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“Éomer Éadig. […] nell’ultimo anno della
Terza Era prese in moglieLothíriel, figlia di Imrahil.”
“Le navi del
Principe! Lo stendardo del cigno! Sono tornati! Sono tornati!”
Così il due giugno
del tremiladiciannove della Terza Era le sentinelle annunciarono il ritorno di
mio padre, il Principe Imrahil di Dol Amroth. La gente cantò e fece largo
all’esercito vittorioso, e io, mia madre, le mie sorelle e mio fratello,
rimasto a casa perché bambino di tredici anni, gli corremmo incontro giù al
porto.
Un anno passò, e le
ultime vestigia del potere del Nemico furono distrutte, non furono più visti
Orchi dalle nostre parti ; i pirati furono sconfitti e sottomessi
completamente.
Mio padre Imrahil
ci narrò le imprese che aveva compiuto, attorno al grande tavolo nella terrazza
di fronte al mare, o accanto al caldo chiarore del camino. Ci narrò di Re
Elessar e di Arwen Undomièl, dei Periannath,
i Mezzuomini, della caduta dell’Oscuro Signore e di molte altre cose che gli
storici di palazzo trascrissero e su cui i menestrelli composero ballate.
E molte volte nel
corso della sua narrazione si soffermò sugli Eorlingas, grandi Cavalieri. Ci
parlò della morte di Re Théoden sui Campi del Pelennor e del valore di Dama
Eowyn, che - meraviglia! - aveva sconfitto il Signore dei Nazgûl, invincibile
per gli uomini, e soprattutto del nuovo Re Éomer.
“Ah! Se aveste
potuto vedere come è abile in battaglia, spietato con i nemici e generoso con
gli amici, sebbene sia così giovane!”
“E’ bello, padre,
questo Signore dei Cavalli?” chiese una delle mie sorelle, Mathrel. Io la
fulminai con lo sguardo, ritenendola sciocca a interrompere nostro padre.
“Non è uomo per te,
figlia mia” rispose Imrahil. “Ma ti dirò che egli è alto, biondo e possente.”
Detto ciò si alzò dal suo scranno e si ritirò nelle sue stanze.
Così, per quella
sera, il racconto terminò. Oh, quanto mi piacevano quelle narrazioni gloriose!
E come avrei voluto compiere grandi gesta, come Eowyn, Dama di Rohan! Anch’io
mi ero esercitata con la spada e con l’arco, a differenza delle mie sorelle
minori, sapevo combattere. Ma mi andava bene un’azione anche meno splendida,
che però fosse di una qualche utilità a mio padre e a Re Elessar Telcontar. Mio
padre mi aveva lasciata a casa come una donna qualunque, e adesso non c’erano
più molte occasioni di azioni nobili. Rimpiangevo di non aver fatto nulla di
utile per la salvezza della Terra di Mezzo, quando così tanti Uomini erano
caduti.
Avevo appena
ventidue anni, solo tre meno di Eowyn e sette meno di Éomer. Eppure, cosa
avevano compiuto loro! E io, che cosa potevo fare?
La risposta non
avrebbe tardato a giungere.
Qualche mattina
dopo, passeggiando, mi incantai davanti al grande specchio del corridoio. Non avevo
cessato di dispiacermi per la mia femminile inutilità, e ci avevo quasi perso
il sonno. Questo si rifletteva sul mio aspetto. I miei lunghi riccioli neri
erano spettinati e scomposti, e sotto gli occhi grigi c’erano delle bisacce da
fare invidia alle borse di un mercante ambulante.
Non era così per
mia sorella Mathrel, splendida nei suoi diciassette anni, che quel mattino
sembrava quasi brillare per la felicità.
“Cos’è che ti rende
tanto allegra, Math?” le chiesi. Lei si avvicinò quatta quatta a me e mi
sussurrò all’orecchio:
“Non dovrei
dirtelo, Lothi, ma l’altra sera ho sentito per
caso nostro padre che discuteva con dei messi giunti da Rohan questa notte.
Nostro padre diceva che per cementare l’alleanza niente sarebbe meglio del
matrimonio fra una di noi e Re Éomer! E certamente sceglierà me, perché sono la
più bella”
In quel momento non
potei che darle ragione. Ma ero perplessa.
“Perché ne sei
tanto felice? Voglio dire, vuoi sposare un uomo di ventinove anni che non hai
mai visto, di una stirpe di Uomini diversa dalla nostra, degli allevatori di
cavalli?”
“E’ un Re!” ribatté
sdegnata Mathrel, avvolgendosi con un gesto elegante e stizzoso nel suo soffice
mantello rosso, e se andò a dare la grande notizia a qualcun’altra fra le
nostre sorelle.
Discorrendo eravamo
arrivate davanti alla porta dello studio di nostro padre, che in quel momento
si spalancò. Imrahil si affacciò e mi vide lì in piedi davanti alla porta.
“Ti stavo proprio
per mandare a chiamare, figlia mia. Entra.” Stupita, lo seguii esitante. Era
raro che nostro padre ci ammettesse all’interno del suo studio. Ci accomodammo
ai due lati della grande scrivania in noce antico. Aperta davanti al posto di
mio padre giaceva aperta una lettera. Il sigillo spezzato era verde e bianco.
“Mia cara
Lothíriel, certamente vorrai da me la conferma di ciò che ti ha raccontato
Mathrel poco fa in gran segreto” mentre parlava si formò un piccolo sorriso sul
suo volto. Io arrossii. Non mi piaceva che mio padre venisse a sapere dei
nostri pettegolezzi.
“Come lo sai?”
chiesi.
“Il mio udito è
molto fine” rispose semplicemente. Io accettai la spiegazione, seppur non
sufficiente.
“Mathrel parla
troppo” dissi.
“Ma ciò che ti ha
riferito è vero”
“Allora mia sorella
partirà presto?”
“No. Prima volevo
discuterne con te. Lothíriel, mia cara figlia maggiore, vorresti sposare Éomer
figlio di Éomund, Re di Rohan, Signore del Mark?”
Non credevo alle
mie orecchie. Perché, fra tutte noi, io? Anche se ero graziosa non ero certo la
più bella, né, anche se passabile, la più brava nella tessitura. “Lothíriel, so
che pensavi che la mia scelta non sarebbe ricaduta su di te. Pensavi che avrei
chiesto a Imhlen, che danza come una foglia al vento, o a Lamrai, che conosce
le saghe e le canzoni di tutti i paesi, o a Irahlel, che è la più sorridente e
allegra delle fanciulle di Gondor.”
“O a Mathrel”
sussurrai io.
“O a Mathrel, che è
la più bella, ed è già innamorata di Éomer. Ma io so quello che ti affligge,
quello che sciupa il tuo viso, non meno bello di quello di Mathrel” mi
accarezzò la guancia con dolcezza. “Se vuoi, puoi fare questo per porre fine al
tuo tormento. Sarebbe bene che l’alleanza fra noi e Rohan venisse sottolineata
da un matrimonio. E tu sei la più adatta a questo compito, perché sei la più
forte, la più decisa, e lì a Rohan sono abituati a donne valorose come Eowyn.
Mathrel dopo poco si stancherebbe e desidererebbe più lusso e più onori, mentre
io so che in segreto tu ti sei esercitata con la spada: con il tuo animo
determinato potresti essere una degna Regina per i Signori dei Cavalli. Fra due
mesi i messi di Rohan torneranno indietro, essi desiderano recare con sé la
futura sposa del loro signore. Io non attendo che la tua decisione, nel caso in
cui tu decidessi di dire di no chiederei a Mathrel o a Lamrai o a Imhlen,
essendo Irahlel ancora una bambina”. Tacque e mi guardò. Io mi sentivo come una
nave che veleggiando tranquilla era stata sorpresa dalla tempesta, e adesso
aveva due possibilità: tornare indietro verso i lidi dai quali proveniva, o
andare avanti gettandosi nell’uragano. I flutti erano alti e freddi, ma lo
scafo più robusto di quanto non sembrasse. “Figlia mia, non sei costretta a
decidere adesso. Parlane con tua madre, se vuoi, ma fai solo quello che
desideri tu.”
“Grazie, padre.”
dissi con una piccola riverenza, e lui mi congedò. Uscendo trovai un giovane
dai lunghi capelli biondi, vestito alla nostra maniera ma visibilmente
straniero, che aspettava accanto alla porta. Lo salutai, incuriosita mio
malgrado dal suo aspetto, chiedendomi se fossero tutti così gli Uomini di
Rohan. Egli mi osservò attentamente e poi si inchinò. “Signora” mi si rivolse
così, con la stessa parola che avrebbe usato per una qualunque delle mie
sorelle, ma carica di rispetto e di gravità. Forse egli riteneva che io stessi
per diventare la loro Regina?
Senza accorgermi mi
diressi verso la terrazza che dava sul mare. Mi appoggiai alla balaustra di
freddo marmo bianco e guardai il Mare ribollire agitato dai venti di fine
settembre. Le onde si inseguivano e la schiuma danzava dilaniata dal vento, mi
sentivo come quel bianco morbido, effimero e lacerato. Non volevo lasciare il
Mare, lo amavo più di ogni altra cosa, non volevo lasciare le mie sorelle, il
mio piccolo fratello Fetrales e mia madre Firdalin. E chi sapeva come poteva
essere dividere la vita con questo biondo Signore dei Cavalli? Eppure
desideravo compiacere mio padre, ed essergli utile. Éomer, se era un così
grande Re, doveva pur avere qualche qualità buona! E poi avevo voglia di vedere
Re Aragorn, Mithrandir, gli elfi dei quali si diceva che noi di Dol Amroth
avessimo del sangue nelle vene, e mio cugino Faramir il Sovrintendente, il
figlio di Finduilas, la sorella maggiore di dodici anni di mia madre, che non
avevo mai conosciuto. Ma se avessi accettato, Mathrel mi avrebbe odiata.
Mi venne spontaneo
alle labbra un canto della mia gente, che narrava di Nimrodel:
Elfica fanciulla di un tempo passato
ella tanto il mare aveva amato
ma la sua casa era lontana,
fra i boschi di Lorién la dorata
le pianse il cuore nel lasciarla
cantava di fiumi e foglie la sua voce
cristallina
danzava sui fiori e sull’erba, bella come la
Mattina
ma lasciò la sua dimora
dell’amore e del Mare era giunta l’ora
ma mai giunse dove Amroth l’aspettava
e non vide il Mare che desiderava
Nimrodel fanciulla elfica smarrì il cammino
non fu giusto con lei il triste destino.
Oppressa da questi
pensieri mi avviai verso camera mia, per trovarvi le mie sorelle riunite a
concilio che mi aspettavano per sapere cosa mi avesse detto nostro padre nel
suo studio. Appena misi piede in camera Irahlel si alzò dal mio letto, dov’era
seduta, per farmi spazio, appollaiandosi su di un bracciolo della sedia dov’era
accoccolata Mathrel.
“Che cosa ti ha
raccontato nostro padre? Perché ti ha convocata nello studio?”Chiese subito
Lamrai. Lei era la più curiosa di tutte noi, amava il sapere di ogni genere, si
informava di tutto, da come si cucinava il coniglio stufato a la lettura del
Valinoreano, ai pettegolezzi di corte.
“Su, parla!”
comandò Irahlel, sporgendosi verso di me.
“Secondo me nostro
padre le ha detto chi manderà in sposa a Éomer” disse Mathrel.
“Perché avrebbe
dovuto dirlo a lei, Math?”
“Perché è la
maggiore e quindi ha diritto di consigliare la scelta di nostro padre”. Tutti
gli sguardi si appuntarono su di me. Sapevo che le avrei deluse moltissimo non
dicendo loro niente, ma davvero non desideravo riferire alle mie sorelle cosa
mi aveva chiesto nostro padre.
“Non ho voglia di
parlarne”mi difesi. “Anzi, dite a mamma che non ho fame, salterò il pranzo. Mi
sento quasi la febbre”
“Ma…”cominciò
Lamrai delusa.
“Taci, Lam,
andatevene, voi” comandò Imhlen, l’unica che non aveva partecipato
all’interrogatorio. Le rivolsi uno sguardo grato. Imhlen era quella che mi era
più vicina come età e come carattere. Mathrel era vanesia e poteva sembrare un
po’ frivola, ma sapevo che in realtà era molto sensibile e sapeva essere dolce
e affettuosa; Lamrai, con la sua curiosità, si interessava più alle cose che
alle persone, ed era quella fra le mie sorelle con cui parlavo di meno; Irahlel
era allegra e solare, rideva spesso e metteva di buon umore tutti: lei, la
piccolina di appena nove anni, era la luce di Dol Amroth; ma la mia fedele
confidente era Imhlen, che aveva solo due anni meno di me ed era riflessiva ma
decisa.
“Cosa ti è
successo?”chiese Imhlen sedendosi accanto a me e prendendomi la mano fra le
sue. “Sembri sconvolta.”
Così le raccontai
tutto, e lei mi ascoltò in silenzio, stringendomi le mani, senza commentare.
Quando ebbi finito rimase un poco senza parlare, poi mi disse: “Lothíriel, io
lo sapevo che sarebbe successo questo. Sapevo che un giorno una di noi se ne
sarebbe andata, e che sarebbe toccato a te, non a me o Mathrel. Tu sola puoi
sopportare la nostalgia e hai la forza di affrontare la vita in una terra
sconosciuta in mezzo a gente di un altro popolo, governandola pure. Se c’è una
donna tra di noi degna di divenire Regina, e di sposare Re Éomer del
Riddermark, quella sei tu, Lothi, e nessun’altra. Non io, non Mathrel, non
Lamrai, non Irahel, tu. Io lo so, e anche nostro padre lo sa. C’è molto di più
in ballo che essere la sposa di qualcuno, compito per il quale il bel faccino
di Math andrà benissimo fra poco, qui si tratta di essere Regina in terra
straniera. Mi si spezza il cuore a pensare che dopo ti vedrò molto raramente,
se pure ti vedrò, ma penso che per te sia giusto compiere questo passo. Sposa
Éomer, Lothi.”
“Grazie, Imhlen” le
dissi confortata dalla sua fiducia in me. “Ma Mathrel mi odierà. E’ già
innamorata di Éomer, anche se non l’ha mai visto.”
“Lothi, sai bene
quanto me che le infatuazioni di Mathrel sono durature come la neve in
primavera. Le passerà”.
Fu così che presi
la decisione che avrebbe cambiato la mia vita.
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Spero che qualcuno
recensisca la mia storia. Chiedo pietà per la canzone, ma non ho saputo fare di
meglio.
Ringrazio in anticipo
qualunque anima gentile che, giunta fin qui, abbia ancora la forza di scrivere
una recensione.
Era vero. A Mathrel
passò presto. Si innamorò del figlio del luogotenente di nostro padre e fu solo
triste che io me ne andassi. Mia madre pianse, e anche Fetrales, che restò
insieme a Irahlel sulla banchina del porto a salutare la nostra nave finchè non
scomparve alla vista. La piccola Irahlel mi regalò una coperta che aveva
faticosamente cucito lei stessa rubando ore ai suoi giochi, azzurra con un
cigno bianco in mezzo. Lamrai mi regalò un libro che aveva compilato lei stessa
con la traduzione di tutte le parole della lingua del Mark che conosceva nella
Lingua Corrente, un dono immenso e pesantissimo che mi fece dispiacere di
averla sempre considerata meno delle altre sorelle. I messi di Rohan furono
soddisfatti e il mio popolo orgoglioso, commosso e triste.
Mio padre, Imhlen e
Mathrel mi avrebbero accompagnato nel Mark.
Il viaggio fu
lunghissimo. Decidemmo di passare per Minas Tirith per far visita a Re Aragorn,
quindi, una volta partiti da Dol Amroth, aggirammo l’isola di Tôlfalas,
risalimmo l’Anduin, ci fermammo qualche giorno a Pelargir e poi nel Sud
Ithilien, una terra splendida nonostante fosse stata in potere del Nemico per
qualche tempo. Vi dimoravano Faramir ed Eowyn, ebbi modo di chiederle della sua
grande impresa, ma mi parve che lei non volesse ricordare quei giorni oscuri.
Mi sembrò un fiore, che rimasto congelato sotto la neve per molto tempo, stesse
finalmente iniziando a sbocciare al sole. E il suo sole era Faramir, mio
cugino. Feci a Eowyn molte domande su Éomer, poiché iniziavo a uscire
dall’ottica della guerriera che si sacrifica per la sua patria e stavo entrando
in quella della fanciulla che sta per sposarsi. Lei mi raccontò molte cose, e
mi sembrò che ammirasse molto suo fratello. Prima che partissimo affidò una
lettera per Éomer ai messi giunti da Rohan. Mi congedò con queste parole:
“Anche se nemmeno tu lo sai, Lothíriel figlia di Imrahil, sarai una buona
moglie per mio fratello e una buona regina per Rohan.”
Giungemmo a Minas
Tirith a metà gennaio, e ci trattenemmo lì a lungo, poiché faceva troppo freddo
per viaggiare. Conobbi di Re Aragorn e la bellissima Arwen Undomièl, davanti
alla quale persino Mathrel si sentiva brutta. Ma ella era una Dama Elfica di
alto lignaggio, e fu molto gentile con noi.
Ci rimettemmo in
viaggio verso Rohan il tre marzo del nuovo anno, il tremilaventuno, che poi
sarebbe stato chiamato “l’ultimo della Terza Era”. Sire Aragorn ci aveva
equipaggiato con cavalli, tende e vettovaglie, lasciammo le navi ancorate
vicino all’isola di Cair Andros. Non riuscivo a dormire la notte, e il giorno
il cuore mi batteva così forte quando vedevo un cavaliere solitario che portava
le insegne di Rohan che credevo di cadere da cavallo. Alcuni messaggeri erano
partiti da Minas Tirith prima di noi, perciò Éomer doveva essere stato
informato del nostro imminente arrivo. I messi portavano anche la lettera di
Eowyn.
“Stai calma, Lothi”
disse Mathrel mentre la nostra scorta montava le tende per la notte, la quarta
sera. “Tremi tanto che il tuo cavallo si sta innervosendo, e pensa che
probabilmente ha portato in groppa qualche guerriero urlante durante la
Battaglia dei Campi del Pelennor”. Io sorrisi debolmente.
“Lasciala stare,
saresti nervosa anche te!” intervenne Imhlen.
“Sai a quanti
convegni amorosi sono andata, e non hai mai tremato come un bambino davanti a
un drago”.
“Math!” esclamò
Imhlen scandalizzata.
“E’ un uomo, mica
un Orco” ribatté Mathrel. Poi però mi abbracciò e mormorò: “lo sai che sto
scherzando. Io non avrei mai il tuo coraggio, sorella mia”.
Passarono ancora
cinque giorni. Il paesaggio di Rohan mi piaceva, e l’osservarlo era l’unica
cosa che calmava il mio cuore impazzito. Le morbide colline ricoperte dall’erba
primaverile, le rocce che spuntavano come denti affilati e crudeli ma che
davano rifugio dal vento e dalla pioggia, le case dei mandriani e gli splendidi
cavalli sorvegliati da ragazzetti biondi, gli alberi e il gorgoglio
dell’Entalluvio, tutto mi sembrava bello e caldo, come la primavera fosse arrivata
prima qui che a Minas Tirith, che pure era più a Sud.
Però mi iniziai a
preoccupare di come sarei sembrata a Éomer dopo una lunga cavalcata come
questa. Anche se tutte le sere le mie sorelle mi obbligavano a farmi stare
ferma mentre loro mi pettinavano e mi spalmavano sulla faccia strani intrugli
che si erano portate nello zaino da casa, mi sentivo sempre sudata e brutta.
Imhlen promise di vestirsi male e di annodare uno sporco fazzoletto sui lunghi,
soffici capelli neri, in modo da farmi sembrare più bella, e costrinse anche
Mathrel, sebbene riluttante, a prestare questo giuramento.
Il giorno prima di
quello in cui saremmo dovuti arrivare a Edoras mi alzai prestissimo, prima del
levare del sole, dopo essermi ero rigirata ansiosamente tutta la notte. Le mie
sorelle invece stavano sfacciatamente russando.
La nostra scorta
iniziava già a ritirare le tende, parlavano a bassa voce e si inchinavano al
mio passaggio. Ero tanto nervosa da non sapere neanche dove mettevo i piedi, e
presto mi ritrovai su una piccola collina, scalza sull’erba lussureggiante e
bagnata di rugiada. Vidi l’alba illuminare quella terra, e mi sembrò che avrei
potuto amarla come se fosse stata la mia patria. Ma lo struggimento per il
Mare, no, quello non lo potevo superare. Iniziavo già a sentirne la mancanza.
Mi raggiunse mio padre, e mi confortò come se fossi stata piccola come Irahlel,
abbracciandomi e chiamandomi con quei nomignoli che usava quando ancora ero una
bambina.
Quel mattino non
pronunciai una parola e non feci colazione. Mi chiesi cosa stesse facendo Éomer
in quel momento. Era anche lui nervoso come me, o a lui bastava sapere che ero
la figlia del suo amico Imrahil e che ero abbastanza graziosa? Non aveva altre
preoccupazioni o come me si chiedeva se gli sarebbe piaciuto il suono della mia
voce?
Cavalcavamo da
un’ora, erano le dieci del mattino, quando l’avanguardia si fermò circondata
dai Cavalieri di Rohan. Io mi appoggiai a Imhlen che cavalcava accanto a me per
non cadere. Non era previsto che Éomer ci mandasse incontro un’intera éored un giorno prima dell’arrivo a
Meduseld! Adesso sarei stata oggetto di sguardi curiosi per un giorno in più di
quanto avrei dovuto sopportare. Non ce la potevo fare. Quasi rimpiansi di aver
accettato di sposare il Signore del Riddermark. Mi nascosi dietro le mie
sorelle che facevano fronte unito davanti a me, disposte a difendermi perfino
da un’intera éored di Eorlingas. Il
colpo finale, che neanche le mie sorelle potevano sopportare per me, fu
annunciato da un Cavaliere vicino a noi.
“Fate largo a Éomer
figlio di Éomund, Signore del Mark! Fate largo!”
Il mio cuore si
fermò.
Dopo aver battuto
per tutto il viaggio talmente forte che mi dolevano le prime costole, si fermò.
Per un attimo, non
riuscii a pensare a niente. Sentivo vagamente che nel mondo c’era qualcun altro
oltre a lui, ma al momento non me ne
importava niente.
Era splendido
nell’armatura di Rohan, e più alto degli altri Cavalieri. Sull’elmo portava una
bianca coda di cavallo che si confondeva con i suoi lunghi capelli biondi, biondi
come i raggi di sole che illuminavano la sua terra. Aveva spalle larghe e
possenti, e le braccia che tenevano le briglie del suo cavallo bianco erano
robuste e muscolose.
Gli occhi azzurri
brillavano di sicurezza, sembrava invincibile, un giovane dio nordico della
guerra sceso a combattere a fianco dei mortali.
Tale mi parve Éomer
figlio di Éomund, Signore del Mark, Re di Rohan, il primo giorno che lo vidi.
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Grazie mille a tutti quelli che hanno
recensito, ricordato, seguito, preferito o letto questa storia. (Arwins, Sesshy94, Nini Superga)
Prometto che risponderò sempre a tutti
coloro che gentilmente mi recensiscono, spero che le anime pie che hanno
commentato il primo capitolo abbiano ricevuto la mia risposta alla loro
recensione.
Vi prego, ditemi qualcosa sulle sorelle, ho
cercato di caratterizzarle in queste poche righe ma non so se ci sono riuscita.
Nel prossimo capitolo anche Éomer dirà qualcosa, lo prometto. Solo che è molto
difficile renderlo in una situazione del genere senza stravolgere il
personaggio.
Spero di non star distruggendo il libro per
cui ho una venerazione assoluta.
Sarei rimasta a
guardarlo per sempre, mi sembrava che non avrei più
potuto ammirarlo così, sfolgorante nel sole del mattino, circondato dai suoi
cavalieri.
Ruppe l’incantesimo
il sommesso ma udibilissimo “Uh-uh, niente male” di Mathrel. Sentii anche il
suono secco e severo del nocchino che le aveva tirato
Imhlen.
Éomer mi aveva
guardata con soddisfatto rispetto, mi sussurrò Imhlen mentre
il mio futuro sposo voltava il cavallo e gridava:
“Suonate i corni!
Suonate i corni per Lothíriel figlia di Imrahil,
Principessa di Dol Amroth, prossima Signora del Mark!” E sentii in quelle
parole ciò che io avevo espresso con il mio sguardo meravigliato e ammirato:
l’approvazione.
E gli Eorlingas suonarono forte i loro corni,
e tutto il Mark suonò per me, e ne fui felice. Mi sentivo come in un sogno. Poi
uno scudiero di Éomer mi portò vicino una stupenda giumenta pomellata, bardata
come il cavallo di Éomer. Queste furono le prime parole che mi rivolse il mio futuro marito:
“Vieni,
monta su Stellagrigia, te la regalo. Essa è un cavallo purosangue di
Rohan, ed è lontanamente imparentata con la stirpe dei Mearas. Cavalca al mio fianco!”
Aspettò che il suo
scudiero mi avesse aiutata, anche se non ne avevo
bisogno, a scendere e a risalire, poi gli affidò il cavallo che montavo prima.
La éored iniziò a galoppare all’unisono, e
Stellagrigia li seguì da sola, senza che io dovessi fare niente. E dalle schiere dei Rohirrim si levò un canto gioioso:
Suonate i corni, per la nuova Signora del
Mark!
