Buskers

di Lua93
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prefazione ***
Capitolo 2: *** You're a Starlight ***
Capitolo 3: *** September 13 ***
Capitolo 4: *** A special gift ***
Capitolo 5: *** Wherever you are, you are there ***
Capitolo 6: *** Sparks ***
Capitolo 7: *** They know the Cherubim have a rival on Earth? ***
Capitolo 8: *** Where were you when it all began? ***
Capitolo 9: *** There's always an oasis in every desert. ***
Capitolo 10: *** So tell me when you feeling fall ***
Capitolo 11: *** I feel in you like if you had always been. ***
Capitolo 12: *** Near to you ***
Capitolo 13: *** Tremble like California. ***
Capitolo 14: *** You could be the one who listens, to my deepest inquisitions, you could be the one I'll always love. ***
Capitolo 15: *** The streetlights in the sky. ***
Capitolo 16: *** One of those days when you are the centre of universe ***
Capitolo 17: *** Morse code into my heart. ***
Capitolo 18: *** Souls find themselves always, at the end. ***
Capitolo 19: *** Surprises. ***
Capitolo 20: *** Love will be forever ***
Capitolo 21: *** I'm fine here, in the fog. ***
Capitolo 22: *** Someone to run. ***
Capitolo 23: *** Avviso ***



Capitolo 1
*** Prefazione ***


s
                                                                                    

Prefazione

"Il musicista cava l'essenza dell'arte da se stesso,
egli ode dal di dentro."
Novalis


Londra non era mai stata così silenziosa come quel pomeriggio.
Come se all’improvviso la gente avesse deciso di barricarsi nelle proprie case o nascondersi dietro le scrivanie dei loro uffici. Come se la pioggia avesse cancellato le impronte sull’asfalto e nessuno volesse più tracciarne di nuove. Come se anche i taxi avessero consumato carburante e di fare rifornimento non ne avevano proprio voglia. Era silenziosa quel giorno Londra.

Anche la pioggia non sembrava più semplice acqua piovana, ma soffici coriandoli che cadevano dal cielo.
Isabella quel giorno non sarebbe voluta uscire, sicuramente avrebbe preferito rimanere chiusa a casa, magari seduta sul vecchio tappeto color vermiglio, con una trapunta che avvolgeva il suo esile corpo e un buon vecchio libro tra le mani. Lei non era fatta per stare tra la gente. Di questo ne era consapevole, e Bella l’aveva capito da tempo, tanto che anche gli altri avevano imparata a ignorarla. Ma quel giorno decise di uscire, e chi sa per quale bizzarro motivo.

Camminava con la testa bassa, gli occhi puntati sulle sue Converse nere, schivando qualsiasi ostacolo le bloccava il passaggio. Ma quel giorno la città sembrava deserta.
Bella pensò che forse tutto quel silenzio era causato proprio dalla sua improvvisa uscita, forse erano rimasti tutti sorpresi di vederla e d’incontrarla per strada non ne avevano proprio voglia. Infondo era sempre stato così, l’avevano sempre evitata quella ragazza dai lunghi capelli color mogano.

Alla fine lei, di tutte le parole non sapeva che farsene, a volte, tanto rimaneva in silenzio, che non si ricordava nemmeno più come si facesse a produrre un suono.
Bella sospirava solamente, e quello almeno, aveva imparato a farlo. Forse nessuno sapeva farlo bene come lei, si era allenata per essere la migliore. Si allenava almeno dieci volte al giorno, e quando dopo l’ennesimo tentativo produceva un sonoro e malinconico sospiro si riteneva soddisfatta.

E ora camminava tra le strade di Londra, sospirando.
Un ondata di profumi e aromi sconosciuti invasero i polmoni della ragazza dagli occhi color cioccolato.
Bella quel profumo non l’aveva mai sentito, e stranamente per quanto misterioso, ne era irrimediabilmente attratta.
Lo seguì annaspando con spasmo, in modo che s’imprimesse in ogni fibra del suo corpo, tra i pori della pelle, tra i tessuti della felpa che la copriva, voleva portarselo dentro per poterlo sentire ancora e ancora, fino a quando non ci sarebbe più stato spazio nemmeno per i pensieri.

Decise di seguirla quella sua nuova droga. Perché davvero non aveva mai sentito nulla di più buono.
Qual è il sapore del cielo? Le nuvole sono forse zucchero filato e i raggi del sole spighe di grano? E forse questo il suo profumo, è forse questo ciò che si sente in paradiso?
Così persa nelle sue riflessioni, neppure si accorse di essere appena entrata nell’Hide Park. Un po’ rimase sorpresa, perché non si ricordava neppure di conoscerla la strada per quel parco.
Era davvero tanto tempo che non usciva. Ma di scoprire il mondo lei non ne aveva mai avuto voglia. Aveva sempre viaggiato solo attraverso le parole di un giovane avventuriero e scoperto terre esotiche e misteriose tramite le pagine consumate dei suoi libri.
Conosceva il tramonto perché aveva letto com’era fatto.
Conosceva il calore del Sahara e il freddo dell’Antartide, perché li aveva letti, ma i suoi occhi quei meravigliosi paesaggi non l’avevano mai visti.

E ora che il cielo era non era più ricoperto da dense nuvole e la pioggia aveva smetto di cadere, Bella si rese conto che un posto così bello non l’aveva mai visto.
Maestosi e possenti alberi s’ innalzavano lungo il sentiero. Bella sollevò la testa verso i rami più alti degli alberi, dove i deboli raggi del sole s’infrangevano, imprigionandosi tra le foglie.
Era davvero bizzarro il tempo di Londra.
Non sapeva mai se essere triste o felice.
Un po’ come la ragazza che passeggiava timorosamente tra i fili d’erba bagnata.
Bella non se ne rendeva conto, ma in quella città si ritrovava perfettamente.
Erano un tutt’uno. Londra e Bella.

Di nuovo quel profumo l’investì e questa volta non se lo lasciò sfuggire.
Chiuse gli occhi, amplificando uno dei cinque sensi. Usò l’olfatto per trovare l’origine di quell’essenza.

Si lasciò trasportare un po’ presa da un euforia che non le apparteneva, un po’ persa nell’intensità di quel momento.
Camminava calpestando fili d’erba verde, di un colore che a fine Aprile non aveva davvero mai visto.
Da quanto tempo mancava in quella città? Eppure lei era sempre stata lì. Forse avevano ragione quando le dicevano che lavorava troppo. Ma il suo lavoro era anche la sua vita, e passare intere giornate dietro scaffali ricoperti di libri non le dispiaceva affatto. Erano tutto ciò che le rimaneva.

Bella si accorse di non essere più sola, quando a una ventina di metri di distanza, vide finalmente un primo vero e proprio ammasso di gente.
Ed era proprio da lì che partiva il profumo che l’aveva drogata.
Improvvisamente, una melodia malinconica, lontana, si fece spazio tra la gente, raggiungendo e soffiando sulle spalle di Bella. Un suono di chitarra classica invase l’aria, rendendola leggera, rarefatta. Una voce rauca, graffiante, attirò la sua attenzione.
Timidamente si avvicinò alla piccola cerchia di persone che ascoltavano rapiti.

Bella intravide un ragazzo, dai capelli di un colore che non aveva mai visto, sembravano ramati e brillavano anche senza sole, si nascondeva dietro una chitarra classica, indossava una maglietta nera slabbrata e un paio di jeans chiari. Gli occhi del ragazzo erano chiusi, il viso contratto in una smorfia.
Era in piedi, la gamba destra era leggermente piegata, per sorreggere il peso della chitarra, mentre teneva la sinistra completamente curvata.
Durante tutta la durata della canzone, non guardò mai il suo pubblico improvvisato.
Ragazzi divertiti lanciavano monetine dentro alla custodia blu di velluto della sua chitarra, lasciata aperta ai suoi piedi. Alcune donne si fermarono ad ammirare quella forma d’arte che raramente la si incontrava in forma così pura lungo le strade.

Bella rimase incantata, lentamente si allontanò andandosi a sedere lungo il marciapiede, dal lato opposto. Rimase così immobile a fissarlo.
C’era qualcosa in quel ragazzo che costringeva Isabella a restare ferma in quella posizione, come rapita.
Quando il misterioso ragazzo suonò l’ultima nota, aprì gli occhi. E Bella in quell’istante venne invasa dalla marea di un colore che di oceanico non aveva nulla.
Poteva il mare avere un colore così intenso, poteva l’oceano essere verde?

La gente intorno a lui si allontanò così come era arrivata, tutti tranne Bella, che rimase seduta ad osservarlo, fin quando il musicista non raccolse tutte le sue cose, e con la chitarra conservata nella custodia si allontanò.
Isabella adesso aveva capito di chi era quel sorprendente profumo.
Se esistesse il paradiso lui ne farebbe sicuramente parte.
Ora aveva capito il perché di tutto quel silenzio tra le vie della città.
Lentamente si sollevò sulle ginocchia e con passo incerto ritornò sui suoi passi.
Non c’era più il silenzio di prima, le persone erano tornate a popolare le strade, i nuovi profumi invasero quelli vecchi, ma Bella quel profumo l’aveva impresso dentro.

I Londinesi la videro tornare a casa, sospirando.



*Pseudo scrittrice*
Lua è tornata con una nuova storia, diversa, decisamente diversa da The Butterfly Effect. Una storia che sento dentro e che ho avvertito l'esigenza di scrivere, perchè le parole, le situazioni, i personaggi, cercavano di uscire dalla mia testa e per non sentire più dolore mi sono decisa a mettere tutto su carta, o per meglio dire, su word.

Una storia scritta in terza persona, uno stile nuovo per me, non avevo mai fatto una long tutta in terza, ma mi sono buttata in questa avventura  e la porterò avanti fino alla fine. Questa storia sarà particolare, scaverà nell'animo dei suoi personaggi, e farà respirare l'aria di Londra a voi lettori, che spero apprezzerete questa mia nuova pazzia.
Perchè Londra? Semplice, o forse non poi così tanto. Sono stata tre settimane in questa bellissima e affascinante città, l'ho vissuta, l'ho amata, e ho visto il musicista e la libraia. Ho visto Edward e Bella. Un omaggio a questa meraviglia che mi ha protetto tra le sue vie e i suoi palazzi. Sono state tre settimane indimenticabili, lunghe, e incredibilmente vive. Mi sono sentita a casa.
Tornata in Italia mi sono decisa a scriverla.
Non amo prolungarmi molto nelle note, ma qui mi sembrava necessario avvisare i futuri lettori, se ce se saranno, che questa storia sarà sorprendente, sarà profonda, sarà una novità, che spero verrà apprezzata.
Se la mia idea vi ha incuriosito allora vi aspetto nel primo capitolo. Questa era solo un introduzione, presto inizierà l'avventura tra il musicista Edward e la romantica Bella.
Voglio dedicare questa mia storia  a tutti gli artisti di strada che senza rendersene conto emozionano e fanno sognare.
Per chi volesse parlare con me, lamentarsi o per qualsiasi altra cosa, sono anche su Facebook, si ho invaso anche lì! Vi lascio il link: Lua93 Facebook
Thanks.

 

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Capitolo 2
*** You're a Starlight ***


1. You're a Starlight
                                                                                  


1. You’re a Starlight.

"Nessun vascello c'è,
 che come un libro,
 possa portarci in contrade lontane."

Emily Dickenson


I capelli di Bella erano sparsi sul pavimento, disegnavano un ventaglio aperto oltre la sua testa. Il colore scuro e consumato del vecchio pavimento di legno faceva da contrasto a quella pelle candida, che sotto quella luce sembrava tanto un manto di neve. Il naso piccolo e dritto puntava sul soffitto e gli occhi erano fissi su quelle parole che l’avevano conquistata sin dalla prima riga. Le dita esili stringevano la copertina rigida sovraccoperta del vecchio libro che ormai da troppo tempo l’aveva rapita e portata via dalla realtà. Sembrava persa, ma lei non voleva essere ritrovata. Quando apriva un libro non lo faceva mai solo per vivere una nuova avventura o una tormentata storia d’amore, lei si tuffava tra quelle pagine, un poco alla volta, per non farsi male. E quando emergeva si rendeva conto che alla fine il vuoto c’era ancora. Un enorme buco nero che le risucchiava anche i più nascosti pensieri. E in quel giorno d’inizio Maggio, mentre fuori i primi raggi del sole si decidevano ad uscire allo scoperto, lei si nascondeva tra le pieghe di quella grande stanza, circondata da libri e racconti, che secondo una logica irrazionale l’avrebbero protetta dal resto del mondo.
<< Isabella! >>
La ragazza sobbalzò facendo scivolare il libro dalle sue mani. Si sollevò dal freddo pavimento frettolosamente e senza accorgersene spinse il racconto che poco prima stava leggendo, infondo alla libreria in legno naturale. Si morse il labbro inferiore, e cercò di sistemare la scena del misfatto.
<< Isabella, dove sei? >>
Si sentì tanto una bambina birichina, che dopo aver allungato le mani verso la credenza per mangiare qualche biscotto, era stata scoperta. Lei lo sapeva bene che quello non era il suo posto. Che Miss Popper non l’aveva assunta per bivaccare con un libro in mano. No, lei non era lì come lettrici.  Lei doveva venderli i libro. Doveva diffondere l’arte della lettura e non celarla e tenerla solo per se.
Quando Bella si sporse oltre la porta, vide la donna avvicinarsi.
<< Oh Bella, ma cosa devo fare con te? >> L’anziana signora sollevò un sopracciglio, formando altre ruga su quella pelle ormai non più giovane.
Miss Popper ci provava davvero, ma nel ruolo della cattiva non riusciva proprio a calarci. Sollevò le spalle e il petto si gonfiò quando rubò tutta quell’aria dalla stanza. Bella abbassò la testa osservando dove il libro si fosse nascosto, e in silenzio lo recuperò. Sentiva gli occhi chiari di Miss Popper sulla schiena che quasi gli perforavano la spina dorsale tanto l’intensità. Si voltò senza un espressione sul volto e mise al suo posto Le affinità elettiva.
Miss Popper sospirò, << vieni cara, andiamo all’ingresso. Ti fa male respirare tutta questa polvere. >>
Bella si lasciò guidare senza controbattere, ma non la pensava come lei. La muffa dei libri, così come lei la chiamava, non era altro che tutto il vento che avevano assorbito durante il loro viaggio per arrivare fino a lì. E Bella quel profumo lo venerava, lo rispettava, perché era antico. Era un cimelio importante della storia di ognuno di quei libri, per questo, quando entrava in quel vecchio magazzino, respirava a pieni polmoni.
 
C’era silenzio, forse troppo per definirlo tale. Forse era meglio dire che non c’era nulla, esattamente come quel niente che Bella sentiva dentro. Osservava dritto davanti a se, la testa spingeva sulle mani e i gomiti sulla quale si poggiava sembravano non reggere più.
Era vuota la libreria quel giorno.
O forse era meglio dire che era sempre vuota.
Nessuno entrava più in quel vecchio magazzino all’angolo di Notthing Hill. Nessuno che avesse realmente intenzione di acquistare un libro. Quelli che varcavano la porta d’ingresso l’avevano fatto solo per il gusto di sentir vibrare il campanellino posto sulla soglia. La maggior parte delle volte erano solo turisti curiosi, che alla fine di entrare in quel negozio o nel supermarket infondo alla strada poco importava. Era l’euforia della scoperta che l’invogliava ad entrare ogni volta. E Bella ormai aveva imparato a distinguere i respiri della gente che entrava in quelle rare volte, e solo una volta su mille, sollevava la testa.
Quel giorno, era uno di quei giorni in cui la testa di Bella non si sollevava mai.
Miss Popper era una signora anziana, che di anni ne aveva parecchi dietro le spalle, aveva acquistato esperienze e conosciuto davvero tante persone. Ma una come Isabella Swan non ne aveva davvero mai viste. Si perdeva ad osservarla. A volte stava ore intere a scrutare ogni suo minimo movimento, perché quella ragazza era davvero da scrutare. Miss Popper lo sapeva, Bella era una di quelle persone belle, non solo in senso fisico, ma belle e basta. Belle perché quando sorridevano illuminavano ciò che li circondava. Belle perché il suono della loro voce riempiva l' aria. Belle perché ad osservarle ci si sprecherebbe anche tutta la vita. Ecco, Isabella era una di quelle persone.
<< Isabella? >> La voce sottile della padrona di quella vecchia libreria, attirò l’attenzione di Bella, che sollevò la testa, incuriosita.
Il vestito di lino azzurro svolazzò come mosso dal vento, mentre il corpo della signora si muoveva lento verso la scrivania dove Bella era seduta.
<< Stavo pensando, oggi è una bella giornata, perché non esci fuori a prendere una boccata d’aria? >>
Per quanto Miss Popper si sforzasse di capire com’era fatta quella ragazza, non riusciva mai a comprendere i suoi desideri.
Bella non le rispose, ma attese comunque che continuasse, perché lei invece aveva imparato a conoscerla quella simpatica vecchietta.
<< Potresti fare una passeggiata nel parco, il terreno è asciutto, non è piovuto. >> Continuò dolcemente.
Il cuore di Bella si mise a pompare più sangue quando aveva associato il parco al musicista che aveva visto qualche giorno prima.
Era ancora nella sua mente quella canzone, e la voce di quel ragazzo sconosciuto scorreva ancora nelle sue vene. Aveva provato a scacciarlo via quell’assurdo pensiero, ma proprio non c’ era riuscita. Avrebbe tanto voluto rivederlo, non perché provasse per lui chi sa quali sentimenti, ma per il semplice fatto che la sua voce la metteva in pace con il mondo. Bella questo non riusciva proprio a capirlo, ma almeno il profumo era riuscita a conservarlo. Se smetteva di respirare riusciva a percepirne il retrogusto amaro del melograno e la dolcezza rifinita della vaniglia. Si morse ancora una volta il labbro inferiore, questa volta però non per paura di essere scoperta, ma per il dubbio di andare o meno.
<< Potresti prendere un libro e leggerlo seduta sotto i rami di un albero. Oggi la giornata è davvero fiacca, posso cavarmela anche senza di te. >> Continuò Miss Popper.
Isabella rifletté sulle sue parole e alla fine si decise ad alzarsi.
<< Per qualsiasi cosa non esitate a chiamarmi. >> Sorrise depositando un piccolo bacio sulla pallida guancia della signora.
Miss Popper alzò gli occhi al cielo e ridacchiò esasperata, << vai e assorbi più vitamina D che puoi, è raro vedere un sole così bello. >>
Prima di lasciarla andare via, Miss Popper andò nel magazzino per recuperare il libro che Isabella stava leggendo, << così avrai la possibilità di finirlo. >> Le disse aprendole la porta di legno massello.
Il campanellino emise uno stridulo suono quando la porta si richiuse. Le tende giallastre vennero scostate leggermente e il riflesso di un sorriso comparve sul vetro della porta.
Miss Popper lasciò scivolare il tessuto dalle sue dita e si voltò verso la scrivania, senza smettere di sorridere. Quella ragazza da quanto era arrivata gli aveva cambiato la vita.
 

Il cielo quel giorno era color biadetto. Si diceva che venisse estratto dalle ceneri di oltremare e che i pittori lo usassero spesso per dipingere quel manto azzurro sopra le loro teste. Lo facevano perché era raro e quando qualcosa diventava così preziosa si custodiva segretamente, così Isabella quel giorno scattò una fotografia immaginaria al cielo, per imprimerlo per sempre nella sua memoria.
Le strade erano affollate e Bella si sentiva strattonare da una parte all’altra del marciapiede, stringendo tra le mani il libro che Miss Popper gli aveva concesso di leggere. Lo teneva vicino al cuore per paura di perderlo. Teneva tutto quello che non voleva perdere vicino al cuore, così come gli aveva insegnato sua mamma. Un giorno però, Bella la perse e non riuscì più a trovarla, così una parte del suo cuore scomparve con lei.
Non ci pensava mai al suo passato, cercava di dimenticarlo, non perché fosse stato violento, semplicemente perché quando si trovava lontana dalle persone che amava, lei cercava di dimenticarle, per non soffrire la loro mancanza.
Perché quella lontananza non era divisa da un oceano o da qualche miglio, no, la distanza che separava Bella dalla sua mamma si chiamava cielo.
Ed era passato così tanto tempo che il colore di quel volto celeste, il giorno che portò via sua madre, neppure lo ricordava più.
Così per paura di perdere ancora qualcosa, le teneva strette al cuore, e si era preoccupata di difendere solo quello che le circondava, che stava dimenticando la cosa più importante. Perché Bella non se ne rendeva conto, ma fuori dal suo cuore aveva scordato di custodire se stessa, così lentamente la stava perdendo.
Era rimasta incantata ad osservare come la gente diventasse diversa quando si scontrava, che quasi si era dimenticata di cambiare strada. I suoi piedi camminavano dritti, senza una destinazione precisa. Il suo cuore però, sapeva dove andare.
Così ripercorse la strada di qualche giorno prima e di nuovo si lasciò trasportare per raggiungere il parco. Il suo desiderio era quello di poter leggere il libro in tranquilla armonia, ma avrebbe tanto voluto rivedere quel musicista, perché la sua voce, la sua canzone gli erano mancate.
Erano diversi giorni che le ascoltava solo attraverso i ricordi tanto che si chiese se fosse tutto frutto della sua fantasia, eppure non si sorprese quando giungendo a destinazione, ritrovò lo stesso bizzarro ragazzo che suonava la medesima canzone.

Jonathan Rhys Meyers - This Time

Sorrise, e si avvicinò lentamente al piccolo gruppo di persone che l’ascoltavano rapiti.
Bella si sporse per osservare il suo volto.
I suoi occhi erano attenti, il loro colore sembrava tanto quello di una pietra preziosa, Bella ci pensò su qualche secondo, poi si convinse che la giada era quella che più gli somigliava.
Lei si perse ad osservare i dettagli di quel volto dalla carnagione così pallida da sembrare essere fatta di porcellana. Seguì i tratti del suo viso, perdendosi lungo la linea ben definita della mascella per poi scendere lungo il collo. Lui era solo un ragazzo, ma già profumava di uomo.
Quando il musicista posò i suoi occhi sul suo pubblico non si accorse della ragazza con i capelli color mogano, non si accorse neppure che lei era l’unica che lo stesse osservando davvero. Non si accorse di tante cose quel giorno, che Bella senza far rumore si allontanò, raggiungendo il lato opposto del marciapiede, per poter sentire vibrare meglio le sue corde vocali. Perché voleva essere sola e al contempo circondata da gente, quando ascoltava la voce di quello sconosciuto.
Il musicista teneva la sua chitarra in mano, lasciando che le dita pizzicassero sulle tese corde.
La ragazza smise di respirare con i polmoni e cominciò a farlo con il cuore, stringendo il libro tra le sue piccole mani.
E quando lui chiuse gli occhi, lei iniziò a vedere.
 
Qual è il tuo nome straniero?
Ognuno di noi ne possiede uno. Potresti chiamarti Prato, perché i tuoi occhi sono come un’immensa tela colorata di verde. Potresti chiamarti Battito, perché è quello che la tua voce mi sta facendo crescere dentro il mio petto. Il tuo nome potrebbe essere Buco Nero, perché senza rendertene conto mi stai risucchiando.
Cosa sei straniero?
Posso chiamarti straniero?
Potrei vivere solo della tua musica dolce viandante. Chi sei?
Un Buco Nero? Una Meteora? Non sei di questa Terra, forse neppure di questa Via Lattea, eppure sei fatto di un materiale che Shakespeare definirebbe Sogno.
Posso ascoltarti cantare? Posso farlo senza disturbare?
Mi sento in pace, e non solo con il Mondo, ma con l’intero Universo.
 
Bella ascoltava rapita, persa dentro le vibrazioni della sua voce, persa nell’aria che lui catturava per sprigionare nuovi respiri fatti di parole.
Si accorse che la canzone era quasi terminata quando le note iniziarono ad affievolirsi e le mani del musicista sfiorare sempre più lentamente le corde. Così senza indugiare oltre aprì la prima pagina del libro, quella bianca che precedeva l’introduzione, e prendendo una penna blu dalla sua piccola borsetta nera, scrisse velocemente. La punta della penna tracciava linee e cerchi violenti sulla delicata carta. Erano parole che bruciavano, erano vive.
Bella sollevò lo sguardo accertandosi di non avere nessuno accanto a se, scattò in piedi felice di vedere invece, le persone che gettavano monetine nella custodia posata davanti i piedi del ragazzo.
Con passo svelto si avvicinò al musicista e senza farsi vedere gettò il pezzo di carta bianco ripiegato nella custodia.
Sorrise allontanandosi, certa che nessuno l’avesse vista.
 
 
Edward era solo, il suo pubblico era appena andato via, si era dissolto ed era tornato nel mondo reale. Era da quella mattina che gironzolava per la città suonando e cantando, e a quell’ora del giorno era già stanco. Raccogliendo il frutto del suo lavoro si accorse di un bigliettino ripiegato, incuriosito lo prese tra le mani e l’aprì lentamente.
You’re a Starlight. Thanks for your light.
Sorrise alzando lo sguardo come se cercasse qualcuno, eppure era solo. Ripiegò il bigliettino e l’infilò nella tasca del vecchio jeans, recuperando la sua compagna di avventure. Nessuno l’aveva mai descritto con quelle parole. Chiunque fosse stato, pensò, doveva essere qualcuno che aveva l’occhio celeste, perché solo un essere superiore poteva vedere così tanta bellezza in qualcosa di umano. Così si allontanò dal parco, con ancora il sorriso sulle labbra.



Lua93:
Siamo arrivati alla fine del primo capitolo di Buskers. Quanti di voi si sono chiesti cosa significasse questo titolo? Che cos'è Buskers, che cosa sono? Semplicemente significa artisti di strada. Questa storia è dedicata a loro, e un pò anche a me. Qui troverete tutto quello che io amo di più. Londra, la musica, i libri, l'amore, l'amicizia e ovviamente i colori. Perche' amo Londra? Forse semplicemente perche' come dicono le persone che vivono intorno a me, Londra è nei miei occhi. Ecco direi che sia la risposta migliore, forse, sarò anche un pò presuntuosa, ma io Londra la sento. Probabilmente prima di nascere in questo corpo ero una goccia del Tamigi o un filo d'erba dell'Hyde Park. E perchè no, anche la lancetta dei minuti dell'orolodio del Big Ben. Forse tutto o nulla, ma probabilmente ero Londra.
Perchè amo la musica? Perchè le note arrivano lì dove le parole non bastano, sono solo 7 eppure creano un infinità di emozioni. Poi la musica crea e non distrugge mai, non è forse la cosa migliore che potessero inventare? Anche se credo sia stata la musica ad inventare noi...
I Libri sono semplicemente la mia anima, leggere per me è essenziale come respirare.
Amore e Amicizia sono tutto ciò di cui ogni essere umano avrebbe bisogno per sopravvivere.
E perche' i colori? Semplicemente perchè riempiono i contorni e completano quello che il buio non riesce a finire.
E ora vi ho parlato un pò di me, probabilmente molte di voi avranno saltato qualche punto, ma ecco, sentivo il bisogno di dirvelo, che in questa storia troverete un pò di me in ogni capitolo, e perche' no, anche un pò di voi.
Ma iniziamo a parlare del capitolo, che forse è meglio.
Isabella mi sembra abbastanza chiaro, vive in un mondo tutto suo, fatto di libri e parole. Edward vive in un altro mondo, fatto di note e altre parole. Sono due mondi paralleli, binari che si prolungano all'infinito, e chi lo sa se sono fatti per trovarsi, forse si, forse no.
Bella ha una concezione particolare di ciò che la circonda e tende a vedere tutto sotto una luce diversa. Edward preferisce invece, tenere gli occhi chiusi. In questo capitolo Bella si è esposta aprendosi a Edward, sotto forma di luce. Toccherà ad Edward capire se vale la pena inseguirla. La storia è ancora tutta agli inizi, succederanno tante cose, che li faranno scoprire e avvicinarsi. Sono felice di vedere che questa storia vi piace e ogni vostra parola mi riempie di felicità. Spero di portare un pò di luce anche io dentro ognuna di voi =)
Grazie per aver letto questo papiro. Al prossimo capitolo.
Un bacio,
Lua.

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Capitolo 3
*** September 13 ***


Secondo capitolo                  
                                                                                                           



2. September 13.


Come è nobile chi, col cuore triste,
vuol cantare ugualmente un canto felice, tra cuori felici.

Kahlil Gibran

La sua stanza era sempre stato il rifugio migliore, quello in cui nascondersi, quello in cui piangere e sorridere. Così colmo di libri che l’ossigeno veniva assorbito dalle pagine e sottratto ai polmoni di Bella.
Quella mattina Bella si era svegliata con un gran sorriso dipinto sulle labbra.
Si sentiva euforica e anche un po’ emozionata all’idea di aver scritto un biglietto a uno sconosciuto. Non che gli avesse lasciato quel biglietto con lo scopo di essere rintracciata, l’aveva fatto solo perché in quel momento era ciò che il suo cuore le aveva ordinato. Nel momento in cui le parole furono trasferite dal suo cuore alla carta, Bella si era sentita sollevata, più leggera.
E chi sa per quale assurdo motivo, desiderava che anche lui, leggendole si fosse sentito così.
Quando si alzò dalle calde coperte si accorse che ancora una volta, era da sola. I pensieri non riuscivano mai a riempire tutto il vuoto, neppure la voce calda e famigliare del musicista ci riusciva perfettamente. Ma lui, in una maniera quasi assurda riusciva a calmarla e riscaldarla, per questo aveva deciso di tornare a trovarlo, di sentirlo cantare ancora, perché Bella aveva bisogno di calore. Calore umano.
Il piccolo appartamento in cui viveva si trovava a pochi isolati dalla libreria di Miss Popper. Lavorava lì da più di due anni, da quanto la sua vita era cambiata.
Era sempre stata forte Bella. Lei era una ragazza che nelle lacrime si rifugiava solo quando non c’era nessuno a osservarla.
 
Era il 13 Giugno, lo ricordo come se fosse ieri.
Era una calda giornata estiva. Ricordo ancora i raggi del sole che bruciavano sulla mia pelle. Ricordo la camicetta bianca che indossavo, quella che inspiegabilmente credevo mi portasse fortuna.
I miei genitori me la regalarono un anno prima, quando prendendo la  patenta raggiunsi un primo obbiettivo.  Ero così felice quel giorno, che mai avrei creduto, che a distanza di tre mesi tutto sarebbe cambiato.
Tre mesi.
Tre miseri, insignificanti mesi.
Era il 13 Giugno quando mia madre svegliandosi si sentì stanca, come se quella notte non avesse chiuso occhio.
Era il 13 Giugno quando preparando la colazione si passò una mano tra i capelli, ritrovandosi tra le dita ciocche rossicce.
Era il 13 Giugno quando in ospedale, gli diagnosticarono un tumore.
Quel giorno cambiò le nostre vite. Quel giorno segnò l’inizio della fine.
Ricordo il dolore, così vivo che colpiva come scariche elettriche il mio corpo, era una tortura, una lenta agonia. Ricordo le lacrime, sia le mie che quelle di mia madre. Ricordo il colore dei suoi capelli, la loro morbidezza, il loro profumo prima di perderli tutti a causa della chemioterapia. Ricordo l'odore nauseante delle medicine che era costretta a prendere e i tonfi improvvisi dovuti alle sue cadute.

E tuttora tremo al solo ricordo della nostra ultima conversazione, quella in cui fummo costrette a salutarci.
Le sue parole risuonano nella mia mente, sono un eco continuo, quante volte ho creduto di farcela, quante volte mi sono illusa, credendo di avere la forza di dimenticare.
Esattamente tre mesi dopo essere certi che ormai non c’era più nulla da fare, mia madre ci abbandonò.
Io e mio padre rimanemmo distrutti, entrambi prigionieri di un dolore più grande di noi.
Fu un’ondata che ci travolse in pieno, una corrente cosmica che ci allontanò l’uno dall’altro, forse fu anche per questo motivo, che non mi accorsi di quello che stava accadendo.
Forse perché chiudendo i miei occhi avevo perso la possibilità di vedere la realtà.
Le certezze erano poche, opache, diventate verità quando il giorno del mio diciottesimo compleanno, svegliandomi mi ritrovai senza una madre.
Fu la telefonata dell’ospedale a farmi aprire gli occhi.
Fu vedere il letto che l’aveva ospitata per settimane vuoto a svegliarmi.
Fu scoprire che quella mattina del mio diciottesimo compleanno mio madre aveva lottato, contro il suo stesso destino, pur di vendermi, pur di sorridermi ancora un ultima volta.
Fu il 13 Settembre, il giorno del mio compleanno, che persi chi mi diede la vita.
 
Una sola data gli aveva segnato la vita, cambiandola per sempre. Erano passati tre anni. Era passato tanto tempo, ma il suo compleanno ormai aveva smesso di festeggiarlo. Così come aveva smesso di credere che quella camicetta bianca portasse fortuna.
Suo padre era tornato a Forks, sua cittadina di nascita, un anno dopo la morte della moglie. Non riusciva più a vivere in una città dove tutto ciò che vedesse gli ricordava lei. Dove si erano conosciuti, dove si erano amati, dove sposandosi avevano deciso di mettere su famiglia. Dove era nata Isabella, dove l’avevano vista crescere, dove vide morire il suo amore.
Più volte chiese alla figlia di partire con lui, di allontanarsi dai ricordi e ricominciare una nuova vita, o almeno di provarci. Ma Bella era sempre stata una ragazza testarda, lei di allontanarsi da Londra non ci pensava nemmeno, era inconcepibile, per questo una mattina di primavera accompagnò suo padre in aeroporto. Le loro strade si divisero, ma lei, suo padre lo teneva sempre nel cuore, lui era una di quelle persone da custodire.
Iniziò a lavorare da Miss Popper, nella sua libreria, circa due anni fa, subito dopo che il padre partì.
Era felice di quel lavoro, perché trovò nei libri un rifugio, perché trovò in quel mondo, la vita che nella realtà gli era stata rubata.
 
Bella stringeva tra le mani la tazza verdastra, accoccolata sul vecchio divano, sorseggiando il suo caffè. Era caldo, bruciava scivolando lungo la gola, e più lei soffiava per raffreddarlo, più il liquido sembrava scottare. Posato sul tavolino di legno, di fronte il divano, vi era un libro.Era riuscito a finirlo, tornata a casa. Prendendolo tra le mani, aprì la prima pagina, quella bianca che il giorno prima aveva strappato. L’aveva stracciato di fretta, senza seguire un disegno preciso, sembrava essere stato fatto da un bambino, eppure era felice, perché se mai un giorno il foglio strappato fosse tornato, unendo la pagina bianca al pezzo di carta, avrebbero combaciato perfettamente.
Era mattina e per quanto desiderasse correre in libreria, sapeva che Miss Popper non l’avrebbe lasciata entrare. Passava troppo tempo tra i libri, dimenticandosi della sua vita.
Eppure non le importava, o almeno credeva che non fosse importante.
Aprì una pagina a caso, e rimase sorpresa, perché tra tutte le frasi i suoi occhi caddero proprio su quella:
Ci sono cose che il destino si propone ostinatamente. Invano gli attraversano la strada la ragione e la virtù, il dovere e tutto quello che c'è di più sacro: qualcosa deve accadere, che per lui è giusto, che a noi non sembra giusto e possiamo comportarci come vogliamo, alla fine è lui che vince.
Lo lesse più e più volte, poi alzò lo sguardo sull’orologio appeso alla parete, e sospirò.
Posò il libro aperto sul tavolino, alzandosi dal divano.
Dopo poco più di venti minuti, Isabella era già lungo le strade di Londra.
Sul tavolino del suo salone, una vecchia tazza aspettava che il suo contenuto venisse bevuto e la frase di un libro compresa.
 
 << Bella, quante volte ti ho detto che non ti voglio vedere prima delle nove? >> La voce roca e anziana di Miss Popper giunse non appena il campanellino della porta vibrò.
Bella trattenne un sorriso compiaciuto e si limitò a fare spallucce.
L’anziana signora le si avvicinò. Quella mattina indossava un vestito color seppia, chi sa dove li trovava tutti quei colori così bizzarri. Questo Bella non lo sapeva, ma li adorava.
<< Non riesco a stare troppo lontana da questo posto, e poi, >> sorrise timidamente, << mi mancavate. >> Disse sincera.
Margaret, questo era il nome di Miss Popper, la proprietaria della libreria, le sorrise.
<< Dovresti frequentare qualcun altro al di fuori di me, sono troppo vecchia per certe cose. >> Scherzò la donna stringendo Bella in un caloroso abbraccio.
Calore umano.
Bella la strinse forte, ma non era neppure quello l’abbraccio che stava cercando.
Si allontanò da Margaret e le sorrise dolcemente, << sono arrivati nuovi libri? >> chiese interessata, sistemando una ciocca di capelli dietro l’orecchio.
Miss Popper scosse la testa, << sono mesi che non facciamo rifornimento. Bella stiamo andando in fallimento. >> Sussurrò debolmente la donna.
Per Isabella quelle parole furono come un pugno in pieno stomaco.
<< Non avrete intenzione di chiudere, vero? >> chiese con voce smorzata.
Il suo cuore accelerò i battiti, e dentro di lei, sentiva già rompersi qualcosa. Perché senza la presenza costante di quel negozio, di quel profumo, di quei libri nella sua vita, Bella si sentiva persa.
Gli occhi azzurri di Margaret scrutavano quelli color cioccolato di Bella. Come poteva farlo? Come poteva allontanarla così?
<< No, non ancora. >> Le rispose, e il viso di Bella tornò a colorarsi di rosa.
Miss Popper si avvicinò, << bisogna spolverare gli scaffali. >> Le disse dolcemente. Bella annuì e come ogni mattina si mise a pulire tutta la libreria, spolverando libri e lavando il pavimento.
Non riuscì a fare altro, tutto il suo mondo girava intorno a quella libreria, e perderla avrebbe significato perdere se stessa.

Capitolo:
- Il giorno in cui la madre di Bella, Reneè scopre di avere un tumore è il 13 Giugno, esattamente dopo tre mesi, il 13 Settembre giorno del compleanno di Bella lei muore. Vorrei precisare che c'è un motivo valido per cui ho deciso di far "morire" Reneè in quel preciso giorno. Nei prossimi capitoli si capirà l'importanza di questa mia decisione.
- Reneè è morta tre anni prima. Dopo un anno dalla sua scomparsa, Charlie si è trasferito a Forks e Bella ha iniziato a lavorare nella libreria di Miss Popper abbandonando l'università, sono quindi due anni che Bella conosce Miss Popper.
- La frase:  
Ci sono cose che il destino si propone ostinatamente. Invano gli attraversano la strada la ragione e la virtù, il dovere e tutto quello che c'è di più sacro: qualcosa deve accadere, che per lui è giusto, che a noi non sembra giusto e possiamo comportarci come vogliamo, alla fine è lui che vince. E' tratta dal libro "Le affinità Elettive" di Goethe.

Lua:
Prima di parlare di questo capitolo, volevo ringraziare ognuno di voi, perchè con le vostre parole avete risvegliato una parte della mia anima, che credevo assopita da tempo. Vi ho ringraziato personalmente, rispondendo ad ognuna di voi, ma non mi sembra abbastanza, ogni frase riduttiva, e vorrei che voi poteste vedere il mio sorriso, perchè è sincero. Mi sono emozionata, perchè avete visto una persona dietro questa storia, che non credevo fosse possibile scoprire. Questo significa che le mie parole stanno toccando i tasti giusti, che vi sto facendo emozionare e che almeno per dieci minuti vi riesca a portare nel mio mondo. Significa davvero tanto per me, e di questo non posso che esservi grata. Ognuna di voi si rispecchia in questa storia, chi in Londra, chi in Bella, chi nella Musica o nel Libri, questa è una cosa che mi rende felicissima, allora non sono l'unica che sta emergendo, io scrivendola e voi leggendola. Vorrei che ognuna di voi mi raccontasse di se, delle proprie emozioni, perchè è di questo che mi nutro, delle sensazioni dei lettori, sembrerà stupido, ma questa storia esiste solo grazie a voi. Non smetterò mai di ringraziarvi, non smetterò mai farlo.
Detto questo vorrei parlarvi del capitolo. Davvero molto triste, non posso negare il nodo allo stomaco che avevo mentre lo scrivevo. La madre di Bella è stata portata via da un male davvero orribile, ed è stato davvero una corsa contro il tempo, perchè hanno fatto di tutto per salvarla, ma la Natura aveva già deciso. Bella si sente distrutta, tradita, perchè lei nella madre vedeva la sua vita, tutto girava intorno a lei e alla sua famiglia perfetta. Erano una catena, ma una volta spezzato un anello tutti gli altri si sono sgretolati come se fossero fatti di sabbia. Charlie per il troppo dolore è tornato a Forks, lasciando sola Bella. Non gliene vogliate, lui ama Bella incondizionatamente, ma proprio non ci riusciva a vivere nella città che prima gli aveva donato tutta la felicità e poi improvvisamente gliel'aveva strappata. Più volte ha cercato di convincere Isabella, ma lei di lasciare Londra proprio non ne ha voglia. Al contrario del padre, Bella in Londra vede ancora la madre. Non mi odiate vero? Solo perchè è scomparsa nello stesso giorno del compleanno di Bella, ma è un dettaglio davvero molto importante, che caratterizzerà il cambiamento di Isabella. Potete cercare di capirla? Si sente vuota, distrutta, ha bisogno solo di ritrovare se stessa e di  riscoprire quel lato del suo carattere nascosto dentro il suo cuore dopo la morte della madre. Questo capitolo era dedicato a Bella e ad una piccola parte del suo passato.
Nel prossimo che arriverà dopo Natale, invece, ritroveremo Edward, e accadrà qualcosa di speciale.
Vi auguro nel frattempo un felice e caloroso Natale, per gli auguri del nuovo anno dovrete aspettare il prossimo capitolo =P
Merry Christmas angeli.
Lua.




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Capitolo 4
*** A special gift ***


3. A special gift                                                                                


3. A special gift.

"Chiunque sia in grado
di mantenere la capacità di vedere la bellezza,

non diventerà mai vecchio."
Franz Kafka



Ciao.

Che bel modo di presentarsi, utilizzando una semplice parola.
Una singola parola che non dice nulla, o che se compresa può dire tutto.
Potrebbe riferirsi a un addio o a un incontro, a un saluto detto tra due amici oppure al sospiro del vento durante una fredda giornata di Novembre. Ci pensi mai quanti significati potrebbe avere la parola “ciao”?
Io ci ho riflettuto parecchio, e sono giunta alla conclusione che un semplice “ciao” per presentarsi non basta mai. Però credo tu ti debba accontentare, perché questo è tutto ciò che riesco a dirti per adesso, poi più in là, forse, riuscirò ad aggiungere un'altra parola. Ma adesso accontentati di questo “ciao”, che le tue orecchie non ascolteranno mai, però sono certa lo troverai tante volte tra le note delle tue canzoni. Così te lo voglio urlare questo mio saluto e comporre con te una poesia.
Mille volte ciao, bizzarro viandante.
 
La mano di Bella si agitava convulsamente, stringendo forte l’esile biro tra le dita. Aveva deciso di iniziare a scrivere, e aveva deciso di farlo proprio adesso.
Si trovava seduta su una vecchia panchina in legno, al centro esatto dell’enorme parco. Non sollevava mai lo sguardo verso i passanti che l’osservavano incuriositi. Non voleva vederli sorpresi, almeno non più di quanto lei stessa non fosse.
Da troppo tempo stava rinchiusa nella sua torre d’avorio, fatta di libri.
Erano mesi che non usciva, o meglio, che non frequentava gli stessi luoghi. Casa, strada, libreria, non si potevano ritenere passeggiate rilassanti o uscite per dare libero sfogo ai pensieri. Però, dal primo giorno in cui Bella aveva ascoltato la voce di quel misterioso cantante aveva deciso di bearsi di quel suono ogni giorno. Per questo veniva sempre qui, nello stesso posto, alla stessa ora e con la stessa espressione stralunata.
Il cantante era di una bellezza rara. Bella non riusciva a distogliere lo sguardo, ma non solo perché lui era esteticamente piacevole. Isabella ammirava la bellezza, l’armonia che trasparivano dalle sue canzoni. Era questo che lo rendevano bello ai suoi occhi.
Bello di una bellezza senza eguali.
Bello da rimanere incantato a fissarlo per ore.
Bello da perdere la testa.
Bello da ritrovarla quella stessa testa.
Bello da riuscire a trasportare Isabella in un mondo parallelo, dove i ricordi erano frammenti lontani di una vita passata, e la voce di quel musicista una ninna nanna dal retrogusto mielato.
Così Bella scriveva, di cosa poi ancora non l’aveva capito, ma continuò a farlo, e lasciò che fossero le dita a guidarla, lasciò che fosse ciò che sentiva a liberarla da quelle angustie catene. Chiudendo gli occhi, Bella riusciva finalmente a vedere. Aprendo il cuore poteva ascoltare, e con le mani scrivere ciò che gli veniva dettato da esso.
 
Non so chi sei, non so come ti chiami, non conosco il tuo colore preferito e il numero delle scarpe che porti.
Non ti ho mai visto piangere, forse neppure sorridere per qualcosa che ti ha reso davvero felice. Non ti ho mai visto correre sotto la pioggia, perdere un treno, ritrovare un vecchio diario pieno di ricordi.
Non ti ho mai visto senza la tua chitarra, a dire il vero penso tu non la lasci mai. E’ un po’ come il guscio di una lumaca, credo sia la cosa più simile ad una casa.
Non conosco tuo padre, non ho mai assaggiato la torta di mele di tua madre, non conosco i nomi dei tuoi fratelli o il soprannome del tuo cane, non so neppure se nella tua vita sono presenti tutte queste persone, o se sono solo frutto della mia fervida immaginazione.
Tu però nei miei occhi ci sei entrato e non riesco a toglierla la tua immagine dalla mia mente. Sei come un vecchio giradischi che rimanda sempre la stessa canzone, ed è la tua voce che mi trattiene dal cambiarla.
 
Sollevando gli occhi dalle pagine ricoperte di parole, Isabella rimase ad osservare il musicista. Il suo viso era disegnato da delicati lineamenti, il colore pallido della pelle lo rendeva antico, fragile, sembrava essere stato catapultato in un'altra epoca, in un mondo che non era il suo. I capelli di un biondo ramato si muovevano liberi come fili d’oro ad ogni folata di vento. La mascella e il mento erano ricoperti da una lieve barbetta ramata, di quelle che si vedevano spesso sui ragazzi appena diventati uomini. Quelle strane, a chiazze, morbidi al tatto, quelle che ti facevano sembrare un uomo con l’animo ancora da ragazzino.
Anche se il suo corpo non dimostrava più di venticinque anni.
Le sue mani si muovevano dolcemente sulle corde della chitarra e la sua voce accompagnava delicatamente quelle note. Teneva gli occhi chiusi, come se avesse paura che una volta aperti tutta la magia potesse svanire. Bella lo fissava da lontano, lo ammirava, forse troppo ossessivamente, ma c’era qualcosa in quel ragazzo, qualcosa in quella voce che la calmavano, che le portava via il dolore. Così si ritrovò a sorridere, anche se lui non poteva vederla, anche se lui probabilmente non l’avrebbe mai vista. Però Bella pensò che quel sorriso, lui l’avrebbe avvertito, e che l’energia emanata dal suo corpo irradiava calore direttamente sul suo. Così lei pensò che una cosa del genere era impossibile da non percepire.
Intorno al ragazzo c’era sempre tanta gente, ogni volta volti nuovi, sorrisi diversi, emozioni differenti, eppure ciò che sembrava essere invariata era l’atmosfera, di questo ne erano tutti consapevoli. Perché anche se la gente cambiava, se le canzoni cantate non erano sempre le stesse, ciò che rendeva magico quel momento era la presenza di quel ragazzo, e che tenesse gli occhi chiusi o aperti poco importava.
<< Posso sedermi accanto a te? >>
La bolla magica intorno alla panchina in cui era seduta Bella, venne scoppiata da un suono stridulo e infantile. Bella alzò lo sguardo sulla figura davanti a lei.
Un bambino dai lunghi capelli biondi l’osservava incuriosito, puntando i suoi enormi occhi azzurri su di lei. Bella sollevò un sopracciglio sorpresa, poi facendo un piccolo sorriso, lasciò un po’ di spazio al bambino, in modo che si sedesse accanto a lei.
<< Grazie. >> Sussurrò il bambino. Bella l’osservò attentamente, non doveva avere più di sei anni. Il piccolo  non si voltò neppure una volta verso di lei, sembrava essere incantato, imbambolato e tutte le sue attenzioni erano rivolte al musicista con la chitarra in mano. Bella ridacchiò, pensando che era un effetto comune quello che faceva ascoltarlo cantare.
Il piccolo socchiuse leggermente le labbra, << la mia mamma dice che questo ragazzo è magico. >>
Bella si voltò verso il bambino, osservando il profilo rotondo e infantile del suo viso.
Con un piccolo sorriso si decise a parlargli, << la tua mamma credo abbia ragione. >> Ammise sistemandosi una ciocca di capelli dietro l’orecchio.
Il bambino nascoste le mani dentro la tasca della sua enorme felpa color limone, e riprese a parlare, senza distogliere lo sguardo dal ragazzo. << Cosa c’è di magico in lui? >> Le domandò senza guardarla in volto.
Bella sollevò le spalle, neppure lei conosceva la risposta, << penso sia la sua voce ad essere magica. >> Sussurrò non certa di quelle parole.
Il bambino fece una smorfia, arricciando il naso, << mio papà invece lo chiama fannullone. Perché dice sempre che non si può vivere con i pochi soldini che ti offre la strada. >> Disse tutto in un fiato, disgustato da quelle parole.
Il sorriso di Bella raggiunse la parte più alta degli zigomi, << però ricordati che lui è magico. >> Rise chiudendo il diario che teneva aperto sopra le sue gambe.
Il bimbo si alzò dalla panchina e si voltò verso Bella, << la mia mamma mi ha sempre detto di non parlare con gli sconosciuti. >> Disse serio posando le piccole manine sui fianchi, Bella si morse un labbro per evitare di ridere.
Alzandosi in piedi allungò una mano verso il bambino, << io mi chiamo Bella. Piacere di conoscerti. >>
Il bambino sorpreso afferrò la mano di Bella stringendola debolmente, << io sono David. >> Si presentò rimettendo subito la mano dentro la felpa.
<< Ora non siamo più due sconosciuti, non credi? >> gli sorrise compiaciuta Bella.
David ricambiò il sorriso, annuendo.
<< E cosa siamo? >> le domandò dolcemente, << fidanzati? >> le chiese timidamente, diventando tutto rosso in viso. Bella rimase sorpresa e si abbassò per accarezzargli una guancia, << siamo amici. >>
Lui sembrò da prima contrariato, poi annuì accettando la decisione di Bella.
Entrambi sollevarono lo sguardo verso il musicista. David si dondolava avanti e indietro poggiando tutto il peso del suo piccolo corpo sul piede sinistro. Bella avrebbe tanto voluto avvicinarsi al cantante per osservarlo meglio da vicino, ma c’era troppa gente, pensò. Sospirando si accorse dell’instabilità di quella scusa.
Bella pensò che in lui c’era qualcosa che la completava e non voleva essere come tutte le altre persone. Non voleva che lui si dimenticasse di lei, anche se non l’aveva mai vista, anche se non si erano mai parlati, eppure lei l’avvertiva dentro quel bizzarro legame che aveva con la sua musica, e si chiese se anche per lui fosse lo stesso. Così si sfilò lentamente il braccialetto d’argento che teneva legato al braccio. Il lontano ricordo di una vecchia Bella. Stringendo forte la catenella, la nascose nel palmo della mano, cercando di prendere coraggio per avvicinarsi a lui e gettargliela nella custodia della chitarra, così come aveva fatto già una volta con il bigliettino.
Non sapeva se il giorno seguente l’avrebbe rivisto o se avrebbe dovuto ringraziare il Destino per averglielo fatto incontrare soltanto tre volte, fatto sta che Bella voleva donare un po’ di se stessa a qualcuno che con una semplice canzone aveva donato tutta la sua anima.
Bella cercò dentro di sé il coraggio per avvicinarsi, ma proprio non riusciva a trovarlo, così abbassando lo sguardo, i suoi occhi si posarono sulla figura minuta di David.
Mordendosi il labbro inferiore Bella sfiorò una spalla del bambino, quest’ultimo si voltò subito guardandola negli occhi.
<< David, io e te siamo amici vero? >> gli chiese dolcemente, il bambino annuì sorridendole, << e tra amici ci si aiuta, non è così? >> continuò imbarazzata Bella. Ancora una volta David annuì.
<< Bene. >> Sospirò Bella, << faresti una cosa per me? >> gli domandò abbassandosi, posando il peso del suo corpo sulle ginocchia.
<< Certo. >> Rispose il bambino mostrandole un enorme sorriso. Bella si accorse che al bambino mancava l’incisivo centrale, e pensò che un bambino così piccolo non poteva di certo possedere il coraggio che mancava a una ragazza di ventuno anni. Però decise di provarci, perché di perdere non aveva proprio nulla. << Vorrei tanto regalare questo bracciale al musicista che ti piace tanto, però non vorrei disturbarlo mentre canta, così mi chiedevo se ti andava di portarglielo tu. >> Gli disse fissando i suoi enormi occhi azzurri.
David rimase per un attimo interdetto, poi allungò una mano verso Bella, << okay, però lo butto nella custodia e scappo via. >> Le disse ridendo.
Bella annuì, << va bene. >> Così diede il braccialetto a David che prima di portarlo al musicista lo scrutò attentamente.
<< E’ un tuo amico? >> le chiese pensieroso.
Bella scosse subito la testa.
<< Allora perché gli fai un regalo? >> continuò incuriosito il bambino.
Isabella fece spallucce, << perché lui ha fatto un regalo a me. >> Gli rispose sorridendo dolcemente.
<< Quale regalo? >> le chiese subito David gonfiando le guancie rosse, facendo un espressione buffa.
Bella gli accarezzò i capelli, << dopo che gli avrai portato il braccialetto te lo dirò. >>
David sbuffò, poi si voltò in direzione del musicista e iniziando a correre s’immischiò tra la gente riunita intorno al cantante.
Bella rimase immobile ad osservare il bambino mentre faceva scivolare dalle sue mani alla custodia della chitarra il braccialetto. David rimase fermo di fronte al musicista che aveva interrotto la canzone proprio in quel momento. Bella tese le orecchie cercando di captare qualche suono, ma era troppo lontana, tutto ciò che riuscì a capire era che la canzone era terminata, dato che tutti si stavano allontanando, tutti tranne David, che aveva iniziato a parlare con il musicista.
Bella venne assalita dall’ansia, e se David gli avesse detto al musicista che era stata lei a donargli il braccialetto?
Non doveva saperlo, non era pronta e forse non lo sarebbe stata mai.
Così si voltò verso la panchina e raccolse velocemente le sue cose, iniziando a correre lungo il parco, con il cuore che batteva furioso dentro il suo petto.
Era elettrizzata e anche spaventata, e si sentiva un po’ di meno perché era così che ci si doveva sentire, quando ci si sentiva un po' più di qualcun altro. 
 
 
Edward osservava il piccolo braccialetto che gli aveva portato David, rigirandoselo tra le dita, come se con quei movimenti quell’oggetto inanimato sarebbe stato capace di spiegargli il significato di perché era stato donato proprio a lui.
David l’osservava in silenzio dondolandosi sul piede sinistro, era una cosa che faceva spesso.
<< Ti ha detto perché me l’ha regalato? >> Gli chiese il musicista al bambino, irradiando ogni cosa intorno a lui nell’arco di dieci metri. La sua voce era la più potente forma di energia. Il bambino scosse la testa, << l’avrei scoperto più tardi… >>
<< Se solo non fosse scappata via. >> Concluse Edward al suo posto.
David annuì.
Il musicista alzò i suoi meravigliosi occhi verdi sul bambino, << Qual è il suo nome? >> gli chiese a bassa voce, certo che lui l’avesse sentito.
David alzò lo sguardo vero le spalle del cantante, aveva appena visto i suoi genitori. Gli stavano facendo cenno di avvicinarsi, era arrivato il momento di tornare a casa.
<< Bella. >> Rispose e con un cenno del capo corse via, raggiungendo i suoi genitori, prima che Edward potesse bloccarlo con una nuova domanda.
Il musicista non rispose al saluto del bambino, ma rimase immobile. Fissava il braccialetto passandolo da una mano all’altra come se scottasse, poi chiuse la mano a pugno imprigionandolo. Non  sapeva nulla di quella ragazza, non conosceva il motivo del suo dono o il perché non fosse stata lei stessa a portarglielo. Però adesso che conosceva il suo nome, si sentiva più pieno, colmo di qualcosa che non gli apparteneva completamente.
Un nome senza un volto.
Edward ritornò a casa percorrendo il tragitto quasi senza respirare e per tutto il tempo la sua mente venne invasa solo da un unico pensiero. Un pensiero che portava il nome di Bella.



