L'avvento dell'Inverno

di Aledileo
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Introduzione ***
Capitolo 2: *** Prologo ***
Capitolo 3: *** Capitolo primo: Prigioni ***
Capitolo 4: *** Capitolo secondo: Gelo nel cuore ***
Capitolo 5: *** Capitolo terzo: Strategie ***
Capitolo 6: *** Capitolo quarto: Cani e lupi ***
Capitolo 7: *** Capitolo quinto: Il lamento di Loki ***
Capitolo 8: *** Capitolo sesto: Giochi d'incastro ***
Capitolo 9: *** Capitolo settimo: Bifrost ***
Capitolo 10: *** Capitolo ottavo: Portali ***
Capitolo 11: *** Capitolo nono: Contese divine ***
Capitolo 12: *** Capitolo decimo: Revanche ***
Capitolo 13: *** Capitolo undicesimo: Tra fuoco e ghiaccio ***
Capitolo 14: *** Capitolo dodicesimo: Il concilio ***
Capitolo 15: *** Capitolo tredicesimo: Volenti o nolenti. ***
Capitolo 16: *** Capitolo quattordicesimo: Fratelli lontani ***
Capitolo 17: *** Capitolo quindicesimo: Il serpe del mondo ***
Capitolo 18: *** Capitolo sedicesimo: Il mietitore silente ***
Capitolo 19: *** Capitolo diciassettesimo: La guerra infuria ***
Capitolo 20: *** Capitolo diciottesimo: Padri e figli ***
Capitolo 21: *** Capitolo diciannovesimo: Hrimthursar. ***
Capitolo 22: *** Capitolo ventesimo: Una ragione per vivere ***
Capitolo 23: *** Capitolo ventunesimo: Antichi rancori ***
Capitolo 24: *** Capitolo ventidueesimo: Il sole perpetuo ***
Capitolo 25: *** Capitolo ventitreesimo: Rune di morte ***
Capitolo 26: *** Capitolo ventiquattresimo: Spedizione punitiva. ***
Capitolo 27: *** Capitolo venticinquesimo: Catene e legami ***
Capitolo 28: *** Capitolo ventiseiesimo: L'aquila dei venti. ***
Capitolo 29: *** Capitolo ventisettesimo: Ritirata ***
Capitolo 30: *** Capitolo ventottesimo: La confessione ***
Capitolo 31: *** Capitolo ventinovesimo: Frammenti di passato ***
Capitolo 32: *** Capitolo trentesimo: Un rimpianto perduto ***
Capitolo 33: *** Capitolo trentunesimo: Nemesi ***
Capitolo 34: *** Capitolo trentaduesimo: Sulle tracce di Atlantide ***
Capitolo 35: *** Capitolo trentatreesimo: L'araldo dell'ombra ***
Capitolo 36: *** Capitolo trentaquattresimo: Recinti di fuoco ***
Capitolo 37: *** Capitolo trentacinquesimo: Superstiti ***
Capitolo 38: *** Capitolo trentaseiesimo: Il Distruttore ***
Capitolo 39: *** Capitolo trentasettesimo: Vendetta mancata ***
Capitolo 40: *** Capitolo trentottesimo: Il crollo dei mondi ***
Capitolo 41: *** Capitolo trentanovesimo: Scelte ***
Capitolo 42: *** Capitolo quarantesimo: Crepuscolo ***
Capitolo 43: *** Epilogo ***
Capitolo 44: *** Schede tecniche Asgard ***
Capitolo 45: *** Schede tecniche Atene, Avalon e Olimpo ***



Capitolo 1
*** Introduzione ***


Liberamente ispirata a “I CAVALIERI DELLO ZODIACO”, di M. Kurumada

 

ALEDILEO presenta:

 

I CAVALIERI DELLO ZODIACO

5

 

L’Avvento dell’Inverno

 

 

SAGA DI AVALON – Parte 1 di 4

 

 

Grazie ai fans che in tutti questi anni hanno seguito le mie storie.

Le avventure di Pegasus e dei suoi compagni, destinate a non avere mai fine.

Aledileo

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Capitolo 2
*** Prologo ***


Si colpiranno i fratelli
e l'un l'altro si daranno la morte;
i cugini spezzeranno
i legami di parentela;
crudo è il mondo,
grande l'adulterio.

(dall’Edda poetica: La profezia della Veggente)

 

 

PROLOGO

 

Una gelida fiamma crepitava nel braciere al centro del Salone del Fuoco, ove la Celebrante di Odino era solita ricevere ospiti e riunire i Cavalieri a lei fedeli. Lingue di fuoco si allungavano verso l’alto soffitto, rischiarando l’antica fortezza di Midgard, la città degli uomini, per quanto ormai la maggioranza del popolo la conoscesse come Asgard.

 

Troppo intenti ad affannare per sopravvivere al freddo da trascurare le tradizioni, retaggi di un mondo distante, gli uomini avevano dimenticato il loro stesso passato, pur senza cancellarlo mai. Nella speranza che un giorno Odino posasse di nuovo lo sguardo su di loro, e concedesse quel posto al sole di cui avrebbero voluto godere.

 

Ilda di Polaris, Regina di Midgard, sedeva vicino al braciere, scorrendo con interesse e apprensione la missiva che Atena le aveva inviato pochi giorni prima. Una lettera in cui la Dea raccontava all’amica lo svolgimento e la conclusione della guerra contro Flegias, il figlio di Ares, a cui la stessa Ilda e i suoi Cavalieri avevano preso parte.

 

Dopo essersi infatti servito di Seth e Apopi, Saga di Gemini, Zeus e Crono, e persino di suo padre Ares, il demoniaco Flagello di Uomini e Dei era stato costretto ad agire in prima persona, mettendo su un esercito di Cavalieri neri, dotati delle armature delle costellazioni dimenticate e guidati da sette Capitani dell’Ombra. Pegasus e i suoi compagni, aiutati dai Cavalieri d’Oro e d’Argento, e dal prezioso contributo di Avalon e dei Cavalieri delle Stelle, erano riusciti a impedire che le tenebre ricoprissero il mondo, annientando Flegias e ponendo fine alla minaccia che da anni, forse da secoli, pareva incombere su tutti loro.

 

Che sia arrivato il momento della pace? Con questo interrogativo si interrompeva la missiva arrivata dalla Grecia. Che sia arrivato il giorno in cui gli uomini possano godere appieno del calore del sole?

 

Ma Lady Isabel, in fondo al cuore, non ne era affatto convinta.

 

E Ilda sorrise, realizzando che l’amica avesse ben compreso le preoccupazioni che albergavano nel suo animo. Le stesse che da settimane ormai l’avevano spinta a rinchiudersi nella torre più alta della fortezza, a consultare testi antichi che sua madre le aveva lasciato in dono, ricordandole, in punto di morte, di servirsene.

 

Per fronteggiare l’inverno. L’ultimo inverno, a cui non sarebbe seguita alcuna primavera.

 

La voce squillante di Flare, seduta poco distante, rubò la Celebrante di Odino ai suoi pensieri, spingendola a sollevare lo sguardo verso la sorella, intenta a ricamare un maglione di lana per Cristal il Cigno.

 

“Sono contenta che la guerra sia finita! È tempo che i Cavalieri depongano le armi! Da quanti anni il mondo è insanguinato da stragi e battaglie?!”

 

“Fin dalla nascita, Flare! Fin dalla sua creazione!” –Commentò amaramente Ilda, alzandosi in piedi.

 

“Ma sorella…” –Rispose Flare, delusa da quella cinica, ma veritiera, risposta.

 

Flare… Sei molto dolce, e tra noi due sei sempre stata la sognatrice, la ragazza che ha portato nel cuore un sogno di pace per sé e per la Terra!” –Esclamò Ilda con voce seria, fissandola con occhi di ghiaccio. –“Ma verrà il momento in cui dovrai abbandonare i tuoi sogni e combattere anche tu! Verrà il giorno in cui dovrai essere forte, più di quanto lo sei stata finora! Per difendere Midgard, Asgard e la Terra tutta!”

 

“Un’altra guerra?!” –Trasalì Flare. Ma la conversazione tra le due fu interrotta dall’ingresso di Enji nel Salone del Fuoco.

 

“Mia signora… Perdoni l’ora tarda…” –Mormorò il servitore di Ilda, inginocchiandosi di fronte alla regina. –“C’è una visita per lei!”

 

“In questa fredda notte?! Fai passare!” –Commentò la Celebrante di Odino, mentre Enji si rialzava, facendo cenno alle guardie, accanto al portone d’ingresso, di farla entrare. Solo in quel momento Ilda si accorse dello strano sguardo del suo servitore, quasi fosse spento e a tratti incosciente, e si chiese se il momento che Flare tanto paventava non fosse già arrivato.

 

Sospirò, prima di posare lo sguardo sulla donna appena entrata, una megera dalle mani avvizzite che camminava a fatica reggendosi a un nodoso bastone di legno. Ricoperta di cenci logori, la vecchia, che da Enji fu presentata come Thokk, si fermò di fronte al braciere del fuoco, dall’altra parte del quale Ilda la fissava con attenzione.

 

“Cosa posso fare per te, Thokk? Vuoi forse che bagni di gioia di vivere i tuoi occhi, affinché tu possa piangere lacrime sincere?”

 

Flare ed Enji si guardarono senza capire la risposta della Celebrante di Odino, ma la donna, che non accennava a staccarle gli occhi di dosso, parve comprenderle e scoppiò a ridere. Di una risata lenta e acuta, a tratti isterica, intrisa di una soddisfazione che certo non avrebbe immaginato di provare.

 

“Lascia che Hel si tenga quel che ha, ha avuto o avrà! Del destino di Balder più non mi curo! Non piansi secoli addietro, quando rischiò di morire, né piangerò adesso!” –Rispose infine, torcendo le secche labbra in una smorfia. –“Io sono venuta a portarti un dono, Ilda di Polaris!”

 

“Un dono?!” –Ripeté Ilda, con voce priva di timore alcuno.

 

Fimbulvetr, ecco cosa ti porto! Il grande inverno!” –Sogghignò, mentre una corrente di aria gelida soffiò improvvisa nella stanza, abbattendosi sul braciere e isterilendo le sue fiamme. Una corrente pervasa da una potente e antica energia cosmica.

 

Le guardie al portone, attratte dalla confusione, si fecero avanti, ma bastò il leggero movimento di un braccio della vecchia per schiacciarle contro i muri, tramortendole, prima di voltarsi verso Flare, Enji e Ilda, intenti a ripararsi con i mantelli dalla tempesta di gelo che aveva invaso il salone.

 

“Ah ah ah! L’inverno è arrivato! Presto il sole e la luna cadranno e non splenderanno più stelle sull’alto cielo, solo fiamme e ombra! I simboli del mio nuovo impero!” –Rise la vecchia, modificando il timbro della sua voce, che da gracchiante si fece più seria e maschile, accompagnandosi ad un mutamento delle sue forme.

 

“Ti aspettavo…” –Si limitò a commentare Ilda, osservando l’uomo che adesso le si ergeva di fronte.

 

Alto e snello, con un volto affascinante e dai tratti perfetti, che nel corso dei millenni molti aveva irretito soltanto con lo sguardo, Loki, figlio dei giganti Farbauti e Laufey, porse alla Regina di Midgard un sorriso ambiguo, come era nella sua natura.

 

***

 

Lo stesso gelo, che Loki aveva portato a Ilda, Balder se lo sentì nel sangue quella notte. Si alzò dal letto, dove riposava assieme a Nanna, sua inseparabile compagna, e camminò a piedi nudi fino alla terrazza del palazzo. Breidablik, la strada scintillante, la casa che risplendeva da lontano, luogo perfetto per il figlio di Odino che pareva irradiare, con la sua sola presenza, una luce di strabiliante chiarezza.

 

Si affacciò e abbracciò con lo sguardo l’intera Asgard, o almeno quella parte di paradiso che i suoi occhi potevano cingere, e capì che ciò che della sua terra aveva a lungo amato presto non sarebbe stato più. Niente sarebbe stato più.

 

Lo aveva già temuto mesi addietro, dopo settimane di sogni angoscianti, quando si era avventurato da solo nel Regno delle Nebbie, per parlare con Hel e convincerla a desistere da ogni impresa funesta. E adesso ne era certo come non mai.

 

“I segni ci sono tutti! La Profezia che tanto abbiamo temuto è ormai realtà!” –Si disse, abbandonandosi ad un sospiro per le tristi sorti in cui il mondo intero era ormai precipitato, divorato dai mali che lui aveva cercato di combattere per tutta la vita, usando le armi che gli erano proprie: la raffinatezza, il candore e il garbo, sperando che potessero bastare per evitare agli uomini sofferenze atroci.

 

“Ma così non è stato! Ho fallito!”

 

E pensò alle guerre che avevano insanguinato il mondo fin dalla sua creazione, guerre che negli ultimi anni erano aumentate, non soltanto con l’incremento dell’ombra sulla Terra, ma con il maggior numero di scontri a cui gli uomini si erano abbandonati. Scontri cruenti, scontri tra di loro, ove gli antichi legami erano stati sciolti e i vincoli familiari erano caduti e l’invidia, l’avidità e la brama di potere avevano trionfato. Tutte le regole della convivenza sociale erano state violate e turpi misfatti erano stati compiuti. Adulterio, prostituzione, anarchia morale. La depravazione del genere umano pareva non avere fine, e Balder si rattristò, realizzando che i mali di cui gli uomini erano vittime erano in realtà nati da loro stessi, e cresciuti grazie all’abiezione senza limiti che avevano dimostrato.

 

Balder?!” –La calda voce di Nanna lo rubò ai suoi pensieri, portandolo a volgere lo sguardo verso la donna al cui fianco aveva trascorso una vita intera. Una vita piena di luce, la stessa che aveva tentato di offrire agli uomini e agli altri Dei. Non perché credesse di essere migliore, ma perché sperava che potesse sovrastare l’ombra che indugiava nell’animo di ognuno di loro.

 

“Abbiamo tutti fallito!”

 

Non aggiunse altro e se ne andò, donando a Nanna l’ultimo sorriso prima di vestirsi, indossando le sue vesti migliori, e uscire dalla reggia di Breidablik.

 

Fu così che Balder lo splendente, il più bello dei figli di Odino, andò incontro al suo destino.

 

 

 

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Capitolo 3
*** Capitolo primo: Prigioni ***


CAPITOLO PRIMO: PRIGIONI.

 

Flare odiava le segrete del castello. Cercava di evitare il più possibile quei luoghi tetri, quei luoghi che trasudavano violenza e morte al solo posarvi lo sguardo. Aveva chiesto più volte a Ilda di chiuderle o di destinarle ad un uso diverso, per impiegare quelle fredde stanze come magazzini ove stivare la carne e gli altri beni alimentari di cui d’inverno la cittadella avrebbe avuto bisogno.

 

Ma Ilda si era sempre rifiutata, preferendo mantenerle in funzione, in onore ai loro antenati e alle guerre che avevano combattuto, rischiando la vita contro gli invasori, senza temere sorte alcuna, di prigionia o di morte che fosse. Inoltre, come dimostrato dal breve soggiorno di Cristal il Cigno, agli albori della Guerra dell’Anello, potevano comunque tornare utili, per ospitare aggressori da cui Asgard avrebbe dovuto difendersi. Proprio come era accaduto anni addietro, durante il conflitto scoppiato tra il regno e la cittadina di Iisung.

 

In quelle stesse segrete, che avevano visto patire e morire coloro che avevano ardito sfidare la roccaforte degli Dei nordici, erano stati imprigionati la Celebrante di Odino e sua sorella, assieme a due servitori, Enji e Fiador. Quest’ultimo, un ragazzo di diciotto anni scarsi, figlio del Conte Turin, alleato di vecchia data e fedele sostenitore del casato di Polaris fino all’inspiegabile ribellione messa in atto pochi mesi prima, giaceva rannicchiato in un angolo, tremando dal freddo e dalla paura.

 

“Avresti potuto restarne fuori!” –Commentò Enji, riferendosi al tentativo fallito di liberare Ilda messo in atto dal ragazzo assieme ad alcune guardie, mentre Loki conduceva i tre prigionieri nelle segrete. Ma era bastato uno sguardo al Dio del Nord per appiattire tutti loro contro il muro, invasi da un gelo mai provato prima, lo stesso che adesso permeava l’intero stanzone.

 

“Non sarei riuscito a guardarmi di nuovo allo specchio!” –Si limitò a rispondere il ragazzo dai riccioli scuri, reprimendo a stento un singhiozzo. –“Già una volta sono stato troppo cieco da non vedere il turbamento nell’animo di mio padre! Non avrei potuto rimanere inerme una seconda volta!”

 

“Le tue parole ti fanno onore, giovane Fiador, ma purtroppo non ci aiutano ad uscire da questa situazione, a dir poco, agghiacciante!” –Sospirò Enji, prima di spostare lo sguardo sulla Regina di Midgard, rimasta silenziosa per tutto il tempo, fin da quando Loki, nel Salone del Fuoco, aveva piegato la sua debole resistenza, facendone una serva obbediente. All’apparenza.

 

“Sorella mia… parlami!” –Esclamò Flare, con voce strozzata dalle lacrime, chinandosi sulla Celebrante di Odino e prendendole le mani tra le proprie. Ma Ilda si ritrasse di scatto, scansando lo sguardo della sorella e limitandosi a rimanere in silenzio, assorta in pensieri che Flare non riusciva a decifrare.

 

La ragazza dai capelli biondi sospirò, vittima dell’incomprensione che stava scendendo su di loro, e non poté fare a meno di ricordare i tristi giorni della Guerra dell’Anello, quando la sorella al cui fianco era cresciuta, e che tanto aveva ammirato per la sua saggezza e la sua regalità, era improvvisamente cambiata, diventando un’estranea. Qualcosa di simile a quel che Flare riteneva stesse accadendo adesso, sia pur consapevole che Ilda fosse libera dall’influsso dell’Anello del Nibelungo e stesse probabilmente dirigendo i suoi pensieri altrove. Sebbene la ragazza non riuscisse a capire dove.

 

***

 

“Prega, sì! Prega pure, Ilda di Polaris! Nient’altro ti resta nella tua sterile vita, solo un baluginare fioco di preghiera! Ah ah ah!” –Rise soddisfatto Loki, sedendo in maniera scomposta sullo scranno che fu della Regina di Midgard e osservando il suo volto deformarsi nelle fiamme del braciere.

 

“Ridi da solo, mio Signore?!” –Esclamò una ruvida voce d’improvviso, mentre un rumore di passi risuonò per il Salone del Fuoco. –“Lascia che anch’io condivida la tua felicità, che, figlia della guerra, sarà presto anche la mia!”

 

L’uomo appena entrato si fermò a pochi passi dal Dio dell’Inganno, lasciando che le fiamme rischiarassero i riflessi scuri della sua armatura. Coprente quasi interamente il suo robusto corpo, ma priva dell’elmo, la corazza grigiastra aveva forme spigolose, con coprispalla appuntiti, ed era ornata da un’ascia bipenne che il guerriero portava affissa alla schiena, pronto ad impugnarla con un sol gesto.

 

“Ti sta bene quell’armatura!” –Commentò Loki con un sogghigno. –“Quasi quanto starebbe bene a me! Ah ah ah!”

 

“Voglio chiederti scusa, per aver dubitato del tuo piano! Ma proprio non credevo che vi fossero cinque armature custodite nelle segrete della cittadella di Midgard! Mi chiedo a cosa servissero, e da quanto non vengono indossate!” –Esclamò l’uomo, sfiorando la fredda superficie del pettorale. –“Come facevi a saperlo?”

 

“Il mio rango di divinità significherà qualcosa, non credi, Erik? Non solo nel trasformismo è abile Loki, e presto Odino e gli altri Asi se ne renderanno conto!” –Rise il Dio, prima di alzarsi in piedi e torreggiare sul suo fedele servitore, che parve ricordare in quel momento chi aveva di fronte, accennando un inchino piuttosto goffo. –“Tira su la schiena e spalanca le orecchie, perché parlerò una volta sola! Mi si ghiaccia la gola ad aprir troppo la bocca! Questi salamelecchi si addicono a viscidi alleati che tramano nell’ombra, non a guerrieri dalle ampie spalle e dal portamento fiero, pronti a scendere in battaglia per il loro Signore! E tu, tra tutti, sei il migliore!”

 

Erik annuì, senz’aggiungere altro, confortato dalle parole del Dio dell’Inganno, al cui fianco da anni tramava in attesa del giorno del cambiamento. Del giorno che adesso stava per sorgere.

 

“Situazione!”

 

“Tutto è pronto, mio Signore! Midgard, priva dei sette Cavalieri del Nord, è caduta nelle nostre mani! Per quanto ben addestrati a fronteggiare un assedio, i soldati della cittadella sono stati sopraffatti dalla sproporzione numerica e, impossibilitati a fronteggiare nemici dotati di cosmo, sono subito capitolati! La speme di quei pochi che hanno avuto l’ardire di lottare a oltranza si è spenta alla notizia della prigionia della loro regina!” –Spiegò Erik, con maliarda soddisfazione. –“I lupi di Járnviðr, guidati da Skoll e Hati, scorazzano liberi per le strade, sbranando chiunque tenti di sbarrare loro il passo, mentre i Soldati di Brina controllano ogni accesso alla fortezza e Managarmr, Drepa e Bjuga stanno radunando le truppe nel piazzale retrostante, di fronte alla vigile statua di Odino!”

 

“Ah ah ah! Lasciatelo guardare, il guercio! Presto perderà anche l’ultimo occhio!” –Rise Loki, sfregandosi le mani soddisfatto. –“Che ne è dei nostri alleati? Sono pronti come dovrebbero essere?!”

 

“Nel Niflheimr faranno il loro dovere e gli Hrimthursar ben presto marceranno su Asgard! A Muspellheimr la situazione invece è, se così si può dire, più incandescente! I fratelli di Surtr non sono certo tipi con cui si possa intavolare una discussione civile e molti Giganti di Fuoco sono fedeli a Odino, ma sapremo convincerli a stare dalla parte giusta!” –Sibilò Erik, con gli occhi intrisi di fiamme. –“La nostra!”

 

“Voglio ben sperarvi! Il loro ruolo è fondamentale! Rappresentano un terzo dell’esercito del Valhalla! Perso quello, al vecchio guercio resteranno solo gli Einherjar e gli Asi suoi compagni, perlomeno coloro che vorranno sporcarsi le mani! Di sicuro non i Vani, che non si scomoderanno per i loro antichi rivali!” –Commentò Loki. –“Poveri sciocchi! Queste contese divine ci hanno sempre favorito e ci favoriranno anche in quest’occasione!”

 

“Che ne è della Regina di Midgard? La sua testa è già pronta per ornare la sala della tua nuova reggia?!”

 

“Non ancora!” –Sibilò Loki, suscitando un’immediata reazione da parte di Erik, che lo squadrò sorpreso, a tratti indignato, alzando il tono della voce.

 

“Come?! La voglio morta!!! Me lo avevi promesso!”

 

“E morirà! Ma non adesso che mi è ancora utile!”

 

“Capisco!” –Mormorò Erik, cercando di ricomporsi. –“Anzi no, in realtà! Ma hai la mia fiducia, Signore dell’Ambiguità, anche se vorrei che almeno con me tu fossi chiaro! Ricordati che la mia ascia è sempre pronta per recidere la sua testa, e se proverai una qualche remora, allora aprirò io le porte di Hel per la discendente del massacratore!”

 

“Nutri un forte rancore nei suoi confronti!” –Commentò Loki, che ben conosceva i motivi di tale astio, e per questo amava stuzzicare il guerriero al riguardo.

 

“Nei confronti suoi e della sua dinastia! Fu suo padre, diciotto anni fa, a ordinare lo sterminio della mia famiglia ad Iisung! Non l’ho dimenticato anche se ero solo un dodicenne agli inizi della pubertà!” –Ringhiò Erik, sfiorando la cicatrice che gli tagliava l’occhio destro a metà e rivedendo nella mente immagini ben note. Immagini di quella notte in cui la sua cittadina fu messa a ferro e fuoco dai soldati inviati da Midgard, guidati da un uomo la cui forza era stata tale da sovrastare persino quella di suo fratello, da lui considerato invincibile. Fino a quel giorno.

 

“Avrai la tua vendetta, questo è certo! Te lo promisi quel giorno, portandoti via dalle macerie e te lo confermo quest’oggi! E il Buffone Divino ha una sola parola, per quanto di facce invece… ne abbia diverse! Ah ah ah!” –Esclamò Loki, e la sua risata risuonò per tutto il castello, invadendo sale e corridoi, in cui lupi feroci controllavano a vista i servitori rimasti in vita, e raggiungendo le segrete, ove andò a sommarsi al gelo di cui erano intrise, divenendo un coltello dalla lama così affilata da scuotere i prigionieri nelle ossa.

 

Aaah!!! Fateci uscire! Liberateci!!!” –Gridò Fiador, alzandosi di scatto e lanciandosi verso la porta. Ma venne trattenuto dalle catene che lo bloccavano alle caviglie e ricadde a terra, sbattendo il viso sul suolo costellato di ghiaccio.

 

“Calmati, Fiador!” –Esclamò Flare. –“Siamo tutti inquieti ma lasciarci dominare dalla disperazione non ci aiuterà! Servirà solo a peggiorare questi momenti!”

 

“E come potrebbero essere peggiori?! Incatenati nelle segrete, condannati a morire di fame, di sete e di freddo! Sempre che a quel pazzo dalle orecchie a punta non venga in mente di tagliarci la testa!”

 

“Il suo nome è Loki, della stirpe dei Giganti di Brina, e il suo potere rivaleggia con Odino, con cui nel Mondo Antico strinse un patto di sangue, legando il proprio destino a quello del Signore degli Asi!” –Parlò Ilda per la prima volta, spostando lo sguardo su Fiador, a cui sembrò di essere trafitto da mille aghi di ghiaccio. –“In quanto a chiamarlo pazzo, ci andrei cauta con le parole, poiché il Calunniatore degli Asi è stato definito con vari appellativi, ma mai riferendosi alla sua pazzia, peraltro inesistente, bensì alla scaltrezza che lo contraddistingue!” 

 

“A sentirvi parlare, mia Signora, si direbbe quasi che lo ammiriate…” –Sbuffò Fiador, scocciato, prima di rincantucciarsi alla bell’e meglio per ripararsi dal gelo, sotto lo sguardo pieno di disapprovazione di Enji per il tono con cui aveva parlato.

 

“In un certo senso…” –Rifletté Ilda. –“Poiché il destino di Asgard è anche il suo! Egli è la chiave di volta, e qualunque sorte attenda il regno degli Asi attenderà anche Loki! Fuoco e distruzione, morte e rinascita!”

 

“Le tue parole sono oscure, sorella!” –Commentò Flare, stringendosi a Ilda, prima che un rumore di passi fuori dalla cella distraesse gli occupanti.

 

La porta si spalancò all’istante, lasciando entrare un’alta figura rivestita da un mantello di piume di falco, seguita da un plotone di guardie armate.

 

“Siete pronta per il vostro ultimo viaggio?!” –Esclamò Loki, con un sorriso divertito.

 

“Lascia stare mia sorella! Non ti permetterò di farle del male!” –Gridò Flare, credendo si rivolgesse a Ilda e gettandosi contro di lui. Ma la catena che la imprigionava mozzò a metà la sua corsa, facendola cadere goffamente in avanti, proprio tra le braccia del Signore dell’Inganno.

 

“Quale onore! So bene di essere irresistibile ma non avevo mai incontrato una donna che mi si gettava letteralmente tra le braccia!” –Rise questi, aiutando Flare a rialzarsi.

 

“Cosa vuoi, Loki?” –La voce di Ilda risuonò imperiosa, attirando gli sguardi di tutti i presenti. –“Parla e poi vattene!”

 

Pur nella disagevole situazione in cui si trovava, indebolita e tremante, priva del suo scettro e del controllo sulla sua cittadina, la Regina di Midgard conservava tutta la maestosità che il suo ruolo le imponeva.

 

Non ha sbagliato quel giorno Odino a nominarla sua Celebrante! Commentò il Dio dell’Inganno, osservandola affascinato e inebriato dalla sua segreta potenza. La stessa che anch’egli sentiva albergare dentro di sé.

 

“Ho già quel che voglio! Le chiavi del regno!” –Sibilò infine Loki, stringendo il polso di Flare in una ferrea stretta e facendo voltare la ragazza, che lo fissò impaurita e confusa, mentre il Dio le si avvicinava, solleticandole il collo con l’indice destro, fino a scendere e aprirle leggermente la camicetta che portava sotto lo scialle.

 

Flare!!!” –Gridò Ilda, facendosi avanti ed espandendo per la prima volta il cosmo.

 

“Al tuo posto!” –Si limitò ad esclamare Loki, schiacciandola al muro, stritolata da scariche di energia azzurra, che le rigarono il corpo, strappandole le vesti e ustionandole la pelle. Anche Enji e Fiador fecero per muoversi, per quanto limitati fossero i loro movimenti, ma bastò che le guardie abbassassero le lance, puntandole contro di loro, per farli desistere da ogni impresa. –“Il tuo ruolo in questa guerra è lungi da venire, Ilda di Polaris! Non costringermi, con i tuoi gesti avventati e per nulla utili, a cancellare la tua parte!”

 

“Credi di poterlo controllare, Loki?” –Sibilò la Celebrante di Odino, affannando nel rimettersi in piedi. –“Credi di essere davvero il direttore di questo dramma? Sei un illuso, e te ne accorgerai presto! Il potere che vuoi scatenare è troppo grande per chiunque, persino per un figlio della stirpe degli Jötnar!”

 

“Dovrei ringraziarti per la tua premura, Regina di un regno che volge al crepuscolo? Ah ah, lo farò! Tratterò bene tua sorella, se questo ti preme, fintantoché lei sarà gentile con me!” –Rise Loki, prima di volgerle le spalle e incamminarsi verso l’uscita, portando Flare con sé. –“Perdonami se sono malfidato, ma al posto tuo sarei il primo a tentare qualche stratagemma!” –Aggiunse, fermo sulla soglia, muovendo con destrezza le dita della mano destra, ricamando in aria un segno stilizzato. –“In questo modo ti sarà più difficile uscire!”

 

Ilda la riconobbe subito, nella sua semplicità, una linea verticale.

 

Isa, o Iss, la runa di ghiaccio.

 

E capì che da quella prigione per il momento non sarebbero usciti.

 

Anche Enji ne comprese il significato e si affrettò a spiegarlo a Fiador, che lo fissava sconsolato, mentre Loki si allontanava, lasciandoli soli.

 

“Isa è la runa del ghiaccio, esprime conservazione e isolamento, simboleggiando la staticità e la conservazione delle cose, nel loro stato presente e invariabile!”

 

“In altre parole… siamo murati dentro!” –Esclamò Fiador, senza nascondere il terrore.

 

Enji non rispose, limitandosi a rimettersi a sedere, come già aveva fatto Ilda di fronte a lui, immersa nei suoi pensieri.

 

Potrei sciogliere l’incantesimo che sta dietro Iss! Mia madre, fin da bambina, mi avvicinò alla conoscenza delle rune e del loro significato, molto più che simbolico! Ma una runa divina, da Loki intessuta, potrebbe rivelarsi difficile da sbrogliare! E se lo facessi, sarei molto debole e i miei poteri potrebbero non bastare per…

 

Sospirò, ripensando alla promessa che Loki le aveva fatto, sul modo in cui avrebbe trattato sua sorella. Avrebbe davvero voluto crederci, per il bene di Flare, ma sapeva che sarebbe stata soltanto una sciocca, un’ingenua, a riporre fede nel Buffone Divino.

 

***

 

Nel Niflheimr, il regno dei morti, cadeva una fitta neve scura, che difficilmente riusciva ad aderire al terreno, sferzato com’era da forti e gelidi venti che rendevano la visibilità minima. Eppure, chi da tempo viveva in quelle lande buie e terribili era comunque in grado di orientarsi nel deserto di ghiaccio, superando la Porta di Hel, e il suo gallo guardiano, e dirigendosi verso il cuore del regno, a Eliudhnir, l’antica Helgaror, la Casa delle Nebbie.

 

La tozza sagoma del palazzo, freddo di nevischio, pareva mescolarsi con le nebbie perenni che lo avvolgevano, rendendo difficoltoso persino trovarne l’entrata, in quel confuso ammassarsi di blocchi di ghiaccio accatastati, o crollati l’uno sull’altro. Ma Ganglati, il pigro, e Ganglot, la sciatta, quel giorno avevano acceso due torce, posizionandole ai lati dell’ingresso. Un segnale per permettere ai due uomini che stavano aspettando di non perdere tempo a girare a vuoto attorno alla fortezza.

 

“Pare che quei due sgorbi abbiano una qualche utilità!” –Esclamò una squillante voce maschile, camminando a passo deciso nella tormenta, diretto verso l’arco di ingresso. –“Dovremo aspettare ancora prima di darli in pasto alle serpi di Nastrond!”

 

“Non disprezzare i servitori della Regina di Hel! Servono la nostra stessa causa!” –Commentò una voce più adulta, al suo fianco. –“Inoltre, è stato grazie a loro, che ti trovarono per caso dopo che fosti sconfitto, che ho potuto salvarti quel giorno, o mi sarei perso in quel dedalo di corridoi e tu saresti morto, sepolto dal gelo nero che già ti stava ricoprendo!”

 

“Devi continuamente puntualizzare?!” –Brontolò l’altro, giungendo infine a Fallandaforad, la soglia d’ingresso di Eliudhnir, sotto le torce che illuminavano i loro visi maschili e le corazze dalle forme tetre che avevano indosso.

 

“Ci tengo a ricordarti a chi devi la tua presenza qui, quest’oggi, nel nuovo mondo che stiamo per far sorgere! E a chi devi obbedienza, Megrez! A tuo padre!” –Aggiunse il secondo uomo, varcando la soglia, seguito poi dal figlio, che non gli risparmiò un’occhiata di sbieco.

 

Ganglot li stava aspettando, con una lanterna in mano, in quello che un tempo era stato l’atrio della reggia, ormai un vuoto stanzone dove la nebbia si era insinuata così in profondità da ostacolare persino la respirazione. Dopo che Hel era stata sconfitta e imprigionata da Odino, nel breve conflitto scaturito in seguito alla cattura di Balder, pareva che l’intero Eliudhnir si fosse congelato con lei, perlomeno quel che era rimasto dopo la distruzione chiesta dal Principe Freyr, deciso a eliminare qualsivoglia nefasta creazione si celasse nei suoi anfratti.

 

Bentrovati, oriundi portatori di gelo!” –Tossì la rachitica voce della servitrice di Hel. –“Spero che abbiate fatto un cattivo viaggio dalla spiaggia a qua! Cattivo sì, ih ih, proprio come me!”

 

“Abbastanza da indurci a trattenerci solo il necessario per l’operazione, Ganglot! Perciò, se vuoi fare strada…” –Esclamò il padre di Megrez, con un tono che non ammetteva repliche.

 

Ganglot tirò su con il naso, sghignazzando tra sé, prima di volgere loro la schiena ingobbita e procedere nell’interno del palazzo. Megrez la fissò per qualche secondo, trovandola repellente, per l’aspetto da megera, per le vesti di stracci che le coprivano il sudicio corpo, odoroso di morte e di miseria, per le mani ossute dalle unghie nere che stringevano tremolanti la lanterna. L’avrebbe uccisa subito, con un solo colpo di spada, non fosse stato per l’utilità che poteva avere, assieme a quel derelitto di suo fratello, nel guidarli per Eliudhnir.

 

Bofonchiò tra sé, prima di seguirli, giusto in tempo per non perdere la luce della lanterna, che già stava venendo inghiottita dalle tenebrose nebbie di Hel. Percorsero in silenzio i corridoi del palazzo, passando dietro muri abbattuti e passaggi seminascosti, scendendo di livello in livello, fino a giungere alle segrete, non molto distante dalla stanza dove Megrez era stato sconfitto da Cristal il Cigno.

 

Il ragazzo ringhiò, stringendo i pugni con rabbia, al ricordo di quell’umiliazione che non gli dava pace, e di quel che aveva dovuto subire in seguito, venendo salvato da suo padre, e trovandosi quindi in debito con lui.

 

Vorrei essere morto là dentro, così da non dover sottostare alla sua autorità! Sibilò, tirando un’occhiata alla sua destra e riconoscendo lo stanzone, dal soffitto ormai crollato, dove Hel aveva rinchiuso i Cavalieri d’Oro di Atene.

 

Il padre parve comprendere i suoi pensieri e lo apostrofò bruscamente.

 

“Come certo ricorderai, siamo quasi arrivati!” –E non nascose un ghigno di perfida soddisfazione, mentre Ganglot sollevava la lanterna, socchiudendo i suoi piccoli occhi giallognoli, per prendere la diramazione giusta e condurre i due Megrez alla fine del percorso.

 

Un’ampia corte interna, da cui un tempo si poteva accedere anche da fuori, prima che il terreno venisse smosso e tonnellate di neve e ghiaccio ne ricoprissero una parte, nascondendo ulteriormente la tomba della padrona del regno.

 

Ganglati li attendeva proprio là, con una lucerna in una mano e l’altra impegnata a scavarsi nel naso. Letame a cui è stata data una parvenza di forma umana, così Megrez etichettò entrambi i servitori della Regina di Hel, colei che aveva dato il nome al regno su cui Odino le aveva concesso l’autorità, confinandocela per sempre.

 

Colei che riposava, da un paio di mesi, all’interno di strati di ghiaccio, dopo che i poteri congiunti di Cristal il Cigno, Odino e Freyr l’avevano sconfitta. Megrez avrebbe voluto liberarla quel giorno, quando suo padre lo portò via da Eliudhnir, ma era troppo debole per farlo, e c’erano ancora troppi Einherjar in giro per Hel, lasciati dal Dio dell’Abbondanza e della Fertilità a sorvegliare la zona.

 

Chissà se erano gli stessi che abbiamo massacrato poc’anzi! Si disse il giovane che in un’altra vita era stato il Cavaliere di Asgard della stella Delta Ursae Majoris, ancora ebbro del sangue versato sul deserto di ghiaccio. Sogghignò, impugnando la spada infuocata che Artax aveva creato tempo addietro, nella caverna di lava, e liberando una fiamma che rischiarò l’intera corte.

 

Suo padre lo imitò all’istante, sebbene la spada che portava con sé fosse una semplice, ma ben affilata, lama, e dopo un fugace sguardo d’intesa col figlio si gettò contro la massa di ghiaccio, conficcandovi l’arma e imprimendovi tutto il suo cosmo. Megrez aveva già fatto altrettanto, sul lato opposto rispetto al corpo della Regina di Hel, lasciando che le fiamme penetrassero dentro la tomba di ghiaccio, liquefacendola in parte. Quel che bastava affinché il cosmo di colei che vi era stata imprigionata potesse tornare ad alitare.

 

Ganglot e Ganglati, rimasti a distanza di sicurezza, grugnirono soddisfatti nel vedere i due Megrez balzare indietro, armi ancora in mano, e una luce biancastra sorgere dall’indistinta massa di fronte a loro, che esplose poco dopo, obbligando i presenti a coprirsi gli occhi per non essere feriti dalle schegge di ghiaccio.

 

Ne emerse una figura, orribile a vedersi, dal fisico gracile, rivestita da una leggera tunica grigiastra che strascicava camminando, coprendole i piedi scalzi e avvizziti. Il viso era deforme, diviso in una parte umana, dai rosei tratti di donna, e in una cadaverica, simbolo del suo status in perenne bilico tra vita e morte, tra rinascita e putrefazione.

 

“Bentornata tra noi, Hel, figlia del divino Loki e della Gigantessa Angrbodhra e Regina del Niflheimr!” –Esclamò il padre di Megrez, inginocchiandosi. Lo stesso fecero suo figlio e i due servitori, posando le lucerne di fronte a loro, conferendo alla Dea, grazie alla luce proveniente dal basso, un’immagine ancor più spettrale.

 

“Miei fidi…” –Sibilò Hel, accennando un sorriso, che a Megrez parve più il ghigno di un teschio, tanto ingialliti erano i pochi denti che le erano rimasti. –“La vostra fedeltà sarà ricompensata! Poco, è vero, ho dormito, ma molto ho pensato! Siamo dunque pronti? È infine giunto il momento della rivalsa attesa per millenni?”

 

“Così è!” –Commentò con voce fiera il padre di Megrez, alzandosi infine in piedi.

 

Hel ghignò soddisfatta, prima di aprire le braccia e socchiudere gli occhi, caricando il suo corpo di mortifero cosmo. Un turbine di gelo si sollevò all’istante, sferzando il pavimento e spingendo indietro i quattro servitori, mentre i grigi capelli della Dea parvero danzare, sibilando come serpenti. Nel palmo della sua mano destra comparve la sua arma preferita, una scopa di saggina, con cui amava seminare la morte. Nel palmo della sinistra comparve invece un vecchio coltello spuntato, denominato Sultr, che la Dea fissò alla cintura che le fermava la veste.

 

Quindi impugnò la scopa e la scosse, con un movimento semicircolare, generando un’onda di energia che si abbatté sulla parete di ghiaccio alla sua destra, crepandola in più punti. Un secondo colpo a spazzare ed essa crollò del tutto, permettendo ai freddi venti infernali di penetrare all’interno della cavità.

 

Hel rise a squarciagola, lasciandosi inebriare da quelle correnti portatrici di gelo e morte, prima di sollevarsi in aria e scivolare all’esterno, seguita da Megrez e da suo padre, che, balzando agili tra i mucchi di ghiaccio crollati, riuscirono a tenere il passo, giungendo proprio ove un tempo si ergevano le alte mura perimetrali della Casa delle Nebbie.

 

“Mio padre?!” –Domandò allora la Regina di Hel.

 

“Sta arrivando!” –Rispose il padre di Megrez, accennando un sorriso soddisfatto per la loro macchina organizzativa. Una sincronia perfetta. –“E non verrà solo!”

 

“Una riunione di famiglia?!” –Ironizzò Hel, abbandonandosi a una sonora sghignazzata. –“E sia! Da molto non vedo i miei fratelli! Chissà se sono cresciuti…” –E nel dir questo portò due dita alla bocca, soffiando ed emettendo un fischio stridulo che risuonò per l’intero Niflheimr, fino ai margini estremi del deserto di ghiaccio.

 

Per qualche secondo non si udì rumore, soltanto l’ululare impetuoso nel vento, ma poi a Megrez e a suo padre parve di udire un abbaiare furioso farsi strada nel sepolcrale silenzio delle nebbie, fino a farsi sempre più consistente, privo dei lacci che lo avevano imprigionato fino ad allora.

 

“La mia cavalcatura!” –Sogghignò allora Hel, dando conferma ai sospetti che i due antichi Cavalieri di Asgard nutrivano. –“Una regina non può certo andare in giro a piedi! Se ben immagino il destriero su cui giungerà mio padre, non voglio essergli inferiore! Igh igh igh!”

 

Megrez e suo padre sogghignarono con lei, prima di discendere dall’altra parte di quel che restava delle mura di Eliudhnir e avviarsi verso Nastrond, ove avrebbero mostrato alla regina i frutti della loro demoniaca e operosa attività.

 

Non si voltarono verso la Casa delle Nebbie, sollevati forse di lasciarsela finalmente alle spalle, ma se anche lo avessero fatto difficilmente avrebbero notato due corvi neri appollaiati sulla torre più alta, intenti ad osservare gli eventi con attenzione.

 

Un attimo dopo, spalancarono le ali piumate, librandosi in aria, senza risentire delle correnti turbinanti, e si diressero verso i confini di Hel

 

Huginn e Muninn, pensiero e memoria, dovevano portare in fretta a Odino le ultime notizie.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 4
*** Capitolo secondo: Gelo nel cuore ***


CAPITOLO SECONDO: GELO NEL CUORE.

 

A Nuova Luxor non si era mai visto un freddo simile.

 

Per quanto i precedenti inverni non fossero stati miti, abbandonandosi a frequenti nevicate, anche in occasione di alcuni scontri dei Cavalieri dello Zodiaco, il termometro non era sceso in basso come quell’anno. Proprio nei giorni in cui Pegasus e i suoi compagni, desiderosi di riposo dopo le battaglie combattute contro Flegias, nient’altro avrebbero voluto che un po’ di tepore domestico.

 

“Mi sento un pupazzo di neve!” –Commentò Pegasus, entrando a Villa Thule assieme ad Andromeda, entrambi vestiti in maniera pesante, con un cappotto sulle spalle e un berretto di lana in testa.

 

“Puoi dirlo forte!” –Disse l’amico, sfregandosi le mani con forza, subito rinfrancato dal calore presente all’interno della residenza. –“Hai visto quanta gente c’era a teatro? O l’interesse della nostra società verso l’arte è aumentato all’improvviso o suppongo che molti desiderassero solo passare una serata al caldo!”

 

“Non saprei, non ci ho fatto molto caso!” –Si limitò a rispondere Pegasus, con aria sbadata.

 

“Per forza… Hai dormito tutto il tempo!” –Ironizzò Andromeda, attaccando il suo cappotto ad un appendiabiti, subito imitato dall’amico.

 

“Questo non è vero!” –Esclamò subito Pegasus, con aria imbronciata. –“Ho aspettato almeno la fine del primo atto!”

 

Andromeda non poté trattenere una risata nel ricordare l’espressione stupefatta, e a tratti infastidita, di molti spettatori presenti in platea, disturbati dal russare continuo di Pegasus. Ma in fondo se l’era cercata, invitando il meno adatto dei suoi amici a trascorrere una serata diversa, una serata in cui aveva potuto mettere da parte il suo ruolo di Cavaliere e protettore dell’umanità per divenire semplicemente Andromeda, un ragazzo come tanti, con i suoi gusti e i suoi ideali.

 

La voce di Lady Isabel distrasse entrambi, portandoli a volgere lo sguardo verso il piano superiore della villa, da cui proveniva il rumore di una conversazione in corso. Si diressero in quella direzione, invasi da una strana sensazione.

 

Da quando Mylock era morto, era come se la casa stessa fosse più fredda. Certo, il burbero maggiordomo non era la personificazione dell’allegria, ma era comunque molto professionale e servizievole nei confronti della nipote del Duca Alman, a cui non aveva fatto mancare niente nel corso degli anni. Anche dopo la presa di coscienza della ragazza della sua natura divina, aveva cercato di rimanere al suo fianco, offrendole il proprio, sia pur minimo, aiuto. E questo Isabel lo aveva sempre apprezzato.

 

Stavano pensando proprio a lui i due ragazzi quando entrarono nello studio della Duchessa di Thule, trovandola alla scrivania, intenta a parlare al videotelefono con il direttore della compagnia petrolifera della Grande Fondazione, Mr Newcomber.

 

“La situazione è grave, Lady Isabel! Molte navi mercantili, dirette in Scandinavia e in Russia, si sono incagliate in ghiacciai imprevisti nel Mar di Norvegia, e due petroliere non riescono a lasciare il porto di Bodo! Centinaia di iceberg stanno facendo impazzire il nostro centro di monitoraggio presso le Fær Øer e il suo responsabile ipotizza che presto potremmo vederne qualcuno risalire persino il Tamigi!”

 

“La ringrazio per ogni informazione, Signor Newcomber! Evitiamo allarmismi ma mi tenga informata su ogni variazione! A risentirci!” –Commentò la fanciulla dai capelli viola, chiudendo la comunicazione e sollevando infine il preoccupato sguardo verso Pegasus e Andromeda, che si erano seduti su due poltrone di fronte alla scrivania.

 

“Qualche problema?!” –Chiese subito il ragazzo dai capelli verdi.

 

“Lo stesso che affligge i notiziari di questi giorni! Le temperature sono in diminuzione in tutto il mondo, e a risentirne per prime sono le zone a bassa latitudine, che si stanno ricoprendo di un manto di gelo! Il Nord Europa, il Canada e la Russia settentrionale, e anche l’arcipelago giapponese, come dimostrato da questo secondo giorno di neve!”

 

“Bah, prima i ghiacci si stavano sciogliendo e adesso invece aumentano! Vorrei proprio che si decidessero a regolare l’interruttore del frigorifero!” –Commentò Pegasus, ma Lady Isabel, alzatasi in piedi, lo pregò di non scherzare.

 

“È un fenomeno serio! Non si era mai visto un freddo simile, e il fatto di essere appena entrati in autunno mi fa disperare! E sospettare!” –Mormorò la fanciulla, scostando le tende e lasciando vagare lo sguardo nell’oscurità della sera, puntellata da mille fiocchi di neve che continuavano a cadere sull’intera città.

 

“Cosa intendete dire, Milady? Credete che qualcuno stia controllando l’avanzata dei ghiacci?” –Intervenne Andromeda, mentre Isabel si voltava di scatto.

 

“È un’ipotesi, e in tempi come questi non mi sento di scartarla!” –Commentò, facendo incupire i due ragazzi. –“Da giorni sento un’energia negativa incombere su Asgard, un’ombra di gelo che non accenna a scomparire! E non è solo l’ansia per la mancata risposta di Ilda alla mia missiva! No, è qualcosa di più! Qualcosa di terribile sta per accadere tra quei ghiacci eterni, e temo per la Celebrante di Odino e per il suo popolo!”

 

Milady…” –Mormorò Andromeda, osservando l’affannare profondo della Duchessa di Thule, l’angoscia di chi aveva trascorso gli ultimi giorni a preoccuparsi per un amico lontano, senza poterlo raggiungere.

 

“Ritengo opportuno rientrare immediatamente ad Atene per conferire con il Grande Mur e i Cavalieri d’Oro al riguardo! Se i ghiacci aumenteranno ancora, vi saranno numerosi problemi alla popolazione terrestre, che le autorità non saranno in grado di gestire al meglio! È nostro compito non soltanto combattere fisicamente, ma anche aiutare i bisognosi!” –Esclamò Isabel, trafficando per la stanza e riunendo alcuni effetti personali.

 

E… quando pensate di partire?” –Balbettò Pegasus, preso un po’ alla sprovvista da quella decisione.

 

“Adesso! C’è un aereo che mi attende per decollare!”

 

Pegasus e Andromeda si scambiarono un’occhiata veloce, prima di annuire entrambi e alzarsi dalle poltroncine.

 

“Verremo con voi, Milady!”

 

Isabel sorrise ma non aggiunse altro, limitandosi ad uscire dallo studio, con una valigetta in mano, subito seguita dai due ragazzi.

 

“Dovrò passare dalla Darsena, avvisare mia sorella che starò fuori per… qualche giorno?!” –Rifletté Pegasus, più con se stesso che con gli altri.

 

“Mi dispiace, ma non ne abbiamo il tempo! Mi preme raggiungere Atene quanto prima! Ma se preferisci restare con Patricia, non preoccuparti, puoi sempre raggiungerci in seguito…” –Commentò Isabel, fermandosi in cima alla scalinata dell’atrio e fissando il ragazzo con uno sguardo ben adatto al clima di quei giorni.

 

Glaciale.

 

Era strano, si dissero entrambi, e forse anche Andromeda, come, nonostante tutto quel che avevano vissuto insieme, nonostante l’unione intima che c’era stata nelle loro anime, fossero adesso tornati all’inizio. Ai primi giorni della Guerra Galattica, quando si poteva avvertire una chiara tensione tra di loro, dovuta al carattere intraprendente di Pegasus che mal sopportava l’autorità di Isabel.

 

Ma adesso? Si chiese Andromeda, spostando lo sguardo dall’uno all’altra e notando quanto si fossero raffreddati i loro rapporti. Soprattutto dopo la sconfitta di Flegias. Perché? Cosa li frenava dall’essere quel che erano stati per tutto quel tempo? La Dea Atena e il suo Primo Cavaliere, più fedele di chiunque altro, più devoto di un martire alla causa.

 

“Non ce n’è bisogno! Sono sicuro che capirà!” –Si limitò a rispondere Pegasus, spostando infine lo sguardo e incamminandosi lungo la scalinata, con le mani nelle tasche dei jeans.

 

Andromeda lo seguì, senza risparmiarsi un’espressione stupita, e Isabel sospirò, realizzando di essere stata troppo dura. Soprattutto con il ragazzo che le aveva salvato tante volte la vita.

 

“Lascerò detto alla cameriera di farle avere un messaggio questa sera stessa! Non voglio che si preoccupi!” –Esclamò allora, scendendo a sua volta le scale e ricevendo un sorriso di ringraziamento da parte di Pegasus.

 

Troppo umana! Si disse, uscendo da Villa Thule, con il vento sferzante che sollevava fiocchi di neve. L’amore mi rende troppo umana! Si strinse nel cappotto e salì sulla limousine che la attendeva, subito seguita da Pegasus e Andromeda. Un’ora dopo erano già in volo, nuovamente diretti verso Atene.

 

***

 

Loki, Signore dell’Inganno, aveva radunato parte del suo esercito nel piazzale sul retro della cittadella di Midgard, proprio dove la Celebrante di Odino era solita riunire il popolo, per pregare assieme e invocare la benedizione del Signore degli Asi. Flare, uscendo all’aperto in quella gelida notte, scortata a vista da lupi e guardie armate, dovette stringersi nello scialle per coprirsi la gola dal vento che aveva iniziato a soffiare, molto più freddo del giorno prima. Sgranò gli occhi, alla vista di quella moltitudine di creature e uomini armati in mezzo alle quali stava camminando, dovendo ammettere di non saper riconoscere una buona metà di loro.

 

Sospirò, chinando il capo e costringendosi ad essere forte, mentre seguiva l’alta figura del Buffone Divino che passava in rassegna le sue truppe, quasi come fosse la sua dama di compagnia. Si rimproverò per non aver prestato ascolto alle spiegazioni di sua madre, e alle lezioni della nutrice, quando era una bambina, sulla ripartizione del mondo e sui vari popoli che lo componevano, convinta che tali nozioni avrebbero interessato più Ilda, la regnante, che non lei.

 

E invece sbagliavo! Si disse, lasciandosi trascinare dai ricordi. Quanto ho sbagliato! Troppo a lungo sono stata una bambina, convinta di poter rimandare il momento in cui avrei accantonato i ninnoli d’infanzia! E cosa ho ottenuto? Niente se non perdere tutto ciò che amavo. L’amico fraterno, la terra d’origine, la sua casa, e sua sorella. Rabbrividì a una tale prospettiva, stringendosi ancora di più nello scialle e accorgendosi solo allora che Loki si era fermato e la stava fissando incuriosito.

 

“Non lasciare che i ricordi vincano!” –Le disse, quasi sussurrando. –“Se io li avessi lasciati fare, loro ostaggio mi avrebbero reso, rinfacciandomi tutti gli errori del mio passato! Pur tuttavia sono qua, quest’oggi, ad inseguire il futuro! Sii forte anche tu per fare altrettanto!”

 

Non aggiunse altro e volse lo sguardo verso il comandante delle truppe disposte nel Recinto di Mezzo, che reggeva in mano una fiaccola. Al suo fianco gli altri quattro guerrieri che aveva reclutato, a ognuno dei quali aveva assegnato un reparto di Soldati di Brina. Un nome che Loki aveva scelto personalmente, sia per rimarcare il loro potere, che le sue origini, fiero discendente infatti della stirpe degli Jötnar, padri dei Giganti di Brina.

 

“Mio Signore!” –Esclamò Erik, raddrizzandosi in posizione militaresca. –“Siamo pronti! L’invasione di Asgard può avere inizio!”

 

“Eccellente!” –Commentò Loki, strusciandosi il mento soddisfatto, senza nascondere un sorriso sardonico per la serietà che il suo primo ufficiale pareva adesso emanare. Sapendo quanto fosse rude e poco incline alle formalità, era divertente vederlo comportarsi con professionalità in pubblico.

 

“Marceremo subito contro la fortezza di Odino?” –Intervenne una terza voce, che Loki ben conosceva. Quella del giovane Managarmr, che aveva allietato le sue ultime notti, anch’egli con una torcia in mano. La sua armatura, di colore verdastro, ricordava l’elegante silhouette di un lupo, soprattutto nell’elmo, dotato di due rubini intagliati a forma di occhi.

 

“Frena il tuo ardore giovanile, lupo della luna! Non possiamo certo presentarci tutti da Heimdall, spade alla mano, e dirgli: Scusa, ci faresti passare su Bifrost? Il tempo di distruggere Asgard e ce ne andiamo!” –Ironizzò Loki, mentre Managarmr arrossiva imbarazzato, e qualcuno alle sue spalle si abbandonava a una risata di scherno. –“No, direi che serve un piano migliore! Per questo esisto io!” –Sibilò a denti stretti, mentre alcuni servitori lo affiancavano, portando una pesante pelliccia, che, su ordine diretto del Dio, porsero a Flare, aiutandola ad indossarla.

 

La ragazza, un po’ stordita, li lasciò fare, cercando di sistemare alla meno peggio i vivaci capelli e richiudendo infine la cintura. Quando si voltò di nuovo verso Loki, si portò una mano alla bocca, soffocando un grido. Il Dio infatti non c’era più.

 

Al suo posto le sorrideva invece Cristal il Cigno, rivestito dalla sua splendida Veste Divina, le cui rifiniture d’oro risplendevano alla luce delle torce.

 

Co… cosa significa?!” –Trovò la forza per balbettare, mentre Cristal allungava una mano, fissandola con sguardo intenso, lo stesso sguardo di cui si era innamorata.

 

“Vieni, mia Principessa! Un nuovo viaggio insieme ci attende! Considerala la nostra… luna di miele! Ah ah ah!” –E sghignazzò così sonoramente da permettere a Flare di riprendersi dalla sorpresa e riconoscervi la voce del Buffone Divino.

 

Prima che potesse dire qualsiasi cosa, venne afferrata da un paio di guerrieri e spinta avanti, stavolta in maniera meno dolce, fino a portarsi di fianco al falso Cristal, che le porse il braccio, obbligandola, suo malgrado, ad accettare.

 

Il Dio scambiò ancora due parole con Erik, prima di congedarsi e incamminarsi con Flare verso il limitare dell’ampio piazzale, vicino al basamento della statua di Odino, dietro il quale una strana confusione era in atto. Dei soldati infatti, armati di lance e spade, stavano rivolgendo le armi verso una strana massa scura che la ragazza inizialmente non riuscì ad identificare, a causa della scarsa luminosità. Fu solo avvicinandosi, e udendo il suo feroce ringhiare, che Flare realizzò che si trattava di un lupo, il più grande che avesse mai visto. Non solo dal vero, nelle foreste ai piedi di Midgard, ma anche nei libri illustrati di favole e leggende della biblioteca di corte.

 

“Non un lupo qualsiasi, mia cara!” –Aggiunse Loki, ricordandole di essere in grado di carpire i suoi pensieri. –“Ma Skoll, fratello di Hati, il grande lupo divoratore! Non è stupendo? Vorrei poter dire che si tratta di un esemplare unico, ma in realtà non è così! Ah ah ah!” –Rise il Dio, mentre l’immensa bestia scaraventava a terra alcuni soldati con una sola zampata, sventrando i loro corpi moribondi. –“Salute a te, Skoll! Spero che tu non ti sia ingozzato troppo quest’oggi, perché un banchetto più prelibato ti attende! Inoltre, mio bel pelo, questi soldati mi servono! Vedi di non ammazzarne troppi!”

 

Sssono contento di vederti, Buffone Divino! I tuoi ssscagnozzi cercavano di tenermi a bada con quelle ssspille! Aaargh aaargh, buone sssolo per pulire le mie zanne dai resssti degli abitanti di Járnviðr!” –Parlò il lupo, mentre Flare, inorridita, si stringeva al braccio di Loki, osservando la spaventosa mole di quel lupo dal pelo grigio.

 

Járnviðr

?!” –Balbettò. –“La foresta che separa Midgard dalla Valle di Cristallo, i cui tronchi sono così solidi da essere definiti alberi di ferro? Ha ucciso i suoi abitanti?!”


“Dovresti ringraziarlo! Sai, alcune donnacce praticavano magia oscura! Stregonerie, sacrifici umani, cosucce del genere!” –Commentò Loki, divertito, ma Flare parve non prestargli ascolto, credendo che parlasse solo per schernirla e intimorirla. –“Del resto è là che Skoll e Hati sono stati generati, da una vecchia che ha procreato molte altre bestialità, rintanata nella sua caverna nel fitto bosco!”

 

“Che Odino ci aiuti! È orribile!” –Singhiozzò Flare, scioccata da tale rivelazione. –“Se penso che per anni molti uomini si sono recati a Járnviðr, soprattutto dopo l’emanazione dell’Editto contro la Caccia voluto da Ilda, sperando che le guardie non giungessero a sorprenderli in quel luogo distante dalla Cittadella! E anch’io un paio di volte mi ci sono recata, a cavalcare con… Artax…

 

Sssei ssstata fortunata, deliziossso bocconcino! Ma oggi potresssti non essserlo! Aaargh, aaargh!” –Rise Skoll, chinando la robusta testa su di loro e fiatando in faccia a Flare il suo pungente alito, intriso di un odore che la ragazza aveva imparato a riconoscere. L’odore del sangue e della morte.

 

“Conserva il tuo appetito per più tardi! Adesso servi a me!” –Intervenne Loki, al cui cenno il lupo parve quietarsi e accucciarsi. Alcuni soldati si fecero avanti, sia pur con una certa riluttanza, e aiutarono Flare e il Signore dell’Inganno a salire sulla groppa della bestia, affondando nel folto pelo argenteo. –“Spero tu ti sia lavato a fondo per l’occasione! Non vorrei ritrovarmi la bocca piena di pidocchi!” –Ironizzò il Fabbricatore di Menzogne, dando ordine a Skoll di sollevarsi e mettersi in marcia. –“La notte sta volgendo al termine ed è necessario arrivare alla rupe prima dell’alba!”

 

Flare sobbalzò, aggrappandosi ai ciuffi di pelo di Skoll, mentre questi balzava di rupe in rupe, inerpicandosi per le alte montagne sul retro della cittadella di Midgard. Loki, seduto dietro di lei, sembrava perfettamente a suo agio, e la teneva stretta, cingendole la vita con un braccio, avendo cura che non cadesse.

 

Era strano per essere un Dio, rifletté la ragazza. Ingannatore, bieco conquistatore, assassino, eppure carismatico, dotato di un fascino perverso che, non fosse stato quello che era, lo avrebbe reso un buon amico, un soldato fedele e forse anche un ottimo amante.

 

“Stai entrando nella parte!” –Le sussurrò il Dio, mentre Skoll raggiungeva la vetta più alta, sull’altro versante della quale si apriva una terrazza rivolta verso le nuvole e il cielo lontano. –“È così che ti voglio! Ma non innamorarti di me!” –Scherzò, aiutandola a smontare dalla schiena del lupo. –“Ti terrò in vita solo finché mi servirai!”

 

Flare gli rivolse uno sguardo per la prima volta ostile, cercando di nascondere la paura che serpeggiava in lei, ma Loki le sorrise, facendo spallucce e indicando Skoll, che torreggiava sopra di loro.

 

“Mi dispiace, sei già stata venduta! Del resto gli affari sono affari, no?!” –E le passò davanti, avanzando a passo deciso tra la neve che ricopriva la montagna, prima di rivolgersi al lupo. –“Meglio che tu non vada oltre, Denti d’oro ha un udito finissimo! Pare che riesca a sentire persino il frusciare dell’erba e la lana ingrossare quotidianamente il vello delle pecore! Su questo lato siamo riparati dal vento, ma sull’altro saremmo esposti! Torna a Midgard e state pronti! Quando ci rivedremo, vostro padre, il capostipite di tutte le fiere, sarà con me!”

 

Skoll ululò eccitato, prima di scattare via e ridiscendere la montagna, lasciando Flare e Loki, dall’aspetto di Cristal, a pochi passi dall’ingresso di Asgard.

 

“È dunque questo che vuoi? Liberare i tuoi figli e usarli per uccidere Odino?!”

 

“Precisamente! Stai diventando acuta! La mia vicinanza ti fa bene!” –Ironizzò l’uomo, porgendo nuovamente il braccio alla ragazza, che si allontanò però da lui.

 

“Non credere che mi presterò ulteriormente a questa commedia! Quando Heimdall ci verrà incontro gli dirò chi sei e lui…

 

“Fallo e tua sorella morrà! E tutti gli abitanti di Midgard e della cittadella saranno sterminati!” –Sibilò Loki, andandole dietro e afferrandola brutalmente per un braccio, fino a volgerle il capo con forza. –“E userò le loro teste per decorare la tua camera da letto, permettendoti di vedere ogni notte le loro espressioni disperate che ti accusano per averli condannati a una così deprecabile fine!”

 

La… lasciami! Perché hai preso me? Uccidimi piuttosto, uccidimi, ma non obbligarmi a tradire Asgard!” –Pianse Flare, cercando di divincolarsi, senza riuscirvi, dalla stretta dell’uomo.

 

“Siamo spesso costretti a fare qualcosa che non vorremmo, ma è necessario per l’avanzare della marea! Ora tu scenderai con me sull’altro versante, invocando Heimdall e fingendoti una sposina felice!”

 

“Ma io… non so farlo… non so chiamarlo! Loki ti prego!”

 

“Le tue bugie mi disgustano, Principessa di Midgard, e a nient’altro portano se non alla morte di tua sorella! È questo che vuoi?” –Le sibilò in un orecchio, mentre con una mano si intrufolava sotto la sua sciarpa, strappandogliela e aprendole la camicetta, rivelando quel che cercava da tempo. –“Brisingamen!” –Un monile d’oro che la ragazza portava al collo da anni.

 

“Da quando Frigg, moglie di Odino, te ne fece dono alla cerimonia di investitura di tua sorella a Celebrante! Non prendermi per uno stupido, perché io sono tutto fuorché quello!” –Esclamò Loki con rabbia, schiaffeggiandola per la prima volta. –“Conosco la sua storia e so che apre le porte di Asgard, proprio come le ha aperte al biondino a cui l’hai ceduto settimane addietro, come pegno d’amore e come mappa per ritrovare la strada! Perciò, se un mortale se lo ha usato, non sarà un delitto se sarà una delle più possenti Divinità a servirsene, non credi?!”

 

Flare, piombata nella neve, non riuscì a rispondere alcunché, limitandosi a inghiottire a fatica, spaventata da quell’attacco d’ira, da quel lato terribile di Loki che finora non aveva conosciuto. O che aveva temuto, nascosto dietro i suoi modi garbati.

 

“Ricomponiti!” –Ordinò il Dio, osservandola dall’alto con sguardo fiero, mentre Flare, sforzandosi di metter via le lacrime, si rialzava, chiudendosi la pelliccia e sistemandosi. –“Adesso sei perfetta! Vogliamo andare?” –Le sorrise Loki, porgendole il braccio e facendo strada, lungo uno stretto sentiero che girava intorno alla montagna fino a condurre ad una piazzola che la ragazza ben conosceva.

 

Era là infatti che aveva usato per la prima volta Brisingamen, invocando la protezione di Heimdall su di sé e su Cristal, colui che la notte precedente aveva scoperto di provare qualcosa per lei, qualcosa di così intenso da superare persino le difese del Talismano della Dimenticanza, permettendogli di riappropriarsi delle memorie perdute. Ricordi che includevano anche lei.

 

Ritrovarsi lì, quel giorno, a fianco di un uomo che odiava e che presto avrebbe distrutto il suo mondo, nonché ogni mondo conosciuto, fu una violenza per il suo cuore e per un momento credette che non ce l’avrebbe fatta, che sarebbe crollata invocando la morte piuttosto che tradire in quel modo Odino e il suo popolo. Ma poi si ricordò di Ilda, lasciata a languire nelle segrete del castello, e di ciò che le aveva detto prima che Loki spuntasse nel Salone del Fuoco. E di quel che la sorella aveva affrontato in passato, prigioniera dell’Anello del Nibelungo e poi ardita valchiria sul Monte Olimpo. In entrambe le occasioni aveva sofferto, aveva visto morire le persone che amava, aveva lottato per qualcosa, per un futuro. Chi era lei, adesso, per non fare altrettanto, per umiliare sua sorella, crollando in puerili lacrime da bambina?

 

Si fece coraggio, inspirando a fatica, prima di distaccarsi da Loki e muovere qualche passo avanti, mentre il vento di alta quota sollevava i lembi della sua pelliccia, insinuandosi dentro di lei. Sfiorò il monile che portava al collo e ripeté la formula che il Custode del Ponte Arcobaleno le aveva insegnato anni addietro.

 

“Oh Heimdall, che di Asgard sei il guardiano, concedi a me, Flare di Polaris, il permesso di raggiungere Odino per conferire con lui! Ascolta la mia voce, Heimdall di Asgard, e concedimi di raggiungere il Valhalla!”

 

Per qualche secondo non accadde niente, poi una luce comparve nel cielo di fronte a loro, divenendo sempre più intensa, sempre più grande. Flare sorrise, al pensiero di tornare ad Asgard, e cercò di nascondere i veri turbamenti del suo cuore, a Loki, che li avrebbe subito scoperti, e ad Heimdall, Divinità che, sebbene non praticasse la lettura della mente, sapeva guardare a fondo dentro una persona con il solo sguardo, più acuto di quello di qualsiasi altra creatura.

 

Proprio la sua sagoma guerriera comparve poco dopo sul Ponte Arcobaleno, che aveva quasi terminato di manifestarsi, giungendo a lambire il suolo innevato della montagna.

 

Alto e robusto, rivestito dalla sua cotta divina, con il Gjallarhorn alla cintura, Heimdall, il Custode di Bifrost, si fermò a pochi metri da loro, fissando entrambi con circospezione.

 

“Lieta di rivederti, Dio Bianco!” –Si inchinò subito la Principessa, e anche Cristal, al suo fianco, accennò una riverenza, senza nascondere un sorriso. Che per Loki era di soddisfazione, ma che l’Ase interpretò come piacere nel rivedersi.

 

“Bentornata ad Asgard, Principessa di Polaris! E noto con piacere che anche stavolta non siete da sola! Che il baldo giovane al vostro fianco voglia gustare ancora una coppa del nostro idromele?” –Sorrise il Guardiano di Ásbrú, facendo cenno a Flare e a Cristal di incamminarsi verso di lui.

 

“Come rifiutare un così allettante invito?!” –Commentò Cristal, con il migliore dei sorrisi, poggiando piede sulla superficie di Bifrost.

 

In quel momento Heimdall trasalì, al rumore del passo del Cavaliere del Cigno, che gli parve diverso dal solito, dall’incedere deciso che aveva caratterizzato le sue visite precedenti. Poi vide Flare avvicinarsi al ragazzo, prenderlo per un braccio e trascinarlo avanti, senza risparmiare sorrisi, né al nume né al Cavaliere. E allora si riscosse, mentre Flare gli passava accanto, incamminandosi lungo Bifrost e chiedendo notizie di Odino, di Frigg e delle altre Divinità che presto, con sua grande felicità, avrebbe rivisto.

 

Heimdall si limitò a qualche commento sparso, non essendo un gran chiacchierone, ma Flare, come Loki l’aveva precedentemente intimata di fare, continuava a porgli domande e a sorridergli, sperando così di distrarre la sua attenzione il più a lungo, impedendogli di fissare entrambi con sguardo attento.

 

Che vi fosse nell’aria qualcosa di sospetto lo aveva percepito anche Odino, rinchiuso da giorni nella sua residenza di Valaskjálf, la Rocca degli Eletti, a meditare sul destino che avrebbe atteso tutti gli Dei. Persino Frigg, sua sposa, e Freyr, suo consigliere, avevano avuto difficoltà a comunicare con lui, consci del velo di gelo che stava calando su tutti i nove regni. E dopo che Huginn e Muninn, i corvi fedeli che giravano per i mondi per carpirne i segreti, erano rientrati dal Niflheimr, portando la notizia della liberazione di Hel, il Signore degli Asi aveva capito che non poteva permettersi di tergiversare un momento di più.

 

Per questo, prima dell’alba, era montato a cavallo di Sleipnir, affidando come sempre a Freyr il comando in sua assenza, ed era sfrecciato veloce come un lampo verso la terra dei Giganti. Là infatti si trovava una fonte che aveva già consultato in passato, al fine di ottenere risposte, Mímisbrunnr, custodita un tempo da Mimir, il Dio ingiustamente decapitato dai Vani durante una delle prime contese tra la loro stirpe e quella degli Asi.

 

A quella sorgente di acque gelide, situata nei pressi di una delle radici dell’immenso Albero dell’Universo, Odino aveva perso un occhio, ceduto in dono al guardiano per ottenere una vista diversa e più preziosa. Lo sguardo del saggio che sapeva guardare al di là dell’apparenza e scoprire la sostanza di tutte le cose.

 

Come facesse, nessuno lo sapeva e molti all’inizio, soprattutto tra i Vani ma anche tra gli Asi, avevano deriso Odino, per essersi lasciato imbrogliare e aver perso un occhio. Ma presto avevano dovuto ricredersi, poiché non soltanto le abilità guerriere del Dio non erano diminuite ma la sua saggezza pareva davvero essere cresciuta, il suo occhio pareva davvero spaziare su tutto il creato.

 

Erano in pochi a sapere che nelle acque della Fonte di Mimir, sul cui fondo l’occhio del Dio giaceva, a memoria imperitura del prezzo pagato per ottenere la Vista, Odino poteva trovare conforto, ascoltando e venendo ascoltato da un uomo che non aveva mai incontrato di persona, ma che, al pari suo, dominava un regno nascosto, il cui ingresso agli uomini era celato.

 

“Non senti la neve arrivare da ogni direzione, possente Sigföðr, Padre della Vittoria? E il ghiaccio farsi spesso e i venti taglienti? Presto il sole non scalderà più e la grande ombra, il cui avvento abbiamo tanto temuto, sovrasterà tutti noi!”

 

“Cosa possiamo fare? Come possiamo evitare l’inverno?” –Chiese Odino, il viso barbuto sporto oltre le pietre che bordavano la fonte.

 

“Non possiamo! È nel nostro destino, di uomini e di Dei, affrontarlo! Con lo stesso rigore che esso riserverà a noi!” –Esclamò l’immagine che si intravedeva tra le acque. –“Arrendendoci pavidi non ci salveremmo comunque!” –E aggiunse dei versi in norreno che il nume ben conosceva. E al tempo stesso temeva. –“Skeggjöld, skálmöld, skildir klofnir, vindöld, vargöld, áðr veröld steypisk!”

 

“Tempo di asce, tempo di spade, s’infrangeranno scudi, tempo di venti, tempo di lupi, prima che il mondo cada!” –Ripeté Odino, mentre il frusciare leggiadro di passi sull’erba di Jötunheimr lo portò a sollevare lo sguardo, incrociando quello del figlio, Balder lo splendente.

 

“Ero certo che ti avrei trovato qui!” –Commentò questi, accennando un sorriso.

 

Odino non disse niente, limitandosi a sfiorare le acque della fonte, scomponendo la visione e dando l’ultimo saluto al Signore dell’Isola Sacra, ringraziandolo per l’aiuto e per i suoi consigli.

 

 

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Capitolo 5
*** Capitolo terzo: Strategie ***


CAPITOLO TERZO: STRATEGIE.

 

Durante la trasvolata Lady Isabel si lasciò sprofondare sulla poltroncina dell’aereo, ripensando alla conversazione avuta quel pomeriggio nell’osservatorio, con suo nonno, il Duca Alman, che così tanto aveva cercato nei giorni precedenti, senza riuscire a mettersi in contatto con lui.

 

Dopo la distruzione del planetario, in seguito all’incendio appiccato dal Cavaliere della Fiamma, Isabel aveva infatti deciso di ricostruirlo, incapace di separarsi da un luogo che così tanto aveva segnato la sua infanzia, avendovi trascorso giornate intere a parlare con il nonno e ad osservare le stelle. Un sentimento che col tempo non si era affievolito, neppure dopo la morte del Duca, neppure dopo la perdita delle registrazioni che aveva lasciato alla nipote, per consigliarla anche in sua assenza.

 

Nonostante non potesse più vederlo realmente, Isabel sapeva che Alman era lì, con lei, pronto ad ascoltarla. C’era qualcosa, nelle loro anime, che li univa. Forse un dono dal cielo, forse il risultato di un processo evolutivo durato secoli, risalente a qualche precedente incarnazione della Dea.

 

Proprio di questo avevano parlato. Di quanto Isabel stesse crescendo, di quanto Atena stesse crescendo, al punto che adesso le era difficile tenere separate le due metà della sua persona. Il lato umano e il lato divino, che sempre più stava prendendo il sopravvento.

 

Certo, vi erano ancora momenti, come nel battibecco appena avuto con Pegasus, in cui si sentiva ancora una ragazza di diciotto anni, con i suoi sogni e i suoi umori, ma il mutamento che stava avvenendo in lei era innegabile, e soprattutto inarrestabile.

 

Iniziato con la lenta scoperta di sé, durante gli scontri con i Cavalieri d’Oro alle Dodici Case, e proseguito nelle battaglie sostenute ad Asgard, il suo status di Divinità si era infine imposto negli scontri con Nettuno, Ade e Ares, che così la consideravano. Ma era stato l’incontro con Avalon a cambiare ogni cosa, ad istigare la marea del mutamento ad accelerare.

 

Fin da quando aveva sfiorato l’anello con le antiche rune celtiche, che il Primo Saggio le aveva offerto in dono, aveva perso il controllo della sua mente e tuttora, di frequente, accadeva che le comparissero davanti immagini di tempi remoti. Momenti che lei stessa aveva vissuto in ere passate, di cui aveva perso ogni memoria fino ad allora e che invece adesso stavano ricostruendosi di fronte ai suoi occhi, frammenti di un puzzle che stavano andando al loro posto.

 

Sorridendo, Atena volò con la mente indietro, ritrovandosi bardata della sua Veste Divina a lottare a fianco del Signore dell’Isola Sacra e di Zeus nelle terre di Britannia, per difenderle dai demoni che volevano insozzarle. Si rivide consegnare la spada Caledwich al Cavaliere d’Oro di Capricorn, la cui generosità aveva dato una svolta significativa a quella guerra. Poi volò ancora più indietro, ricordando la prima Guerra Sacra combattuta contro Ares, i massacri indicibili a cui i berseker si abbandonarono, il sangue sparso da ambo le parti e lo scontro che seguì con il Dio dell’Oltretomba. Fu in quell’occasione, ricordò, che Ade venne ferito per la prima volta dal Cavaliere di Pegasus, i cui lineamenti, il cui spirito, la cui determinazione, alla Dea non potevano che ricordare il Pegasus dell’epoca attuale, quasi ne fosse la reincarnazione.

 

Sospirò, dispiaciuta per la situazione irrisolta che si era creata tra lei e il ragazzo, e continuò a scivolare indietro, come faceva ogni notte, quando chiudeva gli occhi abbandonandosi sul grande letto di Villa Thule. A volte credeva che la sequenza dei suoi ricordi non fosse casuale, che qualcuno stesse cercando di manovrarli per spingerla verso qualcosa di ancora ignoto, qualcosa che ancora non era arrivata a recuperare dagli abissi della memoria. All’alba dei tempi.

 

Che Avalon abbia anche questo potere? Si chiese la Dea, convinta che il ruolo del Signore dell’Isola Sacra fosse ben lungi dall’essersi concluso così, con il celere aiuto che aveva dato loro nella guerra contro Flegias. Non riuscì a pensare altro che il sonno vinse su di lei, spingendola a chiudere gli occhi. Prima di farlo, spostò leggermente il braccio, sfiorando la mano di Pegasus seduto accanto a lei.

 

Fu Robert Brunch ad avvisarli che stavano per arrivare.

 

Pegasus si stiracchiò, sbadigliando sonoramente, mentre Isabel, ringraziato l’assistente di volo, si alzò, dirigendosi verso la toeletta per cambiarsi d’abito. Indossava ancora l’elegante tailleur che Mylock le aveva acquistato due anni prima, facendolo arrivare direttamente da Milano, desideroso che la ragazza figurasse al meglio nelle occasioni pubbliche, come una vera donna d’affari. Isabel sospirò al ricordo delle sue premure, indossando vesti più consone al suo ruolo guida del Grande Tempio.

 

Era l’alba ad Atene quando il jet a reazione della Fondazione atterrò nell’arena e, proprio com’era accaduto l’anno precedente, in occasione della scalata delle Dodici Case, c’era qualcuno ad attendere Pegasus e gli altri.

 

“Brrr, non ricordavo che l’aria greca mattutina fosse così frizzante!” –Commentò il ragazzo, mettendo la testa fuori, prima di scendere la rampa di scale, seguito da Andromeda e da Lady Isabel.

 

“Pegasuuus!” –Gridò Kiki, correndogli incontro. Non gli diede neanche il tempo di accorgersi di chi fosse che già il ragazzino gli era saltato in collo, abbracciandolo e strusciandogli un pugno sopra la testa.

 

“Ehi, piccola peste!!!” –Esclamò Pegasus, cercando di liberarsene.

 

“Kiki, smettila subito! Non è il momento di giocare!” –La voce calma ma ferma di Mur dell’Ariete rimproverò il fratello, che subito si ricompose, prima che entrambi si inginocchiassero di fronte a Lady Isabel. –“Bentornata al Grande Tempio, Dea Atena! La vostra venuta qui è sempre fonte di serenità per tutti i suoi abitanti, anche se, ammetto, non era poi così imprevista!”

 

“Lo immaginavo!” –Sorrise la Dea, facendo cenno a Mur e Kiki di alzarsi, prima di incamminarsi assieme a loro verso le Dodici Case. –“Avete percepito anche voi l’abbassarsi della temperatura terrestre?”

 

Mur annuì, procedendo a fianco di Atena, mentre Kiki, dietro di loro, continuava a stuzzicare Pegasus, felice di rivederlo, e Andromeda, silenzioso, chiudeva il gruppo.

 

“È stato Ioria, per primo, ad avvertire che c’era qualcosa di strano! Avendo vissuto per anni in Grecia ha subito percepito il, sia pur leggero, raffreddamento climatico! Dopo di che, Virgo ed io ci siamo messi ad indagare sulle cause di un evento apparentemente inspiegabile, mentre Libra inviava informatori in ogni parte del globo, soprattutto in Nord Europa, per avere dati più precisi!”

 

“Cosa avete scoperto?” –Domandò allora Isabel. Ma prima che Mur potesse risponderle, i due dovettero voltarsi verso Andromeda, accasciatosi a terra con un gemito leggero, che non era però sfuggito a Pegasus, prontamente chinatosi su di lui.

 

“Ehi, amico, che succede?!” –Esclamò, mentre il ragazzo si toccava la testa.

 

“Sta… succedendo di nuovo…” –Si limitò a mormorare, di fronte agli sguardi attoniti e preoccupati dei presenti. –“Una voce… un suono lontano…”

 

Fu allora che tutti la udirono, sia pure non distintamente. Una voce maschile e antica, che pareva provenire da un luogo indefinito, parlò ai loro cosmi,

 

“Dea Atena! Cavalieri dello Zodiaco!”

 

“Questa voce…” –Mormorò Pegasus, riconoscendo il Dio che l’anno precedente gli aveva concesso di utilizzare la sua armatura. Lo stesso fece Atena, sebbene non l’avesse mai incontrato di persona. –“Odino!!!”

 

Il messaggio era chiaramente disturbato e poche parole i Cavalieri e la Dea riuscirono a captare. Parole che però confermarono i loro peggiori timori.

 

“Asgard è in pericolo! Aiutateci!”

 

Non aggiunse altro, il Signore degli Asi, e la sua voce scomparve, spazzata via dal vento, mentre Andromeda finalmente si rimetteva in piedi, aiutato da Kiki e da Pegasus.

 

“Era ciò che temevo!” –Commentò Atena, sospirando. E fece cenno agli altri di riunirsi attorno a lei. Il tempo era scaduto ed era necessario agire quanto prima.

 

Il cosmo della Dea avvolse i quattro compagni in un abbraccio di luce, prima di scomparire e trasportare tutti nel salone del Grande Sacerdote, alla Tredicesima Casa.

 

“Vorrei darti un’occhiata appena possibile, Andromeda! Questa tua continua cefalea mi preoccupa!” –Esclamò Mur, con aria greve, ottenendo un lieve cenno di assenso col capo da parte del ragazzo. 

 

Ioria del Leone e Dohko di Libra entrarono pochi minuti dopo, rivestiti dalle loro armature d’oro. Salutarono Pegasus e si inginocchiarono di fronte alla Dea appena assisasi sullo scranno. Come Mur, avevano sentito il suo cosmo avvicinarsi ed erano desiderosi di parlare con lei.

 

“Il messaggio di Odino lascia poco spazio ai dubbi!” –Esclamò il maestro di Sirio. –“Quel che sta accadendo ad Asgard influenza gli eventi della Terra intera!”

 

“Lo credo anch’io! Non può essere un fatto isolato!” –Confermò Mur. –“Niente lo è più, ormai! Ma ogni nemico affrontato ultimamente è stato soltanto una goccia in un mare di tenebra sempre più vasto!”

 

“Lascia da parte la filosofia, Mur, mi sembra di sentir parlare Virgo! Qua bisogna agire, e subito! Non ho intenzione di ritrovarmi in una nuova glaciazione!” –Incalzò subito Pegasus. –“Ma, a proposito, dov’è il Cavaliere di Virgo? Perché non è qua con voi?”

 

“Il Custode della Porta Eterna medita nella casa da lui presieduta e ha dato espresso ordine di non essere disturbato! Sarà lui a mettersi in contatto con noi quando avrà terminato il suo processo meditativo!” –Spiegò Libra.

 

“Ma sentilo, il signorino! Cosa vuole, che gli serviamo anche del tè?!” –Brontolò Pegasus, mentre Andromeda gli metteva una mano su una spalla, per calmarlo.

 

“Mia Dea!” –Intervenne allora Ioria, rivolgendosi direttamente ad Atena. –“Le Sacerdotesse dell’Aquila e dell’Ofiuco pattugliano i confini del Grande Tempio e il Cavaliere dell’Unicorno, per ordine stesso di Dohko di Libra, il più anziano Cavaliere d’Oro, e come tale insignito della podestà temporanea di controllo sulle nostre truppe, sta radunando i soldati semplici! Se la minaccia che ha velato il cielo di Asgard dovesse scendere su Atene, saremo pronti ad affrontarla!

 

“Vogliano gli Dei che non sia il caso! Un’altra guerra?!” –Sospirò Atena, che aveva sempre in mente le orride scene che le si erano presentate di fronte quando, dopo la dipartita di Ares, era rientrata al Grande Tempio, trovandolo devastato, distrutto e ridotto ad un immenso obitorio, pregno di un fetido odore di morte. Aveva pianto, gettandosi a terra e chiedendo perdono, sentendosi responsabile della loro morte, di fronte ai cadaveri di Gerki, Lupo, Aspides, Leone Minore, Scorpio e di tutti i soldati semplici. E ugualmente aveva fatto quando le salme di Shadir, Benam e Lear erano arrivate dal Giappone.

 

Per quanto non fossero annoverati tra gli ottantotto canonici Cavalieri della Dea, anche i tre ragazzi di Luxor si erano battuti per lei, aiutando Pegasus e gli altri in più occasioni, e Atena aveva ritenuto opportuno seppellirli nel Cimitero dei Cavalieri.

 

“Non ho ancora capito cosa stia succedendo ad Asgard!” –Esclamò Pegasus, richiamando l’attenzione della Dea e dei Custodi Dorati. –“Chi minaccia ancora la città del Nord? Non sapevo che avesse dei nemici…”

 

“Le terre del Nord sono da sempre terre di guerra, Pegasus! Per secoli, a causa della rigidità del clima, gli uomini sono stati costretti ad essere forti. Ad esserlo per non morire, succubi della fame o della violenza del vicino! Un popolo di guerrieri, di arditi e di eroi. Un popolo su cui, ahimè, pesa la scure di una profezia, tramandata di generazione in generazione, la cui sola esistenza basta per oscurarne lo splendore!” –Spiegò Atena, mentre Libra e Mur annuivano, ben conoscendo la storia e la cultura di Asgard. –“È chiamata Profezia della Veggente, poiché pare che millenni addietro sia stata una donna dotata del dono della Vista a predirla a Odino! Criptica, come tutte le profezie, ma incisiva! Nelle sue parole, in quei versi sciolti che snocciolò con noncuranza di fronte al Signore degli Asi, stava il cuore della civiltà di Asgard e il suo destino! Un inverno escatologico!”

 

“Il destino di Asgard?!” –Mormorò Pegasus.

 

“La veggente profetizzò il Ragnarök! Il crepuscolo degli Dei! La fine del mondo!” –Confessò infine Isabel, di fronte al preoccupato sguardo dei Cavalieri d’Oro e a quello angosciato di Pegasus e Andromeda. –“Il giorno in cui le forze dell’oscurità avrebbero sferrato il loro massimo assalto, ponendo fine all’antico regno degli Asi!”

 

“Questo è terribile! Ilda, Flare, Odino… sono in pericolo!” –Si agitò Pegasus.

 

“Lo so! E credo che anche loro ne siano a conoscenza! Nessun Dio, né sacerdote preposto al suo culto, potrebbe essere ignorare la Profezia della Veggente!”

 

“Cosa aspettiamo, allora?! Corriamo subito ad Asgard! Non c’è tempo da perdere!”

 

“Calmati, Pegasus! Andremo ad Asgard, questo è certo, ma non caricando a testa bassa vinceremo questa guerra su cui ben poco sappiamo, tanto attesa e al tempo stesso tanto oscura!” –Affermò Isabel. –“Soffro come te al pensiero di ciò che possa star accadendo a Ilda e alle genti del nord e farò tutto ciò che è in mio potere per portare loro aiuto! Non soltanto per ricambiare loro il favore, avendoci aiutato durante la scalata all’Olimpo, ma anche per frenare questo torrente di gelo che sembra calare sull’Europa intera!”

 

“E noi verremo con voi, Milady!” –Esclamarono due giovani voci, mentre il portone della Sala del Grande Sacerdote si spalancava e Sirio e Cristal ne entravano.

 

“Amici!!!” –Sorrisero Pegasus e Andromeda, felici di rivederli. E subito notarono che entrambi indossavano le loro Armature Divine, avendo probabilmente intuito che i giorni di pace erano già volti al tramonto.

 

“Com’è la situazione in Siberia, Cristal?” –Chiese Atena.

 

“Purtroppo non ne sono al corrente, mia Dea, non avendovi di recente dimorato!” –Rispose il biondo Cavaliere, inginocchiandosi di fronte al trono, assieme all’amico. –“Mi trovavo ai Cinque Picchi, ospite di Sirio e Fiore di Luna, e abbiamo percepito il forte raffreddamento climatico! Oltre che un’oscura energia sovrastare i cieli di Asgard, un’ombra che avevo già colto a suo tempo negli occhi stanchi della Celebrante di Odino!”

 

“Ilda sapeva! Temeva questo momento!” –Esclamò Atena, alzandosi in piedi. –“E ha taciuto! Per evitarci una nuova guerra, per evitarci di soffrire ancora! Oh Regina di Asgard, non siamo poi così diverse…” –Sospirò, prima di voltarsi verso i Cavalieri e iniziare ad organizzare il loro trasferimento.

 

“Un momento, Milady! Se già la volta scorsa ero titubante, stavolta lo sono ancora di più! Non credo sia opportuno che voi veniate!” –Disse Pegasus, trovando Andromeda e gli altri compagni d’accordo. –“Se quel che ci avete narrato è vero, e l’apocalisse sta compiendosi ad Asgard, ritengo che sia meglio che ne restiate fuori!”

 

“Credi che non saprei fronteggiare eventuali nemici, Pegasus? Dovresti conoscermi, ormai!”

 

“Proprio perché vi conosco, so che avete una propensione naturale a cacciarvi nei guai!” –Le rispose a tono il ragazzo, senza staccare lo sguardo dai suoi occhi, quasi a comunicarle molte cose in silenzio. Prima tra tutte la paura che potesse accaderle qualcosa di male.

 

Già una volta non ho saputo proteggerti, Isabel. Mormorò, ricordando il dolore provato durante la Guerra Sacra, quando, ai piedi della statua di Atena, aveva pianto di rabbia per la morte della Dea che era stato incapace di difendere. E in un’altra occasione ho invece cercato di ucciderti. Il rimorso di quel gesto non mi dà pace. Stammi lontana, almeno per ora, te ne prego!

 

Fu una leggera brezza, provocata da uno sbatter d’ali, a rubare Pegasus ai suoi pensieri, portandolo a volgere lo sguardo verso la grande terrazza, verso cui anche gli occhi degli altri Cavalieri si erano posati. Un giovane bello e affascinante, con mossi capelli castani e un viso ben curato, entrò nella sala, rivestito dalla sua Veste Divina, di colore celeste, con le variopinte ali piegate sulla schiena.

 

“Euro, Vento dell’Est!” –Esclamò sorpreso Andromeda, riconoscendo il ragazzo che lo aveva salvato dal rito dionisiaco.

 

“Perdonate quest’intrusione, nobili Cavalieri, giustificata soltanto dal motivo della mia venuta!” –Parlò il figlio di Eos, con voce calma e raffinata, inginocchiandosi al cospetto di Atena. –“Sono qua in veste ufficiale, come messaggero dell’Olimpo! Zeus, Signore del Fulmine e Padre di tutti gli Dei, richiede la presenza immediata della Dea della Guerra Giusta sul Monte Sacro, affinché possa presenziare al concilio degli Olimpi da lui indetto!”

 

“Un concilio di Dei?!” –Mormorò Atena, con un certo stupore. –“Non accadeva da secoli! Anche se, immagino, saremo in pochi!” –E questo rafforzò le proprie convinzioni che qualcosa di terribile fosse in atto nel mondo, se persino Zeus rinunciava al suo volontario isolazionismo riunendo tutte le Divinità superstiti.

 

“Non tutto il male viene per nuocere! Sapere Lady Isabel al sicuro, sull’Olimpo, sarà per noi un motivo in meno di preoccupazione! Vero, amici?!” –Commentò allora Pegasus, rivolgendosi a Sirio e agli altri compagni, a cui non sfuggì il sorriso tirato che l’amico tentava di ostentare.

 

Pegasus non è mai stato abile a dissimulare i suoi sentimenti! Rifletté Andromeda, ricordando quanta disperazione aveva albergato nel suo animo dopo aver sentito scomparire il cosmo di Atena durante lo scontro con Apollo. Il momento in cui aveva davvero capito quando fosse importante per lui. Quanto, da lei, dipendesse la sua vita.

 

“Dici il vero, Pegasus! Ed io accompagnerò Atena sull’Olimpo, se la Dea desidererà la mia presenza!” –Intervenne Mur. –“L’esperienza insegna che persino il posto più sicuro può nascondere delle insidie! Kiki, tu preparati, porterai i Cavalieri Divini ad Asgard!”

 

“Sì!” –Si limitò a rispondere il ragazzo dai capelli fulvi, sollevando lo sguardo verso i quattro amici, eccitato dall’idea di una nuova missione assieme a loro.

 

Pegasus e Andromeda indossarono allora le Armature Divine e, avvicinatisi a Sirio e Cristal, si voltarono un’ultima volta verso Atena, che già si stava incamminando verso la terrazza, seguita da Mur e Euro.

 

“Siate prudenti!” –Commentò la Dea, aggredita da una fitta improvvisa. Per un istante la invase la spiacevole sensazione che le nevi di Asgard li avrebbero sommersi e che non li avrebbe rivisti mai più e che, in quel caso, non avrebbe potuto dire a Pegasus tutto quel che avrebbe voluto, quel che ormai da giorni, forse da settimane, non faceva altro che rimandare. Proprio come faceva lui. –“Fatevi prima un quadro della situazione, poi, se necessario, intervenite! E non esitate a mettervi in contatto con Atene e con l’Olimpo in caso di bisogno!”

 

Pegasus, Andromeda, Cristal e Sirio annuirono, mentre Kiki, in mezzo a loro, espandeva il proprio cosmo, avvolgendo gli amici e lasciandolo esplodere poco dopo. Ma non accadde nulla e si ritrovarono alla Tredicesima Casa, scaraventati a gambe all’aria dall’onda d’urto del trasferimento mancato.

 

“Co… com’è possibile?!” –Balbettò il ragazzino, rimettendosi in piedi e riprovando a smaterializzarsi. –“Non riesco a teletrasportarmi… c’è una barriera… una resistenza che mi impedisce di raggiungere Asgard!”

 

“Lascia che ti aiuti, Kiki!” –Esclamò allora Mur, lasciando la terrazza e incamminandosi verso il centro della stanza. Ma una voce imperiosa risuonò per l’intera Tredicesima Casa, chiedendo a Mur di non preoccuparsi di suo fratello.

 

“Mi prenderò io cura di lui, non temere, Cavaliere di Ariete!”

 

“Questa voce… Virgo?!” –Mormorò l’allievo di Shin, riconoscendo il cosmo del Custode della Sesta Casa, ancora nel suo tempio.

 

“A ognuno il suo dovere, Mur! Tu adesso hai il tuo! Ioria e Libra si occuperanno al meglio della difesa del santuario della nostra Dea! In quanto a me, farò tutto il possibile per aiutare Kiki e il Cavaliere di Pegasus ad arrivare ad Asgard! Abbi fede!” –Parlò il Cavaliere di Virgo, il cui cosmo invase all’istante la Sala del Sacerdote, avvolgendo i quattro Cavalieri Divini in un caldo abbraccio.

 

Kiki, sostenuto da simile inesauribile energia, provò di nuovo, concentrando tutto se stesso in quell’operazione che tante volte aveva ripetuto ma che adesso gli sembrava così difficile. Atena rimase ad osservare ancora per qualche secondo, fin quando le cinque sagome non svanirono, lasciando soltanto Ioria e Libra nel salone. Sospirò, senza chiedere niente a Mur, prima di uscire sulla terrazza e svanire a sua volta, assieme al Vento dell’Est e al Cavaliere d’Ariete, diretta nuovamente verso l’Olimpo.

 

***

 

Mentre Odino era intento a dipanare i dubbi che lo avevano invaso, molti guerrieri e Asi avevano iniziato a riunirsi presso il Valhalla, il mastodontico complesso che si stagliava, luminoso e ai più inaccessibile, lassù nel cielo, in mezzo alle dimore degli Dei, nella vera Asgard.

 

Tre uomini, rivestiti dalle armature di battaglia, stavano camminando per i corridoi del palazzo, troppo presi dalla conversazione da non curarsi dei magnifici arredi, realizzati con le vesti dei soldati che avevano combattuto in guerra fino all’ultimo respiro, arredi a cui ormai avevano fatto l’occhio, fin da quando avevano varcato una delle cinquecentoquaranta porte del Valhalla, ascendendo al rango di Einherjar, i campioni di Odino.

 

“Spero che tuo fratello si limiti ad osservare! Conosco il suo temperamento ardito e non voglio rischiare di perderlo perché non è riuscito a tenerlo a freno!” –Esclamò Orion, entrando assieme ai compagni in un’ampia sala centrale, da cui dipartivano varie porte che conducevano ai vari settori della reggia, di cui l’armeria era, al momento, la più frequentata.

 

“Non temere! Alcor sa il fatto suo!” –Commentò Mizar, prima di essere raggiunti da Freyr, il bellissimo Signore dell’Abbondanza.

 

Il Dio della Fecondità era il ritratto vivente della perfezione estetica, ammirato e desiderato da tutte le donne di Asgard, ma era anche un potente guerriero, abile tiratore di spada e consigliere privato del Signore degli Asi.

 

“Quest’attesa mi rende inquieto!” –Commentò a bassa voce. –“L’Albero Cosmico freme fin dalle fondamenta e Ratatoskr corre impazzito lungo il suo tronco, senza mai trovare pace! Il vento gelido che arriva da Hel la dice lunga su quel che ci attende!”

 

“Sono d’accordo, mio Signore! Per questo ho chiesto ad Alcor di scendere nel Niflheimr a investigare! Le sue abilità mimetiche gli permetteranno di osservare senza essere visto e capire ciò che Hel sta tramando in quegli abissi infernali!”

 

“Un’ottima mossa, Orion! Me ne compiaccio!” –Sorrise Freyr, prima che una voce ruvida disturbasse i quattro, anticipando l’arrivo di un uomo bardato di tutto punto.

 

“Io invece no! Chi ti ha autorizzato a prendere una simile decisione?” –Esclamò il nuovo arrivato, piantando le robuste gambe davanti a loro e fissando il Cavaliere del Drago Bicefalo con sguardo crudo. –“Il fatto che tu sia l’erede di Sigfrido non fa di te Sigfrido stesso! Ricordalo!”

 

“Suvvia, Tyr, in tempi oscuri come questi stai a brontolare per simili formalità? Proprio tu che sei un guerriero puro, e dei migliori per giunta! Dovremmo invece congratularci con lo spirito di iniziativa che gli Einherjar dimostrano!” –Intervenne allora l’uomo giunto nel Valhalla con Orion e Mizar.

 

“Umpf, Vidharr, l’Ase silenzioso! Perché non torni al tuo silenzio? Tuo padre non ti ha insegnato a rispondere solo quando sei interpellato?!” –Bofonchiò Tyr, scuotendo i fitti baffi scuri che scendevano a coprirgli il labbro superiore. –“E non mi risulta che Odino abbia nominato questo ragazzo Comandante del suo esercito!”

 

“Non lo ha fatto, ma ha sempre apprezzato, e ricompensato, l’operato dei guerrieri a lui fedeli!” –Parlò allora Freyr, suscitando l’immediata e incollerita reazione di Tyr.

 

“Come osi rivolgerti all’intrepido Dio della Guerra in questo modo subdolo?! Insinui forse che io non sia fedele al Signore degli Asi?! Tu e la tua stirpe dovreste sciacquarvi la bocca mille volte prima di poter parlare con Týrhraustr!”

 

“Se persisti a offendere il consigliere del Padre della Vittoria, da lui investito del comando in sua assenza, dovrò prendere provvedimenti!” –Esclamò pacato Freyr, ma fece comunque avvampare il suo cosmo, sfiorando la spada che portava alla cinta, per mostrare all’Ase la sua risolutezza.

 

“Puoi aver incantato lui, bel damerino dagli occhi verdi, ma certo non me, che al tuo fascino sono immune e non prendo ordini da uno dei Vani!” –E nel dir questo Tyr sfoderò la spada con un movimento così lesto che persino Orion e Mizar ebbero difficoltà a vederlo, portandola a scontrarsi con quella che Freyr gli aveva opposto. –“Avrò pure perso una mano, ma non la mia furia!” –Ringhiò, sollevando il braccio destro e ostentando il moncherino, ricordo di una prova di coraggio che lo aveva segnato.

 

I cosmi delle due Divinità si scontrarono per qualche secondo, chiaro e luminoso quello di Freyr, infuocato e battagliero quello di Tyr, di fronte agli occhi stupiti di Orion e Mizar e a quelli colmi di disapprovazione di Vidharr, finché un terzo non si intromise, incuneandosi tra loro come un raggio di sole e placando tale ridicola controversia.

 

“Valorosi guerrieri, ancora vi accigliate per fatti accaduti in un tempo così lontano da averne quasi perso memoria al punto da non ricordare neppure chi causò l’inizio delle ostilità?!” –Una voce leggiadra parlò con tono garbato, mentre una figura snella ed elegante entrava nella sala, rischiarandola con la sua stessa presenza. –“Suvvia, mio buon Tyr, che sull’isola Lyngi hai avuto il coraggio di affrontare una prova in cui nessun’altro Dio ha ardito cimentarsi! E tu, caro Freyr, portatore di fecondità e prosperità ovunque posi lo sguardo! Non credete sia opportuno conservare le forze per i giorni che verranno? Giorni che forse, neppure il mio cosmo lucente, potrà rischiarare!”

 

“Mio Signore…” –Commentò subito Tyr, alla vista del Dio del Sole, placando subito il suo cosmo offensivo e rinfoderando la spada.

 

Freyr fece altrettanto, passando accanto al nume della guerra, prontamente inginocchiatosi di fronte a Balder fegrsti, il più bello dei figli di Odino, senza risparmiargli un’occhiata di sdegno. Orion e Mizar stavano per inchinarsi a loro volta, ma Balder li pregò di non perdersi in formalità che al momento erano fuori luogo, e che comunque non aveva mai troppo sopportato.

 

“Balder! Dov’è Odino?” –Chiese subito il Dio della Fecondità.

 

“Adesso siede ai piedi dell’Albero Cosmico, intento a conversare con le Norne! È appena rientrato da Jötunheimr, dove ha incontrato il capo dei Giganti a lui fedeli. Vorrebbero evitare di combattere contro membri della stessa stirpe cosmica, ma se gli Hrimthursar marceranno su Asgard, come Hel potrebbe istigarli a fare, faranno il possibile per aiutarci!” –Spiegò il Dio della Luce, prima di rivolgersi a Tyr, che intanto si era rialzato. –“So che un tempo vi sono state frizioni tra le stirpi divine dei nove mondi, ma quel tempo è finito! Asi e Vani strinsero una pace, al termine di quel conflitto, sputando saliva divina dentro un otre per suggellare tale patto! Patto tuttora in vigore! E Freyr, che da quel giorno venne a vivere tra gli Asi, è divenuto amico e fedele consigliere di mio Padre!”

 

“Le tue parole sono oneste e giuste, candido figlio di Odino, ma i ricordi sono duri a morire! Soprattutto per chi tanto ha sofferto!” –Commentò il Dio della Guerra, sia pur con tono meno rude.

 

La conversazione venne interrotta dall’apertura di una porta laterale, dove la bella chioma di Frigg, figlia di Fjörgynn e moglie di Odino, comparve all’istante.

 

Allföðr, il Padre di Tutti, ha richiesto la vostra presenza nella sala centrale del Valhalla, convocando un’assemblea di tutti gli Dei e gli Einherjar a lui fedeli!”

 

 

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Capitolo 6
*** Capitolo quarto: Cani e lupi ***


CAPITOLO QUARTO: CANI E LUPI.

 

Aiutati dal potente cosmo del Cavaliere di Virgo, Pegasus, Andromeda, Cristal, Sirio e Kiki apparvero in un fitto bosco, non molto distante dalla terrazza panoramica dove si erano ritrovati lo scorso anno, quando Flare aveva raccontato loro dei cambiamenti subiti da Ilda. Ma adesso, della terrazza e del promontorio ove Atena aveva pregato Odino affinché i ghiacci non si sciogliessero, non era rimasto niente. Distrutti, crollati in mare durante lo scontro tra Cristal e il Capitano dell’Ombra inviato da Flegias per annientare Asgard e vendicarsi per l’aiuto prestato ai Cavalieri di Atena.

 

“Eccoci ad Asgard!” –Commentò Andromeda.

 

Brrr! Non me ne ero accorto!” –Ironizzò Pegasus, che detestava tutto quel freddo.

 

“A Midgard!” –Precisò Cristal, ricordando la definizione che indicava il regno ove vivevano gli uomini, il Recinto di Mezzo. E tirò uno sguardo avanti a sé, verso il luogo dove un tempo esisteva un sentiero, che correva dritto in mezzo alla foresta, salendo i pendii e conducendo fino alla Fortezza di Midgard. Ma non vide niente, solo un cumulo indistinto di neve, la stessa che, sia pur in forma lieve, stava cadendo su di loro.

 

“Dobbiamo muoverci!” –Esclamò subito Dragone. –“Ogni minuto perso è un minuto di pericolo in più, per noi e per la Terra!” –E si incamminò avanti, subito seguito da Kiki, che si strusciava le braccia infreddolito, e da Pegasus e Andromeda.

 

“Io non passerei dalla strada principale, però!” –Commentò Cristal. –“Ho l’impressione che neppure questa volta saremo i benvenuti nella città del nord!”

 

“Ma che stai dicendo, Cristal? Ilda è amica di Atena, non abbiamo niente da temere!”

 

“Da lei no!” –Si limitò a rispondere il Cavaliere del Cigno, fendendo l’aria con sensi acuti e respirando fin nel profondo quell’aroma che aveva cominciato a conoscere. Quell’aroma che adesso lo faceva temere.

 

“Forse Cristal ha ragione, meglio essere prudenti!” –Intervenne allora Andromeda, proponendo di seguire un sentiero alternativo, lo stesso percorso dal ragazzo l’anno precedente, passando dalle rovine dove aveva affrontato Mime. –“È più disagevole, ma credo sia più sicuro, certamente meno controllato!”

 

Sirio e gli altri annuirono, prima che Pegasus distraesse tutti con uno starnuto.

 

“Il primo di una lunga serie, temo! Maledizione!” –Brontolò, incitando gli amici a correre, in modo da scaldarsi un po’.

 

Andromeda fece strada, guidando gli amici nella vecchia foresta e per sentieri poco battuti, ricoperti di neve e in parte crollati sotto valanghe improvvise. Mime, durante il loro scontro, gli aveva raccontato brevemente la storia di quelle rovine, quel che restava di una fortificazione di vedetta eretta secoli addietro, con lo scopo di controllare la vallata circostante e il passo che conduceva alla Valle di Cristallo. Ma l’uomo a cui venne affidato l’incarico di comandare quella testa di ponte usò i suoi poteri e la sua influenza per reclutare soldati con cui progettava di assalire Midgard, per assumerne il controllo, in nome di colui che lo aveva addestrato allo scopo.

 

Fu solo grazie all’intervento del Principe della Valle di Cristallo, che non aveva mai visto di buon occhio quella fortificazione così protesa verso i suoi territori, e l’aveva quindi messa sotto sorveglianza, anche in prima persona, che il colpo di stato venne evitato. L’allora Celebrante di Odino, quinto esponente della dinastia di Polaris, condannò il comandante traditore e coloro che si erano a lui alleati, persino alcuni Cavalieri di Asgard, e ringraziò il Principe della Valle di Cristallo, facendo smantellare la torre di vedetta, in segno di riconoscenza e fiducia nei suoi confronti, e istituendo insieme un servizio di sorveglianza dei confini comuni.

 

“Il Principe della Valle di Cristallo hai detto?!” –Mormorò Cristal, correndo a fianco ad Andromeda lungo l’irto sentiero che correva su un fianco di una montagna. –“Che fosse un antenato di Alexer, l’uomo che ha insegnato ad Acquarius?!”

 

“Chiunque fosse era certamente molto potente, al punto da poter contrastare il potere dei Guerrieri del Nord che, come ben sappiamo, sono avversari difficili!”

 

“Ah, puoi dirlo forte!” –Gli andò dietro Pegasus, ricordando i duri scontri con Thor e Orion.

 

Alexer non avrebbe problemi ad affrontarli, anche tutti insieme! Ho visto di cosa è capace, ho percepito il suo cosmo! Più vasto di qualunque energia avessi percepito fino ad allora, pari a quella di un Dio!” –Esclamò Cristal, prima di fermarsi e voltarsi verso la vallata, immersa nella foschia del mattino. –“Mi chiedo dove sia adesso… È impossibile che non sappia cosa sta accadendo!”

 

“Avrai tempo per guardare il panorama in un altro momento, Cristal! Adesso lasciamo che Andromeda ci porti fin lassù!” –Intervenne Pegasus, mentre l’amico srotolava la catena, lanciandola verso l’alto della rupe.

 

“Vi aspetto in cima!” –Affermò Kiki, scomparendo e riapparendo una trentina di metri sopra le loro teste, al margine estremo della piattaforma rocciosa ove un tempo sorgeva la fortificazione orientale, estesa al punto da divenire una piccola città.

 

Dopo pochi minuti anche Pegasus e gli altri lo raggiunsero, guardandosi intorno con circospezione e procedendo cauti, aiutati anche dalla scarsa luminosità della giornata. Le rovine erano rivestite da un consistente manto di neve, al punto che molte risultavano impossibili da vedere, ma Andromeda ricordava abbastanza bene la strada da condurre gli amici con destrezza fino allo spiazzo dove aveva affrontato Mime, e da cui partiva un sentiero che conduceva direttamente a palazzo.

 

Fu allora che la Catena di Andromeda vibrò, segnalando la presenza di un pericolo, e i Cavalieri e Kiki si gettarono letteralmente nella neve per nascondersi agli occhi di una pattuglia di soldati che stava perlustrando la zona, con alcuni lupi al seguito.

 

Cristal si arrischiò a sollevare la testa, per scrutare gli uomini che stavano passando. Sconosciuti! Si disse. Non che conoscesse tutti i membri delle truppe di Midgard, ma avendo trascorso molto tempo nella cittadella aveva avuto la possibilità di parlare con molti di loro. E quelli proprio non sembravano loro compagni, tanto più che indossavano un’armatura diversa dalle protezioni tipiche dei guerrieri del Nord.

 

Era una corazza bluastra, simile ad una tuta integrale, perfettamente aderente al corpo tranne sulle spalle, dove le forme aguzze dei coprispalla puntavano verso l’esterno, e intorno alla vita, ben difesa da una cintura a cui erano affisse alcune armi. E le lance che stringevano in mano erano così diverse da quelle con cui era abituato a vederli esercitarsi, ricordavano quasi la lunga canna di un facile laser.

 

Per quanto non avessero fatto alcun rumore, le guardie si fermarono, guardandosi intorno, mentre i lupi iniziarono a ringhiare, annusando l’aria con naso da cacciatori, prima di iniziare a correre nella loro direzione, latrando, seguiti dai soldati.

 

“Lo sapevo che sarebbe successo qualcosa!” –Ironizzò Pegasus, tirando fuori la testa da un cumulo di neve e scuotendosi per togliersene un po’ da un orecchio.

 

“Dobbiamo fare in fretta!” –Esclamò Sirio, balzando in alto e evitando alcuni lupi che si erano lanciati su di lui. –“Prima che chiamino i rinforzi!” –Aggiunse Andromeda, liberando la propria catena che assunse subito la conformazione a tagliola, per imprigionare le bestie, mozzando loro le gambe.

 

Sospirando all’udire i loro guaiti, il ragazzo si volse allora verso i soldati che avevano già puntato le lance nella loro direzione, liberando raggi di energia.

 

Avevo ragione, allora! Si disse Cristal, evitando un affondo di una guardia e colpendola poi in pieno viso con un calcio a mezz’aria, scagliandola contro un’altra. Prima che potessero rialzarsi, aveva già espanso il proprio cosmo fermando i loro movimenti con gli Anelli del Cigno e paralizzandoli in una gabbia di ghiaccio.

 

“Ecco fatto, non ci daranno altri problemi!” –Si disse, soddisfatto, riunendosi agli amici, tutti incolumi.

 

“Dovremmo aver fatto abbastanza piano, non credete? Dubito che ci abbiano sentito!” –Esclamò Andromeda, incamminandosi avanti assieme ai compagni.

 

“Ne dubito anch’io!” –Disse allora una voce alle loro spalle, sorprendendoli e facendoli voltare di scatto. –“Per questo sono venuto a dare un’occhiata! Non tutti possiedono l’udito e l’acume di un lupo!”

 

“E tu chi sei?” –Esclamò Pegasus, osservando il ragazzetto che aveva appena parlato, a cui non avrebbe dato più di quindici anni.

 

Alto e magro, con un viso da adolescente sbarbato, era rivestito da un’armatura verdastra, completa di elmo a maschera a forma di testa di lupo, da cui spuntavano ciuffi di capelli azzurri, e aveva già sollevato le braccia, pronto a scattare sulle prede come una fiera affamata.

 

Managarmr, questo è il mio nome! E sono il Lupo della Luna, uno dei cinque Sigtívar che il Fabbro di Inganni ha voluto nel suo esercito!”

 

“Il Fabbro di Inganni?! Chi è costui? Mica sarà un parente del Maestro di Ombre?!” –Bofonchiò Pegasus, prima che Sirio lo colpisse con una gomitata all’addome e gli intimasse con un’occhiataccia di congelare la sua ironia per il momento.

 

“Devo vietarvi di andare oltre, Cavalieri! Loki in persona mi ha ordinato di impedire a chiunque di raggiungere la cittadella di Midgard! Soprattutto a strani tipi che girano con luccicose armature!” –Esclamò Managarmr, strusciandosi il mento sospettoso.

 

“Beh, pensa alla tua, di corazze!” –Gridò Pegasus, scattando avanti, con l’energia cosmica attorno al pugno destro. Managarmr era però già balzato in alto, sorpassando il Cavaliere e puntando sui suoi amici, obbligando Andromeda a liberare la catena, che saettò in aria, moltiplicandosi in infinite copie. Questo non impensierì il ragazzetto, che continuò a saltare da un muro all’altro, da un pilastro all’altro, girando attorno ai cinque compagni e schivando abilmente gli affondi della catena.

 

“È veloce!” –Commentò Kiki, incrociando le braccia al petto. –“Ma io saprei fare di meglio! Tsè!”

 

“Augurati di non doverlo dimostrare presto!” –Esclamò allora Sirio, sollevando il braccio destro e poi abbassandolo di colpo, generando un piano di energia che sfrecciò avanti, colpendo Managarmr mentre, ancora in volo, stava evitando un nuovo assalto della Catena di Andromeda.

 

“Ehi!!!” –Gridò, venendo sbattuto al terra, con una ferita fumante sul fianco sinistro.

 

“Non ti ho colpito con violenza, io non attacco chi è già impegnato in uno scontro! Non è da Cavalieri!” –Commentò Sirio. –“Ma ti avviso, lasciaci andare! Ci preme raggiungere la cittadella quanto prima! Se vorrai accompagnarci, ne saremo lieti! In caso contrario dovrai affrontarci!”

 

“Per chi mi avete presto, per una guida turistica?! I miei ordini sono precisi! Nessuno di voi giungerà a Midgard!” –Ringhiò Managarmr, rimettendosi in piedi con un balzo ed espandendo il suo cosmo, concentrandolo nelle braccia. –“Fuoco del Lupo e del Dragone!!!” –Esclamò, scattando avanti, mentre centinaia, forse migliaia, di sagome di fiere infuocate apparivano attorno a sé, sfrecciando verso i Cavalieri di Atena.

 

“Non così in fretta!” –Intervenne Andromeda, liberando l’arma scintillante, mentre Sirio e gli altri si scansavano, schivando le zampate. –“Via, Onde del Tuono!” –Ordinò, moltiplicando la catena in tantissime copie che trafissero le varie sagome di lupi che Managarmr gli stava rivolgendo contro. –“Andate, voi! Lo terrò a bada io! Poi vi raggiungerò, fossi anche da solo!”

 

Andromeda…” –Mormorò Sirio, conscio del significato nelle parole dell’amico. Guardò Kiki e gli fece cenno di scattare dietro a Cristal e a Pegasus, che già si erano lanciati lungo il sentiero, diretti verso la reggia.

 

Se vi fossero stati altri guerrieri al pari di Managarmr non avrebbero tardato a percepire lo scontro di cosmi in atto poco distante, per questo dovevano accelerare i tempi e raggiungere Midgard quanto prima per capire cosa stesse succedendo.

 

Non riuscirono neppure ad oltrepassare il Cancello Meridionale, fatto saltare in aria pochi mesi prima da Arge lo Splendore, durante l’attacco portato dai Cavalieri Celesti, che dovettero difendersi nuovamente. Una pioggia di frecce piombò su di loro, dall’alto della torretta di guardia, obbligando Pegasus, Sirio e Cristal a scartare di lato, mentre Kiki si difendeva creando uno scudo di energia sopra di sé.

 

Pegasus stava già per balzare in aria e distruggere la torretta con un colpo solo quando Cristal lo fermò, uscendo dal suo nascondiglio e pregandolo di non farlo.

 

“Attento Cristal, ti colpiranno!” –Esclamò il ragazzo, ma il Cavaliere del Cigno parve non prestargli ascolto, con lo sguardo sollevato verso l’alto, tentando di rivedere la sagoma che aveva intravisto tra le feritoie. Una sagoma che conosceva.

 

Cristal!” –Esclamò infatti una voce poco dopo, mentre il breve assalto terminava.

 

Un gruppo di ragazzi scese in fretta dalle mura, correndo in direzione dei Cavalieri di Atena, guidati dall’unico bardato dall’armatura dei soldati della cittadella. Tutti gli altri indossavano infatti rudimentali corazze di pelle e cuoio ed erano armati con archi e frecce, pugnali e lance, e persino lacci per scagliare sassi.

 

“Bard!” –Esclamò il Cigno, felice di rivedere il giovane arciere, che l’ultima volta aveva visto steso su un lettino nell’infermeria del palazzo.

 

“Immaginavo che sareste venuti a salvare Asgard, Cavalieri di Atena!” –Affermò Bard, abbracciando Cristal, di fronte agli occhi attoniti di Pegasus che chiese subito cosa stesse accadendo. –“Ilda è stata fatta prigioniera, così come tutti i servitori e gli abitanti di Midgard! Quelli almeno che sono sopravvissuti!”

 

“Abbiamo visto i Soldati di Brina lanciare corpi dalle vetrate del palazzo, e molte erano guardie! Li conoscevamo perché ci proibivano spesso di accedere all’interno della cittadella!” –Intervenne un altro ragazzo.

 

Pegasus, Sirio, Kiki, lui è Bard, l’allievo di Orion e membro della guardia della cittadella! E questi sono i suoi compagni, gli arcieri liberi della foresta di Midgard! Già una volta mi hanno prestato aiuto, dimostrando il loro coraggio!”

 

“Che ne è di Ilda e Flare?” –Incalzò Pegasus. –“E chi sono questi Soldati di Brina?”

 

“Sono l’esercito che Loki, Signore dell’Inganno, ha messo insieme in tutti questi anni trascorsi a tramare nell’ombra contro Odino e che presto marcerà su Asgard, per rovesciarne l’ordine!” –Spiegò Bard, raccontando tutto quello che avevano appreso o udito, muovendosi di nascosto fuori e dentro la reggia, cercando di uccidere quanti più nemici avevano potuto, senza mai esporsi troppo. –“La Regina è rinchiusa nelle segrete, sull’altro lato del castello!”

 

“So dove sono!” –Disse subito Cristal. –“Andiamo, dobbiamo liberarla!” –E scattò avanti, subito seguito da Pegasus, Sirio, Kiki, Bard e i suoi amici, sfrecciando attraverso quel che restava dell’antico cancello e dirigendosi verso il lato ovest.

 

Ma non appena girato l’angolo, incrociarono un plotone di Soldati di Brina che stava accorrendo proprio al cancello, richiamato dal recente tramestio, dando inizio ad un rapido scontro tra i due gruppi.

 

“A terraaa!!!” –Gridò Pegasus ai compagni, evitando i fasci energetici lanciati loro contro, prima di spiccare un balzo, aiutandosi con le ali della sua Armatura Divina, e piombare sui nemici con il pugno teso. –“Fulmine di Pegasus!!!”

 

Molti caddero al primo colpo, ma altri cercarono di riorganizzarsi e reagire, puntando le lance contro di lui.

 

“Dobbiamo fermarli!” –Disse allora Bard, tendendo l’arco. –“Non devono colpirlo, non al viso quantomeno!” –E scoccò una freccia, subito imitato dai suoi compagni, che raggiunse al collo un guerriero, stramazzandolo a terra.

 

“Cosa intendi?!” –Gli si avvicinò Cristal, travolgendo alcuni Soldati di Brina con l’impeto della sua Polvere di Diamanti.

 

“Non sono raggi qualunque quelli che le lance emettono! Sono raggi congelanti! Li abbiamo visti in azione, contro le guardie della cittadella! È stato orribile, li hanno tramutati in statue di ghiaccio e poi le hanno distrutte! Non è rimasto niente…

 

“Lo so! Certi fantasmi sono duri a morire!” –Disse Cristal, poggiandogli una mano su una spalla, ritenendo opportuno che fossero loro, i Cavalieri, ad occuparsene. –“E in fretta anche!” –Aggiunse, sollevando le mani al cielo e liberando poi una devastante corrente di gelo che travolse i rimanenti seguaci di Loki, scagliandoli in ogni direzione, avvolti dallo stesso freddo di cui si dichiaravano portatori.

 

“Ben fatto, Cristal!” –Esclamò Pegasus, riunendosi all’amico, assieme a Sirio che aveva protetto Kiki. Ma non ci fu tempo di parlare d’altro che già una seconda carica di Soldati di Brina si fece loro incontro, prima di essere seguita da una terza, proveniente questa volta dall’ingresso della fortezza, cingendoli così d’assedio.

 

“Beh, direi che dobbiamo procedere alla vecchia maniera!” –Ironizzò il Primo Cavaliere di Atena, espandendo il cosmo e lanciandosi avanti, una sfera di energia azzurra che sfrecciò in mezzo ai nemici, distruggendo le loro linee, mentre questi invano cercavano di fermarlo, liberando raggi congelanti in ogni direzione.

 

“Giù, Kiki!” –Gridò Sirio, buttandosi sul ragazzino e spingendolo a terra, in tempo per evitare di essere raggiunto da un fascio di energia azzurra, che lo colpì ad un’ala dell’Armatura Divina, ricoprendola subito di uno strato di ghiaccio.

 

Fu allora, mentre il Cavaliere del Drago ringraziava Efesto per aver potenziato le loro corazze con il mithril, e Kiki si rimetteva in piedi, scuotendosi la neve di dosso, che entrambi percepirono un’oscura presenza incombere su di loro. Un’ombra capace di ottenebrare quel poco di luce che poteva raggiungere le terre del nord.

 

“Dei dell’Olimpo!!!” –Mormorò Sirio, sollevando lo sguardo, presto imitato da Kiki, Cristal, Bard e gli altri. Persino i Soldati di Brina sembrarono fermarsi un momento, impressionati dalla gigantesca sagoma di un lupo comparsa sopra di loro.

 

Alto quasi quanto il palazzo dei Polaris e ricoperto da una pelliccia nera, con folte striature grigie, Skoll, fratello di Hati, concepito nel Bosco di Ferro, sogghignava alla vista delle prede che tanto aveva atteso, con la bava che colava dagli affilati denti che suo padre, Fenrir, massimo lupo famoso, gli aveva donato.

 

***

 

Alcor non incontrò grandi difficoltà nel raggiungere la Casa delle Nebbie.

 

Grazie alle indicazioni di Huginn e Muninn, che avevano preferito accompagnarlo, si era fatto un’idea della direzione da seguire, sebbene neanche lui si fosse immaginato una simile desolazione. Orion lo aveva avvisato che all’ingresso del regno di Hel avrebbe dovuto evitare un cane gigantesco, cosparso dal sangue dei defunti che, ivi giunti, tentavano di sottrarsi alla morte, senza mai riuscirci.

 

Ma della bestia infernale non aveva trovato traccia, soltanto la catena spezzata a cui era stato legato. Facendo attenzione che non vi fossero guardie o trabocchetti, Alcor aveva proseguito la sua discesa nel Niflheimr, fiancheggiando il fiume urlante, i cui flutti riecheggiavano delle grida dei morti, e oltrepassando il ponte d’oro fino a giungere alla Porta di Hel, ultimo avamposto verso le lande dei morti.

 

Là abbatté il custode di tale varco, un gallo dalle penne di ruggine, con un’unghiata così lesta da impedirgli di cantare per avvisare dell’attacco. Se ne sbarazzò ancor più rapidamente, gettando il cadavere nelle acque di Gyoll, che lo accolse con un ululato straziante. Da lì in poi iniziava l’immenso deserto di ghiaccio a cui erano destinati i morti per vecchiaia e adulterio o coloro che si erano macchiati di turpi misfatti.

 

Anime prave che non sarebbero state accolte dall’idromele delle Valchirie, bensì dal frastornante silenzio della desolazione, né avrebbero assaggiato il delizioso cinghiale Sæhrímnir, a differenza di noi Einherjar. A questo pensava Alcor sfrecciando sulle gelide lande avvolte da nebbia eterna, con i corvi in volo sopra di lui. Sei occhi che si guardavano continuamente attorno, timorosi di un agguato che però non arrivò. Fu solo quando giunsero a Eliudhnir che iniziarono a sentire suoni più distinti, ben diversi dal monotono stormire del vento.

 

Alcor si accostò alle rovine della Casa delle Nebbie, mescolandosi alle tenebre di Hel, e girò per qualche minuto attorno alla reggia, giungendo infine in quella che un tempo doveva essere la corte. Là, nascosto dietro cumuli di ghiaccio franato, osservò una vecchia conoscenza intenta a parlare con un uomo, sorvegliati da un enorme cane, probabilmente quello che avrebbe dovuto incontrare all’ingresso di Hel.

 

Orion non scherzava riguardo alle dimensioni di questo cagnaccio! Si disse il Cavaliere, tendendo i sensi e cercando di capire cosa stessero dicendo. Soltanto scrutando bene all’interno di quella fitta nebbia riuscì a individuare altre sagome di fronte a Megrez. Alte e mostruose, parevano fondersi con l’aria gelida dell’inferno.

 

Alcor strinse i pugni, realizzando di aver intravisto per la prima volta un Gigante di Brina, gli Hrimthursar che Odino tanto temeva.

 

“Hai dunque radunato le tue truppe, possente Hrymr?” –Esclamò allora Megrez, con voce tronfia.

 

“Tutta la mia stirpe è in marcia verso Asgard!” –Commentò il sovrano degli Hrimthursar, l’unico in grado di esprimersi in lingua corrente.

 

“Molto bene! Odino non si aspetterà un attacco su più fronti, né certo immaginerà che siamo riusciti a radunare quasi tutti i Giganti di Brina! Eppure dovrebbe temere il freddo settentrione! Ah ah ah!” –Rise Megrez, fregandosi le mani soddisfatto. –“Andate ora! Attaccate senza avere pietà, perché gli Asi non ve ne faranno dono! Risalite l’Albero Cosmico, congelandolo e spezzandolo! Come spezzeremo la testa del Vecchio Guercio! Ah ah ah!”

 

Hrymr non aggiunse altro, incamminandosi avanti, seguito da altre sagome deformi che neppure l’acuto sguardo di Alcor riuscì a distinguere con sufficiente chiarezza. Poté soltanto contarle, o quantomeno provarci, perdendo il conto ad un certo punto, poco prima del migliaio. Rabbrividì, chiudendosi nel mantello e riflettendo che quel che stava accadendo aveva superato le loro più fosche previsioni. Neppure Odino si sarebbe aspettato un attacco così numeroso.

 

Si risollevò, convinto di aver vinto abbastanza, e fece cenno a Huginn e Muginn di andarsene, ma in quel momento venne investito da una raffica di vento che turbinò attorno al suo corpo, sollevandogli il mantello e spandendo nell’aria il suo odore. Né Megrez né suo padre vi avrebbero prestato attenzione, non fosse stato per i latrati persistenti di Garmr, il cui naso fino aveva percepito qualcosa.

 

Abituato all’odore dei morti che varcavano la soglia di Gnipahellir, la grotta della rupe, ove era stato incatenato millenni addietro, il cane dalla gran mascella riconobbe subito una fragranza diversa, l’aroma di un vivo, lanciandosi in direzione di Alcor.

 

I corvi subito si sollevarono, sfrecciando al riparo delle mura di Eliudhnir, e Megrez impugnò la spada, infiammandola all’istante, prima di seguire Garmr assieme a suo padre. Sulle prime non videro niente, per quanto il latrare persistente del cane indicasse che qualcosa c’era, qualcosa doveva pur esserci in quell’ammasso di nebbia che persino loro che vi dimoravano avevano difficoltà a penetrare con lo sguardo.

 

D’un tratto Megrez sorrise, avendo riconosciuto il cosmo del nemico.

 

“Che cos’abbiamo qua, Garmr? Un topolino? O forse… un bel gattino?!” –Ghignò, scagliando la spada infuocata avanti a sé, fino a conficcarla nel muro di ghiaccio del palazzo, che subito avvampò, rischiarando l’intero versante e permettendo all’ombra di Alcor di apparire sul terreno, un istante prima che l’Einherjar decidesse di rivelarsi. –“Che sorpresa, Alcor! Sei venuto a trovarci? Carino da parte tua! Avresti potuto portare tuo fratello, così avremmo potuto uccidervi assieme, di nuovo! Ahr ahr!” –Rise, prima di ordinare a Garmr di caricare.

 

Alcor cercò di evitare l’immonda belva, sfrecciando di lato, per poi balzare contro le mura di Eliudhnir e darsi la spinta per scavalcarla, approfittandone per lanciarle un’unghiata di pura energia, che lo spinse di lato, imbestialendola ulteriormente. Non fece però in tempo ad atterrare che Megrez era già su di lui, la spada saldamente nella mano destra, che squarciava l’oscurità dell’inferno con rapidi e continui movimenti.

 

Il Cavaliere della Tigre Bianca balzò di lato in lato, sfruttando la felina agilità che gli era propria e infastidendo il servitore di Hel, a cui strappò un borbottio nervoso, prima di sfoderare gli affilati artigli e scheggiargli il bracciale della corazza, poco sotto il polso, facendogli perdere la presa della spada.

 

“Maledetto!!!” –Ghignò Megrez, mentre Alcor si preparava per caricarlo di nuovo, stavolta frontalmente. Ma non riuscì a raggiungerlo che venne sollevato in aria da un’impetuosa tempesta di gelo, da cui non poté liberarsi, per quanto si dimenasse, venendo infine schiantato contro le mura della Reggia di Hel, che crollarono su di lui.

 

“Spero che vorrai scusare mio figlio…” –Commentò l’uomo che aveva generato quella tormenta, sfruttando gli elementi naturali dell’ambiente circostante, mentre Alcor, boccheggiando, si liberava dei detriti. –“Ma ha la pessima abitudine di perdersi in giochi infantili! Giochi che, alla lunga, possono essergli fatali!” –E nel dir questo mosse il braccio destro, generando un’onda di energia gelida che Alcor tentò di evitare scivolando di lato, ma nel farlo si espose al rinnovato assalto di Megrez, già su di lui con la spada in pugno.

 

Alcor fu abile ad evitare l’affondo, ma una fiammata lo raggiunse comunque al fianco destro, incrinando l’armatura e obbligandolo ad un balzo indietro. Il padre di Megrez ne approfittò allora per dirigergli contro un nuovo attacco di energie naturali, carico di tutta la nebbia, il vento e il gelo che Hel potevano offrirgli.

 

“Io vi invoco Anime della Natura infernale! Sterminatelo!” –Sibilò, concentrando al massimo i propri sensi.

 

“Ah è tuo padre, Megrez? Avresti potuto presentarci, non credi?!” –Ghignò Alcor, cercando di sfuggire all’ammasso turbolento che stava piombando su di lui da ogni direzione. –“La maleducazione si paga! Bianchi artigli della Tigreee!!!” –I raggi di energia falciarono l’assalto del padre di Megrez, pur senza fermarlo del tutto, e Alcor non riuscì ad evitare di essere investito.

 

Era un potere strano, si disse rialzandosi, un potere che non aveva mai affrontato. Aveva osservato spesso Megrez nella foresta di Midgard usare i rami e le radici degli alberi come armi, ma non gli erano mai parsi fonte di preoccupazione. Eppure suo padre riusciva a fare qualcosa di più, a usare tutti gli elementi della natura per convogliarli in un unico assalto. Un misto di gelo e tenebra, intriso di Hel.

 

Mentre stava riflettendo su una strategia per neutralizzare tale infida tecnica, Alcor sentì il fiato di Garmr farsi più vicino e la sagoma del cane infernale lanciarsi su di lui, con l’enorme mascella desiderosa di stringerlo e strappargli le budella. Per evitarlo, si lasciò scivolare sul terreno ghiacciato, sfrecciandogli proprio tra le zampe e colpendole con i suoi artigli affilati, sì che sangue sprizzasse fuori e anch’esso provasse lo stesso tormento cui aveva destinato gli occupanti di Hel.

 

“La corsa finisce…” –Esclamò Megrez, che, avendo notato i movimenti rapidi del Cavaliere, si era subito portato sull’altro lato del cane, piombandogli addosso con la spada tesa e colpendolo di nuovo dove lo aveva raggiunto in precedenza. –“…così!”

 

Suo padre approfittò di quell’attimo per fermare i movimenti di Alcor con un turbine di gelo e nebbie, dando tempo al figlio di caricare il suo colpo segreto.

 

Teca viola dell’ametista!” –Gridò Megrez, intrappolando il corpo di Alcor in un rozzo feretro violaceo, senza perdersi la smorfia sul suo viso, distorta in quello che pareva quasi un urlo di guerra. –“Ce l’avrei fatta anche senza il tuo intervento!” –Aggiunse infine, voltandosi verso suo padre. –“Perché ti sei intromesso?”

 

“Non hai ascoltato quel che ho detto al Cavaliere della Tigre? A forza di giocare con il fuoco si rimane scottati! Dovresti saperlo dato che sei stato così vicino a realizzare la profezia del Libro del Destino e poi ti sei lasciato sfuggire la vittoria di mano, cadendo vittima di uno dei tuoi stessi trucchi!”

 

“Hai poco da criticare tu che sei andato incontro a medesima sconfitta!” –Ringhiò Megrez, prima che suo padre si avvicinasse e lo fissasse con occhi iniettati di sangue.


“Ma dove sono morto io nessun’uomo era mai giunto! Anche se solo per un attimo, posso gloriarmi di aver messo piede ad Avalon!” 

 

 

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Capitolo 7
*** Capitolo quinto: Il lamento di Loki ***


CAPITOLO QUINTO: IL LAMENTO DI LOKI.

 

Flare e Loki, sotto le mentite spoglie di Cristal, non ebbero alcun problema ad attraversare Asgard, e tutti quei sorrisi che il Buffone Divino era costretto a fingere, rivolgendosi a chi gli andava incontro o si fermava a salutare la coppia, gli venivano spontanei. Gli salivano dal profondo del cuore, pensando all’inganno di cui quegli ignari guerrieri o Dei minori erano vittime e alla realizzazione del suo meticoloso piano, messo in atto in lunghi secoli di esilio dalla città degli Asi.

 

Aveva dimenticato quanto fosse divertente assumere l’identità di qualcun’altro, mutando non soltanto i tratti estetici ma anche la voce, che sapeva assumere l’adatta melodiosità, e i gesti caratteriali, rendendo praticamente impossibile distinguere un falso dalla sua versione reale. Persino Flare, che all’aroma di Cristal e alla sensazione di sentirlo al suo fianco era abituata, spesso era colta dal dubbio, spesso provava agitazione al pensiero che l’uomo a braccetto del quale stava camminando per le trafficate vie del regno degli Asi fosse così identico a colui che amava.

 

La ragazza sorrise, mentre Loki dettava il passo, e capì che di Cristal era davvero innamorata, per quanto qualche dubbio l’avesse ultimamente invasa, dubbio che le aveva fatto ripensare a Artax, l’amico con cui era cresciuta, il fratello che non aveva avuto e con cui aveva trascorso l’infanzia e l’adolescenza. Felice, come aveva saputo farla essere fino alla Guerra dell’Anello.

 

In quel momento tutto era cambiato, loro erano cambiati, ed erano cresciuti, avevano fronteggiato le loro responsabilità. Lei come Principessa di un regno soggiogato da una volontà aliena, lui come Cavaliere di una Regina di cui non aveva saputo riconoscere il male e a cui era rimasto fedele fino alla morte.

 

Sospirò, mentre Loki, che certamente stava leggendo i suoi pensieri, la condusse fino al ponte che passava sul fiume Thund, al di là del quale si innalzavano le altissime mura del Valhalla. E fu allora che l’astuto Dio capì di non poter procedere oltre.

 

Tutte quei soldati di fronte alla Porta Principale e quegli stendardi che sventolavano dalle finestre in alto, ognuno con sopra ricamato un simbolo, quello della Divinità presente, fecero comprendere a Loki che Odino si era già mosso, convocando un’assemblea di tutti gli Asi, e che entrare a palazzo in quel momento avrebbe significato non uscirne più. Non perché temesse di essere riconosciuto, da quei cialtroni guerrieri che tante volte aveva ingannato nel corso dei secoli, con i travestimenti più disparati, ma perché lo avrebbero certamente voluto con loro, al loro fianco, a discutere dei preparativi di guerra, a chiedergli rinforzi da Atene, ad elaborare altre mille strategie, facendogli così perdere tempo prezioso.

 

Heimdall era rientrato a Himinbjörg, per continuare la sua missione di vedetta, ma Loki era certo che non sarebbe passato molto tempo prima che qualcuno, se non un messaggero dello stesso guardiano di Bifrost, avesse informato Odino della presenza della Principessa di Midgard e del Cavaliere di Atena ad Asgard, sebbene la confusione di quel giorno avrebbe potuto fargli guadagnare minuti preziosi.

 

“Maledizione!” –Commentò, fermandosi sotto l’ampio portico di un palazzo e trascinando Flare nell’ombra con sé. –“Non possiamo entrare all’interno del Valhalla! Questo significa che non possiamo scendere in Hel passando da Yggdrasill, la cui prima radice sorge nel giardino sul retro della fortezza! Ma non mi scoraggio, l’importante era per me rientrare in Asgard, da qui proseguiremo in un modo diverso!” –E nel dir questo deformò i tratti del suo viso e del corpo, divenendo una signora di mezza età, la schiena ricoperta da un lungo mantello grigio. Ordinò a Flare di coprirsi la testa con lo scialle e si avviò assieme a lei nella direzione opposta del Valhalla, mescolandosi alla folla di persone che brulicava nella città.

 

Camminarono per quasi un’ora, lasciandosi alle spalle le sontuose residenze degli Dei del Nord, che Flare aveva solo parzialmente visitato nei suoi soggiorni precedenti, prima di raggiungere le propaggini di un prato che discendeva verso valle. Là, Loki mutò di nuovo il suo aspetto, assumendo quello di una possente aquila, dal magnifico piumaggio argenteo, intimando Flare di salirgli sul dorso.

 

“Mira i poteri del manto di piume che rubai a Frigg! Lei lo usava per svolazzare in giro, magari per controllare che il guercio non fosse intento a esigere dalle Valchirie servizi diversi da quelli che gli spettavano! Ma io lo destinerò a scopi più elevati, scopi di conquista!” –Le disse ridendo. –“Ma non temere! Non ti lascerò cadere! Sebbene il tuo compito sia giunto a termine, avendomi fatto entrare all’interno di Asgard, provo simpatia nei tuoi confronti, per cui ti concederò di vedere mio figlio!”

 

Tuo… figlio?!” –Balbettò Flare, montando sulla schiena dell’aquila, che subito spalancò le ali, sollevandosi in cielo e volando verso l’ingresso di Hel.

 

“Uno dei tre che ebbi dalla Gigantessa Angrbodhra! Sono stato capace di amare e unirmi a molte creature, Principessa, sebbene possa sembrarti strano, perchè l’amore e la passione sono sentimenti che vanno al di là del pudore e del sentire comune! Comunque, gli Asi invidiosi diffusero voci secondo cui un grande male sarebbe scaturito dai fanciulli, spingendo Odino a gettarli in angoli diversi dei nove mondi, separandomi da loro!” –Disse, iniziando a scendere di quota.

 

Ai margini di Asgard, molto più in basso rispetto alla fortezza imponente che persino da lontano emanava un acceso bagliore, tra dirupi e voragini era accuratamente celata una caverna profonda, un baratro che molti avevano definito Ginnungagap, in riferimento all’abisso primordiale esistente prima della formazione della Terra. La fessura, stretta e ostile alle visite, era custodita a vista dal cane infernale, Garmr.

 

Loki, entrandovi, non fu troppo sorpreso di non trovarlo lì, intento a sbranare qualche morto, e la catena spezzata gli fece capire che anch’egli era stato liberato. E presto non sarà più solo! Sibilò, sfrecciando all’interno del Regno degli Inferi.

 

Flare rabbrividì all’istante, alla vista di quel paesaggio desolato e terribile, e ricordò la descrizione che Cristal le aveva fatto di ritorno dalla sua breve avventura con Orion e Artax. Un immenso nulla. Una descrizione calzante, ironizzò la ragazza.

 

“Non esserne così sicura!” –Parlò allora Loki. –“La morfologia di Hel è variegata, per quanto all’apparenza non possa sembrare! Ci sono montagne e caverne, laghi e fiumi, e persino una spiaggia!” –Aggiunse, sbattendo sempre più le ali, per quanto ostacolato dall’imperterrito soffiare del vento.

 

Arrivarono infine in un lago sotterraneo, che si estendeva cupo e silente al di sotto del deserto di ghiaccio, in un luogo così profondo e oscuro che Flare temette quasi non esistesse, se non nei suoi incubi peggiori. Al centro del lago, che la ragazza apprese si chiamava Amsvartnit, sorgeva un’isola con nient’altro se non una collina di erbacce, da cui provenivano lamenti angosciosi, simili all’ululare uggioso del vento che spazzava le distese di Hel.

 

“Eccoci dunque!” –Esclamò Loki, atterrando ai margini dell’isola Lyngi, poco distante dalle nere acque, su cui Flare si specchiò, osservando la nuova trasformazione di Loki, quella con cui il Buffone Divino riprendeva possesso delle sue forme perfette. –“La mia vendetta quest’oggi troverà compimento!”

 

“Ti prego, no!” –Gridò allora Flare, afferrandolo per un braccio e obbligandolo a voltarsi verso di lei, stupito da un ardore che non sospettava possedesse. Neanche lei lo immaginava, ma sapeva di non poter far altro in quel momento, da sola, ai confini del mondo, con la Divinità più infida e potente che avesse mai incontrato. Così lo fissò e pianse, tenendogli le mani tra le proprie. –“Ti prego, Loki, ascoltami! Ferma questa pazzia, ferma questa guerra! A cosa porterà? Ad altro dolore e morte!”

 

“Credi che non lo sappia?” –Affermò il Dio, impassibile.

 

“E allora perché? A che giova insistere e distruggere un regno e tutti i suoi abitanti? Arde davvero così tanto in te la brama di gloria, la voglia di ricchezza?!” 

 

“Gloria e ricchezza?! È questo a cui credi io miri?!” –Sibilò Loki, ritirando le proprie mani. –“Se così è, Flare di Polaris, non hai capito niente di me, e meriti una morte atroce, la stessa che infliggerò agli Asi che tanto veneri e alla Celebrante tua sorella!”

 

“Se non è il potere che ti spinge, allora cosa? Spiegamelo perché ci terrei a capire cosa può essere così forte da ottenebrare una mente geniale come la tua, volgendola al male!”

 

“Mente geniale, dici il vero, ma mente che mai gli Asi hanno apprezzato! Deriso mi hanno per millenni, schernito per le mie perversioni sessuali, per i miei poteri di trasformismo, che mi permettevano, a mio piacimento, di essere tutto o niente! Non sono mai stato forte come Vidharr, né abile in battaglia come Tyr, né puro come Balder! Ma ero astuto e intelligente, e ho cercato di fare di questo dono la mia forza!” –Raccontò Loki, prima di fissare Flare negli occhi. –“Ho cercato anche di mettere i miei poteri al servizio degli Asi, che non hanno esitato a servirsene ogni qualvolta ci fosse da risolvere un problema così delicato che solo la malia di Loki poteva averne ragione! E come mi hanno ricompensato?! Con questo!!!” –Ringhiò, strappandosi le vesti e mostrando il suo corpo per com’era realmente. Muscoloso, senza dubbio, ma anche solcato da segni che a Flare parvero inizialmente cicatrici, resti di frustate a cui doveva essere stato sottoposto.

 

“Oh no, sono molto di peggio! Sono la vergogna degli Asi e il motivo della mia vendetta!” –Avvampò Loki. –“Vendetta!!! È questo che cerco! Riscatto per l’umiliazione che gli Asi mi hanno inflitto, in quella caverna!”

 

“Quale caverna? Cos’è accaduto Loki?”

 

“Davvero tu non sai, dolce Principessa dai morbidi capelli? Ah ah, strumento innocente nelle loro mani allora sei! Poiché tutti conoscono la punizione di Loki, i cui segni tuttora porto sul corpo e sul viso!” –Esclamò, avvicinandosi alla ragazza che vide come le strisce che aveva notato sul suo petto fossero presenti anche sul volto. –“Non le avevi viste, me lo immagino! I miei poteri le nascondono, e continuerò a celarle finché avrò una stilla di vita! Le detesto, ma al tempo stesso mi ricordano la mia missione, la vendetta contro Odino che ho deciso di perseguire e che porterò a termine, unendo tutti coloro che dagli Asi sono stati feriti o umiliati almeno una volta! I morti confinati in Hel, che non hanno mai ammirato lo splendore del Valhalla, destinati a bere urina di capra dai demoni infernali! I miei figli, che come me hanno incontrato un macabro destino! I Giganti di Brina e di Fuoco, dagli Asi sempre combattuti e temuti, per la loro deformità!

 

Vedi, piccola Flare, gli Dei a cui sei devota hanno avuto il brutto vizio di temere, fin dalla creazione, tutto ciò che non sono riusciti a comprendere, tutto ciò che poteva rivolgersi loro contro! Per questo si sono fatti la guerra tra di loro, per lunghi secoli, fino a capire che non ne sarebbero usciti se non con la distruzione reciproca, di Asi e di Vani! Così hanno stabilito una pace, non perché la volessero, bada bene, non perché ci tenessero ma perché era necessaria per la conservazione delle stirpi! E poi danno a me del buffone, quando loro per primi non hanno capito i valori che dovrebbero essere alla base della convivenza sociale! Quale ironia!”

 

“Le tue parole ideali cozzano però con i tuoi comportamenti, Loki! Non ti avrebbero cacciato da Asgard se tu non avessi continuamente tentato di sovvertire l’ordine!”

 

“È vero, l’ho fatto! Ma credi che gli altri Dei siano perfetti? Ooh, sono ben lungi dall’esserlo! Tra loro si celano assassini e violenti, sodomiti e peccatori! Quanti morti Odino e Tyr hanno causato? Quante vite hanno reciso, di uomini, giganti o altri Dei con cui erano in disaccordo? E a quale passione si sono abbandonati Freyr e sua sorella Freya, nati da un rapporto ugualmente incestuoso di Njörðr, Signore dei Venti? Ma, su tutte le loro colpe, come hanno osato ridurmi così???” –Strillò, con tutta la voce che aveva in corpo, ghiacciando Flare che non osava più fiatare, impressionata dal repentino cambio di umore del Dio dell’Inganno.

 

“Tentai di uccidere Balder millenni addietro, non lo nego! Perché in una profezia veniva indicato come l’uomo della rinascita, la chiave di volta che avrebbe impedito il compiersi del Ragnarök, processo a cui è stata volta tutta la mia esistenza! Fallii, ma gli Asi non mi perdonarono! Imprigionato, privato dei miei poteri grazie alle rune che mi diressero contro, mi portarono in una caverna come questa, da qualche parte negli sconfinati abissi del Niflheimr e mi torturarono, per il piacere di vedermi agonizzare! Uccisero due miei figli, davanti ai miei occhi, e mi legarono con le loro budella! In questo modo, mi disse Odino, avrei provato quel che prova un genitore a perdere un figlio! Poi mi misero un serpente sul capo, in modo che il veleno uscisse dalla bestia e cadesse sul mio volto, infiammandomi l’intero corpo e portandomi pian piano alla pazzia! E, ammetto, ci stavo quasi per diventare pazzo!

 

Abbandonato nei recessi dell’inferno, intriso di veleno e morte, rimasi da solo per secoli, senza nessuno che venisse a farmi visita. Nemmeno Odino scese mai, nemmeno lui che avrei creduto mi avrebbe perdonato. Poi un giorno, o forse una notte, non saprei dirlo perché persi il computo dei giorni vivendo in una tenebra continua, un’ombra si palesò di fronte ai miei occhi, uccidendo il serpente e disintegrando le catene che mi tenevano prigioniero alla lastra di pietra. Crollai a terra, inerme, e lì rimasi per qualche ora e quando trovai infine la forza per rialzarmi l’ombra era ancora là e aveva assunto la forma di un uomo rivestito da un’armatura scarlatta. Senza tanti preamboli, mi disse che sapeva chi fossi e che voleva che tornassi a vivere perché il mio ruolo nell’universo era lontano dall’essersi compiuto.

 

“Tu sei Loki, il Signore dell’Ambiguità, non un debole Dio qualunque e quella che io ti offro è la strada per la tua vendetta!” Non aggiunse altro e se ne andò, lasciandomi in mano quel che mi permise di rimettermi in forze, curando le ferite e la mia pelle, la cui perfezione era ormai stata violata. Una pietra nera, la stessa che mi permetterà adesso di liberare mio figlio!” –Gridò, mostrando il palmo della mano destra, ove una pietra scura, quasi un frammento di notte, riluceva sinistra, emanando una luce di tenebra che avvolse prontamente Loki.

 

Fenrir!!!” –Esclamò allora il Calunniatore degli Asi, presto destinato a divenire il Castigatore degli stessi. –“Svegliati!”

 

Fu allora che la terra tremò e le acque del lago sotterraneo si mossero, mentre quella che Flare aveva creduto fosse una collina spoglia si sollevò, apparendo ancora più grande di come le era sembrata. Inorridita, la Principessa notò le zampe dell’immensa bestia allungarsi e il muso prendere forma, e solo in quel momento comprese che l’ululato che aveva udito all’inizio, l’ululato che imperversava in tutto l’inferno, non era dovuto al vento, ma alla sofferenza e alla rabbia della creatura.

 

“Principessa di Midgard, ti presento mio figlio Fenrir, il lupo più immenso che abbia mai calcato le terre di Asgard! Quella spada che vedi piantata tra le sue mascelle è un regalo degli Asi tuoi amici, per obbligarlo a tenere la bocca aperta, impedendogli di sbranare qualche incauto viaggiatore! Come se fossero molti i viaggiatori che sono venuti a fargli visita! E questo lago, il cui livello delle acque mi pare decisamente aumentato dalla mia ultima visita, è stato formato dalla saliva di Fenrir, accumulata in millenni di prigionia! Misero destino ti è toccato, vero, figlio mio?” –Esclamò Loki, mentre il lupo si agitava, scuotendo le zampe, fissate con una catena magica forgiata dai nani nelle loro montagne e intrisa degli incantesimi delle rune degli Asi. Una catena che Loki, alla sua prima visita, non ebbe la forza per distruggere, dovendo rimandare la liberazione del figlio, aspettando un momento più opportuno per la rimpatriata di tutte le forze del male.

 

“E quel momento è adesso!” –Sibilò, espandendo il proprio cosmo, che saturò l’aria della caverna sotterranea, mentre migliaia di folgori si attorcigliavano attorno al suo corpo, concentrandosi sul braccio, teso avanti a sé. Una tempesta di fulmini si abbatté su Gleipnir, il laccio forgiato dai nani, mandandolo in frantumi, e ugualmente fecero con i massi a cui la catena era fissata e con la spada che Fenrir aveva in gola.

 

Finalmente libero, l’immenso lupo ululò, scuotendo il Niflheimr dalle fondamenta. Nessuno poté sfuggire a quel suono, a lungo atteso e al tempo stesso temuto. Megrez e suo padre, intenti a curare le rifiniture di Naglfar, nella baia di Nastrond, o Hel e i suoi servitori, nella Casa delle Nebbie, o Hrymr e i Giganti di Brina, intenti a marciare verso le radici del Frassino Cosmico. Persino Alcor, imprigionato nella teca di ametista, lo percepì, e avrebbe tremato se avesse potuto.

 

Föðr Padre…” –Esclamò Fenrir, fissando il Dio dall’alto, con i suoi intensi occhi rossi. –“Cibo…” –Aggiunse, subito dopo.

 

Ooh, sì , è naturale che tu sia affamato figlio mio! Non ti dico quanti chili ho perso io in secoli di prigionia, o forse millenni? Non ricordo, quel che è certo è che la mia linea ne ha guadagnato!” –Ironizzò Loki, prima di voltarsi verso Flare, silenziosa e tremante accanto a lui. –“È giunta l’ora di restituire il favore agli Asi! Ah ah ah!” –Ridacchiò, sollevando la ragazza e portandola al centro dell’isola, mentre Fenrir si sgranchiva le gambe, prima di balzar fuori, distruggendo una parte del soffitto della caverna. –“Ammira la tua nuova casa, Principessa di Midgard! È un po’ spoglia, ma è ariosa!” –E la avvolse in quel che restava di Gleipnir, fissandola sotto alcuni massi.

 

Loki!!! Non puoi lasciarmi qui! Loki!!!” –Gridò Flare, in lacrime. –“Hai promesso a Ilda! Hai promesso a mia sorella!”


“Le ho promesso che non ti avrei fatto del male, e puoi forse dire che ti ho picchiato, violentato o massacrato selvaggiamente?” –Ironizzò il Dio. –“Sei stata fortunata, ragazza mia, più di quanto ti aspettassi! Avevo pensato di ucciderti appena entrati in Asgard e gettare il tuo corpo in fiamme all’interno del Valhalla, come biglietto da visita per Odino, ma poi ho cambiato idea! Mi sarebbe dispiaciuto rovinare le tue belle cuffiette! Ah ah ah! Da Odino invece mi presenterò con un diverso biglietto d’ingresso! Addio, Principessa, possa il tuo essere un regno lungo e felice! Ah ah!”

 

Non aggiunse altro e se ne andò, uscendo dalla caverna e raggiungendo Fenrir all’esterno, che chinò la testa, permettendo al padre di salirvi sopra per poi mettersi a cavalcioni su di essa, prima di dargli l’ordine che da tempi immemori attendeva.

 

“Alla conquista di Asgard, figlio mio! Heim! Verso casa! La nostra nuova casa!”

 

***

 

Ilda era rannicchiata nella prigione del palazzo dei Polaris, immobile nel suo silenzio fin da quando Loki ve li aveva condotti. Enji camminava avanti e indietro per la stanza, per scaldare le gambe e non cadere vittima del freddo, osservando Fiador, seduto poco distante, tremare alacremente, certo che sarebbe diventato pazzo, incapace di sopportare ulteriormente quella tensione.

 

“Mia Signora!” –Esclamò infatti il ragazzo poco dopo. –“Mia Signora vi prego, fate qualcosa! Voi dovete fare qualcosa, siete l’unica qua… che ha il potere!”

