’altra sponda del fiume: “Allora, se ci avviciniamo un attimo alla cascata potrò mostrarle una cosa.”
Ci avvicinammo allora al lato destro della cascata, facendo attenzione che non ci colpisse nessuno schizzo di cioccolato.
“La cascata è molto importante: mescola il cioccolato, lo rende leggero e spumoso. A proposito: nessun’altra fabbrica al mondo usa una cascata per mescolare il cioccolato…”
“E su questo non ci piove.”
“Mi ha tolto letteralmente le parole di bocca.”
Dopodiché premette un fungo che c’era lì vicine, e quasi immediatamente si udì un rumore: due grandi braccia metalliche uscirono da dietro la cascata, deviandone il flusso, e scoprendo un’apertura! Uscì poi una specie di piattaforma, sempre di metallo, che si collegò al ponte che avevamo appena attraversato.
“Bene!” disse Wonka “Andiamo?”
Io lo seguii a bocca aperta, e passando di nuovo sul ponte, salimmo sulla piattaforma, che appena avvertì il nostro peso si mosse ritraendosi e portandoci dal luogo da cui era venuta, cioè da dietro la cascata. Arrivati a destinazione dietro di noi si chiuse un enorme portello e udii subito che la cascata di cioccolato aveva ripreso il suo normale deflusso. Noi, però, eravamo nel buio più totale.
“Dove siamo?” chiesi.
“In un piccolo disimpegno.” Mi sentii rispondere da Wonka.
All’improvviso si accesero le luci, una per volta, e potei vedere che ci trovavamo si un lungo corridoio.
“Piccolo?!” dissi, e Wonka sorrise compiaciuto.
Attraversammo il corridoio e raggiungemmo una porta rotonda, che Wonka aprì. Uscendo da lì vidi che eravamo in un altro corridoio, con tante porte rotonde alle pareti.
“E ora invece?”
“Siamo all’interno della fabbrica.” E poi aggiunse: “Venga da questa parte, prego.”
Lo seguii. Il corridoio era in discesa e Wonka camminava spedito, tanto che io dovevo quasi correre per stargli dietro, avendo lui il passo più lungo del mio.
All’improvviso, però, si fermò davanti ad una porta, e io gli finii letteralmente addosso, non avendo previsto che lui si sarebbe arrestato tanto repentinamente. Subito il colpo Wonka quasi perse l’equilibrio e dovette appoggiarsi con la spalla alla parete per non finire a terra.
“Mi scusi.” Mormorai imbarazzata.
Lui non rispose ma si tirò su e si sistemò il cappello che gli si era storto. Quando si fu ricomposto – e quando si fu allontanato per precauzione di un passo da me – , lessi la scritta che c’era sulla porta: Stanza delle Invenzioni.
“Questo,” disse Wonka “è il cuore di tutta la fabbrica, è la stanza più importante.”
La mia attenzione si ridestò e mentre Wonka apriva la porta allungai il collo per vederci dentro.
Era una stanza più buia del corridoio, e così ci misi qualche istante per mettere a fuoco: notai alla fine molti tavoli con sopra innumerevoli boccette e boccettine piene di liquidi colorati; c’era una pentola su un fuoco che ribolliva; per non parlare poi dei macchinari: in ogni angolo ce n’era uno di dimensioni notevoli e dalle forme più strane…chissà a cosa servivano…In un lato della stanza c’era poi una vasca posizionata sotto uno di quei macchinari, che a intervalli regolari gettava nella vasca una pallina colorata delle dimensioni di un uovo. Vidi in seguito che la vasca era piena d’acqua e che dentro vi nuotava un bambino che raccoglieva quelle palline. Mi avvicinai e guardai nella vasca: quello lì dentro non era un bambino! Era un uomo di dimensioni davvero molto piccole!
“Chi è lui?!” chiesi a Wonka
“E’ un Umpa Lumpa.”
“Un cosa?”
“Un Umpa Lumpa. Fa parte di una tribù che viveva in Umpalandia.”
“Esiste un posto che si chiama così?”
“Certo che ci esiste: ci sono stato quand’ero più giovane, in cerca di nuovi sapori per i miei dolci. E così per caso ho incontrato gli Umpa Lumpa. Ho scoperto poi che loro adoravano nel vero senso della parola i chicchi di cacao…gli piacevano da matti, perciò ho parlato con il loro capo e gli ho offerto di venire a lavorare qui nella fabbrica, promettendo che gli avrei pagati in chicchi di cacao…cosa che qui dentro non manca di sicuro. Loro hanno accettato senza esitazione e così adesso loro sono i miei operai…e devo anche dire che sono molto bravi…anche se a volte sono un po’ dispettosi.”
Mi domandai a cosa si stesse riferendo, ma non glielo chiesi. Fu Wonka, comunque, a parlare prima di me:
“Bene, se qui ha dato un’occhiata passiamo da un’altra parte?”
Io annuii e così uscimmo. Di seguito andammo in altre stanze, tutte molto originali: una era quella in cui venivano sgusciate le noci da dei veri scoiattoli addestrati! Un’altra era un ospedale per le marionette (e mi chiedo a cosa servissero le marionette), in un’altra ancora venivano tosate delle pecore rosa (e mi venne il sospetto che quello fosse ciò che tutti noi consideriamo zucchero filato).
Passò il tempo, anche se io non me ne accorsi, presa com’ero da tutte le meraviglie che ad ogni passo mi si presentavano davanti.
Wonka era un genio, non c’era più alcun dubbio. Come aveva potuto realizzare una fabbrica così spettacolare! Non riuscivo a spiegarmelo…aveva inventato della macchine! Era uno scienziato! Ergo era intelligente…e forse mi ero sbagliata su di lui. Poteva essere anche eccentrico nei suoi modi di fare, ma non potevo continuare a considerarlo uno stupido, specie dopo quella serata. Stavamo camminando di nuovo, finito il tour, in quello che lui definiva “un piccolo disimpegno”, e senza destare troppi sospetti mi misi ad osservarlo: le mie considerazioni sul suo abbigliamento le avevo già espresse e non mi conviene ripetermi; gli occhi viola – e mi chiesi se portava delle lenti a contatto – brillavano di una luce che non avevo visto in tante persone: la luce di una forte passione per il suo lavoro e per tutto quello che aveva. Mi ritrovai ad invidiarlo. Il portamento era fiero: schiena drittissima, spalle dritte anch’esse, la lunghezza del passo calcolata, insomma tutto perfetto! I capelli lasciamoli perdere, sembrava un taglio alla francese, piuttosto bizzarro… mentre lo guardavo, però, risaltò una cosa: il colore della sua pelle. Era pallidissimo! Bianco cadaverico! Che non stesse bene? Eppure non sembrava assolutamente… Poi però mi venne l’illuminazione e capii: da quando vivevo in quella città non l’avevo mai visto in giro, sui giornali anche quando si parlava di lui non c’era mai una foto, e anche se c’era risaliva a parecchi anni prima, quando ancora aveva i capelli corti. Non usciva mai, questo era sicuro, e quelle rare volte credetti che fossero per delle cose veramente importanti, o cose per le quali non poteva mandare qualcun’altro. Certo, come biasimarlo, in un posto come la sua fabbrica anch’io mi ci sarei rinchiusa dentro! Era certo, però, che uscire qualche volta gli avrebbe fatto più che bene.
Tra tutti questi pensieri, alla fine, mi ritrovai a camminare nel giardino commestibile. Guardai l’orologio: erano le 9:40.
“E’ passato così tanto tempo?” dissi a voce alta.
“A quanto pare…” fece Wonka “Deve andare via?”
Lo guardai e risposi:
“Beh, sì…prima però vorrei salutare la famiglia Buckett. Posso?”
“Certamente…”
E ci avviammo di nuovo verso la casetta di legno; quando arrivammo Willy fece per bussare, ma si accorse che la porta era soltanto socchiusa e allora la aprì. Quello che vidi fu un letto enorme al centro della stanza su cui erano sedute comodamente quattro persone anziane, e in mezzo a loro c’era un bambino. Vicino al letto c’era un tavolo, a cui era seduto il signor Buckett, mentre guardando verso destra vidi un piccolo angolo cottura con un lavandino, ne quale una signora stava lavando i piatti.
Sul tavolo c’era una piccola radio che nel frattempo stava annunciando il telegiornale, e tutti la stavano ascoltando.
Quando la porta venne aperta tutti si girarono verso di noi e Wonka disse:
“Come va? C’è qui la signorina Davis che deve andare via, e allora vi voleva salutare.”
Il signor Buckett si mise in piedi, la signora si asciugò le mai e il bambino e i quattro vecchietti si alzarono dal letto.
Strinsi la mano al signor Buckett che iniziò a fare le presentazioni:
“Questa è mia moglie,” disse quando mi si avvicinò la signora.
“Molto piacere.” Disse lei con un sorriso.
“Piacere.” Risposi sorridendo anch’io. Mi stava già simpatica: sembrava molto dolce, come il marito.
“Poi…” continuò il signor Buckett presentandomi i vecchietti “Loro sono George e Georgina, cioè i miei genitori, e Joe e Josephine, i genitori di mia moglie,”
Li salutai e poi il signor Buckett concluse mettendo davanti a me il bambino:
“E lui è Charlie.”
E così lui era il famoso erede di Wonka… sembrava un bambino ubbidiente, e quando parlò, con un tono gentile, non di chi sa di essere un prossimo multimilionario, mi stette simpatico anche lui:
“Lei è la signorina Davis la pubblicitaria?”
“Si, sono io.” E poi aggiunsi: “Ehi, a quanto pare mi conoscono tutti qua!”
Il signore anziano di nome George disse:
“Anche troppo. Willy ci ha fatto una testa così su di lei.”
Eh? Wonka aveva parlato così tanto di me? Ero sorpresa, non c’è che dire…non me l’aspettavo. Mi girai così verso Wonka e dissi sbigottita:
“Davvero?”
Lui fece un segno di indifferenza con la testa e disse:
“Solo…solo un pochino, tanto per far sapere agli altri chi doveva farci visita.”
George lo guardò di sottecchi con i suoi occhi azzurrissimi ma non disse nulla.
In quel preciso momento, però, la radio, che non era stata spenta, disse qualcosa che attirò l’attenzione di tutti:
“…E ora, come ultima notizia, ma non meno importante, vi comunichiamo che il maltempo nelle ultime ore è notevolmente peggiorato: violente raffiche di vento stanno letteralmente bombardando la città, e ci viene segnalato di dirvi che sarebbe molto più prudente se per stasera rimandaste le vostre uscite, per non rischiare di fare un incidente. Ripeto: non uscite di casa perché potrebbe essere molto rischioso. Lasciate perdere tutti gli affari che avete da fare al di fuori della vostra abitazione e preparatevi un bel tè caldo, perché sarà molto più sicuro aprire la porta d’ingresso soltanto domani mattina…”
Dopo quella notizia il telegiornale finì e calò un fitto silenzio: tutti si limitavano a guardarmi e sicuramente, immaginai, stavano pensando la stessa cosa che stavo pensando io: “E ora come ci torno a casa?”
Alla fine, però, il silenzio venne interrotto da Charlie, che rivolgendosi a Wonka domandò:
“Non c’era una stanza degli ospiti nella fabbrica?”
Wonka divenne più pallido di quanto già non fosse.

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Capitolo 8
*** L'ascensore di cristallo ***


Elly _93: Ahahahahahahah *ride a crepapelle* Non ci credo, leggi anche questa mia fanfic?!? Oddio quanto sono felice!!! *saltella per la stanza* Coooooooooooomunque sono contenta davvero tanto, ma tanto assai che ti sei emozionata ahahahahahah :D :D :D e poi Willy è così bellino!! *-* *-* Ah, ripeto: sei una zozza!!!!! Che l'ho messo a fare io il rating verde? XD XD XD Mi spiace, niente zozzerie qua dentro!!! XD XD Spero non te la prenda XD XD XD Un bacione, bella, e grazie!!!!

 

L'ascensore di cristallo

Sbaglio o Charlie voleva che dormissi lì alla fabbrica?
“No, guardate…grazie mille, ma non vorrei disturbare…” dissi prima che l’ancora scioccato Willy Wonka potesse mettere due parole di fila.
“Ma ha sentito la radio!” disse uno dei vecchietti che si chiamava Joe “Non si può andare in giro!”
“Sì, ma disturberei soltanto, ve l’assicuro.”
“E come avrebbe intenzione di tornare a casa, allora?” fece la signora Buckett “Rischierebbe l’osso del collo, mi dia retta…”
“Ma…”
“E poi la fabbrica è enorme!” disse il marito “Come farebbe a disturbarci in uno spaziotanto grande?”
“Insomma…” disse Charlie “vero che rimane, Willy?”
Wonka era ancora tuttoteso e faticò persino a parlare:
“Io…certo, se la signorina Davis non vuole rimanere, allora non dobbiamo costringerla.”
Lo guardai in faccio e lo vidi sorridere molto, ma molto forzatamente…credo proprio che fosse riluttante all’idea che io rimanessi lì…ma che gentile!
“Sì, infatti.” Risposi allora “Non vi preoccupare, un modo per tornare a casa lo trovo.”
“E quale sarebbe, scusi?” disse George brusco.
“Beh…adesso non mi viene in mente niente, però…”
“Oh, senta un po’. Non è che le stiamo proponendo di andare a dormire all’agghiaccio; le stiamo dicendo che può avere una camera da letto tutta sua. E tu,” continuò rivolgendosi a Wonka “vedi un po’ di convincerla prima che ce la ritroviamo sulla coscienza.”
“Ok ok” m’intromisi “non sto dicendo che non siete gentili, assolutamente no!, ma temo che potrei disturbare, in fondo per voi sono un’estranea.”
George alzò gli occhi al cielo e Charlie invece disse a Wonka:
“E dai, Willy, diglielo pure tu che può rimanere tranquillamente!”
Gli occhi di Wonka si fissarono su Charlie eper un po’ sembrò combattuto; poiperò la sua espressione si addolcì impercettibilmente e disse:
“Bene allora.” E poi a me: “venga, la accompagno.”
“Ma…”
“Oh, diamine, venga o disdico il contratto.”
Ah…una minaccia…
Ok, allora, conveniva cedere subito.
“Va bene, va bene, vengo.” Dissi
La famiglia Buckett fece un’espressione di esultanza e Wonka di rassegnazione, mentre io mi limitai a raggiungere la porta, e , dopo averla aperta, ad attraversarla.
Usciti sul giardino tornammo al ponte, poi alla cascata, Wonka ripromette il fungo e uscì la piattaforma metallica di prima, così noi ci salimmo sopra e ci trovammo di nuovo nel “piccolo disimpegno”. Quando le luci si accesero lo attraversammo e andammo nel corridoio principale. Camminammo un poco senza parlare, fino a quando Wonka si fermò davanti a quello che sembrava in tutto e per tutto un ascensore.
Wonka allora premette un pulsante e le porte si aprirono quasi immediatamente con un sonoro dlin dlon; entrammo, ma mi convinsi subito che quello non era un ascensore normale: le pareti erano di cristallo e ci si poteva vedere attraverso! In più queste stesse pareti erano interamente ricoperte da pulsanti e bottoni!
“Come fanno ad esserci così tante stanze?” chiesi
“Oh,” rispose Wonka prontamente “questo non è uno dei soliti ascensori che vanno su e giù, bensì può andare in tutte le direzioni: avanti, indietro, dritto, rovescio, obliquo…si fa molto prima a spostarsi, creda a me, ed è anche molto sicuro…” e poi aggiunse “Certo, sempre se l’altro ascensore che viaggia nel senso opposto non ci venga addosso.”
Che cosa?! Voleva dire che ogni volta che si viaggiava su quel coso c’era il rischio di finire in zappetta?! Feci una faccia a dir poco spaventata e Wonka lo notò eccome, perché si affrettò a dire:
“Guardi che sto scherzando.”
In quel momento avrei tanto voluto strozzarlo, ma lui non me ne diede il tempo, perché premette un pulsante dicendo:
“Si tenga.”
“E dove?” feci guardandomi intorno.
L’ascensore però partì come un razzo, e io, che non sapevo dove diamine posare le mani dato che lì c’erano pulsanti da tutte le parti, finii – di nuovo – addosso a Wonka.
“Ehi! Ehi!” esclamò lui preso alla sprovvista, ma nonostante tutti non riuscì ad evitare di finire addosso ai pulsanti…e ci finì oltretutto con la faccia, dato che aveva alzato le mani nel vano tentativo di non toccarli. Fatto sta che venne premuto un altro pulsante e allora l’ascensore cambiò drasticamente direzione; in questo modo fu il turno di Wonka di finire addosso a me, spiccicandomi con tutti il suo corpo alla parete opposta a quella contro la quale l’avevo schiantato io poco prima. Anche in questo caso schiacciai qualche pulsante con la schiena e quindi l’ascensore – che sinceramente iniziavo ad odiare –, si diresse bruscamente verso l’alto, e di conseguenza sia io che Wonka ci ritrovammo stesi a terra dalla forza di gravità…a faccia in sotto per più.
Rimanemmo per qualche secondo in quella stessa posizione per riprendere fiato…e intanto la mia mente vagava alle possibili vendette che Wonka avrebbe potuto tramare contro di me.
Alla fine a parlare per primo fu proprio Wonka, che ancora steso a terra mormoro:
“Lei è un vero e proprio pericolo pubblico, lo sa?”
Detto questo ci tirammo su in piadi, e io ero già pronta a scusarmi, quando guardai Wonka in faccia e subito trattenni in respiro sgranando gli occhi.
“Che c’è?” chiese preoccupato
“Credo che gli si stia…gonfiando una guancia.”
“Che cosa?”
“Dev’essere stato quando ha sbattuto contro l’ascensore.”
Si portò una mano all guancia destra, quella arrossata, appunto, ma la tolse immediatamente mormorando un ahi! dolorante.
“Questo è tutta colpa sua!” disse infine
“ma…io non sapevo come reggermi!”
“Secondo lei come faccio, io? Mi tengo in equilibrio sulle gambe! Lei non poteva?”
“Io non ci riesco a tenermi in equilibrio cometa lei! E poi scusi, lei è una vita che usa quest’ascensore: ci sarà abituato presumo.”
Lui mi fissò un secondo in silenzio, ma poi distolse lo sguardo e disse:
“Sì, hai ragione.”
“Comunque,” feci io “se troviamo del ghiaccio magari riusciamo a prevenire un gonfiore troppo…troppo visibile.”
“Va bene.”
Detto questo mosse un dito verso uno dei pulsanti, ma prima di spingerlo mi guardò e disse:
“Adesso si tenga.”
“Posso sapere almeno in che direzione andrà questo coso?”
“Verso destra.”
“Va bene allora.”
Mi misi in posizione.
“Pronta?” mi chiese
“Pronta.”
Wonka premette il pulsante e l’ascensore girò verso destra; stavolta traballai soltanto un pochino all’inizio, ma poi mi abituai alla velocità e mi raddrizzai. Arrivati finalmente a destinazione appena si aprirono le porte dell’ascensore mi precipitai fuori di esso più che contenta di mettere piede su un terreno ben stabile. Anche Wonka uscì dall’ascensore, e alla luce più potente del corridoio in cui ci trovavamo vidi che quella guancia era proprio rossa come un pomodoro…oh, beh! Vedendola dal alto positivo almeno adesso c’era un po’ di colore su quella faccia! Lui si diresse subito verso una porta, prese una chiave dalla tasca e la infilò nella toppa.
“E questa che stanza è?” chiesi
“La mia camera.”
Ah…
Aprì la porta ed entrò seguito da me. Appena ci misi piede dentro non potei fare a meno di notare quanto fosse grande!si trattava bene il signorino…
Sulla destra c’era una grande libreria con molti libri, ma anche con sopramobili e con tanti foglietti sparsi dappertutto; sulla sinistra c’era una porta di legno e molto probabilmente quello era il bagno; dal lato opposto a cui mi trovavo io, invece, c’era una finestra, e sulla sinistra c’era un armadio e un letto ad una piazza e mezzo con delle coperte…indovinate di che colore? Viola! Sulla destra invece c’era una grande scrivania, vicino alla quale notai una cosa che assomigliava ad un frigo-bar.

Wonka indicò proprio quest’ultima cosa dicendo:
“il ghiaccio è là dentro.”
A quel punto allora mi ci avvicinai a grandi passi e lo aprii; presi quindi del ghiaccio e afferrai un tovagliolo di stoffa che stava sulla scrivania chiedendo a Wonka il permesso di usarlo. Lui annuì e allora lo usai per avvolgerci il ghiaccio. Dopodiché, completata la mia bella opera, tornai da Wonka e gli appoggiai il fagotto che avevo tra le mani sulla guancia mezza gonfia. Lui fece una faccia dolorante che mi fece sorridere.
“E’ freddo.” Disse
“Beh, di solito il ghiaccio è così.”
Wonka sorrise, ma poi disse subito:
“Questo è meglio che lo tenga io.” E mi prese il fagotto che tenevo poggiato sulla sua guancia continuando a premerselo sulla pelle. Poi aggiunse: “se esce qua fuori vedrà una porta alla sua sinistra…quella sarebbe la stanza degli ospiti e…” iniziò a smucinare in una tasca con la mano libera “…questa è la…ma dov’è finita?” borbottava “L’avevo messa qui…e…eccola!”
Tirò fuori con un gesto teatrale una chiave – ma quante cosa aveva là dentro? – e me la porse.
“Ecco qua.” Disse “Buona notte allora.”
Ci stringemmo la mano e io uscii dalla sua camera per andare nella mia.

 

Ovviamente grazie anche a tutti quelli che stanno leggendo questa storia! Baci!!!!

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Capitolo 9
*** Top Secret - trattasi della Wonkavite ***


Elly_93: Ahahahahaha XD XD XD XD Me fai morì XD XD Guarda che se non mi leggi più vengo li e ti spezzo le gambine eh? Capito, zozza??? Ahahahaha Baciiiiiiiiiiiiiiiii

 

