†No Control † di mangagirlfan (/viewuser.php?uid=30295)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Ω Ashes Sound Ω → † Il mio nome come cenere al vento † ***
Capitolo 3: *** Ω Dance with the devil Ω → † Balleremo col diavolo, sta notte † ***
Capitolo 4: *** Ω Promise Ω → † Per te che sei la mia famiglia † ***
Capitolo 5: *** Ω She was like the sun Ω → † Ed anch’io ti narrerò delle lacrime che piansi...† ***
Capitolo 1 *** Prologo ***
Eccomi qui con una nuova fan
fiction a più capitoli su Bleach u.u Questa volta è Yaoi, un genere che
mi piace particolarmente, se trattato nella maniera giusta^^ E' da
questa estate che tutto questo è in porto, tra la pianificazione della
trama (perchè sarò anche una ZozzaH come dice la raxilia-sama ma se le
cose vanno fatte devono essere fatte bene u.u) la creazione di un nuovo
personaggio che, assieme ad un'altro maniaco pervertito di nostra
conoscenza, farà sì che la coppia trattata in questa fiction posso
finalmente smuoversi e fare quello
che deve fare *sguardo
da pervertita* Nel prologo qui sotto c'è una parte di presentazione del
personaggio e spero che possa indurvi a chiedervi qualcosa sul
personaggio ed a incuriosirvi su questa mia storia^^ Molte cose
verranno dette dal secondo capitolo in avanti e quindi dovrete
pazientare per sapere cosa accadrà u.u le zozzerie vere e proprie
probabilmente ci saranno verso la fine del secondo capitolo ma non
sapendo su quanto possa sbilanciarmi lascerò per un po' su rating
arancione. mossia descrizione senza eccedere. Nel caso modificherò.
Volevo dire che questa fan
fiction è didicata ad un forum di matte pervertite (di cui faccio
parte) *cuoricini volanti* il Bleach
yaoi forum e dove ci sono tante, tantissime amanti di Bleach in
generale ma soprattutto della coppia GrimmIchi XD Perchè loro due
rullanno e, senza un aiutino d apoarte di noi fangherliste non
potrebbero mai arrivare ad una conclusione, per così dire *faccia da
pervertita
ogni capitolo avrà una canzone
di apertura che caratterizzerà l'ambientazione di ogni capitolo u.u la
fan fiction prende il nome da una canzone che ho ascoltato per la prima
volta l'estate scorsa ed è una theme di katekyo Hitman reborn. Vi
avverto che inserirò il link della canzone, se per caso desiderate
sentire la theme che ha creato l'atmosfera^^ spero di farvi un bel
piacere^^
Shizuka Na Yoru Ni
Ora vi lascio con il prologo,
buona lettura a tutte^^
mangagirlfan Alias MewIly
†No
Control †
(Theme:
“Shizuka Na Yoru Ni” - Rie Tanaka)
Prologo:
Ricordo
davvero poco dei miei genitori. Ero troppo piccola e forse non volevo
nemmeno
rendermi realmente conto di ciò che mi accadeva attorno quando li
persi. Non ho
vissuto male, alla fine non sono mai stata sola.
Il
destino ha voluto darmi una
mano, dopotutto.
C’era
lei e mi bastava, poco importava se ormai non avevo più una madre ed un
padre
come tutti gli altri bambini. Per me erano solo ombre. Ricordi che si
facevano
ogni giorno sempre più sbiaditi. Al contrario di lei.
Per me
mia nonna era tutto. Mi ha cresciuta. Mi
ha resa la
persona che sono. Mi ha fatto capire cosa significa vivere. Mi ha
insegnato a
non perdere mai la fiducia. In me stessa e nel mondo, nonostante alle
volte
questo voglia schiacciarti sotto il suo peso.
Dodici
anni vissuti assieme. Accanto ad una donna che mi ha amato più di
chiunque
altro, perché sangue del suo sangue. Perché figlia di sua figlia.
In me
vedeva il riflesso di chi
ormai non c’era più. Un riflesso da proteggere, da rendere forte e
vivo. In
grado di trasformarsi in realtà e di reggersi da solo sulle proprie
gambe.
Poi
le cose sono cambiate. Tanto. Lei non è più accanto a me. E nonostante
lo
desideri con tutta me stessa, questa situazione non potrà mai cambiare.
Non posso
alterare il corso degli
eventi.
E
le cose sono mutate ancora, in una maniera o nell’altra.
Il mondo
continua a girare ed io
non posso permettermi di perdere un singolo, misero giro di tale
eterna, folle
corsa.
Da
quando sono finita in questa famiglia ho deciso di fare una cosa.
Aiutarla a
modo mio. Il che implica un cambiamento. Un pesante cambiamento.
Perché, da
quel che posso ricordare, io non sono mai stata una persona tranquilla,
in
grado di sostenere qualcuno. Di ascoltare soprattutto. Me lo ripeteva
sempre
anche lei, nonna Chiyo, ridendo.
Ed ora
che non c’è più, non posso
fare a meno di pensare quanto sia terribilmente vero.
Questa
mia nuova famiglia ha bisogno di rimanere serena. Ed io non posso
certamente
permettermi di creare loro problemi.
Non
voglio essere un peso.
La
nonna diceva per scherzare che io ero solo una combina guai, una vera
calamità
naturale, ma ogni giorno che passo tra queste mura, continuo a
riflettere su
quelle parole. Sul fatto che fossero dannatamente veritiere.
Quanti
grattacapi le ho procurato a
causa della mia testardaggine. Piccolo difetto di famiglia.
L’unica
cosa che posso fare ora è cercare di non mettermi nei guai e
comportarmi bene.
Ora che
sono loro due la mia
famiglia non posso concedermi un solo misero, stupido errore.
Non
pretendo di essere una figlia ed una sorella modello, questo no. Solo
una cosa
voglio tentare di fare.
Rendermi
utile. E dimostrare che
alla fine non sono così stupida come tutti pensano... e sentirmi
definitivamente parte di una famiglia.
Una
famiglia che non voglio assolutamente perdere. Perché loro sono la mia
ulteriore opportunità, concessami da un destino forse un po’ troppo
magnanimo.
E che
ringrazio ogni giorno di
avermi permesso di non sentirmi più così miseramente sola...
…Continua…
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Capitolo 2 *** Ω Ashes Sound Ω → † Il mio nome come cenere al vento † ***
Eccomi col primo capitolo vero e prorpio della storia^^ Qui comicniano
ad accadere fatti che smuovono già la situazione tra i due u.u Comunque
mi sono divertita tantissimo a scrivere questo capitolo e sicuramente
la parte più bella sono state le varie litigate che ci ho messo dentro.
Quando una maia amica ha letto in anteprima il tutto ha
cominciatoa ridere come una matta XD E' stata una bella
soddisfazione.
Non Vogliatemene se Kon in questo capitolo se le prende un po' spesso,
ma poi capirete che erano esigenze di copione. Io amo quel ragazzo
(perchè qui beh, è fatto di carne ed ossa) e grazie alui ne
vedremo delle belle^^
Per prima cosa inserisco la canzone tema, la stessa che appunto dà il
nome alla storia No
Control. Io personalmente amo questa canzone, mi piace davvero
molto.
ultima cosa non meno importante, i disegni.
Per ci segue già l'altra mia fiction su bleach saprà che io ho
l'abitudine di disegnare sempre qualcosa sulle mie fic. Per non
rischiare di morire ho deciso che ogni tanto disegnerò qualcosa, ma non
le cover dei capitoli, è già difficile ritagliarsi del tempo a causa
dell'università
Ashes
sound
No
Control (qui cè grimmy senza maschera, che faticaccia!)
Bond
Tu!
dannato!
E con questo è tutto^^ Buon proseguimento di lettura
Mangagirlfan alias MewIly
Capitolo
1:
Ω
Ashes Sound Ω → † Il mio nome
come cenere al vento †
“Nonna, perché
mi è stato dato questo nome??”
“Perché dalla
cenere può sempre nascere una nuova speranza, piccola mia...”
“Cosa vuol
dire??”
“Che in te i
tuoi genitori hanno riversato il loro futuro...”
“Non capisco...”
“Capirai. Un
giorno capirai.”
(Theme:
“No Control” – Irie Shouichi)
Era
giorno. Lo capiva dai raggi del sole
mattutino che andavano a colpire la sua faccia, abbronzandola solo per
metà.
Sapeva
che doveva alzarsi. Ma non ne aveva la minima voglia. Era andato a dormire alle tre di notte e come minimo si
aspettava di restarsene a casa. Nessuno gli avrebbe rotto le scatole,
no?
Beh, quasi.
Sentì
la coperta che fino a pochi istanti prima si era tirato fin sopra la
testa
sfuggire alla sua presa a causa di un violento strattone verso l’alto.
Si
raggomitolò, ribellandosi ancor prima di sentire quell’ormai nota voce
giungere
alle sue povere orecchie.
“Alzati,
pelandrone!”
Il
ragazzo si limitò a lanciare un grugnito ed un’imprecazione poco carina
alla
persona interessata, mentre la mancina, dopo aver afferrato di volata
il
cuscino lo stringeva prepotentemente sopra la propria testa, per poi
mugolare un
qualcosa sul fatto che poteva benissimo chiamare il capo giustificando
la sua
assenza con la classica scusa dell’influenza per non ammettere, in
realtà, di
avere semplicemente un gran sonno.
“Non
se ne parla proprio!” protestò maggiormente irritata la voce,
strappandogli
anche l’ultimo baluardo contro quei fastidiosissimi raggi solari,
minacciandolo
di prendere le strisce per la ceretta e depilarlo, cominciando da parti
decisamente sensibili del suo corpo. Intimidazione
che risultò palesemente inutile. Si era riaddormentato, russando della
grossa,
in meno di cinque secondi. A quel rumore sordo e seccante fece roteare
gli
occhi dall’esasperazione. Un giorno o l’altro avrebbe perso del tutto
la
pazienza, poco ma sicuro.
Lo
strattonò, lo spintonò, gli diede addirittura un pugno sulla spalla
ottenendo
come unico risultato una fitta di dolore alle nocche. Ma niente. Se
Grimmjow
decideva di fare una cosa nessuno riusciva a fargli cambiare idea – in
questo
caso schiodarsi dal letto – anche se ciò implicava perdere il posto di
lavoro.
Corse verso il bagno, rovistando tra le varie cianfrusaglie che si
trovavano
sopra la specchiera, afferrando un paio di pinzette. Si avvicinò con il
passo
felpato al ragazzo dai capelli azzurri, sghignazzando.
“L’hai
voluta tu, Fratellone.”
Afferrò
una parte del sopracciglio sinistro dell’altro e cominciò a tirare,
strappando
una manciata di peli ed un urlo assordante da parte del povero
malcapitato il
quale scattò in piedi come una molla. La chiara intenzione di ucciderla
brillava
negli affilati occhi azzurri, furenti di rabbia.
“Ohi,
ma che cazzo fai, cogliona!?”
La
giovane cominciò a ridere, sfuggendo dalle grinfie di un ormai sveglio
Grimmjow
minacciandola – sue testuali parole – di strapparle i capelli uno per
uno con
quella cazzo di pinzetta.
“Haine,
se ti becco sei morta!”
“Invece
di inveire contro di me, alzati e sbrigati. Il capo ti ha avvertito, se
non ti
presenti al lavoro ti manda in mezzo ad una strada e tanti saluti
all’unico
stipendio decente che abbiamo.” Urlò da dietro la porta, fiondandosi
giù per le
scale per evitare che il ragazzo dai capelli azzurri, con uno scatto
dei suoi
la raggiungesse per mettere in pratica quello che aveva detto.
A
quelle parole il ventenne non poté far altro che mordersi la lingua,
progettando una possibile vendetta contro quella rompicoglioni che da
un anno
buono si era ritrovato tra le scatole contro la sua volontà.
Si
vestì velocemente – non pensava di aver dormito così a lungo! –
scendendo le
scale a due a due e finendo di abbottonarsi la camicia all’ultimo
scalino.
Appena entrò in cucina l’odore della colazione l’investì in pieno,
svegliandolo
del tutto. Doveva ammetterlo, Haine era una gran rompi scatole, ma se
non altro
sapeva cavarsela tra i fornelli. Almeno non l’avvelenava, poco ma
sicuro. O
bruciava la casa. Ma questa era un'altra storia quindi meglio non
pensarci.
Notò
poi con sommo piacere la colazione posta nei piatti, capendo solo
all’ultimo
momento che ormai le pietanze erano quasi del tutto fredde, caffè
compreso.
Alzò la testa che aveva chinato per esaminare l’elaborato, ricevendo
un’occhiataccia
da parte della ragazza, i suoi occhi scuri che non ammettevano
repliche.
“Se
ti fossi svegliato quaranta minuti
fa, la tua colazione sarebbe ancora calda. Ed ora datti una mossa, per
colpa
tua sono in ritardo ed ho dovuto dire ad Orihime di avviarsi senza di
me.”
“E
quale sarebbe il problema scusa? Intanto tu hai i pattini, no?”
Haine,
se avesse potuto, gli avrebbe fatto mangiare la lingua. E le chiedeva
ancora
perché fosse così preoccupata! Alle volte si domandava se si accorgesse
delle
cavolate che sparava. O semplicemente se tentasse il tutto e per tutto
solamente con lo scopo di farla alterare.
“Devo
ricordarti che Tatsuki è andata ad una gara regionale di karatè e che
quindi la
povera Hime dovrà affrontare da sola
l’assalto di quei due cani in calore?!”
“Ma
Chizuru non era una gatta?”
Grimmjow
si mise a ridere quando la sorella assottigliò gli occhi guardandolo
torva,
mostrandole due file di denti perfettamente allineati e bianchissimi
ghignando.
Alle volte, doveva ammetterlo, le ricordava un predatore, quando
sorrideva.
“Oh,
non preoccuparti troppo. Quel coglione di Kurosaki saprà tenere a bada
suo
fratello, no??”
“Non
credo proprio” soffiò acida, finendo di lavare le stoviglie alla
velocità della
luce per poi afferrare un misero toast e ficcarselo in bocca,
rischiando il
soffocamento.
“Non
dirmi che mangi solo quello?!” chiese, teatralmente, con falsa
preoccupazione.
Sapeva quanto la sorella detestasse saltare i pasti, lei, che mangiava
come un
bue appena poteva.
Al
ragazzo sembrò di sentire un Fottiti
uscire dalla bocca piena di pane e marmellata della ragazza, la quale
afferrò
la cartella e le scarpe per poi inforcare i pattini e le ginocchiere
uscendo di
corsa.
Il
ventenne ridacchiò, finendo il suo caffè diventato gelido e quindi
imbevibile.
Sapeva che se Haine non riusciva a fare colazione la mattina era solo a
causa
sua, perché perdeva parecchio tempo per riuscire a staccarlo dal letto,
usando
la forza. E forse doveva ammetterlo, lo faceva apposta ad andare a
dormire a
degli orari così assurdi solo per vederla perdere la calma. Però era
divertente
e lui alle cose divertenti non rinunciava mai, no?
#
# # # # # # # #
“Bruttostronzobruttostronzobruttostronzo…”
disse la ragazzina a denti stretti, pensando al fratello che
probabilmente in
quel momento se la rideva della grossa alle sue spalle, progettando
chissà
quali diavolerie per farla impazzire nell’esatto istante in cui avrebbe
rimesso
piede in casa. Le sue riflessioni però mutarono non appena sentì la
pancia
brontolare rumorosamente. A scuola avrebbe piluccato qualcosa dal bento
durante
le prime ore di lezione, aveva troppa fame per aspettare l’ora di
pranzo.
Quando
finalmente i suoi occhi neri riuscirono ad intravvedere la distante
figura di
Inoue capì che la situazione si era evoluta proprio come aveva
previsto,
degenerando. Nonostante le sue buone intenzioni, Ichigo non riusciva a
tenere a bada quel cretino del gemello,
Kon, appiccicatosi alla povera Orihime come una cozza allo scoglio. Lei
l’osservava e sorrideva cordialmente, nonostante si sentisse un po’
oppressa
dal più piccolo dei fratelli Kurosaki.
“Hime-chan,
che ne dici se dopo la scuola ce ne andiamo a fare un giretto tu ed io
soli
soletti?”
“Ehm...
Kurosaki-kun, lo sai che oggi sono impegnata...”
“Uh,
ma Hime-chan! Quante volte di ho detto di chiamarmi semplicemente
Kon??”
“Ohi,
brutto cretino, la vuoi piantare di infastidire la povera Inoue??”
“Oh,
Ichi-nii, sei il solito guastafeste! Eppure dovresti capirmi, sei un
uomo no?
Oppure è così piccolo che oramai i
tuoi istinti sono del tutto assopiti?”
“Ch-che
cazzo dici, deficiente?!” strillò alla fine il più grande dei due
diventando
bordeaux, pronto a prendere a botte quello stronzo del fratello mentre
Orihime,
dal canto suo, cercava di non sentire – o almeno non seguire! – gli
imbarazzanti discorsi dei due gemelli Kurosaki.
“Oh,
ma non capisci nemmeno quando scherzo, Ichigo! Invece credo che la
nostra
Hime-chan lo comprenda, vero?” soffiò entusiasta, passando una mano
intorno
alle spalle della ragazza stringendola sempre più a sé mentre questa
andava a
fissare il terreno, gli occhi di Kon che invece finivano sulle forme
ben
visibili della castana.
Ichigo
stava per dire qualcosa al fratello quando sentì in lontananza un
famigliare
rumore di ruote stridere piano sull’asfalto. Il ragazzo chiuse gli
occhi,
facendo finta di niente, allontanandosi lateralmente, per non finire in
mezzo
al casino in cui stava per cacciarsi quel decerebrato. Anche Orihime
capì cosa
stava per accadere, cercando in tutti i modi di allontanare il ragazzo
da sé
per evitargli una terribile fine ma era talmente preso dal calore di
quel corpo
stretto al suo e dalla morbidezza della
pelle della compagna da non riuscire a captare il pericolo che gravava
su di
lui in quell’istante.
“Tecnica
di difesa personale numero 33! Schiaccianoci!”
Un
suono sordo riecheggiò nell’aria mentre Kon mollava la presa da
Orihime, sbiancando
e lanciando un muto grido di dolore a
causa del calcio che l’aveva colpito tra le gambe, la cui
efficacia fu
incrementata dalla plastica dei pattini di Haine. Ichigo ghignò un
poco,
fermandosi davanti al gemello caduto a terra, la mano posta sulla
spalla che
sosteneva la cartella.
“Te
l’avevo detto io di lasciare in pace Inoue.” Lo ammonì mentre questo lo
guardava,
furente del fatto che non l’avesse avvertito.
“Ammettilo,
ci godi quando Haine mi picchia!” soffiò, la voce contorta dal dolore,
la
schiena piegata in avanti, mentre l’altro continuava a fare finta di
niente,
fischiettando.
“Stronza!
Ti denuncerò alle autorità se per colpa tua non potrò avere figli!”
rantolò
ancora.
“Ne
vuoi un altro brutto porco?”
A
quella minaccia il ragazzo dai capelli fosforescenti scattò in piedi,
nascondendosi
dietro alla sua copia esatta, pregandolo di difenderlo da quella
calamità
naturale che era la loro compagna di classe.
“Tsk,
codardo. Piuttosto, Hime stai bene?” le chiese, preoccupata.
“Questo
dovresti chiederlo a lui...” pigolò dispiaciuta per il povero ragazzo.
Nonostante
fosse asfissiante ed assillante Orihime non amava vederlo ridotto in
quello
stato ogni volta che le sue mani si allungavano troppo verso zone
solitamente
proibite. Se pensava che era stata la stessa Tatsuki a dirle di agire
in quel
modo... Non sapeva se mettersi a ridere oppure a piangere.
Haine
tornò a fissarlo male per poi girarsi verso la castana e prenderla a
braccetto.
“Non
pensare a quel coso, Orihime, che si è già fatto tardi. Forza, andiamo,
una
nuova giornata ci aspetta!” esclamò la ragazza alzando il braccio verso
il
cielo, entusiasta.
“Sì...!”
la seguì a ruota Hime, voltandosi un momento e mormorando un “chiedo
scusa” a
quel pervertito di Kurosaki Kon.
Il
ragazzo pigolò, disperato, continuando a rimanere nascosto dietro alle
spalle
del gemello che lanciava uno sguardo esasperato verso il cielo,
chiedendosi
perché mai dovesse avere un tipo del genere per fratello.
“Smettila
di lamentarti Kon, te la sei cercata.”
Se
ne avesse avuto la forza avrebbe ribattuto a quella frecciatina, invece
si
limitò ad inveire contro la giovane che parlava assieme alla sua
adorata
Hime-chan poco più avanti. Si dava ancora dello stupido per aver anche
solamente pensato che Haine potesse essere dolce e carina... Peccato
che
bistrattarlo fosse diventato uno dei suoi passatempi preferiti. Tutti
dicevano
che era una ragazza tranquilla e seria, e lui, stupido, era cascato in
quella trappola
ben congegnata da tutte le persone che gli stavano attorno. Così aveva
provato a
darle un innocuo bacetto di benvenuto, come tentava sempre di fare con
Tatsuki ed
Inoue o a qualunque altra ragazza che incontrava per i corridoi della
scuola.
Ma chi poteva anche solamente pensare che la giovane rampolla di casa Jaggerjack potesse risultare tanto simile ad un
ventenne di
sua conoscenza in quanto a reazioni a suo avviso spropositate. Eppure
Ichigo
aveva assicurato, nel mese in cui era finito all’ospedale a causa di
una brutta
frattura procuratasi durante una rissa in cui l’avevano scambiato per
il
gemello, che era una ragazza a posto.
Mai
fidarsi del fratello in fatto di donne, mai, questo doveva
saperlo! Beh, avrebbe dovuto pensarci subito, Ichigo per certi versi
era
davvero poco affidabile.
Mentre Kon pensava a tutte le cattiverie che aveva dovuto subire,
la ragazza si voltò di scatto, i lunghi capelli blu scuro che andarono
ad
offuscarle la vista per qualche istante. Lo osservò torva per poi
voltarsi
ancora, sbuffando contrariata. Era come se potesse percepire i suoi
pensieri. O
forse era semplicemente paranoico??
“Mi
odia, quella ragazza mi odia. E sono sicuro che un giorno o l’altro mi
ammazza
per il semplice motivo che esisto!”
“Se
la smettessi di fare il debosciato forse non ti riempirebbe di botte.”
Lo
stuzzicò Ichigo, stanco di quell’assurda situazione.
Haine
non era una cattiva ragazza, tutt’altro, l’aveva capito nel mese di
ricovero di
Kon. Lei era finita proprio nel posto che suo fratello occupava in
classe e per
forza di cose, in una maniera o
nell’altra, aveva cominciato a parlarle. Fatto strano visto il suo
carattere e
la sua tendenza a dimenticarsi le facce altrui. Ma Jaggerjack ci aveva
messo
poco tempo a trascinarlo nei suoi discorsi che riguardavano soprattutto
la
scuola ed i compiti. A quanto pareva era rimasta parecchio indietro e
quando
aveva scoperto che lui era uno dei migliori della classe, soprattutto
in
matematica, si era fiondata sull’opportunità di capirci finalmente
qualcosa senza
la minima esitazione. Ed alla fine si erano conosciuti un pochino
meglio
scoprendo persino che lei ed Inoue erano vicine di casa. Così la
ragazza dai
capelli blu aveva insistito perché studiassero tutti e tre assieme per
i vari
compiti in classe. Il problema era evitare la casa di Haine. Si
ricordava
ancora cos’era successo l’ultima volta che lui stesso ci aveva messo
piede...
“Ichigo,
smettila di fantasticare e tieni a bada tuo fratello o giuro che ‘sta
volta
l’ammazzo sul serio!” fu l’urlo della compagna di classe a destarlo da
un
pensiero fisso che da parecchio tempo non faceva altro che tormentarlo.
“Kon,
lascia stare quelle povere ragazze porca miseria!!”
Ed
il rientro in classe andò avanti così finché la professoressa non si
decise a
ripristinare l’ordine minacciando Kon ed Haine di finire sospesi per
un’intera
settimana...
#
# # # # # # # #
“Forza!
Passa qui, passa qui!”
“Fai
attenzione altrimenti ti rubano la palla cretino!”
“Scartalo,
scartalo, scartalo!”
Le
voci di una decina di ragazzi riecheggiavano per la palestra,
rimbombando tra
le mura e nelle orecchie di chi osservava di quel gruppetto intento a
giocare a
basket.
