†No Control †

di mangagirlfan
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Ω Ashes Sound Ω → † Il mio nome come cenere al vento † ***
Capitolo 3: *** Ω Dance with the devil Ω → † Balleremo col diavolo, sta notte † ***
Capitolo 4: *** Ω Promise Ω → † Per te che sei la mia famiglia † ***
Capitolo 5: *** Ω She was like the sun Ω → † Ed anch’io ti narrerò delle lacrime che piansi...† ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Eccomi qui con una nuova fan fiction a più capitoli su Bleach u.u Questa volta è Yaoi, un genere che mi piace particolarmente, se trattato nella maniera giusta^^ E' da questa estate che tutto questo è in porto, tra la pianificazione della trama (perchè sarò anche una ZozzaH come dice la raxilia-sama ma se le cose vanno fatte devono essere fatte bene u.u) la creazione di un nuovo personaggio che, assieme ad un'altro maniaco pervertito di nostra conoscenza, farà sì che la coppia trattata in questa fiction posso finalmente smuoversi e fare quello che deve fare *sguardo da pervertita* Nel prologo qui sotto c'è una parte di presentazione del personaggio e spero che possa indurvi a chiedervi qualcosa sul personaggio ed a incuriosirvi su questa mia storia^^ Molte cose verranno dette dal secondo capitolo in avanti e quindi dovrete pazientare per sapere cosa accadrà u.u le zozzerie vere e proprie probabilmente ci saranno verso la fine del secondo capitolo ma non sapendo su quanto possa sbilanciarmi lascerò per un po' su rating arancione. mossia descrizione senza eccedere. Nel caso modificherò.

Volevo dire che questa fan fiction è didicata ad un forum di matte pervertite (di cui faccio parte) *cuoricini volanti* il Bleach yaoi forum e dove ci sono tante, tantissime amanti di Bleach in generale ma soprattutto della coppia GrimmIchi XD Perchè loro due rullanno e, senza un aiutino d apoarte di noi fangherliste non potrebbero mai arrivare ad una conclusione, per così dire *faccia da pervertita

ogni capitolo avrà una canzone di apertura che caratterizzerà l'ambientazione di ogni capitolo u.u la fan fiction prende il nome da una canzone che ho ascoltato per la prima volta l'estate scorsa ed è una theme di katekyo Hitman reborn. Vi avverto che inserirò il link della canzone, se per caso desiderate sentire la theme che ha creato l'atmosfera^^ spero di farvi un bel piacere^^ 

Shizuka Na Yoru Ni

Ora vi lascio con il prologo, buona lettura a tutte^^

mangagirlfan Alias MewIly



†No Control †

 

 

(Theme: “Shizuka Na Yoru Ni” - Rie Tanaka)

 

Prologo:

 

Ricordo davvero poco dei miei genitori. Ero troppo piccola e forse non volevo nemmeno rendermi realmente conto di ciò che mi accadeva attorno quando li persi. Non ho vissuto male, alla fine non sono mai stata sola.
Il destino ha voluto darmi una mano, dopotutto.
C’era lei e mi bastava, poco importava se ormai non avevo più una madre ed un padre come tutti gli altri bambini. Per me erano solo ombre. Ricordi che si facevano ogni giorno sempre più sbiaditi. Al contrario di lei.

Per me mia nonna  era tutto. Mi ha cresciuta. Mi ha resa la persona che sono. Mi ha fatto capire cosa significa vivere. Mi ha insegnato a non perdere mai la fiducia. In me stessa e nel mondo, nonostante alle volte questo voglia schiacciarti sotto il suo peso.
Dodici anni vissuti assieme. Accanto ad una donna che mi ha amato più di chiunque altro, perché sangue del suo sangue. Perché figlia di sua figlia.

In me vedeva il riflesso di chi ormai non c’era più. Un riflesso da proteggere, da rendere forte e vivo. In grado di trasformarsi in realtà e di reggersi da solo sulle proprie gambe.
Poi le cose sono cambiate. Tanto. Lei non è più accanto a me. E nonostante lo desideri con tutta me stessa, questa situazione non potrà mai cambiare.

Non posso alterare il corso degli eventi.
E le cose sono mutate ancora, in una maniera o nell’altra.

Il mondo continua a girare ed io non posso permettermi di perdere un singolo, misero giro di tale eterna, folle corsa.
Da quando sono finita in questa famiglia ho deciso di fare una cosa. Aiutarla a modo mio. Il che implica un cambiamento. Un pesante cambiamento. Perché, da quel che posso ricordare, io non sono mai stata una persona tranquilla, in grado di sostenere qualcuno. Di ascoltare soprattutto. Me lo ripeteva sempre anche lei, nonna Chiyo,  ridendo.

Ed ora che non c’è più, non posso fare a meno di pensare quanto sia terribilmente vero.
Questa mia nuova famiglia ha bisogno di rimanere serena. Ed io non posso certamente permettermi di creare loro problemi.

Non voglio essere un peso.
La nonna diceva per scherzare che io ero solo una combina guai, una vera calamità naturale, ma ogni giorno che passo tra queste mura, continuo a riflettere su quelle parole. Sul fatto che fossero dannatamente veritiere.

Quanti grattacapi le ho procurato a causa della mia testardaggine. Piccolo difetto di famiglia.
L’unica cosa che posso fare ora è cercare di non mettermi nei guai e comportarmi bene.

Ora che sono loro due la mia famiglia non posso concedermi un solo misero, stupido errore.
Non pretendo di essere una figlia ed una sorella modello, questo no. Solo una cosa voglio tentare di fare.
Rendermi utile. E dimostrare che alla fine non sono così stupida come tutti pensano... e sentirmi definitivamente parte di una famiglia.
Una famiglia che non voglio assolutamente perdere. Perché loro sono la mia ulteriore opportunità, concessami da un destino forse un po’ troppo magnanimo.
E che ringrazio ogni giorno di avermi permesso di non sentirmi più così miseramente sola... 




…Continua…

 

 

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Capitolo 2
*** Ω Ashes Sound Ω → † Il mio nome come cenere al vento † ***


Eccomi col primo capitolo vero e prorpio della storia^^ Qui comicniano ad accadere fatti che smuovono già la situazione tra i due u.u Comunque mi sono divertita tantissimo a scrivere questo capitolo e sicuramente la parte più bella sono state le varie litigate che ci ho messo dentro. Quando una maia amica ha letto in anteprima il tutto ha cominciatoa  ridere come una matta XD E' stata una bella soddisfazione.
Non Vogliatemene se Kon in questo capitolo se le prende un po' spesso, ma poi capirete che erano esigenze di copione. Io amo quel ragazzo (perchè qui beh, è fatto di carne ed ossa) e grazie  alui ne vedremo delle belle^^
Per prima cosa inserisco la canzone tema, la stessa che appunto dà il nome alla storia No Control. Io personalmente amo questa canzone, mi piace davvero molto.
ultima cosa non meno importante, i disegni.
Per ci segue già l'altra mia fiction su bleach saprà che io ho l'abitudine di disegnare sempre qualcosa sulle mie fic. Per non rischiare di morire ho deciso che ogni tanto disegnerò qualcosa, ma non le cover dei capitoli, è già difficile ritagliarsi del tempo a causa dell'università
Ashes sound
No Control (qui cè grimmy senza maschera, che faticaccia!)
Bond
Tu! dannato!

E con questo è tutto^^ Buon proseguimento di lettura
Mangagirlfan alias MewIly




Capitolo 1:

 

 

Ω Ashes Sound Ω → † Il mio nome come cenere al vento †

 

 

“Nonna, perché mi è stato dato questo nome??”
“Perché dalla cenere può sempre nascere una nuova speranza, piccola mia...”
“Cosa vuol dire??”
“Che in te i tuoi genitori hanno riversato il loro futuro...”
“Non capisco...”
“Capirai. Un giorno capirai.”

 (Theme: “No Control” – Irie Shouichi)

 

Era giorno. Lo capiva  dai raggi del sole mattutino che andavano a colpire la sua faccia, abbronzandola solo per metà.
Sapeva che doveva alzarsi. Ma non ne aveva la minima voglia. Era andato a  dormire alle tre di notte e come minimo si aspettava di restarsene a casa. Nessuno gli avrebbe rotto le scatole, no?

Beh, quasi.
Sentì la coperta che fino a pochi istanti prima si era tirato fin sopra la testa sfuggire alla sua presa a causa di un violento strattone verso l’alto. Si raggomitolò, ribellandosi ancor prima di sentire quell’ormai nota voce giungere alle sue povere orecchie.
“Alzati, pelandrone!”
Il ragazzo si limitò a lanciare un grugnito ed un’imprecazione poco carina alla persona interessata, mentre la mancina, dopo aver afferrato di volata il cuscino lo stringeva prepotentemente sopra la propria testa, per poi mugolare un qualcosa sul fatto che poteva benissimo chiamare il capo giustificando la sua assenza con la classica scusa dell’influenza per non ammettere, in realtà, di avere semplicemente un gran sonno.
“Non se ne parla proprio!” protestò maggiormente irritata la voce, strappandogli anche l’ultimo baluardo contro quei fastidiosissimi raggi solari, minacciandolo di prendere le strisce per la ceretta e depilarlo, cominciando da parti decisamente sensibili del suo corpo. Intimidazione che risultò palesemente inutile. Si era riaddormentato, russando della grossa, in meno di cinque secondi. A quel rumore sordo e seccante fece roteare gli occhi dall’esasperazione. Un giorno o l’altro avrebbe perso del tutto la pazienza, poco ma sicuro.
Lo strattonò, lo spintonò, gli diede addirittura un pugno sulla spalla ottenendo come unico risultato una fitta di dolore alle nocche. Ma niente. Se Grimmjow decideva di fare una cosa nessuno riusciva a fargli cambiare idea – in questo caso schiodarsi dal letto – anche se ciò implicava perdere il posto di lavoro. Corse verso il bagno, rovistando tra le varie cianfrusaglie che si trovavano sopra la specchiera, afferrando un paio di pinzette. Si avvicinò con il passo felpato al ragazzo dai capelli azzurri, sghignazzando.
“L’hai voluta tu, Fratellone.”
Afferrò una parte del sopracciglio sinistro dell’altro e cominciò a tirare, strappando una manciata di peli ed un urlo assordante da parte del povero malcapitato il quale scattò in piedi come una molla. La chiara intenzione di ucciderla brillava negli affilati occhi azzurri, furenti di rabbia.
“Ohi, ma che cazzo fai, cogliona!?”
La giovane cominciò a ridere, sfuggendo dalle grinfie di un ormai sveglio Grimmjow minacciandola – sue testuali parole – di strapparle i capelli uno per uno con quella cazzo di pinzetta.
“Haine, se ti becco sei morta!”
“Invece di inveire contro di me, alzati e sbrigati. Il capo ti ha avvertito, se non ti presenti al lavoro ti manda in mezzo ad una strada e tanti saluti all’unico stipendio decente che abbiamo.” Urlò da dietro la porta, fiondandosi giù per le scale per evitare che il ragazzo dai capelli azzurri, con uno scatto dei suoi la raggiungesse per mettere in pratica quello che aveva detto.
A quelle parole il ventenne non poté far altro che mordersi la lingua, progettando una possibile vendetta contro quella rompicoglioni che da un anno buono si era ritrovato tra le scatole contro la sua volontà.
Si vestì velocemente – non pensava di aver dormito così a lungo! – scendendo le scale a due a due e finendo di abbottonarsi la camicia all’ultimo scalino. Appena entrò in cucina l’odore della colazione l’investì in pieno, svegliandolo del tutto. Doveva ammetterlo, Haine era una gran rompi scatole, ma se non altro sapeva cavarsela tra i fornelli. Almeno non l’avvelenava, poco ma sicuro. O bruciava la casa. Ma questa era un'altra storia quindi meglio non pensarci.
Notò poi con sommo piacere la colazione posta nei piatti, capendo solo all’ultimo momento che ormai le pietanze erano quasi del tutto fredde, caffè compreso. Alzò la testa che aveva chinato per esaminare l’elaborato, ricevendo un’occhiataccia da parte della ragazza, i suoi occhi scuri che non ammettevano repliche.
“Se ti fossi svegliato quaranta minuti fa, la tua colazione sarebbe ancora calda. Ed ora datti una mossa, per colpa tua sono in ritardo ed ho dovuto dire ad Orihime di avviarsi senza di me.”
“E quale sarebbe il problema scusa? Intanto tu hai i pattini, no?”
Haine, se avesse potuto, gli avrebbe fatto mangiare la lingua. E le chiedeva ancora perché fosse così preoccupata! Alle volte si domandava se si accorgesse delle cavolate che sparava. O semplicemente se tentasse il tutto e per tutto solamente con lo scopo di farla alterare.
“Devo ricordarti che Tatsuki è andata ad una gara regionale di karatè e che quindi la povera Hime dovrà affrontare da sola l’assalto di quei due cani in calore?!”
“Ma Chizuru non era una gatta?
Grimmjow si mise a ridere quando la sorella assottigliò gli occhi guardandolo torva, mostrandole due file di denti perfettamente allineati e bianchissimi ghignando. Alle volte, doveva ammetterlo, le ricordava un predatore, quando sorrideva.
“Oh, non preoccuparti troppo. Quel coglione di Kurosaki saprà tenere a bada suo fratello, no??”
“Non credo proprio” soffiò acida, finendo di lavare le stoviglie alla velocità della luce per poi afferrare un misero toast e ficcarselo in bocca, rischiando il soffocamento.
“Non dirmi che mangi solo quello?!” chiese, teatralmente, con falsa preoccupazione. Sapeva quanto la sorella detestasse saltare i pasti, lei, che mangiava come un bue appena poteva.
Al ragazzo sembrò di sentire un Fottiti uscire dalla bocca piena di pane e marmellata della ragazza, la quale afferrò la cartella e le scarpe per poi inforcare i pattini e le ginocchiere uscendo di corsa.
Il ventenne ridacchiò, finendo il suo caffè diventato gelido e quindi imbevibile. Sapeva che se Haine non riusciva a fare colazione la mattina era solo a causa sua, perché perdeva parecchio tempo per riuscire a staccarlo dal letto, usando la forza. E forse doveva ammetterlo, lo faceva apposta ad andare a dormire a degli orari così assurdi solo per vederla perdere la calma. Però era divertente e lui alle cose divertenti non  rinunciava mai, no?
 

# # # # # # # # #
 

“Bruttostronzobruttostronzobruttostronzo…” disse la ragazzina a denti stretti, pensando al fratello che probabilmente in quel momento se la rideva della grossa alle sue spalle, progettando chissà quali diavolerie per farla impazzire nell’esatto istante in cui avrebbe rimesso piede in casa. Le sue riflessioni però mutarono non appena sentì la pancia brontolare rumorosamente. A scuola avrebbe piluccato qualcosa dal bento durante le prime ore di lezione, aveva troppa fame per aspettare l’ora di pranzo.
Quando finalmente i suoi occhi neri riuscirono ad intravvedere la distante figura di Inoue capì che la situazione si era evoluta proprio come aveva previsto, degenerando. Nonostante le sue buone intenzioni, Ichigo non riusciva a tenere  a bada quel cretino del gemello, Kon, appiccicatosi alla povera Orihime come una cozza allo scoglio. Lei l’osservava e sorrideva cordialmente, nonostante si sentisse un po’ oppressa dal più piccolo dei fratelli Kurosaki.
“Hime-chan, che ne dici se dopo la scuola ce ne andiamo a fare un giretto tu ed io soli soletti?”
“Ehm... Kurosaki-kun, lo sai che oggi sono impegnata...”
“Uh, ma Hime-chan! Quante volte di ho detto di chiamarmi semplicemente Kon??”
“Ohi, brutto cretino, la vuoi piantare di infastidire la povera Inoue??”
“Oh, Ichi-nii, sei il solito guastafeste! Eppure dovresti capirmi, sei un uomo no? Oppure è così piccolo che oramai i tuoi istinti sono del tutto assopiti?”
“Ch-che cazzo dici, deficiente?!” strillò alla fine il più grande dei due diventando bordeaux, pronto a prendere a botte quello stronzo del fratello mentre Orihime, dal canto suo, cercava di non sentire – o almeno non seguire! – gli imbarazzanti discorsi dei due gemelli Kurosaki.
“Oh, ma non capisci nemmeno quando scherzo, Ichigo! Invece credo che la nostra Hime-chan lo comprenda, vero?” soffiò entusiasta, passando una mano intorno alle spalle della ragazza stringendola sempre più a sé mentre questa andava a fissare il terreno, gli occhi di Kon che invece finivano sulle forme ben visibili della castana.
Ichigo stava per dire qualcosa al fratello quando sentì in lontananza un famigliare rumore di ruote stridere piano sull’asfalto. Il ragazzo chiuse gli occhi, facendo finta di niente, allontanandosi lateralmente, per non finire in mezzo al casino in cui stava per cacciarsi quel decerebrato. Anche Orihime capì cosa stava per accadere, cercando in tutti i modi di allontanare il ragazzo da sé per evitargli una terribile fine ma era talmente preso dal calore di quel corpo stretto al suo e dalla morbidezza della pelle della compagna da non riuscire a captare il pericolo che gravava su di lui in quell’istante.
“Tecnica di difesa personale numero 33! Schiaccianoci!”
Un suono sordo riecheggiò nell’aria mentre Kon mollava la presa da Orihime, sbiancando e lanciando un muto grido di dolore a  causa del calcio che l’aveva colpito tra le gambe, la cui efficacia fu incrementata dalla plastica dei pattini di Haine. Ichigo ghignò un poco, fermandosi davanti al gemello caduto a terra, la mano posta sulla spalla che sosteneva la cartella.
“Te l’avevo detto io di lasciare in pace Inoue.” Lo ammonì mentre questo lo guardava, furente del fatto che non l’avesse avvertito.
“Ammettilo, ci godi quando Haine mi picchia!” soffiò, la voce contorta dal dolore, la schiena piegata in avanti, mentre l’altro continuava a fare finta di niente, fischiettando.
“Stronza! Ti denuncerò alle autorità se per colpa tua non potrò avere figli!” rantolò ancora.
“Ne vuoi un altro brutto porco?”
A quella minaccia il ragazzo dai capelli fosforescenti scattò in piedi, nascondendosi dietro alla sua copia esatta, pregandolo di difenderlo da quella calamità naturale che era la loro compagna di classe.
“Tsk, codardo. Piuttosto, Hime stai bene?” le chiese, preoccupata.
“Questo dovresti chiederlo a lui...” pigolò dispiaciuta per il povero ragazzo. Nonostante fosse asfissiante ed assillante Orihime non amava vederlo ridotto in quello stato ogni volta che le sue mani si allungavano troppo verso zone solitamente proibite. Se pensava che era stata la stessa Tatsuki a dirle di agire in quel modo... Non sapeva se mettersi a ridere oppure a piangere.
Haine tornò a fissarlo male per poi girarsi verso la castana e prenderla a braccetto.
“Non pensare a quel coso, Orihime, che si è già fatto tardi. Forza, andiamo, una nuova giornata ci aspetta!” esclamò la ragazza alzando il braccio verso il cielo, entusiasta.
“Sì...!” la seguì a ruota Hime, voltandosi un momento e mormorando un “chiedo scusa” a quel pervertito di Kurosaki Kon.
Il ragazzo pigolò, disperato, continuando a rimanere nascosto dietro alle spalle del gemello che lanciava uno sguardo esasperato verso il cielo, chiedendosi perché mai dovesse avere un tipo del genere per fratello.
“Smettila di lamentarti Kon, te la sei cercata.”
Se ne avesse avuto la forza avrebbe ribattuto a quella frecciatina, invece si limitò ad inveire contro la giovane che parlava assieme alla sua adorata Hime-chan poco più avanti. Si dava ancora dello stupido per aver anche solamente pensato che Haine potesse essere dolce e carina... Peccato che bistrattarlo fosse diventato uno dei suoi passatempi preferiti. Tutti dicevano che era una ragazza tranquilla e seria, e lui, stupido, era cascato in quella trappola ben congegnata da tutte le persone che gli stavano attorno. Così aveva provato a darle un innocuo bacetto di benvenuto, come tentava sempre di fare con Tatsuki ed Inoue o a qualunque altra ragazza che incontrava per i corridoi della scuola. Ma chi poteva anche solamente pensare che la giovane rampolla di casa Jaggerjack potesse risultare tanto simile ad un ventenne di sua conoscenza in quanto a reazioni a suo avviso spropositate. Eppure Ichigo aveva assicurato, nel mese in cui era finito all’ospedale a causa di una brutta frattura procuratasi durante una rissa in cui l’avevano scambiato per il gemello, che era una ragazza a posto.

Mai fidarsi del fratello in fatto di donne, mai, questo doveva saperlo! Beh, avrebbe dovuto pensarci subito, Ichigo per certi versi era davvero poco affidabile.
Mentre Kon pensava a tutte le cattiverie che aveva dovuto subire, la ragazza si voltò di scatto, i lunghi capelli blu scuro che andarono ad offuscarle la vista per qualche istante. Lo osservò torva per poi voltarsi ancora, sbuffando contrariata. Era come se potesse percepire i suoi pensieri. O forse era semplicemente paranoico??

“Mi odia, quella ragazza mi odia. E sono sicuro che un giorno o l’altro mi ammazza per il semplice motivo che esisto!”
“Se la smettessi di fare il debosciato forse non ti riempirebbe di botte.” Lo stuzzicò Ichigo, stanco di quell’assurda situazione.
Haine non era una cattiva ragazza, tutt’altro, l’aveva capito nel mese di ricovero di Kon. Lei era finita proprio nel posto che suo fratello occupava in classe e per forza di cose, in  una maniera o nell’altra, aveva cominciato a parlarle. Fatto strano visto il suo carattere e la sua tendenza a dimenticarsi le facce altrui. Ma Jaggerjack ci aveva messo poco tempo a trascinarlo nei suoi discorsi che riguardavano soprattutto la scuola ed i compiti. A quanto pareva era rimasta parecchio indietro e quando aveva scoperto che lui era uno dei migliori della classe, soprattutto in matematica, si era fiondata sull’opportunità di capirci finalmente qualcosa senza la minima esitazione. Ed alla fine si erano conosciuti un pochino meglio scoprendo persino che lei ed Inoue erano vicine di casa. Così la ragazza dai capelli blu aveva insistito perché studiassero tutti e tre assieme per i vari compiti in classe. Il problema era evitare la casa di Haine. Si ricordava ancora cos’era successo l’ultima volta che lui stesso ci aveva messo piede...
“Ichigo, smettila di fantasticare e tieni a bada tuo fratello o giuro che ‘sta volta l’ammazzo sul serio!” fu l’urlo della compagna di classe a destarlo da un pensiero fisso che da parecchio tempo non faceva altro che tormentarlo.
“Kon, lascia stare quelle povere ragazze porca miseria!!”
Ed il rientro in classe andò avanti così finché la professoressa non si decise a ripristinare l’ordine minacciando Kon ed Haine di finire sospesi per un’intera settimana... 
 