Lua:

Ovviamente vorrei precisare, Edward respira. Lo fa sempre, non è un vampiro, o almeno non in senso letterario, non si nutre del sangue delle persona ma delle loro emozioni. Non credo sia la stessa cosa, ma se per vampiro si intende un essere che sopravvive nutrendosi dell'essenza vitale delle persone allora Edward in questa storia è un vampiro. Qui lui si nutre di emozioni però, non di sangue. Non so se esista un termine per definire questa cosa, però la parola vampiro mi sembra vesta a pennello.  Vampiro di emozioni. Un vampiro buono vorrei precisare.
Comunque sia volevo ringraziarvi ancora una volta, siete davvero in tanti e non mi sarei mai aspettata tutte queste persone che avrebbero letto la mia nuova storia. Quindi sbalordita vi ringrazio e vi auguro un bellissimo 2011. Forse così è troppo facile, prima di tutto vi auguro di trascorrere bene questi ultimi giorni del 2010 e poi per i 365 che verranno con il 2011 spero siano pieni di gioia e felicità, probabilmente non sarà sempre così, perchè non è mai così facile, ma se partiamo con la carica giusta, con un energia positiva, i giorni ci sorrideranno, non credete?
Detto questo vi auguro tanta felicità, per tutti i 365 giorni del 2011 =)
Grazie di cuore a chiunque leggerà o recensirà questo capitolo, per qualsiasi dubbio non esitate a contattarmi. Sulla pagina del mio profilo utente di Efp troverete il mio sito web.
I hug everybody.

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Capitolo 5
*** Wherever you are, you are there ***


4. Wherever you are, you are there.      
                                                                                                       


4. Wherever you are, you are there.

E' come se le note musicali creassero una specie di parentesi temporale,
una sospensione, un altrove in questo luogo, un sempre nel mai.
"L'eleganza del riccio - Muriel Barbery"



Il buio riempiva ogni centimetro di quella piccola stanza, ogni angolo di muro, ogni mattonella di marmo, ogni oggetto lasciato sui pensili. Il buio riempiva ogni cosa, copriva persino il calore del suo corpo, nascosto sotto una montagna di coperte. Era mattina, ma questo Edward non poteva saperlo. Era rimasto tutta la notte a fissare il vuoto, tenendo sempre lo sguardo puntato sul soffitto bianco, quello pieno di crepe nella sua stanza. Non era riuscito a chiudere occhio quella notte, si sentiva sospeso e non riusciva ad abbandonare quella sensazione, era come se galleggiasse in una vasca piena di nulla e nuotare gli era impossibile. Si sentiva spesso così, soprattutto la notte, quando a tenergli compagnia non c’erano più i sorrisi soddisfatti della gente o le risate dei bambini, ma solo una stanza piena di oggetti inanimati che non gli avrebbero mai sorriso.
In più sapeva che quella strana sensazione era causata in parte anche da quella ragazza, Bella. Una ragazza che senza conoscerlo gli aveva lasciato un dono, magari importante, necessario nella sua vita. Quel piccolo braccialetto bruciava a contatto con la pelle di Edward, eppure lui non riusciva a fare altro che stringerlo nel palmo della mano, non aveva fatto altro che questo, tutta la notte.
Sollevandosi dal letto e liberandosi del peso delle coperte, Edward uscì da quella gabbia di calore che durante la notte l’aveva sempre protetto, e aprendo il primo cassetto del suo vecchio comodino, estrasse un piccolo pezzo di carta stropicciato.
You’re a Starlight. Thanks for your light.
Edward avvicinò il braccialetto al foglio di carta, aspettando che succedesse una qualche magia. Ma non accadde nulla, non comparve nessun genio, nessuna ragazza si materializzò al suo fianco, non accadde nulla di nulla, e il buio continuava a persistere.
Poteva esserci un qualche collegamento tra i due oggetti, magari, pensò Edward, era stata la stessa ragazza, e si ripromise di tenere gli occhi aperti la prossima volta che avrebbe cantato.
Si sedette di nuovo sul letto passandosi una mano tra i capelli. Li sentiva troppo lunghi, così come ormai anche la sua barba era cresciuta. Avrebbe dovuto tagliarla, per non fare spaventare i bambini o semplicemente per non essere scambiato per un barbone. Lui era un musicista, non un senza tetto. Lui una casa l’aveva e anche la schiuma da barba per rasarsi. Lui ogni mattina faceva colazione, usava il bagno, indossava vestiti puliti. Lui ogni sera tornava a casa, cenava, si rinfrescava, indossava il pigiama e si coricava in calde e pulite lenzuola. Lui tutto poteva essere tranne un barbone. Non che li odiasse o li evitasse, Edward aveva diversi amici che vivevano all’aperto, che dormivano sopra una panchina e mangiavano ciò che riuscivano a trovare. Anche se amici non era il termine esatto, diciamo che aveva imparato a distinguerli, e qualche volta ci aveva scambiato una parola o due, ma ecco per Edward ogni persona che gli donava un sorriso diventava suo amico, per questo diceva sempre di avere un sacco di amici.
Immerso nei suoi pensieri non si accorse di un piccolo fascio di luce che filtrava attraverso la porta, si espandeva lentamente mentre illuminava la stanza. Edward sollevò la testa nel momento in cui la porta si aprì completamente e spuntò una figura da dietro.
La ragazza gli sorrise dolcemente, avvicinandosi a lui con passo lento e aggraziato. Edward l’osservava in silenzio e seguì tutte le sue mosse, stando attento ad ogni suo passo. La ragazza raggiunse la finestra della stanza aprendo le tende e lasciando entrare più di un raggio di sole, che costrinsero Edward a chiudere gli occhi. Li aveva tenuti aperti tutta la notte e ora, bruciavano a contatto con la luce.
Quando ebbe finito si avvicinò a Edward. Il vestitino color cielo si stropicciò leggermente quando si sedette accanto a lui sul letto. Ma mentre si sgualciva il vestitino, sul suo splendido viso nasceva un tenerissimo sorriso. Quella mattina aveva deciso di legarli i capelli, in un alto chignon che le scoprivano tutto il collo, lasciando più visibilità ai suoi delicati lineamenti. La pelle era chiara, e profumava di pesca, un profumo che si sposava perfettamente con la stagione appena cominciata. Quel giorno era vestita di cielo, e la sua bellezza traspariva da ogni poro della sua candida pelle, da ogni gesto spontaneo e meccanico. Edward la fissò per qualche minuto poi ritornò a guardare il braccialetto.
<< Edward? >> Lo chiamò una voce melodiosa, gentile, pudica, << va tutto bene? >> continuò la ragazza osservando il ragazzo, << è da quando sei tornato che ti vediamo diverso, strano, è forse successo qualcosa? >> gli domandò posando la sua piccola mano su quella di Edward. Quest’ultimo sollevò lo sguardo e sorrise alla ragazza, e invece di risponderle le mostrò il piccolo braccialetto che stringeva nell’altra mano.
La ragazza parve sorpresa e osservò timorosa l’oggetto che Edward stringeva con tanta premura. << Dove l’hai trovato? >> gli chiese la ragazza.
Edward sollevò le spalle sospirando, << è stata una ragazza a lasciarmelo. Una ragazza che si chiama Bella, purtroppo non so altro di lei, non l’ho neppure mai vista, è stato un bambino a portarmelo. >> Le rispose, la ragazza rimase in silenzio ad ascoltarlo e attese che lui continuasse, << quando mi sono voltato per cercarla, per vederla, lei non c’era più, era scomparsa. >>
<< E’ la stessa ragazza che ti ha lasciato il bigliettino? >> le domandò la bionda seduta al suo fianco. Edward corrugò la fronte pensieroso, << non lo so, forse si, ma non posso esserne certo. So solo che mi ha scombussolato e non riesco a capire il perché. >> Ammise puntando i suoi magnetici ogni verdi in quelli azzurri della ragazza.
<< Non riesci a capire perché ti ha scombussolato o perché ti ha regalato un bracciale? >> gli chiese dolcemente lei.
<< Io non credo di averla mai vista, non conosco nessuna ragazza di nome Bella. >> Le rispose confuso, << eppure il suo nome lo riconosco nelle mie canzoni. >> E questa volta avrebbe tanto preferito rimanere in silenzio, perché sapeva di essersi esposto troppo, di aver detto troppo. Cosa sapeva di quella sconosciuta? Quanto avrebbe voluto conoscere di quella ragazza? Probabilmente nulla, o forse tutto.
La ragazza smise di sorridere, << Edward, è solo un braccialetto. Potrebbe essere una tua fan o semplicemente una ragazzina dagli ormoni in subbuglio, la tua voce ha un effetto abbastanza travolgente sulle donne. Perché ti crucci tanto per un braccialetto? >> gli domandò lei.
Edward la fissò in silenzio, << forse hai ragione. >>
La ragazza sorrise e si sollevò aspettando che Edward la seguisse, << andiamo di là, la colazione è in tavola. >> Gli disse.
Edward si alzò dal letto, << comincia ad andare, vorrei prima vestirmi. >> Le rispose osservando il vestitino azzurro che svolazzava ad ogni suo minimo movimento.
<< Va bene. >>
La ragazza richiuse la porta alle sue spalle, lasciando Edward di nuovo da solo. Questa volta non c’era più il buio ad avvolgerlo, ma neppure la luce, erano le parole dette fino a quel momento che lo ricoprirono riscaldandolo. Decisi di vestirsi alla svelta e sistemare il letto, e prima di uscire dalla camera si voltò verso il braccialetto lasciato sul comodino. Lo fissò attentamente, poi lo afferrò con delicatezza e con altrettanta calma lo infilò nella tasca dei suoi jeans.
Si affrettò ad uscire dalla camera, accompagnato dai gorgogli del suo affamato stomaco.
 
***

Quella mattina Bella era corsa subito in libreria, senza tenere conto del solito disappunto di Margaret. Sembrava immersa in un mondo parallelo, persa nei meandri nella sua mente, e nella sua testa dalla sera precedente viaggiavano solo immagini del musicista, flash del bambino, pezzi di un puzzle scomposti e messi insieme malamente da una mente assonnata e agitata. Non aveva fatto altro che pensare all’accaduto della sera precedente, per tutto il tempo. Pensò più volte di aver sbagliato, si maledisse mentalmente una decina di volte prima di sospirare. La sua mente spaziava in cerca di risposte, cercando una spiegazione plausibile al suo gesto. Fare un regalo ad uno sconosciuto, Bella si sentiva tremendamente infantile e più volte pensò di ritornare dal musicista per scusarsi, magari parlargli, spiegargli il motivo di quel folle gesto, ma poi, ritornava la sua timidezza, la sua mancanza di coraggio. Ripensava al volto del cantante quando vide il braccialetto e s’immaginò l’espressione che sicuramente comparve sul suo volto, quando voltandosi non avrebbe visto nessuna ragazza. Perché Bella l’aveva visto il braccio di David sollevarsi e l’indice della sua piccola mano indicare nella direzione in cui lei si trovava. Così aveva pensato bene di fuggire, confermando definitivamente il fatto che fosse infantile e tremendamente vigliacca.

Era mattina inoltrata e Bella stava seduta dietro la scrivania, disegnava cerchi immaginari sul vecchio mobile di legno, mentre Miss Popper sistemava alcuni vecchi libri.
Per la prima volta dopo giorni, il campanellino posto sopra la porta d’ingresso trillò, facendo scattare entrambe le donne. Il cuore di Bella si mise a battere furiosamente, temendo di essere stata scoperta, cosa poco probabile, dato che lui non l’aveva mai vista in volto. Miss Popper al contrario continuò il suo lavoro, senza scomporsi. Quando la porta si aprì la figura mingherlina di una ragazza attirò l’attenzione di Bella. I suoi occhi incontrarono quelli della sconosciuta e rimasero diversi secondi intenti a scrutarsi. Poi la ragazza, che non doveva avere più di diciotto anni, salutò Bella con un sorriso e un flebile saluto. Isabella continuò a fissarla, osservando ogni suo spostamento. Quella ragazza aveva qualcosa di ammaliante, riusciva a catturare la sua attenzione anche con un semplice passo. Bella ne osservò il volto, i lineamenti delicati del naso, leggermente all’insù, il taglio degli occhi sottile come quello di una asiatica, peccato solo che la ragazza avesse dei lunghi capelli biondo cenere e le sue iridi fossero dello stesso colore del miele. Sul suo viso erano ben visibili mille lentiggini e il colore della sua pelle era molto chiaro. Si muoveva timidamente dentro la libreria, e Bella pensò fosse una straniera, perché indossava uno strano zaino blu. Forse, pensò, era in visita con la scuola. Miss Popper smise di spolverare i libri e si voltò verso la ragazza. Pensò le stesse cose di Bella, non riuscendo a smettere di osservarla. La ragazza prese un libro tra le mani, sembrava concentrata, probabilmente era straniera perché dopo poco lo rimise subito a posto, senza finire di leggere la trama. Dalla sua carnagione, i suoi modi di fare, sembrava una perfetta inglese, ma il suo tono di voce, per quanto sottile e dolce aveva un accento straniero.
Sia Bella che Margaret avevano smesso di osservarla, abbassando lo sguardo, quando un nuovo trillo da parte del campanellino, le fece sobbalzare entrambe. Si voltarono entrambe verso la porta, non prima di aver gettato un occhiata alla ragazza che sembrava non essersi accorta di nulla, infatti continuava il suo viaggio alla ricerca di qualcosa che catturasse la sua attenzione. Questa volta entrò un ragazzo, alto, molto alto. Entrò nella libreria tenendo lo sguardo basso, quando lo sollevò da terra rimase sorpreso. Bella seguì i suoi occhi e sorrise, perché il ragazzo stava osservando l’altra ragazza. Anche Margaret sorrise, osservando la scena.
Il ragazzo sconosciuto possedeva due bellissimi occhi blu, Bella li avrebbe descritti usando un mare in tempesta come esempio, tanto l’intensità e il trasporto che emanavano. Indossava un giubbotto rosso, che lasciava intravedere un maglione viola indossato sotto di esso. Il ragazzo si guardò intorno, incrociando lo sguardo di Bella, senza nessuna espressione sul volto. Questo, pensò Isabella, doveva essere inglese. Sulle spalle portava lo stesso zaino della ragazza.
Bella dimenticò i suoi pensieri, il musicista, il braccialetto, persa ad osservare quella scena, insolita e inusuale.
Il ragazzo si mise ad osservare gli scaffali ricoperti di libri, sorpassando la ragazza, che non si era accorta di nulla. La sconosciuta sbuffò infastidita, evidentemente non era riuscita a trovare nulla che la soddisfacesse, in quel momento al ragazzo cadde di mano un libro, che toccò il pavimento con un tonfo sonoro. La ragazza si voltò e rimase sorpresa, le labbra leggermente socchiuse, evidentemente non si aspettava di vederlo lì, pensò Bella.
Il ragazzo si abbassò per riprendere il libro e quando sollevò lo sguardo incontrò quello della ragazza, e gli sorrise. Un sorriso che costrinse Bella a distogliere lo sguardo. Intorno a quei due ragazzi galleggiava una strana energia, talmente intima da costringere le altre persone a voltarsi, per non disturbarli. Quando ritornò a guardarli, entrambi erano intendi a leggere, uno da una parte e uno da un'altra. Dopo pochi minuti il ragazzo si avvicinò alla ragazza.
<< Dobbiamo andare, gli altri ci aspettano. >> Le disse parlando lentamente, e puntando i suoi occhi dritti nel mare mielato della ragazza. Quest’ultima annuì, posando la mano sulla maglia della porta. << Ritorneremo ancora? >> chiese all’improvviso voltandosi verso il ragazzo, che non aveva smesso un attimo di fissarla. Scosse la testa incapace di risponderle.
La ragazza si voltò verso Bella e le sorrise, << arrivederci. >> Salutò e Bella confermò la sua teoria, era straniera, probabilmente italiana.
Il ragazzo fece una smorfia contrariato, poi uscì subito dopo, raggiungendo l’altra ragazza. Bella incuriosita si avvicinò alla finestra e scostando la tenda, notò altri ragazzi con indosso lo stesso zaino blu. Aveva indovinato un'altra volta, erano in visita con la scuola.
<< Lui sembrava sorpreso di vederla qui, non trovi? >> le domandò, facendola sobbalzare, Margaret. Bella fece spallucce ritornando a sedersi sullo sgabello dietro la scrivania. << Lei aveva qualcosa di strano. >>
<< Qualcosa che ti costringeva a tenere lo sguardo incollato sulla sua figura? >> le chiese Margaret sorridendole.
Bella annuì, << esatto. >>
Margaret sorrise, l’innocenza di Bella era così pura, così ingenua, da non farle rendere conto che l’effetto che faceva quella ragazza, era lo stesso effetto che Bella esercitava sulle persone.
<< E quel ragazzo, >> continuò Bella, << sembrava molto preso da lei. >> Confessò timidamente. Margaret prese il libro che era caduto al ragazzo e lo sistemò al suo posto, << probabilmente a dividerli non è solo la differenza di età, che potrebbe essere minima o più grande del lecito. >> Disse con voce ferma, << ma la distanza, lei non era inglese, lui si. >> Continuò confermando la tesi di Bella, << perché ti sei incantata a fissarli? Dovresti essere arrabbiata con loro, alla fine hanno fatto solo tanta confusione, senza acquistare nulla. >> Disse, ma Bella sapeva che a Miss Popper non aveva dato nessun fastidio quel piccolo spostamento di libri, anzi, si era divertita come Bella a creare una storia d’amore intorno ai due ragazzi. Isabella le sorrise abbassando la testa.
Poteva davvero esistere qualcosa di talmente forte, così travolgente tra due persone? Bella di un amore così non ne aveva mai visti, solo letto. E forse quei due ragazzi, con la loro vera o finta storia d’amore, potevano crearla davvero quella realtà. Forse chiunque sarebbe stato capace di crearla. Infondo si sapeva bene, che tutto poteva essere possibile. Allora Bella sognò grazie a quei due ragazzi, che forse, alla fine, non condividevano neppure la stessa strada.
Fu un momento, poi Miss Popper riprese a spolverare. Il profumo dei due ragazzi si dissolse nell’aria come scomparve dalla testa di Bella, lasciando spazio a un vuoto che ormai aveva imparato a conoscere. Probabilmente non li avrebbe più rivisti, quei due ragazzi, eppure li ringraziò mentalmente, perché erano riusciti a liberarle la mente, almeno per dieci minuti.


Lua:
Per questo capitolo non voglio dire nulla, sono curiosa di sapere cosa ne pensate voi, e sopratutto chi credete che sia la ragazza con cui Edward stava parlando.
Vorrei però farvi una domanda, anzi due. La prima sul vostro schermo del pc, riuscite a leggere chiaramente la storia? O preferite che cambi carattere? Fatemi sapere.
Seconda domanda, un pò più seria, qual'è la formula perfetta dell'amore? Esiste quello a prima vista? Si può amare senza essersi mai conosciuti? Per la precisione cosa avete pensato mentre leggevate dei due ragazzi?
Un bacione a tutti quelli che leggeranno e commenteranno questo capitolo.
Vi adoro incondizionatamente.

 

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Capitolo 6
*** Sparks ***


5. Sparks

Prima di lasciarvi al capitolo volevo specificare una cosa. In questa storia non ci sono vampiri, non ci sono neppure licantropi. Questa storia è reale, quindi se chi ancora non l'avesse capito, nè Edward nè la ragazza con cui ha parlato, nel capitolo precedente, sono vampiri. Detto questo vi lascio al capitolo, alla fine troverete i miei soliti commenti.
Buona lettura.



                                                                                                        


5.  Sparks.

C'è una specie di fato che perseguita le nostre buone decisioni.
Ci si decide sempre troppo tardi.

Il ritratto di Dorian Gray - Oscar Wilde



Il cielo era color lapislazzulo quel giorno. Bella lo riconobbe subito, non appena uscì dal portone del suo palazzo. Lei era una di quelle persone che stavano attenta ai dettagli, levigavano i contorni e amavano riscoprire nuovi colori, non erano in molte le persone come Bella. Lei, per esempio, non ne aveva mai conosciute, e a volte pensava persino di essere l’unica.

La libreria di Miss Popper distava venti minuti di cammino dal palazzo in cui Bella viveva. Amava camminare e osservare ciò che la circondava, ma odiava farlo quando intorno a lei c’era tanta gente. Per questo evitava di uscire, perché voleva sfuggire dagli sguardi incuriositi delle persone, che, anche se involontariamente finivano sempre per fissarla.
Così aveva stabilito degli orari sia per la mattina sia per la sera, sia per l’andata sia per il ritorno, non l’aveva ancora capito che quegli orari non andavano più bene. Non l’aveva ancora capito che non servivano più a nulla, da quando passava il resto del pomeriggio all’Hyde Park, persa ad ascoltare l’angelica voce del musicista.
E quasi più non le importava degli sguardi della gente, quando era intenta a osservare il cantante.
Quel giorno arrivò in libreria ben sessanta minuti prima dell’apertura. Si preparò mentalmente ad ascoltare le ripetitive prediche di Margaret, prima di aprire la porta del negozio.
Quando però vi entrò, sentì delle voci inusuali.
Pensò che fosse strano, perché a quell’ora non c’era mai nessuno, non che nelle altre ore la libreria fosse affollata, ma le parve strano sentire delle voci.
Fece diversi passi verso il magazzino, da dove proveniva quel rumore, e tese l’orecchio incuriosita.
<< Miss Popper non c’è più tempo, vi ho concesso cinque mesi e voi non siete riuscita a saldare il conto. >> La voce che sentì Bella non era certo quella di Margaret. Era infatti la voce di un uomo, probabilmente molto arrabbiato dato il timbro che aveva usato.
Si sentirono rumori di passi e pesanti sospiri, << la prego, mi dia un altro mese. >> Questa volta era stata Miss Popper a parlare, e la sua di voce, invece, tremava.
Bella aprii leggermente la porta cercando di capire cosa stesse accadendo, e rimase impietrita quando vide un uomo sui quarant’anni, vestito in giacca e cravatta, di fronte a Miss Popper.
Margaret indossava un vestitino color corallo, trasmetteva allegria, ma sul suo volto era dipinta la tristezza, un forte contrasto, che sicuramente anche lo sconosciuto aveva notato.
L’uomo scoppiò a ridere, << come potete sperare di riuscire a trovare cinquemila sterline in trenta giorni? Quando non ci siete riuscita in cinque mesi? >> Ridacchiò malignamente.
Isabella non riusciva a capire perché quell’uomo chiedesse una somma così alta a Margaret.
Miss Popper sembrava titubante, << non vorrà portarmi via il negozio. >>
In quel momento gli occhi di Bella si appannarono e la vista parve opaca, osservò le scarpe che indossava, il pavimento di legno e la maniglia della porta sulla quale si reggeva, e tutto le sembrò ondeggiare.
<< Non mi sembra ci sia altra scelta. >> Sorrise compiaciuto l’uomo.
Margaret fece un passo verso l’uomo aggrappandosi alla sua giacca, << non mi resta che questa libreria, la prego non me la porti via. >> Disse supplichevole.
Bella era sul punto di svenire, dovette concentrarsi per non accasciarsi al suolo.
L’uomo si liberò dalla stretta dell’anziana donna, << è il mio lavoro, cercate di capirmi Miss Popper. >> Dal suo tono poteva sembrare amareggiato, ma il ghigno sul suo volto faceva intendere ben altro.
Miss Popper fece un grosso respiro, << Immagino il vostro rammarico. >> Disse ironica, << ma non mi arrenderò così facilmente. Lotterò con le unghie per questo negozio e sarei capace di ipotecare la mia casa pur di salvare questa libreria. >>
<< Potrebbe essere una buona idea. >> Sogghignò l’uomo.
Allora Bella capì che si trattava di un usuraio, e che la sua amata libreria era in pericolo.
Margaret rimase composta e impassibile, << un altro giorno, le chiedo solo ventiquattro ore. >>
L’uomo sembrò rifletterci su, poi acconsentì, << va bene Miss Popper, avete altre ventiquattro ore, se entro domani mattina non avrete il denaro, potete dire addio a questa topaia. >> Disse infilandosi il cappotto e facendo qualche passo verso la porta.
Isabella in quel momento si allontanò dalla porta, scappando via dalla libreria. Sapeva già cosa doveva fare. Avrebbe fatto di tutto pur di salvare quello che l’uomo chiamava topaia, mentre lei definiva la sua vita.
 
Correva.
Non riusciva neppure a distinguere se fosse giorno o notte. Correva con il cuore che batteva furioso nel petto, e l’ossigeno iniziò a venire meno. Tutta l’aria che cercava di entrare nei polmoni bruciava. Bella stava bruciando, e non solo l’ossigeno, ma anche la suola delle scarpe, il vento che investiva il suo pallido viso, adesso rosso per la troppa corsa. Bruciava ogni spalla che scontrava durante la sua corsa, bruciava le lacrime che scivolavano copiose sul suo viso. Correva e bruciava, non si sarebbe sorpresa se a un certo punto avesse iniziato davvero a prendere fuoco.
Quando finalmente giunse davanti la porta del suo piccolo appartamento infilò la chiave con mano tremante nella serratura. Si diede della pazza diverse volte, anche dopo essere entrata nella camera dei suoi genitori, quella che da dopo la partenza del padre aveva deciso di sigillare, sia nel suo cuore che nella realtà. E ’impiegò diversi minuti per recuperare la chiave che l’avrebbe aperta.
Quando vi fu dentro però, le sembrò che un enorme secchiata d’acqua le fosse caduta addosso. La pelle non bruciava più, l’ossigeno rientrava delicatamente dentro i suoi polmoni, e il cuore riprese a battere con ritmi regolari. Non sapeva cosa fare per primo, se piangere o iniziare a cercare.
Decise di ignorare il richiamo delle foto poste sul comodino e quelle attaccate vicino allo specchio. Decise di ignorare il profumo che galleggiava nell’aria e i colori delle tende. Decise di ignorare tante cose per mettersi alla ricerca di quell’unica cosa che adesso avrebbe salvato la sua vita.
Sbatté con forza l’anta dell’armadio facendola quasi rompere durante l’urto contro il muro, e come una furia si scaraventò sugli scatoloni alla ricerca del portagioie. Quello che aveva deciso di nascondere insieme al padre, quello che custodiva tutti i gioielli di Reneè.
Quando le sue mani lo trovarono, riconobbero subito il tessuto liscio e vellutato, e lo afferrò con mani tremolanti per portarlo davanti al suo viso.
Nuove lacrime scivolarono lungo il suo viso questa volta non per la libreria o per Miss Popper. Questa volta piangeva perché non avrebbe mai voluto farlo, non sarebbe mai voluta arrivare a tanto, e si sentì una ladra e anche un po’ indegna, ma sapeva che non poteva fare altrimenti. La libreria era come una droga per lei, aveva bisogno di quei libri, di quella monotona vita per sopravvivere. Come un tossico aveva bisogno della sua dose quotidiana di eroina. Ancora non lo sapeva ma presto qualcos’altro sarebbe diventata la sua droga, qualcosa di molto più salutare, qualcosa o forse qualcuno.
Lentamente si accasciò sul pavimento, posando la guancia sulla fredda piastrella. Si sentiva mancare, si sentiva come se stesse per perdersi di nuovo, così strinse forte gli occhi per evitare di scomparire, di perdersi, ma tutto ciò che riuscì ad ottenere fu solo un abbraccio, un possente abbandono tra le braccia di Morfeo.
 
Quando si risvegliò il mondo le crollò ancora una volta addosso, e avrebbe tanto voluto richiudere gli occhi, e questa volta sperava per sempre, ma aveva un compito da portare a termine. Così si sollevò in piedi mantenendosi alla testata del letto matrimoniale e riprese a correre. I suoi occhi si erano posati sul cielo color rosso scarlatto. E maledisse se stessa per quel ritardo, per quelle ore passate in un altro mondo, quando quello in cui viveva stava precipitando.
Ignorò la segreteria telefonica che abbondava di messaggi, sapeva già chi fosse il mittente, Miss Popper doveva essere terrorizzata, non si era fatta né sentire né vedere, e questo accadeva per la prima volta da quando lavorava con lei. Ma a Bella non importò perché quello che stava per fare sarebbe bastato per essere perdonata.
Così uscendo da casa iniziò a correre più veloce di prima. Il cielo imbruniva troppo velocemente e la paura che il vecchio Signor Thomson chiudesse l’oreficeria non fece altro che aumentare l’andatura di quel folle volo.
Quando finalmente giunse di fronte la grande insegna e lesse sulla porta la scritta open, il suo cuore riprese a battere.
L’oreficeria si trovava a pochi kilometri dalla sua abitazione e da altrettanti kilometri dalla libreria di Miss Popper, in quella zona di Londra tutti compravano o vendevano dal Signor Thomson, forse perché aveva i prezzi più bassi di tutti, forse perché era il più simpatico o forse semplicemente perché era l’unico a valutare l’oro per quello che valeva realmente.
Thomson incideva su ognuno dei pezzi che gli venivano venduti o che acquistava un incisione, una sottospecie di logo che raffigurava le sue iniziali, perché riteneva importante conoscere la provenienza di un gioiello, come per una rondine conoscere il suo nido di partenza.
Era stato in quel negozio che i genitori di Bella comprarono il braccialetto con il ciondolo a forma di cuore. Le era stato regalato per il suo primo compleanno, perché ritenevano necessario che Bella avesse un qualcosa sin dalla nascita, qualcosa che la riconoscesse, che la rendesse loro figlia per sempre. Come se il dna che condividevano non fosse abbastanza.
Adesso che il braccialetto non era più di Bella si sentiva un po’ meno della sua famiglia e un po’ più di qualcun altro. Eppure quel piccolo particolare non lo ricordava, quella piccola sigla sul gancetto. Quella che indicava un cognome e l’iniziale di un nome. Thomson P.
<< Paul. >> Ansimò Isabella sbattendo forte la porta d’ingresso.
Il vecchio oreficiere le fece segnò di fare silenzio, era impegnato con un altro cliente.
Bella sbuffò contrariata e anche un po’ seccata, ma quando vide chi si trovava davanti, il suo cuore iniziò a perdere diversi battiti. Era impossibile non riconoscerlo.
Le dava le spalle ma i capelli disordinati di quel bizzarro biondo ramato erano impossibili da dimenticare. Aveva delle spalle larghe coperte da un piccolo giubbotto di pelle nero. Reggeva una chitarra sulla spalla e agitava le mani convulsamente. Bella riconobbe subito il suo musicista.
<< Vorrei solo sapere a chi appartiene questo braccialetto. >> Sussurrò a Paul. Non si era voltato verso di lei, non si era accorto della presenza di qualcun altro nel negozio, o forse aveva solo deciso di ignorarla.
<< Non posso figliuolo, non posso ricordarmi tutti i nomi delle persone che hanno comprato in questo negozio. >> L’oreficiere a differenza del ragazzo parlava a voce alta.
Il ragazzo si passò una mano tra i capelli.
<< Le posso dire il prezzo se vuole venderlo. >>
<< No. >> Ringhiò improvvisamente il musicista, << non ho alcuna intenzione di vendere questo bracciale. Sono venuto qui perché ci sono incise sopra le iniziali del vostro nome. >> Gli fece notare il giovane mostrandogli il braccialetto.
Bella assisteva alla scena imbambolata, come se stesse sognando. Il suo cuore vibrava ed ebbe paura di essere scoperta per il troppo rumore che faceva.
Non l'aveva mai sentito parlare, aveva solo ascoltato la sua voce cantare. Non si era resa conto che sentirlo parlare l’emozionava quanto, se non di più, di quando cantasse.
La sua voce era bassa, roca e dolce.
<< Incido il mio cognome sopra tutti i pezzi che vendo in questo negozio. >> Disse pacato Paul.
<< Non scrive chi li compra? >> domandò esausto il musicista.
Paul scosse la testa.
<< Non può aiutarmi in alcun modo? >> gli chiese guardandolo dritto negli occhi.
Il vecchio negoziante si ritrovò spaesato, quel ragazzo aveva qualcosa che non aveva mai visto negli occhi degli altri giovani di quell’età.
<< Mi faccia dare un’occhiata al braccialetto, magari potrei riconoscerlo. >>
In quel momento Bella voleva sparire, era ad un passo dal musicista che la stava cercando con tanto interesse, e si chiese il perché di tutte quelle attenzioni.
Quando un sorriso comparve sul volto di Paul, Bella desiderò tanto scomparire.
<< Lo ricordo bene il giorno in cui ho venduto questo braccialetto. >> Ridacchiò.
Il musicista sembrò risvegliarsi dallo stato di trans in cui era caduto durante l’attesa, << sul serio? >>
<< Certo. >> Disse Paul, << accadde ventuno anni fa. I signori Swan lo acquistarono per fare un regalo alla loro unica figlia appena nata. >>
<< Una ragazza quindi? >> da come lo chiese, Bella ipotizzò stesse sorridendo.
<< Se è la ragazza che stai cercando, lei è proprio… >> Non riuscì a terminare la frase che Bella gli fece cenno di stare zitto, congiungendo le mani come se stesse pregando.
Paul rimase in silenzio, con la bocca spalancata e le parole uscite a metà.
<< Lei è proprio? >> lo incitò il ragazzo.
Non era così che avrebbe voluto incontrarlo, non ora che il suo mondo stava per crollare.
<< Lei è proprio fortunata, no fortunato. >> Si corresse cercando di sorridere Paul. Come bugiardo era pessimo.
Il musicista lo guardò perplesso, << chi io o la ragazza? >>
<< Tu. >>
<< Perché? >>
<< Lei lavora proprio qui vicino in una libreria, dietro l’angolo alla fine di questa strada. >> E questa volta guardò Isabella sorridendole dolcemente.
Bella strinse gli occhi e contò fino a dieci sperando di scomparire per davvero questa volta, ma come già sapeva, ciò non accadde.
<< Grazie dell’informazione. >> Disse il musicista facendo per andarsene.
Paul lo bloccò per un braccio, non che la sua forza fosse abbastanza da bloccare il ragazzo, ma lui si fermò ugualmente, << non le interessa sapere il nome della ragazza? >>
Il musicista scosse la testa e Bella intravide un sorriso.
Non sapeva se esserne felice o triste, lei comunque si sentiva ferita.
Il musicista si voltò scontrandosi contro il corpo minuto di Bella.
Lei sobbalzò e stava quasi per cadere se le forti braccia del ragazzo non l’avessero presa giusto in tempo.
Isabella osservò il suo volto perfetto e ne rimase estasiata, lui invece non la guardò in viso, troppo concentrato sulle parole dell’oreficiere per accorgesi di lei. Strano il destino, pensò Isabella, era proprio a un passo da lei eppure non allungava la mano per prenderla.
La mano del musicista sembrava lava incandescente sulla pelle di Bella, e benché indossava diversi strati di tessuto lei la sua stretta l’avvertì fin dentro le ossa.
<< Scusami. >> Borbottò il musicista allontanandosi da Bella.
Quando si richiuse la porta alle spalle, Isabella riprese a respirare.
Osservò per diversi minuti la porta dell’oreficeria, con la sensazione di dover correre dal musicista per presentarsi. Magari sarebbe bastato un semplice ciao. Ecco Bella pensò che si sarebbe accontentato di poco e che le parole sarebbero comparse sulle sue labbra poco per volta. E sarebbe corsa da lui se il portagioie che stringeva tra le sue piccole mani non l’avesse risvegliata. Avrebbe dovuto fare una scelta e preferì salvare i suoi libri, piuttosto che correre verso un qualcosa di sconosciuto.
<< Paul. >> Lo richiamò.
<< Isabella cara. >> La salutò ingenuamente.
Si sentì la gola in fiamme, adesso poteva immaginare il perché i draghi fossero sempre di cattivo umore nelle storie. Con tutte quelle fiamme che sputavano dalla gola, era normale non riuscire a respirare senza scottarsi. E Bella adesso si sentiva proprio come quei vecchi draghi malconci, aveva sputato così tanto fuoco che la sua gola era diventata incandescente e proferire parola diventava troppo doloroso.
<< Devo vendere alcuni gioielli. >> Riuscì a dire con un nodo in gola, << prenditi tutti quello che pensi possa bastare per raggiungere la somma di cinquemila sterline. >> Sussurrò in lacrime allungando il portagioie.
Paul la fissava preoccupato, ma decise di non controbattere, così allungò una mano verso il portagioie e un'altra invisibile verso il cuore di Bella.


Lua:

Premetto che questo capitolo non sarebbe dovuto essere così, che la mia idea originale era un altra, ma scrivendolo, Edward si è imposto di esserci, di farsi sentire e vedere. Qualche volta mi urla così forte che per evitare un bel mal di testa decido di ascoltarlo, ecco, questa è stata una di quelle volte.
Succede tutto così velocemente che anche io sono rimasta sbalordita. Cerchiamo di mettere un pò le idee in chiaro. Allora, Bella ascolta la conversazione che avviene tra Miss Popper e l'usuraio, così spegne il cervello e agisce d'impulso. Quello che fa è un grande passo avanti, perchè per salvare la libreria è entrata nella stanza dei suoi genitori, chiusa a chiave da anni. Ovviamente crolla, non è abbastanza forte per rialzarsi e combattere da sola, eppure riesce a rimettersi impiedi e correre all'oreficeria.
Il signor Thomson era un vecchio amico degli Swan, lui conosce Bella sin da bambina, dato che abitavano a pochi isolati, quindi non c'è da sorprendersi se si danno del "tu".
L'incontro inaspettato con Edward come ho detto prima, è stato un incontro un pò fortuito se così vogliamo dire. Edward e Bella non si sarebbero dovuti incontrare dentro l'oreficeria, e possiamo dire che alla fine è stato così. Bella non ricordava il particolare del bracciale, e soprattutto non poteva immaginare che Edward l'avrebbe scoperto quel piccolo nome, ma soprattutto capire che fosse un negozio e non il nome del proprietario del bracciale. Potrebbe essere tutta farina del suo sacco, come potrebbe non esserlo, io non vi dirò nulla.
Vi chiedo perdono se ho interrotto il capitolo probabilmente sul più bello, ma nel prossimo troverete una sorpresa che spero gradirete.
Detto questo vorrei ringraziare chi ha recensito il capitolo precedente e chiunque legga questa storia. Ogni parola è per me fonte di enorme gioia.
Qualcuno è riuscito a capire chi fosse la ragazza, altri ancora no. Alcuni, invece, con mia grande sorpresa hanno quasi scoperto un passaggio importante della storia, altri invece sono completamente fuori strada. Mi piacciono i vostri ragionamenti e mi diverto molto a leggerli, quindi non smettere mai di farli.
Mi è stato chiesto cosa pensassi io dell'amore. Io come alcune di voi, credo che l'amore a prima vista non esista, che non può esistere, però credo nel collegamento tra due anime, come una specie di connessione. Credo che esista davvero l'altra metà della mela e che quando si incontra si capisca subito che sia quella giusta. Credo che tutti gli amori possano finire, ma sperare in un amore eterno, o almeno finchè morte non ci separi, non è un reato.
Mi scuso anticipatamente per questa nota kilometrica.
Un bacione a tutte voi.

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Capitolo 7
*** They know the Cherubim have a rival on Earth? ***


6.They know the Cherubim have a rival on Earth? Vorrei dedicare questo capitolo a Jazzina_94 (non puoi neppure immaginare quanto le tue parole mi abbiano fatto piacere, è grazie a te, se sono riuscita a concludere questo capitolo)



                                                                                     


6. They know the Cherubim have a rival on Earth?
Entrai nella libreria e aspirai quel profumo di carta e magia che,
inspiegabilmente a nessuno era ancora venuto in mente di imbottigliare.
Il gioco dell'angelo - Carlos Ruiz Zafòn




Bella dormiva, o meglio, stava sdraiata sul letto con gli occhi chiusi. Dietro le sue palpebre, nella completa oscurità, vedeva riflesse ombre che prendevano strane forme, mentre la sua mente viaggiava nel ricordo di quella lunga giornata.
Accanto al letto, sopra il comodino pieno di libri e cianfrusaglie, aveva posato la busta contenente il denaro per salvare la libreria di Miss Popper, quella che lei riteneva la sua libreria.
C’era riuscita. Aveva venduto quasi tutti i gioielli, raccogliendo esattamente cinquemila sterline e due pence. Probabilmente un centesimo l’avrebbe regalato a Margaret, come premio per averle fatto quasi venire un infarto.
E l’altro, invece, l’avrebbe regalato al musicista, per averle acceso qualcosa dentro il suo corpo.
Un incontro fortuito avrebbe detto, se tutto ciò fosse accaduto qualche anno prima, ma adesso, dopo tutto quello che le era successo, dopo tutto quello che aveva vissuto sulla sua pelle, l’avrebbe solo chiamato uno strano scherzo del destino.
Adesso, mille domande le pungevano le pareti della testa e altrettante paure le martellavano sul cuore, saltellandoci sopra come un tappetino elastico, tutto ciò che lei voleva, era conoscere il musicista e al contempo maledire la prima volta che l’aveva visto, che l’aveva ascoltato, che gli aveva permesso di entrare nella sua anima.
Si strinse forte il cuscino al petto e lasciò che i pensieri si liberassero nell’aria, senza un ordine, perché era così che le aveva insegnato sua madre quando non riusciva a prendere sonno. Contare le pecore non serviva a nulla, rilassare i muscoli era una tecnica obsoleta, tutto ciò che avrebbe dovuto fare, era lasciare libertà ai pensieri, sia brutti sia belli, e riprenderli poi, il giorno dopo, magari all’alba, quando il sole ancora non era sorto completamente e non c’era il rischio che venissero bruciati.
In quel preciso istante Bella si addormentò, dentro di lei il vuoto, intorno al suo esile corpo una miriade di pensieri, di paure, di sogni e di speranze riempivano ogni particella di ossigeno presente nella stanza.
 
 
Il giorno seguente, Bella si alzò molto presto. Era agitata e non vedeva l’ora di consegnare i soldi a quell’uomo, per poter riprendere a respirare.
Fece ogni cosa con il triplo della velocità che usava, solitamente, nelle normali mattine.
Riordinò la stanza rifacendo semplicemente il letto.
 Si fece una doccia veloce, e fredda, perché la sua pelle bruciava e peggiorare la situazione non era proprio il caso.
Lavò i denti con forza, e temette di  averli danneggiati per la troppa foga.
Indossò una maglia colorata, invece delle solite maglie monocolore che usava per non attirare l’attenzione.
Si dimenticò persino di legare i lacci delle Converse, rischiando di inciampare più di una volta.
Non bevve il suo The, quello che solitamente prendeva per cominciare la giornata, esattamente come faceva sua madre.
Per la troppa fretta dimenticò l’elastico, con cui solitamente legava i capelli, sul mobiletto del bagno.
E per la prima volta, uscendo di casa, non alzò gli occhi verso il cielo, non sapendo quindi di che colore fosse precisamente.
Quella mattina si poteva dire che Isabella non era la stessa di ieri, non era veramente in lei, ma poi chi poteva mai saperlo, se la vera Isabella era scomparsa da tempo?
 
Quando arrivò di fronte la libreria di Miss Popper, il cuore le batteva furioso nel petto. Era stata incosciente, aveva agito senza riflettere ma soprattutto senza parlarne con Margaret. Tutto ciò che adesso sperava era di essere arrivata in tempo.
Entrando, non sentì alcun rumore, così si avvicinò al magazzino, ma trovò la porta chiusa. Stava per entrare quando una mano si posò sulla sua spalla, facendola sobbalzare, spaventandola.
Si voltò ansante, scontrandosi con due occhi cerulei.
<< Bella, cosa ci fai qui a quest’ora? >> le domandò leggermente irritata Margaret, i suoi bellissimi occhi la osservavano circospetti.
Bella si posò una mano sul cuore, cercando di regolare il respiro, << io…so tutto. >>
<< Tutto cosa? >> Le chiese Margaret guardandola attentamente.
Isabella fece sedere Margaret sullo sgabello dietro la scrivania, aveva comunque una certa età.
<< Dove sei stata ieri? >> Le domandò Margaret con tono preoccupato.
Bella scosse la testa, non era la domanda giusta.
<< Perché non sei venuta, stavi poco bene? >> Continuò l’anziana signora sistemandosi la piega della sua lunga gonna verde acqua, << non sentivi il telefono suonare? >>
<< Ho sentito tutto. >>
<< Tutto cosa? >>
<< Ieri mattina ero qui. >> Confessò tenendo gli occhi bassi.
Margaret nascose il viso dietro le mani, << mi dispiace tanto Bella, avrei dovuto dirtelo prima. >>
<< Dirmi cosa? >> La sua voce tremava.
Gli occhi delle due donne si scontrarono, << qualche anno prima che tu venissi a lavorare qui, ho avuto problemi con le vendite. >> Sospirò, Bella la lasciò proseguire, << la banca non voleva concedermi alcun prestito, ed io non avevo intenzione di vendere la mia libreria. Dannazione ci sono cresciuta in questo negozio, mi sono innamorata dietro gli scaffali di questi libri. Non potevo arrendermi. >> La voce di Margaret tremava, mentre i suoi occhi iniziarono a inumidirsi. << Sono stata costretta a chiedere un prestito a quell’uomo. E’ un usuraio. >> Iniziò a singhiozzare e parlare cominciava ad essere difficile, << Mi aveva dato tempo, mi aveva fatto promesse, evidentemente era solo un ottimo attore.
All’inizio si trattava di poco, giusto qualche centinaio di sterline, pensavo di riuscire a rientrare anche negli interessi, ma più passava il tempo, più i soldi aumentavano. Ed io non avevo nulla, come non ho nulla adesso.
Ma prima, quando credevo ancora di potercela fare, mi resi conto troppo tardi che, anche se avevo ordinato nuovi libri le vendite non erano aumentate e così capì di essere davvero in pericolo. Poi sei arrivata tu. >> Disse inondando di cobalto gli occhi scuri di Bella, << che quando hai messo piede in questa libreria sembravi tanto un pulcino bagnato. Ti muovevi tra questi scaffali affascinata e più ti osservavo più mi sentivo felice.  Quando poi hai iniziato a lavorare con me, non potei fare altro che ringraziare il cielo per avermi mandato una ragazza dolce come te, ma anche pagarti, darti quel misero stipendio che ti ritrovi è davvero difficile. Però non mi sono mai pentita Bella, sappilo, perché tu sei la cosa più bella di questa libreria. Purtroppo questo non è bastato, neppure il tuo aiuto ci ha risollevato, non ho più un soldo Bella, siamo costrette a chiudere. >>
Bella le afferrò le mani prima che potesse usarle per coprirsi il viso un'altra volta.
<< No, noi non venderemo proprio un bel niente. >> Disse dura tirando fuori dalla borsa a tracolla la busta contenente le cinquemila sterline.
<< Che cosa sono? >> Chiese Margaret asciugandosi le lacrime con il palmo della mano.
Bella le allungò i soldi, << con questi potremmo pagare il debito, potremmo avere un nuovo inizio. >> Le disse sorridendole.
Miss Popper scosse la testa, << dove hai preso tutti questi soldi? >> le domandò titubante.
<< Ho venduto i gioielli di mia madre. >> Le confessò la ragazza.
Margaret sobbalzò sentendosi così viscida, così insignificante, colpevole, << tu hai venduto… Bella ma sei impazzita? >> le urlò sbigottita.
Isabella iniziò a tremare, << non mi resta nient’altro che questa libreria, non mi resti che tu, non posso perdervi entrambe. >>
<< Ma Bella ti rendi conto di quello che hai fatto? Vendere i cimeli di tua madre è stato come vendere una parte di lei. >>
<< Lo so. >>
<< Non posso credere che tu l’abbia fatto sul serio. >> Margaret si dovette reggere alla scrivania per evitare di cadere.
Bella le strinse le braccia delicatamente, << quel che è stato, è stato. Margaret per favore accetta questi soldi, fallo per me. >> La implorò con le lacrime agli occhi.
<< Non posso. >>
<< Margaret per favore. >>
Miss Popper alzò lo sguardo sul viso della ragazza, e la vide. La vide in tutta la sua tristezza, in tutta la sua debolezza, e le sembrò così piccola che di lasciarla cadere nel tunnel non ne aveva alcuna voglia. Era diventata la sua famiglia, da quando Alfred, il marito, era scomparso.
<< Te li restituirò promesso. >> Si arrese rossa in volto per la vergogna.
Bella la strinse in un abbraccio, << grazie, nonna. >>
Nessuna delle due sapeva cosa significasse quella parola detta in quel momento. Margaret non era la nonna di Bella, e Isabella non era sua nipote, avevano però un collegamento, magari non molecolare, ma qualcosa dentro di loro scoppiò grazie a quella parola, ma purtroppo nessuno delle due se ne accorse.
 
Bella vide l’usuraio chiudersi l’uscio dietro le spalle e per poco non scoppiò a piangere per la troppa felicità. La libreria era salva e nessuna delle due donne aveva più di che preoccuparsi, almeno per il momento.
Quando Miss Popper si chiuse dentro il magazzino, Bella poté finalmente tornare a occuparsi delle sue normali mansioni, senza però riuscire mai a liberarsi dalla mente il ragazzo del giorno prima.
Per la troppa preoccupazione non era riuscita neppure a capire se quel ragazzo sarebbe venuto a cercarla o meno. Sapeva dove lavorava, ma non conosceva il suo nome, il suo volto, quindi poteva benissimo fingere di non essere lei. Eppure quando la porta della libreria si aprì, e comparve l’ombra di un ragazzo con una chitarra in spalla, Bella ne fu convinta, non sarebbe mai stata in grado di mentirgli.
Il musicista esaminò la stanza prima di posare gli occhi sulla ragazza dietro la scrivania, ma non appena la vide, qualcosa scattò in lui. Come se entrambi l’avessero sempre saputo chi fossero l’uno per l’altra.
Si avvicinò a Bella lentamente, quasi preoccupato di poterla ferire anche con un solo sguardo.
Quando si trovarono uno di fronte all’altro rimasero in silenzio, contemplandosi. Così vicini Bella potè concentrare la sua attenzione su quello sguardo che inspiegabilmente la faceva sentire vuota e piena allo stesso tempo. Occhi che la trafigevano da parte a parte, solleticandole la pelle gentilmente. Se lei in quel momento credette di essere in un sogno, lui, il musicista, si sentiva lo stomaco in subbuglio, come quando alla sua prima recita dovette entrare in scena. Era agitato perchè sapeva che all'ora tutti gli occhi si sarebbero puntati sulla sua figura e le orecchie degli spettatori si sarebbero tese per ascoltare la sua battuta. Adesso però, quell'effetto era solo una singola persona a procurarglielo, una ragazza, dagli occhi color del cioccolato, con la stessa intensità di una colata di lava fondente, e si sentì bruciare quando quegli occhi lo guardarono. Lui che era sempre stato un ragazzo difficile da leggere si stava lascinado sfogliare da una sconosciuta. Che fine avrebbe fatto se lei l'avesse continuato a fissare in quel modo?
Il ragazzo prese coraggio e si decise a parlare, estraendo dalla tasca il braccialetto di Bella.
<< Questo dovrebbe essere tuo. >> Le disse dolcemente, allungandole il braccialetto.
Come può guardarmi negli occhi e vedermi per quella che sono, come può sapere che questo bracciale sia mio, senza che nessuno gliel’abbia detto. E se le stelle sta notte si fossero adagiate sui suoi occhi mostrandogli il mio volto? Si può perdere la cognizione del tempo quando davanti a sé si ha l’eternità in uno sguardo?
Isabella lo prese dal palmo della sua mano, tremando. << Lo è. >> Non sarebbe mai stata in grado di mentirgli.
<< Te lo restituisco. >> Sorrise il ragazzo, fermando la mano di Bella a mezz’aria. Con la sua di mano bloccò il polso di Bella che subito si sentì scottare da quel contatto. Si fissarono entrambi, in silenzio.
Lui già sapeva chi fosse, forse, l'aveva sempre saputo.
Fu Bella a parlare. << Puoi tenerlo se vuoi. >>
Puoi tenerlo insieme all’anima che mi rubi, quando ti ascolto cantare, chi sei viandante? Dovrei avere paura di te oppure lasciarmi ammaliare dai tuoi occhi?
Il ragazzo scosse la testa, aprendo il gancetto del bracciale, per poi chiuderlo intorno al polso di Bella. << Sai avrei tanto voluto conservarlo io. Irradia una strana energia questo ciondolo, mi carica, mi rende forte, ma vorrei ridarlo alla sua legittima proprietaria. >> Indugiò parecchio sulla sua pelle, senza riuscire a spostare le dita.
Bella rimase immobile, il cuore batteva così furiosamente nel petto che probabilmente anche Miss Popper dal magazzino riusciva a sentirlo. << Io non credo di avvertirla questa energia, per cui tienilo, è tuo, a me non serve. >> Lo disse senza però spostare la mano da quella del musicista. Parole e gesti in eterna contraddizione.
<< Sono venuto fin qui per consegnartelo, non torno indietro se devo riportarlo con me. >> Sussurrò infine il ragazzo lasciando la mano di Bella.
Lo sanno i Cherubini di avere un rivale sulla Terra?
Quest’ultima non riusciva a smettere di guardarlo, finalmente era qui. Sentiva la sua voce, percepiva la magia anche senza che lui cantasse. << Va bene, e tu come farai senza quest’energia? >> chiese timidamente.
<< Tornerai ad ascoltarmi? >> Domandò il musicista, lasciando Bella interdetta.
<< Si. >>
<< Allora non ne avrò più bisogno. >>
Il ragazzo si voltò, dandole le spalle. I suoi occhi scrutavano la numerosa pila di libri sullo scaffale di fronte alla scrivania dove sedeva Bella. Quest’ultima lo fisso incuriosita, perdendosi di nuovo nel suo profumo, ancora una volta così vicino.
Il musicista posò la chitarra sul pavimento facendo due passi verso lo scaffale e iniziò a leggere i titoli di alcuni libri. Bella rimase in silenzio, troppo presa dai suoi movimenti per poter proferire parola.
Lo guardava incredula, come se fosse tutta una visione scaturita dalla sua mente malsana, in astinenza.
Il ragazzo prese un libro tra le mani stando attento a non far cadere tutti gli altri, posati malamente sulla mensola.
<< Dal momento in cui decidiamo di non aver più paura… >>
Bella sospirò, << nulla ha più potere contro di noi. >> Concluse abbassando lo sguardo.
Il ragazzo si voltò di scatto verso la ragazza dai lunghi capelli color mogano, i suoi occhi incontrarono quelli sfuggenti di Bella e una scarica elettrica invase il suo corpo.
<< E’ un bel libro. >> Commentò il ragazzo agitandolo leggermente.
Isabella l’aveva letto una volta sola, ma quella frase l’aveva colpita come un pugno in pieno stomaco, semplicemente perché lei aveva ancora paura.
Il ragazzo rimise il libro a posto e si voltò ancora una volta per prendere la sua chitarra. << E’ una bella libreria. >> Sorrise guardandosi intorno.
Isabella non riusciva a parlare.
<< Allora ci si vede, Bella. >> Salutò il ragazzo inconsciamente, senza essersi reso conto di aver pronunciato il suo nome. Si bloccò di botto, voltandosi verso la ragazza che lo fissava incredula.
Isabella lo guardò per un tempo che parve indeterminato, << conosci il mio nome. >>
Non poteva saperlo, Paul non gliel’aveva detto, lui non l’aveva voluto sapere, pensò Bella agitata.
Il ragazzo abbassò la testa, passandosi una mano tra i capelli. Bella rimase colpita da quel gesto, ancora non lo sapeva che presto avrebbe imparato a riconoscerlo, questo e tutti gli altri che lui avrebbe fatto.
<< Perdonami, ma la verità e che non sono venuto fin qui solo per riportarti il bracciale. >> Ammise ritornando indietro di qualche passo, adesso era di nuovo di fronte al bancone, di nuovo di fronte a Bella.
Quest’ultima lo fissava, lo ammirava, e tremava.
Possibile che non si fosse accorto di avere di fronte a se la stessa ragazza di ieri?
<< Conosco il tuo nome da così poco tempo, eppure lo ripetuto miliardi di volte, che ormai nella mia testa risuona solo questo. >> Confessò imbarazzato, << la verità e che avevo bisogno di dare un volto a questo nome. >>
<< Ci sei riuscito. >> Sussurrò Bella, catturando ancora di più l’attenzione del musicista, che non riusciva a smettere di osservarla.
<< Quando ascolto la tua voce tutto il vuoto viene riempito, non c’era mai riuscito nessuno. >> Si sentiva così piccola Bella, così indifesa, aprirsi a uno sconosciuto, che assurdità pensò.
Edward corrugò la fronte, << sei sempre stata tu? Anche il biglietto intendo. >> Non aveva bisogno di spiegare cosa ci fosse scritto sul bigliettino, sapeva che era sempre stata lei.
Isabella annuì imbarazzata.
<< Allora credo che siamo pari. >> Le sorrise dolcemente.
Bella non gli rispose, stava ancora cercando di capire il significato di quell’ultima frase. Il musicista aveva appena aperto la porta per andare via, quando si voltò un ultima volta verso Bella.
<< Io mi chiamo Edward. >> Disse regalandole un sorriso, che mai Bella avrebbe dimenticato.
Lui aveva un nome.
Si chiamava Edward.
Il musicista si richiuse la porta alle sue spalle. Isabella era di nuovo sola, senza magia, senza parole, senza musica.