“Quanto
casino per uno stupido gioco...” esclamò una ragazza lì vicino, intenta
a
mettere in ordine i palloni che avevano utilizzato fino a poco prima
durante la
loro partita di pallavolo.
Haine
fissava i suoi compagni di classe divertirsi come matti mentre lei
doveva
sorbirsi delle lunghissime ore di pallavolo. Odiava quello sport,
l’aveva
praticato così spesso che le era venuto a noia... ma non poteva
controbattere
con il professore, non voleva guai, come se una certa persona non
gliene
creasse già abbastanza.
I
maschi giocavano a calcio o a basket e le ragazze a pallavolo o volano
e questo
era un dato di fatto. Dire che lei preferiva il secondo sport era un
eufemismo.
Osservò
la palla mentre veniva lanciata verso il canestro, compiendo una
parabola
perfetta. Conosceva tutte le regole di quel gioco a memoria ed aveva
assistito
a tantissime partite ma doveva ammettere di non essere un granché.
Forse perché
non l’avevano mai fatta giocare o forse perché non era poi così
portata, questo
non lo sapeva. Sbuffò per poi girarsi verso le sue compagne quando
all’improvviso un urlo poco definito l’intimò di spostarsi. Troppo
tardi. La
palla da basket finì dritta dritta sulla sua povera faccia per poi
rotolare sul
parquet ormai poco lucido. Finì in ginocchio, imprecando per il dolore,
tenendosi il naso ed una buona parte del viso.
“Jaggerjack,
tutto a posto?”
“No...”
pigolò lei al professore, sentendo le lacrime pizzicargli le palpebre
per il
dolore.
“Vado
a prenderti del ghiaccio, aspetta qui.”
Quando
il professore svanì dalla palestra tutte le ragazze accerchiarono la
povera
Haine rimasta seduta per terra e tenendosi il naso dal male. Per
fortuna non si
era messo a sanguinare.
“Chi
è stato??” chiese, trattenendo i gemiti che volevano uscire fastidiosi
dalla
sua bocca.
Nessuno
rispose subito, anche perché, con le mani sulla faccia era impossibile
sillabare correttamente ogni lettera. Ma quando Chizuru capì fece un
sorrisetto
maligno girando la testa di poco, verso il centro esatto della
palestra. Fissò
il responsabile ancora immobile sul posto, gelato dalla paura e dallo
sconforto. Gliel’avrebbe fatta pagare solamente per aver osato sfiorare
Orihime, la sua bellissima principessa!
“È
stato Kon.” Esclamò con un pizzico di trionfo e malignità mentre Haine
staccava
le mani dal viso ed i suoi occhi neri si accendevano di una furia cieca.
Sibilò
un qualcosa a denti stretti, continuando a piantare il suo sguardo
collerico
sul ragazzo che, improvvisamente, si rese conto di ciò che stava per
accadergli.
“Aiuto...”
pigolò.
La
ragazza si alzò lentamente, le braccia che ciondolavano lungo i fianchi
mentre il
viso si girava verso la propria sinistra ed il corpo si muoveva in
quella
direzione. Afferrò un bastone poco distante per poi batterlo
ritmicamente una
decina di volte sul palmo della mano.
“Kon?”
chiese, la voce calma e pacata, il viso del diretto interessato che
diventava
sempre più bianco, consapevole del fatto che, entro breve, la
sua giovane vita
avrebbe avuto fine.
“Io ti ammazzo”
soffiò tutto d’un
botto cominciando a correre verso di lui agitando come una pazza il
bastone
mentre l’altro tentava di sfuggirle muovendosi a zig-zag per tutta la
palestra.
Chizuru
se la rideva di gusto, come la maggior parte dei presenti mentre
Orihime non
sapeva se intervenire per bloccare un possibile omicidio o meno. Ichigo
invece
era tranquillo ed in pace con sé stesso.
“Non
dovresti fermarla? È pur sempre tuo fratello quello che sta per essere
massacrato di botte.” Disse pacatamente Ishida, aggiustandosi gli
occhiali sul
naso. Quelle scene ormai erano di ordinaria amministrazione ed il
ragazzo non
si scandalizzava neanche più. Era inutile e controproducente.
“Non
vorrei essere nei suoi panni...” esclamarono terrorizzati sia Keigo che
Mizuiro,
nascosti dal corpo possente di Sado per evitare di finire in mezzo alla
mischia.
Ichigo
fece spallucce, continuando ad osservare la scena, incurante del fatto
che il
gemello potesse lasciarci seriamente le penne. Voleva fargliela un po’
pagare
perché quel tiro era effettivamente diretto a lui e non alla ragazza
che in
quel momento aveva assunto un espressione da pazza omicida.
“Non
l’ho fatto apposta lo giuro!” continuava a strillare Kon, sperando di
placare
la furia della compagna di classe che non accennava a fermarsi o
solamente a
cedere.
Era
davvero terrorizzato. L’aveva fatta arrabbiare sul serio ed era
comprensibile.
Se avesse saputo che il tentativo di colpire in testa il gemello
sarebbe finito
in una tragedia non si sarebbe messo certamente a lanciare il pallone a
casaccio. O semplicemente avrebbe evitato.
“Come
non l’hai fatto apposta l’altra settimana quando mi hai fatto fare un
ruzzolone
sul pavimento della palestra, brutto stronzo!”
Ok,
doveva ammettere che gli piaceva giocare con il fuoco e che l’ultima
volta
aveva avuto la seria intenzione di far cascare Haine con il solo scopo
di
vederla col sedere per terra, ma in quel momento non voleva colpirla o
a farle
male! Ma come spiegarglielo? Non poteva certamente sperare che il
professore
l’aiutasse in quell’istante, al suo arrivo in palestra di lui sarebbe
rimasto
solo cibo per cani!
Ichigo
sbuffò, le mani in tasca e l’espressione corrugata ancora una volta
dipinta in
volto.
“Chad,
che ne dici di darmi una mano a salvare quel deficiente?”
Yasutora
a quelle parole annuì, seguendo l’amico in quell’impresa che aveva
l’aria di un
suicidio.
“Te
la farò pagare una volta per tutte brutto pezzo di deficiente!” le urla
della
ragazza continuavano a rimbombare tra le pareti dell’edificio mentre
Ichigo si
avvicinava a lei seguito da Chad che lo fissava guardingo.
“Tu
blocca Haine. Sei abbastanza grosso per evitare che ti spacchi la
testa.”
#
# # # # # # # #
Kon
era con le spalle al muro, nel vero senso della parola. Poteva sentire
il
freddo della parete entrargli fin dentro le ossa mentre lo sguardo
pieno di
rabbia della ragazza l’incalzava ogni istante che passava. Si era
fregato con
le sue stesse mani ed era certo che avrebbe perso qualche dente o forse
l’uso
di un braccio per un po’ di tempo. O tutti e due. Sicuramente si
sarebbe fatto
tanto, tanto male. E lui odiava provare del dolore fisico!
La
ragazza alzò subito la mano che non teneva il bastone per rifilargli un
manrovescio degno di questo nome quando si sentì bloccata
all’improvviso dalle
braccia di Sado. Cominciò a scalciare e a tentare di divincolarsi
facendo
cadere l’asta di legno sul pavimento. Lo sapevano tutti che non aveva
realmente
intenzione di prendere a bastonate Kon, che quella era tutta scena, ma
era
necessario calmarla prima che potesse fare qualcosa di cui pentirsi.
Anche se
Chad non era del tutto convinto del fatto che se ne sarebbe pentita,
tutt’altro.
Il
ragazzo che fino a pochi istanti prima aveva temuto per la sua vita
aprì un
occhio e sbirciò da dietro le braccia per poi scivolare verso il
pavimento
mentre il cuore continuava a correre impazzito a causa della paura.
“Sono
vivo...” piagnucolò mentre Ichigo gli dava un calcione per farlo alzare.
“Mi
spiace per te ma non è finita qui. Prima farai i conti con il prof
perché ti ha
visto tirare il pallone contro Haine. A casa ci penserà Yuzu a darti
una
punizione come si deve, fidati. Ed il vecchio non sarà da meno.”
Kon
sbiancò ancora, al pensiero di ritrovarsi una settimana senza cena e
soprattutto senza i suoi amatissimi giornaletti porno. Si chiedeva
spesso come
cavolo suo padre li avesse scovati. Eppure erano stati nascosti con
così tanta
cura...
“Ti
prego, tutto ma Yuzu ed il papà no!”
“Preferisci
vedertela con lei??”
Appena
il gemello indicò la ragazzina furibonda il più piccolo e codardo dei
due si
sentì nuovamente male.
“Già
che ci sei puniscimi pure tu.”
“...
Idiota.”
Nel
mentre Sado continuava a tenere quella furia scatenata di Jaggerjack
trasformatasi in una creatura scalciante ed urlante come pochi.
“H-Haine-chan
ti prego, calmati...”
Lentamente
la ragazza dagli occhi neri cominciò a rilassarsi, smettendo di
scalciare ma
non di imprecare contro quel codardo che le aveva quasi rotto il naso.
Stranamente
la voce di Orihime aveva il potere di placare la moretta quando Kon la
portava
sull’orlo dell’esasperazione.
Chad
continuò a tenerla ben ferma fino a quando lui ed un altro paio di
persone non
riuscirono a strapparle la promessa di non diventare una pazza omicida.
Non ancora,
almeno.
Dieci
minuti dopo il professore ritornò con in mano il ghiaccio fissando
quella scena
apocalittica. Non volle sapere perché Kon stesse piangendo come una
fontana,
supplicando il fratello di aiutarlo e nemmeno del perché Haine fosse
circondata
da una decina di persone che, oltre a controllare se il suo naso fosse
a posto,
tentavano di calmarla. Fece orecchie da mercante e le posò il ghiaccio
sintetico
sul naso mentre questa si lamentava, domandandole di tanto in tanto se
fosse il
caso di andare in infermeria o addirittura da un dottore. Alla fine la
prima
opzione risultò la più valida e la ragazza dai lunghi capelli blu scuro
si
allontanò accompagnata da una povera Orihime che tentava in ogni
maniera di
distrarla da ciò che era successo.
“Cercherò
di convincerla a non far troppo male a tuo fratello domani,
Kurosaki-kun.”
Aveva mormorato al più grande dei gemelli sparendo dietro alla porta
scorrevole
della palestra ormai sottosopra.
Fu
la voce perentoria dell’insegnante a far tornare tutti in riga.
Mancavano solo
quindici minuti alla fine della lezione e la palestra era nuovamente a
soqquadro.
“Forza
razza di fannulloni! Finite quello che avevate cominciato! Voi ragazze
potete
pure andare negli spogliatoi non c’è alcun problema.”
E
quando Kon vide gli sguardi carichi d’odio dei suoi compagni diretti
verso di
lui capì che forse d’ora in avanti era meglio evitare qualunque mossa
che
avrebbe giocato a suo sfavore, non c’erano dubbi.
#
# # # # # # # #
Quando
Grimmjow era arrivato a casa ed aveva visto il mega-cerotto sul naso
della
sorella aveva spalancato così tanto gli occhi da rischiare di farli
uscire
dalle orbite.
“Non
guardarmi così, Grimmjow. Non è come pensi.”
Il
ragazzo aveva inarcato un sopracciglio, incredulo, fissando quel livido
nero
che aveva la firma di un pugno ben assestato.
“Ammaccature
come queste ne ho viste tante e so dirti quando e come una persona può
essersela fatta. Ma mi sembra strano che tu sia stata coinvolta in una
rissa,
non è proprio da te.”
Si
zittì subito appena vide l’espressione dell’altra tramutarsi in uno
sguardo
furente e collerico al pensiero di ciò che era accaduto poche ore
prima. E la
consapevolezza della reazione del fratello a ciò che stava per dire si
faceva
sempre più viva e bruciante dentro di lei, ancor prima che questa
avesse luogo.
L’avrebbe resa in giro a vita ma, volente o nolente doveva dirgli ,la
verità,
no?
“...Quel
cretino di Kon mi ha beccato in piena faccia con il pallone da
basket... ecco,
lo vedi? Lo sapevo che ti saresti messo a ridere, brutto stronzo!”
Il
ragazzo si stava letteralmente spanciando dalle risate. Si immaginava
la scena
e tutte le reazioni a catena che molto probabilmente si erano
susseguite le une
alle altre ed il viso paonazzo della sorella non aiutava certamente a
calmarlo.
Alla fine, dopo dieci minuti buoni e vari improperi da parte della
malcapitata,
il giovane si era ripreso, trattenendo a stento quel sorriso da felino
che
lasciava sempre ad intendere il desiderio di continuare a ridere.
“Sei
proprio una merda, Grimmjow!”
“Oh
ma che linguaggio colorito abbiamo assunto oggi, sei forse parecchio
incazzata?”
Fece
solamente in tempo a finire la frase quando il piede di Haine partì,
colpendolo
direttamente sul piede. Gli mancò letteralmente il fiato ma non volle
darle la
soddisfazione di dimostrare che aveva colpito bene. Aveva sempre un
orgoglio da
difendere, lui. E, anche se lei era una ragazza ed aveva il privilegio
di
prenderlo a botte come ogni sorella minore che si rispetti, non poteva
certamente fargliela passare liscia. Eppure Haine riusciva sempre a
sfuggirgli.
Era più scivolosa di un’anguilla e più tentava di acchiapparla e più
questa
riusciva a svignarsela. La odiava dal profondo del cuore per questo.
Era una
cosa abbastanza detestabile e lui, abituato a vincere sempre, vedersi
sbeffeggiato da uno scricciolo qual’era l’altra era un vero e proprio
affronto.
Ma in fondo non era poi così infastidito. Semplicemente si divertiva ad
inseguirla come un predatore fa con la preda, per tenersi in esercizio,
senza
però fare realmente sul serio. Il gatto col topo, possiamo dire.
Dopo
aver ottenuto la sua vendetta, che consisteva nell’acciuffarla e poi
sfregare
le nocche sulla sua povera testolina bacata, la lasciò libera, tra
insulti,
improperi vari e la minaccia di lasciarlo senza cena per una settimana.
Poi,
all’improvviso, la vide farsi dannatamente seria, fissandolo dritto in
faccia
con i suoi grandi occhi neri.
“Potresti
non dire nulla a Chidori, per favore?”
“Riguardo
al naso?”
La
ragazzina si limitò ad annuire mentre l’altro sbuffava sonoramente,
roteando di
conseguenza gli occhi verso il cielo. Odiava quando si faceva degli
scrupoli
del genere. Perdio, a lui erano capitate delle cose ben peggiori di un
pallone
schiaffato malamente sulla faccia quando aveva diciassette anni!
“Promettilo!”
“E
perché dovrei? Scusa, può capitare, mi sembra. Non sei mica un maschio
che deve
giustificare ogni minimo livido nero!”
“Prometti!”
Alla
fine dovette cedere, in fatto di testardaggine lo batteva su tutta la
linea, un
difetto di famiglia a quanto pareva. Quando fu sicura della sua
alquanto
discutibile sincerità si rilassò, tornando a preparare le cena per
entrambi.
Nel mentre il ragazzo andava a farsi come minimo una doccia. Era stanco
ed
aveva lavorato come un folle per poter far smettere le lamentele del
suo capo.
Era così rompicoglioni da fargli desiderare di prenderlo a pugni fino a
farlo
rimanere lungo e disteso sul pavimento. Cosa che sarebbe potuta
succedere al
primo colpo, probabilmente. Quando uscì, sentendosi dannatamente meglio
vide la
testolina della ragazza spuntare da dietro la porta del bagno,
fissandolo di
sbieco.
“Cosa
c’è ancora?” chiese, esasperato dal comportamento di Haine che rimaneva
in
silenzio, in attesa.
“Volevo
solo dirti che tra poco Ichigo sarà qui. Sai, suo padre è medico e gli
ha praticamente
consegnato una crema contro gli ematomi. Dovrebbe funzionare, non
credi? Ehi,
ma dove vai?”
Il
ragazzo dagli occhi azzurri era partito in quarta, dirigendosi verso
l’interno della
camera per afferrare una maglia, il cellulare, le sigarette ed il
portafogli.
“Esco,
non si vede?”
“Oh,
ma smettila di comportarti come un bambino per una volta! Capisco che
tu ed
Ichigo non andiate d’accordo, ma almeno evita di fare queste cavolate!”
“Senti,
vuoi per caso ritrovarti con la casa mezza sfasciata? Allora lasciami
stare.
Più sto lontano da quella testa fosforescente meglio sto.”
“Ha
parlato il lapislazzulo.”
Dovette
contare fino a venti per non tornare sui propri passi e prendere a
botte la
moretta. Ormai il suo istinto omicida cominciava a farsi sentire un po’
troppo
spesso, quando si mettevano a litigare. Erano entrambi due teste dure e
risultava quasi impossibile sopportarsi quando si impuntavano entrambi
sulle
loro ragioni.
“Chiamami
quando se ne è andato via, neh?” detto questo prese la porta e se ne
uscì di
casa, sperando di potersi godere un po’ di solitudine e una buona
sigaretta in
tutta santa pace.
#
# # # # # # # #
Si
chiedeva perché dovesse essere proprio lui quello a dover portare la
crema fino
a casa di Haine. Quel casino lo aveva fatto Kon, non certamente lui.
Non centrava
niente, dannazione!
“Se
tu avessi intercettato la palla deviandola, quella povera ragazza ora
non
sarebbe in questa situazione! Forza Ichigo, comportati da uomo e rendi
fiero il
tuo papà!”
Non
fosse stato che in parte suo padre aveva ragione, avrebbe mandato il
gemello a
compiere quell’azione suicida. Perché, se per il più piccolo dei
fratelli
Kurosaki risultava difficile la convivenza con la ragazza, per il più
grande
dei due era difficile restare nei pressi di Grimmjow per più di dieci
secondi.
Si conoscevano fin da bambini, quei due casinisti e, da quando la madre
di
Ichigo era morta i rapporti tra i due si erano fatti più aspri.
Jaggerjack non
sopportava quel suo modo di fare da cavalier servente e lui, dal canto
suo
detestava la maniera strafottente che c’era nel modo di relazionarsi di
Grimmjow con il prossimo. Erano sempre state botte tra i due fino a
quando
Grimmjow non aveva lasciato la scuola per mettersi a lavorare, dopo
essere
stato bocciato due volte di fila. Non che il ragazzo dai capelli
azzurri fosse
uno stupido, tutt’altro, solamente odiava dover fare come gli veniva
ordinato
dagli insegnanti. In questo differivano molto, loro due.
Strinse
convulsamente il sacchetto con l’unguento tra le mani, ripensando a
certi
avvenimenti accaduti molto tempo prima tra loro due. E forse era per
questo
che, ogni volta che s’incrociavano, la forza che ci mettevano nel
prendersi a
botte era aumentata a dismisura.
“Toh,
guarda un po’ chi c’è, il cavaliere dalla criniera da leone.”
S’irrigidì
non appena la sua voce giunse alle
sue orecchie, costringendolo a bloccarsi sul posto, alzando la testa
quel tanto
da fissarlo dritto negli occhi.
Si
parla del diavolo...
“Che
ci fai qui, Grimmjow?”
“Sai
com’è, fino a prova contraria io qui ci abito, Kurosaki.”
Il
ragazzo aveva pronunciato il nome in maniera così provocatoria da
mandarlo
letteralmente in bestia in un istante.
“Senti,
non sono in cerca di rogne, mi hanno semplicemente spedito a portare
questa a
tua sorella, quindi non facciamo casini, almeno sta volta, no?”
Il
ragazzo dai capelli arancioni lo osservò mentre il ventenne cominciava
a
fumare, accendendo al sigaretta e inspirando una profonda boccata di
nicotina
che cominciò ad entrare subito in circolo. Gli alitò in faccia,
investendolo in
pieno con una densa nuvola di fumo grigio e la cosa mandò in
escandescenza il
ragazzo.
“E
chi dice che invece io non voglia fare a botte...?”
“...
Vaffanculo Grimmjow...”
Ichigo
riprese il suo cammino verso casa Jaggerjack dando una spallata ad uno
dei suoi
abitanti che, stizzito, lo fermò sul posto fissandolo con un occhiata
affilata
e predatoria.
“Moccioso,
con chi credi di avere a che fare?”
“Con
una bestiaccia insulsa, ecco con chi ho a che fare.”
E
quella fu la goccia che fece traboccare il vaso. In pochi istanti
cominciarono
a volare parole grosse e poi furono calci e pugni. Chi andava a segno e
chi no.
Si osservavano in maniera feroce, come se per entrambi quello fosse un
pretesto, una valvola di sfogo per un qualcosa di più.
Andarono
avanti così per un po’, Ichigo con un labbro gonfio e Grimmjow un
occhio
contuso. Continuavano a picchiarsi, con una frustrazione tale da
lasciare senza
parole. E poi accadde tutto ad un tratto. Erano vicini, pericolosamente
vicini,
e Grimmjow lo sapeva che sarebbe accaduto, lo sentiva sotto la pelle,
era una
certezza che scorreva pericolosa come un veleno che andava a mischiarsi
nelle
vene. Eppure era difficile fermarsi quando un ricordo si faceva strada
prepotente e gli impulsi chiedevano di essere ascoltati. Lo afferrò per
il
bavero della maglia, Grimmjow, lo strinse così forte che Ichigo pensò
di venire
strozzato o di ritrovarsi con la testa completamente staccata dal
corpo. Ma non
accade. Fu altro, ciò che lo lasciò sgomento, ferendolo nell’orgoglio.
Jaggerjack
lo stava baciando, premendo le labbra contro le sue, affamato, quasi
volesse
divorarlo. Il ragazzo dai capelli fosforescenti portò le mani al suo
petto,
stringendo in maniera convulsa la maglia dell’altro per poi spingerlo
via,
lontano da sé. Era la seconda volta che succedeva ed aveva sperato
ardentemente
che non sarebbe ricapitato mai più.
“Vaffanculo,
Jaggerjack.”
E
sparì, ritornando sui propri passi.
#
# # # # # # # #
Era
rimasto nascosto per tutto il tempo da quando Ichigo aveva fatto il suo
incontro con il maggiore dei fratelli Jaggerjack. Non voleva grane lui.
Già suo
padre e sua sorella Yuzu l’avevano costretto a seguire Ichigo per andare a scusarsi con Haine ma non era mica
costretto a partecipare ad una rissa dove non era stato invitato, vi
pare?
E
poi li vide. Quel bacio. Il bacio.
Tra suo fratello e quell’uomo delle caverne che, doveva ammetterlo,
aveva quel
certo non so che di rude e selvaggio da renderlo appetibile anche per
un tipo
come lui, abituato a sbavare dietro a qualunque cosa potesse essere
ritenuta
bella ed appagante ma soprattutto con un sedere da stringere
convulsamente tra
le dita. Rimase interdetto per alcuni secondi, mentre anche Grimmjow se
ne
tornava sui propri passi, abbassandosi per afferrare la crema che
l’altro aveva
fatto cadere durante la disputa.
Di
una cosa era certo. Quell’avvenimento era una cosa più unica che rara,
sicuramente. Fu solo quando entrambi i ragazzi sparirono completamente
dalla
sua vista che fece definitivamente due più due, nella sua povera
testolina
incasinata.
“Ohmioddio...”
aveva esclamato a bassa voce, tutto d’un
fiato, agitatissimo.
“Oh
mio Dio, mio fratello ha baciato Grimmjow Jaggerjack?”
E
le sue parole morirono nel vento prima ancora che qualcuno potesse
sentirle...
…Continua…
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Capitolo 3 *** Ω Dance with the devil Ω → † Balleremo col diavolo, sta notte † ***
Eccomi
qui, con il secondo capitolo! *è esausta* Ci ho messo davvero poco
tempo e l'ho letta talmente tantye volte da farmi girare la testa xD
Comunque sono davvero soddisfatta del capitolo (tranne la parte finale
che, non so perchè, mi sa di poco e niente)
Ve lo dico, ci sarà da
ridere, soprattutto per un personaggio che avrà tutta la mia stima xD
Max, ti ringrazio per aver dato vita alla divina xD spero che possa
muoversi sesattamente come speravi tu xD E credo di aver esaurito le
tue richieste.
