Lothìriel figlia di Imrahil, sposa di Re Eomer, Signore del Mark.

di Elothiriel
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** La decisione ***
Capitolo 2: *** Vederlo ***
Capitolo 3: *** Edoras ***
Capitolo 4: *** Il Matrimonio ***
Capitolo 5: *** Il Primo Giorno-parte I ***
Capitolo 6: *** Il Primo Giorno - parte II: L'udienza ***
Capitolo 7: *** Sorprese ***
Capitolo 8: *** Partenza ***
Capitolo 9: *** Fuggite, mia signora ***
Capitolo 10: *** Battaglia ***
Capitolo 11: *** Ritorno a Edoras ***
Capitolo 12: *** Inverno ***
Capitolo 13: *** Mio Principe ***
Capitolo 14: *** Lontano da Me ***



Capitolo 1
*** La decisione ***


Lothíriel figlia di Imrahil

 

 Lothíriel figlia di Imrahil

Sposa di Re Éomer Éadig, Signore del Mark

 

 

 

“Éomer Éadig. […] nell’ultimo anno della Terza Era prese in moglie Lothíriel, figlia di Imrahil.”

 

“Le navi del Principe! Lo stendardo del cigno! Sono tornati! Sono tornati!”

Così il due giugno del tremiladiciannove della Terza Era le sentinelle annunciarono il ritorno di mio padre, il Principe Imrahil di Dol Amroth. La gente cantò e fece largo all’esercito vittorioso, e io, mia madre, le mie sorelle e mio fratello, rimasto a casa perché bambino di tredici anni, gli corremmo incontro giù al porto.

Un anno passò, e le ultime vestigia del potere del Nemico furono distrutte, non furono più visti Orchi dalle nostre parti ; i pirati furono sconfitti e sottomessi completamente.

Mio padre Imrahil ci narrò le imprese che aveva compiuto, attorno al grande tavolo nella terrazza di fronte al mare, o accanto al caldo chiarore del camino. Ci narrò di Re Elessar e di Arwen Undomièl, dei Periannath, i Mezzuomini, della caduta dell’Oscuro Signore e di molte altre cose che gli storici di palazzo trascrissero e su cui i menestrelli composero ballate.

E molte volte nel corso della sua narrazione si soffermò sugli Eorlingas, grandi Cavalieri. Ci parlò della morte di Re Théoden sui Campi del Pelennor e del valore di Dama Eowyn, che - meraviglia! - aveva sconfitto il Signore dei Nazgûl, invincibile per gli uomini, e soprattutto del nuovo Re Éomer.

“Ah! Se aveste potuto vedere come è abile in battaglia, spietato con i nemici e generoso con gli amici, sebbene sia così giovane!”

“E’ bello, padre, questo Signore dei Cavalli?” chiese una delle mie sorelle, Mathrel. Io la fulminai con lo sguardo, ritenendola sciocca a interrompere nostro padre.

“Non è uomo per te, figlia mia” rispose Imrahil. “Ma ti dirò che egli è alto, biondo e possente.” Detto ciò si alzò dal suo scranno e si ritirò nelle sue stanze.

Così, per quella sera, il racconto terminò. Oh, quanto mi piacevano quelle narrazioni gloriose! E come avrei voluto compiere grandi gesta, come Eowyn, Dama di Rohan! Anch’io mi ero esercitata con la spada e con l’arco, a differenza delle mie sorelle minori, sapevo combattere. Ma mi andava bene un’azione anche meno splendida, che però fosse di una qualche utilità a mio padre e a Re Elessar Telcontar. Mio padre mi aveva lasciata a casa come una donna qualunque, e adesso non c’erano più molte occasioni di azioni nobili. Rimpiangevo di non aver fatto nulla di utile per la salvezza della Terra di Mezzo, quando così tanti Uomini erano caduti.

Avevo appena ventidue anni, solo tre meno di Eowyn e sette meno di Éomer. Eppure, cosa avevano compiuto loro! E io, che cosa potevo fare?

La risposta non avrebbe tardato a giungere.

 

Qualche mattina dopo, passeggiando, mi incantai davanti al grande specchio del corridoio. Non avevo cessato di dispiacermi per la mia femminile inutilità, e ci avevo quasi perso il sonno. Questo si rifletteva sul mio aspetto. I miei lunghi riccioli neri erano spettinati e scomposti, e sotto gli occhi grigi c’erano delle bisacce da fare invidia alle borse di un mercante ambulante.

Non era così per mia sorella Mathrel, splendida nei suoi diciassette anni, che quel mattino sembrava quasi brillare per la felicità.

“Cos’è che ti rende tanto allegra, Math?” le chiesi. Lei si avvicinò quatta quatta a me e mi sussurrò all’orecchio:

“Non dovrei dirtelo, Lothi, ma l’altra sera ho sentito per caso nostro padre che discuteva con dei messi giunti da Rohan questa notte. Nostro padre diceva che per cementare l’alleanza niente sarebbe meglio del matrimonio fra una di noi e Re Éomer! E certamente sceglierà me, perché sono la più bella”

In quel momento non potei che darle ragione. Ma ero perplessa.

“Perché ne sei tanto felice? Voglio dire, vuoi sposare un uomo di ventinove anni che non hai mai visto, di una stirpe di Uomini diversa dalla nostra, degli allevatori di cavalli?”

“E’ un Re!” ribatté sdegnata Mathrel, avvolgendosi con un gesto elegante e stizzoso nel suo soffice mantello rosso, e se andò a dare la grande notizia a qualcun’altra fra le nostre sorelle.

Discorrendo eravamo arrivate davanti alla porta dello studio di nostro padre, che in quel momento si spalancò. Imrahil si affacciò e mi vide lì in piedi davanti alla porta.

“Ti stavo proprio per mandare a chiamare, figlia mia. Entra.” Stupita, lo seguii esitante. Era raro che nostro padre ci ammettesse all’interno del suo studio. Ci accomodammo ai due lati della grande scrivania in noce antico. Aperta davanti al posto di mio padre giaceva aperta una lettera. Il sigillo spezzato era verde e bianco.

“Mia cara Lothíriel, certamente vorrai da me la conferma di ciò che ti ha raccontato Mathrel poco fa in gran segreto” mentre parlava si formò un piccolo sorriso sul suo volto. Io arrossii. Non mi piaceva che mio padre venisse a sapere dei nostri pettegolezzi.

“Come lo sai?” chiesi.

“Il mio udito è molto fine” rispose semplicemente. Io accettai la spiegazione, seppur non sufficiente.

“Mathrel parla troppo” dissi.

“Ma ciò che ti ha riferito è vero”

“Allora mia sorella partirà presto?”

“No. Prima volevo discuterne con te. Lothíriel, mia cara figlia maggiore, vorresti sposare Éomer figlio di Éomund, Re di Rohan, Signore del Mark?”

Non credevo alle mie orecchie. Perché, fra tutte noi, io? Anche se ero graziosa non ero certo la più bella, né, anche se passabile, la più brava nella tessitura. “Lothíriel, so che pensavi che la mia scelta non sarebbe ricaduta su di te. Pensavi che avrei chiesto a Imhlen, che danza come una foglia al vento, o a Lamrai, che conosce le saghe e le canzoni di tutti i paesi, o a Irahlel, che è la più sorridente e allegra delle fanciulle di Gondor.” 

“O a Mathrel” sussurrai io.

“O a Mathrel, che è la più bella, ed è già innamorata di Éomer. Ma io so quello che ti affligge, quello che sciupa il tuo viso, non meno bello di quello di Mathrel” mi accarezzò la guancia con dolcezza. “Se vuoi, puoi fare questo per porre fine al tuo tormento. Sarebbe bene che l’alleanza fra noi e Rohan venisse sottolineata da un matrimonio. E tu sei la più adatta a questo compito, perché sei la più forte, la più decisa, e lì a Rohan sono abituati a donne valorose come Eowyn. Mathrel dopo poco si stancherebbe e desidererebbe più lusso e più onori, mentre io so che in segreto tu ti sei esercitata con la spada: con il tuo animo determinato potresti essere una degna Regina per i Signori dei Cavalli. Fra due mesi i messi di Rohan torneranno indietro, essi desiderano recare con sé la futura sposa del loro signore. Io non attendo che la tua decisione, nel caso in cui tu decidessi di dire di no chiederei a Mathrel o a Lamrai o a Imhlen, essendo Irahlel ancora una bambina”. Tacque e mi guardò. Io mi sentivo come una nave che veleggiando tranquilla era stata sorpresa dalla tempesta, e adesso aveva due possibilità: tornare indietro verso i lidi dai quali proveniva, o andare avanti gettandosi nell’uragano. I flutti erano alti e freddi, ma lo scafo più robusto di quanto non sembrasse. “Figlia mia, non sei costretta a decidere adesso. Parlane con tua madre, se vuoi, ma fai solo quello che desideri tu.”

“Grazie, padre.” dissi con una piccola riverenza, e lui mi congedò. Uscendo trovai un giovane dai lunghi capelli biondi, vestito alla nostra maniera ma visibilmente straniero, che aspettava accanto alla porta. Lo salutai, incuriosita mio malgrado dal suo aspetto, chiedendomi se fossero tutti così gli Uomini di Rohan. Egli mi osservò attentamente e poi si inchinò. “Signora” mi si rivolse così, con la stessa parola che avrebbe usato per una qualunque delle mie sorelle, ma carica di rispetto e di gravità. Forse egli riteneva che io stessi per diventare la loro Regina?

Senza accorgermi mi diressi verso la terrazza che dava sul mare. Mi appoggiai alla balaustra di freddo marmo bianco e guardai il Mare ribollire agitato dai venti di fine settembre. Le onde si inseguivano e la schiuma danzava dilaniata dal vento, mi sentivo come quel bianco morbido, effimero e lacerato. Non volevo lasciare il Mare, lo amavo più di ogni altra cosa, non volevo lasciare le mie sorelle, il mio piccolo fratello Fetrales e mia madre Firdalin. E chi sapeva come poteva essere dividere la vita con questo biondo Signore dei Cavalli? Eppure desideravo compiacere mio padre, ed essergli utile. Éomer, se era un così grande Re, doveva pur avere qualche qualità buona! E poi avevo voglia di vedere Re Aragorn, Mithrandir, gli elfi dei quali si diceva che noi di Dol Amroth avessimo del sangue nelle vene, e mio cugino Faramir il Sovrintendente, il figlio di Finduilas, la sorella maggiore di dodici anni di mia madre, che non avevo mai conosciuto. Ma se avessi accettato, Mathrel mi avrebbe odiata.

Mi venne spontaneo alle labbra un canto della mia gente, che narrava di Nimrodel:

 

Elfica fanciulla di un tempo passato

ella tanto il mare aveva amato

ma la sua casa era lontana,

fra i boschi di Lorién la dorata

le pianse il cuore nel lasciarla

cantava di fiumi e foglie la sua voce cristallina

danzava sui fiori e sull’erba, bella come la Mattina

ma lasciò la sua dimora

dell’amore e del Mare era giunta l’ora

ma mai giunse dove Amroth l’aspettava

e non vide il Mare che desiderava

Nimrodel fanciulla elfica smarrì il cammino

non fu giusto con lei il triste destino.

 

Oppressa da questi pensieri mi avviai verso camera mia, per trovarvi le mie sorelle riunite a concilio che mi aspettavano per sapere cosa mi avesse detto nostro padre nel suo studio. Appena misi piede in camera Irahlel si alzò dal mio letto, dov’era seduta, per farmi spazio, appollaiandosi su di un bracciolo della sedia dov’era accoccolata Mathrel.

“Che cosa ti ha raccontato nostro padre? Perché ti ha convocata nello studio?”Chiese subito Lamrai. Lei era la più curiosa di tutte noi, amava il sapere di ogni genere, si informava di tutto, da come si cucinava il coniglio stufato a la lettura del Valinoreano, ai pettegolezzi di corte.

“Su, parla!” comandò Irahlel, sporgendosi verso di me.

“Secondo me nostro padre le ha detto chi manderà in sposa a Éomer” disse Mathrel.

“Perché avrebbe dovuto dirlo a lei, Math?”

“Perché è la maggiore e quindi ha diritto di consigliare la scelta di nostro padre”. Tutti gli sguardi si appuntarono su di me. Sapevo che le avrei deluse moltissimo non dicendo loro niente, ma davvero non desideravo riferire alle mie sorelle cosa mi aveva chiesto nostro padre.

“Non ho voglia di parlarne”mi difesi. “Anzi, dite a mamma che non ho fame, salterò il pranzo. Mi sento quasi la febbre”

“Ma…”cominciò Lamrai delusa.

“Taci, Lam, andatevene, voi” comandò Imhlen, l’unica che non aveva partecipato all’interrogatorio. Le rivolsi uno sguardo grato. Imhlen era quella che mi era più vicina come età e come carattere. Mathrel era vanesia e poteva sembrare un po’ frivola, ma sapevo che in realtà era molto sensibile e sapeva essere dolce e affettuosa; Lamrai, con la sua curiosità, si interessava più alle cose che alle persone, ed era quella fra le mie sorelle con cui parlavo di meno; Irahlel era allegra e solare, rideva spesso e metteva di buon umore tutti: lei, la piccolina di appena nove anni, era la luce di Dol Amroth; ma la mia fedele confidente era Imhlen, che aveva solo due anni meno di me ed era riflessiva ma decisa.

“Cosa ti è successo?”chiese Imhlen sedendosi accanto a me e prendendomi la mano fra le sue. “Sembri sconvolta.”

Così le raccontai tutto, e lei mi ascoltò in silenzio, stringendomi le mani, senza commentare. Quando ebbi finito rimase un poco senza parlare, poi mi disse: “Lothíriel, io lo sapevo che sarebbe successo questo. Sapevo che un giorno una di noi se ne sarebbe andata, e che sarebbe toccato a te, non a me o Mathrel. Tu sola puoi sopportare la nostalgia e hai la forza di affrontare la vita in una terra sconosciuta in mezzo a gente di un altro popolo, governandola pure. Se c’è una donna tra di noi degna di divenire Regina, e di sposare Re Éomer del Riddermark, quella sei tu, Lothi, e nessun’altra. Non io, non Mathrel, non Lamrai, non Irahel, tu. Io lo so, e anche nostro padre lo sa. C’è molto di più in ballo che essere la sposa di qualcuno, compito per il quale il bel faccino di Math andrà benissimo fra poco, qui si tratta di essere Regina in terra straniera. Mi si spezza il cuore a pensare che dopo ti vedrò molto raramente, se pure ti vedrò, ma penso che per te sia giusto compiere questo passo. Sposa Éomer, Lothi.”

“Grazie, Imhlen” le dissi confortata dalla sua fiducia in me. “Ma Mathrel mi odierà. E’ già innamorata di Éomer, anche se non l’ha mai visto.”

“Lothi, sai bene quanto me che le infatuazioni di Mathrel sono durature come la neve in primavera. Le passerà”.

Fu così che presi la decisione che avrebbe cambiato la mia vita.

 

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Spero che qualcuno recensisca la mia storia. Chiedo pietà per la canzone, ma non ho saputo fare di meglio.

Ringrazio in anticipo qualunque anima gentile che, giunta fin qui, abbia ancora la forza di scrivere una recensione.

Grazie, Elothiriel

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Capitolo 2
*** Vederlo ***


CAPITOLO II

CAPITOLO II

 

Era vero. A Mathrel passò presto. Si innamorò del figlio del luogotenente di nostro padre e fu solo triste che io me ne andassi. Mia madre pianse, e anche Fetrales, che restò insieme a Irahlel sulla banchina del porto a salutare la nostra nave finchè non scomparve alla vista. La piccola Irahlel mi regalò una coperta che aveva faticosamente cucito lei stessa rubando ore ai suoi giochi, azzurra con un cigno bianco in mezzo. Lamrai mi regalò un libro che aveva compilato lei stessa con la traduzione di tutte le parole della lingua del Mark che conosceva nella Lingua Corrente, un dono immenso e pesantissimo che mi fece dispiacere di averla sempre considerata meno delle altre sorelle. I messi di Rohan furono soddisfatti e il mio popolo orgoglioso, commosso e triste.

Mio padre, Imhlen e Mathrel mi avrebbero accompagnato nel Mark.

 

Il viaggio fu lunghissimo. Decidemmo di passare per Minas Tirith per far visita a Re Aragorn, quindi, una volta partiti da Dol Amroth, aggirammo l’isola di Tôlfalas, risalimmo l’Anduin, ci fermammo qualche giorno a Pelargir e poi nel Sud Ithilien, una terra splendida nonostante fosse stata in potere del Nemico per qualche tempo. Vi dimoravano Faramir ed Eowyn, ebbi modo di chiederle della sua grande impresa, ma mi parve che lei non volesse ricordare quei giorni oscuri. Mi sembrò un fiore, che rimasto congelato sotto la neve per molto tempo, stesse finalmente iniziando a sbocciare al sole. E il suo sole era Faramir, mio cugino. Feci a Eowyn molte domande su Éomer, poiché iniziavo a uscire dall’ottica della guerriera che si sacrifica per la sua patria e stavo entrando in quella della fanciulla che sta per sposarsi. Lei mi raccontò molte cose, e mi sembrò che ammirasse molto suo fratello. Prima che partissimo affidò una lettera per Éomer ai messi giunti da Rohan. Mi congedò con queste parole: “Anche se nemmeno tu lo sai, Lothíriel figlia di Imrahil, sarai una buona moglie per mio fratello e una buona regina per Rohan.”

Giungemmo a Minas Tirith a metà gennaio, e ci trattenemmo lì a lungo, poiché faceva troppo freddo per viaggiare. Conobbi di Re Aragorn e la bellissima Arwen Undomièl, davanti alla quale persino Mathrel si sentiva brutta. Ma ella era una Dama Elfica di alto lignaggio, e fu molto gentile con noi.

Ci rimettemmo in viaggio verso Rohan il tre marzo del nuovo anno, il tremilaventuno, che poi sarebbe stato chiamato “l’ultimo della Terza Era”. Sire Aragorn ci aveva equipaggiato con cavalli, tende e vettovaglie, lasciammo le navi ancorate vicino all’isola di Cair Andros. Non riuscivo a dormire la notte, e il giorno il cuore mi batteva così forte quando vedevo un cavaliere solitario che portava le insegne di Rohan che credevo di cadere da cavallo. Alcuni messaggeri erano partiti da Minas Tirith prima di noi, perciò Éomer doveva essere stato informato del nostro imminente arrivo. I messi portavano anche la lettera di Eowyn.

“Stai calma, Lothi” disse Mathrel mentre la nostra scorta montava le tende per la notte, la quarta sera. “Tremi tanto che il tuo cavallo si sta innervosendo, e pensa che probabilmente ha portato in groppa qualche guerriero urlante durante la Battaglia dei Campi del Pelennor”. Io sorrisi debolmente.

“Lasciala stare, saresti nervosa anche te!” intervenne Imhlen.

“Sai a quanti convegni amorosi sono andata, e non hai mai tremato come un bambino davanti a un drago”.

“Math!” esclamò Imhlen scandalizzata.

“E’ un uomo, mica un Orco” ribatté Mathrel. Poi però mi abbracciò e mormorò: “lo sai che sto scherzando. Io non avrei mai il tuo coraggio, sorella mia”.

Passarono ancora cinque giorni. Il paesaggio di Rohan mi piaceva, e l’osservarlo era l’unica cosa che calmava il mio cuore impazzito. Le morbide colline ricoperte dall’erba primaverile, le rocce che spuntavano come denti affilati e crudeli ma che davano rifugio dal vento e dalla pioggia, le case dei mandriani e gli splendidi cavalli sorvegliati da ragazzetti biondi, gli alberi e il gorgoglio dell’Entalluvio, tutto mi sembrava bello e caldo, come la primavera fosse arrivata prima qui che a Minas Tirith, che pure era più a Sud.

Però mi iniziai a preoccupare di come sarei sembrata a Éomer dopo una lunga cavalcata come questa. Anche se tutte le sere le mie sorelle mi obbligavano a farmi stare ferma mentre loro mi pettinavano e mi spalmavano sulla faccia strani intrugli che si erano portate nello zaino da casa, mi sentivo sempre sudata e brutta. Imhlen promise di vestirsi male e di annodare uno sporco fazzoletto sui lunghi, soffici capelli neri, in modo da farmi sembrare più bella, e costrinse anche Mathrel, sebbene riluttante, a prestare questo giuramento.

 

Il giorno prima di quello in cui saremmo dovuti arrivare a Edoras mi alzai prestissimo, prima del levare del sole, dopo essermi ero rigirata ansiosamente tutta la notte. Le mie sorelle invece stavano sfacciatamente russando.

La nostra scorta iniziava già a ritirare le tende, parlavano a bassa voce e si inchinavano al mio passaggio. Ero tanto nervosa da non sapere neanche dove mettevo i piedi, e presto mi ritrovai su una piccola collina, scalza sull’erba lussureggiante e bagnata di rugiada. Vidi l’alba illuminare quella terra, e mi sembrò che avrei potuto amarla come se fosse stata la mia patria. Ma lo struggimento per il Mare, no, quello non lo potevo superare. Iniziavo già a sentirne la mancanza. Mi raggiunse mio padre, e mi confortò come se fossi stata piccola come Irahlel, abbracciandomi e chiamandomi con quei nomignoli che usava quando ancora ero una bambina.

Quel mattino non pronunciai una parola e non feci colazione. Mi chiesi cosa stesse facendo Éomer in quel momento. Era anche lui nervoso come me, o a lui bastava sapere che ero la figlia del suo amico Imrahil e che ero abbastanza graziosa? Non aveva altre preoccupazioni o come me si chiedeva se gli sarebbe piaciuto il suono della mia voce?

Cavalcavamo da un’ora, erano le dieci del mattino, quando l’avanguardia si fermò circondata dai Cavalieri di Rohan. Io mi appoggiai a Imhlen che cavalcava accanto a me per non cadere. Non era previsto che Éomer ci mandasse incontro un’intera éored un giorno prima dell’arrivo a Meduseld! Adesso sarei stata oggetto di sguardi curiosi per un giorno in più di quanto avrei dovuto sopportare. Non ce la potevo fare. Quasi rimpiansi di aver accettato di sposare il Signore del Riddermark. Mi nascosi dietro le mie sorelle che facevano fronte unito davanti a me, disposte a difendermi perfino da un’intera éored di Eorlingas. Il colpo finale, che neanche le mie sorelle potevano sopportare per me, fu annunciato da un Cavaliere vicino a noi.

“Fate largo a Éomer figlio di Éomund, Signore del Mark! Fate largo!”

Il mio cuore si fermò.

Dopo aver battuto per tutto il viaggio talmente forte che mi dolevano le prime costole, si fermò.

Per un attimo, non riuscii a pensare a niente. Sentivo vagamente che nel mondo c’era qualcun altro oltre a lui, ma al momento non me ne importava niente.

Era splendido nell’armatura di Rohan, e più alto degli altri Cavalieri. Sull’elmo portava una bianca coda di cavallo che si confondeva con i suoi lunghi capelli biondi, biondi come i raggi di sole che illuminavano la sua terra. Aveva spalle larghe e possenti, e le braccia che tenevano le briglie del suo cavallo bianco erano robuste e muscolose.

Gli occhi azzurri brillavano di sicurezza, sembrava invincibile, un giovane dio nordico della guerra sceso a combattere a fianco dei mortali.

Tale mi parve Éomer figlio di Éomund, Signore del Mark, Re di Rohan, il primo giorno che lo vidi.

 

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Grazie mille a tutti quelli che hanno recensito, ricordato, seguito, preferito o letto questa storia. (Arwins, Sesshy94, Nini Superga)

Prometto che risponderò sempre a tutti coloro che gentilmente mi recensiscono, spero che le anime pie che hanno commentato il primo capitolo abbiano ricevuto la mia risposta alla loro recensione.

 

Vi prego, ditemi qualcosa sulle sorelle, ho cercato di caratterizzarle in queste poche righe ma non so se ci sono riuscita. Nel prossimo capitolo anche Éomer dirà qualcosa, lo prometto. Solo che è molto difficile renderlo in una situazione del genere senza stravolgere il personaggio.

Spero di non star distruggendo il libro per cui ho una venerazione assoluta.

 

A presto, Elothiriel

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Capitolo 3
*** Edoras ***


CAPITOLO III

CAPITOLO III

 

Sarei rimasta a guardarlo per sempre, mi sembrava che non avrei più potuto ammirarlo così, sfolgorante nel sole del mattino, circondato dai suoi cavalieri.

Ruppe l’incantesimo il sommesso ma udibilissimo “Uh-uh, niente male” di Mathrel. Sentii anche il suono secco e severo del nocchino che le aveva tirato Imhlen.

Éomer mi aveva guardata con soddisfatto rispetto, mi sussurrò Imhlen mentre il mio futuro sposo voltava il cavallo e gridava:

“Suonate i corni! Suonate i corni per Lothíriel figlia di Imrahil, Principessa di Dol Amroth, prossima Signora del Mark!” E sentii in quelle parole ciò che io avevo espresso con il mio sguardo meravigliato e ammirato: l’approvazione.