<< Edward. >> Sussurrò Bella cercando di trovare un collegamento a quello che sentiva nel cuore e quello che accadeva fuori da esso. E adesso poteva capirle le parole del musicista, perché chi sa quante volte lei avrebbe ripetuto, invece, quel nome nella sua testa.




Per favore non uccidetemi, lo so, è un mese che non mi faccio vedere, per giunta vi avevo anche promesso di postare questo capitolo dieci giorni fa, senza riuscire a mantenere la promessa. Non cercherò nessuna giustificazione, perchè sarebbe brutto mentirvi, vi dirò la verità: semplicemente non riuscivo più a scrivere, semplicemente Bella e Edward si erano nascosti e non volevano più raccontarmi la loro storia. E' stato un mese lungo e molte volte ho aperto la pagina di Word senza riuscire a ricavarne nulla, poi, miracolosamente i miei due protagonisti sono tornati, pronti a scoprirsi di nuovo, pronti a raccontarvi la loro storia.
Adesso però mi nascondo in un angolino e lascio a voi ogni commento, e se vorrete alzare le mani sul mio povero corpo, pensate che la violenza non ha mai risolto nessun problema xD
Ringrazio tutte voi per l'immensa pazienza. Da questo momento in poi posterò con regolarità tutti i Martedì.
Grazie a tutte voi. Le vostre parole sono sempre più bella ad ogni capitolo.
Lua93

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Capitolo 8
*** Where were you when it all began? ***


7. Where were you when it all began? Questo capitolo si svolge in corrispondenza con il quinto capitolo Sparks.
Alla fine  troverete le mie note, un abbraccio virtuale a tutte voi, buona lettura!


                                                                         

7. Where were you when it all began?

Il potere della mente consiste nel cogliere le differenze,
quello del cuore nel cogliere le similitudini.
Dolce come il miele - John Penberthy


<< Sta mattina l’ho trovato sotto le lenzuola con gli occhi sbarrati, secondo me non si sente bene. >> Aveva sussurrato Rosalie Hale, nascondendo il viso dietro un’enorme tazza rossa, contenente del caffè bollente.
Rosalie Hale era quel genere di ragazza dalla bellezza etera, troppo perfetta per essere considerata umana, gentile, quasi angelica come la Beatrice del povero Dante. Peccato che Rosalie Hale non fosse ne un angelo ne un musa ispiratrice. Quella ragazza era l’incarnazione perfetta del realismo Verghiano.  Convinta che solo ciò che si potesse vedere era possibile considerare reale. Il fatto e che, lei, Rosalie, da tutti chiamata Rose, non credeva nel potere mistico del braccialetto ritrovato da Edward, e il solo pensiero di potersi sbagliare, la faceva sentire impotente, e lei sentirsi debole lo detestava. Proprio per questo motivo non voleva che il suo amico scoprisse a chi appartenesse il bracciale.
Di fronte a Rose c’era un ragazzo muscoloso, dai bicipiti e tricipiti accentuati, scolpiti e tracciati da un qualche vecchio scultore greco. La sua imponenza anche nell’immobilità del corpo metteva in soggezione, ma bastava sollevare lo sguardo sui suoi occhi, per poter leggere tutta la dolcezza che si trovava appiccicata sulla sua pelle. Indossava una vecchia maglia bianca, con disegnato sopra un sessantacinque verde, sbiadito a causa dei troppi lavaggi. Ascoltava Rose parlare mentre infilava un enorme croissant in bocca, facendo schizzare il cioccolato.
Rosalie lo fissava sbalordita e anche un po’ disgustata, << Dio Santo, Emmett, potresti comportarti un po’ più da persona civile? >>
Il ragazzone, Emmett, scosse la testa ridacchiando, << Che cosa intendi per persona civile? >>
La bionda posò la tazza sul lavandino dando le spalle all’omone che, indifferente si divertiva spesso a prenderla in giro. Senza però mai offenderla, perché lui non le avrebbe mai fatto del male, in nessun modo possibile.
<< Chiunque essere umano al di fuori di te. >> Gli rispose mentre apriva il rubinetto per sciacquare la sua tazza.
<< Grazie per il complimento, >> le aveva gentilmente detto, facendola sorridere, con quel suo tono allegro e giocoso che l’avrebbe sempre rallegrata, in qualsiasi situazione. << Questa volta qual è il problema di Edward? >>
Rose si era voltata verso Emmett cercando nei suoi occhi un briciolo di serietà, e si sorprese quando notò i muscoli di quel bellissimo viso, tesi. Un ciuffo riccio e ribelle si era posato proprio sopra la sua fronte, coprendo un lembo di pelle, che lei non riusciva proprio a smettere fissare.
Difficile concentrarsi, pensò Rose, quando due occhi così ti fissano penetrandoti.
<< Vuole scoprire di chi sia quel bracciale, a tutti i costi. >> Miracolosamente era riuscita a proferire una frase di senso compito anche guardandolo negli occhi.
Emmett si alzò dalla sedia, strisciandola sul pavimento di legno, producendo un suono stridulo e fastidioso. Si avvicinò alla ragazza con passo lento e aggraziato, che avrebbe sorpreso chiunque l’avesse visto muoversi con quella delicatezza, avendo un corpo di così grandi dimensioni. Rose, però non si sorprese per nulla, sapeva invece, quanto quel ragazzo fosse delicato.
<< Lascialo libero di fare ciò che più desidera, se è ciò che vuole, perché opporsi? >> le aveva chiesto abbracciandola da dietro, cingendole per la vita dolcemente.
<< Perché non voglio che si bruci. >> Aveva sussurrato Rose voltandosi verso Emmett. I loro occhi s’incontrarono scatenando una reazione chimica all’interno dei loro organismi. La pelle iniziò a prudere e quella minima distanza non faceva altro che peggiorare la situazione.
<< Non sei la madre Rose, abbiamo la stessa età, lascialo fare anche se sbaglia a farsi male. >> La grande mano di Emmett si posò sul piccolo viso si Rose, accarezzandole la guancia con l’indice, << magari tutto questo è già stato scritto. >>
Rose scosse la testa, << intendi dire che il nostro futuro è già stato deciso da qualcun altro? >>
Emmett annuì, respirando il dolce profumo della sua pelle.
<< E tu pensi di conoscerlo questo futuro? >> le aveva domandato la ragazza avvicinando le labbra a quelle carnose e piene del ragazzo.
<< Certo. >> Le sussurrò con un soffio, << per esempio, nel tuo futuro adesso vedo un enorme letto, ricoperto da sospiri. >>
Un brivido percorse l’intera spina dorsale della ragazza che, tremò ascoltando quelle parole sussurrata con tutta quella dolcezza, << e in tutto questo, tu dove sei? >>
<< Accanto a te, amore. Io ti sono sempre vicino. >> La baciò dolcemente lambendo le sue labbra con calma. Quando si allontanò dal suo viso, le strinse la mano e insieme si allontanarono dalla cucina, avviandosi verso la camera più bella della casa, almeno per loro, che dentro quella stanza avevano costruito tutto il loro universo.
In quella casa accadevano davvero tante cose magiche, e molte volte i sogni diventavano realtà, ma quella mattina, quando Edward uscì dalla sua di camera, si avviò verso l’uscio della porta, stringendo nella tasca il braccialetto della ragazza sconosciuta, e senza rendersene conto, portò con se tutta la magia.
Fu proprio quel giorno che Edward scoprì una piccola incisione sul braccialetto.
Uscendo dal piccolo portoncino, quella mattina Edward aveva estratto il braccialetto al posto delle chiavi di casa, rimanendo sorpreso a fissarlo. Alla luce del sole qualcosa attirò la sua attenzione, i suoi occhi si strinsero in due fessure e il suo cuore cominciò a saltellare allegramente nel suo petto. C’era scritto qualcosa, un nome o un cognome forse, lui questo non lo sapeva.
Fu proprio quel giorno che si ricordò di Thomson P come gioielliere, e avrebbe tanto dovuto ringraziare Rosalie per tutte le volte che l’aveva mandato da lui, per farle sistemare il ciondolo d’argento dal cinturino difettoso.
Il musicista si voltò, rientrando nella sua abitazione, e corse così veloce nella camera di Rosalie che ignorò persino le lamentele di un Emmett decisamente scocciato. Non si accorse neppure di quello che stava succedendo in quella stanza, che di vedere Emmett a torso nudo ormai c’era abituato, ma un po’ ringraziò il cielo di vedere, invece, Rosalie ancora completamente vestita di cielo. Quando ottenne la risposta alla sua domanda, baciò entrambi sulla nuca, correndo come un razzo fuori dalla loro camera. Quella mattina avvenne il primo cambiamento.
Fu proprio quel giorno che si dimenticò di accordare la sua chitarra prima di suonare lungo Oxford Street.
Con la mente ancora completamente immersa in Thomson P, Edward iniziò a suonare la sua chitarra, strimpellando note allegre che vibravano dalle corde. Camminò parecchio quel giorno e la gente che lo vedeva non poteva fare altro che rallegrasi, perché uno sguardo così felice non l’avevano mai visto. Quel giorno si poteva dire che la felicità che albergava begli occhi di quel musicista riscaldava più della melodia della sua voce.
Fu proprio quel giorno che si scontrò contro una ragazza senza alzare lo sguardo per osservarla in volto.
Si voltò frettolosamente, dando le spalle a Paul e senza rendersene conto si scontrò contro un corpo piccolo e caldo. L’afferrò al volo, prendendo una piccola scossa quando si sfiorarono, ma lui troppo impegnato non se ne accorse.
E lui non poteva certo sapere che quella minuta ragazza era la stessa che stava cercando da giorni.
<< Scusami. >> Le aveva sussurrato.
E scusami se me ne sono accorto troppo tardi di te.
Scusami se quando ci siamo incontrati in quel piccolo negozio, ero così abbagliato che neppure mi sono accorto di quanto fossi bella.
Scusami se sono arrivato tardi.
Scusami se sono stato impulsivo e sconsiderato.
E scusami se ti sembro troppo impiccione, ma sai Splendore, io della tua vita voglio sapere tutto.
Scusami se da questa notte entrerò nei tuoi sogni, ma tu, ragazza tutti i giorni vibrerai attraverso la mia voce.
Scusami se parlerò di te al mondo intero, ma proprio non ci riesco a tenermi tutto dentro.
Scusami Splendore, tu però, perdonami che se ti rubo troppe scintille e perché io della tua luce ne ho un bisogno vitale.
Certo, lui tante cose ancora non le sapeva, tante cose di Bella neppure le poteva immaginare, ma conosceva il suo nome, e grazie a Paul anche dove lavorava, e forse la prossima volta avrebbe tenuto gli occhi aperti anche mentre suonava, che l’occasione di conoscere quella ragazza non voleva più perderla.
Fu proprio quella sera che si decise a rischiare, promettendo a se stesso che il giorno seguente sarebbe entrano nella misteriosa libreria, per incontrare la sua Bella.
Quella sera in quella casa accadde qualcosa, e dei cinque ragazzi che ci vivevano, solo una se ne accorse.
Una ragazza dai capelli corti e neri, dagli occhi verdi e sinceri, che si divertiva spesso a intingere le mani in colori pastelli e stringere tra le dita matite spuntate.



Eccomi qui come promesso, puntuale come un orologio svizzero, che brava che sono stata vero?
Mi scuso per questo capitolo un pò più corto del precedente, ma non potevo fare altrimenti. Qui non solo diamo un nome alla ragazza bionda del quarto capitolo, Rosalie, ma incontriamo anche Emmett. Ho cercato di mantenere fede alla descrizione fatta dalla Meyer, ovviamente apportando qualche modifica. La mia Rosalie prima di tutto non sarà nè cinica nè insensibile, al contrario sarà una donna passionale e caratterialmente molto profonda. Anche se credo che la Rosalie originale, quella descritta dalla Meyer non sia affatto cinica, al contrario è un personaggio complesso, che andrebbe analizzato sotto più punti di vista. Ma in questa storia avrà un altro ruolo. Per lei, Edward, è come un fratello, per questo si preoccupata molto per lui. Con l'avanzare dei capitoli scopriremo molto di più, per esempio perchè vivono tutti insieme, qual è la storia di Edward e degli altri coinquilini. Tutto verrà spiegato a tempo debito, promesso.
In questo capitolo seguiamo Edward e come è riuscito a sapere di Bella, avrei dovuto inserire anche la parte in cui i due si incontrano e parlano, ciò che Edward ha provato in quel momento, ma ho preferito non inserirla, anche perchè credo di averlo spiegato nel precedente, ma non è detto che non faccia degli extra, vedremo, la storia è ancora all'inizio.
Importante è la parte finale del capitolo, siete riuscite a capire di quale personaggio si tratta?
Lascio a voi ogni commento.
Ringrazio come sempre chi mi segue, chi ha inserito la storia nelle preferite, ricordate, seguite e tutte le ragazze che mi hanno aggiunto come autrice preferita.

Inoltre ringrazio
Alone in the dark  per le splendide parole.
Vi lascio il mio contatto di facebook, aggiungetemi senza problemi, per qualsiasi dubbio o domanda io sono sempre disponibile: Lua93
Altra piccolissima cosa, volevo ringraziare le 6000 visite di The Butterfly Effect. Un numero così alto non l'avevo mai visto. Idem per Buskers, che ha già raggiunto le 1000 visite. Grazie grazie grazi.
Un bacio a tutte.
Lua93.




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Capitolo 9
*** There's always an oasis in every desert. ***


8. There's always an oasis in every desert. Buona Domenica ragazze, il capitolo è arrivato, come promesso.
Un abbraccio virtuale a tutte voi, buona lettura ci ritroviamo alla fine del capitolo.



                                                                               


8. There's always an oasis in every desert.

Vivo sospesa, tra sogno e quotidianià
io mi ero persa per strade sconosciute
già cambiate prima di arrivare.
Nathalie - Vivo Sospesa



Passare un’intera giornata con la mente bloccata nei meandri dei ricordi, non era ciò Isabella avrebbe desiderato fare quel giorno. Che di tutte le azioni svolte in quelle ore di lavoro, solo accogliere nuovi volumi nella libreria, l’avevano distratta di qualche minuto, prima che la sua mente potesse tornare al giorno precedente. E Bella sapeva che era sbagliato, ed era la prima volta, che quando Miss Popper le rivolgeva la parola, lei non le rispondeva, lei non l’ascoltava, lei non le prestava attenzione. E ora che gli occhi chiari e brillanti di Margaret la scrutavano, Bella pensò che fosse possibile leggere nelle iridi i pensieri, per questo evitava lo sguardo dell’anziana, imbarazzata.
<< Oggi sei piuttosto distratta, o sbaglio? >> le aveva domandato con tono sarcastico, Margaret.
Bella pensò che almeno la verità avrebbe dovuta saperla, che infondo in minima parte era anche grazie a lei se i due ragazzi si erano conosciuti.
Ma preferì non dirle niente, non raccontarle di quel giovane musicista che le aveva procurato un insonnia di un intera notte. Che non era ancora arrivato il momento di raccontarle chi fosse e come si fossero conosciuti. Perché, infondo, pensò Bella, non era importante, che magari non l’avrebbe neanche più rivisto, o se anche fosse avvenuto il contrario, due mondi così lontani non potevano di certo entrare in collisione. Così Isabella scosse la testa, sistemandosi una ciocca di capelli color mogano dietro l’orecchio, << certo che no, cosa te lo fa credere? >>
<< Forse dipende dal fatto che è tutto oggi che ti parlo e tu non mi ascolti, o forse sono i tuoi occhi. >> Le aveva sussurrato dolcemente. Bella sobbalzò preoccupata, che avesse forse intuito qualcosa?
<< Cos’hanno i miei occhi? >> le aveva chiesto interrompendola.
Miss Popper scoppiò in una fragorosa risata, che vibrò nell’aria, solleticando le copertine impolverate dei vecchi libri, << brillano di luce propria, come se questa notte qualcuno ti avesse incastonato due stelle all’interno della pupilla. >>
Bella pensò fosse impossibile, poiché quella notte non era riuscita a tenere le palpebre abbassate per più di trenta minuti.
<< Non dire sciocchezze Margaret, sono sempre la stessa. >> Ridacchiò, << forse avete ragione a dire che sono distratta, ma tutto dipende dalla stanchezza e dalla paura, non dimenticare che solo ieri credevamo di aver perso tutto. >> Le aveva risposto, cercando di sviare il discorso. Non era brava a mentire, e questo lo sapevano bene entrambe.
 Margaret non era molto convinta di quelle parole, ma si lasciò cullare da quella piccola bugia, sapeva che tanto, prima o poi, Bella le avrebbe confessato ogni cosa.
<< Credo tu abbia ragione. >>
Credi, esatto. Almeno tu in qualcosa riesci a crederci. Io ormai non so neppure se esiste qualcosa per cui vale la pena di credere, che ho una paura matta di perdermi di nuovo, quando ancora non sono riuscita a trovarmi completamente. Ed è la mancanza di questa realtà che mi porta a perdere la fiducia, e come posso credere alla felicità? Non dopo tutto quello che è successo, non dopo che ti vedi strappare via metà di te stessa, perché era questo mia madre per me. Era la mia metà.
<< Che ore sono? >> le aveva chiesto subito dopo, riportando Bella sul pianeta Terra, dove davvero sono in pochi le persone che credono.
Isabella si voltò verso l’orologio bianco appeso alla parete, proprio sopra la scrivania, << sono quasi le quattro. >> Le aveva risposto con un mezzo sorriso.
Margaret allora si avvicinò all’attaccapanni afferrando il cappotto rosa cipria che era solita indossare in quella stagione, e con un sorriso che irradiava gioia si voltò verso Bella.
<< Andiamo, è proprio ora del tè. >> Le disse afferrando il braccio della ragazza con dolcezza, in modo da farla voltare verso la porta.
Bella prese velocemente il suo giubbotto, senza lasciare il braccio di Margaret. Decise di non indossarlo, che quel giorno il cielo le aveva regalato una giornata calda e luminosa.
<< Una bella tazza di tè con biscotti è quel che ci vuole. >> Continuò a dire, mentre chiudeva la porta della libreria alle sue spalle.
Bella l’osservava senza dire nulla, perdendosi nel profumo dolce e familiare della donna, che da tanto ormai era diventata la sua ancora di salvezza.
Quando s’incamminarono per l’affollata Notting Hill, Bella si accorse di quanto fosse piccola e indifesa Margaret, di come quando si trovasse immersa in altri corpi, le risultava difficile dover lottare per fare anche solo un piccolo passo. E un nodo allo stomaco l’avvolse togliendole il respiro, perché Bella lo sapeva bene che, non sarebbe durata in eterno. Che così piccola, con tutti quegli anni che sorreggeva sulle spalle e gli odori appiccicati sulla sua rugosa pelle, non poteva essere certa di quanto ancora potesse durare. Ed era proprio per questo che Bella la strinse più forte, che comunque il coraggio di lasciarla non l’avrebbe mai avuto.
<< Vieni, questa mattina ho notato un nuovo bar, e mi piacerebbe molto provarlo. >> Le disse trascinandola verso una traversa che Bella non aveva mai percorso. << Si chiama, Apostròphe, mi sembra, non ricordo molto bene. >> Ridacchiò, coinvolgendo anche Bella, che le sorrise lasciandosi travolgere da uno strano profumo portato dal vento.
Con ancora la sua mano stretta al braccio di Bella, Miss Popper continuava a parlare, cercando di distrarre Isabella. Quella ragazza era la forma più palese e rara del cambiamento. Non poteva di certo dire che la conosceva da una vita, eppure da quando i suoi occhi si erano posati su quelli scuri e spenti di Bella, Margaret si era sentita come in dovere di aiutarla. Che lo sapeva bene non poteva essere cambiata così tanto, anche dopo la morte di una persona cara. Ma Bella non rispettava mai i canoni di nessuno studio o ricerca scientifica, il suo cervello viaggiava in frequenze che le persone non riuscivano a captare, neppure la stessa Miss Popper, e forse, era proprio per questo che in molti le avevano voltato le spalle, tranne Margaret. E le sarebbe tanto piaciuto conoscere la vera Bella, quella che non si sarebbe mai nascosta dietro le pagine di un vecchio libro, ma le avrebbe sorriso, raccontandole magari, la cotta presa per un bel ragazzo, così come avrebbe fatto se fosse stata ancora integra. Perché si era capito bene, che Isabella Swan si era persa in un labirinto, senza cibo e acqua, e chi sa per quanto tempo sarebbe ancora sopravvissuta.
Ciò che nessuno delle due donne, in realtà sapeva, era il bisogno quasi irrazionale che avevano di sentirsi amate. Una perché convinta che la vita le avesse voltato le spalle, l’altra che senza la sua famiglia andava alla deriva.
<< Credo sia quello con l’insegna rosa. >> Le aveva detto Margaret stringendo la presa sul suo braccio.
Bella si guardava intorno spaesata, come se percorrere un nuovo tratto di strada fosse qualcosa di assolutamente sconvolgente. << Sbrighiamoci. Questi nuvoloni neri non mi sembrano molto socievoli. >> Continuò con voce allegra.
Isabella si lasciò trascinare dentro il bar sentendosi leggera come una piuma. Quei nuvoloni pieni di acqua piovana le piacevano. Le piaceva la pioggia. Le piaceva sentirsi abbracciata da qualcosa proveniente dal cielo, come se fosse la madre che con un sussurro le spediva calore attraverso le goccia di pioggia. Bella aveva una mente diversa dalle altre, e ragionava anche in maniera diversa, a volte quasi opposta.
<< Ci sediamo qui? >> le domandò Margaret posando le mani sulla sedia di legno, all’interno del bar. Bella annuì, e imitando l’anziana signora, si sedette.
<< Allora, >> proruppe Margaret, << Bella, pensi di riuscir melo a fare un sorriso? >>
Bella parve presa alla sprovvista, perché assunse un’espressione sorpresa, socchiudendo la bocca leggermente. << Margaret, come mai tutta quest’apprensione oggi? >>
<< Oh bambina, io mi preoccupo sempre per te. >> Le aveva sorriso dolcemente, posando la mano su quella della ragazza.
Un cameriere si avvicinò al loro tavolo, catturando l’attenzione delle due donne.
<< Buon pomeriggio. >> Le aveva salutate cordialmente, rimanendo con gli occhi fissi sul corpo minuto di Bella, più del dovuto. Margaret se ne accorse, e con uno schiocco di dita, riuscì ad avere l’attenzione del giovane.
<< Buon pomeriggio, >> gli aveva detto, sorridendogli sornione, << James. >> Aggiunse, leggendo il nome sul cartellino attaccato alla divisa color cachi del ragazzo.
Bella osservò il ragazzo stando attenta a non farsi notare, le sue guancie divennero improvvisamente rosse, quando si accorse di aver fissato per troppo tempo gli occhi azzurri del giovane. Di un azzurro più limpido di quello di Margaret, con molti meno anni di esperienza, ma con un incredibile barlume di felicità dipinto all’interno.
<< Che cosa posso portarvi? >> aveva chiesto alle donne, tornando questa volta sugli occhi di Bella.
 << Io una tazza di tè con qualche pasticcino alla crema. >> Aveva risposto Margaret.
 Il ragazzo prese appunti sul taccuino che stringeva tra le mani, senza abbassare mai lo sguardo dal viso di Bella. La ragazza arrossì maggiormente,  quando si rese conto di non avere ancora scelto.
 << A te invece cosa posso portarti? >> le sorrise divertito, << hai qualche desiderio particolare? >> continuò sperando che Bella capisse che dietro  quella richieste si nascondeva un incredibile voglia di strapparla da quel tavolo per portarla magari sul retro, e riempirla di  baci e carezze che forse,  tanto romantiche non sarebbero state.
 << Vuoi anche tu del tè? >> continuò muovendo le labbra e a ogni interruzione le sorrideva cercando di ammaliarla.
 Bella che nel frattempo aveva iniziato a capire qualcosa, cercò quindi di liquidarlo con una risposta semplice e diretta, << prendo una cioccolata calda, senza panna e zucchero. >>
Il ragazzo scrisse velocemente, poi con un mezzo inchino si allontanò dal tavolo delle due donne.
Margaret rimase in silenzio fin quando il giovane non si fosse allontanato del tutto.
<< Adesso capisco perche non vuoi mai uscire da casa. >> Le aveva detto infine, certa che nessuno poteva sentirle.
<< Che cosa intendi dire? >> le domandò Isabella sistemandosi una ciocca di capelli dietro l’orecchio.
Miss Popper ridacchiò facendo un cenno in direzione del ragazzo dietro il bancone, intento a preparare la cioccolata calda, << non ti piace essere corteggiata, Bella? >>
La ragazza arrossì di botto, abbassando la testa. << Non capisco. >>
<< Oh andiamo tesoro, hai capito benissimo, quel ragazzo ti stava mangiando letteralmente con gli occhi. Certo questo non mi sorprende per nulla, considerando che tu sei una bellissima ragazza, eppure rimango sempre sorpresa e un po’ ammaliata dai diversi modi che hanno adesso i giovani per avvicinarsi a una ragazza. >> Le disse senza il minimo imbarazzo.
Bella non si era mai lasciata andare da quel punto di vista, non aveva mai parlato di certi argomenti con Margaret. Non perché non si sentisse abbastanza in confidenza, ma più per l’imbarazzo che le avrebbe causato aprirsi per certi discorsi.
<< No, non credo, voglio dire, quel ragazzo era solo molto gentile. >> cercò di convincere sia lei sia Margaret con quell’affermazione, del tutto sbagliata.
Miss Popper le sorrise apprensiva, << Bella non ci sarebbe nulla di male, sei giovane, perché non lasciarsi andare all’amore? >> le aveva chiesto dolcemente.
Isabella scosse la testa, << non è una mia priorità in questo momento trovare un fidanzato. >> Aggiunse cercando di sviare il discorso.
<< Neppure io ne avevo voglia, eppure accadde tutto così all’improvviso. Ricordo ancora la prima volta in cui Alfred ed io c’incontrammo. >> Margaret tornò indietro nel tempo, riflettendo sulla superficie limpida dei suoi occhi l’incontro perfetto di due anime, << era l’estate del sessantacinque, avevo da poco compiuto vent’anni, quando con alcune mie amiche decidemmo di fare una vacanza. >>
<< Due anni prima, grazie a Mary Quant, tutte le donne del mondo si sentirono più libere di essere ciò che erano, mostrando ciò che il Signore ci aveva donato con tanto amore. >> Ridacchiò, << due belle paia di gambe, da poter mettere in mostra. >>
Bella le sorrise, posando i gomiti sul bancone, mentre si sentiva trascinare dalle parole di Margaret.
<< Quel giorno, ricordo, di aver indossato la minigonna per la prima volta. Mi sentivo estasiata e anche molto affascinante, >> Annuì felice di poter tornare indietro nel tempo, << quando ero giovane attiravo sempre un sacco di sguardi, ero bella e consapevole di ciò, mi divertivo a far cadere gli uomini ai miei piedi. Senza mai cadere nel volgare. >> Disse subito chiarendo il primo dubbio di Bella.
<< Comunque sia, io e le mie amiche, decidemmo di andare in Spagna e con l’aiuto dei mie genitori, programmammo una bellissima settimana in un paesino sperduto della nazione. Adesso a distanza di anni sono certa che quel paesino sia il punto d’incontro per tanti innamorati. >>
James, il cameriere, raggiunse il tavolo delle due donne, disponendo la tazza di tè di fronte Margaret, e la cioccolata calda invece, accanto a Bella. Prima di andare via le sorrise, lanciandole un occhiata molto eloquente.
<< Caparbio il ragazzo. >> Commentò Margaret ma Bella era troppo presa dal racconto per interromperla con parole inutili.
Margaret bevve un sorso di tè, lanciando un’occhiata fugace a Bella, << posso continuare? >>
Isabella annuì, ormai troppo curiosa di sapere di più su quell’uomo che tanto aveva fatto innamorare Margaret.
<< Il primo giorno di vacanza, mentre le mie amiche erano scese sulla spiaggia, io preferì fare una passeggiata lungo mercatini pieni di cianfrusaglie. Indossavo la minigonna per la prima volta, per l’appunto, e mi sentivo al settimo cielo, perché una volta le ragazze non avevano tutta la libertà di oggi. E per me, quella vacanza significava aver raggiunto l’indipendenza. >>
<< Avevo girato tutto il mercatino, e alla fine, decisi di sedermi su un muretto che si affacciava al mare. >> Sorrise, poi riprese a parlare, << quando, a un certo punto, un ragazzo si avvicinò, puntando i suoi occhi dritti nei miei. Ci fu una scossa, qualcosa d’indescrivibile, che mi costrinse a sorreggermi per evitare di precipitare. Cadere ancora non so dove, dato che ero stabile, ma qualcosa mi convinse a reggermi, che quel ragazzo molto presto, sarebbe stato in grado di farmi venire le vertigini. >>
Bella continuava a girare il cucchiaio dentro la cioccolata, dimenticandosi che erano ormai cinque minuti che continuava a farlo. Le parole di Margaret arrivavano al suo cuore, lanciando scosse continue.
<< Mi chiese di andare con lui, che una ragazza come me non l’aveva mai vista. >> Gli occhi di Margaret si fecero rossi e lucidi, << mi disse che voleva conoscermi, anche solo sapere il mio nome gli sarebbe bastato. >> Sussurrò, << quell’uomo con le parole era sempre stato dannatamente bravo. >>
<< Ed io non sarei dovuta andare, perché sapevo che, non avrei mai dovuto dare retta ad uno sconosciuto, soprattutto se di sesso maschile. Ma fu il suo sguardo a farmi innamorare, furono i suoi occhi, del colore del ghiaccio a convincermi ad alzarmi e seguirlo. Venni presa da un improvviso attacco allo stomaco, e fu allora, quando mi sorrise per la prima volta, che capì cosa intendevano le persone con il termine farfalle nello stomaco. Avvenne ciò che oggi voi giovani chiamate colpo di fulmine. >>
Bella rimase incantata, con gli occhi lucidi per l’emozione, e un nodo stretto in gola.
 << Quella settimana fu la più bella di tutta la mia vita, rimanemmo attaccati per tutti i giorni e tutte le ore. Alfred ci sapeva fare con le donne, in particolare  ci  sapeva fare con me. >> Margaret inzuppò un biscotto nel tè, stando attenta a non farlo sbriciolare.
 << Il nostro non è stato un incontro da favola, ma ti assicuro che i suoi occhi, oh gli occhi di Alfred si che erano favolosi. >> Trillò allegra, sembrava molto più  giovane quando parlava del suo amore per quell’uomo.
 << La passione ci travolse come un fiume in piena e quando al termine della settimana, dovetti tornare a casa, lo trascinai con me a Londra. >> Ridacchiò  ritornando indietro nel tempo, rivivendo conversazioni eterne, e continuando a sognare anche se ormai il sogno era terminato, << Insieme aprimmo la  libreria,  eravamo entrambi grandi amanti della lettura. Dopo un fidanzamento che durò anni, decidemmo si sposarci. Mancava davvero poco, meno di un  mese. Ma quel nostro sogno d’amore non venne mai coronato. Un incidente d’auto me lo portò via. >> Bella sapeva che sarebbe arrivato il finale triste, lo sapeva bene quanto Margaret avesse sofferto per quella perdita. << Non ho dormito per giorni, non ho mangiato per ore, ricordo di essere stata quanto c’è di più simile ad un automa. >> Margaret si bevve un altro sorso di tè, cercando di scacciare le lacrime. << Fu l’amore per i libri a riportarmi in vita, fu per la nostra libreria che continuai a vivere. Quel negozio me lo ricorda ogni giorno sempre di più. Alfred è stato il mio grande e unico amore. >>
Una lacrima sfuggì al controllo di Isabella, che pur conoscendo la storia di Margaret e Alfred, non l’aveva mai sentita raccontare così magnificamente, da far accapponare la pelle e tutti gli organi presenti all’interno del suo corpo.
<< Quindi Bella, sai che per me, l’amore arriva quando meno te lo aspetti, che ti travolge e ti costringe a piegarti, ti assicuro che basta un solo sguardo per capire se quella persona sia quella giusta. >> Concluse bevendo un ultimo sorso di tè.
Bella nel frattempo aveva divorato la cioccolata calda, in meno di cinque minuti, quando si perdeva nelle parole delle persone, e nei loro ricordi, si dimenticava ogni cosa, persino il tempo.
<< Non credo che, io e quel James potremmo mai avere una relazione. >> Le disse facendola ridere.
Margaret strinse la mano di Bella, << lo so tesoro, me ne sarei accorta, perché quando una persona incontra l’anima gemella, i suoi occhi iniziano a brillare, e i tuoi mia cara, lo stanno facendo da questa mattina. >>
Isabella si sentì sopraffare da un turbine di emozioni contrastanti, e dovette distogliere lo sguardo dagli occhi di Miss Popper per evitare di cedere.
<< Mi sarebbe tanto piaciuto conoscerlo. >> Sussurrò Bella giocando nervosamente con il tovagliolo. Margaret sorrise compiaciuta. << Sono certa sareste andati molto d’accordo. In un certo senso, tu me lo ricordi, Bella. Anche lui come te, preferiva la lettura di un buon libro alla compagnia delle persone. >>
Isabella le rispose un po’ imbarazzata, << credete davvero che io sia così solitaria? >>
<< Io credo solo in ciò che vedo, e tu piccola mia, per la tua età sei troppo riservata. Perché non esci più con i tuoi amici? >> le chiese dolcemente.
Bella rimase qualche secondo in silenzio, non sapendo cosa risponderle.
<< I miei amici? >> domandò più a se stessa che a Margaret. << Dissero che ero cambiata. >> Sussurrò. << Dissero che non valeva la pena tentare di riportarmi indietro, che tanto non sarei mai guarita. >>
<< Di cosa ti ritenevano malata? >> le domandò Margaret allungando una mano verso la guancia arrossata della ragazza.
<< Aridità. >> le rispose con sincerità la ragazza.  << Non posso dargli torno, da dopo la morte della mamma, mi ero chiusa in me stessa. >>
<< Posso capirti. >>
<< A differenza tua, Margaret, io mi sento ancora un automa, e se non fosse stato per te, e per la tua libreria, non saprei come andare avanti. >>
<< Tu non sei sola Bella, c’è tuo padre con te, potresti sempre raggiungerlo. >>
La conversazione stava prendendo una direzione che Bella non avrebbe mai voluto percorrere, così si tirò indietro ancora una volta, nascondendosi come aveva imparato a fare da tre anni ormai.
<< La mia vita è a Londra, tra queste strade io ci sono cresciuta, nascondendomi nella nebbia. >>
<< Non puoi nasconderti per sempre. >>
<< Non ho intenzione di farlo. >> Disse amaramente, guardando Margaret negli occhi.
<< E quando pensi di ricominciare Bella, a vivere come una ragazza di ventuno anni? >> le chiese dolcemente, << Quando pensi di rialzarti? La perdita di una persona cara, è sempre difficile da superare. Capisco ciò che stai provando, comprendo il tuo dolore, ma non ti posso più giustificare. Se pensi che arrendersi sia la soluzione migliore, ti sbagli tesoro. La verità e che tu hai paura di soffrire ancora. Tu hai paura di legarti perchè non vuoi più temere di perdere ancora una volta chi ti è vicino. Ma Bella, non puoi ignorare  il resto del Mondo. Ci sono tanti occhi pronti a guardarti e tante braccia capaci di stringerti calorosamente. >>
E quante persone in questo Mondo, avrebbero il coraggio di seguirmi, di provare a rimettere insieme i puzzle di una vita? Che ormai sono un ferro vecchio, tanto consumato che neppure un demolitore mi accetterebbe.
<< Che tipo di occhi? >> domandò incuriosita la ragazza.
Margaret prese l’ultimo pasticcino e l’osservo attentamente, rigirandoselo tra le dita, prima di mangiarlo. << Ogni sguardo è diverso dall’altro, Bella. >> L’ammonii dolcemente, poi sollevò lo sguardo, oltre le spalle di Isabella, << penso proprio che sia ora di andare. >>
Conversarono per qualche altro minuto all’interno del bar, poi notando che le nuvole scure si fossero allontanate, lasciando spazio a un pallido sole, entrambe le donne si allontanarono dal tavolo, avvicinandosi al bancone.
James, nel frattempo si era quasi dimenticato della loro presenza nel bar tanto furono riservate, e quando si vide Bella di fronte, si dimenticò l’ordinazione appena appuntata.
<< Quanto le devo? >> gli domandò Margaret, avvicinando la borsa al bancone ma Bella con un gesto delicato la spinse di nuovo sul suo braccio.
<< Pago io. >> le aveva sorriso dolcemente.
James guardò Bella, e si rese conto di non avere mai visto occhi così belli, certo la sua idea di bellezza solitamente faceva riferimento alle grandi attrici che vedeva sugli schermi del cinema o le modelle sulle riviste, ma per quella ragazza avrebbe fatto un’eccezione. Aveva un corpo armonioso e sinuoso, benché nascosto dal giubbotto pesante che indossava, James immaginò delle forme proporzionate e la sua mente vagò più del dovuto.
<< No, Bella, questa volta lascia pagare me, dopo tutto quello che hai fatto per me. >> Le aveva detto Margaret, convincendo Isabella.
La donna pagò velocemente, voltando le spalle al ragazzo. Quest’ultimo però, non aveva ancora finito di analizzare Isabella, che già si era immaginato il momento in cui avrebbero approfondito il loro rapporto. Almeno sapeva il suo nome, Bella.
Era un ragazzo giovane, dalla muscolatura ben disegnata e due enormi occhi azzurri che catturavano. Ma non funzionò con Bella, perché lei, due occhi che la stregassero li aveva già trovati.
<< Aspetta. >> le aveva gridato il ragazzo, facendo voltare non solo le due donne ma tutte le persone presenti nella sala. << Ecco, adesso ti sembrerò un maleducato, ma non posso fare  a meno di dirtelo. Sei bellissima e mi piacerebbe molto uscire con te. >>
Fu così diretto che Bella dovette rielaborare le parole nella sua mente, due volte prima di rispondergli.
<< Accetta. >> Sorrise Margaret, rivolgendosi al ragazzo, mentre Bella le lanciò uno sguardo che se fosse stato possibile, l’avrebbe uccisa.
<< Davvero? >> Il ragazzo, James, si voltò verso Isabella.
<< No. >> Sbottò Isabella stizzita.
<< Perché non puoi? >> Insistette Margaret, << almeno provaci. >>
Bella si sentiva tutti gli occhi puntati addosso, e quando si voltò verso il ragazzo, il suo sguardo così dannatamente intenso la destabilizzò per un secondo.
<< Io… non saprei, non credo di essere libera in questi giorni. >> Cercò di sembrare convincente ma nessuno dei due le credette.
<< Va bene anche la prossima settimana. >> Continuò James, non si sarebbe arreso così facilmente, quando qualcuna gli diceva di no, per lui diventava una sfida conquistarla.
Questa volta fu Bella a rispondergli, perché non sarebbe mai uscita con lui. Non perché fosse un brutto ragazzo, ma non le sembrava il caso. Non era pronta, ma la verità e che non era con lui che avrebbe voluto passare un intero pomeriggio.
<< James. >> Disse, interrompendo il mormorio di Margaret che le sussurrava di accettare, << non posso, non prendertela, tu sei un ragazzo molto carino e sicuramente una splendida persona. Ma io non mi sento pronta per una nuova relazione, sono uscita da poco da una storia importante, e davvero non ce la faccio a voltare pagina. >>
A volte, il passato ritorna. Questa volta, la Bella che si celava dentro di lei, era riuscita a prendere il sopravvento sulla ragazza timida e impacciata di sempre.
Margaret trattenne a stento una risata, mentre James si sentiva mortificato e rifiutato.
<< Mi dispiace. >> Disse semplicemente, << allora, non ti disturbo più. Ciao. >> La salutò voltandosi per ritornare al suo lavoro.
Nel momento in cui entrambe le donne misero piede fuori dal bar, scoppiarono in una fragorosa risata, talmente allegra e familiare da farle sentire a casa, da essere capace di cancellare quel velo di tristezza che si era gettato sopra di loro, ripensando al passato.
S’incamminarono ancora sorridendo, mentre con passo lento facevano ritorno sulla strada principale.
 
Quando raggiunsero l’abitazione di Margaret, entrambe le donne sollevarono gli occhi verso il cielo.
<< Sembra non aver mai smesso di brillare, oggi il sole. >> Sussurrò Bella, mentre Miss Popper cercava le chiavi della porta di casa.
<< Questa è Londra. Un attimo prima sembra sereno, l’attimo dopo ti ritrovi zuppa dalla testa ai piedi, e viceversa. >> Le sorrise, infilando la chiave nella serratura.
L’abitazione di Miss Popper distava pochi chilometri dall’Hyde Park in cui, in quel momento, Edward stava sicuramente suonando. Bella non appena salutò la donna, aumentò l’andatura pur di arrivare in tempo, prima della fine di quella giornata.
<< Va bene, e tu come farai senza quest’energia? >>
<< Tornerai ad ascoltarmi? >>
<< Si. >>
<< Allora non ne avrò più bisogno. >>
E Bella in quel momento si rese conto di non voler fare altro, che sentirsi pura essenza e di poter essere davvero importante per qualcuno. Voleva davvero sentirsi qualcuno capace di infondere energia. Così raggiunse il punto centrale del parco, e si ritrovò a sorridere, quando vide Edward in lontananza. Reggeva la chitarra in mano, muovendo con decisione le dita sulle corde, la voce si diffondeva nell’aria, producendo vibrazioni agrodolci, capaci di fare innamorare. Ciò che più sorprese Bella, non fu tanto la gente che lo circondava, quanto rendersi conto che quel giorno, stava cantando fissando il pubblico. Quel giorno teneva gli occhi aperti al mondo.
 
 Bella era rimasta a fissarlo in silenzio, per tutta la durata della canzone, e troppo concentrata non si accorse neppure del cielo, che lentamente aveva  cominciato  a imbrunire.
 Edward l’aveva vista. Seduta sul marciapiede, con gli occhi fissi nei suoi. Si era sentito felice, quando la vide avvicinarsi e sedersi, e la sua voce divenne un  sussurro delicato. Voleva, con le sue note, accarezzare il volto di quella bellissima ragazza dallo sguardo triste e spento, avrebbe tanto voluto stringerla in  un  abbraccio, anche solo per farle capire che sola non lo era affatto. Avrebbe voluto dirle tante cose, ma in quel momento la cosa migliore gli  sembrò cantare, certo che fosse l’unico modo per avvicinarsi a lei, senza disturbarla.
Occhi che bruciavano. Occhi che gli ricordavano lo zucchero filato che tanto adorava mangiare, misto al fango di quel vecchio parco giochi, in cui da  bambino  spesso si ritrovava a giocare. Occhi che se avessero potuto l’avrebbero ucciso tanto l’intensità. Occhi di cui ancora non lo sapeva, ma presto se ne  sarebbe innamorato.
 Quando terminò la canzone, la vide alzarsi.
 Temendo di perderla di vista, richiuse la chitarra nella custodia, avvicinandosi frettolosamente a lei.
<< Ciao. >> Le aveva detto rivolgendole un sorriso da far invidia alle stelle per quanto fosse bello.

Isabella l’aveva guardato, sorpresa da quel sorriso che la destabilizzò del tutto, e con un po’ d’imbarazzo nella voce e negli occhi, ricambiò il saluto, << ciao. >>
C’è sempre un’oasi in ogni deserto.
<< Sei venuta. >>



Ho interrotto il capitolo proprio sul più bello, me ne rendo conto, sono davvero maligna. No dai, a parte gli scherzi, un pò di suspence non fa male a nessuno vero?
Visto che brava che sono stata? Ho pubblicato il capitolo anche prima, non merito un premio per questo?
Allora parliamo di cose serie. In molte avete indovinato il personaggio della domanda, si tratta proprio di Alice. Quando la incontreremo? Presto, molto presto, promesso.
In questo capitolo, non solo abbiamo scoperto qualcosina in più su Margaret ma, abbiamo incontrato anche un lato del carattere di Bella.
Mi raccomando non dimenticatevi di James, perchè ritornerà.
Però non posso certo dirvi tutto io, siete voi che dovete analizzare i miei personaggi, così vi lascio alle vostre riflessioni.
Un bacione e grazie a tutte voi ragazze. Le vostre parole mi riempiono il cuore.
In particolare vorrei ringraziare Essebi, per ciò che ha detto sulla sua pagina Facebook, facendomi diventare rossa come un peperone.


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Capitolo 10
*** So tell me when you feeling fall ***


9. So tell me when you felling fall
                                             


9. So tell me when you feeling fall


8 Maggio 2010
 
<< Ciao. >> Le aveva detto rivolgendole un sorriso da far invidia alle stelle per quanto fosse bello.
Isabella l’aveva guardato, sorpresa da quel sorriso che la destabilizzò del tutto, e con un po’ d’imbarazzo nella voce e negli occhi, ricambiò il saluto, << ciao. >>
C’è sempre un’oasi in ogni deserto. 
<< Sei venuta. >> 
 
Gli occhi di Edward non riuscivano a fare altro che fissare quelli di Isabella. Zucchero filato e fango, che senza rendersene conto lo stavano risucchiando in un vortice senza via d’uscita.
Il suo cuore batteva a ritmi irregolari, risuonando all’interno della cassa toracica come un martello pneumatico. Forse avrebbe dovuto dirle di smetterla, che per sguardi così intensi rischiava di uccidere.
<< Pensavo ti avrebbe fatto piacere. >> Fu Isabella a parlare, interrompendo quel silenzio carico di elettricità. Edward si ridestò dai suoi pensieri, sorridendole dolcemente.
<< Infatti, sono felice di vederti. >>
Toccò a Isabella sorridergli, c’era tensione ma non imbarazzo. Voglia di lasciarsi andare e trattenersi, voglia di sfuggire e incatenarsi, voglia di stare insieme e nascondersi. Una nuova sensazione nacque nel petto di Bella, quando sentì pronunciare quelle parole.
<< Mi piacciono le tue canzoni. >> Gli aveva confessato, sistemandosi una ciocca di capelli dietro l’orecchio. Edward la vide arrossire. Le piaceva il tenue rossore che colorava la sua pallida guancia.
<< La maggior parte sono cover dei miei cantanti preferiti. >> le confessò sistemando la chitarra all’interno della custodia, << sono poche quelle che compongo io. Solitamente non le mostro mai al pubblico. >>
Bella abbassò lo sguardo, << è un vero peccato, saranno stupende. >>
Edward fece una strana smorfia, che non sfuggì all’occhio attento di Bella, << non credo sia il caso di cantarle per strade, infondo sono solo un artista scapestrato che si diverte a strimpellare la sua chitarra lungo la città. >>
Strano modo di definirsi pensò Isabella, che invece avrebbe usato parole completamente diverse.
<< Forse tu, non riesci a rendertene conto, ma la tua voce, le tue canzoni emozionano. >> Gli sorrise, mentre entrambi s’incamminarono verso l’uscita Ovest del parco.
Edward le sorrise, << emozionano anche te? >> le domandò non riuscendo a resistere dalla tentazione di farla arrossire. Le piaceva il modo in cui lo faceva.
<< Si, ma questo lo sapevi già. >> gli rispose abbozzando un sorriso timido e impacciato.
Rimasero in silenzio, per un paio di minuti.
Nessuno dei due riusciva a credere di essere accanto all’altro. In quel momento nessuno dei due desiderava di più, o pretendevano un qualche contatto più profondo. No, loro volevano solo stare vicini, sentire il calore dell’altro e contemplare la calma e la serenità che i loro corpi diffondevano nell’aria satura di profumi.
<< Ti piace molto la musica? >> le chiese ad un certo punto Edward, desideroso di sentirla parlare.
Isabella annuì, << si, ma purtroppo non sono brava come te a rappresentarla. >>
<< Bella. >> Era stata la seconda volta che aveva pronunciato il suo nome, ed entrambi rabbrividirono, << non si deve essere bravi per amare la musica. Io credo tu abbia una concezione troppo alta di me. >> Disse riprendendosi dal timore iniziale, << c’è un musicista a Soho, molto più bravo di me, lui sicuramente ti farebbe emozionare molto più di quanto ci riesca io. >> Le confessò cercando di sembrare il più naturale possibile.
Bella scosse la testa contrariata, << non posso dirti se quel musicista sia più bravo di te o meno, perché non lo conosco. Perché non l’ho mai ascoltato cantare, perché… >> Perché in realtà manco da Soho da un sacco di tempo, che non ricordo neppure quale sia la via per arrivarci.
Bella si bloccò di colpo, cercando di reprimere un singhiozzo. Chiuse gli occhi e respirò profondamente.
<< Tutto bene? >> Edward si stava preoccupando, e con dolcezza le posò una mano sulla spalla. Bella si sentì riscaldare da quel tocco.
Annuì riprendendo a camminare.
<< Volevo solo dirti che tu mi emozioni Edward, che la tua voce mi conforta, e che… >> I tuoi occhi sono così profondi. << e che… continuerò ad ascoltare le tue canzoni. >>
Edward le sorrise, emozionato da quelle parole, << questo mi rende felice Bella. >> Di nuovo il suo nome, ma gli avrebbe fatto sempre quest’effetto pronunciarlo?
Edward non lo sapeva, ma una cosa era certa, lui avrebbe continuato a chiamarla, perché un nome così bello non l’aveva mai sentito. E che poi, fosse un po’ di parte non importava, lui sapeva già che quella ragazza era speciale.
<< Da quanto tempo lavori in quella libreria? >> le domandò incuriosito.
Iniziarono così, piano piano a conoscersi, a scoprirsi.
<< Due anni, Margaret, la proprietaria mi ha accolto come una figlia. >> Gli rispose, confidandosi. Non sapeva bene perché lo stesse facendo, ma si stava fidando di lui.
<< E’ una libreria molto bella, peccato solo non sia molto conosciuta. >> Continuò, alzando lo sguardo dal marciapiede.
Erano appena usciti dal parco, lo sguardo di Edward si affilò, osservando la strada che avrebbe dovuto percorrere per tornare a casa.
Bella fece spallucce, stringendo le braccia intorno alla vita. << Lo so. >>
<< Potreste provare a fare un po’ di pubblicità, o modificare la disposizione degli scaffali. >> Le suggerì guardandola, << potrei darvi una mano io. >> Aggiunse con un sorriso.
Bella si sentì sopraffare da un turbine di nuove emozioni. Uno sconosciuto, che di lei sapeva poco e niente, voleva aiutarla.
<< Tu lo faresti davvero? >> gli domandò sorpresa.
Edward annuì sorridendole dolcemente, << certo che potrei Bella, devo sdebitarmi con la vostra libreria, è grazie a lei che ti ho trovato. >>
Un ragazzo così particolare Bella non l’aveva mai visto, così semplice e complicato insieme.
Ci sei mai stato in cima a una montagna, hai mai provato a gridare forte?
Probabilmente sì, perché il tuo nome mi risuona in testa come un eco, e qualcuno dovrà pur averlo gridato.
Hai mai pensato al suono di una piuma che cade?
Si dice che si emetta un suono dolcissimo, ma noi non lo possiamo sentire, perché le vibrazioni sono troppo delicate per il nostro timpano. Io però, penso che tu riesca a sentirla cadere, mi dirai com’è il suo suono? Ci proverai a spiegarmelo? Io giuro, cercherò d’impegnarmi, perché sono certa, saranno tante le cose che tu m’insegnerai.
<< Mi piacerebbe moltissimo. >>
Così dimmelo quando la senti cadere.
Dici che sia lo stesso suono? Lo stesso che si produce quando si è innamorati?
 
 
<< Mi chiamo Isabella Swan, ma preferisco essere chiamata Bella. Sono nata a Londra, ho sempre vissuto in questa città, l’ho sempre amata, in ogni sua forma. >>
Edward e Bella avevano deciso di bere qualcosa insieme. Così, Edward l’aveva portata in un pub, vicino a Bond Street. Il locale si trovava in una traversa molto affollata e decorata da mille luci, Bella non si ricordava di quel pub. La verità è che non ne riconosceva neppure l’esistenza.
Si erano seduti da dieci minuti, e dopo aver parlato del più e del meno, Edward le aveva chiesto chi fosse e perché tra tutte le città, lei avesse scelto proprio Londra.
<< Non ti piacerebbe viaggiare, visitare il Mondo? >> le domandò mentre attendevano le due Coca Cola che avevano ordinato al bancone.
Bella annuì, << si, certo che mi piacerebbe. Ma qualsiasi nazione o continente visitassi, sono certa non mi farebbe cambiare idea, tornerei comunque a Londra. >> Sorrise, felice di riuscire a parlare di sé, così tranquillamente.
Edward l’aveva osservata per tutto il tempo, e più i suoi occhi fissavano quelli della ragazza, più si rendeva conto di bruciare.
<< Cosa fai quando non sei in libreria? >> le domandò incuriosito.
Quella domanda la lasciò un po’ perplessa, perché lo sapeva bene di non saper mentire, ma dirgli ora, che nella sua vita c’era solo la libreria, le sembrava piuttosto deprimente.
<< Leggo, scrivo. >> Sorrise, << studio. >>
Il musicista si sistemò meglio sullo sgabello, << che cosa studi? Frequenti l’Università? >>
Bella scosse subito la testa, << no, nessuna Università. Ho lasciato gli studi subito dopo il diploma. >> La sua voce si fece più bassa, e le sue guancie si colorarono di un timido rossore. Edward dovette abbassare le mani dal tavolo, per evitare di sfiorare quella parte di pelle, che lo attirava più del canto delle sirene.
<< Studi privatamente? >> continuò, cercando di distrarsi, chissà cosa avrebbe pensato se l’avesse accarezzata. L’avrebbe preso sicuramente per maniaco e sarebbe scappata via, perdendola per sempre.
Isabella scosse la testa ancora una volta, << non studio per poi sostenere esami scolastici, studio per imparare a vivere, per imparare qualsiasi cosa. Ho sempre voglia di scoprire nuove realtà e non riesco a stare ferma, almeno con l’immaginazione, fisicamente non mi muovo. >>
Bella Riuscì a farlo ridere, e una visione così bella non l’aveva mai vista.
Le labbra di Edward si aprirono in un meraviglioso sorriso, e gli occhi si ridussero a due fessure, mentre la sua allegra e dolce risata si liberava nell’aria. Anche Bella rise, ma non per la sua battuta.
<< Tu suoni semplicemente per le strade? >> gli domandò, quando entrambi smisero di ridere.
<< No, studio musica da quindici anni. Avevo dieci anni quando ho preso in mano il mio primo strumento. >> Le rispose.
In quel momento arrivò un cameriere con le due bibite. Bella e Edward non parlarono e attesero che andasse via il cameriere, prima di riprendere il loro discorso.
<< Oltre la chitarra suono anche il pianoforte. >> Aggiunse dopo che il cameriere andò via.
Bella bevve un sorso della sua Coca, senza distogliere mai lo sguardo dagli occhi di Edward.
<< Tu così mi uccidi. >> Sussurrò distogliendo lo sguardo.
Edward la guardò allarmato, << ho fatto qualcosa di male? >> le chiese immediatamente.
<< Non è quello che hai fatto, ma quello che hai detto. Il pianoforte è uno dei miei strumenti preferiti, e tu, con la tua voce… >> balbettò imbarazzata, << deve essere davvero bellissimo sentirlo suonare da te. >>
Questa volta Edward non riuscì a trattenersi e allungò una mano verso la guancia rossa di Bella. Il palmo della sua mano entrò in collisione con il viso della ragazza, scatenando brividi lungo le loro spine dorsali.
<< Magari un giorno potrei suonare per te. >> Non c’era alcuna malizia in quella frase, ma solo un incredibile desiderio di stare insieme, passare del tempo stando vicini.
Bella gli sorrise, << mi piacerebbe molto. >>
La mano di Edward si staccò troppo presto dal viso di Bella, che senza quel contatto si sentì precipitare.
Finirono di bere le loro Coca Cola, poi Edward pagò le due bibite, e insieme si allontanarono dal pub.
<< Sono le nove. >> Bella era davvero dispiaciuta, << è tardissimo ed io domani dovrò lavorare. >>
Edward annuì, << anch’io domani mattina avrò lezione. >>
<< Dopo che avrai finito il corso, cosa pensi di fare? >> le domandò Bella, mentre si avvicinavano lentamente all’uscita di Bond Street.
Edward fece spallucce, << credo che insegnerò musica nelle scuole. >>
<< Un bel passo avanti. >> Commentò Isabella, stringendo il tessuto del suo giubbotto.
<< Che cosa intendi dire? >> le chiese confuso, Edward si sentii improvvisamente preso in giro.
Bella se ne accorse e cercò di spiegare meglio quella sua affermazione, << che comunque sarebbe un bellissimo traguardo. >>
<< Credi che io non possa farcela? >> le domandò, ma non c’era cattiveria nella sua voce, solo un velo di delusione al pensiero di non essere in grado di realizzare il suo sogno.
Isabella posò istintivamente la mano sul braccio di Edward, << la tua voce Edward, sarebbe sprecata a scuola. Sei così bravo, che la stessa Natura t’invidia per i bellissimi suoni che produci. >>
Edward non riuscì a fare altro che abbracciarla. Stringerla sul suo petto.
Cuore contro cuore.
E in quel momento, con quel semplice contatto, Bella si sentì a casa.
Era felice.
Era riuscita a trovarlo, l’abbraccio che le riscaldava, anima e corpo.
 
