Twisted Souls

di bluemary
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo: Speranza inascoltata ***
Capitolo 2: *** Capitolo 1: Gli Oscuri ***
Capitolo 3: *** Capitolo 2: Ricordi ***
Capitolo 4: *** Capitolo 3: Mizar ***
Capitolo 5: *** Capitolo 4: Complotti ***
Capitolo 6: *** Capitolo 5: L'ultimo degli Eterei ***
Capitolo 7: *** Capitolo 6: La sopravvissuta ***
Capitolo 8: *** Capitolo 7: Situazioni pericolose ***
Capitolo 9: *** Capitolo 8: L'ordine dei Protettori ***
Capitolo 10: *** Capitolo 9: Scontri ***
Capitolo 11: *** Capitolo 10: Solitudine ***
Capitolo 12: *** Capitolo 11: Bagliore viola ***
Capitolo 13: *** Capitolo 12: Una difficile alleanza ***
Capitolo 14: *** Capitolo 13: Il dolore di una spadaccina ***
Capitolo 15: *** Capitolo 14: Tre stelle contro l'oscurità ***
Capitolo 16: *** Capitolo 15: L'inizio dei giochi ***
Capitolo 17: *** Capitolo 16: Incrinature ***
Capitolo 18: *** Capitolo 17: Il tormento dei demoni ***
Capitolo 19: *** Capitolo 18: La notte prima della battaglia ***
Capitolo 20: *** Capitolo 19: Pioggia ***
Capitolo 21: *** Capitolo 20: L'alba dei guerrieri ***
Capitolo 22: *** Capitolo 21: Il primo scacco ***
Capitolo 23: *** Capitolo 22: La fuga ***
Capitolo 24: *** Capitolo 23: La mossa del Re ***
Capitolo 25: *** Capitolo 24: Riflesso di speranza ***
Capitolo 26: *** Capitolo 25: Strade che s'incrociano ***
Capitolo 27: *** Capitolo 26: La fine e l'inizio ***



Capitolo 1
*** Prologo: Speranza inascoltata ***


A distanza di qualche anno, torno a postare su Efp questa mia storia, questa volta con l'intenzione di concluderla e di ritrovare l'entusiasmo con cui la scrivevo. Spero sia di vostro gradimento^^



-Prologo: Speranza inascoltata-

Era stanca.
Socchiuse gli occhi, cercando dentro di sè le forze per non abbandonarsi sul terreno rovente che le graffiava dolorosamente il corpo.
Ormai le gambe avevano smesso di sostenerla da un tempo infinito, attimi sempre uguali di fatica e stordimento, in cui la ferrea volontà che la manteneva cosciente si era scontrata con il corpo allo stremo delle forze e l’aveva incitata a proseguire, nonostante una striscia rossa, segno del suo passaggio, marchiasse goccia a goccia i suoi passi. Si trascinò per un altro paio di dolorosi metri, tremando per le fitte al fianco ferito e respirando appena nella torrida aria estiva, riscaldata da un sole impietoso.
L'avevano trovata di nuovo.
Ancora non riusciva a capire come questo fosse stato possibile.
Huan, un agglomerato di case troppo piccolo per essere considerato una città, era il nascondiglio ideale per chi, come lei, non voleva farsi notare. Dopo la terribile esperienza nelle carceri degli Oscuri, il suo unico desiderio era stato rifugiarsi in quel villaggio sconosciuto ai più e scomparire, mescolarsi alla gente normale fingendo di essere una di loro, di appartenere a quei volti tutti simili che pure lasciavano trapelare una serenità a lei sconosciuta.
E, per un paio di anni, aveva davvero creduto di esserci riuscita.
Fino a quella mattina.
I soldati erano arrivati all'alba, più di cinquanta, seguendo le indicazioni di un contadino che aveva reputato più importante qualche moneta d'oro rispetto alla vita di quella strana ragazza che aveva la magia.
Come per un sesto senso, appena sveglia aveva sentito nell’aria sapore di lacrime; era uscita di casa quando il cielo ancora mostrava le sfumature della notte, in una passeggiata solitaria per scacciare quell’oscuro presentimento di dolore che le attanagliava la mente e si faceva di secondo in secondo più pressante.
Pochi minuti dopo si era ritrovata circondata.
Aveva guardato per un breve attimo quei volti crudeli e impassibili, resi ancor più minacciosi dalle spade al fianco e dagli elmi decorati con l’emblema della Fiamma Nera, ormai sinonimo di sangue e lacrime.
Combattere, o anche solo ribellarsi, sarebbe stata una follia.
E lei aveva combattuto, con la disperazione di chi preferisce la morte alla resa; aveva raccolto ogni singola goccia di magia per fronteggiare quei soldati e, una volta compresa l’inutilità dei suoi sforzi contro un nemico troppo numeroso, aveva cercato volontariamente le lame affilate con cui essi la minacciavano.
Non si sarebbe fatta prendere viva un'altra volta.
Un urlo l’aveva fermata dal mettere in atto i suoi propositi di morte.
Con stupore aveva visto gli uomini del villaggio circondarla e aiutarla a fuggire, svelando ai sorpresi guerrieri della Fiamma Nera il coraggio quasi suicida della povera gente quando deve difendere la propria casa. Poi i soldati avevano attaccato, i primi corpi erano caduti a terra con un suono cupo e l’aria si era impregnata di sangue, un odore insopportabile che ancora adesso sembrava rinchiuderla in un abbraccio viscido e soffocante.
Si passò una mano sulla fronte sudata, scostandosi i capelli scuri da davanti al volto, i lineamenti contratti in un’espressione amara.
Quante altre volte degli innocenti sarebbero morti per proteggerla?
Quanti occhi avrebbe visto riflettersi di dolore e poi spegnersi nel nome di una speranza a cui lei stessa non credeva?
Una speranza che portava il suo nome...
Mordendosi un labbro screpolato per la mancanza d'acqua si costrinse ad alzarsi in ginocchio.
Poi in piedi.
La ferita al fianco riprese a sanguinare, ma lei la ignorò: non aveva nè il tempo, nè la forza di cambiare quella striscia di stoffa ormai logora che era riuscita a utilizzare come un'improvvisata fasciatura. Adesso doveva mettere un piede davanti all'altro, concentrarsi solo sul passo successivo e sgombrare la mente dal dolore che minacciava di travolgerla.
Fece una smorfia per non urlare, il fianco martoriato le pulsava con fitte quasi insopportabili e sapeva che entro pochi minuti la perdita di sangue l'avrebbe indebolita a tal punto da farle perdere conoscenza.
Continuò ad avanzare faticosamente, senza chiedersi quanto avrebbe retto il suo corpo, non sarebbe riuscita a trovare la forza di illudersi. Doveva solo tenere duro per qualche altro minuto, abbastanza da arrivare nella vicina città di Lorimar, ricevere cure, forse anche aiuto.
E poi, causare la morte di qualcun altro.
Boccheggiò in preda ad un dolore troppo profondo per essere curato.
Come in un miraggio le comparvero davanti agli occhi i volti degli uomini che l'avevano protetta, del noioso Obiko, di Sky, la giovane guerriera sempre sorridente, di Vard, il suo Vard...
Quasi rabbiosamente fece un altro passo, affondando il piede nella sabbia che, da qualche metro, aveva preso il posto delle pietre.
Ancora non si scorgeva Lorimar, ma forse, una volta superata l'alta duna di fronte a sè, avrebbe scoperto che la città era semplicemente a poche centinaia di metri. Arrivata in cima si fermò a guardare le sue speranze infrante da un oceano di sabbia dorata che non lasciava intravedere alcun segno di vita.
La disperazione prese il posto della risolutezza con cui si era spinta ai limiti delle sue forze, in un cammino costellato di cadaveri che non le avrebbe risparmiato la morte.
Il sole e la sete avrebbero preso la vita che gli Oscuri non erano riusciti a rubarle.
Strinse i pugni, tremando in tutto il corpo.
Il sacrificio dei suoi amici, la sua fuga, la ferrea volontà di continuare a camminare...
A cos'era servito?
Crollò a terra.
Che ci pensasse un altro come lei a portare avanti quella lotta.
Chiuse gli occhi, accogliendo la morte con un sorriso di scherno e amarezza.
Una lacrima sola scese a bagnare quella terra che reclamava inascoltata il nome della sua speranza.
…Viridian…

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Capitolo 2
*** Capitolo 1: Gli Oscuri ***


-Capitolo 1: Gli Oscuri-

Una donna avanzava lentamente nel sentiero, accompagnata solo dal leggero fruscio del suo mantello.
A poche centinaia di metri da lei si potevano scorgere le torri più alte di un castello che spuntavano dalle cime degli alberi e brillavano leggermente, quasi potessero riflettere la luce della luna.
Anche senza vederlo, sapeva che il maniero era circondato da soldati.
Le sue labbra si imbronciarono in una smorfia: con le sue capacità avrebbe potuto aggirarli senza problemi o regalare loro il sonno eterno prima ancora che si accorgessero della sua presenza, ma forse lui non avrebbe gradito.
Raggiunse il grande portone pochi minuti dopo, stranamente il vestito di seta scura che le fasciava il corpo era ancora in ottime condizioni, nonostante il lungo viaggio a piedi, e, aderente e perfetto, donava un fascino tenebroso a quella figura generata dalla notte.
Subito una guardia le si parò di fronte, puntandole al petto la corta lancia a cui pochi secondi prima era appoggiato.
- Cosa vuoi? - le chiese rudemente.
La donna sollevò lo sguardo senza rispondere, rivelando gli occhi che fino a quel momento si erano rivolti altrove.
Incapace di muoversi, la guardia la fissò sconvolto.
L’iride nerissima era frammentata da piccoli lampi di grigio, come delle ferite che ne deturpavano l’armonia, donando al suo sguardo una sfumatura intensa quanto inquietante; ma era stato il centro stesso dell’occhio ad aver attratto da subito l’attenzione dell’uomo, che adesso la fissava quasi con terrore, le mani strette convulsamente alla lancia ed il respiro affannoso: al posto del nero della pupilla, si stagliava il bianco tipico degli Oscuri.
- Pensi di potermi fare entrare? - chiese lei con un accenno di divertita ironia nella voce.
Senza capire se si era mosso di sua spontanea volontà, il soldato abbassò la lancia e si scostò, lo sguardo ancora perso davanti a sè.
Sentì i passi della donna svanire all’interno del castello, mentre ancora il suo cuore non accennava a rallentare, poi crollò in ginocchio.
Non era la prima volta che vedeva un Oscuro, il suo stesso padrone era uno di essi, eppure, ad ogni incontro con questi detentori della magia, il terrore gli annebbiava la mente, costringendolo a impegnarsi con tutte le sue forze per non scappare lontano.
Nessuno conosceva le origini di questi esseri che, all’improvviso, erano comparsi nel continente di Sylune e avevano cominciato a costruire un impero, ora divenuto il regno della Fiamma Nera, fondato sul sangue e sulla violenza; non erano gli unici a conoscere la magia, prima di loro c’era stato un intero popolo con questo potere, gli Eterei, individui dagli occhi viola, simili agli elfi delle leggende antiche, che vivevano in pacifici villaggi il più possibile isolati dagli uomini.
Tuttavia, apparentemente senza un motivo, gli Eterei erano spariti da Sylune almeno cinque anni prima e la loro scomparsa era coincisa con l’arrivo dei Cinque Re, cinque esseri privi di scrupoli e votati alle tenebre che conoscevano la magia; gli uomini, spaventati dal loro potere apparentemente senza fine, li avevano denominati Oscuri e adesso che il loro regno si estendeva su quasi tutta Sylune, erano essi stessi a fregiarsi di quello che per loro era diventato un titolo distintivo e ovunque fosse pronunciato causava terrore e obbedienza.
La guardia si rimise in piedi faticosamente.
Non gli piaceva il suo lavoro, ma l’unica alternativa alla morte per un abitante del regno della Fiamma Nera era mettersi al servizio degli Oscuri; i più fortunati potevano rimanere nei loro villaggi, buona parte degli uomini veniva impiegata nell’esercito, mentre coloro che avevano osato ribellarsi venivano uccisi senza appello.
Difendere il castello di uno dei Cinque Re in fondo non era poi un impiego tanto pericoloso se paragonato alla guerra, praticamente nessuno aveva il coraggio di attaccare gli Oscuri e la guardia non si era mai trovata in pericolo.
Fino a quel momento, in cui nelle pupille spaventosamente bianche della donna aveva letto la propria morte.
Aveva già sentito parlare di lei come di una maga bellissima e senza pietà, l’unica tra i Cinque Re ad avere fattezze femminili e, per alcuni, la più pericolosa.
Con un brivido sperò di non incontrarla quando sarebbe uscita dal castello.

L'uomo stava di fronte al caminetto, contemplando con un tenue sorriso le fiamme che sembravano divampare più alte o attenuarsi a seconda dei movimenti della sua mano.
Chissà se lei sarebbe arrivata…
Sorrise freddamente tra sè.
Probabilmente avrebbe atteso invano, eppure c’era sempre una piccola possibilità che la sua proposta fosse stata abbastanza interessante per scomodarla dalla sua sfarzosa dimora.
All’improvviso, come se ci fosse sempre stata, una donna comparve alle sue spalle, in un silenzio tanto perfetto che nessuno avrebbe potuto dire se avesse camminato fino a lì o semplicemente fosse apparsa quasi fosse un fantasma.
- Ti do il mio benvenuto, Sawhanna. - mormorò il padrone del castello senza voltarsi.
- Che cosa desideri, Lotar? Non concedi spesso il privilegio dei tuoi inviti. - la voce della donna suonò cordiale, eppure un orecchio esperto sarebbe riuscito a captare una sfumatura gelida nelle sue parole.
L'Oscuro le fece cenno di sedersi di fronte a lui, senza lasciar trapelare alcuna emozione dal volto impassibile. Anche nei suoi occhi luccicavano piccole schegge di colore, come un argento sporco in totale contrasto con il verde dell'iride ed il bianco che aveva preso il posto della pupilla.
- Immagino che tu non abbia tempo per dei frivoli convenevoli. - disse con appena un velo d’ironia, prima di porgerle un bicchiere - O forse desideri qualcosa da bere?
La donna scosse il capo con un freddo sorriso.
- Ormai mi conosci, sai che preferisco arrivare subito al dunque senza...
- Ho trovato un altro degli Alher. - la interruppe Lotar all’improvviso, conscio dell’effetto che avrebbero avuto le sue parole sulla sua ospite.
- Dove? - chiese lei, trattenendo inconsapevolmente il respiro.
Gli Alher erano gli unici esseri rimasti sulla terra in grado di usare la magia. Oltre, naturalmente, agli Oscuri come lei.
Siccome il loro aspetto era identico a quello degli uomini normali, in pochissimi sapevano della loro esistenza, lei stessa non ne aveva mai incontrato uno, né conosceva le loro origini; era stato Lotar a rivelarle tutte queste informazioni, raccontandole di quando, in passato, aveva scoperto della magia in uno dei suoi prigionieri.
In un primo momento l’aveva creduto un Etereo, ma poi, studiandolo a fondo, aveva notato che non possedeva nessun’altra delle loro particolari capacità ed i suoi occhi erano castani.
Purtroppo l’Alher era morto prima che lui potesse appropriarsi del suo potere, tuttavia anche solo il sapere della loro esistenza era un’informazione preziosa.
Per un attimo gli occhi dell’Oscura luccicarono di ambizione: con un Alher nelle loro mani sarebbero stati in grado di ottenere una magia imbattibile, e perfino di eliminare gli altri tre Re…
L’uomo sorrise nel notare come l'interesse fosse subentrato all'irritato riserbo con cui lei l'aveva trattato fino a quel momento
- In un villaggio vicino a Lorimar, ho già mandato dei soldati a catturarla.
L'Oscura sollevò un sopracciglio.
- E' una femmina?
- Così pare.
Ci furono alcuni secondi di silenzio, l'uomo ne approfittò per studiare in maniera discreta la sua ospite: Sawhanna, la più giovane di loro cinque, l'unica donna tra i Cinque Re e, in un certo senso, l’unica per cui provasse una sorta di interesse.
I capelli neri appena arricciati sulle punte scendevano a incorniciarle il volto pallido e perfetto, solo gli occhi innaturali, tipici degli Oscuri, turbavano l'armonia di quei lineamenti che parevano scolpiti in un gelido, bellissimo marmo.
Lotar sorrise, una leggera piega delle labbra che gli accarezzava il volto. Indubbiamente l’aspetto della sua ospite rasentava il concetto stesso di perfezione, eppure non era per questo che l’aveva scelta come alleata per l’ambiziosa scalata verso il potere; c’era qualcosa in lei, forse una scintilla di vita, che gli regalava quell’agrodolce sensazione di nostalgia per la sua natura umana, ormai sempre più distante.
La voce brusca della donna lo riportò alla realtà.
- Aspetta, hai detto Lorimar?
- Qual è il problema? - le chiese, sorpreso del tono duro con cui gli aveva parlato: non una gelida cortesia che nascondeva l’irritazione, ma la paura mascherata dalla rabbia improvvisa.
- Me ne ha parlato Daygon l’ultima volta che l’ho visto, sembrava stranamente interessato a quella città.
Lotar imprecò mentalmente. Daygon era il primo ed il più potente di loro Oscuri, se fosse riuscito a mettere le mani su un Alher nessuno, nemmeno lui e Sawhanna assieme, sarebbe più stato in grado di ucciderlo.
- E cosa ti ha detto? - chiese, mentre, servendosi della magia, cercava invano di rintracciare i pensieri dei soldati che aveva inviato in missione a catturare l’Alher. Ormai da diverso tempo aveva imparato ad instaurare una sorta di legame mentale con i suoi uomini più valorosi, in modo da poter essere sempre in contatto con loro, eppure questa era la prima volta che non riusciva a localizzarli.
Si concentrò corrugando la fronte, ma ogni suo tentativo fu inutile, solamente il vuoto rispondeva ai suoi appelli mentali sempre più pressanti.
Sawhanna gli diede la conferma che cercava con tutte le sue forze di negare.
- Ha detto che Lorimar è la sua nuova preda.

Quello stesso giorno, nel pomeriggio, si spense una delle poche speranze di libertà su Sylune.
Una stretta colonna di uomini procedeva a passo serrato nel deserto, lasciandosi alle spalle i resti bruciati e anneriti di quella che, un tempo, veniva annoverata tra le città autonome dell’impero. I loro mantelli laceri ed imbrattati di sangue li facevano apparire come una spettrale apparizione di morte, silenziosa e quasi irreale.
Nonostante la stanchezza, i soldati continuavano a seguire il loro comandante, l'unico provvisto di cavallo, che apriva la fila con il suo lungo mantello immacolato e lo sguardo impassibile. L'elmo nero e cesellato d'argento copriva gran parte del suo viso, lasciando solo un paio di strette aperture per gli occhi, due gelidi bagliori grigi che trafiggevano l'avversario prima ancora della spada e, altrettanto letali, costringevano i guerrieri meno coraggiosi ad abbassare lo sguardo in sua presenza.
Nonostante l’assenza di stemmi, era facile riconoscere in lui il più giovane e potente generale della Fiamma Nera, colui che godeva della piena fiducia di Daygon, il primo ed il più potente dei Cinque Re.
Si chiamava Mizar, ma tra i suoi soldati era temuto e acclamato con il nome di Devil.
Nessuno sapeva come avesse fatto un ragazzo a raggiungere un rango tanto elevato, ma ormai in molti sospettavano che l'alto e crudele comandante possedesse quel tenebroso potere tipico degli Oscuri e ne condividesse le misteriose origini; più volte, infatti, Mizar aveva dato prova di conoscere la magia, in scontri letali e dirompenti che si erano sempre conclusi con la distruzione del suo avversario.
Una mano guantata si alzò all'improvviso, in un imperioso ordine di arresto.
I soldati obbedirono all'istante, nessuno che avesse provato anche solo a contestare il suo volere era sopravvissuto per più di qualche secondo. Si limitarono a guardare con sorpresa il loro comandante che scendeva da cavallo e si avvicinava ad un corpo esanime steso a terra, senza comprendere le sue intenzioni.
Mizar si fermò a pochi centimetri dalla testa di quello che, probabilmente, era solo il cadavere di una giovane donna.
Le macchie di sangue ancora fresche dimostravano come fossero passati solo pochi minuti da quando lei era crollata a terra, eppure le tracce dei suoi passi sulla sabbia si dirigevano verso Lorimar, segno che non apparteneva alla cittadina che lui ed i suoi uomini avevano appena distrutto.
Incuriosito da questo particolare, il guerriero si soffermò a studiarla per qualche secondo.
Aveva il viso di una ragazzina, neppure la sofferenza era riuscita ad offuscare la dolcezza dei suoi tratti; i capelli castani pieni di sabbia le ricadevano ai lati della testa, come un drappo polveroso su cui si fosse adagiata per riposare, e accanto ad essi c'era un pugnale incrostato di sangue.
Sul fianco faceva mostra di sé una striscia di stoffa utilizzata per tamponare una ferita ancora aperta, mentre entrambi i palmi delle sue mani presentavano segni simili a bruciature.
Per un attimo il generale sembrò intenzionato ad abbandonarla nel deserto, assecondando così il crudele disinteresse per la vita umana che faceva parte della sua natura; non provava pietà per quella ragazza che si era spenta a poche miglia da una città appena distrutta, e seppellire i morti non rientrava nelle sue mansioni.
Un movimento impercettibile bloccò i suoi passi, facendolo voltare verso quel corpo esanime; senza cambiare espressione si abbassò su di lei e le tastò la gola, riuscendo a percepire un debole battito solo dopo essersi tolto il guanto.
Chiuse gli occhi per un secondo, più per prendere una decisione che per concentrarsi, quindi una tenue luce azzurrina apparve tra le sue mani e si diresse guizzando verso lo squarcio sul fianco della ragazza che ancora sanguinava. In un paio di minuti la ferita si richiuse completamente, lasciando una sottile striscia di pelle appena più fragile e chiara del normale, a testimonianza di ciò che era successo.
La ragazza mosse appena la testa, senza riprendere conoscenza.
Mizar si rimise il guanto in silenzio.
Mentre le sue labbra si incurvavano in un sorriso crudele, la prese tra le braccia, attento a non riaprirle la ferita, e salì a cavallo. Dopo averla adagiata contro il proprio petto, circondandola con un braccio affinché non cadesse, voltò la testa verso i suoi uomini che lo ancora lo fissavano timorosi e, da quando aveva utilizzato la magia, anche vagamente incuriositi.
- Partiamo. - ordinò seccamente schioccando le redini.

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Capitolo 3
*** Capitolo 2: Ricordi ***


Grazie a Lulabi per i commenti, a chi ha messo questa storia tra le preferite o le seguite e anche a chi legge soltanto. Spero che questo capitolo sia di vostro gradimento^^


-Capitolo 2: Ricordi-

Viridian stava morendo.
Lo sapeva, ad ogni secondo sentiva la sua vita scivolare via dallo squarcio sul fianco assieme al dolore ed alle responsabilità a cui non aveva saputo far fronte.
Cercò di respirare, aprendo gli occhi in quel buio che la circondava opprimente e silenzioso, di non abbandonarsi ad una morte tanto facile, ma il pensiero che con essa sarebbe cessata anche la sofferenza era un’idea troppo allettante per non minare la sua determinazione.
Fu proprio quando stava per arrendersi che le vide.
Sua madre, il corpo sinuoso racchiuso dalla stretta tunica di cuoio tipica degli arcieri ed i capelli neri con intere ciocche contornate d'azzurro legati dietro la schiena. E, un passo dietro di lei, sua sorella maggiore Kirsta, con gli occhi viola tesi per la concentrazione di mantenere il contatto con la sua mente.
Solo in quel momento Viridian si rese conto di essere svenuta e che le due donne avevano approfittato di quella situazione per parlarle, proiettando le loro immagini nella sua coscienza con il potere tipico degli Eterei.
Le squadrò lentamente, con il cuore che le batteva più veloce per la felicità di rivederle dopo innumerevoli giorni di inesorabile solitudine.
La donna fece un passo in avanti, tendendo la mano in un inutile gesto di consolazione.
- Che è successo, figlia mia?
Una smorfia di sofferenza si disegnò sul volto di Viridian, mentre i suoi occhi viola, unico particolare fisico con cui gli Eterei si distinguevano dagli uomini, si riempivano di lacrime.
- Mi hanno trovato. - mormorò con voce spezzata.
Lentamente lasciò che i suoi pensieri prendessero forma, mostrando alle due donne la sua fuga da Huan e lo sterminio del villaggio, senza riuscire a trattenere una lacrima a quei dolorosi ricordi, che, tuttavia, sembravano meno crudeli ora che li poteva condividere con qualcuno.
- Madre, non riesco più a mantenere la concentrazione. - mormorò Kirsta, tremando per la fatica.
Viridian corse verso di lei con la mano tesa, come per afferrare quella figura sempre più sfocata e distante.
- Ti voglio bene sorellina. - riuscì a dire la ragazza più grande prima di scomparire, recidendo all’improvviso il legame che le univa.
La donna dai capelli corvini e azzurri fece un passo in avanti, catturando l’attenzione della figlia minore con l’urgenza presente nella sua voce.
- Non ho più molto tempo. Devi sconfiggere gli Oscuri e trovare il modo di riportarci su Sylune.
Viridian strinse i pugni. Solo lei e pochi altri sapevano cos’era realmente successo agli Eterei: non erano fuggiti dagli uomini come la maggior parte della gente aveva ipotizzato, erano stati gli Oscuri, una volta comparsi sulla terra, a bandirli in un’altra dimensione con un potente e proibito rituale. In questo modo si erano guadagnati la supremazia assoluta su Sylune, in quanto ultimi detentori della magia, e avevano cominciato il loro regno di conquista e morte.
Solamente Viridian e pochi altri Eterei erano riusciti a superare la barriera che li confinava in quel limbo senza tempo né forma e tornare nel mondo normale, con la speranza di poter liberare la propria gente; tuttavia il prezzo per averlo fatto era stato molto elevato e nessuno fino a quel momento era stato in grado anche solo di raggiungere gli Oscuri.
La ragazza lasciò che lo sconforto trasparisse dal suo volto, dopo quegli anni trascorsi a fuggire e nascondersi, temendo per la propria vita, si sentiva incapace anche solo di pensare all’eventualità di avvicinarsi indenne ai Cinque Re; in quanto al riuscire a sconfiggerli, quella era una mera utopia.
I suoi occhi viola si posarono su quelli di uguale colore della donna di fronte a lei.
- Non sono in grado di farlo.
- Resisti, Viridian, noi crediamo in te.
Una ruga di sofferenza attraversò per un attimo la fronte dell’Eterea, mentre la sua immagine cominciava a sbiadire.
- Madre. - mormorò la ragazza, vedendo la donna allontanarsi sempre più, proprio com’era successo alla sorella - Non mi abbandonare.
- Sei tu che non ci devi abbandonare, Viridian. Sei la nostra speranza.
L’ultima parola scomparve assieme all’Eterea, Viridian si ritrovò da sola in quella strana dimensione che era solo apparentemente simile al sonno degli umani.
Gli esseri della sua razza non avevano bisogno di dormire nel vero senso del termine, semplicemente entravano in una sorta di trance con cui riuscivano a collegarsi mentalmente tra loro, proiettando una propria immagine nei pensieri altrui. Era in questo modo che sua madre e sua sorella l’avevano contattata approfittando del suo stato incosciente, tuttavia per farlo avevano dovuto sprecare molte energie, visto che Viridian non si trovava nella loro stessa dimensione.
Si sedette su un terreno che non vedeva, senza nemmeno la forza di crearsi uno sfondo in cui trascorrere il tempo finché il suo corpo non fosse guarito abbastanza da permetterle di riprendere coscienza.
Odiava quello stato di trance, perché, da quando gli Oscuri avevano confinato tutti gli altri Eterei in una dimensione senza tempo, non poteva contattare nessuno in quelle ore di riposo e così si ritrovava sola in quel limbo sconfinato che, per quanto potesse assumere qualunque forma e colore a seconda del suo volere, rimaneva pur sempre un luogo deserto e silenzioso; per questo aveva imparato a dormire come gli uomini, chiudendo la mente e abbandonandosi senza remore a sogni che non avrebbero dovuto appartenerle, senza stupirsi della facilità di come ci fosse riuscita in così breve tempo, perché, in fondo, lei non era più solo un’Eterea.
Si morse le labbra, sentendo come non mai l’amarezza per la sua situazione.
C’era stato un attimo, quando aveva visto sua madre e Kirsta, in cui la speranza era tornata nuovamente nel suo cuore e, con loro così vicine, la missione non era sembrata così impossibile.
E, adesso che le due donne se n’erano andate, lei si sentiva inesorabilmente sola.
In quel buio e nel silenzio le immagini di ciò che era successo tornarono a tormentarla, più vivide che mai; strinse i pugni, cercando invano di cancellare dalla sua mente quei ricordi che si susseguivano tanto nitidi da farle venire le lacrime agli occhi.
Era rimasta a guardare il primo dei suoi difensori che cadeva a terra con il torace squarciato e la bocca aperta in un urlo muto che era stata lei stessa ad esternare, in preda all’orrore di ciò che stava guardando.
Poi Vard l’aveva presa per mano, trascinandola via a forza dallo scontro, mentre altro sangue ed altre morti deturpavano la serenità di quel villaggio.
I soldati non ci avevano messo molto a superare la strenua difesa di quella povera gente, massacrando la maggior parte di loro, ed in pochi minuti una decina di uomini li aveva raggiunti, pronti a spargere altro sangue in una terra già troppo rossa.
Tuttavia, prima che un nuovo scontro cominciasse, una figura un po’ curva si era frapposta tra i due ragazzi e quei crudeli guerrieri. Il noioso, irritante Obiko, il vecchio maestro di scherma che l’aveva sempre trattata con disprezzo, ripetendo più volte di non voler ospitare nel villaggio una ragazza con la magia, si era diretto solo contro i soldati, armato di una vecchia spada arrugginita e della sua solita, insopportabile aria di superiorità.
Le sue prime lacrime Viridian le aveva versate per lui.
La corsa era continuata, un’agonia di paura, sensi di colpa e respiri sempre più affannosi, mentre il dolore ai muscoli si aggiungeva alla lacerante sofferenza per tutte quelle morti di cui lei si sentiva responsabile.
All’improvviso una ragazza si era affiancata a loro, con sollievo Viridian aveva riconosciuto Sky, la giovane spadaccina che in quel villaggio era diventata la sua più grande amica, sempre capace di regalarle un sorriso anche nei periodi più bui.
Per un attimo aveva davvero creduto che sarebbero riusciti a scappare.
Poi, alla loro sinistra, erano comparsi due soldati, le spade sguainate pronte a colpire e porre fine a quell’effimera speranza di salvezza.
Sky si era gettata contro di loro senza esitazioni, nemmeno Vard era riuscito a fermarla, così aveva continuato a correre, trascinandosi dietro la ragazza la cui salvezza, per lui e per gli abitanti del villaggio, era più importante della loro stessa vita. Con la coda dell’occhio Viridian aveva visto l’amica fronteggiare i due inseguitori senza alcun problema e abbatterli prima che i loro compagni, troppi perché lei potesse avere una qualche possibilità contro di loro, la raggiungessero.
Pochi secondi dopo, nella scarna vegetazione che copriva il villaggio, si era levato l’ultimo grido della spadaccina.
Alla fine il dolore e la stanchezza li avevano sopraffatti, i rimanenti soldati li avevano raggiunti e, ancora una volta, la morte era comparsa a sbarrarle la strada.
Senza più magia, Viridian era stata costretta a difendersi con la sua corta spada simile ad un pugnale, cercando invano di ferire uno degli uomini che la deridevano.
Poi Vard era stato trafitto in pieno petto, come al rallentatore la ragazza aveva visto la prima goccia di sangue scivolare sulla lama del guerriero che l’aveva ferito e cadere a terra con un suono troppo doloroso per la sua mente.
La magia era esplosa in lei all’improvviso, tanto forte da bruciarle il palmo delle mani, mentre, senza nemmeno rendersene conto, si era avventata contro i soldati in un turbinio di fuoco e rabbia; a nulla erano valse le grida spaventate degli uomini, né il terribile odore del sangue sui suoi vestiti.
Sentiva solo la propria voce urlare, le lacrime che venivano spazzate via dal calore rovente emanato dal suo stesso corpo ed un incredibile potere attraversarla come una bruciante ondata di sofferenza.
Quando era tornata in sé non c’era più un soldato vivo.
Quasi incredula si era soffermata sui corpi carbonizzarti ed irriconoscibili che la circondavano, senza riuscire a capacitarsi delle sue azioni, poi il suo sguardo si era posato sull’unica figura che non era stata toccata dalle fiamme e adesso giaceva sulla schiena, con il capo reclinato all’indietro ed il volto contratto dalla sofferenza.
In un attimo era comparsa al suo fianco, gli occhi dai riflessi viola dolorosamente fissi su quella chiazza di sangue che, dal petto dell’amico, aveva cominciato ad allargarsi fino a raggiungere il terreno.
- Avresti dovuto lasciarmi morire. - gli aveva mormorato in un soffio, incredula del costo che aveva dovuto pagare per quei brevi mesi in cui era riuscita a sfuggire alla solitudine.
- Non…si lasciano morire…le persone importanti…Viridian. - aveva replicato lui, gli occhi verdi, velati dal dolore, che pure erano stati attraversati da un guizzo di tenerezza, e le labbra leggermente curvate per accennare un sorriso.
Per lei era stata una stilettata al petto.
- Non sono io la speranza che cercate, vi siete sacrificati per niente. - aveva urlato, mescolando alla rabbia il senso di colpa e le lacrime che le bruciavano il cuore.
- Non volevo…proteggere una speranza…ma la donna…che amo.
Si era interrotto, incapace di parlare per le laceranti fitte con cui la ferita al petto lo stava sprofondando in un’oscurità fredda e silenziosa.
Viridian aveva cullato la sua testa sulle ginocchia fino alla fine, scoppiando in un pianto disperato quando il giovane aveva smesso di respirare. Lo aveva accarezzato un’ultima volta, cancellando con tocco leggero le sue stesse lacrime che, come lucenti gocce d’argento, dai suoi occhi erano scese fino alle labbra dell’amico.
Non lo aveva mai amato, eppure immergersi nel suo abbraccio, regalargli qualche bacio a fior di labbra e con essi un po’ di felicità era stato quanto di più bello avesse mai sperimentato dopo la sua fuga dalla prigionia.
Lentamente si era sollevata in piedi, attingendo alla sua ultima riserva di magia per bruciare il corpo, senza riuscire ad accettare l’idea di lasciarlo insepolto, in balia degli animali selvatici, e si era messa in cammino verso Lorimar.
Solo in quel momento, appoggiando la mano sul fianco, si era resa conto che non era solo il suo cuore a sanguinare.

Una volta al castello, il generale dagli occhi di ghiaccio si diresse verso l’edificio centrale, una torre alta e affusolata, leggermente isolata dal resto del palazzo.
Aveva già dato ordine ai suoi servi di portare la ragazza ferita nei suoi appartamenti e, per quanto una leggera curiosità nei suoi confronti gli stuzzicasse la mente, il suo primo compito era quello di fare rapporto al suo capo sull’esito della missione.
Senza esitare salì le scale che lo avrebbero condotto nelle camere dell’Oscuro, un luogo accessibile solamente a pochi eletti, di cui lui era il primo della lista.
Daygon lo attendeva con un freddo sorriso sul volto senza età.
I suoi capelli argentati gli donavano un’aura di saggezza, tuttavia il corpo ancora muscoloso e scattante smentiva la prima impressione di anzianità che il loro colore avrebbe potuto generare in chi lo vedeva per la prima volta. I suoi occhi di un blu tanto scuro da sembrare neri si fissarono sul biondo comandante, mentre le piccole schegge di rosso, così vivide ed intense da sembrare tante piccole ferite, luccicavano di potere; come gli altri Oscuri, anche il primo dei Re aveva le pupille completamente bianche.
- Ci sono stati problemi? - chiese, mentre il guerriero si esibiva in un inchino appena accennato, dopo essersi tolto l’elmo in segno di rispetto.
- Lorimar è nostra.
Daygon approvò con un cenno del capo quella conferma di cui, in fondo, era già a conoscenza.
- Hai fatto prigionieri. - non era una domanda, ma un’affermazione pronunciata con il tono di leggera sorpresa.
Mizar annuì.
- Una donna. Per me. - aggiunse come spiegazione a questo comportamento che solitamente non gli apparteneva.
Una leggera increspatura attraversò per un attimo le labbra del mago, come se, con quell’abbozzo di sorriso, avesse preso nota di quell’umanità che non accennava a scomparire dal suo comandante e invece aveva abbandonato lui già da tempo.
- Quanti morti?
- Pochi.
- Se ti servono nuovi uomini, sai dove trovarli. - gli concesse, riferendosi alle città appena conquistate.
Il giovane guerriero fece un cenno d’assenso, conteggiando rapidamente quanti nuovi soldati avrebbe dovuto reclutare per sopperire alle perdite subite nell’ultima battaglia.
- Hai altri ordini per me? - chiese poi, sollevando lo sguardo per posarlo sulle pupille bianche dell’Oscuro.
Il mago sorrise; Mizar era uno dei pochi che osavano fissarlo direttamente negli occhi, perfino gli altri Re spesso abbassavano la testa in sua presenza, ma il coraggio dimostrato dal suo comandante gli regalava un senso di fierezza e soddisfazione, forse perché era stato lui stesso a rendere questo gelido soldato la sua perfetta macchina di morte personale.
- No, puoi andare.
Mizar gli rivolse un altro leggero inchino, Daygon lo guardò uscire senza che alcuna emozione trasparisse dal suo volto impassibile; solo quando fu sicuro di essere l’unica persona nella torre permise ai suoi occhi di assumere uno sguardo pensieroso.
Per un attimo gli era sembrato di avvertire uno strano turbamento nella barriera di magia che sigillava gli Eterei…
Si concentrò senza nemmeno chiudere gli occhi, ormai esercitare il suo potere non gli richiedeva alcuno sforzo, quasi la magia fosse parte integrante della sua natura. Subito sentì che il suo corpo veniva sollevato da terra, mentre le pareti della stanza in cui si trovava scomparivano, per poi diventare gli spessi muri di un sotterraneo.
Sorrise, soddisfatto.
Ancora una volta era riuscito a teletrasportarsi esattamente nel punto previsto. Purtroppo non aveva abbastanza potere per percorrere distanze molto lunghe, ma confidava che, con il tempo, sarebbe riuscito ad ampliare questa sua capacità fino ad eliminare ogni limite di spazio.
Si guardò intorno, lasciando che il suo sguardo abbracciasse la fredde pareti che lo circondavano.
Quella camera scolpita nella roccia si trovava al di sotto del castello, lui e gli altri Re erano gli unici a conoscerne l’esistenza.
Lì c’era la Fiamma Nera, una lingua di fuoco oscuro che ardeva senza sosta, proteggendo un piccolo cristallo multicolore.
Il cuore della magia che aveva sigillato gli Eterei.
Le iridi blu intarsiate di rosso dell’Oscuro si posarono su di essa, cercando una minima imperfezione che potesse giustificare il turbamento percepito poco prima, ma nessuna crepa alterava l’armonia di quel piccolo cristallo.
Era tutto in ordine.
Con un’espressione rassicurata, Daygon abbandonò il sotterraneo.

La ragazza aprì gli occhi lentamente, quasi sorpresa di sentire una tiepida brezza solleticarle il viso; le terribili fitte alle ferite si erano attenuate in un sordo ma sopportabile pulsare al fianco ed il corpo ancora un po’ dolorante era gentilmente accarezzato da una soffice coperta immacolata.
Ancora con la testa annebbiata mise a fuoco un soffitto sconosciuto, poi una stanza tanto vasta da farla sentire spaesata ed una finestra aperta che lasciava intravedere uno spicchio di cielo azzurro.
Cercò di muoversi, con uno strano senso di disagio che neppure le morbide lenzuola su cui era distesa riuscivano a fugare. Un tintinnio, unito all’improvvisa consapevolezza di freddo metallo attorno ai polsi, le mozzò il respiro, cancellando in un baleno gli ultimi strascichi di incoscienza.
Era incatenata al letto.
Con sollievo si rese conto che i suoi piedi erano liberi e le mani, seppur legate, godevano di diversi centimetri di libertà; cercò di mettersi seduta, soffocando l’ondata di panico che la stava attraversando. Una fitta al corpo la scosse senza preavviso, segno inconfondibile che la sua ferita al fianco, nonostante l’apparente benessere provato al risveglio, sarebbe dovuta ancora guarire del tutto. Strinse i denti per non emettere neanche un gemito, rassegnata a rimanere distesa almeno fino a quando il dolore non fosse cessato, mentre la sua testa lavorava senza sosta per capire appieno in che situazione si trovasse.
Chi l’aveva salvata dal deserto certo non era suo amico, viste le catene. A fatica, con alcune contorsioni, riuscì a sollevare di qualche centimetro la maglia e si guardò il fianco ora scoperto, spaventata di cosa avrebbe potuto trovare; al posto della ferita c’era una sottile striscia di pelle, più pallida e fragile del normale, eppure già perfettamente formata.
Il suo misterioso salvatore, dunque, sapeva usare la magia.
Un senso di disperazione la colse, tanto intenso da farle spuntare una lacrima dagli occhi azzurri.
L’avevano catturata di nuovo.

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Capitolo 4
*** Capitolo 3: Mizar ***


-Capitolo 3: Mizar-

Nonostante quello che i suoi uomini potevano pensare, Mizar era umano. C'era stato un tempo, impossibile da quantificare in mesi o anni, in cui il crudele comandante della legione più forte degli Oscuri aveva combattuto a fianco dei ribelli, in una delle poche cittadine ancora pervase da un ideale di libertà.
Stanco della dittatura e dei soprusi dei Cinque Re, si era offerto volontario, assieme ad altri due uomini più vecchi di lui, per infiltrarsi nel castello di Daygon, scoprire dove si nascondeva e poi ucciderlo; nessuno sapeva se il mago fosse effettivamente mortale, ma rischiare la vita era sembrato un prezzo più che accettabile per ottenere l’indipendenza.
Era stato catturato subito, senza aver avuto nemmeno la possibilità di difendersi.
Le guardie l’avevano portato in una cella buia e umida che sapeva di sangue, e lì era rimasto, con le mani incatenate al soffitto ed i polsi circondati da due anelli di metallo stretti abbastanza da corrodergli la pelle; non sapeva quanti giorni avesse trascorso in quella tortura, temendo la morte e poi invocandola a gran voce dentro di sé, anche solo per porre fine al supplizio di quell’attesa lacerante e tormentosa.
Poi, quando la sete l’aveva indebolito a tal punto da farlo sprofondare nell’incoscienza ogni poche ore, un uomo con un lungo mantello grigio era entrato nella sua cella. Senza nemmeno rivelare il suo volto, oscurato da un cappuccio, aveva ordinato ai carcerieri di togliergli le catene e condurlo nella sala degli interrogatori.
Lì Mizar aveva visto torturare fino alla morte i due compagni che si erano infiltrati con lui nel palazzo.
Nonostante il suo sangue freddo, il giovane non aveva retto che qualche minuto, prima di accasciarsi a terra scosso dai conati di vomito e con le mani premute contro le orecchie in un futile tentativo di cancellare quelle terribili urla di dolore ed agonia che gli stavano lacerando lo spirito.
Quando aveva riaperto gli occhi, non c’erano più né le guardie né i cadaveri dei due ribelli.
Era stato allora che l’uomo avvolto nel lungo mantello gli aveva parlato per la prima volta, sollevando il cappuccio per rivelare gli occhi blu scheggiati di rosso e la pupilla bianchissima.
- Questo è quello che succede a chi osa sfidarmi.
Mizar era rimasto a terra, tremante, il suo sguardo vuoto fisso in quello dell’Oscuro ed il volto pallidissimo contratto per la sofferenza e la paura. Nuovamente la nausea l’aveva assalito al pensiero di quello che avrebbe dovuto subire prima della morte; nonostante fosse stato pronto a sacrificarsi pur di riuscire nel suo intento, infatti, ciò che aveva visto era bastato a dissolvere tutto il suo coraggio.
- Hai paura, Devil? - lo aveva schernito il mago, apostrofandolo con quello strano nome che richiamava i demoni del passato.
Il ragazzo si era alzato barcollante, ricercando i brandelli della sua dignità nell’alone di panico che lo avvolgeva.
- Almeno sii rapido a darmi la morte. - aveva mormorato, la voce tremante e spenta in totale contrasto con gli occhi chiari che si sforzavano di mantenere uno sguardo fiero.
Nel volto dell’Oscuro era apparso uno strano sorriso, mentre si avvicinava al suo prigioniero con un movimento tanto rapido da non dargli la possibilità di reagire.
- Non sarà la morte ciò che riceverai da me.
Lo aveva appena toccato sulla spalla sinistra, vicino al cuore, mentre con l’altra mano aveva tirato fuori da una tasca interna del suo mantello un piccolo ciondolo di cristallo, dentro il quale pulsava una strana luce azzurra.
Daygon aveva mormorato qualche parola in una lingua sconosciuta, poi, senza preavviso, aveva chiuso il pugno frantumando il cristallo, e la luce azzurra era passata dalle sue mani a Mizar. Un potere incredibile aveva attraversato il giovane ribelle, come una fiamma indolore che aveva rinfrancato il suo spirito; le sue ferite sui polsi si erano richiuse come se non fossero mai esistite, il suo stesso corpo era tornato scattante e riposato, quasi non avesse subito quelle dure giornate di prigionia, ed una voce aveva sussurrato nella sua mente un’unica, trionfante certezza.
Adesso possedeva la magia.
Attingendo a questa nuova forza si era concentrato sulla sua rabbia e sul suo dolore, finchè una palla incandescente era comparsa nella sua mano destra, pronta ad essere lanciata contro l’Oscuro che lo stava fissando con uno sguardo impenetrabile. Poi, senza che qualcuno rompesse il pesante silenzio della stanza, Mizar aveva lentamente ritirato il braccio, annullando la magia.
Daygon aveva sorriso nuovamente, quasi avesse previsto la reazione del suo prigioniero.
- Adesso ti ho dato il potere. - aveva fatto una pausa, lanciandogli uno sguardo sardonico con quegli occhi così terribilmente inespressivi - Hai intenzione di attaccarmi o ti schiererai con me?
Mizar l’aveva fissato in silenzio, l’odio che gli bruciava nel cuore gli stava corrodendo la gola come un acido, e, nonostante il suo corpo fosse guarito alla perfezione dalla prigionia, si sentiva ancora nauseato con l’eco di quelle terribili urla di agonia che gli tormentavano le orecchie.
Poi, lentamente, si era inginocchiato di fronte a quel mago che aveva torturato e ucciso i suoi compagni.
- Sono ai tuoi ordini.
Non aveva mai rimpianto la sua scelta.
In un primo momento, prostrato su quel pavimento ancora umido del sangue dei due uomini, aveva creduto davvero di ingannare Daygon per poi tradirlo una volta diventato abbastanza abile e forte per eliminarlo.
Sarebbe stato il suo fedele generale, cercando di proteggere la sua città e contemporaneamente guadagnandosi la fiducia dell’Oscuro, fino a quando avrebbe potuto pugnalarlo alle spalle con il potere che lui stesso gli aveva fornito.
Ma la magia l’aveva cambiato più in profondità di quanto si aspettasse.
La sicurezza, la possibilità di rimanere in vita e la consapevolezza di essere scampato ad una morte orribile non erano nulla in confronto all’immenso potere che gli era stato regalato e adesso stuzzicava la sua ambizione, di cui solo in quel momento sembrava essersi reso conto.
Comandare un piccolo reparto nell’esercito di Daygon, essere rispettato e temuto dalla maggior parte della gente, quando nella sua vita passata era semplicemente un ragazzo qualunque, gli regalava un’inebriante sensazione di onnipotenza.
L’aveva capito una sera di qualche mese più tardi, steso sul suo letto, avvolto dalle lussuose lenzuola che nella sua città d’origine non avrebbe mai potuto permettersi, mentre una prostituta gli dormiva a fianco, pronta ad esaudire ogni suo desiderio.
La libertà della sua cittadina non aveva alcuna importanza di fronte alla possibilità di guadagnare sempre più potere.
Sconvolto da questo pensiero fin troppo fastidioso ed insistente si era recato da Daygon, pronto a quel confronto finale che lo avrebbe portato infine a vendicare i suoi due compagni.
L’Oscuro non si era nemmeno voltato quando lui aveva fatto il suo ingresso nella stanza.
- Ti aspettavo.
Mizar aveva fatto qualche passo in avanti, la mano tesa a raccogliere quella magia che nei giorni passati aveva imparato ad usare tanto bene.
- Sono qui per ucciderti.
- Davvero? - aveva chiesto il mago con un’educata curiosità, portando alla luce con quella singola parola tutti i laceranti dubbi che si agitavano dentro l’animo del suo guerriero e gli impedivano di rispondere.
Infine si era voltato a fissarlo, per la seconda volta dopo quel lontano giorno in cui gli aveva risparmiato la vita, i suoi occhi dalla bianca pupilla avevano trapassato l’iride azzurra del giovane uomo, arrivando a illuminare le oscurità più profonde della sua coscienza. La sua voce era risuonata come un’inesorabile certezza.
- Io ti ho visto, ho letto nella tua anima. Tu desideri il potere e lo seguirai fino in fondo al mio fianco, senza curarti di diventare un angelo o un demone. - aveva fatto una pausa, sorridendo tra sé – Per questo ti ho donato la magia.
- Non è vero! - aveva urlato con rabbia il soldato, per negare la verità nascosta in quelle parole.
I secondi erano trascorsi lenti in quella stanza, senza che lui si fosse deciso a cominciare lo scontro.
- Perché non mi attacchi, Mizar? - aveva chiesto l’Oscuro, utilizzando per la prima volta il suo vero nome invece del minaccioso appellativo con cui l’aveva chiamato tanti giorni prima.
Ancora una volta nel giovane uomo si era scatenato un conflitto, il vecchio idealismo che si scontrava con questa nuova divorante ambizione. Aveva rivisto i suoi compagni morire in modo orribile, sentendosi stranamente indifferente a quel ricordo, ormai soverchiato dalle numerose battaglie da cui era sempre uscito vincitore, e dall’esaltante sensazione della magia nelle proprie mani.
Le due strade si erano stagliate nitide di fronte ai suoi occhi, e lui aveva dovuto scegliere, senza più ipocrisie o scappatoie, tra il potere e la giustizia.
Un lieve sorriso, privo di alcun calore, era comparso poi sulle sue labbra, mentre facendo volteggiare il mantello dava le spalle all’Oscuro e usciva dalla sua camera.
- Il mio nome è Devil.
Il giorno dopo aveva armato i suoi soldati e distrutto la sua città.

Mizar entrò nella sua camera dopo aver congedato i due soldati di guardia, un sorriso crudelmente indifferente sul volto gelido e perfetto.
La ragazza si era infine svegliata e lo sguardo impaurito con cui si guardava le mani incatenate assieme alla testiera del letto gli regalava la tipica soddisfazione di un cacciatore che è riuscito ad intrappolare la sua preda ed ora si gode l’attesa di sferrare il colpo di grazia.
Si fece avanti senza preavviso, strappando un sussulto alla figura ancora distesa che non si era resa conto del suo ingresso nella stanza.
Gli occhi dilatati dalla paura della sua prigioniera saettavano dalla porta chiusa a lui, in un vano tentativo di trovare una speranza di fuga.
Era terrorizzata.
L’uomo si accomodò sul letto e le toccò una spalla, bloccando sul nascere il suo tentativo di muoversi, prima di allentare le catene quel tanto che bastava per lasciarla libera di muovere le mani e mettersi a sedere. Come se si fosse scottata, la ragazza si rannicchiò il più lontano possibile da lui. Mizar le sorrise, una piega delle labbra appena accennata che non raggiungeva gli occhi gelidi.
Un senso di soddisfazione pervase l'alto comandante: aveva il diritto di vita e di morte su di lei e lo sapevano entrambi.
- Come ti chiami?
La giovane non rispose.
- Non mi piace ripetere due volte le mie domande. - la avvertì con un tono appena più tagliente del normale.
La ragazza deglutì a vuoto, inumidendosi le labbra riarse dalla sete.
- Kysa.
- Kysa... - ripeté l'uomo, pronunciando quel nome come se ne rivendicasse la proprietà. - Sai chi sono?
Lei scosse la testa, lo sguardo fisso nei gelidi occhi del suo carceriere.
- Mi chiamano Devil.
Quelle cinque lettere colpirono la ragazza come un pugno allo stomaco.
Conosceva di fama quel generale crudele e privo di pietà, un guerriero più simile ad un demone che a un uomo, capace di distruggere un intero villaggio con le sue sole forze e non risparmiare né donne né bambini se quelli erano gli ordini a cui aveva scelto di obbedire. Molti tra i ribelli più coraggiosi tremavano al solo pensiero di ritrovarsi vivi nelle sue mani, ma, ciò che terrorizzava la ragazza tanto da renderle difficile perfino respirare, era la consapevolezza di essere prigioniera del più fedele servitore di Daygon.
Deglutì a stento, toccandosi la gola, nell’istintivo tentativo di spegnere quel terribile bruciore che la tormentava da quando aveva ripreso conoscenza.
Il suo gesto non sfuggì all’uomo, che, senza il minimo cambiamento d’espressione, le porse un bicchiere colmo d’acqua.
Kysa bevve avidamente, sentendo che a poco a poco il dolore diminuiva ed anche il suo corpo pareva riacquistare parzialmente le forze. Con lo stomaco ancora stretto da un’intensa sensazione di panico, si guardò attorno, aspettandosi di veder comparire l’Oscuro da un momento all’altro, pronta a combattere una battaglia che non avrebbe vinto.
- Dove sono? - domandò, una volta capita l’inutilità della sua attesa.
- Nei miei appartamenti.
Alla dura risposta dell’uomo, la ragazza si rilassò impercettibilmente.
La consapevolezza di essere nella stanza di quel generale crudele non era certo una consolazione, eppure ancora non riusciva a capire per quale motivo Devil non l'avesse portata dall’Oscuro.
- Cosa vuoi da me? - chiese ancora, temendo come non mai per la risposta. Sapeva fin troppo bene quale importanza lei potesse rivestire per i Cinque Re.
Un sorriso freddo e minaccioso si stese sulle labbra dell’uomo, facendola rabbrividire.
- Al momento non ti deve interessare.
Mizar alzò la mano; la ragazza si tese ma, sorprendendolo, non si mosse e continuò a guardarlo con il viso sempre più pallido.
Lentamente le sfiorò una guancia, sentendola tendersi a quel contatto che pure non sfuggì, per poi ritirare il braccio senza staccarle gli occhi di dosso.
Era una ragazza così fragile…
Ormai non ricordava neanche più l'ultima volta che si era trovato di fronte ad un essere umano così palesemente indifeso, che amplificava in maniera esponenziale il suo senso di potere.
Seguendo l'impulso del momento le poggiò la mano sulla fronte quasi rovente rispetto alle proprie dita gelide, poi le sollevò la maglia fino a pochi centimetri sopra l’ombelico, con l'intenzione di controllarle la ferita appena rimarginata.
Subito la ragazza si agitò, cercando invano di liberarsi dalle sottili catene strette ai suoi polsi.
Mizar le lanciò un'occhiata meno gelida del solito, mentre la sua mano tracciava con leggerezza i contorni della pelle sottile che si era creata al posto della ferita.
- Non voglio farti del male. - le disse senza addolcire minimamente il suo tono abituale.
Non provava tenerezza o pietà per quella figura che lo guardava con gli occhi spalancati dal terrore, quelli erano sentimenti che aveva volontariamente abbandonato per seguire la via del potere e adesso nessun rimorso o esitazione lo turbava.
Kysa aveva smesso di dimenarsi, giaceva rigida, respirando appena, in attesa che l'uomo finisse il suo esame. Con il volto contratto dalla paura a Mizar sembrava quasi una bambina.
- Quanti anni hai?
- Venti.
Il generale la guardò sorpreso, non le avrebbe dato più di sedici anni, eppure in realtà non era molto più giovane di lui.
Kysa infine si decise a domandare ciò che la stava torturando in un’attesa insopportabile, preferendo la nera certezza della propria fine piuttosto di quegli angosciosi minuti pervasi dal dubbio.
- Quando mi porterai dal tuo re?
- Cosa ti fa pensare che Daygon abbia del tempo per te? - la irrise Mizar, lasciandola in preda ad una grande confusione - Tu adesso sei mia prigioniera e rimarrai qui finchè lo deciderò io. - continuò con voce minacciosa.
La vide trasalire, poi, con sorpresa, riconobbe l’emozione che per un attimo le illuminò lo sguardo e cancellò parte della propria soddisfazione. Tutto si sarebbe aspettato dopo quelle parole, tranne quel fuggevole lampo di sollievo che pareva averle attraversato il viso.
Le afferrò con forza il mento, i suoi occhi di ghiaccio si specchiarono in quelli chiari di lei; solo in quel momento si accorse che erano azzurri.
- Pensi davvero che sia meglio essere prigioniera mia piuttosto che di Daygon?
La ragazza sostenne il suo sguardo, causandogli un fugace accenno di irritazione.
- Tu mi hai salvato la vita. - mormorò incerta, ancora incredula di essere stata graziata per merito di un uomo temuto da tutti quasi quanto gli Oscuri.
Lui rise, lasciando che il suono crudele echeggiasse nella camera per qualche secondo, prima di rivolgere la sua attenzione verso la giovane.
- Non ti ho salvata per pietà. Quando vedo qualcosa che mi piace me la prendo.
Kysa sentì le sue labbra gelide premere contro le proprie, poi la mano che le tratteneva il mento la lasciò libera di allontanarsi, con il cuore che le batteva all’impazzata ed il volto pallidissimo. Convinta di essere stata catturata per ordine degli Oscuri a causa di ciò che nascondeva dentro di sé, non le era neanche passato per la testa che avrebbe potuto destare interesse nei suoi nemici anche per altri motivi.
Con un sogghigno, Mizar si accorse del lampo di panico che le aveva attraversato gli occhi azzurri.
- Ti consiglio di riposarti finchè puoi.
Kysa sollevò lo sguardo, mordendosi un labbro per l’angoscia della sua situazione. Non erano solo le intenzioni del suo carceriere a terrorizzarla: sapeva che ormai era solo una questione di tempo e, anche se per ora non si era interessato a lei, Daygon avrebbe presto avvertito la sua presenza nel proprio castello, decretando così la fine delle sue labili speranze di potergli sfuggire.
- Ti prego, lasciami andare. - mormorò con un accenno di implorazione nella voce.
Mizar aggrottò la fronte, senza capire se fosse sorpresa o irritazione quella fuggevole sensazione che l'aveva colto al sussurro della sua prigioniera, ma rimase in silenzio.
Le coprì nuovamente il fianco con la maglietta, per quanto la ferita si fosse rimarginata a dovere grazie alla magia, la ragazza era ancora troppo debole per tentare la fuga, ma scelse comunque di lasciarla incatenata al letto.
Si girò appena prima di uscire dalla camera, un pallido sorriso privo di alcuna pietà stampato sul volto.
- Tu ora sei mia.

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Capitolo 5
*** Capitolo 4: Complotti ***


Ciao a tutti, un aggiornamento lampo giusto per fare a chiunque passi di qui gli auguri di Natale! Buoni festeggiamenti, e che il caro Babbo Natale vi porti qualcosa di particolarmente utile o esteticamente soddisfacente (se vi arriva un Johnny Depp infiocchettato sappiate che è mio e che c'è stato un errore nella consegna). Cercherò di aggiornare anche il venticinque, se troverò il tempo, in caso contrario alla prossima settimana^^




-Capitolo 4: Complotti-

L’alba di quello stesso giorno sorse adirata per i due Re che complottavano contro Daygon.
Da qualche minuto avevano ricevuto la conferma della distruzione di Lorimar e del villaggio adiacente, dopo aver mandato un piccolo reparto armato a controllare cos’era realmente successo e a cercare invano dei sopravvissuti. Tutta la gelida cortesia con cui si erano parlati fino a quel momento sembrava scomparsa all’improvviso, mentre sedevano uno di fronte all’altra, i loro occhi con la pupilla bianca che si cercavano come per sfidarsi.
Il bel volto solitamente freddo e composto dell’Oscura era adesso stravolto dalla rabbia.
- Perché diavolo non sei andato tu a prendere l’Alher?
- Sai bene che se mi fossi mosso da qui senza un motivo plausibile Daygon si sarebbe insospettito. - replicò freddamente Lotar. - Da un po’ di tempo mi controlla più del solito, preferisco non arrischiarmi a commettere passi falsi.
La sicurezza con cui aveva parlato, più della sottile minaccia presente nella sua voce, parve calmare la maga, che si rimise a sedere sulla comoda poltrona di fronte a lui.
- Dunque abbiamo perso. Daygon otterrà il potere dell’Alher e diverrà invincibile.
L’assenza di un cadavere femminile in mezzo ai corpi carbonizzati dei soldati, infatti, pareva indicare con assoluta certezza che la ragazza fosse sopravvissuta allo scontro, per poi cadere nelle mani del più forte tra gli Oscuri.
Lotar si fece pensieroso, il volto senza età all’improvviso parve invecchiare di parecchi anni.
- Siamo pur sempre due contro uno.
La maga scoppiò in una breve risata priva di alcuna allegria.
- Sai bene che nemmeno unendo le nostre forze potremmo sconfiggerlo. Non sono solo i suoi poteri ad esserci superiori, ma anche il suo servitore umano potrebbe darci diversi problemi.
- Quindi dovremo cercare altri alleati. - replicò l’Oscuro.
- Non ti starai riferendo a Ghedan?
- No, anche se pure lui ambisce alla distruzione di Daygon.
Un’espressione di disgusto comparve sul volto della donna, accompagnata da un gesto sprezzante.
- Non voglio nemmeno pensare a quell’incapace che ha osato propormi di diventare la sua compagna.
Lotar sorrise.
- Dovresti esserne fiera. - la sua mano le sfiorò una ciocca di capelli corvini - Pochi umani riescono a resisterti, e perfino uno come noi è caduto, succube del tuo fascino.
La maga scostò appena la testa, gli occhi neri socchiusi in una fessura minacciosa.
- Per sua fortuna ero ancora troppo compassionevole per togliergli la vita. Adesso nulla mi convincerebbe a risparmiare chi si comportasse come lui.
Un silenzio pesante scese tra i due Oscuri, prima che la donna riprendesse la parola.
- Comunque a chi ti riferivi quando hai parlato di alleati?
- A Kyzler. Basterebbe lui al nostro fianco, e Daygon non avrebbe alcuna speranza.
La maga trasalì impercettibilmente all’udire il nome del loro compagno più misterioso. Perfino lei ignorava quali fossero i suoi reali poteri, in quanto raramente lo aveva visto all’opera, tuttavia le poche volte in cui si incontravano sentiva uno strano senso di disagio misto a paura quando fissava i propri occhi nelle chiarissime iridi di quell’Oscuro.
- Kyzler non lo tradirebbe mai, è l’unico di noi che gli è davvero fedele. - mormorò con amarezza.
Lotar scosse la testa.
- Sbagli. Non è fedeltà ciò che lo mantiene al fianco di Daygon, ma odio.
- Le tue parole sono prive di senso, se davvero Kyzler detestasse il nostro adorato capo, per quale motivo non l’ha ancora abbandonato?
- A volte l’odio è un legame più forte dell’amore.
Un gesto stanco che non si addiceva alla sua persona, solitamente caratterizzata da una vitalità quasi aggressiva, mise fine alla discussione, mentre la maga si passava le dita fra i capelli corvini scostandoli distrattamente dalla fronte.
- Comunque questo discorso è inutile, finché non sapremo con esattezza cos’è successo a Lorimar.
- Quanto a questo non è un problema. - disse l’Oscuro dopo un attimo di riflessione - Ho una spia nel castello di Daygon, visto che non mi rimane altra scelta dovrò provare a contattarla.
Sawhanna gli lanciò un’occhiata sorpresa, non si aspettava che il compagno avrebbe volontariamente corso un rischio tanto elevato: se si fosse fatto scoprire probabilmente sarebbe stata la sua fine.
L’uomo si alzò dalla comoda poltrona su cui era rimasto seduto fino a quel momento, invitando con un cenno la maga a fare altrettanto.
- Avrò bisogno di copertura. Pensi di essere in grado di nascondermi per qualche minuto?
Un sorriso sarcastico apparve sul volto della donna.
- Non ti facevo tanto sciocco da fidarti di me.
- Infatti, non mi fido. Ma non sarebbe nel tuo interesse danneggiarmi adesso. - replicò Lotar, sottolineando in maniera appena percettibile l’ultima parola.
Gli occhi dell’Oscura incontrarono i suoi. Entrambi erano consapevoli della fragilità della loro alleanza, non intercorreva alcun affetto tra loro, eppure l’interesse rappresentava un legame abbastanza saldo per poter, se non fidarsi, almeno sperare nell’aiuto reciproco.
- Farò del mio meglio.
Lotar fece un respiro profondo, contemplando silenziosamente i rischi ed i pericoli di quello che si proponeva di fare.
Per quanto credesse – o era solo una speranza nata dal bisogno? – che Sawhanna non lo avrebbe tradito, sapeva di doversela cavare da solo qualora qualcosa nel suo piano fosse andato storto: la maga non avrebbe messo in gioco la propria vita per proteggerlo.
La guardò attentamente per qualche secondo, cercando di penetrare la sua espressione fredda e distante.
In quell’attimo, nelle iridi di tenebra della donna, vide rispecchiata con un luccichio di scherno la propria morte.
Nuovi dubbi si affollarono nella sua mente, torturata dal pensiero che, forse per la prima volta nella sua esistenza di Oscuro, stava mettendo la propria vita nelle mani di qualcun altro; tuttavia il suo volto impassibile non mostrò alcuna esitazione mentre si avvicinava alla compagna, conscio di non potersi ormai ritirare.
- Allora, sei pronta?
Sawhanna annuì, mormorando qualche parola non appartenente al linguaggio degli umani, mentre dalle sue dita si liberavano tante sottili strisce di luci, simili ad una rete di argento che a poco a poco circondò il mago.
Lotar attese che la magia lo ricoprisse interamente, rendendolo invisibile ad ogni intercettazione esterna, poi chiuse gli occhi.
Si concentrò sul castello di Daygon, penetrando lentamente nelle sue mura, alla ricerca dell’uomo che era riuscito ad infiltrare nell’esercito dell’Oscuro. Era un procedimento molto rischioso, se Daygon fosse stato particolarmente vigile e attento avrebbe potuto comunque captare l’influenza magica che si stava espandendo nel suo castello e rintracciarne la fonte nonostante l’incantesimo mimetico di Sawhanna, tuttavia Lotar non percepì alcun pericolo, mentre più fugace di un’ombra il suo spirito vagava nell’edificio.
Centimetro per centimetro si mise a sondare le stanze al pianterreno, quindi si arrischiò a lanciare un richiamo mentale alla sua spia; passarono alcuni secondi durante i quali molte gocce di sudore gelido scesero sulla fronte del mago, sempre più aggrottata per lo sforzo e la tensione che stava sopportando, poi una voce comparve nella sua testa.
- Siete voi, mio re?
Il volto teso di Lotar si rilassò appena, ora che era riuscito a contattare chi desiderava e non doveva più far vagare la sua mente nel castello dell’Oscuro, il rischio di venire scoperto era notevolmente diminuito.
- Ho sentito che avete distrutto Lorimar. - disse, utilizzando una voce autoritaria che i suoi servitori conoscevano bene.
- Cosa desiderate sapere?
- Ci sono stati superstiti?
- A Lorimar?
- No, nel villaggio vicino.
- Non che io sappia.
Lotar percepì un’esitazione nella sua voce.
- Che altro c’è?
- Devil ha catturato una ragazza a pochi chilometri da Lorimar. Era in fin di vita, ma pare che sia riuscito a salvarla.
- Da chi ha ricevuto l’ordine di farla prigioniera? E’ stato Daygon, vero?
- No, Devil l’ha trovata per caso mentre stavamo tornando al castello, quella di portarla con sé è stata una sua idea.
La magia che ammantava l’Oscuro si indebolì per un istante, mentre Sawhanna cominciava a tremare per lo sforzo di mantenerla in vita, mettendolo in allarme.
- Molto bene, tienimi informato se hai novità su di lei.
- Sarà fatto.
- Ricorda: finché mi sarai fedele, la tua città non avrà nulla da temere. - lo ammonì Lotar, prima di tranciare bruscamente il legame mentale che li univa e riprendere coscienza del proprio corpo.
Subito Sawhanna abbassò le mani, barcollando pericolosamente all’indietro per la debolezza che fino a quel momento era riuscita a tenere a freno.
Con un fruscio del mantello l’Oscuro comparve alle sua spalle, sostenendola.
Nonostante la propria espressione impassibile era rimasto molto sorpreso dalla tenacia con cui la maga si era impegnata per mantenere la sua copertura, attingendo alle sue più intime riserve di energia per quell’incantesimo tanto dispendioso e spossante.
- Non mi aspettavo un simile sforzo da parte tua per proteggere la mia vita. - le disse in tono leggero, mentre la adagiava con delicatezza sulla poltrona.
- Sono le informazioni che mi interessano, non la tua vita. - replicò gelidamente lei, di nuovo padrona dei propri movimenti - Spero almeno che ne sia valsa la pena.
Lotar non replicò alla provocazione, limitandosi a fissarla con un accenno di sorriso che gli carezzava le labbra.
- Direi di sì. Devil ha trovato una ragazza vicino a Lorimar e, di sua iniziativa, ha deciso di portarla al castello.
- E Daygon? - chiese l’Oscura, mentre si ritrovava quasi a trattenere il respiro per quella risposta che avrebbe deciso il loro destino.
- Non ne sa nulla.
- Ma quindi quella ragazza…?
Il mago annuì.
- Sì, dev’essere l’Alher che cerchiamo.