Principessa dal Mare lontano,Lothíriel
figlia di Imrahil
dono di pace da Éomer conquistato!
Molto hanno combattuto i figli di Eorl in quest’Era
Sfidando la morte e l’ombra nera.
Théodene Théodred ed Éomer ed Éowyn,
il vessillo verde e bianco ha
trionfato,
l’ombra l’assalto ha ritirato!
Cantate, per la nuova Signora del Mark!
Che sia un giorno gioioso,
sangue elfico e marino per la Casa
di Eorl!
Dopo tanta sofferenza
arrivano
giorni di speranza!
Cantate, suonate i corni, per la nuova
Signora del Mark!
E così cantando i Cavalieri di Rohan partivano,
trascinando anche la nostra carovana nel loro galoppo armonioso e veloce. “Che meravigliosa accoglienza” mormorò Imhlen al mio fianco.
“Degna di una regina dei tempi perduti”
“Che
meravigliosi Cavalieri” le fece eco Mathrel. “Tutti così biondi.”
“Non cambierai mai,
Math” la rimbeccò Imhlen.
Éomer, che
cavalcava davanti a noi tre, accanto a mio, si girò un secondo, incrociando il
mio sguardo. Mi rivolse un largo sorriso, poi si volse e spronò il suo cavallo Zoccofuoco.
Io, che mi stavo incominciando a riprendere dall’emozione di averlo visto per
la prima volta, ammutolii di nuovo e continuai a fissare trasognata la sua
schiena.
“Così non puoi
andare avanti, Lothi” disse Mathrel. “Insomma, ci devi passare tutta la vita
con questo Éomer, e se ogni volta che ti guarda rischi di svenire, dubito che
gli sarai di molta compagnia”
“Mathrel ha
ragione, Lothi”esordì Imhlen. Mathrel le lanciò un’occhiata sorpresa.
“Davvero?” chiese.
“Questa volta sì.
Su, Lothi, devi farti coraggio e cercare di essere te
stessa. Non ti sei ridotta così neanche quando nostro
padre era assente e tu e la mamma avete ricevuto quel messo traditore che
diceva che Minas Tirith aveva ceduto e avremmo fatto meglio a mandare ingenti
tributi al Nemico per salvarci! Non puoi svenire se Éomer ti sorride. Cerca di
dimostrare che nostro padre ha fatto bene a scegliere te per essere Regina.”
Le parole di Imhlen mi scossero. Mi raddrizzai la schiena e cercai di
assumere un’aria più dignitosa, specialmente dopo che i Rohirrim avevano
cantato in mio benvenuto.
Vidi che mio padre
mi stava facendo segno di avvicinarmi a lui e a Éomer.
“Vado?” chiesi alle
mie sorelle.
“Vai!” mi risposero
in coro, d’accordo, almeno questa volta.
“Lothíriel, stavamo
parlando di come sta prosperando Rohan dopo la
sconfitta del Nemico. La nostra terra non ha sofferto tanto
per la guerra, ma qui il Nemico, nella forma del traditore Saruman, ha
causato molti danni”
“Il Mark si sta riprendendo
bene” disse Éomer. “Nella scorsa primavera le ferite della terra incominciarono
a guarire quasi miracolosamente, e la mia gente tornò a vivere nell’Ovestfalda.
Le tracce che gli Orchi avevano lasciato furono ricoperte dall’erba verde, e
nonostante le amarezze appena passate il popolo si è messo
al lavoro per far tornare il Mark allo splendore e alla prosperità di prima.”
“Non dubito che
tutto questo sia anche merito tuo, Éomer.”
Il Signore del Mark
non rispose, ma si voltò verso di me e mi chiese:
“Ti piace la mia
terra, Principessa di Dol Amroth?”
“Molto” risposi
guardandolo negli occhi. Mi sembrava che avendomi rivolto la parola avesse
messo in fuga la paura che mi avvolgeva. “Mi pare morbida e insieme resistente,
sconfinata e verde. Mi sembra che un Cavaliere possa galoppare all’infinito su
queste praterie e essere sempre felice, libero come il
vento e sicuro come la roccia.” Mi accorsi che mio padre aveva aspettato le mie sorelle ed era indietro con loro.
“Hai detto un
Cavaliere, ma te? Una Principessa come te potrebbe
essere felice qui?”
“Si…si, Signore del
Mark, io potrei essere felice qui.”
“Mia sorella non lo
era. Si sentiva prigioniera, e adesso vive lontano.”
“Erano tempi
diversi, e io non sono coraggiosa né abile quanto la
Dama dal Braccio di Scudo. Io potrei amare le terre di Rohan come se fossero la
mia patria, ma il Mare…non dimenticherò mai il Mare.”Mi interruppi,
temendo di averlo offeso.
“Non ho mai visto
il Mare”disse lui scrollando le spalle. “Ma so cosa
significa essere trattenuti lontani dai luoghi che si ama di più. Farò in modo
che tu possa trovare in Edoras una nuova casa.”
“Grazie, Sire.”
“Chiamami Éomer.
Éomer è il nome che mi è stato dato quando sono nato,
non Signore del Mark o Re di Rohan. Sono gli stranieri che mi chiamano così, e
tu non sarai a lungo una straniera nel Mark. E tu, non
hai un nome un po’ più corto di Lothíriel, Principessa di Dol Amroth?” Io feci
un piccolo sorriso.
“A casa mi chiamano
Lothi” risposi. “Lothi è un nome abbastanza corto.”
“Va bene. Lothi mi piace.”
Restammo un po’ in
silenzio, poi Éomer cavalcò avanti alla testa della sua éored e io restai sola in mezzo a quei cavalieri. Éomer mi piaceva, mi accorsi. Era vero, non sorrideva spesso e non
era raffinato come mio padre o i gentiluomini della mai corte, ma mi sembrava onesto
e saldo, e perché no, anche bello. Ma da qui a
innamorarmene c’era molta strada. Sarei mai riuscita ad innamorarmi veramente
di mio marito o avrei condiviso il resto dei miei giorni con un uomo che non
amavo?
Arrivammo a Meduseld
nel pomeriggio, dopo una breve ma allegra sosta su una collina di soffice erba all’ora di pranzo. Ebbi modo di osservare come i Cavalieri
fossero affezionati a Éomer, e di quale ammirazione
fosse oggetto. Incominciavo già a sentirmi fiera di lui.
Il Palazzo d’oro
era impressionante e bellissimo. La gente era assiepata ai nostri lati della
strada mentre io, le mie sorelle, mio padre, Éomer e le nostre guardie
personali risalivamo la collina verso la reggia.
“Éomer! Éomer Éadig!”
gridavano gli abitanti di Edoras. “Re Éomer è tornato
con la Principessa venuta dal Mare!”
“Cosa
vuol dire Éadig?”chiesi allo scudiero di Éomer.
“Vuol dire
benedetto” rispose quello. “Sotto il suo comando Rohan, dopo la caduta del
Nemico, sta prosperando come non mai, e la gente ha iniziato a chiamarlo Éadig,
benedetto, dal fato e dai Valar.”
“Grazie di avermelo
spiegato.”
“Prego, Signora.”
In cima a una collina c’era una terrazza di pietra dove da una
fontana a forma di due teste di cavallo zampillava acqua gorgogliante, e poi le
robuste porte dorate e il salone dal pavimento istoriato con pietre
multicolori, che formavano disegni serpeggianti e rune ramificate. Anche le colonne erano riccamente scolpite, e dalle pareti
pendevano splendidi arazzi, uno dei quali rappresentava Eorl il Giovane che
galoppava verso la Battaglia del Campo di Celebrant. Fuori, al sole su una
terrazza retrostante, alcune donne dalla chiome grigie
stavano tessendo un nuovo grande arazzo, che raffigurava Théoden, Éomer ed
Eowyn che galoppavano verso i Campi del Pelennor. Quando si accorsero che le
stavo osservando, si alzarono e si inchinarono, poi si
rimisero al lavoro.
La sera ci fu un grande banchetto.
Il grande salone del trono era stato riempito di tavoli e al
centro c’era un tavolo più grande degli altri, dove sedevamo noi di Dol Amroth,
Éomer e suoi luogotenenti. Avevo conosciuto Gamling il Vecchio, che aveva
combattuto la Battaglia del Fosso di Helm. Ero curiosa di conoscere questa
gente di Rohan, e mi ripromisi di imparare quanti più nomi era
possibile. Furono cantate canzoni nella lenta lingua del Mark e Mathrel e
Imhlen si esibirono in un ballo della nostra tradizione, che chiamavamo
il “Ballo delle Onde” perché si dondolava e ci si muoveva come i flutti del
mare quando iniziano ad agitarsi. Furono molto apprezzate, anche perché le
avevo sciolte dalla promessa di vestirsi male e portavano entrambe gli abiti
che avevano portato da casa, splendenti e brillanti. Anch’io ero vestita del blu di Dol Amroth, ma non seguii
subito le mie sorelle nei loro balli. Infatti Mathrel
aveva convinto due giovani di Rohan a danzare con loro un ballo che conoscevano
entrambi, sia la mia gente che quella di Éomer batteva le mani e i musici
stavano dando il meglio di sé stessi. Era tutto bellissimo, e mi sembrava che
non avrei mai potuto eugugliare Imhlen e Mathrel. Mi andava bene di stare
seduta al fianco di mio padre ed Éomer a guardarle. Senonchè Mathrel si
avvicinò volteggiando a noi, e sorridendo mi costrinse ad alzarmi, poi chiese a Éomer di ballare con me sotto i nostri sguardi attoniti.
Lui si alzò di malavoglia, e così ballammo insieme, e anche se lui in realtà
non era molto bravo, fu divertente.
“Ma tua sorella è
sempre così?” mi chiese mentre danzavamo.
“Si, e non cambierà
mai.”
“Che
strana ragazza. Le donne di Rohan sono molto diverse da voi.”
Non sapevo se fosse un complimento o un commento seccato.
Quella notte, la
prima della mia vita che passai a Edoras, dormii insieme alle mie sorelle nella
camera che era stata di Eowyn. In realtà Éomer aveva
dato una camera per una anche a Mathrel e a Imhlen, ma
loro avevano rifiutato graziosamente.
Io e Imhlen eravamo
già sotto le coperte, invece Mathrel stava ancora ballando al suono di una
musica immaginaria. Sebbene Imhlen fosse la più brava
a danzare, Mathrel metteva più entusiasmo in questo tipo di balli in compagnia.
“Mathrel, vai a
letto” le ordinò Imhlen. “Prenderai freddo.”
Mathrel si coricò
nel letto accanto al mio, ma non aveva alcuna intenzione
di dormire.
“Che
giornata interessante!” esclamò. “Éomer è così diverso da gli
uomini della nostra patria, ma è bello, no? Mi sembra più forte. Non è niente
male, no davvero.” Io le lanciai un’occhiataccia. “Non
voglio mica rubartelo, Lothi! Dico solo che mi piace, come cognato, intendo”
“Quando
sarà il matrimonio, Lothi?” chiese Imhlen.
“Il primo maggio,
fra quindici giorni. Éomer ha detto che verrà anche Eowyn e persino Re Elessar”
“Che
bello, Lothi! Avrai un matrimonio stupendo.”
“Ma
io non amo Éomer” sospirai.
“Come potresti
amarlo? Lo conosci da un giorno.” Mi disse Imhlen. Non
risposi, ma mia sorella sporse un braccio fra i nostri letti e mi strinse una
spalla. “Lo amerai, Lothi. Vedrai.”
……………………………………………………………………………………………………………………
Ecco, il Signore del
Mark è entrato in scena! Che ne dite? Lo so che non è
ancora molto approfondito, ma d’ora in poi mi focalizzerò soprattutto sul
rapporto LothiÉomer. Mathrel e Imhlen continuano a
piacervi?
Spero che sarete comprensive (o comprensivi
se c’è anche qualche signore fra i miei lettori)con Lothi che si sta dimostrando meno
coraggiosa di uello che credeva lei stessa, ma è un’evento molto importante
nella sua vita e lei in fondo non è che una ragazza ventitrenne. =)
Sempre mille grazie a coloro che mi leggono
e soprattutto recensiscono.
In quindici giorni
le sarte di Edoras aggiustarono per me il vestito che
aveva indossato Théodwyn, madre di Éomer, il giorno del suo matrimonio con
Éomund. Lo dovettero accorciare un po’ perché non ero alta come una donna di
Rohan, ci aggiunsero un lungo strascico e nastri sulle spalle. Era di un
luminoso verde chiaro, ed fu il primo vestito da
Signora del Mark che ebbi. In quei giorni avevo indossato i miei vestiti che
avevo portato da casa, ma qualche giorno prima del
matrimonio indossai un bel vestito bianco, dono della moglie di Gamling, per il
mio compleanno, il ventidue aprile. Regalò vestiti simili, ma di un ricco
rosso, anche alle mie sorelle.
Iniziavo a essere nervosa come prima di incontrare Éomer, mi tenevo
occupata ricevendo tutti gli ospiti che arrivavano alla reggia. Giunsero
Faramir ed Eowyn, Re Elessar, nobili dell’Est e Ovestfalda, persino i Cavalieri
di Estemnet.
Non tutte le sere ci furono banchetti allegri
come quello della prima sera, spesso Éomer, Aragorn, mio padre, Faramir e altri
si chiudevano nella piccola sala dietro il Salone del Trono discutendo di
guerra e delle ultime frange di Orchi, Esterling e
Sudroni che vagavano uccidendo e compiendo razzie. Éomer non mi era mai parso
molto allegro, ma dopo queste riunioni diventava
ancora più cupo del solito. Poi montavano a cavallo e partivano, non ritornando
che qualche giorno dopo. Mi faceva male il cuore a vederli cavalcare via pronti
per la guerra.
“Ma Éomer è sempre
così?” chiesi a Eowyn un pomeriggio, mentre stavamo
sedute di un prato appena fuori Edoras. Le mie sorelle erano rimaste a Meduseld
a provare i loro vestiti. Stellagrigia e il cavallo di Eowyn
pascolavano accanto a noi.
“Quando
nostro padre era vivo Éomer era di carattere più gioioso, ma dalla sua morte si
è incupito e non è mai tornato come prima. Siamo stati costretti a crescere in
fretta, Éomer è diventato Terzo Maresciallo del Riddermark a ventisei anni, ma era un guerriero già da prima. Cavalcò in guerra la prima
volta a sedici anni, e non ha mai smesso. Grìma Vermilinguo lo chiamava “guerrafondaio” ma lui combatte per difendere Rohan; anche in
questi giorni di pace non si concede che pochissimo riposo.” Tacque e poi
sorrise. “Capisco le tue preoccupazioni, ma non è cupo perché ti deve sposare.
Anzi, penso che questo lo rallegri.” Tirai un sospiro di sollievo.
“Ne sono felice, ma
mi preoccupa che la minaccia su Rohan sia ancora di tale portata. C’è la
possibilità di una vera e propria guerra?”
“No, non credo. A ogni modo questi nemici vanno eliminati il più velocemente
possibile.”
“Certo.”
Tornammo a Edoras
poco dopo, e Imhlen mi disse che Éomer desiderava vedermi.
“Benissimo, lo
vedrò a cena.”
“No, intendeva solo
te e lui.” Sobbalzai. Non avevo parlato con Éomer da sola dal giorno del nostro
arrivo. Avevamo conversato e ballato, ma sempre insieme ad
altri. In effetti era assurdo che io non fossi mai
stata da sola con il mio futuro marito fino ad adesso, ma Éomer mi sembrava
sempre così occupato e lontano.
“Dov’è?”
“Ha detto che ti
avrebbe aspettato fuori dalle porte di Edoras. Ha
suggerito di prendere Stellagrigia. Lothi, lo so che hai paura di non sapere che
dire, ma vedrai che andrà tutto bene. Io e Math ti aspettiamo
qui.” Così diedi una mela a Stellagrigia e lei trottò fino al cancello di Edoras.
Lì fuori Éomer
aspettava immobile, in sella a Zoccofuoco, guardando il sole avviarsi a
tramontare. Indossava ancora l’armatura, erano tornati da poco, però non aveva
l’elmo. Il tramonto gli coronava il capo di luce rossa, facendolo apparire più
regale che mai.
“Éomer?”
“Ciao, Lothi.”Mi
chiamava sempre Lothi, da quando gli avevo detto che a
casa il mio nome era questo. “Vieni, ti voglio far
vedere una cosa.” Così cavalcammo in silenzio verso dei tumuli, che avevo notato già dal giorno in cui eravamo arrivati, nove
sul lato occidentale e otto sul lato orientale. “Queste sono le tombe dei miei
avi e di mio zio Théoden, che fu per me come un padre.
Un giorno qui sarò seppellito anch’io, nel luogo del riposo finale di tutti i
Signori del Mark. Vedi i fiori bianchi che crescono sui tumuli? Si chiamano
ricordasempre, perché chi li veda non scordi i grandi che lo hanno preceduto.” Io annui in silenzio. “Io, come loro, sono il sovrano di
un popolo spietato, siamo guerrieri e cavalieri, non Principi mezzielfi come
tuo padre. Tu stessa sei qualcosa di profondamente diverso da una Dama di
Rohan, sembri una Signora elfica, qui sei come una stella prigioniera nella
roccia.” Ascoltavo quelle parole
stupita. “Io so che tu non mi ami, e come
potresti? Ci conosciamo appena. Eppure, Lothi” si interruppe
e, voltatosi verso di me, il suo volto severo si ruppe in uno dei suoi rari
sorrisi. “Eppure tu mi piaci. Forse ti amo di già, e
sono felice che tu stia per diventare mia moglie. Se io fossi un Re come
Aragorn, probabilmente ti offrirei, per amor tuo, la possibilità di tornare a
casa dalla tua gente, evitando questo matrimonio politico, e sceglierei
una moglie fra le donne del mio popolo.” Non sorrideva più.
“Mi vuoi mandare
via, mio signore?” chiesi, sgomenta mio malgrado.
Ormai mi ero abituata a una vita qui, e sarebbe stato
il mio modo di contribuire alla pace della Terra di Mezzo, offrendomi come
legame d’alleanza fra Dol Amroth e Rohan.
“Ho detto che lo
farei se io fossi un Re come Aragorn Elessar. Ma poiché non lo sono, non ti
farò questa offerta. Ormai sei vincolata a restare al
mio fianco. “ Le stelle bianche stavano sbocciando sopra di noi. “Questo ti
dispiace, Lothi?”
“No, mio signore
Éomer.”
Allora Zoccofuoco
si accostò a Stellagrigia, ed Éomer mi strinse al suo fianco con un braccio
coperto dalla cotta di maglia. Soffiò un vento gentile e mescolò insieme i
nostri capelli, biondi e corvini nella notte che stava calando.
La sera del giorno
prima del matrimonio Éomer sparì prima di cena con Re Aragorn, Gamling, Elfhelm
e altri Uomini suoi amici. Le donne di Edoras mi
dissero che era una cosa normale.
Io mangiai poco e
mi ritirai in camera con Mathrel.
“E così arriva il grande giorno” disse lei sedendosi sul letto. “Dalla tua
faccia sembra che tu debba combattere da sola contro una schiera di Esterling ribelli.”
“No, sono felice.”
Ribattei, ed era la verità. Certo, ero preoccupata e sovraeccitata, ma anche
felice.
In quel momento
entrò anche Imhlen, che lanciò un’occhiata sospettosa a Mathrel, poi mi chiese
come stavo.
“Bene, penso; ma
cos’hai, Imhlen? Sei strana.”
“Niente…senti, Mathrel ti ha detto qualcosa?”
“Stavo per dirglielo”
interloquì Mathrel, sporgendosi dal suo letto.
“Ecco” mi sussurrò
Imhlen in fretta. “Qualunque cosa ti stia per dire,
sono tutte sciocchezze. Non la ascoltare. Io le impedirei di parlare, ma
purtroppo non trovo nessuno che mi presti una spada.” Io
la fissai incuriosita.
“Di che state
parlando?” chiesi.
“Senti, Lothi…hai
mai baciato nessuno?” esordì Mathrel guardandomi di sottecchi. Imhlen sospirò e
si lasciò cadere sul suo letto.
“Si, una volta,
quando avevo sedici anni, mi ero innamorata di uno scudiero di nostro padre, e
alla fine ci baciammo. Perché?”
“Fu solo un bacio,
vero? Niente di più.” Proseguì Mathrel ignorando la mia domanda. Imhlen affondò
il viso nel cuscino sdegnata.
“Si…la mamma ci
vide e mi fece una tale lavata di capo che me la ricordo
ancora parola per parola. Urlò che non avrei potuto più baciare nessuno fino al giorno in cui mi…mi sarei sposata.” Iniziavo a capire
cosa di cosa volesse parlare quella piccola serpe di
mia sorella. “Io le ho ubbidito” aggiunsi.
“Invece, sai, io ho
baciato un sacco di uomini, e non mi sono mai fatta
scoprire. Così ho imparato molto sull’argomento.”
“Taci, Math, adesso
basta” la redarguì Imhlen.
“Quindi ti volevo
offrire la mia esperienza nel caso la notte…con Éomer…” a quel punto Mathrel fu
presa da un accesso di risa che durò molto a lungo, mentre io e Imhlen la fissavamo scandalizzate.
“Ti avevo detto di
non ascoltarla” mi disse Imhlen. “E’ da un paio di
giorni, che quando tu non ci sei, discute di
quest’argomento. Da sola, perché io non le dò certo
ragione. Buonanotte” concluse, e lasciando Mathrel a contorcersi dalle risa sul
suo letto, cacciò la testa sotto le coperte e non proferì più parola.
“Allora, Lothi, non
vuoi i miei consigli?” mi domandò a bassa voce Mathrel quando
si fu ripresa.
“No davvero” risposi
seccamente.
“Non ci credo”
ribattè “E’ Imhlen che ti ha condizionato.”
“Mathrel, sul
serio!” e detto questo, seguii l’esempio di Imhlen. Ma
mia sorella non si dette per vinta, e accoccolatasi vicino al mio cuscino mi
sciorinò una serie di consigli e avvertimenti che non ripeterò.
La mattina del
primo maggio il sole sorse presto e fu luminoso fin dai primi raggi.
La terrazza davanti
al palazzo era decorata con numerosi vessilli sia di Rohan che di Dol Amroth,
le guardie avevano lucidato le armature e si erano pettinate i lunghi capelli
biondi. Sentii una delle ragazze che si occupavano di me e delle mie sorelle
dire a una sua amica: “Non è strano fare tutta questa
festa per un matrimonio? Voglio dire, anche se si sposa il re, non è uso che ci sia tutta questa solennità” l’altra le rispose così:
“Sarà perché è una
principessa straniera mezzaelfa. Hai visto come sono strani loro! Magari usano
fare sempre così per i matrimoni.”
Mi lasciai vestire
dalle mie sorelle con l’abito di Théodwyn, bellissimo e splendente, dello
stesso verde dell’erba appena nata dopo un lungo gelo. Mi pettinarono a lungo i
capelli e li legarono sulla nuca con nastri bianchi e fiori, tranne alcuni
riccioli che lasciarono ombreggiarmi il viso.
Mi accorsi che
entrambe avevano gli occhi umidi.
Infine, a
mezzogiorno, mi scortarono sulla terrazza. Eowyn mi porse un mazzo di fiori
bianchi che aveva preparato per me, sentii il profumo
dei gigli fra le mie mani. Strizzai gli occhi alla luce improvvisa. I Cavalieri
in armatura formavano un corridoio alla fine del quale c’era Re Aragorn,
vestito con abiti elfici.
Éomer era
bellissimo.
Indossava
l’armatura che era stata forgiata per lui quando era
diventato Re e i suoi capelli, così biondi, splendevano nella luce di quel
giorno meraviglioso. Ma ciò che mi rese felice fu
vedere il suo volto sereno, non rannuvolato e severo com’era di solito. In quel
momento, anche se non era vero, credetti di amarlo, quel giorno era speciale.
Così, davanti a Re
Aragorn, mio padre disse:
“Éomer figlio di
Éomund della Casa di Eorl,Re di Rohan, Signore del Mark, io ti affido
mia figlia Lothíriel, Principessa di Dol Amroth, discendente di Galador il
Mezzelfo, in sposa.”
“Ed io la accetto con tutto il cuore, davanti ai miei Cavalieri e a
Re Elessar Telcontar, Signore di Gondor.”
“Siate per sempre
uniti, nella pace dopo giorni bui, e siate il simbolo dell’amicizia che regna
fra i vostri paesi.” Disse Re Aragorn, ed io mi
accorsi che stavo piangendo, e sentivo i singhiozzi delle mie sorelle dietro di
me. “Piangi pure, Lothíriel, perché questo è un giorno
molto felice. Bevete, Lothíriel figlia di Imrahil e
Éomer figlio di Éomund.” Ci porse una coppa piena di vino rosso e io e Éomer
bevemmo uno dopo l’altra, e così fummo marito e moglie
nel Regno del Mark e nella Terra di Mezzo. Allora Éomer mi prese fra le braccia
e mi baciò, e anch’io lo baciai sotto il sole di quel
mattino stupendo del primo maggio. La gente applaudì e io lanciai il mio mazzo
di fiori in alto, lo prese al volo Imhlen, e sorrise fra le lacrime.
Poi mi inginocchiai e Éomer mi pose sulla testa una sottile
corona d’argento sbalzato. “Io, Éomer Signore del Mark, nomino te, Lothíriel di
Dol Amroth mia moglie, Signora del Mark. Alzati, Lothíriel, mia regina!”
