Buskers di Lua93 (/viewuser.php?uid=99761)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prefazione ***
Capitolo 2: *** You're a Starlight ***
Capitolo 3: *** September 13 ***
Capitolo 4: *** A special gift ***
Capitolo 5: *** Wherever you are, you are there ***
Capitolo 6: *** Sparks ***
Capitolo 7: *** They know the Cherubim have a rival on Earth? ***
Capitolo 8: *** Where were you when it all began? ***
Capitolo 9: *** There's always an oasis in every desert. ***
Capitolo 10: *** So tell me when you feeling fall ***
Capitolo 11: *** I feel in you like if you had always been. ***
Capitolo 12: *** Near to you ***
Capitolo 13: *** Tremble like California. ***
Capitolo 14: *** You could be the one who listens, to my deepest inquisitions, you could be the one I'll always love. ***
Capitolo 15: *** The streetlights in the sky. ***
Capitolo 16: *** One of those days when you are the centre of universe ***
Capitolo 17: *** Morse code into my heart. ***
Capitolo 18: *** Souls find themselves always, at the end. ***
Capitolo 19: *** Surprises. ***
Capitolo 20: *** Love will be forever ***
Capitolo 21: *** I'm fine here, in the fog. ***
Capitolo 22: *** Someone to run. ***
Capitolo 23: *** Avviso ***
Capitolo 1 *** Prefazione ***
s
Prefazione
"Il
musicista cava l'essenza dell'arte da se stesso,
egli
ode dal di dentro."
Novalis
Londra non era mai stata
così silenziosa come quel pomeriggio.
Come se all’improvviso la gente avesse
deciso di barricarsi nelle proprie case o nascondersi dietro le
scrivanie dei
loro uffici. Come se la pioggia avesse cancellato le impronte
sull’asfalto e
nessuno volesse più tracciarne di nuove. Come se anche i
taxi avessero
consumato carburante e di fare rifornimento non ne avevano proprio
voglia. Era
silenziosa quel giorno Londra.
Anche la pioggia non
sembrava più semplice acqua piovana, ma soffici coriandoli
che cadevano dal
cielo.
Isabella quel giorno non sarebbe voluta uscire, sicuramente avrebbe
preferito rimanere chiusa a casa, magari seduta sul vecchio tappeto
color
vermiglio, con una trapunta che avvolgeva il suo esile corpo e un buon
vecchio
libro tra le mani. Lei non era fatta per stare tra la gente. Di questo
ne era
consapevole, e Bella l’aveva capito da tempo, tanto che anche
gli altri avevano
imparata a ignorarla. Ma quel giorno decise di uscire, e chi sa per
quale
bizzarro motivo.
Camminava con la testa
bassa, gli occhi puntati sulle sue Converse nere, schivando qualsiasi
ostacolo
le bloccava il passaggio. Ma quel giorno la città sembrava
deserta.
Bella pensò
che forse tutto quel silenzio era causato proprio dalla sua improvvisa
uscita,
forse erano rimasti tutti sorpresi di vederla e d’incontrarla
per strada non ne
avevano proprio voglia. Infondo era sempre stato così,
l’avevano sempre evitata
quella ragazza dai lunghi capelli color mogano.
Alla fine lei, di tutte le
parole non sapeva che farsene, a volte, tanto rimaneva in silenzio, che
non si
ricordava nemmeno più come si facesse a produrre un suono.
Bella sospirava
solamente, e quello almeno, aveva imparato a farlo. Forse nessuno
sapeva farlo
bene come lei, si era allenata per essere la migliore. Si allenava
almeno dieci
volte al giorno, e quando dopo l’ennesimo tentativo produceva
un sonoro e
malinconico sospiro si riteneva soddisfatta.
E ora camminava tra le
strade di Londra, sospirando.
Un ondata di profumi e
aromi sconosciuti invasero i polmoni della ragazza dagli occhi color
cioccolato.
Bella quel profumo non l’aveva mai sentito, e stranamente per
quanto
misterioso, ne era irrimediabilmente attratta.
Lo seguì annaspando con spasmo,
in modo che s’imprimesse in ogni fibra del suo corpo, tra i
pori della pelle,
tra i tessuti della felpa che la copriva, voleva portarselo dentro per
poterlo
sentire ancora e ancora, fino a quando non ci sarebbe più
stato spazio nemmeno
per i pensieri.
Decise di seguirla quella
sua nuova droga. Perché davvero non aveva mai sentito nulla
di più buono.
Qual è
il sapore del cielo? Le nuvole sono forse
zucchero filato e i raggi del sole spighe di grano? E forse questo il
suo
profumo, è forse questo ciò che si sente in
paradiso?
Così persa nelle
sue
riflessioni, neppure si accorse di essere appena entrata
nell’Hide Park. Un po’
rimase sorpresa, perché non si ricordava neppure di
conoscerla la strada per
quel parco.
Era davvero tanto tempo che non usciva. Ma di scoprire il mondo lei
non ne aveva mai avuto voglia. Aveva sempre viaggiato solo attraverso
le parole
di un giovane avventuriero e scoperto terre esotiche e misteriose
tramite le
pagine consumate dei suoi libri.
Conosceva il tramonto perché aveva letto com’era
fatto.
Conosceva il calore del Sahara e il freddo dell’Antartide,
perché li
aveva letti, ma i suoi occhi quei meravigliosi paesaggi non
l’avevano mai
visti.
E ora che il cielo era non
era più ricoperto da dense nuvole e la pioggia aveva smetto
di cadere, Bella si
rese conto che un posto così bello non l’aveva mai
visto.
Maestosi e possenti alberi
s’ innalzavano lungo il sentiero. Bella sollevò la
testa verso i rami più alti
degli alberi, dove i deboli raggi del sole s’infrangevano,
imprigionandosi tra le
foglie.
Era davvero bizzarro il tempo di Londra.
Non sapeva mai se essere
triste o felice.
Un po’ come la ragazza che passeggiava timorosamente tra i
fili d’erba bagnata.
Bella non se ne rendeva conto, ma in quella città si
ritrovava perfettamente.
Erano un tutt’uno. Londra e Bella.
Di nuovo quel profumo
l’investì e questa volta non se lo
lasciò sfuggire.
Chiuse gli occhi,
amplificando uno dei cinque sensi. Usò l’olfatto
per trovare l’origine di
quell’essenza.
Si lasciò
trasportare un
po’ presa da un euforia che non le apparteneva, un
po’ persa nell’intensità di
quel momento.
Camminava calpestando fili d’erba verde, di un colore che a
fine
Aprile non aveva davvero mai visto.
Da quanto tempo mancava in quella città?
Eppure lei era sempre stata lì. Forse avevano ragione quando
le dicevano che
lavorava troppo. Ma il suo lavoro era anche la sua vita, e passare
intere
giornate dietro scaffali ricoperti di libri non le dispiaceva affatto.
Erano
tutto ciò che le rimaneva.
Bella si accorse di non
essere più sola, quando a una ventina di metri di distanza,
vide finalmente un
primo vero e proprio ammasso di gente.
Ed era proprio da
lì che
partiva il profumo che l’aveva drogata.
Improvvisamente, una
melodia malinconica, lontana, si fece spazio
tra la gente, raggiungendo e soffiando sulle spalle di Bella. Un suono di
chitarra classica invase l’aria, rendendola leggera,
rarefatta. Una
voce rauca, graffiante, attirò la sua attenzione.
Timidamente si
avvicinò alla piccola cerchia di
persone che ascoltavano rapiti.
Bella intravide un
ragazzo, dai capelli di un colore che non aveva mai visto, sembravano
ramati e
brillavano anche senza sole, si nascondeva dietro una chitarra
classica,
indossava una maglietta nera slabbrata e un paio di jeans chiari. Gli
occhi del
ragazzo erano chiusi, il viso contratto in una smorfia.
Era in piedi, la
gamba destra era leggermente piegata, per
sorreggere il peso della chitarra, mentre teneva la sinistra
completamente
curvata.
Durante tutta la durata
della canzone, non guardò
mai il suo pubblico improvvisato.
Ragazzi divertiti
lanciavano monetine dentro alla
custodia blu di velluto della sua chitarra, lasciata aperta ai suoi
piedi. Alcune
donne si fermarono ad ammirare quella forma d’arte che
raramente la si incontrava
in forma così pura lungo le strade.
Bella rimase
incantata, lentamente si allontanò andandosi a sedere
lungo il marciapiede, dal lato opposto. Rimase così immobile
a fissarlo.
C’era
qualcosa in quel ragazzo che costringeva Isabella a restare
ferma in quella posizione, come rapita.
Quando il misterioso
ragazzo suonò l’ultima nota, aprì gli
occhi.
E Bella in quell’istante venne invasa dalla marea di un
colore che di oceanico
non aveva nulla.
Poteva il mare avere un colore così intenso, poteva
l’oceano
essere verde?
La gente intorno a
lui si allontanò così come era arrivata, tutti
tranne Bella, che rimase seduta ad osservarlo, fin quando il musicista
non
raccolse tutte le sue cose, e con la chitarra conservata nella custodia
si allontanò.
Isabella adesso aveva
capito di chi era quel sorprendente profumo.
Se esistesse il
paradiso lui
ne farebbe sicuramente parte.
Ora aveva capito il
perché di tutto quel silenzio tra le vie della
città.
Lentamente si
sollevò sulle ginocchia e con passo incerto
ritornò
sui suoi passi.
Non c’era più il silenzio di prima, le persone
erano tornate a
popolare le strade, i nuovi profumi invasero quelli vecchi, ma Bella
quel
profumo l’aveva impresso dentro.
I
Londinesi la videro tornare a casa, sospirando.
*Pseudo scrittrice*
Lua è tornata con una nuova storia, diversa, decisamente
diversa
da The Butterfly Effect. Una storia che sento dentro e che ho avvertito
l'esigenza di scrivere, perchè le parole, le
situazioni, i
personaggi, cercavano di uscire dalla mia testa e per non sentire
più dolore mi sono decisa a mettere tutto su carta, o per
meglio
dire, su word.
Una storia scritta in
terza persona,
uno stile nuovo per me, non avevo mai fatto una long tutta in terza, ma
mi sono buttata in questa avventura e la porterò
avanti
fino alla fine. Questa storia sarà particolare,
scaverà
nell'animo dei suoi personaggi, e farà respirare l'aria di
Londra a voi
lettori, che spero apprezzerete questa mia nuova pazzia.
Perchè Londra?
Semplice, o
forse non poi così tanto. Sono stata tre settimane in questa
bellissima e affascinante città, l'ho vissuta, l'ho amata, e
ho
visto il musicista e la libraia. Ho visto Edward e Bella. Un omaggio a
questa meraviglia che mi ha protetto tra le sue vie e i suoi palazzi.
Sono state tre settimane indimenticabili, lunghe, e incredibilmente
vive. Mi sono sentita a casa.
Tornata in Italia mi sono
decisa a scriverla.
Non amo prolungarmi molto
nelle note,
ma qui mi sembrava necessario avvisare i futuri lettori, se ce se
saranno, che questa storia sarà sorprendente,
sarà
profonda, sarà una novità, che spero
verrà
apprezzata.
Se la mia idea vi ha
incuriosito
allora vi aspetto nel primo capitolo. Questa era solo
un introduzione, presto inizierà l'avventura tra il
musicista Edward e la romantica Bella.
Voglio
dedicare questa mia storia a tutti gli artisti di strada che
senza rendersene conto emozionano e fanno sognare.
Per chi volesse parlare
con me,
lamentarsi o per qualsiasi altra cosa, sono anche su Facebook, si ho
invaso anche lì! Vi lascio il link: Lua93 Facebook
Thanks.
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Capitolo 2 *** You're a Starlight ***
1. You're a Starlight
1. You’re
a Starlight.
"Nessun
vascello c'è,
che come un libro,
possa portarci in contrade lontane."
Emily Dickenson
I
capelli di Bella erano
sparsi sul pavimento, disegnavano un ventaglio aperto oltre la sua
testa. Il
colore scuro e consumato del vecchio pavimento di legno faceva da
contrasto a
quella pelle candida, che sotto quella luce sembrava tanto un manto di
neve. Il
naso piccolo e dritto puntava sul soffitto e gli occhi erano fissi su
quelle
parole che l’avevano conquistata sin dalla prima riga. Le
dita esili
stringevano la copertina rigida sovraccoperta del vecchio libro che
ormai da
troppo tempo l’aveva rapita e portata via dalla
realtà. Sembrava persa, ma lei
non voleva essere ritrovata. Quando apriva un libro non lo faceva mai
solo per
vivere una nuova avventura o una tormentata storia d’amore,
lei si tuffava tra
quelle pagine, un poco alla volta, per non farsi male. E quando
emergeva si
rendeva conto che alla fine il vuoto c’era ancora. Un enorme
buco nero che le
risucchiava anche i più nascosti pensieri. E in quel giorno
d’inizio Maggio,
mentre fuori i primi raggi del sole si decidevano ad uscire allo
scoperto, lei
si nascondeva tra le pieghe di quella grande stanza, circondata da
libri e
racconti, che secondo una logica irrazionale l’avrebbero
protetta dal resto del
mondo.
<<
Isabella!
>>
La
ragazza sobbalzò
facendo scivolare il libro dalle sue mani. Si sollevò dal
freddo pavimento
frettolosamente e senza accorgersene spinse il racconto che poco prima
stava
leggendo, infondo alla libreria in legno naturale. Si morse il labbro
inferiore, e cercò di sistemare la scena del misfatto.
<<
Isabella, dove
sei? >>
Si
sentì tanto una bambina
birichina, che dopo aver allungato le mani verso la credenza per
mangiare
qualche biscotto, era stata scoperta. Lei lo sapeva bene che quello non
era il
suo posto. Che Miss Popper non l’aveva assunta per bivaccare
con un libro in mano.
No, lei non era lì come lettrici. Lei
doveva
venderli i libro. Doveva diffondere l’arte della lettura e
non celarla e
tenerla solo per se.
Quando
Bella si sporse
oltre la porta, vide la donna avvicinarsi.
<<
Oh Bella, ma cosa
devo fare con te? >> L’anziana signora
sollevò un sopracciglio, formando
altre ruga su quella pelle ormai non più giovane.
Miss
Popper ci provava davvero,
ma nel ruolo della cattiva non riusciva proprio a calarci.
Sollevò le spalle e
il petto si gonfiò quando rubò tutta
quell’aria dalla stanza. Bella abbassò la
testa osservando dove il libro si fosse nascosto, e in silenzio lo
recuperò.
Sentiva gli occhi chiari di Miss Popper sulla schiena che quasi gli
perforavano la
spina dorsale tanto l’intensità. Si
voltò senza un espressione sul volto e mise
al suo posto Le affinità elettiva.
Miss
Popper sospirò,
<< vieni cara, andiamo all’ingresso. Ti fa male
respirare tutta questa
polvere. >>
Bella
si lasciò guidare
senza controbattere, ma non la pensava come lei. La muffa
dei libri, così come lei la chiamava, non era altro che
tutto
il vento che avevano assorbito durante il loro viaggio per arrivare
fino a lì.
E Bella quel profumo lo venerava, lo rispettava, perché era
antico. Era un
cimelio importante della storia di ognuno di quei libri, per questo,
quando
entrava in quel vecchio magazzino, respirava a pieni polmoni.
C’era
silenzio, forse
troppo per definirlo tale. Forse era meglio dire che non
c’era nulla,
esattamente come quel niente che Bella sentiva dentro. Osservava dritto
davanti
a se, la testa spingeva sulle mani e i gomiti sulla quale si poggiava
sembravano non reggere più.
Era
vuota la libreria quel
giorno.
O
forse era meglio dire
che era sempre vuota.
Nessuno
entrava più in
quel vecchio magazzino all’angolo di Notthing Hill. Nessuno
che avesse
realmente intenzione di acquistare un libro. Quelli che varcavano la
porta
d’ingresso l’avevano fatto solo per il gusto di
sentir vibrare il campanellino
posto sulla soglia. La maggior parte delle volte erano solo turisti
curiosi,
che alla fine di entrare in quel negozio o nel supermarket infondo alla
strada
poco importava. Era l’euforia della scoperta che
l’invogliava ad entrare ogni
volta. E Bella ormai aveva imparato a distinguere i respiri della gente
che
entrava in quelle rare volte, e solo una volta su mille, sollevava la
testa.
Quel
giorno, era uno di
quei giorni in cui la testa di Bella non si sollevava mai.
Miss
Popper era una
signora anziana, che di anni ne aveva parecchi dietro le spalle, aveva
acquistato esperienze e conosciuto davvero tante persone. Ma una come
Isabella
Swan non ne aveva davvero mai viste. Si perdeva ad osservarla. A volte
stava
ore intere a scrutare ogni suo minimo movimento, perché
quella ragazza era
davvero da scrutare. Miss Popper lo sapeva, Bella era una di quelle
persone
belle, non solo in senso
fisico, ma belle e
basta. Belle perché quando sorridevano illuminavano
ciò che li circondava. Belle
perché il suono della loro voce riempiva l' aria. Belle
perché ad osservarle ci
si sprecherebbe anche tutta la vita. Ecco, Isabella era una di quelle
persone.
<<
Isabella? >> La voce
sottile della padrona di quella vecchia libreria, attirò
l’attenzione di Bella,
che sollevò la testa, incuriosita.
Il vestito di lino
azzurro svolazzò
come mosso dal vento, mentre il corpo della signora si muoveva lento
verso la
scrivania dove Bella era seduta.
<<
Stavo pensando, oggi è una
bella giornata, perché non esci fuori a prendere una boccata
d’aria? >>
Per quanto Miss
Popper si sforzasse di
capire com’era fatta quella ragazza, non riusciva mai a
comprendere i suoi
desideri.
Bella non le rispose,
ma attese
comunque che continuasse, perché lei invece aveva imparato a
conoscerla quella
simpatica vecchietta.
<<
Potresti fare una passeggiata
nel parco, il terreno è asciutto, non è piovuto.
>> Continuò dolcemente.
Il cuore di Bella si
mise a pompare più
sangue quando aveva associato il parco al musicista che aveva visto
qualche
giorno prima.
Era ancora nella sua
mente quella
canzone, e la voce di quel ragazzo sconosciuto scorreva ancora nelle
sue vene.
Aveva provato a scacciarlo via quell’assurdo pensiero, ma
proprio non c’ era
riuscita. Avrebbe tanto voluto rivederlo, non perché
provasse per lui chi sa
quali sentimenti, ma per il semplice fatto che la sua voce la metteva
in pace
con il mondo. Bella questo non riusciva proprio a capirlo, ma almeno il
profumo
era riuscita a conservarlo. Se smetteva di respirare riusciva a
percepirne il
retrogusto amaro del melograno e la dolcezza rifinita della vaniglia.
Si morse
ancora una volta il labbro inferiore, questa volta però non
per paura di essere
scoperta, ma per il dubbio di andare o meno.
<<
Potresti prendere un libro e
leggerlo seduta sotto i rami di un albero. Oggi la giornata
è davvero fiacca,
posso cavarmela anche senza di te. >> Continuò
Miss Popper.
Isabella
rifletté sulle sue parole e
alla fine si decise ad alzarsi.
<< Per
qualsiasi cosa non
esitate a chiamarmi. >> Sorrise depositando un piccolo
bacio sulla
pallida guancia della signora.
Miss Popper
alzò gli occhi al cielo e
ridacchiò esasperata, << vai e assorbi
più vitamina D che puoi, è raro
vedere un sole così bello. >>
Prima di lasciarla
andare via, Miss
Popper andò nel magazzino per recuperare il libro che
Isabella stava leggendo,
<< così avrai la possibilità di
finirlo. >> Le disse aprendole la
porta di legno massello.
Il campanellino emise
uno stridulo
suono quando la porta si richiuse. Le tende giallastre vennero scostate
leggermente e il riflesso di un sorriso comparve sul vetro della porta.
Miss Popper
lasciò scivolare il
tessuto dalle sue dita e si voltò verso la scrivania, senza
smettere di
sorridere. Quella ragazza da quanto era arrivata gli aveva cambiato la
vita.
Il cielo quel giorno
era color
biadetto. Si diceva che venisse estratto dalle ceneri di oltremare e
che i
pittori lo usassero spesso per dipingere quel manto azzurro sopra le
loro
teste. Lo facevano perché era raro e quando qualcosa
diventava così preziosa si
custodiva segretamente, così Isabella quel giorno
scattò una fotografia
immaginaria al cielo, per imprimerlo per sempre nella sua memoria.
Le strade erano
affollate e Bella si
sentiva strattonare da una parte all’altra del marciapiede,
stringendo tra le
mani il libro che Miss Popper gli aveva concesso di leggere. Lo teneva
vicino
al cuore per paura di perderlo. Teneva tutto quello che non voleva
perdere
vicino al cuore, così come gli aveva insegnato sua mamma. Un
giorno però, Bella
la perse e non riuscì più a trovarla,
così una parte del suo cuore scomparve
con lei.
Non ci pensava mai al
suo passato,
cercava di dimenticarlo, non perché fosse stato violento,
semplicemente perché
quando si trovava lontana dalle persone che amava, lei cercava di
dimenticarle,
per non soffrire la loro mancanza.
Perché
quella lontananza non era
divisa da un oceano o da qualche miglio, no, la distanza che separava
Bella
dalla sua mamma si chiamava cielo.
Ed era passato
così tanto tempo che il
colore di quel volto celeste, il giorno che portò via sua
madre, neppure
lo ricordava più.
Così per
paura di perdere ancora
qualcosa, le teneva strette al cuore, e si era preoccupata di difendere
solo
quello che le circondava, che stava dimenticando la cosa più
importante. Perché
Bella non se ne rendeva conto, ma fuori dal suo cuore aveva scordato di
custodire se stessa, così lentamente la stava perdendo.
Era rimasta incantata
ad osservare
come la gente diventasse diversa quando si scontrava, che quasi si era
dimenticata di cambiare strada. I suoi piedi camminavano dritti, senza
una
destinazione precisa. Il suo cuore però, sapeva dove andare.
Così
ripercorse la strada di qualche
giorno prima e di nuovo si lasciò trasportare per
raggiungere il parco. Il suo
desiderio era quello di poter leggere il libro in tranquilla armonia,
ma
avrebbe tanto voluto rivedere quel musicista, perché la sua
voce, la sua
canzone gli erano mancate.
Erano diversi giorni
che le ascoltava
solo attraverso i ricordi tanto che si chiese se fosse tutto frutto
della sua
fantasia, eppure non si sorprese quando giungendo a destinazione,
ritrovò lo
stesso bizzarro ragazzo che suonava la medesima canzone.
Jonathan Rhys Meyers - This Time
Sorrise, e si
avvicinò lentamente al
piccolo gruppo di persone che l’ascoltavano rapiti.
Bella si sporse per
osservare il suo
volto.
I suoi occhi erano
attenti, il loro
colore sembrava tanto quello di una pietra preziosa, Bella ci
pensò su qualche
secondo, poi si convinse che la giada era quella che più gli
somigliava.
Lei si perse ad
osservare i dettagli
di quel volto dalla carnagione così pallida da sembrare
essere fatta di
porcellana. Seguì i tratti del suo viso, perdendosi lungo la
linea ben definita
della mascella per poi scendere lungo il collo. Lui era solo un
ragazzo, ma già
profumava di uomo.
Quando il musicista
posò i suoi occhi
sul suo pubblico non si accorse della ragazza con i capelli color
mogano, non
si accorse neppure che lei era l’unica che lo stesse
osservando davvero. Non si
accorse di tante cose quel giorno, che Bella senza far rumore si
allontanò,
raggiungendo il lato opposto del marciapiede, per poter sentire vibrare
meglio
le sue corde vocali. Perché voleva essere sola e al contempo
circondata da
gente, quando ascoltava la voce di quello sconosciuto.
Il musicista teneva
la sua chitarra in
mano, lasciando che le dita pizzicassero sulle tese corde.
La ragazza smise di
respirare con i
polmoni e cominciò a farlo con il cuore, stringendo il libro
tra le sue piccole
mani.
E quando lui chiuse
gli occhi, lei
iniziò a vedere.
Qual è il tuo nome
straniero?
Ognuno di noi ne
possiede uno. Potresti chiamarti Prato, perché i tuoi occhi
sono come
un’immensa tela colorata di verde. Potresti chiamarti
Battito, perché è quello
che la tua voce mi sta facendo crescere dentro il mio petto. Il tuo
nome
potrebbe essere Buco Nero, perché senza rendertene conto mi
stai risucchiando.
Cosa sei straniero?
Posso chiamarti
straniero?
Potrei vivere solo
della tua musica dolce viandante. Chi sei?
Un Buco Nero? Una
Meteora? Non sei di questa Terra, forse neppure di questa Via Lattea,
eppure
sei fatto di un materiale che Shakespeare definirebbe Sogno.
Posso ascoltarti
cantare? Posso farlo senza disturbare?
Mi sento in pace, e
non solo con il Mondo, ma con l’intero Universo.
Bella
ascoltava rapita, persa dentro le vibrazioni della sua voce, persa
nell’aria che lui catturava per sprigionare nuovi respiri
fatti di parole.
Si
accorse che la canzone era quasi terminata quando le note iniziarono
ad affievolirsi e le mani del musicista sfiorare sempre più
lentamente le
corde. Così senza indugiare oltre aprì la prima
pagina del libro, quella bianca
che precedeva l’introduzione, e prendendo una penna blu dalla
sua piccola
borsetta nera, scrisse velocemente. La punta della penna tracciava
linee e
cerchi violenti sulla delicata carta. Erano parole che bruciavano,
erano vive.
Bella
sollevò lo sguardo accertandosi di non avere nessuno accanto
a se,
scattò in piedi felice di vedere invece, le persone che
gettavano monetine nella
custodia posata davanti i piedi del ragazzo.
Con
passo svelto si avvicinò al musicista e senza farsi vedere
gettò il
pezzo di carta bianco ripiegato nella custodia.
Sorrise
allontanandosi, certa che nessuno l’avesse vista.
Edward
era solo, il suo pubblico era appena andato via, si era dissolto
ed era tornato nel mondo reale. Era da quella mattina che gironzolava
per la
città suonando e cantando, e a quell’ora del
giorno era già stanco.
Raccogliendo il frutto del suo lavoro si accorse di un bigliettino
ripiegato,
incuriosito lo prese tra le mani e l’aprì
lentamente.
You’re
a Starlight. Thanks for your light.
Sorrise alzando lo sguardo
come se cercasse qualcuno, eppure era solo.
Ripiegò il bigliettino e l’infilò nella
tasca del vecchio jeans, recuperando la
sua compagna di avventure. Nessuno l’aveva mai descritto con
quelle parole.
Chiunque fosse stato, pensò, doveva essere qualcuno che
aveva l’occhio celeste,
perché solo un essere superiore poteva vedere
così tanta bellezza in qualcosa
di umano. Così si allontanò dal parco, con ancora
il sorriso sulle labbra.
Lua93:
Siamo arrivati alla fine del primo capitolo di Buskers. Quanti di voi
si sono chiesti cosa significasse questo titolo? Che cos'è
Buskers, che cosa sono? Semplicemente significa artisti di strada.
Questa storia è dedicata a loro, e un pò anche a
me. Qui
troverete tutto quello che io amo di più. Londra, la musica,
i
libri, l'amore, l'amicizia e ovviamente i colori. Perche' amo Londra?
Forse semplicemente perche' come dicono le persone che vivono intorno a
me, Londra è nei miei occhi. Ecco direi che sia la risposta
migliore, forse, sarò anche un pò presuntuosa, ma
io
Londra la sento. Probabilmente prima di nascere in questo corpo ero una
goccia del Tamigi o un filo d'erba dell'Hyde Park. E perchè
no,
anche la lancetta dei minuti dell'orolodio del Big Ben. Forse tutto o
nulla, ma probabilmente ero Londra.
Perchè amo la musica? Perchè le note arrivano
lì
dove le parole non bastano, sono solo 7 eppure creano un
infinità di emozioni. Poi la musica crea e non distrugge
mai,
non è forse la cosa migliore che potessero inventare? Anche
se
credo sia stata la musica ad inventare noi...
I Libri sono semplicemente la mia anima, leggere per me è
essenziale come respirare.
Amore e Amicizia sono tutto ciò di cui ogni essere umano
avrebbe bisogno per sopravvivere.
E perche' i colori? Semplicemente perchè riempiono i
contorni e completano quello che il buio non riesce a finire.
E ora vi ho parlato un pò di me, probabilmente molte di voi
avranno saltato qualche punto, ma ecco, sentivo il bisogno di dirvelo,
che in questa storia troverete un pò di me in ogni capitolo,
e
perche' no, anche un pò di voi.
Ma iniziamo a parlare del capitolo, che forse è meglio.
Isabella mi sembra abbastanza chiaro, vive in un mondo tutto suo, fatto
di libri e parole. Edward vive in un altro mondo, fatto di note e altre
parole. Sono due mondi paralleli, binari che si prolungano
all'infinito, e chi lo sa se sono fatti per trovarsi, forse si, forse
no.
Bella ha una concezione particolare di ciò che la circonda e
tende a vedere tutto sotto una luce diversa. Edward preferisce invece,
tenere gli occhi chiusi. In questo capitolo Bella si è
esposta
aprendosi a Edward, sotto forma di luce. Toccherà ad Edward
capire se vale la pena inseguirla. La storia è ancora tutta
agli
inizi, succederanno tante cose, che li faranno scoprire e avvicinarsi.
Sono felice di vedere che questa storia vi piace e ogni vostra parola
mi riempie di felicità. Spero di portare un pò di
luce
anche io dentro ognuna di voi =)
Grazie per aver letto questo papiro. Al prossimo capitolo.
Un bacio,
Lua.
|
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Capitolo 3 *** September 13 ***
Secondo capitolo
2.
September 13.
Come è nobile
chi, col cuore triste,
vuol cantare ugualmente un canto felice, tra cuori felici.
Kahlil
Gibran
La
sua stanza era sempre
stato il rifugio migliore, quello in cui nascondersi, quello in cui
piangere e
sorridere. Così colmo di libri che l’ossigeno
veniva assorbito dalle pagine e
sottratto ai polmoni di Bella.
Quella
mattina Bella si
era svegliata con un gran sorriso dipinto sulle labbra.
Si
sentiva euforica e
anche un po’ emozionata all’idea di aver scritto un
biglietto a uno
sconosciuto. Non che gli avesse lasciato quel biglietto con lo scopo di
essere
rintracciata, l’aveva fatto solo perché in quel
momento era ciò che il suo
cuore le aveva ordinato. Nel momento in cui le parole furono
trasferite dal
suo cuore alla carta, Bella si era sentita sollevata, più
leggera.
E
chi sa per quale assurdo
motivo, desiderava che anche lui, leggendole si fosse sentito
così.
Quando
si alzò dalle calde
coperte si accorse che ancora una volta, era da sola. I pensieri non
riuscivano
mai a riempire tutto il vuoto, neppure la voce calda e famigliare del
musicista
ci riusciva perfettamente. Ma lui, in una maniera quasi assurda
riusciva a
calmarla e riscaldarla, per questo aveva deciso di tornare a trovarlo,
di
sentirlo cantare ancora, perché Bella aveva bisogno di
calore. Calore umano.
Il
piccolo appartamento in
cui viveva si trovava a pochi isolati dalla libreria di Miss Popper.
Lavorava
lì da più di due anni, da quanto la sua vita era
cambiata.
Era
sempre stata forte
Bella. Lei era una ragazza che nelle lacrime si rifugiava solo quando
non c’era
nessuno a osservarla.
Era il 13 Giugno, lo ricordo come
se fosse ieri.
Era una calda giornata estiva.
Ricordo ancora i raggi
del sole che bruciavano sulla mia pelle. Ricordo la camicetta bianca
che
indossavo, quella che inspiegabilmente credevo mi portasse fortuna.
I miei genitori me la regalarono un
anno prima, quando
prendendo la patenta
raggiunsi un primo
obbiettivo. Ero
così felice quel giorno,
che mai avrei creduto, che a distanza di tre mesi tutto sarebbe
cambiato.
Tre mesi.
Tre miseri, insignificanti mesi.
Era il 13 Giugno quando mia madre
svegliandosi si sentì
stanca, come se quella notte non avesse chiuso occhio.
Era il 13 Giugno quando preparando
la colazione si
passò una mano tra i capelli, ritrovandosi tra le dita
ciocche rossicce.
Era il 13 Giugno quando in
ospedale, gli
diagnosticarono un tumore.
Quel giorno cambiò le
nostre vite. Quel giorno segnò
l’inizio della fine.
Ricordo
il dolore, così vivo
che colpiva come scariche elettriche il mio corpo, era una tortura, una
lenta agonia. Ricordo le lacrime, sia le mie che quelle di mia madre.
Ricordo il colore dei suoi capelli, la loro morbidezza, il loro profumo
prima di perderli tutti a causa della chemioterapia. Ricordo l'odore
nauseante delle medicine che era costretta a prendere e i tonfi
improvvisi dovuti alle sue cadute.
E tuttora tremo al solo ricordo
della nostra ultima
conversazione, quella in cui fummo costrette a salutarci.
Le sue parole risuonano nella mia
mente, sono un eco
continuo, quante volte ho creduto di farcela, quante volte mi sono
illusa,
credendo di avere la forza di dimenticare.
Esattamente tre mesi dopo essere
certi che ormai non
c’era più nulla da fare, mia madre ci
abbandonò.
Io e mio padre rimanemmo distrutti,
entrambi
prigionieri di un dolore più grande di noi.
Fu un’ondata che ci
travolse in pieno, una corrente
cosmica che ci allontanò l’uno
dall’altro, forse fu anche per questo motivo,
che non mi accorsi di quello che stava accadendo.
Forse perché chiudendo i
miei occhi avevo perso la
possibilità di vedere la realtà.
Le certezze erano poche, opache,
diventate verità
quando il giorno del mio diciottesimo compleanno, svegliandomi mi
ritrovai
senza una madre.
Fu la telefonata
dell’ospedale a farmi aprire gli
occhi.
Fu vedere il letto che
l’aveva ospitata per settimane
vuoto a svegliarmi.
Fu scoprire che quella mattina del
mio diciottesimo
compleanno mio madre aveva lottato, contro il suo stesso destino, pur
di
vendermi, pur di sorridermi ancora un ultima volta.
Fu il 13 Settembre, il giorno del
mio compleanno, che persi
chi mi diede la vita.
Una
sola data gli aveva
segnato la vita, cambiandola per sempre. Erano passati tre anni. Era
passato
tanto tempo, ma il suo compleanno ormai aveva smesso di festeggiarlo.
Così come
aveva smesso di credere che quella camicetta bianca portasse fortuna.
Suo
padre era tornato a
Forks, sua cittadina di nascita, un anno dopo la morte della moglie.
Non
riusciva più a vivere in una città dove tutto
ciò che vedesse gli ricordava
lei. Dove si erano conosciuti, dove si erano amati, dove sposandosi
avevano
deciso di mettere su famiglia. Dove era nata Isabella, dove
l’avevano vista
crescere, dove vide morire il suo amore.
Più
volte chiese alla
figlia di partire con lui, di allontanarsi dai ricordi e ricominciare
una nuova
vita, o almeno di provarci. Ma Bella era sempre stata una ragazza
testarda, lei
di allontanarsi da Londra non ci pensava nemmeno, era inconcepibile,
per questo
una mattina di primavera accompagnò suo padre in aeroporto.
Le loro strade si
divisero, ma lei, suo padre lo teneva sempre nel cuore, lui era una di
quelle
persone da custodire.
Iniziò
a lavorare da Miss
Popper, nella sua libreria, circa due anni fa, subito dopo che il padre
partì.
Era
felice di quel lavoro,
perché trovò nei libri un rifugio,
perché trovò in quel mondo, la vita che
nella realtà gli era stata rubata.
Bella
stringeva tra le
mani la tazza verdastra, accoccolata sul vecchio divano, sorseggiando
il suo
caffè. Era caldo, bruciava scivolando lungo la gola, e
più lei soffiava per
raffreddarlo, più il liquido sembrava scottare. Posato sul
tavolino di legno,
di fronte il divano, vi era un libro.Era riuscito a finirlo, tornata a
casa. Prendendolo tra
le mani, aprì la prima pagina, quella bianca che il giorno
prima aveva
strappato. L’aveva stracciato di fretta, senza seguire un
disegno preciso,
sembrava essere stato fatto da un bambino, eppure era felice,
perché se mai un
giorno il foglio strappato fosse tornato, unendo la pagina bianca al
pezzo di
carta, avrebbero combaciato perfettamente.
Era
mattina e per quanto
desiderasse correre in libreria, sapeva che Miss Popper non
l’avrebbe lasciata
entrare. Passava troppo tempo tra i libri, dimenticandosi della sua
vita.
Eppure
non le importava, o
almeno credeva che non fosse importante.
Aprì
una pagina a caso, e
rimase sorpresa, perché tra tutte le frasi i suoi occhi
caddero proprio su
quella:
Ci
sono cose che il destino si propone ostinatamente. Invano gli
attraversano la
strada la ragione e la virtù, il dovere e tutto quello che
c'è di più sacro:
qualcosa deve accadere, che per lui è giusto, che a noi non
sembra giusto e
possiamo comportarci come vogliamo, alla fine è lui che
vince.
Lo lesse
più e più volte, poi alzò lo
sguardo sull’orologio appeso alla parete, e
sospirò.
Posò il
libro aperto sul tavolino,
alzandosi dal divano.
Dopo poco
più di venti minuti, Isabella
era già lungo le strade di Londra.
Sul tavolino del suo
salone, una
vecchia tazza aspettava che il suo contenuto venisse bevuto e la frase
di un
libro compresa.
<<
Bella, quante volte ti ho detto che non ti voglio vedere prima delle
nove?
>> La voce roca e anziana di Miss Popper giunse non
appena il
campanellino della porta vibrò.
Bella trattenne un
sorriso compiaciuto
e si limitò a fare spallucce.
L’anziana
signora le si avvicinò.
Quella mattina indossava un vestito color seppia, chi sa dove li
trovava tutti
quei colori così bizzarri. Questo Bella non lo sapeva, ma li
adorava.
<< Non
riesco a stare troppo
lontana da questo posto, e poi, >> sorrise timidamente,
<< mi
mancavate. >> Disse sincera.
Margaret, questo era
il nome di Miss
Popper, la proprietaria della libreria, le sorrise.
<<
Dovresti frequentare qualcun
altro al di fuori di me, sono troppo vecchia per certe cose.
>> Scherzò
la donna stringendo Bella in un caloroso abbraccio.
Calore umano.
Bella la strinse
forte, ma non era
neppure quello l’abbraccio che stava cercando.
Si
allontanò da Margaret e le sorrise
dolcemente, << sono arrivati nuovi libri?
>> chiese interessata,
sistemando una ciocca di capelli dietro l’orecchio.
Miss Popper scosse la
testa, <<
sono mesi che non facciamo rifornimento. Bella stiamo andando in
fallimento.
>> Sussurrò debolmente la donna.
Per Isabella quelle
parole furono come
un pugno in pieno stomaco.
<< Non
avrete intenzione di
chiudere, vero? >> chiese con voce smorzata.
Il
suo cuore accelerò i
battiti, e dentro di lei, sentiva già rompersi qualcosa.
Perché senza la
presenza costante di quel negozio, di quel profumo, di quei libri nella
sua
vita, Bella si sentiva persa.
Gli
occhi azzurri di Margaret
scrutavano quelli color cioccolato di Bella. Come poteva farlo? Come
poteva
allontanarla così?
<<
No, non ancora.
>> Le rispose, e il viso di Bella tornò a
colorarsi di rosa.
Miss
Popper si avvicinò,
<< bisogna spolverare gli scaffali. >> Le
disse dolcemente. Bella
annuì e come ogni mattina si mise a pulire tutta la
libreria, spolverando libri
e lavando il pavimento.
Non
riuscì a fare altro, tutto il suo mondo girava
intorno a quella libreria, e perderla avrebbe significato perdere se
stessa.
Capitolo:
- Il
giorno in cui la
madre di Bella, Reneè scopre di avere un tumore è
il 13
Giugno, esattamente dopo tre mesi, il 13 Settembre giorno del
compleanno di Bella lei muore. Vorrei precisare che c'è un
motivo valido per cui ho deciso di far "morire" Reneè in
quel
preciso giorno. Nei prossimi capitoli si capirà l'importanza
di
questa mia decisione.
-
Reneè è morta
tre anni prima. Dopo un anno dalla sua scomparsa, Charlie si
è
trasferito a Forks e Bella ha iniziato a lavorare nella libreria di
Miss Popper abbandonando l'università, sono quindi due anni
che
Bella conosce Miss Popper.
- La frase:
Ci
sono cose che il destino si propone ostinatamente. Invano gli
attraversano la
strada la ragione e la virtù, il dovere e tutto quello che
c'è di più sacro:
qualcosa deve accadere, che per lui è giusto, che a noi non
sembra giusto e
possiamo comportarci come vogliamo, alla fine è lui che
vince.
E' tratta dal libro "Le affinità Elettive" di Goethe.
Lua:
Prima
di parlare di questo
capitolo, volevo ringraziare ognuno di voi, perchè con le
vostre
parole avete risvegliato una parte della mia anima, che credevo
assopita da tempo. Vi ho ringraziato personalmente, rispondendo ad
ognuna di voi, ma non mi sembra abbastanza, ogni frase riduttiva, e
vorrei che voi poteste vedere il mio sorriso, perchè
è
sincero. Mi sono emozionata, perchè avete visto una persona
dietro questa storia, che non credevo fosse possibile scoprire. Questo
significa che le mie parole stanno toccando i tasti giusti, che vi sto
facendo emozionare e che almeno per dieci minuti vi riesca a portare
nel mio mondo. Significa davvero tanto per me, e di questo non posso
che esservi grata. Ognuna di voi si rispecchia in questa storia, chi in
Londra, chi in Bella, chi nella Musica o nel Libri, questa è
una
cosa che mi rende felicissima, allora non sono l'unica che sta
emergendo, io scrivendola e voi leggendola. Vorrei che ognuna di voi mi
raccontasse di se, delle proprie emozioni, perchè
è di
questo che mi nutro, delle sensazioni dei lettori, sembrerà
stupido, ma questa storia esiste solo grazie a voi. Non
smetterò
mai di ringraziarvi, non smetterò mai farlo.
Detto questo vorrei parlarvi del capitolo. Davvero molto triste, non
posso negare il nodo allo stomaco che avevo mentre lo scrivevo. La
madre di Bella è stata portata via da un male davvero
orribile,
ed è stato davvero una corsa contro il tempo,
perchè
hanno fatto di tutto per salvarla, ma la Natura aveva già
deciso. Bella si sente distrutta, tradita, perchè lei nella
madre vedeva la sua vita, tutto girava intorno a lei e alla sua
famiglia perfetta. Erano una catena, ma una volta spezzato un anello
tutti gli altri si sono sgretolati come se fossero fatti di sabbia.
Charlie per il troppo dolore è tornato a Forks, lasciando
sola
Bella. Non gliene vogliate, lui ama Bella incondizionatamente, ma
proprio non ci riusciva a vivere nella città che prima gli
aveva
donato tutta la felicità e poi improvvisamente gliel'aveva
strappata. Più volte ha cercato di convincere Isabella, ma
lei
di lasciare Londra proprio non ne ha voglia. Al contrario del padre,
Bella in Londra vede ancora la madre. Non mi odiate vero? Solo
perchè è scomparsa nello stesso giorno del
compleanno di
Bella, ma è un dettaglio davvero molto importante, che
caratterizzerà il cambiamento di Isabella. Potete cercare di
capirla? Si sente vuota, distrutta, ha bisogno solo di ritrovare se
stessa e di riscoprire quel lato del suo carattere nascosto
dentro il suo cuore dopo la morte della madre. Questo capitolo era
dedicato a Bella e ad una piccola parte del suo passato.
Nel prossimo che arriverà dopo Natale, invece, ritroveremo
Edward, e accadrà qualcosa di speciale.
Vi auguro nel frattempo un felice e caloroso Natale, per gli auguri del
nuovo anno dovrete aspettare il prossimo capitolo =P
Merry Christmas
angeli.
Lua.
|
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Capitolo 4 *** A special gift ***
3. A special gift
3. A special gift.
"Chiunque sia in grado
di mantenere la capacità di vedere la bellezza,
non diventerà mai vecchio."
Franz Kafka
Ciao.
Che bel modo di
presentarsi, utilizzando una semplice parola.
Una singola parola
che non dice nulla, o che se compresa può dire tutto.
Potrebbe riferirsi a
un addio o a un incontro, a un saluto detto tra due amici oppure al
sospiro del
vento durante una fredda giornata di Novembre. Ci pensi mai quanti
significati
potrebbe avere la parola “ciao”?
Io ci ho riflettuto
parecchio, e sono giunta alla conclusione che un semplice
“ciao” per
presentarsi non basta mai. Però credo tu ti debba
accontentare, perché questo è
tutto ciò che riesco a dirti per adesso, poi più
in là, forse, riuscirò ad
aggiungere un'altra parola. Ma adesso accontentati di questo
“ciao”, che le tue
orecchie non ascolteranno mai, però sono certa lo troverai
tante volte tra le note
delle tue canzoni. Così te lo voglio urlare questo mio
saluto e comporre con te
una poesia.
Mille volte ciao,
bizzarro viandante.
La
mano di Bella si agitava convulsamente, stringendo forte
l’esile biro tra le
dita. Aveva deciso di iniziare a scrivere, e aveva deciso di farlo
proprio
adesso.
Si
trovava seduta su una vecchia panchina in legno, al centro esatto
dell’enorme
parco. Non sollevava mai lo sguardo verso i passanti che
l’osservavano
incuriositi. Non voleva vederli sorpresi, almeno non più di
quanto lei stessa
non fosse.
Da
troppo tempo stava rinchiusa nella sua torre
d’avorio, fatta di libri.
Erano
mesi che non usciva, o meglio, che non frequentava gli stessi luoghi.
Casa,
strada, libreria, non si potevano ritenere passeggiate rilassanti o
uscite per
dare libero sfogo ai pensieri. Però, dal primo giorno in cui
Bella aveva
ascoltato la voce di quel misterioso cantante aveva deciso di bearsi di
quel
suono ogni giorno. Per questo veniva sempre qui, nello stesso posto,
alla
stessa ora e con la stessa espressione stralunata.
Il
cantante era di una bellezza rara. Bella non riusciva a distogliere lo
sguardo,
ma non solo perché lui era esteticamente piacevole. Isabella
ammirava la
bellezza, l’armonia che trasparivano dalle sue canzoni. Era
questo che lo rendevano
bello ai suoi occhi.
Bello
di una bellezza senza eguali.
Bello
da rimanere incantato a fissarlo per ore.
Bello
da perdere la testa.
Bello
da ritrovarla quella stessa testa.
Bello
da riuscire a trasportare Isabella in un mondo parallelo, dove i
ricordi erano
frammenti lontani di una vita passata, e la voce di quel musicista una
ninna
nanna dal retrogusto mielato.
Così
Bella scriveva, di cosa poi ancora non l’aveva capito, ma
continuò a farlo, e
lasciò che fossero le dita a guidarla, lasciò che
fosse ciò che sentiva a
liberarla da quelle angustie catene. Chiudendo gli occhi, Bella
riusciva
finalmente a vedere. Aprendo il cuore poteva ascoltare, e con le mani
scrivere
ciò che gli veniva dettato da esso.
Non so chi sei, non
so come ti chiami, non conosco il tuo colore preferito e il numero
delle scarpe
che porti.
Non ti ho mai visto
piangere, forse neppure sorridere per qualcosa che ti ha reso davvero
felice.
Non ti ho mai visto correre sotto la pioggia, perdere un treno,
ritrovare un
vecchio diario pieno di ricordi.
Non ti ho mai visto
senza la tua chitarra, a dire il vero penso tu non la lasci mai.
E’ un po’ come
il guscio di una lumaca, credo sia la cosa più simile ad una
casa.
Non conosco tuo
padre, non ho mai assaggiato la torta di mele di tua madre, non conosco
i nomi
dei tuoi fratelli o il soprannome del tuo cane, non so neppure se nella
tua
vita sono presenti tutte queste persone, o se sono solo frutto della
mia
fervida immaginazione.
Tu però nei miei
occhi ci sei entrato e non riesco a toglierla la tua immagine dalla mia
mente.
Sei come un vecchio giradischi che rimanda sempre la stessa canzone, ed
è la
tua voce che mi trattiene dal cambiarla.
Sollevando
gli occhi dalle pagine ricoperte di parole, Isabella rimase ad
osservare il
musicista. Il suo viso era disegnato da delicati lineamenti, il colore
pallido
della pelle lo rendeva antico, fragile, sembrava essere stato
catapultato in
un'altra epoca, in un mondo che non era il suo. I capelli di un biondo
ramato
si muovevano liberi come fili d’oro ad ogni folata di vento.
La mascella e il
mento erano ricoperti da una lieve barbetta ramata, di quelle che si
vedevano
spesso sui ragazzi appena diventati uomini. Quelle strane, a chiazze,
morbidi
al tatto, quelle che ti facevano sembrare un uomo con l’animo
ancora da
ragazzino.
Anche
se il suo corpo non dimostrava più di venticinque
anni.
Le
sue mani si muovevano dolcemente sulle corde della chitarra e la sua
voce
accompagnava delicatamente quelle note. Teneva gli occhi chiusi, come
se avesse
paura che una volta aperti tutta la magia potesse svanire. Bella lo
fissava da
lontano, lo ammirava, forse troppo ossessivamente, ma c’era
qualcosa in quel
ragazzo, qualcosa in quella voce che la calmavano, che le portava via
il
dolore. Così si ritrovò a sorridere, anche se lui
non poteva vederla, anche se
lui probabilmente non l’avrebbe mai vista. Però
Bella pensò che quel sorriso,
lui l’avrebbe avvertito, e che l’energia emanata
dal suo corpo irradiava calore
direttamente sul suo. Così lei pensò che una cosa
del genere era impossibile da
non percepire.
Intorno
al ragazzo c’era sempre tanta gente, ogni volta volti nuovi,
sorrisi diversi,
emozioni differenti, eppure ciò che sembrava essere
invariata era l’atmosfera,
di questo ne erano tutti consapevoli. Perché anche se la
gente cambiava, se le
canzoni cantate non erano sempre le stesse, ciò che rendeva
magico quel momento
era la presenza di quel ragazzo, e che tenesse gli occhi chiusi o
aperti poco
importava.