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“Forza! Passa qui, passa qui!”
“Fai attenzione altrimenti ti rubano la palla cretino!”
“Scartalo, scartalo, scartalo!”
Le voci di una decina di ragazzi riecheggiavano per la palestra, rimbombando tra le mura e nelle orecchie di chi osservava di quel gruppetto intento a giocare a basket.
“Quanto casino per uno stupido gioco...” esclamò una ragazza lì vicino, intenta a mettere in ordine i palloni che avevano utilizzato fino a poco prima durante la loro partita di pallavolo.
Haine fissava i suoi compagni di classe divertirsi come matti mentre lei doveva sorbirsi delle lunghissime ore di pallavolo. Odiava quello sport, l’aveva praticato così spesso che le era venuto a noia... ma non poteva controbattere con il professore, non voleva guai, come se una certa persona non gliene creasse già abbastanza.
I maschi giocavano a calcio o a basket e le ragazze a pallavolo o volano e questo era un dato di fatto. Dire che lei preferiva il secondo sport era un eufemismo.
Osservò la palla mentre veniva lanciata verso il canestro, compiendo una parabola perfetta. Conosceva tutte le regole di quel gioco a memoria ed aveva assistito a tantissime partite ma doveva ammettere di non essere un granché. Forse perché non l’avevano mai fatta giocare o forse perché non era poi così portata, questo non lo sapeva. Sbuffò per poi girarsi verso le sue compagne quando all’improvviso un urlo poco definito l’intimò di spostarsi. Troppo tardi. La palla da basket finì dritta dritta sulla sua povera faccia per poi rotolare sul parquet ormai poco lucido. Finì in ginocchio, imprecando per il dolore, tenendosi il naso ed una buona parte del viso.
“Jaggerjack, tutto a posto?”
“No...” pigolò lei al professore, sentendo le lacrime pizzicargli le palpebre per il dolore.
“Vado a prenderti del ghiaccio, aspetta qui.”
Quando il professore svanì dalla palestra tutte le ragazze accerchiarono la povera Haine rimasta seduta per terra e tenendosi il naso dal male. Per fortuna non si era messo a sanguinare.
“Chi è stato??” chiese, trattenendo i gemiti che volevano uscire fastidiosi dalla sua bocca.
Nessuno rispose subito, anche perché, con le mani sulla faccia era impossibile sillabare correttamente ogni lettera. Ma quando Chizuru capì fece un sorrisetto maligno girando la testa di poco, verso il centro esatto della palestra. Fissò il responsabile ancora immobile sul posto, gelato dalla paura e dallo sconforto. Gliel’avrebbe fatta pagare solamente per aver osato sfiorare Orihime, la sua bellissima principessa!
“È stato Kon.” Esclamò con un pizzico di trionfo e malignità mentre Haine staccava le mani dal viso ed i suoi occhi neri si accendevano di una furia cieca.
Sibilò un qualcosa a denti stretti, continuando a piantare il suo sguardo collerico sul ragazzo che, improvvisamente, si rese conto di ciò che stava per accadergli.
“Aiuto...” pigolò.
La ragazza si alzò lentamente, le braccia che ciondolavano lungo i fianchi mentre il viso si girava verso la propria sinistra ed il corpo si muoveva in quella direzione. Afferrò un bastone poco distante per poi batterlo ritmicamente una decina di volte sul palmo della mano.
“Kon?” chiese, la voce calma e pacata, il viso del diretto interessato che diventava sempre più bianco, consapevole del fatto che, entro breve, la sua giovane vita avrebbe avuto fine.
Io ti ammazzosoffiò tutto d’un botto cominciando a correre verso di lui agitando come una pazza il bastone mentre l’altro tentava di sfuggirle muovendosi a zig-zag per tutta la palestra.
Chizuru se la rideva di gusto, come la maggior parte dei presenti mentre Orihime non sapeva se intervenire per bloccare un possibile omicidio o meno. Ichigo invece era tranquillo ed in pace con sé stesso.
“Non dovresti fermarla? È pur sempre tuo fratello quello che sta per essere massacrato di botte.” Disse pacatamente Ishida, aggiustandosi gli occhiali sul naso. Quelle scene ormai erano di ordinaria amministrazione ed il ragazzo non si scandalizzava neanche più. Era inutile e controproducente.
“Non vorrei essere nei suoi panni...” esclamarono terrorizzati sia Keigo che Mizuiro, nascosti dal corpo possente di Sado per evitare di finire in mezzo alla mischia.
Ichigo fece spallucce, continuando ad osservare la scena, incurante del fatto che il gemello potesse lasciarci seriamente le penne. Voleva fargliela un po’ pagare perché quel tiro era effettivamente diretto a lui e non alla ragazza che in quel momento aveva assunto un espressione da pazza omicida.
“Non l’ho fatto apposta lo giuro!” continuava a strillare Kon, sperando di placare la furia della compagna di classe che non accennava a fermarsi o solamente a cedere.
Era davvero terrorizzato. L’aveva fatta arrabbiare sul serio ed era comprensibile. Se avesse saputo che il tentativo di colpire in testa il gemello sarebbe finito in una tragedia non si sarebbe messo certamente a lanciare il pallone a casaccio. O semplicemente avrebbe evitato.
“Come non l’hai fatto apposta l’altra settimana quando mi hai fatto fare un ruzzolone sul pavimento della palestra, brutto stronzo!”
Ok, doveva ammettere che gli piaceva giocare con il fuoco e che l’ultima volta aveva avuto la seria intenzione di far cascare Haine con il solo scopo di vederla col sedere per terra, ma in quel momento non voleva colpirla o a farle male! Ma come spiegarglielo? Non poteva certamente sperare che il professore l’aiutasse in quell’istante, al suo arrivo in palestra di lui sarebbe rimasto solo cibo per cani!
Ichigo sbuffò, le mani in tasca e l’espressione corrugata ancora una volta dipinta in volto.
“Chad, che ne dici di darmi una mano a salvare quel deficiente?”
Yasutora a quelle parole annuì, seguendo l’amico in quell’impresa che aveva l’aria di un suicidio.
“Te la farò pagare una volta per tutte brutto pezzo di deficiente!” le urla della ragazza continuavano a rimbombare tra le pareti dell’edificio mentre Ichigo si avvicinava a lei seguito da Chad che lo fissava guardingo.
“Tu blocca Haine. Sei abbastanza grosso per evitare che ti spacchi la testa.”
 

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Kon era con le spalle al muro, nel vero senso della parola. Poteva sentire il freddo della parete entrargli fin dentro le ossa mentre lo sguardo pieno di rabbia della ragazza l’incalzava ogni istante che passava. Si era fregato con le sue stesse mani ed era certo che avrebbe perso qualche dente o forse l’uso di un braccio per un po’ di tempo. O tutti e due. Sicuramente si sarebbe fatto tanto, tanto male. E lui odiava provare del dolore fisico!
La ragazza alzò subito la mano che non teneva il bastone per rifilargli un manrovescio degno di questo nome quando si sentì bloccata all’improvviso dalle braccia di Sado. Cominciò a scalciare e a tentare di divincolarsi facendo cadere l’asta di legno sul pavimento. Lo sapevano tutti che non aveva realmente intenzione di prendere a bastonate Kon, che quella era tutta scena, ma era necessario calmarla prima che potesse fare qualcosa di cui pentirsi. Anche se Chad non era del tutto convinto del fatto che se ne sarebbe pentita, tutt’altro.
Il ragazzo che fino a pochi istanti prima aveva temuto per la sua vita aprì un occhio e sbirciò da dietro le braccia per poi scivolare verso il pavimento mentre il cuore continuava a correre impazzito a causa della paura.
“Sono vivo...” piagnucolò mentre Ichigo gli dava un calcione per farlo alzare.
“Mi spiace per te ma non è finita qui. Prima farai i conti con il prof perché ti ha visto tirare il pallone contro Haine. A casa ci penserà Yuzu a darti una punizione come si deve, fidati. Ed il vecchio non sarà da meno.”
Kon sbiancò ancora, al pensiero di ritrovarsi una settimana senza cena e soprattutto senza i suoi amatissimi giornaletti porno. Si chiedeva spesso come cavolo suo padre li avesse scovati. Eppure erano stati nascosti con così tanta cura...
“Ti prego, tutto ma Yuzu ed il papà no!”
“Preferisci vedertela con lei??”
Appena il gemello indicò la ragazzina furibonda il più piccolo e codardo dei due si sentì nuovamente male.
“Già che ci sei puniscimi pure tu.”
“... Idiota.”
Nel mentre Sado continuava a tenere quella furia scatenata di Jaggerjack trasformatasi in una creatura scalciante ed urlante come pochi.
“H-Haine-chan ti prego, calmati...”
Lentamente la ragazza dagli occhi neri cominciò a rilassarsi, smettendo di scalciare ma non di imprecare contro quel codardo che le aveva quasi rotto il naso. Stranamente la voce di Orihime aveva il potere di placare la moretta quando Kon la portava sull’orlo dell’esasperazione.
Chad continuò a tenerla ben ferma fino a quando lui ed un altro paio di persone non riuscirono a strapparle la promessa di non diventare una pazza omicida. Non ancora, almeno.
Dieci minuti dopo il professore ritornò con in mano il ghiaccio fissando quella scena apocalittica. Non volle sapere perché Kon stesse piangendo come una fontana, supplicando il fratello di aiutarlo e nemmeno del perché Haine fosse circondata da una decina di persone che, oltre a controllare se il suo naso fosse a posto, tentavano di calmarla. Fece orecchie da mercante e le posò il ghiaccio sintetico sul naso mentre questa si lamentava, domandandole di tanto in tanto se fosse il caso di andare in infermeria o addirittura da un dottore. Alla fine la prima opzione risultò la più valida e la ragazza dai lunghi capelli blu scuro si allontanò accompagnata da una povera Orihime che tentava in ogni maniera di distrarla da ciò che era successo.
“Cercherò di convincerla a non far troppo male a tuo fratello domani, Kurosaki-kun.” Aveva mormorato al più grande dei gemelli sparendo dietro alla porta scorrevole della palestra ormai sottosopra.
Fu la voce perentoria dell’insegnante a far tornare tutti in riga. Mancavano solo quindici minuti alla fine della lezione e la palestra era nuovamente a soqquadro.
“Forza razza di fannulloni! Finite quello che avevate cominciato! Voi ragazze potete pure andare negli spogliatoi non c’è alcun problema.”
E quando Kon vide gli sguardi carichi d’odio dei suoi compagni diretti verso di lui capì che forse d’ora in avanti era meglio evitare qualunque mossa che avrebbe giocato a suo sfavore, non c’erano dubbi.


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Quando Grimmjow era arrivato a casa ed aveva visto il mega-cerotto sul naso della sorella aveva spalancato così tanto gli occhi da rischiare di farli uscire dalle orbite.
“Non guardarmi così, Grimmjow. Non è come pensi.”
Il ragazzo aveva inarcato un sopracciglio, incredulo, fissando quel livido nero che aveva la firma di un pugno ben assestato.
“Ammaccature come queste ne ho viste tante e so dirti quando e come una persona può essersela fatta. Ma mi sembra strano che tu sia stata coinvolta in una rissa, non è proprio da te.”
Si zittì subito appena vide l’espressione dell’altra tramutarsi in uno sguardo furente e collerico al pensiero di ciò che era accaduto poche ore prima. E la consapevolezza della reazione del fratello a ciò che stava per dire si faceva sempre più viva e bruciante dentro di lei, ancor prima che questa avesse luogo. L’avrebbe resa in giro a vita ma, volente o nolente doveva dirgli ,la verità, no?
“...Quel cretino di Kon mi ha beccato in piena faccia con il pallone da basket... ecco, lo vedi? Lo sapevo che ti saresti messo a ridere, brutto stronzo!”
Il ragazzo si stava letteralmente spanciando dalle risate. Si immaginava la scena e tutte le reazioni a catena che molto probabilmente si erano susseguite le une alle altre ed il viso paonazzo della sorella non aiutava certamente a calmarlo. Alla fine, dopo dieci minuti buoni e vari improperi da parte della malcapitata, il giovane si era ripreso, trattenendo a stento quel sorriso da felino che lasciava sempre ad intendere il desiderio di continuare a ridere.
“Sei proprio una merda, Grimmjow!”
“Oh ma che linguaggio colorito abbiamo assunto oggi, sei forse parecchio incazzata?”
Fece solamente in tempo a finire la frase quando il piede di Haine partì, colpendolo direttamente sul piede. Gli mancò letteralmente il fiato ma non volle darle la soddisfazione di dimostrare che aveva colpito bene. Aveva sempre un orgoglio da difendere, lui. E, anche se lei era una ragazza ed aveva il privilegio di prenderlo a botte come ogni sorella minore che si rispetti, non poteva certamente fargliela passare liscia. Eppure Haine riusciva sempre a sfuggirgli. Era più scivolosa di un’anguilla e più tentava di acchiapparla e più questa riusciva a svignarsela. La odiava dal profondo del cuore per questo. Era una cosa abbastanza detestabile e lui, abituato a vincere sempre, vedersi sbeffeggiato da uno scricciolo qual’era l’altra era un vero e proprio affronto. Ma in fondo non era poi così infastidito. Semplicemente si divertiva ad inseguirla come un predatore fa con la preda, per tenersi in esercizio, senza però fare realmente sul serio. Il gatto col topo, possiamo dire.
Dopo aver ottenuto la sua vendetta, che consisteva nell’acciuffarla e poi sfregare le nocche sulla sua povera testolina bacata, la lasciò libera, tra insulti, improperi vari e la minaccia di lasciarlo senza cena per una settimana. Poi, all’improvviso, la vide farsi dannatamente seria, fissandolo dritto in faccia con i suoi grandi occhi neri.
“Potresti non dire nulla a Chidori, per favore?”
“Riguardo al naso?”
La ragazzina si limitò ad annuire mentre l’altro sbuffava sonoramente, roteando di conseguenza gli occhi verso il cielo. Odiava quando si faceva degli scrupoli del genere. Perdio, a lui erano capitate delle cose ben peggiori di un pallone schiaffato malamente sulla faccia quando aveva diciassette anni!
“Promettilo!”
“E perché dovrei? Scusa, può capitare, mi sembra. Non sei mica un maschio che deve giustificare ogni minimo livido nero!”
“Prometti!”
Alla fine dovette cedere, in fatto di testardaggine lo batteva su tutta la linea, un difetto di famiglia a quanto pareva. Quando fu sicura della sua alquanto discutibile sincerità si rilassò, tornando a preparare le cena per entrambi. Nel mentre il ragazzo andava a farsi come minimo una doccia. Era stanco ed aveva lavorato come un folle per poter far smettere le lamentele del suo capo. Era così rompicoglioni da fargli desiderare di prenderlo a pugni fino a farlo rimanere lungo e disteso sul pavimento. Cosa che sarebbe potuta succedere al primo colpo, probabilmente. Quando uscì, sentendosi dannatamente meglio vide la testolina della ragazza spuntare da dietro la porta del bagno, fissandolo di sbieco.
“Cosa c’è ancora?” chiese, esasperato dal comportamento di Haine che rimaneva in silenzio, in attesa.
“Volevo solo dirti che tra poco Ichigo sarà qui. Sai, suo padre è medico e gli ha praticamente consegnato una crema contro gli ematomi. Dovrebbe funzionare, non credi? Ehi, ma dove vai?”
Il ragazzo dagli occhi azzurri era partito in quarta, dirigendosi verso l’interno della camera per afferrare una maglia, il cellulare, le sigarette ed il portafogli.
“Esco, non si vede?”
“Oh, ma smettila di comportarti come un bambino per una volta! Capisco che tu ed Ichigo non andiate d’accordo, ma almeno evita di fare queste cavolate!”
“Senti, vuoi per caso ritrovarti con la casa mezza sfasciata? Allora lasciami stare. Più sto lontano da quella testa fosforescente meglio sto.”
“Ha parlato il lapislazzulo.”
Dovette contare fino a venti per non tornare sui propri passi e prendere a botte la moretta. Ormai il suo istinto omicida cominciava a farsi sentire un po’ troppo spesso, quando si mettevano a litigare. Erano entrambi due teste dure e risultava quasi impossibile sopportarsi quando si impuntavano entrambi sulle loro ragioni.
“Chiamami quando se ne è andato via, neh?” detto questo prese la porta e se ne uscì di casa, sperando di potersi godere un po’ di solitudine e una buona sigaretta in tutta santa pace.


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Si chiedeva perché dovesse essere proprio lui quello a dover portare la crema fino a casa di Haine. Quel casino lo aveva fatto Kon, non certamente lui. Non centrava niente, dannazione!
“Se tu avessi intercettato la palla deviandola, quella povera ragazza ora non sarebbe in questa situazione! Forza Ichigo, comportati da uomo e rendi fiero il tuo papà!”
Non fosse stato che in parte suo padre aveva ragione, avrebbe mandato il gemello a compiere quell’azione suicida. Perché, se per il più piccolo dei fratelli Kurosaki risultava difficile la convivenza con la ragazza, per il più grande dei due era difficile restare nei pressi di Grimmjow per più di dieci secondi. Si conoscevano fin da bambini, quei due casinisti e, da quando la madre di Ichigo era morta i rapporti tra i due si erano fatti più aspri. Jaggerjack non sopportava quel suo modo di fare da cavalier servente e lui, dal canto suo detestava la maniera strafottente che c’era nel modo di relazionarsi di Grimmjow con il prossimo. Erano sempre state botte tra i due fino a quando Grimmjow non aveva lasciato la scuola per mettersi a lavorare, dopo essere stato bocciato due volte di fila. Non che il ragazzo dai capelli azzurri fosse uno stupido, tutt’altro, solamente odiava dover fare come gli veniva ordinato dagli insegnanti. In questo differivano molto, loro due.
Strinse convulsamente il sacchetto con l’unguento tra le mani, ripensando a certi avvenimenti accaduti molto tempo prima tra loro due. E forse era per questo che, ogni volta che s’incrociavano, la forza che ci mettevano nel prendersi a botte era aumentata a dismisura.
“Toh, guarda un po’ chi c’è, il cavaliere dalla criniera da leone.”
S’irrigidì non appena la sua voce giunse alle sue orecchie, costringendolo a bloccarsi sul posto, alzando la testa quel tanto da fissarlo dritto negli occhi.
Si parla del diavolo...
“Che ci fai qui, Grimmjow?”
“Sai com’è, fino a prova contraria io qui ci abito, Kurosaki.
Il ragazzo aveva pronunciato il nome in maniera così provocatoria da mandarlo letteralmente in bestia in un istante.
“Senti, non sono in cerca di rogne, mi hanno semplicemente spedito a portare questa a tua sorella, quindi non facciamo casini, almeno sta volta, no?”
Il ragazzo dai capelli arancioni lo osservò mentre il ventenne cominciava a fumare, accendendo al sigaretta e inspirando una profonda boccata di nicotina che cominciò ad entrare subito in circolo. Gli alitò in faccia, investendolo in pieno con una densa nuvola di fumo grigio e la cosa mandò in escandescenza il ragazzo.
“E chi dice che invece io non voglia fare a botte...?”
“... Vaffanculo Grimmjow...”
Ichigo riprese il suo cammino verso casa Jaggerjack dando una spallata ad uno dei suoi abitanti che, stizzito, lo fermò sul posto fissandolo con un occhiata affilata e predatoria.
“Moccioso, con chi credi di avere a che fare?”
“Con una bestiaccia insulsa, ecco con chi ho a che fare.”
E quella fu la goccia che fece traboccare il vaso. In pochi istanti cominciarono a volare parole grosse e poi furono calci e pugni. Chi andava a segno e chi no. Si osservavano in maniera feroce, come se per entrambi quello fosse un pretesto, una valvola di sfogo per un qualcosa di più.
Andarono avanti così per un po’, Ichigo con un labbro gonfio e Grimmjow un occhio contuso. Continuavano a picchiarsi, con una frustrazione tale da lasciare senza parole. E poi accadde tutto ad un tratto. Erano vicini, pericolosamente vicini, e Grimmjow lo sapeva che sarebbe accaduto, lo sentiva sotto la pelle, era una certezza che scorreva pericolosa come un veleno che andava a mischiarsi nelle vene. Eppure era difficile fermarsi quando un ricordo si faceva strada prepotente e gli impulsi chiedevano di essere ascoltati. Lo afferrò per il bavero della maglia, Grimmjow, lo strinse così forte che Ichigo pensò di venire strozzato o di ritrovarsi con la testa completamente staccata dal corpo. Ma non accade. Fu altro, ciò che lo lasciò sgomento, ferendolo nell’orgoglio. Jaggerjack lo stava baciando, premendo le labbra contro le sue, affamato, quasi volesse divorarlo. Il ragazzo dai capelli fosforescenti portò le mani al suo petto, stringendo in maniera convulsa la maglia dell’altro per poi spingerlo via, lontano da sé. Era la seconda volta che succedeva ed aveva sperato ardentemente che non sarebbe ricapitato mai più.
“Vaffanculo, Jaggerjack.”
E sparì, ritornando sui propri passi.


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Era rimasto nascosto per tutto il tempo da quando Ichigo aveva fatto il suo incontro con il maggiore dei fratelli Jaggerjack. Non voleva grane lui. Già suo padre e sua sorella Yuzu l’avevano costretto a seguire Ichigo per andare  a scusarsi con Haine ma non era mica costretto a partecipare ad una rissa dove non era stato invitato, vi pare?
E poi li vide. Quel bacio. Il bacio. Tra suo fratello e quell’uomo delle caverne che, doveva ammetterlo, aveva quel certo non so che di rude e selvaggio da renderlo appetibile anche per un tipo come lui, abituato a sbavare dietro a qualunque cosa potesse essere ritenuta bella ed appagante ma soprattutto con un sedere da stringere convulsamente tra le dita. Rimase interdetto per alcuni secondi, mentre anche Grimmjow se ne tornava sui propri passi, abbassandosi per afferrare la crema che l’altro aveva fatto cadere durante la disputa.
Di una cosa era certo. Quell’avvenimento era una cosa più unica che rara, sicuramente. Fu solo quando entrambi i ragazzi sparirono completamente dalla sua vista che fece definitivamente due più due, nella sua povera testolina incasinata.
“Ohmioddio...” aveva esclamato a  bassa voce, tutto d’un fiato, agitatissimo.
“Oh mio Dio, mio fratello ha baciato Grimmjow Jaggerjack?”
E le sue parole morirono nel vento prima ancora che qualcuno potesse sentirle...

 


 

…Continua…

 

 

 

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Capitolo 3
*** Ω Dance with the devil Ω → † Balleremo col diavolo, sta notte † ***


Eccomi qui, con il secondo capitolo! *è esausta* Ci ho messo davvero poco tempo e l'ho letta talmente tantye volte da farmi girare la testa xD Comunque sono davvero soddisfatta del capitolo (tranne la parte finale che, non so perchè, mi sa di poco e niente)

Ve lo dico, ci sarà da ridere, soprattutto per un personaggio che avrà tutta la mia stima xD Max, ti ringrazio per aver dato vita alla divina xD spero che possa muoversi sesattamente come speravi tu xD E credo di aver esaurito le tue richieste.