E gli Eorlingas suonarono forte i loro corni, e tutto il Mark suonò per me, e ne fui felice. Mi sentivo come in un sogno. Poi uno scudiero di Éomer mi portò vicino una stupenda giumenta pomellata, bardata come il cavallo di Éomer. Queste furono le prime parole che mi rivolse il mio futuro marito:

Vieni, monta su Stellagrigia, te la regalo. Essa è un cavallo purosangue di Rohan, ed è lontanamente imparentata con la stirpe dei Mearas. Cavalca al mio fianco!”

Aspettò che il suo scudiero mi avesse aiutata, anche se non ne avevo bisogno, a scendere e a risalire, poi gli affidò il cavallo che montavo prima.

La éored iniziò a galoppare all’unisono, e Stellagrigia li seguì da sola, senza che io dovessi fare niente. E dalle schiere dei Rohirrim si levò un canto gioioso:

 

Suonate i corni, per la nuova Signora del Mark!

Principessa dal Mare lontano, Lothíriel figlia di Imrahil

dono di pace da Éomer conquistato!

Molto hanno combattuto i figli di Eorl in quest’Era

Sfidando la morte e l’ombra nera.

Théoden  e Théodred ed Éomer ed Éowyn,

il vessillo verde e bianco ha trionfato,

l’ombra l’assalto ha ritirato!

 

Cantate, per la nuova Signora del Mark!

Che sia un giorno gioioso,

sangue elfico e marino per la Casa di Eorl!

Dopo tanta sofferenza

arrivano giorni di speranza!

Cantate, suonate i corni, per la nuova Signora del Mark!

 

E così cantando i Cavalieri di Rohan partivano, trascinando anche la nostra carovana nel loro galoppo armonioso e veloce. “Che meravigliosa accoglienza” mormorò Imhlen al mio fianco. “Degna di una regina dei tempi perduti”

Che meravigliosi Cavalieri” le fece eco Mathrel. “Tutti così biondi.”

“Non cambierai mai, Math” la rimbeccò Imhlen.

Éomer, che cavalcava davanti a noi tre, accanto a mio, si girò un secondo, incrociando il mio sguardo. Mi rivolse un largo sorriso, poi si volse e spronò il suo cavallo Zoccofuoco. Io, che mi stavo incominciando a riprendere dall’emozione di averlo visto per la prima volta, ammutolii di nuovo e continuai a fissare trasognata la sua schiena.

“Così non puoi andare avanti, Lothi” disse Mathrel. “Insomma, ci devi passare tutta la vita con questo Éomer, e se ogni volta che ti guarda rischi di svenire, dubito che gli sarai di molta compagnia”

“Mathrel ha ragione, Lothi”esordì Imhlen. Mathrel le lanciò un’occhiata sorpresa.

“Davvero?” chiese.

“Questa volta sì. Su, Lothi, devi farti coraggio e cercare di essere te stessa. Non ti sei ridotta così neanche quando nostro padre era assente e tu e la mamma avete ricevuto quel messo traditore che diceva che Minas Tirith aveva ceduto e avremmo fatto meglio a mandare ingenti tributi al Nemico per salvarci! Non puoi svenire se Éomer ti sorride. Cerca di dimostrare che nostro padre ha fatto bene a scegliere te per essere Regina.

Le parole di Imhlen mi scossero. Mi raddrizzai la schiena e cercai di assumere un’aria più dignitosa, specialmente dopo che i Rohirrim avevano cantato in mio benvenuto.

Vidi che mio padre mi stava facendo segno di avvicinarmi a lui e a Éomer.

“Vado?” chiesi alle mie sorelle.

“Vai!” mi risposero in coro, d’accordo, almeno questa volta.

“Lothíriel, stavamo parlando di come sta prosperando Rohan dopo la sconfitta del Nemico. La nostra terra non ha sofferto tanto per la guerra, ma qui il Nemico, nella forma del traditore Saruman, ha causato molti danni”

“Il Mark si sta riprendendo bene” disse Éomer. “Nella scorsa primavera le ferite della terra incominciarono a guarire quasi miracolosamente, e la mia gente tornò a vivere nell’Ovestfalda. Le tracce che gli Orchi avevano lasciato furono ricoperte dall’erba verde, e nonostante le amarezze appena passate il popolo si è messo al lavoro per far tornare il Mark allo splendore e alla prosperità di prima.”

“Non dubito che tutto questo sia anche merito tuo, Éomer.

Il Signore del Mark non rispose, ma si voltò verso di me e mi chiese:

“Ti piace la mia terra, Principessa di Dol Amroth?”

“Molto” risposi guardandolo negli occhi. Mi sembrava che avendomi rivolto la parola avesse messo in fuga la paura che mi avvolgeva. “Mi pare morbida e insieme resistente, sconfinata e verde. Mi sembra che un Cavaliere possa galoppare all’infinito su queste praterie e essere sempre felice, libero come il vento e sicuro come la roccia.” Mi accorsi che mio padre aveva aspettato le mie sorelle ed era indietro con loro.

“Hai detto un Cavaliere, ma te? Una Principessa come te potrebbe essere felice qui?”

“Si…si, Signore del Mark, io potrei essere felice qui.

“Mia sorella non lo era. Si sentiva prigioniera, e adesso vive lontano.

“Erano tempi diversi, e io non sono coraggiosa né abile quanto la Dama dal Braccio di Scudo. Io potrei amare le terre di Rohan come se fossero la mia patria, ma il Mare…non dimenticherò mai il Mare.”Mi interruppi, temendo di averlo offeso.

“Non ho mai visto il Mare”disse lui scrollando le spalle. “Ma so cosa significa essere trattenuti lontani dai luoghi che si ama di più. Farò in modo che tu possa trovare in Edoras una nuova casa.

“Grazie, Sire.”

“Chiamami Éomer. Éomer è il nome che mi è stato dato quando sono nato, non Signore del Mark o Re di Rohan. Sono gli stranieri che mi chiamano così, e tu non sarai a lungo una straniera nel Mark. E tu, non hai un nome un po’ più corto di Lothíriel, Principessa di Dol Amroth?” Io feci un piccolo sorriso.

“A casa mi chiamano Lothi” risposi. “Lothi è un nome abbastanza corto.

“Va bene. Lothi mi piace.”

Restammo un po’ in silenzio, poi Éomer cavalcò avanti alla testa della sua éored e io restai sola in mezzo a quei cavalieri. Éomer mi piaceva, mi accorsi. Era vero, non sorrideva spesso e non era raffinato come mio padre o i gentiluomini della mai corte, ma mi sembrava onesto e saldo, e perché no, anche bello. Ma da qui a innamorarmene c’era molta strada. Sarei mai riuscita ad innamorarmi veramente di mio marito o avrei condiviso il resto dei miei giorni con un uomo che non amavo?

Arrivammo a Meduseld nel pomeriggio, dopo una breve ma allegra sosta su una collina di soffice erba all’ora di pranzo. Ebbi modo di osservare come i Cavalieri fossero affezionati a Éomer, e di quale ammirazione fosse oggetto. Incominciavo già a sentirmi fiera di lui.

Il Palazzo d’oro era impressionante e bellissimo. La gente era assiepata ai nostri lati della strada mentre io, le mie sorelle, mio padre, Éomer e le nostre guardie personali risalivamo la collina verso la reggia.

“Éomer! Éomer Éadig!” gridavano gli abitanti di Edoras. “Re Éomer è tornato con la Principessa venuta dal Mare!”

Cosa vuol dire Éadig?”chiesi allo scudiero di Éomer.

“Vuol dire benedetto” rispose quello. “Sotto il suo comando Rohan, dopo la caduta del Nemico, sta prosperando come non mai, e la gente ha iniziato a chiamarlo Éadig, benedetto, dal fato e dai Valar.

“Grazie di avermelo spiegato.”

“Prego, Signora.”

In cima a una collina c’era una terrazza di pietra dove da una fontana a forma di due teste di cavallo zampillava acqua gorgogliante, e poi le robuste porte dorate e il salone dal pavimento istoriato con pietre multicolori, che formavano disegni serpeggianti e rune ramificate. Anche le colonne erano riccamente scolpite, e dalle pareti pendevano splendidi arazzi, uno dei quali rappresentava Eorl il Giovane che galoppava verso la Battaglia del Campo di Celebrant. Fuori, al sole su una terrazza retrostante, alcune donne dalla chiome grigie stavano tessendo un nuovo grande arazzo, che raffigurava Théoden, Éomer ed Eowyn che galoppavano verso i Campi del Pelennor. Quando si accorsero che le stavo osservando, si alzarono e si inchinarono, poi si rimisero al lavoro.

 

La sera ci fu un grande banchetto.

Il grande salone del trono era stato riempito di tavoli e al centro c’era un tavolo più grande degli altri, dove sedevamo noi di Dol Amroth, Éomer e suoi luogotenenti. Avevo conosciuto Gamling il Vecchio, che aveva combattuto la Battaglia del Fosso di Helm. Ero curiosa di conoscere questa gente di Rohan, e mi ripromisi di imparare quanti più nomi era possibile. Furono cantate canzoni nella lenta lingua del Mark e Mathrel e Imhlen si esibirono in un ballo della nostra tradizione, che chiamavamo il “Ballo delle Onde” perché si dondolava e ci si muoveva come i flutti del mare quando iniziano ad agitarsi. Furono molto apprezzate, anche perché le avevo sciolte dalla promessa di vestirsi male e portavano entrambe gli abiti che avevano portato da casa, splendenti e brillanti. Anch’io ero vestita del blu di Dol Amroth, ma non seguii subito le mie sorelle nei loro balli. Infatti Mathrel aveva convinto due giovani di Rohan a danzare con loro un ballo che conoscevano entrambi, sia la mia gente che quella di Éomer batteva le mani e i musici stavano dando il meglio di sé stessi. Era tutto bellissimo, e mi sembrava che non avrei mai potuto eugugliare Imhlen e Mathrel. Mi andava bene di stare seduta al fianco di mio padre ed Éomer a guardarle. Senonchè Mathrel si avvicinò volteggiando a noi, e sorridendo mi costrinse ad alzarmi, poi chiese a Éomer di ballare con me sotto i nostri sguardi attoniti. Lui si alzò di malavoglia, e così ballammo insieme, e anche se lui in realtà non era molto bravo, fu divertente.

“Ma tua sorella è sempre così?” mi chiese mentre danzavamo.

“Si, e non cambierà mai.”

Che strana ragazza. Le donne di Rohan sono molto diverse da voi. Non sapevo se fosse un complimento o un commento seccato.

Quella notte, la prima della mia vita che passai a Edoras, dormii insieme alle mie sorelle nella camera che era stata di Eowyn. In realtà Éomer aveva dato una camera per una anche a Mathrel e a Imhlen, ma loro avevano rifiutato graziosamente.

Io e Imhlen eravamo già sotto le coperte, invece Mathrel stava ancora ballando al suono di una musica immaginaria. Sebbene Imhlen fosse la più brava a danzare, Mathrel metteva più entusiasmo in questo tipo di balli in compagnia.

“Mathrel, vai a letto” le ordinò Imhlen. “Prenderai freddo.

Mathrel si coricò nel letto accanto al mio, ma non aveva alcuna intenzione di dormire.

Che giornata interessante!” esclamò. “Éomer è così diverso da gli uomini della nostra patria, ma è bello, no? Mi sembra più forte. Non è niente male, no davvero. Io le lanciai un’occhiataccia. “Non voglio mica rubartelo, Lothi! Dico solo che mi piace, come cognato, intendo”

Quando sarà il matrimonio, Lothi?” chiese Imhlen.

“Il primo maggio, fra quindici giorni. Éomer ha detto che verrà anche Eowyn e persino Re Elessar”

Che bello, Lothi! Avrai un matrimonio stupendo.”

Ma io non amo Éomer” sospirai.

“Come potresti amarlo? Lo conosci da un giorno. Mi disse Imhlen. Non risposi, ma mia sorella sporse un braccio fra i nostri letti e mi strinse una spalla. “Lo amerai, Lothi. Vedrai.”

 

……………………………………………………………………………………………………………………

 

Ecco, il Signore del Mark è entrato in scena! Che ne dite? Lo so che non è ancora molto approfondito, ma d’ora in poi mi focalizzerò soprattutto sul rapporto Lothi Éomer. Mathrel e Imhlen continuano a piacervi?

Spero che sarete comprensive (o comprensivi se c’è anche qualche signore fra i miei lettori)  con Lothi che si sta dimostrando meno coraggiosa di uello che credeva lei stessa, ma è un’evento molto importante nella sua vita e lei in fondo non è che una ragazza ventitrenne. =)

Sempre mille grazie a coloro che mi leggono e soprattutto recensiscono.

Spero che continuerete a seguirmi.

Un bacio,

Elothiriel

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Capitolo 4
*** Il Matrimonio ***


CAPITOLO IV

CAPITOLO IV

 

In quindici giorni le sarte di Edoras aggiustarono per me il vestito che aveva indossato Théodwyn, madre di Éomer, il giorno del suo matrimonio con Éomund. Lo dovettero accorciare un po’ perché non ero alta come una donna di Rohan, ci aggiunsero un lungo strascico e nastri sulle spalle. Era di un luminoso verde chiaro, ed fu il primo vestito da Signora del Mark che ebbi. In quei giorni avevo indossato i miei vestiti che avevo portato da casa, ma qualche giorno prima del matrimonio indossai un bel vestito bianco, dono della moglie di Gamling, per il mio compleanno, il ventidue aprile. Regalò vestiti simili, ma di un ricco rosso, anche alle mie sorelle.

Iniziavo a essere nervosa come prima di incontrare Éomer, mi tenevo occupata ricevendo tutti gli ospiti che arrivavano alla reggia. Giunsero Faramir ed Eowyn, Re Elessar, nobili dell’Est e Ovestfalda, persino i Cavalieri di Estemnet.

 Non tutte le sere ci furono banchetti allegri come quello della prima sera, spesso Éomer, Aragorn, mio padre, Faramir e altri si chiudevano nella piccola sala dietro il Salone del Trono discutendo di guerra e delle ultime frange di Orchi, Esterling e Sudroni che vagavano uccidendo e compiendo razzie. Éomer non mi era mai parso molto allegro, ma dopo queste riunioni diventava ancora più cupo del solito. Poi montavano a cavallo e partivano, non ritornando che qualche giorno dopo. Mi faceva male il cuore a vederli cavalcare via pronti per la guerra.

 

“Ma Éomer è sempre così?” chiesi a Eowyn un pomeriggio, mentre stavamo sedute di un prato appena fuori Edoras. Le mie sorelle erano rimaste a Meduseld a provare i loro vestiti. Stellagrigia e il cavallo di Eowyn pascolavano accanto a noi.

Quando nostro padre era vivo Éomer era di carattere più gioioso, ma dalla sua morte si è incupito e non è mai tornato come prima. Siamo stati costretti a crescere in fretta, Éomer è diventato Terzo Maresciallo del Riddermark a ventisei anni, ma era un guerriero già da prima. Cavalcò in guerra la prima volta a sedici anni, e non ha mai smesso. Grìma Vermilinguo lo chiamava “guerrafondaio” ma lui combatte per difendere Rohan; anche in questi giorni di pace non si concede che pochissimo riposo.” Tacque e poi sorrise. “Capisco le tue preoccupazioni, ma non è cupo perché ti deve sposare. Anzi, penso che questo lo rallegri. Tirai un sospiro di sollievo.

“Ne sono felice, ma mi preoccupa che la minaccia su Rohan sia ancora di tale portata. C’è la possibilità di una vera e propria guerra?”

“No, non credo. A ogni modo questi nemici vanno eliminati il più velocemente possibile.”

“Certo.”

Tornammo a Edoras poco dopo, e Imhlen mi disse che Éomer desiderava vedermi.

“Benissimo, lo vedrò a cena.”

“No, intendeva solo te e lui.” Sobbalzai. Non avevo parlato con Éomer da sola dal giorno del nostro arrivo. Avevamo conversato e ballato, ma sempre insieme ad altri. In effetti era assurdo che io non fossi mai stata da sola con il mio futuro marito fino ad adesso, ma Éomer mi sembrava sempre così occupato e lontano.

Dov’è?”

“Ha detto che ti avrebbe aspettato fuori dalle porte di Edoras. Ha suggerito di prendere Stellagrigia. Lothi, lo so che hai paura di non sapere che dire, ma vedrai che andrà tutto bene. Io e Math ti aspettiamo qui.” Così diedi una mela a Stellagrigia e lei trottò fino al cancello di Edoras.

Lì fuori Éomer aspettava immobile, in sella a Zoccofuoco, guardando il sole avviarsi a tramontare. Indossava ancora l’armatura, erano tornati da poco, però non aveva l’elmo. Il tramonto gli coronava il capo di luce rossa, facendolo apparire più regale che mai.

“Éomer?”

“Ciao, Lothi.”Mi chiamava sempre Lothi, da quando gli avevo detto che a casa il mio nome era questo. “Vieni, ti voglio far vedere una cosa.” Così cavalcammo in silenzio verso dei tumuli, che avevo notato già dal giorno in cui eravamo arrivati, nove sul lato occidentale e otto sul lato orientale. “Queste sono le tombe dei miei avi e di mio zio Théoden, che fu per me come un padre. Un giorno qui sarò seppellito anch’io, nel luogo del riposo finale di tutti i Signori del Mark. Vedi i fiori bianchi che crescono sui tumuli? Si chiamano ricordasempre, perché chi li veda non scordi i grandi che lo hanno preceduto. Io annui in silenzio. “Io, come loro, sono il sovrano di un popolo spietato, siamo guerrieri e cavalieri, non Principi mezzielfi come tuo padre. Tu stessa sei qualcosa di profondamente diverso da una Dama di Rohan, sembri una Signora elfica, qui sei come una stella prigioniera nella roccia. Ascoltavo quelle parole stupita. “Io so che tu non mi ami, e come potresti? Ci conosciamo appena. Eppure, Lothi” si interruppe e, voltatosi verso di me, il suo volto severo si ruppe in uno dei suoi rari sorrisi. “Eppure tu mi piaci. Forse ti amo di già, e sono felice che tu stia per diventare mia moglie. Se io fossi un Re come Aragorn, probabilmente ti offrirei, per amor tuo, la possibilità di tornare a casa dalla tua gente, evitando questo matrimonio politico, e sceglierei una moglie fra le donne del mio popolo.” Non sorrideva più.

“Mi vuoi mandare via, mio signore?” chiesi, sgomenta mio malgrado. Ormai mi ero abituata a una vita qui, e sarebbe stato il mio modo di contribuire alla pace della Terra di Mezzo, offrendomi come legame d’alleanza fra Dol Amroth e Rohan.

“Ho detto che lo farei se io fossi un Re come Aragorn Elessar. Ma poiché non lo sono, non ti farò questa offerta. Ormai sei vincolata a restare al mio fianco. “ Le stelle bianche stavano sbocciando sopra di noi. “Questo ti dispiace, Lothi?”

“No, mio signore Éomer.

Allora Zoccofuoco si accostò a Stellagrigia, ed Éomer mi strinse al suo fianco con un braccio coperto dalla cotta di maglia. Soffiò un vento gentile e mescolò insieme i nostri capelli, biondi e corvini nella notte che stava calando.

 

La sera del giorno prima del matrimonio Éomer sparì prima di cena con Re Aragorn, Gamling, Elfhelm e altri Uomini suoi amici. Le donne di Edoras mi dissero che era una cosa normale.

Io mangiai poco e mi ritirai in camera con Mathrel.

“E così arriva il grande giorno” disse lei sedendosi sul letto. “Dalla tua faccia sembra che tu debba combattere da sola contro una schiera di Esterling ribelli.”

“No, sono felice.” Ribattei, ed era la verità. Certo, ero preoccupata e sovraeccitata, ma anche felice.

In quel momento entrò anche Imhlen, che lanciò un’occhiata sospettosa a Mathrel, poi mi chiese come stavo.

“Bene, penso; ma cos’hai, Imhlen? Sei strana.”

“Niente…senti, Mathrel ti ha detto qualcosa?”

“Stavo per dirglielo” interloquì Mathrel, sporgendosi dal suo letto.

“Ecco” mi sussurrò Imhlen in fretta. “Qualunque cosa ti stia per dire, sono tutte sciocchezze. Non la ascoltare. Io le impedirei di parlare, ma purtroppo non trovo nessuno che mi presti una spada. Io la fissai incuriosita.

“Di che state parlando?” chiesi.

“Senti, Lothi…hai mai baciato nessuno?” esordì Mathrel guardandomi di sottecchi. Imhlen sospirò e si lasciò cadere sul suo letto.

“Si, una volta, quando avevo sedici anni, mi ero innamorata di uno scudiero di nostro padre, e alla fine ci baciammo. Perché?”

“Fu solo un bacio, vero? Niente di più.” Proseguì Mathrel ignorando la mia domanda. Imhlen affondò il viso nel cuscino sdegnata.

“Si…la mamma ci vide e mi fece una tale lavata di capo che me la ricordo ancora parola per parola. Urlò che non avrei potuto più baciare nessuno fino al giorno in cui mi…mi sarei sposata.” Iniziavo a capire cosa di cosa volesse parlare quella piccola serpe di mia sorella. “Io le ho ubbidito” aggiunsi.

“Invece, sai, io ho baciato un sacco di uomini, e non mi sono mai fatta scoprire. Così ho imparato molto sull’argomento.”

“Taci, Math, adesso basta” la redarguì Imhlen.

“Quindi ti volevo offrire la mia esperienza nel caso la notte…con Éomer…” a quel punto Mathrel fu presa da un accesso di risa che durò molto a lungo, mentre io e Imhlen la fissavamo scandalizzate.

“Ti avevo detto di non ascoltarla” mi disse Imhlen. “E’ da un paio di giorni, che quando tu non ci sei, discute di quest’argomento. Da sola, perché io non le dò certo ragione. Buonanotte” concluse, e lasciando Mathrel a contorcersi dalle risa sul suo letto, cacciò la testa sotto le coperte e non proferì più parola.

“Allora, Lothi, non vuoi i miei consigli?” mi domandò a bassa voce Mathrel quando si fu ripresa.

“No davvero” risposi seccamente.

“Non ci credo” ribattè “E’ Imhlen che ti ha condizionato.

“Mathrel, sul serio!” e detto questo, seguii l’esempio di Imhlen. Ma mia sorella non si dette per vinta, e accoccolatasi vicino al mio cuscino mi sciorinò una serie di consigli e avvertimenti che non ripeterò.

 

La mattina del primo maggio il sole sorse presto e fu luminoso fin dai primi raggi.

La terrazza davanti al palazzo era decorata con numerosi vessilli sia di Rohan che di Dol Amroth, le guardie avevano lucidato le armature e si erano pettinate i lunghi capelli biondi. Sentii una delle ragazze che si occupavano di me e delle mie sorelle dire a una sua amica: “Non è strano fare tutta questa festa per un matrimonio? Voglio dire, anche se si sposa il re, non è uso che ci sia tutta questa solennità” l’altra le rispose così:

“Sarà perché è una principessa straniera mezzaelfa. Hai visto come sono strani loro! Magari usano fare sempre così per i matrimoni.

Mi lasciai vestire dalle mie sorelle con l’abito di Théodwyn, bellissimo e splendente, dello stesso verde dell’erba appena nata dopo un lungo gelo. Mi pettinarono a lungo i capelli e li legarono sulla nuca con nastri bianchi e fiori, tranne alcuni riccioli che lasciarono ombreggiarmi il viso.

Mi accorsi che entrambe avevano gli occhi umidi.

Infine, a mezzogiorno, mi scortarono sulla terrazza. Eowyn mi porse un mazzo di fiori bianchi che aveva preparato per me, sentii il profumo dei gigli fra le mie mani. Strizzai gli occhi alla luce improvvisa. I Cavalieri in armatura formavano un corridoio alla fine del quale c’era Re Aragorn, vestito con abiti elfici.

Éomer era bellissimo.

Indossava l’armatura che era stata forgiata per lui quando era diventato Re e i suoi capelli, così biondi, splendevano nella luce di quel giorno meraviglioso. Ma ciò che mi rese felice fu vedere il suo volto sereno, non rannuvolato e severo com’era di solito. In quel momento, anche se non era vero, credetti di amarlo, quel giorno era speciale.

Così, davanti a Re Aragorn, mio padre disse:

“Éomer figlio di Éomund della Casa di Eorl,  Re di Rohan, Signore del Mark, io ti affido mia figlia Lothíriel, Principessa di Dol Amroth, discendente di Galador il Mezzelfo, in sposa.”

“Ed io la accetto con tutto il cuore, davanti ai miei Cavalieri e a Re Elessar Telcontar, Signore di Gondor.”

“Siate per sempre uniti, nella pace dopo giorni bui, e siate il simbolo dell’amicizia che regna fra i vostri paesi. Disse Re Aragorn, ed io mi accorsi che stavo piangendo, e sentivo i singhiozzi delle mie sorelle dietro di me. “Piangi pure, Lothíriel, perché questo è un giorno molto felice. Bevete, Lothíriel figlia di Imrahil e Éomer figlio di Éomund.” Ci porse una coppa piena di vino rosso e io e Éomer bevemmo uno dopo l’altra, e così fummo marito e moglie nel Regno del Mark e nella Terra di Mezzo. Allora Éomer mi prese fra le braccia e mi baciò, e anch’io lo baciai sotto il sole di quel mattino stupendo del primo maggio. La gente applaudì e io lanciai il mio mazzo di fiori in alto, lo prese al volo Imhlen, e sorrise fra le lacrime.

