Anche gli Oni hanno sentimenti Umani

di Yuuki_Shinsengumi
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 4: *** CAPITOLO 3 ***
Capitolo 5: *** CAPITOLO 4 ***
Capitolo 6: *** CAPITOLO 5 ***
Capitolo 7: *** CAPITOLO 6 ***
Capitolo 8: *** CAPITOLO 7 ***
Capitolo 9: *** CAPITOLO 8 ***
Capitolo 10: *** CAPITOLO 9 ***
Capitolo 11: *** CAPITOLO 10 ***
Capitolo 12: *** CAPITOLO 11 ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Anche gli Oni sono Umani

Sapeva che sarebbe accaduto in quel posto, lo aveva visto.

Ed aveva deciso che avrebbe fatto di tutto per salvargli la vita.

Sapeva che suo fratello lo avrebbe raggiunto: aveva ricevuto l'ordine di uccidere tutti i Rasetsu di quel pazzo di Koudou-san.

E lei aveva deciso di seguirlo.

Si erano separati solo per far sì che lei rimanesse al di fuori dello scontro, seduta sul ramo più alto dell'albero più alto, sotto cui sapeva che si sarebbe conclusa la vita di Harada.

Ma lei era intenzionata a cambiarne il destino.

Guardava l'umano nervosamente, mentre questo parlava con suo fratello, dando il via al solito scambio di convenevoli al vetriolo che erano soliti scagliarsi.

Non riusciva a togliergli gli occhi di dosso. Sapeva che quella probabilmente sarebbe stata l'ultima volta in cui lo avrebbe guardato senza sentirsi trafiggere dall'odio che avrebbe letto nei suoi occhi per ciò che stava per fargli.

Lo aveva incontrato mesi prima, quando per un puro caso era stata attaccata da un manipolo di Rasetsu, attirati dall'odore dolce del suo sangue di Oni. Harada era intervenuto in sua difesa e, dopo aver annientato quei mezzi demoni, l'aveva abbracciata, rassicurandola.

Era stato di una dolcezza incredibile.

E lei si era convinta che gli umani non fossero tutti malvagi.

Ma aveva scoperto a proprie spese che Harada ed i suoi compagni erano voci fuori dal coro.

Si strinse le braccia attorno al corpo, cercando di scacciare la sensazione di orrore e disgusto che l'afferrava ogni volta che pensava a quanto era accaduto poche settimane dopo il loro incontro. Riportò gli occhi su suo fratello e su l'umano, prestando attenzione alle loro parole.

  • Non è tempo che un essere debole come te si ritiri? - furono le parole di suo fratello mentre preparava i proiettili d'argento, gli unici in grado di neutralizzare i Rasetsu.

  • Mi dispiace... ma non ho intenzione di andare da nessuna parte.

L'altro gli indirizzò un sorriso sghembo.

Uno sparo annunciò l'inizio delle schermaglie.

  • Heilà, Koudou. - fu il saluto ironico di Shiranui.

  • Che ci fate qua voi due? - chiese il vecchio, sorpreso, arretrando di un passo.

  • Non riesco a capire come tu possa definire 'sti esseri creati in serie come una nuova razza di Oni.... Ho pensato che questo potrebbe essere il momento adatto per mostrarti come agiscono i veri Oni.

  • Non importa quanto tiri in ballo i loro ideali, non ha alcun significato se muori. Ho dovuto farlo per diventare forte! - fu la risposta del vecchio pazzo.

  • Cosa? - chiese Shiranui.

  • Credi veramente di stare aiutando la famiglia Yukimura? Di farlo per Chizuru? Non capisci che la stai facendo soffrire?! - furono le parole di Harada.

  • E' inutile continuare questa conversazione. Rasetsu, bevete il loro sangue finché non ne sarete soddisfatti!

Le urla di quei demoni impuri dette il via alla battaglia.

  • Andiamo, Harada!!

  • Sì!

Spari in rapida successione, grida di dolore, odore di polvere da sparo e sangue.

Shiranui era stanco e Harada risentiva anche delle ferite gravi che aveva riportato. Ma nessuno dei due si arrendeva.

Harada si accasciò al suolo, tenendosi in ginocchio, poggiando il peso su una mano, mentre il terreno sotto di lui si tingeva del rosso del suo sangue.

Shiranui gli lanciò un'occhiata rapida, comprendendo che ormai il suo nemico-compagno di battaglia era giunto alla fine. Sperava solo che la ragazza, nascosta su di un albero, non si facesse prendere dal panico, uscendo allo scoperto anzi tempo.

Avevano sterminato tutti i Rasetsu. Solo Koudou era rimasto in piedi.

  • Impossibile! Hanno ucciso tutti i miei Rasetsu?!

L'Oni non poteva aspettare oltre. Gin lo avrebbe raggiunto presto.

  • Manderò all'inferno anche te, Koudou.

  • Preparati! - gli urlò puntandogli contro la pistola.

Il click del cane che risuonava a vuoto, annunciandogli che aveva finito i proiettili, lo mise in agitazione.

  • Ho fatto fuori tutti i proiettili?

La risata di Koudou giunse sino alle orecchi di Gin, pronta a balzare a terra in difesa del fratello.

  • Dovevi prepararti meglio.

Koudou tirò fuori il suo asso dalla manica: una bomba.

  • Sarà la tua fine !

Rapido, l'arma di Harada passò accanto alla testa di Shiranui, arrestando la propria corsa nel petto di Koudou, che perse la presa lasciando cadere la bomba a terra.

La deflagrazione fu potente ed il suo corpo venne sbalzato in acqua.

  • Harada!

Shiranui si diresse velocemente verso il fiume in cerca del corpo ormai scomparso di Koudou. Tornò quindi verso Harada, trovandolo seduto a terra, le mani a premere sulla ferita al fianco, le spalle poggiate contro il tronco dell'albero da cui Gin stava iniziando a scendere silenziosamente.

  • Ti ho ripagato per Koufu... - disse a Shiranui con un filo di voce.

L'Oni rimase sorpreso, mentre spostava gli occhi da lui a sua sorella, ormai seduta sul ramo proprio sopra le loro teste e sul cui volto scorrevano lacrime silenziose.

  • Sei piuttosto insolente per essere un umano. - gli rispose Shiranui, andando poi a sedersi accanto a lui.

  • E' finita.

  • Già... - fu la risposta stentata di Harada.

Gin poggiò le spalle allo stesso albero, dalla parte opposta rispetto ad Harada, cercando di tenere disperatamente a bada i singhiozzi, anche se questi si limitavano a respiri spezzati. Forse, in condizioni normali, l'uomo l'avrebbe individuata immediatamente, ma la morte gli si stava avvicinando inesorabilmente ed i suoi sensi iniziavano già a vacillare.

  • Mi ricordi un ragazzo chiamato Takasugi. Un giorno dovrei andare a visitare la sua tomba... Che farai ora? - chiese l'Oni, guardando l'uomo seduto al suo fianco, mentre il lembo della veste di sua sorella entrava nel suo campo visivo.

  • Oh, già. Shinpachi mi sta aspettando... - riuscì a dire, mentre gli occhi iniziavano a non vedere più, convincendolo che quella mano piccola e gentile posata sul suo volto fosse solo un'illusione.

Si trovò a sorridere lievemente, sollevato da quella sensazione di calore che dalla guancia gli si irradiava al resto del corpo.

  • … perciò devo fare in fretta ed andare ad Aizu...

Gli occhi si stavano spegnendo per sempre quando Gin, che si era già provocata una ferita al polso da cui aveva raccolto del sangue nella propria bocca, adagiò il corpo dell'uomo a terra, chinandosi su di lui.

  • Sei decisa a farlo? - le chiese suo fratello.

La ragazza rispose con cenno di assenso, guardandolo con gli occhi inondati di lacrime.

  • Ti odierà...

  • [Lo so] - gli rispose con la voce interiore, per poi tornare a chinarsi sull'uomo e posare le proprie labbra sulle sue, fino a far scivolare nella sua bocca il sangue che teneva nella propria.

Effettuata l'operazione, la giovane si sollevò lentamente, per poi tornare a sfiorargli le labbra con le proprie.

  • [Lo affido a te, fratello]

  • Ne sei certa, sorellina?

  • [Portalo al Tempio. Ho bisogno di stare da sola]

L'Oni scruto il volto della sorella leggendole negli occhi tutto il dolore per quello che sapeva sarebbe avvenuto.

  • Gin... perché?

  • [Preferisco il suo odio alla sua morte]

  • Avresti potuto avere una qualche possibilità se lo avessi fermato... se fossi intervenuta in maniera diversa...

  • [Avrei solo rimandato l'inevitabile... e comunque non avremmo mai potuto... lo sai anche tu]

  • Gin...

  • [Vai, Kyo. Te ne prego... Io... arriverò presto. Dovrò spiegargli il tutto. Ho solo bisogno di un po' di tempo per prepararmi al suo odio.]

Shiranui si caricò il corpo dell'uomo sulle spalle e, dopo aver lasciato una lieve carezza sulla guancia della sorella, si allontanò velocemente.

La giovane, finalmente sola, si lasciò cadere a terra, dando libero sfogo a tutto il suo dolore.

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Capitolo 2
*** Capitolo 1 ***


Anche gli Oni hanno sentimenti umani 2
  • Gin ...

La voce profonda di Amagiri la svegliò bruscamente, costringendola a sollevare di scatto la testa dal petto di Harada, su cui si era accasciata durante la veglia notturna.

  • Non volevo spaventarti. - le disse, carezzandole la testa. - Vai a riposarti, rimango io con lui.

La giovane lo guardò indecisa sul daffarsi. Non che non si fidasse del gigante che nel frattempo le si era seduto affianco. La verità era che voleva godere fino a che le fosse stato possibile della compagnia di Harada, compagnia che non appena il soggetto in questione si fosse svegliato, le sarebbe stata negata.

  • Sono tre notti che non dormi nella tua stanza. Tre notti e tre giorni in cui non ti sei mai staccata dal suo capezzale. Kyo è seriamente preoccupato per te. - le disse, osservandola mentre non toglieva gli occhi dall'uomo.

La ragazza sprofondò gli occhi grigi in quelli azzurri e perennemente seri di Amagiri, il quale si mostrava tenero solo con lei. L'aveva vista nascere e crescere, trasformarsi in una giovane donna, innamorarsi e trasformarsi in una bambola inespressiva la cui unica ragione di esistere era salvare la vita a quel testone umano sdraiato dinanzi a loro.

  • [Amagiri... se...]

  • Se dovesse avere una crisi ti chiamerò, sta' tranquilla – la interruppe, sorridendole in un ghigno quasi sinistro, tanto poco era avvezzo al sorriso, sebbene gli occhi rivelassero un affetto sincero per la giovane.

  • [Grazie...] - fu la replica di Gin che, stancamente, abbandonò la posizione assunta per recarsi nelle proprie stanze.

  • Occhi d'argento *... - la richiamò il gigante, costringendola a voltarsi verso di lui, sul volto un'espressione che lo invitava a continuare.

  • Finora non ho detto niente a Kyo circa il fatto che in questi giorni hai più volte nutrito l'uomo con il tuo sangue... Sei debolissima e fatichi a stare in piedi. Spero tu non mi costringa a fare diversamente

  • [Ho capito...] - fu la risposta laconica di Gin che tornò sui propri passi, uscendo dalla stanza.

Quando si fu chiusa lo shoji alle spalle, si concesse il lusso di poggiarsi ad esso: la testa le vorticava ed il pavimento sembrava spalancarsi sotto i suoi piedi.

Amagiri aveva ragione, aveva preteso troppo dal suo corpo, ma quella era l'unica cosa per cui aveva ancora una qualche utilità.

Riprese il cammino verso la propria stanza, sorridendo al pensiero di come si era scoperta addormentata al momento del risveglio, la sensazione della pelle calda dell'uomo sotto le proprie mani e la guancia sinistra, il volto girato in direzione di quello di Harada.

Un pensiero fastidioso e doloroso ne mutò l'espressione serena in una intrisa di tristezza, mentre la consapevolezza che stava approfittando di un momento che le avrebbe lasciato solo dei ricordi da custodire con gioia la gettava nella disperazione più profonda.

Un paio di occhi viola, intanto, ne scrutavano il volto con preoccupazione.

Ti spezzerai sorellina...

***

Stava spazzando via le foglie dal giardino quando la visione le fece perdere ogni contatto con la realtà. La scopa rudimentale le cadde di mano, mentre gli occhi si facevano fissi, senza vedere niente di ciò che la circondava. Fu un attimo, improvvisa, come era arrivata, la visione si dissolse, lasciandola frastornata.

Si voltò verso la struttura in cui Harada stava riprendendosi lentamente dalle ferite, chiedendosi come agire. Si fosse trattato di qualcuno di diverso, di un umano qualunque, avrebbe lasciato correre senza indugio. Ma quel ragazzo era uno Shinsengumi, un amico di Harada. Un umano che non le avrebbe mai fatto quello che le avevano fatto i suoi simili. Insomma, aveva difeso quella ragazza del loro clan, quella Chizuru, in più di un'occasione. E l'aveva sempre rispettata.

Sentiva di dovergli qualcosa. E di doverlo anche a Harada.

Scosse il capo, inquieta, chinandosi poi a raccogliere la scopa per riprendere il lavoro interrotto a causa dell'ennesima visione di morte.

E decise.

Avrebbe aspettato la reazione di Harada al suo risveglio, solo allora avrebbe stabilito come agire.

***

  • Non puoi chiedermi di reggerti il gioco fino a questo punto

  • Mi rifiuto, Gin. Non posso vederti...

  • Dannazione, sei mia...

  • Ho capito, manterrò il segreto ma se...

  • No. Se dovessi...

  • No, a quel punto interverrò. O accetti questo ultimatum oppure gli dirò la verità.

  • Bene.

Harada sentì quel discorso molto ovattato, come se fosse lontanissimo, ma questo non gli impedì di chiedersi con chi parlasse Shiranui, dal momento che non sentiva la voce del suo interlocutore.

Pochi istanti dopo, un lieve raggio si luce filtrò attraverso lo shoji, da cui entrarono Shiranui ed un ragazzino sui diciassette anni la cui somiglianza con l' Oni che lo accompagnava aveva dell'incredibile, sebbene la fisicità dei due fosse diversa, innegabilmente: Kyo era alto e dalla muscolatura scattante, l'alto era esile; il primo aveva lineamenti affilati, l'altro aveva un volto delicato, quasi effeminato, sebbene i tratti ne palesassero la parentela con l'uomo più maturo; i capelli di entrambi erano lunghi, scuri, folti e lucenti, della stessa esatta tonalità. La cosa che li differenziava, in maniera eclatante, era il diverso colore degli occhi: viola quelli dell'uomo, grigio argento quelli del ragazzino.

Harada era pronto a scommettere che il ragazzino fosse quel Gin* con cui Shiranui parlava fino a pochi attimi prima.

  • Bene! Vedo che ti sei svegliato! - gli si rivolse Shiranui.

  • Già... - rispose Harada debolmente

  • Dove mi trovo?

  • Sei presso il nostro quartier generale. A tal proposito devo chiederti di non girovagare, se non scortato da me o Gin, e di non uscire dal perimetro del tempio.

  • Bastardi. Mi avete salvato la vita solo per tenermi prigioniero ed usarmi come merce di scambio con lo Shinsengumi. - fu la risposta rabbiosa dell'uomo che, nel tentativo di sollevarsi, ricadde pesantemente al suolo.

Il ragazzino corse al suo fianco aiutandolo a mettersi seduto.

  • Grazie.

Un semplice gesto del capo fu la risposta che ottenne dal ragazzo.

  • Non sei prigioniero. Piuttosto ospite, direi. - riprese Shiranui.

  • Ospite?!

  • Certo. Adesso porta pazienza, Gin penserà a medicarti le ferite.

Harada riportò lo sguardo sul giovane seduto accanto a lui, notandone il tremito delle mani affusolate.

Sollevò quindi gli occhi sul suo volto, osservandolo mentre un lieve rossore gli coloriva le guance.

Resosi conto di avere imbarazzato, se non spaventato, il cucciolo di Oni, decise di riprendere il discorso con Shiranui.

  • Da quanto tempo sono qui?

  • Una settimana. Hai dormito per la maggior parte del tempo, ma questo ha fatto sì che ti riprendessi più rapidamente.

Nel frattempo Gin si trovava in estrema difficoltà: era vero che in quei giorni si era occupata lei di Harada, ma toccarlo mentre dormiva era una cosa... in quel momento, invece, l'uomo era sveglio e seminudo davanti a lei. E Gin sprofondava sempre più nell'imbarazzo e nel terrore: era Harada, ma rimaneva un uomo. Inoltre era attanagliata anche dall'ansia che scoprisse l'inganno atto a celare la sua natura femminile.

  • Chi mi ha rimesso in sesto?

  • Gin. Il suo potere curativo è grande. E' bastato solo un poco del suo sangue per garantirti la sopravvivenza.

Ci fu un attimo di silenzio, interrotto dal rumore della bacinella che, scivolando via dalle mani di Gin, cadeva a terra rovesciando tutto il contenuto, per poi rotolare fino ai piedi di Shiranui.

  • Sangue? - domandò Harada, portando lo sguardo su Gin, che intanto si era alzata, indietreggiando leggermente per allontanarsi da lui.

  • Sangue?! - ripeté Harada, urlando quasi, mentre la consapevolezza iniziava a farsi strada dentro di lui.

Abbassò gli occhi sulle proprie ferite, strappando le bende con forza, fino a mettere a nudo una striscia sottilissima e lievemente rosata laddove avrebbe dovuto esserci uno squarcio.

  • Cosa mi avete fatto? Mi avete trasformato in Rasetsu, vero? - urlò in preda ad una rabbia cieca, sollevandosi in piedi, il corpo pronto a scattare.

  • No... o meglio, sarebbe giusto definirti un Rasetsu perfetto, per quanto preferisca la definizione di Oni imperfetto.

  • Oni... imperfetto? - chiese allora con voce strozzata.

  • Certamente. Gli Oni sono tali solo per nascita. Tu lo sei diventato grazie al suo sangue che Gin ti ha fatto bere in punto di morte.

Lo scatto di Harada colse alla sprovvista entrambi i fratelli.

Gin si ritrovò spalle al muro, la mano destra di Harada stretta attorno al collo.

Kyo balzò in avanti pronto ad intervenire in difesa della sorella, ma fu prontamente bloccato proprio da questa con un cenno del capo.

  • Tu, piccolo stronzo. Mi hai trasformato, costringendomi a diventare un essere mostruoso, proprio come te.

L'uomo scrutava con odio il volto di Gin, la cui espressione non mutò di una virgola.

Solo gli occhi tradirono il turbamento provocato da quelle parole, perdendo la loro luminosità e lasciando leggere la sofferenza che cercava di nascondere dietro quella facciata di indifferenza.

Harada ebbe una sensazione di déjà vu: quegli occhi era certo di averli visti altrove ed improvvisamente gli si riaffacciò alla mente quella ragazzina che aveva salvato tempo prima dai Rasetsu.

Il volto della giovane andò a sovrapporsi a quello del ragazzo.

  • Ma che... - Harada non terminò la frase, liberando Gin dalla sua presa.

Non potevano essere la stessa persona: il sorriso solare della ragazzina cozzava con l'espressione tirata e sofferente del ragazzo, ma l'effetto di quella somiglianza su di lui funzionò da calmante.

  • Dannazione... dovevate lasciarmi morire. In questo modo non sarò più di nessun aiuto allo Shinsengumi. E, se ho ben capito, sarò condannato alla solitudine.

Gin lo osservò mentre si lasciava scivolare a terra, sprofondando la testa tra le braccia poggiate sui gomiti.

I due fratelli uscirono dalla stanza, dirigendosi in giardino, lontano da orecchie indiscrete.

  • Gin, sai di aver rischiato troppo?

  • [La sua rabbia è giustificata. Inizio a credere di aver peccato di egoismo.]

  • Non è così... e ciò che hai fatto per salvarlo ti ha indebolita molto... non ti sei ancora ripresa...

Non ottenendo risposta da parte di sua sorella Kyo le sollevò il volto per poterne scrutare gli occhi, arrivando a comprendere quale idea fosse maturata nella sua testa.

  • No, Gin... non puoi farlo. E' troppo pericoloso per te. Potresti...

  • [Morire?] - gli chiese dandogli le spalle.

  • [Sono morta quando quelli...] - la solita sensazione di orrore e disgusto la costrinse ad interrompere la frase.

  • Pagheranno per questo. Kazama e Amagiri sono sulle loro tracce e...

  • [Qualunque sia la loro sorte, non mi sarà restituito ciò che mi hanno preso] – lo interruppe bruscamente, tornando a guardarlo.

  • Sorellina...

  • [Ormai ho deciso. Ciò che mi è rimasto è la possibilità di fare uso del mio dono per salvare i soli esseri umani degni di stima e fiducia che io conosca]

  • Gin, se...

  • [Kyo, mi hanno privata della mia dignità, della facoltà di parlare, condannandomi a visioni di morte. Mi hanno sporcata in un modo che nessuno uomo sarebbe disposto ad accettare...]

  • Ma il tuo spirito...

  • [Fratello...] - riprese lei avvicinandosi a lui ed afferrandogli le mani – [Avrò sempre il rimpianto di ciò che sarebbe potuto essere e che non sarà. Forse avrei avuto una qualche possibilità con lui... forse avrebbe potuto amarmi... nonostante la mia natura mostruosa. Ma quello che mi è accaduto mi ha resa come un oggetto difettoso, uno scarto da accantonare. Per garantirmi un po' di felicità non mi resta che assicurarmi che sia felice almeno lui.]

  • Gin...

  • [Ho deciso, ormai.] - gli disse avviandosi verso la propria stanza – [Non lo lascerò solo: il prossimo sarà Okita Souji]


*Gin significa argento.

Sganciata la bomba, Yuuki se ne va ^__________^

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Capitolo 3
*** Capitolo 2 ***


Anche gli Oni3

Harada era ormai in piedi da una settimana, periodo durante il quale si era sempre rifiutato di lasciare la stanza assegnatagli dai fratelli Shiranui. Gin, che non gli aveva ancora rivolto la parola, si limitava a portargli i pasti ed a controllare che mangiasse; Kyo si recava da lui ogni mattina e sera nel tentativo di convincerlo a fare un giro del tempio presso cui dimoravano.

L'uomo voleva tagliare ogni contatto con l'esterno, trasformandosi di fatto in un prigioniero il cui carceriere era egli stesso. Voleva dimenticare il suo ruolo all'interno della Shinsengumi, certo che, se avesse eradicato dal suo essere tutto ciò che era stato un tempo, avrebbe finito per spegnersi anche come Rasetsu.

Ma l'istinto di sopravvivenza di un uomo è fortissimo, che sia umano oppure Oni.

Non sfuggiva alla tentazione costituita da quella apertura che gli consentiva di vedere l'esterno attraverso una cornice. Assisteva impassibile al trascorrere del tempo: alba, mattina, mezzodì, pomeriggio, sera, tramonto, notte. Così come assisteva all'allenamento a cui Kyo, Amagiri e Kazama sottoponevano giornalmente il piccolo Gin.

Questi aveva sorpreso non poco Harada, sopportando la fatica e le ferite derivanti dai continui assalti del gigantesco Kyuujyu, imparando a difendersi un minimo dai colpi di Kazama ma dimostrando soprattutto di possedere la medesima dote di suo fratello nel maneggiare le pistole. Si sarebbe sorpreso ancora di più se avesse saputo che tutto ciò che Gin sapeva fare in quel campo lo aveva appreso in pochi mesi, spinta dalla disperazione per non essere stata in grado di difendersi: aveva giurato a sé stessa che non avrebbe più permesso che l'aggressione di cui era stata vittima si verificasse di nuovo, non ai suoi danni, né tanto meno ai danni delle altre donne del clan. E poi, voleva imparare a difendere le persone che amava. Harada incluso. Ma questo lui non avrebbe mai dovuto saperlo.

Quella mattina, attirato dal vociare di Kyuujyu che riprendeva bruscamente il ragazzino ogni qualvolta non evitava il suo colpo, mandandolo a sbattere a destra e manca, Harada uscì dalla propria stanza, andando a sedersi sulla veranda, da cui poteva avere un'ottima visuale dell'angolo del giardino in cui il ragazzino ed il gigante si allenavano.

  • Posso sedermi? - la voce di Kyo gli confermò l'identità della persona che aveva sentito avvicinarsi alle sue spalle.

  • E' casa vostra. Io sono il prigioniero. Chiedo venia... l'ospite – rispose con sarcasmo, senza togliere gli occhi dai due che si stavano allenando.

  • Sei proprio un testone. Quella è l'unica cosa che il sangue di Gin non è riuscito a curarti: la testardaggine.

Seguirono alcuni minuti di silenzio, in cui Harada fissò il ragazzino, che in quel momento si stava allenando nel combattimento con il bastone, riprendendolo mentalmente per gli errori che commetteva.

  • Perché non vai ad aiutarlo?

  • Perché dovrei?

  • Perché, nonostante tutto, muori dalla voglia di farlo. Anche se ci consideri mostri. E Gin lo consideri il peggiore di tutti noi. Non ti sei soffermato neanche a chiederti perché lo abbia fatto. A quali rischi si sia esposto e si esponga tuttora per te.

  • Nessuno glielo ha chiesto, maledizione! Io non glielo ho chiesto! - gli rispose con tono rabbioso – Doveva lasciarmi morire.

  • Doveva saldare un debito. - replicò l'altro, calmo.

Harada si voltò di scatto verso Shiranui, fissandolo sorpreso.

  • Che vuoi dire? Che debito può avere con me?

  • Di riconoscenza. E di stima.

Kyo era consapevole di esporsi con quelle parole, ma sebbene avesse giurato alla sorella di non rivelare ad Harada quale fosse la sua vera natura, non le aveva promesso niente circa il fatto di seminare indizi che consentissero all'uomo di arrivare alla verità da solo.

  • Io... non mi ricordo...

  • Ne sei sicuro?

L'immagine della fanciulla dagli occhi grigi tornò a sovrapporsi a quella del ragazzino.

  • Era...?

  • Mia sorella... - e per evitare di scoprirsi troppo, aggiunse – Sua gemella.

  • Capisco.

Trascorsero minuti in silenzio, mentre i due, Gin e Amagiri, continuavano a darsele di santa ragione.

  • Shiranui... lei... dov'è adesso?

Sapeva che quella domanda sarebbe arrivata. Ed iniziava il terreno scivoloso.

  • Se ne è andata.

Attimo di silenzio.

  • Credevo voi Oni foste immortali. - fu il commento di Harada, sorpreso di sentire quel dolore sordo al petto.

  • Si può morire in molti modi – fu la risposta ambigua dell'altro.

Altro attimo di silenzio.

  • Come è successo?

Kyo si passò una mano sul volto, pizzicandosi l'attaccatura del naso con le dita.

Ancora adesso, a distanza di mesi, l'immagine di sua sorella nel momento del suo ritrovamento, lo colpiva al petto con una violenza inaudita. Continuava a chiedersi se avrebbe potuto evitarle quella sorte. Era frustrante sentirsi inutili in quel modo. Era doloroso dover convivere con la consapevolezza di non essere stato in grado di proteggerla, proprio lei che era la ragazza più dolce ed innocente che il clan Oni avesse mai visto nascere.