In un tetro castello a diversi chilometri di distanza, Ghedan stava ascoltando con una smorfia il rapporto del suo comandante. A quanto pareva, l’ultima cittadina che desiderava conquistare era appena stata dichiarata proprietà di Daygon, quindi intoccabile per chiunque.
Congedò con un brusco gesto il soldato, prima di sbattere a terra il proprio bicchiere colmo di vino, fissando quasi con odio i frammenti di vetro che riflettevano il suo pallido volto. Lui era il più debole degli Oscuri, persino quella sgualdrina di Sawhanna possedeva una magia superiore alla sua, ne aveva sperimentato il doloroso potere sulla propria pelle quando le aveva offerto l’onore di divenire la sua compagna.
Quella sciocca aveva rifiutato, umiliandolo.
L’uomo strinse i pugni.
Sawhanna sarebbe stata la prima a pagare, una volta che fosse riuscito ad impossessarsi di una nuova magia. L’ avrebbe uccisa lentamente, ascoltando con gioia i suoi lamenti disperati, poi si sarebbe occupato degli altri Oscuri: Lotar, Kyzler e anche l’invincibile Daygon. Sarebbero caduti uno dopo l’altro, lasciandolo come unico dominatore di quel continente che adesso non lo temeva abbastanza.
Prese la bottiglia di liquore sul tavolino, senza curarsi di trovare un altro bicchiere, quindi bevve diverse sorsate, prima di gettarla contro una parete.
Mentre uno dei suoi numerosi servitori accorreva a pulire, Ghedan scese nelle segrete, un ghigno sadico a illuminargli il volto.
Quando la malinconia e la rabbia per le sue condizioni lo pervadevano, sapeva esattamente come sfogarsi; entrò in una delle prime celle, dove c’era un prigioniero ancora in discrete condizioni.
Il ragazzo aprì faticosamente gli occhi, per poi irrigidirsi all’improvviso non appena ebbe riconosciuto il suo aguzzino.
- Allora, dove si nasconde l’Etereo? - chiese Ghedan, facendo un passo avanti con un’espressione di malvagia aspettativa.
Non era realmente convinto che si dovesse dar credito a quelle voci secondo cui l’umano di fronte a lui conosceva qualcuno con la magia, se così fosse stato avrebbe confessato già da un bel pezzo, ma torturare delle persone indifese gli regalava ogni volta una perversa soddisfazione.
- Non conosco nessun Etereo. - sussurrò lui a fatica attraverso la gola riarsa dalla sete. Era prigioniero di quell’Oscuro da un paio di settimane e spesso le guardie si dimenticavano di portargli da bere e da mangiare, quasi anche loro avessero ereditato la crudeltà del padrone che servivano.
L’orribile sorriso di Ghedan si ampliò ulteriormente.
- Risposta sbagliata.
Insensibile alle suppliche quasi isteriche del ragazzo, generò una fiamma nera dalla sua mano destra e la indirizzò verso di lui.
Sorrise quando lo sentì gridare dal dolore, il volto contratto per la terribile sofferenza che stava sperimentando ancora una volta; presto la sua pelle cominciò a riempirsi di piaghe, accanto a cicatrici ancora fresche che denotavano come non fosse nuovo a quello spaventoso trattamento.
L’Oscuro tirò indietro il braccio, richiamando a sé il suo fuoco magico e lanciando un’occhiata di perversa soddisfazione alle ferite appena inferte al suo prigioniero singhiozzante. Attese qualche minuto, quasi incerto se continuare quella tortura o graziarlo con un altro giorno di vita, poi fece divampare ancora la magia sul palmo della sua mano.
Nuovamente avvicinò la sua fiamma al torace ustionato del giovane, che gemette di dolore con la voce rauca tipica di chi ha gridato fin troppe volte la propria sofferenza.
All’improvviso il suo lamento si trasformò in un urlo di rabbia e violenza, un suono devastante e minaccioso, che fece tremare l’intero castello; dal suo corpo esausto si sprigionò un’ondata di luce che colpì Ghedan allo stomaco, lacerando la sua pelle e sbalzandolo contro la parete, e si propagò lungo tutte le segrete, prima di svanire con una fiammata rovente.
Poi l’urlo si spense in un ultima nota d’agonia ed il ragazzo ricadde contro la parete, inerte.
L’Oscuro si rialzò, sconvolto.
Respirando a fatica per lo squarcio che gli attraversava il petto lanciò un’occhiata al suo prigioniero, realizzando anche senza toccarlo che era morto.
Si sedette sullo sporco pavimento della cella e attese di concentrare abbastanza potere per curarsi la ferita.
Anche quando il dolore infine scomparve, rimase immobile a fissare il vuoto, ancora incapace di credere a ciò che aveva assistito, mentre un’assurda consapevolezza si radicava sempre più in profondità nella sua mente: un umano aveva posseduto la magia degli Eterei.

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Capitolo 6
*** Capitolo 5: L'ultimo degli Eterei ***


Ieri non sono riuscita ad aggiornare, causa parenti e cibo, ma vi faccio lo stesso tanti auguri di buon Natale!




-Capitolo 5: L’ultimo degli Eterei-

La porta della camera in cui era rinchiusa si aprì all’improvviso, generando un fremito nel cuore di Kysa. Fu quasi con sollievo che la ragazza vide un uomo sui trent’anni entrare nella stanza con il rumoroso incedere di un guerriero che si sente addosso l’armatura anche quando essa è stata sostituita da normalissimi vestiti. Diversamente dal suo generale, questo soldato portava una corta barba castana striata di rosso, leggermente più chiara dei capelli raccolti in una coda disordinata.
Quando si avvicinò al letto al quale era incatenata, Kysa vide che era perfino più alto di Devil e almeno due volte più muscoloso; tuttavia, gli occhi con cui lui la stava studiando non contenevano lo stesso riflesso spietato presente nel gelido sguardo del comandante.
Senza parlare, l’uomo la liberò dalle catene. Subito la ragazza si appiattì contro il lato più lontano del letto, senza nemmeno massaggiarsi i polsi per riattivare la circolazione, pronta a scattare verso l’uscita.
- La porta è chiusa a chiave. - la avvertì laconico il gigante, cogliendo i propositi della sua prigioniera.
- Chi sei e che cosa vuoi da me?
- Hai dei modi un po’ troppo arroganti per una nelle tue condizioni. - sul suo volto abbronzato comparve un leggero sorriso, ma senza alcun accenno di scherno o minaccia - Comunque mi chiamo Beck, sono il primo ufficiale di Devil.
- Perché sei qui?
- Non dovresti quanto meno presentarti, prima di farmi un interrogatorio? - la redarguì con una punta d’irritazione.
La ragazza gli lanciò un’occhiata spaventata, prima di alzarsi in piedi lentamente; per un attimo le balenò l’idea di attaccare il soldato e provare a scappare, ma, nonostante lui non sembrasse armato, sapeva che nemmeno se fosse stata nelle sue condizioni migliori avrebbe avuto speranza in un corpo a corpo con quel gigante.
- Mi chiamo Kysa.
- Così va meglio.
Beck fece un passo verso di lei, fermandosi subito non appena la vide irrigidirsi contro la parete, negli occhi azzurri un’espressione di intensa paura che gli fece apparire una smorfia.
- Stai tranquilla, non ho cattive intenzioni, sono solo venuto per controllare come stavi.
La ragazza lo fissò a lungo negli occhi castani, scoprendovi uno scintillio di umanità che raramente le era capitato di trovare nei soldati al servizio degli Oscuri, quindi si rilassò impercettibilmente, in parte rassicurata dalle sue parole. Nonostante sapesse di non doversi soffermare sulle apparenze, dentro di lei sentiva d’istinto che quell’uomo non le avrebbe fatto del male.
Un leggero bussare alla porta interruppe il silenzio con cui i due si stavano studiando. Subito Beck si voltò ad aprire, lasciando entrare una giovane donna molto graziosa, vestita con una lunga gonna, che si inchinò rispettosamente davanti a lui.
- Il bagno è pronto, mio signore. - mormorò, senza alzare la testa.
L’uomo annuì.
- Accompagnala. - ordinò, indicando Kysa, per poi rivolgersi alla stessa prigioniera che lo stava fissando con uno sguardo assieme interrogativo e timoroso - Devil ha ordinato di prepararti un bagno, non penso che la cosa ti sarà sgradita. Va’ con lei.
Obbedendo al soldato, la ragazza uscì dalla stanza e si ritrovò in un grande salotto addobbato con i tappeti ed i mobili più lussuosi che avesse mai visto. Rimase suo malgrado a fissarli, stupita di ritrovarsi in un ambiente tanto ricco e colorato, un contrasto ben strano con il gelido e tenebroso soldato che l’aveva catturata.
- Così è qui che vive Devil? - chiese alla donna che l’aveva accompagnata.
- Oh no, il mio signore possiede un’intera ala di questo castello. Queste stanze rappresentano solo uno dei suoi appartamenti.
Kysa la guardò attentamente. La donna aveva parlato con voce impersonale, eppure dalle sue parole era stato possibile percepire un suono nascosto di paura e rancore; probabilmente anche lei era una prigioniera, costretta suo malgrado a servire padroni che odiava. Non sembrava molto più vecchia di lei e sicuramente non era armata, per un attimo la ragazza si chiese se non avrebbe potuto sfruttare quell’occasione per scappare.
Sentendosi osservata si voltò all’improvviso, incontrando gli occhi castani di Beck che la studiavano con un’espressione sardonica, quasi il soldato avesse intuito i suoi propositi. La tensione che l’aveva attraversata al pensiero della fuga imminente l’abbandonò di colpo, mentre, con lo sguardo basso, si girava nuovamente verso la giovane serva e la seguiva, oltrepassando una stretta porta dorata.
Nonostante le sue speranze il bagno aveva solo una piccola finestrella vicino al soffitto, ben più in alto della sua portata e comunque troppo stretta per poterci passare qualora fosse riuscita a raggiungerla. Al centro della stanza faceva bella mostra di sé un’enorme vasca di marmo già colma d’acqua calda e sapone, a cui la ragazza lanciò uno sguardo di desiderio.
Si spogliò lentamente, rifiutando l’aiuto della giovane serva che l’aveva seguita e chiedendole di lasciarla sola; non era abituata a farsi vedere nuda da altre persone e, da quando la sua pelle era stata segnata da quei giorni passati nelle celle degli Oscuri, aveva assunto un atteggiamento ancora più riservato del solito.
Si passò piano le dita sulle leggere cicatrici che le attraversavano la schiena, come un marchio di sofferenze e dolore appartenenti ad un passato non ancora superato, quindi, reprimendo quei ricordi spiacevoli in un angolo della sua mente, entrò nella grande vasca di fronte a lei.
Immersa nella schiuma, nonostante la paura di quello che avrebbe potuto succederle in futuro, venne presto invasa da un dolce senso di benessere. Chiuse gli occhi, abbandonandosi per un attimo in quell’acqua calda e ristoratrice che la avvolse rassicurante e protettiva come una coperta.
Beck attese pazientemente che si lavasse, seduto sul letto nell’altra stanza.
Devil gli aveva ordinato di occuparsi di lei, ma era per puro interesse personale che aveva deciso di fermarsi più del necessario, incuriosito da quella prigioniera a cui fin troppe persone sembravano tenere in modo particolare.
Pochi minuti dopo la vide tornare con addosso dei vestiti puliti ed i capelli castani ancora umidi.
Con un gesto congedò la serva, che, dopo un leggero inchino, si ritirò in silenzio, chiudendo la porta dietro di sé.
Kysa fece qualche passo titubante verso il centro della stanza, poi cominciò ad avvertire un giramento di testa e dovette appoggiarsi alla parete per rimanere in piedi; la breve camminata ed il bagno erano stati degli sforzi troppo intensi per il suo corpo indebolito dalla grave perdita di sangue.
A fatica raggiunse un angolo del letto e si sedette, premendosi una mano sulla fronte.
- Dovresti mangiare qualcosa. - le consigliò Beck.
- Non ho fame.
Ignorando la sua risposta, il soldato le porse un vassoio con un piatto pieno di stufato di carne ed una morbida pagnotta, probabilmente portato poco tempo prima da un’altra serva.
Kysa guardò il cibo fumante con un misto di nausea e desiderio; il suo primo impulso fu quello di rifiutare, ma la fame ed il pensiero che avrebbe dovuto mantenersi in forze per riuscire a scappare la convinsero a prendere in mano la forchetta ed assaggiare un boccone.
Beck la fissò mentre mangiava in silenzio, chiedendosi come mai il suo biondo comandante si fosse interessato a lei; dopo il bagno Kysa si era rivelata una ragazza indubbiamente graziosa, eppure il generale avrebbe potuto scegliere numerose donne più attraenti di lei e di gran lunga più contente di figurare come sue amanti.
Scosse la testa impercettibilmente.
Conosceva il piacere con cui Devil esercitava il proprio potere nei confronti delle persone più deboli di lui, qualcosa di diverso dal semplice sadismo, che tuttavia non esulava da una vena di crudeltà. Nonostante non lo avesse mai visto torturare fisicamente un prigioniero, in quanto delegava i suoi sottoposti a questo compito qualora Daygon gliel’avesse ordinato, sapeva tuttavia che il biondo soldato si divertiva ad incutere timore e soggezione tanto ai suoi uomini, quanto alle svariate amanti che erano passate nel suo letto.
Forse era stato l’aspetto indifeso di Kysa ad averlo attratto al punto di utilizzare la magia per salvarla, pratica solitamente adibita alla distruzione e allo sterminio, quasi avesse riconosciuto in lei l’esemplificazione della sua vittima perfetta.
Le lanciò uno sguardo incuriosito, ritrovando nella sua immagine una ragazza come tante, sufficientemente coraggiosa per non scoppiare in singhiozzi ma non abbastanza per tentare una fuga disperata.
Eppure, a quanto pareva, Devil non era l’unico ad interessarsi a quella giovane donna dagli occhi azzurri.
Kysa poggiò su un tavolino il vassoio, che venne subito portato via dalla solita serva; nonostante la sua iniziale diffidenza, la fame aveva avuto il sopravvento, come testimoniava il piatto completamente vuoto. Rinfrancata dal bagno caldo e dal cibo, per un attimo la nera disperazione che l’aveva avvolta al suo risveglio in quel castello sconosciuto sembrò diradarsi in favore di un po’ di tranquillità.
Beck parve intuire i suoi pensieri, perché le fece un sorriso incoraggiante.
- Va’ meglio?
La ragazza annuì.
Nonostante la debolezza persistesse a torturarle il corpo, la testa aveva smesso di girarle e riusciva a pensare con più lucidità rispetto a quando si era svegliata.
Si voltò verso il suo carceriere, ancora una volta sorpresa dal suo comportamento che lo rendeva più simile ad un guerriero burbero eppure protettivo, piuttosto che ad un nemico. Beck era molto diverso dai soldati con i quali aveva avuto a che fare fino a quel momento, le pareva quasi impossibile pensare che fosse agli ordini degli Oscuri.
- Perché li servite? - chiese all’improvviso.
L’uomo non ebbe nemmeno il bisogno di domandare di chi stesse parlando.
- Aver salva la vita non è forse una ragione sufficiente?
- Se nessuno fosse dalla loro parte adesso non avrebbero conquistato tutto. - replicò la ragazza con rabbia, mentre il soldato si accomodava meglio sul letto, in modo da fissarla negli occhi.
- Non è così semplice. - le rispose con amarezza - Gli Oscuri hanno saputo scegliere bene i loro servitori tra mercenari alla ricerca di ricchezze e uomini che inseguono disperatamente il potere, come Devil. Purtroppo i loro eserciti non sono formati solo da persone che li odiano o che sono state costrette a farne parte.
Kysa non replicò, così rimasero in silenzio, avvolti da una muta comprensione e, nonostante uno dei due avesse i panni del carceriere e l’altra quelli della prigioniera, entrambi vittime di quel castello.
Beck si alzò lentamente, conscio di aver trascorso più tempo del dovuto in quella stanza, trascurando i suoi doveri di soldato.
- Se hai bisogno di qualcosa qui fuori ci sono un paio di ragazze ai tuoi ordini. - la avvertì, assumendo poi un’espressione più seria - Ma non farti illusioni: quest’appartamento è chiuso a chiave e accanto alla porta ci sono dei soldati di guardia.
Kysa annuì senza alcun entusiasmo.
- Devil dov’è?
- Daygon l’ha inviato a sedare una rivolta al nord, probabilmente tornerà tra un paio di giorni.
La ragazza ricordò con un brivido il suo incontro con il soldato biondo e le parole minacciose con cui l’aveva lasciata.
- Spero che non torni affatto. - mormorò d’impulso.
- Ti ha salvato la vita. Non provi un minimo di gratitudine per lui?
Kysa chinò il capo.
- Sarebbe stato meglio se mi avesse lasciato morire.
Beck rimase a fissarla senza sapere cosa replicare, era la prima volta che una simile frase già sentita in passato veniva pronunciata senza alcuna rabbia, ma solo con un’incredibile amarezza ricca di rassegnazione. Distolse lo sguardo da quegli occhi azzurri che erano riusciti a turbare perfino un soldato dal cuore duro e forgiato dalla guerra come lui, reprimendo l’impulso di metterle una mano sulla spalla per rassicurarla.
- Col tempo migliorerà. Una volta che ti sarai abituata all’idea di vivere in questo castello tutto sarà più semplice.
- E’ proprio il tempo che mi spaventa. - replicò lei, con voce appena percettibile.
Il gigantesco soldato le lanciò un’occhiata di compassione, senza capire cosa intendesse dire con le sue parole, ma profondamente colpito dal suo tono disperato
Prima di chiudersi la porta dietro le spalle si voltò ancora una volta a fissare la prigioniera del suo comandante.
- Lascia che ti dia un consiglio, ragazzina. Cerca di non far arrabbiare Devil. Raramente l’ho visto comportarsi in modo crudele con una donna, ma non perdona chi gli disobbedisce.

Nella locanda di Lockerhalt, una cittadina dell’impero di Daygon che confinava con il regno di Ghedan, un giovane dal lungo mantello grigio aveva destato la curiosità degli avventori. Inutilmente le numerose lampade appese al soffitto cercavano di penetrare la copertura dell’ampio cappuccio che in quel momento copriva gran parte dei suoi lineamenti, perfino le sue mani erano avvolte da spessi guanti di pelle scura, quasi lui desiderasse rimanere il più anonimo possibile.
Nonostante viaggiasse senza compagnia pareva disarmato, una facile preda per i briganti che imperversavano in quella regione, tuttavia nulla sembrava turbare la tranquillità con cui mangiava il suo pasto.
Il ragazzo si calò ancora di più il cappuccio sugli occhi, in modo che la bocca fosse l’unica parte visibile del suo volto, poi andò al bancone della locanda per affittare una camera per la notte.
Da quando viaggiava non aveva mai abbandonato quell’abbigliamento Sapeva di apparire sospetto alla maggior parte della gente che incrociava, tuttavia non aveva altra scelta: nessuno doveva guardarlo negli occhi, scoprire il colore insolito delle sue iridi che, dovunque andasse, lo perseguitava come una maledizione.
Perché Kilik era un Etereo.
L’unico della sua razza che ancora camminava su Sylune senza aver dovuto oltrepassare la barriera magica eretta dagli Oscuri, l’unico che non era stato bandito assieme al suo popolo.
Si chiuse a chiave nell’angusta camera che gli era stata affittata, togliendosi i guanti ed il mantello solo dopo aver avuto la certezza di non essere spiato da nessuno. Subito la schiacciante solitudine con cui si era ritrovato a combattere in quegli ultimi giorni tornò ad avvolgerlo, gelida e crudele come il peggiore dei nemici.
Lentamente la sua mano scese lungo il fianco, alla ricerca di uno dei due pugnali che prima erano stati celati dal lungo mantello.
Accarezzò con dolcezza il fodero in pelle che ne circondava la lama, soffermandosi sulle decorazioni in rilievo e sulla striscia di cuoio perfettamente liscia con cui usava legarselo al lato destro della cintura, in totale simmetria con l’arma gemella che teneva su quello sinistro.
Una lacrima scivolò lentamente sulla sua guancia, andando ad infrangersi sull’incisione d’argento che, sul manico del pugnale, componeva il nome Kohori.
- Fratello…

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Capitolo 7
*** Capitolo 6: La sopravvissuta ***


-Capitolo 6: La sopravvissuta-

Un battito.
(Sentiva tanto freddo)
Un altro battito.
(Come se il gelo la stesse pian piano risucchiando verso le tenebre)
Ancora un battito nell’oscurità.
(e lei si stesse perdendo in quel silenzio tanto innaturale che a malapena la lasciava respirare)
Una sensazione di paura la avvolse all’improvviso.
(soffocava nelle tenebre)
Sentì un appello disperato a cui non poteva dare risposta risuonare dolorosamente tra i suoi pensieri, lacerandoli.
(senza possibilità di scampo)
E la sua anima veniva schiacciata da una solitudine divorante.
(perché era da sola)
Una lacrima le scese sulla guancia.
(e da sola non ce l’avrebbe mai fatta).


Viridian aprì gli occhi.
Attorno a lei c’erano le quattro pareti scure di una piccola stanza, nessun suono turbava la calma mortale di quel posto, a malapena illuminato da un paio di candele poste sopra un tavolino nero.
Respirò a fondo, pronta ad un altro giorno di buio e solitudine, il costo che aveva dovuto pagare per la salvezza; ormai avvolgersi nelle tenebre era l’unico modo con cui poteva difendersi da coloro che desideravano la sua magia.
Ogni attimo era più doloroso del precedente. Strinse le gelide sbarre della prigione in cui si era volontariamente rinchiusa per arginare il proprio potere e lanciò uno sguardo affranto al di là di esse. Sapeva che non avrebbe potuto controllarsi a lungo, già la sua determinazione cominciava a vacillare, schiacciata da quel soffocante silenzio, e presto non sarebbe più bastata la sua forza di volontà a trattenere la magia. La sentiva fremere dentro il proprio corpo, smaniosa di liberarsi e accorrere in aiuto di quella voce che la tormentava anche durante le poche ore in cui riusciva a riposarsi.
Non sarebbe riuscita a rimanere separata da lei ancora per molto.
E, allora, non avrebbe avuto più scampo.
All’improvviso, senza alcun suono, un ragazzo moro le comparve di fronte.
D’istinto Viridian fece un rapido passo indietro, le mani tese, pronta ad utilizzare la magia per difendersi da quello che credeva un nemico. Appena prima che scagliasse tutto il suo potere contro quell’intruso, il giovane alzò lo sguardo, permettendole di riconoscere nei suoi occhi lo stesso colore presente nei propri; abbassò le mani di scatto.
- Tu non provieni dall’Esilio. - mormorò con stupore, percependo la sua presenza in maniera troppo nitida perché fosse nella dimensione in cui tutti gli Eterei erano stati confinati.
Il ragazzo ricambiò l’occhiata sorpresa, lasciando intravedere solo per un attimo un’intensa delusione.
- Nemmeno tu.
Si squadrarono ancora per diversi secondi, quasi per capire se dovessero considerarsi nemici o alleati, prima che la ragazza rompesse il silenzio.
- Chi sei?
- Mi chiamo Kilik.
- Io sono Viridian.
L’Etereo le si avvicinò lentamente, senza alcun segno di minaccia, con un timido sorriso di simpatia.
- Sei una di quelli che hanno passato la barriera?
- Già. - rispose la ragazza, continuando poi con un tono indecifrabile - Pensavo di essere l’unica sopravvissuta, ma a quanto pare anche tu sei come me.
Il giovane scosse la testa.
- Io non sono mai stato esiliato. Non possiedo grandi poteri e quando gli Oscuri hanno compiuto il rituale per bandirci da Sylune io ero convalescente da una brutta febbre. Probabilmente la mia magia era troppo debole perché venissi riconosciuto come Etereo.
Nuovamente Viridian gli lanciò un’occhiata sorpresa.
- Come hai fatto a trovarmi? - chiese, con ancora un accenno di diffidenza nella voce.
Nonostante il volto del ragazzo le sembrasse sincero, sapeva che i suoi nemici si servivano dei più insidiosi stratagemmi per raggiungere il loro scopo e preferiva mantenersi prudente, a costo di ignorare l’istintiva simpatia che a prima vista aveva provato nei suoi confronti.
- Stavo cercando mio fratello. Ci siamo separati da diversi giorni e lui è stato fatto prigioniero di uno degli Oscuri. Quando ho percepito una presenza magica ho pensato che potesse essere lui… - mormorò Kilik con la voce spezzata.
Tutta la diffidenza di Viridian si sciolse all’improvviso, di fronte all’espressione addolorata del ragazzo.
- Mi dispiace… - sussurrò, appoggiandogli una mano sulla spalla.
L’Etereo la strinse senza dire nulla.
Il fatto di scoprirsi appartenenti alla stessa razza, perseguitati dai medesimi nemici, aveva instaurato tra loro un legame ed un’atmosfera di comprensione reciproca che non si sarebbero creati in così breve tempo in altre circostanze.
- Hai voglia di parlarmi di tuo fratello?
Lentamente, quando ormai la ragazza aveva rinunciato alla possibilità di ottenere una risposta, Kilik cominciò a raccontarle cos’era successo con voce lenta e a tratti soffocata.
- Lui è uno come te, ha passato la barriera. - fece una pausa, come per raccogliere le forze - Siamo sempre stati attenti a non farci scoprire, eppure un giorno dei soldati ci hanno attaccato. Pensavo che fossimo riusciti a scappare tutti e due, lo sentivo proprio dietro di me… - la sua voce si spezzò, impedendogli di continuare.
Un doloroso silenzio scese in quella stanza tetra, prima che il ragazzo riprendesse a parlare.
- Quando sono tornato sui miei passi lui non c’era più. E adesso non riesco nemmeno a contattarlo con la magia.
Viridian gli lanciò un’occhiata di triste comprensione.
- Forse è sveglio, per questo non riesci a raggiungere la sua mente. - azzardò più per cercare di consolarlo che per una reale convinzione.
Una smorfia di dolore attraversò il volto dell’Etereo mentre con la mano si scostava i corti capelli neri che gli ricadevano disordinatamente sulla fronte.
- Allora dovrebbe essere sveglio da diversi giorni. - deglutì a stento, nel tentativo di trattenere quelle lacrime che sempre più spesso premevano per uscire allo scoperto sulle sue guance - E poi siamo gemelli, il nostro legame è più profondo del normale, è raro che io perda il contatto con la sua mente. L’ultima volta che sono riuscito a rintracciarlo mi ha detto che l’Oscuro lo stava torturando per spingerlo a rivelare la sua magia. E dopo non l’ho più trovato nei miei sogni.
Viridian non disse niente. Sapeva qual era il triste significato di non percepire più la presenza di un Etereo nemmeno andando in quella trance così simile al sonno degli umani; poteva quindi capire l’occhiata di delusione che il ragazzo le aveva lanciato non appena le era comparso di fronte, nel vedersi infranta anche quell’ultima tenue speranza di ritrovare il fratello in vita.
Kilik si guardò attorno, recuperando una parvenza di impassibilità, ma con le mascelle ancora contratte.
- Tu come mai sei qui?
- Mi sto nascondendo da Daygon.
L’Etereo annuì.
- Anche Kohori, mio fratello, ha adottato questo stratagemma per sfuggire all’Oscuro che l’aveva catturato. Mi ha detto che è doloroso. - aggiunse poi, guardando Viridian con un lampo di preoccupazione nelle iridi viola.
- Un po’. - rispose la ragazza, abbozzando un pallido sorriso che non le raggiunse gli occhi.
All’improvviso nel suo fermo autocontrollo si formò una crepa, da cui cominciarono a fluire tutte le sue emozioni e la paura che fino a quel momento era stata tanto brava a nascondere dietro un’espressione distaccata e appena incuriosita per la presenza di Kilik. In mezzo all’oscurità, in compagnia di un Etereo come lei che le faceva pesare ancora di più la solitudine passata e futura, non riusciva ad essere forte.
- Non so se ce la farò. - mormorò con un singhiozzo, mentre sentiva l’umida scia delle lacrime solcarle le guance - E’ sempre peggio, presto perderò il controllo.
Il ragazzo l’abbracciò, accarezzandole i lunghi capelli castani e stringendola forse più del normale per cercare di reprimere con il suo calore il dolore straziante che provava per la perdita del suo gemello. Stranamente, trovarsi di fronte ad una persona tanto simile a Kohori sembrava quasi lenire la sua sofferenza.
Si staccò da lei lentamente, aspettando che dai suoi occhi viola scendessero le ultime lacrime, prima di lasciarla con l’accenno di un sorriso.
- Invece resisterai, Viridian. E, una volta scoperto cos’è successo a mio fratello, verrò a salvarti.
La ragazza lo guardò mentre cominciava a svanire, regalandole una debole speranza che riusciva ad illuminare perfino la sua buia prigione.
- Ti ringrazio Kilik.

Nel tetro regno di Ghedan, in una casa piccola ma pulita, una vecchia attendeva con impazienza che la ragazza stesa di fronte a lei riprendesse conoscenza.
Nessuno avrebbe mai immaginato che quella donna dal volto rugoso ed i capelli grigi striati di bianco un tempo fosse stata una delle più grandi guaritrici su Sylune, eppure, pur non possedendo la magia, era riuscita più volte a strappare alla morte persone che parevano senza speranza.
La sua conoscenza del corpo umano e delle erbe mediche con cui usava creare unguenti e pozioni la rendevano ancora adesso un abilissimo medico e, nonostante da diversi anni non esercitasse più ufficialmente il suo lavoro, gli abitanti del suo villaggio e di quelli vicini avevano l’abitudine di rivolgersi a lei per qualunque ferita o malattia, certi di non rimanere inascoltati.
Raramente, se il caso era davvero grave, era la stessa donna a mettersi in viaggio per assistere qualcuno bisognoso delle sue cure; era stato appunto in uno di questi viaggi che si era imbattuta in quella ragazza adesso stesa nel suo letto.
Vedendo che non accennava a svegliarsi, la vecchia guaritrice si alzò dalla sedia su cui era rimasta a vegliarla fino a quel momento, cominciando a preparare il pranzo.
Una ruga più profonda delle altre si formò sulla sua fronte: erano due giorni ormai che la giovane dormiva, respirando in maniera appena percettibile, e, nonostante tutti i suoi sforzi, sembrava che fosse destinata a spegnersi così. In verità non aveva mai nutrito forti speranze di riuscire a salvarla, le ferite che le coprivano il corpo erano risultate fin dalla prima occhiata troppo gravi e profonde per lasciarsi andare ad un utopistico ottimismo, tuttavia, nella sua lunga vita, la donna non era mai riuscita ad accettare la sconfitta.
Quasi volesse assecondare i suoi pensieri, il rumore di una coperta che veniva scostata all’improvviso risuonò in quella casa silenziosa.
Con un’evidente espressione di sollievo, la vecchia guaritrice si voltò verso la giovane che si era appena svegliata.
- Come ti senti?
La ragazza si toccò piano il petto avvolto da numerose bende, sbattendo più volte le palpebre, come per mettere a fuoco quella stanza sconosciuta ma accogliente.
- Dove mi trovo?
- A Northlear. Un villaggio sotto il regno di Ghedan, a qualche lega di distanza da Lorimar. - aggiunse la donna, nel vedere l’occhiata interrogativa della sua ospite.
La giovane si mise a sedere, stringendo i denti per la bruciante fitta di dolore che le aveva attraversato il corpo, mentre si rendeva conto di non ricordarsi nulla del suo passato.
- Cos’è successo? - chiese, con la testa che le girava per la debolezza.
- Ti ho trovato all’entrata di Huan, circondata dai corpi dei soldati e coperta di sangue, se non ti avessi vista muovere il braccio non mi sarei mai resa conto che eri ancora viva.
- Ti ringrazio molto.
- Sono una guaritrice, non lascerei mai morire un essere umano. Inoltre, chiunque si schieri contro gli Oscuri ha tutto il mio appoggio. - le lanciò un’occhiata indagatrice - Era contro di loro che hai combattuto, vero?
La ragazza annuì, mentre la memoria le tornava all’improvviso, in un susseguirsi di immagini e ricordi. Rivisse l’attimo in cui aveva deciso di fermarsi a combattere invece di scappare, i soldati che continuavano a comparire di fronte a lei, come se fossero senza fine, la prima dolorosa ferita sul suo braccio e poi solo il suo stesso sangue che colava a terra ed un velo nero sulla sua coscienza.
- C’erano altri sopravvissuti fuori dal villaggio? - domandò, con un’improvvisa urgenza nella voce.
La vecchia scosse la testa.
- Solo dei corpi carbonizzati appartenenti ai soldati degli Oscuri.
- Nessuna ragazza?
- No.
Con un’espressione preoccupata, la giovane si alzò di scatto dal letto, ignorando la fitta di dolore che la attraversò per quello sforzo improvviso e lo sguardo allarmato della sua ospite; cominciò ad esaminarsi la spalla fasciata ed il petto, come per sincerarsi sulle sue condizioni e capire fin dove si potesse spingere senza che il suo stesso corpo si ribellasse.
- Non devi sforzarti, le tue ferite non si sono ancora rimarginate. - la ammonì la guaritrice con voce preoccupata.
Senza ascoltare le parole della vecchia, la ragazza cercò invano di muovere il braccio destro, anch’esso avvolto da bende ancora sporche di sangue, non riuscendo nemmeno a contrarre le dita. Dolore allo stato puro le invase il corpo, lasciandola boccheggiante per diversi secondi, mentre, con orrore, si rendeva conto di non avere alcuna sensibilità in quell’arto.
- Il mio braccio…non riesco a sentirlo.
- Perché erano su di esso le ferite più profonde. Non ti preoccupare, quando guarirai sarai in grado di muoverlo, anche se forse non più come prima.
La ragazza abbassò lo sguardo sulle bende che circondavano, per la prima volta sul suo volto comparve un accenno di disperazione.
- Potrò ancora combattere? - mormorò con una terribile paura nella voce.
- Questo dipende da come il tuo organismo reagirà alle pozioni che gli ho dato. Ti ho curato le ferite, ma i danni ai muscoli e agli organi interni sono stati davvero gravi, una ragazza più debole di te non sarebbe sopravvissuta.
Notando la sua espressione affranta, la vecchia guaritrice le poggiò una mano sulla spalla, attenta a non toccarle le ferite, mascherando la verità con le frasi più consolatorie e sincere che riuscì a trovare.
- Vedrai che riuscirai a guarire alla perfezione, in fondo hai già dimostrato di possedere una tempra fuori dal comune. L’importante è che ti riposi il più possibile, d’accordo? - fece con voce incoraggiante, aspettando che la giovane annuisse prima di interrompere quel brusco abbraccio.
- Che ne dici intanto di recuperare le forze mangiando qualcosa? - le chiese poi con un’espressione rassicurante, mentre le porgeva un piatto fumante colmo fino all’orlo di una densa zuppa di carne - Comunque il mio nome è Alista.
La ragazza prese il piatto con la mano sinistra, lasciando che un fievole sorriso facesse capolino sul suo volto fino a raggiungerle i limpidi occhi castani.
- Io mi chiamo Sky.

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Capitolo 8
*** Capitolo 7: Situazioni pericolose ***


Mi ritaglio un piccolo spazio per fare a chiunque passi di qua gli auguri di buon 2011! Ne approfitto inoltre per avvertire chi fosse interessato che ho postato l'antefatto a questa vicenda; è una oneshot dal titolo "Il Viandante", che ho inserito nella serie a cui appartiene anche questa storia. Infine ci tengo a ringraziare chi legge questa storia, chi l'ha aggiunta alle preferite o alle seguite, e ovviamente un grazie speciale a chi mi ha lasciato o mi lascerà un commento!




-Capitolo 7: Situazioni pericolose-

Mizar si immerse lentamente nell’ampia vasca di marmo bianco, colma di acqua calda e oli profumati.
Ancora una volta aveva adempiuto alla sua missione senza alcun problema, riuscendo perfino a tornare a palazzo un giorno prima del previsto ed a meritarsi la soddisfatta approvazione del suo re.
Come al solito, dopo aver fatto rapporto a Daygon ed essersi informato sulle novità avvenute durante la sua assenza, il suo primo pensiero era stato prendersi un lungo bagno caldo, in modo da togliersi dal corpo la polvere e l’odore di sangue e di morte che le battaglie imprimevano come un marchio sulla sua pelle.
Solitamente utilizzava questi momenti di tranquillità per rilassarsi e lasciare che la tensione dell’ultimo scontro venisse dissolta dalle mani esperte delle sue schiave, ma questa volta c’erano troppi pensieri a disturbargli la mente. Mentre tornava dall’ultima città conquistata, infatti, aveva scoperto che il piccolo e neutrale villaggio vicino a Lorimar era stato completamente distrutto, probabilmente per opera di una banda di predoni.
Non che gli importasse qualcosa di quel povero agglomerato di capanne e stradine malconce, tuttavia lo infastidiva l’idea che un gruppo di criminali tanto numeroso fosse sfuggito al controllo suo e di Daygon: chiunque osasse turbare l’armonia dell’impero doveva essere repentinamente eliminato.
Fortunatamente Devil era sicuro di avere nelle proprie mani chi avrebbe potuto spiegargli cos’era successo ad Huan e svelare l’identità di quegli ignoti distruttori.
Si alzò di scatto dalla vasca, congedando con un gesto irritato la giovane serva che gli stava lavando la schiena.
A petto nudo, con i capelli biondi ancora gocciolanti, entrò nella stanza della sua prigioniera.
Kysa era in piedi, rivolta verso la finestra aperta con la triste espressione di un uccellino in gabbia; non appena lo sentì entrare, si allontanò di scatto, quasi si sentisse colpevole di aver osato pensare alla fuga, un’eventualità impossibile da attuare, visto che la stanza in cui era reclusa si trovava a parecchi metri dal suolo.
Devil richiuse la porta dietro di sé.
- Siediti. - le ordinò, indicando il letto.
La ragazza obbedì, incrociando le ginocchia al petto in un'istintiva posizione di difesa.
- Come ti senti? - le chiese con il tono freddo che lo caratterizzava.
- Sto bene. - mormorò lei, sentendo quanto perfino deglutire fosse diventato difficile in presenza di quell’alto soldato che la spaventava.
L’uomo si accomodò su una sedia, come al solito i suoi occhi non mostravano alcuna emozione, quasi fossero congelati in uno sguardo perennemente impassibile eppure minaccioso.
- Chi ti ha ridotto in fin di vita?
- Perché me lo chiedi, visto che sono stati i tuoi uomini? - rispose la ragazza, nascondendo l’odio che provava per gli assassini della sua gente dietro l’amarezza con cui aveva parlato.
- Non mentire! - la brusca voce del comandante la interruppe all’improvviso, sferzante come una frustata - I miei uomini erano a Lorimar e tu non sei nemmeno riuscita a raggiungerla.
La sua prigioniera sollevò lo sguardo, sorpresa.
- Intendevo i soldati che hanno distrutto Huan. Non erano ai tuoi ordini? - chiese poi, con voce esitante.
- A Daygon non può certo interessare un villaggio tanto insignificante. - replicò Devil con disprezzo, accentuando la sicurezza di Kysa che l'Oscuro era del tutto estraneo alla sua cattura.
Socchiuse gli occhi gelidi, aggrottando la fronte in un attimo di riflessione.
La risposta della sua prigioniera l’aveva sorpreso non poco: non credeva che uno degli altri Re fosse abbastanza temerario da attaccare in segreto una zona così vicina ai possedimenti di Daygon, rischiando di attirarne su di sé il sospetto e la collera, a meno di non aver trovato qualcosa per cui valesse la pena di agire tanto avventatamente.
E, tuttavia, in quel villaggio di pezzenti non c’era nulla che avrebbe potuto interessare ad un Oscuro, né ricchezze, né potenziali soldati particolarmente valorosi, né ribelli.
Strinse le labbra in una piega sottile che ne accentuava la crudeltà.
A quanto pareva gli altri Re avevano dei piani di cui Daygon non era a conoscenza e la cosa non gli piaceva affatto; una volta riferito tutto al suo sovrano avrebbe chiesto di poter svolgere delle indagini per scoprire quali fossero gli obiettivi degli altri maghi, sempre che la ragazza di fronte a lui avesse detto la verità sulla distruzione di Huan…
- Sai combattere? - le chiese all’improvviso.
Kysa scosse la testa, sorpresa della domanda.
- Ed il pugnale incrostato di sangue che ho trovato al tuo fianco?
- Ho cercato di difendermi.
L’espressione di Devil venne attraversata da un lampo di sospetto.
- Com’è possibile che una ragazza come te sia sopravvissuta alla distruzione di un villaggio? - la fissò a lungo negli occhi azzurri prima di vederla abbassare il volto, come ricercando un qualche particolare che potesse dare una risposta alla sua domanda - Non possiedi la magia, non sai combattere e non hai nemmeno il coraggio di sostenere il mio sguardo.
Kysa alzò la testa, in un impeto di ribellione per le sue parole, ma poi tornò nuovamente a fissare il candido lenzuolo sul quale era seduta, mordendosi piano un labbro per reprimere la paura.
Il volto del soldato si distese impercettibilmente, ricomponendo quello sguardo impenetrabile che lo caratterizzava.
Per un attimo gli era balenata in mente l’ipotesi che la sua prigioniera potesse essere una spia degli altri Oscuri, ma l’espressione terrorizzata con cui lei studiava ogni sua mossa era troppo genuina per far parte di una finzione; senza contare le gravi condizioni in cui versava quando l’aveva trovata, nessuno avrebbe potuto prevedere la sua decisione di salvarle la vita.
Con una leggera smorfia archiviò tutte le sue riflessioni; più tardi avrebbe riferito a Daygon i suoi sospetti e le conclusioni a cui era giunto, ma adesso aveva altro a cui pensare.
Si avvicinò lentamente al letto, lasciando affiorare sul suo volto un pallido sorriso di soddisfazione non appena gli occhi azzurri della ragazza fecero trasparire un lampo allarmato.
- Oggi non mi chiedi di lasciarti libera? - la derise.
- Sarebbe di qualche utilità? - mormorò lei di rimando con voce spenta.
Per tutta risposta il sorriso del comandante si allargò, senza comunque raggiungere gli occhi gelidi e impassibili che parevano incapaci di mostrare una qualche emozione.
- No. - le sussurrò come una condanna, mentre le afferrava il mento.
La baciò, forzandola ad aprire le labbra per poterle esplorare la bocca con la lingua, abbracciandola con un gesto che non era né dolce né romantico, ma un semplice prendere possesso di una prigioniera alla quale aveva salvato la vita unicamente per renderla un suo giocattolo.
Kysa rimase immobile, troppo terrorizzata dalla situazione per opporsi; poi, non appena si sentì spingere verso il materasso mentre il corpo asciutto e muscoloso del soldato premeva contro il suo, la paura si concretizzò nell’atavico istinto di conservazione tipico di ogni essere vivente che la spinse a ribellarsi con tutte le sue forze.
Cominciò a divincolarsi selvaggiamente, appoggiando le mani contro il suo petto nel disperato tentativo di allontanarlo da sé, quasi la sua volontà bastasse ad aver la meglio su un uomo di gran lunga più forte di lei.
Un attimo di esitazione la colse quando le sue dita incontrarono degli strani rilievi sulla sua pelle, vicino al cuore, facendole alzare gli occhi per intercettare le iridi di ghiaccio del suo aguzzino che la fissavano senza alcuna emozione; poi la paura riprese il sopravvento ed ogni pensiero razionale venne soffocato dallo spasmodico desiderio di liberarsi e scappare.
Subito una mano dell’uomo le imprigionò i polsi in una stretta d’acciaio, bloccandoglieli sopra la testa.
Kysa si morse un labbro con tutte le sue forze, ricacciando indietro le lacrime che stavano per bagnarle le guance, e chiuse gli occhi, impotente e sconfitta tra le braccia di chi l’avrebbe distrutta.
Stranamente Devil non si mosse, continuava a fissarla senza dire una parola, con il volto a pochi centimetri dalle sue labbra, abbastanza vicino da sentire il suo respiro.
La ragazza si irrigidì ancora di più, certa che il soldato prediletto di Daygon stesse architettando qualche nuovo giochetto per spaventarla, invece, con sua grande sorpresa, il guerriero la lasciò andare all’improvviso, sedendosi a qualche centimetro di distanza da lei.
Subito Kysa rotolò verso il lato più lontano del letto, pronta ad alzarsi e mettere il maggiore spazio possibile tra loro, ma un’occhiata minacciosa dell’uomo la congelò sul posto. Rimase immobile, studiandolo in attesa di un suo movimento per scattare verso la porta e tentare la fuga.
Devil non fece nulla, nonostante avesse lo sguardo rivolto verso di lei sembrava non vederla nemmeno, né avvertire la terribile tensione che la pervadeva. Le sue iridi di ghiaccio si erano fatte quasi remote, perse in una dimensione di ricordi che non lo rendeva meno minaccioso, solo più distante.
- Te ne sei accorta. - mormorò, con un tono indefinibile.
Kysa non rispose, lasciando che fosse il suo stesso sguardo, fisso sul petto del soldato, a confermare le sue parole.
Appena sotto la spalla sinistra dell’uomo, vicino al cuore, c’era un segno a forma di stella, quasi impossibile da notare ad occhio nudo se non avesse saputo dove cercare; eppure, adesso che l’aveva toccato, anche i suoi occhi lo scoprivano con un lampo di stupore, increduli di riscontrare una cicatrice sulla pelle di un guerriero che aveva la fama di non essere mai stato ferito in battaglia.
- Sei sorpresa?
La ragazza sollevò lo sguardo fino ad incontrare le iridi azzurre del suo carceriere.
- Non pensavo che qualcuno fosse riuscito a ferirti. - mormorò dopo un po’ di silenzio.
- Non è stato un essere umano. - replicò Devil con un sorriso, ricordando il giorno in cui aveva acquisito la magia.
Per una volta la sua espressione non aveva nulla di minaccioso, eppure le sue parole risuonarono stranamente cupe alle orecchie della giovane prigioniera.
L’uomo la vide rabbrividire impercettibilmente, mentre capiva le implicazioni della sua risposta ed abbassava lo sguardo.
Le sfiorò i capelli castani, lunghi abbastanza da coprirle metà schiena, prima di darle le spalle e dirigersi verso la porta.
- La prossima volta non ti consiglio di respingermi.

Nello stesso momento, Kilik stava fuggendo da Lockerhalt.
Quella mattina aveva commesso uno stupido errore, facendosi sorprendere senza cappuccio dalla giovane cameriera che era venuta a rassettargli la camera.
La ragazza aveva fissato le sue iridi viola con un’esclamazione soffocata, prima di abbandonare a terra le lenzuola con cui era entrata e scappare giù dalla scale in preda ad una spaventata eccitazione, lasciandolo immobile a masticare un’imprecazione dopo l’altra.
Non c’era voluto molto tempo prima che arrivassero anche i soldati degli Oscuri, ma fortuna aveva voluto che la stanza affittata fosse provvista di un’ampia finestra, dalla quale era riuscito a fuggire con un salto di qualche metro.
Mentre zigzagava tra le vie del villaggio, travolgendo gli ignari passanti che gli intralciavano la corsa, maledì ancora una volta la proprio imprudenza. Nonostante quella mattina fosse stato in preda ai pensieri più disparati, non ultimo quello di Viridian, avrebbe dovuto fare più attenzione, invece di aprire la porta chiusa a chiave quando ancora non si era del tutto vestito.
I passi alle sue spalle si fecero più vicini, segno che i soldati stavano guadagnando terreno su di lui.
Kilik strinse i pugnali che nascondeva sotto il mantello, conscio di doversene servire entro breve tempo, poi un vicolo seminascosto dall’immondizia attrasse la sua attenzione; ci entrò, la fronte aggrottata per lo sforzo di utilizzare la poca magia che possedeva. Subito un’immagine con le sue sembianze gli comparve a fianco; con dei rapidi movimenti delle dita, quasi stesse controllando una marionetta, l’Etereo la fece uscire allo scoperto e proseguire la fuga nella strada principale.
I soldati svoltarono l’angolo in quel momento e, tratti in inganno da quell’illusione, continuarono a correre oltrepassando lo stretto vicolo in cui lui era nascosto.
Stremato dalla lunga corsa e dall’utilizzo della magia, Kilik tirò un sospiro di sollievo.
Quando fu certo che i soldati erano abbastanza lontani, tornò sui suoi passi, pronto a lasciare per sempre quella città in cui una volta di più aveva rischiato la vita. Non fece neanche a tempo a compiere pochi metri che la porta di una povera casa alla sua destra si aprì, lasciando intravedere il volto grinzoso e incuriosito di una vecchia.
- Ehi, giovane. - lo chiamò la donna, dopo aver dato un’occhiata in giro con aria ansiosa.
Kilik fece esitante un paio di passi verso di lei.
- Devi nasconderti, i soldati torneranno tra breve. - una mano piena di rughe si alzò per scostarsi dagli occhi un ciuffo arruffato di capelli grigi, come per prendere una decisione - Presto, entra qua.
Sorpreso, il ragazzo si lasciò trascinare dentro quella casa povera ma accogliente, studiando con attenzione quella sconosciuta.
Senza nessun apparente motivo gli venne in mente la sua nonna materna, un’Eterea dall’aspetto fragile, eppure cocciuta all’inverosimile, che riusciva sempre ad imporsi sui figli ed i nipoti. Come suo fratello Kohori, Kilik provava un affetto incredibile per quell’anziana parente che, nonostante un’apparente severità, lo aveva sempre coccolato, più protettiva dei suoi stessi genitori, e che, da quando era stata bandita assieme a tutto il suo popolo, gli mancava terribilmente.
Con un sussulto si riscosse dalle sue riflessioni, rendendosi conto che la donna sconosciuta gli stava ancora tenendo il braccio.
- Tu sei uno di quelli con la magia! - esultò lei, mettendo in mostra la bocca sdentata.
Kilik accennò un sorriso, sentendosi un po’ a disagio di fronte all’entusiasmo di quella piccola vecchia che continuava a fissarlo con un benevolo interesse fin troppo evidente.
- Ti ringrazio di avermi fatto entrare, ma adesso devo rimettermi in cammino.
La sua ospite scosse la testa con veemenza, assomigliando davvero per un attimo alla sua testardissima nonna.
- No no, è troppo pericoloso, rimarrai qui fino a domani mattina.
- Perché mi aiuti? Se i soldati lo scoprono se la prenderanno con te.
La donna contrasse il volto in un’espressione a metà tra il dolore e la rabbia.
- Mi hanno ucciso due figli. Devono pagare. - spiegò semplicemente. Un secondo più tardi i suoi lineamenti tornarono a comporre il benevolo e materno sorriso di un’anziana signora - Tu riposati, tra breve ti preparerò qualcosa da mangiare.
Quasi sospinto su per le scale fin dentro un’angusta stanzetta, a Kilik non rimase altro che sdraiarsi sul letto, ancora sorpreso di aver trovato aiuto proprio da una donna appartenente ad una razza di cui non si era mai fidato.
“Allora anche tra gli umani ci sono delle persone per bene” si disse, prima di lasciare che la stanchezza prendesse il sopravvento.
Forse fu il suo istinto a spingerlo ad aprire gli occhi dopo nemmeno un’ora di sonno, o magari si trattò unicamente di una casualità, comunque, una volta completamente sveglio, capì che non sarebbe riuscito ad addormentarsi di nuovo e decise di alzarsi. Incuriosito dalle voci che sentiva provenire dal piano di sotto scese le scale, con l’intento di offrire il suo aiuto a quella simpatica vecchia che lo stava ospitando, ma non appena giunse nel piccolo salotto si bloccò di scatto.
- Che diavolo… - mormorò, stupefatto nel vedere di fronte a sé i soldati a cui pensava di aver fatto perdere le proprie tracce ore prima.
Strinse i pugnali, pronto a fronteggiarli con tutte le sue forze, ma un violento colpo alla nuca lo fece sprofondare nel buio.

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Capitolo 9
*** Capitolo 8: L'ordine dei Protettori ***


-Capitolo 8: L’ordine dei Protettori-

Kilik riprese coscienza quando ormai era notte inoltrata.
La testa gli pulsava terribilmente e la sua gola era talmente secca che perfino respirare gli risultava difficile e doloroso. Chiuse gli occhi per qualche secondo, aspettando che l’ondata di nausea e stordimento cessasse in modo da lasciarlo libero di pensare, quindi, a poco a poco, recuperò parte della sensibilità agli arti stranamente intorpiditi.
Fu solo quando cercò di inumidirsi le labbra con la saliva che si rese conto di essere imbavagliato e legato ad un palo.
Si dibatté invano contro le ruvide corde che gli stavano incidendo la pelle dei polsi, maledicendosi per la propria stupidità mentre ricordava gli avvenimenti del giorno prima.
Fidarsi di un’umana era stata una pessima scelta. Quella vecchia apparentemente tanto altruista e gentile l’aveva in realtà venduto per poche monete d’oro: ricordava benissimo l’espressione avida con cui stava contando il denaro nel suo piccolo salotto, era l’ultima cosa che aveva visto prima di venire colpito alla testa da un soldato alle sue spalle.
E adesso era caduto nelle mani degli Oscuri, che gli avrebbero riservato lo stesso destino capitato a Kohori o forse perfino uno peggiore.
Mentre respirava a fondo per riguadagnare il controllo sulle proprie emozioni ed ignorare la paura, si guardò intorno. Il villaggio in cui era stato catturato si intravedeva appena in lontananza, grazie alla pallida luce della luna, mentre davanti ai suoi occhi i soldati avevano spento il fuoco con cui presumibilmente si erano preparati da mangiare e si apprestavano a riposare nelle tende sparse un po’ ovunque in quella pianura.
Quello che sembrava il comandante fermò due tra gli uomini più robusti e, con un gesto nella sua direzione, parve ordinar loro di montare la guardia
Non appena Kilik li vide avvicinarsi si sentì prendere dallo sconforto: con quei due soldati a controllarlo, scappare sarebbe stato impossibile senza l’aiuto della magia e lui non era abbastanza potente per utilizzarla con la sola forza del pensiero, visto che la parola ed i movimenti gli erano preclusi.
Stava giusto per abbandonarsi rassegnato a quel torpore che offuscava la sua coscienza e cancellava perfino il dolore ai polsi stretti dalle corde, quando un’ombra più nera della notte stessa sgusciò fuori dal riparo di una tenda e, silenziosamente, si avvicinò alle due sentinelle sedute a qualche metro di distanza dal palo a cui era legato.
L’Etereo la vide estrarre un pugnale e mettere fuori combattimento i soldati senza alcun rumore, con la precisione di un professionista, per poi acquattarsi furtivamente tra l’erba non appena un altro guerriero della Fiamma Nera uscì da una delle tende alla sua destra.
Ignaro del pericolo, l’uomo fece qualche passo barcollante in cerca di un luogo dove avrebbe potuto liberarsi della troppa birra bevuta durante la cena, quando una lama lo trafisse nella parte sinistra del petto, mentre una mano, premuta contro la sua bocca, soffocava il suo urlo di dolore.
Durante quest’ultima azione lo sconosciuto assassino si era girato verso il giovane prigioniero e Kilik riconobbe con sorpresa un volto femminile.
Rimase a fissarla, incredulo che una donna si fosse arrischiata a penetrare da sola in un accampamento di soldati al servizio dell’impero, quando nessuno ormai osava più sfidare gli Oscuri; poi un sospetto lo attraversò all’improvviso, mentre ricordava che, un tempo, erano esistite persone con tale coraggio.
Anni prima i più valorosi combattenti che non avevano accettato la dominazione degli Oscuri si erano riuniti nella città di Hoken, fondando un ordine segreto di guerrieri che si impegnavano a riportare la libertà su Sylune a costo della loro stessa vita.
Con il nome di Protettori avevano più volte affrontato e sconfitto i soldati dell’impero, preferendo imboscate e rapidi attacchi rispetto ad un confronto a viso aperto in cui si sarebbero trovati in inferiorità numerica; erano stati i più pericolosi e sfuggenti nemici dei Cinque Re, fino a quando un giovane generale agli ordini di Daygon era riuscito a sorprenderli e ucciderli tutti nel massacro che aveva portato alla distruzione dell’intera città.
Quell’infausto giorno in cui si era spenta l’ultima speranza di libertà su Sylune era coinciso con l’avvento al potere di Devil quale braccio destro del più potente tra gli Oscuri.
Dopo la tragica fine di quei guerrieri sembrava che nessuno più avesse la forza di lottare contro l’impero, eppure da qualche tempo si sussurrava che dei ribelli si fossero raggruppati attorno ad un giovane combattente di grande talento, pronto a ricreare un nuovo ordine di Protettori.
Kilik lanciò un’occhiata alla guerriera di fronte a lui, mentre la flebile speranza di trovarsi al cospetto di una possibile alleata lo rinfrancava, a dispetto della disperazione che l’aveva invaso al suo risveglio.
Continuò a fissarla attentamente, desiderando con tutte le sue forze che le sue supposizioni si rivelassero esatte e quella sconosciuta non fosse semplicemente un nuovo nemico.
Senza riporre il corto pugnale bagnato di sangue, la donna gli si avvicinò con un’espressione quasi ironica negli occhi verdi.
- Serve aiuto?

Era da diversi minuti che Mizar si trovava nelle sue stanze, disteso sul suo grande letto senza alcuna compagnia.
Nonostante la sua fama di spietato comandante privo di compassione ed emozioni, quella ragazza dall’aspetto fragile ed indifeso era riuscita a turbarlo, al punto da fargli abbandonare la camera in cui aveva progettato di passare la notte.
Inconsapevolmente lasciò che le sue dita sfiorassero la cicatrice sul suo petto, unico segno tangibile che ancora lo legava alla sua vita passata, quando era solo un essere umano. Più volte aveva cercato di cancellarla, utilizzando le tecniche mediche più avanzate di cui era a conoscenza e perfino la magia, e tuttavia essa rimaneva a ricordargli il giorno in cui aveva ottenuto il suo potere.
Per un attimo rivisse il momento in cui Daygon lo aveva legato a sé, quella luce azzurrina che lo attraversava senza fargli alcun male ma gli imprimeva il suo marchio sulla pelle, l’incredibile sensazione di essere divenuto invincibile; poi un ricordo improvviso, nitido come nessun altro, gli ferì la mente.
Vide l’immagine di un ragazzino biondo dagli occhi azzurri che, con un amico, si disegnava sul petto il simbolo dei Protettori e fingeva di essere uno di loro.
Scosse la testa, sorpreso, mentre riviveva le giornate passate ad allenarsi con le spade, le facili missioni a cui aveva partecipato ed il desiderio di raggiungere presto la maggiore età per realizzare il suo sogno di aggregarsi a quel nobile ordine di ribelli e liberare Sylune dal dominio degli Oscuri.
Per qualche secondo lasciò che la sua mente vagasse nelle ombre di quell’adolescenza che aveva creduto sepolta per sempre sotto strati di freddezza e disinteresse ed invece, dopo il tocco di quella ragazzina, riaffiorava nei suoi pensieri; non la ricordava con rabbia, perché l’ira sarebbe stata solo una dimostrazione di come fosse ancora legato a quel passato in cui era solo un debole senza alcun potere, tuttavia il pensiero di essere stato un semplice umano come tanti altri lo infastidiva.
Un sorriso sprezzante comparve nel suo volto, ancora scolpito in una gelida indifferenza.
Era stato un sognatore, illuso ed ingenuo solo quanto un ragazzino cresciuto all’ombra di potenti guerrieri poteva mostrarsi, ma quell’effimero desiderio di eroismo e sacrificio aveva dovuto cedere il passo di fronte alla realtà del potere.
Ed i ribelli, a cui tanto spesso aveva guardato con ammirazione, erano caduti anni prima, proprio per mano sua.
Sfiorò ancora una volta la cicatrice a forma di stella, situata nell’esatto posto in cui avrebbe dovuto farsi tatuare il simbolo dei Protettori una volta divenuto uno di loro, quasi quest’ironica coincidenza volesse simboleggiare concretamente la scelta effettuata.
Si tirò in piedi di scatto, afferrando una maglia nera ed il suo onnipresente mantello bianco, per poi dirigersi verso l’arena in cui i suoi sottoposti avevano l’abitudine di allenarsi.
Prima di uscire all’aperto si fermò nell’ampio salone dove sapeva già di trovare l’uomo che gli interessava
- Ho voglia di fare un po’ di movimento. - disse, mentre il suo sguardo vagava sugli occupanti della stanza per poi soffermarsi per qualche secondo sul gigantesco soldato dai capelli castani.
Beck annuì, comprendendo l’ordine implicito dietro quel commento.
- Vado a prendere la spada.
Pochi minuti dopo si ritrovarono in uno stretto corridoio, entrambi senza armatura, ma già con le armi in pugno.
Non appena raggiunsero il cortile interno al castello in cui era situata l’arena, i soldati che si stavano addestrando deposero immediatamente le armi e, dopo un rispettoso saluto ai due uomini, si fecero da parte, pronti ad assistere al loro scontro.
Non capitava spesso che il loro comandante decidesse di allenarsi, ma quelle rare occasioni venivano sempre seguite con la massima attenzione, nel vano tentativo di assimilare un po’ delle sue capacità.
In perfetto silenzio i due uomini si allontanarono di qualche passo, pronti a cominciare il duello.
Nemico invincibile a causa della magia, Devil era letale anche con la spada e Beck era l’unico che riuscisse a tenergli testa, sia pure per pochi minuti, senza rischiare la vita.
Sollevarono le armi, lasciando che per un attimo il sole rosso del tramonto illuminasse la lama sottile, impugnata dal generale, e quella argentata e molto più larga del soldato, quindi cominciarono lo scontro.
Le spade si incrociarono con un suono argentino, prima di allontanarsi per poi cozzare nuovamente con violenza, senza che nessuno dei due contendenti mostrasse le sue reali capacità.
Scambiarono qualche altro colpo, più adibito a sondare la difesa dell’avversario che a penetrarla, quindi, con un movimento improvviso, il soldato più vecchio decise di portare lo scontro su un livello superiore.
Rapido come pochi, Devil evitò il fendente con un fluido movimento del corpo e si esibì in un pericoloso affondo, parato a stento dal gigante con i capelli castani. Poi fu Beck ad attaccare ancora, opponendo al perfetto gioco di gambe del suo generale la propria incredibile potenza; ancora una volta le due spade si scontrarono con violenza, senza che nessuno dei due avversari arretrasse di un passo. Rimasero impegnati in quella prova di forza per qualche secondo prima di separarsi lentamente, con uno sguardo attento e concentrato, pronti a trovare un’esitazione od una breccia nella guardia avversaria.
Con un sorriso di divertimento sul volto pallido, Devil si gettò all’attacco e le lame si incrociarono ancora una volta, mentre i soldati fissavano ammutoliti quell’incredibile susseguirsi di colpi e parate quasi troppo rapidi per poter essere distinti chiaramente dai loro occhi.
I due uomini continuarono a duellare per diversi minuti, aumentando ad ogni scontro la velocità e la potenza con cui scambiavano affondi e fendenti, fino ad esibirsi in violenti attacchi che, se fossero andati a segno, sarebbero risultati mortali.
Nuovamente le loro spade cozzarono con tale forza da scheggiarsi in piccoli frammenti d’acciaio, mentre i muscoli sulle braccia dei due guerrieri si gonfiavano nel tentativo di guadagnare quei pochi, preziosi centimetri che avrebbero messo in difficoltà l’avversario.
Per un attimo l’incredibile potenza di Beck sembrò avere la meglio su Devil, che fu costretto ad arretrare per sostenere l’impatto del pesante spadone a due mani utilizzato dal suo antagonista. Poi, con un repentino movimento della lama, il guerriero più giovane riuscì a sorprendere il gigante dai capelli castani e la grande arma argentata cadde a terra con fragore, decretando la fine del combattimento.
Senza alcuna parola, né uno sguardo ai loro spettatori, i due guerrieri ritornarono nel castello, camminando fianco a fianco.
Nonostante la sconfitta, Beck non provava alcun rancore nei confronti del suo avversario: anche se nei loro scontri Devil non aveva mai utilizzato la magia, lui non era mai riuscito a batterlo.
Il gigante fece un ironico sorriso, al ricordo di quando, anni prima, si era allenato fino a divenire il combattente più forte della sua gente.
Da sempre considerato un guerriero formidabile, non soltanto per la sua forza portentosa, ma specialmente per le sue capacità strategiche e con la spada, era stato perfino contattato dai Protettori quando il grande villaggio in cui viveva godeva ancora dell’indipendenza dagli Oscuri.
Per paura di rappresaglie da parte dell’impero, Beck aveva preferito rifiutare la loro offerta di alleanza, tuttavia la visita di quei ribelli non era passata inosservata e Daygon aveva subito mandato il suo esercito per reclutarlo con la forza o ucciderlo.
Posto di fronte a queste due alternative, Beck aveva scelto di sopravvivere, aiutando gli invasori del suo villaggio in altri massacri che spesso venivano definiti conquiste, e riuscendo anche a raggiungere il rango di ufficiale.
Non si era pentito della sua decisione: durante le battaglie aveva assistito alla sorte di chi non si piegava al potere dei Cinque Re. La morte non s’impietosiva per le suppliche dei più disperati, né il tanto decantato eroismo o il coraggio potevano tenerla lontana; essa calava inesorabile tra gli oppositori dell’impero, spegnendo anche il più fiero degli sguardi.
Per due anni Beck aveva combattuto per Daygon, salendo pian piano di grado nella gerarchia militare, fino a divenire il braccio destro dell’invincibile guerriero dagli occhi di ghiaccio. Nonostante la freddezza con cui Devil trattava i suoi subordinati, il gigante dai capelli castani era riuscito ad instaurare con lui una sorta di rapporto, ben lontano dall’amicizia, ma fondato sul rispetto reciproco e su quell’affinità combattiva che talvolta lega due bravi guerrieri. Forse Beck era l’uomo che più si era avvicinato a comprendere la tenebrosa essenza del suo generale eppure, in quegli ultimi giorni, gli riusciva più difficile del solito capire il suo strano comportamento.
Spinto da un impulso più forte di lui, il soldato si fermò all’improvviso, attirando l’attenzione del suo biondo comandante.
- Devil, che intenzioni hai con quella ragazza?
L’uomo più giovane si irrigidì.
Chiunque altro si fosse permesso una simile familiarità con lui nel più fortunato dei casi sarebbe già stato dolorosamente punito, ma Beck, oltre ad essere il migliore dei suoi sottoposti, era anche l’unico guerriero che si era meritato il suo rispetto e con cui, raramente, scambiava qualche parola diversa dai soliti ordini.
- Perché la cosa dovrebbe interessarti?
Perfino senza guardarlo il gigante poteva percepire la fredda irritazione nella risposta del giovane uomo.
Si rimproverò mentalmente per la propria impudenza. Quella ragazzina l’aveva turbato, spingendolo a compiere un errore fatale. Non avrebbe dovuto interessarsi a questioni che non lo riguardavano, in particolar modo se esse coinvolgevano il suo comandante dagli occhi di ghiaccio; eppure ancora adesso non riusciva ad evitare di pensare a lei.
Subito gli tornarono alla mente il suo fisico minuto, i tratti delicati e quell’impressione di estrema fragilità che irradiava da tutta la sua persona e aveva attirato l’attenzione di Devil.
- Non salvi spesso la vita alle persone. - commentò infine, in tono leggero.
Il guerriero biondo sorrise sardonicamente.
- Hai ragione, di solito io distruggo.
Beck lasciò passare diversi secondi di silenzio prima di riprendere la parola.
- E distruggerai anche lei?
- Dipende dalla sua scelta. - Lo sguardo del comandante si fece pericoloso, mentre si fermava a fissare negli occhi il suo soldato - Nessuno può oppormisi e sopravvivere.

