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Si colpiranno i
fratelli
e l'un l'altro si daranno la morte;
i cugini spezzeranno
i legami di parentela;
crudo è il mondo,
grande l'adulterio.
(dall’Edda
poetica: La profezia della Veggente)
PROLOGO
Una gelida fiamma crepitava nel braciere al centro
del Salone del Fuoco, ove la Celebrante di Odino era solita ricevere ospiti e
riunire i Cavalieri a lei fedeli. Lingue di fuoco si allungavano verso l’alto
soffitto, rischiarando l’antica fortezza di Midgard,
la città degli uomini, per quanto ormai la maggioranza del popolo la conoscesse
come Asgard.
Troppo intenti ad affannare per sopravvivere al
freddo da trascurare le tradizioni, retaggi di un mondo distante, gli uomini
avevano dimenticato il loro stesso passato, pur senza cancellarlo mai. Nella
speranza che un giorno Odino posasse di nuovo lo sguardo su di loro, e
concedesse quel posto al sole di cui avrebbero voluto godere.
Ilda di Polaris, Regina di
Midgard, sedeva vicino al braciere, scorrendo con
interesse e apprensione la missiva che Atena le aveva inviato pochi giorni
prima. Una lettera in cui la Dea raccontava all’amica lo svolgimento e la
conclusione della guerra contro Flegias, il figlio di
Ares, a cui la stessa Ilda e i suoi Cavalieri avevano preso parte.
Dopo essersi infatti servito di Seth e Apopi, Saga di Gemini, Zeus e Crono, e persino di suo padre
Ares, il demoniaco Flagello di Uomini e Dei era stato costretto ad agire in
prima persona, mettendo su un esercito di Cavalieri neri, dotati delle armature
delle costellazioni dimenticate e guidati da sette Capitani dell’Ombra. Pegasus e i suoi compagni, aiutati dai Cavalieri d’Oro e
d’Argento, e dal prezioso contributo di Avalon e dei Cavalieri delle Stelle,
erano riusciti a impedire che le tenebre ricoprissero il mondo, annientando Flegias e ponendo fine alla minaccia che da anni, forse da
secoli, pareva incombere su tutti loro.
Che sia arrivato il momento della pace? Con questo interrogativo si
interrompeva la missiva arrivata dalla Grecia. Che sia arrivato il giorno in
cui gli uomini possano godere appieno del calore del sole?
Ma Lady Isabel, in fondo al cuore, non ne era affatto
convinta.
E Ilda sorrise, realizzando che l’amica avesse ben
compreso le preoccupazioni che albergavano nel suo animo. Le stesse che da
settimane ormai l’avevano spinta a rinchiudersi nella torre più alta della
fortezza, a consultare testi antichi che sua madre le aveva lasciato in dono,
ricordandole, in punto di morte, di servirsene.
Per fronteggiare l’inverno. L’ultimo inverno, a cui
non sarebbe seguita alcuna primavera.
La voce squillante di Flare,
seduta poco distante, rubò la Celebrante di Odino ai suoi pensieri, spingendola
a sollevare lo sguardo verso la sorella, intenta a ricamare un maglione di lana
per Cristal il Cigno.
“Sono contenta che la guerra sia finita! È tempo che
i Cavalieri depongano le armi! Da quanti anni il mondo è insanguinato da stragi
e battaglie?!”
“Fin dalla nascita, Flare!
Fin dalla sua creazione!” –Commentò amaramente Ilda, alzandosi in piedi.
“Ma sorella…” –Rispose Flare, delusa da quella cinica, ma veritiera, risposta.
“Flare… Sei molto dolce, e
tra noi due sei sempre stata la sognatrice, la ragazza che ha portato nel cuore
un sogno di pace per sé e per la Terra!” –Esclamò Ilda con voce seria,
fissandola con occhi di ghiaccio. –“Ma verrà il momento in cui dovrai
abbandonare i tuoi sogni e combattere anche tu! Verrà il giorno in cui dovrai
essere forte, più di quanto lo sei stata finora! Per difendere Midgard, Asgard e la Terra tutta!”
“Un’altra guerra?!” –Trasalì Flare.
Ma la conversazione tra le due fu interrotta dall’ingresso di Enji nel Salone del Fuoco.
“Mia signora… Perdoni
l’ora tarda…” –Mormorò il servitore di Ilda,
inginocchiandosi di fronte alla regina. –“C’è una visita per lei!”
“In questa fredda notte?! Fai passare!” –Commentò la
Celebrante di Odino, mentre Enji si rialzava, facendo
cenno alle guardie, accanto al portone d’ingresso, di farla entrare. Solo in
quel momento Ilda si accorse dello strano sguardo del suo servitore, quasi
fosse spento e a tratti incosciente, e si chiese se il momento che Flare tanto paventava non fosse già arrivato.
Sospirò, prima di posare lo sguardo sulla donna
appena entrata, una megera dalle mani avvizzite che camminava a fatica
reggendosi a un nodoso bastone di legno. Ricoperta di cenci logori, la vecchia,
che da Enji fu presentata come Thokk,
si fermò di fronte al braciere del fuoco, dall’altra parte del quale Ilda la
fissava con attenzione.
“Cosa posso fare per te, Thokk?
Vuoi forse che bagni di gioia di vivere i tuoi occhi, affinché tu possa
piangere lacrime sincere?”
Flare ed Enji
si guardarono senza capire la risposta della Celebrante di Odino, ma la donna,
che non accennava a staccarle gli occhi di dosso, parve comprenderle e scoppiò
a ridere. Di una risata lenta e acuta, a tratti isterica, intrisa di una
soddisfazione che certo non avrebbe immaginato di provare.
“Lascia che Hel si tenga
quel che ha, ha avuto o avrà! Del destino di Balder
più non mi curo! Non piansi secoli addietro, quando rischiò di morire, né
piangerò adesso!” –Rispose infine, torcendo le secche labbra in una smorfia.
–“Io sono venuta a portarti un dono, Ilda di Polaris!”
“Un dono?!” –Ripeté Ilda, con voce priva di timore
alcuno.
“Fimbulvetr, ecco cosa ti
porto! Il grande inverno!” –Sogghignò, mentre una corrente di aria gelida
soffiò improvvisa nella stanza, abbattendosi sul braciere e isterilendo le sue
fiamme. Una corrente pervasa da una potente e antica energia cosmica.
Le guardie al portone, attratte dalla confusione, si
fecero avanti, ma bastò il leggero movimento di un braccio della vecchia per
schiacciarle contro i muri, tramortendole, prima di voltarsi verso Flare, Enji e Ilda, intenti a
ripararsi con i mantelli dalla tempesta di gelo che aveva invaso il salone.
“Ah ah ah! L’inverno è arrivato! Presto il sole e la
luna cadranno e non splenderanno più stelle sull’alto cielo, solo fiamme e
ombra! I simboli del mio nuovo impero!” –Rise la vecchia, modificando il timbro
della sua voce, che da gracchiante si fece più seria e maschile,
accompagnandosi ad un mutamento delle sue forme.
“Ti aspettavo…” –Si limitò
a commentare Ilda, osservando l’uomo che adesso le si ergeva di fronte.
Alto e snello, con un volto affascinante e dai
tratti perfetti, che nel corso dei millenni molti aveva irretito soltanto con
lo sguardo, Loki, figlio dei giganti Farbauti e Laufey, porse alla
Regina di Midgard un sorriso ambiguo, come era nella
sua natura.
***
Lo stesso gelo, che Loki
aveva portato a Ilda, Balder se lo sentì nel sangue
quella notte. Si alzò dal letto, dove riposava assieme a Nanna, sua
inseparabile compagna, e camminò a piedi nudi fino alla terrazza del palazzo. Breidablik, la strada scintillante, la casa che risplendeva
da lontano, luogo perfetto per il figlio di Odino che pareva irradiare, con la
sua sola presenza, una luce di strabiliante chiarezza.
Si affacciò e abbracciò con lo sguardo l’intera
Asgard, o almeno quella parte di paradiso che i suoi occhi potevano cingere, e
capì che ciò che della sua terra aveva a lungo amato presto non sarebbe stato
più. Niente sarebbe stato più.
Lo aveva già temuto mesi addietro, dopo settimane di
sogni angoscianti, quando si era avventurato da solo nel Regno delle Nebbie,
per parlare con Hel e convincerla a desistere da ogni
impresa funesta. E adesso ne era certo come non mai.
“I segni ci sono tutti! La Profezia che tanto
abbiamo temuto è ormai realtà!” –Si disse, abbandonandosi ad un sospiro per le
tristi sorti in cui il mondo intero era ormai precipitato, divorato dai mali
che lui aveva cercato di combattere per tutta la vita, usando le armi che gli
erano proprie: la raffinatezza, il candore e il garbo, sperando che potessero
bastare per evitare agli uomini sofferenze atroci.
“Ma così non è stato! Ho fallito!”
E pensò alle guerre che avevano insanguinato il
mondo fin dalla sua creazione, guerre che negli ultimi anni erano aumentate,
non soltanto con l’incremento dell’ombra sulla Terra, ma con il maggior numero
di scontri a cui gli uomini si erano abbandonati. Scontri cruenti, scontri tra
di loro, ove gli antichi legami erano stati sciolti e i vincoli familiari erano
caduti e l’invidia, l’avidità e la brama di potere avevano trionfato. Tutte le
regole della convivenza sociale erano state violate e turpi misfatti erano
stati compiuti. Adulterio, prostituzione, anarchia morale. La depravazione del
genere umano pareva non avere fine, e Balder si
rattristò, realizzando che i mali di cui gli uomini erano vittime erano in
realtà nati da loro stessi, e cresciuti grazie all’abiezione senza limiti che
avevano dimostrato.
“Balder?!” –La calda voce
di Nanna lo rubò ai suoi pensieri, portandolo a volgere lo sguardo verso la
donna al cui fianco aveva trascorso una vita intera. Una vita piena di luce, la
stessa che aveva tentato di offrire agli uomini e agli altri Dei. Non perché
credesse di essere migliore, ma perché sperava che potesse sovrastare l’ombra
che indugiava nell’animo di ognuno di loro.
“Abbiamo tutti fallito!”
Non aggiunse altro e se ne andò, donando a Nanna
l’ultimo sorriso prima di vestirsi, indossando le sue vesti migliori, e uscire
dalla reggia di Breidablik.
Fu così che Balder lo
splendente, il più bello dei figli di Odino, andò incontro al suo destino.
Flare odiava le segrete del
castello. Cercava di evitare il più possibile quei luoghi tetri, quei luoghi
che trasudavano violenza e morte al solo posarvi lo sguardo. Aveva chiesto più
volte a Ilda di chiuderle o di destinarle ad un uso diverso, per impiegare
quelle fredde stanze come magazzini ove stivare la carne e gli altri beni
alimentari di cui d’inverno la cittadella avrebbe avuto bisogno.
Ma Ilda si era sempre rifiutata, preferendo
mantenerle in funzione, in onore ai loro antenati e alle guerre che avevano
combattuto, rischiando la vita contro gli invasori, senza temere sorte alcuna,
di prigionia o di morte che fosse. Inoltre, come dimostrato dal breve soggiorno
di Cristal il Cigno, agli albori della Guerra
dell’Anello, potevano comunque tornare utili, per ospitare aggressori da cui
Asgard avrebbe dovuto difendersi. Proprio come era accaduto anni addietro,
durante il conflitto scoppiato tra il regno e la cittadina di Iisung.
In quelle stesse segrete, che avevano visto patire e
morire coloro che avevano ardito sfidare la roccaforte degli Dei nordici, erano
stati imprigionati la Celebrante di Odino e sua sorella, assieme a due
servitori, Enji e Fiador.
Quest’ultimo, un ragazzo di diciotto anni scarsi, figlio del Conte Turin, alleato di vecchia data e fedele sostenitore del
casato di Polaris fino all’inspiegabile ribellione
messa in atto pochi mesi prima, giaceva rannicchiato in un angolo, tremando dal
freddo e dalla paura.
“Avresti potuto restarne fuori!” –Commentò Enji, riferendosi al tentativo fallito di liberare Ilda
messo in atto dal ragazzo assieme ad alcune guardie, mentre Loki
conduceva i tre prigionieri nelle segrete. Ma era bastato uno sguardo al Dio
del Nord per appiattire tutti loro contro il muro, invasi da un gelo mai
provato prima, lo stesso che adesso permeava l’intero stanzone.
“Non sarei riuscito a guardarmi di nuovo allo
specchio!” –Si limitò a rispondere il ragazzo dai riccioli scuri, reprimendo a
stento un singhiozzo. –“Già una volta sono stato troppo cieco da non vedere il
turbamento nell’animo di mio padre! Non avrei potuto rimanere inerme una
seconda volta!”
“Le tue parole ti fanno onore, giovane Fiador, ma purtroppo non ci aiutano ad uscire da questa
situazione, a dir poco, agghiacciante!” –Sospirò Enji,
prima di spostare lo sguardo sulla Regina di Midgard,
rimasta silenziosa per tutto il tempo, fin da quando Loki,
nel Salone del Fuoco, aveva piegato la sua debole resistenza, facendone una
serva obbediente. All’apparenza.
“Sorella mia… parlami!”
–Esclamò Flare, con voce strozzata dalle lacrime,
chinandosi sulla Celebrante di Odino e prendendole le mani tra le proprie. Ma
Ilda si ritrasse di scatto, scansando lo sguardo della sorella e limitandosi a
rimanere in silenzio, assorta in pensieri che Flare
non riusciva a decifrare.
La ragazza dai capelli biondi sospirò, vittima
dell’incomprensione che stava scendendo su di loro, e non poté fare a meno di
ricordare i tristi giorni della Guerra dell’Anello, quando la sorella al cui
fianco era cresciuta, e che tanto aveva ammirato per la sua saggezza e la sua
regalità, era improvvisamente cambiata, diventando un’estranea. Qualcosa di
simile a quel che Flare riteneva stesse accadendo
adesso, sia pur consapevole che Ilda fosse libera dall’influsso dell’Anello del
Nibelungo e stesse probabilmente dirigendo i suoi pensieri altrove. Sebbene la
ragazza non riuscisse a capire dove.
***
“Prega, sì! Prega pure, Ilda di Polaris!
Nient’altro ti resta nella tua sterile vita, solo un baluginare fioco di
preghiera! Ah ah ah!” –Rise soddisfatto Loki, sedendo in maniera scomposta sullo scranno che fu
della Regina di Midgard e osservando il suo volto
deformarsi nelle fiamme del braciere.
“Ridi da solo, mio Signore?!” –Esclamò una ruvida
voce d’improvviso, mentre un rumore di passi risuonò per il Salone del Fuoco.
–“Lascia che anch’io condivida la tua felicità, che, figlia della guerra, sarà
presto anche la mia!”
L’uomo appena entrato si fermò a pochi passi dal Dio
dell’Inganno, lasciando che le fiamme rischiarassero i riflessi scuri della sua
armatura. Coprente quasi interamente il suo robusto corpo, ma priva dell’elmo,
la corazza grigiastra aveva forme spigolose, con coprispalla
appuntiti, ed era ornata da un’ascia bipenne che il guerriero portava affissa
alla schiena, pronto ad impugnarla con un sol gesto.
“Ti sta bene quell’armatura!” –Commentò Loki con un sogghigno. –“Quasi quanto starebbe bene a me!
Ah ah ah!”
“Voglio chiederti scusa, per aver dubitato del tuo
piano! Ma proprio non credevo che vi fossero cinque armature custodite nelle
segrete della cittadella di Midgard! Mi chiedo a cosa
servissero, e da quanto non vengono indossate!” –Esclamò l’uomo, sfiorando la
fredda superficie del pettorale. –“Come facevi a saperlo?”
“Il mio rango di divinità significherà qualcosa, non
credi, Erik? Non solo nel trasformismo è abile Loki,
e presto Odino e gli altri Asi se ne renderanno
conto!” –Rise il Dio, prima di alzarsi in piedi e torreggiare sul suo fedele
servitore, che parve ricordare in quel momento chi aveva di fronte, accennando
un inchino piuttosto goffo. –“Tira su la schiena e spalanca le orecchie, perché
parlerò una volta sola! Mi si ghiaccia la gola ad aprir troppo la bocca! Questi
salamelecchi si addicono a viscidi alleati che tramano nell’ombra, non a
guerrieri dalle ampie spalle e dal portamento fiero, pronti a scendere in
battaglia per il loro Signore! E tu, tra tutti, sei il migliore!”
Erik annuì, senz’aggiungere altro, confortato dalle
parole del Dio dell’Inganno, al cui fianco da anni tramava in attesa del giorno
del cambiamento. Del giorno che adesso stava per sorgere.
“Situazione!”
“Tutto è pronto, mio Signore! Midgard,
priva dei sette Cavalieri del Nord, è caduta nelle nostre mani! Per quanto ben
addestrati a fronteggiare un assedio, i soldati della cittadella sono stati
sopraffatti dalla sproporzione numerica e, impossibilitati a fronteggiare
nemici dotati di cosmo, sono subito capitolati! La speme di quei pochi che
hanno avuto l’ardire di lottare a oltranza si è spenta alla notizia della
prigionia della loro regina!” –Spiegò Erik, con maliarda soddisfazione. –“I
lupi di Járnviðr, guidati da Skoll e Hati, scorazzano liberi
per le strade, sbranando chiunque tenti di sbarrare loro il passo, mentre i
Soldati di Brina controllano ogni accesso alla fortezza e Managarmr,
Drepa eBjuga stanno radunando le truppe
nel piazzale retrostante, di fronte alla vigile statua di Odino!”
“Ah ah ah! Lasciatelo guardare, il guercio! Presto
perderà anche l’ultimo occhio!” –Rise Loki,
sfregandosi le mani soddisfatto. –“Che ne è dei nostri alleati? Sono pronti
come dovrebbero essere?!”
“Nel Niflheimr faranno il loro dovere e gli Hrimthursar
ben presto marceranno su Asgard! A Muspellheimr la
situazione invece è, se così si può dire, più incandescente! I fratelli di Surtr non sono certo tipi con cui si possa intavolare una
discussione civile e molti Giganti di Fuoco sono fedeli a Odino, ma sapremo
convincerli a stare dalla parte giusta!” –Sibilò Erik, con gli occhi intrisi di
fiamme. –“La nostra!”
“Voglio ben sperarvi! Il loro ruolo è fondamentale!
Rappresentano un terzo dell’esercito del Valhalla!
Perso quello, al vecchio guercio resteranno solo gli Einherjar
e gli Asi suoi compagni, perlomeno coloro che
vorranno sporcarsi le mani! Di sicuro non i Vani, che non si scomoderanno per i
loro antichi rivali!” –Commentò Loki. –“Poveri
sciocchi! Queste contese divine ci hanno sempre favorito e ci favoriranno anche
in quest’occasione!”
“Che ne è della Regina di Midgard?
La sua testa è già pronta per ornare la sala della tua nuova reggia?!”
“Non ancora!” –Sibilò Loki,
suscitando un’immediata reazione da parte di Erik, che lo squadrò sorpreso, a
tratti indignato, alzando il tono della voce.
“Come?! La voglio morta!!! Me lo avevi promesso!”
“E morirà! Ma non adesso che mi è ancora utile!”
“Capisco!” –Mormorò Erik, cercando di ricomporsi.
–“Anzi no, in realtà! Ma hai la mia fiducia, Signore dell’Ambiguità, anche se
vorrei che almeno con me tu fossi chiaro! Ricordati che la mia ascia è sempre
pronta per recidere la sua testa, e se proverai una qualche remora, allora
aprirò io le porte di Hel per la discendente del
massacratore!”
“Nutri un forte rancore nei suoi confronti!” –Commentò
Loki, che ben conosceva i motivi di tale astio, e per
questo amava stuzzicare il guerriero al riguardo.
“Nei confronti suoi e della sua dinastia! Fu suo
padre, diciotto anni fa, a ordinare lo sterminio della mia famiglia ad Iisung! Non l’ho dimenticato anche se ero solo un dodicenne
agli inizi della pubertà!” –Ringhiò Erik, sfiorando la cicatrice che gli
tagliava l’occhio destro a metà e rivedendo nella mente immagini ben note.
Immagini di quella notte in cui la sua cittadina fu messa a ferro e fuoco dai
soldati inviati da Midgard, guidati da un uomo la cui
forza era stata tale da sovrastare persino quella di suo fratello, da lui
considerato invincibile. Fino a quel giorno.
“Avrai la tua vendetta, questo è certo! Te lo
promisi quel giorno, portandoti via dalle macerie e te lo confermo quest’oggi!
E il Buffone Divino ha una sola parola, per quanto di facce invece…
ne abbia diverse! Ah ah ah!” –Esclamò Loki, e la sua risata risuonò per tutto il castello,
invadendo sale e corridoi, in cui lupi feroci controllavano a vista i servitori
rimasti in vita, e raggiungendo le segrete, ove andò a sommarsi al gelo di cui
erano intrise, divenendo un coltello dalla lama così affilata da scuotere i
prigionieri nelle ossa.
“Aaah!!! Fateci uscire!
Liberateci!!!” –Gridò Fiador, alzandosi di scatto e
lanciandosi verso la porta. Ma venne trattenuto dalle catene che lo bloccavano
alle caviglie e ricadde a terra, sbattendo il viso sul suolo costellato di
ghiaccio.
“Calmati, Fiador!”
–Esclamò Flare. –“Siamo tutti inquieti ma lasciarci
dominare dalla disperazione non ci aiuterà! Servirà solo a peggiorare questi
momenti!”
“E come potrebbero essere peggiori?! Incatenati
nelle segrete, condannati a morire di fame, di sete e di freddo! Sempre che a
quel pazzo dalle orecchie a punta non venga in mente di tagliarci la testa!”
“Il suo nome è Loki, della
stirpe dei Giganti di Brina, e il suo potere rivaleggia con Odino, con cui nel
Mondo Antico strinse un patto di sangue, legando il proprio destino a quello
del Signore degli Asi!” –Parlò Ilda per la prima
volta, spostando lo sguardo su Fiador, a cui sembrò
di essere trafitto da mille aghi di ghiaccio. –“In quanto a chiamarlo pazzo, ci
andrei cauta con le parole, poiché il Calunniatore degli Asi
è stato definito con vari appellativi, ma mai riferendosi alla sua pazzia,
peraltro inesistente, bensì alla scaltrezza che lo contraddistingue!”
“A sentirvi parlare, mia Signora, si direbbe quasi
che lo ammiriate…” –Sbuffò Fiador,
scocciato, prima di rincantucciarsi alla bell’e meglio per ripararsi dal gelo,
sotto lo sguardo pieno di disapprovazione di Enji per
il tono con cui aveva parlato.
“In un certo senso…”
–Rifletté Ilda. –“Poiché il destino di Asgard è anche il suo! Egli è la chiave
di volta, e qualunque sorte attenda il regno degli Asi
attenderà anche Loki! Fuoco e distruzione, morte e
rinascita!”
“Le tue parole sono oscure, sorella!” –Commentò Flare, stringendosi a Ilda, prima che un rumore di passi
fuori dalla cella distraesse gli occupanti.
La porta si spalancò all’istante, lasciando entrare
un’alta figura rivestita da un mantello di piume di falco, seguita da un
plotone di guardie armate.
“Siete pronta per il vostro ultimo viaggio?!”
–Esclamò Loki, con un sorriso divertito.
“Lascia stare mia sorella! Non ti permetterò di
farle del male!” –Gridò Flare, credendo si rivolgesse
a Ilda e gettandosi contro di lui. Ma la catena che la imprigionava mozzò a metà
la sua corsa, facendola cadere goffamente in avanti, proprio tra le braccia del
Signore dell’Inganno.
“Quale onore! So bene di essere irresistibile ma non
avevo mai incontrato una donna che mi si gettava letteralmente tra le braccia!”
–Rise questi, aiutando Flare a rialzarsi.
“Cosa vuoi, Loki?” –La
voce di Ilda risuonò imperiosa, attirando gli sguardi di tutti i presenti.
–“Parla e poi vattene!”
Pur nella disagevole situazione in cui si trovava,
indebolita e tremante, priva del suo scettro e del controllo sulla sua
cittadina, la Regina di Midgard conservava tutta la
maestosità che il suo ruolo le imponeva.
Non ha sbagliato quel giorno Odino a nominarla sua
Celebrante!
Commentò il Dio dell’Inganno, osservandola affascinato e inebriato dalla sua
segreta potenza. La stessa che anch’egli sentiva albergare dentro di sé.
“Ho già quel che voglio! Le chiavi del regno!”
–Sibilò infine Loki, stringendo il polso di Flare in una ferrea stretta e facendo voltare la ragazza,
che lo fissò impaurita e confusa, mentre il Dio le si avvicinava,
solleticandole il collo con l’indice destro, fino a scendere e aprirle
leggermente la camicetta che portava sotto lo scialle.
“Flare!!!” –Gridò Ilda,
facendosi avanti ed espandendo per la prima volta il cosmo.
“Al tuo posto!” –Si limitò ad esclamare Loki, schiacciandola al muro, stritolata da scariche di
energia azzurra, che le rigarono il corpo, strappandole le vesti e ustionandole
la pelle. Anche Enji e Fiador
fecero per muoversi, per quanto limitati fossero i loro movimenti, ma bastò che
le guardie abbassassero le lance, puntandole contro di loro, per farli
desistere da ogni impresa. –“Il tuo ruolo in questa guerra è lungi da venire,
Ilda di Polaris! Non costringermi, con i tuoi gesti
avventati e per nulla utili, a cancellare la tua parte!”
“Credi di poterlo controllare, Loki?”
–Sibilò la Celebrante di Odino, affannando nel rimettersi in piedi. –“Credi di
essere davvero il direttore di questo dramma? Sei un illuso, e te ne accorgerai
presto! Il potere che vuoi scatenare è troppo grande per chiunque, persino per
un figlio della stirpe degli Jötnar!”
“Dovrei ringraziarti per
la tua premura, Regina di un regno che volge al crepuscolo? Ah ah, lo farò!
Tratterò bene tua sorella, se questo ti preme, fintantoché lei sarà gentile con
me!” –Rise Loki, prima di volgerle le spalle e
incamminarsi verso l’uscita, portando Flare con sé.
–“Perdonami se sono malfidato, ma al posto tuo sarei il primo a tentare qualche
stratagemma!” –Aggiunse, fermo sulla soglia, muovendo con destrezza le dita
della mano destra, ricamando in aria un segno stilizzato. –“In questo modo ti
sarà più difficile uscire!”
Ilda la riconobbe subito,
nella sua semplicità, una linea verticale.
Isa, o Iss, la runa di ghiaccio.
E capì che da quella prigione per il momento non
sarebbero usciti.
Anche Enji ne comprese il
significato e si affrettò a spiegarlo a Fiador, che
lo fissava sconsolato, mentre Loki si allontanava,
lasciandoli soli.
“Isa è la runa del ghiaccio, esprime conservazione e
isolamento, simboleggiando la staticità e la conservazione delle cose, nel loro
stato presente e invariabile!”
“In altre parole… siamo
murati dentro!” –Esclamò Fiador, senza nascondere il
terrore.
Enji non rispose, limitandosi a
rimettersi a sedere, come già aveva fatto Ilda di fronte a lui, immersa nei
suoi pensieri.
Potrei
sciogliere l’incantesimo che sta dietro Iss! Mia
madre, fin da bambina, mi avvicinò alla conoscenza delle rune e del loro
significato, molto più che simbolico! Ma una runa divina, da Loki intessuta, potrebbe rivelarsi difficile da sbrogliare!
E se lo facessi, sarei molto debole e i miei poteri potrebbero non bastare per…
Sospirò, ripensando alla promessa che Loki le aveva fatto, sul modo in cui avrebbe trattato sua
sorella. Avrebbe davvero voluto crederci, per il bene di Flare,
ma sapeva che sarebbe stata soltanto una sciocca, un’ingenua, a riporre fede
nel Buffone Divino.
***
Nel Niflheimr, il regno
dei morti, cadeva una fitta neve scura, che difficilmente riusciva ad aderire
al terreno, sferzato com’era da forti e gelidi venti che rendevano la
visibilità minima. Eppure, chi da tempo viveva in quelle lande buie e terribili
era comunque in grado di orientarsi nel deserto di ghiaccio, superando la Porta
di Hel, e il suo gallo guardiano, e dirigendosi verso
il cuore del regno, a Eliudhnir, l’antica Helgaror, la Casa delle Nebbie.
La tozza sagoma del palazzo, freddo di nevischio,
pareva mescolarsi con le nebbie perenni che lo avvolgevano, rendendo
difficoltoso persino trovarne l’entrata, in quel confuso ammassarsi di blocchi
di ghiaccio accatastati, o crollati l’uno sull’altro. Ma Ganglati,
il pigro, e Ganglot, la sciatta, quel giorno avevano
acceso due torce, posizionandole ai lati dell’ingresso. Un segnale per
permettere ai due uomini che stavano aspettando di non perdere tempo a girare a
vuoto attorno alla fortezza.
“Pare che quei due sgorbi abbiano una qualche
utilità!” –Esclamò una squillante voce maschile, camminando a passo deciso
nella tormenta, diretto verso l’arco di ingresso. –“Dovremo aspettare ancora prima
di darli in pasto alle serpi di Nastrond!”
“Non disprezzare i servitori della Regina di Hel! Servono la nostra stessa causa!” –Commentò una voce
più adulta, al suo fianco. –“Inoltre, è stato grazie a loro, che ti trovarono
per caso dopo che fosti sconfitto, che ho potuto salvarti quel giorno, o mi
sarei perso in quel dedalo di corridoi e tu saresti morto, sepolto dal gelo
nero che già ti stava ricoprendo!”
“Devi continuamente puntualizzare?!” –Brontolò
l’altro, giungendo infine a Fallandaforad, la soglia d’ingresso di Eliudhnir,
sotto le torce che illuminavano i loro visi maschili e le corazze dalle forme
tetre che avevano indosso.
“Ci tengo a ricordarti a chi devi la tua presenza
qui, quest’oggi, nel nuovo mondo che stiamo per far sorgere! E a chi devi
obbedienza, Megrez! A tuo padre!” –Aggiunse il
secondo uomo, varcando la soglia, seguito poi dal figlio, che non gli risparmiò
un’occhiata di sbieco.
Ganglot li stava aspettando, con
una lanterna in mano, in quello che un tempo era stato l’atrio della reggia,
ormai un vuoto stanzone dove la nebbia si era insinuata così in profondità da
ostacolare persino la respirazione. Dopo che Hel era
stata sconfitta e imprigionata da Odino, nel breve conflitto scaturito in
seguito alla cattura di Balder, pareva che l’intero Eliudhnir si fosse congelato con lei, perlomeno quel che
era rimasto dopo la distruzione chiesta dal Principe Freyr,
deciso a eliminare qualsivoglia nefasta creazione si celasse nei suoi anfratti.
“Bentrovati, oriundi
portatori di gelo!” –Tossì la rachitica voce della servitrice di Hel. –“Spero che abbiate fatto un cattivo viaggio dalla
spiaggia a qua! Cattivo sì, ih ih, proprio come me!”
“Abbastanza da indurci a trattenerci solo il
necessario per l’operazione, Ganglot! Perciò, se vuoi
fare strada…” –Esclamò il padre di Megrez, con un tono che non ammetteva repliche.
Ganglot tirò su con il naso,
sghignazzando tra sé, prima di volgere loro la schiena ingobbita e procedere
nell’interno del palazzo. Megrez la fissò per qualche
secondo, trovandola repellente, per l’aspetto da megera, per le vesti di
stracci che le coprivano il sudicio corpo, odoroso di morte e di miseria, per
le mani ossute dalle unghie nere che stringevano tremolanti la lanterna.
L’avrebbe uccisa subito, con un solo colpo di spada, non fosse stato per
l’utilità che poteva avere, assieme a quel derelitto di suo fratello, nel
guidarli per Eliudhnir.
Bofonchiò tra sé, prima di seguirli, giusto in tempo
per non perdere la luce della lanterna, che già stava venendo inghiottita dalle
tenebrose nebbie di Hel. Percorsero in silenzio i
corridoi del palazzo, passando dietro muri abbattuti e passaggi seminascosti,
scendendo di livello in livello, fino a giungere alle segrete, non molto
distante dalla stanza dove Megrez era stato sconfitto
da Cristal il Cigno.
Il ragazzo ringhiò, stringendo i pugni con rabbia,
al ricordo di quell’umiliazione che non gli dava pace, e di quel che aveva
dovuto subire in seguito, venendo salvato da suo padre, e trovandosi quindi in
debito con lui.
Vorrei essere
morto là dentro, così da non dover sottostare alla sua autorità! Sibilò, tirando
un’occhiata alla sua destra e riconoscendo lo stanzone, dal soffitto ormai
crollato, dove Hel aveva rinchiuso i Cavalieri d’Oro
di Atene.
Il padre parve comprendere i suoi pensieri e lo
apostrofò bruscamente.
“Come certo ricorderai, siamo quasi arrivati!” –E
non nascose un ghigno di perfida soddisfazione, mentre Ganglot
sollevava la lanterna, socchiudendo i suoi piccoli occhi giallognoli, per
prendere la diramazione giusta e condurre i due Megrez
alla fine del percorso.
Un’ampia corte interna, da cui un tempo si poteva
accedere anche da fuori, prima che il terreno venisse smosso e tonnellate di
neve e ghiaccio ne ricoprissero una parte, nascondendo ulteriormente la tomba
della padrona del regno.
Ganglati li attendeva proprio là,
con una lucerna in una mano e l’altra impegnata a scavarsi nel naso. Letame a cui è stata data una parvenza di
forma umana, così Megrez etichettò entrambi i
servitori della Regina di Hel, colei che aveva dato
il nome al regno su cui Odino le aveva concesso l’autorità, confinandocela per
sempre.
Colei che riposava, da un paio di mesi, all’interno
di strati di ghiaccio, dopo che i poteri congiunti di Cristal
il Cigno, Odino e Freyr l’avevano sconfitta. Megrez avrebbe voluto liberarla quel giorno, quando suo
padre lo portò via da Eliudhnir, ma era troppo debole
per farlo, e c’erano ancora troppi Einherjar in giro
per Hel, lasciati dal Dio dell’Abbondanza e della
Fertilità a sorvegliare la zona.
Chissà se
erano gli stessi che abbiamo massacrato poc’anzi! Si disse il giovane che in
un’altra vita era stato il Cavaliere di Asgard della stella Delta UrsaeMajoris, ancora ebbro del
sangue versato sul deserto di ghiaccio. Sogghignò, impugnando la spada infuocata
che Artax aveva creato tempo addietro, nella caverna
di lava, e liberando una fiamma che rischiarò l’intera corte.
Suo padre lo imitò all’istante, sebbene la spada che
portava con sé fosse una semplice, ma ben affilata, lama, e dopo un fugace
sguardo d’intesa col figlio si gettò contro la massa di ghiaccio, conficcandovi
l’arma e imprimendovi tutto il suo cosmo. Megrez
aveva già fatto altrettanto, sul lato opposto rispetto al corpo della Regina di
Hel, lasciando che le fiamme penetrassero dentro la
tomba di ghiaccio, liquefacendola in parte. Quel che bastava affinché il cosmo
di colei che vi era stata imprigionata potesse tornare ad alitare.
Ganglot e Ganglati,
rimasti a distanza di sicurezza, grugnirono soddisfatti nel vedere i due Megrez balzare indietro, armi ancora in mano, e una luce
biancastra sorgere dall’indistinta massa di fronte a loro, che esplose poco
dopo, obbligando i presenti a coprirsi gli occhi per non essere feriti dalle
schegge di ghiaccio.
Ne emerse una figura, orribile a vedersi, dal fisico
gracile, rivestita da una leggera tunica grigiastra che strascicava camminando,
coprendole i piedi scalzi e avvizziti. Il viso era deforme, diviso in una parte
umana, dai rosei tratti di donna, e in una cadaverica, simbolo del suo status
in perenne bilico tra vita e morte, tra rinascita e putrefazione.
“Bentornata tra noi, Hel,
figlia del divino Loki e della Gigantessa Angrbodhra e Regina del Niflheimr!” –Esclamò il padre di Megrez,
inginocchiandosi. Lo stesso fecero suo figlio e i due servitori, posando le
lucerne di fronte a loro, conferendo alla Dea, grazie alla luce proveniente dal
basso, un’immagine ancor più spettrale.
“Miei fidi…” –Sibilò Hel, accennando un sorriso, che a Megrez
parve più il ghigno di un teschio, tanto ingialliti erano i pochi denti che le
erano rimasti. –“La vostra fedeltà sarà ricompensata! Poco, è vero, ho dormito,
ma molto ho pensato! Siamo dunque pronti? È infine giunto il momento della
rivalsa attesa per millenni?”
“Così è!” –Commentò con voce fiera il padre di Megrez, alzandosi infine in piedi.
Hel ghignò soddisfatta, prima
di aprire le braccia e socchiudere gli occhi, caricando il suo corpo di
mortifero cosmo. Un turbine di gelo si sollevò all’istante, sferzando il
pavimento e spingendo indietro i quattro servitori, mentre i grigi capelli
della Dea parvero danzare, sibilando come serpenti. Nel palmo della sua mano
destra comparve la sua arma preferita, una scopa di saggina, con cui amava
seminare la morte. Nel palmo della sinistra comparve invece un vecchio coltello
spuntato, denominato Sultr, che la Dea fissò alla
cintura che le fermava la veste.
Quindi impugnò la scopa e la scosse, con un
movimento semicircolare, generando un’onda di energia che si abbatté sulla
parete di ghiaccio alla sua destra, crepandola in più
punti. Un secondo colpo a spazzare ed essa crollò del tutto, permettendo ai
freddi venti infernali di penetrare all’interno della cavità.
Hel rise a squarciagola,
lasciandosi inebriare da quelle correnti portatrici di gelo e morte, prima di
sollevarsi in aria e scivolare all’esterno, seguita da Megrez
e da suo padre, che, balzando agili tra i mucchi di ghiaccio crollati,
riuscirono a tenere il passo, giungendo proprio ove un tempo si ergevano le
alte mura perimetrali della Casa delle Nebbie.
“Mio padre?!” –Domandò allora la Regina di Hel.
“Sta arrivando!” –Rispose il padre di Megrez, accennando un sorriso soddisfatto per la loro
macchina organizzativa. Una sincronia perfetta. –“E non verrà solo!”
“Una riunione di famiglia?!” –Ironizzò Hel, abbandonandosi a una sonora sghignazzata. –“E sia! Da
molto non vedo i miei fratelli! Chissà se sono cresciuti…”
–E nel dir questo portò due dita alla bocca, soffiando ed emettendo un fischio
stridulo che risuonò per l’intero Niflheimr, fino ai margini estremi del deserto di ghiaccio.
Per qualche secondo non si udì rumore, soltanto
l’ululare impetuoso nel vento, ma poi a Megrez e a
suo padre parve di udire un abbaiare furioso farsi strada nel sepolcrale
silenzio delle nebbie, fino a farsi sempre più consistente, privo dei lacci che
lo avevano imprigionato fino ad allora.
“La mia cavalcatura!” –Sogghignò allora Hel, dando conferma ai sospetti che i due antichi Cavalieri
di Asgard nutrivano. –“Una regina non può certo andare in giro a piedi! Se ben
immagino il destriero su cui giungerà mio padre, non voglio essergli inferiore!
Ighighigh!”
Megrez e suo padre sogghignarono
con lei, prima di discendere dall’altra parte di quel che restava delle mura di
Eliudhnir e avviarsi verso Nastrond,
ove avrebbero mostrato alla regina i frutti della loro demoniaca e operosa
attività.
Non si voltarono verso la Casa delle Nebbie,
sollevati forse di lasciarsela finalmente alle spalle, ma se anche lo avessero
fatto difficilmente avrebbero notato due corvi neri appollaiati sulla torre più
alta, intenti ad osservare gli eventi con attenzione.
Un attimo dopo, spalancarono le ali piumate,
librandosi in aria, senza risentire delle correnti turbinanti, e si diressero
verso i confini di Hel
Huginn e Muninn,
pensiero e memoria, dovevano portare in fretta a Odino le ultime notizie.
Capitolo 4 *** Capitolo secondo: Gelo nel cuore ***
CAPITOLO SECONDO: GELO
NEL CUORE.
A Nuova Luxor non si era mai visto un freddo simile.
Per quanto i precedenti inverni non fossero stati
miti, abbandonandosi a frequenti nevicate, anche in occasione di alcuni scontri
dei Cavalieri dello Zodiaco, il termometro non era sceso in basso come
quell’anno. Proprio nei giorni in cui Pegasus e i
suoi compagni, desiderosi di riposo dopo le battaglie combattute contro Flegias, nient’altro avrebbero voluto che un po’ di tepore
domestico.
“Mi sento un pupazzo di neve!” –Commentò Pegasus, entrando a Villa Thule
assieme ad Andromeda, entrambi vestiti in maniera pesante, con un cappotto
sulle spalle e un berretto di lana in testa.
“Puoi dirlo forte!” –Disse l’amico, sfregandosi le
mani con forza, subito rinfrancato dal calore presente all’interno della
residenza. –“Hai visto quanta gente c’era a teatro? O l’interesse della nostra
società verso l’arte è aumentato all’improvviso o suppongo che molti
desiderassero solo passare una serata al caldo!”
“Non saprei, non ci ho fatto molto caso!” –Si limitò
a rispondere Pegasus, con aria sbadata.
“Per forza… Hai dormito
tutto il tempo!” –Ironizzò Andromeda, attaccando il suo cappotto ad un
appendiabiti, subito imitato dall’amico.
“Questo non è vero!” –Esclamò subito Pegasus, con aria imbronciata. –“Ho aspettato almeno la
fine del primo atto!”
Andromeda non poté trattenere una risata nel
ricordare l’espressione stupefatta, e a tratti infastidita, di molti spettatori
presenti in platea, disturbati dal russare continuo di Pegasus.
Ma in fondo se l’era cercata, invitando il meno adatto dei suoi amici a
trascorrere una serata diversa, una serata in cui aveva potuto mettere da parte
il suo ruolo di Cavaliere e protettore dell’umanità per divenire semplicemente
Andromeda, un ragazzo come tanti, con i suoi gusti e i suoi ideali.
La voce di Lady Isabel distrasse entrambi,
portandoli a volgere lo sguardo verso il piano superiore della villa, da cui
proveniva il rumore di una conversazione in corso. Si diressero in quella
direzione, invasi da una strana sensazione.
Da quando Mylock era
morto, era come se la casa stessa fosse più fredda. Certo, il burbero
maggiordomo non era la personificazione dell’allegria, ma era comunque molto
professionale e servizievole nei confronti della nipote del Duca Alman, a cui non aveva fatto mancare niente nel corso degli
anni. Anche dopo la presa di coscienza della ragazza della sua natura divina,
aveva cercato di rimanere al suo fianco, offrendole il proprio, sia pur minimo,
aiuto. E questo Isabel lo aveva sempre apprezzato.
Stavano pensando proprio a lui i due ragazzi quando
entrarono nello studio della Duchessa di Thule,
trovandola alla scrivania, intenta a parlare al videotelefono con il direttore
della compagnia petrolifera della Grande Fondazione, MrNewcomber.
“La situazione è grave, Lady Isabel! Molte navi
mercantili, dirette in Scandinavia e in Russia, si sono incagliate in ghiacciai
imprevisti nel Mar di Norvegia, e due petroliere non riescono a lasciare il
porto di Bodo! Centinaia di iceberg stanno facendo
impazzire il nostro centro di monitoraggio presso le FærØer e il suo responsabile ipotizza che presto
potremmo vederne qualcuno risalire persino il Tamigi!”
“La ringrazio per ogni informazione, Signor Newcomber! Evitiamo allarmismi ma mi tenga informata su
ogni variazione! A risentirci!” –Commentò la fanciulla dai capelli viola,
chiudendo la comunicazione e sollevando infine il preoccupato sguardo verso Pegasus e Andromeda, che si erano seduti su due poltrone di
fronte alla scrivania.
“Qualche problema?!” –Chiese subito il ragazzo dai
capelli verdi.
“Lo stesso che affligge i notiziari di questi giorni!
Le temperature sono in diminuzione in tutto il mondo, e a risentirne per prime
sono le zone a bassa latitudine, che si stanno ricoprendo di un manto di gelo!
Il Nord Europa, il Canada e la Russia settentrionale, e anche l’arcipelago
giapponese, come dimostrato da questo secondo giorno di neve!”
“Bah, prima i ghiacci si stavano sciogliendo e adesso
invece aumentano! Vorrei proprio che si decidessero a regolare l’interruttore
del frigorifero!” –Commentò Pegasus, ma Lady Isabel,
alzatasi in piedi, lo pregò di non scherzare.
“È un fenomeno serio!Non si era mai visto un freddo simile, e il
fatto di essere appena entrati in autunno mi fa disperare! E sospettare!”
–Mormorò la fanciulla, scostando le tende e lasciando vagare lo sguardo
nell’oscurità della sera, puntellata da mille fiocchi di neve che continuavano
a cadere sull’intera città.
“Cosa intendete dire, Milady? Credete che qualcuno
stia controllando l’avanzata dei ghiacci?” –Intervenne Andromeda, mentre Isabel
si voltava di scatto.
“È un’ipotesi, e in tempi come questi non mi sento
di scartarla!” –Commentò, facendo incupire i due ragazzi. –“Da giorni sento
un’energia negativa incombere su Asgard, un’ombra di gelo che non accenna a
scomparire! E non è solo l’ansia per la mancata risposta di Ilda alla mia
missiva! No, è qualcosa di più! Qualcosa di terribile sta per accadere tra quei
ghiacci eterni, e temo per la Celebrante di Odino e per il suo popolo!”
“Milady…” –Mormorò
Andromeda, osservando l’affannare profondo della Duchessa di Thule, l’angoscia di chi aveva trascorso gli ultimi giorni
a preoccuparsi per un amico lontano, senza poterlo raggiungere.
“Ritengo opportuno rientrare immediatamente ad Atene
per conferire con il Grande Mur e i Cavalieri d’Oro
al riguardo! Se i ghiacci aumenteranno ancora, vi saranno numerosi problemi
alla popolazione terrestre, che le autorità non saranno in grado di gestire al
meglio! È nostro compito non soltanto combattere fisicamente, ma anche aiutare
i bisognosi!” –Esclamò Isabel, trafficando per la stanza e riunendo alcuni
effetti personali.
“E… quando pensate di
partire?” –Balbettò Pegasus, preso un po’ alla
sprovvista da quella decisione.
“Adesso! C’è un aereo che mi attende per decollare!”
Pegasus e Andromeda si scambiarono
un’occhiata veloce, prima di annuire entrambi e alzarsi dalle poltroncine.
“Verremo con voi, Milady!”
Isabel sorrise ma non aggiunse altro, limitandosi ad
uscire dallo studio, con una valigetta in mano, subito seguita dai due ragazzi.
“Dovrò passare dalla Darsena, avvisare mia sorella
che starò fuori per… qualche giorno?!” –Rifletté Pegasus, più con se stesso che con gli altri.
“Mi dispiace, ma non ne abbiamo il tempo! Mi preme
raggiungere Atene quanto prima! Ma se preferisci restare con Patricia, non
preoccuparti, puoi sempre raggiungerci in seguito…”
–Commentò Isabel, fermandosi in cima alla scalinata dell’atrio e fissando il
ragazzo con uno sguardo ben adatto al clima di quei giorni.
Glaciale.
Era strano, si dissero entrambi, e forse anche
Andromeda, come, nonostante tutto quel che avevano vissuto insieme, nonostante
l’unione intima che c’era stata nelle loro anime, fossero adesso tornati
all’inizio. Ai primi giorni della Guerra Galattica, quando si poteva avvertire
una chiara tensione tra di loro, dovuta al carattere intraprendente di Pegasus che mal sopportava l’autorità di Isabel.
Ma adesso? Si chiese Andromeda, spostando lo sguardo dall’uno
all’altra e notando quanto si fossero raffreddati i loro rapporti. Soprattutto
dopo la sconfitta di Flegias. Perché? Cosa li frenava dall’essere quel che
erano stati per tutto quel tempo? La Dea Atena e il suo Primo Cavaliere, più
fedele di chiunque altro, più devoto di un martire alla causa.
“Non ce n’è bisogno! Sono sicuro che capirà!” –Si
limitò a rispondere Pegasus, spostando infine lo
sguardo e incamminandosi lungo la scalinata, con le mani nelle tasche dei
jeans.
Andromeda lo seguì, senza risparmiarsi
un’espressione stupita, e Isabel sospirò, realizzando di essere stata troppo
dura. Soprattutto con il ragazzo che le aveva salvato tante volte la vita.
“Lascerò detto alla cameriera di farle avere un
messaggio questa sera stessa! Non voglio che si preoccupi!” –Esclamò allora,
scendendo a sua volta le scale e ricevendo un sorriso di ringraziamento da
parte di Pegasus.
Troppo umana! Si disse, uscendo da Villa Thule,
con il vento sferzante che sollevava fiocchi di neve. L’amore mi rende
troppo umana! Si strinse nel
cappotto e salì sulla limousine che la attendeva, subito seguita da Pegasus e Andromeda. Un’ora dopo erano già in volo,
nuovamente diretti verso Atene.
***
Loki, Signore dell’Inganno,
aveva radunato parte del suo esercito nel piazzale sul retro della cittadella
di Midgard, proprio dove la Celebrante di Odino era
solita riunire il popolo, per pregare assieme e invocare la benedizione del
Signore degli Asi. Flare,
uscendo all’aperto in quella gelida notte, scortata a vista da lupi e guardie
armate, dovette stringersi nello scialle per coprirsi la gola dal vento che
aveva iniziato a soffiare, molto più freddo del giorno prima. Sgranò gli occhi,
alla vista di quella moltitudine di creature e uomini armati in mezzo alle
quali stava camminando, dovendo ammettere di non saper riconoscere una buona
metà di loro.
Sospirò, chinando il capo e costringendosi ad essere
forte, mentre seguiva l’alta figura del Buffone Divino che passava in rassegna
le sue truppe, quasi come fosse la sua dama di compagnia. Si rimproverò per non
aver prestato ascolto alle spiegazioni di sua madre, e alle lezioni della
nutrice, quando era una bambina, sulla ripartizione del mondo e sui vari popoli
che lo componevano, convinta che tali nozioni avrebbero interessato più Ilda,
la regnante, che non lei.
E invece sbagliavo! Si disse, lasciandosi
trascinare dai ricordi. Quanto ho
sbagliato! Troppo a lungo sono stata una bambina, convinta di poter rimandare
il momento in cui avrei accantonato i ninnoli d’infanzia! E cosa ho ottenuto?
Niente se non perdere tutto ciò che amavo. L’amico fraterno, la terra
d’origine, la sua casa, e sua sorella. Rabbrividì a una tale prospettiva,
stringendosi ancora di più nello scialle e accorgendosi solo allora che Loki si era fermato e la stava fissando incuriosito.
“Non lasciare che i ricordi vincano!” –Le disse,
quasi sussurrando. –“Se io li avessi lasciati fare, loro ostaggio mi avrebbero
reso, rinfacciandomi tutti gli errori del mio passato! Pur tuttavia sono qua,
quest’oggi, ad inseguire il futuro! Sii forte anche tu per fare altrettanto!”
Non aggiunse altro e volse lo sguardo verso il
comandante delle truppe disposte nel Recinto di Mezzo, che reggeva in mano una
fiaccola. Al suo fianco gli altri quattro guerrieri che aveva reclutato, a
ognuno dei quali aveva assegnato un reparto di Soldati di Brina. Un nome che Loki aveva scelto personalmente, sia per rimarcare il loro
potere, che le sue origini, fiero discendente infatti della stirpe degli Jötnar, padri dei Giganti di Brina.
“Mio Signore!” –Esclamò Erik, raddrizzandosi in
posizione militaresca. –“Siamo pronti! L’invasione di Asgard può avere inizio!”
“Eccellente!” –Commentò Loki,
strusciandosi il mento soddisfatto, senza nascondere un sorriso sardonico per
la serietà che il suo primo ufficiale pareva adesso emanare. Sapendo quanto
fosse rude e poco incline alle formalità, era divertente vederlo comportarsi
con professionalità in pubblico.
“Marceremo subito contro la fortezza di Odino?”
–Intervenne una terza voce, che Loki ben conosceva.
Quella del giovane Managarmr, che aveva allietato le
sue ultime notti, anch’egli con una torcia in mano. La sua armatura, di colore
verdastro, ricordava l’elegante silhouette di un lupo, soprattutto nell’elmo,
dotato di due rubini intagliati a forma di occhi.
“Frena il tuo ardore giovanile, lupo della luna! Non
possiamo certo presentarci tutti da Heimdall, spade
alla mano, e dirgli: Scusa, ci faresti passare su Bifrost?
Il tempo di distruggere Asgard e ce ne andiamo!” –Ironizzò Loki,
mentre Managarmr arrossiva imbarazzato, e qualcuno
alle sue spalle si abbandonava a una risata di scherno. –“No, direi che serve
un piano migliore! Per questo esisto io!” –Sibilò a denti stretti, mentre
alcuni servitori lo affiancavano, portando una pesante pelliccia, che, su
ordine diretto del Dio, porsero a Flare, aiutandola
ad indossarla.
La ragazza, un po’ stordita, li lasciò fare,
cercando di sistemare alla meno peggio i vivaci capelli e richiudendo infine la
cintura. Quando si voltò di nuovo verso Loki, si
portò una mano alla bocca, soffocando un grido. Il Dio infatti non c’era più.
Al suo posto le sorrideva invece Cristal
il Cigno, rivestito dalla sua splendida Veste Divina, le cui rifiniture d’oro
risplendevano alla luce delle torce.
“Co… cosa significa?!”
–Trovò la forza per balbettare, mentre Cristal
allungava una mano, fissandola con sguardo intenso, lo stesso sguardo di cui si
era innamorata.
“Vieni, mia Principessa! Un nuovo viaggio insieme ci
attende! Considerala la nostra… luna di miele! Ah ah ah!” –E sghignazzò così sonoramente da permettere a Flare di riprendersi dalla sorpresa e riconoscervi la voce
del Buffone Divino.
Prima che potesse dire qualsiasi cosa, venne
afferrata da un paio di guerrieri e spinta avanti, stavolta in maniera meno
dolce, fino a portarsi di fianco al falso Cristal,
che le porse il braccio, obbligandola, suo malgrado, ad accettare.
Il Dio scambiò ancora due parole con Erik, prima di
congedarsi e incamminarsi con Flare verso il limitare
dell’ampio piazzale, vicino al basamento della statua di Odino, dietro il quale
una strana confusione era in atto. Dei soldati infatti, armati di lance e
spade, stavano rivolgendo le armi verso una strana massa scura che la ragazza
inizialmente non riuscì ad identificare, a causa della scarsa luminosità. Fu
solo avvicinandosi, e udendo il suo feroce ringhiare, che Flare
realizzò che si trattava di un lupo, il più grande che avesse mai visto. Non
solo dal vero, nelle foreste ai piedi di Midgard, ma
anche nei libri illustrati di favole e leggende della biblioteca di corte.
“Non un lupo qualsiasi, mia cara!” –Aggiunse Loki, ricordandole di essere in grado di carpire i suoi
pensieri. –“Ma Skoll, fratello di Hati,
il grande lupo divoratore! Non è stupendo? Vorrei poter dire che si tratta di
un esemplare unico, ma in realtà non è così! Ah ah ah!”
–Rise il Dio, mentre l’immensa bestia scaraventava a terra alcuni soldati con
una sola zampata, sventrando i loro corpi moribondi. –“Salute a te, Skoll! Spero che tu non ti sia ingozzato troppo quest’oggi,
perché un banchetto più prelibato ti attende! Inoltre, mio bel pelo, questi
soldati mi servono! Vedi di non ammazzarne troppi!”
“Sssono contento di
vederti, Buffone Divino! I tuoi ssscagnozzi cercavano
di tenermi a bada con quelle ssspille! Aaarghaaargh, buone sssolo per pulire le mie zanne dai resssti
degli abitanti di Járnviðr!” –Parlò il
lupo, mentre Flare, inorridita, si stringeva al
braccio di Loki, osservando la spaventosa mole di
quel lupo dal pelo grigio.
?!” –Balbettò. –“La foresta che separa Midgard
dalla Valle di Cristallo, i cui tronchi sono così solidi da essere definiti
alberi di ferro? Ha ucciso i suoi abitanti?!”
Durante la trasvolata Lady Isabel si lasciò
sprofondare sulla poltroncina dell’aereo, ripensando alla conversazione avuta
quel pomeriggio nell’osservatorio, con suo nonno, il Duca Alman, che così tanto
aveva cercato nei giorni precedenti, senza riuscire a mettersi in contatto con
lui.
Dopo la distruzione del planetario, in seguito
all’incendio appiccato dal Cavaliere della Fiamma, Isabel aveva infatti deciso
di ricostruirlo, incapace di separarsi da un luogo che così tanto aveva segnato
la sua infanzia, avendovi trascorso giornate intere a parlare con il nonno e ad
osservare le stelle. Un sentimento che col tempo non si era affievolito, neppure
dopo la morte del Duca, neppure dopo la perdita delle registrazioni che aveva
lasciato alla nipote, per consigliarla anche in sua assenza.
Nonostante non potesse più vederlo realmente, Isabel
sapeva che Alman era lì, con lei, pronto ad ascoltarla. C’era qualcosa, nelle
loro anime, che li univa. Forse un dono dal cielo, forse il risultato di un
processo evolutivo durato secoli, risalente a qualche precedente incarnazione
della Dea.
Proprio di questo avevano parlato. Di quanto Isabel
stesse crescendo, di quanto Atena stesse crescendo, al punto che adesso le era
difficile tenere separate le due metà della sua persona. Il lato umano e il
lato divino, che sempre più stava prendendo il sopravvento.
Certo, vi erano ancora momenti, come nel battibecco
appena avuto con Pegasus, in cui si sentiva ancora una ragazza di diciotto
anni, con i suoi sogni e i suoi umori, ma il mutamento che stava avvenendo in
lei era innegabile, e soprattutto inarrestabile.
Iniziato con la lenta scoperta di sé, durante gli
scontri con i Cavalieri d’Oro alle Dodici Case, e proseguito nelle battaglie
sostenute ad Asgard, il suo status di Divinità si era infine imposto negli
scontri con Nettuno, Ade e Ares, che così la consideravano. Ma era stato
l’incontro con Avalon a cambiare ogni cosa, ad istigare la marea del mutamento
ad accelerare.
Fin da quando aveva sfiorato l’anello con le antiche
rune celtiche, che il Primo Saggio le aveva offerto in dono, aveva perso il
controllo della sua mente e tuttora, di frequente, accadeva che le comparissero
davanti immagini di tempi remoti. Momenti che lei stessa aveva vissuto in ere
passate, di cui aveva perso ogni memoria fino ad allora e che invece adesso
stavano ricostruendosi di fronte ai suoi occhi, frammenti di un puzzle che
stavano andando al loro posto.
Sorridendo, Atena volò con la mente indietro,
ritrovandosi bardata della sua Veste Divina a lottare a fianco del Signore
dell’Isola Sacra e di Zeus nelle terre di Britannia, per difenderle dai demoni
che volevano insozzarle. Si rivide consegnare la spada Caledwich al Cavaliere
d’Oro di Capricorn, la cui generosità aveva dato una svolta significativa a
quella guerra. Poi volò ancora più indietro, ricordando la prima Guerra Sacra
combattuta contro Ares, i massacri indicibili a cui i berseker si
abbandonarono, il sangue sparso da ambo le parti e lo scontro che seguì con il
Dio dell’Oltretomba. Fu in quell’occasione, ricordò, che Ade venne ferito per
la prima volta dal Cavaliere di Pegasus, i cui lineamenti, il cui spirito, la
cui determinazione, alla Dea non potevano che ricordare il Pegasus dell’epoca
attuale, quasi ne fosse la reincarnazione.
Sospirò, dispiaciuta per la situazione irrisolta che
si era creata tra lei e il ragazzo, e continuò a scivolare indietro, come
faceva ogni notte, quando chiudeva gli occhi abbandonandosi sul grande letto di
Villa Thule. A volte credeva che la sequenza dei suoi ricordi non fosse
casuale, che qualcuno stesse cercando di manovrarli per spingerla verso
qualcosa di ancora ignoto, qualcosa che ancora non era arrivata a recuperare
dagli abissi della memoria. All’alba dei tempi.
Che Avalon abbia anche questo potere? Si chiese la Dea, convinta
che il ruolo del Signore dell’Isola Sacra fosse ben lungi dall’essersi concluso
così, con il celere aiuto che aveva dato loro nella guerra contro Flegias. Non
riuscì a pensare altro che il sonno vinse su di lei, spingendola a chiudere gli
occhi. Prima di farlo, spostò leggermente il braccio, sfiorando la mano di
Pegasus seduto accanto a lei.
Fu Robert Brunch ad avvisarli che stavano per
arrivare.
Pegasus si stiracchiò, sbadigliando sonoramente,
mentre Isabel, ringraziato l’assistente di volo, si alzò, dirigendosi verso la
toeletta per cambiarsi d’abito. Indossava ancora l’elegante tailleur che Mylock
le aveva acquistato due anni prima, facendolo arrivare direttamente da Milano,
desideroso che la ragazza figurasse al meglio nelle occasioni pubbliche, come
una vera donna d’affari. Isabel sospirò al ricordo delle sue premure,
indossando vesti più consone al suo ruolo guida del Grande Tempio.
Era l’alba ad Atene quando il jet a reazione della
Fondazione atterrò nell’arena e, proprio com’era accaduto l’anno precedente, in
occasione della scalata delle Dodici Case, c’era qualcuno ad attendere Pegasus
e gli altri.
“Brrr, non ricordavo che l’aria greca mattutina
fosse così frizzante!” –Commentò il ragazzo, mettendo la testa fuori, prima di
scendere la rampa di scale, seguito da Andromeda e da Lady Isabel.
“Pegasuuus!” –Gridò Kiki, correndogli incontro. Non
gli diede neanche il tempo di accorgersi di chi fosse che già il ragazzino gli
era saltato in collo, abbracciandolo e strusciandogli un pugno sopra la testa.
“Ehi, piccola peste!!!” –Esclamò Pegasus, cercando
di liberarsene.
“Kiki, smettila subito! Non è il momento di giocare!”
–La voce calma ma ferma di Mur dell’Ariete rimproverò il fratello, che subito
si ricompose, prima che entrambi si inginocchiassero di fronte a Lady Isabel.
–“Bentornata al Grande Tempio, Dea Atena! La vostra venuta qui è sempre fonte
di serenità per tutti i suoi abitanti, anche se, ammetto, non era poi così
imprevista!”
“Lo immaginavo!” –Sorrise la Dea, facendo cenno a
Mur e Kiki di alzarsi, prima di incamminarsi assieme a loro verso le Dodici
Case. –“Avete percepito anche voi l’abbassarsi della temperatura terrestre?”
Mur annuì, procedendo a fianco di Atena, mentre
Kiki, dietro di loro, continuava a stuzzicare Pegasus, felice di rivederlo, e
Andromeda, silenzioso, chiudeva il gruppo.
“È stato Ioria, per primo, ad avvertire che c’era
qualcosa di strano! Avendo vissuto per anni in Grecia ha subito percepito il,
sia pur leggero, raffreddamento climatico! Dopo di che, Virgo ed io ci siamo
messi ad indagare sulle cause di un evento apparentemente inspiegabile, mentre
Libra inviava informatori in ogni parte del globo, soprattutto in Nord Europa,
per avere dati più precisi!”
“Cosa avete scoperto?” –Domandò allora Isabel. Ma
prima che Mur potesse risponderle, i due dovettero voltarsi verso Andromeda,
accasciatosi a terra con un gemito leggero, che non era però sfuggito a
Pegasus, prontamente chinatosi su di lui.
“Ehi, amico, che succede?!” –Esclamò, mentre il
ragazzo si toccava la testa.
“Sta… succedendo di nuovo…” –Si limitò a mormorare,
di fronte agli sguardi attoniti e preoccupati dei presenti. –“Una voce… un
suono lontano…”
Fu allora che tutti la udirono, sia pure non
distintamente. Una voce maschile e antica, che pareva provenire da un luogo
indefinito, parlò ai loro cosmi,
“Dea Atena! Cavalieri dello Zodiaco!”
“Questa voce…” –Mormorò Pegasus, riconoscendo il Dio
che l’anno precedente gli aveva concesso di utilizzare la sua armatura. Lo
stesso fece Atena, sebbene non l’avesse mai incontrato di persona. –“Odino!!!”
Il messaggio era chiaramente disturbato e poche
parole i Cavalieri e la Dea riuscirono a captare. Parole che però confermarono
i loro peggiori timori.
“Asgard è in pericolo! Aiutateci!”
Non aggiunse altro, il Signore degli Asi, e la sua
voce scomparve, spazzata via dal vento, mentre Andromeda finalmente si
rimetteva in piedi, aiutato da Kiki e da Pegasus.
“Era ciò che temevo!” –Commentò Atena, sospirando. E
fece cenno agli altri di riunirsi attorno a lei. Il tempo era scaduto ed era
necessario agire quanto prima.
Il cosmo della Dea avvolse i quattro compagni in un
abbraccio di luce, prima di scomparire e trasportare tutti nel salone del
Grande Sacerdote, alla Tredicesima Casa.
“Vorrei darti un’occhiata appena possibile,
Andromeda! Questa tua continua cefalea mi preoccupa!” –Esclamò Mur, con aria
greve, ottenendo un lieve cenno di assenso col capo da parte del ragazzo.
Ioria del Leone e Dohko di Libra entrarono pochi
minuti dopo, rivestiti dalle loro armature d’oro. Salutarono Pegasus e si
inginocchiarono di fronte alla Dea appena assisasi sullo scranno. Come Mur,
avevano sentito il suo cosmo avvicinarsi ed erano desiderosi di parlare con
lei.
“Il messaggio di Odino lascia poco spazio ai dubbi!”
–Esclamò il maestro di Sirio. –“Quel che sta accadendo ad Asgard influenza gli
eventi della Terra intera!”
“Lo credo anch’io! Non può essere un fatto isolato!”
–Confermò Mur. –“Niente lo è più, ormai! Ma ogni nemico affrontato ultimamente
è stato soltanto una goccia in un mare di tenebra sempre più vasto!”
“Lascia da parte la filosofia, Mur, mi sembra di
sentir parlare Virgo! Qua bisogna agire, e subito! Non ho intenzione di
ritrovarmi in una nuova glaciazione!” –Incalzò subito Pegasus. –“Ma, a
proposito, dov’è il Cavaliere di Virgo? Perché non è qua con voi?”
“Il Custode della Porta Eterna medita nella casa da
lui presieduta e ha dato espresso ordine di non essere disturbato! Sarà lui a
mettersi in contatto con noi quando avrà terminato il suo processo meditativo!”
–Spiegò Libra.
“Ma sentilo, il signorino! Cosa vuole, che gli
serviamo anche del tè?!” –Brontolò Pegasus, mentre Andromeda gli metteva una
mano su una spalla, per calmarlo.
“Mia Dea!” –Intervenne allora Ioria, rivolgendosi
direttamente ad Atena. –“Le Sacerdotesse dell’Aquila e dell’Ofiuco pattugliano
i confini del Grande Tempio e il Cavaliere dell’Unicorno, per ordine stesso di
Dohko di Libra, il più anziano Cavaliere d’Oro, e come tale insignito della
podestà temporanea di controllo sulle nostre truppe, sta radunando i soldati
semplici! Se la minaccia che ha velato il cielo di Asgard dovesse scendere su
Atene, saremo pronti ad affrontarla!
“Vogliano gli Dei che non sia il caso! Un’altra
guerra?!” –Sospirò Atena, che aveva sempre in mente le orride scene che le si
erano presentate di fronte quando, dopo la dipartita di Ares, era rientrata al
Grande Tempio, trovandolo devastato, distrutto e ridotto ad un immenso
obitorio, pregno di un fetido odore di morte. Aveva pianto, gettandosi a terra
e chiedendo perdono, sentendosi responsabile della loro morte, di fronte ai
cadaveri di Gerki, Lupo, Aspides, Leone Minore, Scorpio e di tutti i soldati
semplici. E ugualmente aveva fatto quando le salme di Shadir, Benam e Lear
erano arrivate dal Giappone.
Per quanto non fossero annoverati tra gli ottantotto
canonici Cavalieri della Dea, anche i tre ragazzi di Luxor si erano battuti per
lei, aiutando Pegasus e gli altri in più occasioni, e Atena aveva ritenuto
opportuno seppellirli nel Cimitero dei Cavalieri.
“Non ho ancora capito cosa stia succedendo ad
Asgard!” –Esclamò Pegasus, richiamando l’attenzione della Dea e dei Custodi
Dorati. –“Chi minaccia ancora la città del Nord? Non sapevo che avesse dei
nemici…”
“Le terre del Nord sono da sempre terre di guerra,
Pegasus! Per secoli, a causa della rigidità del clima, gli uomini sono stati
costretti ad essere forti. Ad esserlo per non morire, succubi della fame o
della violenza del vicino! Un popolo di guerrieri, di arditi e di eroi. Un
popolo su cui, ahimè, pesa la scure di una profezia, tramandata di generazione
in generazione, la cui sola esistenza basta per oscurarne lo splendore!”
–Spiegò Atena, mentre Libra e Mur annuivano, ben conoscendo la storia e la
cultura di Asgard. –“È chiamata Profezia della Veggente, poiché pare che
millenni addietro sia stata una donna dotata del dono della Vista a predirla a
Odino! Criptica, come tutte le profezie, ma incisiva! Nelle sue parole, in quei
versi sciolti che snocciolò con noncuranza di fronte al Signore degli Asi,
stava il cuore della civiltà di Asgard e il suo destino! Un inverno
escatologico!”
“Il destino di Asgard?!” –Mormorò Pegasus.
“La veggente profetizzò il Ragnarök! Il crepuscolo
degli Dei! La fine del mondo!” –Confessò infine Isabel, di fronte al
preoccupato sguardo dei Cavalieri d’Oro e a quello angosciato di Pegasus e
Andromeda. –“Il giorno in cui le forze dell’oscurità avrebbero sferrato il loro
massimo assalto, ponendo fine all’antico regno degli Asi!”
“Questo è terribile! Ilda, Flare, Odino… sono in
pericolo!” –Si agitò Pegasus.
“Lo so! E credo che anche loro ne siano a
conoscenza! Nessun Dio, né sacerdote preposto al suo culto, potrebbe essere
ignorare la Profezia della Veggente!”