  • Una mattina è uscita per andare al mercato. Io ero fuori con Amagiri e Kazama. Siamo tornati solo a notte fonda e lei non era ancora rientrata. L'abbiamo trovata dopo alcune ore. In una pozza di sangue. Aveva... aveva gli abiti strappati, le gambe graffiate e piene di segni. Le avevano... morso un seno... - la respirazione di Kyo iniziò a farsi affrettata, mentre Harada chiuse gli occhi nel tentativo di scacciare l'immagine che gli si stava formando nella mente.

  • Kazama voleva mettere a ferro e fuoco il villaggio. Io... volevo solo riaverla come era prima... Ma se ne era andata. E non tornerà mai più.

Harada non ebbe il coraggio di dire niente, sorprendendosi a provare un dolore ed una rabbia incontrollabili.

Lo sguardo di Harada fu catturato dal ragazzino e si chiese se l'espressione dei suoi occhi fosse la conseguenza del dolore per la perdita della gemella.

  • Gin... - chiese infatti, lasciando la domanda in sospeso.

  • Non parla più da allora. E ha delle visioni. Gin le chiama visioni di morte. Vede il momento in cui le persone muoiono: dove, quando, come... tutto. E' così che ha potuto salvarti. Oltre che grazie a quel sangue che condivideva con nostra sorella.

Kyo si voltò verso Harada per la prima volta, mostrando all'uomo gli occhi viola lucidi per le lacrime.

  • Harada... non odiare Gin. Lei... l'ha fatto per lei. Sei... Eri importante per lei. L'hai fatta sentire umana. L'hai trattata da umana. Non trattare Gin da mostro. - gli disse alzandosi stancamente per poi dirigersi verso i due che in quel momento avevano smesso di combattere.

Harada si passò una mano tra i capelli, espirando tutta l'aria piena di veleno che aveva trattenuto nei polmoni al solo scopo di non mettersi ad urlare per la rabbia.

Sollevando gli occhi, scorse lo sguardo triste del ragazzino fisso su di sé e si ritrovò ad indirizzargli un sorriso, mentre dentro si sentiva dilaniare.

***

Gin entrò nella propria stanza lasciandosi cadere sul tatami, distrutta dall'allenamento con Amagiri, ma rilassata per il bagno fatto nella pozza termale nel bosco dietro il Tempio.

Sentiva gli occhi farsi pesanti per il sonno, ma, non appena pensò di andare a dormire rinunciando alla cena, lo stomaco protestò sonoramente.

  • Ehi, piccoletto. Non avrai intenzione di saltare la cena, vero?

La voce di Harada la fece sobbalzare per la sorpresa, tanto che con uno scatto si ritrovò seduta.

La figura dell'uomo si stagliava nel quadro dello shoji, che lei aveva dimenticato aperto.

Fissò gli occhi in quelli di Harada, sentendosi arrossire.

  • Allora, ragazzino? Vuoi veramente saltare il pasto?

Gin gli rispose negativamente con un semplice movimento della testa, stupita nel ritrovarselo davanti sorridente.

  • Allora andiamo – le disse tendendole una mano per invitarla ad alzarsi.

  • Ragazzino, guarda che non mordo – le disse sorridendo sornione.

Gin si riscosse da quella specie di stato catatonico in cui era scivolata, sollevando la mano istintivamente per posarla sul palmo assai più grande di quella dell'uomo, che, con uno scatto, l'attirò verso di sé.

Gin si ritrovò a sbattergli contro il petto, contro cui puntò rapidamente le mani per spingerlo via, mentre il terrore l'assaliva.

  • Ehi! Tutto bene? - le chiese Harada, stupito per lo spintone e preoccupato per il pallore del volto di Gin.

Gin prese due respiri profondi, cercando di calmare il tremore che la stava scuotendo, certa che, se avesse ceduto al panico, Harada non avrebbe tardato a capire come stavano le cose. Sapeva infatti ciò che Kyo gli aveva rivelato e sebbene fosse arrabbiata con suo fratello non poteva negare che lo avesse fatto perché le voleva bene.

Con uno sforzo incredibile riuscì a tornare padrona della situazione, ma Harada...

Harada aveva visto il terrore in quei profondi occhi grigi e si chiese cosa spaventasse tanto quel ragazzino che sembrava fidarsi pienamente solo di suo fratello, Kyuujyu e Chikage. A pensarci bene, questi tre erano i soli rappresentati di sesso maschile di cui si fidava. Non aveva nessun tipo di problema con donne e bambini del clan. Harada socchiuse gli occhi soppesando la constatazione appena fatta, allarmando così Gin che, con un immenso sforzo di volontà ed un sorriso tirato, si ritrovò costretta a prenderlo sottobraccio, come aveva fatto tante volte con Kazama ed Amagiri, trascinandolo nella sala da pranzo.

Quando vi fecero il loro ingresso, Harada incrociò lo sguardo stranamente sereno di Kyo, sentendosi trapassare da quello di Kazama, teso sino allo spasmo, pronto a saltargli addosso se solo avesse fatto una qualche mossa sbagliata.

Quando sentì le mani di Gin scivolare via dal suo braccio, abbassò gli occhi a guardarlo, incuriosito, sorprendendosi ancora una volta di quanto somigliasse la gemella: stessi occhi, capelli, stessa bocca e addirittura stessa corporatura, quasi fossero intercambiabili. Si chiese se, abbigliato da donna, sarebbe assomigliato alla sorella morta come una goccia d'acqua.

Sempre in preda a questi pensieri, Harada lo osservò dirigersi verso Chikage, fermarsi dinanzi a lui e prendere a guardarlo come se gli parlasse con un linguaggio muto, con i soli occhi.

E si trovò ad invidiare al biondo Oni quel rapporto speciale che aveva con il ragazzino.

  • [Kazama...]

  • Non mi piace

  • [Per favore... ne abbiamo già parlato]

  • Lo so, ma continua a non piacermi

Harada si rese conto che i due stavano parlando davvero e, se non riusciva a sentire ciò che diceva Chikage a causa del volume ridotto con cui parlava al ragazzo, si chiese incuriosito come Gin potesse comunicare con l'altro. Cercò quindi di concentrarsi ulteriormente sui loro discorsi, arrivando a captare chiaramente le parole di Kazama.

  • [Ormai ho deciso ed andrò avanti per la mia strada]

  • Ricordati chi sei. Sei un' Oni e devi mantenere alto il buon nome del clan. Non ti permetterò di disonorarlo. - la riprese secco.

  • [L'ho già fatto. O preferisci non tenerne conto?] - gli chiese Gin, agitando le mani ed allarmando Harada.

  • Non è stata colpa tua. Quei mostri...

Harada realizzò appieno solo in quel momento di riuscire a sentire ciò che Chikage diceva al ragazzino nonostante il tono simile ad un sibilo e, allarmato, si guardò attorno, dissimulando la sorpresa per quella sua nuova capacità. Per un attimo incrociò gli occhi di Kyo il quale gli sorrise lievemente, come se avesse compreso cosa stava accadendogli. Per tutta risposta, Harada distolse velocemente lo sguardo, tornando a drizzare le orecchie in direzione di Gin e di Kazama.

  • [Vero, non gli ho chiesto io di violentarmi. Ma lo hanno fatto. E la mia esistenza è una macchia per la reputazione immacolata del clan].

  • Non dire cazzate, Gin. Tu sei la vittima, non il colpevole.

  • [Non fa differenza. E comunque sai benissimo che ben presto il problema sarà risolto]

  • Non ti permetterò di continuare... Non puoi pretendere che io ti lasci gettare via la tua vita in questo modo assurdo.

  • [E' l'unica ragione di vita che mi è rimasta]

  • Te ne priverò – gli rispose Kazama alzando il tono della voce, mentre con una mossa rapida estraeva la katana dal fodero e, scartando Gin, si muoveva in direzione di Harada.

Quest'ultimo comprese che stava per accadere qualcosa di grave e si stupì nel constatare l'assoluta immobilità di Kyo e Amagiri.

Improvvisamente, Gin sembrò dissolversi nel niente, scomparendo da dove si trovava per riapparire immediatamente dinanzi a Harada, le braccia aperte, tese come a fargli da scudo.

  • [Se vuoi farlo dovrai prima uccidere me]

  • Scostati, Gin. - fu l'ordine secco di Chikage mentre la fissava negli occhi, soppesandola.

  • [No] – rispose Gin, accompagnando la sillaba con un gesto del capo.

  • Gin... - intervenne Harada, a cui era ormai chiaro che i due stavano litigando a causa sua.

Gin scosse il capo, senza togliere gli occhi da Kazama.

  • [Uccidimi, avanti. Così l'onta che pende sul nome del clan sarà mondata]

  • Stronzate. L'onta non pende sul nome del clan. L'onta l'hai subita tu! Dannazione, Gin! E' vero che ti hanno stuprata, che ti hanno privata della tua dignità ma non puoi scegliere di morire per salvare un umano, con i suoi compari, solo perché...

Lo schiaffo risuonò improvviso, spezzandogli la frase in bocca. La stanza sprofondò nel silenzio, mentre Harada vide il velo di dubbi squarciarsi difronte ai suoi occhi. E comprese ciò che, forse, si era rifiutato di vedere sino ad allora.

Gin prese a tremare violentemente.

Harada fece un passo avanti per raggiungerla, ma lei con uno scatto fulmineo uscì dalla stanza e dal tempio, senza voltarsi indietro.

  • Bravo Kazama. Complimenti vivissimi. - furono le parole lapidarie di Amagiri, mentre Kyo ed Harada correvano dietro alla ragazza.



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Capitolo 4
*** CAPITOLO 3 ***


Anche gli Oni hanno sentimenti umani cap 3

CAPITOLO 4

  • Dove diavolo può essersi rintanata?

  • Ehi, Harada! Se lo sapessi, non credi l'avremmo già trovata?

  • Idiota di un Oni! E' tua sorella! DEVI sapere dove può essersi nascosta! Un posto che per lei sia un rifugio, che le dia sicurezza...

Shiranui si voltò a guardarlo dandosi mentalmente dell'idiota.

  • La radura... la pozza termale... va sempre la quando vuole stare sola...

  • E allora andiamo, coglione!

  • No – disse Shiranui, interrompendo la corsa che avevano entrambi portato avanti fino a quel momento.

  • No?! - gli chiese Harada tra l'adirato ed il sorpreso.

  • No. - ripeté l'altro – Se è andata lì è perché vuole stare da sola. Io non...

  • Ci vado io.

  • Non puoi, Harada. Lei non... non voleva tu scoprissi la sua vera identità. Anche gli uomini al tempio non sanno chi sia realmente. Ma solo perché ha paura degli uomini. Puoi capirla... ma...

  • Continua...

  • Con te è... diverso. Ti teme in quanto uomo, è vero... - si interruppe notando il brivido che scosse l'altro.

  • Però... però ciò che teme maggiormente è la tua pietà... ed il tuo disgusto.

  • Di.. disgusto?! E per cosa? - gli chiese urlando.

  • Per ciò che è sempre stata...

  • La ricordo come una ragazza dolcissima e gentile, oltre che bellissima...

  • Per ciò che è diventata

  • E cosa sarebbe diventata?

Shiranui lo guardò per un attimo in silenzio, indicandogli poi, con il cenno del capo, la strada da seguire.

  • L'hai chiamata mostro. Ricordi?

Harada in quel momento avrebbe tanto voluto tagliarsi la lingua.

  • Sì... e non me ne rammaricherò mai abbastanza.

  • Vedi... Sano... - lo chiamo per nome per la prima volta e l'altro comprese che il rapporto con quell'Oni stava cambiando e tutto solo grazie a sua sorella.

  • Mia sorella... si reputa un mostro... ma non per ciò che è... ma per ciò in cui la violenza subita l'ha trasformata: ha perso l'uso della parola, parla utilizzando quella che chiamiamo voce interiore, ovvero riesce a comunicare tramite il pensiero, ma solo con coloro a cui è più affezionata... io, Amagiri e Kazama.

  • E poi ci sono quelle visioni di morte...

  • Già... ma non solo...

  • ?

  • Si sente menomata come donna. Non ha più niente da offrire alla persona amata e se ne fa un cruccio.

  • Non... può essere... ha sé stessa, il suo cuore...

  • Ma nient'altro... si sente contaminata ed il terrore per gli uomini le impedisce di guarire da questo male.

  • Chi è stato? - chiese Harada dopo che avevano percorso in silenzio un centinaio di metri.

  • Mostri... di quelli veri... e non per la loro natura... erano esseri umani, proprio come lo eri tu... ma di umano hanno solo la natura, non i sentimenti.

Harada strinse i pugni con forza conficcandosi le unghie nei palmi delle mani, facendoli sanguinare.

L'Oni continuò a camminare al suo fianco in silenzio, silenzio che venne interrotto dalla voce stentorea di Harada.

  • Vado io da lei...

  • Non... forse è il caso...

  • No... Hai detto che ero... sono importante per lei... mi hai pregato di non trattarla da mostro... vado io da lei. Io so cosa... chi è realmente... l'ho conosciuta, se così si può dire, quando era una ragazza deliziosa... l'ho apprezzata, nonostante tutto, nonostante ciò in cui mi ha trasformato, sotto le spoglie di un ragazzo. So' cosa sta passando... sebbene io non lo abbia mai provato e non potrò mai provarlo, so cosa sta passando... lo sento... diciamo che è il richiamo del sangue – concluse sorridendo all'indirizzo dell'Oni, sorriso che non raggiunse gli occhi color ambra, ammantati di tristezza e preoccupazione sincera.

    Shiranui lo guardò per un attimo in silenzio, cercando di capire fino a che punto potesse fidarsi di lui. Poi, con un sorriso triste, lo rese depositario di una pacca sulle spalle.

  • Prosegui dritto per altri tre-quattrocento metri in direzione del fiume. Se non è alla pozza termale è al fiume.

A quelle parole, Harada riprese la propria corsa, sperando in cuor suo che Gin non commettesse qualche sciocchezza.

***

    Si avvicinò alla pozza ancora correndo, per poi fermarsi non appena si rese conto che Gin non si trovava là: non solo non la vedeva, ma non ne sentiva la presenza. Decise allora di dirigersi verso il fiume, immaginandosi vari scenari, tutti dall'esito tragico: il fatto che fosse una Oni, e quindi pressoché immortale, non gli passava neanche per la testa.

    Il rumore di acqua schizzata con violenza, lo portò verso verso destra, dove il fitto degli alberi si allargava, lasciando intravedere il corso del fiume, in quel momento circondato da centinaia di lucciole.

    Si avvicinò lentamente alla riva, gli occhi catturati dell'immagine della ragazza che, immersa fino alla vita, aveva aperto i lembi della camicia di foggia occidentale che aveva indosso per strapparsi le bende con cui teneva fasciato il seno. I movimenti delle braccia erano rabbiosi e violenti: le fasce, ormai fradice, non volevano saperne di sciogliersi, liberandola dalla loro morsa. Gin, ormai esasperata, prese allora a sfregarsi con foga, con l'ausilio di una pietra ruvida, le braccia e la porzione di petto lasciata scoperta dalla stoffa. Harada comprese immediatamente il perché delle azioni della giovane e dopo un attimo di smarrimento, dovuto al sangue che aveva preso a scorrerle fuori dalle lacerazioni provocatele dalla pietra, scese nel fiume, raggiungendola.

    Gin da parte sua non lo aveva ancora individuato, completamente concentrata in quell'azione di pulizia profonda con cui sperava di togliersi per sempre dalla mente il ricordo di quelle mani che la frugavano ovunque, di quell'odore di sake forte che le avevano lasciato addosso.

  • Basta, Gin.

Il sussurro di Harada passò inascoltato.

  • Gin, ti prego... basta

La ragazza era sorda, immersa nella tortura che si stava auto-infliggendo, lo sguardo fisso sulla propria pelle che sfregava con sempre più vigore.

  • Gin... - fu l'ennesimo richiamo dell'uomo, che stavolta si spinse ad afferrarle delicatamente un polso.

La ragazza sollevò sorpresa gli occhi su Harada, scuotendo poi la testa in segno di diniego e riprendendo a scorticarsi come se ne andasse della sua vita

Harada le immobilizzò allora entrambe le braccia, allontanandogliele dal corpo ed impedendole di continuare ciò che stava facendo.

  • No, Gin. Basta adesso.

La ragazza, immobilizzata, prese a fissarlo, senza vederlo, lo sguardo vuoto, gli occhi spalancati e asciutti.

  • Gin... non torneranno più, te lo prometto. Così come ti prometto che la pagheranno... ma adesso smettila, per favore.

Il tono basso e calmo dell'uomo iniziò a farsi strada nella spessa cortina che avvolgeva la mente di Gin, la quale si ritrovò a perdersi nei suoi occhi ambrati, mentre le lacrime iniziavano a bagnarle le guance.

Fu un attimo. Si ritrovò stretta contro il petto di Harada, una mano dell'uomo infilata tra i suoi capelli, a spingerle la testa contro il proprio torace.

  • Non ti farò niente... se vuoi che ti lasci andare non devi fare altro che allontanarmi – le disse cercando di rassicurarla.

In effetti si aspettava una spinta, non certo che le braccia della giovane gli cingessero la vita, né che le sue mani gli artigliassero la camicia sulla schiena. La sentì prendere due respiri profondi, mentre con il naso sprofondato contro i pettorali, Gin ne respirava il profumo a pieni polmoni, certa che avrebbe così dimenticato quella puzza mostruosa.

L'uomo la tenne stretta a sé per un tempo che gli parve interminabile, poi, con una mossa fluida, la prese tra le braccia e la condusse sulla riva.

Solo in quel momento, Harada fu acutamente consapevole del busto quasi interamente denudato che la ragazza gli premeva contro. La lasciò scivolare a terra, sempre sostenendola. La scostò lievemente da sé per guardarla in volto e fu così che noto che quella poca stoffa rimasta a coprirla era divenuta trasparente a causa dell'acqua, lasciando poco all'immaginazione. Si affrettò quindi a togliersi la giacca, facendola indossare alla ragazza, che poi riprese tra le braccia per dirigersi verso il tempio.

***

  • L'hai trovata... - fu l'esclamazione di Kyo quando vide arrivare Sano con in braccio Gin.

  • E' sanguinante – disse Harada, secco, portando gli occhi sul volto della giovane, che sembrava essersi addormentata.

  • Cosa è accaduto? - chiese Kazama, avvicinandosi lentamente.

  • Voleva togliersi di dosso la sporcizia immonda che le hanno lasciato addosso quei bastardi - fu la risposta atona dell'uomo.

  • Cosa...?

  • Kazama, lascia stare... adesso mi occupo io di lei – intervenne Kyo.

Harada seguì l'Oni nella stanza della ragazza, adagiandola delicatamente sul futon.

  • Sano... grazie.

  • Non l'ho fatto per voi. Ma per lei. E per me.

L'uomo portò gli occhi sulla giovane, il cui volto era stravolto da un'espressione piena di dolore. Fece per allontanarsi, oppresso dal peso di quel volto bellissimo contratto in una smorfia di sofferenza, ma la mano della ragazza, artigliata alla sua camicia non gli consentì di allontanarsi. Sollevando lievemente il capo, gli occhi ambrati dello Shinsengumi incontrarono quelli argentati di Gin.

  • [Non lasciarmi]

  • No... non me ne vado – rispose l'uomo, realizzando solo in quel momento di aver comunicato con lei per mezzo della voce interiore.

  • [Grazie]

Harada le sorrise, portandosi una mano di lei alle labbra sotto lo sguardo sbigottito di Kyo, Kazama ed Amagiri.

  • Esco solo per far si che ti medichino le ferite. - disse alzandosi lentamente, liberandosi dalla sua presa.

  • [NO!!!... Ti prego... Voglio lo faccia tu...]

Harada la fisso stupito, gratificandola poi con un sorriso luminoso, tornando a sedersi accanto a lei.

  • Come desideri, principessa...

I tre Oni uscirono dalla stanza lasciandoli soli.

Harada aiutò la giovane a liberarsi della giacca e poi, posizionandosi alle sue spalle, della camicia e delle fasce attorno al torace.

Le passò una pezza di cotone, portatagli da Kyo assieme ad una bacinella ed una brocca piena di acqua.

Gin iniziò a strofinarla lentamente sul petto, per poi asciugare il tutto prima di indossare la camicia pulita portagli da Harada.

A quel punto l'uomo si portò dinanzi a lei, e, afferrata la pezza umida, iniziò a lavarle le braccia, le mani ed il collo, laddove i graffi facevano ancora bella mostra di sé.

  • Posso... chiederti cosa credevi di fare?

  • [Togliermi il loro marchio di dosso] – fu la risposta di Gin, il capo chinato sotto il peso della vergogna.

  • Non sei sporca.

  • [Lo sono, invece. Sono...]

  • La creatura più bella e pura che io abbia mai conosciuto – la interruppe l'uomo, senza sollevare lo sguardo da ciò che stava facendo.

  • [Non nutrire pietà nei miei confronti...] - fu la supplica accorata di Gin.

  • Non sono quelli i sentimenti che provo per te.

  • [Cosa...?]

  • Non lo so... ma non è pietà – concluse l'uomo guardandola in volto, osservandola per la prima volta come un uomo osserva una donna.

Fu questione di un attimo. Si protese verso di lei, senza toccarla, sfiorandole le labbra con le proprie.

La sorpresa lasciò Gin senza parole, incapace di reagire, mentre Harada con un movimento fluido si alzava e, raccolto l'occorrente per la medicazione, usciva dalla stanza, lasciandola sola.

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Capitolo 5
*** CAPITOLO 4 ***


CAPITOLO4 CAPITOLO 4

Erano trascorsi alcuni giorni dalla sera in cui Harada l'aveva baciata, giorni in cui Gin aveva cercato disperatamente di comportarsi come se non fosse successo niente. Ma il rossore che le coloriva le guance ogni volta che l'uomo le era vicino rivelava chiaramente che tra loro era successo qualcosa.

Kyo, come suo solito, fu il primo ad accorgersene ma, tenendo conto di ciò a cui aveva assistito quella sera, aveva preso il tutto come una sorta di benedizione: se Sano era il solo in grado di guarire sua sorella, poco gli importava il fatto che fosse un umano, uno shinsengumi. 

Harada, da parte sua, cercava di lasciare a Gin tutto lo spazio di cui necessitava: non voleva si sentisse soffocare a causa della sua presenza costante, ma soprattutto non voleva spaventarla. La trattava quindi come avrebbe fatto con qualsiasi ragazzina. Questo, almeno, era quello che continuava a ripetersi, ma sapeva benissimo che non riusciva più a considerarla tale. Era una giovane donna, molto bella, per quanto le sofferenze patite ne avessero affilato i lineamenti e reso la figura meno piena di come la ricordava.

Quella mattina, al tempio era tutto stranamente calmo e fu per quel motivo che non si meravigliò e preoccupò più di tanto quando sentì quel silenzio innaturale spazzato via da un colpo di pistola. Fu superato da un Amagiri che correva come se avesse il diavolo alle calcagna, seguito a ruota da uno Shiranui trafelato, che imprecava assai più di Nagakura. Fu proprio l'atteggiamento di Kyo e l'assenza di Gin e Kazama a farlo scattare in avanti, all'inseguimento dei due Oni.
La scena che gli si parò davanti aveva dell'incredibile.

Gin teneva la pistola puntata contro Kazama, uno sguardo assassino ad illuminarle gli occhi grigi, adesso del colore dell'acciaio, mentre Kazama la fissava sorridendo sardonicamente.
  • Cosa state facendo?

  • [Statene fuori] – fu la risposta secca della ragazza, gli occhi incollati alla figura del biondo Oni.

  • Kazama? - intervenne Amagiri.

  • Ha scoperto che ho preso la Douji-giri Yasutsuna.

  • Cosa sarebbe? - si azzardò a chiedere Harada.

  • E' una spada con cui è possibile uccidere gli Oni. - rispose Kazama sogghignando – E quindi anche i Rasetsu. E quelli come te.

  • Gin? - intervenne Kyo.

  • [L'ha usata contro Hijikata. Voleva ucciderlo a seguito di quello che lui ritiene un affronto]

  • Mi ha umiliato!

  • [Ti ha sconfitto. E tu volevi ucciderlo per questo.]

  • Umiliando me ha gettato fango sul clan: voleva dimostrare quanto lui, piccolo insignificante Rasetsu... un'imitazione della nostra perfezione... potesse essere migliore di me.

  • [E lo è: Hijikata-san pensa prima di agire. Per lui sono più importanti ciò in cui crede e gli affetti]

  • Stupide romanticherie da donnicciola...

Uno sparo, un colpo mirato ai suoi piedi, che lo mancò di un soffio, sollevando una nuvoletta di polvere, gli impedì di concludere la frase.
  • [No. Questo è un forte senso dell'onore: lui agisce nel rispetto della Shinsengumi e dei suoi ideali. E protegge ciò che ha di più caro: i suoi amici, quelli che costituiscono la sua sola famiglia. Ed anche Chizuru] – disse secca, per poi aggiungere sarcasticamente – [O forse è proprio questo ad infastidirti?]

  • Tu, stupida femmina... - fu la risposta rabbiosa di Kazama, che si slanciò contro di lei deciso a colpirla.

L'ennesimo colpo di pistola sparato ai suoi piedi lo costrinse a fermarsi, e fu così che si rese conto che Gin era adesso alle sue spalle, la pistola puntata alla sua tempia.
  • [Usa di nuovo quella dannata katana e per te sarà la fine] – gli sibilò rabbiosa, per poi girargli attorno fino a trovarsi di fronte a lui – [Adesso sai che la prossima volta non sbaglierò].

Continuò a fissarlo con furia omicida per alcuni secondi, poi, abbassò l'arma e rivolse la propria attenzione a Harada, sostenendone lo sguardo stupito, mentre Amagiri disarmava Kazama e lo allontanava dal gruppo.
  • [Kyo... dobbiamo prepararci: è ora.]

  • Vengo anche io – intervenne Harada.

  • [No. Saresti solo un peso.]

  • Come hai detto, scusa? - le chiese incredulo, sogghignando.

  • [Non andiamo ad uccidere. Andiamo a salvare una vita. E tu non sai come dobbiamo muoverci, quindi saresti un peso] – gli disse uscendo dalla stanza, non senza una traccia di rossore sulle gote.

Harada la seguì dopo un attimo di smarrimento, entrando in camera di lei,.
  • Dannazione ragazzina – le gridò contro, afferrandola per un polso – in quella stanza ti è andata bene e lo sai anche tu. Quindi sulla base di quanto è accaduto la dentro non puoi trattarmi come un idiota. Voglio solo aiutarti. A maggior ragione se si tratta di salvare qualcuno.

  • [Allora resta al tempio. Per favore.] - gli chiese fissandolo negli occhi.

  • Perché? E dammi un motivo valido. Quella di prima era una scusa patetica. - le rispose, lasciando scivolare le dita lungo il suo polso, fino ad afferrarle la mano.

  • [Non voglio che tu mandi tutto all'aria.]

  • Non capisco...

  • [La persona che voglio salvare... è... è Okita... e tu sei impulsivo: non posso permettermi di vederti intervenire al momento sbagliato vanificando tutto quanto...] – gli rispose evitandone lo sguardo.