Ci furono balli e
canti, baci e abbracci di molte persone, e vidi Éomer sorridere spesso, come
non l’avevo mai visto fare. Io e lui sedemmo accanto al banchetto, e davanti a
noi mio padre e Eowyn e Faramir e tutti coloro che ci
erano cari, e fu un giorno gioioso per noi e per molti altri. Mentre veniva servita la carne, Imhlen si sporse verso di me e mi
sussurrò: “Anche senza tutti i vaneggiamenti di Math, è stato un bacio
bellissimo.” Io le sorrisi allegramente.
I festeggiamenti
durarono tutto il giorno, e si conclusero con un coro
di fanciulle che cantò un inno antichissimo nella lingua del Mark, che così tradussi
nella Lingua Corrente giorni dopo, con l’aiuto della mia cameriera Falmer e del
libro che mi aveva regalato Lamrai.
Fanciulla
più non sei, giurato hai
che con lui la vita passerai
Sii felice, donna, e rendilo felice
E sii forte, per te e per lui
Quando i giorni non saranno più luminosi
Fidati solo di lui nei giorni paurosi
Abbi fiducia nella sua forza e nel tuo
coraggio
Nella tua anima e nel suo braccio
Continua a camminare al suo fianco
Difendilo quando sarà stanco
Non dubitare del tuo cuore
Non dubitare del suo amore.
La sera stava
calando e dopo l’ultimo ballo, nel quale io ed Éomer ci eravamo
lanciati contagiati dall’entusiasmo di Mathrel e Elfhelm, mi diressi verso la
mia camera approfittando di un momento di distrazione da parte di mio marito,
che discuteva a bassa voce con Elfhelm. Ma fui
raggiunta dalle mie sorelle, che mi sbarrarono il passo con aria decisa. Mi
preoccupai, perché ci voleva qualcosa di serio per farle unire in un tale
fronte compatto.
“Cosa
stai facendo?” mi aggredì Mathrel.
“Sto andando a
dormire” risposi.
“Lothi, stasera non
puoi dormire qui. Devi…dormire in camera di Éomer.”disse
Imhlen.
“Proprio
così”ripartì Mathrel. “Forza, ti accompagniamo noi. Ti ricordi cosa ti ho detto
ieri sera? Ebbene, non dimenticarlo.”
“Non lo so, perciò
non posso dimenticarlo.”Ribattei
mentre le mie sorelle mi trascinavano fino alla porta della camera di
Éomer e mi gettavano dentro.
“Domani ci
racconterai tutto.” Ridacchiò Mathrel mentre si
allontanavano. “Se provi a scappare ce ne
accorgeremo!”
“Penso che dovrò
rimanere, allora.” In realtà avevo capito benissimo tutto quello su cui Mathrel
mi aveva premurosamente informato, ma non ero sicura di volerci pensare. Così
mi misi a osservare la camera. C’era una piccola
finestra da cui entrava la luce della luna crescente. Conteneva solo un grande letto dalle pesanti coltri rosse, una sedia accanto a
questo, un armadio e dei ganci alle pareti dov’erano andavano riposte le parti
dell’armatura e la spada di Éomer, Güthwine. Curiosa, sbirciai fra gli oggetti
appoggiati sulla sedia. C’era un pugnale dalla magnifica impugnatura a forma di
testa di cavallo e due lettere aperte. Una recava il sigillo spezzato del cigno
bianco, avrei voluto leggerla, ma la posai, sentendo un rumore di passi
maschili. Mi sedetti sul letto e iniziai a sciogliermi i capelli, facendo
cadere fiori ormai appassiti sul pavimento. La porta cigolò, aprendosi. Io
presi un profondo respiro e guardai verso colui che
quel giorno era diventato mio marito, Éomer Signore del Mark.
Che ne dite del matrimonio? E la scena davanti ai tumuli è troppo melensa e sdolcinata?
Come al solito,
pietà per la canzone che è particolarmente indegna stavolta.
Sempre grazie infinite a tutti coloro che leggono la mia storia e soprattutto a quelli che
la rencesiscono, con una puntualità e una fedeltà davvero ammirevoli. Le mie
tre fedelissime Arwins, Nini Superga e Sesshy94 si meritano un ringraziamento
speciale. (In realtà vi meritate molto di più,
chiedete e sarete esaudite)
Mi dispiace per il capitolo
insopportabilemten lungo, ma non sapevo dove
interromperlo.
La mattina dopo
aprii gli occhi ai primi raggi del sole dorato che entravano dalla finestra.
Illuminavano il mio vestito stupendo, gettato con noncuranza sulla sedia. Sospirai
piano per non svegliare Éomer. Mi sembrava un momento magico,
il suo viso dormiente era tranquillo e sereno. Ero raggomitolata accanto
a lui, la testa sulla sua spalla muscolosa. La sua grande
mano era abbandonata sui miei capelli arruffati, sul cuscino le nostre chiome
mescolate creavano uno strano effetto screaziato. Tirai la
coperta più su sulle nostre membra nude e sensibili all’aria fredda del
mattino, stringendomi ancora di più nel caldo incavo del suo fianco. Mi
sentivo deliziata, ma illanguidita, come persa in un mondo di sogno, e anche
stanca, poichè io in genere la notte dormivo. Accarezzai lentamente una ciocca
di capelli biondi che mi spioveva sul viso, poi mi riaddormentai pigramente,
sentendo l’odore di Éomer sopra di me.
Quando mi risvegliai lui non c’era, in compenso un
ricco vassoio della colazione era appoggiato sulla sedia. Mi sentii triste all’improvviso, persa come una bambina senza il
padre.
“Ha detto che non
sarà sempre così” la voce insopportabilmente petulante di Mathrel si fece
strada nella mia mente intorpidita. “Ha detto che solo per oggi ti ha fatto
mandare la colazione in camera, perché gli sei sembrata…ecco…spossata” potevo
vedere il rossore accenderle le guance. Allora un qualche pudore le era
rimasto.
“Lasciala stare.” Imhlen entrò titubante, parlando a bassa voce. “Come ti
senti?”
“Non male, ma strana.”dato
che le mie sorelle mi fissavano con gli occhi sgranati, aggiunsi: “Intontita.
Stanca.” Sperai che si accorgessero da sole che non desideravo
la loro presenza in quel momento.
“Vieni,
Math, lasciamola sola.” Disse infatti Imhlen.
Mathrel le ubbidì, ma non seppe trattenersi dal mormorare, prima di lasciare la
stanza:
“Se
si sente così, è perché non ha dormito neanche un minuto stanotte. Éomer
dev’essere uno che si dà da fare, non è vero, Lothi?” la scacciai
con un cenno, disperata per quella sorella senza un minimo di ritegno. Dopo
aver fatto un’abbondante colazione, mi alzai, chiamai la cameriera Falmer
perchè cambiasse la lenzuola e mi vestii con uno degli
abiti che avevo portato da casa. Sentii una fitta di nostalgia pensando a Dol
Amroth, ma la scacciai scrollando la testa. Avrei voluto che Éomer avesse aspettato il mio risveglio accanto a me, anche se
sapevo che non aveva certo tempo da perdere a guardarmi dormire.
“Falmer?”chiamai la
donna. Aveva trentotto anni, il viso serio ma buono.
“Si, mia signora?”
esitai. Non sapevo come porre la mia domanda senza apparire spaesata come mi
sentivo. Mi feci coraggio e le chiesi:
“Cos’è che fa in
genere una Regina qui a Edoras? Mia madre si limitava a curare l’organizzazione
del palazzo, e non so se qui le cose siano diverse.”
“Mi sa che voi
avrete anche altri compiti, mia signora. Spesso le mogli dei Re danno udienza
ai sudditi, ma curano anche l’andamento di Meduseld e in assenza del Re
governano il regno. Potete chiedere al Re a pranzo.”
“Si, grazie,
Falmer. Dov’è adesso?”
“Mi dispiace, mia
signora, ma è uscito a cavallo con Sire Aragorn e vostro padre.”
“Non c’è, quindi.”
Mi sentii delusa e abbandonata. Speravo che, essendo sposati, avremmo potuto
condivere qualcos’altro oltre che il letto e qualche sporadica conversazione all’ora dei pasti. Anche se non
morivo d’amore per lui, era pur sempre mio marito.
“Torneranno
presto, mia signora, vedrete. Comunque nessuno
si aspetta che voi facciate grandi cose stamattina.”
“Ma desidero fare
anch’io qualcosa di utile.” Mi venne un’idea. “Dove posso trovare quelle tessitrici che stanno facendo il
nuovo arazzo?”
“Fuori al sole,
sulla terrazza. Ma mia signora, non è necessario che voi vi mettiate a lavorare
subito.”
“Non ti
preoccupare, Falmer. Farò ciò che è in mio potere fare.”
Così dicendo mi sentii un poco più regale che all’inizio della conversazione.
Salutai la cameriera e mi misi in cerca delle mie sorelle: le trovai che stavano iniziando a radunare le loro cose nella
camera. Smisero appena si accorsero di me e mi fissarono con aria colpevole.
“Partiamo fra tre
giorni” disse infine Imhlen stringendosi nelle spalle.
“Così presto?”
“Ormai sono passati
sei mesi da quando siamo partite” mormorò Mathrel.
“Nostro padre è assente da casa da troppo tempo.” Era
vero. Per un motivo futile come il mio matrimonio, il Principe era stato
lontano per sei mesi da Dol Amroth. Rassicurai le mie sorelle dicendo loro che
non ero assolutamente né arrabbiata né triste.
“Stavo andando fuori
a vedere le tessitrici, venite con me?” A Mathrel e a
Imhlen le tessitrici interessavano, quindi recammo nel luogo nel quale le avevo
viste il primo giorno. E loro erano lì, tre anziane
donne curve sui telai nel punto più illuminato della terrazza.
“Vi posso aiutare?”
chiesi nella Lingua Corrente.
“Regina, noi siamo
le più abili tessitrici del Mark. Potresti eugugliare la nostra arte?” disse quella più vicina parlando con il pesante accento del
Mark, e mostrò un pezzo dell’arazzo già completato: Eowyn vestita da guerriero
che galoppava brandendo una lancia. Il disegno era realistico e i colori
vividi: mai avrei potuto realizzare una simile opera.
“No, non potrei. Ma
non c’è nient’altro che io possa fare?”
“In seguito avremo
bisogno di quel filo che vedi lì. Ma come puoi
osservare, è legato in matasse, e dovremo farne gomitoli. Potresti sederti
all’arcolaio e svolgere questo compito, ma è troppo
umile per te, Regina mezzaelfa, e per le tue sorelle Principesse.”
“No, lo faccio
volentieri.”risposi, e sistemata la prima matassa,un
bel filo di lana bianca, nei quattro bracci dell’arcolaio, la girai fra lo
strumento e le mie mani finchè non divenne un gomitolo perfettamente rotondo. Anche
Imhlen e Mathrel si misero al lavoro, Mathrel che faceva da arcolaio a Imhlen. Quei movimenti erano stranamente familiari,
centinaia di volte ci eravamo sedute sulla terrazza
comune alle nostre camere a sciogliere le matasse. Era rassicurante vedere che
nulla era cambiato, che ero la stessa ragazza che aveva fatto la maglia
canticchiando al mare, sebbene mi sentissi profondamente diversa.
Lasciai
chiacchierare Mathrel nonostante stesse continuando a fare insinuazioni su me e
mio marito, mentre Imhlen cercava inutilmente di chiuderle la bocca
soffocandola con un gomitolo.
“Insomma, se lei
non ci racconta niente, sono obbligata a immaginarmi
qualcosa, no?” si giustificava Mathrel tentando di evitare gli scappellotti di
Imhlen. “Per me non è un caso se Lothi ha delle occhiaie che le arrivano alle
ginocchia…Ahia!”
Trasformai, in una mattinata di lavoro, tutte le matasse in gomitoli,
mentre osservavo la terra di Rohan, ormai la mia terra, che si stendeva sotto
di noi. Conversai con quelle saggie vecchie e loro iniziarono a insegnarmi qualche parola nella lingua del Mark, che
dovevo imparare il più rapidamente possibile.
“Ecco Re Éomer!” Esclamò
all’improvviso la tessitrice più a sinistra. “Egli cavalca verso Meduseld
insieme al Re di Gondor e al Sire mezzoelfo.”
“E’ vero!” dissi,
inspiegabilmente felice. Il sole che aveva passato da poco l’apice
illuminava tre lontani cavalieri, potevo riconoscere da lontano il portamento
di mio padre e quello di Éomer. Ringraziai le anziane donne e loro
ringraziarono me, poi ordinai che venisse servito il
pranzo, in modo che i cavalieri in procinto di arrivare trovassero tutto
pronto. Poi andai ad aspettarli davanti al palazzo, mentre le mie sorelle
andavano a rassettarsi nella loro stanza.
“Sembrate
Dama Eowyn.”disse una delle due guardie delle porte. “Anche
lei soleva aspettare i Cavalieri davanti alle porte. Passava molto
tempo qui sola ad aspettare, la Dama dal Braccio di Scudo.”
“Io non aspetterò a
lungo” risposi. “Già scorgo il Re alle porte di Edoras.”
Mio padre, Sire
Aragorn eÉomer
giunsero galoppando ai piedi della collina, poi affidarono Zoccofuoco e gli
altri cavalli agli scudieri e si diressero verso di noi.
“Bentornati” li
accolsi. “Il pranzo è pronto.”
“Brava, Lothi”
mormorò Éomer, senza farsi sentire dagli altri due. Io gli
sorrisi e lo seguii all’interno di Meduseld.
“Dove vi siete
recati stamattina?” domandai mentre ci sedevamo a
tavola. Le mie sorelle sputarono dal buio e si unirono a noi, Faramir ed Eowyn erano andati a fare una passeggiata a cavallo.
“Siamo andati ad
incontrare dei messaggeri inviati dalle vedette stanziate sulle ultime
propaggini delle Montagne Nebbiose: una delle ultime sacche di resistenza degli Orchi ribelli si nasconde lì, e sembra che si stia
muovendo sempre più verso Isengard e l’Ovestfalda. Non possiamo permettere che
entrino a Rohan. Se quelle creature di Mordor mettono piede nella terra della
mia gente, le uccideremo tutte, come abbiamo fatto con i loro simili.” Éomer parlò bruscamente, con un’espressione strana in viso.
Vi leggvo la preoccupazione per il suo popolo, ma anche la
gioia feroce di poter combattere di nuovo.
Finito il pasto,
ordinai ai servitori di sparecchiare, poi cercai Éomer
e lo trovai in camera, che si slacciava i pesanti stivali. I lunghi capelli
biondi erano arruffati e in disordine.
“Te li pettino,
vuoi?” mi sorpresi a chiedergli. Lui mi guardò stupito.
“E’ da quando ero un bambino che nessuno fa questo per me.”
“Ciò non vuol dire
che sia un male” ribattei.
“Va bene, fai come
ti pare.” Mi lasciò sedere accanto a lui sul letto e sciogliere con il pettine,
e a volte con le mani, i numerosi e intricati nodi della sua chioma.
“Éomer, c’è una
cosa di cui desidero parlarti.” Gli dissi
mentre lavoravo con una ciocca particolarmente ingarbugliata. Lui fece
cenno di parlare. “Quali sono i miei compiti qui a Edoras? Cosa devo fare, in qualità di Regina?”
“Innazitutto
soddisfare il Re.” dichiarò, con un sorriso nella
voce. Io arrossii. “Ti devi occupare della direzione del palazzo e provvedere
al sostentamento della servitù e dei Cavalieri che dimorano qui. Poi dovresti
dare udienza ai cittadini di Edoras e dei dintorni che
portano piccole contese giudiziare che tu devi risolvere. Sii giusta ma
magnanima, non essere troppo severa con questi uomini che si stanno
risollevando da un periodo molto oscuro. Ovviamente le leggi vanno rispettate,
ma non essere troppo dura. Ma mi sembra che tu non
possa essere molto rigida con nessuno, non è così? Basta guardare la dolcezza
con cui tratti me, un rude soldato abituato solo alla guerra.”
Lo guardai meravigliata. “Le tue mani sono ferme, e io devo tornare a occuparmi degli affari del Regno.” Fece per alzarsi, ma
senza pensare gli afferraiil polso, trattenendolo.
“Cosa c’è?” incoraggiata
dalle parole che aveva detto prima, mormorai:
“E’ il nostro primo
giorno di matrimonio. Tu hai detto che mi ami, ricordi? L’hai detto davanti ai
tumuli dei tuoi antenati. Io vorrei…io vorrei che tu non mi lasciassi sempre
sola, almeno oggi.”
“Credevo di non
piacerti” ribattè Éomer, il tono ammorbidito che tradiva il viso indifferente.
“Non l’ho mai
detto. Non ci siamo certo sposati per amore, ma non ho mai affermato che tu non
mi piacessi.” La mia voce tremava leggermente. “Resta
ancora un poco, per favore. Mi sento sola e persa fra questa gente che non
parla la mia lingua!” Éomer riprese posto accanto a me e mi
strinse una spalla. “E le tue sorelle? E tuo padre? E la scorta che vi
accompagnato fin qui?”
“Non mi fanno
sentire meno spaesata qui a Rohan. Loro non sono di queste terre. Lo so che tu
sei molto occupato, però pensavo che almeno oggi…ma vai, non ti preoccupare per
me. Non voglio esserti di peso.” Éomer non rispose, non si alzò. Lentamente, come se fossi un oggetto
di cristallo molto fragile, mi sfiorò il viso, poi mi attirò a sé. “Grazie,
Éomer.” Bisbigliai al caldo fra le sue braccia
robuste.
“Anch’io
devo chiederti una cosa.” Disse chinando la testa verso di me. “Tua sorella…”
“Quale?”
“Quella più
piccola. E’ fidanzata?” alzai il capo fissandolo negli
occhi.
“No. Perché?”
“Il mio Maresciallo
Elfhelm mi ha detto che desidera sposarla. Pensi che accetterebbe?”
Mathrel. Mathrel e Elfhelm. Mathrel poteva restare qui! Se fosse diventata la
moglie di Elfhelm, sarebbe rimasta a Edoras, e io non
avrei dovuto separarmene. Conoscendola, sarebbe stata incuriosita dall’idea, ma
in fondo al cuore sapevo che per lei era troppo presto per rinunciare alla
libertà a cui era abituata. E poi, Mathrel non aveva neanche diciott’anni,
mentre Elfhelm aveva visto passare trentasei inverni.
“Se
devo dirti la verità, non credo che mia sorella sarebbe d’accordo. Ella è ancora molto giovane.”
“Anch’io
sono più vecchio di te.”
“Si, ma non di
diciannove anni. Tu hai trent’anni e io ventitrè, non c’è molta differenza.” Lui alzò le sopracciglia con fare scettico, mi accorsi che
nel suo sguardo c’era una scintilla scherzosa che avevo notato molto raramente.
“Guarda” esclamò
afferrandomi la mano “Guarda se non c’è differenza fra i nostri anni e le
nostre braccia.” Tirò su la manica del mio vestito e
quella della sua camicia di panno, mettendo in mostra il mio avambraccio
bianco, morbido e sottile, con il suo, abbronzato e muscoloso.
“Così non è giusto”
protestai allegramente. “E’ chiaro che il tuo braccio ha
compiuto molte imprese gloriose, e il mio, quanto a imprese gloriose, è
rimasto alla cardatura della lana.” Éomer rise, e fu come se il
un raggio di sole irrompesse in un cielo da troppo a lungo chiuso da
nubi grigie.
“Ora devo andare”
disse infine. “Ma non temere, tornerò presto.”
Alzandosi, mi diede una carezza lieve sui capelli. “Anzi, vieni anche tu; devi
iniziare a dare udienza a coloro che lo desiderano.”
“D’accordo.” Mi
alzai e lo raggiunsi sulla soglia.
……………………………………………………………………………………………………….
Ciao!
Mi dispiace per avervi fatto aspettare per
così tanto tempo.
So che mi volete tutti uccidere per aver
bellamente saltato la prima notte di nozze, ma non sono capace di scrivere una
cosa del genere e ho preferito lasciare tutto alla vostra immaginazione. In
compenso ci ho messo un’altra scenetta mielosa.
Come sempre ringrazio tutti coloro che mi recensiscono eo mi leggono, mi seguono,
ricordano o preferiscono.
Le recensioni mi rendono tanto felice, non è che me ne lascereste qualcuna di più? Per favore!
Un bacio grandissimo a
Arwins, Sesshy94, Nini Superga e Thiliol.
Capitolo 6 *** Il Primo Giorno - parte II: L'udienza ***
VI
VI
CAPITOLO
Ci avviammo insieme
verso il Salone del Trono, dove Éomer si congedò da me e si mise a studiare una
carta insieme a Aragorn, mio padre. Elfhelm non c’era, ma avevo detto a Éomer
di parlargli appena lo avesse visto. Io, seguendo le istruzioni che mio marito
mi aveva dato, entrai nella piccola stanza accanto al Salone e lì mi sedetti
sul basso scranno al centro del muro orientale. Sentivo delle voci fioche ma
irose provenire da fuori dell’uscio, segno che c’era già qualcuno che aveva una
contesa da farmi sciogliere. Mi sentivo abbastanza tranquilla, poiché anche a
Dol Amroth certe volte dei contadini mi avevano sottoposto questioni giudiziare
di scarsa importanza. Falmer aspettava che dessi il permesso di entrare ai
contendenti. Le feci un cenno e lei aprì la porta, facendo accedere al mio
cospetto tre persone: un vecchio che trascinava una ragazza e un giovane. Essi
sembravano abitanti delle campagne intorno ad Edoras, anche se il giovane
probabilmente aveva prestato servizio nelle ultime guerre. Tutti e tre si
inchinarono, senza cessare di guardarsi male.
“Io sono Romalto
dell’Ovestfalda, mia signora, e non sarei venuto se il motivo che mi spinge non
fosse di grande importanza per me,” disse il vecchio “ma mia figlia Ifolse, che
vedete qui, e questo ragazzotto hanno commesso verso di me un grave misfatto.”
La fanciulla cercò di divincolarsi e strillò:
“Non è vero,
Regina, non abbiamo fatto niente di male!” il giovane corse in suo aiuto,
spintonando Romalto.
“Basta!” mi stupii
io stessa dell’autorità emanata dalla mia voce: ventitrè anni a dare ordini
alla servitù di Dol Amroth non erano passati invano. “Ricomponetevi, per
favore! Tu, Romalto, lascia tua figlia, e voialtri non lo interrompete mentre
parla.” Immediatamente si ristabilì l’ordine. Ifolse si inchinò mormorando
qualche scusa e qualche implorazione. Aspettai che avesse finito e poi feci
cenno al vecchio di continuare.
“Hanno commesso un
misfatto verso di me e i miei antenati” riprese l’anziano uomo fissando il
ragazzo. “Infatti questi due hanno osato sposarsi di nascosto, senza che io
avessi ciò che mi spettava per aver ceduto mia figlia in matrimonio; e quel che
è peggio è che io sono venuto a conoscenza di ciò da parte di una vecchia
comare che li ha visti scappare insieme durante la notte. E la loro unica
giustificazione è che si amano” pronunciò quest’ultima parola con disprezzo.
“Non capisci, Ifolse,” si voltò verso la figlia con rabbia mista a
preoccupazione e affetto “Che questo sprovveduto non ha di che servirsi per
garantirti una vita soddisfacente, per questo ti ha sposato di nascosto a me?!”
“Non è vero!” lo
interruppe il giovane. “Io potrei provvedere a Ifolse lavorando!”
“Lavorando cosa?”
chiese il Romalto sdegnoso. “Lo sanno tutti che non possiedi nemmeno un
orticello! Regina, io chiedo che voi annulliate questo matrimonio e che mi
rendiate mia figlia.”
“Mia signora, non
divideteci, ve ne prego!” singhiozzò la ragazza accasciandosi sul pavimento.
Non poteva essere più grande di Mathrel.
“Giuro che mi
prenderò cura di Ifolse a costo di privarmi del cibo e del sonno” dichiarò il
ragazzo avvicinandosi alla fanciulla, ma il vecchio lo fermò con
un’occhiataccia.
“Silenzio!”
esclamai. “Tu, Romalto, desideri che il matrimonio sia annullato, mentre voi
due chiedete che io legittimi la vostra unione. Ma il padre di Ifolse” mi
rivolsi al giovane “E’ stato privato dei beni che gli spettano e asserisce che
tu non abbia i mezzi per provvedere a sua figlia. E’ vero questo?” a
malincuore, lui rispose:
“Si, mia signora.”
Ifolse smise di piangere e alzò la testa spaventata. Poi parlò così:
“A me non importa
se Camset non ha una bella casa o un pezzo di terra. Preferisco stare accanto a
lui nella povertà, che accanto a un altro nella ricchezza.” Sebbene la ragazza
fosse commovente e io, nel profondo del cuore, parteggiassi per lei, in realtà
aveva ragione suo padre. Quindi, dopo aver riflettuto qualche secondo, decisi
di risolvere così la contesa.
“Se Camset fosse
benestante e ti avesse fatto i doni che ti appartengono per diritto, non
saresti contrario a questo matrimonio, non è vero?” chiesi a Romalto.
“No…no, mia
signora. Ma tanto non li ha, e non li avrà mai, a meno che non accada un
miracolo!” sibilò.