<<
Posso sedermi accanto a te? >>
La
bolla magica intorno alla panchina in cui era seduta Bella, venne
scoppiata da
un suono stridulo e infantile. Bella alzò lo sguardo sulla
figura davanti a
lei.
Un
bambino dai lunghi capelli biondi l’osservava incuriosito,
puntando i suoi
enormi occhi azzurri su di lei. Bella sollevò un
sopracciglio sorpresa, poi
facendo un piccolo sorriso, lasciò un po’ di
spazio al bambino, in modo che si
sedesse accanto a lei.
<<
Grazie. >> Sussurrò il bambino. Bella
l’osservò attentamente, non doveva
avere più di sei anni. Il piccolo
non si
voltò neppure una volta verso di lei, sembrava essere
incantato, imbambolato e
tutte le sue attenzioni erano rivolte al musicista con la chitarra in
mano.
Bella ridacchiò, pensando che era un effetto comune quello
che faceva
ascoltarlo cantare.
Il
piccolo socchiuse leggermente le labbra, << la mia mamma
dice che questo
ragazzo è magico. >>
Bella
si voltò verso il bambino, osservando il profilo rotondo e
infantile del suo
viso.
Con
un piccolo sorriso si decise a parlargli, << la tua mamma
credo abbia
ragione. >> Ammise sistemandosi una ciocca di capelli
dietro l’orecchio.
Il
bambino nascoste le mani dentro la tasca della sua enorme felpa color
limone, e
riprese a parlare, senza distogliere lo sguardo dal ragazzo.
<< Cosa c’è
di magico in lui? >> Le domandò senza
guardarla in volto.
Bella
sollevò le spalle, neppure lei conosceva la risposta,
<< penso sia la sua
voce ad essere magica. >> Sussurrò non certa
di quelle parole.
Il
bambino fece una smorfia, arricciando il naso, << mio
papà invece lo
chiama fannullone. Perché dice sempre che non si
può vivere con i pochi soldini
che ti offre la strada. >> Disse tutto in un fiato,
disgustato da quelle
parole.
Il
sorriso di Bella raggiunse la parte più alta degli zigomi,
<< però
ricordati che lui è magico. >> Rise chiudendo
il diario che teneva aperto
sopra le sue gambe.
Il
bimbo si alzò dalla panchina e si voltò verso
Bella, << la mia mamma mi
ha sempre detto di non parlare con gli sconosciuti. >>
Disse serio
posando le piccole manine sui fianchi, Bella si morse un labbro per
evitare di
ridere.
Alzandosi
in piedi allungò una mano verso il bambino, <<
io mi chiamo Bella.
Piacere di conoscerti. >>
Il
bambino sorpreso afferrò la mano di Bella stringendola
debolmente, << io
sono David. >> Si presentò rimettendo subito
la mano dentro la felpa.
<<
Ora non siamo più due sconosciuti, non credi?
>> gli sorrise compiaciuta
Bella.
David
ricambiò il sorriso, annuendo.
<<
E cosa siamo? >> le domandò dolcemente,
<< fidanzati? >> le
chiese timidamente, diventando tutto rosso in viso. Bella rimase
sorpresa e si
abbassò per accarezzargli una guancia, <<
siamo amici. >>
Lui
sembrò da prima contrariato, poi annuì accettando
la decisione di Bella.
Entrambi
sollevarono lo sguardo verso il musicista. David si dondolava avanti e
indietro
poggiando tutto il peso del suo piccolo corpo sul piede sinistro. Bella
avrebbe
tanto voluto avvicinarsi al cantante per osservarlo meglio da vicino,
ma c’era
troppa gente, pensò. Sospirando si accorse
dell’instabilità di quella scusa.
Bella
pensò che in lui c’era qualcosa che la completava
e non
voleva essere come
tutte le altre persone. Non voleva che lui si dimenticasse di lei,
anche se non
l’aveva mai vista, anche se non si erano mai parlati, eppure
lei
l’avvertiva
dentro quel bizzarro legame che aveva con la sua musica, e si chiese se
anche
per lui fosse lo stesso. Così si sfilò lentamente
il
braccialetto d’argento che
teneva legato al braccio. Il lontano ricordo di una vecchia Bella.
Stringendo
forte la catenella, la nascose nel palmo della mano, cercando di
prendere
coraggio per avvicinarsi a lui e gettargliela nella custodia della
chitarra, così come aveva fatto già una volta con
il
bigliettino.
Non
sapeva se il giorno seguente l’avrebbe rivisto o se avrebbe
dovuto ringraziare
il Destino per averglielo fatto incontrare soltanto tre volte, fatto
sta che
Bella voleva donare un po’ di se stessa a qualcuno che con
una semplice canzone
aveva donato tutta la sua anima.
Bella
cercò dentro di sé il coraggio per avvicinarsi,
ma proprio non riusciva a trovarlo, così abbassando lo
sguardo, i suoi occhi si
posarono sulla figura minuta di David.
Mordendosi
il labbro inferiore Bella sfiorò una spalla
del bambino, quest’ultimo si voltò subito
guardandola negli occhi.
<<
David, io e te siamo amici vero? >> gli
chiese dolcemente, il bambino annuì sorridendole,
<< e tra amici ci si
aiuta, non è così? >>
continuò imbarazzata Bella. Ancora una volta David
annuì.
<<
Bene. >> Sospirò Bella, <<
faresti una cosa per me? >> gli domandò
abbassandosi, posando il peso del
suo corpo sulle ginocchia.
<<
Certo. >> Rispose il bambino
mostrandole un enorme sorriso. Bella si accorse che al bambino mancava
l’incisivo centrale, e pensò che un bambino
così piccolo non poteva di certo
possedere il coraggio che mancava a una ragazza di ventuno anni.
Però decise di
provarci, perché di perdere non aveva proprio nulla.
<< Vorrei tanto
regalare questo bracciale al musicista che ti piace tanto,
però non vorrei
disturbarlo mentre canta, così mi chiedevo se ti andava di
portarglielo tu.
>> Gli disse fissando i suoi enormi occhi azzurri.
David
rimase per un attimo interdetto, poi allungò una
mano verso Bella, << okay, però lo butto nella
custodia e scappo via.
>> Le disse ridendo.
Bella
annuì, << va bene. >>
Così diede il
braccialetto a David che prima di portarlo al musicista lo
scrutò attentamente.
<<
E’ un tuo amico? >> le chiese
pensieroso.
Bella
scosse subito la testa.
<<
Allora perché gli fai un regalo? >>
continuò incuriosito il bambino.
Isabella
fece spallucce, << perché lui ha fatto
un regalo a me. >> Gli rispose sorridendo dolcemente.
<<
Quale regalo? >> le chiese subito
David gonfiando le guancie rosse, facendo un espressione buffa.
Bella
gli accarezzò i capelli, << dopo che gli
avrai portato il braccialetto te lo dirò. >>
David
sbuffò, poi si voltò in direzione del musicista
e iniziando a correre s’immischiò tra la gente
riunita intorno al cantante.
Bella
rimase immobile ad osservare il bambino mentre faceva scivolare dalle
sue mani alla custodia della chitarra il braccialetto.
David rimase fermo di fronte al musicista che aveva interrotto la
canzone
proprio in quel momento. Bella tese le orecchie cercando di captare
qualche
suono, ma era troppo lontana, tutto ciò che
riuscì a
capire era che la canzone
era terminata, dato che tutti si stavano allontanando, tutti tranne
David, che
aveva iniziato a parlare con il musicista.
Bella
venne assalita dall’ansia, e se David gli avesse
detto al musicista che era stata lei a donargli il braccialetto?
Non
doveva saperlo, non era pronta e forse non lo
sarebbe stata mai.
Così
si voltò verso la panchina e raccolse velocemente
le sue cose, iniziando a correre lungo il parco, con il cuore che
batteva
furioso dentro il suo petto.
Era
elettrizzata e anche spaventata, e si sentiva
un po’ di meno perché era così che ci
si doveva sentire, quando ci
si sentiva un po' più di qualcun altro.
Edward
osservava il piccolo braccialetto che gli aveva portato David,
rigirandoselo
tra le dita, come se con quei movimenti quell’oggetto
inanimato sarebbe stato
capace di spiegargli il significato di perché era stato
donato proprio a lui.
David
l’osservava in silenzio dondolandosi sul piede sinistro, era
una cosa che
faceva spesso.
<<
Ti ha detto perché me l’ha regalato?
>> Gli chiese il musicista al
bambino, irradiando ogni cosa intorno a lui nell’arco di
dieci metri. La sua
voce era la più potente forma di energia. Il bambino scosse
la testa, <<
l’avrei scoperto più tardi…
>>
<<
Se solo non fosse scappata via. >> Concluse Edward al suo
posto.
David
annuì.
Il
musicista alzò i suoi meravigliosi occhi verdi sul bambino,
<< Qual è il
suo nome? >> gli chiese a bassa voce, certo che lui
l’avesse sentito.
David
alzò lo sguardo vero le spalle del cantante, aveva appena
visto i suoi
genitori. Gli stavano facendo cenno di avvicinarsi, era arrivato il
momento di
tornare a casa.
<<
Bella. >> Rispose e con un cenno del capo corse via,
raggiungendo i suoi
genitori, prima che Edward potesse bloccarlo con una nuova domanda.
Il
musicista non rispose al saluto del bambino, ma rimase immobile.
Fissava il
braccialetto passandolo da una mano all’altra come se
scottasse, poi chiuse la
mano a pugno imprigionandolo. Non
sapeva
nulla di quella ragazza, non conosceva il motivo del suo dono o il
perché non
fosse stata lei stessa a portarglielo. Però adesso che
conosceva il suo nome,
si sentiva più pieno, colmo di qualcosa che non gli
apparteneva completamente.
Un
nome senza un volto.
Edward
ritornò a casa
percorrendo il tragitto quasi senza respirare e per tutto il tempo la
sua mente
venne invasa solo da un unico pensiero. Un pensiero che portava il nome
di
Bella.
Lua:
Ovviamente vorrei precisare, Edward respira. Lo fa sempre, non
è
un vampiro, o almeno non in senso letterario, non si nutre del sangue
delle persona ma delle loro emozioni. Non credo sia la stessa cosa, ma
se per vampiro si intende un essere che sopravvive nutrendosi
dell'essenza vitale delle persone allora Edward in questa storia
è un vampiro. Qui lui si nutre di emozioni però,
non di
sangue. Non so se esista un termine per definire questa cosa,
però la parola vampiro mi sembra vesta a pennello.
Vampiro
di emozioni. Un vampiro buono vorrei precisare.
Comunque sia volevo ringraziarvi ancora una volta, siete davvero in
tanti e non mi sarei mai aspettata tutte queste persone che avrebbero
letto la mia nuova storia. Quindi sbalordita vi ringrazio e vi auguro
un bellissimo 2011. Forse così è troppo facile,
prima di
tutto vi auguro di trascorrere bene questi ultimi giorni del 2010 e poi
per i 365 che verranno con il 2011 spero siano pieni di gioia e
felicità, probabilmente non sarà sempre
così,
perchè non è mai così facile, ma se
partiamo con
la carica giusta, con un energia positiva, i giorni ci sorrideranno,
non credete?
Detto questo vi auguro tanta felicità, per tutti i 365
giorni del 2011 =)
Grazie di cuore a chiunque leggerà o recensirà
questo
capitolo, per qualsiasi dubbio non esitate a contattarmi. Sulla pagina
del mio profilo utente di Efp troverete il mio sito web.
I hug everybody.
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Capitolo 5 *** Wherever you are, you are there ***
4. Wherever you are, you are there.
4.
Wherever you are, you are there.
E' come se le note
musicali creassero una specie di parentesi temporale,
una sospensione, un altrove in questo luogo, un sempre nel mai.
"L'eleganza
del riccio - Muriel Barbery"
Il buio
riempiva ogni centimetro di quella piccola stanza, ogni angolo di muro,
ogni
mattonella di marmo, ogni oggetto lasciato sui pensili. Il buio
riempiva ogni
cosa, copriva persino il calore del suo corpo, nascosto sotto una
montagna di
coperte. Era mattina, ma questo Edward non poteva saperlo. Era rimasto
tutta la
notte a fissare il vuoto, tenendo sempre lo sguardo puntato sul
soffitto bianco,
quello pieno di crepe nella sua stanza. Non era riuscito a chiudere
occhio
quella notte, si sentiva sospeso e non riusciva ad abbandonare quella
sensazione, era come se galleggiasse in una vasca piena di nulla e nuotare gli era impossibile. Si
sentiva spesso così,
soprattutto la notte, quando a tenergli compagnia non c’erano
più i sorrisi
soddisfatti della gente o le risate dei bambini, ma solo una stanza
piena di
oggetti inanimati che non gli avrebbero mai sorriso.
In più
sapeva che quella strana sensazione era causata in parte anche da
quella
ragazza, Bella. Una ragazza che
senza
conoscerlo gli aveva lasciato un dono, magari importante, necessario
nella sua
vita. Quel piccolo braccialetto bruciava a contatto con la pelle di
Edward,
eppure lui non riusciva a fare altro che stringerlo nel palmo della
mano, non
aveva fatto altro che questo, tutta la notte.
Sollevandosi
dal letto e liberandosi del peso delle coperte, Edward uscì
da quella gabbia di
calore che durante la notte l’aveva sempre protetto, e
aprendo il primo
cassetto del suo vecchio comodino, estrasse un piccolo pezzo di carta
stropicciato.
You’re
a Starlight. Thanks for your light.
Edward avvicinò il
braccialetto al
foglio di carta, aspettando che succedesse una qualche magia. Ma non
accadde
nulla, non comparve nessun genio, nessuna ragazza si
materializzò al suo
fianco, non accadde nulla di nulla, e il buio continuava a persistere.
Poteva esserci un qualche
collegamento
tra i due oggetti, magari, pensò Edward, era stata la stessa
ragazza, e si
ripromise di tenere gli occhi aperti la prossima volta che avrebbe
cantato.
Si sedette di nuovo sul letto
passandosi una mano tra i capelli. Li sentiva troppo lunghi,
così come ormai
anche la sua barba era cresciuta. Avrebbe dovuto tagliarla, per non
fare
spaventare i bambini o semplicemente per non essere scambiato per un
barbone.
Lui era un musicista, non un senza tetto. Lui una casa
l’aveva e anche la
schiuma da barba per rasarsi. Lui ogni mattina faceva colazione, usava
il
bagno, indossava vestiti puliti. Lui ogni sera tornava a casa, cenava,
si
rinfrescava, indossava il pigiama e si coricava in calde e pulite
lenzuola. Lui
tutto poteva essere tranne un barbone. Non che li odiasse o li
evitasse, Edward
aveva diversi amici che vivevano all’aperto, che dormivano
sopra una panchina e
mangiavano ciò che riuscivano a trovare. Anche se amici non
era il termine
esatto, diciamo che aveva imparato a distinguerli, e qualche volta ci
aveva
scambiato una parola o due, ma ecco per Edward ogni persona che gli
donava un
sorriso diventava suo amico, per questo diceva sempre di avere un sacco
di amici.
Immerso nei suoi pensieri non
si
accorse di un piccolo fascio di luce che filtrava attraverso la porta,
si
espandeva lentamente mentre illuminava la stanza. Edward
sollevò la testa nel
momento in cui la porta si aprì completamente e
spuntò una figura da dietro.
La ragazza gli sorrise
dolcemente,
avvicinandosi a lui con passo lento e aggraziato. Edward
l’osservava in
silenzio e seguì tutte le sue mosse, stando attento ad ogni
suo passo. La
ragazza raggiunse la finestra della stanza aprendo le tende e lasciando
entrare
più di un raggio di sole, che costrinsero Edward a chiudere
gli occhi. Li aveva
tenuti aperti tutta la notte e ora, bruciavano a contatto con la luce.
Quando ebbe finito si
avvicinò a
Edward. Il vestitino color cielo si stropicciò leggermente
quando si sedette
accanto a lui sul letto. Ma mentre si sgualciva il vestitino, sul suo
splendido
viso nasceva un tenerissimo sorriso. Quella mattina aveva deciso di
legarli i
capelli, in un alto chignon che le scoprivano tutto il collo, lasciando
più visibilità
ai suoi delicati lineamenti. La pelle era chiara, e profumava di pesca,
un
profumo che si sposava perfettamente con la stagione appena cominciata.
Quel
giorno era vestita di cielo, e la sua bellezza traspariva da ogni poro
della
sua candida pelle, da ogni gesto spontaneo e meccanico. Edward la
fissò per
qualche minuto poi ritornò a guardare il braccialetto.
<< Edward?
>> Lo chiamò
una voce melodiosa, gentile, pudica, << va tutto bene?
>> continuò
la ragazza osservando il ragazzo, << è da
quando sei tornato che ti
vediamo diverso, strano, è forse successo qualcosa?
>> gli domandò
posando la sua piccola mano su quella di Edward. Quest’ultimo
sollevò lo
sguardo e sorrise alla ragazza, e invece di risponderle le
mostrò il piccolo
braccialetto che stringeva nell’altra mano.
La ragazza parve sorpresa e
osservò
timorosa l’oggetto che Edward stringeva con tanta premura.
<< Dove l’hai
trovato? >> gli chiese la ragazza.
Edward sollevò le
spalle sospirando,
<< è stata una ragazza a lasciarmelo. Una
ragazza che si chiama Bella,
purtroppo non so altro di lei, non l’ho neppure mai vista,
è stato un bambino a
portarmelo. >> Le rispose, la ragazza rimase in silenzio
ad ascoltarlo e
attese che lui continuasse, << quando mi sono voltato per
cercarla, per
vederla, lei non c’era più, era scomparsa.
>>
<< E’
la stessa ragazza che ti
ha lasciato il bigliettino? >> le domandò la
bionda seduta al suo fianco.
Edward corrugò la fronte pensieroso, << non lo
so, forse si, ma non posso
esserne certo. So solo che mi ha scombussolato e non riesco a capire il
perché.
>> Ammise puntando i suoi magnetici ogni verdi in quelli
azzurri della
ragazza.
<< Non riesci a
capire perché ti
ha scombussolato o perché ti ha regalato un bracciale?
>> gli chiese
dolcemente lei.
<< Io non credo
di averla mai
vista, non conosco nessuna ragazza di nome Bella. >> Le
rispose confuso,
<< eppure il suo nome lo riconosco nelle mie canzoni.
>> E questa
volta avrebbe tanto preferito rimanere in silenzio, perché
sapeva di essersi
esposto troppo, di aver detto troppo. Cosa sapeva di quella
sconosciuta? Quanto
avrebbe voluto conoscere di quella ragazza? Probabilmente nulla, o
forse tutto.
La ragazza smise di sorridere,
<< Edward, è solo un braccialetto. Potrebbe
essere una tua fan o
semplicemente una ragazzina dagli ormoni in subbuglio, la tua voce ha
un
effetto abbastanza travolgente sulle donne. Perché ti crucci
tanto per un
braccialetto? >> gli domandò lei.
Edward la fissò in
silenzio, <<
forse hai ragione. >>
La ragazza sorrise e si
sollevò
aspettando che Edward la seguisse, << andiamo di
là, la colazione è in
tavola. >> Gli disse.
Edward si alzò dal
letto, <<
comincia ad andare, vorrei prima vestirmi. >> Le rispose
osservando il
vestitino azzurro che svolazzava ad ogni suo minimo movimento.
<< Va bene.
>>
La ragazza richiuse la porta
alle sue
spalle, lasciando Edward di nuovo da solo. Questa volta non
c’era più il buio
ad avvolgerlo, ma neppure la luce, erano le parole dette fino a quel
momento
che lo ricoprirono riscaldandolo. Decisi di vestirsi alla svelta e
sistemare il
letto, e prima di uscire dalla camera si voltò verso il
braccialetto lasciato
sul comodino. Lo fissò attentamente, poi lo
afferrò con delicatezza e con
altrettanta calma lo infilò nella tasca dei suoi jeans.
Si affrettò ad
uscire dalla camera, accompagnato
dai gorgogli del suo affamato stomaco.
***
Quella
mattina Bella era corsa subito in libreria, senza tenere conto del
solito
disappunto di Margaret. Sembrava immersa in un mondo parallelo, persa
nei
meandri nella sua mente, e nella sua testa dalla sera precedente
viaggiavano
solo immagini del musicista, flash del bambino, pezzi di un puzzle
scomposti e
messi insieme malamente da una mente assonnata e agitata. Non aveva
fatto altro
che pensare all’accaduto della sera precedente, per tutto il
tempo. Pensò più
volte di aver sbagliato, si maledisse mentalmente una decina di volte
prima di
sospirare. La sua mente spaziava in cerca di risposte, cercando una
spiegazione
plausibile al suo gesto. Fare un regalo ad uno sconosciuto, Bella si
sentiva
tremendamente infantile e più volte pensò di
ritornare dal musicista per
scusarsi, magari parlargli, spiegargli il motivo di quel folle gesto,
ma poi,
ritornava la sua timidezza, la sua mancanza di coraggio. Ripensava al
volto del
cantante quando vide il braccialetto e s’immaginò
l’espressione che sicuramente
comparve sul suo volto, quando voltandosi non avrebbe visto nessuna
ragazza.
Perché Bella l’aveva visto il braccio di David
sollevarsi e l’indice della sua
piccola mano indicare nella direzione in cui lei si trovava.
Così aveva pensato
bene di fuggire, confermando definitivamente il fatto che fosse
infantile e
tremendamente vigliacca.
Era
mattina inoltrata e Bella stava seduta dietro la scrivania, disegnava
cerchi
immaginari sul vecchio mobile di legno, mentre Miss Popper sistemava
alcuni
vecchi libri.
Per la
prima volta dopo giorni, il campanellino posto sopra la porta
d’ingresso
trillò, facendo scattare entrambe le donne. Il cuore di
Bella si mise a battere
furiosamente, temendo di essere stata scoperta, cosa poco probabile,
dato che
lui non l’aveva mai vista in volto. Miss Popper al contrario
continuò il suo
lavoro, senza scomporsi. Quando la porta si aprì la figura
mingherlina di una
ragazza attirò l’attenzione di Bella. I suoi occhi
incontrarono quelli della
sconosciuta e rimasero diversi secondi intenti a scrutarsi. Poi la
ragazza, che
non doveva avere più di diciotto anni, salutò
Bella con un sorriso e un flebile
saluto. Isabella continuò a fissarla, osservando ogni suo
spostamento. Quella
ragazza aveva qualcosa di ammaliante, riusciva a catturare la sua
attenzione
anche con un semplice passo. Bella ne osservò il volto, i
lineamenti delicati
del naso, leggermente all’insù, il taglio degli
occhi sottile come quello di
una asiatica, peccato solo che la ragazza avesse dei lunghi capelli
biondo
cenere e le sue iridi fossero dello stesso colore del miele. Sul suo
viso erano
ben visibili mille lentiggini e il colore della sua pelle era molto
chiaro. Si
muoveva timidamente dentro la libreria, e Bella pensò fosse
una straniera,
perché indossava uno strano zaino blu. Forse,
pensò, era in visita con la
scuola. Miss Popper smise di spolverare i libri e si voltò
verso la ragazza.
Pensò le stesse cose di Bella, non riuscendo a smettere di
osservarla. La
ragazza prese un libro tra le mani, sembrava concentrata, probabilmente
era
straniera perché dopo poco lo rimise subito a posto, senza
finire di leggere la
trama. Dalla sua carnagione, i suoi modi di fare, sembrava una perfetta
inglese, ma il suo tono di voce, per quanto sottile e dolce aveva un
accento
straniero.
Sia Bella
che Margaret avevano smesso di osservarla, abbassando lo sguardo,
quando un
nuovo trillo da parte del campanellino, le fece sobbalzare entrambe. Si
voltarono entrambe verso la porta, non prima di aver gettato un
occhiata alla
ragazza che sembrava non essersi accorta di nulla, infatti continuava
il suo
viaggio alla ricerca di qualcosa che catturasse la sua attenzione.
Questa volta
entrò un ragazzo, alto, molto alto. Entrò nella
libreria tenendo lo sguardo
basso, quando lo sollevò da terra rimase sorpreso. Bella
seguì i suoi occhi e
sorrise, perché il ragazzo stava osservando
l’altra ragazza. Anche Margaret
sorrise, osservando la scena.
Il ragazzo
sconosciuto possedeva due bellissimi occhi blu, Bella li avrebbe
descritti
usando un mare in tempesta come esempio, tanto
l’intensità e il trasporto che
emanavano. Indossava un giubbotto rosso, che lasciava intravedere un
maglione
viola indossato sotto di esso. Il ragazzo si guardò intorno,
incrociando lo
sguardo di Bella, senza nessuna espressione sul volto. Questo,
pensò Isabella,
doveva essere inglese. Sulle spalle portava lo stesso zaino della
ragazza.
Bella
dimenticò i suoi pensieri, il musicista, il braccialetto,
persa ad osservare
quella scena, insolita e inusuale.
Il ragazzo
si mise ad osservare gli scaffali ricoperti di libri, sorpassando la
ragazza,
che non si era accorta di nulla. La sconosciuta sbuffò
infastidita,
evidentemente non era riuscita a trovare nulla che la soddisfacesse, in
quel
momento al ragazzo cadde di mano un libro, che toccò il
pavimento con un tonfo
sonoro. La ragazza si voltò e rimase sorpresa, le labbra
leggermente socchiuse,
evidentemente non si aspettava di vederlo lì,
pensò Bella.
Il ragazzo
si abbassò per riprendere il libro e quando
sollevò lo sguardo incontrò quello
della ragazza, e gli sorrise. Un sorriso che costrinse Bella a
distogliere lo
sguardo. Intorno a quei due ragazzi galleggiava una strana energia,
talmente
intima da costringere le altre persone a voltarsi, per non disturbarli.
Quando
ritornò a guardarli, entrambi erano intendi a leggere, uno
da una parte e uno
da un'altra. Dopo pochi minuti il ragazzo si avvicinò alla
ragazza.
<<
Dobbiamo andare, gli altri ci aspettano. >> Le disse
parlando lentamente,
e puntando i suoi occhi dritti nel mare mielato della ragazza.
Quest’ultima
annuì, posando la mano sulla maglia della porta.
<< Ritorneremo ancora?
>> chiese all’improvviso voltandosi verso il
ragazzo, che non aveva
smesso un attimo di fissarla. Scosse la testa incapace di risponderle.
La ragazza
si voltò verso Bella e le sorrise, <<
arrivederci. >> Salutò e
Bella confermò la sua teoria, era straniera, probabilmente
italiana.
Il ragazzo
fece una smorfia contrariato, poi uscì subito dopo,
raggiungendo l’altra
ragazza. Bella incuriosita si avvicinò alla finestra e
scostando la tenda, notò
altri ragazzi con indosso lo stesso zaino blu. Aveva indovinato
un'altra volta,
erano in visita con la scuola.
<<
Lui sembrava sorpreso di vederla qui, non trovi? >> le
domandò, facendola
sobbalzare, Margaret. Bella fece spallucce ritornando a sedersi sullo
sgabello
dietro la scrivania. << Lei aveva qualcosa di strano.
>>
<<
Qualcosa che ti costringeva a tenere lo sguardo incollato sulla sua
figura?
>> le chiese Margaret sorridendole.
Bella
annuì, << esatto. >>
Margaret
sorrise, l’innocenza di Bella era così pura,
così ingenua, da non farle rendere
conto che l’effetto che faceva quella ragazza, era lo stesso
effetto che Bella
esercitava sulle persone.
<< E
quel ragazzo, >> continuò Bella,
<< sembrava molto preso da lei.
>> Confessò timidamente. Margaret prese il
libro che era caduto al
ragazzo e lo sistemò al suo posto, <<
probabilmente a dividerli non è
solo la differenza di età, che potrebbe essere minima o
più grande del lecito.
>> Disse con voce ferma, << ma la distanza,
lei non era inglese,
lui si. >> Continuò confermando la tesi di
Bella, << perché ti sei
incantata a fissarli? Dovresti essere arrabbiata con loro, alla fine
hanno
fatto solo tanta confusione, senza acquistare nulla. >>
Disse, ma Bella
sapeva che a Miss Popper non aveva dato nessun fastidio quel piccolo
spostamento di libri, anzi, si era divertita come Bella a creare una
storia
d’amore intorno ai due ragazzi. Isabella le sorrise
abbassando la testa.
Poteva
davvero esistere qualcosa di talmente forte, così
travolgente tra due persone?
Bella di un amore così non ne aveva mai visti, solo letto. E
forse quei due
ragazzi, con la loro vera o finta storia d’amore, potevano
crearla davvero
quella realtà. Forse chiunque sarebbe stato capace di
crearla. Infondo si
sapeva bene, che tutto poteva essere possibile. Allora Bella
sognò grazie a
quei due ragazzi, che forse, alla fine, non condividevano neppure la
stessa
strada.
Fu un momento, poi Miss
Popper riprese a spolverare. Il profumo dei due ragazzi si dissolse
nell’aria
come scomparve dalla testa di Bella, lasciando spazio a un vuoto che
ormai
aveva imparato a conoscere. Probabilmente non li avrebbe più
rivisti, quei due
ragazzi, eppure li ringraziò mentalmente, perché
erano riusciti a liberarle la
mente, almeno per dieci minuti.
Lua:
Per questo capitolo non voglio dire nulla, sono curiosa di
sapere cosa ne pensate voi, e sopratutto chi credete che sia la ragazza
con cui Edward stava parlando.
Vorrei però farvi una domanda, anzi due. La prima sul vostro
schermo del pc, riuscite a leggere chiaramente la storia? O preferite
che cambi carattere? Fatemi sapere.
Seconda domanda, un pò più seria,
qual'è la formula perfetta dell'amore? Esiste quello a prima
vista? Si può amare senza essersi mai conosciuti? Per la
precisione cosa avete pensato mentre leggevate dei due ragazzi?
Un bacione a tutti quelli che leggeranno e commenteranno questo
capitolo.
Vi adoro incondizionatamente.
|
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Capitolo 6 *** Sparks ***
5. Sparks
Prima di lasciarvi al capitolo volevo specificare una cosa. In questa
storia non ci sono vampiri, non ci sono neppure licantropi. Questa
storia è reale, quindi se chi ancora non l'avesse capito,
nè Edward nè la ragazza con cui ha parlato, nel
capitolo precedente, sono vampiri. Detto questo vi lascio al
capitolo, alla fine troverete i miei soliti commenti.
Buona lettura.
5. Sparks.
C'è una specie di fato che
perseguita le nostre buone decisioni.
Ci si decide sempre troppo tardi.
Il
ritratto di Dorian Gray - Oscar Wilde
Il cielo era color lapislazzulo quel giorno.
Bella lo riconobbe subito, non appena uscì dal portone del
suo palazzo. Lei era
una di quelle persone che stavano attenta ai dettagli, levigavano i
contorni e
amavano riscoprire nuovi colori, non erano in molte le persone come
Bella. Lei,
per esempio, non ne aveva mai conosciute, e a volte pensava persino di
essere
l’unica.
La
libreria di Miss Popper distava venti minuti di cammino dal palazzo in
cui
Bella viveva. Amava camminare e osservare ciò che la
circondava, ma odiava
farlo quando intorno a lei c’era tanta gente. Per questo
evitava di uscire,
perché voleva sfuggire dagli sguardi incuriositi delle
persone, che, anche se
involontariamente finivano sempre per fissarla.
Così
aveva
stabilito degli orari sia per la mattina sia per la sera, sia per
l’andata sia
per il ritorno, non l’aveva ancora capito che quegli orari
non andavano più
bene. Non l’aveva ancora capito che non servivano
più a nulla, da quando
passava il resto del pomeriggio all’Hyde Park, persa ad
ascoltare l’angelica
voce del musicista.
E quasi
più non le importava degli sguardi della gente, quando era
intenta a osservare
il cantante.
Quel
giorno arrivò in libreria ben sessanta minuti prima
dell’apertura. Si preparò
mentalmente ad ascoltare le ripetitive prediche di Margaret, prima di
aprire la
porta del negozio.
Quando
però vi entrò, sentì delle voci
inusuali.
Pensò
che
fosse strano, perché a quell’ora non
c’era mai nessuno, non che nelle altre ore
la libreria fosse affollata, ma le parve strano sentire delle voci.
Fece
diversi passi verso il magazzino, da dove proveniva quel rumore, e tese
l’orecchio incuriosita.
<<
Miss Popper non c’è più tempo, vi ho
concesso cinque mesi e voi non siete
riuscita a saldare il conto. >> La voce che
sentì Bella non era certo
quella di Margaret. Era infatti la voce di un uomo, probabilmente molto
arrabbiato dato il timbro che aveva usato.
Si
sentirono rumori di passi e pesanti sospiri, << la prego,
mi dia un altro
mese. >> Questa volta era stata Miss Popper a parlare, e
la sua di voce,
invece, tremava.
Bella
aprii leggermente la porta cercando di capire cosa stesse accadendo, e
rimase
impietrita quando vide un uomo sui quarant’anni, vestito in
giacca e cravatta,
di fronte a Miss Popper.
Margaret
indossava un vestitino color corallo, trasmetteva allegria, ma sul suo
volto
era dipinta la tristezza, un forte contrasto, che sicuramente anche lo
sconosciuto aveva notato.
L’uomo
scoppiò a ridere, << come potete sperare di
riuscire a trovare cinquemila
sterline in trenta giorni? Quando non ci siete riuscita in cinque mesi?
>> Ridacchiò malignamente.
Isabella
non riusciva a capire perché quell’uomo chiedesse
una somma così alta a
Margaret.
Miss
Popper sembrava titubante, << non vorrà
portarmi via il negozio. >>
In quel
momento gli occhi di Bella si appannarono e la vista parve opaca,
osservò le
scarpe che indossava, il pavimento di legno e la maniglia della porta
sulla
quale si reggeva, e tutto le sembrò ondeggiare.
<<
Non mi sembra ci sia altra scelta. >> Sorrise compiaciuto
l’uomo.
Margaret
fece un passo verso l’uomo aggrappandosi alla sua giacca,
<< non mi resta
che questa libreria, la prego non me la porti via. >>
Disse
supplichevole.
Bella era
sul punto di svenire, dovette concentrarsi per non accasciarsi al suolo.
L’uomo si
liberò dalla stretta dell’anziana donna,
<< è il mio lavoro, cercate di
capirmi Miss Popper. >> Dal suo tono poteva sembrare
amareggiato, ma il
ghigno sul suo volto faceva intendere ben altro.
Miss
Popper fece un grosso respiro, << Immagino il vostro
rammarico. >>
Disse ironica, << ma non mi arrenderò
così facilmente. Lotterò con le
unghie per questo negozio e sarei capace di ipotecare la mia casa pur
di
salvare questa libreria. >>
<<
Potrebbe essere una buona idea. >> Sogghignò
l’uomo.
Allora
Bella capì che si trattava di un usuraio, e che la sua amata
libreria era in
pericolo.
Margaret
rimase composta e impassibile, << un altro giorno, le
chiedo solo
ventiquattro ore. >>
L’uomo
sembrò
rifletterci su, poi acconsentì, << va bene
Miss Popper, avete altre
ventiquattro ore, se entro domani mattina non avrete il denaro, potete
dire
addio a questa topaia.
>> Disse
infilandosi il cappotto e facendo qualche passo verso la porta.
Isabella
in quel momento si allontanò dalla porta, scappando via
dalla libreria. Sapeva
già cosa doveva fare. Avrebbe fatto di tutto pur di salvare
quello che l’uomo
chiamava topaia, mentre lei
definiva
la sua vita.
Correva.
Non
riusciva neppure a distinguere se fosse giorno o notte. Correva con il
cuore
che batteva furioso nel petto, e l’ossigeno iniziò
a venire meno. Tutta l’aria
che cercava di entrare nei polmoni bruciava. Bella stava bruciando, e
non solo
l’ossigeno, ma anche la suola delle scarpe, il vento che
investiva il suo
pallido viso, adesso rosso per la troppa corsa. Bruciava ogni spalla
che
scontrava durante la sua corsa, bruciava le lacrime che scivolavano
copiose sul
suo viso. Correva e bruciava, non si sarebbe sorpresa se a un certo
punto
avesse iniziato davvero a prendere fuoco.
Quando
finalmente giunse davanti la porta del suo piccolo appartamento
infilò la
chiave con mano tremante nella serratura. Si diede della pazza diverse
volte,
anche dopo essere entrata nella camera dei suoi genitori, quella che da
dopo la
partenza del padre aveva deciso di sigillare, sia nel suo cuore che
nella
realtà. E ’impiegò diversi minuti per
recuperare la chiave che l’avrebbe
aperta.
Quando vi
fu dentro però, le sembrò che un enorme secchiata
d’acqua le fosse caduta
addosso. La pelle non bruciava più, l’ossigeno
rientrava delicatamente dentro i
suoi polmoni, e il cuore riprese a battere con ritmi regolari. Non
sapeva cosa
fare per primo, se piangere o iniziare a cercare.
Decise di
ignorare il richiamo delle foto poste sul comodino e quelle attaccate
vicino
allo specchio. Decise di ignorare il profumo che galleggiava
nell’aria e i
colori delle tende. Decise di ignorare tante cose per mettersi alla
ricerca di
quell’unica cosa che adesso avrebbe salvato la sua vita.
Sbatté
con
forza l’anta dell’armadio facendola quasi rompere
durante l’urto contro il
muro, e come una furia si scaraventò sugli scatoloni alla
ricerca del
portagioie. Quello che aveva deciso di nascondere insieme al padre,
quello che
custodiva tutti i gioielli di Reneè.
Quando le
sue mani lo trovarono, riconobbero subito il tessuto liscio e
vellutato, e lo afferrò
con mani tremolanti per portarlo davanti al suo viso.
Nuove
lacrime scivolarono lungo il suo viso questa volta non per la libreria
o per
Miss Popper. Questa volta piangeva perché non avrebbe mai
voluto farlo, non
sarebbe mai voluta arrivare a tanto, e si sentì una ladra e
anche un po’
indegna, ma sapeva che non poteva fare altrimenti. La libreria era come
una
droga per lei, aveva bisogno di quei libri, di quella monotona vita per
sopravvivere. Come un tossico aveva bisogno della sua dose quotidiana
di
eroina. Ancora non lo sapeva ma presto qualcos’altro sarebbe
diventata la sua
droga, qualcosa di molto più salutare, qualcosa o forse
qualcuno.
Lentamente
si accasciò sul pavimento, posando la guancia sulla fredda
piastrella. Si
sentiva mancare, si sentiva come se stesse per perdersi di nuovo,
così strinse
forte gli occhi per evitare di scomparire, di perdersi, ma tutto
ciò che riuscì
ad ottenere fu solo un abbraccio, un possente abbandono tra le braccia
di
Morfeo.
Quando si
risvegliò il mondo le crollò ancora una volta
addosso, e avrebbe tanto voluto
richiudere gli occhi, e questa volta sperava per sempre, ma aveva un
compito da
portare a termine. Così si sollevò in piedi
mantenendosi alla testata del letto
matrimoniale e riprese a correre. I suoi occhi si erano posati sul
cielo color
rosso scarlatto. E maledisse se stessa per quel ritardo, per quelle ore
passate
in un altro mondo, quando quello in cui viveva stava precipitando.
Ignorò
la
segreteria telefonica che abbondava di messaggi, sapeva già
chi fosse il
mittente, Miss Popper doveva essere terrorizzata, non si era fatta
né sentire
né vedere, e questo accadeva per la prima volta da quando
lavorava con lei. Ma
a Bella non importò perché quello che stava per
fare sarebbe bastato per essere
perdonata.
Così
uscendo da casa iniziò a correre più veloce di
prima. Il cielo imbruniva troppo
velocemente e la paura che il vecchio Signor Thomson chiudesse
l’oreficeria non
fece altro che aumentare l’andatura di quel folle
volo.
Quando
finalmente giunse di fronte la grande insegna e lesse sulla porta la
scritta open, il suo cuore riprese
a battere.
L’oreficeria
si trovava a pochi kilometri dalla sua abitazione e da altrettanti
kilometri
dalla libreria di Miss Popper, in quella zona di Londra tutti
compravano o
vendevano dal Signor Thomson, forse perché aveva i prezzi
più bassi di tutti,
forse perché era il più simpatico o forse
semplicemente perché era l’unico a
valutare l’oro per quello che valeva realmente.
Thomson
incideva su ognuno dei pezzi che gli venivano venduti o che acquistava
un
incisione, una sottospecie di logo che raffigurava le sue iniziali,
perché
riteneva importante conoscere la provenienza di un gioiello, come per
una
rondine conoscere il suo nido di partenza.
Era stato
in quel negozio che i genitori di Bella comprarono il braccialetto con
il
ciondolo a forma di cuore. Le era stato regalato per il suo primo
compleanno,
perché ritenevano necessario che Bella avesse un qualcosa
sin dalla nascita,
qualcosa che la riconoscesse, che la rendesse loro figlia per sempre.
Come se
il dna che condividevano non fosse abbastanza.
Adesso che
il braccialetto non era più di Bella si sentiva un
po’ meno della sua famiglia
e un po’ più di qualcun altro. Eppure quel piccolo
particolare non lo
ricordava, quella piccola sigla sul gancetto. Quella che indicava un
cognome e
l’iniziale di un nome. Thomson P.
<<
Paul. >> Ansimò Isabella sbattendo forte la
porta d’ingresso.
Il vecchio
oreficiere le fece segnò di fare silenzio, era impegnato con
un altro cliente.
Bella
sbuffò contrariata e anche un po’ seccata, ma
quando vide chi si trovava
davanti, il suo cuore iniziò a perdere diversi battiti. Era
impossibile non
riconoscerlo.
Le dava le
spalle ma i capelli disordinati di quel bizzarro biondo ramato erano
impossibili da dimenticare. Aveva delle spalle larghe coperte da un
piccolo
giubbotto di pelle nero. Reggeva una chitarra sulla spalla e agitava le
mani
convulsamente. Bella riconobbe subito il suo
musicista.
<<
Vorrei solo sapere a chi appartiene questo braccialetto.
>> Sussurrò a
Paul. Non si era voltato verso di lei, non si era accorto della
presenza di
qualcun altro nel negozio, o forse aveva solo deciso di ignorarla.
<<
Non posso figliuolo, non posso ricordarmi tutti i nomi delle persone
che hanno
comprato in questo negozio. >> L’oreficiere a
differenza del ragazzo
parlava a voce alta.
Il ragazzo
si passò una mano tra i capelli.
<<
Le posso dire il prezzo se vuole venderlo. >>
<<
No. >> Ringhiò improvvisamente il musicista,
<< non ho alcuna
intenzione di vendere questo bracciale. Sono venuto qui
perché ci sono incise
sopra le iniziali del vostro nome. >> Gli fece notare il
giovane
mostrandogli il braccialetto.
Bella
assisteva alla scena imbambolata, come se stesse sognando. Il suo cuore
vibrava
ed ebbe paura di essere scoperta per il troppo rumore che faceva.
Non
l'aveva mai sentito parlare, aveva solo ascoltato
la sua voce cantare. Non si
era resa conto che sentirlo parlare l’emozionava quanto, se
non di più, di
quando cantasse.
La sua
voce era bassa, roca e dolce.
<<
Incido il mio cognome sopra tutti i pezzi che vendo in questo negozio.
>>
Disse pacato Paul.
<<
Non scrive chi li compra? >> domandò esausto
il musicista.
Paul
scosse la testa.
<<
Non può aiutarmi in alcun modo? >> gli chiese
guardandolo dritto negli
occhi.
Il vecchio
negoziante si ritrovò spaesato, quel ragazzo aveva qualcosa
che non aveva mai
visto negli occhi degli altri giovani di quell’età.
<<
Mi faccia dare un’occhiata al braccialetto, magari potrei
riconoscerlo.
>>
In quel
momento Bella voleva sparire, era ad un passo dal musicista che la
stava
cercando con tanto interesse, e si chiese il perché di tutte
quelle attenzioni.
Quando un
sorriso comparve sul volto di Paul, Bella desiderò tanto
scomparire.
<<
Lo ricordo bene il giorno in cui ho venduto questo braccialetto.
>>
Ridacchiò.
Il
musicista sembrò risvegliarsi dallo stato di trans in cui
era caduto durante
l’attesa, << sul serio? >>
<<
Certo. >> Disse Paul, << accadde ventuno
anni fa. I signori Swan lo
acquistarono per fare un regalo alla loro unica figlia appena nata.
>>
<<
Una ragazza quindi? >> da come lo chiese, Bella
ipotizzò stesse
sorridendo.
<<
Se è la ragazza che stai cercando, lei è
proprio… >> Non riuscì a
terminare la frase che Bella gli fece cenno di stare zitto,
congiungendo le
mani come se stesse pregando.
Paul
rimase in silenzio, con la bocca spalancata e le parole uscite a
metà.
<<
Lei è proprio? >> lo incitò il
ragazzo.
Non era
così che avrebbe voluto incontrarlo, non ora che il suo
mondo stava per
crollare.
<<
Lei è proprio fortunata, no fortunato. >> Si
corresse cercando di
sorridere Paul. Come bugiardo era pessimo.
Il
musicista lo guardò perplesso, << chi io o la
ragazza? >>
<<
Tu. >>
<<
Perché? >>
<<
Lei lavora proprio qui vicino in una libreria, dietro
l’angolo alla fine di
questa strada. >> E questa volta guardò
Isabella sorridendole dolcemente.
Bella
strinse gli occhi e contò fino a dieci sperando di
scomparire per davvero
questa volta, ma come già sapeva, ciò non accadde.
<<
Grazie dell’informazione. >> Disse il musicista
facendo per andarsene.
Paul lo
bloccò per un braccio, non che la sua forza fosse abbastanza
da bloccare il
ragazzo, ma lui si fermò ugualmente, << non le
interessa sapere il nome
della ragazza? >>
Il
musicista scosse la testa e Bella intravide un sorriso.
Non sapeva
se esserne felice o triste, lei comunque si sentiva ferita.
Il
musicista si voltò scontrandosi contro il corpo minuto di
Bella.
Lei
sobbalzò e stava quasi per cadere se le forti braccia del
ragazzo non
l’avessero presa giusto in tempo.
Isabella
osservò il suo volto perfetto e ne rimase estasiata, lui
invece non la guardò
in viso, troppo concentrato sulle parole dell’oreficiere per
accorgesi di lei.
Strano il destino, pensò Isabella, era proprio a un passo da
lei eppure non
allungava la mano per prenderla.
La mano
del musicista sembrava lava incandescente sulla pelle di Bella, e
benché
indossava diversi strati di tessuto lei la sua stretta
l’avvertì fin dentro le
ossa.
<<
Scusami. >> Borbottò il musicista
allontanandosi da Bella.
Quando si
richiuse la porta alle spalle, Isabella riprese a respirare.
Osservò
per diversi minuti la porta dell’oreficeria, con la
sensazione di dover correre
dal musicista per presentarsi. Magari sarebbe bastato un semplice ciao. Ecco Bella pensò che si
sarebbe
accontentato di poco e che le parole sarebbero comparse sulle sue
labbra poco
per volta. E sarebbe corsa da lui se il portagioie che stringeva tra le
sue
piccole mani non l’avesse risvegliata. Avrebbe dovuto fare
una scelta e preferì
salvare i suoi libri, piuttosto che correre verso un qualcosa di
sconosciuto.
<<
Paul. >> Lo richiamò.
<<
Isabella cara. >> La salutò ingenuamente.
Si sentì
la gola in fiamme, adesso poteva immaginare il perché i
draghi fossero sempre
di cattivo umore nelle storie. Con tutte quelle fiamme che sputavano
dalla
gola, era normale non riuscire a respirare senza scottarsi. E Bella
adesso si
sentiva proprio come quei vecchi draghi malconci, aveva sputato
così tanto
fuoco che la sua gola era diventata incandescente e proferire parola
diventava
troppo doloroso.
<<
Devo vendere alcuni gioielli. >> Riuscì a dire
con un nodo in gola,
<< prenditi tutti quello che pensi possa bastare per
raggiungere la somma
di cinquemila sterline. >> Sussurrò in lacrime
allungando il portagioie. Paul
la fissava
preoccupato, ma decise di non controbattere, così
allungò una mano verso il
portagioie e un'altra invisibile verso il cuore di Bella.
Lua:
Premetto che questo
capitolo non sarebbe dovuto essere così, che la mia idea
originale era un altra, ma scrivendolo, Edward si è imposto
di esserci, di farsi sentire e vedere. Qualche volta mi urla
così forte che per evitare un bel mal di testa decido di
ascoltarlo, ecco, questa è stata una di quelle volte.
Succede tutto
così velocemente che anche io sono rimasta sbalordita.
Cerchiamo di mettere un pò le idee in chiaro. Allora, Bella
ascolta la conversazione che avviene tra Miss Popper e l'usuraio,
così spegne il cervello e agisce d'impulso. Quello che fa
è un grande passo avanti, perchè per salvare la
libreria è entrata nella stanza dei suoi genitori, chiusa a
chiave da anni. Ovviamente crolla, non è abbastanza forte
per rialzarsi e combattere da sola, eppure riesce a rimettersi impiedi
e correre all'oreficeria.
Il signor Thomson
era un vecchio amico degli Swan, lui conosce Bella sin da bambina, dato
che abitavano a pochi isolati, quindi non c'è da
sorprendersi se si danno del "tu".
L'incontro
inaspettato con Edward come ho detto prima, è stato un
incontro un pò fortuito se così vogliamo dire.
Edward e Bella non si sarebbero dovuti incontrare dentro l'oreficeria,
e possiamo dire che alla fine è stato così. Bella
non ricordava il particolare del bracciale, e soprattutto non poteva
immaginare che Edward l'avrebbe scoperto quel piccolo nome, ma
soprattutto capire che fosse un negozio e non il nome del proprietario
del bracciale. Potrebbe essere tutta farina del suo sacco, come
potrebbe non esserlo, io non vi dirò nulla.
Vi chiedo perdono
se ho interrotto il capitolo probabilmente sul più bello, ma
nel prossimo troverete una sorpresa che spero gradirete.
Detto questo vorrei
ringraziare chi ha recensito il capitolo precedente e chiunque legga
questa storia. Ogni parola è per me fonte di enorme gioia.
Qualcuno
è riuscito a capire chi fosse la ragazza, altri ancora no.