 

“È ben poco il potere in mio possesso, giovane Fiador, e quel poco l’ho sempre usato per il benessere della nostra città, per pregare Odino affinché alleviasse le nostre condizioni di vita, rendendo sopportabile l’esistenza in quest’angolo di mondo! Cosa posso fare, adesso? Di fronte ad un potere così grande da non essere compreso neppure da chi ha contribuito a scatenarlo?!” –Disse la Celebrante, con voce triste.

 

“Potete liberarci! Vi prego, fatelo! Spezzate queste catene, abbattete la porta e andiamocene! Al vostro cosmo lucente le guardie non potranno opporsi!”

 

“No, non potrebbero!” –Mormorò Ilda. –“Ma non lo farò! Non ha alcun senso, ora! Se anche riuscissimo ad uscire da questa segreta, dove andremmo? L’intero castello è occupato dai servitori di Loki e percepisco orribili creature aggirarsi nei dintorni! È forse più sicuro per noi rimanere qua dentro che balzare nelle loro fauci! Inoltre…” –E nel dir questo il suo volto si incupì ulteriormente. –“Flare è nelle mani di Loki e, per quanto abbia la sua parola, non mi fido affatto del Grande Ingannatore!”

 

“Ma Regina!!!” –La implorò quasi Fiador, prima che la voce di Enji sovrastasse la propria, intimandogli di non disturbare ancora la meditazione della Celebrante.

 

Umpf, forse mio padre non aveva poi così torto quando sollevò gli altri nobili contro di voi! Se tutto quel che sapete fare è rinchiudervi in un’inutile preghiera, di ben poco aiuto siete alla causa della libertà di Asgard!” –Bofonchiò il ragazzo.

 

“Ci sono valori più importanti, Fiador, che forse oggi sei troppo giovane per comprendere, cause ben più grandi rispetto alla nostra, sia pur degna, esistenza!” –Parlò Ilda, con tono pacato, senza curarsi delle crude parole ricevute.

 

“E cosa può esserci di più importante della nostra vita?”

 

“La vita dell’intera umanità!” –Esclamò la Regina di Polaris, zittendo il giovane. Quindi fece per riprendere la sua meditazione, ma un rumore la distrasse, un insieme di rumori provenienti dall’esterno, simili ad uno scontro in corso. Sulle prime sussultò, temendo che i Soldati di Brina si fossero abbandonati a indicibili massacrati verso le guardie della cittadella. Ma il clangore non accennava a diminuire, anzi si stava facendo persistentemente vicino, e questo le strappò un sorriso, certa che il messaggio che aveva inviato tramite il cosmo era invero giunto a destinazione.

 

Fuori dalla cittadella infatti, nell’ampio spazio che si estendeva tra la prima cinta fortificata di mura e la seconda, corrispondente al palazzo vero e proprio, Pegasus, Sirio e Cristal, assieme a Kiki, Bard e ai giovani arcieri di Midgard, stavano tentando di fronteggiare i Soldati di Brina, che a centinaia si erano riversati su di loro.

 

A ben vedere, si disse Pegasus, non erano poi così tanti, né sarebbero stati un problema, non fosse stato per l’immenso lupo dalle fauci spalancate che si ergeva su di loro, muovendo le zampe per artigliarli. Skoll, figlio di Fenrir, generato all’ombra della Foresta di Ferro, motivo per cui, si diceva, le sue ossa e i suoi artigli fossero resistenti al punto da essere indistruttibili.

 

Leggenda o meno, non ci tengo ad appurarla! Mormorò il Cavaliere, rotolando sul terreno per evitare una zampata del lupo e al tempo stesso cercare di schivare i raggi congelanti dei Soldati di Brina. Così non va, c’è troppo caos! Rifletté, osservando gli amici che, al pari suo, dovevano lottare su più fronti contemporaneamente, difendendosi da ogni lato.

 

Kiki! A me!” –Esclamò, presto raggiunto dal fratello di Mur. –“Noi ci occuperemo di Skoll… Tu, piuttosto, vedi quel torrione? Ilda non se la prenderà se ristrutturiamo un po’…”

 

Kiki annuì, comprendendo il piano dell’amico, che si pose di fronte a lui, per proteggerlo dagli attacchi dei Soldati di Brina, scatenando la furia devastante del Fulmine di Pegasus che raggiunse una decina di loro. Il giovane apprendista, nel frattempo, bruciò il proprio cosmo, di color verde acqua, concentrando i sensi sulla torre sporgente che svettava sul palazzo sopra di loro. Li concentrò sempre più intensamente, stabilendo un contatto con la materia, un’unione che gli permetteva di assumerne il controllo, e spostarla, come Mur gli aveva insegnato negli anni.

 

“Restare sempre in contatto con ciò che si vuol muovere è la base della telecinesi!” –Amava ripetergli. E Kiki aveva ben imparato, anche se inizialmente non aveva saputo trovare miglior applicazione ai suoi poteri che scagliare qualche pietra addosso ai malcapitati che raggiungevano lo Jamir. Proprio come era successo a Sirio.

 

Sorrise, pensando a quanto tempo era passato da allora, non troppo in verità, neppure due anni, ma in quel periodo tutti erano cresciuti. Anche lui. E ora era il momento di dimostrarlo.

 

Uuuh…” –Mormorò Kiki, sforzando al massimo i suoi sensi fino a far scricchiolare la costruzione. In quel momento Sirio e Cristal si lanciarono contro Skoll, liberando i loro attacchi congiunti e spingendolo proprio contro le mura interne della cittadella, su cui la bestia si abbatté guaendo.

 

Molti soldati nemici vennero schiacciati dalla sua massa, altri tentarono di fuggire, ma subito le frecce di Bard e dei suoi amici, e i pugni lucenti di Pegasus si abbatterono su di loro. Fu in quell’attimo che Kiki sradicò letteralmente la torre di guardia, abbattendola su tutti loro, sommergendoli sotto tonnellate di macerie, prima di accasciarsi sfinito, di fronte allo sguardo soddisfatto degli amici.

 

“Bel lavoro, ciuffino!” –Gli disse Pegasus, scombinandogli i capelli.

 

Attentiii!!!” –La voce di Bard li distrasse all’istante, mentre Skoll si rimetteva in piedi, stordito ma soprattutto arrabbiato. Aveva voluto giocare con loro, credendo si trattasse di semplici soldati, bocconcini con cui amava divertirsi, squartandoli, prima di masticarne i resti. Invece erano dotati di poteri cosmici della stessa matrice di Loki e degli Asi che tanto odiava, poteri in grado di ferire la sua pelle corazzata.

 

Ssstolti! In quesssto modo mi togliete il divertimento, ma non l’appetito!” –Sibilò, prima di scattare contro di loro, ad una velocità così elevata che Pegasus e gli altri non credevano quel colosso potesse tenere.

 

Si abbatté su Sirio e Cristal, gettandoli a terra, prima di dirigersi verso Bard e i suoi compagni, che invano tentarono di fermarlo con le loro frecce, che non riuscirono neppure a scalfirlo. Skoll fu su di loro, schiacciandone alcuni e afferrandone altri con le mascelle, squartandoli in un sol boccone, di fronte agli occhi inorriditi di Bard.

 

Ma… maledetto mostro!!!” –Ringhiò l’allievo di Orion, trattenendo le lacrime e incoccando una nuova freccia. La riconobbe al tatto, era la freccia d’oro, dono del suo maestro. La freccia che Orion gli aveva regalato, raccomandandogli di usarla in un’occasione importante, per difendere tutto ciò in cui credeva. –“E quel giorno è adesso!” –Si disse, spostando con un soffio i capelli che gli cadevano sulla fronte.

 

“Aspetta!” –Intervenne allora Cristal, rimessosi prontamente in piedi. –“Mira agli occhi! Ti dirò io quando tirare!” –Non aggiunse altro e sfrecciò via, scivolando sul terreno ghiacciato, fino a portarsi sotto l’immensa bestia.

 

Sirio e Pegasus lo guardarono attoniti, comprendendo quel che volesse fare, e corsero di fronte a Skoll, per attirare la sua attenzione. Kiki usò i suoi poteri telecinetici per scagliare contro il collo della bestia un nugolo di lance e spade dei soldati abbattuti, facendola ringhiare ulteriormente e sollevarsi verso il cielo. Fu allora che Cristal le afferrò le zampe posteriori, o meglio le afferrò dei ciuffi di pelo, essendo troppo vasta la distanza tra i suoi arti da non poterli toccare entrambi contemporaneamente. Ma fu sufficiente per sprigionare il suo potere congelante e rivestire il grigio manto di Skoll di un resistente strato di ghiaccio.

 

“Che ssstai facendo, bocconcino?!” –Ringhiò il lupo, chinando la testa e realizzando, con orrore, di non poter muovere le zampe posteriori. Adirato, si liberò di Cristal con un colpo di coda, ma il ragazzo fu abile a sfruttarne la spinta, afferrandovisi e balzando via, accanto a Bard, che allora scoccò la sua freccia d’oro.

 

Mancò l’occhio del lupo, che si agitava frenetico, ma lo raggiunse comunque all’orecchio sinistro, strappandogli un grido di dolore. Sirio, vedendo che i compagni stavano recuperando il controllo della situazione, chiese allora a Bard di portarlo alle segrete, in modo da liberare Ilda. Il ragazzo annuì e, radunati i cinque compagni che gli erano rimasti, sfrecciò via con il Cavaliere e Kiki.

 

“Bene, gattone! Sembra sia arrivata la tua ora!” –Esclamò Pegasus con baldanza, ergendosi ai piedi di Skoll, con il pugno rilucente di energia cosmica.

 

“Credi. Ma non sssai!” –Si limitò a commentare il figlio di Fenrir, con un ghigno astuto, prima di chinare il capo e alitare in faccia al ragazzo quel che in realtà non era un semplice soffio ma una vera e propria corrente d’aria gelida che lo spinse indietro, facendolo ruzzolare al suolo. –“In una creatura primordiale quale io sssono, non può che risssiedere lo ssstessso potere della mia civiltà infernale! Un gelo sssconfinato!”

 

“E allora è con il gelo che ti sconfiggeremo!” –Intervenne Cristal baldanzoso, espandendo il proprio cosmo. Pegasus si rialzò per fare altrettanto ma in quel momento un gruppo di Soldati di Brina, ripresisi dallo stordimento del crollo della torre, si rimise in piedi, lanciandosi contro di lui ad armi spianate.

 

“Non c’è modo di riposare un istante! Siete proprio noiosi!” –Bofonchiò il ragazzo, scattando di lato, mentre un fascio di energia congelante lo raggiungeva a un piede, facendogli perdere l’equilibrio. L’Armatura Divina resse bene, ma a Pegasus sembrò di sentirla più fredda al contatto e tremò al pensiero di non averla avuta indosso. –“Dal momento che non mi piace ripetermi, lo dirò una volta sola! Fulmine di Pegasus!!!” –Gridò, sfrecciando in mezzo ai nemici, falciati dalla sua pioggia di stelle cadenti.

 

Cristal, nel frattempo, aveva espanso il proprio potere glaciante, dirigendo una massa di energia contro Skoll, che aveva cercato di opporvisi generando correnti gelide con il fiato, facendo sì che i due poteri si scontrassero, congelando tutto quel che stava attorno. Pietre, detriti, armi e lance, persino i corpi dei soldati vennero inghiottiti da un globo di energia azzurra che esplose poco dopo, spingendo Cristal indietro di qualche metro.

 

Skoll approfittò di quel momento per scuotersi con forza, tirando i muscoli del corpo e sradicando le zampe posteriori da terra, distruggendo parte del ghiaccio con cui erano bloccate. Non s’avvide però, intento com’era a tener lo sguardo sul Cavaliere del Cigno, di un fascio di energia dorata che gli illuminò il collo, forandolo e facendo schizzar fuori spruzzi di sangue venefico. Un secondo gli mozzò la coda, mentre un secco colpo di lama gli falciava alcune unghie di una zampa, strappandogli immani grida di dolore.

 

Fece per muoversi verso coloro che lo avevano appena ferito, ma dovette coprirsi gli occhi, accecato dallo straordinario bagliore che le loro armature emettevano, una luce così intensa a cui, avendo vissuto per secoli nelle tenebre del gelo, non era abituato.

 

“Salve ragazzi!” –Esclamò allora una delicata voce femminile, mentre la luminosità attorno al suo corpo scemava di intensità, permettendo a Cristal e a Pegasus di riconoscere le aggraziate forme di Reis di Lighthouse, Cavaliere di Luce. –“Spero che non vi dispiaccia se ci siamo presentati senza invito, ma Jonathan, sapete come sono i maschi, adora le feste!” –Sorrise, indicando il compagno alla sua destra, con lo Scettro d’Oro puntato verso il volto di Skoll.

 

Reis! Jonathan!” –Balbettò Pegasus a quell’inaspettata apparizione. –“Felicissimi di vedervi! Ma… che ci fate qua?!”

 

“Il Signore dell’Isola Sacra ci ha ordinato di portarvi aiuto, Cavalieri di Atena! Non è solo Asgard ad essere interessata da questa guerra, ma l’intera Terra sta volgendo verso il crepuscolo!”

 

 

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Capitolo 8
*** Capitolo sesto: Giochi d'incastro ***


CAPITOLO SESTO: GIOCHI D’INCASTRO.

 

Spesso la storia si ripete, pensava Andromeda liberando le guizzanti catene, che saettarono nell’aria per contrastare il nuovo assalto che Managarmr, guerriero del Lupo della Luna, gli aveva rivolto contro. Da una decina di minuti i due si stavano affrontando, proprio tra le rovine della torre di guardia dove l’anno precedente il ragazzo aveva duellato con Mime. E ancora una volta Andromeda era costretto a fronteggiare un avversario che a stento poteva definire tale.

 

Per quanto infatti a lui ostile, Managarmr era un ragazzino, di quindici anni scarsi, che lottava più per fedeltà a chi gli aveva donato l’armatura, per sentirsene degno, che non per reale convinzione alla causa. Il suo cosmo, Andromeda poteva sentirlo, non era affatto oscuro, ma questo non gli impediva di scatenare attacchi rapidi e selvaggi, simili al fugace balzo di una fiera che s’abbatte sulla preda.


Fuoco del Lupo e del Dragone!” –Tuonò il guerriero, portando avanti il pugno destro, mentre migliaia di sagome di energia, simili a fiere stilizzate, saturavano l’aria mattutina, obbligando Andromeda a scagliare la catena, per trapassarle tutte.

 

Dopo tre attacchi che Managarmr aveva portato, il discepolo di Albione aveva capito il suo trucco, che gli permetteva di sdoppiarsi in molteplici copie, concentrando il grosso del cosmo in una di esse e infondendone una stilla alle altre, che servivano soltanto a distrarre l’avversario. Ma certo non avrebbe immaginato che questi avrebbe disposto dell’arma più utile per vanificare la sua tecnica.

 

Catena di Andromeda, trova il nemico!” –Gridò il ragazzo, mentre la punta a triangolo squarciava le varie forme di lupo, facendole quasi evaporare all’istante. Solo una rimase, poco distante dal fianco destro, e su essa Andromeda scatenò tutta la furia delle catene, convinto di aver individuato il servitore di Loki. Ma, con sorpresa e delusione, dovette accorgersi, quando la sagoma di energia svanì, che la catena aveva trapassato una colonna di pietra.

 

“Uh?!” –Si chiese come fosse possibile che la sua arma avesse potuto sbagliare in maniera così grossolana, tanto più contro qualcuno che percepiva come un nemico.

 

“E infatti non ha sbagliato, Andromeda!” –Lo richiamò una voce giovanile, prima che un pugno dal basso lo obbligasse a balzare indietro, venendo raggiunto solo di striscio dall’onda d’urto generatasi. –“Ma è stata troppo lenta! Troppo lenta per afferrare l’agile lupo della luna, raggiungendo solo la mia immagine residua!”

 

“Non vantarti troppo, ragazzino! La modestia è spesso l’arma migliore in battaglia!” –Esclamò Andromeda, spingendolo indietro con un’onda di energia, che Managarmr seppe in parte evitare, saltando di lato, atterrando sulle braccia e dandosi la spinta per balzare in cima ad un muro diroccato.

 

“Non mi vanto, dico il vero! Che son agile e desto, al punto che fino ad ora la tua infallibile, e devo dire meravigliosa, catena non mi ha mai afferrato! Sguscio via in fretta dalla sua presa, e devo farlo o ne sarei stritolato!”

 

“Potresti evitare tale sorte, se tu vorresti, Managarmr! Perché io non sono qua per lottare con te, ma per raggiungere la cittadella e aiutare chi mi è caro!” –Disse Andromeda, sperando di convincere il ragazzo a desistere.

 

“Che tu lo voglia o meno dovrai affrontarmi, Cavaliere! Questo è il mio compito, la ragione per cui Loki mi ha investito dell’armatura, e a lui devo obbedienza!”

 

Loki?! Vuoi dire il leggendario Dio dell’Inganno che a lungo ha tramato per rovesciare Odino?! È lui che ha scatenato quest’ondata di freddo improvvisa?”

 

“Quest’inverno prodigioso è chiamato Fimbulvetr, perché è molto più rigido del solito, come fossero tre inverni sovrapposti! Ma a questo clima di neve, ghiaccio e vento dovrai abituarti, perché impererà su tutta la Terra dopo che Loki avrà scalzato Odino dal trono di Hliðskjálf e sostituito i suoi Einherjar con noi, i valenti Sigtívar, gli Dei di Vittoria, che hanno ricevuto in dono le corazze proibite di Asgard!”

 

“Quali corazze?! Non sapevo ve ne fossero altre oltre alle sette indossate da Orion e dagli altri Cavalieri! Una per ogni stella dell’Orsa Maggiore!”

 

“Quello fu un tardivo abbinamento, Cavaliere! Non sei abbastanza informato sulla storia del nostro popolo!” –Ironizzò Managarmr. –“Altrimenti sapresti che millenni addietro, poco dopo la costruzione della fortezza di Midgard, Loki aveva già tentato di prenderne possesso! Invidioso che Odino avesse un avamposto nel reame degli uomini, da lui sempre considerato terreno fertile per i suoi scopi, in virtù delle innate debolezze che dominano il cuore umano, si ingegnò per occuparla, in modo da farne una testa di ponte nella guerra che in futuro lo avrebbe opposto ad Asgard! Così irretì quattro uomini, spingendoli a fare domanda per entrare nella guardia della cittadella, e poi si unì loro, sotto mentite spoglie, approfittandone per carpire informazioni che potessero tornargli utili! Aveva seguito, da lontano, la costruzione della reggia, simile ai grandi complessi fortificati che dominano Asgard, e aveva capito fin da subito che un attacco frontale sarebbe stato inefficace, ma un assalto dall’interno, quello era invece possibile!”

 

“Ed era in perfetto stile di Loki! Viscido e ingannatore!”

 

“Se così ti piace vederlo! Io lo considero astuto! Così facendo avrebbe potuto conquistare Midgard senza sprecare forze e, soprattutto, senza attirare l’attenzione scomoda di Odino e degli Asi! Chi avrebbe potuto, degli uomini mortali, opporsi al potere di cinque guerrieri dotati di cosmo, uno dei quali era in realtà un Dio?! Inoltre all’epoca i rapporti con gli altri culti erano inesistenti! Atena, Zeus, l’Olimpo, miraggi lontani, niente di più! Gli uomini del Recinto di Mezzo erano soli!”

 

“Perché usi il condizionale? L’ingegnoso piano del tuo mentore fallì?”

 

Ahimé, due fattori il mio Signore aveva sottovalutato, per quanto ben li conoscesse! La determinazione, che a volte permette a persone di infima levatura di compiere miracoli, elevandosi e divenendo eroi, e la debolezza intrinseca nel cuore degli uomini, che spinge molti di loro a continui voltafaccia! Proprio uno dei quattro compagni infatti lo tradì, avvisando il conestabile del tentato colpo di stato e permettendo ad alcuni esponenti della famiglia reale di salvarsi dal massacro scatenato dagli altri! Odino in persona, avvisato di un simile crimine, comparve e uccise tre dei guerrieri traditori, ma del quarto nessuno aveva più notizie! Fu quella l’ultima volta in cui il Dio degli Asi scese su Midgard, deluso e affranto dal comportamento degli uomini, che non riuscivano a trattenersi dal farsi la guerra tra di loro. In sua memoria gli abitanti della città eressero una grande statua, scavando nella montagna, con la spada rivolta verso il basso, a simboleggiare la protezione di Odino sulla loro terra, protezione che, ne erano certi, non sarebbe mai venuta meno. Il conestabile diventò il nuovo Celebrante, dando inizio a una dinastia che tuttora perdura, quella dei Polaris, che scelsero di legare i Cavalieri di Asgard, non più cinque ma sette, alle stelle dell’Orsa Maggiore, vicina e sorella più grande dell’Orsa Minore, simbolo del loro casato! Le cinque armature furono nascoste nelle segrete e, essendo state usate per versare sangue nella cittadella anziché difenderla, fu fatto divieto di usarle di nuovo! Nessun combattente di Midgard avrebbe più potuto indossare una delle corazze maledette, rappresentanti un lupo, un gigante, un’aquila, un guerriero e il simulacro che Loki fece creare per sé, posando come modello!”

 

“Immagino che l’ultimo traditore, colui che riuscì a fuggire, fu proprio Loki!”

 

“Precisamente! Smessa la corazza per lui forgiata, quella che adesso indossa il nostro comandante, assunse i tratti di un abitante della città, mescolandosi alla folla e evitando la collera di Odino. Vagò per giorni nelle foreste di Járnviðr, finché non si imbatté in una donna, brutta come una strega, la cui fame era così grande da spingerla a gettarsi su di lui, con un pugnale sguainato. Loki la fermò, spezzandole i denti, ma restò ammirato dal suo coraggio, grande al punto da spingerla contro un Dio! Così la sfamò con il suo cosmo, unendosi a lei e generando due lupi, progenitori della stirpe che popolò la Foresta di Ferro. So che tuttora, per quanto non ami raccontarlo, per non apparire sdolcinato, il mio Signore si reca in visita alla vecchia, negli antri più nascosti del bosco, con la scusa di controllare lo stato di salute delle creature! Lo stimo davvero tanto, per la sua intelligenza e per la sua capacità di adattarsi alle turbolenze del mondo! Come un gatto, egli è stato capace di atterrare sempre in piedi, ogni volta in cui è caduto! E oggi onorerò quel che ha fatto per me, sconfiggendo coloro che osano opporsi al suo grandioso progetto di rivalsa!”

 

“È solo per questo che combatti? Perché lo devi a chi ti ha donato una corazza, peraltro maledetta da una guerra civile? Non riesci a discernere se quel che il tuo maestro fa, e ha fatto, sia lecito o meno?!”

 

“Per la verità non mi interessa! Lui è il mio mentore e saprà meglio di me cosa sia giusto! Mi ha tenuto con sé fin da quando mi ha trovato, abbandonato in un cesto nella Foresta di Ferro, da chissà quale mostruosa famiglia che, incapace di sfamarmi o disinteressata nell’accudirmi, aveva preferito darmi in pasto ai lupi! Glielo devo, non credi? Per ricompensarlo di avermi fatto crescere e di avermi istruito alle arti del cosmo e del combattimento!” –Affermò fiero Managarmr, per quanto la sua voce tradisse una leggera emozione, e forse anche sofferenza, al ricordo della sua infanzia. –“Ho visto le bestie che popolano Járnviðr e, per quanto orribili, non sono peggio di altre che invece hanno due gambe e si fregiano del nome di uomini!”

 

“Capisco quel che hai provato... Essere abbandonati è quanto di più triste possa accadere a chiunque! Noi Cavalieri orfani lo sappiamo bene! Nessuno dovrebbe restare solo! Nessuno!” –Sospirò Andromeda. –“Ma anche se le tue motivazioni sono nobili, nella pratica sono errate, perché il tuo signore sta scatenando una guerra, te ne rendi conto? Non ti interessano le conseguenze? Perché vuoi condannare altri allo stesso destino di privazione in cui saresti potuto incorrere tu?”

 

“Non mi curo degli altri più di quanto si siano curati di me! A Loki devo la vita, e onorerò ciò in cui credo!” –Esclamò Managarmr, espandendo il proprio cosmo. –“Lui!” –E si lanciò in alto, per piombare poi sul Cavaliere di Atena, a gamba tesa, con il tacco carico di energia cosmica.

 

“Sei proprio cocciuto!” –Mormorò Andromeda, liberando la catena, che si abbatté sul ragazzo, scheggiando gli schinieri della sua armatura, sbilanciandolo e obbligandolo ad un atterraggio poco composto, che gli strappò un gemito, di dolore e di fastidio per essere stato ferito.

 

“Bastardo! Vuoi umiliarmi? Nessuno è più veloce di me! Terrò fede al nome che porto, al nome che Loki mi ha dato! Un lupo così veloce da riuscire a raggiungere la luna e a sbranarla!” –Sibilò, scattando verso il Cavaliere di Atena, muovendosi come fosse un felino. Evitò una raffica di catene che Andromeda gli diresse contro, balzando lesto a destra e a manca, ma quando tentò di attaccare si accorse che la catena con il cerchio si era già arrotolata al suo braccio, strattonandolo con forza. –“Urgh, lasciami!” –Ringhiò, agitandosi, e la afferrò con l’altra mano, per liberarsene.

 

“Errore fatale!” –Mormorò Andromeda, abbassando lo sguardo, mentre violente scariche di energia sprigionate dall’arma avvamparono attorno al gracile corpo di Managarmr, scheggiando parte della sua corazza e lasciandolo stramazzare al suolo, tra sangue e lamenti. –“Grazie al settimo senso, sei ben allenato nella corsa e nel confronto a distanza, ma per quanto tu raggiunga la velocità della luce non sei più veloce di un Cavaliere Divino! La disattenzione che ti ha gettato a terra la devi all’inesperienza e alla facilità con cui hai creduto di vincermi! Mi dispiace, ragazzo, ma se sei ancora in vita è perché io odio uccidere, e non cambierò mai opinione al riguardo! Soprattutto davanti a chi, come te, paga le colpe di chi l’ha cresciuto!”

 

“Quali colpe?” –Rantolò Managarmr, cercando di rimettersi in piedi. –“Avermi sottratto alla morte per darmi un po’ d’affetto è un male, Cavaliere di Andromeda? Forse quel che dici è vero, forse Loki è davvero un guerrafondaio, e allora? Dovrei per questo cancellare il ricordo di quel che ha fatto per me, concedendomi di vivere e facendomi da padre? Mai!!!” –Gridò, avvampando nel suo cosmo verde oliva. –“Che le zanne del Lupo della Luna ti sbranino, millantatore di Dei!” –E gli volse contro le fauci di una fiera dai denti rossi di sangue.

 

Perdonami…” –Si limitò a commentare Andromeda, liberando entrambe le catene. Quella di offesa fronteggiò le mortifere zanne del lupo, zigzagando al suo interno e spezzandole tutte, mentre quella di difesa si disponeva a tagliola, frenando la corsa del servitore di Loki e chiudendosi sulle sue gambe, fino a farlo ruzzolare a terra.

 

Aaargh!” –Mormorò il ragazzo, annaspando nella neve, che si stava tingendo di rosso, di fronte agli occhi di Andromeda, che non riusciva a provare odio nei suoi confronti, soltanto pena. Un infinito senso di pena.

 

La stessa che aveva dominato il suo animo negli anni dell’addestramento, quando aveva dovuto affrontare i compagni al cui fianco aveva vissuto, sopportando assieme le stesse difficoltà e le asperità del clima. Al pari di Managarmr, Reda e Salzius, Glauco e Marzio e gli altri allievi di Albione erano uniti da qualcosa che non era mai riuscito a comprendere, qualcosa che andava al di là del comune sentimento di vittoria, di superamento della sfida che la conquista dell’armatura rappresentava. Qualcosa che, agli occhi di Andromeda, avrebbe condotto alla guerra e alla morte. E che per questo paventava.

 

Anche col tempo non era cambiato, per quanto avesse accettato il suo ruolo e non fosse più disposto a sacrificarsi con facilità. Anche dopo anni di battaglie ancora non riusciva a dare il colpo di grazia al suo avversario senza essere invaso da remore.

 

U… uccidimi… che aspetti?” –Balbettò Managarmr, rubandolo ai suoi pensieri.

 

Il ragazzo stava ancora lottando con la catena che lo avvolgeva, stringendogli le gambe e impedendogli di rimettersi in piedi.

 

“Perché?” –Gli chiese Andromeda.

 

“È questo che fanno i guerrieri quando vincono, no? Uccidono i loro avversari, come io avrei fatto con te!”

 

“Possa il fato volere che tu non debba mai compiere un simile atto…” –Mormorò Andromeda. –“Perché non è eroico come si crede, uccidere non lo è mai! Se tu avessi già le mani sporche, ne sentiresti senz’altro il peso! Ma dato che, da questo punto di vista, sei ancora vergine, vorrei tu lo restassi!”

 

“Che stai dicendo?!” –Ringhiò, cercando di rialzarsi. –“Mi tratti come un bambino?! Ma i bambini non hanno i miei artigli! Fuoco del Lupo e del

 

Fu allora che Andromeda strattonò con forza le catene, gettando di nuovo il ragazzo nella neve, stavolta con le ossa delle gambe spezzate. Sospirò in silenzio, ritirando le sue armi, e poi gli diede le spalle.

 

“In questo stato non sarai più un pericolo per nessuno! Incapace di camminare, potrai solo trascinarti fino alla cittadella e chiedere perdono a Ilda per i tuoi sbagli! Forse la Celebrante di Odino, dall’alto della sua misericordia, ti grazierà! Nell’attesa, avrai tempo per pensare, a cosa significa indossare un’armatura, a cosa significa avere dei poteri come i nostri e all’uso che deve esserne fatto! Addio, ragazzo!” –Esclamò, prima di lanciarsi lungo il sentiero che dalle rovine conduceva al palazzo di Midgard, incurante delle grida di Managarmr alle sue spalle.

 

Per un momento ad Andromeda parve di sentire la voce di Phoenix dentro di sé. –“Facciamo tutti degli errori, ma non sempre ci viene data la possibilità di ripararli! Tu, fratello, sarai sempre convinto che tutti la meritino, vero?”

 

“Non è forse per questo che ci siamo ritrovati?!”

 

Continuò a correre, lungo la strada che già conosceva, mentre l’ombra di un maestoso uccello scivolava accanto a lui. Andromeda si fermò un istante, sollevando lo sguardo verso il cielo plumbeo, per ammirare un’aquila volare ad ali aperte, poi riprese a correre. Se avesse osservato meglio, avrebbe notato l’immenso uccello dal manto arancione discendere verso la radura e le sue forme farsi umane.

 

“Sei stato vinto in fretta!” –Esclamò, planando accanto al corpo spezzato di Managarmr. –“Per essere stato per anni il pupillo di Loki, dalle labbra di miele, gli hai dato ben poca soddisfazione, ben poco onore, tranne quello che riusciva a carpirti nei vostri momenti intimi! Non credi, ragazzino?!”

 

Aiutami… le mie gambe…” –Rantolò il Lupo della Luna, strascicandosi a terra, incapace ormai di rialzarsi.

 

L’altro guerriero lo fissò per un attimo, con sguardo reso inespressivo dalla maschera che indossava, che nascondeva la più totale indifferenza, prima di chinarsi su di lui e girargli il corpo, in modo che il viso fosse rivolto al cielo.

 

“A questo punto, fossi un Cavaliere, dovrei caricarti sulle spalle e portarti in salvo, nella speranza che il tuo amato Loki, o chi per lui, ti salvi!” –Commentò, senza tradire alcuna emozione. –“Ma non lo farò!” –E nel dir questo trapassò il petto del ragazzo con il braccio teso, facendogli sputare sangue e bava, prima di osservarlo afflosciarsi, morto. –“Perché non sono un Cavaliere, ma un mercenario! Siamo in guerra, si vince o si perde, e agli sconfitti non resta che una strada!” –Quindi sollevò il corpo sanguinante di Managarmr, trasportandolo fino al ciglio, mentre una raffica di vento freddo proveniente dal basso lo investiva, smuovendo il manto di pelle che portava fissato sotto i coprispalla e i biondi capelli che spuntavano dall’elmo. 

 

“Ma consolati! Forse, se sarai forte abbastanza, la tua anima potrà varcare il fiume Gyoll e raggiungere Hel, per unirsi ai demoni e agli spiriti di quei bastardi senza gloria che non sono ascesi al Valhalla! E allora potrai di nuovo essere utile a Loki!” –Detto questo lo gettò nel vuoto, osservandolo precipitare nel burrone e perdersi tra le nebbie. Spalancò le braccia, lasciando ondeggiare il lungo mantello, prima di buttarsi a sua volta e planare in aria, sollevandosi poco dopo con maestria.

 

Volò fin sopra la cittadella di Midgard, osservando Andromeda venir fermato da una pattuglia di lupi e Soldati di Brina e Pegasus e gli altri impegnati a lottare all’interno delle mura, con Skoll incombente su di loro. Sogghignò, prima di dirigersi verso il retro della fortezza, dove il comandante dei Sigtívar lo attendeva per partire.

 

Il drakkar che un tempo aveva costituito la base dell’immensa statua di Odino era stato liberato dal ghiaccio ed era pronto per salpare. Sul ponte di comando si ergeva Erik il rosso, come lo definivano con scherno gli altri guerrieri, ricordandogli che, per quanto gli piacesse attribuirsi simili appellativi storici, per darsi una certa importanza, in realtà era un bastardo loro pari, senza antenati ricchi né nobili. 

 

“Ben arrivato Hræsvelgr!” –Esclamò Erik, osservando l’uomo con l’armatura a forma di aquila planare sul ponte. –“Hai portato a termine la ricognizione di Midgard?”

 

“Sì, Erik! Managarmr, come sospettavo, è caduto, sconfitto da uno dei Cavalieri di Atena, che adesso combattono sul lato occidentale della fortezza! Immagino che puntino alla liberazione della Regina di Polaris!”

 

“Non mi sorprendo, di nessuna delle due notizie! Dei cinque Sigtívar scelti dal Dio dell’Inganno, il Lupo della Luna era il più giovane e inesperto! Sebbene sarei stato più felice se fosse riuscito a portare qualche avversario con sé all’inferno!”

 

“E cosa ti aspettavi da un ragazzino ancora in pubertà?” –Intervenne allora una voce rauca, facendo voltare Erik e Hræsvelgr. –“Drepa mi ha detto che non aveva ancora i peli sotto le ascelle, ed è strano perché era cresciuto tra i lupi!”

 

Bjuga delle Svalbard, la tua mancanza di tatto è simile alla tua carenza di materia

cerebrale! Che sia dovuta alle botte che hai preso in testa dalle tue lame rotanti?!” -Ironizzò Erik, osservando il gigantesco guerriero, che superava i due metri di altezza.

 

“Eh?!” –Bofonchiò l’altro, non comprendendo le parole del suo comandante, che si limitò a muovere la mano a spazzare, scuotendo la testa, per poi rivolgersi nuovamente a colui che indossava la corazza dell’Aquila dei Venti.

 

Skoll e i Soldati di Brina che abbiamo lasciato qua si occuperanno dei Cavalieri di Atena! Pare che oggi al bel lupo dal morbido crine sia stato tolto il piatto da sotto il naso e che per questo motivo sia piuttosto affamato! Ah ah ah!” –Rise, prima di dare gli ultimi ordini per la partenza.

 

“Sono curioso di sapere come arriveremo ad Asgard! Prendere una nave per andare in cielo è un modo piuttosto strambo di navigare!” –Commentò Bjuga.

 

“Detto da te è tutto un dire!” –Esclamò una quarta voce, unendosi al gruppo sul ponte di comando.

 

Drepa!” –Esclamò Bjuga, riconoscendo il Mietitore Silente, con l’arco d’argento affisso alla cinta dell’armatura e una faretra piena di frecce affissa sulla schiena.

 

“I poteri messi in campo da Loki superano ogni aspettativa!” –Continuò l’uomo chiamato Drepa, che conduceva per mano un’esile figura vestita di stracci. –“Modhgudhr adesso ve ne darà un assaggio!”

 

Era costei una fanciulla, sebbene di femminile non avesse più niente, neppure il nome, pallida e dal volto scavato, su cui lampeggiavano due occhi completamente neri, privi della cornea. Molti soldati ne avevano timore, considerandola figlia del demonio, ed Erik non poteva biasimarli, conoscendo la storia della sua nascita. Ma a lui, come agli altri Sigtívar, Modhgudhr serviva per la guerra.

 

E in guerra non esistono superstizioni! Solo braccia abbastanza forti per reggere un’ascia, e altre troppo deboli, destinate a perire! Si disse il comandante, dando cenno alla fanciulla di procedere.

 

Quest’ultima non mosse neppure lo sguardo, perso nel vuoto atemporale successivo alla sua nascita, limitandosi a sollevare le braccia e a liberare il suo cosmo violetto, che scivolò sull’intero drakkar, saldandosi ad esso. Dopo pochi istanti la nave si sollevò, vittima della telecinesi di Modhgudhr, virò di novanta gradi e iniziò a dirigersi verso la cima della montagna alle spalle di Midgard.

 

Fu allora che Erik sogghignò, impugnando l’ascia fissata alla sua schiena e caricandola di oscura energia. –“Se anche qualcuno dovesse sfuggire alla furia di Skoll, troverà comunque difficile recarsi ad Asgard!” –Disse, muovendo il braccio a spazzare e lanciando la scure energetica contro la parete di roccia, dove si piantò poco dopo, liberando una violenta esplosione che fece tremare l’intera montagna, portandola a crollare su se stessa.

 

Tonnellate di neve e roccia, immobili da millenni, crollarono sulla statua di Odino, spezzandone gli arti e piegandola di lato, mentre Erik e gli altri Sigtívar osservavano soddisfatti l’immensa valanga abbattersi sul piazzale retrostante il castello di Midgard e scuoterlo, distruggerlo, sommergerlo, travolgendo anche una parte della reggia.

 

“La via è chiusa!” –Commentò Erik, mentre l’ascia tornava nelle sue salde mani e il drakkar fluttuava silenzioso in cielo, dirigendosi verso l’altro versante della montagna. –“Questa, per Asgard, sarà la sua ultima alba!”

 

***

 

Dei nove mondi, Muspellheimr era quello dove il tempo sembrava non essere mai trascorso, lasciando l’intera landa al momento della creazione. Non vi erano stati crescita né progresso, né case o templi erano stati eretti, né uomini vi avevano mai viaggiato, inorriditi soltanto dalla prospettiva di precipitare negli abissi vulcanici che lo componevano o di venire avvolti dalle lingue di fuoco che si innalzavano verso il cielo. Tutto, in quel mondo, pareva trasudare della fiamma della creazione, la forza primordiale del caos lasciata libera di esprimersi incontrollata.

 

Persino Odino non vi si era mai recato, né alcuno degli Asi o dei Vani, preferendo le belle regge di Ásaheimr alle distese di magma della regione dove dimoravano coloro che avevano forgiato il mondo e che, molti temevano, lo avrebbero distrutto.

 

Soltanto Balder lo Splendente si arrischiava ad entrarvi, risentendo in maniera minima dell’aria torrida che si respirava e delle temperature eccessive, essendo lui stesso rivestito di un manto di luce che non soltanto lo proteggeva dagli attacchi dell’oscurità ma gli permetteva bene di adattarsi a condizioni simili.

 

Periodicamente il figlio di Odino discendeva lungo il tronco di Yggdrasill e giungeva a Muspellheimr, fermandosi ad osservare le sconfinate lande percorse da vampe di fuoco, chiedendosi affascinato come potesse il grande frassino sopravvivere anche in così disagevole situazione. E spesso si sorprendeva a sorridere, ritenendo che l’Albero Cosmico traesse la sua forza dall’essere parte e perno di ciascuno dei nove mondi, pur nella loro diversità.

 

Ogni volta, sulle rocce attorno a Yggdrasill, l’unico luogo di Muspellheimr che non fosse dominato dalle fiamme, Balder incontrava alcuni dei Giganti di Fuoco, gli operosi abitanti del regno, commissionando loro ordini da parte di Odino o dei nani. Oppure ordini personali, come aveva richiesto qualche mese prima, facendo riparare le armature d’Oro dello Scorpione e dell’Ariete e facendo riforgiare quelle del Leone, della Vergine e della Bilancia, potenziandole con la forza primigenia di quelle terre.

 

Ma quel giorno Balder non c’era, né i Giganti di Fuoco parevano disposti a lavorare più per Odino, che a loro non pensava, né mai li incontrava, limitandosi a sfruttarli quando ne necessitava. Questo l’ombra aveva mostrato loro, qualcosa che non avevano compreso fino ad allora. Un sospetto che infiammò i loro animi a dismisura, portandoli persino a scontrarsi tra loro, ognuno per esporre le proprie ragioni.

 

Una guerra interna, un frammento di caos. Così l’ombra aveva definito il suo operato, il magnifico lavoro che da secoli aveva intessuto per servire il suo creatore, colui che presto sarebbe tornato a prendere ciò che gli spettava. Ciò che era suo.

 

“Al principio era il tempo, quando nulla esisteva; non c’era sabbia né mare, né gelide onde; terra non si distingueva né cielo in alto: il baratro era spalancato e in nessun luogo erba!” –Mormorò, ripetendo i versi di un antico poema, mai come allora prossimi a ritornare realtà.

 

Si ergeva su uno scoglio in mezzo al mare di lava, ripensando al mondo com’era all’inizio dei tempi. Nulla di ciò che gli uomini avrebbero potuto vedere, nulla di ciò che avrebbero potuto immaginare. E neppure l’ombra avrebbe potuto, se non gli fosse stato mostrato da colui che il mondo a quell’epoca avrebbe presto riportato.

 

Ovunque si spalancava un baratro immenso, vuoto e oscuro, che i popoli del nord chiamarono Ginnungagap. A nord di esso si estendeva una regione gelida chiamata Nifhleimr, mentre a sud avvampavano le fiamme di Muspellheimr. E il baratro era proprio in mezzo ai due poli, motivo che permise la nascita della vita. Quando la brina proveniente dal Niflheimr si incontrò con il soffio caldo del sud, il ghiaccio infatti si sciolse e gocciolò, e quelle gocce viventi presero forma d’uomo, generando Ymir, il gigante primordiale sorto tra il ghiaccio e il fuoco, il capostipite dei giganti.

 

“Qua, dove tutto ha avuto inizio, tutto adesso avrà fine!” –Sogghignò l’ombra, prima di percepire alcune presenze attorno a sé. Si voltò, mentre una decina di Giganti di Fuoco prendevano forma, sollevandosi dal magma che scorreva libero, quasi fossero modellati dalle mani esperte di uno scultore. L’ombra non si mosse, nient’affatto intimorita, e si erse di fronte al gruppo, chiedendo loro se avessero scelto.

 

“Orgoglio o vergogna? Di cosa sono fatti i figli di Muspell?”

 

“La prospettiva di una guerra non ci attrae! Sebbene Odino e gli Asi non rappresentino niente per noi!” –Parlò uno dei Giganti di Fuoco.

 

“Così voi per loro! In questo modo scialbo vi hanno sempre considerato! Una fucina, niente più! Un serbatoio a cui attingere in caso di bisogno!” –Sibilò l’ombra. –“Non furono forse Odino e gli altri figli di Bor a prendere le scintille che correvano libere nella vostra terra e a porle in cielo, affinché illuminassero la loro terra? Diedero un posto a tutte le luci e lo fecero usando quel che era vostro! Come hanno usato i vostri poteri, la vostra sapienza, per secoli! Per fortificarsi, per generare armi in grado di vincere i nemici, sebbene non ne fossero loro gli artefici materiali! E hanno vinto! Credetemi, abitanti di Muspellheimr, i figli di Bor, da cui sono discesi gli Asi, hanno ottenuto tutto! Una vita lunga e felice, scevra di preoccupazioni, palazzi sontuosi ove vivere con le loro famiglie, ricchezze, potere, benessere, senza curarsi più delle loro origini, da cui hanno cercato di sfuggire il più possibile! E voi? Cosa avete ottenuto invece? Questo torrido inferno senza fine?!”

 

Nessuno dei Giganti di Fuoco parlò, limitandosi a guardarsi l’un l’altro con espressione disorientata, lasciando campo libero all’ombra di infervorarsi ancora.

 

“Sollevatevi, figli di Muspell! Sollevatevi, distruttori del mondo! E uscite dalle tenebre di questa notte di fuoco per portare ovunque il marchio del vostro potere, il simbolo della vostra esistenza! Che le fiamme di questa landa ardano su Asgard e ricordino ai suoi abitanti che l’eternità di cui si sono imbevuti è solo illusoria!!! Che il sole degli Dei caduti abbagli i mondi!”

 

“Sì! Sììì!!!” –Esclamarono allora alcuni Giganti di Fuoco, prima che altri li seguissero, eccitati dalle parole dell’ombra, dalla prospettiva di uscire finalmente dal guscio e liberare il fuoco che tenevano dentro.

 

“Il sole oscurato, nel mar giù la terra, cadranno dal cielo le stelle lucenti! Vapori si levano e fiamme copiose raggiungono alte il cielo stesso!” –Sogghignò l’ombra, osservando centinaia di Giganti di Fuoco sorgere dal magma che scorreva ovunque attorno a lui, armarsi di spade fiammeggianti, da loro forgiate, e incamminarsi verso la verde terra da cui erano sempre stati lontani.

 

È stato facile! Si disse, riflettendo che i figli di Muspell disponessero di ben poco discernimento, facilmente influenzabili da chiunque avesse avuto un briciolo di influenza. E l’ombra, di tendenza al comando, ne aveva abbastanza.

 

Del resto era stato proprio lui il liberatore di Loki, quando, secoli addietro, aveva iniziato a tessere la tela del suo grandioso progetto, vedendo nel Dio dell’Inganno un alleato prezioso, con cui condividere un cammino comune.

 

Fintantoché gli scopi saranno gli stessi! Precisò, sogghignando, prima di volgere le spalle alla schiera di Giganti di Fuoco che avanzava compatta e dirigersi verso il cuore dell’inferno universale. Aveva ancora una cosa da fare prima di lasciare quella landa. Aveva ancora qualcuno da incontrare, sebbene non fosse affatto certo che si sarebbe fatto avvicinare.

 

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Capitolo 9
*** Capitolo settimo: Bifrost ***


CAPITOLO SETTIMO: BIFROST.

 

Himinbjörg, o Rocca del Cielo, era la residenza di Heimdall. Là, ai limiti di Asgard, in un luogo oltre le nuvole dove l’occhio umano non poteva giungere, la sentinella celeste svolgeva a pieno ritmo il suo compito, vigilando su Bifrost con solerzia impareggiabile, di giorno e di notte.

 

Abituato a dormire poco e sempre pronto a destarsi al minimo rumore, il Custode del Ponte Arcobaleno poteva sentire persino l’erba frusciare in lontananza. La dedizione che metteva nel suo lavoro era impagabile, al punto che tutti, nell’intera Ásaheimr, ne erano a conoscenza e da sola bastava a farli sentire protetti, certi che il Dio Bianco vigilasse su tutti loro.

 

Non si era mai sposato, preferendo una vita solitaria ma utile al suo popolo e fedele al suo compito, che per lui non era soltanto un lavoro, ma qualcosa di più. Una ragione personale, il motivo stesso della sua esistenza. Qualcuno ironizzava persino sul fatto che, qualunque cosa accadesse nel mondo, ne veniva prima a conoscenza Heimdall, dai sensi sempre desti, e poi il Signore degli Asi, assiso sull’alto seggio.

 

Anche Odino lo ammirava, invitandolo spesso ai banchetti a palazzo e ricevendo sempre in risposta cordiali rifiuti. Al Guardiano di Bifrost tutte quelle chiacchiere non interessavano, rifuggendo la vita mondana e i discorsi da salotto, come pure il clangore degli scontri tra gli Einherjar nel cortile del Valhalla. Bramava soltanto la tranquillità, necessaria per adempiere al meglio al suo lavoro, che solo nell’isolamento della sua residenza poteva trovare.

 

Anche quel giorno era seduto là, con la schiena rivolta ad Asgard, a sorseggiare beato una coppa di idromele, ripensando al rinnovato incontro con Flare e Cristal il Cigno.

 

Non ne aveva fatto parola a nessuno, neppure alla Principessa di Midgard, ma nelle movenze del Cavaliere di Atena c’era qualcosa che non lo aveva convinto a pieno. Lo aveva incontrato solo due volte, ma in quelle occasioni gli era sembrato ben più freddo e controllato, meno cordiale di come gli si era rivolto quel giorno.

 

Sorrise, portando nuovamente le labbra alla coppa d’oro, ritenendo che fosse la vicinanza di Flare, e l’amore che indubbiamente provava per lei, ad averlo sciolto un po’, ad averlo reso meno guerriero e più umano. Motivo questo che rafforza sempre più le mie convinzioni! Mai mescolare donne e lavoro! Ironizzò il Dio, alzandosi e muovendosi verso la stalla, per controllare la salute di Gulltoppr, il suo bellissimo destriero dalla criniera d’oro fino.

 

Proprio in quel momento percepì qualcosa di strano. Un tuono in lontananza. Un rimbombo soffocato, sospinto dal vento, che pareva provenire dall’altra parte.

 

Dall’altro lato della montagna sacra! Si disse, afferrando la sua ascia e legandola in vita, prima di incamminarsi lungo Ásbrú, il Ponte Arcobaleno, una delle cui estremità terminava proprio a Himinbjörg.

 

Forse non era niente di importante, forse era solo la sua immaginazione a giocargli strani scherzi, la sua mania di perfezionismo, come Odino e Freyr amavano indicarla con bonaria ironia. Ma c’era qualcosa, nell’aria silenziosa di quel giorno, che lo faceva temere al peggio. Ed egli, il vento, era abituato ad ascoltarlo.

 

Avanzò a passo fiero lungo Bifrost, mentre il cielo intorno a lui perdeva la lucentezza propria della terra degli Asi, caricandosi di nuvole bigie. Tese gli orecchi, per percepire ogni movimento, e gli parve di udire il rumore di una massa di terreno che crollava, come se un pezzo di mondo si fosse staccato e stesse precipitando.

 

Una frana! Comprese. A Midgard, nel Recinto di Mezzo.

 

A differenza di Odino, Heimdall provava simpatia per gli uomini e spesso, nelle sue veglie solitarie lungo la tremula via, tirava uno sguardo verso le terre dove vivevano e dove si ingegnavano per sopravvivere, nel tentativo di strappare all’eternità una fetta per loro stessi. Non che gli piacesse tutto quel che vedeva, quelle guerre continue che infiammavano la superficie del pianeta, ma non poteva negare che non fossero poi così diverse dalle battaglie che gli stessi Dei di Asgard avevano combattuto agli inizi dei tempi. Anch’essi contro membri della loro stessa stirpe.

 

Midgard, comunque, non era mai stata per Odino fonte di preoccupazione, tranne nel periodo di poco successivo alla sua costruzione, ma nell’ultimo anno sembrava aver attirato di nuovo l’interesse degli Asi, essendo stata, per ben tre volte, teatro di eventi a dir poco inconsueti. Eventi bellici, che non imperversavano nella regione da almeno quindici o vent’anni terrestri.

 

Prima la Celebrante di Odino aveva dichiarato guerra ad Atene, riarmando l’esercito del Nord e mandando a morte tutti i suoi esponenti, ingrossando quindi le fila degli Einherjar. Poi Midgard era stata attaccata da un gruppo di Cavalieri che Heimdall non aveva mai visto prima, le cui armature celesti ed eteree avevano fatto sospettare all’attento Custode che si trattasse di combattenti dell’Olimpo. Infine, neppure tre mesi prima, un mostro gigantesco, che pareva essere uscito dalla pancia della gigantessa Angrbodhra, aveva cercato di distruggere la cittadella.

 

Niente male per una roccaforte isolata sul Mare Artico! Commentò il Dio, giunto ben oltre la metà dell’Arcobaleno, in un punto dove poteva ammirarne la fine, sulla terrazza della montagna sacra eretta da Odino a limite invalicabile per gli uomini.

 

La sentinella poté sentire chiaramente rumori di lotta e clamori di beghe umane provenienti dalla Terra di Mezzo e, nell’odore dell’aria, percepì il sapore di millenni di terra mai mossa che improvvisamente era stata violata. Si incupì, chiedendosi come mai Cristal e Flare non ne avessero fatto parola e come potessero, soprattutto, avere quell’espressione trasognata. O forse sono io che sto sognando? Rifletté, prima di voltarsi e incamminarsi lungo il Ponte Arcobaleno, per tornare a Himinbjörg e inviare un messaggio a Odino.

 

Fu in quel momento che lo udì.

 

Un fruscio leggero, impercettibile. Un alito quasi. Ma che lo spinse a girarsi in tempo per evitare un dardo che gli sfrecciò accanto al viso, strappandogli persino un ciuffo dei suoi lunghi capelli castani, che raramente aveva tagliato nel corso dei millenni, non amando sprecar tempo in simili sottigliezze.

 

Che… cosa?!” –Mormorò, spalancando gli occhi per la prima volta sorpreso.

 

Davanti a lui, apparsa dal nulla, una nave di legno si stagliava in aria e sul suo ponte un gruppo di guerrieri, rivestiti da armature dallo stile simile a quelle dei Cavalieri di Midgard, lo fissavano minacciosi. Uno di essi, dalla corazza color blu notte, ancora impugnava l’arco con cui aveva scoccato la freccia che lo aveva quasi raggiunto, e stava già caricando il prossimo dardo.

 

“Com’è possibile?!” –Balbettò il Dio, incredulo che qualcosa di così grosso avesse potuto celarsi alla sua vista e al suo udito. Ma non ebbe tempo per riflettere ulteriormente che una raffica di frecce piovve su di lui. –“Non così in fretta!” –Commentò, ritrovando i nervi freddi e muovendo l’ascia a spazzare, distruggendo con un’onda di energia tutti i dardi.

 

Osservò la nave scivolare di lato, fino a porsi perpendicolarmente rispetto al Ponte Arcobaleno, su cui planò con la delicatezza di un usignolo, quasi fosse fatta di carta, mentre sul ponte di comando un uomo gridava ai compagni di prendere posizione. Per un momento Heimdall fu invaso dalla sensazione che quella fosse la Naglfar, la nave del giorno del giudizio, ma poi, fissandola con maggior attenzione, riconobbe il drakkar usato come basamento per la statua di Odino a Midgard. Ricordava ancora gli schizzi che Bragi gli aveva mostrato della colossale opera di cui gli umani avevano volontariamente scelto di farsi carico, e il sorriso genuino a cui si era abbandonato quel giorno, convinto che fossero, quando volessero, una razza in grado di sorprendere.

 

Anche in peggio! Si disse, distruggendo un nuovo dardo con la sua ascia da guerra.

 

In quella, un portellone laterale si aprì e centinaia di soldati, armati di lance e spade, ne uscirono, incolonnandosi in fretta a gruppi di dieci e iniziando a marciare lungo Bifrost.

 

“Non so chi siete, né dove credete di andare, ma una cosa posso dirvela! Di qua non passerete!” –Tuonò, lanciandosi avanti. Ma venne distratto dallo sfrecciare di due lame rotanti, che sfrigolarono nell’aria accanto a sé, mentre un guerriero alto più di due metri balzava dalla nave, sghignazzando compiaciuto.

 

Heimdall evitò le lame, chinando il capo, ma queste, dopo averlo sorpassato, deviarono la loro direzione, tornando indietro e obbligando il Custode di Bifrost a sollevare nuovamente l’ascia per scansarle.

 

“Ora!” –Esclamò un uomo rivestito da una corazza grigia, in piedi sul ponte di comando. E un’onda di energia spinse Heimdall indietro, rivoltandolo e facendogli sbattere la faccia sull’arcobaleno da lui protetto per millenni, e adesso improvvisamente violato.

 

Il Dio Guardiano tentò di rialzarsi, ma gli sembrò di sentire un peso enorme sulla schiena, una forza che lo schiacciava a terra, quasi calpestato dal tacco di un gigante.

 

L’uomo sulla nave sogghignò, complimentandosi con l’esile fanciulla dal volto emaciato in piedi al suo fianco, la stessa che aveva potuto sollevare il drakkar e tutti i suoi occupanti con la sola forza del pensiero, senza produrre il benché minimo rumore.

 

Gli altri guerrieri approfittarono di quell’attimo di disorientamento di Heimdall per scendere a loro volta. Hræsvelgr, l’Aquila dei Venti, afferrò Drepa, sollevandosi in aria, mentre l’uomo dall’armatura blu tendeva l’arco mietitore, scagliando nuovi dardi contro il Guardiano, impossibilitato a difendersi a causa della pressione mentale esercitata da Modhgudhr.

 

Perfetto! Sogghignò Erik. Da soli potrebbe vincere tutti noi, forse anche me. Ma se lo attacchiamo in cinque, nello stesso momento, e con tecniche diverse non potrà difendersi. E cadrà! Assieme a questo ponte! Ahr Ahr!

 

Quasi come avesse udito i suoi pensieri, o forse soltanto il movimento della bocca, abbandonatasi ad una sghignazzata soddisfatta, Heimdall si infiammò, bruciando il proprio cosmo e spingendo con le braccia per rialzarsi.

 

Per millenni ho difeso questo sentiero, impedendo che fosse violato da demoni o Dei avversi! Non sarete voi, infami uomini mortali, a vanificare il mio lavoro! Ringhiò, rimettendosi in piedi, stupendo persino Erik dalla forza di volontà che lo sorreggeva.

 

Bjuga non aspettò un minuto di più, lanciandosi contro il Custode di Bifrost, con le recuperate lame strette nelle mani. Ma sottovalutò la potenza offensiva del Dio di Asgard, che lo travolse con un attacco diretto.

 

Corno risuonante!” –Gridò Heimdall, portando le braccia avanti e scaraventando il colosso contro un fianco della nave, sfondandolo e facendola tremare.

 

“Maledizione! Rialzati, stupido bufalo senza cervello!” –Ringhiò Erik, mentre Drepa, in cielo tra le braccia di Hræsvelgr, scagliava una decina di frecce contro Heimdall, che non ebbe problemi ad evitarle. Ma quando fece per sollevare l’ascia, dovette difendersi da alcuni raggi energetici, diretti contro di lui dai Soldati di Brina, ormai completamente usciti dal drakkar e incolonnati di fronte ad esso.

 

“Non avrei voluto… ma temo sia il momento di chiedere rinforzi…” –Rifletté, sbaragliando la prima fila di guerrieri con un attacco energetico e facendoli precipitare dall’alto di Bifrost, mentre nuove frecce piovevano su di lui. Afferrò allora il corno dorato affisso alla cinta, ma mentre lo portava alla bocca un raggio di energia lo ferì al polso, congelando un pezzo della sua corazza e facendogli perdere la presa sul Gjallarhorn, che rotolò per diversi metri sulla superficie di Bifrost.

 

“Sì!!!” –Tuonò Erik, mentre Modhgudhr, al suo fianco, schiacciava nuovamente a terra il Custode di Asgard, impedendogli di recuperare l’oggetto sacro. Una freccia di energia, scagliata da Drepa, colpì Bifrost poco distante dal corno, scaraventandolo nel vuoto di là dal bordo, di fronte agli occhi sgranati di Heimdall.

 

Aaargh!!!” –Si infervorò il Guardiano della Città Sacra, avvampando nel suo cosmo, lucente come i colori dell’arcobaleno, incenerendo una decina di Soldati di Brina che avevano osato circondarlo, convinti di poterlo finire così. Dopo di che si rialzò, scagliando Bjuga nuovamente contro la nave, sfondandone del tutto il fianco, mentre Erik e Modhgudhr dovettero spostarsi in fretta, per non cadere, prima di dirigere il suo colpo segreto verso il cielo e travolgere Drepa e Hræsvelgr con un vortice che li abbatté contro alcuni soldati sul Ponte Arcobaleno.

 

Quindi fece una cosa che sorprese tutti gli invasori, che si aspettavano che il Dio li caricasse frontalmente. Si lanciò di sotto da Bifrost, scomparendo tra le nuvole.

 

Persino Erik trattenne il fiato di fronte a quella mossa inaspettata e quando si sporse dal ponte non vide niente. Soltanto un abbraccio di infinito.

 

Quale che fosse la sorte del Guardiano di Ásbrú, i servitori di Loki non potevano curarsene troppo, decisi ad approfittare di quell’inaspettata fortuna. Così Erik diede ordine alle truppe di marciare a passo svelto sul Ponte Arcobaleno, con Drepa, Bjuga e Hræsvelgr in testa e Modhgudhr al centro, ben protetta dai Soldati di Brina e al tempo stesso ben nascosta. Lui avrebbe chiuso le fila, falciando chiunque avesse osato indietreggiare. Con Heimdall fuori gioco, potremmo arrivare in prossimità di Asgard senza essere notati, aiutati anche dagli strati di nuvole che Hræsvelgr sa controllare e usare per celare la nostra presenza, come ha camuffato la nave per giungere a Bifrost! Ahr ahr!

 

Se le micidiali raffiche di vento che spiravano ad alta quota non l’avessero investito in pieno, impedendogli di sporgersi di più, e se avesse posseduto lo sguardo aquilino di colui che stava cercando, Erik avrebbe certamente notato Heimdall in piedi su uno sperone roccioso, qualche centinaia di metri sotto di loro.

 

Il Dio infatti si era lanciato per recuperare il Gjallarhorn, sperando che non fosse precipitato troppo in basso e che fosse ancora illeso, fiducioso nella resistenza dei manufatti divini. Erano state proprio le acque della Fonte di Mimir a rafforzarlo, essendo il corno in origine usato dal gigante per bervi, finché questi non ne aveva fatto dono al Guardiano del Ponte Arcobaleno affinché lo usasse per proteggere Asgard, e con essa tutte le razze e tutti i mondi.

 

E Heimdall, fiero di quel giuramento, non aveva intenzione di venirne meno.

 

Così afferrò il Gjallarhorn, un po’ ammaccato, fissandolo nuovamente alla cinta, prima di evocare, con il cosmo, un frammento di arcobaleno, grande come un tappeto, che apparve di fronte a sé, come era apparso mentre stava precipitando verso l’abisso. Vi salì sopra, solido come Bifrost, e si lasciò sollevare, portandosi poco al di sotto del ponte. Notò la carcassa del drakkar, ormai svuotata e abbandonata, e percepì il sonoro marciare degli eserciti invasori, avanti a lui di un centinaio di metri.

 

In silenzio e con i sensi all’erta, Heimdall scivolò nel cielo, passando sotto ai soldati, che non si accorsero di lui, neppure Modhgudhr e Erik. Quando fu molti metri avanti a loro, nella metà del ponte rivolta verso Asgard, il Dio fece per risalire, salvo accorgersi, all’ultimo istante, dell’avvampare improvviso di una fiamma migliaia di metri sotto di lui. Una fiamma rossa, striata d’oro, che non s’era mai accesa nell’alto cielo. Una fiamma che lo fece rabbrividire quando comprese a chi apparteneva.

 

Con un balzo rabbioso, la sentinella instancabile piombò sul ponte, impugnando l’ascia con la mano sinistra e il corno con la destra, avvolto nello sfavillare del suo cosmo. Bjuga e i soldati si fermarono di colpo, intimoriti dall’improvvisa apparizione, e per un attimo restarono indecisi sul da farsi, finché Erik non gridò loro di avanzare.

 

“Mai, mai indietreggiare, neanche di un passo! Non quando siamo così vicini alla metà!” –Ringhiò, scattando avanti e superando tutti, con l’ascia da guerra intrisa del suo cosmo violaceo. –“Cadiii!!!” –E caricò il Dio, sollevando l’arma sulla testa.

 

Ma Heimdall seppe resistere, opponendogli la propria ascia divina e piantando i piedi saldamente a terra. Le due lame si incontrarono più volte, generando scintille energetiche che infiammarono il cielo, finché il Guardiano di Bifrost non riuscì a spingere indietro il suo nemico, scaraventandolo contro un gruppo di soldati, travolti dall’onda d’urto del movimento di ritorno dell’ascia.

 

Incurante delle frecce e dei raggi di energia che gli vennero rivolti contro, Heimdall si erse eretto e soffiò vigorosamente nel corno d’oro. 

 

Nessuno dei servitori di Loki aveva mai udito il suono del Gjallarhorn, la cui potenza fu così rimbombante da spingere molti di loro indietro. Un suono possente, che pareva scaturire dagli abissi del mondo. Un suono penetrante, che poteva raggiungere qualsiasi angolo di Ásaheimr, come infatti avvenne.

 

Lo udirono tutti, e tutti tremarono, costretti ad ammettere che il giorno che avevano a lungo paventato era infine giunto.

 

Lo udì Odino, riunito in consulta con gli altri Dei, all’interno del Valhalla.

 

Lo udirono gli Einherjar, che lo avevano atteso fin da quando era iniziata la loro seconda vita.

 

Lo udirono le Norne, ai piedi dell’Albero Cosmico, intente a cospargere di argilla i suoi rami affinché non si essiccassero.

 

Lo udì persino Yggdrasill, o così credettero le tre donne, sentendolo fremere come mai prima di allora, scosso dalla più bassa radice alla fronda più alta.

 

Lo udì Loki, che cavalcava su Fenrir, verso Asgard, e lo udì sua figlia Hel, che presto l’avrebbe raggiunto.

 

Infine lo udì Ilda, nelle segrete di Midgard, sebbene non potesse distinguerne il suono chiaramente. Ma il significato le si stampò nel cuore.

 

“Maledetto, smetti! Smettiii!!!” –Gridò Erik, scattando avanti, con l’ascia sollevata, e mirando al viso di Heimdall, che fu lesto a parare l’affondo con la propria arma, continuando a suonare. –“Ti taglierò le mani, di modo che tu non possa più suonare! E ti cucirò la bocca con la pelle che ti asporterò dalle dita, quando Loki avrà scalzato i vecchi Dei, gettando i loro resti tra le fiamme di Múspellsheimr!”

 

Lo… Loki?!” –Mormorò Heimdall, cessando di suonare e rimembrando il suo antico rivale, con cui più volte si era scontrato.

 

“Proprio lui comanda quest’allegra brigata! È venuto poc’anzi, a preparare il terreno! Non dirmi che non vi siete incontrati? Ci teneva così tanto che tu lo sapessi!” –Sibilò Erik, fissando il Dio negli occhi, non volendo perdersi la sua espressione di incredulità, che infatti si palesò.

 

“Com’è possibile?! Loki non ha varcato la soglia di Asgard! Ogni viaggiatore deve per forza passare sul…” –Ma le parole gli morirono in bocca quando comprese, quando realizzò in che modo il Buffone Divino si era preso gioco di lui, maledicendo se stesso per non averlo riconosciuto.

 

Quell’attimo di distrazione permise ad Erik di liberare l’ascia e strusciarla con forza contro l’addome del Dio Bianco, scheggiando la sua corazza, prima che Modhgudhr intervenisse, spingendolo indietro. Drepa sollevò allora l’arco, scoccando una freccia e raggiungendo il Custode di Bifrost sul braccio, poco sotto la spalla, dove l’armatura non lo copriva. Bjuga fece per imitare il compagno, incrociando le lame rotanti sopra la testa, in modo da generare folgori lucenti, ma non riuscì a scagliarle che venne raggiunto da un fascio di energia, che lo spinse all’indietro, facendolo crollare al suolo, schiacciando persino alcuni Soldati di Brina.

 

“Uh?!” –Mormorò Erik, balzando agilmente indietro per evitare una lunga lancia, con un drappo rosso all’estremità, che si piantò proprio tra lui e Heimdall. Sollevò lo sguardo avanti a sé e vide un gruppo di donne, ricoperte da armature grigie e marroni, arrivare al gran galoppo, sopra destrieri dal manto pregiato, bardati per la guerra.

 

“Quella lancia che la mia compagna ha lanciato sia per voi invasori limite e monito!” –Esclamò una di loro, fermandosi alle spalle di Heimdall e fissando Erik negli occhi. –“Non andrete oltre! Parola di Brunilde! O, se lo farete, assaggerete l’ira di Odino, per mezzo delle sue emissarie, noi le Valchirie!”

 

Umpf! Dovrei essere impressionato da una giovenca che cavalca un cavallo?” –La schernì Erik, toccandosi volgarmente il naso. –“Vi manderò al macello insieme, dopo averti insegnato il mio concetto di autorità!”

 

“Non credevo che i maiali sapessero parlare!” –Continuò la donna, strappando un sorriso a Heimdall, e anche ad alcuni Soldati di Brina.

 

Erik, furioso, sollevò l’ascia, caricandola di cosmo, e piantandola poi con forza su Ásbrú, infondendo in esso una violenta scarica di energia e dirigendola contro le Valchirie, i cui cavalli s’impennarono imbizzarriti. Persino Heimdall parve risentirne, ma si affrettò a portare entrambe le braccia avanti e a liberare il suo colpo segreto.

 

Il Corno risonante travolse Erik, spingendolo indietro, ma era ormai tardi per tutto. I Soldati di Brina si lanciarono avanti, sfoderando le armi e riempiendo il cielo di raggi di energia, mentre Drepa scagliava nugoli di frecce, seguite dalle lame rotanti di Bjuga e dai venti alimentati da Hræsvelgr. Le Valchirie non poterono far altro che opporre agli invasori le stesse lance e le stesse spade, incitate da Heimdall, con l’ascia sollevata sopra la testa.

 

Lo scontrò infuriò e in breve riempì l’intera superficie del Ponte Arcobaleno, con il Guardiano tonante che manteneva fiero l’ultima linea, poco distante da Himinbjörg, deciso a difendere a oltranza la sua posizione. Avrebbero dovuto strappargli i denti d’oro per poter passare.

 

Del resto, Heimdall ne era certo, Odino aveva udito il suono di Gjallarhorn e, come le Valchirie erano già arrivate, presto sarebbero giunti anche gli Einherjar e gli Asi e il tentativo di invasione di quel migliaio di soldati sarebbe stato respinto. Se è tutto qua ciò che Loki ha messo in atto, ben misero piano si sta rivelando! Ironizzò, parando un attacco energetico con l’ascia e rispendendolo al mittente. Ma in fondo non ne era poi così convinto neppure lui.

 

Tanto prese dallo scontro erano entrambe le parti che nessuno si avvide che, pochi minuti dopo, l’aria si stava facendo torrida, invasa da un caldo innaturale per quell’altitudine. Qualcuno, ingenuamente, diede la colpa alla frenesia della battaglia, ma quando immense colonne di fuoco si ersero ai lati del Ponte degli Dei fu chiaro a tutti che il motivo era un altro. E che quel che Heimdall aveva visto, e paventato, da lontano era adesso giunto a minacciare la stabilità di Asgard.

 

Centinaia di sagome deformi, composte da vivida fiamma e magma ardente, sorsero dalle profondità del mondo, allungandosi verso il cielo e lambendo le sponde di Bifrost, sottoponendolo ad un incremento di temperatura mai sopportato prima.

 

Le Valchirie si fermarono, osservando inorridite le schiere di Giganti di Fuoco che stavano inerpicandosi sul Ponte Arcobaleno, incendiando tutto quel che trovavano sul loro cammino. La carcassa del drakkar, i cadaveri dei soldati caduti, le armi e le utopie di Heimdall per una rapida vittoria. Persino Bjuga, Drepa e molti Soldati di Brina rimasero atterriti di fronte a una visione che superava tutto quel che avevano potuto immaginare al riguardo.

 

Creature immense, che trasudavano fiamme e lava, iniziarono ad avanzare su Bifrost, obbligando tutti i servitori di Loki a correre avanti, anche disordinatamente, per non essere inceneriti, rompendo l’equilibrio che si era generato nel breve scontro con le Valchirie. Alcune vennero infatti raggiunte dalla tempesta di raggi congelanti diretta contro di loro, tramutandosi in statue di ghiaccio, prima di essere distrutte dal fuoco purificatore dei figli di Muspell. Le altre furono costrette a ritirarsi, cavalcando fino a portarsi alle spalle di Heimdall, all’estremità del Ponte Arcobaleno.

 

Quell’immagine, che il Dio Bianco aveva a lungo temuto, incrociandola nei suoi brevi sogni, stava adesso divenendo realtà. Bifrost tremò, scosso da una pressione mai subita prima, scricchiolando sinistramente, prima di iniziare a schiantarsi in più punti. Pezzi di cielo precipitarono verso l’abisso, avvolti in fiamme distruttrici, mentre l’immane potenza dei figli di Muspell avanzava verso Asgard.

 

Anche Loki sentì lo schiantarsi del Ponte Arcobaleno e sogghignò beffardo, fermando la propria cavalcatura al limitare di Asgard, nel campo di Vígríðr, dove aveva concordato in precedenza di incontrarsi con Erik e gli eserciti di Muspell.

 

Là, due ore prima, si era tramutato in aquila, per volare con Flare verso Hel, e adesso sedeva su Fenrir, carezzandone il ruvido pelo e osservando compiaciuto la nube di fumo che aveva iniziato a riempire il cielo, alimentata da vivide fiamme di morte.

 

Bifrost sta crollando sotto i passi dei distruttori del mondo!” –Esclamò, appagato. –“Di fronte a loro marciano i Soldati di Brina e i miei Sigtívar! Inoltre senti questo vento freddo proveniente dal lato opposto, figlio? È l’inverno che arriva dal Niflheimr, portato da Hrymr e dai Giganti di Brina tramite l’Albero dell’Universo! Un attacco su due fronti, che obbligherà Odino a dividere le sue armate, rendendolo impreciso e più vulnerabile! È la condizione migliore per passare all’offensiva da un altro lato, tutti e quattro insieme!”

 

“Quattro?!” –Ripeté la bestia.

 

“Quattro!” –Sibilò una voce in risposta.

 

Loki e Fenrir si voltarono verso destra, dove era appena comparsa la macabra sagoma di Hel, Signora degli Inferi e figlia del Dio dell’Inganno, in groppa a un grosso cane, dal pelo fulvo e dal ghigno affamato. Dietro di lei l’esercito di adulteri, assassini, spergiuri e tutta la feccia che non era mai ascesa al Valhalla e che adesso era uscita dai cancelli di Hel per rivelare la propria ferocia.

 

“Rivederti è un piacere, padre!” –Mormorò la donna, inginocchiandosi ai piedi del gigantesco lupo, che faceva sembrare Garmr un cardellino. –“Ugualmente mi felicito di rivedere Fenrir in libertà! Per quanto il suo ululare continuo e disperato mi abbia tenuto compagnia nelle mie notti solinghe, godo al pensiero delle stragi a cui si abbandonerà! Stragi in cui lo accompagnerò!”

 

“Le tue parole sono musica alle mie orecchie, figlia!” –Rispose il Buffone Divino. –“Sebbene per l’occasione avresti potuto indossare un vestito migliore di quel guazzabuglio di stracci! Ah ah ah! Suvvia, ti perdonerò! La gaiezza del rivedere i propri figli spinge ogni genitore a dimenticare i loro difetti, esaltando invece i pregi! Pregi che presto vedremo in azione!” –Sghignazzò, sollevando la Pietra Nera che portava al collo. –“È tempo che anche vostro fratello si unisca a noi! Troppo a lungo siamo stati separati!”

 

E nel dir questo espanse il proprio cosmo, mentre un ventaglio di luce nera invase l’immenso campo di Vígridhr, andando oltre, entrando in Asgard, espugnando Fensalir, Breidablik, Valaskyalf e le altre residenze divine e facendo rabbrividire gli Dei ivi riparatisi. Poi si chiuse sul Valhalla, cingendo d’assedio il maestoso cancello di Valgrind e penetrando nelle agitate rive del fiume Thund, ultima difesa della roccaforte.

 

Voleva che Odino lo sentisse. Voleva che Odino sapesse che Loki era lì, dove gli aveva promesso che sarebbe stato un giorno, a prendere la sua rivincita. Assieme a tutti i suoi figli.

 

Le acque attorno ad Asgard si scossero, mentre immensi flussi si sollevarono, abbattendosi sui campi, sulle spiagge e sulle abitazioni circostanti, anticipando l’emersione, dal lungo esilio cui Odino lo aveva confinato, del terzo, e più mostruoso, figlio di Loki.

 

Jormungandr, il Serpe del Mondo.

 

“Eccoci di nuovo tutti assieme, un’allegra famiglia riunita!” –Commentò Loki, osservando gli sbuffi di vapore venefico che spuntavano in lontananza, a indicare la posizione del figlio. –“Proprio come ai bei vecchi tempi. Gli stessi che adesso cancelleremo!”

 

 

 

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Capitolo 10
*** Capitolo ottavo: Portali ***


CAPITOLO OTTAVO: PORTALI.

 

La comparsa dei Cavalieri delle Stelle diede nuovo vigore a Pegasus e a Cristal, che approfittarono delle ferite subite da Skoll per lanciarsi contro di lui, caricando i rispettivi pugni di energia lucente e congelante, che diressero verso la ferita che Jonathan gli aveva provocato poc’anzi sul collo. Nello stesso momento Reis balzò sotto la fiera, lanciandosi verso l’alto con la Spada di Luce in mano e aprendo un nuovo squarcio lungo il ventre peloso, mentre schizzi di sangue e di materia organica insozzavano il suolo ghiacciato.

 

Sssmettetelaaa!!!” –Ringhiò Skoll, stordito e indebolito dall’attacco congiunto. Fece per muovere un passo avanti ma posò la zampa su qualcosa di appuntito, qualcosa che gli trapassò la carne, dilaniandola in un arco di luce, mentre Reis rotolava via, con la lama intinta di sangue nemico.

 

“Eri una bellissima creatura, è quasi un peccato doverti distruggere!” –Commentò Jonathan, sollevando lo Scettro d’Oro al cielo, che generò un ventaglio di luce accecante, obbligando persino Pegasus e Cristal a tapparsi gli occhi. –“Ma eri volta al male, ed è questa la fine per gli emissari del caos! Luce dello Scettro, irradia!!!”

 

Il diamante intagliato a fiore, sulla cima dell’asta dorata, si aprì e migliaia di fasci di energia, simili a lame di luce, riempirono l’aria della corte di Midgard, che mai aveva visto così intenso sole fin dall’epoca della sua costruzione. Skoll venne raggiunto su un fianco, sul viso, sulle zampe, e ovunque si aprirono squarci e macchie vermiglie, finché, incapace di reggersi ulteriormente in piedi, non crollò agonizzante sui detriti della torre, senza riuscire più nemmeno a fiatare.

 

Prima di spirare, sollevò gli occhi rossastri, riconoscendo la sagoma del Cavaliere del Cigno, a pochi metri da lui, la stessa in cui Loki si era trasformato ore prima. E sogghignò, certo che la vittoria alla fine gli avrebbe arriso. In quel momento Reis, con un secco colpo di lama, gli mozzò la testa, ponendo fine alla sua nefasta esistenza.

 

Bleah!” –Esclamò Pegasus alla vista delle viscere della bestia. –“Che odore nauseabondo inquina la bella aria di Asgard!”

 

“Hai ragione, Pegasus! Sarà opportuno dare fuoco a questa carcassa quanto prima!” –Annuì Jonathan, affiancando il ragazzo.

 

“Ce ne occuperemo più tardi! Adesso dobbiamo raggiungere Dragone nelle segrete!” –Incalzò Cristal, iniziando a correre, presto seguito dagli altri.

 

“Ve la siete cavata bene con quel mostro!” –Commentò Pegasus, rivolgendosi a Reis e Jonathan. –“Non sapevo aveste già esperienze con simili creature!”

 

“L’addestramento a cui siamo stati sottoposti ci ha iniziato anche a prove del genere!” –Si limitò a rispondere Reis, continuando a correre. –“Avalon riconosce l’esistenza di molte creature, alcune delle quali le società moderne definiscono erroneamente come leggendarie, mitologiche o irreali!”

 

“Non è forse quello che si dice anche di noi Cavalieri?!” –Ironizzò Pegasus.

 

“Presto o tardi gli abitanti della Terra dovranno convivere con questa realtà!” –Disse Jonathan, quasi sbadatamente. –“Perché appigliarsi a una leggenda potrebbero essere la loro ultima speranza!” –Non aggiunse altro, infilando dietro a Cristal all’interno della fortezza, senza perdersi l’occhiata di sbieco che Reis gli lanciò.

 

Percorsero corridoi e sale dove giacevano corpi di uomini e di soldati, taluni con le divise della cittadella, altri con le corazze azzurre che Loki aveva donato loro, segni degli scontri che vi si erano consumati, e del passaggio di Dragone e gli altri.

 

Quando giunsero nelle segrete videro Sirio seduto in posizione meditativa di fronte ad una cella, con Kiki, Bard e gli arcieri in rigoroso silenzio alle sue spalle e i cadaveri di una decina di lupi e Soldati di Brina poco distanti. Il fratellino di Mur fece cenno a Pegasus di non fare rumore, per non disturbare la concentrazione dell’amico, intento a sciogliere i legami che costituivano la runa sigillante che Loki aveva apposto su quella prigione. Una runa di fattura divina, il cui scopo era di mantenere ciò che abbracciava in una posizione di status quo, non accettando alcuna variazione al suo interno. Non poteva perciò essere attaccata frontalmente, ma andava sciolta, facendola venire meno.

 

Grazie anche all’unione del cosmo di Ilda, Sirio riuscì infine a distruggere i legami intrinseci di Isa, la runa di ghiaccio, permettendo ai prigionieri di uscire da quella gabbia in cui, soprattutto Fiador, temevano di dover restare a lungo.

 

“Ilda!!!” –Esclamò Pegasus, osservando il volto stanco della Regina di Midgard avvicinarsi, seguita da Enji e da un giovane che non conoscevano.

 

“Cavalieri di Atena! È una gioia rivedervi, sebbene i tempi siano quanto di più infausto quest’epoca possa offrirci!” –Commentò, cercando di darsi un tono formale, adatto al suo ruolo, per quanto la stanchezza si facesse sentire. –“Temevo che, a causa di Fimbulvetr, Odino non avrebbe ricevuto il mio messaggio!”

 

“Invece ci ha avvisato in tempo, permettendoci di essere qui per salvarvi! Mia Signora… state bene?” –Si preoccupò subito Cristal, prima di guardarsi intorno confuso. Ilda capì dal suo sguardo quel che il ragazzo stava cercando e le si strinse il cuore al pensiero di confessargli la verità. Ma doveva farlo, perché era forse l’unico adesso, assieme ai suoi compagni, che potesse salvare sua sorella.

 

Flare… è con lui! L’ha fatta prigioniera!” –Esclamò infine, sforzandosi di non piangere di fronte a tutta quella gente. –“Dovete salvarla, Cavalieri! Devi salvarla!” –Aggiunse, fissando Cristal con risolutezza.

 

“Lo farò! Abbi fiducia in me, e nell’amore che provo per lei!” –Decretò Cristal, e Pegasus, Sirio e la stessa Ilda rimasero colpiti dalla dichiarazione dell’amico, soprattutto il primo.

 

Per quanto sapesse che il ragazzo fosse legato a Flare, e che dopo l’avventura vissuta insieme nella vera Asgard qualcosa tra loro fosse scattato, trasformando la reciproca simpatia in un rapporto più intimo, più profondo, si sorprese di sentirlo parlare in quel modo schietto. Proprio lui, Cristal, il buon ghiacciolo, come l’aveva definito spesso scherzando con Sirio e Andromeda. Ma poi, riflettendoci sopra, Pegasus si sorprese di essere sorpreso, non essendoci i motivi per esserlo in realtà.

 

Tutti i suoi amici, i compagni con cui aveva diviso la vita fin dal primo scontro su un ring a Nuova Luxor, erano cresciuti e avevano trovato il coraggio di ammettere quel che provavano, di dichiarare il loro amore alle donne che amavano. Sirio a Fiore di Luna, Andromeda a Nemes, e Cristal a Flare. Soltanto lui sembrava non essere in grado di fare altrettanto. Perché? Si chiese, osservando Cristal abbracciare Ilda con affetto. Poteva sconfiggere giganti, mostri e Divinità infernali, ma trovava così difficile esprimere quel che provava, preferendo tenerselo dentro e lasciare che gli divorasse il cuore.

 

Perché era quella la fine a cui sarebbe andato incontro. Lo sapeva, e persino Ioria, che lo vedeva ormai come un fratello minore, l’aveva avvisato.

 

Ricordava ancora la conversazione avuta con lui qualche settimana prima, di ritorno dall’Isola delle Ombre, quando il Cavaliere d’Oro l’aveva informato che avrebbe trascorso un po’ di tempo con Reis, adesso che finalmente l’aveva ritrovata.

 

“Alcune persone aspettano una vita intera per un momento come questo, senza accorgersi, in realtà, che di momenti del genere la vita è piena! Basta solo saperli cogliere!” –Gli aveva detto con un sorriso, ponendogli una mano sulle spalle.

 

Ma Pegasus non era ancora riuscito a coglierlo.

 

Sulle prime aveva dato la colpa alle avventure che avevano separato entrambi, lei sull’Olimpo e lui intento a lottare in suo nome, ma in seguito, dopo quel che era accaduto alla Tredicesima Casa, si era sentito in colpa, e forse anche indegno. La rosa di rabbia, come Ioria gli aveva ben spiegato, non aveva creato niente, solo portato al parossismo istinti che ognuno covava dentro. E Pegasus, a causa di questo, aveva tentato di uccidere Atena, la Dea che avrebbe dovuto proteggere, e che invece odiava per non poterla avere, come odiava se stesso, i Cavalieri, il Duca Alman e tutto quel mondo di guerra in cui era immerso. Quel mondo che, se non fosse esistito, gli avrebbe concesso di essere felice con Isabel.

 

Sospirò, grattandosi la testa, prima di riportare l’attenzione sulla Regina di Polaris, a cui Cristal stava presentando i Cavalieri delle Stelle.

 

“Jonathan di Dinasty, Cavaliere dei Sogni, e Reis di Lighthouse, Cavaliere di Luce! Appartengono all’ordine istituito dal Signore dell’Isola Sacra per difendere i confini di Avalon!”

 

“E per una lista infinita di altre cose!” –Ironizzò Jonathan.

 

“Siete i benvenuti ad Asgard, Cavalieri di Avalon! Qua l’ospitalità è sempre sacra, anche in un momento oscuro come questo!” –Esclamò Ilda, prima che Cristal e gli altri iniziassero a porle domande sull’accaduto. Soprattutto Pegasus era desideroso di sapere chi fosse questo Loki, nemico di Odino, di cui non aveva mai sentito parlare.

 

“Vi dirò quello che so, Cavalieri, ma prima dovremmo trovarci un luogo sicuro!”

 

Fu in quel momento che arrivò Andromeda correndo, anticipato dal cigolio delle catene. Sbucò in fondo alla scala che conduceva alle segrete, seguito da un manipolo di guardie della cittadella, che avevano trovato rifugio nei boschi attorno, scampando per miracolo ai massacri dei Soldati di Brina. Li aveva incontrati dopo aver sconfitto Managarmr, rientrando a palazzo, apprendendo da loro della prigionia della Regina.

 

“Ilda! Amici!” –Esclamò, con un gran sorriso, facendosi loro incontro.


“Andromeda!” –Rispose Pegasus, felice di rivederlo sano e salvo. L’amico si inchinò di fronte a Ilda, salutando poi anche Reis e Jonathan, sorpreso ma felice di trovarli a Midgard, prima di raccontare del breve scontro con il Lupo della Luna.

 

“La fortezza è di nuovo libera, mia Regina, sia pur danneggiata in alcune zone!” –Esclamò uno degli uomini della guardia. –“Abbiamo perlustrato il Salone del Fuoco e i piani inferiori, sembra che i Soldati di Brina se ne siano andati!”

 

“E a quelli che c’erano abbiamo dato una bella lezione!” –Commentò Pegasus, sbattendo un pugno nell’altra mano.

 

“Piuttosto strano… Hanno lasciato Midgard in tutta fretta…” –Rifletté Ilda, prima di fare cenno ai Cavalieri suoi ospiti di seguirla al piano di sopra.

 

Venti minuti più tardi, dopo essersi effettivamente sincerati dell’assenza di lupi, Soldati di Brina o servitori di Loki all’interno del palazzo, i Cavalieri di Atena e delle Stelle erano riuniti nel Salone del Fuoco, assieme a Kiki, Fiador e Bard. Nonostante la disagevole situazione, Ilda aveva provveduto comunque a fornire agli ospiti un pasto caldo e medicazioni, scusandosi per non poter offrire di meglio in quel momento. Ma né Reis e Jonathan, né Pegasus e gli altri, ebbero da ridire.

 

Enji arrivò qualche minuto dopo, informando la Celebrante di Odino dei danni subiti dalla fortezza, soprattutto al Cancello Meridionale e al piazzale sul retro, ormai sommerso da cumuli di rocce e ghiaccio. La notizia della distruzione della Statua di Odino parve stancare Ilda, che chinò il capo sconsolata per la perdita e l’oltraggio che Midgard aveva subito.

 

“Adesso è chiaro! Sono andati a Asgard! Non capivo, sulle prime, perché Loki avesse rapito mia sorella, avrebbe potuto prendere me come ostaggio, ma poi ho compreso che quel che voleva non era lei, ma qualcosa che aveva con sé! L’amuleto di Frigg, capace di far apparire Bifrost!” –Disse Ilda, e Cristal sussultò, ricordando quando se ne era servito. –“In questo modo l’Ingannatore ha potuto raggiungere Asgard, tramando dall’interno in attesa dei suoi servi! Questo era il grande schianto che ho sentito nel cuore, lo spezzarsi di Bifrost, il crollo del Ponte Arcobaleno!”

 

“Che cosa?! Questo significa che… la via per Asgard… è preclusa?!” –Balbettò Cristal, e anche gli altri si guardarono inorriditi, aspettando ulteriori dettagli da Ilda. –“Ma… e Flare?! Se ha osato torcerle un capello io…

 

“Dubito che lo abbia fatto! Loki non è tipo da ammazzare per nulla, deve avere un tornaconto in tutto quello che fa! Se Flare è riuscita ad essere utile allora l’avrà tenuta in vita!” –Spiegò la Regina di Midgard, prima di rispondere alle insistenti domande di Pegasus su Loki. –“Egli è la Divinità più importante del pantheon nordico, al pari dello stesso Odino, di cui rappresenta la nemesi, l’altra faccia della medaglia! Discendente degli Jötnar, Loki ha vissuto per secoli ad Asgard e sulle prime gli Asi parevano quasi ammirarlo, incantati dalla sua astuzia, dalla sua malizia, dalla capacità che aveva di cacciarsi sempre fuori dai guai, e di tirarci fuori anche gli altri! Per quanto molti detestassero i trucchi a cui faceva ricorso, al tempo stesso avrebbero voluto possedere la sua intelligenza! Forte di questo potere, Loki iniziò a tramare nell’ombra, carpendo i segreti degli Dei e usandoli per metterli uno contro l’altro e per averne un vantaggio, aumentando sempre più la sua posizione! Ma un giorno, anch’egli, si spinse più in là di quanto avrebbe dovuto, tentando di uccidere il divino Balder, l’essere più perfetto e armonioso che l’universo avesse creato!”

 

“Il figlio di Odino?!” –Intervenne Cristal, ricordando l’incontro con il Dio, giusto e solare, che aveva salvato da Hel.

 

“Proprio lui! Loki riteneva infatti che Balder nascondesse il segreto per fermare il Ragnarök, momento che il Buffone Divino attendeva invece per rovesciare l’ordine costituito e imporre quello degli imperfetti! Un ordine dove avrebbero trovato posto tutti coloro che gli Asi avevano scartato, deriso, umiliato, ucciso, nel corso dei millenni! Quale fosse il senso della profezia neppure Loki lo comprese a fondo, ma io credo fosse da interpretarsi in maniera più estesa! Non Balder stesso avrebbe salvato Asgard, ma i suoi modi di fare, il suo stile di vita, la lucentezza del suo cosmo! Se gli altri Asi, Vani e uomini si fossero comportati come lui, se fossero stati puri come lui, l’inverno non sarebbe mai sceso e non vi sarebbe stato alcun crepuscolo! Invece gli Dei continuarono a scontrarsi tra loro, come gli uomini fecero sulla Terra, e il caos prosperò, liberando Loki dalla prigionia cui gli Asi lo avevano confinato dopo il tentato omicidio di Balder e donandogli nuovo potere, per ordire gli intrighi necessari per avere la sua vendetta! E, c’è da dire, che sulla Terra ha trovato terreno fertile, poiché molti lo hanno seguito, anche uomini pii dal cuore nobile sono stati adescati dalle sue parole, in grado di apparire melodiose a chiunque così volesse udirle!” –Sospirò Ilda, spostando fugacemente lo sguardo sul figlio del Conte Turin.

 

“Credo che l’interpretazione di Ilda sia corretta!” –Intervenne allora Andromeda, rompendo il silenzio che si era creato. –“Se gli uomini e gli Dei potessero vivere in pace e armonia, le guerre non scoppierebbero più e il male cesserebbe di esistere, invece entrambi falliscono. Continuamente falliscono. E chi desidera il caos, la sovversione dell’ordine, riesce sempre a trovare un aiuto! Ricordate Flegias, amici, e tutti coloro che ha irretito?!”

 

“Questo è dannatamente vero!” –Bofonchiò Pegasus. –“Ma noi non siamo filosofi, Andromeda, siamo Cavalieri e abbiamo il dovere di lottare per ciò che crediamo, anche se questo, spesso, significa abbassarci al livello di coloro che affrontiamo!”

 

“Mia Regina, come possiamo fare? Se la Tremula Via è crollata, come potremo raggiungere Odino? Voi potreste forse…?!”

 

“No, Cristal! Trasferirvi ad Asgard non è nei miei poteri! Come l’Olimpo e il Grande Tempio, il cosmo della più possente Divinità di quel luogo preclude qualsiasi possibilità di penetrare al suo interno! Neppure con l’autorizzazione stessa di Odino potrei, perché gli scudi che si sono sovrapposti per millenni fanno della fortezza in cielo un luogo impenetrabile dalla mente umana!”

 

“Siamo tagliati fuori…” –Mormorò Andromeda sconsolato, al pari dei compagni.

 

“Pur tuttavia…” –Riprese Ilda, attirando nuovamente l’attenzione su di te. –“Esiste un’altra via, per giungere ad Asgard!”

 

A quella frase persino Enji sussultò. Per quanto fosse fedele sostenitore del casato dei Polaris e la sua famiglia prestasse servizio a palazzo da secoli, non aveva mai sentito udire una cosa simile, neppure da suo padre, che era stato precettore di corte.

 

“Un’altra via?!” –Balbettò Pegasus. –“Come Ilda?! Mostracela!”


“Seguitemi!” –Si limitò ad esclamare la donna, alzandosi, con il tridente saldamente in mano, e incamminandosi verso l’uscita del Salone del Fuoco. Pegasus, Andromeda, Sirio, Cristal, Kiki, Reis, Jonathan, Enji, Fiador e Bard la seguirono, scendendo ai livelli più bassi del palazzo, addirittura più in basso delle segrete. –“Loki pensa solo a ciò che gli può essere utile, ma non ha mai capito che il vero potere risiede nella conoscenza! Altrimenti saprebbe che gli antichi creatori furono previdenti! Volevano, è vero, allontanarsi dagli uomini, troppo deboli e corrotti a loro dire, ma al tempo stesso si lasciarono aperti una porta! Una possibilità!”

 

“Mia signora…” –Commentò Enji, procedendo con una torcia in mano lungo una scala a chiocciola dai gradini così polverosi da non essere stata percorsa da secoli. –“Non sapevo esistesse un altro livello al di sotto delle prigioni!”

 

“Non crucciartene mio fido Enji, nessuno ne era a conoscenza, neppure Flare!” –Fu la risposta di Ilda, che si fermò, ai piedi della scalinata, di fronte a un muro spoglio. –“Molte volte ho pensato che fosse meglio informarla, nel caso io fossi perita, per evitare che il segreto dei miei antenati, e di tutti i Celebranti che ci hanno preceduto, scomparisse! Poiché solo io so come aprire il passaggio che conduce… ai mondi!”

 

Il consigliere scosse la testa, non capendo, mentre Ilda avanzava di qualche passo, conficcando la punta del tridente in un incavo del muro, imprimendovi tutto il suo cosmo, che finalmente rivelò nel suo splendore. Sia pur freddo, era comunque carico di vita, pulsante di emozioni, al punto che tutti ne furono ristorati, persino ammaliati.

 

Quindi Ilda pronunciò alcune parole in norreno, che Pegasus e gli altri non compresero, e persino Cristal ed Enji fecero fatica a capire, essendo probabilmente una versione più antica di quella corrente, e infine mosse la mano, disegnando nell’aria un segno di luce, che a Pegasus parve una B stilizzata.

 

“Una runa!” –Mormorò Jonathan, che, come Reis, era stato addestrato a tali arti ad Avalon. –“Bjarkan!” –Aggiunse prontamente la ragazza. –“La runa della visione, della rivelazione, del sogno!”

 

Le sue ultime parole si persero nell’onda di luce che invase la stanza, obbligando tutti a coprirsi gli occhi per poi realizzare, quando tornarono a vedere, che il muro si era diviso in due, aprendosi all’interno e rivelando un corridoio che si incuneava nell’oscurità. Ilda, senza esitare, vi si tuffò, seguita da Enji e Fiador, che facevano luce con le torce, e dai Cavalieri. Scesero ancora di una decina di metri, sentendo un freddo intenso gelargli le ossa, mentre Ilda riprendeva a spiegare.

 

“Questo è il luogo più sicuro dell’intera Midgard! Costruito all’alba dei tempi, dal primo Celebrante scelto da Odino, su di esso venne innalzata la cittadella, uno strato dopo l’altro, un’epoca dopo l’altra! Ma, pur con tutte le operazioni di restauro che la reggia ha subito, dopo le guerre che si sono combattute, il nucleo centrale non è mai stato intaccato, né mai potrà esserlo!” –Concluse, giungendo in un’ampia stanza circolare, vasta all’incirca quanto metà del Salone del Fuoco.

 

“La stanza dei portali!” –Esclamò, sollevando lo scettro e irradiando un po’ di luce, in modo che tutti potessero ammirarla. Ammirarne soprattutto le pareti, perché per il resto la stanza era vuota, priva di qualsiasi mobilio o ulteriore apertura.

 

Ai muri erano invece stati scolpiti degli archi, decorati con pietre in modo da rappresentare delle porte. Ve ne erano otto in tutto, che, partendo dalla sinistra dell’ingresso, giravano attorno alla sala guardandosi in faccia, come fossero tutti sulla stessa circonferenza.

 

“I nove mondi!” –Affermò Ilda, richiamando a sé l’attenzione dei Cavalieri, che ancora non avevano ben capito come potessero giungere ad Asgard.

 

Nio heimar” –Disse Cristal, ricordando gli insegnamenti del Maestro dei Ghiacci.

 

“Nove mondi ricordo, nove sostegni, e l’albero misuratore, eccelso, che penetra la terra!” –Commentò Enji, strappando un sorriso a Ilda, che ben conosceva quella citazione, tratta da uno dei più antichi poemi epici scandinavi. Lo stesso che Lady Isabel aveva citato ai Cavalieri ad Atene, la Profezia della Veggente.

 

“Fin dall’alba dei tempi, nove sono i mondi in cui è diviso l’universo! Il primo è il Recinto di Mezzo, Midgard, popolato dagli uomini mortali, in cui adesso ci troviamo! Il secondo mondo è Ásaheimr, la terra dove vivono gli Asi, la cui capitale è la grande fortezza di Asgard, ove voi dovete dirigervi! Il terzo mondo è invece Vanaheimr, la regione dove abitano i Vani, la seconda stirpe divina, di cui tu, Cristal, hai già conosciuto un rappresentante, il Sommo Freyr!” –Spiegò Ilda, e il ragazzo annuì al ricordo del Dio della Prosperità. –“Il quarto mondo è Jötunheimr, il regno dei Giganti, dove si trova la Fonte di Mimir, a cui Odino ha spesso chiesto consiglio. Vi abitano gli Jötnar, i giganti alleati degli Asi e precursori di altre stirpe mostruose che invece agli Dei sono avverse. Il quinto mondo è chiamato Álfaheimr e vi dimorano gli elfi chiari, creature leggiadre e amanti della pace e di tutto ciò che è bello e lucente, mentre il sesto è Svartálfaheimr, il mondo degli elfi scuri e dei nani, massimi costruttori e fabbri. Furono loro infatti a forgiare, tra gli altri, Brísingamen, il monile di Flare, la spada Balmunk e molte armi usate dagli Asi e dai guerrieri in battaglia!

 

Per ultimi ho tenuto i mondi più pericolosi, dove mai vorrei avventurarmi! Il settimo è infatti il nebbioso Niflheimr, situato nel gelido settentrione, sotto il quale si estende Helheimr, l’ottavo mondo, molto simile al precedente e come tale spesso sovrapposti. Questa è la zona più oscura dell’universo, un vero e proprio inferno di ghiaccio, ove dimorano gli Hrmithursar, i Giganti di Brina, con cui Cristal si è già scontrato in passato. L’ultimo mondo è invece Múspellsheimr, il regno del fuoco. È una terra dove il tempo sembra non sia mai trascorso, rimasta all’antico fuoco primordiale. Brucia e arde continuamente e il solo respirare è insopportabile per chi non vi è nato, a causa del calore che la domina. Qua dimorano i Giganti di Fuoco, stirpe solitaria e controversa, che in passato ha donato a Odino sia aiuto che innumerevoli guerre. Rabbrividisco al pensiero che uno di voi possa ritrovarsi in tale abominevole landa!”

 

“Uno di noi?!” –Balbettò Pegasus, non capendo.

 

“Anche se nessuno sa di preciso come i nove mondi siano disposti l’uno rispetto all’altro o su che piano dimensionale si trovino, c’è qualcosa che li unisce tutti, che li lega indissolubilmente: l’Albero Cosmico, che sale fino alle sommità del cielo!”

 

“L’Albero Cosmico! Yggdrasill!” –Esclamò Cristal. –“Ne discendemmo il tronco fino alle radici per giungere nell’inferno!”

 

“Quello era uno dei modi di arrivare ad Hel! E questo è un altro, che vi permetterà di seguire il percorso inverso, giungendo in uno dei Nove Mondi, per trovare poi l’Albero dell’Universo e arrampicarvi su esso fino ad arrivare ad Asgard! Un’impresa rischiosa, folle, forse impossibile! Ma non ho alternative valide da proporvi, Cavalieri di Atena, se non attendere passivi il completarsi degli eventi!”


“Mai!” –Affermò Pegasus chiudendo il pugno. –“Spiegaci però Ilda come possono questi archi di pietra aiutarci!”

 

“Non sono semplici archi, Pegasus, non soltanto! Ma sono dei portali verso gli altri mondi! Per comprenderne l’esistenza, dovete comprendere Odino! Il Signore degli Asi infatti non ha mai avuto eccessiva simpatia per gli uomini, ma al tempo stesso non ne ha mai desiderato lo sterminio! È accaduto, in passato, che l’aria di Asgard lo annoiasse e che si recasse in giro per i mondi, sotto le spoglie di un mendicante. Vafhudr, il vagabondo, così veniva chiamato. E nel suo girovagare aveva modo di apprendere molte cose, e di temerne altre. Così, quando prese la decisione di costruire la fortezza di Midgard, e mandò i suoi figli ad innalzarne le mura possenti, concordò con il primo Celebrante la creazione di un collegamento che entrambi avrebbero potuto usare in caso di estrema necessità: Odino per uscire da Asgard, e i Celebranti per raggiungere la terra degli Asi. Non ho memoria se questi portali siano mai stati utilizzati, probabilmente no, e con il tempo caddero nell’oblio, mentre uomini e Dei si allontanavano sempre più gli uni dagli altri, ciascuno con i suoi problemi, speculari a quelli dell’altro mondo!”

 

“Perciò questi sono dei varchi dimensionali!” –Intervenne Jonathan, affascinato. –“Non sapevo ve ne fossero anche ad Asgard, ma è probabile che i saggi che li concepirono fossero legati a coloro che crearono il portale di Isla del Sol!”

 

“Tu li conosci, Cavaliere delle Stelle?” –Chiese Ilda.

 

“Sulle Ande, di fronte al tempio di Inti, dove sono stato addestrato dal mio maestro, vi è un arco di pietra molto simile a questi, che conduce direttamente ad Avalon! E so per certo che ne esiste un secondo in Egitto! Di altri non sono a conoscenza!”

 

“Tutto molto interessante… ma la domanda è… funzionano?!” –Esclamò Pegasus, sfregandosi le mani, mentre l’adrenalina iniziava a montare in lui, intrigato all’idea della nuova avventura.

 

A quella domanda Ilda si avvicinò al centro del salone, piantando il tridente per terra, nel punto di convergenza perfetta degli otto archi e della porta d’ingresso, emanando una luce argentea a cui presto risposero altre luci. Le pietre che componevano i lati e l’arco dei portali presero infatti a illuminarsi, accendendosi di bagliori diversi, che spaziavano dall’oro al rosso all’azzurro. Un arcobaleno di colori che lasciò i Cavalieri di Atena e di Avalon, e i fedeli di Odino, a bocca aperta.

 

“Meraviglie del Mondo Antico…” –Mormorò Jonathan, con sguardo trasognato.

 

“Purtroppo le scritte sono scomparse, le rune che adornavano la sommità degli archi sono state rese illeggibili dal tempo, da millenni di mancato utilizzo. Ciò ci impedisce di sapere dove conduca ognuno di questi portali e in quale dei mondi chi varca la soglia potrebbe precipitare!” –Spiegò Ilda, prima di abbassare il tono della voce, riducendola a un sussurro. –“Inoltre… vi è un altro pericolo. Affinché il trasferimento funzioni è necessario che nell’altro mondo esista un portale identico e, non sapendo se e quando siano stati usati, non posso garantirvi che tali portali esistano ancora o se siano andati distrutti in una guerra, per un terremoto o durante un’eruzione a Múspellsheimr. Se così fosse restereste intrappolati tra due realtà dimensionali, impossibilitati ad andare avanti e incapaci di tornare indietro! Forse tuo fratello…” –E nel parlare si rivolse ad Andromeda. –“Lui avrebbe i poteri per muoversi tra le dimensioni. Ma voi?! Siete davvero disposti a correre questo rischio? A rischiare di perdervi per sempre?!”

 

Sul momento nessuno rispose e Ilda chinò il capo, consapevole della loro scelta. Fece per afferrare il tridente, per toglierlo dall’incavo e spegnere la luce dei portali, quando la voce di Pegasus la riscosse.

 

“Certo che siamo pronti! Stiamo solo aspettando che tu ci dica come partire!”

 

“Per salvare Asgard, la Terra e l’umanità correremmo rischi anche peggiori di ritrovarci in chissà quale angolo dell’universo!” –Gli andò dietro Sirio.

 

“Del resto abbiamo esperienza sul campo delle dimensioni sconosciute, essendo stati risucchiati da un vortice che ci ha portato in fondo al mare e avendo raggiunto l’Inferno da vivi!” –Concordò Andromeda, prima che Cristal concludesse.

 

“Per coloro che amiamo, noi andremo!”

 

“E noi verremo con voi, Cavalieri di Atena!” –Intervenne allora Reis. –“Il Signore dell’Isola Sacra ci ha espressamente chiesto di portarvi aiuto e così faremo!”

 

“Se questa è la vostra decisione…” –Commentò Ilda, trattenendo un sospiro. –“Farò il possibile per aiutarvi!” –E nel dir questo mosse le dita della mano destra, generando una runa che a Pegasus parve un piede di papera stilizzato. –“Yr! La runa della protezione! Che la benedizione del casato dei Polaris possa scendere su tutti voi, Cavalieri della Speranza!”


“Grazie, Regina di Midgard!” –Esclamò allora Pegasus, parlando a nome di tutti i compagni, che annuirono con orgoglio. Dopo di che ognuno si dispose di fronte ad un portale: da sinistra a destra Pegasus, Jonathan, Sirio, quindi, dopo un varco rimasto vuoto, Reis e Andromeda.

 

“Mi raccomando, Bard!” –Gli disse Cristal, ponendogli una mano su una spalla. –“La difesa della cittadella è ora nelle tue mani! Così come quella della regina! Sii degno di tale onore e stai in guardia, il nemico ha molte facce!”

 

L’allievo di Orion strinse il braccio del Cavaliere, guardandolo con determinazione, prima che questi prendesse il suo posto di fronte al portale accanto a Sirio.

 

“In gamba, ometto!” –Sorrise Dragone a Kiki, che annuì, stringendo i pugni.

 

Ilda osservò i due portali rimasti liberi e si augurò fossero quelli che conducevano a Múspellsheimr e negli Inferi. Quindi espanse al massimo il proprio cosmo, entrando in sintonia con le energie nascoste nei portali, mentre ciascun Cavaliere si avvicinava alla parete scintillante, sfiorandola prima con una mano e accorgendosi di potervi passare attraverso, quasi fosse un velo di luce.

 

Guardandosi un’ultima volta, Pegasus, Dragone, Cristal e Andromeda si sorrisero, prima di entrare nel varco dimensionale e scomparire. Reis e Jonathan non aspettarono che pochi secondi per fare altrettanto.

 

Ilda, rimasta in trepidante attesa al centro del salone, con Kiki, Bard, Enji e Fiador dietro di sé, sospirò, chiedendosi che ne sarebbe stato di loro.

 

“Oh speranza, non abbandonarli!” –Mormorò, prima di placare il proprio cosmo e andarsene.

 

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Capitolo 11
*** Capitolo nono: Contese divine ***


CAPITOLO NONO: CONTESE DIVINE.

 

Su consiglio di Balder, Odino aveva convocato un’assemblea di tutti gli Dei e dei loro alleati presenti ad Asgard nella sala centrale del Valhalla, per informare sui fatti correnti e per organizzare la linea di difesa.

 

Vista l’importanza dell’evento, che non si verificava da secoli, in tutte le stanze e i corridoi della roccaforte vi era grande agitazione, con guerrieri che facevano il loro ingresso, armati di tutto punto e intenti a discutere tra loro, messaggeri che correvano e servitori che si affaccendavano frenetici, affinché ogni ospite ricevesse la massima attenzione. All’esterno, affissi alle finestre o ai balconi, sventolavano lunghi stendardi con i colori e i simboli delle Divinità accorse.

 

L’immensa Sala della Vittoria era stata riempita di tavoli, disposti uno accanto all’altro seguendo le linee delle mura, in modo da creare il perimetro di un rettangolo e far sì che ognuno potesse vedere ogni altro ospite presente, senza rivolgergli le spalle. Sui tavoli risaltavano semplici composizioni floreali, mentre donne vestite come soldati servivano vassoi di carne, che il cuoco Andhrimnir aveva cucinato in fretta, accompagnati a boccali di birra e idromele.

 

Orion, entrando assieme a Mizar e ad Artax, non fu troppo sorpreso al riguardo, ben conoscendo le mansioni che spettavano alle ardite amazzoni all’interno del Valhalla.

 

“Lieta di incontrarti, Campione di Odino!” –Gli si rivolse una delle donne, l’unica che non si affaccendava per la sala, limitandosi a coordinare le attività delle compagne. –“Ero certa che saresti stato presente!”

 

Bellissima e affascinante, con un fisico scolpito da anni di addestramenti, la Regina delle Valchirie gli si fece incontro, rivestita dalla sua corazza da battaglia, con l’elmo tenuto sotto il braccio e lo splendido viso libero di essere ammirato.

 

“Sono lieto anch’io di trovarti qua, Brunilde, seppure l’occasione non manchi di generare inquietudine!” –Esclamò Orion, fissando quegli intensi occhi neri che era solito contemplare nelle loro chiacchierate notturne. In quei momenti, smessi i panni dell’Einheri e della Valchiria, avevano potuto parlare di loro stessi, riconoscendo, con un sorriso, che ben poco allora sarebbe rimasto, essendo entrambi devoti ai loro ideali. Motivo questo che li aveva portati a morte.

 

“Sono certa che il nostro Signore Odino saprà guidarci alla vittoria anche stavolta!”

 

Senza dare troppa attenzione al sorriso ammirato con cui gli si rivolse, Orion prese posto vicino a Thor, Mime, Mizar e Artax, già seduti, e agli altri Einherjar, alcuni dei quali avevano vestito in precedenza una delle sette armature di Asgard.

 

Guardandosi attorno l’uccisore di Fafnir vide molte facce conosciute, di Divinità che aveva avuto occasione di incontrare e di guerrieri con cui si era scontrato durante il quotidiano addestramento nel campo di Idavoll, a cui erano sottoposti tutti i campioni di Odino per tenersi pronti per l’ultima battaglia. Ma vi erano anche molti che non aveva mai visto prima d’allora, che ai molteplici banchetti organizzati da Frigg non si erano mai presentati, preferendo condurre una vita appartata.

 

Fino ad ora! Si disse il campione di Asgard, ritenendo che, di fronte alla minaccia che bussava alle loro porte, avrebbero dovuto fare fronte comune, mettendo da parte ogni diversità o rivalità.

 

Tra i presenti, Orion notò Tyr, il monco, figlio di Odino e Nume tutelare della Guerra, abile combattente e maestro di armi, sia pur con un carattere burbero e facilmente irascibile, intento a conversare con un uomo con cui non aveva mai avuto modo di parlare, ma che riconobbe dalla tenuta da arciere e dalle frecce d’argento che sporgevano dalla faretra. Ullr, l’abile Dio Cacciatore.

 

Poco distante, un Ase dall’aspetto ben diverso dai fisici statuari e vichinghi dei suoi pari, più basso e un po’ robusto, con gote paffute che parevano arrossarsi quando sorrideva, era intento a conversare con una dama elegante, dai mossi capelli dorati, che gli carezzava le mani. Bragi, Dio saggio e profondo conoscitore della poesia e dell’arte, e la sua sposa Idunn, che lo ascoltava sgranocchiando una mela.

 

Dall’altro lato del tavolo, non lontani dal trono, sedevano insieme due figli di Odino: Vidharr, l’Ase silenzioso, dai lunghi capelli castani che gli scendevano sul mantello bianco che copriva la sua corazza, e Balder, avvolto di luce propria. Ai lati del trono, posizionato in modo da fissare l’ampia finestra rivolta a sud, Frigg, Signora degli Asi e consorte di Odino, a sinistra, e Freyr, a destra, erano in silente attesa.

 

Orion sorrise, non potendo fare a meno di notare come in astuzia Odino non fosse di certo inferiore a Loki, avendo scelto bene il suo consigliere, uno dei Vani, antichi avversari degli Asi, per lanciare un messaggio di fratellanza a tutte le stirpi divine.

 

Vi erano inoltre rappresentanti dei nani, dei giganti di Jötunheimr e degli Ulfhednir, un gruppo di guerrieri fedelissimi soltanto a Odino, riconoscibili dalle vesti di lupo, una casta chiusa in una devozione integralista, i cui membri traevano la propria forza dall’estasi derivante dal rapporto intimistico che avevano con il loro animale totemico, il lupo. Orion mosse la testa, in segno di saluto, incrociando lo sguardo di Luxor, un tempo Cavaliere di Asgard della stella Alioth, e adesso membro di quella casta, di cui era entrato a far parte poco dopo essere asceso al Valhalla.

 

Non vi erano però rappresentanti degli elfi, il beato popolo magico che molti consideravano ormai scomparso nella leggenda, non avendoli incontrati per millenni. E di questo Orion si dispiacque, ben sapendo quale contributo avrebbero potuto dare alla causa di Odino, in termini numerici e logistici.

 

Un ululato improvviso terrorizzò molti dei presenti, non essendovi avvezzi, ma Orion e gli altri Einherjar, imperturbabili, si alzarono in piedi, proprio mentre il Signore degli Asi e Padre adottivo di tutti i guerrieri entrava nella Sala della Vittoria. Alto e imponente, fiero nella sua armatura da battaglia, con la spada Balmunk affissa alla cintura, Odino squadrò in un attimo tutti i partecipanti con l’unico occhio rimastogli, mentre ai suoi fianchi camminavano famelici Geri e Freki, due lupi dall’aspetto truce che gli erano stati donati dagli Ulfhednir.

 

Se fosse contento o deluso dalla partecipazione che incontrò, il Dio non lo diede a vedere, limitandosi a raggiungere lo scranno, senza perdersi in molti cerimoniali.

 

“La situazione è grave!” –Esordì. –“E non vi è motivo di nasconderlo! Quel che tutti temevamo, quel che ci era stato profetizzato agli albori del mondo da una veggente che considerammo pazza, e che per questo mandammo al rogo, si è infine avverato! La scure della profezia si è abbattuta su di noi, incapaci di migliorarci nel tempo e di mettere da parte il male, per il bene!”

 

“Mio Signore! Loki…” –Lo interruppe allora Tyr, attirandosi alcuni sguardi di disapprovazione. –“Pagherà!”

 

“Non è soltanto Loki il problema! Perché egli, e l’ho capito tardi, dannatamente tardi, è figlio nostro, della nostra cultura, che ha partorito, oltre ai canti e alle tante vittorie, anche demoni e ombre! Fossimo stati diversi, fossimo stati migliori, forse oggi non saremmo qua, a un passo dalla fine, ad armarci per l’ultima guerra, a lottare non per un pezzo di terra o per un mero capriccio divino, ma per la nostra stessa esistenza!”

 

A quelle parole nessuno osò fiatare, nemmeno Tyr o i nani, che difficilmente si zittivano, e Orion credette che qualcuno sarebbe capitolato, crollando nello sconforto.

 

“Pur tuttavia con i se e con i ma, con i rimorsi e con i rimpianti non si vince una guerra né si costruisce un futuro!” –Riprese Odino, alzando il tono di voce, che parve destare tutti nuovamente, portandoli di fronte alla cruda realtà. –“Vincere o morire, questa è l’alternativa che abbiamo oggi! Nessun’altra! Abbiamo fatto quello che ritenevamo giusto, abbiamo vissuto come ci siamo sentiti di vivere, e nessuno può giudicarci per questo, perché nessuno ha saputo fare di meglio e creare un mondo senza odio, guerre o ombra! Le società ideali le lascio ai sognatori, ai canti di cui il nostro Bragi ci ha deliziato in molte veglie, ma la nostra è fatta di lance e spade che si sollevano contro il nemico, di cosmi che si infiammano, di scudi che si frantumano e di sangue che scorre! Nostro o del nemico, di qualcuno sarà! Ma sarà il sangue che laverà via questo mondo destinato a sparire per sempre! A voi la scelta, popoli dei nove mondi, di scomparire o di lottare per opporsi al fato!”

 

“Che speranze abbiamo?” –Chiese allora Tyr. E a quella domanda Odino rise, come nessuno lo aveva visto fare da tempo, chiuso com’era stato nei suoi pensieri, nella ricerca di una strada per evitare la fine.

 

“Le speranze di chi crede che la tardiva decisione di un mondo prossimo all’estinzione possa vincere una profezia di millenni!” –Declamò, e tutti si fissarono, con espressioni diverse, di stupore, di terrore, di dolore, ma anche di orgoglio e di forza. –“Io andrò!” –Aggiunse infine, zittendo il chiacchiericcio nascente. –“Ho già fatto bardare Sleipnir e con esso fronteggerò il fato!”

 

“E noi saremo con te!” –Ringhiò allora Tyr, sfoderando la spada e puntandola verso il soffitto, presto imitato da molti altri.

 

“Mio Signore!” –Intervenne allora Orion. –“Gli Einherjar sono pronti a fare la loro parte! Generazioni di eroi sono cresciute in vista di questo momento, addestrandosi ogni giorno nel cortile di Asgard e ristorandosi ogni sera ai banchetti di Andhrimnir, ove tutte le ferite venivano rimarginate e le membra ricomposte! Fin da quando siamo ascesi al cielo degli eroi e le Valchirie ci hanno condotto nel Valhalla, la nostra seconda vita ha avuto un solo scopo finale e non ci tireremo indietro adesso!”

 

“Ben detto, ragazzo!” –Bofonchiò Tyr. –“Corpo di un gigante, ben detto!”

 

Un susseguirsi di voci seguì le parole di Orion, dove molti sollevarono le armi, giurando o rinnovando fedeltà a Odino. Lo fecero gli Ulfhednir, alzandosi e fissando il Dio in silenzio, senza bisogno di aggiungere altro alla loro incondizionata devozione. Lo fecero i giganti, battendo i pugni e i piedi sul pavimento, al punto da far tremare le travi e il soffitto della Sala della Vittoria. Lo fecero gli altri Dei, persino il placido Bragi e la sua consorte, e lo fecero i nani.

 

“Le nostre fornaci lavorano già a pieno ritmo! Se i giganti ci aiuteranno potremo trasportare armi per tutti in un arco di tempo brevissimo! Armi come queste, vedete, di pregiata fattura e di robusta qualità!” –Esclamò un rappresentante del popolo di Svartálfaheimr, mostrando fiero un’ascia dalla lama affilata.

 

Per ultimo parlò Freyr, sebbene Odino non avesse bisogno di ulteriori prove della sua fedeltà.

 

“A nome dei Vani, confermo che le nostre schiere prenderanno parte all’ultima guerra, in onore al giuramento dell’otre che i nostri capi stipularono millenni or sono!”

 

Quella dichiarazione spense in parte l’entusiasmo collettivo. Sebbene infatti il Dio dell’Abbondanza fosse uno dei più amati e rispettati nell’intera Ásaheimr, al punto che molti lo consideravano un Ase a tutti gli effetti ormai, il ricordare l’antica contesa con i Vani sembrò ai più fuori luogo. Persino Orion sbatté gli occhi, stranito.

 

Fu ancora una volta Tyr a farsi avanti per primo, con tono garbato ma volutamente ironico.

 

“Apprezziamo le tue parole, Dio della Prosperità, ma mi chiedo con quali schiere tu voglia scendere in campo!”

 

“Con queste!!!” –Tuonò allora una voce, mentre una porta si spalancava e una trentina di guerrieri entrava a passo fermo, fino a portarsi al centro della sala, di fronte a Odino. Li guidava un uomo alto, dall’aspetto anziano, con lunghi capelli biancastri e una barba dello stesso colore, folta al punto da mescolarsi con la chioma stessa. –“E con gli altri mille guerrieri che mi sono permesso di far accampare nel cortile, oh possente Wotan!”

 

Njörðr, Dio del Vento e della Navigazione!” –Esclamò Odino, accennando un sorriso al padre di Freyr. –“La tua presenza è come brezza lieve che rinfranca dalla calura, mio vecchio amico!”

 

“Non avrai dubitato di me, voglio sperare?!” –Borbottò Njörðr, fissando il Signore degli Asi di sbieco per qualche secondo, prima di scoppiare in una fragorosa risata. –“Saremmo arrivati prima, ma abbiamo avuto qualche problema a Valgrind! Due tue guardie non volevano farci passare dalla porta principale! Stavo quasi per tagliar loro la testa dalla rabbia!” –Ironizzò il Dio, al cui fianco una splendida fanciulla, Freya, sorella di Freyr, sorrideva composta. Anch’ella non aveva esitato un istante a mettersi in marcia, decisa ad offrire il suo aiuto, ristoratore o consolatore che fosse, agli eserciti del nord.

 

Fu in quel momento, di ritrovata serenità, che il corno di Heimdall risuonò tre volte.

 

Lo udirono tutti, ovunque in Asgard, e tutti tremarono, consci del suo significato.

 

Ragnarök era iniziato.

 

“Forte soffia Heimdall nel corno che sporge!” –Commentò Odino, chiudendo leggermente l’occhio e vedendo là, la Sentinella dall’acuta vista, ergersi solitaria su Bifrost, di fronte alle schiere avverse, mentre il destino del mondo si compiva al suono del possente Gjallarhorn. –“Prendete posizione!” –Gridò infine, mentre tutte le cinquecentoquaranta porte del Valhalla si aprivano.

 

Prima ancora che terminasse di parlare, Tyr stava già correndo fuori, seguito dagli Ulfhednir, da Ullr, dai nani, dagli Jötnar e da migliaia di altri Dei e guerrieri di Asgard. Rimasero solo Freyr, Balder e Orion nella Sala della Vittoria, assieme a Frigg e a Odino, che doveva assegnare loro i compiti più delicati.

 

Bifrost sta crollando! La Veggente l’aveva predetto e io non le ho creduto! Persino la mia sposa, poche ore fa, l’aveva visto, crollando sfinita a terra, sopraffatta da un’emozione senza paragoni!” –Commentò, sfiorando le spalle della Signora degli Dei, che non riuscì a trattenere un sospiro al ricordo di quel che aveva provato in quel momento, non molto diverso da allora, in cui vedeva vivide di fronte a sé le fiamme dei figli di Muspell divorare il Ponte Arcobaleno.

 

“Io e Freyr ne abbiamo parlato a lungo e forse il buon vecchio Tyr non approverebbe! Direbbe che stiamo solo sprecando tempo e forze, gettando i nostri guerrieri migliori in braccio alla morte! Ma questo è quello che ti chiedo di fare, Orion, perché se ho ragione potrebbe essere l’unica speranza di vincere questa guerra!” –Affermò Odino, fissando il Principe degli Einherjar. –“Se Atena ha ricevuto il mio messaggio e se i Cavalieri sono giunti a Midgard, e se la mia Celebrante è stata degna dell’onore di cui l’ho investita, sono certo che i rinforzi verranno, ma da strade meno convenzionali che non il crollato Ponte degli Dei! Ci sono troppe ipotesi in queste frasi, lo so, ma persino nella grammatica dobbiamo riporre fiducia in quest’ora di disperazione!”

 

“La vostra parola è legge, mio Signore!” –Affermò allora Orion, prima che il nume riprendesse a parlare, chiedendo al guerriero di scegliere cinque compagni e inviarne uno per ogni mondo, ad eccezione di Midgard, ovviamente, e del Niflheimr e di Helheimr.

 

“I Cavalieri di Atena avranno bisogno di una guida, di qualcuno che li conduca all’Albero Cosmico e li aiuti ad orientarsi in mondi in cui mai sono stati e che possono rivelarsi pericolosi per chi non li conosce! Non c’è bisogno però che qualcuno scenda negli inferi, perché, essendo i due mondi collegati, chi vi giungerà dovrà uscire per forza dalla più profonda radice del frassino, dove li attenderà Freyr!”

 

“So già chi saranno i quattro a scendere lungo Yggdrasill, e il quinto sarò io!” –Esclamò Orion con voce decisa.

 

“Dovete partire adesso! Le fronde del frassino già tremano! Mai scricchiolii così sinistri sono giunti fino ad Asgard, accompagnati ad un vento freddo che mina ogni certezza! Dovete trovare i Cavalieri di Atena prima che Loki e i suoi seguaci abbattano l’Albero Cosmico! E per far questo anche Freyr vi darà una mano!”

 

“Condurrò le truppe dei Vani nel Niflheimr, la radice più bassa dell’Albero Cosmico, e là tenteremo di fermare l’avanzata dei Giganti di Brina, di cui Huginn e Muninn ci hanno informato! Quanto resisteremo non so dirlo ma cercheremo di darvi più tempo possibile!” –Esclamò risoluto il Dio dell’Abbondanza, prima di accomiatarsi e lasciare la Sala della Vittoria, seguito da Orion.

 

“Nulla in cielo e terra è più libero dal terrore, lo sai vero mio sposo?” –Parlò allora Frigg, rimasta fino a quel momento seduta al tavolo. Senza nascondere un singhiozzo, la Signora degli Dei si alzò. –“Tutte le visioni che ho, tutte le immagini che si accavallano nella mia mente, sono tinte di sangue, dolore e morte! E poi… al di là della fine… una fiamma immensa, che arderà il mondo!”

 

“Madre, non temete! Sapremo proteggervi!” –Esclamò Balder, abbracciandola.

 

“Ne sono certa! Ma chi proteggerà te?!” –Mormorò lei.

 

“Io lo farò! E tutti gli Dei e i guerrieri al mio comando!” –Tuonò Odino, senza voltarsi a guardare la moglie e il figlio. –“Rifugiati a Fensalir e porta Idunn, Freya e tutte le donne con te! Avranno bisogno di qualcuno che sappia confortarle e chi meglio della Dea che al mio fianco tutte le guerre del mondo ha visto passare potrebbe farlo? Addio, sposa adorata! Addio Signora degli Asi!” –Non aggiunse altro e se ne andò, uscendo dalla Sala della Vittoria e andando incontro ai suoi guerrieri, che lo attendevano per andare in guerra.

 

***

 

La discesa di Odino sul campo di battaglia non passò certo inosservata, né ad Asgard né all’uomo che stava osservando gli eventi nelle acque del Pozzo Sacro.

 

Immerso nel millenario silenzio che permeava la cima dell’alto colle, il Signore dell’Isola Sacra scrutava con attenzione fin dove la Vista gli permetteva di arrivare.

 

In questo modo vide le cinquecentoquaranta porte del Valhalla aprirsi e gli Einjerhar uscirne, bardati delle loro splendide armature. Vide gli Ulfhednir avanzare per primi, devoti alla causa fino alla morte, seguiti dai Giganti, dai nani, dagli Asi e dai Vani. Incredibile, si disse con un sorriso, quante stirpi diverse una guerra contro un nemico comune può unire! E si augurò che quelle alleanze perdurassero in futuro, poiché tutte le razze, e tutti i mondi, ne avrebbero guadagnato.

 

Vide la via dai mille colori sgretolarsi sotto il passo distruttore dei figli di Muspell e l’esercito del Dio dell’Inganno avanzare, spingendo indietro l’avanguardia di Asgard.

 

Vide Heimdall ergersi impavido, pur se ferito, pur con le Valchirie che cadevano al suo fianco, per difendere il mondo che amava.

 

Vide Odino armarsi, della sua scintillante Veste Divina, sfoderare la spada Balmunk e partire al galoppo su Sleipnir, infiammando l’animo dei suoi campioni, che subito lo seguirono. Tutti tranne cinque.

 

Vide Orion, Mime, Artax, Mizar e Thor discendere il tronco dell’Albero Cosmico, il cui fremito pareva ormai inarrestabile, quasi percepisse in prima persona il freddo da cui i mondi sarebbero stati presto avvolti.

 

Vide tutto ciò, e forse anche di più, immutabile nella sua espressione, ai più celata, persino ai suoi fratelli.

 

D’un tratto si chiese se Odino avesse compreso il vero significato di Ragnarök, quel che la Volva aveva annunciato millenni addietro e che gli Asi e i loro popoli avevano scambiato erroneamente per una profezia, a cui prestare orecchio ma non troppo, speranzosi sempre, in fondo al cuore, che gli eventi potessero verificarsi in maniera diversa.

 

Ma il Signore dell’Isola Sacra, che la speranza aveva abbandonato tempo addietro, di fronte ad un cinico senso di realtà, sapeva che nessuno, nemmeno lui, avrebbe potuto cambiare l’ordine degli eventi, e quel frammento di futuro che la prima Sacerdotessa di Avalon aveva mostrato loro si sarebbe in ogni modo avverato.

 

Ho tentato di spiegarglielo per anni, a Odino e a Zeus. Il Ragnarök non è solo distruzione. È molto di più! Definirlo la fine del mondo sarebbe riduttivo, poiché nell’universo niente si crea dal nulla né niente si distrugge completamente, ma tutto perdura. Tutto permane, sia pur in forme mutate. È il mutamento la marea costante dell’esistenza. È la condizione che accomuna uomini e Dei e che li rende uguali di fronte all’assoluto. Ed è l’altra faccia dell’eternità.

 

Sospirò, muovendo la mano sopra le acque del pozzo e ponendo fine alle visioni, ma non ai pensieri, che continuarono ad aggredirlo, ammassandosi nella sua mente.

 

Discese il piccolo rialzo del terreno dove sorgeva il pozzo sacro e si ritrovò al centro della radura, circondato da megaliti di pietra eretti all’alba dei tempi. Quasi sorrise, chiedendosi se i sette saggi avessero davvero creduto che Avalon sarebbe perdurata fino a quel momento, e con essa sarebbero perdurati i loro insegnamenti, i loro scritti e i loro moniti.

 

Egli è l’alfa e l’omega, il primo e l’ultimo, il principio e la fine di tutte le cose. E noi… noi siamo soltanto parte del mutamento, strumenti del cosmo asserviti al mantenimento dello stesso, in funzione ultima dell’eternità.

 

Fu in quel momento che una fiammata di luce esplose poco distante, ai margini della radura, rischiarando la foschia che sempre ammantava l’Isola Sacra, per celarla agli indiscreti sguardi degli uomini e delle loro moderne tecnologie. Avalon voltò lo sguardo in quella direzione, avendo riconosciuto il cosmo del suo vecchio amico, e non fu affatto sorpreso di vederlo oltrepassare il cerchio mistico rivestito dalla sua fiammeggiante armatura di mithril.

 

“Concedimi di andare!” –Esordì, fermandosi a pochi passi dal Signore dell’Isola Sacra.

 

“Perché sollevi questioni di cui già conosci la risposta?” –Mormorò questi, accennando un sorriso. –“Mio buon amico, Andrei, Signore del Fuoco!”

 

“Non posso rimanere inerme ad osservare il mondo scivolare verso il crepuscolo! Ad Asgard si stanno decidendo i destini di un universo intero e non voglio lasciare alle forze di Atena e Odino l’onere di affrontare Loki e il distruttore!”

 

“Non mi dici niente di nuovo…

 

“Eppure ti ostini a non lasciarmi andare! Perché? Cosa ci siamo preparati a fare, per tutto questo tempo, se adesso lasciamo che siano altri ad occuparsi di spegnere l’incendio di guerra che divampa nel mondo?” –Incalzò Andrei.

 

“È giusto che ognuno faccia la propria parte e che tutti siano pronti a fronteggiare l’ultima ombra! Io lo sono, tu lo sei, ma se anche altri lo siano questo non so dirlo! I destini di un mondo intero gravano sulle nostre spalle e non ho intenzione di sprecare ciò che abbiamo fatto finora, e ciò che i nostri avi ci hanno lasciato, per la tua incapacità nel frenare l’indole guerriera che ti è propria!”

 

“Non è sete di guerra che muove i miei passi, ma volontà di entrare in azione, porgendo aiuto a chi ho caro!”

 

“Jonathan se la caverà!” –Commentò Avalon, intuendo che il compagno fosse in pena per il suo allievo. L’ultimo, in ordine cronologico, dei tanti Cavalieri o appartenenti a ordini sacri che aveva allenato nel corso della vita, compresi alcuni Cavalieri di Atena. –“Reis è con lui! E Alexer veglia su entrambi!”


Alexer è ad Asgard? Bene, sono più sollevato adesso! Dei Quattro egli è il più giudizioso!”

 

“È anche per questo motivo che non posso permetterti di andare, Andrei! Con Febo e Marins in Asia Centrale, Matthew che ancora deve completare il suo addestramento e Ascanio impegnato in missione per conto di Zeus, non posso inviare altre truppe in giro per il mondo! Non adesso che l’ombra è così vicina!”

 

Febo e Marins… stanno dunque cercando?!” –Mormorò Andrei, rabbrividendo.

 

“Il luogo in cui tutto ebbe origine!” –Si limitò a commentare Avalon. –“L’ombra dell’ultima guerra si allunga inesorabile su tutti noi e il tempo, che ci è sembrato tanto, adesso sembra non bastare più, adesso che siamo giunti alla fine del viaggio, alla fine del nostro ciclo! Il mutamento che ci attende, nel quale tutte le nostre vite e le nostre conoscenze saranno messe in gioco, sarà una prova così intensa che non so se riusciremo a superarla!”

 

“Faremo tutto ciò che è in nostro potere!” –Strinse i pugni Andrei. –“Anche se questo vorrà dire frenare questa foga di scendere in battaglia che mi domina da tempo ormai! È frustrante, lo ammetto! Ma so che le tue parole sono giuste e un’azione avventata potrebbe produrre più danni dei seppur buoni intenti iniziali!”

 

“Cosa faremmo, amico mio, se ti perdessimo adesso, se tu fossi ferito? Già sono in pena ogni minuto per il destino di Reis e Jonathan, e vorrei pregare gli Dei affinché veglino su di loro, e sui Talismani che portano con sé, la cui perdita sprofonderebbe il mondo nelle tenebre! Ma quali Divinità dovrei pregare se esse non sono altro che un unico Dio? E che proprio quell’unico, principio di tutte le cose, porterà la fine?”

 

“Le preghiere lasciale ai druidi e alle Sacerdotesse! E preparati a scendere in battaglia con me! Preparati a morire con me, fratello!” –Esclamò Andrei, prima di avvolgersi in una vampa di vivido fuoco e schizzare nel cielo. Pochi secondi dopo era di nuovo sul lago Titicaca, al Tempio di Isla del Sol da lui presieduto.

 

Avalon sorrise, rinfrancato dalla visita di uno dei suoi più vecchi amici. Uno di coloro con cui aveva dato vita alla confraternita dei Quattro. La gilda dell’equilibrio.

 

Un frusciare di passi attirò nuovamente la sua attenzione, mentre l’anziana ma elegante sagoma del Primo Saggio spuntava dal sentiero che proveniva dalla loro residenza, la lunga barba bianca che squarciava il velo di nebbie.

 

“Matthew si sta ancora allenando! Dovrà impegnarsi parecchio per colmare la distanza che lo separa dai suoi compagni!” –Esclamò, con voce pacata. –“Non credo sia pronto per uno scontro diretto! Non sa controllare la propria energia, forse perché ha poca fiducia in se stesso e non crede fino in fondo in ciò che fa!”

 

“Lo so! È ancora giovane e la sua mente è stanca e confusa! Per questo dovremo fare attenzione, e guidarlo con costanza ma prudenza lungo la via migliore!”

 

“Per lui o per noi?!”

 

“Vorrei poter rispondere per entrambi!” –Sospirò Avalon. –“Ma spesso i desideri individuali devono essere messi da parte per fare ciò che è realmente giusto! Cos’è una vita, in fondo, a paragone con miliardi di esistenze?!”

 

“Cinico ma saggio!” –Commentò l’Antico, abbandonandosi ad un sorriso. –“Ti ho insegnato bene!”

 

“Se quel che ho visto nel Pozzo Sacro corrisponde al vero, e se la Vista non mi inganna, è questione di settimane, forse di giorni, affinché la configurazione astrale venga ricreata e il varco tra i mondi si riapra…

 

“E in quel momento…

 

“In quel momento Andrei avrà pieno diritto di sfoderare la sua spada di fuoco, e mi raccomando che sia ben affilata!” –Esclamò serio Avalon, prima di incamminarsi con l’Antico lungo il sentiero. –“Lo hai udito anche tu, non è vero? Il corno di Heimdall, il Gjallarhorn… non ha dato inizio soltanto al Crepuscolo degli Dei del Nord, ma al Crepuscolo dell’intera umanità! L’ultima guerra è ufficialmente iniziata!”

 

 

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Capitolo 12
*** Capitolo decimo: Revanche ***


CAPITOLO DECIMO: REVANCHE.

 

Quando Sirio si svegliò si accorse che tremava.

 

Era freddo, ma un freddo così intenso che neppure la protezione dell’Armatura Divina poteva lenirlo. Un gelo che sapeva entrare nelle ossa a chi non vi era abituato.

 

Scuotendosi, si mise in piedi, cercando di riordinare i frammenti dei suoi ricordi e soprattutto di capire dove si trovasse. Aveva varcato il portale nelle profondità di Midgard ed era ancora vivo, il che, si disse, era più che un bene. Era una vera gioia, che lo faceva sperare che anche i suoi compagni fossero giunti a destinazione.

 

Si guardò intorno, muovendo qualche passo sul terreno, rendendosi conto di non vedere praticamente niente. L’oscurità era totale e il vento gelido che lo investiva con raffiche periodiche non lo aiutava a orientarsi meglio. Ebbe bisogno di qualche minuto per abituarsi al buio e iniziare a percepire qualcosa, soprattutto l’ondulazione del terreno, per niente stabile, e un odore acre che inizialmente non aveva sentito, anch’esso sopraffatto dal gelo pungente. Un odore che Sirio, fin da quando era sceso dal ring della Guerra Galattica e aveva iniziato a combattere per la giustizia a fianco dei suoi compagni, aveva imparato a conoscere. L’odore della morte.

 

Mosse un piede, urtando qualcosa, e chinò lo sguardo solo per accorgersi, inorridito, di aver toccato un cadavere.

 

“Dei dell’Olimpo!” –Mormorò il ragazzo, osservando quel nudo corpo deforme, che pareva spogliato di qualsiasi umanità, abbandonato al suo martirio. Spostò lo sguardo attorno a sé e si accorse che non era l’unico, ma era circondato da cadaveri. Corpi ammassati ovunque, distesi su un fianco, raggomitolati, qualcuno privo delle braccia o di un piede, e tutti lacerati, pieni di ferite, sulla schiena bianca e ossuta e sul petto, simili a frustate o a morsi.

 

“Che squallore!” –Si disse, abbandonandosi a un sospiro. In quel momento vide il portale, pochi metri dietro di sé, incastonato nella roccia di quello che pareva il fianco di un rilievo montuoso, e ricordò, o credette di immaginare, quel che era accaduto dopo che ne era uscito. Era stato colpito da qualcosa, che gli era caduto in testa, spingendolo a terra e facendogli perdere i sensi. Qualcosa come…

 

Poof.

 

Sirio si gettò di lato, evitando il crollo di qualcosa che nell’oscurità non riuscì a distinguere, convinto che qualcuno lo avesse individuato e lo stesse attaccando. Ma poi, quando un nuovo corpo cadde accanto a lui, impietrì realizzando che si trattava di cadaveri, al pari di quelli che già inondavano l’intero spiazzo. E che piovevano dall’alto, gettati da una sagoma deforme che il ragazzo, sollevando lo sguardo, vide allontanarsi in silenzio. Fu allora che capì di essere completamente avvolto dalla nebbia. Una nebbia scura, così fitta da inibire i sensi e da generare un manto di notte.

 

Senza indugiare oltre e sforzando i sensi al massimo per analizzare l’ambiente circostante, Sirio balzò avanti, inerpicandosi lungo una parete di roccia e lasciandosi i cadaveri alle spalle. Salì un centinaio di metri, accorgendosi che il rilievo era meno aspro di quel che aveva pensato e ritrovandosi sulla sommità, dove la nebbia era meno fitta e gli permetteva di osservare il lugubre paesaggio attorno.

 

Si trovava nel bel mezzo di quella che sembrava una catena montuosa, avvolta da una bruma scura, al di là della quale si estendeva un immane deserto di ghiaccio. Ricordando le parole di Ilda e gli insegnamenti del Vecchio Maestro sulle culture del mondo, Sirio comprese di trovarsi nel Niflheimr, l’inferno nordico, precisamente sui Monti dell’Oscurità. E quella massa deforme che aveva lanciato i cadaveri dall’alto si stava allontanando, sbattendo le sue orride ali nel cielo nero sferzato da venti eterni.

 

Un dragone. Mormorò Sirio, individuandone la sagoma, sebbene non riuscisse a vederlo nitidamente. Non avendo idea di come muoversi in quel mondo che non conosceva, né di come fosse la geografia interna di tale sconfinato paesaggio, fece l’unica cosa che gli sembrò saggia in quel momento. Seguì il dragone.

 

O forse la meno stupida tra le tante! Ironizzò, scivolando lungo i fianchi delle montagne e correndo poi sul deserto di ghiaccio. Da qualche parte, in quel mondo sconfinato, scendeva la più profonda radice di Yggdrasill e Sirio sperava che l’orrida bestia vi si dirigesse, o comunque di incrociarla durante il cammino.

 

Inseguì il dragone per un tempo imprecisato, forse venti minuti, forse di più. Non era facile tenere il conto del tempo in un luogo in cui pareva che non trascorresse mai, sempre bersagliato da continue tempeste di neve che dovevano rendere atroce l’esistenza. Infine, dopo la monotonia del deserto, spezzata solo da qualche duna o spuntone di ghiaccio che sorgeva sul terreno, vide dinanzi a sé quella che sembrava una costruzione. Un palazzo forse, oblungo e scarno come una bara, che doveva aver subito dei danneggiamenti. Il dragone vi passò sopra, planando poi dall’altra parte, e Sirio lo seguì, costeggiando il perimetro della costruzione con cautela, non sapendo chi o cosa avrebbe potuto incontrare.

 

Al di là del rozzo castello, una strada pareva digradare leggermente e dal basso provenivano grida e rumori di lavori in corso. Per precauzione Sirio proseguì lungo la parete ghiacciata di lato al sentiero, tirando ogni tanto uno sguardo sopra la testa, finché la strada non terminò, rivelando al Cavaliere un paesaggio davvero infernale.

 

Dell’Albero Cosmico ancora nessuna traccia, ma sotto di lui si estendeva una baia, le cui rive erano bagnate dalle tempestose acque di un fiume dai frangenti fatti di coltelli e lame affilate, che martoriavano gli sventurati corpi che tentavano di attraversarlo. La spiaggia invece era costellata da un nugolo di serpenti, intrecciati tra loro in maniera così fitta da costituire un vero e proprio tappeto, che divoravano i malcapitati che riuscivano a passare il fiume, terminando il martirio tra le loro spire. Demoni e esseri mostruosi, che parevano non risentire troppo del dolore e del veleno delle serpi, prelevavano i corpi insanguinati strappando loro le unghie, prima di gettarli via e lasciare che il dragone li afferrasse.

 

Una perversa catena di montaggio! Mormorò Sirio, stringendo i pugni, disgustato da una simile violenza, che gli faceva sembrare leggere persino le pene cui Sire Ade aveva destinato i morti nel suo regno.

 

Una sghignazzata lo distrasse, spingendolo a sollevare lo sguardo, percorrendo il pontile di legno che sovrastava la distesa di serpi, costruito per permettere ai boia di quel luogo atroce di passarvi senza essere feriti, fino ad osservare un uomo, rivestito da una spigolosa corazza, che dirigeva le operazioni in corso. Un uomo che aveva già incontrato, sconfiggendolo nella foresta di Midgard.

 

“Megrez…” –Mormorò Sirio, riconoscendo la snella sagoma del perfido Cavaliere di Asgard, l’unico a conoscenza della prigionia di Ilda e l’unico che avesse tentato di abusarne per i suoi scopi. Per questo motivo, gli aveva spiegato Cristal sull’Olimpo, Odino non lo aveva ammesso al Valhalla. –“Vedo che comunque non ha impiegato molto tempo per farsi dei nuovi amici…”

 

“Tiratelo fuori! Il veleno dovrebbe averlo stordito abbastanza!” –Disse Megrez in quel momento, rivolgendosi a dei mostruosi servitori che trasportavano una massa violacea che Sirio ben conosceva.

 

Una teca di ametista. Come le centinaia che costellavano la foresta di Midgard, piene di sventurati o di animali con cui il malvagio Cavaliere si era divertito nel tempo, alle spalle di Ilda.

 

Continuando ad osservare, Sirio vide i demoni distruggere a martellate la teca di ametista ed estrarne il corpo di un guerriero, gettandolo a terra ai piedi di Megrez.

 

Questi si chinò su di lui, per sincerarsi delle sue condizioni, gli fece una carezza sul volto, prima di colpirlo con un calcio sulla mandibola, così violento da ribaltarlo e spingerlo fino al bordo del pontile, con un braccio penzoloni al di fuori. Subito decine di serpi si allungarono verso l’alto, sperando di assaporare quella nuova preda, il cui odore, sembrava quasi potessero percepirlo, era ben diverso dal putrido fetore dei corpi a cui erano abituati.

 

“Non adesso, deliziose creature! Non adesso!” –Sibilò Megrez divertito, sporgendosi dal pontile, sfoderando la spada infuocata e allontanando i serpenti dal braccio del suo prigioniero. –“Abbiamo un lavoro da fare! Per questo ci servono le unghie di questo bel gattone!” –E diede ordine ai servitori di sollevare il corpo inerme e riservargli lo stesso trattamento dei cadaveri.

 

Il prigioniero tentò di reagire, ma si accorse di essere troppo debole persino per stare in piedi, così venne abbattuto da un colpo alla schiena da parte dei demoni e piegato di nuovo sul pontile. Ma quella mossa permise a Sirio di vederlo in faccia e realizzare quanto fosse identico al Cavaliere che aveva attaccato Lady Isabel a Nuova Luxor, agli inizi della loro avventura asgardiana. Mizar, l’agile tigre.

 

Da Mizar il prigioniero differiva solo per il colore dell’armatura, bianca anziché nera, e questo fece capire a Sirio che doveva trattarsi di Alcor, suo fratello, di cui Phoenix e Andromeda gli avevano parlato. E capì anche che, quali che fossero i piani di Megrez, doveva intervenire subito se voleva salvarlo.

 

Con un agile balzo, il Cavaliere di Atena piombò sul pontile di legno, attirando l’attenzione degli occupanti per il rumore improvviso. Ma quando si voltarono videro solo un dragone di luce verde sfrecciare verso di loro.

 

Drago nascenteee!!!” –Gridò Sirio, travolgendo con le sue fauci i demoni che bloccavano Alcor a terra e scaraventandoli indietro, fino a precipitarli nel groviglio di serpi, che subito si chiusero su di loro.

 

“Che diavolo… Sirio?!” –Esclamò Megrez, il volto contratto in una smorfia di sorpresa. –“Che ci fai qua? No, non dirmelo, finalmente sei morto anche tu! Ah ah ah!” –Ironizzò, recuperando il controllo di sé e sollevando la spada di sbieco, sì che la luce della fiamma potesse rischiarare i suoi occhi rossi di odio.

 

“Infelice di rivederti, Megrez!” –Si limitò a commentare Sirio, scattando avanti.

 

Megrez mosse allora la spada verso destra, poi verso sinistra, scagliando contro il Cavaliere di Atena schegge di ametista. Tale pioggia obbligò Sirio a ripararsi dietro lo scudo del Dragone, prima di lasciar esplodere il suo cosmo e liberare un fendente di energia che falciò le schegge viola, abbattendosi su Megrez, che fu lesto a scansarsi di lato, prima di balzare sopra Sirio, atterrando alle sue spalle.

 

“Iaaahhh!!!” –Gridò il servitore di Hel, caricando di nuovo, muovendo la spada con destrezza e schiantandola più volte contro lo scudo del Dragone, che Sirio aveva nuovamente sollevato, voltandosi verso di lui. –“Questa volta il tuo scudo non basterà! I miei poteri sono cresciuti, la mia Regina li ha incrementati, fiera dei miei successi!”

 

“Immagino che ti sarai fatto riconoscere per le tue qualità morali…” –Ironizzò Sirio, evitando un affondo nemico, prima di contrattaccare con un pugno dal basso.

 

Megrez lo evitò, balzando indietro e sgusciando abilmente via, con il ghigno perfido ancora sul volto. –“Le mie qualità guerriere, vorrai dire!” –Puntualizzò, scoppiando a ridere fragorosamente.

 

“Invece di perderti in chiacchiere, perché non finisci il tuo nemico?” –Esclamò allora una terza voce, proveniente dalle spalle di Sirio. –“O vuoi dargli l’occasione di sconfiggerti una seconda volta?”

 

Il Cavaliere del Dragone mosse leggermente la testa, pur continuando a tener d’occhio Megrez, timoroso di un trucco o di un attacco a sorpresa, per incrociare lo sguardo di un uomo adulto, dal corpo robusto, i cui lineamenti erano molto simili a quelli di Megrez, al punto che sarebbe potuto essere il ragazzo a quarant’anni.

 

Dunque lui… Mormorò Sirio, sgranando gli occhi per la sorpresa.

 

“Non ho chiesto il tuo aiuto né un tuo consiglio, padre!” –Esclamò Megrez, togliendo al ragazzo ogni dubbio sull’identità dell’uomo.

 

“Siete voi l’uomo che affrontò il mio maestro ai Cinque Picchi, tentando di carpire il segreto della Pienezza del Dragone?!”

 

“Umpf! Quell’eremita presuntuoso! Cosa gli dava il diritto di tenersi per sé quel potere? Con esso, un guerriero sarebbe divenuto invincibile! Io sarei divenuto invincibile, primo nel mio casato!” –Affermò il padre di Megrez.

 

“Proprio per questo tale tecnica è stata proibita, perché a nessun uomo dovrebbe essere dato un potere simile! Atena stessa la rifiutò! Un vero Cavaliere, degno di tale nome, lo avrebbe capito!” –Puntualizzò Sirio, facendo avvampare il padre di Megrez.

 

“Come osi?!” –Ringhiò, bruciando il proprio cosmo. Ma una raffica di schegge di ametista lo spinse indietro, obbligandolo a placarsi, mentre Megrez avanzava sul pontile.

 

“Restane fuori e tieniti i tuoi rimpianti! Sirio è mio! Ho un conto in sospeso da regolare con lui!” –Esclamò, caricando il Cavaliere di Atena, che fu costretto a riportare l’attenzione su di lui, sollevando lo scudo, su cui la spada infuocata si infranse, e colpendolo poi all’addome con un pugno secco, che lo spinse indietro di una decina di metri.

 

“Mi pare piuttosto che sia tu ad essere suo!” –Ironizzò il padre con un ghigno, prima di incamminarsi verso Alcor, sollevarlo bruscamente e trascinarlo verso l’altro lato del pontile, oltre il mare di serpi, dove una specie di cantiere navale era stato installato sul terreno sabbioso.

 

“Ammiri il nostro lavoro, Sirio? Vuoi forse partecipare anche tu, donando le tue belle unghie di drago?!” –Esclamò Megrez, indicando con la spada la spiaggia di là dal pontile, dove una nave stava terminando di essere costruita.

 

“Quale nuova diavoleria hai architettato, Megrez?!”

 

“Per quanto mi piacerebbe vantarmene, tutto quest’oro non è frutto del mio lavoro, a cui comunque ho dato un gran contributo! Ah ah ah! Vedi quei demoni, vicino alla nave? Sono della stirpe di quelli che hai abbattuto poc’anzi! Un tempo erano uomini, credo, poi hanno fatto un patto con Hel, che ha evitato loro orribile sorte facendone suoi servi! Sono incaricati di strappar via le unghie ai dannati, un’operazione che non presenta mai particolari problemi, considerate le condizioni con cui i morti giungono qua! Non tutti infatti in vita son stati forti Cavalieri come me, la maggior parte è costituita da vecchi, malati, adulteri o suicidi, gente con ben poca spina dorsale!”

 

“E questo dà a te o alla Regina degli Inferi il diritto di abusare di loro, torturandoli più di quanto abbiano sofferto in vita?!”

 

“Vedo che la tua nobiltà d’animo non è cambiata, Sirio! Sei ancora il solito noioso idealista!” –Sbuffò Megrez. –“Ma mi fa piacere che tu sia venuto a trovarmi, di rado ho occasione di parlare con qualcuno che sa tenermi testa! O quanto meno che sa come provarci! Ah ah ah! Ma basta ridere, ho un lavoro da finire! La superficie cornea dei defunti viene infatti utilizzata per costruire la Naglfar, la nave che trasporterà i figli di Hel ad Asgard, per la battaglia finale! Manca poco ormai, gli ultimi tocchi! Le tue unghie e quelle di Alcor potrebbero ornare la prua, risalterebbero in mezzo a tutto quel putridume, non credi, Cavaliere? Ah ah ah!”

 

“Sei più malato di quanto ricordassi, Megrez!” –Ringhiò Sirio.

 

“Lamentatene con chi mi ha disegnato così! Ah ah ah!” –E nel dir questo Megrez mosse la spada, scatenando una nuova pioggia di schegge di ametista contro Sirio, obbligandolo a balzare indietro, fino al limite del pontile, prima di scagliargli contro la lama infuocata, piantandola tra i piedi del Cavaliere.

 

Il legno stantio del pontile avvampò all’istante, facendo precipitare le tavole nella fossa dei serpenti, che subito si agitarono, sollevando le fauci, attratte dal delizioso bocconcino che penzolava dall’alto, essendo Sirio stato spinto indietro dall’improvvisa deflagrazione. Il ragazzo cercò di rialzarsi, ma ogni trave a cui si afferrava pareva marcirgli in mano, consumata dal mortale fuoco di Megrez.

 

Alcuni serpenti riuscirono ad attorcigliarsi attorno alle sue gambe, risalendole alla ricerca di un punto dove affondare i loro denti velenosi. Sirio ringraziò la protezione quasi completa offerta dall’Armatura Divina ed espanse il proprio cosmo, facendolo avvampare.

 

Fuoco del Dragone!” –Gridò, sterminando le oscure serpi e dandosi la spinta per balzare infine in alto, atterrando su un lato del camminamento di legno non ancora raggiunto dalle fiamme.

 

Megrez, non distante da lui, aveva già richiamato la spada infuocata e si era appena lanciato nella sua direzione.

 

Excalibur!” –Tuonò Sirio, dirigendo un fendente di energia contro il nemico, che riuscì ad evitarlo per un soffio, spostandosi di lato, non potendo impedire però che l’attacco devastasse quel che restava del pontile, facendolo crollare e obbligando Megrez a balzare in alto, roteando su se stesso e piombando poi su Sirio, con la spada tesa.

 

Il Cavaliere sollevò lo scudo, per parare l’affondo, caricandolo di energia cosmica, ma l’impatto fu comunque notevole e lo spinse indietro, facendolo cadere al di là del pontile, rotolando con Megrez sul terreno sabbioso, poco distante dalla Naglfar.

 

Il padre dell’ex Cavaliere di Asgard, osservando la scena da poco distante, scosse la testa e diede poi ordine ai demoni e agli altri servitori di Hel di prepararsi a partire. La costruzione della nave era pressoché completata ed era tempo di mollare gli ormeggi e salpare verso la loro occasione. La gloria che in vita non avevano avuto.

 

Afferrò Alcor per la gola, sollevandolo e sbattendolo contro la chiglia di Naglfar, sussurrandogli di tenersi pronto.