Volevo ringraziere tutte le persone che hanno commentato e che hanno letto, a quanto pare è piaciuta e ne sono davvero contenta ^w^

Questo capitolo è dedicato ad un paio di persone che leggono e sono sicura apprezzeranno questo capitolo xD

Prima di tutti la mia nipotina Haruichan alias Fra *w* tesorino mio, vedrai che ci sarà da ridere e molto presto farà la comparsa tu sai chi *risata diabolica*

Poi a due ragazze del bleachyaoiforum: La berry-chan e la Zoe-chan *w*  attenzione ragassuole, recuperate delle bacinelle se no allegherete la casa xD e cercate di non farvi cadere la mascella, mi raccomando XD

ecco qui il link con la canzone di sottofondo... Poison Alice Cooper

In fondo troverete le risposte ai commenti xD buona lettura e commentate gente bella xD



Capitolo 2:

 
Ω Dance with the devil Ω → † Balleremo col diavolo, sta notte †

 

 I sentimenti...
Quante volte ripetevi che sono una brutta bestia,
che sarebbe stato meglio non avercelo, un cuore,
visto quanto spesso abbiamo rischiato di fartelo fermare per lo spavento!
Eppure lo sapevamo cosa pensavi veramente...
Che senza quel cuore  e quei sentimenti così ingombranti,
Non saresti riuscita ad amarci nello stesso modo
In cui ci hai sempre amato.
Vero, mamma?

 

 

(Theme: “Poison” –  Alice Cooper)

 

 

Correva Ichigo Kurosaki. Correva così veloce da sentire i polmoni salirgli in gola ed il fiato mancargli mentre la strada gli sfilava accanto e sotto i piedi. Nessun rumore o altro lo faceva distrarre da quella folle corsa in cui si era cimentato dopo quel dannato bacio con Grimmjow. Si sentiva male. Sia nell’anima che nel corpo e l’unica cosa che voleva fare in quel momento era tornarsene a casa, buttarsi sul suo letto e, strano ma vero, sentire la voce stridula e petulante del suo gemello martellargli il cervello fino a stordirlo. Perché ne aveva assoluto bisogno, come un assetato ha bisogno d’acqua. Ma Ichigo non lo avrebbe mai ammesso, come d’altronde aveva sempre fatto. Quel modo di fare da debosciato del fratello era l’unica cosa che lo facesse sentire meglio perché lo distraeva dai suoi problemi, dovendo, in una qualche maniera, risolvere sempre quelli in cui si ficcava quello scriteriato ogni volta...
Con la speranza di trovare Kon in casa, pronto a chiedergli se per caso Haine lo avesse minacciato di morte o cose simili, aprì la porta di slancio, rischiando di finire addosso alla povera Yuzu, senza nemmeno permetterle di chiedergli se per caso si sentisse bene o altro.
Salì le scale in fretta e furia per affacciarsi in una stanza dove non c’era nessuno. Il nulla assoluto.
Non disse niente, Ichigo, nemmeno un imprecazione o altro, troppo preso dal suo cuore che correva a mille, un po’ per la corsa, un po’ per il ricordo che si affacciava fastidiosamente nella sua mente. Scrollò la testa, togliendosi le scarpe al volo – che stupido idiota che era, non le aveva lasciate nell’ingresso, chi la sentiva la sorella, poi? – e si coricò a faccia in giù sul letto, gli occhi chiusi mentre pensava troppo, come suo solito. E, perché no, maledicendo uno stupido fratello che non c’era mai, quando serviva...!

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“Tsk... Vaffanculo.”
La voce di Grimmjow risuonò flebile nell’aria mentre buttava a terra la seconda sigaretta che non riusciva ad accendere quella sera e che si sgretolava sotto le sue dita indelicate e rudi. Non era il tipo da lasciarsi coinvolgere troppo, però il pensiero delle labbra di quel dannato dente di leone mentre si avvicinava a lui era una vera distrazione anche per uno come lui.
Puntò gli occhi verso l’asfalto, cercando una buona scusa da inventarsi con Haine, calciando via di tanto in tanto qualche sassolino fastidioso che intralciava il cammino o semplicemente lo rendeva nervoso. Si sentiva un coglione ma non poteva farci niente. Se avesse chiesto asilo politico ad Ulquiorra?? No, no per carità, l’ultima volta lo aveva fatto dormire per terra quel maledetto ingrato, non voleva svegliarsi col torcicollo un’altra volta...!
Si tastò l’occhio gonfio e sicuramente ormai livido, sbuffando amaramente. Non aveva altra scelta se non tornarsene a casa ed inventarsi una qualche buona scusa. Afferrò nuovamente il pacchetto con le sigarette – di cui solo due erano sopravvissute al suo attacco di nervosismo! – agguantandone una e riuscendo finalmente ad accenderla senza romperla. Se fosse successo ancora avrebbe lanciato tante di quelle bestemmie da far cadere i santi dal paradiso, ne era sicuro.
Inspirò profondamente, il fumo che gli entrava nei polmoni e la nicotina che cominciava a fare effetto, rilassandolo come solo lei sapeva fare. Espirò uno sbuffo particolarmente lungo e denso tenendo a pochi centimetri dalle labbra la sua amata sigaretta, gli occhi socchiusi mentre si godeva quella magnifica sensazione. Sorrise sornione, esaminando il cielo fattosi lentamente più scuro. Ora che finalmente ragionava a mente lucida sapeva cosa fare. Sarebbe tornato a casa con la sua solita faccia tosta, mentendo spudoratamente su come si era procurato quel bell’occhio nero. E al diavolo Haine se non si fosse bevuta la scusa! La faccia era la sua, da chi se la faceva disintegrare erano fattacci suoi, vi pare?


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Quando entrò in casa, con quell’espressione sconvolta e smunta, Ishin Kurosaki non si azzardò nemmeno di assaltarlo con uno dei suoi poderosi calci, fissandolo sbigottito quanto le altre due figlie ancora rimaste integre e, soprattutto, sane di mente.
“Ma cos’hanno oggi tutti? Un attacco di depressione acuta?”
“Non è che si sono buscati un qualcosa?”
“Yuzu, ma secondo te due idioti di quel calibro potrebbero ammalarsi? I germi e di batteri li evitano come la peste, lo sai!”
“I miei bambini stanno male! Ma tranquilli, ci pensa il vostro papà a guarirvi!”
Il povero Kon, ancora rincitrullito, non si accorse del salvataggio in extremis delle sue sorelline da uno dei molti sgradevoli attacchi di “melassa” di quel folle del loro unico genitore mentre saliva le scale mestamente. L’unica cosa che Kurosaki Kon notò fu il buio assoluto quando entrò nella camera che condivideva col fratello più grande. Quando accese la luce ci mise alcuni secondi per poter mettere tutto nuovamente a fuoco mentre la voce di un infastidito Ichigo gli giungeva prepotentemente nelle orecchie.
“Spegni quella cazzo di luce, Kon!”
“Nervosetti, neh?” chiese il più piccolo dei fratelli Kurosaki tentando di dimostrarsi ignaro riguardo la vicenda del bacio. Sarà pur stato un casinista e pettegolo di prima categoria ma, al contrario di quanto pensasse la gente, lui a suo fratello ci teneva e se avesse avuto intenzione di raccontargli la verità lo avrebbe fatto, prima o poi, senza aver bisogno di essere spronato. Anche se non ci sperava poi molto.
“Hai litigato con quel gorillone di Jaggerjack poco fa? Sai, te lo chiedo perché sembri un po’ ammaccato...” mormorò, osservando il labbro gonfio di Ichigo ed il bel taglio che spiccava sulla pelle chiara.
L’unica risposta che ricevette fu un ringhio sommesso ed un imprecazione contro il suddetto gorilla troppo cresciuto mentre suo fratello si girava dall’altra parte, verso la finestra.
“Non per rigirare il coltello nella piaga però sembra che tu e Jaggerjack litighiate più del solito, no? Beh, non sono sempre state rose e fiori tra voi due ma da quando ti ho trascinato in quel nightclub sembra che voi...”
“Kon sta zitto, non voglio parlarne per favore, se vuoi aprire la bocca o dire altro fai pure ma per ora basta nominare senza motivo quello stronzo di Grimmjow.”
“Oh adesso lo chiami anche per nome?”
“Vaffanculo Kon.”
A quell’improperio il ragazzo dai capelli arancioni ghignò, scrollando la testa. Ok, non aveva cavato un ragno dal buco ma almeno il fratello sembrava essersi ripreso, anche se di poco. Peccato che si sbagliasse.
“Senti, io vado giù che tra poco si mangia e per colpa tua devo aiutare Yuzu in cucina perché hai fatto la spia riguardo oggi! Almeno vedi di venire a fare da soprammobile, sai potrebbero darmi la colpa anche del tuo cattivo umore, dannato di un gemello!!” esclamò per poi sparire dopo aver dato un calcione al suo letto, facendolo sobbalzare.
Ichigo si mise seduto, minacciandolo di spaccargli la faccia, lasciando che l’altro si dileguasse al piano di sotto senza nemmeno metterci troppo impegno. Sbuffò, passandosi una mano prima sul viso e poi tra i capelli, grattandosi la nervosamente la testa.
“Adesso mi faccio aiutare anche da quel decerebrato di Kon...” mormorò, facendo un sorriso amaro per poi lasciarsi cadere nuovamente sul letto per osservare il soffitto totalmente bianco.
Lo sapeva benissimo che le cose tra lui ed il primogenito di casa Jaggerjack non erano mai andate per il meglio, però ogni cosa si era fatta dannatamente più complicata da quando c’era stato quel fottuto primo bacio. Tutto era capitato per caso, senza che i due se ne rendessero nemmeno conto. Ah, se non avesse seguito il fratello in quel dannato locale gestito da quel... essere! La sua vita sarebbe stata meno complicata, senza alcun dubbio.


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Tutto era accaduto quasi un anno prima, circa un paio di giorni dopo il loro compleanno. Kon aveva insistito per andare in quel locale lamentandosi con il fratello perché era in astinenza da fin troppo tempo. Il più grande dei due fratelli non aveva voluto sapere a che tipo di astinenza si riferisse, decidendo che era già un enorme sforzo accompagnarlo in quel locale per debosciati qual’era il suo gemello Pervertito, con la “p” maiuscola.
Neanche suo padre, curioso fino alla nausea, aveva avuto il coraggio di chiedergli dove avesse intenzione di trascinare il povero Ichigo a causa della regola che vigeva in casa Kurosaki da tempo immemore. Quella di essere almeno in due per frequentare un locale notturno. E così, il povero fragolino si era ritrovato in quella sala appariscente, stracolma di gente di tutti i tipi e tutte le età, sia donne che uomini. Anche se, doveva ammetterlo, alle volte era difficile distinguerli.
Il ragazzo aveva deciso di piazzarsi in una poltrona isolata e di restarci fino al termine della serata. Bastava non vedere cosa diamine stesse facendo il suo fratellino e sarebbe stato a cavallo. Sperando di non vedere cose troppo strane da parte di altre persone!
La musica gli risuonava nella testa mentre i suoi occhi fissavano il nulla pur di non ritrovarsi a vivere una brutta esperienza. Nessuno gli si avvicinava, forse a causa della sua espressione perennemente incazzata e feroce che, in quell’istante, sembrava incutere ancora più timore. La voce entusiasta di Kon, chissà perché, sovrastava addirittura il frastuono del locale, lasciandosi andare in commenti decisamente coloriti.
“Cazzo...” aveva esclamato lui, appiattendosi sempre di più su quella stramaledetta poltrona, pregando un qualsiasi Dio di aiutarlo ad uscire da una situazione del genere, senza sapere che forse quel suddetto Dio l’avrebbe certamente accontentato, ma non nella maniera che si aspettava...


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Grimmjow era lì da dieci minuti e già sentiva il bisogno impellente di scappare via. Ma era la festa di compleanno di Taro, un suo vecchio collega di lavoro che l’aveva seguito ed aiutato parecchio in passato, non poteva permettersi di fare la parte del vecchio orso! Non poteva affermare di non divertirsi, semplicemente quel locale apparteneva a lui, a quel folle del suo ex datore di lavoro e restare lì lo rendeva nervoso! Ok, capiva benissimo perché il festeggiato fosse voluto andare lì a tutti i costi, lavorandoci avevano prenotato il tavolo gratuitamente e soprattutto ricevevano un trattamento di favore, ma di restarsene lì non ne aveva comunque voglia. Ma la sua opinione cambiò non appena arrivarono gli alcolici.
“Da parte del capo, offre la ditta!” aveva urlato il cameriere per sovrastare il rumore provocato dalla musica e dal vociare della clientela.
Grimmjow sorrise sornione mentre Taro ghignava divertito facendo risuonare i loro due bicchieri, brindando.
“E tu che dicevi di non voler venire!”
“Mi sbagliavo sul conto di Liev, non è poi così male, dopotutto!”
Taro e gli altri si misero a ridere, l’alcool che cominciava a circolare in corpo e l’euforia dovuta ai festeggiamenti che cresceva sempre di più.
“Forza gente, che la festa abbia inizio!”


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“Dove cazzo si è cacciato Kon?”
Ichigo aveva girato come un pazzo per una mezz’ora buona alla ricerca del gemello spintonando a  più non posso chiunque gli si parasse davanti.
“Ogni mezz’ora, avevo detto dannazione, ogni mezz’ora si sarebbe dovuto far vedere anche a debita distanza per farmi capire che stesse bene, ma quel pirlone non capisce un cazzo! Se lo prendo...!”
Sentiva il sangue salirgli alla testa mentre la rabbia circolava come veleno nelle vene. Lo avrebbe preso a calci da lì fino a casa, non era possibile che ogni volta che si trovavano in giro assieme, solo per inseguire una gonnella, Kon sparisse per delle ore? Era una cosa insopportabile!
Stava ancora vagando per il locale, sbattendo i piedi a terra con la delicatezza di un elefante, che la troppa ressa lo bloccò sul posto, proprio davanti al palco. Furono inutili le sue proteste e le “cortesi” richieste per poter passare, la ressa era troppa e gli impediva di muoversi anche solamente di un millimetro. Alzò appena la testa e notò l’espressione gioviale del presentatore, sembrava sul punto di mettersi a saltellare con quella faccia da scemo che si ritrovava!
“Signori e signore, prima che lo spettacolo entri nel vivo voglio lasciare la parola al nostro amato capo, “La Divina”!”
Appena il ragazzo pronunciò quel nome, ci fu un coro di voci concitate ed entusiaste così alte da far perdere momentaneamente l’udito al povero Ichigo che fissava il palco chiedendosi il perché di tanta agitazione. Ma poi capì. Sotto le luci della ribalta comparì una donna davvero molto bella, vestita con un lungo abito da sera bianco. Si muoveva sinuosa ed elegante con i suoi tacchi a spillo, sorridendo a tutti i presenti nella sala. Il suo dipendente gli passò il microfono per lasciarle la parola e il forte vociare si trasformò in un brusio più contenuto, la musica che comunque rimaneva alta, nonostante tutto.
“Cari clienti, oggi è un giorno speciale!”
Ichigo sbatté le palpebre una manciata di volte, pensando che ci fosse un difetto nell’audio. Perché la sua voce gli sembrava così... mascolina?
“Il nostro amatissimo Taro festeggia il suo compleanno ed è riuscito a trascinare qui una nostra vecchia conoscenza... oh, vedo che le signorine hanno già capito, sentile come si agitano!”
Nonostante le grida delle ragazze – ed anche di un nutrito gruppo di ragazzi! – che gli risuonavano nelle orecchie, Ichigo aveva l’assoluta certezza che quella non fosse la voce di una donna.... E poi, ora che la guardava bene, non aveva più dubbi. Quello era un uomo fatto e finito!
“Comunque come i clienti abituali del nostro amato locale sanno, oltre che a fare il cameriere ed il barman eccelleva anche nello spettacolo che avrete il piacere di osservare entro breve. Comunque devo dire che era davvero bravo a preparare i suoi manicaretti, una banana split come la prepara lui non la fa nessuno! Ed io posso confermarlo, visto che ho potuto assaggiarla...!”
A quelle frasi il ragazzo dai capelli fosforescenti non diede subito importanza, poi, quando il suo cervellino cominciò a rielaborare il tutto, divenne rosso come un pomodoro, dalla punta del naso fino a quella dei capelli.
“Oddio mio, dove sono capitato...” esclamò, mentre la “Divina” continuava il suo discorso ad un pubblico sempre più euforico.
Il proprietario del locale – Kon successivamente gli avrebbe dato la conferma del fatto che in realtà era un uomo – indicò col dito un punto imprecisato della stanza, verso i tavoli, ed un riflettore illuminò a giorno le persone che vi si trovavano attorno. Quando Kurosaki vide a chi si stesse riferendo il proprietario non poté fare  ameno di arrossire ancora di più. Non solo si trovava in una situazione imbarazzante ma oltre tutto era proprio davanti al palco dove Grimmjow fu costretto a salire, spintonato dai suoi amici che se la ridevano sotto i baffi.
“Su gente, fate sentire al nostro caro Grimmy quanto vi è mancato!”
Le urla della folla si elevarono ancora e quella testa arancione di Ichigo Kurosaki si sentì nuovamente rintronato da tutta quella confusione.
Grimmjow guardava il suo ex capo, Liev, e desiderò con tutto sé stesso di prenderlo a calci proprio su quel palco.
“Oh guardatelo, non è adorabile? Quando fa quel suo faccino incazzato non è tremendamente sexy? Su gente, fate sentire un po’ i vostri apprezzamenti per il Re dello Strip di questo locale, forza!”
A quelle parole Jaggerjack diede una manata all’aria, per fargli intendere di smetterla di fare l’idiota, ma, sotto sotto, ci godeva nell’essere considerato il Re, il migliore del Night Club. Ichigo nel mentre spalancava sempre di più gli occhi e la bocca, sconvolto da tutte quelle rivelazioni che si susseguivano le une alle altre.
“Forza ragazzone, fa vedere di che pasta è fatto il nostro Re!”
Da prima Grimmjow lo guardò torvo per alcuni secondi, per poi cominciare a ghignare, fissando Liev con fare predatorio quasi volesse stuzzicarlo. Le grida si fecero insopportabili quando il ragazzo dalla testa azzurra iniziò a slacciarsi i bottoni della camicia nera uno ad uno, con estrema lentezza. Se la sfilò dalle spalle, muovendo i fianchi al ritmo della musica, per poi farla roteare sopra le testa mentre faceva un giro completo su sé stesso, mostrando ogni muscolo, dell’addome e della schiena. Per poi rivestirsi lentamente continuando a fissare Liev quasi volesse dirgli di richiamare i cani affamati.
“Bene, bene, ora che il nostro  ragazzaccio ci ha dato una prova delle sue doti possiamo farlo tornare a sedere ed a godersi la festa! Guai a voi se lo andate ad infastidire, capito?! Ma ora bando alle ciance, altri bei ragazzi sono venuti qui per far divertire le signore e, perché no, i signori qui presenti! Ilfort, Hanamichi, Ran, potete salire sul palco!”
Grimmjow scese i gradini del palcoscenico con molta calma, mentre i suoi tre ex colleghi lo salutavano, prendendo il suo posto. Si guardò un attimo intorno, più che altro per pescare quello stronzo di Taro che sicuramente si era messo di comune accordo con Liev che incontrò uno sguardo nocciola decisamente famigliare e parecchio sconvolto.
“Kurosaki! Che cazzo ci fai qui?”


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“Quindi tuo fratello ti ha trascinato qui?” chiese il ventenne, ridacchiando mentre sorseggiava un cocktail comodamente seduto in un angolo appartato del locale. Ichigo fissava le proprie mani ciondolare nel vuoto, il viso che andava ad assumere l’espressione più torva possibile mentre desiderava solo fuggire via da quel posto pieno di pazzi furiosi.
“Allora era davvero lui quello che ho visto assieme ad altre due ragazze... ed io che pensavo di avere le traveggole...!”
“A-altre due ragazze??” la voce del più giovane risuonò stridula in quella parte del locale che solitamente era utilizzata dallo staff. Taro gli aveva dato il permesso di restare lì, quindi non c’erano problemi.
Gli affilati occhi azzurri di Grimmjow brillarono sornioni, mentre una risata furba e maliziosa uscì fuori dalle sue labbra sottili. Kurosaki era davvero una sagoma, si scandalizzava con un nonnulla.
“Oh, dai, tuo fratello si starà solo divertendo.”
“Non voglio sapere che cazzo sta facendo quel debosciato!” esclamò ancora l’altro, arrossendo nuovamente e cominciando ad agitarsi come una ragazzina alle prime armi con il sesso e tutto quello che si portava dietro.
Jaggerjack rise sguaiatamente, tirando indietro la testa e tentando di non far rovesciare il contenuto del bicchierino che teneva tra le dita.
“Oh, suvvia Kurosaki! Io ho fatto ben peggio, credimi.”
“...Avrei preferito non saperlo!”
Ichigo odiava la risata del più grande. Si prendeva gioco di lui, quasi fosse un emerito imbecille o cose del genere. Se non fosse stato già abbastanza incazzato col fratello avrebbe preso il ventenne a calci! All’improvviso Jaggerjack gli allungò una bottiglia di birra, presa da non si sa dove, probabilmente dal frigo che si trovava lì vicino, invitandolo a  bere.
“Che c’è Kurosaki? Non reggi l’alcol?” lo sbeffeggiò l’altro, facendola roteare un paio di volte davanti al naso del più grande dei due gemelli di casa Kurosaki “Credimi, ti servirà per far passare la serata, non penso che tuo fratello si farà trovare tanto presto.”
Titubante, la testa arancione non si avvicinò nemmeno troppo a quella bottiglia per almeno una manciata di secondi, per poi cedere alla tentazione, cominciando a bere come un forsennato.
“Ehi, ehi, se fai così ti soffochi!”
“Com’è che sei così cordiale? Solitamente quando ci beccavamo a scuola mi riempivi di botte.”
“Sai com’è, l’alcol mi rende più conciliante... E poi a quei tempi mi facevi incazzare.”
“Ma perché?”
“Saranno cazzi miei, no?”
“Ma vaffanculo!”
I due continuarono così per dieci minuti, tra birre che venivano recuperate dal frigo bar dello staff ed insulti e spintoni da parte dell’una e dell’altra parte.
Grimmjow sapeva benissimo perché continuava a riempirlo di botte, quando lui frequentava il liceo e l’altro era ancora alle medie. All’inizio semplicemente perché si divertiva, Kurosaki si incazzava con un nonnulla ed un po’ cazzotti gli permettevano di non annoiarsi e l’isterismo del più piccolo era una buona distrazione dai casini in cui si cacciava normalmente. Ma poi tutto era cambiato, qualcosa era scattato dentro di lui e la presenza di Kurosaki lo faceva diventare matto in una maniera del tutto differente. Solo successivamente, grazie ad Ilfort, uno dei suoi colleghi di lavoro, avrebbe capito. E lo sapeva, sarebbero stati cazzi, in ogni senso possibile.
Il ragazzo dagli occhi azzurri fissò il viso ormai arrossato per la sbronza di Ichigo, il quale straparlava di cose assurde e senza senso.
“Allora non lo reggi sul serio, fragolino!”
Il diretto interessato si voltò verso di lui, la sua miglior espressione da incazzato che in quel momento la sbronza gli permetteva di fare dipinta sul viso.
“Invece – un singhiozzo parecchio rumoroso risuonò nell’aria mentre Jaggerjack riprendeva a ridere – lo reggo benissimo!”
“Certo ed io sono la fata turchina di Pinocchio! Anche se devo ammetterlo che per il colore dei capelli potrei anche esserlo...!”
Un altro singhiozzo, un'altra risata. Anche lui, Grimmjow, cominciava a sentire gli effetti dell’alcol. Aveva tremendamente caldo in quel momento. E certi istinti gridavano con un po’ troppa prepotenza...
“Io sono sobrio, infatti riesco a toccarmi la punta del naso, vedi?” le peripezie del ragazzo risultarono parecchio spassose mentre l’altro non poteva fare  ameno di ghignare, dando qualche pacca sulla schiena di un traballante Ichigo che faticava a stare dritto anche da seduto.
“Smettila di ridere e di sfottermi!” esclamò il ragazzo, assottigliando gli occhi, trasformandoli in due fessure, avvicinandosi all’altro. Forse troppo.
Grimmjow rideva così tanto – tra l’alcol e certi pensieri che gli frullavano nella testa non sapeva più che fare, dimenticandosi persino come si facesse a respirare – da far incazzare sempre di più il fragolino che l’afferrò per il bavero della camicia, avvicinandosi paurosamente al suo volto.
“Ti ho detto di smetterla di sfottermi!” rimarcò l’altro, fissando negli occhi il ventenne.
Rimasero così per molto tempo, guardandosi a vicenda, senza muovere un solo muscolo. Il tempo sembrava essersi gelato mentre la birra e molto altro alterava i sensi di entrambi i ragazzi.
“Sai” iniziò Ichigo, deglutendo un paio di volte “forse sono davvero ubriaco...”
“Credo di esserlo anche io, Kurosaki.”
Fu Grimmjow ad avvicinarsi per primo, tuffandosi su quelle labbra che già da parecchio tempo l’avevano attirato, fin dai tempi del liceo. Ichigo sembrava lasciarsi trasportare, forse a causa delle birre o forse no. Si strinse spasmodicamente a lui, spinto dall’istinto, afferrandolo per la nuca, tirandogli i capelli. Sembrava una lotta la loro, quasi cercassero di prevalere l’uno sull’altro attraverso quel bacio, come quando Ichigo all’ultimo anno delle medie si ritrovava  a picchiarsi a sangue con quel pazzo di Jaggerjack.
Il loro respiro era rumoroso ed irregolare, il cuore che cominciava a battere sempre più velocemente. Fu quando l’ebbrezza cominciò a svanire che Ichigo si staccò da lui, squadrandolo da capo a piedi sempre più sconvolto. Gli tirò un pugno di volata, scappando da quella stretta che, non sapeva spiegarlo, gli sembrava così stranamente consolatoria. Grimmjow si era tastato il labbro rimasto stranamente ancora intatto.
“Ma perché cazzo devo sempre cacciarmi in questi pasticci, porca vacca...” mormorò mentre Ichigo spariva tra la folla, ritrovando suo fratello intento a ballare con un ragazzo parecchio attraente secondi i canoni del più piccolo dei due gemelli.
“Kon, ora ce ne andiamo” era tornato ad essere stranamente lucido, il più grande dei fratelli Kurosaki, troppo preso dall’enorme cazzata che aveva appena fatto.
“Ma perché? Mi sto divertendo!”
“Ti prego Kon, andiamo via.”
A quella supplica, mormorata a voce così bassa, mentre gli occhi dell’altro sembravano sfuggire i suoi, Kon si staccò da quel corpo invitante – dannatamente invitante, dannazione! – e seguì il fratello.
“Alla prossima Nii-sama!” gridò al tipo piantandolo da solo in mezzo alla pista, lasciandosi trascinare via da un fratello sconvolto e troppo silenzioso anche per i standard di casa Kurosaki...