  • Mi stai prendendo in giro?! - le domandò, cercando di non dare peso al fatto che la persona da salvare fosse Souji Okita.

  • [No] – balbettò, sentendo montare chiaramente la rabbia dell'uomo.

  • Fammi capire... non sei in grado di difenderti.... con Kazama hai avuto solo un gran culo, e lo sai... come credi che possa...? - insisté Harada, in maniera sempre più pressante.

  • [P... perché fai così?]

  • Così come?

  • [Ti comporti come se...]

  • Come se...? – le chiese sollevandole il volto con due dita.

Gin lo fissò per un attimo, combattuta tra il volere leggere nelle sue parole qualcosa in più di quanto dicessero realmente e la volontà di tenerlo lontano da ciò che si accingevano a fare, in un ultimo tentativo di affermare la propria indipendenza dagli uomini, indipendenza che dopo quanto le era accaduto aveva cercato di costruirsi con estrema fatica.
La cosa che però la mosse a reagire come avrebbe fatto di lì a poco fu la paura di arrivare a dipendere troppo da Harada, di legarsi troppo a lui, ignorando o volendo ignorare che fosse ormai troppo tardi.
  • [Niente. Fatti gli affari tuoi...] - gli ripose, liberando la propria mano dalla stretta dell'uomo con uno strattone.

  • Sono affari miei...

  • [Ti sbagli, Shinsengumi: non lo sono. Ciò che faccio della mia vita e le motivazioni che mi muovono sono solo affar mio].

  • Permettimi di dissentire, principessa. Ciò in cui mi hai trasformato, l'isolamento a cui mi hai costretto ed in cui solo tu mi sei di compagnia... tutto questo fa si che io possa considerare gli affari tuoi come affari miei.

  • [Cazzate!] - gli rispose, allontanandosi da lui, decisa a mettere tra di loro quanta più distanza possibile.

Improvvisamente si ritrovò contro il muro, le mani di Harada strette attorno alle spalle, mentre gli occhi ambrati dell'uomo mandavano bagliori rabbiosi.
  • Non osare mai più rispondermi in questo modo, ragazzina.

  • [Spiacente per te, ma ho tutte le intenzioni di farlo ogni qualvolta mi aggrada: non ti devo niente]

  • Ti sbagli, dolcezza – le rispose sibilando – Mi hai sconvolto la vita: qualcosina me la devi... magari anche solo il rispetto che una ragazzina della tua età deve ad un adulto.

  • [Scordatelo, testone. Ti ho salvato la vita: sei tu quello a dovere qualcosa alla sottoscritta. E comunque...] - gli rispose protendendosi verso di lui, scontrandosi con il suo petto – [NON sei mio padre... NON sei mio fratello... NON sei il mio uomo. Quindi non hai alcun diritto...]

La sua voce interiore andò via via scemando mentre i suoi occhi grigi, carichi di astio, si scontravano con quelli ambrati dell'uomo, ridotti a due fessure.
Si studiarono per alcuni secondi, entrambi ansimanti per l'ira, i petti che si alzavano e abbassavano velocemente a causa della rabbia pronta ad esplodere in qualunque momento, sfiorandosi e rendendoli entrambi acutamente consapevoli della vicinanza dell'altro.
 

Fu Harada ad interrompere la guerra di sguardi.

  • Alla tua ultima obiezione posso porvi rimedio subito. - le sibilò in volto, mentre con una mano la teneva inchiodata al muro e con l'altra l'afferrava per la nuca, costringendola a sollevare la testa.

Prima ancora che riuscisse a realizzare cosa avesse intenzione di farle l'uomo, Gin si trovò schiacciata spalle alla parete, le braccia sollevate sopra la testa, i polsi stretti nella mano sinistra dell'uomo, la destra ad immobilizzarle la testa, trattenendola per i capelli, mentre la bocca di Harada calava a picco sulla sua, come un rapace sulla preda, forzandola ad aprire le labbra.
Dopo un momento di sorpresa, Gin prese a dibattersi con violenza, cercando di liberare i polsi da quella morsa dolorosa. Nel tentativo di fare leva, commise l'errore di inarcare il corpo verso quello dell'uomo, il quale le si strinse maggiormente contro.
 

La rabbia fu sostituita dal panico.

Harada percepì chiaramente il cambiamento, smettendo di forzarla a ricevere il bacio e prendendo a stuzzicarle le labbra con baci lievi e ravvicinati, quasi rassicuranti, mentre la presa che le bloccava le braccia si faceva più debole, senza tuttavia liberarla dalla mostra in cui le stringeva la testa.
Gin reagì al cambiamento di Harada con uno spintone, cercando di allontanarlo da sé, trovandosi invece stretta contro il corpo dell'uomo, un braccio a circondarle la vita, mentre le alitava sulle labbra parole rassicuranti.
  • Non voglio farti del male. Voglio solo che tu capisca.

  • [Lasciami...] - lo supplicò

  • Non posso farlo... - le rispose continuando a tormentarle le labbra, mentre il corpo di lei, stranamente, si rilassava contro quello di lui.

Le mani smisero di spingere contro le spalle dell'uomo, le labbra si ammorbidirono, le gambe si fecero molli. Fu costretta a sorreggersi ad Harada, che in quel momento lasciò scivolare la lingua nella bocca di Gin, iniziando a torturarla.
La giovane si irrigidì per la sorpresa.
  • Non ti farò del male. E' solo un bacio – gli sussurrò l'uomo a fior di labbra, interrompendo il bacio solo per il tempo necessario a pronunciare questa frase.

Non voleva spaventarla. Lo sentiva.
Voleva baciarla, cosa che voleva anche lei. Erano giorni che vi fantasticava sopra.

Voleva solo abbracciarla. Non riuscì ad impedirsi di far scivolare le mani, con cui prima aveva tentato di spingerlo via, attorno al collo, infilando le dita nei capelli castano ramati dell'uomo, il quale, a quel gesto, emise un gemito rauco.

Voleva stringerla a sé. Sentiva l'urgenza di tenerlo stretto, il desiderio di fondersi con quel corpo caldo e rassicurante che sapeva, ne era certa, l'avrebbe protetta da qualsiasi cosa, da chiunque, sempre e comunque.

Harada, nel sentire l'arrendevolezza della giovane, faticò e non poco, per mantenere quel minimo di autocontrollo necessario a non sdraiarsi con le sul tatami ed iniziare la danza più antica del mondo.

Fu con uno sforzo sovrumano che riuscì a porre fine al bacio, rifiutandosi però di lasciarla andare.

Continuò a stringerla a sé, posandole le testa sul capo, mentre inspirava rumorosamente per riacquistare la calma.
  • Gin...

Era stranamente silenziosa, sebbene con le braccia gli circondasse ancora il busto, le mani strette alla camicia.
  • Gin... hai capito adesso?

Per la ragazza fu come una doccia fredda.
Lo scostò da sé lentamente, il capo chino nel tentativo di celare all'uomo gli occhi pieni di lacrime.
  • Gin...?

  • [Hai vinto. Non sono in grado di difendermi. Puoi venire con noi] – gli disse stancamente, mentre a testa bassa fissava il tatami alle spalle di Harada.

  • [Prepara le tue cose: si parte tra un'ora] – aggiunse, aggirando l'uomo per afferrare la sacca lasciata in un angolo, sempre evitando di guardalo.

  • Gin, cosa...? - le chiese Harada, stupito da quello strano comportamento.

  • [Hai ottenuto ciò che volevi. Hai dimostrato che non sono in grado di difendermi; che contro la forza bruta entro nel panico. Hai vinto.]

  • No, io non... - Iniziò l'uomo, cercando di spiegarle il proprio gesto, di farle capire che aveva frainteso, che sì, era iniziato tutto come atto dimostrativo, ma che poi...

  • [Non aggiungere altro. Adesso lasciami sola, per favore. Devo finire di sistemare le mie cose] – gli rispose, dandogli le spalle, mentre le lacrime scendevano copiose.

L'uomo la guardò in silenzio per alcuni istanti, gli occhi fissi sulla schiena rigida, ora scossa da lievi singhiozzi silenziosi.
  • Ci vediamo dopo – le disse con rabbia, dandosi dello stupido e maledicendosi per la sconsideratezza di ciò che aveva fatto.

Non appena sentì chiudersi lo shoji, Gin si lasciò cadere a terra, dando libero sfogo al pianto.
***

Kyo ed Amagiri erano già in sella quando videro arrivare Harada a passo di carica, afferrare le redini e montare sul proprio cavallo, il tutto nel mutismo più assoluto. Solo gli occhi lasciavano intendere quanto fosse adirato.

Pochi minuti dopo Gin si unì a loro, evitando accuratamente di incrociare lo sguardo di Harada.
  • [Andiamo]

La giovane fece scattare il cavallo in avanti, partendo al galoppo, subito seguita dal fratello, non prima che questi lanciasse un'occhiata interrogativa all'umano, il quale rispose semplicemente sostenendo lo sguardo dell'altro.
  • Posso sapere cosa è accaduto tra di voi? - fu la voce di Amagiri ad interrompere il silenzio che regnava nelle retrovie.

Harada si voltò a guardarlo.
  • Ho... ho fatto l'ennesima cazzata... e temo di averla fatta grossa. - rispose seguendo con gli occhi l'esile figura che cavalcava dinanzi a loro.

  • Quindi sei arrabbiato con te stesso.

Non era una domanda.
  • Già...

  • Sta attento a Kazama. Nonostante quello a cui hai assistito poche ore fa, Kazama è molto affezionato a Gin. E' la sola persona da cui è disposto a farsi maltrattare.

  • Ne è innamorato... - lasciò la domanda in sospeso.

  • No. Lui non ha un buon carattere, lo avrai notato certamente. Ed è sempre stato così. E per questo viene isolato. Tutti quanti, da sempre, temono i suoi scatti di ira. Solo Gin non lo ha mai temuto. Sin da piccola. I bambini dell'età di Kazama lo evitavano, mentre la piccola Gin gli si attaccava alle gambe e lo seguiva ovunque. E' la sola che è riuscita a vedere il vero Kazama e lui non lo dimenticherà, così come le vorrà sempre bene. Più che ad una sorella.

  • Perché mi stai dicendo tutto ciò? - gli chiese Harada, incuriosito dalla prima lunga tirata del gigantesco Oni.

  • Perché voglio che tu capisca Kazama ed il perché ce l'ha con te. Non farla soffrire, Harada. Ha già sopportato molto... troppo. E Kazama si da la colpa per non essere stato lì nel momento in cui avrebbe avuto più bisogno di lui. E' disposto a tutto per lei. Anche a morire.

Con queste ultime parole, il silenzio tornò a regnare tra i due.

***

Erano in viaggio ormai da due giorni e Harada si malediceva sempre più per non essere stato in grado di rimediare al danno non appena lo aveva fatto.

Gin, infatti, continuava ad ignorarlo, evitandolo per quanto le fosse possibile. La sera precedente, quando si erano accampati per dormire, si era avvolta in una coperta dandogli le spalle con uno stringato “notte” lanciato in generale.
La cosa che lo preoccupava, però era il fatto che non avesse mangiato niente.

Perso nei propri pensieri si accorse solo all'ultimo che Gin aveva fermato il cavallo in prossimità di una radura. Quando la vide smontare, imitata dal fratello e da Amagiri, si decise a fare altrettanto, rimanendo poi a studiarla mentre afferrava la sacca e si infilava nel fitto degli alberi.

Erano tutti indolenziti dalla cavalcata, pertanto i tre attesero la ragazza sgranchendosi le gambe, camminando avanti ed indietro sul posto, nel silenzio più totale. Silenzio interrotto dal fruscio di una veste, cosa che costrinse Harada a voltarsi sorpreso.

Ciò che vide lo lasciò senza parole. Gin indossava un kimono dalle sfumature grigie come i suoi occhi, messi in risalto dai fili di seta color argento che illuminavano la stoffa della veste. I capelli erano morbidamente raccolti sopra il capo tramite un kanzashi in argento. Era uno spettacolo.

Senza neanche accorgersi di cosa stesse facendo, Harada le si avvicinò lentamente, mentre lei era intenta a riporre la sacca contenente, adesso, gli abiti maschili che si era tolta.
  • Sei bellissima... - fu il sussurro di Harada, che la costrinse a voltarsi sorpresa verso l'uomo.

L'unica reazione di Gin al commento fu arrossire, troppo stupita dall'atteggiamento dell'uomo che, nel frattempo, aveva sollevato una mano a sfiorarle una ciocca di capelli lasciati liberi dall'acconciatura.
  • [A... andiamo]

Kyo aiutò Gin a salire in sella, le gambe dallo stesso lato; poi montò a sua volta, imitato da Amagiri e Harada, quest'ultimo incantato dalla figura di Gin.
Proseguirono al passo per alcuni chilometri, mentre il sole iniziava a lasciare posto alla luna.
  • Perché? - chiese Harada ad Amagiri, riferendosi chiaramente al cambio di abiti di Gin.

  • Tre uomini ed una donna, facoltosa, danno meno nell'occhio di quattro uomini: nel primo caso i tre fungono da scorta, nel secondo caso sono quattro portatori di guai. Siamo in prossimità di un centro abitato e ci serviva un travestimento per evitare di dare nell'occhio. Comunque, a breve, vedrai.

  • Teniamoci pronti – intervenne Kyo.

Poco dopo incrociarono un gruppo di uomini armati che ignorarono bellamente i tre mentre rivolsero la propria attenzione alla nobile fanciulla che cavalcava tra di loro. Li lasciarono andare senza neanche chiedere niente, facendo sorridere Harada per la stupidità dimostrata.
Improvvisamente un clangore di spade attirò la loro attenzione. Nascosero i cavalli dietro alcune rocce, ponendosi in attesa, così come richiesto da Gin.
  • [Adesso. Altrimenti non avremo più tempo]

Il gruppo abbandonò il proprio nascondiglio. Mentre Kyo faceva da apripista ed Amagiri garantiva la copertura alle spalle, prese a correre verso la figura del ragazzo dagli occhi verdi, adesso rossi a causa della trasformazione in Rasetsu. Harada la seguiva da presso.
Gin riuscì a raggiungere Okita prima che crollasse a terra. Si sollevò velocemente una manica del kimono, mettendo a nudo il polso, per poi afferrare la mano di Okita, sciogliere il nastro con cui vi teneva legata la katana, afferrare quest'ultima e procurarsi un taglio da cui iniziò subito ad uscire del sangue.
  • Cosa state facendo? - le chiese il giovane moribondo, tornato umano, gli occhi nuovamente verdi sprofondati in quelli grigi di Gin.

Quest'ultima gli avvicinò il polso alle labbra, invitandolo a bere.
  • No... non potete... vi... ucciderei...

  • Bevi e non fare storie, Souji. - lo contraddisse una voce maschile.

  • Sa...Sano?! - chiese incerto il giovane, cercando di mettere a fuoco l'immagine del compagno.

  • Bevi, o sarà tardi...

  • Cosa...?

La debole protesta fu bloccata da Harada che afferrò il polso della giovane portandoselo alla bocca e succhiando il sangue che sgorgava da esso sotto lo sguardo incredulo dell'altro.
  • Lo bevi da te o vuoi che te lo faccia bere dalla mia bocca? Mi sembra di ricordare che ti piacciono solo le donne...

  • Ho capito... - fu la risposta di Okita, che si costrinse a prendere il polso esile della ragazza e a portarselo alle labbra, iniziando poi a succhiare.

Il colore tornava sulle guance di Okita, abbandonando quelle di Gin, gli occhi fissi in quelli del ragazzo che stava riacquistando la vita grazie al suo sangue.
  • Grazie... - furono le parole di Okita non appena si fu ripreso, mentre continuava a studiare la giovane bellezza che era al fianco del suo amico.

  • Sano... chi è lei?

  • Tempo al tempo, Souji. Adesso dobbiamo allontanarci da qui. - gli rispose l'altro, mentre Amagiri lo sollevava caricandoselo a spalle.

Harada abbassò lo sguardo sulla ragazza, la quale non accennava ad alzarsi.
  • Gin... tutto bene?

La ragazza gli rispose affermativamente con un lieve cenno del capo, mentre si alzava in piedi, ondeggiando pericolosamente.
  • Gin? - la chiamò di nuovo Harada, spaventato dal suo pallore mortale.

  • [Sto bene]

Queste furono le uniche due parole che la ragazza riusci a dire prima di accasciarsi contro il petto di Harada, che la prese prontamente.
  • Kyo!!! Gin!!!

Shiranui arrivò da lui in un baleno, controllando le condizioni della sorella.
  • Dobbiamo andarcene. Subito. E' molto debole ed ha bisogno di riposare. Sali a cavallo, poi ti aiuto ad issartela davanti. Okita viaggerà sul cavallo di Gin. Io andrò avanti in cerca di un buon posto dove dormire e preparerò un campo. Quando arriverete sarà tutto pronto.

  • Capito.

Pochi minuti dopo erano tutti in sella, Harada con Gin stretta tra le braccia, poggiata al suo petto, il volto di un colorito cinereo.

Gin, ti prego... resisti”



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Capitolo 6
*** CAPITOLO 5 ***


Anche gli Oni hanno sentimenti umani cap 6

L'aveva tenuta stretta a sé nel tentativo di scaldarla: al pallore mortale della pelle della giovane si era unito il freddo che ne attanagliava le membra, rendendola gelata.
Harada si dette dell'idiota; si riteneva responsabile di quanto le stava accadendo: se non l'avesse provocata, baciandola, non l'avrebbe ridotta in uno stato tale da renderla inappetente. E forse, allora...

Merda”

Era la sola parola che ripeteva da quando Kyo era partito in avanscoperta affidandogli la sorella.
Okita, da parte sua, nei momenti di lucidità che le ferite e la trasformazione in atto gli consentivano, si limitava a fissare la figura del compagno e della ragazza che teneva stretta, chiedendosi quanto Harada avesse compreso circa i suoi sentimenti per lei.
Fissò gli occhi verdi sul volto di Gin, domandandosi come quei due si fossero incontrati: gli era ormai chiara la natura della giovane e la naturalezza con cui Sano si era portato il polso sanguinante di lei alle labbra gli aveva palesato la nuova natura dell'uomo. Probabilmente stava morendo anche lui e quella divinità dagli occhi argentati che stringeva tra le braccia gli aveva restituito la vita. Ma perché? E perché anche a lui?
La cosa che lo stupiva maggiormente, però, era il fatto che Kyuujyu e Shiranui, che dalla somiglianza con la giovane doveva indubbiamente esserle fratello, avessero accettato di collaborare con la ragazza; perché era chiaro che tutto quel castello fosse stato montato dalla giovane.
Harada, sentendosi osservato, voltò lo sguardo verso Okita, inarcando lievemente un sopracciglio.

  • Tutto bene, Souji?

  • Affaticato, come se mi fosse passato sopra uno squadrone di fanteria, ma posso assicurarti che per la prima volta dopo mesi riesco a respirare a pieni polmoni. - rispose, lasciando la domanda in sospeso, sebbene avesse già una vaga idea della risposta.

  • E' il suo sangue Oni – fu infatti la risposta di Harada mentre spostava lo sguardo sul volto di Gin.

  • Può sanare le ferite, trasformandoci in qualcosa che sta a metà tra il Rasetsu e l'Oni – aggiunse dopo un attimo di silenzio.

Okita ne osservava l'espressione intensa mentre guardava la ragazza.

  • E' molto bella.

  • Lo è.

Poco dopo raggiunsero Kyo, che aveva trovato riparo presso un boschetto, dove aveva già acceso il fuoco e montato un riparo di fortuna. Amagiri aiutò Okita a smontare, mentre il moro Oni prendeva tra le braccia la sorella per consentire a Harada si smontare a sua volta.
Gin, ancora priva di conoscenza, venne adagiata su una coperta in prossimità del fuoco, affinché potesse riscaldarsi. Okita si sedette accanto a lei, invitando gli altri tre ad occuparsi di quanto le fosse necessario per riprendersi.

  • Resto io con lei. E' la sola cosa che posso fare. In caso di necessità vi chiamo.

  • Ok – fu la risposta di Kyo dopo aver soppesato l'altro per alcuni istanti.

Il ragazzo spostava lo sguardo dai tre alla ragazza e viceversa, riuscendo così a captare il lieve movimento delle ciglia della giovane.

  • Shiranui... si sta svegliando.

  • Come stai, piccola? - chiese l'Oni alla sorella subito dopo essere accorso al suo capezzale, stringendole lievemente la mano.

  • [Io... sono svenuta?] - chiese guardandosi attorno intontita.

  • Sì, Gin. No, non alzarti, rimani giù mentre noi pensiamo alla cena. Non appena è pronta ti porterò da mangiare.

  • [Grazie... Okita?]

  • E' accanto a te.

  • [Sta bene?]

  • Puoi vederlo tu stessa – invitandola a voltarsi.

Di tutto quello scambio, Okita aveva preso solo le frasi pronunciate dall'Oni, la qualcosa lo costrinse a sollevare gli occhi su Harada, indirizzandogli uno sguardo interrogativo.

  • Non parla... non come me e te... usa la voce interiore.

  • Mi stai dicendo che comunica con il pensiero? - gli chiese l'altro, scettico.

  • Solo con alcuni di noi.

  • E scommetto che tra quei pochi ci rientri anche tu... - fu l'intervento ironico di Okita.

  • Souji... vacci cauto. Non è come le donne a cui sei abituato.

  • Se per quello neanche Chizuru lo è... e anche tu non annoveri certe conoscenze femminili tra le donne che ti spupazzi...

  • Souji, piantala. Lei è diversa anche da Chizuru... - e Harada sperò con questo di chiudere quella bocca velenosa del compagno.

  • Scusa, ma non sono entrambe Oni?

  • Ci sono cosa che non ti è dato sapere – fu la risposta secca di Harada che annotava il cambiamento di espressioni sul volto della giovane mentre Souji sondava nella sua vita.

  • Capito. - fu la dichiarazione di Okita, avendo compreso che Harada stava proteggendo Gin da qualcosa.

Gin, da parte sua, studiava i due, stupendosi di quanto fossero caratterialmente simili ed al contempo totalmente diversi.
Harada era impulsivo, facile agli scatti d'ira ma anche estremamente protettivo: irradiava calore umano, proprio come lasciavano intuire quegli occhi ambrati, sempre accesi di bagliori dorati.
Okita, invece, le ricordava un serpente incantatore: i suoi meravigliosi occhi verdi avevano la capacità di ipnotizzare, ora deridendo, ora minacciando, ora provocando; ma erano limpidi come possono esserlo solo gli occhi delle persone affidabili ed oneste.
Fu distratta dall'arrivo di suo fratello con una ciotola piena di cibo: certo si era arrangiato con quel poco che si erano portati dietro e che avevano trovato in zona, ma la fame era talmente tanta che avrebbero mangiato tutti anche delle bacche selvatiche.
Finito di pasteggiare, i due Oni si apprestarono a risistemare il tutto, mentre Harada continuava a sostenere Gin che aveva costretto a poggiare la propria schiena al suo petto per tutta la durata del pasto, sotto lo sguardo sornione di Okita, la qualcosa aveva imbarazzato e non poco la ragazza.
Un'ora dopo, erano pronti a dormire: avrebbero fatto dei turni di guardia che consentissero il riposo di tutti, esonerando ovviamente Gin ed Okita, che aveva bisogno di recuperare ancora tutte le forze.
Il primo turno di guardia lo copriva Amagiri, a cui sarebbero subentrati nell'ordine Kyo e Harada. I due Oni avevano deciso quest'ordine perché l'umano si era trovato immobilizzato dal corpo di Gin, addormentatasi contro di lui.

  • Perché non dormi, Kyo? Ne hai bisogno anche tu...

  • Non lo so... c'è qualcosa che non mi lascia dormire... - rispose il moro alla domanda di Amagiri mentre teneva lo sguardo puntato sulla figura dei due, abbracciati nel sonno.

  • Sei preoccupato per lei.

Il silenzio di Kyo fu una risposta più che eloquente.

  • Non credo Harada la farà soffrire. E' palese che le sia affezionato.

  • A noi. Ma lui lo ha compreso? E comunque non è questo a preoccuparmi.

  • Mh?

  • E' la sua salute. Ogni volta che salva un umano... si indebolisce sempre più. Stavolta è andata abbastanza bene perché Okita era già un Rasetsu, già trasformato per metà, sebbene le sia comunque costato un po' più di sangue lo stato di salute in cui lui versava.

  • Ma si sta riprendendo più rapidamente di quanto non abbia fatto la volta scorsa.

  • Mph... credi non sappia che ogni notte andava da lui con la scusa di controllare che stesse bene al solo scopo di fargli bere altro sangue?

  • Lo sapevi... perché non glielo hai impedito? Se lo avesse scoperto Kazama...

  • Lo sapeva anche lui. - fu l'ammissione di Kyo, che colse di sorpresa l'altro.

  • Come...?

  • ...è possibile che non abbia fatto e detto niente? Lo sai benissimo anche tu che si ritiene responsabile di quanto le è accaduto. Esattamente come me. Ma io la mia buona dose di responsabilità ce l'ho... e non me ne pentirò mai abbastanza... - fu la tirata disperata del moro, mentre si passava stancamente una mano sugli occhi.

  • Cosa...?

  • Avrei dovuto ascoltarlo, ascoltare Kazama. Sen Hime... lei lo aveva avvisato che la nostra politica di alleanze avrebbe dato il via a qualcosa di incontrollabile e che i nostri nemici non avrebbero esitato dinanzi a niente. Lei lo aveva detto a Kazama e lui lo aveva detto a me... Ed io non gli ho dato il peso che avrei dovuto – un singhiozzo interruppe la confessione dell'uomo.

  • Kazama... era preoccupato per Gin... aveva la sensazione che la seguissero da giorni, ma non era riuscito a provare niente. Avrei dovuto fidarmi del suo istinto.

  • Vuoi dire...

  • Lo stupro di Gin... è stato deciso freddamente, a tavolino. E' stata una mossa politica. Io... ho perduto mia sorella per una guerra che neanche volevo combattere.

Il silenzio scese sui due, ignari di due paia di occhi, verde e dorati, che li scrutavano in silenzio e che si scambiarono uno sguardo d'intesa.

  • E'... è per questo che non posso dirle di no, che non posso impedirle di percorrere la strada che si è scelta. Però... temo che la cosa non avrà un lieto fine. Pensavo che si sarebbe limitata a salvare Harada... invece è decisa a trasformarli tutti. E la cosa mi preoccupa moltissimo: se dopo solo due trasformazioni è così debole... cosa accadrà una volta trasformati tutti gli altri? - Kyo fece una pausa, guardando Amagiri negli occhi.

  • Ha detto che... in questo modo la sua vita sarà valsa a qualcosa... ed il modo in cui lo ha detto non mi è piaciuto: sembravano le parole di un condannato a morte. - fu la conclusione strozzata dell'Oni, ignaro del brivido gelido che attraversò il corpo di Harada, che accentuò la stretta attorno al corpo di Gin, mentre con gli occhi sondava il volto di Okita, in cerca di una qualche rassicurazione che non avrebbe potuto dargli. Né lui né nessun altro.

***

Harada si svegliò intorpidito, realizzando immediatamente che i due Oni non lo avevano svegliato. Si massagggiò l'attaccatura del naso con frustrazione, salvo poi abbassare gli occhi sul dolce peso che gli gravava sul petto, perdendosi in un volto bellissimo rilassato nel sonno, le lunghe ciglia nero violaceo a nascondere due occhi argentati.