 

“Le tenaglie stanno arrivando!” –Sibilò, mentre un essere mostruoso, dalla stazza simile ad un orso, si avvicinava, reggendo rozze pinze di ferro. –“Farà un po’ male, ma il veleno presente nella teca d’ametista, che il tuo corpo ha assorbito tramite il contatto cutaneo, ti varrà da analgesico! Ah ah ah!”

 

Fu in quel momento che Alcor scattò, graffiando il braccio del padre di Megrez con i suoi artigli, per poi avventarsi su di lui e spingerlo indietro, ferendolo al torace, ove l’armatura oscura, identica a quella del figlio, non lo copriva.

 

“Bastardo d’un gatto! Ti spellerò vivo e ti arrostirò allo spiedo nelle fiamme di Muspell!” –Ringhiò l’uomo, liberandosi del Cavaliere con un’onda di energia e schiantandolo a terra.

 

Alcor rotolò per qualche metro, incapace di reagire a causa dello stordimento causato dal veleno. Sirio se ne accorse e fece per muoversi nella sua direzione, ma Megrez gli si parò di fronte, avvolto nel suo cosmo ardente.


“Vi invoco Anime della Natura infernale!!!” –Gridò, sollevando un braccio, mentre un turbine di sabbia si abbatté su Sirio, obbligandolo a coprirsi gli occhi con una mano, prima che un secondo turbine lo raggiungesse da dietro, schiacciandolo. –“Ah ah ah! Sei abituato agli aghi degli alberi, perdonami se, in loro assenza, dovrò adattarmi con quel che offre la casa! Non molto, in vero, ma qualcosa di interessante c’è!” –Aggiunse, voltando lo sguardo verso il fiume Slidhr, il terribile, e lambendolo con il suo potere cosmico.

 

I frangenti a forma di lame aguzze e coltelli affilati si sollevarono, piombando poi sull’immobilizzato Sirio, in una devastante pioggia continua.

 

“Come vedi ho eliminato quel ridicolo difetto che mi ha fatto perdere il nostro scontro precedente, Sirio! Adesso posso controllare più di un potere contemporaneamente! Ma che te ne parlo a fare? I tuoi strilli indicano che te ne sei reso conto da solo! Ah ah ah!”

 

Quel bastardo ha ragione! Ghignò Sirio, sforzandosi di non perdere la calma, di non agitarsi, per non lasciare che le Anime della Natura avessero ragione di lui, ma per quanto provasse, per quanto concentrasse i sensi, cercando di rimanere immobile e fondersi con l’ambiente, falliva. Non riusciva a stabilire nessun contatto con la natura, che, matrigna, continuava a riversarsi contro di lui, pressando il suo corpo e lacerandolo con migliaia di lame d’acqua.

 

La corazza divina, rinforzata dal mithril, stava resistendo bene, ma nei punti che lasciava scoperti il ragazzo era già pieno di tagli e sangue. E se non avesse reagito subito, anche per Alcor sarebbe stata la fine.

 

Fu allora che capì cosa permetteva agli attacchi di Megrez di raggiungerlo, la natura difforme del paesaggio, non della sua tecnica. La natura infernale, lugubre, tetra, su cui il suo cosmo lucente non aveva presa, intessuta fin nelle profondità dell’oscura linfa della sua sovrana, la figlia di Loki. Era chiaro che, da un simile ammasso di ombra e morte, non avrebbe ricevuto aiuto alcuno.

 

“Aaahhh!!!” –Gridò il Cavaliere di Atena, lasciando ardere il proprio cosmo, che lo avvolse interamente, scivolando attorno al suo corpo, come un turbine, e annientando la tempesta di sabbia e la pioggia di coltelli, prima di assumere la forma di un maestoso dragone di luce e rischiarare il torbido cielo di Hel.

 

“Ma… cosa?!” –Borbottò Megrez, paralizzato dal timore, tanta era la potenza liberata da Sirio, ben superiore al ragazzo che aveva affrontato a Midgard.

 

Colpo segreto del Drago Nascente!!!” –Gridò Sirio, mentre la grandiosa sagoma del Drago di Cina sfrecciava a fauci aperte contro Megrez, il quale tentò di opporsi, scatenando le Anime della Natura contro di esso e osservando, inorridito, il disperdersi di tale tecnica.

 

“Stupido!” –Mormorò suo padre, chino sul corpo di Alcor, con le tenaglie in una mano, alla vista del figlio scaraventato contro la gelida parete di roccia alle sue spalle, con l’armatura gravemente danneggiata e macchiata di sangue.

 

Non ebbe però tempo di pensare altro che Sirio, con un balzo, fu su di lui, sbattendolo a terra e rotolando assieme sulla riva del fiume, in modo da allontanarlo da Alcor.

 

“Di cosa t’impicci, Cavaliere di Atena?” –Ringhiò l’uomo, cercando di liberarsi del ragazzo con un’onda di energia, che spinse Sirio qualche metro addietro, permettendogli di rialzarsi.

 

“Faccio il mio dovere, e salvo chi ne ha bisogno! A questo servono i nostri poteri, non a soddisfare una qualche stupida ambizione personale!”

 

“Un’ambizione non è mai stupida, Cavaliere! O non indosseresti quella corazza, se non l’avessi intensamente voluta!” –Commentò il padre di Megrez, e a quelle parole Sirio esitò un istante, chiedendosi se fossero o meno vere.

 

L’uomo approfittò di quel momento per evocare le Anime della Natura, sollevando un maroso di oscura energia acquatica e scagliandolo con forza contro Sirio, che venne raggiunto in pieno e scaraventato indietro. Con agilità il Cavaliere riuscì comunque ad eseguire una capriola in aria, atterrando in piedi, al limitare della spiaggia, vicino alla selva di serpenti, che subito si agitarono, allungando le spire nella sua direzione.

 

“Non star troppo vicino ai figli di Níðhöggr, Sirio! Sono di appetito facile!” –Esclamò Megrez, rimessosi nel frattempo in piedi. –“Persino io me ne tengo a debita distanza! Sarebbero capaci di far fuori un uomo in pochi secondi, approfittando delle sue ferite aperte e inondandolo del veleno mortale che loro padre, il bel serpentone che svolazza in cielo, ha instillato in loro!”

 

“È a loro che si deve dunque la fossa di cadaveri sulle Montagne dell’Oscurità? Che mondo orribile quest’inferno!”

 

“Farai bene a fartelo piacere, perché è qua che trascorrerai il resto dei tuoi giorni! Schegge di ametista!!!” –Gridò Megrez, muovendo la spada e scagliando contro Sirio una raffica di pietre taglienti, il cui numero pareva incrementare ad ogni movimento della lama.

 

Il Cavaliere di Atena evitò la pioggia rotolando sul terreno sabbioso, mentre attorno a lui scoppiavano esplosioni continue, provocate dalle schegge stesse, ben più pericolose di quel che sembravano. Come tutto ciò che riguarda Megrez, si disse, ricordando i numerosi trucchi messi in atto dal giovane anche a Midgard. Pare che la lezione non l’abbia ancora imparata e che l’onore mai albergherà nel suo animo!

 

“Non pensare, lotta!” –Ironizzò il servitore di Hel, scagliando contro Sirio la lama infuocata, che gli passò a pochi centimetri dal volto, incendiandogli persino una ciocca di capelli. Se non fosse stato attento e agile, si sarebbe conficcata nel suo occhio sinistro anziché nella roccia alle sue spalle.

 

“Lotta vuoi, Megrez, e lotta avrai! Hai violato quanto un Cavaliere ha di più caro, la sua terra, la sua regina, i suoi compagni, agendo come un invasore! Pagane il prezzo!” –Esclamò allora Sirio, scattando avanti, avvolto nel suo cosmo verde speranza, con il pugno teso. –“Colpo del Drago Nascente!”

 

Anime della Natura!!!” –Tuonò Megrez, dirigendo un violento turbine di sabbia e vento freddo contro l’attacco di Sirio, frenandone la corsa.

 

I due assalti si fronteggiarono per qualche istante, infiammando il paesaggio marino, mentre entrambi i contendenti pensavano ad un modo per avere in fretta ragione dell’avversario. Megrez avrebbe voluto rinchiudere Sirio in una teca d’ametista ma rifletté che era proprio in quel modo che aveva perso la volta scorsa.

 

Anche Dragone parve ricordarsene e si abbandonò a un sorriso compiaciuto, facendo infervorare Megrez, che aumentò l’intensità della tempesta, infondendo tutto se stesso a quell’attacco. Il Drago Nascente venne disperso e Sirio travolto dal turbine e sollevato nel cielo di Hel, di fronte allo sguardo tronfio di Megrez, che fece per voltarsi verso suo padre, per rimarcare la sua vittoria. Ma l’esplosione di luce che sventrò le nebbie subito dopo smorzò la sua soddisfazione, obbligandolo a sollevare lo sguardo, giusto in tempo per ammirare la sagoma del più scintillante drago che avesse solcato i cieli di quell’inferno.


“Megrez!!! Sto arrivando!” –Esclamò Sirio, piombando come una furia sull’antico Cavaliere di Asgard. –“E nuovamente mi hai offerto l’occasione per vincerti!” –Non aggiunse altro e si schiantò sull’avversario, che non poté difendersi da tale impetuoso attacco, venendo trapassato e sospinto verso l’alto, per la pressione generatasi. –“Di nuovo il tuo desiderio di una facile vittoria ti ha spinto ad un gesto affrettato! Sbloccandomi dall’uso del Drago Nascente mi hai permesso di tentare un ultimo attacco, ben più potente! Sii fiero di quel che hai ottenuto, Megrez, lo devi solo a te stesso!” –Mormorò Sirio, mentre la spinta del contraccolpo si esauriva e il corpo sanguinante di colui che aveva tentato di rendere grande il casato dei Megrez precipitava nel groviglio di serpi, che subito si avventarono su di lui, avvinghiandosi al suo corpo, penetrando nelle sue ferite aperte, infiammandolo con il loro veleno.

 

Sirio spostò lo sguardo, per non assistere a quella macabra scena, a quello spettacolo a cui Megrez tante volte aveva assistito, gettando nella fossa, anche solo per il divertimento di farlo, qualche corpo di uomini o di altre creature, per ricordare a tutti chi avesse il potere.

 

Il potere di scegliere. Mormorò Dragone, incamminandosi verso Alcor, per sincerarsi delle sue condizioni. Un potere che non hai saputo utilizzare al meglio.

 

Il padre di Megrez parve pensarla allo stesso modo, ritto sulla poppa della nave, con il timone in mano e lo sguardo pieno di disappunto. Aveva capito, fin da quando aveva spinto indietro il Cavaliere del Dragone, quale sarebbe stato l’esito dello scontro, ordinando quindi di mollare gli ormeggi e salpare. E anche adesso, dall’alto della Naglfar, che solcava il nebbioso cielo di Hel, non poteva esimersi dal criticare il figlio, nuovamente sconfitto.

 

“Hai fallito, Megrez! E i fallimenti si pagano!” –Aggiunse, incurante delle grida di dolore del giovane, divorato dalle serpi e dai loro veleni, girando il timone e dirigendo la nave e i suoi demoniaci passeggeri verso l’uscita di Hel.

 

 

 

 

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Capitolo 13
*** Capitolo undicesimo: Tra fuoco e ghiaccio ***


CAPITOLO UNDICESIMO: TRA GHIACCIO E FUOCO.

Che fosse finito nella terra dei Giganti Pegasus lo comprese subito, sebbene non ne ricordasse il nome.

Appena uscito dal portale si ritrovò in una caverna dal soffitto altissimo, di cui, anche a causa della scarsa luminosità, non riusciva a vedere la fine. E quando mise la testa all’esterno, affacciandosi cautamente per guardarsi intorno, si accorse che tutto sembrava più grande di come doveva essere. Non tanto le piante e gli alberi, sebbene alcuni avessero un tronco a dir poco maestoso, simile alle sequoie che aveva ammirato nei libri di geografia, bensì le costruzioni che costellavano il territorio.

Abitazioni, magazzini, carri, persino gli utensili, tutto a Pegasus sembrava grande almeno il triplo e, da un momento all’altro, temeva quasi di vedersi schiacciare dal piede di qualche gigante distratto, sebbene non ve ne fossero molti in giro.

Fu con quell’espressione sorpresa e un po’ spaesata che Thor lo trovò, chiamandolo a gran voce da sopra una costruzione di legno.

"Cavaliere di Pegasus! Ben arrivato!" –Esclamò il corpulento guerriero, balzando dall’alto dell’edificio e atterrando poco distante dal ragazzo. –"Sei il benvenuto a Jötunheimr! Gli abitanti di questa terra, gli Jötnar, mi hanno chiesto di accoglierti con la stessa cordialità che riservano a me ogni volta in cui vengo a far loro visita! E ti assicuro che è un grande onore! Ah ah ah!" –Rise Thor, dando una pacca sulle spalle al Cavaliere di Atena.

"Bestione, fa piacere anche a me rivederti!" –Sorrise Pegasus all’antico avversario, ricordando la sua forza fisica e quanto duramente avesse dovuto impegnarsi per averne ragione, lieto che adesso fossero compagni. –"Dunque tu vieni spesso in questo… come hai detto che si chiama? Terra dei Giganti?!"

"Jötunheimr! Quando Odino mi concede di saltare qualche ora dell’addestramento continuo cui noi Einherjar siamo sottoposti!" –Spiegò, incamminandosi con il Cavaliere lungo la via principale di quello che sembrava un agglomerato di abitazioni in legno e pietra. Un piccolo borgo, a sentir Thor. Tanti castelli, a detta di Pegasus. –"Mi piacciono gli Jötnar, sono dei gran lavoratori! Nonostante la loro stazza potrebbe far pensare che siano pasticcioni, sono molto abili, soprattutto nel lavorare il legno e nell’erigere opere di pubblica utilità, come dighe o fortificazioni! Rudi ma schietti, forgiati ma mai piegati dalla natura! Mi piacciono, sì!"

"Ti ricordano com’eri da giovane, eh?!" –Ironizzò Pegasus, ricevendo in cambio una nuova pacca sulla schiena, che lo spinse in avanti, mentre Thor rideva contento.

"Vedo che non hai perso il tuo spirito di osservazione, ragazzo! Spero tu abbia conservato anche altrettanta foga guerriera, perché temo ne avrai bisogno!" –Aggiunse, facendosi improvvisamente serio.

Pegasus chiese subito spiegazioni al Cavaliere di Asgard, ma questi si limitò ad un sorriso mesto, prima di indicargli proprio quel che il ragazzo avrebbe dovuto cercare. Le radici di Yggdrasill, l’Albero Cosmico, rinfrescate dalle acque di una sorgente che sgorgava poco distante, che Thor presentò come la Fonte di Mimir, a cui Odino si recava spesso per ottenere consigli.

"Proprio qua è venuto il Signore degli Asi questa mattina presto, prima di riunire in consulta tutti gli Dei e i popoli dei nove mondi e rispondere con fermezza all’attacco scagliato dalle forze del male!"

"Asgard è dunque già sotto assedio?" –Chiese Pegasus.

"Da più punti! Vieni…" –Esclamò Thor, facendo cenno di arrampicarsi sulle radici del frassino e di iniziare a scalarlo. –"Senti queste correnti fredde? Giungono dal Niflheimr, l’inferno nordico, e anticipano l’avvento dei Giganti di Brina!"

"Altri Giganti?!"

"Non come coloro che dimorano in Jötunheimr, che a Odino sono fedeli e che già stanno combattendo di fronte alle mura di Asgard! Ma creature malvagie, seguaci di Hel, la figlia di Loki!"

"Loki… vorrei proprio conoscerlo questo simpaticone, dopo tutto quel che ha combinato a Midgard!" –Bofonchiò Pegasus, seguendo Thor lungo le radici del frassino, facendo attenzione a non lasciarsi sbilanciare dai venti gelidi che scuotevano il tronco dal basso.

"Perché? Cos’è successo a Midgard? Ilda sta bene?" –Si preoccupò subito il gigante buono, fermando persino la sua scalata.

"Sì, non preoccuparti! Ma il palazzo è stato violato, molti soldati uccisi e la statua di Odino sfigurata!" –Rispose Pegasus, iniziando a raccontare al compagno quel che era accaduto nel Recinto di Mezzo.

"Quel figlio d’un animale…" –Ringhiò Thor. –"Lascia che gli metta le mani addosso e vedrai come gli insegno l’educazione!"

"Sono proprio curioso di saperlo, amico mio! Anche se, un po’ sforzandomi, riesco a immaginarlo!" –Sorrise Pegasus, riprendendo la scalata delle radici di Yggdrasill.

***

Non appena uscì dal portale dimensionale, Cristal venne invaso da un’ondata di caldo. Una fiammata quasi, che gli mozzò il respiro a metà, piegandolo in avanti e obbligandolo ad appoggiarsi a una parete rocciosa, alla sua sinistra, per riprendere fiato.

Per un istante aveva pensato che qualcuno lo avesse attaccato, ma poi, sforzandosi di rimanere lucido e razionale, comprese che era l’aria stessa, del mondo in cui il portale lo aveva trasferito, ad essere torrida, pervasa da un calore così intenso che solo in un’altra occasione aveva provato. E temuto.

Recuperando la sua postura eretta, si guardò intorno, accorgendosi di trovarsi in uno spazio di forma quasi circolare, dal diametro di una trentina di metri, il pavimento del quale era costituito da grossi blocchi di pietra grezza, disposti l’uno accanto all’altro, senza molta cura estetica. Le pareti erano ugualmente costituite da massi, accatastati l’uno sull’altro, e proprio in cima a quella di fronte a lui sedeva Artax.

"Ti aspettavo, Cristal!" –Esclamò il Cavaliere della stella Beta Ursae Majoris, continuando a fissare il ragazzo, come aveva fatto da quando era uscito dal portale. –"Per la verità non sapevo chi dei Cavalieri di Atena sarebbe sbucato nel regno del fuoco, ma a quanto pare il destino ha voluto che ci incontrassimo di nuovo!" –Aggiunse, balzando a terra e incamminandosi verso il Cigno. –"Per la terza volta in pochi mesi! Potremmo quasi diventare amici…"

"Artax… Dunque questo mondo è…"

"Muspellsheimr!" –Declamò Artax, sollevando la visiera del suo elmo e lasciando che i loro sguardi si incrociassero di nuovo. –"Dei nove mondi forse quello più ostile alla vita!"

"Quest’aria torrida…" –Mormorò l’allievo del Maestro dei Ghiacci, che sudava ormai copiosamente, sentendo le gocce inondargli il viso.

"È irrespirabile, lo so! Forse avresti preferito ritrovarti nel Niflheimr che, per quanto inospitale, è comunque più simile alle terre in cui ti sei addestrato!" –Concordò Artax, prima di allungare un oggetto al Cavaliere di Atena. –"Prendi questa visiera! Ti faciliterà nella respirazione, per quanto comunque non ci tratteremo molto!"

"L’Albero Cosmico… Ilda ci ha detto di trovare Yggdrasill e risalirlo!" –Mormorò Cristal, sistemando alla meglio la visiera sull’elmo della sua corazza.

"Non dovremo fare molta strada!" –Esclamò Artax, senza lasciarsi sfuggire un sorrisino soddisfatto, facendo cenno al Cavaliere di voltarsi.

Cristal sgranò gli occhi, osservando l’immensa sagoma del Frassino del Mondo ergersi alle sue spalle, proprio al centro del cerchio di pietre dove si trovava il portale.

"Entrambi non potevano che trovarsi qua, nell’unico luogo dell’intero Muspellsheimr non raggiunto dalle fiamme del caos! Gli antichi creatori dei portali scelsero con intelligenza, ritenendo che, qualunque smottamento o devastazione avesse investito questo mondo, questo cerchio, che potremmo quasi definire sacro, non sarebbe stato intaccato! Fu un rischio, una sfida al destino, che per fortuna hanno vinto!" –Spiegò Artax, prima di fare cenno a Cristal di seguirlo, lungo un piccolo sentiero di pietre, fino a portarsi al limitare di quella radura, per permettere al Cavaliere di osservare l’immensa distesa di fuoco e magma che li circondava.

"Benvenuto nel mondo dell’incendio universale, terra dei Giganti del Fuoco!"

Allibito, Cristal si guardò intorno, ritenendo che le parole di Artax erano vere. Ovunque posasse lo sguardo incontrava solo lava ardente, vulcani e vampate improvvise che si sollevavano verso il cielo, coperto ormai da una coltre di fumo da rendere impossibile distinguerne il colore. Nonostante tutto, quel mondo primitivo non lo spaventava, forse per la certezza che anche in quel caos fosse possibile la vita, come la presenza dell’Albero dell’Universo dimostrava. O forse per l’innaturale silenzio che pareva permearlo, un silenzio rotto soltanto dai continui sbuffi dei vulcani che lo costellavano o dai getti di lava.

Un silenzio in cui il Cavaliere del Cigno si trovava a suo agio.

Poco abituato a vivere in città, Cristal era stato addestrato nelle lande inospitali della Siberia, immerso nei suoi silenzi, di cui era al tempo stesso anche vittima. Ma, per quanto rigido fosse stato il clima e dure le prove da affrontare, quello non gli era mai pesato, anzi era stato un serbatoio a cui aveva attinto per farsi forza. La forza del silenzio, tramite la quale aveva stabilito un rapporto intimo con la natura, divenuta parte del suo essere, spesso glaciale nei rapporti interpersonali, e dei suoi poteri.

"Vogliamo andare?" –La voce di Artax lo rubò ai suoi pensieri, portandolo a voltarsi verso il Cavaliere del Nord, che indicava le nodose radici di Yggdrasill poco distanti. Cristal lo seguì, lieto di andarsene da quel luogo dove respirare era un inferno, e intanto pensò a come dirgli di Flare.

Un getto improvviso di lava scaturì dal magma che scorreva attorno al cerchio di pietre, investendo in pieno le radici dell’Albero Cosmico, di fronte agli occhi terrorizzati di Artax e Cristal.

"Ma… che succede?!" –Gridò il Cavaliere del Cigno, spostandosi di lato, assieme al compagno, per evitare che l’ardente magma colasse su di loro.

"Maledizione! Yggdrasill… Va a fuoco!!!" –Ringhiò Artax, osservando le radici consumarsi, vittime del calore violento che le aveva investite. Per quanto l’Albero dell’Universo avesse imparato, nel corso dei millenni, a convivere con le diverse realtà dei mondi che teneva in contatto, una simile quantità di magma era superiore a quella che poteva sopportare, determinando la sua immediata combustione. –"Nevi di Asgard!" –Gridò il Cavaliere, espandendo il proprio cosmo e ricoprendo la massa deforme di lava e radici di gelo, in modo da raffreddarla.

"Non apprezzate il mio dono, stranieri? Forse che i frutti di questa terra non vi attraggono?" –Parlò allora una voce, che a Cristal parve quasi contraffatta.

I due Cavalieri si voltarono di scatto, guardandosi intorno circospetti, ma non videro alcun nemico, né percepirono altra presenza che non la loro.

"Chi sei tu che ardisci attaccare un membro dei valenti Einherjar? Forse non sai che sono un campione di Jörmunr, il potente Signore degli Asi!" –Declamò Artax a gran voce.

"So bene chi sei, schiavo degli Asi, e conosco anche il tuo padrone, che qua non ha alcun potere, poiché mai vi ha messo piede, neppure in millenni di peregrinazioni! Perché? Teme forse di scottare i suoi callosi piedi?" –Continuò la voce, facendo infervorare Artax, che balzò in cima al cerchio di pietre, stringendo i pugni.

"Adesso basta, mostrati, vigliacco, se ne hai il coraggio!"

"Coraggio?! Ah ah ah, non è dote che manca a chi niente teme, né la collera divina, né gli sproloqui di un infante dal biondo crine!" –Esclamò la voce. –"Dovresti notarmi, poiché sono intorno a te! La visiera che ti copre gli occhi ti impedisce forse di vedere? Ma se cerchi un segno tangibile della mia esistenza, eccolo!" –E nel dir questo il magma che scorreva attorno alla radura di pietre parve ribollire, prima che numerose colonne di pura lava sorgessero da ogni lato, convergendo sul Cavaliere di Asgard.

"Artax!!!" –Gridò Cristal, correndo in aiuto del compagno e creando con il cosmo una rozza cupola di ghiaccio. Non durò che pochi attimi, liquefatta da tale ardente pressione, ma permise ai due di spostarsi, balzando tra le radici dell’Albero Cosmico.

"Gr… azie!" –Mormorò Artax, osservando il magma scendere lungo le pietre dove si trovava fino a un attimo prima, pietre che mai, nel corso di millenni, aveva scalfito. –"Chi ha osato violare questo luogo sacro, offendendo apertamente il Padre di Tutti?!"

"Non mi risulta di essere sorto dal suo ventre!" –Rise beffarda la voce, che a Cristal e Artax parve provenire dall’aria intera, incapaci di focalizzare i sensi su un punto preciso. –"Ma chissà, del resto si è unito a così tante malcapitate che potrebbe anche esser possibile! Dovrei chiedere ai miei fratelli di istruirmi al riguardo… Lo farò, quando avranno terminato di incendiare Asgard!"

"Maledetto! La tua impudenza è oltraggio insopportabile!" –Ringhiò Artax, mentre Cristal gli bloccava il braccio, fissandolo con uno sguardo severo che gli chiedeva di non fare mosse azzardate.

"Puniscimi allora! Strappa una radice da quell’immenso tubero e vergami!" –Disse la voce, mentre il magma attorno nuovamente si agitava e numerose vampe di fuoco si allungavano verso il cielo, schizzando lapilli nella loro direzione. –"Così ti mostrerò la fine che farai, quella della verga, arsa viva e urlante dolore! Vorresti provare, bel biondino?" –E nel dir questo la lava si sollevò davanti ai due Cavalieri, modellandosi e crescendo sempre più, fino a generare la sagoma di un corpo gigantesco, alto forse dieci metri, interamente composto di magma e fiamme. –"Vorresti ancora provare?!"

"Chi sei?" –Tuonò allora Cristal, vedendo che Artax si era zittito, per la sorpresa e per il timore.

"Beli, così mi chiamano i miei fratelli! In quanto a chi sono, che domanda è? Sei forse cieco come il tuo compagno? O hai visto Giganti di Fuoco di forma differente?"

"Non ne avevo mai incontrato uno, a dire il vero…" –Ironizzò Cristal.

"Felice di essere il primo, e l’ultimo, che vedrai!" –Esclamò Beli, sollevando le braccia e allungandole verso i due Cavalieri, che subito scattarono di lato, gettandosi nella conca di pietra, per evitare i getti di lava ardente.

"Per Odino…" –Mormorò Artax, la cui spavalderia si era spenta di fronte al nemico che non avrebbe creduto di dover affrontare. –"Se incendia Yggdrasill, per noi è la fine!"

"Dobbiamo tenerlo a distanza di sicurezza!" –Esclamò Cristal, espandendo il proprio cosmo glaciale. –"Quel tanto che basta per permetterci di metterci in salvo e raggiungere Asgard! Noi dobbiamo…" –Strinse i pugni e scattò avanti, liberando il suo colpo segreto. –"…raggiungere Asgard! Polvere di Diamanti!!!"

L’attacco si schiantò su un fianco del gigante, un po’ sorpreso che il Cavaliere disponesse di una tecnica simile, ma poi scoppiò a ridere, mostrando come il breve strato di brina che aveva generato fosse già evaporato, liquefatto dalle correnti di magma che scorrevano nel suo corpo, che costituivano il suo corpo.

"Perdonami l’ovvietà, ma un gelo simile è arma assai inutile contro i figli di Muspell! Neppure se tutti gli Asi e i loro scagnozzi possedessero tale potere riuscireste a congelare quest’eterna distesa di fuoco a cui attingo per rimanere in vita!" –Disse Beli. –"E adesso che sono rimasto solo, o quasi, è tutta a mia disposizione!"

"Solo?!" –Balbettò Artax.

"Muspellsheimr si è letteralmente svuotata da quando i miei fratelli hanno iniziato a marciare su Asgard! Stavo per raggiungerli, quando ho sentito le vostre voci e ho pensato di fermarmi e porgervi un saluto! Un saluto… caloroso!" –Esclamò Beli, dirigendo nuovi getti di lava ardente verso i due, obbligati a scattare di lato, per non essere investiti. –"È molto che non combatto, da quando, secoli addietro, istigai gli altri Giganti di Fuoco a marciare su Asgard ma fummo fermati da una squadra di Einherjar guidata da Freyr, quello spocchioso! Per colpa sua e della sua spada fui sconfitto e persi la stima dei miei fratelli, di cui un tempo ero il capo e che invece da quel momento mi preferirono Lui!"

"Lui?! Di chi stai parlando?" –Tossì Cristal, cercando di reagire. Scatenò la Polvere di Diamanti, a cui Artax subito sommò il suo potere, contrastando per qualche istante i due fiotti di magma bollente, finché Beli non aumentò la spinta, scagliando i due Cavalieri indietro, fino a farli schiantare contro una parete rocciosa del cerchio sacro, il cui pavimento si stava ormai riempiendo di lava.

"Maledizione! Finiremo arrosto quanto prima…" –Mormorò il Cigno, affannando nel respirare, a causa del caldo micidiale che lo stava dominando, facendolo impazzire. Anche Artax, sebbene avvezzo a sopportare alte temperature, in virtù dell’addestramento nella caverna di Asgard, stava iniziando ad accusare l’eccessiva permanenza in Muspellsheimr, superiore alle aspettative. –"Potresti andartene, Artax, e tornare a difendere la tua terra e il tuo re…"

"Sì, potrei!" –Esclamò il Cavaliere del Nord, rialzandosi. –"Ma ho un onore da difendere, un onore che già in passato ho permesso venisse macchiato!" –E nel dir questo allungò una mano verso il Cigno, che gli rispose con un sorriso fiero, afferrandola e tirandosi su, mentre i loro cosmi rischiaravano l’aria. –"Mostriamo a questo ammasso di fiamme il vero potere dei Cavalieri di Atena e di Odino!!!"

"Che le divine acque dell’aurora scorrano in questo mondo di fuoco!" –Gridò Cristal, scaricando il suo massimo colpo segreto contro il ventre incandescente di Beli, stringendolo in una morsa di ghiaccio. –"Per il Sacro Acquarius!"

"Nevi di Asgard, abbattetevi sul gigante che di voi si è burlato!" –Lo seguì Artax, dirigendo l’assalto contro le braccia di pura fiamma di Beli, frenandone i movimenti.

"Atenaaa!!!" –Urlò Cristal. –"Odinooo!!!" –Gli fece eco Artax, entrambi grondanti di sudore, con il cosmo portato al parossismo e i nervi tesi ogni oltre immaginazione.

Il congiunto attacco parve ricoprire il gigante di un consistente strato di gelo, che dal basso ventre crebbe fino alla testa, mentre ogni traccia di fiamma o di lava si spegneva e i due ragazzi placavano il loro assalto, ansando affaticati, osservando la rozza struttura di ghiaccio.

Un attimo dopo la statua esplose, mentre onde di lava si sollevarono tutto intorno, infrangendosi contro le rocce che circondavano la radura. Cristal sollevò in fretta una cupola di ghiaccio, per proteggere se stesso e il compagno dai lapilli che schizzavano all’impazzata, prima di osservare sconcertato il riversarsi di cavalloni di magma all’interno del cerchio sacro.

"Stammi vicino…" –Mormorò il Cavaliere, afferrando Artax e spalancando le ali dell’Armatura Divina, con cui si librò in aria giusto in tempo per evitare che le loro gambe venissero ustionate.

"Attento!!!" –Gridò Artax, mentre colonne di lava convergevano su di loro, in quantità superiore rispetto a quelle che avevano inizialmente attaccato il guerriero di Odino.

Cristal cercò di evitarle, zigzagando in mezzo a quel rimestarsi confuso di fiamme e lava, con i sensi tesi al massimo, seppur infiacchiti dalla stanchezza, prima di posarsi su una parete rocciosa del cerchio, incapace di stare ancora in volo. Tossendo, eresse un muro di ghiaccio davanti a loro, aiutato dal cosmo di Artax, che impedì alle onde di magma di travolgerli, ma entrambi capirono subito che non avrebbero potuto reggere a lungo in quella precaria posizione difensiva. Tanto più con la lava che aveva invaso la radura, divorando le pietre e lambendo persino la base del portale, mentre vampate improvvise avevano fagocitato numerose radici di Yggdrasill.

"Così non può andare… Non possiamo perdere il nostro biglietto di sola andata per Asgard!" –Esclamò Cristal, avvisando Artax di quel che aveva intenzione di fare, proprio mentre l’ardente sagoma di Beli si ricostituiva di fronte a loro, traendo origine e forza dal mare di magma.

"Invincibile sono! Dovreste esservene resi conto, adesso!" –Mormorò, prima di dirigere due nuovi fiotti di lava, uno contro Artax, in cima alla parete di pietre, e uno contro Cristal, che si era gettato di nuovo all’interno del cerchio, congelandone il pavimento e portandosi ai piedi dell’Albero Cosmico.

"Dammi più tempo che puoi!" –Gli aveva detto, prima di lasciarlo da solo, e Artax aveva intenzione di non deludere le sue aspettative. –"Se non li puoi battere, allora unisciti a loro!" –Mormorò, espandendo il suo cosmo al massimo, ribollente come la lava che li circondava. –"Unisciti a loro!!!" –Ripeté, prima di muovere le braccia e dirigere due violenti getti di fiamma contro Beli. –"Fuoco del Meriggio, risplendi!!!"

L’attacco prese il gigante di sorpresa, aspettandosi la solita tempesta di ghiaccio, e venne persino spinto indietro di qualche metro, per quanto, agli occhi di Artax, la differenza fosse minima. Cristal, nel frattanto, aveva raggiunto la base di Yggdrasill, che poggiava proprio sopra il portale di pietra, e l’aveva sfiorata con i palmi delle mani, avvolgendola in un abbraccio glaciale.

Pochi istanti dopo uno strato di ghiaccio, spesso quasi mezzo metro, iniziò a comparire attorno all’Albero Cosmico, salendo sempre più in alto, avvolgendolo in un rozzo cilindro che, nelle intenzioni di Cristal, avrebbe dovuto proteggerlo dai continui marosi di magma. Ansimando per lo sforzo e per il caldo insopportabile, il Cavaliere sollevò lo sguardo verso il cielo, notando che non riusciva a vedere fin dove fosse arrivato lo strato di ghiaccio, ma credette sufficientemente in alto da potersi fermare e riprendere quindi fiato.

Proprio in quel momento Artax venne scagliato all’interno della conca di pietre, schiantandosi sul pavimento ghiacciato e perdendo l’elmo della corazza, con un braccio ustionato dal fiotto di lava che l’aveva appena raggiunto.


"Artax!!!" –Gridò Cristal, correndo verso il compagno, ma Beli cercò di fermarlo, dirigendogli contro correnti di magma ardente che il Cavaliere tentò di contrastare con la Polvere di Diamanti, riuscendovi per qualche secondo, che a Cristal parve interminabile tanto grande era lo sforzo che gli era richiesto.

Artax, ripresosi, si mosse per portarsi alle spalle del Cavaliere di Atena, espandendo poi il cosmo per unirsi a lui, mentre schizzi continui di lava piovevano su di loro, sull’intero cerchio e sull’estremità inferiore dell’Albero Cosmico.

"Quel che m’hai detto prima… vale anche per te!" –Mormorò, tossendo più volte. –"Questa non è la tua guerra, Cristal! Vattene! Mettiti in salvo! Affronterò io i nemici di Odino!"

"Mi credi così meschino, Cavaliere? O sono vecchie reminescenze a farti parlare in questo modo? Me ne andrò da qui, questo è certo, ma tu sarai con me!" –Affermò serio Cristal, incrementando il proprio attacco. –"C’è bisogno di te ad Asgard! Flare ha bisogno anche di te!"

"Lascia Flare fuori da questo discorso!"

"Vorrei, ma non posso, perché è coinvolta quanto lo siamo noi!" –Confessò infine il Cavaliere. –"Loki l’ha rapita e si trova con lui, chissà dove, in questi nove mondi!"

"Rapita?! Maledizione!!!" –Ringhiò il guerriero di Odino, che parve ridestarsi alla notizia, spingendo con forza maggiore la propria tempesta di neve. –"Se qualcosa di male le è stato fatto, non basterà il baratro del Ginnungagap a contenere la rabbia di Artax! Ooohhh, Nevi di Asgard!!!"

Cristal approfittò di quel momento di ritrovato slancio del compagno per utilizzare gli Anelli del Cigno per erigere una decina di muri di ghiaccio di fronte a loro, sicuro che fossero arrivati al giudizio finale, essendo entrambi indeboliti dalla permanenza nella terra del fuoco. Così, mentre i fiotti di lava di Beli si schiantavano sulle effimere muraglie, liquefacendole una ad una, poté bruciare al massimo il proprio cosmo, lasciando che turbinasse attorno a sé come vento di inaudita tempesta, stupendo persino Artax per i livelli raggiunti dal compagno, decisamente superiori rispetto ai tempi del loro scontro.

"Vortice… fulminante… dell’aurora!!!" –Gridò il Cavaliere di Atena, scatenando un turbine di gelo che travolse quel che restava del pavimento, delle pietre, dei getti caldi di Beli, abbattendosi sul gigante, sorpreso da tale inusitata potenza, e obbligandolo a liquefarsi di nuovo.

La lava attorno al cerchio sacro venne ricoperta da un manto di ghiaccio, fondendosi in una massa amorfa e bloccando persino i continui sbuffi di vapore che ogni tanto la spruzzavano in aria. Con le ultime forze, Cristal afferrò Artax, pregandolo di tenersi stretto a sé, spalancando le ali dell’Armatura Divina e librandosi in alto, seguendo le radici congelate di Yggdrasill.

"Cristal…" –Mormorò Artax, guardando verso il basso e notando che il ghiaccio stava già iniziando a sciogliersi, sottoposto a una pressione di calore troppo violenta.

Il Cavaliere di Atena non disse niente, continuando a volare in alto, sempre di più, superando il limite raggiunto dal ghiaccio in precedenza e proseguendo finché le forze non gli vennero meno e lo costrinsero ad aggrapparsi alle radici dell’Albero Cosmico, con Artax che faceva altrettanto.

Bolle di lava esplosero in quel momento attorno al cerchio sacro, annientando quel che restava del gelo del Cigno, mentre Cristal concentrava il cosmo sul braccio destro, sollevandolo dritto avanti a sé. Artax comprese quel che il Cavaliere aveva intenzione di fare e si affrettò a salire ancora di qualche metro.

"Spero che Odino mi perdoni… Spada di ghiaccio!!!" –Gridò, calando il braccio sulle ancestrali radici e trapassandole con un fendente di energia congelante, che le falciò a metà, spezzandone alcune. Quelle che rimasero furono strattonate con forza da Cristal e da Artax, fino a tranciarle del tutto e a lasciare la parte inferiore libera di cadere nel vuoto, priva ormai di un sostegno dall’alto.

L’immensa massa di Yggdrasill, nella parte superiore ancora congelata, crollò su se stessa, proprio mentre Beli stava ricomponendo la sua forma fiammeggiante, schiacciandolo nella lava e portando con sé i resti del ghiaccio, delle pietre e dell’antica regione sacra, che sprofondò divorata dal magma e dal caos.

"Cristal…" –Mormorò Artax, afferrando il ragazzo che, stanco per la continua lotta e le difficoltà respiratorie, stava quasi per perdere i sensi. –"Non vorrai andartene sul più bello? Coraggio… Dobbiamo proseguire!"

Il Cavaliere del Cigno annuì, ricambiando il sorriso stanco del compagno, prima di seguirlo lungo la scalata delle parti superiori delle radici dell’Albero Cosmico.

Nessuno dei due si avvide di un’ombra che, tacita, aveva osservato l’intero scontro, in piedi sul versante ribollente di un vulcano.

 

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Capitolo 14
*** Capitolo dodicesimo: Il concilio ***


CAPITOLO DODICESIMO: IL CONCILIO.

 

Quando Atena arrivò sull’Olimpo si accorse che l’aria era cambiata, ben diversa dall’abbraccio di eternità che solitamente avvolgeva la cima del Monte Sacro. Lo stesso abbraccio che l’aveva cinta cinque mesi prima, quando vi era giunta per la prima volta in quella sua attuale reincarnazione.

 

All’epoca i boschi erano in fiore, gli alberi si allungavano rigogliosi e superbi verso il cielo, i ruscelli scorrevano sul medio versante del colle, dando vita a cascate e a giochi d’acqua, rallegrati dal canto delle ninfe e dei satiri. Le statue di marmo bianco che adornavano il viale che conduceva dal Cancello del Fulmine alla Reggia di Zeus parevano inneggiare ai fasti e alla potenza degli Dei e dei loro eroi, le cui imprese nel mito erano state osannate.

 

Quel giorno invece tutto era fermo, immerso in un silenzio innaturale che sembrava aver cancellato ogni forza vitale. Non vi era ombra né distruzione, piuttosto una quieta attesa dell’autunno, o peggio ancora dell’inverno, qualcosa che mai aveva varcato le soglie del sempiterno monte, arrestandosi al Bianco Cancello. Qualcosa che pareva aver chetato tutti gli esseri viventi, fermandoli in un momento del loro ciclo esistenziale, timorosi di andare avanti. Timorosi dell’esistenza di un domani.

 

Mai come oggi gli antichi fasti dell’Olimpo, di banchetti e tornei adorni, di poemi di guerrieri e Divinità ricolmi, mi sembrano così lontani! Mormorò la Dea, fermandosi di fronte a un’antica scultura all’esterno del tempio di Zeus. Una statua di oro e avorio che rappresentava un uomo, con mossi capelli e lunga barba, seduto su un trono, con uno scettro in mano su cui era inciso il simbolo del fulmine.


Forse è così che gli uomini ci vedono? Si chiese, lasciando vagare la mente nel passato, alle sue precedenti incarnazioni, agli anni della Grecia classica, quando Fidia abbelliva i templi degli Olimpi di pregiati lavori e Pausania ne cantava le lodi. Come vecchi infiacchiti dal tempo che hanno perso il contatto con la realtà? Come retaggi di un passato che hanno dimenticato in fretta, contribuendo a scavare un solco tra due mondi, profondo quanto l’incomprensione reciproca che ha segnato i rapporti tra loro e gli Dei. Colpevoli i primi di aver smesso di adorare i secondi, e i secondi di non aver compreso i primi, e di averli sfruttati per averne solo oro e glorie, senza dare loro niente in cambio.

 

“È bellissima, non è vero?!” –La delicata voce del suo accompagnatore la scosse dai suoi pensieri, portandola a voltarsi e a fissare gli occhi grigi dell’ultimo figlio di Eos ancora in vita. Euro, il Vento dell’Est. –“Ermes mi ha raccontato un giorno che Zeus, adirato e dispiaciuto per la perdita dell’originale eretta ad Olimpia, la fece ricostruire qua, nella casa degli Dei. So che non ama elogiare in pubblico le imprese degli uomini, che spesso lo hanno deluso, ma ne sa ammirare l’ingegno e la bravura, quando le vede!”

 

“Sei proprio come il mito ti descrive, figlio dell’Aurora. Argestes, il rischiaratore!” –Commentò Atena, con un sorriso. –“Riesci sempre a vedere il lato migliore delle cose, anche in tempi in cui forse non c’è un lato migliore in cui specchiarsi!”

 

“Non amo questo presente, Vergine Dea, e spesso mi rifugio nel passato, nelle rimembranze di una grandezza e di una nobiltà andate perdute!” –Spiegò Euro, ricominciando a camminare lungo il viale assieme alla Divinità e al Cavaliere d’Oro giunto con lei da Atene, fermandosi infine all’ingresso della Reggia di Zeus. –“Pur tuttavia, dal mio incontro con Pegasus e Andromeda, presso il vostro santuario, una nuova speme s’è accesa in me! E chissà che non mi sia consentito di vivere abbastanza a lungo per poter ammirare la nascita di un mondo nuovo…

 

O la fine di quello presente. Rifletté, facendo cenno ad Atena di precederlo.

 

La Dea lo ringraziò con un sorriso, intuendo parte dei suoi pensieri, ed entrò nel palazzo, lasciando Euro e Mur a parlare tra loro all’esterno. Camminò lungo gli ampi corridoi di marmo bianco, un tempo affollati da Cavalieri Celesti e Divinità golose di ambrosia, fino a giungere al portone della Sala del Trono, di fronte al quale un bel giovane dagli scuri capelli ricciuti la stava attendendo.

 

“Lieto di rivedervi, Dea della Guerra Giusta! Il Sommo la sta aspettando!” –Esclamò il Coppiere degli Dei.

 

“Ti ringrazio, Ganimede! E sono altrettanto lieta di sapere che le tue ferite si sono rimarginate!”


A quelle parole il ragazzo un tempo amato da Zeus parve esitare, arrossendo lievemente, mentre il ricordo della possessione subita da parte di Ampelo del Vendemmiatore riemergeva in lui, assieme ai sensi di colpa per non essere stato forte abbastanza da impedirlo. Né da impedirgli di fare del male ad altri tramite il suo corpo.

 

“Non preoccuparti!” –Sorrise Atena, carezzandogli il volto. –“Va bene così!” –Non aggiunse altro e aprì il massiccio portone, entrando all’interno della Sala del Trono.

 

Là, raccolti, stavano tutti gli Olimpi ancora in vita.

 

Efesto, Signore del Fuoco e della Metallurgia, aveva abbandonato malvolentieri la fucina nelle profondità dell’Etna e ora conversava con sua madre, la bella Era, Regina degli Dei, per quanto non l’avesse mai avuta in eccessiva simpatia, essendo stato da lei sempre guardato con fastidio a causa della sua deformità. Ermes, Dio dei Mercanti e dei Viaggiatori e Messaggero Olimpico, si ergeva maestoso ai piedi della scalinata che conduceva al trono, vigile sentinella e braccio armato del suo Signore, mentre Demetra osservava, dalla ricostruita vetrata che si affacciava sui giardini dell’Olimpo, lo splendore di un luogo che forse presto non sarebbe stato più.

 

Fu proprio la Dea delle Coltivazioni ad andare incontro ad Atena, felice di rivederla. La abbracciò con sincero affetto, senza risparmiarle tristi occhiate, piene di tutto il dolore che la Divinità provava per la distruzione in cui la Terra stava sprofondando, non soltanto intesa come pianeta, ma anche come fertile suolo.

 

Anche gli altri numi la salutarono e ad Atena non sfuggì che, ad esclusione di Demetra, indossavano tutti, come lei, la loro Veste Divina, quasi fossero pronti a scendere in guerra sul momento. Persino Era, che negli ultimi due secoli aveva abbandonato ogni velleità bellica, chiudendosi nel suo intimo mondo di affetti e nel suo ruolo di Signora degli Dei, era ricoperta dalla sua armatura, ornata al collo da un foulard di seta, tessuto per lei dalle Sacerdotesse di Samo, isola a lei devota.

 

“Sei la benvenuta, figlia mia!” –Esclamò una voce dall’alto trono, mentre una lucente figura si metteva in piedi, stringendo in mano il Fulmine, simbolo del suo potere.

 

“Grazie, Padre! Mi rallegro nel vedere che state meglio e che l’ombra ha lasciato definitivamente il vostro corpo!” –Affermò Atena, inginocchiandosi ai piedi della scalinata.

 

“Ma non l’anima!” –Si limitò a commentare Zeus il Tonante, scendendo qualche gradino e invitando le cinque Divinità a prendere posto sulle panche che erano state dislocate nella sala. –“Con il tuo arrivo, Atena, siamo al completo e l’ultimo concilio degli Olimpi può avere inizio!”

 

Tutti avrebbero voluto chiedere a Zeus di essere meno criptico nella scelta delle parole, e forse più ottimista, ma nessuno, neppure il sagace Ermes, osò intervenire, preferendo che fosse la massima Divinità ad esporre le ragioni di tale convocazione.

 

“Sono passati molti anni dall’ultima volta in cui ci siamo riuniti! Secoli direi! E all’epoca eravamo quasi al completo! Quando fu? A stento lo ricordo, ma credo fosse allo scoppiare della Gigantomachia, quando Tifone, istigato dalla Madre Terra, marciò per la prima volta sull’Olimpo, inquinandolo di serpi e fiamme! Ci riunimmo proprio qua, in questo salone giudicato inespugnabile, ma non fummo in grado di stabilire una strategia comune e molti di noi fuggirono in Egitto, chiedendo ospitalità ad Amon Ra, impauriti da un potere che sembrava più grande di noi! Impauriti da un’ombra di fuoco che ci ricordò le potenti Divinità che avevamo affrontato secoli addietro, durante la Titanomachia, vincendole e dando così inizio alla terza stirpe cosmica, che seguì quella delle entità ancestrali e quella dei Titani!” –Disse Zeus, mentre immagini di antiche realtà in cui avevano vissuto iniziarono a scorrere di fronte agli occhi degli Dei, permettendo loro di rivivere quei momenti angosciosi che avevano nuovamente provato mesi prima, quando Tifone, liberato da Flegias, aveva violato per la seconda volta il suolo del Monte Sacro.

 

“Mio Signore…” –Parlò infine Ermes, con voce resa timida dal ricordo della fuga in Egitto, quel giorno lontano. Un rimorso che non l’aveva mai abbandonato nei secoli e lo aveva portato a dare continuamente il massimo, per cancellare, con le sue azioni presenti, quello che considerava uno dei pochi errori della sua vita. –“Non ci scuseremo mai abbastanza per..:”

 

“Lo avete già fatto e non dovete rifarlo! Non ve l’ho mai chiesto, né ve lo chiederò adesso!” –Lo interruppe Zeus, mentre Ermes chinava il capo, un poco sconsolato. –“A dire il vero, mio vecchio amico, credo di poter affermare con tutta tranquillità che dei Dodici Olimpi voi riuniti in questa stanza siete coloro a cui sono maggiormente legato, coloro che meno mi hanno deluso e più mi hanno reso fiero! Fiero di essere vostro padre, vostro sposo o semplicemente il vostro Dio! Mia figlia Atena, che da quando le affidai l’amministrazione della Terra ha sempre lottato contro le forze avverse e soverchiatrici, disposta persino a dare la vita per ciò in cui crede! Mio figlio Efesto, abile e instancabile lavoratore, capace di produrre le migliori armi e corazze che un re sia degno di far indossare al proprio esercito! La premurosa Demetra, sorella placida e sempre attenta alla cura dell’ambiente circostante, di cui sa avvertire gli umori e le paure. Il fido Ermes, sempre pronto a solcare i cieli dell’intero pianeta pur di consegnare con rapidità e solerzia un mio messaggio! E la mia dolce sposa, compagna di vita, al cui fianco ho visto sorgere e morire mondi e soli, l’unica in grado di lenire gli affanni del tempo!”

 

A quelle parole Ermes parve riacquistare colore, sollevando la testa con occhi felici, mentre Era, Demetra e Atena sorridevano commosse e persino Efesto annuiva convinto.

 

“Ricordate la stirpe degli Olimpi? Dodekatheon ci chiamavano gli uomini e così ci hanno dato perpetua memoria in statue e dipinti, ammiratori della nostra immortalità! Una condizione che alla fine non si è rivelata tale, almeno per alcuni di noi!” –Riprese a narrare Zeus. –“Di dodici, in sei siamo qua, mentre altrettanti sono caduti, e assieme a loro molti Dei minori! Il primo è stato Apollo, il quale, non memore della punizione che io e Avalon gli infliggemmo secoli addietro, scelse di scendere in campo da solo, per sterminare gli umani che avevano smesso di adorarlo. Si servì persino di alcuni Cavalieri di Atena, riportandoli in vita, incantati da chissà quale promessa di gloria o vendetta, oltre che di tre Cavalieri della Corona, quel che restava delle sue antiche legioni, trovando però la morte per mano degli eroici combattenti di mia figlia.

 

A seguire furono Nettuno e Ade ad essere sconfitti, per quanto il secondo non facesse parte della cerchia dei Dodici, avendo sempre dimorato nelle lande dell’Elisio, al di là della disperazione dell’Inferno. Quindi, durante la guerra consumatasi proprio qua, in questa reggia sacra, caddero Estia, che aveva ceduto a Dioniso il proprio posto nel concilio degli Olimpi, preferendo vivere tra gli uomini, l’avvenente Afrodite e lo stesso Signore del Vino, massacrati dai figli bastardi del Dio della Guerra!”

 

Zeus si fermò un attimo, dando tempo a tutti di ripensare agli eventi recenti e al figlio di reprimere un singhiozzo, che il solo nome della sua bellissima sposa gli aveva strappato.

 

“Dopo di loro fu il turno di Ares, punito per la guerra infame che aveva di nuovo scatenato, ereditando il lato peggiore del collerico carattere dei suoi genitori, e dell’intrepida Artemide, ultima a cadere degli Dei di Grecia. Di entrambi, nemmeno il corpo ci è rimasto, da commemorare a memoria delle loro azioni, buone o malvagie che fossero, ma sempre dettate da una volontà forte e estrema!”

 

“Se avessi il corpo di Ares tra le mani… le pene dei dannati in Ade sarebbero ben minima cosa rispetto alla sofferenza che infliggerei a quel bastardo! Vile traditore, per causa sua e della sua stirpe iraconda troppo sangue è stato versato! Sangue di chi avrebbe dovuto… continuare a vivere!” –Esclamò Efesto, infervorandosi, prima che il morbido tocco della mano di Ermes sulla sua spalla lo facesse voltare verso gli occhi del Messaggero, per lui un compagno ma anche un amico, e placare.

 

“La tua rabbia è giustificata, figlio mio, e ben la comprendo, poiché al pari tuo anch’io molto ho perso in una guerra che può dirsi grande solo per il numero dei caduti!” –Riprese Zeus. –“Duecentosettantaquattro sono i Cavalieri Celesti caduti sull’Olimpo o andati incontro a prematura morte nelle folli imprese cui Flegias li destinò, al Tempio Sottomarino, per recuperare il vaso di mio fratello e servirsene, o in Grecia e in Asia, tramutando uomini che avevano vissuto una vita intera da eroi, per proteggere quel che consideravano il paradiso, in demoni destinati all’Inferno. Questo senza contare Morfeo, Ebe, Eos, e i tanti Cavalieri e fedeli alle altre Divinità, come ad Afrodite e Dioniso, e la Legione di Glastonbury, sterminata nell’attacco all’Isola delle Ombre! Di tutti loro, di quegli spiriti grandiosi il cui nome uno ad uno ricordo, scolpito nella mia mente, a memoria imperitura dei miei errori e delle mie debolezze, rimane soltanto il più giovane, e forse il più umano tra tutti!”

 

“Di lui puoi soltanto essere fiero, Padre!” –Commentò allora Atena, con voce ferma ma pacata, a cui Pegasus e i suoi amici avevano raccontato le gesta del Luogotenente dell’Olimpo, il primo che aveva osato mettere in dubbio le decisioni del Sommo, non ritenendole giuste. –“Come di tutti coloro che amavi e che la guerra ti ha strappato! Perdonami se ti interrompo, e mi perdonino gli altri se le mie parole possono sembrare saccenti, ma credo di conoscere meglio di voi, di tutti voi, quella sensazione di perdita e dolore che domina adesso il vostro animo! Per tutti questi secoli in cui siete rimasti sull’Olimpo, ad osservare con distacco il flusso di eventi terrestri, io ho invece avuto modo di esservi immersa e di sentire, sulla mia propria pelle, il peso di scelte talvolta ingrate ma necessarie per impedire che il mondo scivolasse sotto il tacco di un re oscuro e liberticida! E dalle mie scelte sono dipese le vite di migliaia di uomini, di migliaia di Cavalieri che, fin da quando Nettuno scatenò i primi sette Generali contro di me, si sono schierati al mio fianco, a difendere la giustizia e la libertà della Terra! Perciò, mio magnifico Padre, e tu, fratello dall’animo gentile, non torturatevi l’animo più del necessario, poiché coloro che avete amato, e che tuttora amate, non vi lasceranno mai! Rimarranno sempre con voi, al sicuro nel vostro cuore, e là li ricorderete, felici al pensiero che niente più possa sfiorarli!” –Sospirò infine Atena, gli occhi leggermente umidi al pensiero di tutti coloro che le erano stati fedeli nel corso dei millenni. Cavalieri, apprendisti, soldati, oracoli e sacerdotesse, un numero impossibile da rimembrare, che neppure gli annuali del Santuario avrebbero potuto indicare correttamente. Ma per tutti aveva lasciato un posto nel suo cuore. Quello era sempre stata la sua forza più grande, e il suo più grande dolore.

 

“Un bellissimo discorso…” –Commentò allora Ermes, e anche Demetra annuì.

 

Soltanto Era rimase in silenzio, racchiusa nei suoi pensieri, ripensando a comportamenti del suo passato di cui non andava più fiera, memorie di un tempo in cui la gelosia e la paura di perdere Zeus le avevano fatto perdere il controllo di se stessa, trasformandola in una Divinità sadica e guerrafondaia.

 

“Le tue parole, Atena, non fanno che confermare quanto stavo dicendo, quel che sono giunto a realizzare in secoli di riflessioni! Che per quanto fossimo un’unica famiglia, generati dallo stesso fato, uniti in realtà non siamo stati mai!” –Esclamò il Sommo, abbandonandosi a un mesto sospiro. –“Tranne quando si è trattato di perseguire un obiettivo comune, come quello di scalzare Crono, il Divoratore, all’alba della storia degli Olimpi, e combattere contro i Titani. Quella mostruosa guerra, che pochi anni or sono il mondo ha rischiato di conoscere nuovamente, fu il primo tentativo messo in atto da me, Ade e Nettuno di dare vita ad un progetto unitario, un progetto che comprendeva la spartizione della Terra tra di noi, sperando in questo modo di garantire l’equilibrio! Ma abbiamo fallito, e le Guerre Sacre che hanno insanguinato il mondo fin dagli albori ne sono sanguigna testimonianza! E quest’incomprensione sorta tra i più potenti figli di Crono e di Rea ha poi caratterizzato anche le nostre discendenze!

 

Non vi è mai stata realmente pace tra i Dodici, e lo dimostrano i continui scontri che mia figlia e i suoi Cavalieri sono stati costretti ad affrontare. Prima contro Nettuno, poi contro Ares, Ade e Apollo. Ciascuno convinto delle proprie ragioni, ciascuno convinto di poter riforgiare il mondo a propria immagine e somiglianza, scontenti forse di quel che avevano, invidiosi forse del mio dominio. Ma tutti destinati a fallire, a veder naufragare le loro speranze contro gli scogli dei Cavalieri di Atena!”

 

Padre… voi mi lusingate…” –Mormorò Atena, cui Demetra, seduta al suo fianco, carezzò affettuosamente una gamba.

 

“Dico il vero! Hai combattuto bene, Atena, e lo hai fatto anche per noi! Per quanto non ritenga che, nei tempi passati, Nettuno o Ade avrebbero potuto sconfiggermi, protetto com’ero da una solida muraglia di Cavalieri e Ciclopi Celesti, certamente il possesso della Terra da parte di uno di loro avrebbe alterato l’equilibrio, garantendogli il dominio di due mondi. Una condizione inaccettabile!” –Spiegò Zeus. –“Avrei dovuto prestare più attenzione a ciò che avveniva nel mondo degli uomini, così vicino e al tempo stesso così lontano, e frenare le ambizioni dei miei fratelli e figli. Ma non volevo intromettermi, poiché al loro posto anch’io avrei mal visto le intromissioni di un’altra Divinità. Così l’unione fittizia che ci aveva inizialmente legato è venuta meno e ognuno ha preso la sua strada. Ma adesso è necessario tornare alle origini, recuperare quella comunione di intenti che ci ha legato contro il nostro primo nemico! È condizione imprescindibile se vogliamo sopravvivere all’era oscura che si sta aprendo!”

 

“Mio sposo…” –Si lasciò sfuggire Era, che mai aveva sentito Zeus parlare con toni così cupi, neppure quando Ares e Tifone avevano minacciato l’Olimpo.

 

“Come ci unimmo un tempo contro i Titani, ugualmente dobbiamo farlo oggi!”

 

“La nostra fedeltà alla causa è assoluta, Sommo Zeus!” –Esclamò Ermes, alzandosi in piedi e battendo il pugno sul cuore. E anche Efesto e Atena annuirono.

 

“Di ciò sono certo, mio buon amico! Ma non è per questo motivo che vi ho convocato, bensì per rendervi partecipi di una mia decisione! Alla luce di quanto vi ho detto, e delle forze oscure che stanno scendendo in campo, ritengo che avremo bisogno di ogni aiuto disponibile! Per questo ho chiesto ad Avalon di portarmi il Vaso di Atena, che i Cavalieri delle Stelle asportarono dal Tempio Sottomarino per impedire che i figli di Ares se ne appropriassero, di modo che, con esso, potremo risvegliare mio fratello Nettuno!”

 

A quelle parole tutti gli altri Dei si zittirono, ammutolendo in un silenzio improvviso, causato da una dichiarazione che aveva ghiacciato ogni euforia. Soprattutto Atena non riusciva a parlare, incapace di comprendere come suo Padre potesse volere una cosa simile, dopo aver ammesso gli errori degli altri Olimpi.

 

Si fece coraggio, spostando i lunghi capelli viola dietro le spalle, e chiese infine a Zeus spiegazioni.

 

“So che il tuo ultimo incontro con Nettuno non è stato piacevole, figlia mia, e so che sei invasa dal timore che un nuovo scontro possa prendere forma!” –Le disse il Padre degli Dei, avvicinandosi. –“Ma non devi temere, poiché il risveglio dell’Imperatore dei Mari, non previsto quest’oggi come non lo era lo scorso anno, servirà solo alla nostra comune causa, ingrossando di un alleato le nostre fila!”

 

“Pensi davvero che sia giusto, Padre? Strappare di nuovo Julian Kevines al suo mondo e lasciare che lo spirito di Nettuno lo invada un’altra volta, rischiando di mettere in pericolo la sua vita, oltre a quella di milioni di innocenti? Non ricordi quanti sono morti per le piogge continue e i maremoti che tuo fratello scatenò l’anno scorso in tutto il mondo?!”

 

“Non è a Julian Kevines che mi riferivo, Atena, ma al vero Imperatore dei Mari, la cui forza hai soltanto intravisto in occasione del vostro ultimo scontro, confinata in un corpo che non poteva contenere a pieno la sua vera potenza!” –Precisò Zeus.

 

Non… a Julian?!” –Balbettò Atena, presa alla sprovvista. E anche Demetra e Ermes si guardarono incuriositi, mentre Era chinava il capo, non sorpresa dalla rivelazione. Aveva sentito Zeus parlare con il suo Luogotenente poche ore prima e sapeva dove sarebbe andato a parare.

 

“Sto parlando del corpo divino di mio fratello, intriso della sua vera essenza, non l’involucro umano che usava ogni volta in cui voleva reincarnarsi sulla Terra!”

 

“Il corpo mitologico di Nettuno?! Non ne vedo le fattezze da molto tempo… da… dallo sprofondamento di Atlantide!!!” –Rifletté Atena, sgranando gli occhi e capendo adesso il progetto di suo Padre. –“È là che si trova?!”

 

“Precisamente!” –Confermò Zeus. –“Dopo la sconfitta che i tuoi Cavalieri inflissero alle schiere di Generali e Soldati degli Abissi, Nettuno ritenne opportuno mettere in salvo il suo vero corpo, conscio del potenziale mostrato dal tuo esercito! Così lo celò in un tempio della sprofondata Atlantide, il suo primo e stupendo regno, cullato dalle onde degli oceani da lui amati e al sicuro da qualsiasi pericolo!”

 

“Questo spiega perché, da allora, si sia servito di un membro della famiglia Kevines, gli imperatori economici dei mari, per non mettere a repentaglio la sua forma ultima!” –Intervenne allora Ermes, a cui Zeus annuì. –“Proprio come Ade preferiva scegliere il corpo dell’uomo più puro della Terra, anziché rischiare il proprio!”

 

“Atena, devo proprio ammetterlo, sei stata una spina nel fianco per i miei fratelli più di quanto loro si siano mai degnati di ammettere, spingendoli a nascondere persino la loro vera essenza, impauriti dalla prospettiva di perderla! Prospettiva che tu, e i tuoi valenti condottieri, avete generato in loro!” –Sorrise il Sommo.

 

“In un certo senso… è allora a causa mia se Julian, i suoi antenati e altre persone hanno tanto sofferto, posseduti dalla smania di potere di un Dio che continuamente cercava la sua rivincita sui Cavalieri della Speranza da me mandati a morire!” –Mormorò Atena, socchiudendo gli occhi e abbandonandosi ad un sospiro.

 

“Hai fatto ciò che dovevi fare! Ciò che il tuo ruolo di faro delle umane genti ti ha imposto! Lo hai detto tu pochi minuti fa, non crucciarti di coloro che sono andati poiché sono caduti per quello in cui credevano!” –Le disse Zeus, prima di volgere le spalle ai presenti e iniziare a risalire la scalinata di marmo. –“Il Vaso di Atena ci sarà consegnato tra poco! Ho già dato ordini al Cavaliere dell’Eridano Celeste di recarsi ove giacciono i resti di Atlantide, assistito da una persona di massima fiducia, ma vorrei che anche tu, Ermes, andassi con loro! Tu che conosci bene la dislocazione dei templi sull’isola inabissata, essendotici recato spesso per consegnare i miei dispacci, porterai loro lo spirito di Nettuno, necessario affinché il risveglio avvenga!”

 

“Come comanda, mio Signore!” –Esclamò prontamente il Messaggero dai sandali alati, alzandosi e accennando un inchino, prima che Atena richiamasse il Sommo, tornando al tono formale che aveva sempre caratterizzato i loro incontri.

 

“Dunque è stato tutto già deciso? Non ritenete, Padre, che sarebbe opportuno parlarne assieme, per capire se questa frettolosa decisione sia davvero conveniente? O se non possa costituire un ulteriore pericolo per la Terra?”

 

“Lo abbiamo fatto, mi pare! E una decisione su cui ho meditato per mesi non la definirei frettolosa, Atena! Volevo soltanto rendervene partecipi…

 

Capisco…” –Si limitò a rispondere la Dea della Guerra Giusta. –“Spero solo che non avremo a pentircene!”

 

Zeus non rispose, sedendosi nuovamente sul trono ed espandendo il proprio cosmo, che squarciò come un fulmine il cielo di Grecia, trepidando verso nord, fino a lambire i confini estremi dell’Europa, dove una tempesta di diversa natura stava avendo luogo.

 

***

 

Mentre gli Olimpi erano riuniti a concilio nella Sala del Trono, Euro, Vento dell’Est, camminava con Mur dell’Ariete fuori dalla Reggia di Zeus, nell’alberato viale dove il Cavaliere d’Oro, assieme a Scorpio, Virgo e Andromeda, aveva combattuto contro i Cavalieri Celesti guidati da Giasone della Colchide. E dove, in seguito, aveva affrontato persino Tifone, un mostro leggendario, di cui aveva sentito parlare soltanto dal suo maestro, il grande Shin dell’Ariete, che un giorno aveva inviato uno dei Cavalieri d’Oro in Sicilia, per prevenire un suo possibile risveglio.

 

Micene…” –Mormorò il discendente del popolo di Mu, ricordando l’energico giovane che aveva permesso a tutti loro di essere là quel giorno.

 

“Come scusa?!” –Ripeté il figlio di Eos, che passeggiava a fianco dell’Ariete.

 

“Oh, perdonami, Vento dell’Est! Mi stavo perdendo nei ricordi! Pensavo a quanto la vita umana sia piena di scelte. Nessuna di esse è casuale e soprattutto nessuna è priva di conseguenze. Anche la più piccola, quella che potrebbe sembrare la più insignificante, può portare a dei risultati!” –Commentò Mur, prima di sollevare lo sguardo verso il cielo, quasi a veder risplendere la costellazione del Sagittario sopra di sé.

 

E tu, quella notte, scegliesti per il bene di tutti noi. Per la salvezza di tutte le genti, dando la vita come un martire, per onorare quel che credevi sacro. Oh Micene, avrei voluto conoscerti di più, perché da te tutti avremmo potuto imparare!

 

“Credo che il concilio si prolungherà per qualche ora!” –Spiegò Euro. –“E ho l’impressione che Zeus aspetti una visita importante! Ha dato ordine a Ganimede e alle ancelle di preparare un banchetto nella Sala delle Feste, evento che non si verificava da prima dello scoppio delle ostilità con Atene!”

 

“Come mai tu non ne hai preso parte?”

 

“Oh, le questioni di politica non mi interessano, Cavaliere di Ariete! Inoltre, anche se avessi voluto, non sarei stato ammesso a una riunione degli Olimpi, non facendone parte! Né mia madre era una di loro, discendente diretta del Titano Iperione!” –Spiegò Euro, nient’affatto dispiaciuto all’idea di poter respirare l’aria dell’Olimpo, anziché rinchiudersi in nebulose riflessioni. –“Inoltre Phantom e Ascanio potrebbero aver bisogno di aiuto, e preferisco tenermi disponibile! Non che mi piaccia, lo sai bene, scendere in guerra, un atto che disprezzo al solo pensiero, ma come già ti dissi durante il nostro precedente incontro credo stia arrivando un momento in cui le visioni personali di ognuno di noi debbano essere abbandonate, in nome di un’unità di intenti! Come potremmo altrimenti resistere all’oscurità montante?”

 

Mur non disse niente, per quanto avrebbe voluto avere maggiori informazioni sulla missione dei due Cavalieri Celesti cui Euro aveva fatto riferimento, ma si limitò ad ascoltare interessato il soliloquio del figlio di Eos, solitamente piuttosto schivo nei rapporti interpersonali.

 

“Li senti anche tu, vero? I venti di guerra che spirano sull’intero pianeta! Ne percorrono la superficie, spazzando via ogni certezza di infinito, ogni speranza nel futuro!” –Riprese infine, fissando Ariete con occhi in cui Mur parve perdersi, tanto erano profondi e colmi di antichi riflessi. –“Qualcosa di terribile sta per accadere, qualcosa di fronte al quale gli inganni di Flegias e i tentativi imperiali di Nettuno, Ade e Ares erano ben poca cosa! Un’ombra incombe sulla Terra tutta, un’ombra come mai l’ho percepita. Un’oscurità primordiale da cui nessuno potrà fuggire!”

 

 

 

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Capitolo 15
*** Capitolo tredicesimo: Volenti o nolenti. ***


 

CAPITOLO TREDICESIMO: VOLENTI O NOLENTI.

 

Tanto fitta era l’oscurità in cui si ritrovò, che Jonathan non riuscì inizialmente a capire dove fosse finito, se il portale lo avesse trasferito in uno dei nove mondi o se, molto semplicemente, era morto e presto sarebbe stato avvolto dal manto di tenebra che lambiva il suo giovane corpo.

 

Camminò a tentoni nel buio, con i sensi all’erta per captare una qualsiasi presenza, sentendo un terreno duro e roccioso sotto di sé e una corrente d’aria fredda lambirgli le braccia, nei pochi punti lasciati scoperti dall’armatura. Decise di seguire la brezza, cercando di capire da dove provenisse, per trovare un’uscita da quel vuoto in cui pareva essere precipitato, ma non riusciva a orientarsi, continuando a incespicare contro sassi o sporgenze del terreno, senza alcun punto di riferimento.

 

Brontolando per la situazione di stallo, decise di arrischiarsi ad illuminare un poco l’ambiente usando il cosmo, quel minimo che gli potesse essere utile per comprendere, attento a non rivelare la propria presenza a eventuali padroni di casa poco ospitali. Ma bastò che dal suo corpo nascesse una fioca luce perché una voce lo chiamasse.

 

Pegasus?!”

 

Jonathan si fermò, muovendo lo sguardo nella direzione da cui la voce proveniva, l’estremità di quello che a prima vista pareva un corridoio scavato nella roccia. O sotto terra? Si disse, osservando qualche radice sporgente dal soffitto e grumi di terriccio che sporcavano le pareti laterali.

 

Di fronte a lui, a non più di una decina di metri, c’era un uomo rivestito di un’armatura. Non poteva vederlo in volto, a causa della distanza e della scarsa luminosità, ma la snella silhouette dell’elmo e dei coprispalla della corazza erano evidenti, come pure il leggero movimento del mantello che indossava.

 

“Sei tu, Cavaliere di Pegasus?!” –Ripeté l’uomo che, a quanto pareva, doveva conoscere i Cavalieri di Atena e forse attendersi la loro venuta.

 

“Non sono Pegasus, ma un suo alleato e compagno in questa guerra che imperversa ad Asgard!” –Rispose allora Jonathan, muovendosi in avanti.

 

“Se non sei Pegasus allora non tentare un passo di più! Potrei non essere così festoso nei tuoi confronti!”

 

“Chi sei?!” –Esclamò allora Jonathan, spazientito, aumentando l’intensità del cosmo, con cui riuscì a illuminare l’intero corridoio, investendo il volto dell’uomo dalla nera corazza.

 

“Dovresti essere tu a presentarti, non credi, Cavaliere? È buona norma dichiararsi quando si entra, non invitati, in casa d’altri!”

 

Umpf, siete tutti così sostenuti nelle terre del nord? Anche con chi combatte al vostro fianco? Sempre se tu, Cavaliere nero, per Odino combatta e non contro di lui!”

 

Jonathan, che si aspettava una risposta a tono, dovette invece spostarsi di lato in tutta fretta, per evitare l’affondo con cui il suo imprevisto avversario aveva mirato alla sua gola, scattando contro di lui alla velocità della luce. Agile come una tigre, silenzioso come un’ombra. Probabilmente per questo, si disse, non era riuscito a percepirne la presenza fino all’ultimo istante.

 

Mimetismo cosmico, aggiunse, ricordando le lezioni di Andrei e di Avalon. Specialità nella quale il Comandante Ascanio è maestro.

 

“Che accoglienza è mai questa?!” –Esclamò, voltandosi verso il Cavaliere di Asgard che, avvolto nel suo cosmo glaciale, stava già preparandosi per caricare di nuovo.

 

“L’accoglienza che riservo a coloro che si fanno beffe degli Einherjar, i Guerrieri Unici di Odino, mai come adesso pronti a lottare per lui persino oltre la morte!”

 

“E sarà al mio fianco che lotterai, Cavaliere facilmente alterabile, se mi darai modo di spiegarmi! Poiché sono dalla tua stessa parte! È questo il motivo che ha spinto il Signore dell’Isola Sacra ha inviarmi qua!” –Affermò il ragazzo dai capelli biondo cenere, sollevando lo scettro che stringeva in mano e lasciando che la sua luce rischiarasse il corridoio come fosse giorno.

 

“Non sei un Cavaliere di Atena, né ti ho visto sull’Olimpo al servizio di Zeus, perciò chi sei?” –Incalzò l’uomo dalla corazza nera, soppesando le parole dello sconosciuto.

 

“Sono Jonathan di Dinasty, Cavaliere delle Stelle fedele ad Avalon e alleato dei Cavalieri dello Zodiaco!”

 

“Avalon?! La mistica isola perduta nelle nebbie di Britannia?! Ne ho sentito parlare soltanto nelle leggende! Non credevo esistesse realmente!”

 

“Tutte le leggende contengono un fondo di verità, non lo sai, guerriero del nord? E la mia presenza qua, come suo rappresentante, mi pare una prova sufficiente!”

 

“Che non dimostra però la tua fedeltà alla causa di Odino! Come posso crederti così, a partito preso? Potresti essere uno dei servi di Loki, o forse il Dio dell’Inganno in uno dei suoi abili travestimenti! No, Cavaliere ammantato di luce, il tuo bel visino e i tuoi aurei riflessi non bastano per convincermi!”

 

“Sei un tipo difficile, ma da un gatto nero non mi aspetto certo una dimostrazione d’affetto!” –Ironizzò Jonathan, mentre l’altro scattava contro di lui, sguainando artigli intrisi di fredda energia cosmica. –“Ma non resterò immobile ad aspettare che tu giochi con me come fossi un topolino! Non ho rischiato la vita, viaggiando attraverso un portale di cui la tua bella Regina non sapeva neppure garantire il funzionamento, solo per farmi graffiare dalle tue unghie di cristallo!” –E nel dir questo si mosse di lato, mentre un reticolato di luce azzurra strideva sul fianco della sua corazza, senza scalfirla, prima di muovere con rapidità lo scettro e sbatterlo sulla schiena del suo nemico, spingendolo bruscamente in avanti.

 

Il servitore di Odino fu abile comunque a eseguire una perfetta capriola e a rimettersi in piedi pochi metri più in là, senza danni apparenti, ma mentre ancora si stava voltando, pronto per scattare di nuovo, venne raggiunto da un fascio di energia dorata che lo schiantò a terra, scheggiando la sua corazza e facendogli perdere persino l’elmo a forma di muso di tigre.

 

“Se non vuoi credere alle mie parole, presta ascolto almeno al mio cosmo, di ombra non intriso, bensì della volontà di lottare affinché il trionfo della luce non resti un sogno ma realtà! La stessa luce che alberga nel talismano che custodisco, lo Scettro d’Oro!” –Esclamò Jonathan, mentre l’altro si rimetteva in piedi.

                                                                                        

“Ne percepisco la potenza segreta…” –Mormorò tra sé. –“Come un sole in procinto di sorgere, pronto a scatenare la sua onda di luce! Un cosmo così luminoso, così carico di riflessi ancestrali, non può appartenere al Signore dell’Inganno! Neppure lui sarebbe capace di imitarne lo splendore!”

 

“Ti sei convinto, adesso? Inoltre, per quel che ne so, Loki già dovrebbe essere ad Asgard, luogo che dovremmo raggiungere quanto prima per riunirci ai rispettivi compagni, sempre che non vi ci troviamo adesso!”

 

“No, non siamo ad Asgard, ma a Svartálfaheimr, la terra degli Elfi Scuri e dei Nani!”

 

“Ecco spiegato l’arredamento… spartano!” –Ironizzò Jonathan, sollevando lo scettro per osservare meglio il corridoio in cui si trovavano, ben più largo di quanto gli era sembrato all’inizio. Sempre grazie alla maggior luminosità, notò anche che le pareti non proseguivano continue ma erano spesso intervallate da grandi cavità, ove iniziavano nuovi tunnel laterali, scavati e lavorati con la stessa meticolosità di quello in cui aveva appena affrontato il Cavaliere di Odino.

 

Proprio da uno di quei corridoi si affacciarono due paia di occhi penetranti, di un color giallo scuro striato di oro, piccole pepite che appartenevano a due rappresentanti del popolo che in quel mondo dimorava.

 

“Ehi!” –Esclamò Jonathan, guardandosi attorno e notando che il numero di occhi stava aumentando precipitosamente. Pareva che ovunque posasse lo sguardo spuntasse un nano ad osservarlo. –“Ma quanti sono?!”

 

“I nani sono un popolo semplice ma onesto, un po’ pauroso all’inizio, diffidente con gli sconosciuti, da cui temono inganni e vessazioni! Probabilmente per questo si sono nascosti, dopo che li avevo avvertiti che qualcuno sarebbe potuto arrivare tramite l’antico portale, da loro mai utilizzato, poco propensi a lasciare le profondità delle montagne o le viscere della terra, dove si trovano a loro agio, sicuri e protetti!” –Spiegò il seguace di Odino, avvicinandosi al ragazzo. –“Sono Mizar di Asgard, Cavaliere della Tigre Nera. Perdona il mio atteggiamento aggressivo ma, proprio come i nani, anch’io ho avuto qualche remora nell’accettarti! Non viviamo proprio in tempi in cui ci si possa permettere il lusso di dare fiducia alla persona sbagliata!”

 

“Scuse accettate. Avrei fatto la stessa cosa se tu avessi messo piede ad Avalon con quella tetra corazza!” –Mormorò l’allievo di Andrei, mentre un gruppo di nani si faceva loro incontro.

 

Ehm… Ehm…” –Bofonchiò uno di loro, schiarendosi la voce, mentre un altro gli sistemava la folta barba grigia, quasi come a renderlo più presentabile. –“Il popolo Dvergr ti dà il benvenuto, Cavaliere ammantato di luce! L’emissario di Odino ci aveva informato del tuo arrivo, così ci siamo permessi di venirti incontro per porgerti il nostro saluto! Io sono Durin, uno dei sette capi di questo mondo, e questi è mio fratello Dvalin!”

 

“Sono lieto di fare la vostra conoscenza, ammiro la costanza e dedizione che mettete nel vostro lavoro!” –Esclamò Jonathan, inchinandosi, sia in segno di rispetto, sia per poter essere all’altezza con Durin e Dvalin.

 

“Invero siamo una stirpe unica!” –Affermò fiero il primo, battendosi la mano sul petto, solido come una roccia. –“I perforatori, veniamo spesso chiamati, perché siamo in grado di costruire un’abitazione anche nel fianco più inospitale di una montagna, sapendoci adattare ad ogni condizione, persino la più disagevole!”

 

“Ne sono certo!” –Commentò Jonathan.

 

“Per non parlare della nostra maestria nel lavorare i metalli! Siamo dei fabbri eccezionali, ragazzo, degli artigiani provetti, depositari dei segreti della creazione fin dai tempi più remoti!” –Continuò Durin, sollevando il mento, con fare impettito, e strappando un sorriso divertito al Cavaliere delle Stelle. –“Tu sei giovane e non puoi sapere quante opere hanno visto la luce proprio qua, nelle fucine delle nostre montagne! Opere pregevoli, di valore, mica come le creazioni moderne, destinate alla rovina nel giro di qualche secolo!”

 

“All’inizio sono un po’ timidi… ma sciolto il ghiaccio sono dei grandi oratori…” –Bisbigliò Mizar, nell’orecchio di Jonathan, che gli rispose con una smorfia.

 

“Oratori non è la parola adatta… Che te ne pare di chiacchieroni?! Soporiferi?!”

 

“La spada di Balmunk per esempio, che Odino sventola in battaglia come un fazzoletto, l’abbiamo forgiata noi, eh! Che esemplare unico quello, perfetto esempio di solidità e leggerezza al tempo stesso! Chi saprebbe rifarlo? Solo noi! E il monile di Frigg, con quel raffinato intarsio d’oro? Da dove credete che vengano opere di simile fattura?! Ma dalle mani del popolo Dvergr ovviamente! Uh uh uh!” –Rise Durin, carezzandosi il bel panciotto rotondo.

 

“Vorrei ben vedere!” –Intervenne Dvalin. –“Abbiamo usato il nostro unico frammento di stella per realizzare quella spada!”

 

Jonathan si mosse per chiedere loro se potessero accompagnarli all’uscita del regno, quando il capo dei nani sgranò gli occhi, presto seguito da Dvalin e da altri, avvicinandosi con passo circospetto al Cavaliere delle Stelle, senza staccare lo sguardo dalla lunga asta che reggeva in mano.

 

“Quale capolavoro!!!” –Mormorò estasiato, gli occhi che parevano brillare alla luce dello Scettro d’Oro. –“Un lavoro del genere… degno di noi… anzi no, forse persino superiore alle nostre abilità!”

 

“Conoscete il Talismano che custodisco, sovrano dei Nani?” –Domandò Jonathan incuriosito.

 

“Non l’avevo mai visto prima, ma avrei tanto desiderato forgiarlo io! È quanto di più armonico esista nell’universo! Contiene l’essenza della creazione! Elegante e slanciato, resistente e leggero! C’è solo un materiale che può garantire una simile qualità!” –Disse Durin, avvicinando le dita all’asta e sollevando lo sguardo verso il ragazzo, quasi a chiedergli il permesso di poter sfiorare un simile oggetto sacro. Ottenutone l’assenso, il re dei nani vi batté due volte un dito, per sentire il leggiadro tintinnio che ben conosceva.

 

Mithril!” –Mormorò, voltandosi verso i suoi compagni, che risposero con un coro di “Ooh!”. Entusiasti, e al tempo stesso invasi da un profondo timore reverenziale.

 

“Manufatti interamente composti del frammento di stella sono rari! Rarissimi! Noi stessi non ne possediamo più! E tu… indossi un’armatura interamente realizzata con il mithril! Per la barba dei sette re! Tu sei il figlio del cielo!!!”

 

Jonathan sorrise, ripensando alle storie e leggende che conosceva sui nani, soprattutto a quelle relative alla loro suggestionabilità. E se mai fino ad allora aveva pensato che sarebbe giunto ad incontrarne uno, di punto in bianco si ritrovò con una compagine di nani inginocchiati ai suoi piedi, venerato come fosse un Dio.

 

“Buon re, mi mettete in imbarazzo!” –Esclamò il giovane. –“Non sono certo unico! Reis, la mia compagna, che come me ha varcato uno dei portali, indossa una corazza di identica fattura!”

 

A quelle parole il mormorio diffuso tra il popolo Dvegr divenne entusiasmo allo stato puro e molti dovettero trattenersi dal gridare la loro contentezza, il loro desiderio di ammirare quanto prima un altro capolavoro simile. Così, dopo essersi brevemente consultati, si inginocchiarono di nuovo ai piedi di Jonathan, porgendogli le asce con entrambe le mani.

 

“Avevamo già deciso di scendere in guerra! Per quanto amiamo la tranquilla solitudine delle nostre caverne, odiamo altrettanto la distruzione che l’Ingannatore vuole portare ovunque! Inoltre nessuno di noi lo ha in simpatia, avendo egli sempre cercato di carpire con raggiri i nostri segreti! Pur tuttavia stavamo esitando, radunati nelle nostre caverne, indecisi su quale, dei sette re, dovesse guidare il nostro esercito! Ma adesso sei arrivato tu, figlio del cielo, a risolvere i nostri problemi!”

 

“Io?!” –Balbettò Jonathan.

 

“Sarai il nostro condottiero e noi ti seguiremo! Il rifulgere della tua corazza abbaglierà i nemici e ci guiderà verso la vittoria finale! Noi, popolo Dvegr, affidiamo a te, Cavaliere mithril, la nostra esistenza!” –Esclamò fiero Durin, rialzandosi e sollevando l’ascia verso il soffitto, subito imitato da tutti i suoi compagni. –“Per il Cavaliere mithril!!!”

 

Jonathan rimase senza parole e cercò con lo sguardo l’aiuto di Mizar, anch’egli preso piuttosto alla sprovvista. Ma poi, ritenendo che non avrebbe potuto offendere la loro fiducia, fece quel che aveva voluto fare fin da quando era arrivato a Svartálfaheimr.

 

“Andiamo ad Asgard! E in fretta! Odino ha bisogno di noi!” –Li incitò, scattando avanti, subito affiancato da Mizar e seguito dal resto del popolo dei nani.

 

“Se, come mi hai detto, Loki ha già raggiunto la Città degli Dei, Odino avrà bisogno di quanto più aiuto possibile! Che ne è dei Cavalieri di Atena? Hanno varcato i portali come il mio Signore si aspettava?” –Chiese Mizar, guidando il ragazzo nei labirintici tunnel scavati nella montagna.

 

“Sì! Pegasus, Sirio, Cristal e Andromeda sono entrati in uno dei nove mondi, assieme a Reis, un Cavaliere delle Stelle mio pari! Spero solo che non abbia ricevuto la mia stessa accoglienza!” –Ironizzò Jonathan.

 

“Volevo solo prepararti a quello che ti aspetta!” –Commentò Mizar, giungendo infine in una grande caverna dall’alto soffitto da cui spuntavano grosse e nodose radici. Proprio quelle dell’albero che Jonathan stava cercando. –“La fine del mondo!”

 

***

 

Non appena Andromeda uscì dal portale si ritrovò in una foresta di alti alberi, dalle cui fronde filtrava un sole tiepido ma sufficiente per permettergli di individuare una sagoma in piedi nell’erba davanti a sé.

 

Più bassa di lui di una decina di centimetri, un’esile figura, rivestita di abiti verdi con rifiniture in oro e una corona di foglie in testa, gli sorrideva amabilmente, come se lo aspettasse. Aveva lisci capelli biondi e un viso dalla pelle chiara e delicata, su cui spiccavano occhi piccoli ma penetranti.

 

Andromeda la osservò per qualche istante, stranito, finché non comprese dove era giunto.

 

“Ad Álfaheimr sei il benvenuto, Andromeda!” –Esclamò la figura, confermando la sua supposizione. –“Possa la luminescenza degli Elfi Chiari scendere su di te e alleviare il peso dei fardelli di giustizia e speranza di cui ti sei fatto portatore!”

 

“Sapete molte cose…” –Balbettò il Cavaliere di Atena, mentre l’elfo si avvicinava.

 

Arvedui, puoi chiamarmi così!” –Affermò, accennando un inchino. –“E sì, sapevo che sarebbe arrivato qualcuno, ma fino a pochi attimi fa non sapevo che saresti stato tu, il Cavaliere che non ama combattere, forse il più simile a un elfo di tutti i tuoi compagni!”

 

“Mi conoscete?”

 

“In un certo senso…” –Disse Arvedui, prendendo il ragazzo a braccetto e incamminandosi all’interno della rigogliosa foresta. –“Ti dirò qualcosa su di noi, Andromeda, il popolo fatato che dai più viene considerato una leggenda, essendo trascorso davvero molto tempo dall’ultima volta in cui abbiamo fatto parlare di noi, per lo meno in modo ufficiale! Noi elfi siamo un popolo pacifico, che amiamo la spensieratezza e le belle cose, esaltiamo la gioia di vivere, dando e ricevendo affetti e attenzioni, e soprattutto godendo a pieno di ogni attimo! Nessuno vorrebbe vivere una vita piena di rimpianti e, essendo noi immortali, sarebbe davvero una lunga tortura, te lo assicuro! Ho millesettecentododici anni, per quanto non si direbbe, vero? Sembro ancora un giovinetto!”

 

“Li portate davvero bene, nobile Arvedui!” –Si limitò a commentare Andromeda, procedendo a fianco dell’elfo nella fitta vegetazione, un luogo che, per quanto ignoto, non gli suscitava alcun timore, invaso com’era da una lucentezza che non aveva riscontrato in nessun altro luogo. Nemmeno sull’Olimpo.

 

“Grazie, grazie! E anche tu potresti arrivare alla mia età, sai, ragazzo? So che non ami la guerra, e allora perché combatti, mi chiedo? Perché rischiare di gettar via la propria vita quando basterebbe togliersi questa fastidiosa armatura e assaporare le gioie dell’esistenza? Hai diritto anche tu alla felicità, Andromeda!”

 

Il Cavaliere sospirò nel sentire parole così oneste, pronunciate con voce splendida e chiara, quasi fossero scandite a ritmo di musica. E una parte di sé, quella più giovanile e per certi aspetti più idealista, avrebbe davvero voluto vivere in quel modo. Senza guerre né morti, soltanto un’infinita pace.

 

“Ma la pace non esisterà finché la guerra continuerà a imperversare nei mondi!” –Parlò infine, rispondendo più a se stesso che all’elfo. –“Come posso rimanere inerme o abbandonare la battaglia, quando gli amici che amo, le persone che contano davvero per me, e senza le quali la vita non avrebbe senso, stanno rischiando di morire? Non potrei continuare a vivere sapendo di non aver fatto abbastanza per aiutarli, di non aver fatto quel che era in mio potere fare per migliorare questo mondo e impedire che sprofondi nel caos! Sarebbe un peso che non riuscirei a sopportare!”

 

“Giovane cuore! Non mi stupisci affatto! Sapevo che sarebbe stata questa la tua risposta!” –Commentò Arvedui, fermandosi e fissando il ragazzo negli occhi.

 

“Davvero?! Siete dunque un telepate?”

 

“Non esattamente! Non ho bisogno di leggere nella mente di una persona per sapere cosa mi dirà poiché l’ho già sentito. Pochi attimi prima, nella mia mente!”

 

“Precognizione! È questo il vostro potere?!” –Sgranò gli occhi Andromeda.

 

“Non è forse anche il tuo?” –Lo fissò Arvedui di sbieco, per non perdersi l’espressione sorpresa del Cavaliere. –“Non è il dono che hai di recente ricevuto, da una delle più ancestrali creature del mondo?!”

 

“Ancestrali?! A Biliku vi riferite?! In realtà… non ho mai capito cosa sia successo nel suo antro… credo che la Donna-Ragno abbia cercato di trasmettermi qualcosa…

 

“Precisamente! Un frammento di conoscenza, questo ti ha dato! E la conoscenza, in un mondo in continua mutazione, è tutto, Andromeda!” –Spiegò Arvedui. –“Tu non sai padroneggiare i tuoi poteri perché non ne sei pienamente consapevole, ma hai tutte le capacità per dominarli! Devi imparare a usarli, a controllarli, a impedire che diventino visioni per te scioccanti, bensì un aiuto per muoverti meglio! Ricorda il tuo addestramento, Cavaliere, e torna alle basi, al giorno in cui il tuo maestro certamente ti disse che vi erano altri sensi oltre ai canonici cinque!”

 

Intendete… ma certo, il sesto senso o intuizione!” –Esclamò Andromeda, che stava iniziando a comprendere.

 

“Sei acuto di mente, Cavaliere! E se sarai in grado di espandere il tuo sesto senso, facendo buon uso di quel che Biliku ti ha lasciato, riuscirai a percepire alcune cose prima ancora che accadano! Proprio come noi elfi siamo in grado di fare! Non è poi così difficile, né un potere così raro come si crede! Anche Frigg, sposa di Odino, ne dispone! Ma dovrai avere la mente sufficientemente sgombra da pensieri e preoccupazioni! Per questo ti ho invitato ad unirti a noi! L’edonismo gaudente della nostra gente è l’ideale per il genere di attività mentale che vuoi praticare!”

 

“Apprezzo tantissimo la vostra offerta, nobile Arvedui, ma come già vi ho detto non posso accettarla! Forse lo avrei fatto un anno e mezzo fa, ma adesso sono cresciuto e ho capito di avere delle responsabilità, che mi derivano dai poteri acquisiti in anni di duro addestramento! Sarebbe un’offesa, oltre che uno spreco, verso il mio maestro prima di tutti, ma anche verso me stesso, non usare questi poteri per aiutare gli altri e il mondo in cui vivo!”

 

“Morirai da altruista, allora…” –Commentò l’elfo con una risata, prima di riprendere a camminare, in quel modo leggiadro che era una prerogativa del suo popolo, mentre nell’aria si diffondevano le dolci note di una melodia. –“Come è nella tua natura!”

 

“Anche questo avete visto grazie ai vostri poteri?”

 

“In verità questo mi è stato raccontato! Da un amico comune che ti sta aspettando!” –Aggiunse Arvedui, prima di giungere in una radura in mezzo alla foresta dove, seduto sul tronco caduto di un albero millenario, un uomo dai capelli arancioni pizzicava la sua cetra.

 

Mime!!!” –Esclamò Andromeda, correndo incontro al musico di Asgard.

 

“La tua nobiltà d’animo non è cambiata, Cavaliere! Alberga ancora nel tuo cuore gentile! E di questo non posso che essere contento!” –Rispose il servitore di Odino, cessando di suonare il suo strumento e alzandosi in piedi. –“Avevo timore che le battaglie che sei stato costretto ad affrontare dopo il nostro incontro ti avessero cambiato, irrigidendoti, ma poi mi son dato dello sciocco solo per averlo pensato. La bontà della tua anima è un sole che non si spegnerà mai!”

 

“Ho desiderato tanto rivederti!” –Lo abbracciò Andromeda. –“Ma cosa ci fai qua?”

 

“Odino ha inviato cinque Einherjar per i vari mondi al fine di scortarvi all’Albero Cosmico, per guadagnare tempo, ed io ho scelto di scendere nella Terra degli Elfi, luogo splendido e pervaso da una tranquillità senza limiti! Qua sono giunto spesso, in questi mesi, per suonare la mia cetra in libertà o anche solo per passeggiare, respirando il miraggio di un mondo libero da guerre e da affanni, un mondo che a entrambi immagino piacerebbe!”

 

Andromeda non disse niente, limitandosi ad annuire, prima di voltarsi verso l’elfo, rimasto a qualche passo di distanza, per non intromettersi nella ritrovata intimità dei due Cavalieri. –“Nobile Arvedui! Voi che possedete il dono della preveggenza, cosa vedete per il vostro mondo?”

 

Co…come?!” –Balbettò questi. E anche Mime rimase sorpreso dalla domanda pungente del Cavaliere di Atena.

 

“Quale futuro vedete per questa terra piena di luce? Credete davvero che, restando qua, la fiumana della guerra vi risparmierà? Credete davvero che i vostri canti, la vostra gioia e l’allegria perenne del vostro animo possano impedire a Loki di prendersi anche questo mondo, oscurandolo al pari degli altri?!”

 

Álfaheimr non interessa al Burlone Divino, che mira alle ricchezze di Asgard e a vendicarsi di Odino! Noi elfi non l’abbiamo mai disturbato, né da lui abbiamo ricevuto offesa! Non vi è motivo per cui si debba scendere in battaglia! Non vi è motivo per cui debba autorizzare la morte del mio popolo in una guerra che non è nostra! In una guerra che non ci riguarda!” –Rispose Arvedui, con tono solenne.

 

“Temo invece che la guerra riguardi il vostro mondo al pari del nostro! Perché se Loki è come gli altri nemici che abbiamo affrontato finora, non si accontenterà certo di una fetta di torta, quando può averla per intero!”

 

“Non disturbarti! Ne ho già parlato con lui in precedenza, cercando di convincerlo ad aiutare Asgard, e conosco la posizione del suo popolo! Odino dovrà fare a meno degli elfi per fronteggiare il Ragnarök!” –Intervenne allora Mime, prima di inchinarsi di fronte ad Arvedui e fare cenno ad Andromeda di seguirlo.

 

L’immenso frassino si ergeva poco distante.

 

Il Cavaliere di Atena si voltò un’ultima volta verso il re degli elfi e gli sorrise, parlando con voce chiara.

 

“Capisco la vostra posizione, rappresenta un mondo ideale che anch’io vorrei! Ma gli ideali non fermeranno il fuoco e la distruzione che travolgeranno tutti i mondi! Vi consiglio di armarvi, nobile Arvedui, e tenervi pronti! Se non volete combattere per Odino, o per Asgard, presto dovrete farlo per voi stessi! Addio, e grazie!”

 

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Capitolo 16
*** Capitolo quattordicesimo: Fratelli lontani ***


CAPITOLO QUATTORDICESIMO: FRATELLI LONTANI.

 

Dopo aver dato in fretta gli ordini per l’emergenza che aveva colpito la sua città, Ilda di Polaris aveva deciso di prendersi un momento per se stessa. Così aveva raggiunto la terrazza sul retro della reggia, perdendosi nella devastazione di quel giorno. Una distruzione che, per quanto carica di dolore e morte, era solo una parte, un assaggio di quel che sarebbe davvero accaduto.

 

L’ampio piazzale dove la Celebrante di Odino era solita pregare assieme agli abitanti di Midgard, per invocare la protezione del loro Dio, era ricoperto da una massa indistinta di neve, ghiaccio e rocce, squassato in più punti dalla frana che aveva raggiunto persino i muri esterni del palazzo. Alcuni erano crollati, trascinando nella rovina anche i servitori e le guardie che vicino ad essi si trovavano in quel momento.

 

La statua di Odino era stata abbattuta, schiantandosi su parte della reggia e venendo parzialmente sommersa dalla frana provocata dai seguaci di Loki. Quel che restava della montagna sacra, limite del mondo su cui aveva autorità, sembrava fissare la Celebrante con una derisione nuda e cruda, a ricordarle il suo fallimento.

 

Sospirando, Ilda ripensò al giorno in cui suo padre le aveva mostrato per la prima volta la statua maestosa, spiegandole il suo significato. Non poteva ricordare tutto nitidamente, avendo avuto soltanto quattro anni, ma alcune frasi le erano rimaste nella mente e nel cuore, fondamento del regno su cui avrebbe governato in seguito.

 

Erano tempi oscuri, tempi di privazioni. Ricordò la Celebrante di Odino.

 

La guerra contro Iisung aveva stremato la popolazione e la carestia che era seguita l’aveva indebolita ulteriormente, al punto che molte famiglie non potevano permettersi di mantenere più di un figlio, obbligate ad abbandonarne eventuali altri. Lei e Flare erano state fortunate a non incappare in quell’amaro destino di separazione, essendo membri della dinastia regnante, la cui progenie sarebbe stata di vitale importanza per i ruoli che avrebbe assunto in futuro.

 

“La nutrice ti ha raccontato la storia della costruzione della statua, vero Ilda?” –Le aveva detto suo padre, carezzandole i morbidi capelli. –“Fu innalzata dagli abitanti di Midgard per ringraziare Odino per averli salvati dagli intrighi orditi da qualcuno di loro, e per invocare la sua continua protezione sulla nostra terra! Il clima è rigido, è vero, ma ci sono valori che possono sempre scaldarti il cuore! L’onore, prima di tutto, e il rispetto, per noi stessi e per gli altri. Valori sacri che permeano queste terre! Narra infatti un’antica leggenda che questa statua non crollerà mai, fintantoché l’onore di Midgard sarà salvaguardato e il regno di Odino non avrà fine!”

 

“Perché potrebbe finire, padre?”

 

“Imparerai sulla tua pelle, piccola mia, che tutto ha una fine, anche la vita degli Dei! Ma per molte cose essa è solo un puntino lontano nel tempo e mi auguro che così resti durante tutto l’arco delle nostre vite!” –Aveva aggiunto con un sorriso.

 

Che sia la punizione che gli Dei hanno scelto per me? Si chiese Ilda sospirando. Per aver macchiato l’onore dei Celebranti di Odino con atti incresciosi, conducendo alla morte i miei Cavalieri, schiava della volontà bellica di un Dio invasore?

 

Sì, Ilda non aveva dubbi al riguardo. Era per quel motivo che la statua di Odino era crollata. E anche perché, con il nume impegnato in una sanguinosa guerra per la sua stessa sopravvivenza, non avrebbe più potuto continuare a garantire la sua protezione al Recinto di Mezzo, abbandonato ormai a se stesso.

 

Tutto sta giungendo alla fine, tutto sta andando incontro al suo destino.

 

Pur tuttavia, in quel clima di disperazione crescente, Ilda non aveva intenzione di cedere, determinata a portare a termine il suo compito. Per questo negli ultimi mesi aveva trascorso molto tempo nella biblioteca della torre di Midgard, a studiare i testi che sua madre le aveva lasciato, a conoscere le rune e i significati dietro ciascuna di essa. Soprattutto la runa bianca, quella che avrebbe potuto salvare il mondo. O condannarlo per sempre.

 

La domanda che Pegasus le aveva posto, prima di entrare in uno dei portali, risuonava ancora nella sua mente.

 

“Come possiamo fermare il Ragnarök?”

 

“Non possiamo! Nessuno può!” –Aveva risposto al ragazzo. –“È una marea che non può essere arrestata!”

 

In realtà non era un’affermazione completamente esatta. Ragnarök non può essere fermato, questo è vero, ma, proprio in virtù di ciò che rappresenta, può essere mutato.

 

Era immersa in quelle riflessioni quando percepì una presenza avvicinarsi. Si girò verso la porta che dalla terrazza conduceva all’interno e osservò l’elegante sagoma di un uomo robusto, rivestito dalla sua splendida armatura azzurra, varcarne la soglia.

 

L’elmo sotto braccio, i corti capelli scuri spazzati dal vento del nord, gli occhi color ghiaccio, il Principe Alexer sembrava non avere età.

 

“Perdonatemi, Celebrante di Odino, se interrompo la vostra meditazione! So, dal vostro consigliere, che avevate dato ordine di non essere disturbata!” –Esordì, scuotendo il mantello bianco e grigio e accennando un inchino.

 

“Una vostra visita, Principe, non è mai un disturbo! Soprattutto in quest’ora di guerra! Avete saputo dell’attacco portato alla fortezza?”

 

“Saputo e sentito!” –Precisò Alexer, risollevando il capo. –“Da giorni i miei informatori erano inquieti! Vi era un viavai insolito di uomini, in tutta la Scandinavia settentrionale, e ululati di bestie raccapriccianti fremevano nel vento! Così avevo preventivamente armato i miei soldati, dislocandoli agli accessi principali alla Valle di Cristallo, ed è stata una fortuna che mi sia mosso in tempo, perché neppure noi siamo rimasti esenti dall’assalto di Loki!”

 

“Anche la Valle di Cristallo è stata attaccata?” –Esclamò Ilda, sconcertata.

 

“È questo il motivo che mi ha impedito di correre in vostro aiuto!” –Commentò Alexer, senza trattenere una smorfia di disappunto per lo stallo in cui si era trovato nelle ultime ore. –“Una guarnigione piccola ma compatta di vecchie donne dotate di cosmo, fiere feroci e soldati armati di spade in grado di emettere raggi congelanti ha massacrato senza ritegno le sentinelle e tenuto impegnate le mie legioni fino ad ora, obbligandomi ad affrontare molti di loro personalmente! Credo fossero le streghe che le dicerie volevano dimorassero nella Foresta di Ferro, sebbene di umano, e di femminile in particolare, avessero più ben poco! Consumate dall’ombra e dalla sete di potere, sembravano scheletri avvizziti avvolti in folgori incandescenti! È stato uno scontro intenso, di cui porto ancora i segni!” –Aggiunse, rivelando alcuni graffi sui guanti protettivi della sua corazza e aloni di fumo che, sui bracciali e sui coprispalla, ne appannavano l’angelico splendore.

 

“Spero non siate ferito, Principe, o farò chiamare subito i curatori di corte!”

 

“Non preoccupatevi per queste misere ferite, Regina di Polaris, e lasciate che i medici si prendano cura di chi davvero ne ha bisogno! Ho visto i resti dei vostri soldati e temo che molti di loro non vedranno un’altra alba! Solo una notte immensa!”

 

Ilda non rispose, abbassando gli occhi rattristata.

 

Enji, una mezz’ora prima, le aveva presentato un elenco sommario dei danni subiti dal castello e del numero di soldati e servitori morti. Centinaia di lacrime che aveva dovuto reprimere, ma che non le avevano impedito di chiedere che tutti i cadaveri fossero rimossi e preparati per i riti funebri, a cui ogni fedele avrebbe avuto diritto. Anche la carcassa di Skoll era stata bruciata, per impedire che il suo sangue immondo avvelenasse ulteriormente il suolo di Midgard. E stessa sorte sarebbe toccata ai Soldati di Brina caduti all’interno della città.

 

Kiki si era offerto per aiutare i curatori, facendo tesoro degli insegnamenti di Mur e dei loro antenati, esperti nell’uso di erbe che alleviassero il dolore, e si era fatto accompagnare dal consigliere nell’area del castello adibita a ospedale, mentre Bard aveva riunito i suoi compagni e aveva iniziato a riorganizzare i soldati a difesa della cittadella, in vista della ricostruzione di parte della stessa.

 

Per quanto ritenesse improbabile un secondo attacco, in un lasso di tempo così vicino, era comunque necessario garantire la sicurezza di Midgard e dare un segnale alle truppe, per non lasciarle nello sconforto della perdita.

 

Di Fiador, Ilda aveva perso le tracce, ma immaginava che avesse seguito Kiki e Enji nell’infermeria, per prestare aiuto in quella situazione di emergenza.

 

“C’è una domanda che mi rimbalza in mente da qualche ora e non riesco a darvi una risposta!” –Esclamò la donna. –“Per quale motivo Loki ha attaccato Midgard, lasciandola poi al suo destino? Dubito fosse solo per utilizzarla come accampamento prima della guerra! Pegasus mi ha raccontato che non più di duecento Soldati di Brina erano rimasti all’interno, ben pochi, in effetti, rispetto alle orde che l’hanno invasa! Aveva così tanta fiducia nel suo lupo da guardia?”

 

“Forse. Del resto se non fosse stato per l’intervento dei Cavalieri di Atena, nessuno dei vostri soldati, né l’eroico Bard e i suoi amici, avrebbero potuto opporsi alle sue fauci!” –Commentò Alexer, prima di aggiungere a bassa voce. –“O forse non ha bisogno di essere troppo esplicito, contentandosi del modo indiretto in cui può controllare la fortezza di Midgard!”

 

“Cosa intendete, Principe?!” –Esclamò Ilda, inorridendo a tale prospettiva. –“Che vi sia… qualcuno che lo informi?!”

 

“Perché no? L’astuzia del Burlone supera quella di chiunque altra Divinità. Loki mira ad ottenere il massimo risultato con il minimo sforzo, preferendo aggirare un ostacolo anziché affrontarlo di peso. È un vigliacco, non un condottiero eroico, e si sporca le mani solo quando non può obbligare altri a farlo al posto suo!”

 

“Questo è vero… ma… una spia di Loki?! Qui a palazzo?!”

 

“Comprendo che accettarlo sia un duro colpo per voi, mia Regina, ma pensateci bene! Quale motivo avrebbe avuto il Dio dell’Inganno nell’attaccare la mia fortezza, una roccaforte isolata e priva di ricchezze, se non tenermi impegnato, per impedirmi di correre in vostro soccorso, come sapeva che avrei fatto se avessi potuto! Come qualcuno, che conosceva il nostro recente riavvicinamento, aveva potuto suggerirli!”

 

“Per Odino!” –Mormorò Ilda, finora neppure sfiorata da una simile eventualità.

 

“Inoltre, perdonatemi se insisto, ma sappiamo entrambi del misfatto che è stato perpetuato all’interno di questa fortezza!” –Aggiunse il Principe Alexer.

 

“Sapete anche questo…

 

“Uno dei miei soldati ha notato un’aquila dalle strane forme sorvolare la cittadella e, se tanto mi dà tanto, sappiamo entrambi come ciò sia possibile!”

 

Hræsvelgr, l’Aquila dei Venti! Una delle cinque corazze indossate dai primi traditori della storia di Midgard, assieme a quelle del guerriero, del gigante, del lupo della luna e all’ultima, le cui fattezze somigliavano alla versione umana con cui Loki amava presentarsi!” –Sospirò la Celebrante. –“Mi raccontò mio padre che il Dio avesse fatto da modello per la fabbricazione dell’armatura, quasi come desiderasse, con questo gesto, rimarcare l’inganno da lui perpetrato, ricordandolo a tutti coloro che sarebbero venuti in seguito e che avessero indossato tali vestigia, intrise del suo cosmo divino!”

 

“Come poteva Loki sapere che erano ancora qua, nelle prigioni di Midgard, e che non erano state invece distrutte o portate ad Asgard?” –Domandò Alexer, senza che Ilda potesse dargli alcuna risposta. Tranne la più ovvia. –“Qualcuno, che ne era a conoscenza, deve averlo informato! È così che l’Ingannatore opera! Prima tasta il terreno, stringe amicizia con coloro che possono essergli utili, li abbindola con promesse di ricchezza o di gloria, ottenendo sempre quello che vuole! Non mi stupirei se scoprissimo che c’era lui persino dietro la rivolta di Iisung!”

 

“Ma chi?! Queste notizie sono così riservate che ben pochi ne erano a conoscenza! Dubito persino che Flare sapesse delle cinque corazze maledette!”

 

“Pensateci bene! Pensate alle persone che sapevano del nostro precedente incontro, poche settimane or sono, e avessero accesso ai documenti più segreti del vostro casato! Chi meglio del fedele consigliere, che per anni ha ascoltato tattiche e trame di corte, potrebbe aver informato il Signore dell’Inganno?!”

 

Enji?! No!!! Lo escludo categoricamente! È sempre stato al mio servizio, e prima ancora al servizio di mio padre! Non riesco a immaginare che abbia potuto…” –Mormorò Ilda, le parole strozzate al solo pensiero di una simile pugnalata.

 

“Chi altri allora?! Forse il ragazzino che correva nudo nelle foreste, di recente nominato Guardia della Cittadella?” –Suggerì allora Alexer. –“Per un segugio come lui non dev’essere stato difficile seguire le mie mosse o quelle dei nostri esploratori nelle foreste di confine e gli Dei soltanto sanno cosa ha potuto scoprire, muovendosi silenziosamente, da quando è entrato a palazzo!”

 

“Vi prego, smettetela, Principe! Non costringetemi a mettere in discussione la fedeltà dei miei servitori! Bard è un ragazzo, è avventato, ma possiede il senso dell’onore e lui… è l’allievo di Orion!”

 

“Lo so!” –Disse Alexer con voce vellutata, avvicinandosi e prendendo le mani di Ilda tra le proprie, costringendola a fissarlo negli occhi. –“E so anche quanto tenevate a lui, e a tutti gli altri Cavalieri del Nord! Perderli deve essere stato atroce per voi, ma avete avuto la forza di andare avanti, sopravvivendo ai rimorsi annidati come serpi nel vostro cuore! Vi ammiro, Regina di Midgard!”

 

Ilda non riuscì a dire niente, incantata dalle melodiose parole dell’uomo che la teneva stretta a sé. Bello e virile, come pochi altri aveva visto nel corso della vita, e capace di darle quel senso di sicurezza di cui aveva bisogno in quel momento, per sé e per la sua gente. Un uomo che non poteva non ricordarle Orion.

 

“Non volevo inquietarvi, sono soltanto preoccupato per voi! Spesso le cose non sono come sembrano! Pensate a voi! Chi avrebbe immaginato che un anno fa la nobile e pacifica Ilda di Polaris avrebbe dichiarato guerra a Atene per conquistare le assolate terre del sud? O che la sempiterna calma di Mime celasse un cuore pieno di rabbia? O che Mizar fosse seguito da suo fratello, che segretamente lo amava e lo odiava? No, Regina di Midgard, non fermatevi alle apparenze poiché sono ingannevoli e spesso nelle persone c’è molto più di quel che l’occhio non veda!”

 

“Questo vale anche per voi, Principe Alexer?”

 

“Vale per tutti!” –Rispose lui, senza distogliere lo sguardo dagli occhi della donna.

 

In quel momento entrambi sentirono una possente energia cosmica raggiungere Midgard. Un’energia ardente che portò una raffica di calore sul gelo che avvolgeva la cittadella, sia all’esterno che all’interno. Pochi attimi dopo, la sagoma di un uomo rivestito da un’elegante armatura, dagli sgargianti riflessi arancioni e rossi, apparve sulla terrazza dietro di loro.

 

“Spero di non essere arrivato troppo tardi!” –Commentò una ruvida voce. –“O troppo presto!” –Aggiunse malizioso, strusciandosi il naso divertito.

 

***

 

“Ti ringrazio per essere venuto subito!” –Esclamò Zeus, facendosi incontro al Signore dell’Isola Sacra. –“Non avresti dovuto scomodarti di persona, potevi affidare l’incarico a qualcun altro!”

 

“Non è mia abitudine delegare ad altri quel che è opportuno che faccia io stesso!” –Rispose placido Avalon, in piedi, al centro del ventilato atrio della Reggia di Zeus. –“Inoltre volevo parlare con te, personalmente!”

 

“E di cosa?”

 

“Di questa tua decisione!” –Affermò Avalon con serietà, posando il Vaso di Atena, ove lo spirito di Nettuno era sigillato, di fronte a lui, proprio in mezzo alle due potenti entità. –“Credi davvero che sia opportuno disturbare il riposo di una Divinità dormiente? Una Divinità che ha già avuto la sua possibilità di scegliere, dimostrando di preferire la sovversione dell’equilibrio all’ordine?”

 

“Suvvia non essere drastico! Sappiamo entrambi che l’ostilità di Nettuno verso Atena è di lunga data e non influenzata da alcun evento corrente! La stessa ciclicità delle Guerre Sacre rientra in quest’ottica, nel dare periodicamente a entrambi i contendenti la possibilità di cambiare, qualora lo vogliano, il proprio destino! Di riscattarsi!”

 

“Ripetere cose che già conosco, meglio di te, non modificherà la mia opinione, Signore del Fulmine! Pur tuttavia questo oggetto non mi appartiene, né ne farò un uso inappropriato! Per quanto avrei potuto farlo!” –Gli rammentò Avalon. –“Avrei potuto nasconderlo in qualche anfratto dell’Isola Sacra, celato dietro strati di nebbie così fitte che neppure i tuoi occhi avrebbero potuto scovarlo! O avrei potuto usarlo in questi mesi, dopo che Febo e Marins lo hanno tratto in salvo dal Tempio Sottomarino! Ma non l’ho fatto, per un motivo così ovvio che non perderò tempo a parlartene!” –Non aggiunse altro e diede le spalle a Zeus, lasciando frusciare il lungo mantello bianco intarsiato di argentei ricami.

 

“Aspetta! Non vuoi fermarti un po’? Ho approntato un banchetto in tuo onore, nel Salone delle Feste! Sono certo che anche Atena e gli altri Olimpi gradirebbero incontrarti!” –Lo richiamò il Signore degli Dei di Grecia.

 

“Un banchetto?! In tempi come questi? Asgard è sotto assedio, l’avvento della grande ombra è prossimo e tu mi proponi di lasciar perdere tutto e sederci a tavola a riempirci di ambrosia?!” –Si infervorò Avalon, alzando per la prima volta il tono della voce. –“Zeus, l’impressione che ebbi quindici anni fa, del tuo regno dissoluto, temo non sia cambiata!”

 

“Neppure la mia opinione di te!” –Ribatté Zeus. –“Non te l’ho mai detto, Signore dell’Isola Sacra, ma lo farò adesso, perché sono stanco dei tuoi modi, bruschi e saccenti! Qua non siamo ad Avalon e non hai alcuna autorità sul colle dove regno sovrano!”

 

“Mi chiedo per quanto ancora…

 

Finiscila!” –Tuonò il Signore dell’Olimpo, avvampando nel suo cosmo celeste. –“Il tuo pessimismo è fuori luogo! Se sei davvero così preoccupato perché non vai a combattere direttamente ad Asgard? Forse le sorti della città del nord meno ti interessano di quelle dell’Isola Sacra? Ben più combattivo ti ricordavo, quando le orde demoniache marciavano su Glastonbury, quindici secoli or sono!”

 

“Andrei, se potessi!” –Sospirò il Signore dell’Isola Sacra. –“Ma ho altre cose di cui occuparmi, un ragazzo da addestrare in primis, un tempio da localizzare, prima che l’oscuro potere si riversi sulla Terra, in secundis! Mi chiedo come tu creda di sopravvivere? Pensi che l’Olimpo non sarà annientato dall’ultima ombra? Guardati intorno, stolto d’un re, lo ha già fatto! I Cavalieri Celesti sono tutti morti, persino quelli che avevi nascosto a Glastonbury! Le Divinità che ti erano fedeli sono sprofondate nel Tartaro e cosa ti resta? Una manciata di ragazzini che rischiano la vita tra le nuvole, mentre tu pensi all’allegra rimpatriata che farai con tuo fratello!”

 

“Il risveglio di Nettuno è necessario… lui ci aiuterà… contro la grande ombra!” –Mormorò Zeus, avvilito dalle parole di Avalon, che ben sapeva essere vere.

 

“Può darsi. Ma neppure lui potrà ritardare l’inevitabile! Inoltre, non essendo la sua reincarnazione prevista in quest’epoca, temo che potremo avere più noie che gioie! Un’alterazione dell’equilibrio, Zeus! Hai pensato a questo? Forse tu no, ma io, che ne sono garante, dubito che sia una mossa efficace!”

 

“Perché non tenti di fermarmi, allora?” –Esclamò sprezzante il Dio del Fulmine.

 

“Dovrei! Ma uno scontro tra di noi sarebbe uno spreco di forze che nessuno dei due può permettersi adesso! Perciò mi limito ad auspicare che la rinascita dell’Imperatore dei Mari possa giovare realmente alla nostra causa! In caso contrario, tu, e solo tu, ne sarai responsabile!”

 

“Sai, Signore dell’Isola Sacra, a volte mi chiedo invece tu da che parte stai!” –Mormorò Zeus, catturando l’attenzione dell’altro. –“Che ruolo giochi negli eventi in corso? Che tela stai tessendo dall’alto colle nebbioso?”

 

“Io non sto da nessuna parte, mi limito a garantire che la storia faccia il suo corso! Questo è il mio compito e quello dei miei fratelli! Permettere la ciclicità della vita e l’alternarsi di luce e ombra, mantenendo l’equilibrio tra i mondi, un equilibrio che si basa sulla coesistenza di ordine e caos! Poiché tutte le parti formano il tutto!”

 

“E se una dovesse sopraffare l’altra?”

 

Avalon non rispose, accennando un sorriso timido al Signore degli Dei di Grecia, che si chinò sul Vaso di Nettuno, il coperchio ancora fermato dal sigillo di Atena, e lo afferrò, incamminandosi poi verso la Sala del Trono.

 

“Che tu voglia accettarlo o meno, Zeus Tonante, quel momento è più vicino di quanto abbiamo mai immaginato!” –Commentò Avalon, prima di svanire.

 

***

 

Dall’alto balcone di Fensalir, Balder osservava Asgard sprofondare nella guerra.

 

Suo padre lo voleva al sicuro, così gli aveva chiesto di restare con Frigg, Idunn, Freya e le altre Asinne, rinchiuse nella splendida dimora della Signora del Cielo, protetti non solo dalla distanza fisica della stessa rispetto ai fronti in cui si combatteva, ma anche dal cosmo delle divinità riunite.

 

Pochi infatti erano stati i tentativi di assalto fatti nella loro direzione e quei pochi erano stati respinti. Le frecce e i raggi energetici scagliati contro la residenza di Frigg erano stati annientati dal campo di forza che la circondava, facendone un baluardo al momento impenetrabile.

 

Ma tale certezza non riusciva comunque a mitigare il tormentato animo del figlio di Odino, il cui cuore era straziato per il destino cui la sua terra era incorsa. Il destino che aveva temuto, che aveva tormentato i suoi sogni negli ultimi mesi, spingendolo persino all’estremo gesto di scendere in Hel, adesso pareva concretizzarsi di fronte ai suoi occhi impotenti.

 

Ovunque girasse lo sguardo vi era infatti guerra, sangue, morte, distruzione.

 

A Himinbjörg, Heimdall e le Valchirie erano stati raggiunti dai rinforzi, guidati personalmente da Vidharr, il figlio di Odino, in attesa dell’arrivo del padre che si era attardato per le strade della città di Asgard, desideroso di vedere con il proprio occhio la devastazione portata dai Soldati di Brina. Al suo fianco una nutrita compagine di Jötnar, che non avevano esitato a scagliarsi contro i figli di Muspell, incuranti delle fiamme di cui i loro corpi erano composti, e di Ulfhednir, i devoti uomini-lupo, decisi a vendicare con il sangue, e con i denti, ogni compagno trafitto dai fasci di luce azzurra o sbranato dalle bestie di Járnviðr.

 

Nel giardino sul retro del Valhalla, l’Albero dell’Universo tremava, agitato dalle correnti di gelo che gli Hrimthursar soffiavano a pieni polmoni su tutti loro, determinati a distruggere il simbolo stesso della prosperità della loro civiltà. Il crollo di Yggdrasill, Balder e Odino lo sapevano, avrebbe scosso la fiducia di tutti gli esseri viventi, ammettendo che se persino la forma più maestosa e sublime di vita era morta per loro non sarebbe esistita speranza di vittoria.

 

Per ritardare questo evento, e dare tempo a Orion e agli altri Einherjar di recuperare i Cavalieri di Atena, che Odino era certo sarebbero accorsi in aiuto di Asgard, come già l’avevano salvata l’anno precedente, il Principe Freyr in persona aveva guidato le legioni dei Vani nel settentrione del mondo, assieme a suo padre, il Dio dei Venti. Là, nelle profondità del Niflheimr, dove la radice inferiore del frassino giungeva, il Signore dell’Abbondanza stava lottando, spada in pugno, contro i Giganti di Brina e per lui, da ore ormai, Freya sospirava.

 

L’aveva sentita più volte stringersi nelle sue vesti e singhiozzare, incurante delle parole di conforto dell’elegante Idunn e della sempre calma Eir, parole che, per quanto avessero voluto esserlo, non potevano essere poi così sincere, né speranzose. Freya aveva ringraziato entrambe, espandendo nuovamente il cosmo per raggiungere suo fratello e suo padre e portare loro conforto e un raggio di sole.

 

Frigg, dal canto suo, non aveva più aperto da bocca da quando era rientrata a Fensalir, dando disposizioni ai servitori di prendersi cura delle Divinità ospiti e alle guardie di difendere ogni lato del palazzo.

 

Balder sospirò, immaginando quanto difficile dovesse essere per la Signora del Cielo sopportare quel momento, quella nuova prova cui era costretta. Sebbene in passato Odino non fosse stato restio a scendere in guerra, la sua sposa aveva sempre avuto la certezza che ne sarebbe uscito vittorioso, sia perché lo aveva visto, grazie ai suoi poteri di preveggenza, sia perché lo aveva sentito, nel tono del compagno, nella sua determinazione, nella facilità dell’impresa.

 

Ma non stavolta! Si disse l’immacolato Signore della Luce, spostando lo sguardo sul regno in fiamme e dirigendolo verso il limitare estremo, ove un terzo fronte era stato aperto e ove gli Einherjar si erano diretti, guidati da Tyr il monco e da Ullr, il Dio Cacciatore.

 

Nella piana di Vígridhr infatti Loki aveva riunito i propri eserciti, chiamando a sé i suoi figli, i Sigtívar, le legioni infernali e i demoni guidati da Hel. Balder non aveva mai visto certe creature, nemmeno nelle illustrazioni degli antichi testi della Biblioteca di Bragi, incapace di immaginare che forme così orribili potessero esistere e convivere con l’odio di cui il loro animo si era nutrito. E quelle belve gigantesche, che aveva sempre temuto somigliassero a certi uomini o Dei nei loro comportamenti selvaggi e brutali, erano persino più terribili di quanto ricordasse. Fenrir, il lupo le cui fauci parevano azzannare il cielo, Hati, dalle zanne intrise di sangue ancora fresco, e Garmr, il cui guaito aveva terrorizzato il sonno dei defunti per millenni.

 

E su tutti il mostruoso Jormungandr, la bestia più grande e orribile che avesse mai respirato l’aria del Regno degli Asi. Partorito dalla Gigantessa Angrbodhra, quel demone cosmicamente potente era stato scagliato nelle profondità marine da Odino stesso e là sotto era perdurato, nutrendosi dei rancori dei mondi e diventando ancora più lungo di quanto fosse stato in precedenza.

 

Adesso era là, ad agitare le acque del Thund, i cui flutti si infrangevano impetuosi sulle rocce attorno alla fortezza del Valhalla, ultimo confine prima di raggiungere la Porta Principale. Molti Einherjar lo avevano affrontato, ma tutti erano caduti, avvelenati dal venefico alitare della bestia o stritolati e schiacciati dal suo orribile corpo squamato.

 

Il Serpe del Mondo non potrà essere vinto senza un sacrificio! Mormorò Balder, chiedendosi cosa fosse giusto fare, indeciso se disobbedire o meno, per la prima volta, ad un ordine di suo padre.

 

Un’esplosione di luce, proveniente proprio dal Cancello Principale, risolse i suoi dubbi, costringendolo a portare di nuovo lo sguardo in quella direzione.

 

Un uomo alto e massiccio, con due armi in mano simili ad asce, e un ragazzo rivestito da una celeste corazza magnificamente intarsiata erano appena apparsi, balzando al di fuori di Valgrind e ergendosi fieri sulle rive del Thund.

 

“Cos’è questo nauseabondo odore?” –Mormorò il più alto dei due. –“Qualcuno si è scordato di lavarsi le ascelle quest’oggi?”

 

“E dire che di acqua ne ha avuta tanta a disposizione in questi anni!” –Gli fece eco l’altro, passando tra gli sguardi ammirati e incuriositi dei soldati e degli Einherjar presenti, che notarono che non si trattava di uno di loro.

 

“Mio signore… possente Thor… fate attenzione… Jormungandr è…

 

“È solo un lucertolone troppo cresciuto!” –Commentò il ragazzo dai mossi capelli castani, strusciandosi il naso, prima di espandere il proprio cosmo. –“Credo sia l’ora di mozzargli la coda!”

 

Il suo nordico compagno fece altrettanto e le loro energie cosmiche abbagliarono la riva del fiume, facendo nascere un sorriso sul volto di Balder.

 

Il prode Thor era tornato dalla sua missione e aveva portato con sé il Primo Cavaliere della Dea Atena, Pegasus in persona.

 

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Capitolo 17
*** Capitolo quindicesimo: Il serpe del mondo ***


CAPITOLO QUINDICESIMO: IL SERPE DEL MONDO.

 

Pegasus e Thor furono i primi a risalire le radici del Frassino Cosmico e ad arrivare ad Asgard, nel giardino retrostante di una reggia che al Cavaliere di Atena apparve a dir poco maestosa, talmente alta che a stento ne intravedeva la cima.

 

Se era rimasto impressionato dalle dimensioni degli edifici degli Jötnar, Pegasus dovette ammettere che vi era qualcosa in grado di superarle, al punto da lasciarlo a bocca aperta ad ammirare i muri altissimi che si stagliavano verso l’infinito.

 

“Che fai, contempli le stelle?!” –Esclamò Thor con voce bonaria, intuendo che il ragazzo non avesse avuto alcuna idea precisa di quel che avrebbe trovato una volta sbucati all’aria di Asgard. –“Questo palazzo immenso che si erge dinnanzi a te è il Valhalla, la dimora degli uccisi, la più maestosa dell’intera Ásaheimr! Destinata ad ospitare gli Einherjar, i morti caduti gloriosamente in battaglia, di cui il qui presente è un ottimo esemplare!”

 

“È impressionante!” –Mormorò Pegasus, ritenendo che, in termini di superficie occupata, il Valhalla superasse di gran lunga tutte le altre residenze divine che aveva visitato, compresi il Tempio di Ade e la Reggia di Zeus.

 

“Puoi ben dirlo! Nota le travi possenti che la reggono! Sono fatte con le lance acuminate dei guerrieri più temerari! E il tetto, che abbaglia da lontano, è rivestito di rilucenti scudi d’oro, decorati con scene di guerra! Per non parlare poi degli arredi interni!” –Continuò Thor, costeggiando con Pegasus i muri della Sala dei Caduti. –“Ma la cosa più sorprendente sta nelle cinquecentoquaranta porte che vi sono, grandi al punto che da ciascuna possono uscire ottocento guerrieri, uno accanto all’altro, in marcia verso la guerra! Proprio come è avvenuto ore addietro, poco prima della mia discesa in Jötunheimr! Solo una porta è rimasta chiusa, l’accesso principale al Valhalla, dove adesso ci stiamo dirigendo! Valgrind!” –E aumentò l’andatura del suo passo, iniziando a correre, prontamente seguito dal Cavaliere di Atena.

 

I due compagni circumnavigarono la roccaforte, permettendo a Pegasus di trovare conferma alle parole di Thor sulla sua estensione, attratti dal clangore degli scontri, sempre più vicini, e da un odore pestilenziale, finché non raggiunsero le mura esterne del Valhalla e il Cancello Principale, dove molti guerrieri di Odino erano radunati.

 

“Possente Thor! Siete tornato!” –Esclamò uno di loro, alla vista dei due compagni. –“Odino mi ha riferito, prima di varcare Valgrind in groppa a Sleipnir, di aver assegnato a voi e al nobile Orion una missione di primaria importanza per le sorti della guerra, senza dilungarsi nelle spiegazioni! Chi è questo giovane dalla corazza così diversa dalle nostre?”

 

“Egli è Pegasus, seguace di Atena, nostra alleata in questo scontro! Ed è il Cavaliere a cui il Signore degli Asi concesse di indossare la propria armatura lo scorso anno!”

 

Un coro di mormorii e sguardi sorpresi si diffuse tra gli Einherjar all’udire le rivelazioni di Thor e molti fissarono ammirati il giovane dagli scombinati capelli castani che si guardava intorno trattenendo a stento l’impeto che lo dominava.

 

“Deve essere un combattente fuori dal comune se Odino lo ha investito di tale onore!” –Commentò il guerriero a capo della guarnigione a difesa della Porta Principale. –“Un aiuto simile non può che giovarci!”

 

“Cos’è questo veleno che appesta l’aria, Atreju?” –Domandò Thor al compagno.

 

“È il fiato mortale del Serpe del Mondo, tornato dagli abissi in cui era stato confinato per affiancare suo padre nell’ultima guerra! Se non riusciamo ad abbatterlo, la prima linea, guidata da Odino e Heimdall, non potrà riparare all’interno del Valhalla!”

 

“Serpe del Mondo?! Chi diavolo è costui?” –Bofonchiò Pegasus, non capendo.

 

Thor gli fece cenno di seguirlo, incamminandosi verso un lato di Valgrind, dove partiva una scalinata di pietra, scolpita nelle mura, che conduceva fino alla sommità. Da lassù Pegasus poté ammirare per la prima volta la vera Asgard, il Regno degli Asi, sebbene la visibilità fosse minima, a causa del fumo nero che stava saturando l’aria, proveniente da una sagoma deforme che si agitava nelle tempestose acque di un fiume.

 

“Quello che vedi è il Thund! Attraversa tutta Asgard, scorrendo in modo da separare la fortezza del Valhalla da buona parte del resto del reame. Il guado delle sue acque agitate costituisce la prova ultima che ogni guerriero meritevole deve superare per entrare a far parte delle schiere degli Einherjar!” –Spiegò Thor. –“Una prova di iniziazione che, non lo dico per vanto, ho superato brillantemente, grazie al mio fisico allenato, sebbene debba confessarti, Cavaliere, che la violenza di quei marosi sia tale da sbattere un uomo contro le rocce e fracassarlo sul colpo!”

 

“E quella… bestia?!” –Domandò Pegasus. –“È talmente grande che quasi occupa l’intera lunghezza del fiume! Non fosse per l’agitarsi delle correnti neppure lo vedremmo più, con tutto questo fumo pestilenziale!”

 

Era un serpente gigantesco, dal corpo squamato e chiazzato di un giallo sporco, che scorreva lungo il letto del fiume. Più grande, in proporzione, di Ladone, Yamata no Orochi o qualunque altra creatura i Cavalieri di Atena avessero affrontato.

 

“A quanto pare è il nostro primo nemico! E forse anche l’ultimo!” –Commentò Thor, staccando una delle due asce che portava attaccate allo schienale dell’armatura. –“Jormungandr, la Serpe di Midgard! Uno dei tre figli che Loki ebbe da una mostruosa gigantessa, intrisi di tutto il male che il Dio dell’Inganno ha saputo riversare in loro! Odino lo gettò negli abissi del mare, ma il potere che lo imprigionava deve essere venuto meno, permettendogli di tornare a avvelenare l’aria di Asgard! Non sarà facile averne ragione, Cavaliere di Pegasus!”

 

“C’è mai stato qualcosa di facile nelle nostre vite, bestione?!” –Ironizzò il ragazzo, accennando un sorriso e incitando il robusto guerriero a scendere subito in battaglia.

 

Di fronte alle mura, nell’ampia piana che le separava da Thund, molti Einherjar erano radunati, le armature che rilucevano nel timido sole del crepuscolo del mondo. Alcuni erano intenti a sollevar lance e spade contro Jormungandr, altri gli dirigevano contro raggi energetici, evitando di porre lo sguardo sui cadaveri dei compagni, morti per il veleno del serpente o per essere stati stritolati dalle sue spire.

 

“Andiamo! Li abbiamo lasciati da soli troppo a lungo!” –Esclamò Pegasus, spalancando le ali dell’Armatura Divina. –“È tempo di far vedere a quella bestiaccia la vera stoffa dei Cavalieri di Atena e di Odino!” –E si lanciò al di là delle mura, sorvolando il campo di battaglia avvolto nel suo cosmo lucente.

 

Thor lo osservò per qualche istante, sorridendo di fronte all’ardore del giovane, prima di gettarsi a sua volta oltre le merlature del camminamento di ronda e atterrare solidamente in piedi, lanciando un urlo che squarciò il velo di fumo venefico.

 

“Attenti, là sotto!” –Gridò Pegasus, planando sulla riva del fiume, di fronte agli occhi straniti degli Einherjar, mentre attorno al suo pugno si radunava una lucente energia cosmica. –“Fulmine di Pegasus!” –Disse, scatenando la pioggia di stelle contro il Serpe del Mondo, che parve sorpreso da quella singolare apparizione.

 

“Mio Signore…” –Mormorarono alcuni Einherjar, osservando Thor arrivare di corsa, con Mjolnir in mano, e scagliarlo dietro ai lampi di luce del compagno. I due colpi congiunti cozzarono contro la squamosa pelle del serpente, facendolo imbestialire, ma non lo ferirono. Percependo la maggior intensità dell’assalto, Jormungandr si sollevò, stillando veleno dalle fauci e ammorbando l’aria al punto che molti guerrieri di Odino, incapaci di respirare, crollarono a terra, le mani strette attorno al collo.

 

“Sembra che abbiamo attirato la sua attenzione!” –Commentò Pegasus, atterrando a fianco di Thor, che aveva intanto recuperato la sua ascia rotante.

 

“Lo credo anch’io! Anche se non so se ciò sia un bene o un male!”

 

“Bene per noi, male per lui!” –Esclamò Pegasus, caricando nuovamente il pugno di energia cosmica. Fece per scattare avanti, ma dopo qualche passo si fermò, tossendo violentemente e battendosi il petto. –“Co… cosaaa succede?! Mi bruciano i polmoni, maledizione!!!”

 

“È il veleno del Serpe del Mondo, il veleno di millenni di odio!” –Disse Thor, aiutando il compagno a rimettersi in posizione eretta. –“Non avremo molto tempo per affrontarlo! Più respiriamo il suo fetido fiato, più ci avviciniamo alla morte! Credevo tu lo avessi capito…”

 

“Non pensavo… fosse così…”

 

“Intenso?!”

 

“Nauseante! Da indigestione quasi!” –Commentò Pegasus, con un sorriso tirato. –“Peggio dei panini alla cipolla della trattoria alla Darsena! Aaargh!!!”

 

“Non so cosa intendi, Cavaliere, ma se vuoi tornare indietro… a riposarti alla fonte di Udhr…”

 

“Vacci tu, se sei stanco, bestione! Io ho un lucertolone a cui mozzare la coda!” –Ironizzò il ragazzo, bruciando il proprio cosmo.

 

“Testardo come sempre!” –Commentò Thor, aprendo le braccia, con cui impugnava entrambe le asce, e caricandole della sua energia.

 

“Non è così facendo che ti ho battuto?!” –Scherzò Pegasus, correndo avanti, avvolto da un alone di luce azzurra, mentre Jormungandr si chinava su di lui, sbuffando tossiche nubi di morte. –“Cometa lucenteee!!!”

 

Mjolnir, colpisci!!!” –Tuonò Thor, scagliando le due asce rotanti. E la sua voce fu così decisa da attirare l’attenzione di molti altri Einherjar, che avevano intanto iniziato a ripiegare o a trascinare i feriti vicino alle mura del Valhalla.

 

Nuovamente i due colpi si schiantarono sulla pelle del figlio di Loki, senza provocargli danno apparente, tranne farlo agitare ulteriormente. Il suolo parve tremare e immensi schizzi d’acqua si sollevarono da Thund, innaffiando la riva e i guerrieri vicino ad essa, sbattendoli a terra tanta era la violenza in essi contenuta.

 

 Il Miðgarðsormr fiatò contro Pegasus, Thor e gli Einherjar una nuova nube di veleno, spingendoli persino indietro di qualche metro, obbligati a coprirsi gli occhi con le mani o con le visiere delle loro armature.

 

“È tutto inutile!” –Tuonò Thor, anch’egli piegato in due. –“Il veleno penetra nella pelle al solo contatto! Respirarlo non fa che ridurre il tempo della nostra agonia!”

 

“O della… sua!” –Ringhiò Pegasus, gli occhi arrossati dal fumo, sputando e tossendo al pari del compagno. Avrebbe voluto caricare di nuovo e sfondare la sua putrida carcassa, come aveva fatto con quella dell’Idra di Lerna alla Prima Casa dei Templi dell’Ira, ma si sentiva debole e senza fiato. Una sensazione non dissimile da quella provata dopo aver subito la Morte Atroce di Pegasus Nero.

 

All’epoca c’era stato Dragone ad aiutarlo, colpendo i punti vitali delle sue stelle e lasciando che il sangue infetto scivolasse via. Ma adesso Sirio e gli altri sono persi chissà dove tra questi mondi e io sono il primo ad essere arrivato ad Asgard! Spetta a me l’onore di tenere alto il buon nome dei Cavalieri di Atena! Si disse, cercando di reagire a quei veleni che lo volevano prostrare a terra, tra colpi di tosse e convulsioni.

 

Per un momento lo invase la spiacevole sensazione che i suoi compagni fossero morti, periti durante il trasferimento dimensionale a causa della distruzione dei portali o caduti in chissà quale tranello del Nordico Ingannatore. Ma poi, rialzandosi e fissando il Serpe del Mondo negli occhi, in quei putridi occhi gialli, si disse che non sarebbe stato possibile. Che Sirio, Andromeda e Cristal sarebbero presto giunti a dargli manforte e allora avrebbe potuto gloriarsi della sua prima vittoria, mostrando la carcassa sventrata del mostruoso figlio di Loki.

 

“Sì! Li attenderò così! Con il pugno teso verso la vittoria!” –Mormorò, sollevando il braccio, mentre scariche di energia cosmica gli avvolgevano il braccio. –“Alzati, mio vecchio amico, e affronta con me l’ingiuria della sorte! Affronta il demone che più di ogni altro rappresenta i veleni del mondo! Gli stessi che corrosero l’animo della tua bella regina, volgendola al male!”

 

Nell’udire quelle parole, pronunciate con voce fiera, Thor si scosse, cercando di riassumere una postura eretta, puntando un’ascia a terra e aiutandosi con essa. Anche altri Einherjar, stimolati dall’attivismo dei due Cavalieri, decisero di reagire, infiammando il loro cosmo, che scintillò nella caliginosa foschia della piana di fronte al Valhalla.

 

“Per Ilda, e per Asgard!” –Esclamò Pegasus, allungando la mano verso l’antico avversario, il primo da lui affrontato nelle fredde terre del nord.

 

“Per Ilda!” –Thor la strinse con forza, ergendosi in tutta la sua statura, prima di far ardere a sua volta il cosmo.

 

“Che il Serpe del Mondo si riprenda il suo veleno! Nei nostri cuori non c’è posto per esso, solo per la fede nella speranza!” –Gridò il Primo Cavaliere di Atena, scattando avanti, subito seguito da un gruppo di Einherjar e dallo stesso Thor.

 

Jormungandr alitò loro dall’alto una nuova nube tossica ma, per quanto qualche guerriero cadde, stramazzando al suolo in preda a violente convulsioni, non fermò la loro corsa, obbligandosi a sollevare l’immensa coda e a muoverla sul prato, per spazzar via i loro fatui sogni di vittoria.

 

Qualche Einherjar venne travolto, scaraventato indietro o schiacciato a terra, ma non Pegasus, che spiccò un balzo all’ultimo istante, aiutato dalle ali dell’Armatura Divina, puntando verso il viso del serpentone, né Thor, che piantò un’ascia nella coda, usandola poi come leva per saltare sopra di essa, con un’agile capriola, atterrando proprio sul corpo squamoso del Miðgarðsormr.

 

Provò disgusto il Campione di Odino nel poggiare i piedi su quella viscida superficie, intrisa, al pari dei fumi emessi dalla bocca del serpente, di sostanze venefiche. Ma mise da parte il ribrezzo, impugnando Mjolnir con entrambe le mani e sollevandolo al cielo, circondato dalla sua aura cosmica e dal potere che gli derivava dall’essere il Cavaliere della stella Gamma Ursae Majoris.

 

“Ildaaa!!!” –Gridò il gigantesco guerriero, affondando la lama nello squamoso corpo di Jormungandr e usandola per scaricarvi all’interno tutta l’incandescente energia del suo cosmo.

 

Il Serpe del Mondo inizialmente non aveva prestato attenzione a quel guerriero, ai suoi occhi non più grande di una mosca, preferendo concentrarsi su Pegasus, ma adesso parve sentire la ferita aperta sulla coda, volgendo di scatto il capo in quella direzione. Così facendo, liberò Pegasus dalla nube venefica, permettendogli di piombare sul suo collo e tempestarlo di migliaia di migliaia di colpi.

 

“Maledetta creatura infame! Ladone, al tuo confronto, era una biscia da giardino!” –Disse Pegasus, ricordando il Guardiano del Giardino delle Esperidi.

 

Jormungandr fremette, agitando la coda all’impazzata e distruggendo tutto ciò che trovò nel suo raggio d’azione. Un paio di ponti, gli scogli del fiume, alcuni edifici lungo la riva. Giunse persino a colpire con foga le mura del Valhalla, che ressero comunque all’impatto, per quanto alcuni Einherjar furono travolti e schiacciati. Nel contorcersi furioso della bestia, Thor venne sbalzato a terra, ruzzolando per qualche metro e perdendo la presa di Mjolnir.

 

Il figlio di Loki si accorse subito di lui e lo afferrò con la coda, stritolandolo tra le sue spire, incurante del martellare continuo dei pugni di Pegasus, di cui si sbarazzò con un violento soffio, spingendolo indietro fino a farlo precipitare a terra.

 

“Aaargh!!!” –Gridò Thor, stretto in una morsa di indicibile potenza.

 

Persino lui, che aveva cacciato per anni nelle foreste di Midgard, usando le sue sole braccia come armi, e che aveva il fisico temprato alla lotta e alla resistenza, si sentì cedere, vinto da una pressione irrefrenabile. Il veleno di cui il corpo di Jormungandr era pregno lo stava intossicando sempre più, mozzandogli il respiro e causandogli convulsioni spasmodiche.

 

La sfida che tanto aveva voluto, la gloria che tanto aveva cercato, in vita per Ilda, adesso per sé, sembrava persa, sconfitto proprio dal demone simbolo del suo potere e della sua corazza. Il serpente che tra le spire soffoca la preda, così lo avevano spesso definito a Midgard, in virtù della sua forza fisica, che suscitava timore anche tra i suoi pari. Ed era proprio per quel motivo che aveva scelto di affrontare Jormungandr, tra tutti i nemici che dilagavano per Asgard, sebbene a Pegasus non avesse detto niente. Per un fatto personale, per fronteggiare la sua diabolica nemesi.

 

Con la saliva che fuoriusciva copiosa dalla bocca, e i denti digrignati, Thor roteò gli occhi verso l’alto, ma invece di trovarsi di fronte il mostruoso volto del figlio di Loki, vide se stesso. Una scena che non ho mai dimenticato.

 

Del ghiaccio si frantuma e un’armatura di colore violaceo ne fuoriesce, risplendendo nella notte nordica. La sua armatura. Quella che la donna che lo salvò dai soldati, quel giorno nella foresta, aveva ritenuto fosse degno di indossare. Per quel motivo, per onorare la sua fiducia, era sceso in campo contro i Cavalieri di Atena. E anche stavolta, sia pur con motivazioni diverse, avrebbe lottato fino alla fine.

 

Infiammato nell’orgoglio dal ricordo di quel momento, della sovrana misericordiosa che cambiò la sua vita da fuggiasco a guerriero di corte, Thor reagì, bruciando il cosmo al massimo, che avvampò scottando le spire che lo tenevano prigioniero.

 

“Oooh… Ilda, per te tenterò ancora!” –Ringhiò, mentre Pegasus si rimetteva in piedi, osservando dal basso l’infiammarsi del cosmo violaceo del compagno, che andò concentrandosi attorno al braccio destro. –“Pugno del Titano!!!” –Gridò Thor, portando avanti l’arto, avvolto in un groviglio di fulmini violacei, e piantandolo nel corpo di Jormungandr.

 

L’attacco squarciò un pezzo della viscida pelle del demone, facendolo imbestialire e stillare sempre più veleno, ma Thor riuscì a non cadere a terra, trovando la forza per impugnare Mjolnir e piantarlo nella ferita aperta, prima di venir sbalzato via dalla furia del Serpe del Mondo.

 

“Dobbiamo proteggerlo!” –Gridò Pegasus, radunando un gruppo di Einherjar e correndo avanti. I Campioni di Odino scatenarono una pioggia di raggi e attacchi energetici contro il figlio di Loki, cercando di tenerlo a distanza dal corpo di Thor, attorno al quale si disposero a semicerchio, mentre Pegasus si chinava su di lui.

 

“Hai fatto un bel tuffo…” –Ironizzò, sforzandosi di nascondere la preoccupazione per le condizioni del compagno. La sua armatura era distrutta in più punti, schiantata dalla morsa del Serpe del Mondo, e il suo corpo era costellato di ferite aperte, ricoperte da una vischiosa sostanza di odore nauseabondo che Pegasus intuì essere le interiora maledette della bestia.

 

Thor non disse niente, faticando nel rimettersi in piedi. Sollevò lo sguardo verso Jormungandr, osservandolo scatenarsi contro i guerrieri di Odino e spazzarli via, con un solo colpo di coda, e si ricordò di quando cacciava nella foresta di Midgard, facendo altrettanto con i soldati che osavano fermarlo. Si sforzò di sorridere a quella similitudine, ma un conato lo piegò in avanti, facendolo sputare. Cercò di avanzare, ma riuscì a fare solo nove passi prima di crollare, ammorbato dal soffio velenoso.

 

Pegasus si gettò su di lui, percependo il suo cosmo spegnersi, e lo incitò a rialzarsi, a reagire, tra le lacrime che faticava a trattenere.

 

“No! Nooo, alzati bestione, alzati!!! Non vorrai lasciare il lavoro a metà, eh? Ricordi cosa mi hai detto? Tu sei come i giganti buoni di Jötunheimr, una vera roccia!”

 

“Non essere triste per me! Non voglio… che tu lo sia!” –Mormorò Thor. –“Mi è stata data una seconda vita e l’ho vissuta intensamente, giorno dopo giorno, in vista di questo momento! A quante altre persone è stata data un’occasione simile?” –Tossì più volte, riuscendo infine a sollevare lo sguardo verso Pegasus. –“È destino che tu mi veda morire, Cavaliere! Ma se nella mia prima vita sono caduto come tuo nemico, mi glorio e mi felicito, adesso, di morire al tuo fianco, come amico!”

 

“Thor…” –Mormorò Pegasus, realizzando che il guerriero era spirato proprio in quel momento. –“Thooorrr!!!” –L’urlo del Cavaliere di Atena scosse l’intero campo di fronte a Valgrind, spingendo gli Einherjar superstiti a voltarsi verso di lui, inginocchiato, con la testa di Thor sulle gambe.

 

Lo spegnersi del cosmo del gigante fu avvertito da tutti i suoi antichi compagni.

 

Lo sentì Mizar, da poco sbucato dalle radici di Yggdrasill. Lo sentì Mime, che già stava combattendo nella piana di Vígridhr. Lo sentì Orion, che sospirò, stringendo il pugno. E lo sentì anche Odino, come aveva percepito scomparire i cosmi di tutti gli Einherjar caduti in quelle cruente ore di lotta.

 

“Thor…” –Singhiozzò Pegasus, quasi incapace di credere che fosse potuto succedere di nuovo.

 

È una maledizione! Si disse, carezzando i ruvidi capelli del guerriero. Una maledizione che segna tutti coloro che combattono per la giustizia! Tutti coloro che hanno combattuto al mio fianco e a fianco dei miei amici negli ultimi anni, permettendoci di arrivare fin qua!

 

“Una maledizione da te incarnata e da tutto ciò che di malvagio rappresenti!” –Ringhiò, rimettendosi in piedi e puntando l’indice contro il Serpe del Mondo, che torreggiava sbuffando su di lui. –“E che adesso estinguerò!!!” –E nel dir questo scattò avanti, avvolto nel suo cosmo azzurro, dirigendo migliaia e migliaia di pugni luminosi contro l’immonda bestia, mirando al collo, al punto dove lo aveva colpito in precedenza, sia assieme a Thor che da solo.

 

Memore delle battaglie passate, fin da quella combattuta contro Eris sulla spiaggia di Nuova Luxor, Pegasus aveva imparato che, di fronte a un avversario dalla difesa apparentemente insuperabile, come la corazzata pelle del figlio di un Dio, era conveniente concentrare gli attacchi in un unico punto, sperando a lungo termine di incrinarlo.

 

Basta una falla per far affondare una nave! Si disse, spiccando un balzo verso il volto di Jormungandr e liberando un potentissimo getto di luce.

 

Cometa lucente!!! Splendi!!!”

 

La rapidità dell’assalto fu superiore al tentativo del Serpe del Mondo di evitarlo, permettendo a Pegasus di trapassargli il collo, che esplose schizzando sangue oscuro e materia organica ovunque. Il gigantesco figlio di Loki accusò il colpo, barcollando sopra Thund, le cui acque si macchiarono di veleno in quantità sempre maggiore, ma ebbe la prontezza di muovere la rozza coda e afferrare Pegasus, mentre questi radunava il cosmo per attaccare di nuovo.

 

Lo stritolò tra le sue spire, le stesse che avevano ucciso Thor poc’anzi, per quanto l’Armatura Divina, potenziata dal mithril, fosse ben più resistente delle corazze dei Cavalieri di Asgard. E se lo portò di fronte al viso, desiderando ammirare quel cane d’uomo che così tanto dolore gli aveva provocato.

 

“Mi dispiace… deluderti… ma non sono un bocconcino appetibile!” –Mormorò Pegasus, dimenandosi e cercando di liberarsi da quella stretta, cercando di restare cosciente e non cadere vittima dello stordimento e della pazzia che quelle sostanze tossiche stavano provocando in lui. –“Iaiii!!!”

 

Il corpo di Jormungandr si infiammò dell’energia cosmica del Cavaliere di Atena, un calore che non aveva mai percepito in millenni di placida, ma solitaria, esistenza negli abissi del mondo. In reazione, il Serpe del Mondo aumentò la stretta, non ottenendo altro effetto che spingere Pegasus a bruciare sempre più il suo cosmo, mentre le tredici stelle della sua costellazione lampeggiavano attorno a lui.

 

“Non morirò così! Non farò la fine di Thor!” –Gridò il Cavaliere, incendiando le spire che lo intrappolavano e riuscendo a liberarsi parzialmente. –“Ho una vita a cui tornare, persone che voglio rivedere! Mia sorella, i miei amici e la donna che amo sapendo di non poter amare!!! Di non dover amare!!!”

 

“Pegasus!” –Lo chiamò allora una voce, parlando direttamente al suo cosmo. –“Accetta il mio dono e poni fine a quest’oscura minaccia!”

 

Fu allora che il ragazzo la vide, apparsa nell’aere di fronte a sé. La spada con cui aveva liberato Ilda dalla prigionia dell’Anello del Nibelungo riluceva di un bagliore azzurro, sostenuta dal cosmo del Dio cui apparteneva.

 

“O… Odino?!” –Mormorò Pegasus, non capendo.

 

“Impugna la spada Balmunk e non temere! Altre armi ho a disposizione per combattere, sebbene poche siano realmente efficaci contro questi Giganti di Fuoco!” –Disse il Signore degli Asi, impegnato su un altro fronte, il primo che era stato attaccato dagli eserciti di Loki.

 

“Sì!” –Rispose semplicemente Pegasus, afferrando la spada divina e caricandola del suo cosmo. –“Già una volta hai mondato la Terra dal male, Balmunk! Ripeti il miracolo, te ne prego!!!” –Esclamò, sollevandola e poi calandola con forza avanti a sé, lacerando la pelle del Serpe del Mondo, che guaì selvaggiamente, liberando il ragazzo dalla presa.

 

Con un balzo, Pegasus fu su di lui, sostenuto dalle ali della corazza, e lo trapassò nello stesso punto colpito in precedenza, mozzandogli l’immensa testa, che precipitò a terra, schiantandosi in mezzo alla piana, di fronte agli sguardi inorriditi degli Einherjar, alcuni dei quali vennero raggiunti dagli schizzi del suo macabro sangue.

 

Continuando a reggere Balmunk e bruciando quel che restava del suo cosmo, Pegasus generò migliaia di fendenti luminosi che squarciarono il corpo del figlio di Loki, innescando una catena di esplosioni luminose che lo distrusse nel giro di un minuto. Quindi, stanco per il prolungato scontro e intossicato dai veleni penetrati nel suo corpo, si lasciò cullare dal vento, finalmente libero da quel nauseabondo odore, trascinandosi a fatica fino a terra, dove crollò esanime, con Balmunk stretta ancora nella sua mano destra.

 

Gli Einherjar furono subito su di lui, sollevandolo con delicatezza e trasportandolo fino al Portone Principale, assieme al corpo di Thor.

 

“Cosa facciamo di lui?” –Esclamò un guerriero. –“Sta avendo violente convulsioni! L’eccessiva vicinanza al Serpe del Mondo deve averlo infettato al pari del possente Thor!”

 

“Se così è, temo che gli rimanga ben poco da soffrire!” –Commentò rattristato un altro, incapaci entrambi di aiutarlo. –“Povero ragazzo! Da Atene sei giunto fin qua, oltre le nuvole, per cadere con noi! Un Campione nostro pari, ecco chi sei, e come tale sarai trattato, così in vita così in morte!”

 

“Conserva le tue orazioni funebri per il dopoguerra, William!” –Esclamò allora una voce, mentre un lampo di luce esplodeva in mezzo al gruppo di Einherjar e una figura splendida ne emergeva. –“C’è ancora molto da fare adesso, ma non abbandonarsi a inutili catastrofismi!”

 

“Vostra altezza… mio Principe …” –Mormorarono i guerrieri, mentre il figlio di Odino si avvicinava ai corpi distesi a terra di Thor e Pegasus. Sfiorò la testa del primo, sussurrando parole che gli Einherjar non compresero, ma ritennero facessero parte di un antico rito di saluto ai morti. Poi si avvicinò al Cavaliere di Atena, tastandone la fronte febbricitante, prima di incalzare un paio di guerrieri affinché aprissero Valgrind.