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Cercare di finire quell’ultima sigaretta il più lentamente possibile si rivelò una vera impresa per Grimmjow. Osservava la porta di sottecchi, facendo roteare la crema per far guarire gli ematomi tra le dita, sospirando. Pensava a tante cose l’uomo di casa Jaggerjack, ripensava alle varie stronzate che aveva fatto quella dannata sera di quasi un anno fa e che forse aveva ripetuto quello stesso giorno. Però l’unica cosa che lo preoccupava veramente era cercare di non mettere in mezzo Haine. Aveva già troppe gatte da pelare, tra la scuola e la preoccupazione per Chidori che, ancora una volta, era stata ricoverata in ospedale, per fare una serie di controlli che la tenevano via da casa per delle settimane. E poi la vita era la sua ed anche i problemi che causava quindi l’altra non si sarebbe dovuta impicciare, vi pare?
Buttò a terra il mozzicone della sigaretta, spegnendolo immediatamente, per poi entrare in casa facendo come suo solito un gran baccano.
E la prima cosa che lo accolse fu una marea di insulti da parte della sorella.
“Ma si può sapere dove cazzo eri? Non hai nemmeno risposto al cellulare! Dannazione, mi hai fatto preoccupare razza di imbecille patentato!”
Andò avanti così per dieci minuti buoni quel discorso senza capo né coda, il ragazzo che non ascoltava nemmeno mentre entrava nel salotto, seguito a ruota da un’Haine parecchio incazzata e nevrotica. Quando raggiunse il divano e ci si buttò sopra, le piantò addosso i suoi occhi azzurri, la sua migliore espressione da persona seria stampata in viso.
“Finito?” le chiese, il respiro della ragazza per il troppo parlare ed urlare che si faceva sempre più affannato.
“Hanno chiamato dall’ospedale, vero?”
La ragazza abbassò il capo, stringendo i pugni fino a far diventare le nocche bianche, le braccia che tremavano per lo sforzo.
“Hanno detto che dovrà restare lì un altro paio di giorni.”
Non vide il volto del fratello, la giovane Haine. Non lo vide mentre chiudeva gli occhi e si metteva seduto più comodo sul divano. Non lo vide mentre congiungeva le mani e se le portava davanti al viso, appoggiandovisi sopra per poi sbuffare così flebilmente da far risultare il tutto senza suono. E non lo vide nemmeno mentre si alzava e si avvicinava a lei, sentì solo la sua mano posarsi sulla spalla e stringerla con grande sicurezza.
“Andremo a trovarla domani.” Fu l’unica cosa che disse prima di eclissarsi in camera sua senza nemmeno voltarsi, lasciando sul tavolo lì accanto la crema per permettere almeno alla sorella di farsi passare quel dannatissimo livido nero che spiccava terribilmente sulla pelle bianca.


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Il giorno dopo tutto sembrava essersi risolto ed ogni cosa era tornata alla normalità, in casa Jaggerjack. Quella volta la ragazza dai lunghi capelli blu scuro ci aveva messo davvero poco tempo nello svegliare quel deficiente di Grimmjow, le era bastato schiacciare con l’indice sull’occhio contuso per fargli fare un salto di mezzo metro sul letto. Poi si era dovuta rifugiare in bagno per almeno dieci minuti, onde evitare l’ira funesta del fratello, ma erano semplici dettagli.
“Usa anche tu quella crema, fa miracoli! Il livido mi è quasi sparito!” gli aveva detto prima di uscire, guardandosi nello specchio vicino all’entrata e mettersi a posto l’enorme cerotto che le permetteva di nascondere quell’enorme macchia blu presente sul suo povero naso.
Il resto della mattinata poi si era svolto come al solito. Orihime l’aveva aspettata davanti al cancello di casa ed insieme si erano dirette verso la scuola. Aveva bisticciato con Kon quando poi aveva attentato al seno della povera Hime in classe. Si chiedeva spesso come mai la ragazza lo perdonasse sempre, per lei era un vero mistero! L’unica cosa che non le era sembrata a posto era il labbro spaccato di Ichigo e l’espressione colpevole ogni volta che incrociava il suo sguardo.
“Sei sicuro di stare bene, Ichigo? Non hai una bella cera.”
Il ragazzo dovette inventarsi una scusa all’istante e non guardare i grandi occhi neri della ragazza che, chissà perché, avevano la capacità di leggerti dentro e di capire il tuo stato d’animo.
Non ringraziò mai abbastanza Kon quando lo salvò in extremis, dicendo che era semplicemente incazzato perché aveva fatto a pugni con Grimmjow, l’altra sera.
“Sai com’è, anche se ti aveva promesso di non farlo più gliele ha suonate e se vedi ci ha lasciato il labbro, in quello scontro. Oh, cosa ho fatto di male per avere un fratello così animale!”
“Ha parlato quello che attenta ad ogni gonnella che gli passa davanti!” esclamò la moretta, tentando di rifilare un calcione al ragazzo che, nel mentre, era sgattaiolato un po’ troppo vicino alla povera Orihime.
Se avesse potuto Ichigo avrebbe sorriso al fratello in quell’istante e, perché no, magari lo avrebbe potuto tirare fuori dai guai. Una volta tanto era stato lui ad aiutarlo e senza sapere neanche quanto. Così si alzò dalla sedia, nel tentativo di fermare quei due prima che si consumasse una strage direttamente nella loro classe.
“Kon, smettila di fare il decerebrato, o giuro che informerò Yuzu dei giornaletti porno che tieni nascosti sotto il materasso!”
“No, ti prego, i Giornaletti Porno no!”
Tutto sembrava essere tornato alla normalità, sia nella mente sia nel cuore. Peccato che Ichigo non si fosse accorto dello strano sguardo che gli aveva lanciato Haine poco prima dell’inizio delle lezioni.
Lo sguardo di chi sa ma che per rispetto non vuole dire niente...

 

 

 

 

…Continua…

 

 



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HaruiChan: Tesoro mio *zompaddossa* sono contenta che ti piaccia XD ehhhe Kon maniaco è adorabile non possiamo non amarlo, vero??


dotoBERRY: *saltaddossa la berry* Lol sono contenta che abbia apprezzato la mia Haine XD e non è facile gestire quelle teste di cavolo di Kon, Ichi e grimm! è abbastanza faticoso, lol xD  Grazie ancora per i complimenti, questo capitolo è tutto per voi xD

tesar:  Allora cerchiamo di rispondere ai tuoi due commenti in una botta sola Xd esatto lei è la ragzza del primo capitolo XD lol sono socntenta di aver reso bene l'idea dei fratelli, anche se sono figlia unica xD  per la ff... beh, non è scritta tutta ma le idee sono tante e chiare, sta tranquilla che non la lascerò in sospeso xD




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Capitolo 4
*** Ω Promise Ω → † Per te che sei la mia famiglia † ***


Eccomi qui con il terzo capitolo effettivo della fiction XD mamma mia è stato un parto XD devo dire che però è stato divertente scriverlo. Qui capirete certe cose ed altre verranno appena accennate, lasciandovi in sospeso fino al capitolo successivo. Ma non spoilero troppo, se no che gusto c'è XD Ci sarà tanto da ridere e poi beh, non mancherà un altro incontro tra Ichi e Grimm e non vi dico altro... *risata diabolica* Vi consoglio di godervi questo capitolo perchè il prossimo sarà Angst, credete a me.
La canzone che vi consiglio di ascoltare mentre leggete è questa:
Una Piccola Poesia Anche Per Te

cliccate su link così da potervela ascoltare^^ diciamo che vi è racchiuso un piccolo desiderio di Haine che si capirà man mano che andremo avanti.
Per chi non avesse ancora letto la mia spin off ecco qui il link della fiction che è collegata a questa, scritta per il contest "Sotto il cielo d'Estate" 

p.s. mamma non volermene per la coppia XD comunque leggi poi u.ù

Waiting for a Dream } Sotto il cielo d’estate.

qui invece troverete una immagine su deviantart fatta da una mia amica (mamma ti adoro XD) e che amerete pure voi XD so già che vi ricorderà una certa scen del rpimo capitolo XD
By Aduah

*muore solo a guardarla ancora*

sul fondo troverete le risposte hai commenti

Detto questo vi lascio alla lettura XD a presto x3

mangagirlfan


Capitolo 3 :

 

Ω Promise Ω → † Per te che sei la mia famiglia †

 

Sai Haine, avrei voluto prenderti con me,
Tanto tempo fa.
Ma ogni volta che mi osservavi e piangevi
Capivo che in me vedevi soltanto il riflesso di una persona
Che ormai non c’era più...
E questo era un ostacolo che allora
Non sarei mai stata in grado di superare...


(Theme: Una piccola Poesia anche per te – Elisa)

 

“Cosa diamine avete combinato tutti e due?”
La voce di Chidori risuonò potente per l’intera ala ospedaliera mentre Haine si fissava i piedi colpevole e Grimmjow si sturava un orecchio distrutto dai decibel di troppo che la voce della donna avevano raggiunto in quel momento.
“Non vi sarete picchiati, per caso?”
A quelle parole la moretta alzò la testa di scatto, guardando l’altra con tanto d’occhi, sconvolta e stupita al tempo stesso. Il ragazzo dai capelli azzurri, invece, da prima sbatté le palpebre un paio di volte per poi mettersi a ridere sguaiatamente, costringendo le infermiere a raggiungerli nella stanza per richiamarli all’ordine.
“Ma ti sembra che io possa procurarle un livido così misero?” chiese mentre la sorella gli pestava un piede, sapendo che non avrebbe reagito a causa della presenza della donna.
“Effettivamente...”
“Chidori!”
In quell’istante fu la signora a ridere, sistemandosi sul letto in una maniera più comoda. Posò la sua lunga treccia sulla spalla sinistra, sorridendo ai due e facendo segno di avvicinarsi.
“Dimmi la verità, Haine, hai fatto a botte con Kon, ammettilo!”
“Se davvero quei due facessero a  botte quello che finirebbe con il naso nero sarebbe lui, non certamente questo mostriciattolo.”
“Sappi che ‘sta sera ti mando a  dormire sotto i ponti se non ti decidi a chiudere quel forno, brutta merdaccia che non sei altro!”
La donna rise ancora, osservando i due giovani bisticciare fino a sgolarsi.
“Andate d’accordo come sempre, a quanto vedo! Comunque ditemi come diavolo vi siete procurati quei lividi.”
La ragazza esitò, cominciando a tartassarsi una ciocca di capelli e tentando in ogni maniera possibile di cambiare discorso. Quando finalmente la donna riuscì a convincerla a dirle tutta la verità dovette cercare di trattenersi. Se le avesse riso in faccia non l’avrebbe mai perdonata, di questo era assolutamente certa. Invece Grimmjow se ne fregò bellamente, ridendo sotto i baffi, fissandola dall’alto in basso, come suo solito.
“Smettila di fare il cretino! Proprio tu che ti sei fatto fare quell’occhio nero da Ichigo la sera in cui è venuto a controllare se suo fratello non avesse fatto troppi danni!”
“Davvero? Mio caro, non sei più quello di una volta, che ne dici di andare in pensione? La parte del bullo ti dovrebbe andar stretta da un pezzo, vista la tua stazza!”
Il ragazzo dovette mordersi la lingua a sangue per non rispondere troppo malamente alle due che, quando ci si mettevano, sapevano rendergli la vita impossibile!
La donna rise nel vedere l’espressione del più grande contrarsi in mille modi diversi per evitare di dirne una delle sue. Quello era il momento giusto per sostenere la tesi del “se ti trattieni diventerai completamente color puffo” ma decise che forse non era il caso di aggiungere altra benzina sul fuoco.
Restarono lì, in quella stanza per circa un’ora, ridendo e scherzando come se fossero ancora tutti insieme, a casa. Chidori ogni tanto accarezzava i lunghi capelli blu scuro di Haine, lodandola su quanto fossero belli e luminosi. A quel punto la giovane sorrideva ed arricciava appena il naso, felice. Avrebbe voluto accarezzare anche il viso di Grimmjow, come aveva sempre fatto quando era bambino, ma lui non glielo avrebbe mai permesso. Non era un tipo che si lasciava andare ad effusioni simili, nemmeno con lei, poco ma sicuro!
“Avanti, dimmi un po’ come diavolo di sei fatta questo segnaccio viola. Giuro che non riderò.” Disse seria Chidori per poi dare un pizzicotto al ventunenne quanto si mise a ridacchiare sotto i baffi e mormorando una serie di “si certo, come no.”
La giovane riprese a tartassarsi una ciocca vicino all’orecchio, spostando lo sguardo un po’ di qua, un po’ di là, ansiosa. Si morse appena il labbro prima di pronunciare quelle fatidiche parole.
“... Kon mi ha tirato un pallone da basket in faccia nel tentativo di colpire suo fratello sulla zucca... ecco, lo sapevo, smettila di prendermi in giro, cattiva!” pigolò alla fine del discorso lei, mentre la donna cominciava a ridacchiare, tenendo la mano davanti alle labbra per evitare di lasciarsi andare in una risata decisamente più rumorosa.
“E non ti ha raccontato di come lo ha inseguito per la palestra. Sai, mi sono fatto dire tutto da Orihime, l’altro giorno. Sembravi una belva feroce con quel bastone in mano mentre lo minacciavi di una morte atroce.”
Se avesse potuto Haine sarebbe sprofondata all’istante a causa delle risate da parte della donna che cercava in ogni modo di trattenersi senza ottenere nessun risultato.
“Vi odio, tutti e due!” sibilò, la faccia completamente rossa nascosta dietro le mani. “E tu piantala di fare quell’espressione vittoriosa, sottospecie di evidenziatore troppo cresciuto!” trillò al fratello, rifilandogli un altro calcione dei suoi nel polpaccio.
Chidori riprese a ridere senza ritegno quando i due cominciarono ad inseguirsi per tutta stanza – per loro fortuna vuota – nel tentativo di farsi i dispetti a vicenda. Se non fosse arrivata l’ennesima infermiera a riportare l’ordine si sarebbe scatenato il pandemonio, poco ma sicuro.
La donna si asciugò gli occhi, singhiozzando appena. Si sentiva bene quando quei due terremoti andavano a  trovarla in ospedale. Sapeva di farli preoccupare sempre a causa della sua salute cagionevole, ma vederli lì, allegri e scatenati come non mai la rassicurava e non poco. E sicuramente i suoi “bambini” lo sapevano, di questo ne era assolutamente certa.
Fece nuovamente segno ad Haine di sedersi sul letto, accanto a lei, mentre le chiedeva di raccontarle un altro paio di cose, riguardo la scuola, gli amici e tutto il resto. Grimmjow se ne restava in disparte, appoggiato ad una parete della stanza. La donna scrollò il capo, facendo finta di nulla. Mentre la più piccola dei due le parlava lo osservava, silenziosa. Era sorprendente quanto assomigliasse a suo padre, negli atteggiamenti. Era esattamente come lui, burbero e scontroso. Ma in fondo – molto in fondo – si preoccupava per lei e per la sorellina. E forse era per questo che si era messo subito a lavorare, finito il liceo.
“Insomma, prima mi chiedi di raccontarti come vanno le cose e poi non mi ascolti?? Cattiva!” protestò Haine, tenendole il broncio.
“Ho sentito tutto, sai? Stavi dicendo di quanto sia detestabile Kon e quel suo atteggiamento da farfallone.” Replicò Chidori “Non è che ti sta troppo a cuore quel monello, neh, piccola?”
Dopo un attimo di incredulità da parte della ragazzina, la quale si era limitata a fissarla come se avesse detto una gran stupidaggine ed alzando un sopracciglio con molta non curanza, Haine fece un sorrisetto strafottente, assomigliando in una maniera impressionante a Grimmjow.
“Gli asini cominceranno a volare prima che io possa trovare simpatico uno così.” Replicò alla fine l’altra, piatta.
Quando alzò lo sguardo verso l’orologio appeso al muro, la piccola di casa Jaggerjack si alzò di scatto, afferrando al volo la sua borsa a tracolla.
“Oddio, com’è tardi! Dovevo essere a casa di Hime per studiare con lei matematica! Porca miseria se non mi dà una mano sono fregata!” pigolò esasperata, uscendo fuori dalla stanza alla velocità della luce per poi fermarsi e tornare indietro per andare  a salutare con un caloroso abbraccio Chidori.
“Riprenditi presto!”
“E tu fila a studiare, avanti march!”
Detto fatto. Haine si precipitò nuovamente fuori dalla camera come un razzo, pronta ad affrontare quell’obbrobrio che era la matematica.
Grimmjow si staccò dal muro, facendo uno dei suoi soliti sorrisi predatori, mostrando due file di denti bianchissimi alla donna che se ne era rimasta perennemente coricata in quel misero letto d’ospedale.
“In questo vi assomigliate molto lo sai?”
“In cosa?”
“In matematica anche tu facevi schifo. Mi ricordo certi trentasei...”
Il ragazzo si irrigidì di colpo, frustrato al ricordo delle sue tremende sfuriate sul fatto che non si impegnasse abbastanza. E lui non aveva nemmeno il diritto di ribattere perché, effettivamente, aveva ragione. Era un vero fannullone quando si trattava di scuola.
“Almeno lei qualche buon voto lo ha portato a casa, o mi sbaglio?”
“Vogliamo cambiare discorso?”
A quelle parole Chidori rise sguaiatamente, un po’ come faceva sempre lui e la cosa gli diede altamente sui nervi.
“Come siamo permalosi...”
“Da qualcuno ho pur preso, no?”
“Effettivamente...”
Per una decina di minuti il silenzio calò nella stanza, Grimmjow che finalmente si decideva a sedersi al bordo di quel letto a suo parere troppo scomodo e piccolo per i suoi gusti.
Fu uno sbuffo della donna ad attirare la sua attenzione mentre si metteva un po’ più comoda, posizionando al meglio il cuscino che aveva dietro la schiena.
“Sai” cominciò lei, sfiorando la sua lunga treccia di un azzurro simile a quello del ragazzo che le stava seduto affianco “Anche oggi non è riuscita a chiamarmi mamma.” Finì lei, guardandolo negli occhi.
Il ragazzo si limitò ad annuire, senza dire niente, grattandosi la testa con poca noncuranza.
“Ma credo che sia normale, dopotutto.” Continuò la donna, con un sorriso amaro.
“Non potrò mai sostituirla, vero?”
Grimmjow si limitò ad emettere un grugnito, afferrandole una mano e stringendola forte, per poi alzarsi stancamente.
“Hai fatto tanto per lei e lo sai.” Esclamò lui girato di schiena, le mani sprofondate nelle tasche dei jeans che rischiavano di cadergli da un momento all’altro.
“E tu sei tu. Non puoi sostituire una persona. Ma potrai continuare  a starle vicino. E credo che ad Haine vada bene così.”
Quando si girò e la vide piangere con un grande e dolcissimo sorriso stampato sulle labbra piene ricambiò a sua volta, stranamente intenerito da quella scena.
“Ora pensa solo a stare meglio, hai capito, mamma?”
Dopo quelle parole uscì dalla stanza salutandola con un cenno della mano, sperando che almeno per quel giorno, quel discorso fosse definitivamente chiuso.