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Capitolo 10
*** Capitolo 9: Scontri ***


-Capitolo 9: Scontri-

Kilik fece un respiro profondo, nel tentativo di incamerare la maggior quantità possibile di ossigeno, mentre i polmoni gli bruciavano per quello sforzo a cui non erano abituati; ormai gli sembrava di correre da ore per quella pianura sconfinata ed il suo corpo cominciava già a mostrare i primi segni di cedimento.
Lanciò un’occhiata alla sua compagna, ancora una volta sorpreso di essere stato salvato da un’umana che, nonostante in un primo momento gli fosse sembrata più vecchia, non doveva avere più di venticinque anni.
Dopo quell’ironica frase con cui si era infine rivelata un’alleata, la ragazza lo aveva liberato dalle corde, tranciandole con la stessa arma che aveva utilizzato per sopprimere le guardie, poi, senza dire una parola, gli aveva preso il braccio per guidarlo in quella corsa interminabile, verso la piccola foresta che si intravedeva in lontananza. Una sola volta l’Etereo aveva provato a chiederle spiegazioni, ma lei si era limitata a stringergli il polso, in un tacito ordine di mantenere il silenzio, prima di accelerare ulteriormente il passo.
Mordendosi le labbra il ragazzo aveva continuato a correre e, anche quando aveva cominciato a sentire le prime avvisaglie della stanchezza, si era costretto ad avanzare, ignorando il proprio stomaco inesorabilmente vuoto e le insistenti fitte al fianco sinistro.
Con le gambe che gli dolevano per lo sforzo ed il respiro sempre più affannoso, non ci era voluto molto tempo prima che cominciasse ad essere distanziato da quella ragazza apparentemente instancabile, ormai era solo la sua forza di volontà a sostenerlo, unita all’orgoglio di non poter cedere sotto gli occhi di un’umana, per di più donna.
Senza fermarsi la sua compagna rallentò il ritmo, lasciandosi affiancare.
- Dobbiamo arrivare fino alla foresta. - mormorò con tono leggermente ansante, prima di tornare qualche metro avanti a lui.
Quando finalmente raggiunsero i primi alberi, l’Etereo era ormai allo stremo; fece ancora qualche passo, poi crollò in ginocchio ansimante.
Da una sacca legata alla cintura la ragazza estrasse una piccola fiasca di pelle colma d’acqua e gliela porse senza una parola.
Troppo stanco perfino per ringraziarla, Kilik l’accettò con uno sguardo colmo di riconoscenza e si mise a bere a lunghi sorsi, placando finalmente la sete che lo stava torturando dal suo risveglio, poi gliela restituì, approfittando del momento di pausa per studiare la sua misteriosa salvatrice.
Era una giovane donna alta quasi come lui, con il fisico asciutto ma muscoloso di una guerriera; i corti capelli biondi le arrivavano appena alle orecchie, facendo risaltare gli occhi verdi ed un volto che avrebbe potuto essere bellissimo, se non fosse stato per la durezza del suo sguardo e l’espressione fredda che emanava dai suoi lineamenti.
- Il tuo nome? - chiese bruscamente, mentre l’Etereo continuava a fissarla e riprendeva fiato.
- Mi chiamo Kilik.
- Io sono Rafi.
- Immagino che questi siano tuoi. - aggiunse poi, lanciandogli i due pugnali che i soldati gli avevano tolto mentre era incosciente.
L’Etereo li prese al volo, incredulo di quella fortuna insperata, mentre si sentiva pervadere da un’ondata di sollievo e gratitudine verso quella ragazza che era riuscita a riportargli l’unico ricordo tangibile di quel fratello tanto amato.
- Dove li hai trovati? - chiese, allacciandoli alla cintura.
- Erano stati gettati a terra, vicino ad una tenda dietro cui mi ero nascosta. - rispose lei, scoccandogli poi un’occhiata strana, quasi volesse mettere in chiaro di non avergli fatto consapevolmente quel favore - Pensavo mi potessero servire se fossi stata scoperta, mi sono accorta solo in un secondo momento che erano troppo decorati per appartenere ai soldati dell’impero e non avevano nemmeno lo stemma della Fiamma Nera inciso sull’impugnatura.
Il volto di Kilik non mutò dopo questa precisazione, dai suoi lineamenti continuava a trasparire un profondo senso di riconoscenza, per nulla affievolito dai modi bruschi della sua salvatrice.
- Ti ringrazio. E anche per avermi liberato.
La bocca della giovane donna si piegò in un sorriso ancora più freddo della sua espressione normale.
- Non fraintendermi, non mi importa nulla di voi Eterei. Ma voglio distruggere gli Oscuri ed il tuo aiuto potrebbe servirmi. - replicò con voce dura, mentre estraeva il suo pugnale e cominciava a strofinarlo sull’erba per ripulirlo dal sangue dei soldati che aveva ucciso.
Momentaneamente gelato dalle sue parole, il ragazzo si riscosse all’improvviso mentre ne comprendeva il significato: Rafi era al corrente della sua vera identità, quindi il suo salvataggio non era stato frutto del caso come inizialmente aveva pensato e forse, ancora una volta, si era fidato troppo presto di chi non conosceva. Nonostante le sanguinose intenzioni della ragazza coincidessero con le sue, il giovane non poté reprimere un vago senso di sospetto nei suoi confronti.
- Come facevi a sapere che sono un Etereo?
- Nella locanda di Lockerhalt ho sentito una spia dell’impero che raccontava di averti catturato. - rispose lei, prima di lanciargli un’occhiata sarcastica - Sai, non dovresti fidarti delle anziane signore dall’aspetto innocuo.
Kilik accettò l’ironico rimprovero a testa bassa, il comportamento sprezzante della sua salvatrice gli rendeva ancora più amara l’umiliazione per essere caduto ingenuamente in quella trappola ed era di gran lunga più insopportabile dei rimproveri che lui stesso si era inflitto al suo risveglio.
Strinse le labbra, cercando di ignorare l’irritazione che stava lentamente soffocando la riconoscenza con cui fino a quel momento aveva guardato Rafi.
- Sei una dei Protettori? - chiese, quasi sicuro di una risposta affermativa, nonostante l’atteggiamento brusco e distaccato della ragazza gli rendesse difficile associarla a quei leggendari guerrieri per cui perfino lui provava un senso di ammirazione.
- Io sono da sola.
- E pensi di riuscire a uccidere gli Oscuri senza nessun aiuto? - esclamò Kilik quasi a bocca aperta per la sorpresa.
- Questi sono affari miei.
L’Etereo rimase in silenzio, indeciso se mostrarsi offeso con lei o cercare di capire se quella giovane assassina fosse una persona di cui si poteva fidare.
- E adesso cosa facciamo? - chiese poi, ancora stordito dagli ultimi avvenimenti e da quella fuga insperata.
Rafi ripose il pugnale ormai pulito nel fodero che portava allacciato alla gamba destra.
- Poco distante da qui c’è un piccolo villaggio, devo andare a fare provviste e recuperare il mio zaino.
- Vengo anch’io.
La ragazza si voltò di scatto, i lineamenti congelati in un’espressione dura.
- No! Non sono stata io quella che si è fatta catturare come un moccioso.
L’Etereo arrossì di rabbia, stringendo spasmodicamente i pugni per mantenere la calma.
- Solo perché ho commesso l’errore di fidarmi di un’umana come te. Ma posso assicurarti che non succederà più.
Rafi gli lanciò un’occhiata sprezzante, dalla sua smorfia di irritazione pareva quasi pentita di averlo salvato e non fece nulla per cercare di nasconderla.
- Mi saresti solo d’impiccio. Tu resti qui. - ordinò, mentre con passo leggero già cominciava ad allontanarsi da lui.
Il ragazzo l’afferrò per un braccio, voltandola bruscamente, forse nell’inconscio tentativo di farle del male o frantumare quel sorriso freddo e ironico, così terribilmente privo di umanità, con cui continuava a rinfacciargli i suoi errori.
- Mollami subito. - sibilò Rafi, socchiudendo gli occhi verdi in un’espressione pericolosa.
Kilik rafforzò la sua presa sul braccio magro eppure muscoloso della giovane donna, senza lasciarsi intimorire da quell’ordine minaccioso. Nonostante fosse riuscito a fuggire solo grazie al suo aiuto, non riusciva a provare la minima simpatia per lei; l’ostilità che gli dimostrava, gli sguardi sprezzanti con cui sembrava sfidarlo a ribattere e quel comportamento arrogante gli risultavano insopportabili, tanto da causargli l’intenso desiderio di ferirla.
La guardò negli occhi, irritato di non scorgere alcuna emozione oltre alla fredda minaccia presente nel suo sguardo, e ancora di più per averla creduta un’amica disinteressata quando invece Rafi l’aveva salvato unicamente per i propri scopi.
L’odio per quella razza che più volte lo aveva tradito, facendogli perdere il fratello, si riaccese violento in lui, al cospetto di quell’arrogante assassina di cui non riusciva a sopportare lo scherno.
- Perché dovrei obbedirti? Sei solo un’umana. - sibilò con disprezzo, specchiandosi in quelle iridi dure ed impassibili come il più freddo degli smeraldi.
Un violento pugno lo colpì al volto senza preavviso, facendogli perdere l’equilibrio.
Kilik si portò lentamente una mano sulla guancia dolorante, mentre, ancora seduto a terra, fissava incredulo la guerriera di fronte a lui.
- E’ meglio essere un’umana che essere altro. - gli disse Rafi, con voce carica di rancore e amarezza, quindi gli diede le spalle, incamminandosi verso il limitare della foresta - Se vuoi aspettarmi sarò di ritorno tra un paio d’ore al massimo, in caso contrario ti auguro buona fortuna, Etereo.

Lotar aggrottò la fronte, lo sguardo rivolto all’ampia finestra davanti a lui, a fissare il cielo cupo dove si erano appena spente le ultime stelle.
Quello era il giorno in cui la sua spia avrebbe dovuto fargli rapporto e l’Oscuro attendeva impaziente che arrivasse l’ora prevista; questa volta non sarebbe stato necessario rischiare per contattarlo, in quanto il suo uomo, come da accordi, si sarebbe dovuto trovare fuori dal castello di Daygon.
Finalmente il sole cominciò a far capolino dall’orizzonte, mentre il cielo si accendeva in un’alba quasi più infuocata del solito.
L’Oscuro chiuse gli occhi.
Gli bastò qualche attimo di concentrazione per percepire la sua presenza.
- Mio signore. - fece la sua spia con voce rispettosa, non appena percepì il legame mentale che la legava al mago.
Come le volte precedenti, Lotar evitò ogni tipo di convenevoli per ottenere subito le informazioni che gli interessavano.
- La ragazza che è stata salvata da Devil è ancora viva?
- Sì, è guarita quasi alla perfezione dalla sua ferita.
- E Daygon? Ha dimostrato interesse per lei?
- No, penso che non si sia nemmeno reso conto della sua esistenza.
Le sottili labbra del mago si tesero in un sorriso soddisfatto.
- Voglio che tu la rapisca e la conduca da me.
- Come desiderate. - mormorò l’uomo dopo un attimo di esitazione.
- Tra qualche giorno farò in modo di allontanare dal castello una buona parte dell’esercito di Daygon e poi ti contatterò. Per allora tieniti pronto ad agire.
- Sì, mio signore.
- E un’altra cosa: non deve succederle nulla di male. - ordinò l’Oscuro, prima di interrompere il contatto che li legava e aprire gli occhi.
Sawhanna gli si avvicinò, con le iridi nere che brillavano di curiosità.
Ormai era da quando avevano scoperto l’esistenza dell’Alher che la donna si era stabilita in quel castello, accettando l’invito di Lotar a fermarsi per qualche giorno. Nonostante non avesse portato alcun bagaglio, al suo corpo perfetto aderiva ora un vestito totalmente diverso da quello che aveva indossato al suo arrivo nel castello. Si sedette, attendendo che l’uomo facesse altrettanto, prima di interrogarlo sul rapporto della sua spia.
- Allora?
- La ragazza è viva e Daygon non si è ancora accorto di lei.
- Questa è un’ottima notizia. - commentò, arricciandosi una ciocca corvina con un gesto inconsapevole, che portava l’eco di una civetteria giovanile mai completamente dimenticata - Ma una simile situazione non potrà durare in eterno.
- E’ per questo che ho chiesto al mio uomo di rapire l’Alher e condurla da noi.
Lo sguardo di Sawhanna si oscurò all’improvviso, cercando nel volto del compagno delle spiegazioni per quel comportamento avventato che non comprendeva e disapprovava con tutta se stessa.
- E’ fidato? - chiese con una smorfia.
- Nessuno è realmente fidato, dovresti saperlo. - replicò il mago con un sorriso - Ma lui non mi tradirà.
- Come puoi dirlo?
L’Oscuro scosse le spalle, quasi per evidenziare la futilità di quella discussione: non rientrava nel suo carattere prendere decisioni sconsiderate, il suo potere si basava in gran parte su una prudente intelligenza ed i pochi rischi corsi fino a quel momento erano stati vagliati con attenzione, soppesando i pro ed i contro delle varie scelte alla ricerca di quella meno pericolosa e più redditizia.
- E’ l’uomo più leale di cui dispongo.
- Anche più di me? - chiese la donna con un’ombra di malizia nella voce, mentre si alzava con le aggraziate movenze di una pantera, affascinante e pericolosa al tempo stesso. L’Oscuro lasciò che dal suo volto trapelasse un distaccato apprezzamento, mentre ammirava l’incredibile naturalezza con cui la maga riusciva ad esprimere la propria sensualità senza un’esagerata ostentazione, in maniera ormai del tutto inconsapevole, come se l’abitudine alla perfezione fosse tanto radicata in lei da soffocare inconsciamente qualunque difetto.
- Sì. - rispose, mentre le bianche pupille della donna gli rimandavano il suo stesso volto - Lui mi teme.
Sawhanna incurvò i lati della bocca in un leggero sorriso.
- Chi è il più forte di noi due, Lotar? In fondo non abbiamo mai provato.
Per un attimo i suoi occhi neri luccicarono pericolosamente, quasi stesse pregustando lo scontro con un avversario alla sua altezza, che fino a quel momento non aveva mai potuto disputare. Istintivamente irrigidì il corpo, preparandosi a richiamare la magia, quel potere caldo e avvolgente che la tentava ed era già riuscito ad affiorare nelle sue iridi nere, evidenziando le striature grigie presenti in esse ora simili a lampi di argento fuso.
Lotar si alzò lentamente, senza smettere di fissare la donna di fronte a lui.
- Non te lo consiglio, Sawhanna. - mormorò, lasciando trapelare dalla sua voce pacata una nota di minaccia.
Nonostante nessun movimento giungesse a frantumare il silenzio e quella tacita tregua, una fredda tensione stava turbando quella stanza soleggiata in cui i due maghi continuavano a sfidarsi con lo sguardo, non più alleati, ma nemici.
La donna sollevò le mani, accentuando il sorriso crudele della sua bocca, ma senza attaccare, in attesa di una mossa del suo avversario per dare inizio allo scontro; per un attimo l’Oscuro sembrò pronto a richiamare a sé la magia, poi si rilassò e fece un paio di passi verso di lei, poggiandole una mano sulla spalla.
- Se una volta sconfitti Daygon e gli altri sceglierai di sfidarmi, non mi tirerò indietro. Ma, prima di allora, tu ed io dobbiamo rimanere alleati se vogliamo ottenere il potere dell’Alher e la supremazia incontrastata su Sylune.
Irritata da quel contatto la donna si scostò subito, ma annuì, ricacciando la magia nelle profondità più nascoste del suo essere per poi dargli le spalle e chiudersi nei propri pensieri.
L’Oscuro ristabilì le distanze tra loro con un passo indietro, senza che il brusco atteggiamento della compagna scalfisse la sua espressione imperturbabile.
- Saresti stata una degna avversaria.- le disse con un sorriso in cui forse c’era un velo di rimpianto - Ma ricorda, con me potrai diventare ancora più forte.
Sawhanna si voltò di scatto, lasciando esplodere il potere che vibrava da ormai troppo tempo dentro di lei e subito la pervase in una scarica di luce argentea, mentre i suoi capelli color della notte venivano accarezzati da quell’ondata improvvisa di magia.
- Mi credi davvero tanto ingenua? Sappiamo entrambi che sarà uno solo di noi ad ottenere la magia dell’Alher. Mi hai messo al corrente di questa scoperta unicamente per ottenere il mio aiuto. Non sottovalutarmi, Lotar. Non farlo mai.
Lentamente il potere che l’aveva avvolta scomparve e la stanza tornò ad essere illuminata unicamente dai timidi raggi del sole. Senza una parola né uno sguardo, la donna si ritirò nella propria camera.
Le iridi verdi del mago la seguirono con un’espressione imperscrutabile, mentre sarcasmo ed un lampo molto simile alla malinconia si intrecciavano nel suo volto, in un doloroso ossimoro di vuoto ed emozioni.
- Ancora così viva…

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Capitolo 11
*** Capitolo 10: Solitudine ***


-Capitolo 10: Solitudine-

- Sei ancora qui?
Kilik balzò in piedi di scatto, estraendo i pugnali per poi riporli con una smorfia non appena riconobbe il volto di Rafi. Non sapeva quante ore fosse rimasto seduto a terra in attesa del suo ritorno, maledicendola ad ogni secondo. In un primo momento il suo orgoglio ferito lo aveva spronato ad andarsene, preferendo il rischio di imbattersi nei soldati all’umiliazione di obbedirle, tuttavia, privo di equipaggiamento e di qualunque indicazione su dove si trovasse, aveva dovuto rassegnarsi e aspettare che quella ragazza priva di umanità tornasse da lui.
Le lanciò un’occhiata carica di risentimento, notando appena che adesso, oltre ad un capiente zaino sulle spalle, portava anche una pesante spada alla cintura.
- Ringrazia di non essere un maschio, o ti avrei restituito il pugno con gli interessi. - sibilò a denti stretti.
Gli occhi verdi di Rafi si socchiusero in due fessure minacciose.
- Non sopravvalutare le tue capacità.
Per un attimo l’Etereo pensò seriamente di concretizzare le sue minacce, ignorando i suoi principi più profondi. Non era solo l’idea di colpire una donna a disgustarlo, ma anche la possibilità di infrangere una promessa risalente a tanti anni prima, quando si era reso conto che i pugni potevano essere più pericolosi della magia.
Non ricordava molto di quegli avvenimenti che avevano segnato la sua infanzia e ancora adesso gli causavano uno spiacevole senso di colpa, stranamente era tutto avvolto dalla nebbia, come se fosse il suo stesso inconscio a negarsi quelle spiacevoli memorie.
Le uniche immagini impresse nella sua mente erano quei ragazzini umani che avevano cominciato a schernire lui e Kohori, una rabbia intensa e travolgente, più forte di ogni razionalità, la sensazione nauseante del sangue sulle proprie mani mentre i suoi aggressori giacevano a terra, ed il suo stesso fratello che lo tratteneva, piangendo. Poi, il buio.
Quando si era risvegliato, ogni suo ricordo di ciò che era successo aveva assunto le tinte nebulose e inconsistenti di un incubo, solo lo sguardo turbato dei suoi parenti rimaneva come un’accusa a dimostrazione dell’accaduto. Più tardi sua madre gli aveva detto che per poco non aveva ucciso uno di quei ragazzi umani. Non gli aveva mai spiegato in quale modo, evitando i dettagli e vietando perfino di menzionare quell’episodio, nemmeno Kohori ne aveva più voluto parlare e, vista la difficoltà con cui a stento riusciva a ricostruire quel giorno nella sua mente, Kilik era arrivato a sospettare che alcuni ricordi gli fossero stati alterati con la magia; tuttavia non aveva bisogno di recuperare la memoria per sapere che aveva quasi ucciso qualcuno a mani nude. Il sangue che gli aveva imbrattato le dita e la scarsa magia di cui era dotato, all’epoca troppo debole per poter uccidere qualcuno, erano delle prove sufficienti a convalidare questa teoria, così aveva preferito tacere e non chiedere nulla.
Da allora si era ripromesso di non perdere più il controllo e lasciarsi trascinare dalla rabbia, a meno di non trovarsi di fronte ad un nemico. Lanciò uno sguardo alla giovane donna dagli occhi verdi, ancora incerto se rinunciare a considerarla come tale.
Aveva già notato quanto potesse risultare letale la sua compagna, più simile ad una spietata macchina di morte che ad un essere umano, e l’irritazione con cui fino a quel momento l’aveva fissata cominciò ad attenuarsi, in favore di un forte senso di diffidenza e pericolo, non scevro da una piccola punta di curiosità.
La studiò attentamente, attraverso il forte rancore che ancora provava nei suoi confronti, inseguendo invano la persona nascosta dietro quel volto freddo e impassibile, su cui ogni emozione pareva scivolare via senza scalfire in alcun modo l’indifferenza che si era resa padrona dei suoi lineamenti.
Irritata da quell’esame prolungato a cui l’Etereo la stava sottoponendo, Rafi appoggiò a terra lo zaino, facendo poi un passo verso di lui.
- Mi hai aspettato solo per farmi sentire le tue stupide provocazioni o c’è dell’altro?
- Visto che abbiamo gli stessi obiettivi viaggerò con te. Ma non aspettarti che rischi la mia vita per salvare la tua.
L’alta ragazza bionda gli lanciò uno sguardo sprezzante, prima di oltrepassarlo senza replicare.
Ricordando cos’era successo poche ore prima, Kilik si astenne dal prenderla per il braccio, preferendo invece comparirle di fronte, con le mani sui fianchi ed un’espressione dura.
- Sei davvero intenzionata ad uccidere gli Oscuri?
Rafi lo guardò in silenzio per qualche secondo, ma non fu la sua voce a rispondere. Lentamente la sua maschera impassibile, che più volte Kilik aveva cercato di penetrare, si dissolse in tanti frammenti d’indifferenza, rivelando la terribile oscurità che fino a quel momento aveva celato. Le sue labbra sottili si piegarono in un sorriso crudele, da assassina, mentre i suoi lineamenti si contraevano come in preda alla rabbia e gli occhi verdi venivano attraversati da un lampo di follia che fece indietreggiare di un passo l’Etereo, sconvolto da questa trasformazione repentina.
- E tu? - chiese Rafi con ironia, ricomponendo la sua solita espressione distaccata in maniera tanto rapida che Kilik si chiese se quello sguardo pieno d’odio e ferocia non fosse stato frutto unicamente della sua immaginazione.
Irritato per la facilità con cui si era fatto impressionare, il ragazzo cancellò dal suo volto ogni traccia di timore o incertezza, mentre l’immagine di Kohori tornava a tormentarlo con un’ondata di rabbia e dolore.
- Uno di loro ha ucciso mio fratello. - socchiuse gli occhi, nella sua prima, vera espressione di minaccia - Desidero vendetta.
La guerriera accolse quell’informazione senza mostrare il minimo rammarico o anche solo un accenno di compassione, si limitò ad incrociare le braccia al petto, studiando forse per la prima volta il giovane che aveva di fronte. Lo sguardo determinato di Kilik sembrò piacerle, visto che fece un lieve cenno di approvazione, prima di incurvare le labbra nel suo perenne sorrisino sarcastico.
- E sai chi è stato?
- Ghedan. - ringhiò l’Etereo, pronunciando quel nome come fosse una maledizione.
- Allora la nostra destinazione ti piacerà.
- Dove andiamo?
- Quando si va a caccia di prede pericolose è sempre meglio cominciare da quella più debole. - la ragazza fece una pausa, caricandosi in spalla il pesante zaino con cui era arrivata, senza risparmiargli un’occhiataccia per il suo tentativo di aiutarla - Se ti sbrighi tra un paio di giorni saremo a Northlear.

Daygon stava riflettendo, seduto sull’austera poltrona tanto simile ad un trono che soddisfaceva in pieno i suoi gusti semplici eppure raffinati.
Ormai padrone incontrastato di quasi tutta Sylune, l’Oscuro amava trascorrere le prime ore del pomeriggio nella più totale solitudine, lasciando vagare la mente tra i mille pensieri che gli affollavano la testa.
Era da diversi giorni che non aveva più contatti con gli altri re e, nonostante questo silenzio non fosse affatto insolito, sapeva anche che avrebbe potuto rappresentare un segnale della loro ribellione. Non si illudeva sulla fedeltà che gli dimostravano, era pienamente consapevole di come essi stessero solo attendendo un suo momento di debolezza per attaccarlo e prenderne il posto, tuttavia non li temeva; conscio della propria superiorità, si dedicava alla conquista delle poche città ancora indipendenti, utilizzando poi il tempo rimanente per affinare i suoi poteri.
Per un qualche secondo si divertì ad immaginare gli ipotetici piani con cui avrebbero cercato di sconfiggerlo.
Ghedan era troppo codardo per attaccarlo apertamente, sicuramente avrebbe agito nell’ombra, ricercando un subdolo assassinio che rispecchiava la sua personalità, ma la sua scarsa forza magica, unita ad una mediocre intelligenza, non lo rendeva degno di venire considerato un vero e proprio avversario.
Lotar e Sawhanna sarebbero stati più difficili da sconfiggere: la donna era dotata di un grande potere e la sua indole impulsiva la rendeva un’antagonista imprevedibile, capace di sorprendere chiunque, tuttavia la sua mancanza di prudenza avrebbe potuto esserle fatale; il mago, invece, era sempre stato un ottimo stratega con un perfetto autocontrollo, probabilmente avrebbe rappresentato lui il pericolo più grande tra i tre.
E poi c’era Kyzler.
Una piccola ruga increspò per un attimo la fronte dell’uomo, mentre quel nome si faceva strada tra i suoi pensieri, etereo ma pungente come il suo possessore.
Il più giovane degli Oscuri era forse l’unico che non si sarebbe mai ribellato a lui, eppure ancora rappresentava un insopportabile enigma ai suoi occhi.
Kyzler era sempre stato un essere incomprensibile, all’apparenza privo di emozioni, ma in grado di nascondere dentro di sé un odio sconfinato per chi aveva intessuto le fila del suo destino; nonostante fosse l’unico dei Cinque Re ancora capace di un raro gesto di pietà, non si sarebbe fermato di fronte a nulla e a nessuno pur di riuscire a compiere la sua vendetta.
E, Daygon ne era certo, ancora non l’aveva perdonato.
Un piccolo cambiamento nell’aura magica del suo castello lo spinse ad aprire gli occhi, mostrando al mondo le sue iridi blu scheggiate di sangue.
L’Oscuro rivolse lo sguardo alla porta, sorpreso di percepire la presenza di Mizar che si avvicinava alla sua stanza: era raro che il suo comandante lo cercasse senza essere stato chiamato, per ragioni che esulavano dai rapporti sulle ultime battaglie.
- Entra. - ordinò, prima ancora che il soldato bussasse.
Devil avanzò fino a qualche metro da lui, alzando gli occhi gelidi fino a raggiungere le bianche pupille del mago, mentre gli rivolgeva un inchino appena accennato.
Daygon represse un sorriso per quel gesto che ad osservatori esterni avrebbe potuto apparire irriverente ed invece per lui era più gratificante delle lusinghe e della falsa fedeltà ostentate dai suoi servi. Al contrario di Ghedan non amava circondarsi di cortigiani le cui parole sfociavano nella mera adulazione, inoltre sapeva che il suo guerriero prediletto non si sarebbe mai umiliato al punto da fingere rispetto per comprarsi la vita: non era stata la paura che aveva piegato le sue ginocchia la prima volta, e quell’inchino appena accennato che gli rivolgeva ad ogni loro incontro era di gran lunga più prezioso e sincero delle false lusinghe dei suoi servitori.
Un leggero sorriso prese forma per qualche attimo sul volto del mago.
A volte, durante le brevi visite in cui Devil gli riferiva l’esito delle missioni e riceveva gli ordini per quelle successive, l’Oscuro si chiedeva se quel soldato all’apparenza impassibile lo temesse davvero o, se negli anni in cui si era impegnato a cancellare ogni debolezza, era infine divenuto un essere privo di qualunque emozione, salvo quella sua spasmodica ricerca di potere che lo aveva spinto a tradire i suoi stessi simili.
Qualunque fosse la risposta, tuttavia, non provava alcuna preoccupazione: per quanto fosse consapevole di aver fondato il proprio potere sul terrore, preferiva che fossero gli obiettivi comuni ad intrecciare indissolubilmente a sé il destino di quel generale tanto leale e prezioso, un legame ben più forte e duraturo della paura.
Le sue pupille bianche vagarono sul volto giovane del soldato per qualche secondo, prima di soffermarsi sulle sue iridi azzurre.
- C’è qualche problema? - domandò con appena un’ombra di fastidio nella voce, unico segnale di come quell’interruzione lo avesse seccato.
Devil continuò a fissarlo negli occhi senza scomporsi.
- Hai forse dato ordine ad uno degli altri Re di distruggere Huan?
Le sopracciglia argentate dell’Oscuro si inarcarono per la sorpresa.
- Intendi quel piccolo villaggio vicino a Lorimar?
- Esattamente.
- Non ho alcun interesse in esso, l’ho lasciato indipendente proprio perché è troppo debole per potermi causare problemi ed averlo tra i miei possedimenti non mi sarebbe stato di alcuna utilità.
- Qualcuno deve pensarla diversamente, visto che di recente è stato raso al suolo. - replicò il generale.
Daygon gli lanciò uno sguardo penetrante, specchiandosi in quelle iridi azzurre che, come al solito, non riflettevano alcuna emozione.
- Predoni, suppongo.
Il soldato scosse la testa.
- Erano soldati della Fiamma Nera.
- Ne sei certo? - chiese l’Oscuro, sorpreso lui stesso della futilità della propria domanda: il suo più fedele subordinato non aveva mai commesso alcun errore e certo non gli avrebbe riferito una simile notizia senza sincerarsene prima di persona.
La replica di Devil giunse sciogliere ogni dubbio residuo.
- Ho controllato io stesso.
Forte dei suoi sospetti, quella mattina era arrivato fino a Huan, riuscendo a ricostruire parzialmente lo scontro che aveva causato la distruzione della cittadina e la morte di quasi tutti i suoi abitanti. Nonostante la maggior parte dei corpi fosse ormai irriconoscibile, era stato comunque in grado di ritrovare alcune armature con lo stemma della Fiamma Nera, prova incontestabile della loro provenienza, senza contare i civili che aveva interrogato e gli avevano dato un’ulteriore conferma alle sue ipotesi: tutti erano stati concordi nell’affermare che quei soldati agivano per ordine dell’impero e non erano semplici disertori.
Non appena il generale ebbe terminato il suo racconto, l’Oscuro gli lanciò un’occhiata d’approvazione, un raro riconoscimento che fino a quel momento ben pochi umani erano riusciti a guadagnarsi.
- Scopri chi è stato. E scopri anche il suo scopo.
Mizar s’inchinò brevemente, prima di dargli le spalle.
Lo sguardo del mago più potente di Sylune lo seguì fino alla porta, in un misto di assenso e orgoglio; se le pupille bianche non avessero risaltato così tanto sul suo volto magro, avrebbe potuto sembrare un padre compiaciuto per il comportamento del proprio figlio.
Per un attimo dal suo viso perennemente impassibile trapelò un’espressione curiosa, quasi un sarcastico sorriso di sfida nei confronti del destino, mentre il pensiero che avrebbe dovuto incontrare Mizar invece di Kyzler gli accarezzava la mente. L’attimo dopo i suoi lineamenti tornarono di marmo.

Kysa rifletteva sola, nell’ampia camera da letto che per lei rappresentava la più tetra delle prigioni.
Non sapeva per quale motivo il giorno prima Devil l’avesse graziata in quel modo, ma il terrore della sua prossima visita le aveva presto invaso il cuore, soffocando il momentaneo sollievo provato per quelle brevi ore di solitudine. Aveva trascorso la notte in preda alla paura più profonda, incapace di abbandonarsi ad un sonno che forse le avrebbe permesso di sfuggire per qualche istante da una realtà troppo crudele per diventare parte dei suoi incubi.
Così era rimasta sveglia, gli occhi spalancati nell’oscurità, ad ascoltare il proprio respiro che veniva inghiottito da quel buio silenzioso secondo dopo secondo, mentre il tempo scorreva tanto lentamente da farle credere che quella notte sarebbe durata in eterno.
La mattina aveva visto l’alba, fissando con un magone all’altezza del petto quel cielo che le era precluso divenire sempre più acceso e luminoso, fino a spegnersi in uno sconfinato mare d’azzurro. Lo aveva sfiorato con lo sguardo per ore, forse nel vano tentativo di assimilarsi a quello stesso colore che dimorava nei suoi occhi e abbandonare la tetra realtà a cui era condannata; con la mente tesa verso l’orizzonte si era illusa di poter lenire per un po’ quel sordo dolore che le torturava il petto, una stretta crudele sempre più pesante e insopportabile.
Presto la giovane serva che la accudiva era entrata con un vassoio pieno di cibo, ma Kysa non si era neanche voltata, troppo presa dalla sua sofferenza per avvertire i morsi della fame.
- Portalo via. - aveva mormorato senza nemmeno guardarlo.
Da un lato avrebbe voluto che quella ragazza rimanesse a farle compagnia, per distrarsi da quella nera disperazione a cui non riusciva più a sfuggire, ma, quando nei giorni scorsi aveva provato a parlarle, la serva si era limitata a sorridere e scuotere la testa, mostrandole che non le era permessa alcuna familiarità con lei.
Una volta uscita la giovane, il silenzio l’aveva avvolta di nuovo, tanto penetrante da insinuarsi in ogni angolo della sua mente, fino a quando quell’opprimente senso di isolamento era riuscito a soffocare ogni flebile speranza che ancora la sosteneva.
Aveva pianto in silenzio, lasciando che la sua disperazione prendesse il sopravvento su ogni altra emozione, mentre il familiare dolore al petto tornava a torturarla, ancora più insopportabile delle ore precedenti. E, una volta esaurite le lacrime, si era ritrovata distesa in quel letto dove presto avrebbe nuovamente lottato contro il suo carceriere, con un senso di vuoto tanto intenso da spingerla a desiderare la propria morte per porre fine alla sua paura e ricongiungersi infine a quella voce disperata che la chiamava da infiniti giorni.
Chiuse gli occhi, abbandonandosi senza timori a quel senso di stordimento e torpore provocato dalla veglia e dal digiuno.
Forse, nei suoi sogni, avrebbe potuto per un breve attimo divenire parte di lei.
Ormai profondamente addormentata, non si svegliò quando un’alta presenza bionda entrò nella sua camera.

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Capitolo 12
*** Capitolo 11: Bagliore viola ***


-Capitolo 11: Bagliore viola-

Nell’ampia prigione di Kysa, crudelmente mascherata da una lussuosa stanza del castello, tutto pareva congelato in un quadro senza tempo, perfino la leggera brezza proveniente dalla finestra si era arresa a quell’immobilità quasi innaturale in cui un biondo soldato ed una ragazza dai capelli castani respiravano appena.
Devil rimase a fissarla dormire, sorpreso di scoprire un’inattesa tranquillità nel suo volto rilassato.
Solitamente nulla lo interessava al di fuori degli scontri in cui l’adrenalina si mischiava all’inebriante sensazione d’immortalità che la magia gli aveva concesso o delle missioni che il suo re gli affidava, certo di poterle vedere compiute con successo entro breve tempo, tuttavia qualcosa nell’espressione della sua prigioniera stava sfiorando dentro di lui le antiche e ormai polverose vestigia della sua umanità.
Fu con curiosità che lasciò scivolare il proprio sguardo sui suoi lineamenti da bambina, soffermandosi sui lunghi capelli castani un po’ arruffati e sulle labbra semiaperte che si accostavano alla mano destra stretta a pugno, forse in un inconscio richiamo all’infanzia. Quasi non si accorse di una strana sensazione che lo attraversò, leggera ed agrodolce come un ricordo appena ritrovato, prima di essere cancellata dall’istintiva indifferenza con cui si era circondato da quando aveva scelto la strada del potere.
Sentì i pugni contrarsi impulsivamente, anticipando la smorfia sul suo volto.
Era fastidioso che quella ragazzina potesse ritenersi al sicuro nei suoi sogni, con lui tanto vicino.
Un bagliore più crudele del solito attraversò i suoi occhi di ghiaccio, mentre allungava una mano verso di lei, pronto a svegliarla.
Quasi conscia della sua presenza, Kysa si mosse e aprì gli occhi.
Per un attimo il suo sguardo vagò per la stanza come se non riconoscesse il luogo in cui si trovava, scivolando sul volto del soldato e sulle pareti attorno a lei con la stessa identica vacuità tipica del risveglio, prima di tornare a fissarlo mentre lo stordimento la abbandonava di colpo.
La bocca le si aprì in un urlo muto non appena si rese conto di chi aveva di fronte, poi scattò verso l’uscita, con un movimento tanto improvviso da cogliere di sorpresa perfino il suo carceriere. Nonostante non avesse previsto quel tentativo di fuga, Devil l’acciuffò senza darle nemmeno il tempo di raggiungere la porta ancora aperta, serrando il proprio braccio muscoloso contro la sua vita sottile.
- Mi sembrava di essere stato chiaro. - le sussurrò con le labbra a pochi centimetri dal suo orecchio, mentre la sollevava di peso prima di gettarla rudemente sul letto, dove Kysa rimase immobile, a guardarlo con il cuore che le batteva all’impazzata - Non tollero ribellioni.
Continuarono a fissarsi nel silenzio sempre più opprimente di quella camera, sospesi in qualche secondo di trionfo e paura, prima che la ragazza si mettesse lentamente a sedere, le braccia incrociate davanti al petto come un’estrema difesa e gli occhi puntati sul lenzuolo.
Il soldato le lanciò uno sguardo attento, cercando di penetrare i capelli castani che, ancora arruffati, le cadevano ai lati del volto, nascondendo gran parte dei suoi lineamenti.
Per un attimo gli era sembrato che non fosse azzurro il colore di quelle iridi spaventate.
Archiviando quest’ultimo pensiero con una smorfia annoiata, fece un cenno distratto con la mano destra e la porta si richiuse a chiave di scatto, sotto lo sguardo sempre più atterrito della ragazza, poi si sedette al suo fianco, senza darle il tempo di allontanarsi.
Kysa strinse i pugni nel tentativo di controllare le ondate di panico che minacciavano di sopraffarla e toglierle l’ultimo barlume di lucidità a cui si stava disperatamente aggrappando per non scivolare nel terrore più folle e totale. Nonostante le numerose voci riguardo i poteri di Devil e la propria guarigione quasi miracolosa, era la prima volta che lo vedeva utilizzare la magia, e questa dimostrazione di potere la raggiunse come un pugno allo stomaco, rendendole impossibile continuare ad ignorare i dubbi sempre più insistenti che nutriva nei confronti del suo carceriere.
- Chi sei in realtà? - chiese, ed ogni singola scheggia della sua mente era tesa verso quella domanda che, forse per paura, aveva represso fino a quel momento - Ormai sono rimasti solamente gli Oscuri ad avere la magia, eppure tu non sei uno di loro. Tu sembri umano.
- Umano…? - mormorò Devil con sguardo assente.
L’affermazione di Kysa pareva essersi scontrata con una porta chiusa saldamente ormai da anni, non c’era nessun accenno di rimpianto nel suo volto impenetrabile, tuttavia alla ragazza sembrò di scorgere una piccola incertezza nello sguardo del suo carceriere, un’impercettibile traccia di umanità a cui lei si aggrappò con tutta la disperazione di chi ormai non ha più speranza.
Rimase a fissarlo con il cuore che le batteva all’impazzata, incapace di rompere quel silenzio che la stava logorando in dubbi sempre più insopportabili.
Forse fu la sua immobilità a distogliere l’attenzione di Devil dai ricordi.
Lentamente l’uomo si allontanò da quel passato a cui, a causa di quella mocciosa, aveva già dedicato fin troppo tempo e si decise a riportare i propri pensieri su di lei. Cielo e ghiaccio si incontrarono, per Devil era una delle rare volte in cui qualcuno, per di più una prigioniera, osava guardarlo negli occhi. Si stupì di potersi rispecchiare in quell’azzurro appena più limpido del proprio, eppure tanto intenso da dissipargli ogni possibile dubbio su ciò che pensava di aver visto durante il suo tentativo di fuga. Solo un velo di paura oscurava quelle iridi da cui un timido bagliore cercava di far capolino.
Il soldato si irrigidì non appena comprese la speranza rinata negli occhi di lei, che pareva non decidersi ad abbandonarla, poi la sua risata esplose con violenza nella camera, facendola sobbalzare.
- No, adesso io sono qualcuno di molto superiore. - per un istante sembrò davvero il demone di cui, con fierezza, portava il nome - Sono in grado di far piegare dinanzi a me ogni patetico umano che cammini su questa terra, te per prima.
La ragazza strinse i denti, reprimendo le lacrime.
La risposta del suo carceriere l’aveva colpita con la violenza di uno schiaffo in pieno volto, tuttavia un segreto fuoco di ribellione si stava agitando dentro di lei, un misto di delusione e paura che la spinse ad uno scoppio di rabbia forse più simile ad una supplica.
- Se davvero sei così forte come dici, avresti potuto ribellarti agli Oscuri e aiutare il nostro popolo. Perché hai scelto di obbedire agli invasori di Sylune?
Mentre attendeva invano la sua risposta rimase immobile, incredula di essere infine riuscita a manifestare le sue emozioni in un modo che avrebbe potuto metterla seriamente nei guai; eppure Devil sembrava non aver nemmeno ascoltato le sue parole, visto il suo volto impassibile. Lo studiò con timore, nel tentativo di raggiungere un qualche accenno di umanità che le avrebbe permesso di comprendere almeno in parte i pensieri di quel tenebroso guerriero. Perfino i soldati più turpi e sanguinari con cui aveva avuto a che fare mostravano la loro natura tramite le emozioni insite nel loro sguardo, fossero anche solo opachi frammenti di rabbia o crudeltà. Gli occhi dell’uomo erano invece del tutto inespressivi, come se al di là di essi non ci fossero né la luce, né le tenebre, solo un grande, inesorabile vuoto. Perfino il ghiaccio avrebbe potuto emanare più calore di quelle iridi scolpite dall’indifferenza. Strinse i pugni, ripensando alle parole che le aveva detto Beck.
- E’ per il potere, vero? - mormorò con un filo di voce.
Devil sorrise.
- Potere? Tu non sai nemmeno cosa significhi questa parola.
Senza nemmeno il bisogno di concentrarsi sollevò la mano e condensò un piccolo globo di energia azzurrina sul suo palmo, avvicinandolo alla sua prigioniera.
- Con questa posso uccidere. Posso distruggere ogni cosa. E posso perfino salvare una vita.
Quasi affascinata la ragazza allungò una mano verso quella pulsante palla di luce, arrivando a sfiorarla con un dito, poi indietreggiò di scatto, mentre un tremito improvviso la scuoteva.
- La magia non dovrebbe essere utilizzata per distruggere.
Sulle labbra del suo carceriere si disegnò un sorriso quasi umano.
Le prese il volto tra le mani, una dolce carezza fatta da dita di ghiaccio.
- Sei troppo ingenua per comprendere il vero significato di possedere il potere. - mormorò, mentre accostava la sua bocca a quella di lei. Appena prima che le sue labbra si posassero sulle proprie, la ragazza si ritrasse all’improvviso, indietreggiando sul materasso fino a trovarsi con la schiena contro la pesante e decorata testiera del letto.
Subito gli occhi di Devil dardeggiarono minacciosi verso di lei.
- Piegati a me, Kysa, non ha senso combattermi. - disse, lasciando che la sua irritazione per quel gesto di sfida trasparisse dalla sua voce tramite una nota minacciosa, raramente seguita poi dal perdono.
La ragazza abbassò lo sguardo ma scosse la testa
Durante il suo sonno era riuscita per un brevissimo attimo a raggiungerla e quell’unico istante in cui non si era più sentita sola le aveva dato la forza di lottare, ribellandosi nella casa del suo nemico contro il migliore dei suoi generali. Con il cuore in gola vide Devil alzarsi in piedi e sovrastarla con un’espressione furibonda, mentre sul suo palmo aperto luccicava lo stesso bagliore minaccioso presente nello sguardo di ghiaccio.
- Non ti conviene continuare a sfidarmi. - ringhiò lui, come ultimo avvertimento.
Per un attimo Kysa fu davvero tentata di arrendersi alle lacrime e smetterla di combattere contro il suo destino, invece sollevò la testa.
- Allora uccidimi. - replicò con un filo di voce, quasi sorpresa dalle sue stesse parole.
L’uomo la trafisse con lo sguardo.
Sorpreso di trovare tanta impudenza da parte di una prigioniera di aspetto tanto fragile, rimase un secondo incerto su come agire, poi un’idea cominciò a tentare il lato più oscuro della sua mente, cancellando in parte la rabbia. Chiuse la mano a pugno, annullando la magia, un improvviso movimento che la fece trasalire di paura e confermò al guerriero che aveva intrapreso la giusta via per spezzare le sue difese: era la paura, non il coraggio ad alimentare la ribellione di Kysa, un’ultima fiammata in cui avrebbe bruciato per sempre le sue speranze, prima di tornare a chinare il capo di fronte a lui.
- Sei davvero consapevole della tua scelta? - le chiese con una luce sinistra nello sguardo.
- Ho già rischiato la vita contro i soldati che hanno attaccato il mio villaggio, sono pronta a farlo ancora.
Devil sorrise.
- Andare incontro consapevolmente alla morte non è come perdere la vita in battaglia.
Le si avvicinò mentre Kysa guardava il suo volto accostarsi al proprio senza riuscire a muoversi, come ipnotizzata dal suono basso e pericolosamente gradevole della sua voce, che la incatenava ad immagini tanto angoscianti da risultarle quasi insopportabili.
- Sentire le grida di quelli che vengono uccisi prima di te. Conoscere il momento che precede l’oblio, il lungo istante in cui ripensi alla tua vita in un misto di rimpianti e malinconia, e quello brevissimo in cui ti rendi conto che le tenebre ti aspettano e presto scivolerai nel buio. - Devil si interruppe, lasciando che l’eco delle sue parole la avvolgesse come un incantesimo, mentre il sorriso diveniva una smorfia sprezzante - Perfino chi è convinto di poter morire per un ideale di fronte alla realtà preferisce la resa ed ogni eroismo diventa polvere.
La ragazza continuò a fissarlo in silenzio, incapace anche solo di pensare alla fuga tanto quel breve discorso era penetrato dentro di lei. Solo per un attimo avvertì una nota stonata in quelle poche parole, pronunciate con voce stranamente diversa da quella impersonabile e autoritaria con cui Devil dettava gli ordini o la minacciava.
Come fosse stato consapevole di aver lasciato trapelare un bagliore di sé, il guerriero contrasse il volto in una maschera di pietra per nascondere quell’unico frammento di emozione che Kysa pareva aver scoperto nei suoi lineamenti marcati dalle tenebre.
- Tu credi che la morte sia l’unico ostacolo da superare, ma peggio della morte c’è l’attesa. Vuoi davvero che io ti uccida? - chiese con voce carezzevole.
La ragazza rabbrividì, quasi ferita dal contrasto tra il tono suadente con cui lui aveva pronunciato quelle parole ed il loro agghiacciante significato.
- No. - deglutì a fatica, cercando dentro di sé la forza per continuare - Ma sono pronta a lottare.
Devil aggrottò le sopracciglia, senza capire se si sentiva più irritato o incuriosito dal cambiamento di quella ragazzina, che, durante quelle brevi ore di sonno, pareva aver raggranellato abbastanza coraggio da fissarlo negli occhi e rispondere alle sue affermazioni.
- Non ho pietà per chi mi sfida, faresti bene a mettertelo in testa. - la minacciò, senza rivelare con la voce il profondo divertimento che lo pervadeva nell’esercitare ancora una volta il proprio potere su di lei.
Sorrise internamente.
Gli piaceva il suo sguardo spaventato, il modo disperato con cui cercava di nascondere la sua paura, i lampi di panico che attraversavano le sue iridi azzurre. Ogni manifestazione del proprio potere gli regalava una piacevole sensazione di onnipotenza, poter respirare il suo terrore lo inebriava quasi quanto le battaglie di conquista e gli scontri mortali da cui sapeva di uscire sempre vincitore.
La strinse a sé, sentendola rabbrividire senza tregua contro il suo petto, mentre nuovamente ricercava le sua labbra; nemmeno per un secondo gli passò per la mente che quel tremito incontrollabile con cui lei cercava di allontanarlo fosse causato da una tensione diversa dalla semplice paura. Per qualche secondo si lasciò tentare dall’idea di passare con lei la notte, ma il pensiero degli ordini ricevuti, unito alla stuzzicante consapevolezza di poter prolungare ancora per qualche tempo la logorante attesa a cui stava sottoponendo la sua prigioniera, lo fece desistere dal suo proposito.
La lasciò libera all’improvviso, divertendosi a riconoscere nel suo sguardo un misto di sorpresa e paura.
- Per tua fortuna ho bisogno di riposare, ma la prossima volta che verrò a cercarti vedremo se riuscirai a tener fede alle tue parole. - le disse, prima di uscire dalla stanza.
S’incamminò nel corridoio che conduceva alla parte più privata dei suoi appartamenti, penetrando infine nella sua lussuosa camera.
Sapeva di avere a disposizione solamente poche ore di sonno prima della nuova missione, tuttavia la stanchezza non era mai riuscita a conquistare il suo corpo, quasi ogni debolezza tipica dell’essere umano fosse stata sconfitta dalla smisurata ambizione derivante dal potere
Si stese sul letto senza nemmeno svestirsi, gli occhi spalancati nella stanza sempre più buia, mentre l’immagine di Kysa scivolava tra i suoi pensieri. Non avrebbe mai creduto che quella ragazzina si sarebbe rivelata un diversivo tanto interessante; nonostante l’irritazione per la sua sfacciataggine, doveva ammettere di preferire quel suo nuovo atteggiamento di sfida ad una sconfitta rassegnazione che l’avrebbe annoiato entro pochi giorni. Il modo spaventato con cui lei cercava di ribellarsi lo divertiva, era stato proprio questo suo estremo rifiuto ad arrendersi che gli aveva suggerito di spezzare le sue difese con un’attesa fatta di angoscia e solitudine, e di rimandare l’attimo in cui Kysa avrebbe dovuto scegliere se piegarsi al suo potere o morire.
Non pensava realmente di doverla uccidere, fino a quel momento non aveva incontrato praticamente nessuno che fosse riuscito ad affrontare la morte a testa alta. Un’immagine si formò nella sua testa, il ricordo di un uomo con il volto solcato da una cicatrice che i lunghi capelli castani non riuscivano a nascondere totalmente e dagli occhi nocciola in cui non aveva trovato traccia alcuna di paura, nemmeno un attimo prima di trafiggerlo al petto.
Così era morto il capo dei Protettori, uno spadaccino straordinario rimasto fedele ai propri ideali fino alla fine.
Devil strinse le labbra.
Questo suo ultimo atto di coraggio lo infastidiva più di ogni altro ricordo, eppure una parte nascosta molto in profondità nel suo animo non poteva esimersi dal provare un riluttante senso di rispetto per colui che in gioventù aveva ammirato come un eroe.
Lasciò aleggiare nella stanza il volto stranamente nitido di quell’uomo, forse l’unico, a parte Beck, degno di essere considerato un suo avversario in duello, poi sorrise.
La magia gli aveva garantito un potere quasi senza limiti, il suo prestigio su Sylune era secondo solamente a quello degli Oscuri e c’era perfino chi diceva di temerlo molto più di Ghedan, senza contare il rapporto privilegiato di cui godeva con Daygon.
Ancora una volta sarebbe stato lui il vincitore: se davvero la sua prigioniera avesse continuato a sfidarlo, sarebbe stata solo l’ultima sua vittima di una lista ormai infinita.
Solo quando chiuse gli occhi due immagini tornarono a turbargli la mente: una ragazzina che dormiva serenamente di fronte a lui ed un bagliore viola.

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Capitolo 13
*** Capitolo 12: Una difficile alleanza ***


-Capitolo 12: Una difficile alleanza-

Kilik camminava senza alcun entusiasmo attraverso l’ampia prateria che lo avrebbe portato a Northlear.
Era già il secondo giorno che trascorreva in compagnia di Rafi, eppure in quel momento si sarebbe gettato con piacere tra le braccia soffocanti della solitudine, di cui aveva imparato a sentire la mancanza. La sua avversione per la giovane guerriera, ben lungi dallo scomparire, si era perfino acuita durante quelle ore di viaggio, complici i sorrisini sarcastici che lei gli rivolgeva, le sue risposte dure e sprezzanti e l’impassibile silenzio con cui era stata accolta ogni sua domanda o provocazione.
Perfino il pensiero di poter contare sull’aiuto di un altro combattente contro gli Oscuri non gli era di nessun conforto, se il suo unico alleato, in quella che ormai aveva raggiunto le dimensioni di una lotta personale, era quella ragazza dagli occhi verdi.
Rafi continuava ad avanzare senza degnarlo di uno sguardo, con il suo passo veloce oltrepassava senza alcuna fatica le erbe sempre più alte che la circondavano e, chiusa nella sua giacca di cuoio, pareva non sentire l’intenso caldo del tardo mattino che invece stava torturando l’Etereo. Ogni tanto rallentava come per orientarsi, ed in quei momenti la sua mano scendeva fino a chiudersi sul corto pugnale che portava alla gamba destra, mentre i suoi occhi si fissavano ora sull’orizzonte, ora sul terreno.
Nonostante ci fossero diversi sentieri che portavano a Northlear, compresa un’ampia strada in terra battuta, percorsa quotidianamente da un gran numero di viaggiatori, la ragazza aveva preferito scegliere una via più nascosta, in modo da giungere alla meta senza dare nell’occhio.
Dopo qualche minuto parve più incerta del solito nello scegliere la destinazione da seguire, così Kilik lasciò trasparire tutta la sua irritazione con un sospiro simile ad uno sbuffo, senza però osare rompere il silenzio quando lei lo trafisse con un’occhiata minacciosa. Si sfidarono con lo sguardo per qualche secondo, prima che Rafi riprendesse la marcia, addentrandosi in uno dei numerosi boschetti alla loro sinistra.
Dopo pochi passi i due ragazzi trovarono un ruscello, così ne approfittarono per riempire le borracce ormai quasi vuote e togliersi dal volto le tracce del sudore e della fatica.
Il contatto con la fresca acqua cristallina rinfrancò quasi subito l’Etereo, che per qualche secondo accarezzò l’idea di fermarsi per un bagno, resistendo poi a quest’impulso solo grazie alla consapevolezza della sua missione: la sua guida non avrebbe certo accettato di fermarsi un paio d’ore per un motivo tanto futile.
Inconsapevolmente lanciò un’occhiata a Rafi, immobile a parecchi metri da lui, e vide con sorpresa che si era tolta la corta giacca di cuoio con cui aveva viaggiato, rivelando una camicia di tela con le maniche rimboccate fino sopra i gomiti e la sottile scollatura chiusa da due lacci neri. Fece un sorriso sarcastico nel notare che perfino la sua gelida compagna, nonostante l’apparente indifferenza, aveva patito il caldo quasi quanto lui e adesso si stava sciacquando le mani ed il volto, passando poi a bagnarsi i corti capelli biondi.
Le si avvicinò lentamente, incuriosito dall’espressione stranamente pacifica con cui la ragazza si lasciava baciare dal sole, con il viso rivolto verso il cielo e gli occhi chiusi. Solo quando fu a pochi passi da lei notò che aveva slacciato i sottili lacci della camicia, aprendola fino quasi alla curvatura del seno, in modo da potersi rinfrescare il più possibile. Nonostante l’avversione profonda nei suoi confronti non si fosse ancora sopita, rimase a guardarla senza nemmeno rendersene conto, quasi affascinato dalla pelle candida del collo e delle spalle, messa in evidenza dalle luccicanti goccioline d’acqua che la percorrevano simili a gemme preziose. Fu per seguire la scia di una di esse che i suoi occhi scesero all’altezza del cuore e, lì dove la stoffa tornava a coprire la pelle, scoprirono l’inizio di una cicatrice circolare.
Come spinto da un’improvvisa sensazione di pericolo alzò la testa e si rese conto che Rafi aveva aperto gli occhi, sorprendendolo a fissarla all’altezza del petto.
Lo sguardo della ragazza si fece di ghiaccio, mentre legava rapidamente tra loro i lacci che chiudevano la sua camicia di tela e gli dava le spalle, avvolta da una collera silenziosa eppure quasi palpabile.
Kilik arrossì, sentendo l’imbarazzo arroventargli le guance come se fosse stato un bambino colto in fallo, prima di cancellare tutto con una smorfia rabbiosa.
Nonostante ancora adesso non riuscisse a spiegarsi in virtù di quale strano fenomeno fosse rimasto a fissare una persona tanto insopportabile, era certo di essere stato guidato unicamente dalla curiosità e l’idea che lei lo avesse frainteso lo irritava oltre misura.
- Non stavo cercando di spiarti, avevo solo notato la cicatrice. - la avvertì, profondamente arrabbiato con se stesso per questo strano bisogno di giustificare le proprie azioni, e con la sua compagna per quello sguardo glaciale con cui gli aveva dato le spalle.
- Come te la sei fatta? - domandò, dopo qualche secondo di silenzio.
Rafi parve irrigidirsi all’improvviso.
- Non sono affari tuoi. - replicò con voce dura, infilando la giacca di cuoio nello zaino con gesti rabbiosi che contrastavano con la sua solita impassibilità. Una volta sistemato l’indumento si diresse verso l’Etereo, con uno scintillio di minaccia negli occhi verdi. Senza alcun preavviso lo prese per il bavero della sua corta tunica, avvicinandolo al suo volto a tal punto che lui poté vedere le ombre racchiuse nel suo sguardo.
- Se vuoi vivere dimentica immediatamente ciò che hai visto. - sibilò, prima di lasciarlo andare con uno spintone simile ad un pugno.
Kilik fu costretto a fare un passo indietro per mantenere l’equilibrio e, prima ancora che potesse replicare, la sua compagna si era già rimessa in marcia dandogli la schiena.
Fu allora che si rese conto del profondo rancore, più intenso e violento di una semplice antipatia, che, come le nuvole in un cielo in tempesta, si stava addensando nel suo petto. Rafi era stranamente facile da odiare, più degli Oscuri, dell’impero, perfino dei soldati che gli davano la caccia. Strinse i pugni con espressione sorpresa, quasi sconvolto di trovare tante ombre nel proprio animo. Aveva sempre creduto che l’amore sarebbe stata la più violenta e travolgente delle emozioni, eppure, specchiato in quegli occhi gelidi e sprezzanti, si riscopriva più bravo ad odiare. Non era una consapevolezza piacevole, ma sentiva senza possibilità di errore quella rabbia ribollire nelle sue vene, troppo bruciante per poter essere ignorata, mentre l’espressione dura di Rafi tormentava senza tregua i suoi pensieri.
La odiava tanto intensamente da non riuscire a respirare, la sua presenza era come un drappo soffocante di veleno che, stilla dopo stilla, gli corrodeva la pelle ed il cuore. E contemporaneamente ne era attratto, spinto da una curiosità quasi morbosa di scoprire quali ombre del passato si agitassero ancora nelle sue iridi gelide e avessero creato una crudele assassina senza pietà col corpo di una giovane donna.
Si rimise in cammino, raggiungendola dopo pochi passi.
- Allora, come pensi di sconfiggere gli Oscuri, umana? - le chiese con una vena di sarcasmo in cui era rinchiuso tutto il suo rancore per il silenzio a cui lei pareva volerlo costringere. Nonostante le presentazioni, nessuno dei due sembrava propenso a chiamare l’altro per nome, quasi tra loro vigesse il tacito patto di mantenere il più possibile le distanze e non permettersi alcuna confidenza all’infuori di ciò che potesse servire per la loro missione comune.
La risposta arrivò dopo qualche secondo, priva di ogni emozione e quasi prevista.
- Questo non ti deve interessare.
Lottando contro l’irritazione sempre più pressante, Kilik continuò il suo interrogatorio.
- Sono un tuo alleato. Come posso aiutarti se non mi riveli le tue intenzioni?
- Voglio che occulti le mie armi con la magia. E, una volta che sarò al cospetto di Ghedan, me la vedrò con lui. - rispose Rafi con aria annoiata, senza nemmeno guardarlo. Accelerò impercettibilmente il passo, nel vano tentativo di lasciare indietro il compagno e le sue domande
- Forse intendevi parlare al plurale.
- La tua presenza non sarà necessaria.
L’Etereo si irrigidì.
- Sei pazza se pensi di poter battere un mago tanto potente solo con la spada. - esclamò, prima di continuare con un tono di voce appena meno convinto, che non nascondeva del tutto la menzogna insita in quelle parole - Io sono l’unico in grado di contrastare il suo potere.
- Non credo che il tuo aiuto mi sarebbe di grande utilità. - replicò la guerriera, voltandosi per la prima volta verso il compagno, con un sorriso sarcastico, quasi avesse intuito alla perfezione i dubbi che lo attanagliavano. E che adesso, esplodevano in lui con un’esclamazione rabbiosa.
- Quello che tu credi non mi interessa, io combatterò quel bastardo indipendentemente dal tuo volere, e saranno le mie mani ad infliggergli il colpo di grazia!
- Come preferisci, ma sappi che preferirei salvare la vita ad un Oscuro piuttosto che ad un Etereo. Non dimenticartelo quando ci ritroveremo contro Ghedan.
Il ragazzo le lanciò un’occhiata inorridita.
- Spero che tu stia scherzando!
Le labbra di Rafi si schiusero nel solito sorriso sprezzante.
- Hai ragione, probabilmente lascerei morire entrambi.
Camminarono fianco a fianco per qualche metro, ancora avvolti da quelle ultime sarcastiche parole, prima che Kilik decidesse ad affrontare la domanda che, insidiosa, gli tormentava la mente con una certezza dal sapore amaro.
- Perché odi tanto noi Eterei?
Lei gli sorrise con il gelo sulle labbra.
- Perché esistete.
- Questo è assurdo.
Nuovamente il silenzio scese ad abbracciarli, un muto compagno per la guerriera, un insidioso nemico portatore di sofferenza e ricordi per il mago.
- E allora per quale motivo mi aiuteresti a salvare il mio popolo? - chiese ancora Kilik, desideroso in pari misura di lanciare una frecciatina a Rafi e soddisfare la propria curiosità. In cuor suo era convinto che, per quanto distaccata ed irritante lei potesse sembrare, il suo atteggiamento indifferente fosse troppo marcato per riflettere la sua reale personalità e le servisse unicamente come scudo per mascherare le sue debolezze.
- Non ho mai detto che vi avrei aiutato. - replicò lei in tono sferzante, quasi avesse ricevuto un insulto.
Come faceva quando qualcosa la irritava, socchiuse le palpebre, lasciando appena intravedere l’iride verde in quel suo sguardo pericolosamente simile a quello di un felino pronto alla caccia.
- Gli Eterei sono la feccia di Sylune, e l’unico motivo per cui voglio sconfiggere gli Oscuri e liberarli dall’Esilio è che in questo modo potrò finalmente spargere il loro sangue.
Kilik impallidì, sgomento dalla violenza di quelle parole pronunciate con un odio quasi folle e totalmente inaspettato; attese il solito sorriso sarcastico con cui più volte era stato deriso, forse sperò perfino di riuscire a distinguerne i contorni sulle labbra sottili della compagna, eppure il volto serio con cui Rafi lo stava fronteggiando, gli diede l’assoluta certezza che, per la seconda volta da quando la conosceva, lei gli aveva rivelato un frammento della sua vera natura.
Un ghigno improvviso le stravolse l’espressione
- E liberare così la mia terra da una stirpe tanto ignobile.
L’Etereo si fermò di scatto, i pugni contratti.
- Sono stanco di tollerare i tuoi insulti ed il tuo odio. - ringhiò, mentre allargava le gambe in una posizione di minaccia e sollevava una mano, pronto a richiamare la sua magia - Dì un’altra cosa contro il mio popolo e ti assicuro che te ne farò pentire.
- Avanti, Etereo. Fallo! - lo sfidò la guerriera, un sorriso folle sul volto pallido e solitamente privo di emozioni.
Kilik socchiuse gli occhi.
Nonostante la violenta collera che si agitava dentro al suo petto, la sua parte razionale era ancora abbastanza forte da permettergli di controllarsi e non uccidere Rafi, tuttavia troppo a lungo aveva trattenuto la sua rabbia per poter ignorare quell’ultima provocazione.
Con gli occhi fissi sulle verdi iridi della sua compagna cominciò a condensare sul palmo della sua mano destra il poco potere che possedeva, dosandolo alla perfezione in modo da mandarla gambe all’aria senza procurarle danni seri, giusto un monito per mostrarle come anche lui potesse risultare pericoloso.
Rafi lo guardava, apparentemente impietrita dalla curiosità e dalla sorpresa di vedere un esponente della magia fare uso delle sue capacità; nessuno si sarebbe potuto accorgere del movimento impercettibile con cui portò le sue dita a stringere l’impugnatura della spada.
Sorpreso dalla sua immobilità, l’Etereo attese qualche secondo prima di attaccare, forse sperando in un segno di pentimento che l’avrebbe fermato, forse temendolo, ma un sorriso beffardo fu l’unica risposta alla sua esitazione. Con un sorriso ugualmente oscuro e pervaso di soddisfazione, lanciò il colpo.
Rapida come il felino di cui talvolta pareva assumere le sembianze, Rafi lo evitò appiattendosi al suolo, per poi atterrare Kilik con un violento sgambetto.
Prima ancora di potersi rialzare, il ragazzo si ritrovò il freddo acciaio della spada premuto contro la gola, mentre l’impietoso piede della ragazza infieriva sul suo petto, impedendogli di muoversi.
Si morse un labbro a sangue, umiliato per la facilità con cui era stato sconfitto. Troppo preoccupato di dosare il proprio potere per non ferirla l’aveva sottovalutata, pensando di trovarsi di fronte ad una normalissima donna di poco più giovane di lui, solo adesso gli tornò in mente il momento della sua liberazione, quell’ombra letale ed implacabile che uccideva con la bravura di un’esperta mercenaria.
Non appena Rafi gli spostò il piede con cui lo teneva inchiodato al suolo, Kilik si mosse per cercare di alzarsi, ma venne prontamente bloccato dal gelido bacio del metallo sul suo collo. Sollevò la testa fino ad incontrare gli occhi della sua avversaria, e fu allora che, con un improvvisa scarica di paura, si rese conto di aver sfidato una pericolosa assassina e forse non sarebbe stato l’orgoglio l’unica vittima di quello scontro. La guardò senza riuscire a parlare, mentre la fredda lama della spada premeva sempre più crudelmente contro la sua gola. Gli occhi verdi della ragazza, solitamente impassibili, brillavano di una luce feroce che rendeva il suo volto pallido quasi irriconoscibile, stravolto da un ghigno minaccioso da cui non avrebbe potuto aspettarsi nessuna pietà.
- Rafi. - mormorò, chiamandola per nome per la prima volta da quando l’aveva incontrata.
Lentamente la ragazza ricompose i suoi lineamenti in un’espressione seria, ma continuò a sovrastarlo con uno sguardo minaccioso.
- Anche tu sei uno di loro. - mormorò con voce remota, quasi in quel momento i suoi pensieri appartenessero ad una realtà in cui lei sola era in grado di entrare, mentre le iridi viola di Kilik si specchiavano due occhi totalmente privi di umanità o compassione. Per un attimo l’Etereo ebbe l’atroce certezza che quella ragazza lo avrebbe ucciso all’istante, in quel prato soleggiato, senza nemmeno una spiegazione o un accenno di rimorso.
L’arma tremò leggermente, poi Rafi parve riprendere il controllo sulla propria rabbia, stringendo l’elsa con tanta forza da illividirsi le nocche. Fece un passo indietro all’improvviso, lasciando che una smorfia infastidita prendesse il posto del folle sorriso con cui era quasi arrivata ad uccidere lo stesso ragazzo salvato due notti prima.
- Dammi solo un altro pretesto e lo farò. - lo minacciò, prima di rinfoderare la spada, il furore dello scontro sostituito dalla solita impassibilità.
Si rimise in marcia senza nemmeno voltarsi per vedere se il compagno la seguiva.
Kilik si rialzò lentamente, spolverandosi i calzoni nel tentativo di dominare la rabbia
- Umana. - mormorò, fissando la schiena di Rafi con un’intensità quasi bruciante, mentre il suo sguardo dai bagliori viola esprimeva un odio senza limiti - Una volta uccisi gli Oscuri mi occuperò anche di te.