Poi mi inginocchiai e Éomer mi pose sulla testa una sottile corona d’argento sbalzato. “Io, Éomer Signore del Mark, nomino te, Lothíriel di Dol Amroth mia moglie, Signora del Mark. Alzati, Lothíriel, mia regina!”

Ci furono balli e canti, baci e abbracci di molte persone, e vidi Éomer sorridere spesso, come non l’avevo mai visto fare. Io e lui sedemmo accanto al banchetto, e davanti a noi mio padre e Eowyn e Faramir e tutti coloro che ci erano cari, e fu un giorno gioioso per noi e per molti altri. Mentre veniva servita la carne, Imhlen si sporse verso di me e mi sussurrò: “Anche senza tutti i vaneggiamenti di Math, è stato un bacio bellissimo.” Io le sorrisi allegramente.

I festeggiamenti durarono tutto il giorno, e si conclusero con un coro di fanciulle che cantò un inno antichissimo nella lingua del Mark, che così tradussi nella Lingua Corrente giorni dopo, con l’aiuto della mia cameriera Falmer e del libro che mi aveva regalato Lamrai.

 

Fanciulla più non sei, giurato hai

che con lui la vita passerai

Sii felice, donna, e rendilo felice

E sii forte, per te e per lui

Quando i giorni non saranno più luminosi

Fidati solo di lui nei giorni paurosi

 

Abbi fiducia nella sua forza e nel tuo coraggio

Nella tua anima e nel suo braccio

Continua a camminare al suo fianco

Difendilo quando sarà stanco

Non dubitare del tuo cuore

Non dubitare del suo amore.

 

La sera stava calando e dopo l’ultimo ballo, nel quale io ed Éomer ci eravamo lanciati contagiati dall’entusiasmo di Mathrel e Elfhelm, mi diressi verso la mia camera approfittando di un momento di distrazione da parte di mio marito, che discuteva a bassa voce con Elfhelm. Ma fui raggiunta dalle mie sorelle, che mi sbarrarono il passo con aria decisa. Mi preoccupai, perché ci voleva qualcosa di serio per farle unire in un tale fronte compatto.

Cosa stai facendo?” mi aggredì Mathrel.

“Sto andando a dormire” risposi.

“Lothi, stasera non puoi dormire qui. Devi…dormire in camera di Éomer.”disse Imhlen.

“Proprio così”ripartì Mathrel. “Forza, ti accompagniamo noi. Ti ricordi cosa ti ho detto ieri sera? Ebbene, non dimenticarlo.

“Non lo so, perciò non posso dimenticarlo. Ribattei mentre le mie sorelle mi trascinavano fino alla porta della camera di Éomer e mi gettavano dentro.

“Domani ci racconterai tutto.” Ridacchiò Mathrel mentre si allontanavano. “Se provi a scappare ce ne accorgeremo!”

“Penso che dovrò rimanere, allora.” In realtà avevo capito benissimo tutto quello su cui Mathrel mi aveva premurosamente informato, ma non ero sicura di volerci pensare. Così mi misi a osservare la camera. C’era una piccola finestra da cui entrava la luce della luna crescente. Conteneva solo un grande letto dalle pesanti coltri rosse, una sedia accanto a questo, un armadio e dei ganci alle pareti dov’erano andavano riposte le parti dell’armatura e la spada di Éomer, Güthwine. Curiosa, sbirciai fra gli oggetti appoggiati sulla sedia. C’era un pugnale dalla magnifica impugnatura a forma di testa di cavallo e due lettere aperte. Una recava il sigillo spezzato del cigno bianco, avrei voluto leggerla, ma la posai, sentendo un rumore di passi maschili. Mi sedetti sul letto e iniziai a sciogliermi i capelli, facendo cadere fiori ormai appassiti sul pavimento. La porta cigolò, aprendosi. Io presi un profondo respiro e guardai verso colui che quel giorno era diventato mio marito, Éomer Signore del Mark.

“Buonasera, mio signore” lo salutai.

“Ciao, Lothi.”

 

…………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………….

 

E così Éomer e Lothi si sono finalmente sposati!

Che ne dite del matrimonio? E la scena davanti ai tumuli è troppo melensa e sdolcinata?

Come al solito, pietà per la canzone che è particolarmente indegna stavolta.

 

Sempre grazie infinite a tutti coloro che leggono la mia storia e soprattutto a quelli che la rencesiscono, con una puntualità e una fedeltà davvero ammirevoli. Le mie tre fedelissime Arwins, Nini Superga e Sesshy94 si meritano un ringraziamento speciale. (In realtà vi meritate molto di più, chiedete e sarete esaudite)

Mi dispiace per il capitolo insopportabilemten lungo, ma non sapevo dove interromperlo.

 

A presto,

un bacio

Elothiriel

 

 

 

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Capitolo 5
*** Il Primo Giorno-parte I ***


V CAPITOLO

V CAPITOLO

 

La mattina dopo aprii gli occhi ai primi raggi del sole dorato che entravano dalla finestra. Illuminavano il mio vestito stupendo, gettato con noncuranza sulla sedia. Sospirai piano per non svegliare Éomer. Mi sembrava un momento magico, il suo viso dormiente era tranquillo e sereno. Ero raggomitolata accanto a lui, la testa sulla sua spalla muscolosa. La sua grande mano era abbandonata sui miei capelli arruffati, sul cuscino le nostre chiome mescolate creavano uno strano effetto screaziato. Tirai la coperta più su sulle nostre membra nude e sensibili all’aria fredda del mattino, stringendomi ancora di più nel caldo incavo del suo fianco. Mi sentivo deliziata, ma illanguidita, come persa in un mondo di sogno, e anche stanca, poichè io in genere la notte dormivo. Accarezzai lentamente una ciocca di capelli biondi che mi spioveva sul viso, poi mi riaddormentai pigramente, sentendo l’odore di Éomer sopra di me.

Quando mi risvegliai lui non c’era, in compenso un ricco vassoio della colazione era appoggiato sulla sedia. Mi sentii triste all’improvviso, persa come una bambina senza il padre.

“Ha detto che non sarà sempre così” la voce insopportabilmente petulante di Mathrel si fece strada nella mia mente intorpidita. “Ha detto che solo per oggi ti ha fatto mandare la colazione in camera, perché gli sei sembrata…ecco…spossata” potevo vedere il rossore accenderle le guance. Allora un qualche pudore le era rimasto.

“Lasciala stare. Imhlen entrò titubante, parlando a bassa voce. “Come ti senti?”

“Non male, ma strana.”dato che le mie sorelle mi fissavano con gli occhi sgranati, aggiunsi: “Intontita. Stanca.” Sperai che si accorgessero da sole che non desideravo la loro presenza in quel momento.

Vieni, Math, lasciamola sola.” Disse infatti Imhlen. Mathrel le ubbidì, ma non seppe trattenersi dal mormorare, prima di lasciare la stanza:

Se si sente così, è perché non ha dormito neanche un minuto stanotte. Éomer dev’essere uno che si dà da fare, non è vero, Lothi?” la scacciai con un cenno, disperata per quella sorella senza un minimo di ritegno. Dopo aver fatto un’abbondante colazione, mi alzai, chiamai la cameriera Falmer perchè cambiasse la lenzuola e mi vestii con uno degli abiti che avevo portato da casa. Sentii una fitta di nostalgia pensando a Dol Amroth, ma la scacciai scrollando la testa. Avrei voluto che Éomer avesse aspettato il mio risveglio accanto a me, anche se sapevo che non aveva certo tempo da perdere a guardarmi dormire.

“Falmer?”chiamai la donna. Aveva trentotto anni, il viso serio ma buono.

“Si, mia signora?” esitai. Non sapevo come porre la mia domanda senza apparire spaesata come mi sentivo. Mi feci coraggio e le chiesi:

“Cos’è che fa in genere una Regina qui a Edoras? Mia madre si limitava a curare l’organizzazione del palazzo, e non so se qui le cose siano diverse.

“Mi sa che voi avrete anche altri compiti, mia signora. Spesso le mogli dei Re danno udienza ai sudditi, ma curano anche l’andamento di Meduseld e in assenza del Re governano il regno. Potete chiedere al Re a pranzo.

“Si, grazie, Falmer. Dov’è adesso?”

“Mi dispiace, mia signora, ma è uscito a cavallo con Sire Aragorn e vostro padre.

“Non c’è, quindi.” Mi sentii delusa e abbandonata. Speravo che, essendo sposati, avremmo potuto condivere qualcos’altro oltre che il letto e qualche sporadica conversazione all’ora dei pasti. Anche se non morivo d’amore per lui, era pur sempre mio marito.

Torneranno presto, mia signora, vedrete. Comunque nessuno si aspetta che voi facciate grandi cose stamattina.”

“Ma desidero fare anch’io qualcosa di utile.” Mi venne un’idea. “Dove posso trovare quelle tessitrici che stanno facendo il nuovo arazzo?”

“Fuori al sole, sulla terrazza. Ma mia signora, non è necessario che voi vi mettiate a lavorare subito.

“Non ti preoccupare, Falmer. Farò ciò che è in mio potere fare. Così dicendo mi sentii un poco più regale che all’inizio della conversazione. Salutai la cameriera e mi misi in cerca delle mie sorelle: le trovai che stavano iniziando a radunare le loro cose nella camera. Smisero appena si accorsero di me e mi fissarono con aria colpevole.

“Partiamo fra tre giorni” disse infine Imhlen stringendosi nelle spalle.

“Così presto?”

“Ormai sono passati sei mesi da quando siamo partite” mormorò Mathrel. “Nostro padre è assente da casa da troppo tempo. Era vero. Per un motivo futile come il mio matrimonio, il Principe era stato lontano per sei mesi da Dol Amroth. Rassicurai le mie sorelle dicendo loro che non ero assolutamente né arrabbiata né triste.

“Stavo andando fuori a vedere le tessitrici, venite con me?” A Mathrel e a Imhlen le tessitrici interessavano, quindi recammo nel luogo nel quale le avevo viste il primo giorno. E loro erano lì, tre anziane donne curve sui telai nel punto più illuminato della terrazza.

“Vi posso aiutare?” chiesi nella Lingua Corrente.

“Regina, noi siamo le più abili tessitrici del Mark. Potresti eugugliare la nostra arte?” disse quella più vicina parlando con il pesante accento del Mark, e mostrò un pezzo dell’arazzo già completato: Eowyn vestita da guerriero che galoppava brandendo una lancia. Il disegno era realistico e i colori vividi: mai avrei potuto realizzare una simile opera.

“No, non potrei. Ma non c’è nient’altro che io possa fare?”

“In seguito avremo bisogno di quel filo che vedi lì. Ma come puoi osservare, è legato in matasse, e dovremo farne gomitoli. Potresti sederti all’arcolaio e svolgere questo compito, ma è troppo umile per te, Regina mezzaelfa, e per le tue sorelle Principesse.” 

“No, lo faccio volentieri.”risposi, e sistemata la prima matassa,un bel filo di lana bianca, nei quattro bracci dell’arcolaio, la girai fra lo strumento e le mie mani finchè non divenne un gomitolo perfettamente rotondo. Anche Imhlen e Mathrel si misero al lavoro, Mathrel che faceva da arcolaio a Imhlen. Quei movimenti erano stranamente familiari, centinaia di volte ci eravamo sedute sulla terrazza comune alle nostre camere a sciogliere le matasse. Era rassicurante vedere che nulla era cambiato, che ero la stessa ragazza che aveva fatto la maglia canticchiando al mare, sebbene mi sentissi profondamente diversa.

Lasciai chiacchierare Mathrel nonostante stesse continuando a fare insinuazioni su me e mio marito, mentre Imhlen cercava inutilmente di chiuderle la bocca soffocandola con un gomitolo.

“Insomma, se lei non ci racconta niente, sono obbligata a immaginarmi qualcosa, no?” si giustificava Mathrel tentando di evitare gli scappellotti di Imhlen. “Per me non è un caso se Lothi ha delle occhiaie che le arrivano alle ginocchia…Ahia!”

Trasformai, in una mattinata di lavoro, tutte le matasse in gomitoli, mentre osservavo la terra di Rohan, ormai la mia terra, che si stendeva sotto di noi. Conversai con quelle saggie vecchie e loro iniziarono a insegnarmi qualche parola nella lingua del Mark, che dovevo imparare il più rapidamente possibile.

“Ecco Re Éomer!” Esclamò all’improvviso la tessitrice più a sinistra. “Egli cavalca verso Meduseld insieme al Re di Gondor e al Sire mezzoelfo.

“E’ vero!” dissi, inspiegabilmente felice. Il sole che aveva passato da poco l’apice illuminava tre lontani cavalieri, potevo riconoscere da lontano il portamento di mio padre e quello di Éomer. Ringraziai le anziane donne e loro ringraziarono me, poi ordinai che venisse servito il pranzo, in modo che i cavalieri in procinto di arrivare trovassero tutto pronto. Poi andai ad aspettarli davanti al palazzo, mentre le mie sorelle andavano a rassettarsi nella loro stanza.

Sembrate Dama Eowyn.”disse una delle due guardie delle porte. “Anche lei soleva aspettare i Cavalieri davanti alle porte. Passava molto tempo qui sola ad aspettare, la Dama dal Braccio di Scudo.”

“Io non aspetterò a lungo” risposi. “Già scorgo il Re alle porte di Edoras.”

Mio padre, Sire Aragorn e  Éomer giunsero galoppando ai piedi della collina, poi affidarono Zoccofuoco e gli altri cavalli agli scudieri e si diressero verso di noi.

“Bentornati” li accolsi. “Il pranzo è pronto.

“Brava, Lothi” mormorò Éomer, senza farsi sentire dagli altri due. Io gli sorrisi e lo seguii all’interno di Meduseld.

“Dove vi siete recati stamattina?” domandai mentre ci sedevamo a tavola. Le mie sorelle sputarono dal buio e si unirono a noi, Faramir ed Eowyn erano andati a fare una passeggiata a cavallo.

“Siamo andati ad incontrare dei messaggeri inviati dalle vedette stanziate sulle ultime propaggini delle Montagne Nebbiose: una delle ultime sacche di resistenza degli Orchi ribelli si nasconde lì, e sembra che si stia muovendo sempre più verso Isengard e l’Ovestfalda. Non possiamo permettere che entrino a Rohan. Se quelle creature di Mordor mettono piede nella terra della mia gente, le uccideremo tutte, come abbiamo fatto con i loro simili. Éomer parlò bruscamente, con un’espressione strana in viso. Vi leggvo la preoccupazione per il suo popolo, ma anche la gioia feroce di poter combattere di nuovo.

Finito il pasto, ordinai ai servitori di sparecchiare, poi cercai Éomer e lo trovai in camera, che si slacciava i pesanti stivali. I lunghi capelli biondi erano arruffati e in disordine.

“Te li pettino, vuoi?” mi sorpresi a chiedergli. Lui mi guardò stupito.

“E’ da quando ero un bambino che nessuno fa questo per me.”

“Ciò non vuol dire che sia un male” ribattei.

“Va bene, fai come ti pare.” Mi lasciò sedere accanto a lui sul letto e sciogliere con il pettine, e a volte con le mani, i numerosi e intricati nodi della sua chioma.

“Éomer, c’è una cosa di cui desidero parlarti. Gli dissi mentre lavoravo con una ciocca particolarmente ingarbugliata. Lui fece cenno di parlare. “Quali sono i miei compiti qui a Edoras? Cosa devo fare, in qualità di Regina?”

“Innazitutto soddisfare il Re.” dichiarò, con un sorriso nella voce. Io arrossii. “Ti devi occupare della direzione del palazzo e provvedere al sostentamento della servitù e dei Cavalieri che dimorano qui. Poi dovresti dare udienza ai cittadini di Edoras e dei dintorni che portano piccole contese giudiziare che tu devi risolvere. Sii giusta ma magnanima, non essere troppo severa con questi uomini che si stanno risollevando da un periodo molto oscuro. Ovviamente le leggi vanno rispettate, ma non essere troppo dura. Ma mi sembra che tu non possa essere molto rigida con nessuno, non è così? Basta guardare la dolcezza con cui tratti me, un rude soldato abituato solo alla guerra. Lo guardai meravigliata. “Le tue mani sono ferme, e io devo tornare a occuparmi degli affari del Regno.” Fece per alzarsi, ma senza pensare gli afferraiil polso, trattenendolo.

“Cosa c’è?” incoraggiata dalle parole che aveva detto prima, mormorai:

“E’ il nostro primo giorno di matrimonio. Tu hai detto che mi ami, ricordi? L’hai detto davanti ai tumuli dei tuoi antenati. Io vorrei…io vorrei che tu non mi lasciassi sempre sola, almeno oggi.

“Credevo di non piacerti” ribattè Éomer, il tono ammorbidito che tradiva il viso indifferente.

“Non l’ho mai detto. Non ci siamo certo sposati per amore, ma non ho mai affermato che tu non mi piacessi. La mia voce tremava leggermente. “Resta ancora un poco, per favore. Mi sento sola e persa fra questa gente che non parla la mia lingua!” Éomer riprese posto accanto a me e mi strinse una spalla. “E le tue sorelle? E tuo padre? E la scorta che vi accompagnato fin qui?”

“Non mi fanno sentire meno spaesata qui a Rohan. Loro non sono di queste terre. Lo so che tu sei molto occupato, però pensavo che almeno oggi…ma vai, non ti preoccupare per me. Non voglio esserti di peso. Éomer non rispose, non si alzò. Lentamente, come se fossi un oggetto di cristallo molto fragile, mi sfiorò il viso, poi mi attirò a sé. “Grazie, Éomer. Bisbigliai al caldo fra le sue braccia robuste.

Anch’io devo chiederti una cosa.” Disse chinando la testa verso di me. “Tua sorella…”

“Quale?”

“Quella più piccola. E’ fidanzata?” alzai il capo fissandolo negli occhi.

“No. Perché?”

“Il mio Maresciallo Elfhelm mi ha detto che desidera sposarla. Pensi che accetterebbe?”

Mathrel. Mathrel e Elfhelm. Mathrel poteva restare qui! Se fosse diventata la moglie di Elfhelm, sarebbe rimasta a Edoras, e io non avrei dovuto separarmene. Conoscendola, sarebbe stata incuriosita dall’idea, ma in fondo al cuore sapevo che per lei era troppo presto per rinunciare alla libertà a cui era abituata. E poi, Mathrel non aveva neanche diciott’anni, mentre Elfhelm aveva visto passare trentasei inverni.

Se devo dirti la verità, non credo che mia sorella sarebbe d’accordo. Ella è ancora molto giovane.”

Anch’io sono più vecchio di te.”

“Si, ma non di diciannove anni. Tu hai trent’anni e io ventitrè, non c’è molta differenza. Lui alzò le sopracciglia con fare scettico, mi accorsi che nel suo sguardo c’era una scintilla scherzosa che avevo notato molto raramente.

“Guarda” esclamò afferrandomi la mano “Guarda se non c’è differenza fra i nostri anni e le nostre braccia. Tirò su la manica del mio vestito e quella della sua camicia di panno, mettendo in mostra il mio avambraccio bianco, morbido e sottile, con il suo, abbronzato e muscoloso.

“Così non è giusto” protestai allegramente. “E’ chiaro che il tuo braccio ha compiuto molte imprese gloriose, e il mio, quanto a imprese gloriose, è rimasto alla cardatura della lana.” Éomer rise, e fu come se il un raggio di sole irrompesse in un cielo da troppo a lungo chiuso da nubi grigie.

“Ora devo andare” disse infine. “Ma non temere, tornerò presto. Alzandosi, mi diede una carezza lieve sui capelli. “Anzi, vieni anche tu; devi iniziare a dare udienza a coloro che lo desiderano.

“D’accordo.” Mi alzai e lo raggiunsi sulla soglia.

 

……………………………………………………………………………………………………….

 

Ciao!

Mi dispiace per avervi fatto aspettare per così tanto tempo.

So che mi volete tutti uccidere per aver bellamente saltato la prima notte di nozze, ma non sono capace di scrivere una cosa del genere e ho preferito lasciare tutto alla vostra immaginazione. In compenso ci ho messo un’altra scenetta mielosa.

 

Come sempre ringrazio tutti coloro che mi recensiscono eo mi leggono, mi seguono, ricordano o preferiscono.

Le recensioni mi rendono tanto felice, non è che me ne lascereste qualcuna di più? Per favore!

 

Un bacio grandissimo a Arwins, Sesshy94, Nini Superga e Thiliol.

 

Baci,

Elothiriel

 

 

 

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Capitolo 6
*** Il Primo Giorno - parte II: L'udienza ***


VI

VI

CAPITOLO

 

Ci avviammo insieme verso il Salone del Trono, dove Éomer si congedò da me e si mise a studiare una carta insieme a Aragorn, mio padre. Elfhelm non c’era, ma avevo detto a Éomer di parlargli appena lo avesse visto. Io, seguendo le istruzioni che mio marito mi aveva dato, entrai nella piccola stanza accanto al Salone e lì mi sedetti sul basso scranno al centro del muro orientale. Sentivo delle voci fioche ma irose provenire da fuori dell’uscio, segno che c’era già qualcuno che aveva una contesa da farmi sciogliere. Mi sentivo abbastanza tranquilla, poiché anche a Dol Amroth certe volte dei contadini mi avevano sottoposto questioni giudiziare di scarsa importanza. Falmer aspettava che dessi il permesso di entrare ai contendenti. Le feci un cenno e lei aprì la porta, facendo accedere al mio cospetto tre persone: un vecchio che trascinava una ragazza e un giovane. Essi sembravano abitanti delle campagne intorno ad Edoras, anche se il giovane probabilmente aveva prestato servizio nelle ultime guerre. Tutti e tre si inchinarono, senza cessare di guardarsi male.

“Io sono Romalto dell’Ovestfalda, mia signora, e non sarei venuto se il motivo che mi spinge non fosse di grande importanza per me,” disse il vecchio “ma mia figlia Ifolse, che vedete qui, e questo ragazzotto hanno commesso verso di me un grave misfatto.” La fanciulla cercò di divincolarsi e strillò:

“Non è vero, Regina, non abbiamo fatto niente di male!” il giovane corse in suo aiuto, spintonando Romalto.

“Basta!” mi stupii io stessa dell’autorità emanata dalla mia voce: ventitrè anni a dare ordini alla servitù di Dol Amroth non erano passati invano. “Ricomponetevi, per favore! Tu, Romalto, lascia tua figlia, e voialtri non lo interrompete mentre parla.” Immediatamente si ristabilì l’ordine. Ifolse si inchinò mormorando qualche scusa e qualche implorazione. Aspettai che avesse finito e poi feci cenno al vecchio di continuare.

“Hanno commesso un misfatto verso di me e i miei antenati” riprese l’anziano uomo fissando il ragazzo. “Infatti questi due hanno osato sposarsi di nascosto, senza che io avessi ciò che mi spettava per aver ceduto mia figlia in matrimonio; e quel che è peggio è che io sono venuto a conoscenza di ciò da parte di una vecchia comare che li ha visti scappare insieme durante la notte. E la loro unica giustificazione è che si amano” pronunciò quest’ultima parola con disprezzo. “Non capisci, Ifolse,” si voltò verso la figlia con rabbia mista a preoccupazione e affetto “Che questo sprovveduto non ha di che servirsi per garantirti una vita soddisfacente, per questo ti ha sposato di nascosto a me?!”

“Non è vero!” lo interruppe il giovane. “Io potrei provvedere a Ifolse lavorando!”

“Lavorando cosa?” chiese il Romalto sdegnoso. “Lo sanno tutti che non possiedi nemmeno un orticello! Regina, io chiedo che voi annulliate questo matrimonio e che mi rendiate mia figlia.”

“Mia signora, non divideteci, ve ne prego!” singhiozzò la ragazza accasciandosi sul pavimento. Non poteva essere più grande di Mathrel.

“Giuro che mi prenderò cura di Ifolse a costo di privarmi del cibo e del sonno” dichiarò il ragazzo avvicinandosi alla fanciulla, ma il vecchio lo fermò con un’occhiataccia.

“Silenzio!” esclamai. “Tu, Romalto, desideri che il matrimonio sia annullato, mentre voi due chiedete che io legittimi la vostra unione. Ma il padre di Ifolse” mi rivolsi al giovane “E’ stato privato dei beni che gli spettano e asserisce che tu non abbia i mezzi per provvedere a sua figlia. E’ vero questo?” a malincuore, lui rispose:

“Si, mia signora.” Ifolse smise di piangere e alzò la testa spaventata. Poi parlò così:

“A me non importa se Camset non ha una bella casa o un pezzo di terra. Preferisco stare accanto a lui nella povertà, che accanto a un altro nella ricchezza.” Sebbene la ragazza fosse commovente e io, nel profondo del cuore, parteggiassi per lei, in realtà aveva ragione suo padre. Quindi, dopo aver riflettuto qualche secondo, decisi di risolvere così la contesa.

