Ilio vs Acaia

di Daphne_Descends
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Proemio ***
Capitolo 2: *** Canto I: Di come le disgrazie non vengono mai da sole ***
Capitolo 3: *** Canto II: Di come la Fortuna non gira mai dalla tua parte ***
Capitolo 4: *** Canto III: Di come l'inaspettato è sempre dietro l'angolo ***
Capitolo 5: *** Canto IV: Di come la famiglia porta soltanto guai ***
Capitolo 6: *** Canto V: Di come basta poco perché tutto cambi ***
Capitolo 7: *** Canto VI: Di come i sogni ti rovinano la giornata e tutto il resto ***
Capitolo 8: *** Canto VII: Di come le vacanze non durano mai abbastanza ***
Capitolo 9: *** Canto VIII: Di come non c'è mai limite al peggio ***



Capitolo 1
*** Proemio ***


Da un po' di tempo ho deciso di riscrivere questa storia, un po' perché era tutta campata per aria e un po' perché la scrittura non mi rispecchiava più. Non mi ci ritrovavo e non riuscivo a proseguire: mancavano troppe cose, avrei voluto inserire più dettagli, non c'era una trama di fondo. Insomma, l'unico modo per andare avanti era tornare indietro e così ho fatto. Questa versione che leggerete è stata totalmente riscritta, ritroverete delle scene famigliari e scoprirete dei pezzi e delle vicende totalmente nuovi, sopratutto dal quinto capitolo. Non so ancora quanto rientrerà la vicenda narrata nell'Iliade, perché oggettivamente è un po' difficile da attualizzare, ma almeno un trama generale ce l'ho. Per quanto la scrittura sia un po' cambiata, alla fine è rimasta piuttosto la stessa, ho solo cercato di inserire più descrizioni e riflessioni oltre ai tanti dialoghi della vecchia versione. La vecchia versione ce l'ho salvata sul computer, se qualcuno la volesse, ma sinceramente vi consiglio di tenervi ben stretta questa nuova perché credo che sia davvero migliore.
Ora smetto di ciarlare e vi lascio alla lettura.





 

Proemio



 

Si può dire che tutto iniziò per colpa di quel cretino di Paride.
Da quando, da bambino, si era perso al supermercato – facendo venire mezzo infarto allo zio Priamo, che l'aveva perso di vista per un solo attimo, come diceva lui – i suoi genitori l'avevano sempre accontentato in ogni suo minimo capriccio, dal giocattolo nuovo che aveva visto in televisione, al corso di nuoto mai terminato, alla chitarra usata due volte e lasciata a prendere polvere in cantina.
Paride era sempre stato abituato ad ottenere qualsiasi cosa volesse e solo perché i suoi genitori si sentivano in colpa per essersi accorti della sua sparizione solo dopo un'ora. E solo perché un annuncio dalla cassa centrale li aveva fermati prima che uscissero dal supermercato senza di lui. Personalmente, non penso che per loro sarebbe stata una grande perdita, visto che tanto di figli ne hanno altri sette e considerando il fatto che Paride è senza dubbio il più insopportabile di tutti.
Era grazie ai loro sensi di colpa se ci eravamo trovati in quella situazione.
Perché quel viziato di Paride doveva sempre avere tutto quello che voleva, ovviamente, senza pensare minimamente alle conseguenze. Che importava se suo fratello tornava sempre a casa con qualche livido o graffio, se la ragazza che aveva lasciato senza motivo piangeva ancora per lui, o se tutta la scuola dovesse sopportare quella guerra continua? Lui aveva ottenuto quello che voleva.
Beh, io dico che quella volta le mani avrebbe potuto tenersele a posto, invece di provarci con quell'Elena dell'Acaia.
Elena sarà anche stata la ragazza più bella che chiunque avesse mai visto, sarà anche stata gentile, intelligente, giudiziosa e mille altre qualità che facevano di lei la donna perfetta, ma quella volta aveva fatto una grande e immensa cazzata.
Una persona sana di mente non si sarebbe mai innamorata di uno come Paride e non lo dicevo soltanto perché non lo sopportavo, ma perché era davvero il ragazzo più esasperante che avessi mai conosciuto. Senza contare che Elena aveva già un ragazzo, ma per stare con quell'idiota l'aveva mollato e si era trasferita nella nostra scuola, cosa che ovviamente aveva fatto adirare il suo ex e ci aveva fatto piombare nella situazione in cui ci trovavamo.


La nostra, l'Ilio, era una scuola privata, nella top ten della regione. Il settantanove per cento degli studenti aveva una media superiore all'otto, organizzavamo eventi di beneficenza, le nostre aule erano pulite e ogni anno veniva cambiato l'arredamento, i nostri laboratori erano efficienti, i nostri professori erano competenti, indossavamo tutti una divisa e qualcuno veniva addirittura accompagnato da un autista.
Eppure, nemmeno l'aria ricca e di classe della nostra scuola poteva fermare il comportamento inappropriato dei suoi studenti che, purtroppo, avevano la pessima abitudine di darsele con gli alunni della scuola vicina.
L'antipatia tra Ilio e Acaia risaliva a talmente tanti anni prima che nessuno degli studenti che le frequentava ne conosceva esattamente il motivo. Semplicemente si continuava con quell'assurda tradizione di picchiarsi e litigare, prima, durante e dopo l'orario scolastico.
A mio parere, il motivo principale era perché le due scuole erano troppo diverse per poter coesistere una accanto all'altra.
L'Acaia era una scuola pubblica a maggioranza maschile, piena di delinquenti, con i cancelli arrugginiti, i graffiti sui muri e il giardino incolto. L'interno probabilmente era orribile quanto l'esterno. Noi ragazze tendevamo a non passare mai lì davanti e, a costo di allungare il tragitto di dieci minuti buoni, preferivamo fare il giro lungo, soprattutto dopo che all'inizio dell'anno scolastico era stato annunciato che dal prossimo settembre i due istituti si sarebbero fusi in uno unico.
Non ho idea di cosa fosse passato per la testa allo zio Priamo e al signor Atreo quando avevano avuto questa brillante pensata, ma probabilmente fingevano di non vedere le infermerie piene di gente ad ogni ora della giornata e i ragazzi pieni di bende, lividi e cerotti ogni giorno della settimana. O forse faceva tutto parte di uno stratagemma per placare quella guerra? Se era così, dovevano assolutamente rivedere i loro piani perché facevano acqua da tutte le parti. L'istinto di sopravvivenza, infatti, aveva fatto aumentare le risse e la geniale trovata di Paride ed Elena aveva scatenato l'apocalisse, tanto che ormai non si poteva nemmeno più affacciarsi ad una finestra senza venire insultati.
Sono sicura che se Paride, per una volta, avesse usato il cervello, niente di tutto questo sarebbe accaduto.
Come sono altrettanto sicura che sarei riuscita a continuare la mia vita senza imprevisti.
Ma ovviamente Paride non aveva mai usato il cervello in vita sua – e probabilmente nemmeno sapeva di averne uno – così la mia vita aveva preso una piega del tutto inaspettata.
E tutto per colpa di quel cretino di mio cugino.







EDIT: Questo nuovo prologo, come avete potuto leggere, è rimasto piuttosto fedele all'originale, mi sono limitata a cercare di ampliarlo un pochino. Vorrei solo specificare (anche se in nessuna recensione è mai uscita questa questione) che il fatto che i capitoli siano "canti", quando nell'originale sono "libri" è semplicemente dovuto al fatto che mi piace di più come parola. Non è importante, ma è da anni (letteralmente) che volevo dare una spiegazione. Inoltre, non avendo più la correzione automatica mentre scrivo, può darsi che ogni tanto mi scappi qualche lettera. Cerco di fare del mio meglio durante la rilettura di controllo, ma se doveste trovare degli errori di battitura ditemelo pure.

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Capitolo 2
*** Canto I: Di come le disgrazie non vengono mai da sole ***



Canto I
Di come le disgrazie non vengono mai da sole

 

 

La Settimana della Disgrazia – così come verrà chiamata d'ora in poi – cominciò tranquillamente come tutte le altre.
Come al solito mia madre era partita il lunedì mattina per l'ennesimo viaggio di lavoro e mio padre, invece di prepararsi per uscire, l'aveva seguita per tutta la casa blaterando stupidaggini come “devi proprio andare, passerotto?”, “tornerai per il fine settimana?”, “chiamami ogni volta che puoi”, “io ti amo di più”, “mi manchi già” e altre schifezze del genere, il tutto mentre vagava in pigiama come uno spiritato. Non ci voleva un genio per capire chi portasse i pantaloni in casa nostra.

Lunedì ero riuscita ad oltrepassare i cancelli dell'Ilio senza incappare in nessuna rissa, non avevo avuto né verifiche né interrogazioni a sorpresa, mia cugina Criseide si era ricordata di riportarmi il quaderno di matematica che le avevo prestato, mia cugina Cassandra non mi aveva predetto niente di spiacevole, ero tornata a casa senza imprevisti, non avevo compiti da fare e per cena mio padre aveva preparato il mio piatto preferito.
Fu da martedì che le cose peggiorarono gradualmente e, se fossi stata tanto intelligente come dicevo di essere, sarei scappata il più lontano possibile senza mai guardarmi indietro e senza aspettare quel maledetto mercoledì.


Dalle finestre del corridoio si riusciva a vedere perfettamente la piazzetta su cui si affacciavano i cancelli della nostra scuola e dell'Acaia ed erano il punto migliore per osservare le idiozie che avvenivano durante l'intervallo, come le risse programmate e non, le gare di insulti e le dimostrazioni di antipatia quotidiane.
Quel martedì mattina ero stata costretta da Criseide ad accompagnarla alla finestra durante l'intervallo – probabilmente perché la sua smania di essere ammirata era talmente grande da farle sperare che qualcuno le si dichiarasse in una scena alla Romeo e Giulietta – perché, a detta sua, i ragazzi dell'Acaia sarebbero stati invidiosi delle ragazze che frequentavano l'Ilio. Non che credessi più a quello che usciva dalla bocca di Criseide, dato che la maggior parte delle volte si trattava soltanto di un mucchio di cazzate, ma era meglio assecondarla che farsi esasperare fino alla morte dalla sua vocetta acuta.
Così mi ritrovavo ad osservare quei deficienti dei miei compagni di scuola litigare come sempre con quegli altri deficienti dell'Acaia.
«Certo che Ettore è proprio un testardo» la voce di Criseide mi fece voltare appena verso di lei, tenendo il mento appoggiato sul palmo della mano. I suoi occhi azzurri seguivano con attenzione quello che accadeva in piazza e dalla postura sembrava davvero interessata.
Il sospiro di Andromaca, invece, mi fece voltare dall'altra parte. Aveva un'aria sconsolata e sapevo che odiava quei continui litigi con l'Acaia, soprattutto quando c'era di mezzo Ettore. Spesso mi domandavo come avesse fatto quell'insensibile a conquistare una ragazza adorabile come Andromaca. Vero, all'inizio Creusa li aveva praticamente obbligati ad uscire insieme, ma già dai primi appuntamenti si era rivelata una mossa eccezionale perché non esisteva coppia più innamorata di Ettore e Andromaca e non esisteva una ragazza più dolce di lei. Adoravo Andromaca, era come la sorella maggiore che non avevo mai avuto, e spesso avrei voluto prendere a pugni Ettore per farla preoccupare in quel modo.
«Gli ho chiesto di evitare le risse, almeno per oggi, visto che il livido non gli è ancora passato, ma non ha voluto ascoltarmi» ci disse, portandosi una ciocca di capelli castani dietro l'orecchio.
«Quando mai!» commentò Creusa, appoggiata con le braccia incrociate al davanzale accanto a me «Pensa che sia suo dovere difendere l'onore della scuola, neanche fosse sua moglie. Perché tutti i fratelli che ho sono dei completi deficienti? E quell'altro cretino di Enea lo segue a ruota!» si lamentò con il solito tono alto di voce, corrugando la fronte e cercando di fulminare Enea. Creusa ed Enea stavano insieme da due anni e mi chiedevo spesso come lui facesse a volerla ancora, perché per sopportare Creusa ci voleva una pazienza infinita, visto che amava lamentarsi di tutto ed essere acida come un limone. Ma Enea era troppo buono per mandarla a quel paese.
«Spero non si facciano male» disse Andromaca.
Se non avessi saputo che era del tutto inutile, avrei sperato che se ne facessero, almeno si sarebbero resi conto dell'inutilità di tutta quella confusione. Purtroppo però, avrebbero potuto finire anche all'ospedale – cosa che effettivamente era già successa – ma il giorno dopo sarebbero stati di nuovo là a darsele di santa ragione.
«Chi lo sa, magari Lea decide di buttarsi nella mischia e fare fuori tutta l'Acaia» disse Criseide con una smorfia «Lo sanno tutti che ha un debole per i corpi sudati e sanguinanti».
A quelle parole, spostai lo sguardo sulla famigliare chioma rosso fuoco di Pentesilea, che osservava tutto dal cancello e che sicuramente si stava trattenendo dal saltare in mezzo alla rissa. Pentesilea era proprio un maschiaccio e adorava in modo preoccupante i litigi tra l'Ilio e l'Acaia, tanto che ad ogni intervallo la si poteva vedere mentre si aggirava intorno alla piazza. Molto spesso erano i nostri compagni di classe a trattenerla, ma le volte che non riusciva a resistere aveva rotto il naso a più di uno studente dell'Acaia. Da noi, tutti sapevano che era meglio non farla arrabbiare se non volevi risvegliarti in infermeria.
Sbuffai esasperata, mentre i miei occhi cercavano la chioma corvina di mio cugino; lo trovai proprio mentre tirava un pugno nello stomaco a qualcuno che non conoscevo.
«Quest'anno la cosa sta diventando insopportabile» commentai con stizza.
«Mi dispiace» disse la voce lieve di Elena «è colpa mia se sono aumentate le risse».
Le lanciai un'occhiata con la coda dell'occhio, mentre Andromaca si affrettava a rassicurarla «Ma no, non è colpa tua. Sono solo tutti un po' tesi per la questione della fusione».
Andromaca era troppo gentile. La colpa non era solo della fusione, ma anche di Paride ed Elena, non si poteva negarlo. Non avevano pensato prima di agire e quelle erano le conseguenze, non si poteva fare finta di niente e nascondere tutto sotto il tappeto.
«A parte il fatto che non capisco cosa interessi alla maggior parte di loro» iniziò Criseide, pensierosa «Ettore ed Enea sono in quinta, così come Agamennone e Aiace Telamonio. L'anno prossimo non ci saranno nemmeno per la fusione! Saremo noi a dover sopportare quelli dell'Acaia» poi si voltò verso Creusa e Andromaca e spalancò gli occhi, come se si fosse appena resa conto della loro presenza «E nemmeno voi! Ci saremo solo io e Bri!» si lamentò, aggrappandosi al mio braccio.
Io alzai gli occhi al cielo e la lasciai fare.
«Quelli dell'Acaia non sono tanto male, il più delle volte».
«Tu sei di parte, Elena, non vale!» continuò Criseide «Pensa se finiamo in classe con Menelao, o Aiace Oileo. Pensa se finiamo in classe con Achille!»
Deglutii, trattenendo un brivido, mentre i miei occhi vagavano verso i cancelli dell'Acaia per posarsi su un ragazzo appoggiato a braccia incrociate contro le sbarre. Nonostante non lo conoscessi di persona, era impossibile per chiunque non riconoscere Achille. L'istinto di sopravvivenza e i suoi folti capelli dorati lo rendevano visibile anche a metri di distanza, o per lo meno sapevi che c'era un predatore nelle vicinanze e ti affrettavi a cambiare strada e correre il più lontano possibile.
Era strano non vederlo in mezzo alla mischia, ma se lui stava lì il rischio di finire in infermeria diminuiva. Combatteva come un leone e non si faceva nemmeno problemi a discutere con i suoi compagni se c'era qualcosa che non gli piaceva. Era un tipo un po' strano e il solo sentire il suo nome mi inquietava. Speravo proprio di non averci mai nulla a che fare.
«Achille è solo un po' impulsivo, ma è gentile, quando vuole» disse Elena, arrossendo leggermente quando ci voltammo a guardarla «Anche Menelao è-» si interruppe di colpo e abbassò lo sguardo, senza più dire una parola.
Sinceramente non la capivo: se si sentiva in colpa nei confronti di Menelao, avrebbe potuto evitare di lasciarlo per mettersi con quel cretino di Paride.
«Già, il problema è Agamennone» continuò Creusa con voce dura «E' un egocentrico pallone gonfiato. Sembra quasi che tutto questo lo diverta!» poi cominciò ad insultarlo, perché aveva appena tirato un pugno ad Enea.
«Oh, ma se trovasse la persona giusta sono sicura che si darebbe una calmata» disse Criseide, con un tono e un'espressione che non mi piacevano per niente.
«Uno che lo massacri di botte?» chiese ironica Creusa.
Criseide sorrise maliziosamente «Intendo una donna».
«Ti prego, no!» esclamai con una smorfia «Non dirmi che ti piace! Che gusti del cazzo, Cri».
Lei si portò indietro i capelli con un gesto secco della mano «Ha un certo fascino mediterraneo».
«E' un arrogante, e pure violento!» berciò Creusa.
«Non sta già insieme a tua sorella, Elena?» chiese Andromaca, cercando di placare la discussione.
Lei annuì, ma Criseide non si arrese «Non ho detto di volerlo come ragazzo, dico solo che è un tipo che mi piace».
Feci una smorfia disgustata e tornai a guardare la piazza, proprio nel momento in cui suonava la campanella. Gli studenti fuori si lamentarono con forza, ma poco alla volta iniziarono a rientrare nelle loro scuole, non mancando di insultarsi e mandarsi a quel paese. Io seguii Ettore ed Enea con lo sguardo, per poi osservare Agamennone e Aiace Telamonio dirigersi verso l'Acaia. Aiace si fermò vicino ad Achille ed un altro ragazzo e scambiò due parole con loro. Quasi non mi accorsi di essere rimasta a guardarli, almeno finché i miei occhi non incrociarono quelli di Achille, nello stesso momento in cui la voce di Criseide mi chiamava.
«Briseide, ti muovi?»
Con uno scatto veloce distolsi lo sguardo, facendo un passo indietro, e chiusi di colpo la finestra.


Fu quel maledetto mercoledì che rovinò tutto. Avrei dovuto capirlo subito, non appena mi ero resa conto che la sveglia non aveva suonato; avrei dovuto capirlo e continuare a dormire, fingendo un malore improvviso. Invece, da brava cretina, mi ero alzata di scatto ed ero corsa a preparami, finendo giusto tre secondi prima che Criseide suonasse con insistenza il campanello.
«Sei in ritardo» mi apostrofò non appena mi catapultai fuori dalla porta. Evitai di risponderle che di solito era lei quella sempre in ritardo e scesi velocemente le scale, mentre la sua voce mi raggiungeva alle spalle.
«Per colpa tua abbiamo poco tempo per comprare le brioche al bar!»
«Io non voglio la brioche!»
«Beh, io sì!»
«Allora vai da sola e ci vediamo in classe».
«Cosa? Guarda che io ti ho aspettato anche se eri in ritardo! Dovresti come minimo accompagnarmi!»
«Nessuno ti ha chiesto di aspettarmi!»
«Ah, è così che tratti la tua migliore amica? Scordatelo che ti faccio altri favori!»
Mi morsi la lingua per non farmi scappare un insulto. Criseide non mi faceva mai favori, eppure pretendeva che io ne facessi a lei. Se non ci fossimo conosciute da diciassette anni e non fosse stata mia cugina, l'avrei mandata al diavolo da tempo. Però purtroppo era mia cugina da diciassette anni, quindi mi accontentai di lanciarle un'occhiataccia.
«Va bene, va bene! Basta che ti muovi!»
Ma proprio perché era quel maledetto mercoledì, il bar era pieno di gente e Criseide ci mise un'era geologica per scegliere se comprare la brioche al cioccolato o alla marmellata. Ovviamente i semafori erano tutti rossi e non avevamo più tempo di fare il giro lungo, quindi la mia unica speranza era di riuscire a passare davanti all'Acaia come un razzo invisibile e, se tutto fosse andato bene, in due minuti avremmo oltrepassato i cancelli dell'Ilio e saremmo state al sicuro.
Ma, ovviamente, quel maledetto mercoledì niente sarebbe andato bene.
«Dai, Bri, ignorali» mi sussurrò Criseide, mentre camminavamo vicine, ignorando i richiami degli studenti affacciati alle finestre e riuniti in gruppetti lungo la cancellata.
Non era facile fare finta di niente, per di più con quella cretina attaccata ad un braccio, ed io non avevo mai avuto una grande pazienza.
«Sembra che non abbiano mai visto una ragazza in vita loro» borbottai di malavoglia, fulminando un gruppo che aveva sussurrato qualcosa mentre lo superavamo.
Ad essere sincera non avevo paura di venire molestata: primo, perché erano le otto di mattina ed eravamo fuori da una scuola; secondo, perché i miei cugini mi avevano insegnato a difendermi da sola. La cosa che mi preoccupava era di arrivare in ritardo o che qualcuno se la prendesse con Criseide, perché sapevo che piuttosto che rischiare di rompersi un'unghia si sarebbe fatta trascinare ovunque.
Così, quando sentii una mano stringersi intorno al mio gomito e tirarmi indietro, il mio corpo si mosse da solo e il mio piede andò ad incontrare lo stinco del ragazzo corpulento che mi ritrovai davanti. Fu una cosa del tutto automatica, lo giuro, ma per niente accidentale. Nessuno poteva credere che una ragazza non avrebbe reagito in una situazione del genere, non quando si ritrovava circondata da degli zotici incivili che non sapevano fare altro che importunare la gente.
Così come non potevo credere che quel tizio fosse contento di venire preso a calci di prima mattina.
«Ahia, cazzo!» esclamò infatti, mollandomi e piegandosi per toccare la parte che avevo colpito «Sei una stronza sclerata!»
«E tu sei un bifolco maleducato» ribattei, stringendo le labbra. La maggior parte del lessico di quelli dell'Acaia era formato da parolacce e insulti e odiavo sentirli parlare. Non che io non ne dicessi, ma almeno lo facevo quando avevo una motivazione, non tanto per dare aria alla bocca.
Criseide mi tirò per un braccio, sussurrandomi con forza «Briseide! Ti prego, andiamo via».
Avrei voluto accontentarla, davvero, ma altri ragazzi si stavano avvicinando e dalle loro espressioni non sembravano bendisposti a lasciarci scappare via.
«Chi ti credi di essere, eh?» disse divertito quello a cui avevo dato un calcio, rimettendosi dritto e facendo un passo avanti.
Per tutta risposta, passai il mio zaino a Criseide, che mi lanciò uno sguardo implorante, e mi feci avanti. Ok, obiettivamente non avevo speranza contro quel colosso, dato che era grosso il doppio di me e io indossavo una gonna, però non avevo nemmeno intenzione di scappare con la coda tra le gambe e l'aria della donzella in pericolo. Il mio orgoglio non avrebbe retto. Potevo solo cavalcare l'onda e sperare in un miracolo.
«Se vuoi fare a botte basta dirlo». Mio adorato Cervello, ti sarei grata se riuscissi a controllare quella traditrice di Bocca, grazie.
«Di solito non picchio le donne, ma se ci tieni...» disse con un luccichio sinistro negli occhi.
No, in realtà non ci tenevo per niente, quindi poteva benissimo evitare.
«Fatti sotto, ciccione!»
Perché? Perché sei così idiota, Briseide? Perché non sai tacere al momento giusto? Per tutti gli dei, sono proprio una deficiente.
La sua espressione si indurì, mentre i suoi compagni ridevano e fischiavano e io avrei voluto tanto scoppiare a piangere e scavarmi una fossa, perché di lì a qualche secondo sarei di sicuro morta.
«Questa me la paghi» sibilò lui, digrignando i denti in un'espressione talmente feroce che Criseide alle mie spalle si lasciò scappare uno squittio da topo spaventato.
Proprio quando ormai mi ero rassegnata a venire colpita e spedita al pronto soccorso con la faccia sanguinolenta, una voce tranquilla si fece sentire da un punto indistinto alle mie spalle.
Non aveva urlato, né minacciato nessuno, non era aggressiva o infuriata, aveva semplicemente detto «Ti conviene non farlo, Enio», con la stessa tonalità che avrei usato per dire a Criseide «Ti stava meglio la maglietta rossa».
Era stata la persona che aveva parlato a far gelare tutti quanti.
Con la coda dell'occhio, scorsi un movimento alla mia destra e mi voltai appena, spalancando gli occhi quando mi resi conto di chi mi stava di fianco. Era impossibile non riconoscere i suoi capelli dorati e il ghigno che gli piegava le labbra, anche per chi l'aveva sempre e solo visto da lontano. Achille era più alto di me di una ventina di centimetri, aveva un fisico asciutto, un'ombra di barba e due incredibili occhi azzurri.
«Non vorrai farmi arrabbiare».
E una voce da brivido.
Ero talmente stupita che non mi accorsi nemmeno degli studenti che si dileguavano e dei borbottii di quell'Enio che si allontanavano, rimasi soltanto a fissarlo, come se non avessi mai visto un essere umano prima d'ora. Almeno finché lui non si voltò verso di me con un mezzo sorriso beffardo e le mani infilate nelle tasche dei pantaloni, facendomi riscuotere e rendermi finalmente conto di chi avevo effettivamente davanti.
Deglutii e feci un passo indietro, mentre lui, in risposta, allargò il sorriso e ne fece uno avanti.
«Che ci fanno due bimbe dell'Ilio nel nostro territorio? Di solito non scappate dall'altra parte?» chiese ironico, continuando fastidiosamente a fissarmi.
La voce di Criseide mi ricordò che c'era anche lei e sentii la sua mano afferrarmi un braccio e tirarmi indietro «Scusate, stavamo solo passando per andare a scuola» disse con un tono un po' più acuto del normale. Nel girarmi verso di lei, mi accorsi che con noi c'era anche un altro ragazzo, che mi stava studiando con uno sguardo penetrante. Quando si rese conto che lo stavo guardando, mi sorrise in modo sincero e amichevole, e io aggrottai la fronte con sospetto: non si poteva mai sapere cosa tramavano quelli dell'Acaia.
«Vi conviene stare alla larga se non volete che qualcuno se ne approfitti» continuò Achille, facendomi di nuovo voltare verso di lui. Mantenne il mio sguardo per un paio di secondi, per poi abbassare lentamente il suo lungo tutto il mio corpo, fino alle gambe coperte solo dai collant, facendomi rabbrividire istintivamente «Non che possiate aspettarvi altro, così svestite».
Inspirai con stizza e strinsi le labbra. Sì, forse io e Criseide – come la maggior parte delle altre ragazze dell'Ilio – avevamo accorciato la gonna della divisa di qualche centimetro e forse le calze che indossavamo non erano quelle regolamentari, ma chi credeva di essere per dirci come dovevamo vestirci? Se quegli zoticoni dei suoi compagni non sapevano trattenere gli ormoni non era certo colpa nostra.
«Senti un po', tu!» cominciai, liberandomi dalla presa di Criseide con uno strattone e facendo un passo avanti. Achille alzò le sopracciglia, ma non perse l'espressione divertita. «Perché non ti fai i cazzi tuoi, eh?»
«Bri!» esalò mia cugina, terrorizzata. Perché dovevo sempre prendermela per niente? E perché non contavo mai fino ad ottocento prima di aprire la bocca? Non potevo stare zitta, no, dovevo proprio insultare Achille.
Stranamente non mi prese a pugni, ma, anzi, sembrava più divertito di prima «Vuoi litigare con me?»
Certo che no, non sono mica così idiota.
«Credi che non sappia fare a botte con un cretino?»
Sì, ero proprio un'idiota.
Lui si avvicinò fino ad arrivarmi a pochi centimetri di distanza, facendo scontrare il mio naso con la sua clavicola e io deglutii, fissandolo dal basso e cercando di mascherare il terrore che provavo.
«Vorresti fare a botte con me?» chiese con un tono più basso e roco di prima, che mi fece tremare internamente. Se credevo che la sua voce fosse da brivido prima, ora faceva sciogliere e il mio cervello non riusciva ad elaborare le informazioni, tanto che l'unica cosa che riuscii ad esalare fu uno stentato «T-ti stai dando del cretino?»
Inaspettatamente, lui si fece scappare una breve risata, lasciandomi a fissarlo come un'ebete, ed era talmente vicino che riuscivo a sentire il suo calore e ogni suo movimento. Il mio cuore batteva come un tamburo impazzito, le orecchie mi fischiavano e nella mia testa c'era solo il nulla.
Si abbassò leggermente, quel tanto che bastava per guardarmi dritto negli occhi, e il suo sorriso era talmente seducente che il mio sguardo non si staccò più dalle sue labbra. «Io tocco una donna soltanto se è nel mio letto» puntualizzò in un mormorio «ma se sei così impaziente...».
Ero troppo incantata per capire subito cosa successe in quell'istante: mi ritrovai con quelle labbra sulle mie, un dito caldo che mi teneva sollevato il mento e il cuore che rischiava di balzarmi fuori dal petto. Sussultai e la sua mano mi strinse le guance, facendomi aprire la bocca, e la sua lingua si scontrò con forza con la mia. Non ero mai stata baciata con tanta prepotenza, prima d'ora. Non ero nemmeno mai stata baciata contro la mia volontà, o da qualcuno come Achille. Era come se le forze mi avessero abbandonata: non riuscivo ad oppormi, forse per paura che un minimo movimento lo facesse infuriare. Poi, così come era iniziato, finì ed io mi ritrovai a fissarlo negli occhi, con le guance accaldate ed un'espressione di sicuro poco intelligente.
Mi portò una ciocca di capelli dietro l'orecchio, senza distogliere lo sguardo «Sarà interessante, Briseide» mi disse con un mezzo sorriso divertito, prima di oltrepassarmi e andarsene con le mani in tasca. L'altro ragazzo ci salutò gentilmente, mi lanciò un'ultima occhiata e lo seguì verso l'ingresso dell'Acaia.
Io rimasi immobile, almeno finché Criseide non mi scosse con forza per un braccio, mi spinse lo zaino tra le braccia e mi trascinò a forza verso l'Ilio, ignorando gli sguardi degli studenti dell'Acaia che avevano assistito alla scena.
L'unica cosa a cui riuscivo a pensare, mentre lei trovava mille modi diversi per dire quanto fossi nei guai, erano gli occhi e le labbra di Achille.


All'intervallo avevo finalmente realizzato appieno cosa fosse successo quella mattina e, di conseguenza, stavo provvedendo a realizzare una bambolina vudù. Non ero così stupida da credere di poter affrontare Achille di persona, quindi era meglio tentare altre soluzioni.
«Che cosa dovrebbe essere questo obbrobrio?» chiese Creusa, seduta sul banco davanti al mio.
«E' la bambolina vudù di Achille, non si vede?»
«Ti prego, queste cose lasciale a Cassandra ed Eleno» ribatté lei con una smorfia.
Buttai da un lato la bambolina – tanto lo sapevo perfettamente che non avrebbe funzionato – e appoggiai il mento sulle braccia incrociate sul banco, imbronciandomi.
Ovviamente Criseide non sapeva tenere la bocca chiusa e nel giro di mezz'ora Creusa e Andromaca erano venute a conoscenza del Fattaccio. L'unica mia fortuna era che all'orecchio di Ettore non era ancora giunto niente, altrimenti a quell'ora mi sarei ritrovata chiusa nel convento più isolato del mondo. Ettore era persino più protettivo di mio padre.
«Stronzo» sibilai con ira, stringendo i pugni «Lo odio. Lo odio, lo odio, lo odio».
Dopo il primo momento di stupore misto a terrore, l'unico sentimento che riuscivo a provare era ira. Un'ira profonda e sempre crescente. Sì, forse mi ero distratta a mangiarmelo con gli occhi, perché Achille visto da vicino era molto più bello di quello che mi ero immaginata, ma quello non lo autorizzava a ficcare la sua dannata lingua nella mia bocca. Non lo tolleravo.
«Non mi sembra ti sia dispiaciuto» commentò Criseide, limandosi le unghie.
Le lanciai un'occhiataccia «Com'è che adesso ti sei ripresa? Codarda» ribattei acidamente.
Lei mi fulminò «Ti sei incantata a fissarlo come un'oca. Ci credo che ti ha baciata: lo guardavi come se non aspettassi altro!» disse per ripicca.
Io tirai su di colpo la testa e le diedi uno spintone, facendola quasi cadere dalla sedia «Non è vero!»
Lei si rimise a sedere e ricambiò la spinta «Sì che è vero!»
Lo sapevo che era vero, ma come poteva darmi torto? Chi si aspettava che Achille fosse così bello da vicino?
Non sapendo come ribattere, esclamai «Beh, anche tu sei rimasta a fissarlo come un'oca! E non hai aperto bocca per tutto il tempo!»
Lei sorrise maliziosa «L'hai aperta già tu a sufficienza».
Prima che potessi ribattere e prenderla a schiaffi, Andromaca mi posò una mano sulla spalla «Dai, non litigate» ci pregò con quel tono di voce a cui non potevi mai dire di no e, istintivamente, mi calmai «Achille è un tipo pericoloso, ma non ho mai sentito che ha fatto del male ad una ragazza. Comunque stai attenta, Briseide, ok? E dovresti proprio dirlo ad Ettore».
«No!» esclamai spalancando gli occhi «Ci manca solo che lo venga a sapere Ettore! Non ditegli niente!»
Creusa fece schioccare la lingua «Non credo che rimarrà un segreto ancora per molto» commentò «anzi, è la carta giusta per farlo infuriare».
Con un gemito, nascosi il volto tra le braccia, cercando di soffocarmi con la stoffa del maglione.
Un'altra voce si intromise nella discussione «Tranquilla, cugina Briseide, ho chiaramente visto la tua felice storia d'amore».
Mi lasciai scappare un lamento esasperato «Ti prego, Cassandra, non provarci nemmeno» borbottai, voltando la testa nella sua direzione.
Cassandra stava in piedi vicino al mio banco con la sua solita espressione impassibile. Volevo bene a Cassandra, così come a tutti i miei cugini – eccetto Paride – ma non riuscivo proprio a sopportarla quando parlava da grande veggente.
«Cassandra, smettila» la rimproverò Creusa «lo sai perfettamente che non vedi niente. Finiscila con queste stupidaggini».
«Già!» aggiunse Criseide con aria risentita «L'ultima volta mi hai predetto che avrei trovato un bracciale per terra e invece l'unica cosa che ho trovato è stato un orrendo intreccio di fili colorati!»
Cassandra inarcò un sopracciglio scuro «Tecnicamente era un braccialetto» si giustificò, nonostante Criseide non la stesse più ascoltando.
«Nemmeno un misero brillantino! Nemmeno una catena d'argento! Niente di niente! Come veggente fai davvero schifo».
«Criseide!» esclamò Andromaca, cercando di riportare la tranquillità nella discussione, ma Cassandra non sembrava molto toccata da tutti quei rimproveri e lamentele.
Stavo ponderando di ficcare l'astuccio in bocca a Criseide per farla finalmente tacere, quando ci pensò l'arrivo di Pentesilea.
Entrò in classe come un fulmine e si diresse direttamente al mio banco, senza nascondere lo sguardo eccitato, che voleva dire una sola cosa: c'era qualche scontro interessante in piazza.
«Ehi, Bri! Non ci crederai mai!» cominciò, battendo le mani sul piano di legno a pochi centimetri dalle mie braccia «Minete ha attaccato briga con Achille! Vieni a vedere!»
No, non stava succedendo davvero. Minete non era il tipo da attaccare briga con qualcuno, anzi, non era proprio il tipo da niente. Si limitava a vagare per la scuola, parlare troppo e stressare la gente con le sue chiacchiere. Le mie amiche mi prendevano in giro perché tutta la scuola sapeva della sua cotta per me, ma io lo trovavo solo troppo appiccicoso e logorroico per poterlo stare ad ascoltare per più di tre secondi. Il fatto che fosse sceso in piazza, poi, era una novità assoluta, visto che di solito se ne teneva bene alla larga, ma il fatto che avesse disturbato proprio Achille la diceva tutta sul suo stato mentale. Uno doveva essere masochista o stanco di vivere per andare a disturbare proprio Achille.
Fosse stato per me, non mi sarei mossa dal mio posto – soprattutto perché dopo quella mattina non volevo vedere Achille nemmeno col binocolo – ma le altre erano corse dietro a Pentesilea e mi sentii praticamente costretta a seguirle fino ad una finestra libera del corridoio.
Giù nella piazzetta le cose sembravano più tranquille del solito, forse perché erano tutti incuriositi dall'idiota che aveva deciso di scontrarsi con Achille.
Ettore era in prima linea, accompagnato da Enea, e sembrava abbastanza interessato al motivo di quell'improvviso sprazzo di coraggio di Minete, che stava blaterando qualcosa a una velocità troppo elevata per poterlo comprendere. I capelli biondi di Achille attirarono il mio sguardo e dovetti mordermi la lingua per non farmi scappare tutti gli insulti che avevo pensato in quel momento.
Sentivo addosso gli sguardi di alcuni miei compagni affacciati alle altre finestre del corridoio e un brivido di freddo mi corse lungo la schiena: avevo un bruttissimo presentimento. Non era difficile per loro capire il motivo per cui Minete si trovasse lì, dato che io ero l'unico argomento di cui non si stancava mai di parlare, ma era la presenza di Achille a creare confusione.
«Scommetto che sa cosa è successo stamattina» commentò Criseide divertita «Il tuo stalker non si fa sfuggire proprio niente».
«Smettila!» le sibilai irritata. Quando mai qualcosa che mi riguardasse non era di dominio pubblico? Ero stupita che Minete non avesse ancora spifferato in giro quante volte andassi in bagno in una mattinata.
«Cos'è successo stamattina?» chiese curiosa Pentesilea, sporgendosi per potermi guardare meglio.
Ovviamente fu quella pettegola di Criseide a rispondere «Achille ha baciato Briseide».
Pentesilea spalancò gli occhi e quasi volò giù dalla finestra per la sorpresa «Cosa?»
Mentre io cercavo di farmi più piccola possibile, lei scoppiò a ridere col suo solito tatto inesistente «Davvero? Bel colpo! Achille è davvero un figo e almeno può tenerti lontano Minete».
Le lanciai un'occhiataccia «Sei scema? Non c'è proprio niente tra me e Achille, chiaro? E nemmeno ci sarà mai!»
«Sì, certo» sussurrò ironica Criseide «da come lo guardavi credo proprio che ci sarà più che qualcosa».
«La finisci con questa storia?» esclamai esasperata.
Un coro di urla e fischi richiamò la nostra attenzione e mi girai in tempo per vedere Minete seduto per terra con una mano sul naso. Enea si chinò a controllare il danno, mentre Ettore, per qualche motivo, non si era mosso di un millimetro e la cosa non mi piaceva per niente. Quindi spostai lo sguardo su Achille, che fissava la scena con un'espressione seria che non augurava nulla di buono: alzò gli occhi su Ettore e poi sull'Ilio, vagando alla ricerca di qualcosa. Fu quando trovò i miei e le sue labbra si piegarono in un sorriso divertito, che capii che le mie sventure non erano ancora terminate.
Fece un passo avanti e si voltò a fronteggiare gli studenti in piazza, dell'Ilio o dell'Acaia che fossero «Un po' di attenzione, prego» disse a voce alta, facendo scendere il silenzio in un istante e richiamando l'attenzione di tutti quelli che guardavano «Vorrei darvi un piccolo avviso per evitarvi spiacevoli incidenti» continuò perfettamente a suo agio, avvicinandosi ai cancelli dell'Ilio, in direzione della finestra a cui ero affacciata. Non riuscivo a muovermi o ad aprire bocca, nonostante Criseide continuasse a scuotermi un braccio, e quando Ettore si voltò a guardarmi sentii lo stomaco cadermi sotto i piedi: dalla sua espressione era chiaro che avesse ricevuto una notizia scioccante. E potevo anche immaginare quale fosse.
Achille alzò lo sguardo verso di me, facendomi stringere con forza il davanzale, e poi mi indicò con un dito, girandosi di nuovo verso la piazza «Quella» scandì bene, facendo voltare tutti verso di me, che avrei voluto seppellirmi per la vergogna «è la mia donna. Chi osa darle fastidio finisce male».
Potevo quasi sentire nettamente il suono della mia vita sociale che si rompeva in mille pezzi, nella confusione che sorse subito dopo. Pentesilea scoppiò a ridere, Criseide mi strinse ancora di più il braccio, Creusa imprecò, Andromaca sospirò, Ettore sembrava svenuto in piedi e Achille continuò a fissarmi, ignorando il trambusto che aveva creato.
Inspirando con stizza, gli feci un gestaccio col dito medio – che lo fece solo scoppiare a ridere – e mi allontanai velocemente.
Fantastico, la mia vita era completamente rovinata. Che giornata del cazzo.


Dopo un incontro non voluto con Ettore – che mi aveva letteralmente trascinato fuori dall'aula durante la lezione di matematica, facendo infuriare la professoressa Eris che sicuramente si sarebbe vendicata, solo per sopportare la sua ramanzina e le sue domande irritanti e ripetitive, come “Da quanto va avanti questa storia?”, “Ti ha toccata? No, non dirmelo! Non voglio saperlo!”, “Quel lurido bastardo! Giuro che lo uccido!”, “Non ti devi avvicinare”, “Ti ha ricattato?”, “Cosa ti ha fatto?”, con lo stesso tono di un padre apprensivo – avevo deciso di evitare altri spiacevoli incontri, nascondendomi in bagno fino alla chiusura della scuola. La notizia si era propagata a velocità della luce e sembrava che tutto l'Ilio sapesse cosa era successo durante l'intervallo, professori compresi – il professor Apollo aveva anche avuto il coraggio di venirmi ad augurare buona fortuna per la mia nuova storia d'amore –, e la cosa era particolarmente imbarazzante. Non volevo ricevere tutta quella attenzione e non volevo in alcun modo che il mio nome fosse collegato a quello di Achille. Il mio piano per il resto di quella giornata consisteva nel nascondermi fino a tardi e scappare a casa senza essere vista, poi avrei pensato a dove fuggire – possibilmente in un posto lontano e isolato.
Ma, purtroppo per me, avevo dimenticato di avere una cugina impicciona e dall'umorismo deviato come Criseide. Dandomi un falso senso di sicurezza, mi aveva lasciato scappare in bagno dopo la fine delle lezioni e, proprio mentre mi stavo accampando in un cubicolo, era venuta a riprendermi per trascinarmi a casa. Non c'era bisogno di dire quanto la odiassi in quel momento.
«Oh, andiamo Bri. Non puoi restare qua» mi rimproverò, tirandomi per un braccio.
Io strinsi di più la presa sullo stipite del portone d'ingresso, intenzionata a non mollarlo per nessuna ragione al mondo «Lasciami andare e fatti i cazzi tuoi! Avevo tutto sotto controllo».
«Sì, certo. Ti stavi preparando a passare il pomeriggio seduta su un gabinetto!»
«Era tutto calcolato alla perfezione!»
«Non ti permetterò di fare la stupida. Che figura ci fai? Di cosa hai paura, poi?»
Le lanciai un'occhiataccia, cercando di rinsaldare la presa nonostante le dita sudate «Devo anche dirtelo? Hai sentito cosa ha detto. Non voglio correre il rischio di vederlo di nuovo. Non voglio vederlo mai più!»
Criseide alzò gli occhi al cielo «E' impossibile. Prima affronti questa cosa, meglio è. Veloce come strappare un cerotto»,
«Taci! Tu sei l'ultima che può venirmelo a dire! Sei tu quella che stacca i cerotti millimetro per millimetro, cosa vuoi saperne?»
«Era una metafora» sbuffò esasperata e, tirandomi con più forza, riuscì a strapparmi dalla porta. «Adesso smettila di fare la bambina. Non sei al centro del mondo, sai?»
Spalancai la bocca oltraggiata e scrollai il braccio, cominciando a camminare normalmente «Senti chi parla! Sei tu quella egocentrica!» la accusai con stizza, aumentando il passo e lasciandola indietro.
Lei mi raggiunse con espressione offesa «Scusa? Egocentrica a chi?»
«A te, ovviamente».
«Non sono egocentrica!» esclamò mentre superavamo il cancello «Sono solo più interessante del resto della gente»,
«Ti senti quando parli?» chiesi ironica, incrociando le braccia.
«Sei solo arrabbiata perché ho ragione io» disse con aria di superiorità.
«Sono arrabbiata perché mi hai rotto le uova nel paniere!» ribattei, mentre lei continuava a blaterare per fatti suoi. Sì, forse un po' di ragione ce l'aveva e mi stavo davvero comportando come una bambina, ma non l'avrei mai ammesso. Era così sbagliato cercare di evitare le cose spiacevoli? Tutti cercavano di essere felici e la mia felicità non era compatibile con la presenza di Achille.
Criseide non mi rispose e facemmo ancora qualche metro in silenzio. Ma poi sentii un braccio posarsi sulle mie spalle e la voce da brivido di Achille mormorarmi all'orecchio un «Ciao, Briseide», che mi fece sussultare e scappare un gridolino, facendo voltare mia cugina che piombò in un silenzio innaturale.
«Sei contenta di vedermi?» la sua domanda divertita mi fece riprendere all'istante e lo spintonai con il gomito, cercando di allontanarlo il più possibile, ma lui non mollò la presa.
«Crepa, dannato imbecille!» Perché il mio cervello decideva di andare in vacanza sempre nei momenti meno opportuni?
La sua mano mi strinse il mento, costringendomi a girare la testa verso di lui. Il suo volto era più vicino di quello che mi aspettavo e le screziature blu dei suoi occhi catturarono per un istante la mia attenzione.
«Non è molto carino da parte tua insultarmi» mi disse con una luce dura nello sguardo, che mi fece rabbrividire. In quel momento avevo un po' di paura, perché sapevo che se Achille aveva intenzione di farmi qualcosa nessuno si sarebbe fermato ad aiutarmi ed Ettore era corso alla scuola elementare a prendere Polissena, che oggi usciva prima, e l'unica che avrebbe potuto aiutarmi era Criseide, quindi ero praticamente già fregata.
Ma una voce maschile e sconosciuta lo chiamò e quello bastò perché il suo sguardo si ammorbidisse e la sua mano mi lasciasse andare il mento, facendomi sospirare di sollievo.
Guardai alle mie spalle per vedere chi era stato a parlare ed incontrai gli occhi castani del ragazzo di quella mattina.
«Sempre a fare il guastafeste» gli borbottò Achille, guardandolo storto, ma persino io potevo vedere che non era arrabbiato sul serio. Quando Achille era davvero arrabbiato era facile da capire, tanto che persino la gente del quartiere stava alla larga dall'Acaia.
Il ragazzo sorrise sia a me sia a Criseide, che ancora non aveva aperto bocca «Scusate se vi abbiamo spaventato. Io sono Patroclo» si presentò, allungando una mano nella mia direzione. Io ero talmente stupita che non potei fare altro che stringergliela e mormorare «Briseide», mentre mia cugina faceva lo stesso con una voce intimidita che non era proprio da lei. Poi calò il silenzio.
Quando Achille si mosse leggermente al mio fianco, mi ricordai della posizione in cui eravamo e della situazione in cui mi aveva cacciato.
«Ehi!» esclamai, scansandomi velocemente e facendo due passi indietro «Non credere di potermi distrarre!»
Lui alzò le sopracciglia e infilò le mani in tasca «Di cosa stai parlando?»
Posai le mani sui fianchi, inspirando con stizza «Cos'era quella scena di stamattina, eh? La tua donna? Da quando? Non ti conosco neanche, idiota! Non provare più ad avvicinarti e lasciami stare!» Ero proprio fiera di me: ero riuscita a dire ad Achille quello che pensavo, senza balbettare o scappare via a gambe levate. Certo, non sapevo quanto sarei ancora vissuta, ma almeno non sarei morta da codarda.
«Sei interessante» mi rispose con un sorriso appena accennato, avvicinandosi «e mi piacciono le ragazze interessanti».
Cercai di calmare i battiti del mio cuore, che stavano iniziando ad aumentare il ritmo, e deglutii, racimolando tutto il coraggio che mi era rimasto «Sì, beh, a me non piaci tu!». Potevo sentire le guance riscaldarsi e, guardando l'espressione divertita sul viso di Achille, seppi per certo di essere arrossita. Grande, proprio quello che ci voleva per venire presa sul serio.
«E allora?»
Spalancai la bocca, presa alla sprovvista. E allora? «Allora non mi piaci! Cercati qualcun'altra da tormentare!». Al diavolo l'imbarazzo, quella situazione iniziava a farmi saltare i nervi.
«Impossibile, ormai ho scelto te» disse e accorciò la distanza rimasta, chinandosi su di me e stampandomi velocemente un bacio sulle labbra. Si allontanò e mi scostò i capelli dalla spalla, senza staccare gli occhi dai miei e io rimasi in silenzio, perché non sapevo proprio cosa dire e perché forse mi ero un po' incantata.
«Ci vediamo» salutò con la solita aria divertita e si incamminò nella direzione opposta alla nostra, senza guardarsi indietro.
Patroclo ci sorrise «E' stato un piacere conoscervi. Ciao» salutò allegramente, prima di voltarsi e raggiungere facilmente Achille.
Criseide mi scosse con insistenza un braccio, ma l'unica cosa che riuscì ad esalare fu un «Non ci credo», che non mi aiutò per niente. Mi voltai e ripresi a camminare velocemente, cercando di dimenticare le sensazione provate ad averlo avuto così vicino. Ero arrabbiata, certo, e stavo iniziando ad odiare seriamente Achille, ma non potevo negare che avesse uno strano effetto su di me, qualcosa che non avevo mai provato e che avrei preferito continuare a non provare mai.
Mi massaggiai il petto con una smorfia: non mi piaceva che il mio cuore battesse così veloce. Non mi piaceva per niente.