 

“Portatelo a Fensalir, da Eir! Là saremo forse in grado di dargli le cure di cui ha bisogno!” –Affermò Balder lo Splendente, prima di scomparire nuovamente.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 18
*** Capitolo sedicesimo: Il mietitore silente ***


CAPITOLO SEDICESIMO: IL MIETITORE SILENTE.

 

Con un agile balzo Reis uscì all’aria aperta, ritrovandosi ai piedi dell’Albero Cosmico, sulle cui radici si era arrampicata per raggiungere Asgard. Avalon gliene aveva parlato, così pure Ilda e il suo accompagnatore, ma trovarselo di fronte, poterlo ammirare in tutto il suo splendore, fu un’emozione al di là di ogni aspettativa.

 

Meraviglioso! Commentò, osservando incantata l’alto tronco di Yggdrasill ergersi verso il cielo, quasi volesse afferrarne uno spicchio con i suoi molteplici rami.

 

Ask veitk standa, heitir Yggdrasill hár baðmr, ausinn hvíta auri!” –Recitò una voce, rubando la ragazza ai suoi pensieri e spingendola a voltarsi verso l’affascinante Cavaliere di Odino che l’aveva attesa di fronte al portale di Vanaheimr, il regno dei Vani, ove era giunta.

 

“Perdonami, mi sono espresso in norreno!” –Esclamò Orion, avvicinandosi. –“Sono versi di un antico poema che il nostro popolo ha tramandato per secoli! È chiamato Profezia della Veggente e, nella lingua corrente, verrebbe più o meno così…

 

“So che un frassino s’erge, Yggdrasill lo chiamano, alto tronco lambito d’acqua bianca di argilla!” –Lo interruppe allora Reis, sorprendendo il Cavaliere del Nord. –“Ad Avalon poniamo molta attenzione allo studio delle lingue e delle culture antiche! Ogni Cavaliere delle Stelle è specializzato in un settore specifico e io nutro grande interesse per le civiltà germaniche! Conoscere chi siamo stati è parte del nostro addestramento, per capire ciò che diventeremo! E credo che in questo contesto sia l’espressione più adatta!”

 

“Tutta la nostra civiltà è costruita attorno a Yggdrasill, l’axis mundi dei nove mondi! E qua affonda la prima radice, alla Fonte di Udhr, sorgente di un liquido miracoloso e luogo ove le Norne si riuniscono a tessere il fato degli Dei e degli uomini!” –Spiegò Orion, indicando tre figure ammantate, poco distanti, intente a cospargere le radici del frassino della sostanza fertilizzante sgorgante dalla fonte.

 

Il Cavaliere delle Stelle le fissò con occhio attento, ma non fu capace di delinearne i tratti fisici con precisione. Erano donne, questo lo capiva, ma non riusciva a dare loro un’età.

 

“Non sforzarti troppo!” –Le sussurrò Orion. –“Le Norne possono apparire in aspetto difforme a chi le osserva, in relazione soprattutto al proprio stato d’animo! Giovani donne o vecchie avvizzite! E ciò che in loro vedi è ciò che ti viene prospettato! Che tu voglia crederci o meno!”

 

“Le tue parole mi lasciano da pensare, Cavaliere del Drago del Nord! Non credi dunque nel destino?”

 

“In cosa credo non ha importanza, perché il mio ruolo in questo mondo è stato segnato dal momento in cui ho varcato la soglia di Valgrind, dopo aver attraversato il periglioso Thund, scortato dalle Valchirie, che mi hanno condotto al cospetto del Padre di Tutti, dove ho ritrovato gli amici persi in battaglia!” –Esclamò Orion, con voce piena di orgoglio. –“Thor e Luxor, Artax e Mime, erano lì che mi attendevano, per quanto avessero sperato in un’attesa maggiore! Da quel giorno ho smesso di essere Orion, il Primo Cavaliere della Regina di Midgard, e sono divenuto uno dei Campioni di Odino, vivendo in vista di questo giorno! Una nuova vita qualcuno l’ha definita, o forse una rivisitazione di quella precedente?!”

 

“Non sarà stata vissuta invano, Cavaliere! Nessuna vita lo è mai!” –Esclamò Reis, voltando le spalle a Urd, Verdandhi e Skuld e incamminandosi assieme a Orion nel giardino attorno all’Albero Cosmico.

 

“Vorrei possedere la tua fiducia, Cavaliere di Luce, ma le mie certezze sono minate da questa guerra che imperversa su Asgard e da un’inquietudine simile al tremolio di Yggdrasill! Le correnti di ghiaccio che soffiano da Niflheimr non accennano a diminuire e ciò mi fa pensare che il Principe Freyr stia incontrando più difficoltà del previsto nel fronteggiare i Titani del Gelo! Se non dovesse riuscire a fermarli…

 

“Non temere per lui! I Vani sono al suo fianco, ricordi? Ben pochi erano gli abitanti che abbiamo trovato in Vanaheimr, anziani, donne e bambini; la maggioranza combatte fiera nel gelido Inferno!” –Esclamò Reis, prima di fermarsi. –“A meno che non vi sia altro a rendere inquieto il tuo cuore, Cavaliere…

 

Orion non disse nulla, muovendo il braccio come a voler lasciar cadere il discorso, e fece per incitare la ragazza a correre sul campo di battaglia, quando venne richiamato da alcune voci familiari provenienti dalle sue spalle.

 

Reis si voltò nello stesso momento, proprio per vedere Andromeda avvicinarsi ai due, affiancato da un ragazzo dai capelli arancioni e dall’armatura rossa, entrambi appena usciti dalle radici dell’Albero Cosmico.

 

Reis! Sei sana e salva, sono contento!” –Sorrise il Cavaliere di Atena, presentandole Mime, prima di rivolgersi a Orion, felice di rivederlo. –“E Pegasus? E gli altri?!”

 

“Anche noi siamo arrivati da poco ma, se i sensi non m’ingannano, percepisco il cosmo del mio vecchio compagno Thor bruciare fuori dalle mura del Valhalla, assieme ad un altro, ugualmente ben noto!” –Spiegò Orion, alle cui parole Andromeda annuì, avendo anch’egli riconosciuto il cosmo di Pegasus.

 

“Raggiungiamoli, coraggio!” –Li incitò Reis, correndo avanti assieme ad Orion, seguiti da Andromeda e Mime.

 

Il musico di Asgard però si fermò dopo qualche passo, tenendosi la testa leggermente stordito. Andromeda se ne accorse e lo affiancò, chiedendogli come si sentisse.

 

“Un leggero malessere, Cavaliere, non preoccuparti! Un malessere dovuto alla preoccupazione per le sorti di una persona a me cara!” –Spiegò Mime, ricominciando a correre. –“Non solo di Pegasus e Thor ho avvertito il cosmo!”

 

Orion, comprese le parole del compagno, fece un cenno d’assenso, guidando il gruppo fino alla Porta Principale, dove Atreju illustrò loro la situazione, con i due fronti aperti. Uscendo fuori da Valgrind, Andromeda impallidì alla vista del gigantesco Serpe del Mondo, impegnato in una lotta furibonda che stava squassando il letto del fiume e i terreni attorno ad esso.

 

Sforzando la vista, in quella torbida nube, il Cavaliere riconobbe lo scintillio del cosmo dell’amico, affiancato da Thor e da altri che non conosceva. Fece per muoversi in quella direzione, ma Orion lo afferrò per un braccio, pregandolo di non andare.

 

“Non solo Jormungandr è il nostro nemico! Con la liberazione di Loki e dei suoi figli, molti demoni antichi sono tornati a perseguitarci, privi dei legami che li tenevano prigionieri! I loro cosmi ribollono di odio, simile a un’onda di pece decisa a riversarsi su Asgard! Li sento… marciano da nord, dalla grande piana di Vígridhr, e stanno facendo strage di Einherjar e Divinità fedeli a Odino!” –Esclamò, prima di voltarsi e vedere che Mime si era già lanciato avanti, lungo il perimetro esterno della fortezza del Valhalla. –“Là dobbiamo dirigerci adesso, per prestare aiuto a chi ne ha bisogno!”

 

Ma… Pegasus e Thor?! Da soli contro… un mostro simile?!”

 

“Il mio cuore piange al sol pensiero, Andromeda, ma al tempo stesso nutro fiducia in loro e nel cosmo ardente che li sostiene!”

 

Orion ha ragione! I nemici sono tanti e non ha senso ammassarci tutti contro gli stessi per lasciare campo libero ai restanti! Dobbiamo separarci e credere l’uno nell’altro, combattenti di culti diversi ma uniti dall’obiettivo comune!” –Intervenne Reis.

 

Il Cavaliere di Andromeda ci pensò su ancora un po’, voltandosi verso il fiume, ove la sfida con il Serpe del Mondo era ancora aperta, prima di sospirare e convincersi che Orion e Reis avessero ragione. Del resto era la stessa strategia che lui e i suoi amici avevano sempre seguito, fin dalla prima missione contro i Cavalieri Neri nella Valle della Morte, per quanto in precedenza i nemici non fossero stati né Divinità né creature mitologiche sostenute da cosmi divini.

 

Senz’altro esitare, Andromeda scattò a fianco dei suoi nuovi compagni, lasciando Pegasus e Jormungandr alla sua sinistra e le mura ciclopiche del Valhalla alla sua destra. Mime li aveva già distanziati, deciso a correre in aiuto di colui a cui molto doveva.

 

Passarono il ponte sul Thund ma, quando stavano per giungere alla piana di Vígridhr, videro una pioggia di frecce abbattersi su di loro. Non frecce normali, bensì dardi di cosmo, che traforarono il terreno tutto attorno, generando esplosioni e scosse.

 

Andromeda fu lesto a srotolare la Catena di Difesa, roteandola in modo da impedire ai dardi di penetrare al suo interno, mentre Reis, sollevata prontamente la Spada di Luce, contrattaccava con altrettanti raggi di energia, in modo che gli attacchi si annullassero a vicenda.

 

“Chi osa sbarrarci il passo?” –Tuonò allora Orion, facendosi avanti, mentre dalla cima di un albero poco distante un luccichio metallico anticipava il balzo di un guerriero rivestito da un’armatura di colore blu notte.

 

Atterrò a una decina di metri di distanza dal trio di Cavalieri, nient’affatto intimorito dalla disparità numerica, limitandosi a fissarli con un ghigno soddisfatto. Era un uomo sui trent’anni, alto e robusto, il volto ruvido e il mento sporgente. La corazza che indossava copriva quanto un’Armatura di Asgard e non aveva fregi particolari a parte la faretra piena di frecce che spuntava dalla schiena e un arco ripiegato affisso alla cintura. Eppure a Orion parve ricordare qualcosa, un frammento perso nella sua memoria di eroe.

 

“Colui che vi fermerà, qua e ora! Drepa di Steinkjer, il Mietitore Silente!” –Rispose l’altro, suscitando la reazione incollerita del Cavaliere nordico.

 

“Piuttosto arrogante per essere un invasore!” –Commentò, caricando l’indice destro di energia lucente.

 

“Sono solo realista!”

 

“Insolente!” –Ringhiò Orion. –“Spada di As” –Ma Reis lo fermò, pregandolo di andare oltre. Si sarebbe occupata lei del borioso arciere. –“Questo è fuori discussione! Non lascerò a uno sconosciuto la difesa della mia terra!”

 

“Soprattutto a una ragazza?! È questo che stai cercando di dirmi?! Beh, caschi male, perché questa ragazza ha il carattere e la forza di un uomo!” –Esclamò Reis. –“I tuoi compagni ti aspettano, gli Einherjar di cui Odino ti ha affidato il comando! Va’ da loro e abbi fiducia in me, Drago del Nord, come l’hai in Pegasus e nel prode Thor! E ti assicuro che ci incontreremo di nuovo, nel bel mezzo del campo di battaglia!”

 

Orion esitò un momento, cercando lo sguardo di Andromeda, anch’egli indeciso sul da farsi. Fu il loro avversario a smuovere la situazione, impugnando l’arco e incoccando una freccia, liberandola di scatto e osservandola compiaciuto riprodursi in migliaia di copie, tutte dirette verso il trio di Cavalieri.

 

Catena di Andromeda, disponiti a difesa!” –Gridò il ragazzo dai capelli verdi, sollevando la sua fedele compagna. Ma Reis fu lesta a sgusciare fuori dall’argine difensivo un attimo prima che la catena iniziasse a roteare, lanciandosi avanti, con la lama tesa e scatenando violenti fendenti contro il loro avversario.

 

“Andate! È la vostra occasione!” –Disse, espandendo il proprio cosmo luminoso e dirigendo migliaia di affondi energetici contro Drepa. –“Flashing sword!”

 

Orion e Andromeda approfittarono di quel momento per sfrecciare avanti, ognuno su un lato del servitore di Loki, intento ad evitare la pioggia di luce che Reis gli stava dirigendo contro. Pochi istanti dopo già correvano verso il campo di battaglia, mentre il Cavaliere delle Stelle poneva termine al suo attacco.

 

“Ti sei già stancata, donna?” –Mormorò Drepa con voce irriverente.

 

“Tutt’altro, sono fresca per te! Mi premeva soltanto permettere loro di oltrepassarti! Non ha senso perdere tempo in tre per far fuori un inetto tuo pari!”

 

“La lingua lunga non ti manca, né le forme avvenenti, per quanto ben nascoste da quella luminosa corazza! In cosa pianterò per primi i miei dardi velenosi?!”

 

“Chissà che prima che tu ci riesca io non ti abbia già tagliato la testa!” –Commentò Reis, senza dar troppo peso alle provocazioni dell’arciere, stupide vanterie tipiche dei maschi. Non aggiunse altro e scattò avanti, con la lama tesa, avvolta nel bagliore del suo cosmo dorato.

 

Drepa fu svelto ad evitare l’affondo, spostandosi di lato e sollevando poi una gamba per colpirla con un calcio allo sterno. Ma Reis fu abile a girare su se stessa, schivando il piede nemico e obbligandolo poi ad un balzo indietro per non essere raggiunto dal movimento di ritorno della spada.

 

“Resta lì, non ti muovere! Offri il tuo prosperoso corpo di donna alla mia Pioggia di Fiele!” –Esclamò Drepa, sollevando un braccio al cielo e bruciando il proprio cosmo, che si concretizzò in migliaia di dardi di energia di colore violaceo, generati dal palmo aperto della sua mano, che riempirono lo spazio tra di loro, spingendo Reis a muovere la lama ad altissima velocità per parare i pericolosi strali.

 

Con una mossa così veloce che persino il Cavaliere di Luce dovette ammettere di aver avuto difficoltà a seguirla, Drepa tese l’arco con la mano sinistra, afferrando poi una freccia dalla faretra con la destra e scagliandola. Il dardo saettò verso Reis, che lo vide apparire di fronte a sé nel momento esatto in cui la Pioggia di Fiele si era conclusa. Fu svelta a muovere la Spada di Luce, offrendo al dardo il taglio della sua lama, che lo deviò alla sua destra, scheggiandolo.

 

“Per un pelo…” –Mormorò, cercando di non far notare il suo nervosismo.

 

Per quanto fosse abile con la spada, la migliore di tutti gli allievi di Avalon, e i suoi riflessi fossero ottimi, con minimi tempi di reazione, Drepa era riuscito a sorprenderla, cosa che non accadeva da tempo ormai. Eccezion fatta per il bacio rubato a Ioria del Leone, in quel weekend immediatamente successivo alla sconfitta del figlio di Ares, trascorso tra le dune e i tramonti della costa greca.

 

Un’imprevista, quanto piacevole, distrazione. Sorrise la ragazza, prima di riportare lo sguardo sul pericoloso arciere, che ben meritava il soprannome con cui si era presentato.

 

“Sogni ad occhi aperti, donna? Attenta, potrebbe costarti caro quel ricordo d’infanzia!” –Sibilò Drepa. –“Non ti hanno insegnato a rinunciare ai sogni, quando sei cresciuta?”

 

“È Reis di Lighthouse il mio nome, non donna! Farai bene a ricordartelo, schiavo di Loki, se nelle ariose cavità del tuo cranio vi è ancora traccia di materia cerebrale!”

 

“L’umorismo non ti manca! Sebbene sia fuori luogo!” –Sghignazzò Drepa. –“E con i fatti te lo dimostrerò! Pioggia di Fiele!” –E sollevò di nuovo il braccio al cielo, mentre dal palmo della sua mano, ardente di cosmo, nacquero migliaia e migliaia di dardi energetici, che piombarono su Reis ad altissima velocità.

 

Non l’avrei detto, ma costui è padrone della velocità della luce. Riesce a scagliare… quasi centomila colpi al secondo. Rifletté il Cavaliere delle Stelle, muovendo ad altrettanta velocità la Spada di Luce, per colpire quanti più dardi possibile, quanto meno quelli che miravano al suo viso e ai punti scoperti dell’armatura, lasciando gli altri liberi di perdersi attorno a sé o contro l’impenetrabile corazza di mithril. Ma non sono centomila… no! Non tutte le frecce piovono alla stessa velocità! Alcune servono a distrarmi, altre invece… sono insidiose! Strinse i denti, torcendo la lama per evitare uno strale che mirava al suo collo, prima di rotearla nuovamente e annientarne altri.

 

Flashing sword!” –Tuonò infine, lanciandosi all’attacco.

 

Detestava restare in difesa, detestava attendere passiva lo svolgersi degli eventi, desiderando essere sempre in prima linea, pronta a sollevare la spada che Avalon le aveva affidato allo scopo di recidere ogni ombra dalla Terra.

 

Umpf… Ti avevo sottostimato a quanto pare, Reis di Lighthouse!” –Esclamò Drepa, con tono scocciato, osservando il vanificarsi del proprio attacco. Per ogni dardo che scagliava, Reis riusciva a pararlo e non soltanto; all’arciere pareva che riuscisse persino a dirigergli qualche fascio energetico contro. –“Lighthouse… Non è un nome greco né scandinavo, eppure combatti a fianco dei Cavalieri di Asgard e di Atena, il cui arrivo era dal mio Comandante stato temuto!”

 

“È inglese infatti e significa Casa di luce! Ma non è il mio cognome, per quanto sia effettivamente nata in Gran Bretagna!” –Spiegò Reis. –“È solo un nome che ho scelto per ricordare il mio passato, le strade che ho percorso e che mi hanno portato ad essere ciò che sono!”

 

Drepa non poteva conoscere il suo passato, né sapere che i suoi genitori erano morti trent’anni addietro, in un’alluvione che aveva devastato il villaggio del Galles in cui era nata neppure due anni prima, e che lei avrebbe potuto incorrere nella stessa sorte se qualcosa non fosse scattato dentro sé. Qualcosa che all’epoca non conosceva, né sapeva controllare, ma che gli aveva permesso di generare uno scudo attorno al suo corpo, un guscio dentro il quale sopravvivere.

 

“Questo qualcosa si chiama cosmo!” –Gli aveva spiegato settimane dopo un vecchio dalla lunga barba bianca, quando si era risvegliata dallo stato di sospensione vitale in cui era inconsciamente precipitata. Lo stesso vecchio che l’aveva salvata dal fango, dopo averne percepito la presenza. –“E tu, bambina mia, lo porti dentro di te! Qua, ad Avalon, ti insegneremo come prendervi confidenza e come usarlo, per il bene di tutti!”

 

E lei aveva imparato, ascoltando gli insegnamenti dell’Antico e del Signore dell’Isola Sacra e divenendo la prima ad essere insignita del titolo di Cavaliere delle Stelle.

 

“Il primo di sette membri. Tanti quanti i Talismani del Mondo Antico!” –Gli aveva spiegato un giorno il suo maestro. –“Ed è la nostra missione riunirli, affinché ci diano le chiavi per chiudere il varco!” –Poi non aveva aggiunto altro, sibillino come sempre, lasciandola ai suoi studi.

 

L’addestramento era stato impegnativo, e spesso Reis si era chiesta se alla fine ne sarebbe valsa la pena, ma aveva stretto i denti ed era andata avanti, per onorare coloro che l’avevano salvata, accogliendola nella loro casa, e per vivere anche per chi, come i suoi genitori, non ce l’aveva fatta. Per questo aveva scelto quel nome, Casa di Luce, per ricordarsi sempre come la sorte fosse stata benigna con lei, salvandola e dandole uno scopo: diffondere la luce che albergava nel suo cuore.

 

La luce del cosmo, e della vita. Rifletté, prima di impugnare saldamente la spada e lanciarsi avanti, sorprendendo persino Drepa per la velocità di reazione. Falciò via l’arco dalle mani del Mietitore Silente, con un secco colpo di lama che per poco non gli staccò anche le dita della mano sinistra; evitò una ginocchiata con cui d’istinto Drepa tentò di allontanarla, scartando di lato, e sollevò infine la Spada di Luce, calandola sulla mano destra del servitore di Loki nel momento stesso in cui questi la caricava di energia cosmica allo scopo di trafiggerla.

 

Aaargh!!!” –Gridò Drepa, alla vista del moncherino sanguinante.

 

“La tua carriera di mietitore finisce qui!” –Commentò Reis, pronta per colpirlo di nuovo. Ma l’arciere, concentrato il cosmo sul palmo della restante mano, le sfiorò il ventre, liberando un’onda di energia che la spinse indietro di decine di metri, facendole scavare un doppio solco nel terreno.

 

“Maledetta!!!” –Ringhiò Drepa, furibondo per l’umiliazione ricevuta. Da una donna, oltretutto. –“Non avrai pace, spezzerò il tuo corpo e lo offrirò al banchetto dei corvi! Pioggia di Fiele!!!” –E sollevò il braccio sinistro, liberando l’attacco energetico.

 

Reis mosse velocemente la Spada di Luce, cercando di parare tutti gli affondi del nemico. Molteplici, calibrati, pericolosi, spesso così sottili da riuscire a distinguerli con difficoltà. Ma poi, con il proseguire dell’assalto, notò qualcosa che al suo occhio attento non poteva sfuggire: la progressiva imprecisione degli strali, che sembravano farsi più irregolari, permettendole di pararli con maggior facilità.

 

“Ho scovato il tuo punto debole, servo di Loki, e ora te lo dimostrerò!” –Esclamò, intensificando i suoi affondi, finché non sovrastarono numericamente i dardi di Drepa, piombando su di lui e scagliandolo indietro, con l’armatura scheggiata in più punti, dove i fasci di luce aurea l’avevano raggiunta.

 

“Per quanto tu sia un abilissimo arciere, al punto da riuscire a tenere sotto scacco persino me, Cavaliere dotato di ottimi riflessi, non riesci a padroneggiare la tua tecnica con la mano sinistra come sapevi fare con la destra! È una differenza minima, che forse altri non avrebbero notato, di un centinaio di colpi, un centinaio su quasi centomila. Ma quei cento ti sfuggono, vagano verso l’esterno, offrendo una breccia al tuo avversario!”

 

“I miei complimenti…” –Mormorò Drepa, rimettendosi in piedi, senza degnare il Cavaliere di Luce di sguardo alcuno. Si tolse la faretra ancora fissata alla schiena e la gettò via, accanto all’arco danneggiato.

 

“Accetti dunque la resa? Non vi è disonore quando si è combattuto con…” –Ma la frase di Reis restò a metà, mozzata dallo sguardo di odio sanguigno che Drepa le rivolse, scagliandola indietro con un’onda d’energia, veloce e poderosa.

 

“Resa?! Una parola che non esiste nel dizionario di un guerriero! Perché questo sono, e tale devi considerarmi! Drepa di Steinkjer, Sigtýr al servizio di Loki!”

 

Reis cercò di reagire ma si ritrovò schiacciata al suolo, in balia di una forza che le impediva di muovere i muscoli e rimettersi in piedi, mentre il cosmo del Dio di Vittoria cresceva sempre più, e l’immagine di un cacciatore con l’arco teso appariva alle sue spalle.

 

“Questo, Reis di Lighthouse, è il Canto del Guerriero! Ascoltalo… e muori!” –Ringhiò, scatenando l’assalto energetico contro la ragazza, travolta da quello che, ai suoi occhi, pareva l’avanzare furibondo di un intero esercito. –“Io sono un figlio della guerra, ad essa consacrato fin dalla giovane età, quando mi allenavo nel castello di mio padre con il mio maestro d’armi. Nello scontro trovo soddisfazione, nello scontro si concretizza il mio desiderio di vita. Nel ruscellare del sangue mi sento appagato. Nella supplichevole pietà degli sconfitti odo il cantare del mio trionfo! E tu, donna, vorresti che quattro lettere messe malamente assieme mi frenassero dal combatterti? Non rinuncerei ad uno scontro neppure se Loki me lo ordinasse!”

 

Il Cavaliere di Luce venne scaraventato in alto, prima di precipitare bruscamente al suolo, schiacciato da quel potente e inaspettato assalto. Perse la presa della Spada di Luce, che si piantò pochi metri avanti, ma se Reis temette che Drepa avrebbe tentato di impadronirsene poté tirare un sospiro di sollievo, poiché il Sigtýr pareva interessato soltanto a sconfiggerla, a privarla della vita. Quello, per lui, era il fine ultimo del loro scontro.

 

“Anche senza mani, rimango sempre il migliore, il più forte degli Dei di Vittoria! Loki avrebbe dovuto scegliere me come Comandante dei Soldati di Brina, invece mi ha preferito Erik, solo per una più longeva anzianità di servizio! Managarmr ha avuto quel che ha avuto solo perché riscaldava il letto di Loki! Hraesvelgr è indisponente e Bjuga… quello è uno stupido buono solo per sfondare le porte del Valhalla con la sua testa di mulo!” –Esclamò Drepa, gloriandosi del risultato.

 

Il Cavaliere delle Stelle giaceva di fronte a sé, sprofondato in un avallamento che il suo stesso corpo aveva generato all’impatto violento con il suolo. E non accennava a muoversi, l’armatura costellata di crepe da cui fluiva copioso il sangue.

 

Drepa la osservò compiaciuto, mentre il colare del sangue proseguiva, a ritmo apparentemente vertiginoso, tanto che lo stesso Sigtýr si chiese se la ragazza non avesse ferite aperte riportate in precedenza. Ma poi, sgranando gli occhi, dovette muovere un passo indietro, realizzando che quel che da lontano gli era parso sangue era in realtà polvere di stelle, il baluginare del cosmo del Cavaliere di Luce che stava aumentando di intensità, rivestendo il suo perfetto corpo di donna.

 

“C’è un altro motivo…” –Mormorò Reis, rimettendosi in piedi e portando i suoi occhi azzurri su Drepa. –“Per cui ho scelto questo nome! Non solo per la casa di luce in cui sono stata accolta, ma perché, là crescendo e di tali insegnamenti nutrendomi, ho saputo tirar fuori il cosmo che albergava in me, divenendo io stesso depositaria di un’energia che in origine non avrei mai creduto! Depositaria di uno degli elementi della natura, la luce di tutte le cose!!!”

 

Drepa espanse a sua volta il cosmo, mentre striature dorate simili a onde di energia scuotevano il manto erboso, fluttuando nella sua direzione e lambendogli le gambe.

 

“Lascia che ti dimostri, oh Drepa gran guerriero, qual è la vera forza! Se quella che nasce dalla volontà bellica… o quella che nasce dalla speranza!!!” –Esclamò Reis, bruciando al massimo il proprio cosmo, che turbinò attorno a sé come un mulinello di energia. –“A te rivolgo il colpo che dal mio maestro ho appreso! Questo è il Vortice scintillante di luceee!!!”

 

“Non basterà per contrastare il Canto del Guerriero furioso!” –Le fece eco Drepa, liberando l’impetuoso assalto e lasciando che si scontrasse frontalmente con quello di Reis.

 

L’inarrestabile marcia dell’esercito di Drepa parve frenare lo scatenarsi del mulinello di luce, ma il vorticare continuo dello stesso diventò una barriera che nessun soldato avrebbe potuto superare senza esserne dilaniato. Così, in un lampo dorato, il Canto del Guerriero venne travolto, sfaldato, disperso, mentre il turbine d’oro lucente si schiantava sul Dio di Vittoria, lacerando il suo corpo e condannandolo alla prima, e ultima, sconfitta.

 

La scomparsa del cosmo di Drepa fu avvertita dal Comandante dei Soldati di Brina, Erik il Rosso, intento in quel momento a massacrare, con la propria scure, un gruppo di Einherjar che, a suo sentire, avevano ardito fermarlo. Spostò lo sguardo più avanti, nel cuore della piana di Vígridhr, dove poc’anzi altri erano giunti a porgere aiuto ai Campioni di Odino.

 

Un uomo dai capelli neri e dalla folta barba scura stava infatti facendo strage di tutti i defunti che Hel aveva armato contro il Valhalla. Abile e preciso nel colpire, pareva non avere alcuna esitazione né paura di venire a sua volta ferito. Fu solo l’avvicinarsi della Regina degli Inferi, seduta in groppa a Garmr, a costringerlo a distogliere lo sguardo, per perdersi nei suoi occhi senza iride.

 

“Vedi questa scopa, vecchio guerriero? È l’arma con cui ti spazzerò via! Igh igh!” –Sogghignò la mostruosa figlia di Loki, mentre il grosso cane balzava avanti, cercando di azzannare la preda sfuggente, che rotolò sul terreno, evitando le sue fauci.

 

Quando Garmr si mosse, per scattare nuovamente su di lui, si accorse che un intricato labirinto di bianchi fasci di energia l’aveva circondato, impedendogli di muoversi. Ringhiando, la bestia cercò di evitarli, ma venne comunque raggiunto dalla maggior parte, che gli strapparono grida rabbiose.

 

“Che strepitio!” –Esclamò allora un uomo dalla voce melodiosa, comparendo a fianco dell’Einheri attaccato. –“Sarebbe opportuno coprire i latrati di questa bestia con una ben più nobile melodia! Magari la melodia della sua morte!”

 

Mime! Fai attenzione!” –Mormorò l’altro, alla vista del ragazzo dai capelli arancioni, dietro al quale, poco dopo, apparve un Cavaliere rivestito da una splendida armatura rosa, ornata da rifiniture d’oro. Un Cavaliere che, a giudicare dall’aria spaesata e dalla corazza, non apparteneva alle schiere dei Campioni di Odino.

 

Andromeda…” –Esclamò Mime, rivolgendosi a colui che l’aveva raggiunto. –“C’è una persona che voglio presentarti, prima che quest’accozzaglia guerresca ci separi di nuovo! Folken, mio padre!”

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 19
*** Capitolo diciassettesimo: La guerra infuria ***


CAPITOLO DICIASSETTESIMO: LA GUERRA INFURIA.

 

Cadaveri e macerie costellavano le vie di Asgard, la capitale del regno degli Asi.

 

Là dove un tempo sorgevano residenze sontuose ed eleganti, nelle cui stanze gli Dei si abbeveravano di idromele, raccontandosi le loro imprese leggendarie, adesso si alzavano mura storte, circondate da cumuli di rovine, tetti crollati, arazzi incendiati, sovrastati da nubi di fumo così denso da rendere difficile la respirazione.

 

Ma per Luxor non era un problema. Lui sapeva camminare basso sul terreno, quasi a quattro zampe, restando in questo modo al di sotto del fumo, ponderando ogni mossa con i sensi tesi al massimo, atti a captare il benché minimo movimento.

 

Adesso era intento nella sua attività preferita, a cui aveva destinato gli anni successivi all’omicidio dei genitori. La caccia. Seppure il luogo fosse difforme dalle innevate foreste del Recinto di Mezzo, la pratica era sempre la stessa. Lui era il cacciatore e il suo nemico era la preda. Che fosse un cinghiale, un cervo o un lupo mostruoso, per lui non faceva differenza, sempre determinato a sgozzarlo e a gloriarsi di tale trofeo.

 

Gli Ulfhednir avanzavano silenziosi alle sue spalle, seguendo colui che, nel giro di pochi mesi, era diventato il capo del loro gruppo ristretto. Il capo del branco.

 

Sapevano che la preda era vicina, la causa di tutta quella distruzione. Luxor poteva quasi percepirne l’odore. Un odore acre, pungente, che gli ricordava gli anni trascorsi nelle foreste con i lupi. L’odore del sangue.

 

Una sagoma immensa apparve improvvisamente di fronte a loro, in parte avvolta dal fumo che si levava dai numerosi incendi che costellavano Ásaheimr. Una sagoma che calò ringhiando su tutti loro, digrignando gli affilati denti ancora macchiati di rosso.

 

“Ora!” –Gridò Luxor, balzando di lato, mentre il resto del branco faceva altrettanto, disponendosi attorno all’enorme creatura fino a circondarla. Uno dopo l’altro gli Ulfhednir si lanciarono avanti, in alto o sotto il peloso corpo del gigantesco lupo, decisi a ferirlo con i loro artigli. Luxor puntò subito alla gola, certo che fosse il punto più debole, il punto che gli avrebbe concesso una rapida vittoria.

 

Ma la sua preda non era un cervo, né un placido animale che abitava le bianche distese del nord, bensì un lupo furioso, un cacciatore suo pari. Con un rapido movimento, si mosse di lato, evitando numerosi affondi e scuotendo la folta coda con cui spazzò via alcuni Ulfhednir. Pochi furono quelli che riuscirono a raggiungerlo, in punti non vitali del suo grosso corpo, e Luxor non fu tra questi.

 

“Non dimenticare chi hai di fronte! Il figlio della notte! Il re dei cacciatori!” –Sibilò il lupo, fissando il ragazzo dai lunghi capelli grigi atterrare compostamente a terra, dopo aver evitato la violenta zampata. –“E tu, ai miei occhi, sssei sssolo una croce di osssa con tanta buona ciccia attaccata!”

 

“Chissà che questa croce non ti resti conficcata nel palato, Hati, squarciandoti la cavità orale fino alle budella!” –Ringhiò Luxor, con tono divertito, mentre i suoi compagni si rimettevano in piedi.

 

Hati Hródvitnisson, fratello di Skoll, uno dei corpulenti lupi generati nella Foresta di Ferro, sogghignò beffardo, prima di avventarsi sul guerriero di Odino. Luxor deviò a destra, per schivare l’artigliata poderosa che abbatté il muro di un edificio alle sue spalle, rotolando sulla strada lastricata, per poi rialzarsi e lanciarsi contro di lui.

 

Ma, per quanto di grossa stazza, alto sei o sette metri, Hati era sorprendentemente agile e fu lesto a muovere l’altra zampa per colpire Luxor ancora in volo. Lo ferì al ventre, strappandogli parte della pelliccia di lupo di cui era rivestito e pezzi di pelle, prima di sbatterlo al suolo, sollevando poi l’arto e leccando il sangue colante dai suoi unghioni. Inebriandosene.

 

Luxor ringhiò, affannando nel rimettersi in piedi. Spinse via alcuni Ulfhednir che gli si avvicinarono per aiutarlo a rialzarsi e strinse i denti, pronto per attaccare di nuovo.

 

Conosceva quella sensazione, la stessa che ubriacava l’animo di Hati, la stessa di cui il branco dei massimi sostenitori di Odino si nutriva. Quell’invasamento che li rendeva più simili ad animali che a uomini, più simili al simbolo della loro esistenza.

 

“Lupo contro lupo, Hati! Zanna contro zanna!” –Sibilò Luxor, espandendo il cosmo, come non faceva da tempo, da quando, asceso al Valhalla, aveva rinunciato a esercitare la propria energia interiore, preferendo un diverso tipo di approccio alla guerra. Lo stesso che gli aveva permesso di sopravvivere nelle foreste di Midgard per anni, da solo, assieme ai lupi.

 

Mossstrami quel che sssai fare, mio bel gatto ssselvatico!” –Sghignazzò Hati, portando lo sguardo su di lui e aprendo la bocca, con un movimento teso a soffiare in faccia a Luxor il suo fetido alito. Il suo fiato che, al pari del fratello, poteva generare correnti di aria fredda.

 

Denti del Lupo, azzannate!” –Esclamò colui un tempo investito da Ilda del titolo di Cavaliere di Asgard della stella Epsilon Ursae Majoris.

 

Da quanto tempo non pronunciava quelle parole. Dal suo ultimo scontro, combattuto con Sirio il Dragone di fronte alla grande cascata gelata.

 

Era strano ricordare qualcosa che, sebbene avvenuto soltanto un anno prima, aveva quasi rimosso. O semplicemente non vi aveva più prestato attenzione. Da quando era asceso al Valhalla aveva trascorso poco tempo con i vecchi compagni, uomini a cui in fondo non era legato, avendo in comune soltanto l’essere appartenuti, per un breve arco di tempo, alle schiere dei difensori di Midgard. Troppo poco, per Luxor, per stabilire un legame maggiore che andasse al di là dell’obbedienza alla Celebrante di Odino, donna che gli aveva donato l’armatura appartenuta a suo padre e di fronte alla quale persino i suoi lupi si erano prostrati.

 

Ricordava ancora la conversazione avuta con Odino il giorno stesso in cui il Dio li aveva accolti nel Valhalla.

 

“C’è qualcosa che vorresti dirmi, giovane lupo?!” –Aveva chiesto il nume a Luxor, ancora inginocchiato ai piedi dell’alto scranno, dopo che i suoi quattro compagni si erano allontanati.

 

“Mio Signore… perché mi avete accolto nel Valhalla? Non sono degno di questo onore!”

 

“Lo credi davvero? O semplicemente non lo vuoi?”

 

“Non lo voglio, perché non credo di essere uno di quei Campioni da cui meritate di essere difeso! Non ho fede negli uomini, né negli Dei, solo in me stesso! Non potrei essere parte di un gruppo!”

 

“Le tue crude parole sono sincere e la vita che hai trascorso nei boschi, dopo la morte dei tuoi genitori, ne è valida testimonianza! Credevo di farti gradito dono nel permetterti di unirti alle schiere che hanno accolto anche tuo padre prima di te! Se non altro per il piacere di rivederlo! Speravo, così facendo, di dare calore al tuo freddo cuore solitario!”

 

Io… è passato tanto tempo… sono abituato a stare da solo. A vivere da solo…

 

“Se questo è il tuo volere, io lo rispetterò!” –Aveva esclamato Odino alzandosi in piedi. –“Ma non credere di potertene andare in giro per la terra degli Asi senza far niente! Tutti qui hanno uno scopo ultimo, e lo avrai anche tu, sia pur percorrendo una strada diversa da quella dei tuoi compagni! C’è qualcuno che voglio presentarti… Qualcuno che forse potrebbe essere interessato ad averti nel suo branco…

 

“Branco?!” –Aveva balbettato Luxor, non capendo.

 

“Branco sì! Potrai vivere con loro nelle foreste di Ásaheimr, e al tempo stesso vivere da solo! Spero però tu non voglia morire da solo! Sarebbe triste… davvero triste!”

 

Come mai quelle parole gli tornassero in mente proprio adesso, nel cuore dello scontro, Luxor non seppe spiegarselo. Dovette però fare attenzione alla corrente di aria gelida emessa dalle fauci di Hati, corrente in grado di rallentare il suo attacco, non troppo potente, e di spingerlo indietro, fino a farlo schiantare contro le mura di un palazzo alle sue spalle.

 

Gli altri Ulfhednir prontamente intervennero in aiuto di colui che avevano scelto come guida, il guerriero sciamanico che più di ogni altro era riuscito a fondersi con l’animale totem del loro branco.

 

Hati dovette difendersi su più fronti, mentre gli Ulfhednir lo attaccavano con impeto, balzando su di lui, arrampicandosi sui suoi arti, sulla sua coda, sul manto di pelo grigio, azzannando con i loro canini, affondando le lunghe unghie predatrici. Non possedevano cosmo, né impugnavano armi, ma facevano uso soltanto del corpo, proprio come i lupi, unico e necessario strumento per vincere ogni caccia.

 

Guaendo irritato, il grande lupo di Járnviðr si sbarazzò dei suoi nemici, sbattendoli a terra, calpestandoli e dilaniandoli con i suoi artigli, osservando il sangue imbrattare il lastricato ove un tempo gli Asi marciavano festosi, distribuendo sorrisi alle loro genti.

 

Luxor quei bei tempi non li aveva conosciuti né, se anche avesse potuto, avrebbe mai preso parte ad alcuna parata o banchetto. Ciononostante non aveva intenzione di cedere. Non tanto per onorare Odino, quanto per se stesso, per l’impeto ferino che lo dominava e lo portava a non abbandonare mai alcuna caccia una volta iniziata.

 

Si rialzò e si mosse così velocemente che Hati, intento a squartare il petto di un Ulfhedinn, se ne avvide soltanto quando le unghie del ragazzo gli lacerarono il mento, strappandogli un ciuffo di peli argentati. Furioso, il grande lupo si avventò sul guerriero di Odino, deciso a cavargli il cuore a morsi, quando fasci di energia, simili a fauci di fiera, si schiantarono su di lui, obbligandolo a balzare indietro, abbattendo, con il suo ingombrante movimento, parte di un palazzo. Ydalir, l’antica residenza di Ullr, il Dio Cacciatore, per quanto poco vi avesse dimorato, preferendo, al pari degli Ulfhednir, la vita nei boschi e all’aria aperta.

 

“Chi osssa disssturbare il mio pranzetto?!” –Sussurrò Hati Hródvitnisson, fendendo l’aria torbida con i suoi occhi color diamante e accorgendosi dell’elegante sagoma di un uomo che avanzava a passo fermo nella sua direzione.

 

Rivestito da un’armatura blu, che Luxor ben conosceva, si fermò solo a pochi passi dal ragazzo, in piedi al centro della strada, porgendogli un sorriso così intenso, come mai l’aveva ricevuto.

 

Daeron, questo è il mio nome! Del casato dei Luxor!” –Esclamò l’uomo dai capelli celesti, riportando lo sguardo su Hati e fronteggiandolo con fierezza. –“E sono il padre del ragazzo che hai ferito!”

 

Luxor osservò il genitore per un lungo istante, ripescando l’immagine dagli abissi della memoria. Una memoria di affetti che aveva dimenticato. E dovette ammettere di non trovarlo poi così diverso da come l’aveva visto l’ultima volta, quando, dimessa da anni l’armatura del Nord e armato soltanto di un ramo, era morto nel tentativo di proteggere la sua famiglia dall’aggressione di un orso.

 

Padre…

 

“Un doppio ssspuntino val bene una doppia fatica!” –Commentò Hati, lanciandosi avanti. Daeron si gettò di lato, afferrando Luxor e trascinandolo con sé, evitando la carica del grande lupo. Spinse il figlio dietro un muro, pregandolo di rimanervi fino al termine dello scontro, ma quando fece per ritornare sulla strada Luxor lo fermò.

 

“Non pretenderai che mi nasconda, rifuggendo la battaglia?!”

 

“Voglio solo che curi le tue ferite, senza affaticarti! Lascialo a me!” –Si limitò a rispondere suo padre, voltandosi verso di lui.

 

“Faresti prima a chiedermi di suicidarmi allora!” –Commentò Luxor bruscamente, oltrepassando Daeron e muovendosi per tornare in strada.

 

“Luxor!” –Lo richiamò allora suo padre. –“Sono passati così tanti anni… Ti prego, già una volta non ho potuto impedire che alla donna che amavo fosse fatto del male! Concedimi almeno di proteggere mio figlio! L’unico che ho!”

 

Il ragazzo non disse niente e, quando si mosse, fu per balzare sul cornicione del muro, dove gli occhi di ghiaccio di Hati erano appena comparsi. –“Mi cercavi?!” –Ringhiò, portando avanti il pugno destro, con gli artigli sguainati, deciso a conficcarglieli negli occhi.

 

Sssì!” –Rispose Hati, muovendo una zampa e colpendo il ragazzo in volo, scaraventandolo a terra, con nuove ferite aperte.

 

“Luxor!!!” –Gridò Daeron, uscendo da dietro il muro, con il cosmo acceso e il pugno chiuso. –“Denti del Lupo!!!”

 

I fendenti energetici ferirono Hati in più punti, per quanto l’animale fu svelto a balzare indietro e a evitare di essere raggiunto al volto. Nonostante fosse grosso e abile, era comunque vulnerabile ad attacchi di tipo energetico, non avendo altra difesa che la sua coriacea pelle.

 

“Non ho bisogno di te, padre! Non sono più un ragazzino impaurito, rimasto orfano in una foresta! Sono uno dei guerrieri di Odino, un Ulfhedinn, e sono abituato a combattere da solo le mie battaglie!” –Mormorò Luxor, rimettendosi in piedi.

 

“È per questo motivo che hai rifiutato la corazza della nostra casata? Non credevo fosse vero, quando Freyr mi comunicò la decisione di Odino che io ne fossi il portatore il giorno di Ragnarök! ‘Tuo figlio ha scelto pelli diverse!’ Mi aveva detto il Principe dei Vani. E solo oggi, vedendoti, ho capito cosa intendesse!”

 

“Cos’è?! Non ti piaccio?!” –Si lamentò Luxor, e in fondo non poté biasimare suo padre, ai cui occhi non sarebbe apparso diverso da un selvaggio.

 

Magro, e più basso dei suoi pari, aveva lunghi capelli grigiastri che svolazzavano nel vento e un viso spigoloso, ornato da una barba poco curata. Come gli altri Ulfhednir, indossava soltanto una pelle di lupo, che gli copriva l’anca e parte del petto, ma ormai era rimasta solo una fascia attorno alla vita, su cui grondava il sangue delle ferite aperte sul suo corpo.

 

“Non ho detto questo, né mai lo dirò!” –Esclamò suo padre. Ma prima che potesse aggiungere altro dovette difendersi dalla rinnovata carica di Hati, che balzò su di loro a zanne digrignate, scavalcando un gruppetto di devoti guerrieri.

 

“Attento!!!” –Gridò Daeron, spostandosi in fretta, mentre il figlio faceva altrettanto, gettandosi sull’altro lato della strada. Hati si volse allora verso di lui, mentre l’uomo concentrava nuovamente il cosmo attorno al pugno destro, e lo anticipò, colpendolo con una zampata in pieno volto e sbattendolo a terra.

 

Nell’urto il Campione di Odino perse l’elmo, che rotolò distante, mentre un ruscello di sangue gli imbrattava il volto. Ma grazie alla protezione della corazza non riportò ferite maggiori. Furono comunque sufficienti per infervorare ulteriormente l’animo bestiale di Hati, che si mosse per balzare su di lui.

 

“Hai dimenticato qualcosa!” –Esclamò la squillante voce di Luxor, ponendosi in mezzo ai due contendenti e lanciandosi contro un arto del lupo. –“Quando si inizia una caccia, non c’è modo di sottrarsi alla sua fine. O si vince o si perde, questa è la regola!” –Nel dir questo si aggrappò al folto pelo grigio, piantando le sue unghie affilate e strappando un grido al lupo di Járnviðr, che si agitò, cercando di liberarsi di lui. Con l’altra zampa, sbatté Luxor nel terreno, affondando gli artigli nella sua pelle, ma quando sollevò l’arto destro, dovette muoverlo per parare violenti fendenti energetici che Daeron aveva intanto diretto contro di lui.

 

L’attacco di energia cosmica spinse Hati indietro, aprendogli nuovi squarci sul corpo, dove chiazze purpuree iniziarono a maculargli il pelo, togliendogli parte del suo smalto argenteo.

 

“Come hai fatto a trovarmi?” –Domandò allora Luxor a suo padre.

 

“Stavo andando a Vígridhr, dove Tyr ha radunato il grosso dell’esercito di Einherjar, quando ho sentito avvampare il tuo cosmo. Una fiammella quasi, nel caos che sovrasta Asgard, ma sufficiente per farmi notare quanto fosse simile al mio!”

 

“Non siamo simili, padre. Tu sei stato un eroe, un Cavaliere che ha combattuto per difendere Asgard, fedele sostenitore della corona nella guerra di Iisung. E sei stato un buon marito. Idri potrebbe testimoniarlo! Io invece sono solo, come un lupo, e come tale combatterò!” –Esclamò Luxor, incamminandosi a fatica lungo la strada, lasciando dietro di sé una scia di sangue.

 

“No, non lo sei! Perché io sono con te!” –Lo chiamò Daeron. –“Che tu voglia accettarlo o meno, moriremo insieme quest’oggi, figlio mio! La foresta ti ha fatto da madre, i lupi ti hanno fatto da fratelli, la solitudine ti è stata compagna! Ma che le mie parole, e i miei gesti, possano ricordarti che solo non sei!” –Non disse altro e scattò avanti, sorpassando Luxor e avvampando nel suo cosmo azzurro.

 

Hati, ripresosi, fronteggiò l’assalto dell’uomo, liberando il suo alito freddo, che come una corrente di gelo ghiacciò parte degli affondi energetici di Daeron, disperdendone altri e facendo sì che venisse raggiunto solo in un paio di punti. Due sole ferite, ma sufficienti per farlo barcollare. Daeron approfittò di quel momento per balzare su di lui, ma Hati fu più lesto e lo sbatté al suolo, staccandogli la testa con una zampata dei suoi mastodontici artigli, di fronte allo sguardo raggelato di Luxor.

 

Rotolò fino ai suoi piedi, l’aggrovigliata matassa di capelli sporchi di sangue, il volto fermo, con le labbra ancora contratte nelle ultime parole che aveva rivolto al figlio.

 

“Solo non sei! Sei mio figlio, un figlio degli uomini!”

 

L’antico Cavaliere di Asgard sollevò lo sguardo verso Hati, portando il braccio avanti e chiudendo il pugno, in chiaro segno di sfida, mentre tutto attorno a sé avvampava il cosmo che gli apparteneva, carico delle reminescenze del suo glorioso casato.

 

“Per quel che può valere, padre…” –Mormorò, lanciandosi avanti, mentre già l’alito freddo dell’ancestrale creatura lo investiva, gelandogli la pelle e le magre ossa. –“Ti ho sempre ricordato, ti ho sempre portato nel cuore! Assieme a Idri e a King! Voi, e i lupi, le mie due famiglie! Per onorarvi scateno i Lupi nella Tormenta!!!”

 

Gli affondi energetici dilaniarono la carne del fratello di Skoll, strappandogli ringhi rabbiosi, mentre ovunque schizzava il sangue scuro della bestia, imbrattando persino Luxor, che a tale odore era comunque avvezzo. Il ragazzo evitò una zampata di Hati, balzando sul suo dorso e affondando gli artigli nella carne, scaricandovi tutto quel che restava del suo potenziale cosmico. Gli altri Ulfhednir rimasero paralizzati, attorno al grande lupo, ad osservarne il corpo straziato, pervaso da grida che parevano non esaurirsi.

 

Fu un fascio di energia a porre fine alla sua vita, un’unica e precisa retta luminosa che lo raggiunse al centro del muso, trapassandolo e facendolo crollare a terra, mentre Luxor veniva sbalzato via a sua volta. Quando la luce scemò di intensità, i guerrieri fedeli a Odino poterono ammirare una lunga lancia conficcata nel cranio della bestia. Una lancia che ben conoscevano, avendola rimirata in mano al Capo delle Schiere ogni volta in cui l’avevano seguito in battaglia.

 

E proprio Odino Herran, il Signore Supremo degli Asi, apparve pochi istanti dopo dall’altro lato della strada dove lo scontro tra Hati e gli Ulfhednir si era consumato, con Geri e Freki ai suoi lati.

 

Splendido, in groppa a Sleipnir, il nume sapiente e terribile si avvicinò al gruppo di sopravvissuti, aprendo il palmo della mano destra e richiamando a sé la sua arma, che si staccò dal muso di Hati, illuminandosi, prima di tornare nella salda presa di colui che con essa poteva frantumare mondi.

 

Gungnir! Forgiata dai nani!” –Esclamò il Padre di Tutti, ai cui piedi gli Ulfhednir ancora in vita si inginocchiarono. –“Sentiti onorato di questa fine, immondo animale figlio dell’ombra! Non è da tutti essere immolati dalla lancia di un Dio!”

 

“Mio Signore…” –Fece per parlare uno dei guerrieri, indicando i feriti, ma Odino lo zittì con un cenno della mano, volgendo il cavallo e preparandosi per correre via.

 

“Ci sarà tempo per onorare i caduti e curare i feriti! Ma non adesso! Adesso la guerra ci attende, un inferno di fuoco che sta abbrustolendo la Roccia del Cielo!” –Declamò, prima di spingere Sleipnir avanti. –“Seguitemi, Mantelli di Lupo! Una festa vi attende, il banchetto dei corvi e dei lupi!”

 

Gli Ulfhednir obbedirono senza esitazione, ululando e scattando ai fianchi di Odino, lasciandosi alle spalle il corpo ferito di Luxor, crollato a terra a pochi metri dalle carcasse senza vita di Hati e di suo padre.

 

Non hai deluso le mie aspettative, Giovane Lupo. Pensò il Padre di Tutti. E sono lieto che, anche solo per breve tempo, tu abbia rivisto tuo padre e vi siate potuti parlare. Credi alle sue parole; anch’io, al par suo, temo per i miei figli. Sospirò, avanzando nella direzione da cui provenivano fiamme e fumo e ricordando le ultime parole della Veggente.

 

Chi vivrà degli uomini quando sarà trascorso quel famoso Fimbulvetr tra i mortali?

 

La realtà fu peggiore persino delle sue aspettative. Questo Odino dovette ammetterlo, quando comparve ai margini di Ásaheimr, nella valle, un tempo fiorita, che conduceva alla beatitudine di Himinbjörg.

 

Là, Vidharr, suo figlio, stava guidando i Giganti fedeli al Valhalla, assieme alle prime schiere di Nani e di Einherjar che assieme a lui avevano varcato Valgrind. Ma prima di loro, le legioni femminili di Odino erano giunte a portare aiuto al prode Heimdall, le splendide Valchirie guidate da Brunilde, le cui schiere si erano assottigliate a causa del violento attacco scatenato dai Giganti di Fuoco. Un’orda demoniaca a cui non avevano potuto opporsi.

 

“Padre!” –Esclamò Vidharr, correndo incontro a Odino, mentre gli Ulfhednir, Geri e Freki scattavano avanti, in aiuto alle Valchirie e agli Jötnar. –“La situazione è tragica! Il Dio Bianco e Brunilde sono riusciti a contrastare l’avanzata dei Soldati di Brina, ma quando i figli di Muspell hanno distrutto Bifrost, non hanno potuto fare altro che ripiegare, permettendo agli eserciti di Loki di invadere Ásaheimr. Molte residenze sono state saccheggiate e nelle strade di Asgard ho sentito combattere!”

 

“L’ho visto, figlio mio! Proprio là mi ero recato, attirato dallo spegnersi continuo di cosmi a me cari!” –Commentò il nume, prima di spostare lo sguardo dai lunghi capelli marroni di Vidharr al rosso assassino delle fiamme di Muspell.

 

L’intero declivio che un tempo conduceva alla residenza di Heimdall e al Ponte degli Dei era un oceano di fuoco, dove vampe continue si innalzavano al cielo, saturo di quel fumo che, spinto dai venti, stava ormai ricoprendo l’intera Asgard. Ovunque il Dio posasse lo sguardo riusciva a scorgere mostruose figure che parevano composte di pura fiamma, che ondeggiavano silenti prima di abbattersi contro i suoi guerrieri o i Giganti a lui fedeli, trapassandone i corpi, incendiandoli, incenerendoli.

 

Proprio da quel mucchio di fiamme, Odino vide arrivare due cavalli, sopra i quali si ergevano, stanche e affumicate, l’impavida Brunilde e la sua seconda in comando, Hnoss dalle trecce d’oro. Proprio lei, la bella figlia di Freya, portava con sé il corpo stanco del Custode del Ponte Arcobaleno, che trovò comunque la forza di smontare da cavallo e inginocchiarsi di fronte a Odino.

 

“Sommo Wotan…” –Tossì Heimdall, prima di rimettersi in piedi, aiutato da Vidharr. –“Abbiamo cercato di fare quanto in nostro potere…

 

“Lo so, mio buon amico! Lo so!” –Si limitò a commentare Odino, osservando le condizioni in cui versava il nobile Guardiano. La sua Veste Divina era danneggiata in più punti, annerita dai fumi in mezzo ai quali aveva combattuto finora. Una ferita alla spalla gli aveva imbrattato di sangue il braccio sinistro e un’altra gli segnava la fronte. Pur tuttavia Heimdall si ergeva ancora, l’ascia stretta in mano, il Gjallarhorn ammaccato affisso alla cintura.

 

“Attenti!!!” –Gridò Vidharr, indicando una palla di fuoco che, scagliata da qualche Gigante di Muspellheimr, stava per schiantarsi su di loro. Congiunse le mani, evocando una barriera protettiva che ricoprì tutti i loro corpi, mentre Odino sollevava la lancia, che emise un sottile ma potentissimo raggio di luce capace di distruggere la sfera incandescente all’istante. Le scintille infuocate non raggiunsero nessuno dei presenti, riparati dietro il velo di energia di Vidharr.

 

“È in questo modo che abbiamo resistito finora, contenendo le perdite! Ma non possiamo rimanere inerti in difesa, né i miei poteri potranno durare per sempre!”

 

Vidharr dice il vero, mio Signore!” –Intervenne Brunilde. –“Avremmo bisogno di Einherjar dotati di poteri congelanti o capaci di controllare l’acqua e la pioggia! E solo le Norne sanno quanta ce ne vorrà per spegnere quest’incendio senza fine!”

 

“Rimpiango di non avere Njörðr al mio fianco! Il Dio dei Venti avrebbe spento senza problemi queste maledette fiammelle!” –Ringhiò Odino, sollevando di nuovo Gungnir e distruggendo una seconda sfera infuocata che stava piovendo su di loro.

 

Ma gli Dei e le Valchirie non ebbero tempo di parlare d’altro che un paio di enormi sagome, di fiamme e magma composte, si ersero loro di fronte, allungando le braccia nella loro direzione. Odino spinse Sleipnir verso destra, evitando i fiotti incandescenti, mentre Brunilde e Hnoss, recuperato Heimdall, sfrecciarono nella direzione opposta, in groppa ai loro destrieri, ben allenati ma stanchi.

 

Soltanto Vidharr, l’Ase Silenzioso, rimase impassibile al suo posto, le mani giunte e il cosmo radunato attorno a sé in modo da creare un velo, leggero ma indistruttibile, su cui la fiumana di magma scivolò via, senza raggiungere il suo corpo al di sotto.

 

“Dobbiamo aiutarlo! Non potrà rimanere bloccato in quel guscio per sempre!” –Esclamò Brunilde, agitando le briglie del cavallo e spingendolo a tornare indietro, mentre il cosmo si espandeva attorno a sé. –“Cavalcata delle Valchirie!!!” –Gridò, sollevando un vento freddo che diresse contro le due figure di puro fuoco, che videro sfrecciare verso di loro un esercito di guerriere armate composte di aria e nuvole.

 

“Non è potente come quelli del Dio del Vento e della Navigazione il mio attacco, ma se posso essere utile sarò lieta di dare la vita, come le mie sorelle hanno fatto prima di me!” –Disse, mentre anche Hnoss univa il cosmo a quello della sua comandante.

 

“Parole audaci, bella Brunilde! Parole che condivido appieno!” –Replicò Heimdall, scendendo di sella e bruciando il cosmo. –“Corno risuonante!” –Gridò, sommando il proprio potere a quello delle Valchirie, sì da infondere maggior potenza ai venti scatenati da Brunilde, unica, tra i presenti, dotata di un potere che potesse, se non spegnere, quantomeno disperdere le fiamme avverse.

 

I tre riuscirono nel loro intento, proprio mentre Odino tornava a fianco di Vidharr, che aveva appena tolto il suo velo difensivo, annientando, con un’esplosione di energia, la lava e le fiamme che lo avevano imprigionato.

 

Non riuscirono neppure a gioire che già nuovi Giganti di Fuoco marciarono verso di loro, attratti da quel gruppetto che pareva resistere alla loro marcia.

 

Odino puntò la lancia, pronto per colpire, mentre Brunilde, Hnoss e Heimdall, disposti i cavalli di fronte al Signore degli Asi, espandevano i loro cosmi e Vidharr sollevava di nuovo la barriera protettiva. Furono tre voci a sorprenderli però, voci che non provenivano dall’inferno di fronte a loro, bensì dalle loro spalle.

 

“Serve del ghiaccio, mio Signore?!” –Esclamarono tre ragazzi, mentre una tempesta di gelo si scatenava contro i Giganti di Muspell, fermando la loro avanzata e tramutandoli in rozze statue di ghiaccio, che andarono in frantumi poco dopo.

 

Il Padre delle Schiere si voltò, avendo riconosciuto le voci, e sorrise a due suoi Einherjar, Mizar e Artax, che accompagnavano il biondo Cavaliere di Atena a cui la sorella della sua Celebrante a Midgard si era unita, Cristal il Cigno.

 

 

 

 

 

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Capitolo 20
*** Capitolo diciottesimo: Padri e figli ***


CAPITOLO DICIOTTESIMO: PADRI E FIGLI.

 

Odino sorrise alla vista di due dei cinque Einherjar che aveva inviato lungo le radici di Yggdrasill, e fu ancora più contento nel vedere che erano accompagnati da Cristal il Cigno, il Cavaliere di Atena che meglio conosceva, avendolo ospitato in occasione di due suoi precedenti soggiorni.

 

Mizar! Artax! Siete dunque tornati dagli altri mondi?”

 

“Sì, mio Signore!” –Esclamarono i due guerrieri, inginocchiandosi ai piedi del Padre di Tutti. –“Le vostre previsioni erano esatte! La Celebrante di Odino ha aperto infatti ai Cavalieri di Atena la segreta via che, tramite gli antichi portali, conduceva ai mondi, permettendo loro di giungere in nostro aiuto!”

 

“E dove sono gli altri?”

 

“Si sono separati! Di Dragone non abbiamo notizie, ma Pegasus sta affrontando il Serpe del Mondo di fronte al Valhalla! Il suo agitarsi continuo ha distrutto i ponti sul Thund, separandomi dal Cavaliere delle Stelle che era giunto nella Terra dei Nani!”

 

“Un Cavaliere delle Stelle?!” –Mormorò Odino, con acceso interesse.

 

“Sì, Avalon ha inviato Jonathan di Dinasty e una compagna in nostro aiuto! Credo si siano diretti a Vígridhr, assieme a Orion, Mime e al Cavaliere di Andromeda!”

 

“Di questo sono lieto! Ogni aiuto in più è ben accetto, soprattutto esperti combattenti addestrati dal Signore dell’Isola Sacra in persona!” –Commentò il Dio, prima di spostare lo sguardo su Cristal. –“Mi fa piacere rivederti, Cavaliere del Cigno!”

 

“Fa piacere anche a me, Signore degli Asi!” –Esclamò il ragazzo, accennando un inchino, senza riuscire a nascondere il dolore che sentiva ancora per le ferite riportate durante lo scontro con Beli. Strinse i denti, ma il gesto non sfuggì a Odino che posò poi lo sguardo su Artax, che raccontò l’accaduto.

 

“I figli di Muspell… sono qua…” –Mormorò il Cavaliere, prima di guardarsi attorno e vedere l’aria satura di fiamme e fumo.

 

“E noi dobbiamo tenerli a bada!” –Esclamò Odino, prima di gridare a tutti i presenti di spostarsi, poiché enormi vampate di fuoco stavano ardendo il terreno, sfrecciando nella loro direzione, quasi fossero serpenti di pura fiamma. –“Attenti!!!”

 

Cristal, Artax e Mizar scattarono avanti, avvolti nei loro gelidi cosmi, mentre Vidharr sollevava nuovamente il manto protettivo, giusto in tempo per evitare che le Valchirie e i loro cavalli venissero travolti dall’incendiario assalto.

 

Polvere di Diamanti!!!” –Gridò il Cavaliere di Atena, portando il braccio destro avanti e liberando un getto di energia congelante che rivestì le fiamme di uno strato di ghiaccio, che subito andò in frantumi. Ma altre, neppure un istante dopo, già le avevano sostituite, riempiendo l’aria di un calore allucinante.

 

Nevi di Asgard, cadete!!!” –Esclamò allora Artax, affiancato da Mizar. –“In nome dei Ghiacci Eterni!”

 

I due attacchi congelarono l’inferno che li aveva attorniati, concedendo ai presenti un po’ di respiro. Erano rimasti pochi Soldati di Brina a Himinbjörg, avendo Erik ordinato alla quasi totalità di marciare su Vígridhr, dove avrebbero incontrato Loki, lasciando il campo ai Giganti di Fuoco. Ma quei pochi pensarono di approfittare del momentaneo calo di fiamme per scagliarsi all’assalto di Odino e dei suoi compagni.

 

“Poveri stolti!” –Commentò Mizar. –“Rispetto alle fiamme di Muspell, ben misero timore incutono in me!” –E sfrecciò in mezzo a loro, con il cosmo scintillante tra le dita, artigliando i fianchi nemici, strappando le loro tute protettive e facendoli urlare di dolore, mentre le unghie della tigre del nord falciavano le loro vite.

 

In quel momento, Heimdall si avvicinò a Cristal, ansimando per lo sforzo continuo a cui era stato sottoposto. Il Cavaliere del Cigno quasi non riconobbe il Custode di Bifrost, solitamente perfetto negli abiti e nella postura, mentre adesso, scompigliato e ferito, assomigliava più a un rustico guerriero che non alla Sentinella Celeste.

 

“Cavaliere di Atena… Devo parlarti!” –Affermò, posando una mano su una spalla del ragazzo. –“Mia è la colpa! Non sono riuscito a capire… eppure, avrei dovuto!”

 

Heimdall…” –Mormorò Cristal, non capendo a cosa si riferisse. E anche Odino si avvicinò, intuendo quel che si agitava nell’animo del Custode di Ásbrú.

 

“La Principessa di Midgard… sorella della Celebrante… lei è giunta a Bifrost con Loki, ma io non avevo capito… che era sua prigioniera!” –Balbettò, raccontando a Cristal il modo in cui l’Ase lo aveva ingannato. –“Avrei dovuto prestare più attenzione, leggere i tormenti nel suo cuore… ma non l’ho fatto, li ho lasciati entrare! Ho permesso al Grande Ingannatore di violare il suolo di Asgard!”

 

“Non biasimarti, vecchio amico! Hai svolto il tuo lavoro bene come sempre! Gli inganni di Loki, i suoi malefici, sappiamo bene quanto siano perfetti! Ricordi quando, secoli addietro, tentò di uccidere mio figlio? Si mutò in una vecchia di nome Thokk, offrendosi per guarirlo dagli incubi che aveva. Nessuno sospettò di lui, neppure io né la mia adorata Frigg, che trascorreva le giornate accanto al letto di Balder! Perciò non sentirti in colpa, perché non devi, ma sentiti fiero del servigio che hai reso a Asgard per tutti questi millenni, difendendola da molti pericoli!”

 

“Ma non da questo!” –Commentò Heimdall chinando il capo, vittima dei sensi di colpa. –“Non dall’unico a cui avrei davvero dovuto porre attenzione! Ho fallito, mio Signore, e pagherò, lo giuro, pagherò per questa mia mancanza! Anche con la vita!”

 

“Se davvero vuoi espiare le tue colpe, quali che siano, Custode del Ponte Arcobaleno, allora aiutami a salvare Flare! Sarà la punizione migliore che potresti ricevere, il modo per liberarti dai tuoi fantasmi! Ed io sarò onorato di combattere al tuo fianco!” –Esclamò Cristal con un sorriso. –“Portami da Loki, adesso! Devo trovare la Principessa, l’ho promesso a Ilda! E a me stesso!”

 

Heimdall fissò per qualche istante il Cavaliere di Atena, gli occhi lucidi per i sensi di colpa e per le belle parole che gli aveva rivolto, forse l’unico, in tanti secoli, che aveva suscitato in lui simpatia e ammirazione. Colui che adesso gli porgeva la mano, da stringere per suggellare il loro patto. Un patto a cui avrebbero prestato fede fintantoché Flare non fosse stata al sicuro.

 

“Dov’è Loki?” –Chiese Cristal.

 

“Nello stesso luogo da cui sorgono strida infernali e urli di guerra! A Vígridhr!” –Ripose Heimdall, prima che lo scalpitio dei cavalli delle Valchirie si facesse sempre più vicino e le eleganti sagome di Brunilde e di Hnoss li sovrastassero.

 

“Vi porteremo noi, Cavaliere di Atena! I nostri destrieri corrono rapidi come fulmini, senza neppure sfiorare il terreno! Non vi sono animali più veloci in tutta Ásaheimr!”

 

“Sarò ben felice di provarlo, Regina delle Valchirie!” –Esclamò Cristal, montando in sella dietro a Brunilde, mentre Heimdall saliva sul cavallo della figlia di Freya. –“Ci raggiungerai, mio Signore?” –Aggiunse, rivolgendosi a Odino.

 

“Quanto prima!” –Si limitò a rispondere il Dio, mentre le Valchirie scuotevano le briglie dei destrieri, lanciandoli al galoppo lungo il rilievo che li avrebbe condotti prima all’interno della città di Asgard, poi a Vígridhr.

 

Fu in quel momento che percepì qualcosa, uno strillo mostruoso che parve scuotere i mondi. Una vampa di veleno si erse in mezzo al fiume Thund, inquinando l’eterea aria del Regno degli Asi. Odino puntò lo sguardo in quella nera caligine e, anche senza Huginn e Muginn al suo fianco, fu ben in grado di vedervi attraverso, fu ben in grado di rimirare lo sfolgorante cosmo del Primo Cavaliere di Atena intento a lottare contro il Serpe del Mondo, uno dei primordiali nemici di Asgard. Per ricompensarlo dell’aiuto, e facilitarlo nello scontro, pensò bene di fargli un dono.

 

Qualcosa che Pegasus già conosce e che ha stretto in mano in un’altra occasione, in cui ugualmente ha dato prova del suo valore! Mormorò il Dio, sfiorando la spada dalla lama simile a ghiaccio che portava alla cintura. La affido a te, Cavaliere della Speranza! Disse, prima di riportare lo sguardo sul pendio infuocato dove gli Jötnar stavano morendo, nel tentativo di contrastare l’avanzata dei figli di Muspell, aiutati da Vidharr e, adesso, dagli Ulfhednir superstiti e da Mizar.

 

Solo in quel momento si accorse che Artax era scomparso.

 

***

 

Nella piana di Vígridhr si combatteva ovunque.

 

L’esercito degli Einherjar, guidato da Tyr il Monco, era piombato sull’accozzaglia di defunti usciti dalle Porte di Hel e su Loki e i suoi figli prima che potessero varcare il Thund e portarsi così a ridosso del Valhalla. Ma qualcosa, nel sorriso divertito del Burlone Divino, aveva fatto presagire al Nume della Guerra che l’antico rivale di Odino non ne avesse avuto intenzione, non per il momento almeno, preferendo affrontare i nemici in campo aperto. Il vero motivo lo aveva avuto chiaro dopo neppure un’ora di combattimenti, quando il fianco sinistro del loro schieramento era stato attaccato da migliaia di Soldati di Brina, gli stessi che Erik e gli Dei di Vittoria avevano condotto a Himinbjörg per lasciarla poi in balia dei Giganti di Fuoco.

 

Approfittando del caos susseguente all’arrivo dei figli di Muspell, e allo schianto di Bifrost, il comandante dei Sigtívar aveva guidato i suoi guerrieri a Vígridhr, come concordato con Loki, per aggredire gli Einherjar su un secondo fianco e spezzarne le linee. Nel giro di pochi minuti il caos era avvampato e gli ordinati schieramenti si erano mescolati, dando vita a zuffe furibonde che stavano insanguinando l’intera piana.

 

“Così, se il Guercio fosse seduto sull’alto scranno, potrebbe ammirare il ruscellare macabro del sangue!” –Sibilò Loki, in piedi sullo scuro manto di Fenrir, osservando i Soldati di Brina e l’esercito di defunti massacrare e venire massacrati dai Campioni di Odino, in quello che si stava sempre più prospettando come un bagno di sangue.

 

Accarezzò divertito il manto del figlio, solleticandone l’appetito, e fece giusto in tempo a sedersi, affondando nel folto pelo, per non essere sbalzato via dall’improvvisa carica del grande lupo, che piombò su un mucchio di Einherjar, sventrandoli con un sol colpo di zampa, prima di puntare su una preda ben più consistente. Il tarchiato corpo di Bragi si ergeva poco distante, intento, sia pur con malagrazia, a difendersi con fasci di energia dagli attacchi di alcuni Soldati di Brina.

 

“Una bella bistecca! Immaginalo così! Grassa e succulenta!” –Rise il figlio di Farbauti e Laufey, mentre Fenrir digrignava i denti, lasciando che fiotti di bava si riversassero sul terreno e su coloro che avevano la sfortuna di trovarsi sotto di lui in quella che ormai era diventata una guerra per la sopravvivenza reciproca.

 

Proprio all’interno di quella mischia si erano ritrovati Orion, Andromeda e Mime. Pur continuando a pensare a Reis e a Pegasus, il primo prese posizione assieme agli Einherjar suoi compagni, mentre i secondi corsero in aiuto dell’uomo a cui il musico di Asgard doveva parte della sua formazione. Oltre che la sua vita terrena.

 

Alto e robusto, con un viso arcigno incorniciato da lunghi capelli poco curati, una fitta barba e baffi scuri, Folken menava colpi a destra e a sinistra, abbattendo tutti i nemici che tentavano di sbarrargli il passo, risoluto come solo un guerriero forgiato sui campi di battaglia sapeva essere. Indossava una cotta protettiva in bronzo e rame, sfregiata in più punti dai colpi subiti, e impugnava saldamente una spada la cui lama grondava sangue oscuro.

 

Mime non lo aveva mai visto combattere, ma quando era ragazzino aveva udito spesso i racconti della gente, che si riferivano a suo padre come al più grande guerriero mai esistito, al punto da definirlo invincibile. Qualcuno addirittura lo aveva considerato l’erede di Sigfrido, ben prima che Orion uccidesse il drago Fafnir. Che fossero gonfiati o meno, quei racconti lo avevano comunque impressionato, spingendolo a cercare nei canti degli eroi leggendari la forza per sopravvivere.

 

Folken non apprezzava che il figlio sprecasse tanto tempo a suonare la cetra, da solo o circondato dagli animali della foresta, disprezzando quell’arte da signorine, poco adatta al ruvido animo di un guerriero, come avrebbe desiderato che Mime diventasse. Come Mime doveva diventare se voleva sopravvivere all’inverno.

 

E, a modo suo, il ragazzo aveva obbedito, divenendo un Cavaliere abile e potente, ma senza rinunciare alla sua musica, ai canti e alle belle note, che lo rendevano vivo e gli permettevano di coprire, sia pur con un velo di melodiosa ipocrisia, i massacri della guerra. Folken non era vissuto abbastanza per veder compiersi il suo cammino, morendo prima che il figlio ottenesse l’armatura del Nord. Morendo proprio per mano sua.

 

“Ma tutto questo accadeva una vita fa!” –Si disse il musico dai capelli arancioni. –“Quando il rancore dominava il mio cuore e muoveva i miei passi! Rancore diretto soprattutto verso me stesso!” –Aggiunse, evitando l’affondo di un nemico e colpendolo poi con un calcio allo sterno, che lo scaraventò contro altri, sbattendoli a terra. Aveva già avuto modo di verificare che la musica non aveva effetto sugli avversarsi che provenivano da Hel, in quanto defunti, dovendo quindi far sfoggio della sua forza fisica, che certo non gli mancava.

 

“I morti non hanno un buon orecchio per le tue melodie!” –Aveva commentato Folken, mulinando la sua lama e staccando la testa di un defunto risorto. –“Troppo abituati alle strida dell’inferno!”

 

La sua sicurezza battagliera si era spenta dopo poco, quando un grosso cane dal pelo fulvo era piombato su di loro, cavalcato dalla donna più orrida che avessero mai visto, se donna poteva ancora definirsi.

 

Con un solo movimento della scopa che reggeva in mano, la strega si era liberata di Andromeda, scaraventandolo indietro con un’onda di energia, proprio nel mezzo di un mucchio di defunti, che subito si avventarono su di lui, obbligandolo a scatenare la furia della catena per tenerli a bada. E, nonostante Mime avesse prontamente intrappolato il rozzo cane in un reticolato di fili, cercando di dilaniarne le carni, questi le aveva distrutte con una zampata, balzando poi su di lui e sbattendolo a terra.

 

Mime!!!” –Ringhiò Folken, alla vista del figlio ferito. E corse avanti, lama in pugno, mirando al volto della bestia. Ma Hel lo fermò, semplicemente poggiando lo sguardo su di lui. Il suo duplice sguardo, per metà di donna, per metà di vecchia consunta.

 

Igh igh! Sono ormai trascorsi i tempi dei Campioni di Odino! Quel che resta delle sue schiere è bene che sia spazzato via!” –Parlò infine, con voce raschiata, sollevando la scopa di saggina. –“Così! Con un sol colpo di ramazza!” –E, nel dir questo, mosse l’utensile, generando un’onda di energia che sbatté Folken a terra, strappandogli la spada di mano.

 

L’antico guerriero fece per rialzarsi ma si accorse che qualcosa lo stava tenendo a terra, qualcosa di forte, simile alla pressione del piede di un gigante. Riuscì a roteare la testa, stringendo i denti per lo sforzo, e inorridì nel vedere che quel che lo stava bloccando era un semplice filo di saggina. Un filo che si era arrotolato attorno al suo collo e alle sue braccia, conficcandosi nel terreno, e impedendogli di rialzarsi, deciso a recidere la sua vita.

 

Sentendosi pervadere da un senso di frustrazione per non poter agire, e di umiliazione per vedersi impossibilitato a combattere da un così ridicolo pretesto, Folken fece avvampare il suo cosmo biancastro, nel tentativo di incendiare il filo di saggina, ma non vi riuscì, mentre Hel, ancora in piedi su Garmr, ridacchiava, sputacchiando ad ogni colpo di gola.

 

“Se così tanto ami stritolare la gente, lascia che anch’io ti mostri la tecnica offensiva della mia cetra!” –Esclamò allora Mime, richiamando l’attenzione della Regina degli Inferi, che volse il divertito sguardo verso il musico rimessosi in piedi. –“Non è poi così dissimile dalla tua!” –Aggiunse, espandendo il cosmo e saturando l’aria di migliaia di fili bianchi, che frenarono la rinnovata corsa di Garmr, tagliandogli pezzi di pelo e di pelle, intrappolandolo al suo interno, chiudendogli persino la bocca.

 

Ma Hel, nient’affatto intimorita, si limitò a spazzar via le corde che si chiusero su di lei con un semplice movimento della scopa, evitandone altre con destrezza, fluttuando all’interno di quel groviglio con una grazia irreale. Quasi fosse intangibile.

 

Mime sgranò gli occhi inorridito quando vide la figlia di Loki scomparire, dissolvendosi nell’aria, e i suoi fili aggrovigliarsi tra loro, afferrando il nulla.

 

“Che cosa?! Dov’è finita?” –Mormorò, fendendo l’aria attorno con i suoi sensi acuti.

 

Vide Garmr che si dimenava all’interno del groviglio di corde, Folken che tentava di strappar via il filo di saggina, due Einherjar che cadevano al suolo alla sua destra, tre defunti che venivano decapitati dalla spada di Tyr alle spalle di Garmr. Ma di Hel nessuna traccia. Possibile che sia scomparsa?

 

“Una cosa devi ben tenere a mente!” –Gli parlò infine la sua ruvida voce, senza che Mime riuscisse a comprendere da dove provenisse. –“La donna che avevi di fronte, per quanto di stracci vestita, è una Divinità! E delle più pericolose!” –Aggiunse, mentre la sua sagoma sgraziata ricompariva alle spalle del ragazzo, con il braccio destro sollevato e un pugnale dalla lama ricurva in mano.

 

Aaargh!!!” –Gridò Mime, mentre Hel piantava Sulltr, il Coltello della Carestia, nella sua schiena, facendovi fluire parte del suo cosmo venefico.

 

“Tienilo a mente, questo mio misero insegnamento! Chissà… potrebbe anche esserti utile… qualora tu vivessi una terza vita! Igh igh igh!” –Rise la Sovrana degli Inferi, mentre Mime si accasciava sulle ginocchia, lo schienale dell’armatura macchiato da una sempre più nitida chiazza rossa.

 

“Li lascio a te, mio bel cagnolino! Il più e il meglio l’ho fatto! Occupati delle loro carcasse e buon appetito! Igh igh igh!” –Esclamò, allontanandosi, sempre con la scopa in mano, per strappare la vita ad altri Einherjar.

 

Mime rimase a terra, boccheggiando per lo sforzo. La ferita non era tanto profonda, ma la lama di quel vecchio pugnale doveva essere intrisa di chissà quale veleno, rendendogli difficile la respirazione e annebbiata la vista.

 

Proprio in quel momento Garmr strappò gli ultimi fili che lo immobilizzavano, muovendosi per lanciarsi su Folken. Bastò quello a far reagire Mime, a farlo rialzare, con il cosmo concentrato nella mano e mille fasci di energia che riempirono l’aria, falciandola come le righe di un pentagramma.

 

Il mastino guaì, raggiunto dai precisi attacchi, e fiotti di sangue iniziarono a zampillare dal suo corpo, mentre Mime si chinava su Folken, recidendo il filo di saggina con i suoi raggi energetici.

 

“Vattene via, Mime!” –Gridò suo padre, ansimando nel rimettersi in piedi, con i polsi e il collo lividi e sanguinanti per la stretta mortale.

 

“No!” –Rispose semplicemente il ragazzo, mettendo in quell’unica parola tutta la sua dignità di Cavaliere. E di figlio.

 

Garmr scattò nuovamente su di loro, obbligando Mime a scartare di lato, in tempo per evitare che la zampata del mastino gli staccasse la testa, quindi lo travolse con le sue linee di energia, strappandogli ciuffi di pelo e pelle e grida mostruose. Con gli occhi iniettati di rabbia, il custode di Hel caricò il musico di Asgard, deciso a riempirsi la bocca del suo corpo, imbrattandosi le zanne di cinabro sangue.

 

“Fermò lì!” –Esclamò Mime, radunando tutte le forze e portando un dito alla cetra. Fu uno scampanellio leggero, indistinguibile nel frastuono della battaglia, ma sufficiente per fermare Garmr. In un attimo migliaia di corde si allungarono nella sua direzione, avvinghiandosi alle sue zampe, al suo corpo, alla sua coda, stringendo con forza e impedendogli di liberarsi, mentre Mime muoveva le dita sulla cetra, di fronte allo sguardo interessato di Folken. –“Padre, questa melodia è per voi, in onore all’eroe che Asgard ha a lungo ammirato! L’eroe che, in vita, io non ho mai apprezzato! Perdonatemi, furono l’odio e il dolore che la guerra aveva infuso in me a impedirmi di vedere quel che di buono c’era nel vostro cuore! Lasciate che adesso possa rendervi il favore, salvandovi come voi salvaste me dalla tormenta di gelo e da altri pericoli!” –Parlò, ad occhi chiusi, mentre un noto motivo si diffondeva nell’aria, facendo tintinnare le corde, pervase dal cosmo del musico. –“Melodia delle tenebre! Risuona!!!”

 

Il corpo di Garmr venne percorso da mille scosse, le corde si insinuarono sempre di più nel suo corpo, scavando ferite sanguigne e prostrando il grosso animale a terra, mentre la musica proseguiva implacabile, fino all’ultima nota. Con un ultimo guaito il guardiano delle Porte dell’Inferno si accasciò a terra, il corpo straziato dai solchi delle corde, mentre Mime, esausto per lo sforzo e per il veleno di Hel, barcollava, cercando di rimanere in piedi.

 

Fu Folken ad afferrarlo in tempo, prima che cadesse.

 

“Lasciami andare…” –Mormorò il ragazzo. –“Me lo merito!”

 

“Di cosa ti fai colpa?”

 

“Di non aver capito!” –Rispose, con voce malinconica. –“Cosa provasti quel giorno, quando il Celebrante di Odino precedente a Ilda ti ordinò di marciare su Iisung, per riportare i loro capi alla ragione ed evitare una guerra! Quando, fallito il negoziato, dovesti usare i tuoi poteri, perché la guerra lo richiedeva, la guerra madre di tutte le ingiustizie! La guerra che ci fa compiere gesti che in periodi diversi, e più felici, invece paventeremmo!”

 

“Le tue parole sono vere, Mime! Per questo non dovresti biasimarti per esserne tu stesso stato vittima!” –Esclamò Folken, aiutando il ragazzo a restare in piedi. Forse fu un gioco di luce, forse fu dovuta agli occhi arrossati dallo sforzo, ma a Mime sembrò di vedere una lacrima bagnare il viso del padre adottivo.

 

Un ringhio spaventoso riscosse entrambi, costringendoli a voltarsi verso quello che ormai consideravano il cadavere di Garmr, realizzando che l’orrido cagnaccio era ancora vivo e faticava nel risollevarsi.

 

“Non temere, me ne occuperò io!” –Disse Folken, muovendosi per recuperare la propria spada. Ma Mime lo fermò, ponendogli una mano sulla spalla. –“Non tu, ma noi ce ne occuperemo!” –E sorrise, per quanto il dolore glielo permettesse.

 

Garmr tentò di lanciarsi su Folken, per impedirgli di recuperare l’arma, ma Mime ne fermò la corsa scagliandogli contro i raggi del pentagramma di energia, in numero e in potenza inferiori a quelli scagliati in precedenza. Forse il cane se ne accorse e decise allora di avventarsi su di lui, incurante dei nuovi squarci che si aprivano sul suo corpo all’avvicinarsi al Cavaliere di Asgard.

 

Mimeee!!!” –Gridò Folken, scattando contro Garmr e saltando più in alto che poté.  Lo colpì al mento, affondando la lama e caricandola della sua energia cosmica, mentre il cagnaccio sbatteva Mime a terra, ferendolo ad un braccio e danneggiando parte della sua corazza. A tal vista l’antico difensore di Midgard avvampò, balzando di nuovo in alto e mozzando la testa di Garmr con un unico fendente.

 

“Un problema risolto…” –Commentò, atterrando vicino a Mime e scrutandone preoccupato il colorito, sempre più pallido. –“Dovrei portarti da Eir! La Guaritrice saprebbe certamente curarti!”

 

“Non ne abbiamo il tempo!” –Si limitò a rispondere il ragazzo, facendosi forza per restare in piedi. –“Siamo stati destinati a questo fin da quando varcammo il Thund! Ne siamo sempre stati consapevoli! Non avrebbe senso rinunciarvi adesso! Né voglio farlo! Voglio solo vivere con te il tempo che ancora mi resta!”

 

Folken annuì fiero alle parole del figlio, prima di voltarsi, con la spada in pugno, e fronteggiare un gruppo di nemici che si era intanto chiuso a cerchio attorno a loro.

 

Fintantoché Garmr era vivo, si erano prudentemente tenuti lontani, non avendo in simpatia, neppure loro, le bestie infernali da cui Loki si faceva accompagnare, l’unico forse a non essere turbato dalla loro presenza. Ma morto il cane, avevano ben pensato di farsi avanti, approfittando delle ferite già aperte sui corpi degli avversari.

 

“Non si può dire che siano stupidi…” –Mormorò Mime, mettendo d’istinto mano alla cetra, ma ricordandosi poi che, sulla feccia che marciava contro di lui, la musica non aveva effetto. –“Forse le melodie, ma ugualmente non può dirsi delle righe del pentagramma!” –Aggiunse, bruciando il cosmo e dirigendo numerosi raggi energetici contro i nemici, che vennero travolti e falciati.

 

Folken, dal canto suo, aveva già ingaggiato combattimento contro altri, impegnandone più d’uno contemporaneamente.

 

Non erano potenti quei defunti portati a nuova vita, ben pochi conoscevano i rudimenti del cosmo. La quasi totalità era costituita dai risvegliati corpi degli adulteri, dei vecchi, dei suicidi, di coloro che avevano disonorato il loro casato e la loro terra, armati di lance e di space, di archi e di asce, seppur non troppo abili nell’usarli. Ma erano tanti, terribilmente tanti, forse il triplo degli Einherjar, e questo giocava a sfavore dei difensori di Odino, già provati dai vari scontri con i Sigtívar e gli Dei e le creature infernali alleate di Loki.

 

Su questo rifletteva Mime, cercando di rimanere in piedi e di evitare gli affondi delle lance e delle armi nemiche. Una freccia, scagliata da chissà dove, lo raggiunse ad una spalla, spaccandogli il coprispalla, mentre una coppia di daghe si protendeva verso il suo viso. Il ragazzo sollevò il braccio per tenerle lontane con una folgore energetica, quando si accorse che strali luminosi stavano rischiarando l’aria attorno a sé, abbattendosi sui suoi avversari con furia implacabile e altrettanta meticolosità.

 

Le parole che udì poco dopo gli strapparono un sorriso, avendo riconosciuto le armi del suo salvatore.

 

Onde del Tuono, fermate i nemici!!!” –Gridò il Cavaliere di Atena, balzando a fianco di Mime, mentre lo scintillio della Catena di Andromeda si schiantava sui corpi dello sventurato esercito di Hel, trapassandoli uno ad uno, prima di lasciarli ricadere al suolo, morti. –“Amici, state bene? Ho dovuto affrontare un centinaio di costoro, per questo non sono riuscito a portarvi aiuto prima!”

 

“Non preoccuparti, Andromeda, hai fatto anche troppo per noi! Così oggi, così l’anno scorso!” –Sorrise Mime, cercando di apparire sereno. Ma il pallore della sua pelle e la fitta che lo aggredì, piegandolo in due, tradirono una sicurezza inesistente.

 

Mime!!!” –Gridò Andromeda, mentre anche Folken si avvicinava, scagliando sfere di energia tutto intorno, per tenere a distanza debita gli avversari.

 

“Le parole di Arvedui… Ricordale Andromeda! E non portargli rancore!” –Continuò Mime, incurante dei richiami del Cavaliere alla sua salute. –“Gli elfi sono così, i massimi gaudenti della vita. Vivono in un mondo di primavera eterna, senza preoccupazioni, o perlomeno questo è quello che credono e che permette loro di sorridere sempre! Non avercela con lui, ma ricorda ciò che ti ha detto! Ti permetterà di migliorarti ancora… e di ottenere una sempre maggiore conoscenza!”

 

Mime tossì, piegandosi su se stesso e sputando sangue, di fronte agli occhi sgomenti di Andromeda. Prima che il ragazzo potesse fare qualcosa, un’ombra sovrastò i tre compagni, un’ombra gigantesca che apparteneva al ferino figlio di Loki.

 

“Cos’abbiamo qua? Bocconcini prelibati e sanguinolenti?!” –Sibilò Fenrir, guardando dall’alto i tre Cavalieri. –“Una vera delizia per il mio palato!” –Aggiunse, sputando a terra quel che aveva masticato finora. La carcassa di un uomo a cui era stata strappata la pelle, azzannata con disumana ferocia, al punto da lasciare soltanto uno scheletro con scarni pezzi di carne.

 

Andromeda fece un passo indietro inorridito, mentre Mime soffocò un grido di dolore nel riconoscere, sia pure a stento, il cadavere di Bragi, Dio della Poesia, di cui Fenrir si era nutrito.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 21
*** Capitolo diciannovesimo: Hrimthursar. ***


CAPITOLO DICIANNOVESIMO: HRIMTHURSAR.

 

Sirio e Alcor stavano correndo in mezzo alla nebbia, lungo la desolata distesa del deserto di ghiaccio, i corpi sferzati dalle tempeste di gelo che imperversavano nel Nifhleimr, appesantendo persino il più piccolo movimento. Il vento e la neve negli occhi rendevano difficile anche solo vedere a pochi metri di distanza, sempre attenti a non sprofondare in qualche crepaccio o a non cadere sugli aguzzi spuntoni di ghiaccio che punteggiavano la landa infernale.

 

Avevano lasciato Nastrond dopo aver distrutto quel che rimaneva del cantiere dove, sotto gli ordini di Megrez e di suo padre, era stata costruita la Naglfar. Sirio avrebbe voluto abbattere anche l’antica residenza di Helgaror, certo che nascondesse ancora chissà quali oscuri segreti, ma Alcor lo aveva incitato a non sprecare tempo né ulteriori energie, due elementi su cui non potevano permettersi prodigalità.

 

Così si erano lanciati in una folle corsa attraverso il Regno di Hel, per quanto nessuno dei due avesse chiaro dove esattamente dovessero dirigersi. Alcor era più informato di Sirio riguardo alla geografia infera e sapeva che vi erano due accessi, sebbene uno soltanto fosse riservato ai defunti: il percorso che aveva seguito entrando, oltrepassando il fiume Gyoll e la Porta di Hel. L’altro era risalire lo snodarsi delle radici dell’Albero Cosmico. Ma in quale direzione fossero entrambi gli ingressi nessuno dei due lo sapeva.

 

Avevano avuto timore, in un paio di occasioni, di girare in tondo, incapaci di trovare un punto di riferimento nello sconfinato abisso tinto di bianco e di grigio. Ma avevano proseguito lo stesso, cercando di combattere lo sconforto che a tratti li pervadeva. E nel loro avanzare erano stati fortunatamente raggiunti da Huginn e Muginn, che Alcor presentò a Sirio come gli occhi di Odino.

 

I due corvi, dopo aver riferito al nume dell’imprigionamento di Alcor, erano tornati per osservare quel che accadeva a Nastrond e a Eliudhnir ed erano stati attratti dal luccicare della corazza divina di Sirio, unica fonte di colore nel grigio dell’inferno. Adesso, seguendoli, i due Cavalieri avrebbero facilmente trovato la via.

 

Prima ancora di arrivare nei pressi delle radici del Frassino del Mondo, Sirio e Alcor capirono che qualcosa di grosso si stava muovendo. Il terreno, fino ad allora compatto, iniziò a presentare segni simili a quelli lasciati da un corpo trascinato e spesso potevano udire scossoni violenti scuotere l’intera landa, sovrastati da un clangore che entrambi ben conoscevano. Rumori di lotta.

 

“Tracce di carri? Prigionieri trascinati?!” –Ipotizzò Sirio, cercando di capire cosa fossero quei segni sul terreno, ampi più di un metro.

 

“Sono il passo lento, quasi strascicato, degli abitanti dell’inferno! I Giganti di Brina, istigati da Loki a marciare su Asgard!” –Spiegò Alcor, rabbrividendo al ricordo delle immense sagome che era a malapena riuscito a intravedere ore prima, sul retro del Palazzo di Nebbia, mescolate, quasi fuse, con l’aria stessa del Nifhleimr. –“Sagome enormi, alte più di dieci metri, robuste come splendide statue scolpite nel ghiaccio! Gli Hrimthursar non sono il peggiore dei pericoli che ci si prospettano quest’oggi, ma sono letali e addestrati al combattimento! Guerrieri composti di ghiaccio, armati di lame di ghiaccio, che traggono la forza dall’ombroso gelo di questa terra, hanno servito la Regina di Hel per secoli, che ne ha fatto le sue guardie del corpo!”

 

“Credevo che la stirpe dei giganti fosse fedele a Odino…” –Mormorò Sirio, continuando a correre, mentre l’eco dello scontro in atto si faceva sempre più vicino.

 

“Non tutti! Solo gli Jötnar, che popolano la terra di Jötunheimr. I Giganti di Brina sono sempre stati una spina nel fianco degli Asi, da loro accusati di aver sterminato gli altri membri della loro razza all’alba dei tempi!”

 

“Non capisco…

 

“Gli Hrimthursar furono generati da Ymir, il gigante primordiale sorto tra ghiaccio e fuoco, e nel suo stesso ribollente sangue furono annegati da Odino e dai suoi fratelli, timorosi che tali deformi creature potessero rappresentare un pericolo in futuro! Due però riuscirono a scampare al massacro perpetuato dai figli di Borr, Bergelmir e sua moglie, usando un tronco cavo come fosse una canoa per navigare fuori dalla battaglia. Impauriti, si rifugiarono nel profondo inferno, dove per sempre rimasero, anche dopo che Odino lo ebbe affidato a Hel! E qua procrearono la loro stirpe, una stirpe, posso assicurartelo, alquanto numerosa!”

 

Erano mille, o forse più, i Giganti di Brina che Alcor aveva osservato in silenzio riunirsi a Eliudhnir, prima di marciare verso Asgard. E su tutti ve ne era uno capace di impensierire persino Odino. Hrmyr, il capo di tutta la stirpe, discendente diretto di Bergelmir e come tale intriso di un desiderio di vendetta covato per millenni.

 

“Ci siamo!” –Esclamò Alcor, indicando avanti a sé, dove, per la prima volta da quando entrambi erano giunti nel Nifhleimr, videro una luce, sia pur fioca, baluginare in lontananza. Una luce gialla, dalle sfumature amaranto, simile ad un piccolo sole.

 

Il Cavaliere di Asgard spinse Sirio dietro un mucchio di rocce ghiacciate, coprendo entrambi, per precauzione, con il suo mantello mimetico, per osservare e capire cosa stesse accadendo. Davanti a loro si estendevano lunghe file di Giganti di Brina, allineati uno dietro l’altro, i cui corpi alti e massicci parevano uno spaccato del cielo di quel mondo. Guardando meglio, Sirio e Alcor videro che era più avanti, in testa alle colonne dei Titani del Gelo, che i combattimenti stavano avendo luogo. Da là proveniva la luce dorata, probabilmente il cosmo di qualche Einherjar o di qualche Divinità. Ed era là che, la Tigre Bianca ne era certa, si trovavano le radici del Frassino Cosmico.

 

“Se vogliamo salire ad Asgard in questo modo, temo che dovremo farci spazio in questa ressa, stando attenti a non essere schiacciati!” –Commentò. –“Altrimenti, se vogliamo evitare la battaglia, possiamo correre alla Porta di Hel, varcare Gyoll e uscire alla luce del sole! Huginn e Muginn sapranno senz’altro condurci fin là…

 

I due Cavalieri si scambiarono un intenso sguardo, prima che entrambi accennassero un sorriso, a tratti ironico, all’ipotesi di rifuggire uno scontro. Proprio in quel momento i corvi di Odino, appollaiatisi sopra il cumulo di ghiaccio, sbatterono le ali, sollevandosi di scatto, mentre Sirio e Alcor, voltandosi, videro nascere dal suolo un gruppo di forme che finora avevano ammirato da lontano.

 

“Pare che altri abbiano scelto per noi…” –Disse Sirio, espandendo il proprio cosmo.

 

“Non è una novità! Tutta la mia vita si è svolta in questo modo!” –Commentò Alcor, facendo altrettanto e lanciandosi avanti. –“Bianchi artigli della Tigre!!!” –Ringhiò, sfrecciando tra le gambe dei Giganti di Brina e aprendovi squarci di energia.

 

I discendenti di Bergelmir barcollarono ma non crollarono, stupendo lo stesso Alcor che si accorse come fossero capaci di richiudere le proprie ferite sigillandole con il ghiaccio, componente principale, se non assoluto, dei loro corpi. Preoccupato da quella variabile che giocava a suo netto sfavore, il fratello di Mizar scivolò sul terreno gelato, evitando di essere schiacciato dai loro enormi piedi e lasciando che i giganti si scontrassero tra loro, goffi come erano nei movimenti. Fu mentre si rimetteva in piedi che sentì l’urlo di Sirio, così intenso da risvegliare mezzo Hel.

 

Excalibur!!!” –Gridò, liberando un fendente di energia che tagliò in due un Gigante di Brina, mentre gli altri rimasero interdetti ad osservare il singolare evento.

 

“Persisti!!!” –Gli urlò dietro Alcor. –“Approfitta di questo loro disorientamento per colpirli di nuovo!” –E nel dir questo si lanciò avanti, evitò il pugno di un gigante che sfondò il terreno sotto di sé, balzandogli sul braccio e colpendolo poi al viso con un calcio secco, forte a sufficienza da farlo barcollare. Un pugno sul retro della nuca lo precipitò a terra, facendogli persino crepare il suolo ghiacciato. –“Anche se il mio colpo segreto è vano, non così potrete dire dei miei pugni! Del resto, anche al buon Phoenix hanno fatto male!”

 

Sirio, d’altro canto, aveva già provveduto a mozzare a metà, in orizzontale, un’altra coppia di Hrimthursar e adesso stava fronteggiando gli ultimi, che si erano chiusi attorno a lui, togliendogli ogni possibilità di fuga.

 

“Non che a quella prospettiva abbia mai pensato…” –Mormorò Dragone, lasciandoli avvicinare ancora un po’, mentre radunava il cosmo dentro sé, socchiudendo gli occhi. Quando ritenne che fossero sufficientemente vicini scattò in alto, aprendo un braccio di lato e roteando con forza su se stesso, in modo da generare un fendente di energia che mozzò le teste di tutti loro nello stesso istante.

 

“Bel lavoro, Cavaliere di Grecia! Adesso andiamocene, non diamo loro modo di ricomporsi!” –Disse Alcor, scattando avanti e facendo cenno al ragazzo di seguirlo.

 

“Ricomporsi?!” –Balbettò Sirio, non capendo.

 

“Come ti ho detto, i Giganti di Brina sono composti di ghiaccio! E qua ne hanno in abbondanza per potersi ricreare! È così che curano le ferite, suturandole con il ghiaccio, materia prima che certo non scarseggia!” –E infatti, voltandosi a malapena, Sirio dovette ammettere che le parole di Alcor erano tremendamente vere, notando già dei movimenti alle loro spalle.

 

I corvi gracchiarono nel cielo nebbioso, indicando loro la via per aggirare le colonne di Hrimthursar e giungere direttamente alle radici del Frassino Cosmico, ma vista la pericolosità di quell’esercito entrambi convennero che fosse opportuno provvedere fin da subito a ridurne le fila.

 

“La loro debolezza principale è quella che hanno tutti i tipi con le loro dimensioni! Sono lenti nei movimenti, troppo lenti per un Cavaliere! Ma compensano in ferocia, resistenza e estrema adattabilità all’ambiente! Siamo nella loro casa, Dragone, stai attento, qua si gioca con le loro regole!”

 

“Per questo motivo non li abbiamo percepiti quando ci hanno circondato? Se non nel momento in cui sono emersi dal ghiaccio?!”

 

“Per questo e anche perché sono privi di cosmo! Solo l’essenza primordiale della creazione li rende vivi! Altrimenti sarebbero mucchi di ghiaccio poco diversi dai tanti spuntoni che abbiamo evitato correndo fin qua!”

 

Sirio memorizzò le informazioni che Alcor gli aveva fornito, assieme a tutte le altre, su Odino, Loki e Asgard, che aveva avuto modo di apprendere nel tempo trascorso assieme a Nastrond. Dopo lo scontro con Megrez, Dragone aveva curato il Cavaliere del Nord nello stesso modo in cui aveva aiutato Pegasus nella Valle della Morte, colpendo le sue stelle dominanti in modo da lasciar fluire il veleno instillato nel suo corpo. C’era voluto del tempo prima che la Tigre Bianca potesse tornare a camminare ma grazie anche al cosmo del compagno adesso era scattante come in passato.

 

“E pronto per la caccia!” –Sibilò Alcor, infilandosi tra le gambe dei colossi di ghiaccio e graffiandole con i suoi artigli di energia cosmica.

 

Sirio, intrufolandosi invece in mezzo ad altre colonne di Hrimthursar, liberava violenti fendenti energetici, utilizzando il dono che il Cavaliere d’Oro di Capricorn gli aveva fatto in punto di morte. La lama che recide ogni male.

 

Excalibur!!!”

 

Quella parola risuonò nella fosca aria del Nifhleimr, attirando anche l’attenzione di chi, da ore ormai, stava combattendo ai piedi delle radici di Yggdrasill per impedire ai seguaci di Hrymr di invadere Asgard.

 

“Mio Signore…” –Esclamò uno dei Vani, con l’arco ancora in tensione, rivolgendosi a un uomo bello d’aspetto, avvolto in un manto di luce, intento a scrutare interessato la confusione che aveva invaso le ordinate fila dei Giganti di Brina. Molti di loro parvero barcollare, altri caddero a terra, trascinando i propri compagni con sé, in un crollo a catena che strappò un sorriso al volto di colui che l’ultima resistenza di Asgard stava guidando.

 

“Pare che le preghiere di Odino siano state esaudite!” –Commentò, mentre due lampi di luce rischiararono il cielo, gettando a terra altri Hrimthursar e giungendo infine in testa a quella lunga colonna. Fu allora che Sirio e Alcor si imbatterono nell’esercito dei Vani, disposto in cerchio attorno alle radici di Yggdrasill, nascoste, quasi avvolte, dalla sempiterna nebbia del Niflheimr.

 

“Cavaliere della Tigre Bianca! Tuo fratello temeva per te!” –Parlò colui che li aveva osservati avvicinarsi, andando loro incontro. –“Ma le sue paure erano ingiustificate a quanto vedo! Hai pure trovato un amico, con cui divertirti in questa landa inospitale!”

 

Era un uomo alto ed elegante, ricoperto da un’argentata Veste Divina, riccamente decorata con fregi in oro e avorio, alla cui cinta era affissa una spada dalla lama rilucente. Sulle spalle un ampio mantello ricamato, con il collo di pelliccia, scendeva fluttuante, seguendo gli aggraziati movimenti di un corpo perfetto, su cui svettava un viso giovanile di rara bellezza. Biondi capelli lunghi ma ben curati, occhi verdi e gioviali, un sorriso che pareva emanare una solarità abbagliante nel tetro inferno.

 

“Un amico fidato, oserei dire!” –Precisò Alcor, inchinandosi di fronte al Consigliere del Sommo Wotan. –“Mio Signore, egli è Sirio il Dragone, Cavaliere della Dea Atena e grande amico di Cristal il Cigno! Sirio, ti presento il Principe Freyr, Dio dell’Abbondanza e della Fecondità!

 

“Finalmente posso incontrarti di persona, Cavaliere del Drago! Le gesta tue e dei tuoi compagni sono giunte fin sopra le nuvole e spesso, con Odino e gli altri Einherjar, abbiamo discusso del vostro indubbio valore! Sarà un onore vederti in azione!”

 

“L’onore sarà mio nel combattere a fianco di un’armata così maestosa!” –Esclamò Sirio, a capo leggermente chino, prima di risollevarsi e osservare il ben organizzato esercito dei Vani. Con un colpo d’occhio, il Cavaliere di Atena contò almeno cinquecento uomini, tutti ben armati, di spade e lance, di archi e frecce, ma ipotizzò fossero di più poiché qualche cadavere disseminava già il suolo e tracce di sangue si erano mescolate all’eterna neve del Niflheimr. 

 

“Maestosa, sì! Ma i nostri avversari non sono da meno!” –Commentò Freyr. –“Siamo giunti in tempo per evitare che risalissero l’Albero dell’Universo, sebbene qualche mostruosa creatura già stesse tentando di arrampicarsi! Da allora non abbiamo ceduto una spanna, stretti in quello che si sta rivelando un assedio senza fine!”

 

“Perché i Giganti di Brina attaccano incolonnati? È una precisa scelta tattica o…?”

 

“È solo il frutto della loro lentezza mentale, nonché il motivo che ci ha permesso di mantenerci in forze finora! Considerando che le radici dell’Albero Cosmico spuntano dal cielo, nel bel mezzo di questo deserto, senza rilievi attorno su cui possiamo posizionarci, è un miracolo che non ci abbiano ancora accerchiato, limitando l’assalto a questo rozzo semicerchio!” –Precisò l’avvenente nume, indicando i Vani, poco distanti, che continuavano a combattere contro le prime file degli Hrimthursar, dando fondo alle loro energie interiori.

 

“Principe Freyr, saremo ben lieti di prestare…” –Esclamò Sirio, ma la sua frase rimase a metà, obbligato a balzare di lato per evitare l’affondo di un Gigante di Brina sorto improvvisamente dal terreno alle loro spalle.

 

“Fate attenzione!!!” –Gridò il nume. –“Arcieri!!! Tirate!!!” –E prima che potesse aggiungere altro un nugolo di frecce infuocate, proveniente dalle sue spalle, già solcava il cielo di Hel, piantandosi nel tozzo corpo del gigante e incendiandolo. –“È l’unico modo per vincerli! Il calore! Altrimenti continueranno a ricrearsi sempre e comunque! Ma per annientarli completamente ci vorrebbe una fiamma così intensa che non troveremo in questo gelido settentrione! Dovremo produrla artificialmente!”

 

Il corpo del Gigante di Brina iniziò a sciogliersi di fronte ai loro occhi, che videro pezzi di braccia sfaldarsi e crollare a terra, dove i freddi venti subito spazzarono via le fiamme, lasciando che i resti degli Hrimthursar si fondessero con la terra stessa.

 

“La Madre Terra! Anche se qua più che madre la definirei matrigna!” –Commentò Freyr con disappunto, prima di essere raggiunto da un guerriero dei Vani.

 

“Mio Signore! I Giganti di Brina… non attaccano più frontalmente, hanno iniziato ad espandersi anche ai lati! Vostro padre ritiene che vogliano accerchiarci!”

 

“Ma che bella notizia…” –Ironizzò il Principe, sollevando lo sguardo verso le prime file dell’esercito, dove il Dio dei Venti e della Navigazione stava affrontando gli Hrimthursar, assieme ai suoi fedelissimi, in quella che stava diventando sempre più una mischia di cosmi lucenti e sagome azzurre e bigie. –“Devo raggiungerlo! Se voi volete proseguire per Asgard potete arrampicarvi lungo le radici, facendo attenzione alle lance di ghiaccio che spesso questi bestioni scagliano! Hanno già mietuto troppe vittime piombando nel cuore dell’accampamento, nascoste da quest’aria plumbea!”

 

“Non siamo qui per fuggire, mio Signore, bensì per combattere!” –Precisò Sirio, a cui Freyr rispose con un sorriso incuriosito.

 

“Non sei troppo giovane per voler morire, Drago di Cina?! Ma, essendo amico di Cristal, non dovrei sorprendermi della tua pazzia!” –E fece loro cenno di seguirlo. Ma proprio mentre correvano verso la prima linea, il terreno tremò attorno a loro e una dozzina di Giganti di Brina si sollevarono, separando Alcor e Sirio dal Principe Freyr e dagli altri Vani.

 

Il Cavaliere di Atena udì la voce del Dio dell’Abbondanza che ordinava di scoccare nuove frecce e vide strisce di fuoco rischiarare il cielo, poi dovette concentrarsi sui propri avversari, armati di lance di ghiaccio che mossero per piantargliele nel cuore.

 

Sirio rotolò sul terreno, mentre un’asta sfondava il suolo alla sua destra e Alcor avvampava nel suo cosmo. Quindi fece per risollevarsi, proprio mentre un altro gigante calava la lancia su di lui; vi si aggrappò, usandola per darsi la spinta e balzare sul suo viso, avvolto nel suo cosmo color verde smeraldo. Lo trapassò da parte a parte, con le fauci del drago che assaporarono il tetro ghiaccio del Niflheimr, prima di atterrare alle sue spalle, voltandosi in tempo per vederlo crollare sui suoi compagni.

 

Bianchi artigli della Tigre!!!” –Sentì allora Alcor gridare, mentre una guizzante sagoma scattava tra le gambe degli Hrimthursar, squarciandole con artigli di pura energia. Non s’avvide però Alcor di un movimento alle sue spalle, un gigante che lo sbatté a terra, calpestandolo con rabbia e facendogli perdere l’elmo della corazza.

 

Sirio fece per correre in suo aiuto ma già una nuova schiera di Titani del Gelo era sorta a separarlo dal compagno e sembravano ben più corazzati di quelli affrontati fino a quel momento. Evitò gli affondi delle loro lance, troncandole poi con un secco movimento del braccio, che generò un fendente energetico affilato a sufficienza per aprire un taglio anche sui loro corpi. Prima che potesse liberare nuovamente Excalibur però vide un globo di fuoco, simile ad un sole in miniatura, esplodere in mezzo al gruppo di Giganti di Brina, annientandoli completamente con le ondate incandescenti che da esso sorsero.

 

Sirio si voltò verso destra, dove l’affascinante sagoma del Principe Freyr era comparsa, il corpo ancora avvolto in una luce dalle tonalità amaranto. Sorrise, riconoscendo che era la stessa che, da lontano, aveva guidato i loro passi, la stella da seguire in quel gelido mondo.

 

“Grazie, mio Signore!” –Commentò, prima che entrambi notassero la malconcia sagoma di Alcor che avanzava tra i resti dei Giganti di Brina. Il fratello di Mizar si teneva la spalla destra dolorante, dove una lama di ghiaccio aveva distrutto il coprispalla, causandogli una ferita non tanto profonda ma scomoda, rallentandogli il movimento del braccio.

 

Alcor! Stai bene?” –Sirio gli corse incontro e lo aiutò a riunirsi al Principe Freyr e agli altri Vani, con i quali concordarono una strategia d’attacco. Sarebbero stati loro a frenare il tentativo di espansione laterale dei Giganti di Brina, con rapide incursioni ai fianchi. –“In questo modo eviteremo di rompere le formazioni dei Vani, che continueranno a rimanere serrate per l’estrema difesa del passaggio verso Asgard!”

 

Freyr annuì alle parole del Cavaliere di Atena, impressionato dal genuino entusiasmo che lo sorreggeva e dalla fede in un mondo migliore, fede che lo aveva portato ad abbandonare la sua terra natia e le persone che amava per scendere in un mondo sconosciuto a combattere una guerra tra altrettanto sconosciuti schieramenti.

 

Proprio in quel momento sentì sollevarsi un vento impetuoso, che scosse il mantello e i suoi biondi capelli, mentre nuovi strali infuocati solcarono il cielo. Freyr non ebbe bisogno di voltarsi per sapere che Njörðr, suo padre, aveva appena scatenato il suo potere di controllo sulle correnti d’aria, dirigendole contro i Giganti di Brina allo scopo di frenare così la loro avanzata. Alle sue spalle gli arcieri dei Vani avevano già scagliato centinaia di frecce che, sospinte dalla dirompente brezza, sfrecciavano a gran velocità conficcandosi nelle deformi sagome nemiche.

 

“Andiamo!” –Affermò Alcor, scattando avanti, subito seguito da Sirio, e dirigendosi verso una costola laterale dello schieramento dei discendenti di Bergelmir, che stavano già avanzando nella loro direzione. Gli artigli energetici della Tigre Bianca e il correre furioso di Excalibur falciarono i loro arti, facendoli crollare al suolo, mentre altri prendevano istantaneamente il loro posto.

 

“Attento!!!” –Gridò Sirio, balzando su Alcor proprio mentre uno dei Hrimthursar calava la lancia su di lui. Il mantello mimetico venne strappato con forza, ma grazie all’intervento di Dragone il Cavaliere del Nord poté ancora vantare due spalle da ricoprire in seguito. Mentre cercavano di rimettersi in piedi vennero però sovrastati da un enorme piede di ghiaccio, che schiantò Sirio al suolo, crepandolo, pur con tutta la forza che il seguace di Atena mise nelle braccia, per evitare di essere schiacciato.

 

“Vediamo se questi artigli ti aprono un bello squarcio in quella tua pelle azzurrina!” –Ringhiò Alcor, rialzandosi e caricando il cosmo sulla mano destra. Ma non ebbe modo di liberare il proprio attacco che venne afferrato da un altro Gigante di Brina e stretto in una morsa di devastante potenza, al punto che, nonostante la corazza, sentiva le ossa scricchiolare.

 

Aaahhh!!!” –Sirio fece avvampare il proprio cosmo, avvolgendosi in un’aura verde, spingendo quanto più poté sulla pianta del piede del gigante, fino a sbatterlo addosso a un suo compagno, facendoli crollare l’uno sull’altro. –“Colpo del Drago Nascente!!!” –Gridò poco dopo, trapassando i loro corpi, mentre già una nuova schiera di Titani del Gelo si chiudeva attorno a lui.

 

Il Cavaliere fece per liberare un nuovo attacco, ma venne anticipato da un’onda di energia simile a un ventaglio di luce che si dischiude lentamente. Anche Alcor la notò e la vide lambire il gigante che lo teneva prigioniero, liquefacendolo poco dopo, sopraffatto da un calore innaturale ma al tempo stesso antico come il mondo.

 

“Principe Freyr…” –Mormorò il Campione di Odino, precipitando a terra e rialzandosi prontamente, affiancato da Sirio, anch’egli con lo sguardo fisso avanti a sé, dove la sagoma del Dio della Prosperità si stagliava, in aria, sollevato da terra di una decina di metri e completamente avvolto in un cosmo abbagliante.

 

“È straordinario…” –Commentò Dragone ammirato, a cui parve davvero di assistere all’alba del sole. Dal corpo del nume sorsero numerosi fasci energetici di color amaranto, simili ai raggi dell’astro solare, che falciarono decine di Hrimthursar, prostrandoli al suolo, in parte liquefatti, in parte distrutti. –“Il suo cosmo è così luminoso, così etereo… Eppure, dietro quell’apparenza efebica si nasconde un Dio guerriero, il cui cosmo rifulge del sapore dell’eternità!”

 

“In molti dicono che il Principe Freyr sia in realtà un elfo, tanto splendente è il manto cosmico che lo avvolge! Ma per tutti, persino per gli Asi restii a dimenticare le contese divine del Mondo Antico, egli è il migliore! A Odino soltanto secondo, al punto che è definito il Vicerè di Asgard!” –Esclamò Alcor, mentre i Giganti di Brina si squagliavano attorno a loro. –“I miei occhi, a lungo abituati all’ombra, non riescono a sopportare un sole di così intenso bagliore!”

 

“Non sei l’unico!” –Affermò Sirio, notando che il nume era riuscito ad annientare l’intera avanguardia dei Titani del Gelo, disperdendone altri e fermando l’incedere di coloro che erano rimasti nelle retrovie. –“Anche queste creature detestano la luce, qualcosa di cui qua, nel caliginoso inferno, mai hanno goduto!”

 

Mentre osservavano il Vane discendere nuovamente a terra, attorniato dalla schiera dei suoi difensori, e la luminosità del suo cosmo scemare di intensità, Sirio e Alcor videro con orrore una tempesta di neve sollevarsi dalle fila dei Giganti di Brina, una vera e propria bufera che sferzò l’aria, annientando persino le correnti di Njörðr.

 

Quasi fossero incitati dalla stessa, i discendenti di Bergelmir scattarono avanti, facendo rimbombare i loro pesanti passi sul suolo infernale, in una marcia che agli orecchi dei Vani e dei Cavalieri parve un susseguirsi di boati. Njörðr tentò di frenare quell’improvvisa carica con le sue raffiche di vento, ma venne addirittura sollevato da terra e scaraventato molti metri addietro, addosso ai suoi stessi guerrieri.

 

A un cenno di Freyr, l’esercito dei Vani si lanciò avanti a sua volta, avvampando in un arcobaleno di cosmi che si schiantò contro muraglie di ghiaccio, mentre il Dio dell’Abbondanza espandeva nuovamente il proprio cosmo, per ricreare quel sole perpetuo, unica speranza di aver ragione degli Hrimthursar.

 

Principe…” –Mormorò Sirio, accorgendosi di quel che stava accadendo. –“Freyr!!!” –Gridò. Ma fu troppo tardi.

 

Una lancia di puro ghiaccio, dalla punta affilata, saettò in aria, impugnata dal Gigante di Brina più alto e massiccio che avesse mai visto. Nascosto nella tormenta di neve e nebbia, si era portato di fronte a Freyr e lo aveva appena infilzato ad una gamba.

 

“Dobbiamo aiutarlo! Alcor, con me!” –Incalzò Sirio, scattando avanti e gettandosi nella mischia, mentre già il cosmo fluiva lungo il suo braccio destro. –“In nome tuo Capricorn! Excalibur!!!” –E liberò un fendente energetico che sfrecciò nell’aria tempestosa, schiantandosi sulla lancia del Gigante di Brina e spezzandola, mentre il corpo del Dio della Prosperità scivolava lentamente al suolo, cullato da una luce che si faceva sempre più flebile.

 

Bianchi Artigli della Tigre!!!” –Ringhiò Alcor, piombando tra le gambe del colosso e non ottenendo altro risultato che quello di essere respinto e sollevato da terra da un uragano di gelo che gli tagliò la pelle nei punti in cui non era protetta, stridendo e scheggiando la sua corazza.

 

Alcor!” –Gridò Dragone, osservando il compagno schiantarsi sul terreno molti metri addietro, presto seguito da tutti i Vani che stavano cadendo in quella devastante carica dei Giganti di Brina. Quella carica guidata da colui che Sirio comprese essere il loro re. La figura che torreggiava sopra di lui, l’essere vivente più alto di fronte al quale si fosse mai trovato.

 

Hrymr, erede diretto di Bergelmir e Re degli Hrimthursar.

 

Apparentemente simile ai suoi fratelli, non fosse stato per la cotta di metallo azzurro che gli copriva il petto, le gambe e le braccia, e la grezza corona di ghiaccio che portava in testa. Ma c’era qualcosa, nel suo sguardo, che fece subito comprendere all’allievo di Libra che Hrymr non sarebbe stato avversario facile da affrontare.

 

“Muori!!!” –Esclamò infatti, calando la lancia e sorprendendo lo stesso Sirio, che non credeva che i Giganti di Brina fossero in grado di parlare. Il ragazzo fu comunque abile a rotolare sul terreno, venendo raggiunto solo dall’onda d’urto, e quando Hrymr risollevò l’arma vide con orrore che la punta si era già ricreata. –“Posso creare ben altro con il ghiaccio, io che di queste fredde terre sono il Re! Posso fare e disfare!”

 

Sirio non seppe cosa rispondere ma mentre stava per scagliare il suo attacco migliore vide spuntoni di ghiaccio sorgere tutto attorno a lui, inclinandosi e andandosi poi a chiudere sopra la sua testa, imprigionandolo in una rozza prigione.

 

“Credi che un Cavaliere non riesca ad uscirne?” –Commentò, bruciando il cosmo, sebbene di fronte a quell’essere mitico fare dell’ironia gli riuscisse difficile. Distrusse le sbarre con un’esplosione di energia, ma non ebbe tempo di gioire che già la lancia di Hrmyr calava su di lui, avvolta in un turbine di gelo e nebbia, schiacciandolo a terra e aprendogli un taglio sul fianco destro della corazza.

 

Se non fosse stato svelto a spostarsi, quella stessa lancia gli avrebbe sfondato il cuore.

 

Fece per rialzarsi, ma si accorse di essere immobilizzato, il corpo ricoperto di uno strato di gelo che si faceva sempre più consistente, al punto da fondersi con il terreno in un unico ammasso primordiale. Vuole… murarmi vivo?! Realizzò, per la prima volta spaventato, mentre lo strato di ghiaccio gli copriva il viso, nascondendolo agli occhi di tutti. Per un momento si sentì perduto, chiedendosi se Alcor o Freyr sarebbero riusciti a localizzare la sua posizione, in quella mischia continua. D’istinto pensò a Cristal, a come aveva potuto sopportare una così bassa temperatura, in ben tre occasioni. A come era riuscito ogni volta a liberarsi.

 

Lo stesso avrebbe fatto lui, quanto meno ci avrebbe provato, sebbene lo strato di ghiaccio si stesse facendo sempre più alto, al punto da divenire un piccolo rilievo, dove l’aria scomparve e con essa la speranza.

 

Fu una voce a risvegliarlo dalla perdita dei sensi, una voce che ben conosceva, anche se in quel momento, sepolto sotto metri di ghiaccio, non seppe riconoscerla.

 

Ali della Feniceee!!!” –Gridò qualcuno, mentre l’infuocata sagoma di un uccello maestoso rischiarava la cupa aria del Niflheimr.

 

 

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Capitolo 22
*** Capitolo ventesimo: Una ragione per vivere ***


CAPITOLO VENTESIMO: UNA RAGIONE PER VIVERE.

 

Un vento freddo spazzava la propaggine occidentale del deserto del Gobi, in Asia Centrale, meglio noto come deserto di Taklamakan, nella parte più interna della Repubblica Popolare Cinese. Il clima, di per sé già rigido, si stava facendo sempre più freddo e Marins non ebbe bisogno di controllare il termometro del campo base per capire che probabilmente erano già scesi al di sotto di zero gradi celsius.

 

Il gelo, lui, lo detestava. Lo aveva odiato fin da piccolo, quando suo padre lo portava a caccia sulle Green Mountains, nell’interno del Vermont. E lo aveva odiato anche in seguito, dopo averlo visto morire ucciso per errore da un cacciatore davanti ai suoi occhi. E aveva continuato a odiarlo anche quando si era trasferito a New York City, per seguire le orme del suo idolo, Joe Di Maggio. E anche adesso, anni più tardi, vite più tardi, continuava ad essere coerente con se stesso, e a detestare il freddo.

 

Starnutì, tirando su la cerniera del giaccone a vento, e poi rientrò all’interno della tenda principale, ove alcuni generatori di energia garantivano una temperatura più confortevole. Attorno al tavolo Febo e l’archeologa responsabile degli scavi nella zona stavano concordando le nuove linee che avrebbero seguito, per quanto la donna fosse piuttosto timorosa riguardo alle condizioni di lavoro. E Marins, pur se captando solo parte della conversazione, non poteva darle comunque torto.

 

Era una bella donna, dal viso giovanile, che dimostrava meno dei quarant’anni che aveva, reclutata da Avalon in virtù delle ottime conoscenze storiche e culturali e dell’abilità dimostrata nel corso della sua carriera, fin da quando, vent’anni prima, aveva iniziato i suoi scavi presso Assuan, in Egitto. Ma non era certo l’unico motivo per cui il Signore dell’Isola Sacra l’aveva assoldata. Essenzialmente perché era una persona discreta, dote che ad Avalon, in un frangente simile, risultava molto gradita.

 

“Con un tempo come questo, e l’arrivo di una perturbazione dalla Siberia, è molto rischioso spingersi oltre!” –Stava dicendo l’archeologa. –“I miei assistenti sono ben addestrati, sopportano bene il caldo egiziano e il freddo dell’Artico, ma non posso comunque permettere loro di rischiare la vita!”

 

“Comprendiamo le sue ragioni, Dottoressa Hasegawa, ma non possiamo indugiare! Il nostro… finanziatore… si aspetta risultati concreti! E li vuole adesso!” –Incalzò Febo, attirando l’attenzione di Marins, che allora si avvicinò al tavolo, ove era distesa una mappa della regione dello Xinjiang, in cui si trovavano loro, dalle montagne Kunlun a sud fino alla catena del Tien Shan a nord.

 

Immagino…” –Si limitò a commentare l’archeologa, togliendosi gli occhiali da lettura e pulendoli con un fazzoletto che tirò fuori dal taschino della giacca. –“Dev’essere un tipo strano, questo vostro finanziatore! Impaziente, e molto potente! Non è da tutti metter su una spedizione di questo tipo in pochi giorni, ottenendo persino il nulla osta dal governo cinese! Ma, come vi dissi la scorsa settimana quando firmai il contratto, non vi farò domande! Del resto anch’io, quand’ero giovane, ho avuto i miei segreti! Chi non ne ha?”

 

Febo accennò un sorriso tirato, mentre la studiosa si incamminava fuori dalla tenda, lasciando i due Cavalieri delle Stelle da soli, di fronte alla mappa del Taklimakan, ove si trovavano da ben cinque giorni e dove sarebbero dovuti restare finché non avessero trovato quel che cercavano.

 

“Bel lavoro…” –Ironizzò Marins, ricordando il tono divertito del Signore dell’Isola Sacra quando aveva proposto loro un viaggio in Asia.

 

“Di turismo e cultura!” –Aveva esclamato, prima di farsi serio e fissare entrambi con occhi penetranti. –“Trovate il tempio! La localizzazione del nemico è essenziale in una guerra! Soprattutto in questa che, come sappiamo, sarà l’ultima!”

 

Febo e Marins avevano obbedito, come a ogni richiesta di Avalon, che aveva allestito in poche ore una spedizione straordinaria, mettendo a loro disposizione mezzi di ricerca per sondare il terreno e cinquantadue assistenti, oltre ad un’archeologa professionista. È strano, si disse il Cavaliere dei Mari Azzurri, come quell’uomo, che trascorre la vita in cima a un’isola avvolta da nebbie perenni, sappia tutto di tutti, veda fin dove l’occhio può spaziare e senta tutto quel che il vento gli può portare.

 

Nonostante fossero sedici anni che si allenava sotto la sua guida attenta, da quando aveva lasciato gli Stati Uniti, dove non era mai diventato il giocatore di baseball che avrebbe voluto essere da bambino, Marins sapeva di non conoscere affatto il suo maestro, come non lo conoscevano Febo e gli altri Cavalieri delle Stelle. Di lui sapevano solo ciò che egli voleva che sapessero, ciò che era importante ai fini della missione di tutti quanti loro. Garantire l’equilibrio. E con esso la loro sopravvivenza.

 

“Ci mancano ancora dodici settori da controllare!” –Commentò Febo, riportando lo sguardo di Marins sulla mappa. –“Sempre che non ci sia sfuggito qualcosa in quelli che abbiamo già passato al setaccio! Ma ne dubito, un tempio di una simile ampiezza non dovrebbe passare inosservato!”

 

Per praticità avevano suddiviso l’area delle ricerche in sedici quadranti, ma Marins sapeva bene che, considerando l’estensione di ogni singolo settore, pari a circa diciassettemila chilometri quadrati, l’entusiasmo di Febo era solo di facciata. Poiché anch’egli stava iniziando a sentirsi stanco e disperava di trovare davvero qualcosa in quella terra di sabbia e pietre, in quel deserto freddo che ogni giorno diveniva sempre più simile al Polo Nord.

 

“Avessimo almeno notizie più sicure! Una zona in cui restringere le ricerche!” –Sbottò, tirando un pugno sul tavolo e facendo tremolare la lampada posata su di esso. –“Per gli Dei! Se anche si trova qua, questo fantomatico tempo primordiale, non lo troveremo in questo modo, portandoci dietro un caravan di ligi scienziati!”

 

“No!” –Sospirò Febo, spostandosi i lisci capelli biondi dietro l’orecchio. –“Per questo credo che dovremmo passare al piano B!”

 

“Abbiamo un piano B?!” –Ironizzò Marins, prima che Febo spostasse un telo dietro al quale erano ammucchiati un paio di scatoloni con la scritta “Fragile” appiccicata. Non ebbe bisogno di chiederlo al compagno che intuì cosa vi fosse all’interno.

 

Dieci minuti dopo, nel calar della sera, Marins e Febo sfrecciavano nelle desertiche lande del Taklamakan rivestiti dalle Armature delle Stelle, azzurra e dorata quella di Marins, simile alle corazze di scaglie dei seguaci di Nettuno, e di color oro e rosso quella di Febo, intrisa del potere del sole.

 

“Sai cosa significa Taklamakan in lingua uigura?!” –Chiese Febo all’amico, continuando a correre al suo fianco e alzando, al passaggio, onde di sabbia.

 

“Intanto spiegami cos’è questa lingua uigura…

 

“Sei il solito yankee materialista e ignorante!” –Ironizzò Febo. –“È la lingua di origine turca parlata in questa regione! A lei dobbiamo il simpatico nomignolo di questo deserto, che significa terra del non ritorno! Ovvero: se ci vai, non ne esci più!”

 

Confortante…

 

“Forse è davvero così… Forse i lontani antenati degli Uiguri sapevano quel che un tempo, agli albori della civiltà, sorgeva qua, e scelsero questo nome efficace!” –Mormorò il figlio di Amon Ra e della Sacerdotessa di Apollo.

 

“Ma se non vogliamo che le loro profezie si avverino, dobbiamo trovare il tempio!” –Cercò di confortarlo Marins, prima di scattare avanti e perdersi nella notte.

 

***

 

Pegasus giaceva su un letto a Fensalir, debole e febbricitante, sotto l’attento sguardo di Eir, Asinna della Medicina, che si era presa cura di lui fin da quando gli Einherjar, su ordine di Balder, lo avevano condotto nella residenza della Signora del Cielo.

 

Era stato proprio il figlio di Odino a spogliare il Cavaliere di Atena della sua armatura, ammirandone al qual tempo l’ottima fattura, di matrice certamente divina. Poi, aiutato da Eir, lo aveva disteso su un letto, in una delle tante camere disponibili, affinché la Guaritrice potesse medicare le sue ferite.

 

“Quanto meno quelle esteriori!” –Aveva commentato lei, sfiorando con le dita i lividi e i tagli che costellavano il corpo ben curato del ragazzo, soprattutto sul volto e sulle braccia, e lasciando che il suo cosmo divino fluisse dentro di lui. Ad ogni carezza il Cavaliere pareva sussultare, come penetrato in profondità da spilli acuminati, e più volte la Guaritrice dovette fermarsi, temendo di provocargli più dolore che ristoro.

 

Fu Balder a insistere affinché proseguisse, cercando di non udire i lamenti del ragazzo, che spesso si spingeva persino a gridare e ad afferrare con le mani pezzi di lenzuolo, in uno stato di incoscienza apparente, vittima delle sostanze venefiche che aveva respirato durante lo scontro con Jormungandr.

 

Un uomo normale sarebbe già morto! Commentò il figlio di Odino, osservando le mani esperte di Eir cicatrizzare le ferite di Pegasus e continuando a sondare il suo animo, tramite il cosmo. Anche molti Einherjar non sarebbero sopravvissuti. Eppure tu, Cavaliere di Atena, ancora ti appigli alla vita, ancora non vuoi abbandonare le tue spoglie mortali per ottenere il riposo eterno, sebbene, questo mi pare ovvio, la tua esistenza terrena non sia scevra dal dolore e dall’inquietudine. Perché? Cos’è che così tanto ti preme, al punto da spingerti a sopportare intenso e immeritato dolore? Quale colpa ritieni di dover espiare per meritare tutto questo?

 

Balder sospirò, mentre Eir si alzava dal letto, dopo aver bagnato le labbra del ragazzo con un infuso di erbe medicinali da lei preparato.

 

“Io ho finito!” –Commentò. –“Nonostante gli elogi che Odino spesso mi ha riservato, non sono in grado di resuscitare i morti, posso soltanto alleviare i tormenti dei feriti, ma trovare o meno la forza di reagire e di continuare a vivere sta soltanto a loro!”

 

“Hai fatto il possibile e te ne sono grato, Guaritrice degli Dei! Aiuterò io adesso il Cavaliere di Pegasus a ritrovare la retta via!” –Mormorò Balder, espandendo il proprio cosmo, che brillò luminoso, rischiarando l’intera magione della Signora del Cielo, confortando tutti i presenti e avvolgendo Pegasus in un tenero abbraccio. –“Che il sole di Asgard possa illuminare il tuo cammino, Cavaliere della Speranza! Che possa essere per te un faro, una guida per ritornare alla vita!” –Nient’altro aggiunse, sedendo vicino a lui e prendendogli una mano, continuando a infondergli il calore del cosmo e scandagliando al qual tempo i suoi ricordi per trovare la fonte della sua inquietudine. Mille immagini si accavallarono nella mente del figlio di Odino, istantanee delle battaglie affrontate da Pegasus in nome della giustizia. Da solo o assieme ai propri amici, sempre sorretto da ideali nobili, sempre protetto da una forza antica come il mondo che Balder non ebbe difficoltà a riconoscere.

 

Era la Divinità a cui Pegasus era devoto, la Vergine dallo sguardo scintillante che gli ateniesi indicavano con due semplici parole. He thea. La Dea. Un epiteto antico per la figlia di Zeus. Pallade Atena.

 

“Sebbene la protezione della Dea Guerriera ricada indiscriminatamente su tutti i suoi Cavalieri, fin dal Mondo Antico, vi è un legame particolare che la unisce al suo Primo Cavaliere, a colui che indossa l’armatura della costellazione di Pegasus!” –Rifletté Balder, cercando di ricomporre la trama di un rapporto che pareva trascendere il tempo e andare oltre, fino alle origini. Al primo incontro tra Pegasus e Atena avvenuto molti secoli addietro, millenni persino, quando il mondo era giovane e gli Dei credevano di potersi gloriare dell’appellativo di eterni.

 

Colui che per primo indossò la corazza di Pegasus, forgiata dagli alchimisti di Mu utilizzando il Gamanion, l’Oricalco e la Polvere di Stelle, visse infatti all’epoca della Prima Guerra Sacra che oppose le schiere di Atena Promachos a quelle del Signore dei Mari, obbligando la Dea a dotare i propri combattenti di armature speciali, che potessero proteggerli dai devastanti attacchi nemici. Fu proprio lei a disegnarne le forme, ispirandosi alle costellazioni celesti, e quella di Pegasus fu la prima ad essere realizzata, perché traeva origine da una storia che la riguardava in prima persona.

 

Tempo addietro, quando Perseo, figlio di Zeus, aveva affrontato Medusa, una delle Gorgoni, dal suo sangue era nato un cavallo alato, espressione della vitalità e della forza pulsante unita al desiderio e alla capacità di liberarsi da qualsiasi legame e volare in alto. Quel destriero, cui Atena aveva donato delle briglie d’oro, fu chiamato Pegaso e rimase per sempre simbolo di ciò che gli uomini potevano ottenere se lo avessero voluto, di ciò che la Dea si aspettava che gli uomini raggiungessero. La possibilità di superare i loro stessi limiti, innalzandosi verso il cielo ad ali spiegate.

 

Ed è quello che fece il primo Cavaliere che indossò tale corazza, Bellerofonte di Pegasus, e tutti coloro che gli succedettero, passando per Seiya, il giovane che riuscì a ferire Ade durante la Prima Guerra Sacra contro l’Imperatore dell’Oltretomba, e giungendo infine a lui, ultimo discendente di una stirpe di eroi.

 

A questo pensava Atena in quel momento, seduta sotto un ulivo sul retro della Reggia di Zeus.

 

Aveva lasciato i suoi pari a discutere gli ultimi dettagli relativi alla rinascita di Nettuno, dopo che Ermes aveva abbandonato l’Olimpo, portando con sé il Vaso di Atena, e si era incamminata nel giardino sacro, bisognosa di un momento per se stessa. Non solo per riflettere sulla pericolosità della decisione presa da Zeus, ma anche per ristabilire un contatto con i suoi Cavalieri, un contatto di cui sentiva la necessità, per infondere loro forza, nella continua lotta contro le forze del male, ma anche per prenderne a sua volta.

 

Era così che funzionava il loro rapporto, basato su un equilibrio perfetto di emozioni. Un equilibrio che aveva permesso loro di riportare tutte le vittorie che costellavano il loro cammino, il percorso comune intrapreso quel giorno, tra le rovine del Palazzo dei Tornei, quando aveva rivelato la sua vera natura e lo scopo del loro addestramento. Per questo siamo stati chiamati! Aveva detto Isabel quel giorno.

 

Ma non ce l’avremmo fatta ad arrivare fin qua se non ci fossimo sorretti l’un l’altro, ali silenziose in grado di rimetterci in piedi quando non siamo stati più in grado di camminare da soli! Aggiunse adesso la Dea. Voi siete stati la mia forza, per tutto questo tempo, ciò che mi ha spinto a non arrendermi mai, in nessuno dei martìri che ho patito. La speranza silenziosa dell’umanità. Lasciate che anch’io vi rinfranchi! E nel dir questo espanse il cosmo, socchiudendo gli occhi e lasciando che il vento lo portasse via, lontano, fino a raggiungere le terre eterne di Asgard.

 

Lambì il corpo di Sirio, donando al drago la forza per tornare a ruggire, spezzando i legami che lo tenevano prigioniero. Infiammò il cosmo di Phoenix, appena sceso sul campo di battaglia, dandogli la sua benedizione. Ristorò Cristal, provato per lo scontro con Beli, e sostenne Andromeda in quella che, agli occhi del ragazzo, sembrò una nuova prova del suo infinito addestramento.

 

Infine raggiunse Pegasus, naufragando tra i ricordi assieme a lui.

 

Isabel…” –Mormorò il giovane.

 

Atena sobbalzò, prima di capire che non era a lei che si riferiva, ma alla bambina viziata che amava trascorrere le notti ad ascoltare i racconti di suo nonno e i giorni a rendere la vita un inferno agli orfani che l’anziano aveva riunito presso la sua casa.

 

“Non sono il tuo cavallino, né mai lo sarò!” –Esclamò il bambino, strappandole la frusta dalle mani e gettandola via.

 

“Come osi?” –Si accalorò la piccola Isabel, schiaffeggiandolo e spingendolo indietro.

 

Scontri del genere, alla Grande Fondazione, erano all’epoca frequenti e si risolvevano sempre con l’intervento di Asher, che mellifluo acconsentiva ad eseguire ogni richiesta della capricciosa bambina, anche al punto di umiliare se stesso.

 

“Mentre tu… non l’hai mai fatto!” –Sospirò Isabel, rattristata dai propri infantili atteggiamenti, mentre il vento del ricordo smuoveva le fronde dell’ulivo. –“No! Sei sempre stato uomo a sufficienza! Per entrambi!”

 

E ricordò il giorno in cui si erano rivisti, dopo i sei anni di addestramento, e la guerra di sentimenti scatenatasi nel cuore del ragazzo, dominato prima dall’ansia e dalla felicità di ritrovare sua sorella, poi dal dolore nell’apprendere della sua scomparsa.

 

“Per quello sei diventato Cavaliere! Per quel motivo hai stretto i denti e sopportato anni di allenamento intensivo e scontri massacranti! Non per inseguire i sogni di pace di chissà quale Divinità il cui nome è stato a lungo un sospiro nel vento!” –Mormorò Atena, a cui parve di vedere le labbra sofferenti del Cavaliere contrarsi in un silenzioso cenno d’assenso.

 

“A volte ho pensato di smettere!” –Parlò Pegasus per la prima volta, stupendo la Dea che non immaginava che il ragazzo avrebbe potuto percepire la sua presenza dentro di lui. –“Soprattutto dopo aver ritrovato colei che avevo perduto! ‘Il cerchio si è chiuso!’ dissi a Lamia poche settimane fa, dopo la sconfitta di Flegias sull’Isola delle Ombre. Quel che dovevo fare l’ho fatto, e adesso posso essere in pace con me stesso, senza più rimproverarmi niente!”

 

“Non avresti mai dovuto rimproverarti alcunché!” –Fu la risposta di Isabel.

 

“Non avrei potuto vivere sapendo di non aver fatto abbastanza per ritrovarla! Lei, in fondo, è stata la mia famiglia per anni, l’unica che si è presa cura di me, tenendomi per mano e correndo assieme a me a caccia di farfalle! Mi ha fatto da sorella, ma anche da madre e da amica! E per un momento, credendo che le guerre fossero finite e che gli Dei sanguinari fossero stati sconfitti, Apollo, Nettuno, Ade e Ares, ho accarezzato l’idea di avere una vita normale, quella che i ragazzi della mia età vivono quotidianamente! Quell’esistenza che io, Sirio, Andromeda, Cristal e Phoenix abbiamo soltanto sfiorato, nei rari momenti di quiete che ci sono stati concessi!”

 

“È la vita che anch’io vorrei per voi!” –Confessò Atena. –“Per questo vi feci dono del Talismano della Dimenticanza! Per darvi quell’opportunità che meritate!”

 

“E cosa faresti, Isabel, se anche tu potessi goderne, di quell’opportunità?”

 

Atena sorrise, alla genuina innocenza di quella domanda e al piacere di sentire il suo nome pronunciato proprio da lui. –“Non credo che in questa vita potrò goderne, Pegasus!”

 

“Neppure io lo credo! Ma a volte è bello pensarlo! Sognare il futuro!” –Mormorò lui. –“Immaginare un mondo senza più guerre, dove potrei smettere i panni dell’eroe, in cui mi sono sempre trovato stretto, e indossare quelli di un diciottenne come tanti, desideroso di vivere la vita fino in fondo! In quel mondo fantastico, vorrei viverla con te. Passeggiare insieme sulla spiaggia di Luxor, osservando i tramonti succedersi e il nostro amore rimanere. Oppure sedere sul molo della Darsena, a rimirare le stelle, unendole in modo da disegnare quel che la fantasia e i nostri sogni ci vedrebbero!”

 

“Sarebbe bello…” –Confessò lei.

 

“Sì, lo sarebbe! Questa è la vita che ho a lungo sognato per entrambi, e per cui ho combattuto negli ultimi anni, da quando è diventato chiaro, a me stesso, il motivo per cui stavo davvero lottando! Non più ritrovare mia sorella, non soltanto!”

 

Pegasus… Ti prego…” –Lo fermò Atena, che non poteva sopportare oltre. Era una Dea, e aveva dei doveri nei confronti dell’umanità, anche se a volte le faceva male ricordarlo, perché esserlo significava precludersi quella felicità che come donna avrebbe voluto. –“Sono risorta in quest’epoca per una missione!”

 

“Lo so! E a volte anch’io credo di essere nato per questo! Per continuare quel che le nostre anime hanno iniziato millenni addietro, agli albori del mondo, e rimanere insieme per l’eternità! Dannati nei nostri sentimenti! Vicini sempre, pur senza raggiungerci mai!”

 

La Dea non aggiunse altro, consapevole che Pegasus aveva colto nel segno. Quel che volevano entrambi era qualcosa che non avrebbero mai avuto. Che lo accettassero o meno, dovevano andare avanti e fare quel che ci si aspettava da loro, combattere per la giustizia e la difesa dell’umanità. Anche a costo di bruciare la loro stessa felicità.

 

Cos’è in fondo la felicità di un uomo di fronte alla sofferenza di un mondo? Si ripeteva Atena, nei momenti che riusciva a dedicare a se stessa. Ma, per quanto conoscesse la risposta, a volte le pesava ammetterla.

 

“Sto morendo!” –Disse infine Pegasus, e la Dea poté percepire lo spegnersi del suo cosmo. Quella fiamma che finora aveva sentito nel cuore, adesso stava sbiadendo, perdendosi in un’ombra lontana.

 

“Devi reagire!!!” –Lo incitò, dall’alto dell’Olimpo.

 

“Le mie forze non bastano più! Il veleno di Jormungandr…

 

“Puoi vincerlo! Il mio cosmo ti aiuterà! Come vincemmo la Spada di Ade!”

 

“Conservalo per i giorni che verranno! Ne avrai bisogno anche tu, per affrontare l’ombra!” –Le disse Pegasus, rifiutando il suo aiuto. E alla figlia di Zeus parve di sentire un muro sorgere tra loro, un muro che, pur se distante, le impediva di donare il suo cosmo a colui che amava.

 

Pegasus… Tu non puoi morire, sei l’unica speranza per tutti coloro che vivono in quest’epoca!”

 

“No! Io sono soltanto un Cavaliere devoto come tanti, che ha lottato ed è caduto per la sua Dea! Sei tu la speranza degli uomini! Tu, che hai sopportato e sopporterai ancora il peso di ogni perdita, di ogni rinuncia!”

 

“Sai quanti Cavalieri hanno indossato l’armatura di Pegasus prima di te? Numerose decine. E quanti hanno indossato le altre ottantasette corazze? Numerose centinaia. E tutti, tutti quanti, hanno combattuto sorretti da autentica fede, tutti hanno lottato per la giustizia, per difendere la Terra, per proteggere gli uomini o una persona che avevano cara, fosse un amico o un fratello! Tutti hanno trovato la morte sotto i vessilli di Atena, ma tu, tu soltanto, hai lottato per me! Non per la Dea, ma per Isabel! Unico, di tutte le migliaia di eroi che la storia ha conosciuto!”

 

“Tu sei la Dea, per me!” –Commentò Pegasus.

 

“E per me dovrai vivere, allora!” –Sentenziò Isabel. –“È una ragione sufficiente?!”

 

Pegasus non rispose e la Dea perse ogni collegamento con il ragazzo, risvegliandosi di scatto dal trance in cui era apparentemente precipitata. Demetra, in piedi di fronte a lei, la osservava con aria preoccupata, mentre rivoli di sudore le colavano sul volto.

 

Anche Balder perse ogni contatto con la mente del Cavaliere, e per un attimo credette davvero che l’ombra lo avesse vinto, trascinandolo verso l’abisso. Poi, lenta ma persistente, la fiamma del suo cosmo risplendette di nuovo e il figlio di Odino sorrise, osservando Pegasus riaprire gli occhi e guardarsi intorno, stordito e un po’ dolorante.

 

“Ben svegliato, Cavaliere di Atena!” –Esclamò il Sole di Asgard con un gran sorriso. –“È nel tuo destino, nel tuo sangue, correre in aiuto di Atena!”

 

***

 

Erik si stava proprio divertendo. Come non accadeva da tempo.

 

La sua corazza era sporca, di terriccio e di sangue nemico. La sua scure era intrisa della materia cerebrale di tutti coloro a cui aveva sfondato il cranio. Il suo ego traboccava smisurato, pregustando già lo scranno su cui Loki lo avrebbe fatto sedere al termine di quello scontro, che si sarebbe concluso con il loro trionfo.

 

Di questo, Erik non aveva dubbi. Non fosse stato altro per il nome che portavano, che aveva applaudito quando l’Ingannatore lo aveva assegnato loro. Gli Dei di Vittoria.

 

“E in quale altro modo dovremmo chiamarci?!” –Aveva ironizzato quel giorno, nelle caverne di Járnviðr. –“Dei di Sconfitta non sarebbe altrettanto stimolante, non credi?”

 

Loki non gli aveva dato ascolto, rifugiandosi nelle profondità assieme a Managarmr, l’unico, dei cinque, a condividere con il Dio una certa intimità, per quanto al ragazzo sembrasse un comportamento dovuto nei confronti di colui che considerava un padre.

 

“Se Loki gli ordinasse di gettarsi nudo tra le fiamme, quello non esiterebbe una volta, senza neanche chiedersi perché!” –Aveva sentenziato Bjuga, addentando con voracità il cosciotto di lepre appena tolto dal fuoco.

 

Drepa e Hræsvelgr non avevano aggiunto altro, per niente interessati ad una conversazione con i loro parigrado, nessuno dei quali li considerava tali.

 

“Hanno tutti sbagliato!” –Sogghignò Erik, roteando la propria arma e staccando la testa di un Einheri con un colpo solo, scagliandola a molti metri di distanza. –“L’unico degno guerriero sono io! Ahr ahr! Un bersekir allo stato puro!”

 

Modhgudhr, alle sue spalle, rimaneva in silenzio, limitandosi a proteggere il Sigtýr con una barriera di energia psichica, impedendo agli attacchi avversi di raggiungerlo. Tutte le frecce che gli erano piovute contro erano state annientate al solo contatto con tale protezione, permettendogli un margine d’azione che nessun’altro guerriero aveva.

 

Forte di quel vantaggio, Erik aveva massacrato persino Ullr, il Cacciatore degli Asi, legando la sua testa alla cintura, come monito per coloro che avessero osato sfidarlo.

 

Proprio in quel momento Loki gli parlò, tramite il cosmo, pregandolo di raggiungerlo ai margini inferiori della piana. Con amarezza, per doversi sottrarre al bagno di sangue, Erik obbedì, facendo cenno alla fanciulla dal volto emaciato di seguirlo.

 

“Salute a te, Gran Fabbricatore di Inganni! Accetta questo mio umile dono, come prova della mia indiscussa fedeltà alla causa!” –Esordì il Rosso, gettando la testa di Ullr ai piedi di Loki, che mosse un passo indietro, disgustato da quella sozza visione. –“Non sarai diventato schizzinoso?! Ahr ahr!”

 

“Al momento sono piuttosto irritato, in verità!” –Esordì il Dio. –“Dai Cavalieri di Atena, per essere preciso! E quando sono irritato mi prude la pelle! Ero convinto che il crollo di Bifrost li avrebbe tenuti lontani, invece sono giunti fin qua, passando da non so quale strada! La loro presenza è nociva al completamento dei piani!”

 

“Sei turbato da dei ragazzini? Quanti Einherjar abbiamo già massacrato quest’oggi? A settantadue ho perso il conto! Ahr ahr!” –Rise Erik, ma poi, vedendo lo sguardo irato, e preoccupato, che Loki gli rivolse, si chetò. Le cicatrici violacee che il nume solitamente nascondeva tramite il cosmo erano adesso evidenti, così come il tic nervoso che lo portava a grattarsi con frequenza.

 

Jormungandr è caduto! Ho sentito la sua aura spegnersi, sconfitto indubbiamente da un Cavaliere di Atena, credo Pegasus! Un altro è qua, a Vígridhr, e ho inviato Fenrir ad occuparsene! Un terzo è a Himinbjörg e, dal momento che viaggiano sempre in cinque, immagino che anche gli altri due non siano lontani, magari intenti a ritardare l’avanzata dei Giganti di Gelo dal Niflheimr? Inoltre vi sono altri due cosmi che non riesco a riconoscere, ma che mi sono apertamente ostili!”

 

“Ti preoccupi troppo! A qualunque divinità siano devoti, i nostri nemici cadranno tutti! Un collo è sempre un collo!” –Commentò Erik, sollevando la scure.

 

“Ciononostante intendo fargliela pagare! Un versetto della Bibbia giudaico-cristiana recita: Occhio per occhio, dente per dente, bruciatura per bruciatura, ferita per ferita! Io aggiungerei: scure per scure!” –Sogghignò Loki, ritrovando la sua perfida determinazione. –“Dal momento che i Cavalieri di Atena non si sono fatti scrupolo alcuno nell’intromettersi in affari che non li riguardavano, non avranno da lamentarsi se anche noi faremo altrettanto, non credi?!” –E spiegò a Erik ciò che lui e Modhgudhr avrebbero dovuto fare.

 

La vendetta dell’Ingannatore si sarebbe presto abbattuta su Atene.

 

 

 

 

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Capitolo 23
*** Capitolo ventunesimo: Antichi rancori ***


CAPITOLO VENTUNESIMO: ANTICHI RANCORI.

 

L’agitarsi furibondo del Serpe del Mondo aveva distrutto il ponte di pietra su cui Jonathan stava correndo, seguito dall’esercito dei nani, scaraventandoli in alto fino a farli ricadere molti metri addietro, separati da Mizar dalle acque del Thund. Assieme a lui, sull’altra riva del fiume, c’erano Artax e Cristal, che avevano raggiunto i due Cavalieri poco prima che uscissero da Valgrind, un po’ provati dall’intenso scontro sostenuto a Muspellheimr.

 

“Cavaliere mithril!” –Lo chiamò la ruvida voce di Durin, avvicinandosi per aiutarlo a rimettersi in piedi.

 

“Sto bene, grazie, Re dei Nani!” –Esclamò Jonathan, rialzandosi, con lo Scettro d’Oro saldamente in mano. Tirò un’occhiata a Mizar e Cristal, che gli fecero cenno che sarebbero andati avanti, e si guardò attorno, cercando un modo per superare quel fiume dal letto ampio e dalla corrente agitata. Avendo Jormungandr distrutto il ponte vicino al Valhalla, potevano soltanto correre al successivo, più orientato verso nord rispetto al precedente, sebbene Jonathan non fosse affatto sicuro che la direzione in cui si stavano adesso muovendo fosse il settentrione.

 

In questa terra mitica, di insidie e di eroi, anche le coordinate geografiche sono difficili da definire! Si disse.

 

Era l’alba, quella mattina, quando aveva lasciato Avalon assieme a Reis e non dovevano essere passate più di due ore da quando aveva varcato la soglia del portale dimensionale a Midgard. Ma che fosse tarda mattinata o primo pomeriggio, di questo non poté esserne certo, stranito da quella singolare sensazione che lo aveva invaso non appena giunto nella Terra degli Asi.

 

C’era qualcosa, nell’aria sempiterna di quel regno, che gli ricordava l’isola di Avalon. Un mondo in cui il tempo scorreva diversamente rispetto al resto del pianeta, per quanto Jonathan ben sapesse che il tempo in realtà non scorreva affatto.

 

“È un pregiudizio di cui devi liberarti!” –Gli ripeteva spesso il suo maestro, nelle loro serate a Isla del Sol, trascorse a parlare di fronte a un fuoco di bivacco. –“Il tempo non corre né si arresta. Il tempo semplicemente è. Sono gli uomini che si muovono nel tempo, che compiono il loro ciclo vitale: nascita, giovinezza, età adulta e vecchiaia. Ma il tempo non cambia mai. È un eterno presente! È questo che garantisce la ciclicità e la continuità della vita!”

 

Qualcosa di simile aveva appreso dal Signore dell’Isola Sacra, e ne era tanto più certo quanto più si riferiva agli Dei, entità millenarie al cui confronto la vita umana durava un battito di ciglia. Eppure la storia avrebbe dovuto insegnare loro che anche le Divinità potevano morire. Potevano cadere in battaglia, vittime delle Guerre Sacre che avevano scatenato, o subito. O potevano essere asservite ad un’entità ancora più potente, a loro superiore. E questo era ciò che Jonathan temeva stesse per accadere.

 

“Coraggio! Il ponte è vicino!” –Gridò, rinfocolando il bellicoso animo della legione che si era ritrovato, suo malgrado, a guidare.

 

Il migliaio di nani che lo seguiva, rivestiti di resistenti cotte di ferro e bronzo e armati di asce, catene e mazze, rispose con un’invocazione convinta, prima di giungere al ponte di pietra grezza segnato ai lati da due statue di guerrieri con le spade sguainate. Vi passarono sopra, giungendo sull’altra sponda di Thund, in un punto dove i rumori della battaglia erano più consistenti. Ma non provenivano dal Monte del Cielo, che rimaneva alla loro sinistra, bensì dall’immensa piana che iniziava poco distante.

 

Jonathan fece cenno ai nani di seguirlo e insieme a loro giunse a Vígridhr, nel cuore della guerra, nel bel mezzo del Ragnarök.

 

Di fronte a sé si estendeva un prato lungo parecchie miglia, che digradava lentamente verso una foresta di conifere. Ma dell’erba e dei fiori che un tempo lo costellavano, e degli animali che vi pascolavano, non vi era più traccia. C’era soltanto un immenso scontro in atto, tra l’esercito fedele a Odino, costituito dagli Asi e dalle migliaia di Einherjar ascesi al Valhalla nel corso dei secoli, e la summa di tutte le forze del male scatenate da Loki.

 

E proprio lui, il Diabolico Ingannatore, se ne stava in piedi sul cranio del gigantesco lupo da lui generato, scagliando rune di cosmo a destra e a manca con cui falciava la vita dei guerrieri di Odino, mentre le demoniache schiere lottavano attorno a sé.