Top Secret - trattasi della Wonkavite

Aprii la porta della mia camera, e quella, lentamente, si spalancò con un cigolio.
“Cominciamo bene…” dissi tra me e me.
Entrai e accesi la luce: la mia camera era notevolmente più piccola di quella di Wonka e anche la disposizione dei mobili cambiava leggermente: non c’era né la libreria né il frigo-bar, e il letto invece di stare a destra stava a sinistra…ah! Le coperte fortunatamente erano blu…mi tolsi il cappotto, lo poggiai sulla scrivania e guardai fuori dalla finestra: c’era così tanta neve e così tanto vento che quasi non riuscivo a vedere a un palmo dal mio naso…fortuna che mi avevano convinta a restare, perché quella là fuori sembrava una bufera!
Ad un certo punto, però, un rumore improvviso mi riporto sulla terra: il mio stomaco…
Non avevo cenato e stavo morendo di fame…e naturalmente il frigo-bar non c’era! Bella roba…lo stomaco brontolò di nuovo.
“Rassegnati, caro mio, perché fino a domani non avrai niente.”
Sarei potuta comunque andare da Wonka a chiedere qualcosa da mettere sotto i denti…ma mi pareva di averlo disturbato già abbastanza, e poi in quel momento se fossi entrata l’avrei trovato sotto la doccia. Quindi…
Mi misi così com’ero sotto le coperte e provai ad addormentarmi, senza riuscirci…quando mi trovavo in un posto che non era casa mia ci mettevo sempre un po’ ad abituarmici; in più a fare da sfondo c’era pure la fame, perciò fu comprensibile se mi addormentai un’ora dopo.
La mattina successiva mi svegliai grazie al sole che dalla finestra entrava puntato sulla mia faccia. Aprii gli occhi e solo qualche secondo dopo mi ricordai di essere alla fabbrica di cioccolato. Mi alzai e guardai l’orologio:
“Le 11?!” esclamai quasi urlando.
Mi precipitai in bagno, mi lavai il viso e mi diedi una sistemata ai capelli e ai vestiti, dato che sembravano stravolti da un non-so-che-cosa; poi presi il cappotto e uscii dalla camera, andando di filato verso quella di Wonka. Bussai ma non ottenni risposta; bussai di nuovo, ma niente, silenzio assoluto.
“Signor Wonka? La disturbo?” feci a voce alta “Signor Wonka?”
ancora niente…
“perfetto!” pensai “Mi ha abbandonata in questo labirinto, ma che bello!”
E ora? Avrei girovagato per ore prima di trovare un’uscita…poi però mi venne l’illuminazione.
Andai all’ascensore e lo chiamai. Quando arrivò ci entrai e tra i tanti pulsanti cercai quello di cui avevo bisogno; finalmente lo trovai e così premetti quello che indicava stana delle invenzioni. L’ascensore partì verso il basso, quindi non ci fu un movimento eccessivamente brusco e riuscii a non cadere. Ripensando a quello che avevo combinato là dentro con Wonka e alla sua consecutiva guancia gonfia non riuscii a trattenere una risata.
L’ascensore arrivò a destinazione quasi subito, e così uscii di lì ritrovandomi proprio davanti alla stanza che Wonka aveva definito come la più importante della fabbrica. Mi incamminai dopo aver deciso di andare nel giardino con la cascata di cioccolata attraverso la solita piattaforma metallica; avevo fatto giusto qualche passo quando vidi qualcosa a terra che attirò la mia attenzione; mi chinai per vedere di cosa si trattasse e mi resi conto che era una busta rettangolare bianca sigillata al meglio e con su scritto in rosso un grosso TOP SECRET – TRATTASI DELLA WONKAVITE –.
Wow, una busta segreta! Chissà che cosa conteneva e chissà cosa fosse quella wonkavite…me la rigirai tra le mani curiosa, ma resistetti alla tentazione di aprirla pensando che se era una cosa segreta un motivo che doveva pur essere! Poi però mi venne in mente che se quella busta fosse stata davvero così importante allora Wonka si sarebbe disperato se si fosse accorto di averla persa, ergo decisi di consegnargliela. Me la misi nella tasca del cappotto, e , speranzosa che magari con quell’impresa sarei potuta entrare nelle grazie di Wonka, mi diressi al giardino. Quando ci arrivai corsi di filato verso la casetta della famiglia Buckett e bussai alla porta. Mi venne ad aprire…indovinate chi? Wonka…
“Buongiorno!” mi disse “Dormito bene?”
“Abbastanza, grazie. E lei?”
“Bene…la guancia è a posto, no?”
Vidi che sia gonfiore che rossore erano spariti.
“Tornata come nuova.” Commentai.
“Stavamo facendo colazione. Viene?” Mi chiese Wonka mettendomi una mano sulla spalla e spingendomi all’interno della casa.
Subito mi salutarono in coro tutti i familiari che stavano mangiando allegramente intorno al tavolo. Mi sedetti anch’io accanto a loro, più precisamente tra il signor Buckett e il signor George, mentre di fronte a me c’erano Wonka e tutti gli altri.
Poco dopo arrivò Charlie che mi porse una tazza fumante di cioccolata calda.
“Chissà perché, ma me lo aspettavo.” Dissi
“Che cosa?” mi chiese la signora Buckett.
“Che avremmo mangiato cioccolata!”
Quasi tutti risero; dico “quasi” perché Wonka rimase serio e solo quando tirnò il silenzio mi chiese:
“Perché, la cioccolata non va bene?”
“No no!” mi affrettai a dire “Va benissimo! Va più che bene! Mi piace tantissimo la cioccolata! La adoro!”
E diedi subito un sorso enorme ustionando la mia povera lingua.
“E’ uno dei miei cibi preferiti!” continuai cercando di parlare con la lingua dolorante che mi ritrovavo.
Wonka mi guardò per un secondo senza dire nulla, ma poi fece sorridendo:
“E’ davvero buffa quando si agita, lo sa?” E scoppiò a ridere.
Io mi sentii arrossire fino al bianco degli occhi…pareva che avessi la febbre…e notando la mia reazione Wonka si fece un’altra risata. I sprofondai nella sedia più che potei cercando di non dare nell’occhio…cosa alquanto impossibile data la posizione in cui mi trovavom cioè in mezzo al tavolo e ben visibile da tutti…
Che vergogna…
Beh, dopo aver fatto questa bella figura Wonka non infierì ulteriormente e finii così di mangiare in santa pace; devo dire che apprezzai particolarmente la cioccolata calda, e immaginai che magari fosse stata presa direttamente dalla cascata, fatto molto probabile, dato che come aveva detto il cioccolatiere era davvero leggera e spumosa.
Quando finimmo tutti quanti di fare colazione ci alzammo da tavola quasi contemporaneamente, e Wonka, i coniugi Buckett e Charlie mi accompagnarono alla porta, mentre i quattro vecchietti se ne tornarono a letto.
“E’ molto simpatica, sa?” mi disse Charlie con la sua vocina gentile.
“Oh, grazie.” Risposi “Sono contenta che almeno questa convivenza forzata sia stata piacevole. Anche voi siete stati così gentili…”
“Allora speriamo di rivederci presto!” disse la signora Buckett
“Oh, quello sicuramente.” Dissi io.
Salutai la famiglia Buckett con delle strette di mano, dopodiché mi recai assieme a Wonka verso la porta dalla quale la sera prima ero entrata in quel bellissimo giardino; subito Wonka aprì la porta minuscola e ci ritrovammo in quel grandissimo ingresso sul cui pavimento era steso il lungo tappeto rosso. Ci fermammo tutti e due al limitare del giardino e ci salutammo.
“Grazie ancora per l’ospitalità, signor Wonka.” Feci io.
“dovere.” Rispose indifferente. “e poi il tempo è notevolmente migliorato: stamattina c’era un sole fortissimo, quindi non penso che ci saranno più problemi come quello di ieri sera.”
“Sì, per fortuna.”
Ci fu un attimo di silenzio.
“Oh, beh, “dissi “Allora io vado. Ci metteremo in contatto in qualche modo per continuare il lavoto, va bene? Le farò sapere.”
“Va benissimo…arrivederci allora.” E sorridendo di toccò un lembo del cilindro che aveva sul capo in segno di saluto.
Che sorriso diverso dal solito che aveva in quel momento…e anche gli occhi brillavano differentemente…mah!
A quel punto, comunque, lo salutai anch’io, e camminando sul tappeto rosso mi diressi verso la porta d’uscita, solo che, all’improvviso, quando avevo quasi attraversato tutta la stanza, sentii Wonka che mi chiamava da dietro:
“Ehi! Le è caduta una cosa dalla tasca!”
Mi voltai e lo vidi raccogliere quello che mi era caduto: era la busta top secret che avevo trovato! Evidentemente me l’ero totalmente dimenticata e mentre camminavo mi era caduta! E per fortuna che mi era scivolata dalla tasca, perché se no me la sarei portata in giro dappertutto, e allora sì che sarebbe andata perduta sul serio!
Mi diressi subito a passo svelto verso Wonka, che intanto si rigirava sorpreso quella busta tra le mani, chiedendosi evidentemente come ne fossi entrata in possesso.
“Eccomi signor Wonka!” dissi “Quella è una busta che ho trovato a terra vicino alla stanza delle invenzioni, e quindi, pensando che fosse sua, volevo dargliela, ma mi dev’essere sfuggito di mente…oh beh, adesso ce l’ha, quindi è tutto a posto, giusto?”
Lui alzò gli occhi da ciò che teneva in mano e mi guardò con uno sguardo a dir poco glaciale…
“Bella scusa.” Disse
“Belle scusa?” chiesi allibita.
“Oh, non faccia finta di non capire. Per chi lavora? Fickelgruber? Prodenose? Slaguard?”
“Ma che cosa…”
“Certo,” mi interruppe “sicuramente stanotte si sarà fatta un memorabile giro per la fabbrica a mi insaputa,vero?”
“Eh? Io stanotte dormivo!”
“Non continui a mentire non serve a niente e a nessuno!”
“Non sto mentendo!” esclamai “E’ lei che trae conclusione che non hanno…”
Ma mi interruppe di nuovo:
“Devo ammettere però che è stata davvero intelligente…fingere di non voler rimanere a dormire qui per poi passare come quella che è stata costretta a restare è stato un vero colpo di genio.”
“Mi ascolti…”
“E poi…”
“Mi ascolti!” esclamai.
Wonka si zittì offeso.
“Si può sapere cosa sta cercando di dire?” dissi “Perché il suo discorso non né capo né coda!”
“Oh, insomma, non capisce che l’ho scoperta? Lei è una spia! Lavora per quegli avvoltoi che cercano di imitare i miei dolci! E naturalmente quale miglior occasione di vagare liberamente per la fabbrica se non con la scusa di voler fare quei cartelloni pubblicitari!”
Ok…Wonka era impazzito…
E io, di tutta risposta, non resistetti e gli scoppiai a ridere in faccia. Wonka mi guardò come se fossi un’aliena.
“io quella busta non l’ho rubata, se è questo che sta insinuando!” esclamai finita la risata. “L’ho trovata a terra, lo vuole capire?”
“Io non lascio le mie cose sparpagliate a terra! Per chi mi ha preso?”
“Oh, diamine, non dico che è stato lei a lasciarla lì! Può anche essere stato uno di quegli Umpa…Umpa…”
“Lumpa?”
“proprio loro! Perché la colpa dovrebbe cadere subito su di me?”
“Oh…ma…non lo so…forse perché la busta era nella sua tasca?”
“Io l’ho trovata a terra, come glielo devo dire? Volevo ridargliela ma mi sono scordata!”
Ci fu una pausa, abbastanza lunga, durante la quale io e Wonka ci guardammo negli occhi scagliandoci fulmini a vicenda.
“Senta.” Disse infine Wonka “Questa discussione sta lentamente passando il limite e voglio finirla il prima possibile, quindi le adesso uscirà da quella porta,” e indicò quella alle mie spalle “e non di farà mai più vedere, perchè non tollero alcun tipo di spia qui dentro.”
“Oh guardi,” gli feci io “su questo sono assolutamente d’accordo con lei, perché non intendo venire a lavorare sentendomi dare della ladra!”
“Bene!”
“Più che bene! Mi va benissimo!”
E detto questo mi girai di scatto dirigendomi verso l’uscita, e senza voltarmi indietro neanche un secondo aprii la porta e, attraversato il viale ricoperto di neve, salii in macchina.

Che rabbia! Come si permetteva quello...quello stupido di insinuare una cosa del genere! Io una ladra? Ma figuriamoci! E che dire poi...mi stava persino diventando simpatica quello là...Willy Wonka dei miei stivali! Può essere ricco, famoso e importante quanto gli pare, ma non s'azzardasse mai più ad insultarmi con un'accusa così pesante! Oh beh...questo d'altronde era poco ma sicuro, perchè io non avevo la benchè minima intenzione di mettere di nuovo piede in quella fabbrica. Me n'ero andata e state tranquilli: non avevo intenzione di tornarci di nuovo!
Quando salii in macchina, in quel fatidico giorno, me ne tornai direttamente a casa, con la voglia di non sentire nessuno e di non pensare a niente. Epuure, però, i pensieri mi si affollavano nella mente alla velocità della luce, e per la maggior parte erano isulti di tutti i tipi indirizzati ad un certo Wonka...quando alla fine tornai a casa entrai sbattendo la porta ancora incavolata nera e lanciai il cappotto e la borsa su un divano decidendo di andarmi a fare un bel bagno caldo con tante bolle. Riempii perciò la vasca e sciolsi nell'acqua praticamente mezzo flacone di sapone, che in men che non si dica fece una marea di schiuma. A quel punto allora mi spogliai e mi immersi completamente nell'acqua bollente. Restai così a mollo per un'oretta buona, e solo quando il mio corpo inziò ad urlarmi un basta non ce la faccio più finii di lavarmi e uscii con un accappatoio e con i capelli avvolti in un asciugamano.
Dopodiché, in parte per continuare a rilassarmi e in parte per cercare di provare a dimenticare la discussione di pochè ore prima con quel lurido cretino, decisi di spaparanzarmi sul divano a vedere un film. La scelta dell'attore protagonista che ci doveva essere in quel film era del tutto prevedibile: Johnny Depp; era un attore straordinario, bravissimo a calarsi in qualsiasi personaggio, da quello comico, al drammatico, al pauroso...andai allo scaffale in cui tenevo i suoi dvd e a occhi chiusi ne scelsi uno; venne fuori Neverland, la storia in cui Johnny interpretava James Barrie, ovvero l'autore di Peter Pan...era però una storia drammatica, e infatti ogni volta che lo vedevo qualche lacrima usciva sempre...insomma era un bel film fatto apposta per rallegrare l'atmosfera! Ma la sorte aveva deciso Neverland e allora Neverland avrei visto.
Mi misi comoda indossando una tuta e ancora con i capelli nell'asciugamano mi spaparanzai sul divano, come promesso, dopo aver acceso la tv. Il film iniziò e già dalla prima scena mi inebriai dell'immagine di Johnny...Mi piaceva tutto di lui: gli occhi, la bocca, il lineamenti, le espressioni che rendevano ogni suo personaggio così vero, la forma del viso...un viso che in Neverland era completamente sbarbato e che non si vederva alcuna traccia di barba sottopelle...quanto mi piaceva! Avrei tanto voluto toccarlo, sentire la sua pelle liscia sotto le mie dita.
Il film era iniziato da appena un quarto d'ora che già non ci stavo più con la testa. Quando finì, invece, ero andata completamente...avevo consumato non so quanti fazzoletti e ancora mi colava il naso. Passato il momento 'pianto', guardai distrattamente la copertina del dvd e mi prese un colpo: avevo flashato Wonka! Realizzato alla fine che quello sulla copertina non era il cioccolatiere, guardai più attentamente James Barrie, e con sgomento notai che fu più che comprensibile che flashai Wonka, perchè ci somigliava tantissimo!
"Bene!" pensai "Ho persino litigato col sosia di Johnny!"
Mamma mia...era uguale identico! Come avevo fatto a non accorgermene?
In quel medesimo istante, però, squillò il telefono, facendomi prendere un altro colpo.
"Pronto?" dissi dopo aver alzato la cornetta.
Mi rispose, dall'altro capo del filo, una voce femminile che urlando mi fece sobbalzare all'improvviso facendomi cadere dal divano:
"Che cosa ci fai a casa?!"
Era Stacy...
Recuperai la cornetta e risposi:
"S-Stacy? Ciao..."
"Ripeto: cosa ci fai a casa? E' tutto il giorno che provo a chiamarti, ma il cellulare era staccato, e allora mi sono detta: guarda un pò se non trovo quella pazza a casa."
"Quella pazza? Scusa ma che ho fatto?"
"Come che hai fatto?! Qui è da stamattina presto che tutti si chiedono che diamine hai fatto da Wonka!"
"Oh...quindi sei in ufficio, eh?"
"Sì, dove dovresti essere anche tu!"
"Senti...mi dispiace di non essere venuta, ma è succesa una cosa e..."
"Alt! Stop! Non c'è tempo per parlare! Devi venire qui subito! Alex è agitato come non mai! E' tutto il giorno che si chiede dove sei finita! Mi sta scoppindo la testa!"
"Oh...c'è rimasto così male?"
"Proprio male penso di no...però ti conviene venire subito, prima che passi dalla fase 'agitato' alla fase 'incavolato'!"
"Ma sono le 3 del pomeriggio e non ho neanche pranzato!"
"Peggio per te! Vieni immediatamente!"
"Ok, ok...mi asciugo la testa e arrivo."
"Pure la testa? Sbrigati!"
"Sì, ma calmati, per la miseria, che già sono nervosa di mio!"
E attaccai il telefono per poi precipitarmi in bagno alla velocità della luce. Mi asiugai i capelli senza neahce spazzolarli e così, usando il phon alla massima potenza, il bel risultato fu che mi ritrovai in testa un cespuglio stile Mafalda! Un urlo di sgomento mi uscì dalla bocca quando mi guardai allo specchio.
"Oddio, no, ti prego! Che cosa orribile!" Dicevo cercando di renderli decenti pettinandoli energicamente con una spazzola che od ogni passata mi strappava quantità indefinibili di capelli. Alla fine, però, terminata la tortura, ero riuscita ad allisciarli abbastanza, anche se non completamente, perchè infatti mi erano venuto un pò boccolosi. Uscita finalmente dal bagno senza essermi neanche presa la briga di sistemare, uscii di casa scaraventadomi in macchina e dirigendomi in ufficio incurante di qualche semaforo rosso.
Salii le scale in fretta, e ancora col fiatone entrai nello studio. Tutti mi guardarono sorpresi, perchè evidentemente non si aspettavano che mi sarei fatta viva per quel giorno; Stacy, invece, appena mi vide mi indicò la porta dello studio di Alex dicendomi con il labiale muoviti! e cosi senza togliermi il cappotto o posare la borsa, andi di filato verso la porta dell'ufficio di Alex. Mi fermai di botto ad un millimetro dalla porta e feci un profondo respiro.
"Ok, ci siamo." pensai "E se è arrabbiato te lo meriti...però non balbettare o roba simile...è una persona normale, cavolo! E' un uomo normale proprio come lo è Wonka!" Mi uscì un verso strano quando pensai a lui. "Ok, forse Wonka non è proprio normale, però...oh, insomma! Smettia di pensare e bussa a quella porta!"
Alzai così un mano e la chiusi a pugno; stavo appunto per bussare quando sentii un rumore: qualcuno stava aprendo la porta dell'ufficio di Alex dall'interno; e quel qualcuno era proprio il suo proprietario.
"Ah!" esclamò Alex con tanto di balzo appena mi vide. "Damis! Che ci fa qua dietro? Era in agguato per caso?"
Che figura di...di...bah...
"No, è che...stavo per bussare, ma lei ha aperto e allora..."
"Capisco. Però non capisco comunque una cosa...ma lei a che ora è arrivata?"
"Ehm...in verità adeso."
"E come mai?" mi chiese in tono rimproveratorio...e aveva ragione: in fondo era sempre il mi capo.
"Avevo bisogno di staccare un pò la spina." Risposi "E...beh...a proposito dovrei parlarle di quello che è succeso da..." notai però all'improvviso che Alex indossava il cappotto, e allora cambiai totalmente argomento e chiesi:
"Ma stava uscendo?"
"Già." mi rispose "Andavo, come dice lei, a staccare la spina. Però," aggiunse "desidero sapere tutto quello che è accaduto ieri alla fabbrica di Wonka."
"Beh..."
"Solo che adesso" mi interruppe lui "devo veramente andarmene. Le va se ne parliamo a cena...insieme?"
Mi si seccò la lingua, la gola e il palato...insomma non riuscivò più a parlare! Mi stava...invitando ad uscire? Oddio...mi si annebbiò completamente il cervello...di tutta risposta non dissi neanche una parola, quando invece ne avrei volute dire a migliaia!
"Ehm..." disse Alex vedendo che non parlavo "naturalmente è tutto a scopo lavorativo..."
"S-sì, ovviamente." Riuscii a dire alla fine.
Naturalmente quella che aveva detto lui era la solita scusa, no? George aveva detto che gli piacevo!
"Conosco un ristorante proprio qua dietro." Disse "Si chiama 'the black pearl': ci sono andato qualche volta e mi piace. Per lei va bene?"
Per te, carissimo?
"Per me?! Per me va benissimo, nessun problema!"
"Davvero? Allora che ne dice se ci incontriamo direttamente lì davanti?"
"Dico che non vedo l'ora!" risposi di getto, ma poi aggiunsi:
"Beh...così le racconti come...come è andata ieri..."
Mentre stavo dicendo questa frase, perl, mi prese l'ngoscia...praticamente Wonka voleva disdire il contratto...che bella notizia che avrei dato ad Alex...
"Perfetto allora! A stasera!" Mi disse lui.
"A...a stasera."
Lui mi oltrepassò sorridendo, e io, con gli occhi, lo seguii mentre si allontanava e spariva dalla mia vista.
L'appuntamento di quella sera era la cosa che sognavo di più da non so quanto tempo, e per colpa di Wonka e della sua pazzia temevo che venisse rovinato del tutto...
Quanto odiavo quel viola-dipendente.

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Capitolo 10
*** Uhm... ***


Ma salveeeeeee!!! XD Eccomi di nuovo qui pronta per deliziarvi!!!...almeno spero O.o

Elly_93: Oh mia carissima!! Ma tu non lo sai che le mie minacce sono fatte con le più oneste intenzioni? Non puoi dubitare di me!! XD Però scusa, tu puoi minacciarmi e io no? Non credo proprio, cara, qua ci vuole parcondicio XD Ah, e concordo: Wonka è un cretino!! Ma vediamo se cambierai idea...XD Bacio!!!

 

Capitolo 14: uhm… :uhm:
** Zucchero: “It’s a wonderfull life” **

Da quanto tempo non mi sentivo così…così arrabbiato! Insomma, io la invito alla fabbrica, che nel mio caso è anche casa mia, quindi la faccio entrare nel mio privato, poi faccio tutto il gentile con lei, la tratto bene, la faccio persino dormire qui invece di mandarlo a rischiare la vita in mezzo alla neve e lei che fa per ringraziarmi? Mi deruba! E non immaginate cosa sarebbe successo se non le fosse uscita per sbaglio quella lettera dalla tasca! L’avrebbe venduta a qualche dolciario privo di fantasia, e in questo modo la mia più grande scoperta sarebbe andata persa! Eh sì, perché la wonkavite è stato un vero colpo di genio…ancora non è sul mercato, ma credo che comunque non ce la metterò lo stesso, è un'invenzione troppo importante, troppo fantastica, troppo…potente, potrei dire. Ora che ci penso mi sento quasi uno scienziato pazzo…ma…lasciando perdere…si può sapere come le può essere venuto anche solo in mente che mi bevesi quella storia della busta trovata a terra? Io, ripeto, sono una persona ordinata, e, diciamocelo, mi vedreste come uno che lascia abbandonata a terra la sua invenzione più importante?
Non credo proprio.
Poi, quando se n’è uscita che forse la busta l’avevano persa gli Umpa Lumpa…insomma, si vedeva che era tutta una bugia…gli Umpa Lumpa sono dei lavoratori fidati…non perderebbero mai una cosa che mi appartiene…sono dei bravi operai, anche se a volte sono un po’ dispetto…ah. Uhm…no, dai…che fossero stati veramente loro? No, non ce li vedevo…però…
Ecco! Adesso c’avevo il dubbio!
In ogni caso, durante la giornata andai avanti a lavorare normalmente, senza, ovviamente, raccontare nulla ai Buckett della discussione avuta con Julia. Il dubbio da me espresso prima si arrovellava in continuazione nella mia testa, e più volte dovetti togliermi il cilindro pensando che fosse quello che mi facesse venire il mal di capa.
Nel primo pomeriggio io e Charlie eravamo insieme e ci stavamo proponendo a vicenda qualche nuovo tipo di dolce; Charlie in questo mi aiutava molto, perché, si sa, la fantasia migliore ce l’hanno i bambini. Comunque, mentre stavamo parlando, il mio fidato collaboratore notò per l’ennesima volta la mia aria assorta, e allora mi chiese:
“Ehi, Willy, tutto a posto? Sei strano oggi.”
“No, è che…un po’ di mal di testa.”
“Che ne dici, metto un po’ di musica? Magari ti passa.”
“Credo che con la musica, però…”
Ma lui era già partito in quarta. Tornò poco dopo con in mano la piccola radio che di solito stava sul tavolo a casa sua, e dopo averla poggiata tra di noi, la accese. Subito dagli altoparlanti uscì una canzone, che, sebbene fosse già iniziata, in effetti mi rilassò un tantino.

♪♫ The sun’s in your eyes
The heat is in your hear
They seem to hate you
Because you’re there ♫♪

“E se lei non avesse davvero colpa?” pensai accompagnato dalla musica.

♪♫ And I need a friend
Oh I need a friend to make me happy
Not stand here on my own ♫♪


Ma che bella strofa deprimente…chissà perché pensai a me stesso ascoltando quelle parole.
“Vabbè…lasciamo stare.” Riflettei “Adesso il punto è: devo chiedere agli Umpa Lumpa se loro centrano qualcosa con tutta questa storia?”

♪♫ Look at me standing
Here on my own again
Up straight in the sunshine ♫♪

“Perché se è così,” mi dissi “oltre ad aver fatto la figura dell’idiota e ad essere dalla parte del torto, sono sicuramente passato per un arrogante superbo e molto orgoglioso agli occhi di Julia…già…”

♪♫ No need to laugh and cry
It’s a wonderful wonderful life ♫♪


Ma poi perché la chiamo per nome?

♪♫ No need to laugh and cry
It’s a wonderful wonderful life ♫♪


Alla fine mi decisi e spensi la radio; di seguito ringraziai Charlie per avermi fatto ascoltare la musica mostrando il suo interessamento nei miei confronti. Dopodiché andai di filato all’ascensore di cristallo e premetti il pulsante ufficio amministrativi; l’ascensore partì e dopo poco andò in un corridoio, poi ne uscì e vorticò su se stesso verso il basso.
“Come ha fatto la Davis a venirmi addosso…mica si viaggia male qua dentro…” pensai “Mah…c’avrà problemi di equilibrio.”.
Quando l’ascensore si fermò e le porte si spalancarono, ne discesi subito ritrovandomi davanti ad una scrivania dietro la quale era seduta la mia fidatissima Doris.
“Cara Doris!” Le dissi interrompendo il suo ticchettare alla macchina da scrivere. “Ho un compito da affidarti. Pronta?”
Mi guardò con i suoi occhialoni sul naso, e allora io continuai:
“Devi farmi un grossissimo favore: ti ricordi la wonkavite, vero?” Lei fece una faccia sofferente, ma io proseguii: “Ebbene, c’è mancato poco che la ricetta segreta andasse persa, e sai benissimo quant’è importante, no? Quindi…voglio che fai un’indagine delle tue e divi dirmi se qualche Umpa Lumpa è stato poco attento e ha messo in pericolo quella busta. Tutto chiaro?”
Lei, senza ovviamente cambiare espressione, mi fece ok con il pollice, così io potei, con l’animo molto più sollevato, tornare a farmi gli affari miei.