Alcuni, invece, con mia grande sorpresa hanno quasi scoperto un
passaggio importante della storia, altri invece sono completamente
fuori strada. Mi piacciono i vostri ragionamenti e mi diverto molto a
leggerli, quindi non smettere mai di farli.
Mi è
stato chiesto cosa pensassi io dell'amore. Io come alcune di voi, credo
che l'amore a prima vista non esista, che non può esistere,
però credo nel collegamento tra due anime, come una specie
di connessione. Credo che esista davvero l'altra metà della
mela e che quando si incontra si capisca subito che sia quella giusta.
Credo che tutti gli amori possano finire, ma sperare in un amore
eterno, o almeno finchè morte non ci separi, non
è un reato.
Mi scuso
anticipatamente per questa nota kilometrica.
Un bacione a tutte
voi.
|
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Capitolo 7 *** They know the Cherubim have a rival on Earth? ***
6.They know the Cherubim have a rival on Earth?
Vorrei
dedicare questo capitolo a Jazzina_94 (non puoi neppure immaginare
quanto le tue parole mi abbiano fatto piacere, è grazie a
te, se sono riuscita a concludere questo capitolo)
6. They know the
Cherubim have a rival on Earth?
Entrai
nella libreria e aspirai quel profumo di carta e magia che,
inspiegabilmente a
nessuno era ancora venuto in mente di imbottigliare.
Il
gioco dell'angelo - Carlos Ruiz Zafòn
Bella dormiva, o
meglio, stava sdraiata sul letto con gli
occhi chiusi. Dietro le sue palpebre, nella completa
oscurità, vedeva riflesse
ombre che prendevano strane forme, mentre la sua mente viaggiava nel
ricordo di
quella lunga giornata.
Accanto al letto,
sopra il comodino pieno di libri e
cianfrusaglie, aveva posato la busta contenente il denaro per salvare
la
libreria di Miss Popper, quella che lei riteneva la sua libreria.
C’era
riuscita. Aveva venduto quasi tutti i gioielli,
raccogliendo esattamente cinquemila sterline e due pence. Probabilmente
un
centesimo l’avrebbe regalato a Margaret, come premio per
averle fatto quasi
venire un infarto.
E
l’altro, invece, l’avrebbe regalato al musicista,
per
averle acceso qualcosa dentro il suo corpo.
Un incontro
fortuito
avrebbe detto, se tutto ciò fosse accaduto qualche anno
prima, ma
adesso, dopo tutto quello che le era successo, dopo tutto quello che
aveva
vissuto sulla sua pelle, l’avrebbe solo chiamato uno strano scherzo del destino.
Adesso, mille
domande le pungevano le pareti della testa
e altrettante paure le martellavano sul cuore, saltellandoci sopra come
un
tappetino elastico, tutto ciò che lei voleva, era conoscere
il musicista e al
contempo maledire la prima volta che l’aveva visto, che
l’aveva ascoltato, che
gli aveva permesso di entrare nella sua anima.
Si strinse forte il
cuscino al petto e lasciò che i
pensieri si liberassero nell’aria, senza un ordine,
perché era così che le aveva
insegnato sua madre quando non riusciva a prendere sonno. Contare le
pecore non
serviva a nulla, rilassare i muscoli era una tecnica obsoleta, tutto
ciò che
avrebbe dovuto fare, era lasciare libertà ai pensieri, sia
brutti sia belli, e
riprenderli poi, il giorno dopo, magari all’alba, quando il
sole ancora non era
sorto completamente e non c’era il rischio che venissero
bruciati.
In quel preciso
istante Bella si addormentò, dentro di
lei il vuoto, intorno al suo esile corpo una miriade di pensieri, di
paure, di
sogni e di speranze riempivano ogni particella di ossigeno presente
nella
stanza.
Il giorno seguente,
Bella si alzò molto presto. Era
agitata e non vedeva l’ora di consegnare i soldi a
quell’uomo, per poter
riprendere a respirare.
Fece ogni cosa con
il triplo della velocità che usava,
solitamente, nelle normali mattine.
Riordinò
la stanza rifacendo semplicemente il letto.
Si fece
una doccia
veloce, e fredda, perché la sua pelle bruciava e peggiorare
la situazione non
era proprio il caso.
Lavò i
denti con forza, e temette di averli danneggiati per la
troppa foga.
Indossò
una maglia colorata, invece delle solite
maglie monocolore che usava per non attirare l’attenzione.
Si
dimenticò persino di legare i lacci delle Converse,
rischiando di inciampare più di una volta.
Non bevve il suo
The, quello che solitamente prendeva per
cominciare la giornata, esattamente come faceva sua madre.
Per la troppa
fretta dimenticò l’elastico, con cui
solitamente legava i capelli, sul mobiletto del bagno.
E per la prima
volta, uscendo di casa, non alzò gli occhi
verso il cielo, non sapendo quindi di che colore fosse precisamente.
Quella mattina si
poteva dire che Isabella non era la stessa
di ieri, non era veramente in lei, ma poi chi poteva mai saperlo, se la
vera
Isabella era scomparsa da tempo?
Quando
arrivò di fronte la libreria di Miss Popper, il
cuore le batteva furioso nel petto. Era stata incosciente, aveva agito
senza
riflettere ma soprattutto senza parlarne con Margaret. Tutto
ciò che adesso
sperava era di essere arrivata in tempo.
Entrando, non
sentì alcun rumore, così si avvicinò
al
magazzino, ma trovò la porta chiusa. Stava per entrare
quando una mano si posò
sulla sua spalla, facendola sobbalzare, spaventandola.
Si voltò
ansante, scontrandosi con due occhi cerulei.
<<
Bella, cosa ci fai qui a quest’ora? >> le
domandò leggermente irritata Margaret, i suoi bellissimi
occhi la osservavano
circospetti.
Bella si
posò una mano sul cuore, cercando di regolare il
respiro, << io…so tutto. >>
<<
Tutto cosa? >> Le chiese Margaret
guardandola attentamente.
Isabella fece
sedere Margaret sullo sgabello dietro la
scrivania, aveva comunque una certa età.
<<
Dove sei stata ieri? >> Le domandò
Margaret con tono preoccupato.
Bella scosse la
testa, non era la domanda giusta.
<<
Perché non sei venuta, stavi poco bene? >>
Continuò l’anziana signora sistemandosi la piega
della sua lunga gonna verde
acqua, << non sentivi il telefono suonare?
>>
<< Ho
sentito tutto. >>
<<
Tutto cosa? >>
<<
Ieri mattina ero qui. >> Confessò tenendo
gli occhi bassi.
Margaret nascose il
viso dietro le mani, << mi
dispiace tanto Bella, avrei dovuto dirtelo prima. >>
<<
Dirmi cosa? >> La sua voce tremava.
Gli occhi delle due
donne si scontrarono, <<
qualche anno prima che tu venissi a lavorare qui, ho avuto problemi con
le
vendite. >> Sospirò, Bella la
lasciò proseguire, << la banca non
voleva concedermi alcun prestito, ed io non avevo intenzione di vendere
la mia
libreria. Dannazione ci sono cresciuta in questo negozio, mi sono
innamorata
dietro gli scaffali di questi libri. Non potevo arrendermi.
>> La voce di
Margaret tremava, mentre i suoi occhi iniziarono a inumidirsi.
<< Sono
stata costretta a chiedere un prestito a quell’uomo.
E’ un usuraio. >>
Iniziò a singhiozzare e parlare cominciava ad essere
difficile, << Mi aveva dato tempo,
mi aveva fatto promesse, evidentemente era solo un ottimo attore.
All’inizio
si trattava di poco, giusto qualche centinaio
di sterline, pensavo di riuscire a rientrare anche negli interessi, ma
più
passava il tempo, più i soldi aumentavano. Ed io non avevo
nulla, come non ho
nulla adesso.
Ma prima, quando
credevo ancora di potercela fare, mi
resi conto troppo tardi che, anche se avevo ordinato nuovi libri le
vendite non
erano aumentate e così capì di essere davvero in
pericolo. Poi sei arrivata tu.
>> Disse inondando di cobalto gli occhi scuri di Bella,
<< che
quando hai messo piede in questa libreria sembravi tanto un pulcino
bagnato. Ti
muovevi tra questi scaffali affascinata e più ti osservavo
più mi sentivo
felice. Quando poi hai iniziato a
lavorare con me, non potei fare altro che ringraziare il cielo per
avermi
mandato una ragazza dolce come te, ma anche pagarti, darti quel misero
stipendio
che ti ritrovi è davvero difficile. Però
non mi sono mai pentita Bella, sappilo, perché tu sei la
cosa più bella di
questa libreria. Purtroppo questo non è bastato, neppure il
tuo aiuto ci ha
risollevato, non ho più un soldo Bella, siamo costrette a
chiudere. >>
Bella le
afferrò le mani prima che potesse usarle per
coprirsi il viso un'altra volta.
<<
No, noi non venderemo proprio un bel niente.
>> Disse dura tirando fuori dalla borsa a tracolla la
busta contenente le
cinquemila sterline.
<<
Che cosa sono? >> Chiese Margaret
asciugandosi le lacrime con il palmo della mano.
Bella le
allungò i soldi, << con questi potremmo
pagare il debito, potremmo avere un nuovo inizio. >> Le
disse
sorridendole.
Miss Popper scosse
la testa, << dove hai preso
tutti questi soldi? >> le domandò titubante.
<< Ho
venduto i gioielli di mia madre. >> Le
confessò
la ragazza.
Margaret
sobbalzò sentendosi così viscida, così
insignificante, colpevole, << tu hai venduto…
Bella ma sei impazzita?
>> le urlò sbigottita.
Isabella
iniziò a tremare, << non mi resta
nient’altro
che questa libreria, non mi resti che tu, non posso perdervi entrambe.
>>
<< Ma
Bella ti rendi conto di quello che hai fatto?
Vendere i cimeli di tua madre è stato come vendere una parte
di lei. >>
<< Lo
so. >>
<<
Non posso credere che tu l’abbia fatto sul
serio. >> Margaret si dovette reggere alla scrivania per
evitare di
cadere.
Bella le strinse le
braccia delicatamente, << quel
che è stato, è stato. Margaret per favore accetta
questi soldi, fallo per me.
>> La implorò con le lacrime agli occhi.
<<
Non posso. >>
<<
Margaret per favore. >>
Miss Popper
alzò lo sguardo sul viso della ragazza, e la
vide. La vide in tutta la sua tristezza, in tutta la sua debolezza, e
le sembrò
così piccola che di lasciarla cadere nel tunnel non ne aveva
alcuna voglia. Era
diventata la sua famiglia, da quando Alfred, il marito, era scomparso.
<< Te
li restituirò promesso. >> Si arrese
rossa in volto per la vergogna.
Bella la strinse in
un abbraccio, << grazie, nonna.
>>
Nessuna delle due
sapeva cosa significasse quella parola
detta in quel momento. Margaret non era la nonna di Bella, e Isabella
non era
sua nipote, avevano però un collegamento, magari non
molecolare, ma qualcosa dentro
di loro scoppiò grazie a quella parola, ma purtroppo nessuno
delle due se ne
accorse.
Bella vide
l’usuraio chiudersi l’uscio dietro le spalle e
per poco non scoppiò a piangere per la troppa
felicità. La libreria era salva e
nessuna delle due donne aveva più di che preoccuparsi,
almeno per il momento.
Quando Miss Popper
si chiuse dentro il magazzino, Bella
poté finalmente tornare a occuparsi delle sue normali
mansioni, senza però
riuscire mai a liberarsi dalla mente il ragazzo del giorno prima.
Per la troppa
preoccupazione non era riuscita neppure a
capire se quel ragazzo sarebbe venuto a cercarla o meno. Sapeva dove
lavorava,
ma non conosceva il suo nome, il suo volto, quindi poteva benissimo
fingere di non
essere lei. Eppure quando la porta della libreria si aprì, e
comparve l’ombra
di un ragazzo con una chitarra in spalla, Bella ne fu convinta, non
sarebbe mai
stata in grado di mentirgli.
Il musicista
esaminò la stanza prima di posare gli occhi
sulla ragazza dietro la scrivania, ma non appena la vide, qualcosa
scattò in
lui. Come se entrambi l’avessero sempre saputo chi fossero
l’uno per l’altra.
Si
avvicinò a Bella lentamente, quasi preoccupato di
poterla ferire anche con un solo sguardo.
Quando si trovarono
uno di fronte all’altro rimasero in
silenzio, contemplandosi.
Così vicini Bella potè concentrare la sua
attenzione su quello sguardo che inspiegabilmente la faceva sentire
vuota e piena allo stesso tempo. Occhi che la trafigevano da parte a
parte, solleticandole la pelle gentilmente. Se lei in quel momento
credette di essere in un sogno, lui, il musicista, si
sentiva lo stomaco in subbuglio, come quando alla sua prima
recita dovette entrare in scena. Era agitato perchè sapeva
che all'ora tutti gli occhi si sarebbero puntati sulla sua
figura e le orecchie degli spettatori si sarebbero tese per ascoltare
la sua battuta. Adesso però, quell'effetto era solo una
singola persona a procurarglielo, una ragazza, dagli occhi color del
cioccolato, con la stessa intensità di una colata di lava
fondente, e si sentì bruciare quando quegli occhi lo
guardarono. Lui che era sempre stato un ragazzo difficile da leggere si
stava lascinado sfogliare da una sconosciuta. Che fine avrebbe fatto se
lei l'avesse continuato a fissare in quel modo?
Il ragazzo prese
coraggio e si decise a parlare, estraendo dalla tasca
il braccialetto di Bella.
<<
Questo dovrebbe essere tuo. >> Le disse
dolcemente, allungandole il braccialetto.
Come può
guardarmi
negli occhi e vedermi per quella che sono, come può sapere
che questo bracciale
sia mio, senza che nessuno gliel’abbia detto. E se le stelle
sta notte si
fossero adagiate sui suoi occhi mostrandogli il mio volto? Si
può perdere la
cognizione del tempo quando davanti a sé si ha
l’eternità in uno sguardo?
Isabella lo prese
dal palmo della sua mano, tremando. <<
Lo è. >> Non sarebbe mai stata in
grado di mentirgli.
<< Te
lo restituisco. >> Sorrise il ragazzo,
fermando la mano di Bella a mezz’aria. Con la sua di mano
bloccò il polso di
Bella che subito si sentì scottare da quel contatto. Si
fissarono entrambi, in
silenzio.
Lui già sapeva chi fosse, forse, l'aveva sempre saputo.
Fu
Bella a parlare. << Puoi tenerlo se vuoi.
>>
Puoi tenerlo insieme
all’anima che mi rubi, quando ti ascolto cantare, chi sei
viandante? Dovrei
avere paura di te oppure lasciarmi ammaliare dai tuoi occhi?
Il ragazzo scosse
la testa, aprendo il gancetto del
bracciale, per poi chiuderlo intorno al polso di Bella.
<< Sai avrei
tanto voluto conservarlo io. Irradia una strana energia questo
ciondolo, mi
carica, mi rende forte, ma vorrei ridarlo alla sua legittima
proprietaria.
>> Indugiò parecchio sulla sua pelle, senza
riuscire a spostare le dita.
Bella rimase
immobile, il cuore batteva così furiosamente
nel petto che probabilmente anche Miss Popper dal magazzino riusciva a
sentirlo. <<
Io non credo di avvertirla questa energia, per cui tienilo,
è tuo, a me non
serve. >> Lo disse senza però spostare la mano
da quella del musicista.
Parole e gesti in eterna contraddizione.
<<
Sono venuto fin qui per consegnartelo, non torno
indietro se devo riportarlo con me. >>
Sussurrò infine il ragazzo
lasciando la mano di Bella.
Lo sanno i
Cherubini di avere un rivale sulla Terra?
Quest’ultima
non riusciva a smettere di guardarlo,
finalmente era qui. Sentiva la sua voce, percepiva la magia anche senza
che lui
cantasse. << Va bene, e tu come farai senza
quest’energia? >>
chiese timidamente.
<<
Tornerai ad ascoltarmi? >> Domandò il
musicista, lasciando Bella interdetta.
<<
Si. >>
<<
Allora non ne avrò più bisogno. >>
Il ragazzo si
voltò, dandole le spalle. I suoi occhi
scrutavano la numerosa pila di libri sullo scaffale di fronte alla
scrivania
dove sedeva Bella. Quest’ultima lo fisso incuriosita,
perdendosi di nuovo nel
suo profumo, ancora una volta così vicino.
Il musicista
posò la chitarra sul pavimento facendo due passi
verso lo scaffale e iniziò a leggere i titoli di alcuni
libri. Bella rimase in
silenzio, troppo presa dai suoi movimenti per poter proferire parola.
Lo guardava
incredula, come se fosse tutta una visione
scaturita dalla sua mente malsana, in astinenza.
Il ragazzo prese un
libro tra le mani stando attento a
non far cadere tutti gli altri, posati malamente sulla mensola.
<< Dal
momento in cui decidiamo di non aver più paura…
>>
Bella
sospirò, << nulla ha più
potere contro di noi.
>> Concluse abbassando lo
sguardo.
Il ragazzo si
voltò di scatto verso la ragazza dai lunghi
capelli color mogano, i suoi occhi incontrarono quelli sfuggenti di
Bella e una
scarica elettrica invase il suo corpo.
<<
E’ un bel libro. >> Commentò il
ragazzo
agitandolo leggermente.
Isabella
l’aveva letto una volta sola, ma quella frase
l’aveva colpita come un pugno in pieno stomaco, semplicemente
perché lei aveva
ancora paura.
Il ragazzo rimise
il libro a posto e si voltò ancora una
volta per prendere la sua chitarra. << E’ una
bella libreria. >>
Sorrise guardandosi intorno.
Isabella non
riusciva a parlare.
<<
Allora ci si vede, Bella. >>
Salutò il ragazzo inconsciamente, senza essersi
reso conto di aver pronunciato il suo nome. Si bloccò di
botto, voltandosi
verso la ragazza che lo fissava incredula.
Isabella lo
guardò per un tempo che parve indeterminato,
<< conosci il mio nome. >>
Non poteva saperlo,
Paul non gliel’aveva detto, lui non l’aveva
voluto sapere, pensò Bella agitata.
Il ragazzo
abbassò la testa, passandosi una mano tra i
capelli. Bella rimase colpita da quel gesto, ancora non lo sapeva che
presto
avrebbe imparato a riconoscerlo, questo e tutti gli altri che lui
avrebbe fatto.
<<
Perdonami, ma la verità e che non sono venuto
fin qui solo per riportarti il bracciale. >> Ammise
ritornando indietro
di qualche passo, adesso era di nuovo di fronte al bancone, di nuovo di
fronte
a Bella.
Quest’ultima
lo fissava, lo ammirava, e tremava.
Possibile che non
si fosse accorto di avere di fronte a
se la stessa ragazza di ieri?
<<
Conosco il tuo nome da così poco tempo, eppure
lo ripetuto miliardi di volte, che ormai nella mia testa risuona solo
questo.
>> Confessò imbarazzato, << la
verità e che avevo bisogno di dare
un volto a questo nome. >>
<< Ci
sei riuscito. >> Sussurrò Bella,
catturando ancora di più l’attenzione del
musicista, che non riusciva a
smettere di osservarla.
<<
Quando ascolto la tua voce tutto il vuoto viene
riempito, non c’era mai riuscito nessuno. >> Si
sentiva così piccola
Bella, così indifesa, aprirsi a uno sconosciuto, che
assurdità pensò.
Edward
corrugò la fronte, << sei sempre stata tu?
Anche il biglietto intendo. >> Non aveva bisogno di
spiegare cosa ci
fosse scritto sul bigliettino, sapeva che era sempre stata lei.
Isabella
annuì imbarazzata.
<< Allora
credo che siamo pari. >> Le sorrise
dolcemente.
Bella non gli
rispose, stava ancora cercando di capire il
significato di quell’ultima frase. Il musicista aveva appena
aperto la porta
per andare via, quando si voltò un ultima volta verso Bella.
<< Io
mi chiamo Edward. >> Disse regalandole
un sorriso, che mai Bella avrebbe dimenticato.
Lui aveva un nome.
Si chiamava Edward.
Il musicista si
richiuse la porta alle sue spalle.
Isabella era di nuovo sola, senza magia, senza parole, senza musica.
<< Edward.
>> Sussurrò Bella cercando di
trovare un collegamento a quello che sentiva nel cuore e quello che
accadeva
fuori da esso. E adesso poteva capirle le parole del musicista,
perché chi sa
quante volte lei avrebbe ripetuto, invece, quel nome nella sua testa.
Per favore non uccidetemi, lo so, è un mese che non mi
faccio vedere, per giunta vi avevo anche promesso di postare questo
capitolo dieci giorni fa, senza riuscire a mantenere la promessa. Non
cercherò nessuna giustificazione, perchè sarebbe
brutto mentirvi, vi dirò la verità: semplicemente
non riuscivo più a scrivere, semplicemente Bella e Edward si
erano nascosti e non volevano più raccontarmi la loro
storia. E' stato un mese lungo e molte volte ho aperto la pagina di
Word senza riuscire a ricavarne nulla, poi, miracolosamente i miei due
protagonisti sono tornati, pronti a scoprirsi di nuovo, pronti a
raccontarvi la loro storia.
Adesso però mi nascondo in un angolino e lascio a voi ogni
commento, e se vorrete alzare le mani sul mio povero corpo, pensate che
la violenza non ha mai risolto nessun problema xD
Ringrazio tutte voi per l'immensa pazienza. Da questo momento in poi
posterò con regolarità tutti i Martedì.
Grazie a tutte voi. Le vostre parole sono sempre più bella
ad ogni capitolo.
Lua93
|
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Capitolo 8 *** Where were you when it all began? ***
7. Where were you when it all began?
Questo
capitolo si svolge in corrispondenza con il quinto capitolo Sparks.
Alla fine
troverete le mie note, un abbraccio virtuale a tutte voi, buona lettura!
7.
Where were you when it all began?
Il potere della mente
consiste nel cogliere le differenze,
quello del cuore
nel cogliere le similitudini.
Dolce
come il miele - John Penberthy
<< Sta mattina l’ho trovato sotto le lenzuola
con
gli occhi sbarrati, secondo me non si sente bene. >>
Aveva sussurrato
Rosalie Hale, nascondendo il viso dietro un’enorme tazza
rossa, contenente del
caffè bollente.
Rosalie Hale era quel genere di ragazza dalla bellezza
etera, troppo perfetta per essere considerata umana, gentile, quasi
angelica
come la Beatrice del povero Dante. Peccato che Rosalie Hale non fosse
ne un
angelo ne un musa ispiratrice. Quella ragazza era
l’incarnazione perfetta del
realismo Verghiano. Convinta
che solo ciò
che si potesse vedere era possibile considerare reale. Il fatto e che,
lei,
Rosalie, da tutti chiamata Rose, non credeva nel potere mistico del
braccialetto ritrovato da Edward, e il solo pensiero di potersi
sbagliare, la
faceva sentire impotente, e lei sentirsi debole lo detestava. Proprio
per
questo motivo non voleva che il suo amico scoprisse a chi appartenesse
il
bracciale.
Di fronte a Rose c’era un ragazzo muscoloso, dai bicipiti
e tricipiti accentuati, scolpiti e tracciati da un qualche vecchio
scultore
greco. La sua imponenza anche nell’immobilità del
corpo metteva in soggezione,
ma bastava sollevare lo sguardo sui suoi occhi, per poter leggere tutta
la
dolcezza che si trovava appiccicata sulla sua pelle. Indossava una
vecchia
maglia bianca, con disegnato sopra un sessantacinque verde, sbiadito a
causa
dei troppi lavaggi. Ascoltava Rose parlare mentre infilava un enorme
croissant
in bocca, facendo schizzare il cioccolato.
Rosalie lo fissava sbalordita e anche un po’ disgustata,
<< Dio Santo, Emmett, potresti comportarti un
po’ più da persona civile?
>>
Il ragazzone, Emmett, scosse la testa ridacchiando,
<< Che cosa intendi per persona civile? >>
La bionda posò la tazza sul lavandino dando le spalle
all’omone che, indifferente si divertiva spesso a prenderla
in giro. Senza però
mai offenderla, perché lui non le avrebbe mai fatto del
male, in nessun modo
possibile.
<< Chiunque essere umano al di fuori di te.
>> Gli rispose mentre apriva il rubinetto per sciacquare
la sua tazza.
<< Grazie per il complimento, >> le aveva
gentilmente detto, facendola sorridere, con quel suo tono allegro e
giocoso che
l’avrebbe sempre rallegrata, in qualsiasi situazione.
<< Questa volta
qual è il problema di Edward? >>
Rose si era voltata verso Emmett cercando nei suoi occhi
un briciolo di serietà, e si sorprese quando notò
i muscoli di quel bellissimo
viso, tesi. Un ciuffo riccio e ribelle si era posato proprio sopra la
sua
fronte, coprendo un lembo di pelle, che lei non riusciva proprio a
smettere
fissare.
Difficile concentrarsi, pensò Rose, quando due occhi
così
ti fissano penetrandoti.
<< Vuole scoprire di chi sia quel bracciale, a
tutti i costi. >> Miracolosamente era riuscita a
proferire una frase di
senso compito anche guardandolo negli occhi.
Emmett si alzò dalla sedia, strisciandola sul pavimento
di legno, producendo un suono stridulo e fastidioso. Si
avvicinò alla ragazza
con passo lento e aggraziato, che avrebbe sorpreso chiunque
l’avesse visto
muoversi con quella delicatezza, avendo un corpo di così
grandi dimensioni. Rose,
però non si sorprese per nulla, sapeva invece, quanto quel
ragazzo fosse
delicato.
<< Lascialo libero di fare ciò che
più desidera, se
è ciò che vuole, perché opporsi?
>> le aveva chiesto abbracciandola da
dietro, cingendole per la vita dolcemente.
<< Perché non voglio che si bruci.
>> Aveva
sussurrato Rose voltandosi verso Emmett. I loro occhi
s’incontrarono scatenando
una reazione chimica all’interno dei loro organismi. La pelle
iniziò a prudere
e quella minima distanza non faceva altro che peggiorare la situazione.
<< Non sei la madre Rose, abbiamo la stessa
età, lascialo
fare anche se sbaglia a farsi male. >> La grande mano di
Emmett si posò
sul piccolo viso si Rose, accarezzandole la guancia con
l’indice, <<
magari tutto questo è già stato scritto.
>>
Rose scosse la testa, << intendi dire che il nostro
futuro è già stato deciso da qualcun altro?
>>
Emmett annuì, respirando il dolce profumo della sua
pelle.
<< E tu pensi di conoscerlo questo futuro?
>>
le aveva domandato la ragazza avvicinando le labbra a quelle carnose e
piene
del ragazzo.
<< Certo. >> Le sussurrò con un
soffio,
<< per esempio, nel tuo futuro adesso vedo un enorme
letto, ricoperto da
sospiri. >>
Un brivido percorse l’intera spina dorsale della ragazza
che, tremò ascoltando quelle parole sussurrata con tutta
quella dolcezza,
<< e in tutto questo, tu dove sei? >>
<< Accanto a te, amore. Io ti sono sempre vicino.
>> La baciò dolcemente lambendo le sue labbra
con calma. Quando si
allontanò dal suo viso, le strinse la mano e insieme si
allontanarono dalla
cucina, avviandosi verso la camera più bella della casa,
almeno per loro, che
dentro quella stanza avevano costruito tutto il loro universo.
In quella casa accadevano davvero tante cose magiche, e
molte volte i sogni diventavano realtà, ma quella mattina,
quando Edward uscì
dalla sua di camera, si avviò verso l’uscio della
porta, stringendo nella tasca
il braccialetto della ragazza sconosciuta, e senza rendersene conto,
portò con
se tutta la magia.
Fu proprio quel giorno che Edward scoprì una piccola
incisione sul braccialetto.
Uscendo dal piccolo
portoncino, quella mattina Edward aveva estratto il braccialetto al
posto delle
chiavi di casa, rimanendo sorpreso a fissarlo. Alla luce del sole
qualcosa
attirò la sua attenzione, i suoi occhi si strinsero in due
fessure e il suo
cuore cominciò a saltellare allegramente nel suo petto.
C’era scritto qualcosa,
un nome o un cognome forse, lui questo non lo sapeva.
Fu proprio quel giorno che si ricordò di Thomson
P come gioielliere, e avrebbe
tanto dovuto ringraziare Rosalie per tutte le volte che
l’aveva mandato da lui,
per farle sistemare il ciondolo d’argento dal cinturino
difettoso.
Il musicista si
voltò, rientrando nella sua abitazione, e corse
così veloce nella camera di
Rosalie che ignorò persino le lamentele di un Emmett
decisamente scocciato. Non
si accorse neppure di quello che stava succedendo in quella stanza, che
di vedere
Emmett a torso nudo ormai c’era abituato, ma un po’
ringraziò il cielo di vedere,
invece, Rosalie ancora completamente vestita di cielo. Quando ottenne
la
risposta alla sua domanda, baciò entrambi sulla nuca,
correndo come un razzo
fuori dalla loro camera. Quella mattina avvenne il primo cambiamento.
Fu proprio quel giorno che si dimenticò di accordare la
sua chitarra prima di suonare lungo Oxford Street.
Con la mente ancora
completamente immersa in Thomson P, Edward iniziò a suonare
la sua chitarra, strimpellando
note allegre che vibravano dalle corde. Camminò parecchio
quel giorno e la
gente che lo vedeva non poteva fare altro che rallegrasi,
perché uno sguardo
così felice non l’avevano mai visto. Quel giorno
si poteva dire che la felicità
che albergava begli occhi di quel musicista riscaldava più
della melodia della
sua voce.
Fu proprio quel giorno che si scontrò contro una ragazza
senza alzare lo sguardo per osservarla in volto.
Si voltò
frettolosamente, dando le spalle a Paul e senza rendersene conto si
scontrò
contro un corpo piccolo e caldo. L’afferrò al
volo, prendendo una piccola
scossa quando si sfiorarono, ma lui troppo impegnato non se ne accorse.
E lui non poteva certo sapere che quella minuta ragazza
era la stessa che stava cercando da giorni.
<< Scusami. >> Le aveva sussurrato.
E scusami se me ne
sono accorto troppo tardi di te.
Scusami se quando
ci siamo incontrati in quel piccolo negozio, ero così
abbagliato che neppure mi
sono accorto di quanto fossi bella.
Scusami se sono
arrivato tardi.
Scusami se sono
stato impulsivo e sconsiderato.
E scusami se ti
sembro troppo impiccione, ma sai Splendore, io della tua vita voglio
sapere
tutto.
Scusami se da
questa notte entrerò nei tuoi sogni, ma tu, ragazza tutti i
giorni vibrerai
attraverso la mia voce.
Scusami se parlerò
di te al mondo intero, ma proprio non ci riesco a tenermi tutto dentro.
Scusami Splendore,
tu però, perdonami che se ti rubo troppe scintille e
perché io della tua luce
ne ho un bisogno vitale.
Certo, lui tante cose ancora non le sapeva, tante cose di
Bella neppure le poteva immaginare, ma conosceva il suo nome, e grazie
a Paul
anche dove lavorava, e forse la prossima volta avrebbe tenuto gli occhi
aperti
anche mentre suonava, che l’occasione di conoscere quella
ragazza non voleva
più perderla.
Fu proprio quella sera che si decise a rischiare,
promettendo a se stesso che il giorno seguente sarebbe entrano nella
misteriosa
libreria, per incontrare la sua
Bella.
Quella sera in quella casa accadde qualcosa, e dei cinque
ragazzi che ci vivevano, solo una se ne accorse.
Una ragazza
dai capelli corti e neri, dagli occhi verdi e sinceri, che si divertiva
spesso
a intingere le mani in colori pastelli e stringere tra le dita matite
spuntate.
Eccomi qui come promesso,
puntuale come un orologio svizzero, che brava che sono stata vero?
Mi scuso per
questo capitolo un
pò più corto del precedente, ma non potevo fare
altrimenti. Qui
non solo diamo un nome alla ragazza bionda del quarto
capitolo, Rosalie, ma incontriamo anche Emmett. Ho cercato di
mantenere fede alla descrizione fatta dalla Meyer, ovviamente
apportando qualche modifica. La mia Rosalie prima di tutto non
sarà nè cinica nè
insensibile, al contrario sarà una donna passionale
e
caratterialmente molto profonda. Anche se credo che la Rosalie
originale, quella descritta dalla Meyer non sia affatto cinica, al
contrario è un personaggio complesso, che andrebbe
analizzato sotto più punti di vista. Ma in questa storia
avrà un altro ruolo. Per lei, Edward, è come un
fratello, per questo si preoccupata molto per lui. Con l'avanzare dei
capitoli scopriremo molto di più, per esempio
perchè
vivono tutti insieme, qual è la storia di Edward e degli
altri
coinquilini. Tutto verrà spiegato a tempo debito, promesso.
In questo
capitolo seguiamo
Edward e come è riuscito a sapere di Bella, avrei dovuto
inserire anche la parte in cui i due si incontrano e parlano,
ciò che Edward ha provato in quel momento, ma ho preferito
non
inserirla, anche perchè credo di averlo spiegato nel
precedente,
ma non è detto che non faccia degli extra, vedremo, la
storia
è ancora all'inizio.
Importante
è la parte finale del capitolo, siete riuscite a capire di
quale personaggio si tratta?
Lascio a voi ogni
commento.
Ringrazio come
sempre chi mi
segue, chi ha inserito la storia nelle preferite, ricordate, seguite e
tutte le ragazze che mi hanno aggiunto come autrice preferita.
Inoltre
ringrazio
Alone
in the dark per
le splendide parole.
Vi lascio il mio contatto di facebook, aggiungetemi senza problemi, per
qualsiasi dubbio o domanda io sono sempre disponibile: Lua93
Altra piccolissima cosa, volevo ringraziare le 6000 visite di The
Butterfly Effect. Un numero così alto non l'avevo mai visto.
Idem per Buskers, che ha già raggiunto le 1000 visite.
Grazie grazie grazi.
Un bacio a tutte.
Lua93.
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Capitolo 9 *** There's always an oasis in every desert. ***
8. There's always an oasis in every desert.
Buona
Domenica ragazze, il capitolo è arrivato, come promesso.
Un abbraccio
virtuale a tutte voi, buona lettura ci ritroviamo alla fine del
capitolo.
8.
There's always an oasis in every desert.
Vivo
sospesa, tra sogno e quotidianià
io
mi ero persa per strade sconosciute
già
cambiate prima di arrivare.
Nathalie
- Vivo Sospesa
Passare
un’intera giornata con la mente bloccata nei
meandri dei ricordi, non era ciò Isabella avrebbe desiderato
fare quel giorno.
Che di tutte le azioni svolte in quelle ore di lavoro, solo accogliere
nuovi
volumi nella libreria, l’avevano distratta di qualche minuto,
prima che la sua
mente potesse tornare al giorno precedente. E Bella sapeva che era
sbagliato,
ed era la prima volta, che quando Miss Popper le rivolgeva la parola,
lei non
le rispondeva, lei non l’ascoltava, lei non le prestava
attenzione. E ora che
gli occhi chiari e brillanti di Margaret la scrutavano, Bella
pensò che fosse
possibile leggere nelle iridi i pensieri, per questo evitava lo sguardo
dell’anziana, imbarazzata.
<<
Oggi sei piuttosto distratta, o sbaglio? >>
le aveva domandato con tono sarcastico, Margaret.
Bella
pensò che almeno la verità avrebbe dovuta
saperla,
che infondo in minima parte era anche grazie a lei se i due ragazzi si
erano
conosciuti.
Ma
preferì non dirle niente, non raccontarle di quel giovane
musicista che le aveva procurato un insonnia di un intera notte. Che
non era
ancora arrivato il momento di raccontarle chi fosse e come si fossero
conosciuti. Perché, infondo, pensò Bella, non era
importante, che magari non
l’avrebbe neanche più rivisto, o se anche fosse
avvenuto il contrario, due
mondi così lontani non potevano di certo entrare in
collisione. Così Isabella
scosse la testa, sistemandosi una ciocca di capelli color mogano dietro
l’orecchio, << certo che no, cosa te lo fa
credere? >>
<<
Forse dipende dal fatto che è tutto oggi che ti
parlo e tu non mi ascolti, o forse sono i tuoi occhi. >>
Le aveva
sussurrato dolcemente. Bella sobbalzò preoccupata, che
avesse forse intuito
qualcosa?
<<
Cos’hanno i miei occhi? >> le aveva
chiesto interrompendola.
Miss Popper
scoppiò in una fragorosa risata, che vibrò
nell’aria, solleticando le copertine impolverate dei vecchi
libri, <<
brillano di luce propria, come se questa notte qualcuno ti avesse
incastonato due
stelle all’interno della pupilla. >>
Bella
pensò fosse impossibile, poiché quella notte non
era riuscita a tenere le palpebre abbassate per più di
trenta minuti.
<<
Non dire sciocchezze Margaret, sono sempre la
stessa. >> Ridacchiò, << forse
avete ragione a dire che sono
distratta, ma tutto dipende dalla stanchezza e dalla paura, non
dimenticare che
solo ieri credevamo di aver perso tutto. >> Le aveva
risposto, cercando
di sviare il discorso. Non era brava a mentire, e questo lo sapevano
bene
entrambe.
Margaret
non era
molto convinta di quelle parole, ma si lasciò cullare da
quella piccola bugia,
sapeva che tanto, prima o poi, Bella le avrebbe confessato ogni cosa.
<<
Credo tu abbia ragione. >>
Credi, esatto.
Almeno tu in qualcosa riesci a crederci. Io ormai non so neppure se
esiste
qualcosa per cui vale la pena di credere, che ho una paura matta di
perdermi di
nuovo, quando ancora non sono riuscita a trovarmi completamente. Ed
è la
mancanza di questa realtà che mi porta a perdere la fiducia,
e come posso
credere alla felicità? Non dopo tutto quello che
è successo, non dopo che ti
vedi strappare via metà di te stessa, perché era
questo mia madre per me. Era
la mia metà.
<<
Che ore sono? >> le aveva chiesto subito
dopo, riportando Bella sul pianeta Terra, dove davvero sono in pochi le
persone
che credono.
Isabella si
voltò verso l’orologio bianco appeso alla
parete, proprio sopra la scrivania, << sono quasi le
quattro. >> Le
aveva risposto con un mezzo sorriso.
Margaret allora si
avvicinò all’attaccapanni afferrando
il cappotto rosa cipria che era solita indossare in quella stagione, e
con un
sorriso che irradiava gioia si voltò verso Bella.
<<
Andiamo, è proprio ora del tè. >>
Le disse
afferrando il braccio della ragazza con dolcezza, in modo da farla
voltare
verso la porta.
Bella prese
velocemente il suo giubbotto, senza lasciare
il braccio di Margaret. Decise di non indossarlo, che quel giorno il
cielo le
aveva regalato una giornata calda e luminosa.
<<
Una bella tazza di tè con biscotti è quel che ci
vuole. >> Continuò a dire, mentre chiudeva la
porta della libreria alle
sue spalle.
Bella
l’osservava senza dire nulla, perdendosi nel
profumo dolce e familiare della donna, che da tanto ormai era diventata
la sua
ancora di salvezza.
Quando
s’incamminarono per l’affollata Notting Hill,
Bella si accorse di quanto fosse piccola e indifesa Margaret, di come
quando si
trovasse immersa in altri corpi, le risultava difficile dover lottare
per fare
anche solo un piccolo passo. E un nodo allo stomaco l’avvolse
togliendole il
respiro, perché Bella lo sapeva bene che, non sarebbe durata
in eterno. Che
così piccola, con tutti quegli anni che sorreggeva sulle
spalle e gli odori
appiccicati sulla sua rugosa pelle, non poteva essere certa di quanto
ancora
potesse durare. Ed era proprio per questo che Bella la strinse
più forte, che
comunque il coraggio di lasciarla non l’avrebbe mai avuto.
<<
Vieni, questa mattina ho notato un nuovo bar, e
mi piacerebbe molto provarlo. >> Le disse trascinandola
verso una
traversa che Bella non aveva mai percorso. << Si chiama,
Apostròphe, mi sembra,
non ricordo molto bene. >> Ridacchiò,
coinvolgendo anche Bella, che le
sorrise lasciandosi travolgere da uno strano profumo portato dal vento.
Con ancora la sua
mano stretta al braccio di Bella, Miss
Popper continuava a parlare, cercando di distrarre Isabella. Quella
ragazza era
la forma più palese e rara del cambiamento. Non poteva di
certo dire che la
conosceva da una vita, eppure da quando i suoi occhi si erano posati su
quelli
scuri e spenti di Bella, Margaret si era sentita come in dovere di
aiutarla.
Che lo sapeva bene non poteva essere cambiata così tanto,
anche dopo la morte
di una persona cara. Ma Bella non rispettava mai i canoni di nessuno
studio o
ricerca scientifica, il suo cervello viaggiava in frequenze che le
persone non
riuscivano a captare, neppure la stessa Miss Popper, e forse, era
proprio per
questo che in molti le avevano voltato le spalle, tranne Margaret. E le
sarebbe
tanto piaciuto conoscere la vera Bella, quella che non si sarebbe mai
nascosta
dietro le pagine di un vecchio libro, ma le avrebbe sorriso,
raccontandole
magari, la cotta presa per un bel ragazzo, così come avrebbe
fatto se fosse
stata ancora integra. Perché si era capito bene, che
Isabella Swan si era persa
in un labirinto, senza cibo e acqua, e chi sa per quanto tempo sarebbe
ancora
sopravvissuta.
Ciò che
nessuno delle due donne, in realtà sapeva, era il
bisogno quasi irrazionale che avevano di sentirsi amate. Una
perché convinta
che la vita le avesse voltato le spalle, l’altra che senza la
sua famiglia andava
alla deriva.
<<
Credo sia quello con l’insegna rosa. >> Le
aveva detto Margaret stringendo la presa sul suo braccio.
Bella si guardava
intorno spaesata, come se percorrere un
nuovo tratto di strada fosse qualcosa di assolutamente sconvolgente.
<<
Sbrighiamoci. Questi nuvoloni neri non mi sembrano molto socievoli.
>>
Continuò con voce allegra.
Isabella si
lasciò trascinare dentro il bar sentendosi
leggera come una piuma. Quei nuvoloni pieni di acqua piovana le
piacevano. Le
piaceva la pioggia. Le piaceva sentirsi abbracciata da qualcosa
proveniente dal
cielo, come se fosse la madre che con un sussurro le spediva calore
attraverso
le goccia di pioggia. Bella aveva una mente diversa dalle altre, e
ragionava
anche in maniera diversa, a volte quasi opposta.
<< Ci
sediamo qui? >> le domandò Margaret
posando le mani sulla sedia di legno, all’interno del bar.
Bella annuì, e
imitando l’anziana signora, si sedette.
<<
Allora, >> proruppe Margaret, <<
Bella, pensi di riuscir melo a fare un sorriso? >>
Bella parve presa
alla sprovvista, perché assunse un’espressione
sorpresa, socchiudendo la bocca leggermente. << Margaret,
come mai tutta
quest’apprensione oggi? >>
<< Oh
bambina, io mi preoccupo sempre per te.
>> Le aveva sorriso dolcemente, posando la mano su quella
della ragazza.
Un cameriere si
avvicinò al loro tavolo, catturando
l’attenzione delle due donne.
<<
Buon pomeriggio. >> Le aveva salutate
cordialmente, rimanendo con gli occhi fissi sul corpo minuto di Bella,
più del
dovuto. Margaret se ne accorse, e con uno schiocco di dita,
riuscì ad avere
l’attenzione del giovane.
<<
Buon pomeriggio, >> gli aveva detto,
sorridendogli sornione, << James.
>> Aggiunse, leggendo il nome sul cartellino attaccato
alla divisa color
cachi del ragazzo.
Bella
osservò il ragazzo stando attenta a non farsi
notare, le sue guancie divennero improvvisamente rosse, quando si
accorse di
aver fissato per troppo tempo gli occhi azzurri del giovane. Di un
azzurro più
limpido di quello di Margaret, con molti meno anni di esperienza, ma
con un
incredibile barlume di felicità dipinto
all’interno.
<<
Che cosa posso portarvi? >> aveva chiesto
alle donne, tornando questa volta sugli occhi di Bella.
<< Io una tazza di tè con qualche
pasticcino alla
crema. >> Aveva risposto Margaret.
Il
ragazzo prese appunti sul taccuino che stringeva tra
le mani, senza abbassare mai lo sguardo dal viso di Bella. La ragazza
arrossì
maggiormente, quando si rese conto di non avere ancora
scelto.
<<
A te invece cosa posso portarti? >> le
sorrise divertito, << hai qualche desiderio particolare?
>>
continuò sperando che Bella capisse che dietro
quella richieste si nascondeva
un incredibile voglia di strapparla da quel tavolo per portarla magari
sul
retro, e riempirla di baci e carezze che
forse, tanto romantiche non sarebbero state.
<<
Vuoi anche tu del tè? >> continuò
muovendo
le labbra e a ogni interruzione le sorrideva cercando di ammaliarla.
Bella che
nel frattempo aveva iniziato a capire qualcosa,
cercò quindi di liquidarlo con una risposta semplice e
diretta, << prendo
una cioccolata calda, senza panna e zucchero. >>
Il ragazzo scrisse
velocemente, poi con un mezzo inchino
si allontanò dal tavolo delle due donne.
Margaret rimase in
silenzio fin quando il giovane non si
fosse allontanato del tutto.
<<
Adesso capisco perche non vuoi mai uscire da
casa. >> Le aveva detto infine, certa che nessuno poteva
sentirle.
<<
Che cosa intendi dire? >> le domandò
Isabella sistemandosi una ciocca di capelli dietro
l’orecchio.
Miss Popper
ridacchiò facendo un cenno in direzione del ragazzo
dietro il bancone, intento a preparare la cioccolata calda,
<< non ti
piace essere corteggiata, Bella? >>
La ragazza
arrossì di botto, abbassando la testa.
<< Non capisco. >>
<< Oh
andiamo tesoro, hai capito benissimo, quel
ragazzo ti stava mangiando letteralmente con gli occhi. Certo questo
non mi
sorprende per nulla, considerando che tu sei una bellissima ragazza,
eppure
rimango sempre sorpresa e un po’ ammaliata dai diversi modi
che hanno adesso i
giovani per avvicinarsi a una ragazza. >> Le disse senza
il minimo
imbarazzo.
Bella non si era
mai lasciata andare da quel punto di
vista, non aveva mai parlato di certi argomenti con Margaret. Non
perché non si
sentisse abbastanza in confidenza, ma più per
l’imbarazzo che le avrebbe
causato aprirsi per certi discorsi.
<<
No, non credo, voglio dire, quel ragazzo era
solo molto gentile. >> cercò di convincere sia
lei sia Margaret con
quell’affermazione, del tutto sbagliata.
Miss Popper le
sorrise apprensiva, << Bella non ci
sarebbe nulla di male, sei giovane, perché non lasciarsi
andare all’amore?
>> le aveva chiesto dolcemente.
Isabella scosse la
testa, << non è una mia priorità
in questo momento trovare un fidanzato. >> Aggiunse
cercando di sviare il
discorso.
<<
Neppure io ne avevo voglia, eppure accadde tutto
così all’improvviso. Ricordo ancora la prima volta
in cui Alfred ed io
c’incontrammo. >> Margaret tornò
indietro nel tempo, riflettendo sulla
superficie limpida dei suoi occhi l’incontro perfetto di due
anime, <<
era l’estate del sessantacinque, avevo da poco compiuto
vent’anni, quando con
alcune mie amiche decidemmo di fare una vacanza. >>
<<
Due anni prima, grazie a Mary Quant, tutte le
donne del mondo si sentirono più libere di essere
ciò che erano, mostrando ciò
che il Signore ci aveva donato con tanto amore. >>
Ridacchiò, <<
due belle paia di gambe, da poter mettere in mostra. >>
Bella le sorrise,
posando i gomiti sul bancone, mentre si
sentiva trascinare dalle parole di Margaret.
<<
Quel giorno, ricordo, di aver indossato la
minigonna per la prima volta. Mi sentivo estasiata e anche molto
affascinante,
>> Annuì felice di poter tornare indietro nel
tempo, << quando ero
giovane attiravo sempre un sacco di sguardi, ero bella e consapevole di
ciò, mi
divertivo a far cadere gli uomini ai miei piedi. Senza mai cadere nel
volgare.
>> Disse subito chiarendo il primo dubbio di Bella.
<<
Comunque sia, io e le mie amiche, decidemmo di
andare in Spagna e con l’aiuto dei mie genitori, programmammo
una bellissima
settimana in un paesino sperduto della nazione. Adesso a distanza di
anni sono
certa che quel paesino sia il punto d’incontro per tanti
innamorati. >>
James, il
cameriere, raggiunse il tavolo delle due donne,
disponendo la tazza di tè di fronte Margaret, e la
cioccolata calda invece,
accanto a Bella. Prima di andare via le sorrise, lanciandole un
occhiata molto
eloquente.
<<
Caparbio il ragazzo. >> Commentò Margaret
ma Bella era troppo presa dal racconto per interromperla con parole
inutili.
Margaret bevve un
sorso di tè, lanciando un’occhiata
fugace a Bella, << posso continuare? >>
Isabella
annuì, ormai troppo curiosa di sapere di più su
quell’uomo che tanto aveva fatto innamorare Margaret.
<< Il
primo giorno di vacanza, mentre le mie amiche
erano scese sulla spiaggia, io preferì fare una passeggiata
lungo mercatini
pieni di cianfrusaglie. Indossavo la minigonna per la prima volta, per
l’appunto, e mi sentivo al settimo cielo, perché
una volta le ragazze non
avevano tutta la libertà di oggi. E per me, quella vacanza
significava aver
raggiunto l’indipendenza. >>
<<
Avevo girato tutto il mercatino, e alla fine,
decisi di sedermi su un muretto che si affacciava al mare.
>> Sorrise,
poi riprese a parlare, << quando, a un certo punto, un
ragazzo si
avvicinò, puntando i suoi occhi dritti nei miei. Ci fu una
scossa, qualcosa
d’indescrivibile, che mi costrinse a sorreggermi per evitare
di precipitare.
Cadere ancora non so dove, dato che ero stabile, ma qualcosa mi
convinse a
reggermi, che quel ragazzo molto presto, sarebbe stato in grado di
farmi venire
le vertigini. >>
Bella continuava a
girare il cucchiaio dentro la
cioccolata, dimenticandosi che erano ormai cinque minuti che continuava
a
farlo. Le parole di Margaret arrivavano al suo cuore, lanciando scosse
continue.