“Cosa aspettiamo, allora?! Corriamo subito ad
Asgard! Non c’è tempo da perdere!”
“Calmati, Pegasus! Andremo ad Asgard, questo è
certo, ma non caricando a testa bassa vinceremo questa guerra su cui ben poco
sappiamo, tanto attesa e al tempo stesso tanto oscura!” –Affermò Isabel.
–“Soffro come te al pensiero di ciò che possa star accadendo a Ilda e alle
genti del nord e farò tutto ciò che è in mio potere per portare loro aiuto! Non
soltanto per ricambiare loro il favore, avendoci aiutato durante la scalata
all’Olimpo, ma anche per frenare questo torrente di gelo che sembra calare
sull’Europa intera!”
“E noi verremo con voi, Milady!” –Esclamarono due
giovani voci, mentre il portone della Sala del Grande Sacerdote si spalancava e
Sirio e Cristal ne entravano.
“Amici!!!” –Sorrisero Pegasus e Andromeda, felici di
rivederli. E subito notarono che entrambi indossavano le loro Armature Divine,
avendo probabilmente intuito che i giorni di pace erano già volti al tramonto.
“Com’è la situazione in Siberia, Cristal?” –Chiese
Atena.
“Purtroppo non ne sono al corrente, mia Dea, non
avendovi di recente dimorato!” –Rispose il biondo Cavaliere, inginocchiandosi
di fronte al trono, assieme all’amico. –“Mi trovavo ai Cinque Picchi, ospite di
Sirio e Fiore di Luna, e abbiamo percepito il forte raffreddamento climatico!
Oltre che un’oscura energia sovrastare i cieli di Asgard, un’ombra che avevo
già colto a suo tempo negli occhi stanchi della Celebrante di Odino!”
“Ilda sapeva! Temeva questo momento!” –Esclamò
Atena, alzandosi in piedi. –“E ha taciuto! Per evitarci una nuova guerra, per
evitarci di soffrire ancora! Oh Regina di Asgard, non siamo poi così diverse…”
–Sospirò, prima di voltarsi verso i Cavalieri e iniziare ad organizzare il loro
trasferimento.
“Un momento, Milady! Se già la volta scorsa ero
titubante, stavolta lo sono ancora di più! Non credo sia opportuno che voi
veniate!” –Disse Pegasus, trovando Andromeda e gli altri compagni d’accordo.
–“Se quel che ci avete narrato è vero, e l’apocalisse sta compiendosi ad
Asgard, ritengo che sia meglio che ne restiate fuori!”
“Credi che non saprei fronteggiare eventuali nemici,
Pegasus? Dovresti conoscermi, ormai!”
“Proprio perché vi conosco, so che avete una
propensione naturale a cacciarvi nei guai!” –Le rispose a tono il ragazzo,
senza staccare lo sguardo dai suoi occhi, quasi a comunicarle molte cose in
silenzio. Prima tra tutte la paura che potesse accaderle qualcosa di male.
Già una volta non ho saputo proteggerti, Isabel. Mormorò, ricordando il
dolore provato durante la Guerra Sacra, quando, ai piedi della statua di Atena,
aveva pianto di rabbia per la morte della Dea che era stato incapace di
difendere. E in un’altra occasione ho invece cercato di ucciderti. Il
rimorso di quel gesto non mi dà pace. Stammi lontana, almeno per ora, te ne
prego!
Fu una leggera brezza, provocata da uno sbatter
d’ali, a rubare Pegasus ai suoi pensieri, portandolo a volgere lo sguardo verso
la grande terrazza, verso cui anche gli occhi degli altri Cavalieri si erano
posati. Un giovane bello e affascinante, con mossi capelli castani e un viso
ben curato, entrò nella sala, rivestito dalla sua Veste Divina, di colore
celeste, con le variopinte ali piegate sulla schiena.
“Euro, Vento dell’Est!” –Esclamò sorpreso Andromeda,
riconoscendo il ragazzo che lo aveva salvato dal rito dionisiaco.
“Perdonate quest’intrusione, nobili Cavalieri,
giustificata soltanto dal motivo della mia venuta!” –Parlò il figlio di Eos,
con voce calma e raffinata, inginocchiandosi al cospetto di Atena. –“Sono qua
in veste ufficiale, come messaggero dell’Olimpo! Zeus, Signore del Fulmine e
Padre di tutti gli Dei, richiede la presenza immediata della Dea della Guerra
Giusta sul Monte Sacro, affinché possa presenziare al concilio degli Olimpi da
lui indetto!”
“Un concilio di Dei?!” –Mormorò Atena, con un certo
stupore. –“Non accadeva da secoli! Anche se, immagino, saremo in pochi!” –E
questo rafforzò le proprie convinzioni che qualcosa di terribile fosse in atto
nel mondo, se persino Zeus rinunciava al suo volontario isolazionismo riunendo
tutte le Divinità superstiti.
“Non tutto il male viene per nuocere! Sapere Lady
Isabel al sicuro, sull’Olimpo, sarà per noi un motivo in meno di
preoccupazione! Vero, amici?!” –Commentò allora Pegasus, rivolgendosi a Sirio e
agli altri compagni, a cui non sfuggì il sorriso tirato che l’amico tentava di
ostentare.
Pegasus non è mai stato abile a dissimulare i suoi
sentimenti!
Rifletté Andromeda, ricordando quanta disperazione aveva albergato nel suo
animo dopo aver sentito scomparire il cosmo di Atena durante lo scontro con
Apollo. Il momento in cui aveva davvero capito quando fosse importante per lui.
Quanto, da lei, dipendesse la sua vita.
“Dici il vero, Pegasus! Ed io accompagnerò Atena
sull’Olimpo, se la Dea desidererà la mia presenza!” –Intervenne Mur.
–“L’esperienza insegna che persino il posto più sicuro può nascondere delle
insidie! Kiki, tu preparati, porterai i Cavalieri Divini ad Asgard!”
“Sì!” –Si limitò a rispondere il ragazzo dai capelli
fulvi, sollevando lo sguardo verso i quattro amici, eccitato dall’idea di una
nuova missione assieme a loro.
Pegasus e Andromeda indossarono allora le Armature
Divine e, avvicinatisi a Sirio e Cristal, si voltarono un’ultima volta verso
Atena, che già si stava incamminando verso la terrazza, seguita da Mur e Euro.
“Siate prudenti!” –Commentò la Dea, aggredita da una
fitta improvvisa. Per un istante la invase la spiacevole sensazione che le nevi
di Asgard li avrebbero sommersi e che non li avrebbe rivisti mai più e che, in
quel caso, non avrebbe potuto dire a Pegasus tutto quel che avrebbe voluto,
quel che ormai da giorni, forse da settimane, non faceva altro che rimandare.
Proprio come faceva lui. –“Fatevi prima un quadro della situazione, poi, se necessario,
intervenite! E non esitate a mettervi in contatto con Atene e con l’Olimpo in
caso di bisogno!”
Pegasus, Andromeda, Cristal e Sirio annuirono,
mentre Kiki, in mezzo a loro, espandeva il proprio cosmo, avvolgendo gli amici
e lasciandolo esplodere poco dopo. Ma non accadde nulla e si ritrovarono alla
Tredicesima Casa, scaraventati a gambe all’aria dall’onda d’urto del
trasferimento mancato.
“Co… com’è possibile?!” –Balbettò il ragazzino,
rimettendosi in piedi e riprovando a smaterializzarsi. –“Non riesco a
teletrasportarmi… c’è una barriera… una resistenza che mi impedisce di
raggiungere Asgard!”
“Lascia che ti aiuti, Kiki!” –Esclamò allora Mur,
lasciando la terrazza e incamminandosi verso il centro della stanza. Ma una
voce imperiosa risuonò per l’intera Tredicesima Casa, chiedendo a Mur di non
preoccuparsi di suo fratello.
“Mi prenderò io cura di lui, non temere, Cavaliere
di Ariete!”
“Questa voce… Virgo?!” –Mormorò l’allievo di Shin,
riconoscendo il cosmo del Custode della Sesta Casa, ancora nel suo tempio.
“A ognuno il suo dovere, Mur! Tu adesso hai il tuo!
Ioria e Libra si occuperanno al meglio della difesa del santuario della nostra
Dea! In quanto a me, farò tutto il possibile per aiutare Kiki e il Cavaliere di
Pegasus ad arrivare ad Asgard! Abbi fede!” –Parlò il Cavaliere di Virgo, il cui
cosmo invase all’istante la Sala del Sacerdote, avvolgendo i quattro Cavalieri
Divini in un caldo abbraccio.
Kiki, sostenuto da simile inesauribile energia,
provò di nuovo, concentrando tutto se stesso in quell’operazione che tante
volte aveva ripetuto ma che adesso gli sembrava così difficile. Atena rimase ad
osservare ancora per qualche secondo, fin quando le cinque sagome non
svanirono, lasciando soltanto Ioria e Libra nel salone. Sospirò, senza chiedere
niente a Mur, prima di uscire sulla terrazza e svanire a sua volta, assieme al
Vento dell’Est e al Cavaliere d’Ariete, diretta nuovamente verso l’Olimpo.
***
Mentre Odino era intento a dipanare i dubbi che lo
avevano invaso, molti guerrieri e Asi avevano iniziato a riunirsi presso il
Valhalla, il mastodontico complesso che si stagliava, luminoso e ai più
inaccessibile, lassù nel cielo, in mezzo alle dimore degli Dei, nella vera
Asgard.
Tre uomini, rivestiti dalle armature di battaglia,
stavano camminando per i corridoi del palazzo, troppo presi dalla conversazione
da non curarsi dei magnifici arredi, realizzati con le vesti dei soldati che
avevano combattuto in guerra fino all’ultimo respiro, arredi a cui ormai
avevano fatto l’occhio, fin da quando avevano varcato una delle
cinquecentoquaranta porte del Valhalla, ascendendo al rango di Einherjar, i
campioni di Odino.
“Spero che tuo fratello si limiti ad osservare!
Conosco il suo temperamento ardito e non voglio rischiare di perderlo perché
non è riuscito a tenerlo a freno!” –Esclamò Orion, entrando assieme ai compagni
in un’ampia sala centrale, da cui dipartivano varie porte che conducevano ai
vari settori della reggia, di cui l’armeria era, al momento, la più
frequentata.
“Non temere! Alcor sa il fatto suo!” –Commentò
Mizar, prima di essere raggiunti da Freyr, il bellissimo Signore
dell’Abbondanza.
Il Dio della Fecondità era il ritratto vivente della
perfezione estetica, ammirato e desiderato da tutte le donne di Asgard, ma era
anche un potente guerriero, abile tiratore di spada e consigliere privato del
Signore degli Asi.
“Quest’attesa mi rende inquieto!” –Commentò a bassa
voce. –“L’Albero Cosmico freme fin dalle fondamenta e Ratatoskr corre impazzito
lungo il suo tronco, senza mai trovare pace! Il vento gelido che arriva da Hel
la dice lunga su quel che ci attende!”
“Sono d’accordo, mio Signore! Per questo ho chiesto
ad Alcor di scendere nel Niflheimr a investigare! Le sue abilità mimetiche gli
permetteranno di osservare senza essere visto e capire ciò che Hel sta tramando
in quegli abissi infernali!”
“Un’ottima mossa, Orion! Me ne compiaccio!” –Sorrise
Freyr, prima che una voce ruvida disturbasse i quattro, anticipando l’arrivo di
un uomo bardato di tutto punto.
“Io invece no! Chi ti ha autorizzato a prendere una
simile decisione?” –Esclamò il nuovo arrivato, piantando le robuste gambe
davanti a loro e fissando il Cavaliere del Drago Bicefalo con sguardo crudo.
–“Il fatto che tu sia l’erede di Sigfrido non fa di te Sigfrido stesso!
Ricordalo!”
“Suvvia, Tyr, in tempi oscuri come questi stai a
brontolare per simili formalità? Proprio tu che sei un guerriero puro, e dei
migliori per giunta! Dovremmo invece congratularci con lo spirito di iniziativa
che gli Einherjar dimostrano!” –Intervenne allora l’uomo giunto nel Valhalla
con Orion e Mizar.
“Umpf, Vidharr, l’Ase silenzioso! Perché non torni
al tuo silenzio? Tuo padre non ti ha insegnato a rispondere solo quando sei
interpellato?!” –Bofonchiò Tyr, scuotendo i fitti baffi scuri che scendevano a
coprirgli il labbro superiore. –“E non mi risulta che Odino abbia nominato
questo ragazzo Comandante del suo esercito!”
“Non lo ha fatto, ma ha sempre apprezzato, e
ricompensato, l’operato dei guerrieri a lui fedeli!” –Parlò allora Freyr,
suscitando l’immediata e incollerita reazione di Tyr.
“Come osi rivolgerti all’intrepido Dio della Guerra
in questo modo subdolo?! Insinui forse che io non sia fedele al Signore degli
Asi?! Tu e la tua stirpe dovreste sciacquarvi la bocca mille volte prima di
poter parlare conTýrhraustr!”
“Se persisti a offendere il consigliere del Padre
della Vittoria, da lui investito del comando in sua assenza, dovrò prendere
provvedimenti!” –Esclamò pacato Freyr, ma fece comunque avvampare il suo cosmo,
sfiorando la spada che portava alla cinta, per mostrare all’Ase la sua
risolutezza.
“Puoi aver incantato lui, bel damerino dagli occhi
verdi, ma certo non me, che al tuo fascino sono immune e non prendo ordini da
uno dei Vani!” –E nel dir questo Tyr sfoderò la spada con un movimento così lesto
che persino Orion e Mizar ebbero difficoltà a vederlo, portandola a scontrarsi
con quella che Freyr gli aveva opposto. –“Avrò pure perso una mano, ma non la
mia furia!” –Ringhiò, sollevando il braccio destro e ostentando il moncherino,
ricordo di una prova di coraggio che lo aveva segnato.
I cosmi delle due Divinità si scontrarono per
qualche secondo, chiaro e luminoso quello di Freyr, infuocato e battagliero
quello di Tyr, di fronte agli occhi stupiti di Orion e Mizar e a quelli colmi
di disapprovazione di Vidharr, finché un terzo non si intromise, incuneandosi
tra loro come un raggio di sole e placando tale ridicola controversia.
“Valorosi guerrieri, ancora vi accigliate per fatti
accaduti in un tempo così lontano da averne quasi perso memoria al punto da non
ricordare neppure chi causò l’inizio delle ostilità?!” –Una voce leggiadra
parlò con tono garbato, mentre una figura snella ed elegante entrava nella
sala, rischiarandola con la sua stessa presenza. –“Suvvia, mio buon Tyr, che
sull’isola Lyngi hai avuto il coraggio di affrontare una prova in cui
nessun’altro Dio ha ardito cimentarsi! E tu, caro Freyr, portatore di fecondità
e prosperità ovunque posi lo sguardo! Non credete sia opportuno conservare le
forze per i giorni che verranno? Giorni che forse, neppure il mio cosmo
lucente, potrà rischiarare!”
“Mio Signore…” –Commentò subito Tyr, alla vista del
Dio del Sole, placando subito il suo cosmo offensivo e rinfoderando la spada.
Freyr fece altrettanto, passando accanto al nume
della guerra, prontamente inginocchiatosi di fronte a Balder fegrsti, il
più bello dei figli di Odino, senza risparmiargli un’occhiata di sdegno. Orion
e Mizar stavano per inchinarsi a loro volta, ma Balder li pregò di non perdersi
in formalità che al momento erano fuori luogo, e che comunque non aveva mai
troppo sopportato.
“Balder! Dov’è Odino?” –Chiese subito il Dio della
Fecondità.
“Adesso siede ai piedi dell’Albero Cosmico, intento
a conversare con le Norne! È appena rientrato da Jötunheimr, dove ha incontrato il capo dei Giganti a lui
fedeli. Vorrebbero evitare di combattere contro membri della stessa stirpe
cosmica, ma se gli Hrimthursar marceranno su Asgard, come Hel potrebbe
istigarli a fare, faranno il possibile per aiutarci!” –Spiegò il Dio della
Luce, prima di rivolgersi a Tyr, che intanto si era rialzato. –“So che un tempo
vi sono state frizioni tra le stirpi divine dei nove mondi, ma quel tempo è
finito! Asi e Vani strinsero una pace, al termine di quel conflitto, sputando
saliva divina dentro un otre per suggellare tale patto! Patto tuttora in
vigore! E Freyr, che da quel giorno venne a vivere tra gli Asi, è divenuto
amico e fedele consigliere di mio Padre!”
“Le tue parole sono oneste e giuste, candido figlio
di Odino, ma i ricordi sono duri a morire! Soprattutto per chi tanto ha
sofferto!” –Commentò il Dio della Guerra, sia pur con tono meno rude.
La conversazione venne interrotta dall’apertura di
una porta laterale, dove la bella chioma di Frigg, figlia di Fjörgynn e moglie di Odino, comparve
all’istante.
“Allföðr, il Padre di Tutti, ha
richiesto la vostra presenza nella sala centrale del Valhalla, convocando
un’assemblea di tutti gli Dei e gli Einherjar a lui fedeli!”
Aiutati dal potente cosmo del Cavaliere di Virgo, Pegasus, Andromeda, Cristal, Sirio e Kiki apparvero
in un fitto bosco, non molto distante dalla terrazza panoramica dove si erano
ritrovati lo scorso anno, quando Flare aveva raccontato
loro dei cambiamenti subiti da Ilda. Ma adesso, della terrazza e del
promontorio ove Atena aveva pregato Odino affinché i ghiacci non si
sciogliessero, non era rimasto niente. Distrutti, crollati in mare durante lo
scontro tra Cristal e il Capitano dell’Ombra inviato
da Flegias per annientare Asgard e vendicarsi per
l’aiuto prestato ai Cavalieri di Atena.
“Eccoci ad Asgard!” –Commentò Andromeda.
“Brrr! Non me ne ero
accorto!” –Ironizzò Pegasus, che detestava tutto quel
freddo.
“A Midgard!” –Precisò Cristal, ricordando la definizione che indicava il regno
ove vivevano gli uomini, il Recinto di Mezzo. E tirò uno sguardo avanti a sé,
verso il luogo dove un tempo esisteva un sentiero, che correva dritto in mezzo
alla foresta, salendo i pendii e conducendo fino alla Fortezza di Midgard. Ma non vide niente, solo un cumulo indistinto di
neve, la stessa che, sia pur in forma lieve, stava cadendo su di loro.
“Dobbiamo muoverci!” –Esclamò subito Dragone. –“Ogni
minuto perso è un minuto di pericolo in più, per noi e per la Terra!” –E si
incamminò avanti, subito seguito da Kiki, che si
strusciava le braccia infreddolito, e da Pegasus e
Andromeda.
“Io non passerei dalla strada principale, però!”
–Commentò Cristal. –“Ho l’impressione che neppure
questa volta saremo i benvenuti nella città del nord!”
“Ma che stai dicendo, Cristal?
Ilda è amica di Atena, non abbiamo niente da temere!”
“Da lei no!” –Si limitò a rispondere il Cavaliere
del Cigno, fendendo l’aria con sensi acuti e respirando fin nel profondo quell’aroma
che aveva cominciato a conoscere. Quell’aroma che adesso lo faceva temere.
“Forse Cristal ha ragione,
meglio essere prudenti!” –Intervenne allora Andromeda, proponendo di seguire un
sentiero alternativo, lo stesso percorso dal ragazzo l’anno precedente,
passando dalle rovine dove aveva affrontato Mime. –“È
più disagevole, ma credo sia più sicuro, certamente meno controllato!”
Sirio e gli altri annuirono, prima che Pegasus distraesse tutti con uno starnuto.
“Il primo di una lunga serie, temo! Maledizione!”
–Brontolò, incitando gli amici a correre, in modo da scaldarsi un po’.
Andromeda fece strada, guidando gli amici nella
vecchia foresta e per sentieri poco battuti, ricoperti di neve e in parte
crollati sotto valanghe improvvise. Mime, durante il
loro scontro, gli aveva raccontato brevemente la storia di quelle rovine, quel
che restava di una fortificazione di vedetta eretta secoli addietro, con lo
scopo di controllare la vallata circostante e il passo che conduceva alla Valle
di Cristallo. Ma l’uomo a cui venne affidato l’incarico di comandare quella
testa di ponte usò i suoi poteri e la sua influenza per reclutare soldati con
cui progettava di assalire Midgard, per assumerne il
controllo, in nome di colui che lo aveva addestrato allo scopo.
Fu solo grazie all’intervento del Principe della
Valle di Cristallo, che non aveva mai visto di buon occhio quella
fortificazione così protesa verso i suoi territori, e l’aveva quindi messa
sotto sorveglianza, anche in prima persona, che il colpo di stato venne
evitato. L’allora Celebrante di Odino, quinto esponente della dinastia di Polaris, condannò il comandante traditore e coloro che si
erano a lui alleati, persino alcuni Cavalieri di Asgard, e ringraziò il
Principe della Valle di Cristallo, facendo smantellare la torre di vedetta, in
segno di riconoscenza e fiducia nei suoi confronti, e istituendo insieme un
servizio di sorveglianza dei confini comuni.
“Il Principe della Valle di Cristallo hai detto?!”
–Mormorò Cristal, correndo a fianco ad Andromeda lungo
l’irto sentiero che correva su un fianco di una montagna. –“Che fosse un
antenato di Alexer, l’uomo che ha insegnato ad Acquarius?!”
“Chiunque fosse era certamente molto potente, al
punto da poter contrastare il potere dei Guerrieri del Nord che, come ben
sappiamo, sono avversari difficili!”
“Ah, puoi dirlo forte!” –Gli andò dietro Pegasus, ricordando i duri scontri con Thor e Orion.
“Alexer non avrebbe
problemi ad affrontarli, anche tutti insieme! Ho visto di cosa è capace, ho
percepito il suo cosmo! Più vasto di qualunque energia avessi percepito fino ad
allora, pari a quella di un Dio!” –Esclamò Cristal,
prima di fermarsi e voltarsi verso la vallata, immersa nella foschia del
mattino. –“Mi chiedo dove sia adesso… È impossibile
che non sappia cosa sta accadendo!”
“Avrai tempo per guardare il panorama in un altro
momento, Cristal! Adesso lasciamo che Andromeda ci
porti fin lassù!” –Intervenne Pegasus, mentre l’amico
srotolava la catena, lanciandola verso l’alto della rupe.
“Vi aspetto in cima!” –Affermò Kiki,
scomparendo e riapparendo una trentina di metri sopra le loro teste, al margine
estremo della piattaforma rocciosa ove un tempo sorgeva la fortificazione
orientale, estesa al punto da divenire una piccola città.
Dopo pochi minuti anche Pegasus
e gli altri lo raggiunsero, guardandosi intorno con circospezione e procedendo
cauti, aiutati anche dalla scarsa luminosità della giornata. Le rovine erano
rivestite da un consistente manto di neve, al punto che molte risultavano
impossibili da vedere, ma Andromeda ricordava abbastanza bene la strada da
condurre gli amici con destrezza fino allo spiazzo dove aveva affrontato Mime, e da cui partiva un sentiero che conduceva
direttamente a palazzo.
Fu allora che la Catena di Andromeda vibrò,
segnalando la presenza di un pericolo, e i Cavalieri e Kiki
si gettarono letteralmente nella neve per nascondersi agli occhi di una
pattuglia di soldati che stava perlustrando la zona, con alcuni lupi al
seguito.
Cristal si arrischiò a sollevare la
testa, per scrutare gli uomini che stavano passando. Sconosciuti! Si disse. Non che conoscesse tutti i membri delle
truppe di Midgard, ma avendo trascorso molto tempo
nella cittadella aveva avuto la possibilità di parlare con molti di loro. E
quelli proprio non sembravano loro compagni, tanto più che indossavano
un’armatura diversa dalle protezioni tipiche dei guerrieri del Nord.
Era una corazza bluastra, simile ad una tuta
integrale, perfettamente aderente al corpo tranne sulle spalle, dove le forme
aguzze dei coprispalla puntavano verso l’esterno, e
intorno alla vita, ben difesa da una cintura a cui erano affisse alcune armi. E
le lance che stringevano in mano erano così diverse da quelle con cui era
abituato a vederli esercitarsi, ricordavano quasi la lunga canna di un facile
laser.
Per quanto non avessero fatto alcun rumore, le
guardie si fermarono, guardandosi intorno, mentre i lupi iniziarono a
ringhiare, annusando l’aria con naso da cacciatori, prima di iniziare a correre
nella loro direzione, latrando, seguiti dai soldati.
“Lo sapevo che sarebbe successo qualcosa!” –Ironizzò
Pegasus, tirando fuori la testa da un cumulo di neve
e scuotendosi per togliersene un po’ da un orecchio.
“Dobbiamo fare in fretta!” –Esclamò Sirio, balzando
in alto e evitando alcuni lupi che si erano lanciati su di lui. –“Prima che
chiamino i rinforzi!” –Aggiunse Andromeda, liberando la propria catena che
assunse subito la conformazione a tagliola, per imprigionare le bestie,
mozzando loro le gambe.
Sospirando all’udire i loro guaiti, il ragazzo si
volse allora verso i soldati che avevano già puntato le lance nella loro
direzione, liberando raggi di energia.
Avevo ragione,
allora! Si
disse Cristal, evitando un affondo di una guardia e
colpendola poi in pieno viso con un calcio a mezz’aria, scagliandola contro
un’altra. Prima che potessero rialzarsi, aveva già espanso il proprio cosmo
fermando i loro movimenti con gli Anelli
del Cigno e paralizzandoli in una gabbia di ghiaccio.
“Ecco fatto, non ci daranno altri problemi!” –Si
disse, soddisfatto, riunendosi agli amici, tutti incolumi.
“Dovremmo aver fatto abbastanza piano, non credete?
Dubito che ci abbiano sentito!” –Esclamò Andromeda, incamminandosi avanti
assieme ai compagni.
“Ne dubito anch’io!” –Disse allora una voce alle
loro spalle, sorprendendoli e facendoli voltare di scatto. –“Per questo sono
venuto a dare un’occhiata! Non tutti possiedono l’udito e l’acume di un lupo!”
“E tu chi sei?” –Esclamò Pegasus,
osservando il ragazzetto che aveva appena parlato, a cui non avrebbe dato più
di quindici anni.
Alto e magro, con un viso da adolescente sbarbato,
era rivestito da un’armatura verdastra, completa di elmo a maschera a forma di
testa di lupo, da cui spuntavano ciuffi di capelli azzurri, e aveva già
sollevato le braccia, pronto a scattare sulle prede come una fiera affamata.
“Managarmr, questo
è il mio nome! E sono il Lupo della Luna, uno dei cinque Sigtívar
che il Fabbro di Inganni ha voluto nel suo esercito!”
“Il Fabbro di Inganni?! Chi è costui? Mica sarà un
parente del Maestro di Ombre?!” –Bofonchiò Pegasus,
prima che Sirio lo colpisse con una gomitata all’addome e gli intimasse con
un’occhiataccia di congelare la sua ironia per il momento.
“Devo vietarvi di andare oltre, Cavalieri! Loki in persona mi ha ordinato di impedire a chiunque di
raggiungere la cittadella di Midgard! Soprattutto a
strani tipi che girano con luccicose armature!”
–Esclamò Managarmr, strusciandosi il mento
sospettoso.
“Beh, pensa alla tua, di corazze!” –Gridò Pegasus, scattando avanti, con l’energia cosmica attorno al
pugno destro. Managarmr era però già balzato in alto,
sorpassando il Cavaliere e puntando sui suoi amici, obbligando Andromeda a
liberare la catena, che saettò in aria, moltiplicandosi in infinite copie.
Questo non impensierì il ragazzetto, che continuò a saltare da un muro
all’altro, da un pilastro all’altro, girando attorno ai cinque compagni e
schivando abilmente gli affondi della catena.
“È veloce!” –Commentò Kiki,
incrociando le braccia al petto. –“Ma io saprei fare di meglio! Tsè!”
“Augurati di non doverlo dimostrare presto!”
–Esclamò allora Sirio, sollevando il braccio destro e poi abbassandolo di
colpo, generando un piano di energia che sfrecciò avanti, colpendo Managarmr mentre, ancora in volo, stava evitando un nuovo
assalto della Catena di Andromeda.
“Ehi!!!” –Gridò, venendo sbattuto al terra, con una
ferita fumante sul fianco sinistro.
“Non ti ho colpito con violenza, io non attacco chi
è già impegnato in uno scontro! Non è da Cavalieri!” –Commentò Sirio. –“Ma ti
avviso, lasciaci andare! Ci preme raggiungere la cittadella quanto prima! Se
vorrai accompagnarci, ne saremo lieti! In caso contrario dovrai affrontarci!”
“Per chi mi avete presto, per una guida turistica?!
I miei ordini sono precisi! Nessuno di voi giungerà a Midgard!”
–Ringhiò Managarmr, rimettendosi in piedi con un
balzo ed espandendo il suo cosmo, concentrandolo nelle braccia. –“Fuoco del Lupo e del Dragone!!!”
–Esclamò, scattando avanti, mentre centinaia, forse migliaia, di sagome di
fiere infuocate apparivano attorno a sé, sfrecciando verso i Cavalieri di
Atena.
“Non così in fretta!” –Intervenne Andromeda,
liberando l’arma scintillante, mentre Sirio e gli altri si scansavano,
schivando le zampate. –“Via, Onde del
Tuono!” –Ordinò, moltiplicando la catena in tantissime copie che trafissero
le varie sagome di lupi che Managarmr gli stava
rivolgendo contro. –“Andate, voi! Lo terrò a bada io! Poi vi raggiungerò, fossi
anche da solo!”
“Andromeda…” –Mormorò
Sirio, conscio del significato nelle parole dell’amico. Guardò Kiki e gli fece cenno di scattare dietro a Cristal e a Pegasus, che già si
erano lanciati lungo il sentiero, diretti verso la reggia.
Se vi fossero stati altri guerrieri al pari di Managarmr non avrebbero tardato a percepire lo scontro di
cosmi in atto poco distante, per questo dovevano accelerare i tempi e
raggiungere Midgard quanto prima per capire cosa
stesse succedendo.
Non riuscirono neppure ad oltrepassare il Cancello
Meridionale, fatto saltare in aria pochi mesi prima da Arge
lo Splendore, durante l’attacco portato dai Cavalieri Celesti, che dovettero
difendersi nuovamente. Una pioggia di frecce piombò su di loro, dall’alto della
torretta di guardia, obbligando Pegasus, Sirio e Cristal a scartare di lato, mentre Kiki
si difendeva creando uno scudo di energia sopra di sé.
Pegasus stava già per balzare in
aria e distruggere la torretta con un colpo solo quando Cristal
lo fermò, uscendo dal suo nascondiglio e pregandolo di non farlo.
“Attento Cristal, ti
colpiranno!” –Esclamò il ragazzo, ma il Cavaliere del Cigno parve non
prestargli ascolto, con lo sguardo sollevato verso l’alto, tentando di rivedere
la sagoma che aveva intravisto tra le feritoie. Una sagoma che conosceva.
“Cristal!” –Esclamò
infatti una voce poco dopo, mentre il breve assalto terminava.
Un gruppo di ragazzi scese in fretta dalle mura,
correndo in direzione dei Cavalieri di Atena, guidati dall’unico bardato
dall’armatura dei soldati della cittadella. Tutti gli altri indossavano infatti
rudimentali corazze di pelle e cuoio ed erano armati con archi e frecce,
pugnali e lance, e persino lacci per scagliare sassi.
“Bard!” –Esclamò il Cigno, felice di rivedere il
giovane arciere, che l’ultima volta aveva visto steso su un lettino
nell’infermeria del palazzo.
“Immaginavo che sareste venuti a salvare Asgard,
Cavalieri di Atena!” –Affermò Bard, abbracciando Cristal,
di fronte agli occhi attoniti di Pegasus che chiese
subito cosa stesse accadendo. –“Ilda è stata fatta prigioniera, così come tutti
i servitori e gli abitanti di Midgard! Quelli almeno
che sono sopravvissuti!”
“Abbiamo visto i Soldati di Brina lanciare corpi
dalle vetrate del palazzo, e molte erano guardie! Li conoscevamo perché ci
proibivano spesso di accedere all’interno della cittadella!” –Intervenne un
altro ragazzo.
“Pegasus, Sirio, Kiki, lui è Bard, l’allievo di Orion
e membro della guardia della cittadella! E questi sono i suoi compagni, gli
arcieri liberi della foresta di Midgard! Già una
volta mi hanno prestato aiuto, dimostrando il loro coraggio!”
“Che ne è di Ilda e Flare?”
–Incalzò Pegasus. –“E chi sono questi Soldati di
Brina?”
“Sono l’esercito che Loki,
Signore dell’Inganno, ha messo insieme in tutti questi anni trascorsi a tramare
nell’ombra contro Odino e che presto marcerà su Asgard, per rovesciarne
l’ordine!” –Spiegò Bard, raccontando tutto quello che avevano appreso o udito,
muovendosi di nascosto fuori e dentro la reggia, cercando di uccidere quanti
più nemici avevano potuto, senza mai esporsi troppo. –“La Regina è rinchiusa
nelle segrete, sull’altro lato del castello!”
“So dove sono!” –Disse subito Cristal.
–“Andiamo, dobbiamo liberarla!” –E scattò avanti, subito seguito da Pegasus, Sirio, Kiki, Bard e i
suoi amici, sfrecciando attraverso quel che restava dell’antico cancello e
dirigendosi verso il lato ovest.
Ma non appena girato l’angolo, incrociarono un
plotone di Soldati di Brina che stava accorrendo proprio al cancello,
richiamato dal recente tramestio, dando inizio ad un rapido scontro tra i due
gruppi.
“A terraaa!!!” –Gridò Pegasus ai compagni, evitando i fasci energetici lanciati
loro contro, prima di spiccare un balzo, aiutandosi con le ali della sua
Armatura Divina, e piombare sui nemici con il pugno teso. –“Fulmine di Pegasus!!!”
Molti caddero al primo colpo, ma altri cercarono di
riorganizzarsi e reagire, puntando le lance contro di lui.
“Dobbiamo fermarli!” –Disse allora Bard, tendendo
l’arco. –“Non devono colpirlo, non al viso quantomeno!” –E scoccò una freccia,
subito imitato dai suoi compagni, che raggiunse al collo un guerriero,
stramazzandolo a terra.
“Cosa intendi?!” –Gli si avvicinò Cristal, travolgendo alcuni Soldati di Brina con l’impeto
della sua Polvere di Diamanti.
“Non sono raggi qualunque quelli che le lance
emettono! Sono raggi congelanti! Li abbiamo visti in azione, contro le guardie
della cittadella! È stato orribile, li hanno tramutati in statue di ghiaccio e
poi le hanno distrutte! Non è rimasto niente…”
“Lo so! Certi fantasmi sono duri a morire!” –Disse Cristal, poggiandogli una mano su una spalla, ritenendo
opportuno che fossero loro, i Cavalieri, ad occuparsene. –“E in fretta anche!”
–Aggiunse, sollevando le mani al cielo e liberando poi una devastante corrente
di gelo che travolse i rimanenti seguaci di Loki,
scagliandoli in ogni direzione, avvolti dallo stesso freddo di cui si
dichiaravano portatori.
“Ben fatto, Cristal!”
–Esclamò Pegasus, riunendosi all’amico, assieme a
Sirio che aveva protetto Kiki. Ma non ci fu tempo di
parlare d’altro che già una seconda carica di Soldati di Brina si fece loro
incontro, prima di essere seguita da una terza, proveniente questa volta
dall’ingresso della fortezza, cingendoli così d’assedio.
“Beh, direi che dobbiamo procedere alla vecchia
maniera!” –Ironizzò il Primo Cavaliere di Atena, espandendo il cosmo e
lanciandosi avanti, una sfera di energia azzurra che sfrecciò in mezzo ai
nemici, distruggendo le loro linee, mentre questi invano cercavano di fermarlo,
liberando raggi congelanti in ogni direzione.
“Giù, Kiki!” –Gridò Sirio,
buttandosi sul ragazzino e spingendolo a terra, in tempo per evitare di essere
raggiunto da un fascio di energia azzurra, che lo colpì ad un’ala dell’Armatura
Divina, ricoprendola subito di uno strato di ghiaccio.
Fu allora, mentre il Cavaliere del Drago ringraziava
Efesto per aver potenziato le loro corazze con il mithril, e Kiki si rimetteva in
piedi, scuotendosi la neve di dosso, che entrambi percepirono un’oscura
presenza incombere su di loro. Un’ombra capace di ottenebrare quel poco di luce
che poteva raggiungere le terre del nord.
“Dei dell’Olimpo!!!” –Mormorò Sirio, sollevando lo
sguardo, presto imitato da Kiki, Cristal,
Bard e gli altri. Persino i Soldati di Brina sembrarono fermarsi un momento,
impressionati dalla gigantesca sagoma di un lupo comparsa sopra di loro.
Alto quasi quanto il palazzo dei Polaris
e ricoperto da una pelliccia nera, con folte striature grigie, Skoll, fratello di Hati,
concepito nel Bosco di Ferro, sogghignava alla vista delle prede che tanto
aveva atteso, con la bava che colava dagli affilati denti che suo padre, Fenrir, massimo lupo famoso, gli aveva donato.
***
Alcor non incontrò grandi
difficoltà nel raggiungere la Casa delle Nebbie.
Grazie alle indicazioni di Huginn
e Muninn, che avevano preferito accompagnarlo, si era
fatto un’idea della direzione da seguire, sebbene neanche lui si fosse
immaginato una simile desolazione. Orion lo aveva
avvisato che all’ingresso del regno di Hel avrebbe
dovuto evitare un cane gigantesco, cosparso dal sangue dei defunti che, ivi
giunti, tentavano di sottrarsi alla morte, senza mai riuscirci.
Ma della bestia infernale non aveva trovato traccia,
soltanto la catena spezzata a cui era stato legato. Facendo attenzione che non
vi fossero guardie o trabocchetti, Alcor aveva
proseguito la sua discesa nel Niflheimr,
fiancheggiando il fiume urlante, i cui flutti riecheggiavano delle grida dei
morti, e oltrepassando il ponte d’oro fino a giungere alla Porta di Hel, ultimo avamposto verso le lande dei morti.
Là abbatté il custode di tale varco, un gallo dalle
penne di ruggine, con un’unghiata così lesta da impedirgli di cantare per
avvisare dell’attacco. Se ne sbarazzò ancor più rapidamente, gettando il
cadavere nelle acque di Gyoll, che lo accolse con un
ululato straziante. Da lì in poi iniziava l’immenso deserto di ghiaccio a cui
erano destinati i morti per vecchiaia e adulterio o coloro che si erano
macchiati di turpi misfatti.
Anime prave
che non sarebbero state accolte dall’idromele delle Valchirie, bensì dal
frastornante silenzio della desolazione, né avrebbero assaggiato il delizioso
cinghiale Sæhrímnir, a differenza di noi Einherjar. A questo pensava Alcor sfrecciando sulle gelide lande avvolte da nebbia
eterna, con i corvi in volo sopra di lui. Sei occhi che si guardavano
continuamente attorno, timorosi di un agguato che però non arrivò. Fu solo
quando giunsero a Eliudhnir che iniziarono a sentire
suoni più distinti, ben diversi dal monotono stormire del vento.
Alcor si accostò alle rovine
della Casa delle Nebbie, mescolandosi alle tenebre di Hel,
e girò per qualche minuto attorno alla reggia, giungendo infine in quella che
un tempo doveva essere la corte. Là, nascosto dietro cumuli di ghiaccio
franato, osservò una vecchia conoscenza intenta a parlare con un uomo,
sorvegliati da un enorme cane, probabilmente quello che avrebbe dovuto incontrare
all’ingresso di Hel.
Orion non scherzava riguardo alle
dimensioni di questo cagnaccio! Si disse il Cavaliere, tendendo i sensi e cercando
di capire cosa stessero dicendo. Soltanto scrutando bene all’interno di quella
fitta nebbia riuscì a individuare altre sagome di fronte a Megrez.
Alte e mostruose, parevano fondersi con l’aria gelida dell’inferno.
Alcor strinse i pugni,
realizzando di aver intravisto per la prima volta un Gigante di Brina, gli Hrimthursar che Odino tanto temeva.
“Hai dunque radunato le tue truppe, possente Hrymr?” –Esclamò allora Megrez,
con voce tronfia.
“Tutta la mia stirpe è in marcia verso Asgard!”
–Commentò il sovrano degli Hrimthursar, l’unico in
grado di esprimersi in lingua corrente.
“Molto bene! Odino non si aspetterà un attacco su
più fronti, né certo immaginerà che siamo riusciti a radunare quasi tutti i
Giganti di Brina! Eppure dovrebbe temere il freddo settentrione! Ah ah ah!” –Rise Megrez, fregandosi le
mani soddisfatto. –“Andate ora! Attaccate senza avere pietà, perché gli Asi non ve ne faranno dono! Risalite l’Albero Cosmico,
congelandolo e spezzandolo! Come spezzeremo la testa del Vecchio Guercio! Ah ah
ah!”
Hrymr non aggiunse altro,
incamminandosi avanti, seguito da altre sagome deformi che neppure l’acuto
sguardo di Alcor riuscì a distinguere con sufficiente
chiarezza. Poté soltanto contarle, o quantomeno provarci, perdendo il conto ad
un certo punto, poco prima del migliaio. Rabbrividì, chiudendosi nel mantello e
riflettendo che quel che stava accadendo aveva superato le loro più fosche
previsioni. Neppure Odino si sarebbe aspettato un attacco così numeroso.
Si risollevò, convinto di aver vinto abbastanza, e
fece cenno a Huginn e Muginn
di andarsene, ma in quel momento venne investito da una raffica di vento che
turbinò attorno al suo corpo, sollevandogli il mantello e spandendo nell’aria
il suo odore. Né Megrez né suo padre vi avrebbero
prestato attenzione, non fosse stato per i latrati persistenti di Garmr, il cui naso fino aveva percepito qualcosa.
Abituato all’odore dei morti che varcavano la soglia
di Gnipahellir, la grotta della rupe, ove era stato
incatenato millenni addietro, il cane dalla gran mascella riconobbe subito una
fragranza diversa, l’aroma di un vivo, lanciandosi in direzione di Alcor.
I corvi subito si sollevarono, sfrecciando al riparo
delle mura di Eliudhnir, e Megrez
impugnò la spada, infiammandola all’istante, prima di seguire Garmr assieme a suo padre. Sulle prime non videro niente,
per quanto il latrare persistente del cane indicasse che qualcosa c’era,
qualcosa doveva pur esserci in quell’ammasso di nebbia che persino loro che vi
dimoravano avevano difficoltà a penetrare con lo sguardo.
D’un tratto Megrez
sorrise, avendo riconosciuto il cosmo del nemico.
“Che cos’abbiamo qua, Garmr?
Un topolino? O forse… un bel gattino?!” –Ghignò,
scagliando la spada infuocata avanti a sé, fino a conficcarla nel muro di
ghiaccio del palazzo, che subito avvampò, rischiarando l’intero versante e
permettendo all’ombra di Alcor di apparire sul
terreno, un istante prima che l’Einherjar decidesse
di rivelarsi. –“Che sorpresa, Alcor! Sei venuto a
trovarci? Carino da parte tua! Avresti potuto portare tuo fratello, così
avremmo potuto uccidervi assieme, di nuovo! Ahrahr!” –Rise, prima di ordinare a Garmr
di caricare.
Alcor cercò di evitare l’immonda
belva, sfrecciando di lato, per poi balzare contro le mura di Eliudhnir e darsi la spinta per scavalcarla,
approfittandone per lanciarle un’unghiata di pura energia, che lo spinse di
lato, imbestialendola ulteriormente. Non fece però in tempo ad atterrare che Megrez era già su di lui, la spada saldamente nella mano
destra, che squarciava l’oscurità dell’inferno con rapidi e continui movimenti.
Il Cavaliere della Tigre Bianca balzò di lato in
lato, sfruttando la felina agilità che gli era propria e infastidendo il
servitore di Hel, a cui strappò un borbottio nervoso,
prima di sfoderare gli affilati artigli e scheggiargli il bracciale della
corazza, poco sotto il polso, facendogli perdere la presa della spada.
“Maledetto!!!” –Ghignò Megrez,
mentre Alcor si preparava per caricarlo di nuovo,
stavolta frontalmente. Ma non riuscì a raggiungerlo che venne sollevato in aria
da un’impetuosa tempesta di gelo, da cui non poté liberarsi, per quanto si
dimenasse, venendo infine schiantato contro le mura della Reggia di Hel, che crollarono su di lui.
“Spero che vorrai scusare mio figlio…”
–Commentò l’uomo che aveva generato quella tormenta, sfruttando gli elementi
naturali dell’ambiente circostante, mentre Alcor,
boccheggiando, si liberava dei detriti. –“Ma ha la pessima abitudine di
perdersi in giochi infantili! Giochi che, alla lunga, possono essergli fatali!”
–E nel dir questo mosse il braccio destro, generando un’onda di energia gelida
che Alcor tentò di evitare scivolando di lato, ma nel
farlo si espose al rinnovato assalto di Megrez, già
su di lui con la spada in pugno.
Alcor fu abile ad evitare
l’affondo, ma una fiammata lo raggiunse comunque al fianco destro, incrinando
l’armatura e obbligandolo ad un balzo indietro. Il padre di Megrez
ne approfittò allora per dirigergli contro un nuovo attacco di energie
naturali, carico di tutta la nebbia, il vento e il gelo che Hel
potevano offrirgli.
“Io vi invoco Anime
della Natura infernale! Sterminatelo!” –Sibilò, concentrando al massimo i
propri sensi.
“Ah è tuo padre, Megrez?
Avresti potuto presentarci, non credi?!” –Ghignò Alcor,
cercando di sfuggire all’ammasso turbolento che stava piombando su di lui da
ogni direzione. –“La maleducazione si paga! Bianchi artigli della Tigreee!!!” –I
raggi di energia falciarono l’assalto del padre di Megrez,
pur senza fermarlo del tutto, e Alcor non riuscì ad
evitare di essere investito.
Era un potere strano, si disse rialzandosi, un
potere che non aveva mai affrontato. Aveva osservato spesso Megrez
nella foresta di Midgard usare i rami e le radici
degli alberi come armi, ma non gli erano mai parsi fonte di preoccupazione.
Eppure suo padre riusciva a fare qualcosa di più, a usare tutti gli elementi
della natura per convogliarli in un unico assalto. Un misto di gelo e tenebra, intriso di Hel.
Mentre stava riflettendo su una strategia per
neutralizzare tale infida tecnica, Alcor sentì il
fiato di Garmr farsi più vicino e la sagoma del cane
infernale lanciarsi su di lui, con l’enorme mascella desiderosa di stringerlo e
strappargli le budella. Per evitarlo, si lasciò scivolare sul terreno
ghiacciato, sfrecciandogli proprio tra le zampe e colpendole con i suoi artigli
affilati, sì che sangue sprizzasse fuori e anch’esso provasse lo stesso tormento
cui aveva destinato gli occupanti di Hel.
“La corsa finisce…”
–Esclamò Megrez, che, avendo notato i movimenti
rapidi del Cavaliere, si era subito portato sull’altro lato del cane,
piombandogli addosso con la spada tesa e colpendolo di nuovo dove lo aveva raggiunto
in precedenza. –“…così!”
Suo padre approfittò di quell’attimo per fermare i
movimenti di Alcor con un turbine di gelo e nebbie,
dando tempo al figlio di caricare il suo colpo segreto.
“Teca viola
dell’ametista!” –Gridò Megrez, intrappolando il corpo
di Alcor in un rozzo feretro violaceo, senza perdersi
la smorfia sul suo viso, distorta in quello che pareva quasi un urlo di guerra.
–“Ce l’avrei fatta anche senza il tuo intervento!” –Aggiunse infine, voltandosi
verso suo padre. –“Perché ti sei intromesso?”
“Non hai ascoltato quel che ho detto al Cavaliere
della Tigre? A forza di giocare con il fuoco si rimane scottati! Dovresti
saperlo dato che sei stato così vicino a realizzare la profezia del Libro del
Destino e poi ti sei lasciato sfuggire la vittoria di mano, cadendo vittima di
uno dei tuoi stessi trucchi!”
“Hai poco da criticare tu che sei andato incontro a
medesima sconfitta!” –Ringhiò Megrez, prima che suo
padre si avvicinasse e lo fissasse con occhi iniettati di sangue.
“Ma dove sono morto io nessun’uomo era mai giunto! Anche se solo per un attimo,
posso gloriarmi di aver messo piede ad Avalon!”
Capitolo 7 *** Capitolo quinto: Il lamento di Loki ***
CAPITOLO QUINTO: IL LAMENTO DI
LOKI.
Flare e Loki,
sotto le mentite spoglie di Cristal, non ebbero alcun
problema ad attraversare Asgard, e tutti quei sorrisi che il Buffone Divino era
costretto a fingere, rivolgendosi a chi gli andava incontro o si fermava a
salutare la coppia, gli venivano spontanei. Gli salivano dal profondo del
cuore, pensando all’inganno di cui quegli ignari guerrieri o Dei minori erano
vittime e alla realizzazione del suo meticoloso piano, messo in atto in lunghi
secoli di esilio dalla città degli Asi.
Aveva dimenticato quanto fosse divertente assumere
l’identità di qualcun’altro, mutando non soltanto i tratti estetici ma anche la
voce, che sapeva assumere l’adatta melodiosità, e i gesti caratteriali,
rendendo praticamente impossibile distinguere un falso dalla sua versione
reale. Persino Flare, che all’aroma di Cristal e alla sensazione di sentirlo al suo fianco era
abituata, spesso era colta dal dubbio, spesso provava agitazione al pensiero
che l’uomo a braccetto del quale stava camminando per le trafficate vie del
regno degli Asi fosse così identico a colui che
amava.
La ragazza sorrise, mentre Loki
dettava il passo, e capì che di Cristal era davvero
innamorata, per quanto qualche dubbio l’avesse ultimamente invasa, dubbio che
le aveva fatto ripensare a Artax, l’amico con cui era
cresciuta, il fratello che non aveva avuto e con cui aveva trascorso l’infanzia
e l’adolescenza. Felice, come aveva saputo farla essere fino alla Guerra
dell’Anello.
In quel momento tutto era cambiato, loro erano
cambiati, ed erano cresciuti, avevano fronteggiato le loro responsabilità. Lei
come Principessa di un regno soggiogato da una volontà aliena, lui come
Cavaliere di una Regina di cui non aveva saputo riconoscere il male e a cui era
rimasto fedele fino alla morte.
Sospirò, mentre Loki, che
certamente stava leggendo i suoi pensieri, la condusse fino al ponte che
passava sul fiume Thund, al di là del quale si
innalzavano le altissime mura del Valhalla. E fu
allora che l’astuto Dio capì di non poter procedere oltre.
Tutte quei soldati di fronte alla Porta Principale e
quegli stendardi che sventolavano dalle finestre in alto, ognuno con sopra
ricamato un simbolo, quello della Divinità presente, fecero comprendere a Loki che Odino si era già mosso, convocando un’assemblea di
tutti gli Asi, e che entrare a palazzo in quel
momento avrebbe significato non uscirne più. Non perché temesse di essere
riconosciuto, da quei cialtroni guerrieri che tante volte aveva ingannato nel
corso dei secoli, con i travestimenti più disparati, ma perché lo avrebbero
certamente voluto con loro, al loro fianco, a discutere dei preparativi di
guerra, a chiedergli rinforzi da Atene, ad elaborare altre mille strategie,
facendogli così perdere tempo prezioso.
Heimdall era rientrato a Himinbjörg, per continuare la sua
missione di vedetta, ma Loki era certo che non
sarebbe passato molto tempo prima che qualcuno, se non un messaggero dello
stesso guardiano di Bifrost, avesse informato Odino
della presenza della Principessa di Midgard e del
Cavaliere di Atena ad Asgard, sebbene la confusione di quel giorno avrebbe
potuto fargli guadagnare minuti preziosi.
“Maledizione!” –Commentò, fermandosi sotto l’ampio
portico di un palazzo e trascinando Flare nell’ombra
con sé. –“Non possiamo entrare all’interno del Valhalla!
Questo significa che non possiamo scendere in Hel
passando da Yggdrasill, la cui prima radice sorge nel
giardino sul retro della fortezza! Ma non mi scoraggio, l’importante era per me
rientrare in Asgard, da qui proseguiremo in un modo diverso!” –E nel dir questo
deformò i tratti del suo viso e del corpo, divenendo una signora di mezza età,
la schiena ricoperta da un lungo mantello grigio. Ordinò a Flare
di coprirsi la testa con lo scialle e si avviò assieme a lei nella direzione
opposta del Valhalla, mescolandosi alla folla di
persone che brulicava nella città.
Camminarono per quasi un’ora, lasciandosi alle
spalle le sontuose residenze degli Dei del Nord, che Flare
aveva solo parzialmente visitato nei suoi soggiorni precedenti, prima di
raggiungere le propaggini di un prato che discendeva verso valle. Là, Loki mutò di nuovo il suo aspetto, assumendo quello di una
possente aquila, dal magnifico piumaggio argenteo, intimando Flare di salirgli sul dorso.
“Mira i poteri del manto di piume che rubai a Frigg! Lei lo usava per svolazzare in giro, magari per
controllare che il guercio non fosse intento a esigere dalle Valchirie servizi
diversi da quelli che gli spettavano! Ma io lo destinerò a scopi più elevati,
scopi di conquista!” –Le disse ridendo. –“Ma non temere! Non ti lascerò cadere!
Sebbene il tuo compito sia giunto a termine, avendomi fatto entrare all’interno
di Asgard, provo simpatia nei tuoi confronti, per cui ti concederò di vedere
mio figlio!”
“Tuo… figlio?!” –Balbettò Flare, montando sulla schiena dell’aquila, che subito
spalancò le ali, sollevandosi in cielo e volando verso l’ingresso di Hel.
“Uno dei tre che ebbi dalla Gigantessa Angrbodhra! Sono stato capace di amare e unirmi a molte
creature, Principessa, sebbene possa sembrarti strano, perchè
l’amore e la passione sono sentimenti che vanno al di là del pudore e del
sentire comune! Comunque, gli Asi invidiosi diffusero
voci secondo cui un grande male sarebbe scaturito dai fanciulli, spingendo
Odino a gettarli in angoli diversi dei nove mondi, separandomi da loro!”
–Disse, iniziando a scendere di quota.
Ai margini di Asgard, molto più in basso rispetto
alla fortezza imponente che persino da lontano emanava un acceso bagliore, tra
dirupi e voragini era accuratamente celata una caverna profonda, un baratro che
molti avevano definito Ginnungagap, in riferimento
all’abisso primordiale esistente prima della formazione della Terra. La
fessura, stretta e ostile alle visite, era custodita a vista dal cane
infernale, Garmr.
Loki, entrandovi, non fu troppo
sorpreso di non trovarlo lì, intento a sbranare qualche morto, e la catena
spezzata gli fece capire che anch’egli era stato liberato. E presto non sarà più solo! Sibilò, sfrecciando all’interno del
Regno degli Inferi.
Flare rabbrividì all’istante,
alla vista di quel paesaggio desolato e terribile, e ricordò la descrizione che
Cristal le aveva fatto di ritorno dalla sua breve
avventura con Orion e Artax.
Un immenso nulla. Una descrizione calzante,
ironizzò la ragazza.
“Non esserne così sicura!” –Parlò allora Loki. –“La morfologia di Hel è
variegata, per quanto all’apparenza non possa sembrare! Ci sono montagne e
caverne, laghi e fiumi, e persino una spiaggia!” –Aggiunse, sbattendo sempre
più le ali, per quanto ostacolato dall’imperterrito soffiare del vento.
Arrivarono infine in un lago sotterraneo, che si
estendeva cupo e silente al di sotto del deserto di ghiaccio, in un luogo così
profondo e oscuro che Flare temette quasi non
esistesse, se non nei suoi incubi peggiori. Al centro del lago, che la ragazza
apprese si chiamava Amsvartnit, sorgeva un’isola con
nient’altro se non una collina di erbacce, da cui provenivano lamenti
angosciosi, simili all’ululare uggioso del vento che spazzava le distese di Hel.
“Eccoci dunque!” –Esclamò Loki,
atterrando ai margini dell’isola Lyngi, poco distante
dalle nere acque, su cui Flare si specchiò,
osservando la nuova trasformazione di Loki, quella
con cui il Buffone Divino riprendeva possesso delle sue forme perfette. –“La
mia vendetta quest’oggi troverà compimento!”
“Ti prego, no!” –Gridò allora Flare,
afferrandolo per un braccio e obbligandolo a voltarsi verso di lei, stupito da
un ardore che non sospettava possedesse. Neanche lei lo immaginava, ma sapeva di
non poter far altro in quel momento, da sola, ai confini del mondo, con la
Divinità più infida e potente che avesse mai incontrato. Così lo fissò e
pianse, tenendogli le mani tra le proprie. –“Ti prego, Loki,
ascoltami! Ferma questa pazzia, ferma questa guerra! A cosa porterà? Ad altro
dolore e morte!”
“Credi che non lo sappia?” –Affermò il Dio,
impassibile.
“E allora perché? A che giova insistere e
distruggere un regno e tutti i suoi abitanti? Arde davvero così tanto in te la
brama di gloria, la voglia di ricchezza?!”
“Gloria e ricchezza?! È questo a cui credi io
miri?!” –Sibilò Loki, ritirando le proprie mani. –“Se
così è, Flare di Polaris,
non hai capito niente di me, e meriti una morte atroce, la stessa che
infliggerò agli Asi che tanto veneri e alla
Celebrante tua sorella!”
“Se non è il potere che ti spinge, allora cosa?
Spiegamelo perché ci terrei a capire cosa può essere così forte da ottenebrare
una mente geniale come la tua, volgendola al male!”
“Mente geniale, dici il vero, ma mente che mai gli Asi hanno apprezzato! Deriso mi hanno per millenni,
schernito per le mie perversioni sessuali, per i miei poteri di trasformismo,
che mi permettevano, a mio piacimento, di essere tutto o niente! Non sono mai
stato forte come Vidharr, né abile in battaglia come Tyr, né puro come Balder! Ma ero
astuto e intelligente, e ho cercato di fare di questo dono la mia forza!”
–Raccontò Loki, prima di fissare Flare
negli occhi. –“Ho cercato anche di mettere i miei poteri al servizio degli Asi, che non hanno esitato a servirsene ogni qualvolta ci
fosse da risolvere un problema così delicato che solo la malia di Loki poteva averne ragione! E come mi hanno ricompensato?!
Con questo!!!” –Ringhiò, strappandosi le vesti e mostrando il suo corpo per
com’era realmente. Muscoloso, senza dubbio, ma anche solcato da segni che a Flare parvero inizialmente cicatrici, resti di frustate a
cui doveva essere stato sottoposto.
“Oh no, sono molto di peggio! Sono la vergogna degli
Asi e il motivo della mia vendetta!” –Avvampò Loki. –“Vendetta!!! È questo che cerco! Riscatto per
l’umiliazione che gli Asi mi hanno inflitto, in
quella caverna!”
“Quale caverna? Cos’è accaduto Loki?”
“Davvero tu non sai, dolce Principessa dai morbidi
capelli? Ah ah, strumento innocente nelle loro mani allora sei! Poiché tutti
conoscono la punizione di Loki, i cui segni tuttora
porto sul corpo e sul viso!” –Esclamò, avvicinandosi alla ragazza che vide come
le strisce che aveva notato sul suo petto fossero presenti anche sul volto.
–“Non le avevi viste, me lo immagino! I miei poteri le nascondono, e continuerò
a celarle finché avrò una stilla di vita! Le detesto, ma al tempo stesso mi
ricordano la mia missione, la vendetta contro Odino che ho deciso di perseguire
e che porterò a termine, unendo tutti coloro che dagli Asi
sono stati feriti o umiliati almeno una volta! I morti confinati in Hel, che non hanno mai ammirato lo splendore del Valhalla, destinati a bere urina di capra dai demoni
infernali! I miei figli, che come me hanno incontrato un macabro destino! I
Giganti di Brina e di Fuoco, dagli Asi sempre
combattuti e temuti, per la loro deformità!
Vedi, piccola Flare, gli
Dei a cui sei devota hanno avuto il brutto vizio di temere, fin dalla
creazione, tutto ciò che non sono riusciti a comprendere, tutto ciò che poteva
rivolgersi loro contro! Per questo si sono fatti la guerra tra di loro, per
lunghi secoli, fino a capire che non ne sarebbero usciti se non con la
distruzione reciproca, di Asi e di Vani! Così hanno
stabilito una pace, non perché la volessero, bada bene, non perché ci tenessero
ma perché era necessaria per la conservazione delle stirpi! E poi danno a me
del buffone, quando loro per primi non hanno capito i valori che dovrebbero
essere alla base della convivenza sociale! Quale ironia!”
“Le tue parole ideali cozzano però con i tuoi
comportamenti, Loki! Non ti avrebbero cacciato da
Asgard se tu non avessi continuamente tentato di sovvertire l’ordine!”
“È vero, l’ho fatto! Ma credi che gli altri Dei
siano perfetti? Ooh, sono ben lungi dall’esserlo! Tra
loro si celano assassini e violenti, sodomiti e peccatori! Quanti morti Odino e
Tyr hanno causato? Quante vite hanno reciso, di
uomini, giganti o altri Dei con cui erano in disaccordo? E a quale passione si
sono abbandonati Freyr e sua sorella Freya, nati da un rapporto ugualmente incestuoso di Njörðr, Signore dei Venti? Ma, su tutte le loro colpe, come hanno osato ridurmi
così???” –Strillò, con tutta la voce che aveva in corpo, ghiacciando Flare che non osava più fiatare, impressionata dal repentino
cambio di umore del Dio dell’Inganno.
“Tentai di uccidere Balder
millenni addietro, non lo nego! Perché in una profezia veniva indicato come
l’uomo della rinascita, la chiave di volta che avrebbe impedito il compiersi
del Ragnarök, processo a cui è stata volta tutta la mia esistenza! Fallii, ma gli Asi non mi perdonarono! Imprigionato, privato dei miei
poteri grazie alle rune che mi diressero contro, mi portarono in una caverna
come questa, da qualche parte negli sconfinati abissi del Niflheimr
e mi torturarono, per il piacere di vedermi agonizzare! Uccisero due miei
figli, davanti ai miei occhi, e mi legarono con le loro budella! In questo
modo, mi disse Odino, avrei provato quel che prova un genitore a perdere un
figlio! Poi mi misero un serpente sul capo, in modo che il veleno uscisse dalla bestia e cadesse sul mio
volto, infiammandomi l’intero corpo e portandomi pian piano alla pazzia! E,
ammetto, ci stavo quasi per diventare pazzo!
Abbandonato nei recessi dell’inferno, intriso di veleno e morte,
rimasi da solo per secoli, senza nessuno che venisse a farmi visita. Nemmeno
Odino scese mai, nemmeno lui che avrei creduto mi avrebbe perdonato. Poi un
giorno, o forse una notte, non saprei dirlo perché persi il computo dei giorni
vivendo in una tenebra continua, un’ombra si palesò di fronte ai miei occhi,
uccidendo il serpente e disintegrando le catene che mi tenevano prigioniero
alla lastra di pietra. Crollai a terra, inerme, e lì rimasi per qualche ora e
quando trovai infine la forza per rialzarmi l’ombra era ancora là e aveva
assunto la forma di un uomo rivestito da un’armatura scarlatta. Senza tanti
preamboli, mi disse che sapeva chi fossi e che voleva che tornassi a vivere
perché il mio ruolo nell’universo era lontano dall’essersi compiuto.
“Tu sei Loki, il Signore dell’Ambiguità,
non un debole Dio qualunque e quella che io ti offro è la strada per la tua
vendetta!” Non aggiunse altro e se ne andò, lasciandomi in mano quel che mi
permise di rimettermi in forze, curando le ferite e la mia pelle, la cui perfezione
era ormai stata violata. Una pietra nera, la stessa che mi permetterà adesso di
liberare mio figlio!” –Gridò, mostrando il palmo della mano destra, ove una
pietra scura, quasi un frammento di notte, riluceva sinistra, emanando una luce
di tenebra che avvolse prontamente Loki.
“Fenrir!!!” –Esclamò allora il
Calunniatore degli Asi, presto destinato a divenire
il Castigatore degli stessi. –“Svegliati!”
Fu allora che la terra tremò e le acque del lago sotterraneo si
mossero, mentre quella che Flare aveva creduto fosse
una collina spoglia si sollevò, apparendo ancora più grande di come le era
sembrata. Inorridita, la Principessa notò le zampe dell’immensa bestia
allungarsi e il muso prendere forma, e solo in quel momento comprese che
l’ululato che aveva udito all’inizio, l’ululato che imperversava in tutto
l’inferno, non era dovuto al vento, ma alla sofferenza e alla rabbia della
creatura.
“Principessa di Midgard, ti presento mio
figlio Fenrir, il lupo più immenso che abbia mai
calcato le terre di Asgard! Quella spada che vedi piantata tra le sue mascelle
è un regalo degli Asi tuoi amici, per obbligarlo a
tenere la bocca aperta, impedendogli di sbranare qualche incauto viaggiatore!
Come se fossero molti i viaggiatori che sono venuti a fargli visita! E questo
lago, il cui livello delle acque mi pare decisamente aumentato dalla mia ultima
visita, è stato formato dalla saliva di Fenrir,
accumulata in millenni di prigionia! Misero destino ti è toccato, vero, figlio
mio?” –Esclamò Loki, mentre il lupo si agitava,
scuotendo le zampe, fissate con una catena magica forgiata dai nani nelle loro
montagne e intrisa degli incantesimi delle rune degli Asi.
Una catena che Loki, alla sua prima visita, non ebbe
la forza per distruggere, dovendo rimandare la liberazione del figlio,
aspettando un momento più opportuno per la rimpatriata di tutte le forze del
male.
“E quel momento è adesso!” –Sibilò, espandendo il proprio cosmo,
che saturò l’aria della caverna sotterranea, mentre migliaia di folgori si
attorcigliavano attorno al suo corpo, concentrandosi sul braccio, teso avanti a
sé. Una tempesta di fulmini si abbatté su Gleipnir,
il laccio forgiato dai nani, mandandolo in frantumi, e ugualmente fecero con i
massi a cui la catena era fissata e con la spada che Fenrir
aveva in gola.
Finalmente libero, l’immenso lupo ululò, scuotendo il Niflheimr dalle fondamenta. Nessuno poté sfuggire a quel
suono, a lungo atteso e al tempo stesso temuto. Megrez
e suo padre, intenti a curare le rifiniture di Naglfar,
nella baia di Nastrond, o Hel
e i suoi servitori, nella Casa delle Nebbie, o Hrymr
e i Giganti di Brina, intenti a marciare verso le radici del Frassino Cosmico.
Persino Alcor, imprigionato nella teca di ametista,
lo percepì, e avrebbe tremato se avesse potuto.
“Föðr…Padre…” –Esclamò
Fenrir, fissando il Dio dall’alto, con i suoi intensi
occhi rossi. –“Cibo…” –Aggiunse, subito dopo.
“Ooh, sì sì, è
naturale che tu sia affamato figlio mio! Non ti dico quanti chili ho perso io
in secoli di prigionia, o forse millenni? Non ricordo, quel che è certo è che
la mia linea ne ha guadagnato!” –Ironizzò Loki, prima
di voltarsi verso Flare, silenziosa e tremante
accanto a lui. –“È giunta l’ora di restituire il favore agli Asi! Ah ah ah!” –Ridacchiò,
sollevando la ragazza e portandola al centro dell’isola, mentre Fenrir si sgranchiva le gambe, prima di balzar fuori,
distruggendo una parte del soffitto della caverna. –“Ammira la tua nuova casa,
Principessa di Midgard! È un po’ spoglia, ma è
ariosa!” –E la avvolse in quel che restava di Gleipnir,
fissandola sotto alcuni massi.
“Loki!!! Non puoi lasciarmi qui! Loki!!!” –Gridò Flare, in
lacrime. –“Hai promesso a Ilda! Hai promesso a mia sorella!”
“Le ho promesso che non ti avrei fatto del male, e puoi forse dire che ti ho
picchiato, violentato o massacrato selvaggiamente?” –Ironizzò il Dio. –“Sei
stata fortunata, ragazza mia, più di quanto ti aspettassi! Avevo pensato di
ucciderti appena entrati in Asgard e gettare il tuo corpo in fiamme all’interno
del Valhalla, come biglietto da visita per Odino, ma
poi ho cambiato idea! Mi sarebbe dispiaciuto rovinare le tue belle cuffiette!
Ah ah ah! Da Odino invece mi presenterò con un
diverso biglietto d’ingresso! Addio, Principessa, possa il tuo essere un regno
lungo e felice! Ah ah!”
Non aggiunse altro e se ne andò, uscendo dalla caverna e
raggiungendo Fenrir all’esterno, che chinò la testa,
permettendo al padre di salirvi sopra per poi mettersi a cavalcioni su di essa,
prima di dargli l’ordine che da tempi immemori attendeva.
“Alla conquista di Asgard, figlio mio! Heim!
Verso casa! La nostra nuova casa!”
***
Ilda era rannicchiata nella prigione del palazzo dei Polaris, immobile nel suo silenzio fin da quando Loki ve li aveva condotti. Enji
camminava avanti e indietro per la stanza, per scaldare le gambe e non cadere
vittima del freddo, osservando Fiador, seduto poco
distante, tremare alacremente, certo che sarebbe diventato pazzo, incapace di
sopportare ulteriormente quella tensione.
“Mia Signora!” –Esclamò infatti il ragazzo poco dopo. –“Mia
Signora vi prego, fate qualcosa! Voi dovete fare qualcosa, siete l’unica qua… che ha il potere!”
“È ben poco il potere in mio possesso, giovane Fiador,
e quel poco l’ho sempre usato per il benessere della nostra città, per pregare
Odino affinché alleviasse le nostre condizioni di vita, rendendo sopportabile
l’esistenza in quest’angolo di mondo! Cosa posso fare, adesso? Di fronte ad un
potere così grande da non essere compreso neppure da chi ha contribuito a
scatenarlo?!” –Disse la Celebrante, con voce triste.
“Potete liberarci! Vi prego, fatelo! Spezzate queste catene,
abbattete la porta e andiamocene! Al vostro cosmo lucente le guardie non
potranno opporsi!”