Volevo ringraziere tutte
le persone che hanno commentato e che hanno letto, a quanto pare è
piaciuta e ne sono davvero contenta ^w^
Questo capitolo è dedicato
ad un paio di persone che leggono e sono sicura apprezzeranno questo
capitolo xD
Prima di tutti la mia
nipotina Haruichan alias Fra *w* tesorino mio, vedrai che ci sarà da
ridere e molto presto farà la comparsa tu sai chi *risata diabolica*
Poi a due ragazze del
bleachyaoiforum: La berry-chan e la Zoe-chan *w* attenzione
ragassuole, recuperate delle bacinelle se no allegherete la casa xD e
cercate di non farvi cadere la mascella, mi raccomando XD
ecco qui il link con la
canzone di sottofondo... Poison Alice Cooper
In fondo troverete le
risposte ai commenti xD buona lettura e commentate gente bella xD
Capitolo
2:
Ω Dance
with the devil Ω → † Balleremo
col diavolo, sta notte †
I
sentimenti...
Quante volte
ripetevi che sono una brutta bestia,
che sarebbe
stato meglio non avercelo, un cuore,
visto quanto
spesso abbiamo rischiato di fartelo fermare per lo spavento!
Eppure lo
sapevamo cosa pensavi veramente...
Che senza quel
cuore e quei sentimenti così
ingombranti,
Non saresti
riuscita ad amarci nello stesso modo
In cui ci hai sempre
amato.
Vero, mamma?
(Theme:
“Poison” – Alice Cooper)
Correva
Ichigo Kurosaki. Correva così veloce da sentire i polmoni salirgli in
gola ed
il fiato mancargli mentre la strada gli sfilava accanto e sotto i
piedi. Nessun
rumore o altro lo faceva distrarre da quella folle corsa in cui si era
cimentato dopo quel dannato bacio con Grimmjow. Si sentiva male. Sia
nell’anima
che nel corpo e l’unica cosa che voleva fare in quel momento era
tornarsene a
casa, buttarsi sul suo letto e, strano ma vero, sentire la voce
stridula e
petulante del suo gemello martellargli il cervello fino a stordirlo.
Perché ne
aveva assoluto bisogno, come un assetato ha bisogno d’acqua. Ma Ichigo
non lo
avrebbe mai ammesso, come d’altronde aveva sempre fatto. Quel modo di
fare da
debosciato del fratello era l’unica cosa che lo facesse sentire meglio
perché lo
distraeva dai suoi problemi, dovendo, in una qualche maniera, risolvere
sempre
quelli in cui si ficcava quello scriteriato ogni volta...
Con
la speranza di trovare Kon in casa, pronto a chiedergli se per caso
Haine lo
avesse minacciato di morte o cose simili, aprì la porta di slancio,
rischiando
di finire addosso alla povera Yuzu, senza nemmeno permetterle di
chiedergli se
per caso si sentisse bene o altro.
Salì
le scale in fretta e furia per affacciarsi in una stanza dove non c’era
nessuno. Il nulla assoluto.
Non
disse niente, Ichigo, nemmeno un imprecazione o altro, troppo preso dal
suo
cuore che correva a mille, un po’ per la corsa, un po’ per il ricordo
che si
affacciava fastidiosamente nella sua mente. Scrollò la testa,
togliendosi le
scarpe al volo – che stupido idiota che era, non le aveva lasciate
nell’ingresso, chi la sentiva la sorella, poi? – e si coricò a faccia
in giù
sul letto, gli occhi chiusi mentre pensava troppo, come suo solito. E,
perché
no, maledicendo uno stupido fratello che non c’era mai, quando
serviva...!
#
# # # # # # # #
“Tsk...
Vaffanculo.”
La
voce di Grimmjow risuonò flebile nell’aria mentre buttava a terra la
seconda
sigaretta che non riusciva ad accendere quella sera e che si sgretolava
sotto
le sue dita indelicate e rudi. Non era il tipo da lasciarsi coinvolgere
troppo,
però il pensiero delle labbra di quel dannato dente di leone mentre si
avvicinava a lui era una vera distrazione anche per uno come lui.
Puntò
gli occhi verso l’asfalto, cercando una buona scusa da inventarsi con
Haine,
calciando via di tanto in tanto qualche sassolino fastidioso che
intralciava il
cammino o semplicemente lo rendeva nervoso. Si sentiva un coglione ma
non
poteva farci niente. Se avesse chiesto asilo politico ad Ulquiorra??
No, no per
carità, l’ultima volta lo aveva fatto dormire per terra quel maledetto
ingrato,
non voleva svegliarsi col torcicollo un’altra volta...!
Si
tastò l’occhio gonfio e sicuramente ormai livido, sbuffando amaramente.
Non
aveva altra scelta se non tornarsene a casa ed inventarsi una qualche
buona
scusa. Afferrò nuovamente il pacchetto con le sigarette – di cui solo
due erano
sopravvissute al suo attacco di nervosismo! – agguantandone una e
riuscendo
finalmente ad accenderla senza romperla. Se fosse successo ancora
avrebbe
lanciato tante di quelle bestemmie da far cadere i santi dal paradiso,
ne era
sicuro.
Inspirò
profondamente, il fumo che gli entrava nei polmoni e la nicotina che
cominciava
a fare effetto, rilassandolo come solo lei sapeva fare. Espirò uno
sbuffo
particolarmente lungo e denso tenendo a pochi centimetri dalle labbra
la sua
amata sigaretta, gli occhi socchiusi mentre si godeva quella magnifica
sensazione. Sorrise sornione, esaminando il cielo fattosi lentamente
più scuro.
Ora che finalmente ragionava a mente lucida sapeva cosa fare. Sarebbe
tornato a
casa con la sua solita faccia tosta, mentendo spudoratamente su come si
era
procurato quel bell’occhio nero. E al diavolo Haine se non si fosse
bevuta la
scusa! La faccia era la sua, da chi se la faceva disintegrare erano
fattacci
suoi, vi pare?
#
# # # # # # # #
Quando
entrò in casa, con quell’espressione sconvolta e smunta, Ishin Kurosaki
non si
azzardò nemmeno di assaltarlo con uno dei suoi poderosi calci,
fissandolo
sbigottito quanto le altre due figlie ancora rimaste integre e,
soprattutto, sane
di mente.
“Ma
cos’hanno oggi tutti? Un attacco di depressione acuta?”
“Non
è che si sono buscati un qualcosa?”
“Yuzu,
ma secondo te due idioti di quel calibro potrebbero ammalarsi? I germi
e di
batteri li evitano come la peste, lo sai!”
“I
miei bambini stanno male! Ma tranquilli, ci pensa il vostro papà a
guarirvi!”
Il
povero Kon, ancora rincitrullito, non si accorse del salvataggio in
extremis
delle sue sorelline da uno dei molti sgradevoli attacchi di “melassa”
di quel
folle del loro unico genitore mentre saliva le scale mestamente.
L’unica cosa
che Kurosaki Kon notò fu il buio assoluto quando entrò nella camera che
condivideva col fratello più grande. Quando accese la luce ci mise
alcuni
secondi per poter mettere tutto nuovamente a fuoco mentre la voce di un
infastidito Ichigo gli giungeva prepotentemente nelle orecchie.
“Spegni
quella cazzo di luce, Kon!”
“Nervosetti,
neh?” chiese il più piccolo dei fratelli Kurosaki tentando di
dimostrarsi
ignaro riguardo la vicenda del bacio. Sarà pur stato un casinista e
pettegolo
di prima categoria ma, al contrario di quanto pensasse la gente, lui a
suo
fratello ci teneva e se avesse avuto intenzione di raccontargli la
verità lo
avrebbe fatto, prima o poi, senza aver bisogno di essere spronato.
Anche se non
ci sperava poi molto.
“Hai
litigato con quel gorillone di Jaggerjack poco fa? Sai, te lo chiedo
perché sembri
un po’ ammaccato...” mormorò, osservando il labbro gonfio di Ichigo ed
il bel
taglio che spiccava sulla pelle chiara.
L’unica
risposta che ricevette fu un ringhio sommesso ed un imprecazione contro
il
suddetto gorilla troppo cresciuto mentre suo fratello si girava
dall’altra
parte, verso la finestra.
“Non
per rigirare il coltello nella piaga però sembra che tu e Jaggerjack
litighiate
più del solito, no? Beh, non sono sempre state rose e fiori tra voi due
ma da
quando ti ho trascinato in quel nightclub sembra che voi...”
“Kon
sta zitto, non voglio parlarne per favore, se vuoi aprire la bocca o
dire altro
fai pure ma per ora basta nominare senza motivo quello stronzo di
Grimmjow.”
“Oh
adesso lo chiami anche per nome?”
“Vaffanculo
Kon.”
A
quell’improperio il ragazzo dai capelli arancioni ghignò, scrollando la
testa.
Ok, non aveva cavato un ragno dal buco ma almeno il fratello sembrava
essersi
ripreso, anche se di poco. Peccato che si sbagliasse.
“Senti,
io vado giù che tra poco si mangia e per colpa tua devo aiutare Yuzu in
cucina
perché hai fatto la spia riguardo oggi! Almeno vedi di venire a fare da
soprammobile, sai potrebbero darmi la colpa anche del tuo cattivo
umore,
dannato di un gemello!!” esclamò per poi sparire dopo aver dato un
calcione al
suo letto, facendolo sobbalzare.
Ichigo
si mise seduto, minacciandolo di spaccargli la faccia, lasciando che
l’altro si
dileguasse al piano di sotto senza nemmeno metterci troppo impegno.
Sbuffò,
passandosi una mano prima sul viso e poi tra i capelli, grattandosi la
nervosamente la testa.
“Adesso
mi faccio aiutare anche da quel decerebrato di Kon...” mormorò, facendo
un
sorriso amaro per poi lasciarsi cadere nuovamente sul letto per
osservare il
soffitto totalmente bianco.
Lo
sapeva benissimo che le cose tra lui ed il primogenito di casa
Jaggerjack non
erano mai andate per il meglio, però ogni cosa si era fatta
dannatamente più
complicata da quando c’era stato quel fottuto primo bacio.
Tutto era capitato per caso, senza che i due se ne
rendessero nemmeno conto. Ah, se non avesse seguito il fratello in quel
dannato
locale gestito da quel... essere! La sua vita sarebbe stata meno
complicata,
senza alcun dubbio.
#
# # # # # # # #
Tutto
era accaduto quasi un anno prima, circa un paio di giorni dopo il loro
compleanno. Kon aveva insistito per andare in quel locale lamentandosi
con il
fratello perché era in astinenza da fin troppo tempo. Il più grande dei
due
fratelli non aveva voluto sapere a che tipo di astinenza
si riferisse, decidendo che era già un enorme sforzo
accompagnarlo in quel locale per debosciati qual’era il suo gemello
Pervertito,
con la “p” maiuscola.
Neanche
suo padre, curioso fino alla nausea, aveva avuto il coraggio di
chiedergli dove avesse intenzione di trascinare il
povero Ichigo a causa della regola che vigeva in casa Kurosaki da tempo
immemore. Quella di essere almeno in due per frequentare un locale
notturno. E
così, il povero fragolino si era ritrovato in quella sala appariscente,
stracolma di gente di tutti i tipi e tutte le età, sia donne che
uomini. Anche
se, doveva ammetterlo, alle volte era difficile distinguerli.
Il
ragazzo aveva deciso di piazzarsi in una poltrona isolata e di restarci
fino al
termine della serata. Bastava non vedere cosa
diamine stesse facendo il suo fratellino
e sarebbe stato a cavallo. Sperando di non vedere cose troppo strane da
parte
di altre persone!
La
musica gli risuonava nella testa mentre i suoi occhi fissavano il nulla
pur di
non ritrovarsi a vivere una brutta esperienza. Nessuno gli si
avvicinava, forse
a causa della sua espressione perennemente incazzata e feroce che, in
quell’istante, sembrava incutere ancora più timore. La voce entusiasta
di Kon,
chissà perché, sovrastava addirittura il frastuono del locale,
lasciandosi
andare in commenti decisamente coloriti.
“Cazzo...”
aveva esclamato lui, appiattendosi sempre di più su quella
stramaledetta
poltrona, pregando un qualsiasi Dio di aiutarlo ad uscire da una
situazione del
genere, senza sapere che forse quel suddetto Dio l’avrebbe certamente
accontentato, ma non nella maniera che si aspettava...
#
# # # # # # # #
Grimmjow
era lì da dieci minuti e già sentiva il bisogno impellente di scappare
via. Ma
era la festa di compleanno di Taro, un suo vecchio collega di lavoro
che
l’aveva seguito ed aiutato parecchio in passato, non poteva permettersi
di fare
la parte del vecchio orso! Non poteva affermare di non divertirsi,
semplicemente
quel locale apparteneva a lui, a quel
folle del suo ex datore di lavoro e restare lì lo rendeva nervoso! Ok,
capiva
benissimo perché il festeggiato fosse voluto andare lì a tutti i costi,
lavorandoci
avevano prenotato il tavolo gratuitamente e soprattutto ricevevano un
trattamento di favore, ma di restarsene lì non ne aveva comunque
voglia. Ma la
sua opinione cambiò non appena arrivarono gli alcolici.
“Da
parte del capo, offre la ditta!” aveva urlato il cameriere per
sovrastare il
rumore provocato dalla musica e dal vociare della clientela.
Grimmjow
sorrise sornione mentre Taro ghignava divertito facendo risuonare i
loro due
bicchieri, brindando.
“E
tu che dicevi di non voler venire!”
“Mi
sbagliavo sul conto di Liev, non è poi così male, dopotutto!”
Taro
e gli altri si misero a ridere, l’alcool che cominciava a circolare in
corpo e
l’euforia dovuta ai festeggiamenti che cresceva sempre di più.
“Forza
gente, che la festa abbia inizio!”
#
# # # # # # # #
“Dove
cazzo si è cacciato Kon?”
Ichigo
aveva girato come un pazzo per una mezz’ora buona alla ricerca del
gemello
spintonando a più non posso chiunque gli
si parasse davanti.
“Ogni
mezz’ora, avevo detto dannazione, ogni mezz’ora si sarebbe dovuto far
vedere
anche a debita distanza per farmi capire che stesse bene, ma quel
pirlone non capisce
un cazzo! Se lo prendo...!”
Sentiva
il sangue salirgli alla testa mentre la rabbia circolava come veleno
nelle
vene. Lo avrebbe preso a calci da lì fino a casa, non era possibile che
ogni
volta che si trovavano in giro assieme, solo per inseguire una
gonnella, Kon
sparisse per delle ore? Era una cosa insopportabile!
Stava
ancora vagando per il locale, sbattendo i piedi a terra con la
delicatezza di
un elefante, che la troppa ressa lo bloccò sul posto, proprio davanti
al palco.
Furono inutili le sue proteste e le “cortesi” richieste per poter
passare, la
ressa era troppa e gli impediva di muoversi anche solamente di un
millimetro.
Alzò appena la testa e notò l’espressione gioviale del presentatore,
sembrava
sul punto di mettersi a saltellare con quella faccia da scemo che si
ritrovava!
“Signori
e signore, prima che lo spettacolo entri nel vivo voglio lasciare la
parola al
nostro amato capo, “La Divina”!”
Appena
il ragazzo pronunciò quel nome, ci fu un coro di voci concitate ed
entusiaste
così alte da far perdere momentaneamente l’udito al povero Ichigo che
fissava
il palco chiedendosi il perché di tanta agitazione. Ma poi capì. Sotto
le luci
della ribalta comparì una donna davvero molto bella, vestita con un
lungo abito
da sera bianco. Si muoveva sinuosa ed elegante con i suoi tacchi a
spillo,
sorridendo a tutti i presenti nella sala. Il suo dipendente gli passò
il
microfono per lasciarle la parola e il forte vociare si trasformò in un
brusio
più contenuto, la musica che comunque rimaneva alta, nonostante tutto.
“Cari
clienti, oggi è un giorno speciale!”
Ichigo
sbatté le palpebre una manciata di volte, pensando che ci fosse un
difetto
nell’audio. Perché la sua voce gli sembrava così... mascolina?
“Il
nostro amatissimo Taro festeggia il suo compleanno ed è riuscito a
trascinare
qui una nostra vecchia conoscenza... oh, vedo che le signorine hanno
già
capito, sentile come si agitano!”
Nonostante
le grida delle ragazze – ed anche di un nutrito gruppo di ragazzi! –
che gli
risuonavano nelle orecchie, Ichigo aveva l’assoluta certezza che quella
non
fosse la voce di una donna.... E poi, ora che la guardava bene, non
aveva più
dubbi. Quello era un uomo fatto e finito!
“Comunque
come i clienti abituali del nostro amato locale sanno, oltre che a fare
il
cameriere ed il barman eccelleva anche nello spettacolo che avrete il
piacere
di osservare entro breve. Comunque devo dire che era davvero bravo a
preparare
i suoi manicaretti, una banana split
come la prepara lui non la fa nessuno! Ed io posso confermarlo, visto
che ho
potuto assaggiarla...!”
A
quelle frasi il ragazzo dai capelli fosforescenti non diede subito
importanza,
poi, quando il suo cervellino cominciò a rielaborare il tutto, divenne
rosso
come un pomodoro, dalla punta del naso fino a quella dei capelli.
“Oddio
mio, dove sono capitato...” esclamò, mentre la “Divina” continuava il
suo
discorso ad un pubblico sempre più euforico.
Il
proprietario del locale – Kon successivamente gli avrebbe dato la
conferma del
fatto che in realtà era un uomo – indicò col dito un punto imprecisato
della
stanza, verso i tavoli, ed un riflettore illuminò a giorno le persone
che vi si
trovavano attorno. Quando Kurosaki vide a chi
si stesse riferendo il proprietario non poté fare ameno
di arrossire ancora di più. Non solo si
trovava in una situazione imbarazzante ma oltre tutto era proprio
davanti al
palco dove Grimmjow fu costretto a salire, spintonato dai suoi amici
che se la
ridevano sotto i baffi.
“Su
gente, fate sentire al nostro caro Grimmy quanto vi è mancato!”
Le
urla della folla si elevarono ancora e quella testa arancione di Ichigo
Kurosaki si sentì nuovamente rintronato da tutta quella confusione.
Grimmjow
guardava il suo ex capo, Liev, e desiderò con tutto sé stesso di
prenderlo a
calci proprio su quel palco.
“Oh
guardatelo, non è adorabile? Quando fa quel suo faccino incazzato non è
tremendamente sexy? Su gente, fate sentire un po’ i vostri
apprezzamenti per il
Re dello Strip di questo locale, forza!”
A
quelle parole Jaggerjack diede una manata all’aria, per fargli
intendere di
smetterla di fare l’idiota, ma, sotto sotto, ci godeva nell’essere
considerato
il Re, il migliore del Night Club. Ichigo nel mentre spalancava sempre
di più
gli occhi e la bocca, sconvolto da tutte quelle rivelazioni che si
susseguivano
le une alle altre.
“Forza
ragazzone, fa vedere di che pasta è
fatto il nostro Re!”
Da
prima Grimmjow lo guardò torvo per alcuni secondi, per poi cominciare a
ghignare, fissando Liev con fare predatorio quasi volesse stuzzicarlo.
Le grida
si fecero insopportabili quando il ragazzo dalla testa azzurra iniziò a
slacciarsi i bottoni della camicia nera uno ad uno, con estrema
lentezza. Se la
sfilò dalle spalle, muovendo i fianchi al ritmo della musica, per poi
farla
roteare sopra le testa mentre faceva un giro completo su sé stesso,
mostrando
ogni muscolo, dell’addome e della schiena. Per poi rivestirsi
lentamente
continuando a fissare Liev quasi volesse dirgli di richiamare i cani
affamati.
“Bene,
bene, ora che il nostro ragazzaccio ci
ha dato una prova delle sue doti
possiamo farlo tornare a sedere ed a godersi la festa! Guai a voi se lo
andate
ad infastidire, capito?! Ma ora bando alle ciance, altri bei ragazzi
sono
venuti qui per far divertire le signore e, perché no, i signori qui
presenti!
Ilfort, Hanamichi, Ran, potete salire sul palco!”
Grimmjow
scese i gradini del palcoscenico con molta calma, mentre i suoi tre ex
colleghi
lo salutavano, prendendo il suo posto. Si guardò un attimo intorno, più
che
altro per pescare quello stronzo di Taro che sicuramente si era messo
di comune
accordo con Liev che incontrò uno sguardo nocciola decisamente
famigliare e
parecchio sconvolto.
“Kurosaki!
Che cazzo ci fai qui?”
#
# # # # # # # #
“Quindi
tuo fratello ti ha trascinato qui?” chiese il ventenne, ridacchiando
mentre
sorseggiava un cocktail comodamente seduto in un angolo appartato del
locale.
Ichigo fissava le proprie mani ciondolare nel vuoto, il viso che andava
ad
assumere l’espressione più torva possibile mentre desiderava solo
fuggire via
da quel posto pieno di pazzi furiosi.
“Allora
era davvero lui quello che ho visto assieme ad altre due ragazze... ed
io che
pensavo di avere le traveggole...!”
“A-altre
due ragazze??” la voce del più giovane risuonò stridula in quella parte
del
locale che solitamente era utilizzata dallo staff. Taro gli aveva dato
il
permesso di restare lì, quindi non c’erano problemi.
Gli
affilati occhi azzurri di Grimmjow brillarono sornioni, mentre una
risata furba
e maliziosa uscì fuori dalle sue labbra sottili. Kurosaki era davvero
una
sagoma, si scandalizzava con un nonnulla.
“Oh,
dai, tuo fratello si starà solo divertendo.”
“Non
voglio sapere che cazzo sta facendo quel debosciato!” esclamò ancora
l’altro,
arrossendo nuovamente e cominciando ad agitarsi come una ragazzina alle
prime
armi con il sesso e tutto quello che si portava dietro.
Jaggerjack
rise sguaiatamente, tirando indietro la testa e tentando di non far
rovesciare
il contenuto del bicchierino che teneva tra le dita.
“Oh,
suvvia Kurosaki! Io ho fatto ben peggio, credimi.”
“...Avrei
preferito non saperlo!”
Ichigo
odiava la risata del più grande. Si prendeva gioco di lui, quasi fosse
un
emerito imbecille o cose del genere. Se non fosse stato già abbastanza
incazzato col fratello avrebbe preso il ventenne a calci!
All’improvviso
Jaggerjack gli allungò una bottiglia di birra, presa da non si sa dove,
probabilmente dal frigo che si trovava lì vicino, invitandolo a bere.
“Che
c’è Kurosaki? Non reggi l’alcol?” lo sbeffeggiò l’altro, facendola
roteare un
paio di volte davanti al naso del più grande dei due gemelli di casa
Kurosaki “Credimi,
ti servirà per far passare la serata, non penso che tuo fratello si
farà
trovare tanto presto.”
Titubante,
la testa arancione non si avvicinò nemmeno troppo a quella bottiglia
per almeno
una manciata di secondi, per poi cedere alla tentazione, cominciando a
bere
come un forsennato.
“Ehi,
ehi, se fai così ti soffochi!”
“Com’è
che sei così cordiale? Solitamente quando ci beccavamo a scuola mi
riempivi di
botte.”
“Sai
com’è, l’alcol mi rende più conciliante... E poi a quei tempi mi facevi
incazzare.”
“Ma
perché?”
“Saranno
cazzi miei, no?”
“Ma
vaffanculo!”
I
due continuarono così per dieci minuti, tra birre che venivano
recuperate dal
frigo bar dello staff ed insulti e spintoni da parte dell’una e
dell’altra
parte.
Grimmjow
sapeva benissimo perché continuava a riempirlo di botte, quando lui
frequentava
il liceo e l’altro era ancora alle medie. All’inizio semplicemente
perché si
divertiva, Kurosaki si incazzava con un nonnulla ed un po’ cazzotti gli
permettevano di non annoiarsi e l’isterismo del più piccolo era una
buona
distrazione dai casini in cui si cacciava normalmente. Ma poi tutto era
cambiato, qualcosa era scattato dentro di lui e la presenza di Kurosaki
lo faceva
diventare matto in una maniera del tutto differente. Solo
successivamente,
grazie ad Ilfort, uno dei suoi colleghi di lavoro, avrebbe capito. E lo
sapeva,
sarebbero stati cazzi, in ogni senso possibile.
Il
ragazzo dagli occhi azzurri fissò il viso ormai arrossato per la
sbronza di
Ichigo, il quale straparlava di cose assurde e senza senso.
“Allora
non lo reggi sul serio, fragolino!”
Il
diretto interessato si voltò verso di lui, la sua miglior espressione
da
incazzato che in quel momento la sbronza gli permetteva di fare dipinta
sul
viso.