 

Jonathan rimase impressionato da una scena che andava al di là di ogni previsione. Aveva letto numerosi libri sulle Guerre Mondiali che avevano scosso il continente europeo nel Ventesimo Secolo, le prime che erano state definite guerre di massa. Ma la mischia che si apriva davanti ai suoi occhi riusciva persino ad andare oltre. Era un’accozzaglia confusa di poteri, dove ogni forma di ordine era destinato a disgregarsi. Era la rivincita delle forze del caos. La vendetta degli imperfetti.

 

Qualunque cosa si aspettasse, non poté far altro che sollevare lo Scettro d’Oro e liberare un fascio di luce, lanciandosi avanti, seguito dai nani che avevano già sguainato le affilate asce. La fiumana Dvergr travolse l’esercito di defunti che avevano abbandonato le distese di Hel per reclamare il loro posto al sole. Adulteri, morti di malattia o vecchiaia, assassini, stupratori, sadici e violenti. Jonathan si trovò immerso nella feccia peggiore e ovunque volgesse lo sguardo, in qualunque direzione puntasse la luce dello scettro, dovette ammettere di trovare solo ombra e morte.

 

“Non deve essere difficile capire chi sono i buoni e chi i cattivi!” –Ironizzò, evitando un rozzo dardo diretto contro la sua spalla. –“Per esempio quel lupo immenso le cui fauci sembrano mangiare il cielo presumo non sia dei nostri! Né questi… questi… Per Avalon, non ho idea di come definirli! Non-morti?!”

 

Attorno a sé si stava chiudendo un mucchio di uomini che sembravano morti viventi, tanto la loro pelle era consumata, gli abiti logori, gli sguardi spenti, risollevati dalle tombe cui erano stati confinati. Una brigata di gente sbandata, che forse un nome non lo aveva. Erano soltanto pedine nelle mani di chi li aveva aizzati contro gli Asi.

 

“Mi dispiace per voi, morti-non-morti, poiché neppure dopo il trapasso vi è stata data quella pace di cui non avete goduto in vita!” –Mormorò, prima che lo Scettro d’Oro emettesse una luce abbagliante che trafisse i petti degli avversari.

 

Nel vorticare furioso dello scontro, in cui presto si trovò circondato da un numero così elevato di defunti da non riuscire più nemmeno a contarli, cercò di guardarsi incontro, alla ricerca dei suoi compagni. Ma vide soltanto Andromeda, la cui catena sfavillava nel fosco cielo poco distante, impegnato in un duro scontro. Di Sirio, Cristal e Reis nessuna traccia, persino di Pegasus non riusciva più a percepire il cosmo, ardente fino a pochi istanti prima.

 

Aaargh!!!” –L’urlo di Durin lo riportò in battaglia, costringendolo a voltarsi verso i nani, che combattevano furiosamente, invasi da una determinazione che poche volte aveva visto in battaglia. Qualcuno era già caduto, ma la massa si era presto compattata attorno al Cavaliere Mithril, l’eroe leggendario che li aveva incantati con lo scintillare della sua armatura e del manufatto che stringeva in mano.

 

Ma, da quel che poteva vedere, quello sbarramento di scudi non era stato sufficiente per fermare una sagoma così esile come quella della vecchia dalla pelle raggrinzita che, solo agitando una scopa, stava spazzando via un nano dietro l’altro, sfondando le loro linee difensive.

 

“Ho trovato il mio nemico!” –Mormorò Jonathan, muovendosi verso di lei, con lo Scettro d’Oro teso e pronto a liberare un violento raggio di energia.

 

Proprio in quel momento un’ombra lo sovrastò, oscurando quel poco di luce che riusciva a rubare spazio alle nuvole. Un’ombra la cui estensione aumentò, portando il biondo Cavaliere di Avalon a sollevare lo sguardo al cielo, dove l’imponente sagoma di una nave si stagliava minacciosa. Una nave che, per quanto Jonathan sbattesse gli occhi per esserne sicuro, sembrava fatta di unghie.

 

“Giù!” –Sentì ordinare da una perentoria voce maschile, mentre la barca scendeva a terra, schiacciando qualche nano e persino qualche morto-non-morto.

 

“Una nave volante?!” –Balbettò, mentre un gruppo di nani, tra cui Durin e Dvalin, si riuniva attorno a lui, sollevando le asce.

 

Naglfar! Questo è il suo nome! Ed è il vascello di cui Loki mi ha affidato il timone, lo stesso che ha solcato i cieli del Nifhleimr conducendo fin qua le schiere fedeli alla sovrana di quel regno! La mia regina, Hel, su cui avevi posato lo sguardo!” –Esclamò una voce, mentre un’agile sagoma balzava giù dal ponte di comando, atterrando proprio di fronte a Jonathan e ai nani, di modo che potessero vederlo.

 

Era un uomo sui quarant’anni, dall’espressione accigliata e lo sguardo intenso, rivestito da un’armatura violacea, dai riflessi neri, che Jonathan non seppe dirsi cosa rappresentasse, probabilmente qualche creatura infernale. Stretta nella mano del guerriero, una spada la cui lama emanava bigi riflessi ad ogni movimento.

 

“Chi sei?” –Chiese il Cavaliere dei Sogni.

 

Megrez, tredicesimo nel mio nome!” –Esclamò tronfio l’uomo. –“Colui che darà lustro al suo antico casato! Ma puoi chiamarmi Naglfari, il Viaggiatore delle Unghie! Ah ah ah!”

 

“Piuttosto sicuro di te stesso…” –Commentò Jonathan.

 

“E perché non dovrei? Non è mia abitudine sottovalutarmi!”

 

“Non dovresti farlo neanche con i tuoi avversari!” –Precisò Jonathan, ottenendo in risposta soltanto una risata di scherno.

 

“E dove sarebbero?! Forse questi buffi nanetti da giardino? O tu, un ragazzino dai capelli slavati che ha appena smesso di poppare dai seni di sua madre?!”

 

“Maledetto! Non permetterti più!” –Ringhiò Jonathan, scattando avanti, infervorato al solo ricordo di sua madre e della sua tragica fine. Con un balzo superò i nani disposti attorno a lui, sfolgorando nel suo cosmo lucente, mentre già lo Scettro d’Oro liberava migliaia di fasci di energia.

 

Megrez fu svelto a muoversi, evitando molti di essi, e a roteare la spada, lasciando che altri scivolassero sulla superficie gelida della lama, disperdendosi senza ferirlo.

 

“Piuttosto svelto per essere un poppante!” –Commentò, deviando anche l’ultimo raggio energetico, senza curarsi di chi venisse al suo posto raggiunto.

 

“Posso fare di meglio, anzi mi dispiaccio di averti raggiunto una sola volta! Sai, anch’io, come te, ho un’alta opinione di me stesso! Ma, a differenza tua, è meritata!”

 

“Ah ah ah! Sei simpatico, ragazzino!” –Ghignò Megrez. –“Meglio di mio figlio, certamente! Ma così giovane e già ti manca qualche diottria? Non vedi che non mi hai…” –Ma le parole gli si spezzarono in bocca, quando sentì la carne andare a fuoco sulla coscia destra. Abbassò lo sguardo e vide con orrore lo squarcio sulla tuta scura che aveva addosso e la pelle ustionata.

 

“È una bruciatura leggera!” –Commentò Jonathan, con un sorriso ironico. –“Per un maschio come te, è ben poca cosa!”

 

Megrez Naglfari non disse niente, limitandosi a fissarlo con astio, digrignando i denti, prima di scattare contro di lui, con la spada sollevata. La calò a pochi centimetri dal viso di Jonathan, che si spostò lesto di lato, evitandola e fermandone il ritorno con l’asta dello scettro. Il servitore di Hel liberò la propria arma da quella del ragazzo, ma non ebbe modo di tentare un nuovo affondo che già veniva spinto indietro da un’onda di energia dorata.

 

“Svelto, abile e potente…” –Sogghignò l’uomo, mentre una decina di nani si lanciava contro di lui, pronti per combattere a difesa del Cavaliere Mithril.

 

“No, fermi! Lasciate a me costui!” –Li richiamò Jonathan. –“Occupatevi dell’esercito di defunti al servizio di Hel! Non sono addestrati come gli Einherjar, ma sono tanti. Troppi! È tempo di sfoltire le loro fila e di ricondurli al sonno eterno!”

 

“Come comandi, Cavaliere Mithril!” –Esclamarono i nani, allontanandosi dai due guerrieri e lanciandosi nella mischia.

 

“Ti portano rispetto, per essere un ragazzino!” –Notò Megrez con voce beffarda, che non riuscì però a nascondere una punta d’invidia. Per quel rispetto che non aveva mai ottenuto, né da suo figlio né dai defunti di cui Hel gli aveva affidato il comando. –“Ma sei un ingenuo… se credi che morendo di nuovo costoro trovino la pace…

 

“Cosa vuoi dire?!”

 

“Non esisterà mai pace per nessuno di noi! Imperfetti per sempre, così resteremo, fintantoché Loki non sovvertirà l’ordine costituito permettendo a tutti noi, a migliaia di morti per cause non nobili, di avere vendetta su Odino! Trema, servo degli Asi, e offri il petto alla Lama di Hel!!!” –Gridò Megrez, muovendo la spada in modo da affondare continuamente avanti a sé e generare migliaia di strali di energia cosmica che sfrecciarono contro Jonathan, che fu lesto, senza perdersi d’animo, a contrattaccare con i raggi di luce del suo scettro.

 

Uno contro l’altro, con i nervi tesi e i sensi concentrati sull’avversario, il Cavaliere delle Stelle e il Comandante delle truppe del Niflheimr osservarono scontrarsi i fasci di energia da loro prodotti. L’aria sfrigolò, elettrizzata dai loro cosmi, spingendo indietro alcuni defunti e nani che avevano cercato di avvicinarsi, i primi per attaccare Jonathan a tradimento, i secondi per porgergli aiuto.

 

“Avevo il sospetto che la tua non fosse una spada normale…” –Mormorò il biondino a denti stretti, proseguendo con il suo attacco.

 

“L’elsa lo è, ma non la lama, composta dal ghiaccio del mondo infero, tenebroso e in grado di deviare la luce!” –Rispose l’uomo, che parve leggere, nelle parole dell’avversario, un segno di incertezza, spronandosi ad aumentare il proprio assalto.

 

In reazione, Jonathan fece altrettanto, per contrastare il maggior numero di affondi energetici che il padre di Megrez riusciva a dirigere. E così rimasero per qualche minuto, finché il Cavaliere delle Stelle non decise di rischiare una mossa azzardata, riunendo tutti i fasci in un unico dardo diretto sul fianco del nemico, in un punto del corpo non protetto dall’armatura. Dovette agire con sveltezza, poiché interrompendo il proprio attacco, gli affondi di Megrez non trovarono più niente a contrastarli, liberi di sfrecciare e raggiungere Jonathan, pochi istanti dopo che il raggio di energia dorata aveva centrato il servitore di Hel al fianco destro, scaraventandolo indietro.

 

Bel… colpo…” –Ringhiò l’uomo rimettendosi in piedi, tastando la ferita fumante.

 

Jonathan non rispose, limitandosi a rialzarsi a sua volta, sbattuto a terra da qualche fendente che lo aveva raggiunto, pur senza provocargli gravi danni.

 

“Ma una spada è un’arma d’attacco, ben più adatta alla lotta che non un’asta intarsiata!” –Riprese Megrez, impugnando la Lama di Hel e caricandola del suo cosmo oscuro. –“Ed è ad una spada che miro, un capolavoro di potenza come quelle di Freyr e di Odino! Loki me ne farà dono dopo la vittoria, quando seduto sull’alto scranno di Hliðskjálf provvederà alla spartizione dei bottini di guerra! Nell’attesa mi accontento di questa, non è male, se la si sa usare! Il ghiaccio di Niflheimr permette di deviare i fasci di energia, lasciandoli scivolare via! Ad un attacco diretto forse non resisterebbe, ma finché le gambe non mi tradiranno la userò per riflettere i tuoi assalti! E ora…” –Non aggiunse altro e scattò avanti a lama tesa, mirando al cuore del Cavaliere delle Stelle.

 

Umpf… E ti reputi un vero guerriero? Con che coraggio?!” –Mormorò questi, con lo sguardo abbassato e gli sfilacciati capelli color cenere che gli coprivano la fronte e parte degli occhi. –“Scettro d’Oro, rischiara la foschia che ottenebra quest’uomo!”

 

Un unico grande fascio di energia dorata sfrecciò dal fiore sulla cima dell’asta, dirigendosi verso Megrez Naglfari e distruggendo in un istante la Lama di Hel.

 

Inorridito, il Viaggiatore delle Unghie osservò l’elsa semiliquefatta che ancora stringeva in mano, mentre migliaia di frammenti di lama schizzavano sul campo di battaglia e addosso al suo corpo, ferendogli persino il mento.

 

Tut tut… Se di forza o di intelligenza cercavi una prova, da entrambe sei uscito sconfitto!” –Commentò Jonathan, volgendo lo sguardo verso l’avversario, il cui volto, nonostante l’ultima rovinosa azione, era deformato in un eccesso d’ira, gli occhi intrisi di sangue. Per un istante, credette che gli si sarebbe scagliato contro, come un bufalo inferocito, ma poi lo vide posare lo sguardo sulla sua armatura, come se finora non vi avesse prestato attenzione.

 

“Sono stupito, lo ammetto, dalla tua potenza d’attacco! E anche dalle tue qualità guerriere, poppante, di cui non sembri fare sfoggio! Che cosa ti rende reticente? Non ti sei forse preparato per tutta la tua seconda vita in vista di quest’oggi?”

 

“Non confondermi con gli Einherjar, schiavo di Hel! Non appartengo alle schiere dei Campioni di Odino!” –Esclamò Jonathan, suscitando maggior interesse nel suo avversario, che continuava a guardarlo, a osservare il taglio elegante della sua corazza, le aggraziate forme aerodinamiche, che la rendevano, anche solo alla vista, leggera ed eterea.

 

“Il tuo aspetto in effetti è ingannevole! I capelli biondi mi avevano fatto pensare che tu fossi di stirpe nordica, come la maggior parte dei guerrieri del Valhalla, ma la carnagione più scura mi fa pensare al gruppo etnico mediterraneo!”

 

“Ben più distante dal Mediterraneo ho avuto i natali! Ai piedi del Tempio di Inti, presso Isla del Sol, in Perù, da una Sacerdotessa devota al culto del sole. Per questo, mi ha sempre narrato mia madre, finché è vissuta, ho avuto i capelli così biondi, quasi fossi figlio del sole!”

 

“Tutto questo mi commuove…” –Esclamò Megrez sarcastico. –“Ma se non sei un Einheri, puoi solo essere uno di quei ridicoli Cavalieri di Atena che professano la pace della loro Dea in tutto il mondo!”

 

“Né a Odino né ad Atena sono fedele, per quanto al loro fianco combatta contro le tenebre! Bensì al Signore dell’Isola Sacra, dove ho ottenuto riconoscimento per il mio addestramento, divenendo un Cavaliere delle Stelle! È Jonathan di Dinasty il nome mio, Cavaliere dei Sogni al servizio di Avalon!”

 

A quelle parole l’uomo ebbe un sussulto e l’interesse finora provato per il ragazzo mutò in una collera infinita, che parve traboccare dai suoi occhi al solo ricordare quel nome. Il nome che avrebbe dovuto renderlo grande, e che qualche soddisfazione gli aveva in effetti dato nel Niflheimr permettendogli di assumere il comando delle armate di Hel, ma anche il nome che aveva messo fine alle sue ambizioni in vita.

 

“Avalon?! Vieni dunque da quella terra infame?!” –Avvampò, lasciando esplodere il proprio cosmo, palesandolo come mai aveva fatto prima.

 

“Misura le tue parole, Cavaliere decaduto! Di una terra sacra, agli uomini e agli Dei, stai parlando!”

 

“Sacra come l’urina di capra che le Vilgemir, le dispensatrici del male, fanno bere ai defunti all’ingresso di Hel!” –Ringhiò Megrez, concentrando il cosmo sulle braccia. –“Sacra come lo sterco dei serpenti della spiaggia di Nastrond!” –Alle sue spalle comparve l’immagine di un teschio dalle cui fauci usciva una scaglia di ametista. –“Io odio quella terra infame, detesto le sue nebbie e i suoi pantani, e tu, bamboccio che da là provieni, subirai la mia vendetta! Anime della Natura!!!”

 

Un turbine di aria gelida si sollevò all’improvviso, mentre Megrez portava le braccia avanti, dirigendosi verso Jonathan e spazzando via tutto ciò che si trovava in mezzo a loro. Erba, terriccio, cadaveri e armi spezzate. Tutto venne risucchiato da quel vortice di inaspettata potenza.

 

Non… resisto…” –Mormorò Jonathan, piantando i piedi al suolo. Ma a nulla valsero i suoi sforzi, venendo sradicato da terra e inghiottito dal gorgo, che lo scagliò molti metri in alto prima di scomparire, lasciandolo in caduta libera.

 

Megrez Naglfari sogghignò, osservando il corpo del Cavaliere dei Sogni schiantarsi al suolo e lasciarci un’impronta che presto si tinse di rosso. Un’impronta che non poté non ricordargli quella che lui lasciò sulla spiaggia di Avalon.

 

“Alzati!!!” –Gridò. –“Alzati e fronteggia l’inevitabile! Sapevo che a qualcosa di grande sarei andato incontro quest’oggi, di fronte alle mura della città del Dio che mi ha rifiutato, giudicandomi poco eroico! Ahr ahr ahr! La tua testa in trofeo porterò a Odino, prima di spedirla ad Avalon, con i miei migliori auguri… di morte!”

 

Per… perché questo odio verso Avalon?!” –Chiese Jonathan, rialzandosi a fatica, le ossa che gli dolevano per la caduta. –“Cosa ti ha fatto il mio Signore da meritare la tua ira?”

 

“Mi ha rifiutato, chiudendomi le porte in faccia e uccidendomi! È a causa sua che Odino non mi ha accolto nel Valhalla, a causa sua e delle accuse che mi mosse, accuse che mi additarono come profanatore di luoghi sacri, confinandomi in Hel!”

 

“Le tue parole sono oscure… come il tuo cosmo!”

 

“Allora cercherò di rendertele più chiare, affinché il tuo infantile cervello possa capirle, prima di ucciderti!” –Sibilò Megrez. –“Che tu ci creda o meno, sono stato un grande guerriero e ho indossato le vestigia della stella Delta Ursae Majoris! Ma fin da subito mi fu chiaro che a Midgard non c’era futuro per me! Il Celebrante di Odino era un uomo volto alla pace e per quanto mi sforzassi a spingerlo a scendere in guerra per estendere il dominio del Recinto di Mezzo si mostrava sordo alle mie parole!”

 

“Era un uomo giusto e intelligente…” –Commentò Jonathan, con un sogghigno.

 

“Era un debole! Per questo lo abbandonai! Lasciai Midgard e iniziai a vagare per l’Europa dell’Est, facendo uso, quando potevo, dei miei poteri per soddisfare le ambizioni di qualche dittatore che credeva nel pugno di ferro! E chi meglio di un Cavaliere dotato di cosmo avrebbe potuto soddisfare le sue ambizioni?!”

 

Jonathan non rispose, disgustato dalle turpi azioni che l’uomo continuava a narrare, ma quando raccontò di aver raggiunto i Cinque Picchi la sua attenzione si accese di nuovo. Apprese quindi che il Cavaliere di Libra si era rifiutato di insegnargli una tecnica distruttiva e che, dallo scontro che ne era seguito, era uscito sconfitto.

 

“Anche i migliori guerrieri possono perdere una battaglia!” –Si limitò a commentare Megrez, sebbene il ricordo di quel giorno lo rendesse inquieto. –“Soltanto gli sciocchi non ne trarrebbero alcun insegnamento, cosa che io invece feci! Capii che, per quanto avessi creduto di essere forte, vi era sempre qualcuno che poteva superarmi! Per ovviare al problema, dovevo semplicemente divenire invincibile, il più potente di tutti, in questo modo nessuno avrebbe più potuto sconfiggermi! Lasciandomi la Cina alle spalle, decisi di non tornare a Midgard, non potevo tornare! Folken e Daeron mi avrebbero deriso se avessero saputo della mia sconfitta! Così decisi di recarmi in Inghilterra! Avevo letto molto su Avalon e sui misteri che la circondavano, misteri a cui gli iniziati potevano avere accesso! Ciò accese la mia brama di potere e condusse i miei passi in direzione dell’isola delle nebbie!”

 

“Folle! Cercasti di raggiungere Avalon senza essere invitato?! Nessuno è mai riuscito a superare la cortina di nebbie eterne che la proteggono! Esse sono pregne del cosmo del mio signore e di quello dei druidi e del popolo antico che abitava quelle terre prima della colonizzazione romana! Come potevi tu, sporco e sanguinario guerriero, armato di bieche intenzioni, pretendere di varcarle?!”

 

“Io lo feci! Io ci riuscii!!!” –Gridò Megrez, espandendo il cosmo. –“Io superai le nebbie di Avalon! Ci misi giorni, forse settimane, senza mangiare, senza vedere la luce del sole, bevendo le torbide acque della palude, perdendomi più e più volte e continuando a ritrovarmi sulla riva del Tor! Ma un giorno toccai terra, una terra diversa, non quella da cui ero partito, bensì l’isola leggendaria! Feci per sfiorarne la superficie, per prendere in mano una manciata di quella sabbia, ma all’improvviso sentii il mio corpo svuotarsi. Lo sentii leggero, come se qualcuno mi stesse togliendo qualcosa. Fu solo quando crollai all’indietro, nelle acque che a stento avevo attraversato, che capii che mi era stata tolta la vita!”

 

“Nella giusta punizione sei incorso! Troppo avevi osato pretendendo di carpire i segreti di Avalon! È stato l’ultimo di una lunga fila di peccati di cui ti sei macchiato!”

 

“E il tuo Signore ne è privo, di peccati? Anziché asilo mi offriste morte!!!”

 

“Ti offrimmo quel che meritavi! Perderti per sempre!” –Declamò Jonathan, sollevando il Talismano da lui custodito e lasciando che un ventaglio di luce si aprisse davanti a sé. –“Luce dello Scettro!!!”

 

Migliaia di fendenti di energia luminosa sfrecciarono verso Megrez, che si mosse per evitarli, ma realizzò presto che sarebbe stato impossibile schivarli tutti. Fu raggiunto a un braccio, poi a un fianco, poi sull’elmo, finché non riuscì a ricreare un vortice di aria, un ammasso di tenebre che scagliò avanti.

 

Anime della Natura! Nutritevi dei rancori dei defunti di Hel e traetene forza e nutrimento!” –Urlò, portando avanti il braccio destro, avvolto in un turbinar di venti oscuri ed energia.

 

Jonathan, che si aspettava quell’attacco, concentrò tutta l’energia in un unico fascio di luce che, dalla punta dello scettro, trapassò il vortice nemico, schiantandosi sul pettorale dell’armatura di Megrez e abbattendolo a terra, mentre il mulinello esauriva la propria capacità offensiva, limitandosi a sollevare Jonathan di pochi metri.

 

Arguto…” –Commentò il Viaggiatore delle Unghie, affannando nel rimettersi in piedi e tirando un fugace sguardo alla corazza, decorata da numerose crepe e ustioni.

 

Già…” –Mormorò il ragazzo, quasi parlando tra sé, prima di sollevare lo Scettro d’Oro, obbligando Megrez, che si attendeva un nuovo attacco, alla difensiva. Invece, non curandosi dello sguardo sorpreso dell’avversario, Jonathan si limitò a collocarlo sulla sua schiena, fissandolo in diagonale ad una placca dell’armatura.

 

“Che stai facendo?! Riponi la tua arma? Non sono ancora sconfitto, se è questo che credi!”

 

“Lo vedo bene! Ma non ho intenzione di affrontarti ancora con il Talismano che Avalon mi ha affidato! Non sei degno di cadere sotto la sua luce!” –Rispose il ragazzo, fissandolo con i suoi occhi nocciola. –“Di cadere sotto i miei colpi invece sei degno, e così accadrà se persevererai nei tuoi folli intenti omicidi, Cavaliere decaduto! Non c’è più un briciolo di orgoglio in te? Vedere coloro che un tempo vestivano, al pari tuo, le corazze dei difensori di Midgard lottare fianco a fianco, per il Dio che in loro ha riposto fiducia, non suscita in te frustrazione, dolore, rimpianto? Non ti rammarichi di essere diviso da loro, membro dell’avversa e oscura fazione che sta tentando di distruggere il mondo degli uomini e degli Dei in cui credono?”

 

“No!” –Esclamò Megrez, portando di nuovo le braccia in posizione offensiva e bruciando al massimo il proprio cosmo.

 

Jonathan annuì, lasciando che l’esplosione del suo cosmo dorato rischiarasse lo spazio tra di loro, accecando anche il suo avversario, mentre l’energia fluiva in lui, concentrandosi in un globo incandescente nel palmo della sua mano.

 

Anime della Natura, ruggite!!!” –Gridò il Comandante delle armate di Hel.

 

Cometa d’oro, risplendi e rischiara la via da quest’ombra infernale!”

 

Jonathan la scagliò avanti, di fronte allo sguardo ammirato dei nani, che videro una sfera di energia dorata, con una lunga scia di polvere di stelle, schiantarsi contro il turbine d’aria e tenebra di Megrez. Le due forze rimasero in equilibrio per qualche istante, finché l’ardente cometa di luce non penetrò l’attacco avverso, schiantandosi sul corpo del Viaggiatore delle Unghie e dilaniandolo.

 

Cadde così, Megrez Naglfari, privo di quella gloria per cui aveva sempre disprezzato il figlio per non averla raggiunta. Gloria che anch’egli mai ebbe conosciuto.

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Capitolo 24
*** Capitolo ventidueesimo: Il sole perpetuo ***


CAPITOLO VENTIDUEESIMO: IL SOLE PERPETUO.

 

Fu con una vampata di calore improvviso che Sirio venne risvegliato dal torpore che l’ipotermia stava provocando in lui. Una vampata che lo scagliò verso l’alto, disintegrando la prigione di ghiaccio in cui era stato murato, catapultandolo di nuovo nel gelido Inferno. Ansimando, il ragazzo rotolò sul terreno smosso, spostando poi lo sguardo su chi aveva intorno. E per un momento credette di essere precipitato in una di quelle bellissime ma complicate xilografie orientali, in cui gli autori inserivano decine e decine di personaggi e di dettagli, per riempire tutto lo spazio.

 

La situazione invero non era poi così diversa, con i Vani, alle sue spalle, costretti ad arretrare di fronte alla carica dei Titani del Gelo, sempre più pressante. Sirio ne vide alcuni arrampicarsi gli uni sugli altri, allo scopo di superare la cintura difensiva degli alleati degli Asi e raggiungere direttamente Yggdrasill, aggrappandosi alle radici che sporgevano nel cielo nebbioso. Ma Njörðr, Dio del Vento e della Navigazione, non era affatto intenzionato a lasciarglielo fare, incitando i suoi pari a resistere, dando l’esempio lottando in prima fila, sostenuto dalle sue brezze turbinanti. Dove fosse suo figlio, il Vicerè di Asgard, questo Dragone non seppe dirselo. Né dove si trovasse Alcor, il suo improvvisato compagno in quella spedizione nel Niflheimr.

 

Gli unici che conosceva, in quel marasma che lo circondava, erano i due avversari che si stavano fronteggiando a una decina di metri da lui, al di là della crepa nel ghiaccio che il suo salvatore aveva prodotto, per tirarlo fuori dalla prigione.

 

“Credi di poterti alzare prima che la guerra sia finita o vuoi che ti porti un cuscino?!” –Lo apostrofò Phoenix, balzando accanto a lui, evitando una lunga lancia di ghiaccio.

 

Phoenix…” –Mormorò Sirio, faticando nel rimettersi in piedi, con il respiro affannoso. L’amico non disse altro, limitandosi ad afferrargli un braccio e a tirarlo su, fino a permettergli di stabilizzarsi sulle sue gambe.

 

“Le conversazioni… a poi!” –Commentò, bruciando il proprio cosmo fiammeggiante, unica fonte di colore nel grigiore dell’Inferno. –“A quando non so, ma non ora!” –E corse avanti, arrampicandosi sulla lancia di puro ghiaccio che il suo avversario stava intanto estraendo. Sfruttò la spinta, piegandosi su se stesso prima di lanciarsi contro il viso del gigantesco nemico, liberando il cosmo rossastro che aveva concentrato attorno alla mano destra. –“Pugno infuocato!!!”

 

Il Colosso di Gelo venne raggiunto in pieno dalla sfera incandescente, che esplose liberando vampate di fuoco la cui sola vista bastò ad allontanare molti compagni del gigante. Phoenix stava intanto cercando di riatterrare, quando Sirio si avvide che il suo nemico, nonostante il dolore evidente del colpo subito, stringeva ancora la lancia di ghiaccio, muovendola all’impazzata di fronte a sé, proprio verso il fianco destro dell’amico.

 

“Phoenix!!! Excalibur!!!” –Gridò allora, dirigendo un improvvisato fendente di energia contro la pericolosa arma e spezzandone la punta appena in tempo.

 

Il Cavaliere della Fenice poté così atterrare compostamente, raggiunto in fretta dall’allievo di Libra.

 

“Non è uno scontro facile!” –Si limitò a commentare, raccontando di aver raggiunto Midgard attorno a mezzogiorno e aver sfruttato uno dei portali dimensionali che Ilda gli aveva mostrato. Lo stesso scelto da Sirio. –“Trovarvi è stato semplice a causa del rumore che fate! Inoltre ho riconosciuto il tuo cosmo, e quello del gatto delle nevi!” –Aggiunse, riferendosi ad Alcor, che era rimasto ferito nella carica dei Giganti di Brina e portato nelle retrovie dai Vani. –“Il difficile sarà abbattere costoro! Ne ho tirati giù una dozzina ed eccoli che si ricreano dopo poco! Certo, le mie fiamme li tengono a distanza, ma non bastano a estirpare il problema per sempre!”

 

“No, non bastano!” –Confermò Sirio, ricordando le parole del Principe Freyr.

 

La loro conversazione fu interrotta dal colosso che Phoenix aveva colpito poc’anzi, riuscito finalmente a spegnere le fiamme dal suo volto, congelandole con un respiro di ghiaccio. Hrymr, Re degli Hrimthursar e discendente dei primi Titani del Gelo, incombeva su entrambi con occhi minacciosi.

 

“Sembra che tu sia degno del mio interesse, uccello di fuoco!” –Affermò minaccioso, e Sirio, che pure lo aveva sentito parlare in precedenza, non poté comunque trattenere la sorpresa. –“Che c’è? Ti stupisce che io parli? Tu forse ti esprimi a gesti come le bestie?! Sono il Re dei Giganti di Brina, erede diretto di Ymir, il gigante primordiale, tramite Bergelmir il Salvato! In me scorre l’essenza divina della creazione che gli Asi bastardi tentarono di reprimere! Io, unico tra tutto il mio popolo, ho il dono della parola! Io, a tutto il mio popolo, sono superiore!” –Aggiunse, sollevando una gamba e piegandola davanti a sé, allo scopo di schiacciare Phoenix e Sirio sotto la sua mole.

 

I due ragazzi furono svelti a separarsi, scattando in direzioni opposte, ma così facendo si esposero alla lancia di Hrmyr, che già l’aveva puntata su Sirio, ferendolo ad una gamba e gettandolo a terra sanguinante.

 

Phoenix intervenne prontamente, sollevando una tempesta di fiamme che diresse contro un fianco del colosso, che non ne fu troppo impressionato. Fu solo quando il calore aumentò d’intensità che Hrymr si voltò a guardarlo, quietando il fuoco con il suo gelido respiro e scagliando la lancia di ghiaccio contro Phoenix.

 

Con prontezza, il Cavaliere di Atena la evitò, balzando di lato e atterrando con le mani, dandosi la spinta per riportarsi in posizione eretta, quando, a un nuovo alitar di Hrymr, dalla terra sorsero migliaia di spuntoni di ghiaccio, affilati come lame.

 

Phoenix…” –Rantolò Sirio, che avrebbe voluto correre in aiuto del compagno, ma il dolore ancora fresco alla gamba gli rendeva difficile persino rimettersi in piedi.

 

Ad un cenno del loro sovrano, decine di Hrimthursar si avvicinarono a Dragone, per farlo fuori adesso che era ferito e privo della velocità che finora gli aveva permesso di evitare i loro attacchi.

 

“Ma non privo della volontà di combattervi!” –Esclamò Sirio rialzandosi, il sangue che imbrattava il gambale destro dell’Armatura Divina. E così dicendo espanse il cosmo, lasciandosi avvolgere da un immenso dragone di luce, mentre i Giganti di Brina si avventavano su di lui.

 

Ne atterrò un paio, trapassandoli con il suo attacco energetico, cercò di evitarne altri, ma la gamba ferita rendeva più lenti e imprecisi i suoi spostamenti, al punto che non riuscì ad evitare di essere colpito da alcuni colossi e sbattuto a terra, con la faccia sul tetro nevischio.

 

Fu una voce nota a venirgli in aiuto, mentre un lampo di luce si accendeva tra le gambe dei Titani del Gelo, graffiandole in profondità.

 

Bianchi artigli della Tigre!!!” –Ringhiò Alcor, squarciando gli arti inferiori dei colossi e piombando su Sirio. Lo sollevò bruscamente, poco prima che la mano di un Hrimthursar si chiudesse su di lui, e lo portò fuori dal cerchio nemico, dove alcuni Vani stavano attendendo, con le frecce incendiarie pronte negli archi.

 

Ad un cenno del Cavaliere di Asgard una pioggia di strali infuocati si abbatté sui Giganti di Brina, penetrando le loro schiene e le loro teste, senza dargli tempo di reagire. Un attacco programmato in modo metodico.

 

Gra… grazie!” –Mormorò Sirio, faticando a mantenersi in piedi. Alcor si inginocchiò su di lui e gli sfiorò il taglio con la mano carica di cosmo.

 

“Non servirà a molto, ma lenirà il dolore per un po’! Il tempo di arrivare… al piano di sopra!” –Commentò, alzando lo sguardo verso il ragazzo dai capelli lunghi.

 

Al… piano di sopra?!”

 

Alcor annuì, rimettendosi in piedi, dopo aver cicatrizzato con il suo gelido cosmo la ferita di Sirio, e facendogli cenno di seguirlo, mentre i Vani tenevano a bada gli Hrimthursar.

 

Ma… e Phoenix?!” –Esitò Dragone per un momento.

 

“Ha la sua battaglia! Noi la nostra!” –Commentò Alcor a voce ferma, continuando ad avanzare. Anche quando Sirio si fermò, voltandosi verso il luogo dove l’amico stava affrontando il Re dei Giganti di Brina. Anche quando Sirio fece per chiedergli delucidazioni. –“Sei un guerriero, ricordi? E spesso si devono prendere decisioni che vanno al di là dell’amicizia! Abbi fiducia in lui e nel Principe Freyr!”

 

Sirio si riscosse, chiedendosi se tra Phoenix e il Vicerè non vi fosse stato un accordo di cui non era stato messo al corrente. Le grida dei Vani lo spinsero ad andare avanti, mentre si lanciavano contro i Titani del Gelo, permettendo loro di correre alle radici di Yggdrasill. Guardandosi attorno, Dragone notò che soltanto la metà dei guerrieri che aveva visto quando era arrivato era ancora in piedi. Gli altri erano morti o gravemente feriti.

 

“Dobbiamo andare! Odino e i tuoi compagni ci aspettano!” –Disse Alcor, mettendo una mano sulla spalla del ragazzo e sospirando, comprendendo la sua riluttanza a lasciarsi tutto indietro. A lasciare un amico indietro. –“È in gran forma, meglio di noi certamente! Ed è l’unico con i poteri adatti a vincere Hrymr! Ci raggiungerà nel Valhalla!” –E iniziò ad arrampicarsi lungo le radici di Yggdrasill, seguito dopo poco da Sirio.

 

Dovettero sbrigarsi e contorcersi all’interno del nodoso groviglio, per evitare di essere raggiunti dalle lance e dalle frecce di ghiaccio che gli Hrimthursar gli stavano dirigendo contro. Quando furono a un centinaio di metri d’altezza, avvolti nella nebbia più buia, Dragone si concesse un momento per rifiatare e per guardare in basso. Ma non vide niente, soltanto un puntolino rossastro espandersi sempre più.

 

***

 

Phoenix era riuscito ad evitare la maggior parte degli spuntoni di ghiaccio che Hrmyr gli aveva diretto contro, balzando con agilità nella selva di spilli e distruggendoli con il suo cosmo ardente. Quel lieve impegno del Cavaliere aveva permesso però al Re dei Giganti di Brina di potenziarsi, generando uno scudo di ghiaccio che affisse al braccio sinistro, mentre con la mano destra stringeva l’affilata lancia, la cui punta era macchiata dal sangue di Sirio.

 

“Dubito che un colpo di matrice psichica funzioni su di lui” –Rifletté Phoenix, chiudendo il pugno. –“Ma non voglio tralasciare nessuna possibilità!” –Aggiunse, scattando avanti.

 

Hrymr, vedendolo arrivare, girò lo scudo di fronte a sé, ponendosi in posizione difensiva, pronto per calare la lancia. Phoenix mosse il braccio destro, scagliando centinaia di piume metalliche contro il gigante, osservandolo stupirsi mentre queste si conficcavano nella sua protezione, esplodendo poco dopo. Questo non bastò ad abbattere il colosso, ma lo distrasse a sufficienza da permettergli di mancare il colpo quando calò la lancia, dando a Phoenix la possibilità di aggrapparvisi e di venire spinto verso l’alto quando la sollevò. Resosi conto dell’errore, Hrymr cercò di soffiar via il nemico con il suo gelido alito ma Phoenix era già balzato di fronte a lui, il pugno chiuso diretto al centro dell’enorme fronte.

 

Fantasma diabolico!!!” –Gridò, prima di essere spinto via da una fredda brezza, che lo fece capovolgere più volte su se stesso, prima di sbatterlo a terra. Come aveva temuto, il colpo segreto che aveva fatto impazzire molti avversari in passato si era rivelato inefficace. Eppure, la presenza dell’essenza primordiale nel Re lo aveva fatto sperare, gli aveva fatto credere che fosse possibile scavare nel suo passato, alla ricerca di un modo per vincerlo. –“Dove vi è creazione vi è distruzione!”

 

Hrymr parve non aver risentito minimamente del foro che Phoenix gli aveva aperto in fronte, limitandosi a cicatrizzarlo con il suo cosmo gelido, prima di volgere di nuovo lo sguardo su di lui. Anziché adoperare la lancia, decise di cambiare tattica fomentando una tempesta di ghiaccio e neve così intensa da sollevare il ragazzo da terra, nonostante le sue evidenti resistenze, e sbalzarlo in alto, travolto da mille correnti contrastanti che gli pungevano il viso, graffiandolo.

 

“Spinti da questo gelido vento, i miei Giganti di Brina hanno massacrato gli schiavi degli Asi poc’anzi! È tormenta indicibile per chi non vi è abituato, e tu, debole fiammella, al gelo non sei immune!” –Sentenziò il Re.

 

“Debole fiammella?!” –Bofonchiò Phoenix, sballottato dalla tempesta di gelo. –“Fatti un giro in superficie e trovati un precettore che ti insegni qualche miglior modo di esprimerti, bisonte di ghiaccio!”

 

Hrymr non colse neppure le provocazioni del ragazzo, un moscerino luminoso di fronte a lui, limitandosi ad incrementare la potenza della tormenta, deciso a spazzarlo via. Ma quando fece per muovere un passo avanti, una fitta alla testa lo aggredì improvvisa, così acuta da prostrarlo con un ginocchio a terra, obbligandolo a placare parzialmente l’attacco.

 

Phoenix comprese quel che stava accadendo e mise da parte lo stupore per concentrare il cosmo sul pugno destro e piombare sul nemico, avvolto da un rogo di fiamme ardenti.

 

Pugno infuocato!!!” –Gridò, schiantandosi sullo scudo di ghiaccio e mandandolo in frantumi, mentre le vampe penetravano nel braccio di Hrymr, spaccandolo in più punti.

 

“Maledetto!!!” –Il gigante mosse la lancia per difendersi, ma Phoenix fu svelto a schivarla, prima di afferrarla, incurante del taglio alle sue dita, stringerla con forza e strappargliela poi di mano, lanciandola via.

 

Alla vista del Re prostrato a terra dolorante, molti Hrimthursar si avvicinarono, scuotendo le teste e facendo gesti tra loro. Sebbene non sapessero parlare, Phoenix non ebbe bisogno di sentirne le voci per capire cosa stessero dicendo.

 

In un attimo se li ritrovò addosso. Dieci, venti, forse anche di più. Spuntavano ovunque, dal terreno sotto di lui, alle sue spalle, mescolandosi alle nebbie e ai venti che spazzavano il Niflheimr, confondendosi con la caligine di quel mondo di guerra. Evitò molte lance, ne spezzò altre, prima di scagliare raffiche di piume infuocate contro di loro, lasciando che esplodessero e li disorientassero. Ma non bastò a placare la loro furia e presto il ragazzo si ritrovò circondato.

 

“Non tutto il male viene per nuocere! Così posso colpirvi tutti assieme con un colpo solo! Un unico battito d’ali dell’uccello immortale!!!” –Esclamò a pieni polmoni, mentre il suo cosmo infuocato rischiarava l’aere, assumendo la forma della leggendaria fenice. –“Ali della Feniceee!!!”

 

Il turbine di energia infuocata sollevò decine e decine di Giganti di Gelo, strappandoli con forza dal terreno per poi restituirglieli a pezzi, dilaniati da fiamme e scariche incandescenti che ne avevano distrutto i tozzi corpi. Quando anche l’ultimo colosso si schiantò poco distante, Phoenix, ancora con il braccio teso verso l’alto e il respiro affannato per l’impegno costante, notò che Hrymr si era rimesso in piedi. E che i rumori dello scontro tra i Vani e gli altri Hrimthursar parevano essersi affievoliti.

 

Non ci aveva fatto caso in precedenza, preso dal susseguirsi della lotta, ma adesso il maggior silenzio che permeava l’aria era evidente. Un silenzio che poche volte aveva incontrato, ma verso cui provava ancora autentico timore. Il silenzio del nulla, che aveva conosciuto girovagando nei sei mondi di Ade e precipitando nelle piaghe dimensionali di Gemini e Kanon.

 

“È il silenzio del ghiaccio! La vendetta dei Titani del Gelo!” –Confermò Hrymr, intuendo i suoi pensieri. –“Odino e i suoi fratelli uccisero la mia stirpe affogandola nel sangue bollente di Ymir! In silenzio, senza che questi sospettassero tradimento alcuno, li fecero fuori tutti, tenendoli nel brodo incandescente finché non si sciolsero completamente! Se anche i miei antenati provarono a gridare, le loro voci furono spente dal gorgogliare mesto del sangue, che li divorò dall’interno, annientandoli! In ugual silenzio voglio io massacrare voi, Asi e amici degli Asi, per avere la meritata vendetta bramata per secoli!”

 

“Un bel minestrone, non c’è che dire!” –Ironizzò Phoenix, strusciandosi il naso. –“Ma come ingrediente temo proprio di restare indigesto!” –Ed espanse il suo cosmo, pronto per ricominciare a guerreggiare con il gigante, che invece rimaneva immobile ad osservarlo, apparentemente ancora stordito dal Fantasma Diabolico.

 

Il Cavaliere rifletté che il funzionamento del suo colpo segreto differiva in base ai soggetti cui era rivolto, generando oscure visioni di morte o riportando a galla ricordi di un passato rimosso, come era stato nel caso di Mime e di Alcor. Si chiese se non fosse accaduto qualcosa di simile anche con Hrymr, che aveva appena citato i suoi antenati. Nel dubbio, decise di tentare.

 

“Dimmi, Re del Gelo, è questo ciò che temi? Che Odino condanni anche te e i tuoi fratelli alla stessa fine dei primordiali giganti?”

 

“È possibile! I figli di Borr hanno ucciso una volta! Potrebbero farlo di nuovo!”

 

“Ma oggi Ymir non esiste più! In quale brodo primordiale dovreste essere affogati?!”

 

Nel momento stesso in cui pose la domanda, Phoenix si morse la lingua per essere stato troppo diretto. Se anche il Fantasma Diabolico aveva sbloccato qualcosa, un antico sapere di cui Hrymr era portatore, non ne avrebbe avuto facilmente notizia.

 

Il Titano del Gelo infatti non rispose, fissando il Cavaliere dall’alto con occhio un po’ stranito, finché non reagì, sollevando la lancia di ghiaccio e puntandola verso di lui. Phoenix fu svelto a lanciarsi di lato, evitando l’affondo, ma Hrymr modellò l’arma in modo da moltiplicarla in centinaia di punte acuminate, tutte dirette verso il ragazzo, che dovette muoversi svelto per schivarle, colpendole poi con piume metalliche.

 

Nell’attimo di stallo che seguì la distruzione delle lance, Hrymr sollevò un nuovo turbine di gelo e nebbia mentre Phoenix espandeva ulteriormente il proprio cosmo, lasciando che le due tempeste, di ghiaccio e di fuoco, andassero a scontrarsi. Rimasero in equilibrio per una manciata di minuti, durante i quali molti Hrimthursar vennero annientati o scagliati lontano, travolti dalla continua deflagrazione energetica prodotta, finché l’impetuoso battito d’ali della fenice incandescente non superò le difese del Re del Gelo, trapassandone il corpo.

 

Hrymr crollò a terra, schiacciando anche alcuni fratelli, l’intera figura percorsa da vampe di fuoco. Phoenix si mosse per dargli il colpo di grazia quando, d’improvviso, una mano gli afferrò un braccio, fermandolo e facendolo voltare di scatto.

 

“Non sprecare preziose energie!” –Esclamò un uomo dal volto elegante e dai biondi capelli, il corpo rivestito da un’armatura argentea. Phoenix riconobbe il Principe Freyr, con cui aveva brevemente scambiato due parole appena arrivato alle radici di Yggdrasill, e fece per chiedergli delucidazioni. Ma questi si limitò a indicare di fronte a sé, la tozza sagoma di Hrymr che stava suturando con il ghiaccio le sue stesse ferite. –“Per quanto ardente sia la fiamma del tuo cosmo, la fiamma che dilania i loro corpi, non sarà sufficiente per annientare completamente i Giganti di Brina, che nella natura stessa, gelida e sterile, del Niflheimr trovano nutrimento!”

 

“Cosa possiamo fare allora?! Hrymr ha parlato del sangue primordiale di Ymir, ma dubito che ne sia rimasto, vero?!”

 

Freyr annuì con un sorriso, fissando gli Hrimthursar che, riuniti attorno al loro Re, si stavano riordinando, pronti per attaccare gli ultimi Vani che ancora opponevano resistenza. Fu solo allora, voltandosi verso il punto del cielo dove prima aveva visto spuntare le radici dell’Albero Cosmico, che Phoenix notò che l’esercito di Vanaheimr stava ripiegando e che qualche Gigante di Brina, approfittandone, si era spinto ad afferrare le sporgenze inferiori di Yggdrasill, nel tentativo di risalirlo.

 

Vicerè!!!” –Esclamò preoccupato il Cavaliere di Atena, indeciso se muoversi in quella direzione o se continuare il combattimento con Hrymr.

 

“In nessuna delle due direzioni andrai! Altra è la strada che dovrai seguire per ricongiungerti ai tuoi compagni! Segui gli ultimi Vani, ti condurranno a Gnipahellir e al di là della Porta di Hel!”

 

Co… come?!” –Mormorò Phoenix, non comprendendo le intenzioni di Freyr.

 

I Titani del Gelo scattarono in quel momento, brandendo armi di ghiaccio, sospinti da una corrente gelida a cui Phoenix riuscì a fatica a opporsi. Ma la loro avanzata venne interrotta dal sorgere improvviso di un sole rosso, un sole che abbagliò tutti i presenti, obbligando anche il Cavaliere della Fenice a coprirsi gli occhi, per ammirare il Dio dell’Abbondanza sollevarsi in aria, avvolto in un’aura di pura luce.

 

“Le parole di Hrymr, che il tuo colpo segreto ha cacciato fuori, hanno confermato quel che da tempo sospettavo! Soltanto una fonte estrema di calore potrà estirpare per sempre questa minaccia!” –Parlò il secondo di Odino. –“Non abbiamo il sangue di Ymir, è vero, ma possiamo usare il mio, il sangue divino del Principe dei Vani! L’unico carico di un calore così ardente da poter generare un sole perpetuo!”

 

“Principe Freyr…” –Borbottò Phoenix, indeciso sul come agire.

 

“Va’!” –Disse semplicemente il Vicerè di Asgard, espandendo il proprio cosmo oltre ogni limite e generando un astro di vivida luce i cui raggi trafissero i Giganti di Brina, incenerendoli dall’interno. –“Perpetual Sun!!!” –Recitò, mentre tutto attorno e sotto di lui gli Hrimthursar si squagliavano, si scioglievano, fondendosi con il terreno stesso, anch’esso squassato da faglie confuse. 

 

Anche i giganti che avevano tentato di risalire l’Albero Cosmico vennero raggiunti dal sole improvviso e inceneriti, assieme alle radici stesse di Yggdrasill.

 

Phoenix, sfrecciando sul terreno distrutto, attento a non precipitare in una fossa, dovette anche guardarsi dal crollo di pezzi di ghiaccio e di radici incandescenti dall’alto, che piovvero sui resti del campo di battaglia, ricoprendo e portando via i cadaveri dei caduti. Il sole in cui Freyr si era trasformato brillava sempre di più, alle sue spalle, e Phoenix in un paio di occasioni credette che fosse sul punto di esplodere. Ma poi capì quel che il Viceré stava facendo. Si sta contenendo, radunando tutte le sue forze, fino all’ultima stilla, per annientare non solo la minaccia rappresentata dai Titani del Gelo ma dal Niflheimr intero.

 

Preso dai suoi pensieri, quasi non s’avvide di un crepaccio che si aprì di fronte a lui, obbligato quindi a spiccare un balzo verso l’altro versante, che parve allontanarsi proprio mentre saltava, sfaldandosi e precipitando verso l’abisso. Fu afferrato in tempo da una mano robusta, che lo issò sull’altro lato, incitandolo poi a proseguire, senza fermarsi.

 

Correndo, Phoenix notò il volto stanco del suo salvatore, segnato dalla fatica della guerra e da un’ansia maggiore, che comprese non appena il vecchio dalla folta barba grigia gli si presentò.

 

“Il mio nome è Njörðr, Dio del Vento e della Navigazione! E sono il padre di Freyr!”

 

Proprio in quel momento i raggi di luce si fecero sempre più intensi, spingendo Phoenix, Njörðr e i Vani superstiti a correre sempre di più, diretti verso la Porta di Hel, che ben presto sarebbe rimasto l’unico accesso per l’Inferno.

 

***

 

Ilda sedeva alla scrivania di quercia nella torre più alta di Midgard, da lei stessa rinominata Torre della Solitudine, in riferimento ai giorni che vi aveva trascorso ultimamente a leggere testi antichi. Da quando era rientrata dall’Olimpo, dopo aver usato per la prima volta la Luce del Nord, si era sentita incompleta, come se alla sua preparazione di Sacerdotessa di Odino mancasse ancora qualcosa.

 

E sapeva di cosa si trattava. Sua madre glielo aveva detto prima di morire, consegnandole la chiave di un cofanetto dove era rinchiusa la più antica copia del testo base della civiltà di Asgard. La Profezia della Veggente. Sul frontespizio spiccava una vistosa falce di luna circondata da una sequenza di rune che Ilda aveva decifrato a fatica, comprendendo che indicavano la provenienza del manoscritto dall’isola di Avalon.

 

“Così il cerchio si chiude!” –Commentò, spostandosi i capelli dal volto e richiudendo il tomo con la delicatezza di una madre.

 

Dopo aver affidato al Principe Alexer la difesa di Midgard e aver concesso a Phoenix di varcare uno dei portali, si era rifugiata nella torre per concedersi un ultimo momento per sé, per radunare le forze in vista della prova suprema. Sull’Olimpo aveva avuto l’aiuto di Odino e di tutti gli Asi, catalizzandone la forza, ma adesso, con gli Dei impegnati per salvare il loro stesso mondo, avrebbe dovuto fare da sola.

 

Il secondo motivo di quella scelta di solitudine comparve in quel momento sulla soglia della stanza, facendo scricchiolare le antiche assi del pavimento.

 

Ilda non disse niente, né si mosse, mentre una figura si avvicinava alle sue spalle con passo lento, quasi tremolante. Fu solo quando fu abbastanza vicina da poter percepire lo spostamento d’aria provocato dal gesto di sollevare il braccio che impugnava un coltello che Ilda parlò.

 

“Infine sei giunto!” –Ma nessuno rispose e Ilda non si girò, continuando a dare le spalle a colui che era salito lassù per ucciderla. Colui che, le doleva ammetterlo, era il traditore di Asgard.

 

“Perché non vai fino in fondo alla tua missione? Perché esiti, Fiador?!” –Disse infine, voltandosi verso il ragazzo dai capelli fulvi, il cui sguardo sembrava impazzito.

 

Il figlio del Conte Turin non parlò, tenendo ancora la mano tremante sollevata sopra la testa della donna, il pugnale pronto per affondare nel suo corpo.

 

Io… io…” –Balbettò, rabbrividendo di fronte allo sguardo di Ilda. Uno sguardo privo di odio o di rabbia, ma carico di un profondo dolore e, al tempo stesso, di forza.

 

“È questo ciò che Loki ti ha chiesto, non è vero? Scoprire il segreto di Ragnarök, quel che egli, troppo preso dai suoi propositi di vendetta, ha tralasciato, e poi uccidermi!”

 

“Voi ne siete al corrente! Tutte queste ore di meditazione e lettura… in quel testo c’è scritto chi può fermare il Crepuscolo degli Dei?” –Parlò allora Fiador, con voce incerta e imbarazzato.

 

Loki è fuori strada se teme che il processo da lui innescato possa essere fermato! Nessuno può farlo adesso, neppure Odino! Ne sarebbe consapevole se ne avesse compreso il vero significato!”

 

“Voi lo conoscete?”

 

“Sì! E adesso te lo mostrerò!” –Rispose placida Ilda, espandendo il suo cosmo.

 

Un’onda di energia scaraventò Fiador contro il muro alle sue spalle, strappandogli il gladio di mano e prostrandolo poi a terra, mentre nello spazio vuoto tra lui e Ilda iniziarono ad apparire fumose immagini, generate dal cosmo della Celebrante.

 

Bjarkan, la runa della rivelazione, ci mostrerà la verità!”

 

 

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Capitolo 25
*** Capitolo ventitreesimo: Rune di morte ***


CAPITOLO VENTITREESIMO: RUNE DI MORTE.

 

Appoggiato con la schiena ad una conifera che si ergeva ai margini dell’insanguinata piana, il figlio di Farbauti e Laufey osservava annoiato l’esercito da lui armato scontrarsi con i Campioni di Odino. Da ore le due parti lottavano incessantemente, determinate a non cedere neppure una spanna. Gli Einherjar e gli Asi intendevano tenere i Soldati di Brina e i defunti sulla sponda esterna del Thund, a debita distanza dal Valhalla, dove sarebbero potuti ripiegare in caso di necessità. E se Loki li aveva inizialmente lasciati fare, convinto che Jormungandr gli avrebbe aperto la porta della Sala di Odino, adesso che il figlio era morto stava iniziando a indispettirsi.

 

Non che un’ora o un giorno di ritardo facessero la differenza per chi aveva trascorso secoli soffrendo in silenzio, vittima delle torture degli Asi, ma adesso che l’occasione attesa da una vita era a portata di mano non voleva lasciarsela sfuggire, consapevole di non avere, in nessun caso, una seconda possibilità. Nessuno di loro l’avrebbe avuta. Né gli Einherjar, la cui esistenza sarebbe giunta al termine, svanendo come polvere nel vento, né i morti di Hel, pronti per ritornare nel loro gelido inferno. Non vi sarebbe stata una seconda chiamata.

 

Per quel motivo ritenne opportuno passare alla successiva fase del piano.

 

Scosse le vesti e si incamminò verso il centro della radura, quando vide esplodere la fila di Soldati di Brina rimasti a sua difesa. Non era certo incapace di difendersi, ma, in caso di noie, preferiva che fossero altri ad occuparsene prima che toccasse a lui sporcarsi le mani. Una logica utilitaristica a cui Loki non era mai venuto meno.

 

Voltandosi verso destra, tra i cadaveri ancora fumanti di lucente energia cosmica, vide un uomo, rivestito da una massiccia armatura del nord, farsi avanti con incedere deciso. Lo sguardo bello e fiero, i capelli grigi che scivolavano fuori dall’elmo a testa di drago, dalle fattezze identiche a quello che gli ornava il coprispalla destro. Loki sogghignò, non avendo dubbi sull’identità del temerario che gli si ergeva di fronte.

 

“L’intrepido Sigfrido rivive dunque in te, Orion di Asgard!” –Esclamò, fissandolo con sguardo intenso.

 

“Mi ero stufato dei tuoi cani da guardia, Loki! Nessuno era alla mia altezza!”

 

“E cosa ti fa credere che io lo sia?! Non vorrei riservarti una delusione!” –Ridacchiò il Nume, mentre Orion, a una ventina di metri da lui, serrava il pugno con rabbia, espandendo il proprio cosmo. –“O che tu la riservassi a me! Ah ah ah!”

 

“In guardia!” –Ringhiò Orion, scattando avanti. Ma la sua corsa si arrestò dopo pochi passi, mentre un sorriso sghembo si allargava sul volto del Grande Ingannatore.

 

“Accetto ogni offesa di questo mondo, ragazzo, e anche degli altri otto! Ma non che tu mi consideri così sprovveduto!” –Commentò, mentre il suo indice destro aveva disegnato un segno nell’aria. Un segno sottile, simile ad un’asta, che brillava di luce azzurra di fronte al Dio.

 

Orion riconobbe la runa di ghiaccio. Isa. La runa dell’immobilità.

 

Strinse i denti, cercando di muoversi, ma nessun muscolo del corpo pareva rispondere ai suoi comandi, restando così, con il braccio destro teso avanti e la gamba piegata, nell’atto di scattare. Una posa che strappò una risata al Burlone Divino, appena avvicinatosi al Principe dei Cavaliere del Nord.

 

“Scultoreo! Così ti definirei!” –Disse, sfiorando l’elmo di Orion e i lunghi capelli che da esso fuoriuscivano. –“Sebbene, ciò è ben noto, le statue non hanno capelli!” –Rise, iniziando a tirarli e strappando un gemito all’immobilizzato paladino. –“Dovrei forse asportarteli in modo da renderti l’onore che meriti? Pari a una statua di un eroe glorioso, così sarai! Immortalato per l’eternità! Come l’antico guerriero che in te rivive, il primo uccisore di draghi dei nove mondi! Anche se, fattelo dire, lui almeno dalla sua regina ha avuto un po’ di calore… se capisci quel che intendo! Ih ih ih!”

 

A quelle parole Orion avvampò, bruciando il cosmo e spingendo persino indietro Loki di qualche passo, pur senza modificare l’espressione divertita sul volto del Dio.

 

“Brucia sì, brucia quel che ti pare! Anche se immagino che quel che ti bruci ora sia l’orgoglio e il non poter far niente! Perché sai bene che da solo non puoi toglierti da questa scomoda situazione! I tuoi poteri non bastano per aver ragione di Isa! Mica ti ho lanciato la prima runa che mi è passata per la mente! In virtù dei tuoi poteri, era la mossa più opportuna per neutralizzarti! Ma dal momento che la Runa di Ghiaccio non ha raffreddato i tuoi bollenti spiriti, credo sia ora di freddarli per sempre!” –Esclamò, sollevando il braccio destro di fronte al volto del Cavaliere di Asgard e caricandolo di energia. –“Dovrei dire qualcosa in questo momento?! Una frase di commiato?! Chessò… addio?!” –Non aggiunse altro e fece per liberare il cosmo accumulato sul palmo della mano, quando con la coda dell’occhio notò un movimento alla sua destra.

 

Due destrieri stavano galoppando furiosi verso di lui, con delle figure sopra di loro, una delle quali aveva già scoccato una freccia nella sua direzione, che passò di fronte agli occhi del Dio nel momento stesso in cui si voltava verso di loro, mancandolo.

 

Solo allora Loki si accorse che dietro le belle Valchirie sedevano ben noti occupanti.

 

Polvere di Diamanti!” –Gridò Cristal, balzando in alto e liberando l’attacco congelante, che turbinò verso Loki, investendolo, mentre questi lasciava esplodere un cosmo fiammeggiante, per annullarne l’effetto, generando una cupola di fuoco.

 

Corno risuonante!!!” –Tuonò allora una seconda voce, mentre Heimdall si gettava a terra, convogliando il colpo segreto verso le gambe di Loki, al fine di destabilizzare la sua posizione. –“Cavalcata delle Valchirie!!!” –Gli andò dietro Brunilde, sommando il suo potere a quello del Guardiano del Ponte Arcobaleno.

 

Se anche gli improvvisati compagni avessero coltivato la benché minima speranza di ferirlo, tale illusione svanì nel momento in cui videro le fiamme turbinare su loro stesse, avvolgendosi al corpo di Loki, che mutò forma, divenendone parte.

 

Quella che a prima vista era sembrata una spirale di fuoco si rivelò essere un serpente gigantesco, dalle squame gialle e chiazzate di sangue, che si sollevò sulla piana di Vígridhr di fronte agli occhi inorriditi di Cristal, Heimdall, Brunilde e Hnoss, che vi riconobbero il figlio dell’Ingannatore. Fu proprio la figlia di Freya la prima a pagare il prezzo del loro attacco ardimentoso, venendo afferrata dalla sinuosa coda del Serpe del Mondo e stritolata, assieme al suo cavallo.

 

“Per Odino!!!” –Mormorò Heimdall, portando mano alla sua ascia e caricandola di energia cosmica, prima di scagliarla verso il volto del fasullo Jormungandr.

 

“Bel lancio!” –Sibilò questi, evitando l’arma e piombando sul Custode di Bifrost a fauci aperte. –“Se miravi alla luna!” –Nel far questo si liberò di Hnoss, ormai inutile zavorra, scagliando il suo cadavere contro Brunilde, gettando anch’ella a terra.

 

“Maledetto!!!” –Ringhiò Heimdall, mentre la bocca di Jormungandr lo inghiottiva, sbattendolo al suolo, e Cristal sconvolto caricava il pugno di energia congelante, lanciandosi avanti. Con un colpo di coda, l’orrida creatura lo travolse, schiantandolo su Orion, mentre le sue forme mutavano di nuovo, divenendo un’aquila dal magnifico piumaggio, i cui artigli erano chiusi attorno al collo della Sentinella Celeste.

 

“Temo, mio caro, che non potrai più suonare il tuo bel corno!” –Sibilò Loki, mentre Heimdall cercava di liberarsi di lui, afferrandogli le zampe con le mani.

 

“Non cantare vittoria troppo presto! Anelli del Cigno!!!” –Tuonò allora Cristal, rimessosi prontamente in piedi, avvolgendo il corpo dell’aquila con cerchi di gelo, per fermarne i movimenti il tempo sufficiente per avvicinarsi e aiutare Heimdall.

 

Ma Loki non ne fu minimamente impensierito, facendo esplodere il proprio cosmo fiammeggiante e distruggendo l’effimera prigione, mentre penetrava con i suoi artigli nel collo di Heimdall, strappandogli un grido di dolore. Quindi balzò indietro, riassumendo le sue forme, e osservando divertito il Custode di Ásbrú respirare convulsamente, sputando sangue.

 

Per il Sacro Acquarius!!!” –Esclamò allora Cristal, sperando di distrarre il Burlone Divino. Ma questi si limitò a parare l’attacco con la mano sinistra, senza distogliere lo sguardo dagli spasimi di Heimdall, lasciando che il gelo evaporasse al solo contatto con il suo palmo infuocato.

 

Kaun!” –Disse, avvolgendo il getto di energia congelante in una spirale di fiamme, che raggiunse Cristal, stritolandolo e prostrandolo a terra, con la corazza ustionata e il respiro affannato. Solo allora Loki si voltò a guardarlo, sollevandolo e scagliandolo centinaia di metri addietro, nel cuore della foresta, avvolto in un turbine di fiamme.

 

Era accaduto tutto nell’arco di un minuto ma il Burlone Divino non sembrava affatto turbato. Anzi, pareva piuttosto divertito, come se l’imprevisto assalto avesse spezzato la monotonia di una campagna militare poco soddisfacente.

 

Dunque… dov’eravamo rimasti?!” –Parlottò tra sé, incamminandosi verso Orion, il cui corpo paralizzato, abbattuto da Cristal, giaceva a terra in una posa innaturale. –“Ah già, stavamo discutendo del tuo nuovo taglio di capelli! In tutta onestà, prode Cavaliere di Odino, sarei per una scelta drastica! Un taglio netto!” –E sollevò il ragazzo con la sola forza del pensiero, rimettendolo in posizione eretta, mentre le dita della mano destra si stendevano e il braccio assumeva la forma di una spada.

 

“Mio Signore, aspettate!” –Esclamò allora una voce, distraendo Loki, che si voltò infastidito verso il nuovo arrivato.

 

“Possibile che non si possa uccidere qualcuno in pace?!” –Sbuffò, mentre un uomo dall’armatura arancione planava di fronte a lui. –“Cosa vuoi, Hræsvelgr?”

 

“Voglio lui!” –Rispose l’Aquila dei Venti, indicando Orion. –“Mi deve uno scontro! E lo pretendo!”

 

“E prenditelo!” –Commentò sbadatamente Loki. –“Se ci tieni tanto a morire!”

 

“Grazie, futuro Re!” –Esclamò Hræsvelgr, chinando il capo, mentre il Dio gli passava accanto, dirigendosi verso Brunilde e Heimdall che intanto si stavano rialzando.

 

“Hai poco di cui ringraziarmi, ragazzo! Sai che Orion, bagnandosi nel sangue di Fafnir, è divenuto invincibile? In che modo suicida pensi di vincerlo?”

 

“È proprio per questo che intendo confrontarmi con lui! Abbiamo un conto in sospeso da risolvere, che risale proprio a quella missione!”

 

“I debiti… una gran brutta rogna!” –Mormorò Loki, allontanandosi e liberando Orion dalla Runa di Ghiaccio. Che Hræsvelgr facesse quel che voleva, a lui non importava. Voleva morire? Che morisse! E poi dicono a me che sono un tipo strano! Ironizzò, prima che un’aria gelida gli sollevasse le vesti, precedendo il ritorno di Cristal.

 

Adesso erano di nuovo di fronte a lui, tutti e tre. La formosa Regina delle Valchirie, il volto macchiato del sangue della compagna spirata tra le sue braccia, il laconico Custode di Bifrost, la cui danneggiata corazza non rendeva merito alle sue precedenti imprese, e il Cavaliere di Atena della cui identità si era impossessato ore prima, per dare inizio a quella guerra tanto attesa. Ridacchiò, portandosi una mano alla bocca, al pensiero che Cristal fosse stato informato al riguardo.

 

“Dov’è Flare?” –Esclamò il Cigno, confermando i suoi pensieri.

 

“Qui non c’è!” –Scosse le spalle Loki con aria innocente.

 

Cristal espanse il proprio cosmo, sollevando di nuovo le braccia giunte sopra la testa, ma Heimdall lo fermò, pregandolo di rimanere freddo o avrebbe finito per fare il gioco dell’Ingannatore.

 

“Che ci piaccia o no, è lui che conduce il gioco!” –Sibilò, prima di avanzare di qualche passo verso Loki. –“Mi hai recato un grande affronto questa mattina, Burlone Divino! Desidero che tu ti batta con me, adesso, per riparare ai tuoi torti!”

 

“Ma siete tutti usciti di senno?!” –Squittì Loki.

 

“Tutt’altro! Mai stato più lucido di adesso! Uno scontro alla pari, senza che tu faccia uso dei tuoi trucchi! Uno scontro che dimostri chi è più forte tra noi!” –E nel dir questo Heimdall fece tornare l’ascia nelle sue mani, caricandola di energia cosmica.

 

“Chi è il più stupido, avresti dovuto dire!” –Commentò Loki, davvero divertito da quella situazione, che non poteva che giocare a suo indubbio vantaggio. Senz’altro aggiungere mutò nuovamente le forme del corpo, tentando un’ardita trasformazione, e dall’espressione sbigottita sulle facce dei suoi avversari intuì di esservi riuscito.

 

Wotan…” –Mormorò Heimdall, riconoscendo l’alta figura armata del Dio avanzare a passo fermo verso di lui. Balmunk nella mano sinistra, Gungnir nella destra.

 

“Attento, Heimdall!!!” –Gridò Cristal, che aveva notato il rapido movimento con cui Loki aveva impugnato la lancia di Odino. Con un sogghignò, il Dio la puntò avanti, allungandola con il cosmo e piantandola nella gamba destra del Custode di Bifrost, mentre questi cercava di scattare di lato. La ritrasse all’istante, trafiggendogli anche l’altra gamba. E il ventre, e una spalla. Con colpi così veloci che Cristal neppure riusciva a vederli. Vide soltanto il sangue sprizzare dal collo di Heimdall quando Loki lo trapassò, sbattendolo a terra, vinto.

 

“Non conosci dunque vergogna?!” –Ringhiò, espandendo al massimo il cosmo e liberando un vortice di energia congelante.

 

Tsè!” –Mormorò Loki, riassumendo le proprie forme e generando di nuovo la cupola protettiva di pura fiamma semplicemente disegnando un segno in aria.

 

Brunilde la riconobbe. Kaun o Kaunaz, la torcia. La runa del calore e dell’illuminazione che permetteva il controllo del fuoco.

 

La Valchiria sapeva che Loki, al pari di Odino, conosceva l’arcano potere insito nelle rune, che non erano soltanto l’alfabeto dei popoli antichi ma fonte di un mistero ai più sconosciuto. O dai più dimenticato.

 

Aurora del Nord!!!” –Gridò Cristal, sbattendo i pugni uniti avanti a sé. Ma la devastante tempesta di gelo si schiantò sulle vampe disposte attorno a Loki, senza raggiungerlo, neppure quando la Regina delle Valchirie unì il proprio cosmo a quello del Cavaliere di Atena, non ottenendo altro risultato che infastidire l’Ingannatore, portandolo a far esplodere il suo cosmo e a scagliare indietro i due combattenti.

 

Quando Cristal si rimise in piedi si accorse di avere la corazza danneggiata in più punti, oltre che aloni di fumo che ne opacizzavano il lucente splendore. Loki invece, sebbene non indossasse armatura alcuna, sembrava fresco e nel pieno delle sue forze.

 

“Chiedimelo ancora!” –Esordì, stupendo il Cavaliere di Atena, che inizialmente non capì cosa intendesse. –“Chiedimi ancora quel che vuoi sapere e forse ti risponderò!”

 

“Dov’è Flare? Cosa le hai fatto?! Se hai osato farle del male io…

 

“Non ho offuscato il suo vergineo splendore, se ti preme saperlo!” –Rise il Burlone Divino. –“Né le ho tolto la vita, parola d’onore! La tua bella è ancora viva e langue sotto il peso delle sue cuffiette pensando al bianco Cavaliere che mai la salverà! Ih ih ih! Ricordati una cosa, Cigno! Un altro, al posto mio, l’avrebbe uccisa! Ma non io! Non Loki! Io perseguo solo il mio interesse e la Principessa di Midgard, terminata la sua utilità, non mi è servita ad altro! Un lasciapassare per la vendetta, questo è stata!”

 

“Quale utilità? Di cosa stai parlando?!” –Ma il Fabbro di Menzogne non aggiunse altro, attratto da un mormorare sommesso proveniente da poco lontano. La Sentinella di Asgard, vomitando sangue, stava tentando di rimettersi in piedi.

 

Heimdall!!!” –Gridò Cristal, correndo verso di lui, temendo ad ogni passo di venir falciato da un attacco di Loki, che invece non arrivò. Anche Brunilde si unì loro, tenendosi un fianco dolorante e aiutando il Dio Bianco a sollevarsi.

 

Lyngi!” –Mormorò. –“Flare è sull’Isola Lyngi, nel Niflheimr!”

 

“Cosa?! Come fai a saperlo?!” –Incalzò Cristal.

 

“Hai sentito le parole di Loki, no? Vanno sapute interpretare! Flare gli è stata utile per entrare in Asgard e poi per restarvi, potendola usare come scudo o come ostaggio nel caso fosse stato attaccato! Una volta però che si è ricongiunto con i figli e con il suo esercito, Flare ha perso ogni valore, potendo essere sacrificata! È là, dove Fenrir fu incatenato, negli anfratti del mondo, che la troverai!”

 

“Hai ancora fiato per sproloquiare, Denti d’Oro? Allora ne avrai anche per lottare, immagino!” –Sibilò Loki, avvolgendo il suo braccio in folgori azzurre.

 

Cristal fece per lanciarsi contro di lui, ma Heimdall lo fermò di nuovo, ricordandogli il patto che avevano stretto a Himinbjörg, di fronte al vigile sguardo di Odino.

 

“Vai a Lyngi! Ora! E salva la Principessa di Midgard!” –Esclamò, espandendo il suo cosmo e concentrandolo sulle braccia. –“Anche per me!”

 

Io… non posso lasciarti a combattere da solo…” –Mormorò il Cavaliere, indeciso sul da farsi.

 

“Io sarò con lui!” –Intervenne Brunilde. –“Vai!!!” –Ripeté il Custode di Asgard, liberando il suo colpo segreto. –“Corno risuonante!”

 

Loki lo disperse con un semplice movimento del braccio mentre con l’altro liberava scariche di energia, dirigendole verso Cristal. Ma Heimdall e Brunilde si posero di fronte a lui, incitandolo ad andare, come infine il Cavaliere fece, stringendo i pugni e sfrecciando via, verso l’ingresso dell’Inferno, portando nel cuore una speranza e una certezza. La speranza che Flare fosse ancora viva e potesse quindi riabbracciarla e la certezza che non avrebbe rivisto né il Dio Bianco né l’ardita Emissaria di Odino.

 

“Addio, Cristal!” –Pensò Heimdall, quasi avesse intuito i suoi pensieri, riportando lo sguardo su Loki, che sogghignava beffardo.

 

Vola, finché hai le ali, Cigno! Altri fermeranno la tua corsa! Come la mia antica sposa Sigyn mi fu strappata e torturata davanti ai miei occhi, ugualmente tu perderai il tuo amore, scoprendo che questo sia pur bel sentimento non è altro che un fiore destinato ad appassire! Rifletté, a denti stretti, trasmettendo il suo ordine mentale.

 

“Ho un dono per te, Denti d’oro! Gyfu, la runa dell’aria! Apprezzala, dall’alto della mia generosità!” –Esclamò infine, disegnando nell’aria due aste incrociate, a rappresentare un segno che nell’alfabeto occidentale era simile alla lettera X.

 

Immediatamente due squarci della stessa forma si aprirono nella corazza del Custode di Ásbrú, scavandogli nel petto, tra le grida di dolore del Dio e lo sguardo inorridito di Brunilde, che si lanciò avanti, con il pugno teso, venendo spazzata via dalle scariche di energia di Loki.

 

“Hai tenuto fede al tuo ruolo fino in fondo!” –Commentò l’Ingannatore, avvicinandosi al corpo distrutto di Heimdall, disteso sul prato. –“Ma l’orgoglio non paga! È un sentimento in cui non puoi riporre fiducia!” –Quindi fece per chinarsi su di lui, concentrando un globo di energia sul palmo della mano. –“Voglio dirti una cosa, prima di ucciderti! Non prendertela per questa mattina! Non è la prima volta che sfuggo al tuo sguardo! Perché, vedi, in questi ultimi secoli sono venuto spesso ad Asgard, in modi che neanche puoi immaginare! Ih ih ih!”

 

Fu allora che la Sentinella Celeste scattò, veloce come una fiera, afferrando l’arto teso di Loki con un braccio mentre con l’altra mano, già chiusa a pugno, puntava sul ventre dell’avversario, liberando il suo massimo attacco.

 

Testa d’Ariete!!!” –Gridò, sorprendendo per la prima volta il suo rivale, che venne sollevato da terra da una forza spaventosa, pari alla carica furibonda di un ariete dalle corna possenti. –“Un epiteto che mi fu dato tu lo conosci, Loki! Heimdall Hallinskidi, il Dio dalle corna piegate! Le corna di un poderoso ariete!”

 

Quel che permise a Loki di salvarsi dal violento attacco fu il buon senso, o forse la codardia, con cui era sceso in guerra quel giorno. Prima ancora di varcare il Cancello Meridionale della cittadella di Midgard, aveva infatti tessuto un’intricata difesa sopra il suo corpo, un ricamo di rune identiche tra loro che gli avrebbe garantito di non subire danno alcuno.

 

Una catena di Yr, l’antica Algiz, runa della protezione, la cui caratteristica forma a zampa di uccellino lo faceva sorridere ogni volta che la disegnava.

 

Era per quel motivo che, nonostante la spinta che lo scaraventò a terra, facendolo ruzzolare per diversi metri, e la fitta che lo aggredì alla pancia, non ricevette ulteriore ingiuria. Ma quando si rialzò, qualcosa era cambiato in lui. Lo capì anche Heimdall, mirando i suoi occhi adesso di fuoco.

 

“Hai idea di quello che hai fatto?! Sono quasi finito con la faccia su uno sterco di vacca!” –Esclamò il Fabbro di Menzogne, scuotendo la lunga veste per togliersi tutti quei fili d’erba e quel terriccio di cui si era imbrattato. –“Ti ci inzupperò la testa, togliendo ai tuoi denti quello smalto d’oro di cui vai tanto fiero!”

 

“E se invece ci inzuppassimo noi la tua, traditore?!” –Ruggì una terza voce, mentre l’imperiosa sagoma di un uomo, in Veste Divina, affiancava Heimdall, ponendogli il braccio destro sulle spalle e permettendo a Loki di notare l’assenza della mano.

 

Tyr…” –Ringhiò, alla vista del Nume della Guerra, uno di coloro che maggiormente si era scagliato contro di lui, secoli addietro, dopo il tentato assassinio di Balder. Del resto, sono entrambi figli dello stesso Padre. 

 

“Mi riconosci dunque, putrido ratto! Io invece no! Ti trovo troppo giovane, troppo bello! Dove sono i segni della prigionia? Dove sono le cicatrici che avrebbero dovuto ricordarti gli orrori che hai commesso?”

 

“Orrori a cui tu hai preso parte!” –Sibilò Loki, incapace di trattenere la propria rabbia. Se verso Heimdall provava rispetto, per il profilo distinto che aveva sempre tenuto, verso Tyr provava un odio immenso. Neppure il tempo e l’ombra avevano potuto cancellare l’immagine della spada del Nume che sgozzava i suoi figli.

 

“Mi dolgo di non aver dato il massimo in quell’impresa! Eppure ne avrei avuto tutti i diritti!” –Esclamò Tyr, mostrando il moncherino e al qual tempo sfoderando la spada con la mano sinistra.

 

“Puoi farlo adesso, se vivrai abbastanza per fronteggiare la verità!” –Fiatò Loki, con voce così leggera che al figlio di Odino parve un sussurro. –“Thurisaz!” –Violente scariche di energia azzurra avvolsero il braccio dell’Ingannatore prima che questi le dirigesse verso Heimdall e Tyr, travolgendoli e stritolandoli.

 

Testa d’Ariete!!!” –Tentò di reagire la Sentinella Silente, ma il suo attacco venne disperso dalla tempesta di folgori.

 

Aaargh!!!” –Gridò il Nume della Guerra, mentre i fulmini evocati dalla potente runa dei Giganti gli distruggevano l’armatura, scavandogli nella pelle e lasciandogli profonde ustioni.

 

“Volevi vedere le cicatrici, Tyr?! Volevi vedere i segni del veleno partorito dal serpente che mi poneste in capo?!” –Ringhiò Loki, che si era intanto avvicinato a entrambi, strappandosi la veste e rivelando il petto e le braccia, marchiate in modo inconfondibile. Violacee strisce gli percorrevano il corpo, evidenti adesso anche sul collo e sul volto. Cicatrici che neppure Yr avrebbe potuto cancellare. –“Ecco il marchio dell’infamia!!! Marchio che ho sopportato con coraggio, senza piagnucolare, facendo mio il veleno della bestia! Sarai tu in grado di fare altrettanto?!”

 

Il corpo di Heimdall, a fianco del guerriero, esplose pochi istanti dopo, lacerato dalle folgori dilanianti. Tyr ricadde al suolo, perdendo la presa della spada, e sarebbe crollato in avanti se Loki non gli avesse afferrato i capelli con forza, strattonandolo per mantenerlo in posizione eretta. Gli torse il viso, ormai una maschera di sangue, e gli sorrise, chiamando a gran voce il nome di Odino.

 

“Guarda, possente Wotan, la fine dei tuoi figli! È un sentimento difficile da accettare, te lo dico con esperienza! Ma, prima o poi, capita a tutti…” –Ringhiò, sollevando con un calcio la spada di Tyr e afferrandola con la mano destra, prima di piantarla nella gola del Dio della Guerra, mentre migliaia di scariche di energia scintillavano in aria. –“Questo è soltanto il primo! Due ne hai uccisi di fronte ai miei occhi! Ma tre sono le vite che hai preso! E altrettante ne prenderò io!” –Non aggiunse altro, gettando a terra la spada e il cadavere sanguinante di Tyr. Era stato fin troppo generoso con lui, donandogli una morte rapida e scevra di sofferenze. Ma con il secondo avrebbe messo da parte la gentilezza.

 

Sogghignò, prima di sollevare un velo di rune a sua difesa e incamminarsi verso Breidablik.

 

***

 

Cristal eliminò con un solo colpo le guardie lasciate da Loki a Gnipahellir, poche e prese di sorpresa da un attacco proveniente dalla loro retrovia. Alle sue spalle Orion aveva iniziato ad affrontare il suo nemico, mentre sull’altro lato della piana le lucenti folgori dell’Ingannatore mietevano nuove, e non ultime, vittime. Senza esitare, il Cigno si tuffò nella fenditura tra le rocce, più larga di quanto si fosse aspettato. Vedendo le pietre smosse e il terreno che ancora franava, capì che l’iniziale stretto passaggio doveva essere stato sventrato dal furioso avanzare di Fenrir ore prima.

 

Raggiunse il Ponte sul Gyoll e la Porta di Hel, senza prestare attenzione ai richiami provenienti dal fiume, urla cariche di tristezza e disperazione. Prima di varcare la soglia del Niflheimr si fermò, chiedendosi cosa avrebbe fatto al di là di essa, dove si sarebbe diretto, in quella landa dell’eterno inverno il cui sapore ancora ricordava.

 

Fu un rumore di passi a spegnere i suoi dubbi, costringendolo a voltarsi di scatto e a fronteggiare l’uomo apparso alle sue spalle, al centro del ponte.

 

Artax!!! Che ci fai qua? Credevo fossi rimasto con Odino!”

 

“Ti accompagnerò nel Niflheimr, Cristal! Non puoi avventurarti da solo in quella landa ostile!” –Esclamò il Cavaliere di Asgard, avvicinandosi.

 

“Non ce n’è bisogno…

 

“Invece sì! Tu non sai dove si trova Lyngi e non troverai dei cartelli a indicarti la via!” –Continuò Artax, passandogli accanto e oltrepassando per primo la Porta di Hel. –“Non voglio che tu vaghi sperduto per l’inferno mentre Flare langue da sola!”

 

Cristal vide negli occhi del ragazzo la determinazione e l’ansia per le sorti dell’amica, un sentimento più forte di qualsiasi altro. Non poté far altro che annuire, varcare la soglia a sua volta e seguire nuovamente Artax nel deserto di ghiaccio.

 

Quel che il Cavaliere non vide fu però un’evanescente figura che li seguì. Eterea, a tratti, parve confondersi con le nebbie del Nifhleimr. Le nebbie di casa sua.

 

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Capitolo 26
*** Capitolo ventiquattresimo: Spedizione punitiva. ***


CAPITOLO VENTIQUATTRESIMO: SPEDIZIONE PUNITIVA.

 

Era tradizione che il Grande Tempio non intervenisse nelle questioni di sovranità nazionale, lasciando ai singoli stati il compito di occuparsene, senza invischiarsi in dispute di politica e di competenze territoriali che non gli spettavano. Ciononostante era accaduto, in alcune occasioni, che capi di governo mondiali si fossero rivolti ad Atene per risolvere problemi che da soli non erano in grado di affrontare.

 

Era stato questo il caso della missione che Ioria aveva dovuto affrontare nel 1979, quando una quantità significativa di radiazioni era stata rilasciata da una centrale nucleare nei pressi di Harrisburg, la capitale dello stato della Pennsylvania. Evento che aveva portato il Grande Sacerdote a inviare uno dei Cavalieri d’Oro ad occuparsene, permettendo di scoprire che il responsabile dell’attentato era in realtà un ribelle bandito anni addietro dal Grande Tempio, a cui era stata negata l’investitura.

 

La mia prima missione ufficiale! Rifletté il giovane, seduto su uno dei leoni di marmo all’ingresso della Quinta Casa. All’epoca credetti che sarebbe stata una seccatura andare a Three Mile Island! Per fare cosa poi? Sistemare un reattore danneggiato?! Non avrei potuto immaginare chi vi avrei incontrato, e cosa avrei avuto modo di apprendere! Sospirò, ricordando l’eroica figura di John Black, un uomo che, sebbene lo avesse visto una volta soltanto, aveva potuto insegnargli più di molti altri.

 

In seguito il Cavaliere di Leo era stato impiegato in perigliose missioni, a Creta e in Asia meridionale, allo scopo di occuparsi di questioni che la politica e la scienza non potevano risolvere. Aveva così appreso che anche in passato, ben prima della sua nascita, i Cavalieri di Atena erano intervenuti negli eventi del mondo, favorendo ad esempio il crollo dell’Impero romano o la disfatta di Napoleone, ma sempre con la massima discrezione. Del resto, anche adesso c’era qualcuno che li considerava più come demoni o esseri leggendari, che non come uomini.

 

Tantomeno come eroi. Commentò, sprezzante. E pensò a Castalia, Tisifone e Asher, impegnati in missioni umanitarie, chiedendosi come i popoli delle zone in cui si erano diretti li avrebbero accolti. Con diffidenza e sospetto, o come una benedizione?

 

Castalia era andata in Canada, dopo una segnalazione di navi incastrate nella Baia di Hudson. Tisifone si era recata in Inghilterra mentre Asher si era diretto a Stoccolma, dove il ghiaccio aveva danneggiato i binari di alcune ferrovie, provocando disastrosi incidenti. Ognuno di loro aveva portato con sé una piccola guarnigione di soldati, manodopera necessaria e addestrata per aiutarli nei soccorsi. Ma da qualche ora non arrivavano più rapporti al Grande Tempio e Ioria e Libra avevano iniziato a preoccuparsi, consapevoli comunque che i tre potevano essere impegnati nelle operazioni di salvataggio e non avere il tempo di mettersi in contatto con Atene.

 

Ciononostante il Leone era inquieto.

 

L’idea che Castalia fosse in pericolo l’aveva invaso e non accennava ad andarsene, assieme ad un’altra, più nascosta ma ugualmente umana, che lo obbligava a rimettere in discussione tutto e a chiedersi se tra loro le cose fossero davvero finite. Sebbene, si disse con una certa ironia, non siano neanche mai iniziate.

 

Una figura rivestita d’oro apparve poco dopo nell’androne del Quinto Tempio, avanzando a passo deciso verso l’esterno.

 

“Lo senti anche tu?” –Domandò Libra, mentre Ioria balzava accanto a lui. –“Questo vento gelido che ha iniziato a spirare sulla Grecia?”

 

Il Cavaliere di Leo annuì, chiudendo gli occhi, prima che entrambi percepissero una vibrazione nello spaziotempo, una forzatura dei campi difensivi del Grande Tempio, come se qualcosa di molto grosso avesse sfondato il perimetro della regione sacra.

 

“Al Cancello Principale!” –Esclamò Ioria, scattando avanti, subito seguito da Libra.

 

Quando raggiunsero la base della scalinata di marmo, proprio dove Lady Isabel era stata ferita dalla freccia di Beteljeuse, trovarono i soldati di Atene impegnati in un violento combattimento. Per quanto numericamente superiori agli avversari, la forza dirompente di questi ultimi era stata tale da obbligarli a una rapida ritirata, spingendoli dal Cancello Principale fino alle Dodici Case e massacrando coloro che rimanevano indietro, tramutati in statue di ghiaccio.

 

Ioria e Libra si guardarono attorno, notando lo sfrigolare continuo dei raggi di energia congelante che soldati in tuta azzurra dirigevano contro i difensori del Santuario, mentre una grande nave volante proiettava la sua ombra su tutti loro.

 

“Una nave… di unghie?!” –Balbettò Ioria, osservandola.

 

Proprio in quel momento la nave virò bruscamente, schiantandosi a terra e schiacciando un mucchio di soldati sotto la sua mole, mentre una figura alta e robusta, rivestita da un’armatura grigia, si ergeva sul ponte di comando. Sogghignando, l’uomo sollevò la propria scure, caricandola di energia cosmica, e scagliandola a gran velocità contro i due Cavalieri d’Oro.

 

“Via!!!” –Gridò Ioria, balzando di lato, mentre Libra faceva altrettanto nell’opposta direzione, evitando l’arma che si piantò ai piedi della scalinata, generando un’esplosione che la squassò in gran parte, di fronte alle risate sguaiate di colui che l’aveva scagliata.

 

“Chi sei, guerriero?!” –Esclamò allora il Cavaliere della Settima Casa, rimettendosi in posizione eretta, mentre Ioria, dall’altro lato, si avventava contro i Soldati di Brina, sfrecciando come un fulmine carico di energia rovente in mezzo a loro e facendone fuori a decine.

 

In tutta risposta il nuovo arrivato richiamò a sé la propria scure, impugnandola con mano ferma, prima di lanciarsi dall’alto della nave e piombare su Libra, con l’arma sollevata sopra la testa.

 

“Il tuo carnefice! Erik il Rosso! Come il sangue che imbratterà il tuo cadavere!” –Ringhiò, prima di calare l’arma sul Cavaliere d’Oro, che in tutta risposta aveva già liberato il suo colpo segreto. Ma, con stupore e orrore, Libra vide il dragone di energia disperdersi al contatto con il corpo dell’avversario, protetto da una barriera invisibile, obbligandosi quindi a scattare di lato.

 

“Troppo tardi!” –Sentenziò Erik, che ormai era su di lui. La scure di energia violacea sbatté contro lo scudo dell’armatura d’Oro, che Dohko aveva prontamente sollevato, più per istinto di sopravvivenza che altro, scalfendone la superficie e spingendo persino il Cavaliere indietro.

 

“Libra!!!” –Gridò Ioria, dall’altra parte dello spiazzo, intento ad evitare i raggi di energia congelante e a far sì che neppure i soldati semplici venissero raggiunti.

 

“Nobile Ioria, lasciate a noi costoro!” –Esclamarono alcuni di loro. Ma il Cavaliere di Leo si rifiutò, pregandoli di rimanere alle sue spalle.

 

“Non ha senso attendere presso le nostre Case il compiersi degli eventi, lasciando a voi l’onere della difesa del Santuario! Siamo difensori, prima ancora che combattenti, e come tali ci comporteremo! Per il Sacro Leo!!!” –Avvampò, scattando avanti.

 

“Codardo il tuo compagno! Si è preso i pesci più piccoli, lasciando te in balia del boia!” –Sibilò Erik tagliente. –“Perché così devi immaginarti, incatenato e piegato con la testa su un ceppo di quercia, e la mia scure pronta per mietere la tua vita!”

 

Umpf! Hai intenzione di vincermi con le parole o speri di incutermi paura?! Quale che sia la tua tattica, con me non funziona!” –Rispose Libra, sprezzante.

 

“Ah no?!” –Sogghignò Erik, muovendo la scure a spazzare e spingendo indietro il Cavaliere di Atena con la sola onda d’urto. Poi, senza dargli tempo di recuperare una postura corretta, si lanciò su di lui, mulinando fendenti in ogni direzione.

 

Libra fu costretto ad arretrare ancora, cercando di non essere raggiunto dall’affilata lama, ma non poté evitare le onde di energia che seguivano ogni spostamento dell’arma, trovandosi presto con le spalle al muro di roccia della montagna. Sudando freddo, cercò di recuperare la concentrazione, ricordandosi di un altro avversario di recente affrontato, anch’egli abile con un’arma proprio come Erik.

 

Avel delle Spade Incrociate, Cavaliere Nero al servizio di Flegias. Una macchina per uccidere. Forte anche del suo passato come agente del KGB, Avel era riuscito a impegnare notevolmente il Cavaliere d’Oro, che ne aveva avuto ragione solo con un grande impegno.

 

Ma Erik, agli occhi di Libra, era diverso. Più potente che abile, più devastante che preciso, una furia scatenata, un carro da guerra pronto a travolgere chiunque si trovi nel suo raggio d’azione. Devo reagire, maledizione! Si disse, buttandosi di lato e rotolando sul terreno roccioso, mentre la scure si piantava nella parete alle sue spalle, disintegrandola con un sol colpo.

 

“Ora! Drago Nascente!!!” –Gridò il Cavaliere ancora steso a terra, portando avanti le braccia e liberando il drago smeraldino. Ma nuovamente Erik sogghignò, voltandosi verso di lui, mentre con il braccio destro disincastrava l’arma dalla roccia. E nuovamente l’assalto di Libra sbatté contro il suo corpo, venendo poi disperso in tutte le direzioni, come accade a un’onda quando si infrange su un muraglione di scogli.

 

“Non è possibile!!!” –Esclamò esterrefatto, rimettendosi in piedi, e dando modo a Erik di gloriarsi ancora un po’ della sua virile superiorità.

 

“Se adesso hai capito che non hai speranza di vittoria contro Erik il Rosso, accetta il fato e muori! Scure di Devastazione!!!” –Gridò il seguace di Loki, allungando l’arma avanti a sé, carica di energia cosmica, e abbattendola con forza sul già incrinato Scudo della Bilancia.

 

Dohko mise tutto se stesso nella difesa, cercando di resistere alla violenta pressione, ma fu infine costretto a cedere, quando un improvviso potere gli piegò di forza le ginocchia, prostrandolo a terra suo malgrado, permettendo in questo modo a Erik di raggiungerlo alla spalla e schiantarlo indietro. Quando si rialzò, tenendosi il cingolo scapolare sanguinante, aveva però compreso come Erik riuscisse a essergli superiore.

 

“Sei un baro!” –Gli gridò. –“C’è qualcun altro che ti aiuta e combatte per te, proteggendoti e unendo il suo cosmo al tuo in attacco!”

 

“Ahr ahr ahr! Un baro?! No, sono un profittatore e mi servo di ogni mezzo per perseguire i miei scopi! Onesta e disonestà le lascio ai filosofi e ai politici, in guerra non c’è posto per tali considerazioni!”

 

“Dov’è il tuo compare?!”

 

“Eccolo!” –Sibilò Erik, caricando la scure di energia cosmica e piantandola con forza nel terreno di fronte a sé, frantumandolo e generando faglie che sfrecciarono verso Libra, obbligandolo a balzare di lato in lato per non precipitarvi all’interno. –“Ahr ahr ahr! Questa scure, ricordo di mio fratello, è la mia unica compagna!” –E nel dir questo sollevò l’arma verso l’alto, mentre da tutte le faglie aperte sorsero fendenti di energia che travolsero Libra, scaraventandolo in aria e facendolo poi ricadere a terra, con un braccio penzolante in un burrone.

 

Quindi Erik si voltò verso la Naglfar, la nave che Megrez tredicesimo aveva costruito in Hel e che aveva condotto ad Ásaheimr, per poi morirvi. La nave che Loki gli aveva affidato come mezzo per raggiungere Atene e scatenare la vendetta dell’Ingannatore.

 

Là, sul ponte di comando, un’esile figura si stagliava controluce, così fragile all’apparenza da sembrare incorporea, per quanto nascondesse un potenziale cosmico che aveva fatto impallidire persino Erik quando Loki glielo aveva mostrato.

 

Modhgudhr non disse niente, scansando lo sguardo del Sigtýr e riportandolo sui Soldati di Brina, adesso la metà di quelli che erano giunti ad Atene, falciati dagli artigli del Leone, che si stava preparando a caricare di nuovo. Le bastò fissarlo, per scaraventare Ioria contro la parete di roccia, sfondandola e facendola crollare su di lui, di fronte agli occhi impalliditi dei soldati semplici, nuovamente esposti ai raggi congelanti. Ne morirono a decine, immobilizzati in rozze statue di ghiaccio, ma nessuno si mostrò pavido, volgendo la lancia al nemico nella posa della pugna, prima che un cosmo rilucente d’oro vivo non abbagliasse l’intero piazzale.

 

Persino Erik volse lo sguardo al cielo, freddo e cupo, senza capire da dove provenisse quel bagliore improvviso, permettendo a Libra di rifiatare e rimettersi in piedi.

 

Fu Ioria, liberatosi dai detriti piovuti su di lui, a riconoscere il cosmo del Cavaliere di Virgo.

 

Ohm!” –Mormorò una voce senza età, mentre un fiume di luce parve scorrere dalla collina delle Dodici Case e travolgere i Soldati di Brina e la Naglfar. Un attimo dopo l’energia contenuta nel fiume esplose, annientando la quasi totalità dell’esercito che Loki aveva inviato contro Atene, per punirla dell’aiuto dato ad Asgard.

 

Libra sollevò lo sguardo verso la Casa di Virgo e vide la luce che l’aveva avvolta poc’anzi scemare di intensità e il cosmo del Custode della Porta Eterna quietarsi, tornato alla meditazione che, per venire loro in aiuto, aveva interrotto.

 

“Grazie!” –Commentò, per poi riportare lo sguardo sul suo nemico.


Erik era stato travolto dall’esplosione energetica, che aveva danneggiato in parte la sua corazza, ma sembrava non aver riportato danni maggiori, non fosse per un rivolo di sangue che gli scorreva dal naso. Con un rapido movimento della lingua, si pulì il viso, ridacchiando, prima di espandere nuovamente il cosmo e sollevare la scure.

 

“Non sei fuggito? Avresti dovuto!” –Ironizzò, liberando di nuovo il suo colpo segreto, a cui Libra rispose bruciando al massimo il suo cosmo e caricando lo scudo d’oro che portava al braccio. –“Scure di Devastazione!!!”

 

Ancora una volta Dohko sentì una pressione immensa schiantarsi su di lui e dovette dare fondo a tutte le sue risorse per impedire all’arma di staccargli il braccio. Per un istante lo invase la spiacevole sensazione di essere nuovamente costretto a piegarsi, ma non accadde niente. Erik, notando il suo stupore, ne approfittò per incrementare il proprio attacco, scaraventando il Cavaliere indietro, fino a farlo ruzzolare a terra con lo scudo danneggiato e il braccio grondante sangue.

 

“Non ho bisogno di una balia per vincerti, se a questo stavi pensando!” –Precisò, avanzando a passo fermo verso il Custode della Settima Casa. –“Mai distrarsi in combattimento, mai lasciare che i pensieri dominino! L’azione deve regnare sovrana! La volontà imperterrita di sollevare il pugno verso l’avversario!”

 

Chi… chi era?! C’è stato un cosmo che ti ha protetto finora… Dov’è andato?”

 

“A quanto sembra Modhgudhr ha scelto il suo avversario!” –Disse Erik, che aveva notato che la fanciulla non si ergeva più su Naglfar. –“La cosa non mi stupisce, visto il loro legame, né mi impensierisce, poiché l’esito di questa battaglia è già scritto! Scritto nella storia, dove i più forti hanno sempre trionfato!” –Detto ciò mosse la scure verso destra con un movimento così rapido che Libra ebbe difficoltà a notarlo. Si accorse però dell’onda di energia da essa generata, che lo travolse alle gambe mentre stava cercando di rimettersi in piedi, piegandolo all’indietro, proprio mentre Erik spiccava un salto per portarsi di fronte a lui, sollevando di nuovo la scure.

 

“Non questa volta!” –Ringhiò il Cavaliere d’Oro, eseguendo una capriola su se stesso e portando avanti il braccio destro. –“Colpo segreto del Drago Nascente!”

 

“Perseveranza il tuo nome mi è ignoto!” –Ridacchiò Erik, calando la scure, con la quale divise perfettamente a metà l’attacco, trinciando in due la testa del drago di Cina, di fronte agli occhi stupefatti di Libra, che ricadde a terra, mettendo male un piede e storcendosi una caviglia.

 

“La tua forza è grande, lo ammetto!” –Esclamò infine, mentre Erik atterrava di fronte a lui, perfettamente in forma, come fosse appena sceso in battaglia. –“Anche privo della barriera che il tuo compagno aveva eretto per difenderti, sei comunque rivale temibile! Ma spiegami, ti prego, perché un uomo come te, dotato di una così vigorosa energia cosmica, serve il male? Perché è indubbio che tu sia al servizio del nordico Dio dell’Inganno, non è così?”

 

“Dici il vero, Cavaliere di Atena! A Loki sono fedele più di chiunque altro, al punto da essere da lui nominato Comandante dei Sigtívar e dei Soldati di Brina! Poiché bramo la distruzione di Asgard e della dinastia di Polaris, per questioni squisitamente personali! E quel che l’ego vuole, l’ego può ottenere, dovresti ben saperlo tu che avrai affrontato, come ogni altro Cavaliere, un rigido addestramento fatto anche di privazioni!” –Spiegò Erik, fissando il giovane con sguardo ruvido. –“Vent’anni fa la mia famiglia fu sterminata in una guerra di confine, voluta dal precedente Celebrante di Odino a Midgard! In quel tremendo scontro vidi morire mio fratello, l’uomo che mi aveva cresciuto e addestrato alla dura vita dei boschi e della guerra! Lo vidi morire davanti ai miei occhi per mano di un uomo dotato di cosmo, un uomo chiamato Folken! E, come lui, morirono i miei genitori e altri abitanti di Iisung! Quelli che sopravvissero alla guerra, li portarono via il freddo e la carestia! E anch’io avrei incontrato tale sorte se Loki non mi avesse salvato, prendendomi con sé, istruendomi e forgiandomi come un guerriero! Quel giorno giurai a me stesso che lo avrei servito sempre, usando il mio accresciuto potere per ottenere giustizia!”

 

“Giustizia?! La tua mi sembra piuttosto una vendetta!”

 

“Chiamala come vuoi! Per me è lo scopo della mia esistenza! E questa cicatrice che deturpa il mio volto, residuo di quel giorno di sangue, me la ricorda ogni momento!”

 

“Capisco il tuo dolore, ma abbattere Asgard o Midgard non ti restituirà tuo fratello, né la tua famiglia, né cancellerà il ricordo di quello che è stato! Anzi, in questo modo farai patire ad altri ciò che tu per primo hai patito!” –Esclamò Libra. –“Ruolo ingrato quello del Celebrante di Odino, me ne rendo conto! Ha dovuto agire con pugno duro per sedare una rivolta che, se lasciata libera di sfogarsi, avrebbe potuto destabilizzare l’intero regno! Quando si è un capo, spesso si è costretti a prendere decisioni per il bene della collettività che possono non essere condivise da tutti, decisioni a volte ingrate! Io stesso, per quel breve periodo in cui ho avuto il comando dei Cavalieri di Atena, dopo la sconfitta dell’usurpatore, ho provato la veridicità di queste parole! Per evitare di lasciare sguarnito il Santuario in vista della Guerra Sacra contro Ade, vietai ai Cavalieri d’Oro di portare aiuto a Pegasus ad Asgard e nel Regno Sottomarino, confidando soltanto nel loro valore! Decisione difficile e impopolare, ma necessaria!” –Sospirò il Cavaliere, ripensando alle accese discussioni tra i suoi pari sotto la pioggia. –“Ioria e Scorpio sarebbero stati pronti a partire, e non dubito che Toro e persino Virgo li avrebbero seguiti, per ridurre le fatiche dei Cavalieri dello Zodiaco!”

 

“Parli bene, seguace di Atena! Meglio di quanto tu combatta!” –Ironizzò Erik, sollevando la scure. –“Ma le parole non fermeranno la mia furia guerriera!”

 

“Purtroppo no! Ma le sacre armi di Libra sì!” –Esclamò Dohko, sfoderando una delle due spade e scattando avanti, nello stesso momento del suo avversario, scontrandosi a mezz’aria, ognuno con l’arma stretta nel pugno.

 

Una pioggia di scintille rischiarò la fosca aria di quel pomeriggio, mentre ognuno dei due contendenti atterrava al posto dell’altro, voltandosi di scatto e balzando di nuovo all’attacco. Per cinque volte si lanciarono uno verso l’altro, avvampando nei loro cosmi, scheggiando le lame, implacabili nel perseverare con la stessa energia. Ma alla sesta volta Libra avvertì la stanchezza dovuta al prolungato impugnare della spada, che gli risultava difficoltoso dopo aver perso due dita nello scontro con Flegias all’Undicesimo Tempio dell’Ira. Erik se ne avvide e rincarò la dose, piombando sull’avversario e strappandogli la spada con un secco movimento della scure.

 

“Sei mio!!!” –Gridò, muovendola per portarla indietro e staccargli la testa.

 

“Tutt’altro!” –Rispose Dohko pacatamente, che già aveva sollevato il braccio destro, caricandolo di tutta l’energia cosmica che poté richiamare. –“Non solo nelle armi sta la forza del Cavaliere della Bilancia, anche nel suo cosmo! E ora lo vedrai! Per il Sacro Libra!!!” –E calò il braccio su di lui, generando un fendente di energia dorata che raggiunse Erik alla mano destra, distruggendo la protezione dell’armatura e facendogli perdere la presa sulla scure, che roteò in aria alla sua destra prima che con un fugace spostamento Libra la raggiungesse, afferrandola con la mano sinistra. –“La tua arma è nelle mie mani adesso!”

 

A quelle parole seguì l’immediata reazione di Erik, che caricò frontalmente il suo avversario, piombando su di lui a spalla tesa e spingendolo indietro, mentre la scure cadeva poco distante. Inarrestabile, il Rosso Condottiero tempestò di pugni il Cavaliere, incurante del dolore alla mano destra e del sangue che sprizzava ovunque, fino ad assestargli un gancio sulla mascella così forte da scaraventarlo a terra, privo dell’elmo e con un evidente ematoma. Quasi come si aspettasse di essere colpito ancora, Libra sollevò un braccio ma Erik non lo degnò di ulteriore sguardo, volgendogli le spalle e incamminandosi verso la sua scure, che risollevò con la stessa cura che le madri rivolgono ai figli piccoli.

 

Che uomo strano! Rifletté il Cavaliere di Atena, approfittando di quel momento per rifiatare. Che tutta la sua forza derivi da quell’ascia? Ne dubito! Neppure io faccio affidamento soltanto sulle sei armi doppie! Eppure percepisco un legame tra loro che va al di là della semplice utilità pratica, qualcosa che mi ricorda l’unione tra Andromeda e la sua catena, compagna di mille battaglie.

 

“Qualunque piano tu abbia in mente per salvarti la pelle, sappi una cosa sola!” –La voce rauca di Erik lo distrasse, portandolo a sollevare lo sguardo verso di lui. E in quegli occhi scuri mise tutto l’odio che era capace di provare. –“Non osare toccare di nuovo la mia scure o non soltanto ti ucciderò! Ma taglierò il tuo corpo in pezzi così piccoli che nemmeno un compositore di mosaici potrebbe ricrearlo!”

 

“Deve essere davvero importante per te…” –Analizzò Libra, rialzandosi.

 

“Quanto per te è difendere questo Santuario di ciottoli!” –Esclamò secco Erik, prima di schizzare su di lui, con la scure tesa sopra la testa, avvolta nel suo cosmo viola. Con un solo colpo distrusse quel che restava del primo Scudo della Bilancia, obbligando Libra a scattare di lato, ma il movimento di ritorno dell’arma strusciò sul suo ventre, sbilanciandolo. –“Scure di Devastazione!” –Tuonò il servitore di Loki, tentando l’assalto da distanza ravvicinata, approfittando della mancanza di protezione del suo nemico. Ma l’arma di energia cosmica non raggiunse il Cavaliere d’Oro, spinto a terra da un’agile figura che piombò su di lui, ruzzolando assieme fuori dal raggio d’azione.

 

Ioria…” –Mormorò Libra, riconoscendo il compagno, la cui schiena fumava ancora per essere stata parzialmente raggiunta dalla scure di Erik.

 

“Giusto in tempo, a quanto vedo…

 

“Giusto in tempo per morire!” –Ridacchiò il Rosso, facendosi avanti, ripresosi dalla sorpresa iniziale. –“Resta a terra, accanto al tuo compagno, vi cancellerò insieme dalla faccia della Terra! Ahr ahr ahr!”

 

Ioria, anziché rispondergli, concentrò il cosmo attorno al pugno destro, pronto per liberare i fulmini incandescenti, quando sentì un’energia estranea cingerlo d’assedio, avvolgendolo in un silenzioso abbraccio.

 

Che… cosa succede?!” –Balbettò il Cavaliere di Leo, osservando che all’interno di quel guscio argenteo il suo corpo stava iniziando a svanire.

 

Modhgudhr?!” –Esclamò stupito Erik, voltandosi verso la Collina della Divinità, ma riconoscendo che non si trattava del cosmo della sua compagna.

 

Ioria!!!” –Gridò Libra, senza capire cosa stesse accadendo, senza poter far nulla per trattenere l’amico, che si dissolse davanti ai suoi occhi.

 

“Non era questo che intendevo con le mie parole di poco prima! Ma è comunque un risultato a me favorevole! Ahr ahr!” –Ridacchiò il Comandante dei Sigtívar, riportando l’attenzione su Libra, che ancora fissava l’aria sbalordito. Deciso ad approfittare di quel momentaneo smarrimento, Erik si lanciò su di lui, impugnando la scure con due mani, ma quando la calò la sentì scontrarsi contro un muro d’oro.

 

Dohko aveva infatti sollevato una spada della Bilancia, parando con essa l’affondo.

 

“Al tuo posto!” –Gli rispose, spingendo indietro il Sigtýr con un’onda di energia. Quindi, deciso a non dargli tregua, scattò avanti, liberando migliaia e migliaia di fendenti energetici, che caddero su Erik come una pioggia di spilli, sottili e pungenti.

 

Il Rosso li fronteggiò senza paura, roteando la scure di fronte a sé, in modo da creare un muro d’aria carico di energia cosmica, su cui i raggi si infransero. Ma Libra sorrise, essendo quel che si aspettava, quel che sperava infine di trovare. La debolezza del Comandante dei Sigtívar.

 

“Sei lento!” –Esclamò, intensificando il proprio attacco, cercando di dirigere gli affondi energetici in qualsiasi direzione. In basso, in alto, al centro, obbligando Erik non soltanto a roteare continuamente la scure, ma anche a spostarla, per porre sempre il muro difensivo di fronte a sé. Con una certa soddisfazione, Libra lo vide stringere i denti, trattenendo a fatica la rabbia quando i primi raggi di energia iniziarono a superare la sua improvvisata barriera. –“Se ad un attacco a distanza fai così fatica ad opporti, che cosa farai con un attacco diretto?” –Gridò, scagliando la spada avanti a sé, la punta dritta verso il volto di Erik.

 

“Lo affronterò!” –Ringhiò questi, fermando il roteare della scure, impugnandola e muovendola di lato, sì da deviare la lama dorata e farla piantare alle sue spalle.

 

“Come pensavo…” –Sorrise Dohko, che aveva già espanso il proprio cosmo, concentrandolo sulle braccia, mentre verdi dragoni d’oriente danzavano attorno a sé. –“Colpo dei Cento Draghi!!!”

 

Erik rimase stupito da quell’assalto improvviso, più potente di quelli portati in precedenza dal Cavaliere, e tentò di roteare di nuovo la scure per difendersi, fallendo. Le zanne delle sacre bestie di Cina superarono la poco resistente difesa, affondando nel suo corpo, distruggendo parte della sua corazza e scaraventandolo indietro, in una pozza di sangue.

 

Libra lo osservò soddisfatto per un istante, il breve arco di tempo di cui Erik ebbe bisogno per rialzarsi, tossire e rimettersi in posizione d’attacco.

 

“Nessuno è perfetto, neppure tu! Ogni guerriero ha i suoi punti di forza e di debolezza, e la tua falla, sia pur leggera, sta nella difesa!” –Spiegò il maestro di Sirio. –“Non l’avevo notato in precedenza, perché la barriera del tuo compagno prima e la tua furia battagliera dopo lo avevano celato! Ma non è difesa valida per contrastare le zanne dei Cento Draghi!”

 

Umpf… La mia furia non si è certo sopita!”

 

“Lo so bene!” –Concordò Libra, lungi dall’aver vinto quel formidabile guerriero. Sospirò, preparandosi ad un nuovo assalto, prima che la sua mente volasse al Cavaliere di Leo, chiedendosi dove fosse finito.

 

***

 

Quando Ioria riaprì gli occhi era piuttosto stordito. Si portò una mano alla testa, per placare la fitta che l’aveva aggredito, prima di guardarsi intorno e accorgersi di essere avvolto nella nebbia, fitta al punto da permettergli di scorgere soltanto il terreno. Un arenile di canne mosse dal vento, dove lente scrosciavano onde acquitrinose, ai piedi di un colle imponente che, sebbene ne potesse intravedere solo le cime degli alberi di melo, si ergeva di fronte a lui.

 

Ioria sospirò, capendo di essere ad Avalon.

 

Muovendo lo sguardo tra le nebbie, individuò una figura che lo osservava in silenzio. A pochi passi da lui, a piedi scalzi sull’erba, c’era un uomo coperto da una veste bianca rifinita d’argento, simile alle tuniche dei monaci. Un uomo che aveva incontrato un paio di settimane prima, sull’Isola delle Ombre.

 

“Benvenuto sull’Isola Sacra, Ioria del Leone!” –Esclamò, avvicinandosi e aprendo le braccia di lato, in segno di pace. –“Io, che ne sono il Signore, ti do il benvenuto!”

 

“Vi ringrazio, possente Avalon!” –Rispose il Cavaliere d’Oro, inchinandosi. –“Le circostanze sono piuttosto particolari, ma non limitano il mio piacere nel rivedervi!”

 

“Ti chiederai cosa ci fai qua, immagino… Sono stato io a condurti qui, perché avevo bisogno di parlare con te!”

 

Con… me?!” –Mormorò Ioria, non comprendendo le parole dell’uomo, il quale si limitò ad annuire, continuando a fissarlo con i suoi penetranti occhi scuri.

 

“Precisamente! Ho una confessione da farti, qualcosa che non può attendere oltre! Perché vedi, Cavaliere di Leo, io sono il responsabile della morte di tuo fratello, Micene di Sagitter!”

 

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Capitolo 27
*** Capitolo venticinquesimo: Catene e legami ***


CAPITOLO VENTICINQUESIMO: CATENE E LEGAMI.

 

L’orrore che provò nel vedere il corpo maciullato di Bragi paralizzò per qualche secondo il Cavaliere di Andromeda. Fu Mime a impedire a Fenrir di staccargli la testa con una zampata, gettandosi sul ragazzo e spingendolo a terra, mentre Folken, con ardore e coraggio, si lanciava sul figlio di Loki, affrontandolo a spada tesa.

 

“Patetico!” –Si limitò a commentare il gigantesco lupo, spostando la zampa indietro e artigliando al petto il guerriero di Asgard.

 

“Padre!!!” –Gridò Mime, rimettendosi in piedi, subito seguito da Andromeda, che liberò la catena, scatenandola contro l’arto malefico di Fenrir.

 

“Mi fa il solletico quel braccialettino!” –Commentò la bestia feroce, balzando di lato in lato ed evitando gli strali lucenti, respingendo quelli che giungevano a toccarlo. –“La catena non è arma adatta per affrontare Fenrir Hróðvitnir, il Lupo di Fama!”

 

“Credi?! Altre creature tue pari ha saputo tenere a bada!” –Rispose fiero Andromeda, ripresosi dal momentaneo torpore. E con la mente ripensò alle sei bestie di Scilla, a Cerbero, all’Idra di Lerna, agli uccelli di Stinfalo, al gigantesco Ladone e infine a Biliku, creature mostruose che aveva affrontato in passato.

 

“Non ne dubito, Cavaliere! Ma contro di me farà la fine di Loedhingr e Dromi!” –Sghignazzò il figlio di Loki, prima di balzare avanti con un agile salto, obbligando Andromeda e l’indebolito Mime a rotolare di lato per non essere travolti dalla sua furia, che invece non risparmiò molti Einherjar e Soldati di Brina a loro attorno, che vennero abbattuti indistintamente.

 

Andromeda scatenò di nuovo le proprie catene, dirigendole verso il sanguinario lupo, mentre si stava voltando, ma questi seppe schivarle e deviarne altre con violente zampate. Non s’avvide però Fenrir di una catena che il Cavaliere di Atena aveva diretto verso raso terra, dandole una particolare conformazione, a tagliola da caccia, e facendola chiudere proprio sulle sue zampe.

 

“Uh?!” –Ringhiò Fenrir, sinceramente stupefatto da quella tecnica, non immaginando che l’arma del suo avversario fosse così versatile.

 

“E questo è solo l’inizio delle sorprese!” –Esclamò Andromeda con baldanza, mentre sollevava il braccio destro, per scatenare la furia delle Onde del Tuono.

 

Fu allora che Fenrir lo fissò, con i suoi penetranti e malvagi occhi grigi, spezzando il suo impeto a metà. D’istinto, il Cavaliere fu costretto a portarsi le mani alla testa, scossa da un brivido, da una tensione che ultimamente aveva avvertito spesso.

 

“Basta uno sguardo per prostrarti, Cavaliere?! Ti credevo di indole più resistente, invece mi hai deluso! Sei debole e impaurito come gli Asi che, per timor di me, mi incatenarono!” –Mormorò Fenrir, osservando il ragazzo dai capelli verdi accasciarsi non troppo distante. Ma anziché agitarsi e strappar via le catene che gli bloccavano le zampe, rimase a fissarlo, rispondendo placido alle sue domande.

 

“Quali Asi?! E cosa sono Loedhingr e Dromi?!”

 

“Davvero non conosci la mia storia, seguace di Atena? Dovrei sentirmi offeso! Vanifichi l’appellativo che mi diedero! Argh, argh! A quale fama imperitura posso essere destinato se neppure dei ragazzini che pretendono di assurgere al mondo degli eroi conoscono le mie imprese?!” –Ridacchiò, sputando bava dall’enorme bocca. Quindi, vedendo che Andromeda non accennava a rimettersi in piedi, ancora chino a terra con le mani alla testa dolorante, riprese a narrare, mentre Folken, poco distante, aiutava Mime a rialzarsi. –“Devi sapere che molto tempo addietro, quando il mio pelo era ancora lucente e giovane, gli Asi vennero a sapere che quel brav’uomo di mio padre aveva avuto tre figli da una gigantessa! Non erano certo i primi esemplari della sua progenie ma, a differenza di altri, gli Asi li trovarono più brutti! Dei portatori del male, per dirla con i loro termini! Umpf! Così li divisero, isolando Hel negli Inferi e Jormungandr nelle profondità oceaniche! Del terzo, che ero io, non seppero cosa fare, così decisero di tenerlo presso la loro corte, sperando di ammansirlo!” –Fece una pausa, mentre Andromeda a fatica si rialzava, sollevando lo sguardo verso di lui, preso da una selvaggia sghignazzata. –“Argh argh, ammansirlo! Ci crederesti mai?! Fenrir un docile cagnolino da corte?! Devono essere stati stupidi solo a pensare di poterlo fare?!”

 

“Non hai reso la loro vita facile, vero?!”

 

“Ho solo fatto ciò per cui fui messo al mondo!” –E nel dir questo sollevò fiero il capo, mantenendo i suoi occhi argentei su Andromeda. –“Cacciare e uccidere! Questo è ciò che fanno i lupi, soprattutto io che su tutti sono il Lupo Sovrano! Ma, agli Asi questo non piacque, così tentarono di incatenarmi! Non l’avessero mai fatto!!! Tyr potrebbe testimoniarlo se fosse qui ma a quanto pare ha scelto di andare a morire contro mio padre! Dovrò andare a recuperarne i resti allora! La sua mano in fondo era assai gustosa!”

 

“Quale mano?! Di cosa stai parlando Fenrir?!”

 

“Della mano che azzannò sull’Isola Lyngi!” –Intervenne allora Mime, affiancando Andromeda con Folken. –“Non è così, Fenrir, che la ottenesti? Imbrogliando! Com’è nello stile tuo e della tua stirpe!”

 

“Menzogna!!!” –Ringhiò il lupo, digrignando i denti e permettendo ad Andromeda di vedere per la prima volta quanto fossero grandi e affilati. Almeno un metro di lama biancastra che migliaia di vite aveva falciato nella sua lunga esistenza. –“Gli Asi mi irretirono, convincendomi a farmi legare da una catena allo scopo di dimostrare la mia forza! Credevano, così facendo, di liberarsi di me! Poveri idioti! Ricordo ancora lo stupore dipinto sui loro volti, misto all’odore della paura, quando mi liberai di Loedhingr con un unico strattone! Uguale fine fece Dromi, la seconda catena con cui cercarono di imprigionarmi, che distrussi addirittura in frammenti! E stesso destino avrebbe dovuto incontrare Gleipnir, il laccio mortale che infine mi irretì!”

 

“Forgiato dai nani nelle profondità di Svartálfaheimr, Gleipnir era intriso di sortilegi!” –Continuò Mime, con un certo orgoglio. –“Gli antichi scaldi raccontavano che fosse fatto di sei cose: il passo felpato di un gatto, i peli della barba di una donna, le radici di una montagna, i tendini di un orso, il respiro di un pesce e lo sputo di un uccello! Ingredienti carichi di una potenza magica in grado di stregare chiunque, persino l’essere più forte del mondo. Persino Fenrir!”

 

“Sospettai subito un tranello, non appena mi mostrarono quel laccio all’apparenza così debole, ben diverso dalle solide catene che mi avevano proposto in precedenza! Pur tuttavia accettai anche quella sfida, per non essere tacciato di codardia e perché credevo davvero che nessuna catena avrebbe potuto vincolarmi! Ma posi una condizione: uno degli Asi avrebbe dovuto mettere una mano nella mia bocca, a garanzia della loro buona fede! Terrorizzati, si guardarono in silenzio, finché l’impavido Tyr non si fece avanti, offrendo la sua mano. Ecco come la perse e come io persi la mia libertà!” –Ringhiò Fenrir. –“Incatenato su Lyngi, con l’estremità della catena fissata sotto due massi, Gjoll e Pviti, mi infilarono persino una spada in gola, la cui elsa premeva sulla mascella e la cui punta sul palato, tramutandola in un morso eterno. Tormenti e dolore, ecco cosa ho avuto per migliaia di anni! Ma oggi, come mio padre, avrò la mia vendetta, ricordando agli Asi che il boia torna sempre a casa e che non tutte le creature sono destinate a vedere il nuovo mondo che nascerà dalle ceneri di Ragnarök! Aargh aargh aargh!!!”

 

“Non se noi ti abbattiamo prima!” –Esclamò Folken, lanciandosi avanti, con la spada in pugno, sperando di approfittare della momentanea prigionia del lupo.

 

Quel che l’antico guerriero di Asgard non aveva compreso era l’astuzia di Fenrir, la stessa che aveva vinto sugli Asi in passato.

 

Dimenandosi di scatto, si liberò della catena di Andromeda, che il ragazzo fu costretto a richiamare a sé prima che la furia di Fenrir la distruggesse, poi si avventò su Folken, squarciandogli il petto con una zampata e sbattendolo a terra. Mime fece per intervenire, ma Andromeda lo spinse indietro, scattando contro il Lupo di Fama avvolto nel suo cosmo rosato.

 

Onde del Tuono!!!” –Gridò, mentre scariche energetiche avvolgevano l’arma che saettava verso Fenrir, il quale, per nulla turbato, si limitò a balzare di lato in lato, respingendo a zampate gli strali luminosi. Con un balzo fu poi su Mime, affondando nel suo petto gli artigli che avevano ucciso il Cavaliere che gli aveva fatto da padre.

 

Morti nello stesso modo, per mano dello stesso carnefice.

 

“Mimeee!!!” –Urlò Andromeda, mentre Fenrir risollevava l’enorme zampa, la cui lunga pianta grondava ancora sangue.

 

“Troppo tardi, damerino!” –Commentò la creatura, fissandolo e prostrandolo di nuovo a terra, mani alla testa, travolto da fitte inspiegabili. –“Credevi che non avessi alcun potere? Che fossi una selvaggi fiera dei boschi al pari di Skoll e Hati? Orbene ti sbagliavi! Il timore che suscitavo persino negli Asi la dice lunga su quanto mortale sia un incontro ravvicinato con me! E tu, che già accusi dolore cerebrale, non sei difficile da prostrare ulteriormente!”

 

“È… è così che fai?! Con lo sguardo, non è vero?” –Rantolò Andromeda, cercando di rialzarsi, per quanto l’emicrania non gli desse pace. –“Con lo sguardo provochi dolore!”

 

“Esattamente! È il dolore di millenni di grida nella mia cattività nel Niflhemir! È il dolore della spada che mi piantarono in gola e che mio padre ha rimosso questa mattina! Come io l’ho provato a lungo, anche tu, e tutti i bastardi infami che tenteranno di darmi la caccia, lo proverai! Ma sarà più breve, per quanto non meno intenso!” –Nel dir questo si lanciò avanti, avventandosi a fauci aperte su Andromeda, chiedendosi come sarebbe stato assaporare un uomo di stirpe diversa, ricoperto da un’armatura differente dalle rozze corazze nordiche cui era abituato.

 

Rimase male, troppo male, quando vide il Cavaliere rotolare di lato ed evitare, quasi inconsciamente, l’assalto.

 

Anche Andromeda non realizzò a pieno quel che era accaduto. Capì soltanto di aver agito prima ancora di pensare, qualcosa che raramente aveva fatto in passato.

 

Non ebbe modo di porsi altre domande che già Fenrir caricava nella sua direzione.

 

“Frena la tua corsa, Lupo del Popolo!” –Esclamò, scatenando una tempesta di catene luminose contro di lui e obbligandolo a deviare di lato, senza raggiungerlo.

 

Fu in quel momento, mentre il cosmo di Atena, che pregava per lui dai giardini dell’Olimpo, lo raggiungeva, che Andromeda comprese quel che era accaduto, ricordandosi delle parole di Mime e di quelle di Arvedui.

 

“Precognizione!”

 

D’un tratto il dono di Biliku gli sembrò chiaro.

 

Aveva fatto ricorso al suo sesto senso, anticipando l’assalto di Fenrir prima ancora che razionalmente avesse potuto capire dove il lupo stesse mirando.

 

“L’hanno definita in molti modi! Preveggenza, prescienza, preconoscenza! Ma rimane la facoltà di avere conoscenza del futuro!” –Gli aveva spiegato il Principe degli Elfi. –“Anche se fosse soltanto per pochi secondi, quei pochi secondi che vedrai prima degli altri potrebbero esserti fatali! Affina il tuo sesto senso e sarai in grado di controllare le visioni che caotiche adesso ti appaiono!”

 

“Un’ottima mossa! Ma sarai in grado di ripeterti?!” –Ringhiò Fenrir, strappandolo ai suoi pensieri e spiccando di nuovo un balzo verso di lui.

 

“Tenterò!” –Rispose Andromeda, concentrando il cosmo sul palmo della mano destra e scatenando scariche di energia contro il Lupo di Fama. –“Onda energetica!!!”

 

Fenrir guaì, raggiunto dalle folgori rosate, sebbene la sua leggendaria agilità, nient’affatto inutile vanteria bensì realtà, gli permise di limitare i danni a qualche ciuffo di pelo bruciato. Senza per questo ridurre la sua furia, né la sua fame.

 

“Tentare a volte non basta! I frammenti di Loedhingr e Dromi e la mano di Tyr ne sono valida testimonianza!” –Sibilò astutamente il possente lupo, penetrando il ragazzo con il suo acuto sguardo.

 

“Se non riuscirò, proverò di nuovo! Come ho sempre fatto!” –Esclamò Andromeda, cercando di resistere, mettendo tutto se stesso nelle gambe, per stare in piedi, e nella mente, per contrastare quell’infusione di dolore che gli occhi malvagi di Fenrir volevano generare in lui.

 

Non sapeva, il figlio di Loki, quel che si stesse agitando nell’animo del Cavaliere ma il suo aspetto grazioso e il suo malessere ricorrente lo spinsero a credere che fosse più vulnerabile di altri guerrieri. Più suscettibile alla sua sinistra persuasione.

 

“Se non riuscirai, avrai perso! Nessuno ha una seconda possibilità con Fenrir Hróðvitnir!” –E si lanciò nuovamente avanti, le zanne digrignate, gli artigli pronti a sventrare il gracile corpo di Andromeda, che evitò l’assalto per un frammento di secondo, scivolando a destra, prima di liberare l’impetuosa pioggia di catene.

 

Il gigantesco lupo fu costretto a ripiegare, ma Andromeda notò subito che rimase a una distanza inferiore rispetto a prima, convinto forse di poter aver ragione della sua fastidiosa preda. Cercò di concentrarsi, ignorando le fitte alla testa che lo martellavano senza sosta.

 

Erano iniziate settimane addietro, dopo che Biliku lo aveva infettato nella caverna delle Andamane, e proseguite, sia pur rade e poco intense, fino a quella mattina, quando, prima di atterrare ad Atene, era stato investito da un dolore acuto che lo aveva svegliato di colpo. Ma quando aveva aperto gli occhi non si era ritrovato all’interno dell’aereo con Pegasus e Lady Isabel, bensì in una valle d’ombra, dove nessun sole pareva splendere. Fluttuanti spiriti, simili a vampe di fuoco fatuo, stavano baluginando nell’aere, turbinando attorno al suo corpo. Fissandoli, ad Andromeda era parso di conoscerli, seppure non ricordasse dove e quando li avesse incontrati, e gli era sembrato che lo chiamassero per nome.

 

Non aveva visto altro che il tocco della mano di Pegasus sulla sua spalla lo aveva risvegliato del tutto.

 

Se quel che Arvedui aveva detto era vero, allora aveva assistito ad un frammento di futuro. Ma di cosa si trattasse non era ancora riuscito a capirlo, né aveva avuto tempo per pensarvi, catapultato nuovamente in una guerra. In quello che era il suo passato, il suo presente e, temeva, il suo futuro.

 

“A chi pensi, ragazzino?!” –La voce schernente di Fenrir lo raggiunse mezzo secondo prima che il suo artiglio si schiantasse sul suo fianco destro, scaraventandolo faccia a terra, perdendo persino l’elmo a diadema. Rialzandosi, si tastò il lato indolenzito, percependo i solchi che gli unghioni del lupo avevano scavato nella corazza divina. Se non l’avesse avuta, sarebbe morto. Come Mime e Folken.

 

Pensare all’antico avversario, e alla sua storia, lo fece reagire, spingendolo a voltarsi, avvampando nel suo cosmo, proprio mentre Fenrir caricava nuovamente, balzando su di lui a denti digrignati.

 

“Come ti ho detto prima…” –Mormorò il Cavaliere, scattando di lato ad una velocità maggiore. –“Tenterò finché in me ci sarà un alito di vita! Tenterò, perché è questo che fanno i Cavalieri di Atena! I Cavalieri della Speranza! È per questo che esistiamo!” –Così facendo liberò la Catena di Andromeda, che si dispose a tagliola sotto alla bestia, bloccandone i movimenti e strappandole un ruggito. Di dolore e di rabbia. –“Non dai nani è stata forgiata quest’arma, ma dalle avventure che ho vissuto nel corso della vita e che mi hanno visto crescere! E la mia catena è cresciuta con me! In essa risiede il sangue dei Cavalieri d’Oro, l’Ichor di Atena, la maestria del Fabbro dell’Olimpo e un frammento di mithril! Assaporane la potenza, Grande Lupo! Assaporane la sua vera essenza!!! Melodia scintillante di Andromeda!!!” –Gridò, scatenando la catena d’attacco, che si moltiplicò in infinite copie, assumendo tutte le conformazioni possibili per fermare e ferire il possente lupo, mentre sopra tutto risuonava una lenta melodia.

 

Una melodia nata dal tintinnare degli anelli che componevano la fitta maglia che andò a ricoprire Fenrir, intrisa della passione di tutti coloro che Andromeda aveva incontrato, e che a causa della guerra aveva dovuto combattere. Fish, Orfeo della Lira Cantore, Mime, Mizar, Sirya dal dolce flauto, Faraone di Sfinge, Pan e Dioniso. Una rapsodia di sofferenze personali, sfide e ricordi.

 

“Aaargh!!!” –Ringhiò Fenrir, dimenandosi all’interno di quel groviglio di strali che parevano provenire da ogni direzione. Con le zampe bloccate dalla tagliola e dalle spire che le avevano avvolte, con le fauci rinchiuse in una rozza museruola e il corpo preda di punture continue, il suo animo esplose furibondo. –“Il Lupo di Fama non sarà vinto da nessun uomo!!!” –E si agitò così rabbiosamente che riuscì a liberare una zampa dal turbinare delle armi. Una sola, ma che gli permise di strappar via le altre catene prima di darsi la spinta e lanciarsi su Andromeda.

 

Incredulo, il Cavaliere di Atena fu comunque lesto a muoversi all’indietro, venendo raggiunto però dalla massa informe di catene da lui generata e spinto a terra, sommerso dalle stesse.

 

Non aveva visto Fenrir liberarsi, né lo aveva visto scagliarsi su di lui. Arvedui aveva ragione, doveva fare ancora molta pratica per familiarizzare con il proprio sesto senso, tramutandolo in uno strumento di vittoria e non in una penalizzazione.

 

Era qualcosa che in passato non aveva fatto, limitandosi, al pari dei suoi compagni, a bruciare il cosmo al massimo, a portarlo al parossismo, raggiungendo ogni volta vette sempre maggiori. In questo modo avevano acquisito il settimo senso, riuscendo poi a padroneggiarlo in maniera ottimale ad Asgard e nel Regno Sottomarino e a superarlo, raggiungendo l’ottavo senso e scendendo vivi in Ade. Ma l’intuizione, seppur potente, non l’avevano affinata. Non al punto da usarla per percepire un frammento di futuro, come Biliku, e anche Frigg, erano in grado di fare.

 

Per liberarsi, iniziò a ritirare le catene, facendole scorrere attorno al corpo del lupo, su cui apparivano adesso evidenti i segni e le ferite che gli avevano causato. Il folto manto era infatti chiazzato di macchie scarlatte e ciuffi di pelo svolazzavano nell’aria, satura dell’odore del sangue di Fenrir. E proprio il lupo si rialzò per primo, stirandosi gli arti strattonati e poggiando poi lo sguardo sul suo rivale, disteso a terra sotto di sé. Sogghignando, lo fermò con una zampa, schiacciandolo sotto il suo peso e allungando gli artigli fino a piantarli nelle clavicole del ragazzo, strappandogli un grido di dolore.

 

“È l’ora del pasto!” –Sputacchiò Fenrir, calandosi su Andromeda, quasi convinto che si fosse rassegnato.

 

Così non accadde e il Cavaliere di Atena, che aveva atteso che il volto del lupo fosse a pochi metri da lui, lo colpì in mezzo agli occhi con una violenta scarica di energia, che rischiarò per un momento l’intera piana di Vígridhr tanto era luminosa. Fenrir guaì, accecato e ferito, inarcando la schiena all’indietro e permettendo ad Andromeda di sgusciare via da sotto la sua zampa e scatenare la devastante furia delle sue catene.

 

“Risuona, ultima melodia di Andromeda!!!” –Gridò, investendo Fenrir con migliaia e migliaia di strali luminosi che ne squartarono il manto, non più limitandosi a ferirlo superficialmente o a strappargli un ciuffo di pelo, ma lo penetrarono, affondando nell’antica ed enorme carne.

 

“Basss… tardo!!!” –Ringhiò il grande lupo, dimenandosi e investendo tutti coloro che si trovavano nel suo raggio d’azione. Con lo sguardo, cercò tracce di Loki, ma si accorse che il Dio se ne era andato, lasciando dietro di sé una scia di cadaveri. Hnoss, Heimdall e Tyr. Dall’alto in cui il suo muso si trovava, Fenrir poteva riconoscerne le fattezze, lacerate dalle folgori del padre, ma ancora degne di essere da lui azzannate.

 

Sì, avrebbe terminato il pasto iniziato anni addietro.

 

“Graurrr!!!” –Avvampò, cercando di liberarsi da quel groviglio scintillante che si stava sempre più chiudendo su di lui. E sapeva che per farlo doveva spezzare il legame esistente tra Andromeda e la sua catena. Spezzare la sua mente.

 

Così lo fissò, con lo sguardo più intenso e malefico che potesse rivolgergli, carico di tutto il rancore accumulato in secoli di solitaria attesa, lunga tanto quella del padre. E lo vide vacillare, muovendo la mano destra per portarsela alla testa, il volto contratto in una smorfia di dolore a cui non sapeva opporsi, perché veniva da dentro di sé.

 

Fenrir sogghignò, cercando di ignorare le ferite aperte sul suo corpo, gli squarci sul ventre e sul manto, le frecce che qualche Einherjar aveva iniziato a tirargli contro. Che facessero pure! Non appena Andromeda fosse morto, crollato in ginocchio ai suoi piedi per il peso eccessivo della sua testa, avrebbe ucciso tutti loro, sbranandoli con le sue fauci.

 

“Devo… devo resistere!” –Mormorò il Cavaliere di Atena, sforzandosi di rimanere in piedi, nonostante le fitte violente, nonostante sentisse il cranio sul punto di scoppiare. –“Devo…” –E piegò un ginocchio, nell’atto di accasciarsi. Ma si sforzò di non farlo, di non cadere, di non abbandonarsi al dolore, continuando a far scorrere le sue catene, senza interrompere l’attacco, senza piegarsi alla persuasione diabolica del nemico.

 

“Andromeda!” –Lo chiamò una voce, bloccando la sua caduta a terra e dando nuova forza alle sue gambe, quanto bastò per permettere loro di stendersi nuovamente e riportarlo in posizione eretta.

 

“Fratello…” –Mormorò il ragazzo, avendo riconosciuto la voce di Phoenix, che parlava direttamente al suo cosmo.

 

“Sono con te!” –Continuò il Cavaliere della Fenice. –“Presto ci rivedremo! Nell’attesa le mie ali ti sosterranno! Le ali dell’uccello immortale!” –Non aggiunse altro e svanì, anch’egli impegnato in un duro scontro, ma quel breve contatto permise ad Andromeda di espandere al massimo il suo cosmo, tinto adesso di sfumature rosse.

 

Alle sue spalle apparvero centinaia di stelle, unite a ricreare la figura della principessa di Etiopia, figlia di Cefeo e Cassiopea, che aveva ispirato il mito della sua costellazione. Ma le stelle si espansero anche lateralmente, aggiungendo un paio di vermiglie ali alla donna, rappresentata in procinto di spiccare un balzo.

 

“Un salto verso l’infinito, sostenuto dalle ali di mio fratello!!!”

 

Fenrir rabbrividì, mentre la furia delle catene aumentava d’intensità, penetrandolo e troncandogli le ossa interne. Tentò di distruggerle a zampate, ma i suoi artigli vennero spezzati, obbligandolo a riconoscere che quell’arma era superiore persino a Gleipnir. Quale ironia, si disse, incontrare la fine per mezzo di una catena, quel che per millenni mi ha legato all’ombra di questo mondo!

 

Crollò a terra, l’enorme carcassa del figlio di Loki, schiantandosi tra spruzzi di sangue e terriccio, di fronte agli occhi stupefatti e raggianti degli Einherjar e a quelli inorriditi e preoccupati dei Soldati di Brina e dei morti di Hel.

 

Anche Andromeda crollò dopo poco, stanco per la battaglia sostenuta. Gli cedettero le ginocchia e si schiantò a pochi passi dai cadaveri di Mime e Folken, poggiando una mano per non cadere, intingendola nel sangue oscuro di Fenrir. Risollevandola, e osservandola, il ragazzo lasciò la mente turbinare ancora, vittima di una nuova visione. Fino a quel momento inedita.

 

“Un oceano di fiamme e nulla più!” –Mormorò, prima di svenire. –“Questo è ciò che ci aspetta!”

 

***

 

La residenza estiva della famiglia Kevines sorgeva all’estremità sud-occidentale del Portogallo, proprio a picco sul mare. Dal Cabo de São Vicente sia Julian che i suoi antenati avevano potuto contemplare l’oceano estendersi sconfinato di fronte a loro e le onde infrangersi maestose ai piedi delle falesie. Si raccontava, nelle cronache della famiglia, che Bianca Maria Kevines avesse ammirato proprio da quell’altura le tre caravelle di Cristoforo Colombo dirigersi in mare aperto, assieme al marito che si era unito alla grande impresa.

 

In quel momento, sulla terrazza panoramica rivolta sull’Atlantico, Julian conversava amabilmente con i suoi eleganti interlocutori, ospiti imprevisti che si era trovato di fronte neppure un’ora prima, quando era uscito in giardino per recarsi alle stalle. Da quando Sirya, il suo musicista, era misteriosamente scomparso, il giovane erede della dinastia Kevines amava trascorrere il tempo libero cavalcando e aveva persino acquistato due magnifici cavalli spagnoli, Esteban e Valinor. Ma quella mattina aveva potuto soltanto dare loro il buongiorno che era dovuto rientrare nell’antica magione per accogliere due giovani di bell’aspetto, due giovani che, da quel che aveva potuto capire, lo conoscevano bene. Per quanto egli, invece, non li conoscesse affatto.

 

Il primo, quello che parlava più spesso, sostenendo con tono fermo la conversazione e le sue idee, era un ragazzo sui trent’anni, con un fisico scolpito, evidente nonostante la giacca e la camicia, e un volto piacente dai tratti ruvidi, con corti capelli scuri, occhi neri e un leggero filo di barba. Parlava inglese, con accento marcatamente britannico, seppure non così puro.

 

“Nessuno conosce i mari come la dinastia Kevines! Per questo siamo qua, Signor Julian! Per ottenere il meglio che la tecnologia può offrire alle nostre ricerche!”

 

Il secondo ospite, dal viso più giovane e sbarbato, era più magro, ma ugualmente ben fatto, con capelli castani lunghi fino all’orecchio. Sembrava a disagio in quell’elegante completo di John Richmond e si limitava ad annuire alle parole del più preparato compagno.

 

“Le vostre richieste sono interessanti, Signor…” –Mormorò Julian infine, sforzandosi di ricordare il nome del suo interlocutore.

 

“Wthyr!” –Rispose prontamente l’altro. –“Wthyr Bendragon! Della Bendragon Public Limited Company!”

 

“Oltre che interessanti, deve avere amici abbastanza in alto per scoprire dove trascorro le vacanze, Signor Wthyr! Non tutti certamente sanno che nel mese di settembre abbandono la residenza di famiglia sul Mare Egeo e mi spingo oltre le Colonne d’Ercole!” –Commentò l’uomo dai capelli blu, rivolto più a se stesso che non a Wthyr Bendragon. Quindi si alzò, fece qualche passo fino al limitare della terrazza, appoggiandosi alla ringhiera di marmo bianco, prima di riprendere a parlare. –“Vi concederò quel che volete! Anche alla Kevines Corporation potrebbero interessare i risultati delle vostre scoperte!”

 

“Ero sicuro che avremmo trovato un accordo!” –Sorrise soddisfatto l’altro, alzandosi a sua volta e avvicinandosi al miliardario. Tirò un’occhiata all’immensa distesa azzurra che riempiva l’orizzonte, in qualunque direzione posasse lo sguardo, e sbatté le palpebre sorpreso quando credette di aver visto una sirena balzare fuori dall’acqua e poi rituffarvisi.

 

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Capitolo 28
*** Capitolo ventiseiesimo: L'aquila dei venti. ***


CAPITOLO VENTISEIESIMO: L’AQUILA DEI VENTI.

 

Orion osservava incuriosito il guerriero che aveva di fronte, lo stesso che aveva  chiesto a Loki di liberarlo dalla prigionia della runa di ghiaccio. Lo fissava, approfittando del momento per rifiatare, e continuava a ripetersi di non conoscerlo, anche dopo che questi si era tolto la maschera che portava sul  volto, rivelando i suoi lineamenti.

 

Alto e snello, con un viso dal carnato chiaro, lentigginoso, e mossi capelli biondi, pennellati di bianco, Hraesvelgr, questo il nome che Orion aveva udito pronunciare da Loki, indossava una delle cinque armature proibite, riportate alla luce dopo secoli di detenzione nelle segrete di Asgard. L'armatura dell'Aquila dei Venti, riconoscibile dal suo vivido colore arancione, dalla pelliccia usata come mantello, e per coprire gli spazi lasciati vuoti tra le piastre che la componevano, e dall'elmo a forma di testa d'aquila, con il becco aguzzo verso l'esterno.

 

“Non hai niente da dire?” –Parlò infine il guerriero, gettando a terra la maschera.


“Dovrei?!” –Rispose Orion, sollevando d'istinto le proprie difese.

 

“Dovresti!” –Si limitò a rispondere Hraesvelgr, con il tono di chi cela dietro un velo di sarcasmo la rabbia covata dentro. Ma non aggiunse altro, né Orion poté porgli altre domande, che un forte vento iniziò a soffiare alle spalle del Dio di Vittoria, abbattendosi sul Primo Cavaliere di Ilda con violenza inusitata.

 

Raffiche impetuose, concentrate nel limitato spazio concesso loro dagli altri scontri in atto, quelli tra l'esercito dell'Ingannatore e gli Einherjar, e quello tra Loki e Cristal e Heimdall, alle spalle del Sigtýr. Raffiche imbevute di una forza che Orion non aveva mai percepito in nessuna bufera, nemmeno in quelle terribili che sferzavano le nordiche terre dove era cresciuto e dove era diventato uomo. Nemmeno negli inverni peggiori e più insopportabili. Raffiche che parevano strappargli di dosso l'armatura, la pelle e i suoi stessi ricordi.

 

Chiudendo la visiera del proprio elmo, per garantirsi una certa visibilità, fece per stendere il braccio destro, illuminando l'indice della mano con il proprio cosmo, ma non appena Hraesvelgr se ne avvide le sue labbra si socchiusero.

 

Vento mormorante!” –Sibilò, aumentando l'intensità della tempesta, che strappò ciuffi d'erba e zolle dal terreno, sradicando persino alberi e cespugli e obbligando Orion a portare un braccio davanti al viso.

 

Con un'impennata imprevista, il Cavaliere di Asgard venne sollevato da terra e scagliato verso il cielo, in balia di quel rabbioso mulinare. E mentre tentava invano di riprendere una posizione corretta, faticando persino a muovere un muscolo, la sua corazza subiva le sventagliate offensive dell'assalto di Hraesvelgr.

 

“Potere non da poco è l'aria, se ben la si sa usare!” –Commentò pacato, senza degnare di eccessiva attenzione il turbinare di terra, piante e quant'altro il vento avesse strappato via dal suolo. –“Ingiustamente considerato il più debole, il più volubile, dei quattro elementi, è anche il più duttile! Nevvero?”

 

E nel dir questo sollevò il braccio destro avanti a sé, spalancando il palmo della mano, mentre il turbine di aria scaraventava Orion a decine di metri di distanza, schiantandolo contro un gruppo di alberi al limitare della piana.

 

Il Cavaliere del Drago Bicefalo si rimise prontamente in piedi, liberandosi dai rami e dal terriccio smosso, e sebbene non avesse subito danni esteriori non poté fare a meno di toccarsi la testa, stordito da quello sballottare continuo.

 

Quando sollevò gli occhi, Hraesvelgr era già di fronte a lui, con un’espressione sicura sul viso, che parve leggergli nella mente.

 

Irato per essere stato abbattuto, Orion puntò l’indice destro verso l’avversario, liberando un raggio di energia che disegnò un cerchio nel suolo attorno a lui. Ma prima ancora che potesse pronunciare il nome del proprio colpo segreto, Hraesvelgr lo stupì ancora una volta.

 

“La spada di Asgard… Tecnica interessante…” –Mormorò, spalancando le ali di pelliccia e balzando al di fuori del cerchio di energia un attimo prima che il terreno esplodesse verso il cielo. –“Ma lenta!”

 

Come…?!” –Ringhiò Orion, mentre il Dio di Vittoria aveva già evocato un nuovo mulinello di vento, liberandolo e dirigendolo sull’incredulo rivale. Ma stavolta, anziché sbalzarlo in aria, le raffiche lo avvolsero, roteando attorno al suo corpo in modo da impedirgli anche il più piccolo movimento. Sbalordito, Orion fece per sollevare di nuovo il braccio destro e dovette stringere i denti a causa del dolore che quelle lame di vento parevano provocargli, soprattutto alle dita e nelle fessure che separavano le varie parti dell’armatura, laddove il ragazzo aveva la sensazione di essere punto da migliaia di aghi contemporaneamente.

 

“Non ci girerò intorno, Orion! Ti conosco, e conosco i tuoi poteri nonché i colpi segreti di cui fai uso! Validi poteri e ottimi colpi, devo dire! Ma inefficaci su chi li conosce o sa prevenirli!” –Spiegò il Sigtýr.

 

“Spiegati! Le tue parole sono oscure!”

 

“La Spada di Asgard è tecnica efficace su chi non la conosce e ne è preso alla sprovvista! Ma chi, come me, ti ha visto combattere, e sa muoversi alla velocità della luce, può evitarla balzando per tempo fuori dal suo raggio d’azione! Difetto piccolo, ai più sfuggente, poiché i più non sopravvivono abbastanza per potervi riflettere! Ma difetto di cui sei consapevole, del resto è per questo che anche su Pegasus l’hai usata una volta sola!” –Commentò sornione l’Aquila dei Venti.

 

Pegasus?! Cosa ne sai tu?!” –Avvampò il prode Cavaliere di Asgard, muovendo nella foga un passo avanti, ma venendo subito bloccato dalla sventagliata imperterrita delle correnti d’aria generate da Hraesvelgr.

 

“So quel che so perché l’ho visto con i miei occhi! Ero lì, lo scorso anno, quando affrontasti i Cavalieri di Atena nel devastato piazzale di Midgard!” –Confessò questi infine. –“Ero lì, ad osservarti da dietro le vetrate del palazzo ergerti impavido a difesa della tua bella Regina! In verità, ero lì perché speravo di vederti morire! Ih ih ih!”

 

“Perché?”

 

“Continui a non ricordare? Lascia che il Vento Mormorante faccia riaffiorare alla tua mente la verità sopita! L’altro lato della medaglia delle imprese eroiche del novello Sigfrido!” –E nel dir quest’ultima frase, Hraesvelgr si abbandonò a una risata di scherno, prima di avvicinarsi a Orion e sputargli in faccia.

 

Il getto di saliva lo avrebbe probabilmente raggiunto a un occhio se non fosse stato risucchiato dal vorticare impetuoso che avvolgeva il Cavaliere di Asgard, lo stesso vorticare che Hraesvelgr aumentò d’intensità, fino a sollevare Orion nuovamente, scagliandolo in cielo. Proprio mentre Cristal, poco distante, lasciava Heimdall a combattere contro Loki.

 

“Eh no, adesso basta!” –Esclamò Orion, confusamente sballottato in aria, bruciando il proprio cosmo, che risplendette come una stella. Come la stella Alfa Ursae Majoris, nota in Occidente come Dubhe, l’antica stella polare. La sua guida.

 

La fiamma incandescente del suo cosmo spezzò le raffiche di vento, permettendo a Orion di recuperare posizione eretta e spalancare le braccia chiuse a pugno, ove già ruggivano gli artigli del feroce Fafnir.

 

Occhi del Drago!!!” –Gridò, puntando poi i pugni chiusi verso il basso e dirigendo il doppio devastante attacco su Hraesvelgr, il quale, sebbene lo conoscesse, non poté evitarsi un’espressione di paura. O forse proprio poiché lo conosceva.

 

Pur tuttavia cercò di arginarne la potenza dirigendo impetuose raffiche di vento contro le comete energetiche che stavano piombando su di lui. Non riuscì a fermarle ma fu comunque in grado di rallentarne la corsa, quel tanto che gli bastò per balzare indietro prima che distruggessero il suolo, scavando un piccolo cratere.

 

Ansimando, Hraesvelgr fissò Orion, ridisceso a terra e pronto a riprendere lo scontro, conscio che solo l’imprecisione con cui il Cavaliere aveva scagliato il colpo, disturbato delle sue correnti d’aria, aveva reso possibile che lo mancasse.

 

Orion diresse un raggio energetico contro di lui, ma l’Aquila dei Venti lo evitò, gettandosi di lato e ruzzolando sul terreno, prima di rendersi conto dell’errore commesso. Concedendosi un sorriso, Orion disegnò un cerchio nell’aria con il proprio indice, mentre il suolo esplodeva in mille schegge di pietra e di terra e scaraventava Hraesvelgr in aria.

 

“A quanto pare stavolta non hai fatto in tempo!” –Commentò il Cavaliere del Drago, osservando l’avversario venir ferito dalla pioggia di frammenti. Pioggia che si esaurì dopo poco, non appena Hraesvelgr, evocando le proprie correnti d’aria, riuscì a convogliarle contro terra, deviando l’effetto della Spada di Asgard e disperdendolo.

 

A tal vista, Orion spiccò un balzo, portando il braccio destro chiuso a pugno sopra la testa, determinato a colpirlo in volo, ma Hraesvelgr lo anticipò, dirigendo contro di lui tre lance di cosmo.

 

No, si disse il Principe dei Cavalieri di Asgard, mentre le tre lance, simili ad artigli di un’aquila, lo trapassavano, apparentemente senza provocargli danno alcuno. Tre lance di vento.

 

Non riuscì a terminare i propri pensieri che venne afferrato al bacino, laddove le lance lo avevano trapassato, da una forza invisibile e trascinato a terra, fino a schiantarsi sul devastato terreno e lasciarsi scappare un grido sommesso.

 

Quando Hraesvelgr planò davanti a lui, Orion, che intanto si era rimesso in piedi, continuando a tastarsi l’addome, capì che la gabbia di correnti d’aria lo aveva di nuovo bloccato.

 

“Ora possiamo riprendere la nostra conversazione!” –Commentò l’Aquila dei Venti, sforzandosi di mantenere il tono neutro avuto inizialmente, ma lasciando comunque trasparire una certa stanchezza. Orion lo lasciò parlare, mentre rifletteva su quel piccolo particolare. –“Di eloquenza non sei certo maestro! Neanch’io in verità, sono uomo di poche parole! Lo sono sempre stato, anche quando commerciavo tesori antichi, per mantenermi! Lo ricordi, vero? Ricordi come mi strappasti la fonte del mio reddito?!”

 

Tesori… antichi?!” –Orion non capì a cosa si riferisse il servitore di Loki, ma, quasi portati dal vento, vecchi ricordi cominciarono ad apparire davanti ai suoi occhi. Immagini di un passato glorioso costellato di episodi che aveva dimenticato, ben meno importanti del risultato della sua missione. –“Fafnir!”

 

“Vedo che cominci a ricordare! Il vento mormorante ti ha sussurrato i suoi segreti! I nostri segreti!” –Commentò Hraesvelgr. –“Del resto il vento è stato l’unico testimone di quel che accadde nei monti dove il drago dimorava! Il vento sa tutto e può portare qualunque notizia in qualunque luogo! Fu proprio lui ad avvisarmi quel giorno, quando, spada in pugno, ti presentasti per uccidere il drago bicefalo!

 

L’ennesimo folle, questo pensai, quando nascosto negli anfratti delle montagne ti vidi passare in sella al tuo cavallo! Ma dovetti ricredermi, quando ti vidi affondare la lama nel ventre di Fafnir e strappargli il cuore!”

 

“Eri tu… il brigante…” –Realizzò infine Orion, ricordando l’incontro di poco successivo alla morte del drago. Ancora imbrattato del suo sangue, il Cavaliere si era avvicinato ad una pozza, che scorreva tra le rocce, per pulirsi. E là aveva scoperto il segreto di Fafnir, che viveva immerso nelle ricchezze. Sia il fondo del lago che gli anfratti del monte erano pieni di oro e pietre preziose, rubate dal drago nel corso dei secoli o versate dalle genti impaurite, allo scopo di ingraziarselo e impedirgli di ucciderli. Ricchezze di cui il popolino aveva spesso parlottato, al punto da spingere qualche temerario a tentare di recuperarle. E Hraesvelgr era stato tra questi.

 

“Brigante senz’anima, che banchetteresti su ori che non ti appartengono! Così mi definisti quel giorno, quando ti avvicinai per chiederti di non farne parola, a Midgard, dell’esistenza di quel tesoro! Onore e gloria, tutto volevi per te! Ricchezze comprese! E a me non lasciasti niente!”

 

“Sbagli!” –Precisò Orion. –“Di quell’oro non mi è mai importato, né ne ho avuto mai una parte! Ma il suo valore ha riempito le casse del regno, permettendo a Ilda di realizzare opere utili per la nostra città e acquistare grano, frutta e verdura dalle terre più fertili dell’Europa! Tu che, come reietto, hai patito la fame e la sete, e la mancanza di un tetto sotto cui dormire al caldo, avresti condannato allo stesso destino il popolo tuo fratello?!”