“No, non potrebbero!” –Mormorò Ilda. –“Ma non lo farò! Non ha
alcun senso, ora! Se anche riuscissimo ad uscire da questa segreta, dove
andremmo? L’intero castello è occupato dai servitori di Loki
e percepisco orribili creature aggirarsi nei dintorni! È forse più sicuro per
noi rimanere qua dentro che balzare nelle loro fauci! Inoltre…”
–E nel dir questo il suo volto si incupì ulteriormente. –“Flare
è nelle mani di Loki e, per quanto abbia la sua
parola, non mi fido affatto del Grande Ingannatore!”
“Ma Regina!!!” –La implorò quasi Fiador,
prima che la voce di Enji sovrastasse la propria,
intimandogli di non disturbare ancora la meditazione della Celebrante.
“Umpf, forse mio padre non aveva poi
così torto quando sollevò gli altri nobili contro di voi! Se tutto quel che
sapete fare è rinchiudervi in un’inutile preghiera, di ben poco aiuto siete
alla causa della libertà di Asgard!” –Bofonchiò il ragazzo.
“Ci sono valori più importanti, Fiador,
che forse oggi sei troppo giovane per comprendere, cause ben più grandi
rispetto alla nostra, sia pur degna, esistenza!” –Parlò Ilda, con tono pacato,
senza curarsi delle crude parole ricevute.
“E cosa può esserci di più importante della nostra vita?”
“La vita dell’intera umanità!” –Esclamò la Regina di Polaris, zittendo il giovane. Quindi fece per riprendere la
sua meditazione, ma un rumore la distrasse, un insieme di rumori provenienti
dall’esterno, simili ad uno scontro in corso. Sulle prime sussultò, temendo che
i Soldati di Brina si fossero abbandonati a indicibili massacrati verso le
guardie della cittadella. Ma il clangore non accennava a diminuire, anzi si
stava facendo persistentemente vicino, e questo le strappò un sorriso, certa
che il messaggio che aveva inviato tramite il cosmo era invero giunto a
destinazione.
Fuori dalla cittadella infatti, nell’ampio spazio che si estendeva
tra la prima cinta fortificata di mura e la seconda, corrispondente al palazzo
vero e proprio, Pegasus, Sirio e Cristal,
assieme a Kiki, Bard e ai giovani arcieri di Midgard, stavano tentando di fronteggiare i Soldati di
Brina, che a centinaia si erano riversati su di loro.
A ben vedere, si disse Pegasus, non
erano poi così tanti, né sarebbero stati un problema, non fosse stato per
l’immenso lupo dalle fauci spalancate che si ergeva su di loro, muovendo le
zampe per artigliarli. Skoll, figlio di Fenrir, generato all’ombra della Foresta di Ferro,
motivo per cui, si diceva, le sue ossa e i suoi artigli fossero resistenti al
punto da essere indistruttibili.
Leggenda o meno, non ci
tengo ad appurarla!
Mormorò il Cavaliere, rotolando sul terreno per evitare una zampata del lupo e
al tempo stesso cercare di schivare i raggi congelanti dei Soldati di Brina. Così non va, c’è troppo caos! Rifletté,
osservando gli amici che, al pari suo, dovevano lottare su più fronti
contemporaneamente, difendendosi da ogni lato.
“Kiki! A me!” –Esclamò, presto raggiunto
dal fratello di Mur. –“Noi ci occuperemo di Skoll… Tu, piuttosto, vedi quel torrione? Ilda non se la
prenderà se ristrutturiamo un po’…”
Kiki annuì, comprendendo il piano dell’amico, che si pose di
fronte a lui, per proteggerlo dagli attacchi dei Soldati di Brina, scatenando
la furia devastante del Fulmine di Pegasus che raggiunse una decina di loro. Il giovane
apprendista, nel frattempo, bruciò il proprio cosmo, di color verde acqua,
concentrando i sensi sulla torre sporgente che svettava sul palazzo sopra di
loro. Li concentrò sempre più intensamente, stabilendo un contatto con la
materia, un’unione che gli permetteva di assumerne il controllo, e spostarla,
come Mur gli aveva insegnato negli anni.
“Restare sempre in contatto con ciò che si vuol muovere è la base
della telecinesi!” –Amava ripetergli. E Kiki aveva
ben imparato, anche se inizialmente non aveva saputo trovare miglior
applicazione ai suoi poteri che scagliare qualche pietra addosso ai malcapitati
che raggiungevano lo Jamir. Proprio come era successo
a Sirio.
Sorrise, pensando a quanto tempo era passato da allora, non troppo
in verità, neppure due anni, ma in quel periodo tutti erano cresciuti. Anche
lui. E ora era il momento di dimostrarlo.
“Uuuh…” –Mormorò Kiki,
sforzando al massimo i suoi sensi fino a far scricchiolare la costruzione. In
quel momento Sirio e Cristal si lanciarono contro Skoll, liberando i loro attacchi congiunti e spingendolo
proprio contro le mura interne della cittadella, su cui la bestia si abbatté
guaendo.
Molti soldati nemici vennero schiacciati dalla sua massa, altri
tentarono di fuggire, ma subito le frecce di Bard e dei suoi amici, e i pugni
lucenti di Pegasus si abbatterono su di loro. Fu in
quell’attimo che Kiki sradicò letteralmente la torre
di guardia, abbattendola su tutti loro, sommergendoli sotto tonnellate di
macerie, prima di accasciarsi sfinito, di fronte allo sguardo soddisfatto degli
amici.
“Bel lavoro, ciuffino!” –Gli disse Pegasus, scombinandogli i capelli.
“Attentiii!!!” –La voce di
Bard li distrasse all’istante, mentre Skoll si
rimetteva in piedi, stordito ma soprattutto arrabbiato. Aveva voluto giocare
con loro, credendo si trattasse di semplici soldati, bocconcini con cui amava
divertirsi, squartandoli, prima di masticarne i resti. Invece erano dotati di
poteri cosmici della stessa matrice di Loki e degli Asi che tanto odiava, poteri in grado di ferire la sua
pelle corazzata.
“Ssstolti! In quesssto modo mi togliete il divertimento, ma non
l’appetito!” –Sibilò, prima di scattare contro di loro, ad una velocità così
elevata che Pegasus e gli altri non credevano quel
colosso potesse tenere.
Si abbatté su Sirio e Cristal,
gettandoli a terra, prima di dirigersi verso Bard e i suoi compagni, che invano
tentarono di fermarlo con le loro frecce, che non riuscirono neppure a
scalfirlo. Skoll fu su di loro, schiacciandone alcuni
e afferrandone altri con le mascelle, squartandoli in un sol boccone, di fronte
agli occhi inorriditi di Bard.
“Ma… maledetto mostro!!!”
–Ringhiò l’allievo di Orion, trattenendo le lacrime e
incoccando una nuova freccia. La riconobbe al tatto, era la freccia d’oro, dono
del suo maestro. La freccia che Orion gli aveva
regalato, raccomandandogli di usarla in un’occasione importante, per difendere
tutto ciò in cui credeva. –“E quel giorno è adesso!” –Si disse, spostando con
un soffio i capelli che gli cadevano sulla fronte.
“Aspetta!” –Intervenne allora Cristal,
rimessosi prontamente in piedi. –“Mira agli occhi! Ti dirò io quando tirare!”
–Non aggiunse altro e sfrecciò via, scivolando sul terreno ghiacciato, fino a
portarsi sotto l’immensa bestia.
Sirio e Pegasus lo
guardarono attoniti, comprendendo quel che volesse fare, e corsero di fronte a Skoll, per attirare la sua attenzione. Kiki
usò i suoi poteri telecinetici per scagliare contro il collo della bestia un
nugolo di lance e spade dei soldati abbattuti, facendola ringhiare
ulteriormente e sollevarsi verso il cielo. Fu allora che Cristal
le afferrò le zampe posteriori, o meglio le afferrò dei ciuffi di pelo, essendo
troppo vasta la distanza tra i suoi arti da non poterli toccare entrambi
contemporaneamente. Ma fu sufficiente per sprigionare il suo potere congelante
e rivestire il grigio manto di Skoll di un resistente
strato di ghiaccio.
“Che ssstai facendo,
bocconcino?!” –Ringhiò il lupo, chinando la testa e realizzando, con orrore, di
non poter muovere le zampe posteriori. Adirato, si liberò di Cristal con un colpo di coda, ma il ragazzo fu abile a
sfruttarne la spinta, afferrandovisi e balzando via,
accanto a Bard, che allora scoccò la sua freccia d’oro.
Mancò l’occhio del lupo, che si agitava frenetico,
ma lo raggiunse comunque all’orecchio sinistro, strappandogli un grido di
dolore. Sirio, vedendo che i compagni stavano recuperando il controllo della
situazione, chiese allora a Bard di portarlo alle segrete, in modo da liberare
Ilda. Il ragazzo annuì e, radunati i cinque compagni che gli erano rimasti,
sfrecciò via con il Cavaliere e Kiki.
“Bene, gattone! Sembra sia arrivata la tua ora!”
–Esclamò Pegasus con baldanza, ergendosi ai piedi di Skoll, con il pugno rilucente di energia cosmica.
“Credi. Ma non sssai!” –Si
limitò a commentare il figlio di Fenrir, con un
ghigno astuto, prima di chinare il capo e alitare in faccia al ragazzo quel che
in realtà non era un semplice soffio ma una vera e propria corrente d’aria
gelida che lo spinse indietro, facendolo ruzzolare al suolo. –“In una creatura
primordiale quale io sssono, non può che risssiedere lo ssstessso potere
della mia civiltà infernale! Un gelo sssconfinato!”
“E allora è con il gelo che ti sconfiggeremo!”
–Intervenne Cristal baldanzoso, espandendo il proprio
cosmo. Pegasus si rialzò per fare altrettanto ma in
quel momento un gruppo di Soldati di Brina, ripresisi dallo stordimento del
crollo della torre, si rimise in piedi, lanciandosi contro di lui ad armi
spianate.
“Non c’è modo di riposare un istante! Siete proprio
noiosi!” –Bofonchiò il ragazzo, scattando di lato, mentre un fascio di energia
congelante lo raggiungeva a un piede, facendogli perdere l’equilibrio. L’Armatura
Divina resse bene, ma a Pegasus sembrò di sentirla
più fredda al contatto e tremò al pensiero di non averla avuta indosso. –“Dal
momento che non mi piace ripetermi, lo dirò una volta sola! Fulmine di Pegasus!!!”
–Gridò, sfrecciando in mezzo ai nemici, falciati dalla sua pioggia di stelle
cadenti.
Cristal, nel frattempo, aveva
espanso il proprio potere glaciante, dirigendo una
massa di energia contro Skoll, che aveva cercato di
opporvisi generando correnti gelide con il fiato, facendo sì che i due poteri
si scontrassero, congelando tutto quel che stava attorno. Pietre, detriti, armi
e lance, persino i corpi dei soldati vennero inghiottiti da un globo di energia
azzurra che esplose poco dopo, spingendo Cristal
indietro di qualche metro.
Skoll approfittò di quel momento
per scuotersi con forza, tirando i muscoli del corpo e sradicando le zampe
posteriori da terra, distruggendo parte del ghiaccio con cui erano bloccate.
Non s’avvide però, intento com’era a tener lo sguardo sul Cavaliere del Cigno,
di un fascio di energia dorata che gli illuminò il collo, forandolo e facendo
schizzar fuori spruzzi di sangue venefico. Un secondo gli mozzò la coda, mentre
un secco colpo di lama gli falciava alcune unghie di una zampa, strappandogli
immani grida di dolore.
Fece per muoversi verso coloro che lo avevano appena
ferito, ma dovette coprirsi gli occhi, accecato dallo straordinario bagliore
che le loro armature emettevano, una luce così intensa a cui, avendo vissuto
per secoli nelle tenebre del gelo, non era abituato.
“Salve ragazzi!” –Esclamò allora una delicata voce
femminile, mentre la luminosità attorno al suo corpo scemava di intensità,
permettendo a Cristal e a Pegasus
di riconoscere le aggraziate forme di Reis
di Lighthouse, Cavaliere di Luce. –“Spero che non
vi dispiaccia se ci siamo presentati senza invito, ma Jonathan, sapete come
sono i maschi, adora le feste!” –Sorrise, indicando il compagno alla sua
destra, con lo Scettro d’Oro puntato verso il volto di Skoll.
“Reis! Jonathan!”
–Balbettò Pegasus a quell’inaspettata apparizione.
–“Felicissimi di vedervi! Ma… che ci fate qua?!”
“Il Signore dell’Isola Sacra ci ha ordinato di
portarvi aiuto, Cavalieri di Atena! Non è solo Asgard ad essere interessata da
questa guerra, ma l’intera Terra sta volgendo verso il crepuscolo!”
Spesso la
storia si ripete, pensava Andromeda liberando le guizzanti catene, che saettarono
nell’aria per contrastare il nuovo assalto che Managarmr,
guerriero del Lupo della Luna, gli aveva rivolto contro. Da una decina di
minuti i due si stavano affrontando, proprio tra le rovine della torre di
guardia dove l’anno precedente il ragazzo aveva duellato con Mime. E ancora una volta Andromeda era costretto a
fronteggiare un avversario che a stento poteva definire tale.
Per quanto infatti a lui ostile, Managarmr
era un ragazzino, di quindici anni scarsi, che lottava più per fedeltà a chi
gli aveva donato l’armatura, per sentirsene degno, che non per reale
convinzione alla causa. Il suo cosmo, Andromeda poteva sentirlo, non era
affatto oscuro, ma questo non gli impediva di scatenare attacchi rapidi e
selvaggi, simili al fugace balzo di una fiera che s’abbatte sulla preda.
“Fuoco del Lupo e del Dragone!”
–Tuonò il guerriero, portando avanti il pugno destro, mentre migliaia di sagome
di energia, simili a fiere stilizzate, saturavano l’aria mattutina, obbligando
Andromeda a scagliare la catena, per trapassarle tutte.
Dopo tre attacchi che Managarmr
aveva portato, il discepolo di Albione aveva capito il suo trucco, che gli
permetteva di sdoppiarsi in molteplici copie, concentrando il grosso del cosmo
in una di esse e infondendone una stilla alle altre, che servivano soltanto a
distrarre l’avversario. Ma certo non avrebbe immaginato che questi avrebbe
disposto dell’arma più utile per vanificare la sua tecnica.
“Catena di
Andromeda, trova il nemico!” –Gridò il ragazzo, mentre la punta a triangolo
squarciava le varie forme di lupo, facendole quasi evaporare all’istante. Solo
una rimase, poco distante dal fianco destro, e su essa Andromeda scatenò tutta
la furia delle catene, convinto di aver individuato il servitore di Loki. Ma, con sorpresa e delusione, dovette accorgersi,
quando la sagoma di energia svanì, che la catena aveva trapassato una colonna
di pietra.
“Uh?!” –Si chiese come fosse possibile che la sua
arma avesse potuto sbagliare in maniera così grossolana, tanto più contro
qualcuno che percepiva come un nemico.
“E infatti non ha sbagliato, Andromeda!” –Lo
richiamò una voce giovanile, prima che un pugno dal basso lo obbligasse a
balzare indietro, venendo raggiunto solo di striscio dall’onda d’urto
generatasi. –“Ma è stata troppo lenta! Troppo lenta per afferrare l’agile lupo
della luna, raggiungendo solo la mia immagine residua!”
“Non vantarti troppo, ragazzino! La modestia è
spesso l’arma migliore in battaglia!” –Esclamò Andromeda, spingendolo indietro
con un’onda di energia, che Managarmr seppe in parte
evitare, saltando di lato, atterrando sulle braccia e dandosi la spinta per
balzare in cima ad un muro diroccato.
“Non mi vanto, dico il vero! Che son agile e desto,
al punto che fino ad ora la tua infallibile, e devo dire meravigliosa, catena
non mi ha mai afferrato! Sguscio via in fretta dalla sua presa, e devo farlo o
ne sarei stritolato!”
“Potresti evitare tale sorte, se tu vorresti, Managarmr! Perché io non sono qua per lottare con te, ma
per raggiungere la cittadella e aiutare chi mi è caro!” –Disse Andromeda,
sperando di convincere il ragazzo a desistere.
“Che tu lo voglia o meno dovrai affrontarmi, Cavaliere!
Questo è il mio compito, la ragione per cui Loki mi
ha investito dell’armatura, e a lui devo obbedienza!”
“Loki?! Vuoi dire il
leggendario Dio dell’Inganno che a lungo ha tramato per rovesciare Odino?! È
lui che ha scatenato quest’ondata di freddo improvvisa?”
“Quest’inverno prodigioso è chiamato Fimbulvetr, perché è molto più rigido del solito, come
fossero tre inverni sovrapposti! Ma a questo clima di neve, ghiaccio e vento
dovrai abituarti, perché impererà su tutta la Terra dopo che Loki avrà scalzato Odino dal trono di Hliðskjálf
e sostituito i suoi Einherjar con noi, i valenti Sigtívar, gli Dei di Vittoria, che hanno ricevuto in dono
le corazze proibite di Asgard!”
“Quali corazze?! Non sapevo ve ne fossero altre oltre
alle sette indossate da Orion e dagli altri
Cavalieri! Una per ogni stella dell’Orsa Maggiore!”
“Quello fu un tardivo abbinamento, Cavaliere! Non
sei abbastanza informato sulla storia del nostro popolo!” –Ironizzò Managarmr. –“Altrimenti sapresti che millenni addietro,
poco dopo la costruzione della fortezza di Midgard, Loki aveva già tentato di prenderne possesso! Invidioso che
Odino avesse un avamposto nel reame degli uomini, da lui sempre considerato
terreno fertile per i suoi scopi, in virtù delle innate debolezze che dominano
il cuore umano, si ingegnò per occuparla, in modo da farne una testa di ponte
nella guerra che in futuro lo avrebbe opposto ad Asgard! Così irretì quattro
uomini, spingendoli a fare domanda per entrare nella guardia della cittadella,
e poi si unì loro, sotto mentite spoglie, approfittandone per carpire
informazioni che potessero tornargli utili! Aveva seguito, da lontano, la
costruzione della reggia, simile ai grandi complessi fortificati che dominano
Asgard, e aveva capito fin da subito che un attacco frontale sarebbe stato
inefficace, ma un assalto dall’interno, quello era invece possibile!”
“Ed era in perfetto stile di Loki!
Viscido e ingannatore!”
“Se così ti piace vederlo! Io lo considero astuto!
Così facendo avrebbe potuto conquistare Midgard senza
sprecare forze e, soprattutto, senza attirare l’attenzione scomoda di Odino e
degli Asi! Chi avrebbe potuto, degli uomini mortali,
opporsi al potere di cinque guerrieri dotati di cosmo, uno dei quali era in
realtà un Dio?! Inoltre all’epoca i rapporti con gli altri culti erano
inesistenti! Atena, Zeus, l’Olimpo, miraggi lontani, niente di più! Gli uomini
del Recinto di Mezzo erano soli!”
“Perché usi il condizionale? L’ingegnoso piano del
tuo mentore fallì?”
“Ahimé, due fattori il mio
Signore aveva sottovalutato, per quanto ben li conoscesse! La determinazione,
che a volte permette a persone di infima levatura di compiere miracoli,
elevandosi e divenendo eroi, e la debolezza intrinseca nel cuore degli uomini,
che spinge molti di loro a continui voltafaccia! Proprio uno dei quattro
compagni infatti lo tradì, avvisando il conestabile del tentato colpo di stato
e permettendo ad alcuni esponenti della famiglia reale di salvarsi dal massacro
scatenato dagli altri! Odino in persona, avvisato di un simile crimine, comparve
e uccise tre dei guerrieri traditori, ma del quarto nessuno aveva più notizie!
Fu quella l’ultima volta in cui il Dio degli Asi
scese su Midgard, deluso e affranto dal comportamento
degli uomini, che non riuscivano a trattenersi dal farsi la guerra tra di loro.
In sua memoria gli abitanti della città eressero una grande statua, scavando
nella montagna, con la spada rivolta verso il basso, a simboleggiare la
protezione di Odino sulla loro terra, protezione che, ne erano certi, non
sarebbe mai venuta meno. Il conestabile diventò il nuovo Celebrante, dando
inizio a una dinastia che tuttora perdura, quella dei Polaris,
che scelsero di legare i Cavalieri di Asgard, non più cinque ma sette, alle
stelle dell’Orsa Maggiore, vicina e sorella più grande dell’Orsa Minore,
simbolo del loro casato! Le cinque armature furono nascoste nelle segrete e,
essendo state usate per versare sangue nella cittadella anziché difenderla, fu
fatto divieto di usarle di nuovo! Nessun combattente di Midgard
avrebbe più potuto indossare una delle corazze maledette, rappresentanti un
lupo, un gigante, un’aquila, un guerriero e il simulacro che Loki fece creare per sé, posando come modello!”
“Immagino che l’ultimo traditore, colui che riuscì a
fuggire, fu proprio Loki!”
“Precisamente! Smessa la corazza per lui forgiata,
quella che adesso indossa il nostro comandante, assunse i tratti di un abitante
della città, mescolandosi alla folla e evitando la collera di Odino. Vagò per
giorni nelle foreste di Járnviðr, finché non si
imbatté in una donna, brutta come una strega, la cui fame era così grande da
spingerla a gettarsi su di lui, con un pugnale sguainato. Loki
la fermò, spezzandole i denti, ma restò ammirato dal suo coraggio, grande al
punto da spingerla contro un Dio! Così la sfamò con il suo cosmo, unendosi a
lei e generando due lupi, progenitori della stirpe che popolò la Foresta di
Ferro. So che tuttora, per quanto non ami raccontarlo, per non apparire
sdolcinato, il mio Signore si reca in visita alla vecchia, negli antri più nascosti
del bosco, con la scusa di controllare lo stato di salute delle creature! Lo
stimo davvero tanto, per la sua intelligenza e per la sua capacità di adattarsi
alle turbolenze del mondo! Come un gatto, egli è stato capace di atterrare
sempre in piedi, ogni volta in cui è caduto! E oggi onorerò quel che ha fatto
per me, sconfiggendo coloro che osano opporsi al suo grandioso progetto di
rivalsa!”
“È solo per questo che combatti? Perché lo devi a
chi ti ha donato una corazza, peraltro maledetta da una guerra civile? Non
riesci a discernere se quel che il tuo maestro fa, e ha fatto, sia lecito o
meno?!”
“Per la verità non mi interessa! Lui è il mio
mentore e saprà meglio di me cosa sia giusto! Mi ha tenuto con sé fin da quando
mi ha trovato, abbandonato in un cesto nella Foresta di Ferro, da chissà quale
mostruosa famiglia che, incapace di sfamarmi o disinteressata nell’accudirmi,
aveva preferito darmi in pasto ai lupi! Glielo devo, non credi? Per
ricompensarlo di avermi fatto crescere e di avermi istruito alle arti del cosmo
e del combattimento!” –Affermò fiero Managarmr, per
quanto la sua voce tradisse una leggera emozione, e forse anche sofferenza, al
ricordo della sua infanzia. –“Ho visto le bestie che popolano Járnviðr e, per quanto orribili, non sono peggio di altre che
invece hanno due gambe e si fregiano del nome di uomini!”
“Capisco quel che hai provato... Essere abbandonati
è quanto di più triste possa accadere a chiunque! Noi Cavalieri orfani lo
sappiamo bene! Nessuno dovrebbe restare solo! Nessuno!” –Sospirò Andromeda.
–“Ma anche se le tue motivazioni sono nobili, nella pratica sono errate, perché
il tuo signore sta scatenando una guerra, te ne rendi conto? Non ti interessano
le conseguenze? Perché vuoi condannare altri allo stesso destino di privazione
in cui saresti potuto incorrere tu?”
“Non mi curo degli altri più di quanto si siano
curati di me! A Loki devo la vita, e onorerò ciò in
cui credo!” –Esclamò Managarmr, espandendo il proprio
cosmo. –“Lui!” –E si lanciò in alto, per piombare poi sul Cavaliere di Atena, a
gamba tesa, con il tacco carico di energia cosmica.
“Sei proprio cocciuto!” –Mormorò Andromeda,
liberando la catena, che si abbatté sul ragazzo, scheggiando gli schinieri
della sua armatura, sbilanciandolo e obbligandolo ad un atterraggio poco
composto, che gli strappò un gemito, di dolore e di fastidio per essere stato
ferito.
“Bastardo! Vuoi umiliarmi? Nessuno è più veloce di
me! Terrò fede al nome che porto, al nome che Loki mi
ha dato! Un lupo così veloce da riuscire a raggiungere la luna e a sbranarla!”
–Sibilò, scattando verso il Cavaliere di Atena, muovendosi come fosse un
felino. Evitò una raffica di catene che Andromeda gli diresse contro, balzando
lesto a destra e a manca, ma quando tentò di attaccare si accorse che la catena
con il cerchio si era già arrotolata al suo braccio, strattonandolo con forza.
–“Urgh, lasciami!” –Ringhiò, agitandosi, e la afferrò
con l’altra mano, per liberarsene.
“Errore fatale!” –Mormorò Andromeda, abbassando lo
sguardo, mentre violente scariche di energia sprigionate dall’arma avvamparono
attorno al gracile corpo di Managarmr, scheggiando
parte della sua corazza e lasciandolo stramazzare al suolo, tra sangue e
lamenti. –“Grazie al settimo senso, sei ben allenato nella corsa e nel
confronto a distanza, ma per quanto tu raggiunga la velocità della luce non sei
più veloce di un Cavaliere Divino! La disattenzione che ti ha gettato a terra
la devi all’inesperienza e alla facilità con cui hai creduto di vincermi! Mi
dispiace, ragazzo, ma se sei ancora in vita è perché io odio uccidere, e non
cambierò mai opinione al riguardo! Soprattutto davanti a chi, come te, paga le
colpe di chi l’ha cresciuto!”
“Quali colpe?” –Rantolò Managarmr,
cercando di rimettersi in piedi. –“Avermi sottratto alla morte per darmi un po’
d’affetto è un male, Cavaliere di Andromeda? Forse quel che dici è vero, forse Loki è davvero un guerrafondaio, e allora? Dovrei per
questo cancellare il ricordo di quel che ha fatto per me, concedendomi di
vivere e facendomi da padre? Mai!!!” –Gridò, avvampando nel suo cosmo verde
oliva. –“Che le zanne del Lupo della Luna ti sbranino, millantatore di Dei!” –E
gli volse contro le fauci di una fiera dai denti rossi di sangue.
“Perdonami…” –Si limitò a
commentare Andromeda, liberando entrambe le catene. Quella di offesa fronteggiò
le mortifere zanne del lupo, zigzagando al suo interno e spezzandole tutte,
mentre quella di difesa si disponeva a tagliola, frenando la corsa del
servitore di Loki e chiudendosi sulle sue gambe, fino
a farlo ruzzolare a terra.
“Aaargh!” –Mormorò il
ragazzo, annaspando nella neve, che si stava tingendo di rosso, di fronte agli
occhi di Andromeda, che non riusciva a provare odio nei suoi confronti,
soltanto pena. Un infinito senso di pena.
La stessa che aveva dominato il suo animo negli anni
dell’addestramento, quando aveva dovuto affrontare i compagni al cui fianco
aveva vissuto, sopportando assieme le stesse difficoltà e le asperità del
clima. Al pari di Managarmr, Reda
e Salzius, Glauco e Marzio e gli altri allievi di Albione
erano uniti da qualcosa che non era mai riuscito a comprendere, qualcosa che
andava al di là del comune sentimento di vittoria, di superamento della sfida
che la conquista dell’armatura rappresentava. Qualcosa che, agli occhi di
Andromeda, avrebbe condotto alla guerra e alla morte. E che per questo
paventava.
Anche col tempo non era cambiato, per quanto avesse
accettato il suo ruolo e non fosse più disposto a sacrificarsi con facilità.
Anche dopo anni di battaglie ancora non riusciva a dare il colpo di grazia al
suo avversario senza essere invaso da remore.
“U…uccidimi…
che aspetti?” –Balbettò Managarmr, rubandolo ai suoi
pensieri.
Il ragazzo stava ancora lottando con la catena che
lo avvolgeva, stringendogli le gambe e impedendogli di rimettersi in piedi.
“Perché?” –Gli chiese Andromeda.
“È questo che fanno i guerrieri quando vincono, no?
Uccidono i loro avversari, come io avrei fatto con te!”
“Possa il fato volere che tu non debba mai compiere
un simile atto…” –Mormorò Andromeda. –“Perché non è
eroico come si crede, uccidere non lo è mai! Se tu avessi già le mani sporche,
ne sentiresti senz’altro il peso! Ma dato che, da questo punto di vista, sei
ancora vergine, vorrei tu lo restassi!”
“Che stai dicendo?!” –Ringhiò, cercando di
rialzarsi. –“Mi tratti come un bambino?! Ma i bambini non hanno i miei artigli!
Fuoco del Lupo e del…”
Fu allora che Andromeda strattonò con forza le
catene, gettando di nuovo il ragazzo nella neve, stavolta con le ossa delle
gambe spezzate. Sospirò in silenzio, ritirando le sue armi, e poi gli diede le
spalle.
“In questo stato non sarai più un pericolo per
nessuno! Incapace di camminare, potrai solo trascinarti fino alla cittadella e
chiedere perdono a Ilda per i tuoi sbagli! Forse la Celebrante di Odino,
dall’alto della sua misericordia, ti grazierà! Nell’attesa, avrai tempo per
pensare, a cosa significa indossare un’armatura, a cosa significa avere dei
poteri come i nostri e all’uso che deve esserne fatto! Addio, ragazzo!”
–Esclamò, prima di lanciarsi lungo il sentiero che dalle rovine conduceva al
palazzo di Midgard, incurante delle grida di Managarmr alle sue spalle.
Per un momento ad Andromeda parve di sentire la voce
di Phoenix dentro di sé. –“Facciamo tutti degli errori, ma non sempre ci viene
data la possibilità di ripararli! Tu, fratello, sarai sempre convinto che tutti
la meritino, vero?”
“Non è forse per questo che ci siamo ritrovati?!”
Continuò a correre, lungo la strada che già
conosceva, mentre l’ombra di un maestoso uccello scivolava accanto a lui. Andromeda
si fermò un istante, sollevando lo sguardo verso il cielo plumbeo, per ammirare
un’aquila volare ad ali aperte, poi riprese a correre. Se avesse osservato
meglio, avrebbe notato l’immenso uccello dal manto arancione discendere verso
la radura e le sue forme farsi umane.
“Sei stato vinto in fretta!” –Esclamò, planando
accanto al corpo spezzato di Managarmr. –“Per essere
stato per anni il pupillo di Loki, dalle labbra di
miele, gli hai dato ben poca soddisfazione, ben poco onore, tranne quello che riusciva
a carpirti nei vostri momenti intimi! Non credi, ragazzino?!”
“Aiutami… le mie gambe…” –Rantolò il Lupo della Luna, strascicandosi a
terra, incapace ormai di rialzarsi.
L’altro guerriero lo fissò per un attimo, con
sguardo reso inespressivo dalla maschera che indossava, che nascondeva la più
totale indifferenza, prima di chinarsi su di lui e girargli il corpo, in modo
che il viso fosse rivolto al cielo.
“A questo punto, fossi un Cavaliere, dovrei
caricarti sulle spalle e portarti in salvo, nella speranza che il tuo amato Loki, o chi per lui, ti salvi!” –Commentò, senza tradire
alcuna emozione. –“Ma non lo farò!” –E nel dir questo trapassò il petto del
ragazzo con il braccio teso, facendogli sputare sangue e bava, prima di
osservarlo afflosciarsi, morto. –“Perché non sono un Cavaliere, ma un
mercenario! Siamo in guerra, si vince o si perde, e agli sconfitti non resta
che una strada!” –Quindi sollevò il corpo sanguinante di Managarmr,
trasportandolo fino al ciglio, mentre una raffica di vento freddo proveniente
dal basso lo investiva, smuovendo il manto di pelle che portava fissato sotto i
coprispalla e i biondi capelli che spuntavano
dall’elmo.
“Ma consolati! Forse, se sarai forte abbastanza, la
tua anima potrà varcare il fiume Gyoll e raggiungere Hel, per unirsi ai demoni e agli spiriti di quei bastardi
senza gloria che non sono ascesi al Valhalla! E
allora potrai di nuovo essere utile a Loki!” –Detto
questo lo gettò nel vuoto, osservandolo precipitare nel burrone e perdersi tra
le nebbie. Spalancò le braccia, lasciando ondeggiare il lungo mantello, prima
di buttarsi a sua volta e planare in aria, sollevandosi poco dopo con maestria.
Volò fin sopra la cittadella di Midgard,
osservando Andromeda venir fermato da una pattuglia di lupi e Soldati di Brina
e Pegasus e gli altri impegnati a lottare all’interno
delle mura, con Skoll incombente su di loro.
Sogghignò, prima di dirigersi verso il retro della fortezza, dove il comandante
dei Sigtívar lo attendeva per partire.
Il drakkar che un tempo
aveva costituito la base dell’immensa statua di Odino era stato liberato dal
ghiaccio ed era pronto per salpare. Sul ponte di comando si ergeva Erik il
rosso, come lo definivano con scherno gli altri guerrieri, ricordandogli che,
per quanto gli piacesse attribuirsi simili appellativi storici, per darsi una
certa importanza, in realtà era un bastardo loro pari, senza antenati ricchi né
nobili.
“Ben arrivato Hræsvelgr!”
–Esclamò Erik, osservando l’uomo con l’armatura a forma di aquila planare sul
ponte. –“Hai portato a termine la ricognizione di Midgard?”
“Sì, Erik! Managarmr, come
sospettavo, è caduto, sconfitto da uno dei Cavalieri di Atena, che adesso
combattono sul lato occidentale della fortezza! Immagino che puntino alla
liberazione della Regina di Polaris!”
“Non mi sorprendo, di nessuna delle due notizie! Dei
cinque Sigtívar scelti dal Dio dell’Inganno, il Lupo
della Luna era il più giovane e inesperto! Sebbene sarei stato più felice se
fosse riuscito a portare qualche avversario con sé all’inferno!”
“E cosa ti aspettavi da un ragazzino ancora in
pubertà?” –Intervenne allora una voce rauca, facendo voltare Erik e Hræsvelgr. –“Drepa mi ha detto
che non aveva ancora i peli sotto le ascelle, ed è strano perché era cresciuto
tra i lupi!”
“Bjuga delle Svalbard, la tua mancanza di tatto è simile
alla tua carenza di materia
cerebrale!
Che sia dovuta alle botte che hai preso in testa dalle tue lame rotanti?!” -Ironizzò
Erik, osservando il gigantesco guerriero, che superava i due metri di altezza.
“Eh?!” –Bofonchiò l’altro, non comprendendo le
parole del suo comandante, che si limitò a muovere la mano a spazzare,
scuotendo la testa, per poi rivolgersi nuovamente a colui che indossava la
corazza dell’Aquila dei Venti.
“Skoll e i Soldati di
Brina che abbiamo lasciato qua si occuperanno dei Cavalieri di Atena! Pare che
oggi al bel lupo dal morbido crine sia stato tolto il piatto da sotto il naso e
che per questo motivo sia piuttosto affamato! Ah ah ah!”
–Rise, prima di dare gli ultimi ordini per la partenza.
“Sono curioso di sapere come arriveremo ad Asgard!
Prendere una nave per andare in cielo è un modo piuttosto strambo di navigare!”
–Commentò Bjuga.
“Detto da te è tutto un dire!” –Esclamò una quarta
voce, unendosi al gruppo sul ponte di comando.
“Drepa!” –Esclamò Bjuga, riconoscendo il Mietitore Silente, con l’arco
d’argento affisso alla cinta dell’armatura e una faretra piena di frecce
affissa sulla schiena.
“I poteri messi in campo da Loki
superano ogni aspettativa!” –Continuò l’uomo chiamato Drepa,
che conduceva per mano un’esile figura vestita di stracci. –“Modhgudhr adesso ve ne darà un assaggio!”
Era costei una fanciulla, sebbene di femminile non
avesse più niente, neppure il nome, pallida e dal volto scavato, su cui
lampeggiavano due occhi completamente neri, privi della cornea. Molti soldati
ne avevano timore, considerandola figlia del demonio, ed Erik non poteva
biasimarli, conoscendo la storia della sua nascita. Ma a lui, come agli altri Sigtívar, Modhgudhr serviva per
la guerra.
E in guerra non esistono superstizioni! Solo braccia
abbastanza forti per reggere un’ascia, e altre troppo deboli, destinate a
perire! Si
disse il comandante, dando cenno alla fanciulla di procedere.
Quest’ultima non mosse neppure
lo sguardo, perso nel vuoto atemporale successivo alla sua nascita, limitandosi
a sollevare le braccia e a liberare il suo cosmo violetto, che scivolò
sull’intero drakkar, saldandosi ad esso. Dopo pochi
istanti la nave si sollevò, vittima della telecinesi di Modhgudhr,
virò di novanta gradi e iniziò a dirigersi verso la cima della montagna alle
spalle di Midgard.
Fu allora che Erik sogghignò,
impugnando l’ascia fissata alla sua schiena e caricandola di oscura energia.
–“Se anche qualcuno dovesse sfuggire alla furia di Skoll,
troverà comunque difficile recarsi ad Asgard!” –Disse, muovendo il braccio a
spazzare e lanciando la scure energetica contro la parete di roccia, dove si
piantò poco dopo, liberando una violenta esplosione che fece tremare l’intera
montagna, portandola a crollare su se stessa.
Tonnellate di neve e roccia,
immobili da millenni, crollarono sulla statua di Odino, spezzandone gli arti e
piegandola di lato, mentre Erik e gli altri Sigtívar
osservavano soddisfatti l’immensa valanga abbattersi sul piazzale retrostante
il castello di Midgard e scuoterlo, distruggerlo,
sommergerlo, travolgendo anche una parte della reggia.
“La via è chiusa!” –Commentò
Erik, mentre l’ascia tornava nelle sue salde mani e il drakkar
fluttuava silenzioso in cielo, dirigendosi verso l’altro versante della
montagna. –“Questa, per Asgard, sarà la sua ultima alba!”
***
Dei nove mondi, Muspellheimr
era quello dove il tempo sembrava non essere mai trascorso, lasciando l’intera
landa al momento della creazione. Non vi erano stati crescita né progresso, né
case o templi erano stati eretti, né uomini vi avevano mai viaggiato,
inorriditi soltanto dalla prospettiva di precipitare negli abissi vulcanici che
lo componevano o di venire avvolti dalle lingue di fuoco che si innalzavano
verso il cielo. Tutto, in quel mondo, pareva trasudare della fiamma della
creazione, la forza primordiale del caos lasciata libera di esprimersi
incontrollata.
Persino Odino non vi si era mai recato, né alcuno
degli Asi o dei Vani, preferendo le belle regge di Ásaheimr alle distese di magma della regione dove dimoravano
coloro che avevano forgiato il mondo e che, molti temevano, lo avrebbero
distrutto.
Soltanto
Balder lo Splendente si arrischiava ad entrarvi,
risentendo in maniera minima dell’aria torrida che si respirava e delle temperature
eccessive, essendo lui stesso rivestito di un manto di luce che non soltanto lo
proteggeva dagli attacchi dell’oscurità ma gli permetteva bene di adattarsi a
condizioni simili.
Periodicamente
il figlio di Odino discendeva lungo il tronco di Yggdrasill e giungeva a Muspellheimr, fermandosi ad osservare le
sconfinate lande percorse da vampe di fuoco, chiedendosi affascinato come
potesse il grande frassino sopravvivere anche in così disagevole situazione. E
spesso si sorprendeva a sorridere, ritenendo che l’Albero Cosmico traesse la
sua forza dall’essere parte e perno di ciascuno dei nove mondi, pur nella loro
diversità.
Ogni volta, sulle rocce attorno a Yggdrasill, l’unico luogo di Muspellheimr
che non fosse dominato dalle fiamme, Balder
incontrava alcuni dei Giganti di Fuoco, gli operosi abitanti del regno,
commissionando loro ordini da parte di Odino o dei nani. Oppure ordini
personali, come aveva richiesto qualche mese prima, facendo riparare le
armature d’Oro dello Scorpione e dell’Ariete e facendo riforgiare
quelle del Leone, della Vergine e della Bilancia, potenziandole con la forza
primigenia di quelle terre.
Ma quel giorno Balder non
c’era, né i Giganti di Fuoco parevano disposti a lavorare più per Odino, che a
loro non pensava, né mai li incontrava, limitandosi a sfruttarli quando ne
necessitava. Questo l’ombra aveva mostrato loro, qualcosa che non avevano
compreso fino ad allora. Un sospetto che infiammò i loro animi a dismisura,
portandoli persino a scontrarsi tra loro, ognuno per esporre le proprie
ragioni.
Una guerra interna, un frammento di caos. Così l’ombra aveva definito
il suo operato, il magnifico lavoro che da secoli aveva intessuto per servire
il suo creatore, colui che presto sarebbe tornato a prendere ciò che gli
spettava. Ciò che era suo.
“Al principio era il tempo, quando nulla esisteva;
non c’era sabbia né mare, né gelide onde; terra non si distingueva né cielo in
alto: il baratro era spalancato e in nessun luogo erba!” –Mormorò, ripetendo i
versi di un antico poema, mai come allora prossimi a ritornare realtà.
Si ergeva su uno scoglio in mezzo al mare di lava,
ripensando al mondo com’era all’inizio dei tempi. Nulla di ciò che gli uomini
avrebbero potuto vedere, nulla di ciò che avrebbero potuto immaginare. E
neppure l’ombra avrebbe potuto, se non gli fosse stato mostrato da colui che il
mondo a quell’epoca avrebbe presto riportato.
Ovunque si spalancava un baratro immenso, vuoto e
oscuro, che i popoli del nord chiamarono Ginnungagap.
A nord di esso si estendeva una regione gelida chiamata Nifhleimr,
mentre a sud avvampavano le fiamme di Muspellheimr. E
il baratro era proprio in mezzo ai due poli, motivo che permise la nascita
della vita. Quando la brina proveniente dal Niflheimr
si incontrò con il soffio caldo del sud, il ghiaccio infatti si sciolse e
gocciolò, e quelle gocce viventi presero forma d’uomo, generando Ymir, il gigante primordiale sorto tra il ghiaccio e il
fuoco, il capostipite dei giganti.
“Qua, dove tutto ha avuto inizio, tutto adesso avrà
fine!” –Sogghignò l’ombra, prima di percepire alcune presenze attorno a sé. Si
voltò, mentre una decina di Giganti di Fuoco prendevano forma, sollevandosi dal
magma che scorreva libero, quasi fossero modellati dalle mani esperte di uno
scultore. L’ombra non si mosse, nient’affatto intimorita, e si erse di fronte
al gruppo, chiedendo loro se avessero scelto.
“Orgoglio o vergogna? Di cosa sono fatti i figli di Muspell?”
“La prospettiva di una guerra non ci attrae! Sebbene
Odino e gli Asi non rappresentino niente per noi!”
–Parlò uno dei Giganti di Fuoco.
“Così voi per loro! In questo modo scialbo vi hanno
sempre considerato! Una fucina, niente più! Un serbatoio a cui attingere in
caso di bisogno!” –Sibilò l’ombra. –“Non furono forse Odino e gli altri figli
di Bor a prendere le scintille che correvano libere
nella vostra terra e a porle in cielo, affinché illuminassero la loro
terra? Diedero un posto a tutte le luci e lo fecero usando quel che era vostro!
Come hanno usato i vostri poteri, la vostra sapienza, per secoli! Per fortificarsi,
per generare armi in grado di vincere i nemici, sebbene non ne fossero loro gli
artefici materiali! E hanno vinto! Credetemi, abitanti di Muspellheimr,
i figli di Bor, da cui sono discesi gli Asi, hanno ottenuto tutto! Una vita lunga e felice, scevra
di preoccupazioni, palazzi sontuosi ove vivere con le loro famiglie, ricchezze,
potere, benessere, senza curarsi più delle loro origini, da cui hanno cercato
di sfuggire il più possibile! E voi? Cosa avete ottenuto invece? Questo torrido
inferno senza fine?!”
Nessuno dei Giganti di Fuoco parlò, limitandosi a
guardarsi l’un l’altro con espressione disorientata, lasciando campo libero
all’ombra di infervorarsi ancora.
“Sollevatevi, figli di Muspell!
Sollevatevi, distruttori del mondo! E uscite dalle tenebre di questa notte di
fuoco per portare ovunque il marchio del vostro potere, il simbolo della vostra
esistenza! Che le fiamme di questa landa ardano su Asgard e ricordino ai suoi
abitanti che l’eternità di cui si sono imbevuti è solo illusoria!!! Che il sole
degli Dei caduti abbagli i mondi!”
“Sì! Sììì!!!” –Esclamarono
allora alcuni Giganti di Fuoco, prima che altri li seguissero, eccitati dalle
parole dell’ombra, dalla prospettiva di uscire finalmente dal guscio e liberare
il fuoco che tenevano dentro.
“Il sole oscurato, nel mar giù la terra, cadranno
dal cielo le stelle lucenti! Vapori si levano e fiamme copiose raggiungono alte
il cielo stesso!” –Sogghignò l’ombra, osservando centinaia di Giganti di Fuoco
sorgere dal magma che scorreva ovunque attorno a lui, armarsi di spade
fiammeggianti, da loro forgiate, e incamminarsi verso la verde terra da cui
erano sempre stati lontani.
È stato facile! Si disse, riflettendo che i figli di Muspell disponessero di ben poco discernimento, facilmente
influenzabili da chiunque avesse avuto un briciolo di influenza. E l’ombra, di
tendenza al comando, ne aveva abbastanza.
Del resto era stato proprio lui il liberatore di Loki, quando, secoli addietro, aveva iniziato a tessere la
tela del suo grandioso progetto, vedendo nel Dio dell’Inganno un alleato
prezioso, con cui condividere un cammino comune.
Fintantoché gli scopi saranno gli stessi! Precisò, sogghignando,
prima di volgere le spalle alla schiera di Giganti di Fuoco che avanzava
compatta e dirigersi verso il cuore dell’inferno universale. Aveva ancora una
cosa da fare prima di lasciare quella landa. Aveva ancora qualcuno da
incontrare, sebbene non fosse affatto certo che si sarebbe fatto avvicinare.
Himinbjörg, o Rocca del Cielo, era la
residenza di Heimdall. Là, ai limiti di Asgard, in un
luogo oltre le nuvole dove l’occhio umano non poteva giungere, la sentinella
celeste svolgeva a pieno ritmo il suo compito, vigilando su Bifrost
con solerzia impareggiabile, di giorno e di notte.
Abituato a dormire poco e sempre pronto a destarsi
al minimo rumore, il Custode del Ponte Arcobaleno poteva sentire persino l’erba
frusciare in lontananza. La dedizione che metteva nel suo lavoro era
impagabile, al punto che tutti, nell’intera Ásaheimr,
ne erano a conoscenza e da sola bastava a farli sentire protetti, certi che il
Dio Bianco vigilasse su tutti loro.
Non si era mai sposato, preferendo una vita
solitaria ma utile al suo popolo e fedele al suo compito, che per lui non era
soltanto un lavoro, ma qualcosa di più. Una ragione personale, il motivo stesso
della sua esistenza. Qualcuno ironizzava persino sul fatto che, qualunque cosa
accadesse nel mondo, ne veniva prima a conoscenza Heimdall,
dai sensi sempre desti, e poi il Signore degli Asi,
assiso sull’alto seggio.
Anche Odino lo ammirava, invitandolo spesso ai
banchetti a palazzo e ricevendo sempre in risposta cordiali rifiuti. Al Guardiano di Bifrost
tutte quelle chiacchiere non interessavano, rifuggendo la vita mondana e i
discorsi da salotto, come pure il clangore degli scontri tra gli Einherjar nel cortile del Valhalla.
Bramava soltanto la tranquillità, necessaria per adempiere al meglio al suo
lavoro, che solo nell’isolamento della sua residenza poteva trovare.
Anche
quel giorno era seduto là, con la schiena rivolta ad Asgard, a sorseggiare
beato una coppa di idromele, ripensando al rinnovato incontro con Flare e Cristal il Cigno.
Non
ne aveva fatto parola a nessuno, neppure alla Principessa di Midgard, ma nelle movenze del Cavaliere di Atena c’era
qualcosa che non lo aveva convinto a pieno. Lo aveva incontrato solo due volte,
ma in quelle occasioni gli era sembrato ben più freddo e controllato, meno
cordiale di come gli si era rivolto quel giorno.
Sorrise,
portando nuovamente le labbra alla coppa d’oro, ritenendo che fosse la
vicinanza di Flare, e l’amore che indubbiamente
provava per lei, ad averlo sciolto un po’, ad averlo reso meno guerriero e più
umano. Motivo questo che rafforza sempre
più le mie convinzioni! Mai mescolare donne e lavoro! Ironizzò il Dio,
alzandosi e muovendosi verso la stalla, per controllare la salute di Gulltoppr, il suo bellissimo destriero dalla criniera d’oro
fino.
Proprio
in quel momento percepì qualcosa di strano. Un tuono in lontananza. Un rimbombo
soffocato, sospinto dal vento, che pareva provenire dall’altra parte.
Dall’altro lato della montagna sacra! Si disse, afferrando la sua ascia e legandola in
vita, prima di incamminarsi lungoÁsbrú, il Ponte Arcobaleno, una delle cui estremità
terminava proprio a Himinbjörg.
Forse non era niente di importante, forse era solo
la sua immaginazione a giocargli strani scherzi, la sua mania di perfezionismo,
come Odino e Freyr amavano indicarla con bonaria
ironia. Ma c’era qualcosa, nell’aria silenziosa di quel giorno, che lo faceva
temere al peggio. Ed egli, il vento, era abituato ad ascoltarlo.
Avanzò a passo fiero lungo Bifrost,
mentre il cielo intorno a lui perdeva la lucentezza propria della terra degli Asi, caricandosi di nuvole bigie. Tese gli orecchi, per
percepire ogni movimento, e gli parve di udire il rumore di una massa di
terreno che crollava, come se un pezzo di mondo si fosse staccato e stesse
precipitando.
Una frana! Comprese. A Midgard, nel
Recinto di Mezzo.
A differenza di Odino, Heimdall
provava simpatia per gli uomini e spesso, nelle sue veglie solitarie lungo la
tremula via, tirava uno sguardo verso le terre dove vivevano e dove si
ingegnavano per sopravvivere, nel tentativo di strappare all’eternità una fetta
per loro stessi. Non che gli piacesse tutto quel che vedeva, quelle guerre
continue che infiammavano la superficie del pianeta, ma non poteva negare che
non fossero poi così diverse dalle battaglie che gli stessi Dei di Asgard
avevano combattuto agli inizi dei tempi. Anch’essi contro membri della loro
stessa stirpe.
Midgard, comunque, non era mai
stata per Odino fonte di preoccupazione, tranne nel periodo di poco successivo
alla sua costruzione, ma nell’ultimo anno sembrava aver attirato di nuovo
l’interesse degli Asi, essendo stata, per ben tre
volte, teatro di eventi a dir poco inconsueti. Eventi bellici, che non
imperversavano nella regione da almeno quindici o vent’anni terrestri.
Prima la Celebrante di Odino aveva dichiarato guerra
ad Atene, riarmando l’esercito del Nord e mandando a morte tutti i suoi
esponenti, ingrossando quindi le fila degli Einherjar.
Poi Midgard era stata attaccata da un gruppo di
Cavalieri che Heimdall non aveva mai visto prima, le
cui armature celesti ed eteree avevano fatto sospettare all’attento Custode che
si trattasse di combattenti dell’Olimpo. Infine, neppure tre mesi prima, un
mostro gigantesco, che pareva essere uscito dalla pancia della gigantessa Angrbodhra, aveva cercato di
distruggere la cittadella.
Niente male
per una roccaforte isolata sul Mare Artico! Commentò il Dio, giunto ben oltre la metà
dell’Arcobaleno, in un punto dove poteva ammirarne la fine, sulla terrazza
della montagna sacra eretta da Odino a limite invalicabile per gli uomini.
La
sentinella poté sentire chiaramente rumori di lotta e clamori di beghe umane
provenienti dalla Terra di Mezzo e, nell’odore dell’aria, percepì il sapore di
millenni di terra mai mossa che improvvisamente era stata violata. Si incupì,
chiedendosi come mai Cristal e Flare
non ne avessero fatto parola e come potessero, soprattutto, avere
quell’espressione trasognata. O forse
sono io che sto sognando? Rifletté, prima di voltarsi e incamminarsi lungo
il Ponte Arcobaleno, per tornare a Himinbjörg e
inviare un messaggio a Odino.
Fu in quel momento che lo udì.
Un fruscio leggero, impercettibile. Un alito quasi.
Ma che lo spinse a girarsi in tempo per evitare un dardo che gli sfrecciò
accanto al viso, strappandogli persino un ciuffo dei suoi lunghi capelli
castani, che raramente aveva tagliato nel corso dei millenni, non amando
sprecar tempo in simili sottigliezze.
“Che… cosa?!” –Mormorò,
spalancando gli occhi per la prima volta sorpreso.
Davanti a lui, apparsa dal nulla, una nave di legno
si stagliava in aria e sul suo ponte un gruppo di guerrieri, rivestiti da
armature dallo stile simile a quelle dei Cavalieri di Midgard,
lo fissavano minacciosi. Uno di essi, dalla corazza color blu notte, ancora
impugnava l’arco con cui aveva scoccato la freccia che lo aveva quasi
raggiunto, e stava già caricando il prossimo dardo.
“Com’è possibile?!” –Balbettò il Dio, incredulo che
qualcosa di così grosso avesse potuto celarsi alla sua vista e al suo udito. Ma
non ebbe tempo per riflettere ulteriormente che una raffica di frecce piovve su
di lui. –“Non così in fretta!” –Commentò, ritrovando i nervi freddi e muovendo
l’ascia a spazzare, distruggendo con un’onda di energia tutti i dardi.
Osservò
la nave scivolare di lato, fino a porsi perpendicolarmente rispetto al Ponte
Arcobaleno, su cui planò con la delicatezza di un usignolo, quasi fosse fatta
di carta, mentre sul ponte di comando un uomo gridava ai compagni di prendere
posizione. Per un momento Heimdall fu invaso dalla
sensazione che quella fosse la Naglfar, la nave del
giorno del giudizio, ma poi, fissandola con maggior attenzione, riconobbe il drakkar usato come basamento per la statua di Odino a Midgard. Ricordava ancora gli schizzi che Bragi gli aveva mostrato della colossale opera di cui gli
umani avevano volontariamente scelto di farsi carico, e il sorriso genuino a
cui si era abbandonato quel giorno, convinto che fossero, quando volessero, una
razza in grado di sorprendere.
Anche in peggio! Si disse, distruggendo un nuovo dardo con la sua
ascia da guerra.
In
quella, un portellone laterale si aprì e centinaia di soldati, armati di lance
e spade, ne uscirono, incolonnandosi in fretta a gruppi di dieci e iniziando a
marciare lungo Bifrost.
“Non
so chi siete, né dove credete di andare, ma una cosa posso dirvela! Di qua non
passerete!” –Tuonò, lanciandosi avanti. Ma venne distratto dallo sfrecciare di
due lame rotanti, che sfrigolarono nell’aria accanto a sé, mentre un guerriero
alto più di due metri balzava dalla nave, sghignazzando compiaciuto.
Heimdall
evitò le lame, chinando il capo, ma queste, dopo averlo sorpassato, deviarono
la loro direzione, tornando indietro e obbligando il Custode di Bifrost a sollevare nuovamente l’ascia per scansarle.
“Ora!”
–Esclamò un uomo rivestito da una corazza grigia, in piedi sul ponte di
comando. E un’onda di energia spinse Heimdall
indietro, rivoltandolo e facendogli sbattere la faccia sull’arcobaleno da lui
protetto per millenni, e adesso improvvisamente violato.
Il
Dio Guardiano tentò di rialzarsi, ma gli sembrò di sentire un peso enorme sulla
schiena, una forza che lo schiacciava a terra, quasi calpestato dal tacco di un
gigante.
L’uomo
sulla nave sogghignò, complimentandosi con l’esile fanciulla dal volto emaciato
in piedi al suo fianco, la stessa che aveva potuto sollevare il drakkar e tutti i suoi occupanti con la sola forza del
pensiero, senza produrre il benché minimo rumore.
Gli
altri guerrieri approfittarono di quell’attimo di disorientamento di Heimdall per scendere a loro volta. Hræsvelgr, l’Aquila dei Venti,
afferrò Drepa, sollevandosi in aria, mentre l’uomo
dall’armatura blu tendeva l’arco mietitore, scagliando nuovi dardi contro il
Guardiano, impossibilitato a difendersi a causa della pressione mentale
esercitata da Modhgudhr.
Perfetto! Sogghignò Erik.
Da soli potrebbe vincere tutti noi, forse anche me. Ma se lo attacchiamo in
cinque, nello stesso momento, e con tecniche diverse non potrà difendersi. E
cadrà! Assieme a questo ponte! AhrAhr!
Quasi
come avesse udito i suoi pensieri, o forse soltanto il movimento della bocca,
abbandonatasi ad una sghignazzata soddisfatta, Heimdall
si infiammò, bruciando il proprio cosmo e spingendo con le braccia per
rialzarsi.
Per millenni ho difeso questo sentiero,
impedendo che fosse violato da demoni o Dei avversi! Non sarete voi, infami
uomini mortali, a vanificare il mio lavoro! Ringhiò, rimettendosi in piedi, stupendo persino Erik dalla forza di
volontà che lo sorreggeva.
Bjuganon
aspettò un minuto di più, lanciandosi contro il Custode di Bifrost,
con le recuperate lame strette nelle mani. Ma sottovalutò la potenza offensiva
del Dio di Asgard, che lo travolse con un attacco diretto.
“Corno risuonante!” –Gridò Heimdall, portando le braccia avanti e scaraventando il
colosso contro un fianco della nave, sfondandolo e facendola tremare.
“Maledizione! Rialzati, stupido bufalo senza
cervello!” –Ringhiò Erik, mentre Drepa, in cielo tra
le braccia di Hræsvelgr, scagliava una decina di
frecce contro Heimdall, che non ebbe problemi ad
evitarle. Ma quando fece per sollevare l’ascia, dovette difendersi da alcuni
raggi energetici, diretti contro di lui dai Soldati di Brina, ormai
completamente usciti dal drakkar e incolonnati di
fronte ad esso.
“Non avrei voluto… ma temo
sia il momento di chiedere rinforzi…” –Rifletté,
sbaragliando la prima fila di guerrieri con un attacco energetico e facendoli
precipitare dall’alto di Bifrost, mentre nuove frecce
piovevano su di lui. Afferrò allora il corno dorato affisso alla cinta, ma
mentre lo portava alla bocca un raggio di energia lo ferì al polso, congelando
un pezzo della sua corazza e facendogli perdere la presa sul Gjallarhorn, che rotolò per diversi metri sulla superficie
di Bifrost.
“Sì!!!” –Tuonò Erik, mentre Modhgudhr, al suo fianco, schiacciava nuovamente a terra il
Custode di Asgard, impedendogli di recuperare l’oggetto sacro. Una freccia di
energia, scagliata da Drepa, colpì Bifrost poco distante dal corno, scaraventandolo nel vuoto
di là dal bordo, di fronte agli occhi sgranati di Heimdall.
“Aaargh!!!” –Si infervorò il Guardiano della Città Sacra,
avvampando nel suo cosmo, lucente come i colori dell’arcobaleno, incenerendo
una decina di Soldati di Brina che avevano osato circondarlo, convinti di
poterlo finire così. Dopo di che si rialzò, scagliando Bjuganuovamente contro la nave, sfondandone del tutto
il fianco, mentre Erik e Modhgudhr dovettero
spostarsi in fretta, per non cadere, prima di dirigere il suo colpo segreto
verso il cielo e travolgere Drepa e Hræsvelgr con un vortice che li
abbatté contro alcuni soldati sul Ponte Arcobaleno.
Quindi fece una cosa che sorprese tutti gli
invasori, che si aspettavano che il Dio li caricasse frontalmente. Si lanciò di
sotto da Bifrost, scomparendo tra le nuvole.
Persino Erik trattenne il fiato di fronte a quella
mossa inaspettata e quando si sporse dal ponte non vide niente. Soltanto un
abbraccio di infinito.
Quale che fosse la sorte del Guardiano di Ásbrú, i servitori di Loki non potevano curarsene troppo, decisi ad approfittare
di quell’inaspettata fortuna. Così Erik diede ordine alle truppe di marciare a
passo svelto sul Ponte Arcobaleno, con Drepa, Bjugae Hræsvelgr
in testa e Modhgudhr al centro, ben protetta dai Soldati di Brina e al
tempo stesso ben nascosta. Lui avrebbe chiuso le fila, falciando chiunque
avesse osato indietreggiare. Con Heimdall fuori gioco, potremmo arrivare in prossimità di
Asgard senza essere notati, aiutati anche dagli strati di nuvole che Hræsvelgr sa
controllare e usare per celare la nostra presenza, come ha camuffato la nave
per giungere a Bifrost! Ahrahr!
Se le micidiali raffiche di vento che spiravano ad
alta quota non l’avessero investito in pieno, impedendogli di sporgersi di più,
e se avesse posseduto lo sguardo aquilino di colui che stava cercando, Erik
avrebbe certamente notato Heimdall in piedi su uno
sperone roccioso, qualche centinaia di metri sotto di loro.
Il Dio infatti si era lanciato per recuperare il Gjallarhorn, sperando che non fosse precipitato troppo in
basso e che fosse ancora illeso, fiducioso nella resistenza dei manufatti
divini. Erano state proprio le acque della Fonte di Mimir
a rafforzarlo, essendo il corno in origine usato dal gigante per bervi, finché
questi non ne aveva fatto dono al Guardiano del Ponte Arcobaleno affinché lo
usasse per proteggere Asgard, e con essa tutte le razze e tutti i mondi.
E Heimdall, fiero di quel
giuramento, non aveva intenzione di venirne meno.
Così afferrò il Gjallarhorn,
un po’ ammaccato, fissandolo nuovamente alla cinta, prima di evocare, con il
cosmo, un frammento di arcobaleno, grande come un tappeto, che apparve di
fronte a sé, come era apparso mentre stava precipitando verso l’abisso. Vi salì
sopra, solido come Bifrost, e si lasciò sollevare,
portandosi poco al di sotto del ponte. Notò la carcassa del drakkar,
ormai svuotata e abbandonata, e percepì il sonoro marciare degli eserciti
invasori, avanti a lui di un centinaio di metri.
In silenzio e con i sensi all’erta, Heimdall scivolò nel cielo, passando sotto ai soldati, che
non si accorsero di lui, neppure Modhgudhr
e Erik. Quando fu molti metri avanti a loro, nella metà del ponte rivolta verso
Asgard, il Dio fece per risalire, salvo accorgersi, all’ultimo istante,
dell’avvampare improvviso di una fiamma migliaia di metri sotto di lui. Una
fiamma rossa, striata d’oro, che non s’era mai accesa nell’alto cielo. Una
fiamma che lo fece rabbrividire quando comprese a chi apparteneva.
Con
un balzo rabbioso, la sentinella instancabile piombò sul ponte, impugnando
l’ascia con la mano sinistra e il corno con la destra, avvolto nello sfavillare
del suo cosmo. Bjugae i soldati si fermarono di colpo, intimoriti dall’improvvisa
apparizione, e per un attimo restarono indecisi sul da farsi, finché Erik non
gridò loro di avanzare.
“Mai,
mai indietreggiare, neanche di un passo! Non quando siamo così vicini alla
metà!” –Ringhiò, scattando avanti e superando tutti, con l’ascia da guerra
intrisa del suo cosmo violaceo. –“Cadiii!!!” –E
caricò il Dio, sollevando l’arma sulla testa.
Ma
Heimdall seppe resistere, opponendogli la propria
ascia divina e piantando i piedi saldamente a terra. Le due lame si
incontrarono più volte, generando scintille energetiche che infiammarono il
cielo, finché il Guardiano di Bifrost non riuscì a
spingere indietro il suo nemico, scaraventandolo contro un gruppo di soldati,
travolti dall’onda d’urto del movimento di ritorno dell’ascia.
Incurante
delle frecce e dei raggi di energia che gli vennero rivolti contro, Heimdall si erse eretto e soffiò vigorosamente nel corno
d’oro.
Nessuno dei servitori di Loki
aveva mai udito il suono del Gjallarhorn, la cui
potenza fu così rimbombante da spingere molti di loro indietro. Un suono
possente, che pareva scaturire dagli abissi del mondo. Un suono penetrante, che
poteva raggiungere qualsiasi angolo di Ásaheimr, come infatti avvenne.
Lo udirono tutti, e tutti tremarono, costretti ad
ammettere che il giorno che avevano a lungo paventato era infine giunto.
Lo udì Odino, riunito in consulta con gli altri Dei,
all’interno del Valhalla.
Lo udirono gli Einherjar,
che lo avevano atteso fin da quando era iniziata la loro seconda vita.
Lo udirono le Norne, ai
piedi dell’Albero Cosmico, intente a cospargere di
argilla i suoi rami affinché non si essiccassero.
Lo udì persino Yggdrasill, o così credettero
le tre donne, sentendolo fremere come mai prima di allora, scosso dalla più bassa
radice alla fronda più alta.
Lo udì Loki, che cavalcava
su Fenrir, verso Asgard, e lo udì sua figlia Hel, che presto l’avrebbe raggiunto.
Infine lo udì Ilda, nelle segrete di Midgard, sebbene non potesse distinguerne il suono
chiaramente. Ma il significato le si stampò nel cuore.
“Maledetto, smetti! Smettiii!!!”
–Gridò Erik, scattando avanti, con l’ascia sollevata, e mirando al viso di Heimdall, che fu lesto a parare l’affondo con la propria
arma, continuando a suonare. –“Ti taglierò le mani, di modo che tu non possa
più suonare! E ti cucirò la bocca con la pelle che ti asporterò dalle dita,
quando Loki avrà scalzato i vecchi Dei, gettando i
loro resti tra le fiamme di Múspellsheimr!”
“Lo…Loki?!” –Mormorò Heimdall, cessando di suonare e rimembrando il suo antico
rivale, con cui più volte si era scontrato.
“Proprio
lui comanda quest’allegra brigata! È venuto poc’anzi, a preparare il terreno!
Non dirmi che non vi siete incontrati? Ci teneva così tanto che tu lo sapessi!”
–Sibilò Erik, fissando il Dio negli occhi, non volendo perdersi la sua
espressione di incredulità, che infatti si palesò.
“Com’è
possibile?! Loki non ha varcato la soglia di Asgard!
Ogni viaggiatore deve per forza passare sul…” –Ma le
parole gli morirono in bocca quando comprese, quando realizzò in che modo il
Buffone Divino si era preso gioco di lui, maledicendo se stesso per non averlo
riconosciuto.
Quell’attimo
di distrazione permise ad Erik di liberare l’ascia e strusciarla con forza
contro l’addome del Dio Bianco, scheggiando la sua corazza, prima che Modhgudhr intervenisse, spingendolo indietro. Drepa sollevò allora l’arco, scoccando una freccia e
raggiungendo il Custode di Bifrost sul braccio, poco
sotto la spalla, dove l’armatura non lo copriva. Bjugafece per imitare il compagno, incrociando le
lame rotanti sopra la testa, in modo da generare folgori lucenti, ma non riuscì
a scagliarle che venne raggiunto da un fascio di energia, che lo spinse
all’indietro, facendolo crollare al suolo, schiacciando persino alcuni Soldati
di Brina.
“Uh?!”
–Mormorò Erik, balzando agilmente indietro per evitare una lunga lancia, con un
drappo rosso all’estremità, che si piantò proprio tra lui e Heimdall.
Sollevò lo sguardo avanti a sé e vide un gruppo di donne, ricoperte da armature
grigie e marroni, arrivare al gran galoppo, sopra destrieri dal manto pregiato,
bardati per la guerra.
“Quella
lancia che la mia compagna ha lanciato sia per voi invasori limite e monito!”
–Esclamò una di loro, fermandosi alle spalle di Heimdall
e fissando Erik negli occhi. –“Non andrete oltre! Parola di Brunilde!
O, se lo farete, assaggerete l’ira di Odino, per mezzo delle sue emissarie, noi le Valchirie!”
“Umpf! Dovrei essere impressionato da una giovenca che
cavalca un cavallo?” –La schernì Erik, toccandosi volgarmente il naso. –“Vi
manderò al macello insieme, dopo averti insegnato il mio concetto di autorità!”
“Non
credevo che i maiali sapessero parlare!” –Continuò la donna, strappando un
sorriso a Heimdall, e anche ad alcuni Soldati di Brina.
Erik, furioso, sollevò l’ascia, caricandola di
cosmo, e piantandola poi con forza su Ásbrú, infondendo in esso una
violenta scarica di energia e dirigendola contro le Valchirie, i cui cavalli
s’impennarono imbizzarriti. Persino Heimdall parve
risentirne, ma si affrettò a portare entrambe le braccia avanti e a liberare il
suo colpo segreto.
Il Corno risonante travolse Erik, spingendolo
indietro, ma era ormai tardi per tutto. I Soldati di Brina si lanciarono
avanti, sfoderando le armi e riempiendo il cielo di raggi di energia, mentre Drepa scagliava nugoli di frecce, seguite dalle lame
rotanti di Bjuga e dai venti alimentati da Hræsvelgr. Le Valchirie non poterono
far altro che opporre agli invasori le stesse lance e le stesse spade, incitate
da Heimdall, con l’ascia sollevata sopra la testa.
Lo scontrò infuriò e in breve riempì l’intera
superficie del Ponte Arcobaleno, con il Guardiano tonante che manteneva fiero
l’ultima linea, poco distante da Himinbjörg, deciso a difendere a
oltranza la sua posizione. Avrebbero dovuto strappargli i denti d’oro per poter
passare.
Del resto, Heimdall ne era
certo, Odino aveva udito il suono di Gjallarhorn e,
come le Valchirie erano già arrivate, presto sarebbero giunti anche gli Einherjar e gli Asi e il
tentativo di invasione di quel migliaio di soldati sarebbe stato respinto. Se è tutto qua ciò che Loki
ha messo in atto, ben misero piano si sta rivelando! Ironizzò, parando un
attacco energetico con l’ascia e rispendendolo al mittente. Ma in fondo non ne
era poi così convinto neppure lui.