***


“Aaaaaah!! Sono in crisi!!” Urlai in faccia a Stacy sconvolta.
“Calmati per la miseria!” esclamò lei.
“Ma non ho niente da mettermi!!”
“Se la smettessi di urlare magari riusciamo a risolvere il problema!”
A quel punto mi calmai.
Mi trovavo a casa mia, più precisamente nella mia camera da letto e avevo invitato Stacy ad aiutarmi ad acconciarmi per il mio appuntamento con Alex. Anche lei, appena le raccontai tutto, divenne euforica quasi quanto me e si rese più che disponibile per alleviare le mie preoccupazioni in qualsiasi modo; una di queste era la scelta dell’abito. Avevamo svuotato completamente il mio armadio, ma niente, non c’era nulla di adatto all’occasione: io ero una ragazza abbastanza sportiva, amante dei jeans, non ero certo il tipo da serata galante! E così avevamo rovesciato l’intero armadio sul mio letto sperando che saltasse fuori qualcosa di decente. Ma ancora niente. Stavo piano piano andando in una totale crisi di panico, quando però Stacy salvò la situazione dicendo:
“Senti…che ne dici se ti presto uno dei miei vestiti?”
“Uno dei tuoi? Ma sei sicura?”
“Se serve a liberarmi di te il prima possibile allora questo e altro!” mi fece sorridendo.
Io la abbracciai subito felicissima dicendo:
“Graziegraziegrazie! Cosa farei senza di te? Me lo dici?”
“Ah boh…però adesso staccati, se no come te lo vado a prendere questo vestito?”
Mi allontanai di qualche passo da lei, e così Stacy si incamminò verso la porta per uscire, ma prima che l’aprisse le chiesi:
“Che vestito mi porti?”
“Ti va bene quello che ho messo al mio compleanno?”
Io sgranai gli occhi.
“Quello?!” esclamai “Ma magari!”
Detto questo Stacy uscì, mentre io iniziai ad aspettarla tranquillamente…o almeno ci provai, dato che dopo un po’, in preda all’ansia, cominciai a camminare avanti e indietro frenetica.
Ma quanto ci metteva? Ormai erano le 7! Per fortuna, però, in quello stesso momento arrivò Stacy.
Venne subito da me e tolse dalla busta che aveva in mano il vestito, e io lo indossai immediatamente. Era di colore blu, con una lunga scollatura sulla schiena, mentre sul davanti era a girocollo; le spalline erano piene di merletti, dello stesso tipo di quelli con cui era ornato l’orlo della gonna; tutto il vestito, c’è da precisare, era cosparso da tanti brillantini, come se fossero delle stelle.
“E’ bellissimo!” dissi guardandomi allo specchio.
“Come te lo senti?” mi chiese Stacy.
“Comodo. Mi tira solo un po’ qua…all’altezza del seno.”
“Se te sei più abbondante di me io non ci posso fare niente, carissima.”
Trovato il vestito adatto, allora, passammo alla fase trucco: Stacy mi preparò a dovere…era un trucco né troppo acqua e sapone né troppo appariscente…leggero al punto giusto, insomma. Anche per le scarpe Stacy mi prestò le sue, mentre per quanto riguardava i capelli, beh, i boccoli, devo dire, non mi stavano affatto mele, e così li sistemai solo leggermente. Fatto e completato tutto, alla fine, Stacy andò a casa sua, mentre io salii nella mia macchina. Il più tranquillamente che potei raggiunsi il ristorante, e trovai un parcheggio proprio nelle vicinanze…chissà se Alex era già arrivato…chissà che avrebbe detto vedendomi, chissà se gli sarei piaciuta, chissà se sarebbe stata una bella serata…chissà se sarebbe accaduto qualcosa di speciale. Manco a farlo apposta mi prese l’agitazione: in quel momento mi sarei volentieri murata viva in macchia, pur di non andare a quel ristorante. Ma poi, fortunatamente, pensai:
“Insomma, Julia, vedi di darti una mossa! Sono le 8 e 10, quindi apri lo sportello e vai! Oddio…no, non ce la faccio…ma si può sapere cosa mi prende? Finalmente, dopo un anno di inutili sguardi esco con Alex e non voglio andare all’appuntamento? Ma io sono proprio scema.”
E così, preso un po’ di coraggio, scesi da quella maledetta macchina e mi diressi al ristorante.
Camminavo lenta, misurando i passi, come se mi trovassi su una passerella; il cuore mi martellava nel patto come un tamburo; i respiri erano piuttosto irregolari; nonostante tutto, però, avevo un’aria abbastanza calma, e di questo me ne rallegravo: almeno la prima impressione sarebbe stata buona!
Arrivai finalmente a destinazione ed entrai nel ristorante. L’atmosfera era calda e tranquilla e il tutto era illuminato da una piacevole e tenue luce dorata. Appena misi piede nel locale vidi Alex seduto ad un tavolo: era vestito con giacca e cravatta e stava parlando al cellulare…forse stava chiacchierando con un amico, visto che rideva alla grande. Io, nel frattempo, ammirai per qualche secondo il suo profilo…poi, alla fine, mi decisi e mi incamminai verso di lui. Appena mi vide salutò affettuosamente la persona con cui stava parlando – forse era il fratello – e si alzò per salutarmi:
“Finalmente! Ben venti minuti di ritardo…credevo che mi stesse dando buca!”
Io arrossi: “Non sia mai! Ho fatto tardi perché…c’era traffico, tutto qui…e poi il parcheggio! Ci ho messo un sacco di tempo per trovarlo!”
Ok, era una piccola bugia…ma spero concorderete con me nell’evitare di parlargli delle mie crisi esistenziali-guardarobiali…
Alex si avvicinò a me e spostando la mia sedia mi disse sorridendo il prego dopo il quale io, invece di sedermi normalmente, crollai sciogliendomi.
“Allora…” disse Alex dopo che si fu seduto anche lui “Era mai venuto il questo ristorante?”
“Mai. Però è carino…devo venirci più spesso.”
“È una persona casalinga?”
“Diciamo che non ho molte occasioni per uscire…a parte lei è una vita che qualcuno non mi invita al ristorante.”
“Davvero?” fece lui incredulo “Non l’avrei mai detto, sa?”
Io arrossi violentemente, mentre lui sorrise.
“Che…che ne dice…” dissi per rompere il silenzio. “Se ci diamo del tu?”
“Del tu?” sembrò pensarci su “D’accordo allora…Julia, vero?” annuii “…Quindi, Julia, vuoi ordinare?”
Mi sentii al settimo cielo per quella piccola conquista. Il tempo passò, e dalla sera si arrivò alla notte; mangiammo divinamente…certo, non come se fossimo da Alain Ducasse o da Gualtiero Marchesi, ma per me solo il fatto di parlare di Alex, di vedere che lui era lì con e per me, di sapere che mi ascoltava con interesse, che quel momento era solo per noi e per nessun altro, mi fece stare così bene che credo che anche se mi avessero servito un fegato ripieno di gamberetti con salsa alla liquirizia l’avrei mangiato reputandolo buonissimo.
Ad un certo punto della serata, però, Alex fece la fatidica domanda:
“Ebbene, non mi hai ancora parlato di cos’è successo alla fabbrica di Wonka!”
“Beh…” feci, e poi pensai: “Delusione in arrivo, ci scommetto.”
“Vuoi tenermi sulle pine ancora per molto?” mi chiese.
Feci un bel respiro e iniziai a raccontare…gli dissi tutto (o quasi): di quanto era bella la fabbrica, del giardino meraviglioso, del genio straordinario di Wonka, della tormenta di neve, della mia notte alla fabbrica, e infine…della busta top secret. Gli raccontai della discussione avuta con Wonka, di come lui mi avesse accusata ingiustamente basandosi soltanto sulla sua mera immaginazione del cavolo, e di come, concludendo in bellezza, non voleva più avere niente a che fare con me.
Alex era stato per la maggior parte del tempo con gli occhi puntati su di me e con in essi una luce curiosa, non aspettandosi che quella fabbrica racchiudesse così tante sorprese. Quando però gli raccontai la fine della storia, anche se non aveva smesso di sorridermi, la luce negli occhi era cambiata: c’era rimasto male per come si erano sviluppati i fatti e nonostante cercasse di nasconderlo gli si leggeva benissimo in faccia.
“Mi dispiace…” dissi “Insomma, quello di Wonka era sicuramente l’affare di una vita e la mia dimenticanza ha mandato tutto all’aria. Mi sento una totale cretina.”
Alex mi prese la mano…cioè! Immaginatevi le mie sensazioni in quel momento!
“non posso negare di non sentirmi…amareggiato, sotto un certo punto di vista, ma non devi insultarti da sola, farai calare la tua autostima e basta.”. Mi disse lui “Quello che ti posso dire è che non devi mollare. Lo so, sembra la solita frase fatta, però in fondo è la cosa migliore da fare, no? Secondo me dovresti tornare da Wonka dicendo che hai sbagliato e che lui ha assolutamente ragione, insomma lavoratelo un po’, anche se è lui che sta dalla parte del torto. Va bene?”
Alex mi teneva ancora la mano, e io riuscivo a connettere a fatica, ma comunque formulai una risposta decente:
“Insomma devo passare per colpevole e pentita? Anche se ho ragione?”
“Sì. A volta bisogna far contenti il proprio avversario per allearsi con lui.”
Che ragionamento…non me l’aspettavo!
“E va bene, allora.”. Feci “Domani vado da quellò lì e farò l’attrice.”
Alex mi lasciò la mano e disse:
“E’ molto più difficile questo che andare coi piedi di piombo, te l’assicuro.”
Sorrisi.
Dopo quel consiglio di vita la cena finì e Alex si offrì galantemente di pagare anche la mia parte del conto. Dopodiché ci salutammo con i due formali bacietti su entrambe le guance e ognuno se ne andò alla proprio macchina.
In fondo, pensai mentre andavo a casa, non era successo granché…io già mi immaginavo il bacio romantico sotto la luna…invece era stata una cenetta semplice, ci eravamo divertiti ed ero persino riuscita a parlargli di Wonka apertamente senza che avvenissero le catastrofi che io mi immaginavo.
Ero stata bene.
Arrivata a casa aprii la porta ancora con il sorriso sulle labbra ed entrai. Pensando sempre ai bei momenti passati mi spogliai e mi misi in pigiama e poi iniziai a sistemare la montagna di vestiti che ancora incombeva sul mio letto. Ero quasi a metà lavoro quando suonò il campanello.
“Cavolo, sono le 10 e mezza!” pensai “Chi è a quest’ora?!”
Non nego di aver avuto un po’ di paura in quel momento: mettete che era un pazzo ubriaco assassino? Ok, forse esageravo, però poteva anche essere che fosse un deficiente con l’hobby di spaventare le ragazze che vivevano da sole. Così mi misi la vestaglia e aprii la porta con molta cautela. Quando vidi che era che mi aveva disturbato a quell’ora pensai proprio che la parola deficiente gli si addicesse in pieno: era lui…il mio incubo…il viola-dipendente.
“Ehm…salve!” disse Wonka tranquillamente.
“Si rende conto di che ore siano? E poi…” aggiunsi sprezzante “Che ci fa qui? Le dico subito che se è sparito qualcosa dalla sua fabbrica non la troverà di sicuro in questa casa.”
E i buoni consigli che mi aveva dato Alex erano andati a farsi friggere.
“Posso entrare?” mi chiese.
“Si accomodi pure!” dissi aprendo completamente la porta con gesto teatrale.
Quando ebbe così attraversato la soglia della mia casa chiusi la porta e mi misi a braccia conserte.
“Allora?” dissi brusca “Che cosa ci fa qui a quest’ora?”
Lui mi disse con una nota d’imbarazzo nella voce:
“Sono venuto…ehm…a scusarmi.”
Come? Porca zozza, avevo sentito bene!
“Vede,” continuò lui “ho chiesto ad una mia operaia di cercare di scoprire se c’era una qualche…possibilità che la busta per cui abbiamo discusso avesse potuto effettivamente trovarsi nel luogo in cui lei diceva di averla trovata e raccolta. Beh, ” continuò “Doris, l’Umpa Lumpa a cui avevo chiesto questo servizio, ha scoperto che un altro Umpa Lumpa l’aveva veramente persa quella busta. Mente la riportava nell’archivio segreto. E lui oltretutto è uno di quelli che hanno libero accesso all’archivio! Ecco perché non pensavo che lei avesse ragione! Evidentemente, però…insomma, a farla breve le chiedo scusa.”
Non ci potevo credere…eppure stava avvenendo davanti ai miei occhi! Adesso la giornata era ancora più memorabile!
“E a quell’Umpa Lumpa che è successo?” chiesi.
“Gli ho dimezzato lo stipendio per tre mesi.”
Riflettei e poi chiesi:
“Questo vuol dire che mi sta chiedendo di tornare a lavorare per lei?”
“Beh…in teoria.”
“Mentre in pratica?”
“Dipende da lei…”
Io ci pensai su: non potevo assolutamente rifiutare di tornare alla fabbrica e finire l’incarico. Insomma, Wonka si era scusato, Alex sarebbe stato contentissimo…che volevo di più?
“Mi assicura però, ” dissi “che non dubiterà mai più di me e che ovviamente non mi accuserà ingiustamente prima di aver ‘indagato’ su come siano andati i fatti?”
Wonka mi guardò negli occhi e mi rispose:
“Mai mai più! Sicuro!”
“Perfetto, allora, sarò contenta di tornare a lavorare per lei.”
“Altrettanto!”
Ci stringemmo la mano, e poi io accompagnai Wonka alla porta. Prima che se ne andasse, però, gli chiesi:
“Ma lei come fa a sapere dove abito?”
“Beh…” mi rispose “Prima avevo telefonato al suo ufficio per parlarle, ma lei non c’era, e così mi sono fatto dire dove abitava, quindi sono venuto qui, ma lei non c’era di nuovo, e allora l’ho aspettata.”
“Mi aspettata tutto questo tempo?” chiesi allibita.
“Certo!” rispose lui come se fisse la cosa più normale del mondo.
Dopo la sua breve spiegazione, allora, aprii la porta, e prima che se ne andasse salutai Wonka con i due bacietti sulle guance, proprio come avevo fatto con Alex poco prima, solo che la reazione di Wonka fu del tutto differente da quella di Alex, perché infatti il cioccolatiere si irrigidì proprio come se lo avessero infilzato con una spada da dietro. Wonka mi guardava con gli occhi spalancati e con le labbra serrate.
“Tutto a posto?” Gli chiesi preoccupata.
“Io…sì, tutto a posto.” Mi rispose dopo qualche secondo di silenzio.
“Penso che verrò da lei domani in mattinata. Va bene?”
“Sì…”
“Arrivederci allora.”
“A-arrivederci.”
E detto questo Wonka si girò ancora con il collo irrigidito allontanandosi sempre più nella strada buia.
Così, quando non lo vidi più, chiusi la porta e tornai a sistemare i panni sorridendo tra me e me per il suo strano atteggiamento.

 

 

Grazie anche a tutti quelli che continuano a seguire questa storia!!! Un bacio!!!!! ;)

 

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Capitolo 11
*** Caro Willy, ti stai per...! ***


Ok, sono tornata!!! E con un nuovo capitolo muahahahahaha

Baby_Barby: spero tanto che ti piaccia anche questo capitolo! Eh sì...Willy è un cretino (a volte) ma anche tanto dolce...a modo suo XD Un salutoooooooooo

Elly_93: E basta con queste minacce!!! guarda che non scrivo piùùùùùùùùù XD XD XD Comunque hai ragione...Julia deve darsi una svegliata...ehm...ehm....scoprirai che potrebbe riuscirci!! Un abcione anche a te, mon amour!! XD XD XD



Caro Willy, ti stai per...!
 

La mattina mi svegliai in preda ad un’ansia strana. In principio stavo dormendo come un ghiro data la mia soddisfazione per i successi ottenuti la sera precedente, prima per la cena col mio amato e poi per le scuse che Wonka era venuto a porgermi di persona umiliandosi di fronte a me! Muahahah! Lo so…forse sono un po’ diabolica, ma non ci posso fare niente, visto che mi stavo prendendo la mia piccola rivincita per come lui mi aveva trattata ingiustamente! Però…beh…pensai che in fondo avrei potuto anche non infierire su di lui, ma comportarmi normalmente, così gli avrei fatto vedere che aveva a che fare con una persona matura. Altro che ladra o spia!
“Magari fossi una 007!” pensai “non starei qui con uno stipendio da fame!”
Tra tutti i miei soliti pensieri, a farla breve, mi vestii ed andai alla fabbrica.
Quando arrivai feci come al solito per aprire il cancello, ma invece quello era bello che chiuso! Lo scossi come se volessi scardinarlo, ma quello non si apriva comunque.
“Vabbè…” mi dissi mettendomi le mani in tasca “un citofono ci sarà pure in questa fabbrica super-accessoriata.”
E mi misi a cercarlo, perché infatti di citofoni non ce n’era proprio l’ombra. Chi fosse passato di lì mi avrebbe presa per scema vedendomi scrutare con attenzione il muro, ma alla fine la mia pazienza venne comunque premiata perché trovai quel dannato citofono: era dello stesso colore del muro, e il tasto era talmente piccolo che sarebbe potuto passare per un bacherozzo. Insomma si mimetizzava che era una meraviglia.
Premetti il pulsante, e dall’altra parte sentii qualcuno che stava sollevando la cornetta e poi un consecutivo fracasso come se a quel qualcuno nella fretta di rispondere gli fosse sfuggita la cornetta di mano.
“Sì?” disse la voce di Wonka quando evidentemente ebbe recuperato la cornetta.
“Sono Julia, signor Wonka.” Risposi cercando di non ridere.
“Sì sì, venga venga.”
Il cancello si aprì automaticamente e io naturalmente entrai nella fabbrica.
Appena misi piede nella stanza dal lungo tappeto rosso mi ritrovai Wonka ad un palmo dal mio naso che con fare sorridente esclamò:
“Buongiorno! Tutto bene?”
“Certo, e lei?” chiesi.
“A meraviglia!”
Altro che imbarazzato per l’equivoco della lettera! Questo qui aveva già smaltito tutto!
“Ehm…” dissi allora “che ne dice se ci mettiamo subito al lavoro?”
“Dico che non c’è problema. Che si deve fare?”
“Beh,” risposi “io ho portato la macchina fotografica,” e gli mostrai quella che portavo appesa al collo “e direi che si potrebbe iniziare ad usarla, no?”
“Se lo dice lei che è l’esperta…”
“Bene, allora. Andiamo nel giardino?”
Wonka mi fece passare avanti a lui con galanteria e quando oltrepassammo la stanza lui tirò fuori il suo solito mazzo di chiavi ed aprì la minuscola porta. Entrammo nella sala che era appena stata spalancata davanti a noi e quando arrivammo al centro del giardino dissi:
“Direi che qui va benissimo.”
“Benissimo per cosa?” chiese Wonka come se fosse appena sceso dalle nuvole.
“Ma per le foto! Ha portato la caramella?”
“Dovremmo fotografare la caramella?”
Ma ci faceva o ci era proprio?
“Come farebbe lei, la passerebbe allo scanner?” dissi ironica.
Lui di tutta risposta alzò le spalle e si mise a frugarsi nelle tasche per cercare quella benedetta caramella e alla fine tirò fuori un piccolo pacchetto giallo limone con su scritto Caramelle Desiderio.
“Eccola qui, in tutto il suo splendore!” disse euforico lui mostrandomela.
“Bene,” feci io “adesso che ci siamo, direi che lei si potrebbe anche…uhm…posizionare vicino a quel…fungo gigante o come lo vuole chiamare.”
Wonka si mise lì dove avevo detto io, e allora gli dissi mentre prendevo in mano la macchina fotografica:
“Perfetto! Adesso si metta in posa e faccia un bel sorriso!”
E mi misi la macchina davanti agli occhi. Wonka però non si stava mettendo in posa per niente, bensì iniziò a dire preoccupato:
“Un momento, un momento! Cosa centro io? Non dovrà mica fotografare me?”
“Perché? Qual è il problema?”
“Bisogna fotografare la caramella, non me!”
“Andiamo…la caramella ci sarà e ci sarà anche uno slogan grosso come una casa, quindi non si preoccupi, ok?”
Wonka fece una smorfia storcendo la bocca, ma io non battei ciglio e iniziai a fotografarlo a più non posso, prima in una posizione e poi un’altra, serio o sorridente in base a come mi girava; naturalmente la sua preziosissima caramella non passava inosservata, perché gliela facevo tenere sempre in bella vista…solo un cieco non si sarebbe accorto di quel nuovo dolce! Alla fine, finito il rullino, presi a guardare ad una ad una le foto che avevo fatto; Wonka allora si mise vicino a me per vedere anche lui il display della macchina fotografica. Si avvicinò però così tanto e così velocemente che finimmo per darci una capocciata.
“Ahi!” esclamai.
“Ops! Mi scusi.” Disse lui in po’ imbarazzato.
“Fa niente…” feci io, e poi continuai: “allora…che ne dice di questa foto?”
Selezionai un’immagine di Wonka che teneva in mano le caramelle e zoommai sul pacchetto per poi scorrere lentamente da sinistra a destra e dall’alto in basso. Mentre svolgevo quest’operazione, però, mi colpì un particolare della capigliatura di Wonka.
“Sbaglio o ci sono dei capelli bianchi?” osservai scherzosamente.
Lui mi guardò perplesso e disse tra sé e sé: “ma non ne avevo solo uno?”
Mi prese la macchina dalle mani e osservò attentamente la sua fotografia.
“Forse…gliene sono venuti altri senza essersene accorto…”
Guardai la sua espressione: era difficile da decifrare…sembrava sorpreso per quella sua nuova scoperta ma allo stesso tempo era in qualche modo…spaventato…paura della vecchiaia? Sarà, ma almeno questo dimostrava che persino Wonka era umano!
Dopo qualche secondo mi restituì la macchina e mi disse con una faccia non troppo convincente:
“Oh beh, qualche capello bianco in più è cosa da nulla, no?”
“Se lo dice lei…”
Ci fu un attimo di silenzio dopo il quale dissi:
“Se lei è d’accordo io a questo punto me ne andrei, tanto il più del lavoro è fatto…”
“Sì, ha ragione. Non la trattengo ulteriormente.”
Wonka mi accompagnò all’uscita e io gli strinsi la mano – meglio evitare bacietti di ogni tipo viste le sue strambe reazioni –.
“Penso che verrò domani più o meno alla stessa ora di oggi. Le va bene?” chiesi.
“Affatto.”
Dopodiché con un sorriso ci congedammo definitivamente e io me ne tornai alla mia auto.


***


Mi ritrovai dopo qualche secondo a fissare imbambolato la porta dalla quale Julia era uscita poco prima, come se mi si fosse spento momentaneamente il cervello.
Quando alla fine mi ripresi tornai nel giardino, solo che, mentre ero assorto nei miei pensieri, cominciai a sentire come una musica lontana, che si avvicinava sempre di più.
Mi guardai intorno e vidi tanti piccoli Umpa Lumpa che si disponevano in cerchio attorno a me cominciando ad intonare una canzoncina…

Qualcosa di nuovo accadrà
e Willy poi lo capirà.
Lui si sente una cosa strana
e quindi pensa che sia malsana.

Willy ascolta tutti noi,
perché siamo amici tuoi:
se da questa sensazione
ti lascerai trasportar,
una nuova emozione
riuscirai a provar.

Noi te lo diciamo,
perché a questo c’è un perché;
se ci sarai ascolto
sarai felice come un re!

Quindi noi ti ripetiamo
che questa tua opportunità
ti porterà felicità
e non devi fartela scappar!

Poi ti sentirai più lieve!
Più allegro! Più leggero!
Oh, insomma… a farla breve,
ti stai per innamora…


“Stop!!” Gridai interrompendo quella che stava diventando una canzone del tutto assurda.
Gli Umpa Lumpa, zitti come non mai, mi guardarono sghignazzando e sorridendosi l’un l’altro con una smorfia di chi la sa lunga stampata sulla faccia.
Nonostante però l’irritazione che mi stava salendo sempre più in alto, strinsi i pugni e cercando di ignorarli girai i tacchi andandomene verso l’ascensore.
Mentre camminavo allontanandomi dai miei operai mi misi inevitabilmente a pensare:
“Come osano supporre una simile…baggianata! Ma non mi conoscono abbastanza per sapere che non potrebbe mai accadere che io mi…mi…bah! Lasciamo perdere che è meglio!”
E così, arrivato alle porte dell’ascensore di cristallo, premetti un pulsante e quelle si aprirono con il loro solito suono.

 

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Capitolo 12
*** Senza parole ***


Elly_93: Ah, che bello, per una volta niente minacce...*tira sorpiro di sollievo* XD XD Comunque hai proprio ragione: se non ci fossero gli Umpa-Lumpa questo mondo andrebbe decisamente a rotoli XD XD Un bacione mon amour! Spero ti piaccia anche quest'altro capitolo!!