EDIT: Come avete notato, anche questo primo capitolo non cambia molto rispetto all'originale. In queste note volevo solo aggiungere dei chiarimenti su personaggi che magari si conoscono meno rispetto ai principali. Nello specifico: Minete nel mito è il marito di Briseide, prima che lui venga ucciso da Achille e lei diventi bottino di guerra; Enio invece è un soldato troiano che viene ucciso da Achille (la scelta è ricaduta su di lui senza un motivo preciso, era semplicemente uno con un nome poco complicato).
Spero che le poche aggiunte fatte vi siano piaciute.

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Capitolo 3
*** Canto II: Di come la Fortuna non gira mai dalla tua parte ***



Canto II
Di come la Fortuna non gira mai dalla tua parte

 

 

Prima di mettere gli occhi su Elena, quell'imbecille di Paride stava insieme ad un'altra ragazza, che – chissà per quale impensabile motivo – era innamorata persa di lui: Enone. Si dava il caso che Enone fosse anche una delle mie più care amiche, quindi la mia antipatia per Paride era raddoppiata da quando l'aveva mollata per Elena, senza nemmeno darle una spiegazione degna di tutto il tempo che aveva perso dietro a lui. Paride non aveva mai amato Enone quanto lei amava lui e quella era una cosa che non avevo mai sopportato. Da quando aveva cominciato la storia con Elena, Enone aveva fatto finta di niente e aveva continuato a comportarsi come se niente fosse, nonostante i suoi occhi si inumidissero ancora ogni volta che si posavano sulla coppia più idiota dell'anno.
Quel giovedì ero andata a trovarla all'intervallo e l'avevo trascinata in un corridoio dell'ultimo piano dove non passava mai nessuno, per evitare tutti gli sguardi che venivano lanciati nella mia direzione. Enone stava sfogliando distrattamente una rivista e io la osservavo mangiando qualche patatina.

Lei alzò per un attimo gli occhi verdi su di me e chiese «Perché mi guardi così?»
Scrollai le spalle «Volevo sapere come stai».
Ci fu un attimo di silenzio prima che si decidesse a rispondere «Bene».
Non volevo rigirare il coltello nella piaga, ma era chiaro che Enone non stava bene da almeno tre mesi a quella parte.
«Sul serio, non mi importa più niente di- di lui...»
«Allora perché continui a non chiamarlo per nome?»
Lei sospirò e chiuse la rivista «Senti, è inutile parlarne. Ormai mi è passata. Se non ha voluto continuare la nostra relazione, non posso certo obbligarlo».
«No, ma avresti potuto prenderlo a pugni!» esclamai, passandole la busta di patatine «Non l'hai nemmeno mandato a quel paese! Se fossi stata al tuo posto l'avrei riempito di lividi».
Enone sorrise e mi diede una leggera gomitata «Non sono violenta come te».
«Se lo meritava» borbottai, abbracciandomi le ginocchia e posandoci il mento sopra. «In ogni caso, dovresti trovarti un nuovo ragazzo. Possibilmente più sopportabile di quel cretino di Paride – non che ci voglia poi molto».
«Ancora non capisco perché lo odi così tanto: è tuo cugino».
Alzai di scatto la testa e mi voltai a guardarla «Sai quante volte mi ha tirato i capelli, da piccoli? Mi spingeva e mi rubava i giocattoli. E mi rubava anche la merenda! Non hai idea di cosa ho dovuto passare!»
«Sì, ma adesso nemmeno vi parlate».
«Solo perché un bel giorno ho perso la pazienza e gli ho rotto il naso. E solo perché Ettore e Deifobo me l'hanno insegnato».
Enone trattenne una risata e io mi sentii subito meglio, nonostante avessi appena rivissuto quei brutti momenti della mia infanzia. Se non altro ero riuscita a farla ridere e a farle dimenticare per un istante la sua storia con Paride.
«Tu hai proprio bisogno di qualcuno che ti dia una calmata, senza che tu riesca a mandarlo al pronto soccorso» disse divertita, mentre io sbuffavo. Poi la sua voce assunse una tonalità maliziosa «A proposito, ho sentito la novità. Da quanto tempo-».
La interruppi ancora prima che terminasse la frase, perché sapevo con esattezza dove voleva andare a parare ed era un argomento che proprio non volevo affrontare «Non osare continuare» la avvisai minacciosamente.
«Andiamo, tu e Achi-».
«Enone, ti avverto!»
«Ma sembra così assurdo. Non sapevo nemmeno lo conoscessi».
«Infatti non lo conosco! Ti sembra assurdo perché è assurdo. Scommetto che è tutta una tattica per fare infuriare Ettore, cosa che è funzionata alla perfezione tra l'altro».
Enone alzò le sopracciglia «Ma che io sappia non si sono ancora affrontati, no?»
«E' successo solo ieri».
«Sarà, ma secondo me stareste bene insieme».
«Non dire cazzate! E poi nemmeno lo conosci».
«Puoi sempre presentarmelo».
«Scordatelo. Più stiamo lontani, meglio è» incrociai le braccia ed Enone capì che non avevo intenzione di prolungare il discorso, così calò il silenzio.
«Hai da fare oggi pomeriggio?» chiese lei dopo qualche secondo «Volevo fare un giro in centro».
«Ho promesso a Criseide che l'avrei accompagnata nella nuova pasticceria in piazza. Vieni anche tu?»
Enone annuì, poi mi sorrise maliziosa «Ma sei sicura che il tuo ragazzo non abbia altri progetti?»
Sussultai e mi strozzai con la mia stessa saliva «Il- il mio ragazzo?» chiesi tra i colpi di tosse, mentre la campanella suonava «Quello lì non è il mio ragazzo!»
Enone si alzò in piedi «Forse per te no» disse divertita.
Io la imitai e mi scrollai la gonna «Non lo è per nessuno!»
Ma lei non disse niente e mi spinse soltanto verso le scale.


Quando arrivai in classe, dopo aver salutato Enone davanti alla sua, e vidi Glauco dietro alla cattedra, mi ricordai improvvisamente che in quell'ora ci sarebbe stata l'assemblea e non potei fare a meno di lasciarmi scappare un lamento. Non amavo le lezioni, ma in quel momento sarebbero state meglio, almeno avrei potuto fingere di stare attenta e non avrei dovuto parlare con nessuno.
Mi sedetti al mio posto, vicino a Criseide, che si limitò a lanciarmi uno sguardo mentre continuava a limarsi le unghie. Pentesilea entrò per ultima, lasciando sbattere la porta dietro di sé e guadagnandosi un'occhiataccia da Glauco.
«Bene, ora che ci siamo tutti possiamo cominciare» disse, richiamando l'attenzione, mentre Iliona seduta accanto a lui metteva in ordine i fogli che aveva davanti. Iliona era una ragazza tranquilla, che non amava molto mettersi in mostra, ma il suo senso di responsabilità l'aveva fatta partecipare alle elezioni dei rappresentati di classe e, visto che i nominativi erano solo il suo e quello di Glauco, alla fine entrambi erano stati scelti.
«Per prima cosa, dobbiamo discutere di un nuovo evento che il Preside ha pubblicato solo oggi» cominciò Glauco, alzando un foglio verso di noi. «Si tratta di un torneo sportivo interscolastico tra noi e l'Acaia». Dopo le sue parole calò il silenzio per un istante, prima che tutta la classe scoppiasse in un frastuono.
«Cosa?»
«Che cazzata è?»
«Chi l'ha deciso?»
«Siamo matti?»
«Abbasso l'Acaia!»
Mi tappai le orecchie, mentre altre esclamazioni del genere si facevano sentire. Per tutti gli dei, da dove se n'era uscito zio Priamo con quella abnorme cavolata? Cosa aveva bevuto per dire di sì?
Glauco sbatte più volte le mani sulla cattedra, facendo tornare con difficoltà il silenzio «So che non vi piace come idea, non piace a nessuno, ma è obbligatorio partecipare. Qui dice che è per fare conoscenza con la scuola con cui ci fonderemo, ma chi se ne frega? Pensate soltanto che è un modo per prendere a calci in culo quelli dell'Acaia e fargli vedere chi è davvero il più forte!» alle sue parole un boato di assensi mi assordò e non potei fare altro che sbuffare esasperata, soprattutto quando Pentesilea si mise a saltare sul banco. Come era facile far cambiare idea a quella classe, talmente facile che risultava patetico.
Mentre Glauco richiamava nuovamente all'ordine, Iliona appuntava qualcosa su un foglio bianco «Ok, ora fate silenzio! Come ho già detto la partecipazione è obbligatoria per tutti, quindi ognuno di voi dovrà fare qualcosa. Il torneo sarà venerdì prossimo ed è di atletica. Ognuno di voi dovrà fare almeno una cosa, quindi scegliete voi».
Da lì sorse la confusione più totale. Uno pensava che, essendo una scuola rinomata, l'Ilio fosse piena di studenti tranquilli e responsabili, ma a vederli in quei momenti sembravano solo degli animali. Erano in situazioni come queste che mi chiedevo se ci fossero davvero grandi differenze con l'Acaia, a parte quelle esteriori.
Mi voltai verso Criseide «Tu cosa hai intenzione di fare?» le chiesi curiosa.
«Qualcosa che non mi faccia rompere le unghie». Sapevo che avrebbe risposto così.
«Allora puoi fare le gare di corsa».
«Ma non sono molto veloce. Dovresti farle tu».
Feci una smorfia «Non voglio. Credo mi darò malata».
«Cosa?» esclamò Glauco, facendomi sussultare e chiedermi come diavolo avesse fatto a sentirmi «Ho detto che devono partecipare tutti! E tu ci servi!» Mi ero dimenticata di quanto fosse un fanatico dello sport.
«Ma non ho voglia» mi lamentai come una bambina. Non avevo alcuna intenzione di partecipare ad un evento insieme all'Acaia, non quando il rischio di incontrare l'Innominabile aumentava così drasticamente. Avevo intenzione di evitarlo il più possibile, almeno finché non fossi riuscita a trasferirmi ben lontano da lì.
«Non fare l'egoista!» si intromise Pentesilea «Sei tra i più veloci della classe, quindi vedi di darci una mano! Oh, Glauco, mettila in tutte le gare di corsa!»
«Cosa? Sono tutte gare di corsa, deficiente!» esclamai balzando in piedi «E tu non ascoltarla!» dissi rivolta a Glauco, che però stava dicendo ad Iliona cosa scrivere.
«Ci sono anche altre cose e smettila di lamentarti!» continuò Lea, dalla parte opposta della classe.
«Non potete decidere per me!»
«E tu non puoi fare l'egoista! Vogliamo vincere!» esclamò, provocando assensi da tutto il resto dei miei compagni. Razza di traditori.
Criseide mi tirò a sedere per un braccio e io mi voltai a guardarla, sperando che almeno lei stesse dalla mia parte, ma nel momento in cui mi resi conto della sua espressione dissi addio ad ogni speranza.
«Beh, Briseide» cominciò a voce alta, facendosi sentire da tutti quanti «se non vuoi correre puoi sempre occuparti di distrarre Achille, così abbiamo qualche possibilità in più. Che ne dici?»
Le lanciai uno sguardo inorridito e le tirai contro la prima cosa che mi trovai tra le mani. Per pura fortuna, riuscì a scansare la gomma e allora la spintonai «Sei una stronza! Mai una volta che ti fai gli affari tuoi!» la insultai imbarazzata, perché tutta la classe mi guardava in silenzio e la cosa non mi piaceva.
«Non è una cattiva-».
«Taci, Glauco!» lo interruppi con le guance che iniziavano a riscaldarsi «Non se ne parla proprio!»
«Come ti infiammi subito» commentò Pentesilea con un ghigno. In risposta le feci un gestaccio, che lei ricambiò, poi mi nascosi il volto tra le braccia incrociate sul banco e mi estraniai dalla discussione: tanto sembrava che ci fosse sempre qualcun altro a decidere per me.


Enone mi lanciò l'ennesima occhiata, ma non mi chiese niente e si limitò a guardare interrogativamente Criseide, che si decise a parlare.
«E' arrabbiata perché deve partecipare a tutte le gare di corsa del torneo» le spiegò, mentre camminavamo verso il centro.
L'espressione di Enone si rasserenò e io mi sentii tradita: era tutto lì il suo interessamento per me?
«Oh, credevo fosse successo qualcosa di grave».
«No, sono le solite scenate da permalosa».
«Guardate che sono ancora qua» le interruppi irritata «e ci sento benissimo».
«Quante storie» ribatté Criseide.
Le lanciai un'occhiataccia «Solo perché tu non farai niente-».
«Sono la manager della classe!»
«Te lo sei inventato solo per non fare fatica. Non esiste come ruolo».
Criseide mi ignorò e si rivolse verso Enone «Tu cosa farai?»
«Non abbiamo ancora deciso, ma credo che mi metteranno nella corsa a ostacoli» le sue spalle si abbassarono di colpo «Non sono brava nelle corse, scommetto che inciamperò di sicuro».
Dimenticai all'istante le mie preoccupazioni e le strinsi un braccio «Dai, tranquilla, scommetto invece che sarai bravissima!» cercai di rincuorarla.
«Non è vero. Sai quanto sono goffa: inciampo anche mentre cammino!»
Criseide si intromise con le sue rassicurazioni inefficaci «Tranquilla, tu hai proprio l'aria da damigella in pericolo e i ragazzi l'adorano, vedrai che se inciampi farai un sacco di conquiste».
Enone sembrò più disperata di prima «Non è che così mi aiuti».
Io alzai gli occhi al cielo, mentre Criseide mi superava velocemente per raggiungere la pasticceria.
«Eccoci! Ah, guardate qui!» si attaccò alla vetrina quasi sbavando, per poter vedere più da vicino i dolci in esposizione.
«Dai, entriamo!» esclamò Enone, con più entusiasmo di quanto ne aveva mostrato in tutta la giornata. Era proprio vero che i dolci facevano miracoli.
Purtroppo, però, Enone era davvero goffa, e anche un po' sfigata, e proprio mentre si stava avvicinando alla porta, quella si spalancò e la colpì in faccia, facendoci sussultare.
Lei arretrò, tenendosi una mano sul naso, e io le andai vicino per controllare il danno, sperando che non fosse niente di grave.
«Oh cazzo, scusa!» esclamò una voce maschile davanti a noi.
Alzai lo sguardo incontrando quello chiaro di un ragazzo dall'aria vagamente famigliare, che guardava Enone con un'espressione colpevole e un po' preoccupata. Dietro di lui un altro ragazzo dai capelli corvini osservava la scena divertito e anche lui mi sembrava vagamente famigliare, ma non mi soffermai troppo su di loro, perché in quel momento Enone riuscì a biascicare qualcosa.
«No, va tutto bene».
«Fa' vedere» la esortai, cercando di scostarle le mani.
I suoi occhi verdi erano lucidi di lacrime e il suo naso era un po' rosso, ma per fortuna non sanguinava «E' solo un po' rosso, possiamo chiedere se hanno del ghiaccio» la rassicurai con un sorriso. Lei annuì mordendosi un labbro.
«Scusa, mi dispiace un sacco!» disse ancora quel ragazzo.
Lei fece un sorriso stentato e agitò una mano «No, tranquillo, non è niente. Dovevo stare più attenta».
In quel momento Criseide scoppiò a ridere «Ah ah ah, avete visto? L'ha presa in pieno! Accidenti Enna, è meglio se non ti muovi più!»
Come sempre Criseide aveva poco tatto, però la scena era stata talmente comica che persino ad Enone scappò un sorriso.
«Mi dispiace davvero!» ripeté il ragazzo, passandosi nervosamente una mano sulla nuca.
Quella volta Enone sorrise più spontaneamente «Non è niente, mi è già passato».
«Scusa ancora».
Lei agitò una mano e lui si spostò dall'ingresso, ma mentre stava per andarsene il suo amico parlò.
«Tu sei Briseide, vero?» chiese e solo in quel momento mi accorsi che mi stava osservando attentamente, con un lieve sorriso divertito.
Io aggrottai la fronte e annuii piano. Il suo sorriso si allargò e l'altro ragazzo mi fissò sorpreso, bloccandosi a metà dell'ennesima scusa.
«Piacere di conoscerti, io sono Ulisse» si presentò allungando la mano «e lui è Diomede».
Gliela strinsi titubante, salvo poi ritrarla velocemente, non appena mi ricordai dove avevo sentito quei nomi.
«Siete dell'Acaia!» li accusai. Più che vederli nelle risse, ne avevo sentito parlare: Diomede era uno che non si tirava mai indietro e affrontava chiunque, invece Ulisse faceva paura perché sapeva usare il cervello – a differenza della maggior parte di quei deficienti – e sapeva perfettamente come evitare le risse e vincere ugualmente.
«Quanto astio» commentò Ulisse «guarda che il prossimo anno potremmo finire addirittura in classe insieme».
Non riuscii a trattenere una smorfia al solo pensiero, la mia ultima speranza era sempre che zio Priamo si rendesse conto della cavolata che stava facendo e fermasse tutto.
«Ma sei davvero tu Briseide?» chiese Diomede, studiandomi attentamente «Ti credevo più- non so- un po' più-» mosse le mani davanti al petto e io capii immediatamente cosa volesse dire. Scusa se riempo a malapena una seconda, schifoso maiale.
Inspirai con stizza e gli mollai un calcio nello stinco, che lo fece strillare per la sorpresa e tirare su la gamba, lanciandomi uno sguardo tradito.
«Bada a quello che dici, imbecille» sibilai infuriata.
Ulisse scoppiò a ridere e gli batté una mano sulla spalla «Hai capito adesso?» chiese. Diomede annuì con una smorfia e Ulisse si rivolse di nuovo a noi «Beh, è stato un piacere, ma ora dobbiamo proprio andare. Comunque è tutto squisito» disse accennando al negozio alle sue spalle. Poi lui e Diomede ci salutarono e si allontanarono e con mia soddisfazione quel maiale zoppicava un pochino.
«Brava Bri, forse ci hai fatto fuori un avversario» commentò Criseide.
«Poverino. Potevi evitare di fargli male, non ti ha fatto niente» disse Enone guardandomi con disapprovazione.
«Stava parlando delle mie tette» mi giustificai, aprendo la porta del negozio ed entrando.
«Non ha detto niente» ribatté lei, seguendomi con Criseide.
«Lo stava facendo. E poi quei gesti dicevano già tutto».
Criseide mi superò andando direttamente al bancone per vedere tutto il bendidio in esposizione «Sai cosa vuol dire?» mi chiese con un ghigno «Che Achille gli ha parlato di te».
La guardai indignata «Cazzate. Non vuol dire niente».
Lei inarcò le sopracciglia e tornò a fissare i dolci «Certo, se ne sei convinta».
«Assolutamente».
Enone mi afferrò per un braccio, cercando di calmarmi «Però non sono così antipatici come pensavo» disse allegramente, ormai dimentica del dolore al naso.
Le lanciai un'occhiata di compatimento, ma non dissi niente, ben decisa a non rovinare le sue illusioni. Che ingenua.


Il giorno del torneo era arrivato più in fretta del previsto: quella settimana era davvero volata e per mia fortuna non avevo avuto più contatti di alcun genere con l'Acaia. Ettore non era più arrabbiato con me e, finché non si nominava l'Innominabile, era tranquillo come sempre; Criseide non mi aveva fatto impazzire e Glauco non mi aveva asfissiato con gli allenamenti. Aveva tentato di chiedermelo, certo, ma erano bastate un paio di minacce per farlo scappare dalla parte opposta.
In realtà, fino all'ultimo, non ero sicura di uscire di casa quel venerdì, ma quell'impicciona di Criseide era venuta a prendermi con tutto il parentado ed Ettore non avrebbe mai accettato un “non ho voglia” come risposta, così ero stata costretta a mettermi le scarpe da ginnastica e a prepararmi a correre in quella bellissima e nebbiosa giornata di metà novembre. Fantastico, ero proprio estasiata al pensiero di correre su un campo mezzo bagnato davanti a tutta l'Acaia.
La cosa peggiore era che la storia della fusione sembrava prendere velocità come un treno espresso e la prima prova l'avevamo avuta nel venire a scuola quel lunedì, trovando i cancelli tra i due edifici scomparsi misteriosamente nel fine settimana, cosa che aveva provocato un trauma un po' per tutti, almeno fino all'intervallo, quando le risse si erano spostate dalla piazzetta al nuovo spazio nel cortile. La situazione era poi degenerata ulteriormente e più volte qualche studente dell'Acaia aveva fatto irruzione nell'Ilio: non erano mai andati oltre l'atrio d'ingresso, ma quello aveva scatenato ancora più astio e aveva istigato gli studenti dell'Ilio a fare lo stesso nell'Acaia. Il risultato era stato un caos totale, ma io me ne stavo tranquilla nella mia classe al secondo piano e tutto quello non mi toccava nemmeno di striscio.
L'unica cosa che mi toccava, in quel momento, era di sopportare quell'insulso evento sportivo.
«Ragazzi, ho fatto le fasce per tutti!» esclamò Criseide alla nostra classe, riunita in gruppo sui primi gradoni degli spalti. Tirò fuori da un sacchetto di plastica alcune strisce di stoffa rossa e le agitò per aria come se fossero un grande trofeo, ma in realtà sembravano tagliate da un imbranato.
«Perché la mia è storta?» chiese Pentesilea, seduta di fianco a me.
Io le tirai una lieve gomitata «Non farti domande: è meglio» a meno che non avesse voluto affrontare l'ira di Criseide.
Per fortuna mia cugina non aveva sentito e stava continuando a distribuire quelle schifezze. La sua l'aveva già legata sulla fronte e avrei scommesso qualsiasi cosa che avesse scelto il rosso solo perché le donava. Per conto mio, non avevo intenzione di mettermi quella cosa ridicola così la tenni in mano, ma Criseide se ne accorse e mi fulminò con lo sguardo, costringendomi a legarmela velocemente come tutti gli altri. Quando voleva sapeva mettere una paura assurda.
«Ok, ragazzi» disse Glauco alzandosi dal suo posto «facciamo del nostro meglio e nessuno ci batterà!»
I miei compagni esplosero in un boato, facendomi stringere nelle spalle e facendo voltare verso di noi gli studenti seduti lì vicino. Perché ero finita in una classe così competitiva? Non potevo stare in quella di Enone? Mi sarebbe andata bene persino quella di quel cretino di Paride. Invece ero intrappolata con Criseide, Pentesilea e Glauco, l'accostamento peggiore che potesse capitare.
Guardandomi attorno vidi che anche tutte le altre classi erano sul piede di guerra. Le gradinate erano divise praticamente in due, con l'Ilio da una parte, l'Acaia dall'altra e i professori nel centro, che sembravano gli unici contenti di quella trovata.
La classe di Ettore ed Enea era abbastanza centrale, vicino a quella di Creusa e Andromaca, che mi sorrise e mi salutò con una mano quando i nostri sguardi si incrociarono; non riuscii a vedere né Cassandra né Eleno, ma non mi sfuggì la chioma arruffata di quel cretino di Paride, che se ne stava tutto appolpato ad Elena, tanto che mi stupii di non vederli stesi lì a fornicare. Non vedevo molto bene dalla nostra posizione laterale, ma riuscii persino ad intravedere qualche volto noto dell'Acaia, come quello di Agamennone, in una posizione simile a quella di Ettore, e più giù, sul primo gradino, era seduto Ulisse, con un braccio posato sulle spalle di una ragazza. Davanti a lui, appoggiati alla ringhiera, c'erano Diomede e Patroclo, poi Diomede si andò a sedere e Patroclo si spostò appena, lasciando in piena vista Achille. Lo stomaco mi si strinse ed io mi ritrovai a fissarlo senza volerlo, dopo più di una settimana. I suoi capelli erano biondissimi come sempre e al debole sole di novembre sembravano lo stesso bruciare, tanto erano brillanti, ed era praticamente impossibile distogliere lo sguardo da lui. Stava parlando con i suoi amici e sembrava un ragazzo normalissimo, tanto che per un istante mi venne da chiedermi perché lo odiassi così tanto, salvo poi ricordarmi chi fosse in realtà. Quello mi fece spostare lo sguardo – nonostante i battiti del mio cuore non accennassero a calmarsi – e incontrare quello di Patroclo che mi stava fissando con la solita attenzione. Quando si accorse che lo stavo guardando mi sorrise e alzò una mano in gesto di saluto, attirando l'attenzione degli altri, compreso Achille che si voltò nella mia direzione. Non fui abbastanza veloce nel ritrarmi e i nostri sguardi si incrociarono. Mi nascosi dietro Pentesilea, ma non abbastanza velocemente per non vedere il sorriso malizioso che gli aveva piegato le labbra. Pentesilea inarcò le sopracciglia, però non commentò ed io mi concentrai sulla voce di Criseide che blaterava di stoffe e colori, tanto per potermi distrarre un po'.
Per fortuna dopo pochi minuti si sentii il rumore del megafono e i due presidi più imbecilli del pianeta iniziarono i discorsi di rito, tutti incentrati sulla sportività e sull'amicizia che speravano di veder sbocciare tra le due scuole, a cui nessuno prestò attenzione; poi la professoressa Artemide iniziò a parlare delle regole e della suddivisione delle gare, mentre accanto a lei un ragazzo biondo, troppo giovane e bello per essere un professore, si limitava ad annuire con un sorriso svagato.
«E quello chi è?» sentii Criseide chiedere con voce interessata.
«Un figone assurdo» rispose Pentesilea «Se è il loro prof di educazione fisica, giuro che mi trasferisco all'Acaia».
«Non sembra un po' troppo giovane?» chiese Laodice da sopra di noi, seduta accanto a Iliona.
«Meglio così» commentò Criseide senza staccargli gli occhi di dosso «Ha anche un bel culo».
«E' un professore, quello!» esclamai con foga, guadagnandomi solo occhiate di compatimento.
«Gli occhi dove ce li hai?» mi chiese Pentesilea con una smorfia. «Chi se ne frega se è un professore!»
«Achille dovrà avere una pazienza infinita per farti capire di dargliela» aggiunse Criseide, facendomi istantaneamente arrossire. La spintonai, ma prima che potessi dirle niente, la voce di Glauco ci impose di guardare le gare delle altre classi, invece di spettegolare. Noi lo fissammo risentite, ma lo accontentammo, dato che sembrava tenerci particolarmente a quella stupidata.
Come previsto fu una palla assurda. I ragazzini dei primi anni si impegnavano davvero e facevano del loro meglio, ma la vera sfida sembrava avvenire sugli spalti, tra chi urlava e fischiava più forte e sinceramente tremavo già al pensiero di quando sarebbe toccato a me. Un piccolo cambiamento si ebbe con le ragazze di terza, perché non appena comparve Cassandra calò un silenzio innaturale, rotto soltanto da alcuni bisbigli e mormorii. Dalle voci che giunsero fino a me, sembrava che Cassandra lanciasse malocchi, visto che aveva detto ad una ragazza di seconda di stare attenta a non inciampare e quella, dopo due minuti, si era slogata la caviglia. Il solo pensiero era assurdo, perché, per quanto Cassandra amasse il soprannaturale e tutta quella robaccia esoterica che faceva con Eleno, non ci aveva mai azzeccato. Era solo un po' strana e particolare, ma tutti alle spalle le davano della strega o della pazza, quando invece era una delle persone più carine di questo mondo. Purtroppo non eravamo ancora riusciti a scoprire chi aveva messo in giro quelle voci, anche perché la gente badava bene a non dire niente di male su di lei quando noi eravamo nelle vicinanze, ma a Cassandra sembrava non importasse.
Però, a vederla lì da sola sulla linea di partenza, con le altre ragazzine che esitavano a starle vicino, mi fece infuriare e stavo per alzarmi ad incitarla quando Creusa mi anticipò, facendo voltare tutti gli studenti verso di lei. Io non amavo stare al centro dell'attenzione, ma mi bastò scambiare uno sguardo con Criseide per decidere: ci alzammo entrambe per imitare Creusa e ben presto le voci della nostra famiglia e dei nostri amici riportarono la confusione. Cassandra ci sorrise timidamente e le sue avversarie si decisero a mettersi in fila per cominciare la gara. Neanche a dirlo, fu lei a vincere – anche perché avere dei tifosi entusiasti come quelli della nostra famiglia avrebbe fatto vincere chiunque.
Nella gara successiva partecipò Eleno, cosa che mi fece chiedere chi avesse deciso i partecipanti della loro classe. Eleno era lento, sia a correre sia in tutto quello che faceva, e farlo partecipare alle gare di velocità era una pessima scelta. Non ebbi nemmeno la forza di vederlo attraversare il traguardo per ultimo. Per fortuna, a lui quelle cose non interessavano e, un po' come Cassandra, se ne stava sempre con la testa nel suo mondo, probabilmente impegnato a comunicare con gli spiriti o i folletti.
Poi Pentesilea mi tirò in piedi e mi resi conto che era arrivato il mio turno. In realtà feci un ultimo tentativo per svignarmela, ma Glauco doveva averlo previsto e mi bloccò la via di fuga, mentre Lea mi prendeva per un braccio e mi trascinava troppo allegramente giù dagli spalti. Non avevo mai amato particolarmente fare sport, però ero sempre stata veloce e, quando mi impegnavo, riuscivo a vincere senza troppe difficoltà. Quella volta non volevo vincere, non volevo impegnarmi e soprattutto non volevo stare lì. Nonostante ci fosse un buon numero di ragazze di quarta, mi sembrava quasi che gli occhi di tutti fossero puntati su di me e quindi cercai di non guardare in direzione degli spalti, ma di concentrarmi invece sul chiacchiericcio di Pentesilea, che mi spinse verso la linea di partenza, vicino ad un gruppo di ragazze dell'Ilio che ridevano troppo.
«Forza, Bri. Per la quarta C!» esclamò con forza Lea, agitando un braccio in direzione della nostra classe. Io feci una smorfia e mi voltai dall'altra parte, incrociando lo sguardo castano della ragazza alla mia destra.
«Ciao» mi salutò cordialmente lei «io sono Penelope, dell'Acaia» si presentò allungando una mano verso di me.
Era davvero dell'Acaia? Era talmente carina e tranquilla che l'avrei scambiata per una dell'Ilio. Mi era capitato di rado di vedere ragazze dell'Acaia e sinceramente non capivo come potessero resistere in mezzo a tutti quegli incivili. L'unica ragazza dell'Acaia che conoscevo era Tecmessa, e soltanto perché prima frequentava l'Ilio.
Le strinsi la mano titubante «Briseide, dell'Ilio».
Lei mi sorrise «So chi sei» disse a sorpresa «all'Acaia non si parla d'altro».
Spalancai gli occhi, presa alla sprovvista, e balbettai un «C-cosa?»
Penelope scoppiò a ridere e agitò una mano «Scusa, ma sei l'argomento più interessante da una settimana a questa parte. Comunque nessuno si azzarda a dire qualcosa di male, tranquilla».
Quella era una notizia che avrei preferito non ricevere. Spettegolavano su di me da una settimana? Chissà di chi era la colpa.
Strinsi le labbra e i miei occhi vagarono istintivamente sugli spalti, andando a posarsi su Achille, che mi stava guardando rimanendo appoggiato con i gomiti alla ringhiera. Senza pensare, come sempre, alzai il dito medio verso di lui, in modo che lo vedesse bene e sapesse chi fosse il destinatario. Lui nascose una risata contro la spalla e il mio odio aumentò: non sopportavo che non mi prendesse sul serio.
Penelope rise di nuovo «Sei l'unica persona che non ha preso a pugni per averlo insultato».
Incrociai le braccia, con la fronte aggrottata «Preferirei essere ignorata del tutto».
Prima che Penelope potesse rispondere, la professoressa Artemide ci richiamò all'ordine con il megafono e, dopo pochi secondi, sentimmo lo sparo di partenza. Corsi ad una velocità normale, senza impegnarmi molto, e superai il traguardo in una posizione intermedia: potevo fare di meglio, lo sapevo, e Glauco mi avrebbe di sicuro strangolato, ma ero stata costretta a partecipare nonostante non ne avessi voglia, quindi nessuno aveva il diritto di rimproverarmi.
«Hai altre gare?» mi chiese Penelope, ancora fresca come una rosa, mentre Pentesilea festeggiava il suo primo posto saltando e urlando, echeggiata dai nostri compagni.
«Ancora tutte quelle di corsa» le risposi sospettosa, domandandomi perché le interessasse tanto.
I suoi occhi brillarono di qualcosa che assomigliava in modo preoccupante al divertimento «Davvero? Anch'io ne ho ancora qualcuna: può darsi che ci vedremo più tardi». Aggrottai la fronte alle sue parole, non capendo perché volesse parlare con me, ma annuii lo stesso e lei mi sorrise «Ti consiglio di vedere la prossima gara» mi disse salutandomi con una mano, prima di voltarsi e incamminarsi verso il suo posto. Pentesilea mi trascinò verso le scale opposte per tornare dai nostri compagni e, per fortuna, Glauco era troppo impegnato a prepararsi per la sua gara per farmi la ramanzina, così mi sedetti accanto a Criseide e cercai di distrarmi con le sue chiacchiere. Ma fu quando abbassai lo sguardo sulla pista che capii perché Penelope mi avesse dato quel consiglio: tra i ragazzi di quarta, in prima linea accanto a Diomede, c'era Achille. Avrei voluto fare finta di niente e guardare da un'altra parte per i minuti successivi, ma laggiù c'erano anche i miei compagni di classe ed io ero tenuta a fare il tifo. E perché Achille sembrava brillare. Forse erano i suoi capelli biondissimi, o il fatto che tutti sembravano cercare di stargli il più lontano possibile, o il modo in cui si muoveva, ma mi era impossibile distogliere lo sguardo. E quando lui alzò gli occhi sugli spalti, incontrando i miei, le sue labbra si piegarono in un sorriso e dal battito sfrenato del mio cuore seppi di essere fregata. Perché, per quanto non sopportassi Achille, per quanto odiassi il suo non prendermi mai sul serio, lui era bello da mozzare il fiato e ogni volta mi affascinava sempre di più, senza che io potessi farci niente. C'era qualcosa in lui che non riuscivo ad odiare, qualcosa che mi faceva mettere in dubbio le mie certezze e mi lasciava troppo vulnerabile.
Quando si sentì lo sparo di inizio, lui scattò in avanti, staccando tutti in un istante. Era come un fulmine: improvviso, inaspettato e accecante. E mi era davvero impossibile guardare da un'altra parte. Arrivò al traguardo in pochi istanti, senza sembrare nemmeno affaticato, e mentre gli altri lo raggiungevano lui alzò lo sguardo verso di me. Non avevo bisogno di vederlo per sapere cosa avrebbe fatto, non avevo bisogno di vederlo avvicinarsi alla nostra parte di spalti e salirli come se niente fosse, come se nessuno lo stesse guardando, come se non si trovasse in mezzo all'intera Ilio. Non avevo bisogno di vederlo perché sapevo già che l'avrebbe fatto, dal momento in cui mi aveva guardato prima della gara.
Me lo ritrovai accovacciato davanti con le braccia posate sulle mie ginocchia, mentre i miei compagni di classe bisbigliavano tra di loro senza staccarci gli occhi di dosso.
«Piaciuto lo spettacolo?» mi chiese divertito, guardandomi dal basso.
Io deglutii e cercai di stare il più immobile possibile «E' facile vincere quando gli altri sono più lenti di te» gli risposi, tenendo un tono di voce basso per evitare che la nostra conversazione diventasse più pubblica di quanto già non fosse.
Lui mi osservò con attenzione, facendomi muovere appena sul posto, poi ghignò «Io vinco sempre» disse con voce bassa e riuscii a sentire l'aria che inspirò di colpo Criseide, seduta accanto a me. Fin da quando l'avevo sentito parlare per la prima volta, la sua voce mi aveva dato i brividi, ma quel tono più basso del normale, appena un po' roco, avrebbe fatto scogliere chiunque.
«Di-dicono tutti così» balbettai, cercando di riprendermi. Dovevo ricordarmi che quello era Achille, quell'insolente, odioso ed egoista di Achille.
«Non ci credi?»
Certo che ci credevo, bastava guardarlo, era ovvio che avrebbe sempre ottenuto quello che voleva, ma non potevo certo dargli ragione «Dovrei?»
Lui abbassò la testa, appoggiando il mento su un braccio e continuando a fissarmi «Sì» rispose e riuscii a percepire il suo fiato caldo sulla gamba. Le mie guance arrossirono e io cercai di spostarmi indietro, ma lui sorrise divertito e si rimise diritto per avvicinarsi il più possibile al mio volto «Facciamo una scommessa, ti va?» propose con lo stesso tono di voce.
«Che scommessa?» gli chiesi sospettosa.
Ghignò e la luce che gli brillò negli occhi non mi piacque per niente «Se arrivo primo a tutte le gare a cui sono iscritto, tu ti trasferisci all'Acaia».
Ci misi qualche secondo a comprendere le sue parole, perché i suoi occhi azzurri e il suo fiato caldo mi distraevano più di quello che avrei creduto. Ma quando capii, lo guardai inorridita «Scordatelo!» esclamai senza fiato «Sei impazzito?»
Allungò una mano per afferrami la coda di cavallo che si era andata a posare sulla mia spalla e osservò per un istante i miei capelli scorrergli tra le dita, poi puntò lo sguardo nel mio e fece il suo solito sorriso divertito «Se perdo anche solo una gara, ti lascerò in pace» disse inaspettatamente «Ci stai?» dalla sua espressione era sicuro che avrei accettato. Se avesse vinto lui, i termini della scommessa sarebbero stati terribili da sopportare; ma se avessi vinto io, mi sarei liberata di lui. Quante possibilità c'erano che vincesse tutte le gare? Era veloce, certo, ma poteva succedere qualsiasi cosa nel frattempo e non mi sarebbe mai ricapitata un'occasione d'oro come quella. E se la fortuna fosse stata dalla mia parte, quella settimana sarebbe stata solo un brutto sogno.
Così non potei fare a meno di accettare «Ci sto».
Lui sorrise compiaciuto, poi a sorpresa mi tirò giù per la coda e mi baciò. Non fu come la prima volta, non fu violento, né prepotente e nemmeno del tutto inaspettato: come sapevo che mi avrebbe raggiunto sugli spalti, così sapevo che mi avrebbe baciato, era l'istinto a dirmelo. E perché non aveva fatto altro dalla prima volta che ci eravamo parlati. Durò poco e lui si rialzò subito dopo, lasciandomi a fissarlo come un idiota.
«Comincia a preparare i moduli» disse con uno strano sorriso, poi si infilò le mani in tasca e si diresse tranquillo verso l'altra estremità degli spalti, ignorando tutti gli sguardi che lo seguivano.
Io cercai di calmare i battiti del mio cuore, mentre i miei compagni alzavano di nuovo la voce e le mie amiche mi lanciavano domande su domande, senza che riuscissi a rispondere a nessuna, troppo distratta per anche solo accorgermi di Criseide che mi stringeva il braccio, scuotendomi avanti e indietro. In che guaio ero andata a cacciarmi?


Osservai con grande attenzione le gare successive, perché il mio futuro era in bilico sul filo di un rasoio e dipendeva unicamente dalla fortuna. Purtroppo non avevo idea di dove si trovasse Cassandra, altrimenti l'avrei arruolata per lanciare il malocchio ad Achille – o lei od Eleno.
E purtroppo Achille aveva già vinto i duecento e i quattrocento metri piani, il mezzofondo e la corsa ad ostacoli e ad ogni gara mi rendevo sempre più conto dello sbaglio enorme che avevo fatto. Perché Achille sembrava essere nato per correre e aveva vinto con facilità e con un notevole scarto ogni singola, dannatissima gara, voltandosi verso di me ogni volta, come a rinfacciarmi di essere ad un passo dalla vittoria. L'ultima gara di corsa rimasta era la staffetta e, a meno che non fosse accaduto un miracolo, il mio futuro era già segnato.
«Dai, Bri, questa volta è una gara di gruppo!» esclamò Criseide, cercando inutilmente di farmi coraggio.
«Per quanto quel figo sia veloce non può certo gareggiare da solo» commentò Pentesilea «e poi magari i suoi compagni di squadra sono lenti».
«E comunque, anche se avete fatto una scommessa, non può certo obbligarti a cambiare scuola» disse Criseide con convinzione.
Da un certo punto di vista aveva ragione, ma io gli avevo dato la mia parola e l'avrei rispettata ad ogni costo: il mio orgoglio non mi permetteva di rimangiarmi la parola data.
Glauco si alzò insieme ad Acamante e io seppi che era arrivato il momento della verità. Criseide mi strinse con forza un braccio e mi augurò buona fortuna, imitata da Iliona e Laodice, Pentesilea si alzò insieme a me e mi guidò giù dagli spalti, dietro i nostri compagni.
Mi tremavano le mani e stavo sudando dal nervosismo, cosa che si accentuò quando Glauco mi posò le mani sulle spalle e mi fissò con aria seria «Briseide, tu sarai l'ultima». Sapevo cosa volesse dire: come ultimo corridore c'era sempre il più veloce e se Glauco aveva messo me al posto di Pentesilea era perché sapeva che quella volta avrei dato il mio cento per cento. Per non far vincere Achille avrei corso come non avevo mai fatto prima. Ci andammo a posizionare nella zona di scambio del nostro tratto e non avevo nemmeno bisogno di guardarmi attorno per sapere che era lo stesso tratto che avrebbe corso lui. Alla fine la mia unica possibilità di vittoria stava nelle mie mani e forse era meglio così.
Lo sparo di inizio mi fece mettere in posizione e seguire con lo sguardo la gara. Potevo vedere Pentesilea correre veloce per i suoi cento metri, con i riccioli rossi che svolazzavano dietro di lei; passò il testimone a Glauco che non perse un battito e continuò con espressione concentrata; quando arrivò ad Acamante, la nostra classe era una delle prime e il cuore prese a battermi veloce, mentre un po' di speranza mi faceva mettere in moto; quando Acamante arrivò nella zona di scambio e io strinsi finalmente le dita intorno al tubo metallico, le mie gambe scattarono da sole. Ormai era tutto nelle mie mani e non potevo permettermi distrazioni; superai uno dell'Acaia e cercai di spingermi ancora più avanti. Con la coda dell'occhio, intravidi i capelli dorati di Achille che mi superavano a sinistra, a cinquanta metri dalla fine; stava andando molto più veloce di me, più veloce ancora che nelle altre gare, e la gola mi si strinse, perché quando mi mancavano solo una decina di metri al traguardo, lui lo superò, arrivando ancora una volta primo. Io lo oltrepassai poco dopo e rallentai, mentre la sconfitta mi cadeva addosso: avevo perso, avevo perso la gara e avevo perso la scommessa, avevo perso su tutta la linea. Mi accovacciai a terra e nascosi il volto tra le braccia incrociate, respirando con fatica e sentendogli gli occhi e i polmoni bruciare.
Sentii una mano appoggiarsi sulla mia testa e il respiro irregolare di qualcuno accovacciato davanti a me. «Sei stata brava» mormorò la voce di Achille, con un tono gentile che non avevo mai sentito prima.
E non riuscii più a trattenere le lacrime.







EDIT: In questo capitolo compare un personaggio a cui tengo particolarmente: Enone. Enone in mitologia era una ninfa, la prima moglie di Paride innamorata persa di lui, che lui mise da parte nel momento in cui rapì Elena. Qui è la ragazza che viene mollata perché lui è un idiota (sì, Paride non mi sta molto simpatico); è la migliore amica di Briseide e finalmente sono riuscita a darle più rilievo in questa nuova versione, visto che non ci sono riuscita nella vecchia, anche se l'idea c'era già. Si vedrà meglio nei prossimi capitoli, ma Enone avrà la sua storia e non dico altro perché altrimenti mi lascio scappare tutto di sicuro.
Gli altri personaggi di contorno che compaiono sono Iliona (una delle figlie di Priamo, ma qui Ettore aveva già troppi fratelli e sorelle quindi ho preso in prestito solo il nome), Glauco (che presumo sia abbastanza conosciuto), Laodice (altra figlia di Priamo) e Acamante (quello troiano, non greco).
Per il resto, è rimasto tutto abbastanza simile.
Aspetto sempre un vostro giudizio.