Tanto prese dallo scontro erano entrambe le parti
che nessuno si avvide che, pochi minuti dopo, l’aria si stava facendo torrida,
invasa da un caldo innaturale per quell’altitudine. Qualcuno, ingenuamente,
diede la colpa alla frenesia della battaglia, ma quando immense colonne di
fuoco si ersero ai lati del Ponte degli Dei fu chiaro a tutti che il motivo era
un altro. E che quel che Heimdall aveva visto, e
paventato, da lontano era adesso giunto a minacciare la stabilità di Asgard.
Centinaia di sagome deformi, composte da vivida
fiamma e magma ardente, sorsero dalle profondità del mondo, allungandosi verso
il cielo e lambendo le sponde di Bifrost,
sottoponendolo ad un incremento di temperatura mai sopportato prima.
Le Valchirie si fermarono, osservando inorridite le
schiere di Giganti di Fuoco che stavano inerpicandosi sul Ponte Arcobaleno,
incendiando tutto quel che trovavano sul loro cammino. La carcassa del drakkar, i cadaveri dei soldati caduti, le armi e le utopie
di Heimdall per una rapida vittoria. Persino Bjuga, Drepa e molti Soldati di
Brina rimasero atterriti di fronte a una visione che superava tutto quel che
avevano potuto immaginare al riguardo.
Creature
immense, che trasudavano fiamme e lava, iniziarono ad avanzare su Bifrost, obbligando tutti i servitori di Loki a correre avanti, anche disordinatamente, per non
essere inceneriti, rompendo l’equilibrio che si era generato nel breve scontro
con le Valchirie. Alcune vennero infatti raggiunte dalla tempesta di raggi
congelanti diretta contro di loro, tramutandosi in statue di ghiaccio, prima di
essere distrutte dal fuoco purificatore dei figli di Muspell.
Le altre furono costrette a ritirarsi, cavalcando fino a portarsi alle spalle
di Heimdall, all’estremità del Ponte Arcobaleno.
Quell’immagine,
che il Dio Bianco aveva a lungo temuto, incrociandola nei suoi brevi sogni,
stava adesso divenendo realtà. Bifrost tremò, scosso
da una pressione mai subita prima, scricchiolando sinistramente, prima di
iniziare a schiantarsi in più punti. Pezzi di cielo precipitarono verso
l’abisso, avvolti in fiamme distruttrici, mentre l’immane potenza dei figli di Muspell avanzava verso Asgard.
Anche
Loki sentì lo schiantarsi del Ponte Arcobaleno e
sogghignò beffardo, fermando la propria cavalcatura al limitare di Asgard, nel
campo di Vígríðr,dove aveva concordato in precedenza di incontrarsi con
Erik e gli eserciti di Muspell.
Là,
due ore prima, si era tramutato in aquila, per volare con Flare
verso Hel, e adesso sedeva su Fenrir,
carezzandone il ruvido pelo e osservando compiaciuto la nube di fumo che aveva
iniziato a riempire il cielo, alimentata da vivide fiamme di morte.
“Bifrost sta crollando sotto i passi dei distruttori del
mondo!” –Esclamò, appagato. –“Di fronte a loro marciano i Soldati di Brina e i
miei Sigtívar! Inoltre senti questo vento freddo
proveniente dal lato opposto, figlio? È l’inverno che arriva dal Niflheimr, portato da Hrymr e dai
Giganti di Brina tramite l’Albero dell’Universo! Un attacco su due fronti, che
obbligherà Odino a dividere le sue armate, rendendolo impreciso e più
vulnerabile! È la condizione migliore per passare all’offensiva da un altro
lato, tutti e quattro insieme!”
“Quattro?!”
–Ripeté la bestia.
“Quattro!”
–Sibilò una voce in risposta.
Loki e Fenrir si voltarono verso destra, dove era appena comparsa
la macabra sagoma di Hel, Signora degli
Inferi e figlia del Dio dell’Inganno, in groppa a un grosso cane, dal pelo
fulvo e dal ghigno affamato. Dietro di lei l’esercito di adulteri, assassini,
spergiuri e tutta la feccia che non era mai ascesa al Valhalla
e che adesso era uscita dai cancelli di Hel per
rivelare la propria ferocia.
“Rivederti è un piacere, padre!” –Mormorò la donna,
inginocchiandosi ai piedi del gigantesco lupo, che faceva sembrare Garmr un cardellino. –“Ugualmente mi felicito di rivedere Fenrir in libertà! Per quanto il suo ululare continuo e
disperato mi abbia tenuto compagnia nelle mie notti solinghe, godo al pensiero
delle stragi a cui si abbandonerà! Stragi in cui lo accompagnerò!”
“Le tue parole sono musica alle mie orecchie,
figlia!” –Rispose il Buffone Divino. –“Sebbene per l’occasione avresti potuto
indossare un vestito migliore di quel guazzabuglio di stracci! Ah ah ah! Suvvia, ti perdonerò! La gaiezza del rivedere i propri
figli spinge ogni genitore a dimenticare i loro difetti, esaltando invece i
pregi! Pregi che presto vedremo in azione!” –Sghignazzò, sollevando la Pietra
Nera che portava al collo. –“È tempo che anche vostro fratello si unisca a noi!
Troppo a lungo siamo stati separati!”
E nel dir questo espanse il proprio cosmo, mentre un
ventaglio di luce nera invase l’immenso campo di Vígridhr, andando oltre, entrando in Asgard,
espugnando Fensalir, Breidablik,
Valaskyalf e le altre residenze divine e facendo
rabbrividire gli Dei ivi riparatisi. Poi si chiuse sul Valhalla,
cingendo d’assedio il maestoso cancello di Valgrind e
penetrando nelle agitate rive del fiume Thund, ultima
difesa della roccaforte.
Voleva che Odino lo sentisse. Voleva che Odino sapesse che Loki era lì, dove gli aveva promesso che sarebbe stato un
giorno, a prendere la sua rivincita. Assieme a tutti i suoi figli.
Le acque attorno ad Asgard si scossero, mentre immensi flussi si
sollevarono, abbattendosi sui campi, sulle spiagge e sulle abitazioni
circostanti, anticipando l’emersione, dal lungo esilio cui Odino lo aveva
confinato, del terzo, e più mostruoso, figlio di Loki.
Jormungandr, il Serpe del Mondo.
“Eccoci di nuovo tutti assieme, un’allegra famiglia
riunita!” –Commentò Loki, osservando gli sbuffi di
vapore venefico che spuntavano in lontananza, a indicare la posizione del
figlio. –“Proprio come ai bei vecchi tempi. Gli stessi che adesso
cancelleremo!”
La comparsa dei Cavalieri delle Stelle diede nuovo
vigore a Pegasus e a Cristal,
che approfittarono delle ferite subite da Skoll per
lanciarsi contro di lui, caricando i rispettivi pugni di energia lucente e
congelante, che diressero verso la ferita che Jonathan gli aveva provocato
poc’anzi sul collo. Nello stesso momento Reis balzò
sotto la fiera, lanciandosi verso l’alto con la Spada di Luce in mano e aprendo
un nuovo squarcio lungo il ventre peloso, mentre schizzi di sangue e di materia
organica insozzavano il suolo ghiacciato.
“Sssmettetelaaa!!!”
–Ringhiò Skoll, stordito e indebolito dall’attacco
congiunto. Fece per muovere un passo avanti ma posò la zampa su qualcosa di
appuntito, qualcosa che gli trapassò la carne, dilaniandola in un arco di luce,
mentre Reis rotolava via, con la lama intinta di
sangue nemico.
“Eri una bellissima creatura, è quasi un peccato
doverti distruggere!” –Commentò Jonathan, sollevando lo Scettro d’Oro al cielo,
che generò un ventaglio di luce accecante, obbligando persino Pegasus e Cristal a tapparsi gli
occhi. –“Ma eri volta al male, ed è questa la fine per gli emissari del caos! Luce dello Scettro, irradia!!!”
Il diamante intagliato a fiore, sulla cima dell’asta
dorata, si aprì e migliaia di fasci di energia, simili a lame di luce,
riempirono l’aria della corte di Midgard, che mai
aveva visto così intenso sole fin dall’epoca della sua costruzione. Skoll venne raggiunto su un fianco, sul viso, sulle zampe,
e ovunque si aprirono squarci e macchie vermiglie, finché, incapace di reggersi
ulteriormente in piedi, non crollò agonizzante sui detriti della torre, senza
riuscire più nemmeno a fiatare.
Prima di spirare, sollevò gli occhi rossastri,
riconoscendo la sagoma del Cavaliere del Cigno, a pochi metri da lui, la stessa
in cui Loki si era trasformato ore prima. E
sogghignò, certo che la vittoria alla fine gli avrebbe arriso. In quel momento Reis, con un secco colpo di lama, gli mozzò la testa,
ponendo fine alla sua nefasta esistenza.
“Bleah!” –Esclamò Pegasus alla vista delle viscere della bestia. –“Che odore
nauseabondo inquina la bella aria di Asgard!”
“Hai ragione, Pegasus!
Sarà opportuno dare fuoco a questa carcassa quanto prima!” –Annuì Jonathan,
affiancando il ragazzo.
“Ce ne occuperemo più tardi! Adesso dobbiamo
raggiungere Dragone nelle segrete!” –Incalzò Cristal,
iniziando a correre, presto seguito dagli altri.
“Ve la siete cavata bene con quel mostro!” –Commentò
Pegasus, rivolgendosi a Reis
e Jonathan. –“Non sapevo aveste già esperienze con simili creature!”
“L’addestramento a cui siamo stati sottoposti ci ha
iniziato anche a prove del genere!” –Si limitò a rispondere Reis,
continuando a correre. –“Avalon riconosce l’esistenza di molte creature, alcune
delle quali le società moderne definiscono erroneamente come leggendarie,
mitologiche o irreali!”
“Non è forse quello che si dice anche di noi
Cavalieri?!” –Ironizzò Pegasus.
“Presto o tardi gli abitanti della Terra dovranno
convivere con questa realtà!” –Disse Jonathan, quasi sbadatamente. –“Perché
appigliarsi a una leggenda potrebbero essere la loro ultima speranza!” –Non
aggiunse altro, infilando dietro a Cristal
all’interno della fortezza, senza perdersi l’occhiata di sbieco che Reis gli lanciò.
Percorsero corridoi e sale dove giacevano corpi di
uomini e di soldati, taluni con le divise della cittadella, altri con le
corazze azzurre che Loki aveva donato loro, segni
degli scontri che vi si erano consumati, e del passaggio di Dragone e gli
altri.
Quando giunsero nelle segrete videro Sirio seduto in
posizione meditativa di fronte ad una cella, con Kiki,
Bard e gli arcieri in rigoroso silenzio alle sue spalle e i cadaveri di una
decina di lupi e Soldati di Brina poco distanti. Il fratellino di Mur fece cenno a Pegasus di non
fare rumore, per non disturbare la concentrazione dell’amico, intento a
sciogliere i legami che costituivano la runa sigillante che Loki
aveva apposto su quella prigione. Una runa di fattura divina, il cui scopo era
di mantenere ciò che abbracciava in una posizione di status quo, non accettando
alcuna variazione al suo interno. Non poteva perciò essere attaccata frontalmente,
ma andava sciolta, facendola venire meno.
Grazie anche all’unione del cosmo di Ilda, Sirio
riuscì infine a distruggere i legami intrinseci di Isa, la runa di ghiaccio,
permettendo ai prigionieri di uscire da quella gabbia in cui, soprattutto Fiador, temevano di dover restare a lungo.
“Ilda!!!” –Esclamò Pegasus,
osservando il volto stanco della Regina di Midgard
avvicinarsi, seguita da Enji e da un giovane che non
conoscevano.
“Cavalieri di Atena! È una gioia rivedervi, sebbene
i tempi siano quanto di più infausto quest’epoca possa offrirci!” –Commentò,
cercando di darsi un tono formale, adatto al suo ruolo, per quanto la
stanchezza si facesse sentire. –“Temevo che, a causa di Fimbulvetr,
Odino non avrebbe ricevuto il mio messaggio!”
“Invece ci ha avvisato in tempo, permettendoci di
essere qui per salvarvi! Mia Signora… state bene?”
–Si preoccupò subito Cristal, prima di guardarsi
intorno confuso. Ilda capì dal suo sguardo quel che il ragazzo stava cercando e
le si strinse il cuore al pensiero di confessargli la verità. Ma doveva farlo,
perché era forse l’unico adesso, assieme ai suoi compagni, che potesse salvare
sua sorella.
“Flare… è con lui! L’ha
fatta prigioniera!” –Esclamò infine, sforzandosi di non piangere di fronte a
tutta quella gente. –“Dovete salvarla, Cavalieri! Devi salvarla!” –Aggiunse,
fissando Cristal con risolutezza.
“Lo farò! Abbi fiducia in me, e nell’amore che provo
per lei!” –Decretò Cristal, e Pegasus,
Sirio e la stessa Ilda rimasero colpiti dalla dichiarazione dell’amico,
soprattutto il primo.
Per quanto sapesse che il ragazzo fosse legato a Flare, e che dopo l’avventura vissuta insieme nella vera
Asgard qualcosa tra loro fosse scattato, trasformando la reciproca simpatia in
un rapporto più intimo, più profondo, si sorprese di sentirlo parlare in quel
modo schietto. Proprio lui, Cristal, il buon ghiacciolo, come l’aveva
definito spesso scherzando con Sirio e Andromeda. Ma poi, riflettendoci sopra, Pegasus si sorprese di essere sorpreso, non essendoci i
motivi per esserlo in realtà.
Tutti i suoi amici, i compagni con cui aveva diviso
la vita fin dal primo scontro su un ring a Nuova Luxor, erano cresciuti e
avevano trovato il coraggio di ammettere quel che provavano, di dichiarare il
loro amore alle donne che amavano. Sirio a Fiore di Luna, Andromeda a Nemes, e Cristal a Flare. Soltanto lui sembrava non essere in grado di fare
altrettanto. Perché? Si chiese,
osservando Cristal abbracciare Ilda con affetto.
Poteva sconfiggere giganti, mostri e Divinità infernali, ma trovava così
difficile esprimere quel che provava, preferendo tenerselo dentro e lasciare
che gli divorasse il cuore.
Perché era quella la fine a cui sarebbe andato
incontro. Lo sapeva, e persino Ioria, che lo vedeva
ormai come un fratello minore, l’aveva avvisato.
Ricordava ancora la conversazione avuta con lui
qualche settimana prima, di ritorno dall’Isola delle Ombre, quando il Cavaliere
d’Oro l’aveva informato che avrebbe trascorso un po’ di tempo con Reis, adesso che finalmente l’aveva ritrovata.
“Alcune persone aspettano una vita intera per un
momento come questo, senza accorgersi, in realtà, che di momenti del genere la
vita è piena! Basta solo saperli cogliere!” –Gli aveva detto con un sorriso,
ponendogli una mano sulle spalle.
Ma Pegasus non era ancora riuscito
a coglierlo.
Sulle prime aveva dato la colpa alle avventure che
avevano separato entrambi, lei sull’Olimpo e lui intento a lottare in suo nome,
ma in seguito, dopo quel che era accaduto alla Tredicesima Casa, si era sentito
in colpa, e forse anche indegno. La rosa di rabbia, come Ioria
gli aveva ben spiegato, non aveva creato niente, solo portato al parossismo
istinti che ognuno covava dentro. E Pegasus, a causa
di questo, aveva tentato di uccidere Atena, la Dea che avrebbe dovuto
proteggere, e che invece odiava per non poterla avere, come odiava se stesso, i
Cavalieri, il Duca Alman e tutto quel mondo di guerra
in cui era immerso. Quel mondo che, se non fosse esistito, gli avrebbe concesso
di essere felice con Isabel.
Sospirò, grattandosi la testa, prima di riportare
l’attenzione sulla Regina di Polaris, a cui Cristal stava presentando i Cavalieri delle Stelle.
“Jonathan di Dinasty,
Cavaliere dei Sogni, e Reis di Lighthouse,
Cavaliere di Luce! Appartengono all’ordine istituito dal Signore dell’Isola
Sacra per difendere i confini di Avalon!”
“E per una lista infinita di altre cose!” –Ironizzò
Jonathan.
“Siete i benvenuti ad Asgard, Cavalieri di Avalon!
Qua l’ospitalità è sempre sacra, anche in un momento oscuro come questo!”
–Esclamò Ilda, prima che Cristal e gli altri
iniziassero a porle domande sull’accaduto. Soprattutto Pegasus
era desideroso di sapere chi fosse questo Loki,
nemico di Odino, di cui non aveva mai sentito parlare.
“Vi dirò quello che so, Cavalieri, ma prima dovremmo
trovarci un luogo sicuro!”
Fu in quel momento che arrivò Andromeda correndo,
anticipato dal cigolio delle catene. Sbucò in fondo alla scala che conduceva
alle segrete, seguito da un manipolo di guardie della cittadella, che avevano
trovato rifugio nei boschi attorno, scampando per miracolo ai massacri dei
Soldati di Brina. Li aveva incontrati dopo aver sconfitto Managarmr,
rientrando a palazzo, apprendendo da loro della prigionia della Regina.
“Ilda! Amici!” –Esclamò, con un gran sorriso,
facendosi loro incontro.
“Andromeda!” –Rispose Pegasus, felice di rivederlo
sano e salvo. L’amico si inchinò di fronte a Ilda, salutando poi anche Reis e Jonathan, sorpreso ma felice di trovarli a Midgard, prima di raccontare del breve scontro con il Lupo
della Luna.
“La fortezza è di nuovo libera, mia Regina, sia pur
danneggiata in alcune zone!” –Esclamò uno degli uomini della guardia. –“Abbiamo
perlustrato il Salone del Fuoco e i piani inferiori, sembra che i Soldati di
Brina se ne siano andati!”
“E a quelli che c’erano abbiamo dato una bella
lezione!” –Commentò Pegasus, sbattendo un pugno
nell’altra mano.
“Piuttosto strano… Hanno
lasciato Midgard in tutta fretta…”
–Rifletté Ilda, prima di fare cenno ai Cavalieri suoi ospiti di seguirla al
piano di sopra.
Venti minuti più tardi, dopo essersi effettivamente
sincerati dell’assenza di lupi, Soldati di Brina o servitori di Loki all’interno del palazzo, i Cavalieri di Atena e delle
Stelle erano riuniti nel Salone del Fuoco, assieme a Kiki,
Fiador e Bard. Nonostante la disagevole situazione,
Ilda aveva provveduto comunque a fornire agli ospiti un pasto caldo e
medicazioni, scusandosi per non poter offrire di meglio in quel momento. Ma né Reis e Jonathan, né Pegasus e gli
altri, ebbero da ridire.
Enji arrivò qualche minuto dopo,
informando la Celebrante di Odino dei danni subiti dalla fortezza, soprattutto
al Cancello Meridionale e al piazzale sul retro, ormai sommerso da cumuli di
rocce e ghiaccio. La notizia della distruzione della Statua di Odino parve
stancare Ilda, che chinò il capo sconsolata per la perdita e l’oltraggio che Midgard aveva subito.
“Adesso è chiaro! Sono andati a Asgard! Non capivo,
sulle prime, perché Loki avesse rapito mia sorella,
avrebbe potuto prendere me come ostaggio, ma poi ho compreso che quel che
voleva non era lei, ma qualcosa che aveva con sé! L’amuleto di Frigg, capace di far apparire Bifrost!”
–Disse Ilda, e Cristal sussultò, ricordando quando se
ne era servito. –“In questo modo l’Ingannatore ha potuto raggiungere Asgard,
tramando dall’interno in attesa dei suoi servi! Questo era il grande schianto
che ho sentito nel cuore, lo spezzarsi di Bifrost, il
crollo del Ponte Arcobaleno!”
“Che cosa?! Questo significa che…
la via per Asgard… è preclusa?!” –Balbettò Cristal, e anche gli altri si guardarono inorriditi,
aspettando ulteriori dettagli da Ilda. –“Ma… e Flare?! Se ha osato torcerle un capello io…”
“Dubito che lo abbia fatto! Loki
non è tipo da ammazzare per nulla, deve avere un tornaconto in tutto quello che
fa! Se Flare è riuscita ad essere utile allora l’avrà
tenuta in vita!” –Spiegò la Regina di Midgard, prima
di rispondere alle insistenti domande di Pegasus su Loki. –“Egli è la Divinità più importante del pantheon
nordico, al pari dello stesso Odino, di cui rappresenta la nemesi, l’altra
faccia della medaglia! Discendente degli Jötnar, Loki
ha vissuto per secoli ad Asgard e sulle prime gli Asi
parevano quasi ammirarlo, incantati dalla sua astuzia, dalla sua malizia, dalla
capacità che aveva di cacciarsi sempre fuori dai guai, e di tirarci fuori anche
gli altri! Per quanto molti detestassero i trucchi a cui faceva ricorso, al
tempo stesso avrebbero voluto possedere la sua intelligenza! Forte di questo
potere, Loki iniziò a tramare nell’ombra, carpendo i
segreti degli Dei e usandoli per metterli uno contro l’altro e per averne un
vantaggio, aumentando sempre più la sua posizione! Ma un giorno, anch’egli, si
spinse più in là di quanto avrebbe dovuto, tentando di uccidere il divino Balder, l’essere più perfetto e armonioso che l’universo
avesse creato!”
“Il figlio di Odino?!” –Intervenne Cristal, ricordando l’incontro con il Dio, giusto e solare,
che aveva salvato da Hel.
“Proprio lui! Loki
riteneva infatti che Balder nascondesse il segreto
per fermare il Ragnarök, momento che il Buffone
Divino attendeva invece per rovesciare l’ordine costituito e imporre quello
degli imperfetti! Un ordine dove avrebbero trovato posto tutti coloro che gli Asi avevano scartato, deriso, umiliato, ucciso, nel corso
dei millenni! Quale fosse il senso della profezia neppure Loki
lo comprese a fondo, ma io credo fosse da interpretarsi in maniera più estesa!
Non Balder stesso avrebbe salvato Asgard, ma i suoi
modi di fare, il suo stile di vita, la lucentezza del suo cosmo! Se gli altri Asi, Vani e uomini si fossero comportati come lui, se
fossero stati puri come lui, l’inverno non sarebbe mai sceso e non vi sarebbe
stato alcun crepuscolo! Invece gli Dei continuarono a scontrarsi tra loro, come
gli uomini fecero sulla Terra, e il caos prosperò, liberando Loki dalla prigionia cui gli Asi
lo avevano confinato dopo il tentato omicidio di Balder
e donandogli nuovo potere, per ordire gli intrighi necessari per avere la sua
vendetta! E, c’è da dire, che sulla Terra ha trovato terreno fertile, poiché
molti lo hanno seguito, anche uomini pii dal cuore nobile sono stati adescati
dalle sue parole, in grado di apparire melodiose a chiunque così volesse
udirle!” –Sospirò Ilda, spostando fugacemente lo sguardo sul figlio del Conte Turin.
“Credo che l’interpretazione di Ilda sia corretta!”
–Intervenne allora Andromeda, rompendo il silenzio che si era creato. –“Se gli
uomini e gli Dei potessero vivere in pace e armonia, le guerre non
scoppierebbero più e il male cesserebbe di esistere, invece entrambi
falliscono. Continuamente falliscono. E chi desidera il caos, la sovversione
dell’ordine, riesce sempre a trovare un aiuto! Ricordate Flegias,
amici, e tutti coloro che ha irretito?!”
“Questo è dannatamente vero!” –Bofonchiò Pegasus. –“Ma noi non siamo filosofi, Andromeda, siamo
Cavalieri e abbiamo il dovere di lottare per ciò che crediamo, anche se questo,
spesso, significa abbassarci al livello di coloro che affrontiamo!”
“Mia Regina, come possiamo fare? Se la Tremula Via è
crollata, come potremo raggiungere Odino? Voi potreste forse…?!”
“No, Cristal! Trasferirvi
ad Asgard non è nei miei poteri! Come l’Olimpo e il Grande Tempio, il cosmo
della più possente Divinità di quel luogo preclude qualsiasi possibilità di
penetrare al suo interno! Neppure con l’autorizzazione stessa di Odino potrei,
perché gli scudi che si sono sovrapposti per millenni fanno della fortezza in
cielo un luogo impenetrabile dalla mente umana!”
“Siamo tagliati fuori…”
–Mormorò Andromeda sconsolato, al pari dei compagni.
“Pur tuttavia…” –Riprese
Ilda, attirando nuovamente l’attenzione su di te. –“Esiste un’altra via, per
giungere ad Asgard!”
A quella frase persino Enji
sussultò. Per quanto fosse fedele sostenitore del casato dei Polaris e la sua famiglia prestasse servizio a palazzo da
secoli, non aveva mai sentito udire una cosa simile, neppure da suo padre, che
era stato precettore di corte.
“Seguitemi!” –Si limitò ad esclamare la donna, alzandosi, con il tridente
saldamente in mano, e incamminandosi verso l’uscita del Salone del Fuoco. Pegasus, Andromeda, Sirio, Cristal,
Kiki, Reis, Jonathan, Enji, Fiador e Bard la seguirono,
scendendo ai livelli più bassi del palazzo, addirittura più in basso delle
segrete. –“Loki pensa solo a ciò che gli può essere
utile, ma non ha mai capito che il vero potere risiede nella conoscenza!
Altrimenti saprebbe che gli antichi creatori furono previdenti! Volevano, è
vero, allontanarsi dagli uomini, troppo deboli e corrotti a loro dire, ma al
tempo stesso si lasciarono aperti una porta! Una possibilità!”
“Mia signora…” –Commentò Enji, procedendo con una torcia in mano lungo una scala a
chiocciola dai gradini così polverosi da non essere stata percorsa da secoli.
–“Non sapevo esistesse un altro livello al di sotto delle prigioni!”
“Non crucciartene mio fido Enji,
nessuno ne era a conoscenza, neppure Flare!” –Fu la
risposta di Ilda, che si fermò, ai piedi della scalinata, di fronte a un muro
spoglio. –“Molte volte ho pensato che fosse meglio informarla, nel caso io
fossi perita, per evitare che il segreto dei miei antenati, e di tutti i
Celebranti che ci hanno preceduto, scomparisse! Poiché solo io so come aprire
il passaggio che conduce… ai mondi!”
Il consigliere scosse la testa, non capendo, mentre
Ilda avanzava di qualche passo, conficcando la punta del tridente in un incavo
del muro, imprimendovi tutto il suo cosmo, che finalmente rivelò nel suo
splendore. Sia pur freddo, era comunque carico di vita, pulsante di emozioni,
al punto che tutti ne furono ristorati, persino ammaliati.
Quindi Ilda pronunciò alcune parole in norreno, che Pegasus e gli altri non compresero, e persino Cristal ed Enji fecero fatica a
capire, essendo probabilmente una versione più antica di quella corrente, e
infine mosse la mano, disegnando nell’aria un segno di luce, che a Pegasus parve una B stilizzata.
“Una runa!” –Mormorò Jonathan, che, come Reis, era stato addestrato a tali arti ad Avalon. –“Bjarkan!” –Aggiunse prontamente la ragazza. –“La runa della
visione, della rivelazione, del sogno!”
Le sue ultime parole si persero nell’onda di luce
che invase la stanza, obbligando tutti a coprirsi gli occhi per poi realizzare,
quando tornarono a vedere, che il muro si era diviso in due, aprendosi
all’interno e rivelando un corridoio che si incuneava nell’oscurità. Ilda,
senza esitare, vi si tuffò, seguita da Enji e Fiador, che facevano luce con le torce, e dai Cavalieri.
Scesero ancora di una decina di metri, sentendo un freddo intenso gelargli le
ossa, mentre Ilda riprendeva a spiegare.
“Questo è il luogo più sicuro dell’intera Midgard! Costruito all’alba dei tempi, dal primo Celebrante
scelto da Odino, su di esso venne innalzata la cittadella, uno strato dopo
l’altro, un’epoca dopo l’altra! Ma, pur con tutte le operazioni di restauro che
la reggia ha subito, dopo le guerre che si sono combattute, il nucleo centrale
non è mai stato intaccato, né mai potrà esserlo!” –Concluse, giungendo in
un’ampia stanza circolare, vasta all’incirca quanto metà del Salone del Fuoco.
“La stanza dei portali!” –Esclamò, sollevando lo scettro
e irradiando un po’ di luce, in modo che tutti potessero ammirarla. Ammirarne
soprattutto le pareti, perché per il resto la stanza era vuota, priva di
qualsiasi mobilio o ulteriore apertura.
Ai muri erano invece stati scolpiti degli archi,
decorati con pietre in modo da rappresentare delle porte. Ve ne erano otto in
tutto, che, partendo dalla sinistra dell’ingresso, giravano attorno alla sala
guardandosi in faccia, come fossero tutti sulla stessa circonferenza.
“I nove mondi!” –Affermò Ilda, richiamando a sé
l’attenzione dei Cavalieri, che ancora non avevano ben capito come potessero
giungere ad Asgard.
“Nioheimar…” –Disse Cristal, ricordando gli insegnamenti del Maestro dei
Ghiacci.
“Nove mondi ricordo, nove sostegni, e l’albero
misuratore, eccelso, che penetra la terra!” –Commentò Enji,
strappando un sorriso a Ilda, che ben conosceva quella citazione, tratta da uno
dei più antichi poemi epici scandinavi. Lo stesso che Lady Isabel aveva citato
ai Cavalieri ad Atene, la Profezia della Veggente.
“Fin dall’alba dei tempi, nove sono i mondi in cui è
diviso l’universo! Il primo è il Recinto di Mezzo, Midgard,
popolato dagli uomini mortali, in cui adesso ci troviamo! Il secondo mondo è Ásaheimr, la terra dove vivono gli Asi, la cui capitale è la grande fortezza di Asgard, ove
voi dovete dirigervi! Il terzo mondo è invece Vanaheimr,
la regione dove abitano i Vani, la seconda stirpe divina, di cui tu, Cristal, hai già conosciuto un rappresentante, il Sommo Freyr!” –Spiegò Ilda, e il ragazzo annuì al ricordo del Dio
della Prosperità. –“Il quarto mondo è Jötunheimr,
il regno dei Giganti, dove si trova la Fonte di Mimir,
a cui Odino ha spesso chiesto consiglio. Vi abitano gli Jötnar,
i giganti alleati degli Asi e precursori di altre
stirpe mostruose che invece agli Dei sono avverse. Il quinto mondo è chiamato Álfaheimr e vi dimorano gli elfi chiari, creature leggiadre
e amanti della pace e di tutto ciò che è bello e lucente, mentre il sesto è Svartálfaheimr, il mondo degli elfi scuri e dei nani,
massimi costruttori e fabbri. Furono loro infatti a forgiare, tra gli
altri, Brísingamen, il monile di Flare, la spada Balmunk e molte
armi usate dagli Asi e dai guerrieri in battaglia!
Per
ultimi ho tenuto i mondi più pericolosi, dove mai vorrei avventurarmi! Il settimo
è infatti il nebbioso Niflheimr, situato nel gelido
settentrione, sotto il quale si estende Helheimr,
l’ottavo mondo, molto simile al precedente e come tale spesso sovrapposti.
Questa è la zona più oscura dell’universo, un vero e proprio inferno di ghiaccio,
ove dimorano gli Hrmithursar, i Giganti di Brina, con
cui Cristal si è già scontrato in passato. L’ultimo
mondo è invece Múspellsheimr, il regno del fuoco. È una terra dove il tempo sembra non sia mai
trascorso, rimasta all’antico fuoco primordiale. Brucia e arde continuamente e
il solo respirare è insopportabile per chi non vi è nato, a causa del calore
che la domina. Qua dimorano i Giganti di Fuoco, stirpe solitaria e controversa,
che in passato ha donato a Odino sia aiuto che innumerevoli guerre.
Rabbrividisco al pensiero che uno di voi possa ritrovarsi in tale abominevole
landa!”
“Uno di noi?!” –Balbettò Pegasus,
non capendo.
“Anche se nessuno sa di preciso come i nove mondi
siano disposti l’uno rispetto all’altro o su che piano dimensionale si trovino,
c’è qualcosa che li unisce tutti, che li lega indissolubilmente: l’Albero
Cosmico, che sale fino alle sommità del cielo!”
“L’Albero Cosmico! Yggdrasill!”
–Esclamò Cristal. –“Ne discendemmo il tronco fino
alle radici per giungere nell’inferno!”
“Quello era uno dei modi di arrivare ad Hel! E questo è un altro, che vi permetterà di seguire il
percorso inverso, giungendo in uno dei Nove Mondi, per trovare poi l’Albero
dell’Universo e arrampicarvi su esso fino ad arrivare ad Asgard! Un’impresa
rischiosa, folle, forse impossibile! Ma non ho alternative valide da proporvi,
Cavalieri di Atena, se non attendere passivi il completarsi degli eventi!”
“Mai!” –Affermò Pegasus chiudendo il pugno.
–“Spiegaci però Ilda come possono questi archi di pietra aiutarci!”
“Non sono semplici archi, Pegasus,
non soltanto! Ma sono dei portali verso gli altri mondi! Per comprenderne
l’esistenza, dovete comprendere Odino! Il Signore degli Asi
infatti non ha mai avuto eccessiva simpatia per gli uomini, ma al tempo stesso
non ne ha mai desiderato lo sterminio! È accaduto, in passato, che l’aria di
Asgard lo annoiasse e che si recasse in giro per i mondi, sotto le spoglie di
un mendicante. Vafhudr, il vagabondo, così veniva
chiamato. E nel suo girovagare aveva modo di apprendere molte cose, e di
temerne altre. Così, quando prese la decisione di costruire la fortezza di Midgard, e mandò i suoi figli ad innalzarne le mura
possenti, concordò con il primo Celebrante la creazione di un collegamento che
entrambi avrebbero potuto usare in caso di estrema necessità: Odino per uscire
da Asgard, e i Celebranti per raggiungere la terra degli Asi.
Non ho memoria se questi portali siano mai stati utilizzati, probabilmente no,
e con il tempo caddero nell’oblio, mentre uomini e Dei si allontanavano sempre
più gli uni dagli altri, ciascuno con i suoi problemi, speculari a quelli
dell’altro mondo!”
“Perciò questi sono dei varchi dimensionali!”
–Intervenne Jonathan, affascinato. –“Non sapevo ve ne fossero anche ad Asgard,
ma è probabile che i saggi che li concepirono fossero legati a coloro che
crearono il portale di Isla del Sol!”
“Tu li conosci, Cavaliere delle Stelle?” –Chiese
Ilda.
“Sulle Ande, di fronte al tempio di Inti, dove sono stato addestrato dal mio maestro, vi è un
arco di pietra molto simile a questi, che conduce direttamente ad Avalon! E so
per certo che ne esiste un secondo in Egitto! Di altri non sono a conoscenza!”
“Tutto molto interessante…
ma la domanda è… funzionano?!” –Esclamò Pegasus, sfregandosi le mani, mentre l’adrenalina iniziava
a montare in lui, intrigato all’idea della nuova avventura.
A quella domanda Ilda si avvicinò al centro del
salone, piantando il tridente per terra, nel punto di convergenza perfetta
degli otto archi e della porta d’ingresso, emanando una luce argentea a cui
presto risposero altre luci. Le pietre che componevano i lati e l’arco dei
portali presero infatti a illuminarsi, accendendosi di bagliori diversi, che
spaziavano dall’oro al rosso all’azzurro. Un arcobaleno di colori che lasciò i
Cavalieri di Atena e di Avalon, e i fedeli di Odino, a bocca aperta.
“Meraviglie del Mondo Antico…”
–Mormorò Jonathan, con sguardo trasognato.
“Purtroppo le scritte sono scomparse, le rune che
adornavano la sommità degli archi sono state rese illeggibili dal tempo, da
millenni di mancato utilizzo. Ciò ci impedisce di sapere dove conduca ognuno di
questi portali e in quale dei mondi chi varca la soglia potrebbe precipitare!”
–Spiegò Ilda, prima di abbassare il tono della voce, riducendola a un sussurro.
–“Inoltre… vi è un altro pericolo. Affinché il
trasferimento funzioni è necessario che nell’altro mondo esista un portale
identico e, non sapendo se e quando siano stati usati, non posso garantirvi che
tali portali esistano ancora o se siano andati distrutti in una guerra, per un
terremoto o durante un’eruzione a Múspellsheimr. Se così
fosse restereste intrappolati tra due realtà dimensionali, impossibilitati ad
andare avanti e incapaci di tornare indietro! Forse tuo fratello…”
–E nel parlare si rivolse ad Andromeda. –“Lui avrebbe i poteri per muoversi tra
le dimensioni. Ma voi?! Siete davvero disposti a correre questo rischio? A
rischiare di perdervi per sempre?!”
Sul
momento nessuno rispose e Ilda chinò il capo, consapevole della loro scelta.
Fece per afferrare il tridente, per toglierlo dall’incavo e spegnere la luce
dei portali, quando la voce di Pegasus la riscosse.
“Certo
che siamo pronti! Stiamo solo aspettando che tu ci dica come partire!”
“Per salvare Asgard, la Terra e l’umanità correremmo
rischi anche peggiori di ritrovarci in chissà quale angolo dell’universo!” –Gli
andò dietro Sirio.
“Del resto abbiamo esperienza sul campo delle
dimensioni sconosciute, essendo stati risucchiati da un vortice che ci ha
portato in fondo al mare e avendo raggiunto l’Inferno da vivi!” –Concordò
Andromeda, prima che Cristal concludesse.
“Per coloro che amiamo, noi andremo!”
“E noi verremo con voi, Cavalieri di Atena!”
–Intervenne allora Reis. –“Il Signore dell’Isola
Sacra ci ha espressamente chiesto di portarvi aiuto e così faremo!”
“Se questa è la vostra decisione…”
–Commentò Ilda, trattenendo un sospiro. –“Farò il possibile per aiutarvi!” –E
nel dir questo mosse le dita della mano destra, generando una runa che a Pegasus parve un piede di papera stilizzato. –“Yr! La runa della protezione! Che la benedizione del casato
dei Polaris possa scendere su tutti voi, Cavalieri
della Speranza!”
“Grazie, Regina di Midgard!” –Esclamò allora Pegasus, parlando a nome di tutti i compagni, che annuirono
con orgoglio. Dopo di che ognuno si dispose di fronte ad un portale: da
sinistra a destra Pegasus, Jonathan, Sirio, quindi,
dopo un varco rimasto vuoto, Reis e Andromeda.
“Mi raccomando, Bard!” –Gli disse Cristal, ponendogli una mano su una spalla. –“La difesa
della cittadella è ora nelle tue mani! Così come quella della regina! Sii degno
di tale onore e stai in guardia, il nemico ha molte facce!”
L’allievo di Orion strinse
il braccio del Cavaliere, guardandolo con determinazione, prima che questi
prendesse il suo posto di fronte al portale accanto a Sirio.
“In gamba, ometto!” –Sorrise Dragone a Kiki, che annuì, stringendo i pugni.
Ilda osservò i due portali rimasti liberi e si augurò fossero quelli che conducevano a Múspellsheimr e negli Inferi. Quindi espanse al massimo il
proprio cosmo, entrando in sintonia con le energie nascoste nei portali, mentre
ciascun Cavaliere si avvicinava alla parete scintillante, sfiorandola prima con
una mano e accorgendosi di potervi passare attraverso, quasi fosse un velo di
luce.
Guardandosi
un’ultima volta, Pegasus, Dragone, Cristal e Andromeda si sorrisero, prima di entrare nel
varco dimensionale e scomparire. Reis e Jonathan non
aspettarono che pochi secondi per fare altrettanto.
Ilda,
rimasta in trepidante attesa al centro del salone, con Kiki,
Bard, Enji e Fiador dietro
di sé, sospirò, chiedendosi che ne sarebbe stato di loro.
“Oh
speranza, non abbandonarli!” –Mormorò, prima di placare il proprio cosmo e
andarsene.
Su consiglio di Balder,
Odino aveva convocato un’assemblea di tutti gli Dei e dei loro alleati presenti
ad Asgard nella sala centrale del Valhalla, per
informare sui fatti correnti e per organizzare la linea di difesa.
Vista l’importanza dell’evento, che non si
verificava da secoli, in tutte le stanze e i corridoi della roccaforte vi era
grande agitazione, con guerrieri che facevano il loro ingresso, armati di tutto
punto e intenti a discutere tra loro, messaggeri che correvano e servitori che
si affaccendavano frenetici, affinché ogni ospite ricevesse la massima
attenzione. All’esterno, affissi alle finestre o ai balconi, sventolavano
lunghi stendardi con i colori e i simboli delle Divinità accorse.
L’immensa Sala della Vittoria era stata riempita di
tavoli, disposti uno accanto all’altro seguendo le linee delle mura, in modo da
creare il perimetro di un rettangolo e far sì che ognuno potesse vedere ogni
altro ospite presente, senza rivolgergli le spalle. Sui tavoli risaltavano
semplici composizioni floreali, mentre donne vestite come soldati servivano
vassoi di carne, che il cuoco Andhrimnir aveva
cucinato in fretta, accompagnati a boccali di birra e idromele.
Orion, entrando assieme a Mizar e ad Artax, non fu troppo
sorpreso al riguardo, ben conoscendo le mansioni che spettavano alle ardite
amazzoni all’interno del Valhalla.
“Lieta di incontrarti, Campione di Odino!” –Gli si
rivolse una delle donne, l’unica che non si affaccendava per la sala,
limitandosi a coordinare le attività delle compagne. –“Ero certa che saresti
stato presente!”
Bellissima e affascinante, con un fisico scolpito da
anni di addestramenti, la Regina delle Valchirie gli si fece incontro,
rivestita dalla sua corazza da battaglia, con l’elmo tenuto sotto il braccio e
lo splendido viso libero di essere ammirato.
“Sono lieto anch’io di trovarti qua, Brunilde, seppure l’occasione non manchi di generare
inquietudine!” –Esclamò Orion, fissando quegli
intensi occhi neri che era solito contemplare nelle loro chiacchierate
notturne. In quei momenti, smessi i panni dell’Einheri
e della Valchiria, avevano potuto parlare di loro stessi, riconoscendo, con un
sorriso, che ben poco allora sarebbe rimasto, essendo entrambi devoti ai loro
ideali. Motivo questo che li aveva portati a morte.
“Sono certa che il nostro Signore Odino saprà
guidarci alla vittoria anche stavolta!”
Senza dare troppa attenzione al sorriso ammirato con
cui gli si rivolse, Orion prese posto vicino a Thor, Mime, Mizar e Artax,
già seduti, e agli altri Einherjar, alcuni dei quali
avevano vestito in precedenza una delle sette armature di Asgard.
Guardandosi attorno l’uccisore di Fafnir vide molte facce conosciute, di Divinità che aveva
avuto occasione di incontrare e di guerrieri con cui si era scontrato durante
il quotidiano addestramento nel campo di Idavoll, a
cui erano sottoposti tutti i campioni di Odino per tenersi pronti per l’ultima
battaglia. Ma vi erano anche molti che non aveva mai visto prima d’allora, che
ai molteplici banchetti organizzati da Frigg non si
erano mai presentati, preferendo condurre una vita appartata.
Fino ad ora! Si disse il campione di
Asgard, ritenendo che, di fronte alla minaccia che bussava alle loro porte,
avrebbero dovuto fare fronte comune, mettendo da parte ogni diversità o
rivalità.
Tra i presenti, Orion notò
Tyr, il monco, figlio di Odino e Nume tutelare della
Guerra, abile combattente e maestro di armi, sia pur con un carattere burbero e
facilmente irascibile, intento a conversare con un uomo con cui non aveva mai
avuto modo di parlare, ma che riconobbe dalla tenuta da arciere e dalle frecce
d’argento che sporgevano dalla faretra. Ullr, l’abile
Dio Cacciatore.
Poco distante, un Ase
dall’aspetto ben diverso dai fisici statuari e vichinghi dei suoi pari, più
basso e un po’ robusto, con gote paffute che parevano arrossarsi quando
sorrideva, era intento a conversare con una dama elegante, dai mossi capelli
dorati, che gli carezzava le mani. Bragi, Dio saggio
e profondo conoscitore della poesia e dell’arte, e la sua sposa Idunn, che lo ascoltava sgranocchiando una mela.
Dall’altro lato del tavolo, non lontani dal trono,
sedevano insieme due figli di Odino: Vidharr, l’Ase silenzioso, dai lunghi capelli castani che gli
scendevano sul mantello bianco che copriva la sua corazza, e Balder, avvolto di luce propria. Ai lati del trono,
posizionato in modo da fissare l’ampia finestra rivolta a sud, Frigg, Signora degli Asi e
consorte di Odino, a sinistra, e Freyr, a destra,
erano in silente attesa.
Orion sorrise, non potendo fare a
meno di notare come in astuzia Odino non fosse di certo inferiore a Loki, avendo scelto bene il suo consigliere, uno dei Vani,
antichi avversari degli Asi, per lanciare un
messaggio di fratellanza a tutte le stirpi divine.
Vi erano inoltre rappresentanti dei nani, dei giganti di Jötunheimr e
degli Ulfhednir, un gruppo di guerrieri fedelissimi soltanto a Odino, riconoscibili
dalle vesti di lupo, una casta chiusa in una devozione integralista, i cui
membri traevano la propria forza dall’estasi derivante dal rapporto intimistico
che avevano con il loro animale totemico, il lupo. Orion
mosse la testa, in segno di saluto, incrociando lo sguardo di Luxor, un tempo
Cavaliere di Asgard della stella Alioth, e adesso
membro di quella casta, di cui era entrato a far parte poco dopo essere asceso
al Valhalla.
Non vi erano però rappresentanti degli elfi, il
beato popolo magico che molti consideravano ormai scomparso nella leggenda, non
avendoli incontrati per millenni. E di questo Orion
si dispiacque, ben sapendo quale contributo avrebbero potuto dare alla causa di
Odino, in termini numerici e logistici.
Un ululato improvviso terrorizzò molti dei presenti,
non essendovi avvezzi, ma Orion e gli altri Einherjar, imperturbabili, si alzarono in piedi, proprio
mentre il Signore degli Asi e Padre adottivo di tutti
i guerrieri entrava nella Sala della Vittoria. Alto e imponente, fiero nella
sua armatura da battaglia, con la spada Balmunk
affissa alla cintura, Odino squadrò in un attimo tutti i partecipanti con
l’unico occhio rimastogli, mentre ai suoi fianchi camminavano famelici Geri e Freki, due lupi dall’aspetto truce che gli erano stati
donati dagli Ulfhednir.
Se fosse contento o deluso dalla partecipazione che
incontrò, il Dio non lo diede a vedere, limitandosi a raggiungere lo scranno,
senza perdersi in molti cerimoniali.
“La situazione è grave!” –Esordì. –“E non vi è
motivo di nasconderlo! Quel che tutti temevamo, quel che ci era stato
profetizzato agli albori del mondo da una veggente che considerammo pazza, e
che per questo mandammo al rogo, si è infine avverato! La scure della profezia
si è abbattuta su di noi, incapaci di migliorarci nel tempo e di mettere da
parte il male, per il bene!”
“Mio Signore! Loki…” –Lo
interruppe allora Tyr, attirandosi alcuni sguardi di
disapprovazione. –“Pagherà!”
“Non è soltanto Loki il
problema! Perché egli, e l’ho capito tardi, dannatamente tardi, è figlio
nostro, della nostra cultura, che ha partorito, oltre ai canti e alle tante
vittorie, anche demoni e ombre! Fossimo stati diversi, fossimo stati migliori,
forse oggi non saremmo qua, a un passo dalla fine, ad armarci per l’ultima
guerra, a lottare non per un pezzo di terra o per un mero capriccio divino, ma
per la nostra stessa esistenza!”
A quelle parole nessuno osò fiatare, nemmeno Tyr o i nani, che difficilmente si zittivano, e Orioncredette che qualcuno
sarebbe capitolato, crollando nello sconforto.
“Pur tuttavia con i se e con i ma, con i rimorsi e
con i rimpianti non si vince una guerra né si costruisce un futuro!” –Riprese
Odino, alzando il tono di voce, che parve destare tutti nuovamente, portandoli
di fronte alla cruda realtà. –“Vincere o morire, questa è l’alternativa che
abbiamo oggi! Nessun’altra! Abbiamo fatto quello che ritenevamo giusto, abbiamo
vissuto come ci siamo sentiti di vivere, e nessuno può giudicarci per questo,
perché nessuno ha saputo fare di meglio e creare un mondo senza odio, guerre o
ombra! Le società ideali le lascio ai sognatori, ai canti di cui il nostro Bragi ci ha deliziato in molte veglie, ma la nostra è fatta
di lance e spade che si sollevano contro il nemico, di cosmi che si infiammano,
di scudi che si frantumano e di sangue che scorre! Nostro o del nemico, di
qualcuno sarà! Ma sarà il sangue che laverà via questo mondo destinato a
sparire per sempre! A voi la scelta, popoli dei nove mondi, di scomparire o di
lottare per opporsi al fato!”
“Che speranze abbiamo?” –Chiese allora Tyr. E a quella domanda Odino rise, come nessuno lo aveva
visto fare da tempo, chiuso com’era stato nei suoi pensieri, nella ricerca di
una strada per evitare la fine.
“Le speranze di chi crede che la tardiva decisione
di un mondo prossimo all’estinzione possa vincere una profezia di millenni!”
–Declamò, e tutti si fissarono, con espressioni diverse, di stupore, di
terrore, di dolore, ma anche di orgoglio e di forza. –“Io andrò!” –Aggiunse
infine, zittendo il chiacchiericcio nascente. –“Ho già fatto bardare Sleipnir e con esso fronteggerò il fato!”
“E noi saremo con te!” –Ringhiò allora Tyr, sfoderando la spada e puntandola verso il soffitto,
presto imitato da molti altri.
“Mio Signore!” –Intervenne allora Orion. –“Gli Einherjar sono
pronti a fare la loro parte! Generazioni di eroi sono cresciute in vista di
questo momento, addestrandosi ogni giorno nel cortile di Asgard e ristorandosi
ogni sera ai banchetti di Andhrimnir, ove tutte le
ferite venivano rimarginate e le membra ricomposte! Fin da quando siamo ascesi
al cielo degli eroi e le Valchirie ci hanno condotto nel Valhalla,
la nostra seconda vita ha avuto un solo scopo finale e non ci tireremo indietro
adesso!”
“Ben detto, ragazzo!” –Bofonchiò Tyr.
–“Corpo di un gigante, ben detto!”
Un susseguirsi di voci seguì le parole di Orion, dove molti sollevarono le armi, giurando o
rinnovando fedeltà a Odino. Lo fecero gli Ulfhednir,
alzandosi e fissando il Dio in silenzio, senza bisogno di aggiungere altro alla
loro incondizionata devozione. Lo fecero i giganti, battendo i pugni e i piedi
sul pavimento, al punto da far tremare le travi e il soffitto della Sala della
Vittoria. Lo fecero gli altri Dei, persino il placido Bragi
e la sua consorte, e lo fecero i nani.
“Le nostre fornaci lavorano già a pieno ritmo! Se i
giganti ci aiuteranno potremo trasportare armi per tutti in un arco di tempo
brevissimo! Armi come queste, vedete, di pregiata fattura e di robusta
qualità!” –Esclamò un rappresentante del popolo di Svartálfaheimr, mostrando fiero un’ascia
dalla lama affilata.
Per ultimo parlò Freyr,
sebbene Odino non avesse bisogno di ulteriori prove della sua fedeltà.
“A nome dei Vani, confermo che le nostre schiere
prenderanno parte all’ultima guerra, in onore al giuramento dell’otre che i
nostri capi stipularono millenni or sono!”
Quella dichiarazione spense
in parte l’entusiasmo collettivo. Sebbene infatti il Dio dell’Abbondanza fosse
uno dei più amati e rispettati nell’intera Ásaheimr,
al punto che molti lo consideravano un Ase a tutti gli effetti ormai, il ricordare l’antica
contesa con i Vani sembrò ai più fuori luogo. Persino Orion
sbatté gli occhi, stranito.
Fu
ancora una volta Tyr a farsi avanti per primo, con
tono garbato ma volutamente ironico.
“Apprezziamo
le tue parole, Dio della Prosperità, ma mi chiedo con quali schiere tu voglia
scendere in campo!”
“Con
queste!!!” –Tuonò allora una voce, mentre una porta si spalancava e una
trentina di guerrieri entrava a passo fermo, fino a portarsi al centro della
sala, di fronte a Odino. Li guidava un uomo alto, dall’aspetto anziano, con lunghi
capelli biancastri e una barba dello stesso colore, folta al punto da
mescolarsi con la chioma stessa. –“E con gli altri mille guerrieri che mi sono
permesso di far accampare nel cortile, oh possente Wotan!”
“Njörðr, Dio del Vento e della Navigazione!”
–Esclamò Odino, accennando un sorriso al padre di Freyr.
–“La tua presenza è come brezza lieve che rinfranca dalla calura, mio vecchio
amico!”
“Non avrai dubitato di me,
voglio sperare?!” –Borbottò Njörðr, fissando il
Signore degli Asi di sbieco per qualche secondo,
prima di scoppiare in una fragorosa risata. –“Saremmo arrivati prima, ma
abbiamo avuto qualche problema a Valgrind! Due tue
guardie non volevano farci passare dalla porta principale! Stavo quasi per
tagliar loro la testa dalla rabbia!” –Ironizzò il Dio, al cui fianco una
splendida fanciulla, Freya, sorella di Freyr, sorrideva composta. Anch’ella non aveva esitato un
istante a mettersi in marcia, decisa ad offrire il suo aiuto, ristoratore o
consolatore che fosse, agli eserciti del nord.
Fu in quel momento, di ritrovata serenità, che il
corno di Heimdall risuonò tre volte.
Lo udirono tutti, ovunque in Asgard, e tutti
tremarono, consci del suo significato.
Ragnarök era iniziato.
“Forte soffia Heimdall nel corno che sporge!”
–Commentò Odino, chiudendo leggermente l’occhio e vedendo là, la Sentinella
dall’acuta vista, ergersi solitaria su Bifrost, di
fronte alle schiere avverse, mentre il destino del mondo si compiva al suono
del possente Gjallarhorn. –“Prendete posizione!”
–Gridò infine, mentre tutte le cinquecentoquaranta porte del Valhalla si aprivano.
Prima ancora che terminasse di parlare, Tyr stava già correndo fuori, seguito dagli Ulfhednir, da Ullr,
dai nani, dagli Jötnare da migliaia di altri Dei e guerrieri di Asgard.
Rimasero solo Freyr, Balder
e Orion nella Sala della Vittoria, assieme a Frigg e a Odino, che doveva assegnare loro i compiti più
delicati.
“Bifrost sta crollando! La
Veggente l’aveva predetto e io non le ho creduto! Persino la mia sposa, poche
ore fa, l’aveva visto, crollando sfinita a terra, sopraffatta da un’emozione
senza paragoni!” –Commentò, sfiorando le spalle della Signora degli Dei, che
non riuscì a trattenere un sospiro al ricordo di quel che aveva provato in quel
momento, non molto diverso da allora, in cui vedeva vivide di fronte a sé le
fiamme dei figli di Muspell divorare il Ponte
Arcobaleno.
“Io e Freyr ne abbiamo
parlato a lungo e forse il buon vecchio Tyr non
approverebbe! Direbbe che stiamo solo sprecando tempo e forze, gettando i
nostri guerrieri migliori in braccio alla morte! Ma questo è quello che ti
chiedo di fare, Orion, perché se ho ragione potrebbe
essere l’unica speranza di vincere questa guerra!” –Affermò Odino, fissando il
Principe degli Einherjar. –“Se Atena ha ricevuto il
mio messaggio e se i Cavalieri sono giunti a Midgard,
e se la mia Celebrante è stata degna dell’onore di cui l’ho investita, sono
certo che i rinforzi verranno, ma da strade meno convenzionali che non il
crollato Ponte degli Dei! Ci sono troppe ipotesi in queste frasi, lo so, ma
persino nella grammatica dobbiamo riporre fiducia in quest’ora di
disperazione!”
“La vostra parola è legge, mio Signore!” –Affermò
allora Orion, prima che il nume riprendesse a
parlare, chiedendo al guerriero di scegliere cinque compagni e inviarne uno per
ogni mondo, ad eccezione di Midgard, ovviamente, e
del Niflheimr e di Helheimr.
“I Cavalieri di Atena avranno bisogno di una guida,
di qualcuno che li conduca all’Albero Cosmico e li aiuti ad orientarsi in mondi
in cui mai sono stati e che possono rivelarsi pericolosi per chi non li
conosce! Non c’è bisogno però che qualcuno scenda negli inferi, perché, essendo
i due mondi collegati, chi vi giungerà dovrà uscire per forza dalla più
profonda radice del frassino, dove li attenderà Freyr!”
“So già chi saranno i quattro a scendere lungo Yggdrasill, e il quinto sarò io!” –Esclamò Orion con voce decisa.
“Dovete partire adesso! Le fronde del frassino già
tremano! Mai scricchiolii così sinistri sono giunti fino ad Asgard,
accompagnati ad un vento freddo che mina ogni certezza! Dovete trovare i
Cavalieri di Atena prima che Loki e i suoi seguaci
abbattano l’Albero Cosmico! E per far questo anche Freyr
vi darà una mano!”
“Condurrò le truppe dei Vani nel Niflheimr,
la radice più bassa dell’Albero Cosmico, e là tenteremo di fermare l’avanzata
dei Giganti di Brina, di cui Huginn e Muninn ci hanno informato! Quanto resisteremo non so dirlo
ma cercheremo di darvi più tempo possibile!” –Esclamò risoluto il Dio
dell’Abbondanza, prima di accomiatarsi e lasciare la Sala della Vittoria,
seguito da Orion.
“Nulla in cielo e terra è più libero dal terrore, lo
sai vero mio sposo?” –Parlò allora Frigg, rimasta
fino a quel momento seduta al tavolo. Senza nascondere un singhiozzo, la
Signora degli Dei si alzò. –“Tutte le visioni che ho, tutte le immagini che si
accavallano nella mia mente, sono tinte di sangue, dolore e morte! E poi… al di là della fine… una
fiamma immensa, che arderà il mondo!”
“Madre, non temete! Sapremo proteggervi!” –Esclamò Balder, abbracciandola.
“Ne sono certa! Ma chi proteggerà te?!” –Mormorò
lei.
“Io lo farò! E tutti gli Dei e i guerrieri al mio
comando!” –Tuonò Odino, senza voltarsi a guardare la moglie e il figlio.
–“Rifugiati a Fensalir e porta Idunn,
Freya e tutte le donne con te! Avranno bisogno di
qualcuno che sappia confortarle e chi meglio della Dea che al mio fianco tutte
le guerre del mondo ha visto passare potrebbe farlo? Addio, sposa adorata!
Addio Signora degli Asi!” –Non aggiunse altro e se ne
andò, uscendo dalla Sala della Vittoria e andando incontro ai suoi guerrieri,
che lo attendevano per andare in guerra.
***
La
discesa di Odino sul campo di battaglia non passò certo inosservata, né ad
Asgard né all’uomo che stava osservando gli eventi nelle acque del Pozzo Sacro.
Immerso
nel millenario silenzio che permeava la cima dell’alto colle, il Signore
dell’Isola Sacra scrutava con attenzione fin dove la Vista gli permetteva di
arrivare.
In
questo modo vide le cinquecentoquaranta porte del Valhalla
aprirsi e gli Einjerhar uscirne, bardati delle loro
splendide armature. Vide gli Ulfhednir avanzare per primi, devoti
alla causa fino alla morte, seguiti dai Giganti, dai nani, dagli Asi e dai Vani. Incredibile,
si disse con un sorriso, quante
stirpi diverse una guerra contro un nemico comune può unire! E si augurò
che quelle alleanze perdurassero in futuro, poiché tutte le razze, e tutti i
mondi, ne avrebbero guadagnato.
Vide
la via dai mille colori sgretolarsi sotto il passo distruttore dei figli di Muspell e l’esercito del Dio dell’Inganno avanzare,
spingendo indietro l’avanguardia di Asgard.
Vide
Heimdall ergersi impavido, pur se ferito, pur con le
Valchirie che cadevano al suo fianco, per difendere il mondo che amava.
Vide
Odino armarsi, della sua scintillante Veste Divina, sfoderare la spada Balmunk e partire al galoppo su Sleipnir,
infiammando l’animo dei suoi campioni, che subito lo seguirono. Tutti tranne
cinque.
Vide
Orion, Mime, Artax, Mizar e Thor discendere il
tronco dell’Albero Cosmico, il cui fremito pareva ormai inarrestabile, quasi
percepisse in prima persona il freddo da cui i mondi sarebbero stati presto
avvolti.
Vide
tutto ciò, e forse anche di più, immutabile nella sua espressione, ai più
celata, persino ai suoi fratelli.
D’un
tratto si chiese se Odino avesse compreso il vero significato di Ragnarök, quel che la Volva aveva annunciato millenni addietro
e che gli Asi e i loro popoli avevano scambiato
erroneamente per una profezia, a cui prestare orecchio ma non troppo,
speranzosi sempre, in fondo al cuore, che gli eventi potessero verificarsi in
maniera diversa.
Ma
il Signore dell’Isola Sacra, che la speranza aveva abbandonato tempo addietro,
di fronte ad un cinico senso di realtà, sapeva che nessuno, nemmeno lui,
avrebbe potuto cambiare l’ordine degli eventi, e quel frammento di futuro che
la prima Sacerdotessa di Avalon aveva mostrato loro si sarebbe in ogni modo
avverato.
Ho tentato di spiegarglielo per anni, a
Odino e a Zeus. Il Ragnarök non è solo
distruzione. È molto di più! Definirlo la fine del mondo sarebbe riduttivo,
poiché nell’universo niente si crea dal nulla né niente si distrugge
completamente, ma tutto perdura. Tutto permane, sia pur in forme mutate. È il
mutamento la marea costante dell’esistenza. È la condizione che accomuna uomini
e Dei e che li rende uguali di fronte all’assoluto. Ed è l’altra faccia
dell’eternità.
Sospirò,
muovendo la mano sopra le acque del pozzo e ponendo fine alle visioni, ma non
ai pensieri, che continuarono ad aggredirlo, ammassandosi nella sua mente.
Discese
il piccolo rialzo del terreno dove sorgeva il pozzo sacro e si ritrovò al
centro della radura, circondato da megaliti di pietra eretti all’alba dei
tempi. Quasi sorrise, chiedendosi se i sette saggi avessero davvero creduto che
Avalon sarebbe perdurata fino a quel momento, e con essa sarebbero perdurati i
loro insegnamenti, i loro scritti e i loro moniti.
Egli è l’alfa e l’omega, il primo e
l’ultimo, il principio e la fine di tutte le cose. E noi…
noi siamo soltanto parte del mutamento, strumenti del cosmo asserviti al mantenimento
dello stesso, in funzione ultima dell’eternità.
Fu
in quel momento che una fiammata di luce esplose poco distante, ai margini
della radura, rischiarando la foschia che sempre ammantava l’Isola Sacra, per
celarla agli indiscreti sguardi degli uomini e delle loro moderne tecnologie.
Avalon voltò lo sguardo in quella direzione, avendo riconosciuto il cosmo del
suo vecchio amico, e non fu affatto sorpreso di vederlo oltrepassare il cerchio
mistico rivestito dalla sua fiammeggiante armatura di mithril.
“Concedimi
di andare!” –Esordì, fermandosi a pochi passi dal Signore dell’Isola Sacra.
“Perché
sollevi questioni di cui già conosci la risposta?” –Mormorò questi, accennando
un sorriso. –“Mio buon amico, Andrei, Signore del Fuoco!”
“Non posso rimanere inerme ad osservare il mondo
scivolare verso il crepuscolo! Ad Asgard si stanno decidendo i destini di un
universo intero e non voglio lasciare alle forze di Atena e Odino l’onere di
affrontare Loki e il distruttore!”
“Non mi dici niente di nuovo…”
“Eppure ti ostini a non lasciarmi andare! Perché?
Cosa ci siamo preparati a fare, per tutto questo tempo, se adesso lasciamo che
siano altri ad occuparsi di spegnere l’incendio di guerra che divampa nel
mondo?” –Incalzò Andrei.
“È giusto che ognuno faccia la propria parte e che
tutti siano pronti a fronteggiare l’ultima ombra! Io lo sono, tu lo sei, ma se
anche altri lo siano questo non so dirlo! I destini di un mondo intero gravano
sulle nostre spalle e non ho intenzione di sprecare ciò che abbiamo fatto finora,
e ciò che i nostri avi ci hanno lasciato, per la tua incapacità nel frenare
l’indole guerriera che ti è propria!”
“Non è sete di guerra che muove i miei passi, ma
volontà di entrare in azione, porgendo aiuto a chi ho caro!”
“Jonathan se la caverà!” –Commentò Avalon, intuendo
che il compagno fosse in pena per il suo allievo. L’ultimo, in ordine
cronologico, dei tanti Cavalieri o appartenenti a ordini sacri che aveva
allenato nel corso della vita, compresi alcuni Cavalieri di Atena. –“Reis è con lui! E Alexer veglia
su entrambi!”
“Alexer è ad Asgard? Bene, sono più sollevato adesso!
Dei Quattro egli è il più giudizioso!”
“È anche per questo motivo che non posso permetterti
di andare, Andrei! Con Febo e Marins
in Asia Centrale, Matthew che ancora deve completare il suo addestramento e Ascanio impegnato in missione per conto di Zeus, non posso
inviare altre truppe in giro per il mondo! Non adesso che l’ombra è così
vicina!”
“Febo e Marins… stanno dunque cercando?!” –Mormorò Andrei,
rabbrividendo.
“Il luogo in cui tutto ebbe origine!” –Si limitò a
commentare Avalon. –“L’ombra dell’ultima guerra si allunga inesorabile su tutti
noi e il tempo, che ci è sembrato tanto, adesso sembra non bastare più, adesso
che siamo giunti alla fine del viaggio, alla fine del nostro ciclo! Il
mutamento che ci attende, nel quale tutte le nostre vite e le nostre conoscenze
saranno messe in gioco, sarà una prova così intensa che non so se riusciremo a
superarla!”
“Faremo tutto ciò che è in nostro potere!” –Strinse
i pugni Andrei. –“Anche se questo vorrà dire frenare questa foga di scendere in
battaglia che mi domina da tempo ormai! È frustrante, lo ammetto! Ma so che le
tue parole sono giuste e un’azione avventata potrebbe produrre più danni dei
seppur buoni intenti iniziali!”
“Cosa faremmo, amico mio, se ti perdessimo adesso,
se tu fossi ferito? Già sono in pena ogni minuto per il destino di Reis e Jonathan, e vorrei pregare gli Dei affinché veglino
su di loro, e sui Talismani che portano con sé, la cui perdita sprofonderebbe
il mondo nelle tenebre! Ma quali Divinità dovrei pregare se esse non sono altro
che un unico Dio? E che proprio quell’unico, principio di tutte le cose,
porterà la fine?”
“Le preghiere lasciale ai druidi e alle
Sacerdotesse! E preparati a scendere in battaglia con me! Preparati a morire
con me, fratello!” –Esclamò Andrei, prima di avvolgersi in una vampa di vivido
fuoco e schizzare nel cielo. Pochi secondi dopo era di nuovo sul lago Titicaca,
al Tempio di Isla del Sol da lui presieduto.
Avalon sorrise, rinfrancato dalla visita di uno dei
suoi più vecchi amici. Uno di coloro con cui aveva dato vita alla confraternita
dei Quattro. La gilda dell’equilibrio.
Un frusciare di passi attirò nuovamente la sua
attenzione, mentre l’anziana ma elegante sagoma del Primo Saggio spuntava dal
sentiero che proveniva dalla loro residenza, la lunga barba bianca che
squarciava il velo di nebbie.
“Matthew si sta ancora allenando! Dovrà impegnarsi
parecchio per colmare la distanza che lo separa dai suoi compagni!” –Esclamò, con
voce pacata. –“Non credo sia pronto per uno scontro diretto! Non sa controllare
la propria energia, forse perché ha poca fiducia in se stesso e non crede fino
in fondo in ciò che fa!”
“Lo so! È ancora giovane e la sua mente è stanca e
confusa! Per questo dovremo fare attenzione, e guidarlo con costanza ma
prudenza lungo la via migliore!”
“Per lui o per noi?!”
“Vorrei poter rispondere per entrambi!” –Sospirò
Avalon. –“Ma spesso i desideri individuali devono essere messi da parte per
fare ciò che è realmente giusto! Cos’è una vita, in fondo, a paragone con
miliardi di esistenze?!”
“Cinico ma saggio!” –Commentò l’Antico,
abbandonandosi ad un sorriso. –“Ti ho insegnato bene!”
“Se quel che ho visto nel Pozzo Sacro corrisponde al
vero, e se la Vista non mi inganna, è questione di settimane, forse di giorni,
affinché la configurazione astrale venga ricreata e il varco tra i mondi si riapra…”
“E in quel momento…”
“In quel momento Andrei avrà pieno diritto di
sfoderare la sua spada di fuoco, e mi raccomando che sia ben affilata!”
–Esclamò serio Avalon, prima di incamminarsi con l’Antico lungo il sentiero.
–“Lo hai udito anche tu, non è vero? Il corno di Heimdall,
il Gjallarhorn… non ha dato inizio soltanto al
Crepuscolo degli Dei del Nord, ma al Crepuscolo dell’intera umanità! L’ultima
guerra è ufficialmente iniziata!”
Era freddo, ma un freddo così intenso che neppure la
protezione dell’Armatura Divina poteva lenirlo. Un gelo che sapeva entrare
nelle ossa a chi non vi era abituato.
Scuotendosi, si mise in piedi, cercando di
riordinare i frammenti dei suoi ricordi e soprattutto di capire dove si
trovasse. Aveva varcato il portale nelle profondità di Midgard ed era ancora
vivo, il che, si disse, era più che un bene. Era una vera gioia, che lo faceva
sperare che anche i suoi compagni fossero giunti a destinazione.
Si guardò intorno, muovendo qualche passo sul
terreno, rendendosi conto di non vedere praticamente niente. L’oscurità era
totale e il vento gelido che lo investiva con raffiche periodiche non lo
aiutava a orientarsi meglio. Ebbe bisogno di qualche minuto per abituarsi al
buio e iniziare a percepire qualcosa, soprattutto l’ondulazione del terreno,
per niente stabile, e un odore acre che inizialmente non aveva sentito,
anch’esso sopraffatto dal gelo pungente. Un odore che Sirio, fin da quando era
sceso dal ring della Guerra Galattica e aveva iniziato a combattere per la
giustizia a fianco dei suoi compagni, aveva imparato a conoscere. L’odore
della morte.