 

In tutta riposta, Hraesvelgr gli sputò di nuovo.

 

“Io non ho fratelli, né mi interessa del popolo! Non sono un Cavaliere e non ho un codice d’onore, tranne quello che mi permette di sopravvivere! E con quell’oro avrei vissuto a lungo, se tu, il gran signore di Midgard sul bel destriero, non avessi voluto fare l’eroe e apparire magnifico e munifico!”

 

“È tutto?” –Domandò infine Orion.

 

“Come?!” –Balbettò Hraesvelgr, preso alla sprovvista da quella semplice domanda.

 

“Hai esaurito le tue prediche? Perché se le tue farneticazioni sono giunte al termine, ugualmente sarà per il nostro breve, e poco soddisfacente, scontro!”

 

“Lurido bastardo arrogante!!!” –Ringhiò il servitore di Loki, concentrandosi per aumentare l’intensità delle correnti d’aria che circondavano Orion, sì da scaraventarlo nuovamente indietro. Ma solo allora si accorse che il braccio del Cavaliere, con il pugno chiuso, aveva oltrepassato l’eterea barriera.

 

Senza farsi notare infatti, mentre Hraesvelgr parlava, Orion aveva spinto il braccio attraverso il mulinello d’aria, piano piano, un centimetro per volta, reprimendo il dolore e confidando nel dono di Fafnir. Così aveva potuto portare la mano all’esterno del vortice, aprendola e puntando l’indice contro l’avversario.

 

Un raggio di energia ferì Hraesvelgr al fianco destro, trapassando la corazza e macchiandola di uno schizzo improvviso di sangue, che strappò un urlo di dolore al Dio di Vittoria, facendo diminuire d’intensità il mulinello d’aria.

 

La seconda cosa che Orion aveva capito, in quel breve combattimento, era che Hraesvelgr doveva mantenere un’elevata concentrazione sui venti da lui evocati, al fine di dare loro la massima potenza d’attacco. Potenza che adesso è perduta!

 

“Non ti dirò niente, perché non meritano parole di conforto o comprensione i tuoi gesti ridicoli! Approfittare di un drago per arricchirsi, alle spalle di chi vive di stenti… non mi stupisce che tu sia entrato nelle schiere di Loki!” –E nel dir questo portò le braccia al petto, gonfiandolo e espandendo il cosmo.

 

“Va’ al diavolo, pezzo d’idiota!” –Esclamò Hraesvelgr, concentrando la propria energia cosmica sul braccio destro, generando correnti d’aria che subito soffiarono contro Orion. –“Vento mormorante!!!” –Gridò, nello stesso istante in cui Orion liberava gli Occhi del Drago.

 

Le due possenti comete di energia si schiantarono contro un turbine di vento, la cui forma pareva quella di un’aquila ad ali aperte, che ne rallentò la corsa per qualche istante. Quei pochi secondi di vita che Hraesvelgr ebbe in più.

 

“La forza del possente Fafnir è in me!” –Commentò Orion, mentre il dirompente attacco si abbatteva sul Sigtýr, trapassandolo da parte a parte e schiantandolo a terra, con la corazza distrutta e il corpo imbrattato di sangue.

 

“Non ho parole di commiato per te, né epitaffio da suggerire per la tua tomba! Solo addio!” –Non aggiunse altro e corse via, lasciandosi il cadavere di Hraesvelgr alle spalle e riaffacciandosi nella piana di Vígridhr, dove la guerra era ancora in corso.

 

Tirando un’occhiata verso il limitare della radura, ove poc’anzi era terminato lo scontro tra Loki e i suoi avversari, Orion strinse i pugni, alla vista dei cadaveri che costellavano il suolo. Quasi non li riconobbe, per come erano ridotti, ma avvicinandosi e osservandoli meglio non riuscì a trattenere le lacrime di fronte a quel che restava di Heimdall, il cui corpo era stato abbrustolito da folgori incandescenti, e al cadavere di Tyr, i cui occhi ancora aperti gridavano terrore. Mormorando parole in norreno antico, Orion gli pose una mano sul viso e glieli chiuse.

 

Un fruscio alla sua destra lo fece voltare, per incontrare lo sguardo stanco e affranto della Regina delle Valchirie, che si trascinava a passo malfermo nella sua direzione.

 

Brunilde! È una gioia vedere che sei viva!”

 

“Lo stesso penso anch’io, nobile Orion! Sia pur entrambi feriti!” –Commentò la donna con voce triste, e il Cavaliere notò che reggeva tra le braccia un corpo, quello della figlia di Freya, anch’ella massacrata da Loki. –“Tinto di vermiglio è il suolo di Vígridhr! Che cosa nascerà da tutto questo sangue?”

 

“Niente di buono, questo è certo! Da una guerra non può nascere che un frutto amaro!” –Commentò il Principe degli Einherjar, alzandosi dal cadavere di Tyr e avvicinandosi a Brunilde, ponendogli le braccia sulle spalle. –“Ma ci sono guerre che non possiamo non combattere! Guerre che fanno parte del nostro destino, del nostro essere!”

 

Gli occhi neri della Regina delle Valchirie incontrarono quelli di Orion, e per un attimo sembrarono non vedere altro. Per un attimo sembrò loro di essere rimasti da soli, e che la guerra, le stragi e le morti atroci fossero echi di un passato lontano. Durò un attimo, ma parve loro eterno.

 

“Attenti!!!” –Gridò una terza voce, mentre passi veloci calpestavano il suolo poco distante.

 

Un gruppo di bestie, simili a lupi, ma decisamente più massicci, stava per avventarsi su di loro, ma prima che le macabre fauci potessero raggiungere il pugno che Orion aveva già chiuso, ponendosi di fronte a Brunilde per difenderla, vennero dilaniati da una pioggia di lame di luce.

 

“Carogne infami!” –Esclamò un’agile figura, rivestita da un’armatura scintillante, estraendo dalla carcassa di una bestia la lama della spada che stringeva con forza, prima di muoverla con rapidità e generare nuovi fendenti che posero fine alla corsa del resto del branco. –“Se sperate di banchettare con il mio corpo, potete scordarvelo! Anche se, lo ammetto, ho messo su qualche chilo di troppo ultimamente!”

 

Reis!!!” –La chiamò Orion, felice di rivederla.

 

“Ti avevo detto che ci saremmo ritrovati, Principe degli Einjerhar! Per essere una donna, so tirar di spada piuttosto bene, non trovi?” –Salutò Reis, avvicinandosi e tendendo la mano al Cavaliere di Asgard, che la strinse con orgoglio sincero, prima di presentare Brunilde al servitore di Avalon. –“È un onore incontrare la rappresentante di un popolo di donne guerriere la cui fama si trascina da secoli!”

 

“Com’è la situazione?” –Incalzò subito Orion.

 

“Potrebbe andar peggio!” –Commentò il Cavaliere di Luce, scrollando le spalle e voltandosi verso la piana di Vígridhr, ove la ressa che l’aveva invasa ore prima si era decisamente ridotta, a causa della morte di buona parte dei partecipanti. –“Più di metà degli Einherjar sono caduti, ma uguale sorte, forse superiore, hanno subito i morti di Hel e i Soldati di Brina, alcuni dei quali, per codardia o per tessere qualche altro inganno infame sono fuggiti verso il cuore di Ásaheimr. Forse per trovare rifugio tra i resti dei palazzi crollati.”

 

“Che ne è di Loki?” –Chiese Orion, che più di ogni altra cosa desiderava confrontarsi con lui.

 

“Sparito! Nessuno l’ha incontrato! Certo non è venuto a rendere omaggio ai figli morti! Dopo Jormungandr, anche Fenrir è caduto, ucciso dal Cavaliere di Andromeda, che al momento è piuttosto debole, ma il mio compagno se ne sta prendendo cura!”

 

“Corriamo da lui!” –Propose allora Orion, dirigendosi verso il centro della piana, seguito da Reis e da Brunilde, sia pur dispiaciuta per dover abbandonare i resti della figlia di Freya.

 

Una pattuglia raminga di Soldati di Brina, intenti a rimestare tra i cadaveri alla ricerca di armi e equipaggiamento utile, tentò di frenare la loro avanzata, ma venne travolta dalla furia degli Occhi del Drago e dai fendenti luminosi del Cavaliere di Luce.

 

“Ehi, sono qua!!!” –Gridò allora una voce che Reis conosceva bene. Quella di Jonathan, il Cavaliere dei Sogni. E fece cenno a Orion e Brunilde di dirigersi in quella direzione, fino a ritrovarsi a pochi passi da un’immonda carcassa in putrefazione che emanava un fetido odore.

 

“I resti di Fenrir…” –Mormorò Reis, tappandosi la bocca con una mano e passando oltre, per raggiungere il suo compagno, chino sul corpo di Andromeda. –“Come sta?”

 

“Non ha profonde ferite aperte, ma continua a dimenarsi, tenendosi la testa come se gli scoppiasse!” –Spiegò Jonathan.

 

“Una volta Odino mi raccontò che Fenrir disponeva di un pericoloso potere, una forza di persuasione capace di generare terrore negli esseri umani!” –Intervenne Brunilde, inginocchiandosi accanto al Cavaliere di Atena e sfiorandogli la fronte. Bollente.

 

“Andromeda non è guerriero da poco, avrà certamente contrastato questo maleficio!” –Esclamò fiero Orion, prima di aggiungere, con tono grave. –“Anche se il prezzo pagato può essere stato alto! Sento un’inquietudine immensa, mai provata in vita! Le fronde di Yggdrasill vibrano come mai hanno fatto prima!”

 

Nessuno aggiunse altro, prima che il rumore degli scontri ancora in corso, ben pochi rispetto alla caotica ammucchiata di ore prima, li richiamasse. Reis impugnò la Spada di Luce e si gettò contro i morti di Hel che si fecero loro incontro, trafiggendoli uno dopo l’altro. Brunilde le andò dietro, per vendicare le compagne Valchirie, lasciando Jonathan da solo, a prendersi cura di Andromeda.

 

Orion si sollevò deciso, guardandosi intorno, osservando la devastazione di quel giorno infame. Lontano, oltre gli alberi che ancora si ergevano al limitare della piana, Ásaheimr bruciava, a causa delle fiamme generate dai Giganti di Fuoco, e altri orrori erano in atto, celati da nuvole di fumo bigio. Socchiudendo gli occhi per un istante, a Orion parve di sentire un richiamo raggiungerlo. Una voce che da tempo non udiva.

 

“Ilda!” –Mormorò, stringendo il pugno. Quasi ad afferrare quel pulviscolo di ricordo che già si era perso nel vento. –“Temo per te! Un’ombra è scesa sul tuo cuore!”

 

Sospirando, il Cavaliere del Drago ripensò a quel che Hraesvelgr gli aveva detto poco prima. –“ Il vento sa tutto e può portare qualunque notizia in qualunque luogo!”

 

“Se così è, allora consola la mia Regina e sfiorale le guance per me!” –Aggiunse, prima di lanciarsi nell’ultima mischia.

 

***

 

Lo sbalordimento sul volto di Fiador fece capire a Ilda che il ragazzo aveva ben realizzato le implicazioni insite in quello che la leggenda aveva tramandato come Ragnarök. Implicazioni che andavano al di là di ciò che per Loki era sempre stata una vendetta personale, e per Odino aveva rappresentato una prova di forza, il momento di dimostrare che il regno da lui dominato poteva reggere agli attacchi del male. Quanto meno di quello che ai suoi occhi appariva tale.

 

Né l’uno né l’altro hanno mai compreso quel che c’è dietro! Mormorò la Celebrante, accasciandosi stanca alla scrivania.

 

Usare il potere di Bjarkan l’aveva indebolita, ma era stato utile, non solo per riportare Fiador sulla strada della ragione, liberandolo così dal controllo di Loki, ma anche per rimettere insieme i pezzi di un mosaico di cui neppure lei, fino all’ultimo istante, possedeva la chiave per comprenderlo.

 

Ragnarök è parte di un ciclo! Non è soltanto morte e distruzione, non è solo guerra e fiamme, ma anche rinascita! Per questo l’esistenza di Loki e della sua stirpe è stata tollerata, perché il male e l’ombra contribuiscono alla stabilità dell’universo, scontrandosi periodicamente contro le forze della luce! Uno contro l’altro, uno l’opposto dell’altro! Uno necessario affinché esista l’altro! Come potremmo indicare qualcosa come male o come bene, se non avessimo un termine di paragone? Come potremmo apprezzare la luce se non avessimo provato l’ombra?”

 

“Quindi, i progetti imperiali di Loki…” –Mormorò Fiador, cui l’Ingannatore aveva promesso i tesori di Midgard, ben superiori alle paterne ricchezze.

 

“Destinati a naufragare nella tempesta da lui stesso risvegliata! Non siederà mai su Hliðskjálf! Né Odino vi siederà più!” –Precisò Ilda, prima di aprire una pagina del testo lasciatole in dono dalla madre e leggerne alcune righe. –“Il sole si oscura, la terra sprofonda nel mare, scompaiono dal cielo le stelle lucenti. Alta gioca la vampa col cielo stesso!”

 

In quel momento Ilda sentì accendersi il cosmo di Alexer a breve distanza e dovette interrompere la lettura del testo. Il Principe della Valle di Cristallo si ergeva infatti al centro del devastato piazzale, a pochi passi dalla crollata statua di Odino, splendido nel suo cosmo azzurro, mentre le alte sagome dei suoi avversari torreggiavano attorno a lui, cingendo Midgard d’assedio.

 

Passi svelti corsero lungo le scale di pietra della Torre della Solitudine, anticipando l’ingresso di Enji nella piccola stanza. Affannato, con i capelli scomposti e rivoli di sudore che gli colavano sul viso, il consigliere trovò la forza di mormorare solo due parole. –“Siamo attaccati!”

 

Parole che Ilda ben si aspettava.

 

 

 

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Capitolo 29
*** Capitolo ventisettesimo: Ritirata ***


CAPITOLO VENTISETTESIMO: RITIRATA.

 

Con enorme dispiacere, Odino annusò l’aria di Asgard e tra i fumi di guerra e le alte strida capì che molti amici erano scomparsi, travolti dalla marea nera che Ragnarök aveva portato con sé. Heimdall e Tyr, Bragi e Ullr, assieme a molti Einherjar, Jötnar, Valchirie e Divinità minori. Persino il cosmo di Freyr, dopo essersi espanso al massimo, raggiungendo il Padre di Tutti dalle profondità di Niflheimr, forse per porgergli un ultimo saluto e ringraziarlo per la fiducia che gli aveva accordato nel corso dei secoli, era svanito. E il tremolio dell’Albero Cosmico, le cui fronde parevano rinsecchire ogni minuto di più, consumate da un inverno a cui non potevano opporsi, gli faceva temere il peggio. Per sé e per l’intera Ásaheimr.

 

Balder, Frigg e le altre Asinne erano ancora al sicuro a Fensalir, ma Odino sapeva che non avrebbero potuto resistere in eterno all’attacco su due fronti che ancora proseguiva. Fronti che presto si sarebbero ricongiunti, sulle rive del Thund, perché il tentativo di fermare l’avanzata dei Giganti di Fuoco stava fallendo e già buona parte della città degli Dei era caduta in rovina, divorata dalle fiamme di Muspell.

 

Trema Yggdrasill
il frassino eretto,
scricchiola l'albero antico
quando si scioglie il gigante.
Tutti temono
sulla strada degli inferi,
che la stirpe di Surtr
li inghiotta.

 

Cosa incombe sugli Asi? Si chiese Odino, prima che un grido straziante riportasse la sua attenzione sulla scena in corso.

 

Era in piedi su Sleipnir, in cima al piccolo avallamento che conduceva alla Rocca del Cielo, affiancato dagli ultimi sopravvissuti a quello scontro mortale. Geri e Freki, un po’ bruciacchiati ma ancora vivi, e una trentina tra Ulfhednir, Valchirie e giganti a lui fedeli. Oltre che Mizar e Vidharr.

 

Odino sospirò, pensando che almeno quel figlio era ancora vivo, e roteò la lancia, piantandola nel terreno e imprimendovi il suo cosmo divino. Il suolo si smosse poco distante, sollevandosi come un’onda e sommergendo di erba e terriccio il Gigante di Fuoco le cui fiamme stavano penetrando alcuni Ulfhednir, liberandoli da tale agonia.

 

Mizar si avvicinò loro, sfiorandoli con il suo gelido cosmo e aiutandoli a rimettersi in piedi, per ricongiungersi con gli altri.

 

C’era più ben poco che potessero fare in quel luogo. Bifrost era crollato, Himinbjörg era stata distrutta, i palazzi di Asgard incendiati durante gli scontri scatenatisi tra i combattenti di Odino e i Soldati di Brina. Potevano solo portarsi al di là del Thund e trovare rifugio nelle fortezze di Fensalir e del Valhalla, dove gli stanchi combattenti avrebbero ottenuto momentaneo ristoro.

 

Vidharr osservò suo padre con sguardo stanco e preoccupato e per quanto certo che avrebbe voluto continuare a lottare era ben consapevole che per il momento ripiegare era la strategia migliore.

 

“Ma non lasciando ai figli di Muspell campo libero!” –Mormorò, espandendo il proprio cosmo in modo da generare una protezione che, come un velo, ricadde sulla parte interna di Asgard, quella rivolta verso il Valhalla. Un velo che le vampe dei Giganti di Fuoco non avrebbero superato facilmente. –“Non finché sarò in vita, poiché dal mio cosmo questa barriera trae origine, e come tale è inestinguibile!”

 

“Vidharr, non vorrai morire?!” –Bofonchiò Odino.

 

“Foss’anche, sarebbe per una buona causa, come sono caduti mio fratello Tyr e i nostri pari!” –Sentenziò il figlio, socchiudendo gli occhi, prima che Odino potesse replicare. –“Porta il nostro popolo in salvo nel Valhalla! Là sarà combattuta la battaglia finale! Là affronterai Loki, unico, tra tutti gli Asi, che può farlo! Io vi darò modo di arrivarvi senza dovervi guardare alle spalle! Nessuna sfera di fuoco vi colpirà finché Vidharr il Silente rimarrà in piedi a protezione di suo Padre e delle sue genti!”

 

“E io resterò ad aiutarti, prode figlio di Odino!” –Intervenne Mizar. –“Ottima difesa è il tuo velo ma lacunosa nello sprigionare potenza d’attacco! Lacuna che i ghiacci eterni possono invece colmare!”

 

Odino rimase a fissarli per qualche istante, mentre turbini di fiamme e getti di lava si abbattevano sopra di loro, schiantandosi sulla barriera invisibile e scivolando poi su di essa, verso il basso, come infernali ruscelli. Infine annuì, accennando un sorriso, prima di fare cenno ai suoi di seguirlo.

 

“Ripieghiamo sul Valhalla!” –Tuonò, scattando avanti, subito seguito dai due lupi e dagli altri. D’improvviso lo invase una fretta insolita, dovuta non soltanto al timore per Vidharr, che metteva in gioco la propria vita per salvare la loro, ma anche per le sorti dell’altro suo figlio rimasto, su cui gravava un’antica maledizione. Sospirando, spronò Sleipnir ad aumentare l’andatura, ritenendo opportuno passare da Fensalir prima di rientrare nella Sala dei Caduti.

 

***

 

“Cosa hai in mente di fare, giovane tigre?” –Chiese Vidharr al Cavaliere dalla nera armatura.

 

“Usare la vostra barriera per trasmettere il mio gelido cosmo e lasciarlo poi esplodere contro i Giganti di Fuoco sotto forma di artigli di ghiaccio!” –Rispose Mizar, sfiorando il leggero, quasi impalpabile, velo di energia che il figlio di Odino aveva eretto sopra metà Asgard. Subito un’aura celeste lo avvolse, scivolando lungo l’ondulata protezione e aumentandone la consistenza.

 

Proprio in quel momento una torva di Giganti di Fuoco si sollevò di fronte a loro, allungando le braccia di pura fiamma nella loro direzione, venendo però frenati dal velo protettivo.

 

“Quale miglior banco di prova!” –Esclamò Mizar, liberando il proprio cosmo, che si aprì a ventaglio dalla barriera, ricoprendo i corpi dei figli di Muspell di uno strato di gelo, rinforzato dal cosmo divino di Vidharr.

 

“Un’ottima intuizione!” –Commentò il taciturno figlio di Odino, accennando un debole sorriso. –“Anche se temo che servirà solo a farci guadagnare tempo!”

 

Mizar parve comprendere le sue parole e rispose con un altrettanto rattristato sorriso. –“Per cos’altro siamo rimasti indietro, in fondo?!”

 

Non ebbero modo di aggiungere altro che nuovi Giganti di Fuoco si lanciarono contro il velo protettivo, schiantandosi su di esso e disperdendo i loro stessi corpi in migliaia di vampe e roghi che ne scossero la superficie fino alla sommità, impegnando duramente Vidharr e Mizar, costretti a portare i loro cosmi al culmine.

 

Fu quando temettero di non essere più in grado di fermare l’avanzata nemica che un nuovo cosmo, gelido come quello della Tigre Nera, si sommò ai loro, rafforzando la barriera e palesandosi sotto forma di unghioni di gelo che trafissero i corpi fiammeggianti dei Giganti di Fuoco.

 

Prima ancora di voltarsi, Mizar riconobbe il fratello che l’aveva protetto tante volte in passato, la cui armatura sporca e danneggiata la diceva lunga sulle difficoltà che anch’egli doveva aver incontrato.

 

“Certe cose non cambiano mai, vero Alcor?” –Ironizzò, felice di rivederlo, dopo aver tanto per lui temuto. E fu ancora più felice nel vedere il ragazzo dai lunghi capelli scuri che lo accompagnava, il Cavaliere Divino della costellazione del Drago.

 

Alcor e Sirio si unirono a Mizar, che subito li introdusse a Vidharr, descrivendo a grandi linee la situazione e quel che era accaduto da quando il fratello era sceso nel Niflheimr a sorvegliarlo.

 

“Sono stati Huginn e Muginn a portarci fin qua! Dopo aver risalito l’Albero Cosmico e aver raggiunto il Valhalla, non eravamo certi su dove avremmo trovato Odino, nei vari fronti aperti, ma i corvi sono volati in fretta verso Himinbjörg e sulla strada abbiamo incontrato il Dio dai molti epiteti, che ci ha informato che eravate ancora qua!” –Spiegò Alcor. –“Così abbiamo ben pensato di venire a morire insieme a voi!”

 

“Di nuovo!” –Sorrise Mizar, ricordando l’ultimo scontro combattuto assieme al fratello nel Giardino dell’Amore, sul medio versante dell’Olimpo.

 

“Attenti!!!” –Gridò Sirio, mentre le fiammeggianti sagome dei Giganti di Fuoco si ergevano di fronte a loro, liberando fiotti di lava contro l’invisibile protezione.

 

Il Cavaliere del Drago rimase attonito ad osservare con quale concentrazione Vidharr riusciva a mantenere una così vasta e dispendiosa barriera, segno evidente di un esercizio meditativo durato secoli. Ed egli, che dal Maestro dei Cinque Picchi aveva ricevuto insegnamenti al riguardo, era ben consapevole di quanta forza interiore fosse necessaria.

 

“Non resisterà a lungo! Dobbiamo aiutarlo, cacciare indietro queste creature!” –Tuonò, espandendo il proprio cosmo, subito imitato da Mizar e Alcor.

 

“Impresa tutt’altro che facile, temo!” –Commentò la Tigre Nera, avvolta in un turbine di freddo cosmo.

 

Artigli di gelo e dragoni di luce sfrecciarono nel cielo di Asgard, trapassando la barriera dall’interno e schiantandosi sui figli di Muspell. Qualcuno venne parzialmente congelato, qualcun altro si sfaldò, piovendo a terra fiammelle rossastre, ma la maggioranza rimase comunque integra, determinata sui suoi passi.

 

“Prima troppo ghiaccio, adesso troppo caldo! Vorrei poter riversare su costoro il gelo del Niflheimr!” –Bofonchiò Alcor, il viso imperlato di sudore.

 

Sirio non rispose, ma annuì mentalmente. In quella situazione parte dei suoi attacchi erano inutili, poiché basati sulla luce, e come tali incapaci di provocare grave danno ai suoi avversari. Persino Excalibur non sarebbe riuscita a spegnere tale eterna fiamma.

 

“Eppure…” –Si disse il giovane, dimenticando qualcosa.

 

Fu il grido di Vidharr a rubarlo ai suoi pensieri, costringendolo a spostare lo sguardo sul figlio di Odino, prostrato a terra dalla stanchezza e dall’eccessivo spreco di forze. La barriera si stava ritirando, incapace di continuare a ricoprire l’intera città sacra, e dagli spazi che lasciava aperti già mastodontiche fiamme e spruzzi di lava schizzavano all’interno, in una pioggia senza tregue.

 

Sirio corse in aiuto dell’Ase Silente, mentre la sua mente, alla vista di quell’apocalittica scena, ricordava un passo dell’Inferno dantesco, che Libra gli aveva letto durante l’addestramento, assieme ad altri testi epici e medievali.

 

Sovra tutto ‘l sabbion, d’un cader lento, piovean di foco dilatate falde, come di neve in alpe sanza vento!”

 

In quel momento la barriera cedette, schiantandosi come vetro in mille frammenti di cosmo che subito svanirono nell’aria torbida, mentre i Giganti di Fuoco, con ritrovata baldanza, si fecero avanti, incendiando tutto quel che trovavano sul loro cammino.

 

“Maledizione!” –Mormorò Sirio, ponendosi di fronte a Vidharr per proteggerlo e offrendo la schiena alle fiamme di Muspell. –“Aaargh!” –Strinse i denti, mentre una vampa si schiantò sullo schienale e sulle ali della corazza divina.

 

“Morire arso vivo è quanto di più lontano mi sarei aspettato combattendo per Asgard! In una tormenta di neve sarebbe stata fine più appropriata!” –Tentò di ironizzare Alcor, strappando un debole sorriso al fratello, entrambi con le braccia aperte avanti a sé e il cosmo glaciale che turbinava in ogni direzione.

 

Ma il calore era insopportabile, persino per un Cavaliere, persino dietro la protezione rappresentata da un’armatura, pur rinata con sangue divino, e ben presto sia Sirio che i due fratelli dovettero ripiegare, arrancando a fatica, con il sudore che imperlava i loro volti e una stanchezza crescente. Con la vista appannata, Mizar non riuscì ad evitare un getto di lava diretto contro di lui da un Gigante di Fuoco, venendo spinto indietro e parzialmente ricoperto. Il grido di terrore che seguì, nel sentire il proprio corpo ardere sotto quel bollente liquido, risvegliò l’ultimo impeto bellico nella Tigre Nera, spingendolo a bruciare il cosmo più di quanto avesse fatto prima, portandolo al parossismo. Come quel giorno sull’Olimpo.

 

“Come in Grecia così adesso!” –Gli fece eco Alcor, unendo il proprio cosmo a quello di Mizar e tirando un’ultima veloce occhiata a Sirio, quasi a comunicargli, in silenzio, molte cose. Grazie, prima di tutte le altre. Per essere venuto a salvarmi e avermi permesso di essere qua adesso. A combattere con mio fratello.

 

“A morire con mio fratello!” –Ringhiò la Tigre Bianca, prima di far esplodere il proprio cosmo, assieme a quello di Mizar, liberando un’onda di energia congelante che spazzò via un gruppo di Giganti di Fuoco, paralizzandoli in pose che nessuna fiamma avrebbe sciolto nuovamente. Statue impreviste che andarono in frantumi poco dopo.

 

I figli di Muspell che si ergevano dietro i loro fratelli distrutti riversarono allora la loro rabbia in vampe rossastre che saturarono l’aria e la terra, abbattendosi sui due Cavalieri di Asgard e dilaniando le loro carni, fin nel profondo.

 

Sirio, disorientato dal caos in cui era immerso, e con enormi difficoltà visive e respiratorie, fu soltanto in grado di vedere Mizar e Alcor scomparire tra le fiamme, in un rogo che pareva non avere fine. Vidharr, che aveva perso conoscenza, giaceva tra le sue braccia, ed egli ne sentì tutto il peso, mentre pensava ad un modo per sopravvivere a quell’inferno.

 

Un Gigante di Fuoco diresse un fiotto di fiamme contro il terreno, trapassandolo e incendiando il sottosuolo, fino a farlo ricomparire sotto i piedi di Sirio e Vidharr, scagliandoli verso l’alto in un turbine rossastro. Il ragazzo tirò il figlio di Odino a sé, rannicchiandosi alla meno peggio e preparandosi per l’impatto con il suolo, più duro di quanto si fosse aspettato, a causa delle macchie di ghiaccio create da Mizar e Alcor che ancora resistevano in mezzo a quella pioggia di fuoco.

 

Sirio sbatté la spalla destra, incrinando il copri spalla, e scivolò di qualche metro, perdendo la presa sul corpo di Vidharr, che ruzzolò poco distante. Sputando sangue, il Cavaliere di Atena si rimise in piedi, mentre un getto di lava si schiantava di fronte a sé, liquefacendo quel che restava dei ghiacci eterni e creando un piccolo stagno.

 

Fu allora, in quell’acqua melmosa, che Sirio si ricordò della natura del suo potere, qualcosa a cui, troppo preso dagli eventi e dalla guerra in corso, non aveva prestato attenzione.

 

Sciocco! Si disse, ricordando lo scontro con Ian dello Scudo, Cavaliere Ombra decaduto, al Tempio di Discordia. Anche in quell’occasione ne ero immerso.

 

Bruciò il proprio cosmo, che risplendette vivido come una smeraldo, prima di entrare in sintonia con l’elemento cui più di ogni altro aveva attinenza, l’elemento su cui esercitava maggior controllo. Per Cristal era il gelo, per Phoenix era il fuoco, per Pegasus era la luce. Per lui era l’acqua.

 

Un vortice acquatico si schiuse attorno a sé, assumendo la forma di un dragone celestino, che roteò a fauci dischiuse prima di scattare verso il più vicino Gigante di Fuoco e penetrarlo, sciogliendosi al solo contatto e liquefacendo al tempo stesso anche la creatura.

 

“E uno!” –Si disse Sirio, consapevole comunque delle poche forze rimaste per un’impresa che si presentava titanica. Pretendere di sconfiggere i Giganti di Fuoco con singoli dragoni di energia acquatica è opzione risibile. Rifletté, evitando un getto di lava e bruciando il proprio cosmo. Pur tuttavia…

 

E si fermò, concentrando i sensi al massimo, mentre il cosmo fluiva attorno a sé, alla ricerca di aiuto. Alla ricerca di una fonte che sopperisse la distanza dalla Cascata del Dragone, distanza puramente fisica, poiché nel cuore ben l’aveva presente.

 

La raggiunse e ne percepì la forza antica, vivido testimone delle ere del mondo e delle guerre che si erano sostenute. Ancora adesso parte delle sue acque erano infette dalla carcassa dell’abominevole figlio di Loki, e forse quella sarebbe stata l’occasione per purificarle definitivamente.

 

Dammi la tua forza, possente Thund! Esclamò Sirio, penetrando le acque del fiume con il suo cosmo e facendolo risplendere di un acceso color verde. All’istante le insidiose correnti del corso d’acqua si sollevarono, increspandosi e assumendo la forma di mille dragoni lucenti, di fronte agli occhi esterrefatti di coloro che ancora combattevano lungo le sue rive.

 

Nelle acque è la forza di Sirio il Dragone! Nelle acque, pregne di storia e saggezza, vicino alle quali sono cresciuto e mi sono allenato, divenendo Cavaliere e uomo! Mormorò il ragazzo, ripensando agli scontri che aveva sostenuto in vicinanza di un corso d’acqua, come quelli con Demetrios, Ian dello Scudo e Cancer. Scontri che lo avevano visto vincitore e che gli avevano insegnato qualcosa. Soprattutto quello con il suo antico compagno d’addestramento. Là, sul fondo della Cascata dei Cinque Picchi, la mia corazza è stata nascosta per secoli, in attesa della mia venuta, irrobustendosi e prendendo forza da ciò che la attorniava! Allo stesso modo ho fatto anch’io, ogni volta in cui ne ho avuto bisogno, trovando la forza in coloro che avevo attorno e in me credevano! Il mio maestro, la mia compagna, i miei amici!

 

“E ugualmente farò oggi!!! Acque della Cascata dei Cinque Picchi, danzate in nome mio!!!” –Gridò, scatenando la furia del cosmo, mentre sopra di lui saettavano migliaia di dragoni composti di energia acquatica, che nascendo dal Thund compivano un arco sopra la città degli Dei, piombando poi sui Giganti di Fuoco.

 

Tutti vennero travolti e, per quanto tentassero di dimenarsi, di liberare fiamme e lava, furono spazzati via dalla marea lucente evocata da Sirio, che gli costò uno sforzo immane. Non riuscendo a mantenerla a lungo, alla fine dovette cedere alla stanchezza e crollare sulle ginocchia, mentre gli ultimi dragoni di energia acquatica si schiantavano attorno a lui, perdendo l’impeto vitale che li aveva fatti sorgere.

 

Con un ultimo barlume di coscienza, prima di crollare disteso al suolo, Sirio osservò Ásaheimr venir avvolta da un’immensa caligine. Né fuoco né fiamme, né draghi né maree più dominarono l’aria. Soltanto una coltre di fumo che non poteva però coprire la distruzione generata, né tamponare l’odore della morte che aleggiava per le strade della città degli Dei. Distruzione e morte che ancora camminavano sulle rovine dei Nove Mondi.

 

***

 

Pegasus era ancora debole a causa del veleno del Serpe del Mondo ma né Eir né Frigg riuscirono a farlo desistere dal voler scendere nuovamente sul campo di battaglia. Freya continuava a pregare per suo fratello, il cui cosmo aveva sentito esplodere poco prima, mentre Idunn si era da tempo rinchiusa in una silenziosa preghiera, interrotta da sporadici singhiozzi, dopo aver sentito svanire l’aura cosmica del suo sposo. E le parole di Frigg, che aveva visto la scena nella sua mente, le avevano confermato la morte di Bragi.

 

Il Primo Cavaliere di Atena ringraziò più volte le Asinne, esprimendo la volontà di combattere anche per ringraziarle dell’ospitalità e delle cure che gli avevano fornito.

 

“Soprattutto voi voglio ringraziare, Principe Balder!” –Esclamò, volgendo lo sguardo verso il bellissimo ed etereo figlio di Odino, che lo pregò di non badare ai formalismi e di pensare a stare bene.

 

“So che solo pensare di trattenerti sarebbe una battaglia persa in partenza e lungi da me andare incontro ad una sconfitta proprio con uno dei pochi uomini degni della stima e dell’ammirazione di mio Padre!” –Commentò, indicando con lo sguardo la spada di ghiaccio che Pegasus portava con sé. Balmunk, la lama di Odino.

 

“È anche per onorare la sua fiducia che devo combattere!”

 

La conversazione tra i due venne interrotta quando un paio di guardie irruppero nel salone principale di Fensalir, dove le Asinne e Balder erano riuniti, per informare di un incremento degli assalti alla residenza. Il figlio di Odino si scusò con Pegasus, che terminò di indossare la sua Armatura Divina, seguendo Frigg all’esterno.

 

Nell’ultima ora gli attacchi contro Fensalir erano aumentati, portati essenzialmente da un gruppo di defunti di Hel e di creature mostruose, che Balder dall’alto verone aveva riconosciuto come le Vilgemir. 

 

Dispensatrici di sofferenze atroci, erano l’equivalente infernale delle Valchirie, ma propinavano urina di capra ai defunti, facendo loro rimpiangere l’idromele e la beatitudine del Valhalla. Anch’esse erano state armate contro gli Asi, vomitando il loro putrido cosmo contro le mura di cinta della Sala Paludosa, residenza di Frigg.

 

Balder le aveva respinte più volte ma a quanto pareva non era riuscito a farle desistere, così scese nuovamente nel giardino di fronte all’ingresso della reggia, dove alcuni Einherjar erano riuniti, con sua madre alle spalle, ed espanse il proprio cosmo, rilasciandolo sotto forma di un’onda di luce che si abbatté sulle mura, trapassandole senza danneggiarle e travolgendo poi tutti coloro che stavano all’esterno.

 

Placato il suo cosmo, il figlio di Odino sospirò, dispiaciuto ogni volta in cui doveva usare i suoi poteri per fare del male, fosse anche ai sanguinari servitori di Loki. Frigg gli pose una mano su una spalla, sospirando, prima di percepire qualcosa. Un frammento di visione che non riuscì però a comprendere a pieno.

 

“Che succede, madre?” –Domandò subito Balder, con premura.

 

“Non riesco a capire… Una sensazione familiare e al tempo stesso inquietante… Che cosa si cela agli occhi di Frigg?!” –Mormorò la donna dai riccioli biondi, prima che la voce di una vedetta distraesse entrambi.

 

I portoni delle mura difensive si socchiusero leggermente, tanto bastava per far risaltare un’imponente sagoma che entrambi ben conoscevano.

 

Alto e robusto, con un viso austero e barbuto, lunghi capelli grigi spettinati e un’ampia fronte su cui le rughe avevano scavato i segni del tempo, Odino, il Padre di Tutti, avanzò a passo fiero all’interno della residenza, rivestito dalla sua splendida Veste Divina. Nonostante la rigida postura, sia Balder che Frigg non mancarono di notare che il nume zoppicava leggermente, e che la corazza era in parte macchiata di terra e aloni di fumo, probabili residui della guerra in corso.

 

“Padre!!!” –Esclamò il Sole di Asgard con un gran sorriso, incamminandosi verso di lui.

 

“Mi rallegra vederti qua, Balder! Ero andato a Breidablik e con orrore ho visto la tua residenza in fiamme, travolta dalle vampe di guerra portate dai figli di Muspell! Non trovandoti, ho temuto il peggio! Per te, e per me!”

 

Balder stava quasi per chiedere a Odino perché si fosse recato alla sua residenza, ben sapendo che il figlio si trovava a Fensalir, su suo stesso ordine, quando sentì qualcosa trapassargli una coscia. Un affondo repentino, più rapido del tempo di reazione del Sole di Asgard. Un affondo portato a tradimento, di fronte allo sbigottimento di tutti i presenti.

 

“Co… cosa?!” –Balbettò il giovane, spostando lo sguardo prima sulla coscia sanguinolenta, ove una lunga lancia grigia svettava come una bandiera di morte, quindi a colui che l’arma brandiva, suo padre, sul cui volto era comparsa un’espressione di soddisfazione estrema. Soddisfazione che accompagnò il ritirarsi di Gungnir e un nuovo affondo nel corpo di Balder, subito seguito da un terzo, nel basso ventre.

 

“Ma che stai facendo?! Odinooo???!” –Gridò Pegasus, rimasto spiazzato dal rapido susseguirsi dei fatti. E portò il pugno destro avanti d’istinto, liberando una sfera energetica che si schiantò su Gungnir, distruggendola e facendo balzare Odino agilmente indietro. Troppo agilmente, date le sue ferite.

 

Frigg, rimasta immobile al suo fianco, si accasciò in lacrime, tremando, in preda ad un attacco isterico, e venne presto raggiunta da Eir, Idunn e Freya, che arrivarono correndo dall’interno di Fensalir, avendo percepito lo spegnersi improvviso del Sole di Asgard.

 

“Che è successo? Che succede?!” –Gridò Freya, incapace di comprendere quell’anomala situazione per cui Odino se ne stesse in piedi, sazio del sangue da lui sparso, ad osservare Balder esanime in una pozza di sangue.

 

“Lui… Odino… ha infilzato il figlio con la lancia…” –Balbettò Pegasus, prima che la voce della Signora del Cielo richiamasse la sua attenzione e quella delle Asinne.

 

“Non è Odino! Non può essere lui!” –Mormorò, tra le lacrime scroscianti, mentre Idunn la aiutava a rialzarsi. –“Come ho potuto essere così cieca? Di nuovo! Com’è possibile che non sia riuscita a predire… la morte di mio figlio?!”

 

“Che cosa?!” –Ringhiò Pegasus, voltandosi di scatto verso l’uomo che si era palesato come il Signore di Asgard e osservando i lineamenti che avevano iniziato a mutare, a farsi più morbidi, rivelando una sagoma ben diversa. Più snella, più ammaliante. Più malvagia.

 

“Egli di Odino è la nemesi! Il suo nome è Loki, il Tessitore di Inganni!” –Sentenziò Frigg, prima di perdere conoscenza.

 

 

 

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Capitolo 30
*** Capitolo ventottesimo: La confessione ***


CAPITOLO VENTOTTESIMO: LA CONFESSIONE.

 

Per dodici anni Erik aveva creduto che Bjorn, suo fratello, fosse l’uomo più forte che esistesse al mondo. Lo aveva visto crescere, allenarsi con gli abitanti del villaggio, unirsi a loro nelle cacce organizzate nelle foreste, marciare in prima fila quando vi erano lavori da effettuare, come spalar via la neve, liberare il torrente da detriti franati o abbattere gli alberi, e si era davvero convinto che fosse una roccia. Un eroe come quelli cantati dagli scaldi nelle saghe antiche. E, nei suoi sogni d’infanzia, avrebbe in futuro desiderato essere come lui. Avrebbe desiderato essere lui.

 

Tutto cambiò quando in città scoppiò una rivolta e venne inviata una guarnigione di soldati dalla Cittadella per estinguerla. Erik, all’epoca, sapeva ben poco di cosa fossero Midgard o Asgard, avendo sempre vissuto nella sua bella Iisung, affannando, al pari degli altri abitanti, per sopravvivere. Ma quando suo fratello crollò al suolo, vinto da un guerriero di nome Folken, e una pozza di sangue tinse la neve, anticipando la morte dei suoi genitori, capì che gli scaldi erano dei bugiardi e gli eroi non esistevano più.

 

Sconfitto dal freddo, dalla fame e dalla solitudine, sarebbe morto nei giorni seguenti se un uomo non l’avesse raccolto, spolverando via il ghiaccio dai suoi abiti laceri, e portato con sé, per dargli un nuovo scopo, fomentando, quando necessario, la sua sete di vendetta.

 

“Per questo Erik il Rosso combatte!” –Ringhiò, espandendo il proprio cosmo, mentre alle sue spalle comparve l’immagine del suo simbolo.

 

Kaun o Kaunaz. La torcia. La runa di Loki.

 

Libra, dall’altra parte dello spiazzo, fece altrettanto, avvampando nel suo cosmo d’oro. Da quasi un’ora i due si stavano affrontando e il Cavaliere era deciso a mettere fine a quello scontro prima possibile. Aveva notato che una ventina di Soldati di Brina erano ancora in vita, probabilmente protetti dall’onda di energia generata da Virgo da una barriera eretta dal compagno di Erik, del quale non avvertiva più la presenza vicino a loro. Doveva scoprire dov’era finito e fermare l’avanzata degli ultimi guerrieri. Con Asher e le Sacerdotesse in missione e Ioria scomparso chissà dove, era l’unico che poteva impedire loro di varcare la soglia delle Dodici Case.

 

Scure di Devastazione!!!” –Gridò Erik, lanciando avanti la propria arma, carica di violacea energia cosmica. Libra evitò l’assalto balzando in alto, ma Erik, aspettandosi tale mossa, fu svelto a sollevare la scure, dirigendola ad alta velocità verso il cielo.

 

“Era quel che volevo!” –Sibilò a denti stretti il maestro di Sirio, concentrando il cosmo sul braccio destro e calandolo sull’arma, badando bene di colpirla nel punto esatto di congiunzione tra la lama e il manico. L’anello debole. –“Per il Sacro Libra!!!” –Tuonò, liberando un fendente scintillante di luce che obbligò persino Erik a sollevare un braccio per pararsi gli occhi.

 

Quando li riaprì, vide con orrore la propria arma fatta a pezzi, dispersi sul terreno e non più utilizzabili.

 

“Bastardo!!!” –Ringhiò il Dio di Vittoria, portando avanti il braccio, con il pugno chiuso, e scagliando una sfera di energia verso Libra, che fu lesto a muovere lo scudo ancora integro di fronte a sé, lasciando che vi esplodesse, disperdendosi. Quando il Cavaliere fece per ribattere, si accorse che Erik si era fermato, a metà della corsa, con lo sguardo fisso sulla lama e sul manico della sua scure e la mente persa nei meandri del tempo. –“Di te niente più mi rimane…” –Gli sembrò di udirlo mormorare.

 

Se anche avesse voluto chiedergli qualcosa, il Rosso Condottiero non gliene diede il tempo, voltandosi e scattando verso di lui, i pugni carichi di energia cosmica.

 

“Pagherai per quello che hai fatto!” –E si mosse per colpirlo, scatenando una pioggia torrenziale di colpi, che Libra parò spostando continuamente lo scudo davanti a sé, finché, stanco di dover subire, non mosse il braccio di lato, sbattendo il piatto dell’arma contro il volto di Erik, spingendolo indietro di qualche passo.

 

Quando il Sigtýr si rimise in posizione corretta, Libra aveva già liberato la potenza del Drago di Cina, che a fauci aperte stava sfrecciando verso di lui.

 

Senza la protezione del suo compagno né la scure, non può più difendersi! Rifletté il Cavaliere, con un certo sollievo per la prossima fine di quello scontro.

 

Dovette ricredersi quando vide il cosmo di Erik avvampare e attorcigliarsi attorno al suo braccio destro, mentre le sagome di tre creature deformi sorgevano attorno a lui. Tre creature di pura energia che, di primo acchito, a Libra sembrarono un lupo gigantesco, un serpente e una donna mostruosa.

 

Ruggito del tramonto!!!” –Gridò Erik, portando avanti il braccio e liberando un impetuoso attacco di energia con il quale contrastò il Drago Nascente, annientandolo poco dopo e travolgendo lo stupefatto Libra, fino a schiantarlo contro la parete di roccia alle sue spalle.

 

Ough…” –Strinse i denti il Cavaliere di Atena, ricadendo a terra e sbattendo una spalla, la stessa già ferita in precedenza, che adesso gli doleva al punto da rendergli difficile muovere il braccio sinistro, ferito e privo di scudo. –“Non avrei creduto… nascondesse ancora tutta quest’energia…

 

“Errore strategico, caro il mio Cavaliere d’Oro!” –Rise Erik, che sembrava aver ritrovato il suo abituale sarcasmo, dopo l’attacco di malinconia che l’aveva invaso per un momento alla perdita della scure. –“Ma te lo concedo! Del resto, finora avevo combattuto soltanto usando la mia arma! E sai perché l’avevo fatto? Beh, da un lato perché non credevo avrei avuto bisogno di giungere a tanto per farti fuori, dall’altro perché quella scure apparteneva a mio fratello! Era l’arma con cui andava ad abbattere gli alberi! L’unico segno tangibile che mi era rimasto di lui! E ogni volta in cui la impugnavo, ogni volta in cui la sollevavo, mietendo una vita, mi sembrava di essere lui, come avevo desiderato essere da bambino! Un sogno stupido, in verità, ma in cui ho trovato la forza per crescere e divenire il più potente dei Sigtívar!”

 

“Nessun sogno è stupido, Erik, ma è il motore della vita di un uomo!” –Disse Libra, faticando nel rimettersi in piedi.

 

“Il tuo, a quanto pare, è rimasto senza carburante!” –Sogghignò il Dio di Vittoria, bruciando il suo cosmo e generando di nuovo le sagome delle demoniache creature.

 

“Le tre bestie… apparse alle tue spalle…

 

Fenrir, Jormungandr ed Hel!” 

 

“I figli di Loki!” –Annuì Libra. –“Perché ne disponi? Per quanto tu sia il Comandante dell’Esercito dell’Ingannatore dubito che quei tre mostri possano rispondere alla tua volontà!”

 

“Così è infatti! Mi limito ad evocarne le sagome con cui plasmo l’energia di cui sono padrone, in virtù dell’armatura che indosso! Forgiata proprio per Loki, eoni fa, che offrì il suo corpo come modello, in essa è rimasto un frammento della sua Divina Volontà, una stilla del suo cosmo, sufficiente a donarmi nuove forze! Forze con cui ti ucciderò! Addio Bilancia! Il piatto della morte pesa per te più di quello della vita!” –Esclamò, espandendo al massimo il suo cosmo. –“Ruggito del Tramonto!!!” –E diresse l’assalto delle tre bestie avanti a sé, obbligando il Cavaliere di Atena a contrastarlo con la più potente delle sue tecniche.

 

Colpo dei Cento Draghi!!!” –Tuonò Libra, portando, sia pur a fatica, entrambe le braccia avanti, a palmi aperti. I dragoni smeraldini riempirono l’aria, frenando la sanguinosa avanzata dei figli di Loki, che, sebbene fossero solo evanescenze cosmiche, trasudavano la loro originaria malvagità e oscurità.

 

I due attacchi restarono in equilibrio per qualche minuto, mentre attorno rilucevano scintille di energia e le corazze dei due sfidanti sfrigolavano al contatto con tale devastante potere. In virtù della maggiore capacità di resistenza, e della forgiatura nel fuoco di Muspellsheimr, l’armatura di Libra riuscì a sopportare la pressione; ugualmente non poté dirsi della tanto decantata corazza di Erik, già scheggiata nei precedenti scontri, che cigolava sinistramente, schiantandosi ogni qual volta una scarica di energia riusciva a raggiungerla.

 

Il Rosso Comandante parve non farci caso, troppo preso dalla sua missione, troppo convinto della propria superiorità, ma Libra, i cui sensi erano affinati da due secoli di meditazione e esperienza, percepì subito la differenza. E capì da cosa fosse originata.

 

Per questo non cedette, portando il cosmo al parossismo, in nome di tutti coloro che aveva amato nella sua lunga vita. Atena, Shin, i Cavalieri d’Oro suoi compagni del Diciottesimo Secolo e i pochi che aveva conosciuto nel Ventesimo, Ascanio, Tebaldo, Fiore di Luna, Sirio, Demetrios. Tanti volti quante le fauci di drago che sfrecciarono verso Erik, dilaniando le fiere sanguinarie e azzannando poi il suo corpo.

 

Lentamente ma inesorabilmente, il Rosso Condottiero sentì la propria forza venire meno, e soprattutto le sue certezze di vittoria vacillare, una sensazione che fino a quel momento non aveva neanche immaginato. Una sensazione che gli ricordò la disillusione provata diciotto anni prima, davanti al cadavere di suo fratello, l’uomo che aveva considerato un eroe. Il suo eroe.

 

Di colpo, capì che non gli era rimasta più alcuna certezza e, in qualunque modo sarebbe terminato quello scontro, egli aveva perso.

 

Le zanne dei Cento Draghi lo raggiunsero al ventre, alle braccia, mentre frammenti di armatura schizzavano ovunque, macchiati del sangue del Dio di Vittoria. Un drago lo azzannò alla mano destra, strappandogliela, e capì che non avrebbe impugnato più alcuna scure, neppure quella di Bjorn. Un altro gli portò via un pezzo di guancia, sfregiando il suo volto più di quanto la guerra di Iisung non avesse fatto. Infine, l’ultimo drago gli sfondò il cuore, trapassandolo e portandolo con sé.

 

Esalò così l’ultimo ruggito il Comandante degli Dei di Vittoria, con il braccio destro ancora teso avanti a sé, nella posa della pugna, grondante sangue e amarezza.

 

Libra abbassò finalmente le braccia, respirando con affanno per il duro scontro. Sebbene la vera forza del suo avversario non fosse valutabile, avendo ricevuto aiuto e protezione dal suo compagno e da Loki stesso, il Cavaliere dovette ammettere di provare ammirazione per lui, nonostante il suo carattere sanguigno. Nel momento in cui aveva capito che Erik traeva forza dall’armatura, aveva diretto i suoi attacchi su di essa, distruggendola, e distruggendo con essa le speranze di vittoria di un Dio che non si era rivelato tale.

 

In quel momento il corpo di Erik crollò a terra, accasciandosi confusamente, prima che l’uomo riuscisse ad emettere un altro suono, spingendo Libra a correre da lui e a chinarsi, reggendogli la testa con una mano.

 

A fatica, Erik tentò di parlare, ma gli occhi vitrei si ritrovarono a fissare presto il cielo. Libra aveva però compreso quel che il nemico gli aveva chiesto.

 

“Hai trascorso la vita con un’arma in mano, brandendola in nome del tuo eroe personale! Che sia un’arma allora a farti dono del riposo eterno, Erik di Iisung!” –Mormorò, sollevando la spada dorata e piantandogliela nel cuore.

 

Erik sussultò un’ultima volta, poi morì. Il più grande dei cinque Sigtívar.

 

***

 

Ioria rimase ad occhi sgranati nell’udire le parole del Signore dell’Isola Sacra.

 

Com’era possibile che egli fosse responsabile della morte di Micene?! Aveva sempre saputo che suo fratello era stato massacrato da Gemini e da Capricorn. Non riusciva a capire in che modo Avalon avrebbe potuto…

 

“Non l’ho ucciso io, se è questo che ti stai chiedendo! Ma avrei potuto salvarlo! Se avessi compiuto scelte diverse, quest’oggi Micene potrebbe essere ancora vivo e lottare assieme a noi!” –Esclamò Avalon, richiamando l’attenzione del Leone d’Oro.

 

“Le vostre parole sono criptiche, mio Signore! Spiegatevi meglio, vi prego…

 

Avalon annuì, facendo cenno a Ioria di seguirlo, e si incamminò lungo un sentiero che dalla palude saliva sulla collina principale dell’isola, girandole attorno, in modo da abbracciarne la sua intera estensione. Non molto grande, in verità, ma sufficiente per permettere ai due uomini di parlare senza essere disturbati da nessuno.

 

“Micene è stato un mio allievo!” –Spiegò Avalon, sorprendendo Ioria, che non aveva mai saputo chi fosse stato ad addestrare il fratello. –“Anzi, Micene era il mio allievo! E, per molto tempo, ho creduto che fosse destinato a succedermi alla guida dell’Isola Sacra, il giorno in cui avrei esaurito il mio compito! Era un ragazzo talentuoso, dotato di grandi capacità di apprendimento, fisiche e mentali, che lo avevano portato a sviluppare in poco tempo una forza fuori dal comune! Persino tra i suoi pari, voi i Cavalieri d’Oro, ben pochi avrebbero potuto tenergli testa… se fosse divenuto il Cavaliere che avrei voluto divenisse!” –E nel dir ciò si abbandonò ad un sospiro, camminando per qualche minuto in silenzio, mentre una brezza leggera solleticava il manto d’erba che si estendeva attorno al sentiero, scuotendo i rami degli alberi di mele.

 

Voi… sapete quel che accadde quella notte?!”

 

“Sapere?! Ooh, molto di più! Io vidi quello che accadde!” –Esclamò Avalon, fermandosi e voltandosi di scatto verso il Cavaliere d’Oro. –“E l’ho rivisto per anni, senza bisogno di muovere le acque del Pozzo Sacro per rinverdire i ricordi, vividi nella mia mente! Anche adesso, riesco a sentire le stesse voci di dolore! Gli stessi frammenti di presente!”

 

“Ho conosciuto il tuo allievo! E devo dire che in parte ti somiglia!” –Gli aveva detto quel pomeriggio la figura maestosa a cui si era recato a fare visita.

 

“Davvero?! E in cosa mi somiglia, Sommo Ra?”

 

Amon Ra, Dio egizio del Sole, si ergeva al suo fianco, splendido nella sua Veste Divina decorata da strisce d’oro. Nonostante avesse trascorso gli ultimi secoli rinchiuso in una prigionia personale, l’aria del presente sembrava avergli reso tutte le forze, consapevole forse che ne avrebbe avuto bisogno per fronteggiare l’ombra.

 

“Nei suoi occhi c’è la tua determinazione, la tua fede incrollabile, la strada verso il futuro!”

 

Avalon aveva annuito, muovendosi per uscire da Karnak, ringraziando la Divinità per il banchetto privato che gli aveva offerto, durante il quale avevano avuto modo di parlare di suo figlio, Febo, appena giunto sull’Isola Sacra per essere addestrato. Il primo di tanti clandestini incontri tra le due potenti entità.

 

“Pur tuttavia…” –Lo aveva richiamato Amon Ra. –“Qualcosa di terribile presagisco! Qualcosa su cui neppure noi Dei abbiamo il potere! Una maledizione, sì, che grava sul tuo allievo! Ooh, perdonami, Signore dell’Isola Sacra, sei giunto fin qua, nelle calde terre d’Egitto, per portarmi buone notizie sulle sorti di mio figlio ed io come ti ricambio? Parlandoti di un maleficio che aleggia sul tuo allievo! Penserai che sia uno zotico!”

 

“No, Dio del Sole, penso che la tua fama corrisponda alla verità, e che l’occhio di Ra sia davvero in grado di vedere laddove gli altri occhi non riescono!” –Aveva risposto Avalon, prima di scomparire e tornare in Britannia.

 

Ore dopo, quella stessa notte, aveva sentito una lama d’ombra trafiggergli il cuore. Si era alzato dal giaciglio dove riposava, correndo affannosamente fino al Pozzo Sacro, le vesti argentee che fluttuavano sull’erba, una lanterna in mano. Ma non aveva potuto vedere niente, poiché le acque erano nere.

 

Allora aveva fatto ciò che il suo maestro gli aveva insegnato, aveva chiuso gli occhi per osservare con una vista diversa. E aveva rivissuto in prima persona quel che era accaduto al Grande Tempio di Atene.

 

Aveva sentito l’angosciato respiro del fasullo Sacerdote, aveva visto il gladio d’oro scintillare pallido, prima di calare sulla culla dell’infante Dea, e il sangue del suo allievo macchiarlo poco dopo, sventando l’assassinio. Poi le immagini si erano accavallate frenetiche, tra grida disperate, armi e fuga, e quando gli era stato chiaro dove lo avrebbe trovato, Avalon aveva deciso di fare ciò che nessun Signore dell’Isola Sacra aveva fatto fino ad allora. Era scomparso, deciso ad interferire negli eventi in corso.

 

Si era ritrovato ad Atene, presso le rovine del Partenone, le prime luci dell’alba che sorgeva da est, pochi attimi dopo che Alman di Thule se ne era andato. Con la piccola Isabel e l’armatura del Sagittario. Il corpo di Micene giaceva di fronte a lui, debole e febbricitante, solcato da tagli aperti e lividi. Lo aveva sfiorato, avvolgendolo nel suo cosmo, fino a farlo voltare e rendersi conto che degli occhi vispi in cui si era specchiato per anni era rimasto ben poco.

 

Ma… estro…” –Aveva mormorato tramite il cosmo il Cavaliere di Sagitter.

 

“Non parlare! Ti porterò in salvo!”

 

“No!” –Due sole lettere. Una sola parola. L’ultimo desiderio dell’allievo in cui aveva riposto la fiducia nel futuro.

 

Così era spirato tra le sue braccia, il più valente dei Cavalieri d’Oro di Atena.

 

“Avrei potuto salvarlo… se avesse voluto! Se avessi voluto…” –Mormorò il Signore dell’Isola Sacra, spostando di nuovo lo sguardo su Ioria, che aveva ascoltato in silenzio il suo racconto, incapace di dire qualsiasi cosa, incapace persino di rivivere quei momenti tristemente noti. –“Ma lui si oppose! Micene era convinto che esistesse una sola vita per ognuno di noi e che fosse proprio questa unicità a renderla così bella, così importante, così degna di essere vissuta! La certezza di non averne un’altra a disposizione dovrebbe spingere ogni uomo a dare il massimo, a viverla intensamente, senza rimpianti! Così fece lui, portando all’estremo questo suo credo, morendo… per qualcosa in cui credeva!

 

Rispettai la sua scelta, tenendogli la mano ancora per pochi secondi, il tempo sufficiente per sentirla lasciare la presa e ricadere al suolo, finalmente in pace!” –Sospirò Avalon, trattenendo un singhiozzo, come invece non era stato in grado di fare quella mattina di quindici anni prima. –“Sollevai infine il suo corpo, avvolgendolo nel mio mantello, e lo portai ad Avalon! Volevo che avesse il rito funebre che spettava ad un eroe suo pari, non che finisse anonimo e disonorato in chissà quale fossa comune! Così lo pulii, gli diedi abiti nuovi e assieme ai druidi miei compagni lo portammo sull’alto colle di Avalon, dove allestimmo una pira in suo onore! Proprio qua…” –Aggiunse, spostando il braccio e mostrando a Ioria la sommità del rilievo ove erano giunti camminando.

 

Una spianata verde circondata da alti megaliti di pietra, simili a quelli che il ragazzo aveva visto a Stonehenge nelle foto degli atlanti di Lythos, qualche anno addietro.

 

“Ecco perché il suo corpo non fu mai trovato…

 

Avalon annuì, portandosi col Cavaliere al centro del cerchio sacro.

 

“Al Grande Tempio misero una tomba fittizia, per dissipare ogni ansia! Lo stesso Arles cercò il cadavere di tuo fratello per anni, senza trovarlo, roso addirittura dal dubbio che potesse essere ancora vivo!” –Spiegò Avalon, prima di aggiungere rattristato. –“E avrebbe potuto esserlo… Invece è passato oltre, in un luogo dove non possiamo raggiungerlo, per adesso! Ma il suo spirito, forte e tenace, è perdurato, rimanendo nell’armatura d’oro e sollevandosi ogni volta che la giustizia sulla Terra è stata minacciata! Come ha aiutato te contro i Titani, e Pegasus e i suoi compagni nelle battaglie che hanno sostenuto, e come continuerà a fare fino all’ultima guerra!”

 

“Perché mi state dicendo tutto questo?” –Domandò infine Ioria, la voce in parte rosa dalla rabbia.

 

“Perché per anni sono stato convinto di aver agito bene, rispettando la volontà di Micene, convinto che ogni cosa avesse il suo posto nell’universo! I Cavalieri nascono per combattere, gli Dei per essere venerati e i controllori per controllare e garantire l’equilibrio!” –Sospirò Avalon. –“Ma oggi una decisione di Zeus ha minato per la prima volta le mie certezze, portandomi a chiedere cosa sarebbe stato se… portandomi a chiedere cosa sarebbe accaduto se avessi alterato l’equilibrio che sono preposto a difendere!”

 

Ioria non parlò, continuando ad osservare l’enigmatico uomo che aveva di fronte.

 

“Di certo Micene avrebbe compiuto grandi imprese e tu non avresti sofferto quel che invece hai patito per anni! Perdonami se puoi, Ioria del Leone, perdona il responsabile del tuo dolore! Non ti biasimo se mi odi, anzi lo comprendo, ma ciò che ho fatto, o che non ho fatto, non è stato per indolenza o malvagità, ma per rispettare la volontà di tuo fratello, convinto che tutto, persino lui stesso, facesse parte dell’equilibrio, un equilibrio che nessun baro può permettersi di manipolare!”

 

Il Cavaliere di Atena rimase ancora in silenzio, prima di volgere le spalle al Signore dell’Isola Sacra e muovere qualche passo all’interno del cerchio di pietre, respirando a fondo l’aria di quel paesaggio, che pareva trarre origine e forza da millenni di storia.

 

“Per troppo tempo il mio cuore angosciato ha coltivato l’odio, verso un eroe che non era tale, corrompendo il mio animo e abbandonandomi al rancore! Di questo, per tredici anni, mi sono cibato!” –Avalon fece per intervenire ma Ioria sollevò una mano, pregandolo di farlo terminare. –“Solo in seguito ho capito che tutto quell’odio non era per mio fratello, ma per me! Per non aver capito! Per non aver creduto in lui! Scoprire la verità, scoprire quel che probabilmente avevo sempre saputo ma ero stato troppo vigliacco per ammettere, è stata per me una liberazione, un’esplosione di gioia come nessun’altra nella mia vita! Non ho intenzione di tornare indietro, Signore dell’Isola Sacra, non ho intenzione di tornare a odiare, né me stesso né voi, il maestro di mio fratello, colui che ha contribuito a renderlo il grande uomo che è stato!”

 

Avalon sorrise, lasciando ancora qualche minuto a Ioria per assimilare tutte le notizie che gli aveva riferito e per permettergli di inspirare a fondo l’ancestrale aria che permeava la sommità dell’Isola Sacra, in modo da trarne la forza necessaria per abbattersi come un leone sui suoi nemici.

 

“Prima di andartene, c’è una cosa che voglio darti!” –Gli disse poco dopo, sulle soglie della sua dimora, porgendogli un sacco. –“Sono gli abiti di Micene, i suoi calzari, la sua tunica, persino la fascia che legava intorno alla testa nell’allenamento! Li ho conservati per anni, certo che un giorno avrei avuto occasione di darteli!”

 

Ioria lo ringraziò, stringendo il fagotto al petto quasi come contenesse reliquie, prima di discendere insieme il versante dell’Isola Sacra, dirigendosi verso il molo di legno vicino al quale si era ritrovato dopo il teletrasporto.

 

“Il tuo ruolo non deve essere facile, Signore dell’Isola Sacra, amato e al tempo stesso odiato da molti! Hai in mano i destini del mondo, ma dubito che tu ne sia felice, perché ne percepisci il peso, proprio come Micene percepì il peso della scelta che fece quella notte, quando salvò la bambina in fasce mosso solo dal cuore!” –Parlò Ioria, continuando a scendere assieme ad Avalon. –“Continua nella tua opera, tira a dritto, e non curarti delle critiche, che sempre pioveranno, anche sugli uomini onesti! Io farò altrettanto, continuando l’opera di mio fratello! Il martirio di Micene, l’infamia che ha segnato il suo nome, saranno esempio per tutti noi!”

 

“Sei proprio l’erede di Adamant!” –Disse Avalon, ringraziandolo con un sorriso.

 

“Chi è costui? Il suo nome non mi è nuovo…

 

“Forse tuo padre, il valoroso Agamennone, te ne parlò quando eri un ragazzino! Era un eroe, un Cavaliere dei tempi antichi. E come tale era un uomo solo! Come te!”

 

“E anche come te!” –Commentò Ioria.

 

“Micene lo era, io non credo di esserlo, un eroe!” –Sospirò Avalon, avvolgendo il Cavaliere d’Oro nel suo cosmo e osservandolo svanire nell’aria. –“Che le tue zanne siano sempre pronte a combattere per la giustizia, giovane Leone, perché neppure Adamant e Micene potranno aiutarci per contrastare la marea d’ombra!”

 

“Ti sei tolto finalmente un peso!” –Esclamò una voce alle sue spalle.

 

Avalon si voltò, annuendo al suo maestro, il Primo Saggio della fratellanza dei druidi, incamminandosi al suo fianco verso il Pozzo Sacro. Sentiva che l’altro suo allievo, quello che aveva preso il posto di Micene, dopo la sua dipartita, aveva bisogno di lui.

 

***

 

Ioria ricomparve esattamente dove Avalon lo aveva trascinato via, nel cuore della battaglia che opponeva i soldati di Atena agli ultimi invasori.

 

Con un ruggito si abbatté sui Soldati di Brina ancora in vita, sorpresi dalla sfolgorante apparizione, che non ebbero la prontezza di sollevare le armi, venendo dilaniati dalle fauci del re delle fiere e scaraventati in aria, le corazze fumanti energia cosmica.

 

Soltanto un gruppo rimase in piedi, ammassandosi compatti e sollevando congiuntamente le lance in modo da dirigere un unico raggio di energia congelante verso il Cavaliere di Atena.

 

“Stolti!” –Mormorò Ioria, rotolando di lato, evitandolo, prima di piantare un pugno nel terreno e scaricarvi il suo cosmo d’oro. –“Lightning Fang!” –Gridò, osservando numerose folgori di luce sorgere dal suolo ai piedi dei Soldati di Brina, distruggendo le loro armi e schiantando i loro corpi tra grida acute.

 

Dopo che anche l’ultimo nemico crollò a terra, Ioria si rimise in piedi, volgendo lo sguardo verso la scalinata che conduceva alla Casa dell’Ariete, sui gradini della quale Libra si era appena seduto, stanco per il combattimento sostenuto. Il Cavaliere di Leo gli si avvicinò, ma prima che entrambi potessero parlare percepirono una violenta esplosione di energia dilaniare il Santuario dall’interno. Ioria sollevò lo sguardo sulla Collina della Divinità, fino a posarlo sulla ricostruita Sesta Casa e capire cosa stava accadendo.

 

Il Cavaliere di Virgo era nel pieno di uno scontro mortale.

 

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Capitolo 31
*** Capitolo ventinovesimo: Frammenti di passato ***


CAPITOLO VENTINOVESIMO: FRAMMENTI DI PASSATO.

 

Sedeva Virgo in intensa meditazione al centro della Sesta Casa. Da ore cercava di comprendere cos’era quell’ansia infinita che l’aveva aggredito quella mattina, poco prima che Atena raggiungesse il Grande Tempio. Per questo motivo aveva rifiutato di prendere parte alla riunione che si era svolta alla Tredicesima Casa, rinchiudendosi in un volontario isolamento. Doveva capire. Sì, doveva scavare a fondo nelle memorie del mondo per capire cosa stava realmente accadendo, conscio di possedere le capacità per farlo.

 

Il risveglio dei morti. Lo scioglimento degli antichi legami. La liberazione di creature infernali. Il crollo del Ponte Arcobaleno, la tremula via che collegava il mondo degli uomini con quello degli Dei. E, su tutti, un’ombra senza fine, che freddi venti stavano diffondendo in modo che ricoprisse l’intero pianeta.

 

Virgo era certo che tutti quegli eventi fossero collegati tra loro, al pari delle guerre sostenute di recente e che avevano illusoriamente creduto fossero giunte a termine.

 

Chi era davvero Flegias? Possibile che il figlio di un Nume Olimpico disponesse di tutto quel potere, superiore persino a quello dei suoi divini fratelli, Paura e Terrore? Si chiese il Custode della Porta Eterna. E perché non riesco a trovarne traccia in alcuno dei sei Mondi di Ade?

 

Non era mai accaduta una cosa simile, soprattutto relativa ad un uomo che all’Inferno doveva per forza essere finito. Nessun Paradiso dei Cavalieri, nessun Elisio, nessuna beatitudine ultraterrena poteva essergli stata prospettata a causa dei malvagi comportamenti avuti. Eppure l’Ade sembrava ignorarlo, sebbene Virgo avesse incontrato impreviste difficoltà nello scandagliare con il cosmo l’Aldilà, incerto se esistesse ancora nelle forme con cui lui stesso lo aveva conosciuto o se, dopo la morte di Sire Ade, anche il regno da lui dominato non avesse mutato conformazione.

 

Un’evoluzione continua. Così era la vita. Lui stesso ne aveva avuto prova nell’ultimo anno, quando aveva attraversato fasi diverse, diventando meno freddo nei rapporti interpersonali e abbandonando parte di quel superomismo dal cui alto gradino aveva sempre guardato gli altri. Ed erano state delle persone comuni a permettere che ciò accadesse, persone che, nella divisione in caste tipica della società indiana in cui era cresciuto, avrebbero occupato l’ultimo gradino della scala sociale.

 

Phoenix in primis, che gli aveva insegnato il significato di una virtù da Virgo nota ma accantonata. L’amicizia. E i suoi discepoli, Pavit, Tirtha e Dhaval, che lo avevano salvato da morte certa, nonostante egli li avesse dimenticati. A loro, Virgo doveva la sua nuova vita. E, per onorarli, avrebbe dato fondo a tutte le sue risorse al fine di far luce sul mistero che li circondava, un mistero ben più oscuro di come appariva.

 

È stato atteso per anni, ma  Ragnarök si è verificato soltanto adesso. Perché adesso, alla fine di questo millennio? Certo non è data casuale. E chi era questa Veggente, o Volva, che lo profetizzò? Come poteva sapere quel che sarebbe accaduto? Possedeva davvero una Vista così acuta da poter mirare secoli e secoli nel futuro? O i suoi erano soltanto i timori di una vecchia che aveva vissuto sulla propria pelle gli orrori di un tempo che temeva si sarebbe presentato di nuovo?

 

Virgo non seppe rispondersi, ma continuò le proprie meditazioni, lasciandosi cullare dal vento del tempo e vagando indietro, agli albori della storia. Per un momento gli sembrò quasi di vederla, la Veggente. Un’esile donna, vestita di grigio, un abito quasi monacale, con un cappuccio sulla testa. Spaventata, si guardava intorno ma… intorno non vi era niente. Solo un colle erboso, costellato da alberi di mele, sprofondato in una coltre di nebbia. Così fitta che pareva non avere fine.

 

Una luce baluginava fioca sulla fronte della donna, una mezzaluna azzurra, dipinta a mano con una tinta naturale.

 

Virgo la osservò discendere il colle, lasciandosi le nebbie alle spalle, e incamminarsi verso la solitudine. La perse di vista, faticando a mantenere la concentrazione su visioni che non riusciva a comprendere, visioni che sfuggivano al suo raziocinio.

 

Quando riuscì a focalizzare di nuovo l’immagine, realizzò che la Veggente stava correndo, ma si era mutata in un carro di luce. No, non era lei. Era il sole che roteava attorno alla Terra, portando agli uomini luce e speranza. Alle sue spalle un serpente gigantesco correva per raggiungerlo, le fauci aperte e pronte a liberare veleno.

 

Nell’aria risuonavano parole di un canto che Virgo conosceva, avendo studiato tale cultura. Chinati davanti a te stanno gli dei, lodando la forza del creatore. Re e capo di ogni dio, noi celebriamo la tua forza perché tu ci hai creati. Ti veneriamo perché tu ci hai formati.

 

Versi tratti dagli Inni di Amon.

 

Amon Ra e Apopi? Mormorò il Custode del Sesto Tempio, il volto una maschera di sudore, ricordando uno dei capisaldi della mitologia egizia. Il ciclo del sole che rinasce ogni mattina, dando vita a un nuovo giorno, come dopo ogni morte segue una nascita.

 

Cosa stava accadendo? Perché le immagini del grande carro su cui il Dio del Sole Egizio e il Serpente del Caos combattevano ogni notte si affastellano nella mia mente? Si chiese, prima di realizzare che nuovamente la scena era cambiata, espandendo lo scontro tra le due ancestrali Divinità in una vera e propria guerra.

 

Eserciti bardati di scure armature, dalle forme inquietanti, marciavano sotto un sole nero alla volta di un colle dove scintillavano fiori di luce. Spade levate assieme, canti di gloria e di morte, propositi di vendetta. E sagome corazzate di figure che lui stesso aveva incontrato anni addietro.

 

I Titani.

 

Virgo riconobbe la postura fiera di Iperione dell’Ebano che avanzava di fronte ai soldati da lui comandati, dando l’esempio ai martiri che quella guerra avrebbe generato. Al suo fianco l’adorato fratello, Ceo del Lampo Nero, e il folle sguardo di Giapeto delle Dimensioni, che guardava a vista l’amata Temi. Già all’epoca il loro amore era così forte da ribaltare mondi.

 

La Titanomachia. La cruenta guerra che i discendenti di Gea e Urano avevano scatenato per riprendere l’Olimpo da cui Zeus li aveva cacciati. L’Olimpo che loro stessi, grazie all’uccisione di Urano per mano di Crono, avevano conquistato con il sangue, dando il via alla seconda generazione cosmica, quella che aveva seguito la prima, degli Dei primordiali.

 

Solo pochi anni fa siamo riusciti a evitare che il mondo conoscesse di nuovo una simile carneficina Mormorò, quando qualcosa spezzò la sua concentrazione. Fu un attimo, ma sufficiente per interrompere la visione e il viaggio nei ricordi del mondo.

 

Qualcuno era entrato nella Sesta Casa.

 

Con gli occhi ancora chiusi e le mani giunte in grembo, Virgo scandagliò le mura della propria dimora per individuare la presenza che aveva percepito. Leggera, come un fiocco di neve, ma reale. La sentiva, così vicina a lui.

 

Infine la trovò, e rimase sorpreso nel constatare che si trattava di una fanciulla, magra e dal carnato emaciato. Gli occhi erano spenti, privi di colore, e i capelli grigi poco curati ricadevano su vesti grinzose così fini che sembrava non le indossasse neppure. Camminava scalza sul ricostruito pavimento di marmo del Tempio della Vergine, ma i suoi piedi non producevano alcun rumore.

 

“Ad un uomo normale saresti potuta sfuggire! Forse anche ad un Cavaliere!” –Parlò infine Virgo, senza muovere le labbra, ma lasciando che fosse il suo cosmo a raggiungere l’imprevisto ospite. –“Ma non a me!”

 

“Lo so!” –Rispose prontamente lei. E quelle due parole ghiacciarono il Custode Dorato, che accigliò lo sguardo, pur senza aprire i suoi occhi, tentando di penetrare nella sua anima. Ma non vi riuscì.

 

Un muro di vuoto la protegge. Un muro che sembra composto di… niente.

 

“Chi sei?” –Domandò allora, mentre l’esile fanciulla, quasi incorporea, si fermava al centro del salone principale, proprio dove Gemini, Acquarius e Capricorn avevano espresso il loro proposito di prendere la testa di Atena.

 

“Il tuo rimpianto!” –Rispose, muovendo un altro passo avanti. E un altro ancora, fino a portarsi a pochi metri dal Cavaliere della Vergine. –“Mi sorprende che tu non mi riconosca, maestro! Hai già accantonato quel rimpianto?”

 

Virgo, incredulo, inarcò un sopracciglio, prima di parlare con voce adirata. –“Mentitrice! Vi è una sola persona che potrebbe rivolgersi a me in questo modo, e quella persona è morta due anni fa!”

 

Uccisa da me! Aggiunse il suo cuore ferito.

 

“Ma adesso è qua, per vendicarsi del suo carnefice, l’uomo che amava più di ogni altro al mondo! L’uomo che rimase impotente ad osservarla morire!” –Esclamò lei, allungando il braccio e sfiorando il collo del Cavaliere d’Oro, torcendogli il viso verso l’alto e obbligandolo a guardare.

 

Virgo spalancò gli occhi, perdendosi nello sguardo della fanciulla. In quegli occhi vitrei da cui trasudava il nulla. In quegli occhi che un tempo erano appartenuti ad Ana, Sacerdotessa del Pittore, e sua allieva.

 

***

 

Artax guidò Cristal lungo le desolate distese di Niflheimr, dove nessuno dei due avrebbe pensato di tornare. Nonostante il rigido clima fosse per loro più sopportabile che non l’infuocata landa di Muspellsheimr, il continuo turbinare di tempeste di neve e la nebbia perenne non favorivano la loro avanzata, al punto che persino Artax in alcuni momenti era stato dubbioso sulla direzione da seguire. Ma non aveva detto niente, rifiutando di farsi vedere indeciso dall’antico rivale, ed era andato avanti.

 

Cristal, dal canto suo, lo aveva seguito senza aprire bocca, ben sapendo che senza il suo aiuto starebbe ancora girando attorno alla Porta dell’Inferno. Aveva udito, in un paio di occasioni, una voce lambire il suo orecchio, una voce dolce che gli aveva scaldato il cuore e che era certo appartenesse a Flare. Preghiere a cui la Principessa si era abbandonata nella sua solitudine. Ma non era riuscito a individuarne la provenienza, sia a causa dell’oscura nebbia che inibiva i sensi, sia a causa dell’infiammarsi di cosmi che striavano il cielo di Hel. Cosmi che, lo sapeva, appartenevano ai Vani guidati da Freyr intenti a fermare i Giganti di Brina. In quello sfrigolare continuo, Cristal parve riconoscere anche un paio di cosmi noti, ma non seppe dirsi con certezza da dove provenissero, né se fossero al contrario frutto della sua immaginazione, del suo desiderio di sapere i compagni vivi.

 

“Ci siamo!” –La voce di Artax, artefatta dalla visiera dell’elmo, lo distrasse dai suoi pensieri, mentre il ragazzo aumentava l’andatura, indicando una macchia nera che si apriva di fronte a loro. Una chiazza evidente nella sterminata distesa di bianco.

 

Appena varcata la Porta di Hel, il Cavaliere di Asgard gli aveva spiegato che Lyngi era l’isola dove gli Asi avevano incatenato Fenrir millenni addietro, al centro di un lago sotterraneo nel profondo inferno. Se Loki, dopo aver superato Bifrost, si era occupato personalmente della liberazione dei figli, era probabile che avesse lasciato Flare proprio là. Portarsela dietro, a quel punto, l’avrebbe resa soltanto un’inutile zavorra, facendola oggetto dell’insaziabile appetito di una qualche orrida creatura.

 

Con un balzo, Cristal e Artax entrarono nell’enorme caverna sotterranea, affondando nelle vischiose acque del lago Amsvartnit. Disgustato da quel fetido odore, il Cigno espanse il proprio cosmo, congelandole interamente, permettendo ai due Cavalieri di corrervi sopra, in direzione dell’isoletta. Brulla e con pochi massi sparsi, a uno dei quali una piccola figura era stata incatenata.

 

Flare!!!” –Gridò Cristal, lanciandosi avanti, prontamente affiancato da Artax. Ma la Principessa di Asgard non rispose, avendo perso conoscenza a causa del freddo e delle emozioni provate.

 

Non riuscirono però a raggiungerla che una folata di vento gelido li strattonò, sollevandoli da terra e spingendoli indietro, fino a schiantarli nell’ammasso congelato di acque stagnanti. Con le ossa doloranti, Cristal e Artax si rimisero in piedi, mirando la causa di quella corrente improvvisa.

 

Di fronte a loro, orribile come l’ultima volta in cui l’avevano vista strillare di paura sotto uno strato di ghiaccio, la figlia di Loki, Hel, Regina del Niflheimr, li osservava con i suoi occhi spaiati. Bianco e senza iride quello sul lato del volto da vecchia, blu e glaciale quello sul lato in cui aveva ancora una parvenza di donna.

 

“Ci rivediamo, Cavalieri!” –Sibilò, smuovendo la scopa di saggina che reggeva in mano. –“Vorrei dirvi che è un piacere! Ma in realtà non lo è! O per lo meno non lo sarà per voi!” –E nel dir questo mosse l’utensile verso l’esterno, in modo da generare un’onda di energia che sfrecciò verso i ragazzi, frantumando il ghiaccio al suo passaggio e obbligandoli a separarsi e a scattare ognuno in una diversa direzione.

 

“Non possiamo esitare con lei, Artax! Sappiamo di cosa è capace!” –Incalzò Cristal, concentrando il cosmo sul pugno destro e liberando la Polvere di Diamanti. Artax, dall’altro lato, concordò, unendo il proprio potere a quello del Cavaliere, dirigendo l’intero ammasso congelante verso Hel.

 

Con un sorriso bastardo, con cui mostrò i pochi e putridi denti rimasti, la figlia di Loki aprì le braccia, lasciando che le correnti di gelo le scivolassero addosso, senza smuoverla minimamente, né congelarla. Parve quasi nutrirsi di quella forza, prima di ruotare i palmi delle mani e invertire l’attacco, che si riversò contro i due Cavalieri, scaraventandoli molti metri addietro.

 

“In astuzia non siete certo maestri!” –Li sbeffeggiò Hel, incamminandosi verso di loro. Tentò di ridere, ma alle orecchie di Cristal giunse solo una raschiata di gola. –“Per chi ha trascorso la vita immerso in un gelo ben più pungente e oscuro, la vostra brezza mi solletica le gambe! Volete forse alzarmi la veste, bei ragazzi? Igh igh igh!”

 

“Cercherò di tenerla impegnata! Tu libera Flare!” –Mormorò Cristal, rimettendosi in piedi, salvo poi accorgersi che Artax, nell’urto, aveva perso i sensi.

 

“Quando Loki mi ha affidato l’ordine di ridiscendere nel Niflheimr ho tirato un sospiro di sollievo! Saprai bene che nel corso dei millenni raramente sono uscita dalla mia residenza, e se l’ho fatto, igh igh, è stato solo per portare morte e sventura!” –Sghignazzò Hel. –“Al mio passaggio le genti si chiudevano in casa, barricando le porte, come se simili difese potessero fermare la morte! Igh igh igh! Poveri stolti, la morte quando arriva non guarda in faccia a nessuno! Re e soldati, contadini e sacerdoti, ammalati si son tutti e poi caduti ad un sol colpo di ramazza!”

 

“Bastarda! Ti toglierò quell’arma che troppe vittime ha mietuto! Anche oggi, tra i valorosi Einherjar!” –Ringhiò Cristal, sbattendo i pugni avanti e liberando un vortice turbinante di energia.

 

La Dea lo sorprese di nuovo, andando incontro al suo attacco e lasciando che la sollevasse da terra, sfruttandone la spinta per balzare verso l’alto ed eseguire una capriola, non troppo perfetta, fino ad atterrare sull’isola, a un paio di metri dal corpo esangue di Flare.

 

“Che cara ragazza!” –Commentò, allungando il braccio destro verso il suo volto. –“Così delicata! Così fragile!” –Sogghignò, carezzandole il collo con dita nodose.

 

“Non la toccare!!!” –Gridò Cristal, facendo per scattare avanti. Ma bastò che Hel lo fissasse, con entrambi gli occhi, per bloccarlo sul posto, trafitto dalla consapevolezza della fragilità di quel momento. Sarebbe bastata una sola mossa, da parte della Dea, per uccidere la donna che amava.

 

“Pare che lo scontro sia già finito! Igh igh igh!” –Ironizzò Hel, intimando il Cigno di tenersi a debita distanza. –“Mio padre mi ha raccontato qualcosa sul vostro conto, Cavalieri di Atena! Pare che siate dei folli altruisti che rischiano ogni giorno la vita, nelle situazioni più disparate, solo per impedire che qualche Dio realizzi i propri progetti! Non avete freni, non avete pace, non vi curate di voi stessi, solo degli altri! Stolti siete, ma me ne rallegro! Così potrò finirti in fretta prima di raggiungere le radici di Yggdrasill e uccidere quel damerino impomatato che si ostina ad impedire ai Titani del Gelo di risalire l’Albero Cosmico!”

 

“Il Principe Freyr…” –Mormorò Cristal, mentre la Dea strappava un filo dalla scopa.

 

Saggina dell’Infermità!” –Commentò, osservando l’esile stelo allungarsi e conficcarsi nel terreno sotto i suoi piedi, prima di riapparire, neanche un secondo dopo, accanto al volto di Artax, che aveva perso l’elmo nello scontro.

 

Nooo!!!” –Ringhiò Cristal, mentre il filo si attorcigliava attorno al collo del Cavaliere di Asgard per soffocarlo. Ma quando si mosse per avventarsi su Hel, vide che la donna aveva già puntato un coltello alla tempia di Flare, e il sadico sguardo che gli rivolse gli fece capire che non avrebbe esistato un istante a piantarcelo.

 

“A te la scelta, bel biondino! Puoi tentare di salvare solo uno di loro! La ragazza che ami o il tuo rivale in amore! Non che sia una scelta difficile, me ne rendo conto, ma questa ti si prospetta! Quale scegli?”

 

Sospirando, l’allievo del Maestro dei Ghiacci socchiuse gli occhi, ripensando alle sue lezioni e a quelle apprese in seguito da Acquarius, da Abadir e da Alexer, precursore di tutti loro. Ricordava ancora il loro ultimo incontro, fuori dalla Cittadella di Midgard. Prima di andarsene, l’uomo gli aveva donato un’antica moneta, su un lato della quale era incisa un’immagine del tempio di Delfi, ove risiedeva l’Oracolo di Apollo nel Mondo Antico, sormontata da un’iscrizione in greco antico.

 

Gnôthi seautón.

 

Conosci te stesso.

 

“E conoscerai l’universo e gli Dei! In questo modo saprai quali sono i tuoi punti di forza e le tue debolezze e riuscirai a utilizzare le seconde trasformandole nei primi!” –Gli aveva spiegato Alexer, prima di andarsene.

 

“Essere freddo ed esercitare il distacco!” –Ripeté Cristal, espandendo il proprio cosmo, al punto da saturare l’intera caverna. –“È in questo modo che ti vincerò, strega!!!”

 

Nello stesso momento in cui riaprì gli occhi, lasciando esplodere il suo cosmo, accaddero molte cose, che presero di sorpresa la figlia di Loki. Il filo di saggina che stava soffocando Artax si congelò, andando in frantumi e liberando il ragazzo, che subito balzò in piedi, sia pur dolorante e ferito, temendo per Flare. Il pugnale che Hel stringeva in mano venne rivestito da uno strato di ghiaccio così consistente che inglobò persino la mano stessa e parte del braccio, per quanto la Dea si dimenasse tentando di distruggerlo. Così facendo, perse di vista Cristal, che scattò verso di lei alla velocità della luce, con il pugno carico di energia cosmica, colpendola in pieno petto e scaraventandola molti metri addietro, sull’altro versante del lago. Non la vide schiantarsi a terra, ma ne sentì il fragore, proprio mentre si chinava su Flare, congelando le catene e spezzandole.

 

La giovane Principessa era molto debole e aveva il volto pallido, per la paura e per aver sopportato ore di freddo così intenso, ma mosse comunque la testa nella sua direzione, incrociando gli occhi azzurri del ragazzo.

 

Sei… tu…” –Riuscì a mormorare.

 

“Sì, sono davvero io!” –Le sorrise Cristal, sollevandola e baciandola delicatamente sulle labbra. –“Ti amo! Per gli Dei, ti amo davvero! Avevo paura di dirlo, avevo paura che questo amore fosse troppo grande per noi, che non ne fossimo degni, ma l’idea di perderlo, di perderti, mi avrebbe ucciso mille volte di più!”

 

Ti… amo anch’io!” –Rispose la Principessa di Midgard, lasciandosi abbracciare.

 

Fu la voce di Artax a interrompere quel momento di ritrovata intimità.

 

Cristaaal!!! Attento!!!” –Gridò, sfrecciando avanti avvolto nel suo cosmo rossastro. Hel si era infatti ripresa e stava piombando su di loro con la scopa tesa e migliaia di fili di saggina pronti a stritolarli, come fossero venefici serpenti.

 

Artax la raggiunse in volo, proprio sopra la testa di Cristal e Flare, colpendola con un getto di energia infuocata, che incendiò i fili di saggina, facendo imbestialire Hel.

 

“Di che t’impicci, fallito?!” –Ringhiò, muovendo la ramazza e scaraventando Artax in alto, travolto da un’onda di energia che lo schiantò contro il soffitto della caverna, distruggendolo, facendolo poi precipitare a terra.

 

“Maledizione! Artax!!!” –Cristal strinse i pugni, depositando Flare a terra e pregandola di rimanere nascosta. –“Dietro quel grosso masso!” –L’unico rilievo che poteva dirsi tale su quell’isterilita isoletta.

 

“Fatti avanti, strega malvagia!” –Esclamò, mentre un cigno ad ali aperte appariva alle sue spalle, simbolo della sua costellazione. –“Aurora del Nord! Via!!!”

 

Hel tentò di parare l’assalto roteando la scopa, ma l’onda di energia che provocò fu troppo debole per contrastare l’impeto dell’aurora, venendo dispersa e facendo sì che l’arma della Dea venisse raggiunta, congelandosi e andando in frantumi.

 

“Finalmente!” –Mormorò Cristal. –“Uno strumento di tortura durato per secoli che adesso ha smesso di mietere vittime!”

 

“Non solo con la scopa posso causare la morte!” –Rispose Hel con voce infastidita per la perdita dell’antico utensile, uno dei pochi compagni che l’aveva seguito per tutta la sua lunga e solitaria vita. Così dicendo mosse il braccio destro, finora rimasto intrappolato nel ghiaccio, lasciando che Cristal notasse un baluginare intenso provenire proprio dall’interno dello strato di gelo. Una luce che andò aumentando, fino ad esplodere, liberando l’arto e il coltello.

 

Co… cos’è questa luce?!” –Mormorò, tappandosi gli occhi con una mano, disturbato da quell’improvvisa luminescenza, una violenza alla retina abituatasi alla caliginosa aria del Niflheimr.

 

“È la luce di cui in vita non ho mai goduto!” –Spiegò Hel, mentre tutto il suo corpo parve ricoprirsi di quel manto dorato. –“Perché Odino me ne privò, relegandomi qua sotto, con due servi sciatti come compagni, una reggia a forma di bara come casa e un letto di malattia dove giacere da sola! Anch’io avrei voluto godere della luce del sole, magari giacendo con Balder lo Splendente, ma mi sono dovuta accontentare di immaginarlo, ascoltando i racconti di coloro a cui strappavo la vita, invidiosa che a loro fosse stato concesso di esporvisi! La rabbia che ho covato per secoli adesso la riverserò su di te, sventurato Cavaliere di Atena! Disgrazia abbagliante!!!” –Gridò, sollevando le braccia aperte di lato e lasciando che dal suo corpo sorgesse un’onda luminosa che sfrecciò avanti, fagocitando tutto quel che trovava sulla sua strada, schiantandosi su Cristal e scaraventandolo indietro, tra i frammenti del terreno distrutto e della corazza danneggiata.

 

Quando il ragazzo si mosse per rialzarsi si accorse che Hel era già su di lui, col braccio teso e Sulltr in mano. Fece per evitare l’affondo, ma non vi riuscì completamente, venendo ferito di striscio ad un braccio. Tremò, realizzando che il suo corpo non rispondeva completamente ai suoi impulsi cerebrali. Una mano in particolare sembrava fremere, scossa da una febbre improvvisa. E una fitta lo aveva invaso ad una gamba, portandolo a trattenere un grido.

 

Igh igh igh! Portatrice di morte e di malattia sono! Un uomo normale sarebbe già crepato, implorando ai miei piedi di recidere lo stelo della sua vita, ponendo fine alle sue sofferenze, ma tu, che tanto ami sacrificarti per gli altri, ti crogiolerai ancora un po’!” –Ridacchiò Hel, avventandosi di nuovo su Cristal, ma venendo quella volta fermata da una serie di cerchi concentrici di ghiaccio che la avvolsero.

 

Anelli… del…” –Rantolò il Cavaliere, cercando di rimettersi in piedi e accorgendosi di sputare ogni volta che apriva la bocca, scosso anche da conati di vomito. Quale che fosse la malattia che Hel aveva scelto per lui, i suoi effetti si stavano facendo sentire.

 

“Allunghi solo la tua sofferenza…” –Mormorò la Dea, spalancando le braccia e liberando il suo attacco, che distrusse gli anelli di ghiaccio esponendo nuovamente Cristal al suo potere.

 

Fu allora che il ragazzo notò un movimento sull’isola, su cui non aveva più posato lo sguardo da quando Hel aveva iniziato a brillare. Artax si era ripreso e aveva raggiunto Flare in silenzio sul piccolo rilievo, sia per sincerarsi delle sue condizioni, sia per prestare aiuto al Cavaliere del Cigno.

 

Un rumore di ciottoli fece voltare d’istinto Hel, proprio mentre il grosso masso che Artax aveva spinto piombava su di lei. Con un agile balzo, la Dea lo evitò, proprio come il Cavaliere di Asgard aveva previsto.

 

Soffio del Meriggio!” –Tuonò, dirigendo torrenti di fuoco su di lei, ancora in aria, che non ebbe problema alcuno nel disperderli, annientandoli poi con la Disgrazia abbagliante, che come l’onda di un maremoto si abbatté violenta sull’isola.


Artax si buttò su Flare, spingendola a terra e proteggendola con il suo corpo, mentre l’attacco strideva sulla sua armatura già danneggiata, schiantandola in più punti. A denti stretti, il ragazzo sogghignò, consapevole di aver dato a Cristal un momento per recuperare le forze e liberare il più potente dei suoi attacchi.

 

Per il Sacro Acquarius!!!” –L’imperiosa voce del Cavaliere del Cigno confermò i suoi pensieri, permettendogli di tirare un sospiro di sollievo mentre aiutava Flare a rialzarsi.

 

Disgrazia abbagliante!!!” –Rispose Hel, voltandosi e cercando di fronteggiare la devastante corrente fredda che Cristal gli aveva appena scatenato contro. Ma la maggior potenza dell’assalto e la lentezza con cui si era opposta permisero alle divine acque dell’aurora di aver ragione della malattia, travolgendo la Dea e sommergendola in un rozzo ammasso di ghiaccio, da cui rimase fuori soltanto la testa.

 

Per non ripetere errori del passato, il Cavaliere di Atena scattò avanti, il cosmo biancastro che ricopriva il braccio destro, teso verso l’alto. Hel parve comprendere quel che sarebbe accaduto e si abbandonò ad un ultimo disperato grido, forse il primo momento di vero terrore della sua lunghissima esistenza.

 

Spada di Ghiaccio!!!” –Gridò Cristal, generando un fendente di energia congelante che recise la testa della figlia di Loki, facendola rotolare per molti metri sul terreno distrutto.

 

Fissandola un’ultima volta, disgustato, il Cavaliere la vide caricarsi di un’ultima luce, la stessa che invase il resto del corpo, venendo da esso inglobato, prima di esplodere. Tutto andò in frantumi, spingendo persino Cristal, e Artax e Flare, indietro di qualche metro. Quando si voltarono di nuovo, di Hel non era rimasto niente.

 

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Capitolo 32
*** Capitolo trentesimo: Un rimpianto perduto ***


CAPITOLO TRENTESIMO: UN RIMPIANTO PERDUTO.

 

L’onda di energia psichica scaraventò il Cavaliere di Virgo contro il bassorilievo che si ergeva alle spalle del trono sopra il quale era solito meditare. Accadde tutto in un attimo, mentre, con la mano di quella donna che le torceva il collo, obbligandolo a specchiarsi nei suoi occhi, ancora rifletteva sulla veridicità o meno delle sue parole.

 

“Per i Sigtívar io sono Modhgudhr, la fanciulla che alle porte di Hel controlla che coloro che varcano la soglia abbiano il pallore tipico dei morti, per Loki sono uno strumento di vittoria.” –Parlò la donna dalle eteree quanto orride sembianze. –“Tu puoi chiamarmi come ti aggrada, anche Ana se quel nome ha ancora un significato per te, oltre a quello dell’allieva che tradisti. A me, di tutto ciò, ben poco mi cale, poiché i nomi sono etichette che gli uomini affibbiano alle cose, per soddisfare il loro bisogno di razionalizzare tutto, ma le cose di per sé sono, qualunque nome l’uomo dia loro. E la loro essenza va oltre.”

 

“Che stai dicendo?” –Rantolò Virgo, rialzandosi e portandosi d’istinto una mano alla gola, quasi come sentisse ancora i segni di una presa in grado di togliergli il respiro. –“Tu sei Ana, la mia allieva, la Sacerdotessa del Pittor…”

 

“Taci!” –Sibilò lei, schiantando il Cavaliere d’Oro contro il bassorilievo alle sue spalle, con la sola forza del pensiero.

 

Anzi no, rifletté il Custode della Porta Eterna. Ana non usa alcun potere segreto, non possiede alcuna dote psicocinetica. Lei semplicemente desidera che le cose accadano, che gli oggetti si muovano, e ciò si verifica.

 

“Analisi eccellente, maestro.” –Puntualizzò la donna, dimostrando di essere anche in grado di leggere nelle menti altrui. –“Soprattutto in quelle facilmente impressionabili, e come tali deboli.” –Aggiunse, con un sorriso beffardo.

 

Un sorriso che diede però la forza a Virgo di reagire, torcendo le labbra spazientito, mentre un’aura di luce dorata circondava il suo corpo, accompagnandolo nell’atto di recuperare postura eretta, in piedi sul piccolo palco rialzato. Un attimo dopo aveva già sollevato il braccio destro, volgendo ad Ana il palmo della mano da cui una silenziosa onda di energia era appena partita.

 

La donna, per niente intimorita, si limitò a volgere le spalle al Cavaliere, lasciando che l’invisibile onda si schiantasse contro un altrettanto invisibile muro che pareva seguirla ad ogni movimento. L’unica traccia di quello scontro di energie psichiche comparve sul pavimento, che si crepò in più punti, schizzando schegge e pietrisco, prontamente disintegrate dal rinnovato attacco che i contendenti condussero.

 

“Mi tieni testa, maestro.” –Commentò la servitrice di Loki, puntando lo sguardo sul Cavaliere di Atena. –“Determinazione encomiabile per un uomo in punto di morte.”

 

“Voglio risposte!” –Si limitò ad esclamare il Custode della Sesta Casa, cercando di recuperare la calma che gli era propria, messa in crisi dalla sorpresa iniziale.

 

“Da me ne avrai ben poche, solo condanne.” –E nel dir questo Ana spinse la mano destra avanti a sé, generando un’onda di energia psichica che frantumò il pavimento del tempio, abbattendosi sul palco e sul trono a forma di fiore di loto, sollevandolo e scagliandolo contro Virgo, il quale, con prontezza, uscì dalla traiettoria dell’attacco appena in tempo, scomparendo nel nulla.

 

La donna sorrise, prima di voltarsi verso la sua destra, dove l’elegante sagoma del suo mentore ricomparve nello stesso istante. Lo scontro tra i loro poteri mentali generò un’onda d’urto che spinse entrambi indietro di parecchi metri, senza che nessuno, quella volta, potesse evitarlo.

 

“Credevo tu fossi morta, uccisa da Loto e Pavone... Perché ti sei venduta al Dio dell’Inganno?”

 

“Così fu. Ma la vittoria dei tuoi prediletti avvenne solo a causa della superiorità numerica e del fanatismo integralista che brillava nei loro occhi. E nei tuoi, che percepii su di me, costanti, per l’intera durata del combattimento.”

 

Virgo non rispose, poiché aveva già sostenuto varie volte quella conversazione dentro se stesso, un processo a cui la sua anima aveva già partecipato. Come spettatore, imputato e giudice.

 

“Ne fosti contento? Ti gloriasti di questo successo ai piedi del Grande Sacerdote, alla cui gonna a lungo ti sei ottusamente strusciato? Mi pare quasi di vederti sorridere, mentre con la tua maledetta flemma commenti: l’ordine regna ad Atene.”

 

“Questa è menzogna, un’inesatta interpretazione dei fatti.” –Commentò infine Virgo, sorprendendosi per aver alzato il tono della propria voce.

 

“Davvero?!” –Sibilò la donna che conosceva come Ana, prima di scagliargli contro una nuova onda di energia psichica, che il Cavaliere parò, rimanendo fermo davanti a lei e lasciando che si infrangesse sul suo corpo, circondato da un alone dorato.

 

“Sì!” –Rispose Virgo, prima di posare lo sguardo fisso su di lei e immobilizzarla. –“Troppo a lungo mi sono prestato a questo gioco di scherno, ma adesso ho capito. Tu non sei Ana, di lei hai solo l’odore di un passato bastardo che non più mi appartiene e che vuoi usare contro di me. Come Eros fece al Tempio dell’Amore, sull’Olimpo! Ma non basterà questo rancoroso effluvio a piegare il Custode della Porta Eterna!” –E, nel dire ciò, concentrò il cosmo tra le mani, liberandolo poco dopo sotto forma di un ventaglio di energia dorata, che si chiuse di fronte a sé, proprio sulla sua rivale.

 

“Erri sapendo di errare.” –Commentò questa, cinta e stritolata dall’assalto energico, che le trafisse il corpo e le vesti, prima di svanire e rivelare il vuoto lasciato.

 

Virgo richiuse gli occhi, concentrando i sensi e fendendo la semioscurità della casa, per percepirne la presenza prima che potesse attaccarlo, quando, tutto attorno a sé, comparvero decine di sagome eteree, fluttuanti in aria, identiche all’allieva che aveva addestrato un tempo, il volto macerato dall’odio e dalla disperazione. La mano che parve calare su Virgo come un artiglio pronto a strappargli il cuore.

 

Sospirando, il Cavaliere d’Oro sollevò le braccia verso l’alto, le mani unite a creare un calice da cui fuoriuscì una marea di oro vivo. –“Abbandono dell’Oriente!” –Gridò, mentre i marosi di energia travolgevano le languide figure, annientandole una ad una. Quando l’impeto dell’assalto si spense, Virgo capì di aver fallito, di non essere ancora riuscito a raggiungerla.

 

La donna chiamata Ana comparve davanti a lui, dando l’idea di esserci sempre stata, mescolata alle tenebre che le avevano divorato l’anima. Prima che Virgo potesse colpirla, ella lo schiantò contro una colonna alle sue spalle, sollevando il braccio destro e socchiudendo le dita, quasi come stessero stringendo il collo del Cavaliere.

 

“Lo sai che sono morta proprio così? Con il collo spezzato. Mentre Loto mi impediva di muovermi, con i suoi trucchetti mentali, Pavone mi colpì con forza tale da troncarmi l’osso del collo. Eccoli i tuoi aguzzini, la bieca mano di Dio.” –Commentò, avvicinandosi a passo lento e strappando, ad ogni passo, un gemito al Cavaliere, immobilizzato da una devastante forza psichica mai incontrata prima. Una forza che gli scuoteva ogni muscolo del proprio corpo, facendo vibrare la dorata corazza, che scricchiolava come se fosse sul punto di esplodere da un momento all’altro.

 

“A… Ana… se sei davvero tu, allora saprai quanto mi costò accettare quell’ordine. Ma erano tempi diversi, tempi oscuri, e la mia fede non poi così limpida…”

 

“Tempi diversi, dici, maestro? Perché questi non sono forse tempi oscuri? L’avvento delle tenebre è iniziato e neppure l’immacolata Vergine d’Oro potrà fermarlo!” –Sogghignò la donna, così vicina al volto dell’uomo da potergli sfiorare le labbra con le proprie. Ma, a differenza della morbida pelle di Ana, che emanava un fresco odore di fiori, quel che cresceva dal corpo di quella donna era solo un alito di morte.

 

“Sei pronto per il tuo ultimo viaggio, Caronte dorato?” –Sibilò, fissandolo negli occhi e portando avanti la mano destra, a guisa di artiglio, mirando al cuore. Con tutte le sue forze, Virgo mosse un braccio, afferrando la mano e torcendola, mentre il suo cosmo dorato esplodeva attorno a sé.

 

Per il Sacro Virgo! Non potrai più attaccare né difenderti. Adesso… sei inerme!” –Mormorò, a fatica, senza suscitare in alcun modo stupore o paura nel volto della donna.

 

“Come lo fui quel giorno d’autunno? In balia degli attacchi incrociati di due Cavalieri di rango a me superiore?!” –Rispose tagliente la discepola di Virgo, liberando il braccio dalla presa dell’uomo e portandolo avanti, con le dita della mano unite a formare la punta di una spada. Una lama intangibile che piantò nel cuore del Cavaliere d’Oro senza che egli potesse impedirlo. –“Sono cresciuta, non trovi?”

 

Virgo tossì, vomitando sangue e sentendo le forze venire meno, come se tutto il suo cosmo, tutta la sua energia vitale, venisse risucchiata dall’arto piantato nel suo cuore, e se non fosse stato per la presa mentale di Ana, che lo schiacciava contro la colonna, si sarebbe afflosciato sul braccio nemico.

 

“Come… è possibile?!” –Rantolò, osservando l’arto che, quasi fosse composto d’aria, aveva trapassato l’armatura d’oro, senza danneggiarla minimamente. Sollevò lo sguardo, cercando quello della migliore allieva avuta, ma trovò solo la morte chiusa in quegli occhi vitrei. E allora capì.

 

Che Ana era morta, uccisa quel giorno da Loto e Pavone, e che soltanto il fantasma della sua anima era stato risvegliato da Loki e caricato di tutto il rancore che soltanto un Dio che aveva trascorso millenni a odiare poteva provare. Non c’era niente, in lei, della fanciulla cui aveva insegnato un tempo, la Sacerdotessa dal cuore puro che sapeva tramutare in quadri le sue emozioni.

 

E capì anche come vincerla, per quanto il solo pensiero lo facesse soffrire.

 

Doveva tornare indietro, e ucciderla di nuovo. E uccidere al tempo stesso i suoi rimpianti, liberandosene definitivamente.

 

Sospirando, radunò tutto il cosmo di cui ancora disponeva, prima di liberarlo sotto forma di un’onda di luce che scagliò la donna indietro, schiantandola contro il portone che conduceva al Giardino dei Salici Gemelli. Ignorando il dolore al cuore e il fiato che sembrava mancargli, Virgo le passò accanto, andando oltre e entrando nel luogo dove, mesi prima, aveva affrontato Gemini, Acquarius e Capricorn.

 

Della magnificenza di quel parco c’era rimasto poco. Adesso era solo un terreno brullo e spoglio, al termine del quale due alberi senza foglie si ergevano a sfidare il tempo. Una memento mori che neppure il Custode della Porta Eterna poteva vincere. E forse anche un ammonimento sul suo passato.

 

“Hai scelto il luogo dove morire?” –Lo richiamò la voce stridula della figura dalle sembianze di Ana.

 

“Non propriamente. Da questo luogo sacro trarrò la forza per compiere la mia missione, raggiungendo il mio Nirvana!” –Si limitò a commentare Virgo, sedendosi in terra, a gambe incrociate, nello spiazzo tra i due alberi. Proprio dove, nell’originale tempio in India, il Buddha Shakyamuni morì.

 

“Questi propositi suicidi mi facilitano le cose!” –Sogghignò la serva di Loki, avanzando di un passo verso il Cavaliere, ma accorgendosi di non riuscire più a muoversi. Sollevò lo sguardo indispettita, per perdersi nell’abbagliante splendore del cosmo del Custode della Sesta Casa, sbocciato come un fiore attorno a entrambi, precludendogli ogni movimento.

 

Senza dire alcunché, incurante degli attacchi psichici che la donna gli stava dirigendo contro, Virgo proseguì nella sua meditazione, mentre lo spazio circostante parve deformarsi, gli alberi gemelli scomparire e il cielo farsi plumbeo.

 

“Che.. che stai facendo?!” –Strillò la donna, che aveva compreso dove il Cavaliere la stesse portando. Nell’isola del Mediterraneo dove Ana aveva vissuto dopo aver lasciato il Grande Tempio, e dove era morta. –“Smettila, che vuoi fare?! Non puoi cambiare il passato!!!” –Gridò, dirigendo un’onda di energia mentale contro Virgo, il quale, per pararla, dovette dare fondo a tutte le sue energie, mentre sangue iniziava a ruscellare sul suo volto, fuoriuscendo dal naso e dagli occhi, per l’elevata concentrazione necessaria all’operazione che voleva compiere.

 

Fare pace con se stesso.

 

“Dovresti essere felice di cadere per mano nostra!” –Esclamò una voce d’improvviso, distraendo il Cavaliere e portandolo ad aprire gli occhi, mentre le forme attorno a sé cessavano di essere indistinte e assumevano contorni definiti. –“La mano armata di chi ti ha investito del titolo di Sacerdotessa! O dovrei dire la mano amata! Ah ah ah!”

 

Virgo riconobbe la sonora sghignazzata di Pavone, spostando lo sguardo ai piedi della collina sulla quale Modhgudhr e lui si erano ritrovati. Il Cavaliere d’Argento e il suo compagno stavano fronteggiando Ana, la quale, sorpresa dal repentino attacco, non aveva neppure avuto il tempo di indossare la propria corazza. Né i due sicari gliene avevano concesso l’occasione, privi di qualsivoglia senso di cavalleria.

 

“Poche chiacchiere, Pavone, ed eseguiamo gli ordini!” –Esclamò Loto, congiungendo le mani e scaraventando Ana contro una parete di roccia, paralizzandola con i suoi poteri mentali, mentre, alle sue spalle, un enorme fiore di loto si apriva. Un fiore che, Virgo lo riconobbe subito, rappresentava il trono su cui sedeva in meditazione alla Sesta Casa; il trono su cui, anche in quel preciso momento del passato, era seduto per rimirare, sul rosone del tempio, quel che accadeva sull’isola.

 

“Non puoi cambiare il passato!” –Ripeté la fanciulla nota come Modhgudhr, sbarrando la strada al Cavaliere d’Oro, avendo intuito le sue intenzioni.

 

“Non è questa la mia intenzione! Per quanto possa tentare, e se sapessi di avere una possibilità tenterei fino alla morte, non sarei mai in grado di spostarmi nel tempo! Ma nelle dimensioni sì! Ed è qua che ci troviamo, nei miei ricordi!” –Spiegò il Cavaliere d’Oro, liberandosi della donna con una spinta e schiacciandola a terra. –“Questa è la mia terra e i tuoi poteri a niente servono! Ma che parlo a fare? Il terrore dipinto sul tuo volto conferma che di ciò sei già al corrente!” –Virgo si concesse una risata maliziosa prima di discendere il colle e portarsi proprio in mezzo alla battaglia.

 

Ana era riuscita a liberarsi dalla presa mentale di Loto e stava fronteggiando gli assalti di Pavone, balzando di lato in lato, obbligando il Cavaliere d’Argento a intensificare il proprio attacco.

 

“Il gioco è finito!” –Tuonò Loto, paralizzando di nuovo la Sacerdotessa, mentre Pavone si portava alle sue spalle, afferrandole la testa e spezzandole il collo. Quindi, senza neppure degnarsi di seppellirla, i due sicari si allontanarono, fieri di aver portato a compimento la missione che Arles aveva affidato loro.

 

Proprio il loro mentore, in quel momento, si chinò sul cadavere di Ana, carezzandole la pelle e lasciando che una lacrima gli scivolasse sulla guancia, prima di bagnare le labbra della Sacerdotessa. Labbra che mai il Cavaliere d’Oro aveva sfiorato, nonostante Ana lo avesse più volte desiderato.

 

“Avevi diritto ad essere amata.” –Commentò, sollevando il corpo e avvolgendolo in un’aura lucente. Prima ancora che Modhgudhr potesse dire alcunché, lo spazio attorno a loro mutò di nuovo, mentre un varco dimensionale si apriva, precipitandoli nel nulla e strappando un grido alla serva di Loki.

 

“Do.. dove siamo?!” –Mormorò, osservando l’ambiente circostante e realizzando, con un certo stupore, di ritrovarsi sulla mano di una gigantesca statua che pareva raffigurare il Buddha della religione indiana.

 

“Nell’unico luogo in cui potrei vincerti!” –Spiegò il Cavaliere d’Oro. –“Nel sesto mondo di Ade!”

 

“Nel sesto mondo di Ade?! La dimenticanza?! Non è questo il luogo ove sono imprigionate le anime destinate a non essere ricordate?!”

 

Virgò non disse alcunché, limitandosi a lasciar cadere il corpo di Ana nel vuoto al di là della mano del Buddha e ad osservarlo scivolare via, in silenzio, prima di dissolversi in polvere.

 

“Cos’hai fatto?! L’hai… dannata ad essere dimenticata?! È questo che volevi per lei? Dimenticartene in modo da non dover ricordare quanto male le hai fatto?! Sei un vigliacco, Cavaliere di Atena!” –Ringhiò Modhgudhr, lanciandosi avanti, ma bastò che Virgo si voltasse verso di lei per spingerla indietro, prostrandola a terra, con la testa oltre il bordo della gigantesca mano.

 

“Non ad essere un fantasma l’ho condannata, bensì ad essere libera. In questo mondo senza guerre, il ricordo di Ana riposerà per sempre, fin quando l’eternità esisterà. Una pace senza fine, questo è ciò che mi auguro per lei, la stessa pace che ha infine trovato il mio cuore.”

 

“Non ci credo! Pur di vincermi, pur di vincere una stupida guerra, ti sei privato del ricordo dell’allieva che hai amato! Perché lo sai, Cavaliere d’Oro, che nel momento stesso in cui torneremo ad Atene di lei non ti resterà niente, soltanto un immenso vuoto?!”

 

“Ne sono consapevole!” –Si limitò a commentare Virgo. –“Così come sono consapevole che in questo modo non hai più ragione di esistere. Tu, come figura a me dannosa, nasci dal senso di colpa che mi ha attanagliato per anni, dal rimpianto per non essere intervenuto a difesa dell’allieva che mi aveva amato a lungo. E dato che, per quanto possa provarvi, non c’è niente che possa fare per cancellare quel momento infame, l’unico modo per andare oltre è rimuoverlo dalla mia mente, di modo che tu non possa avere più niente su cui agire, nessun rimorso da usare contro di me. E adesso…” –Aggiunse, mentre il suo cosmo d’oro rischiarava il sesto mondo di Ade. –“…è tempo di dirci addio. Addio, Ana!”

 

In un lampo di luce Virgo fu di nuovo alla Sesta Casa, la testa sgombra di pensieri, l’energia cosmica palpitante sul palmo della mano destra. Di fronte a lui, avvizzita e logora, una scheletrica figura lo fissava confusa, priva di ogni baldanza. Gli bastò un movimento, a Virgo, per far esplodere un globo di energia e cancellarne ogni traccia.

 

Fiaccato dalla dura prova, il Cavaliere d’Oro crollò sul marmo del pavimento, mentre alcune parole rimbombavano nella sua mente. Parole che Ana gli aveva detto, prima di sprofondare nel mare della dimenticanza. Parole che aveva udito fin da quando Loki l’aveva risvegliata, grazie al potere della pietra nera, innestando la sua corrotta coscienza nel corpo della guardiana della Porta del Niflheimr.

 

Alfa e omega. Principio e fine.

 

Che cosa sta in mezzo?

 

La trasformazione di tutte le cose, poiché tutte le cose hanno un’unica origine, così come tutti gli Dei non sono altro che un unico Dio.

 

“Non è possibile…” –Balbettò Virgo, il respiro affannato, il cuore che batteva all’impazzata. Poggiò una mano a terra, macchiandola col sangue che gli colava dal naso, cercando di calmarsi, di ritrovare una compostezza che ormai sentiva di aver perso.

 

Luce e ombra. Giorno e notte. Alternanza ed equilibrio.

 

Aveva capito tutto. Adesso tutto aveva un senso, anche le visioni che lo avevano invaso quella mattina.

 

“Flegias, ecco cosa voleva ottenere! Per questo ha risvegliato Crono e Ares, ha usato Loki, per anticipare l’avvento dell’ombra! Devo dirlo ad Atena, a Pegasus, ai Cavalieri d’Oro! Sono in pericolo, tutti sono in pericolo!”

 

Ma non appena ebbe dato forma ai suoi pensieri, una sensazione di fine lo pervase, come se una tenebra immensa avesse invaso la Sesta Casa. Silenziosa, era strisciata al suo interno non appena Virgo ne aveva compreso l’identità.

 

“Egli era…” –Non poté aggiungere altro, venendo fagocitato da un’ombra senza fine, un’ombra che pareva contenere in sé un intero universo.

 

Quando Ioria e Dohko entrarono correndo nella Sesta Casa, pochi minuti dopo, furono stupiti nel trovarla completamente vuota. Solo un mucchietto di polvere sparsa sul pavimento, i resti della mortifera fanciulla posta di fronte alle porte di Hel, e una strana macchia di sangue che Virgo aveva disegnato quasi senza rendersene conto, mentre fluttuava con la mente in cerca di risposte.

 

I due Cavalieri d’Oro la osservarono storditi, riconoscendo le imperfette forme circolari dell’Uroboro, il serpente che si morde la coda.

 

Il simbolo dell’infinito e dell’eterno ritorno.

 

***

 

Stavano correndo. Per quanto la stanchezza e le ferite aperte permettessero loro di correre, in quel deserto gelido che pareva non avere fine. Inoltre, da quando avevano lasciato il lago Amsvartnit, pareva loro che i venti del Niflheimr soffiassero con impeto maggiore, quasi partecipi delle sorti stesse del mondo in cui per millenni avevano turbinato, sferzando la schiena dei disperati che vi avevano languito.

 

“Dobbiamo continuare ad avanzare!” –Gridò Artax, tenendosi un braccio dolorante e barcollando incerto.

 

Cristal, dietro di lui, non disse niente, limitandosi ad annuire e a stringere Flare a sé, in un abbraccio reso goffo dall’Armatura Divina ma animato dal più caloroso dei sentimenti. L’amore che provava per lei, e che lo aveva spinto a scendere all’inferno di nuovo.

 

“Non possiamo fermarci! Il gelo di Niflheimr non perdona! Inoltre…” –Aggiunse il servitore di Odino, scrutando quello che doveva essere il cielo. Nient’altro che un ammasso dello stesso colore grigiastro identico al mondo che li circondava, dove non vi erano oriente né occidente, né stelle da usare come punto di riferimento. Solo un turbinare imperterrito di venti e gelo che parevano raschiare in profondità le viscere del mondo. –“Provo una strana inquietudine, una sensazione… di fine incombente.”

 

“Ce la caveremo, Artax!” –Tossì Cristal, affiancandolo.

 

“Non mi riferisco a noi, Cavaliere. Ma a questo mondo. Non lo senti? È l’ululato disperato del vento, che stride con forza maggiore sui nostri corpi, quasi volesse trovare un appiglio per restare, per rimanere ciò che è e che è sempre stato.”

 

“Lo sento anch’io.” –Mormorò Flare, il volto poggiato sul pettorale della corazza del Cigno. –“Qualcosa di terribile sta per accadere! Yggdrasil vacilla e soffre!”

 

“Affrettiamoci.” –Si limitò a dire il Cavaliere di Atena, facendo un cenno al compagno e aumentando l’andatura del loro già celere passo.

 

Fu allora che un grido stridulo li raggiunse, così acuto e diverso dal frustare ritmico del vento che non poterono non notarlo. Ugualmente notarono la rozza sagoma animalesca che piombò di fronte a loro nell’arco del minuto successivo. Una bestia dalla pelle di tetro colore e dalle ampie ali retrattili, le cui fauci ghignarono nella loro direzione, rivelando affilati denti macchiati di sangue. 

 

“Nidhöggr…” –Balbettò Artax, riconoscendo il serpente infernale.

 

“Ma quante bestie popolano questi mondi?!” –Mormorò Cristal, pensando in fretta ad una possibile strategia di lotta. Flare era debole e i suoi vestiti non erano sufficienti per ripararla dal freddo infernale. Ugualmente lui ed Artax erano stremati dallo scontro con Hel, oltre che dalla rigidità del clima, per questo dovevano superare quell’ostacolo in fretta, sebbene la rapidità, ben lo sapeva, cozzava con la placida tranquillità con cui un nemico andrebbe affrontato. Come i suoi maestri gli avevano più volte ricordato.

 

“Spiacente di dover deludere i vostri insegnamenti.” –Commentò il Cavaliere di Atena, concentrando il cosmo sul pugno destro, mentre il grande drago si lanciava su di lui. –“Polvere di Diamanti!!!”

 

L’assalto saettò contro Nidhöggr, senza incupirlo né rallentarlo. Infastidito, il gigantesco serpe si limitò a scuotare la testa, mentre gocce di sudicia bava gli colavano dalle fauci digrignate, cadendo al suolo e liquefacendo lo stesso terreno, generando pozze di putridi vapori.

 

“Per millenni si è nutrito dei morti di Nastrond, portandoli nella sua dimora, nei Monti dell’Oscurità, provviste che improvvisamente sono venute a mancare, quando i morti stessi sono stati risvegliati da Hel, divenendo l’esercito del padre.”

 

“Così adesso vorrebbe usarci come spuntino. Un cambio di menù. Potremmo risultargli indigesti.” –Commentò Cristal, balzando di lato ed evitando la carica del drago, che subito si voltò, sferzando l’aria con la lunga coda squamata e obbligando il ragazzo, che teneva sempre Flare con sé, e il compagno a separarsi. Rotolò per qualche metro sul terreno ghiacciato ma quando fece per rimettersi in piedi, Cristal annaspò, crollando in avanti e sputando sangue, mentre la vista si faceva sfuocata e un senso di nausea lo invadeva.

 

La malattia di Hel non era scomparsa con la sua morte.

 

“Cristal!!!” –Gridò Flare, la cui tenue voce parve perdersi nell’inferno di ghiaccio.

 

Nidhöggr, accortosi delle difficoltà dell’avversario, spalancò le fauci sibilando, prima di gettarsi in picchiata su di lui, ma lo sfavillare impetuoso del cosmo di Artax gli ostruì la strada, ergendosi come un muro di fuoco di fronte a lui, uno sbarramento che presto si allungò su entrambi i lati divenendo un cerchio di fiamme attorno al drago.

 

“A… Artax…” –Mormorò Cristal, faticando a rimettersi in piedi e osservando il Cavaliere di Odino, dall’armatura in pezzi e dalle ferite ancora aperte, porsi a braccia aperte di fronte a sé, come Pegasus, Andromeda e gli altri si erano eretti più volte. Come un compagno, forse un amico.

 

“Non abbiamo tempo per i discorsi di commiato, Cristal!” –Si limitò a rispondere Artax, senza voltarsi, ancora concentrato a cingere il dragone infero in un assedio di fiamme. –“Prendi Flare e vattene! Con lei, troverai la via!”

 

“Ma… Artax, tu verrai con noi!” –Esclamò il Cavaliere di Atena, rimettendosi in piedi, mentre Flare correva tra le sue braccia, stringendosi a lui. Ma bastò che Cristal muovesse un passo verso Artax che un muro di fuoco gli sbarrò il passaggio, indicandogli la via da seguire verso le Porte dell’Inferno.

 

“Siamo pari adesso, Cristal il Cigno! Prenditi cura di Flare, e dei suoi ricordi! Trattala bene, la mia Principessa! La tua Regina!” –Commentò il ragazzo che un tempo aveva affrontato nella caverna di lava. –“E ora andatevene! Lo scontro finale non tarderà ad arrivare e voi dovrete raggiungere il Valhalla prima che Yggdrasil collassi!” –Non aggiunse altro, concentrando il cosmo sulle braccia, avvolgendole di impetuose vampe di fuoco che danzavano tra le ombre di Niflheimr.

 

Cristal annuì, stringendo il pugno, tirò Flare a sé e poi iniziò a correre, senza voltarsi mai. Corse più in fretta che poté, lasciandosi tutto indietro, mentre sentiva il cosmo di Artax avvampare ed esplodere un’ultima volta.

 

Nidhöggr spalancò le ali, per disperdere le fiamme, ma queste parvero incollarsi alla sua putrida pelle, determinate a non lasciarlo andare. Il grande drago guaì, mentre Artax gli si avvicinava, avvolto in un’aura rossastra. Convinto di poterla ancora spegnere, Nidhöggr sollevò un artiglio, piantandolo poi nel corpo del servitore di Odino, distruggendo quel che restava dell’antica corazza. Fu allora, mentre il veleno del drago penetrava all’interno del suo corpo, che il ragazzo sorrise, come non faceva da tempo, prima che gli egoismi del presente oscurassero la fiducia nel futuro che aveva provato un tempo. Quando era cresciuto con Flare, imbevendosi del suo amore.

 

Con gli occhi vitrei dai ricordi di un tempo, l’einherjar afferrò l’artiglio del drago, scaricandovi tutto il suo cosmo infuocato, che esplose repentino, avvolgendo l’intero rozzo corpo, tra strilli che ormai non aveva più orecchie per udire.

 

“Addio, principessa della mia infanzia. Questo è tutto il mio amore, questo è tutto il rancore che mi ha divorato l’anima troppo a lungo. Mira, infernale dragone, la fiamma che ha corroso il cuore di Artax e che adesso lo renderà infine libero!” –Un attimo dopo le vampe circondarono i corpi aggrovigliati di Artax e di Nidhöggr, dilaniandoli e facendoli esplodere dall’interno, in un ultimo lampo di luce che mai più avrebbe rischiarato le distese del Niflheimr.

 

 

 

 

 

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Capitolo 33
*** Capitolo trentunesimo: Nemesi ***


CAPITOLO TRENTUNESIMO: NEMESI.

 

Pegasus osservò con orrore la caduta di Balder, trafitto da tre colpi di lancia portati dalla figura che aveva creduto suo padre e che invece si era rivelato colui che aveva dato inizio all’apocalisse nordica. Loki, il Grande Ingannatore, la cui sagoma elegante si ergeva a pochi passi dall’insanguinato corpo del figlio di Odino, stretto in un convulso abbraccio dalla Signora del Cielo, incapace di trattenere lacrime e strilli.

 

“Come hai fatto?” –Rantolò Frigg, la voce spezzata dal dolore. –“Come, Loki, hai potuto celarti al mio sguardo?!”

 

“Non è stato difficile, Divina Ninfomane. Grazie al tuo bel manto di piume di falco, ti ho mostrato quel che il tuo cuore di donna e di moglie voleva vedere. Il ritorno dell’amato dalla guerra! Non lo creasti in fondo per sgattaiolare fuori da Fensalir e divertirti in compagnia di giovani stalloni, ben più atletici del vetusto fisico del Guercio? Non crucciarti, sono esigenze corporali che ben comprendo! ” –Rise il Dio dell’Inganno, incurante delle fredde occhiate che Frigg gli andava rivolgendo.

 

“Taci, spergiuro!” –Gridò la sposa di Odino, senza smettere di carezzare il corpo martoriato del suo figlio prediletto.

 

“Taci tu. E per sempre.” –Sibilò Loki, muovendo il dito destro nell’aria.

 

Pegasus, a quella visione, decise di scattare avanti, concentrando il cosmo sul pugno e liberando il suo attacco lucente, prima ancora che il Burlone Divino potesse dirigere loro contro chissà quale attacco.

 

“Rampante.” –Si limitò a commentare Loki, spostando lo sguardo su di lui e completando il disegno della runa di energia, che rilucette di fronte a lui. Isa, o Iss, la runa di ghiaccio, sufficiente per immobilizzare Pegasus a mezz’aria, con il braccio in tensione e migliaia di sfere luminose di fronte a sé. –“Come una giumenta in calore.” –Ridacchiò il Dio, scuotendo la mano destra e scaraventando Pegasus indietro, assieme al suo stesso colpo, che lo travolse, sbatacchiandolo contro la facciata principale di Fensalir, distruggendola, e sommergendolo dai detriti.

 

“Tornando a noi…” –Ironizzò Loki, riportando lo sguardo su Frigg e Balder. –“Ben due sono i figli di Odino che han trovato la morte per mia mano quest’oggi. Due, come i figli che mi strappaste un tempo, di fronte ai miei occhi sgomenti e inermi, dando inizio alla mia cattività. Li ricordi, Frigg? Ti ricordi di Vali, tramutato dagli Asi tuoi fratelli in un lupo assetato di sangue, e di Narfi, l’altro mio figlio, che fu posto di fronte al lupo e ridotto ad un ammasso informe di carne maciullata dal suo stesso maledetto fratello? E ricordi quel che gli Asi fecero del cadavere di Narfi? Te lo ricordi eh, Divina Sgualdrina?! Ne asportarono gli intestini, facendone corde robuste, corde grondanti sangue, le stesse con cui mi legarono alle pietre della caverna ove mi lasciaste confinato per secoli!”

 

“Saresti dovuto morirci in quella caverna!” –Gridò Frigg, in lacrime.

 

“E ci sono morto, gallina. Morto e risorto. Per portarvi un po’ di quella disperazione che per migliaia di anni ho provato!” –Così facendo, Loki disegnò nell’aria una runa, che Frigg subito riconobbe, poiché era la più distruttiva. La più potente di tutte.

 

Kaun, o Kaunan, la runa del fuoco.

 

Un grido prostrò la Signora del Cielo a terra, mentre una striscia di fuoco le dilaniò il petto, incendiandole le vesti e marchiandole il seno e il ventre, tra gli spasimi e le lacrime che non riusciva a trattenere, di fronte allo sguardo soddisfatto del Buffone Divino, determinato a ripagare la violenza subita con altrettanta violenza. Prima però che potesse disegnare una nuova runa nell’aria, tre fasci di energia sfrecciarono nella sua direzione, obbligandolo a spostarsi di lato. Un movimento minimo, quasi impercettibile, con cui scansò l’attacco congiunto che le tre Asinne, appena uscite da Fensalir, gli avevano indirizzato.

 

Loki!!!” –Ringhiò Freya, la figlia di Njörðr, dallo sguardo fiero e combattivo, affiancata da Idunn e da Eir.

 

“È un piacere rivederti, bella vitella!” –Sogghignò l’Ingannatore. –“Vedo che hai messo su dei bei fianchi larghi, forse per farti castigare meglio da tuo fratello?!”

 

“Come osi anche solo nominare mio fratello Freyr, che sta dando la vita nel profondo Niflheimr?!” –Avvampò Freya, concentrando il cosmo sul palmo della mano.

 

“Mestiere ingrato, il suo. Ma sii speranzosa. Lo rivedrai. In qualunque inferno attenda i Vani dopo la morte.” –Ridacchiò Loki, incurante dell’assalto energetico che la Dea gli rivolse. Gli bastò spalancare il palmo di una mano per contenerlo e osservarlo disperdersi poco dopo, mentre uno sguardo di terrore si dipingeva sui volti di Idunn e di Eir. –“Chi ammazzo per prima? Non siate pudiche, non mi risulta che a letto lo siate mai state, soprattutto tu Freya, la cui dissolutezza a lungo è stata cantata nelle alcove dai poeti nella Mangsongr. Tanto morirete tutte.”

 

“Perché non iniziamo con te?!” –Esclamò una voce giovanile, attirando l’attenzione del Burlone Divino.

 

Pegasus si era rimesso in piedi, liberandosi dalle macerie franate su di lui, e anche se gli doleva la testa era pronto a scattare avanti.

 

“Non impari mai, a quanto pare, ragazzo.” –Sogghignò Loki.

 

“Che vuoi farci?! Sono lento a capire.” –Ironizzò Pegasus, liberando il proprio colpo segreto.

 

“Noto.” –Commentò l’Ingannatore, bloccando nuovamente l’attacco del ragazzo con la runa di ghiaccio e rispedendolo indietro con un lieve movimento della mano. Ma il Cavaliere di Atena, che si aspettava quella contromossa, era già balzato in alto, scavalcando il rinculo del suo attacco, e stava piombando su Loki con il pugno sfrigolante energia cosmica. –“Gyfu!!!” –Gridò allora il Fabbro di Menzogne, sollevando un turbine d’aria ed energia che travolse Pegasus ancora in volo, stritolandolo tra fulmini azzurri e scagliandolo di nuovo contro i muri della Sala Paludosa.

 

“La runa dell’aria…” –Commentò Idunn, avendola riconosciuta. –“A quanto pare Loki ne possiede il potere. Oltre alle rune di fuoco e di ghiaccio.” –Eir, al suo fianco, annuì, prima di avvicinarsi titubante al corpo ferito di Frigg, per verificarne le ferite.

 

“Non vi è potere a questo mondo di cui io non disponga, Dea dei frutti d’oro. Le rune e i loro segreti, tutte mi appartengono! Peccato che l’eterna giovinezza, dai tuoi pomi dispensata, sia soltanto un’illusione al mio cospetto. Una bugia.” –Commentò Loki, sollevando la sposa di Bragi con il pensiero e sbattendola a terra, sfinita di fronte a sé.

 

“Lasciala andare, maledetto!” –Ringhiò Freya, correndo avanti, avvolta dallo splendore rosaceo del suo cosmo.

 

“Come desideri, vitellona mia.” –Si limitò a mormorare Loki, scaraventando Idunn contro Freya e gettandole entrambe a terra, mentre un vortice di folgori prendeva forma attorno a loro, pizzicando le loro vesti e incendiandole.

 

Fulmine di Pegasus!!!” –Gridò allora il Cavaliere di Atena, scattando per la terza volta all’attacco del Tessitore di Inganni, che infine gli rivolse un infastidito sguardo.

 

“Ancora tu?! Più noioso di uno sciame di locuste su un campo di grano!” –Esclamò, fermando l’assalto di Pegasus e dirigendo poi le sfere di energia contro di lui, e contro Eir, Frigg e Balder, scagliandone i corpi a qualche metro di distanza. Quindi, sapendo che il ragazzo si sarebbe rimesso in piedi, attese, per giocare ancora. E lo vide liberarsi dai detriti e fissarlo con lo stesso determinato sguardo che gli aveva sempre visto illuminare il volto. Uno sguardo che non poteva permettersi di ignorare.

 

“Pare che tu sia l’unico in grado di metter su uno spettacolo decente, Cavaliere di Pegasus. Non ti offro illusioni, poiché certo morrai, come sono morti Heimdall, Tyr e coloro che mi hanno affrontato quest’oggi, ma se non altro allieterai le poche ore che ancora mi separano dalla vittoria. L’alto scranno di Hliðskjálf mi attende e potrei lustrarlo con il tuo sangue.”

 

“Tanta sicurezza potrebbe costarti cara, caro il mio Bugiardone Divino. Attento a non ritrovarti ai piedi del trono, a mendicare pietà da Odino, servendolo come giullare.”

 

“Uh uh uh, sei pure simpatico. Mi ricorderò di te, quando sarai polvere cosmica.” –Ridacchiò Loki, prima di disegnare una runa in aria, un segno simile ad una X.

 

Pegasus sollevò le difese, aspettandosi un attacco diretto, ma non poté in alcun modo impedire alla sua corazza di schiantarsi e al suo corpo di esplodere dall’interno. Poté solo osservare, attonito e terrorizzato, la crepa apertasi sul pettorale dell’armatura, da cui fumanti uscivano scariche di energia che gli stavano dilaniando il petto.

 

“Visto che ti piacciono i fulmini, Cavaliere di Pegasus, saranno quelli evocati da Gyfu a toglierti la vita, bruciandoti il cuore. Con generosità, come è nel significato della runa stessa, te ne faccio dono. Ringraziami, anziché lamentarti.” –Ironizzò Loki, osservando compiaciuto il prediletto di Atena che rantolava al suolo, con il pettorale sventrato da folgori lucenti. –“Non eri l’oggetto della mia vendetta, ma hai fatto di tutto per diventarlo. Sentiti degno della mia attenzione.”

 

“Volgi a me, cane, la tua attenzione!” –Esclamò Freya, rimessasi in piedi.

 

“Come preferisci, dolcezza.” –Sibilò l’Ingannatore, mentre la Dea balzava in avanti, rapida come un felino, scaricandogli contro un assalto incandescente, che Loki lasciò scivolare sul suo corpo, consapevole della protezione offertagli dalla catena di Yr.

 

Non… è possibile… non puoi disporre di tutta questa forza… Non l’hai mai avuta!” –Mormorò Freya, sconcertata, mentre il Tessitore di Inganni la afferrava per il collo, torcendoglielo e strappandole un grido, prima di gettarla a terra e montarle sopra.

 

“Cavalcata come si montano le vacche.” –Commentò, stringendo il collo della sorella di Freyr fino a scavarle la pelle. –“E sgozzata, come si sgozzano le stesse.” –Aggiunse, affondando le dita, cariche di rovente energia cosmica, nel collo, tra gli spasimi soffocati della Dea, che cercava di liberarsi da tale presa, finché non sentì che le sue forze erano esaurite. –“Avanti il prossimo!” –Ironizzò, gettando il cadavere di Freya ai piedi di Idunn, Eir e Frigg.

 

Ma… ledetto…” –Ringhiò Pegasus, contorcendosi a terra vicino a loro.

 

Fu allora che Balder lo toccò, allungando le dita insanguinate, di fronte agli occhi stupefatti di Frigg, che dava il figlio per morto. Pegasus sussultò, mentre il lieve tocco del Sole di Asgard pareva porre fine alle sue sofferenze, spegnendo le folgori che gli dilaniavano il cuore. Le gocce di sangue di Balder brillarono sull’armatura di Pegasus, cicatrizzando la sua ferita e richiudendo lo squarcio sul pettorale.

 

“A te salvarci, Cavaliere di Pegasus. Che la benedizione degli Asi, dei Vani e di tutte le genti dei nio heimar scenda su di te.” –Fremé il figlio di Odino, prima di spirare.

 

Io… ne sarò degno…” –Commentò Pegasus, stringendo un pugno e rialzandosi.

 

“Della perseveranza dovrebbero nominarti personificazione! O forse dell’ottusità!” –Ironizzò Loki, mentre il Cavaliere di Atena scattava avanti, avvolto nel suo cosmo azzurro, liberando migliaia di comete di luce. –“Isa!!!” –Tuonò, fermando nuovamente le sfere e il ragazzo in un’artefatta posa. –“Temo che sia il momento di aumentare la presa. Isa viene chiamata la runa di ghiaccio non soltanto perché in grado di immobilizzare chi la subisce ma anche per le sue virtù, che adesso ti mostrerò.” –Nel dir questo, Loki aumentò la concentrazione sulla runa, che iniziò a ricoprire di uno strato di brina le sfere energetiche e il corpo stesso di Pegasus.

 

“Cavaliere di Pegasus!!!” –Gridò Frigg, osservando l’armatura del ragazzo tingersi di ghiaccio.

 

Yaiii!!!” –Esclamò il giovane, espandendo al massimo il proprio cosmo, rinfrancato dal tepore del Sole di Asgard, e onorato dal gesto di estremo sacrificio che il figlio di Odino aveva compiuto, cedendogli la vita per salvare la sua. Onore a cui mai Pegasus sarebbe venuto meno. –“Atenaaa!!!”

 

L’aura cosmica che lo circondava aumentò di intensità, invadendo l’intero giardino di Fensalir, di fronte agli occhi stupiti delle Asinne e dello stesso Loki, che pur aveva avuto modo di osservare di nascosto i successi dei Cavalieri di Atena, fin da quando Flegias lo aveva coinvolto nella sua oscura alleanza per il dominio del mondo. Le sfere di luce avvamparono, sciogliendo il ghiaccio che le rivestiva, riprendendo la loro corsa e abbattendosi come fitta pioggia sul Grande Tessitore, subito seguite dallo slancio del Cavaliere di Pegasus, il cui pugno era pronto per generarne altre.

 

Loki ne evitò la maggioranza, lasciando che le restanti si infrangessero sulla catena protettiva di Yr, prima di contrattaccare, utilizzando il potere di Gyfu. Un turbine d’aria sollevò Pegasus di parecchi metri d’altezza, avvolgendolo in folgori lucenti, ma il ragazzo spalancò le ali della corazza divina, disperdendo parte dei fulmini e iniziando a roteare su se stesso, catalizzando le stesse folgori in un vortice che lo avvolse e poi lo spinse avanti, piombando su Loki ad altissima velocità.

 

Cometa lucente!!!” –Gli sentì gridare l’Ingannatore, mentre portava il braccio destro avanti, offrendo il palmo al devastante attacco scatenato da Pegasus.

 

La catena di Yr andò in frantumi e scariche di energia incendiarono l’elegante veste del Fabbro di Menzogne, che riuscì comunque a contenere l’assalto, venendo spinto indietro di qualche metro, scavando persino un solco con i piedi nel terreno. Irato, e stupefatto, Loki scatenò la furia devastante della runa dell’aria, travolgendo Pegasus da distanza ravvicinata con un turbinio di folgori che lo sollevarono da terra e lo scaraventarono decine di metri indietro, lasciando strisciate incandescenti sulla corazza divina e sulle parti scoperte del suo corpo.

 

“Sorprendente.” –Mormorò tra sé il Maestro di Inganni, scuotendosi le mani, quasi a pulirle dalla polvere di quello scontro. Quindi si incamminò verso il corpo inerme di Pegasus, deciso a dargli il colpo di grazia, quando tre figure gli si posero di fronte.

 

“Non ti lascerò ferirlo! Egli è il depositario dello splendore del Sole di Asgard!” –Ansimò a fatica Frigg, il petto ancora in fiamme, sorretta da Eir e da Idunn.

 

“Sole già tramontato, come le vostre speranze.” –Precisò Loki, sollevando la mano destra e sbattendo le Asinne a terra, stritolate da folgori di energia lucente. –“Al mio prossimo cenno, e me ne basterà uno soltanto, farete compagnia a Balder, Tyr e a tutti gli altri sciagurati che hanno pensato di opporsi all’avvento dell’inverno!”

 

Eir socchiuse gli occhi, Idunn pensò all’amato Bragi, morto chissà dove nel cuore della battaglia, e Frigg dedicò quell’ultimo pensiero ai suoi figli. E al suo sposo.

 

Prima che Loki potesse completare il disegno della runa che aveva scelto, per porre fine all’esistenza delle tre Dee, un fulmine si schiantò alla sua destra, distraendolo. In quell’attimo migliaia di lame di energia cosmica parvero cadere dal cielo, mirando alla schiena del Burlone Divino, che a stento riuscì ad evitarle, lanciandosi di lato e osservando sgomento il selciato spaccarsi e incendiarsi sotto quell’improvvisa pioggia di strali. Nelle orecchie risuonava ancora l’imperiosa voce che quell’attacco aveva accompagnato.

 

Tempesta di spade!!!” –Tuonò nuovamente, mentre una seconda sfilza di lame di energia precipitò dal cielo, obbligando Loki a disegnare il simbolo della runa di ghiaccio, potenziandolo con tutto il cosmo di cui poteva disporre al momento.

 

Kaun!!!” –Aggiunse, liberando violente fiammate di energia che spazzarono via le affilate lame che lo avevano cinto d’assedio, permettendogli infine di rifiatare e di sollevare lo sguardo verso il portone d’ingresso al giardino di Fensalir, là dove Odino si ergeva, in sella al destriero ottipede.

 

“Sei arrivato, vecchio guercio!” –Disse il Dio dell’Inganno, mentre Sleipnir avanzava a passo sicuro, conducendo il Padre di tutti gli Dei dove la sua sposa gemeva.

 

“Temevi che non ci saremmo incontrati, Loki? Ti aspetto da ore, ma soltanto adesso Huginn e Muginn mi hanno rivelato la tua presenza, palese, all’interno della residenza della Signora del Cielo! Residenza che non ti sei fatto problema a violare!” –Esclamò Odino, smontando da cavallo e sincerandosi delle condizioni di Frigg, delle Asinne e di Pegasus. Quindi, indugiando per qualche secondo sul corpo martoriato di Balder, spostò di nuovo lo sguardo su Loki, trafiggendolo con lame di energia. Lame che parevano nascere al solo desiderarlo da parte di Odino.

 

“Dovrai fare molto di più, per vincermi!” –Ringhiò Loki, che aveva restaurato la cintura di Yr, dopo l’ultimo assalto di Pegasus. Aprì il palmo della mano destra e liberò una scarica di energia, che sfrecciò nell’aria, schiantandosi infine contro l’avambraccio di Odino, che il Dio aveva storto di fronte a sé, per parare l’assalto.

 

“Anche tu!” –Si limitò a commentare il Signore di Asgard, spostando il braccio e generando una devastante onda di cosmo che fagocitò il terreno che lo separava da Loki, prima di abbattersi su un altrettanto violento maroso energetico che l’Ingannatore aveva appena generato. La collisione dei due poteri generò una deflagrazione che spinse entrambi i contendenti indietro di decine di metri, schiantandoli contro le mura esterne di Fensalir e devastandone il terreno.

 

Anche Frigg, Idunn, Eir e Pegasus vennero sollevati dall’onda d’urto e scaraventati indietro, protetti alla bell’e meglio da una bolla difensiva che Eir aveva innalzato. Quando Pegasus rialzò gli occhi, tentando di rimettersi in piedi, vide che sia Loki che Odino avevano già ripreso le loro posizioni. Uno di fronte all’altro, uno nemesi dell’altro. Osservandoli, il Cavaliere di Atena non poté fare a meno di notare quanto fossero diversi nell’aspetto: elegante e appariscente, dal volto etereo, a tratti efebico, Loki sogghignava sicuro di sé, gran burattinaio di una vendetta a lungo covata. Di fronte a lui, Odino appariva come un vecchio stanco, la barba grigia macchiata di sangue, cenere e fango, la schiena arcuata, quasi come dovesse sopportare il peso di tutti i mondi. Ciononostante, nei suoi occhi, Pegasus percepì saggezza, tenacia e anche un’infinita tristezza, un sentimento non troppo diverso da quello che aveva albergato nell’animo del Cavaliere di Atena durante molte delle battaglie sostenute in passato. In particolare in quelle battaglie che lo avevano visto opporsi ad un nemico che non riusciva a considerare tale, un nemico che solo le circostanze e l’orgoglio avevano reso tale. Ioria, durante il loro scontro a Nuova Luxor, o il Cavaliere del Toro, o il valoroso Orion. E allora ricordò quel che Thor gli aveva detto ore prima, sul rapporto a doppio taglio che legava Odino e Loki, due antichi fratelli di sangue, due facce della stessa medaglia che ormai aveva perso lucentezza.

 

“In tempi remoti, Odino strinse con Loki un patto di alleanza, un patto suggellato dal sangue. Perché, in fondo, non si sentiva così diverso da lui. Gli Asi lo accusavano di essere un Ingannatore, un Tessitore di Inganni, e Loki in effetti lo era ma le sue astuzie a volte si rivelarono utili per la sopravvivenza stessa di Asgard e perché del resto anche Odino non esitava ad abbandonarsi a trucchi simili in battaglia.” –Gli aveva raccontato il Gigante buono. –“A volte, per favorire i suoi protetti, Odino usava dei sortilegi contro il nemico o gli rivoltava la natura contro, accecando gli avversari e meritandosi il soprannome di Bölverkr, colui che agisce male, o di Herblindi, l’accecatore di guerrieri. Inoltre, anche se di ciò Odino non vuole parlare, egli porta una grave colpa che risale agli albori dei tempi. Il Dio che veneriamo come un Padre si macchiò dell’orrendo crimide di fratricidio, quando uccise Vili e , eliminando scomodi e potenziali pretendenti al trono di Asgard. Vecchie storie, certo, altri tempi, ma ferite che il tempo non ha mai guarito. Forse per questo, periodicamente, si sottopone a un rito cruento, impiccandosi per nove giorni e nove notti ai rami di Yggdrasil e infliggendosi ferite e torture.”

 

Un Dio dai mille volti, si disse Pegasus, rimettendosi in piedi e accendendo il proprio cosmo azzurro. Volti che riflettono la sua natura divina e umana. E uno di quei volti ha posato lo sguardo su di me, quando combattevo a Midgard per liberare la sua Celebrante dal giogo dell’Anello del Nibelungo. Uno di quei volti ha creduto in me, e io voglio fare altrettanto, per ricordare a Odino quanto, a modo suo, abbia amato gli uomini e quanto, da loro incuriosito, abbia vagabondato nel Recinto di Mezzo, mescolandosi a quelle strane creature capaci di degenerare nelle bassezze più infime ma anche di elevarsi ai cieli più alti. Io, Pegasus, ti mostrerò il valore della razza umana, Odino, affinché tu non debba pentirti delle scelte fatte finora!

 

Quasi come avesse ascoltato il suo monologo interiore, il Padre delle Schiere si voltò verso Pegasus e gli sorrise, prima di lasciar esplodere il suo cosmo, generando un nuovo attacco che piovve su Loki, obbligandolo a evocare la Runa di Ghiaccio per fermarlo. La sventagliata di lame di energia venne poi crepata da mille folgori che rischiararono il cielo, prima di dirigersi verso Odino, il quale, incurante, afferrò Gungnir e la portò avanti, affondandone la punta nell’aria. Bastò quel gesto a scaraventare Loki indietro, inchiodandolo ad un albero del giardino di Fensalir, trafitto da un raggio di energia da cui neppure Yr aveva saputo proteggerlo.

 

“Vuoi ripeterti?!” –Sibilò l’Ingannatore, tastando la ferita aperta e usando il cosmo per richiuderla e liberarsi. –“Vuoi incatenarmi per altri mille anni? Ma questa volta cosa userai, le budella di tuo figlio o quelle della sgualdrina che hai preso in sposa?”

 

“Userò la tua lingua, serpente!” –Ringhiò Odino, avvampando nel proprio cosmo.

 

“Tremo di paura!” –Ironizzò Loki, sollevando il braccio destro per tracciare un segno in aria, ma Odino glielo impedì, piantandogli la lancia nel palmo della mano e strappandogli un grido. Il primo lanciato dall’Ingannatore in quella lunga giornata.

 

“Finalmente soffri anche tu.” –Si limitò a commentare Odino. E a Pegasus, che osservava poco distante, non sfuggì la completa assenza di felicità o soddisfazione in quella frase, che invece avrebbe dovuto essere tronfia di vittoria. Anche Loki parve accorgersene, intravedendo nella tristezza che dominava il Signore di Asgard una speranza di rivalsa. Così, sogghignando, lasciò esplodere il proprio cosmo, spingendo Odino indietro e sbattendolo a terra, a gambe all’aria.

 

Prontamente il possente Dio del Nord fece per rimettersi in piedi, salvo accorgersi, con immenso stupore di non potersi muovere. Loki lo aveva intrappolato in un cerchio mistico, tracciando una corona di rune di ghiaccio attorno al suo corpo.

 

“Non a lamentarmi ho speso il tempo, distratto e malaccorto di un orbo, bensì a tessere una nuova trama del mio piano.” –Commentò l’Ingannatore, rialzandosi e cicatrizzando le ferite.

 

“Credi che basti una cintura di Isa per contenere la furia guerriera del Padre della Vittoria?!” –Ringhiò Odino, iniziando a bruciare il proprio cosmo.

 

“No. Ma basterà per infliggerti tanto dolore.” –Sibilò Loki, mentre il potere di Kaun, la torcia, esplodeva attorno a sé, incendiando il suolo e l’aria e sfrecciando verso Odino. –“Kaunaz! Runa di Loki, runa di fiamma!”

 

“Non dire gatto finché non l’hai nel sacco!” –Esclamò allora Pegasus, intervenendo a difesa del Primo Ase e lanciandosi nel turbinio di fiamme, con il pugno carico di energia cosmica. –“Fulmine di Pegasus!!!”

 

Loki, affatto impressionato, rise, limitandosi a modificare la direzione dell’assalto, scaricandolo sul ragazzo e frenandone la corsa, mentre le vampe di fuoco ne assorbivano il colpo segreto. Pochi attimi dopo il corpo di Pegasus era scomparso all’interno di una fitta cintura di fiamme, la cui temperatura elevata doveva senz’altro farsi sentire anche da chi indossava una valida protezione quale l’Armatura Divina. Sogghignando, il Burlone Divino schernì Odino, per essere dovuto ricorrere all’aiuto di così inesperti ragazzini, mentre si avvicinava a passo lento all’oceano di fiamme dentro il quale Pegasus stava agonizzando.

 

“Non ti bastava far morire di nuovo gli Einherjar in una guerra dall’esito scontato. Dovevi andare a cercarne altri, di agnelli sacrificali, in Grecia? Forse il tuo unico occhio aveva visto in loro la salvezza?!” –Sibilò Loki, prima di concentrare di nuovo il potere di Kaunaz sulla mano destra, pronto per scaricarlo stavolta su Odino.

 

Fu proprio in quel momento, mentre si stava voltando verso l’antico nemico, che scorse con la coda dell’occhio un movimento tra le fiamme. Un guizzo simile a un fulmine che, sorgendo dal suolo, schizza verso il cielo. Stupefatto, mosse la testa di lato, in tempo per vedere Pegasus balzare sopra la cinta di fiamme da cui era assediato, con la spada Balmunk stretta tra le mani, e piombare su di lui, più veloce di qualsiasi corpo avesse mai visto muoversi.

 

“Non potrai certo vincermi con questo falò da grigliata, ora che il potere del Sole di Asgard è in me!”

 

Disperatamente, Loki sollevò il braccio, per opporsi all’improvviso attacco, ma Odino, dal lato opposto, gli trafisse una coscia con Gungnir, strappandogli un grido e distraendolo a sufficienza per permettere a Pegasus di colpire.

 

“Per Atena!” –Mormorò il Cavaliere, abbassando la lama e fissando il suolo. Non ebbe bisogno di guardare Loki in volto, per percepirne lo stupore e la rabbia. Dovette soltanto spostare lo sguardo alla sua destra, dove la mano dell’Ingannatore era appena caduta, mozzata di netto all’altezza del polso.

 

“Provi adesso, Buffone Divino, quel che mio figlio Tyr provò un tempo, a causa del lupo di fama da te generato.” –Commentò Odino, liberandosi dalla catena di Isa e ergendosi fiero su Loki, che, crollato in ginocchio, pareva piagnucolare stringendosi  il moncherino sanguinante. –“Ma la tua umiliazione durerà ben poco.” –Aggiunse, impugnando saldamente la lancia e preparandosi per piantargliela nel collo.

 

“Errore.” –Sibilò infine Loki, sollevando lo sguardo da terra e piantandolo nell’unico occhio rimasto al Guercio. In un attimo la terra esplose attorno a loro, tra folgori e vampe di energia, travolgendo Odino e Pegasus e scagliandoli lontano, privandoli persino degli elmi delle loro corazze. Quel che entrambi avevano scambiato per un pianto era invece una sommessa sghignazzata del Burlone Divino, che, rialzatosi, ammise a se stesso di non divertirsi così da tempo. –“Un carnevale di emozioni.” –Sogghignò, prima di avventarsi sul Padre delle Schiere.

 

Si azzuffarono per qualche istante, rotolandosi sul terreno devastato, proprio mentre Pegasus si rialzava, toccandosi la testa dolorante. Si voltò verso Eir, facendole cenno di portare Idunn e Frigg all’interno di Fensalir, per proteggerle, prima di spostare di nuovo lo sguardo su Loki e Odino, salvo accorgersi che uno dei due era sparito.

 

Adesso c’erano infatti, in piedi davanti a lui, due uomini anziani ricoperti dalla stessa polverosa e vissuta armatura. Due identiche versioni dello stesso Signore di Asgard.

 

Ansimando, uno dei due indicò l’altro, aprendo la bocca per dargli del fasullo, ma il secondo Odino lo colpì con un pugno sul viso, spingendolo indietro, asserendo di essere lui il vero Padre di Tutti.

 

“I tuoi inganni non ti salveranno stavolta, Loki!”

 

“Dici il vero, Buffone Divino, poiché presto sarai smascherato!” –Esclamò l’altro, prima di espandere il cosmo e sollevare una mano al cielo. –“Tempesta di spade!” –Tuonò, scaricando il proprio colpo segreto sul secondo Odino, il quale, al contempo, aveva appena fatto altrettanto, generando una pioggia di lame di energia che fendette il cielo e aprì squarci sui corpi delle due Divinità, danneggiando le loro corazze.

 

“Fermi!!!” –Gridò Pegasus, muovendosi per intervenire, salvo poi frenare la sua corsa, il pugno ancora carico di energia, non sapendo chi colpire, su quale Odino dirigere i suoi attacchi. –“Concentrati, Pegasus!” –Mormorò, socchiudendo gli occhi e cercando di riconoscere il cosmo del Dio che gli aveva fatto dono di Balmunk.