 
<< Quindi è qui che abiti? >> le sorrise.
Bella prese le chiavi di casa dalla borsa e le infilò nella serratura. << Già. >>
Edward dietro di lei l'osservava attentamente, seguendo ogni suo movimento. Quando Bella aprì la porta, si voltò verso il musicista, guardandolo imbarazzata, << vuoi salire? >> gli chiese senza malizia.
Non vi era nessun secondo fine dietro quella domanda, ma solo voglia di prolungare un po’ di più il loro tempo. Voleva stare con lui ancora un po’.
Edward le sorrise educatamente, ma scosse la testa, << non posso, è tardi, meglio che torni a casa. >> le disse avvicinandosi per allungarle una mano.
Bella l'afferrò, stringendola.
<< Ci vediamo domani allora? >> gli domandò.
Edward sembrò confuso.
<< Per la libreria, avevi detto che non c’erano problemi. >>
Un sorriso enorme spuntò sul volto di Edward, << certo che sì, verrò da voi subito dopo il corso. >>
Isabella si avvicinò lentamente e impacciatamente l’abbracciò, << grazie Edward. >>
Il musicista la strinse a sé, circondandole la vita con le braccia.
<< E’ stato bello parlare con te. >> Le sussurrò.
Quando si staccarono entrambi si sentirono un po’ meno caldi, come se avessero donato qualche grado al corpo dell’altro, disperdendone la maggior parte nell’ambiente circostante.
<< Parleremo ancora. >> Disse Bella entrando in casa.
<< Certo. >> Le sorrise Edward.
Voglio sapere tutto di te.
<< A domani. >> Lo salutò.
<< Buona notte Bella. >>
Buona notte Edward.
 
    *****
 
Una volta tornato a casa, il musicista si sdraiò sul divano, perdendosi nei ricordi di quella lunga giornata.
<< Rosalie mi ha detto che l’hai trovata. >>
Edward si voltò, sorridendo alla ragazza vestita con solo una candida veste bianca. Reggeva un foglio in una mano, nell’altra una matita. I capelli neri erano spettinati, come se fosse appena uscita da un tornado, in realtà aveva solo lottato contro la sua fantasia.
<< L’hai terminato? >> Edward indicò il foglio.
La ragazza annuì, avvicinandosi tutta sorridente.
<< Com’è? >> gli chiese.
Edward osservò il ritratto, cercando di trovare qualche imperfezione, ma non vi era nulla di sbagliato, nessuna sbavatura, nessuna ruga d’espressione. Un disegno bello, preciso come una fotografia, ma più profondo, come se il colore nero della matita in realtà fosse polvere fatata, usata dall’artista per cancellare i brutti ricordi.
Jasper's Paint
<< E’ bellissimo. >> Sussurrò con tono dolce.
Alice ridacchiò, << non intendevo il disegno, com’è la ragazza? >>
Il musicista arrossì leggermente, << passami un aggettivo che riesca a descrivere le sensazioni che provi mentre dipingi. >>
Alice si fece pensierosa, i suoi occhi brillarono, << non credo di riuscire a trovarlo. >> Disse infine, riprendendosi il ritratto dalle mani di Edward.
<< Neppure io, credo di riuscirci. >>
A volte alcune parole andrebbero segregate all’interno della laringe, chiuse a chiave per evitare che scappino. Ma Alice non era in grado di rimanere in silenzio. Lei era quel genere di ragazza che avrebbe dichiarato comunque la verità, perché a mentire, non era brava per niente. Ma ciò che più rendeva unica quella ragazza, non era il suo essere sincera con tutti o i suoi meravigliosi disegni. Quella ragazza aveva vissuto momenti di angoscia e di solitudine, e ora, che era circondata da affetti, non poteva più nascondersi, non voleva più neppure farlo. Adesso lei aveva deciso di essere felice, che di tristezza nella sua vita ce n’era stata già abbastanza. Ed era forse questa la cosa più bella di quella ragazza, la sua incredibile voglia di felicità.
Edward si alzò dal divano, raggiungendo la ragazza, << forse è meglio se andiamo a dormire. >> Le disse, e insieme si avvicinarono alle rispettive stanze.
Prima di entrare nella sua, Alice si voltò verso l’amico, << Edward. >> Lo chiamò.
Il musicista si voltò, e Alice annuì convinta, << si vede sai, che sei felice. >>
Si sorrisero, poi entrambi entrarono nelle proprie camere, chiudendosi la porta dietro le loro spalle.
Alice sospirò, avvicinandosi all’enorme letto matrimoniale, al centro esatto della stanza.
<< Dici che riuscirò a toglierlo tutto? >>
La ragazza sorrise al ragazzo biondo seduto sul letto.
<< Prendo lo struccante. >> Gli disse Alice, mentre si avvicinava al comodino.
Il ragazzo si alzò dal letto e con passo svelto la raggiunse, abbracciandola da dietro, posando il viso nell’incavo del suo collo. Alice era sempre stata una ragazza minuta e all’apparenza fragile, con quel corpicino così esile che tutti temevano si potesse spezzare da un momento all’altro. Tutti tranne Jasper, che per tutte le volte che l’aveva stretta tra le sue possenti braccia, e avvolta con il suo grande corpo, ormai aveva imparato a proteggerla. La differenza d’altezza tra i due era parecchia, ma i loro cuori erano sulla stessa lunghezza d’onda.
<< Mi sei mancata. >> Le aveva sussurrato, stringendola più forte a sé. La schiena della ragazza era poggiata completamente al petto del ragazzo.
Alice sorrise sia con le labbra che con il cuore. Lentamente si voltò, scontrandosi con due occhi colore del mare.
Le loro labbra si sfiorarono, senza mai toccarsi realmente.
<< Sai di fragole. >> Le aveva detto, sollevandola dal pavimento. Con lei tra le braccia si avvicinò al letto, dove l'adagiò con una delicatezza e una calma disarmante.
Alice si lasciò andare a un mugugno di piacere, quando le labbra di Jasper raggiunsero le spalline del vestitino. Jasper le morse dolcemente la spalla, mentre insinuava una mano sotto il vestitino bianco, dello stesso colore della neve invernale.
La baciò con dolcezza, imprigionandole il labbro inferiore. Non era mai stato violento o troppo aggressivo, non aveva mai fatto nulla che potesse in qualche modo ferirla. Non le avrebbe mai fatto qualcosa di sgradevole o violento. Questi aggettivi non esistevano nel suo vocabolario. Jasper era un gentiluomo e Alice era la sua donna. Sua, fin quando lei l’avrebbe voluto.
Ma entrambi sapevano che sarebbe durato per sempre.
<< Non ho mai baciato un uomo col rossetto. >> Ridacchiò la ragazza, mentre gli accarezzava il viso ricoperto da trucco bianco e blu.
Jasper si allontanò di qualche centimetro, << ti da fastidio? >> le chiese preoccupato.
La ragazza si sollevò dal materasso, sedendosi cavalcioni su di lui, << voglio fare l’amore con te Jasper. >> Gli sussurrò all’orecchio.
Il ragazzo era stanco, stare immobile tutto il giorno era difficile, e non sempre arrivavano quei pochi spiccioli che gli permettevano di muoversi. Il suo lavoro non era facile. Doveva truccarsi. Doveva vestirsi con abiti bizzarri e colorati. Doveva rimanere in silenzio. Doveva fingere.
Doveva fare tante cose, ma gli piaceva farle. Gli piaceva il calore degli sguardi curiosi della gente e i sorrisi dei bambini.
<< Ti voglio Alice, ma sembri più stanca di me, non vorrei farti male. >> Le confessò baciandole la tempia.
Alice scosse la testa violentemente, << mi faresti male se adesso mi rifiutassi. >>
<< Voglio struccarmi prima, non voglio spaventarti, amore mio. >>
Jasper ancora non l’aveva capito che Alice non si sarebbe mai spaventata, che timore di lui non poteva averne.
Che come cantavano i Police, qualsiasi cosa avrebbero fatto, loro si sarebbero sempre guardati, si sarebbero sempre appartenuti.
Alice lo bloccò, prima che lui potesse alzarsi dal letto. Con un gesto veloce allungò il braccio verso il comodino, dove aveva lasciato lo struccante. Avvicinò le sue piccole mani al viso truccato del ragazzo. << Spogliami mentre ti libero il volto, voglio guardarti negli occhi. >> Gli disse facendo tremare il Mondo, per quanto quella voce fosse destabilizzante.
Jasper non oppose resistenza, e fece come gli disse la sua Alice.
 
Edward si sedette sul proprio letto, con le parole di Bella ancora nella testa. La completa oscurità della stanza, lo nascondeva da paure indiscrete, che  presto l’avrebbero assalito.
Non aveva voglia di lasciarsi avvolgere dal sonno, voleva ancora tenere gli occhi aperti. Ma vinto dalla stanchezza si tolse i vestiti, infilandosi nelle calde lenzuola del letto.
Fu costretto a chiudere gli occhi per addormentarsi, ma non il suo cuore, perché quello, invece, rimase aperto tutta la notte.






Ed eccoci qui, ragazzuole con il nuovo capitolo. Premetto che questo capitolo non mi piace per niente, non era così che volevo scriverlo, ma purtroppo non sono riuscita a fare altrimenti. Quindi se anche voi, come me, lo troverete poco gradevole per favore avvisatemi, voglio che siate sinceri con me.
Non sono il tipo di autrice che scrive che il capitolo non le è piaciuto solo per ricevere complimenti, se lo scrivo e perchè penso che il capitolo davvero non sia uno dei migliori.
Detto questo, finalmente vediamo i nostri due giovani soli soletti, poco alla volta si scopriranno, raccontando le loro vite all'altro. Cosa ne pensate di questo Edward così amante della musica?
E poi finalmente arriva Alice e Jasper, due in un colpo solo, che fortuna eh?
Non vi dirò nulla, se sono riuscita a incuriosirvi voglio che siate voi a parlarmi, dirmi cosa ne pensate e voglio sentire tutte le vostre teorie.
Sono tutta orecchie.
Ringrazio Carrot per aver segnalato la mia storia tra le scelte *_* Sono morta. Grazie cara, è stata una sorpresa bellissima!
Ringrazio tutte le lettrici che seguono e recensiscono la mia storia, mi rendete felicissima!
Un bacione e tutte voi!

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Capitolo 11
*** I feel in you like if you had always been. ***


10. I feel in you like if you had always been.
                                                                                         


10. I feel in you like if you had always been.



Isabella camminava lungo le strade di Notthing Hill, alzando lo sguardo verso il cielo limpido. Era il mese di Maggio, e Londra si stava preparando all’estate, nella maniera più bella e calda che si fosse mai vista, mostrando al mondo intero un cielo di un azzurro mai visto prima. Bella amava i colori, e ormai aveva imparato a riconoscerli, non c’era più nessuna sfumatura o tonalità che non riuscisse a definire. Aveva iniziato un giorno d’estate, quando nel giardino della nonna Marie, a Forks, vide una rana.
Era piccola, la pelle viscida e verdastra, ma di un verde che Bella non aveva mai visto. Quel giorno Bella superò la paura per le rane, riuscendo a catturarla in un vasetto, per mostrarla all’anziana nonna.
<< Verde cinabro. >>
Bella osservò il volto stanco ma felice della nonna. I capelli bianchi erano stati legati in un alto chignon, e il colore naturale delle labbra era stato sostituito da un leggero velo di rossetto. Si truccava sempre, nonna Marie, anche dopo la morte del nonno. Non lo faceva di certo per compiacere gli uomini, o per trovare un nuovo marito. Marie lo faceva per se stessa, e anche un po’ per il suo Louis, morto cinque anni prima.
<< Verde cinabro? >> domandò pensierosa Isabella, mentre si dondolava avanti e indietro sulla dondola, stringendo forte il barattolo con la rana.
Nonna Marie accarezzò la guancia morbida della sua nipotina, << non lo conosci Isabella? >> le domandò con un sorriso comprensivo.
Bella osservò bene la ranocchia poi alzò lo sguardo verso la nonna, scuotendo la testa.
La nonna ridacchiò, con la sua vocina stridula, << dovresti invece. >>
<< Sai Bella, in Natura esistono tanti colori che noi non conosciamo, o meglio li identifichiamo in altri colori. Per esempio, >> le disse catturando la sua attenzione, << osserva il cielo, di che colore sono oggi le nuvole? >> le domandò osservandola.
Bella alzò lo sguardo al cielo, rimase in silenzio per diversi secondi, poi rispose in tutta sincerità, << grigie. >>
La nonna scosse la testa, << vedi? Tutti avrebbero risposto semplicemente con il colore grigio, perché è l’unico colore che riescono a vedere. Ma se la gente osservasse più attentamente, noterebbe come queste nuvole non sono semplicemente grigie. >> Le disse facendo sorridere la piccola Bella.
<< E come sono allora? >>
La nonna sollevò gli occhi verso il cielo, << direi ardesia. >> Sorrise.
<< Che colore è l’ardesia? >> Le domandò Bella, sentendosi presa in giro, << non esiste questo colore, come non esiste il verde cinabro. >>
Nonna Marie si sollevò, alzandosi dalla dondola e rientrando in casa, lasciando Bella sola, in compagnia della sua ranocchia.
Isabella rimase sorpresa ma non si scompose, e riprese a osservare il cielo, poi la sua rana e ancora il cielo, facendo così per dieci minuti interi.
Fin quando non ricomparve la nonna, con un libro in mano. In silenzio si sedette di nuovo sulla dondola, stringendo Bella in un abbraccio.
<< Questo, >> disse indicando il libro, << è stato un regalo di tuo nonno, >> continuò aprendo una pagina. Bella lo osservò incuriosita, << qui dentro ci sono tutte le tonalità di colore. Io e tuo nonno le imparammo a memoria. >> Sorrise al ricordo.
Poi senza aggiungere nulla, fece vedere a Bella l’ardesia e il verde cinabro.
<< Esistono davvero. >> Esultò sorpresa la piccola Bella.
La nonna annuì, << adesso Isabella Marie Swan, mi credi? >> le domandò sfiorandole il nasino con l’indice.
Bella scoppiò a ridere, annuendo.
<< Bene, adesso, voglio che questo libro lo tenga tu. Imparali bene bambina mia, perché un giorno troverai qualcuno che saprà indicarti nuovi colori, e mi piacerebbe che almeno tu, conoscessi quelli primari. >> Ridacchiò persa nei meandri della sua mente, aveva varcato la soglia dei ricordi, dalla quale difficilmente riusciva a uscirne.
Bella prese il libro tra le mani, stringendolo forte.
<< Adesso che ne dici di liberare questa piccola ranocchia? >> chiese la nonna indicando il barattolo.
Bella annuì, allontanandosi dalla dondola con il barattolo. Ritornando cinque minuti dopo, con il vasetto vuoto.
<< E dimmi Isabella, di che colore sono io oggi? >> domandò la nonna allegramente.
Isabella non riuscì a risponderle, neppure con l’aiuto del libro magico.
Ancora oggi Bella cercava risposta, perché il colore della nonna quel giorno, come tutti gli altri, non riuscì a scoprirlo. E anche dopo la sua morte, il suo colore rimase un mistero.
Da quel giorno Bella aveva imparato tutti i nomi dei colori, scoprendone di nuovi.
E adesso che fissava il cielo, camminando con il naso all’insù, se n’era convinta, quello era proprio lapislazzulo.
 
Quando aprii la porta della libreria, si ritrovo davanti Miss Popper con un sorriso a trentadue denti dipinto sul volto stanco e pallido. Indossava un vestitino color cobalto sopra un cardigan rosa cipria. La temperatura all’interno della libreria era piuttosto bassa, così Isabella decise di aprire le finestre e lasciare entrare luce e calore.
<< Oggi sbaglio o sei di ottimo umore? >> le domandò Margaret, mentre seduta dietro la scrivania segnava i codici dei nuovi arrivi. Bella si voltò verso l’anziana donna con un sorriso che se avrebbe potuto l’avrebbe fatta ringiovanire, tanto fosse potente.
<< Con un sole così bello e una città così calorosa, come potrei non essere allegra? >> le disse mentre si avvicinava alla scrivania.
Margaret le fece un mezzo sorriso, << bene tesoro, allora giacché sei così di buon umore cosa ne dici di scendere con me in magazzino, per riordinarlo un po’? >>
Bella le aveva annuito, osservando l’orologio appeso alla parete d’ingresso, segnava le nove e ventidue, chissà quando sarebbe arrivato Edward, pensò arrossendo improvvisamente. Quel ragazzo aveva uno strano effetto su Bella e non era solo la sua voce a farla andare a fuoco.
Forse avrebbe dovuto dire la verità a Margaret, infondo aveva appena deciso di mettere sotto quadro la sua libreria per stare con un ragazzo. Un enorme passo avanti, non solo per Bella.
Mentre scendevano le scale impolverate, Bella aiutò Margaret, sorreggendola per evitare che scivolasse.
<< Grazie cara. >> Le sorrise quando toccò il pavimento freddo del magazzino.
Bella si guardò attentamente intorno. Pile di libri, ricoperti da tonnellate di polvere, riempivano la maggior parte della stanza. Quante volte si era nascosta qui, durante i primi giorni di lavoro. Quante lacrime aveva versato dietro quegli scaffali, che silenziosamente l’avevano abbracciata, coprendola con le pagine dei propri libri, da sguardi indiscreti e lame affilate.
<< Da dove vogliamo cominciare? >> le chiese, mentre si rimboccava le maniche della camicetta. Margaret indicò una pila di libri posati malamente per terra. << Quelli sono in condizione pessima, prima di tutto vediamo quali possiamo tenere e li saliamo sopra. >>
Bella annuì, iniziando così a guardare ogni libro.
L'ombra del vento , Il profumo ,Uomo nel buio, Madame Bovary, Anna Karenina.
Bella strinse ogni libro con vorace possessione, sentendosi quasi una cleptomane, desiderosa di portarseli via.
<< Questi sono conservati bene, potremmo salirli tutti e cinque. >> Propose la ragazza, sistemandoli sul primo gradino della scala.
Margaret annuì distrattamente, mentre si allungava verso uno scaffale.
Bella si precipitò subito dietro la donna, afferrandola prima che potesse cadere.
<< Attenta Margaret, il legno non è più resistente come una volta. >> Le sorrise, rimettendola in piedi. Con un corpo piccolo come il suo, Margaret si chiese come avesse fatto a sorreggerla.
<< Hai ragione cara. >> Sussurrò l’anziana donna, sistemandosi meglio i capelli, legandoli in un alto chignon.
Facendo un grosso respiro Bella propose la sua idea.
<< Forse potremmo migliorare la situazione della libreria, cambiando qualcosa. >>
Margaret si voltò sorpresa verso Bella, << Che cosa intendi dire? >> le chiese torva. Non le piaceva la piega che aveva preso il discorso. Margaret non avrebbe cambiato nulla, perché era stato Alfred ad arredarla e scegliere la disposizione degli scaffali, e lei non avrebbe mai voluto spostare niente, per non allontanarsi dal suo vecchio amore.
<< Potremmo colorare le pareti di un colore più acceso, e magari riverniciare gli scaffali ormai decrepiti. >> Gli occhi di Bella s’illuminarono, << cambiare disposizione, e ordinare nuovi libri, più giovanili, in modo da attirare l’attenzione sui giovani… >>
Margaret impallidì sentendo tutte quelle parole.
<< No. >> Sbottò sbattendo la mano su un grande libro.
Isabella sobbalzò spaventata.
<< No cosa? >> chiese con voce tremante.
Gli occhi azzurri di Margaret brillarono nella semi oscurità della stanza, << ragazzina non ti permetto di mettere mano alla mia libreria, hai capito bene? >>
Gli occhi di Bella si fecero subito rossi, Margaret non le aveva mai parlato usando un tono così aspro. Fece qualche passo indietro, stringendosi le braccia al petto, << ma io volevo solo aiutarti. >>
<< Tu vuoi rovinarla questa libreria con tutti quei cambiamenti. No, mi dispiace io non te lo permetto. >> Disse ancora più duramente. Non era colpa sua, lei non avrebbe mai voluto alzare la voce contro Isabella, ma certi argomenti, certe parole le facevano salire il sangue al cervello, perdendo la ragione.
<< Questa è la mia libreria. >> Aggiunse, << e tu non ti devi più permettere a dire certe cose. >>
<< Non sai neppure cosa si nasconde dietro il cemento di questo luogo, dietro ogni acaro di polvere. Questa libreria ha più storia di tutti i libri presenti all’interno di questa stanza. >>
Bella stava piangendo, le lacrime salate le rigavano il volto. Si era sentita ferita, umiliata. Pensava di non aver detto nulla di male, e di certo la reazione di Margaret era stata piuttosto esagerata. Non poteva davvero prendersela con lei, non dopo tutto quello che Bella aveva fatto per la sua libreria.
<< Io non volevo. >> Sussurrò boccheggiando, << mi dispiace, scusami Margaret. >>
Lentamente percorse le scale per ritornare in libreria, allontanandosi dal magazzino. Quando rivide la luce, il sole e il calore di quella bella giornata, risplenderle intorno, si sentii sopraffare da un turbine di sensazioni avverse. In silenzio prese il giubbotto che aveva posato sulla sedia, uscendo dalla libreria, senza nemmeno chiudere la porta.
Raggiunse la strada velocemente, respirando a piedi polmoni, cercando di scacciare le lacrime con la manica del giubbotto.
Non si preoccupò neppure dell’orario o se qualcuno la stesse guardando. In quel momento si sentii tradita, Margaret non si era mai comportata così con lei.
Piccola com’era non poteva minimamente pensare di contenere tutta quella rabbia, ma la cosa che più fece stare male Isabella, era il fato di non riuscire a capire dove avesse sbagliato. Lei voleva solo aiutarla a rimettersi in piedi, in modo da recuperare non solo il denaro perso, ma soprattutto i vecchi clienti.
Un gruppo di giovani le passò accanto, scontrandosi contro di lei, che senza nemmeno rendersene conto, si ritrovò schiacciata contro un muro, mentre le persone le passavano accanto senza neppure fermarsi a chiederle se ci fosse qualcosa che potevano fare per lei.
Mentre cercava di regolarizzare il respiro non si accorse di un giovane ragazzo che si stava avvicinando a lei, con passo elegante ma veloce. Prima che Bella se ne potesse accorgere, il ragazzo le posò una mano sulla spalla.
<< Bella stai bene? >>
La voce di Edward venne recepita dal timpano come se diverse campane si fossero sovrapposte tra loro, creando solo tanta confusione.
Il ragazzo preoccupato lasciò scivolare la chitarra sull’asfalto, avvicinandosi di più alla ragazza.
<< Ehi piccola, che cosa è successo? >> Il modo in cui l’aveva chiamata convinse Bella ad abbracciarlo, stringendo spasmodicamente le braccia intorno alle sue spalle.
<< Oh Edward, ho combinato un casino. >> Sussurrò tra un singhiozzo e un gemito di frustrazione.
Il musicista vedendo quella piccola ragazza così indifesa si sentii il cuore stringere in una morsa d’acciaio, e ricambiò l’abbraccio avvicinandola di più al suo petto. Con la mano libera le accarezzò i capelli, lasciandola sfogare.
<< Che cosa è successo? >> le domandò, soffiandole dolcemente sulla guancia.
Bella si sentiva in Paradiso, ma al centro esatto dell’Inferno.
Edward la stringeva talmente forte da impedirle persino di respirare. Ma il profumo del ragazzo raggiunse prepotentemente le narici di Bella, che involontariamente assorbirono quel dolce profumo fino a far gonfiare i polmoni. Sapeva di pompelmo e menta, avrebbe tanto voluto posare le sue labbra su quel lembo di pelle scoperta, tra il mento e il giubbotto nero che indossava.
Sopraffatta da queste strane sensazioni e da uno strano vuoto che le aveva riempito lo stomaco si allontanò leggermente, in modo da poterlo vedere meglio negli occhi.
Quei bellissimi occhi verdi che tanto adorava, di cui molto presto non sarebbe riuscita più a fare a meno.
<< Piccola, vuoi dirmi che cosa hai combinato? >> le domandò una volta che Bella smise di piangere.
La ragazza annuì, arrossendo. << Ho litigato con Margaret. >> Sussurrò stringendo la manica del giubbotto di Edward.
Il musicista le sorrise dolcemente, << come mai? >>
Bella scosse la testa, << non lo so, ha fatto tutto lei. >> balbettò confusa. << Le stavo proponendo di cambiare un po’ lo stile della libreria, quando lei si è messa a urlare, dicendomi che non mi sarei dovuta permettere di toccare nulla. >>  Un'altra lacrima le rigò la guancia, ma Edward avvicinando la mano al suo viso, la scacciò via con il pollice.
<< Non piangere, vedrai che sarà stato solo un momento. >> Cercò di consolarla.
Non conosceva Margaret e per questo non poteva neppure giustificarla, ma sapeva nel profondo che questa donna non avrebbe mai voluto fare del male a Bella.
Nessuno avrebbe mai potuto farle del male. Perché quella ragazza aveva due occhi da far accapponare la pelle e rivoltare lo stomaco, tanto fosse abbagliate, e Edward per una ragazza così sarebbe stato capace di scalare intere montagne pur di vederla sorridere.
<< Tu non la conosci, lei non si era mai comportata così, prima d’ora. >> Sospirò sistemandosi i capelli con una mano.
<< Proprio per questo, sarà stato un moto di rabbia involontario, forse si è sentita minacciata dai tuoi cambiamenti. Vuoi che ci parli io? >> Le propose dolcemente.
Bella sollevò lo sguardo, perdendosi nel mare verde più profondo nel Mondo.
<< Non cambierebbe nulla, però ti ringrazio per il pensiero. >> Gli sorrise debolmente.
Edward si portò una mano tra i capelli leggermente impicciato, << siamo amici no? Per gli amici questo e altro. >>
<< Siamo amici? >> Gli sussurrò Bella facendolo tremare.
Edward tentennò di fronte al suo sguardo, << posso essere tuo amico? >>
Il cuore di Bella sembrò impazzire, non l’aveva mai sentito battere così furiosamente, e sperò tanto che Edward non lo sentisse, << si Edward, vorrei tanto che fossimo amici. >>
 
 
  ***
 
Una brezza leggera le scompigliava i capelli, mentre stringeva le funi dell’altalena a Kensington Gardens. Bella si dondolava avanti e indietro, lentamente, senza mai sollevarsi realmente da terra.
Edward le si era seduto sul sedile accanto, senza però muoversi. Aveva posato la chitarra ai suoi piedi, stando attento a non far entrare sabbia dentro la custodia.
Il musicista le aveva chiesto altre spiegazioni, scavando con delicatezza nei ricordi di Bella.
<< Te l’ho detto, Margaret è molto importante per me. >> Gli aveva sussurrato, cercando di scacciare nuove lacrime che premevano agli angoli degli occhi per essere liberate.
<< Perché? >> le domandò, guardandola.
Bella sospirò stanca e avvilita, << è una lunga storia. >>
<< Io non vado da nessuna parte. >> Le sorrise sghembo, facendo arrossire la ragazza.
Isabella voleva confidarsi, raccontargli tutta la verità, ma poteva aprirsi così tanto con uno sconosciuto? Questo non lo sapeva, ma in quelle due gemme, Bella era certa, ci sarebbe affogata un giorno. C’era qualcosa che la convinse ad aprirsi, a dirgli tutto quello che le passava per la testa, con lui avrebbe tanto voluto essere se stessa, con lui ne era certa, sarebbe riuscita a ritrovarsi.
<< Mia madre morii tre anni fa, per un tumore. >> Gli disse tutto in un fiato. Edward s’irrigidì, colpito da quelle parole e dal tono di voce che Bella aveva usato. Non le disse nulla, non l’abbraccio neppure, semplicemente aspettò che lei continuasse.
<< Mio padre poco dopo decise di partire, e di ritornare a Forks, sua cittadina d’origine. Io però non riuscii ad allontanarmi, così decisi di restare. >> Disse fissando i granelli di sabbia intorno alle sue scarpe.
<< Trovai la libreria di Miss Popper due anni fa, innamorandomene follemente. Passavo lì intere giornate, immersa tra le pagine dei libri. Margaret mi notò subito e non so bene come, ma un giorno mi propose di lavorare con lei, dicendomi che aveva bisogno di aiuto per mandare avanti il negozio. Io accettai, certa di aver finalmente trovato la deviazione che mi avrebbe distratto dal dolore. >> Questa volta Bella non riuscii a fermare le lacrime, e si ritrovò presto tra le braccia di Edward, singhiozzando.
<< Non avevamo mai litigato prima d’ora. >> Borbottò tirando su con il naso. Edward che era rimasto tutto il tempo in silenzio si risvegliò, prendendo il volto di Bella tra le mani, costringendola dolcemente a sollevarsi, per potersi guardare negli occhi. Con i polpastrelli le scacciò le lacrime, sorridendole come mai nessuno le aveva mai fatto.
<< Mi dispiace tanto per tua madre. >> Le disse posando una mano sulla sua guancia calda. La pelle di Bella sembrava andare a fuoco, si sentiva avvampare, e non riusciva proprio a capire come un semplice tocco potesse provocare un così grande scompiglio dentro di sé.
<< Mi dispiace soprattutto di non averti conosciuto prima, perché sai Bella, dentro di te, hai una tristezza infinita. >> Le sussurrò debolmente, posandole un bacio leggero sulla fronte. << Ma adesso ci sono io con te, e voglio che tu sappia che non sei più sola. >>
<< Non so come sia possibile, ma, io ti voglio bene. Ti sento dentro come… come se ci fossi sempre stata. >> Le confessò abbassando leggermente la voce.
Brividi sconosciuti attraversarono la spina dorsale di Bella, che involontariamente o forse proprio perché lo desiderava troppo si strinse forte al petto di Edward, ascoltando il battito del suo cuore.
<< Non so nulla di te. >> Gli sussurrò senza alzare il volto dal suo petto.
Edward s’irrigidì convinto che si sarebbe allontanata presto, prendendolo per un pazzo, ma ancora una volta Bella lo sorprese.
<< Eppure con te mi sento al sicuro, folle vero? >> Rise amaramente.
Edward le strinse le braccia intorno alle spalle, respirando il suo profumo.
<< Ti sento dentro anche io, come se tu avessi sempre fatto parte di me. >>
Follia ecco cos’era quello che attraversava la mente dei due giovani. Impossibile che in così poco tempo si potessero sentire emozioni così forti, eppure si sentivano come due fili della stessa coperta. << Ti voglio bene anche io, Edward. >>
Alcune volte non servono a niente i fulmini. Alcune volte non occorrono lampi di luce ed energia per spaccare il cielo. Alcune volte occorrono solo due anime divise che si ritrovano dopo tanto tempo. Alcune volte l’innocenza si scontra contro la consapevolezza e allora nasce la tempesta di qualcosa che mai nessuno sarebbe in grado di spiegare a parole.
 
   ***

Camminavano vicini, spalla contro spalla, sorridendosi dolcemente, mentre si allontanavano dal parco, per fare ritorno a Notthing Hill.
<< Non suoni oggi? >> gli domandò Bella, nascondendo le mani dentro le tasche del giubbotto. Edward fece spallucce, passandosi poi una mano tra i capelli.
<< No. >>
<< Perché? >> gli chiese subito dopo, mordicchiandosi le labbra.
Edward dovette distogliere lo sguardo dal suo viso, sentendo uno strano nodo alla bocca dello stomaco, vedendo il modo in cui Bella si mordicchiava.
<< Devo tornare a casa. >> Le sorrise alzando e abbassando subito lo sguardo dai suoi occhi.
Bella sospirò, << peccato, avevo proprio bisogno della tua voce oggi. >>
Edward la strinse con un braccio, attirandola più vicino al suo corpo, << perché non me l’hai chiesto prima al parco. Avrei cantato volentieri per te. >>
La ragazza imbarazzata alzò lo sguardo al cielo, vedendo come le nuvole si fossero addensate, avvicinandosi tra di loro, creando un mantello. << Dici che per avere un cielo così uniforme le nuvole vengano attaccate con la Vinavil? >> gli domandò senza imbarazzo.
Edward sollevò la testa, fissando il cielo per un paio di secondi, << non saprei, ma se anche fosse poi come farebbero a staccarsi? >>
Bella ci riflette attentamente prima di rispondere.
<< Forse il sole oltre a riscaldare, con i suoi raggi riesce a scongelare le nuvole. >>
Edward ridacchiò, scompigliandole i capelli affettuosamente.
Non si erano mai sentiti così vivi e completi, come se la vicinanza dell’altro bastasse a colmare il vuoto che portavano dentro.
<< Cosa dirai a Margaret? >> le chiese Edward vedendola assorta nei suoi pensieri.
<< Che mi dispiace molto per essere scappata via, ma soprattutto le dirò che non avevo alcuna intenzione di cambiare la sua libreria senza chiederle prima il permesso. >> Rispose,annusando l’aria colma di aromi e profumi. Proprio accanto a loro in quel momento si trovava un ristorante indiano, le porte erano aperte e il sorriso di un vecchietto dai tratti orientali sembrava essere messo davanti la porta per attirare clienti.
Bella sentii un buco allo stomaco, doveva essere ora di pranzo e lei non aveva mangiato nulla. Si voltò verso Edward, perdendosi ad osservare la linea dritta della mascella e il modo in cui corrugava la fronte. Quando il musicista si voltò e si ritrovò i suoi occhi addosso, Bella abbassò di colpo la testa, imbarazzata.
<< Che cosa c’è? >> le domandò Edward con tono ironico, in un certo senso adorava metterla in imbarazzo, i movimenti impacciati e timidi della ragazza lo facevano impazzire.
Bella indicò il ristorante indiano.
Edward annuì avvicinando la mano allo stomaco, << hai ragione, anche io ho una fame da lupi. Entriamo dentro, ti va? >> le sorrise.
<< Certo che si, non vorrei svenire a causa dello stomaco vuoto. >>
<< Allora vieni, >> le disse prendendole la mano, incatenandola alla sua, << hai mai provato il Kebab? >>
Bella lo guardò scettica, << il panino ripieno di carne e verdure? >>
<< Esatto. >>
<< No grazie, preferisco vivere. >>
Edward scoppiò a ridere, << andiamo fidati di me, è ottimo. >>
Bella lo seguii all’interno del ristorante, << sicuro che dopo non sarò costretta a passare il resto della giornata in bagno? >>
La fragorosa risata di Edward e il modo in cui l’aveva abbracciata, le fece perdere ogni briciolo di tensione, con lui avrebbe fatto qualsiasi cosa, anche assaggiare un panino dalle mostruose sembianze.
 
   ***

<< Visto, cosa ti dicevo? >>
Bella diede un ultimo morso al panino, gettando la carta nel bidone dell’immondizia.
<< Devo ammettere che non era niente male. >>
Edward sollevò un sopracciglio, << niente male? Andiamo tutti devono assaggiare il Kebab nella propria vita. Dovresti ringraziarmi sai? Ogni volta che ti chiederanno, “hai mai mangiato il Kebab?” tu potrai rispondere affermativamente solo grazie a me. >> Disse facendola ridere.
<< Buffone. >> Borbottò mentre gli dava una leggera spinta con entrambe le mani, posando i palmi aperti sul suo petto.
Edward le afferrò i polsi delicatamente, prima che potesse spingerlo un'altra volta, e facendola girare su se stessa la catturò, imprigionandola tra le sue braccia.
<< Chi è lo sbruffone adesso? >> le sussurrò lentamente sul suo orecchio.
Le gambe di Bella si fecero improvvisamente deboli e se non fosse stato per Edward che la stringeva, sarebbe sicuramente caduta a terra. Quella posizione le faceva uno strano effetto.
Edward posò entrambe le mani sui fianchi di Bella, stringendola in un abbraccio protettivo.
Proprio mentre Isabella si stava per voltare per perdersi negli occhi del suo musicista, una voce femminile catturò l’attenzione di entrambi.





In molte penserete che ci trovo piacere a terminare i capitoli così, ma sappiate che non è affatto così, solo credo che in ogni storia ci voglisla giusta suspense.
Ho deciso di terminare il capitolo lasciandolo aperto, sotto più punti di vista. Nel prossimo infatti capiremo chi è la donna che ha richiamato l'attenzione dei due protagonisti e cosa succederà tra Margaret e Bella.
Ringrazio tutte voi che mi seguite e supportate durante i miei momenti "no". Mando un bacio speciale a i recensori perchè con le loro parole mi confortano e mi fanno sentire speciale e un abbraccio a tutti i lettori silenziosi sperando che prendano coraggio nel recensire la storia. Ricordate: io non mangio nessuno xD
Mi piace molto interagire con i lettori, così vi farò una piccola domanda, avete mai assaggiato il Kebab? Se si, vi è piaciuto? Se no, avete mai intenzione di provarlo?
I hug everybody!


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Capitolo 12
*** Near to you ***


11 cap Buonasera a tutte voi ragazze, non so proprio come cominciare. Sono davvero in un ritardo assurdo, vi ho lasciato per più di due settimane senza un capitolo, sono imperdonabile.
A mia discolpa posso solo dire che non è stata del tutto colpa mia. La scuola ha riempito l'80% delle mie giornate, compiti, interrogazioni. Il restante 20% è stata l'ispirazione che davvero ha fatto mille capricci.
Questo capitolo prendetelo un pò come un capitolo di passaggio, ma fate ben attenzione a ciò che accade, ogni parola, ogni gesto crea nuove situazioni. Detto questo ringrazio tutte voi per la vostra immensa pazienza. Siete le migliori lettrici del Mondo.
Un bacione enorme, la vostra Lua.
Buona lettura.



                                                                                                 

11. Near to you.



Il sorriso di Edward si spense quando i suoi occhi incrociarono quelli di Rosalie, immobile davanti a loro.
Allontano Isabella dalle sue braccia, ma senza realmente spostarla. Quando Rosalie si avvicinò ai due ragazzi con passo elegante, Bella fece una strana smorfia.
Si sentiva inferiore.
«Edward cosa ci fai qui?» Le domandò la ragazza.
Isabella notò che anche quella sconosciuta portava uno strumento sulle spalle, sicuramente non era una chitarra, perché era molto più piccola la sua custodia, rispetto a quell’enorme di Edward. Pensò che fossero amici o forse qual cosina in più, e che frequentavano lo stesso corso di musica. E iniziò a far viaggiare la sua mente verso orizzonti che non aveva mai sfiorato, riscoprendo così che quei pensieri le procuravano una strana stretta allo stomaco, e senza volerlo si ritrovò a stringere la mano sulla manica del giubbotto di Edward.
«Ho finito adesso il corso.» Rispose Edward osservando l’amica avvicinarsi.
Rosalie sollevò un sopracciglio, guardò entrambi i ragazzi stretti ancora in uno strano abbraccio, quasi come se volessero difendersi entrambi, e li trovò tremendamente complementari, come pezzi di un puzzle perfetto.
«Sono le quattro passate, oggi è durato più del solito?» continuò imperterrita Rosalie, cercando di smascherare Edward.
Isabella sembrò risvegliarsi quando apprese l’orario, e con uno scatto si allontanò da Edward. Il ragazzo l’osservò incuriosito e anche un po’ preoccupato. Improvvisamente si sentiva una voragine nel petto. Lì dove poco prima c’era il corpo di Isabella, adesso c’era solo tanto freddo.
«E lei è una tua compagna di corso?» domandò ancora Rosalie, allungando la mano a Isabella.
«Mi chiamo Rosalie e sono un amica di Edward.» Le sorrise incoraggiante. Quando Bella sentii pronunciare la parola “amica” da quelle labbra così perfette si sciolse immediatamente, allungando la mano fino a raggiungere quella di Rosalie e stringerla in un saluto cortese e un po’ impacciato.
«Io sono Bella, piacere di conoscerti.»
Rosalie spalancò gli occhi, squadrandola come se si trovasse di fronte un sogno.
«Rosalie.» Edward si avvicinò alle due donne, sorridendo all’amica, «Bella non è una mia compagna di corso, è semplicemente un amica.» Le disse fissandola intensamente, come a volerle farle capire di averla trovata, e che era proprio lei la ragazza del mistero. Rosalie improvvisamente si rese conto di come fosse assurdo non accorgersi di Isabella, di come adesso poteva capire Edward. Non sapeva nulla di lei, se non il suo nome e i suoi occhi. Ma quegli occhi, intrinseci di una tristezza che purtroppo conosceva molto bene,  non potevano non lasciare un segno.
«Edward, è solo un braccialetto. Potrebbe essere una tua fan o semplicemente una ragazzina dagli ormoni in subbuglio, la tua voce ha un effetto abbastanza travolgente sulle donne. Perché ti crucci tanto per un braccialetto?»
Si ricordava perfettamente di aver pronunciato quelle parole, solo qualche giorno precedente. E solo adesso si rendeva conto del suo sbaglio. Quella ragazza non sarebbe mai stata come le altre, e se ne rese conto dal modo in cui la guardava fissare il Mondo con occhi sbarrati. Quando l’aveva vista stretta tra le braccia di Edward l’aveva trovata perfetta per lui. E forse stava impazzendo, perché neppure la conosceva, eppure già l’aveva capito che quella ragazza qualcuno l’avrebbe fatto impazzire davvero.
«Oh si capisco.» Bisbigliò passandosi una mano tra i lisci capelli biondi, «io stavo tornando a casa, tu cosa fai?» chiese a Edward, mantenendo però lo sguardo fisso negli occhi di Isabella.
Il ragazzo sorrise alla sua amica, «accompagno Bella a casa e torno.»
«No Edward non devi, davvero posso tornare benissimo a casa da sola.» Disse Bella abbassando lo sguardo, leggermente imbarazzata.
Rosalie osservò la scena in silenzio.
Edward sembrò contrariato, «non se ne parla proprio.» Sembrava stesse scherzando ma nel suo tono di voce c’era una nota seria che fece trasalire Rosalie.
Quand’era l’ultima volta che Edward si era preoccupato così per una ragazza che non fossero lei o Alice?
Il Mondo stava crollando sotto i loro piedi, ma per occhi così lei non era neppure più certa di essere pronta a crollare. Era lo stesso sguardo, la stessa intensità, lo stesso modo in cui la guardava il suo Emmett.
Forse stava accadendo davvero. Forse stava davvero cambiando.
Ma chi esattamente?
Il sorriso di Edward accelerò il battito cardiaco di Bella che improvvisamente si rese conto di quanto fosse intenso, sentirsi importante per qualcuno.
«Ma forse la tua famiglia ha bisogno di te, adesso.» Continuò sussurrando, non del tutto convinta delle sue parole.
Edward scosse la testa, «la mia famiglia saprà cavarsela benissimo anche senza di me, non è così Rose?» domandò rivolgendosi alla ragazza.
Rosalie annuì con un sorriso che avrebbe fatto invidia alla stella più belle per quanto fosse accecante. E Bella si chiese se fosse una caratteristica di famiglia o una malattia del loro sangue. Perché persone così belle non ne aveva mai visto.
Eppure Rosalie si era presentata come amica, perché adesso Edward le stava rivolgendo la parola come se fosse una sua familiare?
«Si tranquillo, avviso io gli altri.» Rispose la ragazza all’amico.
Edward si voltò verso Isabella con un sorriso vittorioso dipinto sul volto perfetto, «visto? Nessun problema.»
Isabella osservò Rosalie, «mi dispiace portare via Edward alla tua famiglia.»
Rosalie si lasciò sfuggire una risatina, «figurati io e Edward non siamo davvero fratelli.»
Bella si voltò verso Edward incuriosita.
«E’ una lunga storia.» Le sorrise il musicista.
«Per la verità non vi è nulla di complicato, ma se Edward preferisce parlarti di noi in un altro momento non posso che accettare la sua decisione.» Aggiunse Rosalie con aria stanca.
«Non siete assassini vero?» domandò tra l’ironico e il preoccupato Bella.
Sia Edward che Rosalie scoppiarono in una fragorosa risata, «no, ma sai Edward forse dovremmo iniziare ad ampliarci anche in quel campo, così forse guadagneremmo di più.» Gli disse facendogli l’occhiolino.
Edward scosse la testa, avvicinandosi a Bella.
«Andiamo Bella.» Dolcemente le sfiorò una spalla, catturando immediatamente la sua attenzione. «Ci vediamo dopo Rosalie.»
La ragazza gli sorrise, «non c’è fretta Edward, il Mondo non scappa da nessuna parte.»
Si sorrisero, poi le strade dei tre ragazzi si divisero, ma non completamente. Edward e Bella ancora non se n’erano resi conto, ma presto sarebbe diventata una loro abitudine quella di camminare uno accanto all’altro con lo sguardo puntato all’orizzonte.
 
***

Un manto di stelle cercava di uscire allo scoperto dietro la coltre di nuvole scure che minacciavano la grande città, ancora attiva.
Alice aveva appena terminato il ritratto dell’adorabile bambina, che da più di un ora pretendeva di essere il suo soggetto. All’inizio pensò potesse essere divertente, ma quando si rese conto del tempo che ci sarebbe voluto per terminare il ritratto, la bambina aveva iniziato a lamentarsi e scalciare calci in aria, cercando di catturare l’attenzione della madre.
La donna aveva chiesto ad Alice quanto tempo occorresse per terminare, ma Alice la zittii con uno sguardo truce, rispondendole che non si deve mai dare fretta ad un artista.
E lei lo era davvero un artista, solo i suoi quadri non erano ancora stati esposti alla National Gallery o al Tate Modern.  Ma Jasper le diceva sempre che un giorno avrebbero aperto una sezione solo per lei, come se fosse una quinta stagione, e lei di questo ne era felice, perché il modo in cui bruscamente terminava l’Inverno e iniziava la Primavera non le era mai piaciuto.
La bambina troppo stanca si sollevò dallo sgabello prima che Alice potesse terminare il disegno e corse via, nascondendosi dietro le gambe robuste della madre. La donna sconsolata decise comunque di pagare Alice per la pazienza, ma la ragazza non li avrebbe mai accettati i suoi soldi senza che lei si prendesse il disegno. Così  decise di tracciare due linee ben precise sopra il volto della bambina, cambiandone i lineamenti con mano ferma e decisa. Trasformò il ritratto della bambina in una simpatica caricatura dai tratti delicati. La donna se ne innamorò follemente e decise di acquistarlo anche se alla figlia non piaceva per niente. Era una caratteristica di Alice quella di trovare sempre una soluzione a tutto. Così entrambe le donne tornarono a casa contente, tutte tranne la piccola bambina, che nel disegno fatto da Alice non si ci rivedeva per niente, perché troppo altezzosa e viziata per accorgersi di quanto in realtà, fosse identico al suo essere e a quello che un giorno sarebbe diventata.
Alice percorreva il lungo corridoio della metropolitana gremito di gente. In una mano reggeva le tele, nell’altra una tavola piena di colori.
Sorrideva felice, forse un po’ stanca, ma contenta di tornare a casa.
Quando le porte della metropolitana si aprirono, lei percorse quel piccolo labirinto, prima di salire le scale e ritornare in superficie.
Come ogni giorno salutò il Signor Parker il vecchio guardiano dei giardini pubblici, proprio accanto al palazzo in cui abitava con gli altri ragazzi.
L’uomo la chiamò per nome, chiedendole di avvicinarsi.
«Buona sera Signor Parker.» Sorrise la ragazza.
«Buona sera a te, carissima Alice. Sono proprio felice di vederti.» Le disse osservando le tele che stringeva tra le mani.
La ragazza lo fissò incuriosita. Le rughe tracciavano dei strani percorsi sulla sua pelle, quasi come se stessero raccontando una storia. E Alice si perdeva tra le pieghe che la pelle tracciava come a voler liberare in aria un intera vita. Il Signor Parker sapeva di conoscenza, di guerra e di malinconia. Dentro i suoi occhi albergava un profondo sentimento, sconvolgente e inarrestabile. Aveva vissuto tutto quello che c’era da vivere, e l’aveva fatto probabilmente accanto alla persona amata.
«Come è andata oggi?» le chiese con gentilezza.
«Bene, quando dipingo mi sento sempre bene.» Gli rispose quasi con ovvietà.
L’anziano signore rimase compiaciuto da quella risposta. «Fantastico. Questo è per te, Alice.» Le sorrise porgendole un foglio ripiegato. «So bene quanto tu ami dipingere, quanto questo ti renda viva. Ti ho visto farlo milioni di volte e ogni volta è più intensa della precedente. Brilli Alice e sei pura energia.» Le disse fissandola dritto negli occhi, «Fanne buon uso ragazza mia.»
Con un cenno del capo la salutò per poi allontanarsi e scomparire tra i cespuglietti del giardinetto. Alice rimase immobile, imbambola. Posò le tele e la tavola dei colori accanto ai suoi piedi, e con mano tremante aprii il foglio.
Lesse cautamente, per più volte, il titolo del volantino. “20esima edizione del concorso di pittura nazionale “The noise of the world”. Compila, ritaglia, e spedisci il tagliando d’iscrizione!”
Era stata colta alla sprovvista, non era pronta a cogliere dentro di lei tutta quella confusione organizzata di parole che il signor Parker aveva osato rivolgerle. E non era nemmeno degna di tenere fra le mani uno di quei volantini.

 
***
Edward osservava di sottecchi Isabella, intenta ad osservare il lieve calare del sole. Benché le nuvole non si fossero dissolte del tutto, il cielo era abbastanza grande da far risplendere la luce della Stella.
Più l’osservava e più si sentiva pieno.
Pieno di qualcosa che non gli apparteneva.
Pieno di buoni propositi e sogni da realizzare.
Pieno di speranze e gioie da provare e far provare.
Pieno di sorrisi da regalare.
Lo guardi mai il cielo Isabella? Da quanti filamenti pensi sia composto?
Ma si possono poi contare tutti i tasselli che lo compongono? Ti andrebbe di provare?
Potremmo sdraiarci in un prato in mezzo a miliardi di fili d’erba e tentare di contarli tutti. Ma sai una cosa, forse tu lo conosci già quel numero tanto perfetto dipinto d’azzurro.
Credi sia troppo audace chiederti il permesso di stare con un Angelo?
Bella si voltò verso il musicista, sorridendogli dolcemente.
«Ma lo sai di essere sovrannaturale?» gli domandò mentre percorrevano il vialetto che l’avrebbe portata a casa.
Edward ridacchiò e pensare che era lui a ritenere lei, qualcosa di troppo elevato per essere umano.
«Posso passare da te domani?» le chiese mentre l’osservava cercare le chiavi di casa dalla borsa.
Isabella spalancò gli occhi sorpresa, «si.»
La mano grande di Edward si sollevò verso il viso di Bella, lasciandole una tenera carezza che la spezzò in due.
«Sono certo si chiarirà tutto con Margaret.»
Il cuore di Bella probabilmente avrebbe preso il volo, ma non riusciva a capire se a causa delle parole di Edward o della sua vicinanza.
«Invece di venire tu in libreria, posso venire, io da te, al parco?»
«Ne sarei onorato.» Le sorrise, prima di allontanarsi di qualche passo.
Bella annuì, «Allora a domani.»
«Buona notte Bella.»Le disse dolcemente.
Isabella lo salutò da lontano con un gesto della mano.
Chissà se quella notte sarebbe riuscita ad addormentarsi dopo tutti i brividi provati.

 

A voi l'ardua sentenza.
Alla prossima settimana, cercherò di essere puntuale. Promesso.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 13
*** Tremble like California. ***


12. Tremble like California.    
Eccomi puntuale ragazze, avete visto? Per una volta sono riuscita a mantenere la promessa.
Cosa dire di questo capitolo? Prima di tutto è stato diviso a metà, poichè era troppo lungo, così mi sono trovata costretta ad interromperlo. La seconda parte la postero tra due/tre giorni, quindi non dovrete aspettare neppure molto.
Durante la lettura vi sarà proposta una canzone, vi consiglio vivamente di ascoltarla :)
Questo capitolo è il trampolino di lancio per l'intera storia. Non vi dirò nulla, tanto lo scoprirete da sole!!!
Ora vi lascio alla lettura.
Un bacio a tutte voi.
                                                                                     
                                                                                                               


12.  Tremble like California.

Quella mattina, in libreria, regnava un silenzio quasi irreale.

Isabella si stringeva forte nel suo cappotto, cercando con lo sguardo l’anziana proprietaria.
Aveva paura di un nuovo litigio, di un nuovo rifiuto, di non essere compresa.
Ma quando la vide in piedi, vicino l'ultimo scaffale, con gli occhi fissi nel vuoto, e la malinconia disegnata sul suo viso, tutte le paure sembrarono scomparire. Perché la vide in tutta la sua fragilità. Era una donna dal carattere forte, ma con troppe costole rotte dalla sfortunata sorte. La sua vita non era stata affatto una passeggiata, forse più un altalena, che a forza di andare su e giù, aveva perso di mira la gravità, e adesso le sembrava solo di precipitare. Sempre.
Quando le si avvicinò cercò di sorriderle, ma il ricordo della mattina precedente le impediva di essere del tutto sincera.
«Pensavo non saresti venuta.» Le sussurrò la donna senza sollevare lo sguardo da terra.
Isabella fece spallucce, fissandola, «non potevo non venire.»
Margaret fece un lieve sorriso, che Isabella notò immediatamente. «Ieri sono state dette tante parole.»
«In quante di quelle parole credevi?» Le domandò con voce tremante.
Stringeva le mani intorno al giubbotto ancora indosso.
«In quasi tutte.» Le rispose schietta Margaret.
Il respiro di Bella si smorzò improvvisamente, gli occhi si spalancarono di conseguenza. Ma prima che potesse reagire in qualche modo, Margaret riprese la parola.
«Ho detto che ci credevo non che fossero giuste.» Sospirò sollevando lo sguardo verso gli occhi scuri di Bella, «ho reagito d’impulso. Ho cercato di difendere la libreria, ma non da te, tu sei stata solo una valvola di scarico, l’occasione per scoppiare. Ho sbagliato Bella e di questo me ne vergogno molto. Non mi sarei mai dovuta permettere di trattarti in quel modo.» Continuò, passandosi una mano tra i capelli bianchi e sfibrati.
«Hai detto che volevi difendere la libreria, se non da me, da chi allora?» chiese sussurrando Isabella.
Margaret sospirò, sembrava stanca, come se non avesse chiuso occhi per tutta la notte.
«Dal resto del Mondo. Dalla modernizzazione, dal cambiamento, da tutto quello che l’avrebbe mutata.»
Isabella sussultò, «l’hai fatto per Alfred, non è così?»
Margaret annuì sistemandosi la piega del vestito. Era lo stesso del precedente. Isabella ipotizzò che non fosse tornata proprio a casa, che avesse passato tutta la notte in libreria.
«Te l’ho detto, è stato lui a metterla in piedi. Tutto quello che vedi, quello che respiri, è opera sua.»
Isabella osservò la donna preoccupata, «ieri mi avete spaventata.» Le confessò dolcemente.
«Lo so.» Disse semplicemente.
Isabella le posò una mano sulla spalla, «potrete mai perdonarmi?» le domandò speranzosa. Margaret sobbalzò di fronte a quella richiesta, facendo segno di no con la testa.
«Non sei tu che devi scusarti, ma io. Tu volevi solo aiutare la libreria a rinascere.»
«Forse non avrei dovuto usare quei termini.» Ipotizzò Bella.
Margaret le sorrise, «ci ho riflettuto tutta la notte. Non ho chiuso occhio a causa dei troppi pensieri. Ma sai cosa, tu hai ragione, hai dannatamente ragione. Non posso vivere per sempre tra i fantasmi del passato, qui bisogno rinascere.»Le disse sorridendole.
Bella ricambiò il sorriso, «volete quindi dirmi che ho carta bianca?»
Margaret annuì, «ovviamente porremo dei limiti.» Le disse autoritaria.
Isabella l’abbracciò di slancio, senza riflettere, e quando si sentii stringere dalle sottili braccia di Margaret, le sembrò che tutti i pezzi del puzzle fossero tornati al loro posto.
Le due donne si sedettero intorno alla scrivania, e insieme dissero tante parole. Ponendo limiti e libertà. Nessuna delle due si accorse dei minuti che passarono e delle ore che volarono.
Troppo prese l’una dall’altra per accorgersi del tempo.
Parlarono, molto anche.
Si abbracciarono, e quando finalmente si sollevarono dalle sedie, si accorsero che il sole era già a metà del suo percorso.
Isabella sorrise felice, lei doveva proprio andare, aveva un appuntamento dove non poteva assolutamente fare tardi.