 

Senza parole

Ah, che bella giornata! Ma quanto stavo bene quel giorno! Con lavoro per Wonka stavo a un buonissimo punto, mentre con Alex…beh, ci avrei pensato in quello stesso istante, perché sarei subito andata da lui per raccontargli del ripreso lavoro con Wonka. Appena uscita dalla fabbrica, infatti, mi diressi immantinente in ufficio, e quando arrivai corsi come mio solito verso la porta che conduceva al mio carissimo Alex. Questa volta, però, la porta era aperta, e io entrai nella stanza senza farmi troppi scrupoli: era vuota. Alex non c’era, e appena entrata non l’avevo visto, quindi era possibile che quel giorno non fosse venuto a lavorare per niente.
“Alex non c’è.” Disse una voce ripetendo dietro di me ciò che avevo appena finito di pensare.
Mi voltai e mi trovai di fronte il mio amico pel di carota: George.
“Come?” chiesi.
“Cercavi Alex, no?”
“Beh…sì.”
“Se ti interessa saperlo…e credo infatti che ti interessi data la tua…come si può definire…eccessiva attenzione nei suoi confronti…”
“Stringi George, ho afferrato.”
“Ti farà piacere sapere che è uscito praticamente 5 minuti fa, quindi se esci subito potresti anche riuscire a beccarlo.”
Mi si riaccese la speranza di vederlo per quel giorno e mi fiondai di sotto seduta stante dopo aver mormorato un fugace graziegraziegrazie in direzione di George. Scesi le scale di corsa e ben presto mi ritrovai sul marciapiede; mi guardai intorno, ma di Alex non ce n’era l’ombra. Iniziai allora a percorrere il marciapiede, sperando che se ne fosse andato a piedi e non con la macchina…
Alla fine vidi una figura familiare che guardava nella vetrina di un negozio e in quella figura riconobbi il mio Alex! Gli andai incontro, e quando mi vide mi sorrise.
“Ciao!” gli dissi.
“Ciao! Non ti ho vista oggi…credevo che non saresti venuta…”
“E invece eccomi qua! Sai…ti devo dare una bellissima notizia!”
“Ah sì?”
Aprii la bocca per dirgli che le cose con Wonka si erano definitivamente risolte, quando però le porte del negozio davanti al quale mi trovavo si aprirono, e udii una voce che mi fece raggelare il sangue nelle vene.
“Guarda che bella maglietta che ho trovato!” disse Stacy ad Alex non appena uscì dal negozio.
Stacy…la mia migliore amica…che ci faceva lì? Perché era con Alex? Perché gli dava del tu? E poi…stavano per caso facendo shopping insieme? Che storia era mai quella? Era sempre stata amica sua? Non penso…e se invece lo era perché non me lo aveva detto? Non sapeva che Alex mi piaceva? Se fossero stati amici avrebbe potuto presentarmelo una miriade di tempo addietro! Era ovvio, quindi, che aveva voluto tenermi nascosto questo fatto di propria iniziativa!
Questi e altri pensieri e domande mi invadevano la mente in quei 5 secondi in cui avevo realizzato che quella accanto ad Alex, l’uomo che mi piaceva da morire da più di un anno, era Stacy, la mia migliore amica…o almeno lo era fino a quel momento. Eh, già…sembra una frase drastica ma in quel momento mi stavo veramente alterando, e così, senza pensare, presi Stacy per un braccio e la trascinai via da Alex, portandola poco più in là, in modo che stessimo relativamente da sole.
“che cosa ci fai qui?” le chiesi subito.
“Beh…mi diverto.” Rispose.
“Con Alex?”
“Ehm…sì.”
“E non mi hai detto niente? Perché?”
“beh, perché so che a te Alex piace e allora…”
“Allora?”
“Non volevo che ci rimassi male!”
“E sentiamo…da cosa deduci che ci sia rimasta male?” mentii “Io non ho detto niente in proposito.”
“Oh, insomma! Stiamo uscendo insieme, lo capisci?”
Mi rollò il mondo addosso: lei, Stacy, a cui avevo rivelato tutti i miei pensieri su Alex, m colpiva in questo modo assurdo alle spalle! Bell’amica che mi ero trovata!
“Ecco perché dicevi che con Alex non mi ci vedevi, che secondo dovevo fidanzarmi con Wonka!” dissi allora “Non era perché eri in vena di battute! Ma perché Alex in realtà piaceva a te!”
“Oh, senti…Alex ha scelto me, ok? Fattene una ragione!”
“Guarda che Alex è uscito anche con me, cosa credi?”
“Con te era una stupida cena di lavoro!”
“Quella era solo una scusa!”
“No che non lo era! Se avesse voluto uscire con te, te lo avrebbe detto chiaro e tondo, come ha fatto con me! Quindi mettiti l’anima in pace una buona volta!”
“Ti…ti ha fatto lui la proposta? Non tu?” chiesi aggrappandomi a quest’ultima speranza.
“No! Mentre tu te ne stavi a casa a lavarti i capelli e a crogiolarti sul divano, lui a lavoro mi ha chiesto di uscire!”
“Io…pensavo di piacergli…” dissi più a me stessa che alla tipa che mi stava di fronte.
“Solo sogni.” Mi disse freddamente lei.
“Siete due stronzi. Tutti e due.”
Stacy fece una faccia indispettita, ma non me curai minimamente: non mi sarei rimangiata le mie parole. In quel momento una voce dietro di me mi fece sobbalzare:
“Tutto a posto?”
Io e Stacy ci voltammo e trovammo Alex con un’espressione lievemente preoccupata.
“Sì, va tutto a posto.” Disse Stacy, e mi guardò.
“Oh certo…tutto assolutamente, completamente apposto.”
Sentii le lacrime salirmi agli occhi, e allora conclusi in fretta quello che avevo da dire:
“Comunque Wonka è venuto da me e si è scusato per il malinteso.”
“Davvero? Stupendo!” fece Alex.
“Sì…adesso però devo andare. Ci si vede.”
Mi voltai e iniziai a camminare piuttosto velocemente, mentre quando girai l’angolo in modo che quei due non mi vedessero, inizia a correre senza meta e con le guance rigate di lacrime.
Possibile che quella giornata si fosse trasformata in un qualcosa di terribile? Avevo perso la mia migliore amica, l’uomo che mi piaceva era uno che gli importava di me molto relativamente…la mia vita era predestinata ad essere orribile?
Girai l’angolo sempre correndo e poco ci mancò che finissi a sbattere contro un bambino; mi fermai appena in tempo, e guardandolo in viso mi resi conto che quello che mi stava di fronte era Charlie. Subito mi asciugai le lacrime con una manica, per non far vedere che stavo piangendo.
“Oh, ciao Charlie.” Dissi “Come stai?”
“Bene. Oggi sono uscito prima da scuola e stavo andando a casa. Ma…lei, invece? Sta bene?”
“Oh sì, nessun problema.” Lui mi guardò diffidente. “Sto bene…davvero.”
“Ok…” disse poco convinto. “Quando verrà alla fabbrica di nuovo?”
“Io…non lo so…c’è stato qualche problema e non so se tornerò…o almeno se tornerò presto.”
“Ah…beh, allora arrivederci a quando si saranno risolti quei problemi!”
E detto questo Charlie disse ne andò. A chi volevo darla a bere…persino Charlie aveva capito che quei problemi di cui parlavo erano la causa del mio stato pietoso. E in effetti, per quanto mi riguardava, il lavoro dei cartelloni pubblicitari era in stop: non sapevo neanche se nei prossimi giorni avrei avuto il coraggio di andare a lavorare! A proposito dell’ufficio però…avevo ancora una persona che potevo considerare amica.
E così mi decisi e tornai a lavoro. Appena arrivata molti colleghi mi guardarono, incuriositi evidentemente dalla condizione dei miei occhi e dei capelli stravolti. Vidi George seduto alla sua scrivania e mi diressi verso di lui; quando si accorse di me mi guardò preoccupato e mi disse:
“Tutto bene? Perché quegli occhi rossi?”
“Po…possiamo parlare un secondo?”
George annuì e quindi andammo nello studio di Alex…tanto al momento lui era occupato con un’altra certa persona.
“è successo qualcosa?” mi chiese.
“Sì.”
Gli raccontai di quello che avevo scoperto, che Alex e Stacy si vedevano da non so quanto tempo e di come quest’ultima mi avesse pugnalata alle spalle.
“…bell’amica che mi ero trovata!” dicevo “E io che credevo persino di piacere a lui!mi avevi detto che era così! A cena gli ho fatto così schifo che si è disinteressato a me di colpo?”
George rimase un momento in silenzio, con un dito sul mento e la testa leggermente inclinata da una parte.
“Julia…posso capire che sia stato un brutto colpo, però…insomma, devi pure capirli.”
“Capirli?! Chi dovrei capire? Quei due deficienti?! E sentiamo…perché dovrei?”
“In fondo a Stacy Alex piaceva, non potevi costringerla a non seguire quello che desidera.”
Eh?!
“Ma manco me l’ha detto! Come potevo costringerla se non lo sapevo!”
“Non lo so…forse si sentiva oppressa e non ha avuto il coraggio di parlarti.”
“però il coraggio di uscire con lui ce l’ha avuto, eh? E mi ha lasciato sognare sapendo che il mio era un sogno impossibile! Cos’è, si divertiva a vedermi inseguire una falsa speranza? La speranza di piacere ad Alex? Tu avevi detto che in fondo era così!”
“Sì sì, lo so! Però non chiedermi di entrare nella sua testa! Potrebbe semplicemente…aver cambiato idea! In fondo il suo era un giudizio puramente fisico, non puoi biasimarlo.”
“quindi adesso la colpa sarebbe mia perché non sono riuscita a capirli? Senti…se devo stare qui a sentirmi dire che quei due c’hanno ragione quando invece ero venuta per cercare conforto allora faccio prima ad andarmene.”
E detto questa, senza aggiungere altro, me ne andai.
“Aspetta!” mi disse George da dietro, ma non lo ascoltai e uscii da lì sbattendo la porta.
E così mi trovavo da sola. Miseramente da sola, senza un vero amico su cui contare, senza qualcuno che tenesse a me e con il quale potermi sfogare.
Iniziai a camminare nella fredda aria invernale, con la testa appesantita dalle emozioni provate nell’ultima ora.
“Che schifo di situazione…”pensai.
In un secondo era crollato tutto il mio mondo con tutte le mie certezze e i miei sogni. Quanto avrei voluto che quello fosse stato solo un brutto incubo.
Mentre pensavo incurante di quello che mi succedesse intorno su quel marciapiede, però, sentii una mano poggiarsi sulla mia spalla.
“Ehi.” Disse qualcuno dietro di me.
Mi voltai.

Il sorriso di Wonka mi apparve davanti agli occhi, allegro e luminoso come al solito, ma gli occhi, no, quelli erano diversi: le palpebre erano leggermente abbassate e non aperte come se lui si trovasse sempre in perenne stupore; e anche la luce che c’era in loro…sembrava che in quel momento la sua mente fosse rivolta solo a me, e non a mille faccende, come era di solito.
“Salve.” Mi disse.
“Salve.” Risposi un po’ basita di trovarmelo davanti.
“Ecco, io volevo sapere…beh…sta bene?”
Ecco…ora voi ditemi con faceva Wonka a sapere che ero incavolata nera!
“Charlie mi ha detto che l’ha vista piuttosto stravolta.” Aggiunse il cioccolatiere.
Ah…oh beh, problema risolto.
“Sì.” Risposi “beh…più o meno almeno…ma guardi, sono dei problemi miei, e anche se è stato molto gentile, insomma, non voglio…”
“Oh, ma per me non è un disturbo.” Fece interrompendomi di netto “se posso aiutarla in qualche modo a me fa piacere.” Concluse sorridendo.
Che dovevo fare? Fidarmi di Wonka e raccontargli i fatti miei? In fondo era un mezzo sconosciuto! Lo frequentavo solo per lavoro!
A pensarci bene, però…con chi potevo sfogarmi se non con lui? Chi è che mi ha offerto il suo aiuto in un momento incasinato?
“Però…io…” tentai di dire.
“Avanti, venga con me.” Disse Wonka interrompendomi e mettendomi un mano dietro la schiena per spingermi dove voleva lui “Dopo una bella chiacchierata passa tutto.”
Che faceva, mi parlava come se fossi stata una bambina?
Beh…sapete cosa ne pensai quando si rivolse a me in quel modo?
“ ‘sti cavoli…”
E lo seguii.
Giunti alla fabbrica tra di noi c’era ancora il silenzio, non teso come se mi trovassi in imbarazzo, era un silenzio che mi faceva quasi tranquillizzare, come se solo la presenza di Wonka mi facesse star meglio.
“Chissà Willy che sta pensando.” Mi dissi “Oddio l’ho chiamato per nome! Ma certo che…Willy…pare il nome di un canarino!”
E risi tra me e me.
“Si sente già meglio?” mi chiese Wonka all’improvviso.
Mi girai verso di lui e vidi che mi stava osservando…mi avrà sicuramente fatto quella domanda perché aveva visto che stava sorridendo.
“U-un tantino.” Risposi.
Entrammo nella sala dal tappeto rosso, e stavolta Wonka mi condusse a destra, verso un’altra stanza in cui non ero mai stata. La stanza era aperta e Wonka mi ci spinse dentro: c’era un camino acceso, e il fuoco scoppiettava mandando bagliori rossastri; a terra c’era un tappeto che ricopriva gran parte del pavimento e che si trovava esattamente sotto due poltrone, una verde e una gialla…erano dei colori davvero accesi, che in qualche modo contrastavano con il resto della stanza. Alle pareti c’erano appesi tanti lumini e quadri, che davano un senso di familiarità e anche di aria vissuta a quel luogo che iniziava veramente a piacermi.
Mi sedetti sulla poltrona gialla, mentre Wonka rimase un attimo in piedi e si tolse giacca e cappello, dopodiché anche lui si sedette sulla poltrona rimanente. Non era vestito di viola…non ci avevo fatto caso, perché portava sempre lo stesso cappotto, mentre ora che se lo era tolto potevo vedere che aveva addosso un completo grigio, con delle decorazioni nere…se si fosse messo davanti al cielo si sarebbe mimetizzato all’istante.
“Allora…” disse lui “Vogliamo…non lo so…mi vuole dire qualcosa?”
Non sapevo se considerarlo un interrogatorio o una seduta dallo psicologo…però in qualche modo mi piaceva.
“Beh,” feci io “non so se dovrei assillarla con i miei problemi…”
”no no, faccia pure…”
”beh, in questo caso…” cominciai “vorrei davvero dirle quanta ignoranza e stupidità c’è nel mondo.”
”Ah sì?”
”Certo che sì! E’ sempre in agguato, pronta alle spalle della gente…prenda me…”
”Lei non mi pare stupida…” disse Wonka.
“No, non io! Le persone che mi stanno intorno…”
”Mi sta dando dello stupido?” fece Wonka interrompendomi, e io vedendo che faccia aveva fatto mi misi a ridere dicendo:
”Macchè! Si figuri! Intendo altre persone che sono veramente stupide, cafone, ignoranti, bugiarde, ipocrite, doppiogiochiste e traditrici!”
”Ah, beh…una cosa da nulla, no?” fece sorridendo.
“Come no! Vuole sapere che è successo?”
”Sono qui apposta…”
”Vede…” dissi “a me piaceva una persona…”
Il volto di Wonka acquistò un po’ di colorito…
“…solo che ho scoperto oggi, che a questa persona io non piaccio per niente, anzi! Se ne va a zonzo tranquillamente con la mia migliore amica…anzi, ex migliore amica, nonostante lei sapesse che a me lui piaceva!”
”E quindi…”
”Come quindi? Lei mi ha praticamente pugnalato alle spalle, e quando io sono andata da un mio amico per farmi tirare su lui ha dato ragione a loro due! Da non crederci!”
”Pazzesco.”
Calò per un secondo il silenzio, dopo il quale Wonka si alzò ed andò ad un tavolino, prendendo una tazza enorme e versandoci dentro un liquido scuro che stava in un pentolino poggiato lì vicino. Quando ebbe finito tornò da me e mi offrì quella tazza con il suo contenuto.
“Cos’è?” chiesi
“Cioccolata calda, buonissima, le farà bene…credo.”
”Ai brufoli sicuramente.”
Lui si mise a ridere, e poi disse:
”Sa, la cioccolata potrebbe tirarla su di morale, infatti ha la proprietà di scatenare il rilascio di endorfine…”
”Le famose endorfine dunque!”
”Già.”
”E cosa fanno?”
”Beh…danno la sensazione di essere innamorati.”
Endorfine…innamoramento…appena pensai a queste due cose mi venne in mente Alex.
“Mi spiace, ma non mi va.” Dissi allora.
“Non le va?”
“Hm hm…me lo ricordano troppo.”
”Ah…però lei potrebbe comunque concentrarsi sulla sensazione di piacere, lasciando da parte…le altre cose. È una sensazione piacevole, a me capita spesso.”
Ah davvero??
Wonka evidentemente si rese conto di quello che aveva appena detto e fece:
”…a causa delle endorfine prodotte dalla cioccolata ovvio!”
”certo! E chi pensava niente!”
Ci sorridemmo a vicenda, anche se subito dopo l' espressione di Wonka si fece molto pensierosa...
“Continuerà col lavoro? Charlie mi aveva detto che ci stava ripensando…” disse Wonka ad un certo punto.
“Beh…”
Alla fine però pensai…chi ero io per farmi trattare in quel modo indegno da Stacy? Se non mi fossi più presentata in ufficio gliel’avrei data vinta, avrei fatto vedere che ero io la perdente, che non avevo neanche il coraggio di guardarla in faccia! Ma io non avrei fatto così, sarei andata lì e avrei mostrato a tutti, a Stacy, ad Alex e a George quanto valevo, e che nessuno poteva mettermi i piedi in testa!
”…penso che continuerò molto presto.” Feci finendo la frase.
Il volto di Wonka divenne raggiante come non l’avevo mai visto e questo mi insospettì alquanto, ma non gli diedi troppo peso…
Fatto sta comunque che la nostra breve serata insieme finì molto presto, e tra i sorrisi strani di Wonka che mi ritrovavo davanti, me ne tornai a casa.

 

Grazie a tutti voi, care lettrici!! Vi stringo calorosamente la mano!!! XD XD XD

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Capitolo 13
*** Soqquadro ***


Baby_Barby: hai proprio ragione...Willy caro ha capito cosa prova =) Ma mancano ancora un pò di capitoli, prima che i due si...dichiarino, diciamo così! Sono contenta che ti sia piaciuto il capitolo, comunque! Un baciooooooooo

Elly_93: muahahahahahaha* risata mega diabolica*...vabbè il fatto che sono crudele dentro ormai l'abbiamo appurato! XD XD XD Mi viene spontaneo far succedere disgrazie XD XD Ma a quanto pare ciò risquote successo, perciò... u.ù un bacio, mon amour!!!!!!!

 

Soqquadro

Tornai a casa abbastanza serena: quella chiacchierata con Wonka, sebbene corta e poco approfondita, mi aveva fatto bene. Era come se dentro mi sentissi più leggera, senza quel grosso peso che era stao la mia delusione. E poi Wonka mi era sembrato così tenero! Lo vedevo un po’ impacciato…penso che di problemi sentimentali non li avesse, infatti quando parlando delle endorfine io avevo capito che lui era una specie di Don Giovanni, beh…come si era vergognato!
Mentre rincasavo pensai a come il mio giudizio su di lui fosse cambiato più e più volte, e adesso persino la sua eccentrica stravaganza non mi sembrava tanto strana più di tanto… mi ci ero quasi abituata e poi Wonka non riuscirei a immaginarmelo come un serio uomo d’affari, i panni che vestiva, con le loro sfumature viola, erano fatti apposta per lui.
Aprii la porta di casa e dopo aver gettato il cappotto su una sedia, mi levai le scarpe sprofondando poi sul divano.
La mattina successiva mi svegliai di buon ora, preparandomi come al solito per andare in ufficio, anche se forse mi resi leggermente più sexy di quanto fossi normalmente, per far vedere ad Alex che bocconcino si era lasciato sfuggire, e di conseguenza per farlo rosicare…una sorta di piccola vendetta. Naturalmente c’era anche un altro motivo, ovvero dimostrare a Stacy che anche io quando voglio so sedurre qualcuno…e che quindi ero in gara. Per farla breve indossai un paio di jeans a pinocchietto, stivali neri col tacco e una maglietta bianca scollata, con i volants i perfetto stile ottocentesco. Mi guardai allo specchio e mi dissi che non ero niente male, pregustandomi le facce delle miei povere vittime. Andai allora a prendere la borse, e passando davanti all’orologio mi resi conto che ero in mostruoso ritardo! Corsi più veloce che potei verso la porta, e afferrando al volo il cappotto la aprii.
Non vi sto neanche a dire il colpo che mi presi…appena aperta la porta chi mi trovai a un palmo dal mio naso?! Quanto mi irritava quando faceva così!
“Che cosa ci fa lei qui?!” esclamai quasi urlando.
“Io…è successo…le invenzioni…” balbetto Wonka con un fiatone tremendo, così, prima che mi svenisse davanti, lo feci entrare.
“Stavo uscendo di corsa” dissi “ma tanto ormai sono in ritardo, quindi…”
“Sì, lo vedo…” fece Wonka guardando il cappotto che ancora tenevo in mano, solo che poi, beh, i suoi occhi passarono alla mia maglietta, ai pantaloni attillati, poi di nuovo alla maglietta e alla scollatura, sulla quale si soffermarono.
“Signor Wonka?” dissi scuotendo il cioccolatiere dai suoi pensieri – non oso immaginare quali fossero –. Lui allora mi guardò in faccia e arrossì visibilmente.
“N-non è che avrebbe…un…un…”
“un?” chiesi incalzandolo.
“…bicchiere d’acqua?”
Lo guardai e forse un po’ gelida risposi:
“Glielo vado a prendere.”
uscii dal salotto e mi diressi in cucina; presi un bicchiere e una bottiglia, e mentre versavo l’acqua mi ritrovai a sorridere per la figuraccia che aveva fatto Wonka.
“Chissà se Alex avrebbe la stessa reazione…” pensai.
Tornai nel salotto e trovai Wonka seduto sulla poltrona intento a guardarsi i guanti viola – per me se li levava solo per dormire –.
“Ecco signor Wonka.” Dissi porgendogli il bicchiere.
“Grazie.” Fece lui, e si mise a bere, mentre io mi sedetti sul divano.
“Allora…” dissi quando Wonka ebbe finito “posso sapere qual è il motivo della sua visita?”
“Dunque…” iniziò lui mentre poggiava il bicchiere sul tavolino che c’era vicino alla poltrona “stamattina mi sono svegliato come mio solito, no? Alle 8 in piedi, mi sono vestito eccetera eccetera e sono sceso di sotto, nella camera delle invenzioni perché volevo controllare se finalmente una cosa aveva finito di cuocere, sa l’ho lasciata sul fuoco tutta la notte, se non si era cotta non sapevo che altro fare! Tutte le ho provate, ma niente! Quella roba è ostinata, non si cuoce, rimane fredda come il ghiaccio…”
“E che cos’era?” chiesi
“Ah non lo so…io prima metto un po’ di ingredienti insieme e poi vedo che viene fuori…”
Vaaaaabbè….
“E…continui.” Dissi
“Sì, allora…” fece “Scendo nella stanza delle invenzioni, apro la porta e a momenti perdo il fiato per quello che ci trovo dentro: tutto, e sottolineo tutto in uno stato confusionale che non si può neanche descrivere! Carte per aria, tavoli rovesciati, bottiglie frantumate, liquidi a terra, fili penzolanti…un macello!”
“Uhm…crede sia stato un ladro?”
“Non lo so…è quasi impossibile entrare nella fabbrica se io non apro la porta, e a meno che io non sia sonnambulo non mi ricordo di aver fatto entrare nessuno.”
Povero Willy Wonka! Se io mi svegliassi la mattina trovando la casa in quello stato mi sarebbe preso un accidente!
“io però,” continuò lui “non ho toccato niente, sono uscito e mi sono precipitato qui.”
“A piedi?!”
“Mh mh…infatti appena arrivato mi sentivo come se mi stesse scoppiando la milza…”
Mi misi a ridere. Poi però mi venne in mente una cosa: io che caspita c’entravo? Non era che magari…ancora quella stupida storia?!
“Senta…” cominciai “ma perché è dovuto venire qui? Insomma…non sospetterà mica di me, vero? Credevo che questa storia fosse completamente chiusa a doppia mandata!”
“Come?!” disse Wonka ad occhi sgranati, allibito “Ma che le viene in mente? Non ci ho pensato neanche per due secondi.”
“Oh…” arrosii per la figuraccia che c’aveva fatto…adesso eravamo 1 pari.
“Allora perché è venuto da me?” chiesi incuriosita.
“Ehm…beh,” fece guardandosi le mani “volevo chiederle se le andava di aiutarmi a mettere a posto…”
Ah…diaciamolo, questo qua mi sa che non sa che pure io c’avevo le mie cose da fare! Già per quel giorno in ufficio mi sarei dovuta sorbire una ramanzina…e se andavo con Wonka me la sarei dovuta sorbire doppiamente dura! No grazie…
Stavo appunto per dirgli che avrei declinato il suo allettante invito, quando Wonka mi guardò dritto negli occhi…non so descrivere quanto mi parvero strani, diversi soprattutto: nonostante il colore violetto sembravano davvero profondi. Non seppi dirgli di no.

***


Accettò dopo pochi secondi, e mi propose di prendere la sua macchina per andare alla fabbrica, per non dovercela fare tutta a piedi. Uscimmo di casa, quindi, e ci dirigemmo verso la mia adorata dimora.
Mentre stavo seduto sul sedile anteriore e guardavo fuori dal finestrino mi venne in mente quanto fosse stato stupido e poco originale il mio invito: sistemare un’enorme stanza totalmente a soqquadro! Ma non mi potevo inventare nient’altro? Se l’avessero proposta a me questa cosa mi sarei inventato qualche scusa, perché se fossi stato al posto di Julia non mi sarei neanche sognato di passare la mattinata a faticare per una cosa che comunque non mi riguardava minimamente. Eppure aveva accettato, quindi…boh! Eppure un motivo ci doveva essere.
“Semplice cortesia, no?” mi disse il mio cervello.
Certo…semplice cortesia…eppure…eh…mi sa che lavoro troppo di fantasia...mi metto in standby che faccio prima, và!
Arrivammo davanti ai cancelli, e appena sceso dall’auto già l’odore di cioccolato mi pervadeva: gli Umpa Lumpa si erano già messi al lavoro. Tirai fuori le mie chiavi e aprii i cancelli, dopodiché entrammo e ci dirigemmo subito alla stanza delle invenzioni. Anche lì aprii la porta e quando mostrai a Julia il suo contenuto lei fece una faccia molto, ma molto sgomenta, e non aveva tutti i torti: i pavimento non si riusciva a vedere per tutte le carte che c’erano, la vasca con l’acqua che serviva a produrre i confetti era stata rovesciata, i tavoli erano stati capovolti con tutto quello che c’era poggiato sopra, l’esperimento che tenevo sul fuoco, manco a dirlo, e a terra tutto impastocchiato, e poi ancora ancora, disordine da tutte le parti.
“Mamma mia…” commentò Julia.
“Gliel’avevo detto che la situazione era critica.” Dissi io.
“E lei non si è accorto per niente che qui stava avvenendo questo?” chiese.
In effetti c’aveva pure ragione…
“Ehm…io dormo a vari piani di distanza, e dubito che chiunque possa accorgersi di cosa avviene qua sotto…e poi la camera è pure insonorizzata.”
“Ah sì?”
“Eh già…non può immaginare quante…ehm…esplosioni ci sono state qua dentro…” rabbrividii al ricordo “ho dovuto insonorizzarla per forza.”
“Capisco…” fece lei “beh, che ne dice se iniziamo subito?”
E detto fatto ci rimboccammo le maniche e prendemmo gli spazzoloni.
Appena cominciato, poi, vedemmo le ombre degli Umpa Lumpa che si stagliavano contro la porta. Immaginai che fossero venuti per aiutarci, invece, tzè! Si misero a cantare:

Tic Toc, Tic Tac
Il tempo passava nel suo solito tran tran,
poi però è successo un macello
e il tran tran se n’è andato dal cancello!


Avanti, su! Mettetevi al lavoro!
Non fate le cozze!
se unite le forze
il risultato sarà un capolavoro.


Chissà cos’è successo!
non ci capita spesso
Di trovare ‘sto macello:
è peggio di un bordello!


“Ehi!” feci richiamandoli. Ma che razza di parole usavano?

Pulisci qui, rassetta là,
la fabbrica di nuovo splendente sarà!
Avanti, forza, non disperate…


“Ma intanto voi mica aiutate!” fece Julia in rima. Ahah!

Devi sapere, carissima Julia,
che questa è un’occasione davvero speciale,
perché se avviene ciò che osiamo sperare,
il mondo finalmente dirà alleluja!


“Oddio…vi prego non ve ne uscite come l’altra volta…” pensai.
“Perché che sperate?” chiese Julia agli Umpa Lumpa, ma quelli non le risposero, e così lei di girò verso di me con aria interrogativa, e io di tutta risposta arrossii…mannaggia a me!

Rassetta lì, pulisci qua,
la stanza di nuovo perfetta sarà!


La canzone finì e Julia per fortuna non fece domande.
Dopo qualche ora finimmo veramente di fare ordine: certo, non era tutto lindo e luccicante come prima, ma poteva andare.
Come ultima cosa misi a posto le buste che contenevano le mie invenzioni: le controllai, me le rigirai tra le mani per vedere se andava tutto bene, le contai…e con mio grande spavento mi accorsi che c’era qualcosa che non andava…c’era qualcosa che non andava affatto.
“Che succede?” mi chiese Julia vedendo la mia faccia preoccupata.
“E’ sparita la busta della WONKAVITE.”