  • Non volevano svegliarla – fu il commento di Okita, la voce roca per il sonno.

Harada si limitò a guardarlo senza dire alcunché. Si spostò lievemente, sistemandosi meglio il peso della ragazza sul corpo, in modo da dare un minimo di sollievo alle membra appesantite, portando suo malgrado la ragazza a svegliarsi.
Fu così che Gin realizzò di avere la testa posata su un cucino troppo duro per essere quello della sua stanza... e troppo caldo. Sbatté le palpebre rapidamente, senza aprirle, mentre registrava il peso che le circondava la vita, riconoscendovi immediatamente un braccio.
Spalancò gli occhi per la sorpresa, cercando di tirarsi su, seduta, senza riuscirvi: il peso che le circondava i fianchi la teneva ferma, impedendole ogni movimento, costringendola ad alzare la testa non appena realizzò che il cuscino su cui poggiava il capo si alzava ed abbassava, seguendo il movimento della respirazione, il cui ritmo era scandito dal battito di un cuore.
Arrossì improvvisamente, sotto lo sguardo intenso di un paio di occhi ambrati e quello sornione, tipico del gatto che sta per mangiarsi il topo, di due occhi verdi.
In preda all'imbarazzo, ormai di dimensioni titaniche, dato che si era trovata schiacciata contro Harada, bloccata dalle sue braccia contro il busto, le gambe intrecciate, non le restò che nascondere il volto contro il petto dell'uomo che, compresa la difficoltà in cui versava, prese a carezzarle i capelli con delicatezza.

  • Stai meglio?

Gin si limitò a muovere la testa in cenno di assenso.

  • Bene – fu la breve risposta, il cui tono lasciava intuire una sensazione di sollievo per le condizioni della giovane.

  • [Sano... dobbiamo andare...]

  • Come vuoi - fu la risposta di Harada, che si decise a lasciarla libera di muoversi solo dopo alcuni minuti, durante i quali assaporò il piacere di stringerla come mai aveva fatto prima.

***

Quando raggiunsero la base, Gin smontò velocemente da cavallo per rifugiarsi nella propria stanza, lasciando gli altri a sistemare le cavalcature, incluso Harada, con cui Kyo l'aveva costretta a fare tutto il viaggio.
Okita aveva immediatamente incrociato lo sguardo con Kazama, il quale si era limitato a fissarlo con aria minacciosa per alcuni istanti, andando poi a dedicarsi ad Harada, rendendolo depositario di un'occhiata assassina.

  • Sano... non è che gliela hai soffiata?

  • Piantala, Souji. Hai sentito anche tu cosa le è accaduto...

  • Ma questo non significa che non la ami...

  • Non è come credi.

  • Forse...

  • Comunque – riprese Okita dopo un attimo di silenzio – tra i due litiganti, il terzo gode...

Lo sguardo infuocato e al contempo gelido che gli indirizzò Harada, costrinse Okita al riso.

  • Ehi, non è che sei geloso?

  • E di chi, di grazia? - fu la risposta sibilata dal rosso.

  • Beh... potrei sempre decidere di darmi da fare...

  • Provaci e ti spacco la faccia – fu la risposta rabbiosa dell'altro mentre lo afferrava per il collo della camicia, strattonandolo.

Okita si limitò a fissarlo con un sorriso sornione, lievemente sghembo, mentre con le mani lo afferrava per i polsi costringendolo a mollare la presa.

  • Ho infilato il dito nella piaga, Ha-ra-da-San? - lo stuzzicò, ricevendone in cambio un'occhiata basita.

***

Trascorsero due giorni di una strana calma apparente, in cui Kazama si sentiva soffocare da quella strana immobilità che precedeva sempre una disgrazia, la quiete prima della tempesta.
E quando la tempesta, nella figura di un gruppo di uomini armati della fazione loro avversaria, fece irruzione nel tempio, non li colse così impreparati: avevano già allontanato donne e bambini.
Certo è che non avrebbero mai pensato che il loro obiettivo fosse ancora una volta Gin.
Harada e Souji la videro combattere senza tregua, revolver alla mano, mentre sparava con estrema precisione contro quei... Rasetsu?!
La rabbia di Harada esplose improvvisa quando la vide sbattuta a terra, presa a calci e caricata in spalle ad uno di loro, il tutto mentre combatteva strenuamente per avvicinarsi a lei e trarla in salvo.
Stavano per essere schiacciati dalla supremazia numerica del nemico.
Gin, nel frattempo, riuscì ad afferrare per il collo il Rasetsu che la teneva bloccata sulle proprie spalle, arrivando a tagliargli la giugulare con il wakizashi.
Pochi istanti dopo iniziò a correre come una pazza in direzione di Harada, spinta da quell'immagine che fino a pochi attimi prima le riempiva la mente – Sano a terra, ferito gravemente da un colpo di fucile armato di munizioni in argento - e da quelle voci che la tormentavano ormai da mesi – Urla, grida quanto vuoi... non ti sentirà nessuno... neanche lui accorrerà da te... sei sola... nessuno ti sentirà... stavolta lo Shinsengumi non arriverà a salvarti.
Lei voleva gridare, proprio come aveva fatto allora. Ma allora nessuno la sentiva. Nessuno era venuto a salvarla.

  • [Harada!]

Ma la voce non gli arrivava.

  • [Harada!]

Non ti sentirà.

  • [Harada!]

Morirà.

  • NO!!!!!!!!!!!!!! SANOOOO!!!

Fu l'urlo di Gin che squarciò il silenzio innaturale che l'aveva accompagnata per oltre un anno, mentre si gettava contro l'uomo, inarcandosi sotto il colpo di pistola, gli occhi spalancati per la sorpresa, mentre lo guardava mutare espressione, gli occhi dorati accendersi di dolore e preoccupazione, e un gridò terribile richiamava sui due l'attenzione di tutti; gli occhi argentati sorridere a quelli dorati, il corpo della giovane terminare la propria corsa contro quello dell'uomo, mentre il sangue le sgorgava copioso dalla ferita alla schiena.

- Sei salvo... per fortuna... Mi spiace solo... gli altri...– furono le parole sussurrate con sollievo, mentre il mondo di Gin si faceva nero, sotto le sue ciglia folte, accompagnato dall'urlo accorato di Harada, che continuava a pronunciarne il nome, senza ottenere risposta.

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Capitolo 7
*** CAPITOLO 6 ***


Erano trascorsi tre giorni dall'assalto al tempio, conclusosi con la decimazione delle file dei Rasetsu.

Kazama e Amagiri, infatti, subito dopo il ferimento di Gin non avevano tardato a trasformarsi, seguiti a ruota da Souji e Sano, quest'ultimo spinto dalla rabbia che lo aveva accecato nel momento in cui aveva stretto a sé il corpo esanime della ragazza.

Kyo aveva condotto Sano, ancora con Gin tra le braccia, in un posto sicuro, dove aveva prestato le prime cure alla sorella, mentre Kazama aveva condotto la controffensiva, scagliandosi contro il nemico con una violenza inaudita: avevano osato ancora una volta prendere di mira Gin, la sola persona veramente importante nella sua vita.

Il tempio era adesso nuovamente in sicurezza, tanto che donne e bambini erano stati fatti rientrare.

Tutto era tornato alla normalità. O quasi.

Tre giorni.

Gin non si era ancora svegliata.

Sano non aveva ancora chiuso occhio.

L'uomo era rimasto accanto alla giovane, affiancato da Kyo che aveva ormai rinunciato a dirgli di andare a dormire. Le asciugava la fronte imperlata di sudore; la teneva ferma quando il dolore alla ferita le provocava le convulsioni; le cambiava la fasciatura, medicandola con estrema delicatezza, rispettandone l'intimità, non soffermando lo sguardo sul seno nudo della giovane; la rassicurava quando delirava; ne raffreddava la temperatura con impacchi freddi; ne scaldava il corpo, stringendosela delicatamente contro, quando era gelata e tremava per il freddo.

Souji aveva più volte cercato di farlo uscire dalla stanza della giovane ma c'era riuscito solo quel giorno, con un' argomentazione inoppugnabile.

  • Sano... quando si sveglierà, quale sarà la prima cosa che farai?

L'altro si limitò a guardarlo con occhi stanchi, iniettati di sangue, l'aria di chi sembra tentare di comprendere una frase pronunciata in una lingua straniera.

  • Sano... tu la ami, vero?

Quella domanda retorica ebbe la capacità di farlo tornare in sé.

  • Io... Non lo so. So... so solo che non sopporto vederla così. Lo ha fatto per salvarmi ed io... adesso...

Il singhiozzo che ne interruppe la frase lo costrinse a passarsi una mano sugli occhi, nel tentativo di celare le lacrime.

  • Però... quando si sveglierà... la prima cosa che farai sarà stringerla a te...

Sano lo guardò stupito della perspicacia del compagno.

  • Sano... vuoi farle perdere nuovamente conoscenza?

Sano guardò Souji senza comprendere il significato delle sue parole.

  • Sano... ti vuole bene. Ha fatto quello che ha fatto per salvarti la vita. Come credi si sentirà vedendoti nelle condizioni in cui versi ora? Fatti un bagno ed una bella dormita, altrimenti la farai preoccupare per niente.

L' uomo guardo Okita indeciso.

  • Il bagno... dormire no... potrebbe svegliarsi mentre...

  • Ho capito... allora vada solo per il bagno... resto io con lei. Non preoccuparti, so quanto tieni a lei. Me ne occuperò come se fosse mia sorella.

L'altro si alzò stancamente, per poi proseguire fino allo shoji.

  • Grazie, Souji. - gli disse, in un mormorio timido, prima di chiudersi la porta scorrevole dietro le spalle.

  • Prego, Sano. - rispose in un sussurro inudibile Souji, scostando i capelli dalla fronte della ragazza.

***

Alcuni minuti dopo aver lasciato la stanza di Gin, Harada, le braccia cariche di abiti puliti e dell'occorrente per sbarbarsi, si stava recando alla pozza termale, deciso a seguire il consiglio di Okita, senza riuscire a smettere di pensare alle parole di quest'ultimo.

Cosa provava per Gin?

Questo era l'interrogativo che gli martellava la mente.

Non sapeva darsi una risposta.

La trovava molto bella, ne era attratto, le si era affezionato, ma di lì all'amarla...

Doveva però ammettere che impedirsi di toccarla stava divenendo sempre più difficile e che ciò che lo univa a lei non era classificabile come amicizia: era amico di Souji e degli altri, ancor più di costoro lo era di Shinpachi. Ma ogni volta che era con il suo migliore amico non veniva afferrato dal desiderio di proteggerlo da tutti i mali del mondo, od almeno non come gli accadeva per quella ragazzina. Probabilmente era proprio per questo motivo: era una ragazzina, esattamente come Chizuru ed esattamente come questa gli stimolava il senso di protezione. Ma Chizuru gli smuoveva solo quello. Ragazzina o no, se durante quel bacio non si fosse controllato, lui e Gin avrebbero fatto l'amore.

Cercò di schiarirsi le idee immergendosi, per poi riemergere rabbiosamente, maledicendo Souji per quel tarlo assurdo che gli aveva messo in testa.

Terminò di rendersi presentabile e una volta indossato uno yukata, si recò di gran carriera nella stanza di Gin, tentando di ignorare quella domanda di Souji che lo tormentava da quando l'aveva pronunciata.

Sano, tu la ami, vero?”

***

Si sentiva sprofondare, con la sensazione di essere tenuta sospesa nel vuoto da un cavo che le attraversava il corpo, trapassandole la spalla da parte a parte, proprio sopra il petto.

Il dolore era insopportabile, tanto che si sentiva scossa da brividi di freddo e ardere da vampate di calore improvviso. Ad intervalli regolari sentiva su di sé delle mani gentili che davano sollievo al suo dolore, con gesti calmi e misurati, accompagnati da una voce tormentata che non le permetteva di lasciarsi andare al sonno.

Quanto avrebbe voluto dormire...

Quando gelava e quando bruciava... voleva dormire.

Ma c'era qualcosa che le impediva di lasciarsi andare.

Un pensiero costante, la consapevolezza di non aver portato a termine il proprio compito.

Solo allora avrebbe avuto tutto il tempo per lasciarsi andare. E sapeva che allora non ci sarebbe stato quel corpo solido e caldo ad allontanare il gelo dalle sue membra.

Sapeva che era lui ed inconsciamente lo aveva cercato per tutto il tempo, lo aveva chiamato, ma la voce interiore non funzionava e sebbene fosse certa di aver gridato il suo nome a squarciagola, anche le parole non uscivano dalla bocca, troppo pesanti per essere mosse, come imbavagliate strettamente.

Voleva resistere, doveva farlo... ma lasciarsi andare era così facile, così liberatorio!

  • Non lasciarmi... ragazzina te ne prego... svegliati. Fammi vedere i tuoi magnifici occhi d'argento...

Era lui. Ed era cambiato qualcosa.

Il volto che le sfiorava la mano non era più ispido.

Voleva vederlo.

Doveva vederlo.

Ne aveva bisogno. Solo così avrebbe potuto finire ciò che aveva iniziato. Se avesse aperto gli occhi e si fosse lasciata andare in quelle pozze dorate, si sarebbe ripresa, lo sapeva. Ne era certa.

***

Sano stringeva la mano di Gin tra le proprie, le labbra posate sopra le sue nocche, in una muta preghiera, in un bacio di speranza.

La contrazione delle dita gli fece sollevare gli occhi sul volto della giovane, assistendo a quello che per lui era un miracolo.

Le palpebre di Gin vibrarono leggermente, mentre una smorfia ne arricciava il nasino.

  • Gin... - fu il sussurro dell'uomo, tra l'incredulo e lo speranzoso.

I movimenti delle palpebre si fecero più concitati, fino a sollevarsi a fatica, mentre le dita stringevano la mano dell'uomo.

  • S.. a... no – fu il mormorio indistinto di Gin, che improvvisamente si trovò schiacciata al futon dal corpo di Harada, mentre il viso le veniva bagnato dalle lacrime dell'uomo.

  • Sei viva...

  • ...qua.... acqua....

Sano si sollevò da lei, versando velocemente dell'acqua in una coppa, in cui intinse un angolo di una pezza che andò a strizzare contro le labbra della giovane, che prese a leccare quelle gocce con estrema fatica.

L'uomo, allora, prese l'acqua nella propria bocca per poi far bere la ragazza in quel modo.

  • Grazie... - fu la parola stentata di Gin, mentre con gli occhi ancora lucidi per la febbre, fissava Sano, sollevando lievemente una mano a carezzargli il volto.

L'uomo si stupì della reazione che quel gesto gli aveva scatenato a livello inconscio: le aveva afferrato la mano, stringendosela alla guancia, per poi baciarne il palmo.

  • Grazie a te. Ti devo la vita.

  • Hai... hai ripagato il … tuo debito... - fu la risposta della giovane, che chiuse nuovamente gli occhi sprofondando nel primo vero sonno ristoratore dacché era stata ferita.

Sano la osservò per alcuni istanti, sentendo il cuore farglisi più leggero, per poi uscire dalla stanza, ma non prima di averle sfiorato le labbra con le proprie.

Probabilmente Souji ha ragione”

***

  • Che intenzioni hai, Harada?

La voce di Kazama lo colse di sorpresa appena fuori dalla stanza di Gin.

  • A cosa ti riferisci?

  • Con Gin... quali sono le tue intenzioni?

  • Non... non capisco

  • Ne sei innamorato?

  • Onestamente... non lo so... - fu la risposa di Sano, mentre distoglieva lo sguardo da quello di Kazama per riportarlo sullo shoji che aveva appena chiuso.

  • So solo che le voglio bene.... che voglio che viva e che per questo sarei disposto a morire. - aggiunse poi, sfidando l'Oni con gli occhi.

Kazama ne sostenne lo sguardo per alcuni interminabili secondi, abbandonandosi poi ad un'azione che Sano mai si sarebbe aspettato: gli mise una mano sulla spalla, stringendola lievemente, in segno di approvazione.

  • Tanto mi basta. Stalle accanto. Ha bisogno di te. - e senza aggiungere altro, si allontanò lasciando Sano confuso e sollevato al contempo, tanto che gli furono necessari alcuni minuti per riprendersi dalla sorpresa.

Si recò quindi nella sala grande, certo di trovarvi Kyo.

  • Shiranui... si è svegliata...

L'Oni lo abbracciò, mentre lacrime silenziose gli bagnavano il volto.

  • Come sta?

  • Si è assopita – fu la risposta stanca di Harada.

  • Adesso ha solo bisogno di dormire – fu il commento di Amagiri – Ed anche tu, Harada. Fatti una sana dormita

  • Quando si sveglia verrò a chiamarti – aggiunse Souji, dandogli una pacca sulla schiena.

  • Sì... avete ragione...

***

Una settimana dopo la quiete del tempio fu spezzata dalle grida di Harada e Kyo contro Gin.

  • Non puoi rischiare. Sei sempre debole! -

  • Dannazione, Kyo! Sto bene!!!

  • Piantala di sparare cazzate, principessa. Ti reggi a malapena in piedi.

  • Sano, fatti gli affari tuoi!

  • Lo sono, maledizione! Chi credi ti abbia accudita mentre deliravi in preda alla febbre? Chi pensi ti abbia medicato? Non ho chiuso occhio per tre giorni di seguito!!!

  • Nessuno te lo ha chiesto!!! Io non te lo ho chiesto!!! Lo hai deciso da solo, per cui non rinfacciarmelo!!! - fu la risposta rabbiosa della ragazza mentre lo spintonava lontano dalla porta da cui voleva uscire.

Lo schiaffo risuonò all'improvviso. Gin si portò una mano alla guancia, stupita per la reazione di Sano, di cui incontrò gli occhi pieni di rabbia repressa a stento.

  • Sei una stupida. Ci hai fatto preoccupare tutti quanti. Ed io mi sentivo e mi sento ancora responsabile per quello che ti è accaduto. E' per questo che mi sono dannato l'anima per starti accanto. Se non vuoi che mi comporti in questo modo ancora una volta, evita di salvarmi nuovamente la vita!

  • Non... posso...

  • Cosa non puoi? - le gridò contro Sano, mentre Souji lo bloccava tenendogli una mano sulla spalla.

  • Non posso lasciarti morire... non posso fermarmi adesso... non... mi rimane... molto tempo – fu la risposta di Gin, la testa bassa, ad evitare lo sguardo di tutti i presenti nella stanza.

    La presa di Souji sulla spalla di Sano si fece più forte, mentre quest'ultimo combatteva con l'impulso di sfasciare la prima cosa che gli fosse capitata a tiro.

  • Chi è il prossimo?

    Gin incrociò stupita lo sguardo di Souji, la cui espressione era risoluta come non mai.

  • Nagakura... ho... ho pensato che essendo ancora umano... potrei trasformarlo prima che rimanga ferito... in questo modo avrà bisogno di una quantità inferiore di sangue...

  • Capisco... in questo modo ti indebolirai meno...

  • Sì...

  • Bene. Vado a cercarlo e lo porterò da te. Sano, tu vieni con me.

  • Souji! Ma sei impazzito?! Sai cosa rischia...

  • Rischiamo? - lo interruppe Souji, stravolgendo il senso della frase dell'altro.

  • Un bel pugno in faccia. In pieno stile Nagakura. - fu la risposta dell'altro, il volto illuminato da un ghigno divertito.

    ***

    La fitta rete di informatori Oni era molto efficiente: due giorni dopo la decisione di andare a recuperare Shinpachi, era già noto dove si trovasse.
    Avevano già fatto tutti i preparativi per la partenza e Sano si era trovato talmente tanto impegnato da non riuscire a parlare con Gin neanche una volta. E questo anche grazie al fatto che la ragazza sembrava evitarlo.
    Ormai rassegnato a chiederle scusa per lo schiaffo che le aveva dato una volta rientrato al tempio con Shinpachi, aveva deciso di farsi un buon bagno caldo alle terme, anche per liberarsi della tensione accumulata in quegli ultimi giorni.
    Era talmente perso nei suoi pensieri che solo all'ultimo, quando ormai era completamente svestito, si accorse della figura di spalle, immersa nell'acqua fino alla vita.
    I lucenti capelli neri-violacei le aderivano alla schiena come un manto setoso.
    La coscienza gli gridò di andarsene da lì il più velocemente possibile, prima che l'istinto lo inducesse a fare qualcosa di cui si sarebbe pentito.

    Sano... la ami?”

  • Accidenti a te, Souji! - mormorò, mordendosi l'interno del labbro inferiore, mentre la sua attenzione veniva catturata dal rumore dell'acqua smossa, ritrovandosi a fissare la schiena nuda di Gin, che aveva spostato i capelli su una spalla.

    Sano si trovò a deglutire rumorosamente, realizzando di essere entrato in acqua con solo un telo attorno ai fianchi, nel momento in cui i suoi occhi furono catturati dalla cicatrice lasciata su quel corpo, altrimenti perfetto, dal colpo di pistola destinato a lui.

    Continuò ad avanzare lentamente, sino a trovarsi immerso fino ai fianchi, gli occhi che vagavano sulla figura di spalle.

    Gin si accorse solo all'ultimo della presenza dietro di lui, intuendo immediatamente di chi si trattasse.

  • S...Sano?! - mormorò, incrociando le braccia al petto per voltarsi verso l'uomo.

  • Scusami... non volevo spaventarti.

    Gin si ritrovò a fissargli il petto, facendo scivolare lo sguardo verso il basso, lungo gli addominali scolpiti, un tempo attraversati da una vecchia cicatrice risanata dal suo stesso sangue.

    Quando si chiese cosa nascondesse Sano sotto il pelo dell'acqua, arrossì violentemente, distogliendo lo sguardo dal corpo dell'uomo, di cui aveva ammirato la figura fin sotto all'ombelico, da cui si dipartiva una scia sottile di peluria scura.

  • Meglio... meglio che vada – biascicò Gin, sotto lo sguardo intenso di dell'uomo, senza accennare a mettere in pratica quanto affermato.

    Sussultò quando la mano dell'uomo le sfiorò una ciocca di capelli bagnati, facendosela scivolare tra le dita, che ripresero la propria corsa verso la cicatrice lasciata dal proiettile in uscita, proprio al di sopra del seno destro.

  • Sa..no?! - mormorò Gin.

  • Scusa... non riesco a capire cosa mi sia preso – le rispose, fissandola negli occhi mentre avanzava di un altro passo, avvicinandolesi tanto da sentirne il calore del corpo a distanza.

  • No... non è vero... lo so benissimo. - aggiunse, passandole le mani tra i capelli dietro la nuca ed attirandola dolcemente a sé.

    Gin pur sapendo cosa stesse per accadere, non era spaventata. Sapeva che Sano le avrebbe permesso di andarsene in qualsiasi momento, che non l'avrebbe costretta ad accettare certe “attenzioni” e che si sarebbe fermato ad un suo semplice NO.

    Ma si chiese se era quello che voleva.

    Sentì le mani dell'uomo tremare mentre si spostavano per stringerle delicatamente le spalle.

    Si trovò schiacciata contro di lui, le braccia, ancora sollevate a coprire il seno, imprigionate tra i loro corpi.

  • Posso tenerti così per un po'...?

    Gin gli rispose semplicemente facendo un cenno affermativo con la testa.

  • Sei bellissima... - le sussurrò all'orecchio, facendo seguire a queste parole una scia di baci lievi sul collo e l'attaccatura delle spalle. Sano interruppe quella dolce tortura solo per un attimo, il tempo necessario ad abbassare la testa, poggiare il volto contro le braccia della ragazza e, con le labbra, riuscire a sfiorare la cicatrice sul petto.

  • E' colpa mia...

  • Guarirà...

  • Gin... - la domanda rimase in sospeso ma Gin la recepì chiaramente.

    Sostenne lo sguardo dell'uomo con calma, consapevole di ciò a cui sarebbero andati incontro.

    Sano emise un sospiro tremulo, mentre infilava nuovamente le dita tra i capelli di lei, per poi calare lentamente il volto su quello della ragazza. Le sfiorò le labbra con una lentezza esasperante, stando attento ad ogni minimo mutamento, ad ogni sua minima reazione. E si sorprese quando sentì le braccia di Gin scivolare verso l'alto, intorno al proprio collo, il seno ormai scoperto a premergli contro il torace, mentre rispondeva al bacio con incertezza.

    Sentì le braccia di Sano serrarsi attorno al suo corpo, schiacciandola contro di sé, mentre il bacio si faceva più esigente, più profondo.

    Fu con uno sforzo sovrumano che si staccò da lei, stupendosi del mugolio di protesta che uscì dalla bocca della giovane, che gli tirò i capelli sulla nuca, costringendolo ad abbassare nuovamente la testa, il tutto mentre lo fissava negli occhi.

  • Gin... dobbiamo smetterla, altrimenti... - le disse opponendole resistenza, mentre ansimavano entrambi.

    Gin arrossì vistosamente, per poi distogliere lo sguardo dal suo e sprofondargli il volto contro il petto.

  • Eltmn a ne – gli mormorò contro.

  • Non... non ho capito...

  • Eltmnt a ene – ripeté, mentre le sue mani scivolavano sul torace dell'uomo.

  • Gin... se parli così, io non...

  • Va bene – disse allora con un filo di voce, staccando il volto dal petto dell'uomo – Altrimenti... va... bene...

Sano rimase interdetto per un attimo, fino a che non realizzò pienamente il significato di quelle parole, trovandosi allora a trattenere il respiro, mentre incredulo fissava la testa della ragazza.

  • Gin?!

  • Se sei tu... va bene...

Sano la scostò da sé quanto bastava per scrutarne il volto, adesso rivolto verso il basso.

Gin sarebbe voluta sprofondare, ed il silenzio e l'immobilità dell'uomo la gettarono nel panico.

  • Scusa... io... fa finta... fa finta che non abbia detto niente... - gli disse scostandosi ancora da lui e dandogli le spalle – Niente – sussurrò ancora, prima di accennare a muoversi con l'intento evidente di uscire dall'acqua.

  • No. - fu la sola reazione di Sano, mentre l'afferrava per la vita, attirandosela contro, abbracciandola da dietro.

  • Non posso fare finta di niente. Non in questo caso. E comunque – concluse, voltandola verso di sé – non voglio.

Il bacio colse Gin di sorpresa, costringendola a sostenersi a lui per evitare di cadere.

Sentiva le mani di Sano sulle spalle, la schiena, mentre con la lingua le torturava le labbra.

    Gin prese a rispondere a quel bacio, che si stava facendo sempre più sensuale, mentre la respirazione di entrambi si faceva affannosa.

    Gli si strinse contro, in preda al bisogno di sentirsi sempre più vicina a lui, di fondersi con lui.

La bocca dell'uomo iniziò a lasciarle una scia di baci, sul mento, la mandibola, il collo, proseguendo sempre più giù, fino a sfiorarne il seno, facendola sussultare.

Il ricordo di un'altra bocca, che mordeva, e di mani che stracciavano le vesti la fecero irrigidire, cosa che Sano notò immediatamente.

  • Gin... se non vuoi...

  • Voglio – rispose con voce tremante – è stato solo un momento – aggiunse, stringendosi a lui e facendosi silenziosa.