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Capitolo 14
*** Capitolo 13: Il dolore di una spadaccina ***


-Capitolo 13: Il dolore di una spadaccina-

A qualche lega di distanza, in una casa un po’ isolata dalle altre, Sky stava preparandosi ad affrontare ciò che le riservava il destino.
Era immobile, con gli occhi chiusi e la mente forse tesa in una muta preghiera o più semplicemente assorta nel tentativo di raccogliere tutto il suo coraggio per scoprire quella verità che in quegli ultimi giorni aveva ossessionato i suoi pensieri. Si toccò piano il braccio destro, avvolto in bende candide che, da qualche tempo, non si bagnavano più di quel sangue scarlatto simbolo della sua maggior paura. Nonostante le miracolose cure di Alista, con cui il resto del suo corpo si era ristabilito in pochi giorni, quella ferita si era rimarginata con molta più difficoltà, continuando a dolerle senza tregua ed instillando nella sua mente un'eventualità troppo crudele da accettare.
Pur cercando di non prestarle ascolto, Sky non era riuscita a fugare i dubbi su una sua completa guarigione, covando dentro di sé il terrore di non poter più utilizzare il braccio destro, e questa angoscia silenziosa le stringeva il cuore in una morsa soffocante, accostandosi alla profonda preoccupazione di non riuscire a salvare Viridian.
Era dal suo risveglio che la certezza di trovare la sua amica ancora in vita le aveva donato la forza di lottare con tutta se stessa contro la morte, aggrappandosi alla propria esistenza con il coraggio e la determinazione possedute unicamente da chi ha un’importante missione da portare a termine. Solo per lei aveva sopportato a denti stretti il dolore alle ferite, e si era costretta a respirare quando tutto il suo essere desiderava una pace lontana dalle sofferenze fisiche e dell'anima. In quei giorni l’Eterea era stata l’unico appiglio a cui si era aggrappata per continuare a vivere in un mondo in cui sarebbe stata sola; nonostante sua madre fosse morta di malattia anni prima, gli abitanti di Huan avevano parzialmente preso il posto di quella famiglia di cui era sempre stata priva, e la loro morte aveva lasciato un profondo vuoto dentro il suo cuore. Durante le notti insonni, in cui il dolore alle ferite non le dava tregua, aveva ricordato i loro volti uno per uno, conscia di dover loro almeno questo ultimo tributo, fino a ritrovarsi singhiozzante, con la faccia premuta contro il cuscino per non svegliare Alista. La guaritrice non le aveva mai rivelato di aver sentito ogni sua singola lacrima, mentre vegliava nella camera accanto, soffrendo per non poterla aiutare.
L’ultima notte Sky non aveva pianto.
Con un sorriso carico di malinconia aveva detto addio al suo villaggio, accantonando i suoi abitanti in un angolo del suo cuore, conscia di non potersi permettere distrazioni per quella missione che forse era fin troppo difficile per una persona sola, poi aveva aperto uno spiraglio per un unico volto tra la moltitudine dei suoi ricordi, lasciando che gli occhi viola dell'amica le si imprimessero nella mente come un'ulteriore fonte di determinazione.
Le rimaneva solo Viridian, e per questo l’avrebbe salvata a costo della vita.
Sorrise nel ricordarla, ripensando a come il fato avesse deciso di far incrociare i loro cammini.
L’aveva incontrata due anni prima, durante una delle sue passeggiate al limitare del villaggio. Inizialmente non si era quasi resa conto di quella ragazza con i vestiti sporchi e laceri che pareva dormire appoggiata ad un albero, solo quando si era trovata a pochi metri da lei aveva visto con orrore il corpo magrissimo segnato dal sangue e dalla sporcizia e le strisce vermiglie lasciate sulla corteccia.
Senza sapere come aiutarla si era rivolta ad un bambino che passava di là e lo aveva mandato a cercare il guaritore del villaggio, mentre lei le rimaneva accanto, parlandole per rassicurarla, nonostante si rendesse conto alla perfezione di come quella giovane che pareva in fin di vita fosse incosciente.
Non sapeva quanti minuti fosse rimasta a vegliarla in silenzio, spaventata all'idea di vederla morire davanti ai suoi occhi; sembrava che perfino respirare le costasse una fatica insopportabile.
Lentamente le aveva afferrato una mano, forse nella speranza che il suo tocco bastasse a svegliarla o la raggiungesse nell'oblio in cui giaceva la sua mente, regalandole la consapevolezza di non essere sola.
La ragazza non aveva dimostrato nessuna reazione, le sue dita erano rimaste immobili nella stretta della spadaccina, mentre il suo respiro si faceva sempre più debole; poi i suoi occhi viola si erano spalancati all’improvviso, come uno squarcio di vita in quel corpo che pareva già morto, due bagliori disperati che non avevano nemmeno la forza di piangere.
Incapace di lasciarla, Sky l’aveva vegliata fino a quando il bambino era tornato con alcuni adulti, che, dopo un rapido consulto, l'avevano portata dal medico del villaggio.
Non aveva rivelato a nessuno lo strano colore delle iridi di quella sconosciuta, spinta da uno strano quanto irrazionale desiderio di proteggere un segreto che presto sarebbe comunque stato scoperto.
Più tardi, una volta guarita dalle ferite, Viridian le aveva raccontato la sua storia, rivelandole il modo in cui lei e pochi altri suoi compagni erano riusciti a oltrepassare la barriera che li sigillava e la sua missione contro gli Oscuri, motivo per cui, anni dopo, il villaggio intero si era schierato al suo fianco per difenderla dai soldati dell'impero. Ma era stato quel giorno, nell’attimo stesso in cui aveva incrociato i suoi occhi e scorto la disperata richiesta d’aiuto incisa assieme al dolore in quelle iridi viola, che Sky aveva fatto la muta promessa di proteggerla.
Non era stato facile per lei superare l’istintiva diffidenza con cui la maga teneva a distanza qualunque persona, tuttavia la sua perseveranza l'aveva infine premiata, rendendola l'unica, oltre a Vard, in grado di cancellare le ombre nel suo sguardo.
Non sapeva quanto i suoi sorrisi avessero aiutato il tempo a rimarginare le ferite che l'Eterea portava nell'anima, forse non se n'era nemmeno resa conto, solo di una cosa era sicura: quando era assieme a Viridian non sentiva più la mancanza di una vera famiglia.
Non l'avrebbe salvata perchè possedeva la magia.
Né perchè la credeva capace di sconfiggere quei crudeli dittatori di Sylune.
Sarebbe andata fin nelle profondità degli inferi per cercarla perchè per lei, quella ragazza dallo sguardo triste, era come una sorella.
In silenzio cominciò a togliersi le fasciature al braccio destro, svolgendole sempre più lentamente.
Ad ogni centimetro di pelle che rivelava si manifestavano sempre più forti dentro di lei gli impulsi contrastanti di affrettarsi e lasciar perdere, come se la paura ed il desiderio di scoprire quale destino le avesse riservato la sorte continuassero a combattersi nel suo intimo senza raggiungere un compromesso.
Il labbro inferiore le tremò leggermente quando l'angoscia trovò un varco attraverso la sua determinazione ed emerse a tormentarla in quei lunghissimi attimi di attesa.
Sky amava l’arte della scherma con tutta se stessa, una passione ereditata da un padre che aveva preferito la strada errante del maestro d’arme alla famiglia. Nonostante la disapprovazione di sua madre, si era impegnata con tutte le sue forze per affinare il suo innato talento come spadaccina e, dopo anni di duro addestramento, era riuscita a maneggiare due spade contemporaneamente, con un’abilità tale da lasciar stupito perfino il suo burbero maestro. Se con la sinistra era considerata un’ottima spadaccina, in grado di rivaleggiare con gli uomini, con la destra sapeva di avere ben pochi avversari capaci di tenerle testa.
Tuttavia sapeva anche che una guerriera con un braccio solo era come un cavaliere senza destriero, e nella missione che si apprestava a compiere qualunque svantaggio avrebbe potuto esserle fatale.
L’ultima fasciatura cadde a terra con delicatezza, nel frastuono di un silenzio tanto intenso da soffocare qualunque suo pensiero.
Finalmente il braccio, spogliato dalle numerose bende che l’avevano coperto fino a quel momento, venne illuminato dai caldi raggi del sole provenienti dalla finestra aperta. Con un sorriso Sky percepì l’aria fresca accarezzarle ogni centimetro di quella pelle prima celata, ritrovando la sensibilità che aveva avuto tanta paura di perdere. Mosse piano le dita, una alla volta, stupita quasi di non provare alcun dolore, poi sfiorò con la mano sinistra la lunga cicatrice che, dalla spalla, si insinuava fino a qualche centimetro sotto il gomito, con i polpastrelli brucianti per il timore e la speranza di scoprire come avrebbe reagito la pelle al suo tocco.
Respirando a fondo mosse il braccio con cautela, lo piegò per saggiare i muscoli indolenziti dalla lunga immobilità, mentre una nuova speranza rifioriva in lei, non appena si rese conto di non provare alcuna sofferenza.
Improvvisamente afferrò una delle sue spade gemelle, cominciando a rotearla in quei movimenti tanto familiari che pure adesso le parevano stranamente lenti e goffi. Quasi subito il dolore esplose come fuoco liquido, percorrendo i suoi nervi simile ad una scossa devastante di magia.
Sky continuò a maneggiare la spada, sfidando quelle fitte sempre più intense che si espandevano dalla spalla al gomito, con la determinazione nata dalla paura di accettare i propri limiti e rassegnarsi ad un destino che le aveva risparmiato una morte tanto prematura, ma le precludeva una guarigione completa.
Nonostante tutti i suoi sforzi il dolore ebbe la meglio e l'arma cadde a terra con fragore, nei frantumi delle sue ultime speranze. Una sola lacrima le scese tra le guance, a sigillare una disperazione che non sarebbe riuscita a mitigare i suoi propositi di salvare Viridian, ma in quel momento le stava brutalmente straziando il cuore. Lentamente si chinò fino a raccogliere la spada con la mano destra, tenendo la sinistra stretta al braccio ferito.
Perfino sollevare quell'arma leggera la fece tremare per la sofferenza.
Si morse un labbro fino a sentire nella propria bocca il sapore del sangue, reprimendo il pianto che le bruciava la gola.
Attirata dal rumore, la guaritrice entrò all’improvviso nella sua camera, stringendo tra le mani l’ennesima medicina con cui avrebbe cercato di compiere un miracolo che questa volta non le sarebbe stato concesso. Il suo sguardo corse subito verso le bende che giacevano abbandonate a terra, per poi passare sul braccio destro della guerriera e soffermarsi sul suo volto contratto per la sofferenza.
Rimase in silenzio, senza osare chiederle nulla, perché conosceva già la risposta.
Sky vide la preoccupazione nei suoi occhi velati dagli anni e si costrinse a sorridere.
- Alista. - mormorò, stringendo l’elsa della spada con la mano sinistra - Sono guarita.

Quello stesso giorno, qualche ora più tardi, Rafi e Kilik giunsero infine in vista di Northlear.
Coperti quasi interamente dai lunghi mantelli e con la stessa fredda espressione del volto, parevano due ombre gemelle generate dal silenzio e dall'oscurità, che solo per un bizzarro errore del fato potevano camminare alla luce del sole.
Senza voltarsi, la ragazza si fermò un istante, attendendo che il compagno la raggiungesse.
- Siamo quasi arrivati.
Nonostante la sorpresa per averla sentita parlare per prima, Kilik accolse quel commento con uno sguardo di pietra.
Dopo il suo scontro con la guerriera non aveva più aperto bocca, ricercando deliberatamente la solitudine per alimentare l'odio ed il rancore che provava nei suoi confronti. Aveva trascorso le restanti ore di viaggio a qualche metro di distanza da lei, chiuso in un silenzio di cupi pensieri e sanguinosi desideri di vendetta di cui si era quasi stupito, come se nemmeno lui stesso conoscesse la profondità più oscure del proprio animo, in cui sentimenti tanto negativi stavano rinforzando le loro radici, pronti ad una nera fioritura.
Più volte si era dovuto imporre di calmarsi e non agire in maniera avventata, reprimendo il calore confortante ed incollerito della magia che gli bruciava il petto con il desiderio di esplodere e finalmente castigare quell'agile figura a pochi passi da lui. Ormai aveva scelto le sue mosse per il futuro, ma non era tanto vigliacco da attaccarla alle spalle, senza lasciarle la minima possibilità di scampo. Una volta sconfitti gli Oscuri, se fosse riuscito a sopravvivere, avrebbe affrontato Rafi a viso aperto, e allora si sarebbe preso la sua vendetta.
Sempre senza parlare la seguì all'interno di Northlear, zigzagando tra le vie con il volto coperto dal cappuccio e lo sguardo basso, per rendere i suoi occhi invisibili agli sporadici abitanti con cui incrociavano il cammino.
- Dove stiamo andando? - domandò, una volta compreso che la ragazza aveva una meta precisa.
- Devo vedere una persona. - rispose lei, stranamente senza alcuna provocazione - E’ fidata. - aggiunse poi, forse in risposta al forte sospetto misto ad avversione presente nella voce dell'Etereo.
Dopo pochi minuti giunsero davanti ad una casa leggermente discosta dalle altre.
La ragazza bussò due volte, poi rimase in attesa.
Quasi subito la porta si aprì, rivelando un’anziana donna dai capelli grigi che li squadrò con un'espressione sorpresa in cui si poteva leggere anche una certa apprensione.
- Chi siete? - domandò in tono brusco.
La guerriera si fece avanti, abbassandosi il cappuccio.
- Non mi riconosci, Alista?
- Rafi! - esclamò la donna, mentre si scostava per farli passare, per poi chiudere la porta dietro di sé – Credevo fossi morta!
- Non prima di aver compiuto la mia missione. - replicò la ragazza.
Lo sguardo della guaritrice s’adombrò leggermente, mentre con occhi esperti studiava il volto della guerriera bionda.
- E come stai?
- Bene.
Come se solo in quel momento si fosse accorta di avere due ospiti, Alista si voltò a guardare l'Etereo che era rimasto in silenzio, diviso tra il disagio di doversi mostrare ad una sconosciuta e la sorpresa di vedere qualcuno interessato all'incolumità della sua compagna. Non gli era sfuggita, infatti, l'espressione preoccupata e affettuosa al tempo stesso con cui l'anziana donna aveva riconosciuto la spietata guerriera.
La guaritrice lo studiò per qualche secondo, pur continuando a parlare con lei.
- Mi sorprende di trovarti in compagnia. Una compagnia speciale. - aggiunse, soffermandosi sugli occhi viola del ragazzo.
Kilik insinuò le mani sotto il mantello, pronto ad utilizzare i pugnali che stringeva con tanta forza da sbiancarsi le nocche, mentre si chiedeva se il salvataggio ad opera di Rafi e la loro precaria alleanza non facessero parte di un contorto piano per consegnarlo ai suoi nemici.
Come se avesse intuito i pensieri del giovane, la donna sorrise, mettendo in mostra un calore che raramente l’Etereo si era visto rivolgere da un umano, molto diverso dalla falsa sollecitudine e la preoccupazione esagerata della vecchia che poi l'aveva tradito.
- Non ti preoccupare, io sono contro gli Oscuri. Mi chiamo Alista. - aggiunse, tendendogli la mano.
Il ragazzo la strinse con ancora un'ombra di diffidenza nello sguardo.
- Kilik.
- E' strano vedere uno della tua razza su Sylune, in tempi come questi. Come hai fatto a sfuggire all'Esilio?
L'Etereo sussultò, sorpreso che quell'umana sembrasse sapere esattamente cos'era successo alla sua gente, poi indurì l'espressione.
- E' una storia lunga, che preferirei tenere per me.
Alista annuì.
- Ti chiedo scusa per la mia curiosità.
Lanciò uno sguardo alla finestra, cercando il sole alto nel cielo.
- Ormai è quasi ora di pranzo. Volete rimanere come miei ospiti?
- Siamo di fretta. - declinò seccamente Rafi, senza nemmeno interpellare il compagno.
Incurante di chiedere il permesso alla guaritrice, entrò nel piccolo salotto alla sua sinistra, invitandola a seguirla con un gesto simile ad un tacito ordine, poi si voltò verso l'Etereo e, per la prima volta dopo il loro scontro, incrociò i suoi occhi.
- Ho bisogno di parlarle da sola. Tu vai pure a farti un giro. - gli disse, chiudendogli la porta in faccia.
La donna aveva osservato la scena con un leggero sorriso, in cui tuttavia si poteva scorgere una lieve sfumatura malinconica.
- Noto che le tue maniere non sono affatto cambiate. - mormorò con un sospiro - Certo che non ti avrei mai immaginata in compagnia di un Etereo.
Rafi scosse le spalle con indifferenza.
- Per ora abbiamo lo stesso obiettivo, tutto qui.
- Ancora non hai rinunciato alla tua vendetta? - mormorò la guaritrice dopo qualche secondo di silenzio, con una voce rassegnata in cui trapelava una profonda tristezza.
- Non finchè sarò viva.
Nell'espressione cupa della donna comparve per una attimo una smorfia amara, che non sfuggì alla ragazza bionda.
- Non dovresti biasimarmi, Alista. Anche tu desideri la caduta dei Cinque Re.
- Ma non approvo la tua guerra personale contro un popolo intero.
- Intanto rallegrati del fatto che, se riuscirò nel mio intento, gli Oscuri spariranno per sempre da Sylune.
- E dopo cosa farai, Rafi? Cercherai di distruggere coloro che hai liberato? Ucciderai anche l'Etereo che adesso lotta al tuo fianco?
La guerriera le diede le spalle senza replicare.
- Devi darmi un altro sacchetto di quelle erbe. - disse poi, nascondendo ogni sua emozione dietro il tono duro ed impersonale con cui aveva impartito quell'ordine.
Lo sguardo di Alista si fece preoccupato.
- E quello che ti ho dato durante il nostro ultimo incontro? Dovrebbe durarti ancora per parecchi giorni.
Rafi parve irrigidirsi all'improvviso.
- L’ho finito. - mormorò, con una voce stranamente incolore e quasi soffocata.
Sollevò la testa verso la più vicina delle ampie finestre che illuminavano la stanza, perdendosi per qualche secondo a fissare l’orizzonte, prima di tornare a abbassare lo sguardo sulle proprie mani, strette inconsciamente all'elsa della sua spada. Contrasse le dita con tanta forza da far sbiancare le nocche, mentre sentiva che i rilievi delle decorazioni sull'impugnatura si incidevano momentaneamente sul suo palmo.
- Il loro effetto comincia a diminuire.
- L’effetto di cosa? - chiese una voce a pochi metri da lei.
Rafi alzò nuovamente lo sguardo verso la finestra aperta, riconoscendo con una smorfia incredula e rabbiosa il volto del suo compagno di viaggio.
- Ti avevo detto di levarti dai piedi! - ringhiò, mentre realizzava che in tutta probabilità Kilik aveva ascoltato tutto il dialogo seduto comodamente sotto il davanzale.
- Sei stata proprio tu a schernirmi per essermi fidato troppo degli umani. Non sei contenta che io abbia imparato la lezione?
Dal luccichio furioso negli occhi verdi della ragazza, l'Etereo capì che si stava trattenendo a stento e probabilmente era solo la presenza della guaritrice ad impedirle di attaccarlo.
Con un balzò entrò nella stanza, ritrovandosi a meno di un metro di distanza da lei.
- Allora? - domandò, più per il gusto di irritarla che per vera curiosità.
La conversazione appena ascoltata gli aveva aperto numerosi interrogativi, di cui quello relativo alle erbe rappresentava solamente uno dei tanti misteri che si annidavano dietro i gelidi occhi di giada della guerriera; tuttavia, ancora non riusciva a capacitarsi del tono spento con cui lei aveva parlato. La scoperta di quella debolezza si agitava dentro di lui con esiti contrastanti, era giunta troppo inaspettata per non causargli un impercettibile senso di disagio, accanto alla soddisfazione di aver infine trovato una breccia in quell'immagine di spietata assassina che pareva fatta di ghiaccio.
La mano destra di Rafi corse rapida verso l'elsa della spada, ma, questa volta, il movimento non sfuggì agli occhi viola dell'Etereo, che continuò a fissare la compagna, pronto a difendersi qualora lei avesse cercato di attaccarlo. Si sfidarono con lo sguardo in un silenzio minaccioso, prima che la voce pacata della guaritrice squarciasse la tensione che si era creata nella stanza.
- Ho una proposta da farvi.

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Capitolo 15
*** Capitolo 14: Tre stelle contro l'oscurità ***


Ringrazio tutti quelli che passano per di qua, e in particolare chi mi lascia un commento. Un grazie speciale a visbs88, a cui dedico questo capitolo, per aver segnalato questa storia per le scelte con una splendida recensione; grazie mille, cara!




-Capitolo 14: Tre stelle contro l’oscurità-

Le parole di Alista rimasero ad aleggiare per qualche secondo nella stanza prima che Rafi, distolta la sua attenzione dall'Etereo, rivolgesse il suo sguardo verso di lei. Il suo corpo si rilassò impercettibilmente, mentre la mano si allontanava dall'impugnatura della spada e, con le dita chiuse a pugno, tornava a poggiarsi sul suo fianco.
- Che proposta? - le domandò, con la voce pervasa dalla rabbia di essere stata fermata proprio quando aveva deciso di porre termine all'alleanza con Kilik nella maniera più drastica.
- Ti darò quello che mi hai chiesto e cercherò di aiutarvi a raggiungere il castello di Ghedan.
La smorfia scettica con cui l'Etereo aveva accolto queste parole non sfuggì all'anziana donna, che si rivolse a lui con un sorriso.
- Sai, un tempo ero una guaritrice piuttosto rinomata e ancora adesso, grazie al mio lavoro, ho un discreto numero di conoscenti e informatori tra i servitori di quell'Oscuro.
- E cosa pretenderai in cambio? - la interruppe Rafi, senza reprimere l'ostilità presente nelle sue parole.
Alista tornò a fissarla, sostenendone lo sguardo furioso.
- C’è una persona che ha un obiettivo simile al vostro. Voglio che la portiate con voi.
Nonostante tutti i suoi sforzi la voce le tremò leggermente non appena il volto di Sky comparve nei suoi pensieri. Durante quei pochi giorni in cui l'aveva curata aveva imparato ad amarla come una figlia, sapeva già che avrebbe sentito la mancanza di quei sorrisi sinceri che le scaldavano il cuore e della sua voce instancabile e allegra, con cui aveva nascosto abilmente la sofferenza alle ferite e la paura, tuttavia era consapevole di non poterla trattenere all’infinito nella sua casa; già quella mattina, dopo essersi tolta la fasciatura al braccio destro, Sky aveva affermato di essere guarita e di voler partire nella sua missione di salvataggio e solamente le sue preghiere l’avevano convinta a posticipare di un giorno i suoi propositi. Facendola viaggiare assieme a Rafi e all’Etereo sperava almeno di aumentare le sue possibilità di sopravvivere ad una guerra che pareva persa in partenza.
- Chi sarebbe? - chiese la voce brusca della giovane assassina.
- Una ragazza di cui mi sono occupata in questi giorni. Adesso è uscita per una commissione, ma tra breve dovrebbe tornare.
- E tu credi davvero che io accetterò di fare da balia ad una mocciosa?
- Non l'ho mai vista combattere, ma ti assicuro che si sa difendere bene. - rispose la donna, memore dei numerosi soldati che giacevano attorno a lei privi di vita quando l'aveva trovata ad Huan - Non credi di doverla almeno conoscere prima di esprimere giudizi affrettati?
- Se anche fosse come dici, per quale motivo dovrebbe venire con noi?
- Assieme avrete più possibilità che da soli. - replicò la guaritrice, mentre la guerriera taceva senza cercare in alcun modo di nascondere la propria espressione scontenta.
Kilik rimase in silenzio, immerso nei suoi pensieri.
Nonostante gli sembrasse fuori luogo chiedere ad una ragazza di aiutarli in quella missione quasi suicida, qualunque novità fosse causa d'irritazione per la sua compagna era la benvenuta. Si permise anche un sogghigno appena percettibile quando incrociò lo sguardo corrucciato di quegli occhi di giada, annotando mentalmente che la guaritrice, nonostante la sua inquietante conoscenza riguardo gli Eterei, con quella proposta si era meritata almeno in parte la sua stima.
Un rumoroso bussare interruppe le sue riflessioni.
Alista andò ad aprire la porta e tornò poco dopo accompagnata da una ragazza di bassa statura con i lunghi capelli castani trattenuti da un nastro nero e l'espressione allegra.
- Lei è Sky. - la presentò, mentre la nuova arrivata li guardava con un’aria incuriosita, sorridendo amichevolmente, quindi si voltò verso di lei, indicandole i due ospiti - Loro sono Rafi e Kilik. Vogliono sconfiggere gli Oscuri.
La giovane fece un passo avanti con un cenno di saluto; nonostante le parole di Alista e le due spade che portava alla cintura, sembrava poco più di una bambina, di certo non una guerriera da coinvolgere in missioni tanto pericolose o combattimenti all'ultimo sangue.
Kilik la vide fissarlo con attenzione, mentre con un sussulto quasi impercettibile scopriva il colore dei suoi occhi; stranamente la sua curiosità non gli diede alcun fastidio, il sorriso gentile con cui lei lo stava studiando era una dimostrazione di calore tale da sciogliere qualunque diffidenza si fosse ripromesso di ostentare nei riguardi di un'umana. Con la timidezza di chi non è abituato a certe manifestazioni di amicizia, le sorrise di rimando, abbandonandosi ad utopistici pensieri in cui questa ragazza allegra prendeva il posto di Rafi come sua compagna di viaggio.
Si voltò verso la giovane donna bionda per vedere come avrebbe accolto questa novità, e rimase impietrito.
Invece dell'espressione scontenta che si aspettava, la guerriera stava fissando la nuova arrivata in modo ben diverso: i suoi lineamenti dimostravano uno stupore tenuto a freno solo dal suo ferreo autocontrollo, perfino i suoi occhi gelidi erano stati attraversati da un lampo di sorpresa, mentre tutto il suo volto esprimeva un interesse che in un'altra persona sarebbe apparso normale e appena percettibile, ma in Rafi, solitamente atteggiata ad un’indifferenza quasi disumana, risaltava quanto il sangue nella neve.
- Immagino che tu sia una spadaccina. - disse con uno strano tono di voce, indicando le due armi che la giovane portava legate alla cintura.
Sky distolse l'attenzione dall'Etereo per guadarla negli occhi, senza smettere di sorridere.
- Hai indovinato.
- E vuoi uccidere gli Oscuri.
La ragazza annuì.
- E voi?
- A costo della vita. - rispose Rafi, con un sorriso ironico che Sky interpretò semplicemente come una forma di disprezzo per il pericolo o per i propri nemici.
Nonostante fino a quel momento Kilik fosse rimasto in disparte, la giovane spadaccina si rivolse anche a lui quando decise di mettere in chiaro la loro situazione.
- Allora, siamo alleati?
La guerriera bionda non rispose, incrociando le braccia al petto senza distogliere lo sguardo da lei. La studiò in silenzio per diversi secondi, forse per soppesare le sue capacità o trovare un'esitazione nel suo volto infantile, ma Sky continuava a guardarla negli occhi con un’espressione decisa.
- Rafi, so di non avere l’aspetto di una guerriera, ma ti assicuro che sono in grado di combattere. Io attaccherò gli Oscuri comunque, sta a te decidere se mi vuoi al tuo fianco.
L'assassina parve esitare, poi l’ombra di un sorriso comparve sulle sue labbra.
- Preparati, tra qualche minuto partiamo.

Qualche ora dopo i tre giovani erano in viaggio verso Darconn, la tetra capitale in cui il più spregevole degli Oscuri aveva stabilito la sua dimora.
Alista aveva insisto per offrire loro almeno il pranzo e alcune provviste per il viaggio, in modo da poter discutere in tutta calma del piano per arrivare al cospetto di Ghedan. Come promesso si era prodigata per ricordare ogni informazione in suo possesso riguardo il mago, inoltre aveva consigliato loro di chiedere aiuto ad un suo amico che lavorava a palazzo in qualità di servitore, così il trio, decisamente rinfrancato da questa notizia, era partito nel primo pomeriggio, con la speranza di giungere a destinazione entro il giorno successivo.
Rafi, come in precedenza, faceva strada avvolta nel suo solito silenzio, mentre gli altri due ragazzi rimanevano a parlare qualche metro più indietro.
Per Kilik la giovane spadaccina era stata una gradevole novità alla sola compagnia della taciturna guerriera bionda con cui si era ritrovato a viaggiare nell'ultimo periodo; nonostante la sua avversione per gli umani si fosse notevolmente accresciuta dopo il tradimento di quella vecchia, la spontaneità e l’allegria di Sky gli avevano impedito di rinchiudersi in se stesso come nei giorni precedenti. In quelle brevi ore trascorse assieme aveva scoperto quanto fosse piacevole conversare con lei, lasciandosi cullare dalla sua voce allegra che riusciva a metterlo di buon umore anche quando la mente sfuggiva al suo controllo e indugiava nei tristi pensieri seppelliti dentro il suo cuore. Perfino raccontarle di Kohori e dell'incontro con Rafi gli parve una cosa incredibilmente semplice e normale, prima di chiederle per quale ragione volesse intraprendere un viaggio tanto pericoloso.
- I soldati degli Oscuri hanno distrutto il mio villaggio, uccidendo tutti. - mormorò Sky, con un'ombra nella voce - E' lì che Alista mi ha trovato.
Sollevò la testa per guardare la giovane donna davanti a lei, con un nuovo sorriso che le accarezzava le labbra, scacciando quel breve momento di tristezza.
- Tu, Rafi, come l'hai conosciuta?
Ancora una volta Kilik si stupì della familiarità con cui Sky si rivolgeva alla guerriera bionda, come se non si accorgesse del muro fatto di silenzio ed occhiate minacciose con cui l'assassina proteggeva la sua solitudine, o semplicemente non le importasse.
Rafi si volse, e l'Etereo attese la solita frase sferzante che riservava alle domande sul suo passato.
- Anni fa ha curato anche me. - rispose invece.
Accelerò il passo, come se volesse distanziare i due ragazzi dietro di lei ed i loro discorsi che intaccavano il suo isolamento, tuttavia, pochi metri più avanti, si fermò ad attenderli al centro esatto di una radura, guardandosi attorno con aria d'approvazione
- Questo è il luogo adatto. - commentò, non appena i suoi compagni la raggiunsero.
Sguainò la spada all'improvviso, con un gesto tanto rapido e minaccioso che Kilik non fece nemmeno in tempo ad afferrare i pugnali nascosti sotto il mantello e si chiese se la magia sarebbe stata abbastanza veloce da proteggerlo, prima di realizzare a chi l'assassina stesse realmente mirando.
- Mostrami quello che sai fare. - ordinò a Sky, mentre la sua lama le sfiorava la guancia.
La ragazza non si mosse, stupita.
- Che intendi dire?
- Dobbiamo scontrarci contro i più forti esseri di Sylune, non ho intenzione di lottare a fianco di chi non si sa difendere.
- Non ti fidi delle mie parole?
- La fiducia è per gli sciocchi. Battiti con me!
Sky scrollò le spalle.
- Come preferisci. In fondo è da un po' che non combatto.
Lentamente sguainò la spada con la mano destra, passandola poi nella sinistra con una smorfia, mentre Kilik la guardava preoccupato, pronto ad intervenire qualora quello scontro di prova si fosse trasformato in qualcosa di più pericoloso. Fin dall'inizio aveva provato una forte perplessità a viaggiare con quella ragazza dall'aspetto fragile che era più bassa di Rafi di quasi tutta la testa e, accanto a lei, pareva ancora più bambina di quanto fosse in realtà, e solo il pensiero di vederla combattere contro quella spietata assassina gli stringeva il cuore in una morsa angosciante.
Le due giovani donne si posizionarono una di fronte all'altra, la spada in pugno e l'espressione concentrata di chi si sta preparando al duello e attende quell'invisibile segnale che ne decreterà l'inizio.
Fu Rafi ad attaccare per prima, una stoccata debole ma precisa per sondare le capacità della sua avversaria, che venne parata senza alcun problema, quindi toccò a Sky farsi avanti, dimostrando una maestria ed una sicurezza proprie solamente dei veri spadaccini.
Scambiarono qualche altro colpo di prova, incrociando le spade quasi con pigrizia, poi Kilik vide un pericoloso sorriso prendere forma sulle labbra dell'assassina, e un brivido gelido gli corse lungo la schiena.
Rafi attaccò all'improvviso, mirando al cuore della spadaccina con un affondo di tale potenza che avrebbe trapassato un'armatura ed in nessun modo quell'esile ragazza sarebbe riuscita a parare. Inorridito, l'Etereo fece un passo avanti, attendendo che cadesse a terra in una pozza di sangue, ma Sky era illesa, e stava già contrattaccando. Consapevole di non poter rivaleggiare in forza con la sua avversaria, si era limitata a deviare il colpo che l'avrebbe trafitta al petto, spostandosi di un passo a lato, e poi aveva approfittato della sua guardia scoperta per costringerla in difesa.
Kilik respirò a fondo, mentre il cuore che gli batteva come impazzito nel petto cominciava gradualmente a rallentare, incredulo di vedere l'assassina in leggera difficoltà. Sotto i suoi occhi le due ragazze si separarono, pronte a scontrarsi ancora, stuzzicandosi, scambiando stoccate con crescente accanimento, per poi tornare a qualche metro di distanza prima del nuovo attacco.
Non comprese l'esatto momento in cui avevano smesso di studiarsi e si erano decise a fare sul serio, ma all'improvviso i colpi che la guerriera bionda sferrava nel tentativo di rompere la guardia della sua compagna si erano trasformati in affondi violenti e più consoni ad un combattimento contro un nemico rispetto ad un semplice duello di prova. Lampi di acciaio e cozzare di spade si susseguirono sempre più rapidi mentre Rafi cercava di trovare un varco nella perfetta difesa della sua avversaria, mirando alla testa o al cuore, ma ogni suo attacco, per quanto furioso, si infrangeva contro la lama che Sky continuava ad opporle.
Al contrario delle sue aspettative, quello a cui stava assistendo non era una lotta impari, ma un duello tra due grandi combattenti, era l'esperienza contro il talento, la forza contro la destrezza.
Rafi manovrava la sua grande arma, pesante anche per un uomo, come se si trattasse di un lungo pugnale, utilizzando nei suoi attacchi indirizzati verso punti vitali tutta la sua esperienza di assassina, ma Sky era l'agilità impersonificata, era il lampo, il guizzo imprevedibile di una lama sottile e letale, come se il suo stesso braccio fosse tagliente e la spada ne rappresentasse unicamente il naturale prolungamento.
Nonostante tutti i suoi sforzi, l'Etereo non riuscì a comprendere se una delle due ragazze fosse superiore all'altra e se entrambe stessero combattendo al meglio delle loro possibilità, quasi affascinato continuava a guardare quel fluido susseguirsi di affondi, stoccate e parate, quasi simile ad una danza di morte che solo un esperto schermidore avrebbe potuto seguire appieno.
Dopo qualche minuto, la guerriera bionda abbassò la spada, subito imitata dalla ragazza più giovane, che si appoggiò all'elsa per riprendere fiato.
Kilik sorrise, sollevato che quello scontro violento si fosse risolto senza alcuno spargimento di sangue e piacevolmente sorpreso di aver scoperto una valida alleata: nonostante i suoi timori, Sky aveva dimostrato un'abilità degna di lode, che smentiva in pieno l'apparente debolezza del suo fisico minuto.
La guerriera bionda, tuttavia, si era resa conto di un dettaglio che all'Etereo era sfuggito.
- Tu non sei mancina. Perché non hai utilizzato la mano destra o entrambe le spade? - chiese sferzante alla sua avversaria.
Sky la fissò a bocca aperta.
- Come hai fatto a capirlo?
Rafi rinfoderò l'arma e si appoggiò al tronco dell'albero più vicino.
- Il modo in cui ti muovi, la tua guardia, qualche esitazione nel colpire. Non sono cose molto evidenti, ma dimostrano che sei abituata a combattere con due spade e che per gli affondi e gli attacchi particolarmente pericolosi ed efficaci ti affidi alla mano destra, più potente ed allenata, mentre la sinistra la utilizzi principalmente per parare e difenderti. - fece una pausa, ricordando distintamente quando avrebbe potuto sorprendere la sua avversaria con una stoccata al cuore, forse l'unico momento in tutto lo scontro in cui la possibilità di batterla era stata tanto nitida - Capire i punti deboli dell'avversario prima di mostrare i propri è il vantaggio che garantisce una vittoria anche in una situazione d'inferiorità.
Tacque all'improvviso, come consapevole di aver parlato troppo, ed una volta di più Kilik ebbe l'impressione che la vera Rafi fosse riuscita a far capolino attraverso quella facciata d'indifferenza da lei stessa costruita e sorprenderlo con una nuova sfaccettatura della sua imperscrutabile personalità. Quella ragazza appoggiata al tronco dell'albero non era l'assassina fredda e letale da cui era stato salvato, e nemmeno quell'entità crudele dal sorriso pervaso di follia omicida che talvolta compariva a turbarlo, ma una guerriera esperta quanto un veterano e tuttavia dall'espressione quasi umana.
Le si avvicinò, desideroso di cancellare quest'immagine; non ne comprendeva il motivo, ma sapeva con assoluta certezza che, se essa si fosse impressa nei suoi pensieri, odiare quella giovane dagli occhi di ghiaccio non gli sarebbe più stato tanto facile.
- E questa perla di saggezza da dove l'hai presa? - chiese ironicamente.
Rafi parve non accorgersi nemmeno del tono sarcastico con cui l'Etereo aveva parlato, continuava a fissare l'orizzonte alle sue spalle, persa in un ricordo lontano.
- E' stata la lezione di un grande maestro. - mormorò, apparentemente rivolta a se stessa.
Si riscosse quasi subito, ed immediatamente la solita maschera impassibile tornò a coprirle il volto, mentre i suoi occhi gelidi si posavano sulla ragazza di fronte a lei.
- Perchè non hai utilizzato entrambe le spade?
Con riluttanza, Sky scoprì il braccio destro fino alla spalla, mostrando la profonda cicatrice che lo attraversava, simile ad uno sbilenco ghigno del fato.
- Non posso più, ormai. - mormorò con un filo di voce, prima che il sorriso tornasse a nascondere quell'ombra di malinconia - Ma come vedi riesco a cavarmela anche solo con la sinistra.
- Già. - le concesse Rafi, prima di cambiare repentinamente argomento - E' stato tuo padre ad insegnarti a combattere?
Sky scosse la testa.
- Non lo vedo da quando ero piccola. Ormai sono più di dieci anni che non ho sue notizie.
- E tu quanti ne hai?
-Diciotto.-
La spadaccina attese invano una replica della compagna, apparentemente persa nei suoi pensieri e senza alcun desiderio di continuare la conversazione.
- Allora, ho superato l'esame? - domandò dopo qualche secondo di silenzio, con una gentile ironia ben diversa dal tagliente sarcasmo che Rafi instillava in ogni sua risposta.
- Ti manca l'esperienza, ma di certo sei più utile di quell'Etereo.
Sempre più sorpreso di quell'insolita loquacità da parte della taciturna assassina, Kilik non riuscì a trovare una replica adeguata a quell'insulto nei suoi confronti nemmeno troppo velato, così le diede le spalle e si rimise in marcia.
- Significa che adesso sono ufficialmente vostra alleata? - chiese ancora Sky.
La ragazza più vecchia sorrise senza alcun calore.
- Sarei una stupida a rifiutare il tuo aiuto. Ho conosciuto solo un'altra persona con il tuo talento.
- E chi sarebbe?
- Un grande guerriero. - replicò, senza aggiungere altro.
Le diede le spalle, pronta a riprendere la marcia, ma la voce della spadaccina la costrinse a fermarsi.
- Rafi. - la chiamò in tono esitante - Come sarebbe finito lo scontro se fossimo state nemiche?
- Questo particolare non ha nessuna rilevanza.
- Invece per me è importante. Io ho dato il massimo in questo combattimento, ma tu?
- Volevo testare le tue capacità e l'ho fatto, tutto il resto non ti deve interessare.
Sky strinse i pugni.
Da quando si era resa conto che avrebbe potuto fare affidamento solo sul braccio sinistro, un forte senso di sfiducia aveva cominciato a pervaderle i pensieri, minando suo malgrado tutte le sue sicurezze, e lo scontro con un'avversaria del calibro di Rafi non aveva fatto altro che acuire i suoi dubbi ed il timore di non essere all'altezza negli scontri futuri.
Le afferrò il braccio, il volto infantile contratto in un'espressione stranamente seria.
- Ho bisogno di saperlo. - mormorò, mentre le sue iridi castane riflettevano le sue paure senza riuscire ad occultarle.
Rafi si scostò bruscamente da lei, guardandola con gli occhi socchiusi in due fessure gelide.
- Te lo dirò una volta sola, a patto che dopo non mi disturbi più.
Attese di vederla annuire, quindi nascose ogni emozione dietro la sua maschera impassibile.
- In uno scontro serio ti avrei già uccisa, ma in leale duello probabilmente mi sconfiggeresti. Io confido sull'esperienza, tu sul talento, ed a lungo andare sarà quest'ultimo a prevalere. Anche se ti ho visto combattere utilizzando solo la mano sinistra, ne sono certa: con la spada mi sei superiore. - disse, dandole poi le spalle. Con le orecchie tese a captare i suoi passi sempre più lontani, portò la mano al petto, le dita richiuse a pugno e le nocche che, attraverso la camicia, sfioravano la cicatrice in corrispondenza del cuore mentre poche, impercettibili parole si perdevano nel vento.
- Proprio come tuo padre.

La città di Hoken si stagliava nel silenzio e nella desolazione, a fianco di una fitta foresta.
Ormai da anni ridotta ad un cumulo di polverose macerie, quel luogo che un tempo era stato il quartier generale dei Protettori e la culla dell'ultima speranza di Sylune rispecchiava adesso solamente il massacro avvenuto sotto gli ordini di Devil ed i segni brucianti della sua letale magia.
In quella tragica battaglia non erano stati risparmiati né bambini, né donne, né vecchi ed ora la brezza leggera vagava tra le pietre annerite ed i fantasmi di un lontano passato senza incontrare alcun vivente nel suo cammino.
Fu in questa quiete quasi innaturale che l'uomo fece la sua comparsa.
Di statura leggermente superiore alla norma, con i capelli scuri tagliati corti ed un accenno di barba che gli conferiva un'espressione di estrema autorevolezza, si avvicinò in silenzio ai resti della città, lasciandosi avvolgere dagli echi di un glorioso passato sepolto sotto il sangue e la violenza. Aveva un bel volto, dai lineamenti marcati ma regolari, il cui particolare più evidente era rappresentato dagli occhi castani, di una limpidezza insolita per un guerriero. Il corto gilè di cuoio, lasciato aperto sul petto, non nascondeva in minima parte i muscoli temprati di un combattente nel pieno delle forze e ad ogni alito di vento lasciava intravedere un piccolo tatuaggio situato pochi centimetri sotto la spalla sinistra.
Quasi subito un'altra figura si staccò dal riparo degli alberi e lo raggiunse.
Al contrario dell'imponente guerriero, questo nuovo arrivato presentava un volto quasi efebico, senza la minima traccia di barba, contornato da lunghi capelli di colore biondo cenere che gli scendevano liberi fino alle spalle. Da lontano avrebbe potuto essere scambiato per una fanciulla tanto i suoi lineamenti erano dolci ed il suo incedere elegante, come se il suo corpo esile che sfiorava appena il terreno con passo aggraziato non avesse alcun peso.
Fu quest'ultimo a rompere il silenzio, con una voce armoniosa e velata di malinconia.
- Era proprio una bella città...
Negli occhi dell'altro uomo passò un lampo di collera.
- Gli Oscuri pagheranno anche questo!
- Hai intenzioni di sfidarli?
- Le nostre file continuano ad ingrossarsi, ma siamo ancora troppo pochi. Tuttavia, il momento della resa dei conti si sta avvicinando.
Si voltò a guardare l'amico con lo sguardo bruciante di determinazione.
- Sarai al mio fianco, Arhel?
- Come sempre, Ryon.
L'imponente guerriero sorrise.
Era ormai da più di due anni che assieme combattevano gli Oscuri ed i loro soldati, e non avrebbe potuto desiderare alleato migliore per quelle battaglie che si erano sempre concluse con un'insperata vittoria. A dispetto dell'apparenza fragile e dei lineamenti gentili, infatti, Arhel era un abile arciere dalla mira quasi infallibile, capace di centrare un uomo in movimento a parecchi metri di distanza; per Ryon, guerriero portato per lo scontro in mischia, aveva sempre rappresentato una preziosa copertura durante gli scontri in cui si erano misurati con i soldati dell'impero, oltre ad un valido alleato a cui appoggiare la schiena una volta che il nemico era giunto troppo vicino e l'arco diveniva inefficace.
Rimase in silenzio, grato della sua compagnia in quel luogo carico di desolazione e di morte.
I suoi occhi castani vagarono tra i detriti della città in cui l'ultima grande speranza di Sylune era stata soffocata nel sangue, insinuandosi tra le macerie ed i muri anneriti, come se cercassero un segno per il suo futuro o se quelle case crollate avessero conservato gli ideali e la forza di chi le abitava e lui ne potesse ricevere l'eredità.
Arhel gli sfiorò la spalla in un gesto di comprensione e contemporaneamente di scusa per aver interrotto quel momento di silenzio.
- Sei certo di voler proseguire nel tuo cammino?
Ryon contrasse istintivamente le mascelle, prima di distendere i lineamenti in un'espressione indecifrabile.
- Sai quali sono i due obiettivi della mia vita.
Si volse a fissare il cielo, il bel viso illuminato dal sole rifletteva una ferrea determinazione senza alcuna incertezza.
- Distruggere gli Oscuri, assieme a Devil e chiunque altro sia tanto stupido da seguirli di sua volontà.
Ahrel seguì il suo sguardo verso l'orizzonte, completando la frase per lui.
- Ed uccidere Beck.

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Capitolo 16
*** Capitolo 15: L'inizio dei giochi ***


Un grazie speciale a visbs88, la cui segnalazione ha fatto inserire questa storia nelle scelte.




-Capitolo 15: L’inizio dei giochi-

Un cielo senza nuvole si stagliava sopra la capitale del regno di Lotar, mentre i raggi sempre più rossi, appartenenti ad un sole ormai prossimo al tramonto, colpivano le ampie vetrate del castello, generando figure in cui luce ed ombra si divertivano ad intrecciarsi, rincorrendosi nei pesanti arazzi che decoravano l’intimo salotto dove si trovavano i due Oscuri.
Il mago si sedette, con un movimento composto che non tradiva in alcun modo il suo nervosismo, mentre guardava Sawhanna accomodarsi aggraziatamente di fronte a lui e tendeva la mente per percepirne i pensieri.
- Con quest'azione paleseremo a Daygon il nostro tradimento. Sei certa di voler proseguire?
Gli occhi determinati della donna incrociarono i suoi senza alcuna esitazione.
- Sono stanca di chinare il capo al suo cospetto. E' giunto il momento di mostrargli la nostra forza.
Lotar le sorrise.
- Allora sarà meglio cominciare subito.
Corrugò la fronte e chiuse gli occhi per accumulare la concentrazione necessaria a contattare la sua spia. Gli ci vollero pochi minuti per rintracciare la sua mente, percependo come al solito la massa confusa dei suoi pensieri: frammenti di emozioni, volti nascosti nella nebbia ed una sottile amarezza che si accompagnava a gran parte di quelle immagini; poi l’uomo si accorse della sua presenza nella propria testa, e tutto si dissolse nel suo saluto rispettoso.
- Preparati, entro un paio di giorni farò in modo di allontanare gran parte delle truppe di Daygon dal suo castello e allora dovrai agire. Sai quello che mi aspetto da te. - ordinò il mago, ignorando come al solito i convenevoli.
La spia attese un istante prima di replicare con l’unica risposta che gli fosse concessa.
- Sì, mio signore. - disse, dopo un attimo di esitazione che non sfuggì all’Oscuro.
- Non importa se verrai scoperto, non appena mi porterai la ragazza prenderai il posto a capo delle mie truppe.
- Come desiderate.
-E ricorda di proteggerla, dovesse costarti la vita. Non deve accaderle nulla di male.
Il soldato non replicò, lasciando che un silenzio profondo scendesse a suggellare il suo assenso.
- Non fallire, o sarà la tua città a pagare in tua vece. - minacciò Lotar, un attimo prima di annullare il contatto che univa le loro menti e riprendere coscienza dell'ambiente attorno a lui.
Durante tutta la conversazione, Sawhanna l'aveva fissato con uno scintillio da predatore negli occhi color delle tenebre, mentre le mani sul suo grembo si intrecciavano senza tregua, flettendo le dita affusolate nel tentativo di tenere a freno la voce dentro di lei che la incitava ad approfittare della vulnerabilità di quell’alleato con cui presto si sarebbe dovuta confrontare in una lotta all’ultimo sangue. Socchiuse le labbra, pregustando il momento dell’attacco, la sorpresa nel volto di Lotar e la propria inesorabile vittoria; si tese all’improvviso, come se la razionalità fosse stata sopraffatta dall’istinto e si stesse preparando a colpire, sinuosa e letale quanto una pantera, invece si limitò a reprimere quell'impulso con un movimento impercettibile del capo ed un sorriso leggero.
- Allora? - domandò in tono distratto, non appena lo vide riaprire gli occhi.
- Tra un paio di giorni l’Alher sarà nelle nostre mani.
L’Oscura annuì senza replicare.
- A cosa pensi, Sawhanna? - chiese il mago, sorpreso da quell’insolito silenzio.
- All’assurdità della nostra situazione. Uniti in una lotta contro i nostri stessi compagni, entrambi consapevoli dell’inevitabile, sanguinosa conclusione della nostra alleanza. Ironico, non trovi? - mormorò la sua voce carezzevole, mentre il buio del tardo pomeriggio cominciava ad avviluppare la sua figura e fondersi con i suoi capelli corvini.
L’uomo accese alcune candele con un movimento distratto della mano, senza distogliere gli occhi da lei.
- Già pensi al futuro? Abbiamo ancora un obiettivo di fronte a noi, che sancisce il nostro legame.
- Ed una volta raggiunto, Lotar? Sarai tu a sferrare il primo colpo che decreterà la fine della nostra alleanza o lascerai che sia io a cominciare?
- Pensi davvero che la lotta tra noi sia inevitabile?
Le labbra piene della maga si incurvarono verso l'alto, formando un sorriso sorpreso e velato di sprezzo, in risposta ad una replica che non si aspettava.
- Non ti credevo tanto debole da arrenderti a me senza combattere.
- Non sono come Ghedan, per quanto io ammiri le perfezioni della natura non ne sarò mai succube. Però saresti l'unica tra noi che mi dispiacerebbe uccidere - Lotar si interruppe, e per un secondo anche nella sua voce comparve la stessa nota ironica con cui Sawhanna plasmava le sue risposte - Sai, un mondo di soli umani sarebbe noioso.
Lei sorrise, con un lampo di crudeltà negli occhi scheggiati d'argento.
- Questa tua esitazione mi renderà più facile eliminarti.
Nonostante fosse consapevole della sincerità in quelle parole, l’Oscuro non mostrò alcun turbamento.
- Mi odi a tal punto, Sawhanna? - domandò in tono divertito.
- Amo il potere e la conquista.
- Forse Sylune non è abbastanza grande per due di noi?
La maga si irrigidì all’improvviso.
Gli lanciò un’occhiata intensa, quasi sospettosa, mentre ogni traccia di quella divertita schermaglia si spegneva nelle tenebre delle sue iridi screziate d’argento, rivelando un’espressione gelida. Fino a quel momento aveva accolto le repliche del compagno come semplici provocazioni, una divertente alternativa alla noia dell’attesa, solo con quell’ultima domanda, pronunciata con un tono appena più serio del solito, si era resa conto dell’implicita offerta di alleanza che il mago le stava proponendo.
- La nostra esistenza è votata alla solitudine, lo sai bene. - replicò seccamente.
- Proprio tu, Sawhanna, desideri un così triste destino? - le chiese Lotar, guardandola con attenzione.
L'aveva studiata a distanza per mesi, prima di sceglierla come compagna nella sua lotta contro il più forte di tutti loro e, quando i fili della loro alleanza si erano intrecciati in un legame tanto profondo da spingerli a rischiare assieme la vita, aveva continuato a sondare la reale natura di quella maga, più incarnazione della bellezza che donna, per coglierne l'essenza più profonda, il cuore pulsante ed indifeso nascosto da quelle spine nere di ghiaccio ed ironia. Aveva trascorso intere giornate semplicemente a riflettere, in cerca di una crepa nella sua sicurezza, un’imperfezione che gli permettesse di ottenere un vantaggio su di lei, ed infine i suoi sforzi erano stati premiati.
Incrociò gli occhi della maga, che lo stavano scrutando senza nascondere l’irritazione e l’ostilità per la sua domanda.
- Che cosa vorresti insinuare?
L’uomo accennò un sorriso, soddisfatto dell’impercettibile nota preoccupata presente nella risposta sferzante della compagna.
- L’isolamento non ti si addice. Tu desideri la compagnia, l’ammirazione di chi ti circonda, il calore di un abbraccio.
- Io sono un’Oscura, te ne sei forse dimenticato? Non ho tali debolezze!
- Umana od Oscura non fa differenza. Tu sei come una stella che splende nel cielo e preferisce spegnersi in un’unica grande vampata che consumarsi lentamente nel buio. Non basterà tutto il gelo di Sylune per soffocare le tue emozioni. Pensi davvero di trovare la felicità nella solitudine?
- Stai andando troppo oltre Lotar, questa volta non ti basterà mettermi una mano sulla spalla per fermarmi. - lo ammonì la maga, senza più alcuna nota suadente nella voce carica di tensione e minacce.
- Perfino adesso, abbandonandoti alla collera, lo dimostri.
- Ti ho detto di smetterla!
Lotar sollevò la testa, bruciandole gli occhi con il solo sguardo.
- Tu sei la più viva di tutti noi.
Il corpo della donna venne attraversato da un tremito violento, come se quella risposta avesse mandato in frantumi le fondamenta stesse su cui si basava la sua esistenza e le parole dell’Oscuro stessero scavando crepe sempre più profonde nel suo animo, riportando alla luce delle emozioni che aveva rinnegato per anni, il prezzo pagato per aver raggiunto un simile potere.
Sollevò il volto all'improvviso, guardandolo con un odio quasi esasperato.
- Come osi parlarmi in questo modo?! - urlò, mentre la razionalità cedeva il passo di fronte alla sua natura impulsiva e lei si lanciava all'attacco, la mano destra protesa nel tentativo di richiamare la magia per uccidere quell'uomo che si era insinuato in lei fino a rivelare un dolore di cui era riuscita a dimenticare l’esistenza.
Lotar attese senza muoversi.
L’aveva provocata di proposito fino al punto di rottura, consapevole dei rischi che stava affrontando, ma incapace di rinunciarvi. Giocare col fuoco, per la sua acuta intelligenza, era assieme un deprecabile errore ed una stuzzicante opportunità di scoprire se le sue riflessioni avessero colto nel segno. Come una falena si era riscoperto curiosamente attratto dalla bruciante vitalità che pervadeva l’Oscura e, nonostante riuscisse a tenere a freno questo suo interesse senza alcuno sforzo, desiderava colpirla dov’era più debole per assicurarsi il controllo della situazione, anche a costo di duellare con lei.
Non temeva in alcun modo quello scontro, semmai ne era elettrizzato.
La magia di cui Sawhanna era dotata raggiungeva vette di tale potenza da fargli dubitare di poterla fronteggiare ad armi pari qualora lei avesse deciso di combattere seriamente; tuttavia, spinta unicamente dalla rabbia, non poteva competere contro la fredda razionalità che lo caratterizzava, rendendolo il più grande stratega tra gli Oscuri.
Rimase un attimo a guardarla, come affascinato: i lineamenti stravolti dall’odio, che non riuscivano a nascondere le laceranti emozioni dentro di lei, i capelli corvini agitati dalla magia, come tanti fili di seta nera intessuti dalla notte stessa, il volto ancora inesorabilmente pallido e gli occhi ardenti di vita e potere.
Bellissima anche nella collera.
Le candele che illuminavano la stanza si spensero in un sol soffio.
Troppo veloce per non aver fatto ricorso a qualche magia, Lotar comparve all'improvviso alle sue spalle e le afferrò il polso destro, lo sguardo mutato nuovamente in quell'impassibile maschera dietro cui nascondeva al mondo ogni sua singola emozione.
- Presto il mio uomo sarà qui con l’Alher. Sarebbe inutile scontrarci prima di allora. - mormorò, con le labbra a pochi millimetri dal suo orecchio ed il respiro che si intrecciava a capelli neri come la notte.
La violenta reazione della donna non si fece attendere, una scossa di potere tanto intensa da mozzare il fiato esplose nella stanza ormai buia, ma il braccio dell'uomo fu svelto a serrarsi sulla sua vita, bloccandole qualunque movimento, mentre già la sua magia, levatasi come uno scudo per proteggerlo, cominciava ad intrecciarsi in nodi inscindibili attorno a lei, impedendole di contrattaccare.
Sawhanna gemette quando si rese conto che l’incantesimo del suo avversario le aveva sigillato i poteri.
Cominciò a dibattersi senza tregua, nel vano tentativo di sottrarsi a quella rete invisibile in cui era stata imprigionata, ma con i pensieri soffocati dalla collera le mancava la lucidità necessaria a concentrare sufficiente energia per liberarsi. Un senso di panico la colse nel momento in cui sentì le braccia del suo nemico bloccarle ogni movimento in una stretta d’acciaio, impossibile da spezzare senza l’utilizzo della magia.
Era forse la prima volta che si scopriva tanto inerme, una sensazione talmente inaspettata ed insopportabile da spingerla a mordersi un labbro fino a farlo sanguinare, in un gesto di insicurezza che non si concedeva più da diversi anni. Sentì distintamente i denti incidere la sua stessa pelle, creando un sottile squarcio in quella bocca perfetta che solo rari fortunati avevano ottenuto l'onore di sfiorare, e poi poche gocce vermiglie scendere piano verso il mento, nella prima ferita che le segnava il corpo da quanto si era consacrata alla magia. Fu quella consapevolezza, unita al sapore del sangue sulle proprie labbra, a permetterle di recuperare la razionalità, pur senza placare la rabbia che la pervadeva.
Lotar la sentì irrigidirsi e poi rimanere immobile respirando appena, avviluppata in quelle corde invisibili che soffocavano i suoi poteri e le impedivano di liberarsi.
Nonostante l’incantesimo con cui era riuscito a contenere la sua magia richiedesse uno sforzo quasi doloroso per poter essere mantenuto in vita e gli impedisse qualunque altro attacco, l’Oscuro continuò a tenerla prigioniera contro di sé, la sua schiena calda appoggiata al proprio petto.
Sapeva che quella non era la vittoria, ma solo un piccolo vantaggio momentaneo, e presto la donna avrebbe fatto esplodere tutto il potere di cui disponeva, pronta a reclamare il suo sangue in una lotta dall’esito quanto mai incerto.
Vide la magia dentro di lei concentrarsi lentamente, sfiorando quel manto invisibile che la opprimeva senza cercare di attraversarlo. In un primo momento fu solo una pallida luce appena percettibile, poi quel bagliore crebbe di intensità e potenza, si gonfiò in un’ondata di energia purissima, violenta come mai l’aveva sentita prima d’ora, una forza primordiale che assaliva e sfidava la prigione in cui era racchiusa, preparandosi a distruggerla.
Non più guidata da una rabbia bruciante ed incontrollabile che le ottenebrava i sensi e regalava al suo antagonista una posizione vantaggiosa, la donna aveva ripreso il controllo sulle proprie emozioni, riconducendole ad una collera fredda e razionale, con cui poteva richiamare a sé ogni singola goccia del suo potere per poi scatenarla contro l’Oscuro.
Un attimo prima che Sawhanna tentasse nuovamente di liberarsi, questa volta con risultati devastanti, Lotar allentò la sua presa, trasformandola nella versione appena più brusca di un abbraccio, e chinò il volto verso di lei, per sussurrarle la sua ultima offerta.
- Non sono abbastanza umano da risparmiarti la vita se tu decidessi di combattermi, ma non sarò io ad attaccare per primo. - per un unico istante si lasciò accarezzare le labbra da un sorriso malinconico, prima di indurire i lineamenti in uno sguardo velato di minacce - Pensa bene se desideri avermi come alleato o come nemico.
Lentamente richiamò a sé la magia, pronto, nonostante la spossatezza causata da quell’incantesimo, ad eludere un eventuale attacco, ma la donna si limitò a liberare il braccio con un brusco strattone, gli occhi neri luccicanti di un odio a stento trattenuto fissi sul proprio polso.
Sollevato di non doversi misurare tanto presto con la sua compagna, Lotar si rilassò impercettibilmente e seguì il suo sguardo, con i lineamenti senza età atteggiati ad un’espressione quasi di scusa. Quando aveva fermato il suo attacco non le aveva stretto il polso con tutta la forza in suo possesso, tuttavia i segni rossi lasciati dalle proprie dita risaltavano anche nel buio, deturpando momentaneamente il candore di quella pelle perfetta.
L’Oscura continuava a fissarsi l'arto a testa china, ferita più dalle sue parole che dal loro breve scontro, mentre cercava di non ascoltare il rigurgito di rabbia e magia che si agitava nel suo petto e reclamava un sanguinoso lenimento per quell'umiliazione.
Accompagnato dal regolare incedere dei suoi stivali, Lotar si avvicinò alla porta e la oltrepassò senza la minima esitazione, in direzione della sua camera.
Sawhanna rimase sola, seduta immobile nella stanza silenziosa, avvolta da un buio che per la prima volta le era nemico.

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Capitolo 17
*** Capitolo 16: Incrinature ***







-Capitolo 16: Incrinature-

Lotar si rigirò silenziosamente nell’ampio letto in cui giaceva da parecchi minuti.
Non dormiva, troppi pensieri gli affollavano la mente, precludendogli quelle rare ore in cui si riposava annullando la propria coscienza in un limbo senza sogni.
Anche prima di diventare un Oscuro la razionalità aveva da sempre guidato i suoi passi, inseguendo un’ambizione che era stata assieme maestra e tormento della sua vita, e finalmente sarebbe riuscito a placarla. Non contemplava nemmeno la possibilità di un fallimento, troppo a fondo aveva valutato i rischi, calcolato ogni singola eventualità, arrivando infine a concepire un piano privo di incertezze o imprevisti che lo avrebbe portato a divenire l’unico dominatore di Sylune.
Gli altri Oscuri erano tutte pedine nelle sue mani, in una scacchiera che poteva ridimensionare a suo piacimento, perfino il re di tutti loro avrebbe constatato con sgomento quanto pericoloso potesse rivelarsi sottovalutare un avversario, pagando il prezzo più alto per questa leggerezza.
Sorrise nel buio, consapevole delle proprie capacità. Più debole di Daygon e Kyzler, forse anche di Sawhanna, in quella lotta spietata che avrebbe lasciato su quelle terre un unico sovrano faceva affidamento solo sulla sua incredibile intelligenza. Era questo il suo vero potere, la magia rappresentava unicamente il mezzo per portare a compimento il progetto che la sua mente aveva generato, nulla di più.
Ormai nel suo mosaico di piani ed alleanze mancava un unico tassello, la pedina più preziosa e difficile da collocare, che ora si agitava nel dubbio a qualche metro da lui, senza comprendere che qualunque sua scelta non avrebbe influenzato in minima parte gli avvenimenti futuri.
Sospirò nel buio di una stanza silenziosa, lasciando che quel debole suono velato di rammarico echeggiasse nella sua mente con una sfumatura di derisione.
Nonostante la consapevolezza del proprio successo, un fastidioso turbamento nel suo petto duellava senza tregua contro la sua parte razionale, offuscando parzialmente la sua soddisfazione.
Quel tassello mancante, così ininfluente nei suoi piani di conquista, cercava di invadere i suoi pensieri e catturare la sua attenzione, seguendo la natura che gli era propria e gli impediva di passare inosservato.
L’aria parve appesantirsi all’improvviso, come per intonarsi alle sue infastidite riflessioni.
Sentì un’esplosione di magia nel salottino poco distante dove la sua alleanza con l’Oscura aveva rischiato di concludersi nel sangue, poi tutto si spense.
Chiuse gli occhi.
Sawhanna se n’era andata.