«Pensi di riuscire a farcela senza la tua snervante mamma?» le domandò Reneè sorridendole con aria triste. Si sentiva in colpa. Lei non avrebbe mai voluto abbandonare quel Mondo prima di riuscire almeno a vedere la sua bambina innamorata. La riteneva bellissima e pensava che una volta lontano da lei, qualcuno l’avrebbe portata via per la troppa luminosità.
Vedeva nei suoi occhi la lucentezza del diamante. Occhi che scalfivano qualsiasi ostacolo, che rigavano il silenzio con appuntite chiavi, che se qualcuno li avesse visti nel modo giusto se ne sarebbe impossessato, tanto erano preziosi.
Isabella cercò di non piangere, ma la vedeva sempre più distante, sempre meno presente.
«Dimmi che esiste un modo per tenerti ancora qui con me.» Le sussurrò trattenendo il respiro.
La donna le sorrise, «piccola ma io sarò con te, sempre.»
Si abbracciarono teneramente, quando ancora il corpo della donna riusciva a muoversi.
«Incontrerai qualcuno che ti farà tremare, bambina mia. E ti sentirai come la California.» Le disse facendola sorridere.
Isabella assorbì quelle parole, chiudendole in cassetti chiusi a chiave dentro il suo cuore. Conservò ogni cosa di quella donna. La sentiva così vicina da percepirne ancora il profumo e i sussurri tra i respiri del vento.

When you say nothing at all - Ronan Keating

Se le ricordava ancora quelle parole.

Quelle sensazioni, quelle paure ancora vive dentro di lei.

Eppure quando il suo Mondo entrava in contatto con quello di Edward, le ferite del passato si rimarginavano, e la voce del cantante, diventava per Isabella l’antibiotico migliore per i suoi dolori.
E forse aveva ragione la mamma quando le diceva che l’avrebbe trovato.
Ora, Isabella osservava il suo musicista cantare, e si sentii tanto tremare, esattamente come accadeva in California durante i terremoti.
La voce di Edward disperdeva nell’aria particelle cariche positivamente di materiali altamente instabili. Ed Isabella si sentiva catturata, succube di quelle sensazioni.
Quando Edward la vide, in mezzo alla folla, le sorrise dolcemente, mantenendo lo sguardo puntato su di lei.
«The smile on your face lets me know that you need me
La sua voce tremava. I suoi occhi erano invasi da un unico Mondo ricoperto da candido cioccolato. Non si riusciva a spiegare il perché, ma c’era qualcosa in Isabella che gli faceva perdere il controllo.
Avrebbe composto le melodie più dolci solo per vederla sorridere.
«When you say nothing at all.» Ripeté con un intensità capace di sgretolare il cielo intero.
Occhi negli occhi. Verde e marrone, fusi in un unione impossibile da spezzare.
Forse il passato con loro non era stato molto clemente, ma il futuro, gli aveva fatto uno splendido regalo.
Isabella rise vedendo il ragazzo avvolto da una maree di persone, pronte a tutto pur di attirare la sua attenzione. Con quella canzone, aveva appena rivelato a Londra la sua vera identità.
Edward non poteva essere solo un musicista di strada. No, lui era molto di più.
Lui irradiava magia. Contagiava tutti con la sua voce, e nessuno poteva sfuggire a una tale epidemia di emozioni.
Isabella questo lo sapeva bene.
Riconobbe un ammasso di capelli ramati in mezzo a tutta quella gente. Cercava di liberarsi, sorridendo cordialmente a tutti.
No, non era un musicista famoso.
No, non aveva alcuna casa discografica.
No, non era un cantante travestito da mendicante.
No, non voleva una maglietta gialla.
Si, forse avrebbe ricantato, ma più tardi, prima aveva altre commissioni da fare.

«Sembrava non ti volessero più lasciare andare.» Gli sorrise dolcemente Isabella, vedendoselo arrivare con addosso ancora tutta la magia e la bellezza.

Edward alzò gli occhi al cielo, facendola ridere.
«Non mi era mai successo.» Cercò di giustificarsi, chiudendo la custodia della chitarra.
Bella lo fissava senza riuscire a smettere di abbassare lo sguardo. Si sentiva ipnotizzata.
«Come fai a non renderti conto dell’effetto che fai a chi ti ascolta?» gli domandò ingenuamente, sistemando una ciocca di capelli dietro l’orecchio.
Edward rise, «tra queste persone ci sei anche tu?» le domandò maliziosamente, facendola arrossire.
Bella balbettò qualcosa d'in concreto.
Il ragazzo le posò una mano sulla spalla, catturando tutta la sua attenzione, «Scusami Bella, non volevo metterti in imbarazzo.»
Bella cercò di sorridere, «non mi hai messo in imbarazzo.» Disse mentendogli.
Edward la guardò di sottecchi, «allora perché non mi hai risposto?» le domandò con dolcezza.
«Mi sembrava abbastanza ovvio.»
«Non lo è.»
Si fermarono uno di fronte all’altro. Solo pochi centimetri a dividerli.
«Mi fa impazzire il modo in cui canti, e quella canzone era bellissima.» Gli rispose abbassando lo sguardo, imbarazzatissima.
Edward però la costrinse a guardarlo negli occhi, accarezzandole la guancia con il pollice. «Quella canzone era per te.» Le confessò.
E se non fosse stato per due forti braccia che la strinsero in un abbraccio, Isabella sarebbe di certo caduta.
L’aveva trovato, il calore umano che stava cercando.
Edward notò l’imbarazzo di Isabella, così cercò di smorzare un po’ la situazione, spostando l’attenzione su qualcos’altro.
«Hai parlato con Margaret?» le domandò con dolcezza.
Bella annuì con un sorriso, «abbiamo parlato tanto e chiarito ogni dubbio. Mi ha praticamente dato carta bianca sulla libreria.» Gli disse mordicchiandosi il labbro inferiore.
Edward ridacchiò sollevato, «quindi possiamo metterci all’opera?»
«Hai ancora intenzione di aiutarmi?» gli chiese sorpresa Bella.
Il musicista rise ancora più forte, facendo tremare Isabella.
C’era qualcosa in quel ragazzo che non la facesse vibrare?
«Ovvio. Abbiamo una libreria da salvare.»
Sorridendole avvicinò la sua mano alla sua, stringendola delicatamente, «vieni con me. Mi è già venuta un idea.»
Bella si lasciò trascinare, ormai in balia di qualcosa troppo grande per essere fermato.

***

«Cosa ci andiamo a fare a Bermondsey Square?» domandò incuriosita Isabella, osservando il piccolo desktop della metropolitana che indicava l’arrivo dei treni. Si era seduta sulla panchina d’attesa, osservandosi intorno circospetta.
Edward si guardava intorno, osservando il flusso di gente che scendeva e saliva dalla metro.
«Non sei mai stata al Bermondsey Market?» le chiese guardandola negli occhi.
Isabella annuì, un po’ confusa, «però all’una solitamente le bancarelle sono già tutte scomparse.» Rispose giocherellando con il braccialetto.
Edward sorrise avvicinandosi a lei. Si abbassò alla sua altezza, sistemandole una ciocca di capelli dietro l’orecchio.
Bella trattenne il respiro. Averlo così vicino, le procurava una strana sensazione.
«Non ti sto portando alle bancarelle, Isabella.» Le sussurrò vicino all’orecchio.
«E allora dove?» gli chiese con il cuore in gola.
Il ragazzo si sollevò, allungandole la mano per aiutarla ad alzarsi. Isabella la strinse forte, sorridendogli un po’ impacciata.
«Una volta mi sono imbattuto in un vecchio negozio d’antiquariato. Pieno di cianfrusaglie e oggetti di dubbia provenienza, però c’era un reparto colmo di libri piuttosto rari.» Le disse mentre le porte della metro si aprivano e loro vi salivano sopra.
Molta gente salì dopo di loro, e i due ragazzi furono costretti a mettersi in un angolo, con i corpi così vicini che non vi era parte del corpo che non sfiorava quella dell'altro.
Edward era nettamente più alto di Isabella così le parlava senza poterla guardare negli occhi. Respirava però il suo profumo.
Bella al contrario, si era avvicinata, involontariamente, al suo petto, così da riuscire a sentire il cuore di Edward battere delicatamente.
«I libri rari sono molto cari.» L’interrupe Isabella.
L’autista frenò di botto, quando raggiunsero la prima fermata. Isabella dovette cercare un appoggiò per non cadere all’indietro. Il suo senso dell’equilibrio era piuttosto basso, così afferrò la manica del giubbotto di Edward.
Edward, di riflesso, le circondò il braccio intorno alla vita per evitare di farla cadere. Così si ritrovarono ancora più vicini, con l’incredibile desiderio di esserlo ancora di più.
Il cuore del ragazzo batteva più velocemente del solito, e Isabella se ne accorse, perché le sue guancie si colorarono di un pudico rossore.
«Scusami.» Le sussurrò Edward all’orecchio.
Isabella scosse la testa, cercando di riprendere a respirare regolarmente.
«Mi stavi dicendo di questi libri rari?» gli domandò Bella, cercando di distrarsi.
Edward sorrise, e anche se non riusciva a vederla in volto, sapeva che Isabella stava facendo la stessa cosa.
«Conosco il proprietario e sono convinto che non avrà nessun problema a prestarcene uno.» Le disse, stringendo la presa sul suo corpo. Lo aveva fatto involontariamente, come se non potesse fare altrimenti. Quella ragazza lo destabilizzava.
«Continuo a non capire.» Gli confessò Isabella, disegnando cerchi invisibili sul petto del ragazzo.
Edward rabbrividì ed Isabella se ne accorse, così decise, controvoglia, di fermarsi.
«Potremmo mettere in mostra il libro, attirando l’attenzione sulla libreria e nel frattempo pubblicizzarla.» Le spiegò soffiandole sui capelli.
«Sarebbe fantastico.» Sussurrò Isabella socchiudendo gli occhi, lasciandosi cullare dalle parole di Edward.
«Vedrai, Margaret sarà orgogliosa di te.»
«Ti devo un favore.» Gli disse Bella teneramente.
Edward scosse la testa, «ti sbagli, sono io che devo un favore a te, anzi molto di più.» Le confessò.
Isabella non riuscì a capire il reale significato delle parole, e voleva tanto chiedergli informazioni, ma si limitò a sospirare, mentre le porte della metro si aprivano e annunciavano l’arrivo alla loro fermata.
Scesero frettolosamente dalla metro, raggiungendo le scale mobili per ritornare in superficie.
«Come hai conosciuto il proprietario di questo negozio?» gli domandò incuriosita, mentre camminavano uno accanto all’altro.
Edward si guardava intorno, cercando di ricordare la strada, «diciamo solo che ho un amica piuttosto bizzarra. Il suo nome è Alice, ed è stata lei a trascinarmi in questo quartiere quasi tre anni fa.» Le disse, ma subito venne interrotto da Isabella.
«Alice?» sussurrò imbarazzata.
Edward si fermò di colpo, fissandola negli occhi.
«Si, è una mia amica.» Le disse con gentilezza.
«Una tua amica?» Isabella sembrava un disco ripetitivo.
Edward rise, «perché mi guardi così?» le chiese trattenendosi dal prenderla in giro.
Bella lo fissava in maniera disambigua, «così come?»
«Come se avessi detto una sacralità.»
«Io non ti guardo in nessun modo.» Gli aveva detto stizzita.
Leggermente alterata accelerò il passò, sorpassando il musicista.
Edward scosse la testa, ridacchiando. La raggiunse in meno di tre secondi, afferrandola per i fianchi e costringendola a voltarsi.
«Perché ti sei arrabbiata?» le domandò guardandola negli occhi.
Bella scosse la testa, «non lo so… sei stato tu… credo…» Borbottò confusa, arrossendo.
«Alice è la mia migliore amica, e non c’è nulla da temere, perchè è felicemente fidanzata.» Cercò di rassicurarla, ma l’espressione dipinta sul volto di Bella era qualcosa di altamente illegale. Edward dovette usare tutta la sua forza di volontà per allontanarsi dal suo viso e da quell’espressione così ingenua e tremendamente affascinante.
«Non volevo dire questo.» Farfugliò imbarazzata.
Edward sollevò un sopracciglio, «e allora cosa volevi dire?»
«Quanto ci vuole per arrivare?» gli domandò cambiando argomento.
Edward scoppiò a ridere, trascinandola verso una via secondaria. «Siamo arrivati.» Le disse indicandole un vecchio negozio.
«Comunque ti stavo dicendo, prima che venissimo interrotti.» Le sorrise, «che io e Alice abbiamo conosciuto il proprietario perché è un vecchio amico della sua famiglia. Questo anziano signore si è trasferiti da Chicago dieci anni fa.»
Isabella lo fissò confusa.
«Io e Alice non siamo Inglesi e neppure Rosalie lo è.» Le confessò.
Bella spalancò gli occhi sorpresa.
Edward si passò una mano tra i capelli ribelli, «credo sia proprio arrivato il momento di raccontarti la mia storia.»



Avanti ragazze sono proprio curiosa di leggere le vostre fantasie? Chi è secondo voi Edward?




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Capitolo 14
*** You could be the one who listens, to my deepest inquisitions, you could be the one I'll always love. ***


13.Capitolo

Eccovi il capitolo ragazze, puntuale come promesso. Ho cercato di mettere tutta me stessa, e devo ammettere che non è stato facile per me scriverlo. Ho cercato di tirare fuori tutte le emozioni, tutte le paure che avevo per questa storia. Il lato mio lato romantico è scoppiato, quindi preparatevi da ora in poi a vedere tanto zucchero filato.
Sono una ragazza, purtroppo per voi, ingenua e romantica, quindi molte volte riscontrerete questo mio lato in Isabella. Spero, comunque, che sia di vostro gradimento :)
Un bacione a tutte voi e buona lettura.
P.S. Non smetterò mai di ringraziavi ragazze, ogni recensione è per me un tuffo al cuore. Grazie. Grazie. Grazie.


                                                             





13. You could be the one who listens, to my deepest inquisitions, you could be the one I'll always love
      Muse - Unintended




Isabella non riusciva a fare altro che guardarlo. Non era stata la rivelazione appena rivelata ad averla turbata, ma le parole che le furono dette subito dopo.
Sembrava quasi che Edward facesse un grande sforzo per guardarla, e non le sembrava possibile, perché i loro occhi non avevano mai avuto grandi difficoltà a incontrarsi. Anzi, era sempre stato tutto piuttosto naturale, come se fosse normale. Ora, però, Edward sembrava non riuscire a reggere lo sguardo di Isabella, così tenne la testa bassa, mentre aspettava una sua qualche reazione.
«Non c’è nessun problema Edward, il non essere inglesi non mi preclude nessuna amicizia. Mio padre non è nato a Londra, ma ciò non significa che non gli voglia bene.» Gli sorrise impacciata e leggermente confusa, Isabella. Non sapeva bene cosa dire, così lasciò che fosse il suo cuore a parlare piuttosto che il suo cervello.
Edward sorrise, passandosi una mano tra i capelli.
Bella si accorse di quel gesto, non era la prima volta che glielo vedeva fare. Accadeva raramente e solo quando si trovava in una situazione difficile. Così cercò di alleggerire la situazione, avvicinandosi a lui, fino a costringerlo a guardarla negli occhi.
«Ehi, se vuoi puoi anche non dirmi nulla. Entriamo nel negozio come avevamo deciso e lasciamo perdere il tuo passato.» Gli propose sollevando gli angoli delle labbra, in un timido sorriso.
«Io voglio raccontartelo, solo non è facile.» Sospirò il ragazzo, facendo qualche passo in direzione del negozio. Isabella lo seguì in silenzio, aspettando che continuasse.
«Tu mi hai raccontato di tua madre e lo hai fatto aprendoti a un totale sconosciuto.» Disse non riuscendo a capacitarsene.
Isabella lo guardò torvo, «non sei uno sconosciuto Edward. E sappi che per me non è stata di certo una passeggiata parlarti di mia madre.»
Edward si sedette sui gradini del negozio, senza curarsi del proprietario.
«Credimi lo so che per te non è stato facile, so cosa si prova quando tutti ti voltano le spalle e tu non puoi fare altro che voltarle di rimando.» Sussurrò allungandole una mano. Bella la strinse forte e si sedette accanto a lui.
«E allora se sai cosa si prova non farlo più Edward, voltati e guardami negli occhi.» Gli disse con una sicurezza che non credeva le appartenesse. Edward fece come Isabella gli aveva chiesto, perdendosi nei suoi occhi, così dannatamente dolci e sinceri.
«Io ti ascolto Edward.»
Il ragazzo sospirò tornando indietro nel tempo, per rivivere gli anni di una vita che ormai non era più la sua.
«Mi chiamo Edward Cullen, sono nato a Chicago, una città piuttosto fredda. Sono praticamente cresciuto lì fino alla mia decisione di trasferirmi a Londra.» Disse guardandola negli occhi. Isabella annuii, come a volergli rispondere ma senza interromperlo.
«Non ho fratelli per questo essendo figlio unico sono stato piuttosto viziato, ma mai menefreghista. Amavo i miei genitori e loro amavano me. Mio padre era un uomo molto importante, lavorava in una compagnia di finanziamenti, mia madre al contrario, aiutava spesso nel sociale. Erano gli opposti ma si completavano a vicenda.» Sorrise al ricordo, «io come unico figlio sapevo già quali sarebbero state le mie sorti. Avrei preso il posto di mio padre, diventando così il proprietario della sua compagnia. Ma non era quello che desideravo. Per il mio futuro avevo piani diversi.
«Volevo diventare un musicista e diffondere le mie emozioni attraverso gli strumenti. Volevo insegnare alle persone come la musica potesse essere magica e potente, migliore di molte altre artificiali medicine. Ma non era quello a cui ero destinato.» Disse sospirando.
Isabella l'ascoltava senza interromperlo, sembrava tutto un sogno. La sua voce era capace di riportarla indietro nel tempo, come se anche lei fosse stata con lui a Chicago.
«Mio padre non approvava questa mia decisione, l’unico conforto per me era mia madre. Lei mi aveva sempre spronato ad andare avanti, a lottare per i miei sogni. Fu lei a insegnarmi il significato delle parole amore e amicizia.»
Isabella rabbrividì, «perché parli di loro usando il passato? Dove sono adesso i tuoi genitori?» gli chiese con un filo di voce.
Edward le sorrise dolcemente, «non ci sono più. Morirono cinque anni fa in un incidente stradale.» Le confessò abbassando la testa.
Bella spalancò gli occhi, «mi dispiace tanto.»
«Ero con loro quella sera, quando avvenne l’incidente. Stavamo tornando a casa e come al solito, io cercavo di convincere mio padre a lasciarmi libero di seguire il mio sogno.
«Era così pieno delle mie suppliche che decise di accontentarmi, mi avrebbe pagato gli studi di musica per un altro anno, così da poter tentare una qualche carriera. Ma il destino aveva in serbo qualcos’altro per la mia famiglia. Quella notte un ubriaco si scontrò contro la nostra auto. Mia madre morì sul colpo, mio padre seguì mia madre subito dopo.»
Gli occhi di Isabella erano colmi di lacrime, voleva abbracciarlo, stringerlo in un abbraccio, fargli capire che lui non era più solo.
«Non riesco ancora a capacitarmene, perché mi sembra impossibile essere ancora vivo. Ricordo solo che dopo l’impatto sono schizzato fuori dall’automobile, prima che si schiantasse contro il muro.»
«Dopo che cos’hai fatto?» gli domandò Isabella avvicinando il suo viso a quello di Edward.
Il ragazzo sospirò, «ho estratto i corpi dei mie genitori dalle lamiere, sperando di salvarli. Ma per loro era troppo tardi. Accecato dalla rabbia e annebbiato dal dolore mi scagliai contro l’automobilista ubriaco, che al contrario dei miei genitori era sopravvissuto.» Disse con rabbia.
«I soccorsi dovettero allontanarlo da me, prima che lo uccidessi. Credo di avergli fatto molto male.»
Isabella non riusciva a credere a quelle parole. Immaginare Edward come un ragazzo violento le sembrava impossibile, eppure poteva comprendere il suo dolore e la sua rabbia. Quell’uomo aveva ucciso i suoi genitori lasciandolo solo al Mondo,proprio quando suo padre si era deciso a lasciarlo volare.
«Passò un anno intero in cui abbandonai la musica e mi occupai degli affari di mio padre, ero appena maggiorenne, ma abbastanza intelligente da prendere le redini del comando.» Continuò accarezzando il dorso della mano della ragazza, e Isabella non poté fare altro che stringere la sua mano e portarla dolcemente sul suo viso.
«E’ stato l’anno più difficile della mia vita, ero completamente solo e con una grande responsabilità sulle spalle. Non me ne importava nulla in realtà della compagnia di mio padre, ma mantenere in vita lei era come mantenere in vita mio padre.
«Fu in quell’anno che incontrai Alice. Come me reduce da un passato difficile, ma con un incredibile dono per la pittura. Lei riuscì a convincermi a riprendere in mano la chitarra e ricominciare a cantare. E’ una ragazza splendida, sempre piena di sorprese. Per me è come una sorella.» Le spiegò gentilmente.
Isabella si sentì tanto una sciocca. Come poteva essere gelosa di una ragazza così?
«Non voglio che tu sia gelosa di lei Bella, io non potrei mai vederla in quel modo.»
«Mi sento così stupida, che non riesco neppure a capire come io abbia potuto anche solo pensare di essere gelosa.»
Edward le prese il volto tra le mani, scacciandole le lacrime che bagnavano il suo bellissimo viso.
«Tu sei così importante per me, da non rendertene neppure conto. A nessuno avevo mai raccontato la mia storia, se non ai miei migliori amici.» Le confessò con un sorriso.
«Davvero?»
Edward annuì, «si sciocca ragazza ipersensibile.» La prese in giro, cercando di sollevare la situazione.
L’aria era satura di tristezza, e Bella sapeva che non sarebbe finita così la storia del musicista.
«Che cosa accadde dopo?» gli domandò poggiando la testa sulla spalla di Edward.
Il ragazzo sospirò, «incontrammo Rosalie, scappava da New York dopo una storia d’amore finita male. Tutti e tre decidemmo di lasciare gli Stati Uniti per una nuova vita. Io abbandonai il lavoro di mio padre, vendendo la sua società. Alice e Rosalie non si fecero nessuno scrupolo ad abbandonare la loro vita per cominciarne una nuova. Fu così che decidemmo di venire a Londra, qui Rosalie aveva un amico fidato, Jasper.» Le spiegò cercando di essere il più comprensibile possibile.
«Al nostro arrivo, avvenuto circa quattro anni fa, fu Jasper a guidarci e insegnarci come sopravvivere a Londra. Eravamo tutti e tre senza un soldo. Loro perché non ne avevano mai avuti, io perché non volevo più avere niente a che fare con la mia vecchia vita.» Le spiegò facendo una smorfia.
«Com’è iniziata la tua storia da musicista di strada?» gli domandò intrecciando le loro mani.
Edward sospirò, «non ricordo esattamente qual è stato il motivo principale, so solo che una volta iniziato a suonare tra la gente non riuscii più a smettere.»
«Vivi con Alice e Rosalie?»
Edward annuì, «e Jasper, ovviamente. Alice e Jasper s’innamorarono subito, lui per lei fu come una medicina, le ridiede la vita, per Rosalie invece fu diverso. Per ricominciare a credere nell’amore dovette aspettare l’arrivo di Emmett.»
Isabella sembrò confusa, «chi sono adesso tutte queste persone?»
«Artisti di strada esattamente come me.» Le rispose guardandola negli occhi.
Bella sorrise, «davvero? Perché io non li ho mai visti?»
«Si spostano ogni giorno, non sono come me che preferiscono avere un posto stabile.» Le spiegò gentilmente.
«Mi hai detto che Alice è una pittrice, è brava?»
Gli occhi di Edward s’illuminarono, «non sono mai riuscito a descriverla, perché è qualcosa di straordinario. Dovresti vederla, sono sicuro andreste molto d’accordo voi due.» Le rispose.
Bella arrossì, «mi piacerebbe molto conoscere i tuoi amici. Rosalie sembra simpatica, forse un po’ titubante sulla nostra amicizia.»
Edward rise, «Rose è molto strana come ragazza, per strada in molti la chiamano l’enigmatica.»
«Che cosa fa esattamente?»
«Suona il violino, come me è un musicista.»
Isabella sorrise incuriosita, «e Jasper ed Emmett?»
«Jasper è un mimo, Emmett un giocoliere. Quest’ultimo era un ottimo circense, ma stanco di girare il Mondo decise di fare pianta stabile a Londra, dopo aver incontrato Rosalie ed essersene innamorato.» Le spiegò sorpreso dalla facilità con cui era riuscito a parlarle della sua nuova famiglia.
Bella lo guardò sorpresa, non riuscendo a credere alle sue parole. «Siete una famiglia di artisti.» Esultò raggiante.
Edward ridacchiò, «si fa quel che si può.»
«Oh andiamo Edward, non fare tanto il modesto. Trovo sia una cosa fantastica sia l’arte che la musica.» Gli disse sollevandosi in piedi. Edward sollevò la testa per continuare a guardarla.
«Devono essere ragazzi pieni di talento.» Disse sollevando lo sguardo verso la porta del negozio. Le tendine scure impedivano una qualsiasi visuale al suo interno.
Edward si alzò, raggiungendo Isabella. «Diciamo che siamo diventati inseparabile. Sono più di tre anni che ci conosciamo.» Le disse seguendo lo sguardo di Isabella.
«Devono essere molto importanti per te.» Gli sussurrò voltandosi verso di lui, e perdendosi nell’oceano verde degli occhi di Edward.
Il ragazzo annuì, «dopo la morte dei miei genitori credevo di essere solo, con nessuna possibilità di futuro. Quando si ha tutto nella vita, e improvvisamente vi si viene privati, ogni cosa, anche la più insignificante, diventa un appiglio per rimanere ancorato alla realtà.»
Isabella si avvicinò a Edward, «se non fosse stato per la musica io non ti avrei mai incontrato.» Gli confessò abbassando la testa imbarazzata.
Edward la strinse in un abbraccio, «avrei comunque trovato il modo per incontrarti, Bella.»
Non riuscirono a fare altro che stringersi in un abbraccio protettivo. Adesso lei sapeva cosa lui avesse passato. Il loro dolore era anche la loro forza, iniziò così una lenta ricucitura delle ferite.
Ma forse qualcuno lassù si era già incontrato, e aveva deciso per loro.
Che una storia così non può nascere da un giorno all'altro, senza aver prima oltrepassato i confini del cielo.
E allora forse sarà davvero eterno ciò che li legherà.


Il sole era alto in cielo, coperto da una grossa nuvola che impediva ai raggi di riflettere la loro luce sulla città. Edward e Bella salirono i gradini del negozio e aprirono la porta per entrarvi.
Quando furono dentro gli occhi di Isabella si spalancarono, sorprese e meravigliati da tutte le bellezze presenti nella stanza.
Oggetti che non aveva mai visto e che ignorava l’esistenza si presentarono davanti i suoi occhi. Collezioni di vecchi dischi in vinile, orologi a pendolo, vecchi mobili. Dietro una scrivania vi era un vecchio signore, che sorrise a Edward, alzando le mani come se volesse allungarsi verso di lui.
«Edward qual buon vento ti porta nel mio piccolo Mondo.» Disse raggiante, allontanandosi dal tavolo per avvicinarsi ai due giovani.
Era di bassa statura, con folti capelli bianchi che gli ricadevano sulle spalle. Isabella l’osservò distrattamente, troppo presa dallo splendore che emanava il negozio.
«Diciamo solo che sono qui per aiutare un’amica.» Sorrise, lanciando un’occhiata divertita a Bella.
L’anziano signore seguì lo sguardo di Edward e ridacchiò sommessamente, «potrei offendermi mio giovane amico, ma rivederti è una gioia troppo grande. Sarà un anno che non ti vedo. Come sta la piccola Alice?» domandò avvicinandosi.
Edward era molto più alto di lui, ma riuscì ad abbracciarlo senza problemi. «E’ esuberante come sempre.»
«Allora non c’è da preoccuparsi.»
«No, direi di no.» Sorrise Edward, allontanandosi dal proprietario del negozio e avvicinandosi a Isabella.
«C’è qualcosa che stimola il tuo interesse?» le domandò sussurrando all’orecchio, facendola rabbrividire.
Isabella si voltò incontrando il sorriso di Edward, «potrei innamorarmi di ogni oggetto presente in questa stanza.»
Edward fece una smorfia, «allora ti devo portare via.»Le bisbigliò.
Le guancie di Bella si colorarono di un tiepido rossore. «Potresti cercare di comportarti bene, sai non vorrei arrivare a un autocombustione spontanea.» Gli disse lanciandogli un occhiataccia.
Edward scoppiò in una fragorosa risata.
«Dove possiamo trovare lo scaffale magico?» domandò rivolgendosi all’anziano signore.
Armand, era questo il suo nome, gli indicò un lungo corridoio. «Apri la porta e troverai il mondo incantato.» Gli rispose, intuendo immediatamente il desiderio di Edward. In pochi conoscevano l’esistenza di quella preziosa stanza, piena di antichità piene di valore, e tra queste vi erano anche i suoi tanto amati libri. Quando Alice trovò quella stanza se ne innamorò follemente, convincendo Armand, riuscii a visitarla. Ma essendo molto preziosa, l’anziano proprietario non permetteva a nessuno dei suoi clienti di entrarvi, fatta eccezione per la sua famiglia e Alice.
Bastava chiedere dello scaffale magico che subito Armand capiva il suo desiderio, Edward e Alice decisero di chiamare così la stanza magica.
«Grazie mille.» Gli sorrise, prendendo per mano Isabella.
Armand ricambiò il sorriso, «non vi disturberò, promesso. Edward mi fido di te.» Gli disse prima di vederli scomparire.
Non era mai successo eppure per quella ragazza aveva fatto un eccezione. C’era qualcosa nei suoi occhi, che gli impedì di negarle l’accesso nella stanza dei vecchi libri.
 
Isabella si lasciò trascinare, sentendosi elettrizzata all’idea di entrare in una stanza piena di vecchi libri. Uno dei suoi più grandi desideri stava per diventare realtà.
Quando Edward aprii la porta, una nuvoletta di polvere s’innalzò nell’aria, così da costringere Isabella a socchiudere le palpebre.
Edward le strinse la mano incitandola ad entrare e quando finalmente misero piede nella stanza, il respiro della ragazza si smorzò.
Era una stanza piccola, ma con due enormi scaffali ricoperti di libri e polvere. Il suo cuore aumentò l’andatura dei suoi battiti, costringendola a fermarsi per capacitarsene.
«Sembra impossibile che una stanza così piccola contenga tutto questo splendore, non è così?» gli domandò Edward, sorridendole.
Isabella annuii, incapace di parlare.
«Avanti Bella, dai pure un occhiata e scegli il libro che più preferisci.» Le disse lasciandole la mano.
Gli occhi di Isabella s’illuminarono e i suoi piedi fecero involontariamente un passo in avanti. Non ci volle molto tempo prima che la ragazza si sbloccasse e iniziasse a leggere ogni copertina.
Edward si accostò alla porta, socchiudendola. Si poggiò al muro, seguendo con lo sguardo tutti i movimenti della ragazza.
Non vi era parte del corpo di Bella che irradiasse magia e Edward avrebbe tanto voluto stringerla in un abbraccio per incollarla per sempre al suo corpo e non lasciarla andare mai più.

Voleva vederla felice e contribuire alla salvezza della sua libreria, significava renderla felice. Era sorprendente l’alchimia che Isabella aveva con i libri, sembravano fatti l’uno per l’altro, e Edward ne fu quasi geloso, così dopo quasi trenta minuti le si avvicinò.
«Trovato qualcosa?» le chiese soffiandole sui capelli.
Bella si voltò sorridendogli, «questo è il paese delle meraviglie.»
Edward scoppiò a ridere, «hai ragione piccola Alice, questo posto è davvero incantato.»
Isabella cercò di allungarsi per raggiungere un libro, ma il ripiano era troppo alto, così rinunciò all’impresa.
«Ehi, perché ti sei allontanata?» le domandò Edward.
«Non riesco a raggiungere quel ripiano.» Gli spiegò indicandolo.
Edward le sorrise, «quale libro vuoi, te lo prendo io.»
Isabella si avvicinò di nuovo, indicandoglielo. Edward dovette fare un piccolo sforzo per poterlo raggiungere, ma quando lo estrasse dalla pila di libri, si ritenne abbastanza soddisfatto.
Lesse il titolo del libro, sorridendo a Isabella.
«Davvero un ottima scelta.»
Isabella lo guardò confusa, «mi piaceva molto la copertina ricamata in pelle, perché che libro è?» gli chiese avvicinandosi a lui.
«La piccola fiammiferai, Hans Christian Andersen, è un edizione del 1851.» Le rispose Edward. La ragazza si fiondò letteralmente sul ragazzo, abbracciandolo di slancio. Edward preso in contro piede fece cadere il libro sul pavimento.
«Che cosa è successo?» le domandò confusamente, non perdendo però l’opportunità di stringerla tra le sue braccia.
Isabella respirò il suo profumo, stringendolo forte, «sei la persona più incredibile che io abbia mai incontrato.» Bofonchiò accucciandosi sul petto.
Edward rimase basito, immobile dopo quella confessione, «ti piace la storia della piccola fiammiferaia?»
«Mia madre me la raccontava spesso quando era una bambina.» Gli spiegò rimanendo però stretta tra le sue braccia.
Le loro anime sembravano danzare intorno ai loro corpi così intimamente stretti in un abbraccio.
«Abbiamo trovato un piccolo tesoro.» Gli disse sollevando la testa e incontrando gli occhi di Edward.
Il ragazzo sollevò una mano, portandola dietro la nuca di Isabella.
«Sei così perfetta Isabella, che dubito tu possa essere vera.» Le sussurrò all’orecchio. Riuscivano a sentire entrambi i loro cuori battere all’impazzata, con la stessa velocità delle ali di un colibrì.
«Così innocente e bisognosa di protezione.» Continuò accarezzandole la guancia con i polpastrelli della mano. «Così bella da togliere il fiato.»Le sussurrò ad un centimetro dalle labbra.
Isabella trattenne il fiato, sommersa da una miriade di sensazioni.
Non le chiese neppure il permesso, ma tanto sapevano entrambi che lei gli avrebbe concesso qualsiasi cosa, così, con un movimento lento ma deciso, Edward posò le sue labbra su quelle di Isabella, scatenando una tempesta cosmica.
Le loro labbra sembravano i pezzi mancanti di un puzzle, combaciarono alla perfezione. E quando anche lei rispose al bacio, portando le sua mani tra i capelli del ragazzo, Edward non riuscì a trattenersi dall’approfondire il bacio, facendo schiudere le labbra di Isabella.
Un bacio così lei non l’aveva mai provato, così intenso da capovolgere le stagioni e sgretolare il cielo. Così pieno di passione e dolcezza, da colmare qualsiasi spazio vuoto dentro di lei. Si sentii piena e completa quando le loro labbra si erano incontrate e ora non riusciva a fare altro che assecondare quel movimento, sapendo di aver raggiunto la fonte dell’eterna giovinezza in quel bacio che sarebbe vissuto per sempre.
Edward fu il primo a staccarsi, ansante e senza fiato.
«Ho desiderato farlo dal primo giorno in cui ti ho vista.» Le confessò facendo scontrare le loro fronti. Le sue mani erano scese lungo i fianchi per imprigionarla e non lasciarla più.
Isabella sorrise, «se solo l’avessi saputo, ti avrei confessato io stessa il mio nome.» Gli disse facendolo ridere.
Di nuovo le loro labbra s’incontrarono, in un bacio lento e infuocato. 
«E’ più di un ora che siamo qui dentro.» Bisbigliò Isabella posando la testa sul petto di Edward. 
«Mi piace stare qui, con te.»
Bella si strinse più forte a lui e rimasero in quella posizione per tanto tempo. Quanto nessuno può dirlo con esattezza, si sa solo che quando uscirono dalla camera magica, il sole era tramontato da un pezzo.
Isabella sorrise imbarazzata stringendo tra le mani il suo prezioso libro. Quando Armand lo vide lanciò un occhiataccia a Edward.
«Hai la minima idea di quanto costi quel libro?» gli domandò con tono sarcastico.
Edward gli sorrise, «non ho nessuna intenzione di comprarlo, ma solo prenderlo in prestito.»
«Non si prendono in prestito libri così rari.» Gli fece presente Armand allungando una mano verso Isabella, «mi dispiace ragazza ma quello non posso proprio prestartelo.» Le disse dispiaciuto.
Isabella stava per porgerglielo, quando la mano di Edward la fermò, «ti chiedo solo due settimane Armand, poi il libro ritornerà a casa.» Lo pregò, «è per una giusta causa.»
Edward si voltò verso Isabella, sorridendole. Avrebbe voluto baciarla ancora, e di nuovo, fino a togliere il respiro sia a lei che a tutti gli abitanti di Londra.
Armand sembrava titubare, così Edward continuò, «in cambio Alice ti farà un ritratto.» Gli disse, rubandogli un sorriso.
L’anziano signore sollevò gli occhi al cielo, «riuscite sempre a convincermi voi due, sai che Alice ha un talento straordinario e tu non perdi occasione per usarlo come arma.» Sbuffò prima di acconsentire. «Va bene, ma tra due settimane lo rivoglio nel mio negozio, con tanto di ritratto fatto da Alice.» Gli disse con finto tono minaccioso.
Edward sorrise, stringendo Isabella in un abbraccio. «Grazie mille Albert, ti siamo debitori.»
Isabella lo salutò con un enorme sorriso, e prima di chiudere la porta gli urlò un nuovo grazie.

Edward dovette strattonarla per portarla via dal negozio.
«E adesso andiamo, abbiamo una libreria d’allestire.» Le disse rubandole un bacio, prima di trascinarla dall’altra parte di Londra.




Un vecchio proverbio inglese dice: Baci dati facilmente si dimenticano facilmente.
Bè allora concorderete con me, che questo sarà un bacio indimenticabile.
Lua93.

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Capitolo 15
*** The streetlights in the sky. ***


14. Capitolo
 
                                                                                                 


14. The streetlights in the sky.



Le vie di Londra straripavano di turisti impauriti ogni giorno. Gente diversa, ma uniti dalla voglia di scoprire questa misteriosa città. Giovani al loro primo viaggio all’estero, ragazze in cerca di fortuna, coppie che si concedevano una vacanza lontano da tutti,  gruppi di stranieri con enormi cartine della città sotto il naso, ma lette al contrario.
Nelle strade i profumi erano dei più disparati, dai cibi della cucina indiana a quella messicana. China Town abbracciava più asiatici di quanto ne contenesse la vera Cina. E la città era piena di vicoli e stradine percorribili solo ad occhi chiusi, perché ad occhi aperti molte cose non si sarebbero viste. Perché Londra era così, contorta, diversa, che la gente ogni volta che le diceva addio abbandonava un pezzo di se stesso.
I negozi di souvenir perennemente aperti erano invasi da ogni forestiero, impaziente di trovare la calamita perfetta da portare a casa ed attaccare al frigorifero di metallo. I negozi ambulanti pieni di gente che se fossero stati in un altro paese li avrebbero chiamati immigrati. Londra accoglieva tutti a braccia aperte, non mostrava timore e sorrideva al cambiamento.
E quando arrivava la sera il cielo di Londra, assumeva sfumature impossibili da dimenticare. Quando non vi erano nuvole, i raggi del sole scagliavano gli ultimi bagliori prima di scomparire, per riscaldare altre terre, colorando il cielo di un tiepido rossore.
Chiunque a Londra si sarebbe innamorato. Perché non esisteva luogo più bello per Alice, che dopo tanta tristezza era riuscita a trovare una città più malinconica del suo stesso animo. E forse qualcuno un giorno per strada l’avrebbe fermata per chiederle di dipingere la sua anima, composta in realtà da mille colori, purtroppo offuscati dalla troppa nebbia.
Ma Alice lì ci stava bene, si completava con tutto il resto. E Jasper questo lo sapeva bene, perché occhi come i suoi non se ne incontravano più al giorno d’oggi.
E se fosse stato un bambino, l’avrebbe descritta come si descrive un tiro al pallone o la vittoria della propria squadra del cuore. Ma lui un bambino non lo era, e certe parole erano impossibili da trovare. Così la contemplava con gli occhi, perché troppe parole a volte storpiavano e anche i Ti amo erano diventati superflui.
«Rosalie l’ha incontrata.»
Jasper aveva sollevato lo sguardo, incontrando il verde limpido e cristallino degli occhi di Alice. La ragazza gli sorrise avvicinandosi. I suoi movimenti gli ricordavano tanto quelli di una pantera, slanciata ed elegante, che si muoveva con passi felini per raggiungere la sua preda.
«La misteriosa ragazza che tanto attanaglia il cuore di Edward?» Le domandò attirandola verso il suo corpo e costringendola a sedere sulle sue gambe.
Alice gli passò una mano tra la folta chioma bionda, annuendo. «Ha detto che è molto bella. Secondo lei è una ragazza davvero speciale, perfetta per Edward.» Gli rispose continuando a giocare con i suoi capelli. La mano di Jasper percorse tutta la spina dorsale di Alice, attirandola più vicino al suo corpo.
«A cosa stai pensando?»
Ormai la conosceva bene, non c’erano più misteri o segreti tra loro. E Jasper era Innamorato pazzo di lei da tre anni ormai, e ogni giorno, si sentiva sempre più colmo d’amore, come se quello provato il giorno prima o quello prima ancora, non potesse bastare.
«Ma nulla, perché pensi subito male.» Gli sorrise furbamente, facendo per sollevarsi dal suo corpo, ma Jasper non glielo permise, stringendola con ancora più forza tra le sue braccia.
«Sei curiosa.» Le soffiò all’orecchio, facendola rabbrividire.
Alice ridacchiò, «ovvio che lo sono. Questa misteriosa e sconosciuta ragazza ha conquistato sia la mente che il cuore del nostro amico. Ed Edward non mi sembra il tipo di ragazzo che prende sbandate del genere.»
«Forse non è una sbandata.» Le sorrise.
«Lo credo anche io. Rose ha avuto fortuna, perché l’ha incontrarla, eppure lei non è riuscita a dirmi nulla di speciale, se non descrivermela minuziosamente in ogni particolare.»
Jasper scoppiò in una fragorosa risata, «sei gelosa del rapporto che si è creato tra Edward e Isabella?»
Alice si voltò immediatamente verso il suo ragazzo, fissandolo sorpresa, «come fai a conoscere il suo nome?»
Jasper le accarezzò una guancia, «E’ stato Emmett a parlarmene.»
Alice sospirò delusa, «non è gelosia la mia, voglio solo incontrarla, osservarla, studiarla e in caso non dovesse andare bene sopprimerla.» Disse facendo ridere Jasper.
«E se invece si rivelasse la ragazza giusta per Edward?» Le chiese avvicinandosi alle sue labbra.
Alice gli sorrise dolcemente, «dipingerò il suo volto in ogni angolo di strada.» Gli rispose depositandogli sulle labbra un tenero bacio.
Jasper la sollevò dalle sue gambe, mettendosi in piedi, tenendola sempre stretta tra le sue braccia. Alice incrociò immediatamente le sue gambe intorno al corpo di Jasper, portando le mani sul suo viso.
«Parteciperai al concorso?» le domandò mentre riprendevano fiato.
Alice mise un piccolo broncio, «non credo di essere pronta ad una figuraccia.» Il ragazzo si avvicinò al salone con ancora la ragazza in braccio. Rosalie e Emmett sarebbero rientrati presto.
Jasper le sollevò il viso, costringendola a guardarlo negli occhi, «amore mio, come fai ad essere così cieca? Hai le stesse mani di Dio, altrimenti come riusciresti a creare tutte queste meraviglie?» Le sorrise facendola sedere sul divano.
«Tu sei di parte.» Disse piagnucolando, come una bambina.
Jasper si sedette accanto a lei, sorridendole amorevolmente, «ti sbagli, tutto il Mondo è dalla tua parte.»
Alice si sporse per abbracciarlo, stringendolo forte.
Rimase immobile ascoltando il suo cuore battere, «ci proverò va bene? Ma non ti prometto nulla. Voglio trovare una musa perfetta per il concorso.»

***

Isabella si era fermata di fronte la porta di casa sua, cercando dentro la borsa le chiavi, per aprirla.
Edward l’osservava silenziosamente, accarezzando con lo sguardo ogni centimetro del suo corpo.
Si sentiva attratto da lei, come una farfalla notturna era attratta dalla luce. Ma si sarebbe presto bruciato le ali, se avesse continuato a fissarla in quel modo, come se fosse l’unica sorgente capace di emanare raggi luminosi. Edward fu così costretto a distogliere lo sguardo, sollevando la testa verso il cielo.
Non si vedeva neanche la luna. Le nuvole ingoiavano il Mondo intero e mangiavano stradine buie dove le persone si perdevano senza preoccuparsene minimamente. La poca luce dei lampioni strisciava sulla strada, attraverso i marciapiedi e proiettava lunghe ombre, a seguire rumori di passi che correvano da una parte all’altra. La gente non dormiva ancora.
Quando ritornò con lo sguardo sulla ragazza, si ritrovò a sorriderle.
«Perché ti rendo nervosa, Bella?» Gli domandò, spiazzandola completamente.
Isabella si voltò lentamente, mordicchiandosi il labbro, «la verità e che non voglio lasciarti andare.» Gli confessò abbassando la testa imbarazzata.
Edward fece due passi verso di lei, portando entrambe le mani sul suo viso, costringendola delicatamente a guardarlo. «Ma ci vedremo domani, e il giorno dopo domani, e tutti i giorni che verranno a partire da quando io adesso me ne andrò.»
Isabella posò la testa sul suo petto, contando i battiti del suo cuore.
«Hai freddo?» le domandò Edward sentendola tremare sul suo corpo. Isabella scosse la testa, sollevando gli occhi verso il volto di Edward. Il suo viso era illuminato dalla luce sottile di un lampione poco distante, e la prima cosa che Isabella notò era stata la sua mascella, dritta e perfetta, come se l’avesse plasmata qualche scultore. Portò due dita sul suo mento, accarezzandolo.
Edward deglutì, stringendo le braccia intorno al corpo esile di Isabella, «Una cosa che ricordo bene di Chicago è l’inverno.» Sospirò, respirando il buon profumo della pelle di Isabella, «quando nevicava il cielo era così unito da sembrare indivisibile, e ricordo che la neve cadeva in coppia, come se i fiocchi di neve fossero abbracciati.» Ridacchiò, scuotendo la testa.
Bella sorrise sul suo petto.
«Mia madre aveva il vizio di lasciare le finestre sempre aperte, quando nevicava. Diceva che l’aria che si respirava durante una giornata di neve era la migliore che si potesse respirare. Era fermamente convinta che allungasse la vita. Era testarda quella donna, sai?»
Edward non voleva ricordare, eppure Isabella non faceva altro che riportargli in mente il passato, come se lo volesse costringere a riviverlo. Non era una cosa negativa, pensò, perché con Isabella stretta tra le sue braccia, ricordava solo cose belle della sua vecchia vita.
Isabella gli sorrise, e riusciva a capirlo perfettamente.
Bella aveva un suo modo di vedere le cose. Un terzo occhio proprio al centro della fronte, ovviamente invisibile. Tante cose di quella ragazza erano invisibili, eppure Edward riusciva a vederle tutte.
«Edward, ma secondo te esiste davvero il paradiso?» gli chiese Bella all’improvviso, tenendo lo sguardo puntato dritto davanti a sé. Il terzo occhi analizzava ogni movimento, ogni dettaglio che gli altri due occhi non captavano.
Edward invece si voltò a guardarla. E si rese conto di vederla, probabilmente dentro, oltre le ossa e la cartilagine. Lui la vedeva attraverso l’anima, e riusciva a farlo anche senza un terzo occhio.
«Non saprei.»  Le rispose corrugando la fronte, pensieroso, «credo di si.»
Isabella si voltò verso  Edward, «io penso che il paradiso sia dentro ognuno di noi.» Sospirò, e ancora una volta Edward la lasciò parlare, perché sapeva che quelle parole partivano da un punto nascosto del suo corpo,  che non sempre sarebbe stato facile raggiungere, «credo sia negli occhi di un bambino e probabilmente anche nei tuoi.» Bisbigliò arrossendo. Edward le sollevò il volto per poterla guardare meglio.  Vederla, perché, invece, avrebbe potuto guardarla anche con gli occhi chiusi.
«Ecco credo che il paradiso esista per tanti motivi.» Riprese stringendo le mani intorno al giubbotto di Edward, «esiste per la gente che crede ancora che domani è un altro giorno, come Rossella O’hara. Credo esista anche per quelli che aspettano  l’arrivo di Babbo Natale, o per tutti quelli che si fidano ancora dei governi.»  Socchiuse gli occhi facendo una smorfia con le labbra. Edward rimase in silenzio. «Credo esista per gli eschimesi, che il sole lo vedono solo per sei mesi all’anno.» Rise, seguita a ruota da Edward.
«Credo esista per tanti motivi, forse anche perché se non esistesse il paradiso, non saprei dove chiamare quando cerco mia madre.» E con questa osservazione che gli occhi di Edward si chiusero, e con le dita cercò la mano di Bella. Anche lei, come lui, aveva perso un pezzo di se stessa. «Ieri sera, quando sono tornata a casa, dopo che mi hai accompagnato,  ho alzato la cornetta del telefono, sai mi ero preparata un bel discorso. L’avevo persino scritto.» Rise amaramente, «le volevo parlare di te e delle litigata avuta con Margaret. Le volevo chiederle le cose più banali e assurde, come se lei potesse rispondermi.» Si zittì e trattenne il fiato. Edward strinse più forte la sua mano.
«Volevo chiederle se era vero che gli angeli avevano l’aureola o se esistessero davvero dei cancelli dorati all’ingresso del paradiso. Tu mi capisci no? Cioè non vorresti saperlo anche tu?» Gli domandò bagnandosi le labbra, ma prima che Edward potesse risponderle, lei riprese a parlare, come se avesse bisogno di sfogarsi con qualcuno che potesse comprenderla completamente.
«Comunque sia non riuscivo a raggiungerla, non riuscivo a trovare alcun numero, non potevo parlarci. Eppure mi sarei accontentata anche di un messaggio in segreteria, cosa dici Edward, il signore del piano superiore l’avrà la segreteria telefonica?» gli chiese ironicamente, tornando subito seria.
«No perché qui il telefono ormai lo possiedono tutti, anche Margaret. Forse potrei provare a usare il suo per telefonare a mia madre, dici che sia un problema di batteria?»
Non lo faceva di proposito, Bella era fatta così, aveva bisogno di illudersi almeno per pochi minuti. Era sempre stata così seria, così dura e fredda che adesso ritrovandosi improvvisamente un fuoco accanto non riusciva a gestirlo tutto quel calore.
Si sentiva come sul punto di fusione, l’aveva superato da un pezzo lo zero assoluto, ma di raggiungere l’ebollizione non si sentiva ancora pronta.
Bella percepì dello scetticismo in quel silenzio e sollevò lo sguardo puntando i suoi occhi su quelli di Edward.
Anche Edward la fissò e la strinse più forte a lei, «Piccola fragola,» sorrise vedendo Bella sbuffare, «non credo sia un problema di batteria, credo sia più di connessione, c’è interferenza tra il nostro mondo e il loro.» Le disse sistemandole una ciocca di capelli dietro l’orecchio. «Perché ci ho provato anche io sai? L’ho cercato anche io come te, un modo per contattarli.» Bella l’ascoltò in silenzio.
«Però credo che tua madre queste domande le abbia sentite e probabilmente ti avrà già dato le risposte, solo che tu sei troppo impegnata a sentire i rumori di questa terra per percepire quelli del piano superiore.» Gli disse, e Bella sembrò soddisfatta di quella risposta. «Come io sono troppo pieno di musica per poter ascoltare la voce dei miei genitori.»
«Però posso assicurarti che il paradiso esiste.» Le disse seriamente.
Bella lo guardò perplessa, «e come fai a esserne certo?» gli domandò.
Edward gli diede un bacio leggero sulla fronte, «perché sulla Terra vive un angelo che non può essere di questo mondo, probabilmente neppure di questo universo. E sai qual è la mia paura?» sussurrò con voce roca. Non avrebbe voluto spaventarla, ma non poteva farci nulla, certe parole facevano paura anche se cantate. Bella scosse la testa tremando.
«Che un giorno vengano a prenderti, perché sai Bella, il mio paradiso e dove sei tu, e se tu dovessi andare via, io vivrei per sempre nel Limbo.» Disse sfiorando le labbra di Bella con le sue.
Lacrime silenziose scivolarono lungo la guancia di Bella, ed Edward le scacciò via baciandogliele.
«Prendi le chiavi di casa e apri la porta, rischiamo di prenderci un malanno se stiamo ancora qui fuori.» le sorrise, e Bella obbedì immediatamente.
Isabella s’infilò immediatamente dentro casa, lasciando la porta aperta affinché Edward potesse entrare. Ma il ragazzo le sorrise dolcemente, afferrandola per un braccio e facendola avvicinare di nuovo a lui.
«E’ tardi piccola, a casa mi staranno sicuramente aspettando.» Le sussurrò all’orecchio, baciandole una guancia. «Il libro voglio che lo tenga tu.»
Isabella lo prese tra le mani, stringendoselo forte al petto, «Edward io non riesco a trovare le parole per descrivere le mie emozioni. Quello che ci è successo oggi, quello che abbiamo vissuto insieme, non voglio che finisca.» Gli confessò imbarazzata.
Edward avvicinò le labbra a quelle di Bella, portando le mani sui suoi fianchi. Isabella lasciò scivolare il libro sul tavolino vicino l’ingresso, portando immediatamente le mani sui capelli di Edward.
Il ragazzo la sollevò facendole staccare i piedi dal pavimento. Era tra le sue braccia, e il resto del Mondo adesso, poteva aspettare.
Le loro labbra si sfioravano, le loro lingue s’inseguivano, assaporando ogni centimetro dell’altro. Quando anche la chitarra di Edward fece la stessa fine del libro, si ritrovarono entrambi senza impicci e stringersi in un abbraccio quasi doloroso era diventato doveroso. Un bisogno di cui entrambi non riuscirono a farne a meno. Si desideravano, si completavano.
Non c’era sensore di lei che non fosse collegato con quello di lu. Ogni cosa intorno a loro avrebbe potuto prendere fuoco, o scoppiare, loro comunque non se ne sarebbero accorti.
E quando anche il respiro divenne meno, furono costretti ad allontanare le loro labbra, per riprendere a respirare. Le loro fronti si scontrarono, i loro respiri s’immischiarono, rubando l’uno l’ossigeno dell’altro.
«Mi sembrava abbastanza ovvio anche in libreria, ma questa prova credo fosse doverosa. Non ho alcuna intenzione di lasciarti Bella.» Le sorrise, allontanandosi da lei di qualche centimetro.
Isabella arrossì, abbassando lo sguardo sulla chitarra.
«Quindi ci vedremo domani, anche se è domenica?» Gli domandò abbassandosi per prendere la sua chitarra.
Edward le sorrise, prendendo la custodia della chitarra dalle sue mani infilandola in spalla.
«Stavo pensando di portarti con me, volevo farti conoscere i miei amici.» le sorrise.
Isabella sgranò gli occhi, «vuoi davvero farmi conoscere la tua nuova famiglia?» gli domandò con un sorriso raggiante.
Edward annuì convinto, «dato che loro sono molto curiosi, mi sembrava una cosa carina, ma se tu non vuoi, non c’è nessuna fretta, io-»
Isabella non gli fece neppure terminare la frase che subito si buttò addosso a lui, «ovvio che voglio conoscerli.» Gridò entusiasta.
Edward la strinse forte tra le sue braccia, «allora ti passo a prendere domani mattina.» Le sorrise dandole un bacio leggero sulle labbra. Isabella annuì.
Aspettò che si fosse allontanato, prima di chiudere la porta alle sue spalle e quando lo fece, si lasciò sfuggire un urlo di felicità.