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Capitolo 4
*** Canto III: Di come l'inaspettato è sempre dietro l'angolo ***



Canto III
Di come l'inaspettato è sempre dietro l'angolo

 

 

Ci volle una settimana intera a completare il trasferimento, così, l'ultimo lunedì di novembre, mi ritrovai davanti al cancello arrugginito dell'Acaia, con le mie amiche che per una volta si erano fatte coraggio e mi avevano accompagnato fino a lì.
«Forza Bri. Solo sei ore e sarai libera».

«E se le viene il tetano? Ci sarà un'infermeria in questo tugurio?»
«Andiamo, è solo una scuola».
«Una scuola? Sembra una prigione».
Strinsi una spallina dello zaino e mi voltai a guardare Criseide, Enone, Creusa e Andromaca.
Quando Creusa era venuta a sapere di quella dannata scommessa mi aveva insultato in ogni modo possibile, ma le era bastato vedere la mia espressione sconfortata per abbracciarmi e mantenere gli insulti ad un livello accettabile. Andromaca aveva cercato di tranquillizzarmi perché, a detta sua, l'Acaia non era poi così terribile, ma era una scuola come un'altra. Enone si era limitata a stringermi e farmi sfogare, mentre Criseide trovava tutto molto divertente.
«Dai, sono sicura che andrà tutto benissimo» cercò di rassicurarmi Enone, abbracciandomi un'ultima volta.
«E poi all'intervallo possiamo trovarci in cortile» aggiunse Criseide, mordendosi un labbro e forse rendendosi conto solo in quel momento che avevo davvero cambiato scuola. Il trasferimento era stato veloce e non era sorto nessun problema – per sfortuna –, ma forse era perché tanto le due scuole sarebbero diventata una sola. Ed io ero tra i primi a provare l'ebbrezza di stare tra i nemici.
«Se c'è qualche problema mandaci un messaggio e faccio volare Ettore a salvarti» disse Creusa con un'espressione troppo seria e io mi appuntai mentalmente di non mandarle assolutamente nessun messaggio, perché sarebbe stata perfettamente in grado di farlo ed Ettore non sarebbe stato tanto fortunato da arrivare indenne fino alla mia classe, ovunque fosse stata. Anche se dubitavo sarebbe volato da me, considerato quanto si era arrabbiato quando era venuto a sapere di quest'altro fattaccio. Certo, poi la sua ira era stata dirottata su Achille e se ce l'avesse avuto davanti l'avrebbe di sicuro ucciso, ma sembrava che in quella settimana Enea avesse fatto i salti mortali per non farglielo incontrare e sospettavo che dall'altra parte qualcuno avesse fatto lo stesso, perché era da quasi un mese che Ettore e Achille non litigavano.
La campanella dell'Ilio suonò e ci scambiammo gli ultimi saluti e abbracci e per un istante mi sembrava di star partendo per la guerra. A pensarci bene, forse lo stavo facendo davvero considerando di che scuola erano i cancelli che avevo appena varcato.
Ignorai gli sguardi degli studenti ed entrai da sola nell'edificio, sentendomi persa. Non ero mai andata a scuola da sola in tutta la mia vita, perché c'erano sempre stati i miei cugini con me, e non sapevo nemmeno cosa volesse dire trovarsi da sola tra un sacco di gente sconosciuta.
La mia nuova classe era la quarta A, ma non avevo idea di dove si trovasse, allora chiesi indicazioni ad una bidella che mi indirizzò al secondo piano. In realtà, l'Acaia non era ridotta a pezzi come mi aspettavo ed era abbastanza pulita; certo, i muri potevano venire riverniciati e i serramenti cambiati, ma almeno non c'erano perdite d'acqua o graffiti. E, soprattutto, nessuno si picchiava nei corridoi. Nessuno mi rivolse la parola, ma mi guardavano un attimo, poi distoglievano lo sguardo e parlottavano tra di loro e io sapevo perfettamente a cosa, o meglio a chi, fosse dovuto.
Quando intravidi finalmente la targhetta dell'aula, mi fermai per un istante e feci un bel respiro, pregando di capitare con qualcuno di simpatico e non – ti prego, no – con lui.
Espirai, strinsi i pugni ed oltrepassai la soglia, bloccandomi dopo pochi passi per guardarmi intorno: i banchi di legno erano vecchi e un po' rovinati, le pareti piene di poster e cartelloni appesi in disordine e sulla lavagna c'erano alcune scritte e disegni. Poi una voce allegra e leggermente famigliare richiamò la mia attenzione, facendomi voltare verso il centro della classe.
«Briseide! Che bello, sei in classe con noi!»
Incontrai gli occhi castani di Penelope e mi rilassai istintivamente; lei mi fece segno di avvicinarmi e io mi resi conto che c'erano anche altre facce famigliari nel gruppo intorno a lei: Tecmessa mi salutò con un sorriso e un abbraccio non appena mi avvicinai; Diomede fece un leggero sorriso e si scostò appena, sicuramente memore del calcio che gli avevo tirato la prima e unica volta che ci eravamo visti; Ulisse mi sorrise cordiale, ma nel suo sguardo c'era una luce furba che non mi piaceva proprio per niente.
«Sapevo saresti finita nella nostra classe» mi disse proprio lui.
Io ricambiai titubante i loro sorrisi, ma mentalmente tirai un sospiro di sollievo per essere finita con qualcuno che già conoscevo.
«Quest'anno ci sarà proprio da divertirsi» disse Diomede, scambiandosi un ghigno con Ulisse.
Decisi di ignorarli e mi rivolsi a Penelope e Tecmessa «Sapete dove posso sedermi?» chiesi, cercando di farmi il più piccola possibile e di nascondermi dagli sguardi curiosi degli altri studenti. Il bello era che non fingevano nemmeno di non starmi guardando.
«Sì, hanno portato il banco proprio sabato» mi disse Penelope, guidandomi in fondo all'aula, verso la finestra «l'unico posto dove metterlo era qui, perché lui ha sempre preferito stare da solo» appoggiò la mano sul banco verso il corridoio «Puoi metterti qui, se poi vuoi cambiare posto perché non riesci a seguire basta dirlo».
«Ti consiglio di non farlo, però» si intromise Ulisse, che ci aveva seguito insieme a Diomede.
«Già» continuò lui «non credo che reagirebbe bene».
Mi tolsi lo zaino e lo appoggiai a terra, poi mi sfilai il cappotto; avevo la sensazione di star dimenticando qualcosa, ma non riuscivo a capire cosa.
«Così la spaventate» commentò Penelope, stringendo le labbra.
«Tesoro, lei è proprio l'unica che non corre alcun rischio» la corresse Ulisse.
«Non ci giurerei, l'hai visto al torneo. E' uno che attacca» disse Diomede.
E in quel momento, come un flash, capii cosa stavo dimenticando. Ma non mi servì per potermi preparare psicologicamente, perché un istante dopo la sua voce inconfondibile si fece sentire alle nostre spalle.
«Questo sì che è un bel modo per iniziare la giornata».
Mi voltai di scatto e i nostri sguardi si incrociarono, mentre lui appoggiava lo zaino sul banco vicino al mio. Ovvio, era ovvio che dovessi essere nella sua classe ed era ovvio che ce l'avessi come vicino di banco. Ero proprio perseguitata dalla sfortuna.
«Venire a scuola ha assunto all'improvviso un'altra attrattiva» commentò con un lieve sorriso, stravaccandosi sulla sedia.
«Per fortuna siamo arrivati» sospirò Patroclo, salutandomi con un sorriso e andando al banco davanti a quello di Achille. Mollò lo zaino per terra e lanciò un'occhiata all'amico «Mi sono fermato un attimo in cartoleria e quasi mi faceva secco».
Achille lo fulminò con un'occhiataccia da brivido, ma Patroclo non batté ciglio.
Diomede si mise a sedere al contrario sulla sedia davanti al mio banco, appoggiando le braccia sullo schienale «Da oggi sarai sempre presente, allora» disse con un ghigno.
Achille scrollò le spalle e si iniziò a dondolare sulle gambe della sedia «Devo controllare che nessuno tocchi le mie cose» rispose, lanciandomi un'occhiata divertita.
Strinsi le labbra, cercando di trattenere la rabbia, e gli lanciai un'occhiataccia «Hai paura che qualcuno ti rubi il banco?» chiesi ironica «Tranquillo, di sicuro non lo vuole nessuno».
Ulisse e Diomede scoppiarono a ridere e persino Penelope si lasciò scappare una risata, mentre Achille smise di dondolarsi e si allungò per afferrarmi un braccio e tirarmi a sedere accanto a lui.
«Vuoi che ti mostro cosa intendo?» mi chiese con uno strano sorriso, a metà tra il divertito e il malizioso.
Deglutii e alzai una mano davanti alla bocca «No, grazie». Sapevo come me l'avrebbe mostrato, quel maiale.
Lui sorrise, ma non disse niente e in quel momento una voce maschile risuonò nell'aula, facendo andare a sedere tutti quanti. L'uomo che ci aveva salutato era alto e massiccio, con una folta barba castana e l'espressione severa; quando posò i suoi occhi chiari su di me, mi drizzai a sedere, rendendomi però conto che il mio braccio era ancora intrappolato nella presa di Achille. Così mi voltai a lanciargli un'occhiataccia, che però non ebbe alcun effetto se non quello di farlo sorridere di più.
«Tu devi essere quella nuova» disse l'uomo con una voce possente, continuando a studiarmi con attenzione.
«Sì, signore. Mi chiamo Briseide» dissi con un tono appena percettibile, imbarazzata da tutta l'attenzione che stavo ricevendo.
Inaspettatamente, scoppiò a ridere «Che cosina educata che sei! Altro che gli elementi che ci sono qua».
Arrossii e mi abbassai appena, cercando di nascondermi dietro Diomede, che era spaparanzato sulla sedia davanti a me.
«In ogni caso, per qualsiasi problema chiedi pure» disse allegramente.
«Grazie» risposi, riprendendo a respirare con tranquillità e strattonando il braccio sinistro ancora intrappolato.
Poi il professore spostò lo sguardo sul mio compagno di banco, aggrottando la fronte con aria di disapprovazione «E tu vedi di non darle fastidio» ammonì. Achille mi lasciò il braccio e alzò le mani vuote verso di lui, con un'espressione innocente che avrebbe ingannato solo chi non aveva mai sentito parlare di lui. Io mi affrettai a spostare la sedia un po' più lontana dalla sua e tirai fuori dallo zaino l'astuccio e un blocco per scrivere.
Mentre il professore compilava il registro, Achille si chinò appena verso di me e sussurrò «Questo è Poseidone, il prof di scienze e matematica. E' un po' strano, ma non farci caso» poi tirò fuori le sue cose e buttò lo zaino a terra.
Io lo guardai appena stupita, perché per una volta si era comportato come un ragazzo normale, e voltai di scatto la testa, nascondendo le guance rosse dietro le mani. Quando Achille si comportava normalmente era tremendamente difficile ricordarmi il perché lo odiassi.


La prima parte della mattinata passò stranamente tranquilla: dopo due ore di matematica – facendo cose che già sapevo alla perfezione – avevamo avuto un'ora di filosofia con il professor Nestore, il cui modo di spiegare per una volta mi aveva fatto apprezzare quella materia così noiosa. L'orario settimanale – che avevo copiato da Achille dopo avergli rubato il diario al cambio dell'ora – era la cosa più orribile che avessi mai visto da tre anni a quella parte, dopo aver beccato mio cugino Deifobo a farsi la barba con solo un asciugamano striminzito a coprirgli l'inguardabile. Esperienza traumatica.
Ero anche riuscita a dare un'occhiata a tutti i miei nuovi compagni di classe, di cui solo quattro erano ragazze, per mia grande gioia. In compenso mi ero ritrovata anche Menelao, ma dopo aver scoperto che Achille era il mio compagno di banco, tutto il resto mi sembrava fantastico a confronto e alla fine Menelao nemmeno lo conoscevo.
Nonostante questa apparente calma, non appena suonò la campanella dell'intervallo e fummo liberi di farci gli affari nostri, scattai in piedi e mi fiondai in cortile, senza dare modo a nessuno di dirmi niente. Forse non risultavo una persona molto cordiale, ma avevo assolutamente bisogno di ritrovarmi in un luogo famigliare e tra persone che conoscevo bene. Così quando vidi la chioma bionda di quella cretina di Criseide, quasi scoppiai a piangere.
Dopo cinque minuti, però, dovetti ricredermi: a parte le prime domande curiose, quell'egocentrica aveva cominciato a parlare della sua mattinata all'Ilio e di come ero stata egoista a lasciarla da sola. Per fortuna nel frattempo erano arrivate anche Enone, Creusa e Andromaca ed era solo grazie a loro se non l'avevo ancora strangolata e seppellita in quell'orribile cortile.
Enone mi strinse un braccio e mi sorrise «Allora, com'è andata?» chiese, ignorando Criseide. Eravamo sedute sul bordo di un muretto, mentre le altre tre sulla panchina di fianco a noi; giocherellai con le stringhe delle scarpe, mentre pensavo a cosa rispondere.
«Non è così terribile come pensavo» borbottai appoggiando il mento sulle ginocchia.
Enone mi diede una spintarella con la spalla «Dai, raccontami qualcosa» mi pregò divertita «altrimenti mi tocca ascoltare Cri». Ridemmo tutte e due, cercando di non attirare l'attenzione di Criseide, che sapeva offendersi moltissimo quando qualcuno non la includeva in una conversazione, ma dall'occhiata divertita di Andromaca mi resi conto che non eravamo state così silenziose.
«Sono nella quarta A, insieme a Tecmessa».
«Davvero? Che fortuna!» esclamò Enone con un sorriso. Fino all'anno precedente lei e Tecmessa erano state in classe insieme ed erano diventate grandi amiche, poi Tecmessa si era messa insieme ad Aiace Telamonio e alla prima occasione si era trasferita all'Acaia. Sinceramente non avevo mai capito la sua scelta, ma se lei era felice andava bene così.
Annuii e mi misi dritta, appoggiando le braccia incrociate sulle ginocchia «Poi ci sono anche Ulisse e Diomede, quei due che abbiamo incontrato fuori dalla pasticceria; Menelao; Penelope, una ragazza che ho conosciuto al torneo e-» mi bloccai di colpo, facendo una smorfia. Quel nome non volevo proprio dirlo. Non volevo far sapere a nessuno che me l'ero ritrovato in classe, per di più come compagno di banco.
«E?» mi esortò Enone curiosa.
«Achille» borbottai di malavoglia.
Uno strillo ci fece sobbalzare e dalla tonalità acuta riconobbi all'istante chi lo avesse lanciato, anche perché lei era l'unica persona al mondo a saper raggiungere quelle note.
«Sei in classe con Achille?» esclamò Criseide, sporgendosi il più possibile oltre Creusa per guardarmi in faccia.
Proprio lei, invece, decise di migliorare la mia autostima con un «Certo che sei proprio sfigata». Come se non me ne fossi già accorta.
Andromaca cercò di trarmi d'impaccio, ma l'unica cosa che riuscì a trovare fu «Chi hai come compagno di banco? Qualcuno che conosci?», cosa che peggiorò notevolmente la mia situazione, perché non potei fare altro che lasciarmi scappare un gemito disperato e nascondere il volto tra le braccia.
Sentii Enone inspirare con forza, capendo il perché del mio silenzio, ma per mia sfortuna – perché forse ero davvero sfigata – c'era un'altra persona che mi conosceva troppo bene.
«Non ci credo!» esclamò Criseide «Non è possibile che esistano tutte queste coincidenze! Non è possibile che tu hai tutte queste coincidenze! Qui la sfigata sono io! Sono rimasta da sola come una deficiente, mentre tu te ne stai con un figone affianco! Dov'è la giustizia?»
A quel punto anche Creusa e Andromaca capirono, così come metà cortile, dato il volume poco elevato che quell'imbecille aveva usato.
«Sei seduta di fianco ad Achille? Allora sei proprio sfigata! Sei così sfigata che il più sfigato degli sfigati rispetto a te è fortunato!» esclamò Creusa, come se tutta quella sfiga fosse opera mia.
«Dai, non sarà poi così male» cercò di calmarle Andromaca, chiedendomi aiuto con lo sguardo.
Ovviamente non riuscii a dirle di no «Per il momento non è andata tanto male» dissi controvoglia, rialzando la testa «e come classe poteva essere peggio. Ma sono passate solo tre ore». Tutto poteva ancora cambiare e avrei potuto trovarmi all'inferno per il resto dell'anno scolastico.
E infatti, mentre Criseide riprendeva a lamentarsi della sua situazione – in cui io l'avevo abbandonata per passare al nemico – Tecmessa si avvicinò velocemente dal lato dell'Acaia. La salutammo allegramente, Enone si alzò ad abbracciarla, ma il suo volto era un po' teso e il motivo fu chiaro non appena aprì bocca.
«Achille ed Ettore stanno litigando in piazza».
Andromaca e Criseide scattarono in piedi, la prima preoccupata, la seconda solo curiosa, e io iniziai a sbattere la fronte contro le ginocchia.
Era da troppo tempo che Ettore e Achille non litigavano e con tutto quello che era successo in quel periodo – leggasi come: la disperazione e la sfiga di Briseide – c'era da aspettarsi che prima o poi scoppiassero. E ovviamente c'era da aspettarsi che due abitudinari tradizionalisti come loro non avrebbero mai accettato di spostare le risse nel nuovo cortile.
Mi trascinai di malavoglia dietro le mie amiche, fino a raggiungere la piazza, dove il piccolo gruppo di deficienti era riunito. I due imbecilli si stavano spintonando e prendendo a pugni come se ne andasse della loro vita, mentre, a pochi metri da noi, Ulisse e Diomede guardavano interessati la scena, Patroclo si massaggiava la fronte esasperato ed Enea sembrava voler chiedere a qualunque entità divina perché si era ritrovato in quella scuola con quell'idiota di mio cugino come migliore amico. Non servì che Penelope ci facesse cenno di raggiungerli, perché Andromaca era già scattata a interrogare Enea.
«-cominciato a insultarsi e poi è uscita la storia di Briseide ed Ettore è scoppiato» lo sentii dire mentre mi avvicinavo per ultima, sentendo immediatamente i loro sguardi posarsi su di me.
«Non è colpa mia» mi lamentai, venendo prontamente ignorata.
Gli unici tranquilli sembravano essere Ulisse e Diomede, anche se lo sguardo divertito che il primo mi lanciò non mi piacque per niente. Come poteva essere divertito da quella situazione?
«Ettore» mormorò angosciata Andromaca, anche se iniziavo a pensare che prima o poi l'avrebbe preso lei a pugni per farlo smettere di fare rissa con l'Acaia. O, in alternativa, l'avrei fatto io, per farlo smettere di farla preoccupare. Purtroppo feci l'errore di guardarla proprio mentre mormorava che l'ultimo livido di quell'idiota – parole mie, non sue – non era ancora guarito, e ovviamente non potevo ignorare un'Andromaca così disperata. Lei sarebbe stata in grado di farmi fare qualunque cosa solo lanciandomi un'occhiata abbacchiata. Forse perché, in un certo senso, volevo compensare tutte le preoccupazioni che le dava mio cugino.
Così, anche se di malavoglia, mi trovai ad avvicinarmi a passo spedito verso i due deficienti.
«Smettetela subito!» strillai con tutta la voce che avevo.
Stranamente, lasciando stupita me per prima, quei due si fermarono e si girarono verso di me, facendomi fare una smorfia alla vista delle loro facce.
«Briseide!» esclamò Ettore, senza lasciare la presa sulla felpa di Achille «Questo stronzo ti ha obbligato a trasferirti in quella fogna solo per un suo capriccio personale! Ho tutto il diritto di incazzarmi!»
«Non ha due anni, coglione» lo insultò Achille, tenendo ben stretto il colletto della camicia di Ettore.
Ripresero a fissarsi con rabbia, digrignando i denti, ma prima che potessero riprendere a darsele, mi misi in mezzo a forza, cercando di spingerli lontani, mentre loro continuavano ad insultarsi.
«Sei uno stronzo!»
«Fottiti!»
«Giuro che ti faccio anche l'altro occhio nero!»
«Se riesci ad evitare che ti spacco qualcos'altro!»
Intanto io spingevo con più forza che potevo, ma loro continuavano a cercare di avanzare, schiacciandomi tra di loro, finché la mia pazienza non raggiunse il limite e strillai «Basta! Mi state soffocando!»
Come se fossero delle parole magiche, entrambi si mollarono e fecero un passo indietro, fissando l'attenzione su di me, che finalmente riuscii a respirare decentemente.
Ignorai il commento divertito di Ulisse «Cosa può fare una donna», seguito da quello malizioso di Diomede «Se si spogliava faceva prima», che provocò quello acido di Creusa «Ma che razza di schifoso!» e schioccai le dita per richiamare la loro attenzione, persa non appena Diomede aveva aperto bocca.
«Adesso ascoltatemi bene» cominciai infuriata «se volete litigare cercatevi un'altra scusa e non mettetemi in mezzo. Ettore, nessuno mi ha costretta a fare nulla, è stata una mia scelta» guidata, certo, ma lui non aveva bisogno di sapere come mi sentissi al riguardo «quindi apprezzo che tu ti preoccupi per me, ma so cavarmela da sola» mi dispiaceva dire quelle cose ad Ettore, visto che lui era sempre stato come un fratello maggiore per me ed era sempre stato lui che all'asilo e alle elementari mi difendeva dai bambini che mi prendevano in giro, ma non volevo che si facesse ancora più male a causa mia.
«Sentito?» disse Achille compiaciuto, interrompendo il mio bellissimo discorso.
«E tu taci!» esclamai con rabbia.
Ancora stranamente, lui non mi insultò né attaccò, ma si limitò ad alzare le mani con una fintissima espressione innocente. Ettore lo fissò, con un sopracciglio inarcato e poi si voltò verso di me, aggrottando la fronte combattuto.
Sapevo che stava per accontentarmi, così mi esibii nella mia migliore espressione implorante, spalancando gli occhi, battendo le ciglia un paio di volte e imbronciando appena le labbra ed Ettore capitolò.
«Va bene, come vuoi» sospirò abbattuto, per poi guardare di nuovo Achille con uno sguardo duro «Ma se vengo a sapere che qualcuno non ti tratta con il rispetto dovuto, farò a modo mio».
Annuii velocemente, lieta che la questione si fosse risolta senza problemi e che Andromaca non sarebbe scoppiata a piangere per il desiderio di autodistruzione del suo ragazzo; afferrai un braccio di Achille e lo tirai verso l'Acaia, salutando con la mano le mie amiche, che sembravano piuttosto stupite.
Una volta nell'atrio, mollai di colpo il suo braccio e mi voltai a fissarlo arrabbiata «Sei un idiota!»
Lui mi ignorò e si tastò lo zigomo sinistro, su cui stava comparendo un livido che mi faceva male solo a guardare, senza fare assolutamente una piega.
«Dovresti metterci del ghiaccio» borbottai controvoglia.
Lui puntò i suoi occhi azzurri nei miei e fece un sorrisetto divertito «Sei preoccupata?»
«Certo che no!» esclamai offesa «Non me ne importa un bel niente se ti fai male! Anzi, ti sta bene, visto che te la sei presa con mio cugino!»
Lui inarcò un sopracciglio «Guarda che è tuo cugino che ha iniziato».
Schioccai la lingua sul palato «Certo, e io sono pazzamente innamorata di te!»
«Davvero?» disse malizioso, avvicinandosi di un passo.
«Certo che no!» esclamai facendo prontamente un passo indietro «Ero sarcastica!»
«Beh, è la verità. E' stato lui a tirarmi un pugno per primo» disse, alzando le spalle.
«E scommetto che sei stato tu ad istigarlo!»
«Ho solo detto che mi piaceva la tua calligrafia» ghignò con ineguagliabile faccia tosta.
Avrei tanto voluto cancellargli quell'espressione compiaciuta con un bello schiaffo «Ah, davvero? E gli hai anche detto che dal tuo posto riesci a vederla benissimo, immagino» dissi con un sorriso più falso del biondo naturale di Criseide – che probabilmente mi avrebbe ucciso per averlo anche solo pensato.
«Sì, potrei averglielo accennato» rispose a voce bassa, chinandosi appena verso di me.
Deglutii, tentando di non posare lo sguardo sulle sue labbra e sibilai «Sei insopportabile».
Grazie agli dei, prima che lui potesse avvicinarsi ancora di più, la voce di Ulisse lo interruppe e mi fece ricordare che c'erano altre cinque persone che erano rientrate dietro di noi. Cinque altre persone che avevano assistito a quella scena.
«Oh, prego, non fate caso a noi, continuate pure» disse divertito.
Achille si raddrizzò con un forte sospiro «Se fossi stato zitto l'avremmo di certo fatto».
Troppo imbarazzata per aprire bocca e ribadire che con lui non avrei mai voluto fare niente, dovetti ascoltare la discussione che nacque tra i miei – purtroppo – nuovi compagni di classe.
«Cazzo, Ulisse, rovini sempre tutto!»
«Ma se tu per poco non gli andavi addosso!»
«E ma almeno Patroclo mi ha fermato».
«Mi stavi venendo addosso?»
«Pensavo foste scappati via».
«E non voleva perdersi nessuna scena, dice lui».
«Siete dei fottuti impiccioni».
«Siamo solo curiosi. E se non vuoi far vedere a nessuno quello che combinate è meglio se vi chiudete da qualche parte».
«Io posso fare quello che voglio dove voglio».
«Magari rimanendo nei limiti della decenza, però».
Prima che potesse esplodermi la testa, Penelope mi prese a braccetto e insieme a Tecmessa mi guidò verso la nostra classe, lasciando quei quattro a discutere come dei bambini.
«Ti do un consiglio: quando sono insieme, ignorali. E' la cosa migliore» mi disse, mentre salivamo le scale.
«Se li prendi singolarmente non sono male, tranquilla» aggiunse Tecmessa.
«Sì, questa cosa mi tranquillizza proprio» dissi rigidamente, con un tono leggermente più acuto del normale.
Penelope si schiarì la gola «Comunque non ti vergognare: non abbiamo visto molto, per quanto dicano loro».
Mi passai la mano libera sul volto, lasciandomi scappare un lamento «Non è successo niente» mormorai «non abbiamo fatto niente».
«Sì, lo sappiamo, ma sai sembrava che-».
La interruppi ancora prima che potesse terminare la frase «Non sembrava niente! Assolutamente niente!»
«Ok, ok, tranquilla!»
In quel momento la campanella suonò, dando modo a Tecmessa di trovare un altro argomento per calmarmi «Adesso abbiamo lettere, con la professoressa Atena. E' un po' severa, ma è molto brava».
Penelope tossicchiò «Già».
Feci un bel respiro «Ok. Non può essere peggio di Poseidone, no?» che mi aveva fatto andare alla lavagna a risolvere un problema il mio primo giorno lì all'Acaia.
Entrambe mi sorrisero e il mio cuore riprese i suoi battiti regolari, almeno finché di fronte alla nostra classe Penelope non si lasciò scappare un «Però secondo me state bene insieme».
L'avrei mangiata, se solo una voce dietro di noi non mi avesse fermato «Invece di chiacchierare dovreste già essere in classe».
Mi voltai verso la donna che aveva parlato e che mi stava studiando con attenzione da dietro i suoi occhiali rettangolari «Tu devi essere la ragazza nuova, Briseide» mi disse con voce impassibile.
Avrei solo annuito, talmente mi metteva soggezione, ma qualcosa mi diceva che non le sarebbe piaciuto, così mi sforzai di parlare con un tono normale «Sì, esatto».
Lei non disse niente per qualche secondo, poi le sue labbra si piegarono appena verso l'alto «Io sono Atena, la vostra insegnante di lettere. Spero che sia vero che i programmi dell'Ilio sono più avanzati dei nostri, non vorrei che rimanessi indietro» disse, mentre ci superava ed entrava in classe, dove erano già tutti seduti. Penelope e Tecmessa andarono al loro posto e io stavo per imitarle, ma la prof mi fece un'altra domanda «Chi era il tuo insegnante di lettere?»
«Il professor Apollo».
Lei inspirò e strinse le labbra, come a trattenersi dal dire qualcosa, poi rilasciò piano il respiro e rispose «Sì, ho presente. Puoi andare a posto».
Raggiunsi il mio banco velocemente, mentre la prof sistemava il suo registro con un'espressione un po' cupa, tanto che non si accorse nemmeno dei quattro deficienti che arrivarono in ritardo, anche se probabilmente lo facevano sempre.
«Che ha Atena? Sembra arrabbiata» mi chiese Diomede in un sussurro, mentre si sedeva davanti a me.
Alzai le spalle «Non lo so. Forse odia il mio vecchio prof di lettere. E' così da quando le ho detto il suo nome» risposi ironica.
Achille si lasciò scappare una mezza risata «Non sarà mica Apollo?»
Lo guardai con la fronte aggrottata «Sì, perché?».
Mentre lui e Diomede cercavano di trattenere le risate, Patroclo mi spiegò «Non so per quale motivo, ma Atena non lo sopporta. Ogni tanto l'abbiamo sentita lamentarsi di lui».
«Davvero?» chiesi stupita.
«Credo andassero a scuola insieme, ma non so i dettagli».
Conoscendo il prof Apollo, probabilmente ci aveva provato con lei quando erano giovani e, a vederla, Atena sembrava una donna molto rigida. Sicuramente gli aveva dato un due di picche. O peggio, lei aveva accettato e lui l'aveva tradita, così lei aveva giurato di odiarlo per sempre! Per gli dei, e se fosse stata quella la motivazione di quell'insensata guerra tra Ilio e Acaia?
«Va bene, silenzio!»
Mi tirai mentalmente uno schiaffo, rendendomi conto di quanto fossero assurde quelle ipotesi. Non sapevo nemmeno che scuola avessero frequentato e se si conoscessero davvero. Dovevo smetterla di farmi quei viaggi mentali.
La lezione era già iniziata e la prof stava spiegando qualcosa di cui non avevo idea, così spiai dal libro aperto di Achille, che stranamente sembrava essere uno studente più responsabile di quello che mi ero immaginata, considerando che non aveva nemmeno una pagina spiegazzata e – sorpresa delle sorprese – prendeva davvero appunti. Lui si limitò a guardarmi con un sopracciglio inarcato, a cui io risposi con uno sguardo corrucciato, ma non disse niente. Se non avesse detto niente per il resto dell'anno scolastico, non sarebbe stato così male averlo come compagno di banco.


Imbarazzandomi come non mai, Ettore era venuto a prendermi con tutto il parentado – meno Paride, grazie agli dei – a fine lezioni. Ok, forse ero un po' contenta di vederli lì per me e leggermente commossa, ma non era il massimo essere fissata da tutta la scuola mentre li raggiungevo.
Avevo salutato allegramente Penelope e Tecmessa, Patroclo, Diomede e Ulisse un po' meno allegramente e avrei voluto evitare di salutare Achille, ma lui mi fissava fastidiosamente e allora avevo optato per un lieve cenno della testa, prima di correre al sicuro tra la mia famiglia.
Salvo poi scoprire che eravamo tutti diretti a casa di zio Priamo e zia Ecuba.
Abitando nella stessa zona della città, spesso io e mio padre cenavamo da loro, soprattutto quando mia madre non c'era, facendomi ringraziare qualunque entità soprannaturale per farmi evitare di sopportare i suoi piagnistei al telefono. Certo, non che a casa degli zii si stesse tanto più tranquilli, ma almeno non dovevo sorbirmi i miei genitori tubare come due piccioni.
«Ma che bastardo! Così non vale».
«Ne hai da imparare, fratellino».
«Che stronzo! Questa me la paghi».
«Sempre che tu riesca a raggiungermi».
«Abbassate la voce, deficienti! Mi avete fatto sbavare lo smalto!»
«Meglio, no? Quel colore fa schifo».
«Scusate, ma io starei leggendo».
«Stonzo, stonzo!»
«Troilo! Cretini, guardate cosa gli avete insegnato!»
«Stonzo!»
«No, non si dice! Siete degli imbecilli!»
«Porca pu-… zzola! Ma dai, non si può!»
«Chi è il campione, eh?»
«Creu, dove hai messo l’acetone?»
Ok, forse era meglio stare a casa mia a sorbirmi mio padre vagare in mutande come uno spiritato.
«Briseide, li fai stare zitti, per favore?»
La voce lieve di Polissena mi fece abbassare lo sguardo su di lei, che mi fissava con i suoi occhioni castani, tenendo stretto un grande libro di favole. Le sue labbra erano piegate in un broncio adorabile e avrei tanto voluto strizzarle le guance a più non posso, ma, data la situazione, quello non era il momento più appropriato. La feci sedere sul divano accanto a me e le sistemai dietro l'orecchio una ciocca di capelli sfuggita alla treccia.
«Tranquilla, tesoro, ora ci penso io. Tu sai cosa devi fare, vero?»
Lei annuì, posò il libro in grembo e si tappò le orecchie con le mani, guardandomi fiduciosa. Le feci un ultimo sorriso, prima di alzarmi e girarmi verso il resto della stanza con un'espressione omicida.
«Fate silenzio, cazzo!» gridai esasperata. Poi recuperai il solvente per le unghie da un ripiano della libreria e lo sbattei sul tavolino davanti a Criseide, spensi la televisione che stavano usando Ettore e Deifobo per giocare alla playstation, tolsi di mano a Creusa il cuscino che stava per lanciare contro i suoi fratelli maggiori e la spinsi a sedere sul divano e infine presi in braccio il piccolo Troilo, che stava correndo per tutto il soggiorno strillando “stonzo, stonzo”. Il tutto in meno di un minuto: stavo migliorando.
«Cazzo, Bri, stavo vincendo io!» si lamentò Deifobo, dall'alto dei suoi venticinque anni, buttando a terra il joystick con aria melodrammatica.
«Se aveste usato un linguaggio più adatto a dei bambini, forse non sarebbe accaduto, coglioni» disse Creusa, incrociando le braccia con aria stizzita.
«Non mi sembra che tu sia molto più fine, sai?» le fece notare Deifobo, evitando per un pelo la ciabatta che lei gli lanciò.
Feci un cenno a Polissena, che abbassò le mani e mi ringraziò con un sorriso, prima di riprendere a leggere il suo librone. Io mi sedetti sul divano con Troilo in braccio, mentre le discussioni riprendevano ad un tono più tranquillo del precedente.
«Come hai detto che si chiama questo colore?» chiese Criseide dal tappeto, mentre riprendeva a smaltarsi le unghie.
«Starlight blue» rispose Creusa.
«Che cazzo di colore è “starlight blue”?» chiese Deifobo ad Ettore, tenendo la voce bassa per non farsi sentire.
«Che me ne frega? Cambiamo gioco?» disse Ettore riaccendendo la televisione.
Io mi sistemai meglio in braccio Troilo, che si era calmato e non ripeteva più la parola “stronzo”, e gli passai una mano tra i riccioli biondi. Era l'unico ad avere i capelli biondi in famiglia – a parte Criseide, ma i suoi erano tinti – e con i suoi occhioni azzurri sembrava proprio un angioletto, almeno finché fosse stato fermo e in silenzio.
«Non dovremmo tagliare questi capelli?» gli chiesi dandogli un bacio su una tempia.
«No! Li voglio lunghi come Gigamesc!»
Gilgamesh era il protagonista di un cartone animato di cui Troilo era appassionato e gli piaceva così tanto che il suo sogno era diventare come lui. Personalmente non capivo tutta quella passione per un tipo come Gilgamesh, io ero più una da Perseo, o gli Argonauti – e di cartoni animati di quel genere me ne intendevo, essendo cresciuta con tutti quei cugini maschi.
«Ma sei sicuro? Ancora un po' e non riesco a riconoscerti».
Lui mi scoccò un sorriso adorabile «No è vero!» disse, prima di riportare l'attenzione sullo schermo della televisione e iniziare a saltellare quando riconobbe il videogioco che avevano messo su i suoi fratelli. Io lo strinsi più forte e affondai il naso tra i suoi capelli. Troilo era il mio cugino preferito, senza dubbio.
«Allora, sei pronta per domani?» mi chiese Creusa, alzando il naso dalla rivista che stava sfogliando. Sì, Troilo era davvero il mio cugino preferito.
Feci una smorfia e mormorai un sì stentato. Non avevo molta voglia di pensare al giorno successivo, in quel momento, e non avevo affatto bisogno che mi ricordasse dove sarei stata d'ora in avanti.
Per sfortuna Ettore ci sentì e strinse il joystick «Se quel bastardo ti fa qualcosa giuro che lo ammazzo» sibilò con rabbia, attaccando con più foga i nemici nel gioco, sicuramente immaginando che fossero una determinata persona.
Deifobo, come al solito curioso come una comare di paese, tese le orecchie interessato «Chi?»
«Quello stronzo di Achille» gli rispose Ettore, digrignando i denti.
«Quel figone assurdo, vorrai dire» lo corresse Criseide, lanciandomi un'occhiata maliziosa che io prontamente ignorai «Cosa ci farei con uno così».
«Sì, ecco, magari evita di raccontarcelo» borbottai, nello stesso momento in cui Creusa le lanciava un'occhiata schifata e diceva «Tu sei tutta scema».
«Ma quell'Achille con cui fai sempre a botte?» chiese Deifobo ad Ettore, che annuì soltanto «E cosa c'entra con Bri?» mi lanciò un'occhiata curiosa da sopra la spalla, ma io decisi di non rispondere, anche perché ci pensò qualcun altro a farlo per me.
«Oh, ti piacerà» iniziò Criseide con lo stesso tono eccitato che usava per parlare del suo telefilm preferito «Achille si è preso una cotta per Bri, così hanno fatto una scommessa ed è per questo che si è ritrovata ad andare all'Acaia».
Deifobo scoppiò a ridere e io tentai di fulminarlo con lo sguardo, purtroppo senza riuscirci.
«Cazzo, non ci credo! Gli piace Briseide! E tu lo odi!» esclamò tra le risate, appoggiandosi con una mano alla spalla di Ettore, che sembrava ribollire dalla rabbia.
«Non gli piace Briseide, lo fa solo per farmi incazzare».
Per fortuna qualcun altro sembrava pensarla come me.
«Sì e gli asini volano!»
Scostando appena Troilo, lanciai un cuscino dritto contro la testa di quel demente di Deifobo «Ha ragione Ettore! E smettila di ridere: non è divertente!»
«E invece sì».
«Chi è Ille?» chiese Troilo, richiamando la mia attenzione. Mi stava fissando curioso, appoggiato con la schiena contro il mio petto ed era una visione talmente adorabile che avrei voluto riempirlo di baci.
Ovviamente Criseide non aveva ancora imparato a tacere, quindi rispose «E' il fidanzato di Bri».
Troilo si imbronciò e si voltò di colpo, abbracciandomi stretta «No! Bi è mia!» esclamò con forza, guardando male Criseide. Io quasi mi sciolsi e mi dimenticai persino dell'ennesima cazzata che aveva detto Criseide, perché lui era troppo, troppo adorabile, così lo strinsi forte e gli schioccai un bacio sulla guancia.
«Quanto sei bello!» esclamai, mentre lui rideva soddisfatto e si lasciava sbaciucchiare. Forse Troilo era ancora più viziato di Paride, perché era abituato ad ottenere le attenzioni di tutta la famiglia, visto che era adorabile e aveva solo cinque anni.
«Comunque non sembra che l'Acaia ti dispiaccia» commentò Creusa, guardandomi con attenzione.
«E' passato solo un giorno» risposi con una smorfia, continuando a coccolare Troilo «Per il momento non è tanto male, ma è ancora presto per dirlo».
«Beh, sembra che Achille non ti abbia fatto ancora niente» continuò lei «anzi, da quello che ho visto oggi, sembra più probabile che sia tu quella che farà la prima mossa».
«Ma davvero?» chiese Criseide maliziosa «E brava Bri».
«Ehi, non scherziamo!» berciò Ettore al mio posto.
Criseide lo ignorò «Sono ancora più convinta che sia proprio cotto. Altrimenti non ti avrebbe certo permesso di trattarlo così».
«Ma smettila!» esclamai sentendo chiaramente le guance andare a fuoco. Ci mancava soltanto che quella scema si mettesse in testa strane idee.
«Ma se ama Briseide allora vuol dire che non è cattivo» disse Polissena a bassa voce, guardandoci confusa. Strinsi le labbra per non farmi scappare qualcosa che avrebbe irrimediabilmente rovinato la sua idea di amore e bontà e optai per fissare Ettore che si accasciava a terra come morto, facendo scoppiare a ridere Troilo. Nemmeno Creusa disse niente, perché entrambi la pensavano sicuramente come me e Polissena era troppo piccola per capire quella situazione. L'unica che disse qualcosa fu ovviamente Criseide, che si tirò su dal tappeto e si buttò su Polissena, abbracciandola contenta e ripetendo quanto fosse felice che lei avesse capito tutto. Deifobo mi lanciò un'occhiata maliziosa, ma ritornò al suo gioco e io pensai al modo migliore per tornare indietro nel tempo e fare sì che tutta quella situazione non fosse mai accaduta.
Era proprio vero che ero una sfigata.







EDIT: Se Enone è la mia preferita per l'Ilio, adoro senza dubbio tutta la combriccola dell'Acaia, Diomede soprattutto. Diomede si sta scrivendo un po' da solo e sta acquisendo sempre più importanza a sè e non come "fratello" di Ulisse. Ma più o meno tutti i personaggi principali stanno facendo la stessa cosa ed è un fatto che continua a stupirmi, nonostante sia io a scrivere.
Comunque, non ho spiegazioni da dare per questo capitolo, volevo solo spiegare alcune cose sulla parte scolastica. Rimarrà sempre molto vaga, perché non voglio dare troppi dettagli specifici (come il tipo di scuola, le materie che seguono, il luogo in cui si trovano), la scuola serve solo da sfondo dopotutto e anche la gita che faranno sarà verso una meta senza nome. Per quanto riguarda i professori, avrete notato che sono tutti dei (a parte Nestore, ma avevo bisogno di qualcun'altro da inserire, visto che ce ne sono molti di più dalla parte dei troiani) e tra di loro si conoscono, visto che le due scuole sono vicine da parecchio tempo (e la guerra che è scoppiata non riguarda in alcun modo Apollo e Atena, coppia che è solo frutto della fantasia malata di Briseide... forse. Ammetto che l'idea mi stuzzica, ma non posso dirvi altro).
Infine, per tutta la storia troverete riferimenti ad altri miti e personaggi, ma tutto quello che non è relativo all'Iliade diventa fittizio, come appunto Gilgamesh, Perseo, gli Argonauti e altri che leggerete nei capitoli successivi.
Per qualsiasi domanda, o chiarimento, o semplice curiosità, non esitate a contattarmi. Se posso rispondervi senza spoiler lo farò con piacere.

 

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Capitolo 5
*** Canto IV: Di come la famiglia porta soltanto guai ***



Canto IV
Di come la famiglia porta soltanto guai

 

 

Con l'arrivo di dicembre era arrivato anche il freddo più freddo da dieci anni a quella parte. Ormai mi era praticamente impossibile uscire di casa senza sciarpa, guanti e cappello, e non osavo immaginare come sarebbe stato tra un mese. Ma forse ero solo troppo freddolosa, perché Criseide, che ovviamente continuava a parlare a ruota libera accanto a me, indossava soltanto una sciarpa e dei guanti leggeri.
«Ma non hai freddo?» la interruppi, dopo aver soffiato il naso per l'ennesima volta.