“Se Camset fosse benestante e ti avesse fatto i doni che ti appartengono per diritto, non saresti contrario a questo matrimonio, non è vero?” chiesi a Romalto.

“No…no, mia signora. Ma tanto non li ha, e non li avrà mai, a meno che non accada un miracolo!” sibilò.

“Allora ti atterrai alla mia decisione.” Feci una pausa, raccogliendo le idee. “Ieri, uno degli stallieri di Meduseld è caduto da un cavallo imbizzarrito ed è si è ferito gravemente: a lungo non potrà riprendere il lavoro. Io ti do adesso, Camset, una somma di denaro equivalente a sei mesi di duro lavoro nelle stalle, che dovrebbe essere sufficiente a comprare dei doni per Romalto e un piccolo pezzo di terra per te e Ifolse. Ma poi dovrai lavorare sei mesi come stalliere qui a Meduseld, per ripagare il debito. In seguito te e Ifolse potrete guadagnarvi da vivere lavorando la terra. Invece Romalto avrà ciò che gli spetta in cambio di Ifolse e sarà sicuro che sua figlia non vivrà nella povertà. Accettate quest’offerta?”

“Si, grazie, Regina! Grazie!” esclamò Camset inchinandosi fino a terra.

“Va bene così, Regina, eppure avrei desiderato che Ifolse sposasse un altro. Ma se lei è convinta che sia l’uomo adatto a lei e non vivrà nella miseria, allora accetterò che diventi mio genero.”

“Mia signora, mi avete reso la ragazza più felice del Mark con la tua sentenza!” sorrisi alle parole di Ifolse. Dopo essersi inchinati ancora una volta, i tre paesani uscirono, e anch’io li seguii, per vedere se c’era qualcun altro ad aspettare, ma evidemente quel giorno non avrei dovuto sanare altri contrasti. Alla porta c’era solo Ifolse, che stringeva nervosamente in mano un lembo della gonna di spesso panno ruvido, così diversa dalla mia veste di velluto e seta bianca.

“Mia signora,” mormorò “Posso chiedervi ancora una cosa?”

“Parla, Ifolse.”

“Vedete, adesso Camset abiterà qui a Edoras per sei mesi, lavorando alle stalle. Mi chiedevo…mi chiedevo se ci fosse un posto anche per me. Non vorrei tornare a casa con mio padre, ma restare qui con Camset.” mi inteneriva la sua voce timida, ma non potevo soddisfare la sua richiesta.

“Ifolse, ascolta: non c’è lavoro per te qui a Meduseld, ma questo è un bene. Io ti consiglio di tornare a casa con tuo padre ed essere amabile con lui, in modo che si convinca che ha fatto bene a lasciarti sposare Camset, rendendoti felice. Fai in modo che si accorga che non lo abbandonerai, ma che rimarrai la sua figlia fedele anche dopo il matrimonio.” Ifolse mi sembrò un po’ delusa, ma poi chinò il capo e disse: “Avete ragione, Signora.” Quindi si produsse in un’ultima riverenza e seguì Romalto verso l’uscita di Meduseld.

“Siete stata molto saggia, mia signora.” Disse Falmer dopo che padre e figlia ebbero varcato la soglia. “Avete reso quei due giovani felici senza far torto al vecchio. Eppure sembrava che Romalto avesse ingoiato un boccone molto amaro! Ma ha accettato i vostri ordini, ed è questo l’importante.”

Mi sentivo stanca e preoccupata di non aver preso la giusta decisione nei confronti del vecchio, sebbene avessi fatto tutto il possibile per comporre il litigio.

“Lothi!” la voce allegra di Imhlen annunciò l’arrivo di mia sorella. “Lothi, sei stata bravissima!”

“Chi te l’ha detto?”

“Ho ascoltato attraverso la porta”, rispose Imhlen, e mi stupii, perché quello non era un comportamento degno di lei. “Mi ha convinto Mathrel” aggiunse infatti, sorridendo della mia espressione meravigliata. “Ma ho fatto bene. Non pensavo che tu potessi essere così regale; sei stata giusta ma magnanima.”

“Grazie.” Le sorrisi. Quel giorno non avevo pensato molto alle mie sorelle, e me ne dispiacevo. “Ho finito. Perché non andiamo a fare una passeggiata prima di cena? Sono solo le quattro.”

“Volentieri, ma prima dobbiamo trovare Mathrel. Non ho idea di dove sia, era con me a…” arrossì.

“A origliare” completai io, ridendo. “Malvagia influenza della nostra sorellina.”

“Si, ecco, però a un certo punto è giunto un servitore che le ha riferito che Elfhelm desiderava parlarle.”

“Ecco perché Elfhelm non era alla riunione…”mormorai fra me e me, sorpresa dal fatto che Elfhelm avesse voluto dichiararsi così presto.

“Ma perché Elfhelm voleva parlare con Mathrel? Non riesco a spiegarmelo.” Disse Imhlen perplessa. “Mathrel, fino a prova contraria, non è un Maresciallo né un Cavaliere.”

“Credo di sapere cosa è successo mentre noi eravamo qui. Vieni, andiamo a cercare Mathrel.”

Cercammo nostra sorella per una buon quarto d’ora, prima di trovarla seduta sui gradini delle scale della terrazza, che scrutava, con un’aria assorta inusuale per lei, il verde orizzonte del Mark. Ci sedemmo piano ai suoi due lati. Lei non parlò, cosa talmente insolita per Mathrel che iniziai a preoccuparmi che le fosse successo qualcosa di brutto.

“Math, cosa ti angoscia?” le domandò Imhlen con dolcezza. Mathrel non rispose, si limitò ad accennare con la testa verso il palazzo. “Math, ti puoi fidare di noi. Qualunque cosa sia capitata, noi saremo dalla tua parte.” Mathrel restò in silenzio qualche altro minuto, poi parlò con voce fioca:

“Elfhelm mi ha chiesto di sposarlo.” Imhlen spalancò gli occhi, attonita. Se Mathrel non fosse stata così concentrata sulle nuvole, sarebbe morta dalle risate.

“E tu che hai detto?” indagai.

“Per ora ho risposto che ci devo pensare. Ma…ma non so! Non so che fare. Elfhelm è un Maresciallo di nobile stirpe, e quindi sarebbe un marito adatto anche a una Principessa come me. Però è vecchio!” Mathrel scoppiò in singhiozzi, affondando la testa nella mia spalla. Imhlen le si avvicinò e le carezzò i capelli.

“Non sei costretta a sposarlo, se non vuoi.”

“Elfhelm è stato così gentile…ha detto che sono bella come un giglio di mare.”

“Ha fatto una semplice constatazione,” commentai “non so se lo puoi definire un complimento.”

“E’ vero” ridacchiò Mathrel fra le lacrime. “Io sono bella.” E ricominciò a piangere, mentre io e Imhlen la stringevamo, cercando di consolarla. “Come hai fatto a decidere di sposare Éomer, Lothi? Io mi sento così confusa. So che dovrei accettare la proposta di Elfhelm, ma in realtà non voglio, però non voglio nemmeno dare un dispiacere a lui. So che sarebbe un buon matrimonio politico e che alla fine non starei così male qui a Rohan con te, Lothi, ma non ce la faccio a dire di sì. Per tutta la vita. Oh, come vorrei che Elfhelm non mi avesse mai vista!”

Pianse e pianse, in preda alla commozione e all’angoscia, fino a che non ebbe più fiato per continuare a singhiozzare. Allora io feci andare a prendere Stellagrigia e altri due cavalli alle stalle e portai le mie sorelle fuori per una galoppata, e gioii nel vedere il viso di Mathrel rischiararsi mentre incitava il suo cavallo ad andare più veloce per superare Imhlen. Stellagrigia correva troppo forte perché le mie sorelle potessero raggiungermi, così mi fermai ad aspettarle in cima a una collina.

Quella sera Mathrel, sebbene a malincuore, disse a Elfhelm che non era ancora pronta a sposarsi, e credetti che il Maresciallo avesse compreso e perdonato mia sorella.

La cena del mio primo giorno di matrimonio la consumai da sola con Éomer, gli altri, suppongo sotto proposta di Eowyn e Imhlen, avevano avuto la delicatezza di lasciarci soli, cenando fuori nella calda luce del tramonto del due maggio.

Io e mio marito parlammo a lungo, come non avevamo mai fatto, e io appresi molte cose sul suo passato e lui molte cose sul mio, sebbene io avessi meno cose da raccontare. Infine, quando Falmer aveva sparecchiato, Éomer tacque un minuto e mi scrutò attentamente.

“Dammi il braccio” ordinò poi. Io gli porsi il braccio destro senza fare domande, anche se ero curiosa di sapere il perché di quella richiesta. “L’altro braccio, so che sei mancina.” Obbedii e lui arrotolò la manica del mio abito fino al gomito, tenendomi l’avambraccio fra le mani callose. “Tu hai impugnato la spada, e non una volta sola,” mormorò. Non sorrideva. “Me ne sono accorto stamattina. Ti sei esercitata a combattere, non è così? Come mia sorella.”

“Si, Éomer.” Mi chiesi perché la mia risposta aveva il tono di una scusa. Lui sospirò.

“Non ti impedirò di continuare a farlo; perché tu sappia difenderti nel caso in cui tutto sia perduto.” Il suo viso, già serio, divenne quasi feroce. Ritrassi impercettibilmente il braccio dalla sua stretta, che si era fatta rude e forte. “Ma non ti azzardare a fare ciò che ha fatto Eowyn. Le donne non devono andare in guerra. Hai idea di quello che ho provato quando ho visto mia sorella, che credevo al sicuro a casa, esanime sul campo di battaglia? Avrei preferito essere trafitto da mille spade, invece che sopportare una tale follia, un tale dolore. Ti probisco nel modo più assoluto di scendere in guerra, affrontare nemici o combattere a rischio della vita; a meno che non io non sia stato ucciso, Rohan caduta e tutte le libere genti della Terra di Mezzo morte e schiave.” Strinse ancora più aspramente il mio polso. “Hai capito? Mai. Mai permetterò che una simile pazzia si ripeta.”

“Ma tua sorella ha compiuto grandissime imprese.” sussurrai.

“Non avrebbe dovuto farlo. La guerra è compito degli uomini, e se Eowyn ha fatto ciò che ha fatto è perché io sono stato stolto e negligente e lei avventata. E tu non sei come mia sorella, non sei resistente come lei. Eowyn è tenace come l’acciaio ed era altrettanto fredda, tu sei simile a una gemma di vetro: forte, ma fragile. Giura che non ti ribellarai a ciò che ti ho ordinato. Giura e toglierai un grande peso dal mio cuore.”

Ero spaventata dalla ferocia nel suo sguardo e dalla forza con cui mi stringeva il braccio. I suoi occhi azzurri erano bui e tempestosi, ma in essi scorgevo le emozioni che lo facevano parlare così. Non dissi niente. “Giura!” ripetè. Dentro di me le fantasie che avevano accompagnato la mia crescita, splendide immagini di spade brillanti e azioni gloriose, si ribellavano, ribollivano e si confondevano in figure sfocate dai colori vividi. Ma una nuova forza le tratteneva, un potere risvegliato dagli occhi di Éomer, un potere che comprendeva quanto fossero infantili e irreazzabili i miei sogni. “Lothi, tu non sai cos’è la guerra. Non hai mai visto uomini trucidati a centinaia, o il sangue che gocciola dalle lance. Non hai mai visto nessuno dei tuoi cari morire sul campo di battaglia, non hai rischiato di perdere ciò che avevi di più caro per mano degli Orchi e di potenze ancora più terribili. Lothi, giura. Mia sorella mi ha tradito, ha rischiato di morire e adesso vive lontana. Lothi, io voglio che tu giuri perché mi sei cara.” Non potevo oppormi ancora. E rinunciando a ogni speranza di grandezza e di eroiche imprese, dissi:

“Giuro.” E giurai alla maniera del Numereoano Amrazor che era il capostipite della nostra stirpe: mi morsi un dito fino a far uscire il sangue e tracciai con esso un segno sul largo palmo di Éomer. Giurai così al Signore del Mark, come un guerriero che giura al suo Re.

“Bene” approvò Éomer. “Così è giusto.” Non ero d’accordo, ma tacqui. Ormai avevo giurato; mi limitai a lanciare un’occhiata poco benevola a mio marito. “Non sarai mica arrabbiata? E comunque puoi tenere il broncio quanto vuoi, non cambierò idea. Quindi ti conviene smettere.” Mi aveva lasciato il braccio e la sua voce era tornata tranquilla. Lo perdonai quasi subito, perché avevo capito che quelle parole erano state dettate dall’affetto per me, affetto che non mi sarei aspettata di ricevere da un uomo che avevo sposato per ragioni politiche.

“Non sono arrabbiata con te, Éomer.” Vidi che era contento di questo.

Anche quella notte non fu molto riposante.

 

…………………………………………………………………………………………………………

 

Buon anno a tutti!!

Ecco il primo capitolo del 2011.

Nella prima parte di questo capitolo ho voluto mostrare Lothi come la Principessa e la Regina che è, non solo come figlia e moglie.

Che ne dite di Camset, Ifolse e Romalto? Li inserisco nella storia ancora o li faccio sparire? A voi l’ardua sentenza.

Grazie a tutti coloro che continuano strenuamente a leggermi e recensirmi, eo a seguirmi, ricordarmi o preferirmi.

Come sempre un bacio speciale a Arwins, Thiliol, Sesshy 94, Nini Superga e Arena.

 

A presto

Elothiriel

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Capitolo 7
*** Sorprese ***


VII CAPITOLO

 

VII CAPITOLO

 

Il giorno dopo Re Aragorn, Faramir ed Eowyn partirono per Gondor, e la mattina del terzo giorno da quando mi ero sposata mi dovetti separare dalle mie sorelle e da mio padre.

“Lothíriel” mi disse Imrahil prima di congendarsi “Hai fatto la scelta giusta. Temetti di non rivederti più mentre combattevo sui Campi del Pelennor, tremai per il tuo futuro, perché cupi erano quei giorni. Ma non potresti avere futuro migliore di questo: sarai una grande Regina, al fianco di un grande Re. Ma quando, nell’ora buia, avrai bisogno di un altro sostegno, non esitare a chiamarmi: Dol Amroth sarà sempre aperta per te, pronta a difenderti da ogni pericolo. Lothíriel, sarai felice qui nel Mark, ma non dimenticare la tua patria e il Mare. Spero di rivederti, e conserverò nel cuore la speranza di parlarti di nuovo, un giorno. Addio, mia cara figlia maggiore.” Mi abbracciò forte e salì a cavallo. Le mie sorelle mi strinsero, ma non dissero niente. Il giorno prima avevamo parlato a lungo, e ormai non sapevamo più che parole usare per esprimere il dolore che ci lacerava il cuore.

“Addio, Lothi.” singhiozzò Imhlen.

“Addio” le fece eco Mathrel.

“Ci rivredemo,” cercai di consolare loro e me stessa. “Verrò al vostro matrimonio. Salutatemi Lamrai e Irahel, mamma e Fetrales.”

Ci abbracciammo un’ultima, tristissima volta, poi loro montarono a cavallo e si allontanarono, non cessando di salutare con la mano. Éomer mi teneva stretta mentre mi sbracciavo in segno di saluto, poi un ultimo fiebile addio giunse alle mie orecchie e loro sparirono dietro una collina. Scoppiai in lacrime, irrefrenabili, senza badare a Éomer che mi stava dolcemente guidando verso la nostra camera, dove lasciò che mi accasciassi sul letto piangendo.

“Mi dispiace,” mormorò, senza sapere che fare di fronte alla mia disperazione. “Ma ti prometto che potrai andare a trovarle, qualche volta.”

“Grazie,”singhiozzai, “Grazie, Éomer.”

“Anche mia sorella se n’è andata, e io la vedo raramente. Non ti dirò di non piangere, perché anch’io ho sofferto il tuo stesso dolore e posso capire quanto tu sia sconfortata.” Furono quelle parole che gettarono in me il seme dell’amore che presto mi avrebbe consolata della perdita delle mie sorelle e di mio padre.

 

Nei mesi che seguirono alla partenza della mia famiglia mi sentii spesso sola e abbandonata, e mi attaccai a Éomer come un cucciolo sperduto nella pioggia segue chi gli ha allungato un boccone di cibo e qualche carezza. Poi, piano piano, incominciai a stringere amicizia con la moglie di Gamling, Melange, e ovviamente con la mia cameriera Falmer, che aveva preso il posto di Imhlen come confidente e consigliera; iniziai a prendere dimestichezza con Edoras, Meduseld, le mie funzioni di Regina e gli attacchi di malumore di mio marito. Éomer mi aveva donato una spada per esercitarmi a combattere, come ricompensa per il mio giuramento. La spada, Crëwine, era stata di sua madre, che la teneva sotto il letto per essere pronta a difendere lui e Eowyn in caso di bisogno. Éomer mi aveva raccontato che sua madre aveva ucciso una grossa volpe affamata che un inverno si era introdotta di soppiatto nella loro camera da una finestra aperta, attirata dall’odore del cibo: stava per mordere la testa del figlio che dormiva quando Théodwyn le aveva staccato il capo con un fendente ben assestato. Il ricordo lo faceva sorridere.

 

Una mattina di inizio settembre mi svegliai molto presto, tanto che trovai Éomer ancora addormentato accanto a me. Mi sentivo malissimo e avevo la nausea. Mi alzai per andare a vomitare e poi tornai a letto al caldo, sotto il cigno bianco cucito da Irahlel. Ma non riuscivo a riaddormentarmi, sebbene fuori fosse ancora buio. Mi rigiravo oppressa dalla nausea e dal mal di testa, tanto da svegliare Éomer. Si tirò su appoggiandosi su un gomito e bofonchiò spazientito:

“Che hai? Vuoi stare un po’ ferma?”

“Non mi sento tanto bene.” mormorai nel buio.

“Avrai preso il raffreddore, in questo periodo ci si ammala facilmente. Vuoi che mandi a chiamare il medico?”

“No, Éomer, grazie, credo di sapere cos’ho.”

“E allora spicciati a dirmelo e poi torna a dormire.”

 Me lo aspettavo ormai da tempo, dato che non avevo più il ciclo; ma la certezza mi aveva sconvolto. Mi mancava il fiato per la commozione e la felicità, sentivo già l’amore per quella nuova vita che cresceva dentro di me. Respirai profondamente, cercando di calmarmi, ma ero troppo emozionata.

Purtroppo non fu un discorso breve come desiderava Éomer. Anzi, nel tentativo di dirglielo con delicatezza prolungai la mia spiegazione oltre il sorgere del sole.

“Cosa?” disse infine, incredulo.

“Penso di essere incinta.”

“Ah.” Éomer spalancò gli occhi. Mi pareva alquanto sconcertato, spaventato ed eccitato; uno strano miscuglio di emozioni sul suo viso serio. “Bene,” aggiunse dopo un lungo, stupefatto silenzio. “Benissimo. Avrò presto un erede!” sorrise e mi diede un bacio sulla guancia, gesto stranamente dolce per lui. “Speriamo che sia un maschio! Vuoi qualcosa di speciale? Medicine, cibo, coperte più calde? Ti farò portare tutto ciò che desideri. Non ti alzare stamattina, resta a letto. Ti mando subito la colazione.” Il suo entusiasmo mi fece quasi scordare la nausea. “Sei stata bravissima, Lothi. Bravissima.” Io mi trattenni dal commentare che anche lui non si era certo impegnato poco. “Cosa vuoi mangiare?”

“Non ho tanta fame; ma posso alzarmi e prendere qualcosa da bere anche di là. Non sono mica malata,” sorrisi “anzi, mi sento molto meglio adesso.”

“Non importa, non ti affaticare.”

“Non mi affatico affatto! Su, Éomer, fammi alzare.” Lui mi guardò titubante.

“Sei sicura?”

“Si; una passeggiatina fino alla sala da pranzo non recherà alcun danno al tuo erede.” Éomer si vestì in fretta e aspettò pazientemente che io fossi pronta, poi mi porse il braccio e mi obbligò a camminare appoggiandomi a lui, anche se non ce n’era assolutamente bisogno. “Éomer, non sono malata né fragile come il cristallo” tentai di farlo ragionare, ma mio marito non mi ascoltò. Egli fu sempre di carattere impetuoso e autoritario, e non amava che ci si ribellasse ai suoi ordini. Spesso ci voleva molta pazienza per sopportarlo.

Mi fece prudentemente accomodare su una poltroncina invece che su una sedia di legno e comandò che mi fosse portato latte caldo. Mi affidò a Falmer con mille raccomandazioni, e sospese le udienze che dovevo dare quel giorno. Quando fu certo che non avrei potuto fare null’altro che riposarmi si allontanò con i suoi Marescialli per programmare l’attacco agli Orchetti delle Montagne Nebbiose. A breve la sua éored avrebbe compiuto un’incursione a sorpresa nel nascondiglio degli Orchi: dopo lunghe osservazioni, le sentinelle avevano scoperto dove si trovava il loro rifugio. Speravano di trovarli tutti, in modo da distruggere l’intera colonia con un solo assalto.

Sospirai guardandolo andare via. “Se adesso fa così, come si comporterà fra sei mesi?” dissi stancamente a Falmer. “E’ molto più preoccupato di me.”

“Si preoccupa sia per voi che per vostro figlio,” rispose saggiamente la mia cameriera, “Lasciatelo fare. Il Re è di animo forte, severo e coraggioso, ma questo è un avvenimento che emoziona tutti gli uomini. Dovete capire che desidera proteggere nel modo migliore voi e il bambino.”

Così mi sottomisi pazientemente agli ordini di Éomer, ammorbidendoli con la persuasione e non con le urla che a volte mi ispiravano. Comunicai a Melange, in gran segreto, ciò che mi stava succedendo, e lei fu molto felice per me. Inoltre mi diede molti utili consigli, poiché aveva già avuto sei figli e ormai era esperta in queste faccende.

Una settimana dopo quella fatidica mattina, Éomer mi annunciò che la sua éored sarebbe partita allo spuntare dell’alba del giorno seguente. Era il tardo pomeriggio del dieci settembre, e io me ne stavo quieta a fare la maglia seduta in terrazza. Ero piuttosto stanca e nervosa, dato che avevo giudicato una disputa su due pecore i cui proprietari desideravano scannarsi a vicenda, un furto di lana e uno di un puledro; inoltre avevo rimproverato aspramente Camset che aveva litigato con uno stalliere più anziano sul tipo di biada da dare a Stellagrigia. Ma non intendevo dare a Éomer un motivo per farmi fare ancora meno cose di quelle che mi permetteva di compiere, così gli sorrisi amabilmente quando si sedette accanto a me, di ritorno dai suoi incarichi di Re.

“Bene,” commentai alla notizia della partenza. “Finalmente il tuo…il nostro popolo non avrà più niente da temere. Chi manderai come capitano della spedizione? Elfhelm?” Éomer mi guardò male.

“Io, naturalmente. Pensi che mi tirerei indietro di fronte a uno scontro con quelle fetide creature?” Impallidii.

“Tu? Tu partirai per andare a combattere domani?”

“Certo.”

“Ma sei il Re! Non puoi andare! Se tu dovessi cadere, cosa ne sarebbe del tuo regno?” Non potevo permettere che lui corresse questo rischio. Non Éomer. Non lui, assolutamente. “Éomer, non puoi andare; ti prego, manda qualcun altro.” Una serie di immagini orribili mi attraversò la mente: Éomer sanguinante in una buia caverna degli Orchetti, Éomer riverso a terra sotto il cadavere di Zoccofuoco, Éomer trafitto da nere frecce mortali; il mio bambino sarebbe cresciuto senza suo padre… “Éomer, non adesso! Non pensi a me? Non pensi a nostro figlio?” Lui tacque per qualche secondo, e sperai che stesse riconsiderando la sua decisione. Poi però vidi sul suo viso l’espressione feroce, fiera e protettiva che lo rendeva bellissimo e terribile.

“E’ proprio per voi che lo faccio, Lothi. Per te e per mio figlio.” E allora capii che non avrei mai potuto convincerlo.

“Allora vengo anch’io.” Annunciai, alzandomi.

“Hai giurato. Non ti permetterò di venire.” Ribattè.

“Non per combattere. Resterò all’accampamento mentre voi andate a scontrarvi con gli Orchi.”

“E’ troppo pericoloso, soprattutto nelle tue condizioni. Tu resti qui senza discutere.” Avevo voglia di urlare per il suo dispotismo. Questa sua abitudine di darmi ordini come se fossi un oggetto di sua esclusiva proprietà, dipendente solamente dal suo volere, mi dava estremamente fastidio.

“Invece vengo.”

“Basta! Tu resti a casa e taci!”

“Non rimarrò qui mentre tu e la tua éored rischiate la vita! Non chiedo di cavalcare in guerra con voi, solo di potervi accompagnare fino all’accampamento.”

“No. Aspetti un bambino, te ne rendi conto? Pensi che cavalcare sino alle Montagne Nebbiose sia una passeggiata?”