“Allora ti atterrai
alla mia decisione.” Feci una pausa, raccogliendo le idee. “Ieri, uno degli
stallieri di Meduseld è caduto da un cavallo imbizzarrito ed è si è ferito
gravemente: a lungo non potrà riprendere il lavoro. Io ti do adesso, Camset,
una somma di denaro equivalente a sei mesi di duro lavoro nelle stalle, che
dovrebbe essere sufficiente a comprare dei doni per Romalto e un piccolo pezzo
di terra per te e Ifolse. Ma poi dovrai lavorare sei mesi come stalliere qui a
Meduseld, per ripagare il debito. In seguito te e Ifolse potrete guadagnarvi da
vivere lavorando la terra. Invece Romalto avrà ciò che gli spetta in cambio di
Ifolse e sarà sicuro che sua figlia non vivrà nella povertà. Accettate
quest’offerta?”
“Si, grazie,
Regina! Grazie!” esclamò Camset inchinandosi fino a terra.
“Va bene così,
Regina, eppure avrei desiderato che Ifolse sposasse un altro. Ma se lei è
convinta che sia l’uomo adatto a lei e non vivrà nella miseria, allora
accetterò che diventi mio genero.”
“Mia signora, mi
avete reso la ragazza più felice del Mark con la tua sentenza!” sorrisi alle
parole di Ifolse. Dopo essersi inchinati ancora una volta, i tre paesani
uscirono, e anch’io li seguii, per vedere se c’era qualcun altro ad aspettare,
ma evidemente quel giorno non avrei dovuto sanare altri contrasti. Alla porta
c’era solo Ifolse, che stringeva nervosamente in mano un lembo della gonna di
spesso panno ruvido, così diversa dalla mia veste di velluto e seta bianca.
“Mia signora,”
mormorò “Posso chiedervi ancora una cosa?”
“Parla, Ifolse.”
“Vedete, adesso
Camset abiterà qui a Edoras per sei mesi, lavorando alle stalle. Mi chiedevo…mi
chiedevo se ci fosse un posto anche per me. Non vorrei tornare a casa con mio
padre, ma restare qui con Camset.” mi inteneriva la sua voce timida, ma non
potevo soddisfare la sua richiesta.
“Ifolse, ascolta:
non c’è lavoro per te qui a Meduseld, ma questo è un bene. Io ti consiglio di
tornare a casa con tuo padre ed essere amabile con lui, in modo che si convinca
che ha fatto bene a lasciarti sposare Camset, rendendoti felice. Fai in modo
che si accorga che non lo abbandonerai, ma che rimarrai la sua figlia fedele
anche dopo il matrimonio.” Ifolse mi sembrò un po’ delusa, ma poi chinò il capo
e disse: “Avete ragione, Signora.” Quindi si produsse in un’ultima riverenza e
seguì Romalto verso l’uscita di Meduseld.
“Siete stata molto
saggia, mia signora.” Disse Falmer dopo che padre e figlia ebbero varcato la
soglia. “Avete reso quei due giovani felici senza far torto al vecchio. Eppure
sembrava che Romalto avesse ingoiato un boccone molto amaro! Ma ha accettato i
vostri ordini, ed è questo l’importante.”
Mi sentivo stanca e
preoccupata di non aver preso la giusta decisione nei confronti del vecchio,
sebbene avessi fatto tutto il possibile per comporre il litigio.
“Lothi!” la voce
allegra di Imhlen annunciò l’arrivo di mia sorella. “Lothi, sei stata
bravissima!”
“Chi te l’ha
detto?”
“Ho ascoltato
attraverso la porta”, rispose Imhlen, e mi stupii, perché quello non era un
comportamento degno di lei. “Mi ha convinto Mathrel” aggiunse infatti,
sorridendo della mia espressione meravigliata. “Ma ho fatto bene. Non pensavo
che tu potessi essere così regale; sei stata giusta ma magnanima.”
“Grazie.” Le
sorrisi. Quel giorno non avevo pensato molto alle mie sorelle, e me ne
dispiacevo. “Ho finito. Perché non andiamo a fare una passeggiata prima di cena?
Sono solo le quattro.”
“Volentieri, ma
prima dobbiamo trovare Mathrel. Non ho idea di dove sia, era con me a…”
arrossì.
“A origliare”
completai io, ridendo. “Malvagia influenza della nostra sorellina.”
“Si, ecco, però a
un certo punto è giunto un servitore che le ha riferito che Elfhelm desiderava
parlarle.”
“Ecco perché
Elfhelm non era alla riunione…”mormorai fra me e me, sorpresa dal fatto che
Elfhelm avesse voluto dichiararsi così presto.
“Ma perché Elfhelm
voleva parlare con Mathrel? Non riesco a spiegarmelo.” Disse Imhlen perplessa.
“Mathrel, fino a prova contraria, non è un Maresciallo né un Cavaliere.”
“Credo di sapere
cosa è successo mentre noi eravamo qui. Vieni, andiamo a cercare Mathrel.”
Cercammo nostra
sorella per una buon quarto d’ora, prima di trovarla seduta sui gradini delle
scale della terrazza, che scrutava, con un’aria assorta inusuale per lei, il
verde orizzonte del Mark. Ci sedemmo piano ai suoi due lati. Lei non parlò,
cosa talmente insolita per Mathrel che iniziai a preoccuparmi che le fosse
successo qualcosa di brutto.
“Math, cosa ti
angoscia?” le domandò Imhlen con dolcezza. Mathrel non rispose, si limitò ad
accennare con la testa verso il palazzo. “Math, ti puoi fidare di noi.
Qualunque cosa sia capitata, noi saremo dalla tua parte.” Mathrel restò in
silenzio qualche altro minuto, poi parlò con voce fioca:
“Elfhelm mi ha
chiesto di sposarlo.” Imhlen spalancò gli occhi, attonita. Se Mathrel non fosse
stata così concentrata sulle nuvole, sarebbe morta dalle risate.
“E tu che hai detto?”
indagai.
“Per ora ho
risposto che ci devo pensare. Ma…ma non so! Non so che fare. Elfhelm è un
Maresciallo di nobile stirpe, e quindi sarebbe un marito adatto anche a una
Principessa come me. Però è vecchio!” Mathrel scoppiò in singhiozzi, affondando
la testa nella mia spalla. Imhlen le si avvicinò e le carezzò i capelli.
“Non sei costretta
a sposarlo, se non vuoi.”
“Elfhelm è stato
così gentile…ha detto che sono bella come un giglio di mare.”
“Ha fatto una
semplice constatazione,” commentai “non so se lo puoi definire un complimento.”
“E’ vero” ridacchiò
Mathrel fra le lacrime. “Io sono bella.” E ricominciò a piangere, mentre io e
Imhlen la stringevamo, cercando di consolarla. “Come hai fatto a decidere di
sposare Éomer, Lothi? Io mi sento così confusa. So che dovrei accettare la proposta di Elfhelm, ma in realtà non voglio,
però non voglio nemmeno dare un dispiacere a lui. So che sarebbe un buon
matrimonio politico e che alla fine non starei così male qui a Rohan con te,
Lothi, ma non ce la faccio a dire di sì. Per tutta la vita. Oh, come vorrei che
Elfhelm non mi avesse mai vista!”
Pianse e pianse, in
preda alla commozione e all’angoscia, fino a che non ebbe più fiato per
continuare a singhiozzare. Allora io feci andare a prendere Stellagrigia e altri
due cavalli alle stalle e portai le mie sorelle fuori per una galoppata, e
gioii nel vedere il viso di Mathrel rischiararsi mentre incitava il suo cavallo
ad andare più veloce per superare Imhlen. Stellagrigia correva troppo forte
perché le mie sorelle potessero raggiungermi, così mi fermai ad aspettarle in
cima a una collina.
Quella sera
Mathrel, sebbene a malincuore, disse a Elfhelm che non era ancora pronta a
sposarsi, e credetti che il Maresciallo avesse compreso e perdonato mia
sorella.
La cena del mio
primo giorno di matrimonio la consumai da sola con Éomer, gli altri, suppongo
sotto proposta di Eowyn e Imhlen, avevano avuto la delicatezza di lasciarci
soli, cenando fuori nella calda luce del tramonto del due maggio.
Io e mio marito
parlammo a lungo, come non avevamo mai fatto, e io appresi molte cose sul suo
passato e lui molte cose sul mio, sebbene io avessi meno cose da raccontare.
Infine, quando Falmer aveva sparecchiato, Éomer tacque un minuto e mi scrutò
attentamente.
“Dammi il braccio”
ordinò poi. Io gli porsi il braccio destro senza fare domande, anche se ero
curiosa di sapere il perché di quella richiesta. “L’altro braccio, so che sei
mancina.” Obbedii e lui arrotolò la manica del mio abito fino al gomito,
tenendomi l’avambraccio fra le mani callose. “Tu hai impugnato la spada, e non
una volta sola,” mormorò. Non sorrideva. “Me ne sono accorto stamattina. Ti sei
esercitata a combattere, non è così? Come mia sorella.”
“Si, Éomer.” Mi
chiesi perché la mia risposta aveva il tono di una scusa. Lui sospirò.
“Non ti impedirò di
continuare a farlo; perché tu sappia difenderti nel caso in cui tutto sia
perduto.” Il suo viso, già serio, divenne quasi feroce. Ritrassi
impercettibilmente il braccio dalla sua stretta, che si era fatta rude e forte.
“Ma non ti azzardare a fare ciò che ha fatto Eowyn. Le donne non devono andare
in guerra. Hai idea di quello che ho provato quando ho visto mia sorella, che
credevo al sicuro a casa, esanime sul campo di battaglia? Avrei preferito
essere trafitto da mille spade, invece che sopportare una tale follia, un tale
dolore. Ti probisco nel modo più assoluto di scendere in guerra, affrontare
nemici o combattere a rischio della vita; a meno che non io non sia stato
ucciso, Rohan caduta e tutte le libere genti della Terra di Mezzo morte e
schiave.” Strinse ancora più aspramente il mio polso. “Hai capito? Mai. Mai
permetterò che una simile pazzia si ripeta.”
“Ma tua sorella ha
compiuto grandissime imprese.” sussurrai.
“Non avrebbe dovuto
farlo. La guerra è compito degli uomini, e se Eowyn ha fatto ciò che ha fatto è
perché io sono stato stolto e negligente e lei avventata. E tu non sei come mia
sorella, non sei resistente come lei. Eowyn è tenace come l’acciaio ed era
altrettanto fredda, tu sei simile a una gemma di vetro: forte, ma fragile.
Giura che non ti ribellarai a ciò che ti ho ordinato. Giura e toglierai un
grande peso dal mio cuore.”
Ero spaventata
dalla ferocia nel suo sguardo e dalla forza con cui mi stringeva il braccio. I
suoi occhi azzurri erano bui e tempestosi, ma in essi scorgevo le emozioni che
lo facevano parlare così. Non dissi niente. “Giura!” ripetè. Dentro di me le
fantasie che avevano accompagnato la mia crescita, splendide immagini di spade
brillanti e azioni gloriose, si ribellavano, ribollivano e si confondevano in
figure sfocate dai colori vividi. Ma una nuova forza le tratteneva, un potere
risvegliato dagli occhi di Éomer, un potere che comprendeva quanto fossero
infantili e irreazzabili i miei sogni. “Lothi, tu non sai cos’è la guerra. Non
hai mai visto uomini trucidati a centinaia, o il sangue che gocciola dalle
lance. Non hai mai visto nessuno dei tuoi cari morire sul campo di battaglia,
non hai rischiato di perdere ciò che avevi di più caro per mano degli Orchi e
di potenze ancora più terribili. Lothi, giura. Mia sorella mi ha tradito, ha
rischiato di morire e adesso vive lontana. Lothi, io voglio che tu giuri perché
mi sei cara.” Non potevo oppormi ancora. E rinunciando a ogni speranza di
grandezza e di eroiche imprese, dissi:
“Giuro.” E giurai
alla maniera del Numereoano Amrazor che era il capostipite della nostra stirpe:
mi morsi un dito fino a far uscire il sangue e tracciai con esso un segno sul
largo palmo di Éomer. Giurai così al Signore del Mark, come un guerriero che
giura al suo Re.
“Bene” approvò
Éomer. “Così è giusto.” Non ero d’accordo, ma tacqui. Ormai avevo giurato; mi
limitai a lanciare un’occhiata poco benevola a mio marito. “Non sarai mica
arrabbiata? E comunque puoi tenere il broncio quanto vuoi, non cambierò idea.
Quindi ti conviene smettere.” Mi aveva lasciato il braccio e la sua voce era
tornata tranquilla. Lo perdonai quasi subito, perché avevo capito che quelle
parole erano state dettate dall’affetto per me, affetto che non mi sarei
aspettata di ricevere da un uomo che avevo sposato per ragioni politiche.
“Non sono
arrabbiata con te, Éomer.” Vidi che era contento di questo.
Anche quella notte
non fu molto riposante.
…………………………………………………………………………………………………………
Buon anno a
tutti!!
Ecco il primo
capitolo del 2011.
Nella prima
parte di questo capitolo ho voluto mostrare Lothi come la Principessa e la
Regina che è, non solo come figlia e moglie.
Che ne dite di
Camset, Ifolse e Romalto? Li inserisco nella storia ancora o li faccio sparire?
A voi l’ardua sentenza.
Grazie a tutti
coloro che continuano strenuamente a leggermi e recensirmi, eo a seguirmi,
ricordarmi o preferirmi.
Come sempre un
bacio speciale a Arwins, Thiliol, Sesshy 94, Nini Superga e Arena.
Il giorno dopo Re Aragorn, Faramir ed Eowyn
partirono per Gondor, e la mattina del terzo giorno da quando mi ero sposata mi
dovetti separare dalle mie sorelle e da mio padre.
“Lothíriel” mi disse Imrahil prima di congendarsi
“Hai fatto la scelta giusta. Temetti di non rivederti più mentre combattevo sui
Campi del Pelennor, tremai per il tuo futuro, perché cupi erano quei giorni. Ma
non potresti avere futuro migliore di questo: sarai una grande Regina, al
fianco di un grande Re. Ma quando, nell’ora buia, avrai bisogno di un altro
sostegno, non esitare a chiamarmi: Dol Amroth sarà sempre aperta per te, pronta
a difenderti da ogni pericolo. Lothíriel, sarai felice qui nel Mark, ma non
dimenticare la tua patria e il Mare. Spero di rivederti, e conserverò nel cuore
la speranza di parlarti di nuovo, un giorno. Addio, mia cara figlia maggiore.”
Mi abbracciò forte e salì a cavallo. Le mie sorelle mi strinsero, ma non
dissero niente. Il giorno prima avevamo parlato a lungo, e ormai non sapevamo
più che parole usare per esprimere il dolore che ci lacerava il cuore.
“Addio, Lothi.” singhiozzò Imhlen.
“Addio” le fece eco Mathrel.
“Ci rivredemo,” cercai di consolare loro e me
stessa. “Verrò al vostro matrimonio. Salutatemi Lamrai e Irahel, mamma e
Fetrales.”
Ci abbracciammo un’ultima, tristissima volta, poi
loro montarono a cavallo e si allontanarono, non cessando di salutare con la
mano. Éomer mi teneva stretta mentre mi sbracciavo in segno di saluto, poi un
ultimo fiebile addio giunse alle mie orecchie e loro sparirono dietro una
collina. Scoppiai in lacrime, irrefrenabili, senza badare a Éomer che mi stava
dolcemente guidando verso la nostra camera, dove lasciò che mi accasciassi sul
letto piangendo.
“Mi dispiace,” mormorò, senza sapere che fare di
fronte alla mia disperazione. “Ma ti prometto che potrai andare a trovarle,
qualche volta.”
“Grazie,”singhiozzai, “Grazie, Éomer.”
“Anche mia sorella se n’è andata, e io la vedo
raramente. Non ti dirò di non piangere, perché anch’io ho sofferto il tuo
stesso dolore e posso capire quanto tu sia sconfortata.” Furono quelle parole
che gettarono in me il seme dell’amore che presto mi avrebbe consolata della
perdita delle mie sorelle e di mio padre.
Nei mesi che seguirono alla partenza della mia
famiglia mi sentii spesso sola e abbandonata, e mi attaccai a Éomer come un
cucciolo sperduto nella pioggia segue chi gli ha allungato un boccone di cibo e
qualche carezza. Poi, piano piano, incominciai a stringere amicizia con la
moglie di Gamling, Melange, e ovviamente con la mia cameriera Falmer, che aveva
preso il posto di Imhlen come confidente e consigliera; iniziai a prendere
dimestichezza con Edoras, Meduseld, le mie funzioni di Regina e gli attacchi di
malumore di mio marito. Éomer mi aveva donato una spada per esercitarmi a
combattere, come ricompensa per il mio giuramento. La spada, Crëwine,
era stata di sua madre, che la teneva sotto il letto per essere pronta a
difendere lui e Eowyn in caso di bisogno. Éomer mi aveva raccontato che sua
madre aveva ucciso una grossa volpe affamata che un inverno si era introdotta
di soppiatto nella loro camera da una finestra aperta, attirata dall’odore del
cibo: stava per mordere la testa del figlio che dormiva quando Théodwyn le aveva
staccato il capo con un fendente ben assestato. Il ricordo lo faceva sorridere.
Una mattina di inizio settembre mi svegliai molto
presto, tanto che trovai Éomer ancora addormentato accanto a me. Mi sentivo
malissimo e avevo la nausea. Mi alzai per andare a vomitare e poi tornai a
letto al caldo, sotto il cigno bianco cucito da Irahlel. Ma non riuscivo a
riaddormentarmi, sebbene fuori fosse ancora buio. Mi rigiravo oppressa dalla
nausea e dal mal di testa, tanto da svegliare Éomer. Si tirò su appoggiandosi
su un gomito e bofonchiò spazientito:
“Che hai? Vuoi stare un po’ ferma?”
“Non mi sento tanto bene.” mormorai nel buio.
“Avrai preso il raffreddore, in questo periodo ci
si ammala facilmente. Vuoi che mandi a chiamare il medico?”
“No, Éomer, grazie, credo di sapere cos’ho.”
“E allora spicciati a dirmelo e poi torna a
dormire.”
Me lo
aspettavo ormai da tempo, dato che non avevo più il ciclo; ma la certezza mi
aveva sconvolto. Mi mancava il fiato per la commozione e la felicità, sentivo
già l’amore per quella nuova vita che cresceva dentro di me. Respirai
profondamente, cercando di calmarmi, ma ero troppo emozionata.
Purtroppo non fu un discorso breve come desiderava
Éomer. Anzi, nel tentativo di dirglielo con delicatezza prolungai la mia
spiegazione oltre il sorgere del sole.
“Cosa?” disse infine, incredulo.
“Penso di essere incinta.”
“Ah.” Éomer spalancò gli occhi. Mi pareva alquanto
sconcertato, spaventato ed eccitato; uno strano miscuglio di emozioni sul suo
viso serio. “Bene,” aggiunse dopo un lungo, stupefatto silenzio. “Benissimo.
Avrò presto un erede!” sorrise e mi diede un bacio sulla guancia, gesto
stranamente dolce per lui. “Speriamo che sia un maschio! Vuoi qualcosa di
speciale? Medicine, cibo, coperte più calde? Ti farò portare tutto ciò che
desideri. Non ti alzare stamattina, resta a letto. Ti mando subito la
colazione.” Il suo entusiasmo mi fece quasi scordare la nausea. “Sei stata
bravissima, Lothi. Bravissima.” Io mi trattenni dal commentare che anche lui
non si era certo impegnato poco. “Cosa vuoi mangiare?”
“Non ho tanta fame; ma posso alzarmi e prendere
qualcosa da bere anche di là. Non sono mica malata,” sorrisi “anzi, mi sento
molto meglio adesso.”
“Non importa, non ti affaticare.”
“Non mi affatico affatto! Su, Éomer, fammi alzare.”
Lui mi guardò titubante.
“Sei sicura?”
“Si; una passeggiatina fino alla sala da pranzo non
recherà alcun danno al tuo erede.” Éomer si vestì in fretta e aspettò
pazientemente che io fossi pronta, poi mi porse il braccio e mi obbligò a
camminare appoggiandomi a lui, anche se non ce n’era assolutamente bisogno.
“Éomer, non sono malata né fragile come il cristallo” tentai di farlo
ragionare, ma mio marito non mi ascoltò. Egli fu sempre di carattere impetuoso
e autoritario, e non amava che ci si ribellasse ai suoi ordini. Spesso ci
voleva molta pazienza per sopportarlo.
Mi fece prudentemente accomodare su una poltroncina
invece che su una sedia di legno e comandò che mi fosse portato latte caldo. Mi
affidò a Falmer con mille raccomandazioni, e sospese le udienze che dovevo dare
quel giorno. Quando fu certo che non avrei potuto fare null’altro che riposarmi
si allontanò con i suoi Marescialli per programmare l’attacco agli Orchetti
delle Montagne Nebbiose. A breve la sua éored
avrebbe compiuto un’incursione a sorpresa nel nascondiglio degli Orchi:
dopo lunghe osservazioni, le sentinelle avevano scoperto dove si trovava il
loro rifugio. Speravano di trovarli tutti, in modo da distruggere l’intera
colonia con un solo assalto.
Sospirai guardandolo andare via. “Se adesso fa
così, come si comporterà fra sei mesi?” dissi stancamente a Falmer. “E’ molto
più preoccupato di me.”
“Si preoccupa sia per voi che per vostro figlio,”
rispose saggiamente la mia cameriera, “Lasciatelo fare. Il Re è di animo forte,
severo e coraggioso, ma questo è un avvenimento che emoziona tutti gli uomini.
Dovete capire che desidera proteggere nel modo migliore voi e il bambino.”
Così mi sottomisi pazientemente agli ordini di
Éomer, ammorbidendoli con la persuasione e non con le urla che a volte mi
ispiravano. Comunicai a Melange, in gran segreto, ciò che mi stava succedendo,
e lei fu molto felice per me. Inoltre mi diede molti utili consigli, poiché
aveva già avuto sei figli e ormai era esperta in queste faccende.
Una settimana dopo quella fatidica mattina, Éomer
mi annunciò che la sua éored sarebbe
partita allo spuntare dell’alba del giorno seguente. Era il tardo pomeriggio
del dieci settembre, e io me ne stavo quieta a fare la maglia seduta in
terrazza. Ero piuttosto stanca e nervosa, dato che avevo giudicato una disputa
su due pecore i cui proprietari desideravano scannarsi a vicenda, un furto di
lana e uno di un puledro; inoltre avevo rimproverato aspramente Camset che
aveva litigato con uno stalliere più anziano sul tipo di biada da dare a
Stellagrigia. Ma non intendevo dare a Éomer un motivo per farmi fare ancora
meno cose di quelle che mi permetteva di compiere, così gli sorrisi amabilmente
quando si sedette accanto a me, di ritorno dai suoi incarichi di Re.
“Bene,” commentai alla notizia della partenza.
“Finalmente il tuo…il nostro popolo non avrà più niente da temere. Chi manderai
come capitano della spedizione? Elfhelm?” Éomer mi guardò male.
“Io, naturalmente. Pensi che mi tirerei indietro di
fronte a uno scontro con quelle fetide creature?” Impallidii.
“Tu? Tu partirai per andare a combattere domani?”
“Certo.”
“Ma sei il Re! Non puoi andare! Se tu dovessi
cadere, cosa ne sarebbe del tuo regno?” Non potevo permettere che lui corresse
questo rischio. Non Éomer. Non lui, assolutamente. “Éomer, non puoi andare; ti
prego, manda qualcun altro.” Una serie di immagini orribili mi attraversò la
mente: Éomer sanguinante in una buia caverna degli Orchetti, Éomer riverso a
terra sotto il cadavere di Zoccofuoco, Éomer trafitto da nere frecce mortali;
il mio bambino sarebbe cresciuto senza suo padre… “Éomer, non adesso! Non pensi
a me? Non pensi a nostro figlio?” Lui tacque per qualche secondo, e sperai che
stesse riconsiderando la sua decisione. Poi però vidi sul suo viso
l’espressione feroce, fiera e protettiva che lo rendeva bellissimo e terribile.
“E’ proprio per voi che lo faccio, Lothi. Per te e
per mio figlio.” E allora capii che non avrei mai potuto convincerlo.
“Allora vengo anch’io.” Annunciai, alzandomi.
“Hai giurato. Non ti permetterò di venire.”
Ribattè.
“Non per combattere. Resterò all’accampamento
mentre voi andate a scontrarvi con gli Orchi.”
“E’ troppo pericoloso, soprattutto nelle tue
condizioni. Tu resti qui senza discutere.” Avevo voglia di urlare per il suo
dispotismo. Questa sua abitudine di darmi ordini come se fossi un oggetto di
sua esclusiva proprietà, dipendente solamente dal suo volere, mi dava
estremamente fastidio.
“Invece vengo.”
“Basta! Tu resti a casa e taci!”
“Non rimarrò qui mentre tu e la tua éored rischiate la vita! Non chiedo di
cavalcare in guerra con voi, solo di potervi accompagnare fino
all’accampamento.”
“No. Aspetti un bambino, te ne rendi conto? Pensi
che cavalcare sino alle Montagne Nebbiose sia una passeggiata?”
“Pensi che non mi renda conto di quello che mi sta
succedendo?” risi amaramente. “Oppure non te ne rendi conto tu? Non hai la più
pallida idea di come mi sento. Eppure, dopo che tua sorella ha rischiato la sua
vita per stare vicino a te e a Théoden, dovresti averlo capito.” Éomer
impallidì.