 

# # # # # # # # #

 

Quella mattina ad Haine sembrò andare tutto dannatamente liscio e la cosa la rincuorò un poco. Aveva studiato come una matta fino a tarda sera, ricordando tutte le dritte che Orihime ed Ichigo gli avevano dato in quei giorni di duro lavoro per poterla aiutare a raggiungere un voto decente. Ripassò a mente ogni regola possibile ed inimmaginabile della quale aveva memoria per poi afferrarsi i capelli e sbottare dal nervosismo. Forse non era il caso di farsi prendere dal panico, altrimenti non avrebbe ricordato un cavolo, nemmeno quanto facesse due più due. Cosa che le capitava spesso, ultimamente. Dopo essersi lavata la faccia un paio di volte con l’acqua gelata ed aver addentato un paio di brioche, salì le scale per svegliare quel pigrone di Grimmjow. Da quando erano andati a trovare Chidori, quella settimana, sembrava essersi buttato a capofitto nel lavoro del cantiere. Probabilmente era l’unica cosa che riuscisse a distrarlo da pensieri che, a causa del suo fottutissimo orgoglio, non le avrebbe mai rivelato, nemmeno sotto tortura!
Non sapeva spiegarselo ma lui la prendeva in una maniera del tutto diversa dalla sua e nonostante non volesse darlo a  vedere si preoccupava tanto quanto lei. Per Haine era una cosa che la portava a picchi di assoluto nervosismo, almeno fino a quando non constatava che effettivamente quei ricoveri che si facevano sempre più frequenti, erano dovuti a dei semplici controlli. Per lui, invece, era un lento logorarsi, perché non si sarebbe mai e poi mai permesso di esternare un suo pensiero dei più intimi, neanche il più insignificante!
La ragazza si grattò la testa, sbuffando, poco prima di posare la mano sulla maniglia per poter aprire la porta facendo più baccano possibile. Doveva sbrigarsi quella mattina, aveva un esame e non poteva permettersi nemmeno mezzo secondo di ritardo. Prese un respiro profondo, pronta a fiondarsi nella stanza del più grande quando il telefono cominciò a squillare. Brontolò un qualcosa di indefinito per poi precipitarsi al piano terra come un razzo, afferrando al volo la cornetta. Chi diavolo era a quell’ora del mattino??
“Pronto?” la voce che le giunse alle orecchie in quel preciso istante era autoritaria e potente ma la tempo stesso molto sensuale. Non ci mise molto a riconoscere chi ci fosse, dall’altro capo del telefono.
“Buongiorno capo!” esclamò lei, raggiante “Se vuole Grimmjow lo chiamo subito, è un attimo in bagno, mi dia il tempo di andarlo chiamare ed è subito da lei, non si preoccupi, ha promesso che non farà tardi quindi oggi sarà al lavoro per le otto in punto, fresco come una rosa!”
“Non preoccuparti piccola Haine, non stare a disturbare tuo fratello. Ho chiamato per dirgli che oggi il cantiere sarà fermo per tutto il giorno, visto che il tizio dell’appalto non vuole pagare questa settimana. Ma stai tranquilla, ho i miei metodi per convincerlo, credi a me.”
Haine rabbrividì. Kukaku Shiba era una donna che non andava certamente per il sottile ed oltre ad essere conosciuta per il suo gusto estetico alquanto bizzarro, era famosa anche per il fatto di essere una donna che otteneva tutto ciò che voleva. O con le buone o con le cattive. Anche se prediligeva soprattutto le seconde, a suo parere più divertenti e proficue.
“Ok, glielo riferirò. Grazie del disturbo.”
“Figurati, è il minimo che possa fare visto che ultimamente ha lavorato il doppio degli altri.” Esclamò la bruna, la voce piena di stima per quel ragazzo che aveva vinto il suo dannato orgoglio e la sua naturale predisposizione a non farsi dare ordini, pur di poter portare a casa il pane.
A quella frase la ragazza sorrise inconsciamente. Ricevere l’onore di essere stimati dalla Shiba non era una cosa da tutti i giorni e questo lo sapeva benissimo.
“Buona giornata Kukaku-sama.”
“Buona giornata a te, piccola.”
Quando mise giù la cornetta, Haine si precipitò su per le scale, euforica. Aprì lentamente la porta, osservando il fratello riposare tranquillo. Non le importava quale fosse il motivo che lo spingeva a lavorare così duramente, ora come ora l’unica cosa che contava era che riposasse. Aveva tutto il diritto di rilassarsi, almeno per quel giorno. Sorrise dolcemente, entrando in camera del ragazzo quatta quatta, senza fare il minimo rumore, sedendosi sul letto accanto a lui. Era stravaccato ed abbracciava il cuscino mentre stava a pancia in giù. Se qualcun altro lo avesse visto in quello stato e Grimmjow lo avesse scoperto sarebbe stata morte istantanea, poco ma sicuro. Per sua immensa fortuna a lei riservava un trattamento diverso in quanto sorella minore.
Gli passò una mano sulla testa, delicatamente, e lo accarezzò, come le faceva sempre lei quando era piccola. Lo sentì mormorare qualcosa nel sonno, facendo sprofondare la faccia sempre più nel cuscino. Le veniva quasi da ridere, sembrava un grosso gattone addormentato. E si comportava esattamente come i gatti. A nessuno dava la piena fiducia e mai si sarebbe lasciato ammaestrare e possedere. Era lui ad averti, proprio come un gatto e l’unica cosa da fare era accettare la cosa, cosicché lui potesse amarti a modo suo, senza troppe pretese.
Gli spostò una ciocca di capelli dagli occhi e poi si alzò, afferrando carta e penna per scrivergli che per quel giorno sarebbe potuto rimanere a casa. Dopo aver appoggiato il foglietto sul comodino, Haine si fermò un istante. Lo fissò ed allargò il suo sorriso che da dolce si fece furbetto.
“Vediamo se mi ammazza o meno.” Bisbigliò prima di chinarsi su di lui e schioccargli un bacio sulla fronte. Bene non si era svegliato, lui, che appena la sentiva avvicinarsi troppo si svegliava di botto, infastidito. Era davvero esausto, non c’era ombra di dubbio.
“Dormi bene nii-san”
E detto questo se ne uscì di casa, perfettamente in orario per la prima volta da un anno a questa parte.

 

# # # # # # # # #

 

“Vieni qui brutto disgraziato!”
Anche quella mattina le cose sembravano essere iniziate come al solito. Kon si era messo a sbavare dietro alla povera Orihime ed Haine e Tatsuki avevano cominciato ad inseguirlo, pronte a difendere la loro amica dai suoi assalti. E non solo lei ma tutte le altre loro compagne di classe. Ichigo ormai non si sgolava neanche più, ci pensavano le sue amiche a dargliele anche da parte sua. Dopotutto non poteva mica trasformarlo in un punging ball solo per fargli entrare in testa le buone maniere ed un po’ di sale in zucca. Anche se, doveva ammetterlo, forse era l’unico modo...!
Proprio quando le due ragazze erano riuscite ad agguantare Kon per suonargliele di santa ragione, la professoressa Ochi entrò nell’aula, intimando l’ordine che non tardò ad arrivare.
“Bene ragazzi, forza, prendete le vostre biro tra poco inizia la verifica. Ed il primo che becco con foglietti e fogliettini o che copia si ritroverà un bel zero nel compito, mi sono spiegata Kon?” esclamò la donna, fissando torva il ragazzo che deglutì, annuendo. Haine ridacchiò, divertita. Durante l’ultima verifica il ragazzo aveva spudoratamente copiato e ci era mancato poco che la professoressa lo mandasse dritto filato dal preside. Quella volta, però, era intervenuto Ichigo salvandolo in extremis, facendogli semplicemente annullare la verifica e costringendolo a restare a scuola a pulire le aule per ben un mese di fila ed a rifare il compito ovviamente. Se fosse ricapitata una cosa del genere nemmeno Buddha in persona l’avrebbe salvato dall’ira della donna.
Per più di due ore il silenzio calò nell’aula mentre tutti cercavano di risolvere quei dannati problemi di algebra. Quando la campanella suonò, tra lamentele e sospiri liberatori, Haine alzò la testa dal foglio, dopo aver ricontrollato tutto almeno tre volte. Fece segno ad Ichigo per verificare se i risultati corrispondessero per poi sbuffare e lasciar perdere quando vide che era già impegnato col fratello, sperando di non farsi beccare dalla Ochi.
“Basta confabulare voi altri! Forza, fate passere queste verifiche, da bravi!”
Quando fu il turno della Jaggerjack, la ragazza sospirò, passando di malavoglia il compito in classe e pregando ogni divinità possibile affinché più della metà degli esercizi – stranamente era riuscita a svolgerli tutti – risultasse quantomeno corretta.
“Come è andata, Haine-chan?” le chiese Orihime, con un sorriso.
La ragazza dai capelli blu scuro pigolò, terrorizzata, mentre Tatsuki si univa alle due e le dava qualche pacca sulla testa, dicendole di stare tranquilla.
“Su, su, vedrai che ce la farai. Hai lavorato come una matta per più di una settimana con due genietti della matematica, vedrai che una sufficienza piena non te la leva nessuno.”
I grandi occhi neri della ragazzina si fecero lucidi mentre afferrava Tatsuki per i fianchi e la abbracciava forte, ringraziandola per il sostegno. Inoue rise, osservando le due amiche in quella buffa scenetta comica mentre Tatsuki cercava di staccarsela di dosso. Haine era una vera sagoma quando ci si metteva.
“Uh, Ishida!” saltò su all’improvviso la Jaggerjack, facendo segno all’altro di avvicinarsi, staccandosi all’improvviso dalla mora che rischiò di ruzzolare per terra. “Dimmi se l’ultimo esercizio ti usciva più o meno così!” esclamò poi, mostrandogli il foglio dove aveva fatto una serie di calcoli incomprensibili, tanto da sembrare dei geroglifici.
Dopo essersi messo a posto gli occhiali una manciata di volte controllò per bene il tutto, ormai abituato alla calligrafia tremolante e secca di Haine denominata da quest’ultimo “da compito in classe”.
“Dovrebbe essere giusto, Jaggerjack.” Esclamò lui, porgendo nuovamente il foglio alla ragazza, che si lasciò andare ad un esclamazione euforica come non mai.
“Ishida! Non sai quanto ti voglio bene in questo momento!” disse nel tentativo di abbracciarlo come aveva fatto con la compagna di classe poco prima.
A nulla servirono le proteste del ragazzo, mentre tentava di sfuggire dalle grinfie della brunetta, provocando una sorta di ilarità generale nella classe. Ormai queste scene, assieme agli attentati alla vita del povero Kon erano all’ordine del giorno.
Dopo quel breve intervallo tra una lezione e l’altra le ore proseguirono senza troppi intoppi. Tutti – anche quel debosciato di Kon – seguivano ogni parola degli insegnanti, concentrati. Era quasi arrivato il periodo degli esami effettivi, dovevano impegnarsi al massimo tutti quanti. La situazione degenerò nuovamente durante l’ora di pranzo, ma quella oramai era normale routine, non si riusciva mai a stare tranquilli fino a quando Hime non riusciva a rifugiarsi nel terrazzo assieme ad Ichigo ed agli altri. Insomma, tutto andò come al solito, senza troppi casini o altro. L’unica cosa che sembrò non andare a genio né a Kon né ad Haine era doversi ritrovare assieme a fare le pulizie della classe. Quei due non si sopportavano proprio, un po’ come l’acqua e l’olio. Eppure, alle volte, quando discutevano di cose serie – assai raro, fidatevi! – parevano intendersi appieno. Peccato che capitasse appunto di rado.
“Dove credi di andare, fratello assatanato?” strillò Ichigo quando notò con la coda dell’occhio il gemello pronto a squagliarsela per mettersi alle calcagna di due belle ragazze che erano passate lì vicino. Il più piccolo dei giovani Kurosaki non si mise nemmeno a protestare, borbottando maledizioni contro quel fratello poco propenso a seguire gli istinti dettati dalla giovinezza.
Haine e Tatsuki sbuffarono, una appoggiata al manico dello spazzolone, l’altra ad un banco lì vicino.
“Come possono essere fratelli due così me lo continuo a chiedere...”
“Io che li conosco da quando erano due soldi di cacio me lo chiedo spesso, credi a me.”
Le due ragazze risero, continuando a pulire l’aula, cercando di evitare i discorsi che quel pervertito di Kon cercava di intavolare col fratello che lo zittiva ogni due per tre, rosso come un pomodoro ed isterico come riccio scazzato.
La moretta scrollò la testa mentre la piccola di casa Jaggerjack si limitava a sbuffare, tentando inutilmente di non sentire a sua volta quei discorsi.
“Fila a prendere l’acqua per il pavimento! Se non arrivi entro dieci minuti ti vengo a recuperare io!” gli aveva alla fine intimato Ichigo, rifilando un calcione ad un Kon decisamente esasperato.
Il ragazzo si tartassò la faccia una decina di volte, alla stregua del pongo tra le dita un bambino, Haine che gli dava un po’ di supporto nel tentativo di calmarlo un pochino. Intanto i minuti passavano e di Kon non c’era più traccia.
“Se non arriva entro trenta secondi giuro che lo ammazzo sul serio ‘sta volta!” sbottò esasperato il ragazzo dai capelli arancioni, ormai al limite della sopportazione, per quel giorno.
Era strano che, quando Haine decideva di lasciar perdere il più piccolo di casa Kurosaki, fosse Ichigo a prenderlo a sganassoni a tutto andare. Era come se si dessero il cambio, per potersi riprendere tutti e due dalle fatiche che comportavano l’insegnare a Kon il modo giusto di comportarsi con il gentil sesso. Tentativi che, peccato, non andavano mai a segno, col risultato di far venire delle crisi isteriche ad entrambi. Un po’ a ciascuno, insomma.
“Ichigo se vuoi ti do una mano.” Esclamò poi Haine ridacchiando, memore della pallonata in faccia delle settimane precedenti.
Stavano per partire in quarta entrambi quando Tatsuki attirò l’attenzione di entrambi i ragazzi, riguardo Kon ed un altro tipo decisamente vistoso.
“Ichigo, guarda che Kon è in giardino che sta tentando di svignarsela e, Haine, tuo fratello è nel cortile della scuola.”
L’urlo che lanciarono i due – uno esasperato e stranamente stridulo, l’altro stupito ed un po’ riluttante – fracassò i timpani della povera ragazza che decise che forse, prima di dare certe notizie era meglio mettersi i tappi per le orecchie per evitare danni permanenti all’udito. Stavano per chiedere entrambi se potevano lasciare tutto nelle sue mani quando la ragazza gli fece segno di defilarsi, prima che cambiasse idea.
“A dopo Ichigo, se becco prima io tuo fratello, lo porto subito da te.”
“Grazie, Haine.” Mormorò il ragazzo mentre la sua voce si era fatta stranamente bassa e rauca.
La Jaggerjack non disse niente, limitandosi ad osservarlo in maniera diversa. Forse era meglio se iniziava a cercare prima Kon invece di suo fratello, non c’erano dubbi...!

 

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Grimmjow si mise a schiacciare sotto il tacco della scarpa l’ennesima cicca buttata a terra, ancora fumante e calda, poi si guardò intorno, scocciato. Il suo vecchio liceo non era cambiato neanche un po’ in tutto quel tempo e la cosa risultava parecchio noiosa, a suo parere. Si grattò la testa, pensando al motivo per cui era andato lì: portare un documento alla segreteria della scuola che quella svampita della sorella aveva lasciato sul tavolo in cucina. Per sua fortuna era ancora a casa, quando l’avevano chiamato. Per fortuna di Haine, non certo sua! Svegliarsi nell’esatto momento in cui il sogno che si stava facendo cominciava a prendere una bella piega non era esattamente il massimo della vita...
Sbuffò l’ultimo alito di fumo che impregnava i suoi polmoni per poi infilarsi le mani in tasca, con non curanza. Pochi secondi prima aveva visto una sgargiante testa arancione spiccare tra la vegetazione che si trovava dietro il cortile della scuola, mentre il suo proprietario se la svignava in tutta fretta. Sicuramente non era Ichigo, non era il tipo da scappare in quel modo, proprio il giorno delle pulizie. Per questo aveva aspettato lì, conscio del fatto che la sua copia esatta si sarebbe fatta viva, prima o poi. Avevano ancora troppe cose in sospeso, loro due, per poterle lasciare così, a metà. E quando il ragazzo dagli occhi azzurri si metteva in testa una cosa, non c’era verso di fargli cambiare idea. Anche se essa poteva risultare sgradevole a chi gli stava vicino. Haine gli diceva che era testardo ed assurdamente noioso quando faceva così ma lui era anche orgoglioso e quindi non la ascoltava mai quando tentava di dimostrargli che forse era il caso di cambiare un po’ quell’atteggiamento del cavolo.
Non dovette aspettare molto per riuscire a vedere un’altra testa arancione fare capolino da dietro un angolo del muro dell’edificio, il proprietario trafelato e decisamente incazzato. Non si accorse di lui, almeno, non subito. Il nervoso che si era fatto strada al centro del petto a causa di quello scansafatiche del gemello era ancora troppo denso e persistente per potergli permettere di osservare le cose che gli stavano attorno con la massima lucidità e soprattutto di soffermasi sui particolari per più di trenta secondi. Se il più grande di casa Jaggerjack avesse avuto un insolita testa arancione forse, e dico forse, si sarebbe accorto di lui con largo anticipo. Ma la cosa non accadde, almeno non subito. Fino a quando i suoi occhi nocciola non incrociarono un assurdo sguardo strafottente color azzurro che sembrava deriderlo. Si fermò, Ichigo, si fermò a pochi passi dal tanto detestato rivale che da più di un anno non faceva che tormentarlo, nei suoi peggiori incubi. Come se nella vita non fosse già abbastanza. Aveva il fiatone ed il petto gli si alzava ed abbassava velocemente e, nonostante volesse dare la colpa alla corsa, sapeva il motivo di tale agitazione. Deglutì mentre lo osservava staccarsi dal tronco di un albero poco distante per potersi avvicinare a lui e fargli notare, in un certo senso, la differenza di stazza che li divideva.
“Che cazzo ci fai qui?” chiese Kurosaki senza il minimo cenno di dimostrare di voler intavolare una conversazione civile.
“Ho portato in segreteria dei documenti che ha lasciato a casa quella smemorata di mia sorella. Sai, nonostante quello che tu probabilmente pensi, non sono un tipo che ama perseguitare la gente.”
Si diede del bugiardo, Grimmjow, perché sì, alle volte pedinava chi gli stava proprio sull’anima per il gusto di attaccar briga, ma in quel momento non era propenso a fare né una né l’altra cosa. Si limitava a fissare la faccia ancora più incazzata del solito di Kurosaki, divertendosi mentre vedeva il suo viso contrarsi sempre più, mutando colore, persino!
Ichigo invece non si stava divertendo affatto. Era in defibrillazione, mentre il cuore martellava fastidioso persino nelle orecchie. Si sentiva un emerito coglione in quel preciso istante ma tante emozioni si agitavano dentro il suo stomaco – dio, il suo povero stomaco! – nella vana speranza di uscire, magari sottoforma di un qualcosa che però non avrebbe mai potuto prendere una forma effettiva ma limitarsi a diventare parole. O al massimo gesti.
Quando vide il ragazzo dei capelli azzurri fare un passo verso di lui s’irrigidì all’istante, mettendo subito sull’attenti tutti i sensi, per non cascare nuovamente nella trappola che l’altro stava tessendo attorno a lui. Lo sentì ridere, lo stronzo, divertito dalla sua immensa agitazione e dal suo sentirsi un emerito imbecille.
“Che cazzo ridi, Grimmjow?” non riusciva più a chiamarlo Jaggerjack, non da quando lui ed Haine erano in classe assieme. Non voleva che ci fossero equivoci, aveva già fin troppe situazioni complicate da gestire, lui.
“Rido perché sembri una verginella di fronte al suo primo amore!”
“Vergin..! Ma brutto stronzo!” strillò Kurosaki, avvicinandosi a lui con l’intenzione di rifilargli un pugno dritto dritto sul naso.
Nonostante le sue “buone” intenzioni, Ichigo venne fermato senza il minimo sforzo dal più grande, ormai abituato a cose ben più difficili da gestire rispetto ad un banale mocciosetto che si avventava contro di lui con la sola intenzione, decisamente effimera, di fargli un benché minimo graffietto, bloccandolo con le mani dietro la schiena.
“Come siamo incazzosi oggi, neh, Kurosaki?”
“Mollami, ti ho detto di mollarmi brutto stronzo! Lasciami i polsi!”
“Solo se te ne starai fermo e non tenderai di spaccarmi il muso.”
“...”
“Lo prendo per un sì...”
Lentamente il ragazzo lasciò andare i polsi del quasi diciassettenne, fissandolo nel tentativo di capire se fidarsi o meno di quella testataccia che era il più grande di casa Kurosaki. Solo in quel momento entrambi si resero conto di quanto fossero vicini. E come già era successo una volta, i ricordi si fecero stranamente più intensi mentre l’istinto si risvegliava prepotente, sotto la pelle, pronto a sbranarli al minimo accenno di cedimento. Si fissavano, entrambi ammutoliti e storditi dal solo sentore di ciò che sarebbe potuto accadere e che in realtà non era avvenuto. Fu solo quando Grimmjow scostò totalmente le mani dalla pelle di Ichigo che scattò verso di lui, affamato di quelle labbra che lo richiamavano da troppo tempo. Lo strinse alla base del collo, facendolo girare su se stesso e sbattendolo con malagrazia contro il tronco dell’albero, sentendo le resistenze di Ichigo, dimentico comunque del luogo dove si trovavano. Per l’altro fu come fronteggiare un attacco da parte di qualche male intenzionato. Solo che in quel caso non si trattava di botte con l’intento di spaccargli le braccia o le gambe ma di un bacio famelico da parte di Grimmjow. Lo sentiva mentre cercava di vincere la sua resistenza, nel vano tentativo di fargli schiudere la bocca, però lui non mollava, non ancora almeno. Era una questione di orgoglio, perdio! Eppure le sue mani, che stringevano convulsamente la maglia di Grimmjow sulle spalle, e le sue gambe, che pareva stessero per cedere da un momento all’altro, tradivano ciò che in realtà desiderava. Non gli ci volle molto al ragazzo dagli occhi azzurri per ritrovarsi completamente appiccicato ad Ichigo, impegnato in un bacio degno di questo nome.
Proprio mentre i loro respiri si mescolavano gli uni negli altri Kurosaki si staccò da lui, esausto, gli occhi lucidi ed il fiato corto. La cosa non poteva andare avanti così, non in quel momento almeno.
“Grimmjow, finiamola qui...”
“Guarda che se non lo volessi pure tu non faresti tutte queste scene...”
Non ci volle molto a Kurosaki per staccarsi da lui, spintonandolo via, gli occhi bassi, il viso rosso per la vergogna. Di nuovo.
“Non farti più vedere, Grimmjow. E la prossima volta che ti capito davanti, lasciami stare.” Sibilò mentre se ne tornava in classe, ignaro del fatto che quattro paia d’occhi lo fissassero, un po’ sconvolti ed un po’ desiderosi di mettere la parola fine a tutta quella assurda faccenda...