“Invece
– un singhiozzo parecchio rumoroso risuonò nell’aria mentre Jaggerjack
riprendeva a ridere – lo reggo benissimo!”
“Certo
ed io sono la fata turchina di Pinocchio! Anche se devo ammetterlo che
per il
colore dei capelli potrei anche esserlo...!”
Un
altro singhiozzo, un'altra risata. Anche lui, Grimmjow, cominciava a
sentire
gli effetti dell’alcol. Aveva tremendamente caldo in quel momento. E
certi
istinti gridavano con un po’ troppa prepotenza...
“Io
sono sobrio, infatti riesco a toccarmi la punta del naso, vedi?” le
peripezie
del ragazzo risultarono parecchio spassose mentre l’altro non poteva
fare ameno di ghignare, dando qualche
pacca sulla
schiena di un traballante Ichigo che faticava a stare dritto anche da
seduto.
“Smettila
di ridere e di sfottermi!” esclamò il ragazzo, assottigliando gli
occhi,
trasformandoli in due fessure, avvicinandosi all’altro. Forse troppo.
Grimmjow
rideva così tanto – tra l’alcol e certi pensieri che gli frullavano
nella testa
non sapeva più che fare, dimenticandosi persino come si facesse a
respirare –
da far incazzare sempre di più il fragolino che l’afferrò per il bavero
della
camicia, avvicinandosi paurosamente al suo volto.
“Ti
ho detto di smetterla di sfottermi!” rimarcò l’altro, fissando negli
occhi il
ventenne.
Rimasero
così per molto tempo, guardandosi a vicenda, senza muovere un solo
muscolo. Il
tempo sembrava essersi gelato mentre la birra e molto altro alterava i
sensi di
entrambi i ragazzi.
“Sai”
iniziò Ichigo, deglutendo un paio di volte “forse sono davvero
ubriaco...”
“Credo
di esserlo anche io, Kurosaki.”
Fu
Grimmjow ad avvicinarsi per primo, tuffandosi su quelle labbra che già
da
parecchio tempo l’avevano attirato, fin dai tempi del liceo. Ichigo
sembrava
lasciarsi trasportare, forse a causa delle birre o forse no. Si strinse
spasmodicamente a lui, spinto dall’istinto, afferrandolo per la nuca,
tirandogli i capelli. Sembrava una lotta la loro, quasi cercassero di
prevalere
l’uno sull’altro attraverso quel bacio, come quando Ichigo all’ultimo
anno
delle medie si ritrovava a picchiarsi a
sangue con quel pazzo di Jaggerjack.
Il
loro respiro era rumoroso ed irregolare, il cuore che cominciava a
battere
sempre più velocemente. Fu quando l’ebbrezza cominciò a svanire che
Ichigo si
staccò da lui, squadrandolo da capo a piedi sempre più sconvolto. Gli
tirò un
pugno di volata, scappando da quella stretta che, non sapeva spiegarlo,
gli
sembrava così stranamente consolatoria.
Grimmjow si era tastato il labbro rimasto stranamente ancora intatto.
“Ma
perché cazzo devo sempre cacciarmi in questi pasticci, porca vacca...”
mormorò
mentre Ichigo spariva tra la folla, ritrovando suo fratello intento a
ballare
con un ragazzo parecchio attraente secondi i canoni del più piccolo dei
due
gemelli.
“Kon,
ora ce ne andiamo” era tornato ad essere stranamente lucido, il più
grande dei
fratelli Kurosaki, troppo preso dall’enorme cazzata che aveva appena
fatto.
“Ma
perché? Mi sto divertendo!”
“Ti
prego Kon, andiamo via.”
A
quella supplica, mormorata a voce così bassa, mentre gli occhi
dell’altro sembravano
sfuggire i suoi, Kon si staccò da quel corpo invitante – dannatamente
invitante, dannazione! – e seguì il fratello.
“Alla
prossima Nii-sama!” gridò al tipo piantandolo da solo in mezzo alla
pista,
lasciandosi trascinare via da un fratello sconvolto e troppo silenzioso
anche
per i standard di casa Kurosaki...
#
# # # # # # # #
Cercare
di finire quell’ultima sigaretta il più lentamente possibile si rivelò
una vera
impresa per Grimmjow. Osservava la porta di sottecchi, facendo roteare
la crema
per far guarire gli ematomi tra le dita, sospirando. Pensava a tante
cose
l’uomo di casa Jaggerjack, ripensava alle varie stronzate che aveva
fatto
quella dannata sera di quasi un anno fa e che forse aveva ripetuto
quello
stesso giorno. Però l’unica cosa che lo preoccupava veramente era
cercare di
non mettere in mezzo Haine. Aveva già troppe gatte da pelare, tra la
scuola e
la preoccupazione per Chidori che, ancora una volta, era stata
ricoverata in
ospedale, per fare una serie di controlli che la tenevano via da casa
per delle
settimane. E poi la vita era la sua ed anche i problemi che causava
quindi
l’altra non si sarebbe dovuta impicciare, vi pare?
Buttò
a terra il mozzicone della sigaretta, spegnendolo immediatamente, per
poi
entrare in casa facendo come suo solito un gran baccano.
E
la prima cosa che lo accolse fu una marea di insulti da parte della
sorella.
“Ma
si può sapere dove cazzo eri? Non hai nemmeno risposto al cellulare!
Dannazione,
mi hai fatto preoccupare razza di imbecille patentato!”
Andò
avanti così per dieci minuti buoni quel discorso senza capo né coda, il
ragazzo
che non ascoltava nemmeno mentre entrava nel salotto, seguito a ruota
da
un’Haine parecchio incazzata e nevrotica. Quando raggiunse il divano e
ci si
buttò sopra, le piantò addosso i suoi occhi azzurri, la sua migliore
espressione da persona seria stampata in viso.
“Finito?”
le chiese, il respiro della ragazza per il troppo parlare ed urlare che
si
faceva sempre più affannato.
“Hanno
chiamato dall’ospedale, vero?”
La
ragazza abbassò il capo, stringendo i pugni fino a far diventare le
nocche
bianche, le braccia che tremavano per lo sforzo.
“Hanno
detto che dovrà restare lì un altro paio di giorni.”
Non
vide il volto del fratello, la giovane Haine. Non lo vide mentre
chiudeva gli
occhi e si metteva seduto più comodo sul divano. Non lo vide mentre
congiungeva
le mani e se le portava davanti al viso, appoggiandovisi sopra per poi
sbuffare
così flebilmente da far risultare il tutto senza suono. E non lo vide
nemmeno
mentre si alzava e si avvicinava a lei, sentì solo la sua mano posarsi
sulla
spalla e stringerla con grande sicurezza.
“Andremo
a trovarla domani.” Fu l’unica cosa che disse prima di eclissarsi in
camera sua
senza nemmeno voltarsi, lasciando sul tavolo lì accanto la crema per
permettere
almeno alla sorella di farsi passare quel dannatissimo livido nero che
spiccava
terribilmente sulla pelle bianca.
#
# # # # # # # #
Il
giorno dopo tutto sembrava essersi risolto ed ogni cosa era tornata
alla
normalità, in casa Jaggerjack. Quella volta la ragazza dai lunghi
capelli blu
scuro ci aveva messo davvero poco tempo nello svegliare quel deficiente
di
Grimmjow, le era bastato schiacciare con l’indice sull’occhio contuso
per
fargli fare un salto di mezzo metro sul letto. Poi si era dovuta
rifugiare in
bagno per almeno dieci minuti, onde evitare l’ira funesta del fratello,
ma
erano semplici dettagli.
“Usa
anche tu quella crema, fa miracoli! Il livido mi è quasi sparito!” gli
aveva
detto prima di uscire, guardandosi nello specchio vicino all’entrata e
mettersi
a posto l’enorme cerotto che le permetteva di nascondere quell’enorme
macchia
blu presente sul suo povero naso.
Il
resto della mattinata poi si era svolto come al solito. Orihime l’aveva
aspettata davanti al cancello di casa ed insieme si erano dirette verso
la
scuola. Aveva bisticciato con Kon quando poi aveva attentato al seno
della
povera Hime in classe. Si chiedeva spesso come mai la ragazza lo
perdonasse
sempre, per lei era un vero mistero! L’unica cosa che non le era
sembrata a
posto era il labbro spaccato di Ichigo e l’espressione colpevole ogni
volta che
incrociava il suo sguardo.
“Sei
sicuro di stare bene, Ichigo? Non hai una bella cera.”
Il
ragazzo dovette inventarsi una scusa all’istante e non guardare i
grandi occhi
neri della ragazza che, chissà perché, avevano la capacità di leggerti
dentro e
di capire il tuo stato d’animo.
Non
ringraziò mai abbastanza Kon quando lo salvò in extremis, dicendo che
era semplicemente
incazzato perché aveva fatto a pugni con Grimmjow, l’altra sera.
“Sai
com’è, anche se ti aveva promesso di non farlo più gliele ha suonate e
se vedi
ci ha lasciato il labbro, in quello scontro. Oh, cosa ho fatto di male
per
avere un fratello così animale!”
“Ha
parlato quello che attenta ad ogni gonnella che gli passa davanti!”
esclamò la
moretta, tentando di rifilare un calcione al ragazzo che, nel mentre,
era
sgattaiolato un po’ troppo vicino alla povera Orihime.
Se
avesse potuto Ichigo avrebbe sorriso al fratello in quell’istante e,
perché no,
magari lo avrebbe potuto tirare fuori dai guai. Una volta tanto era
stato lui
ad aiutarlo e senza sapere neanche quanto. Così si alzò dalla sedia,
nel
tentativo di fermare quei due prima che si consumasse una strage
direttamente
nella loro classe.
“Kon,
smettila di fare il decerebrato, o giuro che informerò Yuzu dei
giornaletti
porno che tieni nascosti sotto il materasso!”
“No,
ti prego, i Giornaletti Porno no!”
Tutto
sembrava essere tornato alla normalità, sia nella mente sia nel cuore.
Peccato
che Ichigo non si fosse accorto dello strano sguardo che gli aveva
lanciato
Haine poco prima dell’inizio delle lezioni.
Lo
sguardo di chi sa ma che per rispetto non vuole dire niente...
…Continua…
****************************************
HaruiChan: Tesoro mio *zompaddossa*
sono contenta che ti piaccia XD ehhhe Kon maniaco è adorabile non
possiamo non amarlo, vero??
dotoBERRY: *saltaddossa la berry*
Lol sono contenta che abbia apprezzato la mia Haine XD e non è facile
gestire quelle teste di cavolo di Kon, Ichi e grimm! è abbastanza
faticoso, lol xD Grazie ancora per i complimenti, questo capitolo
è tutto per voi xD
tesar: Allora cerchiamo di
rispondere ai tuoi due commenti in una botta sola Xd esatto lei è la
ragzza del primo capitolo XD lol sono socntenta di aver reso bene
l'idea dei fratelli, anche se sono figlia unica xD per la ff...
beh, non è scritta tutta ma le idee sono tante e chiare, sta tranquilla
che non la lascerò in sospeso xD
|
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Capitolo 4 *** Ω Promise Ω → † Per te che sei la mia famiglia † ***
Eccomi
qui con il terzo capitolo effettivo della fiction XD mamma mia è stato
un parto XD devo dire che però è stato divertente scriverlo. Qui
capirete certe cose ed altre verranno appena accennate, lasciandovi in
sospeso fino al capitolo successivo. Ma non spoilero troppo, se no che
gusto c'è XD Ci sarà tanto da ridere e poi beh, non mancherà un altro
incontro tra Ichi e Grimm e non vi dico altro... *risata diabolica* Vi
consoglio di godervi questo capitolo perchè il prossimo sarà Angst,
credete a me.
La canzone che vi consiglio di ascoltare mentre leggete è questa:
Una Piccola Poesia
Anche Per Te
cliccate su link così da potervela ascoltare^^ diciamo che vi è
racchiuso un piccolo desiderio di Haine che si capirà man mano che
andremo avanti.
Per chi non avesse ancora letto la mia spin off ecco qui il link della
fiction che è collegata a questa, scritta per il contest "Sotto il
cielo d'Estate"
p.s.
mamma non volermene per la coppia XD comunque leggi poi u.ù
Waiting
for a Dream } Sotto il cielo d’estate.
qui invece troverete una immagine su deviantart fatta da una mia amica
(mamma ti adoro XD) e che amerete pure voi XD so già che vi ricorderà
una certa scen del rpimo capitolo XD
By
Aduah
*muore solo a guardarla ancora*
sul
fondo troverete le risposte hai commenti
Detto
questo vi lascio alla lettura XD a presto x3
mangagirlfan
Capitolo
3 :
Ω Promise Ω
→ † Per te che sei la
mia famiglia †
Sai Haine, avrei
voluto prenderti con me,
Tanto tempo fa.
Ma ogni volta
che mi osservavi e piangevi
Capivo che in me
vedevi soltanto il riflesso di una persona
Che ormai non
c’era più...
E questo era un
ostacolo che allora
Non sarei mai
stata in grado di superare...
(Theme: Una
piccola Poesia anche
per te – Elisa)
“Cosa
diamine avete combinato tutti e due?”
La
voce di Chidori risuonò potente per l’intera ala ospedaliera mentre
Haine si
fissava i piedi colpevole e Grimmjow si sturava un orecchio distrutto
dai
decibel di troppo che la voce della donna avevano raggiunto in quel
momento.
“Non
vi sarete picchiati, per caso?”
A
quelle parole la moretta alzò la testa di scatto, guardando l’altra con
tanto
d’occhi, sconvolta e stupita al tempo stesso. Il ragazzo dai capelli
azzurri,
invece, da prima sbatté le palpebre un paio di volte per poi mettersi a
ridere
sguaiatamente, costringendo le infermiere a raggiungerli nella stanza
per richiamarli
all’ordine.
“Ma
ti sembra che io possa procurarle un
livido così misero?” chiese mentre la sorella gli pestava un piede,
sapendo che
non avrebbe reagito a causa della presenza della donna.
“Effettivamente...”
“Chidori!”
In
quell’istante fu la signora a ridere, sistemandosi sul letto in una
maniera più
comoda. Posò la sua lunga treccia sulla spalla sinistra, sorridendo ai
due e
facendo segno di avvicinarsi.
“Dimmi
la verità, Haine, hai fatto a botte con Kon, ammettilo!”
“Se
davvero quei due facessero a botte
quello che finirebbe con il naso nero sarebbe lui, non certamente
questo
mostriciattolo.”
“Sappi
che ‘sta sera ti mando a dormire sotto i
ponti se non ti decidi a chiudere quel forno, brutta merdaccia che non
sei
altro!”
La
donna rise ancora, osservando i due giovani bisticciare fino a sgolarsi.
“Andate
d’accordo come sempre, a quanto vedo! Comunque ditemi come diavolo vi
siete
procurati quei lividi.”
La
ragazza esitò, cominciando a tartassarsi una ciocca di capelli e
tentando in
ogni maniera possibile di cambiare discorso. Quando finalmente la donna
riuscì
a convincerla a dirle tutta la verità dovette cercare di trattenersi.
Se le
avesse riso in faccia non l’avrebbe mai perdonata, di questo era
assolutamente
certa. Invece Grimmjow se ne fregò bellamente, ridendo sotto i baffi,
fissandola
dall’alto in basso, come suo solito.
“Smettila
di fare il cretino! Proprio tu che ti sei fatto fare quell’occhio nero
da
Ichigo la sera in cui è venuto a controllare se suo fratello non avesse
fatto
troppi danni!”
“Davvero?
Mio caro, non sei più quello di una volta, che ne dici di andare in
pensione?
La parte del bullo ti dovrebbe andar stretta da un pezzo, vista la tua
stazza!”
Il
ragazzo dovette mordersi la lingua a sangue per non rispondere troppo
malamente
alle due che, quando ci si mettevano, sapevano rendergli la vita
impossibile!
La
donna rise nel vedere l’espressione del più grande contrarsi in mille
modi
diversi per evitare di dirne una delle sue. Quello era il momento
giusto per
sostenere la tesi del “se ti trattieni diventerai completamente color
puffo” ma
decise che forse non era il caso di aggiungere altra benzina sul fuoco.
Restarono
lì, in quella stanza per circa un’ora, ridendo e scherzando come se
fossero
ancora tutti insieme, a casa. Chidori ogni tanto accarezzava i lunghi
capelli blu
scuro di Haine, lodandola su quanto fossero belli e luminosi. A quel
punto la
giovane sorrideva ed arricciava appena il naso, felice. Avrebbe voluto
accarezzare anche il viso di Grimmjow, come aveva sempre fatto quando
era
bambino, ma lui non glielo avrebbe mai permesso. Non era un tipo che si
lasciava andare ad effusioni simili, nemmeno con lei, poco ma sicuro!
“Avanti,
dimmi un po’ come diavolo di sei fatta questo segnaccio viola. Giuro
che non
riderò.” Disse seria Chidori per poi dare un pizzicotto al ventunenne
quanto si
mise a ridacchiare sotto i baffi e mormorando una serie di “si certo,
come no.”
La
giovane riprese a tartassarsi una ciocca vicino all’orecchio, spostando
lo
sguardo un po’ di qua, un po’ di là, ansiosa. Si morse appena il labbro
prima
di pronunciare quelle fatidiche parole.
“...
Kon mi ha tirato un pallone da basket in faccia nel tentativo di
colpire suo
fratello sulla zucca... ecco, lo sapevo, smettila di prendermi in giro,
cattiva!” pigolò alla fine del discorso lei, mentre la donna cominciava
a
ridacchiare, tenendo la mano davanti alle labbra per evitare di
lasciarsi
andare in una risata decisamente più rumorosa.
“E
non ti ha raccontato di come lo ha inseguito per la palestra. Sai, mi
sono
fatto dire tutto da Orihime, l’altro giorno. Sembravi una belva feroce
con quel
bastone in mano mentre lo minacciavi di una morte atroce.”
Se
avesse potuto Haine sarebbe sprofondata all’istante a causa delle
risate da
parte della donna che cercava in ogni modo di trattenersi senza
ottenere nessun
risultato.
“Vi
odio, tutti e due!” sibilò, la faccia completamente rossa nascosta
dietro le
mani. “E tu piantala di fare quell’espressione vittoriosa, sottospecie
di
evidenziatore troppo cresciuto!” trillò al fratello, rifilandogli un
altro
calcione dei suoi nel polpaccio.
Chidori
riprese a ridere senza ritegno quando i due cominciarono ad inseguirsi
per
tutta stanza – per loro fortuna vuota – nel tentativo di farsi i
dispetti a
vicenda. Se non fosse arrivata l’ennesima infermiera a riportare
l’ordine si
sarebbe scatenato il pandemonio, poco ma sicuro.
La
donna si asciugò gli occhi, singhiozzando appena. Si sentiva bene
quando quei
due terremoti andavano a trovarla in
ospedale. Sapeva di farli preoccupare sempre a causa della sua salute
cagionevole, ma vederli lì, allegri e scatenati come non mai la
rassicurava e
non poco. E sicuramente i suoi “bambini” lo sapevano, di questo ne era
assolutamente certa.
Fece
nuovamente segno ad Haine di sedersi sul letto, accanto a lei, mentre
le
chiedeva di raccontarle un altro paio di cose, riguardo la scuola, gli
amici e
tutto il resto. Grimmjow se ne restava in disparte, appoggiato ad una
parete
della stanza. La donna scrollò il capo, facendo finta di nulla. Mentre
la più
piccola dei due le parlava lo osservava, silenziosa. Era sorprendente
quanto
assomigliasse a suo padre, negli atteggiamenti. Era esattamente come
lui,
burbero e scontroso. Ma in fondo – molto in fondo – si preoccupava per
lei e
per la sorellina. E forse era per questo che si era messo subito a
lavorare,
finito il liceo.
“Insomma,
prima mi chiedi di raccontarti come vanno le cose e poi non mi
ascolti??
Cattiva!” protestò Haine, tenendole il broncio.
“Ho
sentito tutto, sai? Stavi dicendo di quanto sia detestabile Kon e quel
suo atteggiamento
da farfallone.” Replicò Chidori “Non è che ti sta troppo a cuore quel
monello,
neh, piccola?”
Dopo
un attimo di incredulità da parte della ragazzina, la quale si era
limitata a
fissarla come se avesse detto una gran stupidaggine ed alzando un
sopracciglio
con molta non curanza, Haine fece un sorrisetto strafottente,
assomigliando in
una maniera impressionante a Grimmjow.
“Gli
asini cominceranno a volare prima che io possa trovare simpatico uno
così.”
Replicò alla fine l’altra, piatta.
Quando
alzò lo sguardo verso l’orologio appeso al muro, la piccola di casa
Jaggerjack
si alzò di scatto, afferrando al volo la sua borsa a tracolla.
“Oddio,
com’è tardi! Dovevo essere a casa di Hime per studiare con lei
matematica!
Porca miseria se non mi dà una mano sono fregata!” pigolò esasperata,
uscendo
fuori dalla stanza alla velocità della luce per poi fermarsi e tornare
indietro
per andare a salutare con un caloroso
abbraccio Chidori.
“Riprenditi
presto!”
“E
tu fila a studiare, avanti march!”
Detto
fatto. Haine si precipitò nuovamente fuori dalla camera come un razzo,
pronta
ad affrontare quell’obbrobrio che era la matematica.
Grimmjow
si staccò dal muro, facendo uno dei suoi soliti sorrisi predatori,
mostrando
due file di denti bianchissimi alla donna che se ne era rimasta
perennemente
coricata in quel misero letto d’ospedale.
“In
questo vi assomigliate molto lo sai?”
“In
cosa?”
“In
matematica anche tu facevi schifo. Mi ricordo certi trentasei...”
Il
ragazzo si irrigidì di colpo, frustrato al ricordo delle sue tremende
sfuriate
sul fatto che non si impegnasse abbastanza. E lui non aveva nemmeno il
diritto
di ribattere perché, effettivamente, aveva ragione. Era un vero
fannullone
quando si trattava di scuola.
“Almeno
lei qualche buon voto lo ha portato a casa, o mi sbaglio?”
“Vogliamo
cambiare discorso?”
A
quelle parole Chidori rise sguaiatamente, un po’ come faceva sempre lui
e la
cosa gli diede altamente sui nervi.
“Come
siamo permalosi...”
“Da
qualcuno ho pur preso, no?”
“Effettivamente...”
Per
una decina di minuti il silenzio calò nella stanza, Grimmjow che
finalmente si
decideva a sedersi al bordo di quel letto a suo parere troppo scomodo e
piccolo
per i suoi gusti.
Fu
uno sbuffo della donna ad attirare la sua attenzione mentre si metteva
un po’
più comoda, posizionando al meglio il cuscino che aveva dietro la
schiena.
“Sai”
cominciò lei, sfiorando la sua lunga treccia di un azzurro simile a
quello del ragazzo
che le stava seduto affianco “Anche oggi non è riuscita a chiamarmi
mamma.”
Finì lei, guardandolo negli occhi.
Il
ragazzo si limitò ad annuire, senza dire niente, grattandosi la testa
con poca
noncuranza.
“Ma
credo che sia normale, dopotutto.” Continuò la donna, con un sorriso
amaro.
“Non
potrò mai sostituirla, vero?”
Grimmjow
si limitò ad emettere un grugnito, afferrandole una mano e stringendola
forte,
per poi alzarsi stancamente.
“Hai
fatto tanto per lei e lo sai.” Esclamò lui girato di schiena, le mani
sprofondate nelle tasche dei jeans che rischiavano di cadergli da un
momento
all’altro.
“E
tu sei tu. Non puoi sostituire una persona. Ma potrai continuare a starle vicino. E credo che ad Haine vada
bene così.”
Quando
si girò e la vide piangere con un grande e dolcissimo sorriso stampato
sulle
labbra piene ricambiò a sua volta, stranamente intenerito da quella
scena.
“Ora
pensa solo a stare meglio, hai capito, mamma?”
Dopo quelle parole uscì dalla stanza salutandola con un cenno della
mano,
sperando che almeno per quel giorno, quel discorso fosse
definitivamente
chiuso.