“Non parlare di Eowyn.”
“Perché? Ti ricorda che anche una donna può avere
un briciolo di forza e di carattere? Ti ho obbedito in silenzio anche troppo a
lungo. Non mi permetti di fare niente, ma io non sono debole come pensi tu.”
“Io non penso che tu sia debole,” disse Éomer, ma
io lo interruppi:
“Non pensi che io sia più debole delle altre donne,
perché tutte le sono donne sono fragili per te. Se la dimostrazione di Eowyn
non è stata sufficiente, farò anch’io la mia parte, sebbene io non possa
eugugliare tua sorella. Domani io cavalcherò con la tua éored, che tu sia d’accordo o no.” Pronunciai queste parole quasi
gridando, poi mi voltai e me ne andai ribollendo di rabbia.
“Lothíriel, Torna qui!”
“Lasciami stare!”
Invece di andare nella nostra camera, mi diressi
verso la stanza di Eowyn, dove avevo dormito prima del matrimonio. Mi gettai
sul letto ma non piansi, per non dare a Éomer questa soddisfazione. Dopo poco
Falmer bussò alla porta e io le feci cenno di entrare.
“Mi manda il Re, mia signora. Ha detto che siete
agitata per via della vostra…situazione e che siete sconvolta. Volete che vi
porti qualche medicina?” Io sibilai di rabbia. Allora era questa la spiegazione
che Éomer aveva dato a chi ci aveva visti. Era perfettamente in linea con il
suo carattere.
“No, sto benissimo, Falmer. Va’ via.”
“Mia signora, cos’è che vi turba? Vi ho sentita
urlare. Se c’è qualcosa che è in mio potere fare, ditemelo subito.”
“Se tu potessi far ragionare il Re sarebbe
un’ottima cosa, ma dubito che ci riusceresti. Egli ha dei pregiudizi
difficilmente estirpabili.” Falmer restò in silenzio. Infine chiese, asciutta,
se volevo la cena. Io le ordinai di portarmi un vassoio in camera; così Falmer
se ne andò chiudendo piano la porta. Pensai al mio bambino, chiedendomi se
fosse stato spaventato dalle mie grida o se ancora fosse troppo piccolo per
accorgersene. Ma il mio bambino era per metà figlio suo: avrebbe avuto lo stesso carattere autoritario? No, il mio
amato piccolo non sarebbe stato così. Accarezzai la mia pancia, che ancora non
era quasi per niente gonfia.
Mangiai quello che mi aveva portato Falmer, chiusi
a chiave la porta e poi mi raggomitolai sotto le coperte. Ero ancora molto
irata con Éomer, e il pensiero che il giorno dopo lui sarebbe partito senza di
me mi angosciava e mi adirava. In parte ero infelice perché se ne sarebbe
andato con il ricordo di questo litigio, e nell’orribile caso in cui dovesse
morire, l’ultima cosa che avrebbe avuto da me sarebbero state le urla di quel
pomeriggio. Ma nonostante questo non avevo nessuna intenzione di andare a
chiedergli perdono.
…………………………………………………………………………………………………………
Ciao!
Vi ho fatto aspettare un
po’, stavolta, mi dispiace, ma in compenso ecco un capitolo bello denso di
avvenimenti.
Qui si fa la presentazione
di un personaggio che penso diventerà molto importante, ovvero il principe del
Mark.
In questo capitolo Lothi può
sembrare un po’ piagnucolosa, ma pensate un po’, essere lasciate completamente
sole in balia di uno sconosciuto che è vostro marito, in una terra straniera,
con la probabilità di non rivedere le sorelle e il padre per molti anni.
Comunque fate i vostri commenti, ditemi che ne pensate di questo capitolo
faticosissimo (da scrivere).
Come sempre grazie mille a
tutti, specialmente a Arwins, Sesshy94, Thiliol e Arena, che mi hanno
fedelmente recensito anche la scorsa volta. Se qualcuno si vuole aggiungere a
loro è il benvenuto =)
Mi
addormentai nonostante fosse ancora molto presto, sfinita da quella pessima
giornata. I miei pensieri si trasformarono nei sogni, prima solo
immagini vaghe, che poi acquistarono nitidezza. Éomer stava duellando
con una cortina di fiamme, cercando di tagliarle con la spada. Io ero lontana
da lui, e non riuscivo ad avvicinarmi, non riuscivo a
urlare di cessare quell’azione inutile. Che voltasse la
spalle all’incendio e tornasse indietro! Il fumo mi nascondeva la figura
di mio marito, ma mi accorsi che stringeva fra le braccia un puledro palomino
neonato. Éomer doveva salvare il cavallino, a costo della vita. A un certo punto mi accorsi che le fiamme stavano
circondando Éomer, un nuovo focolaio dell’incendio si stava sviluppando dietro
di lui. Il piccolo cavallo si agitava e nitriva spaventato. “Éomer, dietro di
te!” riuscii finalmente a urlare, e lui si voltò con
un’espressione inorridita. Non avrebbe potuto portare in salvo il puledro. Se
fossi riuscita ad avvertirlo prima sarebbe fuggito!
Non potevo muovermi, ero prigioniera del mio corpo.
All’improvviso Éomer balzò nelle fiamme, riuscendo a lanciare
il cavallino verso di me. Finalmente riuscii a correre verso di lui, e a
mettere al sicuro il puledro. Ma Éomer stava bruciando
nella sua armatura incandescente, in viso aveva l’espressione feroce e folle
della battaglia. Capii che era stato lui a trattenermi lontano, con la sua
volontà. Sconvolta e impotente, lo vidi accasciarsi al suolo, avvolto dalle
fiamme.
Mi
svegliò il suono di qualcuno che bussava alla porta. Ancora con il violento
rosso del fuoco negli occhi, mi tirai su a sedere, tremante e
sudata. Sentivo l’aria ancora incandescente. Mi
occorse una decina di minuti per calmarmi, ripetendomi che era solo un sogno.
Eppure provavo una strana sensazione, mi sentivo come
se avessi appena profetizzato un disastro. Si diceva che il mio avo Galador il Mezzelfo possedesse l’abilità della preveggenza:
che forse non fosse stata del tutto annacquata dal sangue umano?
Il
bussare alla porta non era cessato, anche se si era fatto nervoso. Lo ignorai, non avevo voglia di parlare con nessuno, nemmeno
con Melange o con Falmer.
“Lothíriel, aprimi.” Era la voce profonda e
brusca di mio marito quella che mi chiamava.
“Vattene.”
Potevo quasi vederlo sbuffare. Non mi sfuggì il fatto che
avesse usato il mio nome intero, invece dell’abbreviativo con cui si riferiva a
me di solito.
“Lothíriel,
non essere sciocca. Vieni ad aprirmi.” Continuava a
darmi ordini, non se ne accorgeva neanche. Non
risposi, e udii un sospiro. “Lothi, per favore,”
riprese la voce di Éomer, questa volta più calma e controllata. Quasi contro il
mio volere, mi alzai e sbloccai il catenaccio, lasciando entrare l’imponente
figura di mio marito. Indossava un camicia bianca che
gli stava un poco stretta, sulle spalle ampie la stoffa era tirata e le
cuciture minacciavano di disfarsi presto. I suoi bei capelli
biondi, che ormai pettinavo quasi tutte le sere, gli ricadevano scompostamente
sulla schiena.
Tornai
nel mio nido caldo fra le coperte, stringendomele addosso
mentre mi mettevo a sedere.
“Lothi,
ascoltami. Non era mia intenzione sconvolgerti così, mi dispiace.” Allungò la mano verso un ricciolo che mi sfiorava la
spalla, ma mi ritrassi dal suo tocco. Éomer ritirò la mano. “Lothi, non voglio
che tu stia a casa perché non ti ritengo in grado di
cavalcare fino alle Montagne Nebbiose. Penso solo che sia meglio per nostro figlio
che tu non faccia un viaggio di almeno cinque giorni al galoppo verso le
montagne. Inoltre, Lothi, dovremmo montare le tende per te la notte e perdere
molto tempo.” Le argomentazioni di Éomer non erano
così infondate, ma io sentivo, specialmente dopo il sogno, che dovevo andare con lui. Avevo paura che se non l’avessi fatto
sarebbe successo qualcosa di terribile. “Non ho forse ragione, Lothi?”
“Probabilmente
si.” Osservai il viso di Éomer rischiararsi e le sue
spalle rilassarsi. “Ma voglio venire con te lo stesso.”
Alzai la mano per farlo tacere. “Senti, io sono una
discendente di un Mezzelfo. Ancora qualche goccia del sangue degli Eldar scorre
nelle mie vene, posseggo qualche virtù elfica, sebbene
sbiadita e non paragonabile a quelle dei Priminati. Ho fatto un sogno terribile
prima che tu mi svegliassi, forse è una premonizione:
sento che se non ti accompagno accadrà un disastro. Potrebbe essere soltanto un
sogno, certo, eppure mi sembra che ci sia un significato in quello che ho
visto.” Éomer sollevò le sopracciglia, scettico.
“Cosa potresti fare tu, Lothi? Credi di poter uccidere degli
Orchi in battaglia?”
“Ti
prego, parlo sul serio. Non so perché, ma so che
dovrei venire, non solo perché non voglio restare qui mentre
tu rischi la vita. Éomer, per favore, fammi venire con te.” Avevo pronunciato
il mio discorso con tono pressante ma voce pacata, non
volevo litigare di nuovo.
“E sia.” Concesse lui. “Ma resterai
molto lontana dal luogo dove combatteremo. Sei contenta?”
“Oh,
si, grazie, Éomer!” Finalmente soddisfatta, gli scoccai un bacio sulla guancia.
“Adesso
però torni a dormire di là.”
“D’accordo”
“Sveglia
Falmer e falle preparare i tuoi bagagli, domani partiamo al levar del sole.”
Anche se mi sentivo un poco in colpa, tirai giù Falmer dal suo
giaciglio e le chiesi di preparare l’occorrente per il viaggio. Mi dispiaceva di averla disturbata mentre dormiva, ma Éomer non aveva
certo intenzione di aspettare che io preparassi i bagagli prima di andare a
dormire.
“Svegliati.”
Éomer mi stava scrollando. “Dobbiamo andare.”
“Così
presto?” domandai incredula notando che fuori il cielo era ancora nero.
“Puoi
sempre cambiare idea.”
“No,
mi alzo subito.” Mi accorsi che Falmer aveva preparato una sacca da viaggio
completa ma leggera e dei comodi vestiti da viaggio, così mi vestii in fretta, presi la mia spada Crëwine, mangiai le due fette di pane e
formaggio che Éomer mi porgeva, sebbene fossi molto più affamata, corsi alle
stalle e montai su Stellagrigia, già sellata. La giumenta mi strofinò il muso
contro la mano in un gesto affettuoso, e io le diedi una mela che avevo fatto in tempo a prendere dalla cucina.
I
Cavalieri furono sorpresi nel vedermi, udii i commenti più disparati: da chi
diceva che ero troppo presuntuosa a voler andare con loro a chi affermava che
ero una degna Signora del Mark, cavalcando verso la battaglia con il mio sposo.
Qualcuno mi paragonò persino a Eowyn, qualcun’altro
commentò che lui non avrebbe mai permesso a sua moglie di fare una cosa simile.
Cavalcammo
tutto il giorno, e sebbene avessi spesso attacchi di sonnolenza o un poco di
nausea, non dissi niente e galoppai su Stellagrigia al
fianco degli Eorlingas al comando di Éomer. Erano circa mille, non molti,
poiché la minaccia rappresentata dagli Orchi non era ancora molto grande. Ci
fermammo una mezzora per il pranzo e per far riposare i cavalli, poi cavalcammo
senza sosta fino al sorgere delle stelle, la mattina dopo eravamo pronti per
partire alle prime luci dell’alba. Una piccola tenda era stata montata per me,
anche Éomer avrebbe riposato all’aperto con i suoi
Cavalieri.
Stavo
per addormentarmi quando sentii Éomer cantare a bassa
voce. In silenzio, mi accostai all’uscita della tenda per ascoltare. La lingua
era quella del Mark, ma ormai avevo imparato a distinguerne le parole. Ero sempre
stata brava a imparare i linguaggi stranieri
velocemente, e con l’aiuto del libro di Lamrai la lingua del Mark si stava
rivelando meno ostica di quello che avevo pensato.
Il
canto era sulla guerra, non potevo immaginare una voce
più adatta di quella di Éomer per intonarlo.
Avanti, Eorlingas!
Dietro a voi la casa e
davanti la battaglia
Il sangue rosso sparso come
pioggia sui prati
Il sole riflesso sulle
spade brilla e abbaglia
Dimenticate voi stessi nei
canti gridati
Per il signore, per la
moglie, per la terra
Per tornare alla casa
accogliente
Ah, quanto è bella questa
guerra
Il suono degli zoccoli
rimbombante
Vi accompagna verso la
morte giusta e gloriosa
Gloria a colui
che muore, pace per colui che vive
Siano frantumati gli scudi
e spezzate le lance
La morte per difendere i
cari sarà dolce
Avrete fama e lacrime per
voi
Cavalieri del Mark eroi.
La
voce di Éomer si fece più decisa sulle ultime parole, poi
tacque. Mi accorsi che stavo piangendo.
Al
tramonto del giorno successivo scorgemmo in lontananza una piccola figura che
galoppava disperatamente verso di noi, spronando il suo sauro al limite del possibile. Egli si rivelò essere un messaggero
mandato dalle guarnigioni delle Montagne Nebbiose, Arcale figlio di Ardasel. Riferì che gli Orchi avevano attaccato il Forte
di Leòfa quattro giorni prima. Non potevano rompere l’assedio con le poche
forze di cui disponevano, sebbene gli Orchi non potessero essere più di
settecento.
“Sono
sgusciato nella notte, senza farmi vedere,” raccontò
Arcale “Per cercare aiuto. Bisogna che vi affrettiate!” Vidi Éomer incupirsi
alle parole del Cavaliere, poi borbottare qualcosa a bassa voce a Elfhelm, accanto a lui. Quindi si
diresse verso di me.
“Ascolta,” disse “La situazione non è favorevole come speravamo. Gli
Orchi ci hanno colti di sorpresa. Tu devi tornare indietro, dobbiamo cavalcare fermandoci il meno
possibile. Arcale ti riaccompagnerà a Edoras. Di’ a Gamling approntare rinforzi
da mandare in caso di bisogno.”
Discussi,
pregai, mi arrabbiai e mi riaddolcii e infine Éomer, sfinito dalle mie
proteste, mi accordò il permesso di continuare. Arcale sarebbe andato a Edoras
da solo.
I
quattro giorni successivi passarono in un confuso insieme di albe
e tramonti e rumore di zoccoli. La notte mi portava Éomer su Zoccofuoco, in
modo che potessi dormire. Sapevo di essere un peso, ma la sensazione di dover
essere lì mentre loro combattevano era sempre più forte.
Il
paesaggio si inaspriva progressivamente, le morbide
praterie di Rohan lasciavano il passo alle spigolose propaggini delle Montagne
Nebbiose.
Fummo
in vista del Forte di Leòfa a mezzodì del sesto giorno dalla partenza di Edoras, avendo cavalcato per quattro giorni e quattro
notti senza quasi fermarci.
Éomer
ordinò alla compagnia di fermarsi su una collinetta a cinque ore di marcia dal
Forte, e mi ordinò di restare lì. Io acconsentii, perché sapevo che ormai la
pazienza di Éomer era giunta al limite. Mangiarono
qualcosa per recuperare le forze e poi rimontarono a cavallo,
splendidi e terribili a vedersi nelle loro scintillanti armature.
“Voi
resterete qui per proteggere la vostra signora.”
Ordinò Éomer rivolgendosi a tre ragazzi, i più giovani della éored. Nessuno di loro poteva avere più
di vent’anni.
“Ma mio signore, noi vogliamo combattere!”
“Avete
sentito quello che ho detto. Merodor, lascio il comando a te.”
A
malincuore, i tre giovani smontarono da cavallo. L’araldo di Éomer lasciò loro
un grande corno da suonare in caso di pericolo.
Éomer
si rivolse agli altri, schierati dietro di lui. Il sole di mezzogiorno
sfolgorava dietro di lui, facendolo apparire circonfuso di luce guerriera. Mi
pareva un dio come quando l’avevo visto la prima volta, ma
questa volta era più terribile, sorrideva ferocemente alla battaglia.
Zoccofuoco sembrava più grande degli altri cavalli, Éomer
troneggiava seduto su di lui, alto e luminoso più di chiunque.
“I
nostri compagni sono in pericolo. Li lasceremo soli?”
”No, Signore!” urlarono i soldati.
“E allora cavalcate con me, Cavalieri del Mark, per loro! Per
loro e per la pace che la nostra terra si merita; per le vostre mogli, per i
vostri figli, per ciò che avete di più caro, cavalcate
con me! Che la luna sorga sulla nostra vittoria!
Avanti, Eorlingas!” e così gridando si lanciarono verso il Forte di Leòfa,
sollevando polvere dorata dietro di loro, neanche la nebbia osava oscurare il
loro splendore.
Rimasi
a osservarli finchè non scomparirono all’orizzonte, la
morte nel cuore.
………………………………………………………………………………………….
Ciao, mellyn nin!
Visto che conclusione a effetto? Dovrei specializzarmi solo in quelle, XD.
Questa canzone, secondo me,
è leggermente meglio di quelle scorse. Che ne pensate?
Ricordatevi Merodor e i
suoi compagni, perché saranno importanti nei prossimi capitoli e forse anche
dopo (ancora non ho deciso)
Che ne dite del sogno? E’ stato davvero difficile da scrivere, pur
avendo un nonno psicanalista (a cui va un profondo ringraziamento per i
consigli). Volevo trasmettere tutta l’angoscia di Lothi, ma non so se ci sono riuscita bene.
Come sempre, un grandissimo
grazie a tutti quelli che si interessano in vari modi
alla mia storia, soprattutto alle mie meravigliose recensitrici Arwins,
Thiliol, Nini Superga, Sesshy94 e Arena, a cui si è aggiunta (benvenuta e grazie) Gilestel.
“Regina, volete che vi montiamo la tenda?” chiese
il più grande dei tre ragazzi con aria afflitta. Notai che aveva i capelli
corti, come li portavano i bambini, e non lunghi come la maggior parte dei
Cavalieri.
“Si, grazie. Come ti chiami?”
“Merodor figlio di Trameor, mia signora.”
“Quanti anni hai?”
“Diciotto, mia signora.”
“Devi essere molto valoroso per appartenere già
alla éored del Re. Non temere, Éomer
non ti ha lasciato indietro perché non crede nella tua spada. Semplicemente,
ritiene che tu sia ancora troppo giovane per morire.”
“Ne è sicura, Regina?” chiese Merodor un poco meno
scuro in viso.
“Si, non ti angustiare. Avrai certamente molte
occasioni di dimostrare il tuo coraggio al Re.” Gli sorrisi e lui si inchinò
rassicurato.
Mi sedetti su una roccia rivolta verso la via che
conduceva al Forte di Léofa, con la carta geografica di quei luoghi in mano.
Mentre seguivo con il dito la strada che l’éored
stava percorrendo,tormentavo un
lembo della mia veste finchè non lo ebbi ridotto a un bradello sdrucito.
Credevo di scorgere bagliori di spade e lance, quando ancora gli Eorlingas non
potevano essere arrivati al Forte. Sentivo dentro di me un’angoscia
indescrivibile, un’inquietitudine che non avevo mai provato. Ogni mio pensiero
era Éomer e soprattutto per il nostro bambino ancora senza nome. Man mano che
passavano le ore e i Cavalieri si avvicinavano alla battaglia l’ansia cresceva.
Dopo che ebbero montato la tenda, Merodor e gli altri due ragazzi si sedettero
alla base della pietra dove mi ero assisa, scrutando l’orizzonte come me.
Quando furono le cinque Merodor si alzò e iniziò ad andare su e giù
nervosamente, seguito dai suoi compagni. Io tirai fuori Crëwine dalla veste e
la strinsi fino a farmi diventare bianche le nocche. All’improvviso, fiamme si
levarono nel cielo che iniziava a scurirsi. Gridammo tutti e quattro insieme,
uno dei ragazzi si alzò di scatto e, incapace di trattenersi, saltò a cavallo e
fece per lanciarsi giù dalla collina. L’altro lo seguì rapidamente.
“Oroven, Elfkral, fermi!” ordinò Merodor.
“Il Forte brucia!”
“Cosa credete di fare? Dobbiamo rimanere qui per
difendere la Regina! Pensate che il Re vi perdonerebbe per averla lasciata
sola?” Oroven e Elfkral tirarono le briglie per fermare i cavalli. “Dovete
ubbidire agli ordini del Re, qualunque siano i vostri sentimenti.”
“Possiamo portare anche la Regina. Scommetto che
anche voi, mia signora, non desiderate altro che andare alla battaglia. Vi
difenderemo noi. Venite!” Elfkral fece voltare il cavallo e stese la mano verso
di me per aiutarmi a salire dietro di lui.
“Delkral, sei impazzito?” gridò Merodor.
“Se la Regina viene con noi non tradiremo gli
ordini del Re.” Elfkral mi fissò, i suoi, grandi e azzurri occhi di sedicenne,
erano colmi di speranza e di esortazione.
Volevo andare. Non desideravo altro che lanciarmi
con Oroven e Elfkral verso il Forte. Avrei dato qualunque cosa per sapere se
Éomer era vivo e illeso. Ma scossi la testa in cenno di diniego.
“Non posso.” gemetti “Anch’io devo obbedire al Re.
Non posso.” Mi chiesi perché mi stavo facendo questo.
“Scendete da cavallo. Avete sentito la Regina.
Tornate ai vostri posti.” disse Merodor. Potevo sentire il rimpianto e
l’amarezza nella sua voce. Oroven e Elfkral obbedirono a malincuore e
riportarono i cavalli nel praticello dietro la tenda. “Permettete, mia
signora?” disse Merodor accennando ai suoi compagni.
“Vai pure” mormorai. Incrociai le braccia sul
ventre in un istintivo gesto di protezione verso la mia creatura; mentre
fissavo le fiamme che si levavano a Nord. “Éomer, ti prego. Ti prego.”
mormorai.
“Dovevi lasciarci andare”la voce di Oroven era
bassa ma irosa. “Non pensavo che tu fossi un tale codardo.”
“Io non sono un codardo!” ribattè Merodor.
“E’ vero,” intervenne Elfkral. “Lascialo stare,
Oroven. Non sbaglia a obbedire agli ordini.”
“No, non è un codardo. Lui vuole rimanere qui con
la Regina mentre il Re rischia la vita,” sibilò Oroven furioso “e sappiamo
perché, non è vero, Elfkral? Tu” la voce del ragazzo si era trasformata in un
ringhio “Tu segretamente speri che Éomer muoia, non è così? Nella tua follia
desideri che la Signora sia tua!”
“Sei forse impazzito, Oroven? Ti rendi conto delle
cose che stai dicendo? A Merodor, il nostro amico!”
“Taci, Elfkral!” ordinò Oroven. “Sentiamo cos’ha da
dirci il nostro capitano.”
“E’ follia la tua, Oroven. Mai potrei desiderare la
morte del Re!”
“Abbiamo visto con che occhi hai guardato la Regina
questi giorni, sebbene ella sia infinitamente superiore a te. Tu non sei un
codardo, Merodor, sei un traditore. Desiderare la moglie del Re! Non lascerò
che un individuo del genere mi dia ordini!” Un secondo dopo, Oroven galoppò
fuori dal praticello, verso la strada. “Addio, mia signora! Vado a combattere
al fianco del Re, perdonatemi!”
Il litigio dei tre ragazzi mi aveva turbato. Sperai
che Oroven avesse parlato spinto dalla rabbia e dall’angoscia per i compagni
dell’éored.
“Volete cenare, mia signora?” chiese Merodor con
aria mite.
“Grazie, Merodor.”
“Sentite, Signora, non dovete prestar fede alle
cose che ha detto Oroven. Io non mi permetterei mai…” arrossì e chinò il capo.
“Non ti preoccupare, Merodor. Le persone spesso
affermano cose a cui non credono quando sono spinte dalla rabbia e dall’ansia,
io non…” un grido terrorizzato mi interruppe.
“Elfkral!” urlò Merodor, e si precipitò dietro la
tenda. Io lo seguii stringendo la mia spada. Il giovane Cavaliere era riverso a
terra, una freccia nero piumata gli spuntava dal petto, una macchia scura di
sangue si stava allargando sotto di lui. “Orchi!” esclamò atterrito Merodor,
sollevando il compagno. “Delkral, mi senti? Ti prego, apri gli occhi!” ma il
viso di Elfkral restò bianco e immobile. Solo un lieve respiro tradiva la vita
che ancora c’era in lui.
“I signori dei cavalli piangono per la feccia?”
trattenni il respiro.
Non avevo mai visto un Orco, ma non avevo dubbi
sulla razza dell’orribile creatura che aveva parlato. Nera e ributtante, ci
fronteggiava circondata dai suoi compagni, altrettanto ripugnanti.
“Ci hanno trovato! Oh, per Eorl, come hanno fatto?!
Signora, fuggite” mi sussurrò Merodor, pallido come un morto. “Fuggite subito.”
Sembrava che le orride creature fossero divertite dal nostro orrore, stavano
ferme a osservarci. Merodor mi passò Elfkral e sfoderò la spada.
“Prendete Elfkral e fuggite!”