Mosse un piede, urtando qualcosa, e chinò lo sguardo
solo per accorgersi, inorridito, di aver toccato un cadavere.
“Dei dell’Olimpo!” –Mormorò il ragazzo, osservando
quel nudo corpo deforme, che pareva spogliato di qualsiasi umanità, abbandonato
al suo martirio. Spostò lo sguardo attorno a sé e si accorse che non era
l’unico, ma era circondato da cadaveri. Corpi ammassati ovunque, distesi su un
fianco, raggomitolati, qualcuno privo delle braccia o di un piede, e tutti
lacerati, pieni di ferite, sulla schiena bianca e ossuta e sul petto, simili a
frustate o a morsi.
“Che squallore!” –Si disse, abbandonandosi a un
sospiro. In quel momento vide il portale, pochi metri dietro di sé, incastonato
nella roccia di quello che pareva il fianco di un rilievo montuoso, e ricordò,
o credette di immaginare, quel che era accaduto dopo che ne era uscito. Era
stato colpito da qualcosa, che gli era caduto in testa, spingendolo a terra e
facendogli perdere i sensi. Qualcosa come…
Poof.
Sirio si gettò di lato, evitando il crollo di
qualcosa che nell’oscurità non riuscì a distinguere, convinto che qualcuno lo
avesse individuato e lo stesse attaccando. Ma poi, quando un nuovo corpo cadde
accanto a lui, impietrì realizzando che si trattava di cadaveri, al pari di
quelli che già inondavano l’intero spiazzo. E che piovevano dall’alto, gettati
da una sagoma deforme che il ragazzo, sollevando lo sguardo, vide allontanarsi
in silenzio. Fu allora che capì di essere completamente avvolto dalla nebbia.
Una nebbia scura, così fitta da inibire i sensi e da generare un manto di
notte.
Senza indugiare oltre e sforzando i sensi al massimo
per analizzare l’ambiente circostante, Sirio balzò avanti, inerpicandosi lungo
una parete di roccia e lasciandosi i cadaveri alle spalle. Salì un centinaio di
metri, accorgendosi che il rilievo era meno aspro di quel che aveva pensato e
ritrovandosi sulla sommità, dove la nebbia era meno fitta e gli permetteva di
osservare il lugubre paesaggio attorno.
Si trovava nel bel mezzo di quella che sembrava una
catena montuosa, avvolta da una bruma scura, al di là della quale si estendeva
un immane deserto di ghiaccio. Ricordando le parole di Ilda e gli insegnamenti
del Vecchio Maestro sulle culture del mondo, Sirio comprese di trovarsi nel Niflheimr, l’inferno nordico, precisamente sui Monti dell’Oscurità.
E quella massa deforme che aveva lanciato i cadaveri dall’alto si stava
allontanando, sbattendo le sue orride ali nel cielo nero sferzato da venti
eterni.
Un dragone. Mormorò Sirio,
individuandone la sagoma, sebbene non riuscisse a vederlo nitidamente. Non
avendo idea di come muoversi in quel mondo che non conosceva, né di come fosse
la geografia interna di tale sconfinato paesaggio, fece l’unica cosa che gli
sembrò saggia in quel momento. Seguì il dragone.
O forse la
meno stupida tra le tante! Ironizzò, scivolando lungo i fianchi delle montagne e correndo poi sul
deserto di ghiaccio. Da qualche parte, in quel mondo sconfinato, scendeva la
più profonda radice di Yggdrasill e Sirio sperava che l’orrida bestia vi si
dirigesse, o comunque di incrociarla durante il cammino.
Inseguì il dragone per un tempo imprecisato, forse
venti minuti, forse di più. Non era facile tenere il conto del tempo in un
luogo in cui pareva che non trascorresse mai, sempre bersagliato da continue
tempeste di neve che dovevano rendere atroce l’esistenza. Infine, dopo la
monotonia del deserto, spezzata solo da qualche duna o spuntone di ghiaccio che
sorgeva sul terreno, vide dinanzi a sé quella che sembrava una costruzione. Un
palazzo forse, oblungo e scarno come una bara, che doveva aver subito dei
danneggiamenti. Il dragone vi passò sopra, planando poi dall’altra parte, e
Sirio lo seguì, costeggiando il perimetro della costruzione con cautela, non
sapendo chi o cosa avrebbe potuto incontrare.
Al di là del rozzo castello, una strada pareva
digradare leggermente e dal basso provenivano grida e rumori di lavori in
corso. Per precauzione Sirio proseguì lungo la parete ghiacciata di lato al
sentiero, tirando ogni tanto uno sguardo sopra la testa, finché la strada non
terminò, rivelando al Cavaliere un paesaggio davvero infernale.
Dell’Albero Cosmico ancora nessuna traccia, ma sotto
di lui si estendeva una baia, le cui rive erano bagnate dalle tempestose acque
di un fiume dai frangenti fatti di coltelli e lame affilate, che martoriavano
gli sventurati corpi che tentavano di attraversarlo. La spiaggia invece era
costellata da un nugolo di serpenti, intrecciati tra loro in maniera così fitta
da costituire un vero e proprio tappeto, che divoravano i malcapitati che
riuscivano a passare il fiume, terminando il martirio tra le loro spire. Demoni
e esseri mostruosi, che parevano non risentire troppo del dolore e del veleno
delle serpi, prelevavano i corpi insanguinati strappando loro le unghie, prima
di gettarli via e lasciare che il dragone li afferrasse.
Una perversa
catena di montaggio! Mormorò Sirio, stringendo i pugni, disgustato da una simile violenza,
che gli faceva sembrare leggere persino le pene cui Sire Ade aveva destinato i
morti nel suo regno.
Una sghignazzata lo distrasse, spingendolo a
sollevare lo sguardo, percorrendo il pontile di legno che sovrastava la distesa
di serpi, costruito per permettere ai boia di quel luogo atroce di passarvi
senza essere feriti, fino ad osservare un uomo, rivestito da una spigolosa
corazza, che dirigeva le operazioni in corso. Un uomo che aveva già incontrato,
sconfiggendolo nella foresta di Midgard.
“Megrez…” –Mormorò Sirio, riconoscendo la snella
sagoma del perfido Cavaliere di Asgard, l’unico a conoscenza della prigionia di
Ilda e l’unico che avesse tentato di abusarne per i suoi scopi. Per questo
motivo, gli aveva spiegato Cristal sull’Olimpo, Odino non lo aveva ammesso al
Valhalla. –“Vedo che comunque non ha impiegato molto tempo per farsi dei nuovi
amici…”
“Tiratelo fuori! Il veleno dovrebbe averlo stordito
abbastanza!” –Disse Megrez in quel momento, rivolgendosi a dei mostruosi
servitori che trasportavano una massa violacea che Sirio ben conosceva.
Una teca di
ametista.
Come le centinaia che costellavano la foresta di Midgard, piene di sventurati o
di animali con cui il malvagio Cavaliere si era divertito nel tempo, alle
spalle di Ilda.
Continuando ad osservare, Sirio vide i demoni
distruggere a martellate la teca di ametista ed estrarne il corpo di un
guerriero, gettandolo a terra ai piedi di Megrez.
Questi si chinò su di lui, per sincerarsi delle sue
condizioni, gli fece una carezza sul volto, prima di colpirlo con un calcio
sulla mandibola, così violento da ribaltarlo e spingerlo fino al bordo del
pontile, con un braccio penzoloni al di fuori. Subito decine di serpi si
allungarono verso l’alto, sperando di assaporare quella nuova preda, il cui
odore, sembrava quasi potessero percepirlo, era ben diverso dal putrido fetore
dei corpi a cui erano abituati.
“Non adesso, deliziose creature! Non adesso!”
–Sibilò Megrez divertito, sporgendosi dal pontile, sfoderando la spada
infuocata e allontanando i serpenti dal braccio del suo prigioniero. –“Abbiamo
un lavoro da fare! Per questo ci servono le unghie di questo bel gattone!” –E
diede ordine ai servitori di sollevare il corpo inerme e riservargli lo stesso
trattamento dei cadaveri.
Il prigioniero tentò di reagire, ma si accorse di
essere troppo debole persino per stare in piedi, così venne abbattuto da un
colpo alla schiena da parte dei demoni e piegato di nuovo sul pontile. Ma
quella mossa permise a Sirio di vederlo in faccia e realizzare quanto fosse
identico al Cavaliere che aveva attaccato Lady Isabel a Nuova Luxor, agli inizi
della loro avventura asgardiana. Mizar,
l’agile tigre.
Da Mizar il prigioniero differiva solo per il colore
dell’armatura, bianca anziché nera, e questo fece capire a Sirio che doveva
trattarsi di Alcor, suo fratello, di cui Phoenix e Andromeda gli avevano
parlato. E capì anche che, quali che fossero i piani di Megrez, doveva
intervenire subito se voleva salvarlo.
Con un agile balzo, il Cavaliere di Atena piombò sul
pontile di legno, attirando l’attenzione degli occupanti per il rumore
improvviso. Ma quando si voltarono videro solo un dragone di luce verde sfrecciare
verso di loro.
“Drago
nascenteee!!!” –Gridò Sirio, travolgendo con le sue fauci i demoni che
bloccavano Alcor a terra e scaraventandoli indietro, fino a precipitarli nel
groviglio di serpi, che subito si chiusero su di loro.
“Che diavolo… Sirio?!” –Esclamò Megrez, il volto
contratto in una smorfia di sorpresa. –“Che ci fai qua? No, non dirmelo,
finalmente sei morto anche tu! Ah ah ah!” –Ironizzò, recuperando il controllo
di sé e sollevando la spada di sbieco, sì che la luce della fiamma potesse rischiarare
i suoi occhi rossi di odio.
“Infelice di rivederti, Megrez!” –Si limitò a
commentare Sirio, scattando avanti.
Megrez mosse allora la spada verso destra, poi verso
sinistra, scagliando contro il Cavaliere di Atena schegge di ametista. Tale pioggia
obbligò Sirio a ripararsi dietro lo scudo del Dragone, prima di lasciar
esplodere il suo cosmo e liberare un fendente di energia che falciò le schegge
viola, abbattendosi su Megrez, che fu lesto a scansarsi di lato, prima di
balzare sopra Sirio, atterrando alle sue spalle.
“Iaaahhh!!!” –Gridò il servitore di Hel, caricando
di nuovo, muovendo la spada con destrezza e schiantandola più volte contro lo
scudo del Dragone, che Sirio aveva nuovamente sollevato, voltandosi verso di
lui. –“Questa volta il tuo scudo non basterà! I miei poteri sono cresciuti, la
mia Regina li ha incrementati, fiera dei miei successi!”
“Immagino che ti sarai fatto riconoscere per le tue
qualità morali…” –Ironizzò Sirio, evitando un affondo nemico, prima di
contrattaccare con un pugno dal basso.
Megrez lo evitò, balzando indietro e sgusciando
abilmente via, con il ghigno perfido ancora sul volto. –“Le mie qualità
guerriere, vorrai dire!” –Puntualizzò, scoppiando a ridere fragorosamente.
“Invece di perderti in chiacchiere, perché non
finisci il tuo nemico?” –Esclamò allora una terza voce, proveniente dalle
spalle di Sirio. –“O vuoi dargli l’occasione di sconfiggerti una seconda
volta?”
Il Cavaliere del Dragone mosse leggermente la testa,
pur continuando a tener d’occhio Megrez, timoroso di un trucco o di un attacco
a sorpresa, per incrociare lo sguardo di un uomo adulto, dal corpo robusto, i
cui lineamenti erano molto simili a quelli di Megrez, al punto che sarebbe
potuto essere il ragazzo a quarant’anni.
Dunque lui… Mormorò Sirio, sgranando
gli occhi per la sorpresa.
“Non ho chiesto il tuo aiuto né un tuo consiglio,
padre!” –Esclamò Megrez, togliendo al ragazzo ogni dubbio sull’identità
dell’uomo.
“Siete voi l’uomo che affrontò il mio maestro ai
Cinque Picchi, tentando di carpire il segreto della Pienezza del Dragone?!”
“Umpf! Quell’eremita presuntuoso! Cosa gli dava il
diritto di tenersi per sé quel potere? Con esso, un guerriero sarebbe divenuto
invincibile! Io sarei divenuto invincibile, primo nel mio casato!” –Affermò il
padre di Megrez.
“Proprio per questo tale tecnica è stata proibita,
perché a nessun uomo dovrebbe essere dato un potere simile! Atena stessa la
rifiutò! Un vero Cavaliere, degno di tale nome, lo avrebbe capito!”
–Puntualizzò Sirio, facendo avvampare il padre di Megrez.
“Come osi?!” –Ringhiò, bruciando il proprio cosmo.
Ma una raffica di schegge di ametista lo spinse indietro, obbligandolo a
placarsi, mentre Megrez avanzava sul pontile.
“Restane fuori e tieniti i tuoi rimpianti! Sirio è
mio! Ho un conto in sospeso da regolare con lui!” –Esclamò, caricando il
Cavaliere di Atena, che fu costretto a riportare l’attenzione su di lui,
sollevando lo scudo, su cui la spada infuocata si infranse, e colpendolo poi
all’addome con un pugno secco, che lo spinse indietro di una decina di metri.
“Mi pare piuttosto che sia tu ad essere suo!”
–Ironizzò il padre con un ghigno, prima di incamminarsi verso Alcor, sollevarlo
bruscamente e trascinarlo verso l’altro lato del pontile, oltre il mare di
serpi, dove una specie di cantiere navale era stato installato sul terreno
sabbioso.
“Ammiri il nostro lavoro, Sirio? Vuoi forse
partecipare anche tu, donando le tue belle unghie di drago?!” –Esclamò Megrez,
indicando con la spada la spiaggia di là dal pontile, dove una nave stava terminando
di essere costruita.
“Quale nuova diavoleria hai architettato, Megrez?!”
“Per quanto mi piacerebbe vantarmene, tutto
quest’oro non è frutto del mio lavoro, a cui comunque ho dato un gran
contributo! Ah ah ah! Vedi quei demoni, vicino alla nave? Sono della stirpe di
quelli che hai abbattuto poc’anzi! Un tempo erano uomini, credo, poi hanno
fatto un patto con Hel, che ha evitato loro orribile sorte facendone suoi
servi! Sono incaricati di strappar via le unghie ai dannati, un’operazione che
non presenta mai particolari problemi, considerate le condizioni con cui i
morti giungono qua! Non tutti infatti in vita son stati forti Cavalieri come
me, la maggior parte è costituita da vecchi, malati, adulteri o suicidi, gente
con ben poca spina dorsale!”
“E questo dà a te o alla Regina degli Inferi il
diritto di abusare di loro, torturandoli più di quanto abbiano sofferto in
vita?!”
“Vedo che la tua nobiltà d’animo non è cambiata,
Sirio! Sei ancora il solito noioso idealista!” –Sbuffò Megrez. –“Ma mi fa piacere
che tu sia venuto a trovarmi, di rado ho occasione di parlare con qualcuno che
sa tenermi testa! O quanto meno che sa come provarci! Ah ah ah! Ma basta
ridere, ho un lavoro da finire! La superficie cornea dei defunti viene infatti
utilizzata per costruire la Naglfar, la nave che trasporterà i figli di Hel ad
Asgard, per la battaglia finale! Manca poco ormai, gli ultimi tocchi! Le tue
unghie e quelle di Alcor potrebbero ornare la prua, risalterebbero in mezzo a
tutto quel putridume, non credi, Cavaliere? Ah ah ah!”
“Sei più malato di quanto ricordassi, Megrez!”
–Ringhiò Sirio.
“Lamentatene con chi mi ha disegnato così! Ah ah
ah!” –E nel dir questo Megrez mosse la spada, scatenando una nuova pioggia di
schegge di ametista contro Sirio, obbligandolo a balzare indietro, fino al
limite del pontile, prima di scagliargli contro la lama infuocata, piantandola
tra i piedi del Cavaliere.
Il legno stantio del pontile avvampò all’istante,
facendo precipitare le tavole nella fossa dei serpenti, che subito si agitarono,
sollevando le fauci, attratte dal delizioso bocconcino che penzolava dall’alto,
essendo Sirio stato spinto indietro dall’improvvisa deflagrazione. Il ragazzo
cercò di rialzarsi, ma ogni trave a cui si afferrava pareva marcirgli in mano,
consumata dal mortale fuoco di Megrez.
Alcuni serpenti riuscirono ad attorcigliarsi attorno
alle sue gambe, risalendole alla ricerca di un punto dove affondare i loro
denti velenosi. Sirio ringraziò la protezione quasi completa offerta
dall’Armatura Divina ed espanse il proprio cosmo, facendolo avvampare.
“Fuoco del
Dragone!” –Gridò, sterminando le oscure serpi e dandosi la spinta per
balzare infine in alto, atterrando su un lato del camminamento di legno non
ancora raggiunto dalle fiamme.
Megrez, non distante da lui, aveva già richiamato la
spada infuocata e si era appena lanciato nella sua direzione.
“Excalibur!”
–Tuonò Sirio, dirigendo un fendente di energia contro il nemico, che riuscì ad
evitarlo per un soffio, spostandosi di lato, non potendo impedire però che
l’attacco devastasse quel che restava del pontile, facendolo crollare e
obbligando Megrez a balzare in alto, roteando su se stesso e piombando poi su
Sirio, con la spada tesa.
Il Cavaliere sollevò lo scudo, per parare l’affondo,
caricandolo di energia cosmica, ma l’impatto fu comunque notevole e lo spinse
indietro, facendolo cadere al di là del pontile, rotolando con Megrez sul
terreno sabbioso, poco distante dalla Naglfar.
Il padre dell’ex Cavaliere di Asgard, osservando la
scena da poco distante, scosse la testa e diede poi ordine ai demoni e agli
altri servitori di Hel di prepararsi a partire. La costruzione della nave era
pressoché completata ed era tempo di mollare gli ormeggi e salpare verso la
loro occasione. La gloria che in vita non avevano avuto.
Afferrò Alcor per la gola, sollevandolo e
sbattendolo contro la chiglia di Naglfar, sussurrandogli di tenersi pronto.
“Le tenaglie stanno arrivando!” –Sibilò, mentre un
essere mostruoso, dalla stazza simile ad un orso, si avvicinava, reggendo rozze
pinze di ferro. –“Farà un po’ male, ma il veleno presente nella teca
d’ametista, che il tuo corpo ha assorbito tramite il contatto cutaneo, ti varrà
da analgesico! Ah ah ah!”
Fu in quel momento che Alcor scattò, graffiando il
braccio del padre di Megrez con i suoi artigli, per poi avventarsi su di lui e
spingerlo indietro, ferendolo al torace, ove l’armatura oscura, identica a
quella del figlio, non lo copriva.
“Bastardo d’un gatto! Ti spellerò vivo e ti
arrostirò allo spiedo nelle fiamme di Muspell!” –Ringhiò l’uomo, liberandosi
del Cavaliere con un’onda di energia e schiantandolo a terra.
Alcor rotolò per qualche metro, incapace di reagire
a causa dello stordimento causato dal veleno. Sirio se ne accorse e fece per
muoversi nella sua direzione, ma Megrez gli si parò di fronte, avvolto nel suo
cosmo ardente.
“Vi invoco Anime della Natura infernale!!!”
–Gridò, sollevando un braccio, mentre un turbine di sabbia si abbatté su Sirio,
obbligandolo a coprirsi gli occhi con una mano, prima che un secondo turbine lo
raggiungesse da dietro, schiacciandolo. –“Ah ah ah! Sei abituato agli aghi
degli alberi, perdonami se, in loro assenza, dovrò adattarmi con quel che offre
la casa! Non molto, in vero, ma qualcosa di interessante c’è!” –Aggiunse,
voltando lo sguardo verso il fiume Slidhr, il terribile, e lambendolo con il
suo potere cosmico.
I frangenti a forma di lame aguzze e coltelli
affilati si sollevarono, piombando poi sull’immobilizzato Sirio, in una
devastante pioggia continua.
“Come vedi ho eliminato quel ridicolo difetto che mi
ha fatto perdere il nostro scontro precedente, Sirio! Adesso posso controllare
più di un potere contemporaneamente! Ma che te ne parlo a fare? I tuoi strilli
indicano che te ne sei reso conto da solo! Ah ah ah!”
Quel bastardo
ha ragione!
Ghignò Sirio, sforzandosi di non perdere la calma, di non agitarsi, per non
lasciare che le Anime della Natura
avessero ragione di lui, ma per quanto provasse, per quanto concentrasse i
sensi, cercando di rimanere immobile e fondersi con l’ambiente, falliva. Non
riusciva a stabilire nessun contatto con la natura, che, matrigna, continuava a
riversarsi contro di lui, pressando il suo corpo e lacerandolo con migliaia di
lame d’acqua.
La corazza divina, rinforzata dal mithril, stava
resistendo bene, ma nei punti che lasciava scoperti il ragazzo era già pieno di
tagli e sangue. E se non avesse reagito subito, anche per Alcor sarebbe stata
la fine.
Fu allora che capì cosa permetteva agli attacchi di
Megrez di raggiungerlo, la natura difforme del paesaggio, non della sua
tecnica. La natura infernale, lugubre, tetra, su cui il suo cosmo lucente non
aveva presa, intessuta fin nelle profondità dell’oscura linfa della sua
sovrana, la figlia di Loki. Era chiaro che, da un simile ammasso di ombra e
morte, non avrebbe ricevuto aiuto alcuno.
“Aaahhh!!!” –Gridò il Cavaliere di Atena, lasciando
ardere il proprio cosmo, che lo avvolse interamente, scivolando attorno al suo
corpo, come un turbine, e annientando la tempesta di sabbia e la pioggia di
coltelli, prima di assumere la forma di un maestoso dragone di luce e
rischiarare il torbido cielo di Hel.
“Ma… cosa?!” –Borbottò Megrez, paralizzato dal
timore, tanta era la potenza liberata da Sirio, ben superiore al ragazzo che
aveva affrontato a Midgard.
“Colpo
segreto del Drago Nascente!!!” –Gridò Sirio, mentre la grandiosa sagoma del
Drago di Cina sfrecciava a fauci aperte contro Megrez, il quale tentò di
opporsi, scatenando le Anime della
Natura contro di esso e osservando, inorridito, il disperdersi di tale
tecnica.
“Stupido!” –Mormorò suo padre, chino sul corpo di
Alcor, con le tenaglie in una mano, alla vista del figlio scaraventato contro
la gelida parete di roccia alle sue spalle, con l’armatura gravemente
danneggiata e macchiata di sangue.
Non ebbe però tempo di pensare altro che Sirio, con
un balzo, fu su di lui, sbattendolo a terra e rotolando assieme sulla riva del
fiume, in modo da allontanarlo da Alcor.
“Di cosa t’impicci, Cavaliere di Atena?” –Ringhiò
l’uomo, cercando di liberarsi del ragazzo con un’onda di energia, che spinse
Sirio qualche metro addietro, permettendogli di rialzarsi.
“Faccio il mio dovere, e salvo chi ne ha bisogno! A
questo servono i nostri poteri, non a soddisfare una qualche stupida ambizione
personale!”
“Un’ambizione non è mai stupida, Cavaliere! O non
indosseresti quella corazza, se non l’avessi intensamente voluta!” –Commentò il
padre di Megrez, e a quelle parole Sirio esitò un istante, chiedendosi se
fossero o meno vere.
L’uomo approfittò di quel momento per evocare le Anime della Natura, sollevando un
maroso di oscura energia acquatica e scagliandolo con forza contro Sirio, che
venne raggiunto in pieno e scaraventato indietro. Con agilità il Cavaliere
riuscì comunque ad eseguire una capriola in aria, atterrando in piedi, al limitare
della spiaggia, vicino alla selva di serpenti, che subito si agitarono,
allungando le spire nella sua direzione.
“Non star troppo vicino ai figli di Níðhöggr, Sirio! Sono di
appetito facile!” –Esclamò Megrez, rimessosi nel frattempo in piedi. –“Persino
io me ne tengo a debita distanza! Sarebbero capaci di far fuori un uomo in
pochi secondi, approfittando delle sue ferite aperte e inondandolo del veleno
mortale che loro padre, il bel serpentone che svolazza in cielo, ha instillato
in loro!”
“È a loro che si deve dunque la fossa di cadaveri sulle Montagne
dell’Oscurità? Che mondo orribile quest’inferno!”
“Farai bene a fartelo piacere, perché è qua che trascorrerai il
resto dei tuoi giorni! Schegge di
ametista!!!” –Gridò Megrez, muovendo la spada e scagliando contro Sirio una
raffica di pietre taglienti, il cui numero pareva incrementare ad ogni
movimento della lama.
Il Cavaliere di Atena evitò la pioggia rotolando sul
terreno sabbioso, mentre attorno a lui scoppiavano esplosioni continue,
provocate dalle schegge stesse, ben più pericolose di quel che sembravano. Come
tutto ciò che riguarda Megrez, si disse, ricordando i numerosi trucchi
messi in atto dal giovane anche a Midgard. Pare che la lezione non l’abbia
ancora imparata e che l’onore mai albergherà nel suo animo!
“Non pensare, lotta!” –Ironizzò il servitore di Hel,
scagliando contro Sirio la lama infuocata, che gli passò a pochi centimetri dal
volto, incendiandogli persino una ciocca di capelli. Se non fosse stato attento
e agile, si sarebbe conficcata nel suo occhio sinistro anziché nella roccia
alle sue spalle.
“Lotta vuoi, Megrez, e lotta avrai! Hai violato
quanto un Cavaliere ha di più caro, la sua terra, la sua regina, i suoi
compagni, agendo come un invasore! Pagane il prezzo!” –Esclamò allora Sirio,
scattando avanti, avvolto nel suo cosmo verde speranza, con il pugno teso. –“Colpo del Drago Nascente!”
“Anime della
Natura!!!” –Tuonò Megrez, dirigendo un violento turbine di sabbia e vento
freddo contro l’attacco di Sirio, frenandone la corsa.
I due assalti si fronteggiarono per qualche istante,
infiammando il paesaggio marino, mentre entrambi i contendenti pensavano ad un
modo per avere in fretta ragione dell’avversario. Megrez avrebbe voluto
rinchiudere Sirio in una teca d’ametista ma rifletté che era proprio in quel
modo che aveva perso la volta scorsa.
Anche Dragone parve ricordarsene e si abbandonò a un
sorriso compiaciuto, facendo infervorare Megrez, che aumentò l’intensità della
tempesta, infondendo tutto se stesso a quell’attacco. Il Drago Nascente venne disperso e Sirio travolto dal turbine e
sollevato nel cielo di Hel, di fronte allo sguardo tronfio di Megrez, che fece
per voltarsi verso suo padre, per rimarcare la sua vittoria. Ma l’esplosione di
luce che sventrò le nebbie subito dopo smorzò la sua soddisfazione,
obbligandolo a sollevare lo sguardo, giusto in tempo per ammirare la sagoma del
più scintillante drago che avesse solcato i cieli di quell’inferno.
“Megrez!!! Sto arrivando!” –Esclamò Sirio, piombando come una furia sull’antico
Cavaliere di Asgard. –“E nuovamente mi hai offerto l’occasione per vincerti!”
–Non aggiunse altro e si schiantò sull’avversario, che non poté difendersi da
tale impetuoso attacco, venendo trapassato e sospinto verso l’alto, per la
pressione generatasi. –“Di nuovo il tuo desiderio di una facile vittoria ti ha
spinto ad un gesto affrettato! Sbloccandomi dall’uso del Drago Nascente
mi hai permesso di tentare un ultimo attacco, ben più potente! Sii fiero di
quel che hai ottenuto, Megrez, lo devi solo a te stesso!” –Mormorò Sirio,
mentre la spinta del contraccolpo si esauriva e il corpo sanguinante di colui
che aveva tentato di rendere grande il casato dei Megrez precipitava nel
groviglio di serpi, che subito si avventarono su di lui, avvinghiandosi al suo
corpo, penetrando nelle sue ferite aperte, infiammandolo con il loro veleno.
Sirio spostò lo sguardo, per non assistere a quella
macabra scena, a quello spettacolo a cui Megrez tante volte aveva assistito,
gettando nella fossa, anche solo per il divertimento di farlo, qualche corpo di
uomini o di altre creature, per ricordare a tutti chi avesse il potere.
Il potere di
scegliere. Mormorò
Dragone, incamminandosi verso Alcor, per sincerarsi delle sue condizioni. Un potere che non hai saputo utilizzare al
meglio.
Il padre di Megrez parve pensarla allo stesso modo,
ritto sulla poppa della nave, con il timone in mano e lo sguardo pieno di
disappunto. Aveva capito, fin da quando aveva spinto indietro il Cavaliere del
Dragone, quale sarebbe stato l’esito dello scontro, ordinando quindi di mollare
gli ormeggi e salpare. E anche adesso, dall’alto della Naglfar, che solcava il
nebbioso cielo di Hel, non poteva esimersi dal criticare il figlio, nuovamente
sconfitto.
“Hai fallito, Megrez! E i fallimenti si pagano!”
–Aggiunse, incurante delle grida di dolore del giovane, divorato dalle serpi e
dai loro veleni, girando il timone e dirigendo la nave e i suoi demoniaci
passeggeri verso l’uscita di Hel.
Capitolo 13 *** Capitolo undicesimo: Tra fuoco e ghiaccio ***
CAPITOLO UNDICESIMO: TRA GHIACCIO E FUOCO.
Che fosse finito nella terra dei Giganti Pegasus lo comprese subito, sebbene non ne ricordasse il
nome.
Appena uscito dal portale si ritrovò in una caverna dal soffitto
altissimo, di cui, anche a causa della scarsa luminosità, non riusciva a vedere
la fine. E quando mise la testa all’esterno, affacciandosi cautamente per
guardarsi intorno, si accorse che tutto sembrava più grande di come doveva
essere. Non tanto le piante e gli alberi, sebbene alcuni avessero un tronco a
dir poco maestoso, simile alle sequoie che aveva ammirato nei libri di
geografia, bensì le costruzioni che costellavano il territorio.
Abitazioni, magazzini, carri, persino gli utensili, tutto
a Pegasus sembrava grande almeno il triplo e, da un
momento all’altro, temeva quasi di vedersi schiacciare dal piede di qualche
gigante distratto, sebbene non ve ne fossero molti in giro.
Fu con quell’espressione sorpresa e un po’ spaesata che
Thor lo trovò, chiamandolo a gran voce da sopra una costruzione di legno.
"Cavaliere di Pegasus! Ben
arrivato!" –Esclamò il corpulento guerriero, balzando dall’alto
dell’edificio e atterrando poco distante dal ragazzo. –"Sei il benvenuto a
Jötunheimr! Gli abitanti di questa terra, gli Jötnar, mi hanno chiesto di accoglierti con la stessa
cordialità che riservano a me ogni volta in cui vengo a far loro visita! E ti
assicuro che è un grande onore! Ah ah ah!" –Rise
Thor, dando una pacca sulle spalle al Cavaliere di Atena.
"Bestione, fa piacere anche a me rivederti!"
–Sorrise Pegasus all’antico avversario, ricordando la
sua forza fisica e quanto duramente avesse dovuto impegnarsi per averne
ragione, lieto che adesso fossero compagni. –"Dunque tu vieni spesso in questo… come hai detto che si chiama? Terra dei
Giganti?!"
"Jötunheimr! Quando Odino
mi concede di saltare qualche ora dell’addestramento continuo cui noi Einherjar siamo sottoposti!" –Spiegò, incamminandosi
con il Cavaliere lungo la via principale di quello che sembrava un agglomerato
di abitazioni in legno e pietra. Un piccolo borgo, a sentir Thor. Tanti
castelli, a detta di Pegasus. –"Mi piacciono gli
Jötnar, sono dei gran lavoratori! Nonostante la loro
stazza potrebbe far pensare che siano pasticcioni, sono molto abili,
soprattutto nel lavorare il legno e nell’erigere opere di pubblica utilità,
come dighe o fortificazioni! Rudi ma schietti, forgiati ma mai piegati dalla
natura! Mi piacciono, sì!"
"Ti ricordano com’eri da giovane, eh?!"
–Ironizzò Pegasus, ricevendo in cambio una nuova
pacca sulla schiena, che lo spinse in avanti, mentre Thor rideva contento.
"Vedo che non hai perso il tuo spirito di
osservazione, ragazzo! Spero tu abbia conservato anche altrettanta foga
guerriera, perché temo ne avrai bisogno!" –Aggiunse, facendosi
improvvisamente serio.
Pegasus chiese subito spiegazioni al
Cavaliere di Asgard, ma questi si limitò ad un sorriso mesto, prima di
indicargli proprio quel che il ragazzo avrebbe dovuto cercare. Le radici di Yggdrasill, l’Albero Cosmico, rinfrescate dalle acque di
una sorgente che sgorgava poco distante, che Thor presentò come la Fonte di Mimir, a cui Odino si recava spesso per ottenere consigli.
"Proprio qua è venuto il Signore degli Asi questa mattina presto, prima di riunire in consulta
tutti gli Dei e i popoli dei nove mondi e rispondere con fermezza all’attacco
scagliato dalle forze del male!"
"Asgard è dunque già sotto assedio?" –Chiese Pegasus.
"Da più punti! Vieni…"
–Esclamò Thor, facendo cenno di arrampicarsi sulle radici del frassino e di
iniziare a scalarlo. –"Senti queste correnti fredde? Giungono dal Niflheimr, l’inferno nordico, e anticipano l’avvento dei
Giganti di Brina!"
"Altri Giganti?!"
"Non come coloro che dimorano in Jötunheimr,
che a Odino sono fedeli e che già stanno combattendo di fronte alle mura di
Asgard! Ma creature malvagie, seguaci di Hel, la
figlia di Loki!"
"Loki… vorrei proprio
conoscerlo questo simpaticone, dopo tutto quel che ha combinato a Midgard!" –Bofonchiò Pegasus,
seguendo Thor lungo le radici del frassino, facendo attenzione a non lasciarsi
sbilanciare dai venti gelidi che scuotevano il tronco dal basso.
"Perché? Cos’è successo a Midgard?
Ilda sta bene?" –Si preoccupò subito il gigante buono, fermando persino la
sua scalata.
"Sì, non preoccuparti! Ma il palazzo è stato
violato, molti soldati uccisi e la statua di Odino sfigurata!" –Rispose Pegasus, iniziando a raccontare al compagno quel che era
accaduto nel Recinto di Mezzo.
"Quel figlio d’un animale…"
–Ringhiò Thor. –"Lascia che gli metta le mani addosso e vedrai come gli
insegno l’educazione!"
"Sono proprio curioso di saperlo, amico mio! Anche
se, un po’ sforzandomi, riesco a immaginarlo!" –Sorrise Pegasus, riprendendo la scalata delle radici di Yggdrasill.
***
Non appena uscì dal portale dimensionale, Cristal venne invaso da un’ondata di caldo. Una fiammata
quasi, che gli mozzò il respiro a metà, piegandolo in avanti e obbligandolo ad
appoggiarsi a una parete rocciosa, alla sua sinistra, per riprendere fiato.
Per un istante aveva pensato che qualcuno lo avesse
attaccato, ma poi, sforzandosi di rimanere lucido e razionale, comprese che era
l’aria stessa, del mondo in cui il portale lo aveva trasferito, ad essere
torrida, pervasa da un calore così intenso che solo in un’altra occasione aveva
provato. E temuto.
Recuperando la sua postura eretta, si guardò intorno,
accorgendosi di trovarsi in uno spazio di forma quasi circolare, dal diametro
di una trentina di metri, il pavimento del quale era costituito da grossi
blocchi di pietra grezza, disposti l’uno accanto all’altro, senza molta cura
estetica. Le pareti erano ugualmente costituite da massi, accatastati l’uno
sull’altro, e proprio in cima a quella di fronte a lui sedeva Artax.
"Ti aspettavo, Cristal!"
–Esclamò il Cavaliere della stella Beta UrsaeMajoris, continuando a fissare il ragazzo, come aveva fatto
da quando era uscito dal portale. –"Per la verità non sapevo chi dei
Cavalieri di Atena sarebbe sbucato nel regno del fuoco, ma a quanto pare il
destino ha voluto che ci incontrassimo di nuovo!" –Aggiunse, balzando a
terra e incamminandosi verso il Cigno. –"Per la terza volta in pochi mesi!
Potremmo quasi diventare amici…"
"Artax… Dunque questo
mondo è…"
"Muspellsheimr!"
–Declamò Artax, sollevando la visiera del suo elmo e
lasciando che i loro sguardi si incrociassero di nuovo. –"Dei nove mondi
forse quello più ostile alla vita!"
"Quest’aria torrida…"
–Mormorò l’allievo del Maestro dei Ghiacci, che sudava ormai copiosamente,
sentendo le gocce inondargli il viso.
"È irrespirabile, lo so! Forse avresti preferito
ritrovarti nel Niflheimr che, per quanto inospitale,
è comunque più simile alle terre in cui ti sei addestrato!" –Concordò Artax, prima di allungare un oggetto al Cavaliere di Atena.
–"Prendi questa visiera! Ti faciliterà nella respirazione, per quanto
comunque non ci tratteremo molto!"
"L’Albero Cosmico… Ilda ci
ha detto di trovare Yggdrasill e risalirlo!"
–Mormorò Cristal, sistemando alla meglio la visiera
sull’elmo della sua corazza.
"Non dovremo fare molta strada!" –Esclamò Artax, senza lasciarsi sfuggire un sorrisino soddisfatto,
facendo cenno al Cavaliere di voltarsi.
Cristal sgranò gli occhi, osservando
l’immensa sagoma del Frassino del Mondo ergersi alle sue spalle, proprio al
centro del cerchio di pietre dove si trovava il portale.
"Entrambi non potevano che trovarsi qua, nell’unico
luogo dell’intero Muspellsheimr non raggiunto dalle
fiamme del caos! Gli antichi creatori dei portali scelsero con intelligenza,
ritenendo che, qualunque smottamento o devastazione avesse investito questo
mondo, questo cerchio, che potremmo quasi definire sacro, non sarebbe stato
intaccato! Fu un rischio, una sfida al destino, che per fortuna hanno
vinto!" –Spiegò Artax, prima di fare cenno a Cristal di seguirlo, lungo un piccolo sentiero di pietre,
fino a portarsi al limitare di quella radura, per permettere al Cavaliere di
osservare l’immensa distesa di fuoco e magma che li circondava.
"Benvenuto nel mondo dell’incendio universale, terra
dei Giganti del Fuoco!"
Allibito, Cristal si guardò
intorno, ritenendo che le parole di Artax erano vere.
Ovunque posasse lo sguardo incontrava solo lava ardente, vulcani e vampate
improvvise che si sollevavano verso il cielo, coperto ormai da una coltre di
fumo da rendere impossibile distinguerne il colore. Nonostante tutto, quel
mondo primitivo non lo spaventava, forse per la certezza che anche in quel caos
fosse possibile la vita, come la presenza dell’Albero dell’Universo dimostrava.
O forse per l’innaturale silenzio che pareva permearlo, un silenzio rotto
soltanto dai continui sbuffi dei vulcani che lo costellavano o dai getti di
lava.
Un silenzio in cui il Cavaliere del Cigno si trovava a
suo agio.
Poco abituato a vivere in città, Cristal
era stato addestrato nelle lande inospitali della Siberia, immerso nei suoi
silenzi, di cui era al tempo stesso anche vittima. Ma, per quanto rigido fosse
stato il clima e dure le prove da affrontare, quello non gli era mai pesato,
anzi era stato un serbatoio a cui aveva attinto per farsi forza. La forza del
silenzio, tramite la quale aveva stabilito un rapporto intimo con la natura,
divenuta parte del suo essere, spesso glaciale nei rapporti interpersonali, e
dei suoi poteri.
"Vogliamo andare?" –La voce di Artax lo rubò ai suoi pensieri, portandolo a voltarsi verso
il Cavaliere del Nord, che indicava le nodose radici di Yggdrasill
poco distanti. Cristal lo seguì, lieto di andarsene
da quel luogo dove respirare era un inferno, e intanto pensò a come dirgli di Flare.
Un getto improvviso di lava scaturì dal magma che
scorreva attorno al cerchio di pietre, investendo in pieno le radici
dell’Albero Cosmico, di fronte agli occhi terrorizzati di Artax
e Cristal.
"Ma… che succede?!"
–Gridò il Cavaliere del Cigno, spostandosi di lato, assieme al compagno, per evitare
che l’ardente magma colasse su di loro.
"Maledizione! Yggdrasill…
Va a fuoco!!!" –Ringhiò Artax, osservando le
radici consumarsi, vittime del calore violento che le aveva investite. Per
quanto l’Albero dell’Universo avesse imparato, nel corso dei millenni, a
convivere con le diverse realtà dei mondi che teneva in contatto, una simile
quantità di magma era superiore a quella che poteva sopportare, determinando la
sua immediata combustione. –"Nevi di Asgard!" –Gridò il
Cavaliere, espandendo il proprio cosmo e ricoprendo la massa deforme di lava e
radici di gelo, in modo da raffreddarla.
"Non apprezzate il mio dono, stranieri? Forse che i
frutti di questa terra non vi attraggono?" –Parlò allora una voce, che a Cristal parve quasi contraffatta.
I due Cavalieri si voltarono di scatto, guardandosi
intorno circospetti, ma non videro alcun nemico, né percepirono altra presenza
che non la loro.
"Chi sei tu che ardisci attaccare un membro dei
valenti Einherjar? Forse non sai che sono un campione
di Jörmunr, il potente Signore degli Asi!" –Declamò Artax a gran
voce.
"So bene chi sei, schiavo degli Asi,
e conosco anche il tuo padrone, che qua non ha alcun potere, poiché mai vi ha
messo piede, neppure in millenni di peregrinazioni! Perché? Teme forse di
scottare i suoi callosi piedi?" –Continuò la voce, facendo infervorare Artax, che balzò in cima al cerchio di pietre, stringendo i
pugni.
"Adesso basta, mostrati, vigliacco, se ne hai il
coraggio!"
"Coraggio?! Ah ah ah, non
è dote che manca a chi niente teme, né la collera divina, né gli sproloqui di
un infante dal biondo crine!" –Esclamò la voce. –"Dovresti notarmi,
poiché sono intorno a te! La visiera che ti copre gli occhi ti impedisce forse
di vedere? Ma se cerchi un segno tangibile della mia esistenza, eccolo!"
–E nel dir questo il magma che scorreva attorno alla radura di pietre parve
ribollire, prima che numerose colonne di pura lava sorgessero da ogni lato,
convergendo sul Cavaliere di Asgard.
"Artax!!!" –Gridò Cristal, correndo in aiuto del compagno e creando con il
cosmo una rozza cupola di ghiaccio. Non durò che pochi attimi, liquefatta da
tale ardente pressione, ma permise ai due di spostarsi, balzando tra le radici
dell’Albero Cosmico.
"Gr…azie!"
–Mormorò Artax, osservando il magma scendere lungo le
pietre dove si trovava fino a un attimo prima, pietre che mai, nel corso di
millenni, aveva scalfito. –"Chi ha osato violare questo luogo sacro,
offendendo apertamente il Padre di Tutti?!"
"Non mi risulta di essere sorto dal suo
ventre!" –Rise beffarda la voce, che a Cristal e
Artax parve provenire dall’aria intera, incapaci di
focalizzare i sensi su un punto preciso. –"Ma chissà, del resto si è unito
a così tante malcapitate che potrebbe anche esser possibile! Dovrei chiedere ai
miei fratelli di istruirmi al riguardo… Lo farò,
quando avranno terminato di incendiare Asgard!"
"Maledetto! La tua impudenza è oltraggio
insopportabile!" –Ringhiò Artax, mentre Cristal gli bloccava il braccio, fissandolo con uno sguardo
severo che gli chiedeva di non fare mosse azzardate.
"Puniscimi allora! Strappa una radice da
quell’immenso tubero e vergami!" –Disse la voce, mentre il magma attorno
nuovamente si agitava e numerose vampe di fuoco si allungavano verso il cielo,
schizzando lapilli nella loro direzione. –"Così ti mostrerò la fine che
farai, quella della verga, arsa viva e urlante dolore! Vorresti provare, bel
biondino?" –E nel dir questo la lava si sollevò davanti ai due Cavalieri,
modellandosi e crescendo sempre più, fino a generare la sagoma di un corpo
gigantesco, alto forse dieci metri, interamente composto di magma e fiamme.
–"Vorresti ancora provare?!"
"Chi sei?" –Tuonò allora Cristal,
vedendo che Artax si era zittito, per la sorpresa e
per il timore.
"Beli, così mi chiamano i miei fratelli! In quanto a
chi sono, che domanda è? Sei forse cieco come il tuo compagno? O hai visto
Giganti di Fuoco di forma differente?"
"Non ne avevo mai incontrato uno, a dire il vero…" –Ironizzò Cristal.
"Felice di essere il primo, e l’ultimo, che
vedrai!" –Esclamò Beli, sollevando le braccia e allungandole verso i due
Cavalieri, che subito scattarono di lato, gettandosi nella conca di pietra, per
evitare i getti di lava ardente.
"Per Odino…" –Mormorò
Artax, la cui spavalderia si era spenta di fronte al
nemico che non avrebbe creduto di dover affrontare. –"Se incendia Yggdrasill, per noi è la fine!"
"Dobbiamo tenerlo a distanza di sicurezza!"
–Esclamò Cristal, espandendo il proprio cosmo
glaciale. –"Quel tanto che basta per permetterci di metterci in salvo e
raggiungere Asgard! Noi dobbiamo…" –Strinse i
pugni e scattò avanti, liberando il suo colpo segreto. –"…raggiungere Asgard! Polvere di Diamanti!!!"
L’attacco si schiantò su un fianco del gigante, un po’
sorpreso che il Cavaliere disponesse di una tecnica simile, ma poi scoppiò a
ridere, mostrando come il breve strato di brina che aveva generato fosse già
evaporato, liquefatto dalle correnti di magma che scorrevano nel suo corpo, che
costituivano il suo corpo.
"Perdonami l’ovvietà, ma un gelo simile è arma assai
inutile contro i figli di Muspell! Neppure se tutti
gli Asi e i loro scagnozzi possedessero tale potere
riuscireste a congelare quest’eterna distesa di fuoco a cui attingo per
rimanere in vita!" –Disse Beli. –"E adesso che sono rimasto solo, o
quasi, è tutta a mia disposizione!"
"Solo?!" –Balbettò Artax.
"Muspellsheimr si è
letteralmente svuotata da quando i miei fratelli hanno iniziato a marciare su
Asgard! Stavo per raggiungerli, quando ho sentito le vostre voci e ho pensato
di fermarmi e porgervi un saluto! Un saluto…
caloroso!" –Esclamò Beli, dirigendo nuovi getti di lava ardente verso i
due, obbligati a scattare di lato, per non essere investiti. –"È molto che
non combatto, da quando, secoli addietro, istigai gli altri Giganti di Fuoco a
marciare su Asgard ma fummo fermati da una squadra di Einherjar
guidata da Freyr, quello spocchioso! Per colpa sua e
della sua spada fui sconfitto e persi la stima dei miei fratelli, di cui un
tempo ero il capo e che invece da quel momento mi preferirono Lui!"
"Lui?! Di chi stai parlando?" –Tossì Cristal, cercando di reagire. Scatenò la Polvere di
Diamanti, a cui Artax subito sommò il suo potere,
contrastando per qualche istante i due fiotti di magma bollente, finché Beli
non aumentò la spinta, scagliando i due Cavalieri indietro, fino a farli
schiantare contro una parete rocciosa del cerchio sacro, il cui pavimento si
stava ormai riempiendo di lava.
"Maledizione! Finiremo arrosto quanto prima…" –Mormorò il Cigno, affannando nel respirare, a
causa del caldo micidiale che lo stava dominando, facendolo impazzire. Anche Artax, sebbene avvezzo a sopportare alte temperature, in
virtù dell’addestramento nella caverna di Asgard, stava iniziando ad accusare
l’eccessiva permanenza in Muspellsheimr, superiore alle
aspettative. –"Potresti andartene, Artax, e
tornare a difendere la tua terra e il tuo re…"
"Sì, potrei!" –Esclamò il Cavaliere del Nord,
rialzandosi. –"Ma ho un onore da difendere, un onore che già in passato ho
permesso venisse macchiato!" –E nel dir questo allungò una mano verso il
Cigno, che gli rispose con un sorriso fiero, afferrandola e tirandosi su,
mentre i loro cosmi rischiaravano l’aria. –"Mostriamo a questo ammasso di
fiamme il vero potere dei Cavalieri di Atena e di Odino!!!"
"Che le divine acque dell’aurora scorrano in questo
mondo di fuoco!" –Gridò Cristal, scaricando il
suo massimo colpo segreto contro il ventre incandescente di Beli, stringendolo
in una morsa di ghiaccio. –"Per il Sacro Acquarius!"
"Nevi di Asgard, abbattetevi sul gigante che
di voi si è burlato!" –Lo seguì Artax, dirigendo
l’assalto contro le braccia di pura fiamma di Beli, frenandone i movimenti.
"Atenaaa!!!" –Urlò Cristal. –"Odinooo!!!"
–Gli fece eco Artax, entrambi grondanti di sudore,
con il cosmo portato al parossismo e i nervi tesi ogni oltre immaginazione.
Il congiunto attacco parve ricoprire il gigante di un
consistente strato di gelo, che dal basso ventre crebbe fino alla testa, mentre
ogni traccia di fiamma o di lava si spegneva e i due ragazzi placavano il loro assalto,
ansando affaticati, osservando la rozza struttura di ghiaccio.
Un attimo dopo la statua esplose, mentre onde di lava si
sollevarono tutto intorno, infrangendosi contro le rocce che circondavano la
radura. Cristal sollevò in fretta una cupola di ghiaccio,
per proteggere se stesso e il compagno dai lapilli che schizzavano
all’impazzata, prima di osservare sconcertato il riversarsi di cavalloni di
magma all’interno del cerchio sacro.
"Stammi vicino…"
–Mormorò il Cavaliere, afferrando Artax e spalancando
le ali dell’Armatura Divina, con cui si librò in aria giusto in tempo per
evitare che le loro gambe venissero ustionate.
"Attento!!!" –Gridò Artax,
mentre colonne di lava convergevano su di loro, in quantità superiore rispetto
a quelle che avevano inizialmente attaccato il guerriero di Odino.
Cristal cercò di evitarle, zigzagando in
mezzo a quel rimestarsi confuso di fiamme e lava, con i sensi tesi al massimo,
seppur infiacchiti dalla stanchezza, prima di posarsi su una parete rocciosa
del cerchio, incapace di stare ancora in volo. Tossendo, eresse un muro di
ghiaccio davanti a loro, aiutato dal cosmo di Artax,
che impedì alle onde di magma di travolgerli, ma entrambi capirono subito che
non avrebbero potuto reggere a lungo in quella precaria posizione difensiva.
Tanto più con la lava che aveva invaso la radura, divorando le pietre e
lambendo persino la base del portale, mentre vampate improvvise avevano
fagocitato numerose radici di Yggdrasill.
"Così non può andare… Non
possiamo perdere il nostro biglietto di sola andata per Asgard!" –Esclamò Cristal, avvisando Artax di quel
che aveva intenzione di fare, proprio mentre l’ardente sagoma di Beli si
ricostituiva di fronte a loro, traendo origine e forza dal mare di magma.
"Invincibile sono! Dovreste esservene resi conto,
adesso!" –Mormorò, prima di dirigere due nuovi fiotti di lava, uno contro Artax, in cima alla parete di pietre, e uno contro Cristal, che si era gettato di nuovo all’interno del
cerchio, congelandone il pavimento e portandosi ai piedi dell’Albero Cosmico.
"Dammi più tempo che puoi!" –Gli aveva detto,
prima di lasciarlo da solo, e Artax aveva intenzione
di non deludere le sue aspettative. –"Se non li puoi battere, allora
unisciti a loro!" –Mormorò, espandendo il suo cosmo al massimo, ribollente
come la lava che li circondava. –"Unisciti a loro!!!" –Ripeté, prima
di muovere le braccia e dirigere due violenti getti di fiamma contro Beli.
–"Fuoco del Meriggio, risplendi!!!"
L’attacco prese il gigante di sorpresa, aspettandosi la
solita tempesta di ghiaccio, e venne persino spinto indietro di qualche metro,
per quanto, agli occhi di Artax, la differenza fosse
minima. Cristal, nel frattanto, aveva raggiunto la
base di Yggdrasill, che poggiava proprio sopra il
portale di pietra, e l’aveva sfiorata con i palmi delle mani, avvolgendola in
un abbraccio glaciale.
Pochi istanti dopo uno strato di ghiaccio, spesso quasi
mezzo metro, iniziò a comparire attorno all’Albero Cosmico, salendo sempre più
in alto, avvolgendolo in un rozzo cilindro che, nelle intenzioni di Cristal, avrebbe dovuto proteggerlo dai continui marosi di
magma. Ansimando per lo sforzo e per il caldo insopportabile, il Cavaliere
sollevò lo sguardo verso il cielo, notando che non riusciva a vedere fin dove
fosse arrivato lo strato di ghiaccio, ma credette
sufficientemente in alto da potersi fermare e riprendere quindi fiato.
Proprio in quel momento Artax
venne scagliato all’interno della conca di pietre, schiantandosi sul pavimento
ghiacciato e perdendo l’elmo della corazza, con un braccio ustionato dal fiotto
di lava che l’aveva appena raggiunto.
"Artax!!!" –Gridò Cristal,
correndo verso il compagno, ma Beli cercò di fermarlo, dirigendogli contro
correnti di magma ardente che il Cavaliere tentò di contrastare con la Polvere
di Diamanti, riuscendovi per qualche secondo, che a Cristal
parve interminabile tanto grande era lo sforzo che gli era richiesto.
Artax, ripresosi, si mosse per portarsi
alle spalle del Cavaliere di Atena, espandendo poi il cosmo per unirsi a lui,
mentre schizzi continui di lava piovevano su di loro, sull’intero cerchio e
sull’estremità inferiore dell’Albero Cosmico.
"Quel che m’hai detto prima…
vale anche per te!" –Mormorò, tossendo più volte. –"Questa non è la
tua guerra, Cristal! Vattene! Mettiti in salvo!
Affronterò io i nemici di Odino!"
"Mi credi così meschino, Cavaliere? O sono vecchie
reminescenze a farti parlare in questo modo? Me ne andrò da qui, questo è
certo, ma tu sarai con me!" –Affermò serio Cristal,
incrementando il proprio attacco. –"C’è bisogno di te ad Asgard! Flare ha bisogno anche di te!"
"Lascia Flare fuori da
questo discorso!"
"Vorrei, ma non posso, perché è coinvolta quanto lo
siamo noi!" –Confessò infine il Cavaliere. –"Loki
l’ha rapita e si trova con lui, chissà dove, in questi nove mondi!"
"Rapita?! Maledizione!!!" –Ringhiò il guerriero
di Odino, che parve ridestarsi alla notizia, spingendo con forza maggiore la
propria tempesta di neve. –"Se qualcosa di male le è stato fatto, non
basterà il baratro del Ginnungagap a contenere la
rabbia di Artax! Ooohhh, Nevi
di Asgard!!!"
Cristal approfittò di quel momento di
ritrovato slancio del compagno per utilizzare gli Anelli del Cigno per
erigere una decina di muri di ghiaccio di fronte a loro, sicuro che fossero
arrivati al giudizio finale, essendo entrambi indeboliti dalla permanenza nella
terra del fuoco. Così, mentre i fiotti di lava di Beli si schiantavano sulle
effimere muraglie, liquefacendole una ad una, poté bruciare al massimo il
proprio cosmo, lasciando che turbinasse attorno a sé come vento di inaudita
tempesta, stupendo persino Artax per i livelli
raggiunti dal compagno, decisamente superiori rispetto ai tempi del loro
scontro.
"Vortice…fulminante… dell’aurora!!!" –Gridò il Cavaliere di
Atena, scatenando un turbine di gelo che travolse quel che restava del
pavimento, delle pietre, dei getti caldi di Beli, abbattendosi sul gigante,
sorpreso da tale inusitata potenza, e obbligandolo a liquefarsi di nuovo.
La lava attorno al cerchio sacro venne ricoperta da un
manto di ghiaccio, fondendosi in una massa amorfa e bloccando persino i
continui sbuffi di vapore che ogni tanto la spruzzavano in aria. Con le ultime
forze, Cristal afferrò Artax,
pregandolo di tenersi stretto a sé, spalancando le ali dell’Armatura Divina e
librandosi in alto, seguendo le radici congelate di Yggdrasill.
"Cristal…" –Mormorò Artax, guardando verso il basso e notando che il ghiaccio
stava già iniziando a sciogliersi, sottoposto a una pressione di calore troppo
violenta.
Il Cavaliere di Atena non disse niente, continuando a
volare in alto, sempre di più, superando il limite raggiunto dal ghiaccio in
precedenza e proseguendo finché le forze non gli vennero meno e lo costrinsero
ad aggrapparsi alle radici dell’Albero Cosmico, con Artax
che faceva altrettanto.
Bolle di lava esplosero in quel momento attorno al
cerchio sacro, annientando quel che restava del gelo del Cigno, mentre Cristal concentrava il cosmo sul braccio destro,
sollevandolo dritto avanti a sé. Artax comprese quel
che il Cavaliere aveva intenzione di fare e si affrettò a salire ancora di
qualche metro.
"Spero che Odino mi perdoni…
Spada di ghiaccio!!!" –Gridò, calando il braccio sulle ancestrali
radici e trapassandole con un fendente di energia congelante, che le falciò a
metà, spezzandone alcune. Quelle che rimasero furono strattonate con forza da Cristal e da Artax, fino a
tranciarle del tutto e a lasciare la parte inferiore libera di cadere nel
vuoto, priva ormai di un sostegno dall’alto.
L’immensa massa di Yggdrasill,
nella parte superiore ancora congelata, crollò su se stessa, proprio mentre
Beli stava ricomponendo la sua forma fiammeggiante, schiacciandolo nella lava e
portando con sé i resti del ghiaccio, delle pietre e dell’antica regione sacra,
che sprofondò divorata dal magma e dal caos.
"Cristal…" –Mormorò Artax, afferrando il ragazzo che, stanco per la continua
lotta e le difficoltà respiratorie, stava quasi per perdere i sensi. –"Non
vorrai andartene sul più bello? Coraggio… Dobbiamo
proseguire!"
Il Cavaliere del Cigno annuì, ricambiando il sorriso
stanco del compagno, prima di seguirlo lungo la scalata delle parti superiori
delle radici dell’Albero Cosmico.
Nessuno dei due si avvide di un’ombra che, tacita, aveva
osservato l’intero scontro, in piedi sul versante ribollente di un vulcano.
Capitolo 14 *** Capitolo dodicesimo: Il concilio ***
CAPITOLO DODICESIMO: IL CONCILIO.
Quando
Atena arrivò sull’Olimpo si accorse che l’aria era cambiata, ben diversa
dall’abbraccio di eternità che solitamente avvolgeva la cima del Monte Sacro.
Lo stesso abbraccio che l’aveva cinta cinque mesi prima, quando vi era giunta
per la prima volta in quella sua attuale reincarnazione.
All’epoca
i boschi erano in fiore, gli alberi si allungavano rigogliosi e superbi verso
il cielo, i ruscelli scorrevano sul medio versante del colle, dando vita a
cascate e a giochi d’acqua, rallegrati dal canto delle ninfe e dei satiri. Le
statue di marmo bianco che adornavano il viale che conduceva dal Cancello del
Fulmine alla Reggia di Zeus parevano inneggiare ai fasti e alla potenza degli
Dei e dei loro eroi, le cui imprese nel mito erano state osannate.
Quel
giorno invece tutto era fermo, immerso in un silenzio innaturale che sembrava
aver cancellato ogni forza vitale. Non vi era ombra né distruzione, piuttosto
una quieta attesa dell’autunno, o peggio ancora dell’inverno, qualcosa che mai
aveva varcato le soglie del sempiterno monte, arrestandosi al Bianco Cancello.
Qualcosa che pareva aver chetato tutti gli esseri viventi, fermandoli in un
momento del loro ciclo esistenziale, timorosi di andare avanti. Timorosi
dell’esistenza di un domani.
Mai
come oggi gli antichi fasti dell’Olimpo, di banchetti e tornei adorni, di poemi
di guerrieri e Divinità ricolmi, mi sembrano così lontani! Mormorò la Dea, fermandosi di fronte a un’antica
scultura all’esterno del tempio di Zeus. Una statua di oro e avorio che
rappresentava un uomo, con mossi capelli e lunga barba, seduto su un trono, con
uno scettro in mano su cui era inciso il simbolo del fulmine.
Forse è così che gli uomini ci vedono? Si chiese, lasciando vagare la
mente nel passato, alle sue precedenti incarnazioni, agli anni della Grecia
classica, quando Fidia abbelliva i templi degli
Olimpi di pregiati lavori e Pausania ne cantava le lodi. Come vecchi
infiacchiti dal tempo che hanno perso il contatto con la realtà? Come retaggi
di un passato che hanno dimenticato in fretta, contribuendo a scavare un solco
tra due mondi, profondo quanto l’incomprensione reciproca che ha segnato i
rapporti tra loro e gli Dei. Colpevoli i primi di aver smesso di adorare i
secondi, e i secondi di non aver compreso i primi, e di averli sfruttati per
averne solo oro e glorie, senza dare loro niente in cambio.
“È
bellissima, non è vero?!” –La delicata voce del suo accompagnatore la scosse
dai suoi pensieri, portandola a voltarsi e a fissare gli occhi grigi
dell’ultimo figlio di Eos ancora in vita. Euro, il Vento dell’Est.
–“Ermes mi ha raccontato un giorno che Zeus, adirato e dispiaciuto per la
perdita dell’originale eretta ad Olimpia, la fece ricostruire qua, nella casa
degli Dei. So che non ama elogiare in pubblico le imprese degli uomini, che
spesso lo hanno deluso, ma ne sa ammirare l’ingegno e la bravura, quando le
vede!”
“Sei
proprio come il mito ti descrive, figlio dell’Aurora. Argestes,
il rischiaratore!” –Commentò Atena, con un sorriso.
–“Riesci sempre a vedere il lato migliore delle cose, anche in tempi in cui
forse non c’è un lato migliore in cui specchiarsi!”
“Non
amo questo presente, Vergine Dea, e spesso mi rifugio nel passato, nelle
rimembranze di una grandezza e di una nobiltà andate perdute!” –Spiegò Euro,
ricominciando a camminare lungo il viale assieme alla Divinità e al Cavaliere
d’Oro giunto con lei da Atene, fermandosi infine all’ingresso della Reggia di
Zeus. –“Pur tuttavia, dal mio incontro con Pegasus e
Andromeda, presso il vostro santuario, una nuova speme s’è accesa in me! E
chissà che non mi sia consentito di vivere abbastanza a lungo per poter
ammirare la nascita di un mondo nuovo…”
O
la fine di quello presente. Rifletté,
facendo cenno ad Atena di precederlo.
La
Dea lo ringraziò con un sorriso, intuendo parte dei suoi pensieri, ed entrò nel
palazzo, lasciando Euro e Mur a parlare tra loro
all’esterno. Camminò lungo gli ampi corridoi di marmo bianco, un tempo
affollati da Cavalieri Celesti e Divinità golose di ambrosia, fino a giungere
al portone della Sala del Trono, di fronte al quale un bel giovane dagli scuri
capelli ricciuti la stava attendendo.
“Lieto
di rivedervi, Dea della Guerra Giusta! Il Sommo la sta aspettando!” –Esclamò il
Coppiere degli Dei.
“Ti
ringrazio, Ganimede! E sono altrettanto lieta di sapere che le tue ferite si
sono rimarginate!”
A quelle parole il ragazzo un tempo amato da Zeus parve esitare, arrossendo
lievemente, mentre il ricordo della possessione subita da parte di Ampelo del Vendemmiatore riemergeva in lui, assieme ai
sensi di colpa per non essere stato forte abbastanza da impedirlo. Né da
impedirgli di fare del male ad altri tramite il suo corpo.
“Non
preoccuparti!” –Sorrise Atena, carezzandogli il volto. –“Va bene così!” –Non
aggiunse altro e aprì il massiccio portone, entrando all’interno della Sala del
Trono.
Là,
raccolti, stavano tutti gli Olimpi ancora in vita.
Efesto,
Signore del Fuoco e della Metallurgia, aveva abbandonato malvolentieri la
fucina nelle profondità dell’Etna e ora conversava con sua madre, la bella Era,
Regina degli Dei, per quanto non l’avesse mai avuta in eccessiva simpatia,
essendo stato da lei sempre guardato con fastidio a causa della sua deformità.
Ermes, Dio dei Mercanti e dei Viaggiatori e Messaggero Olimpico, si ergeva
maestoso ai piedi della scalinata che conduceva al trono, vigile sentinella e
braccio armato del suo Signore, mentre Demetra osservava, dalla ricostruita
vetrata che si affacciava sui giardini dell’Olimpo, lo splendore di un luogo
che forse presto non sarebbe stato più.
Fu
proprio la Dea delle Coltivazioni ad andare incontro ad Atena, felice di
rivederla. La abbracciò con sincero affetto, senza risparmiarle tristi
occhiate, piene di tutto il dolore che la Divinità provava per la distruzione
in cui la Terra stava sprofondando, non soltanto intesa come pianeta, ma anche
come fertile suolo.
Anche
gli altri numi la salutarono e ad Atena non sfuggì che, ad esclusione di
Demetra, indossavano tutti, come lei, la loro Veste Divina, quasi fossero
pronti a scendere in guerra sul momento. Persino Era, che negli ultimi due
secoli aveva abbandonato ogni velleità bellica, chiudendosi nel suo intimo
mondo di affetti e nel suo ruolo di Signora degli Dei, era ricoperta dalla sua
armatura, ornata al collo da un foulard di seta, tessuto per lei dalle
Sacerdotesse di Samo, isola a lei devota.
“Sei
la benvenuta, figlia mia!” –Esclamò una voce dall’alto trono, mentre una
lucente figura si metteva in piedi, stringendo in mano il Fulmine, simbolo del
suo potere.
“Grazie,
Padre! Mi rallegro nel vedere che state meglio e che l’ombra ha lasciato
definitivamente il vostro corpo!” –Affermò Atena, inginocchiandosi ai piedi
della scalinata.
“Ma
non l’anima!” –Si limitò a commentare Zeus il Tonante, scendendo qualche
gradino e invitando le cinque Divinità a prendere posto sulle panche che erano
state dislocate nella sala. –“Con il tuo arrivo, Atena, siamo al completo e
l’ultimo concilio degli Olimpi può avere inizio!”
Tutti
avrebbero voluto chiedere a Zeus di essere meno criptico nella scelta delle parole,
e forse più ottimista, ma nessuno, neppure il sagace Ermes, osò intervenire,
preferendo che fosse la massima Divinità ad esporre le ragioni di tale
convocazione.
“Sono
passati molti anni dall’ultima volta in cui ci siamo riuniti! Secoli direi! E all’epoca
eravamo quasi al completo! Quando fu? A stento lo ricordo, ma credo fosse allo
scoppiare della Gigantomachia, quando Tifone, istigato dalla Madre Terra,
marciò per la prima volta sull’Olimpo, inquinandolo di serpi e fiamme! Ci
riunimmo proprio qua, in questo salone giudicato inespugnabile, ma non fummo in
grado di stabilire una strategia comune e molti di noi fuggirono in Egitto,
chiedendo ospitalità ad Amon Ra, impauriti da un
potere che sembrava più grande di noi! Impauriti da un’ombra di fuoco che ci
ricordò le potenti Divinità che avevamo affrontato secoli addietro, durante la
Titanomachia, vincendole e dando così inizio alla terza stirpe cosmica, che
seguì quella delle entità ancestrali e quella dei Titani!” –Disse Zeus, mentre
immagini di antiche realtà in cui avevano vissuto iniziarono a scorrere di
fronte agli occhi degli Dei, permettendo loro di rivivere quei momenti
angosciosi che avevano nuovamente provato mesi prima, quando Tifone, liberato
da Flegias, aveva violato per la seconda volta il
suolo del Monte Sacro.
“Mio
Signore…” –Parlò infine Ermes, con voce resa timida
dal ricordo della fuga in Egitto, quel giorno lontano. Un rimorso che non
l’aveva mai abbandonato nei secoli e lo aveva portato a dare continuamente il
massimo, per cancellare, con le sue azioni presenti, quello che considerava uno
dei pochi errori della sua vita. –“Non ci scuseremo mai abbastanza per..:”
“Lo
avete già fatto e non dovete rifarlo! Non ve l’ho mai chiesto, né ve lo
chiederò adesso!” –Lo interruppe Zeus, mentre Ermes chinava il capo, un poco
sconsolato. –“A dire il vero, mio vecchio amico, credo di poter affermare con
tutta tranquillità che dei Dodici Olimpi voi riuniti in questa stanza siete
coloro a cui sono maggiormente legato, coloro che meno mi hanno deluso e più mi
hanno reso fiero! Fiero di essere vostro padre, vostro sposo o semplicemente il
vostro Dio! Mia figlia Atena, che da quando le affidai l’amministrazione della
Terra ha sempre lottato contro le forze avverse e soverchiatrici, disposta
persino a dare la vita per ciò in cui crede! Mio figlio Efesto,
abile e instancabile lavoratore, capace di produrre le migliori armi e corazze
che un re sia degno di far indossare al proprio esercito! La premurosa Demetra,
sorella placida e sempre attenta alla cura dell’ambiente circostante, di cui sa
avvertire gli umori e le paure. Il fido Ermes, sempre pronto a solcare i cieli
dell’intero pianeta pur di consegnare con rapidità e solerzia un mio messaggio!
E la mia dolce sposa, compagna di vita, al cui fianco ho visto sorgere e morire
mondi e soli, l’unica in grado di lenire gli affanni del tempo!”
A
quelle parole Ermes parve riacquistare colore, sollevando la testa con occhi
felici, mentre Era, Demetra e Atena sorridevano commosse e persino Efesto annuiva convinto.