#
# # # # # # # #
Quella
mattina ad Haine sembrò andare tutto dannatamente liscio e la cosa la
rincuorò
un poco. Aveva studiato come una matta fino a tarda sera, ricordando
tutte le
dritte che Orihime ed Ichigo gli avevano dato in quei giorni di duro
lavoro per
poterla aiutare a raggiungere un voto decente. Ripassò a mente ogni
regola
possibile ed inimmaginabile della quale aveva memoria per poi
afferrarsi i
capelli e sbottare dal nervosismo. Forse non era il caso di farsi
prendere dal
panico, altrimenti non avrebbe ricordato un cavolo, nemmeno quanto
facesse due
più due. Cosa che le capitava spesso, ultimamente. Dopo essersi lavata
la
faccia un paio di volte con l’acqua gelata ed aver addentato un paio di
brioche,
salì le scale per svegliare quel pigrone di Grimmjow. Da quando erano
andati a
trovare Chidori, quella settimana, sembrava essersi buttato a capofitto
nel
lavoro del cantiere. Probabilmente era l’unica cosa che riuscisse a
distrarlo
da pensieri che, a causa del suo fottutissimo orgoglio, non le avrebbe
mai
rivelato, nemmeno sotto tortura!
Non
sapeva spiegarselo ma lui la prendeva in una maniera del tutto diversa
dalla
sua e nonostante non volesse darlo a
vedere si preoccupava tanto quanto lei. Per Haine era una cosa
che la
portava a picchi di assoluto nervosismo, almeno fino a quando non
constatava
che effettivamente quei ricoveri che si facevano sempre più frequenti,
erano
dovuti a dei semplici controlli. Per lui, invece, era un lento
logorarsi,
perché non si sarebbe mai e poi mai permesso di esternare un suo
pensiero dei
più intimi, neanche il più insignificante!
La
ragazza si grattò la testa, sbuffando, poco prima di posare la mano
sulla
maniglia per poter aprire la porta facendo più baccano possibile.
Doveva
sbrigarsi quella mattina, aveva un esame e non poteva permettersi
nemmeno mezzo
secondo di ritardo. Prese un respiro profondo, pronta a fiondarsi nella
stanza
del più grande quando il telefono cominciò a squillare. Brontolò un
qualcosa di
indefinito per poi precipitarsi al piano terra come un razzo,
afferrando al
volo la cornetta. Chi diavolo era a quell’ora del mattino??
“Pronto?”
la voce che le giunse alle orecchie in quel preciso istante era
autoritaria e
potente ma la tempo stesso molto sensuale. Non ci mise molto a
riconoscere chi
ci fosse, dall’altro capo del telefono.
“Buongiorno
capo!” esclamò lei, raggiante “Se vuole Grimmjow lo chiamo subito, è un
attimo
in bagno, mi dia il tempo di andarlo chiamare ed è subito da lei, non
si
preoccupi, ha promesso che non farà tardi quindi oggi sarà al lavoro
per le
otto in punto, fresco come una rosa!”
“Non
preoccuparti piccola Haine, non stare a disturbare tuo fratello. Ho
chiamato
per dirgli che oggi il cantiere sarà fermo per tutto il giorno, visto
che il
tizio dell’appalto non vuole pagare questa settimana. Ma stai
tranquilla, ho i
miei metodi per convincerlo, credi a me.”
Haine
rabbrividì. Kukaku Shiba era una donna che non andava certamente per il
sottile
ed oltre ad essere conosciuta per il suo gusto estetico alquanto
bizzarro, era
famosa anche per il fatto di essere una donna che otteneva tutto ciò
che
voleva. O con le buone o con le cattive. Anche se prediligeva
soprattutto le
seconde, a suo parere più divertenti e proficue.
“Ok,
glielo riferirò. Grazie del disturbo.”
“Figurati,
è il minimo che possa fare visto che ultimamente ha lavorato il doppio
degli
altri.” Esclamò la bruna, la voce piena di stima per quel ragazzo che
aveva
vinto il suo dannato orgoglio e la sua naturale predisposizione a non
farsi
dare ordini, pur di poter portare a casa il pane.
A
quella frase la ragazza sorrise inconsciamente. Ricevere l’onore di
essere stimati
dalla Shiba non era una cosa da tutti i giorni e questo lo sapeva
benissimo.
“Buona
giornata Kukaku-sama.”
“Buona giornata a te, piccola.”
Quando
mise giù la cornetta, Haine si precipitò su per le scale, euforica.
Aprì
lentamente la porta, osservando il fratello riposare tranquillo. Non le
importava quale fosse il motivo che lo spingeva a lavorare così
duramente, ora
come ora l’unica cosa che contava era che riposasse. Aveva tutto il
diritto di
rilassarsi, almeno per quel giorno. Sorrise dolcemente, entrando in
camera del
ragazzo quatta quatta, senza fare il minimo rumore, sedendosi sul letto
accanto
a lui. Era stravaccato ed abbracciava il cuscino mentre stava a pancia
in giù.
Se qualcun altro lo avesse visto in quello stato e Grimmjow lo avesse
scoperto
sarebbe stata morte istantanea, poco ma sicuro. Per sua immensa fortuna
a lei
riservava un trattamento diverso in quanto sorella minore.
Gli
passò una mano sulla testa, delicatamente, e lo accarezzò, come le
faceva
sempre lei quando era piccola. Lo
sentì mormorare qualcosa nel sonno, facendo sprofondare la faccia
sempre più
nel cuscino. Le veniva quasi da ridere, sembrava un grosso gattone
addormentato. E si comportava esattamente come i gatti. A nessuno dava
la piena
fiducia e mai si sarebbe lasciato ammaestrare e possedere. Era lui ad
averti,
proprio come un gatto e l’unica cosa da fare era accettare la cosa,
cosicché
lui potesse amarti a modo suo, senza troppe pretese.
Gli
spostò una ciocca di capelli dagli occhi e poi si alzò, afferrando
carta e
penna per scrivergli che per quel giorno sarebbe potuto rimanere a
casa. Dopo
aver appoggiato il foglietto sul comodino, Haine si fermò un istante.
Lo fissò
ed allargò il suo sorriso che da dolce si fece furbetto.
“Vediamo
se mi ammazza o meno.” Bisbigliò prima di chinarsi su di lui e
schioccargli un
bacio sulla fronte. Bene non si era svegliato, lui, che appena la
sentiva
avvicinarsi troppo si svegliava di botto, infastidito. Era davvero
esausto, non
c’era ombra di dubbio.
“Dormi
bene nii-san”
E
detto questo se ne uscì di casa, perfettamente in orario per la prima
volta da
un anno a questa parte.
#
# # # # # # # #
“Vieni
qui brutto disgraziato!”
Anche
quella mattina le cose sembravano essere iniziate come al solito. Kon
si era
messo a sbavare dietro alla povera Orihime ed Haine e Tatsuki avevano
cominciato ad inseguirlo, pronte a difendere la loro amica dai suoi
assalti. E non
solo lei ma tutte le altre loro compagne di classe. Ichigo ormai non si
sgolava
neanche più, ci pensavano le sue amiche a dargliele anche da parte sua.
Dopotutto non poteva mica trasformarlo in un punging ball solo per
fargli
entrare in testa le buone maniere ed un po’ di sale in zucca. Anche se,
doveva
ammetterlo, forse era l’unico modo...!
Proprio
quando le due ragazze erano riuscite ad agguantare Kon per suonargliele
di
santa ragione, la professoressa Ochi entrò nell’aula, intimando
l’ordine che
non tardò ad arrivare.
“Bene
ragazzi, forza, prendete le vostre biro tra poco inizia la verifica. Ed
il
primo che becco con foglietti e fogliettini o che copia si ritroverà un
bel
zero nel compito, mi sono spiegata Kon?” esclamò la donna, fissando
torva il
ragazzo che deglutì, annuendo. Haine ridacchiò, divertita. Durante
l’ultima
verifica il ragazzo aveva spudoratamente copiato e ci era mancato poco
che la
professoressa lo mandasse dritto filato dal preside. Quella volta,
però, era
intervenuto Ichigo salvandolo in extremis, facendogli semplicemente
annullare
la verifica e costringendolo a restare a scuola a pulire le aule per
ben un
mese di fila ed a rifare il compito ovviamente. Se fosse ricapitata una
cosa
del genere nemmeno Buddha in persona l’avrebbe salvato dall’ira della
donna.
Per
più di due ore il silenzio calò nell’aula mentre tutti cercavano di
risolvere
quei dannati problemi di algebra. Quando la campanella suonò, tra
lamentele e
sospiri liberatori, Haine alzò la testa dal foglio, dopo aver
ricontrollato
tutto almeno tre volte. Fece segno ad Ichigo per verificare se i
risultati
corrispondessero per poi sbuffare e lasciar perdere quando vide che era
già
impegnato col fratello, sperando di non farsi beccare dalla Ochi.
“Basta
confabulare voi altri! Forza, fate passere queste verifiche, da bravi!”
Quando
fu il turno della Jaggerjack, la ragazza sospirò, passando di
malavoglia il
compito in classe e pregando ogni divinità possibile affinché più della
metà
degli esercizi – stranamente era riuscita a svolgerli tutti –
risultasse
quantomeno corretta.
“Come
è andata, Haine-chan?” le chiese Orihime, con un sorriso.
La
ragazza dai capelli blu scuro pigolò, terrorizzata, mentre Tatsuki si
univa
alle due e le dava qualche pacca sulla testa, dicendole di stare
tranquilla.
“Su,
su, vedrai che ce la farai. Hai lavorato come una matta per più di una
settimana con due genietti della matematica, vedrai che una sufficienza
piena
non te la leva nessuno.”
I
grandi occhi neri della ragazzina si fecero lucidi mentre afferrava
Tatsuki per
i fianchi e la abbracciava forte, ringraziandola per il sostegno. Inoue
rise,
osservando le due amiche in quella buffa scenetta comica mentre Tatsuki
cercava
di staccarsela di dosso. Haine era una vera sagoma quando ci si metteva.
“Uh,
Ishida!” saltò su all’improvviso la Jaggerjack, facendo segno all’altro
di
avvicinarsi, staccandosi all’improvviso dalla mora che rischiò di
ruzzolare per
terra. “Dimmi se l’ultimo esercizio ti usciva più o meno così!” esclamò
poi,
mostrandogli il foglio dove aveva fatto una serie di calcoli
incomprensibili,
tanto da sembrare dei geroglifici.
Dopo
essersi messo a posto gli occhiali una manciata di volte controllò per
bene il
tutto, ormai abituato alla calligrafia tremolante e secca di Haine
denominata
da quest’ultimo “da compito in classe”.
“Dovrebbe
essere giusto, Jaggerjack.” Esclamò lui, porgendo nuovamente il foglio
alla
ragazza, che si lasciò andare ad un esclamazione euforica come non mai.
“Ishida!
Non sai quanto ti voglio bene in questo momento!” disse nel tentativo
di
abbracciarlo come aveva fatto con la compagna di classe poco prima.
A
nulla servirono le proteste del ragazzo, mentre tentava di sfuggire
dalle
grinfie della brunetta, provocando una sorta di ilarità generale nella
classe.
Ormai queste scene, assieme agli attentati alla vita del povero Kon
erano all’ordine
del giorno.
Dopo
quel breve intervallo tra una lezione e l’altra le ore proseguirono
senza
troppi intoppi. Tutti – anche quel debosciato di Kon – seguivano ogni
parola
degli insegnanti, concentrati. Era quasi arrivato il periodo degli
esami effettivi,
dovevano impegnarsi al massimo tutti quanti. La situazione degenerò
nuovamente
durante l’ora di pranzo, ma quella oramai era normale routine, non si
riusciva
mai a stare tranquilli fino a quando Hime non riusciva a rifugiarsi nel
terrazzo assieme ad Ichigo ed agli altri. Insomma, tutto andò come al
solito,
senza troppi casini o altro. L’unica cosa che sembrò non andare a genio
né a
Kon né ad Haine era doversi ritrovare assieme a fare le pulizie della
classe.
Quei due non si sopportavano proprio, un po’ come l’acqua e l’olio.
Eppure,
alle volte, quando discutevano di cose serie – assai raro, fidatevi! –
parevano
intendersi appieno. Peccato che capitasse appunto di rado.
“Dove
credi di andare, fratello assatanato?” strillò Ichigo quando notò con
la coda
dell’occhio il gemello pronto a squagliarsela per mettersi alle
calcagna di due
belle ragazze che erano passate lì vicino. Il più piccolo dei giovani
Kurosaki
non si mise nemmeno a protestare, borbottando maledizioni contro quel
fratello
poco propenso a seguire gli istinti dettati dalla giovinezza.
Haine
e Tatsuki sbuffarono, una appoggiata al manico dello spazzolone,
l’altra ad un
banco lì vicino.
“Come
possono essere fratelli due così me lo continuo a chiedere...”
“Io
che li conosco da quando erano due soldi di cacio me lo chiedo spesso,
credi a
me.”
Le
due ragazze risero, continuando a pulire l’aula, cercando di evitare i
discorsi
che quel pervertito di Kon cercava di intavolare col fratello che lo
zittiva
ogni due per tre, rosso come un pomodoro ed isterico come riccio
scazzato.
La
moretta scrollò la testa mentre la piccola di casa Jaggerjack si
limitava a
sbuffare, tentando inutilmente di non sentire a sua volta quei discorsi.
“Fila
a prendere l’acqua per il pavimento! Se non arrivi entro dieci minuti
ti vengo
a recuperare io!” gli aveva alla fine intimato Ichigo, rifilando un
calcione ad
un Kon decisamente esasperato.
Il
ragazzo si tartassò la faccia una decina di volte, alla stregua del
pongo tra
le dita un bambino, Haine che gli dava un po’ di supporto nel tentativo
di
calmarlo un pochino. Intanto i minuti passavano e di Kon non c’era più
traccia.
“Se
non arriva entro trenta secondi giuro che lo ammazzo sul serio ‘sta
volta!”
sbottò esasperato il ragazzo dai capelli arancioni, ormai al limite
della
sopportazione, per quel giorno.
Era
strano che, quando Haine decideva di lasciar perdere il più piccolo di
casa
Kurosaki, fosse Ichigo a prenderlo a sganassoni a tutto andare. Era
come se si
dessero il cambio, per potersi riprendere tutti e due dalle fatiche che
comportavano l’insegnare a Kon il modo giusto di comportarsi con il
gentil
sesso. Tentativi che, peccato, non andavano mai a segno, col risultato
di far
venire delle crisi isteriche ad entrambi. Un po’ a ciascuno, insomma.
“Ichigo
se vuoi ti do una mano.” Esclamò poi Haine ridacchiando, memore della
pallonata
in faccia delle settimane precedenti.
Stavano
per partire in quarta entrambi quando Tatsuki attirò l’attenzione di
entrambi i
ragazzi, riguardo Kon ed un altro tipo decisamente vistoso.
“Ichigo,
guarda che Kon è in giardino che sta tentando di svignarsela e, Haine,
tuo
fratello è nel cortile della scuola.”
L’urlo
che lanciarono i due – uno esasperato e stranamente stridulo, l’altro
stupito
ed un po’ riluttante – fracassò i timpani della povera ragazza che
decise che
forse, prima di dare certe notizie era meglio mettersi i tappi per le
orecchie
per evitare danni permanenti all’udito. Stavano per chiedere entrambi
se
potevano lasciare tutto nelle sue mani quando la ragazza gli fece segno
di
defilarsi, prima che cambiasse idea.
“A
dopo Ichigo, se becco prima io tuo fratello, lo porto subito da te.”
“Grazie,
Haine.” Mormorò il ragazzo mentre la sua voce si era fatta stranamente
bassa e
rauca.
La
Jaggerjack non disse niente, limitandosi ad osservarlo in maniera
diversa.
Forse era meglio se iniziava a cercare prima Kon invece di suo
fratello, non
c’erano dubbi...!
#
# # # # # # # #
Grimmjow
si mise a schiacciare sotto il tacco della scarpa l’ennesima cicca
buttata a
terra, ancora fumante e calda, poi si guardò intorno, scocciato. Il suo
vecchio
liceo non era cambiato neanche un po’ in tutto quel tempo e la cosa
risultava
parecchio noiosa, a suo parere. Si grattò la testa, pensando al motivo
per cui
era andato lì: portare un documento alla segreteria della scuola che
quella
svampita della sorella aveva lasciato sul tavolo in cucina. Per sua
fortuna era
ancora a casa, quando l’avevano chiamato. Per fortuna di Haine, non
certo sua!
Svegliarsi nell’esatto momento in cui il sogno che si stava facendo
cominciava
a prendere una bella piega non era esattamente il massimo della vita...
Sbuffò
l’ultimo alito di fumo che impregnava i suoi polmoni per poi infilarsi
le mani
in tasca, con non curanza. Pochi secondi prima aveva visto una
sgargiante testa
arancione spiccare tra la vegetazione che si trovava dietro il cortile
della
scuola, mentre il suo proprietario se la svignava in tutta fretta.
Sicuramente
non era Ichigo, non era il tipo da scappare in quel modo, proprio il
giorno
delle pulizie. Per questo aveva aspettato lì, conscio del fatto che la
sua
copia esatta si sarebbe fatta viva, prima o poi. Avevano ancora troppe
cose in
sospeso, loro due, per poterle lasciare così, a metà. E quando il
ragazzo dagli
occhi azzurri si metteva in testa una cosa, non c’era verso di fargli
cambiare
idea. Anche se essa poteva risultare sgradevole a chi gli stava vicino.
Haine
gli diceva che era testardo ed assurdamente noioso quando faceva così
ma lui
era anche orgoglioso e quindi non la ascoltava mai quando tentava di
dimostrargli che forse era il caso di cambiare un po’
quell’atteggiamento del
cavolo.
Non
dovette aspettare molto per riuscire a vedere un’altra testa arancione
fare
capolino da dietro un angolo del muro dell’edificio, il proprietario
trafelato
e decisamente incazzato. Non si accorse di lui, almeno, non subito. Il
nervoso
che si era fatto strada al centro del petto a causa di quello
scansafatiche del
gemello era ancora troppo denso e persistente per potergli permettere
di
osservare le cose che gli stavano attorno con la massima lucidità e
soprattutto
di soffermasi sui particolari per più di trenta secondi. Se il più
grande di
casa Jaggerjack avesse avuto un insolita testa arancione forse, e dico
forse,
si sarebbe accorto di lui con largo anticipo. Ma la cosa non accadde,
almeno
non subito. Fino a quando i suoi occhi nocciola non incrociarono un
assurdo
sguardo strafottente color azzurro che sembrava deriderlo. Si fermò,
Ichigo, si
fermò a pochi passi dal tanto detestato rivale che da più di un anno
non faceva
che tormentarlo, nei suoi peggiori incubi. Come se nella vita non fosse
già
abbastanza. Aveva il fiatone ed il petto gli si alzava ed abbassava
velocemente
e, nonostante volesse dare la colpa alla corsa, sapeva il motivo di
tale
agitazione. Deglutì mentre lo osservava staccarsi dal tronco di un
albero poco
distante per potersi avvicinare a lui e fargli notare, in un certo
senso, la
differenza di stazza che li divideva.
“Che
cazzo ci fai qui?” chiese Kurosaki senza il minimo cenno di dimostrare
di voler
intavolare una conversazione civile.
“Ho
portato in segreteria dei documenti che ha lasciato a casa quella
smemorata di
mia sorella. Sai, nonostante quello che tu probabilmente pensi, non
sono un
tipo che ama perseguitare la gente.”
Si
diede del bugiardo, Grimmjow, perché sì, alle volte pedinava chi gli
stava
proprio sull’anima per il gusto di attaccar briga, ma in quel momento
non era
propenso a fare né una né l’altra cosa. Si limitava a fissare la faccia
ancora
più incazzata del solito di Kurosaki, divertendosi mentre vedeva il suo
viso
contrarsi sempre più, mutando colore, persino!
Ichigo
invece non si stava divertendo affatto. Era in defibrillazione, mentre
il cuore
martellava fastidioso persino nelle orecchie. Si sentiva un emerito
coglione in
quel preciso istante ma tante emozioni si agitavano dentro il suo
stomaco –
dio, il suo povero stomaco! – nella vana speranza di uscire, magari
sottoforma
di un qualcosa che però non avrebbe mai potuto prendere una forma
effettiva ma
limitarsi a diventare parole. O al massimo gesti.
Quando
vide il ragazzo dei capelli azzurri fare un passo verso di lui
s’irrigidì
all’istante, mettendo subito sull’attenti tutti i sensi, per non
cascare
nuovamente nella trappola che l’altro stava tessendo attorno a lui. Lo
sentì
ridere, lo stronzo, divertito dalla sua immensa agitazione e dal suo
sentirsi
un emerito imbecille.
“Che
cazzo ridi, Grimmjow?” non riusciva più a chiamarlo Jaggerjack, non da
quando
lui ed Haine erano in classe assieme. Non voleva che ci fossero
equivoci, aveva
già fin troppe situazioni complicate da gestire, lui.
“Rido
perché sembri una verginella di fronte al suo primo amore!”
“Vergin..!
Ma brutto stronzo!” strillò Kurosaki, avvicinandosi a lui con
l’intenzione di
rifilargli un pugno dritto dritto sul naso.
Nonostante
le sue “buone” intenzioni, Ichigo venne fermato senza il minimo sforzo
dal più
grande, ormai abituato a cose ben più difficili da gestire rispetto ad
un
banale mocciosetto che si avventava contro di lui con la sola
intenzione,
decisamente effimera, di fargli un benché minimo graffietto,
bloccandolo con le
mani dietro la schiena.
“Come
siamo incazzosi oggi, neh, Kurosaki?”
“Mollami,
ti ho detto di mollarmi brutto stronzo! Lasciami i polsi!”
“Solo
se te ne starai fermo e non tenderai di spaccarmi il muso.”
“...”
“Lo
prendo per un sì...”
Lentamente
il ragazzo lasciò andare i polsi del quasi diciassettenne, fissandolo
nel
tentativo di capire se fidarsi o meno di quella testataccia che era il
più
grande di casa Kurosaki. Solo in quel momento entrambi si resero conto
di quanto
fossero vicini. E come già era successo una volta, i ricordi si fecero
stranamente più intensi mentre l’istinto si risvegliava prepotente,
sotto la
pelle, pronto a sbranarli al minimo accenno di cedimento. Si fissavano,
entrambi ammutoliti e storditi dal solo sentore di ciò che sarebbe
potuto
accadere e che in realtà non era avvenuto. Fu solo quando Grimmjow
scostò
totalmente le mani dalla pelle di Ichigo che scattò verso di lui,
affamato di
quelle labbra che lo richiamavano da troppo tempo. Lo strinse alla base
del
collo, facendolo girare su se stesso e sbattendolo con malagrazia
contro il
tronco dell’albero, sentendo le resistenze di Ichigo, dimentico
comunque del
luogo dove si trovavano. Per l’altro fu come fronteggiare un attacco da
parte
di qualche male intenzionato. Solo che in quel caso non si trattava di
botte
con l’intento di spaccargli le braccia o le gambe ma di un bacio
famelico da
parte di Grimmjow. Lo sentiva mentre cercava di vincere la sua
resistenza, nel
vano tentativo di fargli schiudere la bocca, però lui non mollava, non
ancora
almeno. Era una questione di orgoglio, perdio! Eppure le sue mani, che
stringevano convulsamente la maglia di Grimmjow sulle spalle, e le sue
gambe,
che pareva stessero per cedere da un momento all’altro, tradivano ciò
che in
realtà desiderava. Non gli ci volle molto al ragazzo dagli occhi
azzurri per
ritrovarsi completamente appiccicato ad Ichigo, impegnato in un bacio
degno di
questo nome.
Proprio
mentre i loro respiri si mescolavano gli uni negli altri Kurosaki si
staccò da
lui, esausto, gli occhi lucidi ed il fiato corto. La cosa non poteva
andare
avanti così, non in quel momento almeno.
“Grimmjow,
finiamola qui...”
“Guarda
che se non lo volessi pure tu non faresti tutte queste scene...”
Non
ci volle molto a Kurosaki per staccarsi da lui, spintonandolo via, gli
occhi
bassi, il viso rosso per la vergogna. Di nuovo.
“Non
farti più vedere, Grimmjow. E la prossima volta che ti capito davanti,
lasciami
stare.” Sibilò mentre se ne tornava in classe, ignaro del fatto che
quattro
paia d’occhi lo fissassero, un po’ sconvolti ed un po’ desiderosi di
mettere la
parola fine a tutta quella assurda
faccenda...
#
# # # # # # # #
“Dove
cazzo si è cacciato quel coglione di Kon?”