“Pensi che non mi renda conto di quello che mi sta succedendo?” risi amaramente. “Oppure non te ne rendi conto tu? Non hai la più pallida idea di come mi sento. Eppure, dopo che tua sorella ha rischiato la sua vita per stare vicino a te e a Théoden, dovresti averlo capito.” Éomer impallidì.

“Non parlare di Eowyn.”

“Perché? Ti ricorda che anche una donna può avere un briciolo di forza e di carattere? Ti ho obbedito in silenzio anche troppo a lungo. Non mi permetti di fare niente, ma io non sono debole come pensi tu.”

“Io non penso che tu sia debole,” disse Éomer, ma io lo interruppi:

“Non pensi che io sia più debole delle altre donne, perché tutte le sono donne sono fragili per te. Se la dimostrazione di Eowyn non è stata sufficiente, farò anch’io la mia parte, sebbene io non possa eugugliare tua sorella. Domani io cavalcherò con la tua éored, che tu sia d’accordo o no.” Pronunciai queste parole quasi gridando, poi mi voltai e me ne andai ribollendo di rabbia.

“Lothíriel, Torna qui!”

“Lasciami stare!”

Invece di andare nella nostra camera, mi diressi verso la stanza di Eowyn, dove avevo dormito prima del matrimonio. Mi gettai sul letto ma non piansi, per non dare a Éomer questa soddisfazione. Dopo poco Falmer bussò alla porta e io le feci cenno di entrare.

“Mi manda il Re, mia signora. Ha detto che siete agitata per via della vostra…situazione e che siete sconvolta. Volete che vi porti qualche medicina?” Io sibilai di rabbia. Allora era questa la spiegazione che Éomer aveva dato a chi ci aveva visti. Era perfettamente in linea con il suo carattere.

“No, sto benissimo, Falmer. Va’ via.”

“Mia signora, cos’è che vi turba? Vi ho sentita urlare. Se c’è qualcosa che è in mio potere fare, ditemelo subito.”

“Se tu potessi far ragionare il Re sarebbe un’ottima cosa, ma dubito che ci riusceresti. Egli ha dei pregiudizi difficilmente estirpabili.” Falmer restò in silenzio. Infine chiese, asciutta, se volevo la cena. Io le ordinai di portarmi un vassoio in camera; così Falmer se ne andò chiudendo piano la porta. Pensai al mio bambino, chiedendomi se fosse stato spaventato dalle mie grida o se ancora fosse troppo piccolo per accorgersene. Ma il mio bambino era per metà figlio suo: avrebbe avuto lo stesso carattere autoritario? No, il mio amato piccolo non sarebbe stato così. Accarezzai la mia pancia, che ancora non era quasi per niente gonfia.

Mangiai quello che mi aveva portato Falmer, chiusi a chiave la porta e poi mi raggomitolai sotto le coperte. Ero ancora molto irata con Éomer, e il pensiero che il giorno dopo lui sarebbe partito senza di me mi angosciava e mi adirava. In parte ero infelice perché se ne sarebbe andato con il ricordo di questo litigio, e nell’orribile caso in cui dovesse morire, l’ultima cosa che avrebbe avuto da me sarebbero state le urla di quel pomeriggio. Ma nonostante questo non avevo nessuna intenzione di andare a chiedergli perdono.

 

…………………………………………………………………………………………………………

 

Ciao!

Vi ho fatto aspettare un po’, stavolta, mi dispiace, ma in compenso ecco un capitolo bello denso di avvenimenti.

 

Qui si fa la presentazione di un personaggio che penso diventerà molto importante, ovvero il principe del Mark.

 

In questo capitolo Lothi può sembrare un po’ piagnucolosa, ma pensate un po’, essere lasciate completamente sole in balia di uno sconosciuto che è vostro marito, in una terra straniera, con la probabilità di non rivedere le sorelle e il padre per molti anni. Comunque fate i vostri commenti, ditemi che ne pensate di questo capitolo faticosissimo (da scrivere).

 

Come sempre grazie mille a tutti, specialmente a Arwins, Sesshy94, Thiliol e Arena, che mi hanno fedelmente recensito anche la scorsa volta. Se qualcuno si vuole aggiungere a loro è il benvenuto =)

 

Un bacio,

Elothiriel

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Capitolo 8
*** Partenza ***


VIII

VIII

 CAPITOLO

 

 

Mi addormentai nonostante fosse ancora molto presto, sfinita da quella pessima giornata. I miei pensieri si trasformarono nei sogni, prima solo immagini vaghe, che poi acquistarono nitidezza. Éomer stava duellando con una cortina di fiamme, cercando di tagliarle con la spada. Io ero lontana da lui, e non riuscivo ad avvicinarmi, non riuscivo a urlare di cessare quell’azione inutile. Che voltasse la spalle all’incendio e tornasse indietro! Il fumo mi nascondeva la figura di mio marito, ma mi accorsi che stringeva fra le braccia un puledro palomino neonato. Éomer doveva salvare il cavallino, a costo della vita. A un certo punto mi accorsi che le fiamme stavano circondando Éomer, un nuovo focolaio dell’incendio si stava sviluppando dietro di lui. Il piccolo cavallo si agitava e nitriva spaventato. “Éomer, dietro di te!” riuscii finalmente a urlare, e lui si voltò con un’espressione inorridita. Non avrebbe potuto portare in salvo il puledro. Se fossi riuscita ad avvertirlo prima sarebbe fuggito! Non potevo muovermi, ero prigioniera del mio corpo. All’improvviso Éomer balzò nelle fiamme, riuscendo a lanciare il cavallino verso di me. Finalmente riuscii a correre verso di lui, e a mettere al sicuro il puledro. Ma Éomer stava bruciando nella sua armatura incandescente, in viso aveva l’espressione feroce e folle della battaglia. Capii che era stato lui a trattenermi lontano, con la sua volontà. Sconvolta e impotente, lo vidi accasciarsi al suolo, avvolto dalle fiamme.

Mi svegliò il suono di qualcuno che bussava alla porta. Ancora con il violento rosso del fuoco negli occhi, mi tirai su a sedere, tremante e sudata. Sentivo l’aria ancora incandescente. Mi occorse una decina di minuti per calmarmi, ripetendomi che era solo un sogno. Eppure provavo una strana sensazione, mi sentivo come se avessi appena profetizzato un disastro. Si diceva che il mio avo Galador il Mezzelfo possedesse l’abilità della preveggenza: che forse non fosse stata del tutto annacquata dal sangue umano?

Il bussare alla porta non era cessato, anche se si era fatto nervoso. Lo ignorai, non avevo voglia di parlare con nessuno, nemmeno con Melange o con Falmer.

 “Lothíriel, aprimi.” Era la voce profonda e brusca di mio marito quella che mi chiamava.

“Vattene.” Potevo quasi vederlo sbuffare. Non mi sfuggì il fatto che avesse usato il mio nome intero, invece dell’abbreviativo con cui si riferiva a me di solito.

“Lothíriel, non essere sciocca. Vieni ad aprirmi. Continuava a darmi ordini, non se ne accorgeva neanche. Non risposi, e udii un sospiro. “Lothi, per favore,” riprese la voce di Éomer, questa volta più calma e controllata. Quasi contro il mio volere, mi alzai e sbloccai il catenaccio, lasciando entrare l’imponente figura di mio marito. Indossava un camicia bianca che gli stava un poco stretta, sulle spalle ampie la stoffa era tirata e le cuciture minacciavano di disfarsi presto. I suoi bei capelli biondi, che ormai pettinavo quasi tutte le sere, gli ricadevano scompostamente sulla schiena.

Tornai nel mio nido caldo fra le coperte, stringendomele addosso mentre mi mettevo a sedere.

“Lothi, ascoltami. Non era mia intenzione sconvolgerti così, mi dispiace. Allungò la mano verso un ricciolo che mi sfiorava la spalla, ma mi ritrassi dal suo tocco. Éomer ritirò la mano. “Lothi, non voglio che tu stia a casa perché non ti ritengo in grado di cavalcare fino alle Montagne Nebbiose. Penso solo che sia meglio per nostro figlio che tu non faccia un viaggio di almeno cinque giorni al galoppo verso le montagne. Inoltre, Lothi, dovremmo montare le tende per te la notte e perdere molto tempo. Le argomentazioni di Éomer non erano così infondate, ma io sentivo, specialmente dopo il sogno, che dovevo andare con lui. Avevo paura che se non l’avessi fatto sarebbe successo qualcosa di terribile. “Non ho forse ragione, Lothi?”

“Probabilmente si. Osservai il viso di Éomer rischiararsi e le sue spalle rilassarsi. “Ma voglio venire con te lo stesso. Alzai la mano per farlo tacere. “Senti, io sono una discendente di un Mezzelfo. Ancora qualche goccia del sangue degli Eldar scorre nelle mie vene, posseggo qualche virtù elfica, sebbene sbiadita e non paragonabile a quelle dei Priminati. Ho fatto un sogno terribile prima che tu mi svegliassi, forse è una premonizione: sento che se non ti accompagno accadrà un disastro. Potrebbe essere soltanto un sogno, certo, eppure mi sembra che ci sia un significato in quello che ho visto. Éomer sollevò le sopracciglia, scettico.

Cosa potresti fare tu, Lothi? Credi di poter uccidere degli Orchi in battaglia?”

“Ti prego, parlo sul serio. Non so perché, ma so che dovrei venire, non solo perché non voglio restare qui mentre tu rischi la vita. Éomer, per favore, fammi venire con te.” Avevo pronunciato il mio discorso con tono pressante ma voce pacata, non volevo litigare di nuovo.

E sia.” Concesse lui. “Ma resterai molto lontana dal luogo dove combatteremo. Sei contenta?”

“Oh, si, grazie, Éomer!” Finalmente soddisfatta, gli scoccai un bacio sulla guancia.

“Adesso però torni a dormire di là.”

“D’accordo”

“Sveglia Falmer e falle preparare i tuoi bagagli, domani partiamo al levar del sole.

Anche se mi sentivo un poco in colpa, tirai giù Falmer dal suo giaciglio e le chiesi di preparare l’occorrente per il viaggio. Mi dispiaceva di averla disturbata mentre dormiva, ma Éomer non aveva certo intenzione di aspettare che io preparassi i bagagli prima di andare a dormire.

 

“Svegliati.” Éomer mi stava scrollando. “Dobbiamo andare.

“Così presto?” domandai incredula notando che fuori il cielo era ancora nero.

“Puoi sempre cambiare idea.”

“No, mi alzo subito.” Mi accorsi che Falmer aveva preparato una sacca da viaggio completa ma leggera e dei comodi vestiti da viaggio, così mi vestii in fretta, presi la mia spada Crëwine, mangiai le due fette di pane e formaggio che Éomer mi porgeva, sebbene fossi molto più affamata, corsi alle stalle e montai su Stellagrigia, già sellata. La giumenta mi strofinò il muso contro la mano in un gesto affettuoso, e io le diedi una mela che avevo fatto in tempo a prendere dalla cucina.

I Cavalieri furono sorpresi nel vedermi, udii i commenti più disparati: da chi diceva che ero troppo presuntuosa a voler andare con loro a chi affermava che ero una degna Signora del Mark, cavalcando verso la battaglia con il mio sposo. Qualcuno mi paragonò persino a Eowyn, qualcun’altro commentò che lui non avrebbe mai permesso a sua moglie di fare una cosa simile.

Cavalcammo tutto il giorno, e sebbene avessi spesso attacchi di sonnolenza o un poco di nausea, non dissi niente e galoppai su Stellagrigia al fianco degli Eorlingas al comando di Éomer. Erano circa mille, non molti, poiché la minaccia rappresentata dagli Orchi non era ancora molto grande. Ci fermammo una mezzora per il pranzo e per far riposare i cavalli, poi cavalcammo senza sosta fino al sorgere delle stelle, la mattina dopo eravamo pronti per partire alle prime luci dell’alba. Una piccola tenda era stata montata per me, anche Éomer avrebbe riposato all’aperto con i suoi Cavalieri.

Stavo per addormentarmi quando sentii Éomer cantare a bassa voce. In silenzio, mi accostai all’uscita della tenda per ascoltare. La lingua era quella del Mark, ma ormai avevo imparato a distinguerne le parole. Ero sempre stata brava a imparare i linguaggi stranieri velocemente, e con l’aiuto del libro di Lamrai la lingua del Mark si stava rivelando meno ostica di quello che avevo pensato.

Il canto era sulla guerra, non potevo immaginare una voce più adatta di quella di Éomer per intonarlo.

 

Avanti, Eorlingas!

Dietro a voi la casa e davanti la battaglia

Il sangue rosso sparso come pioggia sui prati

Il sole riflesso sulle spade brilla e abbaglia

Dimenticate voi stessi nei canti gridati

 

Per il signore, per la moglie, per la terra

Per tornare alla casa accogliente

Ah, quanto è bella questa guerra

Il suono degli zoccoli rimbombante

Vi accompagna verso la morte giusta e gloriosa

 

Gloria a colui che muore, pace per colui che vive

Siano frantumati gli scudi e spezzate le lance

La morte per difendere i cari sarà dolce

Avrete fama e lacrime per voi

Cavalieri del Mark eroi.

 

La voce di Éomer si fece più decisa sulle ultime parole, poi tacque. Mi accorsi che stavo piangendo.

 

Al tramonto del giorno successivo scorgemmo in lontananza una piccola figura che galoppava disperatamente verso di noi, spronando il suo sauro al limite del possibile. Egli si rivelò essere un messaggero mandato dalle guarnigioni delle Montagne Nebbiose, Arcale figlio di Ardasel. Riferì che gli Orchi avevano attaccato il Forte di Leòfa quattro giorni prima. Non potevano rompere l’assedio con le poche forze di cui disponevano, sebbene gli Orchi non potessero essere più di settecento.

“Sono sgusciato nella notte, senza farmi vedere,” raccontò Arcale “Per cercare aiuto. Bisogna che vi affrettiate!” Vidi Éomer incupirsi alle parole del Cavaliere, poi borbottare qualcosa a bassa voce a Elfhelm, accanto a lui. Quindi si diresse verso di me.

“Ascolta,” disse “La situazione non è favorevole come speravamo. Gli Orchi ci hanno colti di sorpresa. Tu devi tornare indietro, dobbiamo cavalcare fermandoci il meno possibile. Arcale ti riaccompagnerà a Edoras. Di’ a Gamling approntare rinforzi da mandare in caso di bisogno.

Discussi, pregai, mi arrabbiai e mi riaddolcii e infine Éomer, sfinito dalle mie proteste, mi accordò il permesso di continuare. Arcale sarebbe andato a Edoras da solo.

I quattro giorni successivi passarono in un confuso insieme di albe e tramonti e rumore di zoccoli. La notte mi portava Éomer su Zoccofuoco, in modo che potessi dormire. Sapevo di essere un peso, ma la sensazione di dover essere lì mentre loro combattevano era sempre più forte.

Il paesaggio si inaspriva progressivamente, le morbide praterie di Rohan lasciavano il passo alle spigolose propaggini delle Montagne Nebbiose.

Fummo in vista del Forte di Leòfa a mezzodì del sesto giorno dalla partenza di Edoras, avendo cavalcato per quattro giorni e quattro notti senza quasi fermarci.

Éomer ordinò alla compagnia di fermarsi su una collinetta a cinque ore di marcia dal Forte, e mi ordinò di restare lì. Io acconsentii, perché sapevo che ormai la pazienza di Éomer era giunta al limite. Mangiarono qualcosa per recuperare le forze e poi rimontarono a cavallo, splendidi e terribili a vedersi nelle loro scintillanti armature.

“Voi resterete qui per proteggere la vostra signora. Ordinò Éomer rivolgendosi a tre ragazzi, i più giovani della éored. Nessuno di loro poteva avere più di vent’anni.

Ma mio signore, noi vogliamo combattere!”

“Avete sentito quello che ho detto. Merodor, lascio il comando a te.

A malincuore, i tre giovani smontarono da cavallo. L’araldo di Éomer lasciò loro un grande corno da suonare in caso di pericolo.

Éomer si rivolse agli altri, schierati dietro di lui. Il sole di mezzogiorno sfolgorava dietro di lui, facendolo apparire circonfuso di luce guerriera. Mi pareva un dio come quando l’avevo visto la prima volta, ma questa volta era più terribile, sorrideva ferocemente alla battaglia. Zoccofuoco sembrava più grande degli altri cavalli, Éomer troneggiava seduto su di lui, alto e luminoso più di chiunque. 

“I nostri compagni sono in pericolo. Li lasceremo soli?”
”No, Signore!” urlarono
i soldati.

E allora cavalcate con me, Cavalieri del Mark, per loro! Per loro e per la pace che la nostra terra si merita; per le vostre mogli, per i vostri figli, per ciò che avete di più caro, cavalcate con me! Che la luna sorga sulla nostra vittoria! Avanti, Eorlingas!” e così gridando si lanciarono verso il Forte di Leòfa, sollevando polvere dorata dietro di loro, neanche la nebbia osava oscurare il loro splendore.

Rimasi a osservarli finchè non scomparirono all’orizzonte, la morte nel cuore.

 

………………………………………………………………………………………….

 

Ciao, mellyn nin!

 

Visto che conclusione a effetto? Dovrei specializzarmi solo in quelle, XD.

Questa canzone, secondo me, è leggermente meglio di quelle scorse. Che ne pensate?

Ricordatevi Merodor e i suoi compagni, perché saranno importanti nei prossimi capitoli e forse anche dopo (ancora non ho deciso)

Che ne dite del sogno? E’ stato davvero difficile da scrivere, pur avendo un nonno psicanalista (a cui va un profondo ringraziamento per i consigli). Volevo trasmettere tutta l’angoscia di Lothi, ma non so se ci sono riuscita bene.

 

Come sempre, un grandissimo grazie a tutti quelli che si interessano in vari modi alla mia storia, soprattutto alle mie meravigliose recensitrici Arwins, Thiliol, Nini Superga, Sesshy94 e Arena, a cui si è  aggiunta (benvenuta e grazie) Gilestel.

 

Un bacio

A presto

Elothiriel

 

 

 

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Capitolo 9
*** Fuggite, mia signora ***


IX

IX

CAPITOLO

 

 

“Regina, volete che vi montiamo la tenda?” chiese il più grande dei tre ragazzi con aria afflitta. Notai che aveva i capelli corti, come li portavano i bambini, e non lunghi come la maggior parte dei Cavalieri.

“Si, grazie. Come ti chiami?”

“Merodor figlio di Trameor, mia signora.”

“Quanti anni hai?”

“Diciotto, mia signora.”

“Devi essere molto valoroso per appartenere già alla éored del Re. Non temere, Éomer non ti ha lasciato indietro perché non crede nella tua spada. Semplicemente, ritiene che tu sia ancora troppo giovane per morire.”

“Ne è sicura, Regina?” chiese Merodor un poco meno scuro in viso.

“Si, non ti angustiare. Avrai certamente molte occasioni di dimostrare il tuo coraggio al Re.” Gli sorrisi e lui si inchinò rassicurato.

Mi sedetti su una roccia rivolta verso la via che conduceva al Forte di Léofa, con la carta geografica di quei luoghi in mano. Mentre seguivo con il dito la strada che l’éored stava percorrendo, tormentavo un lembo della mia veste finchè non lo ebbi ridotto a un bradello sdrucito. Credevo di scorgere bagliori di spade e lance, quando ancora gli Eorlingas non potevano essere arrivati al Forte. Sentivo dentro di me un’angoscia indescrivibile, un’inquietitudine che non avevo mai provato. Ogni mio pensiero era Éomer e soprattutto per il nostro bambino ancora senza nome. Man mano che passavano le ore e i Cavalieri si avvicinavano alla battaglia l’ansia cresceva. Dopo che ebbero montato la tenda, Merodor e gli altri due ragazzi si sedettero alla base della pietra dove mi ero assisa, scrutando l’orizzonte come me. Quando furono le cinque Merodor si alzò e iniziò ad andare su e giù nervosamente, seguito dai suoi compagni. Io tirai fuori Crëwine dalla veste e la strinsi fino a farmi diventare bianche le nocche. All’improvviso, fiamme si levarono nel cielo che iniziava a scurirsi. Gridammo tutti e quattro insieme, uno dei ragazzi si alzò di scatto e, incapace di trattenersi, saltò a cavallo e fece per lanciarsi giù dalla collina. L’altro lo seguì rapidamente.

“Oroven, Elfkral, fermi!” ordinò Merodor.

“Il Forte brucia!”

“Cosa credete di fare? Dobbiamo rimanere qui per difendere la Regina! Pensate che il Re vi perdonerebbe per averla lasciata sola?” Oroven e Elfkral tirarono le briglie per fermare i cavalli. “Dovete ubbidire agli ordini del Re, qualunque siano i vostri sentimenti.”

“Possiamo portare anche la Regina. Scommetto che anche voi, mia signora, non desiderate altro che andare alla battaglia. Vi difenderemo noi. Venite!” Elfkral fece voltare il cavallo e stese la mano verso di me per aiutarmi a salire dietro di lui.

“Delkral, sei impazzito?” gridò Merodor.

“Se la Regina viene con noi non tradiremo gli ordini del Re.” Elfkral mi fissò, i suoi, grandi e azzurri occhi di sedicenne, erano colmi di speranza e di esortazione.

Volevo andare. Non desideravo altro che lanciarmi con Oroven e Elfkral verso il Forte. Avrei dato qualunque cosa per sapere se Éomer era vivo e illeso. Ma scossi la testa in cenno di diniego.

“Non posso.” gemetti “Anch’io devo obbedire al Re. Non posso.” Mi chiesi perché mi stavo facendo questo.

“Scendete da cavallo. Avete sentito la Regina. Tornate ai vostri posti.” disse Merodor. Potevo sentire il rimpianto e l’amarezza nella sua voce. Oroven e Elfkral obbedirono a malincuore e riportarono i cavalli nel praticello dietro la tenda. “Permettete, mia signora?” disse Merodor accennando ai suoi compagni.

“Vai pure” mormorai. Incrociai le braccia sul ventre in un istintivo gesto di protezione verso la mia creatura; mentre fissavo le fiamme che si levavano a Nord. “Éomer, ti prego. Ti prego.” mormorai.

“Dovevi lasciarci andare”la voce di Oroven era bassa ma irosa. “Non pensavo che tu fossi un tale codardo.”

“Io non sono un codardo!” ribattè Merodor.

“E’ vero,” intervenne Elfkral. “Lascialo stare, Oroven. Non sbaglia a obbedire agli ordini.”

“No, non è un codardo. Lui vuole rimanere qui con la Regina mentre il Re rischia la vita,” sibilò Oroven furioso “e sappiamo perché, non è vero, Elfkral? Tu” la voce del ragazzo si era trasformata in un ringhio “Tu segretamente speri che Éomer muoia, non è così? Nella tua follia desideri che la Signora sia tua!”

“Sei forse impazzito, Oroven? Ti rendi conto delle cose che stai dicendo? A Merodor, il nostro amico!”

“Taci, Elfkral!” ordinò Oroven. “Sentiamo cos’ha da dirci il nostro capitano.”

“E’ follia la tua, Oroven. Mai potrei desiderare la morte del Re!”

“Abbiamo visto con che occhi hai guardato la Regina questi giorni, sebbene ella sia infinitamente superiore a te. Tu non sei un codardo, Merodor, sei un traditore. Desiderare la moglie del Re! Non lascerò che un individuo del genere mi dia ordini!” Un secondo dopo, Oroven galoppò fuori dal praticello, verso la strada. “Addio, mia signora! Vado a combattere al fianco del Re, perdonatemi!”

Il litigio dei tre ragazzi mi aveva turbato. Sperai che Oroven avesse parlato spinto dalla rabbia e dall’angoscia per i compagni dell’éored.

“Volete cenare, mia signora?” chiese Merodor con aria mite.

“Grazie, Merodor.”

“Sentite, Signora, non dovete prestar fede alle cose che ha detto Oroven. Io non mi permetterei mai…” arrossì e chinò il capo.

“Non ti preoccupare, Merodor. Le persone spesso affermano cose a cui non credono quando sono spinte dalla rabbia e dall’ansia, io non…” un grido terrorizzato mi interruppe.

“Elfkral!” urlò Merodor, e si precipitò dietro la tenda. Io lo seguii stringendo la mia spada. Il giovane Cavaliere era riverso a terra, una freccia nero piumata gli spuntava dal petto, una macchia scura di sangue si stava allargando sotto di lui. “Orchi!” esclamò atterrito Merodor, sollevando il compagno. “Delkral, mi senti? Ti prego, apri gli occhi!” ma il viso di Elfkral restò bianco e immobile. Solo un lieve respiro tradiva la vita che ancora c’era in lui.

“I signori dei cavalli piangono per la feccia?” trattenni il respiro.

Non avevo mai visto un Orco, ma non avevo dubbi sulla razza dell’orribile creatura che aveva parlato. Nera e ributtante, ci fronteggiava circondata dai suoi compagni, altrettanto ripugnanti.