<< Mi
chiese di andare con lui, che una ragazza
come me non l’aveva mai vista. >> Gli occhi di
Margaret si fecero rossi e
lucidi, << mi disse che voleva conoscermi, anche solo
sapere il mio nome
gli sarebbe bastato. >> Sussurrò,
<< quell’uomo con le parole era
sempre stato dannatamente bravo. >>
<< Ed
io non sarei dovuta andare, perché sapevo
che, non avrei mai dovuto dare retta ad uno sconosciuto, soprattutto se
di
sesso maschile. Ma fu il suo sguardo a farmi innamorare, furono i suoi
occhi,
del colore del ghiaccio a convincermi ad alzarmi e seguirlo. Venni
presa da un
improvviso attacco allo stomaco, e fu allora, quando mi sorrise per la
prima
volta, che capì cosa intendevano le persone con il termine
farfalle nello
stomaco. Avvenne ciò che oggi voi giovani chiamate colpo di
fulmine. >>
Bella rimase
incantata, con gli occhi lucidi per
l’emozione, e un nodo stretto in gola.
<< Quella settimana fu la più bella
di tutta la mia
vita, rimanemmo attaccati per tutti i giorni e tutte le ore. Alfred ci
sapeva
fare con le donne, in particolare ci sapeva fare
con me. >> Margaret
inzuppò un biscotto nel tè, stando attenta a non
farlo sbriciolare.
<<
Il nostro non è stato un incontro da favola, ma
ti assicuro che i suoi occhi, oh gli occhi di Alfred si che erano
favolosi.
>> Trillò allegra, sembrava molto
più giovane quando parlava del suo
amore per quell’uomo.
<<
La passione ci travolse come un fiume in piena e
quando al termine della settimana, dovetti tornare a casa, lo trascinai
con me
a Londra. >> Ridacchiò ritornando
indietro nel tempo, rivivendo
conversazioni eterne, e continuando a sognare anche se ormai il sogno
era
terminato, << Insieme aprimmo la libreria,
eravamo entrambi grandi amanti
della lettura. Dopo un fidanzamento che durò anni, decidemmo
si sposarci. Mancava
davvero poco, meno di un mese. Ma quel nostro sogno
d’amore non venne mai
coronato. Un incidente d’auto me lo portò via.
>> Bella sapeva che
sarebbe arrivato il finale triste, lo sapeva bene quanto Margaret
avesse
sofferto per quella perdita. << Non ho dormito per
giorni, non ho
mangiato per ore, ricordo di essere stata quanto
c’è di più simile ad un
automa. >> Margaret si bevve un altro sorso di
tè, cercando di scacciare
le lacrime. << Fu l’amore per i libri a
riportarmi in vita, fu per la
nostra libreria che continuai a vivere. Quel negozio me lo ricorda ogni
giorno
sempre di più. Alfred è stato il mio grande e
unico amore. >>
Una lacrima
sfuggì al controllo di Isabella, che pur
conoscendo la storia di Margaret e Alfred, non l’aveva mai
sentita raccontare
così magnificamente, da far accapponare la pelle e tutti gli
organi presenti
all’interno del suo corpo.
<<
Quindi Bella, sai che per me, l’amore arriva
quando meno te lo aspetti, che ti travolge e ti costringe a piegarti,
ti
assicuro che basta un solo sguardo per capire se quella persona sia
quella
giusta. >> Concluse bevendo un ultimo sorso di
tè.
Bella nel frattempo
aveva divorato la cioccolata calda,
in meno di cinque minuti, quando si perdeva nelle parole delle persone,
e nei
loro ricordi, si dimenticava ogni cosa, persino il tempo.
<<
Non credo che, io e quel James potremmo mai avere una
relazione. >> Le disse facendola ridere.
Margaret strinse la
mano di Bella, << lo so tesoro,
me ne sarei accorta, perché quando una persona incontra
l’anima gemella, i suoi
occhi iniziano a brillare, e i tuoi mia cara, lo stanno facendo da
questa
mattina. >>
Isabella si
sentì sopraffare da un turbine di emozioni
contrastanti, e dovette distogliere lo sguardo dagli occhi di Miss
Popper per
evitare di cedere.
<< Mi
sarebbe tanto piaciuto conoscerlo. >>
Sussurrò Bella giocando nervosamente con il tovagliolo.
Margaret sorrise
compiaciuta. << Sono certa sareste andati molto
d’accordo. In un certo
senso, tu me lo ricordi, Bella. Anche lui come te, preferiva la lettura
di un
buon libro alla compagnia delle persone. >>
Isabella le rispose
un po’ imbarazzata, << credete
davvero che io sia così solitaria? >>
<< Io
credo solo in ciò che vedo, e tu piccola mia,
per la tua età sei troppo riservata. Perché non
esci più con i tuoi amici? >> le chiese
dolcemente.
Bella rimase
qualche secondo in silenzio, non sapendo cosa
risponderle.
<< I
miei amici? >> domandò più a se
stessa che a Margaret. << Dissero che ero cambiata.
>> Sussurrò.
<< Dissero che non valeva la pena tentare di riportarmi
indietro, che
tanto non sarei mai guarita. >>
<< Di
cosa ti ritenevano malata? >> le
domandò Margaret allungando una mano verso la guancia
arrossata della ragazza.
<<
Aridità. >> le rispose con
sincerità la
ragazza. << Non posso dargli
torno, da dopo la morte della mamma, mi ero chiusa in me stessa.
>>
<<
Posso capirti. >>
<< A
differenza tua, Margaret, io mi sento ancora
un automa, e se non fosse stato per te, e per la tua libreria, non
saprei
come andare avanti. >>
<< Tu
non sei sola Bella, c’è tuo padre con te,
potresti sempre raggiungerlo. >>
La conversazione
stava prendendo una direzione che Bella
non avrebbe mai voluto percorrere, così si tirò
indietro ancora una volta,
nascondendosi come aveva imparato a fare da tre anni ormai.
<< La
mia vita è a Londra, tra queste strade io ci
sono cresciuta, nascondendomi nella nebbia. >>
<<
Non puoi nasconderti per sempre. >>
<<
Non ho intenzione di farlo. >> Disse
amaramente, guardando Margaret negli occhi.
<< E
quando pensi di
ricominciare Bella, a vivere
come una ragazza di ventuno anni? >> le chiese
dolcemente,
<< Quando pensi di rialzarti? La perdita di una persona
cara,
è sempre difficile da superare. Capisco ciò che
stai
provando, comprendo il tuo dolore, ma non ti posso più
giustificare. Se pensi che arrendersi sia la soluzione migliore, ti
sbagli tesoro. La verità e che tu hai paura di soffrire
ancora.
Tu hai paura di legarti perchè non vuoi più
temere di
perdere ancora una volta chi ti è vicino. Ma Bella, non puoi
ignorare il resto del Mondo. Ci sono tanti occhi pronti a
guardarti e tante braccia capaci di stringerti calorosamente.
>>
E quante
persone in
questo Mondo, avrebbero il coraggio di seguirmi, di provare a rimettere
insieme
i puzzle di una vita? Che ormai sono un ferro vecchio, tanto consumato
che
neppure un demolitore mi accetterebbe.
<<
Che tipo di occhi? >> domandò incuriosita
la ragazza.
Margaret prese
l’ultimo
pasticcino e l’osservo
attentamente, rigirandoselo tra le dita, prima di mangiarlo.
<<
Ogni
sguardo è diverso dall’altro, Bella.
>>
L’ammonii dolcemente, poi sollevò lo sguardo,
oltre le
spalle di Isabella, <<
penso proprio che sia ora di andare. >>
Conversarono per
qualche altro minuto all’interno del
bar, poi notando che le nuvole scure si fossero allontanate, lasciando
spazio a
un pallido sole, entrambe le donne si allontanarono dal tavolo,
avvicinandosi
al bancone.
James, nel
frattempo si era quasi dimenticato della loro
presenza nel bar tanto furono riservate, e quando si vide Bella di
fronte, si
dimenticò l’ordinazione appena appuntata.
<<
Quanto le devo? >> gli domandò Margaret,
avvicinando la borsa al bancone ma Bella con un gesto delicato la
spinse di
nuovo sul suo braccio.
<<
Pago io. >> le aveva sorriso dolcemente.
James
guardò Bella, e si rese conto di non avere mai
visto occhi così belli, certo la sua idea di bellezza
solitamente faceva
riferimento alle grandi attrici che vedeva sugli schermi del cinema o
le
modelle sulle riviste, ma per quella ragazza avrebbe fatto
un’eccezione. Aveva
un corpo armonioso e sinuoso, benché nascosto dal giubbotto
pesante che
indossava, James immaginò delle forme proporzionate e la sua
mente vagò più del
dovuto.
<<
No, Bella, questa volta lascia pagare me, dopo
tutto quello che hai fatto per me. >> Le aveva detto
Margaret,
convincendo Isabella.
La donna
pagò velocemente, voltando le spalle al ragazzo.
Quest’ultimo però, non aveva ancora finito di
analizzare Isabella, che già si
era immaginato il momento in cui avrebbero approfondito il loro
rapporto.
Almeno sapeva il suo nome, Bella.
Era un ragazzo
giovane, dalla muscolatura ben disegnata e
due enormi occhi azzurri che catturavano. Ma non funzionò
con Bella, perché
lei, due occhi che la stregassero li aveva già trovati.
<<
Aspetta. >> le aveva gridato il ragazzo,
facendo voltare non solo le due donne ma tutte le persone presenti
nella sala.
<< Ecco, adesso ti sembrerò un maleducato, ma
non posso fare
a meno di
dirtelo. Sei bellissima e mi piacerebbe molto uscire con te.
>>
Fu così
diretto che Bella dovette rielaborare le parole
nella sua mente, due volte prima di rispondergli.
<<
Accetta. >> Sorrise Margaret, rivolgendosi
al ragazzo, mentre Bella le lanciò uno sguardo che se fosse
stato possibile,
l’avrebbe uccisa.
<<
Davvero? >> Il ragazzo, James, si voltò
verso Isabella.
<<
No. >> Sbottò Isabella stizzita.
<<
Perché non puoi? >> Insistette Margaret,
<< almeno provaci. >>
Bella si sentiva
tutti gli occhi puntati addosso, e
quando si voltò verso il ragazzo, il suo sguardo
così dannatamente intenso la
destabilizzò per un secondo.
<<
Io… non saprei, non credo di essere libera in
questi giorni. >> Cercò di sembrare
convincente ma nessuno dei due le
credette.
<< Va
bene anche la prossima settimana. >>
Continuò James, non si sarebbe arreso così
facilmente, quando qualcuna gli
diceva di no, per lui diventava una sfida conquistarla.
Questa volta fu
Bella a rispondergli, perché non sarebbe
mai uscita con lui. Non perché fosse un brutto ragazzo, ma
non le sembrava il
caso. Non era pronta, ma la verità e che non era con lui che
avrebbe voluto
passare un intero pomeriggio.
<<
James. >> Disse, interrompendo il mormorio
di Margaret che le sussurrava di accettare, << non posso,
non
prendertela, tu sei un ragazzo molto carino e sicuramente una splendida
persona. Ma io non mi sento pronta per una nuova relazione, sono uscita
da poco
da una storia importante, e davvero non ce la faccio a voltare pagina.
>>
A volte, il passato
ritorna. Questa volta, la Bella che
si celava dentro di lei, era riuscita a prendere il sopravvento sulla
ragazza
timida e impacciata di sempre.
Margaret trattenne
a stento una risata, mentre James si
sentiva mortificato e rifiutato.
<< Mi
dispiace. >> Disse semplicemente, <<
allora, non ti disturbo più. Ciao. >> La
salutò voltandosi per ritornare
al suo lavoro.
Nel momento in cui
entrambe le donne misero piede fuori
dal bar, scoppiarono in una fragorosa risata, talmente allegra e
familiare da
farle sentire a casa, da essere capace di cancellare quel velo di
tristezza che
si era gettato sopra di loro, ripensando al passato.
S’incamminarono
ancora sorridendo, mentre con passo lento
facevano ritorno sulla strada principale.
Quando raggiunsero
l’abitazione di Margaret, entrambe le
donne sollevarono gli occhi verso il cielo.
<<
Sembra non aver mai smesso di brillare, oggi il
sole. >> Sussurrò Bella, mentre Miss Popper
cercava le chiavi della porta
di casa.
<<
Questa è Londra. Un attimo prima sembra sereno,
l’attimo dopo ti ritrovi zuppa dalla testa ai piedi, e
viceversa. >> Le
sorrise, infilando la chiave nella serratura.
L’abitazione
di Miss Popper distava pochi chilometri
dall’Hyde Park in cui, in quel momento, Edward stava
sicuramente suonando.
Bella non appena salutò la donna, aumentò
l’andatura pur di arrivare in tempo,
prima della fine di quella giornata.
<< Va
bene, e
tu come farai senza quest’energia? >>
<<
Tornerai
ad ascoltarmi? >>
<< Si.
>>
<<
Allora non
ne avrò più bisogno. >>
E Bella in quel
momento si rese conto di non voler fare
altro, che sentirsi pura essenza e di poter essere davvero importante
per
qualcuno. Voleva davvero sentirsi qualcuno capace di infondere energia.
Così
raggiunse il punto centrale del parco, e si ritrovò a
sorridere, quando vide
Edward in lontananza. Reggeva la chitarra in mano, muovendo con
decisione le
dita sulle corde, la voce si diffondeva nell’aria, producendo
vibrazioni
agrodolci, capaci di fare innamorare. Ciò che più
sorprese Bella, non fu tanto
la gente che lo circondava, quanto rendersi conto che quel giorno,
stava
cantando fissando il pubblico. Quel giorno teneva gli occhi aperti al
mondo.
Bella era rimasta
a fissarlo in silenzio, per tutta la
durata della canzone, e troppo concentrata non si accorse neppure del
cielo,
che lentamente aveva cominciato a imbrunire.
Edward
l’aveva vista. Seduta sul marciapiede, con gli
occhi fissi nei suoi. Si era sentito felice, quando la vide avvicinarsi
e
sedersi, e la sua voce divenne un sussurro delicato. Voleva,
con le sue note,
accarezzare il volto di quella bellissima ragazza dallo sguardo triste
e
spento, avrebbe tanto voluto stringerla in un
abbraccio, anche solo per farle
capire che sola non lo era affatto. Avrebbe voluto dirle tante cose, ma
in quel
momento la cosa migliore gli
sembrò cantare, certo che fosse
l’unico
modo per avvicinarsi a lei, senza disturbarla.
Occhi che bruciavano. Occhi
che gli ricordavano lo
zucchero filato che tanto adorava mangiare, misto al fango di quel
vecchio
parco giochi, in cui da bambino spesso si ritrovava
a giocare. Occhi che se
avessero potuto l’avrebbero ucciso tanto
l’intensità. Occhi di cui ancora non
lo sapeva, ma presto se ne sarebbe innamorato.
Quando
terminò la canzone, la vide alzarsi.
Temendo di perderla di
vista, richiuse la chitarra nella
custodia, avvicinandosi frettolosamente a lei.
<<
Ciao. >> Le aveva detto rivolgendole un
sorriso da far invidia alle stelle per quanto fosse bello.
Isabella
l’aveva guardato, sorpresa da quel sorriso che la
destabilizzò del tutto, e con un po’
d’imbarazzo
nella voce e negli occhi,
ricambiò il saluto, << ciao. >>
C’è
sempre un’oasi in ogni deserto.
<<
Sei venuta. >>
Ho interrotto il capitolo proprio sul più bello,
me ne rendo conto, sono davvero maligna. No dai, a parte gli scherzi,
un pò di suspence non fa male a nessuno vero?
Visto che brava che sono stata? Ho pubblicato il capitolo anche prima,
non merito un premio per questo?
Allora parliamo di cose serie. In molte avete indovinato il personaggio
della domanda, si tratta proprio di Alice. Quando la incontreremo?
Presto, molto presto, promesso.
In questo capitolo, non solo abbiamo scoperto qualcosina in
più su Margaret ma, abbiamo incontrato anche un lato del
carattere di Bella.
Mi raccomando non dimenticatevi di James, perchè
ritornerà.
Però non posso certo dirvi tutto io, siete voi che dovete
analizzare i miei personaggi, così vi lascio alle vostre
riflessioni.
Un bacione e grazie a tutte voi ragazze. Le vostre parole mi riempiono
il cuore.
In particolare vorrei ringraziare Essebi, per ciò che ha
detto sulla sua pagina Facebook, facendomi diventare rossa come un
peperone.
|
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Capitolo 10 *** So tell me when you feeling fall ***
9. So tell me when you felling fall
9.
So tell me when you feeling fall
8 Maggio
2010
<<
Ciao. >> Le aveva detto rivolgendole un sorriso da far
invidia alle
stelle per quanto fosse bello.
Isabella l’aveva guardato,
sorpresa da quel sorriso che la destabilizzò del tutto, e
con un po’
d’imbarazzo nella voce e negli occhi, ricambiò il
saluto, << ciao.
>>
C’è sempre
un’oasi in ogni deserto.
<< Sei venuta.
>>
Gli
occhi di Edward non riuscivano a fare
altro che fissare quelli di Isabella. Zucchero filato e fango, che
senza
rendersene conto lo stavano risucchiando in un vortice senza via
d’uscita.
Il
suo cuore batteva a ritmi irregolari, risuonando
all’interno della cassa toracica come un martello pneumatico.
Forse avrebbe
dovuto dirle di smetterla, che per sguardi così intensi
rischiava di uccidere.
<<
Pensavo ti avrebbe fatto piacere.
>> Fu Isabella a parlare, interrompendo quel silenzio
carico di
elettricità. Edward si ridestò dai suoi pensieri,
sorridendole dolcemente.
<<
Infatti, sono felice di vederti.
>>
Toccò
a Isabella sorridergli, c’era tensione
ma non imbarazzo. Voglia di lasciarsi andare e trattenersi, voglia di
sfuggire
e incatenarsi, voglia di stare insieme e nascondersi. Una nuova
sensazione
nacque nel petto di Bella, quando sentì pronunciare quelle
parole.
<<
Mi piacciono le tue canzoni.
>> Gli aveva confessato, sistemandosi una ciocca di
capelli dietro
l’orecchio. Edward la vide arrossire. Le piaceva il tenue
rossore che colorava
la sua pallida guancia.
<<
La maggior parte sono cover dei miei
cantanti preferiti. >> le confessò sistemando
la chitarra all’interno
della custodia, << sono poche quelle che compongo io.
Solitamente non le mostro mai al pubblico. >>
Bella
abbassò lo sguardo, << è un vero
peccato, saranno stupende. >>
Edward
fece una strana smorfia, che non
sfuggì all’occhio attento di Bella,
<< non credo sia il caso di cantarle
per strade, infondo sono solo un artista scapestrato che si diverte a
strimpellare la sua chitarra lungo la città.
>>
Strano
modo di definirsi pensò Isabella, che
invece avrebbe usato parole completamente diverse.
<<
Forse tu, non riesci a rendertene
conto, ma la tua voce, le tue canzoni emozionano. >> Gli
sorrise, mentre
entrambi s’incamminarono verso l’uscita Ovest del
parco.
Edward
le sorrise, << emozionano anche
te? >> le domandò non riuscendo a resistere
dalla tentazione di farla
arrossire. Le piaceva il modo in cui lo faceva.
<<
Si, ma questo lo sapevi già.
>> gli rispose abbozzando un sorriso timido e impacciato.
Rimasero
in silenzio, per un paio di minuti.
Nessuno
dei due riusciva a credere di essere
accanto all’altro. In quel momento nessuno dei due desiderava
di più, o
pretendevano un qualche contatto più profondo. No, loro
volevano solo stare
vicini, sentire il calore dell’altro e contemplare la calma e
la serenità che i
loro corpi diffondevano nell’aria satura di profumi.
<<
Ti piace molto la musica? >>
le chiese ad un certo punto Edward, desideroso di sentirla parlare.
Isabella
annuì, << si, ma purtroppo non
sono brava come te a rappresentarla. >>
<<
Bella. >> Era stata la seconda
volta che aveva pronunciato il suo nome, ed entrambi rabbrividirono,
<<
non si deve essere bravi per amare la musica. Io credo tu abbia una
concezione
troppo alta di me. >> Disse riprendendosi dal timore
iniziale, <<
c’è un musicista a Soho, molto più
bravo di me, lui sicuramente ti farebbe
emozionare molto più di quanto ci riesca io.
>> Le confessò cercando di
sembrare il più naturale possibile.
Bella
scosse la testa contrariata, <<
non posso dirti se quel musicista sia più bravo di te o
meno, perché non lo
conosco. Perché non l’ho mai ascoltato cantare,
perché… >> Perché
in realtà manco da Soho da un sacco di
tempo, che non ricordo neppure quale sia la via per arrivarci.
Bella
si bloccò di colpo, cercando di reprimere
un singhiozzo. Chiuse gli occhi e respirò profondamente.
<<
Tutto bene? >> Edward si stava
preoccupando, e con dolcezza le posò una mano sulla spalla.
Bella si sentì
riscaldare da quel tocco.
Annuì
riprendendo a camminare.
<<
Volevo solo dirti che tu mi emozioni
Edward, che la tua voce mi conforta, e che… >>
I tuoi occhi sono così profondi.
<< e che… continuerò ad
ascoltare le tue canzoni. >>
Edward
le sorrise, emozionato da quelle parole,
<< questo mi rende felice Bella. >> Di
nuovo il suo nome,
ma gli avrebbe fatto sempre quest’effetto pronunciarlo?
Edward
non lo sapeva, ma una cosa era certa,
lui avrebbe continuato a chiamarla, perché un nome
così bello non l’aveva mai
sentito. E che poi, fosse un po’ di parte non importava, lui
sapeva già che
quella ragazza era speciale.
<<
Da quanto tempo lavori in quella
libreria? >> le domandò incuriosito.
Iniziarono
così, piano piano a conoscersi, a
scoprirsi.
<<
Due anni, Margaret, la proprietaria
mi ha accolto come una figlia. >> Gli rispose,
confidandosi. Non sapeva bene
perché lo stesse facendo, ma si stava fidando di lui.
<<
E’ una libreria molto bella, peccato
solo non sia molto conosciuta. >> Continuò,
alzando lo sguardo dal
marciapiede.
Erano
appena usciti dal parco, lo sguardo di
Edward si affilò, osservando la strada che avrebbe dovuto
percorrere per tornare a casa.
Bella
fece spallucce, stringendo le braccia
intorno alla vita. << Lo so. >>
<<
Potreste provare a fare un po’ di
pubblicità, o modificare la disposizione degli scaffali.
>> Le suggerì
guardandola, << potrei darvi una mano io.
>> Aggiunse con un
sorriso.
Bella
si sentì sopraffare da un turbine di
nuove emozioni. Uno sconosciuto, che di lei sapeva poco e niente,
voleva
aiutarla.
<<
Tu lo faresti davvero? >> gli
domandò sorpresa.
Edward
annuì sorridendole dolcemente,
<< certo che potrei Bella, devo sdebitarmi con la vostra
libreria, è
grazie a lei che ti ho trovato. >>
Un
ragazzo così particolare Bella non l’aveva
mai visto, così semplice e complicato insieme.
Ci sei mai
stato in cima a una montagna, hai mai provato a gridare forte?
Probabilmente
sì, perché il tuo nome mi risuona in testa come
un eco, e qualcuno dovrà pur
averlo gridato.
Hai mai
pensato al suono di una piuma che cade?
Si dice che
si emetta un suono dolcissimo, ma noi non lo possiamo sentire,
perché le
vibrazioni sono troppo delicate per il nostro timpano. Io
però, penso che tu
riesca a sentirla cadere, mi dirai com’è il suo
suono? Ci proverai a
spiegarmelo? Io giuro, cercherò d’impegnarmi,
perché sono certa, saranno tante
le cose che tu m’insegnerai.
<<
Mi piacerebbe moltissimo. >>
Così dimmelo
quando la senti cadere.
Dici che sia
lo stesso suono? Lo stesso che si produce quando si è
innamorati?
<<
Mi chiamo Isabella Swan, ma
preferisco essere chiamata Bella. Sono nata a Londra, ho sempre vissuto
in
questa città, l’ho sempre amata, in ogni sua
forma. >>
Edward
e Bella avevano deciso di bere
qualcosa insieme. Così, Edward l’aveva portata in
un pub, vicino a Bond Street.
Il locale si trovava in una traversa molto affollata e decorata da
mille luci,
Bella non si ricordava di quel pub. La verità è
che non ne riconosceva neppure
l’esistenza.
Si
erano seduti da dieci minuti, e dopo aver
parlato del più e del meno, Edward le aveva chiesto chi
fosse e perché tra
tutte le città, lei avesse scelto proprio Londra.
<<
Non ti piacerebbe viaggiare,
visitare il Mondo? >> le domandò mentre
attendevano le due Coca Cola che
avevano ordinato al bancone.
Bella
annuì, << si, certo che mi
piacerebbe. Ma qualsiasi nazione o continente visitassi, sono certa non
mi
farebbe cambiare idea, tornerei comunque a Londra. >>
Sorrise, felice di
riuscire a parlare di sé, così tranquillamente.
Edward
l’aveva osservata per tutto il tempo,
e più i suoi occhi fissavano quelli della ragazza,
più si rendeva conto di
bruciare.
<<
Cosa fai quando non sei in libreria?
>> le domandò incuriosito.
Quella
domanda la lasciò un po’ perplessa,
perché lo sapeva bene di non saper mentire, ma dirgli ora,
che nella sua vita
c’era solo la libreria, le sembrava
piuttosto deprimente.
<<
Leggo, scrivo. >> Sorrise,
<< studio. >>
Il
musicista si sistemò meglio sullo
sgabello, << che cosa studi? Frequenti
l’Università? >>
Bella
scosse subito la testa, << no,
nessuna Università. Ho lasciato gli studi subito dopo il
diploma. >> La
sua voce si fece più bassa, e le sue guancie si colorarono
di un timido
rossore. Edward dovette abbassare le mani dal tavolo, per evitare di
sfiorare
quella parte di pelle, che lo attirava più del canto delle
sirene.
<<
Studi privatamente? >>
continuò, cercando di distrarsi, chissà cosa
avrebbe pensato se l’avesse
accarezzata. L’avrebbe preso sicuramente per maniaco e
sarebbe scappata via,
perdendola per sempre.
Isabella
scosse la testa ancora una volta,
<< non studio per poi sostenere esami scolastici, studio
per imparare a vivere,
per imparare qualsiasi cosa. Ho sempre voglia di scoprire nuove
realtà e non riesco a stare
ferma, almeno con l’immaginazione, fisicamente non mi muovo.
>>
Bella
Riuscì a farlo ridere, e una visione così
bella non l’aveva mai vista.
Le
labbra di Edward si aprirono in un
meraviglioso sorriso, e gli occhi si ridussero a due fessure, mentre la
sua
allegra e dolce risata si liberava nell’aria. Anche Bella
rise, ma non per la
sua battuta.
<<
Tu suoni semplicemente per le
strade? >> gli domandò, quando entrambi
smisero di ridere.
<<
No, studio musica da quindici anni.
Avevo dieci anni quando ho preso in mano il mio primo strumento.
>> Le
rispose.
In
quel momento arrivò un cameriere con le
due bibite. Bella e Edward non parlarono e attesero che andasse via il
cameriere, prima di riprendere il loro discorso.
<<
Oltre la chitarra suono anche il
pianoforte. >> Aggiunse dopo che il cameriere
andò via.
Bella
bevve un sorso della sua Coca, senza
distogliere mai lo sguardo dagli occhi di Edward.
<<
Tu così mi uccidi. >> Sussurrò
distogliendo lo sguardo.
Edward
la guardò allarmato, << ho fatto
qualcosa di male? >> le chiese immediatamente.
<<
Non è quello che hai fatto, ma
quello che hai detto. Il pianoforte è uno dei miei strumenti
preferiti, e tu,
con la tua voce… >> balbettò
imbarazzata, << deve essere davvero bellissimo
sentirlo suonare da te. >>
Questa
volta Edward non riuscì a trattenersi
e allungò una mano verso la guancia rossa di Bella. Il palmo
della sua mano
entrò in collisione con il viso della ragazza, scatenando
brividi lungo le loro
spine dorsali.
<<
Magari un giorno potrei suonare per
te. >> Non c’era alcuna malizia in quella
frase, ma solo un incredibile
desiderio di stare insieme, passare del tempo stando vicini.
Bella
gli sorrise, << mi piacerebbe
molto. >>
La
mano di Edward si staccò troppo presto dal
viso di Bella, che senza quel contatto si sentì precipitare.
Finirono
di bere le loro Coca Cola, poi
Edward pagò le due bibite, e insieme si allontanarono dal
pub.
<<
Sono le nove. >> Bella era
davvero dispiaciuta, << è tardissimo ed io
domani dovrò lavorare.
>>
Edward
annuì, << anch’io domani mattina
avrò lezione. >>
<<
Dopo che avrai finito il corso,
cosa pensi di fare? >> le domandò Bella,
mentre si avvicinavano
lentamente all’uscita di Bond Street.
Edward
fece spallucce, << credo che
insegnerò musica nelle scuole. >>
<<
Un bel passo avanti. >>
Commentò Isabella, stringendo il tessuto del suo giubbotto.
<<
Che cosa intendi dire? >> le
chiese confuso, Edward si sentii improvvisamente preso in giro.
Bella
se ne accorse e cercò di spiegare meglio
quella sua affermazione, << che comunque sarebbe un
bellissimo traguardo.
>>
<<
Credi che io non possa farcela? >> le
domandò, ma non c’era cattiveria nella sua voce,
solo un velo di delusione al
pensiero di non essere in grado di realizzare il suo sogno.
Isabella
posò istintivamente la mano sul
braccio di Edward, << la tua voce Edward, sarebbe
sprecata a scuola. Sei
così bravo, che la stessa Natura t’invidia per i
bellissimi suoni che produci.
>>
Edward
non riuscì a fare altro che
abbracciarla. Stringerla sul suo petto.
Cuore
contro cuore.
E
in quel momento, con quel semplice
contatto, Bella si sentì a casa.
Era
felice.
Era
riuscita a trovarlo, l’abbraccio che le
riscaldava, anima e corpo.
<<
Quindi è qui che abiti? >> le
sorrise.
Bella
prese le chiavi di casa dalla borsa e
le infilò nella serratura. << Già.
>>
Edward
dietro di lei l'osservava
attentamente, seguendo ogni suo movimento. Quando Bella aprì
la porta, si voltò
verso il musicista, guardandolo imbarazzata, << vuoi
salire? >> gli
chiese senza malizia.
Non
vi era nessun secondo fine dietro quella
domanda, ma solo voglia di prolungare un po’ di
più il loro tempo. Voleva stare
con lui ancora un po’.
Edward
le sorrise educatamente, ma scosse la
testa, << non posso, è tardi, meglio che torni
a casa. >> le disse
avvicinandosi per allungarle una mano.
Bella
l'afferrò, stringendola.
<<
Ci vediamo domani allora? >>
gli domandò.
Edward
sembrò confuso.
<<
Per la libreria, avevi detto che non
c’erano problemi. >>
Un
sorriso enorme spuntò sul volto di Edward,
<< certo che sì, verrò da voi
subito dopo il corso. >>
Isabella
si avvicinò lentamente e impacciatamente
l’abbracciò, << grazie Edward.
>>
Il
musicista la strinse a sé, circondandole
la vita con le braccia.
<<
E’ stato bello parlare con te.
>> Le sussurrò.
Quando
si staccarono entrambi si sentirono un
po’ meno caldi, come se avessero donato qualche grado al
corpo dell’altro,
disperdendone la maggior parte nell’ambiente circostante.
<<
Parleremo ancora. >> Disse
Bella entrando in casa.
<<
Certo. >> Le sorrise Edward.
Voglio
sapere tutto di te.
<<
A domani. >> Lo salutò.
<<
Buona notte Bella. >>
Buona notte
Edward.
*****
Una
volta tornato a casa, il musicista si sdraiò sul
divano, perdendosi nei ricordi di quella lunga giornata.
<< Rosalie mi ha detto
che l’hai
trovata. >>
Edward
si voltò, sorridendo alla ragazza
vestita con solo una candida veste bianca. Reggeva un foglio in una
mano,
nell’altra una matita. I capelli neri erano spettinati, come
se fosse appena
uscita da un tornado, in realtà aveva solo lottato contro la
sua fantasia.
<<
L’hai terminato? >> Edward
indicò il foglio.
La
ragazza annuì, avvicinandosi tutta
sorridente.
<<
Com’è? >> gli chiese.
Edward
osservò il ritratto, cercando di
trovare qualche imperfezione, ma non vi era nulla di sbagliato, nessuna
sbavatura, nessuna ruga d’espressione. Un disegno bello,
preciso come una
fotografia, ma più profondo, come se il colore nero della
matita in realtà
fosse polvere fatata, usata dall’artista per cancellare i
brutti ricordi.
Jasper's Paint
<<
E’ bellissimo. >> Sussurrò con
tono dolce.
Alice
ridacchiò, << non intendevo il
disegno, com’è la ragazza? >>
Il
musicista arrossì leggermente, <<
passami un aggettivo che riesca a descrivere le sensazioni che provi
mentre
dipingi. >>
Alice
si fece pensierosa, i suoi occhi
brillarono, << non credo di riuscire a trovarlo.
>> Disse infine,
riprendendosi il ritratto dalle mani di Edward.
<<
Neppure io, credo di riuscirci.
>>
A
volte alcune parole andrebbero segregate
all’interno della laringe, chiuse a chiave per evitare che
scappino. Ma Alice
non era in grado di rimanere in silenzio. Lei era quel genere di
ragazza che
avrebbe dichiarato comunque la verità, perché a
mentire, non era brava per
niente. Ma ciò che più rendeva unica quella
ragazza, non era il suo essere
sincera con tutti o i suoi meravigliosi disegni. Quella ragazza aveva
vissuto
momenti di angoscia e di solitudine, e ora, che era circondata da
affetti, non
poteva più nascondersi, non voleva più neppure
farlo. Adesso lei aveva deciso
di essere felice, che di tristezza nella sua vita ce n’era
stata già
abbastanza. Ed era forse questa la cosa più bella di quella
ragazza, la sua
incredibile voglia di felicità.
Edward
si alzò dal divano, raggiungendo la
ragazza, << forse è meglio se andiamo a
dormire. >> Le disse, e
insieme si avvicinarono alle rispettive stanze.
Prima
di entrare nella sua, Alice si voltò
verso l’amico, << Edward. >> Lo
chiamò.
Il
musicista si voltò, e Alice annuì
convinta, << si vede sai, che sei felice.
>>
Si
sorrisero, poi entrambi entrarono nelle
proprie camere, chiudendosi la porta dietro le loro spalle.
Alice
sospirò, avvicinandosi all’enorme letto
matrimoniale, al centro esatto della stanza.
<<
Dici che riuscirò a toglierlo tutto?
>>
La
ragazza sorrise al ragazzo biondo seduto
sul letto.
<<
Prendo lo struccante. >> Gli
disse Alice, mentre si avvicinava al comodino.
Il
ragazzo si alzò dal letto e con passo
svelto la raggiunse, abbracciandola da dietro, posando il viso
nell’incavo del
suo collo. Alice era sempre stata una ragazza minuta e
all’apparenza fragile,
con quel corpicino così esile che tutti temevano si potesse
spezzare da un
momento all’altro. Tutti tranne Jasper, che per tutte le
volte che l’aveva
stretta tra le sue possenti braccia, e avvolta con il suo grande corpo,
ormai
aveva imparato a proteggerla. La differenza d’altezza tra i
due era parecchia,
ma i loro cuori erano sulla stessa lunghezza d’onda.
<<
Mi sei mancata. >> Le aveva
sussurrato, stringendola più forte a sé. La
schiena della ragazza era poggiata
completamente al petto del ragazzo.
Alice
sorrise sia con le labbra che con il
cuore. Lentamente si voltò, scontrandosi con due occhi
colore del mare.
Le
loro labbra si sfiorarono, senza mai
toccarsi realmente.
<<
Sai di fragole. >> Le aveva
detto, sollevandola dal pavimento. Con lei tra le braccia si
avvicinò al letto,
dove l'adagiò con una delicatezza e una calma disarmante.
Alice
si lasciò andare a un mugugno di
piacere, quando le labbra di Jasper raggiunsero le spalline del
vestitino.
Jasper le morse dolcemente la spalla, mentre insinuava una mano sotto
il
vestitino bianco, dello stesso colore della neve invernale.
La
baciò con dolcezza, imprigionandole il
labbro inferiore. Non era mai stato violento o troppo aggressivo, non
aveva mai
fatto nulla che potesse in qualche modo ferirla. Non le avrebbe mai
fatto
qualcosa di sgradevole o violento. Questi aggettivi non esistevano nel
suo
vocabolario. Jasper era un gentiluomo e Alice era la sua donna. Sua,
fin quando
lei l’avrebbe voluto.
Ma
entrambi sapevano che sarebbe durato per
sempre.
<<
Non ho mai baciato un uomo col rossetto.
>> Ridacchiò la ragazza, mentre gli
accarezzava il viso ricoperto da
trucco bianco e blu.
Jasper
si allontanò di qualche centimetro,
<< ti da fastidio? >> le chiese preoccupato.
La
ragazza si sollevò dal materasso,
sedendosi cavalcioni su di lui, << voglio fare
l’amore con te Jasper.
>> Gli sussurrò all’orecchio.
Il
ragazzo era stanco, stare immobile tutto
il giorno era difficile, e non sempre arrivavano quei pochi spiccioli
che gli
permettevano di muoversi. Il suo lavoro non era facile. Doveva
truccarsi.
Doveva vestirsi con abiti bizzarri e colorati. Doveva rimanere in
silenzio.
Doveva fingere.
Doveva
fare tante cose, ma gli piaceva farle.
Gli piaceva il calore degli sguardi curiosi della gente e i sorrisi dei
bambini.
<<
Ti voglio Alice, ma sembri più
stanca di me, non vorrei farti male. >> Le
confessò baciandole la tempia.
Alice
scosse la testa violentemente, <<
mi faresti male se adesso mi rifiutassi. >>
<<
Voglio struccarmi prima, non voglio
spaventarti, amore mio. >>
Jasper
ancora non l’aveva capito che Alice
non si sarebbe mai spaventata, che timore di lui non poteva averne.
Che
come cantavano i Police, qualsiasi cosa
avrebbero fatto, loro si sarebbero sempre guardati, si sarebbero sempre
appartenuti.
Alice
lo bloccò, prima che lui potesse
alzarsi dal letto. Con un gesto veloce allungò il braccio
verso il comodino,
dove aveva lasciato lo struccante. Avvicinò le sue piccole
mani al viso
truccato del ragazzo. << Spogliami mentre ti libero il
volto, voglio
guardarti negli occhi. >> Gli disse facendo tremare il
Mondo, per quanto
quella voce fosse destabilizzante.
Jasper
non oppose resistenza, e fece come gli
disse la sua Alice.
Edward
si sedette sul proprio letto, con le
parole di Bella ancora nella testa. La completa oscurità
della stanza, lo nascondeva
da paure indiscrete, che presto
l’avrebbero
assalito.
Non
aveva voglia di lasciarsi avvolgere dal
sonno, voleva ancora tenere gli occhi aperti. Ma vinto dalla stanchezza
si tolse i
vestiti, infilandosi nelle calde lenzuola del letto.
Fu
costretto a chiudere gli occhi per addormentarsi, ma non il suo
cuore, perché quello, invece, rimase aperto tutta la notte.
Ed eccoci qui,
ragazzuole con
il nuovo capitolo. Premetto che questo capitolo non mi piace per
niente, non era così che volevo scriverlo, ma purtroppo non
sono
riuscita a fare altrimenti. Quindi se anche voi, come me, lo troverete
poco gradevole per favore avvisatemi, voglio che siate sinceri con me.
Non sono il tipo
di autrice
che scrive che il capitolo non le è piaciuto solo per
ricevere
complimenti, se lo scrivo e perchè penso che il capitolo
davvero
non sia uno dei migliori.
Detto questo,
finalmente
vediamo i nostri due giovani soli soletti, poco alla volta si
scopriranno, raccontando le loro vite all'altro. Cosa ne pensate di
questo Edward così amante della musica?
E poi finalmente
arriva Alice e Jasper, due in un colpo solo, che fortuna eh?
Non vi
dirò nulla, se
sono riuscita a incuriosirvi voglio che siate voi a parlarmi, dirmi
cosa ne pensate e voglio sentire tutte le vostre teorie.
Sono tutta
orecchie.
Ringrazio Carrot
per aver
segnalato la mia storia tra le scelte *_* Sono morta. Grazie cara,
è stata una sorpresa bellissima!
Ringrazio tutte
le lettrici che seguono e recensiscono la mia storia, mi rendete
felicissima!
Un bacione e
tutte voi!
|
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Capitolo 11 *** I feel in you like if you had always been. ***
10. I feel in you like if you had always been.
10. I feel in you like if
you had always been.
Isabella
camminava lungo le strade di Notthing Hill, alzando lo sguardo verso il
cielo
limpido. Era il mese di Maggio, e Londra si stava preparando
all’estate, nella
maniera più bella e calda che si fosse mai vista, mostrando
al mondo intero un
cielo di un azzurro mai visto prima. Bella amava i colori, e ormai
aveva
imparato a riconoscerli, non c’era più nessuna
sfumatura o tonalità che non
riuscisse a definire. Aveva iniziato un giorno d’estate,
quando nel giardino
della nonna Marie, a Forks, vide una rana.
Era
piccola, la pelle viscida e verdastra, ma di un verde che Bella non
aveva mai
visto. Quel giorno Bella superò la paura per le rane,
riuscendo a catturarla in
un vasetto, per mostrarla all’anziana nonna.
<< Verde
cinabro. >>
Bella
osservò il volto stanco ma
felice della nonna. I capelli bianchi erano stati legati in un alto
chignon, e
il colore naturale delle labbra era stato sostituito da un leggero velo
di
rossetto. Si truccava sempre, nonna Marie, anche dopo la morte del
nonno. Non
lo faceva di certo per compiacere gli uomini, o per trovare un nuovo
marito.
Marie lo faceva per se stessa, e anche un po’ per il suo
Louis, morto cinque
anni prima.
<< Verde
cinabro? >>
domandò pensierosa Isabella, mentre si dondolava avanti e
indietro sulla
dondola, stringendo forte il barattolo con la rana.
Nonna Marie
accarezzò la guancia
morbida della sua nipotina, << non lo conosci Isabella?
>> le
domandò con un sorriso comprensivo.
Bella
osservò bene la ranocchia poi
alzò lo sguardo verso la nonna, scuotendo la testa.
La nonna
ridacchiò, con la sua vocina
stridula, << dovresti invece. >>
<< Sai
Bella, in Natura esistono
tanti colori che noi non conosciamo, o meglio li identifichiamo in
altri
colori. Per esempio, >> le disse catturando la sua
attenzione, <<
osserva il cielo, di che colore sono oggi le nuvole? >>
le domandò
osservandola.
Bella alzò
lo sguardo al cielo, rimase
in silenzio per diversi secondi, poi rispose in tutta
sincerità, <<
grigie. >>
La nonna scosse la
testa, <<
vedi? Tutti avrebbero risposto semplicemente con il colore grigio,
perché è
l’unico colore che riescono a vedere. Ma se la gente
osservasse più
attentamente, noterebbe come queste nuvole non sono semplicemente
grigie.
>> Le disse facendo sorridere la piccola Bella.
<< E
come sono allora? >>
La nonna
sollevò gli occhi verso il
cielo, << direi ardesia. >> Sorrise.
<< Che
colore è l’ardesia?
>> Le domandò Bella, sentendosi presa in giro,
<< non esiste questo
colore, come non esiste il verde cinabro. >>
Nonna Marie si
sollevò, alzandosi
dalla dondola e rientrando in casa, lasciando Bella sola, in compagnia
della
sua ranocchia.
Isabella rimase
sorpresa ma non si
scompose, e riprese a osservare il cielo, poi la sua rana e ancora il
cielo,
facendo così per dieci minuti interi.
Fin quando non
ricomparve la nonna,
con un libro in mano. In silenzio si sedette di nuovo sulla dondola,
stringendo
Bella in un abbraccio.
<<
Questo, >> disse
indicando il libro, << è stato un regalo di
tuo nonno, >> continuò
aprendo una pagina. Bella lo osservò incuriosita,
<< qui dentro ci sono
tutte le tonalità di colore. Io e tuo nonno le imparammo a
memoria. >>
Sorrise al ricordo.
Poi senza aggiungere
nulla, fece
vedere a Bella l’ardesia e il verde cinabro.
<<
Esistono davvero. >>
Esultò sorpresa la piccola Bella.
La nonna
annuì, << adesso
Isabella Marie Swan, mi credi? >> le domandò
sfiorandole il nasino con
l’indice.
Bella
scoppiò a ridere, annuendo.
<< Bene,
adesso, voglio che
questo libro lo tenga tu. Imparali bene bambina mia, perché
un giorno troverai
qualcuno che saprà indicarti nuovi colori, e mi piacerebbe
che almeno tu,
conoscessi quelli primari. >> Ridacchiò persa
nei meandri della sua
mente, aveva varcato la soglia dei ricordi, dalla quale difficilmente
riusciva
a uscirne.
Bella prese il libro
tra le mani,
stringendolo forte.
<<
Adesso che ne dici di
liberare questa piccola ranocchia? >> chiese la nonna
indicando il
barattolo.
Bella
annuì, allontanandosi dalla
dondola con il barattolo. Ritornando cinque minuti dopo, con il vasetto
vuoto.
<< E
dimmi Isabella, di che
colore sono io oggi? >> domandò la nonna
allegramente.
Isabella non
riuscì a risponderle,
neppure con l’aiuto del libro magico.
Ancora oggi Bella
cercava risposta,
perché il colore della nonna quel giorno, come tutti gli
altri, non riuscì a
scoprirlo. E anche dopo la sua morte, il suo colore rimase un mistero.
Da quel
giorno Bella aveva imparato tutti i nomi dei colori, scoprendone di
nuovi.
E adesso
che fissava il cielo, camminando con il naso
all’insù, se n’era convinta,
quello era proprio lapislazzulo.
Quando
aprii la porta della libreria, si ritrovo davanti Miss Popper con un
sorriso a
trentadue denti dipinto sul volto stanco e pallido. Indossava un
vestitino
color cobalto sopra un cardigan rosa cipria. La temperatura
all’interno della
libreria era piuttosto bassa, così Isabella decise di aprire
le finestre e
lasciare entrare luce e calore.
<<
Oggi sbaglio o sei di ottimo umore? >> le
domandò Margaret, mentre seduta
dietro la scrivania segnava i codici dei nuovi arrivi. Bella si
voltò verso
l’anziana donna con un sorriso che se avrebbe potuto
l’avrebbe fatta
ringiovanire, tanto fosse potente.
<<
Con un sole così bello e una città
così calorosa, come potrei non essere
allegra? >> le disse mentre si avvicinava alla scrivania.
Margaret
le fece un mezzo sorriso, << bene tesoro, allora
giacché sei così di buon
umore cosa ne dici di scendere con me in magazzino, per riordinarlo un
po’?
>>
Bella le
aveva annuito, osservando l’orologio appeso alla parete
d’ingresso, segnava le
nove e ventidue, chissà quando sarebbe arrivato Edward,
pensò arrossendo
improvvisamente. Quel ragazzo aveva uno strano effetto su Bella e non
era solo
la sua voce a farla andare a fuoco.
Forse
avrebbe dovuto dire la verità a Margaret, infondo aveva
appena deciso di
mettere sotto quadro la sua libreria per stare con un ragazzo. Un
enorme passo
avanti, non solo per Bella.
Mentre
scendevano le scale impolverate, Bella aiutò Margaret,
sorreggendola per
evitare che scivolasse.
<<
Grazie cara. >> Le sorrise quando toccò il
pavimento freddo del
magazzino.
Bella si
guardò attentamente intorno. Pile di libri, ricoperti da
tonnellate di polvere,
riempivano la maggior parte della stanza. Quante volte si era nascosta
qui,
durante i primi giorni di lavoro. Quante lacrime aveva versato dietro
quegli
scaffali, che silenziosamente l’avevano abbracciata,
coprendola con le pagine
dei propri libri, da sguardi indiscreti e lame affilate.
<<
Da dove vogliamo cominciare? >> le chiese, mentre si
rimboccava le
maniche della camicetta. Margaret indicò una pila di libri
posati malamente per
terra. << Quelli sono in condizione pessima, prima di
tutto vediamo quali
possiamo tenere e li saliamo sopra. >>
Bella
annuì, iniziando così a guardare ogni libro.
L'ombra
del vento ,
Il profumo ,Uomo nel
buio, Madame Bovary,
Anna Karenina.
Bella strinse ogni libro con
vorace possessione, sentendosi quasi una cleptomane, desiderosa di
portarseli
via.
<< Questi sono
conservati bene, potremmo salirli tutti e cinque. >>
Propose la ragazza,
sistemandoli sul primo gradino della scala.
Margaret annuì
distrattamente,
mentre si allungava verso uno scaffale.
Bella si precipitò
subito
dietro la donna, afferrandola prima che potesse cadere.
<< Attenta
Margaret, il
legno non è più resistente come una volta.
>> Le sorrise, rimettendola in
piedi. Con un corpo piccolo come il suo, Margaret si chiese come avesse
fatto a
sorreggerla.
<< Hai ragione
cara.
>> Sussurrò l’anziana donna,
sistemandosi meglio i capelli, legandoli in
un alto chignon.
Facendo un grosso respiro
Bella propose la sua idea.
<< Forse
potremmo
migliorare la situazione della libreria, cambiando qualcosa.
>>
Margaret si voltò
sorpresa
verso Bella, << Che cosa intendi dire? >>
le chiese torva. Non le
piaceva la piega che aveva preso il discorso. Margaret non avrebbe
cambiato
nulla, perché era stato Alfred ad arredarla e scegliere la
disposizione degli
scaffali, e lei non avrebbe mai voluto spostare niente, per non
allontanarsi
dal suo vecchio amore.