***

Rosalie fissava il cartellone appeso proprio di fronte a lei. A separarli un binario sotterraneo.
La metropolitana era gremita di gente. Turisti, lavoratori, immigrati, qualsiasi fosse la persona che si stava cercando, la metropolitana avrebbe sicuramente trovato l’interessato.
Rosalie amava viaggiare dentro quel lungo treno sotterraneo. Le ricordava tanto la sua città.
Due ragazzi le passarono accanto e cercò d’ignorare il brivido che le percorse la schiena quando si scontrò con i loro sguardi provocatori. Uno dei due le urlò qualcosa, ma lei si voltò dall'altra parte, nascondendo il suo viso.
Rosalie sollevò il palmo della mano osservando le linee arcuate che le disegnavano strani percorsi. Immaginò di essere a casa, nella sua città, senza il suo Emmett.
Immaginò di stare percorrendo un viale mano nella mano con il suo innamorato.
Immaginò una notte e una lunga corsa.
Immaginò tante mani addosso al suo esile corpo.
Poi i suoi occhi si aprirono colmi di lacrime imbottigliate dentro contenitori di ricordi.
Salì sulla metro nascondendo il volto agli altri passeggeri.
Quando una volta tornata a casa, incontrò lo sguardo dolce e rassicurante di Alice, si lasciò andare ad un pianto liberatorio.
Jasper le vide rientrare in casa strette l’una tra le braccia dell’altra. Una morsa allo stomaco l’assalì nel momento in cui i loro occhi s’incontrarono.
«Vado a chiamare Emmett.» Sussurrò sollevandosi dal divano, «stava facendo la doccia, ma credo abbia finito.»
Alice annuì, portando Rosalie in cucina. Prese un bicchiere dalla credenza e lo riempì d’acqua, poi dolcemente glielo porse. Rose bevve tutto in un sorso, asciugandosi le lacrime, «non smetterò mai di ricordare, vero?»
Alice si avvicinò all’amica, stringendola forte tra le sue braccia, «no, ma questa volta non sei sola.»
Quando Emmett comparve sulla soglia della porta, Rose corse ad abbracciarlo, gettandosi immediatamente sulle sue labbra.
«Ha avuto un altro attacco di panico.» Bisbigliò mentre Jasper la raggiungeva.
«Dov’è Edward?» Domandò Emmett, quando finalmente riuscì a calmare Rosalie.
Alice scosse la testa, «spero stia arrivando.»
Jasper si passò una mano tra i capelli, «cerca di rassicurarla, non è più a New York, dille che è al sicuro adesso.»
Emmett sbatté il pugno sul tavolo, facendolo tremare, «giuro che la vendicherò. Esseri come quell’uomo sulla terra non devono esistere.» Ringhiò lanciando un occhiata addolorata alla sua amata.
Alice sospirò, «ci penserà la giustizia Emmett.»
Il ragazzone scosse la testa, «sono passati quattro fottutissimi anni Alice, e quel bastardo è ancora in circolazione.» Continuò con lo sguardo colmo di sangue. Ogni volta che la sua Rose tornava a casa in quello stato, ogni volta che all’improvviso veniva assalita dai ricordi, per lui era come se il cuore cessasse di battere.
In quel preciso momento Edward fece il suo ingresso in casa, con un sorriso a trentadue denti.
Ma non appena mise a fuoco la scena davanti ai suoi occhi, il suo sorriso si spense.
«E’ successo ancora una volta?» Domandò fissando il corpo di Rosalie, stringersi convulsamente intorno ad un plaid rosso sul divano.
Jasper annuì, stringendo Alice tra le sue braccia.
«Credo non sia il caso allora di portare Bella a casa, domani.» Sussurrò amareggiato.
Gli occhi di Alice s’illuminarono improvvisamente «invece è un ottima idea Edward. Rosalie è rimasta molto affascinata da Bella, potrebbe essere un modo per distrarla.» Gli sorrise.
Emmett e Jasper si ritrovarono d’accordo con Alice, ed Edward non poté che ringraziare ancora una volta la sua migliore amica, per il suo essere così fantastica in ogni situazione.
«So cosa si prova a sentirsi umiliata.» Bofonchiò Alice, stringendo la mano di Jasper, «e la cosa migliore, in questi momenti è starle vicina, non abbandonarla. Dobbiamo farci vedere forti anche per lei.»
Dopo quelle parole tutti e quattro raggiunsero Rosalie in salotto, sedendosi intorno a lei, in attesa che smettesse di piangere.




Buonasera ragazze, come state?
Prima di parlare di questo capitolo, volevo ringraziare i 16 angeli che hanno recensito lo scorso capitolo. Sono davvero tante recensioni e ognuna di esse contiene fantastiche parole, che credo davvero di non meritare. Ognuna di voi è speciale e io non so più in che lingua ringraziarvi. Perciò scusatemi se vi sembrerò banale o ripetitiva, ma Grazie, grazie di cuore, grazie per tutti i complimenti, grazie ragazze, siete le lettrici migliori del Mondo.
Tornando adesso a questo capitolo, ci sono un paio di cosette da chiarire.
Alice non prova alcun tipo di sentimento nei confronti di Edward se non affetto fraterno, questo era un punto che ci tenevo a precisare prima che qualcuno possa pensare male. Si sono aiutati a vicenda ed è proprio per questa ragione che sono così legati tra di loro.
Il rapporto che si è creato tra Edward e Bella è molto confidenzile. Come avete detto anche voi, si completano a vicenda e cercano insieme di ricucire le ferite procurate nel passato. Isabella è una ragazza molto speciale, viaggia alla velocità della luce e la sua mente è sempre più avanti rispetto a quella degli altri. Non per intelligenza sia chiaro, ma per fantasia. E con Edward si completa, si trovano sulla stessa lunghezza d'onda, per questo non prendetemi per pazza quando leggerete di questi discorsi un pò fuori dal Mondo. I miei personaggi sono fatti così, in bilico tra fantasia e realtà.
Quello di cui, però, vi volevo parlare era il comportamento di Rosalie.
Per quanto riguarda lei, ho mantenuto alcune delle sue caratteristiche personali, come la sua triste storia, ma verrà raccontata in maniera diversa, benchè i fatti accaduti sono più o meno gli stessi di quelli della Meyer. La mia Rosalie però non è forte come quella della zia Stephanie e tantomeno cinica e insensibile. Questa Rosalie soffre di attacchi di panico che la riportano indietro nei meandri della sua memoria, facendole ricordare il suo triste passato. L'incontro con Emmett è stata la cura migliore, l'antidepressivo più sano, ma da un trauma non si guarisce mai completamente. Gli attacchi di panico di Rosalie sono comuni in molte persone. Infatti dopo una brutta esperienza, che ci cambia nel profondo, è normale e frequente avere attacchi di panico e crisi di pianti non appena accade qualcosa che ce le faccia ricordare.
Purtroppo questo è realtà.
Detto questo, vi lascio andare, ringraziandovi ancora una volta.
Nel prossimo capitolo avverrà il tanto atteso incontro con gli altri Buskers. Ci vediamo la settimana prossima.
Ricordo che sulla mia pagina del profilo troverete i miei contatti, se volete aggiungermi su Facebook io sarò lieta di conoscere i miei lettori.
Colgo l'occasione per augurare a tutti voi una felice Pasqua in compagnia delle persone a voi più care, nel caso non dovessimo sentirci prima del 24.
Un bacione.
Lua93.

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Capitolo 16
*** One of those days when you are the centre of universe ***


15. One of those days when you are the centre of universe .
                                                                                         


15. One of those days when you are the centre of universe.



Nella semi oscurità della sua camera, Rosalie fissava con occhi sbarrati la parete di fronte al suo letto. Lo sguardo immobile, che bruciava come una colata di lava.

Quella notte aveva pianto tanto, stringendosi convulsamente al petto di Emmett, che non riuscì a fare altro che abbracciarla.
Rosalie da tutti chiamata Rose, aveva la tristezza che albergava nel suo sguardo colore dell’oceano più scuro. Un mare che aveva conosciuto la tempesta, la furia.
Con dolcezza allontanò il braccio di Emmett dalla sua spalla, liberandosi dalla tua stretta. Si sollevò a sedere, passandosi una mano sul viso, scoprendolo appiccicoso, a causa di tutte le lacrime versate.
Osservò Emmett, accarezzandogli la folta chioma riccia. Nell'oscurità gli sorrise, anche se lui non poteva vederla, immerso completamente nel mondo dei sogni.
Quando uscì dalla stanza, cercò di fare il meno rumore possibile, camminando in punta di piedi per non svegliare gli altri ragazzi.
Raggiunse silenziosamente il laboratorio di Alice, accendendo la luce e chiudendosi la porta alle sue spalle.
Si lasciò trasportare, come comandata da una forza esterna, e raggiunse i disegni dell’amica, aprendo la cartella di pelle nera che li conteneva.
Quando iniziò a sfogliarli, si lasciò scivolare sul freddo pavimento, spingendo via i ritratti che Alice le aveva fatto. Ma uno di questo catturò la sua attenzione, sprigionando dentro il suo fragile corpo una miriade di sensazioni, emozioni contrastanti, che sfociavano sul sorgere del giorno, attraverso salate lacrime.
Osservò il suo ritratto, accarezzando i capelli di quel volto perfetto, ma dallo sguardo perso. Sempre alla continua ricerca di una scintilla, una fiamma che la riportasse in vita.
Quello era stato il primo ritratto che Alice gli aveva fatto, quando ancora il suo cuore era conservato in una scatola chiusa e i suoi occhi non avevano ancora incontrato la cascata riccia dei capelli di Emmett.
Tracciò con le dita il disegno, stando ben attenta a non sfiorarlo. I suoi polpastrelli si muovevano a pochi millimetri di distanza, ma non toccavano realmente l’immagine.
Il rumore di passi leggeri e di una porta che si apriva, la fecero sobbalzare. Lasciò scivolare il ritratto sulle sue gambe, mentre osservava un ombra minuta entrare nella stanza.
Gli occhi chiari e penetranti di Alice la trovarono, riflettendone tutta la malinconia e la tristezza di quell’immagine così desolata.
Alice le si avvicinò, sedendosi accanto all’amica e prendendo i disegni, che Rose aveva lasciato cadere, in mano.
«Pensavo ti piacessero.» Le disse sorridendole impercettibilmente.
Rosalie si passò una mano tra la folta chioma bionda, sospirando rumorosamente, «sono meravigliosi Alice. Ed è proprio questo il problema.»
Alice la guardò perplessa.
«Sono così dannatamente reali, da far invidia alla migliore macchina fotografica. Nessuno riesce a catturare un istante come fai tu. L’imprigioni dentro la tela, usando semplicemente una matita.» Le spiegò dolcemente, «ed è proprio per questa realtà così viva e reale che trovo nei ritratti che mi fai, il problema.»
Alice le posò una mano sul braccio, catturando la sua attenzione, in modo che si guardassero negli occhi. «Non è la mia bravura il problema Rose, non è così?» le sorrise, lasciando quella domanda in sospeso.
«No.» Farfugliò Rosalie, abbassando la testa, «la verità è che nei tuoi disegni io rivedo la vecchia Rosalie. Quella che quattro anni fa scappava dalle tenebre.»
«Rose, il passato è un serial killer che neppure Sherlock Holmes riuscirebbe ad acciuffare.»
La ragazza rise per la prima volta dopo un intera gelida nottata.
«In questo ritratto, sembro così fragile, debole… spaventata.» Bisbigliò incerta, le parole le morivano in bocca prima che riuscisse a pronunciarle tutte. «E anche se il tempo è passato, se sulle ferite è nevicato. Io non riesco a dimenticare.»
Alice si sporse verso l’amica, stringendola forte tra le sue braccia, «ricordare a volte non è così terribile come si pensa.» Le sussurrò all’orecchio, accarezzandole i capelli, «e tu sei così coraggiosa Rose.»
Rosalie ricambiò l’abbraccio, versando le ultime lacrime sulla spalla dell’amica.
«Lo sento ancora così vicino, quel suo intenso odore di tabacco, che mi perfora la pelle.» Singhiozzò liberando la sua anima da un enorme macigno.
«I suoi occhi, mi seguono Alice, ovunque vada. Non c’è modo di nascondermi da lui, non esiste cura per la mia malattia.» Continuò spaventata.
Alice la lasciò sfogare, accogliendo le sue parole e facendosene carico. Il dolore di Rosalie era il suo dolore.
Un corpo così minuto come il suo, faceva da contenitore alla solitudine, alla tristezza. Sotto quel suo aspetto fragile e mingherlino, si nascondeva una torre, dalle alta e possenti mura.
«Non voglio far soffrire Emmett, io lo amo così tanto.» Le confessò, come se non lo sapesse.
«E io amo te Rosalie.»
Entrambe le donne sollevarono la testa, voltandosi verso la voce che aveva parlato.
Accanto all’uscio della porta, vi era Emmett, con le braccia incrociate al petto e le spalle al muro. Osservava Rosalie in silenzio da quando Alice era entrata nella stanza.
Nessuna delle due ragazze si erano accorte di quella presenza.
«Emmett.» Bisbigliò Rosalie sollevandosi in piedi.
Era così bella, con indosso quella maglia slabbrata dei Ramones, che ormai da anni utilizzava come pigiama.
I capelli arruffati, gli occhi grandi e rossi, le labbra piene e sempre pronte per lui. Le gambe lunghe e lisce, perfette per le sue mani, che non si sarebbero mai stancate di accarezzarle.
Rosalie gli si avvicinò e l’abbracciò.
Era bello che fosse lei a stringerlo, senza avere il bisogno di parlare. Che ormai ne avevano detta davvero tante di parole durante la notte, che se n’erano sentiti pieni fino al midollo.
E poteva  accadere qualunque cosa a Emmett e Rosalie. Qualunque. Ma per il solo fatto di essere esistiti anche un solo attimo sarebbero vissuti eternamente.
Alice uscì dalla stanza senza interrompere quel loro momento d’intimità. Gli chiuse la porta alle spalle, sorridendo teneramente al vuoto.
La gente, pensava, si apparteneva. Due anime così non e che si potevano cercare all’infinito, sapeva che sarebbe sempre arrivato qualcuno ad unirli. E lei di questo ne era certa, come sapeva con esattezza che quella mattina, il sole avrebbe lanciato raggi più luminosi, capaci di devastare la pelle a causa del loro incessante calore. Quel giorno avrebbe conosciuto qualcuno, che avrebbe scostato l’asse terrestre.
 
***
Isabella non era riuscita a fare altro che leggere quella mattina, mentre attendeva l’arrivo di Edward.
Si era accoccolata sul divano, avvolgendosi intorno alle spalle un morbido plaid color corallo, mentre leggeva la storia della sfortunata piccola fiammiferaia.
Il libro che stringeva tra le dita, era intrinseco di un infinita tristezza, ricoperto da una consumata pelle che faceva da rivestimento alle pagine ormai ingiallite.
Teneva tra le mani un tesoro.
Il tempo le sembrava una condanna, e i secondi che tanto lei adorava perché le sembravano i più veloci, quel giorno scorrevano piano, accarezzando le altre lancette, come se volessero da loro un tenero abbraccio.
Si era svegliata completamente sudata, reduce, probabilmente, da un sogno agitato, che per sua fortuna non ricordava minimamente. Aveva avuto tutto il tempo di farsi una doccia e vestirsi con calma.
Aveva deciso d’indossare una semplice gonna marrone, lunga fino al ginocchio, con sopra un maglioncino blu, che risaltava la sua pallida carnagione.
Quella mattina i capelli le sembravano un ammasso di fieno senza forma, così dovette armarsi di tanta pazienza e una buona dose di forza, per riuscire finalmente a domarli, dopo aver utilizzato la spazzola e il phon.
Quando vide la sua immagine riflessa allo specchio, quasi non riusciva a riconoscersi. I suoi occhi brillavano di una nuova luce, e le guancie erano colorate da un tiepido rossore.
Sapeva di non essere più la stessa da quando Edward era entrato nella sua vita.
Il suono stridulo del telefono la fecero sobbalzare. Ma prima che potesse farsi prendere dall’ansia si ricordò di che giorno fosse. Era Domenica.
Era il giorno in cui Charlie la telefonava, l’unico momento in cui entrambi smettevano di fingere.
Si sollevò velocemente, posando il libro sul tavolino. Camminava scalza, ma il suo corpo era ancora avvolto dal plaid.
«Pronto.» Rispose con voce tranquilla.
«Bella, sono io, papà.» Era una settimana che non sentiva la voce possente del padre, e solo lei poteva sapere quanto le fosse mancata.
«Oh papà, come stai?» Gli domandò euforica.
 L’uomo sembrò doversi riprendere dalla voce della sua bambina. Già se l’immaginava, bella come la madre. «Tutto bene e tu?»
«Si tira avanti, come va il lavoro?»
«Stressante come al solito, ma le soddisfazioni di certo non mancano, e invece a te, come va da Margaret?»
«Bene, anzi benissimo, abbiamo deciso di apportare qualche modifica alla libreria. Magari rivoluzionandola un po’, avremo più clienti.» Ridacchiò omettendo qualche piccolo particolare.
Avrebbe tanto voluto parlargli di Edward, di come il suo cuore battesse velocemente quando le stava vicino.
« Margaret te l’ha permesso? Da quello che mi hai sempre raccontato di lei, mi sembra strano.» Commentò Charlie, stranito da quella rivelazione.
«Sono riuscita a convincerla.» Sorrise, pur sapendo che il padre non poteva vederla. Dall’altro capo del telefono sentì strani rumori, come se del metallo precipitasse al suolo. «Cos’è quel rumore di pentole? Non mi dirai che stai cucinando, papà ma tu sei negato in cucina.» Constatò passandosi una mano sulla gonna.
«No, infatti non sono io che sto cucinando.»
Bella rimase interdetta, sorpresa da quella rivelazione «Ah, e allora chi è?»
«Una mia amica.»
«Una tua cosa?» La sua voce era uscita più stridula di quanto volesse.
«Dai Isabella, non fare quella voce, siamo solo amici. Si chiama Sue, è la vedova di Henry un mio vecchio amico. Ti ricordi di Henry, l’uomo che veniva con me e Billy a pesca?»
«Si, mi ricordo di lui.»
«Ecco, mi sembrava strano non avertene parlato.»
«Eppure non ricordo nulla di questa Sue.»
«Non starai facendo la gelosa vero? Oh andiamo Bell’s siamo solo amici. Lei conosce bene le mie scarse doti culinarie, così da brava samaritana è venuta a casa a prepararmi la cena. Ogni tanto ci vuole una serata diversa, no?»
Le parole “brava samaritana” fecero scattare in Isabella una terribile verità, che mai avrebbe voluto scoprire.
«Che ore sono da te?»  Domandò ignorando la battuta del padre.
«Le nove di sera, perché?»
«Io sono nel futuro, ricordi? Dieci ore di differenza.» Bisbigliò, ricordandosi una vecchia conversazione con il papà.
«Vero Bell’s, ma questo cosa c’entra?»
«Dove sarà Sue tra dieci ore?»
«A casa sua, oh senti Bella, non farti venire strane idee in testa. Lo sai siamo solo amici.»
«No papà, non lo so. Come non so nulla di te da sei mesi. Non sei venuto a trovarmi neppure una volta in questi mesi, e se non sbagli non erano questi gli accordi.» Disse quasi gridando, avrebbe tanto voluto piangere, così per trattenersi cominciò a mordersi il labbro inferiore. Una tecnica che aveva sempre usato quando era una bambina.
«Non riesco più a venire ogni mese Bella, è impossibile.»
«E’ impossibile come tu abbia fatto a dimenticarti di me.»
«Io non mi sono dimenticato di te, sei stata tu a voler rimanere a Londra. Io te l’avevo detto di venire a Forks, con me.»
«E dimenticare tutto? No non ci riesco, grazie. Io non sono come te.»
Lo sapeva bene Isabella, che il padre non si sarebbe mai dimenticato di lei o della sua vita a Londra. Ma in quel momento era così piena di rabbia e delusione, che quelle parole così velenose furono impossibili da fermare.
«Io non ho dimenticato un bel niente.»
«Hai dimenticato la mamma. E lo sappiamo bene entrambi chi ha preso il suo posto.»
«Spero tu stia scherzando Isabella.» Charlie aveva assunto il suo solito tono di voce amareggiato. Quello che Isabella aveva imparato a riconoscere. L’usava sempre quando si parlava della moglie.
«Non ho voglia di discutere con te al telefono. Quindi meglio salutarci.»
«Bell’s per favore parliamone. Come puoi credere che io abbia dimenticato Reneè.»
«Devo andare.»
«Bell’s.»
«Papà per favore riattacca questo telefono.» Farfugliò in lacrime, sollevando lo sguardo verso il soffitto.
«Ti chiamo domani.» Charlie non aveva alcuna voglia di chiudere così la telefonata.
«Non ti preoccupare, ci sentiamo Domenica prossima.»
«Ma Bella-» Le supplicò debolmente.
«Buona cena e mi raccomando salutami Sue.» Gli dissi seccata, riagganciando il telefono con un moto di rabbia.
Nessun ti voglio bene. Nessun mi manchi. Eppure erano le parole che più avrebbe voluto dirgli in quella telefonata.
Una volta riagganciato il telefono, tornò sul divano, coprendosi il viso con un cuscino, cercando di reprimere i singhiozzi, che senza controllo avevano preso il sopravvento su di lei.
Bella non avrebbe mai voluto chiudere la conversazione con quel tono così freddo e distaccato. Ma il solo pensiero del padre con un'altra donna, le faceva ribollire il sangue nelle vene. Non riusciva a credere, che il padre, quello stesso uomo che aveva giurato di amare la madre davanti a Dio, si fosse già dimenticato del suo amore per quella donna.
I pensieri di Bella volarono immediatamente a quella donna, Sue. Si chiese come doveva essere? Qual era il suo aspetto, se fosse più bella della madre. Ma di questo ne dubitava, per Isabella qualsiasi donna anche dalla bellezza più etera e perfetta, non avrebbe mai potuto raggiungere la luminosità che emanava Reneè.
Isabella cercò di riprendersi, scacciando via le lacrime.
Era passata un intera ora, dalla telefonata del padre. Quando guardò l’orologio si rese conto che presto sarebbe arrivato Edward.
Si alzò in piedi, cercando di darsi un contegno. Andò in bagno, sciacquandosi più volte il viso. Ma il risultato era sempre lo stesso. Gli occhi gonfi e la pelle del viso arrossata gli avrebbero fatto capire subito che c’era qualcosa che non andava. L’unica cosa che poteva fare era aspettare che passasse il rossore, prima che Edward bussasse alla porta.
Ma più si spera che una cosa non accada, più quella si avvicina pericolosamente, così meno di cinque minuti dopo il suo ritorno in salotto, Edward aveva bussato alla sua porta.
Bella corse subito ad aprire, un po’ perché non voleva farlo aspettare, un po’ perché non vedeva l’ora di vederlo.
Quando aprii la porta, si ritrovò un Edward completamente avvolto da un giubbotto di pelle nero e un ombrello enorme che lo proteggeva dalla violenta pioggia che si era imbattuta sulla città.
Bella lo fissò senza dire una parola, perdendosi in quell’immenso oceano verde che erano i suoi occhi. I capelli avevano una forma indefinibile, e la voglia di accarezzarglieli prevalse su qualsiasi altro desiderio.
«Mi fai entrare oppure aspettiamo insieme l’arcobaleno?» le domandò con ironia Edward.
Bella si ridestò dai suoi pensieri, facendogli spazio in modo che potesse entrare dentro casa. Edward chiuse l’ombrello, lasciandolo fuori la porta. Poi entrò in casa, strofinando le scarpe sullo zerbino prima di entrare.
Bella chiuse la porta alle sue spalle, e si prese il giubbotto bagnato del ragazzo, attaccandolo all’appendiabiti, accanto al suo giubbino.
Quando si voltò si ritrovò il corpo di Edward a pochi centimetri dal suo, caldo e invitante. E non le occorse molto tempo prima di sprofondare tra le sue braccia, in un abbraccio che l’avrebbe ridestata dai brutti pensieri.
«Buongiorno, piccola.» Le sussurrò sui capelli, baciandole la fronte.
Isabella si strinse ancora più forte, posando l’orecchio sul suo cuore, per sentire i suoi battiti.
«Mi sei mancato.» Gli sussurrò sul petto, disegnando cerchi immaginari sulla maglia che indossava. Edward sorrise dolcemente, accarezzandole i capelli.
«Te l’ho mai detto che sei bellissima?» le domandò allontanandola da lei, per poterla vedere meglio.
I suoi occhi chiari si posarono sul corpo magro della ragazza, accarezzandolo delicatamente con lo sguardo. Isabella avvampò per l’imbarazzo, facendo cenno di no con la testa.
«Allora rimedio subito.» Disse il ragazzo, prendendole delicatamente il volto tra le mani, avvicinando le loro labbra. «Sei uno splendore, Bella.» Le confessò prima di farle perdere ogni contatto con la realtà.
Le labbra di Edward si posarono gentilmente su quelle d’Isabella, chiedendole il permesso per approfondire quel contatto.
Non vi era malizia in quello che facevano, se non un incredibile voglia di appartenersi e non solo nella carne, ma più a fondo, tra i tessuti e la cartilagine, fin dentro le cellule. Di lei voleva tutto. Voleva la sua anima, e si sorprese quando si scoprì a fare quei pensieri così egoisti. Ma Bella era la sua luce, e di nessun altro.
Isabella portò le mani sulla nuca di Edward, stringendo i suoi morbidi capelli tra le dita.
Quando entrambi furono abbastanza sazi dei loro respiri, si allontanarono di poco, quel tanto che bastava per farli perdere nell’infinito dei loro sguardi.
«Bella ma tu hai pianto.» Disse improvvisamente il musicista, che per la prima volta non si era portato dietro la sua chitarra. Isabella scosse la testa, portandosi le mani sul viso.
«Piccola, guardami.» Le sussurrò dolcemente Edward, costringendola a guardarla, «perché stavi piangendo?»
Bella sospirò trattenendo nuove lacrime che le pungevano gli occhi, vogliose di sciogliersi e scivolare sulle guancie morbide e calde della ragazza.
«Ha telefonato mio padre. Te l’avevo detto no, che viveva a Forks?» Gli domandò stringendo la sua mano e guidandolo verso il divano.
Edward annuì, sedendosi proprio accanto a lei, non perdendo neppure un suo movimento.
«Abbiamo litigato a causa di un'altra donna. Lui dice che sono solo amici, ma io non gli credo.» Bofonchiò singhiozzando. Edward le passò una mano sulla guancia, sollevandole il mento per guardarla negli occhi.
«Ed è la verità, ha un'altra donna?»
Bella scoppiò in lacrime, «non lo so. Lui ha continuato a ripetermi che sono solo amici.» Singhiozzò in preda a una nuova crisi.
Edward l’attirò a sé, stringendola forte tra le sue braccia. E attese che si calmasse prima di parlarle.
Quando i suoi singhiozzi cessarono e il respiro le tornò regolare, Edward incominciò a parlarle, facendo tremare la Terra, il Sole e i pianeti interi.
«Sai Bella, io non so cosa si prova a sentirsi gelosi dei propri genitori. Ma sono sicuro che se mio padre fosse ancora in vita e frequentasse un'altra donna, dopo la morte di mia madre, anche io mi arrabbierei. Esattamente come te.» Le confessò accarezzandole i capelli. «Però la tua mamma non è la mia Bella, e il tuo papà io non lo conosco affatto.» Continuò guardandola negli occhi e perdendosi in quella valle cioccolatosa, «quindi non posso giudicarlo. Però tenterò di farti vedere la situazione dal suo punto di vista.
«Lui sono certo, amava tua madre e sicuramente la ama ancora. Ma per quanto un sentimento possa essere forte, la mancanza fisica di una persona porterà sempre allontanamento di quel sentimento.»
«Ma io non voglio un'altra mamma.» Pigolò Isabella, come se fosse una bambina.
Edward scosse la testa, «questa donna non lo sarà Bella, nessuno potrà mai prendere il posto di tua madre. Ma questo non significa che tuo padre non possa riprovare a farsi una vita. Infondo è quello che stai facendo anche tu, con me. Ed è quello che sto facendo anche io con te.» Le spiegò dandole un casto bacio sulla guancia.
«Credi sia davvero la stessa cosa?»
Edward fece spallucce, «credo sia normale per l’essere umano, trovare una fonte di distrazione dal dolore.»
«Tu non sei una distrazione Edward.» Gli disse, con tono fermo ma terribilmente violento. Quelle parole, pronunciate con quell’intensità, condussero Edward verso la dannazione.
«Neppure tu lo sei Bella, non potrai mai essere una distrazione.» le sussurrò prima di darle un bacio. Di quelli che farebbero crollare nuovamente il muro di Berlino, se questo venisse ricostruito.
«Forse hai ragione a dire che è una distrazione questa donna per mio padre, come potrebbe non esserlo. Ma come me anche lui deve rifarsi una vita, e sarebbe davvero egoista da parte mia impedirglielo.»Disse, riflettendo ad alta voce, interrompendo il bacio.
Edward scosse la testa «si ma io non avevo ancora finito.» Si lamentò assumendo uno sguardo da cucciolo, che fece scoppiare Isabella in una fragorosa risata.
«E’ colpa tua, le tue parole mi hanno portato a riflettere.» Si giustificò accarezzandogli i capelli.
Edward la strinse forte tra le sue braccia, respirando il buon profumo della sua pelle. «non sarà semplice, lo sai piccola.»
«I sentimenti fanno male.» Bofonchiò abbracciandolo forte.
Il ragazzo la costrinse a guardarlo negli occhi, portandosela in braccio sul suo corpo. «Bella tu sei una di quelle persone per cui vale la pena farsi male.»
Mai vi furono parole più vere di quelle. E Bella non aveva bisogno di sentire altro, per essere felice. Tutto ciò che le occorreva era lui, il suo Edward.




Ecco, prima promessa infranta.
Vi avevo detto che in questo capitolo ci sarebbe stato l'incontro tra Bella e gli altri Buskers e invece vi ho mentito. O meglio, non e che io abbia mentito. Mentre scrivevo il capitolo, mi sono accorta che descrivere questi avvenimenti insieme all'incontro sarebbe stato impossibile, semplicemente perchè il capitolo sarebbe venuto lunghissimo.
Quindi ho deciso di dividerlo a metà. Spero non mi vogliate uccidere, infondo questo capitolo non è così male, no?
Okay avete tutto il diritto di prendermi a mazzate, ma se io vi facessi lo sguardo da cucciolo, avreste ancora il coraggio di alzare le mani sul mio fragile corpicino? *_*
Si, ho ufficialmente raggiunto lo stato di ricovero, chi si unisce a me?
La smetto di dire scemenze e mi metto a parlare di cose serie, come ad esempio il capitolo.
Non mi dite che vi eravate scordate di Charlie? e no monelle, non si fa così, i genitori non vanno messi da parte, solo perchè si c'innamora. ù.ù
Isabella c'è rimasta piuttosto male alla notizia del padre. Ma non puntategli subito il dito contro, nè a Charlie e nè a Isabella, perchè come ha spiegato Edward, soffrire e semplice, smetterlo di farlo, bè quello è più difficile.
Più avanti torneremo ancora sul rapporto tra Charlie e Bella, e di conseguenza su Sue.
Nel frattempo vi avviso, per il prossimo capitolo preparatevi una bella scorta di fazzolettini, rotoli di cartaigienica, e chi più ne ha più ne metta, perchè sarà un capitolo davvero "bagnato." Ovviamente non così tragico, ma ecco una buona dose di lacrime io ne sto versando, scrivendolo!
Detto questo mi dileguo, lasciandovi alle vostre considerazioni.
However, ringrazio scricciolo89, danybor, Renesmee Charlie Cullen e Carrot, per aver segnalato Buskers come storia scelta *_* Grazie Grazie Grazie io e i miei Buskers  vi ringraziamo enormemente.
Inoltre ringrazio le 17 recensioni *_* oh mamma adesso muoio, che mi avete lasciato. Voi non siete persene normali, ma angeli, anime provenienti dal Locus Amoenus non c'è altra soluzione!
Siete fantastiche ragazze! Vi adoro indiscutibilmente.
Lua93.

P.s. Avete mai avuto un brutto litigio con i genitori? Se si per quale motivo?
Non lo sai Lua che la curiosità uccide il gatto? xD

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Capitolo 17
*** Morse code into my heart. ***


17.                                                                                                                                    
                                                                                 Se volete tremare un pò, ascoltate questa canzone, mentre leggete il capitolo: Let it be - Beatles


                                                                                                                                                 

                                                                                                                                                 


16. Morse code into my heart.


«Vorrei che fosse sempre così.» Sorrise Isabella, mentre afferrava il giubbotto appeso all’attaccapanni.
Edward la guardò non riuscendo a capire che cosa volesse dire, «così come?»
La ragazza fece spallucce, indossando il cappotto. «Tu che vieni a prendermi,» sorrise leggermente, «tu che mi proteggi dai miei stessi dubbi,» si avvicinò a Edward che l’attendeva sull’uscio della porta. «Tu che mi baci, come nessun altro prima d’ora.» Si morse il labbro, mentre si nascondeva dagli occhi verdi di Edward.
Quest’ultimo le afferrò la mano, intrecciando le dita alle sue, «spero anche come nessun altro in futuro.» Le disse, mentre apriva la porta di casa.
Uscirono insieme, mentre lo scroscio della pioggia li accompagnava durante ogni loro movimento. Edward prese l’ombrello mentre Isabella chiudeva a chiave la porta di casa. Poi, insieme, uno accanto all’altro, si allontanarono.
Edward la stringeva forte vicino al suo corpo, coprendo entrambi con l’ombrello verde di Alice.
«Ce ne sono stati molti?» Domandò improvvisamente il ragazzo.
Bella camminava con la testa bassa, con la testa piena di parole che avrebbe tanto voluto confessargli.
«Non poi così tanti.» Rispose sospirando, «ho avuto anche io le mie delusioni e i miei momenti felici.»
«E c’era qualcuno quando tua madre…» lasciò la frase in sospeso, come a voler tornare indietro, per poter rimangiarsi quelle parole.
Isabella scosse la testa, «non c’era più nessuno da tanto tempo.»
Edward l’aiuto s scendere le scale della metropolitana, completamente bagnata e scivolose. Rimasero in silenzio, mentre attendevano l’arrivo della metro.
«Il mio primo ragazzo si chiamava Mike.» Disse improvvisamente Bella, catturando immediatamente l’attenzione di Edward, «a lui ho dato il primo bacio, otto anni fa.» Continuò, sorridendo a una bambina bionda, stretta tra le braccia della madre.
«Mi piaceva molto sai? Aveva un bel sorriso.» Disse senza imbarazzo.
Edward l’ascoltava in silenzio, cercando di reprimere quella strana sensazione che si era impossessata di lui, nel momento in cui Bella avesse cominciato a parlargli di questo Mike.
«Ricordo che quella mattina, mi aveva praticamente obbligata a saltare la scuola per seguirlo. Mi ha portata sul Tower Bridge, in mezzo a tanta gente, ed è lì che mi ha baciato, proprio davanti a tutti quegli occhi che ci osservavano.
“Voglio che tutti siano invidiosi di me e di te, e di questo nostro bacio.” Mi disse divertito. Ero felice per quel bacio, sai ero solo una ragazzina, e lui era così premuroso, che se mi avesse chiesto di buttarmi giù dal ponte, l’avrei fatto.» Rise, ripensando a quanto fosse ingenua all’età di quindici anni.
«E la nostra storia filava proprio a gonfie vele, anche perché dopo quel primo bacio non ce ne furono molti altri. Diceva che non gli piaceva baciare una ragazza con l’apparecchio ai denti, ma che non voleva lasciarmi, perche adorava il mio sorriso.» Disse guardando Edward negli occhi.
«E così ricordo di aver deciso di smettere di sorridere, per vedere se poi avesse avuto davvero il coraggio di lasciarmi.»
Edward scoppiò al ridere, al pensiero di Bella che non sorridesse più per fare dispetto al suo fidanzatino.
Le passo il braccio intorno alla vita, avvicinandola di più al suo corpo, «se tu dovessi smettere di sorridere io smetterei di vivere, perciò non farlo mai, amore.» Le sussurrò all’orecchio, facendola tremare sia fuori che dentro, in posti che non credeva neppure di avere.
Isabella nascose il viso nell’incavo del suo collo, depositandogli un leggero bacio.
«E poi, com’è finita questa tua prima storia d’amore?» le domandò Edward, dandole un leggero pizzicotto sul fianco, per farla smettere di soffiargli sul collo, non che gli dispiacesse, ma se avesse continuato così, non era poi tanto sicuro di essere in grado di portarla a casa sua, senza aver prima fatto qualche sciocchezza.
Isabella scoppiò in una fragorosa risata, allontanandosi di poco, perdendosi nelle iridi color giada del ragazzo.
«Stavamo insieme da più o meno un anno, quando lui m’informò che voleva tentare di diventare un Brat Pack, così iniziò a girare documentari sugli adolescenti, sentendosi sempre di più una celebrità e sempre di meno una testa di broccolo, il quale era realmente.»
Edward scoppiò a ridere, giocherellando con i capelli della sua ragazza.
«Lo lasciai io, quando lo trovai intento a sbaciucchiarsi con una biondina.» Concluse con un piccolo sorriso sulle labbra.
«Hai sofferto molto per lui?» le domandò Edward, mentre salivano sulla metro, appena arrivata.
Isabella sembrò rifletterci su, poi scosse la testa, «era già finita da tempo, credo che il punto di rottura sia cominciato quando ho deciso di smettere di sorridere.»
«E lui, alla fine, c’è riuscito a diventare famoso?»
Bella scosse la testa, «che io sappia, adesso lavora come contabile alla Tesco.»
La risata giocosa e divertita di Edward attirò l’attenzione, facendo voltare non pochi passeggeri. Gli occhi di Isabella s’illuminarono nel vederlo così felice.
«E pensare che io a quindici anni, mentre le ragazza ci provavano con me, le costringevo a guardare Doctor Who.»

 
Edward e gli altri ragazzi abitavano nell’ultimo piano di un vecchio palazzo, nel cuore di Hammersmith.
Jasper l’aveva affittato cinque anni prima, per condividerlo con i suoi compagni del corso d’arte. Ma quando questi se ne andarono, cercando un futuro migliore in luoghi che non fossero la strada e i marciapiedi, lasciarono solo Jasper, con l’intera retta da pagare. Fu lo stesso giorno in cui chiese di poter appendere il suo annuncio, dove cercava un condomino, che conobbe Emmett.
I giorni che li separavano dagli altri tre Buskers erano davvero pochi, e quando tutti e cinque divennero una vera famiglia, dividerli divenne impossibile. Così quella palazzina divenne indispensabile sia per loro che per gli stessi anziani condomini, e Edward, di quella sua nuova casa sapeva tutto.
Sapeva che il terzo gradino scricchiolava perché le termiti avevano mangiato il legno del pavimento. Sapeva che i cardini della porta dell’appartamento erano stati montati malamente perché li aveva sistemati l’amico inesperto di Jasper, quello che aveva la fissazione per le navicelle spaziali e gli Ufo. Sapeva che il tappetino d’ingresso originariamente era verde foresta, ma Emmett durante una festa ci aveva versato sopra della birra, e da quel giorno il tappetino era diventato giallo-verdastro.
Quando entrarono in quel vecchio palazzo, Bella ebbe come la sensazione che non ci fosse posto più bello e giusto per lei.
Isabella ispirò, le piaceva l’odore di muffa che si avvertiva tra le pareti, le dava un effetto vissuto, come se quel palazzo fosse stato consumato fino al midollo, come se avesse conosciuto gioie e dolori, era sicuramente un cimelio importante tra i ricordi di qualche vecchio condomino.
Così un po’ nervosa, un po’ emozionata, strinse più forte la mano di Edward, mentre quest’ultimo girava la chiave nella toppa, per aprire la porta di casa.
«Bella, io… » Sussurrò lasciando che la porta si aprisse leggermente, facendo intravedere solo un piccolo spiraglio di luce che proveniva da dentro. «io mi vergogno un po’, perché casa nostra non è ordinata come la tua, e le pareti non profumano di buono come le tue.» Sorrise incerto e imbarazzato.
Bella sbuffò, posando la sua mano su quella del ragazzo e con una lieve pressione, aprì la porta di casa.
La prima cosa che vide fu un lungo corridoio, dalle pareti bianche ricoperte da schizzi di diversi colori. Sollevò lo sguardo, mentre Edward le stringeva la mano, guidandola verso il salotto.
Quando vi furono dentro, gli occhi di Isabella si spalancarono per lo stupore: ad ogni angolo vi erano  costumi colorati e parrucche di diverse dimensioni e acconciature. Sulle pareti erano stati appesi dei disegni, senza cornice, ma fissati al muro con una puntina. Il divano marrone l’attirava pericolosamente, come il ricordo di qualcosa lontano, che lei aveva già vissuto, forse un ricordo che non le apparteneva realmente, ma che inspiegabilmente stava immobile nella sua mente.
Si guardò intorno, facendo un giro su se stessa, per osservare il soffitto ricoperto di disegni che raffiguravano cieli stellati e universi ancora da scoprire.
Edward sollevò lo sguardo, infilandosi entrambe le mani in tasca.
«Questo non è reale.» Bisbigliò Bella, avvicinandosi alle pareti per poter osservare meglio i disegni.
Erano tutti ritratti.
Bambini. Donne. Anziani. Persino l’immagine di un musicista solitario che Isabella collegò immediatamente a Edward. «Tutto questo è meraviglioso.»
«Sono felice che ti piacciano i miei disegni.»
Isabella sobbalzò nel sentire una voce femminile bassa ma terribilmente allegra. Quando si voltò, si scontrò contro due iridi chiare, e un visino dall’aspetto fragile come fatto di porcellana.
Alice le sorrise, non riuscendo a smettere di fissarla, come se non fosse davvero lì, proprio davanti ai suoi occhi. «Finalmente ci conosciamo.»
Alice allungò una mano verso Bella, presentandosi educatamente, «ciao, io sono Alice, l’autrice di tutti questi scarabocchi che vedi appesi in giro per casa.»
Bella strinse forte la mano della ragazza, sorridendo entusiasta, «io non li definirei scarabocchi, sono davvero meravigliosi, non ho mai visto niente di più reale e impressionante, positivamente, ovvio.» Rise leggermente. «Io sono Isabella, ma chiamami Bella, lo preferisco.»
Edward si avvicinò alle due ragazze, avvolgendo il braccio intorno alla vita di Bella, facendola sobbalzare. «Alice, dove sono tutti gli altri?» domandò non riuscendo a smettere di sorridere.
Quest’ultima indicò una porta aperta oltre le sue spalle, «in cucina, Emmett si è messo ai fornelli.»
Edward inarcò un sopracciglio, sotto lo sguardo interrogativo di Bella.
«Non devo avvisare i pompieri giusto? L’ultima volta i vicini stavano chiamando la polizia, spaventati dal troppo fumo.» Sospirò, voltandosi poi verso Isabella, «Il ragazzo in questione ha difficoltà persino a far bollire l’acqua della pasta, quindi non sorprenderti se oggi non si mangerà.»
Alice scoppiò a ridere, seguita a ruota da Isabella.
« Oh andiamo Edward, un po’ di fiducia, c’è Rose con lui.» E quella frase detta con il sorriso sulle labbra, fece illuminare gli occhi di Edward.
Poteva significare solo una cosa, che Rose aveva smesso di piangere. La loro Rose, stava di nuovo bene, quanto tempo sarebbe durata questa sua felicità, nessuno lo sapeva con certezza.
Quando entrarono in cucina, Rosalie si avvicinò a Bella, dandole un bacio sulla guancia.
«Ciao Bella, finalmente Edward ha avuto il coraggio di portarti da noi.» Sorrise, passandosi una mano tra la folta chioma bionda.
«Rose, amore, lascia che si abitui a noi, e poi vedrai come diventerà dipendente.»
Un ragazzone alto e dalle spalle larghe, come quelle di un lottatore professionista, si avvicinò a Bella, stringendola in un abbraccio stritolante.
Edward corrugò la fronte contrariato, allungando le braccia pronto a prendere Isabella non appena Emmett l’avesse lasciata andare.
Ma quest’ultimo continuò ad abbracciarla, «Piacere di conoscerti Bella, io sono Emmett.»
Quando finalmente la liberò poté guardarla in volto, «Edward ma te la sei trovata proprio bella.» Scoppiò in una fragorosa risata, sotto lo sguardo severo di Rosalie.
«Te l’avevo detto che non sarebbe stato facile.» Le sussurrò suadente Edward all’orecchio, mentre le presentava l’ultimo componente della sua  famiglia, Jasper.
Bella si perse nel mare azzurro degli occhi di Jasper, ricordandosi di averli già visti da qualche parte.
Quest’ultimo come Isabella, non riusciva a smettere di fissarla, come se non fosse la prima volta che la vedeva. Alice li affiancò muovendosi con una grazia e un eleganza da far invidia a qualunque ballerina
«Bella perché non vieni con me in soggiorno, mentre gli uomini si occupano della cucina.» Propose Alice, prendendole la mano, come se si conoscessero da anni e non da pochi minuti. «Rose vieni con noi.»
Edward la lasciò andare, sorridendole sghembo, e Isabella non riuscì a fare altro che seguire le due ragazze, completamente imbambolata. In quella casa albergava una qualche sostanza magica, che rendeva tutto etere e sospeso. Che fosse davvero quello il luogo a cui apparteneva realmente?
 

«Mi piace.»
Edward sollevò di scatto la testa, sotto lo sguardo divertito di Emmett.
«Non in quel senso Edward.» Lo prese in giro, mentre gli passava due bicchieri di vetro blu, «mi piace il modo in cui vi guardate.» Continuò, posando entrambe le mani sul tavolo.
Edward sorrise osservando il tavolo ben apparecchiato.
«Come diamine hai fatto a trovarla?» Gli domandò passandosi una mano tra i ricci capelli scuri, «perché davvero è inspiegabile, avevi sempre detto che non t’interessavano le ragazze del luogo, che erano troppo strambe per i tuoi gusti.»
«Bella è diversa, Emmett.» Rispose semplicemente, spiandola dalla porta della cucina.
Le tre ragazze erano sedute sul divano, Isabella era al centro. Alice era l’unica a parlare, mentre Rosalie sorrideva.
Quando Bella sollevò lo sguardo e trovò gli occhi di Edward dall’altra parte della stanza, si morse il labbro inferiore, in un modo così dolce e sensuale, che Edward dovette distogliere lo sguardo per evitare di correre da lei, e baciarla, proprio lì, davanti a tutti.
«E’ stata lei a trovare me.» Sospirò voltandosi verso Emmett.
Jasper fissava un punto lontano fuori dalla finestra, con quel suo sguardo vitreo e illeggibile, che solo Alice riusciva a decifrare.
«L’hai già baciata?» Domandò insistente Emmett, avvicinandosi all’amico.
Edward gli lanciò un occhiataccia, «piantala.»
«Era solo una curiosità Edward. Io per riuscire a baciare Rose ci ho messo un mese.»
«Dopo quello che le è successo, mi sorprende che sia riuscita a lasciarsi andare.»
Jasper parlò per la prima volta, da quando le ragazze erano uscite dalla cucina.
Entrambi i ragazzi si voltarono verso Jasper, fissandolo interrogativi, «Jasper non ricominciare per favore. Avevamo detto che oggi non ne avremmo parlato.» Sospirò Edward, sedendosi sulla sedia.
«Jasper  ha ragione, certe cose non dovrei dirle.» Sbuffò Emmett, dando un pugno leggere sul tavolo, «e che dannazione, vorrei avercelo tra le mani quel bastardo che ha rovinato la vita della mia Rose.»
Si sentirono dei passi leggeri provenire dal salone, farsi sempre più vicini.
«Emmett non adesso, per favore.» Lo supplicò Edward, non appena vide comparire Bella, seguita da Rosalie e Alice.
Isabella sorrise avvicinandosi al suo ragazzo. Edward la fece sedere sulle sue gambe, mentre le accarezzava la schiena dolcemente.
«Allora quante domande ti hanno fatto?» le domandò, portandole una ciocca di capelli dietro l’orecchio.
«Non poi così tante.» Sorrise impacciata Bella, sollevando lo sguardo su Alice.
Edward scoppiò a ridere, «è stata Alice a dirti di non dirmi niente?»
«Forse.» Borbottò.
«Non dirgli niente, Bella, sono segreti tra donne.» Sorrise trionfante Alice, avvicinandosi al tavolo.
«Bene ragazzi, che ne dite se iniziamo a mangiare? Io sto morendo di fame.» Confessò Emmett fingendosi in imbarazzo.
Rose sorrise comprensiva, avvicinandosi al suo ragazzo, e insieme, iniziarono a servire i piatti.
Isabella si sentiva piena di qualcosa di nuovo, finalmente era riuscita a uscire dal suo guscio solitario, e la cosa più sorprendente e meravigliosa di tutte e che lei, tra tutti quei ragazzi si sentiva a proprio agio.
Finalmente l’aveva trovata, la sua nuova famiglia.

 
«Vieni con me.» Le aveva sussurrato Edward all’orecchio, mentre, Isabella, aiutava le ragazze a sciacquare i piatti.
Bella scosse la testa, divertita, «non lo vedi, sono impegnata!»
Edward le afferrò lo straccio dalle mani, gettandolo sul tavolo dietro di loro. Bella lo sguardo meravigliata, mentre Alice li osservava minuziosamente.
«Adesso ho la tua completa attenzione.»
Isabella si finse offesa, e voltandosi dall’altra parte si era allungata per riprendere lo strofinaccio, ma le forti braccia di Edward le impedirono di muoversi, e senza alcuno sforzo la costrinsero a voltarsi di nuovo verso di lui.
«Dicevamo?» Sorrise il ragazzo, sia con gli occhi che con il cuore.
Rose si voltò verso Bella sorridendole comprensiva, «ti conviene seguirlo, altrimenti non ti lascerà più libera.»
C’era un qualcosa di altamente instabile in quel non ti lascerà più libera, che sconvolse entrambi i ragazzi. E quando uscirono insieme dalla cucina, Bella si rese conto che l’avrebbe tanto voluto, non essere più liberata se con lei ci fosse stato Edward.
Il musicista si mise dietro di lei, posandole delicatamente le mani sugli occhi, per impedirle di vedere.
«Edward, non ci vedo.»
«Non devi vedere infatti, devi solo fidarti di me.» Bisbigliò suadente il ragazzo, depositandole un bacio casto ma infuocato sulla guancia.
Edward la guidò verso un lungo corridoio, sorreggendola e aiutandola a camminare in linea retta.
«Hai un senso dell’equilibrio molto precario.» Le fece notare, soffiandole sull’orecchio.
Bella fece una smorfia strana, che Edward purtroppo non riuscì a vedere.
Ma il suo cuore, oh quello si che riusciva a vederlo e a sentirlo, e tremava, dentro e fuori. Non c’era parte del Mondo che quei due non avrebbero potuto raggiungere, insieme, anche ad occhi chiusi.
«Living is easy with eyes closed misunderstanding all you seeSussurrò Edward, conducendo, Bella dentro la sua stanza.
Quando le liberògli occhi, la osservò in volto per studiare ogni sua espressione.
Non appena gli occhi di Bella si riabituarono alla luce, il suo cristallino riuscì a mettere a fuoco quella stanza, e non appena capì dove si trovasse, sorrise.
«Questo è il tuo mondo.»
Isabella si voltò verso Edward, chiedendogli il permesso di poter guardarsi intorno, ma non vi era alcun bisogno di domandare, perché Edward le avrebbe permesso di fare qualsiasi cosa, purché fossero stati insieme.
E poi Edward l’aveva guardata, facendole tremare la terra sotto i piedi, ma in definitiva, Edward le faceva tremare il mondo intero sotto i piedi.
«Vorrei cristallizzare il tuo sorriso Bella, perché ti giuro è la cosa più incredibile che abbia mai visto.» Le confessò posando l’incide sulle labbra delle ragazze, tracciandone il contorno.
Bella arrossì di fronte quel complimento spontaneo e sincero. Sincero perché sapeva che era stato detto col cuore. E il cuore di Edward, per una qualche ragione sconosciuta, non sapeva mentire.
«Voglio trovare il modo di farti durare in eterno.» Le sorrise, sistemandole una ciocca castana dietro i capelli, senza mai smettere di affogare in quella valle al cioccolato che erano i suoi occhi, «e allora forse ogni passo che avrò fatto, non sarà stato solo uno sforzo muscolare. E magari il mio cuore mi ringrazierà, se decidessi di prendere anche il tuo e metterli insieme, per vedere cosa succede.»
Bella trattenne il respiro, stringendo forte le mani intorno alla maglietta grigia di Edward, con la faccia di John Lennon sbiadita, ma ancora sorridente.
«Succede che poi c’innamoriamo.» Gli aveva detto, sollevando il volto per baciarlo.
Magari era già successo, in una loro vita precedente, o forse in tutte.
 
La voce di Edward acquistava un altro sapore, quando a cantare quella canzone strappa anima era solo Bella ad ascoltarla.
I loro occhi intrecciati, incatenati da qualcosa che andasse più in là della retina o di qualsiasi altro organo presente nel corpo.
E Bella era fermamente convinta che uno o ce l’aveva o non ce l’aveva, quell’amore nel cuore, che ti faceva perdere il senno. E quando c’era Edward accanto a lei, Bella ormai lo sapeva bene, neppure sulla luna sarebbe riuscito a ritrovarlo.
Erano due correnti cosmiche, sbalzi temporali e mondi paralleli entrati in collisione. Erano come la cometa Biela che ad un certo punto del suo percorso si divide in due, e non riesce più a ritrovarla la sua parte mancante. E forse Edward e Bella erano davvero l’unica eccezione, perché in effetti, loro si erano finalmente ritrovati.
 
«Dimmi a cosa stai pensando.» Lui la strinse forte tra le sue braccia, e lei si lasciò andare, facendo sprofondare il viso al centro esatto del suo petto.
Sorrise imbarazzata, le sue guancie si colorarono di porpora e ringraziò il cielo che lui non potesse vederle.  «Lo sai già.» Respirò il suo profumo. Quel profumo che l’aveva stregata il primo giorno, quel profumo che l’aveva indotta a lasciarsi andare, quello per la quale aveva ricominciato a vivere.
«Si, ma acquista un altro sapore se sei tu a pronunciarlo.» Lui parlava con una voce che distruggeva il cielo.
Bella sospirò, «Penso che un luogo così bello non possa esistere. »
Edward l’ascoltò parlare, senza interromperla. Le piaceva il suono della sua voce, il modo in cui le sue corde vocali si scontravano con l’aria che respirava, producendo un tintinnio, un eco simile al suono del vento.
«Penso che il mio cuore non possa sopportare un battito così furente. » E Bella continuò a confessarsi, a scoprirsi, lasciando che Edward la guidasse verso acqua più profonde.
Gli occhi diventarono lucidi e la gola sembrava andare in fiamme, lui che la sua voce l’aveva sempre utilizzata per colpire il cuore delle persone, era stato trafitto con la sua stessa arma. «Era a questo che mi riferivo.»
«Quando?»  Bella parve disorientata.
Lui le sollevò delicatamente il viso, in modo che i loro sguardi s’incatenassero. E come il primo giorno, e come tutti i giorni che sarebbero venuti, Edward la riconobbe.
«Quando ho detto che avrei voluto metterli insieme i nostri cuori.»
Bella vorrebbe urlarglielo, vorrebbe che fossero le stelle sopra i loro corpi a confessarglielo.
«Il mio cuore s’incepperebbe, e poi non saprebbe più cosa dire» Mentì camuffando un sorriso ingenuo.
La fronte di Edward si posò su quella di Bella, pelle contro pelle, «Oh no ti sbagli, perché nel tuo cuore Bella, c’è l’alfabeto intero, e ad ogni battito corrisponde una lettera, un po’ come nel codice Morse, tratto, punto, punto, punto, tratto, tratto, tratto, tratto, tratto.» Lo disse come se stesse cantando, lo disse come se quelle parole potessero trasformarli in corpi celesti, pronti a rincorrersi per l’eternità.
Lei annaspò in cerca di ossigeno, «che cosa stai dicendo?»
«Quello che dice anche il mio cuore. Ti amo.»
E fu in quel momento che il cielo esplose, insieme a tutti quello che lo circondava. Stelle, pianeti, satelliti, persino un buco nero venne risucchiato da quelle parole. Tutti esclusi loro, Edward e Bella, che si erano protetti dentro una bolla. Dentro la loro bolla di felicità, che sarebbe durata probabilmente per l’eternità.

 

 

                                                       

 

Oh, guardate un pò chi è tornata con il nuovo capitolo di Buskers. Si ragazze sono proprio io, e insieme a questo capitolo mi porto dietro un carico enorme di scuse, per avervi fatto aspettare così tanto. Non era davvero mia intenzione. E' stata tutta colpa della scuola, tra compiti e interrogazioni, arrivavo la sera sfinita come un lombrico, senza offesa per questi teneri e morbidosi animaletti ^^
Quindi vi prego di scusarmi sul serio, avrei tanto voluto postare il capitolo, ma ogni volta non mi sembrava ancora pronto, come se mancasse qualcosa, poi quando ho capito che cosa mancava. Siete riuscite a capirlo anche voi?
Che dirvi ragazze, in questo capitolo succede una cosa davvero importante.
Ma andiamo un pò per ordine.
Allora quando Bella racconta la sua storia con Mike, dice che il suo ragazzo voleva diventare un Brat Pack, allora questo è un termine inglese che viene usato molto spesso per parlare di nuovi attori o attrici di giovane età che hanno sfondato nel mondo dello spettacolo. Piccola curiosità, Rober Pattinson ha creato un gruppo denominato Brat Pack bè si, proprio originale il ragazzo xD
La Tesco è una catena di super mercati britannica, mentre credo che Doctor Who lo conosciate tutte, in caso, vi dico subito che è un telefilm di fantascienza inglese degli anni 80.
Date queste piccole informazioni possiamo andare avanti.
Nello scorso capitolo vi avevo detto di preparare i fazzolettini, quante di voi hanno creduto che si trattasse di un capitolo tragico?
Sono riuscita a sorprendervi?

Mi sento emozionata, perchè questo capitolo è molto importante per me, è un punto di svolta, una confessione.
Il Ti amo adesso è troppo sovravvalutato. Io penso che andrebbe detto solo quando si sente realmente. Voi per esempio avete mai detto "ti amo"? Se si, raccontatemi un pò le vostre storie, mi piace saperne di più sulle mie lettrici!

Bene, detto questo ringrazio i 18 angeli che hanno recensito! E' stata una bellissima sorpresa.
Ora prima che qualcuno mi decapiti, posto il capitolo.
Un bacione a tutte.
Lua93.