 

Fu in quel momento che uno dei due Odino ebbe la meglio sull’altro, scaraventando l’avversario a terra e facendogli scavare un solco con il corpo, flagellato dalla pioggia di spade energetiche.

 

“È tempo di mettere fine a quest’infame guerra che hai voluto, Loki!” –Sibilò il Dio rimasto in piedi, evocando una lancia di energia e puntandola alla gola dell’altro. –“Che Hel ti accolga, sporco traditoreee!!!” –Gridò, di fronte agli occhi sconvolti e impotenti di Pegasus. Ma la punta della lama non raggiunse il secondo Odino, affondando nel corpo di una creatura dal manto grigio che era appena balzata a difesa della figura distesa a terra.

 

Ge… Geri…” –Mormorò questi, osservando anche il secondo lupo balzare contro il suo avversario, le fauci aperte e pronte per chiudersi sulla mano che stringeva ancora l’insanguinata lancia. –“Freki! Compagni miei!”

 

Il Dio ancora in piedi fu svelto a muovere l’arma, evitando l’affondo, per poi liberarsi del felino con un’onda di energia. Bastò quel gesto a far scattare Pegasus, ormai scevro di ogni dubbio.

 

“Il vero Odino non avrebbe mai colpito i suoi fedeli lupi! Sei rimasto vittima dei tuoi stessi trucchi, Loki! Fulmine di Pegasuuus!!!” –Gridò, piombando sulla Divinità preceduto da una pioggia di stelle, travolgendola e scaraventandola indietro, fino a schiantarla contro le mura difensive di Fensalir, distruggendone una parte. Quando questa riuscì a liberarsi dai detriti franati su di lui, facendo esplodere il proprio cosmo rabbioso, aveva già riassunto le sue forme originarie. Quelle di Loki, il Buffone Divino, i cui occhi fiammeggiavano un’ira covata per secoli.

 

“Impiccione!” –Si limitò a commentare, il bel volto per la prima volta deformato da ustioni che Pegasus non ricordava di aver visto poc’anzi. Quindi sollevò un dito, per disegnare una runa nell’aria, ma si fermò, proprio mentre il Cavaliere di Atena si preparava per caricarlo ancora e Odino si rialzava, dopo aver carezzato i cadaveri dei lupi che gli avevano salvato la vita. Quasi come avesse perso ogni interesse verso lo scontro in atto, Loki diede le spalle a entrambi, annusando l’aria, prima di balzare su quel che rimaneva delle mura di confine e fissare la nube di fumo e ceneri che ricopriva il cuore di Asgard. Rimase in osservazione per una manciata di secondi, prima di discendere nuovamente nel giardino, esplodendo in una fragorosa risata, di fronte agli occhi esterrefatti di Pegasus e a quelli dubbiosi di Odino.

 

“Il fumo ti ha dato alla testa?!” –Ironizzò il primo.

 

“Tutt’altro, mio giovane e rampante amico! Il fumo cela la mia speranza di vittoria!” –Commentò Loki, sibillino, incrociando lo sguardo del Guercio. –“Adesso che lui è arrivato, per Asgard non vi sono più speranze!”

 

“Lui?!” –Balbettò Odino, non capendo. Poi si ricordò di una visione di Frigg, così intensa che le aveva quasi strappato il cuore, una visione in cui Asgard sprofondava in un oceano di fiamme e ombra. E trovò la forza per mormorare una sola parola. –“Surtr!”

 

Il Distruttore era arrivato.

 

 

 

 

 

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Capitolo 34
*** Capitolo trentaduesimo: Sulle tracce di Atlantide ***


CAPITOLO TRENTADUESIMO: SULLE TRACCE DI ATLANTIDE.

 

Ascanio aveva letto molti libri su Atlantide, scritti nell’età della Grecia Classica, da autori successivi a Platone, il primo a parlare di un’isola immensa, situata al di là delle Colonne d’Ercole e sprofondata nel mare a causa di cataclismi straordinari. Da allora scrittori e scienziati si erano abbandonati alle teorie più stravaganti sulla localizzazione del continente perduto e sulle cause del suo inabissamento e, sebbene qualcuno avesse avuto idee più interessanti di altri, nessuno l’aveva mai trovato, né aveva saputo portare all’attenzione dell’opinione pubblica e della comunità scientifica prove inconfutabili della sua esistenza.

 

Questo perché non possedevano le giuste chiavi di lettura! Commentò il ragazzo, con un sorriso vittorioso, quasi divertito, sul volto, lasciandosi cullare dalla fredda brezza atlantica che gli soffiava sul volto.

 

Era una splendida giornata nel Golfo di Cadice e le temperature, sia pur basse, non erano paragonabili alle tormente di gelo che imperversavano nell’Europa centrale e settentrionale. Segno che l’espansione dei ghiacciai, da molti tanto temuta, aveva incontrato difficoltà inattese.

 

Ascanio sorrise, riflettendo che i seguaci di Atena e di Odino, e i Cavalieri delle Stelle suoi compagni, stavano dando nuova prova del loro valore. Avrebbe voluto essere con loro, a combattere in prima linea contro le tenebre del passato, a liberare i draghi di cui era custode e ad osservarli divorare le creature infernali che Loki aveva risvegliato. Ma Avalon era stato chiaro al riguardo: Zeus aveva richiesto la sua presenza altrove e, essendo anche un Cavaliere Celeste, legato al Re dell’Olimpo, avendogli questi concesso quindici anni addietro l’onore di guidare la Legione Nascosta, non aveva potuto rifiutarsi, per non dare vita ad un inutile scontro.

 

Inoltre, e di questo Ascanio era ben cosciente, Avalon aveva il suo interesse affinché uno dei suoi Cavalieri fosse presente in quell’impresa, in quell’operazione difficoltosa di cui neppure lui poteva prevedere gli esiti. Ed egli, dei sette, era colui a cui il Signore dell’Isola Sacra concedeva maggior fiducia, il suo allievo prediletto.

 

“Voglio che tu sia i miei occhi, Ascanio!” –Gli aveva detto, accompagnandolo al molo di legno, dove una barca a remi già lo attendeva per condurlo sull’altra sponda del lago. Ascanio aveva annuito, mentre il maestro gli sfiorava il volto, chiudendogli gli occhi neri e lasciando che una seconda Vista lo guidasse. La stessa che avrebbe permesso all’uomo dalle vesti argentee di seguire gli eventi nel Pozzo Sacro.

 

“Siamo in posizione!” –Una voce fresca lo distrasse dai suoi pensieri, costringendolo a voltarsi verso il ragazzo che aveva appena parlato. Il ragazzo che aveva incontrato pochi mesi prima, ai piedi del colle chiamato Tor, e al cui fianco aveva combattuto.

 

“Molto bene!” –Annuì, seguendo il Luogotenente dell’Olimpo sul retro della nave, ove erano state posizionate le casse con l’equipaggiamento che Julian Kevines aveva fornito loro per l’immersione.

 

Aiutati dal personale di bordo, i ragazzi indossarono le tute protettive, le pinne e le maschere, dotate di un faretto per illuminare l’ambiente, mentre un tecnico ripeteva le istruzioni di funzionamento di queste ultime, collegate con le bombole d’ossigeno che avrebbero portato sulle spalle. Ascanio e il suo compagno annuirono per non destare sospetti, ben consapevoli che, una volta raggiunte le profondità oceaniche, avrebbero agito a modo loro. In un modo che forse la scienza non avrebbe compreso.

 

Fu l’allievo di Avalon il primo a tuffarsi, subito seguito dal Cavaliere dell’Eridano Celeste, puntando con decisione verso l’abisso. La luce del sole presto li abbandonò, incapace di arrivare in profondità, e dovettero usare i fari per rischiarare un affascinante mondo nascosto, di cui avevano sentito soltanto parlare in precedenza, o di cui avevano letto nei libri, senza mai esservi venuti in contatto. Li invase una sensazione di piacere per quella nuova esperienza che stavano vivendo e, se avessero potuto, avrebbero trascorso altro tempo ad esplorare il fondo marino, con tutte le sue specie animali e vegetali. Ma il tempo era loro nemico e Ascanio ricordò al compagno, con un semplice gesto, che avevano una missione da compiere.

 

Per questo si inoltrarono in recessi ancora più profondi, guidati dal cosmo di Zeus che stava seguendo i loro movimenti dall’alto dell’Olimpo. Non fu semplice muoversi con agilità poiché, sebbene entrambi ben allenati, non avevano mai praticato immersioni fino ad allora, e più di una volta dovettero combattere con correnti contrarie, sbagliando strada e ritrovandosi tra le rocce del fondale marino.

 

Impiegarono quaranta minuti per raggiungere il luogo indicato loro dal Signore degli Dei, una particolare conformazione rocciosa che, vista da vicino, sembrava quasi innaturale. Per quanto levigate dalle correnti continue, quelle rocce infatti parevano essere state disposte ad arte, in tempi antichissimi, in modo da formare un simbolo caro all’Imperatore dei Mari. La punta di un tridente.

 

Seguirono la direzione che indicava, giungendo all’ingresso di un tunnel nascosto da un ammasso roccioso, dall’interno del quale proveniva un’oscurità così fitta che neppure con i fari delle maschere i due ragazzi riuscirono a distinguere alcunché. Un portale verso le tenebre, così Ascanio definì quell’apertura, prima di farsi coraggio ed entrarvi, subito seguito dal condottiero olimpico. Non dovettero fare molta strada poiché si accorsero, dopo dieci metri, che la strada era sbarrata, da quella che a prima vista sembrava una roccia liscia e perfettamente levigata. Poi, osservandola meglio, Ascanio notò che non era una semplice roccia, bensì l’anta di una porta, su cui era stato scolpito il tridente di Nettuno.

 

Seguendo con una mano le scanalature del simbolo, il ragazzo trovò il centro del rustico portone, dove le due immense pietre si toccavano, celando quello che, secondo Zeus, era l’ingresso per l’antica Atlantide.

 

“Tutto quello che dobbiamo fare adesso è soltanto… spingerlo!” –Esclamò Ascanio, parlando tramite il cosmo. Il compagno annuì, sia pur titubante, sistemandosi di fianco alla porta e iniziando a premere su di essa con la spalla destra. Ascanio fece altrettanto, ponendosi di fronte a lui, ma per quanti sforzi vi profondessero non ottennero altro risultato che stancarsi e respirare più difficilmente.

 

“Così non va!” –Si disse il Comandante dei Cavalieri delle Stelle, ritenendo che non avrebbero ottenuto niente in quel modo. –“Questo portone è rimasto celato per migliaia di anni, dal termine della Prima Guerra Sacra tra Nettuno e Atena! Non potrà certo cedere di fronte a una spallata!”

 

L’altro seguace di Zeus gli fece un cenno con le mani, sbattendo il pugno nel palmo dell’altra, dando a intendere di aprire l’ingresso con la forza, usando i propri colpi segreti. Ma Ascanio scartò anche quell’ipotesi, non soltanto offensiva verso il Dio dei Mari, ma anche pericolosa.

 

“Generare un’esplosione in questo ristretto condotto rischia di farci crollare tutti i massi addosso! No, io credo che… Ma sì…” –Rifletté Ascanio, guardandosi intorno e capendo come sarebbero riusciti ad aprire il celato ingresso, usando la stessa natura, lo stesso oceano che per millenni l’aveva protetto. Socchiuse gli occhi, espandendo il cosmo e lasciando che fluisse attorno a sé, espandendosi a macchia e rischiarando le profondità marine. Sfiorò le rocce, avvolgendole in un silenzioso abbraccio, si fuse con le correnti d’acqua, mescolandosi al loro sapore salato, finché non le sentì dentro di sé, finché non se ne sentì padrone.

 

“Saranno proprio queste correnti a spalancarci la via!” –Disse, riaprendo gli occhi e dirigendo dei flussi d’acqua contro il centro del portone, facendo cenno al compagno di mettersi alle sue spalle. Con forza sempre maggiore, Ascanio premette sul punto di contatto tra i due millenari massi, scatenando l’impeto della natura oceanica che adesso sentiva parte di sé, che adesso poteva controllare, come era nei suoi poteri di Cavaliere delle Stelle. –“Apritevi, portali di Atlantide! Che il continente perduto sia infine ritrovato!!!”

 

Tanta fu la pressione che infuse alle correnti d’acqua che le rocce alla fine cedettero, aprendosi verso l’interno, quasi fossero realmente un portone. Ma i servitori di Zeus non ebbero tempo di gioire che vennero risucchiati da una forza allucinante, che li trascinò all’interno del tunnel, oltre le porte aperte, sballottandoli e strappando loro persino i fari e le bombole di ossigeno. Per un attimo si sentirono perduti, vinti da sepolcrali correnti poste a difesa di un mondo che nessun uomo aveva raggiunto in migliaia di anni. Poi cercarono di reagire, facendo appello alla loro energia interiore, e sebbene non potessero vedere alcunché, né capire dove stessero andando, riuscirono a vincere le correnti di profondità e a puntare verso l’alto, fino a sbucare fuori.

 

Fuori? Si chiese Ascanio, realizzando che l’acqua attorno alla sua testa era scomparsa. Aprì la bocca e realizzò di poter respirare, come pure il Cavaliere dell’Eridano, emerso alla sua destra e intento a tossire e a sputare acqua dai polmoni.

 

“Ho creduto davvero che saremmo morti così, affogati a tremila metri di profondità!” –Esclamò il figlio di Elena e Deucalione. –“Ma… dove siamo finiti?!”

 

Entrambi si guardarono attorno, confusi e stupefatti, e realizzarono di trovarsi in una conca, dove confluivano le correnti dal basso, separati dal resto dell’oceano da una rozza copertura di pietre che generava una caverna. Nuotarono fino alla riva, togliendosi poi le pinne e incamminandosi tra le rocce, diretti verso il bagliore che pareva provenire al di là di esse, l’unica fonte di luce nell’oscurità oceanica.

 

“Per gli Dei dell’Olimpo!!!” –Affermò l’Eridano Celeste, fermandosi di scatto e rimirando il paesaggio che si apriva alle spalle di quell’ammasso roccioso. Un paesaggio sterminato, che neppure nei sogni avrebbe potuto immaginare.

 

Davanti a loro, il terreno degradava leggermente, trasformandosi poi in una rozza pavimentazione che costituiva il basamento su cui sorgevano una serie di costruzioni rocciose che non potevano essere che edifici. Non pietre disposte secondo casualità, ma vere e proprie costruzioni di cui rimanevano le tracce nei portoni, negli archi, nelle finestre e nelle terrazze. Una sequela di edifici in mezzo ai quali Ascanio e il suo compagno si ritrovarono a camminare, osservandoli sbalorditi e affascinati.

 

“Atlantide…” –Mormorò infine il Comandante dei Cavalieri delle Stelle, non avendo più alcun dubbio. L’avevano trovata davvero, la città perduta, inabissatasi per lo scontro violento tra gli Dei e schiantatasi sul fondo del mare. –“Inannzi a quella foce stretta che si chiama Colonne d’Ercole, c’era un’isola. Ed era un’isola più grande della Libia e dell’Asia messe insieme!” –Mormorò, citando il Timeo di Platone. –“Quel che non capisco è come abbia potuto conservarsi così a lungo…”

 

“Né come possa non esserci l’acqua qua sotto, a tremila metri di profondità!” –Gli fece eco l’amico, tirando uno sguardo verso l’alto e accorgendosi di un riflesso azzurro che pareva circondare l’intero regno sommerso.

 

“Credo che sia dovuto al cosmo di Nettuno!” –Rispose Ascanio. –“Lo sento! Adesso che posso concentrarmi meglio, percepisco la sua antica potenza! Permea questa terra, rinchiudendola all’interno di una bolla, separandola in questo modo dal resto dell’oceano e impedendo che le acque la divorino! Deve essere il motivo per cui mai nessuno l’ha trovata, né alcuna tecnologia moderna ne ha mai rivelato l’esistenza!”

 

“Non semplice cosmo pervade questo luogo sacro, ma la Divina Volontà del mio Signore!” –Esclamò allora un’acuta voce femminile, sorprendendo i due ragazzi, che si fermarono e guardarono attorno con circospezione, increduli che potesse esservi qualcuno oltre a loro.

 

Sopra i resti di un palazzo videro allora quella che da lontano avrebbero potuto scambiare per una statua. La sagoma di una sirena distesa su un fianco. Una sagoma che, mentre la osservavano, si caricò di una luce colorata, espandendosi sempre di più fino ad abbagliarli.

 

“Chi ha parlato? Un’armatura vuota?!”

 

“No, non è vuota, ma destinata ad ospitarmi!” –Riprese la voce sconosciuta, mentre fasci di luce esplodevano dalla sagoma della sirena e la corazza stessa si scomponeva, aderendo al corpo perfetto di una ragazza dai lunghi capelli biondi. –“Il mio nome è Titis, Cavaliere Sirena al servizio di Nettuno!” –Si presentò, prima di balzare a terra e camminare fino a portarsi di fronte agli invasori del tempio sottomarino. –“Vi avevo visto conversare con Julian a Capo San Vicente e qualcosa, forse il mio sesto senso, o il mio istinto di donna, mi aveva suggerito che non foste semplici amanti della subacquea! Avrei voluto fermarvi prima ma ho avuto bisogno di tempo per completare la mia trasformazione, non avendo previsto che, in quest’epoca, sarei dovuta tornare a vestire la corazza della Sirena per proteggere il mio Signore!”

 

“Trasformazione?! Ma cosa sei?!” –Mormorò il Luogotenente dell’Olimpo, mentre Ascanio scrutava la ragazza con sguardo attento, per leggere al di là dell’apparenza.

 

“Un metamorfo!” –Rispose infatti al posto suo. –“Detti anche mutaforma, sono esseri capaci di modificare il loro aspetto, trasformandosi nel simbolo del loro potere!”

 

“Ne hai sentito parlare?!” –Commentò Titis. –“Beh non mi sorprende! Siamo rari, questo è vero, ma non al punto da impedire che ogni armata divina ne abbia un esemplare! Tra gli Spectre ve ne è infatti uno che può mutarsi da bruco in farfalla e Dragone del Mare mi informò che ad Asgard viveva un Cavaliere in simbiosi con i lupi! Nettuno può contare invece su di me, l’ultimo della schiera dei Cavalieri Sirena, da lui incaricati di proteggere il suo regno, soprattutto questo, che ne è il cuore!”

 

“Capisco, e ti ringrazio per non averci attaccato a tradimento, giovane sirena! Permetti che anch’io mi presenti! Sono Nikolaos dell’Eridano Celeste, Luogotenente dell’Olimpo al servizio del Padre degli Dei, e questi è il mio compagno Ascanio Pendragon, Cavaliere delle Stelle fedele ad Avalon! Siamo qua per ordine diretto di Zeus!” –Esclamò il ragazzo, spiegando le motivazioni che li avevano condotti così in profondità. –“È desiderio del Signore Supremo dell’Olimpo che suo fratello torni ad ammirare la luce del sole, schierandosi al suo fianco nell’ultima guerra!”

 

“Uhm…” –Rifletté Titis, spostando lo sguardo da Nikolaos ad Ascanio, per osservarli meglio. Forse era vero, forse quei due ragazzi in muta erano davvero al servizio di Zeus, del resto non era impresa da poco trovare la via che conduceva ad Atlantide. Nessuno, nel corso di millenni, vi era mai riuscito, e quei pochi giunti al portale erano morti schiacciati dalle correnti di profondità, che giocavano con la vita di coloro che ardivano violare la cripta dell’Imperatore dei Mari. Eppure costoro hanno superato anche quella prova… Si disse, prima di rispondere al Luogotenente dell’Olimpo. –“Non posso compiacere la vostra richiesta, mi dispiace! Se anche siete chi dite di essere, il mio compito è comunque quello di proteggere questo santuario, impedendo a chiunque, persino a Zeus, di violarlo! Per questo sono stata investita e non ho intenzione di infrangere il giuramento che mi lega al mio Signore, soprattutto adesso che i sette Generali sono morti!”

 

“Cavaliere Sirena, la nostra missione non presuppone fallimenti! Siamo consapevoli della tua devozione a Nettuno, ma ti assicuro che né tu né il tuo Dio ne sarete danneggiati!” –Continuò Nikolaos nel perorare la loro causa.

 

“Se Zeus vuole risvegliare Nettuno, che venga di persona a bussare alla sua porta! Troverà chi la custodisce!” –Replicò Titis, balzando indietro ed espandendo il suo cosmo. –“Tornate indietro o dovrò combattervi!”

 

“Tsè!” –Rise Ascanio, infastidito dall’imprevisto ostacolo. –“Non c’è storia, mia bella sirena! Non è nostra intenzione farti del male! Non darcene motivo!”

 

“Insolente!” –Bofonchiò Titis, mentre già il suo cosmo invadeva l’aria. –“Sottile trama corallina!” –Un canto melodioso si diffuse per l’intera Atlantide, incantando per un momento i due ragazzi, il tempo necessario affinché le loro gambe venissero bloccate, ricoperte da uno strato di coralli che si faceva sempre più consistente.

 

“Che diavolo…?!” –Mormorò Nikolaos, cercando di liberarsi, prima che la morsa di coralli si chiudesse sul suo viso, impedendogli persino di respirare.

 

“Umpf… Quanto spreco di tempo e energie!” –Commentò Ascanio, bruciando per la prima volta il suo cosmo e liberandolo con una vampata di energia che salì fino al cielo del tempio, incenerendo i coralli che lo avvolgevano e liberando anche l’amico.

 

“Incredibile!!!” –Balbettò Titis, muovendo un passo indietro, intimorita e affascinata da quell’esplosione energetica dalla forma di due serpenti intrecciati. Una potenza devastante che non aveva percepito in nessun’altro Cavaliere. –“Seconda soltanto al mio Signore Nettuno!”

 

“Adesso che hai capito l’inutilità dei tuoi sforzi, ti prego, Cavaliere Sirena, cedi il passo! Come tu hai la tua missione, noi abbiamo la nostra!” –Esclamò Ascanio, puntandole contro un dito e liberando un fascio di energia che trafisse Titis in pieno, schiantandola a terra poco distante con la corazza danneggiata.

 

“Io… Proteggerò Atlantide ad ogni costo!” –Rantolò la giovane, affannando nel rimettersi in piedi, mentre Nikolaos cercava un modo per evitare ulteriore spargimento di sangue.

 

“Se questo è il tuo volere…” –Commentò Ascanio, tirando su la manica della tuta e sfiorando i serpenti tatuati sul suo polso.

 

“L’unico volere che conta è quello del Padre degli Dei!” –Intervenne un’imperiosa voce, mentre una sagoma di pura luce appariva poco distante dai tre combattenti.

 

“Ma voi siete…?!” –Balbettò Nikolaos, mentre il manto di luce scemava di intensità, permettendo loro di osservare un uomo alto e snello, ricoperto da una celeste Veste Divina, dello stesso colore dei suoi occhi. In mano stringeva un anfora che tutti subito riconobbero: il Vaso di Atena, ancora sigillato. –“Ermes, il Messaggero degli Dei!”

 

“Non ci sarà bisogno di lottare!” –Esclamò il Dio, avvicinandosi e porgendo una mano a Titis, per aiutarla a rialzarsi. –“Gli ordini di Zeus Olympios sono legge per gli appartenenti di qualsiasi culto, compresi i servitori del suo adorato fratello! Non è così, Cavaliere Sirena?!”

 

Titis esitò ancora un secondo, incapace di ammettere la sconfitta. Se anche avesse voluto opporsi sarebbe bastato il gesto di uno di loro per spazzarla via. E in quel modo sarebbe dovuta morire, lottando in nome della causa che aveva giurato di difendere. Ma c’era qualcosa, nelle parole sincere del Messaggero degli Dei, nel suo dolce sguardo senza età, che le diceva che poteva fidarsi. E che Nettuno stesso avrebbe capito. Questo, quantomeno, fu quel che si disse  per convincersi mentre chinava il capo, accettando infine le richieste di Ermes.

 

“Molto bene! Fai strada, dunque!” –Esclamò l’Olimpico Messaggero, seguendo Titis nel dedalo di strade di Atlantide.

 

“A giudicare dalla solidità degli edifici e dalle decorazioni, Atlantide doveva essere un regno molto prosperoso! Su qualche parete ancora permangono sbiaditi affreschi che neppure il tempo ha cancellato! È difficile pensare che ci troviamo su un’isola che un tempo godeva della luce del sole!” –Commentò Nikolaos.

 

“Ed una splendida città era infatti! Nettuno vi costruì il tempio più bello che sia mai stato eretto al di là delle Colonne d’Ercole! Fu qua che il Dio si asserragliò con tutti i suoi fedeli, al termine della Prima Guerra Sacra, e qua affrontò i Cavalieri che Atena gli inviò contro! Ne seguì uno scontro così violento che l’intera isola si inabissò!” –Spiegò Ermes, ed anche Titis annuì, ben conoscendo la storia di quella disfatta.

 

Dopo qualche minuto giunsero sul punto più alto della città, un rialzo sul quale si ergeva un tempio di mura robuste, più solide, a vedersi, del resto degli edifici. Le porte, sia pur usurate dal tempo, erano in oro massiccio e ornate dal simbolo che Ascanio e Nikolaos avevano visto sul portale esterno. Il tridente di Nettuno.

 

“In questo mausoleo riposa il corpo del Signore dei Mari! Da tempi immemori il suo sonno non è mai stato interrotto, avendo egli preferito ricorrere a un simulacro piuttosto che rischiare di rovinare il suo vero aspetto!” –Spiegò Titis, fermandosi all’esterno assieme ai tre fedeli di Zeus. –“Sommo Ermes… Siete davvero sicuro che sia la scelta migliore?”

 

“Che lo sia o meno, questa è la volontà di Zeus Tonante, e non sarà un semplice emissario a metterla in dubbio!” –Rispose pacato l'ambasciatore del Dio del Fulmine, facendo cenno a Titis di procedere.

 

La ragazza sospirò, prima di avvicinarsi al portone e spingere un’anta con forza. Fece per spalancare anche la seconda, quando si sentì afferrare per una gamba e sbattere a terra con violenza, da un sinuoso tentacolo violaceo che la trascinò all’interno.

 

“Titis!!!” –Esclamò Nikolaos, correndo avanti, seguito da Ermes e da Ascanio. Nuovi tentacoli sfrecciarono nella loro direzione, intrappolando i tre combattenti in una ferrea morsa e sollevandoli in aria, fino a sbatterli contro il soffitto del tempio e contro le mura laterali, permettendo loro di rimirare l’ancestrale creatura che li aveva catturati. –“Una… piovra gigantesca…”

 

“Aaargh!!!” –Gridò Titis, la cui corazza stava andando in frantumi, stritolata da quella morsa violenta.

 

“Non è solo una piovra. È un guardiano!” –Esclamò Ascanio, sballottato contro un muro dal gigantesco animale che occupava l’intero spazio del corridoio che conduceva alla cella centrale. –“Ben più efficiente della graziosa sirenetta, aggiungerei!” –Ironizzò, prima che una stretta della creatura gli mozzasse il respiro.

 

“Il Cavaliere di Avalon ha ragione! Deve essere stato incaricato da Nettuno di presiedere il suo regno, ergendosi come ultima difesa e uccidendo chiunque tentasse di violare la sacra soglia!” –Intervenne Titis.

 

“E come diavolo ha fatto a sopravvivere per tutto questo tempo?!” –Gridò Nikolaos.

 

“Grazie al cosmo di Nettuno, di cui si è nutrito!” –Spiegò Ascanio, che sentiva provenire dalla bestia un baluginare di cosmo, fioco ma percettibile. Il plancton che gli aveva permesso di perdurare per quei lunghi millenni di solitudine.

 

“In effetti… il livello della bolla è molto calato!” –Commentò Titis, prima che la piovra le sbattesse il cranio contro un muro, spaccandole l’elmo e inzuppandole la faccia di sangue. –“Prima copriva una porzione di mare molto superiore, adesso raggiunge a malapena i dieci metri di altezza!”

 

“Mi dispiace per questo povero animale che non ha colpa alcuna tranne la devozione sconfinata al suo Signore, per il quale ha tutta la mia stima!” –Esclamò allora Ermes. –“Ciononostante niente potrà fermare la mia missione!” –E cercò di muovere un braccio per raggiungere il Caduceo che portava affisso alla cintura dell’armatura.

 

Quasi come la piovra avesse percepito le sue intenzioni, la pressione dei tentacoli aumentò, troncando a metà il tentativo del Messaggero degli Dei e torcendogli un braccio all’indietro. Nikolaos espanse allora il proprio cosmo, ma sentì chiaramente che più lo faceva ardere più gli veniva portato via, sottratto dall’ancestrale creatura che pareva trarne forza e nutrimento.

 

“Lasciate… fare a me!” –Mormorò Ascanio, chiudendo gli occhi.

 

Titis, Nikolaos e Ermes lo osservarono per qualche secondo, trattenendo il fiato dallo stupore quando si accorsero che la piovra pareva essersi fermata e aver diretto il proprio sguardo verso il Cavaliere delle Stelle. Ascanio liberò il cosmo, lasciando che la creatura ne venisse in contatto, lasciando che lo sentisse fluire dentro sé, impressionando Titis, che capì cosa stava facendo. Trovò conferma ai suoi pensieri poco dopo, quando sentì allentarsi la presa dei tentacoli, quando sentì che la piovra li stava lasciando liberi, consapevole di non aver niente da temere da loro, consapevole che non avrebbero recato danno alcuno al tempio del suo creatore.

 

“Quel che avevo detto sulle truppe di Ade e Nettuno, vale anche per Avalon a quanto pare!” –Disse il Cavaliere Sirena, mentre i tentacoli la depositavano a terra. –“Sei un metamorfo anche tu, capace di entrare in comunione con le forze della natura, capace addirittura di trasferire l’anima in un altro essere, tramite la trasmigrazione della stessa. La metempsicosi.”

 

“Faccio solo quel che è nei miei poteri!” –Commentò blando Ascanio, senza perdere la concentrazione con la mente della piovra, conducendola, quasi fosse soggiogata da un incantesimo, all’esterno del mausoleo di Nettuno e osservandola allontanarsi, libera finalmente dal legame che la vincolava a quella tenebrosa prigionia. –“Hai servito bene il tuo padrone! Egli potrà soltanto essere fiero di te! Vai in pace, abitante degli abissi! Io, Ascanio Pendragon, Cavaliere della Natura, ti dono la libertà!”

 

Nikolaos lo affiancò poco dopo, anch’egli, come l’amico, con la tuta strappata in più punti e la pelle arrossata a causa della stretta dei tentacoli. Ermes, alle loro spalle, stava curando le ferite aperte di Titis, bloccando l’emorragia al cranio.

 

“Dobbiamo andare!” –Esclamò il Comandante dei Cavalieri delle Stelle. I suoi compagni annuirono e si inoltrarono nel mausoleo di Nettuno.

 

Oltre, Avalon non poté vedere.

 

La superficie del pozzo sacro si oscurò, impedendogli di continuare a seguire le gesta del suo allievo, e al Signore dell’Isola Sacra parve che un’ombra immensa fosse scesa sulla Terra. Rabbrividì, stringendosi nelle sue vesti argentee, e discese nell’erba della radura, trovandola per la prima volta fredda.

 

“Cos’è quest’inquietudine?!” –Si chiese. –“Così grande non l’ho mai provata prima!”

 

Dopo l’incontro con Ioria si era sentito sollevato, libero da un peso che per anni gli aveva oppresso il cuore. La guerra ad Asgard infuriava ancora, ma l’avanzata dei ghiacciai si era fermata, grazie anche al cosmo dei druidi che da ore ormai pregavano sull’alto colle di Avalon. Eppure non riusciva a scrollarsi di dosso quella sensazione terribile che l’aveva invaso, un brivido nient'affatto dovuto all’inverno nordico. No, è un inverno diverso quello che mi gela l’animo. Un inverno primordiale.

 

“L’ombra è vicina!” –Capì. Ma prima che potesse muoversi per tornare alla propria residenza e conferire con il Primo Saggio, un suono lo distrasse. Una voce stridula che non avrebbe mai immaginato di tornare a udire.

 

“Più vicina di quanto tu non creda, Gran Tessitore!”

 

“Chi è là?” –Avvampò Avalon, muovendo il braccio mentre si voltava e generando un’onda di energia cosmica che rischiarò la cima dell’Isola Sacra, abbattendosi, senza effetto alcuno, sulla nera sagoma che era appena sorta al limitare della radura.

 

“Ah ah ah! Il grande Avalon ha forse paura? E di cosa esattamente?!” –Ridacchiò una voce, palesemente divertita, mentre la figura fatta di ombra avanzava all’interno del cerchio di pietre sacre, senza risentire del suo effetto difensivo. –“Della morte? O del fallimento dei suoi progetti? Il che, a ben vedere, è la stessa cosa!”

 

“Questa voce… non puoi essere tu!!!” –Esclamò il Signore dell’Isola Sacra, sgranando gli occhi inorridito. –“Tu… dovresti essere morto!!!”

 

“Dovrei?! Da quando un condottiero tuo pari è passato a usare il condizionale? Forse da quando ha compreso quale infinito e oscuro potere ha deciso di sfidare?! Perché, e di questo siine certo, contro la grande ombra non vi è speranza alcuna di vittoria!”

 

Avalon non disse niente, fendendo le nebbie con lo sguardo e trovando conferma ai suoi peggiori sospetti. L’ombra che si ergeva dinanzi a lui era un’entità senza corpo, composta di odio e tenebra, che egli conosceva bene. Era colui che avrebbe voluto prendere il suo posto alla guida dell’Isola Sacra, rimodellandola a forma di trono nero e facendone dono al suo signore, il giorno in cui sarebbe ricomparso dall’esilio.

 

Era la sua nemesi, e un tempo era stato suo fratello.

 

Flegias, figlio di Ares, Flagello di Uomini e Dei e Gran Maestro di Ombre.

 

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 35
*** Capitolo trentatreesimo: L'araldo dell'ombra ***


CAPITOLO TRENTATREESIMO: L’ARALDO DELL’OMBRA.

 

Avalon era sorpreso.

 

Sorpreso che qualcuno, dopo secoli, fosse riuscito a sorprenderlo.

 

E il pensiero che fosse stato proprio il fratello che lo aveva tradito generava in lui sentimenti contrastanti. Rabbia e dolore, rammarico e preoccupazione. Ma lo portava soprattutto a chiedersi quanto forte fosse il Male se poteva permettersi persino quello, se poteva permettersi di tenere in vita un’ombra.

 

“Leggo lo stupore nei tuoi occhi, Gran Tessitore, ed è una reazione naturale!” –Parlò la figura che aveva di fronte, una sagoma di pura tenebra. –“Purtroppo per te, ho imparato a conoscerti e so come ragioni! Secondo logica! La tua vita si è svolta in vista di un obiettivo, i giorni scanditi dalla clessidra del tempo che avevi a disposizione per le tue ricerche, e proprio adesso che sei così vicino alla realizzazione del tuo glorioso progetto, ecco che un imprevisto balza fuori a rovinare i tuoi programmi! Perché un imprevisto sono, e dei più scomodi devi considerarmi!”

 

“Piantala con queste farneticazioni e spiegati! Cosa ci fai qua?”

 

“Non è evidente?! Sono venuto per ucciderti, risolvendo il problema alla radice! Se lo avessi fatto secoli addietro, quando ancora condividevamo lo stesso giaciglio, allievi entrambi del Primo Saggio, mi sarei risparmiato molte fatiche! Perché vedi, Avalon, ho imparato che non sono i Cavalieri di Atena la mia spina nel fianco, ma tu! Tu con i tuoi intrighi, tu con i tuoi sotterfugi, tu con le trame che ordisci da quest’alto colle di mele marce! Hai cercato di ostacolarmi in ogni modo, fin da quando rubasti il posto che meritavo di ottenere! Ma quest’oggi farò in modo che ciò non accada più!”

 

“L’unico posto in cui avresti dovuto sedere era al mio fianco! Ma lo rifiutasti, sputando sulla luce e abbracciando l’ombra! Ti perdesti quel giorno, maledicendo la confraternita, e da allora i tuoi passi hanno percorso soltanto una strada, quella verso il Male! Il male primigenio!” –Commentò Avalon, recuperando la sua sempiterna calma. La sorpresa iniziale stava passando, lasciando il posto al disincanto che aveva regnato nel suo animo durante ogni precedente incontro con il suo antico compagno. Un uomo che aveva tradito persino la propria progenie.

 

Flegias, il Rosso Fuoco, Flagello di Uomini e Dei e Maestro di Ombre aveva perduto il corpo nella battaglia sull’isola dell’Egeo, ma lo spirito era perdurato. Un’anima corrosa dall’ombra a cui si era asservito secoli addietro, proclamandosi suo araldo.

 

“Fare la voce grossa non ti salverà, Avalon! Quando lui sarà qui, di te non resteranno neppure le ceneri! Alla terra donde fosti tratto ritornerai! Polvere alla polvere, così il cerchio si chiuderà!” –Ringhiò Flegias, mentre le forme del suo corpo si allungavano, diventando aguzzi artigli di tenebra che si sollevarono verso il cielo prima di precipitare su Avalon, per infilzarlo.

 

Ma il Signore dell’Isola Sacra, semplicemente socchiudendo gli occhi, scomparve, lasciando che i neri artigli si piantassero nel terreno, prima che Flegias riassumesse una rozza sagoma umana.

 

“È così che speri di vincermi?!” –Esclamò una voce alle sue spalle, mentre un fascio di luce si schiantava sulla sua schiena, infiammandola. –“Con mera energia bruta?! A ben poco allora sono servite le ore di meditazione e le lunghe veglie cui i druidi ci hanno sottoposto!”

 

“Che muoiano anche loro!” –Sibilò Flegias, voltandosi e fissando Avalon con un tetro sguardo, che bastò a spingerlo indietro, sotto la micidiale pressione di una forza invisibile e oscura. –“E infatti moriranno, li sgozzerò io stesso, quando avrò finito con il loro allievo prediletto!”

 

Sei… stolto!!!” –Mormorò il Signore dell’Isola Sacra, per quanto in quella scomoda posizione persino parlare gli risultasse difficile. Cercò di non reagire ai deliri del vecchio compagno, concentrando i sensi e liberandosi da quella gabbia mentale. Ma Flegias, nel frattanto, era già balzato su di lui, portando avanti entrambe le braccia che si mutarono in lame di tenebra. –“Aah aah!!!” –Gridò Avalon, volgendo loro contro i palmi delle mani, carichi di luminescente energia, dentro i quali le lame si piantarono, trapassandoli.

 

Trattenendo il dolore, il maestro dei Cavalieri delle Stelle lasciò che il suo cosmo fluisse lungo il sangue che ruscellava dalle ferite, macchiando lo strato di tenebra di cui Flegias era composto. E incendiandolo.

 

Co… cosa stai facendo?!” –Ringhiò, cercando di ritirare le lame e accorgendosi di non riuscirvi. –“Lasciale!!! Perché vuoi trattenerle in te?!” –Ma Avalon non gli diede alcuna risposta, limitandosi ad espandere ancora il proprio cosmo, che ricoprì l’intera sagoma del Flagello di Uomini e Dei, penetrando al suo interno, portando luce in un luogo di ombra eterna.

 

Ma… maledetto!!!” –Gridò Flegias, sentendo il dolore. Un dolore diverso da quello provato a volte in battaglia, che nient’altro era se non una ferita fisica. Questa invece era una sofferenza interiore che affondava nel suo passato. Nel loro passato. In quello che Avalon stava muovendo dentro di lui nel disperato tentativo di sopraffare l’ombra con la luce. –“Sei… ingenuo fino in fondo…” –Mormorò infine, radunando tutte le sue forze e ritirandosi.

 

Come un serpente, strisciò sul manto erboso fino ad appoggiarsi con la schiena a uno dei grossi megaliti che ne ornavano il perimetro, ricomponendo la propria sagoma e osservando Avalon, rimasto al centro dello spiazzo, con le mani sanguinanti. Ma bastò che l’uomo le guardasse per cicatrizzare le ferite. Quelle esteriori per lo meno.

 

“Non riuscirai ad uccidermi!” –Commentò infine. –“Non te lo permetterò! Non perché io brami di vivere ancora a lungo, ma perché dalla mia esistenza dipendono molte altre vite e non voglio che nessuna vada sprecata!”

 

“Non credere però di riuscire tu ad uccidere me! Hai fallito sull’Isola delle Ombre, quando avevo ancora un corpo, che potevi bersagliare di attacchi, e fallirai anche quest’oggi, che sono immensamente più potente! Ah ah ah! È troppo tardi, Avalon, troppo tardi per tutto! Rido al pensiero di tutti i secoli che hai sprecato a mettere insieme gli indizi dei Sette Saggi, per cercare i Talismani e poi fallire nell’impresa!”

 

“Fallire?! Di cosa stai parlando?!”

 

“Non solo non hai trovato tutti i Talismani, ma hai anche esaurito il tempo a disposizione!” –Strillò Flegias. –“Anche considerando il pischello che Gemini tentò di istruire in gioventù, rimani con cinque Talismani: lo Specchio del Sole, il Tridente dei Mari, la Spada di Luce, lo Scettro d’Oro e la Cintura dell’Arcobaleno!”

 

“Per la verità gli altri due sono in mio possesso da tempo!” –Lo zittì Avalon, senza perdersi l’espressione sbigottita, a tratti incerta, comparsa sul volto del rivale. –“Da quindici anni almeno! Ma, se uno di essi è ben protetto, al punto che persino io l’ho rimirato una sola volta, il possessore dell’ultimo Talismano, il più potente dei Sette, possiede un cosmo così potente da non aver bisogno di ricorrervi in battaglia!”

 

“Vuoi dire… che si tratta di lui?! Grrr!!! Questo non toglie che il tempo sia scaduto! Il varco tra i mondi sta per riaprirsi!”

 

“Mancano ancora trentadue giorni e una manciata di ore! Poche, è vero, di fronte all’eternità, ma sufficienti per coordinare le ultime operazioni di…

 

“Idiozie!!! Il varco si sta aprendo! E se tu la smettessi di tenere la testa china su quel pozzo e la alzassi al cielo ogni tanto te ne saresti accorto prima!” –Ghignò Flegias.

 

Avalon non rispose, ponderando le parole dell’antico compagno. Potrebbe mentire, come ha fatto altre volte in passato, ma in questo caso non otterrebbe alcun beneficio. Ma ammettere che dica il vero significa ammettere che

 

“Quel che è successo ad Asgard ha anticipato gli eventi, smuovendo l’equilibrio tra i mondi e favorendo il ricrearsi della configurazione astrale necessaria affinché il varco potesse riaprirsi ed egli fare ritorno in ciò che ha creato! Gli antichi sigilli stanno venendo meno, divorati dall’odio, dalle guerre e dal male di cui gli uomini son stati cagione per millenni. Questo crepuscolo a cui sono destinati gli Dei del Nord è lo stesso che calerà sulla Terra intera!”

 

“Per i Sette Saggi! Se le tue parole sono vere… il Tempio…” –Rabbrividì Avalon, pensando a Febo e Marins.

 

“I tuoi tirapiedi saranno già morti a quest’ora! Da soli contro l’ancestrale potere che soffia da Est, che speranze avranno avuto? Il deserto del Gobi sarà la tomba di tutti coloro che oseranno sfidarlo!”

 

A quelle parole Avalon sollevò un sopracciglio, fissando Flegias con uno sguardo che da tempo non appariva sul suo placido viso. Uno sguardo tagliente che anticipò lo scatenarsi di un’onda di energia argentata, che scivolò contro il figlio di Ares, strappandogli un grido di dolore mentre lo trapassava.

 

“La mia pazienza ha un limite e tu l’hai superato!” –Sentenziò, espandendo il proprio cosmo e concentrandolo sul palmo della mano, sotto forma di un globo di energia. –“Cometa di Avalon, risplendi!!!”

 

L’attacco luminoso sfrecciò verso Flegias, ancora stordito dall’onda che l’aveva raggiunto, obbligandolo a un rapido movimento del braccio, con cui liberò un cumulo di energia cosmica dal colore dell’ebano. I due assalti si contrastarono per qualche secondo, incendiando l’aria di scintille argentee e nere, prima di esplodere e spingere entrambi i contendenti indietro di qualche passo.

 

“Se davvero i Talismani sono nelle tue mani, è un motivo in più per ucciderti! Con la tua morte, nessuno saprà come usarli e rimarranno inutili! Dubito che Andrei, Alexer e l’altro codardo che ha ben pensato di fuggire sappiano come arrivare all’ultimo manufatto! Ah ah ah!” –Esclamò Flegias, avventandosi sul Signore dell’Isola Sacra.

 

“Adesso basta!!!” –Tuonò una terza voce, con un tono così perentorio da arrestare a metà l’assalto del Maestro di Ombre.

 

Sia lui che Avalon si voltarono verso il sentiero che conduceva alla radura, dove la snella sagoma del Primo Saggio era appena apparsa. Rivestito di bianchi abiti, si appoggiava ad un lungo bastone di legno per tenersi in piedi.

 

Magister! Rimanete a distanza! È pericoloso stare qui!” –Gridò Avalon, ma l’Antico lo mise a tacere con un cenno del braccio, prima di volgere il severo sguardo su Flegias, che decise di approfittare di tale gustosa occasione per uccidere entrambi, avendo finalmente la sua vendetta.

 

“Per puntiglio ti scagli contro di noi?” –Mormorò il Primo Saggio, roteando il bastone e fermando l’assalto di Flegias con un cerchio mistico di energia che apparve a sua difesa. –“Non hai appreso niente dei miei insegnamenti, allora? Un condottiero, a qualunque causa sia devoto, deve mettere da parte i propri sentimenti, in vista dell’obiettivo ultimo. Non c’è posto per noi, per quel che davvero vogliamo, nello scontro tra le potenze del mondo. C’è posto soltanto per quel che dobbiamo fare.”

 

“E io debbo uccidervi, oh Antico! Il mio Signore lo vuole! Ma ringraziatemi! Spesse volte vi ho sentito lamentarvi per la vostra stanchezza, per gli affanni che la senilità vi causa. Siatemi grato, poiché porro fine a tale vita di stenti donandovi finalmente pace. Una pace oscura.” –E nel dir questo Flegias spalancò le braccia, lasciando che fluttuanti figure nere sorgessero dal suo corpo, avventandosi sul Primo Saggio. –“Rapsodia di demoni! Risuona!”

 

“Alla tua follia non c’è fine! Persino l’alto colle di Avalon osi oltraggiare con le tue ombre!” –Esclamò il Signore dell’Isola Sacro, puntando un dito avanti e liberando migliaia e migliaia di fasci di energia, che si schiantarono contro le nere sagome evocate da Flegias, impedendo loro di raggiungere il Primo Saggio. –“Dovresti avere rispetto verso il luogo ove sei venuto al mondo!”

 

“E infatti ce l’ho!” –Sibilò Flegias, i cui occhi rossastri brillavano come fiammelle in un oceano di tenebra. –“Dopo che vi avrò ucciso, e avrò estirpato la malapianta dei Cavalieri delle Stelle, farò di quest’isola la mia dimora! Un nuovo Olimpo creerò, sollevandola in cielo e avvolgendola in una caligine di nubi nere, da cui ammirerò sazio e soddisfatto l’ecatombe cui il mio Signore destinerà il genere umano!”

 

“Sragioni!” –Sospirò Avalon, abbassando il braccio e ponendo fine al suo attacco.

 

Quel gesto stupì Flegias, che vide nell’addolorato sguardo del Signore dell’Isola Sacra il trionfo del dispiacere per l’abbandono subito, il trionfo della pena rispetto alla sua missione. Così, eccitato, frenò l’avanzata dei suoi demoni, dirigendoli anziché verso Avalon, che nulla fece se non osservare il suolo con mestizia, prima di essere circondato da una marea di ombra.

 

“Che su Avalon cali la notte!” –Ringhiò Flegias, pregustando l’imminente vittoria.

 

“Te l’ho già detto! Sei stolto!” –Parlò il Signore dell’Isola Sacra, sollevando infine lo sguardo fiero e deciso e lasciando esplodere il suo cosmo. –“Stolto e avventato!”

 

La deflagrazione di luce annientò ogni ombra e demone, dilaniandone l’essenza, quindi si espanse a raggio, travolgendo Flegias e scaraventandolo indietro, trapassato da migliaia di aghi lucenti. L’intera isola sacra tremò, al ruggito del suo padrone, e tutti i discepoli, gli apprendisti e le sacerdotesse presenti seppero che Avalon era stata attaccata e sul colle più alto le sorti del mondo venivano decise.

 

Matthew, impegnato in quel momento, in una prova di equilibrio sulle mani, perse la concentrazione e cadde a terra, suscitando l’ilarità dei druidi che lo seguivano. Un sorriso di breve durata quando compresero quel che stava accadendo. A sentire che Avalon stava combattendo per tutti loro, il giovane si infiammò, chiedendo di andare a lottare al suo fianco.

 

“Frena l’entusiasmo, giovincello!” –Esclamò una voce, sorprendendo tutti i presenti. –“Avrai tempo e modo per mostrare il tuo valore. Vedi però di non farti uccidere prima. Quanto al resto… lascia che mi occupi io, del nostro comune amico.” –Non disse altro, l’uomo dall’armatura scarlatta, sollevando lo sguardo verso nebbie così fitte che neppure il suo sguardo poteva penetrarvi. Nebbie adesso squarciate da vampate di energia argentea.

 

“Come al solito non hai capito niente!” –Commentò Avalon, incamminandosi verso l’antico compagno, una macchia di tenebra che risaltava contro il grigiore del megalito cui si era appoggiato, per riprendersi dall’assalto subito. –“Credere che il dispiacere per averti perduto potesse portarmi a deporre le armi e a rinunciare a tutto ciò per cui ho lavorato e vissuto finora era un’ingenuità.”

 

“Questo è lo spirito dei garanti dell’equilibrio.” –Intervenne allora il Primo Saggio, sollevando il bastone e puntandolo su Flegias, che sentì ogni fibra della sua ombrosa essenza torcersi e guaire. –“Avalon e gli altri lo hanno compreso. Tu mai.”

 

“Non sono stato un allievo modello!” –Ringhiò il Maestro di Ombre, mentre il suo vecchio compagno si fermava di fronte a lui, fissandolo con sguardo severo. Eppure, in fondo a quegli occhi argentei, Flegias credette di percepire una tristezza più vecchia del mondo. Fu un momento, ma bastò a impedirgli di agire.

 

“Che le stelle ti accolgano, fratello!” –Esclamò allora Avalon, sul cui palmo della mano risplendeva una sfera di luce. La sollevò per poi calarla su Flegias e scomporla in migliaia di scie energetiche che avvolsero la tenebrosa figura, trapassandola e facendola urlare, prima di sollevarla verso il cielo. –“La luce del mio cosmo ti farà da guida verso l’altrove, qualunque esso sia. Le comete si ciberanno della tua oscurità finché di te non rimarrà più traccia alcuna nell’universo!”

 

Ma… maledetto bastardo…” –Latrò Flegias, la cui sagoma andava sempre più assottigliandosi. Con un ultimo disperato sforzo, liberò tutto il suo cosmo, forte della pietra nera ricevuta un tempo, in grado di catalizzare l’oscuro potere che l’aveva generata. Annientò le comete di luce, stupendo lo stesso Avalon, prima di piombare verso terra sotto forma di ombra demoniaca.

 

Magister!!!” –Gridò il Signore dell’Isola Sacra, vedendo la direzione cui puntava.

 

Il Primo Saggio roteò il bastone nodoso ma il cerchio mistico venne sopraffatto dalla furia delle tenebre e Flegias fu su di lui. Avalon tentò di intervenire ma quel che vide lo disgustò, frenando i suoi passi. L’ombra stava entrando all’interno del corpo dell’Antico, penetrando da ogni apertura presente, come una marea cui l’uomo non poteva opporsi. Il Primo Saggio tentò di urlare ma le tenebre gli riempirono la bocca, le narici e le ferite aperte sul suo corpo, gettandolo a terra tra mille spasimi. Durarono poco, in verità, e quando l’Antico si rimise in piedi nei suoi occhi c’era spazio solo per un’iride nera.

 

“Quale orrore!” –Mormorò Avalon.

 

“Blatera pure! Ma cosa farai adesso?!” –Sibilò Flegias, impossessatosi del corpo del Primo Saggio e pronto a dare di nuovo battaglia.

 

“Quel che devo.” –Rispose conciso il Signore dell’Isola Sacra, liberando un globo di energia argentea e dirigendolo contro il suo rivale, schiantandolo contro un megalite molti metri addietro. –“Quel che il Primo Saggio vorrebbe che facessi.” –Aggiunse, mentre Flegias si rimetteva in piedi, sputando sangue e qualche dente rotto.

 

“Dannato per l’eternità tu sia!” –Avvampò il Maestro di Ombre, liberando un’onda di energia del colore dell’ebano, che divorò in fretta il suolo che lo separava da Avalon, prima di scontrarsi contro una cometa di luce che questi aveva appena generato.

 

“Cambiando l’ordine degli addendi, il risultato non cambia. Sarai sconfitto.”

 

“Taci e lotta!” –Ringhiò il Flagello di Uomini e Dei, incrementando la potenza del suo assalto e spingendo Avalon indietro, cingendolo d’assedio da ogni lato con figure composte di pura ombra, che nascevano dal suo corpo, semplicemente staccandosi. –“Da chi ti difenderai adesso? Dai miei attacchi frontali o dai miei demoni?”

 

Urgh…” –Strinse i denti il Signore dell’Isola sacra, espandendo il proprio cosmo lucente al fine di generare uno strato protettivo che impedisse alle ombre di sfiorare il suo corpo. Consapevole di non poter resistere a lungo in quella precaria situazione, Avalon scagliò una cometa energetica verso Flegias, ma con orrore la vide perdersi e scomparire in un ammasso infinito di tenebra che pareva scaturire da Flegias stesso.

 

Dies Irae, dies illa solvet saeclum in favilla!” –Canticchiò questi, citando una composizione poetica medievale che Avalon ben conosceva. –“Il giorno dell’ira, quel giorno che dissolverà il mondo terreno in cenere!” –Ridacchiò, mentre il suo cosmo oscuro invadeva l’intera radura, inglobando megaliti e pozzo sacro, prima di colare verso il basso. –“Quanto terrore verrà quando il giudice giungerà a giudicare severamente ogni cosa! In quel momento che potrai dire, tu, misero, chi chiamerai a difenderti, quando a malapena il giusto potrà dirsi sicuro?”

 

“Ci saranno i suoi amici a difenderlo! I fratelli con cui ha diviso la vita!” –Esclamò una terza improvvisa voce, che stupì entrambi i contendenti.


Flegias fece appena in tempo a riconoscerla che una devastante bomba di fuoco piovve dal cielo, investendolo in pieno e scagliandolo in alto per il contraccolpo. Avalon sollevò lo sguardo, vedendo il corpo del Primo Saggio avvolgersi in vivide fiamme rossastre e poi schiantarsi a terra, circondato da roghi continui che avevano d’un tratto rischiarato la cima dell’alto colle.

 

In mezzo alle vampe di fuoco, Andrei gli sorrideva compiaciuto, la scarlatta armatura dalle slanciate forme risplendeva ai movimenti del padrone in una sinuosa danza di guerra.

 

“Hai un conto in sospeso con me, una lista di debiti di guerra così lunga che neppure ucciderti mille volte potrebbe saldarla!” –Disse, mentre Flegias si rimetteva in piedi.

 

“Quale onore. L’infiammabile tirapiedi di Avalon! Non ci vediamo da un po’ di tempo, da quanto? Da quando incendiai quel santuario in Siam?”

 

“Era il tempio di Angkor, in Cambogia!”

 

“Uno dei tanti ove ho lasciato il mio segno!” –Ghignò il Maestro di Ombre, suscitando l’immediata reazione di Andrei, che liberò una spirale di fuoco, chiudendola attorno al demoniaco figlio di Ares. –“Piuttosto suscettibile il ragazzo!” –Aggiunse, generando, semplicemente muovendo un braccio di lato, un’onda di energia nera che fagocitò le fiamme, spegnendole una dopo l’altra.

 

“Come hai fatto a intervenire? Credevo che le tenebre avessero isolato l’isola sacra!” –Commentò Avalon, avvicinandosi al compagno.

 

“È così infatti, a stento percepisco quel che accade al di fuori! La verità è che non me ne ero ancora andato. Mi sono trattenuto ad osservare i progressi di Matthew. E a pregare per tutti noi.” –Spiegò Andrei, prima di riportare lo sguardo su Flegias, il cui sorriso sghembo stuprava il volto solitamente placido dell’Antico. –“E ho fatto bene, a quanto pare! Quale migliore occasione di lasciar le mie fiamme libere di danzare?!”

 

“Che non sia il tuo ultimo ballo!” –Ringhiò il Rosso Fuoco, concentrando il cosmo attorno al braccio destro, ma prima che potesse liberare il suo apocalittico attacco, Andrei aveva già aperto il palmo della mano, evocando una moltitudine di fiamme che, come fossero creature viventi, sfrigolarono nell’aria dirette verso Flegias.

 

Flame of victory!” –Esclamò, osservando compiaciuto le lingue di fuoco avvinghiarsi attorno all’avversario.

 

“Idiota!!! Brucerai soltanto il corpo del Primo Saggio! Anche tu, come Avalon, sei disposto ad uccidere il tuo mentore?!”

 

“I tuoi trucchi non funzionano con me, Flegias! La fiamma di vittoria non è fuoco comune, non incendia la materia! Bensì l’ombra!” –Disse Andrei soddisfatto, senza perdersi lo sguardo impaurito apparso sul volto del nemico.

 

Dopo pochi secondi Flegias cacciò un grido, poi un altro, e un altro ancora, mentre le fiamme continuavano ad ardere attorno al corpo di cui aveva preso possesso, il corpo che adesso pareva bruciare come l’inferno, impedendogli di rimanervi.

 

“Alchimisti maledetti! Persino il fuoco avete ritorto contro di me! Niente più mi lasciate, nemmeno un involucro umano?!” –Ringhiò, mentre la sagoma di un’ombra iniziava a sgorgare fuori dal corpo dell’Antico. –“Devo uscire da quest’incendio!”

 

“Quell’involucro non ti apparteneva! Rendilo a chi saprà onorarlo!” –Esclamò Andrei, mentre, con la coda dell’occhio, vedeva sagome note comparire ai margini della radura sacra.

 

“Presto dovranno onorare anche voi! Con un bel requiem di morte!” –Sibilò Flegias, allungandosi per piombare sui due combattenti e accorgendosi, con sommo stupore, di non riuscire a raggiungerli, prigioniero di un cerchio all’esterno del quale non poteva muoversi.

 

In quel momento anche Avalon vide i druidi, accorsi in aiuto del maestro, e udì la cantilena che avevano intonato. Un’invocazione con cui avevano confinato i movimenti di Flegias ad un’area circoscritta. E, scambiandosi un’occhiata sicura con Andrei, adesso capì perché.

 

“In nome di tutte le vite che hai spezzato, i culti che hai offeso, i templi che hai disonorato soltanto con il tuo mortifero alito, io ti punisco! Fiamma di vittoriaaa!!!” –Gridò Andrei, dirigendo una vampa di fuoco cosmico contro Flegias che, a causa del cerchio mistico, non poté scansarsi per evitarla, subendone il calore.

 

Avalon non disse alcunché, poiché niente avrebbe cambiato la realtà delle cose. Il fratello in cui aveva creduto un tempo non esisteva più, e adesso anche l’ombra del passato sarebbe scomparsa con lui.

 

D’un tratto le fiamme si innalzarono altissime, sospinte da un vento che aveva iniziato a soffiare sull’alto colle, rinvigorendo l’animo inquieto dei presenti. Un vento carico di scariche energetiche che, come fiammelle nel buio, sfrigolarono contro la tenebra che componeva Flegias. Terrorizzato, il Maestro di Ombre tentò di parlare, di chiedere ad Avalon di non farlo, di non usare quel potere, ma le sue suppliche si confusero alle grida che le vampe di fuoco e di luce gli provocavano.

 

Nebulosa delle stelle!!!” –Tuonò infine il Signore dell’Isola Sacra, liberando il potere ultimo di cui era guardiano, il soffio stellare che mantiene vivo l’universo.

 

L’abbagliante tempesta di energia obbligò Andrei a coprirsi gli occhi, indietreggiando di qualche passo, così come fecero i druidi, cercando riparo dietro i megaliti di pietra. Non durò che pochi istanti, il tempo di spegnere le ultime grida del Rosso Fuoco e di dissolvere quel che rimaneva della sua deforme sagoma in un pulviscolo di stelle.

 

Cenere argentea invase l’aria, venendo poi spazzata via dal deflusso della Nebulosa delle stelle, che la sollevò fino al cielo, picchiettando i foschi nembi che cingevano l’isola sacra in perenne assedio. Nonostante la furia della tempesta, la maggior parte della cortina protettiva era ancora al suo posto. Solo uno spicchio di cielo parve comparire lontano, uno squarcio nel velo che permise ad Avalon e ad Andrei di rimirare il lontano oriente.

 

Là, nel firmamento lontano, al di fuori di ogni occhio umano, uno squarcio ben più consistente si era aperto. I fisici lo avrebbero chiamato passaggio dimensionale, gli antichi saggi lo nominarono “l’altrove”. Ma nessuno di loro avrebbe potuto descriverne l’aspetto, se un aspetto lo avesse avuto, poiché, per quel che i Sette ne sapevano, era solo un nulla immenso. Un universo atto a contenere il pericolo che avevano dovuto affrontare, senza riuscire a sgominarlo del tutto.

 

“Il varco tra i mondi…” –Mormorò Andrei, comprendendo quel che era in atto.

 

“L’ora è giunta!” –Confermò Avalon, dando le spalle al compagno e incamminandosi verso i margini della radura, ove i druidi stavano prendendosi cura dell’Antico, i cui attacchi di tosse associati a schizzi di sangue li facevano temere per la sua sorte.

 

Il Signore dell’Isola Sacra sospirò, rivolgendo una preghiera al suo mentore, pur temendo che avrebbe presto incontrato la stessa fine di suo fratello Galen, custode della Biblioteca di Alessandria, anch’egli ucciso da Flegias sedici anni addietro.

 

 

 

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Capitolo 36
*** Capitolo trentaquattresimo: Recinti di fuoco ***


CAPITOLO TRENTAQUATTRESIMO: RECINTI DI FUOCO.

 

Quel che Ilda vide, affacciandosi dai pertugi della Torre della Solitudine, fu quel che le era apparso nelle visioni evocate da Bjarkan. Un oceano di fuoco e morte.

 

Sul piazzale della cittadella di Midgard, ove la statua di Odino era crollata, sommersa in parte da pietre e neve, piovevano lapilli di fuoco che parevano cadere dal cielo. Un’incessante pioggia di lava che stava allargandosi sull’intera città, distruggendo i tetti delle case, incendiando alberi e seminando il panico tra i già provati abitanti.

 

“Sembra che l’universo stesso sudi lacrime di lava!” –Commentò la stridula voce di Fiador, tremando impaurito alle spalle della Celebrante di Odino.

 

Ma Ilda non diede troppo peso ai suoi pavidi pensieri, iniziando a correre lungo le scale interne della torre, seguita dal fido Enji, che già aveva convocato nel Salone del Fuoco quel che restava delle guardie della cittadella. Guardando dalla finestra della torre, la Celebrante non aveva visto soltanto giganteschi nemici attaccare Asgard ma anche l’accendersi solitario del cosmo del Principe Alexer, in piedi al centro del devastato piazzale. Quale che fosse il destino di entrambi, e quello degli Dei, che Ragnarök avrebbe riservato loro, Alexer non sarebbe morto da solo. Questo fu quel che Ilda si disse, uscendo trafelata dal palazzo, con un mantello gettato sulle spalle e una lancia tripunte in mano, dopo aver impartito ad Enji le istruzioni necessarie.

 

“Mia Signora…” –Esclamò il Principe della Valle di Cristallo, percependo il cosmo della Regina di Midgard avvicinarsi. –“Non dovreste essere qua! È pericoloso!” –Aggiunse, proprio mentre un ammasso di lava precipitava a terra vicino a entrambi, incendiando neve e pietrisco.

 

“Il mio posto è in prima linea per difendere la mia città e la mia gente! Non sono diventata Celebrante di Odino per sedere fiacca su uno scomodo trono a guardare le persone che amo morire!” –Rispose calma e fiera Ilda di Polaris. –“Già una volta fui costretta a tale terribile punizione e non vorrei riviverla neppure per un minuto!”

 

“Ciò vi fa onore, pur tuttavia devo farvi presente che potreste non rivedere più il trono che vostro padre vi ha lasciato, perché i poteri di cui disponete non sono arma adatta per affrontare costoro!” –Precisò Alexer, sollevando lo sguardo verso le figure alte e deformi che circondavano il piazzale.

 

I Muspells megir, i figli di Muspell. I Giganti del Fuoco che popolavano il mondo dell’incendio universale.

 

“Non dovrebbero trovarsi qua… Un grave sconvolgimento è in atto nei nove mondi se persino i confini tra gli stessi vengono meno.” –Disse il Principe, osservandoli nascere dalle viscere della terra ed espandersi, come vampe sollevate dal vento, fin quasi a lambire il tetto del cielo. Creature prive di un vero e proprio corpo solido, composte di fuoco e lava, che stavano facendo cadere sull’intera Cittadella.

 

“Cosa intendete?” –Chiese la Celebrante di Odino, arretrando assieme ad Alexer, per evitare lapilli ardenti.

 

“Che io sappia, non sono mai usciti da Muspellsheimr, e certo non avrebbero motivo per essere qua. A meno che… Surtr non sia sceso in campo e abbia ordinato di diffondere ovunque la vampa infernale, trasformando i nove mondi in un incendio universale.”

 

“Come la Volva aveva predetto. Sibila il vapore con quel che alimenta la vita, alta gioca la vampa col cielo stesso.” –Mormorò Ilda.

 

“Sia quel che sia. Non possiamo permettergli di avanzare oltre. La gente di Midgard è già stremata, dobbiamo difenderla!” –E nel dir questo Alexer espanse il proprio cosmo azzurro, che turbinò attorno al suo corpo sotto forma di cristalli di ghiaccio. Di colpo aprì le braccia lateralmente, generando onde di energia congelante che percorsero la superficie del piazzale, spingendo indietro rocce e pietre, spegnendo i vari roghi e ricoprendo il suolo di uno strato di ghiaccio.

 

Quindi, prima che i Giganti di Fuoco potessero rendersi conto di quel che stava accadendo, concentrò il cosmo nel pugno destro e diresse un poderoso attacco verso uno di loro. –“Polvere di Diamanti!!!” –Gridò, mentre una tempesta di cristalli di ghiacci ricopriva la sagoma deforme, spegnendo la fiamma che la alimentava.

 

Ilda approfittò di quel momento per scagliare il suo tridente, conficcandolo nell’ammasso di gelo e facendolo esplodere poco dopo. Così facendo, come avevano predetto, attirarono l’attenzione degli altri Muspells lýðr, che diressero loro contro violenti getti di lava. Alexer afferrò Ilda, ponendola dietro di sé, mentre sollevava di nuovo il cosmo, generando una cupola di ghiaccio con cui parò l’assalto incendiario.

 

“Ve l’ho detto, Regina di Midgard, i vostri poteri sono inefficaci! Io solo, con il mio gelo, posso sperare di contrastare la loro avanzata! Perciò vi prego, mettetevi in salvo! Alle caverne, con il vostro popolo, potreste ottenere riparo per…

 

“Apprezzo la vostra premura, Principe Alexer, ma non permetterò mai che altri si sobbarchino del peso della difesa della mia gente! Dovere che spetta ad ogni Celebrante! Inoltre…” –E nel dir questo Ilda sollevò lo sguardo verso la cupola di ghiaccio che Alexer si stava sforzando di mantenere, nonostante l’incessante pioggia di fuoco, e la vide gocciolare in più punti, segno inequivocabile che la pressione lavica l’avrebbe portata presto al punto di rottura. –“Posso esservi utile. A modo mio!” –Così dicendo, espanse il proprio cosmo, avvolgendolo in quello del Principe della Valle di Cristallo e dandogli nuovo vigore.

 

Alexer sorrise, vedendo la cupola di ghiaccio assumere nuova rigidità e fermando la fuoriuscita d’acqua, e approfittò di quel ritrovato slancio per generare cristalli di ghiaccio che vorticarono attorno alle lingue di fuoco, congelandole o spegnendole.

 

“Rimanete comunque dietro di me!” –Commentò infine, scaraventando la barriera di ghiaccio contro un Gigante di Fuoco e osservandola venire incendiata all’istante. –“Fulmini Siderali!!!” –Gridò, dirigendo il potente assalto contro un mucchio di roccia e neve, ai piedi del colosso, e scagliandoglielo tutto contro, fin quasi a ricoprirlo. A quel punto, gli bastò sfiorare il suolo con una mano, per congelare la pericolosa figura in un ammasso senza forma.

 

Non riuscì a tirare un sospiro di sollievo che nuovi Giganti di Fuoco presero vita, divenendo ben più alti e minacciosi dei precedenti. Uno di loro travolse il compagno che Alexer aveva appena congelato, incendiandolo con il proprio corpo, mentre rivoli di lava ardente scivolavano sul terreno, aprendo squarci nel piazzale e strisciando verso i due combattenti.

 

In quel momento una pioggia di frecce oscurò il cielo per un istante, piombando sulla creatura di fuoco, senza provocargli danno alcuno e venendo annientata al solo contatto. Ilda si voltò verso il portone della fortezza, da cui Bard e un gruppo di arcieri era appena uscito, le corde ancora tese e pronte a vibrare di nuovo.

 

Pur consapevoli dell’inutilità del loro agire, i soldati della cittadella non avrebbero lasciato la Celebrante di Odino a morire da sola.

 

Anche Fiador avrebbe voluto unirsi loro, ma sentiva di non avere forza a sufficienza, o forse non voleva affrontare lo sguardo di Ilda, dispiaciuto per il suo tradimento. Così preferì rimanere nell’ombra dell’androne, a tremare per un futuro che ormai pareva consumarsi ogni momento di più. Enji lo aveva già schiaffeggiato, prima di andarsene, assieme ad altre guardie, a portare aiuto agli abitanti della città, riunendoli e conducendoli all’interno della cittadella, dove il cosmo di Ilda li avrebbe protetti.

 

Approfittando di quel momento di confusione, Alexer espanse ancora il proprio cosmo, che pareva trarre origine e forza dall’aria che gli turbinava attorno, prima di scagliare un nuovo attacco congelante contro il figlio di Muspell, paralizzandolo, e poi distruggerlo con le sue folgori dilanianti.

 

“Ce ne sono troppi!” –Commentò il Principe della Valle di Cristallo, guardandosi attorno e realizzando di essere circondati. –“E chissà quanti altri già incendiano i boschi e le vallate limitrofe!”

 

“Attacchi singoli non li fermeranno, dobbiamo affrontare il problema alla radice!” –Esclamò Ilda, esponendo ad Alexer il suo piano d’attacco. Una follia, come la definì il Principe, sgranando gli occhi, salvo poi acconsentire, non avendo alternative. Così bruciò il cosmo al massimo, sollevando striature azzurre che illuminarono il piazzale, la cittadella e poi l’intera città di Midgard, sormontandola come un arcobaleno a tinta unita. Una sola luce che fu vista da tutti gli abitanti, ovunque si trovassero, e bastò per dare loro speranza.

 

Anche Ilda rimase ammutolita di fronte a così tanta energia, che soltanto un Dio poteva ospitare al suo interno, ma subito si rinvenne, espandendo il cosmo a sua volta e mescolandolo a quello del Principe Alexer. In virtù di ciò, dell’energia vitale che Ilda gli avrebbe fornito, l’uomo in armatura azzurra generò un vortice di cristalli di gelo che travolse repentino tutti i Muspells lýðr, aspirandoli al suo interno e spegnendo ogni loro fiamma. Con maestria, e molta concentrazione, Alexer diresse il turbine oltre le montagne, portandolo ad esaurirsi nel Mare Artico, prima di accasciarsi, toccando il suolo con un ginocchio e respirando affannosamente.

 

“Non è… finita…” –Mormorò, prima di sollevare di nuovo lo sguardo e rompere quel silenzio carico di attese.

 

Sia Ilda, che Bard e gli arcieri e l’impaurito Fiador, osservarono con sgomento nuove sagome di puro fuoco sollevarsi ancora attorno alla Cittadella, in un numero che, agli occhi di tutti, pareva superiore a quelli appena sconfitti.

 

O forse sono gli stessi di prima? Si chiese Ilda, sconvolta, travolta dal dubbio che quelle creature composte di sola fiamma potessero ricrearsi all’infinito, mentre le loro energie per affrontarle erano limitate. Ciononostante non avrebbe indietreggiato di un passo, di questo ne era certa.

 

Appoggiò una mano sulla spalla del Principe Alexer, che stava intanto rialzandosi, quasi a ringraziarlo in silenzio per l’aiuto che gli aveva dato, quindi sollevò la lancia verso un Gigante di Fuoco, espandendo il proprio cosmo e liberandolo attraverso l’arma stessa in un raggio di energia.

 

Il fascio luminoso trapassò il figlio di Muspell, senza però raggiungere altro obiettivo che non attirare la sua attenzione. Vampe di fuoco si allungarono in direzione della Celebrante di Odino, presto circondandola e precludendole ogni fuga. Bard diede ordine agli arcieri di caricare, ma i loro dardi presero fuoco al contatto con il corpo della creatura. Alexer si mosse per intervenire, ma un muro di fiamme gli sbarrò la strada, mentre un paio di Giganti di Fuoco si avventavano su di lui, obbligandolo ad espandere il proprio cosmo e a fronteggiarli, lasciando Ilda al suo destino.

 

Fu un’abbagliante esplosione di luce ad annientare le fiamme che circondavano entrambi, spingendo le deformi creature indietro e Alexer e Bard a coprirsi gli occhi. Quando riuscirono a vedere di nuovo, restarono sorpresi nel vedere Ilda indossare un’armatura da battaglia, la stessa che aveva già sfoderato durante la scalata all’Olimpo. Il Principe della Valle di Cristallo sorrise, ricordando l’origine di quella corazza, la veste della prima Valchiria che aveva servito Odino agli albori del mondo.

 

Rinfrancata da quel nuovo potere, Ilda fece avvampare il proprio cosmo generando un’onda di energia che si abbatté su un Gigante di Fuoco, spingendolo indietro e disperdendo parte delle fiamme che lo componevano. Alexer colse l’attimo, travolgendolo con un poderoso turbine d’aria e annientandolo, prima di dirigere la sua attenzione sui di lui fratelli.

 

Quasi avessero compreso le sue intenzioni, i flagelli di Muspell liberarono caldi fiotti di magma, che ruscellarono sul suolo con pericolosi schizzi, obbligando Alexer e Ilda a indietreggiare, mentre il freddo cosmo del Principe cercava di frenarne l’avanzata.

 

Uno spostamento nello spaziotempo distrasse entrambi, facendoli voltare verso l’ingresso del palazzo, dove Kiki era appena apparso, lo sguardo sgomento di fronte a quel paesaggio infernale. Facendosi forza, il ragazzo raggiunse Ilda per comunicarle che la parte bassa della città era in fiamme e molti edifici erano crollati, uccidendo i loro occupanti. Enji era però riuscito a radunare la maggioranza della popolazione e a condurla all’interno della fortezza dove, attrezzati con secchi pieni di neve e acqua, stavano cercando di tamponare i danni, spegnendo i vari roghi.

 

“Era questa la notizia che attendevo!” –Commentò Alexer, incrociando lo sguardo di Ilda, che annuì, mentre il Principe si sollevava in aria, avvolto nel suo cosmo azzurro, fino a portarsi in cima alla torre più alta della cittadella.

 

Subito i Muspells lýðr allungarono le loro braccia di fiamme verso di lui, nonostante i raggi di energia che Ilda stava loro dirigendo contro, inutilmente, ma Alexer fu lesto a liberare un turbine d’aria fredda che respinse i loro assalti, allargandosi sempre di più verso l’esterno. Con il Principe al centro esatto di quel ciclone di gelida energia, la tempesta aumentò di intensità, avvolgendo la cittadella di Midgard e spingendo i figli di Muspell indietro. Quando fu certo di aver inglobato l’intera roccaforte, Alexer mutò la forma del proprio attacco, creando una immensa cupola di ghiaccio che sormontava il pinnacolo roccioso ove il Recinto di Mezzo si innalzava. All’interno di quella semisfera il magma dei Giganti di Fuoco non sarebbe mai giunto, finchè il Principe avesse avuto energia sufficiente per mantenerla.

 

Ilda sorrise stanca, mentre Bard e le altre guardie ammiravano soddisfatti la cupola protettiva, ben consapevoli, comunque, che quel loro rifiatare avrebbe avuto breve durata. I Giganti di Fuoco infatti iniziarono a dirigere getti di lava sulla barriera, determinati a liquefarla e a incendiare la città. Fu Ilda allora a prendere l’iniziativa, piantando il tridente nella cupola stessa e usandola come catalizzatore per liberare il proprio cosmo, che si unì a quello di Alexer per risanare le crepe e i buchi che si aprivano a sprazzi sulla barriera di ghiaccio.

 

“Non possiamo resistere a lungo…” –Rifletté il Principe, ritto sul tetto della torre. –“Forse dovrei uscire, andare al di là della barriera e affrontare i Giganti apertamente. Ma così facendo la cupola quanto potrebbe resistere?” –Strinse i pugni, sollevando lo sguardo verso l’alto.

 

Tra il fumo e il vapore, Alexer riuscì a vedere le serpentiformi sagome dei figli di Muspell strisciare lungo la cupola, per scioglierla con il loro immane calore, obbligando il Principe a profondere continua e consistente energia per mantenerla.

 

Fu un grido di Ilda a riportare il suo sguardo su quel che restava del piazzale, dove nella barriera di ghiaccio si era appena aperto uno squarcio. Alcuni Giganti di Fuoco avevano diretto tutta la loro incendiaria potenza in un punto, riuscendo a liquefare la cupola e a penetrare al suo interno, liberando subito vampe di fuoco e getti di magma.

 

Ilda intimò Kiki e Bard di allontanarsi, prima di ergersi, a lancia tesa, in quel mare di fiamme, avvolta nello splendore del suo cosmo. Con una sfera di energia spinse indietro un figlio di Muspell di piccole dimensioni, ma subito altri torreggiarono su di lei, obbligandola a muoversi continuamente per non essere raggiunta dai getti di lava. Correndo, la Celebrante inciampò in una fessura dell’antica pavimentazione, cadendo a terra e perdendo la presa sul tridente, prontamente fagocitato da una pioggia di magma che minacciosa le si avvicinava.

 

D’un tratto due gracili braccia, ma forti a sufficienza per spingerla lontano di qualche metro, la afferrarono, mentre Kiki e Bard cacciavano un grido. Ruzzolando fuori dal getto di fuoco, Ilda fece giusto in tempo a vedere Fiador divorato dalle fiamme, tra grida lancinanti, prima che diventasse un ossuto scheletro bruciacchiato.

 

Un turbine d’aria fredda la circondò, mentre l’elegante sagoma del Principe Alexer balzava di fronte a lei, annientando l’avanzata del magma con il suo cosmo gelido e disperdendo il gruppetto di Giganti di Fuoco con una vigorosa tempesta di cristalli di ghiaccio. Nonostante lo sfoggio di potenza, il coraggioso guerriero ansimava e, per quanto tentasse, non riusciva a sprigionare così tanta energia da richiudere la crepa nella barriera, continuamente bersagliata dagli assalti dei figli di Muspell.

 

Da quel che Kiki aveva raccontato, anche le foreste circostanti erano state divorate dalle fiamme e in eguale sorte erano incorsi anche coloro che vi risiedevano. Il pensiero della morte di tutte quelle persone, degli abitanti della sua bella valle ove il sole al mattino produceva spettacolari giochi di luce, fece avvampare il cosmo del Principe Alexer, che turbinò nel piazzale spazzando via lava e fiamme e ricacciando i Giganti di Fuoco al di là della barriera di ghiaccio, la cui crepa venne subito richiusa.

 

Ma proprio in quel momento una seconda falla comparve sul lato orientale della cupola dove, tra il vapore e le pozze d’acqua, altri figli di Muspell fecero capolino, allungando gli arti fiammeggianti nella loro direzione e circondandoli.

 

Flare…” –Mormorò Ilda, rivolgendo un ultimo pensiero alla sorella. Avrebbe voluto esserci quando Cristal l’avrebbe ricondotta a casa, ma forse, a breve, non avrebbero più avuto alcuna cosa cui fare ritorno. –“No! In nome del casato dei Polaris io impedirò la distruzione di Midgard!”

 

“Ed io ti sosterrò, amica mia!” –Esclamò allora una delicata voce femminile. –“Permettimi di ricambiare un favore!”

 

In un lampo di luce tre figure apparvero di fronte ad Alexer e a Ilda, mentre un forte vento si sollevò improvviso, disperdendo le fiamme che li circondavano.

 

“Atena!!!” –Gridò Ilda, felice e preoccupata al tempo stesso.

 

“Fratello!” –Mormorò Kiki, rifugiatosi nell’androne dal palazzo, assieme a Bard e alle altre guardie.

 

“Ci rivediamo, Celebrante di Odino!” –Si inchinò Mur dell’Ariete, prima di introdurre il loro accompagnatore. Ricoperto dalla sua magnifica Veste Divina, Euro, figlio di Eos e Vento di Levante, sorrise.

 

“Atena, corri un grave pericolo! La cittadella è sotto assedio! Non dovresti essere qua!” –Esclamò Ilda, affiancando la Dea della Giustizia, rivestita dalla sua armatura e con lo scettro di Nike saldo nella sua mano.

 

“È proprio il luogo in cui dovrei trovarmi! Nel mezzo di una battaglia per difendere gli uomini!” –Parlò calma la Divinità. –“Questa è la missione di Atena reincarnata!”

 

Getti di lava piovvero all’improvviso su di loro, obbligando il gruppetto a separarsi. Euro spalancò le ali della Veste Divina, sollevandosi in volo in un turbine d’aria con cui disperse le vampe mortifere. Mur si limitò a generare il Muro di Cristallo, venendo comunque spinto indietro dall’indicibile pressione generata dall’attacco dei Muspells lýðr, obbligando Atena a prestargli aiuto, unendo il suo cosmo a quello del Cavaliere d’Oro e generando un’esplosione di luce che annientò fiamme e magma.

 

Fu la voce di Alexer a distrarre entrambi, mentre caricava un colpo segreto che entrambi ben conoscevano.

 

Polvere di Diamanti!!!” –Tuonò il Principe della Valle di Cristallo, congelando un paio di figli di Muspell e riunendosi poi agli altri combattenti, che lo fissavano interessati. –“Chiunque sia stato addestrato in Siberia conosce la tecnica basilare di sfruttamento delle energie fredde. Soprattutto se tale tecnica è stata da me inventata!” –Spiegò, immaginando le loro domande.

 

“Voi siete… il maestro di Acquarius?” –Mormorò Mur, sorpreso.

 

“Di lui e molti altri prima di lui!” –Rispose laconico Alexer, prima di spostare lo sguardo sui Giganti di Fuoco che, da nuovi squarci aperti nella cupola di ghiaccio, continuavano a riversarsi all’interno. –“Devo richiuderli!”

 

Mur annuì, aprendo di nuovo il Muro di Cristallo e usandolo per spingere indietro alcuni figli di Muspell, permettendo ad Alexer di travolgerli con il suo cosmo congelante. Euro, poco distante, faceva altrettanto, liberando il turbinante vento di cui era padrone e servendosene per disperdere quelle creature di fuoco oltre il margine della cupola di ghiaccio, mentre Ilda e Atena usavano il loro cosmo per disintegrarle.

 

Questo lavoro congiunto permise ad Alexer di cicatrizzare gli squarci nella barriera, espandendo al massimo il proprio cosmo. Ma, come Ilda fece subito notare, se non avessero eliminato i Giganti di Fuoco tale sforzo sarebbe stato vano.

 

Fu Mur a proporre la strategia da utilizzare, in cui ognuno avrebbe potuto usare al meglio i propri poteri.

 

Gocce d’acqua calda piovvero su di loro, forzandoli ad alzare lo sguardo verso l’alto, dove i figli di Muspell avevano appena aperto una nuova crepa. Approfittandone, Euro spalancò le ali della sua Veste Divina, sollevandosi in volo e dirigendosi proprio verso l’apertura. Vi passò in mezzo con leggiadria, prima di uscire all’esterno e volteggiare in cielo aperto, attirando l’attenzione dei Giganti di Fuoco.

 

“Soffia, Vento dell’Est!” –Esclamò il figlio dell’aurora, liberando un possente soffio che sparigliò i Muspells megir, dilaniandoli e spegnendo parte delle loro fiamme.

 

“Sbrighiamoci! Non resisterà a lungo!” –Disse Mur, dal basso, prendendo posizione.

 

Alexer liberò il proprio cosmo freddo, richiudendo lo squarcio nella barriera, mentre tutti i Giganti di Fuoco venivano spinti contro la cupola stessa dall’impetuoso spirare del Vento di Levante. La cupola parve sciogliersi ma in quel momento Ilda unì il proprio potere a quello del Principe, sfiorando dall’interno la barriera di ghiaccio e infondendole tutto il suo cosmo, tutta la sua energia, fino alla più piccola stilla vitale.

 

Ilda…” –Mormorò Atena, vedendo la donna prostrarsi a terra, senza mai cedere, senza mai smettere di far rifluire il proprio cosmo nella cupola, potenziando il potere congelante di Alexer che riuscì non soltanto a impedire alla barriera di sciogliersi ma a rivestire di ghiaccio anche gli stessi figli di Muspell, murandoli assieme alla stessa.

 

Pressati dal vento e risucchiati dal gelo, i Giganti di Fuoco non riuscirono più a muoversi, divenendo presto rozze sculture di ghiaccio che ornavano la parte esterna della cupola.

 

“Adesso!” –Si disse la Dea della Guerra Giusta, impugnando saldamente Nike e caricandola di tutto il suo cosmo. –“In nome di un futuro splendente!” –E scagliò lo Scettro di Thule contro la barriera, trafiggendola e rimanendovi conficcato, come aveva fatto l’anno prima contro Ade.

 

Vi rimase solo per una manciata di secondi, sufficienti alla Dea per liberare tutto il suo cosmo, tutto il suo potenziale, generando un’esplosione devastante che distrusse la cupola di ghiaccio e tutti i figli di Muspell.

 

Mur, in piedi all’ingresso della cittadella, aveva già provveduto a rinchiuderla tra le pareti del suo Muro di Cristallo, in modo da impedire alle schegge di ghiaccio di raggiungerla. Kiki, al suo fianco, lo stava aiutando, consapevole di quanto enorme fosse l’estensione della roccaforte e di quanta energia suo fratello stesse consumando.

 

Quando la pioggia di schegge di ghiaccio finì, Mur vide Atena correre ad aiutare Ilda a rimettersi in piedi. Euro atterrò poco distante da loro, stordito ma privo di ferite: aveva cercato di allontanarsi il più possibile dall’esplosione, avvolgendosi nelle ali della sua Veste Divina per contenere l’impatto con l’onda d’urto. Per quanto il figlio di Eos non amasse combattere, non aveva avuto remore nello scendere in battaglia contro i Giganti di Fuoco, consapevole che simili creature devastatrici, al pari dell’orrido Tifone, dovevano essere fermate.

 

Anche Alexer aveva il respiro affannato e la sua bella corazza azzurra era annerita in più punti, ma  non aveva neppure un graffio. Osservandola da vicino, Mur non poté trattenere un moto di stupore: la sua armatura era composta interamente di mithril. E, a differenza di quelle di Jonathan, Reis, Febo e Marins, che aveva ammirato ad Atene, presentava una lavorazione molto più elaborata, segno di una sapienza nell’arte della forgiatura di armature che neppure Efesto o i nani di Svartálfaheimr avrebbero saputo dimostrare.

 

Chi…” –Fece per chiedergli il Cavaliere d’Ariete. Ma bastò che Alexer lo fissasse, accennando un sorriso stanco, che Mur capì. –“Gli alchimisti di Mu!!!” –Non poté porgli altre domande che Atena lo chiamò, pregandolo di aiutarla a portare Ilda all’interno del castello, per sincerarsi delle sue condizioni di salute.

 

Ma Ilda non parve affatto intenzionata a stendersi sul letto, consapevole che la guerra non era ancora finita, e Alexer, raggiungendo le due donne, confermò i suoi timori.

 

“Qualcosa di terribile sta accadendo, ad Asgard come ad Avalon. Fiamme e ombra minacciano la luce. La Terra è scossa da correnti di inquietudine che non ho mai percepito prima d’oggi!”

 

Avrebbe voluto confessare loro di non essere in grado di contattare Avalon, come se l’isola mistica fosse davvero scomparsa nelle nebbie del tempo. Un’ombra l’aveva avvolta, un’ombra che pareva volersi espandere sull’intero pianeta.

 

Per un momento Alexer tremò, tenendosi lo stomaco e tossendo con forza. Più e più volte.

 

Non era esatto. Quell’inquietudine l’aveva già provata una volta, molto tempo addietro, quando era nato. Ed era il motivo per cui era stato generato.

 

 

 

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Capitolo 37
*** Capitolo trentacinquesimo: Superstiti ***


CAPITOLO TRENTACINQUESIMO: SUPERSTITI.

 

Odino era impallidito. Ed era bastata una sola parola a estinguere ogni suo ardore bellico.

 

“Surtr!” –Mormorò. Il Nero.

 

Spostò lo sguardo al di là delle danneggiate mura di confine, oltre Fensalir e oltre Thund, fino a perdersi nelle vampe di fuoco che striavano la coltre di fumo nero che saliva dalla città di Asgard. Non ebbe bisogno di Huginn e Muginn per vedere quel che la cappa di nubi celava, la creatura maestosa e terribile che torreggiava sui resti degli antichi edifici in fiamme. No, quell’immagine Odino l’aveva ben fissata nella sua mente, per quanto mai si fosse recato a Muspellsheimr per incontrarlo, o per incontrare alcuno dei Giganti di Fuoco, terrorizzato dal loro aspetto, dal loro potere… o forse da una profezia a cui non voleva prestare orecchio?

 

Il Signore delle Schiere sospirò, prima di abbassare lo sguardo verso Loki, il cui sorriso bieco gli fece capire di essere stato lui a risvegliare il Distruttore.

 

“Non propriamente!” –Sogghignò il Burlone Divino, intuendo i pensieri della sua nemesi. –“Un amico si è offerto per recarsi al mio posto nelle profondità di Muspell. Sai, non apprezzo i luoghi di villeggiatura troppo incandescenti. Basto già io ad infiammare l’ambiente! Ah ah ah!” –Rise, prima di liberare un’onda di energia e spingere indietro Odino e Pegasus. Quindi, approfittando del momento in cui i due combattenti si rimettevano in piedi, diede loro le spalle, saltando sulla cima di un muro e dandosi la spinta per balzare in alto e assumere la forma di un’aquila d’argenteo piumaggio.

 

A tale vista, Odino impugnò Gungnir, sollevandola e prendendo la mira, quando le urla di Eir lo distrassero.

 

Allföðr! Padre degli Dei, venite presto! La Signora del Cielo sta morendo!” –Esordì l’Asinna, spuntando di corsa tra le macerie dell’ingresso di Fensalir.

 

Sospirando, e osservando Loki volare sempre più in alto, fino a portarsi sopra la coltre di nubi, Odino abbassò la lancia, incamminandosi dietro ad Eir per i corridoi della Sala Paludosa, prontamente seguito da Pegasus che non smetteva di tempestarlo di domande.

 

“Chi è Surtr? Perché Loki è così sicuro di vincere, adesso?”

 

“Surtr il Nero è il guardiano di Muspellsheimr, il regno dell’incendio universale, una terra simile alle descrizioni che gli scriba medievali hanno lasciato dell’inferno. È una creatura ancestrale, composta di fuoco e lava, che annienta ogni oggetto o persona cui venga in contatto!” –Spiegò Odino, prima di entrare nella stanza ove Frigg era stata adagiata, guardata a vista da Eir e Idunn, anch’elle ferite. –“Come sta?!”

 

“Le ustioni che Loki le ha procurato… sono più profonde di quanto credessi. Non solo le hanno danneggiato la pelle ma hanno scavato fino a bruciarle gli organi interni. Inoltre…” –Aggiunse a bassa voce la Dea guaritrice, senza trovare il coraggio di guardare Odino. –“Credo che la morte di Balder, il concretizzarsi delle sue paure, le abbia tolto la voglia di vivere, non sento in lei volontà di combattere, solo di abbandonarsi ad un eterno languire.”

 

Frigg… Tutto questo era più grande di te? Di noi?!” –Mormorò il Padre delle Schiere, inginocchiandosi accanto al letto e prendendole una mano tra le proprie. Socchiuse l’occhio, determinato a cederle parte del suo cosmo, per guarirla, quando un’esplosione di immagini gli riempì la testa. Scene già viste, cui lui stesso aveva partecipato, o squarci di un futuro a lungo temuto.

 

“Cosa difenderà questo posto quando la fiamma di Surtr brucerà il cielo e la terra?” –Era la domanda che da tempo risuonava nel suo animo.

 

Per un paio di minuti rimase in silenzio, finché un sospiro di Frigg non spinse Odino a riaprire l’occhio, in tempo per non perdersi l’ultimo sorriso dell’Asinna amata per secoli. Conscia che il suo sposo aveva capito, la Dea roteò la testa e morì.

 

A quella visione Idunn si gettò a terra, scoppiando in lacrime, mentre Eir iniziò a cantare una nenia funebre in norreno antico. Pegasus avrebbe voluto dire qualcosa, offrire al Nume le proprie condoglianze, ma la vista di Frigg, distesa sul letto priva di vita, gli riportò alla mente un timore che lo accompagnava da tempo. La paura di non riuscire a dire a Isabel tutto quello che avrebbe voluto prima che uno dei due morisse.

 

“Non accadrà, Cavaliere di Pegasus! Non oggi!” –Esclamò Odino, rubando il ragazzo ai suoi pensieri e costringendolo a voltarsi verso il Dio, rimessosi in piedi e già pronto per tornare in battaglia. –“La fiamma di Surtr non è certo più potente di quel sentimento che voi esseri umani definite amore.”

 

“È davvero così temibile questo Gigante di Fuoco?” –Chiese Pegasus, cambiando di proposito argomento e seguendo Odino verso l’uscita di Fensalir.

 

“Non è un semplice Gigante di Fuoco, come Beli o gli altri. Surtr racchiude in sé l’essenza stessa della creazione, e della distruzione!” –Spiegò il Dio, fermandosi non appena giunsero all’aperto. –“Gli stoici dell’antica Atene, ove tu sei stato allenato, vedevano nel fuoco una forza produttiva e ordinatrice del cosmo. Era stato il fuoco artigiano a generare il mondo, il quale sarebbe stato distrutto proprio dal fuoco stesso, in una concezione ciclica di conflagrazione universale. Ebbene Pegasus, questa è la nostra ecpirosi, questo è l’incendio che metterà fine a ogni cosa!”

 

Io… non ci credo!” –Strinse i pugni il giovane. –“La fiamma di Surtr può essere spenta! Deve essere spenta!”

 

“La Volva non lo credeva, bensì riteneva che la fiamma di Surtr purificasse il mondo!” –Sorrise il Signore di Asgard. –“Ed infatti la sua profezia si chiude con la nascita di un meraviglioso mondo nuovo, ove gli umani e gli Dei superstiti potranno riunirsi e vivere in pace, una terra verde e bella in cui i campi cresceranno senza bisogno di coltivarli. Allora tutti siederanno insieme e converseranno, ricordando l’arcana sapienza e parlando degli avvenimenti accaduti prima.”

 

“Mio Signore, io non credo molto in profezie o leggende. Credo nel presente, in quel che vedo! E vedo un nemico alle porte di Fensalir! Un nemico che però, unendo le forze, possiamo sconfiggere! Ma per farlo ho bisogno di voi, Asgard ha bisogno di voi, coloro che ancora vivono e lottano per un futuro! I miei compagni sono qua, sento pulsare i loro cosmi, e con il loro aiuto argineremo l’ardente minaccia!”

 

“C’è del vero nelle tue parole, Cavaliere! Darò ordine di ripiegare all’interno del Valhalla! Le sue solide mura ci difenderanno, in attesa di trovare una soluzione…

 

“La troveremo!” –Esclamò fiero Pegasus, sbattendo un pugno nel palmo dell’altra mano. –“Ricordatevi la profezia, il nuovo mondo che ci attende!”

 

Odino non disse alcunché, per non spegnere l’entusiasmo del ragazzo, lo stesso giovanile ardore che lo aveva dominato agli albori del mondo, quando, assieme ai fratelli Vili e , aveva ucciso Ymir, il primo Gigante di Ghiaccio. Pur tuttavia era certo che non sarebbe vissuto abbastanza per camminare su quella nuova meravigliosa terra. Le visioni che Frigg gli aveva passato in punto di morte, affinché sapesse, erano chiare. Così come risultava chiaro a Odino che neppure Pegasus avrebbe mai visto alcun mondo nuovo.

 

***

 

Ásaheimr era in fiamme. Le vie della città erano sature di roghi e fumo, i palazzi crollati e le acque di Thund straripate in più punti, allagando edifici e piazze, dopo che Sirio il Dragone le aveva sollevate contro i Muspells megir, per spazzarli via. Adesso il Cavaliere di Atena giaceva in una conca, l’Armatura Divina chiazzata di fango e aloni di bruciato, la bocca impastata e sporca di terriccio. Dopo aver evocato le Acque della Cascata, era crollato a terra per lo sforzo, perdendo i sensi finché un suono non l’aveva risvegliato. Che cosa fosse, Sirio non seppe spiegarlo, ma in cuor suo era certo che le preghiere di Fiore di Luna lo avessero salvato ancora una volta.

 

“Cos’abbiamo qua?!” –Gli sembrò d’un tratto di udire una ruvida voce. –“Un bel damerino in armatura lucente?!”

 

Sirio fece per rimettersi in piedi, ma si sentiva ancora debole e stordito e ricadde con la faccia del fango, salvo poi venir sollevato a testa in giù da un uomo robusto che lo aveva appena afferrato per una caviglia.

 

“Non mi sembra che ci conosciamo!” –Esclamò questi, osservandolo incuriosito. –“Sono Bjuga delle Svalbard, uno dei cinque Dei di Vittoria al servizio di Loki! E tu chi sei? Non mi rispondi, maleducato? Ti ho fatto una domanda!” –Detto questo, il guerriero scosse Sirio, sbattendogli più volte la testa a terra, facendogli perdere l’elmo nell’urto.

 

“Sai che la tua armatura non è male? Ripulita dal fango sarebbe tutta bella luccicosa e a Bjuga piacciono le cose che luccicano! Nelle isole da cui provengo splende spavalda l’aurora boreale, una luce che resiste al freddo più intenso, proprio come me! Sì, mi piace la tua corazza! E dato che a te non serve più la prendo io, la offrirò a Loki come dono quando siederà su Hliðskjálf! Però queste ali non mi piacciono, sono ingombranti, e Loki non ne ha bisogno per volare! Allora le tolgo, sì le tolgo!” –E sollevò l’altro braccio, sfoderando una lama ricurva con cui colpì più volte la schiena di Sirio, nel punto di attaccamento delle ali all’armatura. –“Ma come sono fastidiose, non vogliono venire via!” –Brontolò, prima di sentire nell’aria odore di bruciato.

 

Tirando su con il naso, si guardò intorno, senza notare niente di diverso da prima. Quando fece per tornare alla sua opera distruttiva, sentì un calore intenso dilaniargli la mano con cui stava reggendo la caviglia di Sirio. Un cosmo verde acqua circondava il corpo del ragazzo, ben più vivido sulle gambe, lo stesso cosmo che aveva arso il guanto protettivo della sua armatura, ustionandogli la mano al di sotto.


Aaargh!!!” –Gridò Bjuga, lasciando la presa e soffiando sull’arto bruciacchiato.

 

Libero dalla sua stretta, Sirio, che aveva approfittato di quei minuti per recuperare le forze, roterò su se stesso, evitandosi di cadere a terra, e allungò un calcio verso la gamba destra del Sigtivar. L’impatto fu devastante e Bjuga crollò indietro con l’arto spezzato all’altezza del ginocchio. Stringendo i denti per il dolore, il robusto guerriero sollevò lo sguardo verso Sirio, fissandolo con astio, prima di aprire le braccia di lato e scagliarli contro due lame rotanti.

 

Il Cavaliere di Atena balzò indietro, portandosi sull’altro lato della conca ed evitando di essere ferito dalle armi, ma quando si preparò per contrattaccare notò che le lame avevano deviato direzione, puntando su di lui e replicandosi in migliaia di copie.

 

“Un’illusione?!” –Si disse Sirio, convenendo comunque di non rimanere ad attenderle e concentrando il cosmo sul braccio. –“Excalibur!” –Gridò, liberando l’attacco energetico che falciò un centinaio di lame presenti sulla sua traiettoria o coinvolte dall’onda d’urto. Le altre però, non raggiunte, continuarono la loro corsa, alcune abbattendosi su Sirio e stridendo sull’Armatura Divina, pur senza danneggiarla.

 

Per liberarsi da quella fastidiosa pioggia, il Cavaliere espanse il cosmo, caricando il Drago Nascente, che fluttuò attorno al suo corpo, annientando tutte le lame rotanti, per poi dirigersi verso Bjuga, a fauci aperte.

 

Il Dio di Vittoria aveva intanto trovato la forza per rialzarsi, nonostante il ginocchio ferito, e scagliò una nuova lama rotante, caricandola di tutto il suo cosmo. L’arma falciò a metà il colpo segreto di Sirio, deviandolo e disperdendo parte della sua carica distruttiva, permettendo a Bjuga di non esserne travolto.

 

Annaspando, Dragone sollevò il braccio destro, deciso a liberare di nuovo la sacra lama, quando notò un veloce spostamento di ombre tra le rovine degli edifici attorno. Anche Bjuga se ne accorse, scagliando le lame rotanti in quella direzione e falciando un paio di uomini che crollarono a terra sanguinanti. Seguendo la scena senza intervenire, Sirio fu sorpreso di notare che indossavano soltanto pelli di lupo.

 

Proprio come Rifletté, prima che un grido selvaggio lo costringesse a riportare l’attenzione su Bjuga.

 

Un’agile figura lo aveva raggiunto alle spalle, balzando sulla sua schiena e conficcandogli lunghi artigli nel collo. Il guerriero delle Svalbard annaspò, fece per sollevare le braccia, ma l’aggressore spinse in profondità, mozzandogli la carotide, prima di saltare all’indietro, proprio mentre Bjuga crollava a terra sanguinante.

 

“Il tuo rispetto verso gli esseri umani non è cambiato, a quanto vedo.” –Commentò Sirio, che aveva riconosciuto il guerriero dalle vesti di lupo.

 

“Non è cambiato per chi non merita di averlo!” –Si limitò a rispondere Luxor.

 

A guardarlo, Sirio ritenne che il ragazzo doveva aver affrontato numerose battaglie, essendo sporco e pieno di tagli e ferite sul corpo, coperto soltanto attorno alla vita da una cintura di pelliccia, imbrattata di sangue e terriccio. –“Luxor io…

 

“Niente ringraziamenti, non ero qui per te, stavo solo correndo di là dal Thund con gli ulfhednir rimasti prima che lui arrivi. Ti consiglio di fare altrettanto!”

 

“Lui?!” –Ripeté Sirio, non comprendendo le parole del guerriero.

 

“Sì, lui, il Distrut…” –Ma Luxor non riuscì a terminare la frase che dovette piegarsi in avanti, lo stomaco sfondato in modo così brutale da una lama che fuoriusciva dalla sua schiena.

 

Urgh…” –Mormorò Bjuga, crollando a terra, dopo aver usato le sue ultime forze per brandire l’arma mortifera.

 

“Luxor!!!” –Sirio corse verso di lui, afferrandolo prima che crollasse al suolo in una pozza di sangue. –“Resisti, ti curerò!”

 

“No!” –Rispose semplicemente l’antico Cavaliere di Asgard, sfiorando la mano di Sirio con la propria, quasi stesse cercando quel contatto umano che in vita aveva sempre rifiutato. –“Quel che è stato, è stato. Vattene…

 

D’un tratto, mentre gli ulfhednir rimasti si riunivano attorno al giovane che li aveva guidati nel giorno di Ragnarök, Sirio annusò l’aria, percependo un caldo innaturale, persino superiore a quello sprigionato dai Giganti di Fuoco.

 

Una frusta fiammante sbucò dalle nubi sopra di loro, avvolgendosi attorno ai corpi di un paio di ulfhednir e bruciandoli. Gli altri gridarono e guairono, ma prima che potessero fuggire vennero raggiunti a loro volta, stritolati e lasciati agonizzare a terra, prigionieri di roghi dentro cui divennero presto cenere.

 

Sollevando lo sguardo, Sirio intravide una gigantesca sagoma fiammeggiante apparire tra la coltre di fumo, la stessa sagoma che reggeva la frusta di fuoco che aveva appena sterminato i più fedeli seguaci di Odino. Intuendo il pericolo, Dragone balzò indietro, correndo quanto più velocemente potesse verso il fiume e tuffandosi poco dopo nelle sue tempestose acque. A fatica, e con l’armatura che rendeva goffi i suoi movimenti, Sirio nuotò in profondità, fino al letto di Thund, rivolgendogli silenziose preghiere affinché potesse placare il suo spirito inquieto e concedere riparo a chi delle acque aveva sempre avuto rispetto.

 

Per qualche minuto, Sirio rimase in apnea, mentre il rumoreggiare agitato di Thund parve placarsi, quindi, spinto dal bisogno di ossigeno e dalla curiosità, il ragazzo riemerse, affacciando la testa propria al centro del fiume e guardando in direzione di Ásaheimr. La gigantesca sagoma che aveva intravisto poc’anzi era adesso quasi del tutto visibile, ma sembrava non curarsi affatto di lui. Dopo aver bruciato tutto quel che aveva incontrato nel suo cammino, il Gigante di Fuoco stava adesso seguendo il corso di Thund, dirigendosi verso la piana di Vígridhr, laddove ancora molti cosmi splendevano. Cosmi che Sirio, tremando, riconobbe.

 

***

 

Andromeda giaceva tra le braccia di Jonathan, riparati dalla guerra in corso dalla gigantesca carcassa di Fenrir. La forza persuasiva del Lupo di Fama lo aveva spinto ad uno sforzo mentale eccessivo, gettandolo infine in quello stato di trance inquieta cui aveva iniziato ad avere accesso dopo aver sfiorato il sangue di Biliku. Uno stato di visioni continue che Andromeda stava ancora cercando di controllare, per quanto fosse difficile. Passato e presente tendevano a mescolarsi e, se quel che Arvedui gli aveva detto era vero, anche il futuro.

 

Mugolando per l’emicrania che quel viaggio mentale gli costava, Andromeda lasciò scorrere le immagini. Vide se stesso affrontare Fenrir, e Fenrir venire incatenato con l’inganno in un’isola nel profondo inferno. Vide la nascita del lupo, di un gigantesco serpe e di un’orrida donna, dal cuore di una gigantessa che un uomo aveva ingoiato. Poi vide quell’uomo condotto a forza in una caverna e torturato, costretto a guardare la morte dei suoi figli prima di essere abbandonato nelle tenebre. Infine vide quelle stesse tenebre prendere forma, divenire un corpo di pura ombra su cui spiccavano due occhi di brace, due occhi scaltri che allungarono all’uomo imprigionato una pietra dal colore dell’ebano. La stessa pietra che Andromeda aveva visto al collo di Crono.

 

Flegias! Si agitò, preoccupando Jonathan che non sapeva cosa stesse accadendo al ragazzo e che nient’altro poteva fare se non cullarlo con il proprio cosmo, sperando di lenire qualunque dolore lo affliggesse.

 

Quel contatto permise alla mente di Andromeda di vedere ancora. Vide un bambino biondo e dagli occhi vispi crescere per mano ad una donna dai tratti andini, mentre un uomo alto e robusto, rivestito da una fiammeggiante armatura rossastra, lo osservava felice. Vide quello stesso bambino crescere e divenire un ragazzo, addestrare il corpo e lo spirito fino ad essere investito di un’armatura lucente, dotata di un lungo scettro dorato. E vide quel ragazzo inginocchiarsi e giurare obbedienza ad un uomo dal volto austero che Andromeda ben conosceva.

 

“Proteggi lo Scettro d’Oro con la vita, Jonathan. Il suo segreto non deve essere rivelato prima del tempo.” –Aveva detto Avalon un giorno.

 

Jonathan aveva annuito, sia pur stranito dalle potenzialità di un manufatto che non avrebbe mai creduto destinato a tale scopo.

 

Le visioni cambiarono ancora, mentre tutto attorno esplodevano grida di guerra e morte. Andromeda vide i Giganti di Fuoco uscire da Muspellsheimr e invadere gli altri mondi. Vide alte creature deformi lottare per la loro sopravvivenza, cadendo travolte dalle fiamme. Vide i nani rimasti a Svartálfaheimr travolti da un calore più intenso di quello delle loro fornaci. Infine vide Arvedui, l’elfo che l’aveva accolto a Álfaheimr, correre a dare l’allarme. Troppo tardi per qualunque azione difensiva gli elfi avessero deciso di approntare. Il loro mondo era condannato e uguale sorte avrebbero incontrato gli altri otto.

 

Fu allora che Andromeda si svegliò, tirando su la testa di scatto e atterrendo persino Jonathan.

 

Attorno a loro, nella piana di Vígridhr, Orion guidava gli einherjar superstiti alla carica contro quel che restava dell’esercito dei morti di Hel. Privi della guida di Loki e della Regina degli Inferi, testimoni delle sconfitte di Garmr, Jormungandr e Fenrir, i defunti erano allo sbando e parevano combattere solo per incorrere in una nuova morte che li liberasse da ogni obbligo.

 

“Continuate a lottare!” –Gridò Orion, sovrastando i rumori di lotta. –“La vittoria delle nostre schiere è vicina!”

 

Reis, vicino a lui, menava fendenti di spada a destra e a manca, in tandem perfetto con Brunilde e la sua lancia. Fu la Regina delle Valchirie ad accorgersi dei gesti che Jonathan stava facendo, per attirare la loro attenzione sul risveglio di Andromeda. Sbaragliando gli ultimi avversari, Orion e le due donne si avvicinarono alla carcassa di Fenrir, per sincerarsi delle condizioni dell’amico.

 

“Come sta? Si è ripreso?” –Esclamò Reis. Ma prima che Jonathan potesse rispondere, tutti volsero lo sguardo verso il cadavere del Lupo di Fama accesosi improvvisamente di una luce rossastra. Vampe di fuoco si sollevarono verso il cielo, incendiando quel che rimaneva del figlio di Loki e obbligando i Cavalieri superstiti ad allontanarsi.

 

“Che diavolo?! Altri Giganti di Fuoco?!” –Mormorò Jonathan, che reggeva l’ancor stordito Andromeda sotto braccio.

 

“Non altri… soltanto uno.” –Precisò Orion, fissando la gigantesca sagoma di fuoco che si ergeva al limitare della vasta piana e che incendiava tutto ciò con cui veniva a contatto. Terra e alberi, rocce e cadaveri, tutto veniva inglobato in un incendio universale. –“Surtr!” –Aggiunse, memore delle antiche leggende.

 

“Il Distruttore?!” –Brunilde rabbrividì, conscia di ciò che la sua presenza significasse.

 

Quasi come se li avesse uditi, Surtr avanzò nella loro direzione, appiccando roghi continui ovunque camminasse, se camminare poteva dirsi l’incedere continuo di un fuoco che nessuna pioggia avrebbe potuto spegnere.

 

“Maledizione! Dobbiamo ritirarci, nessuno di noi può affrontare Surtr il Nero!” –Esclamò Orion, cercando di riunire le fila degli einherjar.

 

“Non capisco, perché scappiamo? Vuoi permettergli di occupare Vígridhr proprio adesso che siamo a un passo dalla vittoria?!” –Brontolò Jonathan.

 

“Guarda la spada di Surtr, il sole al tramonto degli Dei soavi! Nessuno può sopravvivere al suo tocco! Neppure le vostre corazze!” –Orion lo afferrò per un braccio, incitandolo a ritirarsi sull’altra sponda di Thund. –“Il fiume ci permetterà di guadagnare del tempo! E le mura del Valhalla ci proteggeranno!”

 

“Non lascerò i nani qua a morire per coprire la mia fuga indecorosa!” –Esclamò il Cavaliere dei Sogni, vedendo le piccole ma robuste creature venire travolte dalle fiamme del Distruttore.

 

“Andate, Cavaliere mithril!” –Intervenne allora la ruvida voce di Durin.

 

Rispetto al loro incontro nelle caverne, l’aspetto del nano era ancora più terribile, con l’armatura danneggiata in più punti e ferite imbrattate di sangue rappreso. Persino la barba gli era stata strappata in più punti, da un morto che, a sentir le storie del Signore dei Nani, ci si era aggrappato con forza.

 

“Le nostre guarnigioni copriranno la ritirata degli einherjar! I nostri scudi sono stati progettati per resistere ad alte temperature, non temete!” –E diede ordine a Dvalin e agli altri nani di riunirsi in formazione serrata e marciare contro il Distruttore.

 

Nonostante il suo aspetto e l’altezza straordinaria, i nani non parevano esserne impressionati, ben avvezzi al calore estremo delle loro fornaci. Pur tuttavia, quando l’avanguardia venne annientata dalle fiamme di Surtr, che fusero gli scudi dei nani in pochi secondi, gli altri si arrestarono dubbiosi.

 

“Per i Sette Saggi! La fiamma di Surtr è davvero portatrice di distruzione e morte!” –Esclamò Jonathan, per poi spostare lo sguardo su Durin, rimasto al suo fianco ad osservare la carneficina cui il suo popolo stava andando incontro. Il capo dei nani non disse alcunché, limitandosi ad afferrare la sua ascia e a lanciarsi avanti, mentre le fiamme di Surtr piovevano dall’alto a massacrare la sua gente.

 

Jonathan cercò l’appoggio di Reis, il cui sguardo eloquente gli diceva di obbedire ai consigli di Orion, per poi pregare la ragazza di sorreggere Andromeda.

 

“Non posso abbandonarli!” –Si limitò a dire, prima di correre dietro a Durin, con lo Scettro d’Oro in mano, liberando migliaia di raggi luminosi diretti contro Surtr. Con immenso stupore, Jonathan vide i fasci energetici trapassare l’ancestrale creatura senza provocargli alcun danno. Riprovò più volte, con lo stesso risultato, salvo dover ammettere l’inutilità dei propri poteri.

 

In quel momento Surtr calò la spada di fuoco, falciando le vite di decine di nani e gettandoli a terra, mutilati, sanguinanti e avvolti dalle fiamme. Anche Dvalin cadde tra loro, ma non per questo Durin arretrò di un passo, lo scudo affisso al braccio, l’ascia salda nell’altra mano. Vedendoli morire, Jonathan si infervorò, caricando di cosmo il talismano e puntandolo verso quel che pareva essere il volto di Surtr.

 

“Scettro d’Oro…” –Esclamò, proprio mentre la frusta fiammeggiante del Nero saettava verso di lui.

 

Andromeda lo avvolse appena in tempo nella sua catena, strattonandolo e tirandolo indietro, lasciando che la frusta di Surtr afferrasse l’aria, ritraendosi sconfitta.

 

“Non rischiare la tua vita!” –Gli disse, aiutando il ragazzo a rimettersi in piedi. –“Per quanto onorevole sia cadere a difesa di coloro che chiami compagni, la tua missione è ben più importante, come il segreto del Talismano che sei chiamato a difendere!”

 

Come… lo sai?!” –Sgranò gli occhi Jonathan.

 

“Questo non ha importanza!” –Tagliò corto Andromeda, il volto emaciato e sudato. –“Ti capisco, dico davvero, darei la vita per coloro che amo. Eppure, in fondo al cuore, so che non servirebbe a salvare il mondo.”

 

“Attenti!!!” –Gridarono Reis e Orion, mentre vampe di fuoco esplodevano attorno a loro, gocce di energia ardente che Surtr stava dirigendo loro contro. –“Occhi del Drago!” –Ringhiò il Principe degli Einherhar, distruggendo il suolo e disperdendo le fiamme letali. Così facendo però espose il fianco ad un attacco diretto del Nero, che fece guizzare la frusta nella sua direzione.

 

Brunilde lo spinse fuori dalla traiettoria appena in tempo, venendo afferrata al posto suo, stritolata da spire di fuoco cui la Valchiria non poteva opporsi. Poté soltanto sorridere al discendente di Sigfrido, il discendente dell’uomo che aveva amato un tempo e a cui così tanto assomigliava, prima che un furioso strattone le mozzasse la testa, gettando il suo cadavere mutilato alle fiamme.

 

Reis aiutò Orion a rimettersi in piedi e a raggiungere Andromeda e Jonathan, incitandolo a farsi forza. Per le lacrime avrebbero avuto tempo. O forse no? Si chiese il Cavaliere di Luce, consapevole che l’esistenza dell’antico guerriero della stella Alpha era legata al consumarsi di Ragnarök, al termine del quale sarebbe svanito.

 

Le fiamma di Surtr divorarono il terreno attorno a loro, cingendoli d’assedio, mentre Andromeda disponeva la catena a cerchio, roteandolo a velocità così elevata da essere soltanto lambita dal calore. Orion, dal suo canto, concentrò il cosmo sull’indice, liberando la Spada di Asgard, che scavò un solco nel suolo attorno ai quattro combattenti, sollevando un muro di cosmo su cui le fiamme si schiantarono.

 

“Non servirà a molto, temo.”

 

“Abbi fede, Cavaliere di Odino! Il vento cambia sempre!” –Esclamò una voce nuova, mentre un gruppo di diverse sagome appariva alle loro spalle, ai margini opposti della piana di Vígridhr. Tra loro Orion riconobbe subito la solida postura di Njörðr, Dio del Vento e della Navigazione, che aveva appena parlato, intento a radunare il suo cosmo.

 

Subito un forte vento iniziò a soffiare, un vento carico di pioggia, il cui intenso odore accompagnò le raffiche che tempestarono la pianura, spegnendo i roghi sparsi.

 

Indispettito, Surtr fece per avanzare, accorgendosi soltanto allora di un rozzo strato di ghiaccio che era comparso ai suoi piedi, spegnendo le fiamme e permettendo ai nani superstiti di allontanarsi e riunirsi assieme agli altri guerrieri.

 

Cristal!” –Mormorò Andromeda, riconoscendo il cosmo, sia pur affaticato, del Cavaliere del Cigno, al cui braccio Flare si aggrappava ansiosa.

 

“E non soltanto!” –Commentò una voce maschile che Andromeda ben conosceva. Quella di suo fratello Phoenix.

 

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Capitolo 38
*** Capitolo trentaseiesimo: Il Distruttore ***


CAPITOLO TRENTASEIESIMO: IL DISTRUTTORE.

 

Andromeda, Orion e gli altri salutarono con piacere l’arrivo dei propri amici e di quel che rimaneva dell’esercito dei Vani, coloro che erano riusciti a lasciare il Niflheimr prima che il sole perpetuo li divorasse. Era stata una corsa contro il tempo la loro, ma Njörðr, Signore di Noatun e padre di Freyr, ne era stato consapevole fin dall’inizio, fin da quando aveva raggiunto il Valhalla e il figlio gli aveva rivelato quel che avrebbe fatto, qualora non fossero riusciti ad arrestare l’avanzata dei Titani del Gelo.

 

Njörðr non aveva detto alcunché, di poche parole come sempre, ma Freya, che aveva sentito la conversazione, era certa di aver visto una lacrima intenerirgli il viso. La stessa che probabilmente si era congelata sulla sua ruvida guancia mentre guidava la precipitosa fuga dei Vani fino alle Porte Infere, laddove aveva incontrato Cristal e Flare, stanchi e affannati.

 

L’onda di luce era esplosa poco dopo, spazzando via la nebbia eterna e gli impuri ghiacci di Hel, divorando tutti coloro che ancora vi dimoravano. I Giganti di Brina si sciolsero, Ganglot e Ganglati gridarono dal panico mentre Eliudhnir crollava sopra di loro, fiumane di acqua travolsero Nastrond, purificandone la spiaggia dal veleno dei serpenti, giungendo ai Monti dell’Oscurità e inondando anche la conca di Amsvartnit. Persino le Porte dell’Inferno vennero raggiunte dai raggi del sole perpetuo, rovinando su loro stesse e chiudendo per sempre l’accesso a quel mondo, pochi istanti doopo che Cristal, Phoenix e i Vani vi erano passati attraverso.

 

“Felice di rivedervi, Cavalieri dello Zodiaco!” –Esordì Orion, avvicinandosi ai due amici.

 

“Lo stesso vale per noi!” –Gli strinse la mano Phoenix, prima di raggiungere il fratello e chiedere come si sentisse.

 

“Sarebbe bello sedersi a tavola a discutere sorseggiando idromele, ma non abbiamo tempo!” –Intervenne la voce maschile del Dio della Navigazione, indicando la possente sagoma di Surtr che stava sbaragliando le legioni di nani e di einherjar che ancora tentavano di sbarrargli il cammino. –“Mai vista tanta forza distruttrice!”

 

“Abbiamo provato a fermarlo ma i nostri poteri sono inutili di fronte ad una fiamma così intensa! C’è l’essenza primordiale che ha dato origine a Muspellsheimr di fronte a noi!” –Spiegò Orion.

 

“Essenza primordiale… dici il vero, discendente di Sigfrido!” –Rifletté Njörðr, i cui sensi affilati potevano percepire tutto ciò che il vento poteva smuovere, tutti i sussurri che era in grado di portare al suo orecchio. E, su tutti, gli parve di cogliere una voce di guerra, un brivido antico come il mondo. –“Ce ne occuperemo noi! Voi ripiegate sul Valhalla e preparatevi con Odino all’ultimo assedio! I Vani, attingendo forza dagli elementi naturali, sapranno spegnere questa fiamma sanguigna!”

 

Orion fece per ribattere ma lo sguardo che il Dio del Vento gli rivolse fu piuttosto eloquente.

 

Proprio in quel momento Surtr attaccò.

 

Calando la spada di fuoco, falciò una decina di nani, scaraventandoli indietro tra i frammenti incandescenti delle loro cotte da battaglia, facendo piovere i loro resti su Phoenix e gli altri. Jonathan, disgustato, sollevò lo Scettro d’Oro per reagire e con lo sguardo cercò Durin in mezzo a tutto quel caos. Lo vide, a un centinaio di metri avanti a sé, con le corte gambe piantate nel terreno e lo scudo sollevato per difendersi dalle fiamme. Quasi avesse percepito lo sguardo del ragazzo su di sé, l’ultimo signore dei nani si voltò, sorridendo contento per aver lottato al suo fianco. Quindi, mentre l’ondata di fiamme scatenata da Surtr gli si faceva incontro, piantò l’ascia nel terreno, imprimendovi ogni stilla del suo essere.

 

“Questa è la furia del popolo Dvergr!” –Ringhiò, alzandola di scatto e sollevando il terreno tutto attorno, riversandolo sulle vampe per spegnerle.

 

Njörðr approfittò di quel momento per scatenare l’uggiosa pioggia su cui aveva il comando, incitando i Cavalieri ad andarsene. –“Che questo vento segni la riscatta dei Vani e ricordi al mondo che anche loro, un tempo, erano considerati Dei!”

 

“Siamo al vostro fianco, Signore del Vento!” –Gridarono gli altri Vani, unendo i loro cosmi alla tempesta scatenata dal padre di Freyr, che, aiutata dalla mossa di Durin, sradicò ulteriore terriccio, rovesciandolo sulle vampe incendiarie.

 

Spinti da Orion, i Cavalieri dello Zodiaco e di Avalon corsero verso l’ultimo ponte ancora in piedi, proprio quello che Jonathan e i nani avevano percorso ore addietro, ma prima ancora di raggiungerlo capirono che Njörðr e Durin avevano fallito.

 

Un’ondata di calore, che persino Phoenix giudicò intensa, si abbatté su tutti loro, sollevandoli e facendoli ruzzolare molti metri avanti, con le armature opacizzate e i vestiti bruciacchiati. Cristal fece appena in tempo a chiudersi attorno al corpo di Flare, per proteggerla, ma non riuscì a impedire alle fiamme di divorarle ciuffi di capelli e una delle sue cuffiette.

 

“Maledizione!” –Ringhiò Phoenix rimettendosi in piedi, presto imitato da Orion e dagli altri Cavalieri. Solo Andromeda esitò un momento, provato da una fitta alla testa, faticando a rialzarsi e dovendosi appoggiare a Reis. Quando riuscì a sollevare lo sguardo vide ciò che aveva appena visto nella sua mente.

 

La frusta fiammeggiante di Surtr scattò avanti, obbligando Phoenix a balzare in alto per evitarla, mentre Cristal si premuniva di spegnere le fiamme che piovevano attorno a loro. Ma proprio mentre il Cavaliere della Fenice stava per atterrare, la verga di fuoco sferzò di nuovo l’aria, mirando alla sua testa.

 

Fu la Catena di Andromeda ad afferrarla in tempo, aggrovigliandosi l’una all’altra, mentre Phoenix si allontanava lesto, guardando ammirato suo fratello. Non durò che pochi istanti quell’imprevisto stallo che le fiamme presero a divorare persino la catena, correndo lungo la sua lunghezza fino a raggiungere il braccio del Cavaliere.


“Andromeda!!!” –Gridò Cristal, correndo in suo aiuto per congelare le fiamme, mentre il ragazzo era obbligato a ritirare l’arma, i cui anelli usurati e a tratti fusi la dicevano lunga sul calore sprigionato da Surtr.

 

“Ancora un attimo e l’avrebbe distrutta!” –Osservò Jonathan, e anche Reis annuì, proprio mentre il Nero piantava la spada di fuoco nel terreno, incendiandolo in profondità e diffondendo ovunque l’inferno di cui era latore.

 

“Attenti!!!” –Gridò Flare, mentre un geyser di fiamme esplodeva vicino a lei, spingendola indietro. –“Sta giocando con noi! Come un gatto con il topo!” –Le fece eco Jonathan.

 

“Sempre melodrammatici voi uomini! Vediamo di riprendere in mano la situazione!” –Esclamò Reis, balzando accanto a Cristal. –“Ho bisogno del tuo aiuto!” –Quindi fece cenno a tutti di riunirsi attorno al Cavaliere del Cigno. –“Adesso!”

 

Cristal annuì, sfiorando il suolo con la mano carica di gelida energia che subito congelò il terreno, espandendosi a macchia attorno a loro e spegnendo le fiamme.

 

“E dopo che tu hai pensato al piano di sotto, occupiamoci del piano di sopra!” –Disse Reis, espandendo il proprio cosmo, che turbinò attorno al gruppo di amici generando una barriera luminosa. –“Cascata di luce!!!” –Gridò, proprio mentre Surtr scagliava nuove vampe infuocate contro di loro, che non riuscirono però a raggiungerli, schiantandosi contro la turbinante protezione sollevata dal Cavaliere di Avalon.

 

“Un’ottima mossa!” –Si congratulò Phoenix. –“Anche se mi sembra di stare in un forno!” –Aggiunse, osservando l’oceano di fuoco che si stava ammassando fuori dalla barriera di luce.

 

“Se hai idee migliori, sei libero di metterle in pratica!” –Commentò Reis, prima che un rumore simile allo scrosciare di una cascata distraesse tutti i presenti, portandoli a volgere lo sguardo in direzione del fiume, da cui mille colonne emeraldine si erano appena sollevate.

 

“Nobili draghi di Cina, cibatevi delle fresche acque di Thund e spegnete l’inferno universale!” –Esclamò una ben nota voce, mentre migliaia di dragoni acquatici scivolarono attorno al gruppo, sommergendo le fiamme e permettendo a Reis e a Cristal di quietare il loro potere. –“Finalmente ci rivediamo, amici!” –Sorrise Sirio il Dragone, ancora avvolto nel bagliore verde smeraldo del proprio cosmo.

 

“Non potevi scegliere momento migliore!” –Disse Phoenix. –“Manca solo Pegasus, ma immagino che sia già impegnato a prendere a pugni Loki!” –Commentò Cristal.

 

“Prima dell’arrivo di Surtr avevo percepito il cosmo del vostro amico accendersi assieme a quello di Odino! Proveniva da Fensalir, la residenza della Signora del Cielo! Probabilmente è là che Loki ha mosso guerra, per uccidere la famiglia del mio Signore!” –Esclamò Orion, stringendo un pugno, chiaramente frustrato per non poter essere a combattere al fianco del Padre delle Schiere.

 

“Và!” –Gli disse allora Cristal. –“Raggiungi il Dio a cui sei fedele e per cui ritieni valga la pena morire una seconda volta! Come Artax prima di te!”

 

“E Mime!” –Aggiunse Andromeda, con gli occhi velati di lacrime.

 

“E Luxor, e Mizar e Alcor!” –Continuò Sirio, poggiando la mano sulla spalla del Cavaliere del Drago Bicefalo. –“Al tuo posto farei altrettanto! Tutti noi lo faremmo!”

 

Orion annuì, fissando con orgoglio e determinazione ognuno dei Cavalieri dello Zodiaco, prima di prendere la sua decisione e iniziare a correre verso il ponte che lo avrebbe avvicinato alle residenze divine.

 

“Andate anche voi! Avrà bisogno di aiuto contro il Dio del Male!” –Esclamò Cristal, rivolgendosi a Reis e a Jonathan, che fecero per controbattere, ma Andromeda si mise in mezzo, sorridendo con dolcezza e pregandoli di ascoltare le parole del suo amico.

 

Fu ancora una volta Surtr a porre fine ai loro progetti, vomitando sfere di fuoco che si schiantarono nel martoriato suolo di Vígridhr, obbligando i Cavalieri a scattare in direzioni diverse e a sollevare le difese. Andromeda si mise di fronte a Phoenix, roteando vorticosamente la catena, in modo da respingere le vampe scarlatte, mentre Cristal creava muri di ghiaccio per proteggere se stesso e Flare, poco distante da Sirio che aveva già sollevato marosi di energia acquatica, dirigendoli verso il Nero.

 

Con la coda dell’occhio, Andromeda vide Jonathan e Reis iniziare a correre verso il ponte, sicuro che avrebbero eseguito quel che gli avevano chiesto. Se davvero Thund poteva impensierire Surtr, e se davvero un solo ponte ancora solcava le sue iraconde acque, c’era solo una cosa che i tre guerrieri dovevano fare una volta giunti sull’altra sponda. Forte di quella convinzione, Andromeda espanse il proprio cosmo, unendosi agli amici per l’ultimo attacco.

 

“Acqua, vento e gelo possono fermare le fiamme!” –Spiegò, mentre anche Sirio e Cristal portavano i loro cosmi al parossismo. Flare era rimasta con loro, nonostante le suppliche del Cigno che l’avrebbe voluta al sicuro dentro le mura del Valhalla, ma la ragazza era stata inamovibile.


“Vado dove vai tu. Se tu muori, io morirò con te.”

 

Adesso era riparata dal corpo di Phoenix, rimasto alle spalle dei tre compagni, la cui impronta cosmica era ben più consona per affrontare il Distruttore.

 

“Uniti come sempre contro il nemico finale!” –Gridò Andromeda, scatenando la potenza devastante della Nebulosa, affiancato da Cristal, che liberò la gelida essenza dello zero assoluto. –"Questa è la nostra forza! L’amicizia che valica i mondi!” –Chiosò Sirio, mentre un dragone di energia acquatica prendeva forma attorno al suo corpo, dirigendosi poi verso Surtr.

 

Sospinti dalla corrente della nebulosa, i dragoni acquatici sommersero Vígridhr, estinguendo roghi e fiamme, prima che il cosmo di Cristal li congelasse, investendo infine il Gigante di Fuoco. La frusta di Surtr sferzò l’aria ma venne rimandata indietro, prima di essere divorata dall’acqua e dal gelo e andare in frantumi. Per un momento i Cavalieri dello Zodiaco credettero davvero che ce l’avrebbero fatta. Ma la spada del Nero, costituita dal prolungamento di un arto della creatura, ardeva di così intensa fiamma che neppure il cosmo unito dei Cavalieri Divini poteva impensierirla. E anche se Phoenix unì la propria energia a quella degli amici, l’esito non cambiò.

 

Surtr rilasciò il calore dell’inferno universale, ravvivando le fiamme, che fecero esplodere il ghiaccio che le aveva coperte, sollevandosi fameliche verso il cielo. Il suolo tremò mentre getti di lava sgorgavano dalle fenditure aperte, fagocitando i corpi straziati di chi a lungo aveva quel giorno combattuto.

 

A fatica Cristal riuscì a concentrare il cosmo in un muro di ghiaccio per tenere il magma lontano da loro e permettere a Sirio di dirigervi contro le acque di Thund, per spegnerlo, ma nessuno di loro poté sfuggire al vortice infuocato che Surtr liberò, semplicemente aprendo quella che pareva la sua bocca e soffiando.

 

Andromeda tentò di ancorarsi al suolo con la catena, ma le fiamme la divorarono, facendo schiantare alcuni anelli che la componevano e precipitando il giovane dentro il turbine di fuoco, presto seguito da Phoenix e Sirio. Cristal fece scudo a Flare con il proprio corpo, chiudendo le ali dell’Armatura Divina attorno a entrambi, limitando così le ustioni, ma tutti vennero scaraventati lontano, schiantandosi in mezzo ai mille roghi che costellavano la vasta piana.

 

Orion, Reis e Jonathan, che ormai correvano verso Fensalir, sentirono esplodere i cosmi dei Cavalieri dello Zodiaco e, seppur invasi dalla tentazione di tornare indietro, tirarono dritto, memori della scelta compiuta. Non solo avevano affidato ai quattro amici il compito di affrontare il Distruttore, ma avevano anche abbattuto l’ultimo ponte sul Thund, come Andromeda aveva loro chiesto di fare, per evitare che, qualora avessero fallito, Surtr potesse raggiungere il cuore di Asgard.

 

Alzando gli occhi al cielo, Orion notò un’aquila dall’argenteo piumaggio stagliarsi contro le nubi nere. Stranito, si fermò, indicandola ai compagni, mentre l’uccello iniziava a planare verso di loro.

 

“Un’aquila?!” –Borbottò Jonathan. –“Che con essa Odino controlli i mondi?!”

 

“No!” –Realizzò Orion, ricordando di averla già vista, ore addietro, con gli unghioni piantati nel collo di Heimdall. –“È Loki!!!” –Gridò. Ma il Buffone Divino era già piombato su di lui, sbattendolo a terra e conficcandogli i nodosi artigli nel collo.

 

“Se tanto amavi la Sentinella dai denti d’oro, lascia che ti faccia dono della stessa fine!” –Ironizzò il Nume, riacquistando forma umanoide. –“Sei invulnerabile vero, piccolo Sigfrido? Ma se ti taglio la testa, cosa succede? Ti ricresce o muori? Perché non lo scopriamo?!” –Ridacchiò, calando la mano destra dalle dita unite a lama.

 

“Perché invece non ti togli di mezzo, buffone?!” –Esclamò Jonathan, colpendo Loki in pieno petto con lo Scettro d’Oro e gettandolo a terra a gambe all’aria.

 

“Come osi?!” –Avvampò il Buffone Divino, muovendo il dito per scagliare una runa d’attacco. Ma Reis era già balzata su di lui, il cosmo acceso attorno alla spada che stringeva in mano. –“Flashing sword!” –Gridò, liberando continui e precisi affondi, allo scopo di impegnare il Dio in uno scontro corpo a corpo con cui sperava di averne ragione.

 

Loki, sorpreso dalla repentinità dell’attacco, dovette muoversi incessantemente in ogni direzione, per evitare gli assalti luminosi del Cavaliere di Luce, quei fendenti in grado di squarciare il terreno attorno a loro. Un affondo di lama raggiunse il Dio al braccio destro, strappandogli la sontuosa veste che aveva indosso e un moto di sorpresa, che divenne all’istante rabbia allo stato puro.

 

“Folle!!! Folle e temeraria!” –Strillò, il volto deformato dall’ira, abbozzando una croce di cosmo col dito e sollevando una corrente d’aria così potente da scaraventare Reis molti metri addietro, facendole addirittura perdere la presa sulla Spada di Luce. –“Hai idea di quanto costi un abito come questo? Non è facile trovare un buon sarto all’alba della fine del mondo!”

 

“Dovresti trovarti un prete piuttosto, per fare ammenda dei tuoi peccati!” –Gridò Jonathan, sollevando lo Scettro d’Oro. –“Aberrazione della luce!”

 

Loki venne stordito dai flash improvvisi e obbligato a sollevare una mano per coprirsi il volto, mentre il ragazzo si avvicinava velocemente, scagliando violenti fasci di luce contro di lui. Portando avanti lo scettro, Jonathan mirò al cuore del Nume, per sfondarglielo, ma questi fu svelto ad afferrarne la punta nell’attimo in cui sfiorò la cinta protettiva di Yr.

 

“Bel tentat… aaargh!!!” –Gridò il Burlone Divino, guardando la propria mano ustionata da una vampata di luce rilasciata dallo scettro. –“Ma vi siete tutti dati una svegliata nel finale della storia?!” –Avvampò, sollevando Jonathan con un turbine d’aria e facendolo roteare su se stesso a testa in giù svariate volte, fino a lanciarlo contro Reis che stava accorrendo, gettandoli entrambi a terra.

 

In quel momento avrebbe potuto vincere, mentre i Cavalieri delle Stelle affannavano a rimettersi in piedi e Orion languiva in una pozza di sangue. Ma trattenne troppo a lungo lo sguardo sulla mano ustionata, inspirando a fatica, mentre il cosmo fluiva inquieto dentro sé. Reis, rimettendosi in piedi, non poté non notare quanta concentrazione Loki stava imprimendo a quel gesto, quanta cura il Buffone Divino stava dedicando al risanamento delle ferite della propria mano, annientando le ustioni e lasciando che morbida pelle ricomparisse.  

 

“Non possiamo esitare, Jonathan! Non avremo un’altra occasione! Il mondo non l’avrà!” –Esclamò il Cavaliere di Luce, espandendo il proprio cosmo, che mulinò attorno a sé prendendo la forma di uno scintillante vortice di luce. Il suo compagno fece altrettanto, concentrando una sfera di energia ardente nel palmo della mano e scagliandola avanti, avvolta nel turbinare del cosmo di Reis.

 

I due colpi segreti sfrecciarono verso Loki, il quale si limitò a porre sui Cavalieri il suo sguardo magnetico e a inchiodarli sul colpo, paralizzando ogni loro movimento. Quindi si spostò di lato, evitando la cometa lucente e si lasciò risucchiare dal turbine di Reis, roteando al suo interno con un gran sorriso sul volto, sentendosi un bimbo sul cavallo di una giostra.

 

“La vita è composta anche da piccoli divertimenti, non trovate, bambini?” –Rise il Nume, prima di lasciar esplodere il proprio cosmo, sopraffacendo la pressione del vortice lucente e prendendone il controllo. –“Godetevi un soffio della vostra stessa aria viziata!” –E nel dire ciò rispedì indietro il colpo segreto di Reis, travolgendo entrambi i Cavalieri delle Stelle e scaraventandoli molti metri addietro, scheggiando persino le loro corazze.

 

“Il mithril…” –Rantolò Jonathan, osservando con orrore una crepa aprirsi su uno dei gambali.

 

Non… arrendetevi…” –Mormorò Orion, catturando l’attenzione dei due giovani.

 

Stringendo i denti per il dolore, il Cavaliere di Asgard stava tentando di rimettersi in piedi, nonostante il ruscellare continuo del sangue dalle ferite aperte sul collo. Reis si chinò subito su di lui, che si servì del suo braccio per fare leva e assumere posizione eretta. Non ebbe bisogno di dire alcunché che l’altro capì.

 

L’invulnerabilità dovuta al sangue di Fafnir stava lentamente scomparendo, forse perché il Ragnarök stava volgendo al termine, o forse era barriera inutile di fronte al potere di un Dio. Quale ne fosse la causa, Orion sapeva che stava morendo.

 

“Ma non prima di aver estirpato l’erba mala che ha dato origine a questo conflitto!” –Declamò a gran voce, espandendo al massimo il proprio cosmo, mentre la sagoma di un imponente drago a due teste riluceva alle sue spalle. Jonathan e Reis fecero altrettanto, unendo i loro cosmi a quello del Principe degli Einherjar, suscitando la reazione divertita e interessata di Loki.

 

“Finalmente vi siete decisi a fare sul serio! Pensavo di limarmi le unghie nel frattempo! Sapete, per tenerle sempre affilate a sufficienza!”

 

“Preparati per la battaglia piuttosto, perché ne hai ben motivo! Occhi del Drago, splendete per Asgard!!!” –Gridò Orion.

 

Cometa d’oro!!! Vortice scintillante di luce!!!” –Lo imitarono Jonathan e Reis.

 

“Dato che vi piace gridare a squarciagola il nome delle vostre tecniche, ugualmente farò anch’io!” –Ironizzò il Fabbro di Inganni, disegnando una runa nell’aria, uno stelo con un triangolo attaccato. –“La riconoscete? È Thurisaz!!!” –Esclamò raggiante, mentre una tempesta di fulmini si scatenava attorno a loro.

 

Migliaia di folgori caddero dal cielo, dilaniando il triplice assalto dei Cavalieri e riducendone l’intensità, mentre altrettanti lampi di energia scaturirono dalla mano aperta di Loki, travolgendo i tre compagni e gettandoli a terra.

 

Orion fu il primo ad essere dilaniato dai fulmini, l’armatura distrutta in più punti, le carni raggiunte, il sangue che sprizzava a fiumi, stuprando il passato in cui era stato invincibile.

 

“Negli antichi poemi runici, Thurisaz veniva definita una spina eccessivamente acuta, un oggetto al tocco maligno per ogni Cavaliere! Dicevano il giusto, nevvero Sigfrido?” –Ridacchiò Loki, spostando poi lo sguardo sull’attraente corpo di Reis di Lighthouse. –“Ma Thurisaz è anche la tortura delle donne, cui causa grande angoscia! Come gli uomini, in fondo!” –E la stritolò con le folgori incandescenti, scagliandola a terra, persino con i capelli bruciati. –“Questa è la grande runa degli Jotnar, la stirpe dei Giganti da cui discendo! Siate fieri di morire per sua mano!”

 

Pochi attimi dopo Loki placò il suo attacco, distratto da qualcosa che stava accadendo sull’altra riva del Thund, laddove si estendeva la vasta piana di Vígridhr. Incuriosito e soddisfatto, travolse i tre Cavalieri con una tempesta di folgori, lasciandoli feriti e sanguinanti a terra, prima di assumere forma di aquila e volare di là dal fiume.

 

Se non avesse saputo che era il campo dove aveva incontrato Hel e la sua feccia ore addietro, di certo non l’avrebbe riconosciuto. Adesso era un cimitero, ove carcasse di uomini, nani e mostri ardevano in putridi roghi, separati da sconquassamenti nel terreno e conche dove rimasugli di acqua ribollivano assieme al sangue dei caduti. Volando per l’intera estensione della piana, Loki riconobbe i resti di Garmr e di Fenrir, o almeno credette che appartenessero loro quegli immondi ammassi di carne bruciata. Di Hel non vide traccia, ma per quel che gliene importava sarebbe potuta morire chissà dove, purché non avesse insudiciato con il suo tocco il trono di Hliðskjálf, che il Nume adesso vedeva davvero a portata di mano.

 

Planò ai margini della piana, proprio dove aveva combattuto contro Heimdall e Tyr, proprio dove in quel momento Surtr stava incendiando gli ultimi alberi con la sua spada infuocata.

 

Clap, clap.

 

Il battito delle mani distrasse il Nero dalle sue occupazioni. Dopo aver sbaragliato i Cavalieri dello Zodiaco con la tempesta di fuoco, ne aveva perso le tracce, convinto che fossero morti carbonizzati o caduti in qualche fenditura e sommersi dal fango. Così aveva deciso di incendiare quel che restava di Asgard, certo che, nel vedere lo sfacelo del regno, Odino sarebbe uscito dal Valhalla per affrontarlo in campo aperto. Invece si trovò davanti il Dio dell’Inganno, senza esserne comunque troppo sorpreso.

 

“Ci incontriamo finalmente!” –Esclamò Loki, ritto in cima ad una roccia sporgente.

 

“Quale onore!” –Parlò Surtr per la prima volta, grazie all’essenza della creazione che risiedeva in lui. –“Il figlio di Farbauti e Laufey! Sei vecchio quasi quanto me!”

 

Spiritosone!” –Rise Loki, che in realtà non amava quando qualcuno gli faceva notare la sua età. –“Soprassederò su questa mancanza di eleganza, per passare subito ai complimenti per come hai gestito l’azione! Tu e gli altri figli di Muspell avete preso possesso della città degli Asi in poco tempo!”

 

“Facendo quel che tu non sei mai stato in grado di fare!” –Precisò Surtr, allargando la bocca di fiamme in un ghigno innaturale.

 

“Te ne do atto, e sarai degnamente ricompensato appena siederò sul Seggio degli Spazi!” –Esclamò Loki, a cui Surtr rispose con una risata, prima di falciare un’altra ventina di alberi con la sua spada infuocata. Il Burlone Divino, che per le ustioni non aveva gran simpatia, in virtù dei suoi trascorsi nella caverna sotterranea, preferì non cogliere le provocazioni del Nero, concentrandosi sul prossimo obiettivo. –“Vieni con me adesso! Il Valhalla ci attende! Sconfitto Odino, sarò re di nio heimar e tu e i tuoi fratelli non sarete più obbligati a rimanere confinati a Muspellsheimr! Sarete liberi di girare dove vorrete, come miei araldi, portando ovunque la fiamma di Loki!”

 

“Tu sogni, Gran Tessitore! I troppi inganni che hai a lungo tessuto ti hanno ottenebrato la mente, impedendoti di vedere la realtà!” –Rispose Surtr, suscitando l’immediata reazione di Loki, che si voltò fissandolo con astio.

 

“Che stai dicendo?”

 

“Io non sono un tuo servitore, né mai lo sono stato! E pretendere di asservire la fiamma di Muspell ai tristi disegni di un mentecatto è delirio puro!”

 

Mente… catto?! Bada a come parli, fiammella! Io ti ho risvegliato dal sonno, io ti ho convinto ad abbandonare quel mondo incivile per respirare nuova aria!” –Avvampò Loki, cui Surtr rispose con l’ennesimo ghigno.

 

“Non tu sei stato. Neppure il grande Loki ha avuto l’ardire di scendere nell’inferno di Muspellshemir per conferire con me, delegando ad altri il compito. Cosa temevi, di sciupare il tuo bel visino da damigella? O che qualche gigante troppo focoso tentasse di possederti?”

 

Flegias ha soltanto eseguito la sua parte. Siamo alleati, non dimenticarlo, dai tempi in cui sottoscrivemmo il patto di sangue, assieme ai suoi fratelli Paura e Terrore!”

 

“Ingenuo. Flegias non ha alleati, e neppure io.” –Detto ciò, Surtr calò la sua immensa spada di fuoco su Loki, obbligandolo a scattare di lato per evitarla, nonostante una fiammata comunque lo raggiunse, incendiando parte delle sue vesti.

 

“Sei impazzito?! Non dobbiamo combatterci tra noi, ma unirci per dominare questo mondo! Anzi, per dominarli tutti!”

 

“Io non voglio dominare i mondi!” –Parlò Surtr, mentre un oceano di fuoco prendeva vita attorno a lui, sollevandosi verso il firmamento. –“Io voglio distruggerli!”

 

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Capitolo 39
*** Capitolo trentasettesimo: Vendetta mancata ***


CAPITOLO TRENTASETTESIMO: VENDETTA MANCATA.

 

“Che stai dicendo, rustica fiammella? I nio heimar appartengono a me, Loki, della stirpe dei Giganti di Brina! Questa è la mia grande occasione, attesa per anni, e dagli Asi a lungo temuta! Nel secolare conflitto tra luce e ombra, questa è la rivalsa dell’ombra!” –Declamò l’Ingannatore, ritto su una roccia nella piana di Vígridhr, circondato da un mare di fiamme che Surtr aveva appena sollevato contro di lui.

 

“Proprio per questo non ti appartiene! Sei solo una pedina in un gioco più grande di te!” –Ghignò il Nero, osservando l’espressione sbigottita sul volto di colui che da sempre era abituato a burlarsi degli altri. –“Una realtà difficile da accettare, Buffone Divino, ma veritiera! E adesso, se vuoi scusarmi, ho una fortezza da distruggere e un ultimo mondo da incenerire!”

 

“Un ultimo mondo?! Che vuoi dire?”

 

“Credevi che il potere dei figli di Muspell fosse asservito alla tua causa, al patetico desiderio di rivalsa di un buffone di corte che per anni è stato canzonato dagli Asi per le sue singolari pulsioni sessuali, che per anni non è stato capace di tagliare la testa di un vecchio guercio e prendersi un trono di legno? Stolto e stupido solo ad averlo pensato! I Giganti di Fuoco miei fratelli e sudditi marciano nelle terre dei Vani, degli elfi e dei nani per ridurle in cenere! E ad eguale sorte è destinato il Recinto di Mezzo! Un rogo universale sta per sorgere!” –Sibilò Surtr, chinandosi sul Dio e soffiandogli in faccia una vampata di aria calda, che subito diventò una tempesta di fuoco.

 

Loki fu svelto a balzare indietro, spalancando l’ampio mantello della sua veste e usandolo per planare docilmente a terra. Ma subito nuove vampe scarlatte sorsero dal suolo, obbligandolo ad usare la runa dell’immobilità al massimo della potenza.

 

Isa!!!” –Gridò, congelando lo spazio attorno a sé e strappando un sorriso al gigantesco Distruttore.

 

“Mi diverti, Burlone Divino! Tieni alto il tuo nome, in effetti! Lascia però che ti dia un consiglio da amico, forse l’unico che tu abbia! Anche se in effetti non mi ritengo tale, ma poco importa! Sfrutta quel tuo bel mantello di piume di falco e vattene! Vola via, da Asgard e dai nove mondi, se vuoi vivere ancora a lungo! Perché se dovessi incontrarti di nuovo sulla mia strada…” –E lasciò di proposito la frase in sospeso, mentre tutto attorno a Loki si sollevavano lingue di fuoco, sciogliendo dall’interno il gelo con cui erano state temporaneamente frenate.

 

“È una minaccia, la tua, scintilla da caminetto?” –Esclamò Loki, ergendosi fiero in mezzo alle fiamme, incurante delle faville che gli incendiavano il magnifico abito.

 

“No, è suprema verità!” –Sibilò Surtr, smuovendo le vampe di fuoco in un assedio attorno al corpo dell’Ingannatore, il quale, nient’affatto intimorito, si limitò a roteare su se stesso, il braccio destro teso avanti, il simbolo di Isa rilucente nell’aria torrida.

 

Le fiamme crepitarono ancora, fermandosi e raffreddandosi, ma Surtr, che aveva già perso anche troppo tempo, calò su Loki la sua enorme spada di fuoco.

 

“Tempo al tempo!” –Mormorò il Nume, arrestando la discesa dell’arma pochi centimetri sopra la sua testa e sollevando lo sguardo verso il Nero. –“Se io sono stato uno stolto a credere nell’aiuto dei Muspells megir, tu sei ancor più ingenuo a pensare che mi faccia da parte adesso! Adesso che ho scatenato tutto questo!”

 

E in quel momento, mentre il suo cosmo divino congelava la spada di fuoco, il Dio ripensò a quel che la Celebrante di Odino gli aveva detto all’inizio di quell’avventura, prigioniera nelle segrete di Midgard. –“Credi di poterlo controllare, Loki? Credi di essere davvero il direttore di questo dramma? Sei un illuso, e te ne accorgerai presto! Il potere che vuoi scatenare è troppo grande per chiunque, persino per un figlio della stirpe degli Jötnar!”

 

Forse era vero. Ammise il Grande Ingannatore. Pur tuttavia si era spinto talmente avanti da non poter più tornare indietro. Perché farlo significherebbe rendere vana un’intera esistenza, significherebbe ammettere che non ho vissuto per altro se non per veder crollare i miei progetti e non avere la mia vendetta.

 

Il dolore del ricordo per la sorte di Vali, Narfi e Sigyn lo fece imbestialire, generando un’onda di energia che annientò le fiamme attorno, scavando il suolo in profondità, mentre tutto attorno al suo braccio rilucevano saette incandescenti.

 

Thurisaz!” –Gridò, distruggendo la spada congelata e forzando Surtr alla difensiva.

 

“Per rispetto all’ombra che ci ha risvegliato da un torpore di millenni, avevo deciso di lasciarti vivere, Fabbro di Menzogne! Ma adesso che hai rivolto i tuoi colpi contro di me, ti ucciderò! Ti abbrustolirò su un rogo assieme agli Asi e ai Vani!” –Declamò Surtr, facendo scorrere colate di lava nel terreno di fronte a lui, fin sotto i piedi di Loki, che venne sbalzato in aria da un getto di magma ardente.

 

Tentò di liberarsi da quel calore intenso, ma il gelo di Isa non era sufficiente per controbattere quell’inferno millenario. Ridendo, Surtr gli soffiò contro una tempesta di fuoco, avvolgendolo in un turbine che incendiò la sua veste ricamata e ciuffi di capelli, ustionandogli la mano già danneggiata dallo scontro con Jonathan. Quindi, stufo di giocare, gli scagliò contro un getto di lava, schiantandolo contro i massi in precedenza franati a chiudere l’ingresso verso Hel.

 

“Al tuo posto, Nume fasullo!” –Commentò Surtr, prima di placare le fiamme e incamminarsi infine verso il Valhalla.

 

Sorrise, osservando il ponte distrutto da Orion, come se un misero ostacolo potesse impensierirlo, per poi richiamare a sé le sue fiamme e sprofondare nel terreno, quasi come ne venisse risucchiato. Un attimo dopo le insidiose acque di Thund ribollirono e tutti i pesci salirono a galla morti, lessati da un calore intenso che si era acceso al di sotto del letto del fiume. Sbucando dal suolo sul lato adiacente al Valhalla, Surtr riacquistò le sue immense forme e proseguì verso la Dimora degli Uccisi, incurante di tre Cavalieri feriti che giacevano poco lontani dalla riva.

 

Non passarono che pochi minuti che una deflagrazione di energia squassò ulteriormente la piana di Vígridhr, anticipando la liberazione di Loki dal cumulo di rocce e fiamma rovinati su di lui. A guardarlo da vicino il Nume era irriconoscibile, tranne forse per Sigyn, la sposa che morì languendo nella caverna oscura, dopo secoli trascorsi a raccogliere in una ciotola il liquido che le serpi facevano colare sul volto del compagno. L’unico essere vivente che mai lo avesse amato.

 

“Tu sia maledetto, Surtr!!!” –Ringhiò il Burlone Divino, crollando sulle ginocchia e respirando a fatica. Le vesti eleganti erano bruciate in più punti, lasciando intravedere le carni al di sotto. Il suo volto, al pari del resto del corpo, era segnato da striature violacee, ustioni che il suo cosmo indebolito non riusciva più a trattenere, cicatrici che volevano emergere, per mostrare al mondo un passato che non riusciva a dimenticare, che non aveva mai voluto dimenticare. Perché quel passato lo aveva reso quello che era, l’Ingannatore che aveva a lungo tramato per la caduta degli Asi.

 

Fenrir!!!” –Chiamò. –“Fenrir, vieni da tuo padre, portami al Valhalla sulla tua folta schiena!!!” –Ma nessuno rispose. –“Hel, lurida strega, cedimi la tua scopa! La userò per sfondare il cranio del Guercio o forse per togliergli l’ultimo occhio! Ah ah ah!” –D’un tratto rise, senza sapere perché, lasciandosi cadere a terra, rotolandosi sul suolo distrutto, inebriandosi di quell’odore di fumo e morte che sgorgava dalla terra stessa.

 

“Sono solo!” –Dovette ammettere infine, lo sguardo perso nella coltre di nubi che sovrastava l’intera Asgard. –“Come lo sono sempre stato, in fondo. Padre di figli che non l’hanno mai amato, re di un regno che non è mai esistito se non nella mia mente.”

 

Nonostante i bei piani di conquista, le alleanze che credeva di aver tessuto nel corso di secoli bui, non gli era rimasto nessuno. I suoi malvagi figli erano morti, uccisi dai Cavalieri dello Zodiaco; gli Dei di Vittoria erano stati sconfitti, persino il grande Erik, cui aveva donato la sua prima armatura, persino Managarmr che aveva scaldato le sue notti pensose. Le creature terribili che aveva risvegliato erano sprofondate nell’oblio: Garmr, Skoll, Hati, le Vilgemir, le streghe di Járnviðr. E dal Niflheimr non era venuto alcun aiuto. Qualcuno deve aver fermato l’avanzata dei Giganti di Brina.

 

Sollevando lo sguardo, vide ovunque un fuoco nero incendiare la città di Ásaheimr, un fuoco che trasudava odore di morte, effluvi che gli ricordarono tutti coloro che erano caduti in quella guerra. Heimdall e Tyr, Balder e Frigg, Ullr e Bragi, Freyr e Freya. E molti altri i cui nomi non ricordava neppure ma che era stato lieto di falciare con le sue rune di morte.