“Non posso
lasciarti qui da solo! Come farai?”
Il ragazzo non ebbe tempo di rispondere. Uno degli
Orchi, stanco di aspettare, gli si era lanciato addosso. Il Cavaliere parò la
sua sciabola e provò un affondo, ma presto altri gli furono intorno e fu
ferito. Istintivamente, sfoderai Crëwine e mi preparai ad aiutare Merodor nella
lotta. Ma una voce, quella di Èomer, fermò il mio braccio. “Ti probisco nel modo più assoluto di
scendere in guerra, affrontare nemici o combattere a rischio della vita; a meno
che non io non sia stato ucciso, Rohan caduta e tutte le libere genti della
Terra di Mezzo morte e schiave.” Avevo giurato, non potevo fare nulla.
Sentii con orrore il sogno realizzarsi, la volontà di Èomer mi impediva di
essere d’aiuto.
“Avanti,
vermi!” strillò il capo. “Sono solo un ragazzino e una donna! Sterminateli, poi
avrete il piacere di prendere alle spalle dei veri guerrieri!”
Gli attacchi si fecero più fitti. Merodor parò
molti colpi che mi avrebbero ucciso, terrorizzato e pallido.
“Via, Signora!” combattendo, eravamo indietreggiati
fino alla roccia dove stavo seduta prima. Stellagrigia era lì sotto. Fischiai e
la mia cavalla ci fu accanto, nitrendo.
“Portatelo in salvo, mia signora, ve ne prego. E’
mio cugino.”
Ero stordita dalla confusione, ma riuscii a
trascinare Elfkral su Stellagrigia e a salire dietro di lui, mentre Merodor ci
difendeva disperatamente, uccidendo quanti più Orchi possibile. Ma ormai era
con le spalle al muro, le orride creature ci stavano separando. “Andate!” urlò
Merodor, ormai sanguinante e esausto.
“Vengo da te!” ribattei, lottando contro l’istinto
che mi urlava di scappare.
“La cavalla non può portarci in tre! Verremmo
presi! Andate! Salvate mio cugino!”
“Merodor…!”
“Via!”
Gli Orchi iniziarono a menare fendenti contro
Stellagrigia, ma lei li teneva lontani scalciando. Ogni secondo temevo di
cadere e di far cadere Elfkral, ma la mia fedele giumenta riusciva a tenerci in
sella pur impennandosi e sferrando calci all’impazzata, così tenendomi con una
mano, stringevo a me Elfkral e la spada, pregando di poterla usare. Vidi
Merodor scomparire sotto le nere figure che lo assediavano sotto la roccia. Con
la morte nel cuore, diedi un colpo di tallone nei fianchi di Stellagrigia,
ordinando: “Gongan, gongan!” e lei si
scagliò come un fulmine sulla strada, lasciando indietro gli Orchi.
Strinsi le briglie e sistemai meglio corpo inerte e
sanguinante di Elfkral davanti a me, incitando la cavalla a galoppare più
veloce. Corse come il vento, portandoci in salvo. Il rumore rimbombante degli
zoccoli stordiva la mia mente, cercando di non pensare a niente strinsi a me
Elfkral e lasciai che la cavalla ci portasse lontano dalla morte.
Giunta all’inizio di una discesa, Stellagrigia si
fermò improvvisamente. Spalancai gli occhi, inorridita. Una lunga fila di Orchi
si stendava sotto i nostri piedi, correvano a portare aiuto ai loro compagni al
Forte. Dovevano essere almeno quattrocento. Allora il gruppo che stava
combattendo con l’éored di Éomer non
era che l’avanguardia dell’esercito! Schiacciati tra l’incudine e il martello,
stanchi e colti di sorpresa, gli Eorlingas avrebbero potuto cedere. Dovevano
essere avvertiti. Dovevo arrivare al Forte prima di loro, non potevo fermarmi,
sebbene fossi esausta e Elfkral moribondo. Anche se avrei voluto buttarmi per
terra e piangere, per Merodor, per Elfkral, per me e il mio bambino, tirai le
briglie facendo voltare Stellagrigia e la spronai a trottare verso un sentiero
nascosto ma poco distante dalla strada. Scesi da cavallo e, strappata una
striscia di tessuto dal mio abito, fasciai con quella il petto del ragazzo
esanime dopo avergli tolto l’armatura, che lasciai sull’erba. Quindi rimontai
in sella e mormorai:
“Galoppa, Stellagrigia, corri! Dobbiamo salvare il
Re!” battei un colpo di tallone nei fianchi della giumenta e lei si lanciò sul sentiero,
veloce come la tempesta.
“Galoppa, Stellagrigia, corri!”
Più rapido della mia giumenta avrebbe potuto
correre solo il fulmine, ma non mi sembrava abbastanza. Mi sentivo il cuore
straziato fra il desiderio di andare avanti e quello di tornare indietro da
Merodor, lasciai che le lacrime mi scorressero sul viso, subito lavate via dal
vento. Elfkral non accennava a svegliarsi, anche se a ogni salto di
Stellagrigia il suo corpo sussultava. Il sangue continuava a uscire dalla
ferita sul torace, la misera fasciatura che gli avevo fatto non era sufficiente
a fermare l’emorragia. Mi chiesi per quanto Stellagrigia avrebbe potuto
sopportare quell’andatura. Circa verso le nove di sera, la feci rallentare e
bere a un ruscello che attraversava il sentiero: la schiuma le usciva dalla
bocca, erano almeno tre ore che galoppava a una velocità folle. Ma in
lontananza sentii il rumore della corsa degli Orchi, fui costretta a rimontare
in sella e a spronare di nuovo Stellagrigia.
“Avanti, mia povera Stella; ancora non possiamo
fermarci”
La luna sorse sulla strada che continuava in
salita, senza che io scorgessi altro che i lontani bagliori dell’incendio.
Stellagrigia correva e correva, e infine una nera figura illuminata dal crudele
fuoco rosso si stagliò su un poggio poco lontano. Udivo grida e metallico
cozzare di spade davanti a me, il cupo rimbombo della corsa degli Orchi dietro.
Esausta ma piena di rinnovata energia, spinsi la cavalla su per il pendio
roccioso.
Ciao, miei cari lettori! (Va be’, solo lettrici)
Vi chiedo perdono per l’aggiornamento lento, ma mi
sto pentendo amaramente di aver scelto il liceo classico sperimentale
scientifico, dato che non dormo e non scrivo più per studiare (a malapena
mangio)
Comunque, come vi sembra questo capitolo pieno d’azione?
Interessante? Spero di sì.
Sono veramente cattiva con Lothi, mi dispiace, ma l’ho
messa alla prova per vedere se tiene fede al giuramento.
Come sempre, un grandissimo GRAZIE alle mie
lettrici e recensitrici Arwins, Thiliol, Sesshy94, Nini Superga, Arena,
Gilestel e Lexis.
La gola dove la
battaglia infuriava era stretta e lunga, sul margine di destra scorgevo la
massiccia figura del Forte, su quello di sinistra nient’altro che un brulli scogli
rocciosi. Per le forze degli Orchi in procinto di arrivare sarebbe stato facile
stringere i Cavalieri in mezzo a loro e trucidarli tutti.
Udivo il clangore
delle armi, nitriti di cavalli, urla di Uomini e Orchi. L’incendio era stato
appiccato alla sterpaglia che circondava il Forte di Léofa, in modo che fosse
arduo per coloro che erano all’interno prestare soccorso ai combattenti; mi
sembrava di rivivere il mio pauroso incubo.
Come sarei riuscita
a trovare Éomer in quel delirio?
Smontai da cavallo
quando giunsi all’imboccatura della gola e tirai giù Elfkral, che non dava più
segni di vita. Lo adagiai sull’erba dietro una grossa roccia, sperando che gli
Orchi non lo trovassero: non potevo certo portarlo con me in mezzo allo
scontro.
“Sarà ancora vivo?”
mi chiesi, preoccupata. Non avrei potuto sopportare la sua morte: avevo
promesso a Merodor che l’avrei salvato. Pensare a Merodor mi fece piangere.
“Andiamo, Stellagrigia.”
Sguainai Crëwine e mi lanciai giù per il ripido pendio
al galoppo, senza incontrare altri ostacoli che qualche cadavere di Orco. La
battaglia infuriava nella gola, i Cavalieri e gli Orchi confusi in una
rossastra massa indistinta. A causa del giuramento, non potevo attraversare la
gola alla ricerca di mio marito, anche se così sarebbe stato molto più veloce
trovarlo, ma dovevo aggirare il nucleo del combattimento cavalcando sulla
ripide pendici. Spronai avanti Stellagrigia, cercando di confondermi tra le
ombre, sforzandomi di evitare i drappelli di Orchi che si aggiravano ai margini
della battaglia: evidentemente avevano il compito di impedire che qualcuno,
allontanandosi dallo scontro, si accorgesse dell’armata sopraggiungente.
Mi costrinsi a non pensare a niente, ad
andare avanti in cerca della bianca criniera sull’elmo di Éomer.
Impaurita dagli
Orchi che pattugliavano il ciglio della gola, mi diressi sempre più verso il
cuore della battaglia, senza neanche accorgemene: quando lo feci, era troppo
tardi, ormai ero invischiata nello scontro. Gli Orchi menavano fendenti
all’impazzata, fui sfiorata dalle loro lame più volte, sebbene Stellagrigia,
scartando e impennandosi abilmente, mi evitasse le ferite peggiori. I Cavalieri
che incontravano si accorgevano a malapena che non ero uno di loro: la mia
veste era talmente lacera e sporca di sangue e i miei capelli tanto arruffati
che sembravo un Rohirrim senza armatura, nella notte era difficile distinguere
persino amico e nemico, la rossa luce dell’incendio illuminava tutto di una
sfumatura crudele.
“Éomer!” chiamavo,
ma nella confusione non riuscivo a sentirmi nemmeno io. “Éomer! Via, schifosa
creatura…Éomer! Éomer! ”
Finalmente riuscii
ad accostarmi ad un Cavaliere, mentre gli Orchi arretravano momentaneamente.
“Dov’è Éomer?” ansimai.
“Verso il Forte,
sta mettendo in fuga gli Orchi da lì. Presto la battaglia sarà finita, ragazzo,
il nemico sta cedendo” poi si volse verso di me e spalancò gli occhi. “Mia
signora! Voi! Che fate qui?! Dov’è la vostra scorta?”
“Non c’è tempo per
parlare. Un drappello di circa quattrocento Orchi si dirige qui e presto saremo
chiusi nella gola fra l’incudine e il martello. Fallo sapere a coloro che sono
qui vicino! Io vado da Éomer!”
“Mia signora,
fermatevi!”
Ma ero già
galoppata via. Io e Stellagrigia eravamo esauste, non reagivamo più agli
attacchi degli Orchi. Tre volte le loro spade ricurve mi lacerarono la carne,
tre volte sangue zampillò dalla mia pelle, tre volte scoppiai in lacrime mentre
spronavo Stellagrigia. Ma non mi fermai, e infine lo vidi. In groppa a
Zoccofuoco, guidava l’assalto che spingeva gli Orchi via dal Forte, nella gola
dove venivano uccisi dagli altri Cavalieri.
“Éomer!”
Si voltò, e
impallidì.
“Lothi!” volse le
spalle ai suoi guerrieri e galoppò verso di me, seguito da uno dei Cavalieri.
“Lothi! Lothi, come sei tu giunta sin qui? Quale follia o diabolico artifizio è
questo?”* mi strinse fra le braccia e poi, prendendomi per le spalle, mi
allontanò per controllare le mie condizioni. Ero tentata di buttarmi sul suo
petto a piangere tutta la notte, ma mi costrinsi a parlare.
“Éomer, ascolta.
Almeno quattrocento Orchi marciano verso la gola, sarete chiusi qui dentro se
non vi rifugiate su uno dei pendii.”
“Maledizione! Come
lo sai?”
“Li ho visti.”
“I ragazzi della
tua scorta?” non risposi subito.
“Oroven è corso ad aiutarvi quando ha visto il divampare delle fiamme. Elfkral
è moribondo” singhiozzai.
“E Merodor?”
“Merodor è caduto
per difendermi dagli Orchi.” Vidi il viso di Éomer contrarsi per la sorpresa ed
il dolore.
“Orchi? Com’è
possibile?” Tacque per qualche istante; poi ordinò al suo compagno: “Un’armata
si dirige verso di noi da sud. Di’ a Elfhelm di spostare tutte le truppe più in
alto possibile sui crinali di est e ovest, dev’essere lasciato solo un piccolo
contigente all’estremità nord. La gola dev’essere sgombra, capito? Gli Orchi devono
pensare che sia una ritirata. Le bestiacce devono credere di star vincendo, e
scagliarsi, con i rinforzi, sui difensori del lato nord. A quel punto caleremo
al galoppo e li distruggeremo.”
“Subito, sire” il
Cavaliere galoppò via.
“Oh, Lothíriel!” gemette mio marito. “Sei ferita.
Avrei preferito perire per mano degli Orchi che stanno arrivando piuttosto che
vederti ridotta così! E in più…” lanciò un’occhiata significativa verso la mia
pancia.
“Sta bene, almeno
credo” cercai di tranquillizzarlo.
“Vattene subito da
qui. Se non fosse stato per te probabilmente saremmo morti tutti, ma forse
sarebbe stato meglio. Guarda come sanguini! Ti scorterò al Forte, ma promettimi
che rimarrai là dentro.”
“Va bene.”
Éomer era illeso,
così mi prese su Zoccofuoco e aggirò il Forte fino a un’entrata segreta.
Stellagrigia ci seguì trottando. Chiamò ad alta voce nella lingua del Mark e
presto la porticina si aprì. La testa di un ragazzo si affacciò e Éomer gli
diede qualche veloce ordine nella sua lingua. Quindi mi fece scendere da
cavallo e mi depose a terra. Stavo per svenire, non ebbi neanche la forza di
tenermi in piedi mentre Éomer mi faceva smontare.
“Sta’ attento” ebbi
la forza di dire.
“Non stare in pena
per me. Dopo essere scappata dall’accampamento disobbediendomi, meriti una
bella predica: non morirò certo prima di fartela.” Sorrise da sotto l’elmo e io
gli sorrisi stancamente di rimando. Poi voltò Zoccofuoco e cavalcò via verso la
battaglia.
Spesso avevo
sentito dire che ti accorgi del valore di una cosa che hai solo quando la
perdi, e in quel momento mi accorsi che erano parole veritiere. Sentii qualcosa
strapparsi e sciogliersi dentro il cuore quando Éomer voltò il cavallo e
galoppò via sotto le stelle, simile a Oromë il Grande durante la Battaglia dei Valar.
Non avevo temuto
mai di perderlo, nemmeno quando mi aveva lasciato quella mattina: sentivo che
avrei dovuto fare qualcosa, che era in mio potere impedire che la falce di
Mandos si abbattesse su di lui. E adesso, invece, che ero debole e incapace di
fare alcunchè, lui cavalcava verso il pericolo, per difendere me, nostro figlio
e tutte le mogli e i figli della sua terra.
Immaginai per un
secondo che Éomer fosse morto; non sentire più la sua voce brusca, non più il
suo calore al mattino, i suoi capelli biondi e i suoi insopportabili
rimproveri: mi invase il cuore un tale dolore, che mi portai le mani al petto
artigliando la pelle.
Io non potevo vivere senza Éomer.
Perché io amavo Éomer.
Lasciai che il
ragazzo mi trascinasse dentro, fino a un giaciglio militaresco in una spoglia
camera di pietra. Stellagrigia era stata portata nelle stalle da un altro
sguattero.
“Riposate, mia
signora. Non abbiamo comodità degne di voi qui, ma presto il nostro medico
verrà a visitarvi. Dormite.”
“Aspetta” dissi “Sul
poggio opposto della gola, dietro la più grande delle punte rocciose sul
crinale sud, c’è un ragazzo ferito forse a morte. Desidero che sia portato qui
e curato prima di me: le sue ferite sono molto più gravi delle mie. Se dovesse
essere…morto” la mia voce tremò e si ruppe in un singhiozzo “Dategli onorevole
sepoltura.”
“Sarà fatto, mia
signora. Dormite, adesso.”
Chiusi gli occhi
per fuggire al dolore del corpo e dell’anima, e spronfondai in un cupo sonno
denso di incubi. Solo alla fine, la luce sanguigna che aveva sinistramente
illuminato tutte quelle visioni terribili si schiarì in un’alba bianca e
tiepida. Éomer mi veniva incontro su di un prato dove spuntavano a guisa di
fiori candidi pennacchi di elmi. Mio marito aveva sulle spalle un bambino biondo
e sorridente, che si stringeva al capo dell’uomo con affetto. Quando Éomer mi
fu vicino, il piccolo allungò una mano per sfiorarmi i capelli e disse: “Hai
vinto, mamma.”
Suonate le trombe! Appendete le bandiere alle finestre! La
svogliatissima, prigrissima, stupidissima e incasinatissima Elothiriel si è
decisa a scrivere e pubblicare un altro capitolo!
Mie carissime,
potete picchiarmi e insultarmi quanto volete, perchè il mio comportamento è
inaccettabile.
Sono stata
inattiva per più o meno tremila anni, per una svariata serie di motivi, fra
cui, last but not least, la mia totale perdita di ispirazione. Comunque non ho
scusanti, e se volete, siete liberissime di mollarmi qui e non farvi più
sentire, come ho fatto io.
Vi chiedo
umilmente scusa e perdono.
Passando ad
argomenti meno dolorosi per me (ma per la povera Lothi no davvero) come vi è
sembrato questo capitolo? Avete visto, alla fine tutto, più o meno, si è
risolto, anche se non per il giovane Merodor (lacrime di rimorso).
Come sempre,
ringrazio (questa volta con anni luce di ritardo) tutte le fantastiche persone
che mi recensiscono o mi seguono in qualche modo, anche solo leggendo.
Specialmente, un bacio a Arwins, Sesshy94, Arena, Elfa, _Gilestel_,
Ariel_Malfoy, Xxbrokenrose, Cassiana.
“Lothi, sei
sveglia?” Aprii lentamente gli occhi. Il sole doveva essere sorto già da molto,
la mattina era fragrante e luminosa. Éomer era chino su di me, scarmigliato e
sporco, ma illeso.
“Éomer!” esclamai
felice, e mi tirai su per dargli un bacio. Lui mi ricambiò stupito.
“Stai meglio di
quanto pensassi.”
“Sono felice che tu
sia salvo.”
“Tu invece sei
ferita. Il medico che si è occupato di te ha detto che non hai ricevuto più di
qualche graffio, ma sono stati sufficienti per indebolirti.”
“E…nostro figlio?”
chiesi titubante.
“Il medico ha detto
che non ha esperienza di queste cose, ma a lui sembra che il bambino stia bene.
Evidentemente è già un forte Cavaliere” il tono di Éomer era pieno di affetto.
Sospirai sollevata. “Ma non pensare che io ti abbia perdonato! Sfuggi per
miracolo alla morte e invece di metterti in salvo ti precipiti nel cuore della
battaglia. Non mi importa niente se ci hai salvato dalla sconfitta e hai
permesso che distruggessimo tutti gli Orchi stanotte, tu dovevi fuggire e
nasconderti! Sono estremamente adirato con te.”
“Scusa, Éomer. Mi
dispiace, non lo farò più” gli sorrisi. “Adesso sei contento? Possiamo
sorvolare sulla predica e parlare di argomenti più gioiosi? Il sole si è levato
sulla vostra vittoria, e questo è cio che desideravi.”
“Si, ma tu non…”
“Shh! Ti ho già
chiesto scusa. Niente predica, va bene?”
“E così sia. Ma
bada che se ci riprovi, io…”
“Ho capito! Mi
infilzerai come un Orco.” Éomer sbuffò.
“Io sono serio.”
“Io no.” Mi sentivo
felice dato che tutto si era risolto, contro ogni aspettativa. Avevo impedito
che il sogno si realizzasse e che il puledro, che capii essere il futuro del
Mark e insieme mio figlio, perdesse il suo difensore. Ma ancora qualcosa mi
tormentava.
“Elfkral?”
mormorai, all’improvviso priva di ogni allegria.
“Era quasi morto
quando l’hanno trovato. Ma ancora respirava, così i miei uomini l’hanno portato
qui, dove il medico si è preso cura di lui. Non è fuori pericolo, ma siamo
speranzosi sulle sue condizioni.”
“Grazie ai Valar!”
la notizia mi aveva dato un profondo sollievo.
“Oroven è arrivato
insieme agli Orchi, il suo cavallo non è certo veloce come Stellagrigia. Quelli
erano talmente concentrati nell’inseguirlo che si sono a malapena accorti che
la gola era vuota, eccezion fatta per i loro simili inebriati dalla certezza
della vittoria: appena sono entrati tutti nel burrone siamo scesi al galoppo da
qui stringendoli contro l’altro pendio. E’ stata una carneficina, li abbiamo
trucidati fino all’ultimo. Nessun Orco oserà mettersi più contro gli Eorlingas
del Mark.”
“Contro il Re del
Mark”
“Contro la valorosa
Regina Lothíriel.”
“Su, Éomer. Non
scherzare.”
“Io non scherzo. E’
stato grande e degno di lode quello che hai fatto, sebbene per me sia degno più
che altro di una lavata di capo memorabile. Hai rischiato la vita, ti rendi
conto? E anche quella di nostro…”
“Éomer! Non
ricominciare a farmi la predica.”
“Ma capisci perché
sono furibondo? Non posso nemmeno tollerare l’idea di perderti. Ascolta, non
sono abituato a tutte queste smancerie, non so se mi sono espresso bene. Ma
spero che tu abbia compreso quello che voglio dirti.”
“Ho capito, Éomer.
Nemmeno io potrei stare senza di te. Ma tu hai il diritto e il dovere di
proteggermi, secondo i costumi degli Uomini, io non ho alcuna autorità su di
te. Non posso dirti ‘resta a casa mentre io rischio la vita’; tu invece puoi
ordinarmelo e tutti si aspettano che io ti obbedisca senza protestare. Capisci
cosa intendo? Io non cerco la gloria o la fama, solo, è straziante aspettare
senza fare nulla.” Éomer mi fissò qualche secondo negli occhi, poi distolse lo
sguardo come rimembrando qualcosa di lontano.
“Tu, al contrario
di quanto ci si potrebbe aspettare, non mi ricordi mia sorella, ma il piccolo
Holbytla, Messer Holdwine.”
“Perché?”
“Non era molto
abile in battaglia, e la sua statura era pari a quella di un bambino; non amava
la guerra. Ma per aiutare i suoi amici cavalcò verso i Campi del Pelennor e
inflisse una ferita terribile al Negromante, permettendo a mia sorella di
ucciderlo. Non per gloria o per onore, solo per affetto. Come te.”
“Non ti sei messo a
urlargli contro una volta scoperta la cosa, no?”
“No. Ma io gli
voglio bene, non lo amo.”
“E menomale!” Éomer
ridacchiò, poi tornò serio.
“Ti ‘urlo contro’
perché ti amo; anche se per te non sono altro che l’uomo scelto da tuo padre.”
“Non è vero”
ribattei. “Anch’io ti amo.”
Éomer sorrise.
Partimmo cinque
giorni dopo, Elfkral e gli altri feriti legati su delle barelle tese fra due
cavalli. I miei tre graffi, poco profondi ma dolorosi, mi bruciavano, e avevo
come sempre un poco di nausea e una gran voglia di dormire (cose così normali
che mi stupirono dopo quegli avvenimenti straordinari) così Éomer mi portò su
Zoccofuoco mentre Stellagrigia trottava accanto a noi.
Ci fermammo vicino
a dove era stata eretta la mia tenda, gli uomini si avventurarono sullo spiazzo
per scoprire se c’era ancora qualcosa da fare. A me non fu permesso di andare,
Éomer disse che voleva risparmiarmi la visione che aspettava lui e i suoi
uomini.
Vidi che
accendevano un falò, l’odore acre e disgustoso della carne di Orco bruciata
giunse fino a me. Quando tornarono, Elfhelm reggeva fra le braccia un cadavere
umano, dai corti capelli biondi incrostati di sangue.
“L’abbiamo trovato
accanto a un masso, circondato da cadaveri di Orchi,” disse “ne aveva uccisi
molti.” Lo depose a terra con cura. I miei occhi si riempirono di lacrime nel
vedere il viso di Merodor sfregiato e martoriato. Giaceva in terra
scompostamente, le membra spezzate formavano strani angoli.
“E’ morto per difendere
me” sussurrai. “E io l’ho lasciato da solo.”
“Ha compiuto una
valorosa impresa” ribattè Elfhelm, “degna di un Cavaliere ben più esperto di
lui. Ma ha fatto ciò che era suo dovere.”
Scavarono una fossa
per lui, e ve lo deposero al tramonto, dopo avergli lavato il viso e ricomposto
il corpo. Mentre i Cavalieri si occupavano del giovane eroe, io mi diressi vero
le barelle dei feriti, là dove giaceva Elfkral. Ancora era molto debole, ma
poteva parlare. Nel vedermi tentò di sollevarsi a sedere, ma glielo impedii con
un cenno della mano.
“Elfkral…mi
dispiace” singhiozzai “Merodor, tuo cugino, è…”
“Morto.” Lo fissai,
era pallido e aveva gli occhi lucidi. “Lo sapevo di già. Potrei salutarlo per
l’ultima volta, mia signora? Ve ne prego, fatemi portare da lui.” Stavo per
rispondergli quando un altro Cavaliere si chinò su Elfkral e lo sollevò, non
senza sforzo, poiché erano della stessa corporatura.