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Capitolo 14
*** Una piccola...insignificante...minuscola...bugia. ***


Elly_93: ahahahahaha tu sei tutta matta, lasciatelo dire! XD XD XD Adesso pure Wonka è diventato uno zozzone? Ahahahahaha ma in fondoè un pò (ma solo un pochino) colpa mia, se lo è...e dato che io sono perversa dentro....un'allusione a qualcosa ce la dovevo mettere per forza! Ahahahahahah intanto di lancio un bacio mon amour intriso solo di un minimo di affetto. Esatto un minimo. Problemi? Ciccia! XD XD

 

Una piccola…insignificante…minuscola…bugia.


“Sparita?!” chiesi preoccupata.
“Sì, sparita!” esclamò Wonka “come può non essere più qui?”
“Evidentemente era questa la cosa che cercava l’autore del disastro di prima.”
“Sì, ma chi è? Questo è il punto. E poi come ha fatto ad entrare? Che ne sapeva lui dell’esistenza della wonkavite?”
Stava andando in tilt, era ovvio. E sinceramente ne aveva tutte le ragioni: qualcuno era penetrato a casa sua cercando qualcosa di preciso!
“Una cosa alla volta.” Dissi “Chi era a conoscenza della sua invenzione?”
Ahah! Sembravo un detective!
“Nessuno lo sapeva!” mi rispose Wonka “Le pare che sono il tipo che sbandiera ai quattro venti i suoi segreti?”
“Ma magari ha dato qualche anticipazione su questa nuova caramella a un giornalista.”
“Perché avrei dovuto?”
Uffa! Possibile che non c’arrivasse?
“Per pubblicità, no?” dissi.
“Ah no!” fece lui con sicurezza.
“E perché?”
“N° 1: la wonkavite non è una caramella; n° 2: non penso che la metterò in vendita, ergo non ho fatto alcuna anticipazione, ergo questo qualcuno è, non si sa come, un tipo super informato.”
La conversione finì così, anche perché non sapevamo veramente che pesci pigliare. Uscii di lì dopo aver salutato Wonka e dopo che lui mi ebbe promesso che se gli fosse venuto qualcosa in mente mi avrebbe contattato. Devo dire che ero un po’ scombussolata a causa degli eventi appena successi…povero Willy, sembrava davvero scosso! Vabbè, grazie, certo che lo era! Gli avevano rubato un’invenzione!
Mentre pensavo a tutto ciò mi ritrovai davanti alla vetrina di un bar: ma dov’ero finita? Senza rendermene assolutamente conto avevo iniziato a camminare dimenticandomi che io non ero venuta a piedi!
“Cavoli, la macchina!” mi dissi “L’ho lasciata davanti alla fabbrica! Uff…”
Mi misi le mani in tasca e guardai nella vetrina del bar: cioccolatini e sacchetti di caffè fatti a mano attiravano la mia attenzione.
“Magari mi prendo un cappuccino.” Pensai, e così aprii la porta del locale.
L’aria calda del riscaldamento puntato a mille quasi mi soffocò, ma mi ci abitua subito, grazie anche alla familiarità dell’odore del caffè e del rumore dei cucchiaini che sbattevano sulle tazzine.
Andai allora al bancone e ordinai il mio cappuccino. Mentre aspettavo mi guardai intorno: i camerieri servivano in fretta i clienti, la cassa funzionava alla grande, i tavolini erano disposti in perfetta simmetria, a debita distanza gli uni dagli altri in modo che ognuno potesse godere della sua privacy. Fu proprio seduti ad uno di questi tavolini che li vidi: Alex e Stacy, seduti uno di fronte all’altra; intenti a sorridersi; intenti a sorseggiare i loro caffè; intenti a tenersi per mano.
Subito una forte rabbia mi pervase, e non potei non constatare che quella rabbia era soltanto un forte ed elevato stato di gelosia.
“Cosa?” pensai immediatamente “Gelosia? Bah! Io no sono gelosa…come m’è venuto in mente! Io sono…arrabbiata, ecco, perché non so neanche scegliermi le amicizie…mica sono gelosa.”
Guardai di nuovo verso il loro tavolino, verso le loro mani incrociate, e io abbassai lo sguardo…
Gelosia…no, non è vero…
Sì, che è vero.
No invece! Non sono gelosa di quella scema!
Allora perché ti arrabbi con loro?
Sono arrabbiata con me, no? Perché non so scegliere…
Non sai scegliere? Cosa non sai scegliere?
Le amicizie…
Oppure non è che sei arrabbiata perché non sei riuscita tu a fare la prima mossa?
Oh, ma per favore! E poi chi sei tu? Che ne sai di me?
Certo, hai ragione: che ne so io di te? Sono solo te stessa…
Dopo questa bella conversazione col mio cervello, comunque, i miei occhi saettarono di nuovo verso Alex e Stacy, e prendendomi un colpo vidi che lei mi stava guardando, con un sorriso strano, per giunta. Voltai lo sguardo, ma non servì a non farmi riconoscere.
Un cameriere sorridente mi pose un cappuccino davanti, e io iniziai meccanicamente a prendere una bustina di zucchero, solo che…
“Julia!” fece una voce femminile di fianco a me. Non mi ci volle molto a capire di chi si trattasse.
Mi girai.
“Come stai, Julia?” mi chiese Stacy insolitamente allegra. Era ovvio comunque che mi stava prendendo per il culo…
“Uh? Benone, benone.”
“Sono contenta, sai? Anch’io sto una meraviglia!”
Peccato.
“E come mai?” chiesi apatica.
“Io e Alex ci siamo messi insieme.”
Solo allora la guardai attentamente. Un sorriso beffardo le incurvava le labbra. Quanto avrei voluto mollarle un ceffone.
Sospirai: tanto in fondo lo sapevo che sarebbe finita così, con un lieto fidanzamento che mi sarebbe stato rinfacciato ogni volta che avrei incrociato gli occhi di quella bionda.
“Auguri.” Feci.
“Grazie,” disse Alex “sono contento che non ci sei rimasta male.”
Eh? Ma che ne sapeva lui? Vuoi vedere che Stacy gli aveva detto tutto punto per punto? Dannazione…
“Scusa, ma non capisco.” Mentii.
“George mi ha parlato di te, di quello che vi siete detti un po’ di tempo fa.”
Ah bene! George! Altro che Stacy! George, George, George!
Ma in fondo di che mi meravigliavo? Aveva difeso loro due, quell’imbecille! Comunque allora a quel punto potevo pure buttarmi dalla finestra, dato che persino Alex sapeva che lui mi era piaciuto…e che forse mi piaceva ancora.
“In fondo” disse Stacy “prima o poi anche tu troverai la tua anima gemella, non disperare.”
Me l’hai portata via tu, ipocrita!
“Sì dai…” fece Alex “Anche se devo ammettere che io sono il massimo. Però complimenti per il buon gusto.” E mi fece l’occhiolino.
Ok…era impazzito del tutto. Troppa modestia, forse?
“Sì,” disse Stacy ad Alex “dovevi vedere gli occhi a cuoricino che le venivano ogni volta!” e poi di nuovo a me “Comunque allora tranquilla: come ho già detto troverai qualcuno adatto a te.” E mi guardò come per dire sempre che esista qualcuno che possa sopportarti…
Sinceramente…adesso…basta! Mi stavo veramente alterando, anche se non lo davo molto a vedere: ma chi era lei per giudicarmi in quel modo?! E così…presa dal desiderio di fargliela vedere…sparai la prima cosa che mi venne in mente:
“Ma guardate che io mi sono fidanzata.”
La loro faccia sorpresa me la ricorderò credo per tutta la vita.
“Sul serio?” fece Stacy.
“Eh già.” Risposi sorridente.
“Allora auguri anche a te!” disse Alex.
“E chi sarebbe il fortunato?” fece Stacy con diffidenza…che avesse già capito che era una bugia? Dovevo inventarmi qualcosa.
“Ecco, io mi sono fidanzata con…con…” e bisbigliai qualcosa di incomprensibile.
“Come?” chiese Alex.
“Con chi ti sei messa?” disse Stacy.
Senza neanche pensarci dissi il primo nome che mi venne in mente, ovvero…
“Willy.”
“Willy?” chiese Alex “Willy chi?”
“Oddio, ma non sarà mica Willy Wonka?!” esclamò Stacy sbalordita, e io…non resistetti:
“Sì, proprio Willy Wonka! Lavorando insieme ci siamo conosciuti meglio, e adesso siamo una coppia felice!”
Gli avrei fatto un bel tiè, ma non mi sembrava il caso. Come se non bastasse, comunque, Stacy fece di nuovo la diffidente:
“Bene allora. Visto che siete una coppietta tanto felice perché non venite insieme a noi a cena? Una bella uscita a quattro!”
“Sì, perché no?” disse Alex “Non è un’idea magnifica?”
“Così magnifica che non trovo le parole…” mormorai.
“Domani sera alle 8 a the black pearl?” chiese Stacy.
“Io…io…non so se Willy è impegnato…” Stacy alzò un sopracciglio “…ma credo che per le 8 si sia liberato!”
“Bene allora!” disse Alex “ci vediamo!”
E così se ne andarono, lasciandomi sola col mio cappuccino freddo.
In che razza di guaio mi ero cacciata! A dire che Wonka era il mio fidanzato! Oddio che cretina che ero stata…tutta colpa della collera che mi aveva annebbiato il cervello! Dovevo andare ad una cena a quattro! Come potevo farcela? Ma soprattutto…a Wonka chi glielo diceva?

La luce filtrò attraverso i buchi della serranda fino a raggiungere il mio viso e svegliandomi.
“No, oggi è sabato, voglio dormire.” Mormorai rivolta a quei raggi di sole come se fossero delle persone. Mi strinsi sotto le coperte e provai a riprendere sonno, cosa che d’altronde mi riusciva egregiamente. Stavo appunto addentrandomi in quello stato di torpore che di solito precede il mondo dei sogni, quando il telefono squillò.
“Accidentaccio, voglio dormire…” dissi lamentandomi, e ficcai la testa sotto il cuscino, ma il telefono non la smetteva, continuava imperterrito a suonare come un matto. Mi decisi allora a scendere definitivamente dal letto, e strascicando i piedi raggiunsi l’autore di quel maledetto trillo.
“Pronto!” ringhiai nella cornetta.
“Ehm…disturbo per caso?” mi chiese la voce di Wonka.
Appena sentii quel suono la cornetta quasi mi cadde di mano per la sorpresa.
“Scusi la domanda: ma lei come caspita fa ad avere il mio numero? Non mi pare di averglielo dato…”
“Ehm…ho chiamato al suo ufficio e ho chiesto se potevano…insomma…”
“Ok ok, ho capito, non si preoccupi.” E poi pensai: “ma i miei colleghi non sanno cos’è la privacy?!”
“Comunque,” riprese Wonka “l’avevo chiamata per dirle che ci sono novità riguardo il disastro di ieri.”
“Davvero? Di già?”
“Sì sì! Venga subito così le dico tutto.”
“Oh sì, tanto io non ho per niente sonno, vè?” pensai “in fondo sono sole le…le…” e poi nella cornetta esclamai: “Otto e mezza?!”
“Come scusi?” chiese Wonka.
“No…niente…arrivo signor Wonka.”
E misi giù il telefono.
Mi preparai allora per andare anche quel giorno alla fabbrica…ormai ci andavo quasi tutti i giorni! E grazie, Wonka per qualsiasi cosa cercava me! Con lui viveva tutta la famiglia Buckett e lui cercava me! E che diamine…per sistemare la stanza delle invenzioni, ad esempio, non poteva chiedere aiuto al padre di Charlie? Macché! Beh, per lo meno allora mi doveva un favore.
“Eh già…” pensai “ma niente di che, eh? Solo far finta di essere il mio fidanzato…”
Mamma mia, e dovevo persino chiederglielo il prima possibile! Che vergogna, che imbarazzo…
“Scusi signor Wonka,” dissi ad alta voce “vuole essere il mio fidanzato? Solo per una sera, però, non si preoccupi…”
Bah…sarebbe stato tanto se non mi avesse mandato a quel paese.
Comunque, tornando a noi, per quanto i miei sensi ancora mezzi addormentati me lo consentissero, mi preparai e uscii, e in un batter d’occhio fui alla fabbrica; suonai al campanello che si mimetizzava col muro e così Wonka mi aprì i cancelli.
Quando entrai all’interno dell’edificio Wonka mi si presentò davanti con una faccia più cadaverica del solito, con un muso che gli arrivava fino alle ginocchia.
“Eppure al telefono sembrava più che normale…” pensai.
“Signor Wonka, si sente bene?” gli chiesi subito.
“Abbastanza, grazie.”
“Non ha una bella cera…”
“Credo che se lei venisse con me,” fece con voce più acuta “scoprirebbe perché ho questa faccia.”
E poi con un gesto della mano mi fece cenno di seguirlo. Mi condusse al giardino, fino alla sbilenca casetta di legno, dove Wonka entrò senza bussare: evidentemente la famiglia Buckett sapeva che il cioccolatiere mi avrebbe portata da loro. Quando la porta venne aperta mi si presentò davanti una scena alquanto particolare: intorno al tavolo di legno c’erano seduti Charlie e Joe, e in mezzo a loro vi era un piccolo Umpa Lumpa con la testa piegata in avanti, che veniva consolato con delle pacche sulle spalle dalle persone che si trovavano ai suoi fianchi; da quanto ne potessi capire quel povero omino mi sembrava preoccupato, e molto anche. Comunque, stavo dicendo, quando tutti si accorsero della presenza mia e di Wonka, beh, la signora Buckett mi sorrise e prendendomi per un braccio mi catapultò su una sedia, vicino a Joe; Wonka si sedette tranquillamente accanto a Charlie, e anche i genitori di quest’ultimo presero posto, mentre i tre vecchietti rimanenti, semi-sdraiati nel loro enorme letto, drizzarono le orecchie.
“Ehm…allora…” iniziò a dire Wonka “siamo qui riuniti tutti insieme quest’oggi…”
“Cos’è un matrimonio?” fece George dal letto, e io trattenni una risatina.
“Oh e va bene!” disse Wonka “Stavo dicendo che ci troviamo qui perché Loris deve dirci qualcosa.”
“Loris?” chiesi.
“Eccola qui!” disse Charlie indicando l’Umpa Lumpa, e poi rivolto proprio a lei fece: “Avanti, cos’è che devi dirci?”
“Beh…” iniziò a dire Loris con una vocina acutissima, mentre io pensavo: “Meno male che io l’avevo scambiata per un maschio, eh?”
“…vi volevo parlare di un mio amico,” continuò Loris “di un altro Umpa Lumpa che lavora alla fabbrica.”
“E come si chiama?” chiese Joe.
“Boris.”
“Loris, Boris…mi pare che ci sia pure una Doris che lavora qui…” pensai “Oh beh…che fantasia per i nomi!”
“E cos’ha fatto questo Boris?” chiese il signor Buckett, e Loris rispose:
“E’ scomparso.”
“Scomparso?” esclamai e poi mi dissi: “Madò, ma qui sparisce tutto!”
Fu allora il turno della signora Buckett a fare una domanda:
“Ma in che senso è scomparso, scusa?”
“Ecco, io credo che se ne sia andato.” Rispose Loris.
“Ma perché mai un Umpa Lumpa vorrebbe lasciare la fabbrica?” chiese Josephine dal lettone dietro di noi.
“Io…non lo so di preciso…” fece Loris con un tremolio nella voce “un po’ di tempo fa mi aveva parlato di una specie…di una specie di offerta che gli aveva fatto qualcuno, ma non mi ha detto molto di più.” E poi finì dicendo: “ povero Boris, chissà dov’è ora!”
Si coprì gli occhi con le piccole manine, e Charlie allora le cinse le spalle con un braccio.
“Io…io sono sicuro che stia bene.” Disse Joe a Loris per tirarla su di morale.
Io invece distolsi gli occhi da Loris e guardai Wonka perché fino a quel momento se n’era stato zitto zitto, muto come un pesce…aveva lo sguardo fisso nel vuoto, completamente assente: a che stava pensando? Mentre lo stavo, appunto, guardando, Wonka ricambiò il mio sguardo e poi si alzò dicendo:
“Beh, speriamo che Boris torni a casa presto. Adesso però credo che dovresti tornare al lavoro, Loris: monte fondente non va avanti senza di te.”
“V-va bene signor Wonka.”
E detto fatto Loris si alzò e uscì dalla casetta. Inutile dire che appena l’Umpa Lumpa se ne andò tutti i membri della famiglia Buckett spararono ipotesi su ipotesi riguardo la presunta fuga di Boris…se ne erano persino usciti dicendo che forse sentiva la nostalgia di Umpalandia, cosa che venne subito smentita da un’amara risata di Wonka.
Comunque il tutto finì, a farla breve, con Wonka che camminava insieme a me attraverso il giardino: io ancora guardavo meravigliata l’erba verde acceso, i funghi giganti, le mele caramellate che pendevano dagli alberi di liquirizia…e il fiume di cioccolato, naturalmente. Wonka, vedendo che ero ancora ammaliata come una bambina da tutti ciò che ci circondava, sorrise tra sé e attaccò discorso:
“Che ne pensa di tutta questa situazione?”
“Io? Ah, non ne ho la più pallida idea. Però, se non sbaglio, al telefono lei aveva detto che c’erano novità riguardo il disastro di ieri.”
“E allora?”
“Allora io non vedo collegamenti tra Boris e quello che è successo.”
La faccia di Wonka si rabbuiò.
“Vede,” disse Wonka “si ricorda quando un po’ di tempo fa lei aveva trovato a terra la busta della wonkavite?”
“Sì.”
“E poi io le avevo detto che quella busta era a terra perché un Umpa Lumpa l’aveva persa?”
“Sì, mi ricordo!” esclamai “Quindi quell’Umpa Lumpa era Boris?”
“Proprio Boris, e io credo che in realtà lui quella busta non l’avesse semplicemente persa, ma che l’avesse voluta nascondere.”
“Nascondere? E perché mai avrebbe dovuto?”
“Eh, non lo so! Il punto è comunque che io ora penso che sia stato Boris a…a…”
“…a prendere la busta della wonkavite?”
“Esattamente.”
Povero Wonka…stava con gli occhi fissi a terra, e l’allegria che c’era sempre in lui sembrava quasi svanita. Tutta quella storia doveva essere stato un colpo terribile per lui: da quanto avevo capito la wonkavite era la sua invenzione più importante e da un giorno all’altro si ritrovava col sospetto che un Umpa Lumpa gli avesse…diciamo così…rubato la ricetta. Insomma, lui si fidava ciecamente di ogni suo operaio, anche perché loro gli erano sempre stati riconoscenti per averli sottratti alle angustie della loro foresta. E ora Wonka si ritrovava con un Umpa Lumpa che lo aveva raggirato così! Era davvero affranto…bisognava che ci fosse qualcuno a tirarlo un po’ su di morale…e allora mi venne l’idea:
“Senta, signor Wonka, lei adesso ha bisogno di distrarsi.”
“Come?”
“Se continua così ad arrovellarsi il cervello credo che finirà per impazzire, quindi, dato che lei l’altra volta è stato così gentile con me, io adesso ricambierò il favore.”
“E come?” chiese Wonka.
Io lo guardai: adesso era incuriosito, e così gli feci la mia proposta:
“Che ne dice di venire a cena insieme a me?”
Wonka mi guardò strano, e alla fine rispose:
“Ecco…io…”
Ok, lo sapevo, avrebbe detto di no…e io che mi illudevo! Uffa, era un periodo che non me ne andava bene una! Comunque Wonka continuò a parlare dicendo:
“A cena con lei, dice?”
Annuii.
“Ehm…a che ora?”
Aveva…aveva forse accettato? Oh mamma mia che bello! Certo adesso bisognava informarlo di un particolare alquanto rilevante, però…una cosa alla volta.
“Alle 8 a un ristorante che si chiama the black pearl. Lo conosce?”
“mi pare di esserci passato davanti qualche volta.”
“Perfetto!”
“A stasera!” mi disse sorridendo finalmente come suo solito.
Quindi, lui aveva accettato, era felice e contento, saremmo andati a cena insieme, e…come caspita facevo a dirglielo che doveva farmi da fidanzato?! Non ne avevo assolutamente il coraggio. Solo a pensarci mi veniva la tachicardia, ma ormai…avevo fatto trenta, potevo anche fare trentuno…e ‘sti cavoli se mi prendeva per pazza. Però, a pensarci bene, se mi avesse preso per pazza allora non avrebbe accettato, e se non avesse accettato allora io avrei fatto un bella figuraccia davanti ad Alex e a Stacy, dimostrandogli che ero così disperata da raccontar loro persino delle frottole assurde. Uhm…al massimo potevo dare buca a tutti quanti fingendo di avere l’influenza…bah, che scusa patetica.
Arrivando al punto, allora, mentre io mi facevo questi belli scervellamenti, senza accorgermene stavo fissando Wonka come se fossi inebetita, e quando tornai in me vidi che Wonka mi stava a sua volta guardando praticamente sconcertato. Iniziamo bene…
“Senta signor Wonka,” cominciai “io…le devo chiedere un favore.”
“Cioè?” domandò lui.
“Ecco, vede, è una cosa molto importante per me, la prego di pensarci, perché ad un primo approccio potrebbe sembrarle assurda, e in effetti lo è, però vorrei tanto che lei mi aiutasse, perché sennò non so veramente come fare e…”
“Ok, ok, ho capito!” disse Wonka sorridendo e interrompendo la mia parlantina.
“Allora…arrivo al dunque.” Feci un respiro profondo “Alla cena di stasera non è che potrebbe, ecco, far finta di essere…di essere…”
“…cosa?”
“Ilmiofidanzato?” lo dissi tutto insieme, quasi senza accorgermene, e appena ebbi pronunciato l’ultima parola chiusi gli occhi automaticamente per non vedere quella che sicuramente era la faccia sconvolta di Wonka. Dato che però da parte del mio interlocutore non proveniva alcun suono, piano piano aprii un occhio alla volta, come se avessi paura di ricevere un ceffone (beh, al massimo forse un schiaffo morale…). Quando vidi Wonka la sua espressione non era affatto sconvolta…era più che sconvolta.
“Ehm…non dice niente?” chiesi piano.
Lui aprì la bocca e mormorò:
“Dovrei essere il suo…cosa?”
“Ehm…ehm!” feci non sapendo che dire.
“Ma…ma perché?”
“Allora…diciamo che è una storia abbastanza lunga.”
“Oh, io ho un mucchio di tempo.”
Ahah! Ma che ridere…
“Vede…si ricorda di quei due tizi di cui le avevo raccontato quando lei mi ha portato qui parlandomi delle endorfine?”
“Sì, ebbene?”
“Ebbene, li ho incontrati per strada, e mi hanno preso in giro perché loro si erano fidanzati e io invece non avevo ancora trovato la persona giusta, e allora io alla fine ho perso le staffe e gli ho detto di essermi…di essermi …vabbè ha capito, e così allora loro hanno detto «ma perché allora non andiamo tutti quanti a cena insieme?» Io non sapevo che dire e patatrac ho fatto la frittata.”
Wonka si portò un dito al mento e sorridendo enigmatico disse:
“Come le racconta lei le cose non le racconta nessuno.”
“Devo prenderlo come un complimento o cosa?”
Wonka rise e disse: “Giuro che non era in nessun modo offensivo.”
“Ok…” e poi aggiunsi “ma…beh, riguardo quel favore? Ehm…che mi dice?”

***


“Eh già: che ti dico?” pensai.
La richiesta che mi aveva fatto Julia mi aveva sorpreso moltissimo, e non sapevo bene cosa rispondere: mi rendevo conto che avrei dovuto essere arrabbiato, dato che in fondo aveva fatto tutto quel macello senza consultarmi minimamente, eppure allo stesso tempo mi sentivo…lusingato, perché comunque aveva pensato a me in quel momento in cui Julia era in crisi. Fatto sta, allora, che le risposi così:
“Non posso non dire che questa è una situazione che mi sembra abbastanza, anzi, molto insolita…” lei abbassò gli occhi fino a terra “però…va bene.”
Subito mi guardò stupita ed esclamò:
“Va bene? Cioè…accetta?”
“Proprio così.” Risposi; il suo volto di una luce radiosa e, tutto ad una tratto, mi abbraccio di slancio, mentre dalle sue labbra uscì un grazie di enorme intensità acustica.
“Ehm…prego, prego, però adesso” dissi prendendola per le spalle “si stacchi.”
“Oh s, mi scusi.” Mormorò Julia arrossendo.
“Ehm, allora…la passo a prendere a casa sua verso le sette e mezza?”
“Ok, mi farò trovare pronta.” Rispose col sorriso sulle labbra.
Dopodiché, senza aggiungere altro, Julia si congedò lasciandomi solo con i miei pensieri: era la prima volta in assoluto che mi trovavo in una situazione del genere, a fare la parte dell’attore, e la cosa più bizzarra era che l’idea di farlo non mi infastidiva minimamente, e di questo me ne sorprendevo io stesso…che stesse cambiando qualcosa? Non mi pareva…anche se però, ad essere sinceri, da qualche tempo convivevo con una nuova sensazione che mi mandava in subbuglio lo stomaco, e, cosa più strana di tutte, questa sensazione…mi piaceva. 