“Ricordate
la stirpe degli Olimpi? Dodekatheon ci chiamavano gli
uomini e così ci hanno dato perpetua memoria in statue e dipinti, ammiratori
della nostra immortalità! Una condizione che alla fine non si è rivelata tale,
almeno per alcuni di noi!” –Riprese a narrare Zeus. –“Di dodici, in sei siamo
qua, mentre altrettanti sono caduti, e assieme a loro molti Dei minori! Il
primo è stato Apollo, il quale, non memore della punizione che io e Avalon gli
infliggemmo secoli addietro, scelse di scendere in campo da solo, per
sterminare gli umani che avevano smesso di adorarlo. Si servì persino di alcuni
Cavalieri di Atena, riportandoli in vita, incantati da chissà quale promessa di
gloria o vendetta, oltre che di tre Cavalieri della Corona, quel che restava
delle sue antiche legioni, trovando però la morte per mano degli eroici
combattenti di mia figlia.
A
seguire furono Nettuno e Ade ad essere sconfitti, per quanto il secondo non
facesse parte della cerchia dei Dodici, avendo sempre dimorato nelle lande
dell’Elisio, al di là della disperazione dell’Inferno. Quindi, durante la
guerra consumatasi proprio qua, in questa reggia sacra, caddero Estia, che aveva ceduto a Dioniso il proprio posto nel
concilio degli Olimpi, preferendo vivere tra gli uomini, l’avvenente Afrodite e
lo stesso Signore del Vino, massacrati dai figli bastardi del Dio della
Guerra!”
Zeus
si fermò un attimo, dando tempo a tutti di ripensare agli eventi recenti e al
figlio di reprimere un singhiozzo, che il solo nome della sua bellissima sposa
gli aveva strappato.
“Dopo
di loro fu il turno di Ares, punito per la guerra infame che aveva di nuovo
scatenato, ereditando il lato peggiore del collerico carattere dei suoi
genitori, e dell’intrepida Artemide, ultima a cadere degli Dei di Grecia. Di
entrambi, nemmeno il corpo ci è rimasto, da commemorare a memoria delle loro
azioni, buone o malvagie che fossero, ma sempre dettate da una volontà forte e
estrema!”
“Se
avessi il corpo di Ares tra le mani… le pene dei
dannati in Ade sarebbero ben minima cosa rispetto alla sofferenza che
infliggerei a quel bastardo! Vile traditore, per causa sua e della sua stirpe
iraconda troppo sangue è stato versato! Sangue di chi avrebbe dovuto… continuare a vivere!” –Esclamò Efesto,
infervorandosi, prima che il morbido tocco della mano di Ermes sulla sua spalla
lo facesse voltare verso gli occhi del Messaggero, per lui un compagno ma anche
un amico, e placare.
“La
tua rabbia è giustificata, figlio mio, e ben la comprendo, poiché al pari tuo
anch’io molto ho perso in una guerra che può dirsi grande solo per il numero
dei caduti!” –Riprese Zeus. –“Duecentosettantaquattro sono i Cavalieri Celesti
caduti sull’Olimpo o andati incontro a prematura morte nelle folli imprese cui Flegias li destinò, al Tempio Sottomarino, per recuperare
il vaso di mio fratello e servirsene, o in Grecia e in Asia, tramutando uomini
che avevano vissuto una vita intera da eroi, per proteggere quel che
consideravano il paradiso, in demoni destinati all’Inferno. Questo senza
contare Morfeo, Ebe, Eos, e i tanti Cavalieri e
fedeli alle altre Divinità, come ad Afrodite e Dioniso, e la Legione di Glastonbury, sterminata nell’attacco all’Isola delle Ombre!
Di tutti loro, di quegli spiriti grandiosi il cui nome uno ad uno ricordo,
scolpito nella mia mente, a memoria imperitura dei miei errori e delle mie
debolezze, rimane soltanto il più giovane, e forse il più umano tra tutti!”
“Di
lui puoi soltanto essere fiero, Padre!” –Commentò allora Atena, con voce ferma
ma pacata, a cui Pegasus e i suoi amici avevano
raccontato le gesta del Luogotenente dell’Olimpo, il primo che aveva osato
mettere in dubbio le decisioni del Sommo, non ritenendole giuste. –“Come di
tutti coloro che amavi e che la guerra ti ha strappato! Perdonami se ti
interrompo, e mi perdonino gli altri se le mie parole possono sembrare
saccenti, ma credo di conoscere meglio di voi, di tutti voi, quella sensazione
di perdita e dolore che domina adesso il vostro animo! Per tutti questi secoli
in cui siete rimasti sull’Olimpo, ad osservare con distacco il flusso di eventi
terrestri, io ho invece avuto modo di esservi immersa e di sentire, sulla mia
propria pelle, il peso di scelte talvolta ingrate ma necessarie per impedire
che il mondo scivolasse sotto il tacco di un re oscuro e liberticida! E dalle
mie scelte sono dipese le vite di migliaia di uomini, di migliaia di Cavalieri
che, fin da quando Nettuno scatenò i primi sette Generali contro di me, si sono
schierati al mio fianco, a difendere la giustizia e la libertà della Terra!
Perciò, mio magnifico Padre, e tu, fratello dall’animo gentile, non torturatevi
l’animo più del necessario, poiché coloro che avete amato, e che tuttora amate,
non vi lasceranno mai! Rimarranno sempre con voi, al sicuro nel vostro cuore, e
là li ricorderete, felici al pensiero che niente più possa sfiorarli!” –Sospirò
infine Atena, gli occhi leggermente umidi al pensiero di tutti coloro che le
erano stati fedeli nel corso dei millenni. Cavalieri, apprendisti, soldati,
oracoli e sacerdotesse, un numero impossibile da rimembrare, che neppure gli
annuali del Santuario avrebbero potuto indicare correttamente. Ma per tutti
aveva lasciato un posto nel suo cuore. Quello era sempre stata la sua forza più
grande, e il suo più grande dolore.
“Un
bellissimo discorso…” –Commentò allora Ermes, e anche
Demetra annuì.
Soltanto
Era rimase in silenzio, racchiusa nei suoi pensieri, ripensando a comportamenti
del suo passato di cui non andava più fiera, memorie di un tempo in cui la
gelosia e la paura di perdere Zeus le avevano fatto perdere il controllo di se
stessa, trasformandola in una Divinità sadica e guerrafondaia.
“Le
tue parole, Atena, non fanno che confermare quanto stavo dicendo, quel che sono
giunto a realizzare in secoli di riflessioni! Che per quanto fossimo un’unica
famiglia, generati dallo stesso fato, uniti in realtà non siamo stati mai!”
–Esclamò il Sommo, abbandonandosi a un mesto sospiro. –“Tranne quando si è
trattato di perseguire un obiettivo comune, come quello di scalzare Crono, il
Divoratore, all’alba della storia degli Olimpi, e combattere contro i Titani.
Quella mostruosa guerra, che pochi anni or sono il mondo ha rischiato di
conoscere nuovamente, fu il primo tentativo messo in atto da me, Ade e Nettuno
di dare vita ad un progetto unitario, un progetto che comprendeva la spartizione
della Terra tra di noi, sperando in questo modo di garantire l’equilibrio! Ma
abbiamo fallito, e le Guerre Sacre che hanno insanguinato il mondo fin dagli
albori ne sono sanguigna testimonianza! E quest’incomprensione sorta tra i più
potenti figli di Crono e di Rea ha poi caratterizzato anche le nostre
discendenze!
Non
vi è mai stata realmente pace tra i Dodici, e lo dimostrano i continui scontri
che mia figlia e i suoi Cavalieri sono stati costretti ad affrontare. Prima
contro Nettuno, poi contro Ares, Ade e Apollo. Ciascuno convinto delle proprie
ragioni, ciascuno convinto di poter riforgiare il
mondo a propria immagine e somiglianza, scontenti forse di quel che avevano,
invidiosi forse del mio dominio. Ma tutti destinati a fallire, a veder
naufragare le loro speranze contro gli scogli dei Cavalieri di Atena!”
“Padre… voi mi lusingate…”
–Mormorò Atena, cui Demetra, seduta al suo fianco, carezzò affettuosamente una
gamba.
“Dico
il vero! Hai combattuto bene, Atena, e lo hai fatto anche per noi! Per quanto
non ritenga che, nei tempi passati, Nettuno o Ade avrebbero potuto
sconfiggermi, protetto com’ero da una solida muraglia di Cavalieri e Ciclopi
Celesti, certamente il possesso della Terra da parte di uno di loro avrebbe
alterato l’equilibrio, garantendogli il dominio di due mondi. Una condizione
inaccettabile!” –Spiegò Zeus. –“Avrei dovuto prestare più attenzione a ciò che
avveniva nel mondo degli uomini, così vicino e al tempo stesso così lontano, e
frenare le ambizioni dei miei fratelli e figli. Ma non volevo intromettermi,
poiché al loro posto anch’io avrei mal visto le intromissioni di un’altra
Divinità. Così l’unione fittizia che ci aveva inizialmente legato è venuta meno
e ognuno ha preso la sua strada. Ma adesso è necessario tornare alle origini,
recuperare quella comunione di intenti che ci ha legato contro il nostro primo
nemico! È condizione imprescindibile se vogliamo sopravvivere all’era oscura
che si sta aprendo!”
“Mio
sposo…” –Si lasciò sfuggire Era, che mai aveva
sentito Zeus parlare con toni così cupi, neppure quando Ares e Tifone avevano
minacciato l’Olimpo.
“Come
ci unimmo un tempo contro i Titani, ugualmente dobbiamo farlo oggi!”
“La
nostra fedeltà alla causa è assoluta, Sommo Zeus!” –Esclamò Ermes, alzandosi in
piedi e battendo il pugno sul cuore. E anche Efesto e
Atena annuirono.
“Di
ciò sono certo, mio buon amico! Ma non è per questo motivo che vi ho convocato,
bensì per rendervi partecipi di una mia decisione! Alla luce di quanto vi ho
detto, e delle forze oscure che stanno scendendo in campo, ritengo che avremo
bisogno di ogni aiuto disponibile! Per questo ho chiesto ad Avalon di portarmi
il Vaso di Atena, che i Cavalieri delle Stelle asportarono dal Tempio
Sottomarino per impedire che i figli di Ares se ne appropriassero, di modo che,
con esso, potremo risvegliare mio fratello Nettuno!”
A
quelle parole tutti gli altri Dei si zittirono, ammutolendo in un silenzio
improvviso, causato da una dichiarazione che aveva ghiacciato ogni euforia.
Soprattutto Atena non riusciva a parlare, incapace di comprendere come suo
Padre potesse volere una cosa simile, dopo aver ammesso gli errori degli altri
Olimpi.
Si
fece coraggio, spostando i lunghi capelli viola dietro le spalle, e chiese
infine a Zeus spiegazioni.
“So
che il tuo ultimo incontro con Nettuno non è stato piacevole, figlia mia, e so
che sei invasa dal timore che un nuovo scontro possa prendere forma!” –Le disse
il Padre degli Dei, avvicinandosi. –“Ma non devi temere, poiché il risveglio
dell’Imperatore dei Mari, non previsto quest’oggi come non lo era lo scorso
anno, servirà solo alla nostra comune causa, ingrossando di un alleato le
nostre fila!”
“Pensi
davvero che sia giusto, Padre? Strappare di nuovo JulianKevines al suo mondo e lasciare che lo spirito di
Nettuno lo invada un’altra volta, rischiando di mettere in pericolo la sua
vita, oltre a quella di milioni di innocenti? Non ricordi quanti sono morti per
le piogge continue e i maremoti che tuo fratello scatenò l’anno scorso in tutto
il mondo?!”
“Non
è a JulianKevines che mi
riferivo, Atena, ma al vero Imperatore dei Mari, la cui forza hai soltanto
intravisto in occasione del vostro ultimo scontro, confinata in un corpo che
non poteva contenere a pieno la sua vera potenza!” –Precisò Zeus.
“Non… a Julian?!” –Balbettò Atena,
presa alla sprovvista. E anche Demetra e Ermes si guardarono incuriositi,
mentre Era chinava il capo, non sorpresa dalla rivelazione. Aveva sentito Zeus
parlare con il suo Luogotenente poche ore prima e sapeva dove sarebbe andato a
parare.
“Sto
parlando del corpo divino di mio fratello, intriso della sua vera essenza, non
l’involucro umano che usava ogni volta in cui voleva reincarnarsi sulla Terra!”
“Il
corpo mitologico di Nettuno?! Non ne vedo le fattezze da molto tempo…da… dallo sprofondamento
di Atlantide!!!” –Rifletté Atena, sgranando gli occhi e capendo adesso il
progetto di suo Padre. –“È là che si trova?!”
“Precisamente!”
–Confermò Zeus. –“Dopo la sconfitta che i tuoi Cavalieri inflissero alle
schiere di Generali e Soldati degli Abissi, Nettuno ritenne opportuno mettere
in salvo il suo vero corpo, conscio del potenziale mostrato dal tuo esercito!
Così lo celò in un tempio della sprofondata Atlantide, il suo primo e stupendo
regno, cullato dalle onde degli oceani da lui amati e al sicuro da qualsiasi
pericolo!”
“Questo
spiega perché, da allora, si sia servito di un membro della famiglia Kevines, gli imperatori economici dei mari, per non mettere
a repentaglio la sua forma ultima!” –Intervenne allora Ermes, a cui Zeus annuì.
–“Proprio come Ade preferiva scegliere il corpo dell’uomo più puro della Terra,
anziché rischiare il proprio!”
“Atena,
devo proprio ammetterlo, sei stata una spina nel fianco per i miei fratelli più
di quanto loro si siano mai degnati di ammettere, spingendoli a nascondere
persino la loro vera essenza, impauriti dalla prospettiva di perderla!
Prospettiva che tu, e i tuoi valenti condottieri, avete generato in loro!”
–Sorrise il Sommo.
“In
un certo senso… è allora a causa mia se Julian, i suoi antenati e altre persone hanno tanto
sofferto, posseduti dalla smania di potere di un Dio che continuamente cercava
la sua rivincita sui Cavalieri della Speranza da me mandati a morire!” –Mormorò
Atena, socchiudendo gli occhi e abbandonandosi ad un sospiro.
“Hai
fatto ciò che dovevi fare! Ciò che il tuo ruolo di faro delle umane genti ti ha
imposto! Lo hai detto tu pochi minuti fa, non crucciarti di coloro che sono
andati poiché sono caduti per quello in cui credevano!” –Le disse Zeus, prima
di volgere le spalle ai presenti e iniziare a risalire la scalinata di marmo.
–“Il Vaso di Atena ci sarà consegnato tra poco! Ho già dato ordini al Cavaliere
dell’Eridano Celeste di recarsi ove giacciono i resti
di Atlantide, assistito da una persona di massima fiducia, ma vorrei che anche
tu, Ermes, andassi con loro! Tu che conosci bene la dislocazione dei templi
sull’isola inabissata, essendotici recato spesso per
consegnare i miei dispacci, porterai loro lo spirito di Nettuno, necessario
affinché il risveglio avvenga!”
“Come
comanda, mio Signore!” –Esclamò prontamente il Messaggero dai sandali alati,
alzandosi e accennando un inchino, prima che Atena richiamasse il Sommo,
tornando al tono formale che aveva sempre caratterizzato i loro incontri.
“Dunque
è stato tutto già deciso? Non ritenete, Padre, che sarebbe opportuno parlarne
assieme, per capire se questa frettolosa decisione sia davvero conveniente? O
se non possa costituire un ulteriore pericolo per la Terra?”
“Lo
abbiamo fatto, mi pare! E una decisione su cui ho meditato per mesi non la
definirei frettolosa, Atena! Volevo soltanto rendervene partecipi…”
“Capisco…” –Si limitò a rispondere la Dea della Guerra
Giusta. –“Spero solo che non avremo a pentircene!”
Zeus
non rispose, sedendosi nuovamente sul trono ed espandendo il proprio cosmo, che
squarciò come un fulmine il cielo di Grecia, trepidando verso nord, fino a
lambire i confini estremi dell’Europa, dove una tempesta di diversa natura
stava avendo luogo.
***
Mentre
gli Olimpi erano riuniti a concilio nella Sala del Trono, Euro, Vento dell’Est,
camminava con Mur dell’Ariete fuori
dalla Reggia di Zeus, nell’alberato viale dove il Cavaliere d’Oro, assieme a Scorpio, Virgo e Andromeda, aveva
combattuto contro i Cavalieri Celesti guidati da Giasone della Colchide. E dove, in seguito, aveva affrontato persino
Tifone, un mostro leggendario, di cui aveva sentito parlare soltanto dal suo
maestro, il grande Shin dell’Ariete, che un giorno
aveva inviato uno dei Cavalieri d’Oro in Sicilia, per prevenire un suo
possibile risveglio.
“Micene…” –Mormorò il discendente del popolo di Mu, ricordando l’energico giovane che aveva permesso a
tutti loro di essere là quel giorno.
“Come
scusa?!” –Ripeté il figlio di Eos, che passeggiava a fianco dell’Ariete.
“Oh,
perdonami, Vento dell’Est! Mi stavo perdendo nei ricordi! Pensavo a quanto la
vita umana sia piena di scelte. Nessuna di esse è casuale e soprattutto nessuna
è priva di conseguenze. Anche la più piccola, quella che potrebbe sembrare la
più insignificante, può portare a dei risultati!” –Commentò Mur,
prima di sollevare lo sguardo verso il cielo, quasi a veder risplendere la
costellazione del Sagittario sopra di sé.
E
tu, quella notte, scegliesti per il bene di tutti noi. Per la salvezza di tutte
le genti, dando la vita come un martire, per onorare quel che credevi sacro. Oh
Micene, avrei voluto conoscerti di più, perché da te tutti avremmo potuto
imparare!
“Credo
che il concilio si prolungherà per qualche ora!” –Spiegò Euro. –“E ho
l’impressione che Zeus aspetti una visita importante! Ha dato ordine a Ganimede
e alle ancelle di preparare un banchetto nella Sala delle Feste, evento che non
si verificava da prima dello scoppio delle ostilità con Atene!”
“Come
mai tu non ne hai preso parte?”
“Oh,
le questioni di politica non mi interessano, Cavaliere di Ariete! Inoltre,
anche se avessi voluto, non sarei stato ammesso a una riunione degli Olimpi,
non facendone parte! Né mia madre era una di loro, discendente diretta del
Titano Iperione!” –Spiegò Euro, nient’affatto
dispiaciuto all’idea di poter respirare l’aria dell’Olimpo, anziché
rinchiudersi in nebulose riflessioni. –“Inoltre Phantom
e Ascanio potrebbero aver bisogno di aiuto, e
preferisco tenermi disponibile! Non che mi piaccia, lo sai bene, scendere in
guerra, un atto che disprezzo al solo pensiero, ma come già ti dissi durante il
nostro precedente incontro credo stia arrivando un momento in cui le visioni
personali di ognuno di noi debbano essere abbandonate, in nome di un’unità di
intenti! Come potremmo altrimenti resistere all’oscurità montante?”
Mur non
disse niente, per quanto avrebbe voluto avere maggiori informazioni sulla
missione dei due Cavalieri Celesti cui Euro aveva fatto riferimento, ma si
limitò ad ascoltare interessato il soliloquio del figlio di Eos, solitamente
piuttosto schivo nei rapporti interpersonali.
“Li senti
anche tu, vero? I venti di guerra che spirano sull’intero pianeta! Ne
percorrono la superficie, spazzando via ogni certezza di infinito, ogni
speranza nel futuro!” –Riprese infine, fissando Ariete con occhi in cui Mur parve perdersi, tanto erano profondi e colmi di antichi
riflessi. –“Qualcosa di terribile sta per accadere, qualcosa di fronte al quale
gli inganni di Flegias e i tentativi imperiali di
Nettuno, Ade e Ares erano ben poca cosa! Un’ombra incombe sulla Terra tutta, un’ombra
come mai l’ho percepita. Un’oscurità primordiale da cui nessuno potrà fuggire!”
Capitolo 15 *** Capitolo tredicesimo: Volenti o nolenti. ***
CAPITOLO TREDICESIMO: VOLENTI O NOLENTI.
Tanto
fitta era l’oscurità in cui si ritrovò, che Jonathan non riuscì inizialmente a
capire dove fosse finito, se il portale lo avesse trasferito in uno dei nove
mondi o se, molto semplicemente, era morto e presto sarebbe stato avvolto dal
manto di tenebra che lambiva il suo giovane corpo.
Camminò
a tentoni nel buio, con i sensi all’erta per captare una qualsiasi presenza, sentendo
un terreno duro e roccioso sotto di sé e una corrente d’aria fredda lambirgli
le braccia, nei pochi punti lasciati scoperti dall’armatura. Decise di seguire
la brezza, cercando di capire da dove provenisse, per trovare un’uscita da quel
vuoto in cui pareva essere precipitato, ma non riusciva a orientarsi,
continuando a incespicare contro sassi o sporgenze del terreno, senza alcun
punto di riferimento.
Brontolando
per la situazione di stallo, decise di arrischiarsi ad illuminare un poco
l’ambiente usando il cosmo, quel minimo che gli potesse essere utile per
comprendere, attento a non rivelare la propria presenza a eventuali padroni di
casa poco ospitali. Ma bastò che dal suo corpo nascesse una fioca luce perché
una voce lo chiamasse.
“Pegasus?!”
Jonathan
si fermò, muovendo lo sguardo nella direzione da cui la voce proveniva,
l’estremità di quello che a prima vista pareva un corridoio scavato nella
roccia. O sotto terra? Si disse, osservando qualche radice sporgente dal
soffitto e grumi di terriccio che sporcavano le pareti laterali.
Di fronte a
lui, a non più di una decina di metri, c’era un uomo rivestito di un’armatura.
Non poteva vederlo in volto, a causa della distanza e della scarsa luminosità,
ma la snella silhouette dell’elmo e dei coprispalla
della corazza erano evidenti, come pure il leggero movimento del mantello che
indossava.
“Sei
tu, Cavaliere di Pegasus?!” –Ripeté l’uomo che, a
quanto pareva, doveva conoscere i Cavalieri di Atena e forse attendersi la loro
venuta.
“Non sono Pegasus, ma un suo alleato e compagno in questa guerra che
imperversa ad Asgard!” –Rispose allora Jonathan, muovendosi in avanti.
“Se
non sei Pegasus allora non tentare un passo di più!
Potrei non essere così festoso nei tuoi confronti!”
“Chi
sei?!” –Esclamò allora Jonathan, spazientito, aumentando l’intensità del cosmo,
con cui riuscì a illuminare l’intero corridoio, investendo il volto dell’uomo
dalla nera corazza.
“Dovresti
essere tu a presentarti, non credi, Cavaliere? È buona norma dichiararsi quando
si entra, non invitati, in casa d’altri!”
“Umpf, siete tutti così sostenuti nelle terre del nord?
Anche con chi combatte al vostro fianco? Sempre se tu, Cavaliere nero, per
Odino combatta e non contro di lui!”
Jonathan,
che si aspettava una risposta a tono, dovette invece spostarsi di lato in tutta
fretta, per evitare l’affondo con cui il suo imprevisto avversario aveva mirato
alla sua gola, scattando contro di lui alla velocità della luce. Agile come
una tigre, silenzioso come un’ombra. Probabilmente per questo, si disse,
non era riuscito a percepirne la presenza fino all’ultimo istante.
Mimetismo
cosmico, aggiunse, ricordando le
lezioni di Andrei e di Avalon. Specialità nella quale il Comandante Ascanio è maestro.
“Che
accoglienza è mai questa?!” –Esclamò, voltandosi verso il Cavaliere di Asgard
che, avvolto nel suo cosmo glaciale, stava già preparandosi per caricare di
nuovo.
“L’accoglienza
che riservo a coloro che si fanno beffe degli Einherjar,
i Guerrieri Unici di Odino, mai come adesso pronti a lottare per lui persino
oltre la morte!”
“E
sarà al mio fianco che lotterai, Cavaliere facilmente alterabile, se mi darai
modo di spiegarmi! Poiché sono dalla tua stessa parte! È questo il motivo che
ha spinto il Signore dell’Isola Sacra ha inviarmi qua!” –Affermò il ragazzo dai
capelli biondo cenere, sollevando lo scettro che stringeva in mano e lasciando
che la sua luce rischiarasse il corridoio come fosse giorno.
“Non
sei un Cavaliere di Atena, né ti ho visto sull’Olimpo al servizio di Zeus,
perciò chi sei?” –Incalzò l’uomo dalla corazza nera, soppesando le parole dello
sconosciuto.
“Sono
Jonathan di Dinasty, Cavaliere delle Stelle
fedele ad Avalon e alleato dei Cavalieri dello Zodiaco!”
“Avalon?!
La mistica isola perduta nelle nebbie di Britannia?! Ne ho sentito parlare
soltanto nelle leggende! Non credevo esistesse realmente!”
“Tutte
le leggende contengono un fondo di verità, non lo sai, guerriero del nord? E la
mia presenza qua, come suo rappresentante, mi pare una prova sufficiente!”
“Che
non dimostra però la tua fedeltà alla causa di Odino! Come posso crederti così,
a partito preso? Potresti essere uno dei servi di Loki,
o forse il Dio dell’Inganno in uno dei suoi abili travestimenti! No, Cavaliere
ammantato di luce, il tuo bel visino e i tuoi aurei riflessi non bastano per
convincermi!”
“Sei
un tipo difficile, ma da un gatto nero non mi aspetto certo una dimostrazione
d’affetto!” –Ironizzò Jonathan, mentre l’altro scattava contro di lui,
sguainando artigli intrisi di fredda energia cosmica. –“Ma non resterò immobile
ad aspettare che tu giochi con me come fossi un topolino! Non ho rischiato la
vita, viaggiando attraverso un portale di cui la tua bella Regina non sapeva
neppure garantire il funzionamento, solo per farmi graffiare dalle tue unghie
di cristallo!” –E nel dir questo si mosse di lato, mentre un reticolato di luce
azzurra strideva sul fianco della sua corazza, senza scalfirla, prima di
muovere con rapidità lo scettro e sbatterlo sulla schiena del suo nemico,
spingendolo bruscamente in avanti.
Il
servitore di Odino fu abile comunque a eseguire una perfetta capriola e a
rimettersi in piedi pochi metri più in là, senza danni apparenti, ma mentre
ancora si stava voltando, pronto per scattare di nuovo, venne raggiunto da un
fascio di energia dorata che lo schiantò a terra, scheggiando la sua corazza e
facendogli perdere persino l’elmo a forma di muso di tigre.
“Se
non vuoi credere alle mie parole, presta ascolto almeno al mio cosmo, di ombra
non intriso, bensì della volontà di lottare affinché il trionfo della luce non
resti un sogno ma realtà! La stessa luce che alberga nel talismano che
custodisco, lo Scettro d’Oro!” –Esclamò Jonathan, mentre l’altro si rimetteva
in piedi.
“Ne
percepisco la potenza segreta…” –Mormorò tra sé.
–“Come un sole in procinto di sorgere, pronto a scatenare la sua onda di luce!
Un cosmo così luminoso, così carico di riflessi ancestrali, non può appartenere
al Signore dell’Inganno! Neppure lui sarebbe capace di imitarne lo splendore!”
“Ti
sei convinto, adesso? Inoltre, per quel che ne so, Loki
già dovrebbe essere ad Asgard, luogo che dovremmo raggiungere quanto prima per
riunirci ai rispettivi compagni, sempre che non vi ci troviamo adesso!”
“No,
non siamo ad Asgard, ma a Svartálfaheimr, la terra degli
Elfi Scuri e dei Nani!”
“Ecco spiegato l’arredamento…
spartano!” –Ironizzò Jonathan, sollevando lo scettro per osservare meglio il
corridoio in cui si trovavano, ben più largo di quanto gli era sembrato
all’inizio. Sempre grazie alla maggior luminosità, notò anche che le pareti non
proseguivano continue ma erano spesso intervallate da grandi cavità, ove
iniziavano nuovi tunnel laterali, scavati e lavorati con la stessa meticolosità
di quello in cui aveva appena affrontato il Cavaliere di Odino.
Proprio da uno di quei corridoi si
affacciarono due paia di occhi penetranti, di un color giallo scuro striato di
oro, piccole pepite che appartenevano a due rappresentanti del popolo che in
quel mondo dimorava.
“Ehi!” –Esclamò Jonathan, guardandosi
attorno e notando che il numero di occhi stava aumentando precipitosamente.
Pareva che ovunque posasse lo sguardo spuntasse un nano ad osservarlo. –“Ma
quanti sono?!”
“I nani sono un popolo semplice ma
onesto, un po’ pauroso all’inizio, diffidente con gli sconosciuti, da cui
temono inganni e vessazioni! Probabilmente per questo si sono nascosti, dopo
che li avevo avvertiti che qualcuno sarebbe potuto arrivare tramite l’antico
portale, da loro mai utilizzato, poco propensi a lasciare le profondità delle
montagne o le viscere della terra, dove si trovano a loro agio, sicuri e
protetti!” –Spiegò il seguace di Odino, avvicinandosi al ragazzo. –“Sono Mizar di Asgard, Cavaliere della Tigre Nera.
Perdona il mio atteggiamento aggressivo ma, proprio come i nani, anch’io ho
avuto qualche remora nell’accettarti! Non viviamo proprio in tempi in cui ci si
possa permettere il lusso di dare fiducia alla persona sbagliata!”
“Scuse accettate. Avrei fatto la stessa
cosa se tu avessi messo piede ad Avalon con quella tetra corazza!” –Mormorò
l’allievo di Andrei, mentre un gruppo di nani si faceva loro incontro.
“Ehm…Ehm…” –Bofonchiò uno di loro, schiarendosi la voce, mentre
un altro gli sistemava la folta barba grigia, quasi come a renderlo più
presentabile. –“Il popolo Dvergr ti dà il benvenuto,
Cavaliere ammantato di luce! L’emissario di Odino ci aveva informato del tuo
arrivo, così ci siamo permessi di venirti incontro per porgerti il nostro
saluto! Io sono Durin, uno dei sette capi di questo
mondo, e questi è mio fratello Dvalin!”
“Sono lieto di fare la vostra
conoscenza, ammiro la costanza e dedizione che mettete nel vostro lavoro!”
–Esclamò Jonathan, inchinandosi, sia in segno di rispetto, sia per poter essere
all’altezza con Durin e Dvalin.
“Invero siamo una stirpe unica!”
–Affermò fiero il primo, battendosi la mano sul petto, solido come una roccia.
–“I perforatori, veniamo spesso chiamati, perché siamo in grado di costruire
un’abitazione anche nel fianco più inospitale di una montagna, sapendoci
adattare ad ogni condizione, persino la più disagevole!”
“Ne sono certo!” –Commentò Jonathan.
“Per non parlare della nostra maestria
nel lavorare i metalli! Siamo dei fabbri eccezionali, ragazzo, degli artigiani
provetti, depositari dei segreti della creazione fin dai tempi più remoti!”
–Continuò Durin, sollevando il mento, con fare
impettito, e strappando un sorriso divertito al Cavaliere delle Stelle. –“Tu
sei giovane e non puoi sapere quante opere hanno visto la luce proprio qua,
nelle fucine delle nostre montagne! Opere pregevoli, di valore, mica come le creazioni
moderne, destinate alla rovina nel giro di qualche secolo!”
“All’inizio sono un po’ timidi… ma sciolto il ghiaccio sono dei grandi oratori…” –Bisbigliò Mizar,
nell’orecchio di Jonathan, che gli rispose con una smorfia.
“Oratori non è la parola adatta… Che te ne pare di chiacchieroni?! Soporiferi?!”
“La spada di Balmunk
per esempio, che Odino sventola in battaglia come un fazzoletto, l’abbiamo
forgiata noi, eh! Che esemplare unico quello, perfetto esempio di solidità e
leggerezza al tempo stesso! Chi saprebbe rifarlo? Solo noi! E il monile di Frigg, con quel raffinato intarsio d’oro? Da dove credete
che vengano opere di simile fattura?! Ma dalle mani del popolo Dvergr ovviamente! Uh uhuh!” –Rise Durin, carezzandosi il
bel panciotto rotondo.
“Vorrei ben vedere!” –Intervenne Dvalin. –“Abbiamo usato il nostro unico frammento di stella
per realizzare quella spada!”
Jonathan si mosse per chiedere loro se
potessero accompagnarli all’uscita del regno, quando il capo dei nani sgranò
gli occhi, presto seguito da Dvalin e da altri,
avvicinandosi con passo circospetto al Cavaliere delle Stelle, senza staccare
lo sguardo dalla lunga asta che reggeva in mano.
“Quale capolavoro!!!” –Mormorò
estasiato, gli occhi che parevano brillare alla luce dello Scettro d’Oro. –“Un
lavoro del genere… degno di noi…
anzi no, forse persino superiore alle nostre abilità!”
“Conoscete il Talismano che custodisco,
sovrano dei Nani?” –Domandò Jonathan incuriosito.
“Non l’avevo mai visto prima, ma avrei
tanto desiderato forgiarlo io! È quanto di più armonico esista nell’universo!
Contiene l’essenza della creazione! Elegante e slanciato, resistente e leggero!
C’è solo un materiale che può garantire una simile qualità!” –Disse Durin, avvicinando le dita all’asta e sollevando lo sguardo
verso il ragazzo, quasi a chiedergli il permesso di poter sfiorare un simile
oggetto sacro. Ottenutone l’assenso, il re dei nani vi batté due volte un dito,
per sentire il leggiadro tintinnio che ben conosceva.
“Mithril!”
–Mormorò, voltandosi verso i suoi compagni, che risposero con un coro di “Ooh!”. Entusiasti, e al tempo stesso invasi da un profondo
timore reverenziale.
“Manufatti interamente composti del
frammento di stella sono rari! Rarissimi! Noi stessi non ne possediamo più! E tu… indossi un’armatura interamente realizzata con il mithril! Per la barba dei sette re! Tu sei il figlio del
cielo!!!”
Jonathan sorrise, ripensando alle storie
e leggende che conosceva sui nani, soprattutto a quelle relative alla loro
suggestionabilità. E se mai fino ad allora aveva pensato che sarebbe giunto ad
incontrarne uno, di punto in bianco si ritrovò con una compagine di nani
inginocchiati ai suoi piedi, venerato come fosse un Dio.
“Buon re, mi mettete in imbarazzo!”
–Esclamò il giovane. –“Non sono certo unico! Reis, la
mia compagna, che come me ha varcato uno dei portali, indossa una corazza di
identica fattura!”
A quelle parole il mormorio diffuso tra
il popolo Dvegr divenne entusiasmo allo stato puro e
molti dovettero trattenersi dal gridare la loro contentezza, il loro desiderio
di ammirare quanto prima un altro capolavoro simile. Così, dopo essersi
brevemente consultati, si inginocchiarono di nuovo ai piedi di Jonathan,
porgendogli le asce con entrambe le mani.
“Avevamo già deciso di scendere in
guerra! Per quanto amiamo la tranquilla solitudine delle nostre caverne, odiamo
altrettanto la distruzione che l’Ingannatore vuole portare ovunque! Inoltre
nessuno di noi lo ha in simpatia, avendo egli sempre cercato di carpire con
raggiri i nostri segreti! Pur tuttavia stavamo esitando, radunati nelle nostre
caverne, indecisi su quale, dei sette re, dovesse guidare il nostro esercito!
Ma adesso sei arrivato tu, figlio del cielo, a risolvere i nostri problemi!”
“Io?!” –Balbettò Jonathan.
“Sarai il nostro condottiero e noi ti
seguiremo! Il rifulgere della tua corazza abbaglierà i nemici e ci guiderà
verso la vittoria finale! Noi, popolo Dvegr,
affidiamo a te, Cavaliere mithril, la nostra
esistenza!” –Esclamò fiero Durin, rialzandosi e
sollevando l’ascia verso il soffitto, subito imitato da tutti i suoi compagni.
–“Per il Cavaliere mithril!!!”
Jonathan rimase senza parole e cercò con
lo sguardo l’aiuto di Mizar, anch’egli preso
piuttosto alla sprovvista. Ma poi, ritenendo che non avrebbe potuto offendere
la loro fiducia, fece quel che aveva voluto fare fin da quando era arrivato a Svartálfaheimr.
“Andiamo ad Asgard! E in fretta! Odino
ha bisogno di noi!” –Li incitò, scattando avanti, subito affiancato da Mizar e seguito dal resto del popolo dei nani.
“Se, come mi hai detto, Loki ha già raggiunto la Città degli Dei, Odino avrà
bisogno di quanto più aiuto possibile! Che ne è dei Cavalieri di Atena? Hanno
varcato i portali come il mio Signore si aspettava?” –Chiese Mizar, guidando il ragazzo nei labirintici tunnel scavati
nella montagna.
“Sì! Pegasus,
Sirio, Cristal e Andromeda sono entrati in uno dei
nove mondi, assieme a Reis, un Cavaliere delle Stelle
mio pari! Spero solo che non abbia ricevuto la mia stessa accoglienza!”
–Ironizzò Jonathan.
“Volevo solo prepararti a quello che ti
aspetta!” –Commentò Mizar, giungendo infine in una
grande caverna dall’alto soffitto da cui spuntavano grosse e nodose radici.
Proprio quelle dell’albero che Jonathan stava cercando. –“La fine del mondo!”
***
Non
appena Andromeda uscì dal portale si ritrovò in una foresta di alti alberi,
dalle cui fronde filtrava un sole tiepido ma sufficiente per permettergli di
individuare una sagoma in piedi nell’erba davanti a sé.
Più
bassa di lui di una decina di centimetri, un’esile figura, rivestita di abiti
verdi con rifiniture in oro e una corona di foglie in testa, gli sorrideva
amabilmente, come se lo aspettasse. Aveva lisci capelli biondi e un viso dalla
pelle chiara e delicata, su cui spiccavano occhi piccoli ma penetranti.
Andromeda
la osservò per qualche istante, stranito, finché non comprese dove era giunto.
“Ad
Álfaheimr sei il benvenuto, Andromeda!” –Esclamò la
figura, confermando la sua supposizione. –“Possa la luminescenza degli Elfi
Chiari scendere su di te e alleviare il peso dei fardelli di giustizia e
speranza di cui ti sei fatto portatore!”
“Sapete
molte cose…” –Balbettò il Cavaliere di Atena, mentre
l’elfo si avvicinava.
“Arvedui, puoi chiamarmi così!” –Affermò, accennando un
inchino. –“E sì, sapevo che sarebbe arrivato qualcuno, ma fino a pochi attimi
fa non sapevo che saresti stato tu, il Cavaliere che non ama combattere, forse
il più simile a un elfo di tutti i tuoi compagni!”
“Mi
conoscete?”
“In
un certo senso…” –Disse Arvedui,
prendendo il ragazzo a braccetto e incamminandosi all’interno della rigogliosa
foresta. –“Ti dirò qualcosa su di noi, Andromeda, il popolo fatato che dai più
viene considerato una leggenda, essendo trascorso davvero molto tempo
dall’ultima volta in cui abbiamo fatto parlare di noi, per lo meno in modo
ufficiale! Noi elfi siamo un popolo pacifico, che amiamo la spensieratezza e le
belle cose, esaltiamo la gioia di vivere, dando e ricevendo affetti e
attenzioni, e soprattutto godendo a pieno di ogni attimo! Nessuno vorrebbe
vivere una vita piena di rimpianti e, essendo noi immortali, sarebbe davvero
una lunga tortura, te lo assicuro! Ho millesettecentododici anni, per quanto
non si direbbe, vero? Sembro ancora un giovinetto!”
“Li
portate davvero bene, nobile Arvedui!” –Si limitò a
commentare Andromeda, procedendo a fianco dell’elfo nella fitta vegetazione, un
luogo che, per quanto ignoto, non gli suscitava alcun timore, invaso com’era da
una lucentezza che non aveva riscontrato in nessun altro luogo. Nemmeno
sull’Olimpo.
“Grazie,
grazie! E anche tu potresti arrivare alla mia età, sai, ragazzo? So che non ami
la guerra, e allora perché combatti, mi chiedo? Perché rischiare di gettar via
la propria vita quando basterebbe togliersi questa fastidiosa armatura e
assaporare le gioie dell’esistenza? Hai diritto anche tu alla felicità,
Andromeda!”
Il
Cavaliere sospirò nel sentire parole così oneste, pronunciate con voce
splendida e chiara, quasi fossero scandite a ritmo di musica. E una parte di
sé, quella più giovanile e per certi aspetti più idealista, avrebbe davvero
voluto vivere in quel modo. Senza guerre né morti, soltanto un’infinita pace.
“Ma la pace
non esisterà finché la guerra continuerà a imperversare nei mondi!” –Parlò
infine, rispondendo più a se stesso che all’elfo. –“Come posso rimanere inerme
o abbandonare la battaglia, quando gli amici che amo, le persone che contano
davvero per me, e senza le quali la vita non avrebbe senso, stanno rischiando
di morire? Non potrei continuare a vivere sapendo di non aver fatto abbastanza
per aiutarli, di non aver fatto quel che era in mio potere fare per migliorare
questo mondo e impedire che sprofondi nel caos! Sarebbe un peso che non
riuscirei a sopportare!”
“Giovane
cuore! Non mi stupisci affatto! Sapevo che sarebbe stata questa la tua
risposta!” –Commentò Arvedui, fermandosi e fissando
il ragazzo negli occhi.
“Davvero?!
Siete dunque un telepate?”
“Non
esattamente! Non ho bisogno di leggere nella mente di una persona per sapere
cosa mi dirà poiché l’ho già sentito. Pochi attimi prima, nella mia
mente!”
“Precognizione!
È questo il vostro potere?!” –Sgranò gli occhi Andromeda.
“Non
è forse anche il tuo?” –Lo fissò Arvedui di sbieco,
per non perdersi l’espressione sorpresa del Cavaliere. –“Non è il dono che hai
di recente ricevuto, da una delle più ancestrali creature del mondo?!”
“Ancestrali?!
A Biliku vi riferite?! In realtà…
non ho mai capito cosa sia successo nel suo antro…
credo che la Donna-Ragno abbia cercato di trasmettermi qualcosa…”
“Precisamente!
Un frammento di conoscenza, questo ti ha dato! E la conoscenza, in un mondo in
continua mutazione, è tutto, Andromeda!” –Spiegò Arvedui.
–“Tu non sai padroneggiare i tuoi poteri perché non ne sei pienamente
consapevole, ma hai tutte le capacità per dominarli! Devi imparare a usarli, a
controllarli, a impedire che diventino visioni per te scioccanti, bensì un
aiuto per muoverti meglio! Ricorda il tuo
addestramento, Cavaliere, e torna alle basi, al giorno in cui il tuo maestro
certamente ti disse che vi erano altri sensi oltre ai canonici cinque!”
“Intendete… ma certo, il sesto senso o intuizione!” –Esclamò
Andromeda, che stava iniziando a comprendere.
“Sei
acuto di mente, Cavaliere! E se sarai in grado di espandere il tuo sesto senso,
facendo buon uso di quel che Biliku ti ha lasciato,
riuscirai a percepire alcune cose prima ancora che accadano! Proprio come noi
elfi siamo in grado di fare! Non è poi così difficile, né un potere così raro
come si crede! Anche Frigg, sposa di Odino, ne
dispone! Ma dovrai avere la mente sufficientemente sgombra da pensieri e preoccupazioni!
Per questo ti ho invitato ad unirti a noi! L’edonismo gaudente della nostra
gente è l’ideale per il genere di attività mentale che vuoi praticare!”
“Apprezzo
tantissimo la vostra offerta, nobile Arvedui, ma come
già vi ho detto non posso accettarla! Forse lo avrei fatto un anno e mezzo fa,
ma adesso sono cresciuto e ho capito di avere delle responsabilità, che mi
derivano dai poteri acquisiti in anni di duro addestramento! Sarebbe un’offesa,
oltre che uno spreco, verso il mio maestro prima di tutti, ma anche verso me
stesso, non usare questi poteri per aiutare gli altri e il mondo in cui vivo!”
“Morirai
da altruista, allora…” –Commentò l’elfo con una
risata, prima di riprendere a camminare, in quel modo leggiadro che era una
prerogativa del suo popolo, mentre nell’aria si diffondevano le dolci note di
una melodia. –“Come è nella tua natura!”
“Anche
questo avete visto grazie ai vostri poteri?”
“In
verità questo mi è stato raccontato! Da un amico comune che ti sta aspettando!”
–Aggiunse Arvedui, prima di giungere in una radura in
mezzo alla foresta dove, seduto sul tronco caduto di un albero millenario, un
uomo dai capelli arancioni pizzicava la sua cetra.
“Mime!!!” –Esclamò Andromeda, correndo incontro al musico di
Asgard.
“La
tua nobiltà d’animo non è cambiata, Cavaliere! Alberga ancora nel tuo cuore
gentile! E di questo non posso che essere contento!” –Rispose il servitore di
Odino, cessando di suonare il suo strumento e alzandosi in piedi. –“Avevo
timore che le battaglie che sei stato costretto ad affrontare dopo il nostro
incontro ti avessero cambiato, irrigidendoti, ma poi mi son dato dello sciocco
solo per averlo pensato. La bontà della tua anima è un sole che non si spegnerà
mai!”
“Ho
desiderato tanto rivederti!” –Lo abbracciò Andromeda. –“Ma cosa ci fai qua?”
“Odino
ha inviato cinque Einherjar per i vari mondi al fine
di scortarvi all’Albero Cosmico, per guadagnare tempo, ed io ho scelto di
scendere nella Terra degli Elfi, luogo splendido e pervaso da una tranquillità
senza limiti! Qua sono giunto spesso, in questi mesi, per suonare la mia cetra
in libertà o anche solo per passeggiare, respirando il miraggio di un mondo
libero da guerre e da affanni, un mondo che a entrambi immagino piacerebbe!”
Andromeda
non disse niente, limitandosi ad annuire, prima di voltarsi verso l’elfo,
rimasto a qualche passo di distanza, per non intromettersi nella ritrovata
intimità dei due Cavalieri. –“Nobile Arvedui! Voi che
possedete il dono della preveggenza, cosa vedete per il vostro mondo?”
“Co…come?!” –Balbettò questi. E anche Mime
rimase sorpreso dalla domanda pungente del Cavaliere di Atena.
“Quale
futuro vedete per questa terra piena di luce? Credete davvero che, restando
qua, la fiumana della guerra vi risparmierà? Credete davvero che i vostri canti,
la vostra gioia e l’allegria perenne del vostro animo possano impedire a Loki di prendersi anche questo mondo, oscurandolo al pari
degli altri?!”
“Álfaheimr non interessa al Burlone Divino, che mira alle
ricchezze di Asgard e a vendicarsi di Odino! Noi elfi non l’abbiamo mai
disturbato, né da lui abbiamo ricevuto offesa! Non vi è motivo per cui si debba
scendere in battaglia! Non vi è motivo per cui debba autorizzare la morte del
mio popolo in una guerra che non è nostra! In una guerra che non ci riguarda!”
–Rispose Arvedui, con tono solenne.
“Temo
invece che la guerra riguardi il vostro mondo al pari del nostro! Perché se Loki è come gli altri nemici che abbiamo affrontato finora,
non si accontenterà certo di una fetta di torta, quando può averla per intero!”
“Non
disturbarti! Ne ho già parlato con lui in precedenza, cercando di convincerlo
ad aiutare Asgard, e conosco la posizione del suo popolo! Odino dovrà fare a
meno degli elfi per fronteggiare il Ragnarök!” –Intervenne allora Mime,
prima di inchinarsi di fronte ad Arvedui e fare cenno
ad Andromeda di seguirlo.
L’immenso
frassino si ergeva poco distante.
Il
Cavaliere di Atena si voltò un’ultima volta verso il re degli elfi e gli
sorrise, parlando con voce chiara.
“Capisco
la vostra posizione, rappresenta un mondo ideale che anch’io vorrei! Ma gli
ideali non fermeranno il fuoco e la distruzione che travolgeranno tutti i
mondi! Vi consiglio di armarvi, nobile Arvedui, e
tenervi pronti! Se non volete combattere per Odino, o per Asgard, presto dovrete
farlo per voi stessi! Addio, e grazie!”
Dopo
aver dato in fretta gli ordini per l’emergenza che aveva colpito la sua città,
Ilda di Polaris aveva deciso di prendersi un momento
per se stessa. Così aveva raggiunto la terrazza sul retro della reggia,
perdendosi nella devastazione di quel giorno. Una distruzione che, per quanto
carica di dolore e morte, era solo una parte, un assaggio di quel che sarebbe
davvero accaduto.
L’ampio
piazzale dove la Celebrante di Odino era solita pregare assieme agli abitanti
di Midgard, per invocare la protezione del loro Dio,
era ricoperto da una massa indistinta di neve, ghiaccio e rocce, squassato in
più punti dalla frana che aveva raggiunto persino i muri esterni del palazzo.
Alcuni erano crollati, trascinando nella rovina anche i servitori e le guardie
che vicino ad essi si trovavano in quel momento.
La
statua di Odino era stata abbattuta, schiantandosi su parte della reggia e
venendo parzialmente sommersa dalla frana provocata dai seguaci di Loki. Quel che restava della montagna sacra, limite del
mondo su cui aveva autorità, sembrava fissare la Celebrante con una derisione
nuda e cruda, a ricordarle il suo fallimento.
Sospirando,
Ilda ripensò al giorno in cui suo padre le aveva mostrato per la prima volta la
statua maestosa, spiegandole il suo significato. Non poteva ricordare tutto
nitidamente, avendo avuto soltanto quattro anni, ma alcune frasi le erano
rimaste nella mente e nel cuore, fondamento del regno su cui avrebbe governato
in seguito.
Erano
tempi oscuri, tempi di privazioni.
Ricordò la Celebrante di Odino.
La
guerra contro Iisung aveva stremato la popolazione e
la carestia che era seguita l’aveva indebolita ulteriormente, al punto che
molte famiglie non potevano permettersi di mantenere più di un figlio,
obbligate ad abbandonarne eventuali altri. Lei e Flare
erano state fortunate a non incappare in quell’amaro destino di separazione,
essendo membri della dinastia regnante, la cui progenie sarebbe stata di vitale
importanza per i ruoli che avrebbe assunto in futuro.
“La
nutrice ti ha raccontato la storia della costruzione della statua, vero Ilda?”
–Le aveva detto suo padre, carezzandole i morbidi capelli. –“Fu innalzata dagli
abitanti di Midgard per ringraziare Odino per averli
salvati dagli intrighi orditi da qualcuno di loro, e per invocare la sua
continua protezione sulla nostra terra! Il clima è rigido, è vero, ma ci sono
valori che possono sempre scaldarti il cuore! L’onore, prima di tutto, e il
rispetto, per noi stessi e per gli altri. Valori sacri che permeano queste
terre! Narra infatti un’antica leggenda che questa statua non crollerà mai,
fintantoché l’onore di Midgard sarà salvaguardato e
il regno di Odino non avrà fine!”
“Perché
potrebbe finire, padre?”
“Imparerai
sulla tua pelle, piccola mia, che tutto ha una fine, anche la vita degli Dei!
Ma per molte cose essa è solo un puntino lontano nel tempo e mi auguro che così
resti durante tutto l’arco delle nostre vite!” –Aveva aggiunto con un sorriso.
Che
sia la punizione che gli Dei hanno scelto per me? Si chiese Ilda sospirando. Per aver macchiato
l’onore dei Celebranti di Odino con atti incresciosi, conducendo alla morte i
miei Cavalieri, schiava della volontà bellica di un Dio invasore?
Sì, Ilda non
aveva dubbi al riguardo. Era per quel motivo che la statua di Odino era
crollata. E anche perché, con il nume impegnato in una sanguinosa guerra per la
sua stessa sopravvivenza, non avrebbe più potuto continuare a garantire la sua
protezione al Recinto di Mezzo, abbandonato ormai a se stesso.
Tutto
sta giungendo alla fine, tutto sta andando incontro al suo destino.
Pur
tuttavia, in quel clima di disperazione crescente, Ilda non aveva intenzione di
cedere, determinata a portare a termine il suo compito. Per questo negli ultimi
mesi aveva trascorso molto tempo nella biblioteca della torre di Midgard, a studiare i testi che sua madre le aveva
lasciato, a conoscere le rune e i significati dietro ciascuna di essa.
Soprattutto la runabianca, quella che avrebbe potuto salvare il mondo.
O condannarlo per sempre.
La
domanda che Pegasus le aveva posto, prima di entrare
in uno dei portali, risuonava ancora nella sua mente.
“Come
possiamo fermare il Ragnarök?”
“Non
possiamo! Nessuno può!” –Aveva risposto al ragazzo. –“È una marea che non può
essere arrestata!”
In
realtà non era un’affermazione completamente esatta. Ragnarök non può essere fermato,
questo è vero, ma, proprio in virtù di ciò che rappresenta, può essere mutato.
Era
immersa in quelle riflessioni quando percepì una presenza avvicinarsi. Si girò
verso la porta che dalla terrazza conduceva all’interno e osservò l’elegante
sagoma di un uomo robusto, rivestito dalla sua splendida armatura azzurra,
varcarne la soglia.
L’elmo
sotto braccio, i corti capelli scuri spazzati dal vento del nord, gli occhi
color ghiaccio, il Principe Alexer sembrava
non avere età.
“Perdonatemi,
Celebrante di Odino, se interrompo la vostra meditazione! So, dal vostro
consigliere, che avevate dato ordine di non essere disturbata!” –Esordì,
scuotendo il mantello bianco e grigio e accennando un inchino.
“Una
vostra visita, Principe, non è mai un disturbo! Soprattutto in quest’ora di
guerra! Avete saputo dell’attacco portato alla fortezza?”
“Saputo
e sentito!” –Precisò Alexer, risollevando il capo.
–“Da giorni i miei informatori erano inquieti! Vi era un viavai insolito di
uomini, in tutta la Scandinavia settentrionale, e ululati di bestie
raccapriccianti fremevano nel vento! Così avevo preventivamente armato i miei
soldati, dislocandoli agli accessi principali alla Valle di Cristallo, ed è
stata una fortuna che mi sia mosso in tempo, perché neppure noi siamo rimasti
esenti dall’assalto di Loki!”
“Anche
la Valle di Cristallo è stata attaccata?” –Esclamò Ilda, sconcertata.
“È
questo il motivo che mi ha impedito di correre in vostro aiuto!” –Commentò Alexer, senza trattenere una smorfia di disappunto per lo
stallo in cui si era trovato nelle ultime ore. –“Una guarnigione piccola ma
compatta di vecchie donne dotate di cosmo, fiere feroci e soldati armati di
spade in grado di emettere raggi congelanti ha massacrato senza ritegno le
sentinelle e tenuto impegnate le mie legioni fino ad ora, obbligandomi ad
affrontare molti di loro personalmente! Credo fossero le streghe che le dicerie
volevano dimorassero nella Foresta di Ferro, sebbene di umano, e di femminile
in particolare, avessero più ben poco! Consumate dall’ombra e dalla sete di
potere, sembravano scheletri avvizziti avvolti in folgori incandescenti! È
stato uno scontro intenso, di cui porto ancora i segni!” –Aggiunse, rivelando
alcuni graffi sui guanti protettivi della sua corazza e aloni di fumo che, sui
bracciali e sui coprispalla, ne appannavano
l’angelico splendore.
“Spero
non siate ferito, Principe, o farò chiamare subito i curatori di corte!”
“Non
preoccupatevi per queste misere ferite, Regina di Polaris,
e lasciate che i medici si prendano cura di chi davvero ne ha bisogno! Ho visto
i resti dei vostri soldati e temo che molti di loro non vedranno un’altra alba!
Solo una notte immensa!”
Ilda
non rispose, abbassando gli occhi rattristata.
Enji, una
mezz’ora prima, le aveva presentato un elenco sommario dei danni subiti dal
castello e del numero di soldati e servitori morti. Centinaia di lacrime che
aveva dovuto reprimere, ma che non le avevano impedito di chiedere che tutti i
cadaveri fossero rimossi e preparati per i riti funebri, a cui ogni fedele
avrebbe avuto diritto. Anche la carcassa di Skoll era
stata bruciata, per impedire che il suo sangue immondo avvelenasse
ulteriormente il suolo di Midgard. E stessa sorte
sarebbe toccata ai Soldati di Brina caduti all’interno della città.
Kiki si
era offerto per aiutare i curatori, facendo tesoro degli insegnamenti di Mur e dei loro antenati, esperti nell’uso di erbe che
alleviassero il dolore, e si era fatto accompagnare dal consigliere nell’area
del castello adibita a ospedale, mentre Bard aveva riunito i suoi compagni e
aveva iniziato a riorganizzare i soldati a difesa della cittadella, in vista
della ricostruzione di parte della stessa.
Per
quanto ritenesse improbabile un secondo attacco, in un lasso di tempo così
vicino, era comunque necessario garantire la sicurezza di Midgard
e dare un segnale alle truppe, per non lasciarle nello sconforto della perdita.
Di
Fiador, Ilda aveva perso le tracce, ma immaginava che
avesse seguito Kiki e Enji
nell’infermeria, per prestare aiuto in quella situazione di emergenza.
“C’è
una domanda che mi rimbalza in mente da qualche ora e non riesco a darvi una
risposta!” –Esclamò la donna. –“Per quale motivo Loki
ha attaccato Midgard, lasciandola poi al suo destino?
Dubito fosse solo per utilizzarla come accampamento prima della guerra! Pegasus mi ha raccontato che non più di duecento Soldati di
Brina erano rimasti all’interno, ben pochi, in effetti, rispetto alle orde che
l’hanno invasa! Aveva così tanta fiducia nel suo lupo da guardia?”
“Forse.
Del resto se non fosse stato per l’intervento dei Cavalieri di Atena, nessuno
dei vostri soldati, né l’eroico Bard e i suoi amici, avrebbero potuto opporsi
alle sue fauci!” –Commentò Alexer, prima di
aggiungere a bassa voce. –“O forse non ha bisogno di essere troppo esplicito,
contentandosi del modo indiretto in cui può controllare la fortezza di Midgard!”
“Cosa
intendete, Principe?!” –Esclamò Ilda, inorridendo a tale prospettiva. –“Che vi sia… qualcuno che lo informi?!”
“Perché
no? L’astuzia del Burlone supera quella di chiunque altra Divinità. Loki mira ad ottenere il massimo risultato con il minimo
sforzo, preferendo aggirare un ostacolo anziché affrontarlo di peso. È un
vigliacco, non un condottiero eroico, e si sporca le mani solo quando non può
obbligare altri a farlo al posto suo!”
“Questo
è vero…ma… una spia di Loki?! Qui a palazzo?!”
“Comprendo
che accettarlo sia un duro colpo per voi, mia Regina, ma pensateci bene! Quale
motivo avrebbe avuto il Dio dell’Inganno nell’attaccare la mia fortezza, una
roccaforte isolata e priva di ricchezze, se non tenermi impegnato, per
impedirmi di correre in vostro soccorso, come sapeva che avrei fatto se avessi
potuto! Come qualcuno, che conosceva il nostro recente riavvicinamento, aveva
potuto suggerirli!”
“Per
Odino!” –Mormorò Ilda, finora neppure sfiorata da una simile eventualità.
“Inoltre,
perdonatemi se insisto, ma sappiamo entrambi del misfatto che è stato
perpetuato all’interno di questa fortezza!” –Aggiunse il Principe Alexer.
“Sapete
anche questo…”
“Uno
dei miei soldati ha notato un’aquila dalle strane forme sorvolare la cittadella
e, se tanto mi dà tanto, sappiamo entrambi come ciò sia possibile!”
“Hræsvelgr, l’Aquila dei Venti! Una
delle cinque corazze indossate dai primi traditori della storia di Midgard, assieme a quelle del guerriero, del gigante, del
lupo della luna e all’ultima, le cui fattezze somigliavano alla versione umana
con cui Loki amava presentarsi!” –Sospirò la Celebrante.
–“Mi raccontò mio padre che il Dio avesse fatto da modello per la fabbricazione
dell’armatura, quasi come desiderasse, con questo gesto, rimarcare l’inganno da
lui perpetrato, ricordandolo a tutti coloro che sarebbero venuti in seguito e
che avessero indossato tali vestigia, intrise del suo cosmo divino!”
“Come
poteva Loki sapere che erano ancora qua, nelle
prigioni di Midgard, e che non erano state invece
distrutte o portate ad Asgard?” –Domandò Alexer,
senza che Ilda potesse dargli alcuna risposta. Tranne la più ovvia. –“Qualcuno,
che ne era a conoscenza, deve averlo informato! È così che l’Ingannatore opera!
Prima tasta il terreno, stringe amicizia con coloro che possono essergli utili,
li abbindola con promesse di ricchezza o di gloria, ottenendo sempre quello che
vuole! Non mi stupirei se scoprissimo che c’era lui persino dietro la rivolta
di Iisung!”
“Ma
chi?! Queste notizie sono così riservate che ben pochi ne erano a conoscenza!
Dubito persino che Flare sapesse delle cinque corazze
maledette!”
“Pensateci
bene! Pensate alle persone che sapevano del nostro precedente incontro, poche
settimane or sono, e avessero accesso ai documenti più segreti del vostro
casato! Chi meglio del fedele consigliere, che per anni ha ascoltato tattiche e
trame di corte, potrebbe aver informato il Signore dell’Inganno?!”
“Enji?! No!!! Lo escludo categoricamente! È sempre stato al
mio servizio, e prima ancora al servizio di mio padre! Non riesco a immaginare
che abbia potuto…” –Mormorò Ilda, le parole strozzate
al solo pensiero di una simile pugnalata.
“Chi
altri allora?! Forse il ragazzino che correva nudo nelle foreste, di recente
nominato Guardia della Cittadella?” –Suggerì allora Alexer.
–“Per un segugio come lui non dev’essere stato
difficile seguire le mie mosse o quelle dei nostri esploratori nelle foreste di
confine e gli Dei soltanto sanno cosa ha potuto scoprire, muovendosi
silenziosamente, da quando è entrato a palazzo!”
“Vi
prego, smettetela, Principe! Non costringetemi a mettere in discussione la fedeltà
dei miei servitori! Bard è un ragazzo, è avventato, ma possiede il senso
dell’onore e lui… è l’allievo di Orion!”
“Lo
so!” –Disse Alexer con voce vellutata, avvicinandosi
e prendendo le mani di Ilda tra le proprie, costringendola a fissarlo negli
occhi. –“E so anche quanto tenevate a lui, e a tutti gli altri Cavalieri del
Nord! Perderli deve essere stato atroce per voi, ma avete avuto la forza di
andare avanti, sopravvivendo ai rimorsi annidati come serpi nel vostro cuore!
Vi ammiro, Regina di Midgard!”
Ilda
non riuscì a dire niente, incantata dalle melodiose parole dell’uomo che la
teneva stretta a sé. Bello e virile, come pochi altri aveva visto nel corso
della vita, e capace di darle quel senso di sicurezza di cui aveva bisogno in
quel momento, per sé e per la sua gente. Un uomo che non poteva non ricordarle Orion.
“Non
volevo inquietarvi, sono soltanto preoccupato per voi! Spesso le cose non sono
come sembrano! Pensate a voi! Chi avrebbe immaginato che un anno fa la nobile e pacifica Ilda di Polaris avrebbe dichiarato guerra a Atene per conquistare
le assolate terre del sud? O che la sempiterna calma di Mime
celasse un cuore pieno di rabbia? O che Mizar fosse
seguito da suo fratello, che segretamente lo amava e lo odiava? No, Regina di Midgard, non fermatevi alle apparenze poiché sono
ingannevoli e spesso nelle persone c’è molto più di quel che l’occhio non
veda!”
“Questo
vale anche per voi, Principe Alexer?”
“Vale
per tutti!” –Rispose lui, senza distogliere lo sguardo dagli occhi della donna.
In
quel momento entrambi sentirono una possente energia cosmica raggiungere Midgard. Un’energia ardente che portò una raffica di calore
sul gelo che avvolgeva la cittadella, sia all’esterno che all’interno. Pochi
attimi dopo, la sagoma di un uomo rivestito da un’elegante armatura, dagli
sgargianti riflessi arancioni e rossi, apparve sulla terrazza dietro di loro.
“Spero
di non essere arrivato troppo tardi!” –Commentò una ruvida voce. –“O troppo
presto!” –Aggiunse malizioso, strusciandosi il naso divertito.
***
“Ti
ringrazio per essere venuto subito!” –Esclamò Zeus, facendosi incontro al
Signore dell’Isola Sacra. –“Non avresti dovuto scomodarti di persona, potevi
affidare l’incarico a qualcun altro!”
“Non
è mia abitudine delegare ad altri quel che è opportuno che faccia io stesso!”
–Rispose placido Avalon, in piedi, al centro del ventilato atrio della Reggia
di Zeus. –“Inoltre volevo parlare con te, personalmente!”
“E
di cosa?”
“Di
questa tua decisione!” –Affermò Avalon con serietà, posando il Vaso di Atena,
ove lo spirito di Nettuno era sigillato, di fronte a lui, proprio in mezzo alle
due potenti entità. –“Credi davvero che sia opportuno disturbare il riposo di
una Divinità dormiente? Una Divinità che ha già avuto la sua possibilità di
scegliere, dimostrando di preferire la sovversione dell’equilibrio all’ordine?”
“Suvvia
non essere drastico! Sappiamo entrambi che l’ostilità di Nettuno verso Atena è
di lunga data e non influenzata da alcun evento corrente! La stessa ciclicità
delle Guerre Sacre rientra in quest’ottica, nel dare periodicamente a entrambi
i contendenti la possibilità di cambiare, qualora lo vogliano, il proprio
destino! Di riscattarsi!”
“Ripetere
cose che già conosco, meglio di te, non modificherà la mia opinione, Signore
del Fulmine! Pur tuttavia questo oggetto non mi appartiene, né ne farò un uso
inappropriato! Per quanto avrei potuto farlo!” –Gli rammentò Avalon. –“Avrei
potuto nasconderlo in qualche anfratto dell’Isola Sacra, celato dietro strati
di nebbie così fitte che neppure i tuoi occhi avrebbero potuto scovarlo! O
avrei potuto usarlo in questi mesi, dopo che Febo e Marins lo hanno tratto in salvo dal Tempio Sottomarino! Ma
non l’ho fatto, per un motivo così ovvio che non perderò tempo a parlartene!”
–Non aggiunse altro e diede le spalle a Zeus, lasciando frusciare il lungo
mantello bianco intarsiato di argentei ricami.
“Aspetta!
Non vuoi fermarti un po’? Ho approntato un banchetto in tuo onore, nel Salone
delle Feste! Sono certo che anche Atena e gli altri Olimpi gradirebbero incontrarti!”
–Lo richiamò il Signore degli Dei di Grecia.
“Un
banchetto?! In tempi come questi? Asgard è sotto assedio, l’avvento della
grande ombra è prossimo e tu mi proponi di lasciar perdere tutto e sederci a
tavola a riempirci di ambrosia?!” –Si infervorò Avalon, alzando per la prima
volta il tono della voce. –“Zeus, l’impressione che ebbi quindici anni fa, del
tuo regno dissoluto, temo non sia cambiata!”
“Neppure
la mia opinione di te!” –Ribatté Zeus. –“Non te l’ho mai detto, Signore
dell’Isola Sacra, ma lo farò adesso, perché sono stanco dei tuoi modi, bruschi
e saccenti! Qua non siamo ad Avalon e non hai alcuna autorità sul colle dove
regno sovrano!”
“Mi
chiedo per quanto ancora…”
“Finiscila!” –Tuonò il
Signore dell’Olimpo, avvampando nel suo cosmo celeste. –“Il tuo pessimismo è
fuori luogo! Se sei davvero così preoccupato perché non vai a combattere
direttamente ad Asgard? Forse le sorti della città del nord meno ti interessano
di quelle dell’Isola Sacra? Ben più combattivo ti ricordavo, quando le orde
demoniache marciavano su Glastonbury, quindici secoli
or sono!”
“Andrei, se potessi!” –Sospirò il Signore dell’Isola
Sacra. –“Ma ho altre cose di cui occuparmi, un ragazzo da addestrare in primis,
un tempio da localizzare, prima che l’oscuro potere si riversi sulla Terra, in secundis! Mi chiedo come tu creda di sopravvivere? Pensi
che l’Olimpo non sarà annientato dall’ultima ombra? Guardati intorno, stolto
d’un re, lo ha già fatto! I Cavalieri Celesti sono tutti morti, persino quelli
che avevi nascosto a Glastonbury! Le Divinità che ti
erano fedeli sono sprofondate nel Tartaro e cosa ti resta? Una manciata di
ragazzini che rischiano la vita tra le nuvole, mentre tu pensi all’allegra
rimpatriata che farai con tuo fratello!”
“Il risveglio di Nettuno è necessario…
lui ci aiuterà… contro la grande ombra!” –Mormorò
Zeus, avvilito dalle parole di Avalon, che ben sapeva essere vere.
“Può darsi. Ma neppure lui potrà ritardare
l’inevitabile! Inoltre, non essendo la sua reincarnazione prevista in
quest’epoca, temo che potremo avere più noie che gioie! Un’alterazione
dell’equilibrio, Zeus! Hai pensato a questo? Forse tu no, ma io, che ne sono
garante, dubito che sia una mossa efficace!”
“Perché non tenti di fermarmi, allora?” –Esclamò
sprezzante il Dio del Fulmine.
“Dovrei! Ma uno scontro tra di noi sarebbe uno
spreco di forze che nessuno dei due può permettersi adesso! Perciò mi limito ad
auspicare che la rinascita dell’Imperatore dei Mari possa giovare realmente
alla nostra causa! In caso contrario, tu, e solo tu, ne sarai responsabile!”
“Sai, Signore dell’Isola Sacra, a volte mi chiedo
invece tu da che parte stai!” –Mormorò Zeus, catturando l’attenzione
dell’altro. –“Che ruolo giochi negli eventi in corso? Che tela stai tessendo
dall’alto colle nebbioso?”
“Io non sto da nessuna parte, mi limito a garantire
che la storia faccia il suo corso! Questo è il mio compito e quello dei miei
fratelli! Permettere la ciclicità della vita e l’alternarsi di luce e ombra,
mantenendo l’equilibrio tra i mondi, un equilibrio che si basa sulla
coesistenza di ordine e caos! Poiché tutte le parti formano il tutto!”
“E
se una dovesse sopraffare l’altra?”
Avalon
non rispose, accennando un sorriso timido al Signore degli Dei di Grecia, che
si chinò sul Vaso di Nettuno, il coperchio ancora fermato dal sigillo di Atena,
e lo afferrò, incamminandosi poi verso la Sala del Trono.
“Che
tu voglia accettarlo o meno, Zeus Tonante, quel momento è più vicino di quanto
abbiamo mai immaginato!” –Commentò Avalon, prima di svanire.
***
Dall’alto
balcone di Fensalir, Balder
osservava Asgard sprofondare nella guerra.