<< Potremmo
colorare le
pareti di un colore più acceso, e magari riverniciare gli
scaffali ormai
decrepiti. >> Gli occhi di Bella
s’illuminarono, << cambiare
disposizione, e ordinare nuovi libri, più giovanili, in modo
da attirare
l’attenzione sui giovani… >>
Margaret impallidì
sentendo
tutte quelle parole.
<< No.
>> Sbottò sbattendo
la mano su un grande libro.
Isabella sobbalzò
spaventata.
<< No cosa?
>>
chiese con voce tremante.
Gli occhi azzurri di Margaret
brillarono nella semi oscurità della stanza,
<< ragazzina non ti permetto
di mettere mano alla mia libreria, hai capito bene? >>
Gli occhi di Bella si fecero
subito rossi, Margaret non le aveva mai parlato usando un tono
così aspro. Fece
qualche passo indietro, stringendosi le braccia al petto,
<< ma io volevo
solo aiutarti. >>
<< Tu vuoi
rovinarla
questa libreria con tutti quei cambiamenti. No, mi dispiace io non te
lo
permetto. >> Disse ancora più duramente. Non
era colpa sua, lei non
avrebbe mai voluto alzare la voce contro Isabella, ma certi argomenti,
certe
parole le facevano salire il sangue al cervello, perdendo la ragione.
<< Questa
è la mia
libreria. >> Aggiunse, << e tu non ti devi
più permettere a dire
certe cose. >>
<< Non sai
neppure cosa
si nasconde dietro il cemento di questo luogo, dietro ogni acaro di
polvere.
Questa libreria ha più storia di tutti i libri presenti
all’interno di questa
stanza. >>
Bella stava piangendo, le
lacrime salate le rigavano il volto. Si era sentita ferita, umiliata.
Pensava
di non aver detto nulla di male, e di certo la reazione di Margaret era
stata
piuttosto esagerata. Non poteva davvero prendersela con lei, non dopo
tutto
quello che Bella aveva fatto per la sua
libreria.
<< Io non
volevo.
>> Sussurrò boccheggiando, << mi
dispiace, scusami Margaret.
>>
Lentamente percorse le scale
per ritornare in libreria, allontanandosi dal magazzino. Quando rivide
la luce,
il sole e il calore di quella bella giornata, risplenderle intorno, si
sentii
sopraffare da un turbine di sensazioni avverse. In silenzio prese il
giubbotto
che aveva posato sulla sedia, uscendo dalla libreria, senza nemmeno
chiudere la
porta.
Raggiunse la strada
velocemente, respirando a piedi polmoni, cercando di scacciare le
lacrime con
la manica del giubbotto.
Non si preoccupò
neppure
dell’orario o se qualcuno la stesse guardando. In quel
momento si sentii
tradita, Margaret non si era mai comportata così con lei.
Piccola com’era non
poteva
minimamente pensare di contenere tutta quella rabbia, ma la cosa che
più fece
stare male Isabella, era il fato di non riuscire a capire dove avesse
sbagliato. Lei voleva solo aiutarla a rimettersi in piedi, in modo da
recuperare non solo il denaro perso, ma soprattutto i vecchi clienti.
Un gruppo di giovani le
passò
accanto, scontrandosi contro di lei, che senza nemmeno rendersene
conto, si
ritrovò schiacciata contro un muro, mentre le persone le
passavano accanto
senza neppure fermarsi a chiederle se ci fosse qualcosa che potevano
fare per
lei.
Mentre cercava di
regolarizzare il respiro non si accorse di un giovane ragazzo che si
stava
avvicinando a lei, con passo elegante ma veloce. Prima che Bella se ne
potesse
accorgere, il ragazzo le posò una mano sulla spalla.
<< Bella stai
bene?
>>
La voce di Edward venne
recepita dal timpano come se diverse campane si fossero sovrapposte tra
loro,
creando solo tanta confusione.
Il ragazzo preoccupato
lasciò
scivolare la chitarra sull’asfalto, avvicinandosi di
più alla ragazza.
<< Ehi piccola,
che cosa
è successo? >> Il modo in cui
l’aveva chiamata convinse Bella ad
abbracciarlo, stringendo spasmodicamente le braccia intorno alle sue
spalle.
<< Oh Edward, ho
combinato un casino. >> Sussurrò tra un
singhiozzo e un gemito di
frustrazione.
Il musicista vedendo quella
piccola ragazza così indifesa si sentii il cuore stringere
in una morsa
d’acciaio, e ricambiò l’abbraccio
avvicinandola di più al suo petto. Con la
mano libera le accarezzò i capelli, lasciandola sfogare.
<< Che cosa
è successo?
>> le domandò, soffiandole dolcemente sulla
guancia.
Bella
si sentiva in Paradiso, ma al centro esatto dell’Inferno.
Edward la stringeva talmente
forte da impedirle persino di respirare. Ma il profumo del ragazzo
raggiunse
prepotentemente le narici di Bella, che involontariamente assorbirono
quel
dolce profumo fino a far gonfiare i polmoni. Sapeva di pompelmo e
menta,
avrebbe tanto voluto posare le sue labbra su quel lembo di pelle
scoperta, tra
il mento e il giubbotto nero che indossava.
Sopraffatta da queste strane
sensazioni e da uno strano vuoto che le aveva riempito lo stomaco si
allontanò
leggermente, in modo da poterlo vedere meglio negli occhi.
Quei bellissimi occhi verdi
che tanto adorava, di cui molto presto non sarebbe riuscita
più a fare a meno.
<< Piccola, vuoi
dirmi
che cosa hai combinato? >> le domandò una
volta che Bella smise di
piangere.
La ragazza annuì,
arrossendo.
<< Ho litigato con Margaret. >>
Sussurrò stringendo la manica del
giubbotto di Edward.
Il musicista le sorrise
dolcemente, << come mai? >>
Bella scosse la testa,
<< non lo so, ha fatto tutto lei. >>
balbettò confusa. << Le
stavo proponendo di cambiare un po’ lo stile della libreria,
quando lei si è
messa a urlare, dicendomi che non mi sarei dovuta permettere di toccare
nulla.
>> Un'altra
lacrima le rigò la
guancia, ma Edward avvicinando la mano al suo viso, la
scacciò via con il
pollice.
<< Non piangere,
vedrai
che sarà stato solo un momento. >>
Cercò di consolarla.
Non conosceva Margaret e per
questo non poteva neppure giustificarla, ma sapeva nel profondo che
questa
donna non avrebbe mai voluto fare del male a Bella.
Nessuno avrebbe mai potuto
farle del male. Perché quella ragazza aveva due occhi da far
accapponare la
pelle e rivoltare lo stomaco, tanto fosse abbagliate, e Edward per una
ragazza
così sarebbe stato capace di scalare intere montagne pur di
vederla sorridere.
<< Tu non la
conosci,
lei non si era mai comportata così, prima d’ora.
>> Sospirò sistemandosi
i capelli con una mano.
<< Proprio per
questo,
sarà stato un moto di rabbia involontario, forse si
è sentita minacciata dai
tuoi cambiamenti. Vuoi che ci parli io? >> Le propose
dolcemente.
Bella sollevò lo
sguardo,
perdendosi nel mare verde più profondo nel Mondo.
<< Non
cambierebbe
nulla, però ti ringrazio per il pensiero. >>
Gli sorrise debolmente.
Edward si portò una
mano tra i
capelli leggermente impicciato, << siamo amici no? Per
gli amici questo e
altro. >>
<< Siamo amici?
>>
Gli sussurrò Bella facendolo tremare.
Edward tentennò di
fronte al
suo sguardo, << posso essere tuo amico? >>
Il cuore di Bella
sembrò
impazzire, non l’aveva mai sentito battere così
furiosamente, e sperò tanto che
Edward non lo sentisse, << si Edward, vorrei tanto che
fossimo amici.
>>
***
Una brezza
leggera le scompigliava i capelli, mentre stringeva le funi
dell’altalena a Kensington
Gardens. Bella si dondolava avanti e indietro, lentamente, senza mai
sollevarsi
realmente da terra.
Edward
le si era seduto sul sedile accanto, senza però
muoversi. Aveva posato la chitarra ai suoi piedi, stando attento a non
far
entrare sabbia dentro la custodia.
Il
musicista le aveva chiesto altre spiegazioni, scavando
con delicatezza nei ricordi di Bella.
<<
Te l’ho detto, Margaret è molto importante per me.
>> Gli aveva sussurrato, cercando di scacciare nuove
lacrime che
premevano agli angoli degli occhi per essere liberate.
<<
Perché? >> le domandò, guardandola.
Bella
sospirò stanca e avvilita, << è una
lunga
storia. >>
<<
Io non vado da nessuna parte. >> Le sorrise
sghembo, facendo arrossire la ragazza.
Isabella
voleva confidarsi, raccontargli tutta la verità, ma
poteva aprirsi così tanto con uno sconosciuto? Questo non lo
sapeva, ma in
quelle due gemme, Bella era certa, ci sarebbe affogata un giorno.
C’era
qualcosa che la convinse ad aprirsi, a dirgli tutto quello che le
passava per
la testa, con lui avrebbe tanto voluto essere se stessa, con lui ne era
certa,
sarebbe riuscita a ritrovarsi.
<<
Mia madre morii tre anni fa, per un tumore.
>> Gli disse tutto in un fiato. Edward
s’irrigidì, colpito da quelle
parole e dal tono di voce che Bella aveva usato. Non le disse nulla,
non l’abbraccio
neppure, semplicemente aspettò che lei continuasse.
<<
Mio padre poco dopo decise di partire, e di
ritornare a Forks, sua cittadina d’origine. Io
però non riuscii ad
allontanarmi, così decisi di restare. >> Disse
fissando i granelli di
sabbia intorno alle sue scarpe.
<<
Trovai la libreria di Miss Popper due anni fa,
innamorandomene follemente. Passavo lì intere giornate,
immersa tra le pagine
dei libri. Margaret mi notò subito e non so bene come, ma un
giorno mi propose
di lavorare con lei, dicendomi che aveva bisogno di aiuto per mandare
avanti il
negozio. Io accettai, certa di aver finalmente trovato la deviazione
che mi
avrebbe distratto dal dolore. >> Questa volta Bella non
riuscii a fermare
le lacrime, e si ritrovò presto tra le braccia di Edward,
singhiozzando.
<<
Non avevamo mai litigato prima d’ora. >>
Borbottò tirando su con il naso. Edward che era rimasto
tutto il tempo in
silenzio si risvegliò, prendendo il volto di Bella tra le
mani, costringendola
dolcemente a sollevarsi, per potersi guardare negli occhi. Con i
polpastrelli le
scacciò le lacrime, sorridendole come mai nessuno le aveva
mai fatto.
<<
Mi dispiace tanto per tua madre. >> Le disse
posando una mano sulla sua guancia calda. La pelle di Bella sembrava
andare a
fuoco, si sentiva avvampare, e non riusciva proprio a capire come un
semplice
tocco potesse provocare un così grande scompiglio dentro di
sé.
<<
Mi dispiace soprattutto di non averti conosciuto
prima, perché sai Bella, dentro di te, hai una tristezza
infinita. >> Le
sussurrò debolmente, posandole un bacio leggero sulla
fronte. << Ma
adesso ci sono io con te, e voglio che tu sappia che non sei
più sola. >>
<<
Non so come sia possibile, ma, io ti voglio bene.
Ti sento dentro come… come se ci fossi sempre stata.
>> Le confessò abbassando
leggermente la voce.
Brividi
sconosciuti attraversarono la spina dorsale di
Bella, che involontariamente o forse proprio perché lo
desiderava troppo si
strinse forte al petto di Edward, ascoltando il battito del suo cuore.
<<
Non so nulla di te. >> Gli sussurrò senza
alzare il volto dal suo petto.
Edward
s’irrigidì convinto che si sarebbe allontanata
presto,
prendendolo per un pazzo, ma ancora una volta Bella lo sorprese.
<<
Eppure con te mi sento al sicuro, folle vero?
>> Rise amaramente.
Edward
le strinse le braccia intorno alle spalle, respirando
il suo profumo.
<<
Ti sento dentro anche io, come se tu avessi sempre
fatto parte di me. >>
Follia
ecco cos’era quello che attraversava la mente dei due
giovani. Impossibile che in così poco tempo si potessero
sentire emozioni così
forti, eppure si sentivano come due fili della stessa coperta.
<< Ti
voglio bene anche io, Edward. >>
Alcune
volte non servono a niente i fulmini. Alcune volte
non occorrono lampi di luce ed energia per spaccare il cielo. Alcune
volte
occorrono solo due anime divise che si ritrovano dopo tanto tempo.
Alcune volte
l’innocenza si scontra contro la consapevolezza e allora
nasce la tempesta di
qualcosa che mai nessuno sarebbe in grado di spiegare a parole.
***
Camminavano
vicini, spalla contro spalla, sorridendosi
dolcemente, mentre si allontanavano dal parco, per fare ritorno a
Notthing
Hill.
<<
Non suoni oggi? >> gli domandò Bella,
nascondendo le mani dentro le tasche del giubbotto. Edward fece
spallucce,
passandosi poi una mano tra i capelli.
<<
No. >>
<<
Perché? >> gli chiese subito dopo,
mordicchiandosi le labbra.
Edward
dovette distogliere lo sguardo dal suo viso, sentendo
uno strano nodo alla bocca dello stomaco, vedendo il modo in cui Bella
si
mordicchiava.
<<
Devo tornare a casa. >> Le sorrise alzando e
abbassando subito lo sguardo dai suoi occhi.
Bella
sospirò, << peccato, avevo proprio bisogno
della
tua voce oggi. >>
Edward
la strinse con un braccio, attirandola più vicino al
suo corpo, << perché non me l’hai
chiesto prima al parco. Avrei cantato volentieri
per te. >>
La
ragazza imbarazzata alzò lo sguardo al cielo, vedendo
come le nuvole si fossero addensate, avvicinandosi tra di loro, creando
un
mantello. << Dici che per avere un cielo così
uniforme le nuvole vengano
attaccate con la Vinavil? >> gli domandò senza
imbarazzo.
Edward
sollevò la testa, fissando il cielo per un paio di
secondi, << non saprei, ma se anche fosse poi come
farebbero a staccarsi?
>>
Bella
ci riflette attentamente prima di rispondere.
<<
Forse il sole oltre a riscaldare, con i suoi raggi
riesce a scongelare le nuvole. >>
Edward
ridacchiò, scompigliandole i capelli affettuosamente.
Non
si erano mai sentiti così vivi e completi, come se la
vicinanza dell’altro bastasse a colmare il vuoto che
portavano dentro.
<<
Cosa dirai a Margaret? >> le chiese Edward
vedendola assorta nei suoi pensieri.
<<
Che mi dispiace molto per essere scappata via, ma
soprattutto le dirò che non avevo alcuna intenzione di
cambiare la sua libreria
senza chiederle prima il permesso. >> Rispose,annusando
l’aria colma di
aromi e profumi. Proprio accanto a loro in quel momento si trovava un
ristorante indiano, le porte erano aperte e il sorriso di un vecchietto
dai
tratti orientali sembrava essere messo davanti la porta per attirare
clienti.
Bella
sentii un buco allo stomaco, doveva essere ora di
pranzo e lei non aveva mangiato nulla. Si voltò verso
Edward, perdendosi ad
osservare la linea dritta della mascella e il modo in cui corrugava la
fronte.
Quando il musicista si voltò e si ritrovò i suoi
occhi addosso, Bella abbassò
di colpo la testa, imbarazzata.
<<
Che cosa c’è? >> le
domandò Edward con tono
ironico, in un certo senso adorava metterla in imbarazzo, i movimenti
impacciati e timidi della ragazza lo facevano impazzire.
Bella
indicò il ristorante indiano.
Edward
annuì avvicinando la mano allo stomaco, << hai
ragione, anche io ho una fame da lupi. Entriamo dentro, ti va?
>> le
sorrise.
<<
Certo che si, non vorrei svenire a causa dello
stomaco vuoto. >>
<<
Allora vieni, >> le disse prendendole la
mano, incatenandola alla sua, << hai mai provato il
Kebab? >>
Bella
lo guardò scettica, << il panino ripieno di
carne e verdure? >>
<<
Esatto. >>
<<
No grazie, preferisco vivere. >>
Edward
scoppiò a ridere, << andiamo fidati di me,
è
ottimo. >>
Bella
lo seguii all’interno del ristorante, << sicuro
che dopo non sarò costretta a passare il resto della
giornata in bagno?
>>
La
fragorosa risata di Edward e il modo in cui l’aveva
abbracciata, le fece perdere ogni briciolo di tensione, con lui avrebbe
fatto
qualsiasi cosa, anche assaggiare un panino dalle mostruose sembianze.
***
<<
Visto, cosa ti dicevo? >>
Bella
diede un ultimo morso al panino, gettando la carta nel
bidone dell’immondizia.
<<
Devo ammettere che non era niente male. >>
Edward
sollevò un sopracciglio, << niente male?
Andiamo
tutti devono assaggiare il Kebab nella propria vita. Dovresti
ringraziarmi sai?
Ogni volta che ti chiederanno, “hai mai mangiato il
Kebab?” tu potrai
rispondere affermativamente solo grazie a me. >> Disse
facendola ridere.
<<
Buffone. >> Borbottò mentre gli dava una
leggera spinta con entrambe le mani, posando i palmi aperti sul suo
petto.
Edward
le afferrò i polsi delicatamente, prima che potesse
spingerlo un'altra volta, e facendola girare su se stessa la
catturò,
imprigionandola tra le sue braccia.
<<
Chi è lo sbruffone adesso? >> le
sussurrò lentamente
sul suo orecchio.
Le
gambe di Bella si fecero improvvisamente deboli e se non
fosse stato per Edward che la stringeva, sarebbe sicuramente caduta a
terra.
Quella posizione le faceva uno strano effetto.
Edward
posò entrambe le mani sui fianchi di Bella,
stringendola in un abbraccio protettivo.
Proprio mentre Isabella si
stava per voltare per perdersi
negli occhi del suo musicista, una voce femminile catturò
l’attenzione di
entrambi.
In molte penserete che ci trovo piacere a terminare i capitoli
così, ma sappiate che non è affatto
così, solo credo che in ogni storia ci voglisla giusta
suspense.
Ho deciso di terminare il capitolo lasciandolo aperto, sotto
più punti di vista. Nel prossimo infatti capiremo chi
è la donna che ha richiamato l'attenzione dei due
protagonisti e cosa succederà tra Margaret e Bella.
Ringrazio tutte voi che mi seguite e supportate durante i miei momenti
"no". Mando un bacio speciale a i recensori perchè con le
loro parole mi confortano e mi fanno sentire speciale e un abbraccio a
tutti i lettori silenziosi sperando che prendano coraggio nel recensire
la storia. Ricordate: io non mangio nessuno xD
Mi piace molto interagire con i lettori, così vi
farò una piccola domanda, avete mai assaggiato il Kebab? Se
si, vi è piaciuto? Se no, avete mai intenzione di provarlo?
I hug everybody!
|
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Capitolo 12 *** Near to you ***
11 cap
Buonasera
a tutte voi ragazze,
non so proprio come cominciare. Sono davvero in un ritardo assurdo, vi
ho lasciato per più di due settimane senza un capitolo, sono
imperdonabile.
A mia discolpa
posso solo dire
che non è stata del tutto colpa mia. La scuola ha riempito
l'80%
delle mie giornate, compiti, interrogazioni. Il restante 20%
è
stata l'ispirazione che davvero ha fatto mille capricci.
Questo capitolo
prendetelo un
pò come un capitolo di passaggio, ma fate ben attenzione a
ciò che accade, ogni parola, ogni gesto crea nuove
situazioni.
Detto questo ringrazio tutte voi per la vostra immensa pazienza. Siete
le migliori lettrici del Mondo.
Un bacione
enorme, la vostra Lua.
Buona lettura.
11. Near to you.
Il sorriso
di Edward si spense quando i suoi occhi incrociarono quelli di Rosalie,
immobile davanti a loro.
Allontano
Isabella dalle sue braccia, ma senza realmente spostarla. Quando
Rosalie si
avvicinò ai due ragazzi con passo elegante, Bella fece una
strana smorfia.
Si sentiva
inferiore.
«Edward
cosa ci fai qui?» Le domandò la ragazza.
Isabella
notò che anche quella sconosciuta portava uno strumento
sulle spalle,
sicuramente non era una chitarra, perché era molto
più piccola la sua custodia,
rispetto a quell’enorme di Edward. Pensò che
fossero amici o forse qual cosina
in più, e che frequentavano lo stesso corso di musica. E
iniziò a far viaggiare
la sua mente verso orizzonti che non aveva mai sfiorato, riscoprendo
così che
quei pensieri le procuravano una strana stretta allo stomaco, e senza
volerlo
si ritrovò a stringere la mano sulla manica del giubbotto di
Edward.
«Ho
finito
adesso il corso.» Rispose Edward osservando l’amica
avvicinarsi.
Rosalie
sollevò un sopracciglio, guardò entrambi i
ragazzi stretti ancora in uno strano
abbraccio, quasi come se volessero difendersi entrambi, e li
trovò
tremendamente complementari, come pezzi di un puzzle perfetto.
«Sono le
quattro passate, oggi è durato più del
solito?» continuò imperterrita Rosalie,
cercando di smascherare Edward.
Isabella
sembrò risvegliarsi quando apprese l’orario, e con
uno scatto si allontanò da
Edward. Il ragazzo l’osservò incuriosito e anche
un po’ preoccupato.
Improvvisamente si sentiva una voragine nel petto. Lì dove
poco prima c’era il
corpo di Isabella, adesso c’era solo tanto freddo.
«E lei
è
una tua compagna di corso?» domandò ancora
Rosalie, allungando la mano a
Isabella.
«Mi
chiamo
Rosalie e sono un amica di Edward.» Le sorrise incoraggiante.
Quando Bella
sentii pronunciare la parola “amica” da quelle
labbra così perfette si sciolse
immediatamente, allungando la mano fino a raggiungere quella di Rosalie
e
stringerla in un saluto cortese e un po’ impacciato.
«Io sono
Bella, piacere di conoscerti.»
Rosalie
spalancò gli occhi, squadrandola come se si trovasse di
fronte un sogno.
«Rosalie.»
Edward si avvicinò alle due donne, sorridendo
all’amica, «Bella non è una mia
compagna di corso, è semplicemente un amica.» Le
disse fissandola intensamente,
come a volerle farle capire di averla trovata, e che era proprio lei la
ragazza
del mistero. Rosalie improvvisamente si rese conto di come fosse
assurdo non
accorgersi di Isabella, di come adesso poteva capire Edward. Non sapeva
nulla
di lei, se non il suo nome e i suoi occhi. Ma quegli occhi, intrinseci
di una
tristezza che purtroppo conosceva molto bene,
non potevano non lasciare un segno.
«Edward,
è solo un braccialetto. Potrebbe essere una tua fan o
semplicemente una
ragazzina dagli ormoni in subbuglio, la tua voce ha un effetto
abbastanza
travolgente sulle donne. Perché ti crucci tanto per un
braccialetto?»
Si ricordava perfettamente di
aver
pronunciato quelle parole, solo qualche giorno precedente. E solo
adesso si
rendeva conto del suo sbaglio. Quella ragazza non sarebbe mai stata
come le
altre, e se ne rese conto dal modo in cui la guardava fissare il Mondo
con
occhi sbarrati. Quando l’aveva vista stretta tra le braccia
di Edward l’aveva
trovata perfetta per lui. E forse stava impazzendo, perché
neppure la
conosceva, eppure già l’aveva capito che quella
ragazza qualcuno l’avrebbe
fatto impazzire davvero.
«Oh si
capisco.» Bisbigliò passandosi
una mano tra i lisci capelli biondi, «io stavo tornando a
casa, tu cosa fai?»
chiese a Edward, mantenendo però lo sguardo fisso negli
occhi di Isabella.
Il ragazzo sorrise alla sua
amica,
«accompagno Bella a casa e torno.»
«No Edward non devi,
davvero posso
tornare benissimo a casa da sola.» Disse Bella abbassando lo
sguardo,
leggermente imbarazzata.
Rosalie osservò la
scena in silenzio.
Edward sembrò
contrariato, «non se ne
parla proprio.» Sembrava stesse scherzando ma nel suo tono di
voce c’era una
nota seria che fece trasalire Rosalie.
Quand’era
l’ultima volta che Edward si era preoccupato così
per una ragazza che non
fossero lei o Alice?
Il
Mondo stava crollando sotto i loro piedi, ma per occhi così
lei non era neppure
più certa di essere pronta a crollare. Era lo stesso
sguardo, la stessa
intensità, lo stesso modo in cui la guardava il suo Emmett.
Forse
stava accadendo davvero. Forse stava davvero cambiando.
Ma
chi esattamente?
Il sorriso
di Edward accelerò il battito cardiaco di Bella che
improvvisamente si rese
conto di quanto fosse intenso, sentirsi importante per qualcuno.
«Ma forse
la tua famiglia ha bisogno di te, adesso.»
Continuò sussurrando, non del tutto
convinta delle sue parole.
Edward
scosse la testa, «la mia famiglia saprà cavarsela
benissimo anche senza di me,
non è così Rose?» domandò
rivolgendosi alla ragazza.
Rosalie
annuì con un sorriso che avrebbe fatto invidia alla stella
più belle per quanto
fosse accecante. E Bella si chiese se fosse una caratteristica di
famiglia o
una malattia del loro sangue. Perché persone così
belle non ne aveva mai visto.
Eppure
Rosalie si era presentata come amica, perché adesso Edward
le stava rivolgendo
la parola come se fosse una sua familiare?
«Si
tranquillo, avviso io gli altri.» Rispose la ragazza
all’amico.
Edward si
voltò verso Isabella con un sorriso vittorioso dipinto sul
volto perfetto,
«visto? Nessun problema.»
Isabella
osservò Rosalie, «mi dispiace portare via Edward
alla tua famiglia.»
Rosalie si
lasciò sfuggire una risatina, «figurati io e
Edward non siamo davvero
fratelli.»
Bella si
voltò verso Edward incuriosita.
«E’
una
lunga storia.» Le sorrise il musicista.
«Per la
verità non vi è nulla di complicato, ma se Edward
preferisce parlarti di noi in
un altro momento non posso che accettare la sua decisione.»
Aggiunse Rosalie
con aria stanca.
«Non
siete
assassini vero?» domandò tra l’ironico e
il preoccupato Bella.
Sia Edward
che Rosalie scoppiarono in una fragorosa risata, «no, ma sai
Edward forse
dovremmo iniziare ad ampliarci anche in quel campo, così
forse guadagneremmo di
più.» Gli disse facendogli l’occhiolino.
Edward
scosse la testa, avvicinandosi a Bella.
«Andiamo
Bella.» Dolcemente le sfiorò una spalla,
catturando immediatamente la sua
attenzione. «Ci vediamo dopo Rosalie.»
La ragazza
gli sorrise, «non c’è fretta Edward, il
Mondo non scappa da nessuna parte.»
Si
sorrisero, poi le strade dei tre ragazzi si divisero, ma non
completamente. Edward
e Bella ancora non se n’erano resi conto, ma presto sarebbe
diventata una loro
abitudine quella di camminare uno accanto all’altro con lo
sguardo puntato
all’orizzonte.
***
Un manto
di stelle cercava di uscire allo scoperto dietro la coltre di nuvole
scure che
minacciavano la grande città, ancora attiva.
Alice
aveva appena terminato il ritratto dell’adorabile bambina,
che da più di un ora
pretendeva di essere il suo soggetto. All’inizio
pensò potesse essere
divertente, ma quando si rese conto del tempo che ci sarebbe voluto per
terminare il ritratto, la bambina aveva iniziato a lamentarsi e
scalciare calci
in aria, cercando di catturare l’attenzione della madre.
La donna
aveva chiesto ad Alice quanto tempo occorresse per terminare, ma Alice
la zittii
con uno sguardo truce, rispondendole che non si deve mai dare fretta ad
un
artista.
E lei lo
era davvero un artista, solo i suoi quadri non erano ancora stati
esposti alla
National Gallery o al Tate Modern.
Ma
Jasper le diceva sempre che un giorno avrebbero aperto una sezione solo
per
lei, come se fosse una quinta stagione, e lei di questo ne era felice,
perché
il modo in cui bruscamente terminava l’Inverno e iniziava la
Primavera non le
era mai piaciuto.
La bambina
troppo stanca si sollevò dallo sgabello prima che Alice
potesse terminare il
disegno e corse via, nascondendosi dietro le gambe robuste della madre.
La
donna sconsolata decise comunque di pagare Alice per la pazienza, ma la
ragazza
non li avrebbe mai accettati i suoi soldi senza che lei si prendesse il
disegno. Così decise
di tracciare due
linee ben precise sopra il volto della bambina, cambiandone i
lineamenti con
mano ferma e decisa. Trasformò il ritratto della bambina in
una simpatica
caricatura dai tratti delicati. La donna se ne innamorò
follemente e decise di
acquistarlo anche se alla figlia non piaceva per niente. Era una
caratteristica
di Alice quella di trovare sempre una soluzione a tutto.
Così entrambe le donne
tornarono a casa contente, tutte tranne la piccola bambina, che nel
disegno
fatto da Alice non si ci rivedeva per niente, perché troppo
altezzosa e viziata
per accorgersi di quanto in realtà, fosse identico al suo
essere e a quello che
un giorno sarebbe diventata.
Alice
percorreva il lungo corridoio della metropolitana gremito di gente. In
una mano
reggeva le tele, nell’altra una tavola piena di colori.
Sorrideva
felice, forse un po’ stanca, ma contenta di tornare a casa.
Quando le
porte della metropolitana si aprirono, lei percorse quel piccolo
labirinto,
prima di salire le scale e ritornare in superficie.
Come ogni
giorno salutò il Signor Parker il vecchio guardiano dei
giardini pubblici,
proprio accanto al palazzo in cui abitava con gli altri ragazzi.
L’uomo la
chiamò per nome, chiedendole di avvicinarsi.
«Buona
sera Signor Parker.» Sorrise la ragazza.
«Buona
sera a te, carissima Alice. Sono proprio felice di vederti.»
Le disse
osservando le tele che stringeva tra le mani.
La ragazza
lo fissò incuriosita. Le rughe tracciavano dei strani
percorsi sulla sua pelle,
quasi come se stessero raccontando una storia. E Alice si perdeva tra
le pieghe
che la pelle tracciava come a voler liberare in aria un intera vita. Il
Signor
Parker sapeva di conoscenza, di guerra e di malinconia. Dentro i suoi
occhi
albergava un profondo sentimento, sconvolgente e inarrestabile. Aveva
vissuto
tutto quello che c’era da vivere, e l’aveva fatto
probabilmente accanto alla
persona amata.
«Come
è
andata oggi?» le chiese con gentilezza.
«Bene,
quando dipingo mi sento sempre bene.» Gli rispose quasi con
ovvietà.
L’anziano
signore rimase compiaciuto da quella risposta. «Fantastico.
Questo è per te,
Alice.» Le sorrise porgendole un foglio ripiegato.
«So bene quanto tu ami
dipingere, quanto questo ti renda viva. Ti ho visto farlo milioni di
volte e
ogni volta è più intensa della precedente. Brilli
Alice e sei pura energia.» Le
disse fissandola dritto negli occhi, «Fanne buon uso ragazza
mia.»
Con un
cenno del capo la salutò per poi allontanarsi e scomparire
tra i cespuglietti
del giardinetto. Alice rimase immobile, imbambola. Posò le
tele e la tavola dei
colori accanto ai suoi piedi, e con mano tremante aprii il foglio.
Lesse
cautamente, per più volte, il titolo
del volantino. “20esima edizione del
concorso di pittura nazionale “The noise of the world”. Compila, ritaglia, e spedisci il tagliando
d’iscrizione!”
Era stata colta alla
sprovvista, non era pronta a
cogliere dentro di lei tutta quella confusione organizzata di parole
che il
signor Parker aveva osato rivolgerle. E non era nemmeno degna di tenere
fra le
mani uno di quei volantini.
***
Edward
osservava di sottecchi Isabella, intenta ad osservare il lieve calare
del sole.
Benché le nuvole non si fossero dissolte del tutto, il cielo
era abbastanza
grande da far risplendere la luce della Stella.
Più
l’osservava e più si sentiva pieno.
Pieno di
qualcosa che non gli apparteneva.
Pieno di
buoni propositi e sogni da realizzare.
Pieno di
speranze e gioie da provare e far provare.
Pieno di
sorrisi da regalare.
Lo guardi mai il cielo
Isabella? Da
quanti filamenti pensi sia composto?
Ma si possono poi
contare tutti i
tasselli che lo compongono? Ti andrebbe di provare?
Potremmo sdraiarci in
un prato in
mezzo a miliardi di fili d’erba e tentare di contarli tutti.
Ma sai una cosa,
forse tu lo conosci già quel numero tanto perfetto dipinto
d’azzurro.
Credi sia troppo
audace chiederti il
permesso di stare con un Angelo?
Bella si
voltò verso il musicista, sorridendogli dolcemente.
«Ma lo
sai
di essere sovrannaturale?» gli domandò mentre
percorrevano il vialetto che
l’avrebbe portata a casa.
Edward
ridacchiò e pensare che era lui a ritenere lei, qualcosa di
troppo elevato per
essere umano.
«Posso
passare da te domani?» le chiese mentre l’osservava
cercare le chiavi di casa
dalla borsa.
Isabella
spalancò gli occhi sorpresa, «si.»
La mano
grande di Edward si sollevò verso il viso di Bella,
lasciandole una tenera
carezza che la spezzò in due.
«Sono
certo si chiarirà tutto con Margaret.»
Il cuore
di Bella probabilmente avrebbe preso il volo, ma non riusciva a capire
se a
causa delle parole di Edward o della sua vicinanza.
«Invece
di
venire tu in libreria, posso venire, io da te, al parco?»
«Ne sarei
onorato.» Le sorrise, prima di allontanarsi di qualche passo.
Bella
annuì, «Allora a domani.»
«Buona
notte Bella.»Le disse dolcemente.
Isabella
lo salutò da lontano con un gesto della mano.
Chissà se
quella notte sarebbe riuscita ad addormentarsi dopo tutti i brividi
provati.
A
voi l'ardua sentenza.
Alla
prossima settimana, cercherò di essere puntuale. Promesso.
|
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Capitolo 13 *** Tremble like California. ***
12. Tremble like California.
Eccomi puntuale ragazze, avete visto? Per una
volta sono riuscita a mantenere la promessa.
Cosa dire di questo capitolo? Prima di tutto è stato diviso
a
metà, poichè era troppo lungo, così mi
sono
trovata costretta ad interromperlo. La seconda parte la postero tra
due/tre
giorni, quindi non dovrete aspettare neppure molto.
Durante la lettura vi sarà proposta una canzone, vi
consiglio vivamente di ascoltarla :)
Questo capitolo è il trampolino di lancio per l'intera
storia. Non vi dirò nulla, tanto lo scoprirete da sole!!!
Ora vi lascio alla lettura.
Un bacio a tutte voi.
12. Tremble like California.
Quella mattina, in libreria, regnava un silenzio quasi irreale.
Isabella si
stringeva forte nel suo cappotto, cercando con lo sguardo
l’anziana proprietaria.
Aveva paura di un
nuovo litigio, di un nuovo rifiuto, di non essere compresa.
Ma quando la vide
in piedi, vicino l'ultimo scaffale, con gli occhi fissi nel vuoto, e la
malinconia disegnata sul suo viso, tutte le paure sembrarono
scomparire. Perché la vide in tutta la sua
fragilità. Era
una donna dal carattere forte, ma con troppe costole rotte dalla
sfortunata sorte. La sua vita non era stata affatto una passeggiata,
forse più un altalena, che a forza di andare su e
giù,
aveva perso di mira la gravità, e adesso le sembrava solo di
precipitare. Sempre.
Quando le si
avvicinò
cercò di sorriderle, ma il ricordo della mattina precedente
le
impediva di essere del tutto sincera.
«Pensavo
non saresti venuta.» Le sussurrò la donna senza
sollevare lo sguardo da terra.
Isabella fece
spallucce, fissandola, «non potevo non venire.»
Margaret fece un
lieve sorriso, che Isabella notò immediatamente.
«Ieri sono state dette tante parole.»
«In
quante di quelle parole credevi?» Le domandò con
voce tremante.
Stringeva le mani
intorno al giubbotto ancora indosso.
«In quasi
tutte.» Le rispose schietta Margaret.
Il respiro di Bella
si
smorzò improvvisamente, gli occhi si spalancarono di
conseguenza. Ma prima che potesse reagire in qualche modo, Margaret
riprese la parola.
«Ho detto
che ci credevo
non che fossero giuste.» Sospirò sollevando lo
sguardo
verso gli occhi scuri di Bella, «ho reagito
d’impulso. Ho
cercato di difendere la libreria, ma non da te, tu sei stata solo una
valvola di scarico, l’occasione per scoppiare. Ho sbagliato
Bella
e di questo me ne vergogno molto. Non mi sarei mai dovuta permettere di
trattarti in quel modo.» Continuò, passandosi una
mano tra
i capelli bianchi e sfibrati.
«Hai
detto che volevi difendere la libreria, se non da me, da chi
allora?» chiese sussurrando Isabella.
Margaret
sospirò, sembrava stanca, come se non avesse chiuso occhi
per tutta la notte.
«Dal
resto del Mondo. Dalla modernizzazione, dal cambiamento, da tutto
quello che l’avrebbe mutata.»
Isabella
sussultò, «l’hai fatto per Alfred, non
è così?»
Margaret
annuì sistemandosi la
piega del vestito. Era lo stesso del precedente. Isabella
ipotizzò che non fosse tornata proprio a casa, che avesse
passato tutta la notte in libreria.
«Te
l’ho detto,
è stato lui a metterla in piedi. Tutto quello che vedi,
quello
che respiri, è opera sua.»
Isabella
osservò la donna preoccupata, «ieri mi avete
spaventata.» Le confessò dolcemente.
«Lo
so.» Disse semplicemente.
Isabella le
posò una mano
sulla spalla, «potrete mai perdonarmi?» le
domandò
speranzosa. Margaret sobbalzò di fronte a quella richiesta,
facendo segno di no con la testa.
«Non sei
tu che devi scusarti, ma io. Tu volevi solo aiutare la libreria a
rinascere.»
«Forse
non avrei dovuto usare quei termini.» Ipotizzò
Bella.
Margaret le
sorrise, «ci
ho riflettuto tutta la notte. Non ho chiuso occhio a causa dei troppi
pensieri. Ma sai cosa, tu hai ragione, hai dannatamente ragione. Non
posso vivere per sempre tra i fantasmi del passato, qui bisogno
rinascere.»Le disse sorridendole.
Bella
ricambiò il sorriso, «volete quindi dirmi che ho
carta bianca?»
Margaret
annuì, «ovviamente porremo dei limiti.»
Le disse autoritaria.
Isabella
l’abbracciò di slancio, senza riflettere, e quando
si
sentii stringere dalle sottili braccia di Margaret, le
sembrò
che tutti i pezzi del puzzle fossero tornati al loro posto.
Le due donne si
sedettero
intorno alla scrivania, e insieme dissero tante parole. Ponendo limiti
e libertà. Nessuna delle due si accorse dei minuti che
passarono
e delle ore che volarono.
Troppo prese
l’una dall’altra per accorgersi del tempo.
Parlarono, molto
anche.
Si abbracciarono, e
quando
finalmente si sollevarono dalle sedie, si accorsero che il sole era
già a metà del suo percorso.
Isabella sorrise
felice, lei doveva proprio andare, aveva un appuntamento dove non
poteva assolutamente fare tardi.
«Pensi
di riuscire a farcela senza la tua snervante mamma?» le
domandò Reneè sorridendole con aria triste. Si
sentiva in colpa. Lei non avrebbe mai voluto abbandonare quel Mondo
prima di
riuscire almeno a vedere la sua bambina innamorata. La riteneva
bellissima e pensava che una volta lontano da lei, qualcuno
l’avrebbe portata via per la troppa luminosità.
Vedeva
nei
suoi occhi la lucentezza del diamante. Occhi che scalfivano qualsiasi
ostacolo, che rigavano il silenzio con appuntite chiavi, che se
qualcuno li avesse visti nel modo giusto se ne sarebbe impossessato,
tanto erano preziosi.
Isabella
cercò di non piangere, ma la vedeva sempre più
distante, sempre meno presente.
«Dimmi
che esiste un modo per tenerti ancora qui con me.» Le
sussurrò trattenendo il respiro.
La
donna le sorrise, «piccola ma io sarò con te,
sempre.»
Si
abbracciarono teneramente, quando ancora il corpo della donna riusciva
a muoversi.
«Incontrerai
qualcuno che ti farà tremare, bambina mia. E ti sentirai
come la
California.» Le disse facendola sorridere.
Isabella
assorbì quelle parole, chiudendole in cassetti chiusi a
chiave
dentro il suo cuore. Conservò ogni cosa di quella donna. La
sentiva così vicina da percepirne ancora il profumo e i
sussurri
tra i respiri del vento.
When you say nothing at all - Ronan Keating
Se le ricordava ancora quelle parole.
Quelle
sensazioni, quelle paure ancora vive dentro di lei.
Eppure quando il
suo Mondo
entrava in contatto con quello di Edward, le ferite del passato si
rimarginavano, e la voce del cantante, diventava per Isabella
l’antibiotico migliore per i suoi dolori.
E forse aveva
ragione la mamma quando le diceva che l’avrebbe trovato.
Ora, Isabella
osservava il suo
musicista cantare, e si sentii tanto tremare, esattamente come accadeva
in California durante i terremoti.
La voce di Edward
disperdeva
nell’aria particelle cariche positivamente di materiali
altamente
instabili. Ed Isabella si sentiva catturata, succube di quelle
sensazioni.
Quando Edward la
vide, in mezzo alla folla, le sorrise dolcemente, mantenendo lo sguardo
puntato su di lei.
«The smile on your face lets me
know that you need me.»
La sua voce
tremava. I suoi
occhi erano invasi da un unico Mondo ricoperto da candido cioccolato.
Non si riusciva a spiegare il perché, ma c’era
qualcosa in
Isabella che gli faceva perdere il controllo.
Avrebbe composto le
melodie più dolci solo per vederla sorridere.
«When you say nothing at all.»
Ripeté con un intensità capace di sgretolare il
cielo intero.
Occhi negli occhi.
Verde e marrone, fusi in un unione impossibile da spezzare.
Forse il passato
con loro non era stato molto clemente, ma il futuro, gli aveva fatto
uno splendido regalo.
Isabella rise
vedendo il ragazzo
avvolto da una maree di persone, pronte a tutto pur di attirare la sua
attenzione. Con quella canzone, aveva appena rivelato a Londra la sua
vera identità.
Edward non poteva
essere solo un musicista di strada. No, lui era molto di
più.
Lui irradiava
magia. Contagiava tutti con la sua voce, e nessuno poteva sfuggire a
una tale epidemia di emozioni.
Isabella questo lo
sapeva bene.
Riconobbe un
ammasso di capelli ramati in mezzo a tutta quella gente. Cercava di
liberarsi, sorridendo cordialmente a tutti.
No,
non era un musicista famoso.
No,
non aveva alcuna casa discografica.
No,
non era un cantante travestito da mendicante.
No,
non voleva una maglietta gialla.
Si, forse avrebbe ricantato, ma
più tardi, prima aveva altre commissioni da fare.
«Sembrava non ti volessero più lasciare
andare.» Gli
sorrise dolcemente Isabella, vedendoselo arrivare con addosso ancora
tutta la magia e la bellezza.
Edward
alzò gli occhi al cielo, facendola ridere.
«Non mi
era mai successo.» Cercò di giustificarsi,
chiudendo la custodia della chitarra.
Bella lo fissava
senza riuscire a smettere di abbassare lo sguardo. Si sentiva
ipnotizzata.
«Come fai
a non renderti
conto dell’effetto che fai a chi ti ascolta?» gli
domandò ingenuamente, sistemando una ciocca di capelli
dietro
l’orecchio.
Edward rise,
«tra queste persone ci sei anche tu?» le
domandò maliziosamente, facendola arrossire.
Bella
balbettò qualcosa d'in concreto.
Il ragazzo le
posò una
mano sulla spalla, catturando tutta la sua attenzione,
«Scusami
Bella, non volevo metterti in imbarazzo.»
Bella
cercò di sorridere, «non mi hai messo in
imbarazzo.» Disse mentendogli.
Edward la
guardò di sottecchi, «allora perché non
mi hai risposto?» le domandò con dolcezza.
«Mi
sembrava abbastanza ovvio.»
«Non lo
è.»
Si fermarono uno di
fronte all’altro. Solo pochi centimetri a dividerli.
«Mi fa
impazzire il modo
in cui canti, e quella canzone era bellissima.» Gli rispose
abbassando lo sguardo, imbarazzatissima.
Edward
però la costrinse
a guardarlo negli occhi, accarezzandole la guancia con il pollice.
«Quella canzone era per te.» Le confessò.
E se non fosse
stato per due forti braccia che la strinsero in un abbraccio, Isabella
sarebbe di certo caduta.
L’aveva
trovato, il calore umano che stava cercando.
Edward
notò
l’imbarazzo di Isabella, così cercò di
smorzare un
po’ la situazione, spostando l’attenzione su
qualcos’altro.
«Hai
parlato con Margaret?» le domandò con dolcezza.
Bella
annuì con un
sorriso, «abbiamo parlato tanto e chiarito ogni dubbio. Mi ha
praticamente dato carta bianca sulla libreria.» Gli disse
mordicchiandosi il labbro inferiore.
Edward
ridacchiò sollevato, «quindi possiamo metterci
all’opera?»
«Hai
ancora intenzione di aiutarmi?» gli chiese sorpresa Bella.
Il musicista rise
ancora più forte, facendo tremare Isabella.
C’era
qualcosa in quel ragazzo che non la facesse vibrare?
«Ovvio.
Abbiamo una libreria da salvare.»
Sorridendole
avvicinò la
sua mano alla sua, stringendola delicatamente, «vieni con me.
Mi
è già venuta un idea.»
Bella si
lasciò trascinare, ormai in balia di qualcosa troppo grande
per essere fermato.
***
«Cosa ci
andiamo a fare a
Bermondsey Square?» domandò incuriosita Isabella,
osservando il piccolo desktop della metropolitana che indicava
l’arrivo dei treni. Si era seduta sulla panchina
d’attesa, osservandosi intorno circospetta.
Edward si guardava
intorno, osservando il flusso di gente che scendeva e saliva dalla
metro.
«Non sei
mai stata al Bermondsey Market?» le chiese guardandola negli
occhi.
Isabella
annuì, un
po’ confusa, «però all’una
solitamente le bancarelle sono
già tutte scomparse.» Rispose giocherellando con
il
braccialetto.
Edward sorrise
avvicinandosi a
lei. Si abbassò alla sua altezza, sistemandole una ciocca di
capelli dietro l’orecchio.
Bella trattenne il
respiro. Averlo così vicino, le procurava una strana
sensazione.
«Non ti
sto portando alle bancarelle, Isabella.» Le
sussurrò vicino all’orecchio.
«E allora
dove?» gli chiese con il cuore in gola.
Il ragazzo si
sollevò,
allungandole la mano per aiutarla ad alzarsi. Isabella la strinse
forte, sorridendogli un po’ impacciata.
«Una
volta mi sono
imbattuto in un vecchio negozio d’antiquariato. Pieno di
cianfrusaglie e oggetti di dubbia provenienza, però
c’era
un reparto colmo di libri piuttosto rari.» Le disse mentre le
porte della metro si aprivano e loro vi salivano sopra.
Molta gente
salì dopo di
loro, e i due ragazzi furono costretti a mettersi in un angolo, con i
corpi così vicini che non vi era parte del corpo che non
sfiorava quella dell'altro.
Edward era
nettamente più
alto di Isabella così le parlava senza poterla guardare
negli
occhi. Respirava però il suo profumo.
Bella al contrario,
si era
avvicinata, involontariamente, al suo petto, così da
riuscire a
sentire il cuore di Edward battere delicatamente.
«I libri
rari sono molto cari.» L’interrupe Isabella.
L’autista
frenò di
botto, quando raggiunsero la prima fermata. Isabella dovette cercare un
appoggiò per non cadere all’indietro. Il suo senso
dell’equilibrio era piuttosto basso, così
afferrò
la manica del giubbotto di Edward.
Edward, di
riflesso, le
circondò il braccio intorno alla vita per evitare di farla
cadere. Così si ritrovarono ancora più vicini,
con
l’incredibile desiderio di esserlo ancora di più.
Il
cuore del ragazzo batteva più velocemente del solito, e
Isabella
se ne accorse, perché le sue guancie si colorarono di un
pudico
rossore.
«Scusami.»
Le sussurrò Edward all’orecchio.
Isabella scosse la
testa, cercando di riprendere a respirare regolarmente.
«Mi stavi
dicendo di questi libri rari?» gli domandò Bella,
cercando di distrarsi.
Edward sorrise, e
anche se non riusciva a vederla in volto, sapeva che Isabella stava
facendo la stessa cosa.
«Conosco
il proprietario e
sono convinto che non avrà nessun problema a prestarcene
uno.» Le disse, stringendo la presa sul suo corpo. Lo aveva
fatto
involontariamente, come se non potesse fare altrimenti. Quella ragazza
lo destabilizzava.
«Continuo
a non capire.» Gli confessò Isabella, disegnando
cerchi invisibili sul petto del ragazzo.
Edward
rabbrividì ed Isabella se ne accorse, così
decise, controvoglia, di fermarsi.
«Potremmo
mettere in
mostra il libro, attirando l’attenzione sulla libreria e nel
frattempo pubblicizzarla.» Le spiegò soffiandole
sui
capelli.
«Sarebbe
fantastico.» Sussurrò Isabella socchiudendo gli
occhi, lasciandosi cullare dalle parole di Edward.
«Vedrai,
Margaret sarà orgogliosa di te.»
«Ti devo
un favore.» Gli disse Bella teneramente.
Edward scosse la
testa, «ti sbagli, sono io che devo un favore a te, anzi
molto di più.» Le confessò.
Isabella non
riuscì a
capire il reale significato delle parole, e voleva tanto chiedergli
informazioni, ma si limitò a sospirare, mentre le porte
della
metro si aprivano e annunciavano l’arrivo alla loro fermata.
Scesero
frettolosamente dalla metro, raggiungendo le scale mobili per ritornare
in superficie.
«Come hai
conosciuto il
proprietario di questo negozio?» gli domandò
incuriosita,
mentre camminavano uno accanto all’altro.