  • Gin, dico davvero...

  • Sano... perché vuoi...?

  • Perché non dovrei volerlo? – fu la risposta.

  • Per... quello... quello che mi è successo...

  • Non lo hai chiesto tu. Sei la vittima della situazione. Non sei sporca ed hai tanto da offrire.

  • Ma io...

  • Taci – e le tappò la bocca con l'ennesimo bacio.

    E stavolta, a meno che non glielo avesse chiesto apertamente, non si sarebbe fermato.

    Riprese a carezzarla con calma e gentilezza, beandosi al sentirla abbandonarsi al tocco delle sue mani, fidandosi di lui totalmente ed incondizionatamente.

    Quello era il più bel regalo che potesse fargli: sé stessa.

    E Sano lo accettò ricambiando con tutto l'amore di cui un rude guerriero poteva essere capace.

    Gin fu sopraffatta dalla dolcezza dell'uomo, che la carezzava come se fosse un fragile cristallo prezioso, che la baciava con adorazione.

    E si sentì amata.

    Probabilmente ciò che provava Sano per lei non era amore, si disse, ma indubbiamente la faceva sentire come se lo fosse. Ed a lei bastava. Ciò che provava per lui sarebbe bastato per entrambi.

    Ma non sapeva che Sano aveva ormai trovato la risposta alla domanda di Souji.

    La ami, vero?”

    Sì.

    E decise di dimostrarglielo insegnandole il significato dell'espressione “fare l'amore”, imparandolo a sua volta.

    La prese in braccio, dirigendosi verso il bordo della pozza, per depositarla a terra e avvolgerla nel telo portato per asciugarsi, stringendola a sé.

    Pochi istanti dopo erano a terra, le gambe intrecciate, le bocche che si cercavano, si staccavano mentre Sano le baciava il seno, l'addome, l'ombelico, l'interno coscia, per poi tornare sulla sua bocca.

  • Gin... se non mi fermi adesso... non sarò più in grado...

  • Taci – fu la risposta di lei, che, afferratolo per i capelli, lo attirò a sé riprendendo a baciarlo con passione.

    Sano tacque.

    Gin non lo fermò.

    Si ritrovarono abbracciati, un telo sotto il loro corpo, lo yukata di Sano a coprire i corpi nudi di entrambi.

  • Ti ho fatto male? - le chiese, sfregando il naso contro l'orecchio di Gin.

  • No... - mormorò lei, accoccolandosi contro di lui. - Non credevo potesse essere così... così...

  • Principessa... tra due persone che si amano è e sarà sempre così.

    Lei sollevò la testa di scatto, ad incrociarne gli occhi, che la scrutarono sorridenti.

  • Che c'è? Mi è spuntata una seconda testa?

  • No... è che...

  • E' che abbiamo fatto l'amore... due persone che non si amano fanno sesso... ed è divertente, piacevole... due persone che si amano fanno l'amore... ed è tutto ad un livello superiore... è... E'. Punto. E basta. - le disse, voltandosi su un fianco, verso di lei, per abbracciarla stretta.

  • Sano... io...

  • Anche io Gin... anche io... - le disse, baciandola dolcemente sulle labbra.

  • Perciò, da adesso, ricordati che tu sei mia, esattamente come io sono tuo.

  • Ti amo.

  • Ti amo, ragazzina. - le rispose, zittendola con l'ennesimo bacio, carico di promesse.

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Capitolo 8
*** CAPITOLO 7 ***


Anche gli Oni hanno sentimenti umani cap 8

CAPITOLO 7

Vederlo andare vi insieme ad Okita, nonostante sapesse benissimo dove e cosa andasse a fare, non la fece stare meglio.
Lasciarla al tempio, sebbene la sapesse al sicuro, non gli dava pace.
Erano talmente tanto abituati a stare vicini che adesso, che Sano era riuscito ad ammettere con sé stesso ciò che provava per Gin, che avevano confessato l'un l'altra i propri sentimenti, che formavano una coppia, lo stare separati era loro impensabile ed insostenibile.
E lo si leggeva chiaramente sui loro volti.
Sano arrivò nel cortile al fianco di una Gin mesta, mano nella mano, incuranti delle occhiate di chi stava loro attorno, occhiate in cui avrebbero letto stupore (Kyo), compiacimento (Souji), preoccupazione (Amagiri). Qualcuno, Kazama, osservava il tutto con apparente indifferenza, sebbene gli occhi cremisi scrutassero quelle dita intrecciate e la coppia in cerca di qualche neo e redarguissero Sano dal far soffrire la ragazza.
- Fate attenzione...
- Sta tranquilla, principessa – fu il commento di Sano mentre abbracciava la ragazza.
- Sano... portatemi con voi
- No, piccola. Devi riposare. Ti sei ripresa da poco da quella brutta ferita – le disse, per poi aggiungere, soffiandole nell'orecchio e facendola arrossire – e stanotte non ti ho lasciata riposare molto.
- Ehilà, piccioncini!!! - fu il richiamo di Souji, accompagnato da una lieve risata – abbiamo capito tutti che non volete separarvi... adesso salutatevi che altrimenti facciamo tardi.
Il colorito di Gin si fece di un bel bordeaux, mentre Sano si affrettava a montare a cavallo. Poi, sporgendosi verso la giovane, l'afferrò sotto le braccia  e sollevandola lievemente da terra l'attirò a sé, baciandola.
- Ci vediamo tra pochi giorni. - le mormorò, mentre la rimetteva giù.
- Mi farai cadere tutti i denti dal troppo zucchero, Sano... - fu il commento di Souji, gli occhi rivolti al cielo, mentre ridacchiava in maniera spudorata.
- Prendimi pure in giro, Souji... tanto prima o poi ci sarai tu al mio posto, ed allora vedrai – fu la risposta di Sano, accompagnata da una pacca sulle spalle dell'amico.
- Sì, come no......aspetta e spera... Non preoccuparti, Gin, te lo riporto tutto intero – le disse Souji, scompigliandole i capelli.

***

Aveva perso il conto delle volte in cui si era chiesta che cosa cavolo ci stesse facendo li, come diavolo ci fosse finita e per quale accidenti di motivo suo padre, per salvarle la vita, l'aveva affidata a quel bestione rozzo e con l'indole del comico di infima categoria abbigliato con quel ridicolo cencio azzurro e bianco, il cui unico pregio era mettergli in evidenza quei meravigliosi occhi blu, sempre pieni di ironia e sarcasmo.
- Muovetevi, milady. O arriveremo a destinazione quando la katana mi servirà come bastone da passeggio ed i vostri capelli saranno tutti bianchi. Ed a quel punto mi toccherà pure prendervi in moglie.
- Oh. Mio. Dio.
- Sapevo di fare un certo effetto alle donne, ma da qui al definirmi Dio... - fu la risposta dell'uomo.
- Idiota di uno Shinsengumi. - borbottò la giovane.
- Mocciosa piena di boria.
- Scimmione arrogante.
- Ehilà, Shinpachi, vedo che non hai perso il tuo tocco magico con le donne...
L'uomo si voltò di scatto, ignorando la giovane in sua compagnia, appollaiata su una roccia alta, dove era salita, rintanandosi dietro un'altra pietra, al solo scopo di sfuggire all'attacco di quegli esseri abietti che li avevano circondati.
- Okita?! - fu l'esclamazione stupita del ragazzone dagli occhi azzurri, che si slanciò contro l'amico.
- Che diavolo ci fai qui? E... Sano?!
- Eccomi, Shinpa – disse l'altro, smontando da cavallo e raggiungendo l'altro, ricoprendolo di pacche sulle spalle.
- Che ci fate qui? Mi era giunta notizia della morte di entrambi. - partì a raffica Shinpachi, abbracciando gli amici, stritolandoli.
- In un certo senso lo siamo...
- Che vuoi dire?
- Scusate... - cercò di insinuarsi nei discorsi la voce della ragazza.
- Vieni con noi e lo saprai – fu la risposta sibillina di Souji.
- Come? Che significa?
- Devi venire con noi, Shinpa.
- Scusate... - intervenne nuovamente la giovane.
- Ma non posso... non così... devo consegnare un pacco...
- Pacco ci sarai tu, stupido testone troppo cresciuto – fu la sparata della ragazza in una lingua a loro sconosciuta, cosa che attirò su di sé l'attenzione dei tre uomini.
- Che ha detto? - chiese Sano, grattandosi la testa.
- Non ne ho idea, ma ho come l'impressione che sia incazzata con Nagakura. - rispose Souji.
- E perché con me? Che ho fatto di male?
- Shinpachi no baka!!!! - fu l'urlo irato della giovane, che nella foga, sollevate le vesti di fattura occidentale, scivolò giù dalla roccia su cui aveva resistito fino a quel momento, ritrovandosi in caduta libera ad atterrare su Okita, gettandolo a terra e finendo sdraiata su di lui.
Subito dopo l'impatto, prima del quale aveva chiuso entrambi gli occhi, sollevò una palpebra con aria sofferta, aspettandosi una ramanzina coi fiocchi. Si trovò davanti il più bel paio di occhi verdi che avesse mai visto, illuminati di malizia; quest'ultima increspava anche la bocca che si trovava pericolosamente vicina alla sua.
- Chibi-chan... lieto di fare la vostra conoscenza. - le disse quel serpente dagli occhi incantatori, mentre con le braccia le circondava la vita impedendole di allontanarsi da lui.
- Souji, piantala... è la figlia dell'ambasciatore britannico.
- E allora? - chiese l'altro, continuando a fissare la giovane, divertendosi a vederla arrossire.
- Ehi... è una ragazzina. Piantala – intervenne Sano, strappandogliela letteralmente dalle braccia.
- Signorina, io sono Harada Sano ed il giovane pervertito che vi ha afferrata al volo è Okita Souji.
La ragazza lo guardò imbarazzata, per poi sorridergli timidamente.
- Virginie... Virginie O'Connelly.
- Nome poco inglese, Chibi-chan.- fu l'intervento di Souji, che ne ricevette in cambio un'occhiatacia inceneritrice.
- Mio padre è irlandese e mia madre è francese. E' a lei che debbo il mio nome di battesimo. - rispose la giovane, tornando a guardare Sano.
- E che ci fa una fanciulla come voi in compagnia del mio rozzo amico? - chiese Sano, cercando di metterla a suo agio.
- E' il pacco che deve consegnare, vero Shinpachi?
- Non sono un pacco, testa di legno! - fu la risposta indignata della ragazza.
Okita si trovò a studiarla attentamente.
I lunghi capelli mossi in morbide onde, di un caldo colore castano scuro, ora scompigliati a causa della fuga dai loro inseguitori e della caduta, incorniciavano un volto delicato illuminato da due occhi scuri, profondi e vellutati, molto espressivi, in netto contrasto con la carnagione chiarissima, la qual cosa nella cerchia dei figli degli amici di suo padre, il “Signor” ambasciatore, le era valso il nomignolo di Shirayukihime, ovvero Biancaneve, cosa che la mandava in bestia.
- Sapete, se foste meno selvatica sareste carina – disse Okita alla ragazza, la quale arrossì vistosamente, facendolo scoppiare a ridere.
- Non posso crederci... avete la lingua velenosa ed arrossite come una pudica verginella – le disse Souji, avvicinandolesi ed afferrandole una ciocca di capelli tra le dita.
- Forse perché lo sono, stupido.
Quando si rese conto di cosa aveva appena detto, si voltò dando le spalle al ragazzo, coprendosi il volto con le mani. Ma il rossore delle orecchie e del collo ne indicavano chiaramente l'imbarazzo titanico di cui era preda.
- Sai, Chibi-chan – le disse, abbandonando il tono formale, sfiorandole ancora i capelli – devo correggermi: sei proprio carina.
Gli altri due uomini lo guardavano tra lo stupito e l'incredulo.
- Souji... Shirayukihime – la reazione di Virginie, che si voltò di scatto verso Shinpachi, fulminandolo con lo sguardo, costrinse l'uomo a correggersi.
- Ahem... volevo dire... Lady Virginie ha solo sedici anni quindi potresti avere un po' più di riguardo nei suoi confronti, non credi?
Sano guardò i due compagni socchiudendo gli occhi, per poi portarli sulla giovane che in quel momento si stava fissando la punta delle scarpe.
- Sedici anni... venti... ventisei... è pur sempre una donna... suppongo sappia cosa sia la verginità e come si faccia a perderla... anche se la chiamano Shirayukihime – fu la risposta strafottente di Souji che, dovette ammetterlo con sé stesso, si divertiva un mondo a mettere in imbarazzo la giovane europea.
Virginie iniziò a schiumare rabbia: la frase del ragazzo le era giunta chiara alle orecchie nonostante Sano avesse cercato di tappargliele con le proprie mani.
- Tu... brutto... brutto...
- Brutto? Dato il successo che ho con le donne non credo tu possa definirmi tale... altri nomignoli, Chi-bi-chan? Via su... un po' di fantasia...
La ragazza gli si fece incontro con gli occhi che sprizzavano lampi, le mani stretta alla gonna voluminosa, il mento alto, mentre lo guardava con aria di sfida.
- Siete solo un pallone gonfiato. Certo, siete di bell'aspetto, non lo nego, ma l'arroganza che accompagna ogni vostra parola ed ogni vostro gesto... le insinuazioni offensive e gratuite che riservate a chi non conoscete... beh, vi rendono alquanto sgradevole non solo da sopportare, ma anche da vedersi...
- Lady Virginie... - cercò di intervenire Shinpachi, bloccato da una mano e dall'occhiata di Sano.
Souji, nel frattempo, la osservava con un sopracciglio inarcato, sorridendo sornione.
E fu quel sorriso a farle desiderare di prenderlo a schiaffi. Ma non lo fece. Sono pur sempre una signora, si disse.
- Prendete la vita molto poco seriamente... dovreste solo vergognarvi. Siete sempre pronto a mordere e a ritirarvi, proprio come i serpenti... e per quanto la bellezza dei vostri occhi possa ipnotizzare, facendo di voi un serpente incantatore, sempre pronto a stritolare la preda nelle proprie spirali, per poi mangiarla in un sol boccone, vi garantisco che IO sarò la vostra mangusta.
- E' una dichiarazione di guerra, la tua,  Chibi-chan? - le chiese il giovane, abbassando il volto all'altezza di quello di lei per guardarla negli occhi.
- Sbagliato... Voi avete dichiarato guerra a me... io vi ho solo preannunciato la mia intensione di combatterla e di uscirne vincitrice.
- Vedremo,  Shirayukihime.
- Vedremo, Hebi-zukai-san. (serpente incantatore)
I due si fissarono negli occhi, quelli di Virginie decisamente belligeranti, quelli di Souji interessati a quella strana ragazza, dal carattere dalle molteplici sfaccettature e dai molti contrasti.
La voce Di Sano interruppe il silenzio.
- Shinpa... dove devi condurla?
- A Edo
- Non credo vi sarà possibile. L'esercito imperiale ha chiuso ogni accesso alla città. Se la condurrai lì morirete entrambi.
- Sano, ne sei certo?
- Nessun dubbio.
- Merda! - fu l'esclamazione di Shinpachi, che un attimo dopo si stava stiracchiando le braccia, tenendole piegate dietro la testa.
- Vorrà dire che dovremo venire con voi...
- Nagakura-san...
- Non preoccuparti Chibi-chan, con noi sarai al sicuro. Quando le acque si saranno calmate ti porteremo a destinazione.
Virginie guardò Souji con sguardo vacuo, mentre nella testa le si affollavano le immagini dei suoi genitori nel momento in cui la affidavano a quel ragazzone affinché la allontanasse dal pericolo incombente.
Li avrebbe più rivisti?
- Ehi, Chibi-chan... - fu la reazione di Souji quando vide le lacrime iniziare a bagnarle il volto.
E sotto lo sguardo stupito di Sano e Shinpachi, si trovò a stringersela delicatamente contro.

***

- Gin, mi hai mandata a chiamare?
La giovane si voltò, ritrovandosi ad incrociare gli occhi più gialli che avesse mai visto, incastonati in un volto sottile, dal carnato niveo, circondato da una cascata di capelli lisci, lunghissimi, di un sorprendente azzurro chiaro
- Raiseki!
Gin pronunciò il nome della giovane con immenso affetto, abbracciandola.
- Come stai? Ho saputo a cosa hai dato il via...
- Non potevo fare diversamente.
- Lo so. Lo ami. E ti ammiro per il coraggio che stai dimostrando.
- Grazie, amica mia. - le rispose Gin, afferrandole una mano, che l'altra strinse, sorridendole con calore, cosa che, agli occhi di chi non fosse stato a conoscenza del rapporto tra le due, avrebbe avuto dell'incredibile. Qualcuno avrebbe addirittura gridato al miracolo.
- Allora, dimmi tutto...
- Ho bisogno di te... di un favore...
- Tutto quello che vuoi.
- Dovresti trovare Saitou Hajime e condurlo da me. Il più rapidamente possibile.
La mente di Raiseki fu invasa dall'immagine di un ragazzo dai capelli nero-blu, il volto fiero, in cui trovavano posto due occhi azzurri, imperturbabili, freddi, in grado di trapassarti l'anima.
- Saitou... Hajime?

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Dedico il capitolo a Virginia, per avermi ispirato Virginie,  e ad Ayako, per avermi aiutato a focalizzare Raiseki. 

"Regalo" quindi ad entrambe questi due personaggi.
Grazie, ragazze ^__^

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Capitolo 9
*** CAPITOLO 8 ***


Anche gli Oni hanno sentimenti umani cap 9
CAPITOLO 8

- Saitou... Hajime?
- Sì... mi rendo conto che la mia richiesta è improvvisa, ma temo di non avere molto tempo a disposizione. Voglio... devo trasformarli tutti. Per Sano. Ma...- Gin si scosto da Raiseki, voltandosi lievemente.
- Ma? - la incalzò l'altra, presa da un brutto presentimento.
Il sospirò rotto dell'altra le fece temere il peggio.
- Ogni volta che uso il mio sangue... mi indebolisco... sempre più... salvarli tutti... potrebbe essere l'ultima cosa che faccio.
- Maledizione, Gin! Ti rendi conto di cosa stai dicendo? - le gridò contro l'altra.
- Di cosa stai facendo? E' un umano !!!- aggiunse, afferrandola per le spalle e voltandola verso di sé.
- Sì, ma non posso fare altrimenti. - le rispose Gin, sostenendone lo sguardo con serenità.
- Tu... tu sei... sei...
- Innamorata. E disposta a morire per lui. Puoi farmene una colpa? Puoi biasimarmi per la stessa colpa di tuo padre? Tu dovresti capirmi meglio di chiunque altro...
- Ma morire per lui... - le disse tristemente, riconoscendo le ragioni dell'amica, le stesse che avevano mosso suo padre, un Oni, ad unirsi con sua madre, un'umana.
- Riuscirai a comprendere anche questo. Quando troverai la persona giusta e te ne innamorerai... allora mi capirai completamente.
- Gin... dannazione... - si arrese Raiseki, abbracciandola forte.
- Raiseki... aiutami ad avere un po' di felicità, te ne prego – le disse Gin, rispondendo all'abbraccio.
La mezza Oni si trovò a deglutire a fatica, inspirando forte nel tentativo di riprendere il controllo.
- Tutto quello che mi chiedi, amica mia.
- Grazie. Grazie infinite. Sapevo di poter contare su di te.
L'altra intensificò l'abbraccio per un attimo, allontanandola poi da sé con gentilezza, le labbra increspate in un sorriso che raggiungeva maliziosamente anche i brillanti occhi gialli.
- Allora, in confidenza... come vanno le cose con Harada-san?
Nel vedere arrossire l'amica, Raiseki scoppiò a ridere.
- Smettila, per favore – mormorò Gin, coprendosi le guance con le mani.
- Oh Kami... ho capito benissimo. - disse la mezza Oni, continuando a ridere imperterrita.
- Rai... per favore...
- E fino a dove vi siete spinti? - chiese, ammiccando.
Non ottenendo risposta, osservò Gin attentamente, spalancando la bocca poco a poco non appena comprese il significato di quel silenzio.
- Sono felice per te, Gin. - le disse sorridendole affettuosamente.
- Grazie.
Poco dopo Kyo fece la sua comparsa, irrompendo nella stanza con un plico di fogli in mano.
- Ehilà, Raiseki-chan...
- Kyo...
- Gin, vi ho portato i documenti che mi avevi chiesto. Sappiamo dove si trova lo shinsengumi... - aggiunse guardando la mezza Oni.
- Ci penserò io a portarlo qui, ma non credo sarà facile. Probabilmente dovrò ferirlo.
- Cerca di portarcelo tutto intero. Più lui è in forma, meno Gin si indebolisce.
- Capisco... Beh – rispose a Kyo, prendendo i fogli che le porgeva – meglio che vada subito.
- Raiseki... dopo che lo avrai trovato...pazienta alcuni giorni. Ti farò raggiungere da Okita Souji... avrai maggiori probabilità di successo.
- Va bene. Ci vediamo presto.
- A presto, Raiseki.

***

Erano trascorsi due giorni dalla partenza di Raiseki e Gin non aveva ancora smesso di chiedersi quale fosse il significato dell'esitazione nella voce della mezza Oni quando aveva pronunciato il nome di Saitou. Aveva la strana impressione che Raiseki sapesse su di lui più cose di quante non avesse lasciato trapelare.
Scosse la testa, dandosi della visionaria per questi suoi pensieri, non potendo però eliminare del tutto quella sensazione.
Riprese a rimestare la cena e stava controllando la cottura del riso quando Kyo si affacciò in cucina annunciandole il ritorno di Sano e Souji. Sotto lo sguardo attento del fratello, si lavò le mani e si sfilò dai pantaloni il panno che vi aveva messo per evitare di macchiarsi la parte anteriore degli abiti con gli schizzi di cibo, per poi correre fuori dalla stanza.
Sano stava smontando da cavallo quando la vide arrivare di corsa, per poi fermarsi improvvisamente alla vista della giovane europea, in sella dietro a Shinpachi.
- Oh... - fu tutto ciò che uscì dalle labbra di Gin, atteggiate in un'espressione sorpresa, mentre faceva scivolare lo sguardo da Shinpachi alla ragazza, a Souji, per poi soffermarsi su Sano, il quale le si avvicinò lentamente, scompigliandole i capelli.
- Stai bene, ragazzino? - le disse, cogliendola di sorpresa.
Gin si guardò attorno, notando solo allora la presenza di diversi uomini del clan, uomini che ancora la credevano un uomo.
- Si grazie, Harada-san – gli rispose, tirandogli impercettibilmente la giacca.
- Qualcuno mi aiuterebbe a scendere da cavallo? - chiese delicatamente la voce dell'europea, che aveva fatto passare lo sguardo su tutti i presenti, soffermandosi sul ragazzo a cui si era avvicinato Harada e che sembrava essere quello meno pericoloso.
La fortuna volle che fosse proprio quest'ultimo ad avvicinarlesi.
- Io sono Gin, piacere. Permette? - le chiese, tendendole una mano.
- Virginie O'Connelly – rispose l'altra, poggiandosi alle sue spalle e lasciandosi scivolare a terra, sostenuta anche da Shinpachi.
Virginie si ritrovò a guardare Gin da una distanza ravvicinata, forse anche troppa per le convenzioni britanniche, tanto da arrossire e balzare quasi all'indietro, mentre la risata di Okita spezzava il silenzio che era venuto a crearsi.
- E bravo Gin... hai fatto colpo – disse prendendo a ridere ancora più forte, a causa dell'improvviso rossore di Gin, mentre quello di Virginie si faceva sempre più acceso.
Sano, dopo un attimo di smarrimento, si unì al compagno, cosa che fecero tutti quanti, ad esclusione di Shinpachi, il quale passava lo sguardo da Virginie, al ragazzino di nome Gin e al braccio di Sano che circondava la vita di quest'ultimo.
- Credo sia meglio entrare – intervenne Kyo, asciugandosi le lacrime dagli occhi mentre, a seguito di uno scappelloto di Gin, cercava di riprendere il controllo di sé.
- Sì... avete bisogno di riposare prima di cena... vi consiglio un buon bagno alle terme. - intervenne Gin – manderemo le spiegazioni a dopo – aggiunse poi, sorridendo a Shinpachi, il quale si trovò ad arrossire lievemente.
Cavolo, quella pulce dagli occhi grigi era veramente pericolosa: non solo esercitava un ascendente non indifferente sulle donne, cosa normale dato che era un bishounen, ma quel sorriso gentile e caldo aveva fatto effetto pure a lui. E forse anche a Sano, vista la “familiarità” tra i due. Questi pensieri portarono il povero Nagakura Shinpachi a rabbrividire, appuntandosi mentalmente di dover affrontare l'argomento con Sano: forse non era ancora tardi.
Circa mezzora più tardi Gin aveva appena consegnato ad una delle donne del clan l'occorrente per far accompagnare Virginie alla pozza termale, quando Sano varcò la soglia della sua stanza, richiudendosi lo shoji alle spalle. Si tolse la giacca e la gettò a terra senza interrompere il contatto con gli occhi di lei, prendendo poi ad avvicinarlesi lentamente, fermandolesi davanti. Sollevò una mano, andando a carezzarle una guancia, mentre con l'altra le dava una lieve spinta nell'incavo della schiena, attirandola a sé.
- Mi sei mancata – le sussurrò a fior di labbra, baciandola dolcemente.
- Anche tu – rispose lei, riprendendo a baciarlo, con passione.
Si separarono ansimanti. Sano le sfiorò la punta del naso con le labbra, allontanandola leggermente da sé.
- Perché? - protestò lei.
- Perché se continuiamo così non rispondo più di me... ed ho bisogno di un buon bagno – le disse carezzandole la pelle delle guance arrossata per lo sfregamento con la sua barba.
- E di radermi – aggiunse infatti, baciandola sulla fronte.
- Serve aiuto? - gli chiese audace, tuttavia rossa per l'imbarazzo, mentre gli faceva scivolare la mano sotto la camicia, ad accarezzargli il petto.
- E la cena? - chiese lui, sorridendole malizioso, godendosi appieno la situazione.
- E' già pronta... - gli rispose allontanandosi da lui giusto per guardarlo negli occhi, adesso pallida per la certezza di essere stata appena rifiutata, seppur con grazia.
- Hai... fame... scusami, sono stata egoista - gli disse, cercando di sfuggire la suo abbraccio, che si fece ancor più serrato.
- Ho fame... è vero... - le disse Sano, sorridendole apertamente, per poi chinare la testa sul suo orecchio e sussurrare – Ma non di cibo... Ed avrei bisogno di una mano a lavarmi la schiena. Ti va?
Inutile dire che, non appena Virginie rientrò al tempio, Sano e Gin si avviarono alle pozza termale, lasciando al tempio uno Shinpachi preoccupato per la sorte dell'amico, tanto che si decise a seguirli. Quando raggiunse la pozza, trovò i due immersi fino alla vita, abbracciati. Gin gli dava le spalle, mostrandogli una cascata di capelli scuri, bagnati, e tutto ciò che riusciva a vedere di Sano erano le braccia strette attorno alla vita del ragazzino e la testa, che in quel momento si stava chinando verso quella di Gin, con il chiaro intento di baciarlo.
- Oh cazzo!!! - fu l'esclamazione di Shinpachi, udita dai due.
Sano si portò davanti a Gin, coprendola con il proprio corpo.
- Chi è la? - urlò con aria minacciosa, mentre Gin gli si stringeva alle spalle.
Shinpachi ritenne opportuno mostrarsi.
- Ahem... io... scusate... non volevo disturbarvi....
- Shinpa?! - chiese Sano, sorpreso.
- Ecco... io... insomma... non pensavo che vi avrei trovato... - si interruppe guardando Sano.
- Voglio dire... tra due uomini.... - aggiunse poco dopo.
- Due... uomini? - chiese Sano, sforzandosi di non ridere, mentre Gin sogghignava nascosta dietro la sua schiena.
- Tu e Gin... voglio dire... ti capisco... è un bishounen... anche io....
- Anche tu... cosa? - lo incalzò Sano, trattenendosi ormai a fatica.
- Beh, quando mi ha sorriso.... prima... mi ha messo in crisi... diciamo così...
- Gin, amore, potresti evitare di sorridere a Shinpachi d'ora innanzi? - chiese Sano, soffocando l'ennesima risata, imitato da Gin, alla vista della faccia dell'amico farsi di tutti i colori.
- Certo, Sano – rispose Gin, facendogli scivolare le mani sugli addominali.
A quella vista, Shinpachi iniziò a sbiancare, raggiungendo il colore della neve nel momento in cui le mani di Gin scivolarono sotto l'ombellico dell'amico.
- Shinpa... ti senti male? - chiese Sano, inizinado a ridere sotto lo sguardo basito dell'amico.
Quando notò che l'altro non reagiva, Sano si avvicinò al bordo della pozza, trascinandosi dietro Gin, in modo da celarne ancora le forme.
- Shinpa...
- Sto... sto bene.... bene...
- Shinpa... tranquillo: non ho cambiato sponda.
- Eh? Come...? Ma no... non è un problema... Mi spiego...
- Lo sarebbe per me e Gin – lo interruppe Sano, ridendo ormai apertamente, imitato dalla ragazza.
- Come?
- Gin... è una donna...
- D... donna?! - chiese Shinpachi, fissando il volto della giovane che adesso gli sorrideva apertamente, facendo cenno di sì con il capo.
- Ah... ecco... - si interrupe per schiarirsi la voce – a dire il vero... lo sospettavo... eheh... sapevo che non potevi essere diventato... Ed io, poi.... ti pare che mi piacccia un ragazzo...?  Ecco.... è ovvio che scherzassi, vero? Lo avevo capito subito... eheheheh.  Adesso vado.... continuate pure da dove ho interrotto, eh? - concluse in una tirata, voltandosi velocemente e correndo verso il tempio.
- Sano... sei stato cattivo... - lo riprese Gin, facendo un leggero broncio.
- Anche tu... se fossi stata contraria non avresti dovuto assecondarmi – le rispose baciandola lievemente.
- Ma era talmente divertente...
- Mh... e cosa avevi intenzione di fare carezzandomi a quel modo? - le chiese, stringendosela contro e prendendo a camminare fino al centro della pozza, mentre le baciava il collo.
- D... di... vertirmi – sussurrò, mentre le si spezzava il respiro a causa di ciò che le stava facendo Sano.
- Oh... - commentò Sano, sollevando la testa per guardarla negli occhi, senza celare le proprie intenzioni.
- Allora adesso mi divertirò io – le sussurrò con voce roca, mentre abbassava la testa sul seno della ragazza e prendeva a torturaglielo con le labbra.