Suo
padre lo voleva al sicuro, così gli aveva chiesto di restare con Frigg, Idunn, Freya
e le altre Asinne, rinchiuse nella splendida dimora
della Signora del Cielo, protetti non solo dalla distanza fisica della stessa
rispetto ai fronti in cui si combatteva, ma anche dal cosmo delle divinità
riunite.
Pochi
infatti erano stati i tentativi di assalto fatti nella loro direzione e quei
pochi erano stati respinti. Le frecce e i raggi energetici scagliati contro la
residenza di Frigg erano stati annientati dal campo
di forza che la circondava, facendone un baluardo al momento impenetrabile.
Ma
tale certezza non riusciva comunque a mitigare il tormentato animo del figlio
di Odino, il cui cuore era straziato per il destino cui la sua terra era
incorsa. Il destino che aveva temuto, che aveva tormentato i suoi sogni negli
ultimi mesi, spingendolo persino all’estremo gesto di scendere in Hel, adesso pareva concretizzarsi di fronte ai suoi occhi
impotenti.
Ovunque
girasse lo sguardo vi era infatti guerra, sangue, morte, distruzione.
A Himinbjörg, Heimdall
e le Valchirie erano stati raggiunti dai rinforzi, guidati personalmente da Vidharr, il figlio di Odino, in attesa dell’arrivo del
padre che si era attardato per le strade della città di Asgard, desideroso di
vedere con il proprio occhio la devastazione portata dai Soldati di Brina. Al
suo fianco una nutrita compagine di Jötnar,
che non avevano esitato a scagliarsi contro i figli di Muspell,
incuranti delle fiamme di cui i loro corpi erano composti, e di Ulfhednir, i devoti uomini-lupo,
decisi a vendicare con il sangue, e con i denti, ogni compagno trafitto dai
fasci di luce azzurra o sbranato dalle bestie di Járnviðr.
Nel giardino sul retro del Valhalla,
l’Albero dell’Universo tremava, agitato dalle correnti di gelo che gli Hrimthursar soffiavano a pieni polmoni su tutti loro,
determinati a distruggere il simbolo stesso della prosperità della loro
civiltà. Il crollo di Yggdrasill, Balder
e Odino lo sapevano, avrebbe scosso la fiducia di tutti gli esseri viventi,
ammettendo che se persino la forma più maestosa e sublime di vita era morta per
loro non sarebbe esistita speranza di vittoria.
Per ritardare questo evento, e dare tempo a Orion e agli altri Einherjar di
recuperare i Cavalieri di Atena, che Odino era certo sarebbero accorsi in aiuto
di Asgard, come già l’avevano salvata l’anno precedente, il Principe Freyr in persona aveva guidato le legioni dei Vani nel
settentrione del mondo, assieme a suo padre, il Dio dei Venti. Là, nelle
profondità del Niflheimr, dove la radice inferiore
del frassino giungeva, il Signore dell’Abbondanza stava lottando, spada in
pugno, contro i Giganti di Brina e per lui, da ore ormai, Freya
sospirava.
L’aveva sentita più volte stringersi nelle sue vesti
e singhiozzare, incurante delle parole di conforto dell’elegante Idunn e della sempre calma Eir,
parole che, per quanto avessero voluto esserlo, non potevano essere poi così
sincere, né speranzose. Freya aveva ringraziato
entrambe, espandendo nuovamente il cosmo per raggiungere suo fratello e suo
padre e portare loro conforto e un raggio di sole.
Frigg, dal canto suo, non aveva
più aperto da bocca da quando era rientrata a Fensalir,
dando disposizioni ai servitori di prendersi cura delle Divinità ospiti e alle
guardie di difendere ogni lato del palazzo.
Balder sospirò, immaginando quanto
difficile dovesse essere per la Signora del Cielo sopportare quel momento,
quella nuova prova cui era costretta. Sebbene in passato Odino non fosse stato
restio a scendere in guerra, la sua sposa aveva sempre avuto la certezza che ne
sarebbe uscito vittorioso, sia perché lo aveva visto, grazie ai suoi poteri di
preveggenza, sia perché lo aveva sentito, nel tono del compagno, nella sua
determinazione, nella facilità dell’impresa.
Ma non
stavolta!
Si disse l’immacolato Signore della Luce, spostando lo sguardo sul regno in
fiamme e dirigendolo verso il limitare estremo, ove un terzo fronte era stato
aperto e ove gli Einherjar si erano diretti, guidati
da Tyr il monco e da Ullr,
il Dio Cacciatore.
Nella piana di Vígridhr infatti Loki
aveva riunito i propri eserciti, chiamando a sé i suoi figli, i Sigtívar, le legioni infernali e i demoni guidati
da Hel. Balder non aveva
mai visto certe creature, nemmeno nelle illustrazioni degli antichi testi della
Biblioteca di Bragi, incapace di immaginare che forme
così orribili potessero esistere e convivere con l’odio di cui il loro animo si
era nutrito. E quelle belve gigantesche, che aveva sempre temuto somigliassero
a certi uomini o Dei nei loro comportamenti selvaggi e brutali, erano persino
più terribili di quanto ricordasse. Fenrir, il lupo
le cui fauci parevano azzannare il cielo, Hati, dalle
zanne intrise di sangue ancora fresco, e Garmr, il cui
guaito aveva terrorizzato il sonno dei defunti per millenni.
E su tutti il mostruoso Jormungandr, la
bestia più grande e orribile che avesse mai respirato l’aria del Regno degli Asi. Partorito dalla Gigantessa Angrbodhra, quel demone cosmicamente
potente era stato scagliato nelle profondità marine da Odino stesso e là sotto
era perdurato, nutrendosi dei rancori dei mondi e diventando ancora più lungo
di quanto fosse stato in precedenza.
Adesso
era là, ad agitare le acque del Thund, i cui flutti
si infrangevano impetuosi sulle rocce attorno alla fortezza del Valhalla, ultimo confine prima di raggiungere la Porta
Principale. Molti Einherjar lo avevano affrontato, ma
tutti erano caduti, avvelenati dal venefico alitare della bestia o stritolati e
schiacciati dal suo orribile corpo squamato.
Il Serpe del Mondo non potrà essere
vinto senza un sacrificio! Mormorò Balder, chiedendosi cosa fosse giusto fare, indeciso se
disobbedire o meno, per la prima volta, ad un ordine di suo padre.
Un’esplosione
di luce, proveniente proprio dal Cancello Principale, risolse i suoi dubbi,
costringendolo a portare di nuovo lo sguardo in quella direzione.
Un
uomo alto e massiccio, con due armi in mano simili ad asce, e un ragazzo
rivestito da una celeste corazza magnificamente intarsiata erano appena
apparsi, balzando al di fuori di Valgrind e ergendosi
fieri sulle rive del Thund.
“Cos’è
questo nauseabondo odore?” –Mormorò il più alto dei due. –“Qualcuno si è
scordato di lavarsi le ascelle quest’oggi?”
“E
dire che di acqua ne ha avuta tanta a disposizione in questi anni!” –Gli fece
eco l’altro, passando tra gli sguardi ammirati e incuriositi dei soldati e
degli Einherjar presenti, che notarono che non si
trattava di uno di loro.
“È
solo un lucertolone troppo cresciuto!” –Commentò il ragazzo dai mossi capelli
castani, strusciandosi il naso, prima di espandere il proprio cosmo. –“Credo
sia l’ora di mozzargli la coda!”
Il
suo nordico compagno fece altrettanto e le loro energie cosmiche abbagliarono
la riva del fiume, facendo nascere un sorriso sul volto di Balder.
Il
prode Thor era tornato dalla sua missione e aveva portato con sé il Primo
Cavaliere della Dea Atena, Pegasus in persona.
Capitolo 17 *** Capitolo quindicesimo: Il serpe del mondo ***
CAPITOLO QUINDICESIMO: IL SERPE DEL MONDO.
Pegasus
e Thor furono i primi a risalire le radici del Frassino Cosmico e ad arrivare
ad Asgard, nel giardino retrostante di una reggia che al Cavaliere di Atena
apparve a dir poco maestosa, talmente alta che a stento ne intravedeva la cima.
Se
era rimasto impressionato dalle dimensioni degli edifici degli Jötnar,
Pegasus dovette ammettere che vi era qualcosa in grado di superarle, al punto
da lasciarlo a bocca aperta ad ammirare i muri altissimi che si stagliavano
verso l’infinito.
“Che
fai, contempli le stelle?!” –Esclamò Thor con voce bonaria, intuendo che il
ragazzo non avesse avuto alcuna idea precisa di quel che avrebbe trovato una
volta sbucati all’aria di Asgard. –“Questo palazzo immenso che si erge dinnanzi
a te è il Valhalla, la dimora degli uccisi, la più maestosa dell’intera Ásaheimr! Destinata ad ospitare gli Einherjar, i morti caduti
gloriosamente in battaglia, di cui il qui presente è un ottimo esemplare!”
“È
impressionante!” –Mormorò Pegasus, ritenendo che, in termini di superficie
occupata, il Valhalla superasse di gran lunga tutte le altre residenze divine
che aveva visitato, compresi il Tempio di Ade e la Reggia di Zeus.
“Puoi
ben dirlo! Nota le travi possenti che la reggono! Sono fatte con le lance
acuminate dei guerrieri più temerari! E il tetto, che abbaglia da lontano, è
rivestito di rilucenti scudi d’oro, decorati con scene di guerra! Per non
parlare poi degli arredi interni!” –Continuò Thor, costeggiando con Pegasus i
muri della Sala dei Caduti. –“Ma la cosa più sorprendente sta nelle
cinquecentoquaranta porte che vi sono, grandi al punto che da ciascuna possono
uscire ottocento guerrieri, uno accanto all’altro, in marcia verso la guerra!
Proprio come è avvenuto ore addietro, poco prima della mia discesa in Jötunheimr! Solo una porta è rimasta chiusa,
l’accesso principale al Valhalla, dove adesso ci stiamo dirigendo! Valgrind!”
–E aumentò l’andatura del suo passo, iniziando a correre, prontamente seguito
dal Cavaliere di Atena.
I due compagni circumnavigarono la roccaforte,
permettendo a Pegasus di trovare conferma alle parole di Thor sulla sua
estensione, attratti dal clangore degli scontri, sempre più vicini, e da un
odore pestilenziale, finché non raggiunsero le mura esterne del Valhalla e il
Cancello Principale, dove molti guerrieri di Odino erano radunati.
“Possente Thor! Siete tornato!” –Esclamò uno di
loro, alla vista dei due compagni. –“Odino mi ha riferito, prima di varcare
Valgrind in groppa a Sleipnir, di aver assegnato a voi e al nobile Orion una
missione di primaria importanza per le sorti della guerra, senza dilungarsi
nelle spiegazioni! Chi è questo giovane dalla corazza così diversa dalle
nostre?”
“Egli è Pegasus, seguace di Atena, nostra alleata in
questo scontro! Ed è il Cavaliere a cui il Signore degli Asi concesse di
indossare la propria armatura lo scorso anno!”
Un coro di mormorii e sguardi sorpresi si diffuse
tra gli Einherjar all’udire le rivelazioni di Thor e molti fissarono ammirati
il giovane dagli scombinati capelli castani che si guardava intorno trattenendo
a stento l’impeto che lo dominava.
“Deve essere un combattente fuori dal comune se
Odino lo ha investito di tale onore!” –Commentò il guerriero a capo della
guarnigione a difesa della Porta Principale. –“Un aiuto simile non può che
giovarci!”
“Cos’è questo veleno che appesta l’aria, Atreju?”
–Domandò Thor al compagno.
“È il fiato mortale del Serpe del Mondo, tornato
dagli abissi in cui era stato confinato per affiancare suo padre nell’ultima
guerra! Se non riusciamo ad abbatterlo, la prima linea, guidata da Odino e
Heimdall, non potrà riparare all’interno del Valhalla!”
“Serpe del Mondo?! Chi diavolo è costui?” –Bofonchiò
Pegasus, non capendo.
Thor gli fece cenno di seguirlo, incamminandosi
verso un lato di Valgrind, dove partiva una scalinata di pietra, scolpita nelle
mura, che conduceva fino alla sommità. Da lassù Pegasus poté ammirare per la
prima volta la vera Asgard, il Regno degli Asi, sebbene la visibilità fosse
minima, a causa del fumo nero che stava saturando l’aria, proveniente da una
sagoma deforme che si agitava nelle tempestose acque di un fiume.
“Quello che vedi è il Thund! Attraversa tutta
Asgard, scorrendo in modo da separare la fortezza del Valhalla da buona parte
del resto del reame. Il guado delle sue acque agitate costituisce la prova
ultima che ogni guerriero meritevole deve superare per entrare a far parte
delle schiere degli Einherjar!” –Spiegò Thor. –“Una prova di iniziazione che,
non lo dico per vanto, ho superato brillantemente, grazie al mio fisico
allenato, sebbene debba confessarti, Cavaliere, che la violenza di quei marosi
sia tale da sbattere un uomo contro le rocce e fracassarlo sul colpo!”
“E quella… bestia?!” –Domandò Pegasus. –“È talmente
grande che quasi occupa l’intera lunghezza del fiume! Non fosse per l’agitarsi
delle correnti neppure lo vedremmo più, con tutto questo fumo pestilenziale!”
Era un serpente gigantesco, dal corpo squamato e
chiazzato di un giallo sporco, che scorreva lungo il letto del fiume. Più
grande, in proporzione, di Ladone, Yamata no Orochi o qualunque altra creatura
i Cavalieri di Atena avessero affrontato.
“A
quanto pare è il nostro primo nemico! E forse anche l’ultimo!” –Commentò Thor,
staccando una delle due asce che portava attaccate allo schienale dell’armatura.
–“Jormungandr, la Serpe di Midgard! Uno dei tre figli che Loki ebbe da una
mostruosa gigantessa, intrisi di tutto il male che il Dio dell’Inganno ha
saputo riversare in loro! Odino lo gettò negli abissi del mare, ma il potere
che lo imprigionava deve essere venuto meno, permettendogli di tornare a
avvelenare l’aria di Asgard! Non sarà facile averne ragione, Cavaliere di
Pegasus!”
“C’è
mai stato qualcosa di facile nelle nostre vite, bestione?!” –Ironizzò il
ragazzo, accennando un sorriso e incitando il robusto guerriero a scendere
subito in battaglia.
Di
fronte alle mura, nell’ampia piana che le separava da Thund, molti Einherjar
erano radunati, le armature che rilucevano nel timido sole del crepuscolo del
mondo. Alcuni erano intenti a sollevar lance e spade contro Jormungandr, altri
gli dirigevano contro raggi energetici, evitando di porre lo sguardo sui
cadaveri dei compagni, morti per il veleno del serpente o per essere stati
stritolati dalle sue spire.
“Andiamo!
Li abbiamo lasciati da soli troppo a lungo!” –Esclamò Pegasus, spalancando le
ali dell’Armatura Divina. –“È tempo di far vedere a quella bestiaccia la vera
stoffa dei Cavalieri di Atena e di Odino!” –E si lanciò al di là delle mura,
sorvolando il campo di battaglia avvolto nel suo cosmo lucente.
Thor
lo osservò per qualche istante, sorridendo di fronte all’ardore del giovane,
prima di gettarsi a sua volta oltre le merlature del camminamento di ronda e
atterrare solidamente in piedi, lanciando un urlo che squarciò il velo di fumo
venefico.
“Attenti,
là sotto!” –Gridò Pegasus, planando sulla riva del fiume, di fronte agli occhi
straniti degli Einherjar, mentre attorno al suo pugno si radunava una lucente
energia cosmica. –“Fulmine di Pegasus!” –Disse, scatenando la pioggia di
stelle contro il Serpe del Mondo, che parve sorpreso da quella singolare
apparizione.
“Mio Signore…” –Mormorarono alcuni Einherjar,
osservando Thor arrivare di corsa, con Mjolnir in mano, e scagliarlo dietro ai
lampi di luce del compagno. I due colpi congiunti cozzarono contro la squamosa
pelle del serpente, facendolo imbestialire, ma non lo ferirono. Percependo la
maggior intensità dell’assalto, Jormungandr si sollevò, stillando veleno dalle
fauci e ammorbando l’aria al punto che molti guerrieri di Odino, incapaci di respirare,
crollarono a terra, le mani strette attorno al collo.
“Sembra
che abbiamo attirato la sua attenzione!” –Commentò Pegasus, atterrando a fianco
di Thor, che aveva intanto recuperato la sua ascia rotante.
“Lo
credo anch’io! Anche se non so se ciò sia un bene o un male!”
“Bene
per noi, male per lui!” –Esclamò Pegasus, caricando nuovamente il pugno di
energia cosmica. Fece per scattare avanti, ma dopo qualche passo si fermò,
tossendo violentemente e battendosi il petto. –“Co… cosaaa succede?! Mi bruciano
i polmoni, maledizione!!!”
“È
il veleno del Serpe del Mondo, il veleno di millenni di odio!” –Disse Thor,
aiutando il compagno a rimettersi in posizione eretta. –“Non avremo molto tempo
per affrontarlo! Più respiriamo il suo fetido fiato, più ci avviciniamo alla
morte! Credevo tu lo avessi capito…”
“Non
pensavo… fosse così…”
“Intenso?!”
“Nauseante!
Da indigestione quasi!” –Commentò Pegasus, con un sorriso tirato. –“Peggio dei
panini alla cipolla della trattoria alla Darsena! Aaargh!!!”
“Non
so cosa intendi, Cavaliere, ma se vuoi tornare indietro… a riposarti alla fonte
di Udhr…”
“Vacci
tu, se sei stanco, bestione! Io ho un lucertolone a cui mozzare la coda!”
–Ironizzò il ragazzo, bruciando il proprio cosmo.
“Testardo
come sempre!” –Commentò Thor, aprendo le braccia, con cui impugnava entrambe le
asce, e caricandole della sua energia.
“Non
è così facendo che ti ho battuto?!” –Scherzò Pegasus, correndo avanti, avvolto
da un alone di luce azzurra, mentre Jormungandr si chinava su di lui, sbuffando
tossiche nubi di morte. –“Cometa lucenteee!!!”
“Mjolnir,
colpisci!!!” –Tuonò Thor, scagliando le due asce rotanti. E la sua voce fu così
decisa da attirare l’attenzione di molti altri Einherjar, che avevano intanto
iniziato a ripiegare o a trascinare i feriti vicino alle mura del Valhalla.
Nuovamente i
due colpi si schiantarono sulla pelle del figlio di Loki, senza provocargli
danno apparente, tranne farlo agitare ulteriormente. Il suolo parve tremare e
immensi schizzi d’acqua si sollevarono da Thund, innaffiando la riva e i
guerrieri vicino ad essa, sbattendoli a terra tanta era la violenza in essi
contenuta.
Il Miðgarðsormr fiatò contro Pegasus, Thor
e gli Einherjar una nuova nube di veleno, spingendoli persino indietro di
qualche metro, obbligati a coprirsi gli occhi con le mani o con le visiere
delle loro armature.
“È tutto inutile!” –Tuonò Thor,
anch’egli piegato in due. –“Il veleno penetra nella pelle al solo contatto!
Respirarlo non fa che ridurre il tempo della nostra agonia!”
“O della… sua!” –Ringhiò Pegasus, gli
occhi arrossati dal fumo, sputando e tossendo al pari del compagno. Avrebbe
voluto caricare di nuovo e sfondare la sua putrida carcassa, come aveva fatto
con quella dell’Idra di Lerna alla Prima Casa dei Templi dell’Ira, ma si sentiva
debole e senza fiato. Una sensazione non dissimile da quella provata dopo aver
subito la Morte Atroce di Pegasus Nero.
All’epoca c’era stato Dragone ad
aiutarlo, colpendo i punti vitali delle sue stelle e lasciando che il sangue
infetto scivolasse via. Ma adesso Sirio e gli altri sono persi chissà dove
tra questi mondi e io sono il primo ad essere arrivato ad Asgard! Spetta a me
l’onore di tenere alto il buon nome dei Cavalieri di Atena! Si disse,
cercando di reagire a quei veleni che lo volevano prostrare a terra, tra colpi
di tosse e convulsioni.
Per un momento lo invase la spiacevole
sensazione che i suoi compagni fossero morti, periti durante il trasferimento
dimensionale a causa della distruzione dei portali o caduti in chissà quale
tranello del Nordico Ingannatore. Ma poi, rialzandosi e fissando il Serpe del
Mondo negli occhi, in quei putridi occhi gialli, si disse che non sarebbe stato
possibile. Che Sirio, Andromeda e Cristal sarebbero presto giunti a dargli
manforte e allora avrebbe potuto gloriarsi della sua prima vittoria, mostrando
la carcassa sventrata del mostruoso figlio di Loki.
“Sì! Li attenderò così! Con il pugno
teso verso la vittoria!” –Mormorò, sollevando il braccio, mentre scariche di
energia cosmica gli avvolgevano il braccio. –“Alzati, mio vecchio amico, e
affronta con me l’ingiuria della sorte! Affronta il demone che più di ogni
altro rappresenta i veleni del mondo! Gli stessi che corrosero l’animo della
tua bella regina, volgendola al male!”
Nell’udire quelle parole, pronunciate
con voce fiera, Thor si scosse, cercando di riassumere una postura eretta,
puntando un’ascia a terra e aiutandosi con essa. Anche altri Einherjar,
stimolati dall’attivismo dei due Cavalieri, decisero di reagire, infiammando il
loro cosmo, che scintillò nella caliginosa foschia della piana di fronte al
Valhalla.
“Per Ilda, e per Asgard!” –Esclamò
Pegasus, allungando la mano verso l’antico avversario, il primo da lui
affrontato nelle fredde terre del nord.
“Per Ilda!” –Thor la strinse con forza,
ergendosi in tutta la sua statura, prima di far ardere a sua volta il cosmo.
“Che il Serpe del Mondo si riprenda il
suo veleno! Nei nostri cuori non c’è posto per esso, solo per la fede nella
speranza!” –Gridò il Primo Cavaliere di Atena, scattando avanti, subito seguito
da un gruppo di Einherjar e dallo stesso Thor.
Jormungandr alitò loro dall’alto una
nuova nube tossica ma, per quanto qualche guerriero cadde, stramazzando al
suolo in preda a violente convulsioni, non fermò la loro corsa, obbligandosi a
sollevare l’immensa coda e a muoverla sul prato, per spazzar via i loro fatui
sogni di vittoria.
Qualche Einherjar venne travolto,
scaraventato indietro o schiacciato a terra, ma non Pegasus, che spiccò un
balzo all’ultimo istante, aiutato dalle ali dell’Armatura Divina, puntando
verso il viso del serpentone, né Thor, che piantò un’ascia nella coda, usandola
poi come leva per saltare sopra di essa, con un’agile capriola, atterrando
proprio sul corpo squamoso del Miðgarðsormr.
Provò disgusto il Campione di Odino nel
poggiare i piedi su quella viscida superficie, intrisa, al pari dei fumi emessi
dalla bocca del serpente, di sostanze venefiche. Ma mise da parte il ribrezzo,
impugnando Mjolnir con entrambe le mani e sollevandolo al cielo, circondato
dalla sua aura cosmica e dal potere che gli derivava dall’essere il Cavaliere
della stella Gamma Ursae Majoris.
“Ildaaa!!!” –Gridò il gigantesco
guerriero, affondando la lama nello squamoso corpo di Jormungandr e usandola
per scaricarvi all’interno tutta l’incandescente energia del suo cosmo.
Il Serpe del Mondo inizialmente non
aveva prestato attenzione a quel guerriero, ai suoi occhi non più grande di una
mosca, preferendo concentrarsi su Pegasus, ma adesso parve sentire la ferita
aperta sulla coda, volgendo di scatto il capo in quella direzione. Così
facendo, liberò Pegasus dalla nube venefica, permettendogli di piombare sul suo
collo e tempestarlo di migliaia di migliaia di colpi.
“Maledetta creatura infame! Ladone, al
tuo confronto, era una biscia da giardino!” –Disse Pegasus, ricordando il
Guardiano del Giardino delle Esperidi.
Jormungandr fremette, agitando la coda
all’impazzata e distruggendo tutto ciò che trovò nel suo raggio d’azione. Un
paio di ponti, gli scogli del fiume, alcuni edifici lungo la riva. Giunse persino
a colpire con foga le mura del Valhalla, che ressero comunque all’impatto, per
quanto alcuni Einherjar furono travolti e schiacciati. Nel contorcersi furioso
della bestia, Thor venne sbalzato a terra, ruzzolando per qualche metro e
perdendo la presa di Mjolnir.
Il figlio di Loki si accorse subito di
lui e lo afferrò con la coda, stritolandolo tra le sue spire, incurante del
martellare continuo dei pugni di Pegasus, di cui si sbarazzò con un violento
soffio, spingendolo indietro fino a farlo precipitare a terra.
“Aaargh!!!” –Gridò Thor, stretto in una
morsa di indicibile potenza.
Persino lui, che aveva cacciato per anni
nelle foreste di Midgard, usando le sue sole braccia come armi, e che aveva il
fisico temprato alla lotta e alla resistenza, si sentì cedere, vinto da una
pressione irrefrenabile. Il veleno di cui il corpo di Jormungandr era pregno lo
stava intossicando sempre più, mozzandogli il respiro e causandogli convulsioni
spasmodiche.
La sfida che tanto aveva voluto, la
gloria che tanto aveva cercato, in vita per Ilda, adesso per sé, sembrava
persa, sconfitto proprio dal demone simbolo del suo potere e della sua corazza.
Il serpente che tra le spire soffoca la preda, così lo avevano spesso
definito a Midgard, in virtù della sua forza fisica, che suscitava timore anche
tra i suoi pari. Ed era proprio per quel motivo che aveva scelto di affrontare
Jormungandr, tra tutti i nemici che dilagavano per Asgard, sebbene a Pegasus
non avesse detto niente. Per un fatto personale, per fronteggiare la sua
diabolica nemesi.
Con la saliva che fuoriusciva copiosa
dalla bocca, e i denti digrignati, Thor roteò gli occhi verso l’alto, ma invece
di trovarsi di fronte il mostruoso volto del figlio di Loki, vide se stesso. Una
scena che non ho mai dimenticato.
Del ghiaccio si frantuma e un’armatura
di colore violaceo ne fuoriesce, risplendendo nella notte nordica. La sua
armatura. Quella che la donna che lo salvò dai soldati, quel giorno nella
foresta, aveva ritenuto fosse degno di indossare. Per quel motivo, per onorare
la sua fiducia, era sceso in campo contro i Cavalieri di Atena. E anche
stavolta, sia pur con motivazioni diverse, avrebbe lottato fino alla fine.
Infiammato nell’orgoglio dal ricordo di
quel momento, della sovrana misericordiosa che cambiò la sua vita da fuggiasco
a guerriero di corte, Thor reagì, bruciando il cosmo al massimo, che avvampò
scottando le spire che lo tenevano prigioniero.
“Oooh… Ilda, per te tenterò ancora!”
–Ringhiò, mentre Pegasus si rimetteva in piedi, osservando dal basso l’infiammarsi
del cosmo violaceo del compagno, che andò concentrandosi attorno al braccio
destro. –“Pugno del Titano!!!” –Gridò Thor, portando avanti l’arto,
avvolto in un groviglio di fulmini violacei, e piantandolo nel corpo di
Jormungandr.
L’attacco squarciò un pezzo della
viscida pelle del demone, facendolo imbestialire e stillare sempre più veleno,
ma Thor riuscì a non cadere a terra, trovando la forza per impugnare Mjolnir e
piantarlo nella ferita aperta, prima di venir sbalzato via dalla furia del Serpe
del Mondo.
“Dobbiamo proteggerlo!” –Gridò Pegasus,
radunando un gruppo di Einherjar e correndo avanti. I Campioni di Odino
scatenarono una pioggia di raggi e attacchi energetici contro il figlio di
Loki, cercando di tenerlo a distanza dal corpo di Thor, attorno al quale si
disposero a semicerchio, mentre Pegasus si chinava su di lui.
“Hai fatto un bel tuffo…” –Ironizzò,
sforzandosi di nascondere la preoccupazione per le condizioni del compagno. La
sua armatura era distrutta in più punti, schiantata dalla morsa del Serpe del
Mondo, e il suo corpo era costellato di ferite aperte, ricoperte da una
vischiosa sostanza di odore nauseabondo che Pegasus intuì essere le interiora
maledette della bestia.
Thor non disse niente, faticando nel
rimettersi in piedi. Sollevò lo sguardo verso Jormungandr, osservandolo
scatenarsi contro i guerrieri di Odino e spazzarli via, con un solo colpo di
coda, e si ricordò di quando cacciava nella foresta di Midgard, facendo
altrettanto con i soldati che osavano fermarlo. Si sforzò di sorridere a quella
similitudine, ma un conato lo piegò in avanti, facendolo sputare. Cercò di
avanzare, ma riuscì a fare solo nove passi prima di crollare, ammorbato dal
soffio velenoso.
Pegasus si gettò su di lui, percependo
il suo cosmo spegnersi, e lo incitò a rialzarsi, a reagire, tra le lacrime che
faticava a trattenere.
“No! Nooo, alzati bestione, alzati!!!
Non vorrai lasciare il lavoro a metà, eh? Ricordi cosa mi hai detto? Tu sei
come i giganti buoni di Jötunheimr, una vera roccia!”
“Non essere triste per me! Non voglio… che tu lo
sia!” –Mormorò Thor. –“Mi è stata data una seconda vita e l’ho vissuta
intensamente, giorno dopo giorno, in vista di questo momento! A quante altre
persone è stata data un’occasione simile?” –Tossì più volte, riuscendo infine a
sollevare lo sguardo verso Pegasus. –“È destino che tu mi veda morire,
Cavaliere! Ma se nella mia prima vita sono caduto come tuo nemico, mi glorio e
mi felicito, adesso, di morire al tuo fianco, come amico!”
“Thor…” –Mormorò Pegasus, realizzando
che il guerriero era spirato proprio in quel momento. –“Thooorrr!!!” –L’urlo
del Cavaliere di Atena scosse l’intero campo di fronte a Valgrind, spingendo
gli Einherjar superstiti a voltarsi verso di lui, inginocchiato, con la testa
di Thor sulle gambe.
Lo spegnersi del cosmo del gigante fu
avvertito da tutti i suoi antichi compagni.
Lo sentì Mizar, da poco sbucato dalle
radici di Yggdrasill. Lo sentì Mime, che già stava combattendo nella piana di Vígridhr. Lo sentì Orion, che sospirò,
stringendo il pugno. E lo sentì anche Odino, come aveva percepito scomparire i
cosmi di tutti gli Einherjar caduti in quelle cruente ore di lotta.
“Thor…” –Singhiozzò Pegasus, quasi
incapace di credere che fosse potuto succedere di nuovo.
È una maledizione! Si disse,
carezzando i ruvidi capelli del guerriero. Una maledizione che segna tutti
coloro che combattono per la giustizia! Tutti coloro che hanno combattuto al
mio fianco e a fianco dei miei amici negli ultimi anni, permettendoci di
arrivare fin qua!
“Una maledizione da te incarnata e da
tutto ciò che di malvagio rappresenti!” –Ringhiò, rimettendosi in piedi e
puntando l’indice contro il Serpe del Mondo, che torreggiava sbuffando su di
lui. –“E che adesso estinguerò!!!” –E nel dir questo scattò avanti, avvolto nel
suo cosmo azzurro, dirigendo migliaia e migliaia di pugni luminosi contro
l’immonda bestia, mirando al collo, al punto dove lo aveva colpito in
precedenza, sia assieme a Thor che da solo.
Memore delle battaglie passate, fin da
quella combattuta contro Eris sulla spiaggia di Nuova Luxor, Pegasus aveva
imparato che, di fronte a un avversario dalla difesa apparentemente
insuperabile, come la corazzata pelle del figlio di un Dio, era conveniente
concentrare gli attacchi in un unico punto, sperando a lungo termine di
incrinarlo.
Basta una falla per far affondare una
nave! Si disse, spiccando un balzo verso il volto di Jormungandr e
liberando un potentissimo getto di luce.
“Cometa lucente!!! Splendi!!!”
La rapidità dell’assalto fu superiore al
tentativo del Serpe del Mondo di evitarlo, permettendo a Pegasus di
trapassargli il collo, che esplose schizzando sangue oscuro e materia organica
ovunque. Il gigantesco figlio di Loki accusò il colpo, barcollando sopra Thund,
le cui acque si macchiarono di veleno in quantità sempre maggiore, ma ebbe la
prontezza di muovere la rozza coda e afferrare Pegasus, mentre questi radunava
il cosmo per attaccare di nuovo.
Lo stritolò tra le sue spire, le stesse
che avevano ucciso Thor poc’anzi, per quanto l’Armatura Divina, potenziata dal
mithril, fosse ben più resistente delle corazze dei Cavalieri di Asgard. E se
lo portò di fronte al viso, desiderando ammirare quel cane d’uomo che così
tanto dolore gli aveva provocato.
“Mi dispiace… deluderti… ma non sono un
bocconcino appetibile!” –Mormorò Pegasus, dimenandosi e cercando di liberarsi
da quella stretta, cercando di restare cosciente e non cadere vittima dello
stordimento e della pazzia che quelle sostanze tossiche stavano provocando in
lui. –“Iaiii!!!”
Il corpo di Jormungandr si infiammò
dell’energia cosmica del Cavaliere di Atena, un calore che non aveva mai
percepito in millenni di placida, ma solitaria, esistenza negli abissi del
mondo. In reazione, il Serpe del Mondo aumentò la stretta, non ottenendo altro
effetto che spingere Pegasus a bruciare sempre più il suo cosmo, mentre le
tredici stelle della sua costellazione lampeggiavano attorno a lui.
“Non morirò così! Non farò la fine di
Thor!” –Gridò il Cavaliere, incendiando le spire che lo intrappolavano e
riuscendo a liberarsi parzialmente. –“Ho una vita a cui tornare, persone che
voglio rivedere! Mia sorella, i miei amici e la donna che amo sapendo di non
poter amare!!! Di non dover amare!!!”
“Pegasus!” –Lo chiamò allora una voce,
parlando direttamente al suo cosmo. –“Accetta il mio dono e poni fine a
quest’oscura minaccia!”
Fu allora che il ragazzo la vide,
apparsa nell’aere di fronte a sé. La spada con cui aveva liberato Ilda dalla
prigionia dell’Anello del Nibelungo riluceva di un bagliore azzurro, sostenuta
dal cosmo del Dio cui apparteneva.
“O… Odino?!” –Mormorò Pegasus, non
capendo.
“Impugna la spada Balmunk e non temere!
Altre armi ho a disposizione per combattere, sebbene poche siano realmente
efficaci contro questi Giganti di Fuoco!” –Disse il Signore degli Asi,
impegnato su un altro fronte, il primo che era stato attaccato dagli eserciti
di Loki.
“Sì!” –Rispose semplicemente Pegasus,
afferrando la spada divina e caricandola del suo cosmo. –“Già una volta hai
mondato la Terra dal male, Balmunk! Ripeti il miracolo, te ne prego!!!”
–Esclamò, sollevandola e poi calandola con forza avanti a sé, lacerando la
pelle del Serpe del Mondo, che guaì selvaggiamente, liberando il ragazzo dalla
presa.
Con un balzo, Pegasus fu su di lui,
sostenuto dalle ali della corazza, e lo trapassò nello stesso punto colpito in
precedenza, mozzandogli l’immensa testa, che precipitò a terra, schiantandosi
in mezzo alla piana, di fronte agli sguardi inorriditi degli Einherjar, alcuni
dei quali vennero raggiunti dagli schizzi del suo macabro sangue.
Continuando a reggere Balmunk e
bruciando quel che restava del suo cosmo, Pegasus generò migliaia di fendenti
luminosi che squarciarono il corpo del figlio di Loki, innescando una catena di
esplosioni luminose che lo distrusse nel giro di un minuto. Quindi, stanco per
il prolungato scontro e intossicato dai veleni penetrati nel suo corpo, si
lasciò cullare dal vento, finalmente libero da quel nauseabondo odore,
trascinandosi a fatica fino a terra, dove crollò esanime, con Balmunk stretta ancora
nella sua mano destra.
Gli Einherjar furono subito su di lui,
sollevandolo con delicatezza e trasportandolo fino al Portone Principale,
assieme al corpo di Thor.
“Cosa facciamo di lui?” –Esclamò un
guerriero. –“Sta avendo violente convulsioni! L’eccessiva vicinanza al Serpe
del Mondo deve averlo infettato al pari del possente Thor!”
“Se così è, temo che gli rimanga ben
poco da soffrire!” –Commentò rattristato un altro, incapaci entrambi di
aiutarlo. –“Povero ragazzo! Da Atene sei giunto fin qua, oltre le nuvole, per
cadere con noi! Un Campione nostro pari, ecco chi sei, e come tale sarai
trattato, così in vita così in morte!”
“Conserva le tue orazioni funebri per il
dopoguerra, William!” –Esclamò allora una voce, mentre un lampo di luce
esplodeva in mezzo al gruppo di Einherjar e una figura splendida ne emergeva.
–“C’è ancora molto da fare adesso, ma non abbandonarsi a inutili
catastrofismi!”
“Vostra altezza… mio Principe …”
–Mormorarono i guerrieri, mentre il figlio di Odino si avvicinava ai corpi distesi
a terra di Thor e Pegasus. Sfiorò la testa del primo, sussurrando parole che
gli Einherjar non compresero, ma ritennero facessero parte di un antico rito di
saluto ai morti. Poi si avvicinò al Cavaliere di Atena, tastandone la fronte
febbricitante, prima di incalzare un paio di guerrieri affinché aprissero
Valgrind.
“Portatelo a Fensalir, da Eir! Là saremo
forse in grado di dargli le cure di cui ha bisogno!” –Affermò Balder lo
Splendente, prima di scomparire nuovamente.
Capitolo 18 *** Capitolo sedicesimo: Il mietitore silente ***
CAPITOLO SEDICESIMO: IL MIETITORE SILENTE.
Con un agile
balzo Reis uscì all’aria aperta, ritrovandosi ai
piedi dell’Albero Cosmico, sulle cui radici si era arrampicata per raggiungere
Asgard. Avalon gliene aveva parlato, così pure Ilda e il suo accompagnatore, ma
trovarselo di fronte, poterlo ammirare in tutto il suo splendore, fu
un’emozione al di là di ogni aspettativa.
Meraviglioso! Commentò, osservando incantata l’alto tronco di Yggdrasill ergersi verso il cielo, quasi volesse afferrarne
uno spicchio con i suoi molteplici rami.
“Askveitkstanda, heitirYggdrasillhárbaðmr, ausinnhvítaauri!” –Recitò una voce, rubando la ragazza ai
suoi pensieri e spingendola a voltarsi verso l’affascinante Cavaliere di Odino
che l’aveva attesa di fronte al portale di Vanaheimr,
il regno dei Vani, ove era giunta.
“Perdonami, mi sono espresso in
norreno!” –Esclamò Orion, avvicinandosi. –“Sono versi
di un antico poema che il nostro popolo ha tramandato per secoli! È chiamato
Profezia della Veggente e, nella lingua corrente, verrebbe più o meno così…”
“So che un frassino s’erge, Yggdrasill lo chiamano, alto tronco lambito d’acqua bianca
di argilla!” –Lo interruppe allora Reis, sorprendendo
il Cavaliere del Nord. –“Ad Avalon poniamo molta attenzione allo studio delle lingue
e delle culture antiche! Ogni Cavaliere delle Stelle è specializzato in un
settore specifico e io nutro grande interesse per le civiltà germaniche!
Conoscere chi siamo stati è parte del nostro addestramento, per capire ciò che
diventeremo! E credo che in questo contesto sia l’espressione più adatta!”
“Tutta la nostra civiltà è
costruita attorno a Yggdrasill, l’axis
mundi dei nove mondi! E qua affonda la prima radice, alla Fonte di Udhr, sorgente di un liquido miracoloso e luogo ove le Norne si riuniscono a tessere il fato degli Dei e degli
uomini!” –Spiegò Orion, indicando tre figure
ammantate, poco distanti, intente a cospargere le
radici del frassino della sostanza fertilizzante sgorgante dalla fonte.
Il Cavaliere delle Stelle le
fissò con occhio attento, ma non fu capace di delinearne i tratti fisici con
precisione. Erano donne, questo lo capiva, ma non riusciva a dare loro un’età.
“Non sforzarti troppo!” –Le
sussurrò Orion. –“Le Norne
possono apparire in aspetto difforme a chi le osserva, in relazione soprattutto
al proprio stato d’animo! Giovani donne o vecchie avvizzite! E ciò che in loro
vedi è ciò che ti viene prospettato! Che tu voglia crederci o meno!”
“Le tue parole mi lasciano da
pensare, Cavaliere del Drago del Nord! Non credi dunque nel destino?”
“In cosa credo non ha
importanza, perché il mio ruolo in questo mondo è stato segnato dal momento in
cui ho varcato la soglia di Valgrind, dopo aver
attraversato il periglioso Thund, scortato dalle
Valchirie, che mi hanno condotto al cospetto del Padre di Tutti, dove ho
ritrovato gli amici persi in battaglia!” –Esclamò Orion,
con voce piena di orgoglio. –“Thor e Luxor, Artax e Mime, erano lì che mi attendevano, per quanto avessero
sperato in un’attesa maggiore! Da quel giorno ho smesso di essere Orion, il Primo Cavaliere della Regina di Midgard, e sono divenuto uno dei Campioni di Odino, vivendo
in vista di questo giorno! Una nuova vita qualcuno l’ha definita, o forse una
rivisitazione di quella precedente?!”
“Non sarà stata vissuta invano,
Cavaliere! Nessuna vita lo è mai!” –Esclamò Reis,
voltando le spalle a Urd, Verdandhi
e Skuld e incamminandosi assieme a Orion nel giardino attorno all’Albero Cosmico.
“Vorrei possedere la tua
fiducia, Cavaliere di Luce, ma le mie certezze sono minate da questa guerra che
imperversa su Asgard e da un’inquietudine simile al tremolio di Yggdrasill! Le correnti di ghiaccio che soffiano da Niflheimr non accennano a diminuire e ciò mi fa pensare che
il Principe Freyr stia incontrando più difficoltà del
previsto nel fronteggiare i Titani del Gelo! Se non dovesse riuscire a fermarli…”
“Non temere per lui! I Vani
sono al suo fianco, ricordi? Ben pochi erano gli abitanti che abbiamo trovato
in Vanaheimr, anziani, donne e bambini; la
maggioranza combatte fiera nel gelido Inferno!” –Esclamò Reis,
prima di fermarsi. –“A meno che non vi sia altro a rendere inquieto il tuo
cuore, Cavaliere…”
Orion
non disse nulla, muovendo il braccio come a voler lasciar cadere il discorso, e
fece per incitare la ragazza a correre sul campo di battaglia, quando venne
richiamato da alcune voci familiari provenienti dalle sue spalle.
Reis
si voltò nello stesso momento, proprio per vedere Andromeda avvicinarsi ai due,
affiancato da un ragazzo dai capelli arancioni e dall’armatura rossa, entrambi
appena usciti dalle radici dell’Albero Cosmico.
“Reis!
Sei sana e salva, sono contento!” –Sorrise il Cavaliere di Atena, presentandole
Mime, prima di rivolgersi a Orion,
felice di rivederlo. –“E Pegasus? E gli altri?!”
“Anche noi siamo arrivati da
poco ma, se i sensi non m’ingannano, percepisco il cosmo del mio vecchio
compagno Thor bruciare fuori dalle mura del Valhalla,
assieme ad un altro, ugualmente ben noto!” –Spiegò Orion,
alle cui parole Andromeda annuì, avendo anch’egli riconosciuto il cosmo di Pegasus.
“Raggiungiamoli, coraggio!” –Li
incitò Reis, correndo avanti assieme ad Orion, seguiti da Andromeda e Mime.
Il musico di Asgard però si
fermò dopo qualche passo, tenendosi la testa leggermente stordito. Andromeda se
ne accorse e lo affiancò, chiedendogli come si sentisse.
“Un leggero malessere,
Cavaliere, non preoccuparti! Un malessere dovuto alla preoccupazione per le
sorti di una persona a me cara!” –Spiegò Mime,
ricominciando a correre. –“Non solo di Pegasus e Thor
ho avvertito il cosmo!”
Orion,
comprese le parole del compagno, fece un cenno d’assenso, guidando il gruppo
fino alla Porta Principale, dove Atreju illustrò loro
la situazione, con i due fronti aperti. Uscendo fuori da Valgrind,
Andromeda impallidì alla vista del gigantesco Serpe del Mondo, impegnato in una
lotta furibonda che stava squassando il letto del fiume e i terreni attorno ad
esso.
Sforzando la vista, in quella
torbida nube, il Cavaliere riconobbe lo scintillio del cosmo dell’amico,
affiancato da Thor e da altri che non conosceva. Fece per muoversi in quella
direzione, ma Orion lo afferrò per un braccio,
pregandolo di non andare.
“Non solo Jormungandr
è il nostro nemico! Con la liberazione di Loki e dei
suoi figli, molti demoni antichi sono tornati a perseguitarci, privi dei legami
che li tenevano prigionieri! I loro cosmi ribollono
di odio, simile a un’onda di pece decisa a riversarsi su Asgard! Li sento… marciano da nord, dalla grande piana di Vígridhr, e stanno facendo strage di Einherjar e Divinità fedeli a Odino!” –Esclamò, prima di
voltarsi e vedere che Mime si era già lanciato
avanti, lungo il perimetro esterno della fortezza del Valhalla.
–“Là dobbiamo dirigerci adesso, per prestare aiuto a chi ne ha bisogno!”
“Ma…Pegasus
e Thor?! Da soli contro… un mostro simile?!”
“Il mio cuore piange al sol pensiero, Andromeda, ma al
tempo stesso nutro fiducia in loro e nel cosmo ardente che li sostiene!”
“Orion ha ragione! I nemici sono
tanti e non ha senso ammassarci tutti contro gli stessi per lasciare campo
libero ai restanti! Dobbiamo separarci e credere l’uno nell’altro, combattenti
di culti diversi ma uniti dall’obiettivo comune!” –Intervenne Reis.
Il Cavaliere di Andromeda ci
pensò su ancora un po’, voltandosi verso il fiume, ove la sfida con il Serpe
del Mondo era ancora aperta, prima di sospirare e convincersi che Orion e Reis avessero ragione.
Del resto era la stessa strategia che lui e i suoi amici avevano sempre
seguito, fin dalla prima missione contro i Cavalieri Neri nella Valle della
Morte, per quanto in precedenza i nemici non fossero stati né Divinità né
creature mitologiche sostenute da cosmi divini.
Senz’altro esitare, Andromeda
scattò a fianco dei suoi nuovi compagni, lasciando Pegasus
e Jormungandr alla sua sinistra e le mura ciclopiche
del Valhalla alla sua destra. Mime
li aveva già distanziati, deciso a correre in aiuto di colui a cui molto
doveva.
Passarono il ponte sul Thund ma, quando stavano per giungere alla piana di Vígridhr, videro una pioggia di frecce
abbattersi su di loro. Non frecce normali, bensì dardi di cosmo, che
traforarono il terreno tutto attorno, generando esplosioni e scosse.
Andromeda fu lesto a srotolare la Catena di Difesa,
roteandola in modo da impedire ai dardi di penetrare al suo interno, mentre Reis, sollevata prontamente la Spada di Luce,
contrattaccava con altrettanti raggi di energia, in modo che gli attacchi si
annullassero a vicenda.
“Chi osa sbarrarci il passo?” –Tuonò allora Orion, facendosi avanti, mentre dalla cima di un albero
poco distante un luccichio metallico anticipava il balzo di un guerriero
rivestito da un’armatura di colore blu notte.
Atterrò a una decina di metri di distanza dal trio di
Cavalieri, nient’affatto intimorito dalla disparità numerica, limitandosi a
fissarli con un ghigno soddisfatto. Era un uomo sui trent’anni, alto e robusto,
il volto ruvido e il mento sporgente. La corazza che indossava copriva quanto
un’Armatura di Asgard e non aveva fregi particolari a parte la faretra piena di
frecce che spuntava dalla schiena e un arco ripiegato affisso alla cintura.
Eppure a Orion parve ricordare qualcosa, un frammento
perso nella sua memoria di eroe.
“Colui che vi fermerà, qua e ora! Drepa
di Steinkjer, il Mietitore Silente!” –Rispose l’altro, suscitando
la reazione incollerita del Cavaliere nordico.
“Piuttosto arrogante per essere un invasore!” –Commentò,
caricando l’indice destro di energia lucente.
“Sono solo realista!”
“Insolente!” –Ringhiò Orion. –“Spada
di As…”
–Ma Reis lo fermò, pregandolo di andare oltre. Si
sarebbe occupata lei del borioso arciere. –“Questo è fuori discussione! Non
lascerò a uno sconosciuto la difesa della mia terra!”
“Soprattutto a una ragazza?! È questo che stai cercando di
dirmi?! Beh, caschi male, perché questa ragazza ha il carattere e la forza di
un uomo!” –Esclamò Reis. –“I tuoi compagni ti
aspettano, gli Einherjar di cui Odino ti ha affidato
il comando! Va’ da loro e abbi fiducia in me, Drago del Nord, come l’hai in Pegasus e nel prode Thor! E ti assicuro che ci incontreremo
di nuovo, nel bel mezzo del campo di battaglia!”
Orion esitò un momento, cercando lo
sguardo di Andromeda, anch’egli indeciso sul da farsi. Fu il loro avversario a
smuovere la situazione, impugnando l’arco e incoccando una freccia, liberandola
di scatto e osservandola compiaciuto riprodursi in migliaia di copie, tutte
dirette verso il trio di Cavalieri.
“Catena di Andromeda, disponiti a difesa!” –Gridò il
ragazzo dai capelli verdi, sollevando la sua fedele compagna. Ma Reis fu lesta a sgusciare fuori dall’argine difensivo un
attimo prima che la catena iniziasse a roteare, lanciandosi avanti, con la lama
tesa e scatenando violenti fendenti contro il loro avversario.
“Andate! È la vostra
occasione!” –Disse, espandendo il proprio cosmo luminoso e dirigendo migliaia
di affondi energetici contro Drepa. –“Flashingsword!”
Orion
e Andromeda approfittarono di quel momento per sfrecciare avanti, ognuno su un
lato del servitore di Loki, intento ad evitare la
pioggia di luce che Reis gli stava dirigendo contro.
Pochi istanti dopo già correvano verso il campo di battaglia, mentre il
Cavaliere delle Stelle poneva termine al suo attacco.
“Ti sei già stancata, donna?”
–Mormorò Drepa con voce irriverente.
“Tutt’altro, sono fresca per
te! Mi premeva soltanto permettere loro di oltrepassarti! Non ha senso perdere
tempo in tre per far fuori un inetto tuo pari!”
“La lingua lunga non ti manca,
né le forme avvenenti, per quanto ben nascoste da quella luminosa corazza! In
cosa pianterò per primi i miei dardi velenosi?!”
“Chissà che prima che tu ci
riesca io non ti abbia già tagliato la testa!” –Commentò Reis,
senza dar troppo peso alle provocazioni dell’arciere, stupide vanterie tipiche
dei maschi. Non aggiunse altro e scattò avanti, con la lama tesa, avvolta nel
bagliore del suo cosmo dorato.
Drepa
fu svelto ad evitare l’affondo, spostandosi di lato e sollevando poi una gamba
per colpirla con un calcio allo sterno. Ma Reis fu
abile a girare su se stessa, schivando il piede nemico e obbligandolo poi ad un
balzo indietro per non essere raggiunto dal movimento di ritorno della spada.
“Resta lì, non ti muovere!
Offri il tuo prosperoso corpo di donna alla mia Pioggia di Fiele!”
–Esclamò Drepa, sollevando un braccio al cielo e
bruciando il proprio cosmo, che si concretizzò in migliaia di dardi di energia
di colore violaceo, generati dal palmo aperto della sua mano, che riempirono lo
spazio tra di loro, spingendo Reis a muovere la lama
ad altissima velocità per parare i pericolosi strali.
Con una mossa così veloce che
persino il Cavaliere di Luce dovette ammettere di aver avuto difficoltà a
seguirla, Drepa tese l’arco con la mano sinistra,
afferrando poi una freccia dalla faretra con la destra e scagliandola. Il dardo
saettò verso Reis, che lo vide apparire di fronte a
sé nel momento esatto in cui la Pioggia di Fiele si era conclusa. Fu
svelta a muovere la Spada di Luce, offrendo al dardo il taglio della sua lama,
che lo deviò alla sua destra, scheggiandolo.
“Per un pelo…”
–Mormorò, cercando di non far notare il suo nervosismo.
Per quanto fosse abile con la
spada, la migliore di tutti gli allievi di Avalon, e i suoi riflessi fossero
ottimi, con minimi tempi di reazione, Drepa era
riuscito a sorprenderla, cosa che non accadeva da tempo ormai. Eccezion fatta
per il bacio rubato a Ioria del Leone, in quel
weekend immediatamente successivo alla sconfitta del figlio di Ares, trascorso
tra le dune e i tramonti della costa greca.
Un’imprevista, quanto
piacevole, distrazione. Sorrise la ragazza, prima di riportare lo sguardo
sul pericoloso arciere, che ben meritava il soprannome con cui si era
presentato.
“Sogni ad occhi aperti, donna?
Attenta, potrebbe costarti caro quel ricordo d’infanzia!” –Sibilò Drepa. –“Non ti hanno insegnato a rinunciare ai sogni,
quando sei cresciuta?”
“È Reis di Lighthouse
il mio nome, non donna! Farai bene a ricordartelo, schiavo di Loki, se nelle ariose cavità del tuo cranio vi è ancora
traccia di materia cerebrale!”
“L’umorismo non ti manca! Sebbene sia fuori luogo!”
–Sghignazzò Drepa. –“E con i fatti te lo dimostrerò! Pioggia
di Fiele!” –E sollevò di nuovo il braccio al cielo, mentre dal palmo della
sua mano, ardente di cosmo, nacquero migliaia e migliaia di dardi energetici,
che piombarono su Reis ad altissima velocità.
Non l’avrei detto, ma costui è padrone della velocità della
luce. Riesce a scagliare… quasi centomila colpi al
secondo.
Rifletté il Cavaliere delle Stelle, muovendo ad altrettanta velocità la Spada
di Luce, per colpire quanti più dardi possibile, quanto meno quelli che
miravano al suo viso e ai punti scoperti dell’armatura, lasciando gli altri
liberi di perdersi attorno a sé o contro l’impenetrabile corazza di mithril. Ma non sono centomila…
no! Non tutte le frecce piovono alla stessa velocità! Alcune servono a
distrarmi, altre invece… sono insidiose! Strinse
i denti, torcendo la lama per evitare uno strale che mirava al suo collo, prima
di rotearla nuovamente e annientarne altri.
Detestava restare in difesa, detestava attendere passiva lo
svolgersi degli eventi, desiderando essere sempre in prima linea, pronta a
sollevare la spada che Avalon le aveva affidato allo scopo di recidere ogni
ombra dalla Terra.
“Umpf… Ti avevo sottostimato a
quanto pare, Reis di Lighthouse!”
–Esclamò Drepa, con tono scocciato, osservando il
vanificarsi del proprio attacco. Per ogni dardo che scagliava, Reis riusciva a pararlo e non soltanto; all’arciere pareva
che riuscisse persino a dirigergli qualche fascio energetico contro. –“Lighthouse… Non è un nome greco né scandinavo, eppure
combatti a fianco dei Cavalieri di Asgard e di Atena, il cui arrivo era dal mio
Comandante stato temuto!”
“È inglese infatti e significa Casa di luce! Ma non è il
mio cognome, per quanto sia effettivamente nata in Gran Bretagna!” –Spiegò Reis. –“È solo un nome che ho scelto per ricordare il mio
passato, le strade che ho percorso e che mi hanno portato ad essere ciò che
sono!”
Drepa non poteva conoscere il suo
passato, né sapere che i suoi genitori erano morti trent’anni addietro, in
un’alluvione che aveva devastato il villaggio del Galles in cui era nata
neppure due anni prima, e che lei avrebbe potuto incorrere nella stessa sorte
se qualcosa non fosse scattato dentro sé. Qualcosa che all’epoca non conosceva,
né sapeva controllare, ma che gli aveva permesso di generare uno scudo attorno
al suo corpo, un guscio dentro il quale sopravvivere.
“Questo qualcosa si chiama cosmo!” –Gli aveva spiegato
settimane dopo un vecchio dalla lunga barba bianca, quando si era risvegliata
dallo stato di sospensione vitale in cui era inconsciamente precipitata. Lo
stesso vecchio che l’aveva salvata dal fango, dopo averne percepito la
presenza. –“E tu, bambina mia, lo porti dentro di te! Qua, ad Avalon, ti
insegneremo come prendervi confidenza e come usarlo, per il bene di tutti!”
E lei aveva imparato, ascoltando gli insegnamenti
dell’Antico e del Signore dell’Isola Sacra e divenendo la prima ad essere
insignita del titolo di Cavaliere delle Stelle.
“Il primo di sette membri. Tanti quanti i Talismani del
Mondo Antico!” –Gli aveva spiegato un giorno il suo maestro. –“Ed è la nostra
missione riunirli, affinché ci diano le chiavi per chiudere il varco!” –Poi non
aveva aggiunto altro, sibillino come sempre, lasciandola ai suoi studi.
L’addestramento era stato impegnativo, e spesso Reis si era chiesta se alla fine ne sarebbe valsa la pena,
ma aveva stretto i denti ed era andata avanti, per onorare coloro che l’avevano
salvata, accogliendola nella loro casa, e per vivere anche per chi, come i suoi
genitori, non ce l’aveva fatta. Per questo aveva scelto quel nome, Casa di
Luce, per ricordarsi sempre come la sorte fosse stata benigna con lei,
salvandola e dandole uno scopo: diffondere la luce che albergava nel suo cuore.
La luce del cosmo, e della vita. Rifletté, prima di impugnare
saldamente la spada e lanciarsi avanti, sorprendendo persino Drepa per la velocità di reazione. Falciò via l’arco dalle
mani del Mietitore Silente, con un secco colpo di lama che per poco non gli
staccò anche le dita della mano sinistra; evitò una ginocchiata con cui
d’istinto Drepa tentò di allontanarla, scartando di
lato, e sollevò infine la Spada di Luce, calandola sulla mano destra del
servitore di Loki nel momento stesso in cui questi la
caricava di energia cosmica allo scopo di trafiggerla.
“Aaargh!!!” –Gridò Drepa, alla vista del moncherino sanguinante.
“La tua carriera di mietitore finisce qui!” –Commentò Reis, pronta per colpirlo di nuovo. Ma l’arciere,
concentrato il cosmo sul palmo della restante mano, le sfiorò il ventre,
liberando un’onda di energia che la spinse indietro di decine di metri,
facendole scavare un doppio solco nel terreno.
“Maledetta!!!” –Ringhiò Drepa,
furibondo per l’umiliazione ricevuta. Da una donna, oltretutto. –“Non avrai
pace, spezzerò il tuo corpo e lo offrirò al banchetto dei corvi! Pioggia di
Fiele!!!” –E sollevò il braccio sinistro, liberando l’attacco energetico.
Reis mosse velocemente la Spada di
Luce, cercando di parare tutti gli affondi del nemico. Molteplici, calibrati,
pericolosi, spesso così sottili da riuscire a distinguerli con difficoltà. Ma
poi, con il proseguire dell’assalto, notò qualcosa che al suo occhio attento
non poteva sfuggire: la progressiva imprecisione degli strali, che sembravano
farsi più irregolari, permettendole di pararli con maggior facilità.
“Ho scovato il tuo punto debole, servo di Loki, e ora te lo dimostrerò!” –Esclamò, intensificando i
suoi affondi, finché non sovrastarono numericamente i dardi di Drepa, piombando su di lui e scagliandolo indietro, con
l’armatura scheggiata in più punti, dove i fasci di luce aurea l’avevano
raggiunta.
“Per quanto tu sia un abilissimo arciere, al punto da
riuscire a tenere sotto scacco persino me, Cavaliere dotato di ottimi riflessi,
non riesci a padroneggiare la tua tecnica con la mano sinistra come sapevi fare
con la destra! È una differenza minima, che forse altri non avrebbero notato,
di un centinaio di colpi, un centinaio su quasi centomila. Ma quei cento ti
sfuggono, vagano verso l’esterno, offrendo una breccia al tuo avversario!”
“I miei complimenti…” –Mormorò Drepa, rimettendosi in piedi, senza degnare il Cavaliere di
Luce di sguardo alcuno. Si tolse la faretra ancora fissata alla schiena e la
gettò via, accanto all’arco danneggiato.
“Accetti dunque la resa? Non vi è disonore quando si è
combattuto con…” –Ma la frase di Reis
restò a metà, mozzata dallo sguardo di odio sanguigno che Drepa
le rivolse, scagliandola indietro con un’onda d’energia, veloce e poderosa.
“Resa?! Una parola che non esiste nel dizionario di un guerriero! Perché questo
sono, e tale devi considerarmi! Drepa di Steinkjer, Sigtýr al
servizio di Loki!”
Reis
cercò di reagire ma si ritrovò schiacciata al suolo, in balia di una forza che
le impediva di muovere i muscoli e rimettersi in piedi, mentre il cosmo del Dio
di Vittoria cresceva sempre più, e l’immagine di un cacciatore con l’arco teso
appariva alle sue spalle.
“Questo, Reis
di Lighthouse, è il Canto del Guerriero! Ascoltalo… e muori!” –Ringhiò, scatenando l’assalto
energetico contro la ragazza, travolta da quello che, ai suoi occhi, pareva
l’avanzare furibondo di un intero esercito. –“Io sono un figlio della guerra,
ad essa consacrato fin dalla giovane età, quando mi allenavo nel castello di
mio padre con il mio maestro d’armi. Nello scontro trovo soddisfazione, nello
scontro si concretizza il mio desiderio di vita. Nel ruscellare
del sangue mi sento appagato. Nella supplichevole pietà degli sconfitti odo il
cantare del mio trionfo! E tu, donna, vorresti che quattro lettere messe
malamente assieme mi frenassero dal combatterti? Non rinuncerei ad uno scontro
neppure se Loki me lo ordinasse!”
Il Cavaliere di Luce venne
scaraventato in alto, prima di precipitare bruscamente al suolo, schiacciato da
quel potente e inaspettato assalto. Perse la presa della Spada di Luce, che si
piantò pochi metri avanti, ma se Reis temette che Drepa avrebbe tentato di impadronirsene poté tirare un
sospiro di sollievo, poiché il Sigtýr pareva
interessato soltanto a sconfiggerla, a privarla della vita. Quello, per lui,
era il fine ultimo del loro scontro.
“Anche senza mani, rimango sempre il migliore, il più forte
degli Dei di Vittoria! Loki avrebbe dovuto scegliere
me come Comandante dei Soldati di Brina, invece mi ha preferito Erik, solo per
una più longeva anzianità di servizio! Managarmr ha
avuto quel che ha avuto solo perché riscaldava il letto di Loki!
Hraesvelgr è indisponente e Bjuga… quello è
uno stupido buono solo per sfondare le porte del Valhalla
con la sua testa di mulo!” –Esclamò Drepa,
gloriandosi del risultato.
Il Cavaliere delle Stelle giaceva di fronte a sé,
sprofondato in un avallamento che il suo stesso corpo aveva generato
all’impatto violento con il suolo. E non accennava a muoversi, l’armatura
costellata di crepe da cui fluiva copioso il sangue.
Drepa la osservò compiaciuto, mentre
il colare del sangue proseguiva, a ritmo apparentemente vertiginoso, tanto che
lo stesso Sigtýr si chiese se la ragazza non
avesse ferite aperte riportate in precedenza. Ma poi, sgranando gli occhi,
dovette muovere un passo indietro, realizzando che quel che da lontano gli era
parso sangue era in realtà polvere di stelle, il baluginare del cosmo del
Cavaliere di Luce che stava aumentando di intensità, rivestendo il suo perfetto
corpo di donna.
“C’è un altro motivo…” –Mormorò Reis,
rimettendosi in piedi e portando i suoi occhi azzurri su Drepa.
–“Per cui ho scelto questo nome! Non solo per la casa di luce in cui sono stata
accolta, ma perché, là crescendo e di tali insegnamenti nutrendomi, ho saputo
tirar fuori il cosmo che albergava in me, divenendo io stesso depositaria di
un’energia che in origine non avrei mai creduto! Depositaria di uno degli
elementi della natura, la luce di tutte le cose!!!”
Drepa
espanse a sua volta il cosmo, mentre striature dorate simili a onde di energia
scuotevano il manto erboso, fluttuando nella sua direzione e lambendogli le
gambe.
“Lascia che ti dimostri, oh Drepa gran guerriero, qual è la vera forza! Se quella che
nasce dalla volontà bellica… o quella che nasce dalla
speranza!!!” –Esclamò Reis, bruciando al massimo il
proprio cosmo, che turbinò attorno a sé come un mulinello di energia. –“A te
rivolgo il colpo che dal mio maestro ho appreso! Questo è il Vortice
scintillante di luceee!!!”
“Non basterà per contrastare il Canto del Guerriero
furioso!” –Le fece eco Drepa, liberando
l’impetuoso assalto e lasciando che si scontrasse frontalmente con quello di Reis.
L’inarrestabile marcia dell’esercito di Drepa
parve frenare lo scatenarsi del mulinello di luce, ma il vorticare continuo
dello stesso diventò una barriera che nessun soldato avrebbe potuto superare
senza esserne dilaniato. Così, in un lampo dorato, il Canto del Guerriero
venne travolto, sfaldato, disperso, mentre il turbine d’oro lucente si
schiantava sul Dio di Vittoria, lacerando il suo corpo e condannandolo alla
prima, e ultima, sconfitta.
La scomparsa del cosmo di Drepa
fu avvertita dal Comandante dei Soldati di Brina, Erik il Rosso, intento in
quel momento a massacrare, con la propria scure, un gruppo di Einherjar che, a suo sentire, avevano ardito fermarlo.
Spostò lo sguardo più avanti, nel cuore della piana di Vígridhr,
dove poc’anzi altri erano giunti a porgere aiuto ai Campioni di Odino.
Un uomo dai capelli neri e dalla folta barba scura stava
infatti facendo strage di tutti i defunti che Hel
aveva armato contro il Valhalla. Abile e preciso nel
colpire, pareva non avere alcuna esitazione né paura di venire a sua volta
ferito. Fu solo l’avvicinarsi della Regina degli Inferi, seduta in groppa a Garmr, a costringerlo a distogliere lo sguardo, per
perdersi nei suoi occhi senza iride.
“Vedi questa scopa, vecchio guerriero? È l’arma con cui ti
spazzerò via! Ighigh!”
–Sogghignò la mostruosa figlia di Loki, mentre il
grosso cane balzava avanti, cercando di azzannare la preda sfuggente, che
rotolò sul terreno, evitando le sue fauci.
Quando Garmr si mosse, per
scattare nuovamente su di lui, si accorse che un intricato labirinto di bianchi
fasci di energia l’aveva circondato, impedendogli di muoversi. Ringhiando, la
bestia cercò di evitarli, ma venne comunque raggiunto dalla maggior parte, che
gli strapparono grida rabbiose.
“Che strepitio!” –Esclamò allora un uomo dalla voce
melodiosa, comparendo a fianco dell’Einheri
attaccato. –“Sarebbe opportuno coprire i latrati di questa bestia con una ben
più nobile melodia! Magari la melodia della sua morte!”
“Mime! Fai attenzione!” –Mormorò
l’altro, alla vista del ragazzo dai capelli arancioni, dietro al quale, poco
dopo, apparve un Cavaliere rivestito da una splendida armatura rosa, ornata da
rifiniture d’oro. Un Cavaliere che, a giudicare dall’aria spaesata e dalla
corazza, non apparteneva alle schiere dei Campioni di Odino.
“Andromeda…” –Esclamò Mime, rivolgendosi a colui che l’aveva raggiunto. –“C’è una
persona che voglio presentarti, prima che quest’accozzaglia guerresca ci separi
di nuovo! Folken, mio padre!”
Capitolo 19 *** Capitolo diciassettesimo: La guerra infuria ***
CAPITOLO DICIASSETTESIMO: LA
GUERRA INFURIA.
Cadaveri e macerie costellavano le vie di Asgard, la
capitale del regno degli Asi.
Là dove un tempo sorgevano residenze sontuose ed eleganti,
nelle cui stanze gli Dei si abbeveravano di idromele, raccontandosi le loro
imprese leggendarie, adesso si alzavano mura storte, circondate da cumuli di
rovine, tetti crollati, arazzi incendiati, sovrastati da nubi di fumo così
denso da rendere difficile la respirazione.
Ma per Luxor non era un problema. Lui sapeva camminare
basso sul terreno, quasi a quattro zampe, restando in questo modo al di sotto
del fumo, ponderando ogni mossa con i sensi tesi al massimo, atti a captare il
benché minimo movimento.
Adesso era intento nella sua attività preferita, a cui
aveva destinato gli anni successivi all’omicidio dei genitori. La caccia.
Seppure il luogo fosse difforme dalle innevate foreste del Recinto di Mezzo, la
pratica era sempre la stessa. Lui era il cacciatore e il suo nemico era la
preda. Che fosse un cinghiale, un cervo o un lupo mostruoso, per lui non faceva
differenza, sempre determinato a sgozzarlo e a gloriarsi di tale trofeo.
Gli Ulfhednir avanzavano
silenziosi alle sue spalle, seguendo colui che, nel giro di pochi mesi, era
diventato il capo del loro gruppo ristretto. Il capo del branco.
Sapevano che la preda era vicina, la causa di tutta quella
distruzione. Luxor poteva quasi percepirne l’odore. Un odore acre, pungente,
che gli ricordava gli anni trascorsi nelle foreste con i lupi. L’odore del
sangue.
Una sagoma immensa apparve improvvisamente di fronte a
loro, in parte avvolta dal fumo che si levava dai numerosi incendi che
costellavano Ásaheimr. Una sagoma che calò ringhiando su tutti
loro, digrignando gli affilati denti ancora macchiati di rosso.
“Ora!” –Gridò Luxor, balzando di lato, mentre il resto del branco
faceva altrettanto, disponendosi attorno all’enorme creatura fino a
circondarla. Uno dopo l’altro gli Ulfhednir si
lanciarono avanti, in alto o sotto il peloso corpo del gigantesco lupo, decisi
a ferirlo con i loro artigli. Luxor puntò subito alla gola, certo che fosse il
punto più debole, il punto che gli avrebbe concesso una rapida vittoria.