Haine
aveva deciso che forse era meglio cercare Kon, invece di precipitarsi
dal
fratello. Aveva la strana sensazione che, se lo avesse raggiunto,
avrebbe visto
cose che non avrebbe dovuto vedere. E poi, beh, non era difficile per
lei fare
due più due quando si trattava di Grimmjow ed Ichigo. Sembravano
attirarsi come
due calamite ogni volta che si trovavano a dieci metri di distanza, o
se le
suonavano o si lanciavano delle occhiate che la ragazza dai capelli blu
non
faticava a comprendere. Si ricordava di un discorso fatto con Chidori
qualche
tempo prima e, doveva ammetterlo, se ci fosse stato Grimmjow nei
paraggi quel
giorno la cosa sarebbe risultata alquanto imbarazzante. Non si
ricordava
neanche come erano finite sull’argomento ma fatto sta che avevano
cominciato a
parlare di un certo Ilfort Grantz, collega di lavoro del fratello – il
suo
vecchio lavoro – e suo ex compagno. Scoprire che al ventenne
interessassero gli
uomini non l’aveva sconvolta più di tanto, però aveva deciso che forse
era
meglio lasciar fare all’altro il primo passo verso l’argomento, se mai
avesse
voluto parlargliene. Ma poi, beh, lui ed Ichigo avevano cominciato a
comportarsi in maniera sempre più strana del solito, i pugni si erano
fatti più
violenti, le parole anche e lei non ci aveva messo molto a trarre le
sue
conclusioni. Non voleva mettersi in mezzo però c’era un qualcosa che
non
andava. E la cosa non le stava bene, per niente.
Sbuffò
mentre quella trafila di pensieri si srotolava nella sua testa ed in
quel
preciso istante vide una testa dal colore a lei decisamente familiare.
Chiamò a
gran voce il nome di Kon e questi non fece in tempo a voltarsi che lei
era già
partita all’inseguimento. Dovette mettere le ali ai piedi per non
essere preso,
il povero disgraziato, tentando di seminarla infilandosi tra la
vegetazione che
si innalzava dietro la loro scuola. L’avrebbe preso a botte, ne era più
che
certo e la cosa non gli piaceva neanche un po’. Peccato che Haine
volesse
semplicemente riportarlo indietro, almeno, fino a quel momento. Più
scappava e
più desiderava fargliela pagare per quell’inutile corsa.
“Fermati,
deficiente, fermati ho detto!”
“Si
certo, così mi rifili un altro calcione dei tuoi, manco fossi scemo!”
Haine
cominciò a credere che stessero girando in tondo. Ogni volta che si
guardava in
giro per capire dove diamine fossero, si ritrovava davanti un
particolare che
aveva già visto qualche minuto prima.
“Ah,
mi hai stufato!”
A
quell’esclamazione dettata dall’esasperazione del momento la ragazza
fece un
balzo più deciso verso Kon per placcarlo, afferrandolo per i fianchi e
facendolo cadere a terra in un tonfo sordo.
“Adesso
ce ne torniamo in classe a fare il nostro dovere. Ichigo ti prenderà a
calci al posto mio se lo fai aspettare ancora un po’.”
Ecco,
quella prospettiva non gli piaceva neanche un po’. Se Haine quando lo
picchiava
da incazzata era tremenda beh, suo fratello sapeva essere mille volte
peggio.
Cercò di scrollarsi di dosso quel peso ingombrante nel tentativo di
precipitarsi in classe quando sia lui che la ragazza sentirono due voci
a loro
familiari stagliarsi lì vicino. Alzò lo sguardo verso la sua spalla
destra
incrociando un’espressione stupita quanto la sua mentre due occhi neri
lo
fissavano, increduli. Haine scese dalla schiena del ragazzo, per la sua
immensa
gioia, e cominciò a gattonare verso quelle voci, sperando di non essere
vista. Anche
il più piccolo dei gemelli Kurosaki fece lo stesso, fianco a fianco con
quella
che riteneva essere il suo nemico naturale numero uno. Si guardarono
nuovamente
in faccia, stupiti della scena che stavano osservando. I loro
rispettivi
fratelli che si limitavano a guardarsi in cagnesco senza essere ancora
passati
alle mani. Haine credeva che ormai Grimmjow se ne fosse andato poiché,
mentre
cercava Kon, aveva incrociato la Ochi, informandola dei documenti
consegnati
dal fratello in segreteria poco prima.
Kon
osservava basito la scena, sapendo perfettamente come sarebbe finita,
inconsapevole del fatto che la ragazza accanto a lui avesse il suo
stesso
sentore sul finale di quella assurda commedia. Quando finalmente i due
si
baciarono, più per volontà di Grimmjow che per altro, Haine dovette
premere una
mano sulla bocca del gemello di Ichigo per soffocare un urlo stridulo
che
rischiava di scappargli da un momento all’altro rischiando di farli
scoprire
tutti e due. Lo zittì con un’occhiataccia delle sue, aspettando che i
due si
staccassero per poi allontanarsi e sparire davanti ai loro occhi. Solo
allora tolse
la mano dalla bocca del ragazzo dai capelli arancioni, aiutandolo ad
alzarsi,
tirandolo su per un braccio con malagrazia.
“Non
ho visto male, vero?” mormorò lei, guardando ancora davanti a sé, nel
punto
esatto dove tutto era successo.
“L’hanno
fatto di nuovo...” mormorò Kon esasperato. Vedere il fratello in certi
atteggiamenti, sia fosse in compagnia di uomini sia con donne, lo
metteva
sempre sotto sopra. Insomma, gli faceva venire il brividi.
“Come
sarebbe a dire di nuovo” chiese la ragazza, sgranando gli occhi per lo
stupore.
Fu
in quel momento che il ragazzo gli raccontò di quando li aveva visti
qualche
tempo prima. Di come era cominciato – una scazzottata bella e buona – e
di come
era ovviamente finita. E probabilmente quella non era neanche la prima
volta.
Haine
fece qualche passo in avanti, sospirando, le braccia lasciate
ciondolare lungo
i fianchi, gli occhi socchiusi mentre elaborava una qualche idea.
Doveva fare
qualcosa. Voleva farla punto e basta. Se quella scena era già successa
una
volta forse era il caso di dare una mano al destino per farlo girare
nel verso
giusto. Era fatta così Haine, avrebbe fatto di tutto pur di aiutare le
persone
a cui voleva bene anche quello che stava per giurare al ragazzo che si
trovava
dietro di lei di qualche passo.
“Senti,
Kon...” cominciò, per poi girarsi verso di lui mentre una lieve brezza
cominciò
ad infastidirla appena spostandole i capelli davanti alla faccia. “...
Ti
andrebbe di aiutarmi a farli mettere assieme? Almeno, a chiarire questa
situazione una volta per tutte?” mormorò, decisa e sicura di ciò che
stava
dicendo.
“Ma
sei scema?” esclamò lui, sconvolto. “Se mio fratello scopre che ho
fatto una
cosa del genere, soprattutto che so che lui
ha fatto una cosa del genere mi ammazza senza pensarci manco mezza
volta!”
“E
se facessi un patto con te?”
“Che
genere di patto?”
Quelle
parole le costarono un’immensa fatica, era dura pronunciarle. Ma come è
già
stato detto era pronta a tutto pur di
aiutare suo fratello ed Ichigo. Voleva un gran bene ad entrambi e
sentiva che
per vederli finalmente sereni quello era l’unico modo, ne era più che
certa.
“Non
attenterò più alle tue parti basse e cercherò di non farti troppo male
quando
mi farai incazzare in futuro, ok?”
A
quelle parole il ragazzo reagì con un sussulto però forse era il caso
di tirare
ancora un po’ la corda prima di dare una risposta.
“Uff,
e soprattutto metterò una buona parola per te con Orihime, contento?”
Ecco
già quella cosa lo ispirava molto di più. Lui, che adorava Orihime,
lui, geloso
marcio del fatto che il suo preferito fosse Ichigo, nel sentire quelle
parole reagì
subito. Le narici si dilatarono, gli occhi si spalancarono e le guance
si
colorarono di un rosso acceso, al pensiero di potersi avvicinare sempre
più
alla sua Hime-chan. Haine lo osservò e tentò di non ridere a quella
faccia da
pesce lesso che stava facendo l’altro. Un po’ lo capiva, il compagno di
classe,
comprendeva che la castana gli piacesse così tanto. Però lui non aveva
ancora
afferrare il concetto – o forse semplicemente non lo accettava – che
forse
Orihime non lo voleva considerare qualcosa di più rispetto ad un amico
perché
era la copia esatta della persona che amava. E questo, lo sapeva lei e
lo
sapeva anche lui nonostante non volesse dirlo ad alta voce perché
sarebbe
risultato vero, l’avrebbe fatta solo soffrire. Però, beh, mettere una
buona
parola per lui non avrebbe causato danni a nessuno e la sua amica
avrebbe
capito, evitando qualunque domanda inopportuna.
Osservò
Kon avvicinarsi a lei ed allungare la destra, lasciandola sospesa in
aria per
qualche minuto. In quell’istante, non sapeva dire il motivo, ma gli
ricordava
tanto Ichigo.
“Affare
fatto!”
A
quelle parole Haine sorrise trionfante e strinse la mano al suo nuovo
compare.
Ne era certa, con un alleato motivato come lui sarebbe riuscita nel suo
intento, li avrebbe resi felici. Mantenendo quella promessa che aveva
fatto a
se stessa più di un anno fa ma soprattutto ad una persona che ormai non
c’era
più. E che sarebbe stata fiera di lei, ne era più che certa.
#
# # # # # # # #
Tornata
a casa non aveva detto nulla a Grimmjow del fatto che avesse visto cosa avevano fatto lui ed Ichigo. Era
rimasta impassibile alla cosa, desiderosa di lasciare che i fatti
prendessero
la piega giusta prima di entrare in azione e cominciare a dare qualche spintarella al fato affinché aiutasse i
due, almeno un pochino. Si erano detti le solite cose, facendo le
solite
domande. Come era andata la giornata, se le lezioni fossero così
pallose come
se le ricordava Grimmjow e molto altro ancora. Ma lei, Haine, non aveva
accennato al fatto che lo avesse visto lì, nel cortile della scuola.
Gli aveva
solo detto che la Ochi l’aveva informata del fatto che era passato di
lì per i
documenti ma nulla più. E lui era rimasto impassibile, dicendole, anzi,
che era
una gran pasticciona e smemorata, attirando così le sue furie mentre
lei lo
minacciava di mettere un lucchetto al frigo e di lasciarlo andare a
letto senza
cena. Fu solo quando il telefono squillò che le cose presero una piega
diversa
rispetto al solito.
“Vado
io”
Haine
si era alzata dal tavolo – toccava al fratello lavare i piatti, dopo
cena – e
si era diretta verso la cornetta del telefono, borbottando contro quel
dannato
arnese che faceva un rumore dannatamente fastidioso.
“Pronto?”
La
voce che le giunse dall’altro capo del telefono la fece sussultare
dalla gioia
mentre i ricordi si mettevano in fila gli uni dietro gli altri,
facendole una
strana euforia.
“Ehi
ciao! È da un secolo che non ci si sente! Come? Sei in Giappone? Ti
trasferirai
a Karakura? Dici sul serio?! Non vedo l’ora!”
Grimmjow
non disse niente, non era interessato alle discussioni della sorella al
telefono. Continuò il suo lavoro al quale veniva sottoposto
forzatamente dalla
sorella e poi si avvicinò a lei, dandogli un buffetto sulla testa.
“Non
restarci troppo che tra poco chiamerà Chidori.”
Haine
si limitò ad annuire, sorridente. Fu solo quando l’altro sparì al piano
di
sopra che continuò il suo discorso con l’amica.
“Si,
certo. Eh sapessi quante cose ho da dirti io! Comunque so già dove
potresti
lavorare. Fidati, è bello come locale. Domani chiedo a Grimmjow di
darti il
numero di telefono del cellulare di Liev, così magari tu e la tua band
riuscite
a fare un provino! No, non ringraziarmi, non sai quanto mi aiuta il tuo
ritorno
qui, credimi! Ok, ci vediamo tra qualche settimana! A presto!”
La
ragazza sorrise appena la cornetta tornò al suo posto. Sorrise perché
grazie ad
una serie di fatti fortuiti il caso sembrava volerle dare una mano,
dopotutto.
Non restava che aspettare così avrebbe preso due piccioni con una fava.
“Preparati
fratellone, perché l’operazione Fidanzamento
sta per avere inizio!”
In
quell’esatto momento, Grimmjow avvertì uno strano e pressante brivido
passargli fastidioso lungo la colonna vertebrale..
…Continua…
Meneguzzina/BlastVampire: Ti
ringrazio davvero tanto per il commento, sono contenta che la storia ti
piaccia xD Beh, per i personaggi tante volte mi basta rilegger eil
manga e magari qualche fiction che so essere buona XD ancora grazie
usagixmisagi: lol
grazie per il complimento XD spero che anche questo cap ti sia piaciuto
XD
_Hysteria_: Zoeeee *strizzola*
dai son contenta che abbia apprezzato tutto XD ehhh ero sicura che sia
il pairing che la Divina ti sarebbero piaciuti XD riguardo la divina
informerò il creatore di tale pg (ehhh si, l'ha voluto creare un mio
amico) XD spero che questo cap piaccia come i precedenti XD
un bacione XD
Shaman Morgan: Sorellinaaaa ç____ç
me commossa per tutti i complimenti che mi fai ç____ç guarda ascolterò
tutte le canzoni che mi hai segnalato XD appena posso lo faccio giuro XD
Ashley Snape: grazie
<3 ehhh vedrai che ci sarà da divertirsi più avanti XD il prossimo
cap sarà tristissimo ma sono esigenxe di copione, non vogliatemene ç_ç
Dotoberry: Ma lol XD altro che
ormone, ad Ichi partiranno i neuroni fra un po' XD visto che hai letto
in anteprima questo capitolo esigo un commento in diretta ù-ù e che ti
sia piaciuto come i precedenti XD
Tesar:
prego non c'è di chè XD è stato un piacere XD è una cosa che faccio
spesso XD grazie ancora ^w^
HaruiChan: ehhh la
nostra conoscenza quando s ene esce fuori con certi og è dannatamente
ispirevole XD comunque kukuku, hai visto che ho inseerito nel finale??
ehhh hai già capito XD va beh basta spoiler XD grazie cara del commento
<3
|
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Capitolo 5 *** Ω She was like the sun Ω → † Ed anch’io ti narrerò delle lacrime che piansi...† ***
Allora le
premesse le metto qui ma alla fine verranno messe alcune spiegazioni
che qui non posso inserire se no vi spoilererei troppo. Vi dico solo
che tutto quello che accade qui non è un caso. Se volete saperne di più
vi consiglio di andare a leggere qui e poi di leggere appunto i
chiarimenti.
Ringrazio tutti
per la lettura e tutte le persone che hanno recensito fino ad ora.
Grazie mille^^
Buona lettura^^
Capitolo
n ° 4
Ω She was like the sun Ω →
† Ed
anch’io ti narrerò delle lacrime che piansi...†
Se c’è una
cosa
che tutti noi dobbiamo imparare
È quella
di
andare sempre avanti
E di
sapersi
reggere da soli, sulle nostre gambe.
E per
quanto sia
difficile
E la
strada
possa sembrare ripida,
Non
possiamo
smettere di lottare.
È questo
che ci
hai insegnato, vero nonna?
A me ed a
loro,
tanto
tempo fa.
(Theme: “When you’re Gone”
– Avril
Lavigne)
Era
passato davvero parecchio tempo da quando lei e Kon si erano fatti
quella
specie di promessa, aiutare i rispettivi fratelli a mettersi assieme
una volta
per tutte. Tutti, in classe, si chiedevano come mai quei due andassero
così
stranamente d’accordo ultimamente, mentre i battibecchi erano diminuiti
e le
lesioni alle parti basse di Kon anche. Il primo a non spiegarsi tale
comportamento era proprio Ichigo. Fino a qualche tempo prima si
sarebbero
volentieri cavati gli occhi a vicenda ed ora sembravano quasi due spie
russe
che confabulavano su chissà quali progetti governativi. Solo quando Kon
si
avvicinava comunque troppo alla povera Orihime la giovane Jaggerjack
partiva
alla carica, incominciando ad inseguirlo per tutta la classe,
gridandogli
contro che era un brutto maiale. E lui, cosa diceva? Che quelli non
erano i
patti o cose del genere. Solo una cosa era certa per Ichigo, quei due
erano
veramente incomprensibili, alle volte.
Sbuffò
mentre un alito di vento portò con sé parecchie nuvole vagabonde,
cariche di
pioggia e di mal tempo. Le osservò muoversi nel cielo in maniera
scomposta e in
quell’esatto istante percepì una stretta allo stomaco. Lo sapeva,
Giugno era il
mese dei tifoni per eccellenza però non poteva fare a meno di detestare
la
pioggia, con tutto se stesso. Lo faceva sentire impotente perché non
poteva
fermarla e riportava a galla troppi ricordi dolorosi. In quegli istanti
era
come se anche dentro la sua anima piovesse, a catinelle, inzuppandolo
fino al
midollo, rendendolo più nervoso e scorbutico del solito. Ma taceva e
sopportava, senza dire alcunché, come se quella fosse solamente pioggia
ed a
lui non importasse nulla di ciò che si agitava dentro al suo povero
cuore
martoriato. Perché doveva essere forte, per proteggere la sua famiglia
da un
dolore che ormai da tanti anni graffiava loro il petto e l’anima,
trascinandoli
giù, in un abisso che pareva senza fine, almeno una volta all’anno.
Anche
Kon si accorse della pioggia imminente e dello stato d’animo del
fratello, ma
solo quando, oramai tra le grinfie di un’Haine decisamente furiosa,
alzò la
testa per chiedere pietà ed aiuto al gemello che, chissà come mai,
sembrava più
indifferente del solito al fatto che la sua salute fisica fosse in
serio
pericolo. Allora si irrigidì di botto, ma non come sempre, quando la
ragazza lo
placcava come un giocatore di football professionista. Era come se il
cuore si
fosse gelato per un istante ed il suo corpo avesse fatto altrettanto,
serrato
in una morsa che nessuno, nemmeno Haine, avrebbe mai percepito, ne era
certo.
La
ragazza capì che c’era qualcosa che non andava e mollò la presa,
osservando i
due gemelli perplessa, senza capire. A parte lei, solo un’altra
manciata di
persone sembrò cogliere lo stato d’animo di entrambi, consapevoli del
motivo
per cui si comportassero così. Haine avrebbe voluto chiedere cosa
stesse
succedendo, preoccupata, ma sentiva che forse non era il caso. Lo
capiva
guardando gli occhi di Ichigo ma soprattutto quelli di Kon, spentisi in
un solo
istante.
Qualche
minuto dopo il professore entrò in classe così da far tornare ai propri
posti
tutti gli alunni, intimando la completa attenzione verso di lui e la
lezione.
“Ehi
Kon...” mormorò Ichigo, cercando di farsi sentire solo dal gemello.
“Dimmi...”
“Che
giorno è oggi?”
“...
È il quindici. Il quindici di Giugno...”
Restarono
in silenzio per qualche minuto, uno osservando fuori dalla finestra,
l’altro il
quaderno posato sul proprio banco. Haine che aveva sentito a malapena
quello
che si erano detti, percepì una strana atmosfera nell’aria, densa di un
qualcosa che non sapeva definire ma che, stranamente, sentiva di
conoscere
abbastanza bene.
“Allora
è già dopodomani...”
I
due gemelli non dissero più nient’altro fino alla fine della lezione,
lasciando
Haine stranamente in ansia e desiderosa di vederci chiaro in tutta
quella
faccenda.
#
# # # # # # # #
Haine
quello stesso giorno aveva deciso di andare al cantiere per portare il
pranzo
al fratello – erano usciti prima a causa dell’assenza di un’insegnante
– approfittando
del fatto per conversare un po’ con la signorina Shiba, e domandare
come stessero
procedendo i lavori. Aveva salutato tutti, chiedendo in giro dove fosse
il capo
per poterla ringraziare di tutto quello che faceva per quel testardo di
Grimmjow.
Non era molto lontana da lei, semplicemente era nascosta da una gru
spenta ed
in quel momento era quasi impossibile vederla, l’aveva informata uno
dei
carpentieri più anziani della ditta, indicandole il punto quasi esatto.
La
donna quando la vide sorrise e le scompigliò i capelli con l’unico
braccio sano
che le era rimasto. Ormai Haine era abituata a fissare il vuoto dove ci
sarebbe
dovuto essere un qualcosa però il non vedere niente la faceva stare
comunque
male, turbandola nel profondo. Kukaku Shiba aveva perso l’arto durante
un lavoro
in un altro cantiere circa sei anni prima, quando ancora non aveva
un’azienda
tutta sua ed il suo ex-capo risultava essere quel tipo di persone che
non
badava alla sicurezza dei propri operai. Ed a causa dell’avidità di
quell’uomo
lei aveva perso il braccio ma lui, oh lui aveva perso molto di più. La
ditta e
tutti i suoi soldi. La Shiba era una donna che non portava rancore,
questo era
risaputo, però il suo povero braccio era pur sempre una parte di lei
che niente
e nessuno avrebbe potuto sostituire. Ma, nonostante tutto, vedere
finire sul
lastrico quell’uomo che più di una volta aveva rischiato la vita di
molte altre
persone aveva funzionato come un efficacissimo palliativo. Per lei e
tanti
altri.
Kukaku-sama
osservò gli occhi di Haine perennemente puntati sul suo viso, per non
mancarle
di rispetto se per caso fossero finiti su quello che restava del suo
braccio
destro. Non disse niente, si limitò a sorridere con tenerezza a quella
ragazzina che le portava una grande stima, quasi fosse una zia o una
cosa di
simile. Oh, se avesse avuto una sorella come lei invece di
quell’incosciente e
fannullone di Ganju!
“Se
sei venuta per tuo fratello adesso si trova in quell’edificio
prefabbricato.
Per trasportare una trave di troppo e far prima si è stirato un
muscolo,
l’incosciente!” sbuffò lei portando la lunga pipa alla bocca e
rimettendosi a
fumare.
Osservò
la faccia di Haine contrarsi in una strana smorfia e non capì subito.
Poi, d’un
tratto, si rammentò di quando l’aveva ammonita sul fatto che non si
doveva
fumare e, se proprio ci teneva, che non
lo facesse in sua presenza. Quello era lo stesso discorso che faceva al
fratello tutti i giorni ma con lui, lo sapeva benissimo, era una causa
decisamente persa.
“Ho
capito, ho capito, adesso smetto...” mormorò la donna, ridacchiando.
I
suoi operai si chiedevano come facesse quella ragazzina a farsi
ubbidire da una
donna del genere. Ma loro non conoscevano tante cose come la Shiba. Non
erano
certamente amici di Chidori e la loro vita, la sua e dei due figli, non
potevano neanche immaginarsela.
“La
ringrazio ancora Kukaku-sama!” disse infine Haine dirigendosi verso il
prefabbricato che fungeva da ufficio nel cantiere edile, salutandola
cordialmente.
Quando
Grimmjow se la trovò davanti rimase stupito, quasi sconvolto. Ma la
cosa che
più lo fece trasalire fu il pugno che la sorella gli diede sulla testa
con
tutta la forza di cui era capace. Ci mancò poco che cadde a terra, col
viso
spiaccicato sul pavimento. Cercò di acciuffarla ma questa sgattaiolò
via,
sfruttando il fatto che si fosse fatto male alla spalla.
“Quello
era per la tua idiozia! Il capo mi ha detto che hai fatto, coglione!”
Ecco,
quando si incazzava così era meglio lasciarla sfogare per un po’
perché, in
fondo, sapeva di avere torto marcio. Si sentiva come un bambino piccolo
rimproverato dalla sorella più grande. E la cosa noiosa era che
sembrava non
finire mai quella sottospecie di ramanzina, porca miseria! Brontolò un
qualcosa
e lei gli diede un altro sganassone, ‘sta volta sulla spalla sana, per
metterlo
in riga.
“Se
ti succedesse qualcosa di grave sai dirmi cosa diavolo dovrei fare, eh?
Avanti,
dimmelo visto che sai tutto, imbecille che non sei altro!” strillò lei,
furibonda. Lavorare in un cantiere edile non era una passeggiata ma non
era
neanche una cosa da prendere sottogamba. E lui doveva smetterla di fare
il
deficiente solo per potersi distrarre da pensieri che non voleva
rivelarle.