Lei mi fissò con un sopracciglio inarcato «Di sicuro non ho freddo come te. E poi lo sai che non mi piace coprirmi troppo: il cappello mi schiaccia i capelli».
Perché gliel'avevo chiesto? Lo sapevo che Criseide faceva le cose solo per convenienza. Io avrei messo addirittura due cappelli se quello fosse servito a respingere il freddo.
«E comunque sei la solita esagerata. Ci sono otto gradi stamattina, non siamo mica al Polo Nord».
«Lo sai che ho preso il raffreddore» mi lamentai «se non mi copro rischia di peggiorare».
«Se peggiora, almeno puoi saltare la scuola».
«Ecco, è proprio quello che vorrei evitare». Per quanto la scuola non mi piacesse molto, odiavo perdere le spiegazioni e, considerando la velocità con cui spiegava la prof Atena, non sarebbe stata una grande idea perdere delle lezioni.
«Sei proprio noiosa» commentò Criseide con una smorfia, che io prontamente ignorai. Per andare d'accordo con Cri, dovevo essere pronta ad ignorare molte cose.
Arrivammo davanti all'Acaia, dove ci separammo come tutti i giorni. Da quando avevo cominciato a frequentare l'Acaia, Criseide aveva deciso che non sarebbe più stato un problema prendercela comoda e passare là davanti, perché tanto nessuno avrebbe voluto fare arrabbiare Achille dandomi fastidio. In realtà, era solo perché lei voleva passare più tempo al bar.
Arrivai in classe senza guardarmi in giro, perché, oltre ai miei compagni, c'erano anche altri personaggi scomodi in quella scuola, come Agamennone o Aiace Oileo, e con loro non volevo proprio avere nulla a che fare.
«Ciao, Bri!» mi salutò Tecmessa, appoggiata al muro vicino alla lavagna, insieme a Laodamia. Le raggiunsi dopo aver posato lo zaino al mio banco ed essermi tolta tutti gli strati che mi coprivano, perdendo circa dieci chili.
«Ciao» le salutai, adocchiando la rivista aperta che Tecmessa teneva tra le mani «che state guardando?»
«Domani esce “Orfeo e Euridice”, pensavamo di andare a vederlo sabato» rispose Laodamia «Vuoi venire con noi?»
«Davvero? Esce domani?» esclamai, spalancando gli occhi. Avevo letto il libro e mi sarebbe piaciuto vedere il film, anche se sapevo che avrei di sicuro pianto come una fontana dato che non era proprio una commedia. «Sì! Il libro mi è piaciuto un sacco!»
«Hai letto anche tu il libro?» esclamò Laodamia, quasi saltellando «E' stupendo, vero? Lui è così romantico e l'attore che lo interpreta è un figone assurdo! Ah, non vedo l'ora!»
«Guarda che Protesilao potrebbe ingelosirsi» commentò divertita Tecmessa. Io trattenni una risata: nonostante lo conoscessi da solo un paio di settimane, non avevo mai visto Protesilao geloso o arrabbiato. Esasperato quasi sempre, soprattutto quando si ritrovava Diomede davanti, ma mai arrabbiato. E non perché non amasse Laodamia – quei due insieme erano praticamente peggio di qualsiasi romanzo rosa – ma semplicemente perché era un tale bonaccione, che non gli sarebbe passato nemmeno per l'anticamera del cervello di alzare la voce contro qualcuno. Se avessi dovuto metterlo in un gruppo, l'avrei messo con Patroclo e Tecmessa, il gruppo dei buoni e gentili. Con loro c'erano anche Macaone – un ragazzo serio e diligente, che aveva sempre una buona parola per chiunque – e a volte Menelao – che tendeva essenzialmente a farsi i fatti suoi, leggere un libro durante l'intervallo e tenere la porta aperta alle ragazze. Avrei messo anche Penelope, ma avevo scoperto che sapeva essere davvero insopportabile quando si intestardiva su alcuni argomenti, e poi riusciva a tenere in riga sia Ulisse che Diomede, quindi avevo qualche dubbio a metterla nel gruppo dei buoni e gentili. Gente come Ulisse, Diomede e soprattutto Achille li avevo messi nel gruppo degli irriverenti insopportabili, e già il nome diceva tutto.
«Non è vero» disse Laodamia «Protesilao sa che amo solo lui» dichiarò con enfasi e convinzione, facendomi arrossire d'imbarazzo per lei. Non riuscivo a concepire come qualcuno potesse essere così sincero con i suoi sentimenti, io non sarei mai riuscita ad urlare a tutta la classe che amavo qualcuno o altre cose disgustose come quelle che diceva Mia. Quel comportamento era così simile a quello di mio padre che provavo una sorta di repulsione innata a comportarmi in quel modo.
«In ogni caso voleva venire anche lui» aggiunse dopo un po', dando ancora un'occhiata all'articolo dedicato al film «Spero che non sia per via dell'attrice» sputò fuori, digrignando i denti. Laodamia invece era spesso gelosa e non si faceva problemi a dimostrarlo.
«Possiamo andare tutti insieme» propose Tecmessa «Chiediamo anche a Penelope. Sirna non credo che venga». A Sirna non piaceva quel genere di attività, il fine settimana per lei significava solo andare a ballare e rimorchiare qualcuno con cui divertirsi.
«Ma poi Protesilao sarebbe l'unico ragazzo» osservai «non ha problemi?»
«Posso chiedere anche ad Aiace, anche se penso abbia già organizzato qualcosa con i ragazzi».
«Tranquille, per lui va bene anche così» ci rassicurò Laodamia. Certo che per lui andava bene anche così: finché c'era Laodamia, per Protesilao sarebbe andato bene tutto.
«Di che parlate?» chiese Penelope, sbucandomi alle spalle.
«Questo sabato vuoi venire con noi a vedere “Orfeo e Euridice”?» le chiese Mia.
Penelope quasi saltò dalla gioia «Sì, sì, sì! Non vedevo l'ora che uscisse!»
La sua reazione mi ricordò che anche Enone non vedeva l'ora di andare a vederlo, da quando aveva visto il trailer su internet. «Posso invitare anche una mia amica?» chiesi nervosamente. Sarebbe stata la prima volta che uscivo con le mie nuove compagne di classe e non sapevo se sarebbe stato giusto portarmi dietro Enone. Però lei era la mia migliore amica e ci teneva davvero tanto a vedere quel film.
«Ma certo! Più siamo meglio è!» esclamò Penelope, prendendomi a braccetto «Come si chiama?»
«Enone. Tessa la conosce già: erano in classe insieme, l'anno scorso».
Tecmessa annuì con un sorriso.
«Perfetto!» esclamò Laodamia «Poi provo a chiedere anche a Sirna».
La campanella suonò e ci dirigemmo ai nostri posti, visto che alla prima ora ci sarebbe stata arte e la prof Era non amava vedere gente in piedi quando entrava. Il problema era che con lei non si sapeva mai quando sarebbe arrivata o se sarebbe arrivata. Ulisse si alzò dal mio posto e si diresse al suo, fissandomi con uno strano sguardo, ma io non gli prestai molta attenzione e mi sedetti. Solo dopo che ebbi tirato fuori il diario e l'astuccio mi resi conto che Achille, Patroclo e Diomede mi stavano fissando.
«Che c'è?» chiesi, aggrottando le sopracciglia e facendomi più indietro sulla sedia, un po' a disagio.
«Perché strillavate come galline?» chiese Diomede col suo solito poco tatto.
In risposta, io gli tirai un calcio sotto la sedia. «Non sono affari vostri».
«Dove andate sabato?» mi domando invece Achille, studiandomi con una guancia appoggiata al palmo della mano.
Sospirai esasperata «Siete proprio degli impiccioni» commentai, posizionando sul banco i fazzoletti.
«Non dovresti uscire se sei malata» commentò Achille, dando un'occhiata ai tre pacchetti vicino al mio astuccio «Di sabato sera, poi».
Alzai gli occhi al cielo «Come vuoi, papà».
Lui fece una smorfia scontenta, ma non mi disse più niente. In compenso ci pensò Patroclo a spiegare la situazione «Vi hanno sentito organizzare qualcosa per sabato e si sono sentiti esclusi».
«Non è vero!» esclamò Diomede offeso «E poi noi abbiamo già da fare».
«Allora non vedo il problema» dissi con un sorriso falso, a cui lui rispose con un'espressione implorante.
«Sono solo curioso» si lamentò come un bambino. La sua espressione implorante non funzionava bene quanto la mia, ma per pietà decisi di accontentarlo.
«Abbiamo solo deciso di andare a vedere un film».
«Cosa? “Giasone”?»
«Perché mai dovremmo andare a vedere “Giasone”, scusa? E' “Orfeo e Euridice”».
«Quella palla romantica?» fece una smorfia disgustata «L'unica cosa di interessante sono le tette di lei!»
«Schifoso!» esclamai, dandogli un altro calcio sotto la sedia, mentre Patroclo se la rideva. Forse avrei fatto meglio a spostarlo nello stesso gruppo di Penelope.
«Chi c'è?» chiese Achille con voce poco interessata.
In un primo momento avrei voluto non dirglielo, ma conoscendolo sarebbe stato capace di seguirmi per controllare che non ci fossero ragazzi, quindi per evitare che mi comparisse davanti pure nel fine settimana, decisi di rispondere «Penelope, Tecmessa, Laodamia e una mia amica dell'Ilio. Forse viene anche Protesilao».
Diomede scoppiò a ridere «No, povero Prot! Non potete farlo soffrire in questo modo! Non Prot! No, no, Prot esce con noi sabato, per il suo bene».
Lo fissai con un sopracciglio inarcato, ma mi trattenni dal fargli notare che l'unico che faceva soffrire Protesilao era proprio lui.


La prima volta che avevo visto il prof Ermes ero rimasta stupita dal fatto che fosse l'insegnante di educazione fisica. Pentesilea e Criseide avevano avuto ragione al torneo di novembre a dire che era molto bello, persino io avevo dovuto ammetterlo alla sua prima lezione. E, a guardare le facce delle mie compagne mentre spiegava gli esercizi che avremmo dovuto fare, non ero l'unica ad aver preso una cotta per lui. Cotta che si era affievolita non appena mi ero resa conto di che razza di professore fosse. Oltre a proporre esercizi che solo uno sotto steroidi sarebbe riuscito a fare – o solo gli esaltati della nostra classe –, amava organizzarci partitelle e giochi competitivi. Nemmeno con Artemide sudavo così tanto.
Quella volta, per mia sfortuna-fortuna, mi ero ritrovata gli occhi azzurri di Achille a trenta centimetri di distanza. Il colore dell'iride era talmente brillante che sembrava un cielo senza nuvole e per una volta potevo fissarli senza che nessuno me lo rinfacciasse. Erano davvero gli occhi più belli che avessi mai visto.
Mi accorsi appena delle sue labbra, qualche centimetro più in basso, che si piegarono in un sorriso e prestai poco ascolto alle incitazioni dei miei compagni di squadra. Ero concentrata, molto concentrata – sì, forse parte della mia concentrazione era rivolta ai suoi occhi, ma ero comunque concentrata –, tanto che nel momento in cui alzò il braccio destro me ne accorsi senza neanche guardarlo e reagii con tempestività, bloccandolo con la mano sinistra; con la coda dell'occhio lo vidi muovere l'altro, ma fermai anche quello, trovandomi in una posizione di stallo.
Alzò un sopracciglio biondo «Non me l'aspettavo» ammise in un sussurro stupito. Dovetti fare forza su me stessa per ignorare il suo tono di voce – quello basso che tanto mi piaceva – ed evitare di incantarmi e lasciarlo così vincere.
«Non sottovalutarmi» sibilai.
«Tranquilla, non mi è mai passato per la testa» rispose divertito.
Poi rimanemmo a fissarci, con le gambe appena piegate e le braccia immobilizzate. Sentivo chiaramente la tensione dei muscoli dei suoi avambracci e non dubitavo assolutamente che sarebbe stato in grado di liberarsi come e quando avesse voluto, ma per qualche motivo non l'aveva ancora fatto e io dovevo approfittarne. Non sapevo ancora come, visto che avevo le mani occupate, e di certo non avrei potuto usare i piedi perché quello mi avrebbe fatto sbilanciare e gli avrebbe dato un vantaggio che non avevo intenzione di lasciargli. Non quella volta.
Ma le mie elucubrazioni non servirono a niente se non a farmi perdere del tempo e l'attimo giusto: Achille non aveva bisogno di pensare a come distrarmi, gli veniva naturale.
Bastò un istante, il tempo necessario perché si chinasse in avanti ed espirasse a pochi centimetri dalle mie labbra. Non appena sentii il suo fiato caldo, tirai indietro la testa di colpo, allentando la presa sulle sue braccia; lui liberò il destro con uno scatto veloce, lo fece passare vicino al mio fianco e mi strappò lo scalpo con un sorriso vittorioso. Ma prima che potesse aprire la bocca per dire qualcosa, o prima che potessi cominciare ad insultarlo, qualcuno gli arrivò alle spalle e gli strappò il suo, facendolo girare di scatto un istante troppo tardi per poter fare qualcosa.
La sua espressione sorpresa e tradita mi fece scoppiare a ridere, mentre Ulisse faceva lo stesso dall'altra parte del campo, agitando lo scalpo che era riuscito a rubargli come se fosse una bandiera.
«Sei un bastardo!» gli urlò dietro Achille.
«Ne ho solo approfittato» rispose lui «dovevi stare più attento. Grazie, Bri!» mi fece un occhiolino, prima di scansare Patroclo e scappare dall'altra parte.
«Ti sta bene!» dissi compiaciuta, mentre uscivo dal campo «Punizione divina».
Lui mi seguì «Non ti vantare troppo. Intanto sono io che ho eliminato te».
Gli lanciai un'occhiataccia «Hai barato» sibilai, mentre raggiungevamo Penelope.
«Non ho barato. Sei tu che non sai perdere».
Feci schioccare la lingua in un verso di disappunto «Senti chi parla. Mi hai distratto».
Lui piegò le labbra in un ghigno che non prometteva niente di buono «Non ho fatto assolutamente niente» disse con un'insopportabile faccia tosta «Sei tu che ti sei distratta da sola».
Sì, certo, e gli asini volavano. Mi credeva davvero così idiota? Avevo i miei momenti, lo ammetto, ma non ero stupida: sapevo perfettamente che se non mi fossi tirata indietro mi avrebbe baciato. E poi mi avrebbe preso lo scalpo. Lo sapevo.
Per sua fortuna, prima che potessi cominciare ad insultarlo, Penelope intervenne «Da quello che ho visto io, sei tu che ti sei distratto» disse con aria innocente. «E' la prima volta che qualcuno riesce ad eliminarti dal gioco. Inizio ad avere dubbi su chi sia davvero la vittima, in questa storia» gli lanciò un finto sguardo pietoso, mascherando un sorriso malizioso con la mano. Erano queste situazioni che mi impedivano di mettere Penelope nel gruppo dei buoni e gentili, quella traditrice.
«Ehi, non dovresti essere dalla mia parte?» esclamai offesa.
Lei mi rassicurò con una pacca sul braccio «Ma io sono dalla tua parte». Chissà come, ma il tono con cui l'aveva detto non mi rassicurava per niente.
«Ora ricordo perché odio parlare con le ragazze» si lamentò Achille con una smorfia.
«Andiamo, non fare il brontolone» esclamò Penelope con un sorriso allegro. «Tanto sappiamo tutti che non è vero».
Achille non disse niente, ma agitò una mano e si allontanò, raggiungendo Diomede, che era stato buttato fuori il primo minuto di gioco, dopo essersi catapultato tra gli avversari per provare un attacco a sorpresa. Inutile aggiungere che non aveva funzionato per niente.
«Non gli va giù quando qualcuno gli fà notare cose che non vuole» mi informò lei con un sorriso, prima di agitare la mano e chiamare Tecmessa e Sirna, appena tornate dal bagno.
«Achille è fuori?» chiese Sirna, fissandolo stupita senza preoccuparsi di essere discreta «Nel cesso c'è un portale per un mondo parallelo?»
«Cos'è successo?» chiese invece Tecmessa.
Per evitare che Penelope rispondesse a suo modo e mi imbarazzasse più di quanto sarei riuscita a sopportare, decisi di rispondere «Ulisse l'ha eliminato». Era la versione ridotta al nocciolo, ma era comunque la verità.
Ovviamente Penelope non aveva alcuna intenzione di farla finire lì «Achille era occupato con Briseide e così non si è accorto di lui».
Abbassai lo sguardo per evitare le loro occhiate, mentre sentivo le guance riscaldarsi.
«Però, complimenti» disse Sirna con voce maliziosa «E' proprio deciso a darci dentro».
«Non è vero!» esclamai imbarazzata, alzando la testa e fulminandola «Non so cosa avete capito, ma è tutto falso!»
«Certo, allora non ti spoglia con gli occhi ogni volta che non guardi» rispose lei con voce piatta, controllandosi le unghie.
Se possibile diventai ancora più rossa ed esalai un «C-cosa?»
Tecmessa si schiarì la gola, ma non rispose e finse di essere concentrata su Laodamia, che ancora cercava di scappare per il campo da gioco. Penelope strinse le labbra per trattenere un sorriso, ma i suoi occhi non si spostarono da Sirna, che sospirò e le guardò velocemente «Devo proprio dirglielo io?»
«Dirmi cosa?»
Lei mi passò un braccio intorno alle spalle e si avvicinò con fare cospiratore «Forse non te ne sei accorta perché in quei momenti non stai guardando, ma dovresti imparare a girarti quando meno se lo aspetta. Ti perdi un sacco di cose, sai?» sorrise maliziosa «E' davvero sexy quando ti guarda in quel modo».
Mi voltai di scatto, fissando Achille da sopra la sua spalla, ma lui stava parlando con Diomede, mentre guardava la partita che ormai era quasi finita.
«Non è vero» dissi, aggrottando le sopracciglia, mentre il mio cuore stabilizzava i battiti. Ero sollevata che non mi stesse guardando, ma una piccola parte di me era curiosa di vedere quello che diceva Sirna. Achille era già bello normalmente, come poteva essere ancora più sexy? Era umanamente inconcepibile.
«Cosa ti aspettavi? Sa perfettamente che stiamo parlando di lui» disse Sirna, fissandomi come se fossi un'idiota.
Prima che la potessi mandare a quel paese, Laodamia ci raggiunse con un'espressione esausta e sconfitta e tornammo tutte a vedere la partita, che ormai era quasi terminata.
Dopo cinque minuti, Ulisse strappò l'ultimo scalpo e non ebbe più difficoltà a portare la bandiera avversaria nel nostro campo, facendo vincere la mia squadra. Il prof Ermes ci salutò e ci mandò negli spogliatoi a cambiarci, andandosene via fischiettando verso la sala professori.
Noi ragazze rimanemmo a fissarlo finché non sparì dietro l'angolo.
«Ditemi se non è bello da mozzare il fiato» sospirò Laodamia, con uno sguardo da pesce lesso.
«Il suo culo è bello da mozzare il fiato» la corresse Sirna.
«E quando sorride, allora?» disse Penelope con due occhi sognanti che le avevo visto rivolgere solo a lui, nemmeno ad Ulisse, poverino. La capivo perfettamente, nessuno poteva competere con Ermes. Era bello, simpatico, divertente, disponibile e intelligente. L'uomo perfetto, praticamente. E aveva un seguito di ammiratrici tanto numeroso quanto quello del prof Apollo.
Sospirammo tutte insieme, prima di dirigerci verso lo spogliatoio, ma mentre passavamo davanti a quello maschile, la porta si aprì e un Diomede in mutande e con la ridarola venne sbattuto fuori.
«Dai, stavo scherzando!» esclamò tra le risate.
Sirna sollevò un sopracciglio e, senza pudore, se lo mangiò con gli occhi, mentre Penelope sospirava ed io, Tecmessa e Laodamia cercavamo di guardare da un'altra parte. Il fatto era che alcuni ragazzi della nostra classe non avevano niente da invidiare al fisico di Ermes. Era tutto il resto che lasciava a desiderare.
«Fatemi entrare, dai!» si lamentò, una volta che si fu calmato. Da dentro si continuò a sentire la confusione che stavano facendo i ragazzi e nessuno aprì la porta.
Poi Diomede si girò e finalmente si accorse di noi.
«Ehilà» ci salutò come se fosse in fila al supermercato vestito in maniera decente.
«Che cavolo hai combinato?» gli chiese Penelope, per niente imbarazzata. Forse era abituata a quel genere di scene, visto che il suo ragazzo era Ulisse e lui e Diomede sembravano attaccati per la pelle.
«Ma niente, stavamo scherzando e se la sono presa per una cosa che ho detto. Non credevo mi sbattessero fuori! Per di più abbiamo Atena dopo e se arrivo tardi si arrabbia».
«Ma devi proprio restare in mutande?» chiese Laodamia imbarazzata, cercando inutilmente di non fissarlo.
«Che problema c'è?» chiese Sirna, non preoccupandosi di fare lo stesso.
Diomede sembrò illuminarsi all'improvviso e posò lo sguardo su di me, con un ghigno leggermente inquietante. Poi si voltò e bussò forte alla porta «Ragazzi» urlò «sono in mutande, qua fuori, e se non mi fate entrare giuro che frego i vestiti alle ragazze, che tra l'altro mi stanno mangiando con gli occhi!»
«Non è vero!» strillammo insieme io e Tecmessa.
«Certo che è vero» rispose invece Sirna con un ghigno.
Tempo qualche secondo e la porta si aprì, lasciando intravedere il torso nudo di Achille, che tirò dentro Diomede con un insulto e chiuse di nuovo la porta.
Penelope scoppiò a ridere, mentre Sirna si lamentò con Achille per averci privato dello spettacolo. Io e le altre non potemmo fare a meno di tirare un sospiro di sollievo e andare a cambiarci, perché la prof Atena non aveva mai amato i ritardi e non volevamo certo finire sulla sua lista nera.


Quando la campanella suonò, segnando la fine di un'altra tediosa giornata scolastica, fuori pioveva a dirotto e sul mio cellulare c'era un messaggio di Ettore che diceva: “Ilo e Sena escono prima oggi. Puoi andare a prenderli tu? Mamma ti cucina quello che vuoi.”
Certo, ricattiamo Briseide, tanto lei è quella che va in una scuola dove nessuno ha mai niente da fare.
Buttai il telefono nello zaino e mi ficcai in testa il cappello, scrutando infuriata fuori dalla finestra. Quel giorno, ovviamente, non avevo l'ombrello. Avrei dovuto attraversare metà quartiere sotto il diluvio universale, recuperare Troilo – sperando che la zia gli avesse lasciato l'ombrello –, attraversare l'altra metà del quartiere per prendere Polissena – sperando che la zia avesse lasciato l'ombrello anche a lei – e attraversare un'altra metà quartiere per arrivare a casa loro, sperando di non annegare in qualche pozzanghera. Forse avevo contato troppe metà, ma quella era la situazione disastrosa in cui ero stata cacciata.
In quel momento avrei partecipato anch'io ai rientri pomeridiani delle quinte dell'Ilio. E quell'imbecille di Criseide dove era finita? Possibile che a nessuno importasse della propria famiglia? E possibile che la zia avesse da fare proprio a quell'ora? La fortuna mi doveva odiare a morte.
«Ehi Bri, non sei ancora andata?» mi chiese Penelope, mentre tirava fuori un ombrello pieghevole dalla tasca dello zaino.
Io lo guardai con una smorfia «Non ho l'ombrello!» esclamai «E devo pure passare a prendere i miei cugini a scuola».
«Mi dispiace. Ti presterei il mio, ma oggi nessuno va nella mia stessa direzione».
«Non importa, tranquilla» mormorai un po' abbattuta, mentre mi dirigevo verso la porta «Se domani non ci sono, è perché sono annegata in una pozzanghera».
Salutai tutti con un gesto della mano e mi incamminai verso l'uscita.
Ragionando razionalmente, l'asilo di Troilo non era molto distante da lì e se fossi riuscita a camminare al riparo avrei potuto cavarmela. Speravo solo che la zia gli avesse lasciato l'ombrello. Mi sarebbe andato bene anche quello piccolo con i panda.
Mi fermai all'ingresso e diedi un'occhiata fuori: la strada era completamente allagata e le gocce di pioggia che cadevano a terra erano grosse e veloci; La maggior parte degli studenti che uscivano avevano un ombrello da aprire, ma qualcuno si tirava su il cappuccio e correva fuori – se non altro non ero l'unica idiota ad averlo dimenticato.
Feci un bel respiro, mi tirai su il cappuccio e mossi coraggiosamente un passo avanti, ma in quel momento una mano mi strinse il braccio e mi guidò fuori, direttamente sotto la pioggia. Solo che della pioggia sentivo solo il rumore sul tessuto plastificato di un ombrello.
Mi voltai verso la persona che mi stava accanto e i miei occhi quasi uscirono dalle orbite quando si posarono sul volto di Achille.
«Non volevo che annegassi» disse, rispondendo al mio sguardo inquisitore.
Aprii la bocca, ma non sapendo cosa dire la richiusi subito; mi lasciò il braccio e prese l'ombrello con quella mano, coprendo per bene le nostre teste. Era un ombrello pieghevole, quindi non era molto largo, ma in quel momento ero contenta lo stesso, nonostante fosse di Achille.
«Da che parte devi andare?» chiese, ricominciando a camminare verso la piazzetta.
Indicai la strada a destra con un dito e lui si avviò in quella direzione.
«Cosa stai facendo?» domandai dopo qualche secondo.
Lui inarcò un sopracciglio «Secondo te? Ti accompagno».
Cercai di respingere il rossore che stava affiorando sulle mie guance e di calmare i battiti del mio cuore, ma non potevo negare che quella sensazione che si stava facendo largo dentro di me fosse piacevole. Era strana e non riuscivo a spiegarla, ma mi sentivo calda e piena di aspettativa, come quando sai che sta per succedere qualcosa di bello. Non che stare con Achille sotto un ombrello fosse qualcosa di bello. Sì, beh, ad essere onesti non era tanto male, ma con lui non potevo dimostrare nessuna debolezza, altrimenti ne avrebbe approfittato, quindi mi schiarii la gola e cercai di riprendermi «Non sai nemmeno dove devo andare».
«A prendere i tuoi cugini, no?»
«Sì, ma dove?»
«A scuola».
Sbuffai esasperata «Dovresti andare a casa. Non c'è bisogno che mi accompagni».
«Mettiamola così» cominciò lui, alzando gli occhi al cielo «mi sto facendo un favore».
«Ti stai facendo un favore? Accompagnando me?» chiesi ironica, poi strinsi le labbra, rendendomi conto che quel discorso non stava portando ad un argomento che avrei voluto affrontare, né ora né mai, così la chiusi lì «Fa' come vuoi» borbottai.
Grazie agli dei non disse più niente e proseguimmo in silenzio, ma ad ogni passo potevo sentire il suo braccio scontrarsi con il mio e l'aria sotto l'ombrello era troppo umida e il mio cuore batteva troppo veloce e tutto stava diventando troppo insopportabile. Quasi feci un balletto di vittoria, quando arrivammo all'asilo di Troilo.
Una volta al coperto mi allontanai da Achille e mi tolsi velocemente il cappuccio e il cappello. Lui mi guardò e cercò di mascherare una risata con un colpo di tosse, cosa che non gli riuscì bene come sperava.
«Beh, che c'è?» chiesi irritata, infilando il cappello in tasca.
«Niente, niente».
Lo fissai ancora un attimo, ma quando si passò una mano tra i capelli umidi decisi saggiamente di voltarmi, per evitare di incantarmi a guardarlo. Achille non aveva bisogno di nessuna espressione particolare per essere sexy, accidenti. Dannata Sirna e le idee che mi aveva messo in testa.
Cercando di non pensare, mi diressi velocemente verso la classe di Troilo, scansando il passeggino di una donna che stava trascinando un bambino che faceva i capricci. Rabbrividii al pensiero di trovarmi nella sua stessa situazione e mi affacciai alla porta, cercando di trovare Troilo in quella folla di bambini urlanti, ma la prima a vedermi fu la sua insegnante.
«Briseide, tesoro! Tua zia mi ha detto che saresti venuta tu» esclamò Demetra, raggiungendomi con un sorriso allegro, che si spense non appena si posò su di me «Tesoro, hai dei capelli spaventosi: sono tutti schiacciati!» esclamò inorridita. Arrossii e mi affrettai a ravvivarli con le dita, sperando si sistemassero. Ora si spiegava perché Achille stesse ridendo, quel deficiente. Demetra mi aiutò, mentre continuava dicendo «Spero che tu abbia un ombrello, perché Troilo non ce l'ha».
Perfetto. Perché mi ostinavo ancora ad avere fiducia in mia zia? Avrei dovuto saperlo che si sarebbe dimenticata di dargli l'ombrello, avrei dovuto saperlo, visto che più di una volta si era dimenticata un figlio da qualche parte.
«Visto? Sei fortunata che ci sia io» la voce di Achille alle mie spalle mi fece sussultare e voltare verso di lui. Non credevo mi avesse seguito, pensavo mi stesse aspettando nell'atrio o che avesse deciso di andarsene. Gli lanciai un'occhiataccia, ma non replicai perché persino io dovevo ammettere che aveva ragione. L'ultima mia speranza era Polissena, non tanto per la zia, ma perché lei era molto più attenta a quelle cose e si ostinava a guardare il meteo tutte le mattine. E perché usare l'ombrellino di Achille in quattro non sarebbe stata una grande idea. Sempre che non se ne fosse andato prima.
«Oh, è il tuo ragazzo?» chiese Demetra con gli occhi che quasi le brillavano. Se c'era una cosa che adorava, oltre a chiamare tutti “tesoro”, era accoppiare la gente – cosa che non le veniva molto bene, considerando il matrimonio mezzo disastrato di sua figlia Persefone: lei e suo marito Ade un giorno si lanciavano piatti e un giorno ci davano dentro come conigli. Era una relazione terribile.
Achille fece un sorriso sornione e allungò una mano, che Demetra si affrettò a stringere «Mi chiamo Achille».
«Non è il mio ragazzo!» esclamai nello stesso momento, prima di voltarmi verso di lui e colpirgli un braccio «Non dire in giro che sei il mio ragazzo! Non è vero!»
Lui alzò gli occhi al cielo «Sei l'unica che lo crede» commentò.
«Cosa? Semmai sei tu l'unico che crede il contrario!» esclamai colpendolo di nuovo. Tanto anche senza l'imbottitura del piumino non avrebbe sentito nulla.
«Guarda che se chiedi in giro ti rispondono tutti la stessa cosa» mi informò inarcando un sopracciglio, come se fosse stupito che non lo sapessi.
Aprii e chiusi la bocca per qualche istante, ma riuscii a sputare fuori solo uno stentato «Solo perché hanno paura di te».
«Siete davvero adorabili, litigate già come una coppia di sposini» ci interruppe Demetra con un'allegria assolutamente fuori luogo, prima di voltarsi verso la classe e strillare «Troilo tesoro, tua cugina è venuta a prenderti con il suo ragazzo!»
Se avessi potuto mi sarei sotterrata dalla vergogna, mentre gli adulti presenti si voltavano tutti verso di me e, ovviamente, Achille se la rideva alla grande.
Troilo alzò la testa bionda e, quando i nostri sguardi si incrociarono, mi fece un sorriso e mi corse incontro, fino a scontrarsi con le mie gambe. Meno male che c'era Troilo: mi bastava guardarlo per dimenticare tutto quanto.
«Bi!» esclamò con la sua vocina allegra «Sei venuta a prendermi?» I suoi occhioni azzurri brillavano e avrei tanto voluto sbaciucchiarlo fino a soffocarlo, ma ero in pubblico e c'era Achille, quindi era assolutamente fuori questione. Però mi chinai ad abbracciarlo e gli stampai un bacio sulla guancia «Certo, per chi sono venuta se no?»
Lui rise contento, poi mi afferrò una mano e mi tirò verso il tavolo a cui era seduto fino ad un minuto prima «Guarda cosa ho fatto!» esclamò, evitando abilmente i giochi sparsi a terra, su cui io, altrettanto abilmente, inciampai. Alle mie spalle sentii la risata di Achille, ma lo ignorai per concentrarmi sul foglio di carta che mi porgeva Troilo.
«Siamo noi due!» disse tutto orgoglioso «Questa sei tu e questo sono io».
Dovevo ammettere che i colori che aveva usato erano davvero particolari ed era stato davvero abile a non usare il rosa nemmeno una volta – era un periodo in cui odiava il rosa –, anche le forme si mescolavano in maniera perfetta, tanto che non riuscivo a capirci un accidente, però sorrisi lo stesso.
«Ma che bello» dissi entusiasta, guadagnandomi un altro sorriso. Ma sì, che importava di quegli scarabocchi incomprensibili, quando Troilo mi sorrideva in quel modo?
«Certo che sei proprio affascinante» mi sussurrò Achille all'orecchio, facendomi rabbrividire. Evitai di lanciargli un'occhiataccia solo perché era troppo vicino e se mi fossi girata sarebbe stato ancora più imbarazzante.
Ma in quel momento Troilo si accorse di lui e lo studiò dal basso, con la bocca leggermente aperta. Probabilmente lo stava paragonando ad uno degli eroi dei suoi cartoni animati, come aveva il vizio di fare. Quando giocava con Ettore, gli faceva fare Enkidu, il migliore amico eroe di Gilgamesh – mentre lui ovviamente faceva Gilgamesh –, solo perché diceva che gli assomigliava.
«Chi sei, Teseo?» gli chiese dopo qualche secondo.
Trattenni una risata, mentre Achille lo fissava con un sopracciglio inarcato e l'aria confusa. Potevo leggergli in fronte “Teseo? Chi cazzo è Teseo?”. Tra l'altro come identificazione era anche piuttosto azzeccata, dato che era il cartone che meno sopportavo.
«Sono Achille. Tu?».
«Troilo» rispose, per poi riprendere a fissarlo, finché qualcosa non gli accese lo sguardo e non lo fece aggrappare alla mia gamba e strillare «Bi è mia, no tua!»
Arrossii e guardai ovunque tranne che nella direzione di Achille. Speravo si fosse dimenticato delle stupidaggini che aveva detto Criseide, invece doveva essere un'informazione che gli stava a cuore, visto che ancora se la ricordava.
Achille scoppiò a ridere, facendo arrabbiare Troilo che si staccò da me e si appese alla cintura dei suoi pantaloni, cercando di scuoterlo avanti e indietro, ma ovviamente senza spostarlo di un centimetro.
Stavo per ordinargli di smetterla e spedire Achille fuori da lì, quando Demetra si avvicinò con un avviso da consegnare agli zii. Prima di ascoltarla, sbuffai esasperata e cercai di richiamare all'ordine quelle due piaghe. Ok, la piaga era solo una, visto che Troilo era un tesoro.
«Perché non cominciate a mettere via tutto?»
«Faccio io!» disse Troilo, staccandosi finalmente dalla cintura di Achille e correndo in fondo all'aula, dove erano appese le loro cose. Lanciai un'occhiata penetrante ad Achille – se voleva stare lì, avrebbe dovuto darsi una mossa anche lui –, che alzò le mani in segno di resa e seguì Troilo.
«Il tuo ragazzo è proprio un tesoro» mi disse Demetra tutta allegra.
«Non è il mio ragazzo» ripetei con voce lamentosa.
Lei sorrise con fare accondiscendente e mi porse il foglio «Di' ai tuoi zii che devono riportarlo firmato entro venerdì, ok?»
«Va bene» lo infilai nella tasca libera del piumino, sperando che non si bagnasse, e mi diressi verso Achille e Troilo. Mi sentivo un po' in colpa ad aver lasciato mio cugino nelle mani di quello lì e speravo che Troilo non se la prendesse con me. Persino mentre mi avvicinavo riuscivo a sentirli discutere.
«E' mio! Lo porto io!» esclamò Troilo, agitando un braccio mezzo infilato nel giubbotto verso lo zainetto che Achille teneva sollevato in aria fuori dalla sua portata.
«Prima vestiti e poi te lo do» rispose Achille tranquillo, come se venisse a prendere bambini capricciosi tutti i giorni «E poi chi diavolo è Gilgamesh? Dove sono finiti Giasone e gli Argonauti?»
«Guarda che Gigamesc è superforte!» si lamentò Troilo, imbronciandosi mentre si infilava bene il giubbotto.
«Scommetto che Ercole lo batte con una mano sola e gli occhi bendati» ribatté Achille con un sorriso di sfida a cui Troilo rispose con uno sguardo di sufficienza che poteva aver imparato solo da Creusa.
«E' impossibile. Se gioco la camicia avvelenata, Ercole perde metà vita e Gigamesc lo batte con un attacco!»
Quando Achille lo fissò confuso, mi decisi a trattenere le risate e farmi avanti.
«Allora, hai preso tutto?» chiesi a Troilo, chinandomi a chiudergli il piumino e mettergli sciarpa e cappello.
«Sì» lanciò uno sguardo verso Achille, che gli passò lo zainetto. Lui se lo infilò con aria soddisfatta e mi prese per mano.
Demetra ci salutò con quella sua solita aria allegra e ci dirigemmo verso l'uscita. Solo in quel momento, mentre guardavo l'acqua che continuava a scendere imperterrita, mi resi conto che arrivare da Polissena sarebbe stato difficile quanto una delle fatiche di Ercole, giusto per rimanere in tema cartoni animati.
Imprecai nella mente contro mia zia e mi tirai su il cappuccio.
«Da che parte si va?» chiese Achille, riprendendo l'ombrello.
Io lo guardai stupita «Vuoi ancora accompagnarci?»
Lui inarcò un sopracciglio per l'ennesima volta «Preferisci camminare sotto la pioggia? Non so quanto faccia bene a Gilgamesh» disse ironico, accennando col capo verso mio cugino.
Non ribattei: un conto ero io, un conto era Troilo. Non l'avrei mai fatto camminare sotto l'acqua.
Così ci ritrovammo tutti e tre sotto il suo ombrello, che io cercavo di tenere il meglio possibile, mentre accanto a me Troilo se ne stava abbarbicato in braccio ad Achille, lamentandosi di essere troppo grande per stare in braccio a qualcuno, ma sapevo che non era vero perché lui adorava stare in braccio alla gente e perché stavano discutendo di cartoni animati.
Achille, il terribile Achille dell'Acaia, che aveva mandato più di una persona in ospedale, stava parlando di cartoni animati con mio cugino di cinque anni. E dall'attenzione che mi stavano prestando, se la intendevano anche alla grande. Che cavolo, ero io la preferita di Troilo. Non poteva tradirmi così.
Per fortuna ci volle poco per arrivare a scuola di Polissena. La campanella era già suonata perché non c'era il solito trambusto in cortile e i bambini rimasti erano pochi. Intravidi mia cugina vicino ad una delle colonne del porticato e la chiamai agitando una mano. Lei mi salutò con un cenno e poi aprì il grande ombrello arancione che aveva tra le mani e si diresse verso di noi.
Mollai l'ombrello in mano ad Achille e mi fiondai sotto quello di Polissena, riempiendola di baci.
«Ah, meno male che ci sei tu!» esclamai abbracciandola forte «Tua madre è proprio una stordita» evitai di pensare al fatto che anche io l'avessi dimenticato e glielo presi di mano, porgendole il braccio per farglielo stringere e restare più vicina.
«Ciao» ci salutò con la solita vocina gentile, senza però spostare lo sguardo curioso da Achille.
Troilo la salutò allegramente, interrompendo la sua discussione sul recupero del vello d'oro, ma Polissena si limitò ad agitare una mano e continuare a guardare Achille, probabilmente chiedendosi chi diavolo fosse quel tizio che teneva in braccio suo fratello.
Ci rimettemmo in marcia, questa volta diretti finalmente a casa, con la pioggia e le voci di Troilo e Achille che facevano da sottofondo. La casa degli zii era un po' più lontana rispetto alle scuole, ma riuscimmo ad arrivarci abbastanza velocemente, nonostante la pioggia.
Mentre cercavo le chiavi nello zaino di Polissena lei si decise a smettere di fissare Achille e a parlare. «Tu sei il fidanzato di Briseide?» chiese innocentemente, arrossendo appena. Di tutte le cose che poteva dire quella era senz'altro la peggiore. Avrei strozzato Criseide la prossima volta che l'avessi vista. Lentamente e dolorosamente.
«No!» mi affrettai a rispondere sotto lo sguardo divertito di quella spina nel fianco «Non devi ascoltare quello che dice Cri».
«Oh» fece lei con voce delusa, guardando prima me e poi lui «però state bene insieme».
Io arrossii e tirai fuori di colpo le chiavi, voltandomi per infilarle nel cancello.
«Ah, la voce della verità» disse Achille alle mie spalle.
«Taci» sibilai aprendo il cancello.
Lui rise e mise a terra Troilo, che rimase per un attimo sotto il suo ombrello a fissare la strada con un'espressione indecisa. Poi alzò uno sguardo serio su di lui e disse «Bi è mia, ma posso darla anche a te». Quella doveva essere la giornata in cui i miei cugini gareggiavano per mettermi in imbarazzo.
Invece dell'occhiata maliziosa che mi aspettavo mi lanciasse, Achille si limitò a sorridere a Troilo in un modo che non gli avevo mai visto fare prima e disse divertito «Grazie, Gilgamesh». Troilo ricambiò il sorriso, annuendo soddisfatto, e corse sotto il mio ombrello.
Poi Achille mi lanciò un'occhiata penetrante «Sentito tuo cugino?» chiese divertito.
Io lo ignorai e mi guardai attorno, cercando di raccogliere un po' di coraggio «Grazie per averci accompagnato» dissi alla fine «mi dispiace di averti fatto perdere tempo e allungare la strada».
Achille scrollò le spalle con il solito fare indifferente «Tanto abito qua vicino».
«Davvero?» chiesi curiosa, spalancando gli occhi. Ettore e Achille abitavano vicini? Chi aveva mai permesso quella catastrofe?
Lui annuì semplicemente «Ci vediamo domani, visto che non sei annegata in nessuna pozzanghera».
Non riuscii a trattenere un sorriso e lo salutai con un cenno della mano, a cui lui rispose con uno della testa, prima di voltarsi e proseguire lungo la via.
Io e i miei cugini ci stringemmo sotto l'ombrello arancione e percorremmo il vialetto, fino al portico d'ingresso. Chiusi l'ombrello, lo scrollai e lo misi nella grande anfora insieme agli altri, poi infilai la chiave nella serratura e aprii la porta. Mentre li facevo entrare, Troilo mi fissò con i suoi grandi occhi azzurri e disse «Ho deciso che Achille è Perseo».
«Non era Teseo?» gli chiesi una volta dentro, mentre gli toglievo cappello e sciarpa.
Lui scosse la testa con forza «No, è Perseo!»
Sorrisi e gli tolsi il giubbotto, passando poi a togliere il mio.
«Perché?» gli chiese Polissena curiosa, mentre si slacciava il piumino.
Prima di risponderle, si sedette a terra per togliersi le scarpe «Perché Perseo è l'eroe che piace a Bi» disse con voce tranquilla «Così Bi è Andomeda e può giocare anche lei con noi».
Polissena annuì in accordo ed entrambi corsero verso il bagno, lasciandomi come una scema immobile davanti all'ingresso.







EDIT: Innanzitutto, volevo chiarire il tempo della storia. La vicenda inizia all'incirca tra la prima e la seconda settimana di novembre e in questo capitolo ci troviamo a metà dicembre, più o meno. Nei prossimi probabilmente ci saranno dei salti temporali, ma fino al canto VI saremo ancora prima di Natale. Spero che non sembri tutto troppo veloce (le varie amicizie, relazioni, eccetera), perché vorrei mostrare il cambio graduale tra i personaggi.
Come detto nelle note del capitolo precedente, ci sono diversi accenni ad altri miti, qui in particolare Orfeo e Euridice (trasformato in un libro/film drammatico), Giasone (film avventura sullo stesso personaggio e il recupero del vello d'oro), ancora Gilgamesh (grande saga d'animazione), Teseo, Ercole e Perseo - nello specifico, quando Troilo parla di giocare la camicia avvelenata, si riferisce ad un gioco di carte degli eroi e la camicia avvelenata è una specie di carta strumento/trappola/quello che volete che penalizza la carta di Ercole. Achille non conosce questo gioco di carte collezionabili e quindi è confuso per questo motivo. La camicia avvelenata si riferisce ovviamente al mito della morte di Ercole -.
Inoltre, se Troilo sbaglia qualche nome è una cosa voluta, o perché ha difficoltà a pronunciarlo o perché è abituato così, come nel caso di Briseide.
Che altro dire? Protesilao e Laodamia sono abbastanza conosciuti, credo (vorrei specificare che Diomede è l'unico a chiamare Protesilao "Prot". E lo fa apposta); Macaone è un medico greco figlio di Asclepio, dio della medicina figlio di Apollo; Sirna è la figlia malata di un re che viene guarita dal fratello di Macaone, non c'entra niente con la guerra di Troia e non ricordo nemmeno come sono arrivata al suo nome, ma non importa.
Fino a questo capitolo la storia segue abbastanza fedelmente l'originale, mentre dal prossimo ci saranno scene completamente nuove, quindi dimenticatevi tutto.
Spero vi piaceranno lo stesso.

 

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Capitolo 6
*** Canto V: Di come basta poco perché tutto cambi ***



Canto V
Di come basta poco perché tutto cambi

 

 

Era arrivato sabato e, come avevamo stabilito, io e le ragazze dovevamo incontrarci nella piazza fuori dal cinema. Enone era passata da casa mia con un'aria un po' agitata e man mano che si avvicinava l'ora diventava sempre più nervosa.
«Ma sei sicura che vada bene che ci sono anch'io? E' la prima volta che esci con loro».