“Ci hanno trovato! Oh, per Eorl, come hanno fatto?! Signora, fuggite” mi sussurrò Merodor, pallido come un morto. “Fuggite subito.” Sembrava che le orride creature fossero divertite dal nostro orrore, stavano ferme a osservarci. Merodor mi passò Elfkral e sfoderò la spada.

“Prendete Elfkral e fuggite!”

 “Non posso lasciarti qui da solo! Come farai?”

Il ragazzo non ebbe tempo di rispondere. Uno degli Orchi, stanco di aspettare, gli si era lanciato addosso. Il Cavaliere parò la sua sciabola e provò un affondo, ma presto altri gli furono intorno e fu ferito. Istintivamente, sfoderai Crëwine e mi preparai ad aiutare Merodor nella lotta. Ma una voce, quella di Èomer, fermò il mio braccio. “Ti probisco nel modo più assoluto di scendere in guerra, affrontare nemici o combattere a rischio della vita; a meno che non io non sia stato ucciso, Rohan caduta e tutte le libere genti della Terra di Mezzo morte e schiave.” Avevo giurato, non potevo fare nulla. Sentii con orrore il sogno realizzarsi, la volontà di Èomer mi impediva di essere d’aiuto.

 “Avanti, vermi!” strillò il capo. “Sono solo un ragazzino e una donna! Sterminateli, poi avrete il piacere di prendere alle spalle dei veri guerrieri!”

Gli attacchi si fecero più fitti. Merodor parò molti colpi che mi avrebbero ucciso, terrorizzato e pallido.

“Via, Signora!” combattendo, eravamo indietreggiati fino alla roccia dove stavo seduta prima. Stellagrigia era lì sotto. Fischiai e la mia cavalla ci fu accanto, nitrendo.

“Portatelo in salvo, mia signora, ve ne prego. E’ mio cugino.”

Ero stordita dalla confusione, ma riuscii a trascinare Elfkral su Stellagrigia e a salire dietro di lui, mentre Merodor ci difendeva disperatamente, uccidendo quanti più Orchi possibile. Ma ormai era con le spalle al muro, le orride creature ci stavano separando. “Andate!” urlò Merodor, ormai sanguinante e esausto.

“Vengo da te!” ribattei, lottando contro l’istinto che mi urlava di scappare. 

“La cavalla non può portarci in tre! Verremmo presi! Andate! Salvate mio cugino!”

“Merodor…!”

“Via!”

Gli Orchi iniziarono a menare fendenti contro Stellagrigia, ma lei li teneva lontani scalciando. Ogni secondo temevo di cadere e di far cadere Elfkral, ma la mia fedele giumenta riusciva a tenerci in sella pur impennandosi e sferrando calci all’impazzata, così tenendomi con una mano, stringevo a me Elfkral e la spada, pregando di poterla usare. Vidi Merodor scomparire sotto le nere figure che lo assediavano sotto la roccia. Con la morte nel cuore, diedi un colpo di tallone nei fianchi di Stellagrigia, ordinando: “Gongan, gongan!” e lei si scagliò come un fulmine sulla strada, lasciando indietro gli Orchi.

Strinsi le briglie e sistemai meglio corpo inerte e sanguinante di Elfkral davanti a me, incitando la cavalla a galoppare più veloce. Corse come il vento, portandoci in salvo. Il rumore rimbombante degli zoccoli stordiva la mia mente, cercando di non pensare a niente strinsi a me Elfkral e lasciai che la cavalla ci portasse lontano dalla morte.

 

Giunta all’inizio di una discesa, Stellagrigia si fermò improvvisamente. Spalancai gli occhi, inorridita. Una lunga fila di Orchi si stendava sotto i nostri piedi, correvano a portare aiuto ai loro compagni al Forte. Dovevano essere almeno quattrocento. Allora il gruppo che stava combattendo con l’éored di Éomer non era che l’avanguardia dell’esercito! Schiacciati tra l’incudine e il martello, stanchi e colti di sorpresa, gli Eorlingas avrebbero potuto cedere. Dovevano essere avvertiti. Dovevo arrivare al Forte prima di loro, non potevo fermarmi, sebbene fossi esausta e Elfkral moribondo. Anche se avrei voluto buttarmi per terra e piangere, per Merodor, per Elfkral, per me e il mio bambino, tirai le briglie facendo voltare Stellagrigia e la spronai a trottare verso un sentiero nascosto ma poco distante dalla strada. Scesi da cavallo e, strappata una striscia di tessuto dal mio abito, fasciai con quella il petto del ragazzo esanime dopo avergli tolto l’armatura, che lasciai sull’erba. Quindi rimontai in sella e mormorai:

“Galoppa, Stellagrigia, corri! Dobbiamo salvare il Re!” battei un colpo di tallone nei fianchi della giumenta e lei si lanciò sul sentiero, veloce come la tempesta.

 

“Galoppa, Stellagrigia, corri!”

Più rapido della mia giumenta avrebbe potuto correre solo il fulmine, ma non mi sembrava abbastanza. Mi sentivo il cuore straziato fra il desiderio di andare avanti e quello di tornare indietro da Merodor, lasciai che le lacrime mi scorressero sul viso, subito lavate via dal vento. Elfkral non accennava a svegliarsi, anche se a ogni salto di Stellagrigia il suo corpo sussultava. Il sangue continuava a uscire dalla ferita sul torace, la misera fasciatura che gli avevo fatto non era sufficiente a fermare l’emorragia. Mi chiesi per quanto Stellagrigia avrebbe potuto sopportare quell’andatura. Circa verso le nove di sera, la feci rallentare e bere a un ruscello che attraversava il sentiero: la schiuma le usciva dalla bocca, erano almeno tre ore che galoppava a una velocità folle. Ma in lontananza sentii il rumore della corsa degli Orchi, fui costretta a rimontare in sella e a spronare di nuovo Stellagrigia.

“Avanti, mia povera Stella; ancora non possiamo fermarci”

La luna sorse sulla strada che continuava in salita, senza che io scorgessi altro che i lontani bagliori dell’incendio. Stellagrigia correva e correva, e infine una nera figura illuminata dal crudele fuoco rosso si stagliò su un poggio poco lontano. Udivo grida e metallico cozzare di spade davanti a me, il cupo rimbombo della corsa degli Orchi dietro. Esausta ma piena di rinnovata energia, spinsi la cavalla su per il pendio roccioso.

 

 

 

 

 

Ciao, miei cari lettori! (Va be’, solo lettrici)

Vi chiedo perdono per l’aggiornamento lento, ma mi sto pentendo amaramente di aver scelto il liceo classico sperimentale scientifico, dato che non dormo e non scrivo più per studiare (a malapena mangio)

 

Comunque, come vi sembra questo capitolo pieno d’azione? Interessante? Spero di sì.

Sono veramente cattiva con Lothi, mi dispiace, ma l’ho messa alla prova per vedere se tiene fede al giuramento.

 

Come sempre, un grandissimo GRAZIE alle mie lettrici e recensitrici Arwins, Thiliol, Sesshy94, Nini Superga, Arena, Gilestel e Lexis.

Un bacio,

a presto

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Capitolo 10
*** Battaglia ***


X

X

CAPITOLO

 

 

La gola dove la battaglia infuriava era stretta e lunga, sul margine di destra scorgevo la massiccia figura del Forte, su quello di sinistra nient’altro che un brulli scogli rocciosi. Per le forze degli Orchi in procinto di arrivare sarebbe stato facile stringere i Cavalieri in mezzo a loro e trucidarli tutti.

Udivo il clangore delle armi, nitriti di cavalli, urla di Uomini e Orchi. L’incendio era stato appiccato alla sterpaglia che circondava il Forte di Léofa, in modo che fosse arduo per coloro che erano all’interno prestare soccorso ai combattenti; mi sembrava di rivivere il mio pauroso incubo.

Come sarei riuscita a trovare Éomer in quel delirio?

Smontai da cavallo quando giunsi all’imboccatura della gola e tirai giù Elfkral, che non dava più segni di vita. Lo adagiai sull’erba dietro una grossa roccia, sperando che gli Orchi non lo trovassero: non potevo certo portarlo con me in mezzo allo scontro.

“Sarà ancora vivo?” mi chiesi, preoccupata. Non avrei potuto sopportare la sua morte: avevo promesso a Merodor che l’avrei salvato. Pensare a Merodor mi fece piangere. “Andiamo, Stellagrigia.”

Sguainai Crëwine e mi lanciai giù per il ripido pendio al galoppo, senza incontrare altri ostacoli che qualche cadavere di Orco. La battaglia infuriava nella gola, i Cavalieri e gli Orchi confusi in una rossastra massa indistinta. A causa del giuramento, non potevo attraversare la gola alla ricerca di mio marito, anche se così sarebbe stato molto più veloce trovarlo, ma dovevo aggirare il nucleo del combattimento cavalcando sulla ripide pendici. Spronai avanti Stellagrigia, cercando di confondermi tra le ombre, sforzandomi di evitare i drappelli di Orchi che si aggiravano ai margini della battaglia: evidentemente avevano il compito di impedire che qualcuno, allontanandosi dallo scontro, si accorgesse dell’armata sopraggiungente.

 Mi costrinsi a non pensare a niente, ad andare avanti in cerca della bianca criniera sull’elmo di Éomer.

Impaurita dagli Orchi che pattugliavano il ciglio della gola, mi diressi sempre più verso il cuore della battaglia, senza neanche accorgemene: quando lo feci, era troppo tardi, ormai ero invischiata nello scontro. Gli Orchi menavano fendenti all’impazzata, fui sfiorata dalle loro lame più volte, sebbene Stellagrigia, scartando e impennandosi abilmente, mi evitasse le ferite peggiori. I Cavalieri che incontravano si accorgevano a malapena che non ero uno di loro: la mia veste era talmente lacera e sporca di sangue e i miei capelli tanto arruffati che sembravo un Rohirrim senza armatura, nella notte era difficile distinguere persino amico e nemico, la rossa luce dell’incendio illuminava tutto di una sfumatura crudele.

“Éomer!” chiamavo, ma nella confusione non riuscivo a sentirmi nemmeno io. “Éomer! Via, schifosa creatura…Éomer! Éomer! ”

Finalmente riuscii ad accostarmi ad un Cavaliere, mentre gli Orchi arretravano momentaneamente. “Dov’è Éomer?” ansimai.

“Verso il Forte, sta mettendo in fuga gli Orchi da lì. Presto la battaglia sarà finita, ragazzo, il nemico sta cedendo” poi si volse verso di me e spalancò gli occhi. “Mia signora! Voi! Che fate qui?! Dov’è la vostra scorta?”

“Non c’è tempo per parlare. Un drappello di circa quattrocento Orchi si dirige qui e presto saremo chiusi nella gola fra l’incudine e il martello. Fallo sapere a coloro che sono qui vicino! Io vado da Éomer!”

“Mia signora, fermatevi!”

Ma ero già galoppata via. Io e Stellagrigia eravamo esauste, non reagivamo più agli attacchi degli Orchi. Tre volte le loro spade ricurve mi lacerarono la carne, tre volte sangue zampillò dalla mia pelle, tre volte scoppiai in lacrime mentre spronavo Stellagrigia. Ma non mi fermai, e infine lo vidi. In groppa a Zoccofuoco, guidava l’assalto che spingeva gli Orchi via dal Forte, nella gola dove venivano uccisi dagli altri Cavalieri.

“Éomer!”

Si voltò, e impallidì.

“Lothi!” volse le spalle ai suoi guerrieri e galoppò verso di me, seguito da uno dei Cavalieri. “Lothi! Lothi, come sei tu giunta sin qui? Quale follia o diabolico artifizio è questo?”* mi strinse fra le braccia e poi, prendendomi per le spalle, mi allontanò per controllare le mie condizioni. Ero tentata di buttarmi sul suo petto a piangere tutta la notte, ma mi costrinsi a parlare.

“Éomer, ascolta. Almeno quattrocento Orchi marciano verso la gola, sarete chiusi qui dentro se non vi rifugiate su uno dei pendii.”

“Maledizione! Come lo sai?”

“Li ho visti.”

“I ragazzi della tua scorta?” non risposi subito.
“Oroven è corso ad aiutarvi quando ha visto il divampare delle fiamme. Elfkral è moribondo” singhiozzai.

“E Merodor?”

“Merodor è caduto per difendermi dagli Orchi.” Vidi il viso di Éomer contrarsi per la sorpresa ed il dolore.

“Orchi? Com’è possibile?” Tacque per qualche istante; poi ordinò al suo compagno: “Un’armata si dirige verso di noi da sud. Di’ a Elfhelm di spostare tutte le truppe più in alto possibile sui crinali di est e ovest, dev’essere lasciato solo un piccolo contigente all’estremità nord. La gola dev’essere sgombra, capito? Gli Orchi devono pensare che sia una ritirata. Le bestiacce devono credere di star vincendo, e scagliarsi, con i rinforzi, sui difensori del lato nord. A quel punto caleremo al galoppo e li distruggeremo.”

“Subito, sire” il Cavaliere galoppò via.

“Oh, Lothíriel!” gemette mio marito. “Sei ferita. Avrei preferito perire per mano degli Orchi che stanno arrivando piuttosto che vederti ridotta così! E in più…” lanciò un’occhiata significativa verso la mia pancia.

“Sta bene, almeno credo” cercai di tranquillizzarlo.

“Vattene subito da qui. Se non fosse stato per te probabilmente saremmo morti tutti, ma forse sarebbe stato meglio. Guarda come sanguini! Ti scorterò al Forte, ma promettimi che rimarrai là dentro.”

“Va bene.”

Éomer era illeso, così mi prese su Zoccofuoco e aggirò il Forte fino a un’entrata segreta. Stellagrigia ci seguì trottando. Chiamò ad alta voce nella lingua del Mark e presto la porticina si aprì. La testa di un ragazzo si affacciò e Éomer gli diede qualche veloce ordine nella sua lingua. Quindi mi fece scendere da cavallo e mi depose a terra. Stavo per svenire, non ebbi neanche la forza di tenermi in piedi mentre Éomer mi faceva smontare.

“Sta’ attento” ebbi la forza di dire.

“Non stare in pena per me. Dopo essere scappata dall’accampamento disobbediendomi, meriti una bella predica: non morirò certo prima di fartela.” Sorrise da sotto l’elmo e io gli sorrisi stancamente di rimando. Poi voltò Zoccofuoco e cavalcò via verso la battaglia.

Spesso avevo sentito dire che ti accorgi del valore di una cosa che hai solo quando la perdi, e in quel momento mi accorsi che erano parole veritiere. Sentii qualcosa strapparsi e sciogliersi dentro il cuore quando Éomer voltò il cavallo e galoppò via sotto le stelle, simile a Oromë il Grande durante la Battaglia dei Valar.

 

Non avevo temuto mai di perderlo, nemmeno quando mi aveva lasciato quella mattina: sentivo che avrei dovuto fare qualcosa, che era in mio potere impedire che la falce di Mandos si abbattesse su di lui. E adesso, invece, che ero debole e incapace di fare alcunchè, lui cavalcava verso il pericolo, per difendere me, nostro figlio e tutte le mogli e i figli della sua terra.

Immaginai per un secondo che Éomer fosse morto; non sentire più la sua voce brusca, non più il suo calore al mattino, i suoi capelli biondi e i suoi insopportabili rimproveri: mi invase il cuore un tale dolore, che mi portai le mani al petto artigliando la pelle.

Io non potevo vivere senza Éomer.

Perché io amavo Éomer.

 

Lasciai che il ragazzo mi trascinasse dentro, fino a un giaciglio militaresco in una spoglia camera di pietra. Stellagrigia era stata portata nelle stalle da un altro sguattero.

“Riposate, mia signora. Non abbiamo comodità degne di voi qui, ma presto il nostro medico verrà a visitarvi. Dormite.”

“Aspetta” dissi “Sul poggio opposto della gola, dietro la più grande delle punte rocciose sul crinale sud, c’è un ragazzo ferito forse a morte. Desidero che sia portato qui e curato prima di me: le sue ferite sono molto più gravi delle mie. Se dovesse essere…morto” la mia voce tremò e si ruppe in un singhiozzo “Dategli onorevole sepoltura.”

“Sarà fatto, mia signora. Dormite, adesso.”

Chiusi gli occhi per fuggire al dolore del corpo e dell’anima, e spronfondai in un cupo sonno denso di incubi. Solo alla fine, la luce sanguigna che aveva sinistramente illuminato tutte quelle visioni terribili si schiarì in un’alba bianca e tiepida. Éomer mi veniva incontro su di un prato dove spuntavano a guisa di fiori candidi pennacchi di elmi. Mio marito aveva sulle spalle un bambino biondo e sorridente, che si stringeva al capo dell’uomo con affetto. Quando Éomer mi fu vicino, il piccolo allungò una mano per sfiorarmi i capelli e disse: “Hai vinto, mamma.”

 

 

 

Suonate le trombe! Appendete le bandiere alle finestre! La svogliatissima, prigrissima, stupidissima e incasinatissima Elothiriel si è decisa a scrivere e pubblicare un altro capitolo!

Mie carissime, potete picchiarmi e insultarmi quanto volete, perchè il mio comportamento è inaccettabile.

Sono stata inattiva per più o meno tremila anni, per una svariata serie di motivi, fra cui, last but not least, la mia totale perdita di ispirazione. Comunque non ho scusanti, e se volete, siete liberissime di mollarmi qui e non farvi più sentire, come ho fatto io.

Vi chiedo umilmente scusa e perdono.

 

Passando ad argomenti meno dolorosi per me (ma per la povera Lothi no davvero) come vi è sembrato questo capitolo? Avete visto, alla fine tutto, più o meno, si è risolto, anche se non per il giovane Merodor (lacrime di rimorso).

Come sempre, ringrazio (questa volta con anni luce di ritardo) tutte le fantastiche persone che mi recensiscono o mi seguono in qualche modo, anche solo leggendo. Specialmente, un bacio a Arwins, Sesshy94, Arena, Elfa, _Gilestel_, Ariel_Malfoy, Xxbrokenrose, Cassiana.

 

A presto (questa volta per davvero!)

Un bacio

Elothiriel

 

 

 

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Capitolo 11
*** Ritorno a Edoras ***


XI

XI

Ritorno a Edoras

 

“Lothi, sei sveglia?” Aprii lentamente gli occhi. Il sole doveva essere sorto già da molto, la mattina era fragrante e luminosa. Éomer era chino su di me, scarmigliato e sporco, ma illeso.

“Éomer!” esclamai felice, e mi tirai su per dargli un bacio. Lui mi ricambiò stupito.

“Stai meglio di quanto pensassi.”

“Sono felice che tu sia salvo.”

“Tu invece sei ferita. Il medico che si è occupato di te ha detto che non hai ricevuto più di qualche graffio, ma sono stati sufficienti per indebolirti.”

“E…nostro figlio?” chiesi titubante.

“Il medico ha detto che non ha esperienza di queste cose, ma a lui sembra che il bambino stia bene. Evidentemente è già un forte Cavaliere” il tono di Éomer era pieno di affetto. Sospirai sollevata. “Ma non pensare che io ti abbia perdonato! Sfuggi per miracolo alla morte e invece di metterti in salvo ti precipiti nel cuore della battaglia. Non mi importa niente se ci hai salvato dalla sconfitta e hai permesso che distruggessimo tutti gli Orchi stanotte, tu dovevi fuggire e nasconderti! Sono estremamente adirato con te.”

“Scusa, Éomer. Mi dispiace, non lo farò più” gli sorrisi. “Adesso sei contento? Possiamo sorvolare sulla predica e parlare di argomenti più gioiosi? Il sole si è levato sulla vostra vittoria, e questo è cio che desideravi.”

“Si, ma tu non…”

“Shh! Ti ho già chiesto scusa. Niente predica, va bene?”

“E così sia. Ma bada che se ci riprovi, io…”

“Ho capito! Mi infilzerai come un Orco.” Éomer sbuffò.

“Io sono serio.”

“Io no.” Mi sentivo felice dato che tutto si era risolto, contro ogni aspettativa. Avevo impedito che il sogno si realizzasse e che il puledro, che capii essere il futuro del Mark e insieme mio figlio, perdesse il suo difensore. Ma ancora qualcosa mi tormentava.

“Elfkral?” mormorai, all’improvviso priva di ogni allegria.

“Era quasi morto quando l’hanno trovato. Ma ancora respirava, così i miei uomini l’hanno portato qui, dove il medico si è preso cura di lui. Non è fuori pericolo, ma siamo speranzosi sulle sue condizioni.”

“Grazie ai Valar!” la notizia mi aveva dato un profondo sollievo.

“Oroven è arrivato insieme agli Orchi, il suo cavallo non è certo veloce come Stellagrigia. Quelli erano talmente concentrati nell’inseguirlo che si sono a malapena accorti che la gola era vuota, eccezion fatta per i loro simili inebriati dalla certezza della vittoria: appena sono entrati tutti nel burrone siamo scesi al galoppo da qui stringendoli contro l’altro pendio. E’ stata una carneficina, li abbiamo trucidati fino all’ultimo. Nessun Orco oserà mettersi più contro gli Eorlingas del Mark.”

“Contro il Re del Mark”

“Contro la valorosa Regina Lothíriel.”

“Su, Éomer. Non scherzare.”

“Io non scherzo. E’ stato grande e degno di lode quello che hai fatto, sebbene per me sia degno più che altro di una lavata di capo memorabile. Hai rischiato la vita, ti rendi conto? E anche quella di nostro…”

“Éomer! Non ricominciare a farmi la predica.”

“Ma capisci perché sono furibondo? Non posso nemmeno tollerare l’idea di perderti. Ascolta, non sono abituato a tutte queste smancerie, non so se mi sono espresso bene. Ma spero che tu abbia compreso quello che voglio dirti.”

“Ho capito, Éomer. Nemmeno io potrei stare senza di te. Ma tu hai il diritto e il dovere di proteggermi, secondo i costumi degli Uomini, io non ho alcuna autorità su di te. Non posso dirti ‘resta a casa mentre io rischio la vita’; tu invece puoi ordinarmelo e tutti si aspettano che io ti obbedisca senza protestare. Capisci cosa intendo? Io non cerco la gloria o la fama, solo, è straziante aspettare senza fare nulla.” Éomer mi fissò qualche secondo negli occhi, poi distolse lo sguardo come rimembrando qualcosa di lontano.

“Tu, al contrario di quanto ci si potrebbe aspettare, non mi ricordi mia sorella, ma il piccolo Holbytla, Messer Holdwine.”

“Perché?”

“Non era molto abile in battaglia, e la sua statura era pari a quella di un bambino; non amava la guerra. Ma per aiutare i suoi amici cavalcò verso i Campi del Pelennor e inflisse una ferita terribile al Negromante, permettendo a mia sorella di ucciderlo. Non per gloria o per onore, solo per affetto. Come te.”

“Non ti sei messo a urlargli contro una volta scoperta la cosa, no?”

“No. Ma io gli voglio bene, non lo amo.”

“E menomale!” Éomer ridacchiò, poi tornò serio.

“Ti ‘urlo contro’ perché ti amo; anche se per te non sono altro che l’uomo scelto da tuo padre.”

“Non è vero” ribattei. “Anch’io ti amo.”

Éomer sorrise.

 

Partimmo cinque giorni dopo, Elfkral e gli altri feriti legati su delle barelle tese fra due cavalli. I miei tre graffi, poco profondi ma dolorosi, mi bruciavano, e avevo come sempre un poco di nausea e una gran voglia di dormire (cose così normali che mi stupirono dopo quegli avvenimenti straordinari) così Éomer mi portò su Zoccofuoco mentre Stellagrigia trottava accanto a noi.

Ci fermammo vicino a dove era stata eretta la mia tenda, gli uomini si avventurarono sullo spiazzo per scoprire se c’era ancora qualcosa da fare. A me non fu permesso di andare, Éomer disse che voleva risparmiarmi la visione che aspettava lui e i suoi uomini.

Vidi che accendevano un falò, l’odore acre e disgustoso della carne di Orco bruciata giunse fino a me. Quando tornarono, Elfhelm reggeva fra le braccia un cadavere umano, dai corti capelli biondi incrostati di sangue.

“L’abbiamo trovato accanto a un masso, circondato da cadaveri di Orchi,” disse “ne aveva uccisi molti.” Lo depose a terra con cura. I miei occhi si riempirono di lacrime nel vedere il viso di Merodor sfregiato e martoriato. Giaceva in terra scompostamente, le membra spezzate formavano strani angoli.

“E’ morto per difendere me” sussurrai. “E io l’ho lasciato da solo.”

“Ha compiuto una valorosa impresa” ribattè Elfhelm, “degna di un Cavaliere ben più esperto di lui. Ma ha fatto ciò che era suo dovere.”

Scavarono una fossa per lui, e ve lo deposero al tramonto, dopo avergli lavato il viso e ricomposto il corpo. Mentre i Cavalieri si occupavano del giovane eroe, io mi diressi vero le barelle dei feriti, là dove giaceva Elfkral. Ancora era molto debole, ma poteva parlare. Nel vedermi tentò di sollevarsi a sedere, ma glielo impedii con un cenno della mano.