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“Dove cazzo si è cacciato quel coglione di Kon?”
Haine aveva deciso che forse era meglio cercare Kon, invece di precipitarsi dal fratello. Aveva la strana sensazione che, se lo avesse raggiunto, avrebbe visto cose che non avrebbe dovuto vedere. E poi, beh, non era difficile per lei fare due più due quando si trattava di Grimmjow ed Ichigo. Sembravano attirarsi come due calamite ogni volta che si trovavano a dieci metri di distanza, o se le suonavano o si lanciavano delle occhiate che la ragazza dai capelli blu non faticava a comprendere. Si ricordava di un discorso fatto con Chidori qualche tempo prima e, doveva ammetterlo, se ci fosse stato Grimmjow nei paraggi quel giorno la cosa sarebbe risultata alquanto imbarazzante. Non si ricordava neanche come erano finite sull’argomento ma fatto sta che avevano cominciato a parlare di un certo Ilfort Grantz, collega di lavoro del fratello – il suo vecchio lavoro – e suo ex compagno. Scoprire che al ventenne interessassero gli uomini non l’aveva sconvolta più di tanto, però aveva deciso che forse era meglio lasciar fare all’altro il primo passo verso l’argomento, se mai avesse voluto parlargliene. Ma poi, beh, lui ed Ichigo avevano cominciato a comportarsi in maniera sempre più strana del solito, i pugni si erano fatti più violenti, le parole anche e lei non ci aveva messo molto a trarre le sue conclusioni. Non voleva mettersi in mezzo però c’era un qualcosa che non andava. E la cosa non le stava bene, per niente.
Sbuffò mentre quella trafila di pensieri si srotolava nella sua testa ed in quel preciso istante vide una testa dal colore a lei decisamente familiare. Chiamò a gran voce il nome di Kon e questi non fece in tempo a voltarsi che lei era già partita all’inseguimento. Dovette mettere le ali ai piedi per non essere preso, il povero disgraziato, tentando di seminarla infilandosi tra la vegetazione che si innalzava dietro la loro scuola. L’avrebbe preso a botte, ne era più che certo e la cosa non gli piaceva neanche un po’. Peccato che Haine volesse semplicemente riportarlo indietro, almeno, fino a quel momento. Più scappava e più desiderava fargliela pagare per quell’inutile corsa.
“Fermati, deficiente, fermati ho detto!”
“Si certo, così mi rifili un altro calcione dei tuoi, manco fossi scemo!”
Haine cominciò a credere che stessero girando in tondo. Ogni volta che si guardava in giro per capire dove diamine fossero, si ritrovava davanti un particolare che aveva già visto qualche minuto prima.
“Ah, mi hai stufato!”
A quell’esclamazione dettata dall’esasperazione del momento la ragazza fece un balzo più deciso verso Kon per placcarlo, afferrandolo per i fianchi e facendolo cadere a terra in un tonfo sordo.
“Adesso ce ne torniamo in classe a fare il nostro dovere. Ichigo ti prenderà a calci al posto mio se lo fai aspettare ancora un po’.”
Ecco, quella prospettiva non gli piaceva neanche un po’. Se Haine quando lo picchiava da incazzata era tremenda beh, suo fratello sapeva essere mille volte peggio. Cercò di scrollarsi di dosso quel peso ingombrante nel tentativo di precipitarsi in classe quando sia lui che la ragazza sentirono due voci a loro familiari stagliarsi lì vicino. Alzò lo sguardo verso la sua spalla destra incrociando un’espressione stupita quanto la sua mentre due occhi neri lo fissavano, increduli. Haine scese dalla schiena del ragazzo, per la sua immensa gioia, e cominciò a gattonare verso quelle voci, sperando di non essere vista. Anche il più piccolo dei gemelli Kurosaki fece lo stesso, fianco a fianco con quella che riteneva essere il suo nemico naturale numero uno. Si guardarono nuovamente in faccia, stupiti della scena che stavano osservando. I loro rispettivi fratelli che si limitavano a guardarsi in cagnesco senza essere ancora passati alle mani. Haine credeva che ormai Grimmjow se ne fosse andato poiché, mentre cercava Kon, aveva incrociato la Ochi, informandola dei documenti consegnati dal fratello in segreteria poco prima.
Kon osservava basito la scena, sapendo perfettamente come sarebbe finita, inconsapevole del fatto che la ragazza accanto a lui avesse il suo stesso sentore sul finale di quella assurda commedia. Quando finalmente i due si baciarono, più per volontà di Grimmjow che per altro, Haine dovette premere una mano sulla bocca del gemello di Ichigo per soffocare un urlo stridulo che rischiava di scappargli da un momento all’altro rischiando di farli scoprire tutti e due. Lo zittì con un’occhiataccia delle sue, aspettando che i due si staccassero per poi allontanarsi e sparire davanti ai loro occhi. Solo allora tolse la mano dalla bocca del ragazzo dai capelli arancioni, aiutandolo ad alzarsi, tirandolo su per un braccio con malagrazia.
“Non ho visto male, vero?” mormorò lei, guardando ancora davanti a sé, nel punto esatto dove tutto era successo.
“L’hanno fatto di nuovo...” mormorò Kon esasperato. Vedere il fratello in certi atteggiamenti, sia fosse in compagnia di uomini sia con donne, lo metteva sempre sotto sopra. Insomma, gli faceva venire il brividi.
“Come sarebbe a dire di nuovo” chiese la ragazza, sgranando gli occhi per lo stupore.
Fu in quel momento che il ragazzo gli raccontò di quando li aveva visti qualche tempo prima. Di come era cominciato – una scazzottata bella e buona – e di come era ovviamente finita. E probabilmente quella non era neanche la prima volta.
Haine fece qualche passo in avanti, sospirando, le braccia lasciate ciondolare lungo i fianchi, gli occhi socchiusi mentre elaborava una qualche idea. Doveva fare qualcosa. Voleva farla punto e basta. Se quella scena era già successa una volta forse era il caso di dare una mano al destino per farlo girare nel verso giusto. Era fatta così Haine, avrebbe fatto di tutto pur di aiutare le persone a cui voleva bene anche quello che stava per giurare al ragazzo che si trovava dietro di lei di qualche passo.
“Senti, Kon...” cominciò, per poi girarsi verso di lui mentre una lieve brezza cominciò ad infastidirla appena spostandole i capelli davanti alla faccia. “... Ti andrebbe di aiutarmi a farli mettere assieme? Almeno, a chiarire questa situazione una volta per tutte?” mormorò, decisa e sicura di ciò che stava dicendo.
“Ma sei scema?” esclamò lui, sconvolto. “Se mio fratello scopre che ho fatto una cosa del genere, soprattutto che so che lui ha fatto una cosa del genere mi ammazza senza pensarci manco mezza volta!”
“E se facessi un patto con te?”
“Che genere di patto?”
Quelle parole le costarono un’immensa fatica, era dura pronunciarle. Ma come è già stato detto era pronta  a tutto pur di aiutare suo fratello ed Ichigo. Voleva un gran bene ad entrambi e sentiva che per vederli finalmente sereni quello era l’unico modo, ne era più che certa.
“Non attenterò più alle tue parti basse e cercherò di non farti troppo male quando mi farai incazzare in futuro, ok?”
A quelle parole il ragazzo reagì con un sussulto però forse era il caso di tirare ancora un po’ la corda prima di dare una risposta.
“Uff, e soprattutto metterò una buona parola per te con Orihime, contento?”
Ecco già quella cosa lo ispirava molto di più. Lui, che adorava Orihime, lui, geloso marcio del fatto che il suo preferito fosse Ichigo, nel sentire quelle parole reagì subito. Le narici si dilatarono, gli occhi si spalancarono e le guance si colorarono di un rosso acceso, al pensiero di potersi avvicinare sempre più alla sua Hime-chan. Haine lo osservò e tentò di non ridere a quella faccia da pesce lesso che stava facendo l’altro. Un po’ lo capiva, il compagno di classe, comprendeva che la castana gli piacesse così tanto. Però lui non aveva ancora afferrare il concetto – o forse semplicemente non lo accettava – che forse Orihime non lo voleva considerare qualcosa di più rispetto ad un amico perché era la copia esatta della persona che amava. E questo, lo sapeva lei e lo sapeva anche lui nonostante non volesse dirlo ad alta voce perché sarebbe risultato vero, l’avrebbe fatta solo soffrire. Però, beh, mettere una buona parola per lui non avrebbe causato danni a nessuno e la sua amica avrebbe capito, evitando qualunque domanda inopportuna.
Osservò Kon avvicinarsi a lei ed allungare la destra, lasciandola sospesa in aria per qualche minuto. In quell’istante, non sapeva dire il motivo, ma gli ricordava tanto Ichigo.
“Affare fatto!”
A quelle parole Haine sorrise trionfante e strinse la mano al suo nuovo compare. Ne era certa, con un alleato motivato come lui sarebbe riuscita nel suo intento, li avrebbe resi felici. Mantenendo quella promessa che aveva fatto a se stessa più di un anno fa ma soprattutto ad una persona che ormai non c’era più. E che sarebbe stata fiera di lei, ne era più che certa. 

 

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Tornata a casa non aveva detto nulla a Grimmjow del fatto che avesse visto cosa avevano fatto lui ed Ichigo. Era rimasta impassibile alla cosa, desiderosa di lasciare che i fatti prendessero la piega giusta prima di entrare in azione e cominciare a dare qualche spintarella al fato affinché aiutasse i due, almeno un pochino. Si erano detti le solite cose, facendo le solite domande. Come era andata la giornata, se le lezioni fossero così pallose come se le ricordava Grimmjow e molto altro ancora. Ma lei, Haine, non aveva accennato al fatto che lo avesse visto lì, nel cortile della scuola. Gli aveva solo detto che la Ochi l’aveva informata del fatto che era passato di lì per i documenti ma nulla più. E lui era rimasto impassibile, dicendole, anzi, che era una gran pasticciona e smemorata, attirando così le sue furie mentre lei lo minacciava di mettere un lucchetto al frigo e di lasciarlo andare a letto senza cena. Fu solo quando il telefono squillò che le cose presero una piega diversa rispetto al solito.
“Vado io”
Haine si era alzata dal tavolo – toccava al fratello lavare i piatti, dopo cena – e si era diretta verso la cornetta del telefono, borbottando contro quel dannato arnese che faceva un rumore dannatamente fastidioso.
“Pronto?”
La voce che le giunse dall’altro capo del telefono la fece sussultare dalla gioia mentre i ricordi si mettevano in fila gli uni dietro gli altri, facendole una strana euforia.
“Ehi ciao! È da un secolo che non ci si sente! Come? Sei in Giappone? Ti trasferirai a Karakura? Dici sul serio?! Non vedo l’ora!”
Grimmjow non disse niente, non era interessato alle discussioni della sorella al telefono. Continuò il suo lavoro al quale veniva sottoposto forzatamente dalla sorella e poi si avvicinò a lei, dandogli un buffetto sulla testa.
“Non restarci troppo che tra poco chiamerà Chidori.”
Haine si limitò ad annuire, sorridente. Fu solo quando l’altro sparì al piano di sopra che continuò il suo discorso con l’amica.
“Si, certo. Eh sapessi quante cose ho da dirti io! Comunque so già dove potresti lavorare. Fidati, è bello come locale. Domani chiedo a Grimmjow di darti il numero di telefono del cellulare di Liev, così magari tu e la tua band riuscite a fare un provino! No, non ringraziarmi, non sai quanto mi aiuta il tuo ritorno qui, credimi! Ok, ci vediamo tra qualche settimana! A presto!”
La ragazza sorrise appena la cornetta tornò al suo posto. Sorrise perché grazie ad una serie di fatti fortuiti il caso sembrava volerle dare una mano, dopotutto. Non restava che aspettare così avrebbe preso due piccioni con una fava.
“Preparati fratellone, perché l’operazione Fidanzamento sta per avere inizio!”
In quell’esatto momento, Grimmjow avvertì uno strano e pressante brivido passargli fastidioso lungo la colonna vertebrale..

 

 

 

…Continua…

 

 Meneguzzina/BlastVampire: Ti ringrazio davvero tanto per il commento, sono contenta che la storia ti piaccia xD Beh, per i personaggi tante volte mi basta rilegger eil manga e magari qualche fiction che so essere buona XD ancora grazie

usagixmisagi: lol grazie per il complimento XD spero che anche questo cap ti sia piaciuto XD

_Hysteria_:  Zoeeee *strizzola* dai son contenta che abbia apprezzato tutto XD ehhh ero sicura che sia il pairing che la Divina ti sarebbero piaciuti XD riguardo la divina informerò il creatore di tale pg (ehhh si, l'ha voluto creare un mio amico) XD spero che questo cap piaccia come i precedenti XD un bacione XD

Shaman Morgan: Sorellinaaaa ç____ç me commossa per tutti i complimenti che mi fai ç____ç guarda ascolterò tutte le canzoni che mi hai segnalato XD appena posso lo faccio giuro XD

Ashley Snape: grazie <3 ehhh vedrai che ci sarà da divertirsi più avanti XD il prossimo cap sarà tristissimo ma sono esigenxe di copione, non vogliatemene ç_ç

Dotoberry: Ma lol XD altro che ormone, ad Ichi partiranno i neuroni fra un po' XD visto che hai letto in anteprima questo capitolo esigo un commento in diretta ù-ù e che ti sia piaciuto come i precedenti XD

Tesar: prego non c'è di chè XD è stato un piacere XD è una cosa che faccio spesso XD grazie ancora ^w^

HaruiChan: ehhh la nostra conoscenza quando s ene esce fuori con certi og è dannatamente ispirevole XD comunque kukuku, hai visto che ho inseerito nel finale?? ehhh hai già capito XD va beh basta spoiler XD grazie cara del commento <3






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Capitolo 5
*** Ω She was like the sun Ω → † Ed anch’io ti narrerò delle lacrime che piansi...† ***


Allora le premesse le metto qui ma alla fine verranno messe alcune spiegazioni che qui non posso inserire se no vi spoilererei troppo. Vi dico solo che tutto quello che accade qui non è un caso. Se volete saperne di più vi consiglio di andare a leggere qui e poi  di leggere appunto i chiarimenti.
Ringrazio tutti per la lettura e tutte le persone che hanno recensito fino ad ora. Grazie mille^^
Buona lettura^^





Capitolo n ° 4
 
Ω She was like the sun Ω → † Ed anch’io ti narrerò delle lacrime che piansi...†
 
Se c’è una cosa che tutti noi dobbiamo imparare
È quella di andare sempre avanti
E di sapersi reggere da soli, sulle nostre gambe.
E per quanto sia difficile
E la strada possa sembrare ripida,
Non possiamo smettere di lottare.
È questo che ci hai insegnato, vero nonna?
A me ed a loro,
tanto tempo fa.
 
(Theme: “When you’re Gone” – Avril Lavigne)
 

Era passato davvero parecchio tempo da quando lei e Kon si erano fatti quella specie di promessa, aiutare i rispettivi fratelli a mettersi assieme una volta per tutte. Tutti, in classe, si chiedevano come mai quei due andassero così stranamente d’accordo ultimamente, mentre i battibecchi erano diminuiti e le lesioni alle parti basse di Kon anche. Il primo a non spiegarsi tale comportamento era proprio Ichigo. Fino a qualche tempo prima si sarebbero volentieri cavati gli occhi a vicenda ed ora sembravano quasi due spie russe che confabulavano su chissà quali progetti governativi. Solo quando Kon si avvicinava comunque troppo alla povera Orihime la giovane Jaggerjack partiva alla carica, incominciando ad inseguirlo per tutta la classe, gridandogli contro che era un brutto maiale. E lui, cosa diceva? Che quelli non erano i patti o cose del genere. Solo una cosa era certa per Ichigo, quei due erano veramente incomprensibili, alle volte.
Sbuffò mentre un alito di vento portò con sé parecchie nuvole vagabonde, cariche di pioggia e di mal tempo. Le osservò muoversi nel cielo in maniera scomposta e in quell’esatto istante percepì una stretta allo stomaco. Lo sapeva, Giugno era il mese dei tifoni per eccellenza però non poteva fare a meno di detestare la pioggia, con tutto se stesso. Lo faceva sentire impotente perché non poteva fermarla e riportava a galla troppi ricordi dolorosi. In quegli istanti era come se anche dentro la sua anima piovesse, a catinelle, inzuppandolo fino al midollo, rendendolo più nervoso e scorbutico del solito. Ma taceva e sopportava, senza dire alcunché, come se quella fosse solamente pioggia ed a lui non importasse nulla di ciò che si agitava dentro al suo povero cuore martoriato. Perché doveva essere forte, per proteggere la sua famiglia da un dolore che ormai da tanti anni graffiava loro il petto e l’anima, trascinandoli giù, in un abisso che pareva senza fine, almeno una volta all’anno.
Anche Kon si accorse della pioggia imminente e dello stato d’animo del fratello, ma solo quando, oramai tra le grinfie di un’Haine decisamente furiosa, alzò la testa per chiedere pietà ed aiuto al gemello che, chissà come mai, sembrava più indifferente del solito al fatto che la sua salute fisica fosse in serio pericolo. Allora si irrigidì di botto, ma non come sempre, quando la ragazza lo placcava come un giocatore di football professionista. Era come se il cuore si fosse gelato per un istante ed il suo corpo avesse fatto altrettanto, serrato in una morsa che nessuno, nemmeno Haine, avrebbe mai percepito, ne era certo.
La ragazza capì che c’era qualcosa che non andava e mollò la presa, osservando i due gemelli perplessa, senza capire. A parte lei, solo un’altra manciata di persone sembrò cogliere lo stato d’animo di entrambi, consapevoli del motivo per cui si comportassero così. Haine avrebbe voluto chiedere cosa stesse succedendo, preoccupata, ma sentiva che forse non era il caso. Lo capiva guardando gli occhi di Ichigo ma soprattutto quelli di Kon, spentisi in un solo istante.
Qualche minuto dopo il professore entrò in classe così da far tornare ai propri posti tutti gli alunni, intimando la completa attenzione verso di lui e la lezione.
“Ehi Kon...” mormorò Ichigo, cercando di farsi sentire solo dal gemello.
“Dimmi...”
“Che giorno è oggi?”
“... È il quindici. Il quindici di Giugno...”
Restarono in silenzio per qualche minuto, uno osservando fuori dalla finestra, l’altro il quaderno posato sul proprio banco. Haine che aveva sentito a malapena quello che si erano detti, percepì una strana atmosfera nell’aria, densa di un qualcosa che non sapeva definire ma che, stranamente, sentiva di conoscere abbastanza bene.
“Allora è già dopodomani...”
I due gemelli non dissero più nient’altro fino alla fine della lezione, lasciando Haine stranamente in ansia e desiderosa di vederci chiaro in tutta quella faccenda.
 
 
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Haine quello stesso giorno aveva deciso di andare al cantiere per portare il pranzo al fratello – erano usciti prima a causa dell’assenza di un’insegnante – approfittando del fatto per conversare un po’ con la signorina Shiba, e domandare come stessero procedendo i lavori. Aveva salutato tutti, chiedendo in giro dove fosse il capo per poterla ringraziare di tutto quello che faceva per quel testardo di Grimmjow. Non era molto lontana da lei, semplicemente era nascosta da una gru spenta ed in quel momento era quasi impossibile vederla, l’aveva informata uno dei carpentieri più anziani della ditta, indicandole il punto quasi esatto.
La donna quando la vide sorrise e le scompigliò i capelli con l’unico braccio sano che le era rimasto. Ormai Haine era abituata a fissare il vuoto dove ci sarebbe dovuto essere un qualcosa però il non vedere niente la faceva stare comunque male, turbandola nel profondo. Kukaku Shiba aveva perso l’arto durante un lavoro in un altro cantiere circa sei anni prima, quando ancora non aveva un’azienda tutta sua ed il suo ex-capo risultava essere quel tipo di persone che non badava alla sicurezza dei propri operai. Ed a causa dell’avidità di quell’uomo lei aveva perso il braccio ma lui, oh lui aveva perso molto di più. La ditta e tutti i suoi soldi. La Shiba era una donna che non portava rancore, questo era risaputo, però il suo povero braccio era pur sempre una parte di lei che niente e nessuno avrebbe potuto sostituire. Ma, nonostante tutto, vedere finire sul lastrico quell’uomo che più di una volta aveva rischiato la vita di molte altre persone aveva funzionato come un efficacissimo palliativo. Per lei e tanti altri.
Kukaku-sama osservò gli occhi di Haine perennemente puntati sul suo viso, per non mancarle di rispetto se per caso fossero finiti su quello che restava del suo braccio destro. Non disse niente, si limitò a sorridere con tenerezza a quella ragazzina che le portava una grande stima, quasi fosse una zia o una cosa di simile. Oh, se avesse avuto una sorella come lei invece di quell’incosciente e fannullone di Ganju!
“Se sei venuta per tuo fratello adesso si trova in quell’edificio prefabbricato. Per trasportare una trave di troppo e far prima si è stirato un muscolo, l’incosciente!” sbuffò lei portando la lunga pipa alla bocca e rimettendosi a fumare.
Osservò la faccia di Haine contrarsi in una strana smorfia e non capì subito. Poi, d’un tratto, si rammentò di quando l’aveva ammonita sul fatto che non si doveva fumare e, se proprio ci teneva,  che non lo facesse in sua presenza. Quello era lo stesso discorso che faceva al fratello tutti i giorni ma con lui, lo sapeva benissimo, era una causa decisamente persa.
“Ho capito, ho capito, adesso smetto...” mormorò la donna, ridacchiando.
I suoi operai si chiedevano come facesse quella ragazzina a farsi ubbidire da una donna del genere. Ma loro non conoscevano tante cose come la Shiba. Non erano certamente amici di Chidori e la loro vita, la sua e dei due figli, non potevano neanche immaginarsela.
“La ringrazio ancora Kukaku-sama!” disse infine Haine dirigendosi verso il prefabbricato che fungeva da ufficio nel cantiere edile, salutandola cordialmente.
Quando Grimmjow se la trovò davanti rimase stupito, quasi sconvolto. Ma la cosa che più lo fece trasalire fu il pugno che la sorella gli diede sulla testa con tutta la forza di cui era capace. Ci mancò poco che cadde a terra, col viso spiaccicato sul pavimento. Cercò di acciuffarla ma questa sgattaiolò via, sfruttando il fatto che si fosse fatto male alla spalla.
“Quello era per la tua idiozia! Il capo mi ha detto che hai fatto, coglione!”
Ecco, quando si incazzava così era meglio lasciarla sfogare per un po’ perché, in fondo, sapeva di avere torto marcio. Si sentiva come un bambino piccolo rimproverato dalla sorella più grande. E la cosa noiosa era che sembrava non finire mai quella sottospecie di ramanzina, porca miseria! Brontolò un qualcosa e lei gli diede un altro sganassone, ‘sta volta sulla spalla sana, per metterlo in riga.
“Se ti succedesse qualcosa di grave sai dirmi cosa diavolo dovrei fare, eh? Avanti, dimmelo visto che sai tutto, imbecille che non sei altro!” strillò lei, furibonda. Lavorare in un cantiere edile non era una passeggiata ma non era neanche una cosa da prendere sottogamba. E lui doveva smetterla di fare il deficiente solo per potersi distrarre da pensieri che non voleva rivelarle. Eppure sarebbe bastato poco, anche solo mezza parola e tutto si sarebbe sistemato ed entrambi si sarebbero sentiti meglio. Ma lui era troppo orgoglioso, non avrebbe ammesso mai di avere un problema, neanche sotto tortura. Così doveva sopportare quelle strigliate senza fiatare perché, come è già stato detto, se le meritava tutte, ogni volta. Era uno scotto da pagare se si continuava a seguire un idea così stupida come la sua, dettata dalla testardaggine vera e propria. Solo dopo cinque minuti Haine decise che forse era il momento di lasciar perdere, limitandosi a fissarlo in malo modo, per farlo sentire in colpa ancora qualche secondo. Alla fine sbuffò, porgendogli il bento che aveva preparato per lui, visto che, come sempre, si dimenticava di passare al supermercato a comprarsi almeno un panino durante l’ora di pranzo.
“Non te lo meriteresti.”
“Ammettilo che ti diverte sgridarmi solamente per fare pace, baka.”
“Ha parlato io-non-ho-bisogno-di-mangiare-tanto-vivo-d’aria. Ora taci e mangia.” Soffiò lei, fissandolo di sottecchi.
Alle fine Haine si mise a ridere, resasi conto che forse aveva esagerato un pochino, mentre il fratello si era limitato a sorriderle strafottente come solo lui sapeva fare. La brunetta gli disse di stare attento la prossima volta perché non poteva permettersi di farsi male. E soprattutto di far prendere un colpo a quella povera disgraziata di Chidori, proprio no.
“Grimmjow...” saltò su mentre l’altro si gustava la frittata preparata da lei, osservandola di sbieco “Dopodomani sai che giorno è?”
“Il diciassette” deglutì un pezzo di frittata, voltandosi alla fine verso di lei, stupito “Perché me lo chiedi?”
La vide mentre si tartassava le mani, la sua migliore espressione ansiosa e preoccupata stampata in volto. Non sapeva se chiederlo o meno però era certa di una cosa. Lui, suo fratello, sapeva perché i due gemelli Kurosaki erano diventati così... diversi semplicemente ricordando quella data. Da quando conosceva Ichigo non gli aveva mai chiesto niente del suo passato e neanche lui le aveva rivelato qualcosa di sé se non solamente delle piccole cose. Sapeva che la sua famiglia era composta da cinque persone e nulla più. A parte lui in casa c’erano le sue due sorelle, Kon e suo padre, che faceva il medico. Per il resto beh, non si era mai preoccupata di domandargli qualcosa. Ogni fatto riguardante la sua vita era venuto a galla perché era stato Ichigo a volerglielo raccontare e non perché lei avesse insistito o altro. Era stato naturale per lui confidargli quelle cose che poi non erano così personali. Il ragazzo però sapeva che, se ne avesse avuto bisogno, avrebbe potuto parlare con lei di ogni cosa ma in quello assomigliava dannatamente a quel testardo di Grimmjow. Doveva tirargli fuori le parole con le pinze se voleva sapere qualche dettaglio della sua vita privata. Eppure lui era l’unico – a parte Orihime – che conosceva tutta la verità sulla sua storia. Su ciò che in realtà le era successo più di un anno fa. Ma nonostante questo non le aveva ancora detto niente, mettendola in ansia.
Sentì Grimmjow darle una spallata per svegliarla da quello stato catatonico, facendole prendere un bel respiro profondo. Doveva chiederlo. Ora o mani più, pensò.
“Perché il diciassette Giugno è una data così terribile per Ichigo e Kon?”
A quella domanda il più grande rimase decisamente perplesso. Non era sicuro se fosse giusto raccontarle tutto o meno. Però sapeva che avrebbe continuato ad insistere con lui fino a quando non sarebbe arrivata a capo di tutta quella faccenda. Era fatta così, testarda come pochi. Doveva ammetterlo era un brutto vizio di famiglia.
“Il diciassette di Giugno è l’anniversario della morte della loro madre, Haine.”
L’espressione che si dipinse sul viso della ragazza fu più esplicativa di mille altre inutili parole.
 