 


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Capitolo 18
*** Souls find themselves always, at the end. ***


17. Souls find themselves always, at the end. Dedico questo capitolo a CherryBomb_ lei sa il perchè...


                                                                                             




17. Souls find themselves always, at the end.


Non era rugiada quella che silenziosamente scivolava lungo le guance leggermente arrossate della ragazza. Bella sollevò timidamente gli angoli delle labbra, mentre si allontanava dal petto di Edward, quel poco che bastava per perdersi e per ritrovarsi di nuovo nei suoi occhi.

Il musicista la stringeva delicatamente, come se fosse un piccolo fiore, troppo delicato e fragile. Allungò una mano sul suo viso, scacciandole via le lacrime.
Le aveva lasciato tutto il tempo per assimilare quelle due paroline, che probabilmente, l’avrebbero cambiata per sempre. Non ci aveva pensato poi molto, a dire la verità. Perché era stato tutto piuttosto spontaneo, confessargli ciò che provava,sussurrarglielo come se fosse un segreto.
Lei l’aveva osservato in silenzio, timorosa di parlare, perché non riusciva a crederci, le sembrava impossibile, quasi impensabile, rendersi conto che, anche qualcuno che non avesse il suo stesso sangue, potesse amarla.
Lui, invece, era preoccupato.
Che avesse sbagliato a confessare il suo amore per lei?
Ma non si poteva sbagliare. Non c’erano regole che ti obbligavano a seguire, se non quelle del cuore, e dei suoi battiti che t’indicavano loro, quando un amore doveva essere liberato. E lui l’aveva ascoltato il suo cuore, perché si era innamorato, per la prima, e probabilmente ultima volta in vita sua.
«Mi dispiace Bella.» Sussurrò infine, allontanandola dal suo corpo, quel tanto che bastava per uccidere entrambi.
Isabella lo fissò spaventata, confusa da quel suo gesto.
«Mi hai detto di amarmi.» Sorrise timidamente, facendo un passo verso il suo musicista, «l’hai fatto senza che nessuno te lo chiedesse, semplicemente perché era quello che volevi fare.» Continuò con una fermezza che non credeva di avere, «e ora mi stai chiedendo scusa?»
«Ti ho spaventato.» Rispose immediatamente il ragazzo, posandole le mani sulla spalla, fino a sfiorarle il collo in una carezza delicata.
«Tu mi terrorizzi Edward.» Sospirò Isabella, ma prima che lui potesse allontanarsi da lei, gli strinse le mani, facendogli capire che non aveva ancora finito. «Ho paura Edward, di quello che mi fai provare quando mi guardi, di quello che mi fai sentire sulla pelle quando mi sfiori.» Sorrise, mordicchiandosi il labbro inferiore. «Sei fuoco, mi bruci Edward. Ed io voglio essere incendiata da te, perché ho bisogno del tuo calore. Ho bisogno di sentirmi amata, da te.»
Lui le scostò una ciocca di capelli dal viso, avvicinando le loro labbra.
«E se ti dicessi che ci credo, a quella stupida teoria sui mondi paralleli?» Le baciò teneramente entrambe le palpebre, «forse hanno ragione quelle persone che credono nell’esistenza di una sola anima, divisa alla sua nascita in due piccoli pezzi, che viaggia nel tempo e nello spazio, alla ricerca dell’altra sua metà.» Le sue labbra scesero a lambirle le guance arrossate, «e non importa quante vite dovrà toccare prima di ritrovarla, in quante altre anime crederà di averla trovata, perché qualsiasi cosa farà, qualsiasi vita vivrà, che sia questa o tutte quelle che verranno, lei la ritroverà la sua parte mancante. Le due anime si apparteranno per sempre, e si ritroveranno, perché è destino.» Sorrise baciandole la punta del naso, «e tu Bella adesso che sei arrivata, adesso che mi hai contaminato, ricucendo le mie ferite con le tue, incastrando le nostre anime, pensi davvero di avere il bisogno di chiedermelo?»le diede un bacio leggero, solo uno sfioramento di labbra e nient’altro, «tu non sai quanto ti ho aspettata, amore mio, quanto ho dovuto viaggiare prima di incontrarti.»
«E allora baciami Edward, prima che il mondo ci separi un’altra volta.» Sospirò amaramente.
Edward le sorrise, stringendola di più al suo corpo, «dove altro potrei andare, se non sulle tue labbra?» Le bisbigliò al limite della resistenza, lasciando che l’impulso più primitivo s’impossessasse di lui e del suo corpo. Le loro labbra furono uno sfiorarsi di anime, una prova tangibile del loro essere destinati, un testarsi a vicenda. Pelle contro pelle. Cuore contro cuore.
Le anime si ritrovano sempre, alla fine.
 
 
«Cosa pensate stia succedendo lì dentro?» Domandò Emmett, indicando il lungo corridoio alle sue spalle.
Jasper sollevò la testa, seguendo l’indice del suo amico.
«Staranno parlando.» Rispose Rosalie, mentre ritornava dalla cucina con in mano una ciotola di pop corn. Non appena gli occhi di Emmett si posarono sull’invitante bottino che la sua ragazza stringeva tra le mani, si sollevò dal divano, allargando le braccia come se volesse abbracciarla.
«Questi sono miei, amore.» Sorrise maliziosamente Rose, raggirando il corpo di Emmett, mentre si avvicinava al divano.
Jasper scoppiò a ridere, seguito a ruota da Alice, accovacciata sul suo petto.
«Sei terribile, brutta e cattiva.» Bisbigliò Emmett, rivolgendole un’occhiata seducente, che tutto faceva intendere tranne quelle tre parole.
Rose gli sorrisi, posando la mano sul divano, «vieni qui.»
Emmett non se lo fece ripetere due volte, si sedette accanto alla sua Rose, circondandole le spalle con il braccio, in modo da averla più vicina. Lei le sorrise, mentre prendeva un pop corn e glielo portava sulle labbra, imboccandolo teneramente.
«Volete che vada a controllare?» Propose Alice, con fin troppo entusiasmo, ma le braccia di Jasper non le permisero di muovere neppure un muscolo. 
«Lasciagli la loro intimità. Sono certo che non staranno facendo nulla di pericoloso. Conosciamo tutti Edward.» Ridacchiò Jasper, accarezzando il dorso della mano di Alice.
Quest’ultima scosse la testa, «volevo solo accertarmene, sai, l’amore ci cambia.» Bisbigliò, voltandosi leggermente verso Jasper, che non perse l’occasione per baciarla.
«Io non l’ho mai vista, e voi?» Domandò Emmett, mentre infilava la sua grande mano dentro la ciotola, afferrando più pop corn possibili, mettendoseli tutti in bocca, sotto lo sguardo disgustato e nello stesso tempo divertito di Rosalie.
«Prima volta.» Rispose Alice.
«Io l’ho incontrata solo una volta, in compagnia di Edward. Ve l’avevo raccontato.» Disse Rosalie, allontanando la ciotola gialla da Emmett.
«Io mai.» Borbottò quest’ultimo, mentre cercava di riprendersi i pop corn.
Jasper rimase in silenzio, con lo sguardo perso in chissà quali ricordi.
 
 
«Sai che io Doctor Who, non l’ho mai visto?»
Edward sgranò gli occhi, fingendo un’espressione sbigottita.
«Allora questo cambia tutto.» Sospirò, sollevandosi dal tappeto sul quale si erano seduti. «Non posso credere che la mia ragazza non ha mai visto Doctor Who, mi dispiace Bella, ma tra noi è finita.»Disse risoluto, trattenendosi dal ridere.
C’era stata una specie di scossa nel corpo di Bella, quando gli aveva sentito pronunciare quelle parole, la sua ragazza. Sua come non sarebbe stata più di nessun altro.
Bella stette al gioco, alzandosi anche lei, «in questo caso, credo che non ci sia più nulla da dire. Ognuno per la sua strada.»
Fece per andarsene, ma due forti braccia le circondarono i fianchi, sollevandola, fino a non farle toccare più il pavimento con le scarpe. Bella lanciò un piccolo urlo di sorpresa, mentre cercava di liberarsi dalla stretta di Edward.
«Ti ho forse detto che potevi andartene?» Domandò Edward, facendola scivolare sul piumone blu, del letto, portandosi sopra di lei.
Il cuore di Bella sembrava un martello pneumatico. Chissà, forse aveva battuto un nuovo record. Il suo cuore probabilmente, batteva più velocemente delle ali di un colibrì.
«Se non sono più la tua ragazza, dimmi perché dovrei perdere ancora tempo con te?» Gli chiese mentre cercava di liberarsi dalla sua stretta.
Edward le bloccò le mani, portandogliele sopra la testa, oltre quella cascata color mogano, «punto primo, perché lo decido io, quando e se puoi andartene.» Rispose, quasi con un grugnito, mentre cercava di farla stare ferma.
Isabella scoppiò a ridere, «ma per favore.»
Lui le morse delicatamente un dito, per poi baciarne il polpastrello.
«Punto secondo, perché anche se non sei più la mia ragazza, rimani comunque mia.» Le sorrise teneramente, mentre faceva scivolare una mano lungo tutto il suo braccio. Bella tremò, trattenendo il respiro.
«E il terzo punto?» Domandò Bella sfiorando involontariamente la gamba di Edward con la sua.
Il ragazzo smise di sorridere, liberandole le mani dalla sua stretta, per poi baciarle la clavicola, fino a scendere sulla scapola, e assaporare quella parte di pelle scoperta durante la lotta.
«Non ho mai detto che fossero tre.» Sospirò scivolando via dal suo corpo, mettendosi supino accanto a lei.
Bella si voltò verso di lui, sorridendogli dolcemente, «se ti prometto di vedere tutte le puntate, posso essere di nuovo la tua ragazza?»
 
 
Alice chiuse gli occhi, facendo un grosso respiro.
«Dove l’hai vista?»
Rosalie ed Emmett smisero di giocare con i pop corn, voltandosi entrambi verso Jasper.
«Non sono certo che sia lei.»Rispose quasi come se volesse scusarsi. «Quando vivevo con Kevin e Ian, i miei vecchi coinquilini, non mi piaceva ritornare qui, una volta finito il corso d’arte. Non mi sentivo mai realmente a casa con loro.» Spiegò, stringendo la mano di Alice.
Emmett l’incitò a proseguire.
«E così, invece di tornare in questo appartamento, e dovermi sorbire le urla di Kevin mentre giocava alla console, o gli schiamazzi di Ian, chiuso in chissà quale stanza con chissà quale ragazza, decisi di truccarmi e scendere in strada, come mimo, per la prima volta.» Sospirò con la voce che gli tremava leggermente, «non era andata affatto male per essere solo la prima giornata. Molte persone si erano fermate a osservarmi, incuriosite forse dal mio strano personaggio. Facevo ridere, soprattutto i bambini.»
Alice sorrise, accarezzando la guancia di Jasper, come a volergli trasferire un po’ della sua forza.
«Mi piaceva, far ridere la gente, e poi, non era andata per niente male, la sera riuscivo a vedere anche il sole tramontare sul Tamigi.» Sorrise leggermente, prima di tornare serio e proseguire con il suo racconto. «Così inizia a prenderla come abitudine, quella di truccarmi e scendere in strada, per racimolare qualche soldo.
«Kevin pensava che io fossi impazzito, mentre Ian rimaneva sempre in silenzio, quasi come se non gli importasse, la cosa più importante e che io portassi a casa dei soldi. E stranamente, ci riuscivo sempre. Iniziarono a imitarmi, scendendo anche loro in strada, con risultati però, piuttosto scarsi.» Si passò una mano tra i capelli, per poi ritornare a stringere Alice, «tutto cambiò una sera. Stavo raccogliendo il cappello che utilizzavo per raccogliere le monete che mi lanciavano i passanti, quando due figure sconosciute m’impedirono di allontanarmi.»
Rosalie nascose il volto sul petto di Emmett, stringendogli la maglietta.
L’oscurità.
La paura.
Le ombre.
C’erano troppe cose che l’accumunavano.
«Iniziarono  a spingermi, derubandomi dei pochi spiccioli. Continuavano a ripetermi che quel territorio mi era proibito, e che io dovevo pagarli se volevo rimanere lì.» Sospirò passandosi una mano tra la chioma dorata, «iniziarono ad alzare le mani, picchiandomi ferocemente, fino a quanto non caddi a terra. A loro sembrava non sconvolgerli la vista del sangue. Continuavo a resistere, cercavo di proteggermi dai loro colpi, ma loro erano in due ed io uno solo. Avevo davvero paura, quando all’improvviso sono comparsi un uomo e una ragazza.»
 
«Io e mio padre, stavamo camminando lungo South Bank, quando mi accorsi di due strane figure, e di un ragazzo sdraiato a terra.»
Edward la strinse più forte, mentre l’ascoltava raccontare il suo primo incontro con Jasper.
«Mi sono messa a urlare, spaventata.» Bisbigliò, «mio padre intervenne immediatamente, avvisando i suoi colleghi, sai lui è un poliziotto.»
 
Jasper strinse la mano di Alice, portandosela sul cuore. «L’uomo si è scagliato immediatamente sui due uomini, mettendoli in fuga, spaventati dal suono delle sirene. La ragazza corse verso di me, fissandomi con i suoi enormi occhi scuri. Iniziò a farmi domande, preoccupata del mio stato di salute, ma io le risposi che stavo bene e che volevo solo tornare a casa.»
 
«Mio padre gli consigliò di sporgere denuncia, ma lui si rifiutò.» Sussurrò Isabella.
 
«Non era pena quella che c’era nei suoi occhi, ma solo tanta paura. Era preoccupata per uno sconosciuto. Non mi era mai successo prima, che cosa strana vedere che esiste ancora l’altruismo, vero?» Domandò senza aspettarsi alcuna risposta, poi riprese a raccontare. «L’uomo cercò di convincermi a denunciare i miei assalitori, ma io gli risposi che stavo bene e che non c’era alcun bisogno di sporgere denuncia. Quando tornai a casa, accompagnato dall’uomo che mi aveva salvato la vita, lo ringraziai, chiedendogli di non cercare quei due uomini.» Continuò Jasper, con lo sguardo lontano, e la voce bassa, come se provenisse da un altro mondo. «Sapevo già chi erano, e la conferma l’ebbi una volta tornato a casa, quando non trovai più i miei due coinquilini.»
 
Bella sospirò, scusandosi per non averglielo detto prima. «non ero certa che fosse lui, è cambiato molto dall’ultima volta che l’ho visto.»
Edward la strinse più forte, baciandole la testa, «tu e tuo padre gli avete salvato la vita.» Bisbigliò, «tu sei un angelo, amore mio.» Le disse baciandola.
Quando ritornarono in salone, dove c’erano tutti gli altri ragazzi, Jasper le sorrise alzandosi dal divano.
«Grazie.» Le disse semplicemente, mescolando un ricordo passato che li avrebbe uniti nel tempo.
 
Era sera inoltrata, quando Edward riaccompagnò Isabella a casa.
Le loro mani non riuscivano a staccarsi, come se non volessero allontanarsi.
«Mi sono divertita molto oggi, hai una famiglia fantastica.» Sorrise Isabella, mentre cercava le chiavi della propria abitazione.
«Domenica prossima se vuoi, puoi tornare. Credo che Alice mi assillerà parecchio, affinché io ti riporti a casa con me.» Confessò grattandosi la testa e ridacchiando sommessamente.
Bella infilò la chiave nella serratura, facendola scattare, poi si voltò verso Edward.
«Mi piace molto, è davvero simpatica. Poi ha un dono così meraviglioso, mi piacerebbe molto approfondire la nostra conoscenza.»
Edward annuì, avvicinandosi, «questa cosa le farà molto piacere.»
Bella sorrise, «Bene.»
Rimasero in silenzio, entrambi troppo occupati a scrutarsi, per poter sprecare ancora parole. Edward le accarezzò il viso, portandole una ciocca di capelli dietro l’orecchio.
«Domani mattina avrò il corso.» Le disse senza distogliere lo sguardo dal suo viso.
Isabella mise un leggero broncio, «avevi promesso che mi avresti aiutato con la libreria.»
«Appena finisco, corro da te.» Le promise.
«Non andrai più all’Hyde Park? A me piace sentirti suonare.»
Edward le diede un bacio leggero sulla fronte, «voglio suonare solo per te.»
«Questo mi lusinga Edward, ma non voglio che tu smetta di essere ciò che sei per me. Io voglio che tu continui a suonare, voglio venire ad ascoltarti mentre suoni ad occhi chiusi. Così che, una volta aperti tu possa vedermi, e dire: “Eccola, è lei, la mia ragazza.”»
Edward scoppiò a ridere, stringendola a sé, «e avrò il permesso di baciarti?»
«Per quello non dovrai mai chiedere.» Gli rispose, lasciandosi baciare ancora una volta.
Non erano umane quelle labbra, pensò Isabella.  Com'era semplice, lasciarsi andare, tra le sue braccia.
«Quindi ci vedremo per pranzo?» Domandò la ragazza, mordicchiandosi il labbro inferiore.
Edward annuì, con un sorriso che avrebbe illuminato l’intero cielo di Londra. «Mi raccomando, non toccare nulla fino al mio arrivo.»
«Okay.»
«E un’altra cosa, chiama tuo padre, tu che puoi farlo.» Le sorrise comprensivo, «non lasciare che una stupida incomprensione comprometti il vostro rapporto.»
Bella giurò che l’avrebbe fatto, poi entrò in casa, chiudendosi la porta alle spalle.




Ragazze, sono tornata. Non posso crederci, stavo controllando quando avessi postato l'ultima volta, e mi sono resa conto, oltre al fatto che era troppo tempo che non postavo, che nel mese di Maggio, Buskers è stata pubblicata una sola volta. E questo mi dispiace davvero un casino, perchè vi sto facendo attendere davvero troppo e me ne vergogno.
Ma adesso che la scuola è terminata, penso di avere più tempo per dedicarmi completamente alla scrittura e quindi alle mie storie.
In questo capitolo rispondo alla vostra domanda su Jasper e Bella. In molte avete ipotizzato a un loro casuale incontro, e diciamo che è stato un pò così, però più che incontro io lo definirei scontro.
Vi ricordo che, Edward, Jasper, Alice, Rosalie e Emmett hanno deciso di abitare tutto sotto lo stesso tetto cinque anni fa.
La madre di Isabella è morta tre anni fa, mentre il papà di Bella è andato via solo due anni fa da Londra.
L'incontro  tra Jasper/Bella e Charlie è avvenuto cinque anni fa.
Spiegato questo piccolo passaggio, tengo a precisare un altra cosina piccolina, ma davvero molto importante.
Esistono faide all'interno, anche, diquesti generi di lavoro. Disguidi che a volte sfociano in veri omicidi. A volte, la conquista di un territorio da parte di una artista di strada viene pagato,  si, esatto, si paga la tangente. All'inizio non riuscivo a crederci perchè pensavo che ognuno potesse esercitare il proprio lavoro dove volesse per strada, e invece non è così. C'è la divisione in zone tra i Buskers. Quello che vi ho raccontato potrebbe essere accaduto davvero a qualsiasi Buskers, e non sempre si è così fortunati come Jasper.
Detto questo, prima di concludere, avviso tutti voi di una cosa molto importante: Sono in partenza.
Esatto, mercoledì partirò per Londra, un ritorno alle origini xD
Come dico io, torno a casa.
Un bacione a tutti voi, grazie per aver letto questo lungo papiro.
Baci.
Lua93.

P.s. Adoro le vostre recensioni, ve l'ho mai detto? Non smettete mai di lasciarne, perchè con le vostre parole, riuscite davvero a cambiarmi la giornata!
       Il capitolo de "I colori del Vento" arriverà Martedì.

Siete andate a votare? Io SI!
Mi raccomando, fate la scelta giusta =)

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Capitolo 19
*** Surprises. ***


18. Surprises.

Il piccolo cuore rifletteva i tiepidi raggi del sole che entravano dalla finestra, catturando l’attenzione di Isabella, intenta a comporre il numero del padre.
Dopo quella notte passata a riflettere sulla conversazione avvenuta con Charlie e sulle parole di Edward, non era riuscita a chiudere occhio.
«Oh no ti sbagli, perché nel tuo cuore Bella, c’è l’alfabeto intero, e a ogni battito corrisponde una lettera, un po’ come nel codice Morse, tratto, punto, punto, punto, tratto, tratto, tratto, tratto, tratto.» Lei annaspò «Che cosa stai dicendo?» 
«Quello che dice anche il mio cuore. Ti amo.» 

Gliel’aveva detto sussurrando, come se avesse avuto paura che una volta pronunciate sarebbero scappate, verso altri continenti, verso terra che non potevano appartenere al suo Mondo, e invece, quelle parole erano rimaste lì. Entrando nel cuore d’Isabella e nella sua testa, fin dentro l’anima, che tremava spaventata da quella nuova rivelazione.
Bella si allontanò dal telefono, avvicinandosi al tavolino dove aveva posato il braccialetto, che li aveva fatti incontrare, e mentre l’afferrava stringendolo delicatamente tra le dita, sentì quell’energia che li aveva fatti trovare. L’indosso silenziosamente, sorridendo al ricordo.
Poi tornò indietro, sollevando la cornetta del telefono, pronta ad aprire quella porta nascosta nel suo cuore, di cui solo lei e Charlie ne facevano parte.
Così mentre aspettava ansiosamente che il padre le rispondesse, strinse forte il ciondolo a forma di cuore, che fino a quel momento aveva catturato tutta l’energia dell’intero sistema solare per trasmetterglielo.
Uno.
Due.
Tre squilli, poi uno strano rumore ricatturò l’attenzione di Bella.
«Casa Swan, chi parla?» La voce di una donna che rispondeva al posto di quella calda e profonda del padre, fece spezzare qualcosa dentro il petto di Bella.
«Sono Isabella, la figlia di Charlie, tu invece chi sei?» le domandò stringendo la cornetta del telefono, abbassando lo sguardo.
Prima che la donna rispose passarono diversi secondi, in cui l’imbarazzo da parte di entrambe era palpabile, «sono Sue, un amica di tuo padre.» Si decise infine a rispondere quest’ultima.
Isabella avvertì un malessere generale dentro di se, e la voce di quella donna, Sue, non fece altro che peggiorare la situazione.
«Dov’è mio padre?» Domandò bruscamente Bella, mordicchiandosi il labbro inferiore.
Sue rispose immediatamente, senza riflettere, «sta facendo la doccia, non vi siete ancora sentiti questa settimana?» Chiese, e Isabella immaginò uno strano sorriso sul volto sconosciuto della donna, quasi seccato.
«Ci siamo sentiti ieri sera, a dire la verità.» Le rispose Isabella, confusa da quella domanda. Non era con lui quando si erano sentiti il giorno prima?
«Oh, era tua la telefonata di ieri, scusami cara, piccola defaiance.» Ridacchiò allegramente.
Isabella invece, rimase in silenzio, aspettando che smettesse. Forse non era onesto il suo comportamento, forse avrebbe dovuto dare una chance al padre e a quella Sue. Ma lui le aveva detto che tra di loro non c’era nulla, e allora perché quella donna si trovava ancora a casa di suo padre?
«Comunque, tuo padre solitamente perde molto tempo sotto la doccia, quindi non so quanto ti conviene aspettarlo, sai per il fatto delle telefonate internazionali e tutto il resto, avete qualche offerta per parlare illimitatamente?» Domandò incuriosita, e a Isabella le parve tanto una scusa per intavolare una conversazione.
«No, nessun abbonamento.» Rispose semplicemente, mentre cercava con tutta se stessa di non mandarla al diavolo.
Anche le parole di Edward, che tanto l’avevano fatta riflettere sul suo comportamento, adesso si erano dissolte, perché lei ne era certa, il padre la stava mentendo.
Sue rimase in silenzio, rendendosi conto che quella conversazione forse non la rendeva molto a suo agio.
«Ti chiedo scusa Bella, sono una maleducata, non mi sono neppure presentata come si deve in questi due minuti di conversazione.»
Conversazione che non avrei dovuto avere con te, pensò Isabella, tamburellando le dita sul braccio, in attesa che continuasse a parlare.
«Mi chiamo Sue Clearwater e sono un’amica di tuo padre.»
«Un’amica?» Domandò Isabella, sollevando un sopracciglio.
«Si, vivo nella riserva  di La Push,  è lì che io e tuo padre ci siamo conosciuti.»
Bella corrugò la fronte, pensierosa, «conosci Billy Black?»
«Ovvio, siamo vicini di casa, suo figlio è molto amico del mio.»
Isabella arricciò il naso contrariata, ma quando si rese conto che la donna aveva un figlio, la sua paura sembrò scemare.
«Tuo figlio? Quindi sei sposata?» Le chiese con troppo entusiasmo.
Uno strano silenzio calò tra le due donne, facendo intuire a Isabella che c’era qualcosa che non andava.
Stava per chiederle se fosse tutto okay, quando Sue rispose in tono piatto, «no, sono vedova da dieci anni.»
Questa volta fu Bella a non dire nulla.
«Bella, credo di aver capito qual è il tuo problema, pensi che Charlie non mi abbia mai parlato di te?» Le chiese, cambiando improvvisamente tono di voce, si era fatto troppo sdolcinato per i suoi gusti, e quel tono misericordioso ormai aveva imparato a riconoscerlo. «Io e tuo padre siamo molto amici, Bella, ma certe cose non sono io a dovertele confessare, quando tuo padre si sentirà pronto te ne parlerà.»
Isabella scosse la testa, come se lei potesse vederla, «parlarmi di cosa?»
«Di me, di lui, insomma di noi.» Sospirò Sue.
Le paure che avevano assalito Bella non erano state infondate, e le parole del padre non erano state altro che una bugia.
I suoi occhi si riempirono di lacrime, e riattaccarle il telefono in faccia era diventata davvero una difficile tentazione.
«Sue, per favore, passami papà, devo parlargli.» Bisbigliò la ragazza, ormai in lacrime.
«Bella tutto bene, ti sento strana, stai piangendo?»
«Passami mio padre dannazione, o giuro che non risponderò più alle sue telefonate.» Disse quasi ringhiando. Si sentiva ferita, tradita, dall’unica persona che poteva farla sentire davvero protetta. L’unica persona che poteva aiutarla a ricordare la sua vita passata.
«Bella mi dispiace, ma tuo padre è realmente in bagno, come posso passartelo?» le domandò la donna realmente dispiaciuta.
«Bene, allora riferisci a mio padre che può anche evitare di telefonarmi, perché evidentemente per lui, sono diventata di peso, adesso che ha una nuova vita nella sua amata Forks. E prima che tu mi possa interrompere, sappi che non potrai mai prendere il posto di mia madre, né nel cuore di mio padre, né nel mio.» E prima che Sue potesse controbattere, Isabella pose fine alla telefonata, riagganciando.
Forse la felicità che aveva tanto agognato di poter raggiungere non poteva stringerla tra le mani. Non era probabilmente nel suo destino, essere completamente felice. Si sarebbe sempre dovuta separare, avrebbe sempre avuto il cuore spezzato in due, perché lei ormai era convinta di non poter essere di nuovo felice, non con tutte le persone giuste al suo fianco.
E ora che c’era Edward, quel vuoto si stava riempiendo, lentamente, faticosamente, ma si stava colmando. Come avrebbe fatto ora a iniziare una vita in cui il padre non sarebbe mai stato testimone della sua felicità?
 
Quella mattina il cielo di Londra era ricoperto da una coltre di nuvole, scure e minacciose. Isabella camminava tenendo la testa bassa, osservando le sue Converse nere, mentre stringeva tra le dita il braccialetto magico.
Aveva bisogno di Edward, in quel momento.
Aveva bisogno di lui, perché era l’unico che riusciva a svuotarle la mente, annebbiando i pensieri con un abbraccio.  Non voleva pensare, ma soprattutto non voleva ricordare, quegli anni passati felici, con la sua famiglia. E i ricordi la ferivano in continuazione, senza tregua, senza respiro.
I sorrisi beffardi del padre, quando scherzosamente la richiamava per i suoi modi sempre così estranea alla realtà.
Le braccia di sua madre, che la stringevano in un tenero e materno abbraccio, dopo la storia con Mike.
Le serate passate davanti la televisione, con tre confezioni di pizza appena ordinate da Pizza Hut e la Guinness rubata al papà.
Le loro risate allegre e spensierate, si disperdevano nella nebbia, e lei si sentiva tanto come un faro che smetteva di brillare, facendo perdere la giusta direzione.
Lei non riusciva ad accettarlo. Non voleva mettere un punto, né una virgola o qualsiasi altra punteggiatura, al suo passato. Isabella voleva riaverlo indietro il suo papà. Da solo, senza altre donne che l’abbracciavano. Voleva presentargli Edward, e vederli ridere e scherzare davanti una partita di Tennis, o meglio ancora, andare direttamente a Wimbledon ad applaudire i campioni.
Lo rivoleva indietro, per essere di nuovo felice.
Ma in quella mattina grigia, Charlie non c’era, e non ci sarebbe stato neppure l’indomani e tutti gli altri giorni che sarebbero venuti. E Bella ebbe paura. Un terribile e agonizzante terrore, che non riusciva a nascondere. Non più.
Quando entrò in libreria, posò la tracolla sulla scrivania, accanto alla cassa, cercando con lo sguardo la figura minuta di Margaret, e quando i loro occhi s’incontrarono, non riuscì a fare a meno di sospirare.
«Buongiorno Bella, sono due giorni che non ti vedo. Come hai trascorso questa Domenica? Pensavo mi chiamassi per passarla insieme, ma non ho ricevuto tue telefonate.» Margaret sorrise, smettendo di parlare.
Bella le si avvicinò e l’abbracciò, senza risponderle.
«Oh cara, stai bene? Sei così pallida.» Farfugliò la donna sui capelli color mogano di Bella, «è successo qualcosa?»
Bella annuì nascondendo gli occhi ormai colmi di lacrime a Margaret, «mio padre ha un’altra donna.»
L’anziana donna fissò Isabella sorpresa, «ne sei proprio sicura? Te l’ha detto ieri, durante la vostra solita conversazione della Domenica?»
Le mani di Bella iniziarono a torturarsi tra di loro, «In un certo senso.»
«Raccontami tutto Bella, avanti, siediti qui.»
Isabella raggiunse Margaret sulla piccola panchina di legno che avevano tirato fuori qualche giorno prima dal magazzino. «Avanti, dimmi cosa vi siete detti.»
Mordicchiandosi il labbro inferiore, quasi fino a farlo sanguinare, Bella iniziò a parlare lentamente, cercando di calmare i violenti singhiozzi che le impedivano anche di respirare.
«Ieri mattina ero così felice, Margaret, prima che telefonasse mio padre.» Sussurrò Bella, mentre ripercorreva la scorsa giornata, «al telefono mi era sembrato strano, così ho chiesto cos’avesse, e lui mi ha risposto che c’era una donna in casa sua, una sua amica, una certa Sue Clearwater, che andava spesso a trovarlo. Ma io non gli ho creduto, ho subito pensato che lui si fosse trovato qualcuno, dimenticandosi della mamma e non riuscivo a crederci. Non volevo crederci.»
Margaret le circondò le spalle con un braccio, stringendola più forte.
«Così abbiamo iniziato a litigare, ed io gli ho detto che non doveva più chiamarmi, perché evidentemente la mia presenza nella sua vita era diventata troppo di peso.» Continuò Isabella.
«Oh tesoro, ma non è così, e lo sappiamo entrambe che tuo padre ti ama più della sua stessa vita.» Le disse Margaret, cercando di rassicurarla.
Isabella scosse la testa, sentendo sul suo viso il profumo delle lacrime che scivolavano via, scappando dal suo corpo, «non ci siamo lasciati in un bel modo ieri sera. Così dopo aver ascoltato un discorso sull’importanza della famiglia, sulla fiducia, mi ero lasciata cullare da quelle parole, auto convincendomi che mio padre non avesse nessuno al suo fianco, in quel paesino sperduto dell’America.»Borbottò, ripensando alle parole di Edward.
Margaret la fissò preoccupata, «un discorso fatto da chi?»
«Da uno.» Rispose vaga Isabella, riprendendo il discorso prima che Margaret le facesse un’altra domanda, «comunque sia, questa mattina mi sono alzata presto, perché volevo telefonargli e chiedergli scusa. Non mi piace litigare con mio padre, soprattutto adesso che abbiamo un oceano che ci divide. E solo che lui, non viene più a trovarmi, e il tempo di una conversazione si dimezza ogni Domenica.» Aggiunse perdendosi nuovamente nel suo dolore e nella sua infinita voglia di tornare a essere pienamente felice.
«Così ho composto il suo numero, e ho atteso che la voce calda e famigliare di papà mi rispondesse, ma al posto della sua voce, ho sentito quella di una donna.» Disse con rabbia.
«Era Sue?» Le chiese Margaret.
Bella annuì, «esatto, era quella sotto specie di vipera accaparra uomini. Una vedova appartenente alla razza degli Indiani d’America.»
Margaret non poté non scoppiare a ridere. Era la prima volta che sentiva Isabella descrivere qualcuno con quei termini.
«Non ridere Margaret, perché non c’è niente di divertente in quello che ti sto raccontando.» Disse Isabella indignata.
L’espressione crucciata e arrabbiata le formavano una piccola fossetta sul mento, che tanto ricordava una bambina.
«E dimmi un po’, cosa ti ha detto quella vipera?» Sorrise Margaret, capendo già il dolore e la paura di Bella.
«Che stanno insieme.»
«Sul serio?»
Isabella sbuffò, «non proprio, ma non ci voleva un genio per interpretare le sue frasi da film. Mi ha chiaramente fatto intendere che mio padre sta bene a Forks anche senza di me, e che si è riuscito a fare una nuova vita di cui io non ne sapevo nulla.»
Margaret aspettò che si calmasse, poi le rispose, «ma alla fine, sei riuscita a parlare con tuo padre?»
Bella scosse la testa afflitta, «no, ho riattaccato dopo averle detto che non volevo saperne più nulla né di lei né di mio padre.»
Margaret allora la strinse in un abbraccio, accarezzandole i capelli, «non essere triste, vedrai che tuo padre avrà una motivazione valida sul suo silenzio.»
Isabella si scostò dal corpo protettivo e nello stesso tempo fragile di Margaret, «non m’interessano le sue motivazioni. Io ho accettato che lui partisse per Forks, quando la mamma è morta, perché potevo capire il suo dolore, pur sapendo che sarebbe stato ancora più difficile ricominciare.
Per me non è stato facile lasciarlo partire, proprio nel momento in cui avevo più bisogno di lui. Ma ho anteposto i miei bisogni ai suoi, lasciandolo andare, per non vederlo stare male. L’ho fatto perché è mio padre e perché gli voglio bene.»
«E di questo lui ti é grato Bella, ma cerca di capire sono passati tre anni, forse questa donna è riuscito davvero a colmare il vuoto che aveva nel petto.»
«Era con me che doveva colmarlo. Insieme, non andandosene dall’altra parte dell’oceano.» Sbottò Isabella arrabbiata.
Margaret sospirò, «sei gelosa?»
Bella scosse la testa.
«Lo sei invece, e non negarlo Bella. Perché tu quello che senti adesso non è altro che frustrazione. E sei arrabbiata con tuo padre non perché ha trovato un’altra donna, ma perché ti ha tenuto lontano dalla sua vita.»
«Mi sembra una motivazione più che valida.» Le fece notare Bella, mordicchiandosi il labbro inferiore.
Margaret annuì, «hai ragione, fai bene ad essere arrabbiata con lui. Solo non allontanarlo dalla tua vita. Bella siete rimasti solo voi due, e lui è tutto ciò che hai. Non guardare me. Io sono tua amica, forse un’ottima amica, ma non faccio parte della tua famiglia, anche se il bene che ti voglio è pari a quello di una figlia.»
Bella rimase in silenzio, riflettendo sulle parole dell’anziana donna. Ma Margaret non poteva saperlo che Bella non era più sola. Non poteva sapere che c’era Edward al suo fianco. Isabella avrebbe tanto voluto dirglielo, parlargli di lui, ma non voleva. Temeva che se avesse parlato di Edward ad alta voce, lui sarebbe svanito, così com’era accaduto a tutte le persone che le avevano voluto bene.
«Bella tu sei giovane, sei bella, perché non esci un po’? Non devi rimanere attaccata al passato.» Continuò Margaret, accarezzandole il braccio.
Isabella non le rispose, così Margaret si alzò dalla panchina, facendole segno di seguirla.
«Adesso mi devi promettere una cosa.» Le disse fissandola.
Isabella annuì incuriosita.
«Ti ho lasciato carta bianca sulla libreria, voglio che tu la trasformi, voglio che tu la riporti al suo antico splendore. E voglio che tu lo faccia senza di me. Per questo, non metterò più piede in questa libreria, per i prossimi sette giorni. Avrai una settimana di tempo. E in questa settimana non voglio né vederti, né parlarti. Hai bisogno di riprendere in mano la tua giovane vita, e lo farai cominciando da questa libreria.» Le disse autoritaria, ma senza mai esserlo davvero, i suoi occhi erano troppo limpidi e sinceri.
Isabella sembrava preoccupata, ma aveva anche una gran voglia di ricominciare, magari, con Edward al suo fianco.
«Potrai sopravvivere sette giorni senza di me?» le domandò con ironia Margaret.
Bella sorrise, «ci posso provare.»
«Bene, e sappi che non voglio vedere lacrime, sai che non le sopporto. E per favore Bella, chiarisci questa situazione con tuo padre, non lasciare che la distanza rovini il vostro rapporto.» Le disse, mentre si avvicinava all’appendi abiti per prendere il suo cappotto color cipria.
«Ci proverò, ma non ti prometto nulla.» Borbottò Isabella, facendo una strana smorfia con le labbra. «E comunque sarò molto impegnata, quindi non so se avrò il tempo per telefonargli.»
Margaret sollevò lo sguardo verso il soffitto, «sei sempre la solita testarda. Ma è anche per questo che ti voglio bene.» Le sorrise, «e per il tempo, non preoccuparti. Ho una sorpresa per te.»
«Quale sorpresa?»Domandò Isabella, mentre si avvicinava alla porta d’ingresso, seguendo Margaret.
«Ti ho trovato un aiutante.» Ridacchiò la donna.
«Un aiutante?» Ripeté Bella, come un automa.
Margaret si sporse oltre la porta, facendo segno a qualcuno di avvicinarsi. E mentre Isabella cercava di capire, Margaret fece entrare un ragazzo in libreria, e non appena gli occhi di Bella misero a fuoco quella scena, ricordando i lineamenti del giovane, le sue guancie si colorarono di un tiepido rossore.
«Bella, ti ricordi di James?»




Capitolo bloccato molto probabilmente sul più bello, ma cosa volete che vi dica, sono una donna sadica io!
Il prossimo capitolo arriverà presto, promesso!
Avanti sono pronta a tutto, però per favore, non siate violente, lasciate i forconi e le pale in giardino :D
Colgo l'occasione per augurare a tutti Buone Vacanze, anche se in ritardo -.-


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Capitolo 20
*** Love will be forever ***


19. Love will be forever.
                                                                                                 




19. Love will be forever.

L’allegria  di Margaret non era altro che un pallido riflesso, di quella che era invece,  la felicità di James nel vedere di nuovo Isabella. Quest’ultima, osservava imbarazzata il ragazzo che da ormai diversi minuti la fissava, senza aver ancora proferito parola. Fu Margaret a spezzare quel bizzarro silenzio.
«Bella, davvero non ti ricordi di James?» Le domandò con una certa disapprovazione, sorrise al ragazzo, come se si volesse scusare per la memoria poco presente di Isabella.
James ricambiò il sorriso comprensivo, allungando una mano verso Bella, «sono il cameriere dell’altro giorno, quello che ci ha provato e che è stato rifiutato.» Ridacchiò mentre Isabella ricambiava la stretta di mano, con poco entusiasmo.
«Mi ricordo di te.» Disse semplicemente, spostando di nuovo lo sguardo su Margaret, «non riesco a capire.» Ammise flebilmente, mordicchiandosi il labbro inferiore.
Margaret  le si avvicinò, circondandole le spalle con il braccio, «eppure è molto semplice. Due giorni fa, sono ritornata nel bar dove lavora James, e tra una tazza di The e qualche Macarons, abbiamo fatto una bella chiacchierata.» Le sorrise, per poi voltarsi verso James, «questo ragazzo ha un cuore d’oro, ed è per questo che mi è venuta la brillante idea di portarlo in libreria, come tuo nuovo aiutante.» Concluse ridacchiando allegramente.
Isabella guardò entrambi, prima di rivolgersi nuovamente a Margaret, «perché?»
«Perché così potrete conoscervi meglio, sarebbe davvero un peccato rovinare un’amicizia che deve ancora nascere.»
«Margaret, sai che ti adoro, ma forse hai fatto un po’ troppo di testa tua.» Borbottò Bella imbarazzata.
James scoppiò in una fragorosa risata, beccandosi un occhiata truce da parte di Bella. «Tranquilla, non ti mangio mica. Margaret mi aveva semplicemente offerto la possibilità di passare un po’ di tempo con te, da soli, per conoscerci meglio. Ma se per te questo diventa un problema, faccio immediatamente retro front.» Ammise mellifluo.
Margaret si voltò verso Isabella, rimproverandola, «andiamo Bella, almeno provaci, cosa ti costa?»
Semplice risponderle quando non si doveva mentire, ma diventava sempre più difficile per Isabella nascondere ciò che cresceva nel suo cuore. Il sentimento che nutriva per Edward.
«Davvero Bella, se preferisci rimanere da sola, vado via.» Disse James, con un sorriso sincero, abbandonando la sfacciataggine con cui era arrivato.
Isabella si perse nei suoi occhi, così ipnotici da avere quasi un effetto contrario a ciò che normalmente si dovrebbe provare guardando così intensamente una persona. Ma Isabella era diversa. Lei entrava nell’anima della gente attraverso lo sguardo, ci navigava dentro, circumnavigava un po’ l’essere e poi, tornava indietro, come se non fosse mai successo, come se non avesse mai conosciuto la parte più profonda dell’essere umano.
«Puoi rimanere.» Rispose sussurrando.
Margaret le sorrise, «fantastico, allora ragazzi vi lascio. Buon lavoro.» Disse chiudendosi la porta della libreria alle spalle.
James sollevò lo sguardo verso Isabella, facendo un passo verso di lei. «Allora, da dove vogliamo iniziare?» Le chiese incamminandosi oltre le sue spalle, facendo un giro veloce della libreria.
I suoi occhi non si posarono su nessuno dei libri presenti nella stanza, ma sembravano persi ad osservare Isabella, che silenziosamente si era avvicinata alla scrivania, estraendo dalla sua borsa La piccola Fiammiferaia.
James le si avvicinò, incuriosito, «e quello cos’è?»
«Un libro.»
«Domanda sbagliata. Forse io e te dovremmo fare prima una bella chiacchierata.» Le disse, senza mai smettere di sorriderle.
Bella annuì, ritrovandosi d’accordo con lui, «Bene, allora ascoltami perché non lo ripeterò due volte.» Disse autoritaria, assumendo un atteggiamento distaccato che proprio non le si addiceva. Non a lei, che era fuoco ardente. «Questa libreria è tutto ciò che ho, prova anche solo a rovinare uno dei libri presenti in questa stanza e-»
James scoppiò a ridere, facendo infuriare Isabella. «Oddio scusami e che non ti ci vedo proprio nel ruolo della strega malvagia. Sei talmente piccola e delicata che nessuno crederebbe alle tue minacce.»
Bella rimase in silenzio, avvampando per l’imbarazzo. Posò delicatamente il libro sulla scrivania, abbassando subito dopo la testa.
«Ehi mi spieghi perché adesso sei arrossita? Pensavo non ti facessi nessun effetto.» James le si avvicinò, mentre Isabella indietreggiava. «Okay senti, prima che io commetta qualche sciocchezza, dimmi un po’ da dove vogliamo cominciare.»
Isabella non riuscì a dire nulla, così indicò semplicemente il primo scaffale che si trovava appena si varcava l’ingresso della libreria.
«Dobbiamo spostarlo?» Domandò James.
«Si, ma prima dobbiamo rimuovere i libri.»
«Allora meglio cominciare immediatamente, anche se ti avverto, sarò molto lento.»
«Perché?» Domandò Isabella incuriosita, avvicinandosi alla scaffale e iniziando a liberare il primo ripiano dai libri di narrativa.
James l’affiancò, posizionandosi proprio accanto a lei, «mi sembra ovvio, per poter passare più tempo con te.» Le rispose lanciandole uno sguardo malizioso.
Isabella sospirò, ignorando la frecciatina di James.
Lentamente, iniziarono a liberare lo scaffale da tutti i libri, parlando del più e del meno, iniziando a conoscersi.
«E così non sei un vero British.» Disse Bella mantenendo un atteggiamento distaccato, mentre passava un panno umido sullo scaffale.
James scoppiò a ridere, «sinceramente? Io odio questa città, troppo cupa, troppo uggiosa, troppo diversa dalla mia amata Las Angeles.»
Bella scosse la testa, nascondendo un sorriso.
Forse sarebbe stato troppo presto, ma lei ormai ne era certa, qualsiasi altro ragazzo avrebbe incontrato lungo la sua strada, non sarebbe mai riuscito a prendere il posto di Edward.
Lui  l’aveva intasata, riempiendo di zucchero e caramello le sue giornate.
«A te invece, vedo che non dispiace il clima di questa nazione?»
«Io sono nata in un giorno di pioggia James, cresciuta in una città che a differenza di ciò che in molti pensate, il sole lo vede molto spesso, e sai perché? Perché quando si vive in una città come Londra, il sole lo si ha dentro, accanto al cuore.» Rispose perdendosi ancora una volta nella sua mente, in ricordi, in emozioni, in luoghi chiusi a chiave da cassetti e serrature, dal quale era difficile uscirne.
James la fissò in silenzio, avvicinandosi senza farsene accorgere.
«Parlami ancora della tua città, a me non piace molto, ma forse, ascoltando te, potrei cambiare idea.» Le bisbigliò talmente vicino, da far infrangere il suo respiro caldo sulla pelle della ragazza.
Isabella rimase interdetta, sentire il corpo di un ragazzo che non fosse quello di Edward, così vicino, le faceva venire il voltastomaco. Così cercò di allontanarsi, ma James la imprigionò tra le sue braccia e lo scaffale.
«Non credo sia il caso.»
«Perché Bella? Andiamo sono due ore che parliamo, che ridiamo, che scherziamo, mi spieghi perché non vuoi che io mi avvicini a te?» le domandò quasi con rabbia, avvicinando il palmo della sua mano al viso di Bella.
«James dico sul serio, allontanati.» Bisbigliò senza fiato, con le gambe che le tremavano.
Il ragazzo sbuffò e per qualche secondo rimase immobile, sperando che la ragazza si abituasse alle sue attenzione, ma Isabella sembrava davvero irremovibile, così si allontanò, frustato perché non riusciva a capirla. Voleva che cedesse, così come accadeva con tutte le altre ragazze.
«Forse è meglio che tu vada via.» Disse Isabella, sollevando lo sguardo da terra, incontrando gli occhi chiari di James.
«Andiamo Bella, non fare la bambina. Credi che non l’abbia capito l’altro giorno che mi stavi mentendo? Non c’è nessun ragazzo che t’impedisce di provarci. Sei tu. Anche Margaret l’ha capito, e cosa credi che non mi abbia dato qualche raccomandazione? Lei vuole vederti felice, e chissà perché nella sua idea di felicità ci deve essere per forza un ragazzo.» Borbottò quasi contrariato, «comunque sia, pensi che non me l’abbia detto? Che saresti stata un osso duro? Bè mia cara, ti sbagli di grosso se pensi davvero che io adesso andrò via. Quando mi metto in testa una cosa, nessuno riesce a farmi cambiare idea.»
Bella scosse la testa, non riuscendo a capire esattamente le parole di James.
«Margaret si sbaglia.» Sibilò portando le braccia sui fianchi, «nella mia vita c’è già un ragazzo.»
James scoppiò a ridere, avvicinandosi pericolosamente a Bella, «te l’hanno mai detto che come bugiarda non sei un granché?» Le domandò portando le labbra sulla guancia accaldata della ragazza. Isabella trattenne il respiro, stringendo forte le mani a pugno, portandole sul petto di James, cercò di allontanarlo, ma con scarsi risultati.
«E a te invece, non l’hanno mai detto che non si toccano le ragazze impegnate?» La voce calda e leggermente arrabbiata di Edward, risvegliò il cuore di Bella, e animata da quella parole, riuscì a spostarsi dal corpo di James, fissando Edward con adorazione.
Il musicista si avvicinò alla sua ragazza, circondandole il braccio intorno alla vita, «scusa il ritardo.» Le sussurrò dolcemente, depositandole un casto bacio sulla testa.
James sollevò le braccia in segno di resa, «okay, credo che questa volta abbia un po’ esagerato. Credevo che mi stessi mentendo Bella, giuro che non ti avrei mai costretta a fare qualcosa contro la tua volontà.» Le disse rivolgendosi solo a lei, senza degnare Edward di uno sguardo.
«Va bene James, però adesso credo sia arrivato davvero il momento che te ne vada. Ci sono cose della mia vita che neppure Margaret conosce.» Disse tristemente, stringendo tra le dita la manica del giubbotto di pelle di Edward.
«Non mi farò più vedere, lo giuro.» Sorrise dispiaciuto, «lo dirai tu a Margaret?»
Bella lo guardò torvo, «non parlare di lei come se la conoscessi da una vita. Esci semplicemente dalla libreria e dalla nostra vita. A Margaret ci penso io.» Disse seria. Con Edward al suo fianco, credeva di poter mangiare il Mondo intero.
«Permalosa la ragazza.» Borbottò James, prendendo il suo giubbotto da terra.
Prima che James andasse via, Edward lasciò il corpo di Bella, avvicinandosi al ragazzo con aria minacciosa, «se ti vedo un’altra volta vicino alla mia ragazza, non importa che lei sia consenziente o meno, ti cambio i connotati, senza troppi inconvenievoli.» Gli disse gentilmente, ma le sue parole non emettevano repliche.
James annuì, «tu a differenza di Bella, con le minacce ci sai fare.» Disse chiudendosi velocemente la porta della libreria alle sue spalle.
Quando rimasero soli, nessuno dei due si mosse, Edward dava le spalle alla sua ragazza, con le mani chiuse a pugno, mentre cercava di riprendere un respiro regolare. Isabella, invece, osservava la linea sinuosa della sua schiena, i muscoli delle spalle fasciate da un giubbotto di pelle nero. I capelli più spettinati del solito assumevano sfumature più scure quando non c’erano i raggi del sole a colpirli.
Lentamente, quasi come se avesse paura, si avvicinò a Edward, posandogli una mano sul braccio, cercando di farlo voltare verso di lei. Ma Edward sembrava irremovibile, teneva la testa bassa e non sembrava avere intenzione di voltarsi. Così, preoccupata per ciò che Edward poteva pensare a proposito di James, si decise a fare la prima mossa, posizionandosi davanti a lui, portando entrambe le mani sul suo volto, costringendolo poi a sollevare la testa verso di lei.
Gli occhi chiari di Edward trovarono immediatamente quelli scuri e profondi di Isabella, e prima che lei potesse parlare, lui avvicinò le sue labbra a quelle di Bella, sfiorandole dolcemente.
Fu un bacio profondo, un marchiarsi a vicenda, un dialogo senza parole.
«Volevo fargli male.» Quello di Edward fu appena un sussurro, una confessione che sapeva del gusto più dolce dell’amore, «l’ho visto così vicino a te.» Un altro bacio, per far sentire quelle parole ancora più vicine.
Isabella lo strinse forte in un abbraccio, «quel ragazzo, James, non è niente in confronto a te.»
Edward rise, accarezzando il volto di Bella, quasi come se lo stesse adorando. Lei era così piccola, fragile, si nascondeva sotto pagine giallognole di libri troppo consumati per proteggerla davvero. Poteva accadere di tutto al Mondo esterno, poteva graffiarsi, distruggersi, esplodere sparpagliandosi in mille pezzi, ma a lei, non sarebbe mai successo nulla, non fin quando ci sarebbe stato Edward a proteggerla.
«Chi era quel ragazzo?» Le domandò, mentre insieme spostavano i diversi scaffali precedentemente svuotati.
«Un cameriere.»
Edward salì sulla scaletta prendendo gli ultimi libri rimasti sugli scaffali. Isabella li stava sistemando ordinatamente dentro gli scatoloni, da scendere poi in cantina.
«Bella?»
La ragazza sollevò lo sguardo, incontrando due gemme dal potere ipnotico, gli sorrise, avvicinandosi a lui, «perché mi guardi così?» gli domandò arrossendo leggermente.
Com’era bella con quel rossore naturale sulle guancie, pensò il musicista mentre l’osservava avvicinarsi.
«Sai cosa intendo.»
Bella scosse la testa, fingendo di non riuscire a capire.
«Sai mi piacerebbe molto sapere perché la mia ragazza si stava facendo aiutare da un cameriere. Pensavo ti bastasse il mio aiuto, evidentemente mi sono sbagliato.» Iniziò a scendere i graditi, avvicinandosi a Isabella, «forse posso ancora rimediare, vuoi che corra a chiamarlo?» Le domandò con un sorriso impertinente disegnato sul volto.
Bella rimase in silenzio, afferrò delicatamente i libri che Edward teneva in mano e li conservò nello scatolone. Poi si sollevò un’altra volta, tornando con gli occhi fissi in quelli di Edward.
«Vuoi davvero sapere cosa c’è stato tra me e James?» Gli domandò con un sorriso innocente, «potrebbe non piacerti.»
Edward annuì cauto, osservandola di sbieco.
La ragazza si voltò dall’altra parte, dandogli le spalle, e con un sorrisone che Edward non poteva vedere, iniziò il suo racconto, ovviamente colmo di bugie, «io e James ci siamo conosciuti qualche giorno fa, io e te già ci conoscevamo, ma sai, quando incontri un ragazzo come lui, tutto gli altri svaniscono.»
Edward rimase in silenzio, ascoltando quello che la sua ragazza aveva da raccontargli.
«Non appena i miei occhi hanno incontrato i suoi, dentro di me è divampato un fuoco. Una passione inarrestabile, oh Edward, non potrai mai capire.» Disse recitando, mentre agitava in aria le mani.
Il musicista fece silenziosamente qualche passo verso di lei, non riusciva a capire se stesse scherzando o stesse raccontando la verità.
«Ci siamo amati follemente, così tanto e così intensamente da invertire le stagioni.» Si voltò lentamente verso il suo ragazzo.
Edward inarcò un sopracciglio, sorridendole sghembo: aveva capito l’antifona.
«Ieri sera dopo che mi hai lasciato a casa, lui mi ha raggiunto e insieme abbiamo fatto l’amore diverse volte, ma sapevamo entrambi che una storia come la nostra non poteva durare in eterno. Però è difficile dire addio al grande amor-»
Edward non le diede neppure il tempo di terminare la frase, che già l’aveva acchiappata, stringendola delicatamente al suo corpo, imprigionandola tra le sue braccia.
«Ma guarda che piccola streghetta che mi sono andato a trovare.» Le sussurrò all’orecchio, sollevandola da terra. Isabella iniziò a scalciare in aria, ridendo come mai prima d’ora.
Continuava a implorarlo di metterla a terra, e di smettere di farle il solletico, ma Edward sembrava troppo preso da quella piacevole tortura che esercitava sul suo piccolo corpo, per ascoltarla.
«E così io sarei stato tradito per un cameriere? Piccola fragola sei davvero terribile, dovrei proprio punirti per questo.» Le disse allegro, mentre la faceva scivolare lentamente sotto il suo corpo.
Il pavimento freddo accolse i due giovani innamorati, circondati da pile di libri.
«Si la merito proprio una bella punizione.» Farfugliò Isabella con il fiatone.
Edward le sorrise, portandole le mani sopra la testa, stringendo entrambi i polsi con una sola mano, con l’altra invece,  scese a torturarle i fianchi.
Bella iniziò a dimenarsi strillando, ma nel suo sguardo la felicità non era mai andata via.
«Ti arrendi?» Le domandò Edward, cessando di farle il solletico.
«Si, mi arrendo. Però così non è giusto, tu conosci il mio punto debole, puoi punirmi troppo facilmente. Io invece, non sono ancora riuscita a capire qual è il tuo.» Gli disse imbronciata, cercando di riprendersi. Iniziò a fare grossi respiri, mentre Edward l’aiutava a sollevarsi, ma senza mai allontanarla dal suo corpo.
Quando finalmente Isabella si riprese, Edward le diede un casto bacio sulle labbra.
«Ancora non l’hai capito Piccola fragola, che sei tu il mio punto debole?»
E forse fu proprio in quel momento, che Isabella smise sul serio di respirare.
Probabilmente non ne avrebbe più avuto bisogno, non da quando bastavano i baci di Edward a mantenerla in vita.
Passarono così l’intera giornata, sistemando scatoloni colmi di libri, spostando scaffali, e ricoprendo i mobili di lenzuoli bianchi per proteggerli dalla vernice che il giorno dopo avrebbero usato sui muri.
Risero, scherzarono, si coccolarono a vicenda, per tutto il tempo non fecero altro che guardarsi, qualsiasi cosa facessero, i loro occhi non persero mai il contatto.
E a chi vuoi che importi di James, dopo aver visto un amore così.
Qualsiasi ragazzo avrebbe potuto provarci, ma nessuno sarebbe mai riuscito a portare via Isabella da Edward, perché quando due anime sono destinate a stare insieme, staranno insieme per sempre.