“Ti porterò io,
Elfkral” disse Oroven. Aveva la disperazione nello sguardo. “Mi potrai mai
perdonare? Se io non me ne fossi andato, forse lui sarebbe ancora vivo. E
l’ultima cosa che ha avuto da me è stato astio e parole non veriterie! Oh,
Elfkral, lascia che io ti scorti dal nostro capitano.” Elfkral annuì e l’altro
ragazzo lo trasportò verso la fossa. Li seguii lentamente, piena di tristezza.
Merodor avrebbe dovuto vivere. Era così giovane, avrebbe dovuto continuare a
cavalcare sui colli d’estate, avrebbe dovuto sposarsi, avere dei figli,
invecchiare accanto al fuoco della sua dimora…e invece era caduto come una foglia
primaverile stroncata da un gelo improvviso. Osservai gli Eorlingas radunati
intorno alla fossa aprirsi in due ali per far passare Oroven e Elfkral.
“Merodor,
perdonami” mormorò Oroven, deponendo l’amico a terra. “Mi prenderò io cura di
Elfkral adesso.”
“Addio, cugino”
disse Elfkral. “Sei stato il mio modello e il mio più caro amico. Il tuo
ricordo, e quello delle tue gesta, non verrà mai obliato.”
Gettai nella fossa
dei fiori purpurei che avevo colto quando ci eravamo fermati.
“Grazie, Merodor.”
La fossa fu
ricoperta e venne eretto un tumulo di pietre.
“Mai sarà
dimenticato Merodor figlio di Trameor” disse Elfhelm. “Canzoni saranno scritte
per lui.”
Seduta davanti alla
tomba, cominciai a cantare piano una ninnanna che le madri di Dol Amroth sussurravano
ai figli quando erano malati.
Fuori tutto è buio e freddo
Ma il mio bambino è qui al sicuro nel suo
letto
Presto tornerà il sole
E con lui il mio piccolo a giocare fra le
viole…
Una mano che si
posava sulla mia spalla mi interruppe.
“Sei triste, vero?”
disse mio marito. “La guerra non è un gioco e la morte dei giovani non è
giusta.”
“Hai ragione”
risposi. “Quando desideravo combattere non sapevo cosa volesse dire davvero.
Gloria e fama non valgono la vita.”
Quando tornammo a
Edoras la notizia della nostra vittoria e della mia parte in questa si era già
diffusa ampiamente. C’era chi diceva che avevo sterminato da sola l’intero
drappello ausialiaro degli Orchi, chi sosteneva che mi ero lanciata per
avvertire Éomer in una galoppata durata tre giorni senza fermarmi mai, chi era
convinto che quelle fossero solo voci e che io non avessi fatto niente, in
realtà. Ero propensa a dare ragione a questi ultimi, ma la riverenza con cui mi
trattavano i Cavalieri rinfocolava l’ammirazione di cui ero oggetto.
Rividere Meduseld
fu meraviglioso, mi stupì la sensazione di essere tornata veramente a casa. Finora avevo continuato a
considerare Dol Amroth come la mia vera casa, il luogo dove incosciamente mi
aspettavo di tornare; e invece Edoras aveva preso posto nel mio cuore accanto
al luogo dove ero nata.
La sera ci fu un
grande banchetto, finalmente anche Elfkral fu in grado di alzarsi e sedere a
tavola con noi. Éomer lo nominò mio scudiero personale, addetto alla mia difesa
e soprattutto a controllare che io obbedissi ai suoi ordini.
Il viso di Elfkral
era diverso da quello del ragazzo escluso dalla battaglia degli adulti, era più
simile a quello di un uomo, sebbene non avesse perduto del tutto la spontanea
luminosità dell’adolescenza.
Pochi giorni dopo,
in occasione del trentunesimo compleanno di Éomer, egli nominò Elfhelm
Maresciallo della Marca Orientale ed Erkenbrand Maresciallo della Marca
Occidentale, sostituendo le cariche di Secondo e Terzo Maresciallo, in modo che
nessuno dei due fosse più importante dell’altro.
Io...Io...Io...non
posso dire niente.Io so
che non si può sparire così. Non cercherò di giustificarmi.
Se volete ancora
leggere, siete le persone più adorabili del pianeta. Se vi ricordate cosa è
successo negli ultimi capitoli di molto tempo fa, avete anche un’ottima
memoria.
Ovviamente i
gloriosi sovrani del Mark sono adirati con me quanto voi. Ma avoi, persone di straordinaria benevolenza e
pazienza e magnaminità, vanno i miei ringraziamenti e la mie preghiere di
perdono: Thiliol, Gilestel, Xxbrokenrose, Arena, Sesshy94, Lexis, Rainbowspring,
Otakufangirl97 (a cui consiglio di leggere la mia storia “Il professore” perchè
troverà, sebbene MOLTO idealizzato, qualcuno che conosce), Black_Moody, Vodia e
Alabaster.
Grazie, per
avermi seguito fin qui.
Grazie mille, se
continuerete a leggere nonostante la mia riprovevole discontinuità.
“Se avete la grazia
di scusarmi mi ritiro” dissi alzandomi in piedi. La cena sarebbe durata ancora
a lungo, gli uomini sarebbero rimasti a bere birra e a chiacchierare; ma io mi
sentivo davvero stanca. La pancia ormai era rotonda ed evidente, ormai erano
passati cinque mesi da quando mi era accorta di essere incinta. Gli ospiti si
alzarono e mi salutarono, poi mi diressi verso camera mia. Falmer stava
sistemando un vaso di fiori di nodiflorum giallo: avevo introdotto io
questa consuetudine a Meduseld, dove nessuno aveva mai sentito parlare di fiori
come decorazione per il palazzo. Quando, pochi giorni dopo il nostro
matrimonio, Éomer aveva notato la mia composizione di viole e giacinti sul
davanzale aveva fatto una smorfia sorpresa.
“Perché hai
ammucchiato lì quei fiori?” aveva chiesto con la sua solita rudezza.
“Non li ho ammucchiati,
li ho composti. Vedi come sono belli e profumati?” avevo ribattuto.
“Certo che tu sei
strana, sarà perché vieni dal mare. Lì usano mettere i fiori nei vasi perché
facciano un buon profumo?”
“Certo. Non lo
fanno qui a Rohan?”
“Mai visto.
Comunque fai un po’ quel che ti pare, finchè si tratta di piante…” detto
questo, era uscito senza degnare di un’ulteriore sguardo il mio bel vaso.
Nonostante quest’accoglienza così fredda, non mi ero scoraggiata e avevo
continuato a comporre e ordinare vasi pieni di fiori in tutta Meduseld, finchè
Éomer, i nobili di corte e la servitù non si erano abituati a questo mio costume.
“Ho quasi finito,
Signora.” disse Falmer passando dal sistemare i fiori al tirare le pieghe delle
coltri del letto.
“Non importa che
stiri le grinze, Falmer, tanto adesso io vado a letto, e a Éomer non importa
assolutamente niente delle pieghe della coperta. Piuttosto, aggiungine
un’altra, la notte si preannuncia fredda.”
“Secondo me
stanotte nevica.” commentò la cameriera distrattamente. Io trattenni il fiato.
“Nevica? Che
meraviglia!” esclamai.
“Insomma, quando
inizia a sciogliersi e a formare quel pantano gelido dappertutto diventa
piuttosto fastidiosa.” ribattè Falmer.
“Io non mai visto
la neve,” spiegai “a Dol Amroth non è mai caduta, almeno da quando io sono
nata, è troppo a Sud. Ma ne ho sentito parlare: sono impaziente di vederla con
i miei occhi.”
“Non temete, qui
nevica tutti gli anni: non molto, ma abbastanza perché tutti debbano stare
chiusi in casa per due o tre giorni. Ho finito, Signora”
“Grazie, Falmer,
puoi andare. Buona notte.”
“A voi, mia
signora.”
Falmer se ne andò
chiudendo piano la porta. Mi spogliai e indossai la larga e comoda veste con
cui ero solita coricarmi, poi mi rannicchiai sotto le coperte gelate. Faceva
davvero freddo, mi sembrava di avere i piedi immersi in un catino di acqua
ghiacciata. Non so come, riuscii a addormentarmi, la testa sotto le coperte e
le braccia strette intorno alla pancia.
Il letto sobbalzò
svegliandomi quando qualcuno ci si sedette pesantemente sopra.
“Éomer?” chiesi
sbadigliando alla sagoma che intravedevo nel buio.
“Scusa,
non ti volevo svegliare.” rispose lui sfilandosi la casacca dalla testa. Si
infilò nel letto accanto a me, rabbrividendo involontariamente nel toccare i
miei piedi ghiacciati. “Spostati un po’ più in là, sei gelida.” disse
allungando il braccio, spingendomi lontano da lui, fuori dal piccolo spazio che
avevo faticosamente riscaldato.
“Éomer!” protestai.
“Non sei l’unico ad avere freddo. Pensi a tuo figlio faccia bene congelare
nella sponda ghiacciata del letto?”
“Scusa,” sbuffò “va
bene, vieni qui.” Mi avvicinai a lui e mi raggomitolai presso il suo fianco
tiepido. Mi sentivo già meglio, così appoggiai i miei piedi sulle sue gambe
provocandogli un tremito.
“Lothi, i piedi no”
disse allontanandoli con un calcio.
“Per favore, Éomer,
io e tuo figlio stiamo congelando.”
“E sia, però fra un
poco ti sposti”
“Visto che se ti
procuro così tanto fastidio, vado a dormire in camera di Eowyn.” Éomer sospirò,
ma poi mi accarezzò i capelli affettuosamente.
“Tieni pure i tuoi
piedi dove ti pare, ma dormi e lasciami dormire”
“Grazie.”
Quando mi svegliai,
la mattina dopo, mi accorsi subito che c’era qualcosa di diverso nella luce e
nell’aria. Scivolai fuori dal letto senza svegliare Éomer, che stranamente
dormiva ancora. Spalancai imprudentemente gli scuri. Qui a Rohan non avevano i
vetri alle finestre, così l’aria gelida del mattino invase la stanza, facendomi
rabbrividire. Ma ero talmente incantata dal paesaggio davanti a me che non mi
accorsi del freddo. Le case, le praterie, le colline, erano tutte imbiancate di
neve, fin dove potevo spingere lo sguardo. Nevicava ancora, in fiocchi morbidi
e leggeri, che volteggiavano creando forme fantastiche.
“Éomer, vieni a
vedere!” corsi verso il letto e scrollai mio marito con tutta la forza che
avevo.
“Che vuoi?” la sua
voce era impastata dal sonno, ma si alzò subito in piedi.
“Guarda!” esclamai
eccitata, tirandolo per una manica della camicia verso la finestra “Non è
meraviglioso?”
“Ha nevicato
stanotte.” osservò mio marito senza entusiasmo. “Carri e forse anche cavalli
fermi per almeno tre giorni.”
“Ma è incantevole!
La neve è più bella di come la immaginavo.”
“Non l’avevi mai
vista?”
“No, a Dol Amroth
l’inverno è sempre troppo caldo perché nevichi.”
“Allora ti
divertirai, se è la prima volta. Adesso chiudi la finestra, che fa già
abbastanza freddo qui dentro.”
Éomer incominciò a
vestirsi, così anch’io presi il mio abito, che però non infilai.
“Éomer…” chiesi
esitante “non potresti prestarmi dei pantaloni e un paio di stivali?”
“Perché?”
“Ho paura di far
prendere troppo freddo al bambino se esco nella neve con uno dei miei vestiti.”
“Potresti anche
stare dentro tutto il giorno.” propose mio marito.
“Oh, ti prego, voglio toccare la neve e
camminarci sopra…”
“Sembri una
bambina” disse Éomer.
“Ti prego, caro.”
Mio marito cercò di trattenere una smorfia sorpresa, ma non ci riuscì del
tutto: non lo chiamavo mai ‘caro’. Sapevo che anche se era sempre brusco e a
volte anche un po’ rude, non era indifferente a queste gentilezze come voleva
dare a intendere. “Allora?” dissi speranzosa.
“Manderò qualcuno a
cercare i vestiti di quando ero ragazzo, che ho fatto mettere via per mio
figlio. Comunque andranno bene anche a mia moglie, vedrai.”
“Grazie. E, Éomer,
non potremmo dormire in una stanza con un camino, d’inverno?”
“Nessuno ha il
fuoco in camera, qui a Meduseld. Qui non ci sono il lusso e la ricchezza
abituali a Dol Amroth.”
Così, due ore dopo,
infilata nei panni di Éomer quindicenne, uscii sulla terrazza accompagnata da
Elfkral, al quale Éomer aveva raccomandato di impedirmi di fare ‘stupidaggini’.
Certe volte era difficile sopportare questa tendenza di mio marito a
considerarmi una bambina bisognosa di guida e protezione, e la sua ferma
convinzione che, lasciata a me stessa, avrei messo a rischio la mia incolumità
e quella di nostro figlio.
Feci un paio di
passi sulla neve soffice, sprofondando fino alla caviglia. I suoni erano
morbidamente ovattati, come la luce che, rimbalzando sul bianco, si diffondeva
uniformemente donando al paesaggio un dolce splendore. Anche le cose più
familiari erano irroconoscibili, mi sembrava di essere entrata in un mondo
diverso e affascinante. Il mio respiro si condensava in nuvolette di vapore,
sorelle dei morbidi cumuli di candore a terra.
“E’ stupendo.”
mormorai, facendo ancora qualche passo verso l’orlo della terrazza. Nel mezzo
il calpestio di decine di piedi aveva già creato un sentiero battuto, ma ai
lati la neve era ancora intatta. Camminai su quella, osservando le impronte che
lasciavo. Dalle case sotto la reggia provenivano risate e voci di bambini. Mi
affacciai e vidi un gruppetto di figli di nobili di corte che si rincorrevano
l’un l’altro schizzandosi e lanciandosi palle di neve.
Ne raccolsi una
manciata e le diedi una forma sferica nella mia mano, sebbene sapessi che a breve
avrei avuto i guanti fradici e un gran freddo alle mani.
“Quando ero
bambino, io, mio fratello e mio cugino” la voce di Elfkral tremò per un secondo
“Costruivamo dei fortini di neve e giocavamo alla guerra. Poiché io ero il più
piccolo, mi costringevano sempre a fare l’Orco, così mi alleavo con la mia
sorella maggiore, che aveva una mira fantastica,” disse “Una volta prese
Merodor in viso con una palla di neve da quindici metri di distanza.”
“Tiro a quella
colonna laggiù” annunciai, e lanciai la mia sfera bitorzoluta, mancando la
colonna di mezzo metro. Elfkral ridacchiò e io gli scoccai un’occhiataccia.
“Prova te” gli
ordinai. Il ragazzo raccolse un pugno di neve e lo lavorò un poco, poi venne
accanto a me e disse:
“Regina, avete
tanti meriti, ma sicuramente in questa sfida vi vincerò.”
“Vediamo.”
ribattei. Purtroppo Elfkral non si vantava vanamente: il suo lancio fu
perfetto, la palla si appiattì sulla colonna con una precisione degna di un
arcere elfico.
“Che vi avevo
detto?”
In quel momento si
affacciò alla porta Éomer. “Lothi, sei stata fuori abbastanza. Perché non torni
dentro?”
“C’è forse qualcuno
che devo ricevere?”
“No, a causa della
neve tutti coloro che dovevano venire qui sono bloccati a casa. Ma non ti fa
bene stare qui fuori al gelo.” Sapevo che probabilmente Éomer aveva ragione, ma
la neve mi rendeva giocosa e poco disponibile a obbedire i suoi ordini.
“Éomer, sei
insopportabile” gli dissi allegramente. Mio marito sbuffò irritato.
“Andiamo, Lothi, ti
stai comportando come una bambina.”
“Sei tu che sei
sempre serio.”
“Lothíriel, vuoi
torna…” Éomer si interruppe, il viso pieno di neve.
“La mia mira è
meglio di quel che pensavo.” osservai scrollando i guanti per togliere la neve
rimasta impigliata nei fili. Elfkral ci fissava allibito.
“Mia signora…”
balbettò.
“Bel colpo, vero?”
mi complimentai con me stessa. “Tu pensavi che non l’avrei preso…aha!” esclamai
sorpresa. Una grossa palla di neve mi aveva appena colpito sulla testa,
schizzando tutti i capelli. Éomer mi sorrise, sbattè le mani insieme per
pulirle e scomparve dentro la reggia. “Non è giusto!” gli strillai dietro “Io
ti ho lanciato una palla piccola piccola, la tua pesava almeno mezza libbra!”
Nonostante la
bellezza della neve, presto il freddo cominciò a farsi sentire e dovetti rientrare.
Falmer mi aiutò a cambiare i miei abiti fradici, divertita dal mio entusiasmo
infantile. Mi strinsi addosso la coperta che la cameriera mi aveva messo sulle
spalle, sentendo la stoffa ruvida strusciare sulle mie guance. Sospirai. I re
di Rohan non avevano niente da invidiare, come nobiltà e regalità, ai principi
di Dol Amroth, ma a volte sentivo la mancanza del lusso e della raffinatezza
del mio palazzo natio. Sapevo che era un rimpianto sciocco, ma non riuscivo a
dimenticare l’abbondanza di candele di cera, le coltri di broccato e le tende
di velluto della mia camera. Scossi la testa per scacciare questi pensieri
dalla mia mente, indegni di una regina, ingrati verso il mio popolo.
Lasciai che la
coperta mi scivolasse giù dalle spalle e cominciai a rivestirmi.
Avete visto?
Avete visto?? Ho aggiornato velocissimamente!! Non ve lo aspettavate, eh...?
Dopo gli ultimi
tristi e sanguinosi capitoli, eccovene uno unn po’ più leggero e allegro.
Dopotutto, anche la nostra povera regina ha diritto a divertirsi qualche volta,
no? Fatemi sapere cosa ne pensate.
Come sempre,
ringrazio tutti coloro che mi leggono e soprattutto coloro che hanno recensito
lo scorso capitolo: Black_Moody, maura77, Destiel_Doped, Elfa, Silmarie; le mie
fedelissime Thiliol, Sesshy94, Arena e lexis.
Carissime,
potrei chiedervi un piccolo favore? La mia sorellina, Lauredol su EFP, di 9
anni, sta scrivendo una storiella horror, “Halloween: la notte della paura”, ed
è triste perchè ha poche recensioni, non è che una di voi sante andrebbe a
scriverle due parole? so che questo è lo spam più puro, ma è a fin di bene.
Detto questo
Ciao a tutti
(metto a “tutti” nella speranza che ci sia un ragazzo su EFP, ma forse pecco di
ottimismo) e a presto!
Élfwine
nacque il 15 Febbraio del 3021, trentotto giorni prima che iniziasse il primo
anno della Quarta Era. Melange, Falmer e Fréma, sorella di Falmer, levatrice,
mi assistettero durante il parto. Éomer avrebbe voluto un’intera éored di levatrici, medici e assistenti,
ma riuscii a dissuaderlo dimostrandogli che non sarebbero riusciti a entrare
tutti nella mia stanza.
Nostro figlio venne
al mondo in all’imbrunire di gelido pomeriggio, mentre il sole tramontava.
Appena vide la luce
iniziò a strillare a pieni polmoni, e andò avanti finchè non lo presi in
braccio per allattarlo. A me pareva minuscolo, ma Melange mi assicurò che era
piuttosto grosso per essere un neonato.
Falmer, Melange e
Fréma si sporsero da dietro le mie spalle per vedere se il bambino succhiava il
latte senza problemi: mi giurarono che non avevano mai visto un piccino più
vigoroso.
Io lo guardavo
affascinata, traboccante d’affetto. Mi sembrava che non potesse esistere nel
mondo creatura più perfetta e adorabile di mio figlio. Lo amavo incondizionatamente
da quando avevo saputo della sua esistenza, ma adesso era qui, caldo e pesante
fra le mie braccia, una piccola creatura quasi esclusivamente mia. Lacrime di
commozione mi sgorgarono dagli occhi, ma le asciugai subito, facendo attenzione
che non cadessero sul mio bambino. In quel momento il piccolo ancora senza nome
succhiava il latte con energia, era ancora un poco violaceo in viso, ma
sembrava perfettamente sano.
“Andate a chiamare
il Re” ordinai, senza staccare gli occhi da mio figlio. “Ma non ditegli niente.
Desidero dargli io la notizia che è un maschio.” Falmer aprì la porta e Éomer
si precipitò dentro: evidentemente aveva aspettato sulla soglia tutto il
pomeriggio.
“Stai bene, Lothi?
E…” indicò il fagottino di coperte che tenevo in braccio.
“Vieni a vederlo”
dissi “E’ un maschio.”
“Un maschio!” Éomer
si avvicinò rapidamente e io gli mostrai il piccolo, che stava ancora
succhiando il latte. Mio marito rimase in silenzio per qualche minuto,
osservando nostro figlio con un sorriso. Feci cenno alle mie assistenti di
uscire.
“Nostro figlio ha
bisogno di un nome” disse infine Éomer. “Un nome degno di un Signore del Mark.”
“Non vuoi prima
prenderlo in braccio?” Éomer esitò.
“Mi sembra così
fragile.” spiegò “Non sono un medico, sono un guerriero, le mie mani sono rudi
e callose. Temo che gli farei del male.”
“Io sono sicura che
non gli recherai danno in alcun modo.” dicendo questo gli porsi con delicatezza
il bambino, che aveva smesso di bere il latte. “Avanti, prendilo.” La visione
di mio marito che stringeva nostro figlio fra le braccia mi riempì di gioia. Il
neonato non riprese a piangere subito, ma aprì gli occhi e guardò verso il viso
sconcertato di suo padre.
“Ha gli occhi grigi
come i tuoi” osservò Éomer.
“A me sembrano
azzurri” ribattei. In quel momento, Éomer si mosse e il piccolo ricominciò a
piangere.
“Tieni” mi disse
precipitosamente mio marito, porgendomi il neonato.
“Ma come è pauroso,
tuo padre,” commentairivolta a nostro
figlio. Éomer mi scoccò un’occhiataccia.
“Non gli parlare in
questo modo di me.”
“Scherzavo!”
“Il bambino non può
sapere se scherzi o no.” Ma Éomer non era più serio. Si chinò a darmi un bacio
sulla guancia, uno di quei gesti rari nei suoi modi. “Sei stata bravissima,
Lothi. Immagino che ora sarai esausta, ma quando ti riprenderai avverrà la
celebrazione del riconoscimento e dell’assegnazione del nome. Lo sai che non
gradisco molto le cerimonie, ma questa ha molto valore presso il mio popolo.”
“Che nome gli
daremo?” domandai, sfiorando con tenerezza la testa del piccolo. “Ti piacerebbe
Galador? Era il Mezzelfo che diede origine alla stirpe dei Principi di Dol
Amroth.”
“Non è giusto che
il futuro Signore del Mark porti un nome straniero. L’appellativo ufficiale
dev’essere tipico di queste terre, poi gli potrai dare un secondo nome, come
preferisci.” rispose Éomer.
“Capisco. E quale
nome avresti scelto?”
“Élfwine. E’ un
nome regale, e ora come mai è adatto a un Signore del Mark.Sei d’accordo?”
“Élfwine…che cosa
significa?”
“Non capisci? Élf
nella mia lingua vuol dire ‘Elfo’, wine ‘amico’ ma è anche la parola che
spesso usiamo per i nostri cavalli, un suffisso che si ritrova spesso nei nomi
nella Lingua del Mark. Quindi, all’incirca, ‘amico degli Elfi’ è il significato
di questo nome.”
“Ti do il mio
consenso, sebbene preferisca Galador.” Benché il nome mi onorasse, perché
certamente Éomer aveva tenuto conto, nello scegliere, non solo il suo rinnovato
rispetto per Galadriel e gli altri Eldar, ma anche il sangue elfico che
scorreva nelle vene mie e quindi di suo figlio, non mi piaceva che così poco
dopo la sua nascita, la mia creatura venisse estraniata da me, già venisse
considerata prima come erede al trono e solo in secondo luogo come mio figlio.
“Ti prometto che se
avremo ancora un figlio maschio, lo potrai chiamare così. Il nome non mi
dispiace, non è adatto a un Re di Rohan, ma per il nostro secondogenito andrà
benissimo.”
Il Signore di
Dunclivo, Erkebrand Maresciallo della Marca Occidentale, Gamling, Derfalec
Capitano dei Cavalieri di Acquaneve, Léothod di Estmnet, Farkrélf
dell’Ovestfalda, Elfhelm Maresciallo della Marca Orientale, Melange e qualche
altro nobile Cavaliere con la moglie attendevano nel salone. Indossavo una
lunga veste blu notte, fra le braccia mio figlio, ancora per poco senza nome e
senza eredità, dormiva placidamente.