Il giorno successivo sorse sotto i migliori auspici per il trio che, con una determinazione molto simile all’imprudenza, si preparava ad affrontare la più pericolosa delle missioni.
Nonostante le lunghe ore di viaggio, Rafi e Kilik erano andati più d’accordo del previsto, limitandosi a qualche commento sarcastico con cui si dimostravano la reciproca ostilità, ma senza alcun desiderio di scontrarsi seriamente; era come se la presenza di Sky avesse creato una sorta di equilibrio tra loro, ed il suo incrollabile buonumore riuscisse a mantenere la parvenza di una fragile alleanza.
Quella mattina avevano fatto una piccola sosta in un’isolata fattoria a qualche lega della città, proprietà di un contadino dall’aria poco raccomandabile, e ne avevano approfittato per comprare tre cavalli.
Era stato Kilik ad occuparsene sotto lo sguardo stupito della spadaccina, che lo aveva visto pagare il prezzo fin troppo elevato richiesto dall’uomo senza nemmeno provare a contrattare.
- Non pensavo fossi tanto ricco.
- E chi ti dice che le monete fossero reali? - aveva mormorato l’Etereo, strizzando l’occhio.
Perfino Rafi aveva abbozzato un sorriso, un’impercettibile curvatura delle labbra che, senza il solito taglio crudele, pareva quasi un’estranea nel suo volto da assassina.
Con i cavalli ci era voluta solamente mezz’ora per arrivare a Darconn e, una volta trovata una locanda dove passare la notte, si erano dedicati alla ricerca del contatto che Alista aveva fornito loro.
Come per un perverso capriccio del fato, l’uomo viveva nello stesso palazzo in cui avrebbero dovuto riuscire ad infiltrarsi e la ragazza più vecchia aveva deciso che sarebbe andata lei sola a parlargli, in modo da ridurre al minimo il rischio di essere scoperti.
C’era voluto parecchio tempo, oltre ad una cospicua dose di diplomazia da parte di Sky, per convincere Kilik a fidarsi della compagna, ma alla fine anche lui si era dovuto rassegnare all’evidenza: Rafi era l’unica che potesse avvicinarsi discretamente al castello, impersonando una mercenaria al servizio di Ghedan o in cerca di lavoro, così adesso il mago e la spadaccina sedevano assieme nella locanda, in una delle camere affittate per la notte, in attesa del suo ritorno.
Nervoso per quell’inattività forzata, l’Etereo si stese sul letto, incrociando le braccia dietro la testa con un’espressione imbronciata.
A causa delle sue origini, perfettamente riconoscibili nell’intenso viola che colorava l’iride, sapeva di doversi mostrare in pubblico il meno possibile, in modo da non dare nell’occhio, tuttavia la preoccupazione di aver lasciato ogni cosa nelle mani dell’assassina si faceva di secondo in secondo più insopportabile senza nessun altro pensiero a tenergli la mente occupata.
Si volse verso la giovane spadaccina, che pareva attendere un suo congedo per lasciarlo al suo forzato isolamento.
- Non è necessario che resti qui, immagino che desidererai visitare la città. - le disse con gentilezza, nonostante l’idea di rimanere recluso in quella stanza da solo gli sembrasse una situazione insostenibile.
Sky scosse la testa.
- Mi fa piacere stare in tua compagnia. Sempre se non ti disturbo, naturalmente.
Kilik le lanciò un’occhiata colma di gratitudine, contento di averla come alleata.
- Certo che no!
Si mise a sedere, facendole spazio in modo che si accomodasse al suo fianco.
Cominciarono a parlare con la scioltezza e la tranquillità di due vecchi amici, ed il giovane si sorprese di quanto facilmente fosse germogliata nel suo cuore una simpatia per quella ragazza appartenente ad una stirpe che odiava, e tuttavia in grado di metterlo di buon umore con un semplice sorriso.
- Devo ammettere che non ti facevo tanto abile con la spada. - commentò ad un certo punto, ammirato - Chi è stato il tuo insegnante?
- Ne ho avuti diversi, ma perlopiù ho dovuto imparare da sola. Mia madre non approvava questa mia passione. - rispose la ragazza.
- Temeva che facessi qualcosa di avventato? Come aggregarti ad un Etereo e ad un’assassina per cercare di uccidere gli Oscuri? - domandò Kilik, incurvando gli angoli della bocca in un’espressione di delicata ironia.
Sky rise.
- E’ una buona ipotesi, ma purtroppo hai sbagliato. Mio padre ci abbandonò entrambe più di dieci anni fa per seguire la strada dello spadaccino errante e da allora mia madre ha cominciato a odiare ogni cosa relativa alla scherma. - rispose in tono leggero, senza alcuna traccia di rancore.
L’espressione allegra dell’Etereo si spense all’improvviso, sostituita da uno sguardo di dispiacere ed imbarazzo.
- Mi dispiace.
- A me non più. In un certo senso posso capirlo, però…mi piacerebbe sapere se è ancora vivo. - mormorò la ragazza, con un velo di tristezza.
Kilik le poggiò una mano sulla spalla.
- Se è ancora vivo credo che lo incontreremo presto. In fondo, vista la nostra missione, non passeremo certo inosservati. Vedrai che sarà lui stesso a trovarti.
- Allora ci dovremo sbrigare a sconfiggere gli Oscuri, voglio che sia fiero di me.
- Lo sarà di certo, visto il tuo coraggio. Come riesci a parlare dei futuri scontri senza dimostrare alcuna paura? Stiamo per affrontare i più pericolosi esseri viventi che camminano su Sylune.
- Ma io ho paura. - replicò Sky.
Abbassò il capo, stringendo con la mano sinistra la coperta del letto su cui entrambi erano seduti.
- Ad Huan ho davvero creduto di morire. E’ stata una sensazione terribile, un soffocante oblio senza fine che cerca di inghiottirti e farti scomparire, però adesso almeno conosco ciò a cui potrei andare incontro, e l’eventualità di rimanere in un villaggio, limitandomi a vivere senza fare nulla per fermare gli Oscuri, mi spaventa molto di più. - sollevò la testa, ricercando con i propri occhi limpidi lo sguardo del compagno - Tu hai paura?
Il volto dell’Etereo s incupì.
- Non temo la morte, sono cinque anni che convivo in compagnia della sua ombra. E’ il pensiero di essere catturato, di divenire una loro cavia, che mi tormenta giorno dopo giorno.
La mano della spadaccina cercò la sua.
- Ma questo non succederà, saremo noi a vincere questa lotta.
- Invidio il tuo ottimismo. - mormorò Kilik, senza rifiutare il leggero contatto con le dita della compagna.
- Per perseguire lo scopo che ti sei prefissato devi lottare fino allo stremo. E se credi di non poterlo raggiungere, non riuscirai mai a trovare la forza e la convinzione sufficienti per farlo.
Il mago scosse la testa, passandosi poi una mano tra i corti capelli neri.
- Mi sento davvero un codardo a fami rassicurare da una ragazza che ha otto anni in meno di me.
- Allora al prossimo Oscuro ti darò l’occasione di ricambiare.
Le labbra dell’Etereo si incurvarono leggermente.
- Affare fatto.
- Purché io sopravviva allo scontro con Ghedan. - mormorò dopo qualche secondo.
- Kilik, - lo chiamò la spadaccina, con una voce stranamente minacciosa - se ti sento dire nuovamente una frase simile conoscerai il mio lato violento.
Lui sorrise.
- D’accordo.
- E ti avverto, il mio vecchio maestro diceva sempre che quando mi arrabbiavo ero terribile. - continuò ad ammonirlo Sky con un sorriso, mentre l’Etereo, ricordando lo scontro a cui aveva assistito, si trovava a concordare con lui, riflettendo sul fatto che quel commento, accolto dalla ragazza con un’accezione scherzosa, avrebbe anche potuto essere serio.
- E pensare che sembri quasi una ragazza indifesa! - esclamò, sollevato di vederla nuovamente allegra dopo la breve malinconia con cui aveva parlato del padre e di Huan - Sai, per un attimo nello scontro di ieri ho temuto seriamente per la tua vita.
Sky spalancò gli occhi, sorpresa.
- Perché Rafi avrebbe dovuto uccidermi?
- Da una persona senza scrupoli come lei mi aspetterei di tutto, a volte mi pare crudele quasi quanto gli Oscuri che stiamo andando ad attaccare. Non mi stupirei che non avesse alcun sentimento. - rispose, guardando l’amica come in attesa di una conferma alle sue parole.
- Io penso che sia una persona che ha sofferto molto. - disse invece la spadaccina, dopo qualche attimo di riflessione. Non riusciva a tradurlo in parole, ma qualcosa, nell’atteggiamento schivo e distaccato di Rafi, le aveva ricordato i primi tempi con Viridian, la sua riluttanza a mostrare le proprie emozioni ed il tentativo di isolarsi dal mondo esterno, rinchiudendosi in se stessa; tuttavia, mentre per l’ Eterea lo scudo di indifferenza dietro cui si era rifugiata era stato solo un fragile schermo, in Rafi pareva aver raggiunto lo spessore di una corazza, un nero manto d’acciaio che lasciava trapelare solo disprezzo ed una vena di crudeltà quasi inquietante.
L’espressione del giovane uomo si indurì.
- Secondo me è solamente un’assassina che meriterebbe di morire.
Sky si rabbuiò all’improvviso.
- Non dovresti pensare una cosa simile di una tua alleata.
- Mi sembra di averne il diritto, non credi? Nel caso tu non te ne fossi accorta, Rafi mi odia. - replicò Kilik, con un rancore mai dimenticato.
Sentendo che la rabbia per quei momenti gli ardeva nel petto con forza immutata, cominciò a raccontarle dei loro scontri verbali, del momento in cui lei l’aveva quasi ucciso e dell’agghiacciante rivelazione riguardo il suo obiettivo finale.
Sky lo ascoltava in silenzio e con lo sguardo serio. Anche senza questa conferma, in quei giorni si era accorta dell’ostilità tra i due compagni e di come Rafi, pur rispondendo freddamente ad ogni suo tentativo di far conversazione, non manifestasse nei suoi confronti alcuna traccia di quel sottile disprezzo con cui invece si rivolgeva all’Etereo; tuttavia non si aspettava un simile odio da parte della guerriera bionda.
- Non è che cercherete di uccidervi quando ci troveremo al cospetto di Ghedan? - chiese, mordicchiandosi un labbro, preoccupata per ciò che era venuta a sapere.
Kilik fece un sorrisetto sarcastico.
- Non sono tanto stupido. E credo nemmeno lei.
Come se fosse stata evocata dai loro discorsi, la guerriera aprì silenziosamente la porta ed entrò nella stanza.
- L’hai incontrato? - domandò subito l’Etereo, ansioso di sapere se la sua sortita nei pressi del palazzo dell’Oscuro avesse avuto buon esito.
Per tutta risposta Rafi tirò fuori un foglio più volte ripiegato in cui era disegnata la rozza mappa di un castello, il più prezioso tra gli aiuti che l’amico di Alista potesse offrire loro.
I due ragazzi la studiarono in silenzio per qualche secondo, cercando di imprimersi nella memoria ogni dettaglio di quello schizzo, poi l’assassina riassunse nuovamente il piano che avevano elaborato quella mattina.
- Se volete tirarvi indietro, questo è il momento. - disse, una volta concluso quel breve riepilogo.
- Te lo puoi scordare! - replicò l’Etereo, mentre dalle labbra di Sky usciva la stessa veemente risposta.
- Io verrò fino in fondo.
Per un attimo Rafi rimase a fissare gli occhi limpidi e determinati della spadaccina, ed un’ombra scese sul suo sguardo; poi i suoi lineamenti tornarono impassibili e piegò le labbra nel solito, gelido sorriso.
- Dubito che potremo sopravvivere tutti allo scontro con Ghedan, ma se anche riuscissimo a portarlo con noi all’inferno avremo fatto un grande favore all’intera Sylune. Quindi cerchiamo almeno di non farci uccidere invano.
- E' la prima volta che ti sento esprimere un pensiero tanto altruista. - sogghignò Kilik.
L'approssimarsi del pericolo aveva permesso ad una fragile atmosfera di cameratismo di instaurarsi fra i tre ragazzi e perfino le violente schermaglie verbali in cui Rafi e l’Etereo continuavano a scontrarsi parevano meno aggressive del solito, come se entrambi, pur senza aver accantonato la reciproca ostilità, si sforzassero di non oltrepassare quel limite che li avrebbe portati ad una rottura definitiva od al fallimento della missione.
- Non ti ci abituare. - commentò lei, in tono asciutto, stranamente senza aggiungere alcuna provocazione.
- Non c’è pericolo.
Sky li guardò senza intervenire, in parte sollevata dal tono più ironico che provocatorio con cui si rispondevano, chiedendosi tuttavia se la loro precaria tregua avrebbe retto fino allo scontro con l’Oscuro. Improvvisamente scoppiò a ridere, un suono argentino e squillante, in totale contrasto con l’opprimente atmosfera che pervadeva la vigilia di una sanguinosa battaglia
- Che cosa c’è? - sbottò Rafi.
Per nulla spaventata dall’occhiata di fuoco che la compagna le aveva lanciato, la ragazza più giovane continuò a sorridere.
- Ma ci pensate? Un’umana che odia gli Eterei, un Etereo che odia gli umani ed una spadaccina a metà. Siamo proprio il trio adatto per fare gli eroi. - fece una pausa - Eppure io mi sento ottimista.
Kilik le mise una mano sulla spalla, grato di quelle poche parole infuse di speranza con cui una volta di più gli stava restituendo la determinazione. I suoi occhi viola si rischiararono, mentre le sue labbra si incurvavano in un sorriso dove non c’era traccia alcuna di incertezza.
- Hai ragione. Io credo davvero che ce la possiamo fare.
- Sai una cosa, Etereo? - intervenne Rafi - Per la prima volta sono d’accordo con te.
Si guardarono negli occhi e tra loro passò un muto assenso, come un rapido cenno d’intesa: nessuno dei due aveva intenzione di cessare le ostilità con cui dimostravano il reciproco disprezzo, ma contro quel nemico comune sarebbero stati alleati.
- Vi consiglio di spendere bene il vostro tempo, potrebbe essere l’ultima occasione che vi rimane. - commentò l’assassina, alzandosi in piedi.
Il ragazzo contrasse le labbra in una smorfia.
- Sei sempre così simpatica e incoraggiante? - chiese, con un’ironia quasi scherzosa.
Lo sguardo di Rafi divenne di ghiaccio.
- Ti stavo solo dando un suggerimento, visto che domani potresti incontrare lo stesso destino di tuo fratello.
L’Etereo impallidì all’improvviso, come se quelle parole lo avessero colpito al cuore, infliggendogli una ferita mortale; poi l’odio lo sommerse, in un’ondata tanto intensa da togliergli il respiro, e dovette stringere i pugni per non aggredire la compagna.
- Tu non sei migliore degli Oscuri che uccideremo. - ringhiò con disprezzo - Non mi sorprende che tu sia completamente sola.
Comprese subito di aver oltrepassato la linea sottilissima che, nella mente di Rafi, separava l’alleato del nemico, questa consapevolezza gli attraversò i pensieri prima ancora di vederla stringere spasmodicamente i pugni come se volesse piantarsi le unghie nella carne, tuttavia non gli importava; il dolore per il fratello scomparso non l’aveva mai abbandonato ed una provocazione tanto crudele ed inaspettata, rivoltagli proprio quando aveva cominciato ad apprezzare quella tregua momentanea, lo aveva colpito troppo in profondità per ignorarla in nome di quella missione che li costringeva ad essere alleati.
Mentre Sky li guardava spaventata, incapace di reagire a quella lite imprevista che stava per sfociare in un vero e proprio scontro, Kilik mise la mano sotto il mantello ed afferrò i pugnali, pronto alla lotta.
Inaspettatamente Rafi si diresse verso la porta senza rispondere, gli occhi gelidi fissi davanti a sé e la mascella contratta in maniera quasi dolorosa.
- Cerca di non farti sconfiggere da quell’Oscuro, non tollererei mai che una mia preda venisse uccisa da una mano diversa dalla mia. - sibilò, passandogli a fianco.
- Lo stesso vale per te umana, - replicò lui, mentre un’ombra scura emergeva dalle sue iridi viola - ma forse non hai capito che io sono il predatore.

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Capitolo 18
*** Capitolo 17: Il tormento dei demoni ***







-Capitolo 17: Il tormento dei demoni-

Devil spronò per l’ennesima volta il suo destriero, incurante dell’evidente fatica con cui l’animale stava proseguendo la sua corsa. I corti capelli biondi, orfani dell’elmo nero che aveva legato alla sella, venivano flagellati del vento ed i suoi occhi di ghiaccio socchiusi in un’espressione infastidita fissavano lo sfocato panorama circostante senza realmente vederlo.
Due giorni prima si era risvegliato all’alba, contemplando con una smorfia la giovane donna che gli dormiva a fianco.
Quel corpo nudo di fanciulla aderente al suo torace non era riuscito a trattenerlo, perfino i capelli simili ad una cascata di oro rosso che tanto lo avevano attirato la sera prima avevano già perso il loro fascino, soffocati da pensieri ed incarichi ben più pressanti. Del tutto indifferente ai suoi tentativi di risvegliare il proprio interesse, si era vestito senza nemmeno guardarla e, dopo averla congedata più bruscamente del solito, aveva cominciato a viaggiare verso Huan.
Le sue intenzioni di indagare a fondo sulla distruzione di quel villaggio secondo gli ordini ricevuti, tuttavia, erano presto venute a mancare, sconfitte da un opprimente senso di disagio che lo aveva spinto a cambiare direzione e spronare il suo destriero verso l’ignoto.
Quell’incessante cavalcata senza meta, con cui sperava di poter calmare i suoi pensieri, lo aveva portato al confine con il regno di Lotar e tuttavia ancora non era riuscito a soffocare quel fastidioso turbamento dalle sembianze di una ragazza addormentata tranquillamente davanti ai suoi occhi.
Dopo l’ultimo scontro in cui l’aveva minacciata di morte non aveva più fatto visita alla sua prigioniera, stranamente restio a scoprire quale sarebbe stata la sua risposta, e tuttavia incapace di bandirla dai propri pensieri.
Non era l’attrazione per lei a tormentarlo, ma un fantasma del passato che si nascondeva nel suo volto e lo infastidiva con ricordi troppo umani per chi aveva scelto di consacrarsi all’oscurità. Il limpido sguardo con cui lei l’aveva fissato rispecchiava in maniera fin troppo fedele la sua adolescenza, richiamando l’ombra del ragazzo che aveva vissuto nel nome di ideali a cui sarebbe stato pronto a donare la vita ed invece era stato ucciso dall’ambizione e dalla magia. E, anche quando si era dilettato con un’altra donna, quegli occhi azzurri non avevano smesso di tormentarlo, conficcati in un angolo della sua mente come una scheggia appena percettibile eppure fastidiosamente difficile da ignorare.
A volte lo prendeva l’impulso di tornare indietro per scoprire se quella fragile ragazzina avesse davvero il coraggio di scegliere la morte e mantener fede alla sua parola, ma allo stesso tempo c’era sempre qualcosa a bloccarlo e prolungare l’attesa di quell’elettrizzante gioco che gli pareva sempre più difficile da concludere. A dispetto di ogni suo tentativo, rimaneva inesorabile in lui quel pensiero insidioso, un oscuro inquilino della sua mente ripudiato da ogni barlume di razionalità, eppure sempre presente e pronto ad emergere al minimo accenno di debolezza. Il timore che una fragile ragazzina senza magia, una prigioniera incapace di difendersi, una mocciosa dimostrasse un coraggio superiore al suo.
E, nonostante il disgusto di poter anche solo ammettere quell’eventualità, nel più profondo baratro del suo animo sapeva con assoluta certezza di non poter sopportare che Kysa compisse quella scelta a cui lui aveva rinunciato, preferendo la morte alla resa.
Un’improvvisa esplosione di energia penetrò tra i suoi pensieri, frantumandoli.
Prima ancora di ritrovarne i brandelli e continuare in quella lotta con se stesso, aveva già girato il cavallo, spronandolo verso il luogo da cui era provenuto quell’immenso potere.
Gli ci vollero diversi minuti per arrivare in quella zona ed una volta fermo si stupì di averlo percepito chiaramente, nonostante la distanza.
Scese da cavallo, contemplando la devastazione che lo circondava senza tuttavia rivelare la sorpresa nascosta dietro le sue iridi di ghiaccio. Il suo sguardo impassibile scivolò sui resti degli alberi carbonizzati, un tempo parte di un bosco fitto e rigoglioso, soffermandosi poi sul suolo annerito, da cui si alzavano ancora piccole volute di fumo. Solchi profondi quanto il suo braccio lo attraversavano, tracce di un violento scoppio di collera che aveva lacerato assieme terra e corteccia ed era stato seguito da un silenzio innaturale. Gli alberi che erano scampati al fuoco giacevano in un raggio di parecchi metri, dilaniati da artigliate di magia inferte con una furia cieca e irrazionale, mentre al centro di quello scempio un piccolo cratere dimostrava l’esatto punto da cui era divampata quella distruzione.
Devil aggrottò la fronte, nel tentativo di localizzarne l’autore, e poi lo percepì, un potere che si stava dolcemente spegnendo dietro l’unica parte del bosco rimasta intatta.
Si diresse subito verso di esso, senza nemmeno risalire a cavallo.
Giunto nei pressi di un limpido laghetto si fermò, stupito di vedere una figura femminile vestita di bianco immersa nell’acqua fino alle spalle; dalla sua posizione poteva scorgere solo i capelli corvini, dolcemente accarezzati dalle leggere increspature che turbavano la superficie di quel pacifico bacino.
Come consapevole di quel soldato silenzioso che la stava fissando, la donna si volse, permettendogli di riconoscere le sue fattezze: un viso bellissimo, dai lineamenti scolpiti nel più prezioso dei marmi e dalle labbra perfette, il cui rosso risaltava in misura ancora maggiore se confrontato con le guance pallide, segnate da gocce d’acqua impossibili da scambiare per lacrime. I capelli neri, bagnati unicamente sulle punte arricciate, scendevano in onde morbide fino alle spalle e nascondevano il collo esile e proporzionato. Grazie al perlaceo candore della sua pelle e la delicata armonia dei suoi tratti, pareva la scultura di una divinità che avesse voluto rappresentare le sembianze stesse della bellezza, tuttavia quella maschera di perfezione si infrangeva nel turbamento che trapelava dal suo volto.
Gli occhi di Devil si intrecciarono con le bianche pupille della donna e nella sua mente balenò improvvisa la spiegazione per quel potere quasi incalcolabile percepito poco prima.
- L’umano di Daygon. - commentò l’Oscura con un velo di disprezzo, mentre i suoi lineamenti si ricomponevano in un’espressione imperturbabile - Cosa ci fai tanto distante dal tuo padrone?
- Potrei chiederti la stessa cosa, Sawhanna. Se non sbaglio, queste terre appartengono a Lotar.
Rimasero a scrutarsi in silenzio, esitanti nel riconoscersi come amici od avversari, in quella prima volta che i loro cammini si incrociavano senza la presenza del più forte tra i Cinque Re.
Fu la voce dura di Devil a spezzare quei brevi secondi di studio reciproco.
- Immagino che la devastazione di quel boschetto sia opera tua. Cosa può essere successo per aver incollerito a tal punto l’unica regina di Sylune?
Lentamente Sawhanna uscì dal lago con passo aggraziato, accarezzando l’acqua anziché fenderla, senza sollevare la minima increspatura mentre centimetro dopo centimetro rivelava le sue sembianze. Un vestito leggero, sottile e tanto impalpabile da sembrare intessuto nelle nuvole le fasciava il corpo, lasciando intravedere la gambe nude ancora gocciolanti e la curvatura del seno.
- E’ un peccato che tu non sia arrivato prima, in tal caso avrei evitato queste tue fastidiose domande e gli alberi sarebbero ancora al loro posto. - replicò con un sorriso, fermandosi ad un paio di metri dal generale.
Si fronteggiarono in silenzio, nonostante l’uomo la superasse di tutta la testa, quel confronto non scalfiva in minima parte l’impressione di potere che la maga incuteva a qualunque umano avesse la sventura di incrociare il suo cammino; entrambi temuti dall’intera Sylune, questi due membri dell’impero rappresentavano il ghiaccio ed il fuoco della stessa oscurità.
Sawhanna fece un altro passo verso di lui e Devil si sforzò di rimanere impassibile, suo malgrado perfettamente conscio delle forme perfette che tendevano l’abito bianco, reso trasparente dal contatto con l’acqua, e del calore stranamente intenso irradiato dal suo corpo, per la prima volta così vicino al proprio.
- Io non sarei rimasto immobile a subire i colpi, li avrei rispediti al mittente. - commentò infine, con la voce indurita dall’irritazione per essersi riscoperto velatamente attratto da quella pericolosa avversaria.
Il sorriso della donna assunse una sfumatura ironica.
- Non riusciresti nemmeno a sfiorarmi contro la mia volontà.
Senza abbassare gli occhi accarezzò il vestito fradicio con la mano sinistra, partendo dalla spalla fino al fianco, e subito la stoffa si contorse sotto il suo tocco, asciugandosi e cambiando repentinamente sembianze come il mare improvvisamente solcato dall’onda. A ricoprirla adesso era un abito nero che le lasciava le spalle scoperte e scendeva fino alle caviglie, terminando in uno strascico trasparente dello stesso colore.
Devil mantenne alto lo sguardo, concentrandosi sulle bianche pupille della donna; al contrario di quelli di Daygon, gli occhi di Sawhanna erano animati da una fiamma violenta, simile ad un fuoco di vita ed ambizione che si sarebbe spento solo con la vittoria o con la morte, e tuttavia erano pervasi dallo stesso spietato ed inumano riflesso. Lo riconobbe con un’ironica piega delle labbra, indeciso se quella scoperta gli fosse indifferente o avesse un retrogusto amaro.
Questi occhi rappresentavano la scelta che aveva effettuato, ben diversi dalle innocenti iridi della sua prigioniera, in cui, a dispetto di ogni avversità, si ostinava a comparire il bagliore lontano della speranza.
Il pensiero di Kysa lo colse alla sprovvista, facendo vacillare la sua sicurezza e attraversando con un guizzo di sorpresa il suo volto.
L’espressione dell’Oscura si velò di malizia.
- Sei turbato, umano?- lo derise - Il sicario di Daygon ha forse dei rimorsi di coscienza? O è paura questa angoscia che trapela dal tuo volto?
- Nulla di tutto ciò, Sawhanna, io non possiedo tali debolezze. - ribatté il soldato con una certa asprezza, ricomponendo i lineamenti in una maschera impassibile.
Una risata argentina accolse le sue parole.
- Stai mentendo Devil, e ne sei consapevole. Cerchi di occultarle, ma io vedo delle ombre profonde nei tuoi occhi.
- Non possono nascere ombre nello sguardo di chi vive nell’oscurità.
- Questo è vero per i Cinque Re di Sylune, non per te. La debolezza è insita nella natura di voi umani, nessuno escluso, e questo turbamento che trapela dal tuo volto ne è la prova.
Il soldato contrasse le mascelle, accarezzando inconsciamente la spada che portava al fianco sinistro.
- Sei così ansiosa di ribadire la diversità presente tra noi forse perché dentro di te percepisci la stessa debolezza di cui mi accusi? Perdere il controllo e distruggere un bosco intero non mi sembra una grande dimostrazione di imperturbabilità.
- Attento Devil, la mia collera potrebbe non essersi ancora placata. - replicò la donna, con una voce suadente da cui trapelava appena una nota d’irritazione.
- Uccidermi sarebbe un atto di ribellione nei confronti di Daygon. - ripose il soldato, accennando un sorriso carico di minacce - E comunque non te ne darei la possibilità.
Sawhanna contrasse le labbra in una smorfia stizzita.
- I tuoi poteri sono di gran lunga inferiori ai miei.
- Ne sei certa?
- Osi forse sfidare uno degli Oscuri, umano? - minacciò, pronunciando l’ultima parola con tono sprezzante.
- Solo quando Daygon me lo ordinerà. - replicò il soldato, mentre una nota d’avvertimento arricchiva la sua voce - Non credere che sia ignaro delle vostre intenzioni, Sawhanna, lui sa tutto sull’ambizione che vi governa. Finora vi ha lasciato agire a vostro piacimento solamente perché confida nel vostro buon senso.
Se la donna fu sorpresa da questa rivelazione non lo diede a vedere, si limitò a scuotere la testa, facendo ondeggiare leggermente i capelli neri.
- Daygon è uno sciocco a fidarsi di te, verrà il giorno in cui lo colpirai alle spalle.
La risata divertita di Devil esplose attorno a loro in un suono quasi violento, prima di spegnersi in un ghigno di sfida.
- Al contrario di te, Lotar e Ghedan, il potere che già possiedo mi soddisfa. Per quale ragione dovrei scontrarmi con colui che me ne ha fatto dono?
L’Oscura sostenne senza alcuna difficoltà il suo sguardo di ghiaccio.
- La gratitudine non ha alcun significato per quelli come te. - fece una pausa, incurvando le labbra in un sorriso ironico - O come me.
- Non è certo la gratitudine che mi tiene legato al suo fianco.
- Lo immaginavo. E dunque perché dovresti continuare a servire Daygon? Proprio tu, un umano tanto estraneo al concetto di lealtà che spesso la tua razza va predicando.
- Cosa intendi dire?
Sawhanna colse il brusco cambiamento della sua voce con un luccichio sinistro nelle iridi di tenebra.
- Conosco la tua storia, Mizar di Hoken. - fece una pausa, assaporando fino all’ultima stilla il veleno che trapelava dalle sue parole e adesso era penetrato nel volto impassibile del soldato, provocandogli uno spasmo quasi simile ad un sussulto di dolore - L’uomo che ha tradito la sua stessa città per il potere. Per quale ragione dovresti farti degli scrupoli a tradire un Oscuro?
A quelle parole di fiele i lineamenti di Devil si contrassero in preda ad una collera profonda. Fu un attimo, prima che l’espressione glaciale con cui solitamente guardava alleati e nemici riprendesse il dominio sul suo volto
- Perché non ho alcun motivo che mi spinge a mettermi contro di lui. - fece una pausa, ritrovando la sicurezza ed il sorriso ironico che per un solo secondo l’avevano abbandonato - Per essere soddisfatti non serve avere un predominio assoluto, ma voi non riuscite a comprenderlo, desiderate primeggiare ad ogni costo, pronti a mettere in gioco la vita anche quando non è necessario.
Sorrise quando vide lo sguardo della donna vacillare come in preda al dubbio.
- Ed è questo il motivo per cui tu, Lotar e Ghedan verrete distrutti. - concluse con un ghigno, lasciando che il silenzio scendesse a confermare le sue parole.
Si irrigidì impercettibilmente, in attesa di un attacco improvviso, e vide chiaramente le bianche pupille della donna illuminarsi di una collera a stento trattenuta, tuttavia lei gli sorrise.
- Porgi i miei saluti al tuo padrone. - disse, mentre gli si avvicinava col chiaro intento di congedarsi da lui.
Quando lo affiancò, si fermò un attimo solo, il tempo necessario per accostare le sue labbra all’orecchio del soldato.
- Ed al nostro prossimo incontro impara a frenare la lingua. - mormorò, prima di superarlo e svanire nel vento.
Mizar cadde in ginocchio, tenendosi con un braccio l’addome dove la magia della donna, un lampo tanto rapido da averlo colto di sorpresa, aveva lasciato la sua impronta. Rimase qualche secondo accasciato su se stesso, ad ansimare per il dolore senza concedersi alcuno sfogo, mentre il sangue gli imbrattava la mano stretta alla ferita donandogli una sensazione di cui aveva quasi perso il ricordo.
Erano passati degli anni da quando qualcuno si era dimostrato capace di ferirlo.
Lentamente sollevò il volto, lasciando che il sole illuminasse il suo sorriso sarcastico.
- La tua fama è meritata, regina di Sylune. - mormorò mentre si alzava cautamente in piedi - Ma quando combatteremo sul serio non ti sarà tanto facile colpirmi.
Dopo essersi curato quel poco che bastava per arrestare la perdita di sangue, tornò dove aveva lasciato il cavallo e gli salì in groppa senza un gemito, nonostante l’addome presentasse ancora il bruciante segno della magia.
Con decisione indossò l’elmo nero che solitamente riservava alle battaglie e spronò l’animale alla massima velocità, dirigendosi verso il castello di Daygon.
Questa volta nessun turbamento l’avrebbe fermato, nessuna esitazione sarebbe riuscita a penetrare la sua mente, segnata dalla gelida derisione di quell’Oscura.
Il gioco era finito.

Rafi stava camminando ai confini di Darconn, la mano destra appoggiata all’elsa della sua spada e lo sguardo duro.
Troppo a lungo aveva vissuto in solitudine, dimenticando cosa significasse viaggiare con qualcuno, e l’incontro con Sky, eco inconsapevole del suo passato, aveva già cominciato ad erodere il suo isolamento. A causa sua perfino l’Etereo pareva essersi dimenticato dell’ostilità presente tra loro, iniziando a trattarla come una compagna anziché una nemica, e lei questo non poteva accettarlo.
L’aveva provocato di proposito, percependo quell’atmosfera di pace presente tra loro che avrebbe potuto intralciare i suoi piani, senza crederlo capace di una risposta tanto pericolosa. Nonostante tutti gli insulti ed i litigi dei giorni passati, era la prima volta che l’Etereo riusciva ad infrangere il suo autocontrollo.
Strinse i pugni.
Sapeva con agghiacciante certezza che se fosse rimasta in quella stanza l’avrebbe ucciso a mani nude, e questo, per una semplice questione d’orgoglio, non se lo poteva permettere. Aveva calcolato fin dall’inizio l’assassinio del suo compagno, assieme a tutta la stirpe a cui lui apparteneva, tuttavia non avrebbe potuto tollerare di ucciderlo in preda alla rabbia, dimostrando in tal modo la propria sconfitta dinanzi alle emozioni.
In quegli ultimi anni, trascorsi in una soffocante spirale di odio e angoscia, i giorni erano passati lenti, con una ripetitività tale da aver preso le sembianze di un eterno limbo di dannazione, e solo grazie al rancore che ardeva senza sosta dentro di lei era riuscita a sopravvivere. Si era impegnata con ogni mezzo per divenire un’assassina priva di identità e passato, indifferente ad ogni cosa, in modo da sconfiggere quella paura gelida e strisciante che si insinuava in ogni suo pensiero, avvelenando anche i rari momenti in cui la pace le graziava la mente con il suo tocco.
Soffocare ogni singola emozione era stato facile, nella solitudine che aveva imparato a ricercare come il tesoro più prezioso i sentimenti tipici di una giovane donna avevano assunto le effimere sembianze di sbiaditi fantasmi, pallide imitazioni di un’umanità che si era costretta a rinnegare per una pura questione di sopravvivenza; solo la rabbia bruciante che talvolta la investiva, mettendo a dura prova l’indifferenza con cui affrontava la vita, riusciva a beffare il suo autocontrollo, ma era un ben misero prezzo per mantenere ardente il fuoco di una vendetta che avrebbe perseguito ad ogni costo.
Strinse l’elsa della spada con entrambe la mani, socchiudendo gli occhi verdi nell’espressione gelida che caratterizzava la sua natura da assassina, e si apprestò ad un solitario combattimento con i suoi incubi.
Vibrò un primo affondo, sfiorando appena la foglia dell’albero più vicino, le dita aderenti all’impugnatura nell’esatta posizione che le aveva insegnato il suo maestro. Un secondo attacco lo seguì, più violento e deciso del precedente, poi un terzo. Cercò di concentrarsi sul sibilo della sua lama che lacerava il vento, ma le parole di quell’Etereo si sovrapponevano al rumore di quelle stoccate rabbiose, scavando nella sua mente più implacabili di un nemico, nel tentativo di trovare una crepa nelle sue difese. Infine la raggiunsero, quella scintilla occultata tra strati di rancore ed indifferenza, in cui ancora pulsavano deboli delle emozioni.
Come se fosse aperta una breccia nelle sue difese, le immagini del suo passato cominciarono a fluire tra i suoi pensieri annebbiando ogni altra sensazione, incessanti ed abbastanza crudeli da farle contrarre il volto in un’espressione di sofferenza.
Dopo mesi interi in cui era riuscita a sopprimere ogni ricordo di quegli anni, quella semplice frase di Kilik era riuscita a riportare a galla ogni cosa.
Si ritrovò a vivere il momento in cui aveva deciso di lottare a fianco di quei combattenti che tanto ammirava, consacrandosi anima e corpo ad una giustizia di cui non era mai riuscita a scoprire le sembianze.
All’epoca aveva appena compiuto vent’anni e non si era mai sentita più felice.
Aveva accettato il lieve dolore al petto con un sorriso d’orgoglio, mentre millimetro per millimetro gli ideali e la speranza in cui credeva si incidevano sulla sua pelle, senza nemmeno guardare in volto il fiero guerriero di fronte a lei, che rappresentava assieme il giudice ed il testimone del suo giuramento.
Non ricordava il suo nome, ma le parole con cui le si era rivolto quella prima ed ultima volta echeggiavano ancora nella sua testa.
- Adesso sei una di noi. Impegnati con la vita a salvare Sylune.
A quell’inesorabile frase si era morsa un labbro, conscia delle responsabilità che aveva appena accettato e tuttavia determinata a seguire fino in fondo quel cammino. Anche senza voltarsi era sempre rimasta consapevole di una figura nascosta nell’ombra, che aveva osservato tutta la scena con un lieve sorriso sulle labbra.
Poi era giunta la sua risposta, due parole tanto insignificanti in confronto alla promessa che implicavano.
- Lo farò.
La spada sibilò nuovamente nell’aria, abbattendo un nemico immaginario nella speranza di mettere a tacere gli echi del passato, ma quella porta dentro di lei ormai era aperta, e attraverso essa continuavano a tormentarla i volti di una vita che aveva deciso di dimenticare. Piano piano quelle ombre cominciarono ad assumere le fisionomie di soldati duri ed orgogliosi, di sguardi remoti, appartenenti a chi troppe volte si è macchiato le mani di sangue ma che continua a credere nella speranza, di fuggevoli sorrisi scambiati accanto ad una morte sempre incombente.
Rivide Erian, l’invincibile guerriera alta quanto un uomo, il capo del piccolo gruppo di combattenti a cui era stata assegnata, poi il gigantesco mercenario senza nome, da anni al suo fianco come un muto angelo protettore, ed infine Locket, il biondo ragazzo sfrontato che durante la vigilia di quella sua prima missione si era divertito a schernirla, subito redarguito dalla donna.
- Non dirmi che sei spaventata, mocciosa! Perché diavolo ti sei unita a noi se poi non hai abbastanza coraggio per morire?
- Lasciala stare, Locket, è normale aver paura la prima volta. Rafi, hai ricevuto un ottimo addestramento, non devi preoccuparti.

Chiuse gli occhi.
Come se gli ultimi quattro anni si fossero cancellati in un battito d’ali, si ritrovò in una stanza scura, in piedi di fronte a quei tre guerrieri che la attendevano per cominciare la missione.
Nuovamente sentì quel ridicolo groppo in gola che la tormentava da quando si era resa conto di poter davvero perdere la vita, la gelida consapevolezza della precarietà della propria esistenza ed infine la pacca sulle spalle che Locket le aveva dato appena prima della battaglia, una via di mezzo tra la presa in giro e l’incoraggiamento.
- Mocciosa, guarda che noi saremo al tuo fianco, non sarai sola.
La spada nelle sue mani divenne un lampo grigio di distruzione, immaginari nemici cadevano a pezzi davanti a lei, mentre i suoi occhi guizzavano verso ogni lato, nel tentativo di trovare un avversario in carne ed ossa per poter annegare nel sangue le rinate emozioni da cui si sentiva lacerata, ed utilizzare le sue grida d’agonia per coprire le voci di quel passato che avrebbe desiderato poter dimenticare per sempre.
Con tutta la sua forza vibrò un fendente contro l’albero più vicino, accompagnando il violento impatto con un urlo roco da animale ferito, un suono pervaso da un dolore che lacerava l’anima, incessante e tanto violento da non poter essere lenito con il pianto.
- Io non sono sola!
Si accasciò su se stessa, la mano ancora stretta alla spada conficcata nel tronco dell’albero fino a metà lama, mentre l’espressione le tornava di ghiaccio.
- Io non sono mai sola.

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Capitolo 19
*** Capitolo 18: La notte prima della battaglia ***







-Capitolo 18: La notte prima della battaglia-

Kilik bussò un paio di volte alla porta più vicina alla sua camera.
Dopo il terribile momento in cui era sembrato che l’alleanza con Rafi dovesse concludersi con uno scontro all’ultimo sangue, aveva gentilmente chiesto a Sky di andarsene, in modo da poter smaltire la rabbia ed il dolore nella solitudine, cenando senza appetito in un silenzio carico di rancore.
Adesso, tuttavia, sapeva di dover dimenticare le emozioni ed impegnarsi per affrontare al meglio il suo compito.
La porta si aprì quasi subito, lasciando intravedere il volto allegro ed i capelli un po’ scompigliati della spadaccina.
- Ciao Kilik.
- Ciao. Posso entrare?
- Certo.
Il ragazzo fece il suo ingresso nella stanza con passo esitante.
Ci aveva pensato a lungo in quei due giorni, temendo di regalare false speranze alla compagna, e tuttavia sapeva di non poter più tergiversare, ora che la battaglia contro Ghedan era imminente.
- Mi lasceresti vedere la tua ferita? - domandò, chiudendosi la porta dietro di sé.
Sky esitò solo un istante prima di annuire e scoprirsi il braccio destro.
Si morse un labbro quando le mani gentili dell’Etereo, prive tuttavia di quella delicatezza propria dei guaritori, sfiorarono il brutto squarcio che lo deturpava, analizzandone ogni centimetro nel tentativo di comprendere quali fossero i danni causati da quella ferita. Nonostante la propria risoluzione, la spadaccina non poté trattenere un gemito quando la pressione delle sue dita si fece più intensa ed una fitta improvvisa di dolore si propagò lungo tutto l’arto fino alla spalla.
Con un sorriso di scusa il ragazzo terminò il controllo.
- Sembra che si stia cicatrizzando bene, come mai non riesci ad usarlo?
- Alista mi ha detto che i muscoli ed i nervi sono danneggiati in profondità.
Kilik annuì, come se si fosse aspettato una simile risposta.
- Stai ferma. - le disse poi, mentre ancora tornava ad afferrarle il braccio e si sedeva sul letto, spingendola a far altrettanto.
- Che cosa vuoi fare?
L’Etereo interruppe un attimo il suo studio per fissare la giovane negli occhi, quasi sorpreso di leggere nel suo sguardo un’intensa paura.
- Fidati di me. - le sorrise, rassicurante - Forse la mia magia potrà proseguire dove le conoscenze di Alista si sono fermate.
Sky lo ricambiò con una smorfia stentata, tuttavia fece un cenno d’assenso, lasciando che le mani di Kilik si posassero su di lei.
Subito sentì un leggero formicolio espandersi sulla sua pelle come un soffio delicato di calore e poi divenire più intenso man mano che quella luce azzurrina penetrava nel suo braccio, accarezzando la carne martoriata ed i muscoli che si rifiutavano di obbedire ai suoi comandi senza causare alcun disagio. Con sguardo più incuriosito che preoccupato vide il bagliore della magia avvolgere il suo arto ferito, divenire per qualche attimo una seconda pelle che palpitava al ritmo del suo respiro, poi quella luce pulsante scomparve ed il calore dentro di lei si spense a poco a poco.
- Che cosa mi hai fatto? - chiese, incrociando gli occhi viola dell’amico.
- Ti ho sistemato il braccio. - rispose Kilik con semplicità, per poi aggiungere un’ulteriore spiegazione di fronte al suo sguardo interdetto - Non sono molto dotato come Etereo, ma la magia di guarigione è l’unica che mi riesce bene. Non è necessario possedere un grande potere per curare i tessuti muscolari o i nervi, serve solo un grande controllo sulla propria energia, e quello fortunatamente non mi manca; a meno di non dover ripristinare il sangue o ricostruire organi danneggiati, sono in grado di rimarginare quasi qualunque ferita.
Sky chinò la testa.
Nonostante avesse accettato ormai da giorni la sua menomazione e sapesse di non doversi illudere, il suo cuore ebbe un battito più doloroso dei precedenti quando i suoi occhi incontrarono l’impietoso squarcio ancora presente sulla sua pelle.
Non era cambiato niente.
Con cautela, senza nemmeno tenere lo sguardo fisso sulla cicatrice, provò a flettere il braccio, scacciando il lieve senso d’intorpidimento che l’aveva colta subito dopo il contatto con la magia, quindi si alzò in piedi, lasciandolo ciondolare inerte contro il fianco come aveva fatto in quei giorni.
- Non provi a vedere se ha funzionato? - le chiese l’Etereo, incoraggiante.
La ragazza annuì, senza riuscire a parlare per il nervosismo che le serrava la gola in una morsa insopportabile.
Nonostante il suo muto assenso, avrebbe preferito essere da sola nel momento in cui si sarebbe infranta anche l’ultima sua speranza.
Con uno strano magone allo stomaco, generato più dalla paura di deludere Kilik che se stessa, si diresse dove teneva le due spade, scegliendo quella più usurata dal tempo e dai combattimenti, l’arma utilizzata dalla sua mano destra. Afferrò l’elsa con cautela, in attesa del dolore, perché nel suo intimo era sicura del suo arrivo e già il suo corpo si era irrigidito, preparandosi ad accoglierlo con forzata indifferenza.
Non sentì nulla.
Come sospesa in una dimensione priva di tempo ed emozioni, rimase immobile, congelata dalla paura di un cambiamento quando ormai era riuscita ad accettare la propria situazione.
Finalmente osò guardare il suo braccio, nel tentativo di raccogliere il coraggio che le serviva per compiere quell’ulteriore passo nell’impervio cammino della speranza. Non formulò alcun pensiero razionale mentre, con una lentezza esasperante, sollevava la spada, perché la sua mente non lo permise; troppe volte aveva assaggiato l’amaro sapore della delusione, sentendo le lacrime ferirle le guance, semplicemente sapeva che, non appena avesse accettato anche solo l’ipotesi di poter essere guarita, quest’illusione le sarebbe stata portata via.
In perfetto silenzio, senza rivolgere a Kilik alcun tipo di attenzione, cominciò a roteare l’arma, lo stesso movimento che a casa di Alista le aveva provocato quelle fitte laceranti e adesso sembrava riuscirle incredibilmente naturale.
Contrasse le dita attorno all’elsa con tale forza da sbiancarsi le nocche, ma ancora il dolore tardava a far la sua comparsa, quasi subdolamente avesse scelto di lasciarla in preda all’incertezza per poi spegnere ogni illusione con un morso più intenso del solito.
Un affondo improvviso nell’aria non ebbe diverso risultato, rendendo il battito del suo cuore un rimbombo continuo e quasi insopportabile. E allora lasciò che la sua mente venisse percorsa dal dubbio, che accettasse anche solo l’eventualità di quell’ipotesi, per quanto remota ed improbabile, mentre con una nuova stoccata sfidava quella pallida speranza, in attesa di trovarci una crepa e mandarla in frantumi per l’ennesima volta e forse per sempre.
La lama fendette l’aria fino ad infrangersi sul pugnale che l’Etereo, comparso inaspettatamente di fronte a lei, le aveva contrapposto.
Sky spalancò gli occhi.
Nonostante il contraccolpo che il suo braccio destro aveva dovuto assorbire, per quanto lo cercasse con un accanimento quasi disperato, non sentiva alcuna traccia di dolore.
Lasciò cadere la spada, toccandosi l’arto come se non lo riconoscesse come proprio.
- Io…sono guarita. - mormorò con voce tremante.
Kilik annuì, sorridendo.
- Non so come ringraziarti. - la voce le si spense all’improvviso, soffocata da un groppo di commozione che, per un attimo, le riempì gli occhi di lacrime.
- Aiutami ad uccidere gli Oscuri e mantieni viva la mia speranza di vittoria. Non ti chiedo altro, perché questo è già abbastanza. - le mormorò l’Etereo, poggiandole una mano sulla spalla.
Sky represse a fatica le sue emozioni, poi uno sguardo stranamente serio, che pareva quasi fuori posto nei suoi lineamenti amichevoli ed infantili, affiorò sul suo volto, svelando la donna dentro la ragazzina.
- Lo avrei fatto in ogni caso, ma ti giuro che da oggi mi impegnerò in misura ancora maggiore per riuscirci.
- Basta che non esageri, o dopo sarò io nuovamente in debito con te. - la ammonì Kilik in tono scherzoso.
- Per quello però non posso farci niente. - continuò poi, indicando dispiaciuto la lunga cicatrice che sfigurava il braccio della spadaccina.
Lei gli sorrise.
- Non te l’avrei chiesto comunque. Non provo alcuna vergogna nel mostrare il ricordo di quando ho lottato per ciò che ritenevo importante.
Un’improvvisa debolezza si fece strada nel corpo dell’Etereo, sostituendo il rispetto che trapelava dai suoi lineamenti con un’espressione esausta e costringendolo a lasciarsi cadere sul letto.
Subito Sky gli si sedette a fianco.
- Cos’hai? - chiese in tono ansioso.
- Sono solo un po’ stanco, non ti preoccupare.
- Non è che guarendomi ti sei indebolito per domani? Voi Eterei non avete poteri illimitati, non… - s’interruppe all’improvviso, come consapevole di aver rivelato troppo, e Kilik le lanciò uno sguardo inquisitore.
- Mi basterà riposare per qualche ora, non mi sono sforzato troppo. - replicò, quindi il suo tono assunse una sfumatura sospettosa - Come mai conosci tante cose sulla mia razza? E perché ci stai accompagnando in questo viaggio? Hai parlato di volerti vendicare, ma in questi giorni ti ho conosciuta meglio e mi sono reso conto che hai mentito. Tu non riusciresti a vivere unicamente per la vendetta, non sei come Rafi.
- O almeno lo spero. - aggiunse con voce stanca.
Una strana amarezza lo colse al pensiero che, forse un volta di più, aveva concesso la sua fiducia a chi lo stava ingannando, eppure i limpidi occhi castani di Sky gli avevano donato un calore e la promessa di un’amicizia a cui non era riuscito a rinunciare.
La ragazza rimase qualche secondo a mordicchiarsi un labbro, incerta su cosa replicare, poi parve prendere una decisione e sollevò lo sguardo.
- Hai ragione, non è solo per vendetta che voglio distruggere gli Oscuri. In tutta sincerità non credo nemmeno che per me sarebbe un motivo sufficiente per rischiare la vita, o abbastanza nobile per spargere sangue di soldati innocenti, ma uno di loro ha catturato un mia amica, ed io la devo salvare.
Kilik le lanciò un’occhiata sorpresa, cominciando finalmente a capire.
- E questa tua amica è un’Eterea, giusto?
- Una dei pochi che hanno passato la barriera, sfuggendo all’Esilio. - confermò Sky, con tono di scusa - Te l’avrei detto appena ci siamo conosciuti, ma non era un segreto mio.
- Capisco. - mormorò il ragazzo, abbassando lo sguardo velato vergogna per i propri sospetti nei confronti di chi, pur sporcandosi le mani di sangue, possedeva occhi tanto limpidi ed innocenti, tipici delle persone che vivono seguendo un ideale di giustizia.
- Purtroppo non so chi l’abbia catturata, ma sono sicura che Viridian è ancora viva. Deve esserlo! - continuò lei.
- Ed infatti è così.
La spadaccina balzò in piedi all’improvviso.
- E tu come lo sai?
- L’ho conosciuta qualche notte fa, nella dimensione che appartiene solo a noi Eterei.
- Davvero? - mormorò, con la voce spezzata dalla paura di credere a quella speranza di cui il suo cuore sentiva tanto bisogno.
Kilik fece un cenno affermativo, raccontandole le circostanze che l’avevano portato a scoprire il rifugio dell’Eterea e la loro conversazione.
Sky accolse le sue parole senza muovere un muscolo, quasi un qualunque cambiamento in quella stanza potesse rompere l’incantesimo che le stava narrando la più bella tra le storie, mentre quella disperata convinzione, a cui si era stretta con una testardaggine simile alla follia per poter proseguire il suo cammino, le veniva confermata senza alcuna incertezza.
L’incredulità venne spazzata via, sostituita dall’intenso desiderio di scoppiare in lacrime e da una gioia vibrante, quasi dolorosa.
- Viridian è viva. - mormorò, senza nemmeno vederlo attraverso gli occhi annebbiati per un pianto a stento trattenuto.
Rimase un secondo a fissare l’Etereo, come in attesa di una sua crudele smentita, poi lo abbracciò all’improvviso, con uno slancio tale da fargli perdere l’equilibrio. Si ritrovarono distesi sul letto, in una posizione più consona a due amanti che a due amici, ma Sky pareva non farci caso; senza notare le sue guance roventi per l’imbarazzo continuò a stringerlo a sé, con il volto affondato nel suo collo, mentre le proprie lacrime bagnavano entrambi, incapace di ringraziare a parole quel ragazzo che le aveva già restituito due volte la speranza.

Rafi tornò alla locanda a sera inoltrata.
Nel suo sguardo impassibile non c’era alcuna traccia dell’esasperato dolore a cui aveva dato sfogo qualche ora prima.
Senza nemmeno cercare i suoi compagni o mangiare qualcosa raggiunse la sua camera.
Dopo aver chiuso la porta a chiave ripose la sua spada accanto al letto, quindi afferrò la brocca colma d’acqua che una cameriera le aveva portato quella mattina, e riempì un bicchiere. In perfetto silenzio estrasse dal suo zaino il sacchetto di pelle che Alista le aveva dato prima della partenza. Come se quella vista le fosse insopportabile, ebbe un tremito mentre lo apriva, tuttavia il suo volto rimase un’impassibile maschera di ghiaccio.
Con occhi privi di emozioni versò un pizzico di quelle erbe triturate nel bicchiere colmo d’acqua. Esitò solo per un secondo, fissando il sacchetto, poi lo chiuse di scatto e bevve l’infuso tutto d’un fiato.
Barcollando leggermente si diresse verso il letto e si stese, con il volto contratto per la nauseante debolezza che le aveva invaso il corpo.
L’attimo dopo, senza che i suoi lineamenti avessero assunto un’espressione più rilassata, dormiva

Nella sua cupa prigione, Viridian sedeva immobile sul pavimento di gelide pietre, cercando di reprimere gli insidiosi pensieri orfani di speranza che la volevano trascinare verso l’oscurità. Avvolta nel soffocante drappo della solitudine, i giorni erano passati uno dopo l’altro, con una lentezza semplicemente insostenibile, logorando il suo spirito più di quanto sarebbe riuscita a fare la tortura.
Un improvviso senso di pericolo, unito alla percezione di magia estranea alla propria, la spinse ad alzarsi di scatto.
Fece un passo indietro, pronta a difendersi da quell’intruso appena apparso di fronte a lei, poi lo riconobbe.
- Kilik! - esclamò, incredibilmente sollevata.
L’Etereo la guardò preoccupato: era più pallida e stanca del loro ultimo incontro, attorno ai suoi occhi viola si erano formate delle profonde occhiaie e perfino il sussulto con cui aveva accolto la sua comparsa, unito al continuo mordicchiarsi il labbro inferiore, denotava tutto il nervosismo di chi si sta logorando in un'attesa carica di angoscia e foschi presagi. Ma il dettaglio più rilevante in quel volto simile ad un'ombra era l'opaco riflesso della paura, un bagliore spento, in grado di soffocare qualunque altra luce, che contribuiva ad offuscare il colore vivido di quelle iridi.
Le sorrise, cercando di trasmetterle un po’ di tranquillità.
- Come stai?
- Aspetto... ormai non mi resta altro.
La sua voce priva di speranze lo colpì al cuore, donandogli un acuto desiderio di confortarla, nonostante sapesse bene che Viridian doveva possedere uno spirito di gran lunga più forte delle apparenze, se era riuscita a sopportare il passaggio attraverso la barriera che imprigionava il suo popolo.
Per un attimo rabbrividì al pensiero del sacrificio che tutti quelli come lei, compreso suo fratello Kohori, avevano dovuto compiere per poter ritornare su Sylune, un prezzo fin troppo elevato se nessuno di loro fosse riuscito a sopravvivere e adempiere alla propria missione.
Viridian sollevò il volto quando sentì la mano rassicurante dell’Etereo poggiarsi sulla sua spalla.
- Lei mi cerca... ed io non riesco più a nascondermi. - mormorò in un soffio.
- Devi resistere. - le disse Kilik, schiudendo poi le labbra in un sorriso - Sky ci rimarrebbe male se tu non riuscissi a farcela.
La ragazza si allontanò di scatto, tremando in preda ad un’improvvisa sorpresa.
- Come… come fai a sapere di lei?!
- Stiamo viaggiando assieme.
Un bagliore di speranza di accese negli occhi stanchi dell’Eterea, soffocato subito dalla disperazione.
- Non è possibile, Sky è morta ad Huan.-
- Per difendermi. - aggiunse, abbassando lo sguardo.
Kilik scosse la testa.
- E’ stata solo ferita gravemente, per sua fortuna l’ha trovata una guaritrice che è riuscita a salvarla.
- Non stai mentendo, vero? - chiese Viridian
- Perché dovrei?
La ragazza impallidì, poi di nuovo nei suoi occhi apparve quel bagliore, questa volta tanto intenso da illuminarle il viso, cancellando l’apatia e la rassegnazione che fino ad allora avevano avvolto tutta la sua persona in favore di una gioia improvvisa.
Strinse le labbra per non rivelare il tremito che le agitava, combattendo strenuamente contro le lacrime.
- E adesso come sta? Dove si trova?
- Non preoccuparti, si è ripresa alla perfezione ed è determinata a salvarti.
Un sorriso comparve sul volto della ragazza, prima di spegnersi in un’espressione decisa.
- No. - esclamò, scuotendo la testa - E’ troppo pericoloso, dille di rinunciare.
- Spiacente, ma temo che se anche glielo dicessi mi ignorerebbe.- rispose l’Etereo - Lei è determinata a salvarti ad ogni costo.
- Ed anche io. - aggiunse con dolcezza.
Allo sguardo di incredula riconoscenza che comparve nel volto della ragazza, Kilik le sorrise.
- Te l’avevo detto che sarei venuto a liberarti, no?
Lei si morse un labbro, preoccupata per le intenzioni di Sky e dell’amico, e tuttavia consapevole che non sarebbe mai riuscita a cambiare i loro propositi.
- E quindi andrete a sfidare gli Oscuri?
- Certo, se la nostra simpatica alleata non ci uccide prima.
Viridian gli lanciò un’occhiata interrogativa, alla quale l’Etereo non poté esimersi dal rispondere.
- Stiamo viaggiando assieme ad una pazza assassina. - commentò con un velo d'ironia, quindi si sedette per terra, subito seguito dalla ragazza, e cominciò a raccontarle per sommi capi della notte in cui era stato salvato da Rafi, la sosta a Northlear e l’incontro con la giovane spadaccina.
- Quell’umana è una ragazza in gamba. - concluse con un sorriso.
- Sky è unica. - asserì Viridian con voce priva di incertezze, ricordando il giorno in cui si erano incontrate, così come aveva fatto l’amica qualche giorno prima
Senza nemmeno rendersene conto, con il suo affetto incondizionato e l'innata allegria che la caratterizzava, Sky era riuscita a sciogliere lo scudo d’indifferenza con cui lei stessa si era circondata, creando tra loro un legame di profondo affetto e fiducia
reciproca. Vard aveva rappresentato una delle persone più importanti della sua vita, ma era stata la giovane spadaccina a rimarginare le sue ferite nel corpo e nell'anima, ed a farle il dono più prezioso in assoluto, restituendole la possibilità di fidarsi delle persone.
- Spesso l’ho sentita più vicina a me di quanto lo fosse Kirsta, la mia sorella di sangue. - mormorò, lasciandosi andare poi ad un leggero sorriso - Se non altro con Sky non ho mai litigato né fatto a botte.
L’Etereo le lanciò uno sguardo sollevato, contento di vederla scherzare.
- Forse perché ti faceva paura. - la prese in giro in tono gentile - L’ho vista combattere, è una spadaccina straordinaria.
- Nel nostro villaggio correva voce che fosse la figlia di un grande guerriero, ma nessuno ha mai saputo niente con certezza.
- La cosa non mi stupirebbe.
Per qualche secondo scese il silenzio, prima che Kilik riprendesse l’argomento precedente.
- Tua sorella adesso è nell’Esilio?
- Sì, assieme a mia madre.
- E tuo padre?
Viridian si irrigidì.
- E’ morto sette anni fa. - fece una pausa, come se il suo ricordo fosse ancora tanto doloroso da spezzarle la voce o la frase successiva contenesse un rimpianto semplicemente insostenibile - Sai, era un grande mago, se fosse stato ancora vivo sicuramente avrebbe saputo come evitare l’Esilio.
- Com’è morto?
- Non l’ho mai saputo, probabilmente è stato attaccato da alcuni predoni, ricordo solo che abbiamo trovato il suo corpo ricoperto di sangue appena fuori dal villaggio.
Lo sguardo dell’Eterea si era incupito, nel tentativo di allontanare quelle immagini agghiaccianti a cui aveva assistito da bambina, ma i suoi lineamenti tornarono sereni quando si rivolse all’amico.
- E tu? Hai ancora entrambi i genitori?
Come per un tacito accordo non chiese nulla sul fratello scomparso e Kilik non ne fece alcun accenno.
- Sì, ma è mia madre la più dotata. Anche se a comandare a casa mia era la nonna. - aggiunse con un sorriso.
- Davvero? - domandò l’Eterea in tono interessato, spronandolo a continuare.
Ed il ragazzo riprese il racconto, mentre con un braccio le circondava le spalle, come se volesse proteggerla dalla solitudine di quella tetra prigione. Rimasero per ore a parlare dei loro parenti, dell’infanzia e delle mille piccolezze di un’esistenza che era quasi caduta nell’oblio, utilizzando quei ricordi appena ritrovati per fasciarsi l’anima e lenire il dolore tormentoso con cui la solitudine li colpiva anche in mezzo alla folla. Solo in quel momento sembrarono rendersi conto di quanto stessero sentendo la mancanza dei loro simili, mentre quelle immagini familiari si intrecciavano nei loro pensieri, con le note dolci e malinconiche di un passato che forse non sarebbero più riusciti a rivivere su Sylune.
Infine scese il silenzio, una totale assenza di rumori che nei giorni precedenti era stata solo la più feroce e potente arma della solitudine in cui Viridian era avviluppata, ma che adesso la cullava assieme alla consapevolezza di potersi permettere qualche minuto di pace.
Lentamente l’Eterea appoggiò la testa sulla spalla dell’amico e chiuse gli occhi, mentre lui le accarezzava il braccio.
I secondi si sommarono impietosi, incuranti di quei due ragazzi che cercavano conforto nella reciproca compagnia, fino a quando, senza alcuna variazione nel cielo nero al di là delle sbarre, una consapevolezza penetrò gelida nella mente di Viridian.
- E’ quasi mattina. - mormorò la ragazza, cercando di abbozzare un sorriso.
Il pensiero di dover rimanere nuovamente sola le straziava il cuore, ma sapeva di non poter trattenere oltre l’amico.
A malincuore si alzò dal pavimento, divenuto quasi tiepido grazie al contatto con i loro corpi, e con un gesto della mano permise all’alba di raggiungere anche il cielo nero di quel limbo che poteva variare secondo la sua volontà, ma rimaneva inesorabilmente una prigione.
L’Etereo tornò in piedi a sua volta
- Presto attaccheremo Ghedan. Se tutto andrà bene avrai mie notizie la prossima notte.
- Non morire, Kilik. E non lo dico solo per me.
Il ragazzo annuì, poi le sfiorò la fronte con le labbra.
- E tu non perdere la speranza. - mormorò, mentre scompariva.
Viridian chiuse gli occhi per racchiudere dentro di sé quei preziosi frammenti di luce che le avrebbero permesso di combattere ancora contro la sua solitudine.
E tutto divenne buio.

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Capitolo 20
*** Capitolo 19: Pioggia ***


-Capitolo 19: Pioggia-

La collina era avvolta in un silenzio innaturale, perfino i mille piccoli rumori della notte tacevano, come se nessun uccello si fosse mai posato sui rami degli alberi circostanti, o nessun animale avesse utilizzato la terra morbida e friabile per scavarsi una rifugio.
Una figura sedeva immobile, al centro esatto di un piccolo spiazzo circolare in cui il prato era riuscito a bandire la foresta, con gli occhi chiusi e le mani appoggiate inerti sulle gambe, a comporre la tipica postura della meditazione. Insensibile al freddo sempre più intenso della notte, non si curava nemmeno di sistemarsi la tunica aperta sul petto magrissimo, solo l’impercettibile movimento del torace, con cui veniva scandito ogni suo lento respiro, rivelava la sua natura di vivente.
Senza proferir parola stava rivolto alla luna, lasciando che i suoi diafani raggi gli accarezzassero il viso. I capelli color della neve, lunghi fino alle spalle, si agitavano appena nella brezza leggera, senza riuscire a liberarsi dalla sottile fascia azzurra che li teneva legati; nonostante il bianco quasi argenteo della sua chioma, dal volto liscio e quasi efebico, che ancora esitava a cancellare le ultime tracce dell’adolescenza, appariva evidente la sua giovane età.
Il suo sorriso era surreale, carico di una malinconia profonda, eppure tanto statico da sembrare scolpito in quei lineamenti annoiati dalla vita. Perfino la sua espressione velata di tristezza non poteva cancellare l’idea che nessun vivente sarebbe mai parso tanto privo di emozioni ed il movimento del suo petto e dei capelli fosse una semplice illusione dettata dall’ombra, che si divertiva ad animare una statua con le parvenze di un giovane.
Una nuvola offuscò il cielo già nero, nascondendo la luna, e tuttavia lui continuò a risaltare in modo quasi innaturale nel buio sempre più fitto, come se fosse stato l’astro che prima lo sfiorava con i suoi raggi a ricevere la luce da lui, anziché l’opposto.
Si rialzò in piedi senza nemmeno aprire gli occhi, mentre le prime gocce di pioggia gli scendevano sul volto come tante piccole lacrime. Una scintilla di vita parve attraversare la sua espressione, rivelando un turbamento che assunse un’unica inesorabile denominazione: il dolore.
Ma il suo era un dolore congelato nel tempo, appartenente ad un’esistenza in cui ancora la gioia e la sofferenza potevano distinguersi ed avere un qualche significato per la sua mente. Nessun’altra emozione pareva essersi soffermata abbastanza a lungo nel suo cuore per scavare la propria impronta sui suoi lineamenti.
Rimase immobile, a bagnarsi a poco a poco la tunica leggera, i capelli ed i piedi nudi, senza curarsi del fango o del soffio gelido con cui il vento cercava di piegarlo. Luminoso e freddo come una stella lontana, quell’esile figura pareva sfidare e vincere l’oscurità, un bagliore pallido ma inestinguibile, che viveva unicamente grazie alla propria volontà. E, di tutti quegli astri che dominavano il cielo nella notte, lui era il più giovane.
Socchiuse le labbra pallide, permettendo l’accesso ad una goccia di pioggia, mentre rompeva infine il suo silenzio, con una frase più effimera di un alito di vento e tuttavia tanto inesorabile da echeggiare in quel luogo flagellato dal temporale come una condanna o una liberazione.
- Tutto comincia ora.
Infine aprì gli occhi.
Due iridi chiarissime, di un azzurro tanto chiaro da sembrare bianco, si spalancarono sul mondo purificato dalla pioggia, e fu allora che, tra paura e turbamento, il mondo li riconobbe: due occhi in cui neve e cielo si scioglievano ed una pupilla bianca.

L’Oscuro sedeva nel freddo salotto in cui, solo la notte prima, aveva intrattenuto Sawhanna; avvolto in tenebre tanto profonde che nemmeno le candele potevano dissipare del tutto e solo l’occasionale bagliore dei lampi riusciva a squarciare per un breve attimo, pareva aver dimenticato la propria imperturbabilità ed una strana espressione, simile alla malinconia, traspariva dai suoi tratti.
Le schegge di argento nelle sue iridi riflettevano le gocce che si infrangevano una dopo l’altra contro le ampie vetrate della finestra a cui aveva quasi appoggiato la fronte, ma lui pareva non guardarle nemmeno, perso in pensieri che da molti giorni non si affacciavano più alla sua mente.
- Soffri d’insonnia, Lotar?
Il mago si volse verso Sawhanna con un leggero sorriso, nascondendo la sorpresa dietro il volto impassibile. Nonostante si ritenesse un uomo impossibile da prendere alla sprovvista, era stato solo quando quella voce armoniosa aveva interrotto i suoi pensieri che si era reso conto della sua presenza.
- Ti aspettavo. - replicò, lasciando scivolare lo sguardo sul lungo abito nero dell’Oscura - Sapevo che saresti tornata da me.
- Dal potere Lotar, solo da quello.
Gli occhi del mago si socchiusero come per studiare un avversario prima del combattimento e misurarne le capacità.
- Sei qui per uccidermi o per rimanere al mio fianco?
Lei sorrise, gelida.
- Sono qui per agire secondo il mio interesse.
Si fissarono con la stessa intensità di due amanti o due nemici mortali, prima che la donna si accomodasse aggraziatamente su una poltrona vicino a lui, spezzando quel momento di tensione. Subito, come se quel gesto avesse sancito il muto rinnovo della loro alleanza, l’Oscuro le offrì una coppa colma di vino e ne prese un’altra per sé. Sawhanna l’accettò con un grazioso gesto del capo, prima di bagnarsi appena le labbra con il suo contenuto.
- Pare che Daygon sospetti di noi. - rivelò, senza alcun preambolo.
- Come lo sai?
Lo sguardo della donna si soffermò sui contorni lunghi e affusolati delle proprie dita.
- Ho incontrato il suo cagnolino. - rispose, raccontandogli brevemente le velate minacce con cui Devil li aveva ammoniti di non tradire il primo tra tutti i Re.
Lotar sorrise.
- Curioso che tu gli abbia risparmiato la vita.
- Sarebbe stato avventato ucciderlo adesso. - commentò l’Oscura, lasciando poi che le sue labbra rosse come il sangue si incurvassero in una squisita dimostrazione di crudeltà - Ma, quando verrà il momento, voglio essere io a scontrarmi con lui.
Il mago assentì senza dire nulla.
Passarono diversi secondi di silenzio prima che Sawhanna, una volta bevuto tutto il vino della sua coppa, facesse sentire nuovamente la sua voce.
- Allora, come prosegue il tuo piano per rapire l’Alher?
- È tutto pronto, ma preferisco rimandare tutto a domani.
La donna gli lanciò uno sguardo stupito.
- Come vuoi. - replicò, senza nascondere il velato sospetto presente nelle sue parole.
- Se sei stanca ho già fatto preparare la tua camera. - la voce piatta ed impersonale del mago si addolcì impercettibilmente - A meno che tu non preferisca rimanere un po’ in mia compagnia.
L’espressione sorpresa di Sawhanna si fece quasi incollerita.
- Che ti succede, Lotar? - gli chiese, con un tono tagliente che avrebbe potuto presagire un’aggressione improvvisa - Questa notte sembri quasi umano.
L’uomo si alzò dalla poltrona e le diede le spalle.
Rimase immobile per parecchi secondi, attimi di silenzio scanditi solo dal rumore quasi confortante del temporale.
- C’era la pioggia quando diventai un Oscuro. - mormorò infine, guardando attraverso la finestra i suoi ricordi riflessi sulle gocce d’acqua, luminosi frammenti di una vita ormai conclusa.
Nonostante la debolezza che trapelava dalle sue parole, totalmente inaspettata in un uomo in apparenza privo di ogni emozione, non c’era alcuna traccia di turbamento nella sua voce e perfino le mani, intrecciate dietro la schiena, esitavano a rivelarlo e rimanevano immobili, soggiogate dall’estrema razionalità del loro padrone.
- Perché hai scelto questa strada, Sawhanna? - le chiese bruscamente, voltandosi a fissarla.
Gli occhi della donna assunsero una sfumatura gelida.
- Perdonami, non avrei dovuto chiedertelo. - si scusò Lotar - Ma mi sarebbe piaciuto sapere se il cielo piangeva anche quando fosti tu a scegliere l’oscurità.
Solo quando aveva ormai perso ogni speranza in una sua risposta, Sawhanna si alzò dalla poltrona su cui era rimasta seduta, con un movimento stranamente rigido e privo di quella sicurezza quasi sfacciata che accompagnava ogni azione di quel corpo perfetto.
- C’era il sole. - mormorò la maga, con un tono che non le apparteneva.
Le sue iridi si fecero remote, come se stessero rivivendo dei ricordi in un tempo quasi dimenticato, mentre la voce, insolitamente sommessa ed impercettibile, non riusciva a nascondere il tremito sempre più intenso che la pervadeva.
- Si stava sciogliendo l’ultima neve dell’inverno. Ed io ero a letto, a maledire il mio destino ed una morte che sarebbe sopraggiunta quando il mondo intero era immerso nella luce. - la voce si spense nella stessa paura che era riuscita a penetrare nei suoi occhi di tenebra e velarli di un’angoscia estremamente umana.
Lotar fece scivolare il suo sguardo su di lei come se la vedesse per la prima volta.
Da quando si era unito a quel gruppo di maghi che aspiravano ad assoggettare l’intera Sylune, non aveva mai nascosto l’interesse che provava per la sua futura alleata; si era divertito a studiarla, a riconoscere quel fascino quasi irresistibile che caratterizzava ogni suo gesto, senza mai diventarne succube, a considerarla alla stregua di un’opera d’arte, a cui regalava il proprio apprezzamento freddo ed assolutamente oggettivo. Aveva sempre accettato il suo aspetto come una curiosa perfezione della natura da ammirare in maniera distaccata e senza alcuna emozione o desiderio di possesso.
Ma in quel momento, con i pugni contratti e lo sguardo di una fanciulla spaventata, si rese conto che Sawhanna era davvero bella.
In un passo le fu accanto, accorgendosi forse per la prima volta di quanto la sua figura fosse piccola e fragile rispetto alla propria. Le sfiorò una ciocca di capelli, attendendo una reazione stizzita od un attacco a cui era già pronto a sottrarsi, ma lei continuava a fissarlo negli occhi senza muoversi, le labbra socchiuse in un’espressione di sorpresa che rivelavano appena i denti bianchissimi, e gli occhi ancora velati di paura.
Con una lentezza quasi insostenibile si chinò a baciarla.
Anche durante quei frammenti di secondo in cui percepiva il suo respiro contro il proprio volto e vedeva quelle iridi nere come la notte avvicinarsi sempre più, la sua mente non smise di analizzare ogni pensiero che la attraversava e, prima ancora di sfiorare la sua bocca, già era pronto a fronteggiare le conseguenze della sua azione e difendersi da un attacco improvviso.
Con sua grande sorpresa, le labbra piene della donna lo accolsero senza ritrarsi, accarezzandolo con una delicatezza sufficiente a rompere ogni suo proposito di riprendere le distanze dopo un primo tocco tanto lieve.
L’attirò a sé, immergendo le mani nei suoi capelli corvini, con la strana sensazione di accarezzare una notte di seta, mentre i loro corpi, separati solo da vestiti che mai come in quel momento erano parsi tanto impalpabili, si stringevano come se desiderassero fondersi in un’unica entità e tutto il resto del mondo veniva dimenticato per alcuni lunghissimi secondi
Non appena si staccarono, Lotar si rese conto che la mano destra di Sawhanna si era appoggiata sul suo torace, all’altezza del cuore, pronta a trafiggerlo con una lama di magia in quello che sembrava un gesto d’affetto.
Istintivamente contrasse i muscoli, un futile tentativo di salvarsi che rappresentava anche la sua ultima ribellione ad una degna avversaria, ma la mano salì a toccargli la spalla, poi il volto.
Sorpreso, abbassò gli occhi fino ad incontrare il sorriso ironico della donna, in un’espressione dove non c’era più alcuna traccia di paura.
- Non sei sempre tu ad avere il controllo, Lotar. - gli mormorò lei, prima di sfiorargli il collo con le labbra ed il respiro rovente, un bacio che lo fece rabbrividire.
L’attimo dopo si stava versando del vino a qualche metro di distanza.
- Perché non ti scegli un’amante tra le umane? - chiese, con un’impercettibile sfumatura di derisione.
L’uomo scosse le spalle.
- Le umane non mi interessano. L’unica donna che desidero mi è preclusa, confinata in una torre di freddo cristallo da lei stessa costruita. Ed io non posso raggiungerla, se lei non me lo permette.
- Attento, Lotar, con queste parole dimostri la stessa debolezza di cui mi hai accusato.
- Io non sono come te. La solitudine non mi è mai pesata, nemmeno prima di divenire un Oscuro. - commentò il mago, con un sorriso - Ma, se devo avere una compagna, voglio scegliere l’unica che sia alla mia altezza.
Sawhanna strinse le labbra.
- Accontentati di avere il mio appoggio in questa guerra, e ricorda che, una volta sconfitto Daygon, torneremo ad essere nemici.
Vuotò la sua coppa con un unico sorso, prima di uscire dalla stanza con il suo passo sinuoso ed elegante, privo di ogni incertezza.
Anche senza voltarsi, poté sentire lo sguardo del suo alleato bruciarle la schiena.