Sospirai esasperata e alzai gli occhi al cielo per l'ennesima volta «Smettila. E' tutto ok. E poi c'è anche Tessa».
Si morse un labbro, tormentandosi l'orlo del cappotto, che copriva quasi interamente il suo vestito. Enone aveva sempre amato i vestiti e ne aveva davvero di tutti i tipi, senza contare poi che le stavano davvero bene.
«Cri non viene?» mi chiese dopo un istante.
«No, ha detto che usciva con un tipo».
Da dietro l'angolo comparve Tecmessa, che sorrise non appena ci vide e corse ad abbracciare Enone. Grazie al cielo bastò quello per tranquillizzarla e potei tirare un sospiro di sollievo.
«Le altre non sono ancora arrivate?» chiese sistemandosi i capelli.
«Non ancora, ma Penelope mi ha mandato un messaggio poco fa e ha detto che erano vicine» risposi controllando l'ora sul cellulare.
«Ehi, ragazze!» proprio la voce di Penelope ci fece voltare verso di lei e Laodamia, appena scese da una macchina «Scusate il ritardo».
Dopo i saluti e le presentazioni – per fortuna Enone sorrideva e aveva smesso di torturarsi i vestiti – entrammo a comprare i biglietti.
“Orfeo e Euridice” aveva davvero avuto un grande successo di critica e la sala era piena, tanto che fummo fortunate a trovare dei posti decenti.
Ovviamente, l'unica cosa felice del film furono i popcorn. Io e Tecmessa iniziammo a piangere da circa metà fino alla fine, l'unica che riuscì a resistere di più fu Penelope, ma nella scena finale anche a lei scappò qualche lacrima, mentre Enone e Laodamia cominciarono con i titoli di testa e finirono con quelli di coda, così i tre pacchetti di fazzoletti che mi ero portata non bastarono.
Uscimmo dal cinema ancora con le lacrime agli occhi, come tutte quante nella sala, e mi stavo giusto soffiando il naso quando Tecmessa si lasciò scappare un risolino.
«Aiace!» esclamò, correndo verso un ragazzone alto e robusto seduto su una delle panchine della piazza, e buttandogli le braccia al collo.
Cercai di distinguere il gruppo in cui si era tuffata Tecmessa, ma ormai era buio e i lampioni e gli occhi umidi non mi permettevano di vedere molto bene, ma seppi di non averne bisogno nel momento in cui Penelope si lasciò scappare un esasperato «Ulisse! Che diavolo ci fate qua?».
Raggiungemmo quello che mi resi conto era il gruppo di persone che almeno nel fine settimana preferivo non vedere: i miei compagni di classe.
«Siamo venuti al cinema, no?» rispose Ulisse con aria innocente, passando un braccio intorno alle spalle di Penelope e tirandosela vicino.
«Non ci credo per niente» rispose lei con una smorfia «Scommetto che siete-» non riuscì a finire la frase perché Ulisse ne approfittò per tapparle la bocca in un bacio talmente appassionato che dovetti distogliere lo sguardo, che per mia sfortuna si posò su Laodamia e Protesilao che facevano lo stesso, così mi voltai dalla parte opposta, incontrando quello penetrante di Achille, che mi studiò con attenzione e poi mi fece un leggero sorriso, facendomi arrossire e guardare da un'altra parte. Certo, dovevo trovarmelo anche fuori da scuola, di sabato sera, quando pensavo di godermi una serata tra amiche, vero? Per di più avevo di sicuro gli occhi gonfi e il trucco rovinato – non che mi interessasse.
Per fortuna ci pensò Diomede ad attirare la mia attenzione, dando voce ai pensieri di tutti «Ma la finite di sbatterci in faccia la vostra vita sentimentale?»
Tecmessa e Patroclo scoppiarono a ridere, poi lei si affrettò a fare le presentazioni «Lui è Aiace, il mio ragazzo» disse allegramente, passandogli un braccio intorno alle spalle. Sapevo perfettamente chi era, considerando tutte le volte che l'avevo visto fare rissa da una delle finestre dell'Ilio. Ma, prendendomi completamente alla sprovvista, lui ci salutò con un sorriso gentile e una stretta di mano, poi lei indicò a turno gli altri «Loro sono Protesilao, Ulisse, Diomede, Patroclo e Achille. Lei è Enone, un'amica dell'Ilio».
Potevo vedere quanto Enone fosse nervosa, ma per fortuna Patroclo le sorrise gentilmente e poi ci pensò Diomede a sciogliere la tensione con il suo solito poco tatto.
«Ehi, ti conosco!» esclamò indicandola con una strana espressione «Tu sei la tipa della pasticceria!»
A quelle parole Ulisse si staccò da Penelope e si girò verso di noi, scoppiando a ridere. Enone arrossì un po' e io mi affrettai a difenderla «Ehi, non prendetela in giro! E' stata tutta colpa tua!» accusai Diomede, che stranamente sembrò imbarazzato.
«Scusa ancora» mormorò, abbassando lo sguardo.
Enone agitò una mano «No, non importa, davvero! Dopo un minuto non sentivo più niente».
Ulisse posò un braccio sulle spalle del suo migliore amico «Ah, i dolci fanno miracoli!» disse con un'espressione che non mi piaceva per niente «Ci siete più andate?»
«Qualche volta» rispose Enone timidamente.
«Ma dai! Pensa che Diomede ci va tutti i gior-»
«Ok, andiamo a bere qualcosa, va bene?» lo interruppe Diomede con voce più acuta del normale e le guance appena rosse, cosa che non avevo mai visto prima di allora, tanto che spalancai gli occhi e lo fissai stupita. Ma lui era già scattato in avanti, seguito da Patroclo, Aiace e Tecmessa, che si tirò dietro anche Enone. Io afferrai un braccio di Ulisse, prima che potesse fare un solo passo e lo fissai sospettosamente «Che storia è questa?» sibilai. Se pensavano di prendere in giro Enone, si sbagliavano di grosso, anche se dalla sua espressione iniziavo ad avere qualche dubbio in merito.
Infatti Ulisse mi sorrise maliziosamente e mi prese a braccetto, guidandomi dietro Laodamia e Protesilao «Secondo te perché Mede ci va tutti i giorni? Ti dico da subito che, per quanto gli piacciano i dolci, non ne compra mai nessuno».
Spalancai la bocca e mi fermai di colpo «No, non ci credo!»
Penelope mi posò una mano sulle spalle e sussurrò «Vedrai quanto è adorabile quando gli piace una ragazza».
“Diomede” e “adorabile” nella stessa frase erano inconcepibili, ma mai quanto “a Diomede piace Enone”.
«Non ci credo» esalai facendo qualche passo titubante.
Penelope scoppiò a ridere e mi superò allegramente, seguita subito da Ulisse che mi lasciò con un occhiolino.
Achille mi passò di fianco tranquillo e con le mani infilate nelle tasche del piumino, ma io lo afferrai per un braccio «Tu lo sapevi?» chiesi senza fiato.
Lui non fece nemmeno finta di venire trattenuto e fui costretta a riprendere a camminare «Certo che lo sapevo» rispose con calma «Prima che arrivassi tu, continuava a lamentarsi durante i cambi dell'ora. Era insopportabile».
Il pensiero di Diomede a struggersi per Enone mi fece spuntare un sorriso sulle labbra. Dopo la brutta storia con quel cretino di Paride, Enone si meritava qualcuno a cui piacesse sul serio e che la trattasse bene e Diomede, per quanto facesse l'idiota, era un bravo ragazzo.
«Ti immagini se si mettono insieme?» esclamai allegramente «Potrei prendere in giro Diomede tutte le volte che voglio!»
«Davvero lasceresti la tua amica nelle sue mani?» chiese Achille divertito.
Scrollai le spalle «Diomede non è tanto male. Spesso fa lo scemo, ma è ok».
Sentii il suo sguardo addosso, ma lui non disse niente, così alzai la testa per guardarlo, rendendomi conto solo in quell'istante che gli stavo ancora tenendo il braccio e che eravamo davvero troppo vicini. Lo mollai all'istante, allontanandomi e sentendo subito il freddo penetrare attraverso i vestiti, e misi su un'espressione offesa, mentre lui si lasciava scappare una breve risata divertita.
«Pensavo non te ne accorgessi più».
«Taci» sibilai imbarazzata, aprendo la porta del pub in cui si era fiondato Diomede per scampare alla vergogna. Mi guardai attorno e individuai subito il nostro gruppo, il più rumoroso, nonostante la confusione generale.
«Finalmente!» esclamò Ulisse non appena ci vide arrivare «Pensavamo ci aveste lasciati per andare ad un appuntamento romantico».
Lo fulminai con un'occhiataccia, notando che i posti rimasti erano vicini e a capotavola, tra lui e Diomede, il luogo più terribile del mondo.
«Se anche fosse successo, tu avresti rovinato tutto chiamando nel momento meno opportuno» rispose Achille, mentre io mi sedevo accanto a Diomede, giusto perché lui era vicino ad Enone e almeno potevo prenderlo in giro se faceva battutacce.
«La smetti di dire fesserie?» chiesi irritata, mentre si sedeva accanto a me.
Lui inarcò un sopracciglio «Guarda che Ulisse chiama davvero nei momenti meno opportuni» mi spiegò, mentre quell'idiota se la rideva.
«Sì, ma tanto noi non stavamo facendo niente e mai faremo niente, quindi non c'è nessun problema» dissi con un finto sorriso.
Achille ricambiò con un sorriso malizioso «Noi?»
«Tu e io» mi corressi, stringendo le labbra.
Lui ovviamente mi ignorò e prese la lista delle bevande «Fidati, un giorno mi darai ragione».
Io feci schioccare la lingua e mi voltai dall'altra parte, accorgendomi solo in quel momento che gli occhi di tutti erano fissi su di noi.
«Che c'è?» berciai imbarazzata.
Non mi stupii che a rispondere fu Ulisse «Certo che litigate già come una coppia sposata».
In risposta, gli lanciai contro il porta tovaglioli, che però lui riuscì a prendere al volo, mentre gli altri ridevano e ricominciavano a parlare.
Mi voltai verso Enone che mi fissava con attenzione; quando si accorse che la stavo guardando mi sorrise ed io non potei fare a meno di ricambiare.
«Tutto bene?» le chiesi.
Lei annuì «Sì, sono divertenti i tuoi compagni».
Avere quella discussione con Diomede in mezzo non era il massimo, così lo guardai eloquentemente «Perché non facciamo cambio di posto?»
Lui sembrò scandalizzato per il fatto che l'avessi anche solo proposto «No!»
Certo che no, voleva approfittarne e stare vicino ad Enone. Quando si accorse del mio sguardo si rese conto che sapevo e si affrettò a giustificarsi «Devo stare di fronte ad Ulisse».
Alzai gli occhi al cielo, ma evitai di fargli notare quanto fosse una scusa idiota e decisi di accontentarlo. Dopotutto potevo parlare con Enone anche da lì e, per una volta, potevo fare un favore a Diomede e provare a sistemare la vita sentimentale della mia migliore amica.
Solo quando ormai i bicchieri erano quasi vuoti, mi resi conto che forse non era il massimo voler aiutare Diomede ed Enone, perché quello avrebbe significato uscire più spesso con lui e non sapevo quanto l'avrei sopportato, a lungo termine.
«Ti ho detto che questo è mio» gli ripetei esasperata per l'ennesima volta, allontanando il mio bicchiere dalla sua mano.
«Dai, solo un goccio» mi pregò lui con un sorriso da beota.
«Ne hai già bevuti tre! Sei un ubriacone!»
«E tu sei una taccagna».
«Ma ti senti quando parli?»
Ulisse era ormai accasciato sul tavolo dal tanto ridere ed Enone non mi stava aiutando per niente, visto che anche lei sembrava divertirsi come una pazza. Così diedi una gomitata ad Achille, che stava assistendo alla scena con il suo solito sorriso divertito.
«Ehi, fa' qualcosa».
«Io?» chiese lui, alzando le sopracciglia innocentemente «Perché mai?»
Strinsi le labbra irritata, ma non risposi perché non avevo idea di cos'altro dire. Non potevo certo affrontare quell'argomento tanto scomodo.
In quel momento Diomede si allungò ancora di più verso di me e, di conseguenza, dovetti spostarmi verso Achille, per mia somma gioia.
«Giuro che, se allunghi ancora una di quelle manacce, ti mordo» lo minacciai. Avrei potuto berlo tutto d'un fiato, ma mi mancavano ancora più di due dita ed era molto alcolico, e sicuramente non avevo intenzione di ridurmi come Diomede, se non peggio.
Lui mi afferrò un braccio con una mano e allungò l'altra cercando di afferrare il bicchiere, così iniziammo a litigare, tirandolo da una parte all'altra; probabilmente stavamo dando fastidio a chi avevamo di fianco – ero sicura di aver colpito Achille più di una volta –, ma finché non avessi vinto non avrei mollato la presa.
«Ok, ora basta. Facciamo cambio» disse Achille all'improvviso, sporgendosi verso Diomede e staccandolo da me; poi mi prese per un braccio, mi fece alzare e mi spostò verso il suo posto, mentre lui si metteva al mio.
Mi sedetti con forza, lanciando uno sguardo vittorioso a Diomede e bevvi un grande sorso sotto i suoi occhi delusi.
«Così però non vale» si lamentò.
«Ti sta bene!»
«Non vantarti troppo» disse Achille, guardandomi divertito. Io lo ignorai e diedi un colpetto ad Ulisse, per farlo smettere di ridere.
Lui si rimise dritto, asciugandosi gli angoli degli occhi e inspirando profondamente «Siete talmente prevedibili» riuscì a dire tra qualche colpo ancora di risata, dando un'occhiata a tutti e tre.
Penelope si voltò finalmente verso di noi e ci fissò con una smorfia «Avete finito? E' quasi imbarazzante stare al vostro stesso tavolo».
Io la guardai offesa e puntai un dito contro Diomede «E' colpa sua!»
Diomede si limitò a scoppiare a ridere senza motivo. Così come fece per la seguente mezz'ora, finché non ci alzammo tutti ed Ulisse non gli diede un colpo deciso in mezzo alle spalle, facendolo calmare istantaneamente. Ognuno aveva i suoi metodi, a quanto pare.
Uscimmo dal locale tutti coperti ed io diedi un'occhiata al cellulare «Enone, Deifobo arriva tra cinque minuti». Non ci era voluto molto per convincere Deifobo a venirci a prendere dopo la sua serata di calcetto: mi era bastato lanciargli il mio migliore sguardo implorante. Lui ed Ettore non riuscivano mai a dirmi di no.
«Chi è Deifobo?» mi chiese Patroclo, ignorando Diomede che si stava quasi accasciando sulla sua spalla.
«E' il fratello maggiore di Ettore» gli risposi, mentre Enone mi prendeva a braccetto per scaldarsi.
«Andate a casa con lui? Ma io volevo accompagnarvi!» si lamentò Diomede, strascicando le vocali con una voce che mi faceva venire voglia di prenderlo a calci.
Per sua fortuna, il clacson di una macchina mi fermò; mi voltai e riconobbi l'auto di mio cugino.
«Beh, noi andiamo. Ci vediamo a scuola» dissi, salutando con un gesto della mano. Penelope mi venne ad abbracciare, mentre Enone salutava Tecmessa e ringraziava tutti per “la bella serata che aveva passato perché non si era mai divertita così tanto”.
Poi avvenne la catastrofe. In realtà, non era una vera e propria catastrofe, ma ci aveva presi tutti alla sprovvista, lasciando persino Achille a bocca aperta: mentre Enone mi stava raggiungendo, Diomede le si parò davanti e la baciò. Così, di punto in bianco, afferrandole il volto tra le mani e premendo le labbra sulle sue per qualche secondo, prima di staccarsi e riaggrapparsi alla spalla di Patroclo come se nulla fosse. Enone invece rimase immobile, come il resto di noi.
«Che cazzo-» sussurrò Ulisse, mentre Patroclo si schiarì la gola subito dopo, facendomi risvegliare da quell'allucinazione – perché doveva per forza trattarsi di un'allucinazione.
«Ok. Noi andiamo» dissi con voce piatta, afferrando Enone per un braccio e trascinandomela verso la macchina di Deifobo. Non mi voltai indietro mentre salivo, perché avevo ancora quella scena che si ripeteva davanti ai miei occhi.
Deifobo ci guardò dallo specchietto, mentre ripartiva «Cos'è successo?» chiese divertito.
A quel punto Enone si risvegliò e lanciò un urletto che fece risvegliare anche me «Oddio!» si coprì il volto rosso con le mani e strizzò gli occhi.
«Non ci credo» esalai io, reggendomi al poggiatesta del sedile davanti.
«Ma state bene? Non avete bevuto troppo, vero?» chiese Deifobo, studiandoci con un'espressione preoccupata.
«Un ragazzo ha baciato Enone» gli risposi.
«Solo perché era troppo ubriaco per pensare!» strillò lei, rialzando la testa.
«Dai, non era così ubriaco» risposi, mentre un sorriso si faceva largo sulle mie labbra. Ora che avevo metabolizzato l'accaduto, non mi sembrava poi tanto male. Certo, avevo scoperto solo quella sera che a Diomede piaceva Enone e lui l'aveva già baciata – andava di fretta il ragazzo –, ma non sarebbe stato tanto male, anche perché da lunedì avrei potuto prenderlo in giro quanto volevo.
Deifobo rise «Oh, pensavo peggio».
«E' terribile!» urlò Enone imbarazzata.
Sì, Diomede era un idiota, ma era stato una bella sorpresa all'Acaia. Il più delle volte discutevamo e basta, ma era divertente averlo seduto davanti e, sebbene non lo conoscessi da molto, era diventato una specie di amico. «Non ti piace?» le chiesi un po' in apprensione.
Lei esitò «Non è che non mi piace, ma non lo conosco nemmeno!»
«Diomede non è male» mi affrettai a rassicurarla «Vedrai che domani se ne sarà già pentito e la prossima volta che ti vede ti chiederà scusa in ginocchio». Non volevo che iniziasse ad evitarlo per paura di quello che avrebbe potuto succedere o per la vergogna che provava a pensarci, avrei voluto che gli desse una possibilità, perché se la meritava e perché a lei non poteva fare altro che bene.
«Se ti ha baciato forse è perché gli piaci».
Grazie Deifobo, continua a parlare quando non sei interpellato e a dire cose che non dovresti assolutamente nemmeno pronunciare.
«E' impossibile!» esclamò con sicurezza Enone.
La guardai stupita «Perché?»
Lei sbuffò «Andiamo, l'hai visto. Come puoi credere che a uno come lui possa interessare una come me» borbottò, sistemandosi nervosamente i capelli.
«Non capisco cosa vuoi dire» stava cercando di denigrare qualcuno? Dal mio punto di vista sarebbero stati bene insieme, tanto che riuscivo perfettamente ad immaginarmeli.
«Lascia perdere».
Calò il silenzio e decisi di non pressare per una risposta che tanto non mi avrebbe dato e mi voltai a guardare fuori dal finestrino, almeno finché la voce di Deifobo non ruppe la pace.
«Allora, Bri? Chi era Achille?»
Girai di scatto la testa per fissare quell'imbecille di mio cugino «Chi ti ha detto che c'era anche lui?»
«Ho tirato a indovinare» rispose lui allegramente.
Io gli lanciai un'occhiataccia e incrociai le braccia al petto, intenzionata a non rispondergli.
«Era quello biondo vicino a Briseide».
Spintonai Enone, facendola sbilanciare verso la portiera, ma lei si aggrappò al sedile di Deifobo e si sporse per continuare a spettegolare.
«Dovevi vedere, le è stato vicino per tutto il tempo!» esclamò allegramente, accantonando il pensiero di Diomede per parlare delle mie sfortune «E poi ha cambiato posto con lei perché Diomede l'ha quasi palpata».
«Non è vero!» esclamai di colpo. Quello se l'era inventato sicuramente, perché Diomede non mi aveva toccato in nessun posto intoccabile, ne ero sicura.
«Non te ne sei accorta?» mi chiese stupita «Ti ha appena sfiorato, ma è successo davvero».
Aprii e chiusi la bocca, cercando inutilmente di ricordare «No, non è vero».
«Chiedi a Ulisse, se non ci credi».
«Non è possibile».
La risata di Deifobo ci interruppe «Beh, un giorno lo devo proprio conoscere. Sembra che ormai sia l'unico che manca».
Enone si voltò verso di me con aria curiosa, ma sapeva che non le avrei dato risposte, così si rivolse di nuovo a Deifobo «E Troilo e Polissena?»
«A quanto pare è andato a prenderli con Bri, l'altro giorno che pioveva forte».
«Cosa?» esclamò lei, girandosi di scatto verso di me «Non me l'avevi detto!»
«E a loro piace anche un sacco!» continuò lui, riconquistando immediatamente la sua attenzione «Pensa che Troilo parla di lui quasi quanto di Gilgamesh. Ettore sta per impazzire».
Che cosa imbarazzante. Era mai possibile che solo io avessi quelle sfortune? E perché cavolo Achille era piaciuto così tanto a Troilo? Ero io la sua preferita, io! Di me non aveva mai parlato tanto quanto Gilgamesh, non era per niente giusto.
«Ne hai di cose da raccontarmi» mi disse Enone con un ghigno.
«Anche tu» ribattei, imbronciata «Invece tu dovresti imparare a stare zitto. Sei proprio una pettegola» mi lamentai con Deifobo, che però si limitò a ridere.
Ero totalmente circondata da guastafeste.


Dopo aver chiacchierato con Enone per quasi tutta la domenica, il lunedì successivo mi ritrovai ad entrare a scuola con l'animo confuso. Avevamo discusso di svariati argomenti: dal film di sabato, al bacio di Diomede, al succhiotto che aveva Criseide sul collo, ad Achille che veniva con me all'asilo. Ma niente sembrava aver acquistato un senso, tranne il succhiotto di Cri, lasciato dal ragazzo con cui era uscita sabato sera.
In ogni caso, non appena misi piede in classe, seppi per certo che quel giorno non sarei riuscita a stare tranquilla. Infatti, quando Diomede posò gli occhi su di me, si lasciò scappare un gemito disperato e nascose il volto tra le braccia incrociate sul banco. Io mi diressi verso il mio posto con tutta calma, misi lo zaino a terra e mi tolsi tutti gli strati di protezione – ovvero, giusto guanti, sciarpa, cappello e piumino – poi mi avvicinai al suo banco, cercando di trattenere le risate.
«Ciao».
«Mi odia, vero?»
Alzai gli occhi al cielo «Potresti anche salutare».
«Vuole uccidermi?»
«Non dire fesserie».
Sollevò appena la testa, titubante, e la sua espressione insicura mi fece venire voglia di abbracciarlo e dargli un biscotto.
«Allora non mi odia?»
«Non ti conosce nemmeno» gli feci notare con sguardo eloquente «Forse prima dovresti chiederle scusa e poi magari provare a frequentarla un pochino».
Diomede balzò in piedi e mi prese per le spalle «Dici che così mi perdona? Cosa devo fare? Le compro un regalo? Le piacciono i fiori? Forse dovrei prenderle una scatola di cioccolatini, visto che le piacciono i dolci. Devi venire con me, così magari non mi strangola e non scappa via. E se non mi vuole più vedere? E se non le piaccio e non vuole più avere niente a che fare con me? Cazzo, ho rovinato tutto!»
Ci mancò poco che non lo presi a schiaffi. Però gli diedi uno spintone per fargli lasciare la presa «Vuoi stare zitto cinque secondi?»
Lui si tappò quel forno che aveva al posto della bocca e mi guardò ansioso, spostando il peso da un piede all'altro. Ok, forse Penelope aveva un po' ragione quando diceva che era adorabile: sembrava Troilo quando sapeva di aver fatto qualcosa di sbagliato, solo che Troilo era ancora più adorabile.
«Non ha detto che ti odia» iniziai esasperata «L'hai presa alla sprovvista e non ti conosce praticamente per niente. Se le chiedi scusa sinceramente vedrai che non avrà problemi». Evitai di dirgli che secondo Enone non avrebbe funzionato tra di loro perché lui era troppo per una come lei: la storia con Paride le aveva fatto davvero calare l'autostima. Enone era una ragazza fantastica e forse era lei ad essere troppo per chiunque; per quanto mi riguardava, nessuno sarebbe stato degno di lei, ma Diomede poteva almeno provarci – avrebbe fatto bene ad entrambi.
«Davvero?» chiese, raddrizzandosi di colpo, con gli occhi chiari che brillavano.
«Sì, ma falla soffrire e ti uccido» dissi con un sorriso gelido.
«Grazie! Ti adoro, ti adoro, ti adoro!» esclamò con un sorriso smagliante, abbracciandomi con forza e facendomi quasi soffocare. Cercai di farlo staccare, tirandolo per il maglione, ma la sua eccitazione aveva una presa troppo salda.
«Guarda che sta per arrivare Achille» ci informò la voce di Ulisse lì vicino.
Diomede lasciò all'istante la presa, senza però abbandonare il sorriso, e si rivolse ad Ulisse «Hai sentito? Bri mi aiuta a conquistare Enone!»
«Ehi! Non ho mai detto questo!» esclamai, venendo prontamente ignorata.
«Almeno così eviterai di andare in pasticceria tutti i giorni» ghignò Ulisse.
«Davvero ci va tutti i giorni?» chiesi curiosa, decidendo per ripicca di ignorare quell'idiota che aveva cominciato a saltellare per la classe e ad annunciare a tutti le novità della sua storia romantica ancora non cominciata.
«Sempre. E' davvero una palla, ma per fortuna è Protesilao a sorbirselo, visto che è il suo vicino di casa».
«Sono vicini di casa? Non lo sapevo».
«Praticamente da quando sono nati».
«Ulisse!» Penelope ci raggiunse con un cipiglio non proprio contento «Non dirmi che ti sei dimenticato».
Dalla sua espressione era ovvio che non avesse la più pallida idea di cosa stesse parlando. Così lei sbuffò e incrociò le braccia «C'è l'assemblea di classe, oggi».
«Assemblea di classe?» chiesi curiosa.
«Sì, dobbiamo parlare della gita».
Bastò quello per farmi sorridere. Una gita! Certo, era una gita con l'Acaia, ma era pur sempre una gita e io amavo le gite. «Quando cominciamo?»
Penelope diede un'occhiata all'orologio «In teoria adesso, ma non sono ancora arrivati tutti».
I miei occhi si posarono sui banchi vuoti vicino al mio e a quello di Diomede e Ulisse se ne accorse, perché infatti disse «Tranquille, Achille sarà qui in un minuto».
Penelope alzò un sopracciglio dubbiosa «Ma se non c'è mai alle assemblee».
Lui ridacchiò tra sé e armeggiò con il suo cellulare «Oggi ho un arma segreta» sussurrò prima di rimetterlo in tasca e richiamare all'ordine la classe.
Ebbi giusto il tempo di sedermi e guardare gli altri fare lo stesso, che la porta si riaprì ed entrarono Achille e Patroclo, che per qualche motivo aveva un'espressione più divertita del solito.
«Finalmente hai deciso di graziarci con la tua presenza?» chiese Ulisse seduto comodamente alla cattedra.
Achille si limitò a fulminarlo con un'occhiataccia che avrebbe potuto distruggere un esercito intero e marciò verso il suo posto, buttandosi a sedere. Non avevo idea di cosa avesse fatto Ulisse, ma di sicuro non gli era piaciuta.
Poseidone entrò un minuto dopo per compilare il registro e poi se ne andò, lasciandoci da soli ad affrontare quell'apocalisse che si sarebbe creata subito dopo. Non credevo che una classe potesse discutere in quel modo, anzi, credevo che in quella classe, così come in tutta l'Acaia e dintorni, il capo fosse Achille. Era Achille che sapeva far tremare tutti, interrompere qualsiasi rissa con la sua sola presenza e farsi obbedire da chiunque. Invece ero rimasta stupita dal fatto che Achille nemmeno stesse partecipando all'assemblea ed erano almeno cinque minuti che lo guardavo colorare i quadretti di una pagina del quaderno, con la guancia appoggiata al palmo della mano e l'aria assonnata. Nemmeno io stavo ascoltando, perché dopo i primi litigi la discussione si era arenata e avevano preso ad insultarsi a vicenda – cosa, quella sì, tipicamente dell'Acaia.
«Col cazzo, brutto secchione! Io non passo una settimana in giro per musei. Vacci col circolo dei noiosi!» strillò Sirna, gesticolando come un'invasata in piedi dietro al suo banco.
«Ho solo detto che sarebbe interessante visitare almeno il museo di storia naturale. E’ il più grande del paese» le rispose Macaone con voce tranquilla, mentre si sistemava gli occhiali.
«Non possiamo fare soltanto il giro delle discoteche come hai proposto tu» commentò stizzita Laodamia, incrociando le braccia con un broncio «altrimenti non ci mandano nemmeno». Era arrabbiata perché la sua proposta di visitare il museo delle bambole non era stava accolta col trasporto che si aspettava. Sinceramente non ci sarei andata nemmeno io.
«Ragazzi, datevi una calmata» disse Ulisse con forza, battendo una mano sulla cattedra «altrimenti estraiamo a sorte e vi arrangiate».
«Sì, certo, così esce quello che vuoi tu!» lo accusò Diomede con foga.
«Idiota, pensavo che anche tu volessi andare all’ippodromo!»
«Nessuno andrà all’ippodromo!» esclamò Penelope, dando una gomitata ad Ulisse e prendendo le redini della situazione «E nemmeno al night club o allo stadio! Chiaro?»
Dalla parte maschile della classe si levarono esclamazioni contrariate.
«Perché? Vogliamo-»
«-spogliarelliste! Non potete-»
«E la partita? Lo sai quanto-»
«Solo perché voi ragazze non-»
«-noia mortale! Non puoi decidere per noi!»
«Silenzio!» strillò lei esasperata, facendo ammutolire tutti. Avevo sempre pensato che Penelope avesse una forza inimmaginabile, per riuscire a mettere in riga Ulisse e Diomede, ed era davvero piacevole vedere una massa di adolescenti su di giri comandati a bacchetta da una ragazza. «Allora, ricominciamo da capo» sospirò, rimettendosi a sedere «la meta l'abbiamo, dobbiamo solo trovare le cose da vedere e i professori che ci accompagnano. Qualche idea?».
Sirna alzò la mano con foga «Ermes! Chiediamo ad Ermes!» Noi ragazze fummo subito d'accordo e Penelope appuntò il suo nome sul foglio con un sorriso talmente sognante che Ulisse la guardò storto, aggrottando la fronte.
«Non vale!» esclamò Diomede «Vogliamo anche una donna!» I ragazzi lo appoggiarono con varie esclamazioni che preferivo ignorare.
«Sì, ma l'unica prof giovane è Atena» disse Patroclo «e sapete cosa succede se portiamo Atena in gita con noi».
Dalle espressioni che comparvero sui loro volti, potevo immaginarmelo: coprifuoco alle dieci e musei fino allo sfinimento.
«Atena non è male» commentò Ulisse con una scrollata di spalle.
«Solo perché tu le stai simpatico!» lo accusò Diomede. In effetti Ulisse era così bravo con le parole che per la prof era quasi una gioia starlo a sentire nelle interrogazioni e leggere i suoi temi, anche se poi magari non erano sempre corretti e si beccava una sufficienza molto tirata.
Poi ripresero a discutere ed io decisi di tornare ad ignorarli e a voltarmi verso Achille, che aveva già completato metà pagina.
«Tu non dici niente?» gli chiesi dopo un po', reggendo il mento sul palmo della mano.
Lui mi diede un'occhiata e scrollò le spalle, continuando a colorare «Non mi importa, basta andarci».
Su quello ero d'accordo con lui, ma ovviamente non glielo dissi.
«E tu?» mi chiese qualche secondo dopo «E' la tua prima gita qui all'Acaia, non sei emozionata?»
Inarcai un sopracciglio con aria scettica «Perché mai? Con tutta la confusione che stanno facendo non so più se voglio andarci».
Lui rise appena «Non hai ancora visto niente. La tua unica speranza è che venga Atena» mi informò, prima di posare la penna sul banco e voltarsi verso di me con un sorriso malizioso «Oppure puoi sempre stare con me, almeno nessuno verrà a disturbarti».
«Ho qualche dubbio in proposito» commentai. Mi ero resa conto che, per quanto Achille sembrasse rispettato ad un occhio esterno, in realtà non era così, perché in quella classe ognuno si comportava come voleva.
«La verità è che hai paura di starmi vicino».
Lo fissai contrariata «Scusa? Perché dovrei?»
Chinò appena la testa verso di me, tenendomi gli occhi ben puntati addosso. Purtroppo avevo un debole per i suoi occhi: mi piacevano davvero, davvero tanto. «Perché non vuoi ammettere di avere una cotta per me».
La risposta mi lasciò a bocca aperta, letteralmente. Ok, Achille era uno dei ragazzi più belli che avessi mai incontrato e avevo appena ammesso di avere un debole per i suoi occhi e, ok, la sua voce era da brivido e a volte era anche simpatico, ma no, non potevo avere una cotta per lui. Era impossibile. Assolutamente no.
«Sei impazzito? Non è vero!» esclamai oltraggiata, voltandomi di scatto per fronteggiarlo.
«Sicura?» mi chiese divertito, con gli occhi che sembravano brillare più del solito.
«Certo! Al massimo sei tu ad avere una cotta per me» ribattei, tentando di calmare il rossore che mi stava affiorando sulle guance. Sapevo perfettamente che quello era un territorio in cui finora avevo tentato di non addentrarmi, ma non potevo assolutamente fargli avere l'ultima parola.
Il suo sguardo si fece più penetrante ed ero sicura che la mia faccia fosse ormai andata a fuoco «Non l'ho mai negato» rispose con la voce bassa che tanto mi piaceva.
Tentai di dire qualcosa, ma le parole non mi uscivano di bocca, anche perché non avevo la minima idea di cosa dire. Non mi aspettavo che mi desse ragione, credevo avrebbe svicolato, o detto qualcosa per farmi imbarazzare, ma quello era anche peggio. Era una specie di confessione che rendeva quella storia all'improvviso più reale e sensata. E non volevo assolutamente pensarci.
Così mi voltai di scatto, fissando con insistenza la nuca di Diomede e cercando di riportare l'attenzione sul resto della classe, ma Achille non me lo permise, perché subito dopo lo sentii avvicinarsi ancora di più, finché il suo corpo non sfiorò il mio, e la sua voce calda mi sussurrò all'orecchio «Ti vergogni?»
Ignorai i brividi che mi corsero giù lungo la schiena e deglutii, cercando di trovare il coraggio e la voce per rispondere.
«Sei tu che dovresti vergognarti».
«Perché? Ho solo detto la verità».
«Beh, è imbarazzante».
Riuscivo quasi a sentire le sue labbra piegarsi in un sorriso, talmente era vicino, e con la mano mi coprii l'orecchio e parte del collo «E smettila di respirarmi addosso!»
«Ti dà fastidio?» sussurrò lui, facendo apposta a togliermi la mano e avvicinarsi ancora di più, fino a toccare il mio orecchio con le sue labbra. Stavo per scoppiare. Se avesse detto ancora qualcosa sarei scappata a gambe levate, o gli sarei saltata addosso – e di certo non per picchiarlo.
Grazie agli dei fu un'altra voce a farsi sentire «Ragazzi, sarete anche innamorati persi l'uno dell'altra, ma qui stiamo lavorando e serve il contributo di tutti» disse Ulisse, fin troppo allegramente, mentre l'intera classe ci fissava, chi maliziosamente, chi stupito, chi imbarazzato. Ma in quel momento non mi importava, perché ebbi la scusa per allontanarmi da Achille e riprendere a respirare in maniera decente.
Lui si scostò e spinse indietro la sedia, tornando al suo posto «Stavate solo litigando su cosa vedere, quindi mi sono concentrato su qualcosa di più interessante».
Io lo fulminai con un'occhiataccia, anche se avevo le guance ancora rosse e il cuore che batteva a mille. Lui mi fissò per un istante, con le labbra piegate in un lieve sorriso, e poi riprese in mano la penna, tornando ai quadratini del suo quaderno «Tanto va bene qualsiasi cosa. Basta che abbiamo del tempo libero».
«Già, chissà perché» commentò Diomede, guadagnandosi un calcio sotto la sedia dalla sottoscritta, che forse avrebbe dovuto pensarci due volte prima di aiutarlo con Enone. Lui sembrò capirlo dal mio sguardo e si affrettò a non insinuare più niente. Patroclo si schiarì la gola e riavviò la discussione, togliendomi dal centro dell'attenzione. Quella volta mi decisi a seguirla, anche se i miei pensieri rimasero rivolti solo a quello che era appena successo e a quanto mi piacessero la voce e gli occhi di Achille.


Nonostante l'assemblea di classe fosse durata solo un'ora, per tutto il resto della mattinata i miei assurdi compagni continuarono a discutere della gita, cosa che non piacque per niente alla professoressa Atena, che per ripicca ci diede più compiti del solito. Considerando che bisognava consegnarli il giorno dopo, non c'era da stupirsi se la mia voglia di uccidere Diomede si era magicamente triplicata. Altro che aiutarlo con Enone: l'avrei ucciso brutalmente e seppellito a pezzi in cortile.
«Perché non impari a tapparti quella fogna?» borbottai per l'ennesima volta, tirando un altro calcio contro la sua sedia.
«Ehi, non è colpa mia» si difese lui con una smorfia.
«Beh, sei stato tu ad urlare “Ippodromo” nel bel mezzo della lezione di letteratura» osservò pacatamente Patroclo, continuando a mettere via le sue cose nello zaino.
«Appunto!» esclamai con un altro calcio.
«Mi è scappato!»
«Dovresti imparare a tapparti la bocca! Adesso mi spieghi come faccio a fare tutti questi compiti?»
Invece di chiedere ancora scusa come mi aspettavo facesse, Diomede si girò di scatto con un sorriso assolutamente fuoriluogo «Già, tu non lo sai!»
Io alzai un sopracciglio con aria irritata «Cosa?»
Fu Patroclo a rispondermi «Di solito, quando succede qualcosa del genere, usiamo un metodo infallibile. L'abbiamo provato talmente tante volte che ormai siamo dei veri esperti».
La sua espressione sconsolata mi fece capire che il “tante” si avvicinava ad un numero che la mente umana non poteva nemmeno concepire.
«Cioè?»
«Ci ritroviamo da qualche parte e ognuno di noi fa un pezzo, poi ce li scambiamo e copiamo il resto, modificandolo come vogliamo» rispose Penelope in piedi alla mia destra.
«E Atena non si è mai accorta di niente?» chiesi scettica.
«Se se n'è accorta non ha mai detto niente» rispose Ulisse, arrivato vicino a Diomede con lo zaino sulle spalle.
«E' meglio andare se vogliamo finire per un orario decente» osservò Patroclo, scuotendo piano Achille che stava riposando con la testa appoggiata sulle braccia piegate; lui alzò appena il capo e aprì gli occhi, guardandosi attorno spaesato. Prima che potessi incantarmi a fissare i suoi capelli lievemente spettinati, Penelope richiamò la mia attenzione.
«Vieni con noi, Bri?»
«Posso?»
«Certo! E' colpa di un deficiente che si mette a urlare durante la lezione se abbiamo compiti in più» sibilò lei, lanciando un'occhiataccia a Diomede, che cercò di farsi il più piccolo possibile «Dovremmo lasciarli tutti a lui».
«Non è giusto! Ce l'avete tutti con me, però è stato Ulisse a cominciare a far girare il biglietto. Solo che lui è il cocco di Atena».
Ulisse scrollò le spalle, completamente indifferente allo sguardo offeso del suo migliore amico «Non ci sono prove che sia partito da me».
«Ma se la prima è la tua calligrafia!»
«Allora, andiamo?» chiese Achille con voce roca, alzandosi e infilandosi il giubbotto.
«Stiamo aspettando Briseide».
Solo in quel momento mi resi conto che non avevo ancora cominciato a mettere via le mie cose, così mi affrettai a buttare tutto nello zaino e a coprirmi velocemente, mentre gli altri iniziavano a dirigersi verso la porta, dove stavano già aspettando Laodamia e Tecmessa.
Come mi iniziò a spiegare Penelope mentre uscivamo da scuola, di solito andavano sempre in un bar lì vicino e ci stavano finché non avevano finito tutti quanti. Era un'idea che aveva avuto Patroclo quando, ancora in prima, durante una lezione di storia Diomede aveva iniziato una guerra con palline di carta, che era sfociata in lancio di gomme, poi di penne, fino ad interi astucci. Ovviamente Atena era diventata nera dalla rabbia, aveva dato una nota di classe e un migliaio di compiti che nessuno di loro sarebbe riuscito a terminare in tempo, così Patroclo aveva pensato di radunare i suoi amici e spartirsi il lavoro. E siccome aveva avuto successo, avevano deciso di continuare anche le volte successive. Il luogo era stato deciso solo in seguito e solo perché le bevande e i dolci che servivano in quel bar erano i più buoni della zona ed erano ottimi per la pausa merenda.
Quando arrivammo, ordinai un toast al prosciutto e formaggio e mi ritrovai seduta con Penelope e le altre, mentre cercavamo di ignorare le chiacchiere dei ragazzi al tavolo vicino.
«Allora» cominciò Penelope, dopo aver mandato giù il primo morso del suo panino «hai parlato con Enone?»
«Riguardo a cosa?»
Lei mi fissò inarcando le sopracciglia «A Diomede, ovvio! E a quello che è successo sabato».
Feci una smorfia ed annuii soltanto, mordendo il toast per evitare di rispondere. Avrei voluto davvero parlarne con loro, ma Enone era la mia migliore amica e non andavamo a spiattellare in giro quello che ci dicevamo.
«Andiamo, almeno dimmi se ha qualche possibilità!».
«Non lo so» borbottai, abbassando lo sguardo sul tavolo per evitare il suo «Si sono appena conosciuti».
«Enone non è una che si lascia andare subito. Le ci vuole un po' di tempo per sentirsi a suo agio con gente nuova» intervenne Tecmessa, salvandomi da un sicuro interrogatorio.
«Sì, per di più Diomede l'avrà sicuramente spaventata» commentò Laodamia, lanciandogli un'occhiata «Che villano».
«Beh, Diomede non brilla certo per il suo tatto, ma se passassero più tempo insieme forse le potrebbe piacere. Dopotutto è simpatico e carino, anche se un po' stupido» disse Penelope, agitando appena il suo panino mentre parlava e spargendo le briciole sul tavolo.
«Beh, non è solo Diomede il problema» iniziai, scambiandomi un'occhiata con Tecmessa. Ero un po' scettica a rivelare quella storia, ma non era un segreto e avrebbero già potuto saperlo «Enone stava insieme a Paride, prima che lui si mettesse con Elena».
Penelope e Laodamia spalancarono gli occhi nello stesso momento e sarebbe stata una scena piuttosto comica, se non fosse stato che stavamo parlando di un argomento che mi stava particolarmente a cuore.
«Quel deficiente l'ha mollata da un giorno all'altro senza nemmeno darle una spiegazione. E lei ovviamente non l'ha presa molto bene. Ma invece di arrabbiarsi e spaccargli la faccia, si è limitata a non fare niente e lasciare perdere. Fossi stata al suo posto l'avrei torturato e poi ucciso!» esclamai, arrabbiandomi sempre di più ad ogni frase. Io odiavo Paride e forse ero un po' prevenuta, ma non riuscivo a sopportare il fatto che Enone non gli avesse nemmeno tirato uno schiaffo, o sputato in faccia.
«Non è tuo cugino?» chiese Laodamia, aggrottando la fronte.
«E allora? Paride non lo sopporto. E' la persona che meno sopporto al mondo! Non ci parliamo neanche».
«Cosa ti ha fatto?» chiese Penelope divertita.
«La lista è troppo lunga, ma è un'antipatia reciproca che risale alla nostra infanzia».
«Per caso ti rubava la merenda?»
Non risposi, fumando di rabbia. A sentirlo adesso, sembrava una cosa stupida e senza senso, perché comunque eravamo una famiglia e anche una famiglia molto legata, ma io e Paride tendevamo ad ignorarci e fingere di non essere imparentati.
Penelope prese il mio silenzio per un sì. «Davvero? Non ci credo!» e scoppiò a ridere come una pazza.
Io sentii le guance andare a fuoco «Non era solo quello!» cercai di giustificarmi «Mi tirava anche i capelli. E poi è stato lui a decidere di non parlarmi più solo perché gli ho rotto il naso».
A quel punto anche le altre due avevano cominciato a ridere e le scuse non mi servivano più, perché non sarebbero nemmeno riuscite a sentirle, con tutto il baccano che stavano facendo.
Per fortuna la loro ilarità finì non appena i ragazzi – o per meglio dire, Patroclo – decisero che era già tardi e che sarebbe stato meglio cominciare a lavorare, così pulimmo i tavoli e ci spartimmo i compiti.
Non avrei mai pensato che degli studenti dell'Acaia potessero lavorare seriamente, ma mi stupirono per l'ennesima volta quando ognuno cominciò il proprio lavoro in relativo silenzio – perché era impossibile avere completo silenzio quando Diomede e Ulisse erano nella stessa stanza.
Ci mettemmo meno del previsto e dopo poco più di un paio d'ore avevamo terminato, giusto in tempo per goderci la merenda.
«Credevo di metterci di più» ammisi, zuccherando il mio cappuccino.
«Te l'ho detto che siamo degli esperti, ormai» disse Patroclo con un sorriso «Erano anche meno rispetto ad altre volte».
«E il resto della classe?»
«Fanno lo stesso, ma in altri gruppi. E' l'unico modo per finire in tempo».
«Ho detto di no! Compratene una».
La voce di Laodamia ci fece voltare verso di lei, che stava cercando di riprendersi il piatto con una fetta di torta dalle mani di Diomede.
«Dai, solo un assaggio».
«Lo so com'è il tuo assaggio! Mi mangi mezza fetta».
«Sei il solito scroccone!» lo rimproverò Penelope.
«E voi delle egoiste».
«Tieni. Basta che stai zitto»
«Visto, Ulisse sì che mi vuole bene! Il nostro è vero amore!»
«Ma non ti vergogni mai a sentirti parlare?»
Diomede fissò Penelope con la bocca piena della torta che Ulisse gli aveva piazzato sotto il naso e le fece un sorriso, a cui lei rispose tirandogli contro il porta tovaglioli.
«Sei disgustoso» fu il suo commento gelido.
In tutta quella confusione non avevo sentito nemmeno una volta la voce di Achille e quando mi girai verso di lui scoprii anche il perché: si era di nuovo appisolato, questa volta con la guancia appoggiata sul palmo della mano. Gli diedi una leggera gomitata e lui aprì gli occhi di scatto, alzando la testa e guardando distrattamente nella mia direzione.
«Ma hai dormito stanotte?»
«Un po'» borbottò lui, prima di mandare giù d'un fiato il suo caffè sicuramente diventato freddo.
«Forse è meglio se vai a casa».
A quelle parole lui fece un lieve sorriso e si stravaccò sulla sedia, infilando le mani nelle tasche della felpa «Vuoi già liberarti di me?»
«Non sto dicendo questo» risposi, alzando gli occhi al cielo.
«Allora sei preoccupata per me?» ribatté, tornando seduto composto e piegandosi appena verso di me.
«Assolutamente no!» esclamai, sentendo le guance andare a fuoco al ricordo dell'ultima volta che ci eravamo trovati in quella posizione, soltanto quella mattina in classe, e delle scoperte che avevo fatto. Mi sembrava assurdo pensare che potessi piacergli sul serio, perché significava che fin dall'inizio avevo avuto torto, sia io sia Ettore e Creusa, e che buona parte dei miei giudizi su di lui erano da rivalutare, se la vendetta contro Ettore non era il motivo che l'aveva spinto ad entrare con prepotenza nella mia vita.
«Lo dici sempre» ribatté lui, fissandomi con attenzione e interrompendo il flusso dei miei pensieri. Anche se iniziavo a credere a quello che mi aveva detto, non l'avrei mai ammesso, men che meno a lui direttamente.
«Se lo dico sempre sarà la verità».
«Se lo dici sempre è perché sei testarda».
Sì, anche quello. Ma era anche la verità. Più o meno.
Non dissi più niente e ripresi a bere il mio cappuccino. Se non altro Achille si era ripreso e non rischiava di addormentarsi di nuovo. Era strano non sentirlo quasi per niente durante la giornata: era sempre abbastanza silenzioso, certo, e parlava di più solo quando Diomede ed Ulisse lo esasperavano o lui decideva di esasperare me, ma non aveva mai passato mezza giornata senza dire una parola.
Passammo ancora mezz'ora circa al bar, il tempo di finire di bere e mangiare, poi decidemmo di tornare a casa.
«Bene, allora ci vediamo domani!» esclamò Diomede fuori dal locale.
«Sperando che qualche idiota non ci faccia ancora finire nei casini» disse Penelope.
«Dai Penny, sei ancora arrabbiata?»
«Con te sempre».
«Solo perché Ulisse ama di più me».
«Ma taci!»
«E' meglio se noi andiamo» disse Ulisse, ignorando completamente i due che ridevano e si spingevano alle sue spalle «A domani» ci salutò e se ne andò, tirandosi dietro Penelope, che ci salutò con dei baci volanti e poi si aggrappò al braccio di Ulisse.
«Traditore!» gli urlò dietro Diomede.
«Andiamo, stupido» sospirò Laodamia «Ciao ragazzi». Lei, Diomede e Tecmessa ci salutarono e si incamminarono nella direzione opposta rispetto a quella presa da Ulisse e Penelope.
«Voi da che parte andate?» chiesi a Patroclo, perché sapevo già che Achille abitava nella zona di Ettore.
Lui mi fece uno dei suoi soliti sorrisi gentili «Nella tua stessa direzione, immagino».
Lo fissai appena confusa, ma prima che potessi chiedergli come facessero a sapere da che parte sarei andata, Achille disse «Ti accompagniamo».
Mi sentii improvvisamente più calda, nonostante la temperatura gelida, e balbettai un «N-non ce n'è bisogno. Non voglio farvi allungare la strada».
Achille non rispose e cominciò a camminare nella direzione giusta – come facesse a saperla non ne avevo la più pallida idea – e Patroclo gli andò dietro, costringendomi a fare lo stesso.
«Non sapete nemmeno dove abito» borbottai contrariata.
«Ce lo dirai tu».
Non l'avrei mai ammesso ad alta voce, ma camminare tra Achille e Patroclo mi piaceva: mi sentivo al sicuro, come se niente e nessuno potesse mai disturbarmi. E poi mi piaceva parlare con Patroclo, perché era sempre gentile e simpatico e non diceva mai niente di offensivo.
Fu solo dopo qualche via che dovetti rimangiarmi tutto: all'ombra di un cancello poco più avanti, un ragazzo ed una ragazza si stavano baciando con foga. Normalmente non ci avrei fatto molto caso, li avrei ignorati e avrei finto di non essere imbarazzata, ma quei vestiti e quei capelli li avrei riconosciuti lontano un miglio.
Ci fermammo tutti e tre di colpo e proprio Patroclo si lasciò scappare un «Cazzo» che in un'altra occasione mi avrebbe sconvolto, ma non quella volta.
Perché davanti a noi, quelli che si stavano baciando erano Criseide e Agamennone.







EDIT: Per questo capitolo, vorrei partire da un punto che mi sta molto a cuore: Diomede ed Enone. Forse vi stupirà, ma questa coppia era già nata durante la prima versione, solo che non ne ho mai accennato, un po' perché era una scrittura un po' di getto, un po' perché non c'era l'occasione. Qui, invece, ho provato a insinuarla poco a poco, dall'incontro/scontro davanti alla pasticceria. Sinceramente li adoro insieme, ma forse è perché adoro Enone e adoro Diomede già separatamente, e sono contenta di come sono venuti fuori. E mentre loro due si conoscono, Achille e Briseide (ma soprattutto Briseide) fanno qualche passo avanti, niente di ché, ma almeno Briseide non lo odia più.
Come ho già accennato in un'altra nota, l'ambientazione rimarrà vaga, compresa la meta della gita (che verrà sicuramente raccontata in qualche capitolo più avanti. Assolutamente).
Per quanto riguarda la rivelazione finale di Criseide e Agamennone, verrà tutto spiegato nel prossimo capitolo. Avrete anche notato che ho tolto delle parti e sinceramente non penso di inserirle di nuovo (Deidamia comparirà più avanti, quello sì, ma in un contesto diverso), ma non credo abbiate perso poi molto. L'ho già detto, ma credo che questa versione sia molto meglio della precedente.
Fatemi sapere cosa ne pensate voi, invece. Il prossimo capitolo è totalmente nuovo, quindi qui finisce la revisione.