Eppure sarebbe bastato poco, anche solo mezza parola e tutto si sarebbe
sistemato ed entrambi si sarebbero sentiti meglio. Ma lui era troppo
orgoglioso, non avrebbe ammesso mai di avere un problema, neanche sotto
tortura. Così doveva sopportare quelle strigliate senza fiatare perché,
come è
già stato detto, se le meritava tutte, ogni volta. Era uno scotto da
pagare se
si continuava a seguire un idea così stupida come la sua, dettata dalla
testardaggine vera e propria. Solo dopo cinque minuti Haine decise che
forse
era il momento di lasciar perdere, limitandosi a fissarlo in malo modo,
per
farlo sentire in colpa ancora qualche secondo. Alla fine sbuffò,
porgendogli il
bento che aveva preparato per lui, visto che, come sempre, si
dimenticava di
passare al supermercato a comprarsi almeno un panino durante l’ora di
pranzo.
“Non
te lo meriteresti.”
“Ammettilo
che ti diverte sgridarmi solamente per fare pace, baka.”
“Ha
parlato io-non-ho-bisogno-di-mangiare-tanto-vivo-d’aria. Ora taci e
mangia.”
Soffiò lei, fissandolo di sottecchi.
Alle
fine Haine si mise a ridere, resasi conto che forse aveva esagerato un
pochino,
mentre il fratello si era limitato a sorriderle strafottente come solo
lui
sapeva fare. La brunetta gli disse di stare attento la prossima volta
perché
non poteva permettersi di farsi male. E soprattutto di far prendere un
colpo a
quella povera disgraziata di Chidori, proprio no.
“Grimmjow...”
saltò su mentre l’altro si gustava la frittata preparata da lei,
osservandola
di sbieco “Dopodomani sai che giorno è?”
“Il
diciassette” deglutì un pezzo di frittata, voltandosi alla fine verso
di lei,
stupito “Perché me lo chiedi?”
La
vide mentre si tartassava le mani, la sua migliore espressione ansiosa
e
preoccupata stampata in volto. Non sapeva se chiederlo o meno però era
certa di
una cosa. Lui, suo fratello, sapeva perché i due gemelli Kurosaki erano
diventati così... diversi semplicemente ricordando quella data. Da
quando
conosceva Ichigo non gli aveva mai chiesto niente del suo passato e
neanche lui
le aveva rivelato qualcosa di sé se non solamente delle piccole cose.
Sapeva
che la sua famiglia era composta da cinque persone e nulla più. A parte
lui in
casa c’erano le sue due sorelle, Kon e suo padre, che faceva il medico.
Per il
resto beh, non si era mai preoccupata di domandargli qualcosa. Ogni
fatto
riguardante la sua vita era venuto a galla perché era stato Ichigo a
volerglielo raccontare e non perché lei avesse insistito o altro. Era
stato
naturale per lui confidargli quelle cose che poi non erano così
personali. Il
ragazzo però sapeva che, se ne avesse avuto bisogno, avrebbe potuto
parlare con
lei di ogni cosa ma in quello assomigliava dannatamente a quel testardo
di
Grimmjow. Doveva tirargli fuori le parole con le pinze se voleva sapere
qualche
dettaglio della sua vita privata. Eppure lui era l’unico – a parte
Orihime –
che conosceva tutta la verità sulla sua
storia. Su ciò che in realtà le era successo più di un anno fa. Ma
nonostante
questo non le aveva ancora detto niente, mettendola in ansia.
Sentì
Grimmjow darle una spallata per svegliarla da quello stato catatonico,
facendole prendere un bel respiro profondo. Doveva chiederlo. Ora o
mani più,
pensò.
“Perché
il diciassette Giugno è una data così terribile per Ichigo e Kon?”
A
quella domanda il più grande rimase decisamente perplesso. Non era
sicuro se
fosse giusto raccontarle tutto o meno. Però sapeva che avrebbe
continuato ad
insistere con lui fino a quando non sarebbe arrivata a capo di tutta
quella
faccenda. Era fatta così, testarda come pochi. Doveva ammetterlo era un
brutto
vizio di famiglia.
“Il
diciassette di Giugno è l’anniversario della morte della loro madre,
Haine.”
L’espressione
che si dipinse sul viso della ragazza fu più esplicativa di mille altre
inutili
parole.
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Il
giorno dopo, quando tornò a scuola, la scena che le si presentò davanti
la
lasciò decisamente spiazzata. Sembrava che i due fratelli si fossero
scambiati
di ruolo, stravolgendo tutte le sue certezze. Si chiedeva come mai
l’anno
scorso non se ne fosse accorta. Eppure era sempre assieme a loro, in un
modo o
nell’altro. Poi capì che forse il suo non conoscerli ancora abbastanza
le aveva
impedito di comprendere appieno i loro stati d’animo. Mentre ora, nel
vedere
Ichigo sorridere per nascondere i suoi pensieri e Kon appoggiato al
banco senza
alcuna voglia di reagire, la faceva stare male perché non aveva idea di
cosa
fare. Se non fossero arrivate Tatsuki ed Orihime a scuoterla un po’
probabilmente si sarebbe sentita persa. Si fece raccontare come fosse
morta la
madre dei gemelli dalla mora ma nient’altro. A Grimmjow non aveva avuto
il
coraggio di chiederlo ventiquattrore prima. Sapere che era morta a
causa di un
incidente le gelò il cuore all’istante. Strinse forte i pugni, cercando
di
scacciare certi pensieri che avevano cominciato a ronzarle in testa per
poi
riprendersi quando Hime l’aveva afferrata per un polso, sorridendole.
La karateka
non capì ma decise che forse era meglio non indagare troppo, che era
giusto non
scavare in cose che non la riguardavano affatto.
Le
ore passarono lente per la ragazza mentre osservava i due fratelli
racchiusi
ognuno nel proprio dolore. Tatsuki le aveva detto che il giorno dopo
non ci
sarebbero stati in classe e che se voleva domandar loro qualcosa per
saperne di
più quello era il momento giusto per farlo. Ma Haine non disse niente,
limitandosi ad annuire a ciò che le diceva l’altra.
Solo
alla fine delle lezioni, fuori da scuola, quando tutti se ne erano
andati la
giovane di casa Jaggerjack chiese a Tatsuki dove fosse il cimitero in
cui era
stata sepolta la madre dei ragazzi. Solo quando ottenne la tanto
agognata
risposta si congedò, salutando lei ed Orihime in tutta fretta e
ringraziandole
per averle dato una mano.
“Cosa
vorrà fare?” chiese la mora, fissando l’amica sorridere cordialmente.
“Forse
ciò che né io né te abbiamo mai avuto il coraggio di mettere in
pratica...”
bisbigliò Orihime, conscia del segreto che l’amica si portava dentro e
che
forse avrebbe potuto aiutare ad alleggerire un po’ il peso che i
gemelli di
casa Kurosaki si portavano dentro da tanto, troppo tempo.
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Grimmjow
non sapeva come fosse riuscito a farsi convincere dalla sorella ad
andare in
quel maledetto cimitero per ficcare il naso in faccende che non li
riguardavano
affatto. Ed a convincere il capo a dargli un giorno di ferie, poi!
Aveva detto
che gli era stata concessa una settimana di ferie arretrate e che
andavano
sfruttate, la furbacchiona, così da permettere alla sorella di
trascinarselo
dietro in tutta quella fastidiosa storia!
Si
erano alzati presto, quel giorno, così presto da fargli rimpiangere il
suo
faticosissimo lavoro. Voleva dormire, dannazione, non alzarsi alle sei
meno
un quarto del mattino, porca miseria!
Si
grattò la testa e stropicciò la faccia, assonnato, mentre Haine
sembrava più
pimpante che mai, presa da chissà quali pensieri che le ronzavano in
testa. In
realtà sapeva a cosa stava pensando, sapeva il perché di un tale
attaccamento
alla faccenda ma lui non era certo il tipo che andava a psicoanalizzare
chi gli
stava attorno. Si limitava a fissare lo scorrere degli eventi,
lasciandosi
trascinare da quella furia umana che era sua sorella...
La
aspettò vicino ad un tempietto, mentre lei andava recuperare
il custode per domandargli dove si
trovasse la tomba di Masaki, la madre dei compagni di scuola. La vide
tornare
dopo una decina di minuti, avvicinandosi a lui con una strana
pesantezza che le
faceva trascinare i piedi sul terreno. Haine odiava i cimiteri, li
odiava con
tutta se stessa. Per lei non erano luoghi per andare a ricordare i
propri cari
ma solo un cumulo di rocce che rammentavano alle persone solamente il
dolore
della perdita, un dolore così forte da schiacciarla al suolo
impedendole di
camminare come al solito ed alle volte persino di respirare normalmente.
“Andiamo,
non è tanto distante...”
Camminarono
in silenzio entrambi, l’unico rumore che faceva loro compagnia era
quello dei
loro passi e del vento che si insinuava tra le foglie, richiamando a sé
le
nuvole cariche di pioggia.
Quando
arrivarono davanti alla tomba – la ragazza desiderava salutare colei
che le
aveva permesso di incontrare uno dei suoi migliori amici – Haine
s’inginocchiò
e cominciò a pregare, silenziosamente.
“Sa
signora, avrei tanto voluto conoscerla. Deve essere stata una persona
meravigliosa se i suoi figli l’hanno amata così tanto. Spero che da
lassù non
mi mandi qualche improperio quando prendo a calci il suo unico figlio
uscito su
male ma lo faccio solamente per fargli capire come vanno le cose. E
soprattutto
per salvare quella povera ragazza che continua perseguitare ogni salto
giorno!... Sa, spero che il mio desiderio di veder felice suo figlio
sia
arrivato fino a lei e che mi aiuti a far andare le cose per il verso
giusto.
Voglio molto bene ad Ichigo, mi ha aiutato tanto, in quest’ultimo anno,
è come
un fratello, per me. Ed ora che lo conosco meglio, e che conosco anche
quell’allupato dell’altro suo erede, capisco perché mi ci sia trovata
subito in
sintonia. Vorrei che mi facesse un favore, se può. Se incontra un paio
di
persone lassù dica loro che sto bene e che tutte le promesse che ho
fatto le
sto mantenendo, una ad una. Le auguro di stare bene, nel luogo dove si
trova
adesso.”
Tutte
quelle parole erano nate spontanee nella sua mente, trascinate da un
cuore che
batteva all’impazzata mentre tanti ricordi e tanti desideri si facevano
strada
spintonandosi gli uni con gli altri. Sperò che tutte quelle parole
raggiungessero
qualcuno lassù e che la sua volontà permettesse di farle arrivare
dritte
all’anima di chi ormai non c’era più.
Si
alzò, Haine, si alzò pulendosi i vestiti e posando un fiore bianco in
prossimità dell’enorme lapide grigia. Fece un ultimo saluto per poi
allontanarsi
assieme a Grimmjow, quel tanto per permettere ad Ichigo ed alla sua
famiglia di
pregare in pace almeno per un po’. Si sedettero entrambi sulle
scalinate lì
vicino, rimanendo ancora in assoluto silenzio, quasi temessero che una
sola
parola potesse spezzare quella sacralità in cui si erano immersi.
“Sai”
saltò su la sedicenne, all’improvviso “Faccio il tifo per te, nii-san”
soffiò,
lasciando basito l’altro che la osserva, senza capire.
“Chidori
mi ha raccontato i tuoi gusti in fatto di uomini e credo che Ichigo sia
perfetto per una testa dura come te, vi assomigliate troppo.”
Se
avesse potuto, il ragazzo dai capelli azzurri si sarebbe strozzato con
la sua
stessa saliva, spalancando gli occhi in una maniera assurda. La sorella
lo
osserva, tentando di non ridere ma soprattutto di non disturbare la
quiete di
quel cimitero. Lo aveva detto soprattutto per sciogliere la tensione ma
anche
perché non era brava a mantenere certi segreti. Preferiva giocare a
carte
scoperte, era decisamente meglio.
“Non
fare quella faccia! Ho visto come ti comporti con Ichigo, sei
decisamente
troppo manesco per i miei gusti e cerchi un po’ troppo spesso il
contatto
fisico. Non mi ci è voluto molto per fare due più due.”
Se
fosse stato il tipo, Grimmjow sarebbe arrossito dalla punta dei capelli
fino a
quella del naso, ma forse quello si addiceva di più ad uno come
Kurosaki, non
certamente a lui. Si limitò a ridacchiare, sfoggiando quella sua
perfetta fila
di denti bianchi che parevano affilati come rasoi, incredulo del fatto
che la
sorellina fosse così arguta.
“Comunque
sappi che se farete qualcosa di sbagliato prenderò a calci tutti e due,
intesi?”
A
quell’ammonimento il ragazzo non disse altro, tirando fuori una
sigaretta e
fumando, come se nulla fosse successo. E da una parte per Haine era
meglio
così. Entrambi non erano tipi che tiravano troppo per le lunghe un
discorso che
era già stato ampiamente chiarito, così si limitarono ad aspettare che
la
famiglia Kurosaki facesse il suo ingresso in quell’area del cimitero.
La loro presenza
si sentì subito, anche grazie al vociare del patriarca di casa
Kurosaki, il
signor Ishinn, intento a tirare su di
morale la figlia più piccola mentre l’altra avrebbe solamente voluto
prenderlo
a calci da lì fino a casa. Gli unici due che non facevano casino erano
proprio
Ichigo e Kon. Solo in quel frangente i due ragazzi si assomigliavano
come due
gocce d’acqua. Il loro sguardo, pieno di amore e mal celata tristezza
sembrava
rispecchiarsi negli occhi di entrambi in quel preciso istante. Kon sì
inginocchiò
e pregò per la madre, dicendole che tutto andava bene, nonostante una
certa
compagna di classe attentasse alla sua vita ogni due per tre. Ichigo
invece si
limitava ad osservare quella pietra grigia, continuando a chiedere
perdono per
un qualcosa di cui non aveva la benché minima colpa.
Aspettò
altri dieci minuti, Haine, aspettò quel tanto che permettesse a tutti
di
pregare ancora un po’, prima di alzarsi ed attirare l’attenzione
inizialmente
di Yuzu e Karin ed a seguire di Ishinn, mentre i due ragazzi
continuavano a
pregare senza accorgersi di nulla. Dietro di lei stava Grimmjow,
immobile come
una statua senza dire la benché minima parola , fumando la sua
sigaretta e
cercando di non guardare direttamente negli occhi nessuno dei presenti.
Il
vento scompigliò i lunghi capelli blu scuro di Haine, mentre muoveva
fastidiosamente la lunga maglia bianca che indossava sopra i jeans
scuri. Fece
un profondo inchino, osservando le persone che le stavano davanti,
aspettando
che anche gli altri due si accorgessero di lei. E quando lo fecero
rimasero
decisamente basiti. Perché fosse lì era un mistero. Però, per Ichigo,
la sua
presenza non rappresentava un fastidio. Era quasi come togliersi un
peso di
dosso dopo tanto tempo. Kon, invece, semplicemente non capiva.
“Chiedo
scusa se sono capitata qui all’improvviso. Ma quando ho saputo che
giorno è
oggi ho pensato che fosse doveroso venire a salutare ed a pregare per
la
signora Kurosaki. Spero di non essere di disturbo.” Mormorò, fissando
il
terreno, imbarazzata.
Fu
la mano di Ishinn posata sulla sua spalla che le fece alzare il viso,
mentre il
suo sguardo incrociava poi il suo sorriso cordiale.
“Sapere
che i miei figli hanno un’amica che ci tiene così tanto a loro mi fa
solo
piacere. Come mi fa piacere rivederti, Grimmjow. Dimmi, come sta tua
madre?”
“Domani
mattina ha un altro ricovero in ospedale, ma si tratta solamente di un
day
hospital, questa volta. Mi ha detto di salutarla se l’avessi vista. E
di
rinnovarle le sue condoglianze.”
“Vi
ringrazio entrambi.” Mormorò lui, per poi girarsi verso le figlie e
tornare
nuovamente pimpante, come suo solito.
“Forza
belle di papà, andiamo al tempio per pregare affinché tutto possa
andare bene!”
esclamò poi lui, trascinando via le due ragazze con foga. Aveva capito
che era
il caso di lasciar soli i suoi figli con i loro amici e quando
finalmente lo
capirono anche loro lo seguirono senza fare troppe storie.
Haine
non riusciva a fissare Ichigo direttamente negli occhi, non ne aveva la
benché
minima forza. Era come se avesse violato qualcosa, lo sentiva, però non
credeva
di essere nel torto. Il viso nuovamente puntato verso il basso non le
permise
di vedere che il compagno di classe si avvicinava a lei con un sorriso
amaro
stampato in faccia, per poi posarle la destra sulla testa, con estrema
delicatezza.
“Ti
ringrazio, Haine. So quanto sia difficile per te...” mormorò in modo
che solo
lei potesse sentire, per poi posare gli occhi nocciola sulla figura
silenziosa
del fratello della compagna di classe.
Attorno
ai quattro si era creata una strana atmosfera, quasi l’aria si fosse
condensata
all’improvviso, immobilizzando ogni loro gesto. La giovane Jaggerjack
osservò
con la coda dell’occhio Grimmjow ed Ichigo e pensò che forse era il
caso di
lasciarli stare da soli, aspettando ancora un po’. Quando lanciò
un’occhiata a
Kon, il ragazzo capì senza dire nulla. Salutò ancora una volta sua
madre,
chiedendo alla ragazza se potesse accompagnarlo fino al tempio. Haine
si limitò
ad annuire, fissando per un ultimo istante sia il fratello che l’amico
mentre
si posizionavano davanti alla tomba di Masaki e restavano lì, senza
emettere un
solo e misero fiato.
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# # # # # # # #
Erano
esattamente a tre passi di distanza l’una dall’altro. Li aveva
contanti, la
giovane prima di incamminarsi a sua volta verso il tempio, per poi
accorgersi
solo a metà strada di non essere diretti propriamente lì. Lei non disse
comunque nulla, continuando a fissare le grandi spalle del ragazzo che
proseguiva la sua camminata, le mani nella tasca della felpa
esageratamente larga
e lo sguardo puntato verso il basso.
Le
faceva uno strano effetto osservare quegli atteggiamenti che non si
addicevano
per niente all’immagine che si era fatta di Kon. Lui era un maniaco,
sempre
pronto a seguire ogni gonnella che passava, tentando di portare al lato oscuro anche il suo povero fratello
facendolo diventare isterico come pochi, se voleva. Eppure, ora,
osservava come
in realtà fosse, sotto quella scorza da ragazzo allegro e farfallone.
Lo
capiva, lo capiva fin troppo bene. Comprendeva quello stato d’animo,
quel
desiderio di poter cambiare le cose e l’impotenza di fronte a tale
impossibilità. Avrebbe voluto camminare al suo fianco e cominciare a
parlargli,
per tirarlo almeno un po’ su di morale ma non trovava la forza di
farlo. In
quel momento era circondato dal suo dolore e così concentrato su di
esso da
impedirle di avvicinarsi di quei tre passi che li distanziavano l’uno
dall’altra.
Lo
seguì quando cambiò nuovamente rotta, all’improvviso, trovandosi
davanti ad un
terrazzamento che dava sulla città, ingrigita dalle nuvole che la
sovrastavano.
Lo vide mentre se ne restava lì, dritto come un fuso, ad osservare il
cielo, in
cerca di un sole che ormai era quasi del tutto sparito. Un sole che
almeno per
quel giorno, non sarebbe riuscito a scaldare il suo cuore nemmeno per
un
momento...
Alla
fine si sedette, le gambe a ciondolare giù per la scarpata, sotto di sé
altre
tombe, tutte grigie, tutte uguali. Sentì Haine ancora ferma ed in piedi
dietro
la sua schiena così le fece segno di mettersi comoda a sua volta. Non
aveva
parlato, non gli aveva detto niente. Era rimasta zitta, aspettando che
fosse
lui a sciogliere quel groppo in gola che gli impediva di respirare
normalmente
e di parlare assieme a lei. La osservò per un secondo con la coda
dell’occhio
mentre si metteva di fianco a lui, facendo dondolare le gambe nel
vuoto,
osservando quel cielo farsi sempre più grigio e cupo. Il vento
continuava a
soffiare, costringendola a mettersi i lunghi capelli dietro alle
orecchie per
evitare di ritrovarseli in faccia. Fece uno strano sorriso, Kon,
tornando a
fissare il sole che a tratti ricompariva tra i nuvoloni carichi di
pioggia.
“Anche
lei lo faceva spesso.” Mormorò, piatto “Almeno, per quel che ricordo.”
La
Jaggerjack lo fissò per alcuni secondi senza comprendere a cosa si
riferisse.
Vide Kon continuare a sorridere, gli occhi lucidi, nel tentativo di non
stare
troppo male al solo ricordo di un semplice e stupido gesto...
“Mi
riferivo al fatto che mia madre si mettesse i capelli dietro le
orecchie appena
il vento tirava, come hai fatto tu pochi secondi prima, nonostante li
tenesse
sempre legati... Era una sua abitudine.”
Quelle
parole, dette con un tono di voce così dolce e calmo, arrivarono dritte
al
cuore della ragazza che si sentì sempre più triste. Lo osservava
impotente di
fronte a quel dolore che ogni gesto ed ogni sillaba esprimevano, quel
giorno.
Si
portò le ginocchia al petto, stringendosele contro per poi cominciare a
fissare
il vuoto, il vento che la infastidiva, ma lei non voleva darci
assolutamente
peso.
“Cosa
è successo?” chiese in un soffio, mentre l’altro faticava a capire a
cosa si
riferisse “Dico, a tua madre.”
Aveva
buttato lì quella domanda senza pensarci troppo, continuando a fissare
davanti
a sé senza soffermarsi su un particolare preciso di ciò che la
circondava.
Aspettò, paziente, mentre Kon la osservava un po’ incredulo. Pensava
che lo
avrebbe chiesto ad Ichigo, non certamente a lui. Eppure glielo aveva
domandato
con una tale naturalezza ed una nota di tristezza nella voce che, non
seppe dirne
il motivo, aveva un non so ché di consolatorio. Aprì e chiuse la bocca
una
manciata di volte, senza sapere cosa dire, eppure lei aspettava, senza
la
minima fretta. Avevano tutto il tempo del mondo, dopotutto.
“Quel
giorno pioveva forte, me lo ricordo bene. Così forte da impedirti di
vedere
oltre il tuo naso, se camminavi per la strada senza ombrello. Io tenevo
stretta
la mano di mia madre mentre Ichigo le camminava affianco. Stavamo
tornando a
casa dal dojo che frequentavamo da un po’ di tempo, dopo una serie di
allenamenti.
–
Voglio proteggerti dall’acqua, mammina, io ho l’impermeabile, non
preoccuparti
per me – le aveva detto Ichigo nonostante si fosse inzuppato d’acqua
fino
all’osso. Io ridevo, prendendolo in giro, come facevamo sempre da
piccoli, più
che altro per far sorridere mia madre. Nonostante la pioggia,
nonostante
facesse freddo, noi due continuavamo a giocare tra di noi, la mamma che
ci
sorrideva come solo lei sapeva fare.
Non
so dirti come successe, forse sia lei che Ichigo erano troppo
distratti, forse
il rumore della pioggia era troppo forte. Fatto sta che non si
accorsero della
macchina che si stava avvicinando a noi ad una velocità assurda. Era
troppo,
troppo vicina. Me ne accorsi subito, afferrando Ichigo per
l’impermeabile e
tirarlo verso di me ed evitare che si facesse male. Sentii il rumore
della
macchina che sbandava ed il grido di nostra madre che ci chiamava da
così
vicino, quasi provenisse direttamente dall’interno delle mie orecchie.
Quando
riaprii gli occhi vidi la mamma stesa sopra di noi, che ci abbracciava
stretti
stretti, completamente ricoperta di sangue...”
Lo
osservò, Haine, mentre si passava la mano sul viso, cercando di
ricacciare
indietro le lacrime che sembravano voler uscire fuori a forza, per
straziargli
il cuore e riaprire una vecchia ferita che non si sarebbe mai
rimarginata del
tutto. La ragazza strinse forte la stoffa dei jeans tra le dite, le
nocche
fattesi bianchi per lo sforzo mentre la prendeva un fastidiosissimo
nodo alla
gola. Si morse il labbro inferiore per cercare di non emettere alcun
suono. Non
ne aveva diritto. Non aveva diritto di irrompere nel suo dolore in quel
modo.