Lotar era a letto, sveglio.
Il ticchettare della pioggia sui vetri delle finestre si era indebolito fino a scomparire del tutto ed ora solo il silenzio gli era accanto, avvolgendolo in quell’abbraccio vellutato che aveva accompagnato gran parte della sua esistenza. In quell’oscurità priva di ogni rumore, perfino la sua prima sconfitta nei confronti di Sawhanna non gli causava quasi alcun fastidio, mentre, con la sua solita razionalità, analizzava quell’impulso improvviso che lo aveva spinto a baciarla.
Non era stato un motivo tanto futile come l’attrazione a fargli poggiare la sua bocca su quella dell’Oscura, ma il pressante bisogno di possedere, sia pure per qualche secondo, la prepotente vitalità che la avvolgeva come una fiamma inestinguibile e a lui era sempre mancata, tuttavia questa consapevolezza gli causava più disagio che conforto.
Un movimento quasi impercettibile lo spinse a sollevare lo sguardo verso la porta della sua camera, dove le tenebre avevano assunto la forma di colei che, più di qualunque altro pensiero, si ostinava ad occupargli la mente. Fu un attimo prima di udire le sue parole che la riconobbe per la sua alleata e non come uno scherzo della sua immaginazione.
- È vero, la solitudine è dolorosa anche per noi Oscuri, ma è un prezzo che pago senza rimpianti, per un simile potere. - mormorò Sawhanna, in un sussurro morbido ed avvolgente che parve invadere l’intera stanza.
Fece un passo avanti, scivolando nel buio con la grazia ultraterrena di una creatura della notte.
- L’unico modo per cancellare una debolezza è accettarla, Lotar.
Il suo vestito cadde a terra con un fruscio di seta, l’unico rumore in quel silenzio quasi palpabile. I pallidi raggi della luna si tesero ad accarezzarle la pelle, rivelando i contorni di quel corpo perfetto, pur senza riuscire a penetrare la penombra che, simile ad un manto, avviluppava la sua figura.
Come in sogno, il mago si rese conto di aver già teso la mano verso di lei, nella muta contemplazione di quell’alleata di cui solo ora comprendeva il potere e la pericolosità.
Bruciante di un desiderio a stento trattenuto, si ritrovò in piedi, ad un passo dal suo corpo nudo, incapace di parlare per l’irrazionale timore di rompere quell’incantesimo che lo stava trascinando verso un baratro di cui non riusciva a scorgere il fondo.
- Io l’ho fatto. Ma tu? - chiese la donna, prima di offrirgli le labbra.
Lotar se ne appropriò con insolita prepotenza, soffocando la propria razionalità con quelle sensazioni che, forse per la prima volta nella sua intera esistenza, erano riuscite a soverchiare ogni suo pensiero. Proprio di fronte alla più pericolosa delle donne si riscopriva inerme, in balia della sua bocca morbida e delle sue mani affusolate, che avevano già cominciato ad accarezzargli la schiena ed il petto, per poi scendere verso i calzoni, lasciandogli sulla pelle il bruciante desiderio di un loro tocco.
Incapace di staccarsi da lei, la prese in braccio, facendo aderire le sue forme roventi al proprio torace nudo ed accogliendo con un brivido quella sensazione da cui non sarebbe più riuscito a liberarsi; cominciò a sfiorarle il collo con le labbra, indugiando appena sulla gola, dove poteva percepire il cuore pulsare ad un ritmo insolitamente elevato, poi risalì verso il volto e si impossessò nuovamente della sua bocca, mentre i loro respiri sempre più affannosi infrangevano il silenzio di quella stanza buia.
Senza smettere di baciarla si avvicinò al letto, depositandola delicatamente sulle coperte immacolate, che molto di rado avevano ospitato più di una persona. In quel brevissimo istante di distacco, Lotar esitò, sentendo che la sua razionalità stava lottando per riemergere e recuperare il predominio sull’istinto, ma le mani dell’Oscura gli afferrarono il volto, invitandolo a stendersi su di lei, ed ogni pensiero svanì tra le sue labbra rosse e vellutate.
Quella notte Sawhanna si diede a lui con una passione senza fine, un ardore che bruciò ogni rivalità o risentimento e li lasciò desiderosi solo di stringersi e baciarsi, come se quella fosse l’ultima occasione concessa ai loro corpi per vibrare all’unisono in quell’antica danza dove non erano più alleati od avversari, ma semplicemente un uomo ed una donna.
Quando infine giacquero esausti, l’uno a fianco dell’altra, nel cielo cupo si potevano già intuire i primi pallidi bagliori dell’alba.
Lotar afferrò delicatamente il polso della compagna, impedendole di rialzarsi; senza che alcuna parola lacerasse il profondo silenzio in cui erano avvolti, l’attirò a sé, nella tacita richiesta di rimanere al suo fianco fino alla mattina. La vide assumere uno sguardo strano, un misto di diffidenza e sorpresa che si risolse solo quando la sua stretta si allentò in un abbraccio abbastanza dolce da non rappresentare una costrizione.
Non senza un’ultima incertezza, Sawhanna si rilassò contro di lui, chiudendo gli occhi.
Il mago rimase sveglio a lungo, fino a quando non sentì il suo respiro farsi regolare ed appena percettibile.
Sapeva che entro poche ore avrebbe dovuto contattare la sua spia ed effettuare il primo passo verso l’aperta ribellione nei confronti di Daygon, tuttavia il corpo nudo della donna premuto contro il proprio era una tentazione troppo forte per poterla abbandonare senza rimpianti.
Sfiorò un’ultima volta i suoi morbidi capelli, sparsi sulla propria pelle come tanti fili di seta nera, sorridendo all’immagine dell’Oscura che, come ogni altra fanciulla di Sylune, si era addormentata con la testa appoggiata al petto dell’amante.
- Io non ho debolezze.

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Capitolo 21
*** Capitolo 20: L'alba dei guerrieri ***


Grazie mille a chi segue questa storia, che ormai è agli sgoccioli, a chi l'ha inserita in una delle tre liste e soprattutto a chi è tanto gentile da lasciare un commento. Inoltre auguro a tutti tanti auguri di buona Pasqua!




-Capitolo 20: L’alba dei guerrieri-

Lotar si svegliò poco dopo l’alba.
Con le palpebre ancora sigillate dagli ultimi strascichi di sonno e la mente avvolta da un piacevole torpore cercò il corpo dell’Oscura accanto al proprio, ma la sua mano incontrò solo un materasso gelido. Uno strano presentimento lo colse, quando si rese conto di non udire alcun suono nella stanza, nemmeno il respiro sommesso e appena percettibile che si era divertito a studiare la sera prima ed ora avrebbe dovuto intrecciarsi col suo.
Finalmente si decise ad aprire gli occhi.
Lei era in piedi, accanto al suo letto, pronta a trafiggerlo con una lama avvolta dall’azzurro bagliore della magia.
Subito cercò di muoversi e sfuggire a quell’attacco inaspettato, ma si rese conto che il potere della donna l’aveva già avvolto tra le sue spire, impedendogli di reagire.
Con una freddezza nata dalla paura della morte imminente cercò di studiare un piano per salvarsi da una fine che non era mai stata tanto vicina. Sapeva che, se solo fosse riuscito a mantenere la lucidità che lo caratterizzava, avrebbe trovato un modo per liberarsi da quella situazione ed uscire vincitore com’era sempre successo, ma il volto bellissimo dell’Oscura stava adesso occupando ogni angolo della sua mente, soffocando qualunque suo pensiero come un impalpabile incantesimo da cui non riusciva a sottrarsi.
Senza nemmeno cercare un punto debole in quegli anelli di magia che lo tenevano prigioniero, si abbandonò sul letto, incapace di distogliere lo sguardo da lei.
- Perché, Sawhanna?
La donna sollevò il pugnale.
Una lacrima scese a deturpare la levigatezza di quelle guance color della luna e s’infranse sul petto nudo del mago.
- Bisogna distruggere ciò che ci rende deboli.
Il suo bel volto si trasfigurò in una maschera di violenza, in modo da soffocare qualunque emozione stesse turbando i suoi lineamenti, e quella lama di acciaio e magia seguì lo stesso percorso della lacrima, penetrando nel torace dell’uomo per raggiungere quel muscolo pulsante che la sera prima aveva battuto con tale rapidità da regalargli l’illusione di poter assaporare, sia pure per qualche minuto, uno sconosciuto calore.
Incapace di reagire, Lotar sentì il freddo metallo farsi strada attraverso i suoi tessuti, lacerare la pelle e la carne con una violenza insopportabile, costringendolo a mordersi le labbra per non urlare il suo dolore.
La magia che lo imprigionava si indebolì all’improvviso e gli regalò un secondo di libertà.
Subito afferrò il polso della sua assassina, senza nemmeno la forza o la volontà di allontanare da sé quella mano che lo avrebbe ucciso. Con le ultime energie cercò di mantenere lo sguardo fisso su di lei, ma già la vista cominciava ad offuscarsi assieme alla sua mente, mentre il sangue caldo che usciva a fiotti dalla profonda ferita al petto inzuppava le coperte immacolate ed una chiazza rossa si allargava sul materasso sul quale era disteso.
Un unico pensiero gli folgorò la mente in quell’ultimo respiro, l’inaspettata certezza che il dolore fisico era stato soverchiato da un’amarezza inspiegabile e carica di rimpianto; poi il pugnale giunse a reclamare la sua vita e lui cadde in un abisso di incoscienza, verso un’oscurità senza fine.

Ghedan stava leggendo un libro senza troppo interesse.
Il suo maniero era rimasto quasi totalmente sguarnito a causa dell’ultima guerra di conquista contro la vicina città di Turik ed i pochi soldati di guardia non avevano alcuna notizia da riferirgli, così troppo spesso il suo sguardo si sollevava dalle pagine ingiallite di quell’antico tomo per soffermarsi sulle sfarzose decorazioni che adornavano quell’ampia sala o sui dipinti appesi alle pareti.
Nonostante tutti i suoi sforzi, il suo castello non riusciva a ricreare la raffinata eleganza della dimora di Sawhanna, né l’impressione di lusso ed autorità che caratterizzavano la gigantesca fortezza di Daygon, tuttavia, in quella stanza dove aveva riunito tutte le sue ricchezze, forse l’unica a non rappresentare le ombre crudeli della sua personalità, poteva mantenere l’illusione di essere il più potente e temuto tra i dominatori di Sylune.
Un sorriso sarcastico si dipinse sulle sue labbra, al consolante pensiero che, almeno in confronto al sobrio stile con cui Lotar aveva arredato le sue stanze, la sua reggia pareva appartenere ad un sovrano di lignaggio di gran lunga superiore.
Non era mai stato nel castello di Kyzler ed aveva fondati sospetti che, a parte il più forte di tutti loro, nemmeno gli altri Re l’avessero mai visitato. Nonostante fosse stato l’ultimo ad unirsi a loro come sovrano di Sylune, quel taciturno ragazzo dai capelli bianchi rimaneva ancora un mistero ai suoi occhi, uno strano quanto inquietante alleato che solamente Daygon pareva in grado di comprendere o, quantomeno, controllare. Non conosceva le sue origini, né il motivo per cui avesse deciso di affiancarli nelle loro lotte di conquista, vista la sua totale indifferenza per il potere e le ricchezze; l’unica cosa certa era che Kyzler pareva interessarsi solamente allo sviluppo della propria magia, disdegnando qualunque tipo di contatto con gli altri Re di Sylune.
Correva voce che fosse stato lui stesso, da solo, a conquistare ogni singola città di cui adesso era il sovrano e, nonostante lo scetticismo con cui aveva accolto queste dicerie, Ghedan non poteva esimersi dal considerare che forse quel giovane Oscuro ne sarebbe stato davvero capace.
Rabbrividì istintivamente nel ripensare a quella prova di forza che neppure il più potente di loro aveva mai compiuto.
Quell’albino lo intimoriva quasi quanto Daygon.
L’aveva incontrato una sola volta ed in quell’occasione i suoi occhi chiarissimi gli avevano causato un disagio tanto intenso da spingerlo a distogliere lo sguardo, come se quel ragazzino dall’espressione imperscrutabile potesse davvero rappresentare una minaccia per lui.
Si agitò nervosamente sul suo scranno, preferendo riportare la sua mente su argomenti di riflessioni ben più piacevoli ed attraenti.
Come mille altre volte nei giorni passati ripensò al futuro, quando finalmente sarebbe riuscito a trovare una magia abbastanza potente da sconfiggere Daygon e gli altri Oscuri, ed ottenere in tal modo la sua rivalsa su quei maghi presuntuosi ed arroganti da cui veniva disprezzato; ormai dimentico del libro che giaceva scompostamente ai suoi piedi, lasciò vagare la mente su quei progetti di vendetta che lo avrebbero reso il dominatore incontrastato di Sylune, cullandosi in questa speranza di cui non si permetteva nemmeno di dubitare.
Un discreto rumore di passi interruppe le riflessioni con cui stava lentamente scivolando nel sonno.
- Per quale motivo osi disturbarmi? - chiese con un velo di irritazione, mentre uno dei suoi cortigiani entrava e si inchinava profondamente davanti a lui, dimostrando l’evidente servilismo di cui amava circondarsi.
- Mio signore, una ragazza chiede di vedervi.
L’Oscuro rimase in silenzio, tanto sorpreso da non sapere cosa replicare. Abituato ad essere temuto da tutti gli abitanti di Sylune non si aspettava certo che qualcuno lo cercasse volontariamente e non era sicuro se dover provare irritazione o semplice curiosità per questo strano avvenimento.
- Sei sicuro che sia una semplice ragazza? Non è agli ordini degli altri Re?
- No, mio signore, viene da un villaggio qui vicino.
- E cosa vuole?
- Ha detto che solo voi potevate aiutarla, è giunta con un’ancella ed il fratello. Volete che li mandi via?
Il mago si accarezzò il corto pizzetto nero con la mano, riflettendo un paio di secondi.
La sua natura egoista non gli avrebbe mai permesso di aiutare qualcuno senza un tornaconto personale, in particolar modo se a chiederglielo era l’esponente di una razza che lui disprezzava con tutto se stesso. Non provava alcuna pietà per gli umani, ritenendoli esseri deboli e inferiori, atti solo a servirlo o a soddisfare i suoi desideri, e l’idea che una ragazza avesse potuto anche solo sperare nel suo aiuto lo faceva sorridere; tuttavia dare un’occhiata a chi aveva osato andare fin nel suo castello avrebbe potuto spezzare la noia che lo avvolgeva.
- Fateli passare. - ordinò.
Pochi secondi più tardi tre persone entrarono nella sala, scortate da un piccolo drappello di soldati.
L’Oscuro li studiò in silenzio per qualche secondo mentre si inchinavano.
La ragazza aveva un volto molto grazioso e decorato da piccole lentiggini, che donavano alla sua espressione una sfumatura allegra, nonostante i suoi occhi castani fossero rivolti rispettosamente verso il pavimento. Dietro di lei, con una vistosa benda che gli copriva gli occhi, stava un giovane di poco più grande, con i capelli neri dalla frangia disordinata ed il fisico troppo magro per essere un soldato, mentre la terza componente del gruppo, un’ancella bionda che indossava abiti maschili, gli era accanto, pronta a guidare i suoi passi.
Ghedan congedò i soldati con un cenno; secondo i suoi ordini ogni visitatore doveva essere perquisito prima di poter entrare nel castello ed i tre umani di fronte a lui non sarebbero stati una minaccia nemmeno armati.
Rimase in silenzio per quasi un minuto, non tanto per riflettere, quanto per il perverso piacere di accrescere la loro tensione, prima di soffermare il proprio sguardo sull’umana da capelli lunghi.
- Avvicinati. - ordinò all’improvviso.
Con un freddo sorriso la vide deglutire e poi compiere incerta un paio di passi in avanti, le mani aderenti ai fianchi e contratte come per trattenere il nervosismo che la attanagliava e la testa china in segno di rispetto o, più probabilmente, paura.
- Perché siete qui?
La ragazza si morse un labbro, prima di ritrovare la voce per rispondergli.
- Vi prego, mio signore, aiutate mio fratello a recuperare la vista. - supplicò, osando infine sollevare gli occhi castani sull’Oscuro.
Ghedan sorrise nel leggerci un’intensa sensazione di timore.
Si alzò dal suo trono, lisciandosi la sfarzosa veste ricamata che quella mattina aveva scelto accuratamente tra i tanti abiti in suo possesso, conscio di averne sporcato di sangue un numero ancora maggiore a causa del suo passatempo preferito.
La percezione di un potere poco distante lo colpì all’improvviso, come un piccolo richiamo nelle sua mente abbastanza flebile da poter essere ignorato, ma, non appena cercò di comprenderne la provenienza, essa scomparve, lasciandogli solamente la frustrante consapevolezza dei propri limiti.
Strinse i pugni, soffocando quello sgradito pensiero e riportando la propria attenzione sulla giovane che continuava a fissarlo intimorita, ancora in attesa della sua risposta
Incrociò le braccia al petto, mentre la squadrava dall’alto in basso.
- Potrei farlo. Ma cosa ci guadagnerei?
- I nostri genitori ci hanno lasciato delle terre e del denaro, vi darò ogni cosa se accetterete di curarlo.
L’Oscuro rimase in silenzio per qualche secondo, come se avesse realmente l’intenzione di riflettere su quell’ingenua proposta.
- Mi daresti anche la tua persona? - le chiese poi, allargando le labbra in un ghigno poco rassicurante.
Quel gioco lo divertiva, aveva da sempre amato infliggere la paura ed il dolore ad esseri più deboli di lui, ormai non contava più le giovani donne che avevano perso la loro innocenza nel suo letto, tra pianti e suppliche disperate rimasti sempre inascoltati.
Come previsto, la ragazza impallidì, sgranando gli occhi in un’espressione sorpresa e lanciando uno sguardo ai due compagni alle sue spalle in una muta richiesta d’aiuto che lo fece sorridere perversamente.
- Tutto quello che vuoi offrirmi me lo posso prendere senza alcun problema. - sibilò, con un lampo di soddisfazione - Te compresa.
Le si avvicinò di un paio di passi, divertito dai suoi occhi sbarrati per lo stesso terrore che le aveva congelato le gambe, lasciandola incapace di muoversi. Con un movimento falsamente dolce le sfiorò i capelli castani pettinati in una coda alta, che metteva in risalto il viso dai tratti delicati, quasi da bambina, percependo anche senza toccarla la lacerante tensione da cui era pervasa. Lei non fece alcun tentativo di ribellarsi, si limitò a contrarre i pugni fin quasi a ferirsi con le sue stesse unghie, mentre l’ombra scura del panico si allargava nel suo sguardo.
Ghedan sorrise ancora.
L’ancella ed il fratello presto avrebbero fatto la conoscenza delle sue segrete, erano giorni ormai che non aveva prigionieri in buone condizioni da torturare a suo piacimento; in quanto a quella fragile ragazza dai capelli castani, avrebbe potuto essere un ottimo passatempo per quella notte.
Le appoggiò una mano sulla spalla, avvicinandola a sé con un movimento brusco che le fece quasi perdere l’equilibrio, lanciando nel contempo un’occhiata agli altri due giovani, nella speranza di una reazione che avrebbe dato inizio ad un combattimento interessante quanto scontato.
In realtà non aveva bisogno di alcun pretesto per assecondare i propri desideri, tuttavia un attacco suicida da parte loro lo avrebbe divertito; già si immaginava la scena, pregustando l’orrore e la paura di quella ragazzina che avrebbe visto il fratello e la sua accompagnatrice agonizzanti in un lago di sangue, con le membra dilaniate dalla magia, prima di ritrovarsi nel suo letto, costretta a compiacerlo.
Bruscamente le afferrò il mento, in attesa di trovare in quegli occhi castani carichi di innocenza e paura la lucente scia delle lacrime, senza però perdere di vista gli altri due giovani.
Subito l’ancella fece un passo in avanti, insinuando la mano sotto l’ampio mantello che, come quello degli altri ragazzi, era chiuso sul davanti da due fibbie poste all’altezza del torace e della vita.
Di nuovo tornò quello strano presentimento, una percezione di potere tanto debole da poter essere frutto della sua immaginazione, ma Ghedan, più interessato allo scontro imminente che a scoprirne la provenienza, lo ignorò.
Con la bocca contorta in un orribile sorriso allentò la presa sulla ragazza per fronteggiare la giovane bionda e la sfidò con lo sguardo a fare un altro passo, indispettito di non trovare nei suoi occhi alcuna esitazione.
Proprio quando stava per richiamare a sé la magia ed avvolgere tra le fiamme quella ragazza arrogante, comprese la fonte di quella sensazione che gli aveva accarezzato la mente per ben due volte nei minuti precedenti, ma si mosse un attimo troppo tardi.
Con un movimento fulmineo, Sky afferrò le due spade che teneva nascoste sotto il mantello e lo trafisse profondamente al petto.
Non sentì nemmeno l’urlo di dolore di Ghedan; mentre gli appoggiava l’altra lama alla gola, tutta la sua attenzione era rivolta verso il battito troppo veloce del proprio cuore ed il tremito che la pervadeva senza sosta.
Respirò a fondo per calmarsi.
Durante quei lunghi secondi in cui si era trovata tanto vicina all’Oscuro era stata sicura che presto lui sarebbe riuscito ad avvertire la magia con cui Kilik aveva occultato le loro armi, e questa certezza le era penetrata fin nelle ossa, sussurrando nella sua mente parole di morte e disperazione ed indebolendo la sua volontà. Ancora non sapeva come fosse riuscita a sopprimere l’impulso quasi irresistibile di attaccare Ghedan e porre fine così a quel momento di angoscia ed tensione, attendendo invece il momento più opportuno.
Aumentò la stretta sull’impugnatura delle due spade, confortata da quel peso familiare che le restituiva il coraggio di cui, per un attimo, si era sentita priva, e subito si rivolse ai compagni.
- Le porte! - urlò, mentre Kilik si toglieva le bende e Rafi, dopo essersi liberata del mantello, correva a barricare le due entrate della sala, utilizzando come assi alcune delle lance ornamentali appese alle pareti.
Attraverso le terribili fitte di dolore che lo attraversavano, Ghedan riconobbe le iridi viola del giovane.
- Un Etereo! - esclamò, per un attimo dimentico dei propri propositi di vendetta.
Subito Rafi si volse, lanciando uno sguardo alla compagna che aveva spinto il mago contro la parete più vicina e continuava a tenerlo sotto la minaccia delle proprie armi.
- Perchè non l’hai ancora ucciso? - urlò, mentre si allontanava dalle porte principali appena chiuse per andare a sbarrare anche quelle laterali.
Secondo il piano studiato i giorni precedenti, il loro attacco a sorpresa avrebbe dovuto concludersi con la morte dell’Oscuro, non certo con una sua cattura.
- Prima deve rispondere alle mie domande. - rispose Kilik con la voce pervasa da una rabbia gelida ed implacabile, raggiungendo Sky.
In totale contrasto con le istruzioni ricevute da Rafi, aveva chiesto alla spadaccina di lasciare in vita il loro avversario almeno per qualche minuto invece di ucciderlo subito, così lei gli aveva inflitto una ferita profonda e forse mortale, ma senza colpire direttamente il cuore.
Dopo un muto ringraziamento all’amica, l’Etereo portò la sua attenzione sull’Oscuro, del tutto indifferente ai suoi lineamenti contorti dal dolore e del respiro roco sempre più affaticato con cui rivelava l’ingente danno ai polmoni subito.
- Dov’è mio fratello? - chiese, ignorando le imprecazioni e gli ordini che Rafi, momentaneamente occupata a sbarrare le porte laterali, gli stava rivolgendo.
- Fratello? - chiese Ghedan, sputando a terra del sangue.
- Un ragazzo con la magia che hai catturato qualche settimana fa.
L’Oscuro scoppiò a ridere proprio nell’esatto momento in cui l’assassina, con il volto pervaso da una collera omicida, finiva di sbarrare anche la seconda coppia di porte e correva a raggiungerli, chiaramente intenzionata a compiere una carneficina.
- Se vuoi puoi trovare il suo cadavere nelle segrete. - disse il mago, prima di afferrare la spada che gli trapassava il petto - E presto lo raggiungerete.
Sollevò una mano ed una forza invisibile colpì Sky allo stomaco, scagliandola violentemente contro la parete, mentre sotto gli occhi sconvolti dell’Etereo finiva di togliersi la lama dalle carni.
Subito Rafi scattò verso di lui, con un movimento tanto improvviso che a Kilik parve di vederla volare, ma l’Oscuro sollevò il braccio sinistro ed un muro di energia trasparente comparve a proteggerlo, regalandogli il tempo necessario per riprendersi dalla ferita e respingendo l’assassina, che cozzò violentemente contro di esso e terminò a terra con una capriola per attutire la caduta.
Con la mano stretta attorno alla ferita che si stava già richiudendo, Ghedan mormorò qualche parola incomprensibile e davanti a lui comparve una spada nera, con l’impugnatura ricurva e scavata in modo da aderire alla perfezione alle sue dita.
La afferrò con un sogghigno, liberandosi poi dalla pesante veste ricamata, che ricadde ai suoi piedi rivelando una tunica sporca di sangue e strappata all’altezza del petto, lì dove la spada di Sky l’aveva trafitto.
Sotto la stoffa lacerata, la pelle era intatta.
Kilik lo guardò inorridito.
Nemmeno i Custodi, gli Eterei più anziani e potenti di Sylune, sarebbero mai riusciti a rimarginare alla perfezione una ferita di tale entità in così breve tempo, in particolar modo se essa coinvolgeva il loro stesso corpo.
All’improvviso ricordò la sua infanzia, gli insegnamenti ricevuti assieme ad altri bambini della sua stirpe, primo fra tutti la consapevolezza di come la magia che li caratterizzava non fosse un potere particolare, ma una componente essenziale per la loro esistenza, la parte complementare del loro organismo; al contrario di ciò che gli umani pensavano, gli Eterei non possedevano la magia, era la magia ad essere parte di essi, allo stesso modo del sangue e delle ossa.
Per questo motivo se il corpo veniva danneggiato, anche la magia ne risultava compromessa, in misura proporzionale alla gravità della ferita subita.
Inghiottì a fatica la poca saliva ancora presente nella sua bocca e gli parve che una soffocante ragnatela gli avesse invaso la gola, impedendogli di respirare.
Fino a quel momento aveva sempre creduto che il potere degli Oscuri fosse affine a quello della sua stirpe.
Che quei maghi misteriosi possedessero le debolezze proprie di ogni altro essere vivente.
Che fossero mortali.
Erano state queste certezze a fargli arrischiare una mossa tanto pericolosa come quella di tenere in vita un simile avversario, sicuro che, con una ferita di tale entità, la sua magia sarebbe risultata smorzata e priva di efficacia.
Ed ora, tutte le informazioni su cui aveva fatto affidamento, si rivelavano errate.
Si morse a sangue un labbro, nel tentativo di arginare la disperazione che lo stava attanagliando assieme al rimorso per la situazione a cui aveva condannato le sue due alleate.
Se quell’Oscuro possedeva una magia superiore ai Custodi, sarebbero morti tutti.
Attirati dal rumore dello scontro, alcuni soldati stavano cercando di sfondare le porte, ma un ordine mentale del mago li fermò: Ghedan aveva deciso di occuparsi personalmente di quei ribelli che avevano osato sfidarlo.
Si prese qualche secondo per studiare ognuno di loro, puntando il suo sguardo su Kilik, con il volto distorto dall’orrore e dal rimorso, su Rafi, impassibile nella sua posizione di guardia, come se quel combattimento all’ultimo sangue fosse solo la naturale prosecuzione della giornata, su Sky, ancora a terra dopo il colpo ricevuto.
- Morirete tutti. - li minacciò, con gli occhi dalla pupilla bianca che brillavano di collera e malvagità - E lo farete supplicandomi di abbreviare la vostra agonia.

In un altro castello, miglia e miglia lontano da quello di Ghedan, una pace assoluta regnava nella camera del sovrano, l’unica ancora avvolta da un silenzio quasi innaturale.
Lotar aprì gli occhi di scatto.
Le sue pupille vagarono stordite nella stanza attorno a lui, riconoscendo le pareti illuminate da un pallido sole mattutino e le delicate forme di Sawhanna, ancora accoccolata contro il suo petto, mentre comprendeva che, dopo giorni e giorni di oblio, era infine tornato a sognare.
Si passò una mano sul volto, scostandosi i capelli castani dalla fronte.
Per un attimo aveva davvero temuto di essere morto…
Con la bocca che già rivelava un sorriso, sfiorò le labbra della donna accanto a lui.
Tutto stava andando come previsto.

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Capitolo 22
*** Capitolo 21: Il primo scacco ***


-Capitolo 21: Il primo scacco-

Il tempo pareva congelato in un eterno presente, mentre Rafi e Kilik si preparavano a mettere in gioco la vita contro uno dei dominatori di Sylune. Qualche metro dietro di loro, Sky cercava faticosamente di rialzarsi, ancora dolorante per il colpo appena ricevuto.
Il mago lasciò scivolare la sua pupilla incolore sui due giovani di fronte a lui, indeciso su chi attaccare per primo; nonostante la rabbia per la ferita subita non si fosse ancora placata e gli agitasse la mente con dolci propositi di vendetta, possedeva ancora abbastanza razionalità per risparmiare almeno momentaneamente l’Etereo, in modo da appropriarsi del suo potere, e prolungare il più possibile il gioco al massacro con cui avrebbe punito quelle due umane.
Mentre gli occhi impietosi dell’Oscuro si soffermavano a studiarlo, Kilik si maledì ancora una volta per la propria incoscienza; la preoccupazione per quel fratello che era da sempre stato un secondo se stesso lo aveva spinto ad agire in maniera fin troppo avventata ed ora sapeva che a pagarne le conseguenze non sarebbe stato lui solo, anche se il destino pareva averlo scelto come prima vittima.
Incapace anche solo di muoversi, rimase a fissare attonito il mago che gli si avvicinava, brandendo con una sola mano l’arma nera, pronto a colpire.
Fu l’assassina a salvarlo.
- Levati di mezzo! - ringhiò, assestandogli una violenta spallata che lo mandò a ruzzolare sul pavimento.
Con un groppo in gola che gli impediva di deglutire, l’Etereo vide la spada nera dell’Oscuro abbattersi nell’esatto posto dove un secondo prima c’era il suo braccio, scontrandosi con la lama che Rafi gli aveva contrapposto.
L’impatto fu di un’intensità tremenda e si propagò con un tremito fino alle spalle dei due contendenti, che rimasero a sfidarsi in una prova di forza, l’uno di fronte all’altra, senza alcuna intenzione di cedere. Quasi subito la ragazza si ritrovò ad indietreggiare, apparentemente sopraffatta dalla potenza dell’uomo, ma un istante più tardi si riprese e riuscì ad esibirsi in un improvviso contrattacco.
Sorpreso, Ghedan fu obbligato a difendersi, senza poter reagire ai suoi fendenti.
Un primo colpo si abbatté vicino al suo collo, poi un secondo lo costrinse ad abbassare la spada per pararsi il ventre, mentre il terzo già puntava alla testa.
Il mago imprecò.
I continui cambi di direzione negli attacchi e la forza con cui essi erano sferrati lo costringevano a concentrarsi unicamente sulla sua avversaria, senza poter controllare gli altri due ragazzi.
Un nuovo fendente di Rafi passò a pochi centimetri dal suo fianco.
Ghedan si irrigidì, accogliendo con una smorfia seccata quella prova di abilità che non si sarebbe mai aspettato, tuttavia non c’era alcuna preoccupazione sul suo volto: non era mai stato un bravo spadaccino, ma con la magia pronta a guidare la sua lama diveniva praticamente invincibile.
Un sorriso crudele si disegnò sul suo volto pallido, mentre stringeva con forza le dita attorno all’impugnatura nera della sua arma, il più prezioso dei suoi tesori, che solitamente giaceva in una camera segreta e per la prima volta aveva deciso di utilizzare in battaglia.
Grazie alla magia che giorno dopo giorno aveva infuso nella lama, quella spada amplificava in maniera esponenziale la sua forza e velocità, consentendogli di combattere ad armi pari perfino contro un’avversaria del calibro di Rafi, senza nemmeno dover utilizzare direttamente il proprio potere.
Era l’arma definitiva, una sorpresa che aveva preparato per i futuri scontri con gli Oscuri e rappresentava l’asso nella manica con cui li avrebbe sconfitti; non aveva alcun bisogno di utilizzarla per avere la meglio su quei tre ragazzi, tuttavia la curiosità di scoprire quanto fosse potente la sua creazione era stato un pensiero troppo allettante per poterlo reprimere.
Il suo sorriso si accentuò in un ghigno carico di minacce e crudeltà, mentre pensava che era giunto il momento di combattere sul serio.
Dopo quei brevi secondi tregua, in cui Kilik era corso a sincerarsi sulle condizioni di Sky, Rafi attaccò di nuovo.
Ghedan attinse al potere contenuto nella spada e la sentì muoversi senza alcuna fatica, guidare il suo braccio nelle parate fino a sferrare un attacco improvviso da cui l’umana si difese con un evidente sforzo.
Approfittando della sua incertezza, l’Oscuro la colpì con un calcio allo stomaco, facendola barcollare, e si preparò a darle il colpo di grazia con un fendente alla testa abbastanza potente da infrangere la sua guardia, se lei avesse avuto la forza di opporre resistenza, ma Rafi, pur essendo rimasta senza fiato, non si lasciò sorprendere. Forte dell’esperienza di anni di scontri, si mosse prima ancora che la sua mente concepisse un pensiero concreto, facendo un passo indietro in modo da parare quel violento attacco senza sbilanciarsi.
Le due spade cozzarono con un suono argentino e, nonostante il tremito che agitava le braccia dell’assassina, la lama nera si fermò a qualche centimetro dai suoi capelli biondi. Con la fronte aggrottata per lo sforzo e la concentrazione, l’Oscuro riuscì a farla arretrare e si preparò a richiamare la magia per finirla.
Subito Kilik compresse parte del suo potere nella mano destra e lo utilizzò per muovere un tavolino poco distante, scagliandolo contro di lui, mentre Sky, appena ripresasi dal primo attacco, cercava silenziosamente di arrivargli alle spalle.
Incollerito per quel tentativo di colpirlo proprio quando stava per uccidere la sua avversaria, Ghedan sollevò il braccio libero ed un’ondata di energia investì il mobile, distruggendolo. Prima ancora che i resti del tavolino cadessero al suolo, si volse verso l’Etereo, pronto a fargli pagare caro l’attacco con cui lo aveva fermato, ma l’assassina era di nuovo di fronte a lui, e già lo incalzava con una rapida serie di stoccate.
Proprio nell’esatto momento in cui riusciva ad allontanarla, attingendo ancora una volta al potere racchiuso nella sua arma, Sky lo attaccò da dietro, ma la spada nera, apparentemente dotata di volontà propria, si levò a parare l’affondo senza che l’Oscuro dovesse voltarsi, per poi respingerla con forza bastante a farla cadere nuovamente a terra.
Invece di infierire su di lei, Ghedan squadrò ancora i suoi tre avversari, sogghignando.
- Siete degli sciocchi presuntuosi, se credete di poter sconfiggere me, il primo dei re che ha affiancato Daygon e colui che presto diverrà l’unico sovrano di Sylune. - li derise, arretrando verso la parete in modo da avere le spalle coperte.
Sollevò la mano sinistra e cominciò a condensare in essa il suo potere, mentre i suoi occhi crudeli saettavano tra i suoi nemici in cerca del prossimo obiettivo.
Quasi subito incrociò lo sguardo dell’assassina.
Con un ghigno che rivelava tutto il suo divertimento per quella situazione, le mostrò il palmo in cui l’energia era cresciuta fino a raggiungere le dimensioni di un pugno e, simile ad una fiamma ardente e di uguale colore, pulsava ad ogni secondo.
L’attimo dopo quel globo di fuoco si stava dirigendo a tutta velocità contro di lei.
Appena prima dell’impatto, Kilik stese il braccio e lo investì con il suo potere, deviandone la traiettoria.
Il colpo dell’Oscuro passò a qualche centimetro dalla spalla di Rafi, che istintivamente aveva sollevato la spada in un futile tentativo di proteggersi, ed anche a quella distanza l’assassina sentì una striscia bruciante di dolore farsi strada sulla sua pelle, lì dove il fuoco del suo avversario l’aveva appena sfiorata. Un secondo più tardi il globo ardente si schiantò contro una parete, carbonizzando tutti gli addobbi e lasciando una traccia annerita sul muro.
I due ragazzi si scambiarono un’occhiata priva di qualunque simpatia, mentre le labbra dell’Etereo si incurvavano in un sorrisetto di trionfo.
- Adesso siamo pari. - mormorò, respirando un po’ affannosamente per lo sforzo appena sostenuto.
Deciso a riscattarsi dall’errore con cui aveva risparmiato Ghedan, provò poi a colpirlo con un’ondata del suo potere, troppo debole ed improvvisa per assumere una forma visibile, ma l’unico risultato fu un violento spostamento d’aria che venne soppresso senza alcun problema dal suo avversario.
Tuttavia il colpo di Kilik era riuscito a fermare un nuovo incantesimo dell’Oscuro e questo momento di distrazione permise alle due ragazze di avvicinarglisi e costringerlo ad un corpo a corpo in cui non aveva il tempo di utilizzare la sua magia. Come se si fossero accordate in precedenza, lo attaccarono nello stesso istante, da due diversi lati.
Subito la spada nera si levò per parare la stoccata frontale di Rafi e allora Sky sorrise, pronta ad affondare la sua lama nella schiena del suo avversario, ma il suo affondo rapido e letale non raggiunse mai il bersaglio.
Proprio un attimo prima di penetrare nella carne dell’Oscuro, la sua arma cozzò contro una barriera invisibile e venne scagliata lontano, mentre lei stessa barcollava per la forza con cui quel muro protettivo che pareva circondare il mago l’aveva respinta.
Momentaneamente libero da una delle sue avversarie, Ghedan ne approfittò per sbilanciare l’assassina e scagliarla contro la parete più lontana con un rapido gesto della mano.
Quindi si volse verso Sky, ancora stordita dalla scossa di potere che l’aveva attraversata quando si era scontrata con la sua magia difensiva, e l’afferrò per la gola.
Subito la ragazza lo attaccò con l’unica spada che le era rimasta, nel vano tentativo di liberarsi, mentre si sentiva sollevare da terra e la morsa sul suo collo si faceva sempre più dolorosa.
L’Oscuro la disarmò senza alcuna difficoltà.
- Non avresti dovuto ferirmi, prima. - sibilò, aumentando la presa fino a toglierle il respiro - Pagherai caro questo affronto.
Da un lato avrebbe preferito lasciarla in vita almeno per quella notte, in modo da soddisfare gli istinti che lo avevano colto prima dello scontro, ma la sensazione di avere il suo collo sottile imprigionato dalle proprie dita gli ottenebrò la mente, lasciando che la rabbia prendesse il sopravvento.
Strinse ancora la presa, fin quasi ad incidere la pelle, facendo boccheggiare la ragazza, che ormai si agitava sempre più debolmente nella sua morsa.
Subito Kilik sollevò una mano, pronto ad utilizzare ogni goccia di energia per liberare l’amica, anche a costo di rimanere inerme di fronte all’Oscuro.
- Lasciala! - ringhiò, mentre sentiva il potere accumularsi nella sua mano destra in una fiammata di magia tanto potente che lo avrebbe lasciato stordito ed incapace di muoversi per diversi minuti.
Stese il braccio, pronto a rilasciare il suo colpo, ma Rafi, appena tornata in piedi, glielo spinse via all’improvviso.
- Tu pensa alla sua armatura. - ordinò, lanciandosi verso il mago come una furia.
Sorpreso dalla violenza dell’attacco, Ghedan fu costretto a lasciare la spadaccina, che cadde a terra tossendo convulsamente.
Nonostante il terribile dolore alla gola ed ai polmoni, Sky riuscì comunque a colpirlo sopra il ginocchio con un calcio, sbilanciandolo e dimostrando che l’armatura magica non arrivava a coprire anche le gambe.
Subito Rafi ne approfittò per attaccarlo proprio dove non aveva protezioni.
Per un attimo parve che il fendente dell’assassina sarebbe penetrato nella coscia del suo avversario, ma la lama nera s’illuminò debolmente e Ghedan riuscì a pararlo all’ultimo secondo, sentendo con un brivido il tocco dell’acciaio sfiorargli la pelle.
Kilik sgranò gli occhi non appena comprese cos’era successo.
- Rafi, mira alla spada! - urlò, finalmente sicuro di aver trovato il modo per sconfiggere il loro avversario.
La ragazza annuì senza voltarsi.
Con quell’esclamazione l’Etereo le aveva dato la certezza di ciò che già sospettava ed ora, finalmente certa di chi fosse il nemico più pericoloso in quella stanza, si gettò all’attacco con nuovo slancio. Invece di cercare un varco nella guardia dell’avversario, consapevole di come fosse protetto dall’armatura magica, cercava volontariamente di colpire l’arma che lui le contrapponeva, nel tentativo di spezzarla.
Continuò ad incalzarlo con fendenti e stoccate sempre più rapidi, riuscendo nel contempo ad allontanarlo dalla compagna che, incapace di rialzarsi, si trovava ancora inginocchiata a terra.
Subito Kilik fu al suo fianco, pronto a proteggerla ed allo stesso tempo concentrato per richiamare il potere con cui avrebbe distrutto la difesa del loro avversario. Mentre sentiva l’energia fluire nei palmi delle sue mani, sollevò lo sguardo, accorgendosi che l’Oscuro indietreggiava, incalzato dal rapidi attacchi della sua avversaria, ed in quel momento comprese come mai, nonostante la riconosciuta inferiorità, quel giorno Rafi avesse detto a Sky che in uno scontro serio sarebbe riuscita a batterla.
Simile ad un felino indomito e feroce, pronto a lottare con tutte le sue forze contro un nemico troppo potente, l’assassina pareva animata da una furia inesauribile. I suoi affondi si susseguivano con una violenza inaudita, costringendo il mago in difesa, come se, invece di provare a colpirlo, mirasse semplicemente a stancargli il braccio con cui impugnava la spada, e, quando il suo avversario si faceva abbastanza vicino, utilizzava le gambe, per cercare di colpirlo o sbilanciarlo, attenta a mirare dove era sicura che nessuna armatura invisibile l’avrebbe protetto.
Al vedere la ragazza che, da sola, riusciva quasi a tener testa all’Oscuro, Kilik risentì il soffio quasi impercettibile della speranza accarezzargli nuovamente il cuore, tuttavia quell’illusione durò solo pochi minuti.
Vedendosi in netto svantaggio come guerriero, Ghedan ricorse nuovamente alla magia.
Invece della solita energia grazie alla quale in precedenza aveva allontanato i suoi avversari, questa volta scelse un incantesimo particolare, con cui si divertiva a torturare i suoi prigionieri; nonostante l’ingente sofferenza che infliggeva alla sue vittime, non causava alcuna ferita, salvo qualche piccolo taglio superficiale attraverso cui passava la magia, ed era quindi il metodo perfetto per interrogare qualcuno o punirlo senza ucciderlo.
Grazie al potere della spada, riuscì a difendersi dall’attacco di Rafi con una sola mano, mentre con l’altra si mise a tracciare due semicerchi in aria, pronunciando alcune parole impercettibili.
Subito tanti piccoli dardi di magia colpirono la ragazza, che cadde a terra, contorcendosi dal dolore, ma con le labbra ostinatamente sigillate.
- Potresti anche urlare, prima di morire. - le disse il mago, pronto ad infierirle il colpo di grazia.
Sky scattò all’improvviso verso di lui, incurante del dolore che ancora le torturava la gola, tuttavia la sua corsa, per quanto veloce, non sarebbe bastata a salvare l’amica.
Kilik assistette alla scena con il volto contratto dalla tensione.
Ormai non c’era più tempo.
Avrebbe dovuto liberare il potere che aveva accumulato fino a quel momento, sperando fosse sufficiente a distruggere l’incantesimo protettivo dell’Oscuro. Pregando dentro di sé di non fallire, sollevò entrambe le braccia e scatenò il suo attacco.
Subito l’incolore energia sul suo palmo divenne una luce azzurrina, che guizzò verso il corpo di Ghedan simile ad un serpente, fino a circondarlo come una cintura all’altezza della vita.
L’Etereo trattenne il respiro nel momento in cui la propria magia entrò in contatto con la barriera protettiva del suo avversario, ora non più concentrato nell’uccidere l’assassina, ma incredulo per quell’attacco inaspettato.
L’aria attorno al suo corpo tremolò per un paio di secondi, quindi si sentì il rumore di qualcosa che si infrangeva, mentre Kilik cadeva in ginocchio per lo sforzo, con un sorriso disegnato sul volto esausto: l’armatura magica dell’Oscuro era stata dissolta.
Più sorpreso di lui, Ghedan dovette indietreggiare di qualche passo sotto il furioso attacco di Sky, prima di riprendere il controllo e scaraventarla nuovamente a terra con il suo potere.
- Adesso mi hai stancato, moccioso. - ringhiò, rivolgendo la sua attenzione al ragazzo dagli occhi viola, mentre le dita della sua mano sinistra compivano degli strani movimenti. Subito dal muro si materializzarono due spessi lacci di cuoio, che si strinsero ai polsi dell’Etereo, sospendendolo a qualche metro dal pavimento.
Conscia di non potersi arrendere, Sky si rialzò faticosamente, una mano premuta contro il fianco.
Vide Rafi nuovamente in piedi, ma ancora barcollante per l’incantesimo subito, e comprese che in quel momento avrebbe dovuto contare solo su se stessa.
La risata del suo nemico la mise in guardia, permettendole di evitare il suo attacco infuocato con un agile balzo a lato, che la portò vicino ad una delle sue spade. La afferrò, senza il tempo di cercare l’altra, e subito si gettò in soccorso dell’amica che, con il volto contratto per il dolore, stava per subire un nuovo attacco di Ghedan.
Rapida come il vento si frappose tra i due contendenti, parando il fendente che si sarebbe abbattuto su di lei.
Prima che la forza dell’uomo, di gran lunga superiore alla sua, la mettesse in difficoltà, fece un veloce passo a lato nel tentativo di liberarsi dalla pressione della lama nemica e poi contrattaccare, ma il potere della spada nera e non le lasciò il tempo di reagire: una violenta stoccata la costrinse ancora in difesa e, approfittando dell’evidente sforzo con cui lei si stava opponendo alla sua arma, il mago la raggiunse al volto con un manrovescio.
Mentre Sky barcollava, stordita dal colpo violento che le aveva fatto abbassare la guardia, l’Oscuro caricò il fendente con cui avrebbe posto fine alla sua vita, ma questa volta fu la spada di Rafi a contrapporsi a lui, ricacciandolo indietro nel vano tentativo di superare la difesa della sua arma nera e trafiggerlo al petto.
Con un movimento quasi annoiato del polso, Ghedan scaraventò la sua avversaria contro uno dei tavoli che ornavano l’ampia sala, distruggendolo.
Senza esitare la spadaccina si gettò contro di lui, certa di aver trovato un varco nella sua guardia, ma l’Oscuro non si fece sorprendere.
- Non così presto. - sibilò, mentre Sky si ritrovava sollevata in aria da una forza invisibile - Con te mi divertirò più tardi.
Com’era successo con Kilik, dal muro della sala comparvero delle corde che le circondarono il corpo, tanto strette da inciderle la carne e renderle difficile perfino respirare.
Ghedan si volse quindi verso l’assassina, ancora stesa a terra tra i resti del tavolo su cui era stata scaraventata. Nonostante il potere immagazzinato nella sua arma fosse ormai agli sgoccioli e lui stesso cominciasse ad avvertire una certa fatica, sapeva che non avrebbe avuto alcun problema a sbarazzarsi di quell’ultima avversaria.
- Pare che tu sia rimasta sola. - commentò, con una risata dal suono crudele e sgraziato.
Rafi si costrinse ad alzarsi in piedi, ignorando il sordo pulsare al fianco e alla schiena, le mani ancora strette alla lunga spada che non aveva lasciato nemmeno dopo essere stata colpita. Con la coda dell’occhio lanciò un rapido sguardo alla parete alla sua sinistra per verificare la veridicità dell’affermazione del mago, senza che il suo volto lasciasse trasparire alcuna emozione.
La consapevolezza di essere l’unica rimasta in grado di combattere non le interessava.
Già dall’inizio di questa sua crociata solitaria contro gli Oscuri sapeva che non avrebbe avuto nessun compagno al suo fianco, pronto a difenderla o proteggerla com’era invece accaduto in passato, ed il supporto degli altri due ragazzi nei minuti precedenti era stato più di quanto si sarebbe aspettata.
Nonostante fossero alleati, non aveva mai fatto affidamento su di loro: anni prima si era ripromessa di non dipendere mai da nessuno, sia per una questione di sfiducia, sia perché il suo scopo non sarebbe stato comunque condivisibile, e già allora sapeva che la sua strada verso la vendetta sarebbe stata percorsa unicamente dalle sue orme.
Anche il dolore ai lividi parve svanire al cospetto dell’opportunità di avvicinarsi di un passo al suo obiettivo finale.
Strinse entrambe le mani sull’impugnatura della sua spada, con gli occhi fissi su Ghedan.
Sapeva che lo scontro si sarebbe concluso entro pochi minuti, lasciando vivo solo uno di loro due, ma questa consapevolezza non le arrecava né turbamento né eccitazione.
La sua mente era sgombra, priva di rabbia o paura, pronta ad accogliere qualunque convinzione l’avesse riempita ed a perseguirla fino alla morte, come più volte le aveva raccomandato il suo maestro. E l’unico suo pensiero, in quel momento, era l’ossessivo desiderio di abbattere il suo avversario.
Ghedan la guardò avvicinarsi con un ghigno sinistro sul volto scarno, pronto a porre fine al combattimento: si era divertito parecchio durante lo scontro, ma l’uso eccessivo dei suoi poteri aveva già cominciato a stancarlo e senza la protezione dell’armatura magica preferiva evitare ogni rischio.
Si difese dal suo violento attacco per qualche secondo, arretrando fino ad avere quasi le spalle al muro, poi un bagliore dorato circondò la sua arma e la lotta senza speranza tra lui e quell’umana si preparò a concludersi nel modo più scontato.
Rafi era un’ottima guerriera, con il corpo allenato e temprato dalle battaglie avrebbe potuto tenere testa alla maggior parte dei soldati in un duello uno contro uno, tuttavia non poteva competere con la magia dell’Oscuro.
Parò a fatica un nuovo affondo dell’uomo ed una potente forza esplose dalla spada nera, scaraventandola a terra.
Solo grazie ai riflessi sviluppati durante anni di combattimenti la ragazza riuscì a fermare in tempo il fendente che si sarebbe abbattuto sul suo collo, ma Ghedan approfittò del suo addome scoperto per infierire crudelmente con un calcio, spezzandole il respiro nel momento in cui la costola cedette con uno schiocco secco.
Con un urlo soffocato, smorzato non per orgoglio ma per mancanza d’aria, Rafi cercò di rotolare via, conscia con l’ultimo barlume di razionalità che se non si fosse allontanata subito dal suo avversario sarebbe stata uccisa in un sol colpo.
Ghedan la lasciò fare con un sorriso.
Quella strana ragazza bionda lo aveva irritato fin dalla sua prima comparsa in quella sala, quando si era rifiutata di mostrargli una qualunque traccia di paura e qualcosa nel suo volto impassibile gli aveva causato una strana inquietudine a cui ancora non riusciva a trovare un nome.
Attese che si rialzasse barcollando, pronto a concludere quel combattimento con l’unico esito possibile, e calò la sua spada su di lei.
Quasi per miracolo, l’assassina riuscì a parare questo primo attacco ed il successivo, guidata ormai più dall’istinto che dalla coscienza, ma un violento manrovescio la raggiunse al volto e lei cadde a terra, stremata.
Subito il mago le fu sopra, con un ginocchio poggiato sul suo torace per impedirle di rialzarsi e la propria arma premuta contro la sua, in modo da forzarla a difendersi in quella posizione nettamente svantaggiosa.
Centimetro per centimetro la ragazza fu costretta ad abbassare la propria spada, mentre la lama nera avanzava minacciosa verso la sua gola, ed i suoi due compagni assistevano impotenti alla conclusione dello scontro.
- Kilik! - urlò la spadaccina, ed in quel nome vibrante di disperazione si fondeva l’ultima speranza di un destino che ormai pareva ineluttabile.
L’Etereo non rispose, si limitò convogliare tutte le sue energie per sciogliere quella morsa che gli stava segando la pelle, ignorando la consapevolezza di essere troppo esausto per qualunque incantesimo. Aveva già esaurito quasi tutto il suo potere dissolvendo l’armatura dell’Oscuro e non gliene rimaneva abbastanza per far sparire anche le corde che lo tenevano prigioniero.
Spinto solo dalla disperazione, conscio che senza aiutare l’incantesimo con i gesti rituali ogni suo tentativo sarebbe stato inutile, provò un’ultima volta a liberarsi, invano. Infine abbassò il capo, sconfitto, con la testa pulsante per il dolore ed i polsi sanguinanti.
Ignorando lo sguardo della spadaccina fisso su di lui, lottò strenuamente contro le lacrime, percependo ancora una volta la crudele stretta della coscienza sul suo cuore. Sapeva che il suo destino non sarebbe stato migliore di quello del fratello, tuttavia in quel momento non riusciva a preoccuparsi per sé.
Chiuse gli occhi, senza avere il coraggio di guardare la morte di quella ragazza che aveva odiato ferocemente, eppure in fondo al cuore, riconosceva come compagna. Una morte che gli gonfiava il petto di rimorso e di un inaspettato quanto violento desiderio di piangere, fosse solo per poter sfogare la sua sofferenza.
Attingendo alle sue ultime forze, con il fianco ferito bruciante per il dolore, Rafi strinse spasmodicamente l’elsa della sua spada e riuscì a sollevare di qualche centimetro la lama che le aveva già intaccato la pelle della gola.
Ghedan la fissò negli occhi con un sadico sorriso, pronto a finirla, poi il suo volto assunse un’espressione sorpresa.
- Tu… - mormorò, un attimo prima che la mano sinistra della ragazza afferrasse il coltello nascosto nello stivale e glielo conficcasse nel torace privo di difese, raggiungendo il cuore.
Il corpo dell’Oscuro crollò a terra accanto a lei, gli occhi spalancati nel vuoto Una luce argentea si levò dal suo petto, illuminando per un attimo il volto di quello che era stato uno dei Cinque Re, poi anch’essa si spense, mentre l’ultimo guizzo di vita abbandonava quel corpo insanguinato e la sua pupilla si anneriva all’improvviso.
Subito le funi che avevano legato Kilik e Sky scomparvero, facendoli precipitare a terra con un tonfo sordo.
Incurante del dolore ai polsi ed alle ginocchia su cui era atterrato pesantemente, l’Etereo si rialzò, guardando incredulo la sagoma immobile dell’Oscuro.
Avevano vinto.

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Capitolo 23
*** Capitolo 22: La fuga ***


-Capitolo 22: La fuga-

L’Etereo aiutò Sky a rialzarsi, assicurandosi con una rapida occhiata che le funi con cui era stata legata fin troppo strettamente non le avessero causato alcun danno, quindi si diresse un po’ titubante verso l’assassina.
- Tutto bene?
Rafi si rimise in piedi barcollando, pallidissima.
Non degnò di uno sguardo i suoi alleati, tutto il suo essere stava lottando contro la nausea ed il sordo dolore che la trafiggeva ad ogni respiro, eppure, mentre si soffermava a studiare il cadavere dell’Oscuro ai suoi piedi, il suo volto lasciò trasparire un lampo di esultanza.
- Fuori uno. - mormorò, prima di accasciarsi contro il muro, una mano premuta contro la fronte ed il braccio stretto al fianco ferito.
- Rafi! - esclamò la ragazza più giovane, mentre già il mago si era lanciato in suo soccorso.
L’assassina gli puntò la spada al petto, con la mano che le tremava.
- Stammi lontano! - ringhiò.
- Ma tu sei ferita. - disse ancora Sky, nel vano tentativo di avvicinarsi a lei.
Senza staccare il braccio sinistro dal fianco, Rafi rivolse l’arma contro la compagna.
Nel suo sguardo glaciale ora velato dalla sofferenza si leggeva chiaramente il suo desiderio di prenderli a pugni entrambi, frenato solo dalla debolezza.
- La prossima volta, invece di fare gli idioti, uccidetelo subito.
Respirò profondamente un paio di volte e le parve che il dolore annidato nel suo fianco si espandesse come un’impietosa fiammata fino alla gola ed ai polmoni, tuttavia non emise un singolo gemito. Sotto gli occhi preoccupati dei due ragazzi parve racchiudersi in se stessa per contenere la sofferenza che la attanagliava, fino a quando, un secondo alla volta, le fitte al corpo ferito scemarono in un acuto ma sopportabile pulsare. Sempre combattendo contro la stanchezza che minacciava di sopraffare la sua coscienza, rinfoderò la spada e rivolse ai suoi alleati lo sguardo più imperturbabile di cui fosse capace, ignorando le loro espressioni interrogative.
Nonostante tutti i suoi sforzi, Kilik e Sky si erano accorti subito del suo comportamento sofferente e, per quanto l’assenza di sangue o ferite visibili sul suo corpo fosse almeno in parte una rassicurazione, non riuscivano a scacciare un consistente senso di angoscia per le sue condizioni.
Un colpo sordo alle loro spalle li fece voltare verso le porte principali.
Sconvolti dalla brusca rottura del contatto mentale con il loro padrone, i soldati si erano infine decisi a sfondare le porte e controllare cos’era successo.
Subito Kilik e la spadaccina cominciarono a studiare le pareti della sala in cerca della loro via di fuga: secondo la mappa che Lensin, l’amico di Alista, aveva disegnato per loro, ci sarebbe dovuta essere un’uscita segreta in quella stanza, attraverso la quale Ghedan poteva accedere comodamente alle celle nel seminterrato, e, una volta raggiunta quella parte del castello, sarebbe stato molto più semplice scappare.
Dopo qualche tentativo sui muri attigui, Sky si diresse verso la parete dietro il trono e sollevò un pesante arazzo decorato con fili d’oro e pietre preziose, rivelando una porta incisa nella pietra e praticamente impossibile da intravedere se non si fosse saputo fin dal principio cosa cercare.
In un secondo Kilik fu al suo fianco, pronto a lasciare per sempre quel luogo che puzzava di sangue, ma l’esclamazione di Sky lo spinse a guardarsi alle spalle.
La ragazza più vecchia era ancora accasciata contro il muro e sembrava in bilico tra la veglia e l’incoscienza. Il volto pallido, ancora più bianco del solito, era contratto per la sofferenza e gli occhi chiusi facevano presagire che fosse prossima ad uno svenimento.
Subito l’Etereo la raggiunse, pronto se necessario a sostenerla nella fuga.
La sua sollecitudine nei confronti dell’assassina non era causata da un ipotetico desiderio di amicizia, quanto dal profondo senso di colpa per le proprie azioni: era stata Rafi a pagare il prezzo più alto per l’uccisione di Ghedan. Anche se non sapeva che genere di ferita la stesse facendo soffrire in quel modo, poteva ancora sentire attorno a lei una debole aura magica, sicuramente causata dall’ultimo incantesimo che le aveva torturato il corpo, e non poteva esimersi dal provare un acuto senso di rimorso nei suoi confronti.
Le si avvicinò per scuoterla, ma, un attimo prima che potesse sfiorarle la spalla, Rafi aprì gli occhi di scatto.
- Non mi toccare! - esclamò, schiaffeggiandogli la mano.
Il ragazzo fece un passo indietro e si morse le labbra per non replicare, mentre l’assassina raccoglieva le forze per staccarsi dal muro e rimanere in piedi senza alcun sostegno.
- Riesci a muoverti? - chiese Sky, avvicinandosi cautamente a lei.
Rafi si esibì nel suo solito sorriso sprezzante, questa volta più accentuato del solito.
- Perché non dovrei?
Nonostante il pallore, pareva essersi ripresa quanto bastava per camminare senza incertezze verso il corpo esanime dell’Oscuro.
- Sbrigati, non c’è tempo! - le urlò Kilik, quando la vide chinarsi su di lui
- Nessuno ti ha chiesto di aspettarmi. - replicò l’assassina.
Indifferente al clamore dei soldati fuori dalle porte ed all’urgenza presente nello sguardo dei suoi due alleati, afferrò il pugnale ancora conficcato nel corpo di Ghedan e lo estrasse con un colpo secco, ripulendo con le dita lo schizzo di sangue che aveva imbrattato la grande “L” incisa rozzamente sull’impugnatura.
Nonostante le sue parole, i due ragazzi erano rimasti ad attenderla e si mossero solamente quando lei li raggiunse.
In pochi secondi sgusciarono attraverso il passaggio che dava su una scalinata di pietra, mentre i colpi contro le porte divenivano sempre più forti.
- Perché dovrebbero cercare di ucciderci? In fondo abbiamo liberato Sylune da un oppressore! - esclamò Sky.
Kilik si appoggiò alla porta, richiudendola con il proprio peso.
- Non penso che prenderanno bene la morte di chi li pagava.
Per una delle rare volte l’assassina gli diede ragione.
- I soldati di Ghedan sono feccia. I peggiori assassini e delinquenti di Sylune. Per loro uccidere non è un lavoro, ma un divertimento. - commentò seccamente, prima di avviarsi lentamente verso il corridoio a stento illuminato dalle torce che si intravedeva alla base della scalinata.
Per un attimo l’Etereo fu tentato di lanciarle una provocazione, evidenziando la sua somiglianza con quegli uomini dell’impero, ma le condizioni della compagna lo dissuasero subito dal cominciare uno scontro da cui non avrebbe ricavato alcuna soddisfazione per la vittoria.
Una volta giunti in fondo alla ripida scalinata, si ritrovarono in un cunicolo buio e maleodorante, con una rientranza alla loro sinistra dove erano situati un tavolo e pochi mobili, probabilmente il posto in cui i soldati potevano sedersi e controllare che nessun prigioniero tentasse la fuga.
Delle guardie nessuna traccia.
- Kilik, cosa stai aspettando? - chiese Sky, non appena si rese conto che l’amico era rimasto indietro.
- Voi intanto andate avanti. - disse l’Etereo, mentre adocchiava alcune panche abbastanza pesanti da poter rinforzare la porta di pietra.
La spadaccina scosse la testa.
- No, ce ne andiamo tutti assieme.
Kilik sorrise, notando il suo sguardo preoccupato.
- Non voglio mica fare l’eroe. Ma se riesco a bloccare la porta guadagneremo del tempo prezioso.
Conscio di come lui fosse l’unico con la forza necessaria a spostare quelle pesanti panche, viste le precarie condizioni di Rafi, sollevò la prima e si diresse verso la scalinata, con l’intenzione di usarla per barricare l’ingresso segreto.
Sky gli si avvicinò, nel tentativo di afferrare un lato del mobile.
- Allora ti aiuto.
Il ragazzo scosse la testa.
- Non possiamo battere i soldati in rapidità, abbiamo bisogno di un po’ di vantaggio. - si bloccò un attimo, lanciando un’occhiata eloquente verso Rafi - Una volta che avrò finito vi raggiungerò di corsa.
Sky comprese subito il significato implicito di quello sguardo: si erano accorti entrambi che l’assassina non sembrava in grado di avanzare molto rapidamente e non sarebbe mai riuscita a sfuggire ai soldati né a combatterli se si fossero fatti raggiungere. Inoltre, indeboliti com’erano dalla battaglia appena conclusa, solo nella più utopistica delle visioni avrebbero potuto uscire vittoriosi in uno scontro in forte inferiorità numerica con le guardie del castello.
Il mago approfittò del silenzioso assenso della spadaccina per accostare la panca alla porta, mascherando la stanchezza con un sorriso. In condizioni normali sarebbe riuscito a spostare il mobile senza troppa fatica, tuttavia l’uso dei suoi poteri l’aveva debilitato più di quanto pensasse e quel breve sforzo era bastato a prosciugarlo di ogni energia.
Fingendo indifferenza si appoggiò al muro, nella speranza che l’amica non si rendesse conto della sua debolezza.
- Voi intanto andate, io vi raggiungo tra qualche minuto. - promise, senza perdere il sorriso.
Dopo un attimo di incertezza la spadaccina annuì e riprese a camminare rapidamente verso il corridoio illuminato dalle torce, mentre Rafi la seguiva barcollando, con la mano premuta contro il fianco.
Il mago le seguì con lo sguardo.
- Fate attenzione! - le ammonì, un attimo prima che le sue alleate svoltassero l’angolo, scomparendo dalla sua vista.
Per loro fortuna quel consiglio si rivelò del tutto superfluo, visto che le poche guardie ancora presenti nei sotterranei non erano minimamente preparate ad un combattimento e vennero uccise senza alcuna difficoltà dalla spadaccina.
Dopo un paio di svolte ed un’ulteriore scalinata meno ripida della precedente, le due ragazze giunsero nella parte più profonda delle segrete, dov’erano tenuti gli sventurati con cui Ghedan si divertiva a passare il tempo.
La vista di alcuni prigionieri coperti di stracci incrostati di sangue le congelò sul posto.
Gli uomini e le donne incatenati alle pareti sembravano delle grottesche imitazioni di esseri umani: ad alcuni erano stati tolti gli occhi e le orbite vuote, prive anche delle palpebre, parevano fissarle; altri avevano squarci tanto profondi che le ossa spiccavano nitide attraverso i lembi di pelle nerastri e coperti di croste e sporcizia. I più fortunati erano legati in modo da potersi sedere sulla fredda pietra che rivestiva i sotterranei di quel castello, ma la maggior parte di essi erano sospesi a qualche centimetro dal pavimento.
Sky soffocò un grido con la mano e perfino Rafi non poté trattenere un gemito d’orrore quando si rese conto che quei corpi pieni di ferite e tanto magri da sembrare degli scheletri ricoperti di pelle appartenevano a delle persone ancora in vita.
Reprimendo un conato di vomito, la ragazza più giovane si accinse a passare oltre, ma l’assassina la trattenne per un braccio.
- Uccidili. - le ordinò, pronunciando quella parola con evidente fatica.
- Ma… - provò ad obiettare la spadaccina, subito interrotta dall’aspra voce della compagna.
- È l’unico modo per porre fine alle loro sofferenze.
Con le lacrime agli occhi, Sky affondò la lama in quei corpi contorti ed irriconoscibili che un tempo erano degli esseri umani, regalando loro la morte che tanto a lungo avevano atteso nei giorni precedenti.
Proprio quando l’ultimo di quegli sventurati cadde a terra esalando l’ultimo respiro, un rumore di passi proveniente dalle loro spalle le fece voltare entrambe, l’una con le spade sguainate, pronta allo scontro, l’altra, troppo debole per poter utilizzare la sua arma preferita, con la mano già stretta al pugnale.
Pochi secondi più tardi, con immenso sollievo, videro il volto ansante dell’Etereo far capolino in quell’angusto corridoio.
- Spero solo che le panche con cui ho sbarrato la porta reggano per qualche minuto. - commentò - Però è meglio se ci sbrighiamo ad andarcene, ho sentito che i soldati sono riusciti ad entrare nella sala.
Si guardò attorno e la voce gli si smorzò all’improvviso.
- E questo cos’è, una sorta di cimitero?
Sky deglutì a stento, sentendo l’aspro sapore dei propri succhi gastrici che minacciava di invaderle la bocca.
- Erano vivi. - mormorò.
L’Etereo si voltò a fissarla.
- Cosa?!
Il suo sguardo allibito vagò sui cadaveri senza riuscire a concretizzare l’orrore di quella scoperta, poi un pensiero improvviso lo scosse, con tale intensità da farlo tremare da capo a piedi.
- Kohori. - sussurrò, cercando invano in quei corpi devastati le familiari sembianze del gemello.
All’improvviso cominciò a correre, incurante delle due ragazze ancora ferme in mezzo al corridoio, che, prese alla sprovvista lo guardarono sparire senza nemmeno provare a seguirlo.
Avanzando alla massima rapidità con cui Rafi riusciva a camminare, si lanciarono al suo inseguimento attraverso quel passaggio buio e quasi spettrale che le aveva condotte alla scoperta delle perverse abitudini di Ghedan. Dopo pochi passi raggiunsero un altro corridoio, ancora più oscuro del precedente; questa volta le celle erano tutte deserte, fatta eccezione per una sagoma simile ad un ammasso di stracci abbandonata contro la parete.
Kilik era fermo davanti al cadavere di quello che pareva un ragazzo della sua età, con il volto consumato dal tempo ed il torace deturpato da ustioni e bruciature, ancora visibili nonostante fossero passati diversi giorni dalla sua morte.
Incurante della sporcizia e del disgustoso odore proveniente dal suo corpo inerte, gli stava accarezzando una guancia con mano tremante, chiamandolo a bassa voce, come se le sue parole servissero a riportarlo in vita.
Sky lo guardò con gli occhi lucidi.
Durante i giorni scorsi, Kilik le aveva raccontato ogni cosa di Kohori e della sua presunta morte e poteva solo immaginare quale dolore l’Etereo stesse provando nel ritrovarsi fronte al cadavere del gemello. Per un attimo lanciò un’occhiata preoccupata a Rafi, temendo che la compagna si esibisse in una delle sue solite provocazioni, ma, forse a causa della debolezza, forse perché perfino lei poteva non poteva negare un accenno di pietà in simili circostanze, l’assassina si limitò a contrarre le labbra in una smorfia e rimase in silenzio.
Dopo quelli che parvero interi minuti di mutismo ed immobilità, Sky ricordò all’improvviso che presto i soldati li avrebbero raggiunti e quindi non potevano permettersi di perdere altro tempo.
- Kilik… - lo chiamò con tono esitante.
L’Etereo la ignorò.
Con il cuore in gola, la spadaccina fece un passo nella sua direzione.
- Dobbiamo andare. - lo esortò dolcemente.
- Voi andate. - rispose lui, con una voce atona che non aveva mai utilizzato prima.
Sky scosse la testa.
- Presto i soldati arriveranno fin qui. - disse, mentre gli afferrava il braccio con dolcezza, nel tentativo di smuoverlo dalla sua posizione. Nonostante avesse mantenuto la voce tranquilla, tra le sue parole si poteva percepire l’eco della stessa angoscia che le attanagliava il volto.
L’Etereo si liberò dalla sua presa con un brusco strattone, senza nemmeno voltarsi a fissarla.
- Non m’importa, io non mi muovo.
Strinse i pugni, pervaso da una collera quasi priva d’umanità, e per un attimo la spadaccina ebbe davvero paura di lui.
Il suo volto solitamente atteggiato ad un’espressione amichevole, o quantomeno pacifica, si era trasfigurato in qualcosa di terribile: i lineamenti scolpiti dalla collera parevano quelli di un assassino senz’anima; gli occhi non mostravano traccia di lacrime, ma guardavano fisso il vuoto davanti a sé, con un’immobilità inquietante. Le labbra erano contratte in una smorfia minacciosa e per un attimo parve che la magia di cui era in possesso lo racchiudesse tra le sue ali, pronta a saettare in ogni direzione.
Mentre richiamava il poco potere che gli rimaneva, l’Etereo percepì una morsa dolorosa nel suo petto, come se una mano stesse comprimendo i suoi polmoni, impedendogli di respirare, ma lì, dove il cuore pulsava ad un ritmo quasi insostenibile per un essere vivente, poteva percepire la magia, nitida e violenta come mai era stata prima.
La cercò, bramandola con una tale intensità da rasentare la follia, pronto a distruggere il suo stesso corpo pur di poterla utilizzare un’ultima volta. Lasciò che la rabbia fungesse da richiamo e si annullò in essa, senza nemmeno comprendere razionalmente ciò che l’istinto ed il dolore gli suggerivano di fare. E la magia gli rispose, frantumando ogni freno dentro di lui, invadendogli la mente ed i pensieri con un unico ordine di distruzione, vasta, inarrestabile, una forza primordiale che pulsava nelle sua mani in attesa di essere liberata.
Troppo furente per sorprendersi di poter utilizzare ancora il proprio potere, Kilik socchiuse gli occhi viola, lasciando intravedere il cupo bagliore presente nel suo animo, simile ad presagio di morte che si sarebbe abbattuto sui suoi nemici senza alcuna pietà.
Accarezzò un’ultima volta la guancia del fratello ed un’ondata di magia riempì ogni cellula del suo corpo, una forza terribile ed implacabile, che mai gli era appartenuta prima d’ora.
- Li ucciderò tutti.
Sconvolta da questo brusco cambiamento, la giovane rimase a fissare come ipnotizzata il compagno.
Proprio quando la magia stava per concretizzarsi in un’aura oscura e quasi palpabile attorno al suo corpo, Sky lo abbracciò da dietro, appoggiando la guancia alla sua schiena.
- Ti prego, Kilik. Noi abbiamo bisogno di te… Viridian ha bisogno di te!
L’Etereo si irrigidì. Aveva ancora gli occhi fissi sul cadavere del fratello, tuttavia, quando sentì le lacrime della spadaccina bagnargli la schiena e la sua voce tremante ricordargli la sua stessa promessa, la rabbia ed il potere che essa aveva risvegliato parvero abbandonarlo all’improvviso.
Ansimando come se fosse rimasto senza energie, crollò in ginocchio. Solo in quel momento si rese conto di quanto era stato vicino a perdere la vita, consumando in quell’ultima fiammata di collera tutta la magia che gli rimaneva.
Quando si sentì abbastanza in forze per rimettersi in piedi, si alzò ed incrociò gli occhi colmi di lacrime e preoccupazione dell’amica.
Con un movimento dolce, del tutto diverso da quello precedente, la strinse al petto, conscio di non poter esprimere a parole quel variegato intreccio di dolore, rabbia e senso di colpa che si agitava nel suo animo.
- Scusa. - le mormorò.
La ragazza si strinse ancora di più a lui, poi gli rivolse un sorriso appena abbozzato a cui il mago rispose con una rapida carezza sulla guancia.
Una volta che si furono allontanati di un passo, Kilik sollevò lo sguardo, sorpreso che Rafi si fosse fermata qualche metro più avanti per aspettarli, ma forse era semplicemente troppo esausta per proseguire senza una pausa.
- Andiamo. - mormorò, avviandosi assieme alle due ragazze verso la parte di corridoio ancora inesplorata.
Non incontrarono più nessuno: secondo le informazioni che Lensin aveva dato loro non c’erano guardie adibite a controllare i prigionieri ventiquattro ore al giorno e ormai tutti gli uomini di Ghedan erano accorsi nella sala del trono, per capire cosa fosse successo al loro re.
Dopo qualche altro minuto di cammino giunsero infine in una stanza rotonda, dove mezza dozzina di soldati stavano passando il tempo sonnecchiando o giocando a dadi. Il loro arrivo li prese totalmente di sorpresa, così Sky non ebbe alcun problema ad affrontarne un paio e Kilik, ancora in parte pervaso da quella rabbia incontenibile e quasi folle che lo aveva infiammato qualche minuto prima, uccise i rimanenti con i suoi pugnali.
Frugando i loro cadaveri trovarono poi le chiavi con cui poter aprire la porta dinanzi a loro, forse l’ultima barriera per la libertà. Consci di aver perso fin troppo tempo in quel sotterraneo, la varcarono di corsa e si lanciarono su per la ripida scalinata, probabilmente utilizzata dai soldati di guardia per poter raggiungere direttamente l’esterno, che li portò ad una piccola porta in superficie.
La aprirono, guardando cautamente fuori per controllare che non ci fosse nessuno a sorvegliare quell’uscita, e, rapidi e silenziosi, sgusciarono all’aperto, attenti ad allontanarsi dal castello il più discretamente possibile.
Dopo qualche metro Sky lanciò uno sguardo alle sue spalle, preoccupata per l’amica, ma Rafi pareva aver essersi ripresa quanto bastava per camminare senza sforzo a pochi passi da loro. La spadaccina continuò quindi ad avanzare a fianco del mago, pronta ad ogni secondo a lottare per la vita contro le sentinelle dell’Oscuro, ma, a quanto pareva, la confusione generata dalla morte di Ghedan aveva impedito ai soldati di compiere il regolare turno di guardia lungo il perimetro del castello, perché non incontrarono nessuno.
Continuarono ad avanzare con cautela, utilizzando i cespugli e gli alberi come copertura fino a quando non si reputarono abbastanza distanti per poter uscire allo scoperto. Finalmente liberi, corsero fino ai cavalli legati nella parte più fitta di un bosco poco vicino, mentre nel palazzo alle loro spalle si spargeva la notizia della morte di Ghedan.