***

Intanto, Raiseki era giunta a destinazione. Aveva individuato Hajime Saitou ed aveva mandato a Gin un messaggero: non le restava che attendere l'arrivo di Okita Souji.
Nel frattempo si sarebbe limitata a non perdere di vista Saitou. E sapeva che avrebbe dovuto fare estrema attenzione a non farsi scoprire.
Innanzitutto, per ridurre al minimo il rischio di essere facilmente individuabile, aveva tinto i capelli con una mistura a base di cenere ed erbe, conferendo loro un colore scurissimo, quasi nero, che se ne sarebbe andato con un po' di acqua e sapone. Per gli occhi, purtroppo non poteva fare molto, salvo tenerli in ombra con il cappuccio del mantello. Era pressoché irriconoscibile, così camuffata si sarebbe confusa con gli umani. Fino a che non avesse preso in mano la katana o si fosse trasformata, ovviamente.
Era seduta su una roccia, le braccia abbandonate sulle gambe, la testa abbassata, coperta dal cappuccio, quel tanto che bastava per osservare i movimenti di Saitou senza farsi scoprire.
Lo osservò mentre parlava con i suoi sottoposti, la schiena dritta, la mano sinistra poggiata sulla katana, il volto impassibile. Era un nemico temibilissimo, Raiseki lo sapeva benissimo, aveva avuto già occasione di vederlo all'opera: era rapido, freddo e letale. E lei lo ammirava proprio per questo. Ed in parte vi si riconosceva. La cosa che la differenziava da lui era la sua irruenza che la portava a dare talvolta giudizi affrettati ed a subirne le conseguenze. Ma il suo essere combattiva le aveva sempre consentito di sopravvivere e di cavarsela. In ogni situazione.
Non appena Saitou prese a muoversi, Raiseki abbandonò la propria postazione, prendendo a seguirlo a distanza. Gli rimase dietro per alcune centinaia di metri, salvo poi vederlo scomparire.
E commise il primo errore.
Iniziò a correre, attirando inevitabilmente su di sé l'attenzione di quella che fino a pochi minuti prima si era sentita su preda e che in quel momento si era trasformato in cacciatore.
Saitou prese a seguire quella figura incappucciata che lo teneva d'occhio ormai da un po' di tempo, decidendo di aspettare il momento più propizio per chiedere spiegazioni circa questo suo comportamento. E se  le risposte non fossero state di suo gusto, l'avrebbe ucciso.
Continuò a seguire quel ragazzino fino a ché non lo vide fermarsi improvvisamente non appena scoprì di aver imboccata una strada senza uscita. Secondo errore
- Merda... - protestò il ragazzino, battendo un pugno sul muro, ignaro di Saitou che gli si stava avvicinando alle spalle. Quando ne percepì la presenza, tutto ciò che Raiseki riuscì a fare fu impugnare lo stiletto che teneva infilato nella cintura, voltandosi di scatto. Si ritrovò così la lama della katana di Saitou premuta sulla gola, mentre il cappuccio scivolava via scoprendole il volto.
- Dobbiamo fare una chiacchierata. Se ciò che mi dirai non sarà di mio gradimento provvederò a tagliarti la gola. - disse il ronin, lo sguardo gelido fisso negli occhi di Raiseki - Anche se sei una donna.
- Hai così tanta fiducia nelle tue capacità? - gli chiese lei, ghignando, muovendo impercettibilmente il capo, indicando così all'uomo lo stiletto che gli teneva puntato alla giugulare.
- Siamo in quella che si chiama situazione di stallo. Che hai intenzione di fare? - aggiunse poco dopo Raiseki, sogghignando, senza togliere lo sguardo dagli occhi azzurro ghiaccio dell'uomo.
- Se tu volessi uccidermi lo avresti già fatto. Non ti è certamente mancata l'occasione.
- E allora?
La risposta dell'uomo fu abbassare la katana e allentare la presa della mano con cui le stringeva il braccio.
Raiseki lo imitò, allontanando lo stiletto dalla gola di Saitou, senza tuttavia liberarsi dalla sua presa, adesso quasi gentile.
- Ottima intuizione, ronin. Sono qui per conto di un'amica. Devo solo starti attaccata al sedere fino a che non arriva Okita. Lui ti spiegherà tutto.
- Okita? - chiese l'altro senza mostrare il minimo stupore.
- Già. Proprio lui. Non è morto. Anzi, per quanto ne so io, è anche guarito dalla tubercolosi.
Hajime la guardò in maniera distaccata.
- Non so se posso fidarmi da te. Ma il fatto che tu non mi abbia ucciso quando ne hai avuto la possibilità, mi impedisce di non crederti. Almeno in parte. Attenderemo assieme l'arrivo di Souji. Tu non devi perdere di vista me; io non voglio perdere di vista te.
La giovane gli si avvicinò ancora, fino a poggiarglisi contro il torace, sorridendo seducente, mentre gli occhi rimanevano inespressivi.
- Cos'è? E da così tanto tempo che non vedi una donna che ti sei invaghito di me al primo sguardo? - gli domandò, facendogli scivolare le mani sul petto, senza riuscire a smettere di stuzzicarlo, nonostante si chiedesse che cosa stesse facendo, certa che ne avrebbe pagato le conseguenze.
- Non sono preda dei sentimenti e dell'istinto. - le disse, senza mutare espressione – Ma è molto che non tocco una donna. Potrei accettare l'invito. - concluse, stringendosela contro, il volto impassibile, mentre lasciava scivolare una mano sul fondo schiena della ragazza.
Raiseki fu colta alla sprovvista, e la cosa fu resa palese dal dilatarsi degli occhi della giovane.
- Ed io non sono una prostituta. - rispose, rabbiosa, cercando di allontanarlo, facendo leva sul petto.
- Lieto di saperlo: non mi trasmetterai malattie veneree. - le rispose, intensificando la stretta  spingendo il bacino contro quello della ragazza, mentre le infilava la mano sinistra nei capelli, immobilizzandola, per poi baciarla.
Raiseki cercò di respingerlo, senza riuscirvi, resistendo alla pressione delle labbra dell'uomo sulle sue fino a quando Saitou non prese a stuzzicargliele con la lingua ed a succhiarle il labbro inferiore. La sorpresa le fece socchiudere lievemente la bocca, consentendo l'accesso alla lingua dell'uomo. Fu costretta a sostenersi a lui, passandogli le braccia attorno al collo, infilandogli le mani nei capelli, mentre la stretta di Saitou si intensificava, facendola aderire contro il suo corpo. Raiseki si ritrovò a rispondere al bacio, mentre uno strano languore si impossessava di lei, portandola a stringersi sempre più all'uomo che, improvvisamente, come lo aveva iniziato, pose fine al bacio.
- Se queste sono le premesse... - le disse freddamente, lasciando intendere il resto, senza però allontanare del tutto la ragazza, avendo notato la sua difficoltà a mantenere l'equilibrio.
- Bastardo. - gli sibilò contro – Era il mio primo bacio.
Gli occhi di Saitou lasciarono intendere un lieve turbamento, salvo tornare immediatamente inespressivi, tanto che Raiseki pensò di essersi sbagliata.
- Come ti chiami?
Raiseki lo guardò come se si trattasse di un essere a tre teste.
- Il tuo nome.
- Raiseki.
- Bene, Raiseki. Adesso che abbiamo entrambi compreso quali sono i confini fissati dall'altro credo che la nostra coabitazione sarà... come dire.... pacifica?
La ragazza lo fissò con astio.
- Sta certo che non ti permetterò più di baciarmi, stronzo.
- Mai dire mai, gatta selvatica. - le rispose l'uomo, togliendole finalmente le mani dai fianchi, per poi voltarle le spalle, invitandola a seguirlo.
In quel momento, si chiesero entrambi fino a che punto la loro convivenza sarebbe realmente stata pacifica; Raiseki dubitò di riuscire a mantenere la promessa fattagli.    

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Capitolo 10
*** CAPITOLO 9 ***


Anche gli Oni hanno sentimenti umani cap 9
CAPITOLO 9

Virginie era nella sala grande quando vide arrivare Shinpachi che correva come se avesse il diavolo alle calcagna. Le passò dinanzi in velocità, senza neanche vederla, la qual cose le fece arricciolare deliziosamente il nasino: insomma, era l'unica persona che potesse dire di conoscere veramente, l'unica con cui si sentisse un minimo a proprio agio, e lui che faceva? La ignorava bellamente.
Lo sbuffo che accompagnò questa constatazione le morì quasi immediatamente sulla bocca a causa dell'intervento di un soggetto a lei poco simpatico.
- Chibi-chan... delusa perché vi ha ignorata?
- Serpe velenosa – sussurrò, certa di non essere sentita.
Due secondi e si ritrovò la schiena schiacciata alla parete, la gola stretta nella morsa, seppur gentile, della mano di Okita.
- Volete accertarvene? - le chiese calando il volto nell'incavo del collo della ragazza, simulando un morso vampiresco, mentre con il pollice le carezzava lievemente la pelle serica e profumata della gola.
La giovane rimase immobile, paralizzata dalla sorpresa.  Nessuno aveva mai osato prendersi tanta libertà con lei.
- A quanto pare il serpente incantatore ha ipnotizzato la mangusta, Chibi-chan – le sibilò sul collo, sfiorandole la pelle con le labbra, increspate da un lieve sorriso soddisfatto.
La sentì tremare lievemente ed approfittò del momento per baciarla dietro l'orecchio.
La ginocchiata all'inguine lo costrinse a piegarsi in due, le mani sulla parte dolorante, mentre Virginie scivolava via dall'angusto spazio in cui l'uomo l'aveva costretta, tra la parete ed il suo corpo.
- La mangusta sa quando e come contrattaccare. - gli disse, puntandogli un piede sul sedere e spingendolo contro la parete, facendovelo sbattere, per poi ritirarsi ad una distanza di sicurezza.
- Vi ho sottovalutata, Chibi-chan – le disse, le mani ancora strette sulla parte colpita – ma state certa che non accadrà più.
- Se oserete mettermi nuovamente le mani addosso... anzi, se oserete sfiorarmi anche con un solo dito... al posto del ginocchio utilizzerò un coltello. - gli disse tremando vistosamente.
Souji la guardò sorpreso: il tremore ne tradiva lo spavento, ma l'espressione risoluta, nonostante il pallore, gli fece comprendere di avere esagerato.
- Chiedo scusa, lady Virginie. Non volevo spaventarvi. Il mio gioco idiota si è spinto troppo oltre. - le disse, fissandola negli occhi, sperando ardentemente che credesse alle sue parole.
La giovane europea ne sostenne lo sguardo, sospirando infine di sollievo.
- Credo di aver esagerato anche io. Non avrei dovuto colpirvi. Non in quel modo, almeno. Vi chiedo perdono.
- E' colpa mia: non avrei dovuto prendermi certe libertà. Non accadrà mai più.
La giovane abbassò lo sguardo, chiedendosi perché quelle ultime parole le facessero così male. Non era forse ciò che auspicava?
Souji, da parte sua, si dette dell'idiota. Ci aveva provato, lo riconosceva. In fin dei conti era molto che non stringeva un morbido corpo femminile tra le braccia e lei... era carina....  Si era semplicemente dimenticato che, per alleviare certi bisogni, c'erano donne che lo facevano di lavoro.
L'uomo si passò una mano sul volto, attirando su di sé l'attenzione della giovane.
- Okita-san...?
- Ditemi...
- Ritenete possibile che potremo mai parlare senza saltarci al collo?
- Lo spero con tutto me stesso. Ma ho dei seri problemi a fornirvi garanzie in tal senso.
- Perché? - le chiese, accorata, mentre lo afferrava per una manica della camicia.
Ne incatenò lo sguardo per un attimo che parve ad entrambi interminabile.
- Perché quando sono con voi sono combattuto tra ciò che desidero e ciò che devo fare – le rispose, afferrandole la mano con cui lo tratteneva, stringendola nella propria.
- Che volete dire?
Souji, per tutta risposta, le sollevo la mano che teneva imprigionata nella sua, portandosela poi alle labbra per baciarne il palmo.
- Ecco... ho appena assecondato un mio desiderio. Ma non avrei dovuto farlo – le disse, sorridendo amaramente.
- Perché no? - gli chiese, la voce incerta.
L'uomo ne catturò nuovamente gli occhi, passando la mano libera tra i capelli della ragazza, sulla nuca, calando il volto verso quello di lei. Virginie era certa che l'avrebbe baciata e socchiuse gli occhi, tutt'altro che contraria all'idea. Quando sentì le labbra dell'uomo sulla propria fronte, spalancò gli occhi, sorpresa e delusa.
- Perché? - tornò a chiedere.
- Stavolta non ho assecondato il mio desiderio; ho lasciato prevalere la ragione. - le rispose, scostandosi lievemente da lei per poterla guardare in volto.
- Perché? - chiese ancora, palesemente delusa e ferita.
Souji le sorrise scompigliandole i capelli; un sorriso triste.
- Siete disarmante nella vostra ingenuità, Chibi-chan. - le rispose, in tono scherzoso, prima di votarle le spalle ed uscire dalla stanza, lasciandola sola, a sfiorarsi con le dita la pelle del collo, dietro l'orecchio, nel punto in cui l'aveva baciata.
Perché aveva desiderato quel bacio?
Perché si era rammaricata di averlo colpito?
Quegli occhi, quei maledetti e magnifici occhi verdi la ipnotizzavano, così come il suo profumo la stordiva.
Ma non era accettabile.
E solo allora ammise che tutto sommato Souji, rifiutandola, le aveva fatto un favore.
Ma allora perché le bruciava? Perché la faceva stare male?
Perché?
Stava ancora fissando il punto in cui si trovava l'uomo quando l'aveva guardata con quei suoi meravigliosi occhi verdi, sentendosi improvvisamente sola, per la prima volta, da quando i suoi genitori l'avevano allontanata dall'ambasciata. Si lasciò scivolare a terra, lo sguardo perso nel vuoto mentre le lacrime le inondavano occhi a volto.
Fu così che la trovarono Sano e Gin. Quest'ultima si affrettò verso di lei, comprendendo in parte il suo dolore.
- Virginie-san – la chiamò dolcemente, un braccio attorno alle sue spalle, mentre la ragazza la guardava con sguardo assente.
- Vi chiedo scusa, Gin-kun... io... - non concluse la frase esplodendo in lacrime.
- Va tutto bene... - le rispose Gin, stringendola a sé con una dolcezza disarmante, tanto che Virginie si chiese come un ragazzo, guerriero, potesse essere tanto delicato e sensibile, senza potersi impedire di rispondere all'abbraccio.
C'era qualcosa in quel bishounen che l'attirava al di là del suo aspetto. Era bello, niente da eccepire... ma il suo modo di fare, la sua gentilezza, la sua premura erano disarmanti: le veniva voglia di lasciarsi cullare, coccolare da quel ragazzo.
Il volto di Okita le invase la mente, lasciandola senza fiato: lo detestava, lo trovava insopportabilmente superficiale ed irrispettoso; prova ne era il fatto che avesse cercato di baciarla.
No. Non era vero.
Lei aveva desiderato che la baciasse... come un uomo bacia una donna. Ma lui le aveva sfiorato la fronte come un fratello maggiore fa con una sorellina.
Idiota.
E non si riferiva a Souji.
Si strinse maggiormente a Gin, sentendosi riscaldare dentro, per poi sorridergli in imbarazzo.
- Vi chiedo scusa.... mi sono presa libertà che non si addicono ad una signorina. Vi ho messo in imbarazzo, mi spiace Gin-kun.
Il giovane la guardò incerto.
- Insomma, abbracciarvi così... - la frase le morì in bocca mentre arrossiva.
Gin si voltò verso Harada a cui riservò uno sguardo interrogativo. Ricevendo in risposta un cenno di assenso, Gin la strinse a sé, facendole poggiare la testa nell'incavo del  proprio collo: la superava infatti di tutta la testa.
- State tranquilla. Né io ne Harada-san abbiamo frainteso il vostro gesto.
Virginie nascose il volto contro il torace di Gin.
- Grazie.
- Prego, lady Virginie.
- Ginny... chiamatemi Ginny. - gli disse,  scostandosi dal ragazzo per guardarlo negli occhi, di un incredibile color argento.
- Solo se voi mi chiamerete Gin... niente titolo onorifico, tra di noi. Siete d'accordo? - le chiese sorridendole.
- Molto volentieri – rispose, ricambiando il sorriso, mentre un delicato rossore le colorava le guance.
- Adesso che avete fatto amicizia, proporrei di andare nel salone. A breve arriveranno anche Shinpa e Souji, che ormai dovrebbero aver terminato il bagno. E dal momento che sono certo avranno molta fame, ritengo opportuno affrettarsi. Altrimenti non ci lasceranno neanche un chicco di riso.
- In quel caso, Sano, considerali carne morta. - fu la replica di Gin mentre aiutava Virginie a rialzarsi.
Quando i tre giunsero nel salone, Gin e Sano andarono a sedersi ai loro posti, uno di fronte all'altro, facendo sistemare la giovane europea tra Sano e Shinpachi, sotto lo sguardo contrariato di Kazama.
- Che ci fa una femmina umana qui? - chiese infatti senza tanti giri di parole, il tono pacato da cui traspariva, tuttavia, indignazione per quella presenza inopportuna.
- E' stata affidata a Nagakura – gli rispose Sano.
- Pertanto lei viene dove vado io – fu la risposta secca di Shinpachi.
- Gin... è già difficile tenere qui lo shinsengumi ancora umano. E so che è questione di poche ore... ma come pensi di poter garantire l'incolumità di questa femmina? - continuò il biondo, ignorando Shinpachi.
- Ehi, biondo, ho un nome... e me ne occuperò io – gli sibilò Shinpachi.
- Shinpa, per favore – intervenne Sano, invitandolo a non continuare.
- Kazama, lei rimane qui. Per quanto riguarda la sua incolumità, sarà sotto la mia responsabilità.
- Tua e mia, Gin. Ti aiuterò io. - intervenne nuovamente Sano.
Virginie, intanto si guardava attorno, studiando gli uomini presenti. Gin, Harada, Okita e Nagakura già li conosceva. Erano gli altri tre ad incuriosirla.
Il moro, Kyo, era fratello di Gin: sembrava prendere in giro il mondo intero, con quell'espressione strafottente che gli illuminava lo sguardo; il gigante dagli occhi azzurri, Amagiri, era taciturno e decisamente minaccioso, per quanto non le incutesse un eccessivo timore; almeno non quanto il biondo, Kazama, i cui occhi vermigli lo rendevano inquietante, tanto quanto il suo atteggiamento lasciava intendere l'arroganza che traspariva da tutta la sua persona.
Gli occhi di Virginie si soffermarono su ognuno dei presenti e quando incrociò lo sguardo verde foresta di Okita sentì le guance andarle a fuoco, attirando su di sé l'attenzione di Kazama.
- Se arrossisce così, sarà difficile resistere anche per noi – sbuffò Kazama – è estremamente invitante – concluse, accennando ad alzarsi.
Con un movimento rapido Shinpachi si avvicinò a Virginie.
- Sta' lontano da lei, Oni.
- Non sei ancora in condizioni di uscire vivo da uno scontro con me umano.
- Kazama, smettila. - intervenne Gin.
- Se non sarò io, sarà uno dei nostri qui fuori.
- Osa solo avvicinarti a lei, ed io...
- Tu cosa, Nagakura? - lo provocò Kazama, pregustando già il sangue dell'uomo che a breve, ne era certo, avrebbe lordato la lama della sua katana.
- Sei solo un povero, piccolo insetto. Posso schiacciarti come una mosca. Sei solo un umano. - continuò il biondo Oni, alzandosi con una mossa fulminea, la katana sguainata, pronto a colpire Nagakura.
Ma la sua katana si scontrò con quella di Okita.
- Io non più. E se vuoi arrivare a lei e a Nagakura dovrai vedertela con me.
Amagiri intervenne afferrando Kazama per un braccio e riportandolo seduto, mentre Okita si spostava affianco a Shinpachi, sedendovisi.
- Kazama... osa ancora una volta puntare un arma contro uno di loro e potrai dire addio alla nostra amicizia. - furono le dure parole di Gin, mentre ne catturava gli occhi con i propri.
- Capito. - fu la sola parola che uscì dalle labbra tirate del biondo.
- Bene. Adesso ceniamo.

Il resto della cena trascorse stranamente in tranquillità.
Subito dopo aver rassettato, Gin invitò Sano, Souji e Shinpa a seguirla, estendendo l'invito a Virginie, non sentendosela di lasciarla sola con Kazama in giro. Kyo si unì al gruppo, desideroso di stare vicino alla sorella nel momento in cui avesse avuto bisogno di aiuto dopo aver dato il via alla trasformazione di Shinpachi.
Sano si incaricò di spiegare a Shinpachi perché si trovasse lì con loro, senza tralasciare niente, il tutto mentre stringeva la mano di Gin nella propria.
Virginie guardava quelle mani intrecciate con estremo imbarazzo, certa che tra i due uomini ci fosse del tenero, la qualcosa, data la fisicità di Sano, aveva dell'incredibile.
La sua attenzione fu attirata dal sorriso con cui Kyo guardava i due e dalla naturalezza con cui Okita e Nagakura avevano accettato quella strana relazione. Si trovò ad arrossire, imbarazzata al pensiero di quei due che si scambiavano effusioni.
- A cosa pensate, Chibi-chan? Siete arrossita improvvisamente... pensieri impuri? - la stuzzicò Okita, sorridendole divertito.
- Stupido. - sussurrò la ragazza, mentre si scostava dall'uomo che, nel frattempo le si era avvicinato.
- Quell'Oni ha ragione... avete un odore irresistibile – le disse, sentendo la bocca farglisi improvvisamente asciutta.
- Merda... - sibilò, mentre sprofondava il naso nella pelle delicata del collo della giovane, sotto lo sguardo sbalordito di Sano e Gin.
- Souji... - lo richiamo Sano, mettendogli una mano sulla spalla.
- Sto bene, tranquillo. L'ho fatto solo per abituarmi al suo odore – sussurrò Okita a fatica, mentre con una carezza al volto di Virginie cercava di tranquillizzare la ragazza.
- Ma cosa...? - chiese Virginie, mentre la presa rassicurante e ferma di Gin la faceva spostare alle sue stesse spalle.
- Avete capito cosa siamo? - le chiese Gin, senza togliere gli occhi da Okita, che stava riprendendosi rapidamente.
- Oni...?
- Demoni... e la fonte primaria del nostro potere è il sangue umano... ed il vostro è estremamente invitante. - le disse, voltandosi verso di lei.
- Adesso comprendo le obiezioni di Kazama....- fu il commento della ragazza dopo un attimo di sbalordimento.
- Non mi sembrate spaventata – le disse Kyo, sorpreso.
- Dopo essere stata attaccata da quei cosi... Rasetsu, mi sembra che Nagakura gli abbia chiamati così... Tutti voi non mi sembrate così aggressivi e spaventosi. E poi Okita-san ha detto che voleva abituarsi al mio odore, non uccidermi.
Souji la guardò stupito da tanta cieca fiducia.
- Grazie della fiducia, Chibi-chan – le sussurrò, sorridendo, mentre con la mano le scompigliava i capelli, sotto lo sguardo divertito di Gin, la quale tornò a concentrarsi su Nagakura.
- Che mi dite, allora? Accettate?
L'uomo guardò lei e poi Sano.
- Ho fiducia in Sano. E se lui si fida talmente tanto di voi da scegliervi come compagna, allora mi fiderò di voi anche io. - fu la risposta dell'uomo – Che devo fare?
Sotto lo sguardo sorpreso di Virginie, che aveva scoperto la sua vera natura, e quello deciso di Nagakura, Gin sollevò fin sopra al gomito la manica della camicia che indossava, afferrò la katana portale da Sano e si procurò un lieve taglio sul braccio, da cui iniziò a sgorgare il sangue.
- Bere – fu la risposta di Gin, mentre portava il polso alla bocca di Shinpachi.
Tre giorni dopo, Nagakura era diventato un Oni impuro, mentre Okita abbandonò il tempio per andare ad incontrare Saitou che sapeva attenderlo in compagnia di una giovane Oni messagli alle spalle da Gin.