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Capitolo 15
*** La febbre del mio sabato sera ***


Baby_Barby: Ahahahahahah sì in effetti il Willy guardone non se pò vedè! XD XD Ma io sono perversa dentro, quindi un qualcosina dovevo inserircelo per forza xD xD Spero che più in là potrò rispondere a tutte le tue domande.....nel frattempo, gustati questo capitolo!!!! XD Ciaooooooooooo

Elly_93: mon amour che bello ritrovarti sempre anche qui xD xD Mi hai fatto morire quando ho letto come hai definito Stacy con molta non-chalance XD Ahahahahahaha ho riso a crepapelle XD XD XD Comunque stai tranquilla, anch'io Wonka me lo mangerei tutto u.ù ti capisco benissimo u.ù XD XD XD Carino comunque il mio nuovo soprannome xD E dato che da ora sono la "donna blu" mi pare d'obbligo scrivere tutto blu!! XD Un bacio bellaaaaaaaaaaaaa



La febbre del mio sabato sera
 


“Ma se non ha la macchina, come fa a venirmi a prendere?” pensai entrando nella doccia; in effetti prima di quel momento non mi era venuto in mente, ma, oh beh, mi dissi che se lui fosse venuto a piedi avremmo preso la mia macchina.
Feci partire l’acqua e subito un denso vapore caldo appannò i vetri della doccia…chi fosse entrato in quel momento nel mio bagno avrebbe scambiato quella stanza per un’autostrada nebbiosa, ecco perché lasciai aperta la finestra per non morire asfissiata. Lasciai scorrere l’acqua per un po’ e, ah, che goduria: quella temperatura era così piacevole che mi fece venire la pelle d’oca, e così rimasi ad inebriarmi di quel calore per diversi minuti, tanto erano solo le 6 e mezza, avevo tutto il tempo che volevo per viziarmi…anche perché abitualmente ci mettevo sempre mezz’ora per farmi una semplice doccia! Quindi, non appena il caldo divenne insopportabile mi insaponai per bene e mi sciacquai, iniziando a canticchiare tra quelle 4 mura: era una fissa, quella di cantare sotto la doccia, che mi era venuta solo da poco tempo, quando scoprii che quel posto aveva un’acustica formidabile e che quindi era il posto ideale per esercitare le mie elevatissime doti canore. Appena mi fui lavata completamente senza fretta aprii i vetri della doccia per uscire e…non potete immaginare lo spavento, lo shock, che mi prese: appoggiato alla finestra, come se niente fosse, c’era Wonka! E guardava dentro il bagno! E io ero appena uscita dalla doccia! Urlai come non avevo mai fatto in vita mia prendendo al volo un asciugamano e mettendomelo davanti il più in fretta che potei.
“Ah!” esclamò Wonka pure lui quasi urlando “Non ho visto niente! Non ho visto niente!” E la sua testa scomparì sotto il davanzale della finestra.
“Ma questo qua è tutto scemo!” pensai furiosa “Sto facendo la doccia e questo mi sbuca come un guardone?!”
Mi misi meglio l’asciugamano e andai verso la finestra con passi molto lenti. “Stai calma, Julia, se no finisce che lo ammazzi…” mi ripetevo mentre camminavo a piedi nudi sul pavimento.
Mi affacciai dalla finestra e vidi Wonka praticamente rannicchiato a terra. Dio, com’era buffo…Wonka, comunque, alzò la testa piano piano e vedendomi fece col suo solito sorrisetto:
“Ehm…salve!”
“Si può sapere cosa diamine sta facendo?” sbottai.
“Mi…mi posso alzare?”
“Sì, si tiri su.”
Wonka si alzò in piedi, e diventando di un colorito molto acceso mi disse:
“Senza troppi giri di parole…credo di aver fatto una figuraccia.”
“Lei crede? Si mette a guardare dalla finestra! Ma che le è preso?”
“Io…avevo sentito la sua voce e allora mi sono affacciato…” e poi aggiunse “Ma parlava da sola?”
“Cantavo.” Affermai.
“Ah.” Fece Wonka come se fossi deficiente, mentre qui l’unico pesce lesso era quello che mi stava di fronte.
“Che c’è?”
“Niente, niente…” abbassò il volto e guardandomi dal basso verso l’alto fece sorridendo “facciamo come se non fosse mai successo nulla?”
Lo guardai, e non seppi non dirgli di no.
“Entri in casa, avanti.”
Mi diressi verso la porta e l’aprii, dopodiché, senza aspettare Wonka, filai in bagno, chiusi la porta e per sicurezza chiusi anche la finestra.
Mi appoggiai con la schiena al muro, guardandomi allo specchio, con una mano sul cuore. Ancora non mi ero ripresa totalmente dallo choc di poco prima…mamma mia che colpo…e chi se lo sarebbe mai immaginato Wonka lì, fuori dalla finestra!
“Speriamo che non abbia visto niente davvero.” Pensai iniziando a vestirmi: indossai un vestito lungo, rosso, liscio come la seta, con una leggera scollatura, affatto volgare, poi misi al collo una catenina con una pietra d’acqua marina, le scarpe col tacco a spillo e un leggero trucco, mentre i capelli li allisciai al meglio.
Quando fui pronta uscii dal bagno e andai in salotto, dove presumibilmente sitrovava Wonka: lo trovai di spalle, davanti al caminetto, intento a rigirarsi tra le mani un delicato sopramobile.
Mi schiarii la gola, come per annunciarmi, e ci mancò poco che Wonka mandasse in frantumi quel sopramobile; per fortuna lo riprese praticamente al volo e lo rimise con delicatezza al suo posto.
“C’è mancato poco che ci rimanessi secco!”disse Wonka voltandosi verso di me.
“Perché, stava forse facendo qualcosa di male?”Gli chiesi prendendolo in giro, ma lui non rispose, bensì si limitò a fissarmi.
“Che c’è?”chiesi un po’ imbarazzata per quel suo sguardo.
“Niente…”rispose lui a bassa voce “le sta bene quel vestito…”
“Beh, grazie…” e arrossii. Eh già,senza sapere il perché in quel momento Wonka mi stava mettendo in soggezione. Boh! Sarà la strana situazione in cui mi trovavo? Vabbè, lasciando perdere, allora, proposi:
“Vogliamo avviarci?”
“Ottima idea.”
E con passo svelto Wonka si diresse verso la porta, mentre io, rimasta dietro di lui, lo guardavo: non aveva cappello, e non indossava neanche il solito completo viola, bensì un elegante abito nero con rifiniture rosse, quello che uno probabilmente indosserebbe la notte di Natale. Era impeccabile, nelle sue maniere controllate e misurate…era sempre eccentrico, pensai guardandolo quasi saltellare per il vialetto del mio giardino, ma aveva anche qualcosa di…bello.
Bello?Era questa la parola adatta? Lo guardai di sfuggita in faccia: i lineamenti marcati, il naso perfetto, gli occhi viola ma allo stesso tempo profondi…ebbene sì,si poteva definire…bello.
All’improvviso vidi che non era più sul vialetto, ma sull’erba del giardino.
“Ma dove và?”gli chiesi chiamandolo “la macchina è da tutt’altra parte!”
“E chi ha detto che useremo la macchina?” mi rispose girando la testa ma continuando a camminare sull’erba “ho a disposizione un mezzo molto più velo…” non finì la frase, perché andò a sbattere contro…il nulla! Non c’era niente davanti a sè, eppure era caduto con un capitombolo! Mi precipitai subito da lui per quanto le mie scarpe me lo consentissero. Aiutai Wonka a rialzarsi, mentre lui diceva:
“Devo ricordarmi dove parcheggio questo coso…oppure potrei dipingerlo, non so…”
Solo allora lo vidi: quattro pareti completamente trasparenti ornate da decine e decine di bottoni e bottoncini.
“Oh mio Dio!”esclamai “ma questo è l’ascensore di cristallo!”
“Il solo e unico.” Commentò Wonka stirandosi la giacca.
“Ma come fa ad essere qui? Insomma, un ascensore non può…non può!”
“Come le ho già detto” sentenziò l’esperto “questo non è un normale ascensore: l’ho progettato in modo che possa volare.”
“Volare?!”
“Sì, ha presente? Staccarsi da terra e muoversi nel cielo?”
Oddio…io già quell’ascensore non lo sopportavo nel suo posto abituale, figuriamoci mentre gironzolava tra i tetti!
“Allora, andiamo?” disse Wonka premendo il pulsante di apertura-porte ed entrando in quel congegno.
“Io non ci metto piede là dentro.” Affermai risoluta.
“Come? Perché?”
“Perché non mi piace, ecco perchè! Non credo che sia abbastanza sicuro…”
“Oh andiamo! L’ho usato una quantità incalcolabile di volte, eppure sono ancora qui!”
“Sarai pure qui” pensai “ma la testa l’hai lasciata altrove, bello mio…”
“Avanti…” fece Wonka “al massimo chiude gli occhi, no?”
“E va bene…” mormorai entrando lentamente nell’ascensore;
Wonka allora premette un pulsante e le porte si chiusero; tutt’intorno prese a vibrare, e quasi subito l’ascensore di cristallo si staccò da terra. Per la tensione afferrai il braccio di Wonka e lo strinsi, e con stupore lo sentii irrigidirsi sotto il tocco delle mie dita. Lo guardai sorridendo impercettibilmente, e lui guardò me, e sentii che cercava di rilassarsi. Alla fine, comunque, quel piccolo contrattempo mi fece distrarre dal fatto che mi trovavo decine di metri in volo sopra la città, e in qualche modo quello strambo viaggio mi risultò non troppo terribile – anche se comunque non osai guardare verso il basso. Arrivati in prossimità del ristorante Wonka fece atterrare l’ascensore in un violetto e così ne discendemmo.
Ok…era il momento di entrare in azione…la missione fatti beffe di quei due aveva ufficialmente inizio.
“Non crede” disse Wonka all’improvviso “che dovremmo darci del tu a questo punto?”
“Già, ha ragione,” feci io “potrebbero insospettirsi…Willy.”
Lui mi sorrise compiaciuto, e così ci avviammo verso il luogo prestabilito, il nostro palcoscenico, la scena del delitto. Arrivati davanti alla porta del ristorante ci fermammo un secondo, non sapendo quali enormi e spaventosi pericoli potevano celarsi ad un passo da noi.
Allungai una mano verso Wonka…pardon, Willy, e gli dissi:
“Allora, ci prendiamo per mano?”
Lui guardò la mia mano come se fosse una bomba atomica pronta ad esplodere.
“Non voglio mica ucciderla.” Lo rassicurai sorridendo, e così lui alla fine si decise e insieme attraversammo la soglia di in the black pearl.
Appena entrati ci accolse un’allegra musica di sottofondo, e quasi con timore ci guardammo intorno, fino a quando notammo ad un tavolo tondo, in un angoletto piuttosto riservato, Alex e Stacy.
“Eccoli là.” Dissi a Willy guardando i due fidanzati.
“Ma quello non è il signor Brown?” fece lui all’improvviso “non mi avevi detto che l’uomo in questione era il tuo capo!”
“E allora? Non mi pare una cosa grave…”
Willy sbuffò, ma io lo presi per mano e lo tirai verso il nostro tavolo. Quando Alex e Stacy ci videro si alzarono entrambi contemporaneamente strusciando le sedie sul pavimento.
“Signor Wonka! Che piacere vederla!” disse Alex come se avesse appena visto entrare il Papa.
“Sì, anche per me è un piacere.” Fece invece Willy guardandolo strano mentre si stringevano la mano. Dopo, allora, ci sedemmo tutti e aspettammo un cameriere, mentre nel frattempo si era levato tra noi quattro un bellissimo silenzio piuttosto teso, fino a quando Stacy non chiese a Willy:
“Allora, signor Wonka, se non sono troppo indiscreta, ma sa…sono troppo curiosa…come è riuscito nell’ardua impresa di conquistare Julia?”
Bum! Ma che bello…quanto mi piacevano quelle belle domande irritanti! Iniziamo bene…con Willy manco mi ero messa d’accordo su un qualcosa da dire se, appunto, fosse saltata fuori una domanda del genere…me scema!
Vidi Willy stringere in due pugni le mani che teneva sulle gambe e poi rispose domandando:
“Perché me lo chiede?”
“Beh,” disse Stacy “fin’ora ci sono riusciti in pochi.”
“E perché?” chiese Alex.
Ma che c’entri tu! Fatti gli affari tuoi!
“Beh,” ricominciò Stacy “fino a non molto tempo fa, diciamo 5 o 6 anni, c’era qualcuno che spasimava per Julia, ma lei diceva sempre che voleva aspettare quello giusto…e così la prima storia l’ha avuta appunto 5 anni fa. E io quindi mi sono sempre chiesta se esistesse un modo particolare per far breccia nel cuore di questa dolce ragazza.” Concluse con enfasi teatrale.
Beh? E io che m’immaginavo chissà che…devo dire che forse Stacy l’avevo sopravvalutata.
“Guarda che la risposta te la sei data da sola.” Le dissi.
“come?” fece lei.
“Non ho mai avuto una storia seria prima di 5 anni fa perché volevo appunto aspettare quello giusto. L’hai detto tu stessa.”
“Ma questa è la risposta alla domanda di Alex…io al signor Wonka ne avevo fatta un’altra.” Rispose con aria beffarda e superiore.
Madò che irritazione che mi stava crescendo! Per tenermi occupata e non iniziare ad insultarla mi misi un po’ di vino nel bicchiere e iniziai a berlo. “Se mi ubriaco è meglio.” Pensai.
“Allora signor Wonka?” ricominciò Stacy “vuole tenerci sulle spine?”
Willy aprì la bocca per parlare, ma invece della storia dettagliata sul presunto corteggiamento che Stacy voleva conoscere, disse:
“Oh, ecco il cameriere. Con conviene ordinare.”
E detto questo aprì il menu e se lo mise davanti alla faccia. In effetti il cameriere era arrivato davvero, e allora senza altri indugi scegliemmo cosa prendere; il cameriere oltretutto si dimostrò molto gentile e…pazienta. Già, perché io al posto suo sarei già impazzita a causa delle innumerevoli domande che gli faceva Willy….pareva un terzo grado! Poveretto…per fortuna però riuscì a cavarsela e in un momento in cui Willy aveva smesso di parlare per prendere fiato, lui si era liquidato con due frasi sbrigative e strappando di mano il menu a Willy corse subito via. Willy seguì con gli occhi il cameriere fuggitivo con aria interrogativa, mentre Alex, Stacy ed io facevamo del nostro meglio per non ridere.
“Chissà perché è scappato via…” disse Willy pensieroso, mentre io, tra una risata soffocata e l’altra, risposi:
“Sarà dovuto andare in bagno…”
Willy fece spallucce e iniziammo a parlare del più e del meno, grazie al cielo senza che dall’altra parte venissero domande o commenti imbarazzanti. Quasi subito, comunque, arrivò un altro cameriere – forse l’altro era ancora tramortito – che ci portò quanto avevamo chiesto; i ricevetti allora la mia bellissima bistecca ed iniziai a mangiarla con gusto. Stranezza delle stranezze tornò il silenzio, contornato soltanto dalla musica che il ristorante aveva come sottofondo e interrotto di tanto in tanto dai rumori delle nostre posate. Willy, non riuscendo a sopportare quel mutismo, fece un’osservazione a caso:
“Bell’orologio, signor Brown.”
“Sì, piace molto anche a me.” Fece Alex, e poi prese la mano di Stacy dicendo: “vede questo bracciale?” e indicò quello che Stacy portava al polso “gliel’ho regalato stamattina. Non si intona perfettamente col mio orologio?” e fece una risatina.
“Ehm…magnificamente, ha proprio ragione!”
all’improvviso, senza sapere come, Alex mi sembrò estremamente…sciocco. Era come se la risata che aveva appena fatto mi avesse sturato il cervello. Mi resi conto di quanto l’amore che provavo per Alex era del tutto frivolo e infondato: mi ero innamorata di lui guardandolo passare, guardandolo sorridere, guardando i suoi begli occhi. Mi ero basata puramente sull’aspetto fisico, e quello mi aveva fatto talmente partire di testa che non mi rendevo conto che Alex caratterialmente era piuttosto sciapo. Bevvi un sorso di vino, e fui ridestata dai miei pensieri dalla voce di Stacy:
“e lei signor Wonka? Ha già comprato qualche bel regalo a Julia?”
“Ehm…no, non ancora.”
“La capisco. Sa…Julia è sempre stata una ragazza indecisa…per il suo compleanno non si sapeva mai quello che bisognava comprarle! Per trovare il regalo adatto bisognava compiere un’odissea.”
Bugiarda. Lo sapeva benissimo che a me andava sempre bene qualsiasi cosa. Ma di che mi stupivo? Era ovvio che ciò che le importava era lanciarmi frecciatine, no? Mannaggia a lei…e presa quasi da un attacco di rabbia iniziai ad infilzare la carne che avevo nel piatto come se stessi ammazzando qualcuno. Fu allora che Willy posò la su mano sulla mia. Non so se fu un gesto spontaneo o parte della recita, ma mi fece calmare e sentire meglio. La cena, comunque, andò avanti e non ci furono molti altri discorsi interessanti. Quando il tutto finì ognuno pagò la proprio parte del conto e uscimmo insieme da ristorante. Dopodiché io e Willy ci dirigemmo all’ascensore e Stacy ed Alex imboccarono la direzione opposta. Osservai con la cosa dell’occhio la coppia che si allontanava sempre di più, a la mia mente tornò a quando durante la cena aveva fatto delle considerazioni su Alex…e pensai che avevo ragione, che io non avevo bisogno di un tipo come lui. Io e Wonka entrammo nell’ascensore e lui premette un pulsante. Alex era un uomo dalla mentalità chiusa, s’interessava poco qualunque cosa che non comprendesse se stesso. A me serviva qualcuno intelligente, di aperte vedute, che immaginasse senza chiedermelo ciò di cui avevo bisogno, qualcuno come…
guardai la persona di fianco a me e mi ritrovai a sorridere di quell’idea.
Oh mio Dio…possibile che…? Non riuscivo a credere di aver pensato una cosa del genere…eppure…e se non mi stessi sbagliando se veramente…provassi qualcosa per Willy? Lui con me era stato gentile, disponibile, mi aveva trattata con riguardo, e tutto ciò secondo me andava oltre il semplice rapporto lavorativo. La prova era che lui quella sera era accanto a me. Quale persona che mi avesse visto solo come quella dei “cartelloni pubblicitari” mi avrebbe fatto da finto fidanzato mentendo oltretutto davanti al mio capo? No…tra me e Willy si era creato qualcosa, e me ne stavo rendendo conto solo in quel momento. Amicizia? Può darsi…e allora perché mi sentivo lo stomaco in subbuglio?
Arrivammo nel mio giardino praticamente davanti alla porta di casa. Le porte dell’ascensore si aprirono e noi ne venimmo giù.
“Grazie per tutto quello che hai fatto per me.” Dissi allora “Mi hai salvato la vita.”
“Addirittura?” fece Willy sorridendo, e quel sorriso mi piacque più del solito.
“Certo. A quest’ora sarei ancora tra le grinfie di quei due.”
“Beh, non preoccuparti, è stato un piacere.”
Ci salutammo e io mi voltai verso casa. Feci qualche passo, ma poi mi girai di nuovo, col cuore che mi batteva a mille. A passi lenti, misurando i movimenti, tornai verso Willy. La luna, con i suoi raggi argentei, ci illuminava in una maniera quasi magica. Era come se il tempo in quel momento si fosse fermato. Raggiunsi Willy, poggiai le mie mani sulle sue spalle, e senza dire nulla…lo baciai.




Oh oh! Oh oh!!! XD
Come si metteranno le cose adesso???
Lo scopriremo solo vivendooooooooo xD
Un abbraccio a tutti!
Ciao nì!!!

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Capitolo 16
*** 4 differenti punti di vista ***


Caio nì!!! :D :D

Baby_Barby: tranquiiiiiiiiiiilla il Willy guardone sparirà!! Ahahahahahah ma davvero faceva così tanto ribrezzo? XD XD XD Spero comunque che questo capitolo ti piaccia, ciaoooooooo!!!

Elly_93: e allora muoriiiiiiiiiiiiiiiiiiii!!! MUAHAHAHAHAHAHAH No vabbè....così crudele credo di non esserlo...almeno per ora....xD XD XD Mi raccomando commenta sennò la donna blu non posta più u.ù ciaoooooooooooooo

Ah, questo capitolo è un pò incasinato, ma spero si capisca lo stesso!! :)

 

4 differenti punti di vista

Ho baciato Willy Wonka.
Fu questo il mio primo pensiero la mattina successiva. Mi sentivo euforica come non mai e di conseguenza balzai giù dal letto in preda ad una strana ansia. All’inizio la interpretai come l’emozione di rivedere Willy dopo quanto successo la sera prima, ma poi pensai che forse, anzi…sicuramente quel mio stato d’animo era provocato dal fatto che io non sapevo con esattezza ciò che Willy provava esattamente per me. Eh già, perché riconsiderando gli avvenimenti accaduti dopo la cena non sapevo come valutare il suo atteggiamento: dopo infatti che l’avevo baciato, lui non aveva fatto assolutamente nulla, si era irrigidito come una statua…
“Baciami…” gli avevo sussurrato piano, e lui allora aveva mosso le labbra, ma solo un po’, leggermente. E subito dopo, senza aggiungere altro, era rientrata in casa.
Come bacio era stato molto lieve non come se fosse stato il primo tra due persone che si erano appena innamorate. Era questo che mi spaventava: che Willy avesse risposto al mio bacio solo perché in quel momento non sapeva come comportarsi. Beh, sapete che vi dico? Avrei subito avuto una risposta alle mie domande, perché avevo intenzione di andare immediatamente alla fabbrica di cioccolato.

***


BLBLBLBLBLBL…………….
Una specie di calderone stava bollendo sul fuoco mentre io stavo seduto lì davanti con sguardo perso. Quella notte non avevo quasi chiuso occhio, e non perché stavo male o qualcosa del genere, ma semplicemente perché ero talmente allegro da non avere sonno, e così in quel momento, mentre una miscela sperimentale bolliva, la stanchezza mi piombò addosso, tutta insieme.
All’improvviso la porta bussò, e io mi ridestai con un avanti. La porta si aprì appena, e la testa del signor Buckett spuntò dentro.
“C’è la signorina Davis di sotto.” Mi annunciò lui.
Il mio cuore e il mio respiro accelerarono, e all’improvviso fu come se non riuscissi a pensare razionalmente; di conseguenza il mio lato introverso prese il sopravvento.

***

“E’ occupato.” Mi sentii dire dal signor Buckett.
“Occupato?” chiesi “Ne è sicuro?”
“Me l’ha detto lui stesso!”
“Oh, va bene, ho capito. Ripasserò.” E detto questo aprii la porta alle mie spalle e uscii.
“Occupato…tzè! Dopo ieri è occupato? pensai. “Ma figuriamoci…”
Rimasi lì senza muovermi per qualche secondo, poi aprii la porta dalla quale ero appena uscita e guardai dentro: il signor Buckett se n’era andato, e così io rientrai.
“Nessuno mi liquida con due parole, bello mio.” Pensai, e subito attraversai tutta la stanza di corsa e provai ad aprire la porta che conduceva al giardino. Chiusa. “E che cavolo!” tornai indietro e allora andai nella stanza in cui mi aveva portato Willy quando mi aveva parlato delle endorfine, quella con le due poltrone, una verde e una gialla. Ci andai con la speranza che ci fosse un qualche passaggio per andare nel giardino o in qualsiasi altra parte, ma niente, c’erano solo degli stupidi muri. Mi sedetti allora su una poltrona e mi dissi: “Io aspetto qua finché quello là non si degno di non essere più occupato.” E incrociai le braccia risoluta.

***

“Non credi che dovresti darmi qualche spiegazione?” mi chiese bonariamente il signor Buckett quando tornò nella stanza delle invenzioni.
Io lo guardai un po’ sorpreso e gli domandai: “Perché?”
“Perché vorrei sapere perché hai liquidato così la signorina Davis.”
“Beh…”
“…e non ci credo che sei occupato, perché è evidente che non stai facendo nulla.” Finì abbozzando un sorriso gentile.
Sospirai, e come se mi si fosse stappata la bocca gli raccontai tutto, per filo e per segno, e anche se provavo un po’ d’imbarazzo, specie a fine racconto, questo non riuscì a frenarmi la lingua. Mentre parlavo il signor Buckett mi guardava tranquillamente, e capii dai sorrisi che faceva che contento…molto contento per me.
“Trovo che tutto questo sia molto chiaro ed lampante.” Disse alla fine.
“Questo cosa?”chiesi.
“Perché non me lo dici tu?”
“Ehm…non credo di afferrare…”
“Willy…che cosa provi per lei?” mi domandò infine.
“Beh…” feci allora “Mi sta simpatica…è molto bella…con lei…mi trovo bene.”
“E allora perché ti trovi ancora qui?”
“Uh?”
“Non credi che dovresti rincorrerla? O una qualche pozione con ingredienti di dubbia provenienza attira maggiormente la tua attenzione?” mi fece spalancando la porta, e io senza pensarci due volte mi alzai dalla mia sedia e uscii di corsa dalla stanza ringraziandolo infinitamente.
“E dille quello che hai detto a me!” mi urlò dietro mentre mi allontanavo.

***

“Mi sa che è occupato davvero…” pensai sospirando guardando il soffitto mentre mi annoiavo a morte. “Mi sa che sono una donna di poca fede e non è lui che…”
Tump.
Interruppi i miei pensieri a causa di quel suono che era provenuto appena fuori dalla stanza in cui mi trovavo. Sembrava il rumore di una porta che era stata sbattuta.
Uscii di corsa e ci mancò poco che finissi proprio addosso a Willy…evidentemente aveva appena chiuso la porta che portava al giardino commestibile.
“Che ci fai qui?” esclamai.
“In teoria questa è casa mia, poi boh. Non te n’eri andata?”
“In teoria tu eri occupato, no?” feci imitandolo.
“Beh…ehm…non era vero.”
Alzai un sopracciglio. “Ah sì? Quindi mi avresti mentito? E sentiamo…perché?”
“perché,” disse Willy grattandosi la nuca “ero emozionato…e…”
“Anch’io sono emozionata, cosa credi?” feci interrompendolo.
“Non lo dai molto a vedere…”
Presi le sue mani e gli risposi: “E’ perché sono felice.”
Willy sorrise dolcemente.
“Allora, che ne dici di una passeggiata? O,” aggiunsi scherzando “hai troppo da fare?”
“Credo che tra i miei innumerevoli e importantissimi impegni improrogabili…” mi disse “hai tutto il tempo che vuoi.”
“Bene…”
Mi alzai in punta di piedi, avvicinando il mio volto al suo, con l’intenzione di baciarlo sulla guancia, ma lui all’ultimo secondi girò il viso, e mi baciò sulla bocca.
Fu quello il nostro primo, vero bacio.
Non mi sentivo così bene da una miriade di tempo.
Uscimmo di lì tenendoci per mano.