 
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Il giorno dopo, quando tornò a scuola, la scena che le si presentò davanti la lasciò decisamente spiazzata. Sembrava che i due fratelli si fossero scambiati di ruolo, stravolgendo tutte le sue certezze. Si chiedeva come mai l’anno scorso non se ne fosse accorta. Eppure era sempre assieme a loro, in un modo o nell’altro. Poi capì che forse il suo non conoscerli ancora abbastanza le aveva impedito di comprendere appieno i loro stati d’animo. Mentre ora, nel vedere Ichigo sorridere per nascondere i suoi pensieri e Kon appoggiato al banco senza alcuna voglia di reagire, la faceva stare male perché non aveva idea di cosa fare. Se non fossero arrivate Tatsuki ed Orihime a scuoterla un po’ probabilmente si sarebbe sentita persa. Si fece raccontare come fosse morta la madre dei gemelli dalla mora ma nient’altro. A Grimmjow non aveva avuto il coraggio di chiederlo ventiquattrore prima. Sapere che era morta a causa di un incidente le gelò il cuore all’istante. Strinse forte i pugni, cercando di scacciare certi pensieri che avevano cominciato a ronzarle in testa per poi riprendersi quando Hime l’aveva afferrata per un polso, sorridendole. La karateka non capì ma decise che forse era meglio non indagare troppo, che era giusto non scavare in cose che non la riguardavano affatto.
Le ore passarono lente per la ragazza mentre osservava i due fratelli racchiusi ognuno nel proprio dolore. Tatsuki le aveva detto che il giorno dopo non ci sarebbero stati in classe e che se voleva domandar loro qualcosa per saperne di più quello era il momento giusto per farlo. Ma Haine non disse niente, limitandosi ad annuire a ciò che le diceva l’altra.
Solo alla fine delle lezioni, fuori da scuola, quando tutti se ne erano andati la giovane di casa Jaggerjack chiese a Tatsuki dove fosse il cimitero in cui era stata sepolta la madre dei ragazzi. Solo quando ottenne la tanto agognata risposta si congedò, salutando lei ed Orihime in tutta fretta e ringraziandole per averle dato una mano.
“Cosa vorrà fare?” chiese la mora, fissando l’amica sorridere cordialmente.
“Forse ciò che né io né te abbiamo mai avuto il coraggio di mettere in pratica...” bisbigliò Orihime, conscia del segreto che l’amica si portava dentro e che forse avrebbe potuto aiutare ad alleggerire un po’ il peso che i gemelli di casa Kurosaki si portavano dentro da tanto, troppo tempo.
 
 
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Grimmjow non sapeva come fosse riuscito a farsi convincere dalla sorella ad andare in quel maledetto cimitero per ficcare il naso in faccende che non li riguardavano affatto. Ed a convincere il capo a dargli un giorno di ferie, poi! Aveva detto che gli era stata concessa una settimana di ferie arretrate e che andavano sfruttate, la furbacchiona, così da permettere alla sorella di trascinarselo dietro in tutta quella fastidiosa storia!
Si erano alzati presto, quel giorno, così presto da fargli rimpiangere il suo faticosissimo lavoro. Voleva dormire, dannazione, non alzarsi alle sei meno un  quarto del mattino, porca miseria!
Si grattò la testa e stropicciò la faccia, assonnato, mentre Haine sembrava più pimpante che mai, presa da chissà quali pensieri che le ronzavano in testa. In realtà sapeva a cosa stava pensando, sapeva il perché di un tale attaccamento alla faccenda ma lui non era certo il tipo che andava a psicoanalizzare chi gli stava attorno. Si limitava a fissare lo scorrere degli eventi, lasciandosi trascinare da quella furia umana che era sua sorella...
La aspettò vicino ad un tempietto, mentre lei andava  recuperare il custode per domandargli dove si trovasse la tomba di Masaki, la madre dei compagni di scuola. La vide tornare dopo una decina di minuti, avvicinandosi a lui con una strana pesantezza che le faceva trascinare i piedi sul terreno. Haine odiava i cimiteri, li odiava con tutta se stessa. Per lei non erano luoghi per andare a ricordare i propri cari ma solo un cumulo di rocce che rammentavano alle persone solamente il dolore della perdita, un dolore così forte da schiacciarla al suolo impedendole di camminare come al solito ed alle volte persino di respirare normalmente.
“Andiamo, non è tanto distante...”
Camminarono in silenzio entrambi, l’unico rumore che faceva loro compagnia era quello dei loro passi e del vento che si insinuava tra le foglie, richiamando a sé le nuvole cariche di pioggia.
Quando arrivarono davanti alla tomba – la ragazza desiderava salutare colei che le aveva permesso di incontrare uno dei suoi migliori amici – Haine s’inginocchiò e cominciò a pregare, silenziosamente.
“Sa signora, avrei tanto voluto conoscerla. Deve essere stata una persona meravigliosa se i suoi figli l’hanno amata così tanto. Spero che da lassù non mi mandi qualche improperio quando prendo a calci il suo unico figlio uscito su male ma lo faccio solamente per fargli capire come vanno le cose. E soprattutto per salvare quella povera ragazza che continua perseguitare ogni salto giorno!... Sa, spero che il mio desiderio di veder felice suo figlio sia arrivato fino a lei e che mi aiuti a far andare le cose per il verso giusto. Voglio molto bene ad Ichigo, mi ha aiutato tanto, in quest’ultimo anno, è come un fratello, per me. Ed ora che lo conosco meglio, e che conosco anche quell’allupato dell’altro suo erede, capisco perché mi ci sia trovata subito in sintonia. Vorrei che mi facesse un favore, se può. Se incontra un paio di persone lassù dica loro che sto bene e che tutte le promesse che ho fatto le sto mantenendo, una ad una. Le auguro di stare bene, nel luogo dove si trova adesso.”
Tutte quelle parole erano nate spontanee nella sua mente, trascinate da un cuore che batteva all’impazzata mentre tanti ricordi e tanti desideri si facevano strada spintonandosi gli uni con gli altri. Sperò che tutte quelle parole raggiungessero qualcuno lassù e che la sua volontà permettesse di farle arrivare dritte all’anima di chi ormai non c’era più.
Si alzò, Haine, si alzò pulendosi i vestiti e posando un fiore bianco in prossimità dell’enorme lapide grigia. Fece un ultimo saluto per poi allontanarsi assieme a Grimmjow, quel tanto per permettere ad Ichigo ed alla sua famiglia di pregare in pace almeno per un po’. Si sedettero entrambi sulle scalinate lì vicino, rimanendo ancora in assoluto silenzio, quasi temessero che una sola parola potesse spezzare quella sacralità in cui si erano immersi.
“Sai” saltò su la sedicenne, all’improvviso “Faccio il tifo per te, nii-san” soffiò, lasciando basito l’altro che la osserva, senza capire.
“Chidori mi ha raccontato i tuoi gusti in fatto di uomini e credo che Ichigo sia perfetto per una testa dura come te, vi assomigliate troppo.”
Se avesse potuto, il ragazzo dai capelli azzurri si sarebbe strozzato con la sua stessa saliva, spalancando gli occhi in una maniera assurda. La sorella lo osserva, tentando di non ridere ma soprattutto di non disturbare la quiete di quel cimitero. Lo aveva detto soprattutto per sciogliere la tensione ma anche perché non era brava a mantenere certi segreti. Preferiva giocare a carte scoperte, era decisamente meglio.
“Non fare quella faccia! Ho visto come ti comporti con Ichigo, sei decisamente troppo manesco per i miei gusti e cerchi un po’ troppo spesso il contatto fisico. Non mi ci è voluto molto per fare due più due.”
Se fosse stato il tipo, Grimmjow sarebbe arrossito dalla punta dei capelli fino a quella del naso, ma forse quello si addiceva di più ad uno come Kurosaki, non certamente a lui. Si limitò a ridacchiare, sfoggiando quella sua perfetta fila di denti bianchi che parevano affilati come rasoi, incredulo del fatto che la sorellina fosse così arguta.
“Comunque sappi che se farete qualcosa di sbagliato prenderò a calci tutti e due, intesi?”
A quell’ammonimento il ragazzo non disse altro, tirando fuori una sigaretta e fumando, come se nulla fosse successo. E da una parte per Haine era meglio così. Entrambi non erano tipi che tiravano troppo per le lunghe un discorso che era già stato ampiamente chiarito, così si limitarono ad aspettare che la famiglia Kurosaki facesse il suo ingresso in quell’area del cimitero. La loro presenza si sentì subito, anche grazie al vociare del patriarca di casa Kurosaki, il signor Ishinn, intento a  tirare su di morale la figlia più piccola mentre l’altra avrebbe solamente voluto prenderlo a calci da lì fino a casa. Gli unici due che non facevano casino erano proprio Ichigo e Kon. Solo in quel frangente i due ragazzi si assomigliavano come due gocce d’acqua. Il loro sguardo, pieno di amore e mal celata tristezza sembrava rispecchiarsi negli occhi di entrambi in quel preciso istante. Kon sì inginocchiò e pregò per la madre, dicendole che tutto andava bene, nonostante una certa compagna di classe attentasse alla sua vita ogni due per tre. Ichigo invece si limitava ad osservare quella pietra grigia, continuando a chiedere perdono per un qualcosa di cui non aveva la benché minima colpa.
Aspettò altri dieci minuti, Haine, aspettò quel tanto che permettesse a tutti di pregare ancora un po’, prima di alzarsi ed attirare l’attenzione inizialmente di Yuzu e Karin ed a seguire di Ishinn, mentre i due ragazzi continuavano a pregare senza accorgersi di nulla. Dietro di lei stava Grimmjow, immobile come una statua senza dire la benché minima parola , fumando la sua sigaretta e cercando di non guardare direttamente negli occhi nessuno dei presenti.
Il vento scompigliò i lunghi capelli blu scuro di Haine, mentre muoveva fastidiosamente la lunga maglia bianca che indossava sopra i jeans scuri. Fece un profondo inchino, osservando le persone che le stavano davanti, aspettando che anche gli altri due si accorgessero di lei. E quando lo fecero rimasero decisamente basiti. Perché fosse lì era un mistero. Però, per Ichigo, la sua presenza non rappresentava un fastidio. Era quasi come togliersi un peso di dosso dopo tanto tempo. Kon, invece, semplicemente non capiva.
“Chiedo scusa se sono capitata qui all’improvviso. Ma quando ho saputo che giorno è oggi ho pensato che fosse doveroso venire a salutare ed a pregare per la signora Kurosaki. Spero di non essere di disturbo.” Mormorò, fissando il terreno, imbarazzata.
Fu la mano di Ishinn posata sulla sua spalla che le fece alzare il viso, mentre il suo sguardo incrociava poi il suo sorriso cordiale.
“Sapere che i miei figli hanno un’amica che ci tiene così tanto a loro mi fa solo piacere. Come mi fa piacere rivederti, Grimmjow. Dimmi, come sta tua madre?”
“Domani mattina ha un altro ricovero in ospedale, ma si tratta solamente di un day hospital, questa volta. Mi ha detto di salutarla se l’avessi vista. E di rinnovarle le sue condoglianze.”
“Vi ringrazio entrambi.” Mormorò lui, per poi girarsi verso le figlie e tornare nuovamente pimpante, come suo solito.
“Forza belle di papà, andiamo al tempio per pregare affinché tutto possa andare bene!” esclamò poi lui, trascinando via le due ragazze con foga. Aveva capito che era il caso di lasciar soli i suoi figli con i loro amici e quando finalmente lo capirono anche loro lo seguirono senza fare troppe storie.
Haine non riusciva a fissare Ichigo direttamente negli occhi, non ne aveva la benché minima forza. Era come se avesse violato qualcosa, lo sentiva, però non credeva di essere nel torto. Il viso nuovamente puntato verso il basso non le permise di vedere che il compagno di classe si avvicinava a lei con un sorriso amaro stampato in faccia, per poi posarle la destra sulla testa, con estrema delicatezza.
“Ti ringrazio, Haine. So quanto sia difficile per te...” mormorò in modo che solo lei potesse sentire, per poi posare gli occhi nocciola sulla figura silenziosa del fratello della compagna di classe.
Attorno ai quattro si era creata una strana atmosfera, quasi l’aria si fosse condensata all’improvviso, immobilizzando ogni loro gesto. La giovane Jaggerjack osservò con la coda dell’occhio Grimmjow ed Ichigo e pensò che forse era il caso di lasciarli stare da soli, aspettando ancora un po’. Quando lanciò un’occhiata a Kon, il ragazzo capì senza dire nulla. Salutò ancora una volta sua madre, chiedendo alla ragazza se potesse accompagnarlo fino al tempio. Haine si limitò ad annuire, fissando per un ultimo istante sia il fratello che l’amico mentre si posizionavano davanti alla tomba di Masaki e restavano lì, senza emettere un solo e misero fiato.
 
 
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Erano esattamente a tre passi di distanza l’una dall’altro. Li aveva contanti, la giovane prima di incamminarsi a sua volta verso il tempio, per poi accorgersi solo a metà strada di non essere diretti propriamente lì. Lei non disse comunque nulla, continuando a fissare le grandi spalle del ragazzo che proseguiva la sua camminata, le mani nella tasca della felpa esageratamente larga e lo sguardo puntato verso il basso.
Le faceva uno strano effetto osservare quegli atteggiamenti che non si addicevano per niente all’immagine che si era fatta di Kon. Lui era un maniaco, sempre pronto a seguire ogni gonnella che passava, tentando di portare al lato oscuro anche il suo povero fratello facendolo diventare isterico come pochi, se voleva. Eppure, ora, osservava come in realtà fosse, sotto quella scorza da ragazzo allegro e farfallone. Lo capiva, lo capiva fin troppo bene. Comprendeva quello stato d’animo, quel desiderio di poter cambiare le cose e l’impotenza di fronte a tale impossibilità. Avrebbe voluto camminare al suo fianco e cominciare a parlargli, per tirarlo almeno un po’ su di morale ma non trovava la forza di farlo. In quel momento era circondato dal suo dolore e così concentrato su di esso da impedirle di avvicinarsi di quei tre passi che li distanziavano l’uno dall’altra.
Lo seguì quando cambiò nuovamente rotta, all’improvviso, trovandosi davanti ad un terrazzamento che dava sulla città, ingrigita dalle nuvole che la sovrastavano. Lo vide mentre se ne restava lì, dritto come un fuso, ad osservare il cielo, in cerca di un sole che ormai era quasi del tutto sparito. Un sole che almeno per quel giorno, non sarebbe riuscito a scaldare il suo cuore nemmeno per un momento...
Alla fine si sedette, le gambe a ciondolare giù per la scarpata, sotto di sé altre tombe, tutte grigie, tutte uguali. Sentì Haine ancora ferma ed in piedi dietro la sua schiena così le fece segno di mettersi comoda a sua volta. Non aveva parlato, non gli aveva detto niente. Era rimasta zitta, aspettando che fosse lui a sciogliere quel groppo in gola che gli impediva di respirare normalmente e di parlare assieme a lei. La osservò per un secondo con la coda dell’occhio mentre si metteva di fianco a lui, facendo dondolare le gambe nel vuoto, osservando quel cielo farsi sempre più grigio e cupo. Il vento continuava a soffiare, costringendola a mettersi i lunghi capelli dietro alle orecchie per evitare di ritrovarseli in faccia. Fece uno strano sorriso, Kon, tornando a fissare il sole che a tratti ricompariva tra i nuvoloni carichi di pioggia.
“Anche lei lo faceva spesso.” Mormorò, piatto “Almeno, per quel che ricordo.”
La Jaggerjack lo fissò per alcuni secondi senza comprendere a cosa si riferisse. Vide Kon continuare a sorridere, gli occhi lucidi, nel tentativo di non stare troppo male al solo ricordo di un semplice e stupido gesto...
“Mi riferivo al fatto che mia madre si mettesse i capelli dietro le orecchie appena il vento tirava, come hai fatto tu pochi secondi prima, nonostante li tenesse sempre legati... Era una sua abitudine.”
Quelle parole, dette con un tono di voce così dolce e calmo, arrivarono dritte al cuore della ragazza che si sentì sempre più triste. Lo osservava impotente di fronte a quel dolore che ogni gesto ed ogni sillaba esprimevano, quel giorno.
Si portò le ginocchia al petto, stringendosele contro per poi cominciare a fissare il vuoto, il vento che la infastidiva, ma lei non voleva darci assolutamente peso.
“Cosa è successo?” chiese in un soffio, mentre l’altro faticava a capire a cosa si riferisse “Dico, a tua madre.”
Aveva buttato lì quella domanda senza pensarci troppo, continuando a fissare davanti a sé senza soffermarsi su un particolare preciso di ciò che la circondava. Aspettò, paziente, mentre Kon la osservava un po’ incredulo. Pensava che lo avrebbe chiesto ad Ichigo, non certamente a lui. Eppure glielo aveva domandato con una tale naturalezza ed una nota di tristezza nella voce che, non seppe dirne il motivo, aveva un non so ché di consolatorio. Aprì e chiuse la bocca una manciata di volte, senza sapere cosa dire, eppure lei aspettava, senza la minima fretta. Avevano tutto il tempo del mondo, dopotutto.
“Quel giorno pioveva forte, me lo ricordo bene. Così forte da impedirti di vedere oltre il tuo naso, se camminavi per la strada senza ombrello. Io tenevo stretta la mano di mia madre mentre Ichigo le camminava affianco. Stavamo tornando a casa dal dojo che frequentavamo da un po’ di tempo, dopo una serie di allenamenti.
– Voglio proteggerti dall’acqua, mammina, io ho l’impermeabile, non preoccuparti per me – le aveva detto Ichigo nonostante si fosse inzuppato d’acqua fino all’osso. Io ridevo, prendendolo in giro, come facevamo sempre da piccoli, più che altro per far sorridere mia madre. Nonostante la pioggia, nonostante facesse freddo, noi due continuavamo a giocare tra di noi, la mamma che ci sorrideva come solo lei sapeva fare.
Non so dirti come successe, forse sia lei che Ichigo erano troppo distratti, forse il rumore della pioggia era troppo forte. Fatto sta che non si accorsero della macchina che si stava avvicinando a noi ad una velocità assurda. Era troppo, troppo vicina. Me ne accorsi subito, afferrando Ichigo per l’impermeabile e tirarlo verso di me ed evitare che si facesse male. Sentii il rumore della macchina che sbandava ed il grido di nostra madre che ci chiamava da così vicino, quasi provenisse direttamente dall’interno delle mie orecchie. Quando riaprii gli occhi vidi la mamma stesa sopra di noi, che ci abbracciava stretti stretti, completamente ricoperta di sangue...”
Lo osservò, Haine, mentre si passava la mano sul viso, cercando di ricacciare indietro le lacrime che sembravano voler uscire fuori a forza, per straziargli il cuore e riaprire una vecchia ferita che non si sarebbe mai rimarginata del tutto. La ragazza strinse forte la stoffa dei jeans tra le dite, le nocche fattesi bianchi per lo sforzo mentre la prendeva un fastidiosissimo nodo alla gola. Si morse il labbro inferiore per cercare di non emettere alcun suono. Non ne aveva diritto. Non aveva diritto di irrompere nel suo dolore in quel modo.
“Alla macchina che ci aveva investiti, sfondando il guardrail, si erano rotti i freni. Il conducente dell’auto aveva fatto di tutto per evitare di andare a sbattere da qualche parte, ma la pioggia era tanta e così... Così...” le parole gli morirono in gola mentre una lacrima sfuggì al suo controllo.
“Se avessi detto a mia madre della macchina che si stava avvicinando troppo forse non sarebbe successo niente a nessuno. La mamma sarebbe ancora viva. È colpa mia se non c’è più. Sarei dovuto morire io, quel giorno...!”
Haine sentì un moto di rabbia sfondarle il petto a quelle parole. Una rabbia tale che se fosse fuoriuscita avrebbe distrutto qualunque cosa. Cercava di non dire ciò che pensava ma lui continuava a ripeterlo, che era colpa sua, che lei doveva essere viva mentre lui no. Forse fu proprio a causa di quell’assurda insistenza che esplose, di botto.
“Piantala di dire stronzate! Non è stata colpa di nessuno!” aveva quasi gridato lei, alzandosi di scatto, le braccia irrigidite tenute lungo i fianchi, i pungi stretti così forte fino a piantarsi le unghie nella carne.
Kon la osservava, stupito dalla forza e dall’impeto con cui aveva pronunciato quelle parole, la voce tremante mentre il suo sguardo si era fatto improvvisamente duro.
“Lo sai che dicendo così sminuirai il sacrificio fatto da tua madre? L’amore che provava nei vostri confronti? Una madre non dovrebbe mai sopravvivere ai figli, mai!” continuò, la voce che si faceva sempre più alta ed il fiato sempre più corto. Avrebbe voluto picchiarlo, per fargli entrare in testa un po’ di buon senso perché, a quanto pareva, lo aveva perso tutto! Tremava, dalla rabbia e dal dolore, furibonda.
Anche il ragazzo si alzò di scatto osservandola dall’alto del paio di centimetri che li divideva.
“Ma tu cosa ne sai, eh? Cosa ne sai di cosa vuol dire perdere la propria madre?!”
Avrebbe tanto voluto tirargli uno schiaffo, un calcio, un pugno, qualunque cosa sarebbe andata bene. Ma le lacrime le impedivano di vedere bene ed il cuore le faceva male mentre il groppo che aveva in gola era sempre più fastidioso ed insopportabile.
“Ne so qualcosa perché io ho perso entrambi i genitori quando avevo solo quattro anni..!”
A quelle parole mormorate sottovoce Kon non seppe più cosa replicare mentre continuava a fissare lo sguardo risoluto di Haine testardamente piantato nel suo.
 