“Alla
macchina che ci aveva investiti, sfondando il guardrail, si erano rotti
i
freni. Il conducente dell’auto aveva fatto di tutto per evitare di
andare a
sbattere da qualche parte, ma la pioggia era tanta e così... Così...”
le parole
gli morirono in gola mentre una lacrima sfuggì al suo controllo.
“Se
avessi detto a mia madre della macchina che si stava avvicinando troppo
forse
non sarebbe successo niente a nessuno. La mamma sarebbe ancora viva. È
colpa
mia se non c’è più. Sarei dovuto morire io, quel giorno...!”
Haine
sentì un moto di rabbia sfondarle il petto a quelle parole. Una rabbia
tale che
se fosse fuoriuscita avrebbe distrutto qualunque cosa. Cercava di non
dire ciò
che pensava ma lui continuava a ripeterlo, che era colpa sua, che lei
doveva
essere viva mentre lui no. Forse fu proprio a causa di quell’assurda
insistenza
che esplose, di botto.
“Piantala
di dire stronzate! Non è stata colpa di nessuno!” aveva quasi gridato
lei,
alzandosi di scatto, le braccia irrigidite tenute lungo i fianchi, i
pungi
stretti così forte fino a piantarsi le unghie nella carne.
Kon
la osservava, stupito dalla forza e dall’impeto con cui aveva
pronunciato
quelle parole, la voce tremante mentre il suo sguardo si era fatto
improvvisamente duro.
“Lo
sai che dicendo così sminuirai il sacrificio fatto da tua madre?
L’amore che
provava nei vostri confronti? Una madre non dovrebbe mai sopravvivere
ai figli,
mai!” continuò, la voce che si faceva sempre più alta ed il fiato
sempre più
corto. Avrebbe voluto picchiarlo, per fargli entrare in testa un po’ di
buon
senso perché, a quanto pareva, lo aveva perso tutto! Tremava, dalla
rabbia e
dal dolore, furibonda.
Anche
il ragazzo si alzò di scatto osservandola dall’alto del paio di
centimetri che
li divideva.
“Ma
tu cosa ne sai, eh? Cosa ne sai di cosa vuol dire perdere la propria
madre?!”
Avrebbe
tanto voluto tirargli uno schiaffo, un calcio, un pugno, qualunque cosa
sarebbe
andata bene. Ma le lacrime le impedivano di vedere bene ed il cuore le
faceva
male mentre il groppo che aveva in gola era sempre più fastidioso ed
insopportabile.
“Ne
so qualcosa perché io ho perso entrambi i genitori quando avevo solo
quattro anni..!”
A
quelle parole mormorate sottovoce Kon non seppe più cosa replicare
mentre
continuava a fissare lo sguardo risoluto di Haine testardamente
piantato nel
suo.
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Grimmjow
non seppe per quanto rimasero in silenzio davanti alla tomba di Masaki,
in quel
momento un minuto poteva sembrare un ora ed un ora invece poteva essere
paragonabile ed un minuto. Il non dire o fare niente lo metteva
fortemente a
disagio, l’immobilità non era una cosa adatta al suo carattere, poco ma
sicuro.
Buttò
l’ennesima cicca a terra, sbuffando tutto il fumo che aveva aspirato
fino a
quel momento. Forse era il caso di dargli una scrollata, senz’ombra di
dubbio.
“Dovresti
smetterla di piangerti addosso, Kurosaki.”
A
quelle parole Ichigo trasalì, fissandolo come se fosse un pazzo uscito
dal
manicomio. Avrebbe voluto prenderlo a pugni, dirgli di stare zitto
perché lui
non centrava niente in quella storia e che se era venuto solamente per
sputare
sentenze forse era il caso che se ne tornasse di filato a casa sua.
Alla fine,
comunque, non disse niente, limitandosi a trattenere il fiato per non
urlare ed
a fissarlo furibondo mentre lui, Grimmjow, rimaneva del tutto
indifferente a
quella scena a suo parere da due soldi.
“Non
guardarmi così. Cosa direbbe Haine se ti vedesse?”
A
quelle parole il ragazzo padrone di quella testa assurdamente arancione
sembrò
tornare parzialmente lucido, memore del discorso che lui e la sua
compagna di
classe avevano fatto durante il giorno dei morti, l’agosto scorso. La
più
piccola di casa Jaggerjack gli aveva raccontato tutto, dei suoi
genitori, della
nonna ed anche di Chidori e Grimmjow. Di come fosse grata al destino
che,
nonostante molte volte avesse cercato di piegarla al suo volere
causandole
grandi dolori, le aveva permesso di rialzarsi, ogni volta sempre più
forte. E
lui ora, cosa faceva? Si dimostrava debole come mai lo era stato.
Eppure,
nonostante le sue buone intenzioni non riusciva a guardare avanti come
se
niente fosse successo.
“Credi
che sia così facile, Grimmjow?” aveva sussurrato, cominciando a
guardarsi la
punta dei piedi mentre il tempo si faceva sempre più brutto e la
pioggia
cominciava a cadere.
“Credi
che sia facile per me, tornare a sorridere?”
Non
sapeva perché ma in quel preciso istante si sentiva strano, come se
tutto d’un
tratto avvertisse il desiderio di lanciare un urlo così forte da
fracassare i
suoi stessi timpani e di liberarsi di quel dannato peso posato sulla
bocca
dello stomaco. Quella profonda tristezza, accumulatasi durante l’arco
degli
anni sembrava essere sul punto di fuoriuscire tutta in un colpo solo,
travolgendo la sua mente ma soprattutto il suo povero cuore.
“Se
mi dessero la colpa, tutti quanti, dicendomi che non mi sarei dovuto
distrarre
mentre mia madre tentava di asciugarmi da tutta quella dannata pioggia
e mio
fratello mi prendeva in giro forse mi sentirei meglio.” Mormorò, la
stretta dei
pugni che andava a rilassarsi un poco, la voce rotta e roca, nel
tentativo di
non lasciarsi andare troppo.
“Io,
che avevo promesso di difendere mia madre e mio fratello da qualunque
cosa, mi
sono ritrovato protetto da Kon e poi da lei! Io... avrei dovuto fare
qualcosa!”
“Smettila
di fare il cavaliere dall’armatura scintillante, Ichigo!”
A
quelle parole alzò la testa di scatto, i capelli che cominciavano ad
essere
zuppi a causa di tutta l’acqua che scendeva dal cielo, come se
quest’ultimo
volesse versare le proprie lacrime al posto del giovane, trattenute da
troppo,
troppo tempo.
“Avevi
solo nove anni Ichigo, per la miseria, nove anni. Il fatto che lei sia
morta
per proteggere sia te che Kon non significa certamente che foste deboli
entrambi. Vuol dire solo che vostra madre era pronta a sacrificare la
vita per
proteggere i suoi figli. Tutto qui.”
Tirò
fuori l’ennesima cicca quel giorno, forse la quinta, e cominciò a
fumare. Pensò
che fosse il caso di diminuirle quelle fottute sigarette. Sarebbe
finita che
avrebbe speso tutti i soldi pur di comprarle, quelle maledette! Eppure
quel
giorno era dannatamente nervoso, se non le avesse avute a portata di
mano
sarebbe impazzito, poco ma sicuro. Inspirò una lunga, lunghissima
boccata di
fumo nonostante l’acqua avesse bagnato il filtro e tutto il resto,
rilassandosi
un poco, posando il suo sguardo azzurrissimo su di lui, sicuro.
“Guarda
avanti e pensa all’adesso, emerita testa di cazzo. Solo i vecchi
rimpiangono
tutti gli errori del passato.”
Rimasero
così, a fissarsi l’un l’altro per un periodo interminabile,
indifferenti al
fatto che avrebbero rischiato una polmonite se non si fossero sbrigati
ad
andare in un posto asciutto, per cambiarsi i vestiti ormai zuppi.
Ichigo non
capì cosa spingesse l’altro a dargli una mano, a scuoterlo un poco per
farlo
tornare com’era. Solo una cosa era certa per lui. Gli era grato, almeno
in
parte. E così si avvicinò, posando semplicemente la fronte sulla sua
spalla,
con estrema naturalezza. Come se fosse l’unico appiglio che poteva
trovare, in
mezzo a quel temporale.
“Ti
ringrazio, Grimmjow.”
A
quelle parole il ventenne buttò via quella che sarebbe stata l’ultima
sigaretta
della giornata ormai quasi del tutto inutilizzabile, lasciando l’altro
appoggiato
a lui per ancora una manciata di minuti.
“...
Andiamo al tempio, Kurosaki. Se la facciamo preoccupare troppo quella
matta di
mia sorella è capace di prendere a calci tutti e due da qui fino ad
Osaka.”
Ichigo
annuì, pensando che, appena l’avrebbe vista, avrebbe dovuto ringraziare
Haine
per tutto ciò che aveva fatto per lui. Perché sapeva che la sola
presenza delle
persone giuste l’avrebbe fatto rinsavire da quello strano stato
catatonico in
cui si rinchiudeva sempre fin da quando era bambino.
#
# # # # # # # #
Kon
era decisamente frastornato. Non sapeva se credere o meno a quelle
parole. Se
Haine lo stesse semplicemente prendendo in giro o altro. Ma lei, lo
sapeva, non
era il tipo da fare scherzi del genere o di prendersi gioco del dolore
altrui
così facilmente. Ed in questo, beh, assomigliava un po’ a suo fratello.
La
vide mentre si lasciava cadere malamente a terra, tornando a fissare quelle dannate nuvole che vorticavano
nel cielo, facendole venire solamente il mal di testa. Era così
arrabbiata,
così... offesa per quello che aveva detto da fargli capire che forse
aveva
esagerato. Così si sedette accanto a lei, silenzioso, guardando a sua
volta il
cielo sperando ardentemente di poterle chiedere almeno scusa. L’aria
era così
pesante e soffocante in quel momento da stringergli il cuore ed
impedirgli di
stare dritto. Si sentiva come un giunco piegato dalla furia della
tempesta,
insicuro sul da farsi.
“Scusa,
ho esagerato.” Mormorò dopo cinque minuti buoni, guardando dall’altra
parte e
cercando di non mangiarsi le parole.
“Non
preoccuparti Kon. Lo capisco.”
Il
tempo continuava a passare e loro rimanevano in silenzio, insicuri sul
da
farsi. Haine non aveva molta confidenza con Kon, non era come con
Ichigo. Lui
era sempre distratto, certo, ma si preoccupava per i suoi amici e se ce
n’era
bisogno si faceva in quattro per loro. Con il gemello riuscito male era
decisamente diverso. Eppure la frittata era fatta, non poteva tirare
indietro
la mano ora che l’aveva allungata, doveva prendersi la responsabilità
di quello
che aveva detto, anche se preferiva non parlarne. Prese un respiro
profondo e
poi sospirò, socchiudendo gli occhi prima di iniziare.
“Anche
i miei genitori sono morti in un incidente stradale. Io non ero in
macchina con
loro, quel giorno. Ero dalla nonna a causa di un febbrone da cavallo
che mi
aveva costretta a letto.”
Quel
discorso era cominciato così, senza la pretesa di essere ascoltato o di
essere
compatito. Voleva solamente raccontare la sua storia, come lui aveva
fatto poco
prima. Poteva ritenerlo uno scambio di esperienze, dopotutto...
“Sai,
io... non mi ricordo molto di loro. Riconosco i visi nelle foto ma i
dettagli
più importanti, come il suono della voce, il profumo o i sorrisi che mi
rivolgevano... non me li ricordo più. Ero troppo piccola.”
La
voce non sembrava essere guidata da un’emozione particolare come la
tristezza.
Forse... era nostalgia quella che sentiva? Ed un senso di vuoto, di una
mancanza che non si sarebbe mai potuta colmare. Un po’ come un pezzo
mancante
di un puzzle. E questo, Kon, lo sentiva fin nel profondo mentre la
ragazza
pronunciava quelle parole in una maniera così flebile da risultare
quasi prive
di suono.
“La
mia famiglia è originaria di Osaka ed ho vissuto lì per ben dodici
anni...
almeno, fino ad un anno fa...”
Non
capì perché la voce le si ruppe, Kurosaki. Non capì ma non disse nulla.
Un po’
come Haine poco prima non voleva entrare nel suo cuore e nel suo dolore
se non
prima di aver ricevuto un qualche permesso. Intanto, mentre i minuti
passavano
ed il cielo si faceva sempre più cupo e brontolante. I tuoni ed i lampi
in
lontananza parevano annunciare una tempesta che sarebbe durata per
molto tempo.
La ragazza guardò il cielo e sospirò, fissando la corsa delle nuvole
che
andavano a scontrarsi.
“Mia
nonna mi adottò. Mi tenne con sé e mi insegnò tutti quei valori che mia
madre
avrebbe dovuto trasmettermi ma il destino non le ha permesso di
farlo...
Era
forte mia nonna, sai? Era un tipo tosto, fumava la pipa e praticava
karate, da
giovane si era fatta addestrare dal nonno, che non ho mai conosciuto.
Mi
insegnò ad essere forte, a guardare al futuro senza voltarsi mai
indietro, se
non per ricordare tutte le cose belle che ci sono capitate. Ad avere
fiducia
negli altri e nel mondo ed a difendere tutto ciò in cui si crede. Mi ha
amata
molto, come fossi sua figlia.”
“Come
mai parli al passato?” quella domanda gli era uscita fuori senza il
minimo
riflettere. E poi, dopo essersi accorto di aver domandato troppo, si
tappò la
bocca, ma era tardi, ormai.
La
vide sorridere amaramente, mentre si stringeva sempre più le gambe
contro, i
ricordi che si affollavano nella mente e nel cuore dolcemente,
nonostante una
nota di dolore.
Sorrise,
Haine, per poi dire finalmente ciò che le frullava per la testa.
“Perché
è morta un anno fa. Aveva settantasei anni.”
Si
diede dell’emerito imbecille. No, era peggio, un Imbecille Patentato
con la “i”
e la “p” maiuscole! Avrebbe voluto sprofondare e terminare lì quella
dannata
discussione, ma lei sembrava intenzionata a continuare, perché andava
fatto,
ora che i frammenti di memoria erano stati tirati fuori dal loro
cassetto in
quell’angolino della sua anima sentiva di non potersi tirare più
indietro.
Perché parlare le faceva bene e forse, in quel modo, si sarebbero
compresi
meglio entrambi.
Haine
si alzò, le mani tenute dietro la schiena, il naso ancora puntato
all’insù, nel
vano tentativo di scorgere anche solo un piccolo raggio di sole.
“Così
sono venuta qui, a Karakura. Adottata dall’ultimo componente rimasto
della
famiglia Jaggerjack. La sorella gemella di mia madre.”
Haine
si rese conto di come ogni volta si sentisse più leggera mentre
raccontava la
sua storia. Era come gettare via un pezzo del fardello che si era
trascinata
per tanto tempo, facendola uscire da quello stato di apnea che
l’obbligava a
tenersi tutto dentro.
“Alle
volte mi domando quanto possa sentirsi sola la zia Chidori adesso che
la mamma
non c’è più. Ora che una parte del suo cuore se ne è andata per sempre.
Per voi
gemelli deve essere una cosa terribile, credo.”
Haine,
che non aveva fratelli di sangue lo disse senza pensarci molto perché
sapeva
che, se fosse successo qualcosa a Grimmjow, sarebbe morta dal dolore.
Non
avrebbe retto ad un altro lutto ma soprattutto non si sarebbe data pace
e tutti
gli insegnamenti che cercava di portare avanti sarebbero svaniti nel
nulla,
come la cenere che componeva parte del suo nome.
Era
anche per quello che si era arrabbiata poco prima. Perché aveva potuto
osservare con i propri occhi quanto potesse essere logorante una
perdita del
genere. Perché due gemelli erano due parti divise della stessa anima e
se una
spariva l’altra non sarebbe più stata completa. Mai più.
Si
voltò poi verso il suo compagno di classe, che la fissava in una
maniera
decisamente fastidiosa.
“Smettila
di guardarmi così, Kon. Non voglio la tua pietà. Come tu non vuoi la
mia. Sono
diventata forte ed ho imparato ad accettare le cose. E poi... ho
promesso alla
nonna che non avrei pianto mai per lei, che avrei continuato a vivere
perché me
lo meritavo. Da quando è morta ho fatto molte promesse ed anche se alle
volte
non ce la faccio, in una maniera o nell’altra ci provo a mantenerle
tutte.
Perché non voglio deluderla. So che da qualche parte mi guarda e spera
che
possa essere finalmente felice.”
Sembrava
un’altra persona rispetto alla ragazza manesca e rompiscatole che aveva
conosciuto mentre gli raccontava di sua nonna. Era serena, come se
portasse
dentro di sé un pezzetto dell’anima della donna anima, tenendolo
stretto,
vicino al cuore, per paura di perderlo. Per paura di dimenticare tutto
ciò che
era stato.
L’osservava
mentre il vento muoveva i suoi lunghi capelli blu in un assurdo moto
irregolare
che li spingeva a volare da ogni parte. L’osservavano mentre i suoi
occhi
luccicavano pieni di nostalgia ed amore per chi ormai non era più
accanto a lei.
Quando poi si risedette accanto a lui e lo osservò non seppe cosa
avrebbe
tirato poi fuori, in quel momento.
“Sai,
mia nonna mi diceva spesso una cosa. Che alle volte fa bene piangere,
quando si
è davvero tristi.”
Quando
finalmente quelle parole raggiunsero le orecchie di Kon cominciò a
piovere
forte, sempre più forte, quasi il cielo stesso volesse dargli una mano.
I
capelli si appiccicarono alla fronte, i vestiti alla pelle, mentre
l’unico
rumore era quello delle gocce che finivano contro la terra o le foglie
tutt’attorno. Quella pioggia, quella maledettissima pioggia, gli fece
tornare
alla mente quel giorno e le tombe che erano al di sotto della scarpata
gli
ricordavano un presente troppo doloroso per essere affrontato da soli.
Ed
Haine, con quel suo sguardo così simile al suo ed a quello di Ichigo
era pronta
a tendergli una mano, semplicemente per fargli capire che non era solo.
Fu
allora che si dimenticò di ogni cosa. Della storia di Haine, di dove
fossero o
perché si trovassero lì. C’era solo il suo dolore, quel dolore
lancinante che
l’aveva accompagnato per tanti anni e che si faceva sentire prepotente
sempre
lo stesso giorno, ogni anno che passava. Poco importava se piangere non
era da
uomini. Poco importava se quella accanto a lui era la sua acerrima
nemica che
alla prima distrazione gliele suonava di santa ragione. C’era la
pioggia a
nascondere le lacrime e la comprensione al posto degli insulti. Fu così
che il
ragazzo si sfogò come mai in vita sua, mentre una mano calda stringeva
la propria
ed un paio d’occhi neri tentavano di fissare il cielo per non vedere il
dolore
che si celava nel cuore di chi, lentamente, stava diventando il suo
secondo più
grande amico.
#
# # # # # # # #
Se
ne erano tornati tutti al tempio proprio nel momento esatto in cui la
tempesta
si era trasformata in uno spaventoso tifone. Haine aveva cominciato a
starnutire a più non posso, fradicia come pochi e stranamente
pensierosa. Il
padre di Ichigo le aveva prestato la sua giacca, intimandole di
togliersi
quella maglia che ormai era diventata come una seconda pelle,
appiccicandosi
addosso e con l’unico scopo di farla raffreddare ancora di più.
Kon
tremava come una foglia, mormorando cose riguardo ad un bel corpo
morbido e
caldo che l’avrebbe fatto stare sicuramente meglio, ricevendo un
manrovescio
degno di questo nome da Karin, finendo disteso lungo il pavimento.
Haine rise,
tra uno starnuto e l’altro. La famiglia Kurosaki era decisamente fuori
dal
comune, non che la sua fosse poi tanto normale, anzi. Sorrise,
facendosi su
nella giacca di Ishin-san, pensando a suo padre ed a sua madre.
Sospirò,
posando i suoi grandi occhi neri sulla figura poco distante del
fratello più
grande, appoggiato ad una parete, tentando di non pensare a tutto il
freddo che
gli entrava nelle ossa. Per un istante, uno soltanto, la ragazza aveva
desiderato di poter provare quello che troppo presto le era stato
negato, ciò
che, nonostante il dolore, la famiglia Kurosaki possedeva. Si era data
poi
della stupida, perché lei, nonostante tutto, lo aveva già quel gran
calore che
sembrava espandersi da quelle cinque persone che formavano una famiglia
unita.
Tornò
ad osservare il cielo solo quando la tempesta si era decisamente
placata ed il
sole aveva cominciato a brillare, scaldandoli dolcemente. Si era poi
avvicinata
ad Ichigo ed a Kon, i primi a fiondarsi fuori per gustarsi quei raggi
così
necessari per potersi riprendere. Aveva poi preso un bel respiro
profondo,
stiracchiandosi, le braccia distese verso il cielo, le dita intrecciate
le une
nelle altre per poi staccarsi quando poi si era stretta nuovamente la
giacca
nera addosso.
“Ichigo.”
L’aveva chiamato, fissando quel cielo farsi sempre più azzurro “Anche
se non mi
ricordo molto di mia madre c’è una cosa che di lei mi è rimasta
impressa come
se fosse marchiata a fuoco nella mia memoria. Me la disse qualche
settimana
prima di morire.” Esclamò, continuando a sorridere nonostante la voglia
di risentire
quell’abbraccio materno le stringesse il cuore in una morsa carica di
malinconica nostalgia.
“Dopo
la pioggia torna sempre il sereno, Ichigo.”
E
mentre Kon fissava i due senza capire, il ragazzo non poté fare a meno
di
comprendere il significato insito dentro quelle parole.
E
quando finalmente i fratelli Jaggerjack si congedarono, Haine si voltò
verso di
loro un’ultima volta sperando che entrambi i ragazzi riuscissero a
capire
quella frase sussurrata a bassa voce e che neanche il fratello della
giovane fu
in grado di sentire.
“Siate
forti, ragazzi.”
Dette
quelle ultime parole, Haine dovette cominciare a correre, imprecando
contro un
fratello che, a suo parere, se la stava svignando troppo velocemente,
senz’ombra di dubbio.
…Continua…
I
ringraziamenti:
HaruiChan : Vedrai cara, il
quinto capitolo arriverà presto XD Tempo universitario permettendo XD
immagino quanti lacrimoni avrai versato qui ç_ç scusssssaaaamiii ç_ç
usagixmisaki: Sono contenta che
questo capitolo ti sia piaciuto^^ (alias il 3 XD) Vedrai, nei prossimi
capitoli ne succederanno di tutti i colori XD e di capitoli deprimenti
come questo qui sopra non ce ne saranno. Se non un paio. Ancora grazie^^
BlastVampire: Ehhh.. Haine non è
una stupida. è una vera furbetta. Nel prossimo capitolo infatti si
vedrà. Oh se si vedrà *risata diabolica*
ginevrasux: vedrai il patto
servirà di sicuro XD ed andrà a segno XD e forse qualcosa accrdà già
nel prossimo capitolo...
Shaman Morgan: Ah mon amour,
sapevo che ti sarebbe piaciuto XD vedrai, vedrai che accadrà XD Ed ok,
faò picchiare meno Kon, contenta Mizu?? XD
Aki_Black_Fire_ : Allora se vuoi
vedere Ulquiorra fin da subito ti consiglio di andare a leggere una
piccola serie di Spinn off che ho scritto per un concorso, legate
sempre a queste fiction^^ le trovi sempre nel mio account XD Comunque
vedrai che avrà anche la sua parte, fidati XD
Spiegazioni:
Forse ora
capirete perchè Haine vuole così bene ad Ichigo come se fosse un
secondo fratello. Perchè, in un certo senso, nel fatto di aver perso i
genitori, si assomigliano molto. E per questo lei vuole vederlo felice.
Parlando della
nonna, beh, era davvero un bel tipo. Ha avuto un attacco di cuore poco
prima che Haine rientrasse dopo un uscita con gli amici e la ragazza
l'ha trovata stesa sul pavimente. Da lì c'è stata la trafila in
ospedale e la nonna le ha fatto fare molte promesse affinchè potesse
essere sicura che fosse felice. Per il resto non ha avuto bisogno di
preoccuparsi, sapeva che era in buone mani.
Kukaku, beh,
era un amica dei tempi del liceo della mamma di Grimmjow e della mamma
di Haine. Si sono conoscute ad Osaka un giorno che la ragazza era
andata lì a fare una visita alla città.
Detto questo mi
congendo, alcune cose verranno comunque rispiegate, qui ho voluto dare
dei dettagli per farvi capire un po' meglio.
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