***

“Qualcosa non quadra.” Pensai a mollo nella vasca da bagno.
L’atmosfera la sera prima era stata troppo formale…sembrava quasi finta. E se fosse stato così? Già…sembrava quasi possibile che si fosse trattato di pura e assoluta finzione. E io c’ero cascata! Oh, ma mia cara Julia, io sono intelligente, cosa credi? Penso proprio che metterò subito alla prova la veridicità della tua storia.
Finii di lavarmi; era come se l’acqua che mi fluiva addosso mi avesse rischiarato le idee.
Indossai l’accapatoio e corsi al telefono non vedendo l’ora di attuare quello che già avevo in mente. Composi un numero e aspettai che dall’altra parte mi rispondessero.
“Pronto Mark? Come stai? Sono Stacy…”

***


Nell’atrio di quella grande casa aspettavo con impazienza, quasi tremante. Tutto mi sembrava più grande di quanto in teoria era, a causa di un inquietudine che mi pervadeva tutto. Era un giorno intero che stavo lì, e ancora non avevo avuto modo di vederlo. Avrei dovuto aspettare ancora a lungo, me lo sentivo, su quella sedia troppo grande per me.
Alla fine però, neanche tanto tardamente come pensavo, la porta in fondo al corridoio si aprì e vidi lui che si diresse in fretta verso di me.
“Ciao. È andato tutto bene?” mi chiese dall’alto della sua altezza.
Annuii senza emettere alcun suono.
“Hai con te la busta?” fece febbrilmente.
Annuii ancora.
“Bene.”

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Capitolo 17
*** Mark Sanders ***


Elly_93: mon amour! xD Non ti agitare per favore xD xD Tanto non ti dirò chi è l'ultimo tizio u.ù ti pare che te lo dico??? XD XD Siamo realisti u.ù XD Comunaue, cos'è, ricominciamo con le minacce? Tut tut tut...non si fa no no no. xD xD Basta, a quest'ora sono proprio scema. Sì, io sono sempre scema, ma ora lo sono di più. Un bacio, bellissima, dalla tua (altrettanto bellissima u.ù) donna blu. xD

 

Mark Sanders

Fu bellissimo quel giorno: facemmo una lunghissima passeggiata e io mi sentivo al settimo cielo, così leggera che temevo di poter volare via da un momento all’altro. Willy ed io eravamo usciti dalla fabbrica, ma non avevamo una destinazione precisa, andammo un po’ in centro, a fare quattro passi, a vedere le vetrine, a parlare, a ridere…insomma tutte cose estremamente normali, che però in quel momento mi sembravano stupende.
Lo so…ero proprio cotta. E dire che non lo sopportavo, che Willy lo consideravo come uno di ultima scelta. Il fatto, credo, era che ero talmente fissata su Alex che non mi rendevo conto di quello che mi stava intorno…fortuna che alla fine almeno avevo aperto gli occhi!
Comunque, come stavo dicendo, facemmo questa passeggiata camminando sui marciapiedi eccetera eccetera e, ad un certo punto, mi resi conto di come la gente ci stava fissando: avete presente quando una persona cammina per strada e guarda distrattamente chi ha di fronte? Tanto per non finirci addosso? Ebbene, quel giorno accadeva l’esatto contrario: gli occhi dei passanti non si soffermavano su di noi solo un paio di secondi, ma ci guardavano finché non fossimo spariti dalla loro visuale.
“Mamma mia, è angosciante…” mormorai tra me e me.
“Cosa?” mi chiese Willy.
“Non vedi tutta questa gente?” dissi piano “Che ha da guardare?”
“Beh…”iniziò lui “potrebbero essersi due opzioni: 1) sono stupiti di vedermi in giro una buona volta; oppure…”
“…oppure?”
“Non riescono a toglierti gli occhi di dosso…”
Mi sentii sciogliere come burro fuso.
Risposi però al complimento di Willy con una spallata amichevole e continuammo così a camminare.
Raggiungemmo il centro commerciale, ed entrai trascinando Willy per un braccio perché lui non voleva entrare e lo portai al reparto abbigliamento uomo.
“Che ci siamo venuti a fare?” brontolava.
E detto fatto glielo mostrai direttamente posandogli sulle braccia un’infinità abominevole di vestiti, magliette, pantaloni, camicie, e chi ne ha più ne metta! A momenti cadde per terra dalla sorpresa. E non finisce qui, perché quei vestiti glieli feci provare tutti, nonostante le sue proteste. Il fatto era che sinceramente, a pensarci bene…non ci sono altri colori oltre al viola? Nel guardaroba di Willy quello era il colore predominante, senza contare che sembrava che i suoi vestiti sembravano fatti con lo stampo, dato che mi sembrava che fossero tutti dello stesso modello. Comunque, morale della favola, uscimmo di lì con una marea di sacchetti in entrambe le mani.
“Era proprio necessario?” mi chiedeva lui.
“Assolutamente!” gli facevo ridendo alla sua faccia da cane bastonato “E te li voglio addosso il più presto possibile!”
Dopo un po’, in ogni caso, mi venne in mente una cosa molto importante, e allora gli chiesi:
“Hai già pensato ad uno slogan per quella caramella?”
La vitalità di Willy sembrò ridestarsi. “Si che c’ho pensato!”
“Allora dimmelo così appena torno in ufficio finisco finalmente questo benedetto lavoro.”
“Allora…praticamente io avevo pensato a una cosa come questa.” E scandendo ogni singola parola con un movimento della mano, come se il cartellone ce l’avesse davanti agli occhi, disse solennemente: “Caramella Desiderio. Ogni sapore a portata di bocca.
“Ehi, non mi sembra affatto ma…”
Non riuscii a concludere la frase, perché all’improvviso qualcuno mi travolse facendomi cadere a terra e facendomi oltretutto volare per aria tutte le buste e bustine varie. Mi alzai subito in piedi, incavolata con chiunque mi era venuto addosso. Anche i colpevole si era alzato e così potei vederlo meglio: biondo con gli occhi marroni, vestito di tutto punto, come se stesse andando ad una festa. Ci guardammo per una frazione di secondi, dopo la quale lui posò gli occhi sul mio cappotto mormorando piano:
“Mi…mi dispiace, non volevo…”
Ma perché mi fissava il cappotto?
Mi guardai allora addosso e vidi un’enorme macchia nera che si espandeva a vista d’occhio. Guardai allora il tizio che avevo di fronte e mi accorsi solo allora che aveva in mano un bicchiere.
“Non sarà mica caffè quello…vero?”
“Ehm…” fece lui “Io…glielo ricompro, non volevo, mi dispiace, ma non l’avevo proprio vista…”
Mi domandai come fosse stato possibile dato che ero una bancarella ambulante.
“No, non fa niente.” Dissi “Non c’è bisogno che me lo ricompra: lo porto in lavanderia.” E aggiunsi “Arrivederci.”
Feci per andarmene, ma il biondo mi si rimise davanti dicendo:
“Mi faccia almeno pagare il conto della lavanderia; quella macchia di caffè le costerà un patrimonio mi creda…”
Sembrava volenteroso, perché non accontentarlo? Così almeno mi risparmiavo un po’ di euro.
“Va bene.” Dissi allora “Ha presente una società che si chiama Brown’s Graphic Society?”
“Sì.”
“Io lavoro là. Se viene e chiede di Julia Davis le farò trovare il mio cappotto impacchettato e pronto per un lavaggio. Okay?”
“Sì, perfetto…verrò verso le 11.” Poi all’improvviso posò gli occhi su Willy ed esclamò: “Ma lei non è Willy Wonka?”
Willy annuì, e il tizio biondo gli prese la mano iniziandola a scuotere. “E’ un vero piacere incontrarla! E complimenti per la fantasia, i suoi dolci sono spettacolari!”
“Ehm…grazie” disse Willy mentre quell’altro continuava a scuoterlo.
“E’ la pura verità, signor Wonka! Lei un genio!” esclamò euforico “Spero davvero di incontrarlo di nuovo!”
“Come no? Pure io!” fece Willy sorridente, anche se quella frase mi sembrò abbastanza ironica.
“Bene! Allora alla prossima!”
E come era comparso se ne andò.
Ci girammo vedendolo scomparire tra la folla.
“Che tipo strano…” commentai.
“Già…” disse Willy.
“Quasi quasi è anche peggio di te…”
Willy mi guardò esterrefatto per quel commento, e io sorridendo feci:
“Sto scherzando!” e gli diedi una botta sul cappello di modo che gli calasse sugli occhi.
La giornata, comunque, era quasi giunta al termine, e così tornammo alla fabbrica, e aiutai Willy a portare tutti i sacchetti in camera sua. Quando arrivammo scaraventai praticamente tutto sul letto.
“Che delicatezza…” commentò lui ironico ma sorridente.
Lo aiutai a sistemare tutti quei vestiti, e quando tutto fu di nuovo nell’ordine immacolato in cui Willy teneva le sue cose, ci salutammo con un bacio e io me ne andai dirigendomi alla macchina.
Accesi il motore, e partii.
Non riuscivo quasi a credere a tutto quello che mi stava succedendo…insomma mi ero messa con Willy Wonka! Il violadipendente…aveva dell’incredibile, lo ammetto…
Mi diressi in ufficio con sorriso sulle labbra, e in quel momento mi sentivo come se nessuno potesse scalfirmi, come se nessuno avesse potuto rompere quell’aurea di serenità che mi circondava.
Mi sedetti alla mia scrivania, come mio solito, e accesi il computer mettendomi a lavoro.
Dopo più o meno una mezz’ora vidi delle mani poggiarsi sulla scrivania; alzai gli occhi e mi resi conto di chi mi stesse davanti.
“Possiamo parlare?” mi chiese George determinato.
Ammetto che ce l’avevo ancora con lui, non solo perché non mi aveva difeso quel famoso giorno, ma anche perché si era permesso di andare da Alex e di dirgli che mi piaceva.
“Sto ancora aspettando che le tue mutande vengano usate come stendardo.” Dissi senza guardarlo riferendomi alla promessa che mi aveva fatto un po’ di tempo prima.
“Alex te l’ha detto?” mi chiese lui con aria sofferente.
“Evidentemente… e mi chiedo come tu possa avermi fatto una cosa del genere!”
“Io…non credevo che Alex te lo avrebbe detto…”
“E io non credevo che tu l’avresti detto a lui!” sbraitai “Va bene che avevamo litigato, ma mi pare una vendetta da immaturi, non trovi?”
“Io…che ti viene in mente? Non volevo mica…”
“Senti,” dissi allora “non voglio sentirti, ascoltarti, guardarti e tanto meno parlarti, quindi se non ti dispiace io avrei da fare.”
George rimase per qualche istante alla mia scrivania, e poi senza aggiungere altro se ne andò a passi lenti.
Di conseguenza non riuscii a finire il lavoro. Per colpa di George mi era passata la voglia, e così me ne andai in bagno a sciacquarmi la faccia per rientrare un po’ in me stessa. Mi guardai allo specchio fissando i mie occhi che fino a poco tempo prima sprizzavano gioia, mentre adesso facevano trasparire i miei pensieri, ovvero come era bella la vita prima che succedesse il casino che era successo. Pensai però anche a Willy, che quindi c’era un lato positivo in tutta quella dannata storia, e inevitabilmente mi sentii meglio. Mi ricomposi e uscii dal bagno inspirando profondamente.
Tornai alla scrivania e ricominciai a lavorare ispirata improvvisamente dalla foto di Willy che avevo sul computer.

Ed eccoci arrivati ad un altro punto della nostra storia incasinata ma anche piacevole (almeno spero), ad un punto in cui succede qualcosa che in teoria, nel momento in cui la stavo compiendo, avrei dovuto essere cosciente delle conseguenze, ma a causa del mio famoso orgoglio era andato tutto a rotoli. Non c’avete capito niente? Bene, allora riprendiamo dall’inizio.
Il giorno dopo andai in ufficio e tutta pimpante, con il miglior sorriso che potessi avere, mi misi a lavorare; il tempo passava velocemente, quasi senza che me n’accorgessi grazie alla voglia che ci mettevo per finire quei benedetti cartelloni pubblicitari.
Verso le 11, comunque, un mio collega condusse alla mia scrivania un signore biondo dagli occhi marroni chiari.
“Ehm, salve!” disse lui.
Lo guardai in faccia e lo riconobbi: il tizio che mi aveva investito il giorno prima rovesciandomi addosso il caffè e formando sul mio cappotto un lago scuro e purtroppo quasi indelebile.
“Lei è quello di ieri, vero?” dissi come se non lo sapessi.
“Sì, ecco, però se è occupata io ripasso, insomma…”
“No, sono disponibile!” feci alzandomi in piedi e pensando: “prima mi libero di questo qui meglio è.”
Presi la busta in cui avevo infilato il cappotto e che avevo portato con me e insieme scendemmo di sotto, per andare a piedi alla tintoria più vicina.
“Comunque non ci siamo presentati.” Mi disse lui mentre camminavamo “Io sono Mark Sanders, molto piacere. Il suo nome se non sbaglio era…”
“Julia Davis.” Feci stringendogli la mano.
“Giusto. Me l’aveva detto l’altra volta, ma sa…la mia memoria non è di ferro.”
“Oh guardi, neanche la mia: prima che mi ricordo qualcosa la gente deve ripetermelo minimo dieci volte, e come se non bastasse me la devo pure appuntare da qualche parte se no me la dimentico comunque.”
“E scommetto che certe volte l’appunto persino se lo perde.”
Lo guardai strana. “mi sta prendendo in giro?”
“Oh no.” Rispose lui “Ma vede…praticamente parlando di lei stava descrivendo anche me e a me appunto capita di perdere tutti i post-it che scrivo. A lei no?”
“Ehm” feci arrossendo lievemente “qualche volta.”
Mark si mise a ridere.
Parlando del più e del meno, comunque, arrivammo alla lavanderia, e tirai fuori il cappotto macchiato dalla busta. Lo stesi sul bancone e Mark guardandolo commentò:
“Non ha una bella cera…”
“Già…” feci io abbozzando un sorriso “E chissà di chi è la colpa…”
“Gliel’ho già detto che intendo ripagarglielo?”
“Solo un centinaio di volte.”
La commessa della lavanderia, fortunatamente, sapeva benissimo cosa fare con una macchia del genere e ci disse di tornare lì dopo un’ora.
“Un’ora?” chiesi “Così poco?”
“Oggi abbiamo pochissimi clienti.” Fece lei “Non si è visto quasi nessuno.”
Uscimmo di lì in silenzio.
“E io mò per un’ora che faccio?” pensai “Non posso mica tornare in ufficio: non faccio in tempo a mettermi seduta che già devo riuscire per venire qui.”
Mark, si vede intuendo i miei pensieri, propose:
“Perché non ci andiamo a prendere qualcosa al bar intanto che aspettiamo?”
“Ok.” Risposi “Ma non mi macchi pure questo di cappotto.”
“Manco morto.” E poi aggiunse “Comunque secondo me è molto più bello quello che indossa adesso di quell’altro.”
“Oh…beh, grazie.”

***


“Ecco, ecco, ci siamo!” eslcamai guardando la poltiglia blu che bolliva nel pentolone. Erano giorni che quella roba bolliva sul fuoco e finalmente era successo qualcosa: si erano iniziate a formare bolle di varie dimensioni che scoppiavano mandando piccole scintille. Chissà…magari quella sarebbe stata la mia prossima caramella…
All’improvviso, però, un Umpa Lumpa entrò nella stanza interrompendo la mia momentanea euforia.
“C’è qualcuno che la cerca.” Mi disse.
“Ah sì? E chi è?” chiesi.
“Non lo so. È una signora bionda.”
Mi girai verso di lui. “Una signora bionda?! E chi è?”
L’Umpa Lumpa fece spallucce e se ne andò, mentre io mi misi il cappello e dopo aver dato un’ultima occhiata alla sostanza uscii.
Andai nell’ingresso della fabbrica, e in effetti c’era una signora bionda che mi aspettava. Mi avvicinai sorridendo come mio solito, ma quando lei si girò cambiai totalmente espressione rimanendo di sasso.
“Stacy?” chiesi.
“Uh si ricorda come mi chiamo!” fece lei.
E come dimenticarsela dopo tutta quella storia.
“Posso fare qualcosa per lei?” chiesi cercando di essere il più gentile possibile.
“Veramente cercavo Julia.”
“E perché è venuta qui?”
“Beh, a casa sua non c’è e allora pensavo di trovarla qui.”
“Starà a lavoro, non crede?”
“No, non è neanche lì.”
“Beh, mi spiace ma non è neanche qui.”
All’improvviso però ci fu una cosa che mi stupì alquanto: Stacy cambiò espressione tutto insieme ed esclamò dandosi una patacca sulla fronte:
“Oh, adesso mi ricordo dov’è! Che scema…perché non c’ho pensato prima!”
“Ah sì? Bene!” dissi sperando che se ne andasse di modo che io potessi tornare alla mia sostanza blu.
“Non riesco a capire come possa essere riuscita a dimenticarmelo!”
“Ehm…beh fortuna che ora se lo ricorda!” feci dirigendola verso l’uscita.
“Ma sì! Me ne aveva pure fatto un accenno…doveva incontrarsi con Mark.”
Mi si accese la curiosità.
“Mark? E chi è?”
“Oh, è solo un suo carissimo, ma carissimo amico…dovevano uscire per andare da una parte in centro…”
Ah.
“Davvero?” chiesi “Le dispiace…le dispiace se l’accompagno per andare da Julia?”
E così lasciai definitivamente perdere il mio caro intruglio blu e uscii dalla fabbrica sotto un torrente di parole di Stacy.

***

“Io non lo assaggio neanche morta.” Affermai guardando quello che il cameriere mi aveva messo davanti su ordinazione di Mark.
“Avanti, è buono.” Mi diceva lui.
“Come può un cappuccino con dentro il succo alla banana essere buono? Me lo spiega?”
“Lo so, se si pensa agli ingredienti non è molto allettante, però…”
“Magari…” feci allontanando la tazza da me “lo assaggio più tardi, eh?”
“Come vuole,” disse lui “ma io aspetto con ansia un suo verdetto.”
Feci una faccia disgustata contemplando quella roba davanti a me e Mark guardandomi si mise a ridere.
All’improvviso però fu proprio il locale in cui ci trovavamo a darmi una via d’uscita, perché infatti avevano messo una musica ad alto volume e nella piccola pista da ballo alcune persone si erano messe a ballare. Dico che questo mi offrì una via di scampo allo pseudo-cappuccino perché infatto Mark mi chiese:
“Nel frattempo che lei si decide che ne dice di fare quattro salti?
“Dove, in padella?”
“Sulla pista!”
“Oh, no! No no no! Neanche per sogno!”
“Ma perché?” chiese lui alzandosi in piedi.
“Perché non sono capace.”
“Andiamo, tutti sono capaci a ballare.” Disse tendendomi la mano.
“Beh, io sono un eccezione.”
Lui però non si diede per vinto e prendendo la mia di mano mi tirò su a fatica dalla sedia e mi trascinò sulla pista da ballo.
“Se uscirà di qui con i piedi gonfi per le pedate che le darò potrò solo dire che io gliel’avevo detto.” Feci avvertendolo.
“Guardi che tanto neanche io so ballare, quindi ci compensiamo a vicenda.”
“Caso mai faremo una bella figuraccia, altro che compensazione…”
Ma Mark non mi ascoltò, bensì mi prese per mani e iniziò a farmi piroettare, dopodiché cominciammo a ballare come potevamo, andando ripetitivamente fuori tempo e pestandoci i piedi a vicenda. Il risultato? Iniziai a ridere come una matta, e quando la musica finì io ancora ero lì che quasi quasi me la facevo sotto.
Alla fine, comunque, quando riuscii a smettere e ad asciugarmi le lacrime che mi uscivano per lo sforzo, dissi a Mark:
“Lei mi ha fatto divertire e io per ricompensa assaggerò quell’abominevole cappuccino.”
“Non chiedevo di meglio.” Mi rispose lui.
Ci girammo allora per tornare al nostro tavolino, e quasi mi prese un colpo: fuori dalla vetrina, che guardavano verso di noi, c’erano Stacy e Willy.
“Ma che ci fanno insieme, si può sapere?” pensai, anche se quello che mi spaventò più di tutto fu l’espressione di Willy: stava lì a fissarmi con un sopracciglio alzato e per quanto mi sembrava era praticamente sconcertato.
Chissà a che stava pensando…

 

 

Sì...anche Willy alza il sopracciglio. u.ù
Come un pipistrellone insegnante di pozioni di mia conoscenza u.ù
Perchè tanto lui c'entra sempre e comunque! XD XD

Ciao, nì!!!!!!!!

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Capitolo 18
*** Tra malintesi, pensieri e presunti cambiamenti ***


Eccomi di nuovo qui!!!!!!

Elly_93: spero che la tua donna blu ti abbia soddisfatto xD scusa, non ho tanto tempo per commentare, che pizza -.- ciaooooooo ;)

 

Tra malintesi, pensieri e presunti "cambiamenti"


“Che ci fa Willy con Stacy?” mi ripetevo per la decima volta nella mia testa “E poi perché mi guarda così?”
Ero rimasta dove mi trovavo, come incantata…o imbambolata. Nel frattempo Willy invece era entrato nel locale, seguito a ruota da Stacy.
“Ehi Wil…” feci per salutarlo, ma lui mi interruppe:
“Che ci fai qui?”
“Come?”
“Che stavi facendo?” mi disse.
“ho portato a lavare il cappotto…”
“Questa non mi sembra una lavanderia…”
“Vabbè ma che c’entra! Stavo aspettando che si finisse di lavare.”
“Qui?”
“E dove, in mezzo alla strada?”
“Ed è mentre aspettavi che ti sei messa a ballare?”
L’illuminazione mi giunse tutta insieme. Credevo di aver capito perché Willy mi stava facendo tutte quelle domande, e la mia convinzione crebbe ancora di più dopo aver notato uno sguardo di Willy lanciato di sbieco a Mark.
“Non sarai geloso…” gli dissi.
“cosa?”
“Dai, ammettilo.”
“Perché credi che sia geloso?”
“Oh, andiamo…da quando ballare con qualcuno è reato?” dissi “A te da fastidio che quel qualcuno non sei tu!”
Willy rimase zitto per un bel po’ di tempo, guardandomi con la sua solita faccia senza espressione, e io, di tutta risposta, mi arrabbiai senza motivo:
“Non puoi accettare il fatto che io mi stia divertendo con una persona che non sei tu, giusto?”
“Co…”
“Credi che tutto giri intorno a te, vero? Beh, non è così!”
“Io non intendo che…”
Non lo ascoltai minimamente presa com’ero dal fatto che il mio orgoglio continuava a ripetermi sei per caso una bambina, ché devi essere controllata così? E così, come se fossi impazzita, iniziai a sbraitare:
“Sei un egocentrico, ecco cosa sei? Credi che tutto il mondo giri intorno a te? Beh, non ci sei solo tu nella mia vita! Io posso andare in giro dove voglio, quando voglio e soprattutto con chi voglio! Sei un…un…violadipendente e pallone gonfiato!”
Quando smisi di dare fiato alla bocca, io e Willy ci guardammo negli occhi per qualche istante, senza parlare, senza dir nulla.
“Bene.” Fece infine Willy, e calcandosi il cilindro sulla testa uscì dal locale.
Io lo guardavo allontanarsi dalla vetrina; il cuore ancora mi batteva fortissimo e non riuscivo a controllarlo minimamente. Poco dopo uscii anch’io di lì, ignorando sia Mark che Stacy e quando fui in strada l’aria mi sembrava anche più fredda di quanto ricordassi. Ad un certo punto sentii qualcuno avvicinarsi a me: era Mark, ma non lo degnai del più piccolo segno di attenzione e in silenzio ci dirigemmo alla lavanderia, dove mi fu restituito il cappotto e dove Mark pagò il conto. Il tutto sempre nel più sordo silenzio. Alla fine salutai Mark con un piccolo arrivederci e come se tutto d’un tratto l’apatia si fosse impossessata di me tornai non in ufficio, bensì a casa, a passi molto lenti, sentendo freddo come non mai. Quando arrivai entrai in salotto, ma quel freddo non se ne andava, e allora capii che in quel momento il gelo era dentro di me, sotto la mia pelle, nella mie ossa.
Provai a distrarmi accendendo la tv, e quella era sintonizzata sul programma musicale, dove stavano trasmettendo una canzone di Renato Zero:
♪♫…forse un giorno scopriremo che non ci siamo mai perduti,
e che tutta quella tristezza in realtà non è mai esistita.
I migliori anni della no…♫♪
“Oh, ma stà zitto!” esclamai rivolta all’uomo in nero che cantava sullo schermo, e spensi la televisione.
Rimasi così, a fissare il display scuro davanti a me, mentre nella mia mente riecheggiavano le parole, le frasi…tutto quello che avevo scaraventato contro Willy, e mi resi conto di quanto fossi stata incosciente e insensata: tutto ciò che avevo detto, tutto quanto, erano cose che non pensavo, cose che mi erano uscite dalla bocca senza motivo, aizzate dal mio stupido orgoglio…era stata una scema, lo ammetto, e non potete immaginare quanto in quel momento avrei voluto tornare indietro giusto di un’ora.