Kyzler stava camminando con gli occhi socchiusi, assaporando con piacere quasi infantile il contatto con il suolo ancora umido di pioggia.
Amava l’erba.
La carezzò ancora una volta con il suo passo leggero ed in quel momento di pace e tranquillità la pesante oppressione che si agitava nel suo petto parve annullarsi tra lo stormire delle foglie ed i mille rumori della natura.
Corrugò la fronte quando un urlo di donna turbò la quiete perfetta di quel bosco.
Alla sua destra apparve all’improvviso una fanciulla, tesa in una corsa disperata per poter sfuggire ai due briganti che la seguivano. Nonostante fosse il terrore a guidare le sue gambe sottili, non riuscì a distanziarli e presto cominciò a perdere terreno, accorgendosi con un gemito d’orrore dei suoi aggressori sempre più vicini.
L’Oscuro guardò senza espressione gli uomini a pochi metri da lui che erano infine riusciti a raggiungere la giovane ed ora, ridendo della sua paura, stavano cercando di spogliarla dei suoi abiti.
Stanco delle sue grida e due suoi tentativi di liberarsi, uno dei due la zittì con un violento manrovescio, spaccandole il labbro. Con un gemito la ragazza si portò le mani al volto per lenire il dolore del colpo improvviso, ma con quel gesto istintivo permise ai suoi aguzzini di avere libero accesso al suo corpo e ben presto dai vestiti strappati cominciò ad apparire la sua pelle nuda.
Kyzler le si avvicinò, lo sguardo fisso sul rivoletto di sangue che da un lato della bocca le stava colando sul mento.
I suoi occhi sbiaditi seguirono la prima goccia vermiglia nella sua discesa, fino a vederla frantumarsi in mille invisibili schizzi su uno stelo d’erba, donandogli parte del suo colore.
- Andatevene. - mormorò.
- Che cosa?! - esclamò il più grosso dei due malviventi, come se solo in quell’istante si fosse accorto di lui, mentre il compagno scoppiava a ridere, pregustando un ulteriore atto di violenza.
Kyzler continuò a fissare l’erba ai suoi piedi, senza degnarli di uno sguardo.
- State insudiciando il mio bosco.
Il brigante che aveva parlato si unì alla risata dell’amico, prima di alzarsi in piedi per fronteggiare il suo interlocutore.
- Il tuo bosco? Ragazzino, ti consiglio di andartene se non vuoi fare una brutta fine. - disse, brandendo un lungo pugnale per rendere le sue parole ancora più minacciose.
Finalmente l’Oscuro sollevò lo sguardo, permettendo ai due uomini di riconoscere le bianche pupille del quinto re di Sylune.
Completamente pietrificati dal terrore, i briganti rimasero muti e tremanti per diversi secondi, prima di riuscire ad inginocchiarsi davanti a lui.
- V…vi chiedo perdono, mio signore.
- Per favore, lasciateci andare. Non volevamo offendervi. Prendete pure la ragazza, se volete.
Gli occhi dell’albino divennero totalmente inespressivi, cancellando quell’antica malinconia che solitamente lasciavano affiorare durante le sue passeggiate solitarie.
- Avete deturpato i miei possedimenti.
- Ve lo giuro, non volevamo fare nulla di male. Lasciateci in vita e vi serviremo fedelmente come soldati fino alla nostra morte. - supplicò il più grosso dei briganti, chiedendosi se avrebbe avuto abbastanza coraggio per tentare una fuga disperata, magari lasciando il compagno e la giovane in balia dell’Oscuro.
Kyzler rimase in silenzio per qualche secondo, il volto teso verso l’orizzonte.
- Quanta verità ci può essere in una promessa nata dalla paura? - sussurrò, una domanda apparentemente rivolta a se stesso più che ai due uomini inginocchiati di fronte a lui.
Non fece alcun cenno, si limitò a fissare negli occhi i malviventi.
Come se avesse dato loro un ordine perentorio, i due si alzarono di scatto con i coltelli sguainati e si attaccarono.
Incuranti delle ferite che si infliggevano a vicenda, continuarono a pugnalarsi, sotto lo sguardo terrorizzato della loro vittima e l’espressione impassibile dell’Oscuro. Le loro grida di dolore crebbero d’intensità fino a spegnersi in un roco gorgoglio, quando, nello stesso momento, si colpirono alla gola.
Kyzler li vide cadere al suolo e contorcersi nel loro stesso sangue senza alcun cambiamento d’espressione.
Una volta che i due uomini giacquero immobili, si volse verso la ragazza, ancora a terra.
I suoi occhi spalancati dal terrore erano fissi su di lui, ma non c’era alcuna razionalità nel suo sguardo, come se la paura avesse soffocato qualunque emozione, rendendola cieca e sorda. Tremava in maniera convulsa e nemmeno quando il sangue dei suoi aguzzini giunse a lambirle un piede nudo diede segno di accorgersi di ciò che accadeva accanto a lei. Semplicemente incapace di proferir parola, rimaneva immobile, in attesa che quell’Oscuro decidesse il suo destino.
Il mago le diede le spalle.
- Vattene.
Lei non rispose, non cercò nemmeno di coprirsi con i brandelli di abiti che le rimanevano.
Kyzler attese invano che la ragazza, troppo terrorizzata per muoversi, lo lasciasse solo, ma già quella giovane non gli interessava più, perché in quel momento aveva percepito senza possibilità d’errore la morte di uno di loro.
Sgombrò la mente, fino a quando non vide il castello di Ghedan, la sala del trono infestata dai soldati ed il suo corpo privo di vita al centro di una pozza di sangue. Rapido come il pensiero, vagò ancora tra le stanze di quell’oscuro maniero, penetrando in ogni angolo alla ricerca degli assassini, ma col passare dei minuti lo sforzo con cui stava divinando un luogo in cui non era mai stato si fece sempre più gravoso e presto ogni particolare divenne sfocato.
Riaprì gli occhi.
Non era riuscito a scoprire chi l’avesse ucciso, tuttavia sapeva per certo che erano stati in tre e possedevano la magia.
Un sorriso strano gli accarezzò le labbra.
Incurante della ragazza che finalmente aveva trovato il coraggio per muoversi a piccoli passi verso il villaggio, si sedette sull’erba ancora profumata di pioggia, appoggiando la schiena ad una grande quercia, ed attese la chiamata di Daygon.

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Capitolo 24
*** Capitolo 23: La mossa del Re ***


-Capitolo 23: La mossa del Re-

Daygon stava riposando.
Le ombre senza fine del limbo in cui si abbandonava quando sentiva il bisogno di ristorare la mente lo avvolgevano, familiari e quasi rassicuranti nella loro totale assenza di colore. All’improvviso un grido squarciò le tenebre, rivelando un volto distorto dall’agonia della morte e due pupille bianche che recuperavano la loro sfumatura naturale, per poi scomparire dietro un velo opaco e silenzioso.
L’Oscuro aprì gli occhi di scatto, levandosi a sedere.
Ghedan era morto.
Lo aveva percepito con estrema chiarezza, grazie al legame che aveva instaurato con lui anni prima, e quella nitida visione non lasciava adito ad alcun dubbio. Batté le palpebre, momentaneamente impreparato ad affrontare un’eventualità che mai si era affacciata alla sua mente, e l’incertezza trovò spazio forse per la prima volta nel suo volto severo. Per un attimo si chiese se uno degli altri re avesse deciso di cominciare la sua aperta ribellione nei confronti dell’impero, assassinando il più di debole di loro, ma gli bastarono un paio di secondi per percepire la presenza dei rimanenti Oscuri a diverse miglia di distanza dal palazzo di Ghedan. Troppe perché le avessero già percorse dopo aver compiuto il misfatto.
Aggrottò la fronte.
Non era più la morte inattesa del suo primo alleato ad occupargli i pensieri, ma la consapevolezza appena acquisita che due dei rimanenti re di Sylune fossero più vicini di quanto si aspettasse. Ed era una vicinanza che non gli piaceva, perché poteva immaginare un unico motivo per cui Lotar e Sawhanna avrebbero potuto trovarsi nella stessa dimora, entrambi ancora vivi.
Chiuse gli occhi, concedendosi un breve momento di dubbio, poi li riaprì
- Kyzler. - chiamò, mentre i suoi pensieri si dirigevano rapidi verso il luogo da cui aveva percepito il potere del suo più forte alleato. Prima ancora di sentire nella propria mente la sua risposta, lo vide, seduto sull’erba in uno dei boschi di cui era il padrone, accanto a due corpi immersi in una pozza di sangue.
- Ti aspettavo, Daygon. - replicò lui, senza muovere le labbra.
Il primo e l’ultimo sovrano di Sylune si fissarono, come se invece di trovarsi a miglia di distanza fossero l’uno di fronte all’altro.
Al pari degli Eterei e degli altri Oscuri, erano in grado di utilizzare la telepatia, tuttavia i poteri di cui erano possessori ed il forte legame presente tra le loro persone avevano acuito a tal punto questa capacità da renderli in grado di condividere consapevolmente non solo i reciproci pensieri, ma anche la vista, i rumori ed i profumi dell’ambiente che li circondava, senza alcuno sforzo apparente, né perdita di cognizione riguardo il proprio corpo fisico.
Una volta che entrambi si fossero dimostrati concordi nell’instaurare questo collegamento tra le loro menti, sarebbe stato come ottenere il potere di trovarsi contemporaneamente in due posti differenti, così come ora Daygon era consapevole in pari misura della sua stanza e dell’erba su cui sedeva il suo alleato.
- Non è stato uno di noi. - commentò, senza nemmeno alludere a quale argomento si riferisse.
- No. - confermò l’albino, con un’impercettibile sfumatura di tristezza nella voce.
- Hai già provato a divinare il colpevole?
Kyzler annuì.
- Tre ragazzi, tra cui vi è chi possiede la magia.
- Alher od Etereo?
- Sono arrivato tardi per vederli in volto, ho solo percepito la traccia del loro potere. - rispose, con un’esitazione tanto lieve che forse Daygon non se ne accorse.
- Non ha importanza la loro razza, una volta che li avrò catturati mi approprierò della loro magia.
Dopo quest’ultima frase, nelle menti dei due Oscuri scese il silenzio.
Chiunque fosse passato per quei boschi avrebbe distinto unicamente un giovane assorto in meditazione, ma in realtà, di fronte a quel mago con l’aspetto di un fragile ragazzino, c’era un’altra figura, riconoscibile solo da chi possedeva la magia. Visti l’uno di fianco all’altro, i due Re di Sylune sarebbero potuti sembrare un saggio ed il suo apprendista, tuttavia nei loro occhi luccicava lo stesso tipo di potere, che non trovava smentita nemmeno nel volto giovane di Kyzler. Fu proprio quest’ultimo che distolse il proprio sguardo dall’orizzonte e lo posò sul mago di cui lui solo aveva percezione.
- Come pensi di agire, ora che è morto il primo dei tuoi alleati?
- Ghedan è sempre stato uno sciocco, ho commesso un errore a sceglierlo come compagno; tuttavia la sua scomparsa ha indebolito il sigillo e non posso permettere che gli Eterei trovino una breccia nella barriera che li costringe all’Esilio.
- E questo non ti preoccupa, Daygon? Cosa conti di fare per impedirlo?- chiese dolcemente l’albino.
Il più potente sovrano di Sylune si accigliò.
- Ti attendo al castello oggi stesso.
Nonostante il tono della sua voce non avesse subito alcun cambiamento, si avvertiva chiaramente l’ordine implicito nelle sue parole ed il fastidio per l’arrogante domanda del suo alleato.
- Per quale motivo?
- Entro pochi giorni sarebbe dovuto toccare a Ghedan rinvigorire la Fiamma Nera, e tu sai bene che se non la ricarichiamo periodicamente il sigillo si indebolirà fino a spezzarsi.
Il volto efebico del giovane Oscuro s’increspò impercettibilmente, come se quell’ordine fosse per lui fonte di una sofferenza quasi intollerabile.
- Il mio turno non è ancora giunto, perché ti sei rivolto a me invece di scegliere Lotar o Sawhanna?
- Non fingerti ingenuo, Kyzler. - replicò il mago più anziano, lasciando trapelare dai suoi pensieri una sottile irritazione - Credi davvero che mi possa fidare di loro?
- E di me ti fidi? - gli chiese il ragazzo, con uno strano tono di voce.
- Se avessi voluto tradirmi non saresti ciò che sei ora.
L’albino chinò mestamente la testa in un moto d’assenso, prima di riportare gli occhi incolori sul volto del suo interlocutore.
- Desideri forse incontrarmi di persona? - chiese in un sussurro appena percettibile, senza però distogliere lo sguardo.
Daygon scosse il capo.
- Io non ci sarò.
- Quali sono le tue intenzioni?
I lineamenti del mago più anziano vennero scolpiti dalla stessa severa ineluttabilità che avrebbe potuto trovar spazio nel gelido sorriso della morte.
- Mi recherò personalmente nel castello di Ghedan e ridurrò al silenzio ogni soldato che abbia avuto la sventura di assistere alla sua fine.
- Non vuoi far sapere che qualcuno è riuscito ad uccidere un Oscuro?
Perfino a quella distanza, con il loro contatto telepatico che già cominciava a dissolversi, Kyzler riuscì a percepire il volto di Daygon indurirsi in un’espressione spietata ed inesorabile.
- Gli umani non devono riscoprire la speranza.

Sawhanna spalancò gli occhi all’improvviso.
Piccoli frammenti di emozioni, solitamente trattenute all’interno della maschera d’indifferenza con cui si mostrava al mondo, affiorarono sulle sue iridi screziate d’argento e poi si dissolsero al secondo battito di ciglia, mentre un timido raggio di sole le illuminava il volto. Quando rivolse nuovamente lo sguardo verso l’Oscuro che aveva di fronte, non c’era più alcuna traccia della confusione e della collera con cui si era risvegliata scoprendosi distesa accanto a lui.
Si levò a sedere di scatto, dandogli la schiena.
Perfino da questi movimenti rapidi e pervasi d’irritazione trapelava la grazia surreale che le era propria, assimilandola ad un seducente spirito della notte, di cui portava il tenebroso colore. Lo sguardo ammirato del mago la seguì in perfetto silenzio, in preda ad un’insolita indecisione. Lotar aveva assistito al suo risveglio senza pronunciare parola, troppo impegnato a sondare le sue reazioni ed a contemplarne i tratti delicati del volto per blandirla con i suoi discorsi. Quando vide un debole bagliore comparire sul suo palmo, si limitò a scostarsi di qualche centimetro, pronto ad un eventuale scontro ma senza alcun reale desiderio di combattere.
- Hai intenzione di attaccarmi?
La donna si passò la mano sul corpo nudo, sfiorando appena la pelle di seta tra la spalla ed il fianco, senza nemmeno degnarlo di uno sguardo. Subito dalle sue dita emerse una stoffa nera come la notte, che le avviluppò il corpo in un abito meno scollato e provocante del solito, senza tuttavia sminuirne le forme perfette.
- Credo sia giunto il momento che io me ne vada. - affermò con voce tagliente.
- Ne sei certa?
La voce irata della maga schiaffeggiò la quiete mattutina della stanza, grondante del desiderio di cominciare uno scontro.
- Vorresti forse impedirmelo?
Lotar la fronteggiò senza replicare, intenzionato a non cedere alle sue provocazioni.
Il piano che aveva elaborato in quei giorni non gli sarebbe stato di alcuna utilità se la sua alleata avesse deciso di tornare nel suo castello e privarlo in tal modo del suo supporto, tuttavia la frustrazione per la possibilità di un fallimento passava in secondo piano se comparata ad un irritante turbamento nel suo petto, che di razionale non possedeva nulla.
Sawhanna contrasse il volto in un’espressione infastidita: qualcuno aveva bussato timidamente alla porta, probabilmente una serva incaricata di servire la colazione, ma nessuno le badò.
In piedi, l’uno di fronte all’altra, i due maghi si stavano studiando con una tale intensità tale da respirare in maniera impercettibile ed allo stesso ritmo, come indecisi se attaccarsi a vicenda dopo quella notte che aveva scosse le certezze a cui si erano aggrappati durante le loro esistenze da sovrani di Sylune, quando una percezione improvvisa fulminò entrambi.
Sawhanna spalancò le palpebre, le bianche pupille dilatate dalla sorpresa per quel lampo inaspettato di potere che le aveva attraversato la mente.
- L’hai sentito?
Lotar non ebbe bisogno di chiederle a cosa si riferisse. Anche lui si era accorto subito di quell’esplosione di magia che aveva aggredito i suoi pensieri simile ad una tempesta per poi scomparire senza preavviso, così com’era arrivata.
Si guardarono negli occhi con un’espressione smarrita, mentre la stessa frase affiorava sulle loro labbra.
- Uno di noi è morto.
Trascorsero minuti interi di indecisione, di ipotesi espresse senza la solita sicurezza, di congetture che non desideravano realmente verificare, entrambi restii ad accettare un simile evento che ricordava loro la propria natura di mortali.
- Se fosse morto Daygon lo sapremmo, quindi si tratta di Ghedan o Kyzler. E sono pronto a scommettere che quel ragazzino è ancora vivo. - commentò ad un certo punto Lotar.
La maga confermò le sue supposizioni con un cenno del capo.
- Chissà come quell’incapace è riuscito a farsi uccidere.- disse, riferendosi al più antico tra i loro compagni, prima di zittirsi all’improvviso.
Un sussurro si intromise tra i suoi pensieri, imperioso e nitido come solo la voce di un altro Oscuro poteva essere. Le bastò uno sguardo per comprendere che Lotar non aveva ricevuto lo stesso richiamo, così gli fece cenno di rimanere in silenzio, mentre la mente di Daygon si congiungeva alla sua.
- Sawhanna. - mormorò una voce morbida ed autoritaria allo stesso tempo.
La maga si accomodò sul letto, creando nel medesimo istante un’impalpabile barriera nella sua testa.
- Salve, Daygon.
Al contrario di com’era avvenuto con Kyzler, il contatto tra loro era semplicemente un filo sottile di pensieri attraverso cui potevano parlare, un labile legame che non permetteva di esprimere le piene abilità telepatiche dei due maghi: la mente dell’Oscura era chiusa, in modo da arginare lo scambio di informazioni, e non consentiva al suo interlocutore di scoprire quali percezioni lei avesse dell’ambiente circostante, né le sue emozioni.
- Mi sorprendi, non ti credevo amante della compagnia. Non di quella di noi Oscuri, almeno.
Il bel volto della maga s’incupì.
- Immagino che tu non mi abbia contattato solo per chiacchiere tanto frivole. - commentò, senza alcuna traccia del sarcasmo di cui faceva uso nelle conversazioni con Lotar, ma con una voce meno rispettosa del solito.
Un suono appena percettibile le raggiunse la mente, forse la breve risata con cui Daygon dimostrava il proprio divertimento per la sua sfrontatezza. Sawhanna sapeva di non destare alcun interesse in lui come donna, tuttavia da quando si erano conosciuti, il più potente tra gli Oscuri non aveva mai fatto mistero di quanto apprezzasse la sua indole ribelle, considerandola un interessante diversivo alla forzata austerità che vigeva nelle conversazioni con gli altri maghi.
- No, infatti. Ghedan è morto.
- L’ho percepito.
- Ed è questa la causa del tuo turbamento?
Con un gesto di stizza, la donna si rese conto di aver lasciato trapelare più di quanto desiderasse.
Per un attimo si chiese cosa avesse visto nella sua mente, ricercando lei stessa le emozioni sfuggite al suo controllo: lampi di pensieri, incertezze, rabbia, ricordi frammentati della notte appena trascorsa, che ancora non aveva avuto il tempo di analizzare e sopprimere. Il volto si rilassò in un sorriso che venne rispecchiato dal suo tono caldo e privo di ogni esitazione.
- Sono semplicemente curiosa di sapere chi possa aver ucciso uno di noi.
- A questo ti posso rispondere subito: Kyzler mi ha assicurato che sono stati tre ragazzi.
- Tre umani hanno sconfitto Ghedan?!- sbottò la maga, dimentica del proprio autocontrollo.
-Non umani, Sawhanna, Kyzler ha rilevato in loro la magia.
La mente dell’Oscura tacque per qualche secondo, persa in riflessioni tanto rapide e nascoste sotto la superficie d’imperturbabilità con cui si mostrava a lui che Daygon non ebbe il minimo sospetto
- Vuoi forse dirmi che degli Eterei sono riusciti a valicare la barriera e tornare su Sylune? - chiese infine, decisa a fingere un’ignoranza totale riguardo la scoperta degli Alher di cui Lotar l’aveva messa al corrente.
- Questo è fuori discussione, il sigillo è intatto. Ma potrebbero essere esponenti di un’altra razza con i loro stessi poteri.
- Come agirai? - domandò ancora, attenta a nascondere le proprie considerazioni riguardo la prigioniera del suo interlocutore.
Represse a fatica un breve sorriso di trionfo, conscia dell’importanza di quell’informazione: in quel momento lei sola tra gli Oscuri sapeva che su Sylune si aggiravano almeno due Alher.
L’Oscuro le rispose senza alcuna incertezza.
- Ho intenzione di sincerarmi di persona di cos’è successo e darò ordine ai miei soldati di catturare gli assassini di Ghedan. - fece una pausa, ed il tono leggero con cui aveva parlato fino a quel momento si arricchì di un’inequivocabile nota autoritaria - Desidero che anche tu e Lotar mobilitiate i vostri uomini alla ricerca di questi tre fuggiaschi. La magia in loro possesso ci ripagherà della perdita subita.
- Sarà fatto, Daygon.
- Un’ultima cosa: riferisci pure a Lotar i miei ordini, immagino sarà piuttosto curioso di conoscere l’argomento di cui stiamo discutendo.
La fronte pallida dell’Oscura si corrugò in un’esternazione di stupore che non sfuggì al mago seduto di fronte a lei, in silenziosa attesa. Sawhanna gli lanciò un rapido sguardo, controllando se per caso fosse riuscito ad intuire qualcosa, prima di riportare la propria attenzione sulla conversazione telepatica con Daygon.
- Per quale motivo non lo hai contattato tu stesso?
- Mi basta che entrambi siate a conoscenza dei miei ordini. In quanto ai dettagli, ho scelto di rivelarli a chi tra voi due preferisco.
Nonostante non ne potesse vedere il volto, il più potente re di Sylune avvertì con chiarezza il sorriso e l’esultanza che accompagnarono la risposta della donna.
- Ti ringrazio, Daygon.
Non appena la presenza dell’Oscuro scomparve dalla sua mente, Sawhanna riaprì gli occhi.
Si alzò in piedi con i soliti movimenti sinuosi ed eleganti che la assimilavano ad una pantera, senza dare alcun peso allo sguardo incuriosito con cui Lotar seguiva ogni suo gesto.
- Desideri andartene? - le chiese il mago, come se l’intervento di Daygon non ci fosse mai stato e lui stesse semplicemente continuando la conversazione precedente.
Le labbra piene della donna si incresparono in un sorriso da predatore.
- Credo che approfitterò ancora della tua ospitalità, se sei d’accordo.
- Non ti negherò mai una stanza nel mio castello, Sawhanna. - le disse, con un’intonazione velatamente ironica nella voce, a cui la compagna non rispose.
- Immagino fosse Daygon. - commentò dopo qualche secondo di silenzio, incapace di attendere oltre che lei lo mettesse al corrente di quell’ultima conversazione.
Sawhanna annuì.
- Ha detto che Ghedan è stato sconfitto da tre sconosciuti e desidera che lo aiutiamo a catturarli.
Gli occhi dell’Oscuro si strinsero in uno sguardo sospettoso.
- Per quanto incapace fosse il nostro compagno, non riesco a credere che siano bastati tre umani per eliminarlo.
- È quello che ho pensato io. - confermò Sawhanna, prima di arricciare le labbra in una smorfia imbronciata che le donò il fascino capriccioso di una fanciulla, esitando un secondo prima di rivelare quell’ultima informazione - Chi l’ha ucciso possiede la magia.
L’uomo accolse quell’ultima frase con un sussulto.
- Questa è una notizia interessante. - lanciò uno sguardo penetrante alla compagna, nel tentativo di intuire i suoi pensieri - Non credevo me l’avresti riferita.
L’Oscura sorrise, con aria meditabonda.
- Probabilmente Daygon desiderava che me la tenessi per me, in modo da ravvivare la nostra reciproca ostilità. Non dev’essergli piaciuta la scoperta che mi trovavo nel tuo castello.
Lotar assentì, prima di scrutarla con uno sguardo più attento del solito.
- Per quale motivo non l’hai fatto?
Gli occhi della donna si sollevarono a fissarlo.
- Non mi piace essere manipolata. - fece una pausa, e la sua voce morbida e carezzevole si indurì impercettibilmente - Da nessuno.
L’Oscuro si lasciò andare ad un sorriso appena accennato.
Ancora una volta la sua compagna lo sorprendeva, dandogli la prova di un’intuizione che non avrebbe mai pensato di attribuirle. Con uno sguardo forzatamente impassibile si soffermò sulla piega decisa delle sue labbra rosse come il sangue, per poi proseguire lungo la sottile linea del collo candido e raggiungere la casta scollatura dell’abito nero, fin troppo consapevole di quel corpo perfetto, che ormai non riusciva più ad ammirare con il distacco dei giorni passati, non dopo una notte trascorsa a scoprirlo e farlo suo.
Un desiderio impossibile da ignorare, del tutto fuori posto in uno stratega dedito alla logica ed alla razionalità, si insinuò tra i suoi pensieri, mentre guardava nella sua interezza la sua bellissima e letale alleata. Fece per accarezzarle il volto, ma la mano della maga gli afferrò il polso a metà strada e lo bloccò con un gelido sorriso.
- Non mi concedo due volte allo stesso uomo.
Lotar ritrasse il braccio, incurvando le labbra in un’espressione priva di ogni rancore.
- Come preferisci, Regina di Sylune. - mormorò con voce carezzevole - Ma sappi che non abbandonerò tanto facilmente l’unica donna alla mia altezza.
- Giocare con me in questo modo è più pericoloso di quanto tu creda. - replicò lei, con un lampo crudele negli occhi di tenebra.
L’Oscuro continuò a fissarla senza esitazioni.
- Il rischio rende solo la questione più interessante. - disse, prima di ricomporre l’espressione seria con cui affrontava le questioni più importanti - Hai ancora intenzione di essere mia alleata in questa guerra?
Le iridi nerissime di Sawhanna si posarono sul suo volto, lanciandogli uno sguardo obliquo di difficile interpretazione attraverso le lunghe ciglia scure.
- Ti sarò a fianco, Lotar.

Daygon sedeva inquieto, sul suo trono austero al centro di una stanza vuota.
Solo pochi secondi prima aveva concluso il suo dialogo con Sawhanna ed il senso di inquietudine con cui aveva appreso la sua vicinanza con Lotar non accennava a scemare, ben più pressante della novità che aveva causato il suo risveglio.
La consapevolezza che tre ragazzi fossero riusciti ad uccidere il primo dei suoi alleati non lo impensieriva più di quanto avrebbe potuto fare un insetto molesto; sotto un certo punto di vista poteva considerare la morte di Ghedan come un favore, vista la sua stessa intenzione di eliminarlo alla prima occasione in modo da porre fine al suo regno d’inettitudine, tuttavia avrebbe preferito che tutto fosse accaduto per propria mano ed in un momento scelto da lui stesso, quando già si sarebbe trovato pronto a presentare un sostituto per quel re che non era stato all’altezza del suo compito.
Lanciò uno sguardo fuori dalla finestra, dove il sole si stava lentamente avviando a prendere il suo posto al centro del cielo.
Probabilmente erano passati solo pochi minuti dal suo risveglio, ma se desiderava impedire che i soldati diffondessero nella città la notizia della morte di un Oscuro avrebbe dovuto sbrigarsi. Il teletrasporto attraverso una simile distanza gli era precluso, tuttavia grazie ai suoi poteri era in grado di viaggiare più rapido di qualunque altro essere vivente di Sylune, anticipando anche il soffio del vento. In tal modo avrebbe potuto arrivare a Northlear abbastanza in fretta da arginare quella notizia e prendersi cura personalmente dei testimoni. L’ultima cosa che desiderava era una ribellione di massa, ma fu un sorriso ad accompagnare questo pensiero, in quanto la paura e l’arrendevolezza degli umani lo rassicuravano sull’infondatezza di un simile timore. Piuttosto si sentiva incuriosito dalle parole di Kyzler riguardo gli assassini di Ghedan: non gli sarebbe dispiaciuto mettere le mani su altri possessori della magia, come già anni prima era riuscito a catturare l’Alher di cui aveva rubato poi il potere.
Consapevole del tempo che scorreva inesorabile, ricercò con la mente il suddito di cui aveva bisogno per dettare le sue ultime istruzioni, quindi si predispose ad attenderlo, sforzandosi di reprimere ogni accenno d’impazienza.
Pochi secondi più tardi un uomo bussò alla sua porta.
- Vieni avanti, Beck.
- Mio signore. - lo salutò il soldato, inginocchiandosi a pochi metri dal trono.
Gli occhi cupi del mago lo scrutarono per diversi secondi, nel tentativo di captare i suoi pensieri senza forzarne la mente. Avrebbe potuto invaderla senza troppi problemi, spezzare la sua resistenza come il più leggero dei fuscelli, per poi sondarne i meandri più oscuri e nascosti, tuttavia preferiva mantenere nei suoi confronti un comportamento distaccato ma rispettoso. Non poteva rischiare di danneggiarlo o renderselo ostile con un deliberato attacco alla sua mente: Beck era un ottimo soldato, ancor più valente come stratega militare e preparatore delle sue truppe, il giusto braccio destro di Devil, di cui compensava la giovane età.
L’esperienza del gigantesco guerriero gli era stata utile in molte campagne e fino a quel momento non aveva avuto occasione di dubitare della sua lealtà, nonostante lo avesse arruolato con la forza dopo averne conquistato il villaggio. Per questo motivo lo apprezzava, e tuttavia non riponeva in lui la stessa fiducia che sapeva di poter conferire a Mizar.
- Devo occuparmi di una faccenda lontano dal castello. - esordì, lasciando scivolare lo sguardo verso le finestre alla sua destra, dove il cielo, privo delle nuvole temporalesche che la sera prima erano riuscite ad oscurare la luna e le stelle, aveva recuperato la consueta tinta azzurrina.
- Cosa desiderate, mio signore? - chiese Beck, richiamando sul proprio volto gli occhi dell'Oscuro.
- In mia assenza lascio a te il comando.
Per tutta la durata della conversazione, l’uomo aveva mantenuto uno sguardo inespressivo, tuttavia non poté esimersi dal manifestare un intenso stupore per quella novità che non si sarebbe mai aspettato.
- Ma… non dovrebbe essere il generale a sostituirvi? - chiese, per un attimo dimentico del suo ruolo di soldato pronto all’obbedienza cieca e priva di esitazioni.
Daygon lasciò trapelare una sottile irritazione dalla sua risposta. Anche in quest’occasione il guerriero aveva dato prova di un’ambizione insufficiente a renderlo una pedina nelle proprie mani.
- Devil al momento si sta occupando di un’altra faccenda, non appena sarà tornato il controllo del castello passerà a lui. Sono stato chiaro?
La sorpresa presente nei lineamenti del gigante lasciò spazio all’espressione neutra con cui i soldati assecondavano gli ordini dei suoi superiori.
- Sì, mio signore.
Gli occhi dell’Oscuro lo perforarono con una minaccia inespressa, prima di congedarlo con un rapido gesto della mano.
- Non mi deludere.
L’uomo chinò il capo.

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Capitolo 25
*** Capitolo 24: Riflesso di speranza ***


-Capitolo 24: Riflesso di speranza-

Qualche anno prima dell’avvento degli Oscuri, in un piccolo villaggio di Eterei, nacque il figlio della magia.
Dotato di un potere senza pari, che gli valse una simile denominazione, aveva l’aspetto androgino di uno spirito impalpabile, un bambino dagli occhi intelligenti e profondi, fin troppo consapevoli per la sua giovane età. Avrebbe potuto condurre una vita normale, forse perfino felice, se la sua esistenza non fosse giunta alle orecchie di alcuni Eterei ribelli. Questi rinnegati, decisi a scatenare una guerra contro gli umani infrangendo così la tregua esistente tra le due razze, avevano aggredito la sua famiglia quando lui non aveva ancora compiuto dieci anni. Avevano pensato di rapirlo e poi crescerlo come la loro arma più potente, ma tutti i piani e le loro stesse vite erano stati distrutti proprio da chi desideravano come alleato: dopo aver assistito al massacro dei propri genitori e del fratello maggiore, il bambino aveva scatenato su di loro tutta la sua furia, con un’esplosione di magia tanto intensa che l’avevano avvertita perfino gli abitanti del villaggio vicino.
Le guardie attirate dalla percezione dello scontro erano sopraggiunte dopo diversi minuti e l’avevano trovato in mezzo ai corpi senza vita dei suoi familiari, sporco di sangue e con i lineamenti scolpiti in un’espressione impassibile, senza la minima traccia di lacrime o sofferenza, quasi fosse incapace di provare emozioni. I suoi aggressori erano stati massacrati brutalmente, colpiti a morte da un furore cieco e privo di ogni freno; non se n’era salvato nessuno e, nonostante fossero stati tutti maghi esperti e piuttosto dotati, sembrava che il loro giovane assassino non avesse riportato neppure la più piccola ferita.
Testimoni di una reazione tanto violenta e pericolosa, i Custodi avevano valutato per lungo tempo l’ipotesi di inibirgli i poteri e mandarlo a vivere tra gli umani; tuttavia il ricordo di un esperimento precedente, quando non erano riusciti a sigillare del tutto la magia di un bambino con doti simili, ma anzi, l’avevano quasi ucciso nel tentativo, li aveva dissuasi dal proseguire con una simile decisione.
Il giovane Etereo aveva così incominciato la sua vita solitaria nel villaggio dove aveva sede il loro concilio. Lì era vissuto senza curarsi di nessuno, dedito unicamente allo sviluppo dei propri poteri ed apparentemente privo di ogni emozione. Aveva rifiutato ogni tipo di contatto, sia da parte degli studiosi interessati al suo potere, sia da parte dei pochi coetanei che avevano osato avvicinarglisi; era giunto solo nella sua nuova casa, e solo era cresciuto, evitato da molti, temuto da tutti. Solo il suo maestro, un mago appena entrato nell’ordine dei Custodi che si era fortemente opposto all’alternativa di sigillargli i poteri, era riuscito ad instaurare con lui una sorta di legame ed infine a guadagnarsi la sua fiducia: un giorno aveva sorpreso il suo miglior studente a frugare tra i suoi libri in cerca di un modo per riportare in vita la famiglia, comprendendo così che l’apparente indifferenza e mancanza di emozioni del bambino erano stati solo un sistema di autodifesa per un giovane Etereo tanto pericoloso per se stesso e per gli altri.
Dopo aver visto uccidere tutti i suoi familiari, il figlio della magia aveva compreso quale sorte avrebbe potuto toccare alle persone a lui care, o come maghi senza scrupoli avrebbero cercato di servirsi dei suoi poteri, e si era deciso ad isolarsi in modo da non far soffrire nessuno, né divenire un mero strumento nelle mani di qualcun altro.
Mentre lo abbracciava, con il suo volto rigato dalle lacrime stretto al proprio petto, il Custode gli aveva promesso che gli sarebbe stato vicino, proteggendolo dalla brama di potere degli Eterei più ambiziosi ed aiutandolo a sfuggire alla soffocante morsa della solitudine. Era stata la sua guida per sette anni, prima che il destino mettesse sanguinosamente fine alla sua vita, portandolo in tal modo ad infrangere la promessa fatta a quel bambino. Abbandonato dal suo maestro, che si era sacrificato per salvare un neonato degli umani, tradito proprio dall’unica persona di cui si era fidato, il figlio della magia, ormai diciassettenne, era diventato il quinto Oscuro.
A tutto questo pensava Kyzler, mentre si dirigeva nel castello di Daygon per eseguire il suo compito.
I tratti delicati del suo volto non mostravano alcun turbamento nel rievocare immagini tanto distanti ed ormai estranee alla sua vita; tutte le sue emozioni appartenevano a quel passato di cui non poteva più essere parte e raramente scalfivano la malinconica indifferenza che caratterizzava la sua espressione.
Non ripensava spesso alla sua vecchia vita, aveva perso troppo per desiderare coscientemente che simili ricordi gli invadessero la mente, tuttavia durante le ore più buie della notte gli capitava di riflettere sulla propria esistenza, dimenticandosi per un attimo della vendetta e dell’odio che portava scritti indelebilmente nel suo cuore. Rivedeva i tormenti da cui era fuggito quando aveva accettato la propria identità di Oscuro, per poi scoprire altri tormenti; con un’annoiata ironia volgeva la mente ai vecchi compagni di studio, perlopiù ombre indistinte che lo temevano ed a stento gli rivolgevano la parola; e poi, queste rare volte in cui il suo pensiero non inseguiva ossessivamente il maestro da cui era stato abbandonato, ne rivedeva la figlia.
Un guizzo delle labbra assimilabile ad un sorriso si dipinse sul suo volto quando, a memoria, ricreò l’immagine di quella ragazzina che giorno dopo giorno lo aveva invitato timidamente a pranzo, nel vano tentativo di instaurare con lui un rapporto simile all’amicizia. Non aveva mai compreso quale motivo l’avesse spinta a perseverare nei suoi approcci, se la compassione nei suoi confronti, se la curiosità, se un genuino desiderio di conoscerlo; tuttavia il sorriso appena accennato con cui lei lo salutava era rimasto uno dei pochi ricordi della sua infanzia che non fosse imbrattato di sangue, forse l’unico in grado di tormentarlo in maniera tanto dolce. Conservava ancora il nome di quella giovane Eterea che, con una sorta di grazia impacciata, si era fatta strada nei suoi pensieri in modo da imprimersi profondamente nella sua memoria: Viridian.

Il destriero nero come la notte sfrecciava veloce attraverso la piccola strada un po’ sconnessa che avrebbe portato alla vicina città di Anwist e Rafi riusciva a distinguere appena i contorni degli alberi e della vegetazione circostante.
Non aveva rivelato ai suoi compagni la ferita che le torturava il fianco ad ogni sobbalzo della sua cavalcatura, mordendosi le labbra pur di non emettere neanche un gemito, tuttavia, dopo pochi minuti, quella fuga verso la salvezza era diventata una tortura insopportabile. Strinse con forza le dita attorno alla criniera dell’animale che avanzava al galoppo, mentre tutto il suo essere si concentrava per rimanere cosciente e mantenere l’equilibrio. In qualche angolo remoto della sua mente, dove ancora l’ultima scintilla di razionalità brillava nitida tra la sofferenza, sapeva che ci sarebbero volute diverse ore per raggiungere Anwist e probabilmente lei non sarebbe mai riuscita a sopportare un viaggio tanto lungo, tuttavia preferiva negarsi ogni dubbio e continuare ad avanzare, piuttosto che dimostrare la propria debolezza ai suoi due alleati.
Era stato sempre Lensin a consigliarle di scappare nella città vicina, dove avrebbe trovato l’unico rifugio sicuro nel raggio di diverse miglia in una locanda gestita da un simpatizzante dei nuovi Protettori, sempre pronto a nascondere eventuali ricercati dall’impero.
L’inatteso scarto dell’animale la prese alla sprovvista e non riuscì a reprimere un gemito strozzato quando, a quel nuovo sobbalzo, la sommerse un’ondata di dolore e nausea, tanto intensa da annebbiarle la vista.
Tirò le redini all’improvviso, facendo impennare la sua cavalcatura con un acuto nitrito, per poi scivolare a terra con un braccio allacciato al suo collo, a contatto con la criniera, in modo da poter rimanere in piedi.
Una volta recuperato l’equilibrio, si diresse a passo barcollante verso l’albero più vicino, con il respiro affannoso ed il volto mortalmente pallido contratto per il dolore al fianco, dove la costola rotta pulsava senza tregua, con un’intensità insopportabile. Sorpresi dal suo brusco arresto, i suoi due compagni si fermarono a loro volta.
Fu la spadaccina a mostrare per prima la sua preoccupazione.
- Cosa ti succede, Rafi?
La ragazza bionda si accasciò a terra, con la schiena appoggiata alla ruvida corteccia e gli occhi chiusi.
- Voi andate avanti… io devo fermarmi un attimo.
- Non penserai davvero che potremmo lasciarti qui! - esclamò Sky, scendendo dal cavallo con un agile balzo ed avvicinandosi a lei - Fammi vedere.
Di malavoglia, Rafi lasciò che le scostasse la mano dal fianco, rivelando il livido nerastro provocato dall’ultimo calcio di Ghedan. Subito le dita della spadaccina scesero ad esaminarlo minuziosamente e, nonostante il tocco delicato, la ragazza più vecchia dovette mordersi le labbra per non urlare di dolore.
- Sembra che la costola sia rotta. - mormorò Sky, in tono di scusa.
Anche Kilik scese da cavallo, avvicinandosi alle due alleate. Gli bastò un’occhiata per confermare le parole dell’amica.
- Sei stata una stupida a non dircelo prima. - commentò seccamente, all’indirizzo di Rafi.
Stranamente lei non rispose, si limitò a lanciargli uno sguardo carico d’odio senza replicare, come se perfino parlare le costasse uno sforzo insostenibile.
Le iridi viola del mago si velarono di preoccupazione.
- Me ne occupo io. - disse rivolto a Sky, che annuì e, con le spade sguainate, si allontanò di qualche passo per fare la guardia nel caso qualche soldato di Ghedan li avesse seguiti.
Senza smettere di studiare la ferita della compagna, Kilik s’inginocchiò davanti a lei e fece un respiro profondo.
Con la fronte corrugata per lo sforzo, attinse alla riserva di energia che ancora gli rimaneva, pregando silenziosamente di poterne utilizzare una parte senza indebolirsi troppo, e subito le sue mani assunsero lo stesso bagliore azzurrino con cui la sera prima aveva guarito l’amica più giovane.
Non appena l’assassina si accorse delle sue intenzioni, il volto le si contrasse in un’espressione carica di disgusto.
- Non osare toccarmi con la tua magia. - sibilò, cercando di rialzarsi.
Quasi subito Kilik la afferrò per le spalle e la spinse nuovamente a sedere, con un movimento più brusco di quello che avrebbe effettuato se la sua mente non fosse ancora preda della rabbia e della disperazione per aver scoperto il cadavere del fratello.
- Credi davvero di essere nella posizione giusta per minacciarmi?
Rafi soffocò il dolore con una smorfia, senza abbassare lo sguardo.
- Attento Etereo, anche con una costola rotta sono pur sempre più forte di te.
- A me non sembra proprio. - la derise il mago, continuando a tenerla imprigionata contro il tronco dell’albero.
- Vogliamo provare? - sibilò lei, la mano già sull’impugnatura del coltello con cui aveva ucciso Ghedan.
Si sfidarono con lo sguardo per un paio di secondi, le verdi iridi di Rafi, offuscate dalla sofferenza eppure cariche di minaccia, specchiate nel viola cupo di Kilik, prima che la voce di Sky interrompesse quella lotta priva di parole.
- Smettetela! Se voi due faceste un po’ più di silenzio, forse potremmo riuscire a non farci scoprire dai soldati. - sbottò, con un tono stranamente duro per una ragazza sempre sorridente ed amichevole.
Un movimento captato con la coda dell’occhio le fece corrugare la fronte in un’espressione preoccupata.
- Vado a dare un’occhiata in giro, voi intanto cercate di comportarvi da adulti, e non come bambini capricciosi. - li redarguì con un ultimo sguardo minaccioso, prima di incamminarsi verso la direzione in cui le era parso di vedere qualcosa.
Pienamente consapevole della verità contenuta nelle parole dell’amica, Kilik respirò a fondo, nel tentativo di calmarsi.
Non era da lui infierire tanto su un nemico ferito, in particolar modo se donna, inoltre sapeva che, anche se l’odio nei suoi confronti non era del tutto scomparso dopo quella battaglia, Rafi era stata ferita per colpa sua.
Nuovamente fece per accostare le mani impregnate di magia al fianco della ragazza, ma lei lo allontanò con una smorfia di disgusto allo stato puro, come se il potere con cui l’Etereo avrebbe desiderato guarirla ai suoi occhi verdi apparisse simile al più subdolo e letale veleno di Sylune.
- Allora, ti decidi a farti curare o dobbiamo attendere di essere scoperti dai soldati di Ghedan? Oppure ti lasciamo qua, così non dovrò più sopportarti per tutto il tragitto. - sbottò Kilik, consapevole di aver oltrepassato il limite per un dialogo civile con l’assassina.
Per un attimo ebbe l’assoluta certezza che Rafi lo avrebbe aggredito con un pugno, invece, con sua sorpresa, la vide rilassare le mani ed appoggiare la testa al tronco che le sosteneva la schiena, chiudendo gli occhi in segno di resa, o, forse, semplicemente troppo esausta per rispondergli.
- Muoviti.
Mordendosi le labbra per reprimere una replica sferzante, l’Etereo le si avvicinò fino a sfiorare delicatamente il livido scuro all’altezza della costola fratturata ed aggrottò la fonte per lo sforzo di mantenere la concentrazione; sotto i suoi occhi sorpresi, l’assassina tremò non appena la magia cominciò a penetrare nel suo corpo, fluendo nel fianco ferito simile ad una brezza leggera, appena più calda e densa dell’aria che li circondava.
Un gemito sfuggì alle severe labbra della ragazza, quando tutta l’energia scomparve sotto la sua pelle, alla ricerca dell’osso da saldare, e Kilik si accorse che aveva nuovamente contratto i pugni ed il volto pallido, imperlato di sudore, appariva quasi sofferente, nonostante quell’incantesimo non provocasse alcun dolore ed anzi, una delle sue peculiarità fosse proprio quella di anestetizzare la parte ferita. Fece una smorfia sorpresa nel notare come lei si stesse mordendo un labbro per rimanere immobile, quasi quella magia di guarigione rappresentasse una tortura insopportabile.
Se non si fosse trattato di Rafi avrebbe potuto credere che avesse paura.
Perso in quei pensieri, gli venne meno la concentrazione ed il suo potere vacillò, fino a spegnersi del tutto. Indebolito per il suo continuo utilizzo, contrasse la mascella e nuovamente cercò nelle profondità di se stesso quella magia che era sorta in un impeto tanto violento nei sotterranei di Ghedan, ma ora pareva averlo abbandonato. Un tenue bagliore comparve sul suo palmo, ben diverso dall’ondata di energia allo stato puro a cui si era abbandonato quando i suoi occhi avevano riconosciuto il cadavere del fratello, e subito mille domande si affollarono tra i suoi pensieri, dubbi laceranti ed inaspettati, che lui represse con la forza della disperazione, per poter mantenere la mente concentrata sul suo compito di guaritore.
Conscio di non poter chiedere un altro sforzo al proprio fisico già esausto, avvicinò quell’ultima scarica di potere al fianco di Rafi e si preparò a guidarla come aveva fatto in precedenza fino alla costola ferita.
Una mano si strinse all’improvviso sul suo polso.
Sollevò lo sguardo, accorgendosi solo in quel momento che l’assassina aveva riaperto gli occhi.
- Basta così. - gli ordinò, con voce soffocata.
Il suo respiro affannoso ed il sudore gelido che le imperlava il volto dimostravano come l’autocontrollo che l’aveva mantenuta immobile fino a quel momento stesse per venirle meno: probabilmente non avrebbe retto ad un nuovo contatto con quella magia di cui sembrava avere tanta paura.
Kilik annuì e si ritrasse.
A prescindere dall’intervento della ragazza, era pienamente consapevole che se avesse continuato a richiamare il suo potere non avrebbe più avuto la forza di rimanere cosciente.
- Questo è il massimo che posso fare, almeno fino a domani. - le disse, con tono stanco.
Le aveva saldato l’osso in modo da attenuare il dolore, ma sapeva che la costola era ben lungi dall’essere guarita ed un qualsiasi colpo in quella zona del corpo, per quanto debole, l’avrebbe fratturata di nuovo.
Prima di alzarsi si prese qualche secondo per studiare la compagna, stranamente restio a riconoscere sulla sua pelle i segni di quell’ultima battaglia. I lividi sul suo volto, meno scuri di quello presente sul fianco ma ugualmente visibili, sembravano un marchio d’accusa di cui non riusciva a liberarsi, nonostante una parte di lui continuasse a ripetere nella sua mente che non avrebbe dovuto provare alcuna pietà per quella crudele nemica della sua stirpe.
Si rimise in piedi, tendendole poi la mano per aiutarla a fare lo stesso.
- Mi dispiace. - mormorò a mezza voce.
Lei strinse i denti e si alzò senza accettare il suo sostegno.
- Non ancora, Etereo, e non abbastanza.
Lo oltrepassò senza nemmeno ringraziarlo, lasciandolo a maledirsi per questo momento di debolezza, con cui per l’ennesima volta aveva provato ad avvicinarsi ad un’assassina priva di ogni emozione.
Sky riapparve pochi secondi dopo, riferendo di non aver percepito alcuna presenza nei dintorni, e subito montarono tutti in sella, pronti a riprendere la fuga che li avrebbe almeno momentaneamente portati al sicuro.
Non si fermarono nemmeno per mangiare e solo verso sera raggiunsero finalmente il loro obiettivo.
Rafi ormai si reggeva in sella grazie alla pura forza di volontà e più di una volta la sua coscienza era stata sul punto di scivolare nel familiare oblio contro cui aveva combattuto fin dall’inizio della fuga. Troppo concentrata nel mantenere l’equilibrio e non accasciarsi a terra, non si accorse nemmeno del villaggio spuntato all’orizzonte, ma davanti a lei Kilik e Sky si scambiarono un’occhiata di trionfo, quasi increduli di avercela fatta.
Ormai erano salvi.

Kysa stava attendendo la notte.
I minuti di quel giorno interminabile parevano durare un numero infinito di secondi, mentre continuava a tormentarsi il labbro inferiore con i denti, incapace di controllare la propria angoscia. Sapeva che quella mattina Sky e l’Etereo sconosciuto si sarebbero scontrati con uno degli Oscuri, era stata lei a riferirglielo, e l’impossibilità di conoscere l’esito di quella lotta disperata fino al tramonto la stava logorando con un’intensità insopportabile.
In preda ad una preoccupazione quasi dolorosa per i due ragazzi, non aveva toccato cibo, incapace anche solo di distogliere la mente da quella che avrebbe potuto essere la sua ultima speranza ed allo stesso tempo una nuova fonte di dolore; più di una volta i suoi occhi, invece di scorgere l’orizzonte attraverso la finestra aperta davanti alla quale era seduta, o le ricche decorazioni della propria prigione, si erano rivolti ad immagini di morte e sconfitta, in cui i due compagni venivano sopraffatti dal terribile potere dell’Oscuro e perivano in maniera orribile, per colpa sua.
Con tutti i sensi catalizzati sul pensiero dello scontro a cui lei non avrebbe potuto partecipare, non sentì i pesanti passi che si stavano avvicinando alla sua camera.
Il soldato entrò senza preavviso, facendola voltare di scatto verso la porta con espressione impaurita. I suoi occhi azzurri si dilatarono per lo stupore e poi per il sollievo, non appena riconobbe le fattezze muscolose e l’espressione un po’ burbera ma amichevole del gigante.
- Beck. - mormorò, rischiarandosi in volto.
A dispetto della sua mole, Kysa lo trovava di gran lunga meno minaccioso di Devil: pur non avendolo più visto dopo il loro primo incontro, non aveva mai dimenticato la gentilezza con cui l’aveva rassicurata durante quegli iniziali, terribili momenti di prigionia.
L’uomo richiuse la porta dietro di sé ed avanzò nel centro della stanza; nonostante i lineamenti distesi, nel suo comportamento si poteva percepire una lieve differenza rispetto alla sua visita precedente, quasi si stesse costringendo a rimanere impassibile per nascondere l’eccitazione od il nervosismo che lo pervadeva.
- Come ti senti? - chiese, scrutando con una smorfia il volto pallido della ragazza che aveva di fronte, in cui riconobbe le occhiaie tipiche di chi non dorme un sonno tranquillo da molti giorni.
Nonostante non avesse distolto gli occhi da lei, il suo corpo era contratto, pronto all’azione, le orecchie tese a captare qualunque suono al di là delle spesse pareti di quella stanza e la mano, con un gesto apparentemente casuale, si era già poggiata sull’impugnatura della sua arma preferita.
- Bene. - rispose Kysa, in parte sorpresa dal tono duro ed impersonale che le era stato rivolto.
Uno spiacevole presentimento di paura l’attraversò con un brivido quando si accorse della gigantesca spada che il soldato portava con naturalezza legata al fianco. Provò a sollevare la testa fino ad incrociare i suoi occhi, nella speranza di trovarvi qualcosa che la rassicurasse, la luce umana ed amichevole che ben ricordava, ma le iridi castane del soldato erano due fessure impassibili, quasi fossero state scolpite nel legno.
- Come mai sei qui? - chiese con la gola serrata dalla paura.
Invece di risponderle direttamente, Beck contrasse le dita sull’impugnatura dell’arma.
- Cosa saresti pronta a rischiare per tornare libera?
Kysa impallidì all’improvviso per quella domanda inaspettata, rimanendo sospesa in bilico tra una speranza forse troppo fragile per farci affidamento e la rassegnazione che ormai da qualche giorno pareva aver preso possesso del suo cuore.
- Qualunque cosa.
- Anche la vita?
Annuì, incapace di parlare per paura che la voce la tradisse, rivelando il folle terrore che la proposta dell’uomo rappresentasse solo l’ennesimo trabocchetto del nemico, invece di una reale possibilità di salvezza.
A quel gesto, tutta la calma che Beck stava ostentando venne cancellata dall’espressione pratica e concentrata di un soldato alle prese con la più importante delle missioni.
- Allora sbrigati, non abbiamo molto tempo. Devil e Daygon sono assenti e questa è l’unica occasione in cui puoi avere qualche possibilità di fuggire.
La ragazza non si mosse.
- Perché lo fai? - gli chiese, ancora restia a fidarsi di chi serviva il nemico.
Il guerriero si lasciò sfuggire un sospiro.
- Quando ero ancora un uomo libero venne da me un gruppo di Protettori per chiedermi di unirmi a loro. Ho rifiutato, sapevo che diventando un ribelle avrei messo in pericolo non solo la mia vita, ma anche l’intera città in cui vivevo. - mormorò, con una smorfia, quindi l’amarezza con cui aveva riassunto il proprio passato si dissolse nell’increspatura di quel primo vero sorriso - Forse è giunto il momento che io prenda un’altra decisione.
- Allora, sei pronta?- chiese dopo qualche attimo di silenzio.
La ragazza deglutì, poi gli fece un cenno affermativo.
Subito il soldato le porse un piccolo fodero in pelle con dentro un pugnale, che fino ad allora aveva tenuto celato dietro la spada.
- Con questo forse ti sentirai più sicura, anche se spero che tu non debba usarlo.
- Lo spero anch’io. - rispose lei con voce tremante, afferrandolo non senza un’ultima esitazione.
Se lo infilò nella fascia che le sosteneva i calzoni, coprendolo poi con la tunica in modo da nasconderlo alla vista, mentre già Beck si avviava verso la porta. Lo seguì a passi esitanti fuori dalla propria prigione ed a malapena soffocò un’esclamazione di sorpresa non appena si rese conto di quello che era successo: le guardie adibite alla sua sorveglianza giacevano scompostamente a terra, svenute o forse morte.
Kysa le scavalcò senza guardarle, intuendo subito l’identità del loro aggressore.
- Come facevi a sapere che avrei accettato?
Un sorriso comparve per un attimo nel volto abbronzato del gigante.
- Sesto senso.
Come per un silenzioso accordo si fermarono davanti alla porta che dava sul corridoio principale, l’ultima barriera prima di raggiungere la parte più ampia e caotica del castello. Sapevano entrambi che, una volta compiuto quell’unico passo attraverso di essa, non sarebbero stati più in grado di tornare indietro.
Beck accarezzò distrattamente l’impugnatura della sua spada, senza però estrarla dal fodero.
- Se quando usciremo di qui incontreremo qualche problema, tu dovrai solo pensare a correre senza voltarti. - un sorriso minaccioso comparve sul suo volto - Ai soldati ci penso io.
La ragazza lanciò uno sguardo all’espressione determinata del guerriero ed all’improvviso comprese che quel gigante dall’aria minacciosa sarebbe stato davvero pronto a lottare per salvarle la vita e farla fuggire.
- Beck, grazie. - sussurrò appoggiandogli una mano al braccio muscoloso.
- Non ringraziarmi, lo faccio per me. - replicò lui, mentre un’ombra scura calava sul suo volto.

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Capitolo 26
*** Capitolo 25: Strade che s'incrociano ***


Penultimo capitolo, ringrazio chi continua a seguire questa storia e ad aggiungerla ai preferiti o alle seguite e alle ricordate. Buona lettura^^




-Capitolo 25: Strade che s’incrociano-

Devil raggiunse il castello di Daygon a pomeriggio inoltrato.
Senza nemmeno farsi un bagno, in modo da togliersi le tracce di polvere e sudore, né riposarsi per quella lunga cavalcata, si diresse nella stanza in cui era rinchiusa Kysa, pronto a piegarla al proprio volere o ad ucciderla definitivamente.
Erano passate numerose ore dal suo incontro con Sawhanna in riva al lago, ma la derisione con cui lei aveva portato alla luce un’incertezza che non credeva di possedere bruciava ancora con la stessa intensità del fuoco. Il tempo non era bastato a lenire l’amaro sapore di una sconfitta estranea al mero scontro fisico, che tuttavia lo torturava più di una ferita infetta, e l’unico suo desiderio in quel momento si rivolgeva ad una cieca vendetta nei confronti della sua prigioniera, rea di averlo tormentato con il suo pensiero proprio nel momento meno opportuno.
Durante il lungo viaggio di ritorno, aveva risentito senza tregua nella sua mente la voce grondante di scherno con cui l’Oscura si era divertita ad umiliarlo, un sussurro velenoso pronunciato da labbra seducenti e più pericolose delle zanne di una serpe. L’addome dove la magia della donna aveva lasciato la sua impronta lo torturava ancora con impietose vampate di dolore che alimentavano la sua rabbia, tuttavia ciò era nulla in confronto al violento desiderio di rifiutare le sue parole e la verità intollerabile che gli avevano rivelato.
Non poteva accettare di apparire debole, non dopo aver ucciso ogni radice del proprio passato per cancellare l’umano che era stato un tempo.
Entrò nel suo appartamento con un incedere minaccioso che non prometteva pietà alcuna, ma la sua espressione crudele venne subito spazzata via da uno sguardo incredulo: la porta della camera in cui aveva rinchiuso Kysa era spalancata, la stanza stessa era vuota e le due sentinelle che avrebbero dovuto fare la guardia all’entrata giacevano a terra senza vita.
Folle di rabbia, Devil si precipitò nel corridoio da cui era venuto, alla ricerca di un soldato che gli spiegasse cosa fosse successo o su cui riversare la propria collera.
Quasi subito intravide un uomo dal fisico muscoloso, con un volto crudele perennemente contratto in una smorfia sprezzante, il cui particolare più appariscente era rappresentato dal setto nasale, ingobbito e piegato leggermente verso destra, probabilmente a causa di una vecchia frattura che si era saldata in maniera scorretta.
Prima ancora di riconoscere in lui Dyz, uno degli ufficiali con il grado più elevato dopo Beck, gli si avventò contro, afferrandolo per la gola.
- Chi è stato?! - ringhiò, mentre le sue dita si stringevano al collo del soldato come se volessero lacerarne la carne.
- Ge… nerale! - esclamò l’uomo, preso alla sprovvista dall’attacco improvviso.
Si dimenò invano contro la sua morsa, ma qualche secondo più tardi Devil parve recuperare almeno in parte il proprio autocontrollo, perché lo lasciò libero di accasciarsi contro la parete.
- Qualcuno ha osato uccidere due mie guardie e far scappare una prigioniera. Lei dov’è?!
Dyz respirò profondamente un paio di volte per riprendere fiato ed in particolar modo scacciare la paura di essere destinato ad una fine prematura proprio per mano di un suo superiore.
- Di… di chi state parlando?
- Di una ragazza con i capelli castani vestita di bianco.
Mentre si massaggiava la gola dolorante, il soldato si sentì invadere da un’ondata a malapena contenuta di euforia.
- Credo di averla vista mentre si dirigeva verso l’ala sud del castello. - i suoi occhi brillarono di malizia prima di rivelare un ultimo particolare - Era Beck che la scortava.
I lineamenti del suo interlocutore si contrassero in preda ad una rabbia improvvisa, dimostrando tutta la sorpresa con cui accoglieva quelle parole.
- Che cosa?! E perché non li hai fermati?
- Non sapevo che Beck stesse agendo contro i vostri ordini, generale, vi chiedo scusa.
Devil non fece alcun tentativo di reprimere la smorfia disgustata che gli attraversò il volto a quelle parole: sapeva che, se anche il soldato avesse sospettato di essere in presenza di un traditore, non avrebbe mai trovato il coraggio di affrontare Beck in uno scontro a viso aperto, conscio della propria inferiorità nei suoi confronti. Per un attimo la collera bruciante da cui era pervaso s’intensificò nell’irrefrenabile desiderio di uccidere quel vigliacco per cui provava unicamente disprezzo, tuttavia Dyz era al servizio di Daygon da tempo immemorabile, aveva perfino guidato il suo esercito in più di un’occasione, prima di vedersi surclassato da un giovane con la metà dei suoi anni e poi da Beck, e la sua fedeltà e le numerose battaglie in cui aveva combattuto, pur evitando accuratamente la prima linea, lo avevano reso uno dei pochi soldati su cui Devil non potesse sfogare la propria rabbia impunemente.
Profondamente irritato da una simile consapevolezza, una delle rare occasioni in cui si ritrovava costretto a frenare i propri impulsi, il giovane strinse i pugni.
- La prossima volta che lascerai andare un traditore, chiederò a Daygon il permesso di prendermi la tua testa.
Il soldato chinò umilmente il capo.
- Sì, generale.
Senza più prestargli attenzione, Devil gli diede le spalle, dirigendosi verso la parte meno abitata del castello.
Dyz lo guardò scomparire dietro l’angolo con un sorriso carico di malvagia soddisfazione, conscio che presto ci sarebbe stato un rivale in meno nella sua scalata verso il potere.
Finalmente il destino era dalla sua parte.