 
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Grimmjow non seppe per quanto rimasero in silenzio davanti alla tomba di Masaki, in quel momento un minuto poteva sembrare un ora ed un ora invece poteva essere paragonabile ed un minuto. Il non dire o fare niente lo metteva fortemente a disagio, l’immobilità non era una cosa adatta al suo carattere, poco ma sicuro.
Buttò l’ennesima cicca a terra, sbuffando tutto il fumo che aveva aspirato fino a quel momento. Forse era il caso di dargli una scrollata, senz’ombra di dubbio.
“Dovresti smetterla di piangerti addosso, Kurosaki.”
A quelle parole Ichigo trasalì, fissandolo come se fosse un pazzo uscito dal manicomio. Avrebbe voluto prenderlo a pugni, dirgli di stare zitto perché lui non centrava niente in quella storia e che se era venuto solamente per sputare sentenze forse era il caso che se ne tornasse di filato a casa sua. Alla fine, comunque, non disse niente, limitandosi a trattenere il fiato per non urlare ed a fissarlo furibondo mentre lui, Grimmjow, rimaneva del tutto indifferente a quella scena a suo parere da due soldi.
“Non guardarmi così. Cosa direbbe Haine se ti vedesse?”
A quelle parole il ragazzo padrone di quella testa assurdamente arancione sembrò tornare parzialmente lucido, memore del discorso che lui e la sua compagna di classe avevano fatto durante il giorno dei morti, l’agosto scorso. La più piccola di casa Jaggerjack gli aveva raccontato tutto, dei suoi genitori, della nonna ed anche di Chidori e Grimmjow. Di come fosse grata al destino che, nonostante molte volte avesse cercato di piegarla al suo volere causandole grandi dolori, le aveva permesso di rialzarsi, ogni volta sempre più forte. E lui ora, cosa faceva? Si dimostrava debole come mai lo era stato. Eppure, nonostante le sue buone intenzioni non riusciva a guardare avanti come se niente fosse successo.
“Credi che sia così facile, Grimmjow?” aveva sussurrato, cominciando a guardarsi la punta dei piedi mentre il tempo si faceva sempre più brutto e la pioggia cominciava a cadere.
“Credi che sia facile per me, tornare a sorridere?”
Non sapeva perché ma in quel preciso istante si sentiva strano, come se tutto d’un tratto avvertisse il desiderio di lanciare un urlo così forte da fracassare i suoi stessi timpani e di liberarsi di quel dannato peso posato sulla bocca dello stomaco. Quella profonda tristezza, accumulatasi durante l’arco degli anni sembrava essere sul punto di fuoriuscire tutta in un colpo solo, travolgendo la sua mente ma soprattutto il suo povero cuore.
“Se mi dessero la colpa, tutti quanti, dicendomi che non mi sarei dovuto distrarre mentre mia madre tentava di asciugarmi da tutta quella dannata pioggia e mio fratello mi prendeva in giro forse mi sentirei meglio.” Mormorò, la stretta dei pugni che andava a rilassarsi un poco, la voce rotta e roca, nel tentativo di non lasciarsi andare troppo.
“Io, che avevo promesso di difendere mia madre e mio fratello da qualunque cosa, mi sono ritrovato protetto da Kon e poi da lei! Io... avrei dovuto fare qualcosa!”
“Smettila di fare il cavaliere dall’armatura scintillante, Ichigo!”
A quelle parole alzò la testa di scatto, i capelli che cominciavano ad essere zuppi a causa di tutta l’acqua che scendeva dal cielo, come se quest’ultimo volesse versare le proprie lacrime al posto del giovane, trattenute da troppo, troppo tempo.
“Avevi solo nove anni Ichigo, per la miseria, nove anni. Il fatto che lei sia morta per proteggere sia te che Kon non significa certamente che foste deboli entrambi. Vuol dire solo che vostra madre era pronta a sacrificare la vita per proteggere i suoi figli. Tutto qui.”
Tirò fuori l’ennesima cicca quel giorno, forse la quinta, e cominciò a fumare. Pensò che fosse il caso di diminuirle quelle fottute sigarette. Sarebbe finita che avrebbe speso tutti i soldi pur di comprarle, quelle maledette! Eppure quel giorno era dannatamente nervoso, se non le avesse avute a portata di mano sarebbe impazzito, poco ma sicuro. Inspirò una lunga, lunghissima boccata di fumo nonostante l’acqua avesse bagnato il filtro e tutto il resto, rilassandosi un poco, posando il suo sguardo azzurrissimo su di lui, sicuro.
“Guarda avanti e pensa all’adesso, emerita testa di cazzo. Solo i vecchi rimpiangono tutti gli errori del passato.”
Rimasero così, a fissarsi l’un l’altro per un periodo interminabile, indifferenti al fatto che avrebbero rischiato una polmonite se non si fossero sbrigati ad andare in un posto asciutto, per cambiarsi i vestiti ormai zuppi. Ichigo non capì cosa spingesse l’altro a dargli una mano, a scuoterlo un poco per farlo tornare com’era. Solo una cosa era certa per lui. Gli era grato, almeno in parte. E così si avvicinò, posando semplicemente la fronte sulla sua spalla, con estrema naturalezza. Come se fosse l’unico appiglio che poteva trovare, in mezzo a quel temporale.
“Ti ringrazio, Grimmjow.”
A quelle parole il ventenne buttò via quella che sarebbe stata l’ultima sigaretta della giornata ormai quasi del tutto inutilizzabile, lasciando l’altro appoggiato a lui per ancora una manciata di minuti.
“... Andiamo al tempio, Kurosaki. Se la facciamo preoccupare troppo quella matta di mia sorella è capace di prendere a calci tutti e due da qui fino ad Osaka.”
Ichigo annuì, pensando che, appena l’avrebbe vista, avrebbe dovuto ringraziare Haine per tutto ciò che aveva fatto per lui. Perché sapeva che la sola presenza delle persone giuste l’avrebbe fatto rinsavire da quello strano stato catatonico in cui si rinchiudeva sempre fin da quando era bambino.
 
 
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Kon era decisamente frastornato. Non sapeva se credere o meno a quelle parole. Se Haine lo stesse semplicemente prendendo in giro o altro. Ma lei, lo sapeva, non era il tipo da fare scherzi del genere o di prendersi gioco del dolore altrui così facilmente. Ed in questo, beh, assomigliava un po’ a suo fratello.
La vide mentre si lasciava cadere malamente a terra, tornando a  fissare quelle dannate nuvole che vorticavano nel cielo, facendole venire solamente il mal di testa. Era così arrabbiata, così... offesa per quello che aveva detto da fargli capire che forse aveva esagerato. Così si sedette accanto a lei, silenzioso, guardando a sua volta il cielo sperando ardentemente di poterle chiedere almeno scusa. L’aria era così pesante e soffocante in quel momento da stringergli il cuore ed impedirgli di stare dritto. Si sentiva come un giunco piegato dalla furia della tempesta, insicuro sul da farsi.
“Scusa, ho esagerato.” Mormorò dopo cinque minuti buoni, guardando dall’altra parte e cercando di non mangiarsi le parole.
“Non preoccuparti Kon. Lo capisco.”
Il tempo continuava a passare e loro rimanevano in silenzio, insicuri sul da farsi. Haine non aveva molta confidenza con Kon, non era come con Ichigo. Lui era sempre distratto, certo, ma si preoccupava per i suoi amici e se ce n’era bisogno si faceva in quattro per loro. Con il gemello riuscito male era decisamente diverso. Eppure la frittata era fatta, non poteva tirare indietro la mano ora che l’aveva allungata, doveva prendersi la responsabilità di quello che aveva detto, anche se preferiva non parlarne. Prese un respiro profondo e poi sospirò, socchiudendo gli occhi prima di iniziare.
“Anche i miei genitori sono morti in un incidente stradale. Io non ero in macchina con loro, quel giorno. Ero dalla nonna a causa di un febbrone da cavallo che mi aveva costretta a letto.”
Quel discorso era cominciato così, senza la pretesa di essere ascoltato o di essere compatito. Voleva solamente raccontare la sua storia, come lui aveva fatto poco prima. Poteva ritenerlo uno scambio di esperienze, dopotutto...
“Sai, io... non mi ricordo molto di loro. Riconosco i visi nelle foto ma i dettagli più importanti, come il suono della voce, il profumo o i sorrisi che mi rivolgevano... non me li ricordo più. Ero troppo piccola.”
La voce non sembrava essere guidata da un’emozione particolare come la tristezza. Forse... era nostalgia quella che sentiva? Ed un senso di vuoto, di una mancanza che non si sarebbe mai potuta colmare. Un po’ come un pezzo mancante di un puzzle. E questo, Kon, lo sentiva fin nel profondo mentre la ragazza pronunciava quelle parole in una maniera così flebile da risultare quasi prive di suono.
“La mia famiglia è originaria di Osaka ed ho vissuto lì per ben dodici anni... almeno, fino ad un anno fa...”
Non capì perché la voce le si ruppe, Kurosaki. Non capì ma non disse nulla. Un po’ come Haine poco prima non voleva entrare nel suo cuore e nel suo dolore se non prima di aver ricevuto un qualche permesso. Intanto, mentre i minuti passavano ed il cielo si faceva sempre più cupo e brontolante. I tuoni ed i lampi in lontananza parevano annunciare una tempesta che sarebbe durata per molto tempo. La ragazza guardò il cielo e sospirò, fissando la corsa delle nuvole che andavano a scontrarsi.
“Mia nonna mi adottò. Mi tenne con sé e mi insegnò tutti quei valori che mia madre avrebbe dovuto trasmettermi ma il destino non le ha permesso di farlo...
Era forte mia nonna, sai? Era un tipo tosto, fumava la pipa e praticava karate, da giovane si era fatta addestrare dal nonno, che non ho mai conosciuto. Mi insegnò ad essere forte, a guardare al futuro senza voltarsi mai indietro, se non per ricordare tutte le cose belle che ci sono capitate. Ad avere fiducia negli altri e nel mondo ed a difendere tutto ciò in cui si crede. Mi ha amata molto, come fossi sua figlia.”
“Come mai parli al passato?” quella domanda gli era uscita fuori senza il minimo riflettere. E poi, dopo essersi accorto di aver domandato troppo, si tappò la bocca, ma era tardi, ormai.
La vide sorridere amaramente, mentre si stringeva sempre più le gambe contro, i ricordi che si affollavano nella mente e nel cuore dolcemente, nonostante una nota di dolore.
Sorrise, Haine, per poi dire finalmente ciò che le frullava per la testa.
“Perché è morta un anno fa. Aveva settantasei anni.”
Si diede dell’emerito imbecille. No, era peggio, un Imbecille Patentato con la “i” e la “p” maiuscole! Avrebbe voluto sprofondare e terminare lì quella dannata discussione, ma lei sembrava intenzionata a continuare, perché andava fatto, ora che i frammenti di memoria erano stati tirati fuori dal loro cassetto in quell’angolino della sua anima sentiva di non potersi tirare più indietro. Perché parlare le faceva bene e forse, in quel modo, si sarebbero compresi meglio entrambi.
Haine si alzò, le mani tenute dietro la schiena, il naso ancora puntato all’insù, nel vano tentativo di scorgere anche solo un piccolo raggio di sole.
“Così sono venuta qui, a Karakura. Adottata dall’ultimo componente rimasto della famiglia Jaggerjack. La sorella gemella di mia madre.”
Haine si rese conto di come ogni volta si sentisse più leggera mentre raccontava la sua storia. Era come gettare via un pezzo del fardello che si era trascinata per tanto tempo, facendola uscire da quello stato di apnea che l’obbligava a tenersi tutto dentro.
“Alle volte mi domando quanto possa sentirsi sola la zia Chidori adesso che la mamma non c’è più. Ora che una parte del suo cuore se ne è andata per sempre. Per voi gemelli deve essere una cosa terribile, credo.”
Haine, che non aveva fratelli di sangue lo disse senza pensarci molto perché sapeva che, se fosse successo qualcosa a Grimmjow, sarebbe morta dal dolore. Non avrebbe retto ad un altro lutto ma soprattutto non si sarebbe data pace e tutti gli insegnamenti che cercava di portare avanti sarebbero svaniti nel nulla, come la cenere che componeva parte del suo nome.
Era anche per quello che si era arrabbiata poco prima. Perché aveva potuto osservare con i propri occhi quanto potesse essere logorante una perdita del genere. Perché due gemelli erano due parti divise della stessa anima e se una spariva l’altra non sarebbe più stata completa. Mai più.
Si voltò poi verso il suo compagno di classe, che la fissava in una maniera decisamente fastidiosa.
“Smettila di guardarmi così, Kon. Non voglio la tua pietà. Come tu non vuoi la mia. Sono diventata forte ed ho imparato ad accettare le cose. E poi... ho promesso alla nonna che non avrei pianto mai per lei, che avrei continuato a vivere perché me lo meritavo. Da quando è morta ho fatto molte promesse ed anche se alle volte non ce la faccio, in una maniera o nell’altra ci provo a mantenerle tutte. Perché non voglio deluderla. So che da qualche parte mi guarda e spera che possa essere finalmente felice.”
Sembrava un’altra persona rispetto alla ragazza manesca e rompiscatole che aveva conosciuto mentre gli raccontava di sua nonna. Era serena, come se portasse dentro di sé un pezzetto dell’anima della donna anima, tenendolo stretto, vicino al cuore, per paura di perderlo. Per paura di dimenticare tutto ciò che era stato.
L’osservava mentre il vento muoveva i suoi lunghi capelli blu in un assurdo moto irregolare che li spingeva a volare da ogni parte. L’osservavano mentre i suoi occhi luccicavano pieni di nostalgia ed amore per chi ormai non era più accanto a lei. Quando poi si risedette accanto a lui e lo osservò non seppe cosa avrebbe tirato poi fuori, in quel momento.
“Sai, mia nonna mi diceva spesso una cosa. Che alle volte fa bene piangere, quando si è davvero tristi.”
Quando finalmente quelle parole raggiunsero le orecchie di Kon cominciò a piovere forte, sempre più forte, quasi il cielo stesso volesse dargli una mano. I capelli si appiccicarono alla fronte, i vestiti alla pelle, mentre l’unico rumore era quello delle gocce che finivano contro la terra o le foglie tutt’attorno. Quella pioggia, quella maledettissima pioggia, gli fece tornare alla mente quel giorno e le tombe che erano al di sotto della scarpata gli ricordavano un presente troppo doloroso per essere affrontato da soli. Ed Haine, con quel suo sguardo così simile al suo ed a quello di Ichigo era pronta a tendergli una mano, semplicemente per fargli capire che non era solo.
Fu allora che si dimenticò di ogni cosa. Della storia di Haine, di dove fossero o perché si trovassero lì. C’era solo il suo dolore, quel dolore lancinante che l’aveva accompagnato per tanti anni e che si faceva sentire prepotente sempre lo stesso giorno, ogni anno che passava. Poco importava se piangere non era da uomini. Poco importava se quella accanto a lui era la sua acerrima nemica che alla prima distrazione gliele suonava di santa ragione. C’era la pioggia a nascondere le lacrime e la comprensione al posto degli insulti. Fu così che il ragazzo si sfogò come mai in vita sua, mentre una mano calda stringeva la propria ed un paio d’occhi neri tentavano di fissare il cielo per non vedere il dolore che si celava nel cuore di chi, lentamente, stava diventando il suo secondo più grande amico.
 
 
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Se ne erano tornati tutti al tempio proprio nel momento esatto in cui la tempesta si era trasformata in uno spaventoso tifone. Haine aveva cominciato a starnutire a più non posso, fradicia come pochi e stranamente pensierosa. Il padre di Ichigo le aveva prestato la sua giacca, intimandole di togliersi quella maglia che ormai era diventata come una seconda pelle, appiccicandosi addosso e con l’unico scopo di farla raffreddare ancora di più.
Kon tremava come una foglia, mormorando cose riguardo ad un bel corpo morbido e caldo che l’avrebbe fatto stare sicuramente meglio, ricevendo un manrovescio degno di questo nome da Karin, finendo disteso lungo il pavimento. Haine rise, tra uno starnuto e l’altro. La famiglia Kurosaki era decisamente fuori dal comune, non che la sua fosse poi tanto normale, anzi. Sorrise, facendosi su nella giacca di Ishin-san, pensando a suo padre ed a sua madre. Sospirò, posando i suoi grandi occhi neri sulla figura poco distante del fratello più grande, appoggiato ad una parete, tentando di non pensare a tutto il freddo che gli entrava nelle ossa. Per un istante, uno soltanto, la ragazza aveva desiderato di poter provare quello che troppo presto le era stato negato, ciò che, nonostante il dolore, la famiglia Kurosaki possedeva. Si era data poi della stupida, perché lei, nonostante tutto, lo aveva già quel gran calore che sembrava espandersi da quelle cinque persone che formavano una famiglia unita.
Tornò ad osservare il cielo solo quando la tempesta si era decisamente placata ed il sole aveva cominciato a brillare, scaldandoli dolcemente. Si era poi avvicinata ad Ichigo ed a Kon, i primi a fiondarsi fuori per gustarsi quei raggi così necessari per potersi riprendere. Aveva poi preso un bel respiro profondo, stiracchiandosi, le braccia distese verso il cielo, le dita intrecciate le une nelle altre per poi staccarsi quando poi si era stretta nuovamente la giacca nera addosso.
“Ichigo.” L’aveva chiamato, fissando quel cielo farsi sempre più azzurro “Anche se non mi ricordo molto di mia madre c’è una cosa che di lei mi è rimasta impressa come se fosse marchiata a fuoco nella mia memoria. Me la disse qualche settimana prima di morire.” Esclamò, continuando a sorridere nonostante la voglia di risentire quell’abbraccio materno le stringesse il cuore in una morsa carica di malinconica nostalgia.
“Dopo la pioggia torna sempre il sereno, Ichigo.”
E mentre Kon fissava i due senza capire, il ragazzo non poté fare a meno di comprendere il significato insito dentro quelle parole.
E quando finalmente i fratelli Jaggerjack si congedarono, Haine si voltò verso di loro un’ultima volta sperando che entrambi i ragazzi riuscissero a capire quella frase sussurrata a bassa voce e che neanche il fratello della giovane fu in grado di sentire.
“Siate forti, ragazzi.”
Dette quelle ultime parole, Haine dovette cominciare a correre, imprecando contro un fratello che, a suo parere, se la stava svignando troppo velocemente, senz’ombra di dubbio.
 
 
 
…Continua…
 


I ringraziamenti:

HaruiChan : Vedrai cara, il quinto capitolo arriverà presto XD Tempo universitario permettendo XD immagino quanti lacrimoni avrai versato qui ç_ç scusssssaaaamiii ç_ç
usagixmisaki: Sono contenta che questo capitolo ti sia piaciuto^^ (alias il 3 XD) Vedrai, nei prossimi capitoli ne succederanno di tutti i colori XD e di capitoli deprimenti come questo qui sopra non ce ne saranno. Se non un paio. Ancora grazie^^
BlastVampire: Ehhh.. Haine non è una stupida. è una vera furbetta. Nel prossimo capitolo infatti si vedrà. Oh se si vedrà *risata diabolica*
ginevrasux: vedrai il patto servirà di sicuro XD ed andrà a segno XD e forse qualcosa accrdà già nel prossimo capitolo...
Shaman Morgan: Ah mon amour, sapevo che ti sarebbe piaciuto XD vedrai, vedrai che accadrà XD Ed ok, faò picchiare meno Kon, contenta Mizu?? XD
  Aki_Black_Fire_ : Allora se vuoi vedere Ulquiorra fin da subito ti consiglio di andare a leggere una piccola serie di Spinn off che ho scritto per un concorso, legate sempre a queste fiction^^ le trovi sempre nel mio account XD Comunque vedrai che avrà anche la sua parte, fidati XD

Spiegazioni:
Forse ora capirete perchè Haine vuole così bene ad Ichigo come se fosse un secondo fratello. Perchè, in un certo senso, nel fatto di aver perso i genitori, si assomigliano molto. E per questo lei vuole vederlo felice.
Parlando della nonna, beh, era davvero un bel tipo. Ha avuto un attacco di cuore poco prima che Haine rientrasse dopo un uscita con gli amici e la ragazza l'ha trovata stesa sul pavimente. Da lì c'è stata la trafila in ospedale e la nonna le ha fatto fare molte promesse affinchè potesse essere sicura che fosse felice. Per il resto non ha avuto bisogno di preoccuparsi, sapeva che era in buone mani.
Kukaku, beh, era un amica dei tempi del liceo della mamma di Grimmjow e della mamma di Haine. Si sono conoscute ad Osaka un giorno che la ragazza era andata lì a fare una visita alla città.
Detto questo mi congendo, alcune cose verranno comunque rispiegate, qui ho voluto dare dei dettagli per farvi capire un po' meglio.

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