Edward si guardava
intorno,
cercando di ricordare la strada, «diciamo solo che ho un
amica
piuttosto bizzarra. Il suo nome è Alice, ed è
stata lei a
trascinarmi in questo quartiere quasi tre anni fa.» Le disse,
ma
subito venne interrotto da Isabella.
«Alice?»
sussurrò imbarazzata.
Edward si
fermò di colpo, fissandola negli occhi.
«Si,
è una mia amica.» Le disse con gentilezza.
«Una tua
amica?» Isabella sembrava un disco ripetitivo.
Edward rise,
«perché mi guardi così?» le
chiese trattenendosi dal prenderla in giro.
Bella lo fissava in
maniera disambigua, «così come?»
«Come se
avessi detto una sacralità.»
«Io non
ti guardo in nessun modo.» Gli aveva detto stizzita.
Leggermente
alterata accelerò il passò, sorpassando il
musicista.
Edward scosse la
testa,
ridacchiando. La raggiunse in meno di tre secondi, afferrandola per i
fianchi e costringendola a voltarsi.
«Perché
ti sei arrabbiata?» le domandò guardandola negli
occhi.
Bella scosse la
testa, «non lo so… sei stato tu…
credo…» Borbottò confusa, arrossendo.
«Alice
è la mia
migliore amica, e non c’è nulla da temere,
perchè è
felicemente fidanzata.» Cercò di rassicurarla, ma
l’espressione dipinta sul volto di Bella era qualcosa di
altamente illegale. Edward dovette
usare tutta la sua forza di
volontà per allontanarsi dal suo viso e da
quell’espressione così ingenua e tremendamente
affascinante.
«Non
volevo dire questo.» Farfugliò imbarazzata.
Edward
sollevò un sopracciglio, «e allora cosa volevi
dire?»
«Quanto
ci vuole per arrivare?» gli domandò cambiando
argomento.
Edward
scoppiò a ridere,
trascinandola verso una via secondaria. «Siamo
arrivati.»
Le disse indicandole un vecchio negozio.
«Comunque
ti stavo
dicendo, prima che venissimo interrotti.» Le sorrise,
«che
io e Alice abbiamo conosciuto il proprietario perché
è un
vecchio amico della sua famiglia. Questo anziano signore si
è trasferiti da Chicago dieci
anni fa.»
Isabella lo
fissò confusa.
«Io e
Alice non siamo Inglesi e neppure Rosalie lo è.»
Le confessò.
Bella
spalancò gli occhi sorpresa.
Edward
si passò una mano
tra i capelli ribelli, «credo sia proprio arrivato il momento
di
raccontarti la mia storia.»
Avanti ragazze sono proprio curiosa di leggere le vostre fantasie? Chi
è secondo voi Edward?
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Capitolo 14 *** You could be the one who listens, to my deepest inquisitions, you could be the one I'll always love. ***
13.Capitolo
Eccovi il capitolo
ragazze, puntuale come promesso. Ho cercato di mettere tutta me stessa,
e devo ammettere che non è stato facile per me
scriverlo. Ho cercato di tirare fuori tutte le emozioni, tutte le paure
che avevo per questa storia. Il lato mio lato romantico è
scoppiato, quindi preparatevi da ora in poi a vedere tanto zucchero
filato.
Sono una ragazza,
purtroppo per voi, ingenua e romantica, quindi molte volte
riscontrerete questo mio lato in Isabella. Spero, comunque, che sia di
vostro gradimento :)
Un bacione a tutte
voi e buona lettura.
P.S. Non
smetterò mai di ringraziavi ragazze, ogni recensione
è per me un tuffo al cuore. Grazie. Grazie. Grazie.
13. You could be the one who
listens, to my deepest inquisitions, you could be the one I'll always
love.
Muse - Unintended
Isabella non
riusciva a fare altro che guardarlo. Non era
stata la rivelazione appena rivelata ad averla turbata, ma le parole
che le
furono dette subito dopo.
Sembrava quasi che
Edward facesse un grande sforzo per
guardarla, e non le sembrava possibile, perché i loro occhi
non avevano mai
avuto grandi difficoltà a incontrarsi. Anzi, era sempre
stato tutto piuttosto
naturale, come se fosse normale. Ora, però, Edward sembrava
non riuscire a
reggere lo sguardo di Isabella, così tenne la testa bassa,
mentre aspettava una
sua qualche reazione.
«Non
c’è nessun problema Edward, il non essere inglesi
non mi preclude nessuna amicizia. Mio padre non è nato a
Londra, ma ciò non
significa che non gli voglia bene.» Gli sorrise impacciata e
leggermente
confusa, Isabella. Non sapeva bene cosa dire, così
lasciò che fosse il suo
cuore a parlare piuttosto che il suo cervello.
Edward sorrise,
passandosi una mano tra i capelli.
Bella si accorse di
quel gesto, non era la prima volta
che glielo vedeva fare. Accadeva raramente e solo quando si trovava in
una
situazione difficile. Così cercò di alleggerire
la situazione, avvicinandosi a
lui, fino a costringerlo a guardarla negli occhi.
«Ehi, se
vuoi puoi anche non dirmi nulla. Entriamo nel
negozio come avevamo deciso e lasciamo perdere il tuo
passato.» Gli propose
sollevando gli angoli delle labbra, in un timido sorriso.
«Io
voglio raccontartelo, solo non è facile.»
Sospirò il
ragazzo, facendo qualche passo in direzione del negozio. Isabella lo
seguì in
silenzio, aspettando che continuasse.
«Tu mi
hai raccontato di tua madre e lo hai fatto
aprendoti a un totale sconosciuto.» Disse non riuscendo a
capacitarsene.
Isabella lo
guardò torvo, «non sei uno sconosciuto
Edward. E sappi che per me non è stata di certo una
passeggiata parlarti di mia
madre.»
Edward si sedette
sui gradini del negozio, senza curarsi
del proprietario.
«Credimi
lo so che per te non è stato facile, so cosa si
prova quando tutti ti voltano le spalle e tu non puoi fare altro che
voltarle
di rimando.» Sussurrò allungandole una mano. Bella
la strinse forte e si
sedette accanto a lui.
«E allora
se sai cosa si prova non farlo più Edward,
voltati e guardami negli occhi.» Gli disse con una sicurezza
che non credeva le
appartenesse. Edward fece come Isabella gli aveva chiesto, perdendosi
nei suoi
occhi, così dannatamente dolci e sinceri.
«Io ti
ascolto Edward.»
Il ragazzo
sospirò tornando indietro nel tempo, per
rivivere gli anni di una vita che ormai non era più la sua.
«Mi
chiamo Edward Cullen, sono nato a Chicago, una città
piuttosto fredda. Sono praticamente cresciuto lì fino alla
mia decisione di
trasferirmi a Londra.» Disse guardandola negli occhi.
Isabella annuii, come a
volergli rispondere ma senza interromperlo.
«Non ho
fratelli per questo essendo figlio unico sono
stato piuttosto viziato, ma mai menefreghista. Amavo i miei genitori e
loro
amavano me. Mio padre era un uomo molto importante, lavorava in una
compagnia
di finanziamenti, mia madre al contrario, aiutava spesso nel sociale.
Erano gli
opposti ma si completavano a vicenda.» Sorrise al ricordo,
«io come unico
figlio sapevo già quali sarebbero state le mie sorti. Avrei
preso il posto di
mio padre, diventando così il proprietario della sua
compagnia. Ma non era
quello che desideravo. Per il mio futuro avevo piani diversi.
«Volevo
diventare un musicista e diffondere le mie
emozioni attraverso gli strumenti. Volevo insegnare alle persone come
la musica
potesse essere magica e potente, migliore di molte altre artificiali
medicine.
Ma non era quello a cui ero destinato.» Disse sospirando.
Isabella
l'ascoltava senza interromperlo, sembrava tutto
un sogno. La sua voce era capace di riportarla indietro nel tempo, come
se
anche lei fosse stata con lui a Chicago.
«Mio
padre non approvava questa mia decisione, l’unico
conforto per me era mia madre. Lei mi aveva sempre spronato ad andare
avanti, a
lottare per i miei sogni. Fu lei a insegnarmi il significato delle
parole amore e amicizia.»
Isabella
rabbrividì, «perché parli di loro
usando il
passato? Dove sono adesso i tuoi genitori?» gli chiese con un
filo di voce.
Edward le sorrise
dolcemente, «non ci sono più. Morirono
cinque anni fa in un incidente stradale.» Le
confessò abbassando la testa.
Bella
spalancò gli occhi, «mi dispiace tanto.»
«Ero con
loro quella sera, quando avvenne l’incidente.
Stavamo tornando a casa e come al solito, io cercavo di convincere mio
padre a lasciarmi libero di seguire il mio sogno.
«Era
così pieno delle mie suppliche che decise di
accontentarmi, mi avrebbe pagato gli studi di musica per un altro anno,
così da
poter tentare una qualche carriera. Ma il destino aveva in serbo
qualcos’altro
per la mia famiglia. Quella notte un ubriaco si scontrò
contro la nostra auto. Mia
madre morì sul colpo, mio padre seguì mia madre
subito dopo.»
Gli occhi di
Isabella erano colmi di lacrime, voleva
abbracciarlo, stringerlo in un abbraccio, fargli capire che lui non era
più
solo.
«Non
riesco ancora a capacitarmene, perché mi sembra impossibile
essere ancora vivo. Ricordo solo che dopo l’impatto sono
schizzato fuori
dall’automobile, prima che si schiantasse contro il
muro.»
«Dopo che
cos’hai fatto?» gli domandò Isabella
avvicinando il suo viso a quello di Edward.
Il ragazzo
sospirò, «ho estratto i corpi dei mie genitori
dalle lamiere, sperando di salvarli. Ma per loro era troppo tardi.
Accecato
dalla rabbia e annebbiato dal dolore mi scagliai contro
l’automobilista
ubriaco, che al contrario dei miei genitori era
sopravvissuto.» Disse con
rabbia.
«I
soccorsi dovettero allontanarlo da me, prima che lo
uccidessi. Credo di avergli fatto molto male.»
Isabella non
riusciva a credere a quelle parole.
Immaginare Edward come un ragazzo violento le sembrava impossibile,
eppure
poteva comprendere il suo dolore e la sua rabbia. Quell’uomo
aveva ucciso i suoi genitori lasciandolo solo al Mondo,proprio
quando suo padre si era deciso a lasciarlo volare.
«Passò
un anno intero in cui abbandonai la musica e mi
occupai degli affari di mio padre, ero appena maggiorenne, ma
abbastanza
intelligente da prendere le redini del comando.»
Continuò accarezzando il dorso
della mano della ragazza, e Isabella non poté fare altro che
stringere la sua
mano e portarla dolcemente sul suo viso.
«E’
stato l’anno più difficile della mia vita, ero
completamente solo e con una grande responsabilità sulle
spalle. Non me ne
importava nulla in realtà della compagnia di mio padre, ma
mantenere in vita
lei era come mantenere in vita mio padre.
«Fu in
quell’anno che incontrai Alice. Come me reduce da
un passato difficile, ma con un incredibile dono per la pittura. Lei
riuscì a
convincermi a riprendere in mano la chitarra e ricominciare a cantare.
E’ una
ragazza splendida, sempre piena di sorprese. Per me è come
una sorella.» Le
spiegò gentilmente.
Isabella si
sentì tanto una sciocca. Come poteva essere
gelosa di una ragazza così?
«Non
voglio che tu sia gelosa di lei Bella, io non potrei
mai vederla in quel modo.»
«Mi sento
così stupida, che non riesco neppure a capire
come io abbia potuto anche solo pensare di essere gelosa.»
Edward le prese il
volto tra le mani, scacciandole le
lacrime che bagnavano il suo bellissimo viso.
«Tu sei
così importante per me, da non rendertene neppure
conto. A nessuno avevo mai raccontato la mia storia, se non ai miei
migliori
amici.» Le confessò con un sorriso.
«Davvero?»
Edward
annuì, «si sciocca ragazza
ipersensibile.» La
prese in giro, cercando di sollevare la situazione.
L’aria
era satura di tristezza, e Bella sapeva che non
sarebbe finita così la storia del musicista.
«Che cosa
accadde dopo?» gli domandò poggiando la testa
sulla spalla di Edward.
Il ragazzo
sospirò, «incontrammo Rosalie, scappava da New
York dopo una storia d’amore finita male. Tutti e tre
decidemmo di lasciare gli
Stati Uniti per una nuova vita. Io abbandonai il lavoro di mio padre,
vendendo
la sua società. Alice e Rosalie non si fecero nessuno
scrupolo ad abbandonare
la loro vita per cominciarne una nuova. Fu così che
decidemmo di venire a
Londra, qui Rosalie aveva un amico fidato, Jasper.» Le
spiegò cercando di
essere il più comprensibile possibile.
«Al
nostro arrivo, avvenuto circa quattro anni fa, fu
Jasper a guidarci e insegnarci come sopravvivere a Londra. Eravamo
tutti e tre
senza un soldo. Loro perché non ne avevano mai avuti, io
perché non volevo più
avere niente a che fare con la mia vecchia vita.» Le
spiegò facendo una
smorfia.
«Com’è
iniziata la tua storia da musicista di strada?» gli
domandò intrecciando le loro mani.
Edward
sospirò, «non ricordo esattamente qual
è stato il
motivo principale, so solo che una volta iniziato a suonare tra la
gente non riuscii più a smettere.»
«Vivi con
Alice e Rosalie?»
Edward
annuì, «e Jasper, ovviamente. Alice e Jasper
s’innamorarono subito, lui per lei fu come una medicina, le
ridiede la vita,
per Rosalie invece fu diverso. Per ricominciare a credere
nell’amore dovette
aspettare l’arrivo di Emmett.»
Isabella
sembrò confusa, «chi sono adesso tutte queste
persone?»
«Artisti
di strada esattamente come me.» Le rispose
guardandola negli occhi.
Bella sorrise,
«davvero? Perché io non li ho mai
visti?»
«Si
spostano ogni giorno, non sono come me che
preferiscono avere un posto stabile.» Le spiegò
gentilmente.
«Mi hai
detto che Alice è una pittrice, è
brava?»
Gli occhi di Edward
s’illuminarono, «non sono mai
riuscito a descriverla, perché è qualcosa di
straordinario. Dovresti vederla,
sono sicuro andreste molto d’accordo voi due.» Le
rispose.
Bella
arrossì, «mi piacerebbe molto conoscere i tuoi
amici. Rosalie sembra simpatica, forse un po’ titubante sulla
nostra amicizia.»
Edward rise,
«Rose è molto strana come ragazza, per
strada in molti la chiamano l’enigmatica.»
«Che cosa
fa esattamente?»
«Suona il
violino, come me è un musicista.»
Isabella sorrise
incuriosita, «e Jasper ed Emmett?»
«Jasper
è un mimo, Emmett un giocoliere. Quest’ultimo era
un ottimo circense, ma stanco di girare il Mondo decise di fare pianta
stabile
a Londra, dopo aver incontrato Rosalie ed essersene
innamorato.» Le spiegò
sorpreso dalla facilità con cui era riuscito a parlarle
della sua nuova
famiglia.
Bella lo
guardò sorpresa, non riuscendo a credere alle
sue parole. «Siete una famiglia di artisti.»
Esultò raggiante.
Edward
ridacchiò, «si fa quel che si
può.»
«Oh
andiamo Edward, non fare tanto il modesto. Trovo sia
una cosa fantastica sia l’arte che la musica.» Gli
disse sollevandosi in piedi.
Edward sollevò la testa per continuare a guardarla.
«Devono
essere ragazzi pieni di talento.» Disse
sollevando lo sguardo verso la porta del negozio. Le tendine scure
impedivano
una qualsiasi visuale al suo interno.
Edward si
alzò, raggiungendo Isabella. «Diciamo che siamo
diventati inseparabile. Sono più di tre anni che ci
conosciamo.» Le disse
seguendo lo sguardo di Isabella.
«Devono
essere molto importanti per te.» Gli sussurrò
voltandosi verso di lui, e perdendosi nell’oceano verde degli
occhi di Edward.
Il ragazzo
annuì, «dopo la morte dei miei genitori
credevo di essere solo, con nessuna possibilità di futuro.
Quando si ha tutto
nella vita, e improvvisamente vi si viene privati, ogni cosa, anche la
più
insignificante, diventa un appiglio per rimanere ancorato alla
realtà.»
Isabella si
avvicinò a Edward, «se non fosse stato per la
musica io non ti avrei mai incontrato.» Gli
confessò abbassando la testa
imbarazzata.
Edward la strinse
in un abbraccio, «avrei comunque trovato il modo
per incontrarti, Bella.»
Non riuscirono a
fare altro che stringersi in un
abbraccio protettivo. Adesso lei sapeva cosa lui avesse passato. Il
loro dolore
era anche la loro forza, iniziò così una lenta
ricucitura delle ferite.
Ma forse qualcuno
lassù si era già incontrato, e aveva deciso per
loro.
Che una storia così non può nascere da un giorno
all'altro, senza aver prima oltrepassato i confini del cielo.
E allora forse sarà davvero eterno ciò che li
legherà.
Il
sole era alto in cielo, coperto da una grossa nuvola
che impediva ai raggi di riflettere la loro luce sulla
città. Edward e Bella
salirono i gradini del negozio e aprirono la porta per entrarvi.
Quando furono
dentro gli occhi di Isabella si
spalancarono, sorprese e meravigliati da tutte le bellezze presenti
nella
stanza.
Oggetti che non
aveva mai visto e che ignorava
l’esistenza si presentarono davanti i suoi occhi. Collezioni
di vecchi dischi
in vinile, orologi a pendolo, vecchi mobili. Dietro una scrivania vi
era un
vecchio signore, che sorrise a Edward, alzando le mani come se volesse
allungarsi verso di lui.
«Edward
qual buon vento ti porta nel mio piccolo Mondo.»
Disse raggiante, allontanandosi dal tavolo per avvicinarsi ai due
giovani.
Era di bassa
statura, con folti capelli bianchi che gli
ricadevano sulle spalle. Isabella l’osservò
distrattamente, troppo presa dallo
splendore che emanava il negozio.
«Diciamo
solo che sono qui per aiutare un’amica.»
Sorrise, lanciando un’occhiata divertita a Bella.
L’anziano
signore seguì lo sguardo di Edward e ridacchiò
sommessamente, «potrei offendermi mio giovane amico, ma
rivederti è una gioia
troppo grande. Sarà un anno che non ti vedo. Come sta la
piccola Alice?»
domandò avvicinandosi.
Edward era molto
più alto di lui, ma riuscì ad
abbracciarlo senza problemi. «E’ esuberante come
sempre.»
«Allora
non c’è da preoccuparsi.»
«No,
direi di no.» Sorrise Edward, allontanandosi dal
proprietario del negozio e avvicinandosi a Isabella.
«C’è
qualcosa che stimola il tuo interesse?» le domandò
sussurrando all’orecchio, facendola rabbrividire.
Isabella si
voltò incontrando il sorriso di Edward,
«potrei innamorarmi di ogni oggetto presente in questa
stanza.»
Edward fece una
smorfia, «allora ti devo portare via.»Le
bisbigliò.
Le guancie di Bella
si colorarono di un tiepido rossore.
«Potresti cercare di comportarti bene, sai non vorrei
arrivare a un
autocombustione spontanea.» Gli disse lanciandogli un
occhiataccia.
Edward
scoppiò in una fragorosa risata.
«Dove
possiamo trovare lo scaffale magico?» domandò
rivolgendosi all’anziano signore.
Armand, era questo
il suo nome, gli indicò un lungo
corridoio. «Apri la porta e troverai il mondo
incantato.» Gli rispose,
intuendo immediatamente il desiderio di Edward. In pochi conoscevano
l’esistenza di quella preziosa stanza, piena di
antichità piene di valore, e
tra queste vi erano anche i suoi tanto amati libri. Quando Alice
trovò quella
stanza se ne innamorò follemente, convincendo Armand,
riuscii a visitarla. Ma
essendo molto preziosa, l’anziano proprietario non permetteva
a nessuno dei
suoi clienti di entrarvi, fatta eccezione per la sua famiglia e Alice.
Bastava chiedere
dello scaffale magico che subito Armand
capiva il suo desiderio, Edward e Alice decisero di chiamare
così la stanza
magica.
«Grazie
mille.» Gli sorrise, prendendo per mano Isabella.
Armand
ricambiò il sorriso, «non vi
disturberò, promesso.
Edward mi fido di te.» Gli disse prima di vederli scomparire.
Non era mai
successo eppure per quella ragazza aveva
fatto un eccezione. C’era qualcosa nei suoi occhi, che gli
impedì di
negarle l’accesso nella stanza dei vecchi libri.
Isabella si
lasciò trascinare, sentendosi elettrizzata
all’idea di entrare in una stanza piena di vecchi libri. Uno
dei suoi più
grandi desideri stava per diventare realtà.
Quando Edward aprii
la porta, una nuvoletta di polvere
s’innalzò nell’aria, così da
costringere Isabella a socchiudere le palpebre.
Edward le strinse
la mano incitandola ad entrare e quando
finalmente misero piede nella stanza, il respiro della ragazza si
smorzò.
Era una stanza
piccola, ma con due enormi scaffali
ricoperti di libri e polvere. Il suo cuore aumentò
l’andatura dei suoi battiti,
costringendola a fermarsi per capacitarsene.
«Sembra
impossibile che una stanza così piccola contenga
tutto questo splendore, non è così?»
gli domandò Edward, sorridendole.
Isabella annuii,
incapace di parlare.
«Avanti
Bella, dai pure un occhiata e scegli il libro che
più preferisci.» Le disse lasciandole la mano.
Gli occhi di
Isabella s’illuminarono e i suoi piedi
fecero involontariamente un passo in avanti. Non ci volle molto tempo
prima che
la ragazza si sbloccasse e iniziasse a leggere ogni copertina.
Edward si
accostò alla porta, socchiudendola. Si poggiò
al muro, seguendo con lo sguardo tutti i movimenti della ragazza.
Non vi era
parte del corpo di Bella che irradiasse magia e Edward avrebbe tanto
voluto
stringerla in un abbraccio per incollarla per sempre al suo corpo e non
lasciarla andare mai più.
Voleva vederla
felice e contribuire alla salvezza della
sua libreria, significava renderla felice. Era sorprendente
l’alchimia che
Isabella aveva con i libri, sembravano fatti l’uno per
l’altro, e Edward ne fu
quasi geloso, così dopo quasi trenta minuti le si
avvicinò.
«Trovato
qualcosa?» le chiese soffiandole sui capelli.
Bella si
voltò sorridendogli, «questo è il paese
delle
meraviglie.»
Edward
scoppiò a ridere, «hai ragione piccola Alice,
questo posto è davvero incantato.»
Isabella
cercò di allungarsi per raggiungere un libro, ma
il ripiano era troppo alto, così rinunciò
all’impresa.
«Ehi,
perché ti sei allontanata?» le domandò
Edward.
«Non
riesco a raggiungere quel ripiano.» Gli spiegò
indicandolo.
Edward le sorrise,
«quale libro vuoi, te lo prendo io.»
Isabella si
avvicinò di nuovo, indicandoglielo. Edward
dovette fare un piccolo sforzo per poterlo raggiungere, ma quando lo
estrasse
dalla pila di libri, si ritenne abbastanza soddisfatto.
Lesse il titolo del
libro, sorridendo a Isabella.
«Davvero
un ottima scelta.»
Isabella lo
guardò confusa, «mi piaceva molto la
copertina ricamata in pelle, perché che libro
è?» gli chiese avvicinandosi a
lui.
«La piccola
fiammiferai, Hans Christian Andersen, è un edizione
del 1851.» Le rispose
Edward. La ragazza si
fiondò letteralmente sul ragazzo, abbracciandolo di slancio.
Edward preso in
contro piede fece cadere il libro sul pavimento.
«Che cosa
è successo?» le domandò confusamente,
non
perdendo però l’opportunità di
stringerla tra le sue braccia.
Isabella
respirò il suo profumo, stringendolo forte, «sei
la persona più incredibile che io abbia mai
incontrato.» Bofonchiò
accucciandosi sul petto.
Edward rimase
basito, immobile dopo quella
confessione, «ti piace la storia della piccola
fiammiferaia?»
«Mia
madre me la raccontava spesso quando era una
bambina.» Gli spiegò rimanendo però
stretta tra le sue braccia.
Le loro anime
sembravano danzare intorno ai loro corpi
così intimamente stretti in un abbraccio.
«Abbiamo
trovato un piccolo tesoro.» Gli disse sollevando
la testa e incontrando gli occhi di Edward.
Il ragazzo
sollevò una mano, portandola dietro la nuca di
Isabella.
«Sei
così perfetta Isabella, che dubito tu possa essere
vera.» Le sussurrò all’orecchio.
Riuscivano a sentire entrambi i loro cuori
battere all’impazzata, con la stessa velocità
delle ali di un colibrì.
«Così
innocente e bisognosa di protezione.» Continuò
accarezzandole
la guancia con i polpastrelli della mano. «Così
bella da togliere il fiato.»Le
sussurrò ad un centimetro dalle labbra.
Isabella trattenne
il fiato, sommersa da una miriade di
sensazioni.
Non le chiese
neppure il permesso, ma tanto sapevano entrambi
che lei gli avrebbe concesso qualsiasi cosa, così, con un
movimento lento ma
deciso, Edward posò le sue labbra su quelle di Isabella,
scatenando una
tempesta cosmica.
Le loro labbra
sembravano i pezzi mancanti di un puzzle,
combaciarono alla perfezione. E quando anche lei rispose al bacio,
portando le
sua mani tra i capelli del ragazzo, Edward non riuscì a
trattenersi
dall’approfondire il bacio, facendo schiudere le labbra di
Isabella.
Un bacio
così lei non l’aveva mai provato, così
intenso da capovolgere le stagioni e sgretolare il cielo.
Così pieno di passione e dolcezza, da colmare qualsiasi
spazio vuoto
dentro di lei. Si sentii piena e completa quando le loro labbra si
erano
incontrate e ora non riusciva a fare altro che assecondare quel
movimento, sapendo di aver raggiunto la fonte dell’eterna
giovinezza in quel bacio
che sarebbe vissuto per sempre.
Edward fu il primo
a staccarsi, ansante e senza fiato.
«Ho
desiderato farlo dal primo giorno in cui ti ho
vista.» Le confessò facendo scontrare le loro
fronti. Le sue mani erano scese
lungo i fianchi per imprigionarla e non lasciarla più.
Isabella sorrise,
«se solo l’avessi saputo, ti avrei
confessato io stessa il mio nome.» Gli disse facendolo
ridere.
Di nuovo le loro
labbra s’incontrarono, in un bacio lento
e infuocato.
«E’
più di un ora che siamo qui dentro.»
Bisbigliò
Isabella posando la testa sul petto di Edward.
«Mi piace
stare qui, con te.»
Bella si strinse
più forte a lui e rimasero in quella
posizione per tanto tempo. Quanto nessuno può dirlo con
esattezza, si sa solo
che quando uscirono dalla camera magica, il sole era tramontato da un
pezzo.
Isabella sorrise
imbarazzata stringendo tra le mani il
suo prezioso libro. Quando Armand lo vide lanciò un
occhiataccia a Edward.
«Hai la
minima idea di quanto costi quel libro?» gli
domandò con tono sarcastico.
Edward gli sorrise,
«non ho nessuna intenzione di
comprarlo, ma solo prenderlo in prestito.»
«Non si
prendono in prestito libri così rari.» Gli fece
presente Armand allungando una mano verso Isabella, «mi
dispiace ragazza ma
quello non posso proprio prestartelo.» Le disse dispiaciuto.
Isabella stava per
porgerglielo, quando la mano di Edward
la fermò, «ti chiedo solo due settimane Armand,
poi il libro ritornerà a casa.»
Lo pregò, «è per una giusta
causa.»
Edward si voltò verso Isabella, sorridendole. Avrebbe voluto
baciarla ancora, e di nuovo, fino a togliere il respiro sia a lei che a
tutti gli abitanti di Londra.
Armand
sembrava titubare, così Edward continuò,
«in
cambio Alice ti farà un ritratto.» Gli disse,
rubandogli un sorriso.
L’anziano
signore sollevò gli occhi al cielo, «riuscite
sempre a convincermi voi due, sai che Alice ha un talento straordinario
e tu non
perdi occasione per usarlo come arma.» Sbuffò
prima di acconsentire. «Va bene,
ma tra due settimane lo rivoglio nel mio negozio, con tanto di ritratto
fatto
da Alice.» Gli disse con finto tono minaccioso.
Edward sorrise,
stringendo Isabella in un abbraccio.
«Grazie mille Albert, ti siamo debitori.»
Isabella lo
salutò con un enorme sorriso, e prima di
chiudere la porta gli urlò un nuovo grazie.
Edward
dovette strattonarla per portarla via dal
negozio.
«E adesso andiamo, abbiamo una libreria
d’allestire.» Le disse
rubandole un bacio, prima di trascinarla dall’altra parte di
Londra.
Un vecchio
proverbio inglese dice: Baci dati facilmente si dimenticano facilmente.
Bè
allora concorderete con me, che questo sarà un bacio
indimenticabile.
Lua93.
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Capitolo 15 *** The streetlights in the sky. ***
14. Capitolo
14. The
streetlights in the sky.
Le vie di Londra
straripavano di
turisti impauriti ogni giorno. Gente diversa, ma uniti dalla voglia di
scoprire questa misteriosa città. Giovani al loro primo
viaggio
all’estero, ragazze in cerca di fortuna, coppie che si
concedevano una vacanza lontano da tutti, gruppi di stranieri
con
enormi cartine della città sotto il naso, ma lette al
contrario.
Nelle strade i
profumi erano dei
più disparati, dai cibi della cucina indiana a quella
messicana.
China Town abbracciava più asiatici di quanto ne contenesse
la
vera Cina. E la città era piena di vicoli e stradine
percorribili solo ad
occhi chiusi, perché ad occhi aperti molte cose non si
sarebbero
viste. Perché Londra era così, contorta, diversa,
che la
gente ogni volta che le diceva addio abbandonava un pezzo di se stesso.
I negozi di
souvenir
perennemente aperti erano invasi da ogni forestiero, impaziente di
trovare la calamita perfetta da portare a casa ed attaccare al
frigorifero di metallo. I negozi ambulanti pieni di gente che se
fossero stati in un altro paese li avrebbero chiamati immigrati. Londra
accoglieva tutti a braccia aperte, non mostrava timore e sorrideva al
cambiamento.
E quando arrivava
la sera il
cielo di Londra, assumeva sfumature impossibili da dimenticare. Quando
non vi erano nuvole, i raggi del sole scagliavano gli ultimi bagliori
prima di scomparire, per riscaldare altre terre, colorando il cielo di
un tiepido rossore.
Chiunque a Londra
si sarebbe
innamorato. Perché non esisteva luogo più bello
per
Alice, che dopo tanta tristezza era riuscita a trovare una
città
più malinconica del suo stesso animo. E forse qualcuno un
giorno
per strada l’avrebbe fermata per chiederle di dipingere la
sua
anima, composta in realtà da mille colori, purtroppo
offuscati
dalla troppa nebbia.
Ma Alice
lì ci stava
bene, si completava con tutto il resto. E Jasper questo lo sapeva bene,
perché occhi come i suoi non se ne incontravano
più al
giorno d’oggi.
E se fosse stato un
bambino,
l’avrebbe descritta come si descrive un tiro al pallone o la
vittoria della propria squadra del cuore. Ma lui un bambino non lo era,
e certe parole erano impossibili da trovare. Così la
contemplava
con gli occhi, perché troppe parole a volte storpiavano e
anche
i Ti amo
erano diventati superflui.
«Rosalie
l’ha incontrata.»
Jasper aveva
sollevato lo
sguardo, incontrando il verde limpido e cristallino degli occhi di
Alice. La ragazza gli sorrise avvicinandosi. I suoi movimenti gli
ricordavano tanto quelli di una pantera, slanciata ed elegante, che si
muoveva con passi felini per raggiungere la sua preda.
«La
misteriosa ragazza che
tanto attanaglia il cuore di Edward?» Le domandò
attirandola verso il suo corpo e costringendola a sedere sulle sue
gambe.
Alice gli
passò una mano
tra la folta chioma bionda, annuendo. «Ha detto che
è
molto bella. Secondo lei è una ragazza davvero speciale,
perfetta per Edward.» Gli rispose continuando a giocare con i
suoi capelli. La mano di Jasper percorse tutta la spina dorsale di
Alice, attirandola più vicino al suo corpo.
«A cosa
stai pensando?»
Ormai la conosceva
bene, non
c’erano più misteri o segreti tra loro. E Jasper
era
Innamorato pazzo di lei da tre anni ormai, e ogni giorno, si sentiva
sempre più colmo d’amore, come se quello provato
il giorno
prima o quello prima ancora, non potesse bastare.
«Ma
nulla, perché
pensi subito male.» Gli sorrise furbamente, facendo per
sollevarsi dal suo corpo, ma Jasper non glielo permise, stringendola
con ancora più forza tra le sue braccia.
«Sei
curiosa.» Le soffiò all’orecchio,
facendola rabbrividire.
Alice
ridacchiò,
«ovvio che lo sono. Questa misteriosa e sconosciuta ragazza
ha
conquistato sia la mente che il cuore del nostro amico. Ed Edward non
mi sembra il tipo di ragazzo che prende sbandate del genere.»
«Forse
non è una sbandata.» Le sorrise.
«Lo credo
anche io. Rose
ha avuto fortuna, perché l’ha incontrarla, eppure
lei non
è riuscita a dirmi nulla di speciale, se non descrivermela
minuziosamente in ogni particolare.»
Jasper
scoppiò in una
fragorosa risata, «sei gelosa del rapporto che si
è creato
tra Edward e Isabella?»
Alice si
voltò immediatamente verso il suo ragazzo, fissandolo
sorpresa, «come fai a conoscere il suo nome?»
Jasper le
accarezzò una guancia, «E’ stato Emmett
a parlarmene.»
Alice
sospirò delusa,
«non è gelosia la mia, voglio solo incontrarla,
osservarla, studiarla e in caso non dovesse andare bene
sopprimerla.» Disse facendo ridere Jasper.
«E se
invece si rivelasse la ragazza giusta per Edward?» Le chiese
avvicinandosi alle sue labbra.
Alice gli sorrise
dolcemente,
«dipingerò il suo volto in ogni angolo di
strada.»
Gli rispose depositandogli sulle labbra un tenero bacio.
Jasper la
sollevò dalle
sue gambe, mettendosi in piedi, tenendola sempre stretta tra le sue
braccia. Alice incrociò immediatamente le sue gambe intorno
al
corpo di Jasper, portando le mani sul suo viso.
«Parteciperai
al concorso?» le domandò mentre riprendevano fiato.
Alice mise un
piccolo broncio,
«non credo di essere pronta ad una figuraccia.» Il
ragazzo
si avvicinò al salone con ancora la ragazza in braccio.
Rosalie
e Emmett sarebbero rientrati presto.
Jasper le
sollevò il
viso, costringendola a guardarlo negli occhi, «amore mio,
come
fai ad essere così cieca? Hai le stesse mani di Dio,
altrimenti
come riusciresti a creare tutte queste meraviglie?» Le
sorrise
facendola sedere sul divano.
«Tu sei
di parte.» Disse piagnucolando, come una bambina.
Jasper si sedette
accanto a lei, sorridendole amorevolmente, «ti sbagli, tutto
il Mondo è dalla tua parte.»
Alice si sporse per
abbracciarlo, stringendolo forte.
Rimase immobile
ascoltando il
suo cuore battere, «ci proverò va bene? Ma non ti
prometto
nulla. Voglio trovare una musa perfetta per il concorso.»
***
Isabella
si era fermata di fronte la porta di casa sua, cercando dentro la borsa
le chiavi, per aprirla.
Edward
l’osservava silenziosamente, accarezzando con lo sguardo ogni
centimetro del suo corpo.
Si sentiva attratto
da lei, come
una farfalla notturna era attratta dalla luce. Ma si sarebbe presto
bruciato le ali, se avesse continuato a fissarla in quel modo, come se
fosse l’unica sorgente capace di emanare raggi luminosi.
Edward
fu così costretto a distogliere lo sguardo, sollevando la
testa
verso il cielo.
Non si vedeva
neanche la luna.
Le nuvole ingoiavano il Mondo intero e mangiavano stradine buie dove le
persone si perdevano senza preoccuparsene minimamente. La poca luce dei
lampioni strisciava sulla strada, attraverso i marciapiedi e proiettava
lunghe ombre, a seguire rumori di passi che correvano da una
parte
all’altra. La gente non dormiva ancora.
Quando
ritornò con lo sguardo sulla ragazza, si ritrovò
a sorriderle.
«Perché
ti rendo nervosa, Bella?» Gli domandò,
spiazzandola completamente.
Isabella si
voltò
lentamente, mordicchiandosi il labbro, «la verità
e che
non voglio lasciarti andare.» Gli confessò
abbassando la
testa imbarazzata.
Edward fece due
passi verso di
lei, portando entrambe le mani sul suo viso, costringendola
delicatamente a guardarlo. «Ma ci vedremo domani, e il giorno
dopo domani, e tutti i giorni che verranno a partire da quando io
adesso me ne andrò.»
Isabella
posò la testa sul suo petto, contando i battiti del suo
cuore.
«Hai
freddo?» le
domandò Edward sentendola tremare sul suo corpo. Isabella
scosse
la testa, sollevando gli occhi verso il volto di Edward. Il suo viso
era illuminato dalla luce sottile di un lampione poco distante, e la
prima cosa che Isabella notò era stata la sua mascella,
dritta e
perfetta, come se l’avesse plasmata qualche scultore.
Portò due dita sul suo mento, accarezzandolo.
Edward
deglutì,
stringendo le braccia intorno al corpo esile di Isabella,
«Una
cosa che ricordo bene di Chicago è
l’inverno.»
Sospirò, respirando il buon profumo della pelle di Isabella,
«quando nevicava il cielo era così unito da
sembrare
indivisibile, e ricordo che la neve cadeva in
coppia, come se i fiocchi di neve fossero abbracciati.»
Ridacchiò, scuotendo la testa.
Bella sorrise sul
suo petto.
«Mia
madre aveva il vizio
di lasciare le finestre sempre aperte, quando nevicava. Diceva che
l’aria che si respirava durante una giornata di neve era la
migliore che si potesse respirare. Era fermamente convinta che
allungasse la vita. Era testarda quella donna, sai?»
Edward non voleva
ricordare,
eppure Isabella non faceva altro che riportargli in mente il passato,
come se lo volesse costringere a riviverlo. Non era una cosa negativa,
pensò, perché con Isabella stretta tra le sue
braccia,
ricordava solo cose belle della sua vecchia vita.
Isabella gli
sorrise, e riusciva a capirlo perfettamente.
Bella aveva un suo
modo di
vedere le cose. Un terzo occhio proprio al centro della fronte,
ovviamente invisibile. Tante cose di quella ragazza erano invisibili,
eppure Edward riusciva a vederle tutte.
«Edward,
ma secondo te
esiste davvero il paradiso?» gli chiese Bella
all’improvviso, tenendo lo sguardo puntato dritto davanti a
sé. Il terzo occhi analizzava ogni movimento, ogni dettaglio
che
gli altri due occhi non captavano.
Edward invece si
voltò a
guardarla. E si rese conto di vederla, probabilmente dentro, oltre le
ossa e la cartilagine. Lui la vedeva attraverso l’anima, e
riusciva a farlo anche senza un terzo occhio.
«Non
saprei.» Le rispose corrugando la fronte,
pensieroso, «credo di si.»
Isabella si
voltò
verso Edward, «io penso che il paradiso sia dentro
ognuno
di noi.» Sospirò, e ancora una volta Edward la
lasciò parlare, perché sapeva che quelle parole
partivano
da un punto nascosto del suo corpo, che non sempre sarebbe
stato
facile raggiungere, «credo sia negli occhi di un bambino e
probabilmente anche nei tuoi.» Bisbigliò
arrossendo.
Edward le sollevò il volto per poterla guardare
meglio. Vederla, perché, invece, avrebbe potuto
guardarla anche con gli
occhi chiusi.
«Ecco
credo che il
paradiso esista per tanti motivi.» Riprese stringendo le mani
intorno al giubbotto di Edward, «esiste per la gente che
crede
ancora che domani è un altro giorno, come Rossella
O’hara.
Credo esista anche per quelli che aspettano
l’arrivo di
Babbo Natale, o per tutti quelli che si fidano ancora dei
governi.» Socchiuse gli occhi facendo una smorfia
con le
labbra. Edward rimase in silenzio. «Credo esista per gli
eschimesi, che il sole lo vedono solo per sei mesi
all’anno.» Rise, seguita a ruota da Edward.
«Credo
esista per tanti
motivi, forse anche perché se non esistesse il paradiso, non
saprei dove chiamare quando cerco mia madre.» E con questa
osservazione che gli occhi di Edward si chiusero, e con le dita
cercò la mano di Bella. Anche lei, come lui, aveva perso un
pezzo di se stessa. «Ieri sera, quando sono tornata a casa,
dopo
che mi hai accompagnato, ho alzato la cornetta del telefono,
sai
mi ero preparata un bel discorso. L’avevo persino
scritto.»
Rise amaramente, «le volevo parlare di te e delle litigata
avuta
con Margaret. Le volevo chiederle le cose più banali e
assurde,
come se lei potesse rispondermi.» Si zittì e
trattenne il
fiato. Edward strinse più forte la sua mano.
«Volevo
chiederle se era
vero che gli angeli avevano l’aureola o se esistessero
davvero
dei cancelli dorati all’ingresso del paradiso. Tu mi capisci
no?
Cioè non vorresti saperlo anche tu?» Gli
domandò
bagnandosi le labbra, ma prima che Edward potesse risponderle, lei
riprese a parlare, come se avesse bisogno di sfogarsi con qualcuno che
potesse comprenderla completamente.
«Comunque
sia non riuscivo
a raggiungerla, non riuscivo a trovare alcun numero, non potevo
parlarci. Eppure mi sarei accontentata anche di un messaggio in
segreteria, cosa dici Edward, il signore del piano superiore
l’avrà la segreteria telefonica?» gli
chiese
ironicamente, tornando subito seria.
«No
perché qui il
telefono ormai lo possiedono tutti, anche Margaret. Forse potrei
provare a usare il suo per telefonare a mia madre, dici che sia un
problema di batteria?»
Non lo faceva di
proposito,
Bella era fatta così, aveva bisogno di illudersi almeno per
pochi minuti. Era sempre stata così seria, così
dura e
fredda che adesso ritrovandosi improvvisamente un fuoco accanto non
riusciva a gestirlo tutto quel calore.
Si sentiva come sul
punto di
fusione, l’aveva superato da un pezzo lo zero assoluto, ma di
raggiungere l’ebollizione non si sentiva ancora pronta.
Bella
percepì dello scetticismo in quel silenzio e
sollevò lo sguardo puntando i suoi occhi su quelli di Edward.
Anche Edward la
fissò e
la strinse più forte a lei, «Piccola
fragola,»
sorrise vedendo Bella sbuffare, «non credo sia un problema di
batteria, credo sia più di connessione,
c’è
interferenza tra il nostro mondo e il loro.» Le disse
sistemandole una ciocca di capelli dietro l’orecchio.
«Perché ci ho provato anche io sai? L’ho
cercato
anche io come te, un modo per contattarli.» Bella
l’ascoltò in silenzio.
«Però
credo che
tua madre queste domande le abbia sentite e probabilmente ti
avrà già dato le risposte, solo che tu sei troppo
impegnata a sentire i rumori di questa terra per percepire quelli del
piano superiore.» Gli disse, e Bella sembrò
soddisfatta di
quella risposta. «Come io sono troppo pieno di musica per
poter
ascoltare la voce dei miei genitori.»
«Però
posso assicurarti che il paradiso esiste.» Le disse
seriamente.
Bella lo
guardò perplessa, «e come fai a esserne
certo?» gli domandò.
Edward gli diede un
bacio
leggero sulla fronte, «perché sulla Terra vive un
angelo
che non può essere di questo mondo, probabilmente neppure di
questo universo. E sai qual è la mia paura?»
sussurrò con voce roca. Non avrebbe voluto spaventarla, ma
non
poteva farci nulla, certe parole facevano paura anche se cantate. Bella
scosse la testa tremando.
«Che un
giorno vengano a
prenderti, perché sai Bella, il mio paradiso e dove sei tu,
e se
tu dovessi andare via, io vivrei per sempre nel Limbo.»
Disse
sfiorando le labbra di Bella con le sue.
Lacrime silenziose
scivolarono lungo la guancia di Bella, ed Edward le scacciò
via baciandogliele.
«Prendi
le chiavi di casa
e apri la porta, rischiamo di prenderci un malanno se stiamo ancora qui
fuori.» le sorrise, e Bella obbedì immediatamente.
Isabella
s’infilò
immediatamente dentro casa, lasciando la porta aperta
affinché
Edward potesse entrare. Ma il ragazzo le sorrise dolcemente,
afferrandola per un braccio e facendola avvicinare di nuovo a lui.
«E’
tardi piccola, a
casa mi staranno sicuramente aspettando.» Le
sussurrò
all’orecchio, baciandole una guancia. «Il libro
voglio che
lo tenga tu.»
Isabella lo prese
tra le mani,
stringendoselo forte al petto, «Edward io non riesco a
trovare le
parole per descrivere le mie emozioni. Quello che ci è
successo
oggi, quello che abbiamo vissuto insieme, non voglio che
finisca.» Gli confessò imbarazzata.
Edward
avvicinò le labbra
a quelle di Bella, portando le mani sui suoi fianchi. Isabella
lasciò scivolare il libro sul tavolino vicino
l’ingresso,
portando immediatamente le mani sui capelli di Edward.
Il ragazzo la
sollevò facendole staccare i piedi dal pavimento. Era tra le
sue braccia, e il resto del Mondo adesso, poteva aspettare.
Le loro labbra si
sfioravano, le
loro lingue s’inseguivano, assaporando ogni centimetro
dell’altro. Quando anche la chitarra di Edward fece la stessa
fine del libro, si ritrovarono entrambi senza impicci e stringersi in
un abbraccio quasi doloroso era diventato doveroso. Un bisogno di cui
entrambi non riuscirono a farne a meno. Si desideravano, si
completavano.
Non c’era
sensore di lei
che non fosse collegato con quello di lu. Ogni cosa intorno a loro
avrebbe potuto prendere fuoco, o scoppiare, loro comunque non se ne
sarebbero accorti.
E quando anche il
respiro
divenne meno, furono costretti ad allontanare le loro labbra, per
riprendere a respirare. Le loro fronti si scontrarono, i loro respiri
s’immischiarono, rubando l’uno l’ossigeno
dell’altro.
«Mi
sembrava abbastanza
ovvio anche in libreria, ma questa prova credo fosse doverosa. Non ho
alcuna intenzione di lasciarti Bella.» Le sorrise,
allontanandosi
da lei di qualche centimetro.
Isabella
arrossì, abbassando lo sguardo sulla chitarra.
«Quindi
ci vedremo domani, anche se è domenica?» Gli
domandò abbassandosi per prendere la sua chitarra.
Edward le sorrise,
prendendo la custodia della chitarra dalle sue mani infilandola in
spalla.
«Stavo
pensando di portarti con me, volevo farti conoscere i miei
amici.» le sorrise.
Isabella
sgranò gli
occhi, «vuoi davvero farmi
conoscere la tua nuova famiglia?» gli
domandò con un sorriso raggiante.
Edward
annuì convinto,
«dato che loro sono molto curiosi, mi sembrava una cosa
carina,
ma se tu non vuoi, non c’è nessuna fretta,
io-»
Isabella non gli
fece neppure
terminare la frase che subito si buttò addosso a lui,
«ovvio che voglio conoscerli.» Gridò
entusiasta.
Edward la strinse
forte tra le
sue braccia, «allora ti passo a prendere domani
mattina.»
Le sorrise dandole un bacio leggero sulle labbra. Isabella
annuì.
Aspettò
che si fosse
allontanato, prima di chiudere la porta
alle sue spalle e quando lo fece, si lasciò sfuggire un urlo
di
felicità.
***
Rosalie fissava il cartellone appeso proprio
di fronte a lei. A separarli un binario sotterraneo.
La metropolitana
era gremita di
gente. Turisti, lavoratori, immigrati, qualsiasi fosse la persona che
si stava cercando, la metropolitana avrebbe sicuramente trovato
l’interessato.
Rosalie amava
viaggiare dentro quel lungo treno sotterraneo. Le ricordava tanto la
sua città.
Due ragazzi le
passarono accanto
e cercò d’ignorare il brivido che le percorse la
schiena
quando si scontrò con i loro sguardi provocatori. Uno dei
due le
urlò qualcosa, ma lei si voltò dall'altra parte,
nascondendo il suo viso.
Rosalie
sollevò il palmo
della mano osservando le linee arcuate che le disegnavano strani
percorsi. Immaginò di essere a casa, nella sua
città,
senza il suo Emmett.
Immaginò
di stare percorrendo un viale mano nella mano con il suo innamorato.
Immaginò una
notte e una lunga corsa.
Immaginò
tante mani addosso al suo esile corpo.
Poi i suoi occhi si
aprirono colmi di lacrime imbottigliate dentro contenitori di ricordi.
Salì
sulla metro nascondendo il volto agli altri passeggeri.
Quando una volta
tornata a casa,
incontrò lo sguardo dolce e rassicurante di Alice, si
lasciò andare ad un pianto liberatorio.
Jasper le vide
rientrare in casa
strette l’una tra le braccia dell’altra. Una morsa
allo
stomaco l’assalì nel momento in cui i loro occhi
s’incontrarono.
«Vado a
chiamare
Emmett.» Sussurrò sollevandosi dal divano,
«stava
facendo la doccia, ma credo abbia finito.»
Alice
annuì, portando
Rosalie in cucina. Prese un bicchiere dalla credenza e lo
riempì
d’acqua, poi dolcemente glielo porse. Rose bevve tutto in un
sorso, asciugandosi le lacrime, «non smetterò mai
di
ricordare, vero?»
Alice si
avvicinò all’amica, stringendola forte tra le sue
braccia, «no, ma questa volta non sei sola.»
Quando Emmett
comparve sulla soglia della porta, Rose corse ad abbracciarlo,
gettandosi immediatamente sulle sue labbra.