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Capitolo 7
*** Canto VI: Di come i sogni ti rovinano la giornata e tutto il resto ***


ATTENZIONE! LEGGERE ASSOLUTAMENTE QUESTA NOTA, PRIMA DI COMINCIARE IL CAPITOLO!
Non è un'illusione, ma è davvero il nuovo capitolo. Non guardo nemmeno la data dell'ultimo aggiornamento per evitare che mi venga un attacco di senso di colpa per avervi fatto aspettare così tanto.
Il grande "attenzione" là in alto è assolutamente necessario, perché il capitolo qua sotto è il nuovo capitolo della versione revisionata di "Ilio vs Acaia" e non potete leggerlo senza essere tornati al proemio e aver riletto tutto da capo. E' assolutamente necessario perché la storia è stata un po' cambiata (soprattutto il Canto V), alcune scene sono state tolte e alcune aggiunte, quindi non capireste un accidenti se leggete direttamente questo capitolo.
Quindi tornate indietro e immergetevi di nuovo in questa storia.
Buona lettura.







 

Canto VI
Di come i sogni ti rovinano la giornata e tutto il resto

 

 

Nonostante fosse da un po' di tempo che non uscivo con Criseide, sapevo che si stava vedendo con un ragazzo e che la cosa si era evoluta abbastanza velocemente, ma non avrei mai creduto che quel ragazzo potesse essere Agamennone.
Agamennone non aveva una buona fama all'Ilio: era quello che istigava gli studenti a litigare, insultava Ettore ogni volta che lo vedeva e fissava le ragazze come fossero pezzi di carne. Mi aveva sempre intimorito e il pensiero di saperlo vicino a mia cugina mi faceva gelare, però ero anche infuriata e delusa: come aveva potuto tenermelo nascosto? Tenerlo nascosto ad Ettore? Se le fosse successo qualcosa, nessuno l'avrebbe saputo. Nessuno avrebbe saputo che era con lui.

«Criseide» la mia voce era appena gracchiante e sentivo un nodo formarsi alla bocca dello stomaco.
Non so come riuscì a sentirmi, ma si staccò dalle labbra di Agamennone e guardò sopra la sua spalla, incontrando il mio sguardo scioccato. I suoi occhi si spalancarono quanto i miei e lei si allontanò di colpo, schiacciandosi contro il cancello.
«Bri» esalò senza fiato, nello stesso momento in cui lui si voltò.
Deglutii e distolsi lo sguardo non appena i suoi occhi scuri incontrarono i miei, facendomi scorrere un brivido lungo la schiena. Non sapevo perché avessi così paura di Agamennone, ma c'era qualcosa nel suo modo di muoversi e di fissare le persone che non mi piaceva per niente. Poi lui era molto più alto di me e molto più grosso e avrei scommesso che era in grado di stringermi entrambe le braccia con una sola mano, cosa che non mi aiutava a calmarmi.
Il peso di un braccio che si appoggiava sulla mia spalla destra e il calore di qualcuno alla mia sinistra, mi riscosse e mi fece ricordare che non ero da sola, che c'era qualcun altro lì con me, e che non avrei potuto essere più al sicuro.
«In mezzo alla strada, sul serio? Credevo preferissi tenerle nascoste, certe cose» disse la voce divertita di Achille, chinandosi di più sulla mia spalla.
«Ciao Criseide» salutò Patroclo con il solito tono gentile, a cui lei rispose a bassa voce, continuando a fissarmi.
«Che esagerato. Qui non ci vede nessuno a parte i ficcanaso» rispose Agamennone con la sua voce profonda, spostando lo sguardo su di lui.
«Si nasconde solo chi ha paura di qualcosa» commentò Achille e Criseide si mosse un po' a disagio e puntò gli occhi sull'asfalto.
Agamennone si lasciò scappare uno sbuffo divertito «O chi non è esibizionista».
Achille non disse niente, ma inarcò entrambe le sopracciglia con un leggero sorriso sulle labbra. Sapevo cosa stava pensando, perché era la stessa cosa che stavo pensando anch'io e probabilmente la stessa che stava pensando Patroclo: Agamennone era un esibizionista. Chi altri avrebbe attaccato briga con qualunque studente dell'Ilio non appena c'era abbastanza gente ad assistere? Chi altri avrebbe fatto discorsi lunghi e pieni di auto-elogi in piedi su una sedia in mezzo alla folla? Chi altri si vestiva solo di capi firmati e non usciva di casa senza essersi ingellato i capelli? Di certo non io.
Calò il silenzio per qualche secondo, così presi un bel respiro e spostai lo sguardo su Criseide.
«Vieni a casa con me, Criseide?» le chiesi, cercando di ignorare gli occhi di Agamennone fissi su di me.
Lei alzò la testa, lanciò un'occhiata verso di lui e poi rispose «No. Ti chiamo più tardi, magari».
Feci un respiro tremante e deglutii il groppo che avevo in gola «Ok. Ciao» mormorai, cercando di non pensare al fatto che preferisse stare con lui, piuttosto che venire via con me.
Mi salutò con un gesto della mano e io ricominciai a camminare, superando Patroclo e Achille e cercando di ignorare Agamennone mentre gli passavo di fianco, ma lui mi fermò afferrandomi per un braccio e mi fece un sorriso che, se non avessi saputo che tipo di persona fosse, sarebbe potuto sembrare cordiale.
«E' stato un piacere conoscerti, Briseide» sussurrò con un tono di voce che mi fece rabbrividire.
Prima che potessi divincolarmi, Achille era già al mio fianco e stringeva con forza il polso di Agamennone. «Lasciala» disse, senza nessuna inflessione particolare nella voce, ma con un tono gelido che non gli avevo mai sentito prima.
Agamennone rise appena e mi lasciò il braccio «Tranquillo, non te la mangio».
Achille lo lasciò e fece un verso stizzito «Me ne frego di cosa fai per divertirti. Ma avvicinati a Briseide e sei morto» gli sibilò. Poi mi prese per un polso e mi tirò via, riprendendo a camminare velocemente senza nemmeno guardarsi indietro.
Patroclo ci raggiunse in un attimo e quando incrociò il mio sguardo mi fece un sorriso rassicurante, che non riuscii a ricambiare.
Mi guardai indietro, incontrando gli occhi di Criseide mentre si allontanava nella direzione opposta, con un braccio di Agamennone intorno alle spalle. Poi lei si voltò e io feci lo stesso.
«Stai lontana da quello» disse Achille di colpo, senza nemmeno girarsi o fermarsi.
Io annuii, anche se non poteva vedermi, perché non avevo alcuna intenzione di avvicinarmi di nuovo a lui. E non mi piaceva come mi aveva guardato. Non riuscivo proprio a capire come avesse fatto Criseide a decidere di andarsi a ficcare in quella storia di propria volontà, quando aveva paura di stare anche solo in presenza di Achille. Agamennone mi faceva molta più paura di Achille.
«Mi dispiace dirtelo, Briseide» cominciò Patroclo, allungando una mano per far rallentare Achille «ma Agamennone è già impegnato con un'altra. Non so se tua cugina-»
«Lo so» lo interruppi a bassa voce «e lo sa anche lei».
Achille finalmente si fermò, ma non mi lasciò andare il polso. «In ogni caso, non devi avere niente a che fare con lui».
«Anche Criseide» aggiunse Patroclo «Agamennone non è un tipo raccomandabile. Ma te ne sarai già accorta».
Annuii leggermente e mi morsi un labbro, mentre abbassavo lo sguardo sulle mie scarpe da tennis. Perché Criseide aveva deciso di avvicinarsi ad Agamennone? Aveva detto che le piaceva, ma sapeva benissimo anche lei quanto fosse off-limit.
Sospirai e decisi di rimandare ogni domanda a dopo aver parlato con Criseide, perché così non avrei ricavato niente se non un mal di testa allucinante e un attacco di panico.
«Beh, è meglio se torno a casa, prima che mio padre si preoccupi».
«Da che parte?» chiese Achille, lasciandomi finalmente andare il braccio.
Indicai la direzione giusta con un cenno della testa e ricominciammo a camminare. Quella volta non mi lamentai e non parlammo molto, ma la loro presenza mi fece dimenticare per pochi attimi il ricordo di Criseide e Agamennone.
Ci salutammo davanti al mio portone e loro proseguirono, mentre io entrai e mi diressi verso l'ascensore. Il mio riflesso nello specchio era pallido e giallognolo, nella luce al neon che sfarfallava sul soffitto di quella cabina fin troppo vecchia, ma non riuscivo a trovare la voglia per prestarci attenzione. Volevo solo togliermi le scarpe, mettermi il pigiama e buttarmi sul letto. Avrei persino sopportato volentieri la voce zuccherosa di mio padre che si scambiava smancerie con mia madre al telefono, pur di non pensare a Criseide.
«-tu mi manchi, passerotto» stava dicendo mio padre alla cornetta del telefono, quando entrai in casa. Mi lanciò un sorriso e mi salutò con una mano prima di tornare a far saltare le verdure per la cena.
«Briseide è appena tornata» lo sentii dire, mentre mi spogliavo «Certo che sta bene... è un po' pallida, però... Certo che me ne prendo cura! E' la mia adorabile bambolina!»
Alzai gli occhi al cielo e mi sfilai le scarpe, per poi dirigermi in cucina e versarmi un bicchiere d'acqua.
«No, è da un po' che non è più giù quando deve andare a scuola... Non è così male, sembra che le stia iniziando a piacere... Certo che te la passo, cara» mi porse il telefono con un sorriso e io lo presi, fingendo di non essere contenta che mia madre volesse parlare con me, invece di continuare a dire fesserie a mio padre.
«Ciao mamma».
La sua voce era dolce anche attraverso il telefono e non potei fare a meno di sorridere mentre la sentivo riempirmi di domande e raccontarmi com'era il viaggio e quanto le mancasse casa.
Da quello che ricordavo, una volta cominciata la scuola elementare, mia madre aveva ripreso a viaggiare per lavoro, come aveva sempre fatto prima di rimanere incinta di me. Le prime volte mi mancava da morire, non volevo mai andare a letto e continuavo ad aspettare vicino al telefono, sperando che chiamasse presto, e quando arrivava il venerdì mi mettevo di fronte alla porta d'ingresso e non mi spostavo finché lei non entrava. Ogni volta mi portava dei regali e dei racconti di quello che aveva visto e fatto e io amavo ascoltarli per tutto il fine settimana. Poi il lunedì lei ripartiva e tutto ricominciava da capo. Col tempo ci avevo fatto l'abitudine e, anche se mi mancava ancora e mi mancava tutto quello che avrei potuto fare con lei, avevo pur sempre mio padre, i miei zii e i miei cugini. Era sempre stato mio padre che mi aveva coccolato quando ero triste, o che mi aveva pettinato i capelli e si era fatto insegnare da mia zia a fare trecce e codini; era lui che cucinava i miei piatti preferiti e guardava con me i film sdolcinati che trasmettevano la sera in tv. Anche se non potevo vedere mia madre durante la settimana non mi sentivo mai sola e ora mi bastava poter sentire la sua voce al telefono, perché sapevo che, anche se eravamo lontane, lei continuava a volermi bene lo stesso.
Le raccontai quello che era successo oggi a scuola e della sessione di studio al bar, ma non le dissi nulla di Criseide. Avevo deciso di aspettare che lei mi raccontasse tutto prima di dare un giudizio su quella situazione e se qualcosa non mi fosse piaciuto, l'avrei detto ad Ettore, anche a costo di fare un torto a Criseide, perché la sua sicurezza era ciò che mi interessava di più.
Quando mio padre riprese il telefono e ricominciò a tubare come un piccione, non ero più preoccupata o in ansia, ma ero determinata ad affrontare qualunque cosa mi si fosse parata davanti.
A parte la voce zuccherosa di mio padre, però. Infatti scappai in camera mia all'ennesimo “passerotto”. Per tutti gli dei, non si imbarazzava mai quell'uomo?


Criseide mi chiamò quella stessa sera dopo cena. Il mio cellulare squillò proprio mentre mi stavo infilando il pigiama e io mi affrettai a rispondere, inciampando nella gamba del pantalone e finendo con un angolo del materasso ficcato nella pancia.
«Pronto?» esalai senza fiato.
Ci fu una pausa e poi la voce confusa di Criseide chiese «Bri? Tutto bene?»
«Sì, sì, sono solo inciampata».
«Oh».
Ci fu un'altra pausa, mentre mi tiravo su i pantaloni e mi rimettevo a sedere. Era strano essere al telefono con Criseide in completo silenzio. Strano per lei, non per me, perché quando Criseide mi telefonava io stavo sempre in silenzio, dato che lei era un'incessante sequela di chiacchiere inutili intervallate da esclamazioni e risate, un mondo in cui le pause e i silenzi non esistevano e le risposte erano solo vagamente richieste. Ma non quella volta. Quella volta lei era in silenzio e a me toccava aprire le danze.
«Ok, andiamo al dunque» dissi con un sospiro «Che diavolo stai combinando?»
Lei esitò, poi un respiro, di nuovo una pausa, e infine «Stiamo uscendo insieme. Tutto qui» la voce che disse quelle parole sembrava quella solita di Criseide – alta, sicura e un po' arrogante – e per un attimo mi sentii rassicurata, perché almeno era sempre lei e non era stata ricattata o obbligata, o chissà che altro. Ma quello non significava che fossi d'accordo con la sua scelta.
«Sei impazzita? Con Agamennone?» esclamai, leggermente più tranquilla ora che sapevo di stare parlando con la solita Criseide. «Lo sai benissimo che ha già una ragazza! Cosa fai, l'amante?»
Lei schioccò la lingua e riuscivo quasi a vederla roteare gli occhi «Sei sempre la solita esagerata.» commentò «Per tua informazione, Agamennone e la sua ragazza, la sorella di Elena, una tale Clitennestra – ci credi? A lei hanno dato un nome così normale e sua sorella invece si è beccata Clitennestra, se i miei mi avessero chiamato così-».
«Vai avanti!» la interruppi esasperata. Quella sì che era la solita Criseide che ero abituata a stare a sentire.
«Sì, beh, stavo dicendo- Agamennone e Minestra non hanno mai avuto una relazione tutta rosa e fiori e hanno litigato di nuovo circa un mese fa, perché lei se la fa con suo cugino Egisto, che lui non sopporta tanto quanto tu non sopporti Paride. Allora è venuto fuori un macello e Gam e Minestra hanno deciso di evitarsi come la peste, anche se non hanno detto niente a nessuno perché altrimenti in famiglia nasce un pandemonio. Sai che roba, i loro genitori erano tutti “doppi suoceri, yeah” e poi Elena molla Menelao e Minestra se la fa col cugino del suo ragazzo, peggio di “Gli amori dell'Olimpo”. Ti ricordi la puntata in cui Edipo-».
«Cri! Smettila di divagare!»
«Scusa, scusa. In ogni caso, ci siamo conosciuti un paio di settimane fa, lui mi ha raccontato tutto e abbiamo iniziato ad uscire insieme. Lo sai che è proprio il mio tipo, come potevo dirgli di no? E comunque non siamo ancora arrivati al dunque, quindi non ti preoccupare».
Presi un bel respiro e mi buttai di schiena sul letto «Come faccio a non preoccuparmi? E' Agamennone! Sai quante persone ha mandato al pronto soccorso? Potrebbe stritolarti con una mano, se volesse! Ucciderti a pugni e abbandonarti in un fosso di campagna! E nessuno ne saprebbe niente!»
«Ah, smettila di dire cazzate!»
«E poi sai che Ettore non lo sopporta! E viceversa! Come diavolo ti è venuto in mente? E non dirmi che in realtà è un tenerone, perché non ci credo nemmeno se lo vedo venire a proclamare il suo amore per te sotto il tuo balcone con un mazzo di rose rosse tra le mani!»
«Senti, non è un tenerone romantico e se lo fosse non lo vorrei nemmeno, ma non è neanche il mostro che tu e gli altri pensate che sia. E' solo un po' arrogante e troppo sicuro di sé, ma come migliaia di altri ragazzi al mondo, non è il male in persona. E sinceramente la mia vita non ruota intorno alle decisioni di Ettore, quindi non me ne importa un cazzo di quello che pensate. Ti ho chiamato soltanto perché sei la mia migliore amica e ti devo una spiegazione, visto che oggi pomeriggio ero troppo sorpresa per dartela».
Non risposi, sebbene per la prima volta Criseide avesse fatto una pausa nella sua conversazione, che di solito assomigliava molto a un monologo. Non sapevo cosa dire: sentire la sua voce così sicura, dura e ragionevole era qualcosa a cui non ero abituata. Nonostante mi fossi ripetuta che avrei preso una decisione solo dopo aver sentito le sue ragioni, non credevo ce le avesse davvero.
«Non ti stavo giudicando» dissi, aggrottando la fronte «E' solo che Agamennone non mi piace: mi fa un po' paura».
Criseide rimase in silenzio per un attimo e poi rispose «Se devo essere sincera, a me è Achille a fare paura. Però non ti ho mai detto niente».
Achille le faceva paura? Mi ero accorta che in sua presenza tendeva a non aprire bocca, e Achille sapeva terrorizzare chiunque, ma in realtà non era così. Era un ragazzo normale, con i suoi momenti da stupido e i suoi momenti intelligenti, non il predatore violento facilmente tendente all'ira che tutti pensavano che fosse. Cioè, lo era anche, ma a suo modo sapeva essere incredibilmente ordinario.
Prima che potessi mettere insieme una frase per difenderlo in qualche modo, lei mi precedette.
«Il modo in cui hai descritto la mia situazione può essere benissimo usato per la tua: persone al pronto soccorso, potrebbe ucciderti quando vuole, Ettore non lo sopporta e sicuramente non è un tenerone che ti porta rose sotto il balcone dicendoti quanto ti ama».
Per un attimo la mia mente volò senza controllo a quell'ultima immagine: non sapevo se Achille avrebbe mai comprato rose rosse, ma di sicuro non sarebbe rimasto ad aspettare sotto il mio balcone, magari si sarebbe arrampicato fino alla mia camera, ed era più il tipo da mostrare i suoi sentimenti con le azioni invece delle parole – del genere spaccare la finestra o calciare la porta –, mi avrebbe sicuramente baciato con forza e buttato sul letto e- cazzo. Io non avevo il balcone. No, a che cazzo stai pensando, Bri? Sei una deficiente! Chi se ne frega del balcone! Può entrare dalla porta- no, aspetta! Non entrerà punto e basta. Smettila di fare assurdi viaggi mentali, idiota. Stiamo parlando di Achille! Achille, non il principe azzurro! Deficiente!
«Bri, mi stai ascoltando?»
«Eh?»
«Ti prego, dimmi che non stavi pensando ad Achille sotto il tuo balcone».
A quelle parole balzai a sedere, sentendo le guance prendere istantaneamente fuoco «No!» esclamai con enfasi «Assolutamente no!»
«Ci stavi pensando davvero! Non ci credo! Fai tanto la difficile, ma sei completamente andata! Achille no, quanto lo odio, un cazzo!»
«Non è vero!»
«Sì che è vero! Dici di no solo perché non vuoi ammetterlo! Se non ti piacesse di certo non staresti pensando a lui».
«Sei tu che l'hai nominato! Altrimenti non mi sarebbe venuto in mente!»
«Sì, certo. Scommetto che sei andata ben oltre a “sotto il balcone”. Dove sei arrivata, fino al tuo letto? E i vestiti per terra, la sua lingua che ti lecca ovunque e il suo-».
«Cri! Basta, sei una schifosa pervertita!»
«Sei tu la pervertita, visto che ci stai davvero pensando».
«Non ci sto pensando! Sei tu che mi stai ficcando in testa tutte queste immagini orripilanti!»
«Immagini orripilanti? Sì, come no. Scommetto che stanotte ti verranno gli incubi».
«Ti odio, cugina deficiente!»
Sentii solo l'inizio della risata di Criseide, prima di interrompere la chiamata e buttare il telefono sul comodino. Non avevo bisogno di guardarmi allo specchio per sapere che la mia faccia era completamente rossa e che di sicuro avevo gli occhi lucidi. Rotolai da una parte all'altra del letto per cercare di calmarmi e poi mi buttai sotto le coperte, coprendomi fino a sopra la testa e mandando al diavolo Criseide. Alla fine era riuscita a cambiare argomento solo quanto sapeva farlo lei e mi aveva rovinato la serata con le sue insinuazioni del tutto errate. Completamente, assolutamente errate. Eppure il mio cuore batteva come un tamburo, lo stomaco si contorceva e fui costretta a stringere le gambe e i denti e a cercare di cacciare via dalla mia mente le immagini di Achille, che sembrava si moltiplicassero invece di ridursi.


Non c'era neanche da dire che quella notte dormii pochissimo e continuai a girarmi e rigirarmi, quando non ero impegnata a sognare Achille in modi che non avrei neanche dovuto immaginare. Come sarei più riuscita a guardarlo in faccia, quando la sua faccia l'avevo vista in posti indicibili per tutta la notte? Era tutta colpa di Criseide.
Fare sogni erotici invece di dormire non aveva fatto altro che rendermi irritabile e sessualmente frustrata e la cosa peggiore era sapere che non potevo realizzarne nessuno, almeno non a breve termine. Perché, se potevo fidarmi di quello che Achille mi aveva detto il giorno prima, lui aveva una cotta per me – assurdo, completamente assurdo – e, oggettivamente parlando, non sarebbe stato difficile convincerlo a mettere in pratica le mie fantasie anche quello stesso giorno. Ma – e c'era un “ma” grosso quanto l'intero universo – io non volevo avere niente a che fare con lui, almeno non in quel senso. Non potevo più dire di odiarlo o che non mi piacesse per niente, perché, oggettivamente parlando, la mia opinione su di lui era drasticamente cambiata rispetto all'inizio, ma da lì a essere anche solo lontanamente coinvolta in modo romantico con lui ce ne voleva. Quindi le mie fantasie sarebbero rimaste tali e lui sarebbe dovuto rimanere il più lontano possibile da me.
«Ehi».
Sobbalzai e imprecai mentalmente quando una voce troppo conosciuta mi apostrofò alle mie spalle – la stessa voce che aveva sussurrato e ansimato al mio orecchio per tutta la notte.
Sei la solita sfigata del cazzo, Briseide. Cancella tutto, cancella tutto. Era solo un sogno. Solo un sogno. Solo un sogno.
«Ciao, Briseide».
Mi voltai lentamente, lasciando che i miei occhi si posassero prima su Patroclo mentre ricambiavo il saluto.
«Perché sei ferma davanti al cancello?»
Perché continui a parlarmi? Se mi parli ti devo guardare per forza, brutto idiota.
Deglutii e mi feci coraggio, continuando a ripetermi che era stato solo un sogno e che era davvero assurdo continuare a pensarci. Ma nel momento in cui incrociai lo sguardo penetrante di Achille, sentii le guance andarmi a fuoco e le immagini che avevo così faticosamente cercato di relegare in un angolino della mia mente dopo che si erano rifiutate di scomparire, riaffiorarono all'istante, mandandomi nel panico.
L'unica cosa che riuscii a fare fu esclamare «Bagno!» e scappare dentro la scuola, lasciandomi alle spalle le risate di Patroclo e l'espressione confusa di Achille.
Ero proprio una completa deficiente.
Mi fiondai nel primo bagno che trovai e corsi a lavarmi la faccia, sperando di rinfrescarmi le idee e di dimenticare tutto, perché quella situazione stava diventando davvero ridicola.
«Non fare la stupida» sussurrai al mio riflesso nello specchio sopra il lavandino «Era un sogno e basta. Sei ridicola. Adesso smettila di fare la deficiente ed esci di qui come una persona sana di mente, ok?». Annuii e respirai profondamente, prima di decidermi ad uscire e dirigermi verso la mia classe.
Fare dei sogni strani era normale, succedeva a tutti, e quelli che avevo fatto io non nascondevano dei desideri nascosti, ma erano solo il frutto del condizionamento dovuto a quello che mi aveva detto Criseide, nient'altro. Dovevo credere a quello e tutto sarebbe andato bene. E poi c'era Criseide a cui pensare. A lei e alla sua storia assurda con Agamennone.
Entrai in classe e mi avviai verso il mio banco, salutando chi c'era già ed evitando chi litigava e correva qua e là – leggasi come Diomede e Laodamia. Patroclo e Achille erano già arrivati e quando mi avvicinai si voltarono verso di me, fissandomi con insistenza. Per fortuna le mie guance rimasero della temperatura normale ed io feci finta di niente, mentre mi toglievo il piumino e tutto il resto e mi sedevo con calma.
«Hai fatto? Sembrava così urgente» chiese ironico Achille, non riuscendo a tenere la bocca chiusa per un altro secondo.
Sospirai e gli lanciai un'occhiataccia «Non sono affari tuoi».
«Sei tu che hai strillato che dovevi andare in bagno. Ti ha sentito mezzo cortile».
«Ripeto: non sono affari tuoi».
Prima che uno di noi potesse dire altro, Patroclo decise di cambiare discorso «Hai parlato con tua cugina?» mi chiese a bassa voce.
Annuii e feci una smorfia «Mi ha chiamato ieri sera» cominciai. Non avevo avuto bisogno di pensarci per decidere di informarli di tutta la faccenda. Forse era perché erano con me quando avevo scoperto Criseide e Agamennone insieme, ma sapevo di potermi fidare e volevo condividere tutto quello con qualcuno e loro erano gli unici che già lo sapevano. «Mi ha detto che in realtà Agamennone ha lasciato Clitennestra da circa un mese e che adesso stanno uscendo insieme, ma non è niente di serio. Almeno è quello che ho capito perché poi ha cambiato discorso».
«Si sono lasciati?» ripeté Patroclo, aggrottando la fronte «Mi è sembrato di vederli insieme giusto settimana scorsa».
Mi lasciai sfuggire un lamento e nascosi il volto nelle braccia piegate sul banco «Basta, non ne voglio sapere più niente. Quella cretina non è innamorata di lui e tanto mi basta. Se si stanno divertendo tutti e due non mi interessa, l'importante è che non succeda niente di male».
«Se ti può consolare, Agamennone e Clitennestra si sono lasciati davvero. Li ho visti io» disse Achille a sorpresa.
Alzai di scatto la testa e lo fissai con gli occhi spalancati «Li hai visti?»
Lui scrollò le spalle e appoggiò la guancia sul palmo della mano «Stavo andando dal panettiere e loro erano lì in mezzo alla strada. Non avevo intenzione di evitarli con il giro lungo e perdermi l'inizio di “Il Signore degli Inferi”».
Il pensiero di Achille che andava dal panettiere come se niente fosse e non volesse perdersi l'inizio di un telefilm mi fece scoppiare a ridere.
«Dal panettiere?» chiesi tra le risate «Tu vai dal panettiere?»
Lui si accigliò e mi lanciò un'occhiataccia «E allora? Non posso?»
«No, no, è solo che non me l'aspettavo» presi un bel respiro e cambiai argomento, per evitare di farlo arrabbiare «Guardi davvero “Il Signore degli Inferi”? Io l'ho mollato dopo tre episodi: troppo sangue».
«Non capisci niente. Scommetto che tu guardi schifezze come “Gli amori dell'Olimpo” o “La Sibilla”» disse con una smorfia disgustata.
Inspirai offesa «Guarda che “La Sibilla” è un telefilm fantastico. Sei tu che non capisci niente!»
«Ah, quello lo guardo anch'io» aggiunse Patroclo «E' uno dei miei preferiti. Anche “Argonauti” mi piace parecchio».
Achille gli lanciò uno sguardo «“Argonauti” è un discorso, ma gli altri sono terribili».
Punta nel vivo, sibilai «E chi è che parlava di Gilgamesh e Ercole con Troilo?»
«Cosa c'entra, Ercole è immortale».
«Ma taci».
Per fortuna in quel momento entrò il professor Efesto e mi affrettai a girarmi in avanti e tirare fuori le mie cose dallo zaino, mentre il resto della classe si andava a sedere. Un mese prima non l'avrei mai detto, ma discutere con Achille di cose normali era divertente; mi piaceva irritarlo, perché sapevo che non si sarebbe mai arrabbiato davvero con me e anche perché c'era Patroclo che sapeva sempre cosa dire per calmarlo. E poi discutere con lui mi aveva aiutato finalmente ad ignorare i sogni che avevo fatto quella notte. Perché dopotutto erano solo sogni.


All'intervallo mi ritrovai davanti ad un calorifero del corridoio ad ascoltare le avventure del fine settimana di Sirna, mentre cercavo di mangiare una barretta al cioccolato senza sporcarmi le dita. Cosa che si stava rivelando alquanto difficile, dato che Sirna possedeva un certo carisma che non ti permetteva di guardare da un'altra parte mentre lei parlava. Era come una calamita e forse quello spiegava perché avesse sempre così tante avventure da raccontare.
«-detto che non mi piacciono le esposizioni e di trovarsi qualcun'altra che d'ora in poi glielo succhia perché la mia eccitazione ha preso il volo per sempre. Cazzo, un appuntamento ad una mostra? Se voglio andare ad uno schifo di mostra, ci vado con quello sfigato quattrocchi di Macaone».
«Sei sempre la solita. E' stato un pensiero carino invitarti» disse Penelope, riscaldandosi le mani col suo bicchierino pieno di cioccolata.
Sirna fece un verso stizzito «Non gli ho mai detto che mi piace la fotografia, neanche una volta. E improvvisamente vuole portarmi ad una esposizione? Come l'ha saputo, eh? Cos'è, uno stalker? Non voglio avere un altro stalker, ne ho già fin troppi».
La guardai ad occhi spalancati, lasciando perdere per un attimo la mia merenda, e le chiesi «Hai degli stalker?»
Lei agitò una mano e piegò le labbra in una smorfia «Sono solo tizi che mi seguono sperando che gliela dia ancora, ma se abbiamo chiuso ci sarà un motivo valido».
«Come fai ad essere così tranquilla?» chiese Laodamia aggrottando la fronte.
«Sono innocui, davvero. Solo un tipo ha cercato di entrare in camera mia dal balcone, ma mio padre l'ha cacciato via con la scopa» disse lei tranquilla, come se non fosse nulla di preoccupante avere dei pazzi che entrano con la forza in casa tua perché tu hai deciso di mollarli. Ma quando si accorse delle nostre espressioni ansiose, sospirò «Non c'è bisogno di preoccuparsi, sono solo due o tre. E comunque non sono così indifesa come pensate» disse roteando gli occhi «Ho un sacco di amici che farebbero di tutto per me, non vado mai in giro da sola e a casa c'è mio padre che è molto protettivo e non si fa problemi a buttare giù dal balcone qualcuno per difendermi. Sono praticamente in una botte di ferro!»
«Tuo padre butta le persone giù dal balcone?» chiese Tecmessa con un filo di voce.
«Siamo al primo piano» rispose Sirna come se quello giustificasse tutto.
«Non puoi buttare le persone giù dal balcone!» esclamò Laodamia «Neanche se sei al primo piano!»
«Nessun regolamento di condominio dice che non si possono buttare le persone dal balcone. Soprattutto quando non hanno il permesso di entrare».
«Tu sei fuori di testa!»
«Non cominciate a litigare» cercò di calmarle Penelope, smettendo di bere la sua cioccolata «L'importate è che non si è fatto male nessuno».
«E possiamo evitare di ripetere la parola “balcone”? Grazie» intervenni io, non riuscendo più a trattenermi. Va bene aver realizzato che si era trattato solo di un sogno, ma questo non significava che mi andava bene continuare a sentire quella parola che non faceva altro che farmi ripensare a quelle immagini che stavo cercando di togliermi definitivamente dalla testa.
«Perché? Cos'hai contro i balconi?» chiese Laodamia con foga, come se si fosse offesa personalmente.
«Non ho niente contro i balconi» risposi alzando gli occhi al cielo, «ma mi fanno venire in mente un'immagine che preferirei non ricordare».
Sirna inarcò le sopracciglia e mi piantò addosso uno sguardo troppo profondo perché riuscissi a sostenerlo, così dovetti abbassare il mio su quello che restava della mia barretta «Cosa?» chiese lei divertita, abbassando la voce «Hai fatto cose sconce sul tuo balcone?»
Quella domanda mi punse nel vivo e non potei fare a meno di arrossire e fulminarla con lo sguardo «Non ho mai fatto cose sconce sul mio balcone!» esclamai oltraggiata. Chi era così spudorato da fare cose sconce sul balcone, a parte lei? Senza contare che l'unico balcone che avevo era quello tra sala e cucina, le stanze che mio padre usava di più – non avevo intenzione di fargli venire un infarto quando non aveva ancora compiuto cinquant'anni.
«Allora perché te la prendi così tanto?» mi chiese Sirna con un ghigno.
Perché per tutta la notte non ho fatto altro che pensare ad Achille che usava il balcone che non ho per venire in camera mia e farmi cose che farebbero arrossire persino te.
Ovviamente non potevo darle una risposta del genere, soprattutto quando stavo cercando di dimenticare il tutto, così dissi «Perché Criseide mi ha raccontato una sua fantasia che includeva un balcone e Agamennone. Quindi scusa se sto cercando di scordarla con tutte le mie forze».
«Agamennone?» ripeté Penelope alzando le sopracciglia, imitata da Sirna.
Ops. Dovevo proprio imparare a contare fino ad ottocento prima di aprire bocca.
Il fatto era che avevo proprio bisogno di parlarne con qualcuno di non prevenuto e di estraneo ad entrambi, per poter avere delle opinioni il più oggettive possibili. Ettore e Creusa odiavano Agamennone, Andromaca ed Enone si sarebbero preoccupate per Criseide tanto quanto lo ero io; Achille e Patroclo lo sapevano, ma nemmeno a loro piaceva Agamennone, quindi mi ritrovavo a sentire solo opinioni che tendevano a “è meglio se gli sta il più lontano possibile” e forse era anche la cosa più giusta da fare, ma parte di me voleva sentire un'opinione che desse ragione a Criseide, o almeno non le desse completamente torto.
Così feci un respiro profondo e mi chinai appena verso di loro «Ok, quello che sto per dirvi non dovete dirlo a nessuno. Promesso?» Le guardai una ad una mentre assentivano con espressioni curiose e poi mi decisi a continuare velocemente «Criseide sta uscendo con Agamennone, che sembra abbia lasciato da un po' Clitennestra. Sinceramente non credo sia una buona idea, considerata la sua reputazione, ma lei mi ha fatto capire che non è niente di serio e che si stanno solo divertendo. Voi cosa ne pensate?»
Penelope fu la prima a parlare, dopo un solo attimo di silenzio «Beh, Agamennone non è certo il ragazzo perfetto, ma se è solo per divertirsi... Cioè, Agamennone non mi sta affatto simpatico, ma è solo uno dei tanti palloni gonfiati di questa scuola, non un serial killer».
«Però io credo che sia meglio se sta attenta a non tirare troppo la corda» disse Tecmessa con uno sguardo preoccupato «Se si stanno divertendo è un conto, ma Agamennone non è fatto per i rapporti seri».
«Già» la interruppe Laodamia incrociando le braccia al petto «L'unico rapporto che gli interessa è quello sessuale. Tua cugina dovrebbe stare attenta a proteggere la sua verginità».
Le lanciai uno sguardo stralunato, mentre Tecmessa si portava una mano alla fronte e Penelope e Sirna scoppiavano a ridere. Nonostante la conoscessi da solo un mese, mi era bastato molto meno per capire quale fosse la visione di Laodamia sul sesso fuori dal matrimonio: lei non l'avrebbe mai fatto. Non aveva problemi a parlarne, come non aveva problemi a fare tutto quello che veniva prima, ma l'atto vero e proprio avrebbe dovuto aspettare. Attualmente era in corso una scommessa su quanto ci avrebbe messo Protesilao a farle cambiare idea e io avevo puntato qualcosa – le poche monete che mi ero trovata in tasca quando Diomede mi aveva informato della faccenda – su San Valentino. Banale come data, ma probabilmente si sarebbe lasciata andare con un po' di romanticismo nell'aria. Ovviamente lei non sapeva niente delle scommesse, altrimenti Diomede sarebbe diventato un eunuco già da tempo.
Tossicchiai e le mormorai in risposta «Non credo ci sia più bisogno di proteggere niente». Criseide aveva perso la verginità lo scorso anno con un ragazzo di un'altra scuola che io non avevo mai conosciuto di persona, ma di cui avevo sentito parlare fino alla nausea. Se non altro non se n'era mai pentita.
«Tua cugina sembra troppo forte. Devo assolutamente conoscerla» disse Sirna tra le risate.
«Ti prego, no» risposi io con una smorfia «Siete talmente simili che credo nessuno riuscirebbe a sopportarvi insieme».
Lei mi posò un braccio sulle spalle «Vuoi dire che nessuno riuscirebbe a resistere al nostro fascino».
Roteai gli occhi «Sì certo, anche quello».
Grazie agli dei, la campanella suonò in quell'istante, interrompendo Sirna prima che riuscisse a dire qualcosa – e dalla luce che aveva negli occhi sapevo che quel qualcosa non mi sarebbe piaciuto.
Mentre rientravamo in classe Penelope mi fece un sorriso e disse «Non ti preoccupare, sono sicura che andrà tutto bene. E se dovessero esserci problemi, ci siamo sempre noi ad aiutarti. Più un centinaio di altre persone, ne sono sicura».
Ricambiai il sorriso con il cuore molto più leggero di prima e dovetti fare un bel respiro per evitare di scoppiare a piangere. Avevo sempre creduto che l'Acaia fosse l'inferno e tutta la gente che la frequentava nemmeno degna di essere considerata, ma non potevo avere più torto di così. Quel mese all'Acaia era stato infinite volte meglio delle mie aspettative, mi era piaciuto, mi ero divertita, avevo fatto nuove amicizie e mi ero trovata a mio agio. Così bene che, se fosse sorta la possibilità di tornare all'Ilio, avrei fatto fatica a scegliere cosa fare. Forse non era la scuola perfetta, ma lì in quella classe stavo bene ed era quello che contava. E poi dove avrei trovato un'altra Penelope? O delle altre Laodamia, Tecmessa e Sirna? O degli altri Diomede e Ulisse? O un altro Patroclo? O addirittura un altro Achille? A volte erano insopportabili, vero, ma erano diventati miei amici e senza di loro sarebbe stato davvero noioso.
«Ehi, Bri! Ho copiato i tuoi compiti di matematica» mi disse Diomede una volta che fui tornata al mio posto.
«E chi ti ha dato il permesso?»
«Erano lì sul banco e li ho presi in prestito».
«Non erano sul banco, erano nel mio zaino! Hai frugato nel mio zaino!»
«Ti ha anche pasticciato il diario» mi informò Patroclo, senza staccare gli occhi dal suo sudoku.
«Non è vero! Ti ho solo scritto qualcosa sul giorno del mio compleanno!»
«Cosa vuoi che me ne importi del tuo compleanno? Non è festa nazionale!»
«Che cattiva! Volevo solo ricordartelo!»
Lo fulminai con un'occhiataccia e iniziai a sfogliare velocemente il diario, trovando subito la pagina incriminata. Il ventiquattro febbraio era pieno di disegnini e scritte scarabocchiate, tutto fatto con gli evidenziatori e pennarelli indelebili. Feci un respiro profondo, chiusi il diario e lo sbattei sulla testa di Diomede.
«Sei un idiota! Dammi il tuo diario!»
Lui me lo passò titubante, ma senza dire una parola, io lo sfogliai velocemente fino ad arrivare al dieci agosto, il giorno del mio compleanno, e con la penna iniziai a scrivergli insulti e fare disegnini di lui che veniva ucciso da me in decine di modi diversi. Ero talmente presa dal compiere la mia vendetta che non mi accorsi nemmeno di quando Achille si sedette al suo posto.
«Che succede?»
«Diomede ha pasticciato il diario di Briseide e lei si sta vendicando».
«Non le ho pasticciato il diario! Le ho solo scritto quand'è il mio compleanno!»
«E le hai riempito la pagina. Lo sai che il ventiquattro febbraio è un giorno di scuola, vero?»
«...Ops?»
«Che idiota».
Ritiravo tutto quello che avevo pensato prima. Senza qualcuno di loro sarei stata bene lo stesso.








N/A: Innanzitutto vorrei ringraziare tutti quei lettori che hanno continuato a credere in questa storia, nonostante i tempi di attesa, e che hanno continuato a sostenermi e anche a spronarmi con le loro recensioni. Mi dispiace davvero di avervi fatto aspettare così tanto, il tempo passa talmente veloce che riesco a mala pena ad accorgermene e spesso, per lunghi periodi, non mi passa nemmeno per l'anticamera del cervello di mettermi a scrivere.
La revisione è durata parecchio, l'ho iniziata di getto, poi l'ho abbandonata per un po', continuata a singhiozzo, lasciata stare, continuata a forza, dimenticata, terminata con una strana ispirazione. Un lungo viaggio, insomma, ma sento che questa storia posso continuarla, posso andare avanti a scriverla senza problemi, non come quella vecchia, che ormai sembrava un pessimo lavoro a maglia, con fili che penzolano qua e là e trame che si sciolgono mentre continuo a sferruzzare. Ora ho una visione più chiara della storia e dei personaggi e il tipo di scrittura e più attuale rispetto all'altro e lo sento più mio.
Per quanto riguarda la storia in sè, credo che dovrò deviare parecchio dalle linee guida dell'Iliade, ma spero che il risultato sia lo stesso soddisfacente.
Parlando di questo capitolo, invece, finalmente affrontiamo come si deve (più o meno) la questione Agamennone/Criseide, lasciata in sospeso nello scorso. Quello che volevo dire su di loro l'ho già detto per bocca di vari personaggi e vorrei ribadire che non sarà una cosa drammatica, visto che questa è e rimarrà una commedia romantica.
Abbiamo qualche altro titolo, questa volta di telefilm: "Gli amori dell'Olimpo" (una sorta di Beautiful con diversi personaggi mitologici dalle storie d'amore travagliate. Senza dei ovviamente, perché sono già personaggi della storia, ma l'Olimpo del titolo è rimasto per mancanza di altri termini adatti), "Il Signore degli Inferi" (genere thriller? Sovrannaturale? Una sorta di Supernatural? Non ho deciso bene), "La Sibilla" (una specie di poliziesco), "Argonauti" (sempre le avventure degli Argonauti, ma versione telefilm e non cartone animato).
Per quanto riguarda Briseide, spero di essere riuscita a restare nel personaggio, nonostante i sogni erotici. Non è ancora al punto di essere innamorata di Achille, ma una cotta per qualche parte di lui già ce l'ha, come ce l'aveva già all'inizio, e comincia a farsi vedere e sentire. Inoltre si sta adattando alla sua classe e ai nuovi amici, compreso Diomede anche se non sembra (ho già detto quanto lo adoro).
Per il momento questo è tutto. Non posso darvi la data precisa del prossimo aggiornamento perché in questo periodo sono impegnata con la tesi, ma se non ci sono imprevisti può darsi che per luglio riesca a postare qualcosa. E spero tanto non ci siano imprevisti.
Spero di sapere cosa ne pensate di questa nuova versione fino a questo capitolo. Se vi piace più della vecchia o no, cosa ne pensate delle nuove scene e delle nuove versioni di quelle vecchie, cosa o chi vi piacerebbe leggere, qualsiasi cosa. Questo vale anche se vedete errori o avete qualche critica o domanda da fare. Insomma, fatemi sapere tutto quello che pensate di questa storia e di tutto quello che la riguarda.
Grazie per aver letto e per aver avuto pazienza per tutto questo tempo!