Era da diversi minuti che Kysa ed il suo gigantesco accompagnatore percorrevano i corridoi tutti uguali del castello, alla ricerca di una salvezza ad ogni attimo più lontana ed improbabile. Avevano dovuto avanzare con circospezione, in modo da evitare la maggior parte degli incontri, anche se i soldati con cui avevano incrociato il cammino non erano parsi per nulla sospettosi delle spiegazioni di Beck riguardo lo spostamento di una prigioniera in un’altra ala del castello.
Solo in un’occasione la ragazza si era sentita aggredire dalle gelide spire della paura, quando erano stati fermati da un uomo con lo sguardo crudele tipico di un assassino senza scrupoli, che l’aveva squadrata con un’espressione tanto penetrante da averle dato i brividi. Per un attimo, nel momento in cui aveva incrociato i suoi occhi spietati, era stata sicura che lui avrebbe attaccato Beck, invece si era limitato ad ascoltare le spiegazioni del gigante, evidentemente un suo superiore, per poi scostarsi e farli passare, senza dire una parola.
La ragazza poteva ancora sentire sulla propria pelle il disagio quasi doloroso di venire osservata da quell’uomo che portava scolpiti nel suo volto i numerosi omicidi di cui si era macchiato; tuttavia, quando si rese conto di aver finalmente raggiunto la parte più remota e disabitata del castello, si permise di sperare.
Dopo qualche metro percorso in perfetto silenzio, i due fuggiaschi oltrepassarono l’ennesima porta, che dava su un ampio corridoio fortunatamente deserto.
- Ci siamo quasi. - avvertì l’uomo – Tra un paio di minuti dovremmo raggiungere un’uscita secondaria, sorvegliata solo da un pugno di guardie, e poi saremo liberi.
- E se le guardie non ci lasciano passare?
Lo sguardo del gigante si posò in maniera eloquente sulla propria arma.
- Ho dei metodi piuttosto persuasivi, due o tre soldati non saranno un problema, specie se presi di sorpresa.
La giovane si esibì in un timido sorriso di ringraziamento, poi successe esattamente quello che temevano: all’improvviso dietro di loro si sentì un incedere di passi rapidi e pesanti, con l’inconfondibile tintinnio metallico dell’armatura ed il ritmo ben più incalzante di quello delle solite guardie.
Beck portò la mano all’impugnatura dello spadone, prima di voltarsi verso Kysa, con i lineamenti contratti dalla tensione.
- Vai a nasconderti, presto! - le ordinò.
- Ma tu…
Incurante delle sue proteste, il guerriero la spinse bruscamente verso il corridoio deserto di fronte a loro.
- Io ti raggiungerò tra qualche minuto, te lo prometto. - le disse, sorridendo in maniera rassicurante.
Non appena ebbe richiuso la porta dietro di sé, si volse, pronto a fronteggiare i suoi inseguitori. Non sguainò la spada, in quanto esisteva anche una remota possibilità di convincerli della sua innocenza; tuttavia raramente il suo istinto l’aveva tradito e purtroppo in quel momento gli stava dicendo chiaramente che lui e Kysa erano stati scoperti. Pochi secondi più tardi, l’improvvisa apparizione di un piccolo manipolo di guardie lo congelò sul posto.
Le sue dita sfiorarono l’impugnatura della sua fedele arma, prima di stringersi attorno ad essa in cerca della sicurezza che quel familiare contatto gli concedeva. Sapeva che quei rapidi passi sempre più vicini appartenevano a dei soldati che infine si erano resi conto delle sue menzogne e contro cui avrebbe dovuto combattere, ma non si aspettava di trovare alla loro guida proprio chi aveva sperato fino all’ultimo di non dover incontrare. Contrasse le labbra in una smorfia amara, quando tornò a squadrare l’alta figura del suo generale, pienamente consapevole della propria morte imminente.
- Forse non la manterrò questa promessa, ragazzina.

Northlear era un villaggio piccolo ma stranamente tranquillo e pacifico, se confrontato con gli altri possedimenti di Ghedan. La povera gente aveva imparato a collaborare in modo da sopravvivere al crudele tiranno che li governava e la solidarietà vigente tra loro aveva permesso a quel piccolo agglomerato di edifici di prosperare quasi fosse stata una delle poche città ancora libere su Sylune.
Daygon squadrò con un blando interesse i minuscoli giardini e gli orti, miseri ma curati, in cui alcuni bambini, ignari della sua presenza, si divertivano con una palla di stracci; in quei brevi secondi di studio li degnò di un’attenzione rara, mai sprecata per le numerose vittime di cui si era macchiato, sorpreso che nel regno del sovrano più crudele e meschino potesse esistere chi credeva nella speranza e nella vita, seppur ancora privo della razionalità degli adulti.
Il suo sguardo s’indurì.
Una simile visione di povertà non gli provocava il minimo turbamento o rimorso, le sue dita avrebbero potuto levarsi e cancellare ogni cosa con la stessa freddezza con cui avrebbero scacciato un fastidioso moscerino, tuttavia non era giunto in quel luogo per distruggerlo.
Simile ad un’ombra impalpabile, si limitò a passare oltre senza più degnare i bambini di un’occhiata, dirigendosi poi senza esitazioni verso una casa un po’ più isolata ma in condizioni migliori rispetto alle altre, e si preparò con un sorriso ad adempiere ai propri inesorabili propositi.
Come anticipato a Kyzler, una volta penetrato nel castello di Ghedan si era premurato affinché nessuno dei soldati testimoni del suo assassinio potesse rivelare ad anima viva ciò a cui aveva assistito; prima di ucciderli, però, aveva ascoltato con molta attenzione le loro dichiarazioni riguardanti i ribelli, utilizzando anche la telepatia per ottenere informazioni più accurate.
Tutte le guardie concordavano nel riferire che a penetrare nel castello fossero stati due ragazze ed un giovane cieco con gli occhi bendati, e Daygon era giunto alla conclusione che probabilmente quest’ultimo fosse l’Alher di cui Kyzler aveva percepito il potere; tuttavia i pochi dettagli racimolati nelle loro menti non gli permettevano di ricostruire la precisa fisionomia degli assassini di Ghedan, senza contare che quei tre ribelli avrebbero potuto modificare le loro sembianze con la magia.
Gli interrogatori lo avevano lasciato insoddisfatto e nemmeno la possibilità di ingrossare le proprie fila inglobando i soldati rimanenti nel suo esercito era stata di qualche conforto, in quanto ormai i tre ribelli erano lontani e con le poche informazioni in suo possesso avrebbe impiegato svariati giorni prima di poterli trovare.
Il suo viaggio fino a Darconn, tuttavia, non era stato vano: prima di morire, le guardie del castello gli avevano rivelato due nomi. Purtroppo l’uomo a cui apparteneva il primo di essi non era in città, probabilmente aveva preferito nascondersi intuendo il suo arrivo, ma non era lui ad interessargli maggiormente.
In uno svolazzo del mantello, il mago scomparve dentro il muro della piccola casa di pietra.
- Tu devi essere la famosa guaritrice di questo villaggio. - disse, dopo aver osservato per qualche secondo l’anziana figura che gli dava le spalle, intenta a tagliare le verdure per la cena.
La donna si girò con un sussulto.
Anche senza il particolare delle pupille bianche, riconobbe subito il più potente re di Sylune: i capelli argentati ed il volto dai tratti nobili, da cui spiccavano simili a due gemme gli occhi blu scuro dai riflessi scarlatti, erano gli inconfondibili segni di colui che faceva piegare dinanzi a sé perfino le ginocchia degli altri Oscuri.
- Che cosa desiderate, mio signore? - chiese, inchinandosi profondamente dinanzi a lui.
Daygon la squadrò per degli istanti che le parvero eterni, prima di piegare le labbra in un sorriso privo di ogni calore.
- Sto cercando un umano di nome Lensin. So che è amico tuo e che entrambi aiutate i ribelli.
Un silenzio di morte si fece strada in quella piccola casa accogliente, fino a colpire con un affondo quasi insostenibile il cuore della donna.
- Non so di cosa parlate, mio signore. - rispose Alista, senza poter nascondere il timore che quella figura imponente suscitava in lei.
L’Oscuro non si avvicinò né cambiò il tono di voce, tuttavia la minaccia che trasudava da tutta la sua persona parve avvolgere l’intera stanza in un cupo presagio di morte, più terribile ed implacabile di quanto avrebbe potuto essere uno squadrone di guerrieri armati di tutto punto.
- Le tue menzogne non mi ostacoleranno, adesso mi dirai tutto ciò che voglio sapere.
La donna non si guardò nemmeno intorno, conscia di non avere alcuna speranza di fuga. Sollevò il volto sull’Oscuro, fissandolo direttamente negli occhi, mentre cercava disperatamente di non lasciar trapelare la paura di cui si sentiva prigioniera, una viscida sensazione alla cui ombra aveva condotto gran parte degli ultimi anni e che solo ora le si rivelava in tutto il suo orrore.
- Non temo il dolore.
Daygon le rivolse un freddo sorriso.
- Non ho certo bisogno della tortura per strapparti le informazioni di cui ho bisogno.
Nonostante il terrore di trovarsi di fronte al più potente dei suoi nemici, un lampo di gioia raggiunse il cuore della guaritrice, riscaldandolo con un tocco carezzevole ormai quasi sconosciuto.
In quell’istante Alista aveva compreso per quale motivo l’Oscuro si fosse scomodato per andarla a prendere invece di delegare i suoi soldati a tale compito: solo un avvenimento grave quanto l’assassinio di uno di loro avrebbe richiesto la massima discrezione ed il suo personale intervento.
I volti dei tre ragazzi che erano riusciti a ridarle la speranza ed indirettamente avrebbero causato la sua morte le attraversarono i pensieri. Per primo quello di Rafi, la rivide stesa nel letto, singhiozzante, ferita nel corpo e nell’animo, e poi indifferente e spietata, dedita solo ad una vendetta insensata eppure comprensibile. Per seconda Sky, il viso sorridente da eterna bambina, l’animo forte di una guerriera, che non si era arresa nemmeno di fronte alle crudeli ferite del destino. E per ultimo quell’Etereo, Kilik, che l’aveva squadrata con sospetto ma infine aveva accettato il suo aiuto e l’aveva ringraziata.
Un trio eterogeneo di individui dai caratteri fin troppo diversi e conflittuali, che pure aveva portato a termine una missione apparentemente impossibile.
Se avesse permesso al mago di strapparle i suoi ricordi su di loro, li avrebbe condannati a morte certa.
Strinse le labbra. In fondo cos’era una vita misera come la sua in confronto ad un ideale di pace e giustizia che finalmente sembrava cominciare a prendere forma?
Per un attimo si permise di sperare che quei tre ragazzi sarebbero davvero riusciti a sconfiggere anche gli altri Oscuri ed a riportare Sylune quel continente libero che tanto amava.
Una lacrima le solcò lentamente la guancia rugosa, mentre il mago le si avvicinava, intenzionato a strapparle con la forza i preziosi segreti che custodiva. Appena prima che la mente dell’Oscuro cominciasse a violarla, estrasse da una tasca del suo grembiule la mano sinistra e la portò al volto, mentre la destra si stringeva al coltello da cucina per poi guizzare inaspettatamente rapida verso il petto dell’uomo.
Daygon rimase immobile, senza nemmeno sollevare un dito, ma Alista sentì distintamente una forza impalpabile che la avvolgeva, soffocandola, stringendosi attorno alla sua gola ed al polso come le fredde spire di un serpente. Percepì appena il momento in cui la sua mano si apriva senza che lei glielo ordinasse, lasciando cadere l’arma a terra, poi la voce del mago risuonò nella sua testa più nitida di una pugnalata, con un timbro imperioso e crudele da cui non riuscì a difendersi. Le sue parole distrussero ogni resistenza e lacerarono i suoi pensieri, incuranti di causarle una sofferenza tanto profonda, sondando ogni interstizio della sua mente alla ricerca delle informazioni gelosamente racchiuse in essa; ogni suo sforzo di contrastarle veniva semplicemente spazzato via con una ferocia disumana, tanto intensa da spingerla a desiderare la morte, eppure Alista continuò ugualmente nei suoi vani tentativi di ribellione. Sentì un dolore insopportabile mentre la sua coscienza era dilaniata da quella violenta intrusione, la sua stessa essenza sezionata in frammenti troppo piccoli per potersi ricomporre, ma già la razionalità la stava abbandonando e sotto di lei si spalancava un baratro nero da cui non sarebbe mai più uscita. Crollò a terra all’improvviso e, dopo una violenta convulsione, giacque immobile, con gli occhi velati dall’età spalancati nel vuoto.
In piedi, con un’espressione più incuriosita che irritata, l’Oscuro stringeva un piccolo involucro, ancora sporco del veleno in polvere che la guaritrice aveva ingerito.
Alista era riuscita a preservare il suo segreto.

Il generale di Daygon alzò la mano in un muto ordine di arresto per il piccolo drappello di soldati dietro di lui.
Con il volto segnato dalla fatica dell’ultimo viaggio ed i lineamenti contratti da una gelida collera, pareva ancor più del solito il demone di cui portava il nome, mentre scrutava con aria minacciosa il gigantesco spadone che il suo ufficiale gli stava puntando contro.
- Che cosa significa? - ringhiò, trafiggendolo con uno sguardo furibondo.
Beck abbassò l’arma in un apparente segno di resa, quando invece ogni suo muscolo si tendeva, pronto a fronteggiare un attacco improvviso da parte del suo pericoloso avversario o dei soldati alle sue spalle. Sapeva che in uno scontro uno contro uno con il suo superiore non avrebbe avuto alcuna speranza di sopravvivere, tuttavia, se fosse riuscito a trattenerlo per un po’ di tempo, avrebbe regalato a Kysa alcuni preziosi minuti per fuggire.
- Temo che non potrò più essere il tuo braccio destro, generale. - rispose, con la stessa voce calma e controllata con cui nei mesi passati discuteva in sua compagna le tattiche belliche e le battaglie future.
Gli occhi gelidi di Devil s’incupirono all’improvviso.
- Dunque Dyz ha detto il vero. Come hai osato tradirmi?
Il soldato strinse con forza l’impugnatura dello spadone, pur senza sollevarlo.
- Ho sempre avuto il cuore romantico. - commentò con un sorriso ironico sul volto abbronzato, prima di tornare serio - Non potevo lasciare quella ragazzina nelle tue mani.
- Lei dov’è?
- Temo di non potertelo dire.
Devil contrasse i lineamenti in un’espressione tanto furiosa da far indietreggiare i suoi stessi soldati. Un’intensa emanazione di potere cominciò a formarsi attorno alla sua mano destra, prima ancora che lui sollevasse il braccio, guizzando verso il gigante come se fosse impaziente di essere rilasciata.
- Chiunque osi intralciare la mia strada deve essere distrutto, tu compreso, Beck. - sibilò, gli occhi ridotti a due fessure su cui riverberava l’intensa luce del globo di magia sul suo palmo - Te lo chiedo un’ultima volta. Dov’è?
Senza perdere di vista l’energia azzurrina nella mano del suo avversario, il gigantesco guerriero fece un passo indietro, allargando le gambe in modo da aumentare la propria stabilità, e si preparò a schivare il suo attacco.
Un attimo più tardi la magia lo raggiunse in pieno petto, più forte di qualunque cosa avesse mai sperimentato prima, e lo scaraventò violentemente contro il muro a fianco della porta che stava proteggendo. Senza fiato per quel colpo che non era nemmeno riuscito a vedere e per il doloroso impatto con la parete, Beck rimase a terra un secondo di troppo: con gli occhi annebbiati per lo stordimento, senza più la propria arma, si rese conto che Mizar stava avanzando verso di lui con la spada sguainata. D’istinto protese le braccia muscolose davanti al volto ed al petto, in un futile tentativo di salvarsi, tuttavia la lama del generale non giunse mai a reclamare la sua vita.
Con i lineamenti stravolti dalla sorpresa e dall’amarezza, Beck sollevò lo sguardo sul suo comandante, che l’aveva oltrepassato senza più degnarlo di un’occhiata; fino all’ultimo aveva sperato che Devil preferisse uno scontro diretto con lui in modo da eliminarlo personalmente, come sempre aveva fatto con i disertori od i ribelli, tuttavia in quel momento sembrava che il desiderio di vendicarsi di chi lo aveva tradito perdesse d’importanza di fronte alla fuga della sua prigioniera.
Si rialzò a fatica, con il petto e la schiena ancora doloranti per l’attacco subito.
Il generale era già entrato nel corridoio in cui si era rifugiata Kysa, ma fortunatamente la ragazza non si trovava più lì, quindi forse le poteva regalare ancora una possibilità di salvezza. Si appoggiò alla parete alle sue spalle, in modo da non porgere la schiena né ai soldati, né al suo comandante, quindi sollevò la spada.
- Devil, lasciala andare. Non si merita la tortura di questa prigionia.
Per la prima volta la sua replica parve avere un qualche effetto sull’imperturbabilità del generale, perché il suo sguardo vacillò impercettibilmente mentre si voltava a fissarlo; tuttavia, quando parlò, Mizar non ebbe alcuna esitazione.
- Uccidetelo. - ordinò alle sue guardie, prima di dirigersi verso i sotterranei.
Beck imprecò silenziosamente.
Anche quando si era reso conto della propria fine imminente, a preoccuparlo di più era stata la sorte della giovane prigioniera: sapeva che non avrebbe avuto alcuna speranza di fuggire con Devil alle costole.
Lanciò una rapida occhiata alle proprie spalle, vedendo il generale scomparire nella stesso corridoio in cui aveva mandato Kysa, ed il suo volto si trasfigurò in una maschera di determinazione.
Mostrare la schiena ai suoi nemici sarebbe stata un’imprudente sfida al destino e lo avrebbe condotto con tutta probabilità alla morte in pochi secondi, la sua stessa essenza di guerriero rifiutava un’imprudenza simile; tuttavia, tormentato dal pensiero che la ragazza venisse catturata e poi crudelmente punita per il suo tentativo di fuga, scelse di rischiare più del consentito, in nome di una redenzione a cui aveva quasi cominciato a credere.
Con un rapido movimento finse di voler attaccare l’avversario più vicino e poi cercò di ritirarsi velocemente, in modo da correre a fermare Devil, ma i soldati che lo fronteggiavano non si fecero cogliere alla sprovvista e continuarono ad incalzarlo con le spade, costringendolo a continuare lo scontro.
Un affondo lo raggiunse nella parte superiore del braccio sinistro, ferendolo in maniera superficiale, tuttavia si trattava di un prezzo decisamente misero da pagare per una finta azzardata che avrebbe potuto anche costargli la vita.
Senza scoprirsi, con lo spadone in posizione di guardia già pronto a colpire, indietreggiò lentamente, conscio di non avere molte speranze di salvezza contro una decina di soldati armati di tutto punto.
Per un attimo lasciò che un profondo rimpianto emergesse dai suoi lineamenti. Nonostante tutti i suoi sforzi non era riuscito a compiere la missione più importante, né a riscattarsi da una scelta che in passato gli era costata gran parte dei suoi ideali ed il suo stesso fratello.
L’idea di morire inutilmente gli risultava insopportabile, tuttavia, se proprio il suo destino avesse dovuto concludersi quel giorno, gli sarebbe piaciuto essere ucciso in un ultimo scontro con quel generale crudele che aveva rispettato con tutto se stesso, non per mano di avversari la cui forza risiedeva nel numero, anziché nell’abilità.
Si guardò attorno nei brevi secondi di tregua prima del suo ultimo combattimento, nel tentativo di trovare la posizione più favorevole. Il corridoio in cui si trovava era troppo largo per rappresentare una copertura ai fianchi e sapeva che se i suoi avversari fossero riusciti ad accerchiarlo per lui sarebbe stata la fine. Un muro gli avrebbe garantito la protezione alle spalle che cercava, tuttavia combattere a pochi centimetri da una parete significava anche avere una notevole limitazione nei movimenti ed il minimo svantaggio, in uno scontro tanto sfavorevole, avrebbe potuto essere fatale.
Rimase indeciso un secondo solo, soppesando la possibilità di avere le spalle coperte contro quella di poter agire come desiderava, quindi cominciò lentamente ad indietreggiare.
- Arrenditi, comandante, e deponi le armi. Forse se ti lasci catturare il generale sarà disposto a risparmiarti. - gli ordinò il capo di quel piccolo drappello.
- Pensavo di averti insegnato meglio, ragazzo. - replicò Beck, calcando con un tono quasi sprezzante l’ultima parola - Non ci si arrende mai al nemico. Specialmente se un tempo ne facevi parte.
Strinse il pugno sull’elsa dell’enorme spadone che ben pochi uomini erano in grado di sollevare e pure lui riusciva ad utilizzare con una mano sola, ed appoggiò la schiena al muro, poi un sorriso minaccioso comparve sul suo volto, mentre guardava i suoi stessi sottoposti prepararsi ad attaccarlo.
- Fatevi sotto!

Kysa stava camminando rasente alla parete, attenta a muoversi il più cautamente possibile, con le orecchie tese per captare eventuali passi dietro di lei.
Il piccolo corridoio in cui si trovava era avvolto da un silenzio squarciato solo dai battiti fin troppo rumorosi del proprio cuore e non presentava alcun arazzo o mobile dietro cui potesse sperare di nascondersi in attesa di Beck; ad intervalli regolari, la monotonia delle decorazioni sulle pareti veniva interrotta dal colore più scuro delle porte chiuse, tuttavia i suoni provenienti all’interno di esse erano parse una minaccia abbastanza consistente da farla desistere dalla mera idea di provare ad aprirle per cercare riparo.
Affidandosi al proprio istinto ed all’udito, fino a quel momento era riuscita a schivare i pochi soldati che pattugliavano quella zona del castello, ma sapeva che la sua buona sorte non avrebbe potuto durare in eterno. Quando, dopo l’ennesima svolta, si trovò improvvisamente di fronte ad un muro liscio e privo di aperture, dovette stringere i pugni per impedirsi di scoppiare in un pianto carico di disperazione, consapevole di essersi intrappolata da sola.
Tornare indietro anche solo di pochi metri sarebbe stata pura follia, così reprimendo le lacrime, si rassegnò a cercare riparo in una delle stanze appena oltrepassate.
Si guardò attorno, indecisa su quale fosse la porta migliore a cui affidare il proprio destino.
Aveva appena racimolato il coraggio necessario ad aprire quella più vicina e silenziosa, quando una piccola nicchia alla sua destra attrasse la sua attenzione. Si appiattì contro di essa, scoprendo poi con sorpresa che la rientranza del muro si allungava in una sorta di cunicolo segreto e proseguiva per diversi passi, separata dal corridoio principale da una parete spessa soltanto pochi centimetri, fino a terminare in un’angusta scalinata.
All’improvviso sentì dei rumori dietro di lei, il pesante incedere di uno o più soldati in armatura, così non le rimase che infilarsi in quella stretta nicchia ed imboccare le scale, nella speranza di trovare un nascondiglio in cui rimanere fino all’arrivo di Beck.
Lo stomaco le si contorse dolorosamente all’idea che adesso il soldato stesse combattendo per proteggerla, rischiando la propria vita in nome della sua. Quando aveva sentito la voce di Devil, il suo primo impulso era stato quello di correre in aiuto del gigante e provare quantomeno a distrarre i suoi avversari, in una mossa suicida che avrebbe, almeno in parte, lenito i sensi di colpa per essere divenuta ancora una volta la causa di un sacrificio. Era durato un attimo, il tempo di accennare il primo passo verso l’uomo che ormai considerava un amico, e la consapevolezza del proprio dovere si era abbattuta su di lei, dilaniandole il petto: non poteva sprecare in un simile modo l’opportunità che le era stata donata, la responsabilità di troppe vite gravava sulle sue spalle.
Continuò a scendere per minuti che le parvero eterni, fino a quando il tempo sembrò perdere il suo significato, lasciandola alle prese con una scalinata apparentemente priva di conclusione, forse perfino più angosciante della sua fuga attraverso quei corridoi deserti tutti simili tra loro. Infine i gradini terminarono in un ambiente buio ed umido, decisamente più freddo del piano superiore.
Attese qualche secondo, in modo da abituare gli occhi alla penombra di quel luogo, quindi si guardò attorno: l’ampio passaggio in cui si trovava, illuminato a stento dalle fiaccole appese alle pareti di roccia grezza, non possedeva nulla della grazia e della raffinatezza che caratterizzavano la dimora di Daygon; il silenzio che lo avvolgeva era tanto pesante da sembrare palpabile e s’insinuò subito come un veleno nei suoi pensieri, una presenza indistinta tutt’attorno a lei, che la avviluppava in soffocanti spire di paura e rassegnazione.
Stremata dalla fuga e dalla tensione, si appoggiò contro un muro, rabbrividendo quando il gelo di cui era pervaso le trapassò i vestiti e s’irradiò sulla sua pelle.
Chiuse gli occhi, conscia di essersi persa nei più profondi recessi del castello.
Una parte di lei stava accarezzando la possibilità di concedersi un breve momento di riposo e trovare conforto nel sonno, ma sapeva che sarebbe stato un errore fatale abbassare la guardia anche solo per un secondo.
Dubitava che Beck sarebbe riuscito a trovarla entro breve, quindi decise di sedersi un paio di minuti, in modo da riprendere fiato, e poi incamminarsi senza aspettarlo, alla ricerca di un’altra scalinata che l’avrebbe portata nuovamente nella parte abitata del maniero ma lontano dei soldati sulle sue tracce.
Incrociò le braccia al petto, incapace di rialzarsi.
L’idea di rimettersi in marcia da sola la terrorizzava, non aveva più il coraggio di sopportare la tensione della fuga, l’angoscia di non sapere se ad una nuova svolta si sarebbe trovata di fronte ad un nemico che l’avrebbe catturata o forse uccisa…
Strinse i denti, lottando disperatamente contro quel momento di sconforto che le avrebbe impedito di proseguire.
Solo al pensiero di venire nuovamente catturata, le cicatrici sulla schiena cominciarono a bruciarle con la stessa straziante intensità che l’aveva quasi portata alla pazzia, durante quei lontani giorni di due anni prima in cui aveva sperimentato sulla propria pelle la crudeltà degli Oscuri; tuttavia sapeva di non potersi concedere alcuna tregua fino a quando non fosse riuscita ad uscire dal castello, se desiderava avere qualche possibilità di salvarsi.
Appoggiò le mani sulle proprie spalle in un abbraccio solitario, nel tentativo di alleviare almeno in parte la solitudine che le divorava il cuore e la sospingeva sempre più verso una rassegnazione simile alla morte.
Doveva salvarsi ad ogni costo, per se stessa e per lei.
- Viridian. - mormorò, sapendo già che non avrebbe ottenuto risposta.
Quando il suo richiamo disperato si spense nel silenzio, represse a fatica le lacrime che già premevano contro le sue ciglia, ansiose di rigarle le guance.
Come quel lontano giorno, avrebbe dovuto cavarsela da sola.
Il pensiero della fuga di due anni prima la rinfrancò impercettibilmente: già una volta era riuscita a scappare dai sotterranei in cui si era ritrovata prigioniera, beffando non solo le guardie che la controllavano, ma anche uno degli Oscuri; forse avrebbe potuto farcela di nuovo.
Con un po’ di fortuna avrebbe potuto farsi passare per una delle numerose serve del castello ed in tal modo avvicinarsi ad una delle uscite secondarie, o magari, una volta lasciati i sotterranei, sarebbe riuscita a ritrovare Beck.
Si rialzò in piedi, pronta a lottare con tutte le sue forze per riguadagnare la libertà, ma un suono inaspettato la fece trasalire.
Una fessura apparve all’improvviso nella roccia grezza di fronte a lei, rivelando un’apertura che cominciò ad ingrandirsi fino a raggiungere le dimensioni di una vera e propria porta segreta.
Kysa fece un passo indietro, spaventata da quella chiara dimostrazione di magia, tuttavia, per quei lunghi secondi in cui rimase immobile a guardare il muro, non successe nulla, così si decise ad avvicinarsi di qualche passo. Affascinata suo malgrado da quel cunicolo buio appena aperto, si affacciò per esaminarlo meglio: aguzzando gli occhi poteva vedere i primi gradini di una scalinata intagliata nella pietra, che si snodava simile alle spire di in un serpente in un abisso apparentemente senza fine e dopo qualche metro veniva inghiottita dalle tenebre.
Fece un altro passo in avanti senza nemmeno rendersene conto.
Abbastanza nitido da sovrastare ogni timore, sentì distintamente l’impulso di afferrare una delle fiaccole accese nel corridoio e proseguire la discesa, come se qualcosa alla base della scalinata la stesse chiamando con un’urgenza a cui non riusciva né desiderava resistere.
Avanzò ancora, ma il gelido contatto con il muro a cui aveva appoggiato la mano parve riportarla alla realtà. Lanciò un nuovo sguardo nel baratro nero che le si stagliava di fronte, mentre il richiamo si indeboliva, spegnendosi negli echi di razionalità della sua coscienza.
Un turbamento incomprensibile si impadronì all’improvviso del suo animo, tuttavia quel silenzioso allarme nella sua mente giunse troppo tardi: ancora prima che lei riuscisse a muoversi di un passo, da quel buio emerse in perfetto silenzio la figura di un ragazzo sui diciassette anni, dai capelli color della neve ed il corpo magro di un asceta.
Kysa s’irrigidì non appena i suoi occhi incolori la trafissero, privi di qualunque emozione.
Davanti a lei si stagliava un Oscuro.

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Capitolo 27
*** Capitolo 26: La fine e l'inizio ***


E con questo capitolo si conclude la prima parte di Twisted Souls. Grazie a chi mi ha seguito e un grazie particolare a visbs88, che con la sua segnalazione ha permesso l'inserimento di questa storia tra le scelte.




-Capitolo 26: La fine e l’inizio-

Sconvolta da quell’incontro inaspettato, Kysa arretrò fino a quando non sentì la nuda roccia dei sotterranei contro la sua schiena. A quel gelido contatto non poté reprimere un brivido, generato non tanto dal freddo che le stava penetrando nelle ossa, quanto dagli occhi sbiaditi con cui l’albino la stava squadrando da capo a piedi.
Dopo alcuni secondi di quello studio silenzioso, il volto del mago si contrasse in un guizzo di sorpresa, mentre le sue labbra rivelavano un pallido sorriso.
- Viridian.
La ragazza sussultò all’udire quel nome pronunciato con una sicurezza che non lasciava adito ad alcun dubbio e la condannava senza appello. Quasi subito sentì la mente dell’Oscuro violare la sua, penetrando in modo indolore la sua coscienza alla ricerca di una conferma alla propria affermazione, ma già nel momento in cui si stava concentrando per creare una barriera in difesa del suo segreto più grande, la presa sui suoi pensieri si allentò fino a sparire come se non ci fosse mai stata.
- Sei davvero tu, allora. - sussurrò lui a fior di labbra.
Kysa scosse freneticamente la testa, tuttavia il suo silenzioso diniego non ebbe alcun effetto sul mago, che continuava a fissarla con un’attenzione del tutto nuova nel suo sguardo malinconico.
Per un attimo Kyzler parve intenzionato ad allungare un braccio verso di lei, ma subito l’arto ricadde inerte contro il suo fianco, mentre i suoi lineamenti svelavano un tormento di difficile interpretazione.
- E Daygon ancora non sa nulla. - una strana smorfia prese forma sulle sue labbra, una piega crudele e trionfante che quasi stonava con il volto efebico del quinto Oscuro - Adesso comprendo la sua maledizione.
Sollevò la mano destra, in cui brillava già un piccolo globo di magia ed il suo ghigno si spense in un sorriso velato di tristezza, mentre fissava i propri occhi incolori in quelli azzurri della ragazza.
Pallidissima, Kysa attese l’inevitabile, ma Kyzler si limitò a voltarsi e sfiorare la porta da cui era appena passato; quasi istantaneamente essa si chiuse, fondendosi con il muro in maniera tanto perfetta da far dubitare che ci fosse stata davvero un’apertura.
Il mago riportò quindi la propria attenzione su di lei, ma nessun potere comparve ad illuminargli le mani quando le si avvicinò tanto da poterla sfiorare con il suo respiro. Per un solo istante i suoi occhi divennero quasi umani, cancellando l’indifferenza di cui si era ammantato per tutti quegli anni, mentre un giovane che non era mai stato bambino affiorava timido dai suoi lineamenti.
- Un giorno mi sarebbe piaciuto accettare il tuo invito. - mormorò, nel momento in cui la oltrepassava.
L’attimo dopo era scomparso.
Quando comprese di essere rimasta sola, Kysa scivolò a terra respirando affannosamente, con il cuore che le batteva all’impazzata nel petto.
Rimase seduta per quasi un minuto nel vano tentativo di calmarsi, ma non aveva il tempo di chiedersi per quale motivo l’Oscuro se ne fosse andato senza catturarla, né desiderava valutare la possibilità che avesse riferito a qualcuno della sua presenza nei sotterranei. Con uno sforzo quasi insostenibile per la sua mente stanca si rimise in piedi, ignorando il tremore che le pervadeva le gambe, ed a passi lenti s’incamminò verso la parte ignota di quell’ampio corridoio in pietra.
Alla prima biforcazione imboccò il tunnel con una leggera inclinazione verso l’alto, pregando silenziosamente di non incontrare nessuno.
Dopo qualche minuto di profondo silenzio, rotto solo dal leggero scalpiccio dei propri passi, cominciò a proseguire con più sicurezza, rinfrancata dalla totale assenza di soldati, nonostante sapesse di dover ancora affrontare la parte più difficile e rischiosa del castello; presto ai lati del passaggio cominciò a scorgere cunicoli più stretti, che si snodavano in profondità o continuavano allo stesso livello di quello che stava percorrendo, ma li ignorò, spaventata dalle loro dimensioni ridotte.
Infine giunse ad un nuovo bivio.
Ormai decisa a seguire il corridoio principale, svoltò a destra, nel passaggio più ampio, quando, con un urlo soffocato, si trovò di fronte il volto minaccioso del suo carceriere.
- Dove credi di andare? - sibilò l’uomo, allungando una mano nella sua direzione.
Senza respiro per il terrore, la ragazza si volse e cominciò una corsa forsennata per allontanarsi da lui, mentre Devil la seguiva con uno sguardo divertito, immobile.
- Se hai deciso di scappare ti consiglio di non fermarti, perché non ti concederò facilmente il mio perdono. – la ammonì, lasciandola svanire dietro una volta prima di gettarsi al suo inseguimento.
Guidata da una paura tanto assoluta e profonda da soverchiare ogni barlume di razionalità, Kysa corse disperatamente nella speranza di trovare un’uscita per la superficie in quel sotterraneo che pareva farsi ad ogni metro più tetro ed inospitale; con le orecchie pervase dal rapido rimbombo del proprio cuore, si accorse di non sentire nemmeno i passi del suo carceriere, ed un silenzio tanto profondo ed avvolgente alimentava in misura ancora maggiore il panico che minacciava di sopraffarla.
Combatté a lungo il forte impulso di girarsi per controllare se Devil la stesse seguendo: sapeva di non poter sperare in una tregua, una parte della sua mente si era resa conto in maniera fin troppo nitida del divertimento rispecchiato in quegli occhi di ghiaccio quando aveva cominciato quella disperata fuga per la salvezza, che per lui era solo un’occasione di cacciare una preda diversa dal solito. Ignorando il sordo dolore al fianco, continuò a scappare alla cieca, fino a perdere ogni orientamento, con le gambe sempre più pesanti ed il cuore che batteva come impazzito contro le pareti della sua cassa toracica. Senza rallentare svoltò all’improvviso in un cunicolo più stretto del precedente e crollò a terra, senza fiato.
Attenta a non fare il minimo rumore, si rannicchiò nell’angolo più buio e nascosto, controllando con un’occhiata se il suo inseguitore l’avesse vista arrestarsi.
Il corridoio da cui era venuta era deserto.
Represse a fatica l’irrazionale l’impulso di voltarsi, dando così ascolto al terrore di venire sorpresa alle spalle, e, dopo secondi intensi come minuti, riuscì a scorgere l’alta figura del generale. Come se stesse semplicemente passeggiando e non dando la caccia ad una prigioniera fuggiasca, Mizar avanzava ad ampi passi nel corridoio principale, senza alcuna fretta.
Quando ormai sembrava che avrebbe oltrepassato l’imboccatura del cunicolo dove lei si era nascosta, si voltò a fissarla con un ghigno in cui Kysa non faticò a trovare le tracce crudeli del suo trionfo, spegnendo ogni sua flebile speranza di essere riuscita a sfuggirgli.
Si rimise in piedi, pronta nuovamente alla fuga, nonostante la stanchezza le stesse attanagliando le membra in maniera quasi insopportabile, ma Mizar si era stancato di giocare. Sollevò una mano quasi svogliatamente e subito nella porzione del sotterraneo di fronte a lei comparve un muro invalicabile di fiamme nere.
Kysa si bloccò all’improvviso, ad un passo da quella barriera ardente che già cominciava a lambirle i vestiti. Una rapida occhiata ai lati spense ogni sua speranza di poter trovare una via di fuga, così si voltò, pronta ad affrontare il suo avversario in un corpo a corpo che non le lasciava alcuna possibilità di vittoria.
Lo attese senza muoversi, con la mano destra stretta convulsamente al manico del pugnale.
Quando Devil ridusse la distanza tra loro a meno di un metro, lo sfoderò all’improvviso, nel tentativo di poterlo prendere di sorpresa, ma il generale, sebbene non si aspettasse che lei avesse un’arma, schivò senza problemi il suo debole attacco, per poi afferrarle il polso con forza bastante a farglielo scricchiolare.
Kysa emise un lamento a denti stretti e fu costretta a mollare il pugnale.
Provò invano a liberarsi dalla mano sul suo braccio: la tensione e la stanchezza stavano esigendo il loro tributo e la ragazza si sentiva a stento capace di reggersi in piedi. Tuttavia, se anche fosse stata in possesso di tutte le sue forze, non avrebbe avuto alcuna speranza di sfuggire all’umano più potente di Sylune.
Al suo ennesimo, flebile tentativo di scappare, Mizar l’afferrò per la gola, sollevandola con la sola mano destra e sbattendola contro il freddo muro del sotterraneo. Nonostante l’impatto doloroso, la ragazza strinse i denti senza emettere un gemito e cominciò a divincolarsi disperatamente per allentare quella morsa che le impediva di respirare, nonostante fosse ormai certa della propria morte imminente.
Incurante degli sforzi sempre più deboli con cui lei cercava di liberarsi, l’uomo piegò le labbra in un ghigno privo di alcuna pietà. Ancora non aveva deciso se ucciderla o lasciarla in vita, tuttavia, se anche avesse optato per quest’ultima alternativa, si voleva assicurare di infliggerle una punizione che non avrebbe scordato facilmente.
Contrasse le dita attorno alla base del suo collo, insinuandole sotto la tunica in modo da migliorare la presa con cui le stava strappando la vita un secondo alla volta, ma un’inaspettata asperità sulla pelle che avrebbe dovuto essere liscia lo spinse ad esitare nell’infliggerle la stretta definitiva.
Rimase qualche secondo sospeso nel dubbio, sul volto uno sguardo di difficile interpretazione, poi la lasciò andare all’improvviso.
Mentre lei tossiva in maniera convulsa a causa della morsa con cui era quasi stata strangolata, la voltò rudemente verso la parete, in modo da poterle esaminare le spalle. Spaventata per la posizione e senza comprendere le sue intenzioni, la ragazza cercò di ribellarsi al suo aguzzino, ma subito sentì che i suoi capelli venivano imprigionati in una morsa crudele, abbastanza decisa da renderle impossibile muovere la testa.
Mizar fece un passo indietro, senza allentare in alcun modo la presa.
I suoi occhi azzurri si soffermarono sulle tracce appena visibili di quelle strisce sottili che aveva appena percepito al tatto e, dalle spalle, scendevano nell’ombra della tunica. Senza alcun preavviso gliela lacerò, rivelando la sua schiena.
Subito la ragazza si contorse contro di lui, incurante del dolore che la sua stretta le procurava ad ogni movimento, ma Mizar le premette il volto contro il gelido muro del sotterraneo, intensificando la morsa sui suoi capelli fino a strapparle un gemito soffocato.
- Stai ferma! – ordinò, mentre con la mano libera afferrava una delle torce appese alla parete.
Non appena comprese cosa stava succedendo, la ragazza s’immobilizzò di scatto; tutto il suo corpo tremava leggermente, forse per il terrore di sentire la fiaccola ardente sulla propria pelle, ma non cercava più di liberarsi e scappare.
Finalmente libero di esaminare la sua prigioniera come più gli aggradava, il generale avvicinò la torcia alla sua schiena, attento a non scottarla, ed a malapena riuscì a soffocare un’esclamazione di sorpresa: ogni centimetro della sua pelle era attraversato da linee nere, sottilissime, che dal collo scendevano fino all’orlo dei calzoni e s’intrecciavano senza alcuna logica, in fantasiosi disegni simili ai deliri di un folle.
Come ipnotizzato da quei segni contorti, appoggiò la fiaccola al supporto più vicino, in modo da liberarsi una mano per esaminare anche col tatto ciò che non riusciva a riconoscere con la sola vista. Percorse con le dita una di quelle strisce, dall’alto verso il basso, prima di comprenderne la natura: cicatrici sottili, che le attraversavano tutta la schiena, una ragnatela di dolore color tenebra simile all’indelebile decorazione creata da un artista perverso. Non ebbe bisogno di chiederle chi era stato ad infliggerle tali ferite; solamente chi possedeva la magia era capace di generare la fiamma che aveva lasciato quel marchio.
La voltò verso di sé, liberandole i capelli.
- Cosa volevano da te gli Oscuri?
La ragazza abbassò il capo senza rispondergli. Reggendo con entrambe le mani ciò che rimaneva della sua veste, ormai troppo lacerata per coprirla adeguatamente, rimase immobile nella piccola porzione di spazio compresa tra il muro ed il corpo del suo inseguitore, priva di ogni speranza di salvezza.
- Ti ho fatto una domanda. – le disse ancora lui, in tono ammonitore.
Kysa si morse un labbro senza sollevare lo sguardo.
Le parole le uscirono di bocca a fatica, dolorose come i ricordi di quel giorno lontano.
- Pensavano che io sapessi dov’era nascosta un’Eterea.
- Ed era vero?
Devil non si fece ingannare dal suo repentino diniego, troppo rapido ed accentuato per essere veritiero.
- Tu sapevi. Per questo la prima volta che ci siamo parlati eri tanto convinta che ti avrei portato da Daygon.
I suoi occhi di ghiaccio si soffermarono ancora una volta sulle fitte cicatrici che le attraversavano la schiena. Troppe perché le fossero state inflitte tutte in un unico momento senza ucciderla.
- Sapevi e non hai parlato. – continuò, tanto stupito per una simile consapevolezza da essersi dimenticato di imprimere alla sua voce la solita intonazione minacciosa.
Kysa raddrizzò il capo.
- No! - urlò, ma la sua negazione non sortì alcun effetto sull’uomo: Mizar era immobile, congelato da quella scoperta che andava a scavare nelle sue più nascoste e recondite paure, obbligandolo ad affrontare un passato di cui aveva volontariamente soppresso ogni ricordo.
I suoi occhi s’incupirono all’improvviso, lasciando trapelare le tenebre che portava racchiuse nell’animo ed ora lottavano per liberarsi dal suo controllo.
- Perché non hai parlato?
Riconobbe a stento la voce sibilante con cui la stava interrogando, ma tutto il suo essere era torturato da una scarica di rabbia e turbamento impossibile da ignorare.
I segni sulla schiena della ragazza erano andate a risvegliare le cicatrici della sua vecchia vita, ferite che non si era mai preoccupato di curare ed ora si laceravano dinanzi ad una simile rivelazione, mostrando il bruciante contenuto di quegli squarci mai completamente guariti, che la sua mente aveva preferito relegare nell’oblio e dimenticare.
Venne invaso da un’ira quasi folle, una collera che premeva e bruciava il suo petto, soffocandolo.
- Perché non hai parlato?! – urlò ancora, afferrando la ragazza per le spalle e sbattendola violentemente contro la parete – In nome di quale ideale hai subito tutto questo?!
Senza lasciare la presa si chinò alla ricerca di quel contatto visivo che la ragazza rifiutava, fin quasi ad appoggiare la propria fronte alla sua.
- E dov’è l’Eterea?
Lentamente Kysa sollevò la testa.
- Se, come dici, non ho parlato neanche quando sono stata torturata, come puoi pensare che lo farò adesso?
L’uomo la lasciò andare all’improvviso, con un movimento tanto brusco da farla quasi cadere a terra. C’era qualcosa di terribilmente sbagliato nella sua risposta: lui conosceva bene il modo in cui dolore e la paura annichilivano ogni tipo di ideale, l’aveva provato sulla propria pelle quand’era ancora un ingenuo sognatore e non poteva credere che una mocciosa tanto giovane fosse stata capace di un simile coraggio.
- Non sfidarmi, ragazzina, non sai di cosa sono capace. – tacque per un attimo, impallidendo per una volta a causa di un’emozione diversa dalla collera - E non sai di cos’è capace Daygon.
Dopo un attimo di sorpresa per l’amarezza presente nelle parole del suo carceriere, Kysa strinse le mani al petto come per prepararsi ad un attacco imminente, ma non abbassò lo sguardo mentre gli rispondeva.
- L’Eterea che cerchi è morta. Da me non saprai altro.
Devil cercò invano nei suoi lineamenti una traccia di quel terrore cieco che si divertiva a trovare nel suo volto durante i giorni passati ed aveva reso la caccia di pochi minuti prima tanto interessante: la ragazza non tremava più, ormai pareva rassegnata alla morte o ad un destino ancora peggiore; eppure gli sembrava di non aver ancora vinto contro di lei.
Venne pervaso dal desiderio quasi doloroso di piegarla, di soggiogare il suo spirito e costringerla alla resa, ma Kysa gli si stava opponendo con una fermezza ed una convinzione che mai gli aveva dimostrato prima. Per un attimo gli parve di avere di fronte una giovane donna capace di mantenere i propri ideali fino alla morte. Sentì quest’immagine trafiggerlo in profondità in un punto imprecisato del torace, prima di riuscire a reprimere quell’assurdo pensiero, che metteva in crisi gli ultimi anni della sua vita.
Ammantato dall’incrollabile certezza che nessuno sarebbe mai riuscito ad opporsi al potere ed alla tortura, non poteva nemmeno prendere in considerazione l’idea di aver sbagliato; eppure quell’insidioso turbamento persisteva, un dubbio intollerabile, che desiderava cancellare al più presto.
All’improvviso poggiò le mani sulle tempie della ragazza, lasciando che il proprio potere fluisse in lei secondo dopo secondo, una scarica di magia abbastanza intensa da sopraffare ogni sua ribellione. In quel modo avrebbe potuto sondare i suoi ricordi alla ricerca di ciò che gli serviva, ma era un espediente che utilizzava di rado: spesso chi non aveva il perfetto controllo di una simile pratica rischiava di spezzare per sempre lo spirito della sua vittima, se quest’ultima avesse provato ad opporre resistenza, inoltre ci voleva un discreto allenamento per discernere la realtà dai pensieri illusori con cui le persone cercavano di nascondere i propri segreti.
La capacità di leggere la mente si adattava ai maghi composti e riflessivi come Kyzler o Daygon, non ad un guerriero abituato a sporcarsi personalmente le mani di sangue, e lui non si era mai preoccupato di allenare un’abilità che gli sarebbe risultata utile unicamente durante gli interrogatori e non nelle battaglie.
Il disperato bisogno di conoscere la verità, tuttavia, aveva cancellato ogni sua esitazione, costringendolo a servirsi di una pratica che aveva sempre preferito evitare.
Attento a dosare il proprio potere per non causarle danni permanenti, si addentrò nella mente della ragazza. Subito la sentì irrigidirsi, nel vano tentativo di sfuggire alla sua magia, ma l’attacco con cui desiderava mettere a nudo i suoi segreti era stato tanto rapido ed inaspettato da non averle lasciato il tempo di difendersi.
Per un attimo, mentre entrava in lei, gli parve di percepire una barriera quasi impalpabile, che invece di bloccarlo si limitava a deviare la sua attenzione, ma era una sensazione tanto fuggevole che non se ne curò.
Superando senza alcun problema le deboli resistenze della sua prigioniera, si fece largo tra i frammenti del suo passato ed alcuni pensieri troppo confusi per poterli distinguere, fino a trovare ciò che stava cercando: vide il corpo di un’Eterea crollare a terra senza vita, poi una cella buia, la mano di un uomo senza volto che si sollevava incessantemente, stringendo una frusta, ed una voce, tanto distorta dall’agonia da non essere quasi riconoscibile, che urlava tutto il suo dolore…
Si staccò all’improvviso, ansimante, mentre la ragazza scivolava a terra.
Con le orecchie ancora pervase da quelle grida, si appoggiò al gelido muro del sotterraneo, incapace di accettare la verità che stava entrando in lui come un fiume in piena, impietosa ed inarrestabile.
Sentì le emozioni che aveva volutamente cancellato fuoriuscire dall’oblio in cui le aveva relegate, per tormentarlo con un’intensità insostenibile, il flusso dei suoi pensieri era lava allo stato puro, un torrente bruciante che dilaniava tutte le sue convinzioni, mentre le immagini appena scoperte gli straziavano il petto ed un soffocante senso di nausea gli corrodeva la gola, simile ad un acido. I ricordi da cui era riuscito a liberarsi anni prima gli tornarono alla mente, accorrendo dagli angoli più oscuri del suo animo, in cui aveva creduto di sopprimerli per sempre, e per un istante risentì sulla propria pelle la paura ed il disgusto provati di fronte ai corpi straziati di quelli che erano stati i suoi compagni.
Il suo volto stralunato si fissò sulla giovane prigioniera con uno sguardo bruciante d’odio represso.
Lentamente, respirando a fondo un paio di volte, riuscì a recuperare il sangue freddo e, quando tornò a fissare Kysa, sul suo volto brillavano nuovamente i soliti bagliori gelidi e spietati, gli occhi di un demone senz’anima, le cui profondità tuttavia non riuscivano ad occultare del tutto il turbamento insito in essi.
- Cosa devo fare con te? – mormorò, più a se stesso che a lei. Ma la mente della sua prigioniera non era più lì, si trovava in un passato lontano di cui ancora conservava le cicatrici.

Il fetore della paura e della morte, tra echi di dolore mai spenti del tutto e putridi corpi in cui ancora ardeva per loro maledizione una scintilla di vita.
- Te lo chiederò un’ultima volta, mocciosa. – aveva sibilato il suo aguzzino - Dov’è l’Eterea?
Il sottile piacere che trapelava dalla sua voce l’aveva fatta rabbrividire più dell’aria gelida presente nei sotterranei.
- Non lo so. - era riuscita a sussurrare, nonostante la paura le avesse invaso la gola ed i polmoni.
- Come preferisci. - le labbra dell’uomo si erano piegate in un sorriso insieme minaccioso e divertito, tipico del carnefice che pregusta l’agonia della sua vittima.
Nella sua mano destra era comparsa una fiamma nera, un piccolo concentrato di tenebra che si era fatto sempre più sottile, fino a raggiungere, sotto gli occhi pieni d’orrore della prigioniera, le sembianze di una frusta.
- Sicura di non volermi rivelare qualcosa?
Lei aveva scosso la testa, incapace di rispondere a parole per la morsa di panico che minacciava di sopraffarla, ed il sorriso dell’Oscuro si era allargato in un ghigno soddisfatto. Aveva avvicinato l’arma al suo volto quanto bastava per farle sentire il calore ardente della magia, in una muta minaccia del dolore che avrebbe dovuto sopportare se non si fosse arresa al suo volere.
- Ultima possibilità.
Con le mascelle contratte per la tensione ed il volto imperlato dal gelido sudore della paura, Kysa si era limitata a tacere, mentre l’Oscuro si posizionava dietro di lei, senza nemmeno preoccuparsi di toglierle l’effimera protezione dei vestiti.
In un silenzio agghiacciante, la ragazza aveva percepito distintamente la frusta che si alzava un centimetro alla volta, pronta a ricadere sulla sua schiena.
Aveva contato i decimi di secondo che la separavano dal colpo trattenendo il respiro, con il cuore stretto in una morsa di terrore e l’atroce consapevolezza di non poter far cessare quel tormento una volta cominciato.
E poi c’era stato solo il dolore.


Mizar squadrò lentamente la prigioniera ai suoi piedi. Rannicchiata su se stessa sul gelido pavimento in pietra del sotterraneo sembrava ancora più giovane e fragile degli altri momenti, una ragazzina indifesa che nessuno, lui per primo, avrebbe mai creduto capace di un simile coraggio.
I pugni gli si contrassero in una stretta quasi dolorosa.
Anche adesso che aveva recuperato la lucidità, il suo istinto omicida persisteva a tentarlo con il più semplice degli epiloghi.
Non poteva accettare che i principi su cui aveva basato la propria vita negli ultimi anni, la certezza di come gli ideali perissero dinanzi al potere, crollassero all’improvviso, sopraffatti dalle nere cicatrici della più indifesa tra gli umani.
Un impulso quasi irresistibile gli stava ordinando di distruggere quella piccola scheggia di passato che tornava a ferirgli la mente, in modo da cancellare in maniera definitiva quella strana amarezza che credeva di aver seppellito per sempre e da cui adesso non sapeva più come difendersi.
La guardò ancora una volta.
Kysa giaceva immobile ai suoi piedi, priva anche della volontà di difendersi.
Gli sarebbe bastato stendere la mano e richiamare quel potere a cui aveva donato tutto se stesso, un gesto compiuto migliaia di volte senza alcuna esitazione; ma ucciderla sarebbe stata solo una prova del suo turbamento ed ogni fibra del suo corpo rifuggiva una simile dimostrazione di debolezza e codardia.
Esitò ancora, restio ad accettare o anche solo riconoscere la strana confusione nel suo petto. Poi, prima che lei potesse reagire, si chinò e la prese tra le braccia, come se fosse una bambina.
Dopo il violento sfogo la sua espressione era tornata quell’impassibile maschera di severità e indifferenza che copriva ogni altra emozione, eppure, sentendola tremare mentre i ricordi che lui stesso le aveva risvegliato tornavano a tormentarla, la strinse istintivamente a sé.
Mentre attraversava i freddi corridoi del sotterraneo per poi salire la stretta scalinata con cui avrebbe raggiunto la parte abitata del castello, non abbassò mai il volto a fissarla, ma per tutto il tragitto fu stranamente consapevole dei lunghi capelli che gli sfioravano il fianco ad ogni suo passo e del volto spaventato, con i lineamenti ancora contratti in un’espressione d’orrore, affondato inconsciamente contro il suo petto.
Kysa, inerte tra le sua braccia, non parlava, si limitava a stringersi la tunica al petto ed a guardare davanti a sé con sguardo vacuo; solo quando il generale la depositò sul suo letto parve rendersi conto dell’ambiente attorno a lei.
- No! - urlò all'improvviso, cercando di divincolarsi.
Devil le strinse le spalle per costringerla a distendersi, senza tuttavia usare la violenza.
- Non ho intenzione di farti del male. - la rassicurò, lasciando vibrare per un attimo una nota meno fredda del solito nella sua voce abituata a comandare.
Subito Kysa si bloccò, i suoi occhi azzurri fissi in quelli appena più grigi del suo carceriere.
- Perché dovrei crederti?
- Non ho alcun bisogno di mentirti.
Parzialmente rassicurata da quella verità, la ragazza smise di cercare di alzarsi e rimase seduta sul letto, senza tuttavia perderlo di vista. Teneva ancora le braccia strette al petto per nascondere il seno con quel che rimaneva della tunica, ma il suo carceriere sembrava aver rivolto tutto il suo interesse verso le cicatrici che le segnavano la schiena. Sfiorò con le dita l’inizio di quella più evidente, che quasi raggiungeva l’attaccatura dei capelli.
- Chi è stato a farti questo? – chiese, senza ammettere il proprio turbamento all’idea che la risposta della ragazza fosse il nome di chi gli aveva fatto il dono della magia. Inconsciamente riportò la mano verso la cicatrice a forma di stella sul proprio petto, come per rivendicare il possesso di un simile potere, mentre vedeva la sua prigioniera deglutire a vuoto prima di parlare.
- Ghedan
- E come hai fatto a fuggire dai suoi sotterranei? Non dirmi che hai trovato anche lì un soldato disposto ad aiutarti, conosco bene il tipo di uomini di cui quel verme ama circondarsi.
Kysa chiuse gli occhi per un istante, sopraffatta da nuovi ricordi spiacevoli quasi quanto la tortura stessa: quelle mani che la frugavano senza la minima delicatezza, i volti crudeli dei soldati adibiti alle prigioni tutti attorno a lei, poi la rabbia, improvvisa e divorante, esternata da una voce che non era la sua, una luce tanto intensa da offuscare la sua coscienza ed infine il buio.
- Le guardie credevano che fossi morta. – mentì - Mi hanno slegato e buttato in mezzo ai corpi di altri prigionieri in attesa di essere bruciati. Ho aspettato che si allontanassero per prendere gli ultimi cadaveri e sono riuscita a scappare.
Abbassò la testa senza alcun desiderio di fissare in volto il suo carceriere. Non sapeva se lui le avrebbe creduto, ma la stanchezza che le ottenebrava la mente da quando era stata costretta a rivivere il proprio passato l’aveva svuotata di ogni emozione, lasciandola solo col desiderio di dormire, senza più preoccuparsi della propria sorte.
Devil le afferrò il mento, in modo da costringerla ad incrociare il suo sguardo.
Subito la ragazza si tese, per paura di subire una nuova intrusione nella sua mente, ma, quando la mano dell’uomo si fece strada tra i suoi capelli in una carezza più gentile delle volte precedenti, si permise di rilassarsi in maniera impercettibile.
- Cosa mi farai?
Lui dischiuse le labbra in un sorriso che avrebbe potuto risultare quasi rassicurante se si fosse esteso anche agli occhi gelidi.
- Non ho intenzione di torturarti, se è questo che temi.
La vide esitare un istante, prima di porgli con un filo di voce la domanda che più di tutte la tormentava.
- Mi consegnerai a Ghedan? O a Daygon?
Devil scosse la testa.
- Non ricordi cosa ti ho detto quando ti sei svegliata? Tu sei mia. – lentamente ritrasse la mano con cui le aveva accarezzato i capelli – Nessuno a parte me, né umano né Oscuro, può decidere della tua sorte.
Questa volta non provò alcun fastidio per l’impercettibile sollievo che fece capolino dagli occhi carichi di apprensione della sua prigioniera, come se risvegliare il suo terrore non rappresentasse più l’apice dei suoi desideri.
Una strana emozione non del tutto spiacevole si fece strada nel suo animo, scivolando tra le pieghe della sua indifferenza simile ad un ospite sgradito ma impossibile da ignorare. Quell’espressione meno intimorita del solito, quasi riconoscente, con cui lei lo aveva fissato, lo aveva colpito con l’intensità di un pugno, andando a stuzzicare le antiche vestigia di un’umanità che non poteva permettersi.
E questo non glielo avrebbe mai perdonato.
I suoi lineamenti si contrassero in un’espressione crudele mentre si alzava dal letto, dirigendosi verso la porta.
Prima di aprirla le lanciò uno sguardo molto diverso da quelli precedenti, talmente pervaso di minaccia che la ragazza non poté impedirsi di rabbrividire.
- Ti consiglio di rimanere immobile. Se al mio ritorno mi accorgo che hai cercato nuovamente di scappare, scoprirai quanto terribile può essere la mia collera.

Nel corridoio dove Beck era stato costretto ad affrontare Devil ed i suoi uomini, il fragore delle armi si era spento ormai da diversi minuti, sostituito da un silenzio carico di attesa.
Sul pavimento giacevano otto corpi senza vita, ma il gigante era ancora miracolosamente in piedi, con lo spadone grondante di sangue e lo sguardo determinato di chi non teme né la morte, né la sconfitta.
Spaventati di doversi scontrare con quello che prima era il loro comandante e fin troppo consapevoli del suo valore in combattimento, i soldati lo avevano attaccato con scarsa convinzione, intralciandosi a vicenda nel tentativo di sopraffarlo con il loro numero e privi della lucidità necessaria per organizzare un’efficace strategia offensiva o chiamare i rinforzi.
Per questo motivo, dopo diversi minuti di lotta c’erano solo due guardie ancora in vita ed in grado di impugnare le armi.
Beck si appoggiò alla parete, stremato.
Un profondo squarcio appena sotto la spalla gli intorpidiva il braccio sinistro ed il suo corpo era segnato da numerose ferite superficiali, non gravi ma dolorose, tuttavia si reggeva in piedi senza un tremito. Approfittando di un breve attimo di pausa, si deterse il sudore misto a sangue sulla sua fronte che gli infastidiva la vista, quindi rafforzò la presa sullo spadone e lanciò uno sguardo minaccioso ai suoi ultimi due avversari.
Gli fu sufficiente un’occhiata per leggere la paura nei loro volti.
- Pronti a morire? – li minacciò con un ghigno che smentiva la stanchezza presente nella sua voce.
Come aveva previsto, il più giovane tra i suoi avversari parve in procinto di arretrare e sottrarsi alla lotta. Lo vide stringere nervosamente l’impugnatura della sua arma e lanciare uno sguardo alle proprie spalle, alla ricerca di un’illusoria speranza di salvezza, mentre l’addestramento ricevuto e l’abitudine all’obbedienza si scontravano con l’istinto di conservazione insito in lui.
Alla fine il terrore ebbe il sopravvento sulla razionalità ed il giovane, invece di allontanarsi in guardia, si volse, commettendo l’imperdonabile errore di dare le spalle al suo avversario.
A Beck bastò compiere un improvviso passo in avanti per affondargli la lama nella schiena, lasciandolo poi a terra, in preda alle convulsioni della morte.
Sconvolto dalla rapidità con cui erano stati sterminati i suoi compagni, l’ultimo soldato non cercò nemmeno di difendersi quando vide il pesante spadone del suo comandante avventarsi contro il suo collo.
Per l’impeto del colpo e la debolezza causata dalla perdita di sangue, Beck non riuscì ad arrestare il movimento della lama, che dopo aver decapitato l’avversario si conficcò profondamente nel pavimento. Troppo stanco per estrarla, si appoggiò all’impugnatura per reggersi in piedi, ansimante.
Si concesse un paio di secondi di riposo, con le orecchie tese per percepire l’arrivo di eventuali rinforzi; poi, reprimendo un gemito di dolore, brandì la spada e si mise in cammino.
Se non fosse stato tanto ferito, avrebbe cercato quel verme di Dyz per tutto il palazzo per fargliela pagare personalmente, anche a costo di rimetterci la vita, tuttavia, nelle sue condizioni, l’unica speranza di salvezza era fuggire al più presto da quell’edificio e trovare un posto sicuro dove riprendersi
Strinse i denti, soffocando un’imprecazione.
Aveva fallito.
Il suo piano per liberare Kysa, nonostante l’avesse pianificato in maniera tale da assicurarsi una discreta probabilità di successo, era stato sventato dal ritorno imprevisto di Devil e, costretto ad abbandonare la ragazza a se stessa, sapeva fin troppo bene che avrebbe pagato anche per lui.
Si fasciò il braccio ferito come meglio poteva, senza fermarsi, consapevole che uno scontro con un altro drappello di soldati o peggio ancora con il suo generale gli sarebbe stato fatale, e si diresse verso l’uscita più vicina.
Le poche guardie che incontrò in quell’area del palazzo, prese di sorpresa e sconvolte alla vista del loro comandante ricoperto di ferite, non opposero che una debole resistenza prima di venire spazzate via dalla sua gigantesca spada.
Sanguinante ma vivo, Beck riuscì a raggiungere le scuderie e scappare con uno dei migliori destrieri del castello, uno stallone dal manto nero come la notte, abbastanza robusto da cavalcare senza sosta per parecchie ore. Per sua fortuna Devil era stato troppo ansioso di ritrovare la ragazza e quindi, invece di occuparsi personalmente di lui, aveva preferito lasciarlo ai soldati, donandogli così una possibilità di salvezza; tuttavia il pensiero di aver abbandonato Kysa nelle sue mani lo riempiva di un rimorso ed un’amarezza ben più dolorosi delle numerose ferite che gli segnavano il corpo.
Prima di venire avvistato dalle guardie mandate al suo inseguimento, spronò il cavallo verso la foresta vicina, nella speranza di poter raggiungere un villaggio sperduto dove trovare cure o semplicemente un nascondiglio in cui ripararsi; nonostante l’apprensione per il destino che sarebbe toccato alla ragazza, sapeva di dover pensare prima di tutto a salvarsi se voleva avere una qualche speranza di esserle utile.
Mentre il dolore lo sopraffaceva, spingendolo inesorabilmente verso l’incoscienza, promise a se stesso che non sarebbe finita così: una volta guarito, sperando che non fosse troppo tardi, sarebbe tornato a liberarla.

Nel castello di Daygon era scesa una notte senza luna, un cupo scenario per un momento ancor più cupo.
Un manipolo di soldati, disposti diligentemente in una fila ordinata, attendeva con un’apprensione molto simile alla paura la reazione del proprio generale: erano trascorse ormai un paio d’ore da quando Devil aveva dato l’ordine di catturare il suo ufficiale traditore, ma la lunga ricerca si era conclusa in un cocente insuccesso e gli uomini conoscevano bene l’indole collerica e poco incline al perdono del braccio destro di Daygon.
Mizar li squadrò da capo a piedi per diversi minuti.
- Dov’è Beck? – chiese, i lineamenti contratti in un’espressione insoddisfatta che i suoi subordinati avevano imparato a temere più dei loro stessi nemici.
Il capo delle guardie avanzò di un passo, umettandosi le labbra in un’evidente segnale di nervosismo.
- Ormai dev’essere uscito dal castello, generale. Abbiamo trovato i cadaveri delle sentinelle della porta nord e crediamo sia passato per quella via.
- Non m’interessano le vostre supposizioni! – lo interruppe la voce sferzante di Devil - Vi avevo chiesto Beck e voi mi portate solo vuote parole, quando sapete bene quanto io detesti gli incapaci!
Un tremito di panico serpeggiò tra la fila dei soldati, che, sospesi tra rassegnazione e paura, attendevano l’inevitabile punizione, ma in una rara dimostrazione di misericordia il loro comandante si limitò a minacciarli solo con lo sguardo.
- Trovatelo, con quelle ferite non può essere andato lontano. E ricordate che questa volta non tollererò fallimenti.
- Sì, generale!
Prima di congedarli, Devil li passò in rassegna un’ultima volta, facendo deglutire più di una persona sotto il suo sguardo minaccioso.
- Guai a voi se lo uccidete. - i suoi occhi si strinsero in una fessura spietata. - Lo voglio vivo.
Dopo aver impartito con voce dura gli ultimi ordini, si volse a fissare il cielo nero attraverso una delle finestre di fronte a lui.
Il cattivo umore per un simile fallimento si rispecchiava nei lineamenti atteggiati ad un’espressione incollerita, ma, quando i soldati uscirono dalla sua visuale, già il pensiero di Beck era scivolato via dalla sua mente, sostituito da quello ben più controverso della sua prigioniera.
Se davvero Kysa aveva conosciuto un’Eterea, forse aveva trovato il motivo per cui un Oscuro si era interessato ad Huan, tuttavia per una volta assolvere ai compiti ricevuti da Daygon aveva perso la sua priorità.
Tornò nella sua camera, indeciso in maniera quasi dolorosa su come agire, lui stesso sorpreso del dubbio che agitava la sua mente.
Lei dormiva, rannicchiata in un angolo del letto come una bambina, con le ginocchia raccolte vicino al petto ed il volto seminascosto dalle mani strette a pugno. Attraverso la tunica lacerata poteva intravedere le strisce nere sulla sua schiena, il marchio stesso di un coraggio che lui non era stato in grado di dimostrare.
Strinse i pugni, incapace di venire a patti con una simile consapevolezza.
Avrebbe dovuto svegliarla rudemente e punirla per il suo tentativo di fuga, forse perfino ucciderla; invece, dopo un attimo di esitazione, si tolse il mantello immacolato e glielo stese sul corpo come una coperta, nascondendo le tracce di quel passato di dolore a cui lui era riuscito a sfuggire in un tempo che aveva quasi dimenticato.
Incapace di risolvere lo strano tormento che si agitava nel suo petto, uscì dalla sua camera senza più voltarsi indietro, più simile all’umano di un tempo di quanto lo fosse mai stato in quegli ultimi anni.
Quella notte l’avrebbe passata in compagnia della luna.

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