Éomer mi aveva
spiegato che era necessario che il principe ereditario venisse riconosciuto dal
padre alla presenza dei nobili più importanti. Ero d’accordo, anche perché pure
a Dol Amroth era tradizione che il padre riconoscesse il figlio alla presenza
di un ristretto pubblico. Se i genitori del neonato erano di ceto medio o
basso, attendevano alla cerimonia i familiari e qualche amico; se il bambino
proveniva da una famiglia nobile o da quella reale, presenziavano le autorità
dei dintorni o del regno, in modo che il piccolo venisse accettato come
successore del padre. Mi ricordavo di quando era nato Fetrales: avevo visto di
rado il palazzo reale più affollato. Era venuto perfino Denethor il
Sovrintendente da Minas Tirith, con il figlio maggiore Boromir, poco più grande
di me. Sorrisi nel rammentare quei momenti lontani, avvolti in una luce di
benevola tenerezza. Serbavo ancora il ricordo della prima infatuazione che
quell’avvenimento mi portò, l’ammirazione e il rispettoso affetto che mio
cugino mi ispirava. Mathrel, che all’epoca aveva solo quattro anni, lo seguiva
dappertutto, con sommo sdegno di Denethor; io invece aspettavo con ansia la
sera, quando noi bambini cenavamo insieme in una saletta attigua a quella dove
si riunivano gli adulti. Dopo aver mangiato, io e Boromir ci sedevamo sui
gradini ad aspettare che agli adulti fosse servito il dolce, in modo da
riceverne un poco anche noi. Per ingannare il tempo, mio cugino mi raccontava
delle sue lezioni di scherma e di tiro con l’arco, del galoppo sfrenato intorno
alla città, delle splendide armi che suo padre gli regalava.
“Capisci,
cuginetta, io un giorno sarò un grande guerriero e diventerò il Sovrintendente
di Gondor. Pensa, sarò più potente di tuo padre!” concludeva orgoglioso. Ai
miei occhi di bambina, quel ragazzo grande, bello e affascinante, con un
glorioso futuro davanti a sé, era quanto di meglio si potesse desiderare.
Ricordare Boromir
mi cagionava un dolore nostalgico.
Affidai mio figlio
alla balia, Calfwen, e mi diressi verso il salone al fianco di mio marito.
Quando entrammo tutti si alzarono, e rimasero in piedi finchè Éomer non prese
posto sul trono e io nel piccolo scranno scolpito a fianco.
Una piccola cesta
intrecciata era posata davanti ai nostri piedi. Ristabilitosi il silenzio,
entrò Calfwen, che depose nostro figlio nella cesta. Era questo il momento più
importante della cerimonia: se il padre sollevava il piccolo, lo riconosceva e
lo accettava all’interno della famiglia, se lo lasciava piangere nella cesta,
significava che il bambino era il frutto di un adulterio o comunque non era
degno di essere ammesso nella società. Era il fato più terribile che potesse
capitare a un neonato, poiché lo privava di ogni diritto e perfino dello stato
di uomo libero. Per un angoscioso secondo provai la paura, irrazionale e del
tutto infondata, che Éomer non avrebbe raccolto suo figlio, poi scossi
impercettibilmente la testa, irritata dal mio terrore insensato.
Éomer si alzò e si
chinò a prendere in braccio il neonato, che piagnucolava sommessamente.
“Io, Éomer figlio
di Éomund, Signore del Mark, dichiaro che questo bambino, la cui madre è la mia
sposa Lothíriel figlia di Imrahil, è mio figlio legittimo. Egli sarà chiamato
Élfwine. In quanto mio primogenito, lo nomino erede al trono e futuro Signore
del Mark. Giurate voi, nobili del mio regno, di essere fedeli a mio figlio come
lo siete a me e come lo siete stati a coloro che mi hanno preceduto su questo
trono?”
“Giuro, per me e
per i miei soldati.” disse il Signore di Dunclivo, il primo della fila,
inginocchiandosi.
“Giuro, per me e
per coloro che sono sotto il mio comando” ripetè Erkebrand, Maresciallo della
Marca Occidentale.
“Giuro, per me e
per i miei Eorlingas.” Fu la volta di Gamling.
“Giuro, per me e
per i miei Cavalieri.” assentì Derfalec, Capitano dei Cavalieri di Acquaneve.
“Giuro, per me e
per la gente delle mie terre.” dichiarò Léothod di Estmnet.
“Giuro, per me e
per coloro che si rimettono alla mia autorità.” affermò Farkrélf
dell’Ovestfalda.
“Giuro, per me, per
la mia éored e per tutti i Cavalieri del Mark.” concluse Elfhelm,
Maresciallo della Marca Orientale.
Salut a tout le monde!
Finalmente è
nato l’erede al trono, il nostro bel principino Elfwine. Che ne dite? Io gli
voglio già così tanto bene!!
Per spoilerare
un po’, godetevi questo capitolo di pace familiare, perchè le cose stanno per
cambiare...
Come sempre,
grazie mille a tutti coloro che seguono le vicende di Lothiriel e Eomer, e
specialmente alle mie adorate Thiliol, Destiel_Doped, Silmarien, Alabaster, Black
Moody, Lexis e Sesshy94.
Un bacio
grandissimo alle dolcissime persone che hanno recensito la mia sorellina
Lauredol, è stata felicissima, non so come ringraziarvi per averla resa così
contenta.
I due anni che
seguirono alla nascita di Élfwine furono tranquilli e allegri. Disse la sua
prima parola compiuta a undici mesi: con mio sommo sconforto non fu né ‘madre’
né ‘padre’, ma ‘wine’, termine con cui indicava i cavalli, i Cavalieri e
sé stesso, per poi comprendere tutto ciò che gli risultava gradevole o
suscitava in lui interesse.Così, in
breve mi ritrovai ad essere anch’io un ‘wine’, dato che mio figlio non
faceva alcuna distinzione linguistica fra me e Zoccofuoco, suscitando l’inestinguibile
ilarità di Éomer.
“Wine?”
chiamava ogni tanto mio marito, e appena mi giravo scoppiava a ridere. La pace
ormai stabile e le ottime condizioni del Mark avevano reso Éomer decisamente
meno cupo e ombroso: il suo carattere brusco e impetuoso non era cambiato
affatto, ma sorrideva e scherzava molto più volentieri.
Élfwine crebbe
forte e vivace, con una luminosa chioma bionda e grandi occhi grigi che mi
ricordavano il mare in quelli di mio padre. Lo chiamavo Lauredol, Testadorata,
in Sindarin. Tutti gli erano affezionati, perfino i vecchi Cavalieri burberi e
scontrosi sorridevano quando lo vedevano passare, incespicando sulle sue
gambette paffute, mentre giocava con Elfkral.
La Terza Era era
terminata il ventiquattro marzo 3021, appena sette giorni dopo il mio
compleanno: l’alba del venticinque si era levata sul primo dì della Quarta Era.
Il conto degli anni non ripartì da capo, quindi l’anno in cui la mia pace fu
seccamente interrotta era il 3024.
“Il Mare di Rhûn!”
strillai. “Tu non puoi andare a guerreggiare nelle terre oltre il Mare di
Rhûn!”
Stellagrigia
sbuffò, irritata dalle mie urla improvvise.
“Non posso
rifiutare il mio aiuto ad Aragorn.”
Éomer diede una
carezza distratta al suo destriero. Eravamo usciti per una breve passeggiata a
cavallo, stavamo trottando tranquillamente sulle colline intorno a Edoras
quando Éomer aveva annunciato la sua imminente partenza.
“Stai dicendo sul
serio?” mormorai stupefatta. “Te ne andrai?”
“Non starò via a
lungo. Mancherò da casa al massimo per due o tre anni.”
“Due o tre anni?”
la mia voce crebbe di tono. “E cosa farò io? E Élfwine, crescerà in un
accampamento militare? Tu non andrai alla guerra, per Eorl! E poi, che bisogno
c’è di combattere laggiù, ai confini del mondo conosciuto? E se anche preme
tanto a Re Elessar, che dovere hai tu di aiutarlo? L’esercito di Gondor è
forte. Inoltre, il Mare di Rhûn
è lontanissimo! Solo arrivarci è un’avventura! Ma cosa vi è saltato in testa, a
te e al tuo amico belligerante?” ripresi fiato fissando mio marito, il quale,
con mio grande dispetto, rideva.
“Che c’è di
divertente?” dissi offesa.
“Il tuo modo di
parlare” rispose Éomer. “E’ davvero divertente sentirti dire ‘per Eorl’ o
chiamare ‘il tuo amico belligerante’ il Re di Gondor.”
“Non prenderti
gioco di me!”
“Ascolta, Lothi.”
disse Éomer, adesso serio. “E’ mio dovere partecipare a questa guerra, a meno
che non sia impedito da eventi di forza maggiore o da una disastrosa condizione
del mio regno. Poiché adesso il Mark è prospero e ricco e la pace è sovrana nelle
mie terre, ritengo di poter partire e di poter portare con me il mio esercito.”
“E che ne sarà di
me e Lauredol? Verremo con te, non è vero?” nel momento stesso in cui posi la
domanda, conobbi già la risposta.
“No. Un viaggio
così lungo è troppo pericoloso per nostro figlio, e le terre straniere al di là
del Mare di Rhûn non sono il luogo adatto a una Regina e un principe. Tu
resterai qui e regnerai in mia assenza.”
“Regnerò?”
“Farai tutto ciò
che mi compete in tempi di pace.” Ero strabiliata: non credevo che Éomer avesse
così tanta fiducia in me da lasciarmi guidare il Mark.
“Se io non dovessi
tornare” aggiunse con raggelante noncuranza “Avrai la reggenza fino alla
maggiore età di Élfwine.”
Tornata a casa, mi
precipitai nella camera d Eowyn, divenuta ormai il mio rifugio. Sentivo la
tristezza montare come la marea, mescolata a rabbia cocente e furiosa
impotenza. Perché Éomer mi faceva questo? Perché doveva andare, star lontano
per anni? Che mandasse qualcun altro come comandante del suo esercito. Ma sapevo,
nel profondo del cuore, che Éomer non era spinto solo dal dovere. Mi accorgevo
del suo sorriso feroce e luminoso quando impugnava la spada, del piacere che
provava a esercitarsi con i suoi soldati, sconfiggendoli, poiché lui era
giovane e forte. Avevo un lieve sentore dell’ombra che aduggiava il suo cuore,
il timore di invecchiare senza accorgersene, scoprire un giorno di non essere
più in grado di uccidere un Orco con un semplice fendente, la giovinezza
passata senza più imprese gloriose dopo quella che era costata la vita a suo
zio e aveva messo a rischio quella di sua sorella.
“Lauredol, vieni”
chiamai con le lacrime agli occhi. “Vieni a salutare tuo padre.” Mio figlio
corse verso di noi con quella sua andatura incerta e traballante. L’esercito si
era riunito a Dunclivo, e io e Élfwine l’avevamo seguito, per recare l’ultimo
saluto ai Cavalieri. Con Éomer partivano Elfhelm, Maresciallo della Marca
Orientale ed Erkenbrand, Maresciallo della Marca Occidentale, Léothod,
Derfalec, i Signori di Clivovalle e Dunclivo. Gamling sarebbe rimasto a Edoras
come Primo Maresciallo in assenza del Re, e avevo ordinato a Elfkral di non
partire, sebbene fossi consapevole che lui lo desiderava ardentemente.
Élfwine raggiunse
le mie ginocchia e io lo presi in braccio.
“Guarda tuo padre,
Lauredol,” singhiozzai “Guarda com’è bello nella sua armatura, guarda come lo
rende felice la guerra.” Mio figlio si sporse verso Éomer, a toccarne il petto.
“Wine” disse
convinto, guardando da sotto in su il viso del padre. Non capii se ‘wine’ in
quel momento era Éomer, che spesso veniva chiamato così dal figlio, o la sua
corazza scintillante.
“Addio, figlio
mio.” disse Éomer, con voce triste ma decisa. “Non puoi seguirmi dove sto
andando, ma ti prometto che tornerò presto.”
“Wine va?” chiese
Lauredol. “Lontano?” aggiunse spalancando gli occhi color del mare in tempesta.
“Wine va molto
lontano, tesoro mio.” dissi stringendomi Élfwine al petto.
“Tornerò prima di
quanto non pensiate.” ribattè Éomer. Mi prese Lauredol dalle braccia e lo
depose a terra, poi si inginocchiò davanti a lui e gli mise le grandi mani
sulle piccole spalle fragili. “Tu sei il mio erede, Élfwine Lauredol. Se io non
dovessi tornare, hai il compito di proteggere questa terra e il suo popolo. Mi
capisci, figlio mio?” Il sole brillava sulle loro chiome così simili,
tracciando per terra le due ombre, l’una del grande Cavaliere, sovrano di un
popolo spietato, e l’altra del bambino che a stento parlava, erede predestinato
e inconsapevole.
“Wine non va”
piagnucolò Élfwine.
“Tornerà,
Lauredol.” promisi. Mio marito si alzò e mi baciò con forza. “Addio, Lothíriel.” disse sciogliendosi dolcemente
dall’abbraccio. “Abbi cura di nostro figlio.”
Montò a cavallo e
prese in mano le redini. Élfwine, che non aveva alcun timore di quelle grandi
creature, corse sotto la pancia di Zoccofuoco e si aggrappò al suo zoccolo.
“Wine non va, non
volio!”
Éomer sorrise,
scese dal suo destriero e prese in braccio il figlio, per risalire a cavallo
con lui. “Sarai un glorioso Signore del Mark, Élfwine Lauredol! Corri,
Zoccofuoco, mostra al tuo principe cosa siano i cavalli del suo regno!”
Zoccofuoco si impennò, e io tremai, anche se vedevo che Éomer teneva ben
stretto il bambino. Il cavallo corse fino all’estremità dell’accampamento e
tornò indietro in un attimo. A quel punto, mio marito depose Élfwine a terra, e
dopo aver urlato un ultimo saluto, raggiunse la sua posizione in testa
all’avanguardia e partì al galoppo, seguito dal suo esercito. Lauredol rimase
seduto là dove il padre lo aveva deposto mentre l’esercito gli sfilava accanto,
avvolto dalla polvere, fino a che l’ultimo Cavaliere non fu passato. Allora,
Calfwen lo sollevò e gli diede qualche pacca affettuosa sul pagliaccetto.
“Non sta bene che
un principe sia così sporco, piccolo signore! Alle belle principesse i bambini
polverosi non piacciono, non lo sai, Lauredol?” la balia, a un mio cenno, mi
porse Élfwine, e io lo strinsi contro di me, nascondendo il viso nella sua
chioma dorata perché le altre donne non mi vedessero piangere.
“Wine è andato,
made?” non prestai nemmeno attenzone al fatto che mio figlio mi avesse chiamato
‘madre’ e non wine come faceva di solito.
“Si, tesoro mio. E’
partito.” L’inconsolabile pianto di Lauredol si confuse con il mio.
Non avrei rivisto
Éomer per tre anni.
“Torniamo a casa.”
dissi la mattina dopo, al primo levarsi del sole. Non sopportavo di rimanere
lì, dove Éomer mi aveva lasciato, preferendo la guerra a sua moglie e a suo
figlio. “Elfkral, fa’ in modo che tutti siano pronti per partire al mezzodì.”
ordinai.
“Si, mia signora.”
Il giovane uomo si allontanò gridando ordini.
“Calfwen, mio
figlio dorme ancora?” chiesi alla balia.
“Si, mia signora.”
“Sveglialo, vestilo
e portalo da me. Partiamo.”
“Subito, mia
signora.”
Uscii dalla tenda e
mi diressi, non vista, verso il margine dell’accampamento. Ripensai a quando,
una fredda mattina di primavera di tre anni prima, ero ugualmente scivolata via
dalla tenda e avevo aspettato mio padre sulla cima di un poggio, terrorizzata
dal futuro che l’alba annunciava. Come ero diversa allora! Non ero più di una
bambina. Eppure, non era passato molto tempo. Ricordai Éomer come l’avevo visto
la prima volta, e la paura che mi incuteva i primi giorni del nostro
matrimonio. Avevo imparato ad amarlo, e a temerlo di meno, avevo imparato a
vedere al di là dei suoi modi bruschi e delle sue parole a volte rudi. A cosa
era servito tutto questo? Solo a soffrire di più adesso, come non avrei
sofferto se fossi rimasta solo l’alleata in un matrimonio politico.
“Lothíriel?” la voce buona e roca di Melange mi
risvegliò dai miei pensieri.
“Se n’è andato.”
Riuscii solo a dire.
“Tornerà, mia cara.
Vedrai, tornerà, sporco di sabbia e sangue, stanco di combattere, desideroso di
pace. Tornerà e ti chiederà perdono.”
“Non so se lo
merita.”
“Forse no, ma
sicuramente sarai felice di concederglielo. Credimi, ne so qualcosa, Gamling ha
combattuto tante guerre in quei tempi bui, quando eravamo giovani. Ti ha
lasciato il regno e suo figlio, le cose certamente più care per lui.”
“E se non dovesse
tornare? Se dovesse cadere? Cosa ne sarà di me allora? Non credo che riuscirei
a regnare fino alla maggiore età di Lauredol.”
“Non sono convinta
che la tua preccupazione sia davvero quella che mi dici, Lothíriel. Io penso invece che tu sia angosciata
per la sua sorte, per il dolore che soffrirà, per le ferite e gli stenti che
dovrà passare.” Mi morsi il labbro inferiore, senza guardare Melange, perché
aveva perfettamente compreso il mio animo.
“Non sono costretta
ad amarlo, capisci, Melange? Basterebbe che non mi ribellassi al suo volere.
Quando ho accettato di sposarlo, non pensavo che l’avrei mai amato. E invece
si, per Eorl! E invece lo amo, per quanto sia scortese e impulsivo. E in questo
momento non vorrei amarlo, poiché mi ha dato un grande dolore con la sua partenza.”
Trattenni i singhiozzi dentro di me, perchè non volevo mostrarmi debole davanti
a Melange, che stimavo tanto.
“Povera Regina!”
mormorò la mia amica, e mi abbracciò. Io nascosi il viso sulla sua spalla e
finalmente piansi.
“Qualche volta
vorrei che mia madre fosse qui” singhiozzai. “Mi sento così piccola e sola.”
“Piangi pure, mia
cara piccola” disse dolcemente l’anziana donna. “Non c’è tua madre qui, ma ci
sono io.”
“Calfwen, prendi
Lauredol e portalo a letto.” ordinai. Eravamo ormai giunti ad Edoras, Élfwine
dormiva placidamente su Stellagrigia. La città era silenziosa e triste, le
donne erano rientrate presto in casa dopo la partenza degli uomini. Dopo aver
ordinato che mi fosse portata una cena veloce mi ritirai in camera. Avevo
bisogno di un conforto, qualcosa di allegro che mi tirasse su il morale. Mi
sedetti con cautela sul mio lato del letto e frugai nel mucchio di carte sulla
sedia, fino a trovare la lettera che cercavo. Recava lo stemma di Dol Amroth,
ormai logoro per tutte le volte che l’avevo aperta e letta.
12 Aprile 3024, Dol Amroth
Cara Lothíriel,
come stai?
Ci ha reso davvero molto felici avere tue
notizie. Noi stiamo bene, a parte che Mathrel è stata sgridata aspramente da
nostro padre perché l’ha sorpresa con lo scudiero Cenhed - te lo ricordi? - e
quindi lei ha pianto un poco.
Il racconto delle tue imprese è stato
stupefacente, avresti dovuto vedere com’era fiero nostro padre. Nostra madre
invece era piuttosto spaventata. Adesso il popolo parla di te come ‘la
principessa condottiera’, suppongosia
stato Fetrales a spargere la voce per tutta la città.
Ma ardo di curiosità verso mio nipote!
Élfwine Lauredol dev’essere un bambino meraviglioso. Mathrel asserisce che se
somiglia al padre non può essere che molto affascinante, io ripeto che lo sarà
soprattutto se assomiglia a te. Non vediamo l’ora di conoscerlo, e con noi
tutta Dol Amroth, per non parlare dei nostri illustri genitori: nostra madre ha
pianto di commozione quando ha letto la tua missiva, nostro padre vuole
assolutamente vedere il suo primo nipote. Si mostrano molto fieri di te, ma
sono dolenti di non esserti vicino in questo importante avvenimento.
Devi venire presto a trovarci, e hai
l’obbligo di portare con te mio nipote. Manchi moltissimo a tutti, Irahel non
fa altro che parlare di te ultimamente, ha deciso che chiamerà sua figlia Lothíriel.
Lei continua a essere la beniamina della città, il popolo la adora. Quando va a
passeggio con le dame di compagnia per le vie saluta tutti, e perfino i vecchi
scontrosi le si inchinano con un sorriso. Lamrai ha deciso di istruirla
personalmente, ma Irahel è troppo irrequieta per studiare come fa lei. A
proposito, Lamrai si è fidanzata! Il prescelto è il figlio di Maden, il
cavaliere del Gabbiano Dorato. Il ragazzo si chiama Madlon, è un giovane molto
colto. Si sono conosciuti in occasione della festa data in occasione del
cinquaquattresimo compleanno di nostro padre, il quale ha dato subito la sua
approvazione. Probabilmente sarà lei la seconda di noi a sposarsi, sebbene
abbia adesso solo vent’anni. Io mi sento quasi vecchia, a vederla progettare il
suo matrimonio! Chi l’avrebbe mai detto, che mi sarei sentita anziana a
ventiquattro anni.
Ripeto, devi venire a trovarci presto, fare
sempre la sorella maggiore è piuttosto faticoso. E poi, dimenticavo, devi
assolutamente vedere quanto è cresciuto Fetrales! Ormai è alto come nostro
padre, e si dà un sacco di arie da uomo adulto, sebbene sotto sotto sia ancora
un ragazzino e corra dietro alle lucertole con Irahlel.
Infine, io sto bene, anche se mi manchi
tantissimo. La mia vita non è ricca di avventure come la tua, ma mi trovo
comunque sempre occupatissima, con mille piccole incombenze che non cessano mai
di stupirmi e di divertirmi.
Auguri per il tuo compleanno, anche se
probabilmente sarà già passato quando la lettera sarà arrivata.
A presto, mia cara sorella maggiore.
Con tutto il mio affetto
Imhlen
Figlia di Imrahil, Principessa
di Dol Amroth
P.S Allego a questa mia missiva i biglietti
che tutti hanno scritto personalmente, sebbene tutte le nostre sorelle e
Fetrales abbiano partecipato alla stesura della stessa e ti mandino i loro più
cari saluti.
Lentamente, tirai
fuori il plico, legato con un nastro blu, contenuto nella busta insieme alla
lettera di Imhlen. Aprii a uno a uno i brevi messaggi.
Cara Lothi, ci manchi tanto! Sai che lo
scudiero di nostro padre mi ha regalato un gattino? E’ bellissimo. L’ho
chiamato Lauredol, perché è giallo. Fetrales ride dei gatti gialli, non è
carino da parte sua. Così ho un Lauredol anch’io, come te hai il tuo bambino!
Spero che tu stia bene e di rivederti
presto. Forse adesso sono alta quanto te!
Baci
Irahlel
Figlia di Imrahil, Principessa
di Dol Amroth
Cara sorella, come stai? Spero tanto di
venire a trovarti a Rohan. Dev’essere una terra meravigliosa, e nostro padre ha
promesso che presto potrò trascorrere un periodo di addestramento fra i
valorosi Cavalieri del Mark. Ora che mio nipote è l’erede al trono, non posso
certo mancare di vederlo. Mi è stato detto della guerra su al Mare di Rhûn, vi
parteciperò anch’io al seguito di nostro padre, e magari conoscerò tuo marito
Éomer. A presto, cara Lothíriel.
Con affetto
Fetrales
Figlio di Imrahil, Principe
ereditario di Dol Amroth
Diletta Lothíriel, spero che le stelle
brillino sempre sul tuo cammino. Come ha scritto Imhlen, mi sono fidanzata,
spero che tu possa essere qui per il mio matrimonio. Pensa che il mio promesso
sposo ha una biblioteca immensa, abbiamo passato due giorni a decifrare
un’antico documento che narra della fondazione di Gondor. E’ davvero di valore
inestimabile! Te lo mostrerò quando verrai.
Abbracci
Lamrai
Figlia di Imrahil, Principessa
di Dol Amroth
Carissima Lothi, come stai? Mi manchi
tantissimo. Imhlen è un po’ troppo severa come sorella maggiore. Scherzo! Ma
vedi di scrivere di più, che quando arrivano le tu lettere i nostri genitori
diventano improvvisamente molto più buoni e permissivi. Imhlen ti ha raccontato
della mia disavventura con Cenhed, adesso è tutto passato, ma ho un’intesa
speciale con un giovane nobile che probabilmente andrebbe anche bene a nostro
padre…Spero che tu venga presto, non vedo l’ora di raccontarti tutto.
Bacioni
Mathrel
Figlia di Imrahil, Principessa
di Dol Amroth
Anche se la
richiesta di una visita era pressante, non sarei potuta andare a Dol Amroth
fino al ritorno di Éomer. Il regno gravava sulle mie spalle, e non potevo certo
mollare tutto e rifugiarmi a Dol Amroth per qualche mese.
Ciao a tutte
(tutti?)
Come sempre mi
devo far perdonare l’attesa, ma come regalo di natale e capodanno vi ho
condensato due capitoli in uno lunghissimo...forse è un po’ spezzato nel mezzo,
ma pace.
Non so se farò
qualche puntantina verso il Mare di Rhun oppure scriverò solo della nostra
povera regina; comunque nel prossimo capitolo arriverà un personaggio nuovo (?)
a corte.
Sempre grazie
mille a tutte le carissime ragazze che mi scrivono recensioni (il verbo
‘recensire’ è orribile da coniugare...recensiscono...ma che razza di parola
è?!): Destiel_Doped, Thiliol, Sesshy94, Elfa, Black_Moody, Arena,
Thegreenminstrel,_ Gilestel_ e lexis.
Un bacio e
auguri di Natale (in ritardo...) e anno nuovo!