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Capitolo 8
*** Canto VII: Di come le vacanze non durano mai abbastanza ***


 

Canto VII
Di come le vacanze non durano mai abbastanza

 

 

«-il capitolo e fate tutti gli esercizi alla fine. Vi avviso già che a gennaio ci sarà una verifica su questo argomento. E verranno valutati anche i compiti».
Ad ogni parola della prof potevo distintamente vedere Diomede accasciarsi sempre di più sul banco, come un palloncino sgonfio, e quando Atena uscì dall'aula si lasciò scappare un grido disperato.
«Nooo! Non ce la farò mai! Prenderò un'insufficienza e mia madre mi ucciderà! La mia vita è finita e non ho ancora sposato Enone!»
Quasi mi strozzai con la mia stessa saliva e lo fissai sbigottita, mentre Achille gli lanciava una gomma sulla testa e un insulto.
«Le vacanze non sono ancora cominciate e tu sei già così catastrofico» commentò Patroclo, alzando gli occhi al cielo e iniziando a svuotare il sottobanco e a riempire lo zaino.
«Perché so già che non ce la farò mai!»
«Ma smettila!» esclamai dandogli un calcio alla sedia «Basta che ti impegni, per una volta in vita tua. Ad Enone non piacciono gli scansafatiche». Non era vero, perché Enone non aveva dei gusti così precisi in fatto di ragazzi e perché era stata con Paride, il re degli scansafatiche. Ma Diomede questo non lo sapeva, così non mi stupii quando si rialzò di botto e si voltò verso di me con un'espressione terrorizzata.
«Davvero?!» chiese con voce acuta, per poi sbattere le mani sul mio banco e farmi cadere l'astuccio aperto per terra «Mi aiuterai, vero Bri? Faremo i compiti insieme e mi aiuterai a studiare per la verifica!»
Io lo fulminai e mi chinai a raccogliere le mie cose «Perché non lo chiedi ad Ulisse? Penelope mi ha detto che passate sempre le vacanze appiccicati come una cozza al suo scoglio. E anche che sei sempre in mezzo ai piedi e inizia a dubitare della vostra sessualità».
Diomede ignorò gran parte della frase, mentre Patroclo mormorava «Chissà chi è la cozza» e Achille rideva in silenzio.
«Se faccio i compiti con Ulisse ci distraiamo e finiamo per giocare a “Viaggio nell'Oltretomba”!»
«Quanto sei assillante!»
«Per favore, Bri!»
Feci l'errore di guardarlo negli occhi mentre mi pregava e quello sguardo implorante e speranzoso mi obbligò ad accontentarlo. Anche perché dire di no a Diomede iniziava a diventare sempre più difficile, man mano che lo conoscevo.
«Va bene, ma solo per un paio di giorni al massimo» borbottai alla fine, provocando esultanza da parte sua e un offeso «Scusa?!» da parte di Achille, che aveva smesso di ridere e mi fissava incredulo.
«Che c'è, non posso mica dirgli di no».
«Sì che puoi».
«Ho deciso di aiutarlo. Perché non ti fai gli affari tuoi?»
«E perché tu non ti fai i tuoi? E' grande abbastanza per arrangiarsi da solo».
Prima che potessi rispondergli mandandolo a quel paese, Patroclo intervenne, ignorando Diomede che stava gridando allegramente verso Ulisse, dall'altra parte dell'aula «Quello che Achille sta cercando di dire è che anche lui vorrebbe fare i compiti con te-»
«Non stavo dicendo quello».
«-e che gli piacerebbe passare del tempo insieme, visto che le vacanze sono lunghe» proseguì come se Achille nemmeno avesse aperto bocca.
Studiai per un istante l'espressione corrucciata del mio compagno di banco e poi quella pacifica e leggermente divertita di Patroclo, prima di abbassare lo sguardo sul mio banco «Per certe cose basta chiedere, invece di insultare le persone. Anche se è molto probabile che adesso ti dica di no» gli lanciai un'occhiata altezzosa, in tempo per vederlo inarcare un sopracciglio.
«Perché, prima mi avresti detto di sì?» chiese ironico.
«Oh, ti piacerebbe saperlo, vero?».
«Stai scherzando col fuoco, tesoro» mormorò lui con un sorriso divertito, che mi fece capire che non se l'era presa.
Così mi arrischiai a provocarlo un po', perché non avevo alcuna intenzione di dargli l'ultima parola «No, tesoro, sei tu che dovresti stare attento».
Per fortuna non fui obbligata a vedere la sua reazione, perché in quel momento Diomede urtò il mio banco, mentre cercava di prendere al volo una penna che gli aveva lanciato Ulisse, e inciampò nei suoi stessi piedi, finendo praticamente in braccio a Patroclo, che rimase senza fiato quando lo schiacciò contro la sedia. Sia io che Achille reagimmo subito e, se lui spinse bruscamente Diomede e si accertò delle condizioni di Patroclo, che sembrava aver perso momentaneamente la facoltà di parlare, io gli tirai uno scappellotto e iniziai ad insultarlo. Perché Diomede pesava di sicuro almeno dieci chili in più di Patroclo.
«Sei un idiota! L'hai schiacciato! Cosa sei, un ippopotamo? Fai più attenzione!»
«Scusa, Patro! Non volevo!» esclamò Diomede, cercando di trattenere le risate, mentre si voltava verso di lui.
«No, tranquillo» disse Patroclo senza fiato, agitando una mano e facendo un lieve sorriso.
Achille gli lanciò invece un'occhiataccia, ma non fece altro e prese il suo zaino da terra.
Io guardai l'orologio e mi affrettai a finire di riempire il mio, stando attenta a non dimenticare niente, visto che dal giorno dopo sarebbero cominciate le vacanze di Natale.
«Sei sempre così goffo» disse la voce di Ulisse, che si era avvicinato con un ghigno sulle labbra.
«Sei tu che l'hai lanciata male!».
Mentre loro iniziavano a discutere, io salutai tutti con un veloce augurio di buone feste, ignorando Achille che stava per dire qualcosa e abbracciando velocemente le ragazze, prima di uscire come un razzo dalla classe.
Avevo due buoni motivi per andare di fretta: uno, Ettore e il resto della famiglia mi stavano aspettando fuori dall'Acaia, Criseide e Paride compresi, e volevo evitare che venissero visti da chi non avrebbe dovuto vederli (ovvero, Agamennone e Menelao); secondo, volevo evitare situazioni imbarazzanti nei saluti – del genere, abbraccio o stretta di mano? – con alcune persone in particolare.
Mentre mi infilavo tra la folla nell'atrio, cercando di raggiungere l'uscita, incrociai per un attimo lo sguardo di Agamennone, ma distolsi subito il mio e aumentai ancora il passo. Non avevo bisogno di essere fermata anche da lui.
La figura di Ettore si stagliava fuori dal cancello, immobile come una statua, a braccia incrociate e con lo sguardo fisso verso l'ingresso dell'Acaia. Creusa stava discutendo con Cassandra ed Eleno, che teneva una scatola tra le mani, Paride stava smanettando con il cellulare e Criseide si controllava le unghie. Fu ovviamente Ettore a vedermi per primo e le sue labbra si piegarono appena in un sorriso, quando mi avvicinai – niente di più, chiaro, non davanti ai nemici.
Ci salutammo e Criseide mi prese a braccetto, iniziando a tartassarmi di domande, almeno finché una voce non strillò il mio nome e ci fece fermare tutti, compresi gli studenti che affollavano il marciapiede.
Quando mi voltai verso la scuola, vidi Diomede sbracciarsi da una finestra per richiamare la mia attenzione «Ricordati i compiti! Me l'hai promesso!».
Nell'imbarazzo più totale, gli urlai in risposta «Non te l'ho promesso!»
«Briii! Per favore!»
«Va bene! Va bene!» esclamai velocemente e, sperando di chiudere lì la questione, lo salutai con una mano. Lui ricambiò il saluto e io mi voltai di fretta, facendo un lieve sorriso all'espressione corrucciata di Ettore e superandolo con Criseide di fianco, che invece se la rideva.
«Cos'è, un altro ammiratore?» frecciò lei.
«E' solo un amico» sibilai in risposta, ignorando il grugnito di Ettore, che però non disse niente.
«E Achille non dice niente?»
La fulminai con un'occhiataccia, soprattutto perché Ettore stava quasi ringhiando «A Diomede piace Enone!» esclamai, pentendomene subito dopo, perché gli occhi azzurri di Criseide si accesero di malizia e interesse.
«Davvero? E a lei piace?»
«Non si conoscono nemmeno!»
«Però lui è carino».
«Basta!» esclamò Ettore, spingendosi a forza tra noi due «Parlate d'altro, cazzo!»
Io e Criseide ci scambiammo uno sguardo divertito e lo prendemmo a braccetto.
«Oh, povero Ettoruccio! Ti senti a disagio?» cominciò Cri «Per noi sei sempre il numero uno, lo sai! Ma se vuoi cambiamo argomento».
«Hai già pensato al regalo per Andromaca?»
Ettore gemette e tentò di divincolarsi, ma noi non glielo permettemmo e lui non ci provò nemmeno sul serio.
«Non sono affari-».
«-un topo!» lo interruppe la voce acuta di Creusa, facendoci voltare.
Lei e i gemelli stavano ancora discutendo, mentre Paride ascoltava con aria disinteressata.
«Che poi, si può sapere dove lo avete trovato?»
«In cortile. Aveva freddo ed è denutrito» rispose Cassandra.
«Non poteva essere un gatto o un cane? No, certo che no. Voi dovevate trovare un topo!»
«Costa meno mantenerlo, però» osservò Eleno «E poi lo teniamo in camera nostra».
«La mamma vi uccide. E se non lo fa lei, lo farò io! E se lo vede Troilo?»
«Probabilmente inizierà a portare a casa lucertole» commentò Paride, rispondendo ad un messaggio sul cellulare.
«Hanno un topo nella scatola?» chiesi con una smorfia.
«L'hanno trovato all'intervallo, mentre cercavano le solite piante per i loro giochini vudù» mi spiegò Criseide.
«Non sono giochini vudù» disse Cassandra aggrottando la fronte.
«Oh, basta. Andiamo a casa e lasciamo che ci pensi mamma» decise Ettore, aumentando il passo e trascinandoci insieme a lui.
Se quello era l'inizio delle vacanze, non osavo immaginare il seguito.


Il seguito fu ovviamente una schifezza.
Mia madre era a casa per due settimane – l'unica nota positiva – e lei e mio padre sembravano in luna di miele, come sempre – una delle tante note negative – e io ero costretta a sentirli tubare per tutta la casa. Quando mia madre tornava a casa, tendeva a cercare di recuperare tutto il tempo perso in soli due giorni, che si trasformavano in un incubo e mi facevano sentire la mancanza della mia camera da letto, in cui entravo per poche ore di notte e pochi istanti per cambiarmi tra una doccia e l'altra. Però, nonostante questo, ero contenta di passare del tempo con lei e i continui giri per i centri commerciali mi erano stati utili per comprare i regali di Natale.
Il Natale in sé, invece, non era stato così roseo e tranquillo come me l'ero immaginato, soprattutto perché era impossibile passare una giornata tranquilla con la mia famiglia interamente riunita per tre giorni di fila. Le zie non avevano fatto altro che aggiornare mia madre sui vari pettegolezzi che si era persa – e che per la maggior parte riguardavano i nostri stessi famigliari, me e i miei cugini compresi –, lo zio Crise, Deifobo e Creusa avevano fatto fuori tutti i liquori nel bar di zio Priamo – ed erano stati male per due giorni –, io e Paride avevamo dovuto abbracciarci per farci gli auguri – pena il salto del dolce –, il topo di Eleno e Cassandra aveva mangiato con noi ad ogni singolo pasto – nella sua gabbietta posizionata su una sedia tra di loro e, grazie agli dei, non sul tavolo come avrebbero voluto quei due deficienti –, Troilo non aveva fatto altro che chiedermi di Achille – con Ettore che borbottava in sottofondo – e Criseide era riuscita a convincermi ad uscire con lei il sabato successivo. Non che odiassi uscire con mia cugina, ma sapevo che con lei succedeva sempre qualcosa che avrei preferito dimenticare. Però mi aveva rinfacciato che non passavamo più del tempo insieme e io non avevo potuto ribattere dicendo che era tutta colpa della sua storia con Agamennone, perché Ettore era proprio accanto a noi e io mi ero ripromessa di non rivelargli niente, almeno per il momento, altrimenti avrebbe davvero avuto un infarto.
Quindi era per quel motivo che mi ritrovavo in un pub, un paio di giorni prima dell'ultimo dell'anno, intenta a non digrignare i denti e a fulminare Criseide seduta di fronte a me, che ridacchiava e faceva la scema con Agamennone. Sì, perché quell'odiosa stupida oca non mi aveva messo al corrente che ci sarebbe stato qualcun altro. E quel qualcun altro era proprio la persona che meno volevo vedere al mondo.
E' stato solo un caso”, un cazzo.
Aveva programmato tutto, lo sapevo. Anche perché, se fosse stata una coincidenza – come aveva strillato non appena lui si era avvicinato –, quel borioso di Agamennone non sarebbe stato solo con Aiace Oileo. Lo stesso Aiace Oileo che mi stava seduto troppo vicino e stava ciarlando di chissà cosa da circa mezz'ora. Non avevo idea di come avessi potuto sopportare quella buffonata per mezz'ora intera, sapevo soltanto che Criseide me l'avrebbe pagata cara.
E quando lei e Agamennone si alzarono e lei mi disse «Noi andiamo un attimo fuori, Bri. A dopo», sentii distintamente la mia pazienza raggiungere il limite. Non avevo più intenzione di acconsentire a quella gigantesca e shifosissima idea: non sarei stata la sua compagna di malefatte per dividere equamente l'ira di Ettore. Se avessi voluto fare incazzare Ettore, mi sarei messa con Achille, che mi piaceva decisamente di più di Aiace ed era meno egocentrico.
«Senti» dissi con forza, girandomi verso di lui e interrompendolo nel bel mezzo dell'ennesimo auto-elogio, «tu non mi piaci per niente. Non so cosa ti abbia detto Criseide, ma finiamola qui che è meglio» mi alzai e feci per andarmene, ma la sua mano mi afferrò il braccio e mi trattenne con forza.
«Andiamo, rimani ancora un po'. Sono sicuro che so come farti divertire» disse con uno sguardo che gridava “maniaco sessuale in vista”.
«No, non lo sai» gli sibilai in risposta, cercando di liberarmi. «L'unico modo in cui puoi farmi divertire è lasciandomi squartare il tuo cadavere. E, guarda caso, questo non richiede la tua partecipazione attiva».
«Ti piace stare sopra, vero?»
Spalancai la bocca, oltraggiata, e lo fulminai con un'occhiataccia «Sei proprio uno schifoso! Lasciami andare o giuro che mi metto ad urlare».
I suoi occhi scuri non lasciarono trasparire nulla, ma la sua presa si allentò quel tanto che bastava perché potessi liberarmi con un strattone più forte e, a quel punto, mi allontanai di fretta, dirigendomi verso l'uscita. Sentii Aiace alzarsi dal tavolo e seguirmi e avrei voluto urlare per la frustrazione e mandarlo al diavolo, ma non sapevo come avrebbe reagito e di sicuro non potevo farmi aiutare da Criseide, che ormai aveva perso del tutto il cervello.
Per fortuna, non dovetti fare niente, perché una voce famigliare mi fermò e mi fece voltare verso uno dei tavoli vicino alla porta. Il volto confuso di Diomede mi fece rilasciare un sospiro di sollievo e subito cambiai direzione e mi sedetti accanto a lui.
«Cosa succede?» mi chiese aggrottando la fronte, ma prima che potessi rispondergli, Aiace si avvicinò e gli occhi chiari di Diomede si posarono su di lui, indurendosi all'istante.
«Aiace».
«Diomede».
Evitai di guardare nella direzione di quell'essere sgradito e mi limitai a fissare Diomede, che fece vagare lo sguardo per qualche istante tra me e lui. «Che vuoi?» gli chiese infine.
«Da te niente. Ma Briseide mi deve ancora qualcosa».
Mi voltai di scatto e lo fulminai «Io non ti devo proprio niente, schifoso maiale».
«Oh, andiamo, non ti sarai offesa. Era un complimento. A me piacciono le ragazze che stanno sopra».
«A me invece non piaci tu. Quindi smamma e lasciami in pace».
Lui appoggiò una mano sul tavolo e si chinò verso di me, fissandomi con uno sguardo malizioso «Mi devi un appuntamento, Briseide, uno lungo tutta la notte».
«L'unica cosa che ti devo è un calcio nelle palle!»
Per fortuna, Diomede si decise ad intervenire e si alzò di scatto, scrutando Aiace con odio «Ti conviene sparire, Aiace, o giuro che ti faccio fuori prima che tu riesca a dire “Sono un povero coglione”. E non provare più ad avvicinarti a Briseide».
Aiace sostenne lo sguardo di Diomede, poi lo abbassò su di me e infine scrollò le spalle «Sarà per la prossima volta» disse con un ghigno, prima di uscire dal locale senza guardarsi indietro.
La tensione nelle mie spalle si sciolse e io sospirai di sollievo, contenta che non si fosse scatenata una rissa, mentre Diomede si risedeva accanto a me e iniziava a fissarmi a braccia incrociate.
«Non è come pensi» mi affrettai a chiarire. «Criseide mi ha chiesto di uscire con lei, perché era da un po' che non lo facevamo, e mi sono ritrovata con quei due al tavolo!»
«Quei due?» chiese lui, aggrottando la fronte «Chi era l'altro?».
All'improvviso mi resi conto che Diomede non sapeva nulla della storia di Cri e Agamennone e mi tirai mentalmente uno schiaffo, prima di decidermi a rispondergli «Agamennone».
Lui spalancò gli occhi «Sei impazzita?! Cosa ti salta in mente di uscire con Agamennone?»
«E' Criseide che ci esce insieme».
«Cazzo, tua cugina è proprio una deficiente».
«Credi che non lo sappia?» sibilai, ripensando a quella mentecatta.
Diomede sospirò «Quindi ti era stato affibbiato Aiace?»
Feci una smorfia «A quanto pare. E' stata la mezz'ora più orribile della mia vita! Mi ha guardato per tutto il tempo come se fossi qualcosa da mangiare!»
Lui si nascose la faccia tra le mani e borbottò «Aspetta che lo venga a sapere Achille».
«No!» esclamai di colpo, senza nemmeno rendermene conto «Sei matto? Non provare a dirgli niente! Ci manca solo che quello si faccia viaggi mentali su cose che nemmeno sono successe e me lo rinfacci anche! Che poi non è successo assolutamente niente, saremo stati da soli due minuti al massimo!»
«Sei pazza?» esclamò lui in risposta «Figurati se glielo vado a dire! Mi uccide prima ancora che riesca a finire la frase! Al massimo devi avere paura che glielo dica Aiace e che ingigantisca la questione. Figurati se non se ne approfitta, quello stronzo».
Sospirai e mi passai una mano tra i capelli «Lasciamo stare» mormorai, per poi raddrizzarmi di colpo ed esclamare «Aspetta! Non sono nemmeno affari suoi! Achille non è il mio ragazzo!»
Diomede mi fissò con le sopracciglia inarcate e l'aria scettica «Sì. Certo».
«Stai insinuando qualcosa?» gli sibilai piccata.
«Dico solo che lo credono tutti».
«Ma non per questo è vero. E poi, per tua informazione, lui non me l'ha mai chiesto, quindi sono ancora felicemente single!»
Il suo sguardo si fece subito interessato e il ghigno che gli comparve sulle labbra non annunciava niente di buono «Perché, se te lo chiedesse, diresti di sì?»
Spalancai e richiusi la bocca un paio di volte, presa alla sprovvista dalla sua domanda «Ovvio che no!» riuscii a dire alla fine.
«Hai esitato!».
«Solo perché la risposta è talmente ovvia che non ho nemmeno bisogno di dirla!»
«Ah, ah. Stai diventando rossa».
«Non è vero!»
«A Briseide piace Achille, a Briseide piace Achille!»
«Diomede sta per venire ucciso, Diomede sta per venire ucciso!»
«Però non l'hai negato!»
«Non è vero, idiota!»
«Mi sono perso qualcosa?»
Una voce famigliare ci interruppe e ci fece voltare, lasciandomi a bocca aperta non appena i miei occhi si posarono sulla figura di qualcuno che non avrei mai immaginato di vedere insieme a Diomede.
Glauco mi fissò con le sopracciglia inarcate e due birre in mano «Beh?»
«Che cosa ci fai qua?!» esclamai, mentre lo guardavo sedersi davanti a noi e passare una birra a Diomede.
«Dovrei chiedertelo io» ribatté lui, fissandomi curioso.
Troppo stupita per spiegarglielo, lasciai che Diomede lo facesse al mio posto «E' scappata dal suo appuntamento al buio con Aiace Oileo» disse senza scomporsi, prima di bere un sorso di birra.
Glauco mi studiò per un istante «Ma non uscivi con Achille?»
Pestai un piede a Diomede che era scoppiato a ridere come un disperato e fulminai Glauco «Non usciamo insieme» gli sibilai.
«Oh, credevo di sì».
Prima che uno dei due potesse dire altro sulla questione, esclamai «E voi due cosa ci fate qui insieme?»
«Siamo venuti a bere qualcosa» mi rispose Glauco con un sorrisetto divertito.
«E da quando siete amici?»
«I nostri genitori sono amici, noi ci limitiamo a sopportarci».
«Ed è un segreto» cantilenò Diomede, passandomi un braccio sulle spalle e mettendomi sotto il naso il suo boccale, che io scostai con la mano «Comunque ti sei scordato le patatine, Gla».
«Vattele a prendere da solo. Non sono mica la tua cameriera».
«Che palle. Però me le mangio tutte io» borbottò Diomede, alzandosi.
«Se, se» rispose Glauco agitando una mano.
Non avrei mai e poi mai pensato che Diomede e Glauco fossero amici, o che si conoscessero di persona al di fuori delle liti in cortile. E potevano dire quello che volevano, ma si vedeva che erano amici e non semplici conoscenti: Glauco comprò un'altra birra a Diomede, che, indipendentemente da quello che aveva detto prima, divise le patatine con lui; facevano battute che io non capivo e ridevano come due dementi. Come mi spiegò Glauco, si conoscevano da quando erano piccoli e non era affatto un segreto, perché lo sapevano quasi tutti, solo che loro preferivano non farne parola perché Diomede era un idiota e Glauco uno snob – o almeno era quello che avevo capito tra gli altri insulti che iniziarono a lanciarsi.
Rimasi con loro per il resto della serata, dimenticandomi di Criseide, Agamennone e Aiace, e dopo qualche bicchiere la conversazione si spostò su argomenti che non avrei mai pensato di affrontare con loro, o almeno non con Glauco.
«Perché non mi guarda mai? Voglio dire, non sono così brutto, no?»
«Se io fossi una donna, saresti nella mia top ten».
«Ecco. Ma lei non mi caga per niente!»
Chi avrebbe mai immaginato che un Glauco brillo si riduceva ad un lamentoso essere dalla lingua sciolta? E Diomede aveva cominciato a seguirlo a ruota, dopo il quarto bicchiere e dopo che Glauco aveva proclamato “l'amore fa schifo”. Non c'era nemmeno da dire che io ero l'unica sobria del nostro strano trio ed ero l'unica che doveva davvero sorbirsi tutti quei piagnistei che rivaleggiavano con il peggior film romantico di quarta categoria.
Tra le scoperte di quella sera: Glauco era innamorato di Iliona; Iliona gli parlava sul serio solo quando dovevano organizzare assemblee di classe; Glauco organizzava assemblee di classe ogni volta che poteva per parlare con Iliona; Iliona usciva da una settimana con “uno scimmione” di quarta B; Glauco aveva provato a rovinargli il motorino, ma non ci era riuscito e in compenso aveva fatto cadere la moto della prof Artemide che ancora girava assatanata per la scuola cercando di trovare il colpevole; Diomede faceva dei sogni su Enone che avrei preferito non sapere; Diomede invidiava Glauco perché almeno lui era nella stessa classe della “donna della sua vita”; Glauco aveva ribattuto dicendo che “la donna della sua vita” non lo cagava di striscio. Poi entrambi avevano deciso di nominarmi loro consulente personale in faccende di cuore, come se fossi un qualche guru dell'amore. La mia vita era già incasinata abbastanza senza aggiungerci anche le loro magagne.
«Forse non ha mai pensato a te in quel senso» li interruppi esasperata.
Entrambi mi fissarono con un'espressione sconvolta, ma gli occhi di Glauco sembravano brillare di un lampo di coscienza «Già» sussurrò come se gli avessi svelato il mistero della vita «Devo solo convincerla a prendermi in considerazione per una futura e seria storia romantica».
Feci una smorfia alle sue parole: l'alcool aveva degli strani effetti su Glauco.
«E io? Enone mi odia! Non le ho ancora detto scusa per averla baciata!»
Mi massaggiai le tempie e per un attimo accarezzai l'idea di alzarmi e tornarmene a casa, ma non potevo lasciare Diomede senza una risposta, così mi decisi a fare qualcosa che ad Enone non sarebbe piaciuto.
«Ok, quando ci troveremo per studiare mi porterò anche lei. Adesso però smettetela di assillarmi!»
Diomede esultò e mi abbracciò, mentre Glauco cantava le mie lodi dall'altra parte del tavolo. In che razza di situazione mi ero andata a cacciare? Enone mi avrebbe ucciso.


La sera dell'ultimo dell'anno chiesi ad Enone se un giorno voleva venire da me a studiare e lei, povera illusa, accettò senza sospettare niente. Mi sentivo uno schifo a mentirle, ma mi ripetei che era per il bene di tutti: suo, di Diomede e soprattutto della mia salute mentale.
Guardarla sorridere e divertirsi era un colpo al cuore, soprattutto perché sapevo che sarei stata io a rovinare tutto.
«Non ti sembra di esagerare?» mi chiese Criseide, seduta accanto a me sul divano. Purtroppo ero stata costretta a raccontarle tutto, perché mi aveva assillato di domande sulla sera in cui mi aveva abbandonato e la prima risposta che le avevo dato – “Vai al diavolo, stronza manipolatrice!” – non le era andata bene.
«Mi odierà!»
«Smettila. Non ti parlerà per qualche ora per la rabbia e poi non ti parlerà per qualche giorno per l'imbarazzo».
«Grazie tante».
«Non stai facendo niente di male. Gli stai solo dando la possibilità di chiederle scusa. Non la stai mica fregando con un appuntamento al buio».
La fulminai «A differenza di qualcun altro, vero?»
«Andiamo, credevo solo che Aiace potesse farti passare una serata diversa. Magari potevi sfogare tutta quella frustrazione repressa che ti provoca Achille. Anche se credo sia meglio sfogarla con lui, che con Aiace» rispose, lanciandomi uno sguardo malizioso che mi fece arrossire.
«Non sono frustrata! E non ho intenzione di sfogarmi con nessuno! Men che meno con uno che non conosco!»
«Non ti agitare, ti ho già chiesto scusa».
Sì, era venuta da me a scusarsi e poi si era messa sul mio computer a cercare il profilo facebook di Achille per sbavare sulle sue foto del mare dell'estate scorsa. Quella maniaca.
Decisi di ignorarla e concentrarmi sulla corsa di bighe che stavano facendo Ettore ed Enea alla playstation. Era un gioco ridicolo e vecchio quanto mio nonno, ma a loro piaceva.
Eravamo a festeggiare a casa di Ettore, la mezzanotte era passata da un pezzo, gli zii se n'erano andati dallo zio Crise con Troilo e Polissena, Deifobo era uscito con i suoi amici e oltre ai miei cugini c'erano soltanto Enea, Andromaca, Enone ed Elena, che però si era imboscata con Paride in camera sua e per fortuna era da almeno un'ora che non si facevano vedere. Anche perché Enone era quasi impazzita a doverli guardare scambiarsi effusioni per tutta la cena. Creusa e Andromaca avevano dovuto trattenermi, prima che spaccassi di nuovo il naso a quel cretino di Paride. Però c'era da dire che, una volta andati via, Enone si era ripresa piuttosto bene e quello mi faceva sperare che poco a poco le stesse passando.
L'imprecazione di Ettore mi distolse dai miei pensieri e mi accorsi che si era di nuovo ribaltato con la sua biga. «Certo che fai proprio schifo» gli dissi con un ghigno.
Lui mi fulminò, mentre Enea se la rideva e tagliava con calma il traguardo, vincendo per l'ennesima volta.
«Voglio la rivincita!» esclamò con foga.
«E' la quinta volta che me la chiedi» osservò Enea, ma non si lamentò quando Ettore tornò al menù di gioco e impostò un'altra partita.
Io scossi la testa e sorrisi ad Enone quando venne a sedersi accanto a noi sul divano.
«Cassandra mi ha letto le carte! E' stata una forza».
«Non dovresti ascoltare quello che dice. Non ci azzecca mai» disse Criseide.
«Però è divertente».
«Non ti dico cosa ha letto a me. Una schifezza completa» aggiunsi io, mentre mi allungavo per prendere il cellulare sul tavolino, che lampeggiava per l'arrivo di un messaggio.
Quando lo aprii, mi ritrovai a fissare i volti sorridenti di Penelope, Tecmessa e Laodamia e una scritta che mi augurava buon anno. Sorrisi, commossa da quel pensiero, ma l'attimo durò poco perché Criseide mi aveva tolto il cellulare di mano e mi si era buttata quasi addosso, allungando un braccio dietro di me per far avvicinare anche Enone.
«Sorridete. E niente smorfie, Bri».
Sorrisi divertita, capendo cosa volesse fare e le lasciai scattare la foto. Quando mi ridiede il telefono scrissi un “buon anno” e inviai la foto e il messaggio a Penelope. Per una volta Criseide aveva fatto qualcosa di intelligente.
«Volete qualcosa da bere?» ci chiese Enone rialzandosi e sistemandosi il vestito.
«Un bicchiere di spumante, grazie» rispose Cri.
«Io niente».
Il mio cellulare vibrò di nuovo, mentre Enone andava in cucina e io aprii la risposta che mi aveva inviato Penelope, mentre, da brava impicciona, Criseide spiava da sopra la mia spalla.
Leggere “Diomede ha gradito la foto” ci fece scoppiare a ridere e non potei fare altro che fotografare Enone a figura intera, mentre rientrava in salotto, e mandare l'immagine a Penelope, prima che lei potesse scoprirmi. Anche se le risate sguaiate di Criseide le fecero alzare un sopracciglio. Prima che potesse chiedermi qualcosa, mi buttai giù dal divano e gattonai velocemente verso la televisione, dove Ettore aveva perso un'altra partita.
«Sei una schiappa» commentai, sedendomi a gambe incrociate, fregandomene del fatto che indossassi una gonna.
Ettore mi lanciò un'occhiataccia e mi buttò il joystick in grembo «Prova tu allora, visto che sei così brava».
«Certamente» risposi con un ghigno e lanciai uno sguardo ad Enea che ricambiò con un sorriso di sfida.
Da quel momento Ettore non riuscì più a giocare perché io ed Enea monopolizammo la playstation e ci sfidammo a tutti i videogiochi disponibili. Scoprii di essere particolarmente dotata in “Viaggio nell'Oltretomba” e negli altri giochi d'azione, mentre ero una vera schifezza nelle corse e in “Olimpiadi”.
«Lancia più in alto quel giavellotto! Così non arriva nemmeno a due metri» mi stava gridando Ettore.
«Taci! So quello che faccio!» Non era affatto vero, ma dovevo almeno fingere di capirci qualcosa per non farmi prendere sottogamba. Anche se Enea se la rideva da una decina di minuti e probabilmente aveva già capito che non avevo idea di che tasti premere. Senza contare che Criseide ed Enone continuavano a distrarmi per farmi fotografie e mi chiamavano e punzecchiavano finché non mi giravo.
«Dai qua!» esclamò alla fine Ettore, strappandomi il joystick di mano e prendendo il comando.
«Due contro uno?» chiese Enea tra le risate «Siete sicuri che basti?»
Ovviamente non bastava, perché Ettore se la cavava meglio in “Olimpiadi” che in “Bigamania”, ma rispetto ad Enea rimaneva comunque un principiante. Nemmeno insieme riuscivamo a batterlo, almeno finché Creusa, stufa che le stavamo rubando il ragazzo, non decise di strappare il joystick di mano ad Ettore e battere Enea in ogni partita.
«Adesso posso riavere quello che mi spetta?» sibilò, afferrandolo per un braccio e tirandolo su dal tappeto.
Lui non fece una piega e si limitò a sorridere divertito «Chi vince prende tutto» disse, mentre veniva trascinato verso la camera di Creusa.
Ettore si lamentò un po', soprattutto per quello che avrebbero fatto di lì a poco, ma poi si stravaccò sul divano insieme ad Andromaca e nessuno dei due ci fu più per il resto di noi. Che poi eravamo rimaste solo io, Cri ed Enone, perché Cassandra ed Eleno erano già andati a dormire da un pezzo.
O meglio, eravamo rimasti solo io, Cri, Enone e il mio cellulare, che mia cugina mi porse con un sorriso malizioso.
«Penelope ti ha mandato una foto. Non ti dispiace se l'abbiamo guardata, vero?»
Fissandola sospettosamente mi ripresi il telefono e aprii il messaggio di Penelope. Quello che mi ritrovai davanti mi fece aprire anche la bocca e gli occhi. Soprattutto gli occhi.
«Dopotutto le cose belle bisogna condividerle» continuò lei divertita.
Io nemmeno le risposi, troppo sconvolta per pronunciare una sola parola.
Sul mio schermo, l'immagine di Achille in canottiera, con i capelli umidi e lo sguardo concentrato rimase illuminata in alta definizione.
Altro che le foto del mare, quella era decine di volte meglio, accidenti. Dannata Penelope.


Pochi giorni dopo Capodanno, prima che cominciasse di nuovo la scuola, mi ritrovai seduta al tavolo della mia cucina con Enone e i libri di storia davanti. Stavamo aspettando Diomede – non che lei lo sapesse, visto che le avevo detto soltanto che ci sarebbe stata un'altra persona oltre a noi – e io avevo una paura terrificante del momento in cui si sarebbe resa conto che l'avevo imbrogliata.
Quando il campanello suonò, balzai in piedi, fiondandomi ad aprire. Il saluto troppo allegro che avevo sulle labbra si gelò non appena i miei occhi incrociarono quelli azzurri di una persona che non era Diomede.
«Che diavolo ci fai qui?!» esclamai facendo un passo indietro.
«L'ho invitato io» mormorò Diomede, agitato il doppio di me, mentre guardava nervosamente alle mie spalle «Lo so che l'hai fatto per me, ma non potevo stare da solo con lei!» sussurrò con forza.
«Ma perché proprio lui?» gli chiesi disperata, cercando di non guardarlo.
«C'è anche Patroclo» mi indicò alle loro spalle, dove intravidi il sorriso gentile dell'unica persona che in quel momento avrei fatto entrare volentieri.
«Ciao» mi saluto lui, con una tranquillità che non aveva nessun altro.
«Ci fai entrare?» domandò Achille, appoggiandosi allo stipite della porta.
Stringendo le labbra mi feci da parte, proprio mentre Enone si affacciava dall'ingresso della cucina.
«Tutto bene, Bri? Cosa- oh» si irrigidì appena, quando i suoi occhi si posarono su Diomede. Lui fece un passo verso Patroclo, che si schiarì la gola e gli diede una leggera gomitata, spingendolo in avanti.
Stavo per chiedergli cosa aveva in mente di fare, quando Diomede, impulsivo come al solito, si avvicinò velocemente ad Enone, che invece fece un passo indietro, ed esclamò «Scusa se l'altra volta ti ho baciato!» il tutto guardando un punto non definito sopra la sua testa.
Enone arrossì immediatamente e io mi trattenni dallo sbattermi una mano in faccia, cosa che invece non si preoccupò di fare Patroclo.
«E?» lo esortò Achille, facendolo sobbalzare e affrettarsi a sfilare lo zaino e tirare fuori una scatola di cioccolatini della pasticceria in centro, dove ci eravamo incontrati la prima volta.
«Questo è per scusarmi! Se non ti piacciono puoi anche prendermi a pugni! Anzi, puoi prendermi a pugni anche se ti piacciono! Perché sono solo un-».
Prima che Diomede potesse finire di insultarsi, Enone lo interruppe prendendogli di mano la scatola e ringraziandolo con un lieve sorriso imbarazzato.
«N-non ti preoccupare, me n'ero già dimenticata».
Evitai di dire che non era vero, perché se non altro la questione era sulla buona strada per risolversi senza ulteriori drammi, e spinsi tutti in cucina.
«Ok, siamo qua per evitare di far prendere un'insufficienza a Diomede alla prima verifica, quindi nessuna distrazione» esclamai, togliendo di mano ad Enone i cioccolatini e posandoli sul banco della cucina.
«Scordatelo, io sono qua solo per fare i compiti di storia. Non me ne frega un cazzo dei voti di Diomede».
«Sei proprio senza cuore! E io che ti ho pure invitato!»
Patroclo alzò gli occhi al cielo e li interruppe prima che potessero cominciare a discutere. «E' meglio se cominciamo. Briseide ed Enone ci hanno già aspettato a sufficienza».
Entrambi si zittirono e tirarono fuori i loro libri, non mancando di lanciarsi un'ultima occhiataccia.
Anche se Enone aveva un programma diverso, riuscimmo a lavorare tutti insieme senza problemi e ci misi davvero poco a fare tutti gli esercizi del capitolo, soprattutto da quando Enone, una volta finiti i suoi, si prese in carico l'istruzione di Diomede, che continuava a farci rallentare e perdere tempo con le sue domande poco opportune, tanto che Achille si era trattenuto a stento dal strozzarlo.
Fu mentre discutevamo del modo migliore per fare uno schema comprensibile a quella testa vuota di Diomede, che una chiave girò nella serratura della porta d'ingresso e le voci dei miei genitori riempirono l'appartamento, facendomi gelare. Ero convinta che sarebbero rientrati per cena ed era per quel motivo che avevo invitato Diomede ed Enone proprio quel giorno, perché far vedere a tutti come i miei si comportassero ancora da fidanzatini era terribilmente imbarazzante. Ma ovviamente i miei avevano avuto la bella pensata di tornare prima e Diomede di invitare anche Achille e Patroclo.
Feci una smorfia quando si accorsero della gente intorno al tavolo della cucina.
«Oh Briseide, non sapevamo che avevi ospiti! Ciao, Enone» disse mia madre, scrutando tutti quanti.
Certo che non lo sapevate, non ve l'ho detto apposta.
«Stiamo solo facendo i compiti di storia» risposi, mentre loro si toglievano i giubbotti «Ma abbiamo quasi finito». E tra poco se ne andranno da questa casa di pazzi.
«Di già?» chiese mio padre «Perché non vi fermate per cena?»
Enone mi lanciò uno sguardo solidale, quando si accorse del panico che stava sorgendo dentro di me.
«Non ci presenti?» domandò mia madre, guardandomi con uno sguardo che non mi piaceva.
«Loro sono Patroclo, Achille e Diomede. Loro sono i miei genitori» borbottai velocemente.
Si scambiarono i soliti convenevoli e strette di mano e dopo cinque minuti me li ritrovai sicuri ospiti a cena, perché a mia madre non potevi mai dire di no.
«Allora siete i nuovi compagni di classe di Bri» stava dicendo lei, mentre affettava le verdure aiutata da tutti e tre. Nonostante l'imbarazzo, avrei voluto scoppiare a ridere e scattare una foto, perché non era cosa di tutti i giorni vedere Achille, Diomede e Patroclo affettare verdure seduti intorno ad un tavolo con mia madre. Ma l'assurdità della cosa e il fatto che stessi sbaccellando i fagioli insieme ad Enone me lo impedì.
«Sì, siamo anche seduti tutti vicini» rispose Patroclo, completamente a suo agio, mentre Diomede spiava il lavoro di Achille cercando di imitare quello che faceva.
«E com'è la mia Bri nella nuova scuola?»
Patroclo esitò, non sapendo cosa rispondere. In effetti non mi comportavo sempre benissimo e l'avere quei tre vicino non aiutava a concentrarmi, ma era meglio se mia madre non l'avesse saputo. «Forse dovrebbe chiederlo ad Achille, visto che è il suo compagno di banco».
Achille alzò la testa quando sentì pronunciare il suo nome, ma gelò sotto lo sguardo curioso di mia madre. I nostri occhi si incrociarono per un istante e lo fulminai, cercando di fargli capire di fare attenzione a quello che stava per dire. Altrimenti si sarebbe trovato un coltello piantato in mezzo alla fronte.
«E'... attenta» si limitò a dire, procurandosi un sorriso soddisfatto da mia madre.
«Ma è anche insopportabile, vero? A volte sa essere così rigida... Non so proprio da chi possa aver preso».
«Mamma!» esclamai esterrefatta, mentre quei quattro traditori scoppiavano a ridere.
«Oh, andiamo, lo sanno tutti che non sei estroversa come me e tuo padre. Sei una testarda, impulsiva e a volte anche violenta» ribatté lei.
«Grazie, mamma, davvero» borbottai. Non ti potevi neppure fidare più dei tuoi genitori. Poteva direttamente dire che facevo schifo ed ero lo scarto della società, o che mi avevano adottata e non ero nemmeno imparentata con loro. Il ché, a pensarci bene, non era nemmeno un grande dramma.
Però lei non lo fece e mi strinse con un braccio, lasciando perdere le verdure e facendomi affondare la faccia nel suo seno «Ma sei lo stesso la mia adorabile bambolina!» esclamò allegramente.
Ormai il mio livello di imbarazzo aveva superato il punto massimo da un bel pezzo, per cui mi limitai a divincolarmi e sfuggire dalla sua presa, con il volto rosso come un peperone. Lei mi strizzò le guance e dovetti tirare un calcio sotto il tavolo a Diomede per farlo smettere di ridere.
«Vero che è adorabile?» chiese mia madre al resto della stanza «Scommetto che a scuola fai strage di cuori».
A quelle parole fu il mio, di cuore, a iniziare a battere come un tamburo e, se possibile, arrossii ancora di più, guardando ovunque tranne che nella direzione di Achille. Ci mancava solo che mia madre venisse a conoscenza del Fattaccio, una delle poche cose che mi ero premurata di nasconderle.
«Non ne ha idea!» esclamò Diomede e, come se quello non bastasse, diede di gomito ad Achille e aprì di nuovo quella boccaccia «Vero?»
Achille non cambiò espressione, ma si limitò a pestare un piede a Diomede – non che l'avessi visto, ma potevo immaginarlo data l'espressione di quel pettegolo – e fare un sorriso soave a mia madre, che fece passare lo sguardo da me a lui e poi ridacchiò.
«Oh Briseide, potevi dirlo subito che Achille è il tuo ragazzo, non c'è bisogno di vergognarsi!».
E se Diomede scoppiò di nuovo a ridere e Patroclo ed Enone cercarono inutilmente di non seguirlo a ruota, io avrei voluto solo sotterrarmi, mentre incrociavo lo sguardo divertito del mio presunto ragazzo. Perché diamine credevano tutti che stessimo insieme? Non ci parlavamo quasi!
«Oh, aspetta che lo sappia tuo padre!»
«Non c'è niente da sapere!» esclamai imbarazzata, cercando di frenare quella pazzia momentanea «Non stiamo insieme per davvero!»
Mia madre mi guardò con la bocca imbronciata «No?»
«Stiamo insieme per finta» disse Achille ironico.
«Non stiamo insieme, punto e basta!» esclamai fulminandolo.
Lui però si sporse sul tavolo verso di me «E' divertente come continui a negarlo».
«E' divertente come continui ad illuderti! Non mi hai mai chiesto niente, o sbaglio? Hai fatto tutto da solo!».
«Perché, vuoi che te lo chieda sul serio?»
«No!»
«Ehm, chi vuole qualcosa da bere?» domandò mia madre ad alta voce, interrompendo la nostra discussione. Mi tappai immediatamente la bocca, ma continuai a fissare Achille, mentre gli altri si affrettavano a chiedere qualcosa per riempire quel silenzio. Dopo pochi istanti, lui distolse lo sguardo e chiese con cortesia un bicchiere d'acqua. Io mi imbronciai e tornai alla mia porzione di fagioli, seguita presto da Enone, e tutti tornarono a chiacchierare come se niente fosse.
Sapevo per certo che mia madre mi avrebbe chiesto spiegazioni, una volta che gli ospiti se ne fossero andati, ma non avevo idea di cosa dirle. Achille mi ha baciata più volte contro la mia volontà, ha detto a tutti che sono sua e mi ha obbligata a trasferirmi nella sua scuola? Perché quella era solo una parte della verità e l'ultimo punto non era nemmeno del tutto corretto; in realtà, potevo praticamente considerarlo una specie di amico, per cui avevo una leggerissima cotta che riguardava i suoi occhi, la sua voce e i suoi addominali, ma quello non significava certo che gli sarei caduta tra le braccia come una pera. Avevo una mia dignità da difendere e Achille non era la persona giusta per me.
Mi arrischiai a guardarlo da sopra la scodella di fagioli: stava tagliando una zucchina e sorrideva divertito mentre mia madre raccontava una vecchia storia, i suoi occhi azzurri brillavano e la sua mascella era coperta da un velo di barba bionda.
Sentii il mio cuore stringersi e un groppo formarsi nella gola, perché, diamine, io gli piacevo davvero. Era impulsivo, irascibile, geloso e arrogante; non ci eravamo conosciuti nel migliore dei modi e dava sempre tutto per scontato. Ma era anche lo stesso ragazzo che ascoltava ogni cosa gli dicessi, che mi faceva copiare in classe, che mi accompagnava sotto la pioggia a prendere i miei cugini più piccoli, che mi sorrideva e mi stava vicino quando ne avevo bisogno, che mi faceva battere forte il cuore e mancare il respiro, come mai mi era successo prima, che aveva detto che aveva una cotta per me e che, cavolo, di sicuro sarebbe venuto sotto il mio balcone con un mazzo di rose rosse, se solo gliel'avessi chiesto. E fu quella consapevolezza, che lui avrebbe fatto qualsiasi cosa gli avessi chiesto, che fece crollare tutto. Perché se qualcuno era disposto a fare di tutto per te, anche qualcosa che normalmente non avrebbe mai fatto, significava che ti amava davvero.
Non riuscivo a concepire il fatto che Achille amasse me. Avevamo solo diciassette anni, continuavo a rifiutarlo e rispondergli male; non gli avevo mai concesso niente, nemmeno un'occasione, eppure lui continuava a volere me. Per quanto ancora sarebbe durato? Il tempo necessario perché anche io mi innamorassi di lui? O sarebbe tutto finito prima ancora di cominciare?

La mia risposta la ebbi dopo cena, al momento dei saluti, quando Achille si chinò su di me e mi sussurrò all'orecchio «Prima o poi te lo chiederò sul serio. E voglio un sì come risposta».
E sperai, prima o poi, di riuscire a darglielo, quel sì che anche il mio cuore aveva cominciato a volere.

 

 

 

 

 

 

A/N: Ebbene sì, il nuovo capitolo. E anche a tempo di record, per i miei standard!
In questo capitolo non succede poi molto, per quanto riguarda Achille/Briseide (a parte la scena finale), però Diomede compare praticamente quasi quanto Briseide e per me va bene lo stesso!
Più seriamente, per quanto riguarda le note: ci troviamo durante le vacanze di Natale (anche se dal prossimo torneremo di nuovo a scuola); "Viaggio nell'Oltretomba" è un videogioco stile sparo-qua-e-là, zombie e chi più ne ha più ne metta, il tutto attraversando l'Ade (che non posso chiamare Ade perché Ade è già un personaggio), mentre "Olimpiadi" è chiaramente un gioco di sport e "Bigamania" una specie di Formula Uno, ma con le bighe.
Per quanto riguarda il resto, mi sembra di far fare a Briseide sempre la parte della vittima, senza volerlo: prima Enio, poi Achille, poi Agamennone e infine Aiace. E il bello è che avrei voluto evitare di farle fare la donzella indifesa, ma mi vengono in mente solo scene del genere (tranquilla, Bri, prima o poi ti faccio picchiare qualcuno).
La scena con Diomede e Glauco si riferisce alla loro storia nell'Iliade, ovvero, mentre si stanno per affrontare in battaglia, scoprono che sono legati da vecchi vincoli di ospitalità e decidono di non sfidarsi, ma di scambiarsi come dono le armi.
Poi, siccome non ci sono abbastanza coppie crack, ecco sbucare una Glauco/Iliona che non è mai esistita.
Infine, che altro dire? Temo di essere andata un po' troppo veloce con questo capitolo, soprattutto nella parte finale, e di non aver affrontato bene alcuni argomenti, ma mi è venuto un colpo di ispirazione e ne ho approfittato. Inizialmente i genitori di Bri non dovevano nemmeno esserci, ma invece sono arrivati e poi doveva essere tutto più divertente e invece sono finita sul sentimentale. Ma ormai quello che è scritto è scritto.
Ringrazio di cuore tutti quelli che hanno letto, lasciato un commento e inserito la storia in una delle liste. Grazie!
Spero vi piaccia e spero di sentire cosa ne pensate!
Al prossimo capitolo!