“Elfkral…mi dispiace” singhiozzai “Merodor, tuo cugino, è…”

“Morto.” Lo fissai, era pallido e aveva gli occhi lucidi. “Lo sapevo di già. Potrei salutarlo per l’ultima volta, mia signora? Ve ne prego, fatemi portare da lui.” Stavo per rispondergli quando un altro Cavaliere si chinò su Elfkral e lo sollevò, non senza sforzo, poiché erano della stessa corporatura.

“Ti porterò io, Elfkral” disse Oroven. Aveva la disperazione nello sguardo. “Mi potrai mai perdonare? Se io non me ne fossi andato, forse lui sarebbe ancora vivo. E l’ultima cosa che ha avuto da me è stato astio e parole non veriterie! Oh, Elfkral, lascia che io ti scorti dal nostro capitano.” Elfkral annuì e l’altro ragazzo lo trasportò verso la fossa. Li seguii lentamente, piena di tristezza. Merodor avrebbe dovuto vivere. Era così giovane, avrebbe dovuto continuare a cavalcare sui colli d’estate, avrebbe dovuto sposarsi, avere dei figli, invecchiare accanto al fuoco della sua dimora…e invece era caduto come una foglia primaverile stroncata da un gelo improvviso. Osservai gli Eorlingas radunati intorno alla fossa aprirsi in due ali per far passare Oroven e Elfkral.

“Merodor, perdonami” mormorò Oroven, deponendo l’amico a terra. “Mi prenderò io cura di Elfkral adesso.”

“Addio, cugino” disse Elfkral. “Sei stato il mio modello e il mio più caro amico. Il tuo ricordo, e quello delle tue gesta, non verrà mai obliato.”

Gettai nella fossa dei fiori purpurei che avevo colto quando ci eravamo fermati.

“Grazie, Merodor.”

 

La fossa fu ricoperta e venne eretto un tumulo di pietre.

“Mai sarà dimenticato Merodor figlio di Trameor” disse Elfhelm. “Canzoni saranno scritte per lui.”

Seduta davanti alla tomba, cominciai a cantare piano una ninnanna che le madri di Dol Amroth sussurravano ai figli quando erano malati.

 

Fuori tutto è buio e freddo

Ma il mio bambino è qui al sicuro nel suo letto

Presto tornerà il sole

E con lui il mio piccolo a giocare fra le viole…

 

Una mano che si posava sulla mia spalla mi interruppe.

“Sei triste, vero?” disse mio marito. “La guerra non è un gioco e la morte dei giovani non è giusta.”

“Hai ragione” risposi. “Quando desideravo combattere non sapevo cosa volesse dire davvero. Gloria e fama non valgono la vita.”

 

Quando tornammo a Edoras la notizia della nostra vittoria e della mia parte in questa si era già diffusa ampiamente. C’era chi diceva che avevo sterminato da sola l’intero drappello ausialiaro degli Orchi, chi sosteneva che mi ero lanciata per avvertire Éomer in una galoppata durata tre giorni senza fermarmi mai, chi era convinto che quelle fossero solo voci e che io non avessi fatto niente, in realtà. Ero propensa a dare ragione a questi ultimi, ma la riverenza con cui mi trattavano i Cavalieri rinfocolava l’ammirazione di cui ero oggetto.

Rividere Meduseld fu meraviglioso, mi stupì la sensazione di essere tornata veramente a casa. Finora avevo continuato a considerare Dol Amroth come la mia vera casa, il luogo dove incosciamente mi aspettavo di tornare; e invece Edoras aveva preso posto nel mio cuore accanto al luogo dove ero nata.

La sera ci fu un grande banchetto, finalmente anche Elfkral fu in grado di alzarsi e sedere a tavola con noi. Éomer lo nominò mio scudiero personale, addetto alla mia difesa e soprattutto a controllare che io obbedissi ai suoi ordini.

Il viso di Elfkral era diverso da quello del ragazzo escluso dalla battaglia degli adulti, era più simile a quello di un uomo, sebbene non avesse perduto del tutto la spontanea luminosità dell’adolescenza.

Pochi giorni dopo, in occasione del trentunesimo compleanno di Éomer, egli nominò Elfhelm Maresciallo della Marca Orientale ed Erkenbrand Maresciallo della Marca Occidentale, sostituendo le cariche di Secondo e Terzo Maresciallo, in modo che nessuno dei due fosse più importante dell’altro.

 

 

Io...Io...Io...non posso dire niente. Io so che non si può sparire così. Non cercherò di giustificarmi.

Se volete ancora leggere, siete le persone più adorabili del pianeta. Se vi ricordate cosa è successo negli ultimi capitoli di molto tempo fa, avete anche un’ottima memoria.

Ovviamente i gloriosi sovrani del Mark sono adirati con me quanto voi. Ma a  voi, persone di straordinaria benevolenza e pazienza e magnaminità, vanno i miei ringraziamenti e la mie preghiere di perdono: Thiliol, Gilestel, Xxbrokenrose, Arena, Sesshy94, Lexis, Rainbowspring, Otakufangirl97 (a cui consiglio di leggere la mia storia “Il professore” perchè troverà, sebbene MOLTO idealizzato, qualcuno che conosce), Black_Moody, Vodia e Alabaster.

Grazie, per avermi seguito fin qui.

Grazie mille, se continuerete a leggere nonostante la mia riprovevole discontinuità.

Elothiriel

 

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Capitolo 12
*** Inverno ***


XII

XII

Inverno

 

“Se avete la grazia di scusarmi mi ritiro” dissi alzandomi in piedi. La cena sarebbe durata ancora a lungo, gli uomini sarebbero rimasti a bere birra e a chiacchierare; ma io mi sentivo davvero stanca. La pancia ormai era rotonda ed evidente, ormai erano passati cinque mesi da quando mi era accorta di essere incinta. Gli ospiti si alzarono e mi salutarono, poi mi diressi verso camera mia. Falmer stava sistemando un vaso di fiori di nodiflorum giallo: avevo introdotto io questa consuetudine a Meduseld, dove nessuno aveva mai sentito parlare di fiori come decorazione per il palazzo. Quando, pochi giorni dopo il nostro matrimonio, Éomer aveva notato la mia composizione di viole e giacinti sul davanzale aveva fatto una smorfia sorpresa.

“Perché hai ammucchiato lì quei fiori?” aveva chiesto con la sua solita rudezza.

“Non li ho ammucchiati, li ho composti. Vedi come sono belli e profumati?” avevo ribattuto.

“Certo che tu sei strana, sarà perché vieni dal mare. Lì usano mettere i fiori nei vasi perché facciano un buon profumo?”

“Certo. Non lo fanno qui a Rohan?”

“Mai visto. Comunque fai un po’ quel che ti pare, finchè si tratta di piante…” detto questo, era uscito senza degnare di un’ulteriore sguardo il mio bel vaso. Nonostante quest’accoglienza così fredda, non mi ero scoraggiata e avevo continuato a comporre e ordinare vasi pieni di fiori in tutta Meduseld, finchè Éomer, i nobili di corte e la servitù non si erano abituati a questo mio costume.

 

“Ho quasi finito, Signora.” disse Falmer passando dal sistemare i fiori al tirare le pieghe delle coltri del letto.

“Non importa che stiri le grinze, Falmer, tanto adesso io vado a letto, e a Éomer non importa assolutamente niente delle pieghe della coperta. Piuttosto, aggiungine un’altra, la notte si preannuncia fredda.”

“Secondo me stanotte nevica.” commentò la cameriera distrattamente. Io trattenni il fiato.

“Nevica? Che meraviglia!” esclamai.

“Insomma, quando inizia a sciogliersi e a formare quel pantano gelido dappertutto diventa piuttosto fastidiosa.” ribattè Falmer.

“Io non mai visto la neve,” spiegai “a Dol Amroth non è mai caduta, almeno da quando io sono nata, è troppo a Sud. Ma ne ho sentito parlare: sono impaziente di vederla con i miei occhi.”

“Non temete, qui nevica tutti gli anni: non molto, ma abbastanza perché tutti debbano stare chiusi in casa per due o tre giorni. Ho finito, Signora”

“Grazie, Falmer, puoi andare. Buona notte.”

“A voi, mia signora.”

Falmer se ne andò chiudendo piano la porta. Mi spogliai e indossai la larga e comoda veste con cui ero solita coricarmi, poi mi rannicchiai sotto le coperte gelate. Faceva davvero freddo, mi sembrava di avere i piedi immersi in un catino di acqua ghiacciata. Non so come, riuscii a addormentarmi, la testa sotto le coperte e le braccia strette intorno alla pancia.

 

Il letto sobbalzò svegliandomi quando qualcuno ci si sedette pesantemente sopra.

“Éomer?” chiesi sbadigliando alla sagoma che intravedevo nel buio.

“Scusa, non ti volevo svegliare.” rispose lui sfilandosi la casacca dalla testa. Si infilò nel letto accanto a me, rabbrividendo involontariamente nel toccare i miei piedi ghiacciati. “Spostati un po’ più in là, sei gelida.” disse allungando il braccio, spingendomi lontano da lui, fuori dal piccolo spazio che avevo faticosamente riscaldato.

“Éomer!” protestai. “Non sei l’unico ad avere freddo. Pensi a tuo figlio faccia bene congelare nella sponda ghiacciata del letto?”

“Scusa,” sbuffò “va bene, vieni qui.” Mi avvicinai a lui e mi raggomitolai presso il suo fianco tiepido. Mi sentivo già meglio, così appoggiai i miei piedi sulle sue gambe provocandogli un tremito.

“Lothi, i piedi no” disse allontanandoli con un calcio.

“Per favore, Éomer, io e tuo figlio stiamo congelando.”

“E sia, però fra un poco ti sposti”

“Visto che se ti procuro così tanto fastidio, vado a dormire in camera di Eowyn.” Éomer sospirò, ma poi mi accarezzò i capelli affettuosamente.

“Tieni pure i tuoi piedi dove ti pare, ma dormi e lasciami dormire”

“Grazie.”

 

Quando mi svegliai, la mattina dopo, mi accorsi subito che c’era qualcosa di diverso nella luce e nell’aria. Scivolai fuori dal letto senza svegliare Éomer, che stranamente dormiva ancora. Spalancai imprudentemente gli scuri. Qui a Rohan non avevano i vetri alle finestre, così l’aria gelida del mattino invase la stanza, facendomi rabbrividire. Ma ero talmente incantata dal paesaggio davanti a me che non mi accorsi del freddo. Le case, le praterie, le colline, erano tutte imbiancate di neve, fin dove potevo spingere lo sguardo. Nevicava ancora, in fiocchi morbidi e leggeri, che volteggiavano creando forme fantastiche.

“Éomer, vieni a vedere!” corsi verso il letto e scrollai mio marito con tutta la forza che avevo.

“Che vuoi?” la sua voce era impastata dal sonno, ma si alzò subito in piedi.

“Guarda!” esclamai eccitata, tirandolo per una manica della camicia verso la finestra “Non è meraviglioso?”

“Ha nevicato stanotte.” osservò mio marito senza entusiasmo. “Carri e forse anche cavalli fermi per almeno tre giorni.”

“Ma è incantevole! La neve è più bella di come la immaginavo.”

“Non l’avevi mai vista?”

“No, a Dol Amroth l’inverno è sempre troppo caldo perché nevichi.”

“Allora ti divertirai, se è la prima volta. Adesso chiudi la finestra, che fa già abbastanza freddo qui dentro.”

Éomer incominciò a vestirsi, così anch’io presi il mio abito, che però non infilai.

“Éomer…” chiesi esitante “non potresti prestarmi dei pantaloni e un paio di stivali?”

“Perché?”

“Ho paura di far prendere troppo freddo al bambino se esco nella neve con uno dei miei vestiti.”

“Potresti anche stare dentro tutto il giorno.” propose mio marito.

“Oh, ti prego, voglio toccare la neve e camminarci sopra…”

“Sembri una bambina” disse Éomer.

“Ti prego, caro.” Mio marito cercò di trattenere una smorfia sorpresa, ma non ci riuscì del tutto: non lo chiamavo mai ‘caro’. Sapevo che anche se era sempre brusco e a volte anche un po’ rude, non era indifferente a queste gentilezze come voleva dare a intendere. “Allora?” dissi speranzosa.

“Manderò qualcuno a cercare i vestiti di quando ero ragazzo, che ho fatto mettere via per mio figlio. Comunque andranno bene anche a mia moglie, vedrai.”

“Grazie. E, Éomer, non potremmo dormire in una stanza con un camino, d’inverno?”

“Nessuno ha il fuoco in camera, qui a Meduseld. Qui non ci sono il lusso e la ricchezza abituali a Dol Amroth.”

 

Così, due ore dopo, infilata nei panni di Éomer quindicenne, uscii sulla terrazza accompagnata da Elfkral, al quale Éomer aveva raccomandato di impedirmi di fare ‘stupidaggini’. Certe volte era difficile sopportare questa tendenza di mio marito a considerarmi una bambina bisognosa di guida e protezione, e la sua ferma convinzione che, lasciata a me stessa, avrei messo a rischio la mia incolumità e quella di nostro figlio.

Feci un paio di passi sulla neve soffice, sprofondando fino alla caviglia. I suoni erano morbidamente ovattati, come la luce che, rimbalzando sul bianco, si diffondeva uniformemente donando al paesaggio un dolce splendore. Anche le cose più familiari erano irroconoscibili, mi sembrava di essere entrata in un mondo diverso e affascinante. Il mio respiro si condensava in nuvolette di vapore, sorelle dei morbidi cumuli di candore a terra.

“E’ stupendo.” mormorai, facendo ancora qualche passo verso l’orlo della terrazza. Nel mezzo il calpestio di decine di piedi aveva già creato un sentiero battuto, ma ai lati la neve era ancora intatta. Camminai su quella, osservando le impronte che lasciavo. Dalle case sotto la reggia provenivano risate e voci di bambini. Mi affacciai e vidi un gruppetto di figli di nobili di corte che si rincorrevano l’un l’altro schizzandosi e lanciandosi palle di neve.

Ne raccolsi una manciata e le diedi una forma sferica nella mia mano, sebbene sapessi che a breve avrei avuto i guanti fradici e un gran freddo alle mani.

“Quando ero bambino, io, mio fratello e mio cugino” la voce di Elfkral tremò per un secondo “Costruivamo dei fortini di neve e giocavamo alla guerra. Poiché io ero il più piccolo, mi costringevano sempre a fare l’Orco, così mi alleavo con la mia sorella maggiore, che aveva una mira fantastica,” disse “Una volta prese Merodor in viso con una palla di neve da quindici metri di distanza.”

“Tiro a quella colonna laggiù” annunciai, e lanciai la mia sfera bitorzoluta, mancando la colonna di mezzo metro. Elfkral ridacchiò e io gli scoccai un’occhiataccia.

“Prova te” gli ordinai. Il ragazzo raccolse un pugno di neve e lo lavorò un poco, poi venne accanto a me e disse:

“Regina, avete tanti meriti, ma sicuramente in questa sfida vi vincerò.”

“Vediamo.” ribattei. Purtroppo Elfkral non si vantava vanamente: il suo lancio fu perfetto, la palla si appiattì sulla colonna con una precisione degna di un arcere elfico.

“Che vi avevo detto?”

In quel momento si affacciò alla porta Éomer. “Lothi, sei stata fuori abbastanza. Perché non torni dentro?”

“C’è forse qualcuno che devo ricevere?”

“No, a causa della neve tutti coloro che dovevano venire qui sono bloccati a casa. Ma non ti fa bene stare qui fuori al gelo.” Sapevo che probabilmente Éomer aveva ragione, ma la neve mi rendeva giocosa e poco disponibile a obbedire i suoi ordini.

“Éomer, sei insopportabile” gli dissi allegramente. Mio marito sbuffò irritato.

“Andiamo, Lothi, ti stai comportando come una bambina.”

“Sei tu che sei sempre serio.”

“Lothíriel, vuoi torna…” Éomer si interruppe, il viso pieno di neve.

“La mia mira è meglio di quel che pensavo.” osservai scrollando i guanti per togliere la neve rimasta impigliata nei fili. Elfkral ci fissava allibito.

“Mia signora…” balbettò.

“Bel colpo, vero?” mi complimentai con me stessa. “Tu pensavi che non l’avrei preso…aha!” esclamai sorpresa. Una grossa palla di neve mi aveva appena colpito sulla testa, schizzando tutti i capelli. Éomer mi sorrise, sbattè le mani insieme per pulirle e scomparve dentro la reggia. “Non è giusto!” gli strillai dietro “Io ti ho lanciato una palla piccola piccola, la tua pesava almeno mezza libbra!”

 

Nonostante la bellezza della neve, presto il freddo cominciò a farsi sentire e dovetti rientrare. Falmer mi aiutò a cambiare i miei abiti fradici, divertita dal mio entusiasmo infantile. Mi strinsi addosso la coperta che la cameriera mi aveva messo sulle spalle, sentendo la stoffa ruvida strusciare sulle mie guance. Sospirai. I re di Rohan non avevano niente da invidiare, come nobiltà e regalità, ai principi di Dol Amroth, ma a volte sentivo la mancanza del lusso e della raffinatezza del mio palazzo natio. Sapevo che era un rimpianto sciocco, ma non riuscivo a dimenticare l’abbondanza di candele di cera, le coltri di broccato e le tende di velluto della mia camera. Scossi la testa per scacciare questi pensieri dalla mia mente, indegni di una regina, ingrati verso il mio popolo.

Lasciai che la coperta mi scivolasse giù dalle spalle e cominciai a rivestirmi.

 

 

Avete visto? Avete visto?? Ho aggiornato velocissimamente!! Non ve lo aspettavate, eh...?

Dopo gli ultimi tristi e sanguinosi capitoli, eccovene uno unn po’ più leggero e allegro. Dopotutto, anche la nostra povera regina ha diritto a divertirsi qualche volta, no? Fatemi sapere cosa ne pensate.

 

Come sempre, ringrazio tutti coloro che mi leggono e soprattutto coloro che hanno recensito lo scorso capitolo: Black_Moody, maura77, Destiel_Doped, Elfa, Silmarie; le mie fedelissime Thiliol, Sesshy94, Arena e lexis.

 

Carissime, potrei chiedervi un piccolo favore? La mia sorellina, Lauredol su EFP, di 9 anni, sta scrivendo una storiella horror, “Halloween: la notte della paura”, ed è triste perchè ha poche recensioni, non è che una di voi sante andrebbe a scriverle due parole? so che questo è lo spam più puro, ma è a fin di bene.

Detto questo

 

Ciao a tutti (metto a “tutti” nella speranza che ci sia un ragazzo su EFP, ma forse pecco di ottimismo) e a presto!

Elothiriel

 

 

 

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Capitolo 13
*** Mio Principe ***


XIII

XIII

Mio Principe

 

Élfwine nacque il 15 Febbraio del 3021, trentotto giorni prima che iniziasse il primo anno della Quarta Era. Melange, Falmer e Fréma, sorella di Falmer, levatrice, mi assistettero durante il parto. Éomer avrebbe voluto un’intera éored di levatrici, medici e assistenti, ma riuscii a dissuaderlo dimostrandogli che non sarebbero riusciti a entrare tutti nella mia stanza.

Nostro figlio venne al mondo in all’imbrunire di gelido pomeriggio, mentre il sole tramontava.

Appena vide la luce iniziò a strillare a pieni polmoni, e andò avanti finchè non lo presi in braccio per allattarlo. A me pareva minuscolo, ma Melange mi assicurò che era piuttosto grosso per essere un neonato.

Falmer, Melange e Fréma si sporsero da dietro le mie spalle per vedere se il bambino succhiava il latte senza problemi: mi giurarono che non avevano mai visto un piccino più vigoroso.

Io lo guardavo affascinata, traboccante d’affetto. Mi sembrava che non potesse esistere nel mondo creatura più perfetta e adorabile di mio figlio. Lo amavo incondizionatamente da quando avevo saputo della sua esistenza, ma adesso era qui, caldo e pesante fra le mie braccia, una piccola creatura quasi esclusivamente mia. Lacrime di commozione mi sgorgarono dagli occhi, ma le asciugai subito, facendo attenzione che non cadessero sul mio bambino. In quel momento il piccolo ancora senza nome succhiava il latte con energia, era ancora un poco violaceo in viso, ma sembrava perfettamente sano.

“Andate a chiamare il Re” ordinai, senza staccare gli occhi da mio figlio. “Ma non ditegli niente. Desidero dargli io la notizia che è un maschio.” Falmer aprì la porta e Éomer si precipitò dentro: evidentemente aveva aspettato sulla soglia tutto il pomeriggio.

“Stai bene, Lothi? E…” indicò il fagottino di coperte che tenevo in braccio.

“Vieni a vederlo” dissi “E’ un maschio.”

“Un maschio!” Éomer si avvicinò rapidamente e io gli mostrai il piccolo, che stava ancora succhiando il latte. Mio marito rimase in silenzio per qualche minuto, osservando nostro figlio con un sorriso. Feci cenno alle mie assistenti di uscire.

“Nostro figlio ha bisogno di un nome” disse infine Éomer. “Un nome degno di un Signore del Mark.”

“Non vuoi prima prenderlo in braccio?” Éomer esitò.

“Mi sembra così fragile.” spiegò “Non sono un medico, sono un guerriero, le mie mani sono rudi e callose. Temo che gli farei del male.”

“Io sono sicura che non gli recherai danno in alcun modo.” dicendo questo gli porsi con delicatezza il bambino, che aveva smesso di bere il latte. “Avanti, prendilo.” La visione di mio marito che stringeva nostro figlio fra le braccia mi riempì di gioia. Il neonato non riprese a piangere subito, ma aprì gli occhi e guardò verso il viso sconcertato di suo padre.

“Ha gli occhi grigi come i tuoi” osservò Éomer.

“A me sembrano azzurri” ribattei. In quel momento, Éomer si mosse e il piccolo ricominciò a piangere.

“Tieni” mi disse precipitosamente mio marito, porgendomi il neonato.

“Ma come è pauroso, tuo padre,” commentai  rivolta a nostro figlio. Éomer mi scoccò un’occhiataccia.

“Non gli parlare in questo modo di me.”

“Scherzavo!”

“Il bambino non può sapere se scherzi o no.” Ma Éomer non era più serio. Si chinò a darmi un bacio sulla guancia, uno di quei gesti rari nei suoi modi. “Sei stata bravissima, Lothi. Immagino che ora sarai esausta, ma quando ti riprenderai avverrà la celebrazione del riconoscimento e dell’assegnazione del nome. Lo sai che non gradisco molto le cerimonie, ma questa ha molto valore presso il mio popolo.”

“Che nome gli daremo?” domandai, sfiorando con tenerezza la testa del piccolo. “Ti piacerebbe Galador? Era il Mezzelfo che diede origine alla stirpe dei Principi di Dol Amroth.”

“Non è giusto che il futuro Signore del Mark porti un nome straniero. L’appellativo ufficiale dev’essere tipico di queste terre, poi gli potrai dare un secondo nome, come preferisci.” rispose Éomer.

“Capisco. E quale nome avresti scelto?”

“Élfwine. E’ un nome regale, e ora come mai è adatto a un Signore del Mark.  Sei d’accordo?”

“Élfwine…che cosa significa?”

“Non capisci? Élf nella mia lingua vuol dire ‘Elfo’, wine ‘amico’ ma è anche la parola che spesso usiamo per i nostri cavalli, un suffisso che si ritrova spesso nei nomi nella Lingua del Mark. Quindi, all’incirca, ‘amico degli Elfi’ è il significato di questo nome.”

“Ti do il mio consenso, sebbene preferisca Galador.” Benché il nome mi onorasse, perché certamente Éomer aveva tenuto conto, nello scegliere, non solo il suo rinnovato rispetto per Galadriel e gli altri Eldar, ma anche il sangue elfico che scorreva nelle vene mie e quindi di suo figlio, non mi piaceva che così poco dopo la sua nascita, la mia creatura venisse estraniata da me, già venisse considerata prima come erede al trono e solo in secondo luogo come mio figlio.

“Ti prometto che se avremo ancora un figlio maschio, lo potrai chiamare così. Il nome non mi dispiace, non è adatto a un Re di Rohan, ma per il nostro secondogenito andrà benissimo.”

 

Il Signore di Dunclivo, Erkebrand Maresciallo della Marca Occidentale, Gamling, Derfalec Capitano dei Cavalieri di Acquaneve, Léothod di Estmnet, Farkrélf dell’Ovestfalda, Elfhelm Maresciallo della Marca Orientale, Melange e qualche altro nobile Cavaliere con la moglie attendevano nel salone. Indossavo una lunga veste blu notte, fra le braccia mio figlio, ancora per poco senza nome e senza eredità, dormiva placidamente.