***

- Dannazione, quanto ancora dovrò attendere prima di liberarmi di voi? - si chiese Raiseki esasperata dall'atteggiamento che Saitou aveva tenuto in quei giorni. La convivenza stava divenendo estremamente difficile per lei. L'uomo, invece, la ignorava, limitandosi a rivolgerle la parola solo quando lo ritenesse strettamente necessario.
Saitou si sollevò dal giaciglio improvvisato, mettendosi seduto per scrutarla meglio in volto.
- Che c'è che non va? Non vi siete mai lamentata sino ad ora.
- C'è che se avessi voluto coabitare con un uomo dall'energia di un cadavere, mi sarei trasferita presso  le tombe fuori città.
La verità era che trovava frustante stargli accanto senza che lui prendesse la minima iniziativa nei suoi confronti. E' vero, gli aveva detto che non gli avrebbe più permesso di baciarla, ma quel primo ed unico bacio continuava a tormentarla, giorno e notte, facendole desiderare il bis. E spingendola a chiedersi come sarebbe stato andare oltre. L'espressione felice di Gin le si presentò alla mente. Anche lei si sarebbe sentita così dopo essersi concessa all'uomo di cui era innamorata?
Portò lo sguardo su Saitou, arrossendo vistosamente non appena ne incrociò lo sguardo indagatore.
Merda.
Ed anche quella notte non avrebbe chiuso occhio.
Un rumore improvviso fece scattare entrambi in piedi, la katana sguainata.
- Dov'è? - chiese l'uomo in un sussurro.
La ragazza gli rispose accennando con il capo in direzione dello shoji, mentre socchiudeva gli occhi, concentrata sui rumori che provenivano da fuori, per poi mostrare all'uomo cinque dita, il numero delle persone appostate all'esterno della stanza.
- Sono qua dentro... non dobbiamo svegliarli: lui è pericolosissimo.
- Questo significa che non posso farmi un giretto con la ragazza...
La mano di Raiseki si serrò ulteriormente sull'arma, mentre le immagini di Gin subito dopo lo stupro le affollavano la mente. Si rilassò lievemente solo quando Saitou le sfiorò le nocche bianche.
- Sei sicuro che stiano dormendo?
- Con una gatta come quella nel letto, sicuramente avranno fatto baldoria fino a tardi.
- Già. Fortunato lui.
Saitou riportò gli occhi su Raiseki che, il capo chino, cercava di nascondere il rossore del volto facendovi scivolare sopra i capelli.
- Quante monete avranno?
- Per mantenere quella gatta ce ne vogliono molti, garantito.
Le guance di Raiseki iniziarono a fremere per la rabbia, lasciando chiaramente intendere a Saitou che la giovane era sul punto di esplodere.
Fu così che, sotto lo sguardo sbalordito di Raiseki, Saitou si diresse alla porta, spalancandola improvvisamente, slanciandosi contro il malvivente a lui più vicino.
- Temo che qui troverete solo il modo di indebitare le vostre famiglie per la vostra cerimonia funebre. - disse con tono calmo e minaccioso al contempo.
I quattro che erano sfuggiti alla minaccia della katana dell'uomo, arretrarono lentamente, fino a che la schiena di uno di loro non andò a pungersi contro la punta della katana di Raiseki, che si era materializzata alle loro spalle, guadagnandosi un'occhiata inintelligibile da Saitou.
- Dove credete di andare? Avete intenzione di lasciarmi così? Dopo tante promesse... Potrei sentirmi trascurata... - disse loro, la bocca atteggiata in un poco rassicurante sorriso di scherno, mentre assumeva la posizione di attacco.
- Sei solo una donna... cosa credi di poter fare contro noi quattro? - le disse uno degli uomini, facendole scivolare addosso lo sguardo con lascivia.
- Ti consiglio di riflettere prima di parlare. Lei NON è SOLO una donna, ma una guerriera. E comunque, prima che uno solo di voi quattro riesca anche solo a sfiorarla, il vostro amico qui con me si troverà con la gola recisa. Ed allora saremo due contro quattro. Ma se siete certi di riuscire a ucciderci...
Raiseki abbassò la katana, gli occhi gialli brillanti di scherno, spostandosi di lato.
Tempo zero, i cinque si dettero alla fuga, sotto lo sguardo soddisfatto della ragazza e quello freddo ed inespressivo dell'uomo, che poco dopo si rivolse alla compagna,  afferrandola per un braccio e trascinandola nella loro stanza.
- E adesso voglio sapere ciò che non mi hai detto, Oni.


***


 Gin tornò a rileggere il rapporto arrivatole quella mattina dagli uomini che aveva messo alle costole di Keisuke Yamanami, più noto come Sannan-san.
C'era qualcosa che non andava. Dal rapporto risaltava il fatto che avesse stretto rapporti con Koudou-san, quel pazzo scatenato. Ma qualcosa le diceva che un uomo che aveva assunto l'ochimizu, trasformandosi in Rasetsu, solo per continuare a far parte della shinsengumi, difficilmente avrebbe rinnegato la shinsengumi stessa alleandosi con il nemico allo scopo di dimostrare la propria acquisita superiorità.  Certo era che, se la sua impressione si fosse rivelata essere vera, avrebbe dovuto fare di tutto per non tradire l'uomo che, sicuramente, era mosso da motivi ben precisi, di non difficile intuizione. Ma dal momento che non lo conosceva, che lo aveva sempre visto come il più schivo tra tutti i compagni di Sano, e non ultimo il fatto che non lo aveva ancora “visto” morire, non potendo così sapere se sarebbe morto da traditore o meno, aveva ritenuto opportuno mettergli alle spalle una persona di sua fiducia, una persona che, per il proprio aspetto, non sarebbe stata identificata come Oni, ma che anzi si sarebbe facilmente “mimetizzata” con il resto delle persone che circondavano Sannan-san, potendo così arrivare  a tenere d'occhio anche Hijikata-san.
Decisa a non rendere pubblico quel rapporto che, certamente, avrebbe influenzato negativamente i tre shinsengumi presso il tempio, a cui si sarebbe presto unito Saitou come quarto, si ripromise di tacere su quanto scoperto e sul fatto che aveva assegnato Skiri alla sorveglianza di Sannan-san, Heisuke Toudo ed Hijikata-san. Era infatti certa che quei tre si sarebbero riuniti e qualcosa le diceva che se Skiri avesse seguito i primi due, sarebbe stata in grado di consentirgli di prevedere le mosse di Kazama.
Già... Kazama. Non si era dato per vinto. Aveva solo momentaneamente accettato quanto Gin stava facendo, ma la ragazza sapeva benissimo che, nonostante avesse lasciato correre con i tre che già si trovavano presso il tempio, così come avrebbe lasciato correre con Saitou, Yamanami e Toudo, difficilmente si sarebbe mostrato altrettanto benevolo verso Hijikata. Ed era consapevole che la cosa non si riducesse ad una mera questione di onore: Kazama voleva Chizuru; Hijikata era intervenuto impedendogli di farne ciò che voleva. E non poteva perdonarglielo. Probabilmente lo vedeva come un rivale. Ma non di spada.


***


In piedi, gli stivali infilati nelle staffe, Skiri scrutava dall'alto della sua postazione l'edificio in cui si era ritirato Hijikata-san insieme alla giovane Oni che lo accompagnava. Gli occhi verde muschio, talmente scuri da sembrare neri, si spostarono in alto, soffermandosi su un punto ben preciso. Un braccio lungo e sottile si stese morbidamente nell'aria, mentre un sorriso lieve incurvava le labbra della giovane, che con un gesto aggraziato scostò i lunghi capelli nero ramati dal volto. Pochi secondi dopo il falco si posò sul guanto che rivestiva la mano e l'avambraccio della giovane, la quale sprofondò gli occhi in quelli del rapace, sorridendogli rassicurante.
- Ottimo lavoro, piccolo mio – sussurrò al falco, sul cui capo ripose il cappuccio, sfiorandoglielo poi con le labbra.

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Nuovo personaggio femminile... chissà con chi interagirà?

Skiri... ti dedico Skiri
Questa era la sorpresa ^__^

Virgi, Ayako... mi scuso per avervi fatto attendere così tanto. Spero che il capitolo fiume mi faccia perdonare.

Chiedo venia per gli eventuali errori e vi invito a segnalarli.
Grazie. ^^

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Capitolo 11
*** CAPITOLO 10 ***


Anche gli Oni hanno sentimenti umani cap 9
CAPITOLO 10

- Mi stai dicendo che Harada-san, Nagakura-san e Okita-san, che a breve dovrebbe raggiungerci, non sono più umani ma... cosa? Una via di mezzo tra umani ed oni? E tutto grazie al sangue di una tua amica... Mi fai così stupido?
Raiseki sostenne lo sguardo inespressivo di Saitou, risponendogli in tono piatto.
- Mi guardo bene dal sottovalutarvi, Saitou-san. E non solo per come maneggiate la spada. Ho avuto un assaggio del vostro carattere – concluse ripensando al bacio.
- E comunque, se non volete credermi adesso lo farete non appena avrete parlato con Okita-san.
- Mi stai quindi suggerendo di lasciarti vivere, femmina oni?
- Adesso siete voi a sottovalutarmi, se credete di potermi uccidere con facilità: prima dovete riuscire a prendermi. - gli rispose, provocandolo con un sorriso sarcastico.
- Basta solo usare la tattica giusta... e sarai tu a lasciarti catturare. - le disse, mentre allungava una mano per toccarle i capelli.- Di che colore sono, realmente?
- Lo scoprirete solo dopo che gli avrò lavati. In questo modo non attirano l'attenzione – gli rispose, cercando di non cedere all'esercizio di fascino maschile di Saitou, con cui era certa l'uomo sperava di farle abbassare le difese.
- Capisco... - commentò l'uomo, avvicinandolesi, spostando poi la mano sulla guancia e tuffando gli occhi azzurri in quelli gialli di lei – ma per gli occhi non hai potuto fare niente...- lasciò la frase in sospeso, avvicinandolesi quel tanto da poterne sfiorare il corpo con il proprio.
- Sono bellissimi... - le disse, calando il volto verso quello di lei, per sfiorarle le labbra con le proprie una, due, tre volte, stringendola a sé solo mentre si decideva ad approfondire il bacio.
Raiseki lo lasciò fare, rispondendo anzi con slancio, infilandogli una mano tra i capelli, per attirarlo meglio a sé.
Saitou mise fine al bacio, scrutandola negli occhi per un lungo istante.
Poi un sorriso sarcastico gli increspò le labbra.
- Presa
- Ne siete certo? - lo interrogò Raiseki, sul volto la stessa espressione di Saitou.
Lo smarrimento di Saitou gli fu fatale: Raiseki, con una rapida torsione del polso, dopo aver stretto tra le dita i capelli dell'uomo, lo costrinse ad abbassare la testa al proprio livello, punsecchiandogli la pelle della gola con uno stiletto e facendola sanguinare lievemente.
- Preso – gli mormorò a fior di labbra, per poi portare la bocca sul collo dell'uomo e passare la lingua sulla ferita, richiudendola.
Fatto ciò, Raiseki si allontanò da Saitou arretrando lentamente, senza staccargli gli occhi di dosso neanche mentre riponeva l'arma.
- Sei decisamente una gatta... selvatica e furba al contempo...
- Sbaglio o era un complimento? - gli chiese, osservandolo mentre tornava ad avvicinarlesi.
- Mi sono sempre piaciuti i gatti... specialmente le gatte... e devo dire che trovo divertente vederti arruffare il pelo. - le disse prima di scompigliarle i capelli.
- Vi siete dimenticato delle unghie... - gli disse, cercando di intuirne le intenzioni.
- Non vedo l'ora di sentirmele addosso
- Morirete con questa speranza – fu il sussurro di Raiseki, mentre la mano di Saitou si faceva strada sotto la sua camicia, carezzandole un fianco.
- Sarai tu a pregarmi di lasciartelo fare – fu la risposta dell'uomo che, dopo aver chinata il capo come a volerla baciare di nuovo, ruotò la testa, sfiorandole la guancia con le labbra.
- Sogni d'oro, micetta.
La mattina trovò la giovane con gli occhi sbarrati, mentre continuava a darsi della stupida per aver permesso all'uomo di giocare e vincere con i suoi nervi.
Il fatto è che per come lo conosceva lei e per come aveva avuto modo di vederlo nei giorni in cui lo sorvegliava, Saitou era l'immagine dell'uomo freddo e controllato, sempre distaccato, talmente inespressivo ed inoppugnabile da risultare arido. Le cose erano due: o ciò che aveva visto di lui prima di interagirci era solo una facciata, oppure era lei a tirare fuori quella vena provocatoria, da seduttore, che si guardava bene dal palesare. Certo, era risaputo che avesse successo con le donne: era molto bello, indubbiamente. Ed in tempo di guerra, la compagnia femminile a buon mercato, per quanto non scarseggiasse, era l'ultima cosa a cui un guerriero pronto alla battaglia potesse anche solo lontanamente pensare. Forse era solo astinenza da gentil sesso, la sua. Ma era pur vero che l'autocontrollo mostrato anche quella notte, le lasciava intendere che il suo “bisogno” non fosse così impellente. O, più probabilmente, lei non era il suo tipo.
Ma allora, perché l'aveva provocata?
- Noto con piacere di essere riuscito a toglierti il sonno – la voce fredda di Saitou interruppe le riflessioni di Raiseki, che lo guardò simulando indifferenza.
- Presuntuoso.
- Stai negando? - le chiese, mantenendo un tono incolore.
°Bastardo menefreghista donnaiolo del cazzo°
- Non mi affanno a negare l'esistenza di ciò che, per assunto, non esiste – risposta piatta, quasi annoiata, con gli occhi fissi in quelli dell'uomo.
- Il mio sangue Oni mi consente di non aver bisogno di dormire a lungo per essere riposata. E, dato quanto accaduto durante la notte, ho approfittato della cosa per fare la guardia. - concluse, alzandosi dal giaciglio e stirandosi la schiena e le spalle, allungando le braccia sopra la testa.
- Adesso sembri proprio una gatta... Mi chiedo quanto dovrò aspettare prima di sentirti farmi le fusa – la provocò Saitou, alzandosi a sua volta, mentre le fissava il seno.
Dopo aver scoperto cosa guardasse con interesse, Raiseki lo fissò sogghignando.
- Sogni e rumori molesti rimangono sotto le coperte, non lo sapete Saitou-san?
Due colpi decisi allo shoji fecero scattare la mano di entrambi sulle katane.
- Buono, buono, Saitou-san... - fu la reazione di Okita quando si trovò davanti al collo la lama dell'arma dell'amico.
- Souji, sei deciso a morire per mano mia...
- Ohayo, Saiotu... Raiseki-san, lieto di fare la vostra conoscenza.
- Okita-san, potete abbandonare il tono formale: gli amici di Gin sono amici miei.
- E sia, Raiseki-chan... ma solo se non sarai così formale a tua volta – le rispose Souji, con un bel sorriso ad illuminargli gli occhi verdi.
- Come vuoi, Souji-kun.
- Quando avete finito di scambiarvi i convenevoli... - fu l'interruzione annoiata di Saitou.
- Ohi, ohi, Saitou... siamo acidini. Io conosco una cura miracolosa – fu la risposta ammiccante di Souji
- La conosco anche io, Okita... ma non avevo né la forza né il tempo di addomesticare la gattina selvatica che mi sono ritrovato tra le mani. - risposta piatta, ma dal messaggio intriso di malizia, che fece centro, facendo arrossire violentemente Raiseki, mentre Souji sghignazzava senza ritegno.
- Devi vincere anche questa battaglia, Saitou?
- Temo si tratti di una vera e propria guerra.
- Quando avete finito di parlare di me come un pezzo di carne su cui sfogare le vostre frustrazioni sessuali, potremmo cortesemente avviarci in direzione del quartier generale? - fu il commento aspro di Raiseki.
- Hai ragione, amico mio... è una guerra.
- E decisamente lunga.
- Scommetto che stavolta non sarai tu a vincerla – sussurrò Okita all'orecchio di Saitou, mentre andavano a saldare il conto per l'alloggio, seguendo Raiseki, che aveva abbandonato la stanza a passo di carica.

*****

Hijikata e Toudou mostrarono stupore quando videro entrare nella stanza quello che si era presentato al quartier generale provvisorio come un uomo fedele alla causa inviato da Harada per prestare loro aiuto in campo medico: era una ragazza alta e magra, dal fisico scattante e morbido al contempo. Se il colore nero ramato dei capelli attirò l'attenzione del più giovane dei due uomini, Hijikata si chiese immediatamente quale fosse il colore dei suoi occhi, a prima vista di un indecifrabile marrone.
- Hijikata-san, Toudou-san... il mio nome è Skiri e questa – si interruppe per porgere a Hijikata un rotolo – è la mia presentazione, scritta da Harada-san di suo pugno.
- Come posso essere certo non si tratti di un falso? - tuonò la voce di Hijikata, mentre con gli occhi violetti scrutava quelli della giovane, cercando ancora invano di individuarne il colore.
- Non conosco il testo della missiva, ma mi è stato detto di riferirvi che qualcosa in essa contenuta attesterà la sua autenticità. E la veridicità delle mie azioni. - fu la risposta pacata della giovane mentre si inchinava all'indirizzo dei due uomini.
Hijikata-san ne soppesò l'atteggiamento per alcuni secondi, decidendosi poi a leggere il messaggio, su cui scorse rapidamente gli occhi fino a soffermarsi su una frase.
“Spero che il piccolo Heisuke mangi con regolarità e che sia per questo finalmente cresciuto. O forse, la lontananza di Shinpa non ha giovato alla sua altezza?”
Il sorriso che increspò le labbra dell'uomo, accompgnatao da uno sbuffo divertito, costrinse Skiri a sollevare gli occhi su di lui, mentre l'uomo più giovane gli strappava di mano la lettera iniziando a leggerla per poi pronunciare una sola parola.
- Baka!
Hijikata si riprese con un colpetto di tosse, mentre Heisuke continuava a proferire improperi all'indirizzo di Harada.
- Stando a quanto scrive Harada-san tu sei un... medico... - tornò a chiederle Hijikata dopo che il ragazzo più giovane si fu acquietato.
- Esattamente.
- E dimmi... come vi siete conosciuti tu e Harada?
- Hijikata-san, che domande fate? A dir poco ha provato ad infilarsela nel futon...
- Non essere irrispettoso, Heisuke.
- Non importa, Hijikata-san. No, Toudo-san. Harada-san non ha fatto niente del genere: una mia cara amica è divenuta sua compagna.
- Sano?! Ha messo la testa a posto?! Incredibile!!!
- Heisuke...
- Hijikata-san... dovete riconoscere l'eccezionalità del fatto!
- Heisuke...
- Hijikata-san... il prossimo passo sarà vedere Saitou impazzire per una femmina e Okita trasformarsi in monogamo...
- Heisuke...
- Shinpachi svilupperà un'allergia al bere ed al gentilsesso e …
- Heisuke...
- … e voi amoreggerete... magari con una donna dal carattere diametralmente opposto al vostro
- E tu ti troverai a parlare il linguaggio dei segni in quanto le troppe chiacchiere avranno  fatto sì che ti tagliassi la lingua!!! - fu la tirata stizzita del moro, gli occhi viola che sprizzavano lampi, le guance arrossate a causa anche del commento del ragazzo circa una sua eventuale relazione particolare con una donna dal carattere pacato e composto, esattamente come quella che gli stava dinanzi in quel momento e che, sempre in quel momento, tratteneva a stento le risate, nonostante il colorito acceso ne tradisse l'imbarazzo.
- Ahem... Skiri... posso chiamarvi per nome, vero? - si interruppe Hijikata, per poi riprendere a parlare dopo un cenno di assenso da parte della donna.
- Skiri... dal momento che i medici non sono mai abbastanza e che soprattutto ne scarseggiano decisamente di fidati, voi resterete al fianco di Heisuke e degli uomini a lui assegnati. Sapete usare un'arma?
- Katana e pistola. Ma la mia specialità sono le armi da lancio: pugnali e  shuriken.
Hijikata la osservò serio, lo sguardo violetto impassibile, sebbene la risposta della giovane lo avesse sorpreso.
Sorpresa che non riuscì a dissimulare Heisuke.
- Armi da lancio?
- La mia è una famiglia di guaritori e guerrieri da generazioni: medici, samurai ed in un passato lontano anche ninja. Da lì la mia passione per quel genere di armi. - fu la risposta compassata di Skiri.
- Ottimo, ci sarete doppiamente utile. Prima che disponiamo di voi, avete richieste da fare? - intervenne nuovamente Hijikata.
- Solo una. L'occorrente per poter tenere con me il mio falco. E' il mio amico più fidato ed i miei occhi prima di ogni battaglia.
L'uomo la scrutò con attenzione, apprezzando la fermezza con cui aveva posto la richiesta, presentandola chiaramente come una condizione sine qua non alla sua permanenza tra le loro file.
- E sia. In fin dei conti, i vostri occhi saranno al nostro servizio – le rispose, accennando un sorriso.
- Vi ringrazio, Hijikata-san.
- Toshi.
- Heisuke. - si affrettò ad imitare il compagno.
- Solo se mi chiamerete semplicemente Skiri. E questo vale per entrambi. - replicò la giovane con un sorriso pacato.

*****

Virginie era seduta in veranda, le gambe, coperte da uno yukata, lasciate a dondolare nel vuoto, lo sguardo fisso su Gin che si allenava nell'uso del bastone con Harada.
- Ginny... cosa vi turba?
La ragazza si voltò verso Shinpachi, scrutandolo sorpresa.
- Beh... è raro vedervi così silenziosa ed assorta. - si giustificò l'uomo.
- State dicendo che sono rumorosa?
- Sto dicendo che questa sorta di apatia che vi caratterizza da alcuni giorni è innaturale.
- Già... avete ragione – fu la risposta malinconica della ragazza.
Shinpachi le si sedette a fianco, portando anche lui gli occhi sulla coppia che aveva trasformato un serio allenamento in uno spettacolo fatto di sbeffeggi e scherzi.
- Li invidio.
L'uomo, sorpreso, posò gli occhi sulla giovane europea che, senza abbandonare le due figure che in quel momento si stavano abbracciando, riprese a parlare.
- So di essere meschina, ma non riesco a farne a meno. So cosa ha passato Gin e so che non avrei mai avuto la sua forza per lasciarmi tutto alle spalle e ricominciare come ha fatto lei con Sano. Ma non riesco a fare a meno di invidiarla.
- Che cosa le invidiate? - le chiese Shinpachi, interessato da quello strano quanto inaspettato sfogo.
- La possibilità di amare liberamente. Di poter vivere il suo amore con la persona amata.
L'uomo al suo fianco si limitò ad osservarla in silenzio, invitandola con lo sguardo a continuare.
E lei, dopo averne incrociato gli occhi per un lungo istante, riprese a parlare.
- Anche in Giappone esistono i matrimoni combinati, per cui sapete a cosa mi riferisco...
- Ma voi siete giovane...
- Sono in età da matrimonio... anzi, sarei già vecchia. Specialmente per i canoni del vostro paese.
Vi fu un attimo di silenzio, spezzato dal sospiro di lei.
- Vi penserò quando tornerò dai miei genitori – concluse Virginie, sorridendogli tristemente.
- Vi mancano?
- Soltanto mia madre. - fu la risposta dura della giovane.
- Con permesso – concluse Virginie, mettendo fine alla chiacchierata sollevandosi in piedi per ritirarsi nella propria stanza.
Non appena si chiuse lo shoji alle spalle, sentì il peso della sua situazione farsi insostenibile, arrivando a desiderare che Shinpachi l'avesse lasciata morire per mano dei Rasetsu.
Fu un attimo. Un paio di occhi verdi le invase la testa, mentre la voce sensuale e scherzosa del loro proprietario le risuonava nelle orecchie.
“Siete carina, Chibi-chan.”
- Se voglio cambiare le cose, devo prima cambiare me stessa. - si disse, aprendo nuovamente lo shoji e dirigendosi a passo di carica verso il campo di allenamento, fermandosi in prossimità dei due che in quel momento stavano riponendo i bastoni.
- Ginny-chan? - la interrogò Sano.
- Devo chiedervi un favore, Gin...
- Ditemi, Ginny...
- Vorrei indossare abiti maschili, come i vostri.
La ragazza Oni la guardò sorridendole apertamente.
- Concedetemi il tempo di un bagno poi vi cercheremo qualcosa.


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Mi scuso per avervi fatto attendere. Il capitolo era pronto da tempo ma non mi soddisfaceva del tutto.
Dopo averlo fatto decantare, ho optato per tagliare ciò che a mio avviso stonava: spero che il lavoro di forbici abbia dato frutti positivi.