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Capitolo 9
*** Canto VIII: Di come non c'è mai limite al peggio ***


Canto VIII
Di come non c'è mai limite al peggio

 

 

Tornare a scuola dopo tre settimane di vacanze non era mai stato facile, ma quell'anno ero particolarmente impaziente di rivedere Penelope e le altre, visto che ci eravamo soltanto sentite via telefono e non ci eravamo viste per tutto il tempo. Anzi, avevo visto più volte Diomede di loro e quella era una vera tragedia.
L'ingresso dell'Acaia era strapieno di gente e mi feci largo a spintoni, cercando di raggiungere le scale, ma sembrava ci fosse qualche tipo di ingorgo. Mi alzai sulle punte per cercare di vedere quale fosse il problema, ma l'unica cosa che riuscii a distinguere fu una moltitudine di teste. Per fortuna tra le tante c'erano anche quelle di Penelope e Ulisse e così mi affrettai a raggiungerli, tirando gomitate a destra e a manca.
«Ehi» salutai senza fiato, una volta affiancata Penelope.
«Bri!» esclamò lei, salutandomi con un abbraccio «Come va?»
«Bene, finché non sono entrata» borbottai «Ci ho messo dieci minuti solo per attraversare l'atrio. Si può sapere cosa sta succedendo?»
«Non lo sappiamo. Era già così quando siamo arrivati noi».
«Probabilmente una rissa» rispose Ulisse alzando le spalle «E' una delle poche cose che riesce ad interessare tutti. Oh, finalmente ci muoviamo».
Il gruppo di persone davanti a noi riprese a camminare e riuscimmo con fatica a salire le scale, chiacchierando allegramente. Per fortuna, una volta al primo piano, la folla iniziò a diradarsi e noi riuscimmo a salire al secondo senza troppi problemi.
«Davvero gli ha dato il suo numero?» mi chiese Ulisse divertito.
Io scrollai le spalle con un sorriso «Ci ho messo una buona parola. Ma non deve disturbarla troppo, altrimenti glielo faccio cancellare».
«Scherzi? Non è riuscito a mandarle nemmeno un “ciao”! Mi ha assillato tutto il pomeriggio e poi è rimasto a fissare il telefono come un deficiente».
«Andiamo, è solo imbarazzato. E' meglio che faccia passare un po' di tempo, così non sembra troppo disperato» commentò Penelope.
«Ma lui è disperato».
«Senza contare che Enone non ha più paura di lui» aggiunsi «Anzi, è stata lei ad aiutarlo a studiare storia».
Ulisse si lasciò scappare una risata e piegò le labbra in un ghigno «Voglio proprio sapere cosa si ricorda».
«Probabilmente è rimasto a fissarla tutto il tempo senza capire un accidenti».
«Dai, adesso esagerate! Si è comportato davvero bene, non me lo sarei mai aspettata da lui. Magari questa storia lo sta facendo maturare».
Ulisse e Penelope mi fissarono con la stessa espressione scettica, che capii appieno soltanto quando entrai in classe e proprio Diomede mi venne a sbattere contro.
«Eccola! Chiedi a lei! Vedi che ho ragione io!» mi urlò nell'orecchio, spingendomi verso i nostri banchi, dove Laodamia lo fissava con le mani appoggiate sui fianchi «Diglielo Bri! Vero che Enone mi ha dato il suo numero?»
Io sbattei gli occhi un paio di volte prima di annuire e Diomede alzò le braccia al cielo con un'esclamazione di vittoria.
«Dicevi?» disse Penelope dal suo banco, lanciandomi un'occhiata divertita.
«Cosa esulti, demente! Non hai nemmeno il coraggio di mandarle un saluto!» esclamò invece Ulisse, venendo però ignorato, visto che Diomede continuava a saltellare per la classe e salutare troppo allegramente i compagni che entravano.
Io mi limitai a scuotere la testa e abbracciare sia Laodamia che Tecmessa, prima di togliermi lo zaino e il giubbotto – seguito ovviamente da sciarpa, cappello e guanti, dato che sembrava di essere al Polo – e salutare anche Patroclo e Achille, già seduti ai loro posti.
Patroclo ricambiò con un sorriso, mentre Achille rimase a fissarmi con uno strano sguardo, che mi fece aggrottare le sopracciglia.
«Beh, che hai da guardare?» gli chiesi mentre Penelope si avvicinava per salutare le ragazze.
«Davvero sei uscita con Aiace Oileo?» mi chiese senza nessuna esitazione, facendo zittire il gruppo che ci stava attorno.
Io spalancai la bocca incredula «Chi te l'ha detto?» sibilai. Se era stato Diomede, l'avrei fatto secco una volta per tutte e l'avrei seppellito a pezzi in cortile.
Lui si stravaccò sulla sedia e fece un sorrisetto divertito «Oileo».
Ovvio. Quell'egocentrico maniaco schifoso. «Certo che no!» esclamai offesa, sedendomi al mio posto «Non esco con gente come lui».
«Oh, a quanto pare avete passato una serata incredibilmente stimolante» continuò lui, appoggiando un gomito sul banco e voltandosi verso di me «e ti piace stare sopra».
Le mie guance andarono a fuoco e io sbattei le mani sul banco, alzandomi di scatto «Basta! Vado a prenderlo a pugni, quell'imbecille!»
La mano di Achille si serrò intorno al mio polso e mi tirò a sedere senza alcuna fatica «Tanto non lo trovi. Sarà sicuramente a piagnucolare nascosto da qualche parte».
«Allora era colpa vostra se c'era tutta quella confusione nell'atrio!» esclamò Penelope alla mia destra «Tipico, una rissa il primo giorno di scuola!»
Achille roteò gli occhi annoiato, senza lasciarmi il polso «Non ho fatto rissa con nessuno. Gli ho solo tirato un pugno perché la sua voce è irritante e perché dice cazzate».
«Già» intervenne Patroclo divertito «Solo un pugno e ce ne siamo andati. Solo che poi Diomede ha detto che era vero...» si interruppe e mi guardò curioso.
«Sei uscita con Aiace Oileo?» esclamò Laodamia «Sei impazzita?»
«Non è vero!» esclamai accaldata «E' stata Criseide!»
«Che cosa ha fatto?» chiese Penelope con le sopracciglia inarcate.
Avrei tanto voluto sotterrarmi, ma avevo bisogno di chiarire l'equivoco, perché quel cretino di Diomede non aveva fatto altro che peggiorare le cose. «Sono uscita con Cri perché ha insistito, diceva che non facciamo più niente insieme, ma lei ha avuto la bella pensata di invitare anche Agamennone senza dirmi niente e lui si è portato dietro Aiace Oileo! Cosa ne sapevo io? E' stata la mezz'ora più noiosa e insopportabile della mia vita! Così mentre me ne andavo ho incontrato Diomede e sono rimasta con loro».
«Tua cugina è pazza!» esclamò Laodamia «Perché proprio Aiace Oileo? Poteva accoppiarti con qualcun altro!»
«O con nessuno, magari» borbottai, agitando il braccio per liberarmi «Perché date retta a Diomede?» dissi rivolta verso Patroclo, mentre sentivo la mano di Achille lasciarmi il polso, improvvisamente più freddo anche sotto il maglione.
Patroclo mi fece uno dei suoi soliti sorrisi gentili «Ero curioso. Non credevo nemmeno che Aiace Oileo ti conoscesse».
«Infatti non mi conosce, quell'idiota schifoso» borbottai, incrociando le braccia.
«Tranquilla, nessuno ci crede. Solo che Diomede se n'è uscito dicendo che vi ha visti insieme e lui era così insistente che tu sei scappata via...».
«Sono scappata perché quella cretina di mia cugina mi aveva lasciata da sola con lui! Che ha passato tutto il tempo a parlare di sé».
«Se non avesse parlato di sé, ti sarebbe piaciuto?» mi chiese Penelope.
«Scherzi?» esclamai offesa.
Lei non rispose, ma fece un sorriso malizioso e sul nostro gruppo calò per un attimo il silenzio, rotto improvvisamente dalla voce possente di Poseidone che fece affrettare tutti ai propri posti.
Non appena Diomede si sedette gli mollai un calcio da sotto la sedia, facendolo sobbalzare e voltare verso di me, pronto a dire qualcosa. Ma le parole gli morirono sulle labbra non appena incrociò il mio sguardo assassino.
«Cosa vai in giro a dire, idiota?» sibilai, mentre il prof compilava il registro.
Ovviamente capì subito a cosa mi riferivo e mi fissò con sguardo implorante «Scusa, mi è uscita male».
«Certo che ti è uscita male! Pensavo di dovermi preoccupare solo di un contaballe, non di due!»
«Beh, tanto Achille non gli ha creduto».
Gli tirai un altro calcio, mentre Patroclo ridacchiava e poi mi occupai di prendere il necessario per la lezione, evitando di incrociare lo sguardo di Achille, che sentivo ben fisso su di me.
«Eri preoccupata per quello che potevo pensare?» mi chiese proprio lui, chinandosi verso di me.
«Certo che no!» sibilai con le guance che scottavano. Sapevo per certo che ero rossa come un pomodoro e che lui se n'era accorto e ovviamente non credeva ad una sola parola di quello che avevo appena detto. Ma lo sguardo con cui mi fissò prima che il prof iniziasse la sua lezione mi rese incapace di dire altro e mi strinse lo stomaco in una strana morsa. Era divertito, come al suo solito, ma c'era anche qualcosa che non riuscivo ad identificare, qualcosa che mi piaceva davvero troppo e che mi faceva rendere sempre più conto che mi stavo fregando da sola. Avevo sempre creduto che Achille fosse pericoloso, ma non avrei mai pensato che il pericolo fosse che avrebbe potuto farmi innamorare di lui.

 


La giornata peggiorò drasticamente una volta che uscii da scuola e mi ritrovai Enone fuori dal cancello, chiaramente a disagio. I suoi occhi si illuminarono non appena mi vide, ma la sua espressione non si distese.
«Enone! Che ci fai qui?» le chiesi quando la raggiunsi.
«C'è stato un piccolo problema prima, fuori da scuola» cominciò lei.
«Cosa?»
«Ettore ha scoperto che Cri si vede con Agamennone. Cioè, Agamennone è venuto a prenderla a scuola e Ettore li ha visti». Non dissi niente, troppo stupita, e mi limitai a fissarla a bocca aperta, così lei proseguì dicendo «Non si sono picchiati perché Cri e Agamennone se ne sono andati subito e Enea ha fermato Ettore, però è tremendamente arrabbiato. Volevano aspettarti, ma Ettore stava davvero per scoppiare, così mi sono offerta io. E' meglio se vai a casa loro, Bri. Non è una bella situazione e poi sanno che tu sapevi tutto...»
Mi lasciai scappare un lamento e mi coprii la faccia con le mani «Perché? Stupida Criseide!»
Enone cercò di farmi forza «Se vuoi vengo con te».
«Sì, ti prego, non lasciarmi da sola!»
Proprio mentre Enone mi faceva un sorriso, Diomede mi venne addosso con le guance più rosse del normale. Alle sue spalle Ulisse rideva come un matto, mentre Penelope si massaggiava la fronte.
«Ehi!» salutò Diomede con voce un po' acuta, ignorandomi totalmente e tenendo lo sguardo fisso su Enone, che arrossì leggermente e ricambiò il saluto con un lieve «Ciao».
Nei secondi di silenzio che seguirono ci raggiunsero anche Patroclo e Achille, ma nessuno disse niente e si limitarono a fissare Diomede, come se stessero aspettando qualcosa.
«Allora?» disse Achille, sicuramente stufo di quella esitazione.
Diomede si riscosse e spostò lo sguardo su di me «Studiamo insieme per la verifica di storia? Come l'altro giorno».
«Di nuovo?» chiesi esasperata, mentre lui continuava a lanciare sguardi veloci verso Enone. Avevo perfettamente capito dove voleva arrivare, ma quella non era per niente la giornata adatta. «Proprio oggi? Ho da fare».
Lui spalancò gli occhi come spiritato, perché sicuramente non si aspettava un no ed esclamò con voce acuta «E' domani la verifica! Hai sentito Atena! Se non prendo almeno una sufficienza i miei mi strangolano!»
Mi dispiaceva per lui, davvero, ma in quel momento avevo altri pensieri per la testa. Avrei potuto approfittarne per appiopparlo ad Enone, ma lei mi serviva come supporto morale e, oggettivamente, era ancora presto per lasciarla da sola con Diomede. Però, quando feci l'errore di guardarlo negli occhi imploranti, non riuscii a dirgli di nuovo di no.
«Oh, e va bene! Da me alle quattro» sempre che per quell'ora Ettore mi avrebbe lasciato andare indenne.
«Possiamo venire anche noi?» mi chiese Patroclo con un sorriso.
«Ok, venite tutti quanti!» esclamai, afferrando Enone per un braccio «Ora dobbiamo proprio andare! O Ettore mi fa fuori».
«Che succede?» domandò Penelope, aggrottando la fronte, mentre noi iniziavamo ad allontanarci.
«Ettore ha scoperto di Criseide e Agamennone!» le risposi agitando una mano in segno di saluto.
Io ed Enone ci affrettammo verso la via che ci avrebbe portato a casa dei miei cugini, mentre alle nostre spalle la voce di Ulisse chiedeva «Criseide e Agamennone? Cos'è, stanno insieme? Lo sapevate tutti? Perché sono sempre l'ultimo a sapere le cose?»
Non sentii la risposta di Penelope, ma le mie labbra non poterono non piegarsi in un sorriso, nonostante la situazione non delle più rosee.
Anzi, chiaramente nera. Talmente nera che Ettore mi avrebbe ucciso volentieri, se solo non fossi stata la sua cugina preferita. Infatti mi fulminò con lo sguardo non appena entrai in casa loro e il pranzo si svolse in totale silenzio, cosa che non era mai accaduta prima in quella casa.
Zia Ecuba ci guardò a lungo senza dire niente, salvo poi iniziare a fare domande a raffica per riempire quel silenzio pieno di tensione, ma se tutti noi cercammo di rispondere il più allegramente possibile, Ettore non aprì bocca e continuò a fissare il piatto con aria furiosa. Perché ero sempre io a trovarmi in quelle situazioni del cazzo? Stupida Criseide.
Dopo pranzo venimmo spinti tutti in salotto dalla zia, con la scusa di lasciarla tranquilla a ripulire tutto, ma sapevamo che era solo per farci risolvere qualsiasi cosa non andasse tra di noi.
Paride fu il primo a defilarsi, come al solito, e scappò a chiudersi in camera sua, seguito da Cassandra ed Eleno che borbottarono qualcosa sul loro stupido topo e quasi corsero nella loro, sbattendosi la porta alle spalle. Ettore iniziò a fare avanti e indietro davanti alla televisione, io mi sedetti con una smorfia sul divano con Enone, Andromaca e Creusa, Enea si sedette per terra davanti al tavolino e il silenzio si fece ancora più pesante.
Almeno finché Ettore non si voltò verso di me e aprì bocca.
«Non è colpa mia!» esclamai, interrompendolo prima che potesse dire qualcosa. Era meglio mettere subito in chiaro le cose.
Lui mi fulminò e sibilò «Lo so che non è colpa tua. Voglio sapere perché cazzo me l'hai tenuto nascosto! A me!»
Io mi incassai di più nel divano, evitando di guardare nella sua direzione per evitare che mi facesse sentire in colpa, perché dopotutto era Ettore e io avevo sempre adorato Ettore: era sempre stato il fratello che non avevo mai avuto.
«Non te l'ho tenuto nascosto», più o meno, «pensavo te l'avrebbe detto Cri. Non era niente di importante».
«Niente di importante?» scoppiò lui «Perché cazzo avete il fottuto vizio di tenermi nascosto quando ve la fate con quei dannati dell'Acaia? Prima tu, poi Criseide! C'è qualcun altro che vuole pugnalarmi alle spalle?»
«Adesso esageri, idiota» borbottò Creusa a braccia incrociate.
Ettore le lanciò un'occhiataccia «Scusa?» sibilò irritato.
«Sei il solito melodrammatico del cazzo!» ribatté lei «Non ricominciare con le tue solite scenate da sfigato tradito, chiaro? Vediamo di discutere come delle persone normali».
«Melodrammatico?» esclamò, gonfiandosi quasi fino a scoppiare. Ma prima che lo facesse, Andromaca si alzò e lo fece sedere sull'altro divano, bisbigliandogli qualcosa all'orecchio. Grazie agli dei, lui sembrò calmarsi e noi potemmo tirare un sospiro di sollievo.
Per evitare che qualcuno potesse dire altre cazzate e ricominciare a litigare, mi alzai di scatto e li fronteggiai. «Ok» cominciai passandomi le mani sulla faccia «vi dico quello che so, ma il primo che parla lo butto fuori a calci». Tutti mi fissarono senza fiatare e immaginai che quello fosse il momento adatto per rivelare quello che sapevo.
«L'ho scoperto per caso, ok? Li ho visti insieme un giorno e quando l'ho chiesto a Cri, mi ha detto che si frequentavano da un po', ma non è niente di serio».
«Tutto qua?» chiese Creusa con una smorfia.
Detta così sembrava una cosa da nulla, in effetti. Chissà perché tutto quel trambusto.
«Ma Agamennone non stava insieme alla sorella di Elena?» chiese Andromaca.
«Si sono lasciati, a quanto pare».
«Ma perché proprio Agamennone?» berciò Ettore «Perché dovete stare con le persone che più odio al mondo? Cosa vi ho fatto, eh? Sono io che ti ho insegnato a prendere a pugni la gente! Sono io che vi proteggevo all'asilo! Perché mi odiate così tanto?»
Alzai gli occhi al cielo, mentre Creusa schioccava la lingua irritata.
«Nessuno di noi ti odia».
«E poi ti chiedi perché nessuno ti dice mai niente» disse Creusa «Nessuno ti dice mai niente perché fai sempre un sacco di scene!»
«Non è vero!»
Mi affrettai a sedermi, mentre Creusa ed Ettore cominciavano ad alzare i toni.
«Ah no? Prima con Briseide, adesso con Cri. Cosa te ne frega se sta insieme a quello? Non piace nemmeno a me, ma saranno affari suoi, no? Ognuno deve fare le sue esperienze, belle o brutte che siano, e se sono brutte poi possiamo pensare a pestarlo a sangue, ma finché è felice lasciala stare e sii un po' più comprensivo!»
«Perché dovrei aspettare che quello stronzo la faccia star male?»
«Ma chi ti dice che la farà star male? Nessuno dei due è serio e poi lo sai come è fatta Criseide!»
«E se invece diventa una cosa seria? Guarda Bri! Prima nemmeno lo sopportava quel coglione, invece adesso non si lamenta neanche più!»
«Ehi, non mettetemi in mezzo!»
«Se non si lamenta significa che va tutto bene, no?»
«O magari anche lei ha deciso di tenermi nascosto tutto quanto!»
«Non stavamo parlando di Criseide?» chiesi esasperata, ma nessuno dei due mi ascoltò e continuarono a discutere come dei bambini, così decisi di ignorarli, come stava facendo Enea, che fin dall'inizio della discussione aveva la testa china sui compiti. Io ed Enone decidemmo di imitarlo, perché tanto quei due avevano cominciato a discutere di altri argomenti che non interessavano a nessuno.
«Sei tu che lasci sempre le pozze d'acqua quando fai la doccia! E io devo sempre pulire!»
«E io devo sempre levare i tuoi capelli dallo scarico! Che schifo!»
Non so quanto tempo passò prima che la voce più lieve e calma di Andromaca si facesse sentire, ma il silenzio che portò fece esultare le mie orecchie. «Potreste smettere di urlare? State dicendo cose senza senso». Non era propriamente arrabbiata, perché Andromaca non si arrabbiava mai, ma aveva un tono leggermente gelido, che fece zittire immediatamente sia Ettore che Creusa. «Criseide ha preso la sua decisione, quindi è ovvio che dobbiamo rispettarla. E le daremo il nostro totale appoggio come abbiamo sempre fatto. Giusto?»
«Era quello che ho detto io» borbottò Creusa.
«Giusto?» ripeté Andromaca con un sorriso, rivolta verso Ettore, che invece non aveva risposto.
Il «Sì» che sputò fuori sembrava essergli stato strappato con la forza, ma l'importante era che la questione si fosse risolta senza spargimenti di sangue – il mio per la precisione. Meno male che esisteva Andromaca. Dovevo ricordarmi di non farla mai arrabbiare.
Per calmare ulteriormente gli animi, in quel momento corse in salotto Troilo che mi venne ad abbracciare tutto contento.
«Bi!»
Io ovviamente lo stritolai e lo riempii di baci, perché era troppo adorabile e perché le sue risate mi riempivano il cuore.
«La mamma vuole sapere se avete finito di litigare, così possiamo fare merenda di qua» disse Polissena, rimanendo sulla soglia del salotto.
«C'è Gigamesc! Lo guardi con me?» mi chiese Troilo, voltandosi verso di me.
«Solo per un po', alle quattro ho da fare».
Troilo esultò e si alzò, seguendo di corsa Polissena in cucina, probabilmente per prendere la merenda.
«Guarda che sono le quattro e venti» mi informò Creusa.
Io spalancai gli occhi e afferrai il cellulare: sullo schermo lampeggiavano le cifre “16:22” e c'erano sei chiamate perse e due messaggi. Imprecai sottovoce, vedendo il nome di Diomede, e balzai in piedi, infilando tutte le mie cose nello zaino, mentre leggevo i messaggi.
Il primo era un semplice “Siamo davanti a casa tua dove sei?”, mentre il secondo per poco non mi fece volare il telefono di mano. “E' arrivato tuo padre ha detto che forse sei da ettore... veniamo da te”. Quella era l'unica cosa che volevo evitare in quel momento. Veniamo da te? A casa di Ettore? Erano completamente impazziti.
«Devo scappare!» esclamai agitata, cercando di calcolare mentalmente quanto tempo avevo a disposizione prima che arrivassero: troppo poco. Era un miracolo che non fossero già lì.
«Perché?» chiese Ettore sospettoso.
«Devo studiare per la verifica di storia di domani. Enone vieni con me, vero?»
Lei capì all'istante e raccolse velocemente le sue cose.
«Chi era al telefono?» continuò Ettore, alzandosi dal divano.
«Non sono fatti tuoi!»
«Era lui, vero? Proprio sotto al mio naso!»
Alzai gli occhi al cielo e non feci nemmeno finta di non sapere a chi si riferisse con quel “lui”, perché era ovvio che c'era solo una persona oltre ad Agamennone che poteva farlo arrabbiare in quel modo.
«Era solo Diomede!» esclamai «Gli avevo detto che avremmo studiato insieme e viene anche Enone!»
Ettore mi prese per le braccia e mi fissò con uno sguardo serio «Briseide, almeno tu non farti fregare. Certe persone non sono fatte per le relazioni serie. Promettimi di non innamorarti di lui, ok?»
Non riuscii a rispondere, troppo stupita per mettere insieme una frase, e rimasi a fissare mio cugino negli occhi. Lo sapevo che l'aveva detto perché ci teneva a me e odiava vedermi soffrire, ma lui non conosceva Achille come lo conoscevo io. Lui conosceva solo quel ragazzo con cui aveva litigato e si era picchiato più di una volta, non sapeva com'era Achille insieme agli amici, o quando era rilassato, o quando era divertito, o quando mi fissava con quello sguardo caldo durante le lezioni. Il tempo che passavo con lui non era tutto rosa e fiori, e di certo non lo sarebbe stato nemmeno in futuro, ma Achille era diverso da come Ettore credeva che fosse. E come non avrei potuto, col tempo, innamorarmi di lui? Forse era già troppo tardi. Forse mi stavo già innamorando di lui.
Ettore sembrò quasi leggerlo nel mio sguardo, perché spalancò gli occhi e aprì la bocca per dire qualcosa, ma prima che potesse pronunciare una sola parola, la voce di zia Ecuba mi chiamò dall'ingresso.
«Briseide! I tuoi amici sono venuti a prenderti!»
Mi districai velocemente, borbottai un saluto e afferrai le mie cose, seguita da Enone, sperando di scappare prima che Ettore potesse riprendersi.
Nell'ingresso trovai zia Ecuba che chiacchierava con Diomede e Patroclo, mentre Achille era accovacciato davanti a Troilo che gli stava raccontando qualcosa ad alta voce.
«-e poi ha preso la sua spada e l'ha ucciso!»
«Oh, eccole qua! Siete sicuri di non voler restare qui a studiare? Tanto abbiamo spazio» chiese zia Ecuba, non avendo alcuna idea dell'assurdità che aveva appena proposto.
«No, è meglio se andiamo da me. Davvero» risposi velocemente, mettendomi il giubbotto.
«Vai via?» chiese Troilo aggrottando la fronte «Non guardi più Gigamesc con me?»
Non guardarlo negli occhi, Briseide. Non farlo.
«Scusa, Troilo. Devo fare i compiti» dissi, guardando ovunque tranne che nella sua direzione.
Lo sentii appendersi al bordo del mio piumino «Me l'hai promesso!» esclamò con voce lamentosa, la stessa che aveva quando stava per piangere e avrei scommesso qualsiasi cosa che era quello che stava per fare. Perché Troilo era davvero viziato e non era abituato a sentirsi dire di no. Il più delle volte era bravo e per niente capriccioso, ma quando qualcuno lo contrariava rischiava di venire assordato dai piagnistei o attaccato da una famiglia inferocita. Quindi mi trovavo in una bruttissima situazione.
«Me l'hai promesso! Sei cattiva!»
Non riuscii più a trattenermi e guardai nella sua direzione, ritrovandomi davanti i suoi occhi umidi e le sue guance arrossate. Bastò che tirasse su col naso per farmi crollare. «Scusa!» esclamai abbassandomi e abbracciandolo forte «Voglio tanto vedere Gilgamesh con te, ma devo studiare, altrimenti poi delle persone si arrabbiano con me! Lo sai che starei tutto il giorno insieme a te!»
Lui si imbronciò, ma trattenne le lacrime e si voltò verso gli altri, studiandoli da sopra la sua spalla, probabilmente pensando di dover convincere prima loro.
«Perché non restate solo per la merenda, allora?» chiese zia Ecuba.
Non è questione di merenda, zia. Come puoi pensare di far restare tuo figlio e Achille nella stessa stanza per più di due secondi?
Ci fu uno scambio di sguardi generale e nel silenzio che seguì la zia decise per noi «Perfetto! Merenda per tutti, allora!» esclamò allegramente, dando due giri di chiave e spingendo Patroclo e Diomede un po' più avanti. «Appendete qui i giubbotti. Briseide, accompagnali in salotto. Cosa volete da bere? Tè, cioccolata, succo?» continuando a parlare, senza nemmeno aspettare le loro risposte, si diresse in cucina e ci lasciò immobili nell'ingresso.
Patroclo si schiarì la gola «Beh, tua zia è molto ospitale» commentò con voce pacata.
«Cosa cavolo ci fate qui?» sibilai, fulminando tutti e tre con lo sguardo.
«Siamo andati a casa tua, ma non c'eri. Abbiamo aspettato un po', poi è arrivato tuo padre e ha detto che forse eri qui. Così siamo venuti a prenderti» rispose Diomede «Non rispondevi al telefono ed eravamo preoccupati».
«Proprio da Ettore dovevate venire?» lanciai un'occhiataccia ad Achille, sicura che fosse tutta colpa sua, perché tra loro tre era l'unico che sapeva dove abitava mio cugino, visto che mi aveva accompagnato in quella fatidica giornata di pioggia.
«Dai, facciamo una merenda veloce e poi andiamo, ok?» mi disse Enone, cercando di rassicurarmi «Vedi che non succederà niente».
«Restate qui?» chiese Troilo saltellando. Al mio cenno di assenso si lasciò scappare un gridolino entusiasta e afferrò la mano di Achille «Vieni, c'è Gigamesc adesso!» esclamò, tirandolo verso il salotto. Io mi affrettai a seguirli, pronta a contenere il pandemonio che sarebbe di certo scoppiato da lì a qualche secondo.
Achille si fermò per un istante sulla soglia, prima di venir tirato con più forza da Troilo che gli stava raccontando le puntate precedenti. Entrai subito dopo e guardai immediatamente Ettore, seduto immobile come una statua sul divano accanto ad Andromaca, che gli posò una mano sul braccio, ma lui sembrava troppo stupito per fare qualcosa che non fosse spalancare gli occhi. Creusa ed Enea erano seduti a terra intorno al tavolino, entrambi con la stessa espressione sorpresa e incredula sul volto.
«Ehm... ci fermiamo per la merenda» diedi come spiegazione, mentre Enone, Patroclo e Diomede entravano dietro di me. Troilo nel frattempo fece sedere Achille sull'altro divano e gli diede in mano il telecomando, dicendogli su che canale mettere. Achille accese il televisore come un automa, con la schiena e le spalle rigide, ma Troilo non se ne accorse e si sedette accanto a lui con aria beata. Per evitare che scoppiassero risse nel salotto di zia Ecuba – che di certo non sarebbe stata contenta di dover dire addio ai suoi amati soprammobili – mi sedetti all'altro lato di Achille, implorando con gli occhi i tre rimasti in piedi. Enone colse al volo il mio sguardo e tirò Patroclo e Diomede a sedere con lei sul nostro stesso divano. Eravamo un po' stretti, ma sarebbe stato meglio che far sedere qualcuno di loro vicino ad Ettore.
«E' un incubo, vero?» disse Ettore con voce atona.
Nessuno rispose e in quel momento entrò Polissena, che diede uno sguardo a tutti noi e si andò a sedere in silenzio vicino ad Ettore. Nessuno parlò per almeno cinque minuti, ma poi cominciò la sigla di “Gilgamesh” e Troilo tentò di cantarla come suo solito, sbagliando quasi tutte le parole; zia Ecuba ci portò la merenda aiutata da Eleno e Cassandra, che si fermarono con noi in salotto, senza battere ciglio davanti ai nuovi ospiti; Paride si affacciò alla soglia, diede un'occhiata alla situazione e tornò nella sua stanza e nessuno di noi fiatò.
Per ignorare la tensione nella stanza, mi affaccendai intorno ai vassoi che la zia aveva appoggiato sul tavolino e passai la merenda a tutti, sperando che con la bocca occupata non si facessero scappare nessun insulto che sarebbe sfociato sicuramente in rissa.
Quelli che mi preoccupavano di più erano chiaramente Ettore e Achille, ma Andromaca continuava a tenere una mano appoggiata sul braccio di Ettore e io ero seduta abbastanza vicino ad Achille da poterlo placcare se solo si fosse girato verso mio cugino. Patroclo ed Enea erano abbastanza maturi e responsabili per comportarsi bene e Diomede... beh, Diomede avrebbe potuto dire delle cazzate, come suo solito, ma era seduto accanto ad Enone e quello bastava per fargli tenere la bocca chiusa.
Mangiammo in silenzio con solo gli stupidi dialoghi di “Gilgamesh” in sottofondo, finché l'episodio finì e cominciò la pubblicità.
«Adesso c'è Ercole» disse Troilo rivolto verso Achille «Deve cercare un cinghiale e portarlo dal re Esteo».
«Euristeo» lo corresse Polissena dall'altro divano.
Quando cominciò la sigla di “Ercole” diedi uno sguardo sia ad Ettore sia ad Achille: entrambi si erano rilassati appena – la loro schiena finalmente toccava il cuscino del divano – e fingevano di non essere interessati. La cosa era davvero patetica, perché tra tutte le persone in quella stanza, e probabilmente in quella città, sapevo per certo che loro due erano i maggiori appassionati di Ercole. Da piccoli, Ettore mi aveva tirato scema con tutte le figurine, le videocassette e i gadget di Ercole che riempivano la sua stanza – tanto che non riuscivi nemmeno a camminarci – e mi era bastato sentire parlare Achille per rendermi conto che avevo trovato un altro malato di quello stupido cartone tanto quanto mio cugino. Se solo avessero parlato di Ercole, ero sicura che sarebbero andati d'accordo, anzi, magari sarebbero stati amici. No, che cazzate vai a pensare, Briseide. Sei completamente impazzita.
Invece di guardare la puntata, continuai a guardare le loro reazioni, praticamente identiche: piegavano appena le labbra in un sorriso divertito quando i personaggi facevano battute idiote; aggrottavano la fronte quando qualcuno si prendeva gioco di Ercole; indurivano la mascella nelle scene di combattimento, come se volessero anche loro essere là, e sembrava sapessero a memoria le battute di tutti, persino del contadino comparso sullo sfondo che aveva semplicemente detto “Sempre dritto. Hop, Carolina!”. La cosa iniziava a diventare inquietante.
Soprattutto quando, nel momento in cui comparve Euristeo, entrambi sibilarono nello stesso momento «Coglione», per poi fulminarsi a vicenda con lo sguardo.
Alla mia destra sentii Patroclo ridere in silenzio e io mi buttai contro lo schienale del divano, rendendomi conto solo in quel momento che la più tesa in quella stanza ero proprio io.
“Ercole” finì alle cinque e mezza e quando Diomede se ne accorse balzò in piedi disperato, blaterando qualcosa sulla verifica, Atena e i suoi genitori che l'avrebbero ucciso, così non ebbi altra scelta se non quella di cominciare subito a studiare, lì nel salotto di Ettore.
Eleno e Cassandra tornarono a chiudersi in camera loro, Enea e Creusa uscirono a fare un giro – probabilmente per passare un po' di tempo da soli –, Ettore e Andromaca non si mossero dal divano, Polissena si mise a fare i compiti al tavolino, che avevamo sgombrato dalle tazze sporche e dai dolci rimasti, Troilo si mise vicino a Polissena a fare un disegno – perché anche lui voleva fare i compiti come lei – e tirò Achille seduto accanto a lui, mentre noi cominciammo a ripassare storia, aiutati da Enone.
Per fortuna il lavoro che ci aspettava non era molto, visto che avevamo già studiato e visto che Diomede aveva lavorato anche a casa sua per non fare la figura dello scansafatiche ignorante con Enone, quindi avevamo quasi finito quando successe quello che stavo aspettando da quando quei tre avevano messo piede in casa di Ettore.
«La finisci di fissarmi?» sibilò la voce di Achille.
«Se ti dà fastidio perché non te ne vai?» rispose Ettore altrettanto irritato.
«Se ti do fastidio perché non te ne vai tu?» ribatté Achille.
«E' casa mia questa!» esclamò Ettore oltraggiato.
Quando cominciarono a fissarsi in cagnesco decisi che era il caso di ritirarsi e non testare ulteriormente la pazienza di Ettore. Così balzai in piedi e chiusi il libro con un tonfo «Beh, è ora di andare. Abbiamo studiato a sufficienza». Lanciai un'occhiataccia a Diomede, che richiuse immediatamente la bocca che aveva aperto per lamentarsi sicuramente di qualcosa, e mi affrettai a mettere via di nuovo le mie cose, subito imitata da Enone e Patroclo.
Feci un giro di saluti, schioccando un bacio rumoroso sulla guancia di Ettore e scusandomi con lo sguardo per quella situazione. Lui imbronciò appena le labbra, ma dalla sua espressione sapevo che mi aveva già perdonata da un pezzo.
Troilo e Polissena ci seguirono fino all'ingresso e, mentre ci rivestivamo, mi affacciai in cucina a salutare e ringraziare la zia, che mi mollò in mano un sacchetto con dentro i miei biscotti preferiti, che aveva appena sfornato.
«Tieni, te lo regalo» sentii dire a Troilo, mentre porgeva il suo disegno ad Achille, che lo prese con un lieve sorriso e lo ringraziò a bassa voce, cosa che fece ingrandire il sorriso di Troilo.
«E a me?» mi sfuggì. Di solito ero sempre io quella a cui Troilo regalava i suoi disegni ed era davvero deprimente venire sostituita da Achille, che aveva visto appena due volte. Non capivo proprio perché a Troilo piacesse così tanto.
Mentre mi accigliavo, Troilo si avvicinò e mi tirò il giubbotto verso il basso, io mi abbassai e lui mi diede un bacio umido sulla guancia, sorridendomi con aria birichina. Gli sorrisi divertita e lo abbracciai forte, prima di salutare con un bacio anche Polissena. Poi uscimmo tutti e cinque e tirai un sospiro di sollievo.
«Non è andata tanto male, no?» disse Patroclo, una volta fuori dal cancello.
Achille fece un verso stizzito, mentre Enone mi sorrise «Ti sei preoccupata per niente».
«Per fortuna! Non osate mai più fare una cosa del genere».
«La prossima volta fatti trovare in casa, allora» disse Diomede, infilando le mani in tasca «Comunque i tuoi cuginetti sono fantastici! Com'è che il biondino ti stava così attaccato?» chiese divertito, dando di gomito ad Achille.
«Ci conoscevamo già» rispose lui con aria indifferente.
«E' perché condividono gli stessi interessi» dissi con un sorriso malizioso, voltandomi verso di lui.
Achille mi squadrò per un attimo, prima di piegare appena le labbra «Sei solo gelosa che ha regalato a me il suo disegno».
Io boccheggiai, presa alla sprovvista, e riuscii a balbettare solo un «N-non è vero!» a cui nessuno credette.
«E' la prima volta che lo regala a qualcun altro» osservò Enone.
Io le lanciai un'occhiata tradita, mentre Diomede scoppiava a ridere.
Patroclo mi sorrise «Tranquilla, si vede che sei tu la sua preferita».
«Grazie! Tu sei l'unico che mi capisce!» esclamai con voce lamentosa, aggrappandomi al suo braccio e voltandomi a fulminare gli altri tre «Siete degli insensibili!»
Enone mi fece un sorriso di scuse, Diomede continuò a ridere e Achille alzò un sopracciglio.
«Spero che la verifica di domani vi vada male!».
«Cosa? No! Non mi portare sfiga, Bri! I miei mi uccidono se prendo un'altra insufficienza!»
«Dai, sono sicura che andrà bene. Hai studiato molto, no?» gli disse Enone con un sorriso incoraggiante, che fece arrossire Diomede che biascicò un ringraziamento.
Io e Patroclo ci scambiammo uno sguardo complice, pensando sicuramente la stessa cosa.
«Beh, Diomede, accompagni tu Enone a casa? Noi andiamo da questa parte» gli chiesi, indicando la direzione alle nostre spalle, all'opposto di quella che doveva prendere Enone per tornare a casa. Ignorai palesemente le espressioni imbarazzate e imploranti di Diomede ed Enone e presi a braccetto anche Achille «Ci vediamo domani! Ciao!» esclamai con un ghigno, prima di incamminarmi verso casa mia stretta tra Achille e Patroclo, che avevo scoperto essere uno dei posti che più preferivo al mondo.
«Siete davvero terribili» commentò Achille dopo parecchi metri.
Io e Patroclo ci limitammo a darci il cinque e ridacchiare divertiti.

 


Il giorno dopo, non appena entrai in classe, Diomede mi venne incontro con passo deciso e mi abbracciò, blaterandomi nell'orecchio fesserie tipo: “ti adoro”, “sei la mia nuova migliore amica”, “abbiamo parlato un sacco”, “sei un genio”, “mi ha sorriso, mi ha sorriso davvero”, “l'ho accompagnata fino a casa sua”, “se prendo una sufficienza le chiedo di uscire”. Avrei voluto staccarmelo di dosso, ma la sua euforia era contagiosa e così mi ritrovai a sorridere con lui – non con la sua stessa aria ebete, chiaro. Ero contenta che tra lui e Enone si stesse smuovendo qualcosa, perché mi sarebbe tanto piaciuto vederli insieme: Diomede era molto espansivo e non si vergognava di nulla, mentre Enone era più introversa e timida, ma ero sicura che si sarebbero fatti del bene a vicenda.
Il mio sorriso si spense leggermente quando Diomede mi strinse un po' troppo e mi strillò all'orecchio «Bri, ti amo da impazzire!»
Per tutti gli dei, perché mi ritrovavo sempre a contatto con persone così imbarazzanti?
Qualcuno si schiarì la gola dietro di me e, quando voltai la testa, incrociai lo sguardo impassibile di Achille, fermo all'ingresso dell'aula; appena dietro di lui, Patroclo rideva divertito.
Sentii Diomede irrigidirsi ed esclamare «Scusa, ma sono troppo contento!», poi mi mollò e abbracciò forte anche Patroclo, blaterandogli le stesse cose che aveva detto a me.
Achille alzò gli occhi al cielo e borbottò un «Idiota», mentre mi superava e si dirigeva verso i nostri banchi. Io lo seguii divertita e mi spogliai, per poi sedermi al mio posto e tirare fuori l'astuccio dalla cartella, visto che alla prima ora avevamo Atena e lei era sempre super puntuale.
«Ha detto che se prende una sufficienza le chiede di uscire» lo informai, guardandolo accasciarsi sulla sedia e appoggiare una guancia sul palmo della mano.
«Sempre che lei dica di sì» borbottò, voltandosi appena verso di me.
Aggrottai le sopracciglia, proprio mentre Patroclo ci raggiungeva, inciampando nella sedia di Diomede e finendo al suo posto con un'espressione spiritata.
«Ricordatemi di non fare mai più nulla per quello là».
«Ti ha abbracciato troppo?» chiese Achille con sorriso divertito.
Patroclo gli lanciò un'occhiataccia «Lo sai che quando è contento non controlla la sua forza. Stavo per soffocare e scommetto che mi ha lasciato i lividi sul collo».
Ci sporgemmo entrambi a guardargli il collo che non aveva niente a parte un po' di rossore, ma la pelle di Patroclo era talmente delicata che bastava toccarlo per lasciargli una macchia. Nemmeno Elena aveva la pelle così delicata.
«Non hai niente, tranquillo» lo rassicurai.
Lui sospirò esasperato e mi chiese «Enone, invece, come l'ha presa?»
Strinsi le labbra e feci vagare lo sguardo sulla classe che si stava riempiendo velocemente «Ecco... è quello che vorrei sapere anch'io. Dopo che ci siamo salutati ieri non l'ho più sentita. Non ha risposto nemmeno ai miei messaggi» mi misi a giocherellare con l'astuccio, sentendo distintamente i loro occhi fissi su di me. «Probabilmente mi ucciderà la prossima volta che ci vediamo» borbottai alla fine. Non credevo che Enone ce l'avesse davvero con me, probabilmente era solo molto imbarazzata e convinta che fosse colpa mia – cosa che effettivamente era –, ma sapevo anche che sarebbe durata poco perché lei non rimaneva mai arrabbiata per molto. Oggettivamente non avevo mai imbrogliato Enone così tanto come nell'ultimo periodo, non mi era mai capitato di costringerla a fare quello che volevo io – nemmeno quando si era messa con quel cretino di Paride e io non ero d'accordo –, solo che quella storia mi stava particolarmente a cuore e volevo che per una volta lei riuscisse ad avere il meglio. Ecco, non che Diomede fosse “il meglio”, ma poteva essere quello giusto. Volevo che per una volta Enone ricevesse più amore di quello che aveva sempre dato. E che si dimenticasse di quel cretino senza cervello di Paride.
Prima che qualcun altro potesse aprire bocca, Atena entrò nell'aula, sgridò Diomede e Ulisse che facevano i dementi di fianco alla cattedra e tutti si fiondarono ai loro posti in silenzio. Quando la prof tirò fuori il plico di verifiche vidi distintamente Diomede tremare come una foglia e lanciare uno sguardo disperato a Patroclo, che alzò gli occhi al cielo e gli sillabò qualcosa come “idiota” e “tranquillo”. Scossi la testa e, mentre spostavamo i banchi, gli sussurrai con violenza «Smettila di fare l'idiota. Hai studiato un sacco e ce la farai di sicuro».
O almeno era quello che speravo, ma dalla sua espressione alla fine dell'ora sapevo che per una volta aveva superato le aspettative di tutti.
«Sapevo tutto! Tutto!» esclamò per l'ennesima volta, mentre ci stavamo preparando per tornare a casa. «Sì, beh, forse non ho risposto benissimo nelle domande aperte, ma sono sicuro di aver detto qualcosa di giusto perché lo sapevo! E sapevo tutte le date! E anche le crocette! Studiare è fantastico!»
Patroclo si voltò di scatto e lo fissò con gli occhi spalancati, pronto probabilmente a fargli un esorcismo, ma Diomede era già scappato verso Ulisse per urlare per l'ennesima volta della sua verifica. Dopo le prime cinque volte ero convinta che Achille lo avrebbe preso a pugni, ma invece si era trattenuto e lo aveva ignorato pazientemente, cosa che mi aveva davvero sorpreso. Certo, in compenso era andato in bagno almeno dodici volte in tutta la mattinata ed era scomparso all'intervallo, ma era meglio fingere che avesse avuto la pazienza necessaria.
Solo che adesso, invece di preparasi con calma come suo solito, era praticamente già fuori dalla porta, che aspettava Patroclo con uno strano tic al sopracciglio che avveniva casualmente ogni volta che la voce di Diomede arrivava alle sue orecchie, così mi ritrovai ad uscire con loro due dalla scuola, mentre di solito riuscivo a svignarmela qualche minuto prima.
Fuori dal cancello stavo giusto pensando come sfuggire a quel silenzio che era calato tra di noi, quando sentii qualcuno afferrarmi con forza una spalla e mi lasciai scappare un gridolino, presa del tutto alla sprovvista. Achille e Patroclo si voltarono di scatto e io feci lo stesso, trovandomi faccia a faccia con una Criseide infuriata nera.
«Cri! Mi hai spaventato, stupida!»
«Scusa, ma ti stavo aspettando».
Mi posai una mano sul petto cercando di riprendere a respirare normalmente. «Cosa c'è?»
Se possibile, la sua espressione divenne ancora più furiosa, cosa che succedeva molto raramente, e io iniziai a preoccuparmi seriamente. Che fosse qualcosa relativo al giorno prima?
«Quello stronzo schifoso!» sputò fuori con rabbia «Mi ha preso in giro per tutto questo tempo! Ma giuro che me la paga! Fosse l'ultima cosa che faccio!»
«Di chi stai parlando?» la interruppi agitata.
Lei mi lanciò un'occhiata che mi fece rabbrividire, nonostante sapessi che non era propriamente rivolta a me «Di quel bastardo di Agamennone, no? Traditore schifoso! Lui con me ha chiuso! Chiuso!»
Oh. Era durata molto, a quanto sembrava. Tutto il casino delle ultime settimane per niente.
Almeno Ettore sarebbe stato contento.

 

 

 

 

N/A: Ehilà! Come al solito non sono riuscita a pubblicare velocemente il nuovo capitolo e mi dispiace davvero molto. Ma non disperate, ci stiamo avvicinando alla fine (circa). Diciamo che ormai siamo nella seconda metà della storia e sarebbe mia intenzione finirla di scrivere entro quest'anno, ma ovviamente il tutto dipende dalla vita reale e dall'ispirazione.
Vorrei ringraziare tutti coloro che continuano pazientemente a seguirmi, nonostante i miei ritardi, per me è sempre un piacere ricevere i vostri messaggi e le vostre recensioni e, se non ci foste voi, probabilmente avrei abbandonato questa storia da tempo. Quindi grazie davvero.
Passando al capitolo vero e proprio, in realtà è dall'inizio di gennaio che è quasi del tutto scritto (almeno fino alla parte in cui Diomede abbraccia Briseide e la ringrazia per la sera prima), ma l'ultimo pezzo non riuscivo proprio a scriverlo, sapevo di volerlo finire con l'annuncio di Criseide, ma era proprio la parte in mezzo che mi ha messo in difficoltà. Oggi, ho avuto l'ispirazione (leggasi come: mi sono detta “smettila di fare la deficiente e procrastinare e finisci questo cavolo di capitolo) e ho deciso di postarlo immediatamente, senza ricontrollare nemmeno bene. Quindi chiedo scusa per gli eventuali errori.
Oggettivamente non so che altro dire, perché non mi sembra un capitolo pieno di avvenimenti, quindi aspetto di vedere cosa ne pensate voi.
Ringrazio ancora tutto coloro che continuano a seguire questa storia, che recensiscono e che la inseriscono in una delle liste. Grazie!
Al prossimo capitolo (spero non troppo in là)!

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