Éomer mi aveva spiegato che era necessario che il principe ereditario venisse riconosciuto dal padre alla presenza dei nobili più importanti. Ero d’accordo, anche perché pure a Dol Amroth era tradizione che il padre riconoscesse il figlio alla presenza di un ristretto pubblico. Se i genitori del neonato erano di ceto medio o basso, attendevano alla cerimonia i familiari e qualche amico; se il bambino proveniva da una famiglia nobile o da quella reale, presenziavano le autorità dei dintorni o del regno, in modo che il piccolo venisse accettato come successore del padre. Mi ricordavo di quando era nato Fetrales: avevo visto di rado il palazzo reale più affollato. Era venuto perfino Denethor il Sovrintendente da Minas Tirith, con il figlio maggiore Boromir, poco più grande di me. Sorrisi nel rammentare quei momenti lontani, avvolti in una luce di benevola tenerezza. Serbavo ancora il ricordo della prima infatuazione che quell’avvenimento mi portò, l’ammirazione e il rispettoso affetto che mio cugino mi ispirava. Mathrel, che all’epoca aveva solo quattro anni, lo seguiva dappertutto, con sommo sdegno di Denethor; io invece aspettavo con ansia la sera, quando noi bambini cenavamo insieme in una saletta attigua a quella dove si riunivano gli adulti. Dopo aver mangiato, io e Boromir ci sedevamo sui gradini ad aspettare che agli adulti fosse servito il dolce, in modo da riceverne un poco anche noi. Per ingannare il tempo, mio cugino mi raccontava delle sue lezioni di scherma e di tiro con l’arco, del galoppo sfrenato intorno alla città, delle splendide armi che suo padre gli regalava.

“Capisci, cuginetta, io un giorno sarò un grande guerriero e diventerò il Sovrintendente di Gondor. Pensa, sarò più potente di tuo padre!” concludeva orgoglioso. Ai miei occhi di bambina, quel ragazzo grande, bello e affascinante, con un glorioso futuro davanti a sé, era quanto di meglio si potesse desiderare.

Ricordare Boromir mi cagionava un dolore nostalgico. 

 

Affidai mio figlio alla balia, Calfwen, e mi diressi verso il salone al fianco di mio marito. Quando entrammo tutti si alzarono, e rimasero in piedi finchè Éomer non prese posto sul trono e io nel piccolo scranno scolpito a fianco.

Una piccola cesta intrecciata era posata davanti ai nostri piedi. Ristabilitosi il silenzio, entrò Calfwen, che depose nostro figlio nella cesta. Era questo il momento più importante della cerimonia: se il padre sollevava il piccolo, lo riconosceva e lo accettava all’interno della famiglia, se lo lasciava piangere nella cesta, significava che il bambino era il frutto di un adulterio o comunque non era degno di essere ammesso nella società. Era il fato più terribile che potesse capitare a un neonato, poiché lo privava di ogni diritto e perfino dello stato di uomo libero. Per un angoscioso secondo provai la paura, irrazionale e del tutto infondata, che Éomer non avrebbe raccolto suo figlio, poi scossi impercettibilmente la testa, irritata dal mio terrore insensato.

Éomer si alzò e si chinò a prendere in braccio il neonato, che piagnucolava sommessamente.

“Io, Éomer figlio di Éomund, Signore del Mark, dichiaro che questo bambino, la cui madre è la mia sposa Lothíriel figlia di Imrahil, è mio figlio legittimo. Egli sarà chiamato Élfwine. In quanto mio primogenito, lo nomino erede al trono e futuro Signore del Mark. Giurate voi, nobili del mio regno, di essere fedeli a mio figlio come lo siete a me e come lo siete stati a coloro che mi hanno preceduto su questo trono?”

“Giuro, per me e per i miei soldati.” disse il Signore di Dunclivo, il primo della fila, inginocchiandosi.

“Giuro, per me e per coloro che sono sotto il mio comando” ripetè Erkebrand, Maresciallo della Marca Occidentale.

“Giuro, per me e per i miei Eorlingas.” Fu la volta di Gamling.

“Giuro, per me e per i miei Cavalieri.” assentì Derfalec, Capitano dei Cavalieri di Acquaneve.

“Giuro, per me e per la gente delle mie terre.” dichiarò Léothod di Estmnet.

“Giuro, per me e per coloro che si rimettono alla mia autorità.” affermò Farkrélf dell’Ovestfalda.

“Giuro, per me, per la mia éored e per tutti i Cavalieri del Mark.” concluse Elfhelm, Maresciallo della Marca Orientale.

 

 

Salut a tout le monde!

Finalmente è nato l’erede al trono, il nostro bel principino Elfwine. Che ne dite? Io gli voglio già così tanto bene!!

Per spoilerare un po’, godetevi questo capitolo di pace familiare, perchè le cose stanno per cambiare...

Come sempre, grazie mille a tutti coloro che seguono le vicende di Lothiriel e Eomer, e specialmente alle mie adorate Thiliol, Destiel_Doped, Silmarien, Alabaster, Black Moody, Lexis e Sesshy94.

Un bacio grandissimo alle dolcissime persone che hanno recensito la mia sorellina Lauredol, è stata felicissima, non so come ringraziarvi per averla resa così contenta.

 

A presto

Elothiriel

 

 

 

 

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Capitolo 14
*** Lontano da Me ***


XIV

XIV

Lontano da me

 

I due anni che seguirono alla nascita di Élfwine furono tranquilli e allegri. Disse la sua prima parola compiuta a undici mesi: con mio sommo sconforto non fu né ‘madre’ né ‘padre’, ma ‘wine’, termine con cui indicava i cavalli, i Cavalieri e sé stesso, per poi comprendere tutto ciò che gli risultava gradevole o suscitava in lui interesse.  Così, in breve mi ritrovai ad essere anch’io un ‘wine’, dato che mio figlio non faceva alcuna distinzione linguistica fra me e Zoccofuoco, suscitando l’inestinguibile ilarità di Éomer.

Wine?” chiamava ogni tanto mio marito, e appena mi giravo scoppiava a ridere. La pace ormai stabile e le ottime condizioni del Mark avevano reso Éomer decisamente meno cupo e ombroso: il suo carattere brusco e impetuoso non era cambiato affatto, ma sorrideva e scherzava molto più volentieri.

Élfwine crebbe forte e vivace, con una luminosa chioma bionda e grandi occhi grigi che mi ricordavano il mare in quelli di mio padre. Lo chiamavo Lauredol, Testadorata, in Sindarin. Tutti gli erano affezionati, perfino i vecchi Cavalieri burberi e scontrosi sorridevano quando lo vedevano passare, incespicando sulle sue gambette paffute, mentre giocava con Elfkral.

La Terza Era era terminata il ventiquattro marzo 3021, appena sette giorni dopo il mio compleanno: l’alba del venticinque si era levata sul primo dì della Quarta Era. Il conto degli anni non ripartì da capo, quindi l’anno in cui la mia pace fu seccamente interrotta era il 3024.

 

“Il Mare di Rhûn!” strillai. “Tu non puoi andare a guerreggiare nelle terre oltre il Mare di Rhûn!”

Stellagrigia sbuffò, irritata dalle mie urla improvvise. 

“Non posso rifiutare il mio aiuto ad Aragorn.”

Éomer diede una carezza distratta al suo destriero. Eravamo usciti per una breve passeggiata a cavallo, stavamo trottando tranquillamente sulle colline intorno a Edoras quando Éomer aveva annunciato la sua imminente partenza.

“Stai dicendo sul serio?” mormorai stupefatta. “Te ne andrai?”

“Non starò via a lungo. Mancherò da casa al massimo per due o tre anni.”

“Due o tre anni?” la mia voce crebbe di tono. “E cosa farò io? E Élfwine, crescerà in un accampamento militare? Tu non andrai alla guerra, per Eorl! E poi, che bisogno c’è di combattere laggiù, ai confini del mondo conosciuto? E se anche preme tanto a Re Elessar, che dovere hai tu di aiutarlo? L’esercito di Gondor è forte. Inoltre, il Mare di Rhûn è lontanissimo! Solo arrivarci è un’avventura! Ma cosa vi è saltato in testa, a te e al tuo amico belligerante?” ripresi fiato fissando mio marito, il quale, con mio grande dispetto, rideva.

“Che c’è di divertente?” dissi offesa.

“Il tuo modo di parlare” rispose Éomer. “E’ davvero divertente sentirti dire ‘per Eorl’ o chiamare ‘il tuo amico belligerante’ il Re di Gondor.”

“Non prenderti gioco di me!”

“Ascolta, Lothi.” disse Éomer, adesso serio. “E’ mio dovere partecipare a questa guerra, a meno che non sia impedito da eventi di forza maggiore o da una disastrosa condizione del mio regno. Poiché adesso il Mark è prospero e ricco e la pace è sovrana nelle mie terre, ritengo di poter partire e di poter portare con me il mio esercito.”

“E che ne sarà di me e Lauredol? Verremo con te, non è vero?” nel momento stesso in cui posi la domanda, conobbi già la risposta.

“No. Un viaggio così lungo è troppo pericoloso per nostro figlio, e le terre straniere al di là del Mare di Rhûn non sono il luogo adatto a una Regina e un principe. Tu resterai qui e regnerai in mia assenza.”

“Regnerò?”

“Farai tutto ciò che mi compete in tempi di pace.” Ero strabiliata: non credevo che Éomer avesse così tanta fiducia in me da lasciarmi guidare il Mark.

“Se io non dovessi tornare” aggiunse con raggelante noncuranza “Avrai la reggenza fino alla maggiore età di Élfwine.”

 

Tornata a casa, mi precipitai nella camera d Eowyn, divenuta ormai il mio rifugio. Sentivo la tristezza montare come la marea, mescolata a rabbia cocente e furiosa impotenza. Perché Éomer mi faceva questo? Perché doveva andare, star lontano per anni? Che mandasse qualcun altro come comandante del suo esercito. Ma sapevo, nel profondo del cuore, che Éomer non era spinto solo dal dovere. Mi accorgevo del suo sorriso feroce e luminoso quando impugnava la spada, del piacere che provava a esercitarsi con i suoi soldati, sconfiggendoli, poiché lui era giovane e forte. Avevo un lieve sentore dell’ombra che aduggiava il suo cuore, il timore di invecchiare senza accorgersene, scoprire un giorno di non essere più in grado di uccidere un Orco con un semplice fendente, la giovinezza passata senza più imprese gloriose dopo quella che era costata la vita a suo zio e aveva messo a rischio quella di sua sorella.

 

“Lauredol, vieni” chiamai con le lacrime agli occhi. “Vieni a salutare tuo padre.” Mio figlio corse verso di noi con quella sua andatura incerta e traballante. L’esercito si era riunito a Dunclivo, e io e Élfwine l’avevamo seguito, per recare l’ultimo saluto ai Cavalieri. Con Éomer partivano Elfhelm, Maresciallo della Marca Orientale ed Erkenbrand, Maresciallo della Marca Occidentale, Léothod, Derfalec, i Signori di Clivovalle e Dunclivo. Gamling sarebbe rimasto a Edoras come Primo Maresciallo in assenza del Re, e avevo ordinato a Elfkral di non partire, sebbene fossi consapevole che lui lo desiderava ardentemente.

Élfwine raggiunse le mie ginocchia e io lo presi in braccio.

“Guarda tuo padre, Lauredol,” singhiozzai “Guarda com’è bello nella sua armatura, guarda come lo rende felice la guerra.” Mio figlio si sporse verso Éomer, a toccarne il petto.

“Wine” disse convinto, guardando da sotto in su il viso del padre. Non capii se ‘wine’ in quel momento era Éomer, che spesso veniva chiamato così dal figlio, o la sua corazza scintillante.

“Addio, figlio mio.” disse Éomer, con voce triste ma decisa. “Non puoi seguirmi dove sto andando, ma ti prometto che tornerò presto.”

“Wine va?” chiese Lauredol. “Lontano?” aggiunse spalancando gli occhi color del mare in tempesta.

“Wine va molto lontano, tesoro mio.” dissi stringendomi Élfwine al petto.

“Tornerò prima di quanto non pensiate.” ribattè Éomer. Mi prese Lauredol dalle braccia e lo depose a terra, poi si inginocchiò davanti a lui e gli mise le grandi mani sulle piccole spalle fragili. “Tu sei il mio erede, Élfwine Lauredol. Se io non dovessi tornare, hai il compito di proteggere questa terra e il suo popolo. Mi capisci, figlio mio?” Il sole brillava sulle loro chiome così simili, tracciando per terra le due ombre, l’una del grande Cavaliere, sovrano di un popolo spietato, e l’altra del bambino che a stento parlava, erede predestinato e inconsapevole.

“Wine non va” piagnucolò Élfwine.

“Tornerà, Lauredol.” promisi. Mio marito si alzò e mi baciò con forza. “Addio, Lothíriel.” disse sciogliendosi dolcemente dall’abbraccio. “Abbi cura di nostro figlio.”

Montò a cavallo e prese in mano le redini. Élfwine, che non aveva alcun timore di quelle grandi creature, corse sotto la pancia di Zoccofuoco e si aggrappò al suo zoccolo.

“Wine non va, non volio!”

Éomer sorrise, scese dal suo destriero e prese in braccio il figlio, per risalire a cavallo con lui. “Sarai un glorioso Signore del Mark, Élfwine Lauredol! Corri, Zoccofuoco, mostra al tuo principe cosa siano i cavalli del suo regno!” Zoccofuoco si impennò, e io tremai, anche se vedevo che Éomer teneva ben stretto il bambino. Il cavallo corse fino all’estremità dell’accampamento e tornò indietro in un attimo. A quel punto, mio marito depose Élfwine a terra, e dopo aver urlato un ultimo saluto, raggiunse la sua posizione in testa all’avanguardia e partì al galoppo, seguito dal suo esercito. Lauredol rimase seduto là dove il padre lo aveva deposto mentre l’esercito gli sfilava accanto, avvolto dalla polvere, fino a che l’ultimo Cavaliere non fu passato. Allora, Calfwen lo sollevò e gli diede qualche pacca affettuosa sul pagliaccetto.

“Non sta bene che un principe sia così sporco, piccolo signore! Alle belle principesse i bambini polverosi non piacciono, non lo sai, Lauredol?” la balia, a un mio cenno, mi porse Élfwine, e io lo strinsi contro di me, nascondendo il viso nella sua chioma dorata perché le altre donne non mi vedessero piangere. 

“Wine è andato, made?” non prestai nemmeno attenzone al fatto che mio figlio mi avesse chiamato ‘madre’ e non wine come faceva di solito.

“Si, tesoro mio. E’ partito.” L’inconsolabile pianto di Lauredol si confuse con il mio.

Non avrei rivisto Éomer per tre anni.

 

 

“Torniamo a casa.” dissi la mattina dopo, al primo levarsi del sole. Non sopportavo di rimanere lì, dove Éomer mi aveva lasciato, preferendo la guerra a sua moglie e a suo figlio. “Elfkral, fa’ in modo che tutti siano pronti per partire al mezzodì.” ordinai.

“Si, mia signora.” Il giovane uomo si allontanò gridando ordini.

“Calfwen, mio figlio dorme ancora?” chiesi alla balia.

“Si, mia signora.”

“Sveglialo, vestilo e portalo da me. Partiamo.”

“Subito, mia signora.”

Uscii dalla tenda e mi diressi, non vista, verso il margine dell’accampamento. Ripensai a quando, una fredda mattina di primavera di tre anni prima, ero ugualmente scivolata via dalla tenda e avevo aspettato mio padre sulla cima di un poggio, terrorizzata dal futuro che l’alba annunciava. Come ero diversa allora! Non ero più di una bambina. Eppure, non era passato molto tempo. Ricordai Éomer come l’avevo visto la prima volta, e la paura che mi incuteva i primi giorni del nostro matrimonio. Avevo imparato ad amarlo, e a temerlo di meno, avevo imparato a vedere al di là dei suoi modi bruschi e delle sue parole a volte rudi. A cosa era servito tutto questo? Solo a soffrire di più adesso, come non avrei sofferto se fossi rimasta solo l’alleata in un matrimonio politico.

“Lothíriel?” la voce buona e roca di Melange mi risvegliò dai miei pensieri.

“Se n’è andato.” Riuscii solo a dire.

“Tornerà, mia cara. Vedrai, tornerà, sporco di sabbia e sangue, stanco di combattere, desideroso di pace. Tornerà e ti chiederà perdono.”

“Non so se lo merita.”

“Forse no, ma sicuramente sarai felice di concederglielo. Credimi, ne so qualcosa, Gamling ha combattuto tante guerre in quei tempi bui, quando eravamo giovani. Ti ha lasciato il regno e suo figlio, le cose certamente più care per lui.”

“E se non dovesse tornare? Se dovesse cadere? Cosa ne sarà di me allora? Non credo che riuscirei a regnare fino alla maggiore età di Lauredol.”

“Non sono convinta che la tua preccupazione sia davvero quella che mi dici, Lothíriel. Io penso invece che tu sia angosciata per la sua sorte, per il dolore che soffrirà, per le ferite e gli stenti che dovrà passare.” Mi morsi il labbro inferiore, senza guardare Melange, perché aveva perfettamente compreso il mio animo.

“Non sono costretta ad amarlo, capisci, Melange? Basterebbe che non mi ribellassi al suo volere. Quando ho accettato di sposarlo, non pensavo che l’avrei mai amato. E invece si, per Eorl! E invece lo amo, per quanto sia scortese e impulsivo. E in questo momento non vorrei amarlo, poiché mi ha dato un grande dolore con la sua partenza.” Trattenni i singhiozzi dentro di me, perchè non volevo mostrarmi debole davanti a Melange, che stimavo tanto.

“Povera Regina!” mormorò la mia amica, e mi abbracciò. Io nascosi il viso sulla sua spalla e finalmente piansi.

“Qualche volta vorrei che mia madre fosse qui” singhiozzai. “Mi sento così piccola e sola.”

“Piangi pure, mia cara piccola” disse dolcemente l’anziana donna. “Non c’è tua madre qui, ma ci sono io.”

 

“Calfwen, prendi Lauredol e portalo a letto.” ordinai. Eravamo ormai giunti ad Edoras, Élfwine dormiva placidamente su Stellagrigia. La città era silenziosa e triste, le donne erano rientrate presto in casa dopo la partenza degli uomini. Dopo aver ordinato che mi fosse portata una cena veloce mi ritirai in camera. Avevo bisogno di un conforto, qualcosa di allegro che mi tirasse su il morale. Mi sedetti con cautela sul mio lato del letto e frugai nel mucchio di carte sulla sedia, fino a trovare la lettera che cercavo. Recava lo stemma di Dol Amroth, ormai logoro per tutte le volte che l’avevo aperta e letta.

 

 

12 Aprile 3024, Dol Amroth

Cara Lothíriel,

come stai?

Ci ha reso davvero molto felici avere tue notizie. Noi stiamo bene, a parte che Mathrel è stata sgridata aspramente da nostro padre perché l’ha sorpresa con lo scudiero Cenhed - te lo ricordi? - e quindi lei ha pianto un poco.

Il racconto delle tue imprese è stato stupefacente, avresti dovuto vedere com’era fiero nostro padre. Nostra madre invece era piuttosto spaventata. Adesso il popolo parla di te come ‘la principessa condottiera’, suppongo  sia stato Fetrales a spargere la voce per tutta la città.

Ma ardo di curiosità verso mio nipote! Élfwine Lauredol dev’essere un bambino meraviglioso. Mathrel asserisce che se somiglia al padre non può essere che molto affascinante, io ripeto che lo sarà soprattutto se assomiglia a te. Non vediamo l’ora di conoscerlo, e con noi tutta Dol Amroth, per non parlare dei nostri illustri genitori: nostra madre ha pianto di commozione quando ha letto la tua missiva, nostro padre vuole assolutamente vedere il suo primo nipote. Si mostrano molto fieri di te, ma sono dolenti di non esserti vicino in questo importante avvenimento.

Devi venire presto a trovarci, e hai l’obbligo di portare con te mio nipote. Manchi moltissimo a tutti, Irahel non fa altro che parlare di te ultimamente, ha deciso che chiamerà sua figlia Lothíriel. Lei continua a essere la beniamina della città, il popolo la adora. Quando va a passeggio con le dame di compagnia per le vie saluta tutti, e perfino i vecchi scontrosi le si inchinano con un sorriso. Lamrai ha deciso di istruirla personalmente, ma Irahel è troppo irrequieta per studiare come fa lei. A proposito, Lamrai si è fidanzata! Il prescelto è il figlio di Maden, il cavaliere del Gabbiano Dorato. Il ragazzo si chiama Madlon, è un giovane molto colto. Si sono conosciuti in occasione della festa data in occasione del cinquaquattresimo compleanno di nostro padre, il quale ha dato subito la sua approvazione. Probabilmente sarà lei la seconda di noi a sposarsi, sebbene abbia adesso solo vent’anni. Io mi sento quasi vecchia, a vederla progettare il suo matrimonio! Chi l’avrebbe mai detto, che mi sarei sentita anziana a ventiquattro anni.

Ripeto, devi venire a trovarci presto, fare sempre la sorella maggiore è piuttosto faticoso. E poi, dimenticavo, devi assolutamente vedere quanto è cresciuto Fetrales! Ormai è alto come nostro padre, e si dà un sacco di arie da uomo adulto, sebbene sotto sotto sia ancora un ragazzino e corra dietro alle lucertole con Irahlel.

Infine, io sto bene, anche se mi manchi tantissimo. La mia vita non è ricca di avventure come la tua, ma mi trovo comunque sempre occupatissima, con mille piccole incombenze che non cessano mai di stupirmi e di divertirmi.

Auguri per il tuo compleanno, anche se probabilmente sarà già passato quando la lettera sarà arrivata.

A presto, mia cara sorella maggiore. 

 

Con tutto il mio affetto

Imhlen

Figlia di Imrahil, Principessa di Dol Amroth

 

P.S Allego a questa mia missiva i biglietti che tutti hanno scritto personalmente, sebbene tutte le nostre sorelle e Fetrales abbiano partecipato alla stesura della stessa e ti mandino i loro più cari saluti.

 

Lentamente, tirai fuori il plico, legato con un nastro blu, contenuto nella busta insieme alla lettera di Imhlen. Aprii a uno a uno i brevi messaggi.

 

Cara Lothi, ci manchi tanto! Sai che lo scudiero di nostro padre mi ha regalato un gattino? E’ bellissimo. L’ho chiamato Lauredol, perché è giallo. Fetrales ride dei gatti gialli, non è carino da parte sua. Così ho un Lauredol anch’io, come te hai il tuo bambino!

Spero che tu stia bene e di rivederti presto. Forse adesso sono alta quanto te!

                                                                                                                                     Baci

Irahlel

Figlia di Imrahil, Principessa di Dol Amroth

 

 

Cara sorella, come stai? Spero tanto di venire a trovarti a Rohan. Dev’essere una terra meravigliosa, e nostro padre ha promesso che presto potrò trascorrere un periodo di addestramento fra i valorosi Cavalieri del Mark. Ora che mio nipote è l’erede al trono, non posso certo mancare di vederlo. Mi è stato detto della guerra su al Mare di Rhûn, vi parteciperò anch’io al seguito di nostro padre, e magari conoscerò tuo marito Éomer. A presto, cara Lothíriel.

 

Con affetto

Fetrales

Figlio di Imrahil, Principe ereditario di Dol Amroth

 

 

Diletta Lothíriel, spero che le stelle brillino sempre sul tuo cammino. Come ha scritto Imhlen, mi sono fidanzata, spero che tu possa essere qui per il mio matrimonio. Pensa che il mio promesso sposo ha una biblioteca immensa, abbiamo passato due giorni a decifrare un’antico documento che narra della fondazione di Gondor. E’ davvero di valore inestimabile! Te lo mostrerò quando verrai.

 

Abbracci

Lamrai

Figlia di Imrahil, Principessa di Dol Amroth

 

 

Carissima Lothi, come stai? Mi manchi tantissimo. Imhlen è un po’ troppo severa come sorella maggiore. Scherzo! Ma vedi di scrivere di più, che quando arrivano le tu lettere i nostri genitori diventano improvvisamente molto più buoni e permissivi. Imhlen ti ha raccontato della mia disavventura con Cenhed, adesso è tutto passato, ma ho un’intesa speciale con un giovane nobile che probabilmente andrebbe anche bene a nostro padre…Spero che tu venga presto, non vedo l’ora di raccontarti tutto.

Bacioni

Mathrel

Figlia di Imrahil, Principessa di Dol Amroth

 

Anche se la richiesta di una visita era pressante, non sarei potuta andare a Dol Amroth fino al ritorno di Éomer. Il regno gravava sulle mie spalle, e non potevo certo mollare tutto e rifugiarmi a Dol Amroth per qualche mese.

 

Ciao a tutte (tutti?)

Come sempre mi devo far perdonare l’attesa, ma come regalo di natale e capodanno vi ho condensato due capitoli in uno lunghissimo...forse è un po’ spezzato nel mezzo, ma pace.

Non so se farò qualche puntantina verso il Mare di Rhun oppure scriverò solo della nostra povera regina; comunque nel prossimo capitolo arriverà un personaggio nuovo (?) a corte.

Sempre grazie mille a tutte le carissime ragazze che mi scrivono recensioni (il verbo ‘recensire’ è orribile da coniugare...recensiscono...ma che razza di parola è?!): Destiel_Doped, Thiliol, Sesshy94, Elfa, Black_Moody, Arena, Thegreenminstrel,_ Gilestel_ e lexis.

 

Un bacio e auguri di Natale (in ritardo...) e anno nuovo!

Elothiriel

 

 

 

 

 

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