Spero a presto, Yuuki


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Capitolo 12
*** CAPITOLO 11 ***


Anche gli Oni hanno sentimenti umani cap 9
CAPITOLO 11


La ragazza si guardò attorno furtiva, fotografando con un solo colpo d'occhio la situazione dinanzi a lei.
- Merda!
Quella parola pronunciata in tono secco e basso la costrinse a nascondersi silenziosamente dietro l'angolo, mentre con lo sguardo cercava la conferma ai propri timori: Hijikata.
- Heisuke, l'hai vista?
- No. E' sparita nel nulla.
Skiri realizzò in pochi istanti che se fosse rimasta nascosta e quindi scoperta, Hijikata avrebbe trovato conferma ai propri sospetti su di lei. E lo stesso dicasi qualora avesse deciso di palesarsi, cogliendoli di sorpresa.
Restò a studiarne le mosse per alcuni istanti, decidendo poi di aggirare l'edificio dietro cui si era nascosta per arrivare davanti ai due Shinsengumi dalla direzione opposta a quella in cui si trovava, come se si trovasse lì per una passeggiata notturna. Anche se non era certa che Toshizo Hijikata se la sarebbe bevuta.
Non appena si trovò a passare loro davanti, la sorpresa di Heisuke fu evidente.
- Hijikata-san... - richiamò infatti l'attenzione dell'altro con tono incerto.
Skiri si voltò verso il ragazzo, sentendosi trafiggere dagli occhi violetti dell'altro.
- Heisuke... Toshi... buona serata – esclamò allegramente, avvicinandosi al più giovane dei due, mentre Toshi non accennava a smettere di fissarla.
- Che fate fuori a quest'ora, Skiri-chan? - fu la domanda di Hijikata.
Le bastò guardarlo negli occhi per capire che non se l'era bevuta.
- Non riuscivo a dormire – rispose comunque, cercando di dissimulare il nervosismo in cui le occhiate dell'uomo l'avevano gettata.
- E voi? - chiese sorridente ai due uomini.
- Sono di ronda – fu la risposta di Heisuke.
- Troppi pensieri – disse l'altro, scrutandola ancora – Sono venuto a cercarvi nelle vostre stanze e non avendovi trovata mi sono preoccupato per voi – concluse la frase con tono monocorde.
Skiri comprese allora che Toshi non aveva esternato i propri sospetti ad Heisuke.
- Rientriamo? - le chiese il moro, avvicinandolesi e posandole una mano sulla spalla, stringendola lievemente.
Il messaggio era chiaro: “seguimi e niente storie”.
Skiri gli sorrise con le sole labbra, gli occhi inespressivi.
- A domani, Heisuke-kun...
- A domani, Skiri-chan – rispose il giovane, guardando i due con aria interrogativa.
Il ritorno al quartier generale iniziò silenzioso, con la mano dell'uomo lievemente posata sulla vita della ragazza, anche stavolta in un muto messaggio.
- Non ho intenzione di scappare, Hijikata-san
- Toshi – la corresse lui automaticamente, abbassando lo sguardo su di lei, che continuava a guardare dritto dinanzi a sé – mi pareva fossimo d'accordo.
- Credevo che le cose fossero cambiate, dopo stasera.
Toshi l'afferrò per un braccio, fermandosi bruscamente e costringendola a fare altrettanto.
- Cosa ti aspettavi? Che dopo aver scoperto che indaghi su Sannan-san ti lasciassi continuare nelle tue assurde uscite notturne?
Skiri lo guardò incredula.
- Come...?
- E' stato un caso. - le rispose mostrandole un biglietto su cui erano annotate date e luoghi.
- Come?
- Mi è bastato fare due più due. Sono i suoi spostamenti negli ultimi mesi. E sembri saperne molto più di me. Come è possibile tutto ciò?
Skiri si limitò a sondarne lo sguardo per un attimo, abbassando poi la testa sotto il peso del rimprovero che leggeva in quegli occhi violetti. Erano bastati 10 giorni per instaurare tra di loro un rapporto di fiducia, quasi di amicizia. Avevano lavorato gomito a gomito, erano usciti insieme durante le ronde. Si erano persino ubriacati assieme. Ma lei non avrebbe mai potuto rivelargli il segreto per cui era lì, lo stesso per cui teneva d'occhio Sannan-san.
- Skiri, dannazione! - le urlò contro, strattonandola e costringendola con una mano a sollevare gli occhi su di lui.
La ragazza prese un sospiro, preparandosi a rispondere.
- Una volta al quartier generale ti spiegherò tutto, Toshi, te lo prometto. Fidati di me.
- E' proprio per questo che voglio sapere. Perché mi fido di te. Ma mi fido anche di Sannan-san e... - fu la risposta dell'uomo, gli occhi attraversati da qualcosa di strano, disperazione, forse, mentre con il pollice le carezzava la guancia.
- E questo è il motivo per cui sto indagando su di lui. Ti dirò tutto appena arrivati.
Ci fu un momento in cui Skiri, sorpresa, lo vide abbassare gli occhi sulle sue labbra, per poi avvicinare lentamente la testa alla sua.
- T...Toshi?! - sospirò incredula, la voce ridotta ad un soffio, spezzato dall'aspettativa.
L'uomo si immobilizzò con le proprie labbra talmente vicine a quelle di lei tanto che la giovane poteva assaggiarne il respiro caldo.
Poi tutto finì come era iniziato: improvviso.
- Scusami. Ti ho mancato di rispetto. Perdonami. Non accadrà mai più - le disse allontanandosi da lei bruscamente, una mano a massaggiarsi la fronte.
Skiri si sentì abbandonata.
- Andiamo – le ordinò, superandola e lasciando che lo seguisse in silenzio, mentre lei, con le braccia attorno al corpo cercava di scacciare quella sensazione di gelo che l'aveva avvolta.
Quando arrivarono alla base, Toshi si diresse silenziosamente nelle stanze di Skiri, precedendola.
La ragazza continuò ad osservarne le spalle ampie, lo sguardo fisso sulle pieghe che prendeva la giacca sulla sua schiena ad ogni suo passo. Era bello, Toshi. Di una bellezza fine e maschia al contempo. Il volto aveva sempre un'espressione tesa e gli occhi, di un incredibile sfumatura violetta, erano sempre inespressivi. Tranne quando si posavano con affetto sui suoi uomini. E su Chizuru.
Skiri invidiava le attenzioni che il bel Hijikata riservava alla ragazza. Si passò una mano sul volto, stancamente, cercando di scacciare il senso di fastidio che quella consapevolezza le accendeva in corpo ogni volta che si trovava sola con l'uomo per cui, ed ormai vi sie era rassegnata, aveva inevitabilmente iniziato a provare qualcosa.
Era ancora persa nei propri pensieri che non notò Toshi fermarsi all'improvviso, andando così a sbattere contro la sua schiena.
- Scusami.... ero distratta.
Non poteva rivelargli che, in quella assurda situazione in cui si trovavano, lei si perdeva a ripensare al quasi bacio di pochi minuti prima.
- Colpa mia: non avrei dovuto cercare di baciarti – le rispose distaccato, come se parlasse del clima.
Skiri si bloccò sul posto, osservandolo incredula.
Cazzo! Perfetto!
- Adesso, però, vedi di dimenticare tutto e riprenderti: mi devi delle spiegazioni. E che siano convincenti.
Fanculo, stronzo!
L'uomo le afferrò delicatamente un polso, attirandola dentro la sue stessa camera da letto, per poi chiudere lo shoji alle loro spalle.
- Adesso parla: ti ascolto.
Skiri lo guardò negli occhi, cercando di ignorare disperatamente il calore di quelle dita attorno al suo braccio.
Inutilmente.
- Potremmo andare nel salone, Toshi? - chiese speranzosa: la sua stanza non le era mai sembrata così piccola.
L'uomo la scrutò con attenzione, inclinando lievemente la testa di lato, senza lasciar trasparire niente.
- Mi pare di averti detto che non accadrà più.
- Già... ma non è conveniente per un uomo del tuo rango intrattenersi nelle stanze di una donna. - improvvisò.
- Prima di essere donna sei un mio soldato. - fu la risposta atona dell'uomo.
- Però, quando parli con Heisuke non mi sembra tu lo tenga per mano – borbotto lei, contrariata dalla sua risposta ed in imbarazzo per la presa delle dita di Hijikata, intrecciate alle sue.
L'uomo continuò a studiarla in silenzio per alcuni secondi, senza mollare la presa, mentre un sorriso sghembo andava ad increspare le labbra, tirate fino a pochi attimi prima.
- Ho forse frainteso i tuoi desideri? - le chiese sornione, gli occhi ridotti a due fessure, mentre, serrata la presa, se la attirava al petto, lasciandola sbalordita.
- Credevo di aver capito che volessi evitare il ripetersi di quanto è accaduto prima... evidentemente sei contrariata perché mi sono fermato.
Solo quando la vide arrossire realizzò ciò che stava facendo e dicendo, dandosi dello stupido.
La verità era che quella donna gli era entrata nel sangue: la sua bellezza delicata, i lineamenti fini e gli occhi color muschio sempre sorridenti nascondevano una forza di carattere ed una pericolosità incredibili.
Ed adorava vederla arrossire. Gli occhi le si dilatavano, divenendo ancor più lucidi, accesi da strane sfumature dorate; le guance le si imporporavano delicatamente; il suo profumo diveniva più forte e sensuale, eccitandolo.
- Non credo a Chizuru farebbe piacere sapere che ci troviamo qui, da soli...  - gli disse lei, riportandolo con i piedi per terra.
Merda!
Voleva baciarla. Moriva dalla voglia di farlo. Da quella dannata ultima sera in cui si erano ubriacati e l'aveva vista senza giacca, la camicia di cotone bianca a fasciarle il petto e con un paio di bottoni slacciati, tanto da mostrargli la curva generosa del seno.
- Tra me e Chizuru non c'è niente. - le disse, infilandole tra i capelli la mano che non stringeva quella di lei, in cerca del nastro che li teneva legati, per poi scioglierlo una volta trovato.
Skiri si sentiva annegare in quegli occhi viola, smossi da un qualcosa che non vi aveva mai visto.
- Da... da come la... la guardi... non... non si direbbe – balbetto, mentre le dita affusolate dell'uomo le afferravano delicatamente i capelli sulla nuca, costringendola a piegare la testa all'indietro.
- E come la guarderei? - le chiese, la voce bassa, lievemente roca.
- Come... con affetto... - rispose in un sussurro.
- Non come sto guardando te adesso? - le chiese, sprofondando il naso nel collo della giovane.
Skiri sussultò sorpresa dall'audacia di Toshi.
- N...no... come... come i tuoi... Heisuke – furono le sole parole che la ragazza riuscì a mettere assieme.
- Mh... quindi dal momento che non ho mire romantiche su Heisuke... - si interruppe per baciarle la pelle tesa sotto l'orecchio – e che riservo a Chizuru lo stesso trattamento che riservo a lui...- si interruppe ancora, altro bacio, stavolta alla gola – mi pare evidente che tra me e Chizuru non ci sia niente.
Bacio sulla mandibola.
Skiri aveva compreso da tempo che non sarebbe stata in grado di reagire. Neanche lo voleva.
Sollevò la mano libera posandola sul petto dell'uomo, mentre con un sospiro si lasciava andare contro il suo corpo.
- E poi non ho mai desiderato baciarla. Invece, se non bacio te, sento che potrei impazzire... - le disse, senza smettere si sfiorarle il volto con le labbra.
- Toshi...- sospirò lei.
- Posso? - le chiese a fior di labbra, gli occhi violetti sprofondati in quelli verde muschio, che in risposta si chiusero.
Sapevano entrambi che con ogni probabilità il giorno dopo si sarebbero pentiti di ciò che sarebbe avvenuto tra loro di lì a breve, ma in quel momento nessuno dei due ebbe la forza per allontanarsi dall'altro. C'erano troppe cosa in sospeso, troppi segreti taciuti.
Ma quel bacio era diventato vitale, come l'aria per respirare.
E respirarono l'una dell'altro.
Quando l'uomo le sfilò la giacca, lei lo aiutò a fare altrettanto.
Quando la ragazza iniziò a sbottonargli la camicia, lui l'aiutò a toglierla.
Senza mai smettere di baciarsi.
Si ritrovarono sdraiati sul tatami, avvinghiati come due amanti.
Quando le dita fredde di lui le sfiorarono il seno con il chiaro intento di liberarlo dalla costrizione della camicia, Skiri riacquistò un minimo di lucidità.
- Toshi... Sannan-san...
- Domani, Skiri. Domani. - le rispose, riprendendo a baciarla e facendo volare la camicia di lei dietro le sue spalle.
E non ci fu più posto per le parole, ma solo gemiti e sospiri.

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Stavano arrivando alla tempio e fu con un sospiro che Souji si trovò a pensare per l'ennesima volta alla giovane europea.
Aveva trascorso il viaggio di ritorno assistendo divertito ai continui battibecchi fra Saitou e Reiseki, battibecchi dai toni sempre più accesi ma di una comicità unica: vedere l'impassibile ronin stuzzicare la giovane Oni, la quale gli rispondeva per le rime, riuscendo a tenergli testa come solo Hijikata-san sapeva fare, era uno spettacolo più unico che raro. Ma ciò che lo divertita maggiormente era l'evidente tensione sessuale che traspariva da ogni loro atteggiamento. Salito-san aveva sempre vantato un discreto successo con le donne, a cui però era interessato solo come valvola di sfogo, limitandosi a frequentare quelle che dell'amore facevano il proprio lavoro: era solito ripetere di non aver ancora trovato la femmina che lo stimolasse mentalmente, pertanto per il momento si limitava alla compagnia a pagamento.
Souji tornò ad osservare le spalle del compagno d'armi, scuotendo il capo nel sentirlo provocare nuovamente la ragazza, da cui ricevette l'ennesima risposta al vetriolo. Saitou non lo aveva ancora compreso, ma Reiseki era quella femmina che stava cercando, la sola in grado di accendere e smuovere quegli occhi sempre freddi ed impassibili. Reiseki era lo stimolo di Saito.
Per un momento si ritrovò ad invidiare il compagno, esattamente come gli era già accaduto con Sano: Harada-san aveva Gin, Saito-san, sebbene sembrasse non saperlo, aveva Reiseki...e lui?
Due caldi occhi marroni tornarono a tormentarlo.
Io?
Chibi-chan?
Si dette dello stupido. Gli mancavano i loro continui battibeccarsi, non lei.
Bugiardo. Se così fosse, non smanieresti per rivederla.


Nel frattempo, Ginny osservava il proprio riflesso sulle acque del fiume, chiedendosi come avesse mai potuto pensare di riuscire a cambiare sé stessa ed il proprio destino, tornando a darsi della stupida.
Che idiota a credere che un paio di calzoni potessero renderla diversa agli occhi degli altri così come ai suoi.
Era solo ridicola.
Non aveva la forza di Gin. Non l'avrebbe mai avuta.
E quella lettera, arrivatale miracolosamente da suo padre, glielo aveva ricordato con violenza.
Chiuse gli occhi cercando di scacciare il senso di impotenza che le stava attanagliando lo stomaco, provocandole una nausea fortissima.
Il bisogno di rimettere la costrinse a piegarsi su sé stessa, mentre i conati le squassavano l'addome.
Fu così che la trovò Shinpachi, andato a cercarla per annunciarle l'arrivo di Souji, Saitou e Raiseki.
- Ginny, state bene? - le chiese dolcemente, posandole una mano sulla spalla, facendola sussultare.
Gli rispose affermativamente, con un lieve cenno del capo, certa che se avesse aperto la bocca sarebbe scoppiata in lacrime.
- Ginny...?
- Non è niente. Veramente.
L'uomo non si lasciò convincere, ma finse di crederle, cambiando discorso.
- Souji è rientrato con gli altri.
Ginny si irrigidì sul posto, evitando lo sguardo dell'uomo.
- Ginny... siete certa...?
- Andate avanti... io... arrivo subito...
Shinpachi abbassò lo sguardo sulle mani della giovane, strette in maniera convulsa attorno ad una lettera. E fu certo che si trattasse di quella inviatale dal padre.
Si chiese cosa le avesse scritto di tanto grave da renderla strana in quel modo.
Ma non fece domande, limitandosi ad alzarsi per andarsene.
- Fate presto. Souji ha chiesto di voi. - le disse ormai di spalle, costringendosi a non voltarsi quando la sentì mormorare una frase sibillina.
- Come se potesse significare qualcosa. Come se potesse cambiare qualcosa...


Souji, intanto, cercava la ragazza da quando era arrivato al tempio. Non sapeva bene il perché, ma voleva vederla in tutti i modi, il prima possibile.
Quando la vide avanzare verso di sé, mentre rientrava dal fiume, passargli accanto come se niente fosse, degnandolo di un debole ed anonimo saluto, si sentì ferito da tanta indifferenza. Ma si rese conto subito che il tutto era dovuto a qualcosa che non andava.
Era priva della solita vitalità che l'accompagnava in ogni suo gesto, quasi apatica.
- Ehi, Chibi-chan, è così che si saluta? - le chiese con fare strafottente con il chiaro intento di suscitare una qualche reazione.
- Vi chiedo scusa, Okita-san... ma non sono dell'umore – gli disse con tono spento, guardandolo, sì, ma evitando accuratamente di incrociarne lo sguardo, e continuando per la sua strada.
- Souji, sempre più preoccupato, la seguì a ruota, imbattendosi in Gin, che gli annunciò che entro un'ora avrebbero servito la cena.
Il ragazzo decise quindi di abbandonare l'inseguimento e di andare a darsi una lavata alle terme.
Avrebbe parlato con Ginny dopo cena.

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Quando un'ora più tardi Saitou entrò in sala da pranzo si fermò stupito dinanzi a Reiseki, di cui riuscì a scoprire l'improbabile colore dei capelli: lasciati sciolti, lunghi fino alle anche, di un incredibile colore azzurro, davano ancor più risalto agli occhi gialli.
- Che c'è? Non siete ancora avvezzo alle particolarità di noi Oni, umano? - gli chiese la ragazza, sogghignando.
Saitou continuò ad osservarla in silenzio, per poi avvicinarlesi e prendere tra le dita una ciocca di capelli lucidi e morbidi come la seta.
- Sei bellissima, gattina. - le disse senza mai abbandonarne gli occhi, mentre si portava i capelli al volto, sfiorandoli con le labbra.
Reiseki arrossì improvvisamente, facendolo sorridere dolcemente.
- Siete più umana di quanto vogliate ammettere, Reiseki – le disse.
La reazione della ragazza lo colse di sorpresa: si allontanò bruscamente, senza rispondere alla sua provocazione, gli occhi improvvisamente spenti ed i lineamenti tirati.
- Ma cosa...?
- Con permesso. - lo interruppe, prendendo posto a terra, tra la seduta di Gin e quella di Kazama, ignorandolo bellamente.
Saitou continuò a guardarla per pochi istanti ancora, poi si decise a sedersi accanto ad Okita, entrando pochi attimi prima, seguito a ruota da tutti gli altri.
Lo sguardo di Saitou fu catturato dalla giovane che aveva fatto il suo ingresso abbracciata ad Harada e comprese immediatamente come il compagno potesse essersi innamorato di lei. Ed il fatto che fosse ricambiato era palesato dai sorrisi che la ragazza gli rivolgeva.
Pochi istanti dopo si trovò a guardare stupito Souji che, stranamente silenzioso, non toglieva gli occhi dalla ragazza europea seduta al suo fianco, la quale sembrava persa in un mondo tutto suo.
E bravo Okita!
Aveva già avuto modo di scambiare due chiacchiere con Shiranui e Amagiri, e sapeva che Kazama si sarebbe unito a loro, ma quando lo vide entrare non poté reprimere una sensazione di fastidio.
- Salito-san
- Kazama-san
L'aria si fece elettrica quando l'Oni portò gli occhi sull'europea, Ginny, senza che questa se ne rendesse conto. Ma non fu così per Souji.
- Non osare, Kazama.
- Tranquillo, non te la tocco – gli sorrise sghembo il biondo, sedendosi.
Gin prese prontamente la parola.
- Kaz, piantala. Salito-san, prima mangiamo, poi vi spiegherò tutto.
- Chiamatemi semplicemente Saitou. - le disse, portandosi poi da bere alle labbra nel tentativo di nascondere il sorriso dovuto alla reazione di Kazama, che si era prontamente calmato.
Si chiese se le donne Oni fossero tutte come Gin e Reiseki: belle e risolute.
Il pasto si volse in un clima strano, fatto di scambi di sguardi e silenzi.
Una volta terminata la cena, come promesso Gin mise Saitou al corrente di tutto.
L'uomo continuò ad indossare la maschera di impassibilità fino alla fatidica domanda. Accettate?
- Va contro i miei principi.
- Che intendi, Saitou? - chiese Shinpachi.
L'altro guardò uno per uno i presenti, per poi fissare gli occhi in quelli di Gin.
- Non è mia intenzione offenderti, Gin. Ma sono nato umano ed intendo morire come tale. Mi sono sempre detto contrario ad assumere l'Ochimizu: non volevo trasformarmi in mostro. E, chiedo scusa a tutti voi, ma il divenire un mezzo-Oni o Oni-imperfetto, qualunque sia il nome che gli date, non cambia le cose: sempre mostro è.  Non esiste in natura ed io non lo accetto.
Uno scatto improvviso alla mia destra attirò la mia attenzione: Reiseki si era alzata in piedi e, dopo aver mormorato un flebile “scusate”, aveva infilato lo shoji, abbandonando la stanza.
- Reiseki, aspetta!!! - le grido dietro Gin, alzandosi a sua volta per inseguirla.
- Saitou, non hai mai brillato in tatto, ma stavolta hai esagerato. - furono le parole di Harada, accompagnate da un sospiro, mentre l'altro sentiva lo sguardo di Shiranui trapassarlo da parte a parte.
- Non capisco.
Fu Kazama ad intervenire, ghignando.
- Reiseki è un mezzo Oni per nascita: suo padre è uno di noi, sua madre era umana.
- Merda! - esclamò allora Saitou, alzandosi con un balzo ed inseguendo le due donne fuori dalla stanza.
Calò il silenzio, spezzato dalla voce di Kazama.
- L'ho sempre detto che avrebbero portato solo guai.
- Kaz, piantala – gli disse Amagiri.
Il biondo lo ignorò bellamente, riportando la sua attenzione sull'umana presente nella sala.
- E tu, umana? Hai niente da dire?
- Kazama... - fu la velata minaccia di Souji.
- Ehi, non scaldarti Okita, non ne vale la pena è solo una donnetta insignificante e piagnucolona. L'unica cosa di valore che ha è il suo sangue – concluse leccandosi le labbra.
- Sta lontano da lei – gli sibilò contro Okita, mentre Ginny realizzava la situazione che le si stava creando attorno.
- Calmatevi – intervennero Harada e Shiranui.
- Prova a fermarmi, ronin – lo provocò Kazama, per svanire nel nulla e ricomparire alle spalle di Ginny, pronto a morderla.
Ma tra il collo della ragazza ed il suo era spuntata la lama della katana di Okita, pronto a decapitarlo.
- Ti ho detto di lasciarla in pace – gli sibilò contro, strattonando la ragazza, sollevandola di peso e portandola alle sue spalle.
Ginny si trovò a stringere la camicia di Souji tra le dita, il corpo appiattito contro la schiena dell'uomo.
Kazama, con un movimento improvviso, estrasse la katana, deciso a staccare di netto la testa del suo avversario che, con un movimento rapido si spostò all'indietro, portando con sé Ginny.
Solo l'intervento di Amagiri impedì ai due di portare avanti lo scontro.
Una volta che Kazama si fu allontanato, Souji si voltò verso Ginny per controllare come stesse e se la ritrovò attaccata al collo, tremante.
- Ehi, Chibi-chan, tutto bene?
Ginny si limitò a fare un cenno con la testa, senza staccarsi da lui, rafforzando anzi la stretta attorno ai suoi fianchi e sprofondandogli il volto nel torace.
- Capito. Venite. - le disse dolcemente, trascinandola nella propria stanza.
Non appena si richiuse lo shoji alle spalle, Souji le si rivolse pacatamente.
- State bene?
- Sì- gli rispose, sollevando gli occhi sul volto dell'uomo.
- Ma voi... sanguinate!- esclamò allora, portandogli una mano alla guancia sinistra, dove un graffio sottile si stava già sanando.
- Non è niente.
- Va disinfettato.
- Vi dico che...
- Per una volta... almeno una volta... accontentatemi.
Lui la scrutò per un attimo con espressione seria, poi si sciolse in un sorriso.
- E sia.
Pochi istanti e Ginny era già pronta a medicargli la ferita, ormai delle dimensioni di un graffio.
- Brucerà un po'...
- Ehi! - esclamò Souji, tirandosi indietro nel tentativo di evitare il disinfettante.
- Non fate il bambino – gli rispose lei, riprendendo a medicarlo.
Souji si trovò a trattenere il respiro quando la vide avvicinare il volto al suo, le labbra lievemente arricciare per soffiare sopra la ferita e ridurre il bruciore.
Ginny sollevò gli occhi sul volto dell'uomo, restando intrappolata in quelle meravigliose pozze verde foglia. Souji si spostò verso di lei con il chiaro intento di baciarla. E per un momento Ginny prese in considerazione l'idea di assecondarlo. Ma il ricordo di quella dannata lettera la riportò bruscamente alla realtà.
Si scostò di scatto, tirandosi indietro e balzando in piedi come una molla, per poi dirigersi verso il mobile basso, su cui prese a sistemare l'occorrente per la medicazione.
- Finito. Adesso vado.
Souji ne fissava la schiena sbattendo le palpebre, stordito dal repentino cambiamento di umore.
Quando la vide tremare, la testa incassata nelle spalle, si alzò silenziosamente, andando a mettersi alle sue spalle.
- Se è quello che volete, non oserò mai più provare a baciarvi ma adesso voglio sapere cosa avete. E' da quando sono arrivato che vi vedo strana.
- Niente – rispose lei con un filo di voce.
- Niente... allora dov'è il vostro spirito? Che fine ha fatto? Quando sono partito eravate un tripudio di vitalità. Adesso siete smorta.
Ginny lo ignorò bellamente, fissando gli occhi sul tavolinetto alla sua destra, su cui la katana dell'uomo faceva bella mostra.
- Sto aspettando...
- Fa... male...?
- Cosa? - le chiese Souji, dopo un attimo di smarrimento.
- Morire...
- Che diavolo state dicendo? - le chiese l'uomo allarmato, afferrandola per le spalle e costringendola a voltarsi verso di lui.
- Forse fa meno male che non morire dentro a poco a poco... - mormorò lei mentre gli occhi le si riempivano di lacrime.
- Cosa state farneticando? - le sibilò in volto, mentre le affondava le dita nelle spalle, cercandone gli occhi, che ostinatamente lo sfuggivano.
- Devo tornare a casa.
- E questo che c'entra con il morire?
Ginny sollevò la testa a guardarlo, sorridendogli tristemente, per poi portare le proprie mani sul petto dell'uomo e scostarlo da sé con dolcezza.
- Grazie, Okita-san. Di tutto.
Souji la lasciò andare, troppo stupito per reagire. Ne osservò la schiena dritta, immobile, nonostante le lacrime ne bagnassero il volto.
- Chibi-chan?
Non ottenne risposta e la guardò uscire e richiudersi lo shoji alle spalle.
Okita rimase nella stanza, smarrito, frastornato dall'atteggiamento della giovane, fino a che gli occhi non incapparono nel foglio bianco dinanzi ai suoi piedi.
Si chinò a prenderlo e quando vi vide scritto il nome della giovane europea pensò di restituirglielo. Ma qualcosa lo spinse a leggere.
Era del padre di lei, stranamente scritto in giapponese; forse per evitare accuse di tradimento e/o cospirazione.
Quando arrivò alla fine della lettera, comprese: l'atteggiamento di lei, la sua domanda sul morire dentro, le lacrime.
Accartocciò la lettera nel pugno, correndo fuori dalla stanza come se avesse il diavolo alle calcagna, in cerca della giovane, trovandola poco dopo, nella sua stanza.
- Okita-san?
- E' per questa, vero? - l'aggredì, mostrandole la lettera.
- Io...
- Da quanto... da quanto lo sapevate?
- Da sempre, forse. E' stato così anche per mia madre. Ma forse... forse speravo che per me fosse diverso. Invece... - si portò le mani al volto, cercando di nascondere le lacrime all'uomo, incapace di sostenerne lo sguardo verde, adombrato.
Quando Souji la prese tra le braccia, stringendosela contro, Ginny scoppiò in lacrime, cercando di soffocare i singhiozzi contro il suo torace.
- Non sappiamo come andrà la guerra... forse non potrete più tornare a casa.
- Il fatto è che non voglio tornarci. Voglio restare qui.
- Ginny...
- Non... non voglio sposarmi con un uomo che non amo, che potrebbe essermi nonno. Voglio stare qui. Voglio stare qui, con te.
Souji, colpito da quelle parole, serrò la stretta, cercando il modo migliore per dirle che non poteva, che la sua vita era altrove.
Aprì bocca per farlo, ma non vi riuscì. Non fu in grado di mentire: non a lei, non a sé stesso.
Ne inspirò il profumo dei capelli, infilandovi una mano, alla base della nuca, cercando nuovamente il coraggio per farlo.
Ma le parole che uscirono dalle sue labbra furono altre.
- Non posso prometterti niente. Sono un soldato. Non sono neanche più umano. Ho un pessimo carattere: sono strafottente, arrogante e sarcastico. Sono privo di scrupoli. Non posso garantirti che cambierò: ti mentirei. Ma sei vuoi stare qui con noi... con me.... non tornare indietro. Resta.

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