«Ha avuto
un altro attacco di panico.» Bisbigliò mentre
Jasper la raggiungeva.
«Dov’è
Edward?» Domandò Emmett, quando finalmente
riuscì a calmare Rosalie.
Alice scosse la
testa, «spero stia arrivando.»
Jasper si
passò una mano
tra i capelli, «cerca di rassicurarla, non è
più a
New York, dille che è al sicuro adesso.»
Emmett
sbatté il pugno
sul tavolo, facendolo tremare, «giuro che la
vendicherò.
Esseri come quell’uomo sulla terra non devono
esistere.»
Ringhiò lanciando un occhiata addolorata alla sua amata.
Alice
sospirò, «ci penserà la giustizia
Emmett.»
Il ragazzone scosse
la testa,
«sono passati quattro fottutissimi anni Alice, e quel
bastardo
è ancora in circolazione.» Continuò con
lo sguardo
colmo di sangue. Ogni volta che la sua Rose tornava a casa in quello
stato, ogni volta che all’improvviso veniva assalita dai
ricordi,
per lui era come se il cuore cessasse di battere.
In quel preciso
momento Edward fece il suo ingresso in casa, con un sorriso a trentadue
denti.
Ma non appena mise
a fuoco la scena davanti ai suoi occhi, il suo sorriso si spense.
«E’
successo ancora
una volta?» Domandò fissando il corpo di Rosalie,
stringersi convulsamente intorno ad un plaid rosso sul divano.
Jasper
annuì, stringendo Alice tra le sue braccia.
«Credo
non sia il caso allora di portare Bella a casa, domani.»
Sussurrò amareggiato.
Gli occhi di Alice
s’illuminarono improvvisamente «invece è
un ottima
idea Edward. Rosalie è rimasta molto affascinata da Bella,
potrebbe essere un modo per distrarla.» Gli sorrise.
Emmett e Jasper si
ritrovarono
d’accordo con Alice, ed Edward non poté che
ringraziare
ancora una volta la sua migliore amica, per il suo essere
così
fantastica in ogni situazione.
«So cosa
si prova a
sentirsi umiliata.» Bofonchiò Alice, stringendo la
mano di
Jasper, «e la cosa migliore, in questi momenti è
starle
vicina, non abbandonarla. Dobbiamo farci vedere forti anche per
lei.»
Dopo quelle parole
tutti e quattro raggiunsero Rosalie in salotto, sedendosi intorno a
lei, in attesa che smettesse di piangere.
Buonasera
ragazze, come state?
Prima di parlare
di questo
capitolo, volevo ringraziare i 16 angeli che hanno recensito lo scorso
capitolo. Sono davvero tante recensioni e ognuna di esse contiene
fantastiche parole, che credo davvero di non meritare. Ognuna di voi
è speciale e io non so più in che lingua
ringraziarvi.
Perciò scusatemi se vi sembrerò banale o
ripetitiva, ma
Grazie, grazie di cuore, grazie per tutti i complimenti, grazie
ragazze, siete le lettrici migliori del Mondo.
Tornando adesso a
questo capitolo, ci sono un paio di cosette da chiarire.
Alice non prova
alcun tipo di
sentimento nei confronti di Edward se non affetto fraterno, questo era
un punto che ci tenevo a precisare prima che qualcuno possa pensare
male. Si sono aiutati a vicenda ed è proprio per questa
ragione
che sono così legati tra di loro.
Il rapporto che
si è
creato tra Edward e Bella è molto confidenzile. Come avete
detto
anche voi, si completano a vicenda e cercano insieme di ricucire le
ferite procurate nel passato. Isabella è una ragazza molto
speciale, viaggia alla velocità della luce e la sua mente
è sempre più avanti rispetto a quella degli
altri. Non
per intelligenza sia chiaro, ma per fantasia. E con Edward si completa,
si trovano sulla stessa lunghezza d'onda, per questo non prendetemi per
pazza quando leggerete di questi discorsi un pò fuori dal
Mondo.
I miei personaggi sono fatti così, in bilico tra fantasia e
realtà.
Quello di cui,
però, vi volevo parlare era il comportamento di Rosalie.
Per quanto
riguarda lei, ho
mantenuto alcune delle sue caratteristiche personali, come la sua
triste storia, ma verrà raccontata in maniera diversa,
benchè i fatti accaduti sono più o meno gli
stessi di
quelli della Meyer. La mia Rosalie però non è
forte come
quella della zia Stephanie e tantomeno cinica e insensibile. Questa
Rosalie soffre di attacchi di panico che la riportano indietro nei
meandri della sua memoria, facendole ricordare il suo triste passato.
L'incontro con Emmett è stata la cura migliore,
l'antidepressivo
più sano, ma da un trauma non si guarisce mai completamente.
Gli
attacchi di panico di Rosalie sono comuni in molte persone. Infatti
dopo una brutta esperienza, che ci cambia nel profondo, è
normale e frequente avere attacchi di panico e crisi di pianti non
appena accade qualcosa che ce le faccia ricordare.
Purtroppo questo
è realtà.
Detto questo, vi
lascio andare, ringraziandovi ancora una volta.
Nel prossimo
capitolo avverrà il tanto atteso incontro con gli altri
Buskers. Ci vediamo la settimana prossima.
Ricordo che sulla
mia pagina
del profilo troverete i miei contatti, se volete aggiungermi su
Facebook io sarò lieta di conoscere i miei lettori.
Colgo l'occasione per
augurare a
tutti voi una felice Pasqua in compagnia delle persone a voi
più
care, nel caso non dovessimo sentirci prima del 24.
Un
bacione.
Lua93.
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Capitolo 16 *** One of those days when you are the centre of universe ***
15. One of those days when you are the centre of
universe .
15. One of those days when you are
the centre of universe.
Nella semi oscurità della sua camera, Rosalie fissava con
occhi sbarrati la parete di fronte al suo letto. Lo sguardo immobile,
che
bruciava come una colata di lava.
Quella notte aveva
pianto tanto, stringendosi
convulsamente al petto di Emmett, che non riuscì a fare
altro che abbracciarla.
Rosalie da tutti
chiamata Rose, aveva la tristezza che
albergava nel suo sguardo colore dell’oceano più
scuro. Un mare che aveva conosciuto
la tempesta, la furia.
Con dolcezza
allontanò il braccio di Emmett dalla sua
spalla, liberandosi dalla tua stretta. Si sollevò a sedere,
passandosi una mano
sul viso, scoprendolo appiccicoso, a causa di tutte le lacrime versate.
Osservò
Emmett, accarezzandogli la folta chioma
riccia. Nell'oscurità gli sorrise, anche se lui non poteva
vederla, immerso completamente nel mondo dei sogni.
Quando
uscì dalla stanza, cercò di fare il meno rumore
possibile, camminando in punta di piedi per non svegliare gli altri
ragazzi.
Raggiunse
silenziosamente il laboratorio di Alice,
accendendo la luce e chiudendosi la porta alle sue spalle.
Si
lasciò trasportare, come comandata da una forza
esterna, e raggiunse i disegni dell’amica, aprendo la
cartella di pelle nera
che li conteneva.
Quando
iniziò a sfogliarli, si lasciò scivolare sul
freddo pavimento, spingendo via i ritratti che Alice le aveva fatto. Ma
uno di
questo catturò la sua attenzione, sprigionando dentro il suo
fragile corpo una
miriade di sensazioni, emozioni contrastanti, che sfociavano sul
sorgere del
giorno, attraverso salate lacrime.
Osservò
il suo ritratto, accarezzando i capelli di quel
volto perfetto, ma dallo sguardo perso. Sempre alla continua ricerca di
una
scintilla, una fiamma che la riportasse in vita.
Quello era stato il
primo ritratto che Alice gli aveva
fatto, quando ancora il suo cuore era conservato in una scatola chiusa
e i suoi
occhi non avevano ancora incontrato la cascata riccia dei capelli di
Emmett.
Tracciò
con le dita il disegno, stando ben attenta a non
sfiorarlo. I suoi polpastrelli si muovevano a pochi millimetri di
distanza, ma
non toccavano realmente l’immagine.
Il rumore di passi
leggeri e di una porta che si apriva,
la fecero sobbalzare. Lasciò scivolare il ritratto sulle sue
gambe, mentre
osservava un ombra minuta entrare nella stanza.
Gli occhi chiari e
penetranti di Alice la trovarono,
riflettendone tutta la malinconia e la tristezza di
quell’immagine così
desolata.
Alice le si
avvicinò, sedendosi accanto all’amica e
prendendo i disegni, che Rose aveva lasciato cadere, in mano.
«Pensavo
ti piacessero.» Le disse sorridendole
impercettibilmente.
Rosalie si
passò una mano tra la folta chioma bionda,
sospirando rumorosamente, «sono meravigliosi Alice. Ed
è proprio questo il
problema.»
Alice la
guardò perplessa.
«Sono
così dannatamente reali, da far invidia alla
migliore macchina fotografica. Nessuno riesce a catturare un istante
come fai
tu. L’imprigioni dentro la tela, usando semplicemente una
matita.» Le spiegò
dolcemente, «ed è proprio per questa
realtà così viva e reale che trovo nei
ritratti che mi fai, il problema.»
Alice le
posò una mano sul braccio, catturando la sua
attenzione, in modo che si guardassero negli occhi. «Non
è la mia bravura il
problema Rose, non è così?» le sorrise,
lasciando quella domanda in sospeso.
«No.»
Farfugliò Rosalie, abbassando la testa, «la
verità
è che nei tuoi disegni io rivedo la vecchia Rosalie. Quella
che
quattro anni fa
scappava dalle tenebre.»
«Rose, il
passato è un serial killer che neppure Sherlock
Holmes riuscirebbe ad acciuffare.»
La ragazza rise per
la prima volta dopo un intera gelida
nottata.
«In
questo ritratto, sembro così fragile, debole…
spaventata.» Bisbigliò incerta, le parole le
morivano in bocca prima che
riuscisse a pronunciarle tutte. «E anche se il tempo
è passato, se sulle ferite
è nevicato. Io non riesco a dimenticare.»
Alice si sporse
verso l’amica, stringendola forte tra le
sue braccia, «ricordare a volte non è
così terribile come si pensa.» Le
sussurrò
all’orecchio, accarezzandole i capelli, «e tu sei
così coraggiosa Rose.»
Rosalie
ricambiò l’abbraccio, versando le ultime lacrime
sulla spalla dell’amica.
«Lo sento
ancora così vicino, quel suo intenso odore di
tabacco, che mi perfora la pelle.» Singhiozzò
liberando la sua anima da un
enorme macigno.
«I suoi
occhi, mi seguono Alice, ovunque vada. Non c’è
modo di nascondermi da lui, non esiste cura per la mia
malattia.» Continuò
spaventata.
Alice la
lasciò sfogare, accogliendo le sue parole e facendosene
carico. Il
dolore di Rosalie era il suo
dolore.
Un corpo
così minuto come il suo, faceva da contenitore
alla solitudine, alla tristezza. Sotto quel suo aspetto fragile e
mingherlino,
si nascondeva una torre, dalle alta e possenti mura.
«Non
voglio far soffrire Emmett, io lo amo così tanto.»
Le confessò, come se non lo sapesse.
«E io amo
te Rosalie.»
Entrambe le donne
sollevarono la testa, voltandosi verso
la voce che aveva parlato.
Accanto
all’uscio della porta, vi era Emmett, con le
braccia incrociate al petto e le spalle al muro. Osservava Rosalie in
silenzio
da quando Alice era entrata nella stanza.
Nessuna delle due
ragazze si erano accorte di quella
presenza.
«Emmett.»
Bisbigliò Rosalie sollevandosi in piedi.
Era così
bella, con indosso quella maglia slabbrata dei Ramones, che ormai da anni
utilizzava
come pigiama.
I capelli
arruffati, gli occhi grandi e rossi, le labbra
piene e sempre pronte per lui. Le gambe lunghe e lisce, perfette per le
sue
mani, che non si sarebbero mai stancate di accarezzarle.
Rosalie gli si
avvicinò e l’abbracciò.
Era bello che fosse
lei a stringerlo, senza avere il bisogno di parlare. Che ormai ne
avevano detta
davvero tante di parole durante la notte, che se n’erano
sentiti pieni fino al midollo.
E poteva accadere
qualunque
cosa a Emmett e Rosalie. Qualunque. Ma per il solo fatto di essere
esistiti
anche un solo attimo sarebbero vissuti eternamente.
Alice
uscì dalla stanza senza interrompere quel loro momento
d’intimità. Gli chiuse
la porta alle spalle, sorridendo teneramente al vuoto.
La
gente, pensava, si apparteneva. Due anime così non e che si
potevano cercare
all’infinito, sapeva che sarebbe sempre arrivato qualcuno ad
unirli. E lei di
questo ne era certa, come sapeva con esattezza che quella mattina, il
sole
avrebbe lanciato raggi più luminosi, capaci di devastare la
pelle a causa del
loro incessante calore. Quel giorno avrebbe conosciuto qualcuno, che
avrebbe
scostato l’asse terrestre.
***
Isabella
non era riuscita a fare altro che leggere quella mattina, mentre
attendeva
l’arrivo di Edward.
Si
era accoccolata sul divano, avvolgendosi intorno alle spalle un morbido
plaid
color corallo, mentre leggeva la storia della sfortunata piccola
fiammiferaia.
Il
libro che stringeva tra le dita, era intrinseco di un infinita
tristezza,
ricoperto da una consumata pelle che faceva da rivestimento alle pagine
ormai
ingiallite.
Teneva
tra le mani un tesoro.
Il
tempo le sembrava una condanna, e i secondi che tanto lei adorava
perché le
sembravano i più veloci, quel giorno scorrevano piano,
accarezzando le altre
lancette, come se volessero da loro un tenero abbraccio.
Si
era svegliata completamente sudata, reduce, probabilmente, da un sogno
agitato,
che per sua fortuna non ricordava minimamente. Aveva avuto tutto il
tempo di
farsi una doccia e vestirsi con calma.
Aveva
deciso d’indossare una semplice gonna marrone, lunga fino al
ginocchio, con
sopra un maglioncino blu, che risaltava la sua pallida carnagione.
Quella
mattina i capelli le sembravano un ammasso di fieno senza forma,
così dovette
armarsi di tanta pazienza e una buona dose di forza, per riuscire
finalmente a
domarli, dopo aver utilizzato la spazzola e il phon.
Quando
vide la sua immagine riflessa allo specchio, quasi non riusciva a
riconoscersi.
I suoi occhi brillavano di una nuova luce, e le guancie erano colorate
da un
tiepido rossore.
Sapeva
di non essere più la stessa da quando Edward era entrato
nella sua vita.
Il
suono stridulo del telefono la fecero sobbalzare. Ma prima che potesse
farsi
prendere dall’ansia si ricordò di che giorno
fosse. Era Domenica.
Era
il giorno in cui Charlie la telefonava, l’unico momento in
cui entrambi smettevano di fingere.
Si
sollevò velocemente, posando il libro sul tavolino.
Camminava scalza, ma il suo
corpo era ancora avvolto dal plaid.
«Pronto.»
Rispose con voce tranquilla.
«Bella, sono io,
papà.» Era una settimana che non sentiva la
voce possente del
padre, e solo lei poteva sapere quanto le fosse mancata.
«Oh
papà, come stai?» Gli domandò euforica.
L’uomo
sembrò doversi riprendere dalla voce
della sua bambina. Già se l’immaginava, bella come
la madre. «Tutto bene e
tu?»
«Si
tira avanti, come va il lavoro?»
«Stressante come al solito,
ma le
soddisfazioni di certo non mancano, e invece a te, come va da
Margaret?»
«Bene,
anzi benissimo, abbiamo deciso di apportare qualche modifica alla
libreria.
Magari rivoluzionandola un po’, avremo più
clienti.» Ridacchiò omettendo qualche
piccolo particolare.
Avrebbe
tanto voluto parlargli di Edward, di come il suo cuore battesse
velocemente
quando le stava vicino.
« Margaret te l’ha
permesso? Da quello che mi
hai sempre raccontato di lei, mi sembra strano.» Commentò Charlie, stranito
da quella rivelazione.
«Sono
riuscita a convincerla.» Sorrise, pur sapendo che il padre
non poteva vederla.
Dall’altro capo del telefono sentì strani rumori,
come se del metallo
precipitasse al suolo. «Cos’è quel
rumore di pentole? Non mi dirai che stai
cucinando, papà ma tu sei negato in cucina.»
Constatò passandosi una mano sulla
gonna.
«No, infatti non sono io che
sto cucinando.»
Bella
rimase interdetta, sorpresa da quella rivelazione «Ah, e
allora chi è?»
«Una mia amica.»
«Una
tua cosa?» La sua voce era uscita più stridula di
quanto volesse.
«Dai Isabella, non fare
quella voce, siamo
solo amici. Si chiama Sue, è la vedova di Henry un mio
vecchio amico. Ti
ricordi di Henry, l’uomo che veniva con me e Billy a
pesca?»
«Si,
mi ricordo di lui.»
«Ecco, mi sembrava strano
non avertene
parlato.»
«Eppure
non ricordo nulla di questa Sue.»
«Non starai facendo la
gelosa vero? Oh
andiamo Bell’s siamo solo amici. Lei conosce bene le mie
scarse doti culinarie,
così da brava samaritana è venuta a casa a
prepararmi la cena. Ogni tanto ci vuole una serata diversa,
no?»
Le
parole “brava samaritana” fecero scattare in
Isabella una terribile verità, che
mai avrebbe voluto scoprire.
«Che
ore sono da te?»
Domandò ignorando la battuta del padre.
«Le nove di sera,
perché?»
«Io
sono nel futuro, ricordi? Dieci ore di differenza.»
Bisbigliò, ricordandosi una
vecchia conversazione con il papà.
«Vero Bell’s, ma
questo cosa c’entra?»
«Dove
sarà Sue tra dieci ore?»
«A casa sua, oh senti Bella,
non farti venire
strane idee in testa. Lo sai siamo solo amici.»
«No
papà, non lo so. Come non so nulla di te da sei mesi. Non
sei venuto a trovarmi
neppure una volta in questi mesi, e se non sbagli non erano questi gli
accordi.» Disse quasi gridando, avrebbe tanto voluto
piangere, così per trattenersi
cominciò a mordersi il labbro inferiore. Una tecnica che
aveva sempre usato
quando era una bambina.
«Non riesco più a
venire ogni mese Bella, è
impossibile.»
«E’
impossibile come tu abbia fatto a dimenticarti di me.»
«Io non mi sono dimenticato
di te, sei stata
tu a voler rimanere a Londra. Io te l’avevo detto di venire a
Forks, con me.»
«E
dimenticare tutto? No non ci riesco, grazie. Io non sono come
te.»
Lo
sapeva bene Isabella, che il padre non si sarebbe mai dimenticato di
lei o
della sua vita a Londra. Ma in quel momento era così piena
di rabbia e
delusione, che quelle parole così velenose furono
impossibili da fermare.
«Io non ho dimenticato un
bel niente.»
«Hai
dimenticato la mamma. E lo sappiamo bene entrambi chi ha preso il suo
posto.»
«Spero tu stia scherzando
Isabella.» Charlie aveva assunto il suo solito
tono di voce
amareggiato. Quello che Isabella aveva imparato a riconoscere.
L’usava sempre
quando si parlava della moglie.
«Non
ho voglia di discutere con te al telefono. Quindi meglio
salutarci.»
«Bell’s per favore
parliamone. Come puoi
credere che io abbia
dimenticato Reneè.»
«Devo
andare.»
«Bell’s.»
«Papà
per favore riattacca questo telefono.» Farfugliò
in lacrime, sollevando lo
sguardo verso il soffitto.
«Ti chiamo domani.» Charlie non aveva alcuna voglia di
chiudere così la
telefonata.
«Non
ti preoccupare, ci sentiamo Domenica prossima.»
«Ma Bella-» Le supplicò debolmente.
«Buona
cena e mi raccomando salutami Sue.»
Gli dissi seccata, riagganciando il telefono con un moto di rabbia.
Nessun
ti voglio bene. Nessun mi manchi. Eppure erano le parole che
più avrebbe voluto dirgli in quella telefonata.
Una
volta riagganciato il telefono, tornò sul divano, coprendosi
il viso con un
cuscino, cercando di reprimere i singhiozzi, che senza controllo
avevano preso
il sopravvento su di lei.
Bella
non avrebbe mai voluto chiudere la conversazione con quel tono
così freddo e
distaccato. Ma il solo pensiero del padre con un'altra donna, le faceva
ribollire il sangue nelle vene. Non riusciva a credere, che il padre,
quello
stesso uomo che aveva giurato di amare la madre davanti a Dio, si fosse
già
dimenticato del suo amore per quella donna.
I
pensieri di Bella volarono immediatamente a quella donna, Sue. Si
chiese come
doveva essere? Qual era il suo aspetto, se fosse più bella
della madre. Ma di
questo ne dubitava, per Isabella qualsiasi donna anche dalla bellezza
più etera
e perfetta, non avrebbe mai potuto raggiungere la luminosità
che emanava Reneè.
Isabella
cercò di riprendersi, scacciando via le lacrime.
Era
passata un intera ora, dalla telefonata del padre. Quando
guardò l’orologio si
rese conto che presto sarebbe arrivato Edward.
Si
alzò in piedi, cercando di darsi un contegno.
Andò in bagno, sciacquandosi più
volte il viso. Ma il risultato era sempre lo stesso. Gli occhi gonfi e
la pelle
del viso arrossata gli avrebbero fatto capire subito che
c’era qualcosa che non
andava. L’unica cosa che poteva fare era aspettare che
passasse il rossore,
prima che Edward bussasse alla porta.
Ma
più si spera che una cosa non accada, più quella
si avvicina pericolosamente,
così meno di cinque minuti dopo il suo ritorno in salotto,
Edward aveva bussato
alla sua porta.
Bella
corse subito ad aprire, un po’ perché non voleva
farlo aspettare, un po’ perché
non vedeva l’ora di vederlo.
Quando
aprii la porta, si ritrovò un Edward completamente avvolto
da un giubbotto di
pelle nero e un ombrello enorme che lo proteggeva dalla violenta
pioggia che si
era imbattuta sulla città.
Bella
lo fissò senza dire una parola, perdendosi in
quell’immenso oceano verde che
erano i suoi occhi. I capelli avevano una forma indefinibile, e la
voglia di
accarezzarglieli prevalse su qualsiasi altro desiderio.
«Mi
fai entrare oppure aspettiamo insieme
l’arcobaleno?» le domandò con ironia
Edward.
Bella
si ridestò dai suoi pensieri, facendogli spazio in modo che
potesse entrare
dentro casa. Edward chiuse l’ombrello, lasciandolo fuori la
porta. Poi entrò in
casa, strofinando le scarpe sullo zerbino prima di entrare.
Bella
chiuse la porta alle sue spalle, e si prese il giubbotto bagnato del
ragazzo,
attaccandolo all’appendiabiti, accanto al suo giubbino.
Quando
si voltò si ritrovò il corpo di Edward a pochi
centimetri dal suo, caldo e
invitante. E non le occorse molto tempo prima di sprofondare tra le sue
braccia, in un abbraccio che l’avrebbe ridestata dai brutti
pensieri.
«Buongiorno,
piccola.» Le sussurrò sui capelli, baciandole la
fronte.
Isabella
si strinse ancora più forte, posando l’orecchio
sul suo cuore, per sentire i
suoi battiti.
«Mi
sei mancato.» Gli sussurrò sul petto, disegnando
cerchi immaginari sulla maglia
che indossava. Edward sorrise dolcemente, accarezzandole i capelli.
«Te
l’ho mai detto che sei bellissima?» le
domandò allontanandola da lei, per
poterla vedere meglio.
I
suoi occhi chiari si posarono sul corpo magro della ragazza,
accarezzandolo
delicatamente con lo sguardo. Isabella avvampò per
l’imbarazzo, facendo cenno
di no con la testa.
«Allora
rimedio subito.» Disse il ragazzo, prendendole delicatamente
il volto tra le mani,
avvicinando le loro labbra. «Sei uno splendore,
Bella.» Le confessò prima di
farle perdere ogni contatto con la realtà.
Le
labbra di Edward si posarono gentilmente su quelle
d’Isabella, chiedendole il
permesso per approfondire quel contatto.
Non
vi era malizia in quello che facevano, se non un incredibile voglia di
appartenersi e non solo nella carne, ma più a fondo, tra i
tessuti e la
cartilagine, fin dentro le cellule. Di lei voleva tutto. Voleva la sua
anima, e
si sorprese quando si scoprì a fare quei pensieri
così egoisti. Ma Bella era la
sua luce, e di nessun altro.
Isabella
portò le mani sulla nuca di Edward, stringendo i suoi
morbidi capelli tra le
dita.
Quando
entrambi furono abbastanza sazi dei loro respiri, si allontanarono di
poco,
quel tanto che bastava per farli perdere nell’infinito dei
loro sguardi.
«Bella
ma tu hai pianto.» Disse improvvisamente il musicista, che
per la prima volta
non si era portato dietro la sua chitarra. Isabella scosse la testa,
portandosi
le mani sul viso.
«Piccola,
guardami.» Le sussurrò dolcemente Edward,
costringendola a guardarla,
«perché stavi piangendo?»
Bella
sospirò trattenendo nuove lacrime che le pungevano gli
occhi, vogliose di
sciogliersi e scivolare sulle guancie morbide e calde della ragazza.
«Ha
telefonato mio padre. Te l’avevo detto no, che viveva a
Forks?» Gli domandò
stringendo la sua mano e guidandolo verso il divano.
Edward
annuì, sedendosi proprio accanto a lei, non perdendo neppure
un suo movimento.
«Abbiamo
litigato a causa di un'altra donna. Lui dice che sono solo amici, ma io
non gli credo.» Bofonchiò singhiozzando. Edward
le passò una mano sulla
guancia, sollevandole il mento per guardarla negli occhi.
«Ed
è la verità, ha un'altra donna?»
Bella
scoppiò in lacrime, «non lo so. Lui ha continuato
a ripetermi che sono solo
amici.» Singhiozzò in preda a una nuova crisi.
Edward
l’attirò a sé, stringendola forte tra
le sue braccia. E attese che si calmasse
prima di parlarle.
Quando
i suoi singhiozzi cessarono e il respiro le tornò regolare,
Edward incominciò a
parlarle, facendo tremare la Terra, il Sole e i pianeti interi.
«Sai
Bella, io non so cosa si prova a sentirsi gelosi dei propri genitori.
Ma sono
sicuro che se mio padre fosse ancora in vita e frequentasse un'altra
donna, dopo
la morte di mia madre, anche io mi arrabbierei. Esattamente come
te.» Le
confessò accarezzandole i capelli.
«Però la tua mamma non è la mia Bella,
e il
tuo papà io non lo conosco affatto.»
Continuò guardandola negli occhi e
perdendosi in quella valle cioccolatosa, «quindi non posso
giudicarlo. Però
tenterò di farti vedere la situazione dal suo punto di vista.
«Lui
sono certo, amava tua madre e sicuramente la ama ancora. Ma per quanto
un
sentimento possa essere forte, la mancanza fisica di una persona
porterà sempre
allontanamento di quel sentimento.»
«Ma
io non voglio un'altra mamma.» Pigolò Isabella,
come se fosse una bambina.
Edward
scosse la testa, «questa donna non lo sarà Bella,
nessuno potrà mai prendere il
posto di tua madre. Ma questo non significa che tuo padre non possa
riprovare a
farsi una vita. Infondo è quello che stai facendo anche tu,
con me. Ed è quello
che sto facendo anche io con te.» Le spiegò
dandole un casto bacio sulla
guancia.
«Credi
sia davvero la stessa cosa?»
Edward
fece spallucce, «credo sia normale per l’essere
umano, trovare una fonte di
distrazione dal dolore.»
«Tu
non sei una distrazione Edward.» Gli disse, con tono fermo ma
terribilmente
violento. Quelle parole, pronunciate con
quell’intensità, condussero Edward
verso la dannazione.
«Neppure
tu lo sei Bella, non potrai mai essere una distrazione.» le
sussurrò prima di
darle un bacio. Di quelli che farebbero crollare nuovamente il muro di
Berlino,
se questo venisse ricostruito.
«Forse
hai ragione a dire che è una distrazione questa donna per
mio padre, come
potrebbe non esserlo. Ma come me anche lui deve rifarsi una vita, e
sarebbe
davvero egoista da parte mia impedirglielo.»Disse,
riflettendo ad alta voce,
interrompendo il bacio.
Edward
scosse la testa «si ma io non avevo ancora finito.»
Si lamentò assumendo uno
sguardo da cucciolo, che fece scoppiare Isabella in una fragorosa
risata.
«E’
colpa tua, le tue parole mi hanno portato a riflettere.» Si
giustificò
accarezzandogli i capelli.
Edward
la strinse forte tra le sue braccia, respirando il buon profumo della
sua
pelle. «non sarà semplice, lo sai
piccola.»
«I
sentimenti fanno male.» Bofonchiò abbracciandolo
forte.
Il
ragazzo la costrinse a guardarlo negli occhi, portandosela in braccio
sul suo
corpo. «Bella tu sei una di quelle persone per cui vale la
pena farsi male.»
Mai
vi furono parole più vere di quelle. E Bella non aveva
bisogno di sentire
altro, per essere felice. Tutto ciò che le occorreva era
lui, il suo
Edward.
Ecco, prima promessa infranta.
Vi avevo detto che in questo capitolo ci sarebbe stato l'incontro tra
Bella e gli altri Buskers e invece vi ho mentito. O meglio, non e che
io abbia mentito. Mentre scrivevo il capitolo, mi sono accorta che
descrivere questi avvenimenti insieme all'incontro sarebbe stato
impossibile, semplicemente perchè il capitolo sarebbe venuto
lunghissimo.
Quindi ho deciso di dividerlo a metà. Spero non mi vogliate
uccidere, infondo questo capitolo non è così
male, no?
Okay avete tutto il diritto di prendermi a mazzate, ma se io vi facessi
lo sguardo da cucciolo, avreste ancora il coraggio di alzare le mani
sul mio fragile corpicino? *_*
Si, ho ufficialmente raggiunto lo stato di ricovero, chi si unisce a me?
La smetto di dire scemenze e mi metto a parlare di cose serie, come ad
esempio il capitolo.
Non mi dite che vi eravate scordate di Charlie? e no monelle, non si fa
così, i genitori non vanno messi da parte, solo
perchè si
c'innamora. ù.ù
Isabella c'è rimasta piuttosto male alla notizia del padre.
Ma
non puntategli subito il dito contro, nè a Charlie e
nè a
Isabella, perchè come ha spiegato Edward, soffrire e
semplice,
smetterlo di farlo, bè quello è più
difficile.
Più avanti torneremo ancora sul rapporto tra Charlie e
Bella, e di conseguenza su Sue.
Nel frattempo vi avviso, per il prossimo capitolo preparatevi una bella
scorta di fazzolettini, rotoli di cartaigienica, e chi più
ne ha
più ne metta, perchè sarà un capitolo
davvero
"bagnato." Ovviamente non così tragico, ma ecco una buona
dose
di lacrime io ne sto versando, scrivendolo!
Detto questo mi dileguo, lasciandovi alle vostre considerazioni.
However, ringrazio scricciolo89, danybor, Renesmee Charlie Cullen e
Carrot, per aver segnalato Buskers come storia scelta *_* Grazie Grazie
Grazie io e i miei Buskers vi ringraziamo enormemente.
Inoltre ringrazio le 17 recensioni *_* oh mamma adesso muoio, che mi
avete lasciato. Voi non siete persene normali, ma angeli, anime
provenienti dal Locus Amoenus non c'è altra soluzione!
Siete fantastiche ragazze! Vi adoro indiscutibilmente.
Lua93.
P.s. Avete mai avuto un brutto litigio con i genitori? Se si per quale
motivo?
Non lo sai Lua che la curiosità uccide il gatto? xD
|
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Capitolo 17 *** Morse code into my heart. ***
17.
Se
volete tremare un pò, ascoltate questa canzone, mentre
leggete il capitolo: Let it be
- Beatles
16. Morse code into my heart.
«Vorrei
che fosse sempre così.» Sorrise Isabella, mentre
afferrava il giubbotto appeso all’attaccapanni.
Edward la
guardò non riuscendo a capire che cosa volesse
dire, «così come?»
La ragazza fece
spallucce, indossando il cappotto. «Tu
che vieni a prendermi,» sorrise leggermente, «tu
che mi proteggi dai miei
stessi dubbi,» si avvicinò a Edward che
l’attendeva sull’uscio della porta. «Tu
che mi baci, come nessun altro prima d’ora.» Si
morse il labbro, mentre si
nascondeva dagli occhi verdi di Edward.
Quest’ultimo
le afferrò la mano, intrecciando le dita
alle sue, «spero anche come nessun altro in
futuro.» Le disse, mentre apriva la
porta di casa.
Uscirono insieme,
mentre lo scroscio della pioggia li
accompagnava durante ogni loro movimento. Edward prese
l’ombrello mentre
Isabella chiudeva a chiave la porta di casa. Poi, insieme, uno accanto
all’altro, si allontanarono.
Edward la stringeva
forte vicino al suo corpo, coprendo
entrambi con l’ombrello verde di Alice.
«Ce ne
sono stati molti?» Domandò improvvisamente il
ragazzo.
Bella camminava con
la testa bassa, con la testa piena di
parole che avrebbe tanto voluto confessargli.
«Non poi
così tanti.» Rispose sospirando, «ho
avuto anche
io le mie delusioni e i miei momenti felici.»
«E
c’era qualcuno quando tua madre…»
lasciò la frase in
sospeso, come a voler tornare indietro, per poter rimangiarsi quelle
parole.
Isabella scosse la
testa, «non c’era più nessuno da tanto
tempo.»
Edward
l’aiuto s scendere le scale della metropolitana,
completamente bagnata e scivolose. Rimasero in silenzio, mentre
attendevano
l’arrivo della metro.
«Il mio
primo ragazzo si chiamava Mike.» Disse
improvvisamente Bella, catturando immediatamente l’attenzione
di Edward, «a lui
ho dato il primo bacio, otto anni fa.» Continuò,
sorridendo a una bambina
bionda, stretta tra le braccia della madre.
«Mi
piaceva molto sai? Aveva un bel sorriso.» Disse senza
imbarazzo.
Edward
l’ascoltava in silenzio, cercando di reprimere
quella strana sensazione che si era impossessata di lui, nel momento in
cui
Bella avesse cominciato a parlargli di questo Mike.
«Ricordo
che quella mattina, mi aveva praticamente
obbligata a saltare la scuola per seguirlo. Mi ha portata sul Tower
Bridge, in
mezzo a tanta gente, ed è lì che mi ha baciato,
proprio davanti a tutti quegli
occhi che ci osservavano.
“Voglio
che tutti siano invidiosi di me e di te, e di
questo nostro bacio.” Mi disse divertito. Ero felice per quel
bacio, sai ero
solo una ragazzina, e lui era così premuroso, che se mi
avesse chiesto di
buttarmi giù dal ponte, l’avrei fatto.»
Rise, ripensando a quanto fosse ingenua
all’età di quindici anni.
«E la
nostra storia filava proprio a gonfie vele, anche
perché dopo quel primo bacio non ce ne furono molti altri.
Diceva che non gli
piaceva baciare una ragazza con l’apparecchio ai denti, ma
che non voleva
lasciarmi, perche adorava il mio sorriso.» Disse guardando
Edward negli occhi.
«E
così ricordo di aver deciso di smettere di sorridere,
per vedere se poi avesse avuto davvero il coraggio di
lasciarmi.»
Edward
scoppiò al ridere, al pensiero di Bella che non
sorridesse più per fare dispetto al suo fidanzatino.
Le passo il braccio
intorno alla vita, avvicinandola di
più al suo corpo, «se tu dovessi smettere di
sorridere io smetterei di vivere,
perciò non farlo mai, amore.» Le
sussurrò all’orecchio, facendola tremare sia fuori
che dentro, in posti che non
credeva neppure di avere.
Isabella nascose il
viso nell’incavo del suo collo,
depositandogli un leggero bacio.
«E poi,
com’è finita questa tua prima storia
d’amore?» le
domandò Edward, dandole un leggero pizzicotto sul fianco,
per farla smettere di
soffiargli sul collo, non che gli dispiacesse, ma se avesse continuato
così,
non era poi tanto sicuro di essere in grado di portarla a casa sua,
senza aver
prima fatto qualche sciocchezza.
Isabella
scoppiò in una fragorosa risata, allontanandosi
di poco, perdendosi nelle iridi color giada del ragazzo.
«Stavamo
insieme da più o meno un anno, quando lui
m’informò che voleva tentare di diventare un Brat
Pack, così iniziò a girare documentari
sugli adolescenti, sentendosi sempre di più una
celebrità e sempre di meno una
testa di broccolo, il quale era realmente.»
Edward
scoppiò a ridere, giocherellando con i capelli
della sua ragazza.
«Lo
lasciai io, quando lo trovai intento a sbaciucchiarsi
con una biondina.» Concluse con un piccolo sorriso sulle
labbra.
«Hai
sofferto molto per lui?» le domandò Edward, mentre
salivano sulla metro, appena arrivata.
Isabella
sembrò rifletterci su, poi scosse la testa, «era
già finita da tempo, credo che il punto di rottura sia
cominciato quando ho
deciso di smettere di sorridere.»
«E lui,
alla fine, c’è riuscito a diventare
famoso?»
Bella scosse la
testa, «che io sappia, adesso lavora come
contabile alla Tesco.»
La risata giocosa e
divertita di Edward attirò
l’attenzione, facendo voltare non pochi passeggeri. Gli occhi
di Isabella
s’illuminarono nel vederlo così felice.
«E
pensare che io a quindici anni, mentre le ragazza ci
provavano con me, le costringevo a guardare Doctor Who.»
Edward e gli altri
ragazzi abitavano nell’ultimo piano di
un vecchio palazzo, nel cuore di Hammersmith.
Jasper
l’aveva affittato cinque anni prima, per condividerlo
con i suoi compagni del corso d’arte. Ma quando questi se ne
andarono, cercando
un futuro migliore in luoghi che non fossero la strada e i marciapiedi,
lasciarono solo Jasper, con l’intera retta da pagare. Fu lo
stesso giorno in
cui chiese di poter appendere il suo annuncio, dove cercava un
condomino, che
conobbe Emmett.
I giorni che li
separavano dagli altri tre Buskers erano
davvero pochi, e quando tutti e cinque divennero una vera famiglia,
dividerli
divenne impossibile. Così quella palazzina divenne
indispensabile sia per loro
che per gli stessi anziani condomini, e Edward, di quella sua nuova
casa sapeva
tutto.
Sapeva che il terzo
gradino scricchiolava perché le
termiti avevano mangiato il legno del pavimento. Sapeva che i cardini
della
porta dell’appartamento erano stati montati malamente
perché li aveva sistemati
l’amico inesperto di Jasper, quello che aveva la fissazione
per le navicelle
spaziali e gli Ufo. Sapeva che il tappetino d’ingresso
originariamente era
verde foresta, ma Emmett durante una festa ci aveva versato sopra della
birra,
e da quel giorno il tappetino era diventato giallo-verdastro.
Quando entrarono in
quel vecchio palazzo, Bella ebbe come
la sensazione che non ci fosse posto più bello e giusto per
lei.
Isabella
ispirò, le piaceva l’odore di muffa che si
avvertiva tra le pareti, le dava un effetto vissuto, come se quel
palazzo fosse
stato consumato fino al midollo, come se avesse conosciuto gioie e
dolori, era
sicuramente un cimelio importante tra i ricordi di qualche vecchio
condomino.
Così un
po’ nervosa, un po’ emozionata, strinse
più forte
la mano di Edward, mentre quest’ultimo girava la chiave nella
toppa, per aprire
la porta di casa.
«Bella,
io… » Sussurrò lasciando che la porta
si aprisse
leggermente, facendo intravedere solo un piccolo spiraglio di luce che
proveniva da dentro. «io mi vergogno un po’,
perché casa nostra non è ordinata
come la tua, e le pareti non profumano di buono come le tue.»
Sorrise incerto e
imbarazzato.
Bella
sbuffò, posando la sua mano su quella del ragazzo e
con una lieve pressione, aprì la porta di casa.
La prima cosa che
vide fu un lungo corridoio, dalle
pareti bianche ricoperte da schizzi di diversi colori.
Sollevò lo sguardo,
mentre Edward le stringeva la mano, guidandola verso il salotto.
Quando vi furono
dentro, gli occhi di Isabella si
spalancarono per lo stupore: ad ogni angolo vi erano costumi
colorati e parrucche di diverse
dimensioni e acconciature. Sulle pareti erano stati appesi dei disegni,
senza
cornice, ma fissati al muro con una puntina. Il divano marrone
l’attirava
pericolosamente, come il ricordo di qualcosa lontano, che lei aveva
già
vissuto, forse un ricordo che non le apparteneva realmente, ma che
inspiegabilmente stava immobile nella sua mente.
Si
guardò intorno, facendo un giro su se stessa, per
osservare il soffitto ricoperto di disegni che raffiguravano cieli
stellati e
universi ancora da scoprire.
Edward
sollevò lo sguardo, infilandosi entrambe le mani
in tasca.
«Questo
non è reale.» Bisbigliò Bella,
avvicinandosi alle
pareti per poter osservare meglio i disegni.
Erano tutti
ritratti.
Bambini. Donne.
Anziani. Persino l’immagine di un
musicista solitario che Isabella collegò immediatamente a
Edward. «Tutto questo
è meraviglioso.»
«Sono
felice che ti piacciano i miei disegni.»
Isabella
sobbalzò nel sentire una voce femminile bassa ma
terribilmente allegra. Quando si voltò, si
scontrò contro due iridi chiare, e
un visino dall’aspetto fragile come fatto di porcellana.
Alice le sorrise,
non riuscendo a smettere di fissarla,
come se non fosse davvero lì, proprio davanti ai suoi occhi.
«Finalmente ci
conosciamo.»
Alice
allungò una mano verso Bella, presentandosi
educatamente, «ciao, io sono Alice, l’autrice di
tutti questi scarabocchi che
vedi appesi in giro per casa.»
Bella strinse forte
la mano della ragazza, sorridendo entusiasta, «io
non li definirei scarabocchi, sono davvero meravigliosi, non ho mai
visto niente
di più reale e impressionante, positivamente,
ovvio.» Rise leggermente. «Io
sono Isabella, ma chiamami Bella, lo preferisco.»
Edward si
avvicinò alle due ragazze, avvolgendo il
braccio intorno alla vita di Bella, facendola sobbalzare.
«Alice, dove sono
tutti gli altri?» domandò non riuscendo a smettere
di sorridere.
Quest’ultima
indicò una porta aperta oltre le sue spalle,
«in cucina, Emmett si è messo ai
fornelli.»
Edward
inarcò un sopracciglio, sotto lo sguardo
interrogativo di Bella.
«Non devo
avvisare i pompieri giusto? L’ultima volta i
vicini stavano chiamando la polizia, spaventati dal troppo
fumo.» Sospirò,
voltandosi poi verso Isabella, «Il ragazzo in questione ha
difficoltà persino a
far bollire l’acqua della pasta, quindi non sorprenderti se
oggi non si
mangerà.»
Alice
scoppiò a ridere, seguita a ruota da Isabella.
« Oh
andiamo Edward, un po’ di fiducia, c’è
Rose con
lui.» E quella frase detta con il sorriso sulle labbra, fece
illuminare gli
occhi di Edward.
Poteva significare
solo una cosa, che Rose aveva smesso
di piangere. La loro Rose, stava di nuovo bene, quanto tempo sarebbe
durata
questa sua felicità, nessuno lo sapeva con certezza.
Quando entrarono in
cucina, Rosalie si avvicinò a Bella,
dandole un bacio sulla guancia.
«Ciao
Bella, finalmente Edward ha avuto il coraggio di
portarti da noi.» Sorrise, passandosi una mano tra la folta
chioma bionda.
«Rose,
amore, lascia che si abitui a noi, e poi vedrai
come diventerà dipendente.»
Un ragazzone alto e
dalle spalle larghe, come quelle di un
lottatore professionista, si avvicinò a Bella, stringendola
in un abbraccio
stritolante.
Edward
corrugò la fronte contrariato, allungando le
braccia pronto a prendere Isabella non appena Emmett l’avesse
lasciata andare.
Ma
quest’ultimo continuò ad abbracciarla,
«Piacere di
conoscerti Bella, io sono Emmett.»
Quando finalmente
la liberò poté guardarla in volto,
«Edward ma te la sei trovata proprio bella.»
Scoppiò in una fragorosa risata,
sotto lo sguardo severo di Rosalie.
«Te
l’avevo detto che non sarebbe stato facile.» Le
sussurrò suadente Edward all’orecchio, mentre le
presentava l’ultimo componente
della sua famiglia, Jasper.
Bella si perse nel
mare azzurro degli occhi di Jasper,
ricordandosi di averli già visti da qualche parte.
Quest’ultimo
come Isabella, non riusciva a smettere di
fissarla, come se non fosse la prima volta che la vedeva. Alice li
affiancò
muovendosi con una grazia e un eleganza da far invidia a qualunque
ballerina
«Bella
perché non vieni con me in soggiorno, mentre gli
uomini si occupano della cucina.» Propose Alice, prendendole
la mano, come se
si conoscessero da anni e non da pochi minuti. «Rose vieni
con noi.»
Edward la
lasciò andare, sorridendole sghembo, e Isabella
non riuscì a fare altro che seguire le due ragazze,
completamente imbambolata.
In quella casa albergava una qualche sostanza magica, che rendeva tutto
etere e
sospeso. Che fosse davvero quello il luogo a cui apparteneva realmente?
«Mi
piace.»
Edward
sollevò di scatto la testa, sotto lo sguardo
divertito di Emmett.
«Non in
quel senso Edward.» Lo prese in giro, mentre gli
passava due bicchieri di vetro blu, «mi piace il modo in cui
vi guardate.»
Continuò, posando entrambe le mani sul tavolo.
Edward sorrise
osservando il tavolo ben apparecchiato.
«Come
diamine hai fatto a trovarla?» Gli domandò
passandosi una mano tra i ricci capelli scuri,
«perché davvero è inspiegabile,
avevi sempre detto che non t’interessavano le ragazze del
luogo, che erano
troppo strambe per i tuoi gusti.»
«Bella
è diversa, Emmett.» Rispose semplicemente,
spiandola
dalla porta della cucina.
Le tre ragazze
erano sedute sul divano, Isabella era al
centro. Alice era l’unica a parlare, mentre Rosalie
sorrideva.
Quando Bella
sollevò lo sguardo e trovò gli occhi di
Edward dall’altra parte della stanza, si morse il labbro
inferiore, in un modo
così dolce e sensuale, che Edward dovette distogliere lo
sguardo per evitare di
correre da lei, e baciarla, proprio lì, davanti a tutti.
«E’
stata lei a trovare me.» Sospirò voltandosi verso
Emmett.
Jasper fissava un
punto lontano fuori dalla finestra, con
quel suo sguardo vitreo e illeggibile, che solo Alice riusciva a
decifrare.
«L’hai
già baciata?» Domandò insistente
Emmett,
avvicinandosi all’amico.
Edward gli
lanciò un occhiataccia, «piantala.»
«Era solo
una curiosità Edward. Io per riuscire a baciare
Rose ci ho messo un mese.»
«Dopo
quello che le è successo, mi sorprende che sia
riuscita a lasciarsi andare.»
Jasper
parlò per la prima volta, da quando le ragazze
erano uscite dalla cucina.
Entrambi i ragazzi
si voltarono verso Jasper, fissandolo
interrogativi, «Jasper non ricominciare per favore. Avevamo
detto che oggi non
ne avremmo parlato.» Sospirò Edward, sedendosi
sulla sedia.
«Jasper
ha
ragione, certe cose non dovrei dirle.» Sbuffò
Emmett, dando un pugno leggere
sul tavolo, «e che dannazione, vorrei avercelo tra le mani
quel bastardo che ha
rovinato la vita della mia Rose.»
Si sentirono dei
passi leggeri provenire dal salone, farsi sempre più vicini.
«Emmett
non adesso, per favore.» Lo supplicò Edward, non
appena vide comparire Bella, seguita da Rosalie e Alice.
Isabella sorrise
avvicinandosi al suo ragazzo. Edward la
fece sedere sulle sue gambe, mentre le accarezzava la schiena
dolcemente.
«Allora
quante domande ti hanno fatto?» le domandò,
portandole una ciocca di capelli dietro l’orecchio.
«Non poi
così tante.» Sorrise impacciata Bella,
sollevando lo sguardo su Alice.
Edward
scoppiò a ridere, «è stata Alice a
dirti di non
dirmi niente?»
«Forse.»
Borbottò.
«Non
dirgli niente, Bella, sono segreti tra donne.»
Sorrise trionfante Alice, avvicinandosi al tavolo.
«Bene
ragazzi, che ne dite se iniziamo a mangiare? Io sto
morendo di fame.» Confessò Emmett fingendosi in
imbarazzo.
Rose sorrise
comprensiva, avvicinandosi al suo ragazzo, e
insieme, iniziarono a servire i piatti.
Isabella si sentiva
piena di qualcosa di nuovo,
finalmente era riuscita a uscire dal suo guscio solitario, e la cosa
più
sorprendente e meravigliosa di tutte e che lei, tra tutti quei ragazzi
si
sentiva a proprio agio.
Finalmente
l’aveva trovata, la sua nuova famiglia.
«Vieni
con me.» Le aveva sussurrato Edward all’orecchio,
mentre, Isabella, aiutava le ragazze a sciacquare i piatti.
Bella scosse la
testa, divertita, «non lo vedi, sono
impegnata!»
Edward le
afferrò lo straccio dalle mani, gettandolo sul
tavolo dietro di loro. Bella lo sguardo meravigliata, mentre Alice li
osservava
minuziosamente.
«Adesso
ho la tua completa attenzione.»
Isabella si finse
offesa, e voltandosi dall’altra parte
si era allungata per riprendere lo strofinaccio, ma le
forti braccia di Edward le
impedirono di muoversi, e senza alcuno sforzo la costrinsero a voltarsi
di
nuovo verso di lui.
«Dicevamo?»
Sorrise il ragazzo, sia con gli occhi che con
il cuore.
Rose si
voltò verso Bella sorridendole comprensiva, «ti
conviene seguirlo, altrimenti non ti lascerà più
libera.»