 

Perché? Cosa aveva provato in quel momento, quando da Dio dell’Inganno era divenuto Dio della Morte? Il passaggio, in cuor suo, era stato breve, una conseguenza dell’agire degli Asi, che lo avevano ferito, umiliato e torturato, spingendolo verso un sentiero di vendetta durato secoli, forse millenni. Eppure adesso, ripensando al bianco sorriso della Sentinella Celeste, ritta su Bifrost, Loki non provò niente. Nessuna gioia, nessuna soddisfazione. Nessun canto di celebrazione, solo un vuoto immenso. Niente di più di quel che aveva albergato nel suo animo dagli albori del mondo.

 

Per la prima volta, osservando le fiamme allungarsi verso il cielo e soffocare Asgard, cingendo d’assedio le residenze divine, lo invase il dubbio che quel caos, quella distruzione, quell’inferno universale, non fosse quello che aveva davvero voluto.

 

Lui voleva soltanto il trono di Odino, sedere su Hliðskjálf e bere idromele, non urina di capra. Voleva un esercito di guerrieri come il suo, valorosi e arditi, pronti a dare la vita per il loro signore, e non costretti a lottare per paura di ritorsioni e morte. Voleva una sposa bella e luminosa come Frigg, i cui riccioli d’oro avrebbe carezzato ogni notte, prima di unirsi a lei e generare una discendenza perfetta, non una gigantessa o una prostituta con cui mettere al mondo serpi e mostri. Lui voleva essere Odino, e non la sua nemesi, e finalmente trovò il coraggio di ammetterlo a se stesso. Quel che tanto aveva odiato, quel mondo che aveva tentato di distruggere, era il mondo su cui voleva imperare. Era il mondo che voleva fosse suo.

 

“Asgard è mia!” –Avvampò, rimettendosi in piedi e mirando verso il Valhalla, ove Surtr già teneva in scacco la fortezza. –“Non ti permetterò di incendiarla, perché mi appartiene! Asgard è il mio regno! E la difenderò dalle tue vampe distruttrici!”

 

“Sono sorpreso di sentirtelo dire!” –Esclamò una voce giovanile, sorprendendo il Fabbro di Inganni, che si voltò di scatto, con un’espressione stupita sul volto.

 

Cristal il Cigno lo osservava incuriosito, stringendo Flare in un protettivo abbraccio, affiancato da Sirio, Andromeda e Phoenix, tutti con le Armature Divine ricoperte da aloni di fumo, e con i capelli e il volto bruciacchiati. Dragone, in particolare, con i capelli corti e disordinati, sembrava un’altra persona.


“Siete ancora vivi?” –Bofonchiò scocciato l’Ingannatore. –“Umpf, non lo sarete per molto. Surtr è di umore instabile oggi e pare voglia usare Asgard per la sua personale grigliata! Fate attenzione o potreste ritrovarvi a rosolare allo spiedo come succulenti suini!” –Quindi diede loro le spalle, muovendo qualche passo avanti, ma poi, sentendo ancora i loro sguardi su di sé, si voltò apostrofandoli seccato. –“Beh, non correte a salvare i vostri amici? Non è questo che fanno gli eroi?!”

 

“Lo faremo, ma tu verrai con noi e ci aiuterai a sconfiggere Surtr!” –Esclamò Cristal, attirando gli sguardi preoccupati e incuriositi dei suoi compagni.


“Ah ah ah! Buona questa! Avrebbero dovuto scegliere te come buffone di corte, Cigno! Io, Loki, Dio dell’Inganno, dovrei aiutarti a spegnere l’incendio che io stesso ho appiccato?! Ma sii serio!”

 

“Non è questo quel che volevi ottenere! Ti abbiamo sentito poc’anzi! La fiamma di Surtr è sfuggita al tuo controllo!”

 

“Ma ho ben altre fiamme con cui posso farti male!” –Sibilò Loki, disegnando la runa di fuoco nell’aria. –“Kaunaz!!!” –Declamò, dirigendo un getto di energia infuocata verso il Cavaliere, il quale, aspettandosi una qualche offensiva, era già pronto per contrastarla con il suo gelido cosmo.

 

Cristal!!!” –Intervenne Sirio, vedendo l’amico spinto indietro dalle fiamme di Loki. Sollevò il braccio destro, caricandolo di energia cosmica, e poi liberò la sacra spada, osservandola dirigersi verso l’Ingannatore, falciando suolo e fiamme.

 

Isa!” –Si limitò a commentare il Nume, aprendo il palmo dell’altra mano e parando l’avanzata di Excalibur. –“Divertente, non avevo mai combattuto con te, Sirio, adoro le novità… Aaarggh!!!” –Gridò, accorgendosi che in quel breve lasso di tempo Cristal aveva congelato le fiamme e ricoperto di ghiaccio il suo braccio destro. –“Com’è possibile? Il tuo zero assoluto non può aver ragione di una fiamma divina!” –Solo in quel momento si accorse che la runa di fuoco, da lui evocata, era scomparsa.

 

Possibile? Rifletté, sfiorandosi il mento pensieroso.

 

“Non puoi usare due rune nello stesso momento!” –Intervenne allora la candida voce di Flare, trovando il coraggio di farsi avanti, dopo aver intuito i suoi dubbi.

 

“Che cosa?!” –Esclamarono insieme Loki e i Cavalieri dello Zodiaco.

 

“Ilda una volta mi spiegò che le rune possono essere evocate una alla volta, poiché ogni simbolo è unico e associato ad un solo potere!” –Disse Flare, al che Cristal e gli altri annuirono.

 

“Così come un Cavaliere non può scagliare due colpi segreti contemporaneamente!” –Confermò Sirio, ricordando lo scontro con Megrez.

 

“Sciocchezze, un Nume del mio calibro non è soggetto a limitazioni alcune ed infatti finora ho disposto liberamente di qualsiasi runa in qualsivoglia momento!” –Tagliò corto Loki, sollevando l’indice e preparandosi per un nuovo assalto. I Cavalieri dello Zodiaco approntarono le proprie difese, spingendo Flare dietro di loro, ma poco prima di disegnare una runa nell’aria Loki si fermò. Per riflettere.

 

Proprio in quel momento il vento ululò, solleticando le fiamme dei roghi sparsi per la vasta piana, spargendo ovunque ceneri di un mondo destinato alla rovina.

 

“Temo che tua sorella avesse ragione, Principessa di Midgard!” –Commentò infine il Grande Ingannatore, rilassando le braccia. –“Sentite queste vibrazioni? È il fremito ultimo del Frassino dell’Universo! Il grido di dolore del cosmo! Yggdrasill sta soffrendo, sottoposto a troppe pressioni simultaneamente: il fuoco di Muspell, il gelo del Niflheimr e gli sconvolgimenti in atto nei nio heimar. Con il suo crollo, il creato stesso vacillerà e un nuovo ordine sorgerà!”

 

“E non c’è modo per impedirlo?” –Domandò Andromeda, attirando lo sguardo interessato del Dio.

 

“No!” –Rispose, con una lontana tristezza nel tono. La stessa che aveva intravisto nell’occhio di Odino durante il loro scontro a Fensalir. –“Però possiamo ritardarlo e dare una possibilità a questo vecchio mondo!”

 

“Fermare Surtr è quel che vogliamo entrambi! Ma nessuno di noi può farlo da solo!” –Commentò Cristal, incitando Loki a mettere da parte gli antichi rancori, cui Flare gli aveva accennato nella loro fuga da Amsvartnit. –“Dobbiamo unire le forze!”

 

“Un’alleanza?! Uhm, idea efficace e risparmiosa! Mi piace! La approvo, Cigno! Ma, spenta quest’irruenta fiamma, nemici come prima, non aspettatevi sconti! La mia ipoteca su Hliðskjálf non è ancora scaduta!” –E fece loro cenno di avvicinarsi.

 

Sospettosi, i Cavalieri dello Zodiaco si guardarono tra loro per un momento, temendo qualche trucco, mentre Loki sbuffava scocciato. Fu Flare a farsi avanti per prima, Flare che aveva ascoltato gli sfoghi, i lamenti, i monologhi dell’Ingannatore durante la loro venuta ad Asgard, certa che, nel profondo, anch’egli avesse un cuore. Sebbene ben nascosto. Si disse, prendendo Cristal per mano e conducendolo avanti.

 

Sirio, Andromeda e Phoenix seguirono gli amici, avvicinandosi all’Ingannatore, che sfiorò un monile che portava al collo, liberando un lampo di energia che abbagliò tutti i presenti. Quando la luce scemò, i Cavalieri si accorsero di essere sull’altra sponda del Thund.

 

“Alte si levano le strida dalla Dimora degli Uccisi!” –Commentò Loki, mirando sinuose vampe di fuoco sollevarsi lungo le mura esterne del Valhalla, tra le grida e l’agitarsi continuo del cosmo degli ultimi difensori.

 

“Dobbiamo portare loro aiuto!” –Esclamò Phoenix, al che tutti gli altri annuirono. Persino Loki, sebbene si stesse incamminando in tutt’altra direzione. –“Hai intenzione di rimangiarti la parola, Grande Ingannatore?”

 

“Tutt’altro. Ma lo stratega che in me mi impone di riunire tutte le forze a nostra disposizione, anche a costo di rimediare a precedenti errori!”

 

I Cavalieri dello Zodiaco non capirono a cosa si riferiva, ma quando lo videro chinarsi su alcuni corpi abbandonati in mezzo all’erba riconobbero le sagome di Orion, Reis e Jonathan, da Loki massacrati poco prima. Il Nume sfiorò i loro corpi, mentre una runa simile ad un fulmine riluceva nell’aria.

 

Eihwaz. La runa del tasso.

 

“Il tasso è un albero forte e antico, ben piantato nel suolo, con la corteccia a ruvida per difendersi dalle intemperie. Una gioia in una tenuta.” –Mormorò, risanando le loro ferite.

 

Fu Reis la prima a riaprire gli occhi, aiutata da Andromeda a rimettersi in piedi. Sgranò gli occhi nel vedere Loki chino su Orion e fece per avventarsi su di lui, ma il Cavaliere lo trattenne, spiegandogli i fatti in breve.

 

“Che cosa?! Dovremmo allearci con l’Ingannatore per antonomasia? Cercherà di colpirci quando saremo feriti e vulnerabili! È solo un trucco per farci sconfiggere Surtr, che lui non ha la forza di affrontare!!!”

 

“Può darsi. Ma non abbiamo alternative. I nostri futuri sono intrecciati come le maglie della mia catena.” –Chiosò Andromeda, mentre anche Orion e Jonathan si rialzavano. –“Temo che finirà male per tutti noi!” –Sospirò il Cavaliere di Luce, accettando comunque la volontà generale.

 

Loki non disse alcunché, rimanendo in ginocchio per qualche istante, con una mano a sfiorarsi il cuore, quasi sentisse di aver perso qualcosa che non sarebbe più tornato. Scuro in volto, si limitò a rialzarsi, senza degnare di uno sguardo nessuno dei suoi improvvisati compagni. Ma né ad Andromeda né a Cristal sfuggì la preoccupazione nei suoi occhi.

 

Phoenix ravvivò l’animo degli amici, incitandoli a correre verso il Valhalla, laddove era appena esploso un cosmo che ben conoscevano. Quello del Cavaliere di Pegasus.

 

Ritto sulle mura della Dimora degli Uccisi, il giovane stava infatti incoraggiando gli ultimi einherjar, guidati da Atreju, che presidiavano il cancello principale della fortezza. Proprio su Valgrind si era diretta la grande offensiva di Surtr, le cui fiamme riempivano la piana di fronte, arrampicandosi minacciose lungo le mura esterne. E non vi erano frecce, né armi, né fasci di energia che potessero fermarle. Soltanto il cosmo di un Dio stava impedendo loro di penetrare nel cuore di Asgard.

 

“Mio Signore…” –Mormorò Pegasus, avvicinandosi al Nume inginocchiato sopra il cancello principale. –“Posso aiutarvi?”

 

“Vi sono animi fatti per pregare, e altri per combattere, Cavaliere di Pegasus. Io, che rifuggo il clangore della battaglia, come mio fratello Balder, appartengo al primo ordine, ma farò quel che è nei miei poteri per difendere la mia gente!” –Commentò Vidharr, l’Ase silente, riprendendo la sua meditazione, con cui aveva generato un velo di energia per riparare il Valhalla dalle fiamme.

 

Dopo che aveva dato ordine di ripiegare dentro la roccaforte, con tristezza Odino aveva visto rientrare appena un decimo, o forse anche meno, degli eserciti che aveva messo in campo quel giorno. Idunn, al suo fianco, lo aveva incitato ad essere forte, perché una notte di fuoco stava calando su Asgard, e con Eir aveva portato i corpi di Balder e di Frigg ai piedi di Yggdrasill, dove Odino avrebbe voluto dire loro addio. Ma le Norne lo avevano messo in guardia.

 

“Non vi sarà pace per i tuoi cari, né per il tuo animo inquieto, finché la fiamma di Surtr non sarà spenta! Non odi i sinistri scricchiolii del Frassino Cosmico? Non vedi Ratatoskr correre inquieto lungo i suoi rami, seguito dai cervi e dalla grande aquila? Fuggono, stanno fuggendo e fuggiranno finché le acque di Urðarbrunnr non saranno esaurite e, come vedi con il tuo unico occhio, quel momento è prossimo!”

 

Odino aveva sospirato, osservando la fonte del destino gocciolare soltanto poca acqua, troppo poca perché le Norne potessero usarla per dissetare l’Albero del Mondo. Quelle ultime gocce della sorgente cosmica era il tempo che restava loro, e avrebbero dovuto usarlo al meglio.

 

Proprio in quel momento Surtr soffiò contro le mura del Valhalla, sollevando una tempesta di fuoco tale da scaraventare in aria molti einherjar, precipitandoli a terra in malo modo, avvolti dalle vampe. Quindi portò avanti l’enorme spada fiammeggiante, piantandola nel portone di Valgrind.

 

A nulla servì la protezione di Vidharr, che andò in frantumi, scagliando il Nume a terra e ricoprendo il suo corpo di vivide ustioni, mentre il cancello principale saltava in aria e parte delle mura crollavano su loro stesse. Quando la polvere e le fiamme si diradarono, Surtr poté vedere Odino, in sella a Sleipnir, che lo attendeva fiero, la lancia in mano, laddove Valgrind si era eretta fino ad allora. Al suo fianco, avvolto nello splendore del suo cosmo, il Primo Cavaliere della Dea Atena.

 

Scambiandosi un cenno di intesa, Odino e Pegasus sfrecciarono avanti, puntando ognuno su un lato di Surtr, che tentò di frenare la loro corsa tempestandoli di magma ardente. Pegasus fu svelto a balzare in ogni direzione, per evitare tale pioggia devastatrice, scagliando, quando poteva, scariche di energia per distruggere la lava. Ugualmente faceva Odino, lanciando lampi di luce da Gungnir e annientando le fiamme che gli piovevano addosso.

 

Deliziato dall’intervento del Padre delle Schiere, che era infine uscito in campo aperto, Surtr modellò un braccio a guisa di una grande verga, con cui sferzò l’aria e il suolo sotto di sé, per intrappolare Odino nelle sue spire.

 

Pegasus, avvedutosi del pericolo, tentò di intervenire in aiuto del Nume, ma muraglie di fiamme gli sbarrarono la strada, seguendolo ovunque si muovesse.

 

“Non voglio fare la fine di un coniglio arrosto!” –Bofonchiò il ragazzo, espandendo il proprio cosmo e aguzzando l’ingegno. Roteò su stesso e liberò una raffica di meteore lucenti con cui crivellò il suolo, sollevando terriccio con cui coprì e spense le fiamme attorno. Quando cercò Odino con lo sguardo, lo vide crollare a terra, la frusta di Surtr arrotolata attorno ad una gamba di Sleipnir, che stava strillando dal dolore, mentre le fiamme gli consumavano l’arto.

 

“Suvvia, bella giumenta, hai ancora sette gambe per portare a spasso il tuo Dio!” –Commentò Surtr, chinandosi su Odino, che arrancava nel terreno ardente alla ricerca di Gungnir, di cui aveva perso la presa cadendo da cavallo. –“Cerchi questa, possente Odino? Il pungiglione di un’ape, di fronte a me!” –Rise il Distruttore, sollevando la lancia con fiamme sinuose e porgendola al Nume, che irato la afferrò all’istante, incurante di quanto potesse ardere.

 

Maledicendosi per la sua avventatezza, Odino strinse i denti, per nascondere il dolore, che non sfuggì comunque a Surtr, nient’affatto impressionato dal trovarselo di fronte. La forza da cui attingeva, il potere della creazione, lo faceva sentire invincibile.

 

“Torna nel mondo da cui provieni, Surtr!” –Esclamò Odino, puntando la lancia verso il volto della creatura e liberando un raggio di energia.

 

“Impossibile! Poiché presto tutti i mondi saranno uno solo!” –Commentò sibillino il Nero, dilatando le sue fattezze in modo da far sì che il fascio energetico colpisse il vuoto, perdendosi alle sue spalle. Quindi mosse la frusta, aggrovigliandola attorno a Gungnir, incendiandola e liquefacendola, di fronte allo sguardo stupefatto del Nume, che si ritrovò circondato da vampe di fuoco simili a serpenti.

 

Il Distruttore strinse il cerchio attorno a Odino, quando un’agile figura piombò in mezzo alle fiamme, gettando a terra il Dio e roteando veloce su se stesso, disperdendo le vampe con un vento impetuoso. Quando il Padre delle Schiere si rialzò, per ringraziare l’improvviso salvatore, immaginando si trattasse di Pegasus, enorme fu la sua sorpresa nel riconoscere il volto di Loki.

 

“Non guardarmi così! È stata un’idea del Cigno!” –Lo apostrofò il Nume, indicando i Cavalieri dello Zodiaco giunti con lui al Valhalla, assieme a Orion e ai due fedeli di Avalon.

 

“Amici!!!” –Gridò Pegasus, superando un muro di fiamme e atterrando vicino a Phoenix e agli altri, felici di ritrovarsi. –“Neppure portali vecchi di chissà quanti secoli possono incrinare la nostra amicizia!” –Aggiunse, abbracciandoli.

 

“Attenti!!!” –Intervenne Reis, balzando di fronte a loro e sollevando la Cascata di Luce, in modo da mettere i cinque compagni al riparo dalle fiamme che Surtr stava rigurgitando contro di loro.

 

“Siete davvero sicuri che sia una buona idea?” –Commentò Pegasus dubbioso, memore dello scontro con Loki e dei massacri cui si era abbandonato.

 

Nessuno rispose e il sorriso furbetto apparso sul volto dell’Ingannatore fece loro comprendere che li aveva uditi, nonostante la distanza. Andromeda avrebbe voluto dire qualcosa, ma il rinnovato attacco del Distruttore catalizzò l’attenzione di tutti.

 

“Cosa fai qua, Loki?” –Gridò Odino, liberatosi dalle fiamme con un’onda di energia.

 

“Quel che fai tu, Guercio! Combatto, non lo vedi?!” –Rispose il Burlone Divino, congelando il terreno attiguo con Isa, prima di dirigere la runa verso Surtr. –“Ma non credere che sia qui per te! Lo faccio solo perché non voglio che dia fuoco agli arredi! Non vorrei dover ammodernare tutto quando sarò re di Asgard!”

 

“Tu non sarai mai…” –Ma la frase di Odino rimase a metà, troncata dall’impatto devastante delle sfere di fuoco che crivellarono il terreno attorno. Nella mischia, tra il fumo e le scintille di magma, il Dio vedeva a fatica e non si accorse di un globo ardente che stava per piombare su di lui. Loki fece per rallentarlo ma così facendo espose il fianco a nuove fiamme di Surtr, obbligandosi a concentrare gli sforzi solo su di esse, lasciando Odino al suo destino.

 

Fu una spinta energica a gettare il Padre della Vittoria fuori dalla traiettoria delle sfere di magma, quella di Orion, che morì così, nel culmine della battaglia, sacrificandosi per proteggere qualcuno, come Brunilde aveva fatto per lui.

 

Nel vedere il corpo del Principe degli Einherjar scomparire dentro un ammasso di lava, Odino si accalorò, facendo esplodere il proprio cosmo che dilagò nella pianura di fronte al Valhalla, spazzando via ogni fiamma. Persino Pegasus e i suoi amici vennero spinti indietro dall’onda d’urto, faticando per rimanere in posizione eretta.

 

Per un istante Surtr vacillò, sforzandosi di mantenere il controllo sulle sue fiamme, solo per ritrovarsi di fronte il Signore degli Dei, con il braccio destro teso verso di lui.

 

Tempesta di spade!!!” –Tuonò Odino, falciando il corpo del Distruttore con migliaia e migliaia di lame dal freddo cosmo, e strappandogli per la prima volta da millenni grida di terrore.

 

“Pare che il Guercio si sia infine scatenato!” –Ironizzò Loki, che osservava la scena dal basso, assieme a Pegasus e ai Cavalieri dello Zodiaco, pronti per intervenire in aiuto del Padre delle Schiere. Ma prima che potessero muoversi, la terra tremò, in modo così forte da disturbare persino Odino e Surtr, spingendoli indietro, proprio mentre un’enorme fenditura spaccava il suolo, una crepa che aveva avuto origine alla Fonte del Destino.

 

In quel momento un’aquila, con un falco tra gli occhi, si levò in cielo, mentre quattro cervi saltarono sulle rovine delle mura esterne del Valhalla, seguiti da uno scoiattolo, correndo poi oltre l’orizzonte.

 

Ratatoskr! E Dainn, e Dvalinn, Duneyrr e Duraþrór!” –Mormorò Odino, puntando lo sguardo verso Urðarbrunnr, dove Huginn e Muginn svolazzavano inquieti. Per la prima volta non fecero in tempo a tornare dal loro padrone a riferirgli gli eventi, che le fronde del Frassino Cosmico fremettero, ripiegandosi su loro stesse, mentre tre spiriti lucenti apparvero sul campo di battaglia.

 

“È l’ora!” –Dissero le Norne, prima di dissolversi, terminato il loro millenario compito.

 

La Fonte del Destino si era esaurita e l’Albero Cosmico stava crollando, portando con sé tutti i mondi.

 

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Capitolo 40
*** Capitolo trentottesimo: Il crollo dei mondi ***


CAPITOLO TRENTOTTESIMO: IL CROLLO DEI MONDI.

 

L’apparizione delle Norne e gli sconquassamenti che la caduta di Yggdrasill stava generando presero alla sprovvista i Cavalieri dello Zodiaco che non sarebbero mai riusciti a immaginare una simile apocalisse. Profonde fenditure spaccarono il suolo, aprendosi ovunque sotto i loro piedi e obbligandoli a correre in ogni direzione per non precipitare. Cristal afferrò Flare, spalancando le ali dell’armatura, e si librò in aria; ugualmente fecero Andromeda e Phoenix con Jonathan e Reis, mentre Pegasus cercava Odino in mezzo a quel caos. Lo aveva visto poc’anzi correre verso la Fonte del Destino, lasciandosi alle spalle ogni battaglia, come se niente lo interessasse più.

 

Evitando un geyser di fuoco che sorse dal terreno, Pegasus atterrò dove un tempo si ergeva il Cancello Principale del Valhalla, chiamando a gran voce il nome del Padre delle Schiere, senza riuscire a individuarlo. Ovunque poggiasse lo sguardo vedeva einherjar cadere verso abissi ignoti che improvvisamente si aprivano sotto di loro, crepe da cui spiravano gelidi venti o sorgevano fiamme infernali. Persino la Dimora degli Uccisi stava crollando, le lance e gli scudi che ne componevano l’ossatura parevano sgretolarsi sotto l’ululato furioso del vento. Un vento che lo smuoversi delle fronde del Frassino Cosmico aveva generato.

 

Fu allora che una mano gli si poggiò sulla spalla, pregandolo di non andare oltre.

 

“Odino Herjaföðr più non ti risponderà! Non ha più schiere da condurre in guerra, poiché questa è ormai l’ultima!” –Esclamò Loki, spuntando a fianco del Cavaliere di Atena, un’espressione rattristata sul volto, segnato da ustioni che ne avevano deturpato la medusea bellezza. E mosse lo sguardo in direzione di Urðarbrunnr, ove Odino stava correndo, per abbracciare un’ultima volta Balder e Frigg.

 

L’albero antico, misuratore del tempo e dei destini del cosmo, ha adempiuto al suo compito. Fu seminato quando i mondi erano giovani, in vista di un futuro in cui l’universo sarebbe stato distrutto, segnando il termine di un ciclo e aprendone uno nuovo. Adesso doveva crollare. Questo aveva predetto la Volva millenni addietro. O forse ne era a conoscenza poiché era accaduta la stessa cosa alla fine del tempo cosmico precedente? Si chiese il Buffone Divino.

 

Non ebbe risposta, soltanto la conferma che non avrebbe mai seduto sul Trono degli Spazi, né rimirato Asgard dall’alta rocca. In quel momento il Frassino Cosmico ondeggiò, crollando in avanti, mentre i suoi lunghi e nodosi rami si schiantavano, precipitando a terra e distruggendo edifici o aprendo squarci nel terreno. Huginn e Muginn furono schiacciati dalle ossute fronde e uguale sorte incontrarono gli einherjar, le Valchirie, gli Jötnar e i nani che avevano trovato riparo dentro il Valhalla. Vidharr fece appena in tempo ad afferrare Eir e Idunn e a sollevare un velo di energia per ripararsi che venne sommerso dallo sfascio della fortezza.

 

Pegasus riuscì soltanto a udire Loki che brontolava: “Non fidarti mai di un oracolo! Hanno il brutto vizio di azzeccarci sempre!” che il mondo crollò.

 

Fu una sensazione strana, si disse il ragazzo, una sensazione che non sarebbe stato in grado di descrivere in futuro. Gli sembrò che il mondo stesse ripiegando su se stesso, accartocciandosi su di lui. Impiegò qualche istante per capire che stava precipitando, ma non come era precipitato tante volte, in burroni o crepacci. Era come se stesse venendo risucchiato in un altro mondo, e da quello in un altro ancora, in una giostra infinita.

 

Non vide, o vide a sprazzi, quel che lo circondava. C’erano Sirio, Cristal, Phoenix, Andromeda, che precipitavano con lui, o questo gli parve dalle voci che sentì. Ma c’erano anche Atena e Ilda, e un Cavaliere dall’armatura azzurra che non aveva mai incontrato. E Ioria e Libra, e pure Virgo, anche se la sua corazza era nera, come le Surplici di Ade. E c’era il sole, che veniva sbranato da un lupo, forse Skoll o Fenrir? O forse era un grosso serpente? E campi verdi, erba soffice, canti soavi, Giganti di Ghiaccio, di fuoco e altre creature. E infine c’era l’acqua, tanta acqua, fredda e pesante, nella quale riusciva a muoversi a fatica. Solo allora, guardando meglio, notò che era davvero immerso nell’acqua, in un’acqua gelida che gli entrò nelle ossa.

 

“Ma cosa diavolo?!” –Borbottò, arrabattandosi per raggiungere un lastrone di ghiaccio che galleggiava poco distante. Vi salì sopra, starnutendo più volte, prima che alcune voci note lo chiamassero.

 

“Pegasus, sei salvo!!!” –Esclamò Andromeda, la cui capigliatura verde era appena comparsa da dietro una duna di neve, sull’altro lato della lastra su cui erano approdati. Phoenix era con lui e reggeva il corpo stanco di Reis, svenuta nel crollo.

 

“Dove siamo? E cos’è successo? Dov’è Odino? E Asgard?” –Chiese subito Pegasus, ma nessuno seppe rispondergli. Erano su un lastrone di ghiaccio alla deriva in mezzo a un mare gelido. Fu Phoenix a notare del movimento nelle acque alla loro destra, laddove Cristal e Sirio stavano cercando di aiutare Flare a tenersi a galla. Andromeda srotolò la catena, lanciandola avanti, e li trainò fin sopra l’improvvisata zattera.

 

“Dietro quell’iceberg… ho visto qualcosa di grosso…” –Commentò Cristal a fatica, stringendo Flare a sé per darle un po’ di calore, non avendo vestiti asciutti o coperte con cui scaldarla. –“Un’isola, o la costa, non saprei…”

 

Avvicinandosi, i cinque amici notarono che non si trattava di un iceberg, per quanto il colore argenteo li avesse tratti in inganno, complice anche la scarsa luminosità dovuta alla bassa posizione del sole. Era un bastione di una fortezza, o quantomeno quel che ne rimaneva, e galleggiava placido accanto a loro. Si potevano ancora vedere le feritoie per gli arcieri.

 

Scuotendo la testa storditi, i Cavalieri vi balzarono sopra, scendendo poi sull’altro lato e ritrovandosi a camminare con i piedi per terra, su un vero e proprio suolo, per quanto irregolare fosse. Guardandosi attorno, capirono che si trattava di un pezzo della piana di fronte al Valhalla, proprio dove fino a poco prima (quanto? Si chiesero, senza riuscire a rispondersi) avevano affrontato Surtr. Un resto di muro crollato confermò le loro teorie, mentre sia Pegasus che Cristal riconoscevano l’aquila scolpita su uno dei portoni di Valgrind.

 

“È incredibile!” –Commentò infine Andromeda, continuando ad esplorare quel lembo di terra. –“È come se Asgard fosse precipitata dal cielo sul pianeta Terra!”

 

“E, dovessi indicare un luogo, direi che ci troviamo da qualche parte nel Mar Glaciale Artico!” –Aggiunse Cristal, studiando la posizione del sole, prossimo al tramonto. –“A basse latitudini, certamente!”

 

“Non mi dire…” –Ironizzò Pegasus, prima che qualcosa attirasse la sua attenzione. Un guerriero in armatura lucente era sdraiato in mezzo a quella rovina, la mano ancora stretta ad una lunga asta intarsiata. –“Jonathan!!!” –E corse da lui, scuotendolo e constatando che respirava ancora, essendo solo svenuto e malconcio.

 

Attorno al ragazzo giacevano scheletri sparsi rivestiti di uniformi che Pegasus ben conosceva, avendo combattuto al loro fianco a Valgrind.

 

“Gli einherjar!” –Confermò Cristal, con voce triste al ricordo dei valorosi guerrieri che non avevano esitato a morire una seconda volta in nome di ciò che ritenevano santo. –“E i resti delle altre creature che abitavano i nove mondi!” –Aggiunse, indicando quelle che parevano corazze di nani e carcasse di enormi creature, probabilmente i giganti di Jötunheimr.

 

Non dovette camminare molto, che Pegasus trovò conferma ai suoi peggiori pensieri. Trafitto da un’enorme radice del Frassino Cosmico, che gli aveva sfondato lo sterno, Odino lo fissava con il suo unico occhio rimasto aperto, quell’occhio che per secoli aveva spaziato su universi distanti dall’alto di Valaskjálf. Sospirando, il giovane si inginocchiò accanto a lui, strappandogli un pezzo di mantello e usandolo per coprirgli il volto.

 

“Hai raggiunto Frigg e Balder, infine. Possiate avere pace, in qualunque luogo esista dopo la morte.” –Mormorò, tra le lacrime che gli rigavano il volto.

 

Fu la voce di Andromeda a scuotere tutti i presenti.

 

Voltandosi, Pegasus vide il ragazzo indietreggiare di un passo, terrorizzato, e uguale reazione ebbero Sirio e i suoi compagni. Seguendo il loro sguardo, Pegasus diresse gli occhi al cielo, dove finora non aveva guardato e quello che scorse lo sconvolse.

 

Sopra di loro, quasi fossero sospesi in aria, galleggiavano enormi lastroni di terra, ad altezze diverse, inclinati in modo da rovesciare in mare tutto ciò che rotolava al di fuori. Sgranando gli occhi, Pegasus vide gruppi di nani ruzzolare di sotto da uno di essi, accompagnati dal clangore delle loro corazze, delle asce e degli scudi. Qualcuno tentò di resistere, piantando le scuri nel terreno e facendosi forza per non cadere, ma nuovi sconquassamenti del terreno facevano perdere loro la presa e li condannavano alla stessa sorte dei compagni. Precipitare in mare senza raggiungerlo mai.

 

Non appena infatti sfioravano la superficie dell’oceano, i loro corpi venivano disintegrati, scomparendo in un tetro luccichio.

 

“È assurdo!” –Mormorò Pegasus, vedendo che la stessa cosa accadeva con tutte le creature che cadevano dagli altri terreni fluttuanti.

 

“Non proprio, se ci pensate!” –Commentò Cristal, che aveva osservato con attenzione i lastroni di terra, comprendendo che erano quel che restava dei nove mondi. –“Svartálfaheimr!” –Disse, indicando quello da cui i nani stavano precipitando. –“Jötunheimr!” –E ne indicò un altro, quello dei giganti amici di Odino. –“Credo che il crollo di Yggdrasill abbia provocato uno scompenso dimensionale! I nove mondi erano posizionati su piani diversi dell’esistenza e l’Albero dell’Universo garantiva che non si sovrapponessero mai, era il perno di una complessa architettura cosmica risalente agli albori del tempo. Con la sua scomparsa, i mondi sono ripiegati tutti in uno, distruggendosi a vicenda. Ecco perché attorno a noi ci sono tracce di tutti i nio heimar, ed ecco perché le creature di mondi diversi muoiono entrando nel Recinto di Mezzo, perché non vi appartengono e il nuovo ordine cosmico li respinge. Adesso che il frassino è crollato, soltanto gli Dei sarebbero in grado di muoversi tra i mondi, in virtù della Divina Volontà che li sorregge.”

 

“Quindi, per tutti gli altri abitanti non c’è speranza… Sono destinati a scomparire, retaggi di un mondo che non esiste più.” –Mormorò Andromeda, rattristato, sollevando lo sguardo verso il lastrone di terra che aveva compreso essere Álfaheimr e osservando con orrore gli elfi dissolversi in lampi di luce. –“Io… non posso permetterlo!” –Avvampò infine. –“Non posso stare a guardare vite che si sgretolano senza far niente!” –E corse avanti, srotolando le catene e lanciandole verso l’alto, fino a conficcarne la punta nel suolo del mondo degli elfi. Quindi si issò su, di fronte agli sguardi attoniti dei compagni, tranne quello di Phoenix, che scosse la testa concedendosi un sorriso, prima di avviarsi dietro al fratello.

 

Fu allora che Surtr ricomparve.

 

Le fiammelle accese e sparse per l’intera zolla di terra ove i Cavalieri dello Zodiaco si erano ritrovati si unirono a formare un’unica entità, che crebbe fino ad assumere le sembianze del Distruttore. Sebbene diverso da come lo avevano visto in Ásaheimr, più basso e dalle forme più definite, l’ossatura era ancora costituita da pura fiamma, adesso scura, e in mano teneva uno spadone di fuoco. Probabilmente, rifletterono i Cavalieri, la distruzione di Yggdrasill ha avuto effetto anche su di lui.

 

Senza dire alcunché, Surtr investì con un turbine di fuoco il Cavaliere di Andromeda, intento ad arrampicarsi verso il mondo degli elfi. Cristal intervenne subito in suo aiuto, liberando la Polvere di Diamanti e spegnendo gran parte delle fiamme, ma il Nero non diede loro tregua, allungando sinuose vampe oscure sul terreno.

 

Rispetto allo scontro precedente, i ragazzi si trovarono in difficoltà, perché lo spazio di manovra era notevolmente ridotto. Inoltre dovevano proteggere Reis e Jonathan, ancora privi di coscienza, e non avevano più Divinità al loro fianco.

 

“Ma non ci arrenderemo per questo!!! Acque della Cascata, innalzatevi!” –Esclamò Sirio a gran voce, sollevando migliaia di dragoni energetici dall’oceano, da cui attinse forza ed energia. Ugualmente fece Cristal, ricoprendo di ghiaccio le fiamme e il suolo che Sirio aveva inondato.

 

Fu una breve vittoria, che disorientò Surtr, ritrovatosi con il corpo congelato dalla vita in giù, ma permise ad Andromeda di raggiungere la terra degli elfi, giusto in tempo per afferrarne alcuni che stavano precipitando in mare. Si sorprese nel vedere la loro espressione, calma e imperturbabile, ben diversa dall’agitarsi impaurito e rabbioso dei nani e degli Jötnar.

 

“Ci rivediamo, Cavaliere di Andromeda!” –Esclamò la voce serena di Arvedui, che in quel momento venne sbalzato fuori dalla sua terra. –“Ma temo che anche stavolta sarà un breve incontro!”

 

Andromeda lo afferrò con la catena, ma proprio allora Álfaheimr fremette di nuovo e crepe si aprirono sul lastrone di terra, distruggendo quel che rimaneva della florida foresta ove gli elfi avevano danzato e cantato per millenni. Il ragazzo venne spinto indietro, oltre il bordo dell’isola galleggiante, obbligandosi ad usare l’altra catena per arrotolarla al fusto di un albero e non precipitare a sua volta.

 

“Neppure tu puoi cambiare il fato, Andromeda!” –Commentò Arvedui, ciondolando sotto di lui. –“Sii grato per ciò che hai fatto finora per la tua gente e ricorda quel che ti dissi sulle tue facoltà!”

 

Proprio in quel momento, mentre un turbine di fiamme si abbatteva sul Cavaliere Divino, Andromeda vide nella sua mente quel che sarebbe accaduto. Surtr aveva usato la spada di fuoco per liberarsi dal ghiaccio e sbaragliato i Cavalieri dello Zodiaco, prostrandoli a terra in roghi di morte. Pegasus era stato persino scagliato in mare dalla carica del Distruttore e adesso nuotava scocciato verso l’isola. Per difendersi, Andromeda avrebbe dovuto usare la catena ma una gli serviva per non cadere e l’altra per sorreggere Arvedui e gli altri elfi, che presero la loro decisione.

 

Sorridendo, il nobile elfo sfiorò gli anelli con la mano e l’arma allentò la stretta, obbedendo al suo comando mentale e lasciandoli liberi di cadere.

 

“Nooo!!!” –Gridò Andromeda in lacrime, osservando gli elfi disintegrarsi al contatto con il mare o con le fiamme di Surtr. Quindi, spinto dal desiderio di rendere loro giustizia, si tirò su, lasciando turbinare la catena attorno a sé per proteggersi dalle vampe di fuoco. Espanse il suo cosmo, che rischiarò il cielo di quel giorno, usandolo non per attaccare bensì per penetrare la zolla di terra su cui si ergeva, spaccandola in due metà perfette. Conficcò ciascuna punta della catena in una metà e fece forza, mettendoci tutto se stesso, tutta la determinazione per un futuro migliore che aveva accompagnato i suoi passi, fin dai giorni dell’addestramento, fin da quando si era liberato dalla prigionia degli scogli sull’isola che lo aveva fatto Cavaliere.

 

“È impressionante!” –Commentò Cristal, dal basso, che aveva compreso le intenzioni dell’amico.

 

Un attimo dopo Andromeda, facendo forza nelle catene, scagliava quel che restava di Álfaheimr contro Surtr, sommergendolo sotto tonnellate e tonnellate di terriccio. Lo sforzo gli fece quasi perdere i sensi e, non fosse stato per Phoenix che aveva già spalancato le ali della sua corazza, sarebbe precipitato in mare.

 

“Ti tengo, fratello!” –Disse il ragazzo dai capelli blu, atterrando di nuovo sull’isola e ricongiungendosi con gli amici, anche con Pegasus che stava lamentandosi per il secondo bagno in acqua fredda di quel giorno.

 

Le loro speranze durarono pochi minuti, il tempo che Surtr impiegò ad incendiare l’ammasso di terra che l’aveva sommerso e a riassumere la sua forma demoniaca. Il boato della sua ricomparsa svegliò del tutto Reis e Jonathan, che si rimisero in piedi a fatica, storditi dal trasferimento dimensionale.


“Che strano!” –Mormorò il Cavaliere dei Sogni. –“Eppure siamo abituati a spostarci tramite portali! Cos’è quest’ombra che sento addensarsi attorno ad Avalon?”

 

La sua compagna non fece in tempo a rispondere che dovette balzare su di lui, per proteggerlo da una delle tante sfere di fuoco che Surtr stava tracimando su di loro. –“Cascata di luce!” –Esclamò, facendo roteare il cosmo attorno a entrambi, mentre Jonathan si rimetteva in piedi distruggendo i globi incandescenti con raggi energetici.

 

“Ok, questo è il momento di tirare fuori un’idea!” –Ironizzò Pegasus, riparandosi dalla pioggia di fuoco dietro un pezzo di muro.

 

“Aspettavo giusto che qualcuno mi chiamasse!” –Affermò una voce all’improvviso, facendo voltare i sette Cavalieri verso un punto tra le rovine, laddove una stanca sagoma si era appena sollevata, scansando i detriti e il fango rovinati su di lui.

 

“Loki! Sei ancora vivo?” –Esclamò Pegasus, senza capire se esserne felice o preoccupato.

 

“Non basta certo un tuffo dimensionale per farmi fuori! Più volte ho viaggiato da un mondo all’altro! Pur tuttavia… c’è qualcosa di strano…” –Rifletté l’Ingannatore, il cui corpo ormai, quasi del tutto scoperto dalle vesti stracciate che gli rimanevano, era pieno di ustioni e cicatrici. Quasi a cercare conferma ai suoi pensieri, poggiò il pollice sulla lama di una spada che giaceva abbandonata poco distante, tagliandosi e osservando il sangue zampillare fuori. –“La mia protezione… svanita…” –Aggiunse, prima di voltarsi e fissare Surtr con disprezzo. –“Ed è tutta colpa tua!!! Isa!!!” –Gridò, evocando la runa di ghiaccio.

 

Ma non successe niente.

 

Loki, frustrato, stanco e irato, riprovò di nuovo, tracciando segni nell’aria, ma non ottenne altro che lo sguardo incuriosito del Gigante di Fuoco, che, compreso di non doversi aspettare alcun attacco, mulinò l’enorme spadone sopra di lui.

 

“Così è, quindi!” –Rifletté il Nume, balzando di lato per evitare il taglio della lama di fuoco. –“Non ho più alcun controllo sulle rune! La magia del Mondo Antico mi è preclusa, persa per sempre con il crollo dell’Albero Cosmico! Ma non crediate però, nemici o amici, che di armi io sia privo!” –Loki si sforzò di sorridere, per quanto l’espressione sgomenta sul suo volto tradisse un certo nervosismo. Sollevò un braccio al cielo, fermando l’avanzata delle vampe di fuoco e sospingendole indietro, travolte da una tempesta di gelo così intenso che a Sirio, Phoenix e Cristal ricordò il clima delle distese di Hel. –“Soffio di Fimbulvetr! Accogli, Nero Distruttore, l’avvento dell’inverno, il debordare del gelo degli Jötnar!

 

La gelida bufera sommerse buona parte dell’isolotto galleggiante, spegnendo le vampe oscure e le fiamme dello spadone, strappando un moto di sorpresa, forse di terrore, allo stesso figlio di Muspell. Un attimo dopo, paralizzato nell’ultima espressione, Surtr era stato completamente congelato e Loki, soddisfatto, poteva alfine volgere le proprie attenzioni verso i Cavalieri dello Zodiaco.

 

“Veniamo a noi, ordunque!” –Commentò, con un sorriso sghembo.

 

Pegasus e gli altri sollevarono le difese, certi di dover lottare con l’Ingannatore, adesso che la minaccia del Nero sembrava sventata. Ma Loki passò loro accanto senza compiere gesti offensivi, limitandosi a guardarsi intorno disorientato.

 

“Che ne è del Guercio?” –Chiese infine.

 

Nessuno rispose ma gli sguardi di Pegasus e di Cristal furono eloquenti, e Loki comprese.

 

“Assieme a Balder e ai miei figli quindi. Umpf, ci ritroveremo presto!” –Mormorò, trovando infine il corpo martoriato di Odino e chinandosi su di lui. Gli tolse il mantello dal volto, per guardarlo un’ultima volta e poi sollevò la mano, sul cui palmo riluceva un’energia azzurra.

 

“Non ti permetterò di sfregiar…” –Gridò Cristal, balzando avanti, e venendo spinto prontamente indietro da un solo sguardo del Burlone Divino, che calò la mano sul corpo di Odino, rivestendolo di uno strato di brina.

 

“A guerreggiar con i morti non si ottiene grandi onori, Cristal il Cigno!” –Commentò, rimettendosi in piedi ed espandendo il proprio cosmo, il suo vero cosmo, quello che fino ad allora raramente aveva usato, preferendo attingere all’immerso serbatoio energetico che la conoscenza delle rune poteva fornire.

 

Prima che qualcuno potesse rompere l’imbarazzato silenzio, uno scricchiolio fece voltare tutti i contendenti verso la statua di ghiaccio in cui Surtr era stato congelato. Un secondo scricchiolio li fece preoccupare e al terzo, che crepò la rozza scultura, i loro timori divennero realtà.

 

“Non è possibile!!!” –Gridò Loki, genuinamente sbalordito. –“Nessuno può sopravvivere al Soffio del Grande Inverno! Anche privo delle rune, rimango la più grande Divinità del pantheon nordico, pari soltanto a Odino! Non riesco a credere che uno stupido, maledetto Gigante di Fuoco possa eludere i miei poteri!!! Prendi ancora il Soffio di Fimbulvetr!!!” –Avvampò l’Ingannatore, scatenando una nuova e persino più poderosa tempesta di gelo contro Surtr.

 

Dal canto loro, i Cavalieri dello Zodiaco, per dimostrare a Loki che la strana alleanza non era ancora venuta meno, unirono i loro poteri ai suoi, potenziando la bufera di gelo. In particolare Cristal e Sirio scatenarono correnti di gelo e acqua contro i piedi di Surtr, riuscendo per qualche minuto a solidificarli. Ma istanti dopo la sua fiamma riesplose con veemenza maggiore, liberando le vampe mortifere e incendiando tutto ciò con cui venivano a contatto. Persino la salma di Odino si sciolse, ingoiata dall’inferno scatenato da Surtr.

 

“È incredibile!” –Rifletté Loki, il braccio teso nello sforzo di scaricare quanto più gelo possibile sul Distruttore. –“Sebbene sia un figlio della creazione, al pari di Tifone, Biliku o Ymir, la sua forza non dovrebbe essere tale. Invece… sembra aumentare progressivamente, come se i nostri attacchi lo potenziassero! Mentre le nostre energie, ahimé, vanno scemando!” –Si disse, sentendosi improvvisamente stanco, mentre tutto il peso del fallimento e delle perdite di Ragnarök gli ricadevano infine addosso. –“Da quale fonte ancestrale può attingere potenza?”

 

La spada di Surtr in quel momento rilucette, prima di abbattersi con forza in mezzo al gruppo di combattenti, spaccando il suolo e separandoli. Loki approfittò di quel momento per canalizzare nel mantello tutta l’energia che ancora gli restava. Gli sarebbe bastato desiderare di essere un’aquila per volare via, lontano da quella guerra per la quale nessun tesoro avrebbe ottenuto vincendola. Invece fece la sua scelta, come Arvedui, Durin e Freyr prima di lui.

 

Pegasus balzò indietro vedendo le forme di Loki mutare e divenire una creatura gigantesca, alta quanto Surtr, ma di aspetto differente. Sirio e Phoenix sgranarono gli occhi alla vista dell’essere che avevano affrontato nel Niflheimr ore prima. Hrymr, il Signore dei Giganti di Brina.

 

“Sono della stazza giusta per affrontarti, fiammella?” –Ringhiò Loki, sollevando la scure di gelo che possedeva e lanciandosi avanti. –“Ah già non parli! Il crollo dei mondi deve averti mozzato la lingua! Bene, così mi risparmierai il tuo alito pesante!”

 

Surtr avvampò, muovendo lesto la scimitarra di fuoco e lasciando che le due armi cozzassero tra loro, producendo scintille e onde d’urto che fecero tremare l’intera isola. Pegasus e i suoi compagni si rifugiarono al margine estremo, protetti dalle mura diroccate del bastione asgardiano, osservando l’apocalittico scontro tra titani che stava infiammando il cielo del Mare Artico.

 

Loki mosse la scure di gelo dal basso verso l’alto, squarciando un braccio di Surtr e facendogli perdere la presa sulla spada di fuoco, che precipitò in mare, spegnendosi. Ma prima che potesse calarla sull’altro lato, venne investito da una tempesta di fiamme che il Distruttore gli alitò in faccia, obbligandolo a roteare la scure di fronte a sé, per pararne le vampe, offrendo il piatto al nemico.

 

Surtr ne approfittò per allungare i propri arti fiammeggianti, in modo da generare due fruste di fuoco che arrotolò attorno alle caviglie del rivale, strattonando poi con forza e facendolo cadere all’indietro, fino a schiantarsi sull’isolotto, mandandolo in pezzi. Pegasus e gli altri ragazzi si ritrovarono alla deriva, dentro i resti di un bastione che andava sgretolandosi ogni minuto di più. Andromeda, su consiglio del fratello, liberò la propria catena, allungandola fino a raggiungere un lembo di terra, dentro cui si conficcò, arrestando il loro spostamento. Uno dopo l’altro, rapidi e leggeri, i Cavalieri dello Zodiaco e di Avalon corsero lungo la catena, abbandonando l’improvvisata zattera e rifugiandosi su quella che sembrava terraferma, o quantomeno un’isola più grande. Per ultimo arrivò Andromeda, sfruttando il rinculo della catena per darsi una bella spinta e atterrare accanto ai compagni.

 

Guardandosi attorno, Cristal cercò di stabilire dove si trovassero, da qualche parte oltre il Circolo Polare Artico, ma non seppe dirlo con precisione.

 

“Potremmo essere su un isolotto delle Svalbard o nella terra di Francesco Giuseppe!”

 

“Non lontani da Midgard!” –Intervenne allora l’infreddolita Flare. –“Non lontani da casa!”

 

Cristal le sorrise, incapace di dirle quanto l’amasse, quando un grido di Andromeda lo costrinse a volgere lo sguardo verso il mare, mentre le sagome di Surtr e di Hrymr continuavano ad affrontarsi, tra sbuffi di gelo e vampe di fuoco. A causa degli smottamenti continui, il lastrone di terra su cui lottavano si era mosso nelle correnti e entro breve sarebbe entrato in collisione con l’isola dove i Cavalieri si erano rifugiati. Non avvedutosene, Loki venne distratto dall’urto, permettendo a Surtr di spingerlo indietro e balzargli sopra, stritolandogli il collo con la sua verga di fuoco.

 

Loki, per non soffocare, fu svelto a spingere l’immonda sagoma fiammeggiante di lato, sbattendola sul terreno vergine della nuova isola, che subito si incendiò, cingendo il falso Gigante di Brina e i Cavalieri dello Zodiaco in un rinvigorito rogo. Recuperando l’ascia di gelo, Loki la mulinò, mirando al cranio di Surtr, che fu svelto a sgusciarvi sotto, evitandola e portando avanti il braccio, a forma di spada di fuoco, con cui trafisse l’avversario all’altezza del fianco, strappandogli un grido di dolore.

 

“Loki!!!” –Gridò Pegasus, vedendo il gigante accasciarsi al suolo e mutare con lentezza le sue forme, riacquistando l’aspetto del Grande Ingannatore, il cui lato destro del busto era una macchia di sangue.

 

“Non guardarmi con quello sguardo carico di pietà, ragazzo! Io per te non l’avrei!” –Si limitò a rispondere questi, affannando nel rimettersi in piedi, mentre Surtr torreggiava tronfio sopra di loro.

 

“Questo lo sappiamo bene!” –Disse allora una voce femminile, che tutti conoscevano seppur non capissero da dove provenisse. –“Pur tuttavia ti sei dimostrato suscettibile di perdono, Loki della stirpe degli Jötnar!”

 

In quella un fulmine azzurro squarciò il tramonto, abbattendosi proprio in mezzo a Surtr e ai Cavalieri dello Zodiaco, spingendo il primo indietro, all’interno di un recinto di folgori incandescenti generate da un uomo che parve cadere dal cielo stesso. Cristal riconobbe subito la splendida armatura celeste, notando per la prima volta delle sottili ali ripiegate sulla schiena. Ugualmente fecero Reis e Jonathan che si inginocchiarono di fronte ad Alexer, uno dei Quattro.

 

Una vibrazione nello spaziotempo anticipò l’apparizione di due splendide donne, in tenuta da battaglia, affiancate da Euro, Mur e Kiki, che sorrideva divertito, felice di rivedere gli amici.

 

“Milady!” –Esclamarono i Cavalieri dello Zodiaco, alla vista della loro Dea. –“Isabel…” –Mormorò Pegasus, ancora a bocca aperta, cui Atena rispose con un sorriso sincero.

 

“Ilda di Polaris!” –Si stupì Loki, non credendo che la Celebrante di Odino fosse ancora viva. –“Dovrai trovarti un altro lavoro, adesso, non essendoci più alcun Dio da onorare.”

 

“Ce l’ho già!” –Esclamò fiera la donna, avvicinandosi all’Ingannatore e porgendogli una mano, per rimettersi in piedi. –“Debellare per sempre la minaccia di Surtr, e per farlo tu dovrai aiutarmi!”

 

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Capitolo 41
*** Capitolo trentanovesimo: Scelte ***


CAPITOLO TRENTANOVESIMO: SCELTE.

 

“Come vedi ho mantenuto la promessa, Regina di Midgard! Tua sorella sta bene!” –Ironizzò Loki. –“Mal che vada prenderà un raffreddore!”

 

“Ne sono lieta, la mia prima impressione su di te non è cambiata dunque! Alzati adesso e aiutami a sconfiggere Surtr Glötoðr!” –Esclamò fiera Ilda, rivestita dall’armatura della Valchiria. –“Insieme possiamo farcela!”

 

Umpf, ora inizi a pretendere troppo, come tutte le donne!” –Sbuffò il Nume, toccandosi la ferita aperta sul fianco, che gli bruciava come non mai, ricordandogli ustioni diverse ma ugualmente dolorose provate in passato. –“Sapete che vi dico, siete una bella compagnia, guarda là, un esercito siete! Ve la caverete anche senza di me, che, a ben pensarci, non ho motivi per farmi arrostire dal Distruttore!”

 

“E invece uno ce l’hai! Avere la tua vendetta!” –Lo fermò Ilda, alzando la voce. –“Se te ne vai adesso, con la rabbia nel cuore, non cambierà niente, sarai ancora la vittima, il martoriato padre di famiglia che ha visto morire i figli e la sua sposa e non è stato in grado di tributare loro i giusti onori! Ma se combatti, se ci aiuti a spegnere la fiamma di Surtr, non sarai vissuto invano, tutti questi secoli trascorsi nell’ombra a tessere inganni contro Odino e gli Asi non li avrai spesi inutilmente!”

 

“Supponendo per un attimo che io decidessi di aiutarvi, e sottolineo il supponendo, come lo fermiamo un gigante la cui fiamma pare eterna, in grado di resistere persino al Soffio del Grande Inverno?!”

 

Ilda glielo disse e Loki sgranò gli occhi sconvolto, non ritenendo fattibile una simile possibilità –“Non posso usare le rune.” –Scosse la testa, ma la donna incalzò.

 

“Puoi invece, basta che tu lo voglia, ardentemente lo voglia, come hai desiderato sedere sul trono di Odino per tutti questi secoli! E proprio adesso che avresti potuto, proprio ora che i tuoi sogni stavano per concretizzarsi, vincendo una profezia di millenni, questo gigante distruttore ti ha tarpato le ali!”

 

Nel frattempo Alexer stava tenendo a bada le fiamme, grazie ad un recinto di fulmini con cui le aveva circondate, ma era certo che non sarebbe riuscito a contenerne la furia ancora per molto tempo. Kiki, su ordine di Cristal, aveva preso Flare per un braccio, teletrasportandosi di nuovo alla cittadella di Asgard, nonostante le resistenze della ragazza. Pegasus aveva insistito che anche Atena andasse con loro, per metterla al sicuro, ma la risolutezza nello sguardo della Dea aveva vinto sulle sue premure.

 

In quel momento Surtr piantò la spada di fuoco nel suolo, iniettandovi una vampa oscura che ribollì sotto i piedi di Alexer, scagliandolo in alto all’improvviso. Euro spalancò le ali della Veste Divina, lanciandosi al salvataggio, mentre Mur sollevava il Muro di Cristallo per impedire alle fiamme di raggiungere i suoi compagni.

 

“Fino alla fine.” –Si dissero Pegasus e gli altri, prima di scattare avanti. –“Fulmine di Pegasus!” –Gridò il ragazzo, crivellando il suolo tra lui e Surtr e sollevando terriccio e neve, con cui spense le fiamme e sommerse le gambe del Distruttore, su cui subito dopo si abbatterono migliaia di dragoni di energia acquatica. –“Per il Sacro Acquarius!” –Urlò allora Cristal, travolgendo il Gigante di Fuoco con le correnti dell’aurora.

 

“Adesso!” –Intervenne Andromeda, liberando la Nebulosa omonima ma avendo cura di canalizzarla in una corrente che circondò Surtr, salendo dal basso verso l’alto, in modo da accompagnare le gelide acque dell’aurora.

 

Euro, depositato Alexer a terra, scatenò la furia del Vento di Levante, che diede vigore alla corrente della nebulosa, permettendo ai ghiacci di ricoprire di nuovo Surtr.

 

“Un bel lavoro di squadra! Ma sappiamo entrambi che non basterà!” –Osservò Ilda, rimasta indietro assieme a Loki e ad Atena. –“Non finché non spezzeremo la magia oscura che sorregge il Distruttore!”

 

“Tu sai?” –Bofonchiò Loki, sfiorando il monile che portava al collo e che riluceva cupo. Una pietra nera. –“Per tutto questo tempo mi ha dato potere, e mentre Ragnarök era in corso ho sentito i miei poteri crescere. Ma dopo il crollo dei mondi, sembra che non mi sfami più, che abbia anzi iniziato a succhiarmi energia, anziché darmene!”

 

“Una pietra nera?!” –Intervenne Atena, attirando anche lo sguardo interessato di Reis e Jonathan. –“Anche Crono ne aveva una. E Flegias, Maestro di Ombre!”

 

Flegias? Certo, fu lui a farmene dono, affinché la usassi per liberarmi dalle mie prigioni!” –Spiegò Loki. –“In tutta onestà, la prima volta in cui mi fece visita, se avessi avuto le forze gli avrei riso in faccia. Pensare che la progenie bastarda di un Dio greco avesse il potere di vincere la cattività cui gli Asi mi avevano condannato era pura utopia. Eppure, da quel giorno, da quando mise questa pietra attorno al mio collo, la mia energia aumentò fino a permettermi di sollevarmi di nuovo e iniziare a tessere la tela del mio progetto di rivalsa, progetto cui lo stesso Flegias collaborò sobillando la rivolta dei figli di Muspell contro Asgard!”

 

“Ancora lui! Si è servito di Crono, di Ares, persino degli Dei del Nord, per ottenere cosa? Certo non per ricevere lodi da suo padre!” –Rifletté Atena.

 

“Se davvero ne discende…” –Esclamò Loki. –“Io credo che sia molto di più del figlio di un Dio minore. Egli è un’ombra.”

 

“E a quanto pare era nei suoi interessi il risveglio di Surtr! Che la sorgente cui il Nero attinge sia la stessa origine dei suoi poteri?”

 

Anche Ilda, grazie a Bjarkan, aveva percepito un’energia oscura addensarsi alle spalle del Distruttore, un’energia infinita che gli permetteva di non essere mai stanco e di vanificare gli sforzi dei Cavalieri.

 

Ancora una volta infatti le fiamme di Surtr esplosero, sciogliendo il ghiaccio e riportandolo in libertà, di fronte agli occhi sgomenti di Pegasus e degli altri amici. Una tempesta di fuoco li spinse indietro, obbligandoli a creare una barriera con i loro cosmi, mentre il Principe Alexer mitragliava la schiena del Distruttore con continue scariche di folgori, senza però rivelarsi armi risolutive. Il gigante di fuoco liberò la frusta, con cui afferrò Euro per le ali, mentre era in volo attorno a lui, sbattendolo a terra in malo modo, stritolato da vampe incandescenti, prima di scagliarlo contro lo stesso Alexer e abbatterli entrambi.

 

“Posso contare su di te, Grande Ingannatore?” –Chiese allora Ilda.

 

Loki la fissò con sguardo neutro, senza lasciar trasparire le sue intenzioni, quindi, avanzando di qualche passo, deplorò la rovina dei mondi e l’incendio universale che Surtr voleva diffondere.

 

“Non era così che doveva andare. Non era questo quel che volevo!” –Si limitò a commentare, ottenendo uno sguardo d’assenso da parte della Regina di Polaris. –“Il mondo su cui avrei voluto dominare è tramontato, arso da un potere che io stesso ho scatenato, un potere più grande di me! Beh… almeno la soddisfazione di mettergli i bastoni tra le ruote a quel bastardo di un ateniese voglio levarmela!” –Rise infine, espandendo il proprio cosmo.

 

“Tutti insieme, Cavalieri!” –Gridò allora la Celebrante di Odino, subito affiancata da Atena.

 

Il cosmo delle due donne spinse Surtr indietro mentre i fulmini siderali di Alexer impedivano alla sua frusta di allungarsi troppo, trinciandola ogni volta in cui puntava su di loro. Ad un cenno di Pegasus, i Cavalieri dello Zodiaco liberarono di nuovo i loro assalti, immobilizzando Surtr al suolo, come in precedenza. Ma quando credettero che il Distruttore si sarebbe liberato di nuovo, sentirono una gelida corrente spirare dalle loro spalle.

 

Soffio di Fimbulvetr!!!” –Gridò Loki, investendo Surtr con una bufera così furiosa come soltanto in Hel poteva verificarsi. Con un balzo felino, il Burlone fu ai piedi del Nero, il palmo della mano aperto avanti a sé, per scaricargli contro tutta l’energia che aveva, fino all’ultima goccia, impiegando anche il cosmo che finora aveva usato per nascondere le ustioni e apparire ancora bello e affascinante come gli piaceva essere. Ogni fibra del suo corpo andò in tensione, le cicatrici baluginarono tetre sulla sua pelle, le vene parvero esplodere, sottoposte al più grande degli sforzi, quello con cui il Fabbro di Menzogne metteva in gioco la propria vita.

 

Un inverno senza fine avvolse Surtr, impedendogli anche il più piccolo movimento, isterilendo anche la fiamma più intensa. Ma, ben sapendo che con aiuti esterni avrebbe potuto liberarsi, Loki non gli diede tregua, inerpicandosi su di lui fino a portarsi sopra la sua testa ghiacciata, proprio mentre una luce rossastra iniziava a filtrare dalle prime crepe comparse sulla statua.

 

“Non ho bisogno di alcuna pietra per essere quello che sono!” –Disse, strappando la collana che aveva indosso e gettandola a terra, prima di esplodere in una folle risata. –“Io sono Loki Hveðrungr, figlio di Farbauti e Laufey, della gloriosa stirpe dei Giganti di Brina! Io sono la nemesi di Odino, il Burlone Divino, il supremo Dio di Vittoria, il vento che mormora agli orecchi del Guercio i continui tentativi di detronizzarlo! E voglio che il mondo mi ricordi così! Per sempre!” –Quindi, sollevando l’indice di fronte a sé, evocò la runa di ghiaccio, la prima che aveva imparato ad usare, essendo il suo elemento originario. –“Isa!!!”

 

La linea di energia, tracciata in aria, rilucette di intensa luce azzurra, mentre Loki roteava su se stesso, sollevando cerchi concentrici di ghiaccio con cui stava circondando Surtr, fermandolo in quel momento del tempo cosmico.

 

Fu allora che Ilda lo raggiunse, di fronte agli occhi straniti dei Cavalieri dello Zodiaco e della stessa Atena, che non avevano compreso quel che la Celebrante aveva in mente di fare.

 

“Prenditi cura di Flare, te ne prego! Avrà bisogno di te!” –Sussurrò a Cristal, passandogli accanto. –“Grazie di tutto, amica mia!” –Aggiunse, sfiorando la mano di Isabel. –“Non essere triste, non c’è niente di triste nell’adempiere al proprio destino! Dovresti saperlo meglio di chiunque altro! La nostra schiavitù è soltanto una facciata! In fondo dovremmo essere lieti di dare la vita per proteggere coloro che amiamo! Nient’altro potrebbe renderci più felici che non donare loro un futuro!”

 

Ilda…” –Mormorò Atena, osservando la donna entrare all’interno dei cerchi di ghiaccio, arrampicandosi sul corpo paralizzato del Nero fino ad afferrare la mano che Loki gli aveva porto per aiutarla a salire in cima.

 

Bjarkan me lo mostrò! La fiamma di Surtr non può essere spenta! Pur tuttavia può essere sigillata, mantenuta sotto uno strato di ghiaccio continuo al punto da non essere più in grado di avvampare! Le rune di Loki la fermeranno e gli Dei di Asgard gli daranno l’energia per adempiere al suo compito, ponendo fine a millenni di contese e vanità!” –Parlò Ilda, esortando i Cavalieri ad allontanarsi. –“Che la forza degli Asi, dei Vani e di tutti i popoli liberi dei nove mondi fluisca in me, Ilda del casato di Polaris! Che le memorie del tempo antico non vadano perdute ma perdurino in un eterno presente! Risplendi Luce del Nord!!!”

 

L’abbagliante energia prodotta dalla Celebrante di Odino investì Loki e Surtr, distruggendo il terreno attorno e spingendo Atena e i Cavalieri indietro. Quando la luce scemò di intensità e i presenti tornarono a vedere, si accorsero che non c’era più niente attorno a loro. Tutto era scomparso. Ogni traccia dei nove mondi era svanita con Ilda, Surtr e Loki. Il crepuscolo degli Dei del nord si era infine realizzato.

 

Solo allora, guardandosi attorno con gli occhi pieni di lacrime, Pegasus ricordò quel che Odino gli aveva detto a Fensalir. Le ultime strofe della Profezia della Veggente.

 

“Affiorare lei vede ancora una volta la terra dal mare di nuovo verde. Cadono le cascate, vola alta l'aquila, lei che dai monti cattura i pesci.”

 

Era vero, si disse. Una nuova terra era nata, perché quello era il significato di Ragnarök. Non l’apocalisse, non morte e distruzione, bensì rinascita. La fine di un ciclo cosmico e l’inizio di uno nuovo. Loki l’aveva compreso soltanto in fondo, Ilda invece ne era stata consapevole fin dall’inizio.

 

“Molte cose sono straordinarie. Eppure nulla è più straordinario dell’uomo.” –Commentò il ragazzo, ricordando quel che Castalia gli aveva detto un giorno, durante il suo addestramento, per spingerlo a lottare, a continuare a provarci sempre, citando un qualche filosofo dell’Antica Grecia di cui non ricordava il nome. Ed aveva ragione. Ilda glielo aveva appena dimostrato e, a modo suo, anche Loki.

 

Voltandosi, Pegasus vide Andromeda in ginocchio piangere la scomparsa della Celebrante di Odino, con Phoenix che gli poggiava una mano su una spalla, mentre un addolorato Cristal, in piedi accanto a Sirio, si chiedeva in che modo sarebbe riuscito a dirlo a Flare, come avrebbe potuto dirle di aver lasciato morire sua sorella.

 

“Credo che lei lo sappia già!” –Commentò Atena tra le lacrime, riferendosi ad una lettera che Ilda aveva scritto per Flare, una lettera che, ne era certa, Enji aveva di certo già consegnato alla Principessa, adesso Regina di Asgard.

 

Mia dolce Flare, so che non approverai la mia scelta, che non capirai cosa può spingere un essere umano a rinunciare alla vita, tu che sei bella e giovane e così piena di amore, verso gli altri e verso la vita stessa. Ma era il mio destino, cui ero stata chiamata tempo addietro, quando Odino mi nominò sua celebrante, al posto di nostro padre. Ricordi quei tempi? I sorrisi spensierati della giovinezza? Un periodo che forse è scivolato via troppo in fretta dalle nostre vite, chiamati, fin da subito, all’amministrazione e alla cura del regno. Molte prove abbiamo affrontato insieme, superandole grazie alla nostra forza interiore e all’aiuto dei guerrieri fedeli ad Asgard e degli amici di Atene, un’alleanza, quest’ultima, che sono certo continuerai a coltivare.

 

Sorrido, pensando alla vita che ti aspetta, alle gioie di un amore che sono certa saprai vivere fino in fondo, dando tutta te stessa. Ugualmente sono certa di lasciare la cura di Asgard in buone mani, in quelle di una principessa cresciuta e maturata e pronta per essere regina. Dure prove ti aspettano, la ricostruzione della nostra bella città in primis, la rinascita della nostra Asgard. Io ti applaudirò da lontano, fiera dei tuoi trionfi, e ti aspetterò, assieme ai nostri genitori, a Orion e agli altri Cavalieri. Un giorno ci abbracceremo di nuovo. Un giorno, oltre le nuvole. Con amore, Ilda.

 

Flare, seduta sul letto della sorella nella Torre della Solitudine, scoppiò in lacrime, mentre Kiki la abbracciava dispiaciuto. Enji, che aveva compreso quel che era accaduto, diede ordine agli arcieri di caricare gli archi e tenderli più che avessero potuto, per offrire alla Celebrante un ultimo saluto da parte della sua gente. Ad un suo ordine una pioggia di frecce solcò il piazzale della cittadella, perdendosi oltre i rilievi di confine, dirette verso il mare, laggiù, lontano.

 

Quello stesso mare, molte miglia a nord, che Pegasus stava fissando in quel momento, sgombro infine dei relitti dei nove mondi. E forse, si disse, voltandosi e cercando Isabel con lo sguardo, è ora di sgombrare anche il cuore dai relitti del passato.

 

Atena era intenta ad aiutare Mur nel prendersi cura dei Cavalieri, suturando le loro ferite con il cosmo. Andromeda stava raccontando al fratello quel che Arvedui gli aveva spiegato riguardo le sue nuove capacità, mentre Cristal, nonostante le premure di Sirio e degli altri, aveva preferito rimanere da solo, incamminandosi lungo la costa. Non era così che aveva pensato di tornare a casa, non era con le lacrime agli occhi che aveva sperato di riabbracciare Flare. Già, Flare. Si disse, e quel pensiero bastò a fargli palpitare il cuore. Come sarebbe cambiata la sua vita adesso, forse più di quanto non le fosse cambiata negli ultimi mesi. Adesso che sarà la Regina di Asgard.

 

E lui? Cosa sarebbe rimasto di loro?

 

Avrebbe dovuto mettere da parte il passato, trovare la forza per vivere nel presente e costruire assieme a lei il loro futuro. Tre parti della stessa promessa che Cristal aveva fatto con se stesso, e che avrebbe voluto rinnovare presto a Flare. Voltandosi per chiedere consigli al Principe Alexer, si accorse solo allora che il suo mentore se ne era già andato. Erano rimasti soltanto loro cinque, Mur, Atena e i due Cavalieri delle Stelle.

 

Reis e Jonathan non avevano detto alcunché da quando Ilda e Loki erano scomparsi, rattristati per la sorte della Celebrante ma sentendosi di troppo in quel momento intimo che Pegasus e i suoi amici avrebbero dovuto condividere soltanto tra loro. Camminando lungo i margini dell’isola, il Cavaliere di Luce raccolse la Pietra Nera che Loki aveva gettato via, sicura che il loro maestro avrebbe voluto studiarla. Fu mentre pensava a lui che percepì una vibrazione nello spaziotempo, voltandosi verso il Comandante Ascanio appena apparso alle sue spalle.


“Avalon è in pericolo. C’è bisogno di voi!” –Esclamò il figlio del drago, afferrando i due compagni e avvolgendoli nel suo cosmo, prima di scomparire.

 

***

 

Quando rinvenne, cercò subito di tirarsi su, di rimettersi in piedi, di assumere il portamento tronfio che lo contraddistingueva. Ma si accorse che attorno a sé regnava l’oscurità, la stessa che lo aveva strappato alla battaglia. Una tenebra che pareva non avere fine. Ovunque girasse lo sguardo, anche solo per capire dove si trovasse, i suoi occhi si perdevano nel mare nero in cui era immerso.

 

Stordito, cercò di riordinare i frammenti dei suoi ricordi, di mettere fine a quel mal di testa che non gli dava pace, ma faticava. Faticava a comprendere cosa fosse accaduto, come avesse potuto perdere il controllo della situazione a pochi passi dalla vittoria. Perché, di questo ne era certo, la vittoria l’avrebbe arriso, come in molte altre guerre che nel Mondo Antico aveva combattuto.

 

Sebbene quelle con Atena le avesse sempre perdute.

 

Mise da parte quel crudo pensiero e si sollevò, le gambe che gli dolevano per lo sforzo e per le ferite subite in battaglia, per quanto la sua Veste Divina avesse impedito che riportasse lesioni peggiori. Ferite impreviste, ringhiò tra sé, causate da infanti indegni persino di porre lo sguardo su di lui.

 

Pensare che esseri simili, paladini di una Divinità da sempre considerata inferiore, da sempre derisa per il suo patetico pacifismo, fossero riusciti a colpirlo lo faceva imbestialire. E sentirsi prigioniero in quella valle d’ombra, privato del suo canale di sfogo, lo faceva avvampare. Un’improvvisa fiammata che squarciò le tenebre.

 

Una fiamma che gli permise di vedere che si trovava in una caverna. Un vasto antro sotterraneo dal cui soffitto pendevano carote di roccia. Ma questo non contribuiva a fargli comprendere dove fosse finito. E soprattutto perché.

 

Fu in quel momento, mentre placava il suo ardente cosmo, che sentì una voce, un suono indistinto che pareva provenire da nessun luogo se non da se stesso, dal profondo della sua anima. Dal suo cosmo. Una voce antica come il mondo, intrisa dello stesso sapore di tenebra che lo circondava.

 

Gli bastò un attimo per capire, mentre attorno a sé apparvero sagome indistinte, ombre di Divinità conosciute in passato, alcune delle quali lo avevano persino sfidato. Le vide tutte, fluttuargli attorno come fantasmi, con le bocche distorte in urla spaventose, che al suo orecchio non producevano però alcun suono.

 

Vide Morfeo, dallo sguardo spento, meditare sugli incubi in cui presto si sarebbero trasformate le vite degli uomini, incubi dal tetro nome di realtà. Vide Ebe, Coppiera degli Dei, nascondersi spaventata dietro le vesti di Apollo, la cui lira era suono troppo lieve, troppo gentile, per annunciare l’era oscura in cui stavano precipitando. Vide Artemide, che ringhiava furibonda, incatenata da lacci di tenebra che le impedivano di esprimere la sua selvaggia essenza. Vide Dioniso, Eos, la bella Afrodite, Pan e molti altri. Persino Ade lo fissò per un istante solo, con i suoi occhi blu, svanendo poco dopo con tutta la sua malinconia.

 

Infine, sopra tutti loro, percepì un’ultima presenza, la stessa da cui le ombre degli Dei caduti cercavano di fuggire, sconfitte sempre, vittoriose mai. E si inchinò di fronte a lui, dichiarandosi pronto a servirlo.

 

***

 

Sedeva Zeus Olimpio sull’alto scranno, stringendo inquieto la folgore suprema e lasciando che scintille di energia brillassero nella quieta sala, solleticandogli la mano. Aveva seguito, tramite il suo cosmo divino, gli eventi occorsi in Asgard, palesatisi con maggior chiarezza quando i mondi erano crollati e dell’antica divisione del nord del mondo non era rimasto niente. Soltanto le ceneri.

 

Che a uguale sorte sia destinato anche il Regno di Grecia? Che la generazione degli Olimpi, terza stirpe divina, sia condannata a perdersi?

 

Sbuffando, il Cronide scostò una ciocca dei suoi morbidi capelli all’indietro, prima di sollevarsi ed espandere il suo cosmo, che come sole sorgente illuminò l’intero salone ove il Concilio degli Dei superstiti aveva avuto luogo. Vuoto e spento, così adesso gli appariva, come non aveva avuto occhio, né coraggio, per vederlo negli ultimi anni, da quando aveva lasciato che l’ambrosia e i bei seni delle ninfe obnubilassero il suo giudizio.

 

Quel che Avalon gli aveva detto, le crude parole che gli aveva rivolto, avevano colpito nel segno, per quanto il suo orgoglio regale non l’avrebbe mai ammesso. Ben più giudizioso di lui il Signore dell’Isola Sacra si era dimostrato, portando avanti un silente lavoro di preparazione, per sé e per i suoi fedeli, in vista dell’ultima ora. Una memento mori che Zeus aveva rimosso e rifuggito, per non dover ammettere che tale effettivamente fosse.

 

Eppure sapeva che quel giorno sarebbe arrivato, lo aveva saputo fin dai tempi del regicidio, e con esso sarebbe giunta la fine di tutti i giorni. Il momento in cui passato, presente e futuro avrebbero smesso di essere per divenire un immenso ora. Un qui e subito oltre il quale non avrebbe potuto esistere alcunché. Giacchè tutto sarebbe stato consegnato nelle mani dell’unico creatore. Di nuovo.

 

Due colpi alla porta disturbarono le sue riflessioni, portandolo a volgere lo sguardo verso l’ingresso del salone e a spalancare con il cosmo le massicce porte, lasciando che tre sagome penetrassero al suo interno. In prima fila, leggiadro e scattante, il Dio cui millenni addietro aveva affidato l’incarico di essere il suo Messaggero, compito cui mai era venuto meno, neanche nei giorni più ingrati.

 

“Mio Signore, la missione è compiuta!” –Esclamò Ermes, fermandosi di fronte a Zeus e chinando il capo. Quindi, non aspettando risposta da parte del suo re, si spostò di lato, per indicare il Luogotenente dell’Olimpo, alle sue spalle, e la figura che si ergeva al suo fianco.

 

Nonostante fossero trascorsi secoli dal loro ultimo incontro, Zeus non aveva dimenticato il volto severo di suo fratello. Uno dei tre con cui si era spartito il mondo, affidandogli gli abissi oceanici.

 

“Sebbene il tempo per un Dio sia poca cosa, è d’uopo affermare che tanto ne è davvero passato. Troppo. Ma sono lieto che tu abbia ben pensato di richiamarmi, in quest’ora fatale.” –Esclamò la Divinità, stringendo con forza il tridente in scaglie d’oro che riluceva al bagliore del suo cosmo. La sua vera mitologica essenza.

 

“Immagino che tu conosca i motivi che mi hanno portato a questa decisione! Decisione per altro non condivisa da mia figlia Atena!” –Spiegò Zeus, facendo strada all’interno della Sala del Trono.

 

“Non mi stupisce. Nonostante la sua condizione di Divinità, tua figlia è sempre stata umana, e come tale capace di provare magnifici quanto controproducenti sentimenti!” –Precisò l’altro Nume, accennando un sorriso. –“E tale virtù riesce a imprimerla anche a coloro che in nome suo combattono, forti di un amore che nessun’altra Divinità è mai riuscita a generare nei suoi seguaci!”

 

“Eppure dovrà crescere, adesso, e mettere da parte la sua natura umana per non essere travolta dalla grande ombra che si sta risvegliando a est! Se i calcoli di Avalon sono corretti, e non ho motivi per dubitare che non lo siano, il tempo è giunto! L’ultimo granello di sabbia adamantina è caduto! Il varco tra i mondi si sta aprendo!”

 

Nettuno, fratello del Sommo Zeus e Imperatore dei Mari, a quelle parole impallidì.

 

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Capitolo 42
*** Capitolo quarantesimo: Crepuscolo ***


CAPITOLO QUARANTESIMO: CREPUSCOLO.

 

Atena e i Cavalieri dello Zodiaco si fermarono per la notte a Midgard, ospiti del casato di Polaris, rappresentato adesso dalla giovane Flare, il cui diritto alla successione, benché evidente in virtù del legame di sangue con la sorella, era stato rafforzato da un testamento che Ilda aveva lasciato e che Enji aveva subito mostrato ai nobili della città. Pegasus e gli altri amici avrebbero voluto trattenersi per qualche giorno, per visitare la città, come spesso avevano promesso di fare, ma avevano le loro vite da cui tornare, le loro esistenze continuamente messe in gioco da un destino più grande di loro.

 

Pegasus voleva rivedere sua sorella con cui, da quando aveva recuperato le memorie passate, aveva trascorso ben poco tempo. Sirio voleva tornare da Fiore di Luna, per concretizzare quell’amore che la vista di Cristal e Flare insieme aveva risvegliato. Ugualmente Andromeda voleva riabbracciare Nemes, e anche Phoenix, benché non avesse nessuno da rivedere, aveva intenzione di recarsi in un certo posto, ove avrebbe potuto rendere omaggio ad una donna.

 

Cristal li capiva, capiva tutti loro, ma il suo cuore era diviso in due, lacerato tra la ragione e gli affetti. Fu Atena a venirgli incontro, concedendogli di rimanere un po’ di tempo con Flare, per aiutarla a superare la perdita della sorella e a muovere i primi passi da Regina di Midgard.

 

“Anzi di Asgard!” –Come ebbe a dire quella sera, all’improvvisato banchetto messo su in fretta per ristorare i Cavalieri che avevano combattuto duramente.

 

Molte sale della reggia erano state danneggiate dagli attacchi dei Guerrieri di Brina, di Skoll e dei Giganti di Fuoco, alcuni soffitti erano crollati e il gelo di Asgard stava penetrando all’interno della roccaforte. Ma gli spazi disponibili erano comunque in abbondanza, e in molti di essi era stata alloggiata la popolazione che aveva perduto la propria abitazione negli scontri.

 

“Gli antichi culti non devono andare perduti, mia sorella non lo vorrebbe.” –Disse, parlando con Atena e i Cavalieri dello Zodiaco, quella sera stessa, a tavola assieme a Mur, Kiki, Enji, Bard e ad alcuni fedeli nobili e guardie della cittadella. –“Per questo motivo, dato che la vera Asgard è ormai scomparsa dal tempo, ritengo che questo sia il nome che la nostra città dovrà continuare a usare. Così ci conosce il mondo, città di uomini e Dei, e chissà che, in qualche futuro prossimo, gli stessi Dei non tornino dall’oblio per camminare assieme a noi lungo i sentieri lastricati del regno, raccogliendo le scacchiere d’oro anticamente possedute.”

 

“Sono certa che questo è anche il desiderio di Ilda.” –Commentò Atena, sfiorandole una mano con tenerezza, prima di rinnovarle il giuramento di alleanza tra i due regni, due mondi così diversi eppure uniti dalle stesse preoccupazioni per la propria gente.

 

Quella notte passò molto velocemente, per tutti i presenti, con Mur e Kiki impegnati a prendersi cura degli amici, aiutati dal cosmo di Atena, prima di assistere le donne di Asgard a medicare i feriti del luogo, e con i Cavalieri invasi dall’ansia di rivedere le persone a loro care. Flare trascorse la nottata nella Torre della Solitudine, assieme a Cristal, alternando lacrime a sospiri d’amore, per prepararsi al meglio ai giorni che sarebbero arrivati e alla sua incoronazione ufficiale, per cui non si sentiva ancora pronta. Una prospettiva che finora non aveva considerato.

 

Rilesse più volte la lettera di Ilda, cercando di trovare un perché alle sue parole, un quid che giustificasse le sue azioni, ma tutto ciò che trovò fu solo un immenso dispiacere per non essere stata al suo fianco in quel momento, per aver trascorso un’adolescenza felice e spensierata, ben poco curandosi degli affanni del mondo, mentre lei l’aveva spesa in vista di un destino ultimo. Un destino con cui aveva protetto l’amata sorella e la sua gente.

 

Sarebbe stata lei in grado di fare altrettanto?

 

Con quell’interrogativo nel cuore alla fine si addormentò, crollando sul letto poco distante da Cristal, la mano che sfiorava la pelle dell’amato. Fu svegliata da Enji, qualche ora dopo, che si scusò per l’ora tarda, spiegandole che la sua presenza era richiesta d’urgenza.

 

“C’è una visita per voi.” –Chiarì, incamminandosi assieme a Flare verso il salone principale, reggendo una torcia.

 

“Una visita?!” –Rifletté pensierosa la nuova Regina di Asgard.

 

Nel Salone del Fuoco la attendevano tre figure incappucciate, sorvegliate a vista da Bard e dalla Guardia della Cittadella, sebbene fu chiaro a Flare, quando li riconobbe, che da loro non sarebbe venuto alcun pericolo.

 

“Ma voi siete…?!” –Balbettò incredula, prima di inginocchiarsi di fronte ai tre.

 

“Non tutti gli Dei di Asgard sono caduti!” –Si limitò a commentare uno dei viandanti, facendo poi cenno alla ragazza di alzarsi.

 

“La Volva lo aveva predetto.” –Intervenne allora la donna al suo fianco. –“Una corte si leverà alta, più bella del sole e ricoperta d’oro. Una nuova Asgard sorgerà!”

 

“Questa cittadella, che si erge a picco sul mare, sfidando le intemperie del mondo, sarà il simbolo della rinascita, della nuova età dell’oro degli Asi, dei Vani e degli uomini, liberi adesso di vivere assieme, e noi saremo ben lieti di contribuirvi!” –Concluse il primo ospite, accennando un sorriso alla giovane Regina.

 

***

 

L’indomani all’alba Atena, Mur e i Cavalieri dello Zodiaco tornarono ad Atene, apparendo, grazie al divino cosmo della vergine dai capelli viola, direttamente alla Tredicesima Casa, nelle Stanze del Sacerdote, laddove, un giorno prima, si erano ritrovati per discutere sulle strategie da seguire.

 

Sembrava che fossero passati settimane, ma Cristal li aveva avvisati che ad Asgard il tempo scorreva in maniera diversa rispetto al resto del mondo, così come sull’Olimpo. Proprio il Cigno aveva salutato gli amici al termine di quella notte pensierosa, rimanendo ad Asgard assieme a Kiki, per stare vicino a Flare. Scherzando, ma neanche troppo, Pegasus aveva detto all’amico che si sarebbero rivisti per il loro matrimonio, e Cristal era arrossito, suscitando l’ilarità generale.

 

Un sorriso. A volte ci vuole. Commentò Atena, osservando i volti stanchi degli eroi che ancora una volta per la Terra avevano combattuto. Costa ben poco e dura per sempre. Spesso ne siamo avari, eppure non dovremmo. Sospirò, stringendo la presa sullo Scettro di Nike, che continuamente le ricordava la sua posizione, la sua condizione, il suo sentirsi un ibrido tra Divinità e donna. E forse nessuna delle due.

 

Le porte della sala si aprirono poco dopo e Ioria e Dohko ne entrarono a passo svelto, inchinandosi di fronte alla Dea Guerriera, per riferirle quanto accaduto.

 

“Che ne è del Cavaliere di Virgo?” –Domandò allora Atena, mentre ascoltava il resoconto sull’attacco condotto da Erik. –“Come mai non è qui con noi?”

 

Libra, in ginocchio di fronte al trono, si voltò verso Ioria, rimasto con lo sguardo fisso sul tappeto rosso, cercando le parole migliori, per quanto certo che nessuna frase sarebbe servita per attenuare il dolore. Ma quando fece per aprir bocca, un rumore di passi alle loro spalle lo fece voltare, anticipando l’ingresso del Cavaliere d’Oro.

 

“Perdonate il mio ritardo, Dea della Guerra! Ero immerso in profonda meditazione ed ho perso, lo ammetto, la cognizione del tempo!” –Esclamò il biondo Custode di Ade, genuflettendosi a fianco dei parigrado, che lo fissavano con occhi sgranati. –“Chiedo venia per il mio increscioso ritardo nel rendervi omaggio!”

 

“Non hai niente di cui scusarti, Cavaliere! Sono lieta di rivedervi tutti e di apprendere che state bene!” –Commentò Atena. –“È stata una battaglia lunga e complessa e temo che non sia ancora finita. No, percepisco un’ombra immensa avvolgere il pianeta, al punto da affievolire la luce del sole.”

 

“Quand’anche il sole dovesse spegnersi e le stelle smettere di brillare, il nostro cosmo splenderà ancora. Per Atena e per la speranza!” –Esclamò allora Pegasus, e i suoi tre compagni annuirono.

 

La Dea sorrise, prima di congedare tutti loro, dando ordine a Libra di rafforzare le difese del Grande Tempio, potenziando soprattutto gli incursori e i sorveglianti esterni, temendo una qualche rappresaglia. Mur disse ad Andromeda di scendere con lui alla Casa dell’Ariete, dove avrebbe potuto visitarlo con attenzione, preoccupato dalle emicranie continue che il giovane accusava, e Phoenix andò con loro, mentre Sirio faceva cenno a un esitante Pegasus di seguirlo. Avrebbero fatto una doccia negli alloggi dei soldati prima di tornare a casa.

 

Sulla scalinata di marmo, mentre discendevano verso la Dodicesima Casa, Ioria e Libra chiesero a Virgo cosa fosse accaduto al Sesto Tempio.

 

“Credevamo ti fossi perduto! Non riuscivamo più a percepire il tuo cosmo!”

 

“Così è stato, per un momento almeno! Lo scontro con Modhgudhr è stato estenuante ed ha fiaccato il mio spirito al punto che quasi mi sono sentito smarrito tra le dimensioni. Così mi sono disteso sotto gli Alberi Gemelli, per ritemprare le mie forze, assorbendo l’energia interiore che trasuda dall’antico Giardino di Sala, e discutere con il Buddha, che a volte mi appare nelle mie illuminazioni!”

 

“E che mi dici del simbolo dell’uroboro? Cosa volevi dirci?” –Incalzò allora Libra, ricevendo in risposta uno sguardo sorpreso, quasi interrogativo.

 

“Niente. È stata solo una casuale macchia di sangue. Sto bene e vi sono grato per le vostre premure, ma non preoccupatevi troppo, anche voi siete stanchi e feriti, pensate a riposarvi. Temo che le parole di Atena non cadano nel vento, e che presto saremo chiamati a lottare di nuovo per tutto ciò in cui crediamo. Tutto ciò per cui vale la pena vivere.” –Sorrise loro il Custode della Porta Eterna, prima di allontanarsi, senza fugare appieno i dubbi di Ioria e Dohko.

 

***

 

Tisifone osservava le coste inglesi scomparire in lontananza dalla poppa della nave mercantile su cui si trovava. Aveva passato gli ultimi giorni in Gran Bretagna, spostandosi in fretta lungo le frastagliate coste scozzesi, per aiutare i pescherecci e le altre imbarcazioni intrappolate tra i ghiacci o sorprese da temporali improvvisi.

 

Grazie ai suoi poteri non le era stato difficile spaccare il ghiaccio e permettere alle navi di rientrare in porto. Meno semplice era stato spiegare agli abitanti del luogo la natura delle proprie capacità, ma ormai, di questo Tisifone era certa, stava arrivando un tempo in cui l’esistenza dei Cavalieri sarebbe stata svelata al mondo intero.

 

Avvolta nei suoi pensieri non si occorse di Cliff O’Kents finché il ragazzo non le fu accanto, allungandole una tazza di the caldo. Era stata Atena ad affidargli il comando della missione, diretta in una terra che ben conosceva, essendovi nato e cresciuto, e sempre con lui la Dea aveva concordato la rotta di ritorno che, dalle coste scozzesi occidentali, scendeva giù attraverso il Mare d’Irlanda, per rifinire nel Mare Celtico.

 

Si erano appena lasciati alle spalle il promontorio della Cornovaglia quando la nave sussultò all’improvviso, facendo ruzzolare a terra Tisifone, Cliff e altri membri dell’equipaggio.

 

“Che diavolo succede?!” –Bofonchiò il marinaio, rialzandosi e correndo verso la cabina del comandante. –“Il tempo è sereno e certo non ci sono scogli affioranti in mare aperto!”

 

Una nuova scossa fece sobbalzare la nave, spingendo Cliff di lato fino a sbattere la spalla contro il parapetto. Aggrappandosi ad esso, per rimettersi in piedi, il giovane guardò oltre, sgranando gli occhi per quell’imprevista visione. Aggrovigliato attorno alla prua, con la lunga coda squamosa che sbatteva contro una fiancata della nave, c’era un gigantesco serpente di mare.

 

“Che hai visto?! Che c’è?!” –Intervenne Tisifone, correndo al suo fianco e notando a sua volta l’orrida creatura. Sebbene entrambi non fossero certo digiuni di mostri come quello, non riuscirono a nascondere il disgusto né la preoccupazione. –“Me ne occupo io!” –Esclamò, dirigendosi verso la sua cabina per recuperare l’armatura del Serpentario. Ma, mentre correva, la Sacerdotessa venne raggiunta da un fascio di energia che la scagliò indietro, schiantandola contro alcune casse di merci. Quando si rialzò fu sorpresa di trovare tre donne di fronte a lei.

 

Ritte sul ponte più alto della nave, le tre figure slanciate indossavano corazze scure, dai misti riflessi violacei e scarlatti, di fattura chiaramente greca, sebbene Tisifone non fosse in grado di indicarne la schiera di appartenenza.

 

“Ma guarda, una Sacerdotessa Guerriero!” –Esclamò una delle tre, prima di scoppiare a ridere. –“Da tempo non ne incontravo! Credevo che quella puritana di Atena si fosse finalmente decisa ad abrogare quella stupida legge e lasciare che le donne mostrassero il loro volto! Soprattutto se è bello come il mio! Ih ih ih!”

 

“Chi siete?!” –Incalzò subito Tisifone, osservandole preoccupata.

 

“Ha importanza per te? Per noi no, per noi conta solo la nostra missione! Per cui se vuoi essere così gentile da rivelarci dove si trova il prezioso carico che trasportate, forse ti lasceremo vivere e ti permetteremo di udire i nostri nomi! Anche se non so quanto questo ti convenga!” –Rispose una seconda donna, alta e snella.

 

“Come piratesse valete ben poco se non sapete distinguere un carico pregiato da un mucchio di fieno. Avreste dovuto farvi insegnare da mia sorella.” –Le derise Tisifone, spiegando che quella era semplicemente una missione di soccorso.

 

“Il capitano della nave è stato piuttosto maleducato! Ti consiglio di non esserlo!” –Intervenne allora la terza, la cui voce sottile e tagliente allarmò Tisifone. –“Sai, non ha voluto rivelarci l’ubicazione del carico. Un ragazzo davvero cattivo. Sì, proprio cattivo. Ih ih ih!” –E sollevò il corpo di un uomo, gettandolo sul ponte di sotto.

 

Tisifone riconobbe il comandante dai vestiti che aveva indosso, certo non dal viso, sfregiato da unghiate così profonde da avergli asportato pezzi di pelle. Lo osservò trascinarsi a terra, macchiando di sangue il ponte di comando, terrorizzato dalle torture subite.

 

“Maledette! Ve la farò pagare! Cobra incantatore!!!” –Gridò il Cavaliere d’Argento, sollevando il braccio destro e dirigendo violente scariche di energia contro le tre sconosciute, che prontamente si divisero, balzando in direzioni diverse e lasciando che l’attacco di Tisifone esplodesse contro la balaustra del ponte.

 

“Mi piace l’enfasi che imprimi al tuo urlo di guerra!” –Commentò una delle donne, spuntando accanto a Tisifone prima ancora che lei potesse voltarsi e fissarla. –“Alala ne sarebbe affascinata!” –Aggiunse, per poi concentrare una sfera di energia sul palmo della mano e colpire la Sacerdotessa, scagliandola in alto, i vestiti bruciati dall’esplosione cosmica, fino a farla schiantare sul devastato ponte di comando.

 

Nell’impatto Tisifone perse la maschera, che roteò sul pavimento fino a fermarsi ai piedi di una delle tre guerriere, la prima che aveva parlato. La seconda invece, la donna dal fisico slanciato, già si ergeva su di lei, calando il tacco della sua corazza sulla schiena di Tisifone e sprofondandola tra le frantumate assi di legno.

 

“Parla! Dove si trova il manufatto divino?” –Ringhiò, non ottenendo risposta e costringendosi a colpire di nuovo l’inerme schiena.

 

Bang!!!

 

Uno sparo assordante ruppe il silenzio del mare aperto, anticipando la caduta della donna che stava picchiando Tisifone, con un proiettile piantato nella schiena, all’altezza della spalla destra. Un secondo colpo troncò ogni suo tentativo di rialzarsi.

 

A fatica Tisifone sollevò il capo, osservando Cliff puntare una pistola contro le due donne rimaste, che balzavano in ogni direzione con felina agilità, la stessa destrezza che anch’ella aveva sempre dimostrato in battaglia. Un proiettile prese di striscio la più piccola delle tre, quella che aveva raccolto la maschera di Tisifone, ma non fu sufficiente per frenarne la carica. Con un balzo fu su di lui, disarmandolo con un calcio rotante, prima di tempestarlo di pugni. A nulla servì l’intervento di alcuni membri dell’equipaggio, armati di fucili e di fiocine, che incontrarono la stessa fine violenta.

 

Bastaaa!!!” –Gridò la Sacerdotessa. –“Cosa volete? Lasciateci in pace! Stiamo tornando da una missione di soccorso, non esiste alcun manufatto divino!”

 

“Menti! Sappiamo cosa state trasportando! Noi sappiamo tutto! Nasconderla in un cargo non è servito a farci perdere le sue tracce!” –Ringhiò la terza donna, strappando Cliff dalle mani della sua compagna e sbattendolo contro la parete di una cabina. All’istante le sue unghie si allungarono, divenendo artigli che si piantarono nella spalla del ragazzo, strappandogli urla di dolore. –“Occhio per occhio…

 

Tisifone fece per rialzarsi ma bastò che la prima donna sollevasse un dito per colpirla con un fascio di energia che la scagliò dall’altro lato del ponte, sfondando il parapetto e precipitando in mare. Sarebbe morta così? Non poté evitare di chiedersi. Senza sapere chi fossero le guerriere esaltate che li avevano attaccati, né conoscere la verità sulla loro missione. Avevano parlato di un manufatto divino ma, per quel che ne sapeva, non vi era niente di così prezioso a bordo della nave. Atena glielo avrebbe detto certamente.

 

Eppure

 

Soltanto allora, mentre l’oscurità la avvolgeva e il respiro diventava sempre più affannoso, Tisifone si ricordò che, su richiesta di Cliff, la nave aveva effettuato una piccola sosta lungo le coste del Galles. Questioni commerciali si era limitato a dire il ragazzo. Ma ora Tisifone era certa che vi fosse qualcosa di più, e lei sarebbe morta senza sapere cosa.

 

“Ci siamo!” –Esclamò la più piccola delle tre donne, dopo aver trovato la cassaforte nella cabina del comandante. La sua compagna non perse tempo a cercare una combinazione, dilaniandone il metallo con artigli incandescenti. Sorridendo soddisfatte, Kydoimos e Proioxis afferrarono lo scrigno contenuto al suo interno, aprendolo e trovando quel che cercavano.

 

Una mela d’oro.

 

***

 

Pegasus stava esitando di fronte al portone. Aveva già salutato Phoenix, rimasto a vegliare sul fratello alla Prima Casa, pregandolo di abbracciare Andromeda quando si sarebbe svegliato, e avrebbe dovuto incontrarsi con Sirio nell’arena dei tornei, dove il jet della Fondazione era pronto per partire. Avrebbero fatto un breve scalo in Cina, per permettere a Dragone di tornare da Fiore di Luna, e poi sarebbero ripartiti per il Giappone. Pegasus aveva già inviato un messaggio a sua sorella, per tranquillizzarla e dirle che presto si sarebbero rivisti, eppure, adesso che poteva partire, adesso che i suoi impegni di Cavaliere erano giunti a termine, qualcosa lo frenava, qualcosa lo legava ancora ad Atene.

 

Da mezz’ora fissava le massicce porte che conducevano alla Sala del Sacerdote, avvicinandosi e sollevando il pugno per bussare e fermandosi ogni volta prima di sfiorarne la superficie. C’era silenzio alla Tredicesima Casa, con le guardie intente nella quotidiana ronda all’esterno, un silenzio così intenso che poteva udire il suo respiro e l’affannato battito del suo cuore, che pareva accelerare ogni volta in cui si avvicinava al portone d’ingresso, quella stessa soglia che neppure due anni prima aveva varcato spavaldo per affrontare Arles.

 

“Non ce la farò mai.” –Si disse, voltando di nuovo le spalle alla Sala del Sacerdote e sospirando, conscio che ammettere i suoi sentimenti avrebbe significato tradire tutti gli ideali in cui aveva riposto fede fino ad allora. Tradire i suoi compagni, la memoria delle loro imprese e soprattutto tradire lei, la sua Dea, obbligandola ad una scelta che non avrebbe dovuto compiere. L’egoismo di un amore non deve mettere in pericolo gli equilibri del mondo. Rifletté, muovendosi per allontanarsi.

 

Proprio in quel momento gli parve di percepire una presenza tra le colonne laterali, una sagoma indistinta che tacita lo stava osservando. In tutta fretta Pegasus afferrò una fiaccola, orientandola verso la sua destra, per illuminare una trasparente figura di luce. Un giovane della sua età, alto e ben piazzato, con vispi occhi neri, che Pegasus non aveva mai visto, sebbene fosse invaso da una sensazione di dejà-vu, una sensazione che andò aumentando quando, guardandolo meglio, riconobbe l’armatura che aveva indosso.

 

I suoi colori bianco e rosso, le poche parti che la componevano, l’elmo a forma di testa di cavallo non lasciavano adito a dubbi. Quel ragazzo indossava l’armatura di Pegasus, la stessa che anch’egli aveva sfoggiato ai tempi della Guerra Galattica e della corsa attraverso le Dodici Case. E… gli somigliava. Sì, aveva il suo stesso sguardo.

 

“Ehi tu!” –Esclamò Pegasus, incamminandosi verso di lui. Ma bastò che muovesse qualche passo che la figura scomparve,  dissolvendosi nell’ombra e lasciando nuovi dubbi nell’animo dell’eroe.

 

Uno scricchiolio alle sue spalle anticipò lo spalancarsi del portone. Pegasus si voltò e trovò Isabel davanti a lui, un braccio leggermente teso, che lo invitava ad entrare.

 

***

 

La Sesta Casa dello Zodiaco era immersa nell’oscurità, le fiaccole spente, i portoni e le feritoie sbarrate. Radi fasci di luce lontana filtravano da un rosone intarsiato che Pavit aveva creato per il suo maestro. Quel giorno, ad opera compiuta, Virgo si era quasi commosso per lo splendore dell’opera. Adesso, fissandolo contrariato, avrebbe voluto distruggerlo.

 

Continuando a camminare, e lasciandosi il rosone alle spalle, il Cavaliere d’Oro giunse al centro della magione e carezzò il trono a forma di fiore di loto ove era solito riposare. Lo sfiorò, lasciando fluire il cosmo dalle sue mani, un cosmo rossastro e incendiario, fino a riempirlo di fiamme, come fosse un braciere. E nelle fiamme si specchiò.

 

“Una nuova era è iniziata quest’oggi.” –Commentò. –“Un’era di tenebra senza fine. Immenso è il potere dell’ombra se persino sul Santuario della Vergine Dea ha potuto stendere il suo manto, senza che nessuno se ne accorgesse.”

 

Di scatto sogghignò, ammirando il suo volto demoniaco allungarsi nelle vampe di fuoco. Si era stupito nell’apprendere che il Cavaliere di Virgo avesse intuito chi si nascondesse dietro gli eventi in corso, non credendo disponesse di un simile potere, per ripercorrere a ritroso la storia del mondo, fino alle origini.

 

Ab Iove principium.

 

“Ma a forza di tirarlo, l’elastico si rompe.” –Ridacchiò, apprezzando l’abile mossa del suo Signore, l’aver tolto di mezzo quella Vergine saccente e averla sostituita con il suo più fedele collaboratore, il cui vero volto poteva essere rivelato solo dalle fiamme, sue compagne di vita.

 

Lui, l’araldo dell’ombra, Flegias, Flagello di Uomini e Dei, avrebbe distrutto dall’interno l’esercito di Atena.

 

***

 

C’era silenzio a Villa Thule.

 

Gli addetti alle pulizie se ne erano andati da poco, sotto i tiepidi raggi della prima giornata di sole che da tempo non rischiarava Nuova Luxor, e adesso la villa era vuota.

 

L’unico rumore sembrava provenire dallo studio della Duchessa di Thule, dove un telefono continuava a squillare incessantemente. Era la linea privata di Lady Isabel, il cui numero aveva dato solo a pochi fidati membri della Grande Fondazione. E uno di loro da ore cercava di contattarla, senza poter fare altro che lasciarle messaggi in segreteria.

 

“Lady Isabel? Sono ancora il Professor Rigel. Mi richiami quanto prima! C’è stato un imprevisto, anzi è proprio il caso di dire che abbiamo un problema!”

 

 

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Capitolo 43
*** Epilogo ***


EPILOGO

 

Siberia Orientale, Territorio di Krasnojarsk, 30 giugno 1908

 

Il cielo si era aperto all’improvviso, accendendosi di un rosso scarlatto, al punto che sembrava avesse preso fuoco, quindi si era richiuso mentre il boato di un’esplosione aveva rimbombato nel cuore della taiga per numerosi chilometri. Per centinaia di chilometri, al punto che i passeggeri sul convoglio della Ferrovia Transiberiana vennero sballottati ferocemente e il treno stesso rischiò di deragliare, senza che nessun macchinista fosse in grado di spiegarsi perché.

 

Qualcosa di pesante aveva colpito il suolo terrestre.

 

Di molto pesante. Si dissero i primi osservatori giunti sul posto e osservando lo sfacelo in cui versava la foresta di conifere.

 

Un’area enorme, di duemila chilometri quadrati, era stata rasa al suolo e le ultime fiamme crepitavano fredde verso il cielo lontano, lo stesso cielo da cui aveva avuto origine tale distruzione.

 

Che sia un segno? Mormorò il Viceré, chinandosi sul terreno e prendendo in mano grumi di terriccio, per odorarlo. Che sia l’alba della fine del mondo? Che il lupo riesca infine ad inghiottire il sole? Le stelle allora cadranno dall’alto cielo, la terra tremerà così tanto che boschi interi saranno sradicati, le montagne crolleranno e tutti i vincoli si romperanno e spezzeranno.

 

Fimbulvetr, sta per arrivare?

 

I modi bruschi dell’altro membro della spedizione lo strapparono alle sue meditazioni, portandolo a incamminarsi nel cuore della foresta, fino al luogo dell’impatto, laddove poterono rimirare quel che restava del corpo celeste precipitato sulla Terra.

 

“Me lo aspettavo ben più grosso!” –Commentò la rozza voce del suo compagno. –“Questo sassolino ha prodotto tutto questo sfacelo, allarmando persino il mio Signore?! Un mio pugno saprebbe fare altrettanto!”

 

“L’onda d’urto che ha generato è stata devastante, ciò è indubbio!” –Intervenne allora il Viceré, camminando attorno ai resti incandescenti dell’asteroide. –“Ma non è stata l’unica conseguenza della sua caduta sul pianeta.” –Aggiunse, sibillino, osservando la sostanza dalle sfumature argentee che permeava il suolo attorno, quasi stesse colando dal corpo celeste.

 

“Si tratta quindi…?” –Chiese il primo uomo, con la voce spezzata dalla sorpresa.

 

“Sì, è mithril! Il materiale di cui sono composte le Vesti Divine, il materiale più resistente presente sulla Terra!”

 

“Mi sorprende che vi siano altri conoscitori del prezioso quinto elemento!” –Esclamò una voce all’improvviso, facendo voltare di scatto i due uomini e mettere in allerta la loro scorta. –“L’arte della forgiatura delle corazze non è certo ben diffusa, soprattutto in un’epoca come questa, dove il materialismo fa da padrone e le antiche conoscenze vanno perdendo estimatori!”

 

“Chi sei?!” –Ringhiò uno dei due uomini, sollevando un’ascia da guerra.

 

“Abbassa quell’arma, capellone! A ben poco ti servirebbe contro di me!” –Si limitò a commentare l’altro, apparendo infine tra i resti degli alberi abbattuti e rivelando le sue fattezze, quelle di un uomo basso e robusto, chino in avanti, forse per l’età o per una qualche deformità fisica, rivestito però di una lucente armatura rossa e dorata intrisa di un cosmo divino.

 

“Un’energia simile… non può che appartenere ad un Dio!” –Commentò il compagno del guerriero armato di ascia.

 

“E tale in effetti sono! Il mio nome è Efesto, Fabbro Olimpico, Nume del Fuoco e della Metallurgia e servitore del Sommo Zeus!”

 

“Lieto di incontrarvi, Dio della Lavorazione dei Metalli! La vostra fama ha travalicato i confini del Mediterraneo spingendosi ben più a nord delle vostre fucine, fino alle terre ghiacciate ove spazia silenzioso l’occhio del nostro Signore!”

 

“L’occhio…?! Ma voi siete, dunque?!”

 

“È Freyr dei Vani il mio nome celeste!” –Si presentò infine l’uomo, accennando un inchino. –“Viceré di Asgard per nomina del Sommo Odino! E questi è il figlio del mio Signore, il possente Tyr, Nume tutelare della guerra presso gli Asi!”

 

“Possente e robusto!” –Bofonchiò l’altro, non apprezzando tutti quegli orpelli con cui il Vane rifiniva le presentazioni. –“Piuttosto cosa ci fa un Dio greco così fuori dalla sua sfera di influenza?”

 

“È la Terra intera la sfera di influenza di Zeus!” –Precisò il Fabbro Divino, prima di aggiungere, con tono distensivo. –“Ed è stato proprio mio Padre a inviarmi in missione, per sincerarmi di cosa fosse accaduto, sconvolto dall’esplosione udita questa mattina, e timoroso che fosse dovuta ad una qualche guerra tra Divinità che potesse minacciare l’equilibrio cosmico!”

 

“Come vedi è stato solo un sasso caduto dal cielo a radere al suolo questa foresta, quindi adesso puoi tornare alle fucine da cui provieni!”

 

“Non così in fretta, Divino Tyr! O, perlomeno, non a mani vuote!”

 

“Come osi?!” –Avvampò il Nume asgardiano. –“Vuoi mettere le mani sul mithril? Non te lo permetterò, ladro di un greco!!!” –E si fece avanti, roteando l’ascia sopra la testa, mentre le guardie al suo servizio lo affiancavano, circondando Efesto.

 

“Spero che tu stia scherzando!” –Si limitò a commentare quest’ultimo, socchiudendo gli occhi e radunando la propria energia cosmica.

 

“Io non scherzo mai!” –Gridò Tyr, lanciandosi avanti, ma bastò che Efesto riaprisse gli occhi per scaraventare i nemici molti metri addietro, travolti da un lampo di luce.

 

Anche il Nume della Guerra venne investito, riuscendo a difendersi roteando l’ascia di fronte a sé, ma quando fece per contrattaccare la voce di Freyr lo fermò.

 

“Adesso basta, Tyr! Non siamo qua per combattere!

 

“Non prendo ordini da uno dei Vani!”

 

“E invece li prenderai, o farò rapporto a Odino, di cui rappresento la bocca! Perciò quietati ed evitaci ulteriori fastidi!”

 

Tyr, grugnendo insoddisfatto, abbassò l’arma, dando poi le spalle a Efesto e avvicinandosi al corpo celeste, lasciando le due Divinità a parlare.

 

“Immagino che potremo raggiungere un accordo!” –Esclamò Freyr. –“Non è nell’interesse di Odino, né dell’intera Asgard, un conflitto con l’Olimpo, neppure per questioni così importanti, come le forniture per i propri armamenti!”

 

“Ne sono certo, Viceré! Né Zeus adesso vorrebbe assumersi l’onere di una guerra! Pertanto, se ho ben recepito il vostro suggerimento, possiamo procedere ad un’equa spartizione del prezioso metallo, in due perfette metà!”

 

“Così sia!” –Si limitò ad esclamare Freyr, nonostante i rimbrotti di Tyr. –“La caduta di un pezzo di cielo non può essere causale, proprio adesso, all’inizio di questo secolo, l’ultimo secolo di un lungo tempo cosmico! Che l’universo ci stia mandando un segnale? Che ci stia avvisando di un pericolo ben più grande rispetto alle semplici scaramucce cui i vari regni divini incorrono di tanto in tanto?”

 

“Sono un fabbro, non un filosofo, mio Signore! Discorsi più profondi li lascio a mio Padre e al suo fido consigliere, Ermes! Io mi sforzo di fare al meglio il mio lavoro per ottenere quelle attenzioni che la mia deformità non mi fa avere in altri campi!”

 

Freyr sorrise di fronte alla genuinità del Dio dei Metalli, quindi diede ordine alla sua scorta di procedere alla separazione del corpo celeste e al suo successivo trasporto.

 

“Il mithril. Il quinto elemento, nato dal fuoco cosmico, dalla terra, dall’aria e dall’acqua. Il metallo di cui sono composte le Vesti Divine, o quantomeno larga parte di esse!”

 

“Possano Asgard e la Grecia non doversi mai confrontare!” –Esclamò il Vicerè, prima di congedarsi e lasciare la Siberia con la squadra. –“Che la benedizione dei Vani scenda su di te, Fabbro di Zeus!”

 

“E così quella degli Olimpi! Addio, nobile Freyr!” –E anche Efesto svanì, rientrando in Sicilia.

 

Tunguska rimase deserta, soltanto il fuoco crepitava lento sugli ultimi alberi che ancora si ergevano, sfidando il potere dell’universo. Fu in quel silenzio che due voci si ritrovarono a parlare, camminando a passo lento nell’alba siberiana.

 

“Sei stato abile, mi congratulo con te! Non è da tutti riuscire ad ottenebrare i sensi di un Dio!”

 

“Temevo di fallire, in effetti. Nasconderlo ad Efesto e a Tyr è stato facile, ma l’occhio di Freyr è di certo ben più attento. Pur tuttavia il Viceré pareva essere preso da pensieri pressanti, che gli hanno impedito di scoprire il piccolo inganno.”

 

“Non usare questi termini, sai che non mi piacciono!” –Commentò la voce più anziana. –“Non vi è malvagità nelle nostre azioni, solo la premura di un genitore nei confronti di un figlio. Questo è il compito dei garanti dell’equilibrio, guardare lontano, non al contingente bensì all’eterno, e preparare il mondo all’ultima guerra. Inoltre è molto meglio che sia in nostro possesso, piuttosto che a disposizione di due imperi bellicosi e frustrati spesso da lotte intestine.”

 

“L’avvento dell’ombra non ci coglierà impreparati, Primo Saggio! Grazie ad Alexer, che ci ha avvisato in tempo, e grazie al mithril recuperato quest’oggi potenzieremo le nostre difese, restaurando l’ordine dei Cavalieri delle Stelle, il cui risveglio è prossimo!” –Esclamò il suo interlocutore, abbassando infine il cappuccio e rivelando un volto senza età sui cui campeggiavano due occhi argentati. Gli stessi occhi che ogni giorno osservavano il dipanarsi degli eventi del mondo nel pozzo dell’Isola Sacra.

 

Senza dire altro, Avalon sollevò una mano al cielo, placando le fiamme e spegnendo persino il soffiare del vento per qualche minuto. Là, nel punto ove Freyr si era chinato, per assaggiare il terreno, riluceva un grosso corpo celeste, dalle dimensioni simili ad una roccia, ben più grande del frammento che le due spedizioni avevano recuperato.

 

Il Signore dell’Isola Sacra sorrise, mentre i druidi, appena comparsi attorno a lui, si davano da fare per portare ad Avalon il prezioso minerale, sebbene egli disprezzasse l’utilizzo di quel termine. Il mithril non era soltanto un minerale, bensì un dono, messo a loro disposizione dalle potenze del mondo, quelle stesse potenze che presto sarebbero tornare per esigere il loro tributo.

 

Soltanto un secolo ci separa dal prossimo avvento. Una manciata di anni e il varco tra i mondi si riaprirà. Ed egli ritornerà.

 

 

L’AVVENTO DELL’INVERNO – FINE

 

 

© Aledileo per tutti i personaggi inediti.

 

 

COMING SOON:

 

ALEDILEO presenta:

 

I CAVALIERI DELLO ZODIACO

6

 

Il varco tra i mondi

 

TRILOGIA DI AVALON – Parte 2 di 3

 

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Capitolo 44
*** Schede tecniche Asgard ***


L’AVVENTO DELL’INVERNO – Schede dei personaggi

ABITANTI DI MIDGARD, il Recinto di Mezzo:

ILDA DI POLARIS, Celebrante di Odino:

La Regina di Midgard è pensierosa, consapevole del ruolo che è chiamata a giocare negli eventi. Grazie alla conoscenza di Bjarkan, la runa dell’illuminazione, tramandata all’interno del Casato di Polaris, Ilda capisce il vero significato di Ragnarök e prende la decisione finale.

FLARE DI POLARIS, Principessa di Midgard:

Inizialmente rapita da Loki, che la imprigiona al posto di Fenrir nel profondo inferno, la dolce Flare viene liberata da Cristal e Artax, per assistere, terrorizzata, alla fine del mondo come l’aveva conosciuto. Dovrà trovare dentro sé la forza per crescere, per superare i traumi che le segnano la vita, e diventare donna. Grazie al ricordo di Ilda e all’amore di Cristal.

ENJI:

Fedele consigliere della Celebrante di Odino, è sempre in prima linea a difendere Asgard e la sua Regina. Ilda gli lascia una lettera da dare a Flare quando sarà il momento. Ed egli comprenderà quando ciò si verificherà.

FIADOR:

Figlio del Conte Turin, è in realtà una spia di Loki, infiltrata a palazzo allo scopo di controllare i movimenti di Ilda e di scoprire gli antichi segreti di Asgard. È lui infatti a informare l’Ingannatore sull’ubicazione delle corazze maledette. Credendo si trattasse solo di giochi di potere, e che non vi fosse in ballo la distruzione del mondo, Fiador decide di redimersi alla fine, sacrificandosi per proteggere Ilda.

BARD, l’arciere:

Allievo del grande Orion, quattordicenne, è cresciuto nelle foreste di Midgard assieme a un gruppo di ragazzi divenuto il suo piccolo esercito. Abilissimo con l’arco, dotato di una vista precisa e di grande velocità. In lui alberga un giovane cosmo, che dovrà coltivare e sviluppare.

 

CAVALIERI DI ASGARD e EINHERJAR:

ORION:

Principe degli Einherjar e discendente del grande Sigfrido, Orion combatte per la difesa della vera Asgard, il cuore ancora rivolto alla bella Ilda. Fedelissimo a Odino, non esita a dare la vita per lui.

(Colpi segreti: Occhi del Drago, Spada di Asgard)

ARTAX:

Combattuto tra la fedeltà a Odino e il ricordo rabbioso dello scontro con Cristal, il biondo einherjar non esita comunque a mettere tutto se stesso in perigliosi combattimenti a fianco del Cavaliere di Atena, in particolare nell’impresa temeraria di liberare la Principessa Flare dai geli di Niflheimr, laddove troverà la seconda morte.

(Colpi segreti: Nevi di Asgard, Caldo soffio del meriggio, Tempesta di fuoco)

MIZAR:

Inviato da Odino nella terra dei nani, è inizialmente diffidente nei confronti di Jonathan, salvo poi riconoscerne il valore e la genuina fede. Assieme a Vidharr e alle Valchirie, tenta di fermare l’avanzata dei figli di Muspell, venendo incenerito a fianco di Alcor.

(Colpi segreti: Bianchi artigli della Tigre, Ghiacci eterni)

ALCOR:

Agile e veloce, grazie al suo mantello cangiante e alla sua armatura bianca è la perfetta spia per scendere nei recessi infernali, su ordine di Freyr, e cercare di scoprire cosa stia tramando Hel. Catturato dai Megrez, viene salvato da Sirio, per poi combattere assieme a lui e ai Vani contro i Giganti di Brina e trovare la morte ad Asgard, di nuovo assieme all’amato fratello.

(Colpi segreti: Bianchi artigli della Tigre, Ghiacci eterni)

MIME:

Il musico di Asgard combatte incessantemente nella piana di Vígridhr, confrontandosi con Garmr, Hel e infine con Fenrir, a fianco di suo padre, con cui ha ritrovato un’antica amicizia, e del Cavaliere di Andromeda.

(Colpi segreti: Pentagramma, Melodia delle tenebre)

THOR:

Il Gigante buono scende in Jötunheimr per incontrare Pegasus e poi combattere assieme a lui contro il Serpe del Mondo, il gigantesco figlio di Loki che minaccia la fortezza del Valhalla.

(Colpi segreti: Mjolnir, Pugno del titano)

LUXOR:

Ribelle per natura, neppure l’incontro con il padre lo rasserena. Negli uomini ha perso ogni fiducia, pur tuttavia il ricordo dei genitori e il coraggio con cui Daeron si sacrifica per lui gli strappano un sorriso sofferto. Membro degli Ulfhednir, li guida in battaglia contro Hati, venendo poi ucciso da Bjuga delle Svalbard.

(Colpi segreti: Denti del lupo, Lupi nella Tormenta)

FOLKEN:

Padre adottivo di Mime, combatte al suo fianco nella piana di Vígridhr, venendo massacrato da Fenrir.

DAERON:

Il padre di Luxor, che indossa l’antica armatura del suo casato, interviene in aiuto del figlio contro Hati, morendo per proteggerlo e per mostrargli che gli uomini sono capaci di azioni d’amore, se realmente lo vogliono.

(Colpi segreti: Denti del Lupo)

ATREJU:

Comandante degli Einherjar di stanza a Valgrind, la Porta Principale del Valhalla. Muore assieme ai suoi compagni dopo l’attacco di Surtr e il crollo dei mondi.

 

DIVINITA’:

ODINO, Signore degli Asi:

Una delle più antiche Divinità del mondo, il Padre di Tutte le Schiere siede sul Trono degli Spazi, nella residenza di Valaskyalf, da cui il suo unico occhio muove sul mondo, per vedere tutto quello che accade. Preoccupato per la profezia della Volva, Odino richiama tutti gli alleati, dai Vani ai nani, dagli einherjar ai giganti a lui fedeli, unendo tutti i popoli liberi dei nove mondi per la guerra contro l’Ingannatore, e poi contro Surtr. Ben consapevole di non essere esente da colpe, avendo anch’egli commesso peccati in gioventù, come quando massacrò Ymir, il gigante primordiale, o quando uccise i suoi fratelli, sceglie comunque di lottare ancora, facendo dono a Pegasus della spada di Balmunk.

(Colpi segreti: Tempesta di Spade)

FRIGG, Signora del Cielo:

È la sposa celeste di Odino, di cui condivide lo scranno Hliðskjálf. Abita a Fensalir. Possiede il potere della chiaroveggenza, e ritiene che solo sangue e morte verranno da questa guerra.

BALDER, Dio del Sole:

Figlio di Odino e Frigg, è il più bello degli Dei. Bello d’aspetto, saggio e gentile, amato e rispettato da tutti, splende di luce propria. Abita a Breidablik, in un luogo paradisiaco, assieme alla sua sposa Nanna. Dona le sue ultime forze a Pegasus, cedendogli la luce del Sole di Asgard.

FREYR, Dio dell’abbondanza e della prosperità:

Appartiene alla stirpe dei Vani: figlio di Njörðr e fratello di Freya. Fu uno di coloro che mise termine alla prima guerra tra Asi e Vani, stringendo un’alleanza con Odino, che col tempo è cresciuta divenendo un’amicizia e stima e fiducia reciproca, al punto che il Signore degli Asi lo considera reggente in sua assenza. Per questo è chiamato "Viceré di Asgard".

È bello e potente, governa la pioggia, lo splendore del sole e i frutti della terra. Agli uomini è sempre stato gradito e dagli altri Dei ammirato perché portatore di pace. Guida le legioni dei Vani nell’inferno, tramutandosi in un sole perpetuo per generare l’energia necessaria per distruggere i Giganti di Brina.

(Colpi segreti: Perpetual sun)

FREYA, Dea della Bellezza:

Della stirpe dei Vani, è la sorella di Freyr e figlia di Njörðr. Di una bellezza affascinante,

Si rifugia a Fensalir, assieme alle altre Asinne, per trovare riparo dalla guerra in corso. Ma quando Loki attacca la residenza di Frigg, scende in campo per lottare con lui, desiderando vendicare il fratello il cui cosmo ha sentito scomparire poco prima.

VIDHARR, il silente:

Figlio di Odino, di carattere placido, cerca di evitare i conflitti quando possibile. Ha sempre apprezzato la convivenza pacifica tra il suo popolo e quello dei Vani, spingendo per una sempre maggiore integrazione. È uno dei pochi a sopravvivere all’avvento dell’inverno.

TYR, Nume della forza:

Coraggioso e forte, il Dio perse la mano nel Mondo Antico, mettendola nella bocca di Fenrir. Nonostante ciò, non ha mai smesso di allenarsi e di mostrare il suo valore in guerra. Diffida di Freyr, memore dell’antica rivalità con i Vani.

Combatte con ardore contro Loki nella piana di Vígridhr, venendo da lui ucciso.

ULLR, l’abile arciere:

Affronta numerosi nemici nella grande piana, ma viene massacrato da Erik, che lo attacca alle spalle, tagliandogli la testa e legandola alla propria cintura.

HEIMDALL, Custode del Ponte Arcobaleno:

Detto anche il Dio Bianco o "Denti d’oro" a causa del suo sorriso splendente, è da secoli il Guardiano di Bifrost. Ha acuto finissimo e sensi attenti, al punto da riuscire a sentire persino il frusciare dell’erba e il cadere delle foglie. La sua residenza è a Himinbjörg.

Si sente in colpa per aver fatto entrare Loki, non avendo riconosciuto il suo inganno. Per espiare, accompagna Cristal nella piana di Vígridhr, affrontando il Dio dell’Inganno assieme a Tyr, e morendo al suo fianco.

(Colpi segreti: Corno risuonante, Testa d’ariete).

BRAGI, Dio della Poesia:

Di buon carattere e poco incline alla guerra, non esita comunque a scendere in campo per difendere Asgard e colei che ama dalla furia dei figli di Loki. Troverà la morte nella grande piana, divenendo prelibato cibo per il Lupo di Fama.

IDUNN, Moglie di Bragi:

Asinna silenziosa e innamorata del compagno, soffre a Fensalir per la sorte di Asgard e per la morte di Bragi. Combatte contro Loki, a fianco di Freya, venendo infine travolta dal crollo dei mondi.

EIR, Dea della Medicina:

La guaritrice di Asgard si prende cura di Pegasus, su indicazione di Balder, aiutando il giovane a vincere la morte a cui i miasmi di Jormungandr lo stavano conducendo. Assiste, dispiaciuta, alla morte di Frigg, che non riesce ad arrestare, incontrando la stessa fine di Idunn.

NJÖRÐR, Dio del Vento e della Navigazione:

Padre di Freyr e Freya, della stirpe dei Vani. Nobile ed eroico, non esita a guidare in battaglia il suo popolo, ponendo fine a quelle puerili contese divine risalenti a millenni addietro, per dimostrare a Odino di non essere solo nel combattere l’ultima guerra.

 

ALLEATI DI ODINO:

VALCHIRIE:

Coloro che scelgono i caduti in battaglia.

Sono le emissarie di Odino, le Dee guerriere, armate di scudi e lance, che scelgono le anime dei morti eroicamente, portandoli dal campo di battaglia al Valhalla, dove servono loro birra e idromele in corni.

BRUNILDE:

Regina delle Valchirie, alta e splendida. È stata innamorata di Sigfrido, mitico eroe del Mondo Antico, che lei rivede in Orion, nelle sue gesta, nel suo portamento, spingendola a innamorarsi di lui e a dare la vita per proteggerlo da Surtr.

HNOSS:

Figlia di Freya, Hnoss è una delle Valchirie più fedeli a Brunilde, a lei soltanto seconda in termini di forza. Accompagna la propria Regina in battaglia, senza paura di rischiare la vita. Muore uccisa da Loki nella piana di Vígridhr.

JOTNAR:

Sono i Giganti di Jötunheimr, fedeli a Odino. Nonostante la stazza e l’aspetto deforme, sono buoni e dediti alla vita casalinga e non attaccano mai per primi, purché non minacciati.

NANI:

Abitanti di Svartálfaheimr. Sono un popolo operoso ma timido, che preferisce la tranquillità e la sicurezza delle caverne e delle montagne agli spazi aperti. Sono abilissimi fabbri e lavoratori di metalli, al pari del greco Efesto.

Furono loro a forgiare, tra i tanti manufatti, la spada Balmunk, per Odino, e il medaglione di Freya. Ammirano i bei lavori, soprattutto le armi e le corazze pregiate, come quella di mithril indossata da Jonathan.

DURIN:

Uno dei sette capi dei nani. Rustico nei modi, ma dotato di una parlantina fluente, si lancia in battaglia con la sua ascia, incurante del dolore e delle sofferenze.

DVALIN:

Fratello di Durin, al cui fianco combatte nella piana di Vígridhr per mostrare la forza del popolo Dvergr.

ELFI:

Il popolo beato che popola Álfaheimr. Non amano combattere, preferendo trascorrere le giornate cantando, danzando e giocando tra gli alberi del regno.

ARVEDUI:

Principe degli Elfi, accoglie Andromeda nella sua terra, illuminando il ragazzo riguardo alle sue nuove capacità. Pacifista, decide di non combattere, credendo che Loki non sia interessato alla terra degli elfi, accettando comunque il suo destino.

HUGINN e MUNINN:

Sono i corvi di Odino. Dal piumaggio nero, volano per i nove mondi portando al Padre di Tutti le notizie sugli eventi che accadono.

 

LOKI E I SUOI FIGLI:

LOKI, Dio dell’Inganno:

Definito il Grande Ingannatore, il Buffone Divino, il Burlone, il Nordico Tessitore, è il nume che in astuzia supera tutti i suoi pari. Figlio dei Giganti Ferbauti e Laufey e progenitore di una stirpe di mostri, Loki è la nemesi di Odino, desiderando ardentemente prendere il suo posto, avere la sua vita.

Condannato ad una prigionia di sofferenza per secoli, viene risvegliato da Flegias che gli dona una Pietra Nera, catalizzatore per recuperare le forze, sigillando l’inizio di un’oscura alleanza che porta il figlio di Ares a sostituire Zeus con Crono sul seggio Olimpico e Loki a radunare gli eserciti per il Crepuscolo degli Dei del Nord, senza comprendere a fondo il vero significato della Profezia della Veggente.

(Colpi segreti: Soffio di Fimbulvetr. Loki controlla le rune, ognuna delle quali libera un potere particolare, come Isa, la runa di Ghiaccio, o Yr, la runa della protezione, o Kaun o Kaunaz, la runa di fuoco, o Gyfu, la runa dell’aria)

FENRIR, il Lupo di Fama:

Figlio di Loki, lupo immenso dalle zanne affilatissime, capaci di penetrare qualsiasi materiale. Sanguinario, sadico, bestiale, gode nel maciullare uomini e bestie. Tyr lo aveva incatenato una volta con una catena magica formata dai nani nelle profondità delle loro montagne, chiamata Gleipnir, una catena simile a quelle che anche Efesto era abile a forgiare. Fenrir venne rinchiuso sull’isola Lyngvi, sul lago Amsvartnir, ove Loki lo liberò, portandolo in guerra.

Viene ucciso da Andromeda al termine di un duro scontro.

HEL:

Figlia di Loki, ottenne da Odino la podestà su tutti coloro che il Valhalla non avesse accolto, divenendo regina dei morti senza onore, per malattia, incidente o vecchiaia, dei traditori e dei criminali. Vive ad Eliudnir, l’antica Helgaror, ed ha due servitori, dotati di poteri di cosmo: Ganglati, il pigro, e Ganglot, la sciatta.

Viene liberata dai Megrez dalla prigionia del ghiaccio, montando a cavallo di Garmr, con cui conduce i morti dell’inferno in guerra. Per ironia, viene uccisa proprio nel regno che comanda, da Cristal, con l’aiuto di Artax, intervenuti per liberare Flare.

(Colpi segreti: Saggina dell’Infermità, Disgrazia abbagliante)

JORMUNGANDR:

Figlio mostruoso di Loky e della gigantesca Angrbodhra. È un serpente gigantesco, definito Mostro Universale o Serpe del mondo. Da tanto che è lungo sembra capace di avvolgere il mondo nelle sue spire.

Ingaggia battaglia mortale con Pegasus e Thor, alla guida degli Einherjar. Pegasus lo vincerà, ma il veleno ucciderà Thor dopo aver compiuto sette passi.

 

SIGTIVAR:

Sono gli Dei di Vittoria, i guerrieri nominati da Loki per combattere in suo nome indossando le cinque corazze maledette di Asgard.

ERIK il Rosso, Comandante degli Dei di Vittoria:

Da piccolo ha assistito alla morte di suo fratello, ucciso da Folken durante la guerra di Iisung. Con quest’ombra nel cuore, si è allenato per diventare forte, odiando Asgard e Odino che la proteggeva. Quando Loki gli ha offerto l’occasione di realizzare la sua vendetta, non ha esitato a prendere parte al suo progetto. Sadico, combatte con piacere, divertendosi a massacrare anche nemici inermi.

(Colpi segreti: Scure di Devastazione, Ruggito del tramonto. Erik è inoltre abile nel maneggiare la scure, sia in attacco che, roteandola, in difesa)

BJUGA delle Svalbard:

Rozzo e lento di comprendonio, il gigantesco guerriero è molto forte fisicamente. Possiede due lame rotanti, affisse alla cintura, che controlla muovendole con il pensiero.

Il suo nome, in norreno, significa "salsiccia".

DREPA, il Mietitore Silente:

Un buon combattente che ha la sfortuna di incontrare Reis di Lighthouse sul suo cammino, venendo da lei sconfitto ai margini della grande piana di Vígridhr.

Il suo nome, in norreno, significa "ammazzare, trucidare".

(Colpi segreti: Pioggia di Fiele; Canto del Guerriero. Drepa è un abile arciere.)

HRÆSVELGR, l’Aquila dei Venti:

Un tempo un brigante che viveva di rapina. Mirava al tesoro del drago Fafnir, ma Orion gli impedì di prenderlo per sé, portandolo invece a Ilda, che lo usò per il bene dell’intero regno di Midgard. Mirando a quella vendetta, il Dio di Vittoria affronta il Principe degli Einherjar a Vígridhr, venendo malamente sconfitto.

(Colpi segreti: Vento mormorante)

MANAGARMR, il Lupo della Luna:

Giovane combattente, amante di Loki, al cui fianco ha trascorso molte notti, era un orfano che l’Ingannatore trovò nella Foresta di Ferro, portandolo con sé, e forse anche affezionandosi a lui, pur senza ammetterlo mai. In suo onore Managarmr combatte, venendo abbattuto da Andromeda e ucciso da uno dei suoi pari.

(Colpi segreti: Fuoco del Lupo e del Dragone)

MODHGUDHR:

Spettro creato da Loki, grazie al potere della Pietra Nera, sulla base di un antico rimpianto del Cavaliere di Virgo, quello che lo legava ad Ana, Sacerdotessa del Pittore.

 

SERVITORI e ABITANTI DI HEL:

MEGREZ:

L’antico Cavaliere di Asgard continua nei suoi folli progetti imperiali, liberando Hel dalla prigionia dei ghiacci e mostrandole orgoglioso il suo lavoro a Nastrond. Dopo aver massacrato Alcor, è costretto a fronteggiare Sirio, commettendo di nuovo lo stesso errore della precedente vita, sottovalutando il nemico e agendo di fretta.

(Colpi segreti: Teca viola dell’ametista, Schegge di ametista, Anime della natura)

MEGREZ Tredicesimo:

Padre di Megrez, tredicesimo del suo casato. Dopo la sconfitta subita per mano di Libra ai Cinque Picchi, non ebbe il coraggio di tornare a Midgard, così girovagò per l’Europa, tentando infine di arrivare ad Avalon, bramoso di sempre maggior potere. Ma morì inghiottito dalle nebbie.

Affronta Jonathan nella piana di Vígridhr, desideroso di vendetta, ma viene da lui sconfitto.

(Colpi segreti: Anime della Natura, Teca viola dell’ametista)

GANGLATI, il pigro e GANGLOT, la sciatta:

Servitori della Regina Hel. Vennero sconfitti in "Fulmini dall’Olimpo" da Orion e Artax, intervenuti per liberare Balder dalla prigionia. Muoiono nel crollo dei mondi.

HRYMR, Re dei Giganti di Brina:

Megrez gli affida il comando di guidare i Giganti di Ghiaccio ad Asgard, facendoli arrampicare dalle radici di Ygdrasil, scuotendolo per questo. Affronta i Vani, guidati da Freyr, e Phoenix, venendo da quest’ultimo ucciso.

HRIMTHURSAR:

I Giganti di Brina sono i discendenti di Ymir, il gigante primordiale sorto tra ghiaccio e fuoco, saggio ma anche malvagio poiché le gocce che lo crearono erano intrise del veleno degli Élivágar (gli undici fiumi cosmici che scorrevano all’inizio del tempo).

Possiedono spade e armi intrise di liquido congelante. Affrontano Freyr e l’esercito dei Vani nel Niflheimr, Sirio e Alcor e infine Phoenix, venendo annientati dal Sole Perpetuo del Dio dell’Abbondanza.

NÍÐHÖGGR:


Grosso serpente alato che giace ai piedi dell’Albero Cosmico, nel Niflheimr. Si nutre dei morti, portando le loro carcasse nelle Montagne dell’Oscurità.

 

FIGLI DI MUSPELL:

GIGANTI DI FUOCO:

Sono le creature, composte di pura fiamma, che popolano il mondo dell’incendio universale. Vengono sobillate da un’ombra a sollevarsi contro Odino, nonostante in passato siano stati alleati. Proprio in Muspellsheimr, Balder aveva fatto riforgiare le Armature d’Oro dei Cavalieri di Atena qualche mese prima.

SURTR:

Detto il Nero, è il più grande Gigante di Fuoco esistente, la cui fiamma distruttrice è destinata, secondo la Veggente, a incendiare il mondo, purificandolo dai suoi peccati. Spinto da Flegias a ribellarsi a Odino, la sua forza viene potenziata dall’oscura potenza che guida i passi del Maestro di Ombre, obbligando Ilda e Loki ad una scelta risolutiva per averne ragione.

BELI:

Uno dei Giganti di Fuoco, un tempo loro leader, ma poi, dopo essere stato sconfitto da Freyr in un duello, costretto a cedere il posto a Surtr. Cova risentimento e cerca l’occasione di riscattarsi, sperando di trovarla nella vittoria su due invasori del regno di Muspell, Cristal e Artax. Vittoria che però non riesce a realizzare.

 

CREATURE MALVAGIE:

SKOLL:

Grande lupo partorito nella Foresta di Ferro. Nel mito inseguiva il sole, riuscendo a sbranarlo il giorno di Ragnarök.

Porta Loki e Flare in cima alla Montagna Sacra, prima di tornare a Midgard e affrontare Pegasus e i suoi compagni, venendo ucciso da Reis e Jonathan. La sua carcassa verrà bruciata per ordine di Ilda.

HATI:

Grande lupo, fratello di Skoll, detto anche "Hródvitnisson". Inseguiva la luna nel mito, riuscendo a raggiungerla solo il giorno di Ragnarök.

Affronta gli Ulfhednir per le strade della devastata Asgard, uccidendo Daeron e massacrando Luxor, prima di essere ucciso dalla lancia di Odino.

GARMR:

Grosso cane dal pelo fulvo di guardia al Cancello di Hel. Viene liberato il giorno di Ragnarök, diventando la cavalcatura della Regina degli Inferi.

Aiuta Megrez e suo padre a vincere Alcor sul retro del palazzo di Helgaror. Nella piana di Vígridhr carica Mime e Folken, ferendo entrambi, prima di essere dilaniato dalle corde della cetra di Mime.

 

ALTRI PERSONAGGI:

LE NORNE:

Urd, il passato, Verdandi, il presente, Skuld, il futuro. Le Divinità del Fato.

Siedono a Urðarbrunnr, ai piedi dell’Albero Cosmico, e ne cospargono le radici di argilla, per evitare che si secchi. Possono apparire di età diversa a seconda di chi si rivolge loro. In molti le temono, poiché temono il loro responso.

RATATOSKR:

Scoiattolo che corre lungo il tronco di Yggdrasil.

© Aledileo per tutti i personaggi inediti.

 

 

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Capitolo 45
*** Schede tecniche Atene, Avalon e Olimpo ***


L’AVVENTO DELL’INVERNO – Schede dei personaggi

CAVALIERI DIVINI:

PEGASUS:

Gli eventi dei mesi recenti pesano sull’animo inquieto del Primo Cavaliere della Dea Atena, grande combattente, sempre pronto a lanciarsi in aiuto dei più deboli, fossero anche abitanti di un altro mondo, ma in difficoltà quando si tratta di fronteggiare i propri sentimenti. Sentimenti che il tempo ha reso di certo chiari, tirando fuori un amore per Lady Isabel che trascende il rapporto di fedeltà che un Cavaliere prova per la propria Dea e diventa tormentata passione. Un amore dalle sfumature ancestrali con cui la Vergine Guerriera e il suo Primo Cavaliere combattono da millenni.

(Colpi segreti: Fulmine di Pegasus, Cometa lucente/Cometa di Pegasus)

SIRIO IL DRAGONE:

Migliore amico di Pegasus, Sirio combatte a fianco degli amici anche questa nuova guerra. Salva Alcor dalle violenze dei Megrez, sconfiggendo l’antico avversario, per poi confrontarsi con i Giganti del Gelo e del Fuoco.

(Colpi segreti: Colpo segreto del Drago Nascente, Fuoco del Dragone, Excalibur, Colpo dei Cento Draghi)

CRISTAL IL CIGNO:

Il suo amore per Flare è una luce in grado di risplendere anche in un universo d’ombra. È questo, forse più che la fede in Atena e in un futuro di giustizia, a spingerlo ad attraversare mondi per ritrovarla, per perdersi in un nuovo abbraccio con la persona amata. Mettere da parte il passato, trovare la forza per vivere nel presente e costruire assieme il proprio futuro, tre parti della stessa promessa che Cristal ha fatto con se stesso e con Flare. Sarà in grado di mantenerla?

(Colpi segreti: Polvere di Diamanti, Anelli del Cigno, Aurora del Nord, Per il Sacro Acquarius, Spada di ghiaccio)

ANDROMEDA:

Nonostante siano passate alcune settimane dalla battaglia sull’Isola delle Ombre, Andromeda non si è ancora ripreso del tutto e ogni tanto accusa fitte alla testa. Sarà un incontro inaspettato, con il Principe degli Elfi, a fargli scoprire potenzialità finora non sviluppate dei suoi poteri, usando quegli stessi nuovi poteri per comprendere il vero messaggio di Biliku.

(Colpi segreti: Catena di Andromeda, Onde del Tuono, Onda energetica, Melodia scintillante di Andromeda)

PHOENIX:

Interviene sempre sul momento più bello, in aiuto dei compagni. Così è nel suo carattere, solitario al punto giusto ma pronto a correre a dare una mano agli amici in difficoltà. Phoenix affronta il Re dei Titani del Gelo, nel Niflheimr, prima di fuggire dallo stesso inferno assieme ai Vani e combattere contro Surtr la battaglia finale.

(Colpi segreti: Ali della Fenice, Pugno infuocato, Fantasma diabolico)

 

CAVALIERI DI BRONZO:

ASHER DELL’UNICORNO:

Asher, al pari di Castalia e Tisifone, viene inviato da Libra a portare aiuto ai popoli in difficoltà a causa dell’avanzata dei ghiacciai. Si dirige in Svezia.

ANA DEL PITTORE:

Uno dei dieci discepoli di Virgo, uccisa da Loto e Pavone durante gli ultimi giorni del Regno di Arles, nonché fonte di tormenti e di rimpianti nell’animo del Cavaliere di Virgo. Il suo animo viene risvegliato da Loki, che ne inquina la personalità, facendone un demone al suo servizio.

 

CAVALIERI D’ARGENTO:

CASTALIA DELL’AQUILA e TISIFONE DEL SERPENTARIO:

Le Sacerdotesse sono inviate da Libra, assieme ad una cinquantina di soldati, a prestare aiuto alle popolazioni in difficoltà a causa dell’avanzata dei ghiacciai, Castalia in Canada e Tisifone in Scozia.

Sulla via del ritorno, la nave su cui Tisifone viaggia viene attaccata da tre guerriere sconosciute, che sconfiggono la Sacerdotessa, gettandola ferita in mare.

 

CAVALIERI D’ORO:

MUR DELL’ARIETE:

Il Cavaliere accompagna Atena prima sull’Olimpo e poi a Midgard, combattendo al suo fianco contro i Giganti di Fuoco e contro Surtr. Preoccupato per le condizioni di Andromeda, si offre per curare il Cavaliere, convinto che le sue continue emicranie nascondano qualcosa di più.

(Colpi segreti: Muro di Cristallo)

IORIA DEL LEONE:

Rimasto a difesa del Grande Tempio assieme al Cavaliere di Libra, Ioria viene trasportato ad Avalon dal Signore dell’Isola Sacra, per scoprire che questi era il maestro di Micene e apprendere quel che davvero accadde quella notte. Una nuova consapevolezza che aiuterà il Cavaliere d’Oro a seppellire del tutto i vecchi rimpianti, per risvegliare la fiamma di Adamant, suo valoroso predecessore.

(Colpi segreti: Per il Sacro Leo, Lightning Fang)

SHAKA DI VIRGO:

Riflessivo e meditabondo, il Custode della Porta Eterna naviga tra le memorie del mondo, forte dei suoi poteri che gli permettono di viaggiare tra le dimensioni, alla ricerca delle origini dei poteri di Flegias e della fonte della sua forza. Ammutolisce, scoprendo quel che realmente si cela dietro gli atti del Rosso Fuoco, ma non ha il tempo di raccontarlo ai suoi parigrado che l’ombra cala su di lui. Può solo disegnare il simbolo dell’eterno ritorno, sperando che sia abbastanza per far loro comprendere.

(Colpi segreti: Abbandono dell’Oriente, Ohm, Sacro Virgo)

DOHKO DI LIBRA:

L’agguerrito difensore del Grande Tempio contrasta la spedizione punitiva guidata da Erik, ingaggiando con il Dio di Vittoria un violento combattimento. Nonostante la furia del nemico, e le difficoltà nel brandire le armi, causate dalla perdita di alcune dita mozzate da Flegias in precedenza, il Vecchio Maestro di Sirio e Ascanio riesce egregiamente nell’impresa.

(Colpi segreti: Colpo del Drago Nascente, Per il Sacro Libra, Colpo dei Cento Draghi)

 

CAVALIERI CELESTI:

NIKOLAOS DELL’ERIDANO CELESTE, Luogotenente dell’Olimpo:

Figlio di Elena e Deucalione, Nikolaos ha ripreso ad utilizzare il suo nome di origine, in onore alla sorella Teria, barbaramente uccisa nella guerra voluta da Flegias. Sentimentalmente legato alla Sacerdotessa dell’Aquila, in questo capitolo della Trilogia di Avalon, Nikolaos è incaricato, assieme ad Ascanio, di ritrovare Atlantide e risvegliare il dormiente Imperatore dei Mari.

GANIMEDE DELLA COPPA CELESTE, Coppiere degli Dei:

Ragazzetto amato un tempo da Zeus, e da lui portato sull’Olimpo e reso immortale, serve fedelmente il Dio del Fulmine, ultimo di tutti i Cavalieri Celesti ancora vivo.

 

CAVALIERI DELLE STELLE:

L’ordine istituito da Avalon per difendere i confini dell’Isola Sacra. È costituito da sette Cavalieri i cui poteri sono legati ad elementi naturali. Ognuno possiede uno dei Talismani forgiati dai Sette Saggi all’alba dei tempi.

ASCANIO TESTA DI DRAGO, Comandante dei Cavalieri delle Stelle:

Il figlio dell’isola sacra viene incaricato da Zeus di ritrovare Atlantide e risvegliare il vero Dio Nettuno, il cui corpo riposa nel mausoleo dell’antico regno. Per quanto Avalon non sia d’accordo con la scelta del Nume Olimpo, Ascanio esegue il suo ordine alla perfezione, rivelando di poter entrare in comunione con gli elementi della natura, anche con gli animali, o mostri leggendari che siano. La sua forza è tale da non aver ancora avuto bisogno di indossare la sua Armatura delle Stelle per combattere, né di utilizzare il suo talismano.

(Colpi segreti: Metempsicosi)

JONATHAN DI DINASTY, Cavaliere dei Sogni:

Figlio di una Sacerdotessa del Tempio di Inti, in Sud America, Jonathan viene inviato con Reis in aiuto dei Cavalieri dello Zodiaco ad Asgard. Varca il portale del mondo dei nani, che ammirano il suo scettro e la sua corazza, entrambe in mithril, nominandolo loro comandante nella guerra contro l’Ingannatore. Affronta il padre di Megrez in un duro scontro nella piana di Vigridhr.

(Colpi segreti: Luce dello Scettro, Aberrazione della luce, Cometa d’oro)

REIS DI LIGHTHOUSE, Cavaliere di luce:

Per ora è l’unica donna tra i Cavalieri delle Stelle, ma non ci sta ad essere considerata debole per questo. Perché non lo è affatto.

Inviata da Avalon in aiuto dei Cavalieri di Atena, Reis affronta Drepa, il Mietitore Silente, per poi affiancare gli eroi nello scontro finale contro Surtr.

(Colpi segreti: Flashing sword, Cascata di Luce, Vortice scintillante di luce)

MARINS, Cavaliere dei mari:

Trentenne americano, che da ragazzetto avrebbe voluto divenire una promessa del baseball, indossa la corazza che ispirò a Nettuno il design delle armature degli abissi. In questo capitolo della Trilogia di Avalon, lo vediamo in Asia Centrale assieme a Febo, incaricati da parte del Signore dell’Isola Sacra di trovare il tempio dove l’ultima guerra sarà combattuta.

FEBO, Cavaliere del sole:

Figlio di Amon Ra, Dio Egizio del Sole, e della Sacerdotessa Hannah, fedele ad Apollo, Febo accompagna Marins in missione nel Deserto del Gobi, per localizzare il tempio delle origini. E della fine.

MATTHEW, Cavaliere dell’Arcobaleno:

Si sta allenando duramente sull’Isola Sacra, per completare l’addestramento e colmare il divario che lo separa dai suoi compagni.

 

FEDELI DELL’ISOLA SACRA:

AVALON, Signore dell’Isola Sacra:

Sempre attento a quel che accade nel mondo, Avalon rimira gli eventi nel Pozzo Sacro, attendendo il giorno dell’ultima guerra. Previdente, invia Febo e Marins in Asia per individuare il tempio primordiale, mentre affianca Reis e Jonathan ai Cavalieri di Atena. Quel che neppure lui poteva immaginare era che l’animo di Flegias, l’antico fratello, fosse perdurato, sotto forma di ombra, e che decidesse di attaccare direttamente il cuore dell’Isola Sacra.

(Colpi segreti: Cometa di Avalon, Nebulosa delle Stelle)

ANDREI, Signore del Fuoco:

Ardente, come il fuoco su cui esercita il comando, Andrei vorrebbe combattere a fianco del suo allievo ad Asgard, per quanto Avalon preferisca tenerlo nelle retrovie. L’occasione si presenta inaspettata quando l’Isola Sacra viene attaccata dal Maestro di Ombre e Andrei può finalmente riversargli contro tutta la sua rabbia, il rancore che porta nel cuore dalla notte in cui Flegias attaccò e devastò il Tempio di Inti sulle Ande, uccidendo la donna che amava.

(Colpi segreti: Fiamma di Vittoria)

ALEXER, Principe della Valle di Cristallo:

Profondo conoscitore delle energie fredde, Alexer ha insegnato al Cavaliere di Acquarius, e non soltanto a lui, i rudimenti del cosmo. Inviato da Avalon a controllare il nord, interviene in aiuto di Ilda di Polaris quando i Giganti di Fuoco attaccano la Cittadella di Midgard, sfoderando il suo gelido potere.

(Colpi segreti: Polvere di diamanti, Fulmini siderali)

ANTICO, Primo Saggio:

Primo di una gilda di sette saggi che realizzò i Talismani e decretò chi dovesse proteggerli. Non esita a sorvolare sull’etica qualora l’atto in sé consenta la realizzazione di un ben più importante obiettivo.

 

DIVINITA’:

ZEUS, Padre di tutti gli Dei:

Il Signore Supremo dell’Olimpo prende l’importante decisione di risvegliare Nettuno, informandone, ad atto compiuto, le altre Divinità, verso cui continua a tenere un atteggiamento di superiorità, per quanto ben poche siano rimaste. Per quanto ben poco sia rimasto degli olimpici fasti. Teme, in fondo al cuore, lo scoccare dell’ora fatale, quando anche la terza generazione divina sarà estinta.

ERA, Regina degli Dei:

Silenziosa e preoccupata per il futuro dell’Olimpo e dell’amato sposo, Era obbedisce a tutti gli ordini di Zeus, pur senza approvarli, né sforzarsi di capirli. La sua fedeltà al Nume è assoluta, travalicando la sua stessa personalità.

ATENA, Dea della Guerra Giusta:

Invitata da Euro sull’Olimpo, la vergine dai capelli viola ha occasione di confrontarsi con il Padre degli Dei, criticando apertamente la sua decisione di risvegliare Nettuno e soprattutto il suo modus operandi, con cui non dà fiducia a nessun’altra Divinità se non a se stesso. Sentendo Ilda in pericolo, corre ad Asgard assieme a Mur e ad Euro per difendere la cittadella e lottare poi a fianco dei suoi Cavalieri contro Surtr. Che tutta quest’azione continua, questo spostarsi da un luogo all’altro, non sia anche un modo per tenere la mente impegnata? Per costringersi a non fermarsi e pensare. Perché, se dovesse farlo, dovrebbe rispondere ai tumulti che imperterriti le macinano il cuore. Il suo cuore umano.

ERMES, Messaggero degli Olimpi:

Fedelissimo di Zeus, nonché suo grande estimatore, Ermes riesce a vedere laddove gli altri non arrivano. Prodigo, lungimirante e diplomatico, offre il proprio contributo alla causa del risveglio del Signore dei Mari, affiancando Ascanio e Nikolaos in Atlantide.

EFESTO, Dio del Fuoco e della Metallurgia:

Senza troppa voglia, il Fabbro Divino ha abbandonato la fornace in cui ha trascorso la vita per partecipare al Concilio degli Olimpi indetto dal suo Divino Padre. Dopo la morte di Afrodite, il suo volontario isolamento è aumentato, unendosi ad una dedizione estrema al suo lavoro, che gli permette di rifornire continuamente Zeus di armi e folgori.

DEMETRA, Dea delle Coltivazioni:

Divinità che detesta combattere, preferendo fare uso di armi diverse. Dopo la morte di Asclepio, si occupa di curare le ferite dei Cavalieri Celesti con le proprie erbe e trova il tempo anche di essere una buona amica per Atena, comprendendo le agitazioni del suo animo.

EURO, Vento dell’Est:

Ultimo figlio di Eos ancora in vita, viene inviato come ambasciatore ad Atene, per invitare la Dea Guerriera al collegio degli Olimpi, al quale egli non prende parte in quanto non membro del Dodekatheon. Ne approfitta allora per parlare con Mur, percependo entrambi venti di tenebra soffiare sulla Terra intera.

Segue Atena e Mur a Midgard, per difendere la cittadella dall’assalto dei Giganti di Fuoco.

(Colpi segreti: Vento di Levante)

NETTUNO, Dio dei Mari:

Risvegliato da Ermes, Nikolaos e Ascanio su ordine di Zeus, l’Imperatore dei Mari è ben consapevole della prova ultima che gli Dei, e gli uomini e i Cavalieri a loro fedeli, saranno chiamati ad affrontare.

 

ALTRI PERSONAGGI:

TITIS DELLA SIRENA:

Anche a distanza, la graziosa sirenetta continua a proteggere Nettuno, e Julian Kevines, sua terrena incarnazione. Percepito il potenziale pericolo derivante da Ascanio e Phantom, riassume le sue forme umane, rivelando la sua origine di metamorfo e cercando di evitare la resurrezione del vero Nettuno. Riportata all’ordine da Ermes, conduce i servitori di Zeus nel cuore di Atlantide, dove l’antico Dio riposa in un sonno millenario.

(Colpi segreti: Sottile trama corallina)

JULIAN KEVINES:

Primogenito della dinastia dei Kevines, imperatori economici dei mari, e involucro scelto dall’Imperatore dei Mari per ospitare la sua anima ad ogni resurrezione. Incontra Ascanio e Nikolaos nella sua residenza a Capo San Vicente, noleggiando loro una nave per le immersioni.

PROFESSOR RIGEL:

Amico di Alman di Thule, fu incaricato dallo stesso Duca di creare tre armature d’acciaio per aiutare i Cavalieri dello Zodiaco a difendere Atena. Che Alman gli abbia affidato anche qualche altro incarico? Magari basato sugli schizzi che l’uomo gli consegnò?

KIKI:

Fratello di Mur, accompagna Pegasus e gli altri ad Asgard, rimanendo a fianco di Ilda e di Bard per prestare aiuto ai feriti. Durante l’attacco finale dei Giganti di Fuoco, unirà il proprio cosmo a quello di Ilda, Atena e Alexer.

CLIFF O’KENTS:

Marinaio scozzese, profondo conoscitore dei mari. Viene assunto da Lady Isabel per accompagnare Tisifone in Scozia, ma sulla via del ritorno, segretamente dalla Sacerdotessa, recupera un manufatto divino in Galles, attirando l’attenzione di tre guerriere che vogliono per loro la mela d’oro.

MR NEWCOMBER:

Responsabile delle operazioni economiche della Fondazione nell’area del Pacifico.

YOSHIKO HASEGAWA:

Archeologa professionista la cui carriera iniziò nei primi anni Settanta con alcuni scavi in Egitto, presso Assuan. Viene reclutata da Avalon per dirigere le operazioni di ricerca nel Deserto del Gobi.

ROBERT BRUNCH:

Assistente di volo della compagnia aerea della Fondazione. Molto british.

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