Buonasera ragazze, finalmente sono riuscita ad aggiornare, perdonate il ritardo. Mi trovo in un villaggio turistico in Sicilia, sono arrivata due giorni fa e sapere che dovrò rimanere qui per altre due settimane mi terrorizza. Lo so, ora mi starete prendendo sicuramente per pazza, più di quanto già credevate che fossi. Ma io odio i villaggi turistici, odio il caldo, la sabbia calda e i bagnini ricoperti di sudore.
In compenso però amo osservare il sole tramontare sul mare e camminare a piedi scalzi sulla fredda sabbia notturna. Si, posso dire che amo le notti che sto trascorrendo sulla spiaggia, un pò meno i giorni però xD Ma vedete se una mozzarella come me, può cercare di abbranzarsi, al massimo posso sembrare una caprese per via del pomodoro, o un'aragosta, si più probabile quest'ultima!
Detto questo passo al capitolo, che forse è molto meglio.
Come avete potuto notare anche voi, in questo capitolo ho preferito non parlare di Charlie, volevo lasciare un pò di spazio a Edward e Bella. Lo so, sono troppo carini insieme, amo questi momenti felici. *_*
Ragazze avete visto che alla fine James non è stato poi così pericoloso? Adesso però potete stare tranquille, non ci sarà più nessuno che interferirà tra i due giovani, o forse si? eheh lo scoprirete solo leggendo.
Nel prossimo capitolo, si abbandona un pò l'aria da favola e si torna alla vita vera, quindi si tornerà a parlare di Charlie e chissà che non si trovi una soluzione? xD
Per il resto, vedrete il ritorno degli altri Buskers, e per chi non vedeva l'ora, l'entrata totale di Alice Brandon, l'adorabile pittrice di strada.
Un bacione a tutti voi, adesso vi lascio, prima che qualcuno mi mena, credo di star approfittando dell'accesso a internet di qualcun altro -.-
Ah per quanto riguarda I colori del vento, il capitolo è in fase di scrittura, a breve verrà postato anche quello.
Scusate la mia poca presenza, ma sono stata trascinata a forza qui, se fosse stato per me, sarei rimasta a casa -.- Internet c'è e non c'è -.-
A big kiss.
Lua93.

P.s. Il prossimo capitolo sarà più lunghetto, promesso ^^

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Capitolo 21
*** I'm fine here, in the fog. ***


20. I'm fine here, in the fog.                                                                                                

20. I 'm fine here, in the fog.


«Cosa ne pensi di questo colore?» La bocca di Bella era curvata verso l’alto, in un tenero sorriso. La ragazza con i corti capelli neri si voltò verso di lei, fissando attentamente il campione di colore che Isabella reggeva in mano.
Alice si avvicinò, osservando più attentamente le sfumature. «Pervinca?»
«Assomiglia molto al celeste ma con queste sfumature viola mi ricorda tanto il colore del  mare che c’era a Forks.» Rispose con una punta di malinconia al ricordo della piccola cittadina dove per tanti anni aveva trascorso le vacanze estive, in compagnia della nonna.
Alice sembrò comprendere quella tristezza, così pensò bene di lasciarle tutto il tempo per ritrovare da sola la strada verso il presente. Nel frattempo si sarebbe limitata a fissare gli occhi scuri della sua nuova amica e la cascata di capelli color mogano che le coprivano il collo e le spalle. Il suo sguardo perso le ricordava tanto il cartone animato Bambi, il piccolo cerbiatto con quegli enormi occhi castani.
Il suo cuore si riempì di felicità, nel constatare che Edward non avrebbe potuto fare scelta migliore.
Isabella scosse le spalle, «tu cosa ne pensi?»
«Mmmh scelta difficile. Le pareti della tua libreria devono rispecchiare l’anima dei libri e in un certo senso, anche l’anima dei lettori.» Rispose socchiudendo gli occhi, in un’espressione davvero buffa. «Di che colore è la tua anima?» Domandò a brucia pelo, cogliendo Isabella di sorpresa.
La ragazza sembrò esitare sulla risposta, mordicchiandosi il labbro inferiore, «se avessi saputo che uscire con te era come partecipare ad una seduta da uno psicologo, avrei portato Edward.» Sospirò pensierosa.
Alice ridacchiò leggermente, mentre rivedeva per la ventesima volta il dépliant dei colori.
«Rispondimi e ricorda che Fumo di Londra non vale.» Aggiunse facendole la linguaccia, come se fosse una bambina.
Bella ci rifletté parecchio, poi si decise a risponderle senza nascondersi, infondo si trattava di Alice, anche se la conosceva da meno di tre giorni, leggeva nei suoi occhi l’incredibile dono che aveva nel comprendere fin dentro l’anima le persone. E come poteva essere altrimenti? Era un’artista lei. Aveva un dono eccezionale. Sapeva disegnare l’Io più nascosto delle persone, scavando fin dentro i brandelli più oscuri dell’anima.
«Cobalto.»
Alice sollevò lo sguardo, «cobalto?»
«E’ sempre stato il colore che più mi sembrava adatto a me. Una volta veniva utilizzato il termine carta da zucchero per denominarlo. Non che io mi veda come una ragazza dolce come lo zucchero, sia chiaro. Semplicemente il cobalto è il colore che il cielo di Londra assume dopo un temporale. E io sono un po’ così, cambio colore come il cielo di questa città. Sono volubile e vulnerabile.» Spiegò cercando di sembrare il meno misteriosa possibile, voleva che le sue parole fossero chiare, voleva farsi capire. Voleva essere capita.
Alice la fissò in silenzio,poi quando capì fino infondo le parole dette da Isabella, le sorrise comprensiva. «Tu sei la ragazza cobalto.» Disse infine, allungandosi verso il barattolo di vernice contenente il colore preferito di Isabella, «e la tua sarà una libreria che avrà le pareti con lo stesso colore dei confini del cielo.»
Isabella si allungò verso Alice, stringendola in un tenero abbraccio, «grazie.» Bisbigliò al suo orecchio. E quel suo grazie andava ben oltre il semplice consiglio su un colore. Il suo era un grazie che aveva lo stesso valore dell’oro. Era il grazie di chi sapeva di essere in debito. Un debito che non sarebbe mai stato estinto con il denaro ma solo con l’affetto. E tra le due ragazze stava nascendo un legame speciale, un’amicizia che sarebbe andata ben oltre un semplice colore.
«Che cosa bizzarra.» Disse Alice, reggendo una busta contenente la vernice.
Isabella pagò la commessa, raggiungendo l’amica  che l’attendeva fuori la porta del negozio.
Stette attenta a non far urtare la seconda busta con l’altro barattolo. «Cos’hai detto Alice?»

La ragazza con i capelli corvino s’incamminò in direzione della metropolitana, seguita da una Bella sempre più incuriosita.
«Anche il colore preferito di Edward è il cobalto.» Rispose schietta, osservando attentamente la reazione di Bella, che non riuscì a camuffare l’espressione di gioia sul volto. Lei questo particolare non lo sapeva, ma che già conoscesse quale fosse il colore preferito del suo ragazzo, ci avrebbe scommesso.

Quando Alice e Bella aprirono le porte della libreria, si trovarono davanti un Mondo bianco. Gli scaffali erano stati tutti coperti con lenzuola bianche per evitare che la vernice li macchiasse e tutti i libri che contenevano erano stati conservati con cura dentro scatoloni anch’essi nascosti dal candido lenzuolo. Per Isabella sembrava tutto troppo intenso.

Nel giro di così poco tempo avrebbe trasformato la libreria di Miss Popper, già perfetta di per sé, in qualcosa di sublime. L’avrebbe resa perfetta per ogni tipologia di lettore e per ogni coppia d’innamorati che vi avrebbe messo piede.
Il sorriso di Edward accolse le due donne e prima che potessero posare le buste, lui le aveva già prese dalle loro mani, posandole delicatamente sul pavimento. Poi si voltò verso la sua Isabella, depositandole un casto bacio sulle labbra.
«Questo posto è meraviglioso.»
Era la prima volta per Alice. Non aveva mai messo piede in quel magnifico negozio all’angolo tra Notting Hill e Portobello. Che poi ancora non era riuscita a capire quale fosse la differenza, per lei erano entrambi magici. E quando un luogo è magico ha lo stesso nome in tutto il Mondo.
«Non è proprio il momento migliore per farti fare un giro qui dentro.» Sorrise Edward, osservando divertito la reazione di Bella a quelle parole.
«Sbruffone, questa libreria è bellissima in qualsiasi momento.» Gli rispose la ragazza, dandogli un buffetto sul braccio, allontanandosi da lui con finto sgomento.
Alice scoppiò in una fragorosa risata, «ragazzi state insieme da troppo poco tempo per avere già voglia di litigare.»
«Non c’è mai un tempo all’amore.» Ammise Isabella, voltandosi verso Edward, con un sorrisetto malizioso sul volto.
Era così facile ridere, scherzare. Si sentiva come un viaggiatore lontano da casa, nel momento in cui faceva ritorno. Era semplicemente felice di essere lì con loro. Con lui. Edward la raggiunse con due grandi falcate e stringendola contro il suo corpo, le fece sentire come quelle parole fecero scalpitare il suo cuore.
«Va bene piccioncini, che ne direste di cominciare?» Domandò Alice abbassandosi per raccogliere tre pennellesse dalla busta, porgendone due a Edward e Bella.
Il ragazzo prese il primo secchio contenente la vernice, «che colore avete scelto?» domandò mentre tentava di aprire il coperchio.
Bella nel frattempo si preoccupò di mettere alcuni fogli di giornale sul pavimento, mentre Alice aprì il secondo barattolo.
«Bella ha scelto il blu cobalto.» Sorrise Alice, rispondendo alla domanda del suo migliore amico.
Finalmente Edward riuscì a liberare il barattolo dal coperchio e rimase sorpreso nel vedere la tinta scura e intensa. «E’ un colore bellissimo.» Sussurrò osservandolo.
«E’ stata un’idea di Bella.» Ripeté Alice, esultando come una bambina quando anche lei riuscì a liberare il coperchio.
«Non sarà troppo scuro?»
Isabella si sollevò da terra , indicando la busta accanto ai piedi di Alice, «abbiamo comprato della vernice bianca per schiarire il colore.»
«Bene, allora non ci resta che metterci all’opera.» Annunciò Alice, sollevando le braccia verso il soffitto. Sorrise e si mise a girare intorno a se stessa, annusando il buon profumo lasciato dai libri. Edward e Bella l’osservarono divertiti e nello stesso tempo ammaliati. Alice era pura energia. Era la quinta essenza descritta da Aristotele, lei era l’etere.
 
I tre ragazzi passarono tutto il pomeriggio a dipingere le pareti della libreria di Miss Popper, che poi era anche la libreria di Isabella.
Lentamente stava assumendo le sembianze del cielo, sotto il tocco artistico di Alice che riusciva a trasformare qualsiasi cosa con una semplice magia. Le sue bacchette magiche erano i pennelli, con quelli riusciva a cambiare le sorti di qualsiasi Mondo.
Edward si limitava a fare la prima passata sulle pareti bianche, mentre Bella si divertiva a schizzare tutto il colore sul suo corpo.
«Guarda che non sono io quello che deve essere riverniciato.» Le fece notare Edward, lanciandole occhiate piene di un qualcosa che ancora non aveva nome. Non se le sue attenzioni erano rivolte alla ragazza per la quale avrebbe sorvolato i cieli irlandesi. Sarebbe persino stato capace di gettarsi dalle bianche scogliere di Dover se solo gliel’avesse chiesto.
«Secondo me, invece, hai proprio bisogno di un po’ di colore.» Rise allegramente Isabella, schizzandogli addosso le ultime gocce di colore che rimanevano sul pennello.
Questa volta Edward non rimase impassibile, e stringendo in mano la sua pennellessa ricoperta di vernice, si avvicinò con aria minacciosa alla sua ragazza. «Bella?» la chiamò dolcemente, e non appena la ragazza si fu voltata, il musicista agitò il suo attrezzo, ricoprendola di blu.
Adesso che tutti e due avevano assunto le sembianze del Paradiso, sarebbe stato molto più semplice, scambiarli per angeli.
Isabella da prima parve sconvolta, non riusciva a credere al gesto appena compiuto dal suo ragazzo. Ma quando si fu ripresa dallo shock iniziale, si abbassò sul barattolo ancora pieno e immerse entrambe le mani dentro il secchio. «Edward credo che tu abbia qualcosa sulle labbra.» Sorrise minacciosa, accarezzando il viso del suo ragazzo con entrambe le mani.
Edward si lasciò toccare senza dire una parola. Chiuse gli occhi beandosi del contatto con i palmi delle mani della sua piccola Bella, mentre con le sue, di mani, le stringeva i fianchi.
«Ragazzi ma guardatevi, sembrate due bambini.» Sbottò seccata Alice, voltando la testa verso di loro, «se continuerete così finirete tutto il colore.» Borbottò leggermente infastidita. Una delle regole fondamentali di Alice Brandon era proprio quella di non sprecare mai nessun colore, per nessuna ragione.
«Colpa sua.» Ridacchiò Edward, pizzicando un fianco di Isabella.
«Non è vero.» Ribatté quest’ultima dando un piccolo schiaffetto sul braccio di Edward.
Alice sollevò gli occhi verso l’alto, «Guardate io ho già completato due pareti, voi non siete neppure riusciti a dipingerne metà.»
Isabella si avvicinò all’amica, guardandola con occhi dolci.
«No signorina, sappi che non m’incanti.» Sorrise vittoriosa, riprendendo a dipingere, dal basso verso l’alto. «Sembrate essere usciti dalla Guernica.»
Edward scoppiò in una fragorosa risata, «che bel complimento.»
«Dovreste vergognarvi invece, mi state facendo perdere solo un sacco di tempo. Perché non andate a farvi una bella doccia così che l’artista possa completare la sua opera d’arte?» Domandò con un finto tono innocente.
Bella si voltò verso Edward, aspettando una sua risposta.
«Non possiamo lasciarti da sola.» Rispose quest’ultimo, passandosi una mano tra i capelli. Adesso poteva dire di essere tono su tono.
«Sembri il Grande Puffo.» Lo prese in giro Isabella.
«Senti chi parla, Puffetta.» Sorrise sghembo, Edward.
Alice si spazientì e cercò di catturare ancora una volta la loro attenzione, «a dire la verità sta arrivando Jasper. Gli avevo detto che mi avrebbe trovato qui.» Disse e i suoi occhi s’illuminarono non appena pronunciò il suo nome.
Edward rimase sorpreso e questa volta toccò a lui voltarsi verso Isabella per sentire un suo commento.
«Se Isabella si fida a lasciarmi le chiavi del negozio, posso chiudere io una volta finito.» Aggiunse Alice, dolcemente.
«Per me non ci sarebbero problemi, ma mi sentirei davvero in colpa se ti lasciassimo da sola a finire, sapendo che questo lavoro avrei dovuto svolgerlo da sola.» Isabella abbassò un attimo la testa, mordicchiandosi il labbro inferiore, come era solita fare quando si sentiva in imbarazzo.
Alice sollevò la mano facendo un gesto strano, come a voler scacciare qualcosa dal suo viso, «figurati io lo faccio con piacere. E comunque, ci sarebbe Jasper che sono certa non avrà problemi a prendere il vostro posto.» Ridacchiò, «domani con la scusa delle chiavi verrai a casa nostra per pranzo. Cosa ne dici?» le domandò guardandola negli occhi.
Isabella sembrò esitare, iniziò a dondolarsi avanti e indietro, giocherellando con il suo pennellone.
«Questa è un ottima idea.» Disse improvvisamente Edward, mentre raggiungeva Isabella e le sfilava il pennello dalle mani, «accettiamo.» Aggiunse rivolgendosi all'amica.
«Quando si mette in testa una cosa nessuno riesce a fargli cambiare idea.» Sogghignò Alice, riprendendo a pitturare.
Bella annuì rassegnata, «credo di esserne consapevole. D’accordo Alice, ti ringrazio davvero per il tuo aiuto.»
«Figurati Bella, ormai sei diventata una di famiglia, e noi aiutiamo la famiglia.»
Isabella si sporse verso Alice abbracciandola, «allora ci vediamo domani?»
«A domani.» Disse mentre li vedeva uscire dalla porta.
Perfetti Puffi Perdutamente Innamorati.
 
Isabella aveva indossato il suo cappotto scuro cercando di coprire come meglio poteva i suoi vestiti completamente sporchi di vernice. Si rendeva conto che come risultato non era granché dato che il suo viso e i suoi capelli rimanevano comunque scoperti. Avrebbe dovuto sentirsi in imbarazzo, perché solitamente, nessuno girava per il quartiere di Notting Hill travestito da imbianchino, tranne se non fosse il giorno di Carnevale. In verità non ci riusciva proprio a sentirsi fuori luogo, perché accanto a lei camminava quello che probabilmente molti avrebbero ritenuto il ragazzo blu con il sorriso più bello dell’Universo.
«Allora ci vediamo domani?» Domandò Edward imboccando la strada per la metropolitana.
Isabella rimase spiazzata, «dove stai andando?» gli chiese perplessa, ignorando la sua domanda.
Edward fece spallucce, «a casa, e tu, dove stai andando?» le chiese ironicamente, ritornando vicino a lei.
«Edward.» Sospirò la ragazza.
«Isabella.» Gli fece eco il ragazzo, non riuscendo a capire cosa stesse cercando di dirgli.
«Edward.» Ridisse Isabella, questa volta stava iniziando a spazientirsi.
«Isabella.» Sorrise, «è il nostro nuovo gioco?» le domandò incuriosito.
La ragazza posò la mano sul suo braccio, stringendo tra le dita il giubbotto di pelle nero, «non ti lascio girare per Londra conciato così.» Gli dissi di sottecchi, squadrandolo da capo a piede.
«E cosa intendi fare? Portarmi in una lavanderia e infilarmi in lavatrice?»
«Oggi la tua vena ironica pulsa più delle altre.» Ridacchiò Bella, sollevandosi sulle punte per raggiungere il suo viso, «no scemo, vieni a casa mia. E’ molto più vicina rispetto alla tua, ti fai una doccia e poi potrai tornare a casa.» Gli sussurrò sulle labbra.
Edward si scansò, spostandosi invece sul suo collo, vicino all’orecchio, «non mi tentare piccola fragola.» Bisbigliò, dandole un bacio su quella parte scoperta di pelle.
Isabella avrebbe tanto voluto rispondergli, ma le parole non riuscivano a trovare la via d’uscita, così si trovò costretta a tornare a casa sconfitta.
 
«Questi vestiti sono di mio padre, spero ti vadano.» Sorrise imbarazzata Isabella, allungando ad Edward un paio di jeans e una camicia a quadri grigia e nera.
«Penso di si.» Borbottò il ragazzo prendendo i vestiti e posandoli sulla mensola del bagno, proprio accanto all’asciugamano.
Si voltò verso la ragazza e la fissò attentamente, studiando i tratti del suo volto, per imprimere nella sua mente ogni centimetro di quell’immagine perfetta. Isabella aveva i capelli completamente blu e solo alcune ciocche color mogano erano uscite integre da quella battaglia.
Edward le sistemò una di quelle ciocche dietro l’orecchio, «sei bellissima.» le disse abbassandosi per posare la sua bocca su quella morbida e calda della ragazza.
Le mani di Isabella finirono immediatamente sui suoi capelli, cominciando così una lenta tortura, mentre Edward si dedicava completamente alle sue labbra. Mentre le mani di Edward scesero lungo la schiena di Isabella, spingendola più verso il suo petto. Mentre le sue labbra rubava tutto l’ossigeno dalle sue.
Fu Bella a staccarsi da quel piacevole contatto, portando entrambe le mani sul viso, nascondendo l’imbarazzo. «Forse è meglio se tu faccia una bella doccia.»
Edward ridacchiò, liberandole il viso dalle sue stesse mani, «sei sicura di voler utilizzare il bagno di servizio? Posso benissimo andarci io.» Le sorrise accarezzando il labbro inferiore con l’indice.
Sai amore, ho visto che le stelle non brillano come i tuoi occhi, e che certe parole te le senti dentro, nella cartilagine e vibrano come corde di una chitarra. E allora ho pensato che potrei essere io, il tuo strumento se solo tu lo volessi. Perché è così che si crea una melodia che ci fa star male per quanto è bella.
Toccami amore, come se fossi il tuo strumento.
«Non preoccuparti per me, sei tu l’ospite qui.» Ridacchiò, posando un bacio sul dito, poi si allontanò chiudendosi la porta del bagno alle spalle.
Entrambi fecero un enorme sospiro.
Entrambi avevano bisogno di una doccia…fredda.
 
Isabella si lasciò andare sotto il getto dell’acqua, facendo scivolare via i residui di colore blu cobalto dal suo corpo.
Cercò con tutta se stessa di non pensare a Edward mentre compieva i suoi stessi gesti.
Forse era arrivato il momento. Si sentiva abbastanza pronta, abbastanza coraggiosa anche per quel passo?

Elisa - Dancing
 
Edward si vestì velocemente, indossando gli abiti del padre di Bella, che fortunatamente erano della sua stessa taglia. Si guardò allo specchio, e frizionando i capelli con l’asciugamano cercò di sistemarli come meglio poteva. Quando ebbe finito di asciugarli, uscì dal bagno, osservandosi intorno.
La casa era piuttosto piccola ma accogliente. Era a due piani come ogni altra casa inglese del luogo. Al piano inferiore si trovavano la cucina, il piccolo soggiorno e il bagno di servizio, mentre a quello superiore le due camere da letto e il bagno che Isabella utilizzava tutti i giorni.
Ascoltò il silenzio di quella dimora, sentendosi a suo agio in quella casa. Incuriosito decise di salire le scale per dare un occhiata alla camera della sua ragazza, dato che quest’ultima era ancora in bagno, probabilmente si stava asciugando i capelli, dato che Edward sentì il rumore di un phon in funzione.
Così salì le scale silenziosamente, trovandosi davanti da prima una porta chiusa a chiave, che immaginò doveva essere quella dei genitori, poi quella di Isabella, leggermente aperta.
Quando vi entrò la prima cosa che notò furono le fotografie che la ritraevano in ogni periodo della sua vita. Da quando era neonata avvolta solo da una semplice tutina gialla al giorno del suo diploma, accanto ai suoi genitori. Edward non poté non notare l’incredibile somiglianze che c’era tra madre e figlia. Avevano gli stessi occhi, pensò, accarezzando la cornice.
Voltandosi verso il letto, scorse un piccolo quaderno pieno di fogli, alcuni persino strappati al centro. E solo dopo che lo prese tra le mani si rese conto che quello doveva essere il diario della sua piccola fragola.
Edward non avrebbe voluto, ma quelle parole l’attiravano minacciosamente, così iniziò a leggere ciò che Isabella teneva nascosto dentro il suo cuore.
 
5 Maggio 2011
Ti ho ascoltato ancora una volta, questo pomeriggio all’imbrunire.
Ci pensi mai al modo in cui sorridi mentre suoni? Ti si formano due piccole fossette sulle guancie e la gente rimane incantata dal tuo bell’aspetto. Io rimango incantata da te.
Le ho viste sai? Quelle tre ragazzine che ti fissavano con aria sognante. Le capisco ma non le accetto, m’infastidisce, ed è qualcosa che non posso permettermi di provare, perché fondamentalmente tu non sei di mia proprietà.
Loro vorrebbero entrare nel tuo letto, io nella tua vita.
Ti lascio ridere se vuoi, prima di riprendere a leggere queste idiozie, ti lascio strappare questo foglio senza finirlo di leggere, perché forse è quello che farei anche io, se uno sconosciuto mi scrivesse una lettera e se chissà come io ne venissi in possesso.
Ma vuoi sapere la cosa più assurda, io non mi sento una sconosciuta, perché le tue canzoni le sento dentro, hanno risvegliato la mia anima intorpidita dal troppo freddo. Tremo quando ti ascolto, perché davvero hai una voce che fa vibrare il cielo, o forse è il contrario? Lo guardi mai il cielo mentre canti? Credo di no, perché ti ho osservato sai, tieni sempre gli occhi chiusi mentre mostri al mondo ciò che sei.
Ma è questo ciò che sei realmente? Un semplice cantante di strada?
Secondo me sei molto di più, mi piacerebbe anche a me nascondermi dietro un peltro, e fingere una risata tra i tintinnii delle corde. Ma non posso farlo, non mi è permesso, e sai perché? Perché io non sono te.
Avrei tanto voluto parlarti di persona, dirti che sono sempre stata io. Si, il primo biglietto l’ho scritto io. Ho strappato una pagina di un libro per scrivertelo sai? Miss Popper non ne sarà molto contenta quando lo scoprirà. Oh che stupida che sono, tu non conosci Margaret, è un vero peccato, perché quella donna andrebbe conosciuta, almeno una volta nella vita, non so in quale delle tante. Ci credi tu nella reincarnazione?
Ci credi se ti dico che io ti ho già conosciuto?
Che occhi come i tuoi non si dimenticano neppure dopo la morte. Li avrei ricordati in qualsiasi vita.
E se ti dicessi che tu sei la mia unica certezza, mi crederesti?
Io ormai non credo più in nulla.
Mi sono persa di nuovo, lo faccio spesso sai? Perdermi e ritrovarmi intendo, è un modo speciale per far capire al mondo che io ci sono ma che non voglio essere cercata, che sto bene tra i vecchi scaffali pieni di polvere. Che mi va bene anche così, non ho urgenza di essere ritrovata, lascio volentieri il mio posto a persone che nella vita vogliono solo questo. Essere qualcuno di visibile. Io sto bene qui, nella nebbia.
 
«Che cosa stai facendo?»
Edward sollevò la testa dal foglio, stringendolo con forza tra le mani, si sentiva quasi tradito, ma quando incontrò gli occhi di Isabella ogni suo pensiero svanì all’istante.
Bella aveva lo sguardo perso nel vuoto, tutto di lei sembrava essersi pietrificato, persino il suo respiro.
«Scusami, non volevo leggere il tuo diario.» Borbottò il musicista lasciando scivolare il foglio dalle sue mani, cercando di risistemare tutte le pagine sparse sul copriletto cremisi.
«Non avresti dovuto leggerlo.» Sussurrò come un automa, voltandosi dall’altra parte, completamente rossa in volto per l’accaduto. Edward le fu subito accanto, bloccandola prima che potesse uscire dalla stanza.
«Sei meravigliosa Bella, perché non volevi che leggessi i tuoi pensieri?» Le domandò dolcemente.
Bella si voltò verso il suo viso, stringendo forte le mani a pugni, «l’hai detto, perché erano i miei pensieri.» Sbottò liberandosi dalla presa del ragazzo. «Non dovevi farlo.» Disse alzando leggermente il tono di voce, colpendo il petto del ragazzo con entrambe le mani.
Edward si sorprese della sua reazione e cercò di calmarla, bloccandole i polsi, ma Isabella cominciò a dimenarsi, nel tentativo di liberarsi.
«Calmati amore mio, per favore.» Le disse quando finalmente riuscì a imprigionarla tra le sue braccia.
Il volto arrossato di Bella divenne una maschera di cera, e solo quando i suoi occhi iniziarono ad inumidirsi, si nascose dallo sguardo preoccupato di Edward.
«Non piangere, ti prego.» Edward la strinse forte tra le sue braccia, Accogliendola sul suo petto, mentre le dava lievi baci sui capelli, «non piangere.» Ripeté con uno nodo stretto in gola.
Se mentre leggeva di lui aveva avuto paura, adesso era terrorizzato.
I singhiozzi di Isabella gli bagnarono la camicia, mentre le sue mani si arpionarono ai lembi della felpa che indossava.
«Isabella guardami.» Le sussurrò all’orecchio, accarezzandole i capelli. Ma la ragazza sembrò non ascoltarlo, piuttosto sprofondò ancora più in profondità, nascondendosi.
Edward ormai spazientito, la costrinse a guardarlo, sorridendole non appena i loro occhi si furono incontrati. Vederla così indifesa e spaventata lo resero vulnerabile e dovette usare tutto la sua buona forza di volontà per non riempire il volto della sua ragazza di mille baci, in modo da portarle via tutta la tristezza.
«Edward mi dispiace tantissimo, adesso penserai che io sia una maniaca, ossessionata da te, ma ti giuro che non è così.» Fece un grosso respiro, «non voglio che tu pensi che io sia una pazza. Non dovevi legger-»
Edward interruppe il suo monologo posandole l’indice sulle labbra arrossate. «Non lo penso affatto piccola fragola. Non puoi neppure immaginare quanto il mio cuore abbia tremato mentre leggevo i tuoi pensieri. Come puoi pensare che io non ti possa più desiderare? Io non riuscire ad allontanarmi da te, neppure se scoprissi che sei un’assassina.» Disse facendola sorridere.
Isabella stava per dire qualcosa, ma Edward le impedì di continuare, questa volta perché posò le sue labbra su quelle della ragazza.
Fu un bacio delicato, un assaporarsi a vicenda. Il desiderio di conoscersi anche fisicamente, di lasciare un marchio indelebile l’uno sull’altro.
«Ti credo.»Bisbigliò Edward allontanandosi da lei di qualche centimetro.
Bella parve confusa, «non capisco.» Ammise passandosi una mano sul viso, per scacciare il calore delle lacrime prima versate.
Edward sollevò gli angoli delle labbra, «Anche tu sei la mia unica certezza.»
Si poteva essere tutto o niente, comunque si era insieme.
La ragazza ricambiò il sorriso, respirando il profumo alla vaniglia che alleggiava nell’aria. «sono così imbarazzata.»
«Solo perché sono venuta a conoscenza dei tuoi pensieri? Isabella tutto quello che hai scritto su quei fogli io lo sapevo già. Me lo dimostri ogni giorno.» Disse scostandosi da lei per poterla guardare in volto.
«Quindi lo sai già?» Gli domandò mordicchiandosi il labbro inferiore.
Edward corrugò la fronte pensieroso, «che cosa?»
«Che ti amo.»
Erano uno di fronte all’altro. Tutte le parole del Mondo non sarebbero bastate per descrivere quel momento. Il modo in cui gli occhi di Edward si posarono su quelli di Isabella, il modo in cui cercò di entrare dentro la sua mente, voleva intasarla, renderla piena di lui. Ma se anche fosse entrato, avrebbe scoperto che ogni suo pensiero lo rendevano già il protagonista.
Lui aveva iniziato a sfiorarla con dedizione, non tralasciando nessun particolare di quel corpo caldo e pulsante. Le mani di Edward si posarono delicatamente sui fianchi sottili di Isabella, facendola avvicinare di più al suo corpo, iniziando a dondolare su loro stessi, ballando una danza sconosciuta in una stanza priva di musica. Ma a cosa poteva servire la musica in quel momento? Se bastavano i battiti impazziti dei loro cuori a produrre la melodia più dolce del Mondo?
Isabella tremava senza neppure rendersene conto. Il problema era che lo sentiva. Sentiva Edward come non aveva mai sentito nessun altro in vita sua. Albergava dentro di lei, viaggiava attraverso i suoi vasi sanguigni, mantenendo in vita il suo cuore.
Le labbra di Edward si avvicinarono al viso di Bella, solleticando le guancie accaldate della ragazza con il suo respiro. Le baciò gli zigomi alti, le palpebre abbassate, la punta gelata del naso. Assaporò le sue guancie fino a scendere più giù, lungo il collo scoperto, fin dietro l’orecchio, dove con i denti giocò con il lobo dell’orecchio.
Bella sospirò, portando entrambe le mani sui capelli di Edward, accarezzando l’ammasso setoso con interesse, giocherellando con i ciuffi ribelli che tanto lo caratterizzavano.
Il ragazzo sorrise soddisfatto, nel sentire la reazione di Isabella a quel suo nuovo tocco. Non si era mai spinto così con lei, avrebbe voluto fermarsi, ma proprio non ci riusciva.
Quando ebbe marchiato tutto il collo con i suoi baci, tornò sulle sue labbra, baciandola con una dolcezza devastante.
 «Hai visto amore che sono riuscito a vederti anche nella nebbia?»

 

 

Amo immensamente, con tutta me stessa quest'immagine!
C'è qualcosa nello sguardo di Rob (si esatto, di Robert, non di Edward) che mi fa rabbrividire l'anima!
Forse il loro è vero amore, chi lo sa. In tal caso gli faccio i miei migliori auguri!

 

Il primo Settembre è romai giunto, e con l'arrivo di questo mese si chiude il capitolo estate. Purtroppo le vacanze sono finite, e per chi a breve riprenderà la scuola auguro un buon anno scolastico, così come auguro un buon inizio a tutte le persone che invece sono tornate al proprio lavoro. Auguro un buon inizio anche a chi appena laureato sta cercando lavoro e a chi invece di trovarsi un lavoro non ne ho propria voglia. Buon inizio agli indecisi e a temerari. Buon inizio alle coppie felici e ai novelli sposi. Buon inizio a chi invece è sposato da una vita e a chi invece, ancora non ha trovato la persona giusta. Buon inizio ai papà e alle mamma, ai figli e ai nonni. Buon inizio a tutti quelli lontani da casa per scelta e per volontà. Buon inizio Settembre!!!

Buskers riprenderà ad essere postato regolarmente. Il prossimo capitolo potrebbe arrivare prima di quanto pensiate, nel frattempo gotetevi questo, che a mio parere è abbastanza succulento *_*

Raccontatemi come avete trascorso la vostra estate e cosa avete intenzione di fare adesso finita! E poi, rispondete a questa domanda (si lo so, sono impicciona e scassascatole, however...) Avete un diario segreto? Un diario al quale raccontate le vostre paure e i vostri sogni?
 
P.s: Il capitolo è stato letto più volte, ma qualche errore può sempre sfuggire, in caso perdonate la mia mancata attenzione -.-" Non sono una buon corretrice di bozze!

A Big hug for everyone.
 Lua93




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Capitolo 22
*** Someone to run. ***


21. Someone to run.                                                                                          

21. Someone to run.



«Dovresti telefonargli.»

Quello di Edward fu un semplice sussurro che accarezzò Isabella come la più delicata della mani. Ma quelle parole ebbero l’effetto di farla irrigidire anche se stretta tra le braccia del suo musicista.
Lui se ne rese conto immediatamente, così aumento leggermente la stretta intorno al suo corpo, avvicinandola maggiormente, per quanto possibile, al suo petto.
Erano così vicini, i loro volti rivolti verso la finestra della piccola camera. I loro corpi che si sfioravano sotto le lenzuola morbide e profumate di fragole, lo stesso profumo che albergava nell’aria. Edward aveva finalmente scoperto che quella magnifica fragranza che proveniva dalla sua ragazza era in realtà lo shampoo alla fragola che utilizzava per lavare i suoi soffici capelli.
Ed ora Edward si stava riempiendo i polmoni di quel buon odore, strofinando il naso tra i capelli di Isabella.
«Smettila di annusarmi.» Borbottò Bella, fingendosi offesa. Con l’indice tracciava cerchi invisibili sul dorso della mano di Edward, che le stringeva delicatamente la vita.
Il ragazzo ridacchiò, spostando i lunghi capelli sul cuscino, in modo da poterle baciare il collo.
Quella posizione così intima la facevano sentire protetta. Sarebbe potuto crollare tutto il firmamento e Bella non se ne sarebbe accorta, non quando c’erano le braccia di Edward a proteggerla e le sue parole a cullarla.
«Stai giocando sporco.» Sospirò frustata Isabella, assecondando i movimenti delle labbra del suo ragazzo.
«Voglio solo farti vedere la cosa dal mio punto di vista.»
«Non m’interessa il tuo punto di vista.»
Edward rise, e sollevandosi di qualche centimetro, costrinse Isabella a fare la stessa cosa, ritrovandosi il suo bel viso di fronte.
Gli occhi chiari di Edward trafissero quelli scuri e profondi di Isabella, creando una sorta di Paradiso e Inferno.
«I tuoi occhi sono così belli.» Sospirò Bella, accarezzandogli il viso con il palmo della mano, fino a salire sugli indomabili capelli ramati.
Edward le fece un sorriso sghembo che se fosse stato possibile l’avrebbe fatta tornare bambina, per quanto fosse sincero e spensierato.
«Non cambiare discorso.» Le disse baciandole la punta del naso, «devi chiarire la situazione con tuo padre.»
Isabella sbuffò, se avesse saputo che il suo ragazzo poteva essere davvero così testardo non gli avrebbe raccontato dell’ultima telefonata avvenuta con suo padre, o per meglio dire, con Sue.
Ma in verità, lei non sarebbe mai stato in grado di rimanere in silenzio, non davanti a quel viso così perfetto. Non davanti a quelle labbra così soffici, che chissà per quale assurdo motivo, il Signore aveva deciso di donarle proprio a lei. Tutto di quel ragazzo sarebbe stato suo.
«Non guardarmi così.»
«Così come?» le domandò aggrottando le sopracciglia.
Bella si sollevò dal letto, circondando il suo braccio intorno al ginocchio piegato. «Come se avessi torto.»
«Non si tratta di torno o ragione, Bella.» Obiettò Edward osservando quasi infastidito un punto invisibile di fronte alla parete del letto. «Qui si tratta di fiducia. Non stai forse nascondendo anche tu una relazione a tuo padre?»
La ragazza grugnì contrariata, «non è la stessa cosa.»
«E quale sarebbe la differenza? Solo perché lui è il padre e tu sei la figlia la tua vita può rimanere un segreto, mentre la sua no?» Continuò imperterrito. Non voleva essere brusco o offensivo, desiderava solo far ragionare quella pesta di ragazza che le sedeva accanto.
«Okay forse hai ragione, ma io proprio non ce la faccio. Non la voglio una nuova mamma.»Ammise frettolosamente, trattenendo dentro di se il desiderio di piangere.
Edward si sollevò dal letto e vedendole il volto arrossato, i capelli arruffati e gli occhi gonfi, capì che non poteva continuare così, che lei era ancora troppo fragile per potercela fare senza il suo aiuto.
In cinque anni lui era riuscito a superare la morte dei genitori, ma non ad accettarla. Come poteva pretendere che la sua ragazza facesse lo stesso in molto meno tempo?
La strinse forte a sé, accogliendola tra le sue braccia. Isabella sprofondò la testa sul suo petto, stringendo forte la camicia che Edward indossava.
«Se proprio non vuoi telefonarlo, prova a scrivergli una lettera.» Le consigliò, accarezzandole i capelli.
Bella scosse la testa, «voglio che sia lui a telefonarmi. Io non farò nulla.»
Edward annuì acconsentendo, «mi prometti  che gli racconterai di me, di noi?»
Il cielo oltre quella stanza era grigio antracite. Quel giorno Londra era di una tristezza infinita. Proprio come Isabella, avrebbe tanto voluto piangere, ma non l’avrebbe fatto. Quel giorno non ci sarebbe stata alcuna pioggia a bagnare le strade affollate della città.
Bastava un cielo triste e cupo, ma non abbastanza da impedire al sole di spuntare di tanto in tanto, alle spalle del Big ben.
Isabella si voltò verso Edward, facendole un sorrisetto astuto, «non posso assolutamente parlargli di te, come pensi reagirà quando scoprirà che la sua adorata bambina fa dormire nel suo letto un ragazzo?»
«Sei stata tu a chiedermi di rimanere.» Sorrise Edward, ripensando alla sera precedente, quando Isabella gli aveva confessato di amarlo. Lei non voleva farlo andare via, non avrebbe mai voluto allontanarlo da sé, così gli chiese se poteva rimanere con lei quella notte.
Mai come in quel momento Edward si era sentito felice. E non aveva avuto bisogno di sogni quella notte, non quando aveva tra le braccia il regalo più bello che Dio potesse fargli.
«Figurati, voi uomini non rifiutereste mai un invito del genere da parte di una donna.» Aggiunse piccata Isabella.
«Ma lo sia che sei proprio terribile?» Le domandò con tono scherzoso, spingendola sul materasso.
Bella scivolò sul letto con un sorriso spontaneo disegnato sulle labbra carnose, gli occhi le brillavano donandole un aspetto raggiante. I lunghi capelli si sparsero disordinatamente intorno al suo bel viso.
«Io?» Pigolò con finta innocenza, «signor Cullen la potrei denunciare per accuse infondate.» Rise divertita.
Edward non riusciva a smetterla di guardarla, c’era qualcosa di magico in lei, nel suo sorriso, nelle sue mani che si allungavano per afferrarlo, nel suo profumo che gli riempiva i polmoni fino a non sentire più la necessità dell’ossigeno quando le era accanto. «Signorina Swan sono io quello che dovrebbe sporgere denuncia.» Le sussurrò sdraiandosi supino accanto a lei.
Isabella si voltò verso il ragazzo, fissandolo con aria interrogativa «E perché mai?»
«Perché mi hai rubato il cuore.» Le rispose avvicinandosi al volto piccolo e rosso della sua ragazza. Con delicatezza le lasciò un bacio sulle labbra socchiuse, per poi far scontrare le loro fronti. «Trattalo bene piccola Fragola,  sei l’unica che può sfiorarlo.»
Bella si morse il labbro inferiore, titubante. Il suo corpo le lanciava impulsi ben precisi, ma la sua mente era terrorizzata dall’idea di poter fare qualcosa a cui non era pronta.
Con le mani che ancora le tremavano per l’emozione, si mise a cavalcioni su di lui, stando attenta a non pesargli addosso, e soprattutto a non creare reazioni sul suo corpo.
Edward la guardò sorpreso e dovette usare tutta la sua buona forza di volontà per non afferrarle i fianchi e invertire le posizioni.
«Ho paura.» Ammise Isabella, sistemandosi i capelli dietro l’orecchio. Teneva lo sguardo puntato sulle labbra rosse e piene di Edward.
Fu proprio quest’ultimo che utilizzando una lieve pressione sul materasso per sollevare la schiena, si mise seduto, mantenendo sempre Isabella sulle sue gambe.
Adesso che si trovavano uno di fronte all’altro, il contatto con le loro anime era diretto.
«Io non voglio che tu ne abbia.»Le sorrise il musicista, accarezzandole il dorso della mani. «Perché sai? Anche io ho paura di te, dell’effetto che mi fai. Ho paura soprattutto di ciò che vorrei farti, sai non è una cosa che si può spiegare a parole.» Rise maliziosamente, baciandole la punta del naso, fino a scendere sul suo collo scoperto.
Riusciva a sentire il battito del suo piccolo cuore impazzito, mentre la stringeva convulsamente al suo petto.
«Ma non farò nulla che tu non voglia.» Aggiunse staccandosi dal suo viso, catturando subito il suo sguardo.
«E se io volessi te?» Gli domandò Isabella, ipnotizzata dai suoi occhi così accessi. L’avrebbero bruciata presto. Lui bruciava. Lui uccideva.
«Tu mi hai già.» Rispose Edward, stringendola in un abbraccio, «io sono già tuo.»
 
 
Isabella allontanò il piatto,allontanandolo il più possibile.
«Quelle non le mangi?» Edward indicò le uova ancora intatte che la ragazza aveva lasciato nel piatto.
«Edward.» Strillò allegramente, facendo scattare il ragazzo che subito sollevò la testa dal suo piatto, guardandola preoccupato. Bella sorrise osservando quella reazione, «vuoi che diventi grassa come un cocomero?»
«Mi piaceresti lo stesso.» Rispose senza pensarci.
Bella scosse la testa, «ho mangiato tre pancakes  e un intero piatto stracolmo di cibo. Come puoi pretendere che possa entrarci altra roba?» Gli chiese incuriosita.
Edward le si avvicinò lentamente, allontanando le tazze e i piatti dai loro corpi. Poi, con assoluta nonchalance l’aiuto a sedersi sul piccolo tavolo di legno.
«Che cosa stai facendo?» le domandò titubante Isabella, ancorando le sue dita sulle spalle del ragazzo.
Edward rise divertito, e prendendo le mani della ragazza le portò sul tavolo, «queste non si devono muovere da qui, intesi?» sorrise sghembo.
Isabella annuì incuriosita, il suo cuore sembrava tanto il battito d’ali di un colibrì. Edward si aspettò che da un momento all’altro prendesse il volo.
«Amore non ti farò nulla, però tu mi devi promettere che starai in silenzio.» Aggiunse accarezzandole le labbra con l’indice.
«Ed-»
«Shhh, non parlare.» Disse interrompendola.
Bella sospirò facendo esattamente ciò che Edward le aveva ordinato, ossia rimanere immobile e in silenzio.
Il ragazzo cominciò ad accarezzarle le braccia, stando ben attento a non farle il solletico, sapeva bene quando ne soffrisse la sua piccola fragola.
«Vorrei farti capire che se anche pesassi quanto il Titanic, io ti amerei lo stesso.» Sorrise avvicinando la mano di lei al suo viso, cominciando a baciarle tutte le dita.
«Ti  amerei anche se fossi stata più tondeggiante.» Disse baciandole il palmo, fino a risalire sul polso, ricoprendo l’intero braccio di baci caldi e leggeri. Le sue parole erano sempre così delicate, che nessuno le avrebbe mai considerate offensive.
«Ti amerei anche se avessi avuto qualche chilo di troppo sul tuo splendido corpo.» Continuò scendendo con le mani sui suoi fianchi.
«Ti amerei in qualsiasi modo tu fossi stata.» Bisbigliò sul suo collo, mordicchiandole il lobo dell’orecchio. Isabella fremette sotto quel tocco. Edward sapeva toccare i punti giusti. Stava imparando a farla impazzire, utilizzando i punti più sensibili della ragazza.
«Non voglio che tu pensi che io ti amo solo perché sei così perfetta.» Farfugliò sulle sue labbra.
Bella sospirò, «io non sono perfetta.»
Edward le diede un morso sul labbro inferiore, facendola gemere. «Ah.»
«Così impari a disubbidire ai miei ordini.» Sorrise trionfante il ragazzo, accarezzando delicatamente tutto il corpo della ragazza.
Bella tentò di muovere le mani, stanca di quella immobilità. Ma Edward le imprigionò tra le sue, impedendole così di fare qualsiasi movimento.
«Ti ho promesso che non avrei fatto nulla, ma ti prego Bella, non mi fermare.»Le disse scongiurandola. La ragazza non sapeva quali fossero i suoi piani, ma decise di fidarsi, così si lasciò andare, chiudendo gli occhi.
Edward iniziò a baciarla delicatamente, mordicchiando il suo labbro inferiore, facendolo diventare rosso e gonfio. Quando si rese conto che potesse iniziare a farle male, decise di andare oltre, chiedendo l’accesso alla sua bocca. Bella non poté fare altro che acconsentire, seguendo il ritmo di quel bacio che di casto aveva poco e nulla.
Subito portò le mani sui capelli di Edward, che questa volta non oppose alcuna resistenza, anzi sembrò soddisfatto di quell’improvviso attimo di passione che si era impossessato della sua ragazza.
Le sue mani vagarono su tutto il corpo di Bella, costringendola a sdraiarsi sul tavolo, stando ben attento a non farla urtare contro qualche utensile. Così onde evitare che potesse accadere, li spinse via con un gesto secco, e per poco non li fece cadere sul pavimento.
«Oops.» 
Isabella rise sulle sue labbra, mentre lo attirava sul suo corpo.
Non era certo la posizione più comoda, ma Edward non aveva alcuna intenzione di fare nulla fuorché riempirla di baci, in ogni angolo del suo viso.
Improvvisamente si staccò dalle sue labbra, allontanandosi dal suo corpo.
«Perché?» Domandò Isabella fissandolo interdetta.
Edward l’aiutò a scendere dal tavolo e strinse forte la sua mano, «perché ho intenzione di darti un bacio in ogni stanza di questa casa. Così che quando non sarò con te, ci sarà il mio ricordo a farti compagnia.» Sorrise trascinandola verso il salotto.
«Tu sei matto.» Isabella rise divertita, ma prima che potesse aggiungere anche solo un’altra parola, Edward la baciò, trascinandola poi verso il bagno in fondo al corridoio, dove continuò a baciarla. Ridendo corsero verso le scale che conducevano al piano superiore. In quella casa non c’erano molte stanze, ma una cosa era certa, quella mattina casa Swan era piena di baci.
 
 
La metro diretta ad Hammersmith era silenziosa quel giorno. Le ruote in ferro stridevano furiosamente contro le rotaie, all’aumentare della velocità, mentre i passeggeri, stavano seduti comodamente sulle poltroncine blu. C’era uno strano odore di gomme bruciate all’interno del vagone  in cui si trovavano Edward e Bella.
«Come puoi non amare il cioccolato?» Isabella parve sconcertata di fronte alla rivelazione del musicista.
Edward dal canto suo, sorrideva sommessamente.
«Scommetto che tu vivresti solo di quello.» Azzardò il ragazzo con un sopracciglio inarcato, assumendo un’aria da saputello.
Si trovavano seduti uno di fronte all’altro, il contatto tra i loro corpi era pressoché assente, ma le loro anime rimanevano allacciate tra loro attraverso cavi invisibili.
«Certo che no.» Bella sollevò gli occhi verso l’alto, «per saziarmi definitivamente ci vorrebbe la pizza.»
Edward ridacchiò, «pizza e cioccolato, sei così prevedibile.» La schernì sistemandosi comodamente sulla poltrona.
Bella rimase spiazzata da quella risposta e si limitò ad annuire, distogliendo lo sguardo da quello di Edward, «se lo dici tu.»
«Non dirmi che adesso ti sei offesa?»
«No.» Rispose piccata la ragazza.
«Oltre che prevedibile sei anche suscettibile, dovrò ricordarmelo in futuro.» Sorrise Edward, notando come gli occhi della sua Bella brillassero quando si irritava. Le sue guancie si coloravano di un tenue rossore e nel tentativo di non arrabbiarsi si mordicchiava il labbro inferiore.
«Ecco bravo, prendi nota.»
«Sbaglio o quello era del sarcasmo?»
«Perspicace.»
Si guardarono in silenzio, captando quella nuova sensazione che vibrava tra le loro anime.
«Te l’ho mai detto che quando ti arrabbi sei ancora più bella?» le domandò Edward alzandosi dalla sua poltroncina bucherellata, con l’intento di sedersi accanto a Isabella.
Bella gli lanciò un occhiataccia, fulminandolo, «se credi che io sia davvero così prevedibile, cosa pensi ti dovrei rispondere, adesso?»
Edward sembrò pensarci bene, iniziò a fare strane mosse con le labbra, mentre socchiudeva gli occhi. «probabilmente che non mi credi, ed io quindi dovrei provartelo magari, con un bacio.»
Isabella lo guardò con aria di sfida e non appena le porte della metro si aprirono, annunciando così l’arrivo alla stagione di Hammersmith e di conseguenza alla loro fermata, la ragazza si sollevò e si mise a correre per scappare dal suo ragazzo, «sei proprio un pessimo fidanzato.» Gli rispose, gettando quelle parole al vento.
Edward ci mise qualche secondo a capire la sfida lanciata da Isabella, così si ritrovo spiazzato e con più di cinque metri di svantaggio.
Iniziò quindi a correre, stando attento a non scontrarsi con gli altri passeggeri, ma soprattutto a non cadere sulle rotaie. La stazione si trovava in superficie e il cielo quel giorno era grigio come l’anima dei passanti. Ma forse un po’ di sole ci sarebbe stato anche per loro, grazie a quei due innamorati che s’inseguivano lungo i marciapiedi del quartiere.
Isabella correva libera tra le strade che sapevano di nebbia, libera da tutte le sue paure in un momento di completa ilarità. I capelli le sfioravano le spalle, pungendole il collo quando le si infilavano, a causa del vento, dentro il maglioncino nero che indossava. Edward le correva dietro, con il respiro pesante e la sorpresa curiosità nel vedere fino a che punto sarebbe resistito in quella folle corsa. Bella dal canto suo, sembrava non stancarsi mai.
Quando aumentando la sua velocità, Edward la raggiunse, non gli fu molto difficile acchiapparla dalla vita, attirandola contro il suo petto quasi aggressivamente.
La ragazza lanciò un urlo, sorpresa, scoppiando a ridere insieme al suo musicista.
«Prevedibile hai detto?» domandò Isabella allacciando le braccia dietro la testa di Edward.
Il ragazzo avvicinò le labbra a quelle rosse e carnose di Bella, «tu mi farai impazzire, rimangio tutto quello che ho detto.»
«Bene, perché devi sapere che la prevedibilità è la tomba dei sentimenti.» Sorrise teneramente Isabella, eliminando definitivamente la distanza tra le loro labbra.
 
 
«Finalmente siete arrivati, vi stavamo dando per dispersi.» Disse Alice, facendo entrare in casa i due ragazzi, ancora con il fiatone per la precedente corsa.
«Perché respirate così pesantemente?» Domandò Jasper, osservando incuriosito Edward.
Entrambi si limitarono a rispondere con un’alzata di spalle, mentre si accomodavano nel soggiorno.
Bella non si sarebbe mai abituata alla magia che albergava in quella casa, al profumo fresco dei quadri appena terminati e a ai costumi di scena di Jasper e Emmett.
«Posso azzardare una risposta?» Chiese Emmett ridacchiando allegramente. La sua ragazza lo guardò torvo, ammonendolo senza neppure aprire bocca.
Alice scoppiò a ridere, avvicinandosi ad Isabella, «la libreria è venuta benissimo.»
«Non avevo dubbi.» Gli occhi di Isabella diventarono rossi e lucidi, «sei la ragazza migliore che abbia mai conosciuto.» Aggiunse stringendola in un abbraccio.
Le amicizie che durano in eterno iniziano proprio così, da un gesto imprevisto, da una parola detta col cuore o più semplicemente da due anime complementari.

 

 

Eccomi di ritorno ragazze, vi chiedo venia per l'enorme ritardo. Non pensavo di farvi aspettare così tanto, ma purtroppo gli impegni d'inizio Settembre si sono protratti senza poter fare nulla per evitarlo. L'inizio della scuola è uno di questi. Purtroppo quest'anno avrò gli esami di maturità, per cui dovrò impegnarmi molto più duramente. Ciò significa più tempo sui libri e meno su internet. spero solo di riuscire a postare una volta a settimana sia questa storia che l'altra, di cui mi scuso terribilmente per l'enorme ritardo, spero di farcela a postare il capitolo di I Colori del vento per l'inizio della prossima settimana. 
Parlando di questo capitolo invece, vi posso dire che è di passaggio. Ho preferito chiarire la situazione dal punto di vista sessuale dei due protagonisti. Benchè il loro amore è forte non si sentono ancora pronti per quel passo, o meglio, è Isabella quella insicura. Sarebbe la sua prima volta, e mi piacerebbe molto che fosse speciale, inoltre non vorrei affrettare le cose.
Mi rendo conto che il capitolo è molto più corto dei precedenti, ma ho preferito non inserire la storia di Alice qui. Infatti nel prossimo si scoprirà il passato proprio di quest'ultima. Sappiamo quello di Edward, di Bella, di Jasper, di Emmett e di Rosalie, ben intuibili, soprattutto quello di quest'ultima, ma di Alice non si sa molto, si scoprirà tutto nel prossimo capitolo.
Scusate per gli eventuali errori, rileggerò il capitolo molto presto.
Un bacione a tutte voi e grazie per la pazienza che state riservando a me e ai miei Buskers!
Lua93.

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Capitolo 23
*** Avviso ***



AVVISO


Ciao.
Banale, scontato, soprattutto sbagliato. Mi rendo conto che ciò che sto per dirvi non vi sembrerà affatto giusto, ma, purtroppo, devo annunciare l'interruzione delle mie storie. Avete letto bene, sia Buskers che I colori del vento non verranno più aggiornati, non verranno più postati nuovi capitoli per non so quanto tempo. Forse un mese, due, magari un anno o forse per sempre.
Vorrei tanto spiegarvi per bene il perchè di questa mia decisione, ma, mi rendo conto che non avrei parole adatte. In superficie il perchè potrebbe essere spiegato dalla relazione tra i personaggi e me, il fatto di non sentirli miei, di star scrivendo di protagonisti non originali. Non fraintendetemi, Twilight mi piace moltissimo, così come mi piacciono molto tutti i personaggi della saga. Ma ultimamente, ciò che scrivo su di loro non lo sento più mio.
Spero possiate perdonarmi, solitamente non comincio mai qualcosa sapendo che potrei non portarla al termine. Ma come vi ho detto, ho più motivi che mi hanno spinto a questa conclusione, a voi chiedo solo di farvi bastare il primo.

Siete stati dei lettori eccezionali, sempre presenti e pazienti. Per me e per le mie storie avete sempre riservato parole dolcissime e colme di complimenti. Di questo non smetterò mai di ringraziarvi.
Nessuna delle mie storie verrà eliminata dal sito, così come il mio canale. Io continuerò a seguire il mondo di Efp, senza però parteciparvi attivamente come "scrittrice".
Forse, un giorno riuscirò a portare a termine Buskers, ma non vi prometto nulla.
Perdonatemi.
Lua93.


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