C’era un
qualcosa di altamente instabile in quel non ti lascerà
più libera,
che sconvolse
entrambi i ragazzi. E quando uscirono insieme dalla cucina, Bella si
rese conto
che l’avrebbe tanto voluto, non essere più
liberata se con lei ci fosse stato
Edward.
Il musicista si
mise dietro di lei, posandole
delicatamente le mani sugli occhi, per impedirle di vedere.
«Edward,
non ci vedo.»
«Non devi
vedere infatti, devi solo fidarti di me.»
Bisbigliò suadente il ragazzo, depositandole un bacio casto
ma infuocato sulla
guancia.
Edward la
guidò verso un lungo corridoio, sorreggendola e
aiutandola a camminare in linea retta.
«Hai un
senso dell’equilibrio molto precario.» Le fece
notare, soffiandole sull’orecchio.
Bella fece una
smorfia strana, che Edward purtroppo non
riuscì a vedere.
Ma il suo cuore, oh
quello si che riusciva a vederlo e a sentirlo, e tremava, dentro e
fuori. Non c’era
parte del Mondo che quei due non avrebbero potuto raggiungere, insieme,
anche
ad occhi chiusi.
«Living is easy with eyes closed
misunderstanding all
you see.» Sussurrò
Edward, conducendo, Bella dentro la
sua stanza.
Quando le
liberògli occhi, la osservò in volto per studiare
ogni sua espressione.
Non appena gli
occhi di Bella
si riabituarono alla luce, il suo cristallino riuscì a
mettere a fuoco quella
stanza, e non appena capì dove si trovasse, sorrise.
«Questo
è il tuo mondo.»
Isabella si
voltò verso Edward,
chiedendogli il permesso di poter guardarsi intorno, ma non vi era
alcun
bisogno di domandare, perché Edward le avrebbe permesso di
fare qualsiasi cosa,
purché fossero stati insieme.
E poi Edward
l’aveva guardata,
facendole tremare la terra sotto i piedi, ma in definitiva, Edward le
faceva
tremare il mondo intero sotto i piedi.
«Vorrei
cristallizzare il tuo
sorriso Bella, perché ti giuro è la cosa
più incredibile che abbia mai visto.»
Le confessò posando l’incide sulle labbra delle
ragazze, tracciandone il
contorno.
Bella
arrossì di fronte quel
complimento spontaneo e sincero. Sincero perché sapeva che
era stato detto col
cuore. E il cuore di Edward, per una qualche ragione sconosciuta, non
sapeva
mentire.
«Voglio
trovare il modo di farti
durare in eterno.» Le sorrise, sistemandole una ciocca
castana dietro i
capelli, senza mai smettere di affogare in quella valle al cioccolato
che erano
i suoi occhi, «e allora forse ogni passo che avrò
fatto, non sarà stato solo
uno sforzo muscolare. E magari il mio cuore mi
ringrazierà, se decidessi
di prendere anche il tuo e metterli insieme, per vedere cosa
succede.»
Bella trattenne il
respiro,
stringendo forte le mani intorno alla maglietta grigia di Edward, con
la faccia
di John Lennon sbiadita, ma ancora sorridente.
«Succede
che poi c’innamoriamo.»
Gli aveva detto, sollevando il volto per baciarlo.
Magari era
già successo, in una loro vita precedente, o forse in tutte.
La voce di Edward
acquistava un
altro sapore, quando a cantare quella canzone strappa anima era solo Bella ad
ascoltarla.
I loro occhi
intrecciati,
incatenati da qualcosa che andasse più in là
della retina o di qualsiasi altro
organo presente nel corpo.
E Bella era
fermamente convinta
che uno o ce l’aveva o non ce l’aveva,
quell’amore nel cuore, che ti faceva
perdere il senno. E quando c’era Edward accanto a lei, Bella
ormai lo sapeva
bene, neppure sulla luna sarebbe riuscito a ritrovarlo.
Erano due correnti
cosmiche,
sbalzi temporali e mondi paralleli entrati in collisione. Erano come la
cometa
Biela che ad un certo punto del suo percorso si divide in due, e non
riesce più
a ritrovarla la sua parte mancante. E forse Edward e Bella erano
davvero l’unica
eccezione, perché in effetti, loro si erano finalmente
ritrovati.
«Dimmi a
cosa stai pensando.» Lui la strinse forte tra le
sue braccia, e lei si lasciò andare, facendo sprofondare il
viso al centro
esatto del suo petto.
Sorrise
imbarazzata, le sue
guancie si colorarono di porpora
e ringraziò il cielo che lui non potesse vederle.
«Lo sai già.» Respirò il suo
profumo. Quel
profumo che l’aveva stregata il primo giorno, quel profumo
che
l’aveva indotta
a lasciarsi andare, quello per la quale aveva ricominciato a vivere.
«Si, ma
acquista un altro sapore se sei tu a
pronunciarlo.» Lui parlava con una voce che distruggeva il
cielo.
Bella
sospirò, «Penso che un luogo così bello
non possa
esistere. »
Edward
l’ascoltò parlare, senza interromperla. Le piaceva
il suono della sua voce, il modo in cui le sue corde vocali si
scontravano con
l’aria che respirava, producendo un tintinnio, un eco simile
al suono del
vento.
«Penso
che il mio cuore non possa sopportare un battito
così furente. » E Bella continuò a
confessarsi, a scoprirsi, lasciando che
Edward la guidasse verso acqua più profonde.
Gli occhi
diventarono lucidi e la gola sembrava andare in
fiamme, lui che la sua voce l’aveva sempre utilizzata per
colpire il cuore
delle persone, era stato trafitto con la sua stessa arma.
«Era a questo che mi
riferivo.»
«Quando?»
Bella
parve disorientata.
Lui le
sollevò delicatamente il viso, in modo che i loro
sguardi s’incatenassero. E come il primo giorno, e come tutti
i giorni che
sarebbero venuti, Edward la riconobbe.
«Quando
ho detto che avrei voluto metterli insieme i
nostri cuori.»
Bella vorrebbe
urlarglielo, vorrebbe che fossero le
stelle sopra i loro corpi a confessarglielo.
«Il mio
cuore s’incepperebbe, e poi non saprebbe più cosa
dire» Mentì camuffando un sorriso ingenuo.
La fronte di Edward
si posò su quella di Bella, pelle
contro pelle, «Oh no ti sbagli, perché nel tuo
cuore Bella, c’è l’alfabeto
intero, e ad ogni battito corrisponde una
lettera, un po’ come nel codice Morse, tratto, punto, punto,
punto, tratto,
tratto, tratto, tratto, tratto.» Lo disse come se stesse
cantando, lo disse
come se quelle parole potessero trasformarli in corpi celesti, pronti a
rincorrersi per l’eternità.
Lei
annaspò in cerca di ossigeno, «che cosa stai
dicendo?»
«Quello
che dice anche il mio cuore. Ti amo.»
E fu in quel
momento che il cielo esplose, insieme a
tutti quello che lo circondava. Stelle, pianeti, satelliti, persino un
buco
nero venne risucchiato da quelle parole. Tutti esclusi loro, Edward e
Bella,
che si erano protetti dentro una bolla. Dentro la loro bolla di
felicità, che
sarebbe durata probabilmente per l’eternità.
Oh, guardate un pò chi è tornata con
il nuovo
capitolo di Buskers. Si ragazze sono proprio io, e insieme a questo
capitolo mi porto dietro un carico enorme di scuse, per avervi fatto
aspettare così tanto. Non era davvero mia intenzione. E'
stata
tutta colpa della scuola, tra compiti e interrogazioni, arrivavo la
sera sfinita come un lombrico, senza offesa per questi teneri e
morbidosi animaletti ^^
Quindi vi prego di scusarmi sul serio, avrei tanto voluto
postare il capitolo, ma ogni volta non mi sembrava ancora pronto, come
se mancasse qualcosa, poi quando ho capito che cosa mancava. Siete
riuscite a capirlo anche voi?
Che dirvi ragazze, in questo capitolo succede una cosa davvero
importante.
Ma andiamo un pò per ordine.
Allora quando Bella racconta la sua storia con Mike, dice che il suo
ragazzo voleva diventare un Brat Pack, allora questo è un
termine inglese che viene usato molto spesso per parlare di nuovi
attori o attrici di giovane età che hanno sfondato nel mondo
dello spettacolo. Piccola curiosità, Rober Pattinson ha
creato un gruppo denominato Brat Pack bè si, proprio
originale il ragazzo xD
La Tesco è una catena di super mercati britannica, mentre
credo che Doctor Who lo conosciate tutte, in caso, vi dico subito che
è un telefilm di fantascienza inglese degli anni 80.
Date queste piccole informazioni possiamo andare avanti.
Nello scorso capitolo vi avevo detto di preparare i fazzolettini,
quante di voi hanno creduto che si trattasse di un capitolo tragico?
Sono riuscita a sorprendervi?
Mi sento emozionata, perchè questo capitolo è
molto importante per me, è un punto di svolta, una
confessione.
Il Ti amo adesso è troppo sovravvalutato. Io penso che
andrebbe detto solo quando si sente realmente. Voi per esempio avete
mai detto "ti amo"? Se si, raccontatemi un pò le vostre
storie, mi piace saperne di più sulle mie lettrici!
Bene, detto questo ringrazio i 18 angeli che hanno recensito! E' stata
una bellissima sorpresa.
Ora prima che qualcuno mi decapiti, posto il capitolo.
Un bacione a tutte.
Lua93.
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Capitolo 18 *** Souls find themselves always, at the end. ***
17. Souls find themselves always, at the end.
Dedico
questo capitolo a CherryBomb_ lei sa il perchè...
17. Souls find themselves
always, at the end.
Non era rugiada quella che silenziosamente scivolava
lungo le guance leggermente arrossate della ragazza. Bella
sollevò timidamente
gli angoli delle labbra, mentre si allontanava dal petto di Edward,
quel poco
che bastava per perdersi e per ritrovarsi di nuovo nei suoi occhi.
Il musicista la
stringeva delicatamente, come se fosse un
piccolo fiore, troppo delicato e fragile. Allungò una mano
sul suo viso,
scacciandole via le lacrime.
Le aveva lasciato
tutto il tempo per assimilare quelle
due paroline, che probabilmente, l’avrebbero cambiata per
sempre. Non ci aveva pensato
poi molto, a dire la verità. Perché era stato
tutto piuttosto spontaneo,
confessargli ciò che provava,sussurrarglielo come se fosse
un segreto.
Lei
l’aveva osservato in silenzio, timorosa di parlare,
perché non riusciva a crederci, le sembrava impossibile,
quasi impensabile,
rendersi conto che, anche qualcuno che non avesse il suo stesso sangue,
potesse
amarla.
Lui, invece, era
preoccupato.
Che avesse
sbagliato a confessare il suo amore per lei?
Ma non si poteva
sbagliare. Non c’erano regole che ti obbligavano
a seguire, se non quelle del cuore, e dei suoi battiti che
t’indicavano loro,
quando un amore doveva essere liberato. E lui l’aveva
ascoltato il suo cuore,
perché si era innamorato, per la prima, e probabilmente
ultima volta in vita
sua.
«Mi
dispiace Bella.» Sussurrò infine, allontanandola
dal
suo corpo, quel tanto che bastava per uccidere entrambi.
Isabella lo
fissò spaventata, confusa da quel suo gesto.
«Mi hai
detto di amarmi.» Sorrise timidamente, facendo un
passo verso il suo musicista,
«l’hai
fatto senza che nessuno te lo chiedesse, semplicemente
perché era quello che
volevi fare.» Continuò con una fermezza che non
credeva di avere, «e ora mi
stai chiedendo scusa?»
«Ti ho
spaventato.» Rispose immediatamente il ragazzo,
posandole le mani sulla spalla, fino a sfiorarle il collo in una
carezza
delicata.
«Tu mi
terrorizzi Edward.» Sospirò Isabella, ma prima che
lui potesse allontanarsi da lei, gli strinse le mani, facendogli capire
che non
aveva ancora finito. «Ho paura Edward, di quello che mi fai
provare quando mi
guardi, di quello che mi fai sentire sulla pelle quando mi
sfiori.» Sorrise,
mordicchiandosi il labbro inferiore. «Sei fuoco, mi bruci
Edward. Ed io voglio
essere incendiata da te, perché ho bisogno del tuo calore.
Ho bisogno di sentirmi
amata, da te.»
Lui le
scostò una ciocca di capelli dal viso, avvicinando
le loro labbra.
«E se ti
dicessi che ci credo, a quella stupida teoria
sui mondi paralleli?» Le baciò teneramente
entrambe le palpebre, «forse hanno
ragione quelle persone che credono nell’esistenza di una sola
anima, divisa
alla sua nascita in due piccoli pezzi, che viaggia nel tempo e nello
spazio,
alla ricerca dell’altra sua metà.» Le
sue labbra scesero a lambirle le guance
arrossate, «e non importa quante vite dovrà
toccare prima di ritrovarla, in
quante altre anime crederà di averla trovata,
perché qualsiasi cosa farà,
qualsiasi vita vivrà, che sia questa o tutte quelle che
verranno, lei la
ritroverà la sua parte mancante. Le due anime si
apparteranno per sempre, e si
ritroveranno, perché è destino.»
Sorrise baciandole la punta del naso, «e tu
Bella adesso che sei arrivata, adesso che mi hai contaminato, ricucendo
le mie
ferite con le tue, incastrando le nostre anime, pensi davvero di avere
il
bisogno di chiedermelo?»le diede un bacio leggero, solo uno
sfioramento di
labbra e nient’altro, «tu non sai quanto ti ho
aspettata, amore mio, quanto ho
dovuto viaggiare prima di incontrarti.»
«E allora
baciami Edward, prima che il mondo ci separi un’altra
volta.» Sospirò amaramente.
Edward le sorrise,
stringendola di più al suo corpo,
«dove altro potrei andare, se non sulle tue
labbra?» Le bisbigliò al limite
della resistenza, lasciando che l’impulso più
primitivo s’impossessasse di lui
e del suo corpo. Le loro labbra furono uno sfiorarsi di anime, una
prova
tangibile del loro essere destinati, un testarsi a vicenda. Pelle
contro pelle.
Cuore contro cuore.
Le anime si
ritrovano sempre, alla fine.
«Cosa
pensate stia succedendo lì dentro?»
Domandò Emmett,
indicando il lungo corridoio alle sue spalle.
Jasper
sollevò la testa, seguendo l’indice del suo amico.
«Staranno
parlando.» Rispose Rosalie, mentre ritornava
dalla cucina con in mano una ciotola di pop corn. Non appena gli occhi
di
Emmett si posarono sull’invitante bottino che la sua ragazza
stringeva tra le
mani, si sollevò dal divano, allargando le braccia come se
volesse
abbracciarla.
«Questi
sono miei, amore.»
Sorrise maliziosamente Rose, raggirando il corpo di Emmett, mentre si
avvicinava al divano.
Jasper
scoppiò a ridere, seguito a ruota da Alice,
accovacciata sul suo petto.
«Sei
terribile, brutta e cattiva.» Bisbigliò Emmett,
rivolgendole un’occhiata seducente, che tutto faceva
intendere tranne quelle
tre parole.
Rose gli sorrisi,
posando la mano sul divano, «vieni
qui.»
Emmett non se lo
fece ripetere due volte, si sedette
accanto alla sua Rose, circondandole le spalle con il braccio, in modo
da
averla più vicina. Lei le sorrise, mentre prendeva un pop corn e glielo portava
sulle labbra, imboccandolo teneramente.
«Volete
che vada a controllare?» Propose Alice, con fin
troppo entusiasmo, ma le braccia di Jasper non le permisero di muovere
neppure
un muscolo.
«Lasciagli
la loro intimità. Sono certo che non staranno
facendo nulla di pericoloso. Conosciamo tutti Edward.»
Ridacchiò Jasper, accarezzando
il dorso della mano di Alice.
Quest’ultima
scosse la testa, «volevo solo accertarmene,
sai, l’amore ci cambia.» Bisbigliò,
voltandosi leggermente verso Jasper, che
non perse l’occasione per baciarla.
«Io non
l’ho mai vista, e voi?» Domandò Emmett,
mentre
infilava la sua grande mano dentro la ciotola, afferrando
più pop corn
possibili, mettendoseli tutti in bocca, sotto lo sguardo disgustato e
nello
stesso tempo divertito di Rosalie.
«Prima
volta.» Rispose Alice.
«Io
l’ho incontrata solo una volta, in compagnia di
Edward. Ve l’avevo raccontato.» Disse Rosalie,
allontanando la ciotola gialla
da Emmett.
«Io
mai.» Borbottò quest’ultimo, mentre
cercava di
riprendersi i pop corn.
Jasper rimase in
silenzio, con lo sguardo perso in chissà
quali ricordi.
«Sai che
io Doctor Who, non l’ho mai visto?»
Edward
sgranò gli occhi, fingendo un’espressione
sbigottita.
«Allora
questo cambia tutto.» Sospirò, sollevandosi dal
tappeto sul quale si erano seduti. «Non posso credere che la
mia ragazza non ha
mai visto Doctor Who, mi dispiace Bella, ma tra noi è
finita.»Disse risoluto,
trattenendosi dal ridere.
C’era
stata una specie di scossa nel corpo di Bella,
quando gli aveva sentito pronunciare quelle parole, la sua ragazza. Sua come non sarebbe
stata più di nessun altro.
Bella stette al
gioco, alzandosi anche lei, «in questo
caso, credo che non ci sia più nulla da dire. Ognuno per la
sua strada.»
Fece per andarsene,
ma due forti braccia le circondarono
i fianchi, sollevandola, fino a non farle toccare più il
pavimento con le
scarpe. Bella lanciò un piccolo urlo di sorpresa, mentre
cercava di liberarsi
dalla stretta di Edward.
«Ti ho
forse detto che potevi andartene?» Domandò Edward,
facendola scivolare sul piumone blu, del letto, portandosi sopra di
lei.
Il cuore di Bella
sembrava un martello pneumatico.
Chissà, forse aveva battuto un nuovo record. Il suo cuore
probabilmente,
batteva più velocemente delle ali di un colibrì.
«Se non
sono più la tua ragazza, dimmi perché dovrei
perdere ancora tempo con te?» Gli chiese mentre cercava di
liberarsi dalla sua
stretta.
Edward le
bloccò le mani, portandogliele sopra la testa,
oltre quella cascata color mogano, «punto primo,
perché lo decido io, quando e
se puoi andartene.» Rispose, quasi con un grugnito, mentre
cercava di farla
stare ferma.
Isabella
scoppiò a ridere, «ma per favore.»
Lui le morse
delicatamente un dito, per poi baciarne il
polpastrello.
«Punto
secondo, perché anche se non sei più la mia
ragazza, rimani comunque mia.» Le sorrise teneramente, mentre
faceva scivolare
una mano lungo tutto il suo braccio. Bella tremò,
trattenendo il respiro.
«E il
terzo punto?» Domandò Bella sfiorando
involontariamente la gamba di Edward con la sua.
Il ragazzo smise di
sorridere, liberandole le mani dalla
sua stretta, per poi baciarle la clavicola, fino a scendere sulla
scapola, e
assaporare quella parte di pelle scoperta durante la lotta.
«Non ho
mai detto che fossero tre.» Sospirò scivolando
via dal suo corpo, mettendosi supino accanto a lei.
Bella si
voltò verso di lui, sorridendogli dolcemente,
«se ti prometto di vedere tutte le puntate, posso essere di
nuovo la tua
ragazza?»
Alice chiuse gli
occhi, facendo un grosso respiro.
«Dove
l’hai vista?»
Rosalie ed Emmett
smisero di giocare con i pop corn,
voltandosi entrambi verso Jasper.
«Non sono
certo che sia lei.»Rispose quasi come se
volesse scusarsi. «Quando vivevo con Kevin e Ian, i miei
vecchi coinquilini,
non mi piaceva ritornare qui, una volta finito il corso
d’arte. Non mi sentivo
mai realmente a casa con loro.» Spiegò, stringendo
la mano di Alice.
Emmett
l’incitò a proseguire.
«E
così, invece di tornare in questo appartamento, e
dovermi sorbire le urla di Kevin mentre giocava alla console, o gli
schiamazzi
di Ian, chiuso in chissà quale stanza con chissà
quale ragazza, decisi di
truccarmi e scendere in strada, come mimo, per la prima
volta.» Sospirò con la
voce che gli tremava leggermente, «non era andata affatto
male per essere solo
la prima giornata. Molte persone si erano fermate a osservarmi,
incuriosite
forse dal mio strano personaggio. Facevo ridere, soprattutto i
bambini.»
Alice sorrise,
accarezzando la guancia di Jasper, come a
volergli trasferire un po’ della sua forza.
«Mi
piaceva, far ridere la gente, e poi, non era andata
per niente male, la sera riuscivo a vedere anche il sole tramontare sul
Tamigi.»
Sorrise leggermente, prima di tornare serio e proseguire con il suo
racconto. «Così
inizia a prenderla come abitudine, quella di truccarmi e scendere in
strada,
per racimolare qualche soldo.
«Kevin
pensava che io fossi impazzito, mentre Ian
rimaneva sempre in silenzio, quasi come se non gli importasse, la cosa
più
importante e che io portassi a casa dei soldi. E stranamente, ci
riuscivo
sempre. Iniziarono a imitarmi, scendendo anche loro in strada, con
risultati però,
piuttosto scarsi.» Si passò una mano tra i
capelli, per poi ritornare a
stringere Alice, «tutto cambiò una sera. Stavo
raccogliendo il cappello che
utilizzavo per raccogliere le monete che mi lanciavano i passanti,
quando due
figure sconosciute m’impedirono di allontanarmi.»
Rosalie nascose il
volto sul petto di Emmett,
stringendogli la maglietta.
L’oscurità.
La paura.
Le ombre.
C’erano
troppe cose che l’accumunavano.
«Iniziarono
a
spingermi, derubandomi dei pochi spiccioli. Continuavano a ripetermi
che quel
territorio mi era proibito, e che io dovevo pagarli se volevo rimanere
lì.»
Sospirò passandosi una mano tra la chioma dorata,
«iniziarono ad alzare le
mani, picchiandomi ferocemente, fino a quanto non caddi a terra. A loro
sembrava
non sconvolgerli la vista del sangue. Continuavo a resistere, cercavo
di
proteggermi dai loro colpi, ma loro erano in due ed io uno solo. Avevo
davvero
paura, quando all’improvviso sono comparsi un uomo e una
ragazza.»
«Io e mio
padre, stavamo camminando lungo South Bank,
quando mi accorsi di due strane figure, e di un ragazzo sdraiato a
terra.»
Edward la strinse
più forte, mentre l’ascoltava
raccontare il suo primo incontro con Jasper.
«Mi sono
messa a urlare, spaventata.» Bisbigliò,
«mio
padre intervenne immediatamente, avvisando i suoi colleghi, sai lui
è un
poliziotto.»
Jasper strinse la
mano di Alice, portandosela sul cuore. «L’uomo
si è scagliato immediatamente sui due uomini, mettendoli in
fuga, spaventati
dal suono delle sirene. La ragazza corse verso di me, fissandomi con i
suoi
enormi occhi scuri. Iniziò a farmi domande, preoccupata del
mio stato di
salute, ma io le risposi che stavo bene e che volevo solo tornare a
casa.»
«Mio
padre gli consigliò di sporgere denuncia, ma lui si
rifiutò.» Sussurrò Isabella.
«Non era
pena quella che c’era nei suoi occhi, ma solo
tanta paura. Era preoccupata per uno sconosciuto. Non mi era mai
successo
prima, che cosa strana vedere che esiste ancora l’altruismo,
vero?» Domandò
senza aspettarsi alcuna risposta, poi riprese a raccontare.
«L’uomo cercò di
convincermi a denunciare i miei assalitori, ma io gli risposi che stavo
bene e
che non c’era alcun bisogno di sporgere denuncia. Quando
tornai a casa,
accompagnato dall’uomo che mi aveva salvato la vita, lo
ringraziai,
chiedendogli di non cercare quei due uomini.»
Continuò Jasper, con lo sguardo
lontano, e la voce bassa, come se provenisse da un altro mondo.
«Sapevo già chi
erano, e la conferma l’ebbi una volta tornato a casa, quando
non trovai più i
miei due coinquilini.»
Bella
sospirò, scusandosi per non averglielo detto prima.
«non ero certa che fosse lui, è cambiato molto
dall’ultima volta che l’ho
visto.»
Edward la strinse
più forte, baciandole la testa, «tu e
tuo padre gli avete salvato la vita.» Bisbigliò,
«tu sei un angelo, amore mio.»
Le disse baciandola.
Quando ritornarono
in salone, dove c’erano tutti gli
altri ragazzi, Jasper le sorrise alzandosi dal divano.
«Grazie.»
Le disse semplicemente, mescolando un ricordo
passato che li avrebbe uniti nel tempo.
Era sera inoltrata,
quando Edward riaccompagnò Isabella a
casa.
Le loro mani non
riuscivano a staccarsi, come se non
volessero allontanarsi.
«Mi sono
divertita molto oggi, hai una famiglia
fantastica.» Sorrise Isabella, mentre cercava le chiavi della
propria
abitazione.
«Domenica
prossima se vuoi, puoi tornare. Credo che Alice
mi assillerà parecchio, affinché io ti riporti a
casa con me.» Confessò
grattandosi la testa e ridacchiando sommessamente.
Bella
infilò la chiave nella serratura, facendola
scattare, poi si voltò verso Edward.
«Mi piace
molto, è davvero simpatica. Poi ha un dono così
meraviglioso, mi piacerebbe molto approfondire la nostra
conoscenza.»
Edward
annuì, avvicinandosi, «questa cosa le
farà molto piacere.»
Bella sorrise,
«Bene.»
Rimasero in
silenzio, entrambi troppo occupati a
scrutarsi, per poter sprecare ancora parole. Edward le
accarezzò il viso,
portandole una ciocca di capelli dietro l’orecchio.
«Domani
mattina avrò il corso.» Le disse senza distogliere
lo sguardo dal suo viso.
Isabella mise un
leggero broncio, «avevi promesso che mi
avresti aiutato con la libreria.»
«Appena
finisco, corro da te.» Le promise.
«Non
andrai più all’Hyde Park? A me piace sentirti
suonare.»
Edward le diede un
bacio leggero sulla fronte, «voglio
suonare solo per te.»
«Questo
mi lusinga Edward, ma non voglio che tu smetta di essere
ciò che sei per me. Io voglio che tu continui a suonare,
voglio venire ad
ascoltarti mentre suoni ad occhi chiusi. Così che, una volta
aperti tu possa
vedermi, e dire: “Eccola, è lei, la mia
ragazza.”»
Edward
scoppiò a ridere, stringendola a sé, «e
avrò il
permesso di baciarti?»
«Per
quello non dovrai mai chiedere.» Gli rispose,
lasciandosi baciare ancora una volta.
Non erano umane
quelle labbra, pensò Isabella. Com'era semplice,
lasciarsi andare, tra le sue braccia.
«Quindi
ci vedremo per pranzo?» Domandò la ragazza,
mordicchiandosi il labbro inferiore.
Edward
annuì, con un sorriso che avrebbe illuminato
l’intero
cielo di Londra. «Mi raccomando, non toccare nulla fino al
mio arrivo.»
«Okay.»
«E
un’altra cosa, chiama tuo padre, tu che puoi
farlo.»
Le sorrise comprensivo, «non lasciare che una stupida
incomprensione
comprometti il vostro rapporto.»
Bella
giurò che l’avrebbe fatto, poi entrò in
casa,
chiudendosi la porta alle spalle.
Ragazze,
sono tornata. Non posso crederci, stavo controllando quando avessi
postato l'ultima volta, e mi sono resa conto, oltre al fatto che era
troppo tempo che non postavo, che nel mese di Maggio, Buskers
è
stata pubblicata una sola volta. E questo mi dispiace davvero un
casino, perchè vi sto facendo attendere davvero troppo e me
ne
vergogno.
Ma adesso che
la scuola
è terminata, penso di avere più tempo per
dedicarmi
completamente alla scrittura e quindi alle mie storie.
In questo
capitolo rispondo
alla vostra domanda su Jasper e Bella. In molte avete ipotizzato a un
loro casuale incontro, e diciamo che è stato un
pò
così, però più che incontro io lo
definirei
scontro.
Vi ricordo
che, Edward, Jasper, Alice, Rosalie e Emmett hanno deciso di abitare
tutto sotto lo stesso tetto cinque anni fa.
La madre di
Isabella è morta tre anni fa, mentre il papà di
Bella è andato via solo due anni fa da Londra.
L'incontro
tra Jasper/Bella e Charlie è avvenuto cinque anni fa.
Spiegato
questo piccolo passaggio, tengo a precisare un altra cosina piccolina,
ma davvero molto importante.
Esistono faide
all'interno,
anche, diquesti generi di lavoro. Disguidi che a volte sfociano in veri
omicidi. A volte, la conquista di un territorio da parte di una artista
di strada viene pagato, si, esatto, si paga la tangente.
All'inizio non riuscivo a crederci perchè pensavo che ognuno
potesse esercitare il proprio lavoro dove volesse per strada, e invece
non è così. C'è la divisione in zone
tra i
Buskers. Quello che vi ho raccontato potrebbe essere accaduto davvero a
qualsiasi Buskers, e non sempre si è così
fortunati come
Jasper.
Detto questo, prima di
concludere, avviso tutti voi di una cosa molto importante: Sono in
partenza.
Esatto,
mercoledì partirò per Londra, un ritorno alle
origini xD
Come dico io,
torno a casa.
Un bacione a
tutti voi, grazie per aver letto questo lungo papiro.
Baci.
Lua93.
P.s. Adoro le vostre recensioni, ve l'ho mai detto? Non smettete mai di
lasciarne, perchè con le vostre parole, riuscite davvero a
cambiarmi la giornata!
Il capitolo de "I colori del
Vento" arriverà Martedì.
Siete andate a votare? Io SI!
Mi raccomando, fate la scelta giusta =)
|
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Capitolo 19 *** Surprises. ***
18.
Surprises.
Il
piccolo cuore rifletteva i tiepidi raggi del sole che
entravano dalla finestra, catturando l’attenzione di
Isabella, intenta a
comporre il numero del padre.
Dopo quella notte
passata a riflettere sulla
conversazione avvenuta con Charlie e sulle parole di Edward, non era
riuscita a
chiudere occhio.
«Oh no ti sbagli,
perché nel tuo cuore Bella,
c’è l’alfabeto intero, e a ogni battito
corrisponde una lettera, un po’ come
nel codice Morse, tratto, punto, punto, punto, tratto, tratto, tratto,
tratto,
tratto.» Lei annaspò «Che cosa stai
dicendo?»
«Quello che dice
anche il mio cuore. Ti amo.»
Gliel’aveva
detto sussurrando, come se avesse avuto paura che una volta
pronunciate sarebbero scappate, verso altri continenti, verso terra che
non
potevano appartenere al suo Mondo, e invece, quelle parole erano
rimaste lì.
Entrando nel cuore d’Isabella e nella sua testa, fin dentro
l’anima, che
tremava spaventata da quella nuova rivelazione.
Bella
si allontanò dal telefono, avvicinandosi al tavolino dove
aveva
posato il braccialetto, che li aveva fatti incontrare, e mentre
l’afferrava
stringendolo delicatamente tra le dita, sentì quell’energia
che li aveva fatti
trovare. L’indosso silenziosamente, sorridendo al ricordo.
Poi
tornò indietro, sollevando la cornetta del telefono, pronta
ad aprire
quella porta nascosta nel suo cuore, di cui solo lei e Charlie ne
facevano
parte.
Così
mentre aspettava ansiosamente che il padre le rispondesse, strinse
forte il ciondolo a forma di cuore, che fino a quel momento aveva
catturato
tutta l’energia dell’intero sistema solare per
trasmetterglielo.
Uno.
Due.
Tre
squilli, poi uno strano rumore ricatturò
l’attenzione di Bella.
«Casa Swan, chi
parla?» La
voce di una donna che rispondeva al posto di quella
calda e profonda del padre, fece spezzare qualcosa dentro il petto di
Bella.
«Sono
Isabella, la figlia di Charlie, tu invece chi sei?» le
domandò
stringendo la cornetta del telefono, abbassando lo sguardo.
Prima
che la donna rispose passarono diversi secondi, in cui
l’imbarazzo
da parte di entrambe era palpabile,
«sono
Sue, un amica di tuo padre.» Si decise infine a
rispondere quest’ultima.
Isabella
avvertì un malessere generale dentro di se, e la voce di
quella
donna, Sue, non fece altro che peggiorare la situazione.
«Dov’è
mio padre?» Domandò bruscamente Bella,
mordicchiandosi il labbro
inferiore.
Sue
rispose immediatamente, senza riflettere,
«sta facendo la doccia, non vi siete ancora sentiti questa
settimana?»
Chiese, e Isabella immaginò uno strano sorriso sul
volto sconosciuto della
donna, quasi seccato.
«Ci
siamo sentiti ieri sera, a dire la verità.» Le
rispose Isabella,
confusa da quella domanda. Non era con lui quando si erano sentiti il
giorno
prima?
«Oh, era tua la telefonata
di ieri, scusami
cara, piccola defaiance.» Ridacchiò
allegramente.
Isabella
invece, rimase in silenzio, aspettando che smettesse. Forse non
era onesto il suo comportamento, forse avrebbe dovuto dare una chance
al padre
e a quella Sue. Ma lui le aveva detto che tra di loro non
c’era nulla, e allora
perché quella donna si trovava ancora a casa di suo padre?
«Comunque, tuo padre
solitamente perde molto
tempo sotto la doccia, quindi non so quanto ti conviene aspettarlo, sai
per il
fatto delle telefonate internazionali e tutto il resto, avete qualche
offerta
per parlare illimitatamente?» Domandò
incuriosita, e a Isabella le parve tanto una scusa per intavolare una
conversazione.
«No,
nessun abbonamento.» Rispose semplicemente, mentre cercava
con
tutta se stessa di non mandarla al diavolo.
Anche
le parole di Edward, che tanto l’avevano fatta riflettere sul
suo
comportamento, adesso si erano dissolte, perché lei ne era
certa, il padre la
stava mentendo.
Sue
rimase in silenzio, rendendosi conto che quella conversazione forse
non la rendeva molto a suo agio.
«Ti chiedo scusa Bella, sono
una maleducata,
non mi sono neppure presentata come si deve in questi due minuti di
conversazione.»
Conversazione che non avrei dovuto
avere con
te,
pensò Isabella, tamburellando le dita
sul braccio, in attesa che continuasse a parlare.
«Mi chiamo Sue Clearwater e
sono un’amica di
tuo padre.»
«Un’amica?»
Domandò Isabella, sollevando un sopracciglio.
«Si, vivo nella riserva di La Push, è lì
che io e tuo padre ci siamo conosciuti.»
Bella
corrugò la fronte, pensierosa, «conosci Billy
Black?»
«Ovvio, siamo vicini di
casa, suo figlio è
molto amico del mio.»
Isabella
arricciò il naso contrariata, ma quando si rese conto che la
donna aveva un figlio, la sua paura sembrò scemare.
«Tuo
figlio? Quindi sei sposata?» Le chiese con troppo entusiasmo.
Uno
strano silenzio calò tra le due donne, facendo intuire a
Isabella
che c’era qualcosa che non andava.
Stava
per chiederle se fosse tutto okay, quando Sue rispose in tono
piatto, «no, sono vedova da dieci
anni.»
Questa
volta fu Bella a non dire nulla.
«Bella, credo di aver capito
qual è il tuo
problema, pensi che Charlie non mi abbia mai parlato di te?» Le chiese, cambiando improvvisamente
tono di voce, si era
fatto troppo sdolcinato per i suoi gusti, e quel tono misericordioso
ormai
aveva imparato a riconoscerlo. «Io e
tuo
padre siamo molto amici, Bella, ma certe cose non sono io a dovertele
confessare, quando tuo padre si sentirà pronto te ne
parlerà.»
Isabella
scosse la testa, come se lei potesse vederla, «parlarmi di
cosa?»
«Di me, di lui, insomma di
noi.» Sospirò
Sue.
Le
paure che avevano assalito Bella non erano state infondate, e le
parole del padre non erano state altro che una bugia.
I
suoi occhi si riempirono di lacrime, e riattaccarle il telefono in
faccia era diventata davvero una difficile tentazione.
«Sue,
per favore, passami papà, devo parlargli.»
Bisbigliò la ragazza,
ormai in lacrime.
«Bella tutto bene, ti sento
strana, stai
piangendo?»
«Passami
mio padre dannazione, o giuro che non risponderò
più alle sue
telefonate.» Disse quasi ringhiando. Si sentiva ferita,
tradita, dall’unica
persona che poteva farla sentire davvero protetta. L’unica
persona che poteva
aiutarla a ricordare la sua vita passata.
«Bella mi dispiace, ma tuo
padre è realmente
in bagno, come posso passartelo?» le
domandò la donna realmente dispiaciuta.
«Bene,
allora riferisci a mio padre che può anche evitare di
telefonarmi, perché evidentemente per lui, sono diventata di
peso, adesso che
ha una nuova vita nella sua amata Forks. E prima che tu mi possa
interrompere,
sappi che non potrai mai prendere il posto di mia madre, né
nel cuore di mio
padre, né nel mio.» E prima che Sue potesse
controbattere, Isabella pose fine
alla telefonata, riagganciando.
Forse
la felicità che aveva
tanto agognato di poter raggiungere non poteva stringerla tra le mani.
Non era
probabilmente nel suo destino, essere completamente felice. Si sarebbe
sempre
dovuta separare, avrebbe sempre avuto il cuore spezzato in due,
perché lei
ormai era convinta di non poter essere di nuovo felice, non con tutte
le
persone giuste al suo fianco.
E ora
che c’era Edward, quel
vuoto si stava riempiendo, lentamente, faticosamente, ma si stava
colmando.
Come avrebbe fatto ora a iniziare una vita in cui il padre non sarebbe
mai
stato testimone della sua felicità?
Quella
mattina il cielo di
Londra era ricoperto da una coltre di nuvole, scure e minacciose.
Isabella
camminava tenendo la testa bassa, osservando le sue Converse nere,
mentre
stringeva tra le dita il braccialetto magico.
Aveva
bisogno di Edward, in
quel momento.
Aveva
bisogno di lui, perché
era l’unico che riusciva a svuotarle la mente, annebbiando i
pensieri con un
abbraccio. Non
voleva pensare, ma
soprattutto non voleva ricordare, quegli anni passati felici, con la
sua famiglia.
E i ricordi la ferivano in continuazione, senza tregua, senza respiro.
I sorrisi beffardi del padre, quando
scherzosamente la
richiamava per i suoi modi sempre così estranea alla
realtà.
Le braccia di sua madre, che la
stringevano in un tenero e
materno abbraccio, dopo la storia con Mike.
Le serate passate davanti la
televisione, con tre
confezioni di pizza appena ordinate da Pizza Hut e la Guinness rubata
al papà.
Le loro risate allegre e spensierate,
si disperdevano nella
nebbia, e lei si sentiva tanto come un faro che smetteva di brillare,
facendo
perdere la giusta direzione.
Lei non riusciva ad accettarlo. Non
voleva mettere un
punto, né una virgola o qualsiasi altra punteggiatura, al
suo passato. Isabella
voleva riaverlo indietro il suo papà. Da solo, senza altre
donne che l’abbracciavano.
Voleva presentargli Edward, e vederli ridere e scherzare davanti una
partita di
Tennis, o meglio ancora, andare direttamente a Wimbledon ad applaudire
i
campioni.
Lo rivoleva indietro, per essere di
nuovo felice.
Ma in quella mattina grigia, Charlie
non c’era, e non ci
sarebbe stato neppure l’indomani e tutti gli altri giorni che
sarebbero venuti.
E Bella ebbe paura. Un terribile e agonizzante terrore, che non
riusciva a
nascondere. Non più.
Quando
entrò in libreria, posò
la tracolla sulla scrivania, accanto alla cassa, cercando con lo
sguardo la
figura minuta di Margaret, e quando i loro occhi
s’incontrarono, non riuscì a
fare a meno di sospirare.
«Buongiorno
Bella, sono due
giorni che non ti vedo. Come hai trascorso questa Domenica? Pensavo mi
chiamassi per passarla insieme, ma non ho ricevuto tue
telefonate.» Margaret
sorrise, smettendo di parlare.
Bella
le si avvicinò e
l’abbracciò, senza risponderle.
«Oh
cara, stai bene? Sei così
pallida.» Farfugliò la donna sui capelli color
mogano di Bella, «è successo
qualcosa?»
Bella
annuì nascondendo gli
occhi ormai colmi di lacrime a Margaret, «mio padre ha
un’altra donna.»
L’anziana
donna fissò Isabella
sorpresa, «ne sei proprio sicura? Te l’ha detto
ieri, durante la vostra solita
conversazione della Domenica?»
Le
mani di Bella iniziarono a
torturarsi tra di loro, «In un certo senso.»
«Raccontami
tutto Bella,
avanti, siediti qui.»
Isabella
raggiunse Margaret
sulla piccola panchina di legno che avevano tirato fuori qualche giorno
prima
dal magazzino. «Avanti, dimmi cosa vi siete detti.»
Mordicchiandosi
il labbro
inferiore, quasi fino a farlo sanguinare, Bella iniziò a
parlare lentamente,
cercando di calmare i violenti singhiozzi che le impedivano anche di
respirare.
«Ieri
mattina ero così felice,
Margaret, prima che telefonasse mio padre.»
Sussurrò Bella, mentre ripercorreva
la scorsa giornata, «al telefono mi era sembrato strano,
così ho chiesto
cos’avesse, e lui mi ha risposto che c’era una
donna in casa sua, una sua
amica, una certa Sue Clearwater, che andava spesso a trovarlo. Ma io
non gli ho
creduto, ho subito pensato che lui si fosse trovato qualcuno,
dimenticandosi
della mamma e non riuscivo a crederci. Non volevo crederci.»
Margaret
le circondò le spalle
con un braccio, stringendola più forte.
«Così
abbiamo iniziato a
litigare, ed io gli ho detto che non doveva più chiamarmi,
perché evidentemente
la mia presenza nella sua vita era diventata troppo di peso.»
Continuò
Isabella.
«Oh
tesoro, ma non è così, e lo
sappiamo entrambe che tuo padre ti ama più della sua stessa
vita.» Le disse
Margaret, cercando di rassicurarla.
Isabella
scosse la testa,
sentendo sul suo viso il profumo delle lacrime che scivolavano via,
scappando
dal suo corpo, «non ci siamo lasciati in un bel modo ieri
sera. Così dopo aver
ascoltato un discorso sull’importanza della famiglia, sulla
fiducia, mi ero
lasciata cullare da quelle parole, auto convincendomi che mio padre non
avesse
nessuno al suo fianco, in quel paesino sperduto
dell’America.»Borbottò,
ripensando alle parole di Edward.
Margaret
la fissò preoccupata,
«un discorso fatto da chi?»
«Da
uno.» Rispose vaga
Isabella, riprendendo il discorso prima che Margaret le facesse
un’altra
domanda, «comunque sia, questa mattina mi sono alzata presto,
perché volevo
telefonargli e chiedergli scusa. Non mi piace litigare con mio padre,
soprattutto adesso che abbiamo un oceano che ci divide. E solo che lui,
non
viene più a trovarmi, e il tempo di una conversazione si
dimezza ogni
Domenica.» Aggiunse perdendosi nuovamente nel suo dolore e
nella sua infinita
voglia di tornare a essere pienamente felice.
«Così
ho composto il suo
numero, e ho atteso che la voce calda e famigliare di papà
mi rispondesse, ma
al posto della sua voce, ho sentito quella di una donna.»
Disse con rabbia.
«Era
Sue?» Le chiese Margaret.
Bella
annuì, «esatto, era
quella sotto specie di vipera accaparra uomini. Una vedova appartenente
alla
razza degli Indiani d’America.»
Margaret
non poté non scoppiare
a ridere. Era la prima volta che sentiva Isabella descrivere qualcuno
con quei
termini.
«Non
ridere Margaret, perché
non c’è niente di divertente in quello che ti sto
raccontando.» Disse Isabella
indignata.
L’espressione
crucciata e
arrabbiata le formavano una piccola fossetta sul mento, che tanto
ricordava una
bambina.
«E
dimmi un po’, cosa ti ha
detto quella vipera?» Sorrise Margaret, capendo
già il dolore e la paura di
Bella.
«Che
stanno insieme.»
«Sul
serio?»
Isabella
sbuffò, «non proprio,
ma non ci voleva un genio per interpretare le sue frasi da film. Mi ha
chiaramente fatto intendere che mio padre sta bene a Forks anche senza
di me, e
che si è riuscito a fare una nuova vita di cui io non ne
sapevo nulla.»
Margaret
aspettò che si
calmasse, poi le rispose, «ma alla fine, sei riuscita a
parlare con tuo padre?»
Bella
scosse la testa afflitta,
«no, ho riattaccato dopo averle detto che non volevo saperne
più nulla né di
lei né di mio padre.»
Margaret
allora la strinse in
un abbraccio, accarezzandole i capelli, «non essere triste,
vedrai che tuo
padre avrà una motivazione valida sul suo
silenzio.»
Isabella
si scostò dal corpo
protettivo e nello stesso tempo fragile di Margaret, «non
m’interessano le sue
motivazioni. Io ho accettato che lui partisse per Forks, quando la
mamma è
morta, perché potevo capire il suo dolore, pur sapendo che
sarebbe stato ancora
più difficile ricominciare.
Per
me non è stato facile
lasciarlo partire, proprio nel momento in cui avevo più
bisogno di lui. Ma ho
anteposto i miei bisogni ai suoi, lasciandolo andare, per non vederlo
stare
male. L’ho fatto perché è mio padre e
perché gli voglio bene.»
«E
di questo lui ti é grato
Bella, ma cerca di capire sono passati tre anni, forse questa donna
è riuscito
davvero a colmare il vuoto che aveva nel petto.»
«Era
con me che doveva
colmarlo. Insieme, non andandosene dall’altra parte
dell’oceano.» Sbottò
Isabella arrabbiata.
Margaret
sospirò, «sei gelosa?»
Bella
scosse la testa.
«Lo
sei invece, e non negarlo
Bella. Perché tu quello che senti adesso non è
altro che frustrazione. E sei
arrabbiata con tuo padre non perché ha trovato
un’altra donna, ma perché ti ha
tenuto lontano dalla sua vita.»
«Mi
sembra una motivazione più
che valida.» Le fece notare Bella, mordicchiandosi il labbro
inferiore.
Margaret
annuì, «hai ragione,
fai bene ad essere arrabbiata con lui. Solo non allontanarlo dalla tua
vita.
Bella siete rimasti solo voi due, e lui è tutto
ciò che hai. Non guardare me.
Io sono tua amica, forse un’ottima amica, ma non faccio parte
della tua
famiglia, anche se il bene che ti voglio è pari a quello di
una figlia.»
Bella
rimase in silenzio,
riflettendo sulle parole dell’anziana donna. Ma Margaret non
poteva saperlo che
Bella non era più sola. Non poteva sapere che
c’era Edward al suo fianco.
Isabella avrebbe tanto voluto dirglielo, parlargli di lui, ma non
voleva.
Temeva che se avesse parlato di Edward ad alta voce, lui sarebbe
svanito, così com’era
accaduto a tutte le persone che le avevano voluto bene.
«Bella
tu sei giovane, sei
bella, perché non esci un po’? Non devi rimanere
attaccata al passato.»
Continuò Margaret, accarezzandole il braccio.
Isabella
non le rispose, così
Margaret si alzò dalla panchina, facendole segno di seguirla.
«Adesso
mi devi promettere una
cosa.» Le disse fissandola.
Isabella
annuì incuriosita.
«Ti
ho lasciato carta bianca
sulla libreria, voglio che tu la trasformi, voglio che tu la riporti al
suo
antico splendore. E voglio che tu lo faccia senza di me. Per questo,
non
metterò più piede in questa libreria, per i
prossimi sette giorni. Avrai una
settimana di tempo. E in questa settimana non voglio né
vederti, né parlarti.
Hai bisogno di riprendere in mano la tua giovane vita, e lo farai
cominciando
da questa libreria.» Le disse autoritaria, ma senza mai
esserlo davvero, i suoi
occhi erano troppo limpidi e sinceri.
Isabella
sembrava preoccupata,
ma aveva anche una gran voglia di ricominciare, magari, con Edward al
suo
fianco.
«Potrai
sopravvivere sette
giorni senza di me?» le domandò con ironia
Margaret.
Bella
sorrise, «ci posso
provare.»
«Bene,
e sappi che non voglio
vedere lacrime, sai che non le sopporto. E per favore Bella, chiarisci
questa
situazione con tuo padre, non lasciare che la distanza rovini il vostro
rapporto.» Le disse, mentre si avvicinava
all’appendi abiti per prendere il suo
cappotto color cipria.
«Ci
proverò, ma non ti prometto
nulla.» Borbottò Isabella, facendo una strana
smorfia con le labbra. «E
comunque sarò molto impegnata, quindi non so se
avrò il tempo per
telefonargli.»
Margaret
sollevò lo sguardo
verso il soffitto, «sei sempre la solita testarda. Ma
è anche per questo che ti
voglio bene.» Le sorrise, «e per il tempo, non
preoccuparti. Ho una sorpresa
per te.»
«Quale
sorpresa?»Domandò
Isabella, mentre si avvicinava alla porta d’ingresso,
seguendo Margaret.
«Ti
ho trovato un aiutante.»
Ridacchiò la donna.
«Un aiutante?»
Ripeté Bella,
come un automa.
Margaret
si sporse oltre la
porta, facendo segno a qualcuno di avvicinarsi. E mentre Isabella
cercava di
capire, Margaret fece entrare un ragazzo in libreria, e non appena gli
occhi di
Bella misero a fuoco quella scena, ricordando i lineamenti del giovane,
le sue
guancie si colorarono di un tiepido rossore.
«Bella,
ti ricordi di James?»
Capitolo bloccato molto probabilmente sul più bello, ma cosa
volete che vi dica, sono una donna sadica io!
Il prossimo capitolo arriverà presto, promesso!
Avanti sono pronta a tutto, però per favore, non siate
violente, lasciate i forconi e le pale in giardino :D
Colgo l'occasione per
augurare a tutti Buone Vacanze, anche se in ritardo -.-
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