***


Camminavo a passi svelti sul marciapiede bagnato dalla neve che già iniziava a sciogliersi; intorno a me la gente si occupava frenetica dei suoi affari: per loro la vita scorreva veloce e inarrestabile nei loro numerosi impegni. Eh, in quel momento per me la vita si era fermata. Camminavo,sì, con un turbinio di sensazioni poco identificabili, ma era come se tutto attorno a me paresse sfocato, privo di significato. Arrivai a casa come un automa, e solo quando mi chiusi nel silenzio della fabbrica la mia mente si rischiarò: era successo tutto così in fretta che quasi non me ne rendevo conto; Julia mi aveva bersagliato con una marea di parole, ma era come se mi fossero scivolate addosso, come se su di me non avevano avuto nessun effetto, e solo tempo dopo ne capii il perché: forse perché in qualche modo sentivo di meritarmele. A pensarci bene infatti ero arrivato lì tutto di corsa, quando l’avevo vista ballare…e ridere con quel tizio biondo, era come se mi fosse venuta una specie di…ansia. E così avevo iniziato a farle domande a raffica e a chiederle questo e quest’altro fino a quando anche lei non si era messa ad urlare.
A dire il vero non so neanche bene perché me ne sia andato in gran fretta. Forse l’atmosfera non era delle migliori, forse avevo voglia di stare da solo.
Forse, forse, forse. Non so se si è capito, ma ero piuttosto confuso.
Mi destai infine dai miei pensieri e mi diressi alla stanza delle invenzioni per riprendere il lavoro che avevo interrotto poco tempo prima, ma quando aprii la porta tutto mi sembro estremamente bluastro: una densa patina azzurra ricopriva gran parte della stanza…e anche la puzza era considerevole. Inoltre c’erano alcuni Umpa Lumpa che fortunatamente stavano pulendo quel disastro.
“Ma che è successo?!” chiesi.
Gli Umpa Lumpa indicarono il paiolo su cui stavo facendo bollire quella roba blu.
“Ah.” Feci “Scommetto che è esplosa, eh?”
Gli Umpa Lumpa annuirono.
“Vi lascio al vostro lavoro, allora.”
E richiusi la porta ritrovandomi nel corridoio.
Fortuna che almeno ero riuscito a scampare alla bomba colorata…
A quel punto allora, non avendo altro da fare, me ne andai in camera mia, per mettermi comodo. Arrivato lanciai cappello e bastone sul letto, e per caso mi guardai allo specchio.
“Ma sarò davvero un violadipendente?” dissi tra me e me guardandomi i vestiti.
Di tutta risposta, allora, aprii l’armadio e tirai fuori qualche abito nuovo.

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Capitolo 19
*** Amicizia ***


Eh...care ragazze mie...ci stiamo ormai avvicinando alla fine :) Ma non deprimetevi, manca ancora qualche capitoloetto :)

Baby_Barby: ahahahaha sì, il Willy guardone è andato XD XD XD E sì, Sanders è un cretino u.ù xD xD Spero che anche questo capitolo ti piaccia!!! Ciaoooooooooo ;)

Elly_93: guarda che sono io la sadica per eccellenza, che ti credi? Ahahahahah xD Comunque...dicevamo.......come è andato francese???? Oddio, spero bene!! Dai dai dai dai dai che sei una grandeeeeee!!!!!!! Purtroppo io non francese non so un'acciderbolina, altrimenti avrei creato una connessione telepatica tra me e te e ti avrei suggerito tutto.....xD Sì, sto fuori. xD Se ti serve qualcosa di greco fammelo sapere ahahahaha ma penso di no. xD Un bacione mon amour!!!!!!!!!!!!!!

Godetevi il nuovo capitolo, e grazie a tutti!!!!


Amicizia

 

Quella notte non fu delle più tranquille: mi rigiravo nel letto in continuazione, come presa da un malessere, anche se magari non era corporeo. Mi trovavo in una sorta di dormiveglia, e ogni volta che prendevo completamente coscienza guardavo la sveglia sperando che fosse l’ora di alzarsi, per far terminare il prima possibile quell’angoscia. Solo verso la fine della notte riuscii ad addormentarmi con un sospiro, e così caddi in un sonno profondo, che, come potei constatare in seguito, neanche la sveglia era riuscita a interrompere. Quando infatti riaprii gli occhi, tutta la mia camera era completamente inondata di sole, e guardando guardai quella che avrebbe dovuto svegliarmi, esclamai esterrefatta:
“Mezzogiorno?!”
Saltai giù dal letto come una furia e mi vestii alla velocità della luce, e sorprendendomi alquanto, mi ritrovai davanti alla porta di casa alle 12:14.
“Sono in un ritardo mostruoso…se continuo così va a finire che Alex o mi licenzia o mi ammazza direttamente.”
Era questo il mio pensiero quando aprii la porta per uscire, ma appena la spalancai Alex volò via dalla mia mente come un uccellino dalla gabbietta aperta. Davanti a me, infatti, c’era qualcuno, qualcuno che come lo vidi mi fece rabbuiare.
“Che ci fai qui?” gli domandai.
“Volevo parlarti.” Mi disse George passandosi una mano tra i capelli rossi. Era quello il gesto che faceva quando era nervoso. Lo guardai: le sue spalle perennemente ricurve in avanti mi diedero una sensazione di compassione (anche se sapevo perfettamente che quelle ossa erano così da quando aveva dieci anni), e questo perché subito dopo lo avevo guardato negli occhi. C’era una luce strana in loro, un luce che diceva “per favore” in un modo tanto intenso che non potei non acconsentire alla sua richiesta.
Lo feci quindi entrare in casa e, mandando al diavolo il lavoro e tutto il resto, lo feci accomodare sul divano.
“Di che volevi parlarmi?” gli chiesi subito.
“Non so di preciso…” mi rispose “Credo un po’ di tutto.”
Mi sedetti accanto a lui e lo incalzai: “Avanti allora.”
George si passò di nuovo la mano tra i capelli e cominciò:
“Prima di tutto: grazie di avermi fatto entrare; insomma, lo so che sei arrabbiata con me e tutto il resto, quindi…”
“Non c’è di che.”
“Ebbene…tutto è iniziato stamattina. Ero andato in ufficio, come al solito d’altronde, e a dirla tutta non ero neanche troppo felice, dato che Alex mi aveva affibbiato di riordinare tutto l’archivio, ma comunque, stavo dicendo…entro in ufficio e mi guardo intorno, e vedo la tua scrivania vuota. Francamente non mi sono neanche chiesto perché non c’eri, dato che in qualche modo potevo anche immaginarmelo, ma fatto sta che guardando la tua scrivania mi cade l’occhio su quella di Stacy dato che è vicinissima alla tua, e la vedo parlare con un tizio alto, biondo, che sorride come un demente.” Sorrise fra sé e sé “Dovevi vedere che razza di faccia che aveva! Beh, tu sai quanto maledettamente curioso sono, e allora che faccio? Mi avvicinò per sapere di che caspita Stacy sta parlando con un tipo del genere…” A questo punto George iniziò con maestria ad imitare le voci di Stacy e dell’altra persona, cosa che nonostante tutto riuscì a strapparmi un sorriso:
“«Allora,» ha detto il tizio «sono o non sono il migliore?»
E Stacy ha fatto «Non ti allargare.»
«Ma ammettilo che senza di me saresti perduta.»
«Seeee non ti dico. Però mi sei stato molto utile.» ha detto Stacy, o qualcosa del genere.
«Beh, grazie!» ha fatto l’altro «modestamente sono un grande attore.»
«Di grande c’è solo il tuo ego, Mark.»”
“Mark?!” chiesi a George a quel punto.
“Sì.” Mi rispose lui “Da quanto ho capito quel tizio si chiama così.”
Il mio cervello si mise in moto all’istante.
“Comunque,” continuò George “quei due hanno iniziato a parlare, a confabulare soprattutto…c’era quel Mark che non faceva altro che vantarsi della sua impresa…e io mi chiedevo curioso che caspita avesse fatto di tanto grandioso…e alla fine…beh, indovina di chi si sono messi a parlare?”
“Mah,”feci io “non so…di me, forse?”
“Già, ma non sono riuscito a capire perché. Fatto sta comunque che Mark aveva portato a termine un favore che gli aveva chiesto Stacy, e ora lui reclamava una sorta di ricompensa, anche se non so quale, perché me ne sono dovuto andare…secondo te di cosa si trattava?”
“Secondo me” feci io “Mark e Stacy sono amici…”
“Ok, fin qui c’ero anch’io…”
“E dato quello che mi è successo ultimamente – George fece una faccia interrogativa – credo proprio che Stacy abbia usato Mark per far ingelosire Willy e farci litigare…o qualcosa del genere…”
“Aahh” disse George “tutto chiaro…no aspetta: Willy chi?”
Mi ricordai in quel momento che George di Willy non ne sapeva un accidente, e allora glielo dissi, soprattutto per vedere la sua faccia sorpresa:
“Mi sono messa con niente popo di meno che Willy Wonka!”
George mi guardò allibito e poi emise un fischio.
“Cavolo!”esclamò “Congratulazioni!”
In quel momento mi sembrò come se tutte le divergenze tra di noi fossero puf! sparite in un batter d’occhio, e così gli raccontai tutto per filo e per segno, dato che non l’avevo più aggiornato da qualche giorno.
E così la nostra amicizia era di nuovo saldata, grazie anche a Stacy! Mi viene da ridere a pensarlo! E soprattutto mi viene da ridere pensando a come lo prenderebbe lei a sapere che è stata la causa della mia riconciliazione col roscio!
Ah, dimentico una cosa:
Mark se ne può pure andare al diavolo!
 


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Capitolo 20
*** Boris e la portentosa Wonkavite ***


Elly_93: aaaaah, fortunata te, che ti saltano i compiti!!!! :P :P :P Comunque spero che questo capitolo ti piaccia mucho mucho!!! XD Un bacione mon amour!!! ;)

Boris e la portentosa Wonkavite

Io e George ci lasciammo non molto tempo dopo, e a quel punto, dato che praticamente era quasi ora di pranzo, mandai il lavoro a farsi friggere, ma soprattutto, dopo aver saputo il resoconto dettagliato che mi aveva così abilmente illustrato il mio amico, non volli sprecare neanche un secondo e andai di corsa alla fabbrica di cioccolato. Senza neanche prendere la macchina da tutta la fretta che avevo. La gente che mi vedeva passare correndo come un fulmine si sarà sicuramente chiesta se fossi pazza, ma non me ne curai affatto, indaffarata com’ero. Il mio punto fisso, in quel momento, era uno e uno solo: un uomo col cappello a cilindro, e volevo raggiungerlo il prima possibile.
Arrivata ai cancelli ansimante li trovai stranamente aperti, ma senza pensarci troppo entrai e percorsi il vialetto d’entrata tutto d’un fiato. Giunta a destinazione spalancai una porta e mi ritrovai nel caldo calore del riscaldamento della fabbrica. Nell’ingresso non c’era nessuno e così camminando sul tappeto raggiunsi la porta che portava al giardino, anche se mi aspettavo che fosse chiusa a chiave. Con mia grande sorpresa, invece, era aperta, e allora entrai. In giro non c’era nessuno, era deserto come nell’ingresso, e sinceramente…non sapendo dove caspita andare in quell’enorme fabbrica, mi diressi alla casetta della famiglia Buckett, dove – ma guarda un po’ – la porta era aperta, anzi, spalancata, e la scena che vidi mi ricordò tanto quella che avevo visto qualche giorno prima quando Loris ci aveva parlato della scomparsa del suo amico; solo che questa volta al posto di Loris c’era un altro Umpa Lumpa…certo, per quanto riuscii a capire, dato che per me quegli omini erano tutti uguali.
Comunque, appena la mia figura si staglio nella casa, controluce, per giunta, tutti mi guardarono sorpresi, mentre a me uscirono praticamente gli occhi di fuori non appena vidi Willy: era senza cilindro, e questo non mi stupì più di tanto; il punto era che era vestito normalmente! Stava con un paio di jeans e un maglione! Anche e ovviamente coperti dal suo solito cappotto…
Appena arrivai Willy si alzò da dove stava seduto e mi venne incontro. Mi si mise davanti con un sorriso incerto, e disse:
“Ciao.”
“Ciao…” risposi io, e poi aggiunsi “Bel look comunque.”
“Trovi?” fece guardandosi i vestiti.
“Certo! Li ho scelti io, no? Quindi sono per forza bellissimi…”
“Non so perché ma questa risposta me la sarei dovuta aspettare…credo.”
Calò il silenzio. Ma non era teso, assolutamente no! Era…quasi piacevole, e in quel silenzio risplendevano sinceri i sorrisi brillanti e gentili di Willy.
“Ciao.” Mi disse di nuovo.
“Ciao.” Gli risposi, e gli saltai al collo abbracciandolo. All’inizio lui era rimasto quasi spiazzato da quel mio gesto di affetto, ma poi mi mise le mani sulla schiena e rispose al mio abbraccio.
Quando ci staccammo ci voltammo verso le persone che zitte zitte erano rimaste a guardarci, e dato che loro seguitavano nel fissarci come se fossimo chissà cosa, notai che Willy era diventato di un colorito abbastanza acceso, cosa che mi fece scatenare una risata.
Willy di seguito mi fece sedere accanto a lui, su una sedia, e mi riassunse in breve quello che era accaduto prima che io interrompessi il tutto:
“Ho il piacere di presentarti, cara Julia, il famoso Boris, tornato miracolosamente giusto poco tempo fa.” E mi indicò l’Umpa Lumpa che si trovava in mezzo a noi. Così quello era Boris! Lo scomparso! “E stava appunto per raccontarci qualcosa.” Concluse Willy.
Tutti gli sguardi si fissarono su Boris, curiosi, bramosi di sentirlo parlare, desiderosi di sentirlo raccontare. L’Umpa Lumpa abbassò gli occhi al pavimento e iniziò:
“Premetto dicendo che mi dispiace. Insomma, io…mi rendo conto solo ora di quanto sia stato incosciente a fare una cosa del genere…e spero che il signor Wonka…” si interruppe “vede…qualche tempo fa sono stato avvicinato da un uomo che mi ha proposto una sorta di…affare. Era…beh…lui è Slaguard.”
“Lo sapevo!” esclamò Wonka all’improvviso facendo prendere un colpo a tutti quanti “Lo sapevo ce quel…quel…ah, meglio che sto zitto.”
“E chi sarebbe questo Slaguish, Slagar…vabbè insomma?” chiesi.
“E’ un mio rivale, ecco chi! Mi ha truffato rubandomi le ricette per non so quante…” si interruppe di botto e posò pian lo sguardo su Boris chiedendo: “Che genere di affare ti ha proposto?”
L’Umpa Lumpa distolse gli occhi da quelli viola e riprese: “Voleva che gli portassi la più grande invenzione del signor Wonka, promettendomi immensità di ricchezze.”
“Capisco…” fece Willy apatico “E tu…”
“Io gliel’ho data.”
“La wonkavite!” esclamai quando mi si accese la lampadina.
Boris annuì. “Lui però quando ebbe la busta tra le mani non mi diede un bel niente. Mi cacciò via. E io dove sarei potuto andare se non qui? Lo so che ho fatto una cosa estremamente stupida e…e….traditrice anche…ma, signor Wonka,” fece allora guardando per la prima volta Willy dritto negli occhi “posso rimanere qui?”
I due si guardarono e dalle facce che faceva Willy si poteva capire che stesse pensando una quantità incalcolabile di cose tutte contemporaneamente. Alla fine disse con un sorriso:
“Certo che puoi restare, non devi neanche chiederlo.”
Il volto di Boris si illuminò tutto insieme e un grande sorriso gli scoprì i denti bianchi.
“Grazie signor Wonka! Lei è l’uomo migliore del mondo!”
E detto questo uscì di corsa dalla casetta desideroso di rimettersi al lavoro per recuperare il tempo perduto.
Tra di noi calò quindi un silenzio pensieroso, interrotto alla fine dalla voce squillante di Charlie che chiese:
“Ma Willy! È tanto che se ne parla, ma…questa wonkavite…si può sapere che cos’è?”
Domanda intelligente, devo ammetterlo, perché infatti anche io non avevo la più pallida di cosa fosse questa straordinaria invenzione, la più grande scoperta di Willy Wonka!
Willy si alzò in piedi e per rispondere alla domanda di Charlie iniziò a frugarsi nelle tasche, mentre noi lo guardavamo curiosi come non mai.
“Aspettate un momento…me le sono messe da qualche parte…” disse “sono sicuro di averle con me mica posso averle perse. Ci tengo alle mie cose più importanti e più preziose, in queste saccocce. Il guaio è che ne ho tante…” prese a svuotarsi le tasche e a deporne il contenuto sul tavolo: una fionda, uno yo-yo…un finto uovo al tegamino, di gomma… una fetta di salame…un dente del giudizio cariato…una fialetta puzzolente…un pacchetto di polverina pruriginosa… “eppure devono esserci, per forza devo averle con me” seguitava a borbottare. “mi ricordo di essermele messe in tasca…ah! Eccole!” tirò fuori un barattolino pieno di pillole gialle che tremavano violentemente e che cambiavano di tanto in tanto colore diventando blu. “Ecco, questa è la mia Wonkavite.”
Tutti fissavamo quel barattolino sbalorditi, ma a me ovviamente vedere la famosa wonkavite non bastava:
“E che cosa fa?”
Willy aprì la bocca per rispondere, ma la richiuse, perché era troppo intento ad ascoltare qualcosa, qualcosa che giunse anche ai nostri orecchi: un piccolo frastuono di tamburi e di voci, come se stessero cantando qualcosa. Ci precipitammo tutti quanti fuori dalla casetta dei Buckett per poi vedere tanti piccoli Umpa Lumpa, compresi Boris e Loris, che cantavano fieri una canzone:

Se sei vecchio e c’hai l’artrite,
se hai le ossa indolenzite,
se ti dolgono i budelli,
se hai gli attacchi di cistite
e più acciacchi che capelli,
e hai la broncopolmonite,
la gastrite e la nefrite,
TI CI VUOL LA WONKAVITE!

Gli occhi allor ti brilleranno,
e i capelli cresceranno.
Ti cadranno i denti guasti
A al lor posto spunteranno
Denti adatti a fieri pasti.
Tutto il grasso, tutto il lardo
In un fiat scompariranno.
Il tuo passo lento e tardo
sarà lesto; e dal tuo sguardo
rai fulminei sprizzeranno.
Ma non basta: ogni pastiglia
Ti può dare – oh, meraviglia! –
Una proroga di vita.

Ricomincia la partita,
che sembrava ormai finita.
La speranza non è tronca,
non è più cionca né monca.
Tutti quanti su applaudite
ora il grande Willy Wonka!
E a vedere qui venite
la sua gran meravigliosa,
portentosa dinamite…
LA FAMOSA WONKAVITE!


“Chiaro il concetto?” ci chiese Willy non appena la melodia finì.
“Cioè…quelle pillole…che farebbero?...ringiovaniscono?!” non potevano credere alle mie orecchie! Diamine!!
“E ognuna fa diventare più giovane non di un anno, non di due, ma di venti anni!”
Spalancai la bocca sbalordita.
“Ma va?” dissi a fior di labbra, mentre Willy si beava compiaciuto nell’incredulità di noi tutti.
A quel punto, però fu Joe a parlare:
“Ma se Boris ha dato la ricetta a Slaguard adesso la tua invenzione è in pericolo!”
“Oh non credo proprio.” Disse Willy con la maggio calma possibile.
“E perché?” chiesi.
“Non penso che ne capirà una sola parola.” Rispose.
E sorrise enigmatico come solo lui sapeva fare.

***


Io e il mio prode socio Slaguard eravamo nel mio studio, eccitati al massimo: la busta con la wonkavite, infatti era distesa sul tavolo proprio davanti a noi. Bastava aprirla e scoprire di cosa si trattasse per diventare anche più famosi del grande Willy Wonka, acclamato in tutto il mondo! Bah! Quel buffone avrebbe condiviso con noi i suoi giorni di gloria da quel giorno!
“Allora, Fickelsgruber…sei pronto?”
“Ovvio che sì, caro Slaguard!”
Ci avventammo sulla busta e la aprimmo il più velocemente possibile rivelandone il contenuto: un lungo foglio piegato più volte, con su scritto, come titolo,
Ricetta della portentosa Wonkavite
E così iniziammo a leggere curiosi e quasi famelici:

Prendasi un tocco della miglior cioccolata, del peso di 1 q ( o venti sacchi da 5 kg di cioccolata sfusa, come torna più comodo). Pongasi la cioccolata in un capace caldaio e la si faccia squagliare a fuoco lento – o a fuoco veloce, a piacere. Una volta squagliata, seguitate a farla bollire pian piano, badando che sono si attacchi e non si bruci, e aggiungere i seguenti ingredienti, aspettando che ognuno ci sia ben amalgamato prima di versare il successivo:

UNO ZOCCOLO DI MANTICORA
LA PROBOSCIDE DI UN ELEFANTE (O, A SECONDA DEI GUSTI, DI UN CALABRONE)
IL TUORLO DI TRE UOVA DI UCCELLINO BELVERDE
UNA PUSTOLA DI PUZZOLA
UN’ONTA DI CAMALEONTE (NON UNTA PERÒ)
LA CODA ANTERIORE DI UN BRADIPO ANURO
UN CORNO DI VACCA INGLESE (MA CHE SIA UNA VACCA DA CACCIA)
SEI ONCE DI CIANCE DI LINCE E UNA DI CIONCIO DI CINCIA (ALLEGRA O MALINCONICA A PIACERE)
DUE PELI DI BARBABIETOLA (O BARBAGIANNI)
IL SECONDO METACARPO DI UNA CAPRA O IL TERZO CARPO DI UNA METACAPRA
IL BECCO GIALLO DI UN PETTIROSSO SECCO
IL FIOCCO DI UNO STAMBECCO DEL CORPO–DI–BACCO
LA TRIPPA DI UN TROPPOPOTAMO
UN CALLO DI SCIACALLO E DUE DI GALLO
UNA PALLA DI PELLE DI POLLO
LA CHIARA DI TRE UOVA DI DIOSCURI
LA RADICE QUADRATA DI UNA TAVOLA ROTONDA
LA MORALE DEL CAVOLO A MERENDA
IL RINO, LA NOCE, IL CERO E LE ONTE DI UN RINOCERONTE.

Quando tutti i suddetti ingredienti si saranno squagliati, non squagliatevi anche voi, bensì seguitate e far bollire il tutto, mestando e rimestando per altri sette dì. Se il settimo dì cade di venerdì, non rialzatelo, bensì seguitate mestamente a rimestare fino al successivo dì di festa dispari. Lasciar quindi evaporare la mistura finché in fondo al caldaro resta un duro malloppo grosso quanto un popone di troppo. Spaccatelo con un martello e troverete là dentro una pallucca grossa quanto un pallino di schioppo. Questa è una pillola di WONKAVITE.


Le mani mi tremavano di rabbia come non mai, tanto che il foglio con la ricetta mi cadde a terra.
“E adesso?” mi chiese Slaguard “Tu ci hai capito qualcosa?”
“No.” Risposi. “Neanche una parola.” E aggiunsi: “Maledetto Willy Wonka.”.

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Capitolo 21
*** Fine! ***


E siamo giunti all'ultimo capitolo.
Che dire....spero che questa storia vi sia piciuta, così come è piaciuto a me scriverla.
Vi ringrazio di cuore per avermi seguito, per avermi messo nelle storie preferite, seguite o da ricordare.
Grazie grazie grazie :)
Ora tutti a farsi una cioccolaata, su ;)

Ah, un particolare rigraziamento alla mia Elly =) Ti lovvo troppo, lo sai xD

Ci si becca, ragazzi.
Ciao nì!!!




Fine!



E così, ridendo e scherzando, siamo giunti alla fine di questa strana storia.
Sono passati tre mesi da quando è avvenuta la storia di Boris e della wonkavite, e sono stati i più bei tre mesi della mia vita.
Naturalmente ho finalmente finito i cartelloni pubblicitari, che ora tappezzano tutta la città! E che dire…mi sono dimessa! Già! Non scorderò la faccia di Alex nel sentire che me ne volevo andare, mentre lui ingenuamente me ne chiedeva il motivo.
E sapete che ho fatto dopo? Mi sono messa in proprio. Già, ho aperto un’attività tutta mia, insieme a George, grazie al contributo finanziario di Willy, che pur di farmi contenta non ha badato assolutamente a spese!
A proposito di Willy…tra di noi va alla grande! Si è sciolto parecchio, adesso, potrei dire, è quasi “umano”! Naturalmente non finirò mai di ringraziare il padre di Willy, perché a pensarci bene è stato grazie a lui che io e Willy ci siamo conosciuti, era stata sua l’idea dei cartelloni pubblicitari, della rimordenizzazione, come la chiamava lui.
In quel momento io e lui eravamo nella piazza della città sotto uno dei cartelloni che avevo fatto io, e lo guardavamo contenti, quando ad un certo punto, un bambino si avvicinò a noi e iniziò a tirai Willy per il lembo della giacca dicendo:
“Ma tu sei Willy Wonka!”
Willy abbassò lo sguardo verso di lui con una smorfia, come se quel piccolo bambino dai capelli color del grano potesse assalirlo da un momento all’altro.
“Ehm…sì, sono io.”
“Ce l’hai la cioccolata?”
“Come?”
“Mi dai la tua cioccolata?”
Willy strabuzzò gli occhi e io iniziai a ridere.
“Adesso no ce l’ho la cioccolata!” fece Willy.
“Io voglio la tua cioccolata!” esclamò il bambino strattonando ancora di più la giacca di Willy, facendolo quasi cadere a terra! Prima comunque che quel bimbo si mettesse a sbraitare, accorse allarmato da noi un signore che con fiatone disse:
“Jack! Ma si può sapere che stai facendo!” e preso il bimbo per una spalla lo portò verso di sé.
“Ma io volevo la cioccolata del signor Wonka! Vedi? È proprio Willy Wonka quello lì!” fece Jack indicando Willy.
Il padre allora si avvicinò a noi, e tese la mano a Willy dicendo:
“Mi scuso per mio figlio, ma sa, quando si parla di dolci perde completamente il controllo, non ci posso fare niente.”
Willy gli strinse la mano mormorando un non fa niente.
Il padre di Jack allora alzò gli occhi verso il cartellone che ci sovrastava commentando:
“Bello.”
“Ah sì?” fece Willy.
“Sì, mi piace. Sa per caso chi l’ha fatto?”
A quel punto allora non potei far altro che intromettermi: “L’ho fatto io.”
Il signore si girò verso di noi, sorridendo: “Davvero? Beh, complimenti!” E tese verso di me la mano.
Io gliela strinsi. “Piacere, sono Julia Davis.”
“Johnny Depp, piacere.”
Mi paralizzai all’istante, mentre Willy ci guardava con un sopracciglio alzato.
“Lei…lei…” riuscii solo a dire, mente Johnny si mise a ridere di gusto guardando la mia faccia tutta rossa.
Sentii allora un mano poggiarsi sulla mia spalla: era Willy che mi aveva messo un braccio intorno alle spalle abbracciandomi. E sorprendendomi disse a Johnny:
“Sa che siamo fidanzati?”
Io scoppiai a ridere come una scema, e così tutti e due mi guardarono strani, mentre io, incurante dei loro sguardi, mormorai a Willy.
“Ti amo, gelosone…”
E gli diedi un bacio.

THE END

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