Ma la sua preda non era un cervo, né un placido animale che abitava le
bianche distese del nord, bensì un lupo furioso, un cacciatore suo pari. Con un
rapido movimento, si mosse di lato, evitando numerosi affondi e scuotendo la
folta coda con cui spazzò via alcuni Ulfhednir. Pochi
furono quelli che riuscirono a raggiungerlo, in punti non vitali del suo grosso
corpo, e Luxor non fu tra questi.
“Non dimenticare chi hai di fronte! Il figlio della notte! Il re dei
cacciatori!” –Sibilò il lupo, fissando il ragazzo dai lunghi capelli grigi
atterrare compostamente a terra, dopo aver evitato la violenta zampata. –“E tu,
ai miei occhi, ssseisssolo
una croce di osssa con tanta buona ciccia attaccata!”
“Chissà che questa croce non ti resti conficcata nel palato, Hati, squarciandoti la cavità orale fino alle budella!”
–Ringhiò Luxor, con tono divertito, mentre i suoi compagni si rimettevano in
piedi.
HatiHródvitnisson, fratello di Skoll, uno dei corpulenti lupi generati nella
Foresta di Ferro, sogghignò beffardo, prima di avventarsi sul guerriero di
Odino. Luxor deviò a destra, per schivare l’artigliata poderosa che abbatté il
muro di un edificio alle sue spalle, rotolando sulla strada lastricata, per poi
rialzarsi e lanciarsi contro di lui.
Ma, per quanto di grossa stazza, alto sei o sette metri, Hati era sorprendentemente agile e fu lesto a muovere
l’altra zampa per colpire Luxor ancora in volo. Lo ferì al ventre,
strappandogli parte della pelliccia di lupo di cui era rivestito e pezzi di
pelle, prima di sbatterlo al suolo, sollevando poi l’arto e leccando il sangue
colante dai suoi unghioni. Inebriandosene.
Luxor ringhiò, affannando nel rimettersi in piedi. Spinse via alcuni Ulfhednir che gli si avvicinarono per aiutarlo a rialzarsi
e strinse i denti, pronto per attaccare di nuovo.
Conosceva quella sensazione, la stessa che ubriacava l’animo di Hati, la stessa di cui il branco dei massimi sostenitori di
Odino si nutriva. Quell’invasamento che li rendeva più simili ad animali che a
uomini, più simili al simbolo della loro esistenza.
“Lupo contro lupo, Hati! Zanna contro zanna!”
–Sibilò Luxor, espandendo il cosmo, come non faceva da tempo, da quando, asceso
al Valhalla, aveva rinunciato a esercitare la propria
energia interiore, preferendo un diverso tipo di approccio alla guerra. Lo
stesso che gli aveva permesso di sopravvivere nelle foreste di Midgard per anni, da solo, assieme ai lupi.
“Mossstrami quel che sssai
fare, mio bel gatto ssselvatico!” –Sghignazzò Hati, portando lo sguardo su di lui e aprendo la bocca, con
un movimento teso a soffiare in faccia a Luxor il suo fetido alito. Il suo
fiato che, al pari del fratello, poteva generare correnti di aria fredda.
“Denti del Lupo, azzannate!” –Esclamò colui un tempo investito
da Ilda del titolo di Cavaliere di Asgard della stella Epsilon UrsaeMajoris.
Da quanto tempo non pronunciava quelle parole. Dal suo ultimo scontro,
combattuto con Sirio il Dragone di fronte alla grande cascata gelata.
Era strano ricordare qualcosa che, sebbene avvenuto soltanto un anno
prima, aveva quasi rimosso. O semplicemente non vi aveva più prestato
attenzione. Da quando era asceso al Valhalla aveva
trascorso poco tempo con i vecchi compagni, uomini a cui in fondo non era
legato, avendo in comune soltanto l’essere appartenuti, per un breve arco di
tempo, alle schiere dei difensori di Midgard. Troppo
poco, per Luxor, per stabilire un legame maggiore che andasse al di là
dell’obbedienza alla Celebrante di Odino, donna che gli aveva donato l’armatura
appartenuta a suo padre e di fronte alla quale persino i suoi lupi si erano
prostrati.
Ricordava ancora la conversazione avuta con Odino il giorno stesso in
cui il Dio li aveva accolti nel Valhalla.
“C’è qualcosa che vorresti dirmi, giovane lupo?!” –Aveva chiesto il
nume a Luxor, ancora inginocchiato ai piedi dell’alto scranno, dopo che i suoi
quattro compagni si erano allontanati.
“Mio Signore…perché mi avete accolto
nel Valhalla? Non sono degno di questo onore!”
“Lo credi davvero? O
semplicemente non lo vuoi?”
“Non lo voglio, perché non
credo di essere uno di quei Campioni da cui meritate di essere difeso! Non ho
fede negli uomini, né negli Dei, solo in me stesso! Non potrei essere parte di
un gruppo!”
“Le tue crude parole sono
sincere e la vita che hai trascorso nei boschi, dopo la morte dei tuoi
genitori, ne è valida testimonianza! Credevo di farti gradito dono nel
permetterti di unirti alle schiere che hanno accolto anche tuo padre prima di
te! Se non altro per il piacere di rivederlo! Speravo, così facendo, di dare
calore al tuo freddo cuore solitario!”
“Io…
è passato tanto tempo… sono abituato a stare da solo.
A vivere da solo…”
“Se questo è il tuo volere, io
lo rispetterò!” –Aveva esclamato Odino alzandosi in piedi. –“Ma non credere di
potertene andare in giro per la terra degli Asi senza
far niente! Tutti qui hanno uno scopo ultimo, e lo avrai anche tu, sia pur
percorrendo una strada diversa da quella dei tuoi compagni! C’è qualcuno che
voglio presentarti… Qualcuno che forse potrebbe
essere interessato ad averti nel suo branco…”
“Branco?!” –Aveva balbettato
Luxor, non capendo.
“Branco sì! Potrai vivere con
loro nelle foreste di Ásaheimr, e al tempo stesso vivere da solo!
Spero però tu non voglia morire da solo! Sarebbe triste…
davvero triste!”
Come mai quelle parole gli tornassero in mente proprio adesso, nel
cuore dello scontro, Luxor non seppe spiegarselo. Dovette però fare attenzione
alla corrente di aria gelida emessa dalle fauci di Hati,
corrente in grado di rallentare il suo attacco, non troppo potente, e di
spingerlo indietro, fino a farlo schiantare contro le mura di un palazzo alle
sue spalle.
Gli altri Ulfhednir prontamente intervennero
in aiuto di colui che avevano scelto come guida, il guerriero sciamanico che
più di ogni altro era riuscito a fondersi con l’animale totem del loro branco.
Hati dovette difendersi su più fronti, mentre gli Ulfhednir
lo attaccavano con impeto, balzando su di lui, arrampicandosi sui suoi arti,
sulla sua coda, sul manto di pelo grigio, azzannando con i loro canini,
affondando le lunghe unghie predatrici. Non possedevano cosmo, né impugnavano
armi, ma facevano uso soltanto del corpo, proprio come i lupi, unico e
necessario strumento per vincere ogni caccia.
Guaendo irritato, il grande lupo di Járnviðr si sbarazzò dei suoi nemici, sbattendoli a
terra, calpestandoli e dilaniandoli con i suoi artigli, osservando il sangue
imbrattare il lastricato ove un tempo gli Asi
marciavano festosi, distribuendo sorrisi alle loro genti.
Luxor quei bei tempi non li aveva conosciuti né, se anche avesse
potuto, avrebbe mai preso parte ad alcuna parata o banchetto. Ciononostante non
aveva intenzione di cedere. Non tanto per onorare Odino, quanto per se stesso,
per l’impeto ferino che lo dominava e lo portava a non abbandonare mai alcuna
caccia una volta iniziata.
Si rialzò e si mosse così velocemente che Hati,
intento a squartare il petto di un Ulfhedinn, se ne
avvide soltanto quando le unghie del ragazzo gli lacerarono il mento,
strappandogli un ciuffo di peli argentati. Furioso, il grande lupo si avventò
sul guerriero di Odino, deciso a cavargli il cuore a morsi, quando fasci di
energia, simili a fauci di fiera, si schiantarono su di lui, obbligandolo a
balzare indietro, abbattendo, con il suo ingombrante movimento, parte di un
palazzo. Ydalir, l’antica residenza di Ullr, il Dio Cacciatore, per quanto poco vi avesse
dimorato, preferendo, al pari degli Ulfhednir, la
vita nei boschi e all’aria aperta.
“Chi osssadisssturbare
il mio pranzetto?!” –Sussurrò HatiHródvitnisson, fendendo l’aria torbida con i suoi occhi color diamante e
accorgendosi dell’elegante sagoma di un uomo che avanzava a passo fermo nella
sua direzione.
Rivestito da un’armatura blu, che Luxor ben conosceva, si
fermò solo a pochi passi dal ragazzo, in piedi al centro della strada,
porgendogli un sorriso così intenso, come mai l’aveva ricevuto.
“Daeron, questo è il mio nome!
Del casato dei Luxor!” –Esclamò l’uomo dai capelli celesti, riportando lo
sguardo su Hati e fronteggiandolo con fierezza. –“E
sono il padre del ragazzo che hai ferito!”
Luxor osservò il genitore per un lungo istante, ripescando
l’immagine dagli abissi della memoria. Una memoria di affetti che aveva
dimenticato. E dovette ammettere di non trovarlo poi così diverso da come
l’aveva visto l’ultima volta, quando, dimessa da anni l’armatura del Nord e
armato soltanto di un ramo, era morto nel tentativo di proteggere la sua
famiglia dall’aggressione di un orso.
“Padre…”
“Un doppio ssspuntino val bene
una doppia fatica!” –Commentò Hati, lanciandosi
avanti. Daeron si gettò di lato, afferrando Luxor e
trascinandolo con sé, evitando la carica del grande lupo. Spinse il figlio
dietro un muro, pregandolo di rimanervi fino al termine dello scontro, ma
quando fece per ritornare sulla strada Luxor lo fermò.
“Non pretenderai che mi nasconda, rifuggendo la
battaglia?!”
“Voglio solo che curi le tue ferite, senza affaticarti!
Lascialo a me!” –Si limitò a rispondere suo padre, voltandosi verso di lui.
“Faresti prima a chiedermi di suicidarmi allora!” –Commentò
Luxor bruscamente, oltrepassando Daeron e muovendosi
per tornare in strada.
“Luxor!” –Lo richiamò allora suo padre. –“Sono passati così
tanti anni… Ti prego, già una volta non ho potuto
impedire che alla donna che amavo fosse fatto del male! Concedimi almeno di
proteggere mio figlio! L’unico che ho!”
Il ragazzo non disse niente e, quando si mosse, fu per
balzare sul cornicione del muro, dove gli occhi di ghiaccio di Hati erano appena comparsi. –“Mi cercavi?!” –Ringhiò,
portando avanti il pugno destro, con gli artigli sguainati, deciso a
conficcarglieli negli occhi.
“Sssì!” –Rispose Hati, muovendo una zampa e colpendo il ragazzo in volo, scaraventandolo
a terra, con nuove ferite aperte.
“Luxor!!!” –Gridò Daeron, uscendo
da dietro il muro, con il cosmo acceso e il pugno chiuso. –“Denti del Lupo!!!”
I fendenti energetici ferirono Hati
in più punti, per quanto l’animale fu svelto a balzare indietro e a evitare di
essere raggiunto al volto. Nonostante fosse grosso e abile, era comunque
vulnerabile ad attacchi di tipo energetico, non avendo altra difesa che la sua
coriacea pelle.
“Non ho bisogno di te, padre! Non sono più un ragazzino
impaurito, rimasto orfano in una foresta! Sono uno dei guerrieri di Odino, un Ulfhedinn, e sono abituato a combattere da solo le mie
battaglie!” –Mormorò Luxor, rimettendosi in piedi.
“È per questo motivo che hai rifiutato la corazza della nostra casata?
Non credevo fosse vero, quando Freyr mi comunicò la
decisione di Odino che io ne fossi il portatore il giorno di Ragnarök! ‘Tuo figlio ha scelto pelli diverse!’ Mi aveva
detto il Principe dei Vani. E solo oggi, vedendoti, ho capito cosa intendesse!”
“Cos’è?! Non ti piaccio?!” –Si
lamentò Luxor, e in fondo non poté biasimare suo padre, ai cui occhi non
sarebbe apparso diverso da un selvaggio.
Magro, e più basso dei suoi
pari, aveva lunghi capelli grigiastri che svolazzavano nel vento e un viso
spigoloso, ornato da una barba poco curata. Come gli altri Ulfhednir,
indossava soltanto una pelle di lupo, che gli copriva l’anca e parte del petto,
ma ormai era rimasta solo una fascia attorno alla vita, su cui grondava il
sangue delle ferite aperte sul suo corpo.
“Non ho detto questo, né mai lo dirò!” –Esclamò suo padre.
Ma prima che potesse aggiungere altro dovette difendersi dalla rinnovata carica
di Hati, che balzò su di loro a zanne digrignate,
scavalcando un gruppetto di devoti guerrieri.
“Attento!!!” –Gridò Daeron,
spostandosi in fretta, mentre il figlio faceva altrettanto, gettandosi
sull’altro lato della strada. Hati si volse allora
verso di lui, mentre l’uomo concentrava nuovamente il cosmo attorno al pugno
destro, e lo anticipò, colpendolo con una zampata in pieno volto e sbattendolo
a terra.
Nell’urto il Campione di Odino perse l’elmo, che rotolò
distante, mentre un ruscello di sangue gli imbrattava il volto. Ma grazie alla
protezione della corazza non riportò ferite maggiori. Furono comunque
sufficienti per infervorare ulteriormente l’animo bestiale di Hati, che si mosse per balzare su di lui.
“Hai dimenticato qualcosa!” –Esclamò la squillante voce di
Luxor, ponendosi in mezzo ai due contendenti e lanciandosi contro un arto del
lupo. –“Quando si inizia una caccia, non c’è modo di sottrarsi alla sua fine. O
si vince o si perde, questa è la regola!” –Nel dir questo si aggrappò al folto
pelo grigio, piantando le sue unghie affilate e strappando un grido al lupo di Járnviðr, che si agitò, cercando di liberarsi di lui.
Con l’altra zampa, sbatté Luxor nel terreno, affondando gli artigli nella sua
pelle, ma quando sollevò l’arto destro, dovette muoverlo per parare violenti
fendenti energetici che Daeron aveva intanto diretto
contro di lui.
L’attacco di energia cosmica spinse Hati
indietro, aprendogli nuovi squarci sul corpo, dove chiazze purpuree iniziarono
a maculargli il pelo, togliendogli parte del suo smalto argenteo.
“Come hai fatto a trovarmi?” –Domandò allora Luxor a suo
padre.
“Stavo andando a Vígridhr, dove Tyr ha radunato il grosso dell’esercito di Einherjar, quando ho sentito avvampare il tuo cosmo. Una
fiammella quasi, nel caos che sovrasta Asgard, ma sufficiente per farmi notare
quanto fosse simile al mio!”
“Non siamo simili, padre. Tu sei stato un eroe, un
Cavaliere che ha combattuto per difendere Asgard, fedele sostenitore della
corona nella guerra di Iisung. E sei stato un buon
marito. Idri potrebbe testimoniarlo! Io invece sono
solo, come un lupo, e come tale combatterò!” –Esclamò Luxor, incamminandosi a
fatica lungo la strada, lasciando dietro di sé una scia di sangue.
“No, non lo sei! Perché io sono con te!” –Lo chiamò Daeron. –“Che tu voglia accettarlo o meno, moriremo insieme
quest’oggi, figlio mio! La foresta ti ha fatto da madre, i lupi ti hanno fatto
da fratelli, la solitudine ti è stata compagna! Ma che le mie parole, e i miei
gesti, possano ricordarti che solo non sei!” –Non disse altro e scattò avanti,
sorpassando Luxor e avvampando nel suo cosmo azzurro.
Hati, ripresosi, fronteggiò l’assalto
dell’uomo, liberando il suo alito freddo, che come una corrente di gelo
ghiacciò parte degli affondi energetici di Daeron,
disperdendone altri e facendo sì che venisse raggiunto solo in un paio di
punti. Due sole ferite, ma sufficienti per farlo barcollare. Daeron approfittò di quel momento per balzare su di lui, ma
Hati fu più lesto e lo sbatté al suolo, staccandogli
la testa con una zampata dei suoi mastodontici artigli, di fronte allo sguardo
raggelato di Luxor.
Rotolò fino ai suoi piedi, l’aggrovigliata matassa di
capelli sporchi di sangue, il volto fermo, con le labbra ancora contratte nelle
ultime parole che aveva rivolto al figlio.
“Solo non sei! Sei mio figlio, un figlio degli uomini!”
L’antico Cavaliere di Asgard sollevò lo sguardo verso Hati, portando il braccio avanti e chiudendo il pugno, in
chiaro segno di sfida, mentre tutto attorno a sé avvampava il cosmo che gli
apparteneva, carico delle reminescenze del suo glorioso casato.
“Per quel che può valere, padre…”
–Mormorò, lanciandosi avanti, mentre già l’alito freddo dell’ancestrale
creatura lo investiva, gelandogli la pelle e le magre ossa. –“Ti ho sempre
ricordato, ti ho sempre portato nel cuore! Assieme a Idri
e a King! Voi, e i lupi, le mie due famiglie! Per onorarvi scateno i Lupi
nella Tormenta!!!”
Gli affondi energetici dilaniarono la carne del fratello di
Skoll, strappandogli ringhi rabbiosi, mentre ovunque
schizzava il sangue scuro della bestia, imbrattando persino Luxor, che a tale
odore era comunque avvezzo. Il ragazzo evitò una zampata di Hati,
balzando sul suo dorso e affondando gli artigli nella carne, scaricandovi tutto
quel che restava del suo potenziale cosmico. Gli altri Ulfhednir
rimasero paralizzati, attorno al grande lupo, ad osservarne il corpo straziato,
pervaso da grida che parevano non esaurirsi.
Fu un fascio di energia a porre fine alla sua vita,
un’unica e precisa retta luminosa che lo raggiunse al centro del muso,
trapassandolo e facendolo crollare a terra, mentre Luxor veniva sbalzato via a
sua volta. Quando la luce scemò di intensità, i guerrieri fedeli a Odino
poterono ammirare una lunga lancia conficcata nel cranio della bestia. Una
lancia che ben conoscevano, avendola rimirata in mano al Capo delle Schiere
ogni volta in cui l’avevano seguito in battaglia.
E proprio Odino Herran, il
Signore Supremo degli Asi, apparve pochi istanti
dopo dall’altro lato della strada dove lo scontro tra Hati
e gli Ulfhednir si era consumato, con Geri e Freki ai suoi lati.
Splendido, in groppa a Sleipnir,
il nume sapiente e terribile si avvicinò al gruppo di sopravvissuti, aprendo il
palmo della mano destra e richiamando a sé la sua arma, che si staccò dal muso
di Hati, illuminandosi, prima di tornare nella salda
presa di colui che con essa poteva frantumare mondi.
“Gungnir! Forgiata dai nani!”
–Esclamò il Padre di Tutti, ai cui piedi gli Ulfhednir
ancora in vita si inginocchiarono. –“Sentiti onorato di questa fine, immondo
animale figlio dell’ombra! Non è da tutti essere immolati dalla lancia di un
Dio!”
“Mio Signore…” –Fece per parlare uno dei
guerrieri, indicando i feriti, ma Odino lo zittì con un cenno della mano,
volgendo il cavallo e preparandosi per correre via.
“Ci sarà tempo per onorare i caduti e curare i feriti! Ma non adesso!
Adesso la guerra ci attende, un inferno di fuoco che sta abbrustolendo la
Roccia del Cielo!” –Declamò, prima di spingere Sleipnir
avanti. –“Seguitemi, Mantelli di Lupo! Una festa vi attende, il banchetto dei
corvi e dei lupi!”
Gli Ulfhednir obbedirono senza esitazione,
ululando e scattando ai fianchi di Odino, lasciandosi alle spalle il corpo
ferito di Luxor, crollato a terra a pochi metri dalle carcasse senza vita di Hati e di suo padre.
Non hai deluso le mie aspettative, Giovane Lupo. Pensò il Padre di Tutti. E sono lieto
che, anche solo per breve tempo, tu abbia rivisto tuo padre e vi siate potuti
parlare. Credi alle sue parole; anch’io, al par suo, temo per i miei figli.
Sospirò, avanzando nella direzione da cui provenivano fiamme e fumo e
ricordando le ultime parole della Veggente.
Chi vivrà degli uomini quando sarà trascorso quel famoso Fimbulvetr tra i mortali?
La realtà fu peggiore persino delle sue aspettative. Questo Odino
dovette ammetterlo, quando comparve ai margini di Ásaheimr,
nella valle, un tempo fiorita, che conduceva alla beatitudine di Himinbjörg.
Là, Vidharr, suo
figlio, stava guidando i Giganti fedeli al Valhalla,
assieme alle prime schiere di Nani e di Einherjar che
assieme a lui avevano varcato Valgrind. Ma prima di
loro, le legioni femminili di Odino erano giunte a portare aiuto al prode Heimdall, le splendide Valchirie guidate da Brunilde, le cui schiere si erano assottigliate a causa del
violento attacco scatenato dai Giganti di Fuoco. Un’orda demoniaca a cui non
avevano potuto opporsi.
“Padre!” –Esclamò Vidharr,
correndo incontro a Odino, mentre gli Ulfhednir, Geri
e Freki scattavano avanti, in aiuto alle Valchirie e
agli Jötnar. –“La situazione è tragica! Il Dio Bianco e
Brunilde sono riusciti a contrastare l’avanzata dei
Soldati di Brina, ma quando i figli di Muspell hanno
distrutto Bifrost, non hanno potuto fare altro che
ripiegare, permettendo agli eserciti di Loki di
invadere Ásaheimr. Molte residenze sono state saccheggiate e nelle strade di Asgard ho
sentito combattere!”
“L’ho visto,
figlio mio! Proprio là mi ero recato, attirato dallo spegnersi continuo di
cosmi a me cari!” –Commentò il nume, prima di spostare lo sguardo dai lunghi
capelli marroni di Vidharr al rosso assassino delle
fiamme di Muspell.
L’intero declivio
che un tempo conduceva alla residenza di Heimdall e
al Ponte degli Dei era un oceano di fuoco, dove vampe continue si innalzavano
al cielo, saturo di quel fumo che, spinto dai venti, stava ormai ricoprendo
l’intera Asgard. Ovunque il Dio posasse lo sguardo riusciva a scorgere
mostruose figure che parevano composte di pura fiamma, che ondeggiavano silenti
prima di abbattersi contro i suoi guerrieri o i Giganti a lui fedeli,
trapassandone i corpi, incendiandoli, incenerendoli.
Proprio da quel mucchio di fiamme, Odino vide arrivare due cavalli,
sopra i quali si ergevano, stanche e affumicate, l’impavida Brunilde
e la sua seconda in comando, Hnoss dalle trecce
d’oro. Proprio lei, la bella figlia di Freya, portava
con sé il corpo stanco del Custode del Ponte Arcobaleno, che trovò comunque la
forza di smontare da cavallo e inginocchiarsi di fronte a Odino.
“Sommo Wotan…” –Tossì Heimdall,
prima di rimettersi in piedi, aiutato da Vidharr.
–“Abbiamo cercato di fare quanto in nostro potere…”
“Lo so, mio buon amico! Lo so!” –Si limitò a commentare Odino,
osservando le condizioni in cui versava il nobile Guardiano. La sua Veste
Divina era danneggiata in più punti, annerita dai fumi in mezzo ai quali aveva
combattuto finora. Una ferita alla spalla gli aveva imbrattato di sangue il
braccio sinistro e un’altra gli segnava la fronte. Pur tuttavia Heimdall si ergeva ancora, l’ascia stretta in mano, il Gjallarhorn ammaccato affisso alla cintura.
“Attenti!!!” –Gridò Vidharr, indicando una
palla di fuoco che, scagliata da qualche Gigante di Muspellheimr,
stava per schiantarsi su di loro. Congiunse le mani, evocando una barriera
protettiva che ricoprì tutti i loro corpi, mentre Odino sollevava la lancia,
che emise un sottile ma potentissimo raggio di luce capace di distruggere la
sfera incandescente all’istante. Le scintille infuocate non raggiunsero nessuno
dei presenti, riparati dietro il velo di energia di Vidharr.
“È in questo modo che abbiamo resistito finora, contenendo le perdite!
Ma non possiamo rimanere inerti in difesa, né i miei poteri potranno durare per
sempre!”
“Vidharr dice il vero, mio Signore!”
–Intervenne Brunilde. –“Avremmo bisogno di Einherjar dotati di poteri congelanti o capaci di
controllare l’acqua e la pioggia! E solo le Norne
sanno quanta ce ne vorrà per spegnere quest’incendio senza fine!”
“Rimpiango di non avere Njörðr al mio
fianco! Il Dio dei Venti avrebbe spento senza problemi queste maledette
fiammelle!” –Ringhiò Odino, sollevando di nuovo Gungnir
e distruggendo una seconda sfera infuocata che stava piovendo su di loro.
Ma gli Dei e le Valchirie non ebbero tempo di
parlare d’altro che un paio di enormi sagome, di fiamme e magma composte, si
ersero loro di fronte, allungando le braccia nella loro direzione. Odino spinse
Sleipnir verso destra, evitando i fiotti
incandescenti, mentre Brunilde e Hnoss,
recuperato Heimdall, sfrecciarono nella direzione
opposta, in groppa ai loro destrieri, ben allenati ma stanchi.
Soltanto Vidharr,
l’Ase Silenzioso, rimase impassibile al suo posto, le
mani giunte e il cosmo radunato attorno a sé in modo da creare un velo, leggero
ma indistruttibile, su cui la fiumana di magma scivolò via, senza raggiungere
il suo corpo al di sotto.
“Dobbiamo aiutarlo! Non potrà rimanere
bloccato in quel guscio per sempre!” –Esclamò Brunilde,
agitando le briglie del cavallo e spingendolo a tornare indietro, mentre il
cosmo si espandeva attorno a sé. –“Cavalcata delle Valchirie!!!” –Gridò,
sollevando un vento freddo che diresse contro le due figure di puro fuoco, che
videro sfrecciare verso di loro un esercito di guerriere armate composte di
aria e nuvole.
“Non è potente come quelli del Dio del Vento e della Navigazione il mio
attacco, ma se posso essere utile sarò lieta di dare la vita, come le mie
sorelle hanno fatto prima di me!” –Disse, mentre anche Hnoss
univa il cosmo a quello della sua comandante.
“Parole audaci, bella Brunilde! Parole che
condivido appieno!” –Replicò Heimdall, scendendo di
sella e bruciando il cosmo. –“Corno risuonante!” –Gridò, sommando il
proprio potere a quello delle Valchirie, sì da infondere maggior potenza ai
venti scatenati da Brunilde, unica, tra i presenti,
dotata di un potere che potesse, se non spegnere, quantomeno disperdere le
fiamme avverse.
I tre riuscirono nel loro intento, proprio mentre Odino tornava a
fianco di Vidharr, che aveva appena tolto il suo velo
difensivo, annientando, con un’esplosione di energia, la lava e le fiamme che
lo avevano imprigionato.
Non riuscirono neppure a gioire che già nuovi Giganti di Fuoco
marciarono verso di loro, attratti da quel gruppetto che pareva resistere alla
loro marcia.
Odino puntò la lancia, pronto per colpire, mentre Brunilde,
Hnoss e Heimdall, disposti
i cavalli di fronte al Signore degli Asi, espandevano
i loro cosmi e Vidharr sollevava di nuovo la barriera
protettiva. Furono tre voci a sorprenderli però, voci che non provenivano
dall’inferno di fronte a loro, bensì dalle loro spalle.
“Serve del ghiaccio, mio Signore?!” –Esclamarono tre ragazzi, mentre
una tempesta di gelo si scatenava contro i Giganti di Muspell,
fermando la loro avanzata e tramutandoli in rozze statue di ghiaccio, che
andarono in frantumi poco dopo.
Il Padre delle Schiere si voltò, avendo riconosciuto le voci, e sorrise
a due suoi Einherjar, Mizar
e Artax, che accompagnavano il biondo Cavaliere di
Atena a cui la sorella della sua Celebrante a Midgard
si era unita, Cristal il Cigno.
Capitolo 20 *** Capitolo diciottesimo: Padri e figli ***
CAPITOLO DICIOTTESIMO: PADRI E FIGLI.
Odino sorrise alla vista di due dei cinque Einherjar
che aveva inviato lungo le radici di Yggdrasill, e fu
ancora più contento nel vedere che erano accompagnati da Cristal
il Cigno, il Cavaliere di Atena che meglio conosceva, avendolo ospitato in
occasione di due suoi precedenti soggiorni.
“Mizar! Artax!
Siete dunque tornati dagli altri mondi?”
“Sì, mio Signore!” –Esclamarono i due guerrieri, inginocchiandosi ai
piedi del Padre di Tutti. –“Le vostre previsioni erano esatte! La Celebrante di
Odino ha aperto infatti ai Cavalieri di Atena la segreta via che, tramite gli
antichi portali, conduceva ai mondi, permettendo loro di giungere in nostro
aiuto!”
“E dove sono gli altri?”
“Si sono separati! Di Dragone non abbiamo notizie, ma Pegasus sta affrontando il Serpe del Mondo di fronte al Valhalla! Il suo agitarsi continuo ha distrutto i ponti sul
Thund, separandomi dal Cavaliere delle Stelle che era
giunto nella Terra dei Nani!”
“Un Cavaliere delle Stelle?!” –Mormorò Odino, con acceso interesse.
“Sì, Avalon ha inviato Jonathan di Dinasty e
una compagna in nostro aiuto! Credo si siano diretti a Vígridhr, assieme a
Orion, Mime e al Cavaliere
di Andromeda!”
“Di questo sono lieto! Ogni aiuto in più è ben accetto, soprattutto
esperti combattenti addestrati dal Signore dell’Isola Sacra in persona!”
–Commentò il Dio, prima di spostare lo sguardo su Cristal.
–“Mi fa piacere rivederti, Cavaliere del Cigno!”
“Fa piacere anche a me, Signore degli Asi!”
–Esclamò il ragazzo, accennando un inchino, senza riuscire a nascondere il
dolore che sentiva ancora per le ferite riportate durante lo scontro con Beli.
Strinse i denti, ma il gesto non sfuggì a Odino che posò poi lo sguardo su Artax, che raccontò l’accaduto.
“I figli di Muspell… sono qua…”
–Mormorò il Cavaliere, prima di guardarsi attorno e vedere l’aria satura di
fiamme e fumo.
“E noi dobbiamo tenerli a bada!” –Esclamò Odino, prima di gridare a
tutti i presenti di spostarsi, poiché enormi vampate di fuoco stavano ardendo
il terreno, sfrecciando nella loro direzione, quasi fossero serpenti di pura
fiamma. –“Attenti!!!”
Cristal, Artax e Mizar
scattarono avanti, avvolti nei loro gelidi cosmi, mentre Vidharr
sollevava nuovamente il manto protettivo, giusto in tempo per evitare che le
Valchirie e i loro cavalli venissero travolti dall’incendiario assalto.
“Polvere di Diamanti!!!” –Gridò il Cavaliere di Atena, portando
il braccio destro avanti e liberando un getto di energia congelante che rivestì
le fiamme di uno strato di ghiaccio, che subito andò in frantumi. Ma altre,
neppure un istante dopo, già le avevano sostituite, riempiendo l’aria di un
calore allucinante.
“Nevi di Asgard, cadete!!!” –Esclamò allora Artax,
affiancato da Mizar. –“In nome dei Ghiacci Eterni!”
I due attacchi congelarono l’inferno che li aveva attorniati,
concedendo ai presenti un po’ di respiro. Erano rimasti pochi Soldati di Brina
a Himinbjörg, avendo Erik ordinato alla quasi totalità di
marciare su Vígridhr, dove avrebbero incontrato Loki,
lasciando il campo ai Giganti di Fuoco. Ma quei pochi pensarono di approfittare
del momentaneo calo di fiamme per scagliarsi all’assalto di Odino e dei suoi
compagni.
“Poveri stolti!” –Commentò Mizar.
–“Rispetto alle fiamme di Muspell, ben misero timore
incutono in me!” –E sfrecciò in mezzo a loro, con il cosmo scintillante tra le
dita, artigliando i fianchi nemici, strappando le loro tute protettive e
facendoli urlare di dolore, mentre le unghie della tigre del nord falciavano le
loro vite.
In quel momento, Heimdall si
avvicinò a Cristal, ansimando per lo sforzo continuo
a cui era stato sottoposto. Il Cavaliere del Cigno quasi non riconobbe il
Custode di Bifrost, solitamente perfetto negli abiti
e nella postura, mentre adesso, scompigliato e ferito, assomigliava più a un
rustico guerriero che non alla Sentinella Celeste.
“Cavaliere di Atena… Devo
parlarti!” –Affermò, posando una mano su una spalla del ragazzo. –“Mia è la
colpa! Non sono riuscito a capire… eppure, avrei
dovuto!”
“Heimdall…” –Mormorò Cristal, non capendo a cosa si riferisse. E anche Odino si
avvicinò, intuendo quel che si agitava nell’animo del Custode di Ásbrú.
“La Principessa di Midgard…
sorella della Celebrante… lei è giunta a Bifrost con Loki, ma io non avevo
capito… che era sua prigioniera!” –Balbettò,
raccontando a Cristal il modo in cui l’Ase lo aveva ingannato. –“Avrei dovuto prestare più
attenzione, leggere i tormenti nel suo cuore… ma non
l’ho fatto, li ho lasciati entrare! Ho permesso al Grande Ingannatore di
violare il suolo di Asgard!”
“Non biasimarti, vecchio amico! Hai svolto il
tuo lavoro bene come sempre! Gli inganni di Loki, i
suoi malefici, sappiamo bene quanto siano perfetti! Ricordi quando, secoli
addietro, tentò di uccidere mio figlio? Si mutò in una vecchia di nome Thokk, offrendosi per guarirlo dagli incubi che aveva.
Nessuno sospettò di lui, neppure io né la mia adorata Frigg,
che trascorreva le giornate accanto al letto di Balder!
Perciò non sentirti in colpa, perché non devi, ma sentiti fiero del servigio
che hai reso a Asgard per tutti questi millenni, difendendola da molti
pericoli!”
“Ma non da questo!” –Commentò Heimdall chinando il capo, vittima dei sensi di colpa.
–“Non dall’unico a cui avrei davvero dovuto porre attenzione! Ho fallito, mio
Signore, e pagherò, lo giuro, pagherò per questa mia mancanza! Anche con la
vita!”
“Se davvero vuoi espiare le tue colpe, quali
che siano, Custode del Ponte Arcobaleno, allora aiutami a salvare Flare! Sarà la punizione migliore che potresti ricevere, il
modo per liberarti dai tuoi fantasmi! Ed io sarò onorato di combattere al tuo
fianco!” –Esclamò Cristal con un sorriso. –“Portami
da Loki, adesso! Devo trovare la Principessa, l’ho
promesso a Ilda! E a me stesso!”
Heimdall fissò per qualche
istante il Cavaliere di Atena, gli occhi lucidi per i sensi di colpa e per le
belle parole che gli aveva rivolto, forse l’unico, in tanti secoli, che aveva
suscitato in lui simpatia e ammirazione. Colui che adesso gli porgeva la mano,
da stringere per suggellare il loro patto. Un patto a cui avrebbero prestato
fede fintantoché Flare non fosse stata al sicuro.
“Dov’è Loki?”
–Chiese Cristal.
“Nello stesso luogo da cui sorgono strida infernali
e urli di guerra! A Vígridhr!” –Ripose Heimdall, prima che lo
scalpitio dei cavalli delle Valchirie si facesse sempre più vicino e le
eleganti sagome di Brunilde e di Hnoss
li sovrastassero.
“Vi porteremo noi, Cavaliere di Atena! I nostri destrieri
corrono rapidi come fulmini, senza neppure sfiorare il terreno! Non vi sono
animali più veloci in tutta Ásaheimr!”
“Sarò ben felice di provarlo, Regina delle Valchirie!” –Esclamò Cristal, montando in sella dietro a Brunilde,
mentre Heimdall saliva sul cavallo della figlia di Freya. –“Ci raggiungerai, mio Signore?” –Aggiunse,
rivolgendosi a Odino.
“Quanto prima!” –Si limitò a rispondere il Dio, mentre le Valchirie
scuotevano le briglie dei destrieri, lanciandoli al galoppo lungo il rilievo
che li avrebbe condotti prima all’interno della città di Asgard, poi a Vígridhr.
Fu in quel momento che percepì qualcosa, uno strillo
mostruoso che parve scuotere i mondi. Una vampa di veleno si erse in mezzo al
fiume Thund, inquinando l’eterea aria del Regno degli
Asi. Odino puntò lo sguardo in quella nera caligine
e, anche senza Huginn e Muginn
al suo fianco, fu ben in grado di vedervi attraverso, fu ben in grado di
rimirare lo sfolgorante cosmo del Primo Cavaliere di Atena intento a lottare
contro il Serpe del Mondo, uno dei primordiali nemici di Asgard. Per
ricompensarlo dell’aiuto, e facilitarlo nello scontro, pensò bene di fargli un
dono.
Qualcosa che Pegasus già conosce
e che ha stretto in mano in un’altra occasione, in cui ugualmente ha dato prova
del suo valore!
Mormorò il Dio, sfiorando la spada dalla lama simile a ghiaccio che portava
alla cintura. La affido a te, Cavaliere della Speranza! Disse, prima di
riportare lo sguardo sul pendio infuocato dove gli Jötnar stavano morendo, nel tentativo di contrastare
l’avanzata dei figli di Muspell, aiutati da Vidharr e, adesso, dagli Ulfhednir
superstiti e da Mizar.
Solo in quel
momento si accorse che Artax era scomparso.
***
Nella piana di Vígridhr si combatteva ovunque.
L’esercito degli Einherjar,
guidato da Tyr il Monco, era piombato
sull’accozzaglia di defunti usciti dalle Porte di Hel
e su Loki e i suoi figli prima che potessero varcare
il Thund e portarsi così a ridosso del Valhalla. Ma qualcosa, nel sorriso divertito del Burlone
Divino, aveva fatto presagire al Nume della Guerra che l’antico rivale di Odino non ne avesse avuto
intenzione, non per il momento almeno, preferendo affrontare i nemici in campo
aperto. Il vero motivo lo aveva avuto chiaro dopo neppure un’ora di
combattimenti, quando il fianco sinistro del loro schieramento era stato
attaccato da migliaia di Soldati di Brina, gli stessi che Erik e gli Dei di
Vittoria avevano condotto a Himinbjörg per
lasciarla poi in balia dei Giganti di Fuoco.
Approfittando del caos susseguente all’arrivo
dei figli di Muspell, e allo schianto di Bifrost, il comandante dei Sigtívaraveva guidato
i suoi guerrieri a Vígridhr, come concordato con Loki, per
aggredire gli Einherjar su un secondo fianco e
spezzarne le linee. Nel giro di pochi minuti il caos era avvampato e gli
ordinati schieramenti si erano mescolati, dando vita a zuffe furibonde che
stavano insanguinando l’intera piana.
“Così, se il Guercio fosse seduto sull’alto scranno,
potrebbe ammirare il ruscellare macabro del sangue!”
–Sibilò Loki, in piedi sullo scuro manto di Fenrir, osservando i Soldati di Brina e l’esercito di
defunti massacrare e venire massacrati dai Campioni di Odino, in quello che si
stava sempre più prospettando come un bagno di sangue.
Accarezzò divertito il manto del figlio, solleticandone
l’appetito, e fece giusto in tempo a sedersi, affondando nel folto pelo, per
non essere sbalzato via dall’improvvisa carica del grande lupo, che piombò su
un mucchio di Einherjar, sventrandoli con un sol
colpo di zampa, prima di puntare su una preda ben più consistente. Il tarchiato
corpo di Bragi si ergeva poco distante, intento, sia
pur con malagrazia, a difendersi con fasci di energia dagli attacchi di alcuni
Soldati di Brina.
“Una bella bistecca! Immaginalo così! Grassa e succulenta!”
–Rise il figlio di Farbauti e Laufey,
mentre Fenrir digrignava i denti, lasciando che
fiotti di bava si riversassero sul terreno e su coloro che avevano la sfortuna
di trovarsi sotto di lui in quella che ormai era diventata una guerra per la
sopravvivenza reciproca.
Proprio all’interno di quella mischia si erano ritrovati Orion, Andromeda e Mime. Pur
continuando a pensare a Reis e a Pegasus,
il primo prese posizione assieme agli Einherjar suoi
compagni, mentre i secondi corsero in aiuto dell’uomo a cui il musico di Asgard
doveva parte della sua formazione. Oltre che la sua vita terrena.
Alto e robusto, con un viso arcigno incorniciato da lunghi
capelli poco curati, una fitta barba e baffi scuri, Folken
menava colpi a destra e a sinistra, abbattendo tutti i nemici che tentavano di
sbarrargli il passo, risoluto come solo un guerriero forgiato sui campi di
battaglia sapeva essere. Indossava una cotta protettiva in bronzo e rame,
sfregiata in più punti dai colpi subiti, e impugnava saldamente una spada la
cui lama grondava sangue oscuro.
Mime non lo aveva mai visto
combattere, ma quando era ragazzino aveva udito spesso i racconti della gente,
che si riferivano a suo padre come al più grande guerriero mai esistito, al
punto da definirlo invincibile. Qualcuno addirittura lo aveva considerato
l’erede di Sigfrido, ben prima che Orion uccidesse il
drago Fafnir. Che fossero gonfiati o meno, quei
racconti lo avevano comunque impressionato, spingendolo a cercare nei canti
degli eroi leggendari la forza per sopravvivere.
Folken non apprezzava che il figlio
sprecasse tanto tempo a suonare la cetra, da solo o circondato dagli animali
della foresta, disprezzando quell’arte da signorine, poco adatta al ruvido
animo di un guerriero, come avrebbe desiderato che Mime
diventasse. Come Mimedoveva diventare se
voleva sopravvivere all’inverno.
E, a modo suo, il ragazzo aveva obbedito, divenendo un
Cavaliere abile e potente, ma senza rinunciare alla sua musica, ai canti e alle
belle note, che lo rendevano vivo e gli permettevano di coprire, sia pur con un
velo di melodiosa ipocrisia, i massacri della guerra. Folken
non era vissuto abbastanza per veder compiersi il suo cammino, morendo prima
che il figlio ottenesse l’armatura del Nord. Morendo proprio per mano sua.
“Ma tutto questo accadeva una vita fa!” –Si disse il musico
dai capelli arancioni. –“Quando il rancore dominava il mio cuore e muoveva i
miei passi! Rancore diretto soprattutto verso me stesso!” –Aggiunse, evitando
l’affondo di un nemico e colpendolo poi con un calcio allo sterno, che lo
scaraventò contro altri, sbattendoli a terra. Aveva già avuto modo di
verificare che la musica non aveva effetto sugli avversarsi che provenivano da Hel, in quanto defunti, dovendo quindi far sfoggio della
sua forza fisica, che certo non gli mancava.
“I morti non hanno un buon orecchio per le tue melodie!”
–Aveva commentato Folken, mulinando la sua lama e
staccando la testa di un defunto risorto. –“Troppo abituati alle strida
dell’inferno!”
La sua sicurezza battagliera si era spenta dopo poco, quando
un grosso cane dal pelo fulvo era piombato su di loro, cavalcato dalla donna
più orrida che avessero mai visto, se donna poteva ancora definirsi.
Con un solo movimento della scopa che reggeva in mano, la
strega si era liberata di Andromeda, scaraventandolo indietro con un’onda di
energia, proprio nel mezzo di un mucchio di defunti, che subito si avventarono
su di lui, obbligandolo a scatenare la furia della catena per tenerli a bada.
E, nonostante Mime avesse prontamente intrappolato il
rozzo cane in un reticolato di fili, cercando di dilaniarne le carni, questi le
aveva distrutte con una zampata, balzando poi su di lui e sbattendolo a terra.
“Mime!!!” –Ringhiò Folken, alla vista del figlio ferito. E corse avanti, lama
in pugno, mirando al volto della bestia. Ma Hel lo
fermò, semplicemente poggiando lo sguardo su di lui. Il suo duplice sguardo,
per metà di donna, per metà di vecchia consunta.
“Ighigh!
Sono ormai trascorsi i tempi dei Campioni di Odino! Quel che resta delle sue
schiere è bene che sia spazzato via!” –Parlò infine, con voce raschiata,
sollevando la scopa di saggina. –“Così! Con un sol colpo di ramazza!” –E, nel
dir questo, mosse l’utensile, generando un’onda di energia che sbatté Folken a terra, strappandogli la spada di mano.
L’antico guerriero fece per rialzarsi ma si accorse che
qualcosa lo stava tenendo a terra, qualcosa di forte, simile alla pressione del
piede di un gigante. Riuscì a roteare la testa, stringendo i denti per lo
sforzo, e inorridì nel vedere che quel che lo stava bloccando era un semplice
filo di saggina. Un filo che si era arrotolato attorno al suo collo e alle sue
braccia, conficcandosi nel terreno, e impedendogli di rialzarsi, deciso a
recidere la sua vita.
Sentendosi pervadere da un senso di frustrazione per non
poter agire, e di umiliazione per vedersi impossibilitato a combattere da un
così ridicolo pretesto, Folken fece avvampare il suo
cosmo biancastro, nel tentativo di incendiare il filo di saggina, ma non vi
riuscì, mentre Hel, ancora in piedi su Garmr, ridacchiava, sputacchiando ad ogni colpo di gola.
“Se così tanto ami stritolare la gente, lascia che anch’io
ti mostri la tecnica offensiva della mia cetra!” –Esclamò allora Mime, richiamando l’attenzione della Regina degli Inferi,
che volse il divertito sguardo verso il musico rimessosi in piedi. –“Non è poi
così dissimile dalla tua!” –Aggiunse, espandendo il cosmo e saturando l’aria di
migliaia di fili bianchi, che frenarono la rinnovata corsa di Garmr, tagliandogli pezzi di pelo e di pelle,
intrappolandolo al suo interno, chiudendogli persino la bocca.
Ma Hel, nient’affatto intimorita,
si limitò a spazzar via le corde che si chiusero su di lei con un semplice
movimento della scopa, evitandone altre con destrezza, fluttuando all’interno
di quel groviglio con una grazia irreale. Quasi fosse intangibile.
Mime sgranò gli occhi inorridito
quando vide la figlia di Loki scomparire,
dissolvendosi nell’aria, e i suoi fili aggrovigliarsi tra loro, afferrando il
nulla.
“Che cosa?! Dov’è finita?” –Mormorò, fendendo l’aria
attorno con i suoi sensi acuti.
Vide Garmr che si dimenava
all’interno del groviglio di corde, Folken che
tentava di strappar via il filo di saggina, due Einherjar
che cadevano al suolo alla sua destra, tre defunti che venivano decapitati
dalla spada di Tyr alle spalle di Garmr.
Ma di Hel nessuna traccia. Possibile che sia
scomparsa?
“Una cosa devi ben tenere a mente!” –Gli parlò infine la
sua ruvida voce, senza che Mime riuscisse a
comprendere da dove provenisse. –“La donna che avevi di fronte, per quanto di
stracci vestita, è una Divinità! E delle più pericolose!” –Aggiunse, mentre la
sua sagoma sgraziata ricompariva alle spalle del ragazzo, con il braccio destro
sollevato e un pugnale dalla lama ricurva in mano.
“Aaargh!!!” –Gridò Mime, mentre Hel piantava Sulltr, il Coltello della Carestia, nella sua schiena,
facendovi fluire parte del suo cosmo venefico.
“Tienilo a mente, questo mio misero insegnamento! Chissà… potrebbe anche esserti utile…
qualora tu vivessi una terza vita! Ighighigh!” –Rise la Sovrana degli
Inferi, mentre Mime si accasciava sulle ginocchia, lo
schienale dell’armatura macchiato da una sempre più nitida chiazza rossa.
“Li lascio a te, mio bel cagnolino! Il più e il meglio l’ho
fatto! Occupati delle loro carcasse e buon appetito! Ighighigh!” –Esclamò,
allontanandosi, sempre con la scopa in mano, per strappare la vita ad altri Einherjar.
Mime rimase a terra, boccheggiando
per lo sforzo. La ferita non era tanto profonda, ma la lama di quel vecchio
pugnale doveva essere intrisa di chissà quale veleno, rendendogli difficile la
respirazione e annebbiata la vista.
Proprio in quel momento Garmr
strappò gli ultimi fili che lo immobilizzavano, muovendosi per lanciarsi su Folken. Bastò quello a far reagire Mime,
a farlo rialzare, con il cosmo concentrato nella mano e mille fasci di energia
che riempirono l’aria, falciandola come le righe di un pentagramma.
Il mastino guaì, raggiunto dai precisi attacchi, e fiotti
di sangue iniziarono a zampillare dal suo corpo, mentre Mime
si chinava su Folken, recidendo il filo di saggina
con i suoi raggi energetici.
“Vattene via, Mime!” –Gridò suo
padre, ansimando nel rimettersi in piedi, con i polsi e il collo lividi e
sanguinanti per la stretta mortale.
“No!” –Rispose semplicemente il ragazzo, mettendo in
quell’unica parola tutta la sua dignità di Cavaliere. E di figlio.
Garmr scattò nuovamente su di loro,
obbligando Mime a scartare di lato, in tempo per
evitare che la zampata del mastino gli staccasse la testa, quindi lo travolse
con le sue linee di energia, strappandogli ciuffi di pelo e pelle e grida
mostruose. Con gli occhi iniettati di rabbia, il custode di Hel
caricò il musico di Asgard, deciso a riempirsi la bocca del suo corpo,
imbrattandosi le zanne di cinabro sangue.
“Fermò lì!” –Esclamò Mime,
radunando tutte le forze e portando un dito alla cetra. Fu uno scampanellio
leggero, indistinguibile nel frastuono della battaglia, ma sufficiente per
fermare Garmr. In un attimo migliaia di corde si
allungarono nella sua direzione, avvinghiandosi alle sue zampe, al suo corpo,
alla sua coda, stringendo con forza e impedendogli di liberarsi, mentre Mime muoveva le dita sulla cetra, di fronte allo sguardo
interessato di Folken. –“Padre, questa melodia è per
voi, in onore all’eroe che Asgard ha a lungo ammirato! L’eroe che, in vita, io
non ho mai apprezzato! Perdonatemi, furono l’odio e il dolore che la guerra
aveva infuso in me a impedirmi di vedere quel che di buono c’era nel vostro
cuore! Lasciate che adesso possa rendervi il favore, salvandovi come voi
salvaste me dalla tormenta di gelo e da altri pericoli!” –Parlò, ad occhi
chiusi, mentre un noto motivo si diffondeva nell’aria, facendo tintinnare le
corde, pervase dal cosmo del musico. –“Melodia delle tenebre!
Risuona!!!”
Il corpo di Garmr venne percorso
da mille scosse, le corde si insinuarono sempre di più nel suo corpo, scavando
ferite sanguigne e prostrando il grosso animale a terra, mentre la musica
proseguiva implacabile, fino all’ultima nota. Con un ultimo guaito il guardiano
delle Porte dell’Inferno si accasciò a terra, il corpo straziato dai solchi
delle corde, mentre Mime, esausto per lo sforzo e per
il veleno di Hel, barcollava, cercando di rimanere in
piedi.
Fu Folken ad afferrarlo in tempo,
prima che cadesse.
“Lasciami andare…” –Mormorò il
ragazzo. –“Me lo merito!”
“Di cosa ti fai colpa?”
“Di non aver capito!” –Rispose, con voce malinconica.
–“Cosa provasti quel giorno, quando il Celebrante di Odino precedente a Ilda ti
ordinò di marciare su Iisung, per riportare i loro
capi alla ragione ed evitare una guerra! Quando, fallito il negoziato, dovesti
usare i tuoi poteri, perché la guerra lo richiedeva, la guerra madre di tutte
le ingiustizie! La guerra che ci fa compiere gesti che in periodi diversi, e
più felici, invece paventeremmo!”
“Le tue parole sono vere, Mime!
Per questo non dovresti biasimarti per esserne tu stesso stato vittima!”
–Esclamò Folken, aiutando il ragazzo a restare in
piedi. Forse fu un gioco di luce, forse fu dovuta agli occhi arrossati dallo
sforzo, ma a Mime sembrò di vedere una lacrima
bagnare il viso del padre adottivo.
Un ringhio spaventoso riscosse entrambi, costringendoli a
voltarsi verso quello che ormai consideravano il cadavere di Garmr, realizzando che l’orrido cagnaccio era ancora vivo e
faticava nel risollevarsi.
“Non temere, me ne occuperò io!” –Disse Folken,
muovendosi per recuperare la propria spada. Ma Mime
lo fermò, ponendogli una mano sulla spalla. –“Non tu, ma noi ce ne occuperemo!”
–E sorrise, per quanto il dolore glielo permettesse.
Garmr tentò di lanciarsi su Folken, per impedirgli di recuperare l’arma, ma Mime ne fermò la corsa scagliandogli contro i raggi del
pentagramma di energia, in numero e in potenza inferiori a quelli scagliati in
precedenza. Forse il cane se ne accorse e decise allora di avventarsi su di
lui, incurante dei nuovi squarci che si aprivano sul suo corpo all’avvicinarsi
al Cavaliere di Asgard.
“Mimeee!!!” –Gridò Folken, scattando contro Garmr e
saltando più in alto che poté.Lo colpì
al mento, affondando la lama e caricandola della sua energia cosmica, mentre il
cagnaccio sbatteva Mime a terra, ferendolo ad un
braccio e danneggiando parte della sua corazza. A tal vista l’antico difensore
di Midgard avvampò, balzando di nuovo in alto e
mozzando la testa di Garmr con un unico fendente.
“Un problema risolto…” –Commentò,
atterrando vicino a Mime e scrutandone preoccupato il
colorito, sempre più pallido. –“Dovrei portarti da Eir!
La Guaritrice saprebbe certamente curarti!”
“Non ne abbiamo il tempo!” –Si limitò a rispondere il
ragazzo, facendosi forza per restare in piedi. –“Siamo stati destinati a questo
fin da quando varcammo il Thund! Ne siamo sempre
stati consapevoli! Non avrebbe senso rinunciarvi adesso! Né voglio farlo!
Voglio solo vivere con te il tempo che ancora mi resta!”
Folken annuì fiero alle parole del
figlio, prima di voltarsi, con la spada in pugno, e fronteggiare un gruppo di
nemici che si era intanto chiuso a cerchio attorno a loro.
Fintantoché Garmr era vivo, si
erano prudentemente tenuti lontani, non avendo in simpatia, neppure loro, le
bestie infernali da cui Loki si faceva accompagnare,
l’unico forse a non essere turbato dalla loro presenza. Ma morto il cane,
avevano ben pensato di farsi avanti, approfittando delle ferite già aperte sui
corpi degli avversari.
“Non si può dire che siano stupidi…”
–Mormorò Mime, mettendo d’istinto mano alla cetra, ma
ricordandosi poi che, sulla feccia che marciava contro di lui, la musica non
aveva effetto. –“Forse le melodie, ma ugualmente non può dirsi delle righe del
pentagramma!” –Aggiunse, bruciando il cosmo e dirigendo numerosi raggi
energetici contro i nemici, che vennero travolti e falciati.
Folken, dal canto suo, aveva già
ingaggiato combattimento contro altri, impegnandone più d’uno
contemporaneamente.
Non erano potenti quei defunti portati a nuova vita, ben
pochi conoscevano i rudimenti del cosmo. La quasi totalità era costituita dai
risvegliati corpi degli adulteri, dei vecchi, dei suicidi, di coloro che
avevano disonorato il loro casato e la loro terra, armati di lance e di space, di archi e di asce, seppur non troppo abili
nell’usarli. Ma erano tanti, terribilmente tanti, forse il triplo degli Einherjar, e questo giocava a sfavore dei difensori di
Odino, già provati dai vari scontri con i Sigtívar
e gli Dei e le creature infernali alleate di Loki.
Su questo rifletteva Mime,
cercando di rimanere in piedi e di evitare gli affondi delle lance e delle armi
nemiche. Una freccia, scagliata da chissà dove, lo raggiunse ad una spalla,
spaccandogli il coprispalla, mentre una coppia di
daghe si protendeva verso il suo viso. Il ragazzo sollevò il braccio per
tenerle lontane con una folgore energetica, quando si accorse che strali
luminosi stavano rischiarando l’aria attorno a sé, abbattendosi sui suoi
avversari con furia implacabile e altrettanta meticolosità.
Le parole che udì poco dopo gli strapparono un sorriso,
avendo riconosciuto le armi del suo salvatore.
“Onde del Tuono, fermate i nemici!!!” –Gridò il
Cavaliere di Atena, balzando a fianco di Mime, mentre
lo scintillio della Catena di Andromeda si schiantava sui corpi dello
sventurato esercito di Hel, trapassandoli uno ad uno,
prima di lasciarli ricadere al suolo, morti. –“Amici, state bene? Ho dovuto
affrontare un centinaio di costoro, per questo non sono riuscito a portarvi
aiuto prima!”
“Non preoccuparti, Andromeda, hai fatto anche troppo per
noi! Così oggi, così l’anno scorso!” –Sorrise Mime,
cercando di apparire sereno. Ma il pallore della sua pelle e la fitta che lo
aggredì, piegandolo in due, tradirono una sicurezza inesistente.
“Mime!!!” –Gridò Andromeda,
mentre anche Folken si avvicinava, scagliando sfere
di energia tutto intorno, per tenere a distanza debita gli avversari.
“Le parole di Arvedui… Ricordale
Andromeda! E non portargli rancore!” –Continuò Mime,
incurante dei richiami del Cavaliere alla sua salute. –“Gli elfi sono così, i
massimi gaudenti della vita. Vivono in un mondo di primavera eterna, senza
preoccupazioni, o perlomeno questo è quello che credono e che permette loro di
sorridere sempre! Non avercela con lui, ma ricorda ciò che ti ha detto! Ti
permetterà di migliorarti ancora… e di ottenere una
sempre maggiore conoscenza!”
Mime tossì, piegandosi su se stesso e
sputando sangue, di fronte agli occhi sgomenti di Andromeda. Prima che il
ragazzo potesse fare qualcosa, un’ombra sovrastò i tre compagni, un’ombra
gigantesca che apparteneva al ferino figlio di Loki.
“Cos’abbiamo qua? Bocconcini prelibati e sanguinolenti?!”
–Sibilò Fenrir, guardando dall’alto i tre Cavalieri.
–“Una vera delizia per il mio palato!” –Aggiunse, sputando a terra quel che
aveva masticato finora. La carcassa di un uomo a cui era stata strappata la
pelle, azzannata con disumana ferocia, al punto da lasciare soltanto uno
scheletro con scarni pezzi di carne.
Andromeda fece un passo indietro inorridito, mentre Mime soffocò un grido di dolore nel riconoscere, sia pure a
stento, il cadavere di Bragi, Dio della Poesia, di
cui Fenrir si era nutrito.
Sirio e Alcor stavano correndo in
mezzo alla nebbia, lungo la desolata distesa del deserto di ghiaccio, i corpi
sferzati dalle tempeste di gelo che imperversavano nel Nifhleimr,
appesantendo persino il più piccolo movimento. Il vento e la neve negli occhi
rendevano difficile anche solo vedere a pochi metri di distanza, sempre attenti
a non sprofondare in qualche crepaccio o a non cadere sugli aguzzi spuntoni di
ghiaccio che punteggiavano la landa infernale.
Avevano lasciato Nastrond dopo
aver distrutto quel che rimaneva del cantiere dove, sotto gli ordini di Megrez e di suo padre, era stata costruita la Naglfar. Sirio avrebbe voluto abbattere anche l’antica
residenza di Helgaror, certo che nascondesse ancora
chissà quali oscuri segreti, ma Alcor lo aveva
incitato a non sprecare tempo né ulteriori energie, due elementi su cui non
potevano permettersi prodigalità.
Così si erano lanciati in una folle corsa attraverso il
Regno di Hel, per quanto nessuno dei due avesse chiaro
dove esattamente dovessero dirigersi. Alcor era più
informato di Sirio riguardo alla geografia infera e sapeva che vi erano due
accessi, sebbene uno soltanto fosse riservato ai defunti: il percorso che aveva
seguito entrando, oltrepassando il fiume Gyoll e la
Porta di Hel. L’altro era risalire lo snodarsi delle
radici dell’Albero Cosmico. Ma in quale direzione fossero entrambi gli ingressi
nessuno dei due lo sapeva.
Avevano avuto timore, in un paio di occasioni, di girare in
tondo, incapaci di trovare un punto di riferimento nello sconfinato abisso
tinto di bianco e di grigio. Ma avevano proseguito lo stesso, cercando di
combattere lo sconforto che a tratti li pervadeva. E nel loro avanzare erano
stati fortunatamente raggiunti da Huginn e Muginn, che Alcor presentò a
Sirio come gli occhi di Odino.
I due corvi, dopo aver riferito al nume
dell’imprigionamento di Alcor, erano tornati per
osservare quel che accadeva a Nastrond e a Eliudhnir ed erano stati attratti dal luccicare della
corazza divina di Sirio, unica fonte di colore nel grigio dell’inferno. Adesso,
seguendoli, i due Cavalieri avrebbero facilmente trovato la via.
Prima ancora di arrivare nei
pressi delle radici del Frassino del Mondo, Sirio e Alcor
capirono che qualcosa di grosso si stava muovendo. Il terreno, fino ad allora
compatto, iniziò a presentare segni simili a quelli lasciati da un corpo
trascinato e spesso potevano udire scossoni violenti scuotere l’intera landa,
sovrastati da un clangore che entrambi ben conoscevano. Rumori di lotta.
“Tracce di carri? Prigionieri
trascinati?!” –Ipotizzò Sirio, cercando di capire cosa fossero quei segni sul
terreno, ampi più di un metro.
“Sono il passo lento, quasi
strascicato, degli abitanti dell’inferno! I Giganti di Brina, istigati da Loki a marciare su Asgard!” –Spiegò Alcor,
rabbrividendo al ricordo delle immense sagome che era a malapena riuscito a
intravedere ore prima, sul retro del Palazzo di Nebbia, mescolate, quasi fuse,
con l’aria stessa del Nifhleimr. –“Sagome enormi,
alte più di dieci metri, robuste come splendide statue scolpite nel ghiaccio!
Gli Hrimthursar non sono il peggiore dei pericoli che
ci si prospettano quest’oggi, ma sono letali e addestrati al combattimento!
Guerrieri composti di ghiaccio, armati di lame di ghiaccio, che traggono la
forza dall’ombroso gelo di questa terra, hanno servito la Regina di Hel per secoli, che ne ha fatto le sue guardie del corpo!”
“Credevo che la stirpe dei
giganti fosse fedele a Odino…” –Mormorò Sirio,
continuando a correre, mentre l’eco dello scontro in atto si faceva sempre più
vicino.
“Non tutti! Solo gli Jötnar, che popolano la
terra di Jötunheimr. I Giganti di Brina sono sempre stati una spina nel fianco degli Asi, da loro accusati di aver sterminato gli altri membri
della loro razza all’alba dei tempi!”
“Non capisco…”
“Gli Hrimthursar furono generati
da Ymir, il gigante primordiale sorto tra ghiaccio e
fuoco, e nel suo stesso ribollente sangue furono annegati da Odino e dai suoi
fratelli, timorosi che tali deformi creature potessero rappresentare un
pericolo in futuro! Due però riuscirono a scampare al massacro perpetuato dai
figli di Borr, Bergelmir e
sua moglie, usando un tronco cavo come fosse una canoa per navigare fuori dalla
battaglia. Impauriti, si rifugiarono nel profondo inferno, dove per sempre
rimasero, anche dopo che Odino lo ebbe affidato a Hel!
E qua procrearono la loro stirpe, una stirpe, posso assicurartelo, alquanto
numerosa!”
Erano mille, o forse più, i Giganti di Brina che Alcor aveva osservato in silenzio riunirsi a Eliudhnir, prima di marciare verso Asgard. E su tutti ve ne
era uno capace di impensierire persino Odino. Hrmyr,
il capo di tutta la stirpe, discendente diretto di Bergelmir
e come tale intriso di un desiderio di vendetta covato per millenni.
“Ci siamo!” –Esclamò Alcor,
indicando avanti a sé, dove, per la prima volta da quando entrambi erano giunti
nel Nifhleimr, videro una luce, sia pur fioca,
baluginare in lontananza. Una luce gialla, dalle sfumature amaranto, simile ad
un piccolo sole.
Il Cavaliere di Asgard spinse Sirio dietro un mucchio di
rocce ghiacciate, coprendo entrambi, per precauzione, con il suo mantello
mimetico, per osservare e capire cosa stesse accadendo. Davanti a loro si
estendevano lunghe file di Giganti di Brina, allineati uno dietro l’altro, i
cui corpi alti e massicci parevano uno spaccato del cielo di quel mondo.
Guardando meglio, Sirio e Alcor videro che era più
avanti, in testa alle colonne dei Titani del Gelo, che i combattimenti stavano
avendo luogo. Da là proveniva la luce dorata, probabilmente il cosmo di qualche
Einherjar o di qualche Divinità. Ed era là che, la
Tigre Bianca ne era certa, si trovavano le radici del Frassino Cosmico.
“Se vogliamo salire ad Asgard in questo modo, temo che
dovremo farci spazio in questa ressa, stando attenti a non essere schiacciati!”
–Commentò. –“Altrimenti, se vogliamo evitare la battaglia, possiamo correre
alla Porta di Hel, varcare Gyoll
e uscire alla luce del sole! Huginn e Muginn sapranno senz’altro condurci fin là…”
I due Cavalieri si scambiarono un intenso sguardo, prima
che entrambi accennassero un sorriso, a tratti ironico, all’ipotesi di
rifuggire uno scontro. Proprio in quel momento i corvi di Odino, appollaiatisi
sopra il cumulo di ghiaccio, sbatterono le ali, sollevandosi di scatto, mentre
Sirio e Alcor, voltandosi, videro nascere dal suolo
un gruppo di forme che finora avevano ammirato da lontano.
“Pare che altri abbiano scelto per noi…”
–Disse Sirio, espandendo il proprio cosmo.
“Non è una novità! Tutta la mia vita si è svolta in questo
modo!” –Commentò Alcor, facendo altrettanto e
lanciandosi avanti. –“Bianchi artigli della Tigre!!!” –Ringhiò,
sfrecciando tra le gambe dei Giganti di Brina e aprendovi squarci di energia.
I discendenti di Bergelmir
barcollarono ma non crollarono, stupendo lo stesso Alcor
che si accorse come fossero capaci di richiudere le proprie ferite sigillandole
con il ghiaccio, componente principale, se non assoluto, dei loro corpi.
Preoccupato da quella variabile che giocava a suo netto sfavore, il fratello di
Mizar scivolò sul terreno gelato, evitando di essere
schiacciato dai loro enormi piedi e lasciando che i giganti si scontrassero tra
loro, goffi come erano nei movimenti. Fu mentre si rimetteva in piedi che sentì
l’urlo di Sirio, così intenso da risvegliare mezzo Hel.
“Excalibur!!!” –Gridò, liberando un fendente di
energia che tagliò in due un Gigante di Brina, mentre gli altri rimasero
interdetti ad osservare il singolare evento.
“Persisti!!!” –Gli urlò dietro Alcor.
–“Approfitta di questo loro disorientamento per colpirli di nuovo!” –E nel dir
questo si lanciò avanti, evitò il pugno di un gigante che sfondò il terreno
sotto di sé, balzandogli sul braccio e colpendolo poi al viso con un calcio
secco, forte a sufficienza da farlo barcollare. Un pugno sul retro della nuca
lo precipitò a terra, facendogli persino crepare il suolo ghiacciato. –“Anche
se il mio colpo segreto è vano, non così potrete dire dei miei pugni! Del
resto, anche al buon Phoenix hanno fatto male!”
Sirio, d’altro canto, aveva già provveduto a mozzare a
metà, in orizzontale, un’altra coppia di Hrimthursar
e adesso stava fronteggiando gli ultimi, che si erano chiusi attorno a lui,
togliendogli ogni possibilità di fuga.
“Non che a quella prospettiva abbia mai pensato…”
–Mormorò Dragone, lasciandoli avvicinare ancora un po’, mentre radunava il
cosmo dentro sé, socchiudendo gli occhi. Quando ritenne che fossero
sufficientemente vicini scattò in alto, aprendo un braccio di lato e roteando
con forza su se stesso, in modo da generare un fendente di energia che mozzò le
teste di tutti loro nello stesso istante.
“Bel lavoro, Cavaliere di Grecia! Adesso andiamocene, non
diamo loro modo di ricomporsi!” –Disse Alcor,
scattando avanti e facendo cenno al ragazzo di seguirlo.
“Ricomporsi?!” –Balbettò Sirio, non capendo.
“Come ti ho detto, i Giganti di Brina sono composti di
ghiaccio! E qua ne hanno in abbondanza per potersi ricreare! È così che curano
le ferite, suturandole con il ghiaccio, materia prima che certo non
scarseggia!” –E infatti, voltandosi a malapena, Sirio dovette ammettere che le
parole di Alcor erano tremendamente vere, notando già
dei movimenti alle loro spalle.
I corvi gracchiarono nel cielo nebbioso, indicando loro la
via per aggirare le colonne di Hrimthursar e giungere
direttamente alle radici del Frassino Cosmico, ma vista la pericolosità di
quell’esercito entrambi convennero che fosse opportuno provvedere fin da subito
a ridurne le fila.
“La loro debolezza principale è quella che hanno tutti i
tipi con le loro dimensioni! Sono lenti nei movimenti, troppo lenti per un
Cavaliere! Ma compensano in ferocia, resistenza e estrema adattabilità
all’ambiente! Siamo nella loro casa, Dragone, stai attento, qua si gioca con le
loro regole!”
“Per questo motivo non li abbiamo percepiti quando ci hanno
circondato? Se non nel momento in cui sono emersi dal ghiaccio?!”
“Per questo e anche perché sono privi di cosmo! Solo
l’essenza primordiale della creazione li rende vivi! Altrimenti sarebbero
mucchi di ghiaccio poco diversi dai tanti spuntoni che abbiamo evitato correndo
fin qua!”
Sirio memorizzò le informazioni che Alcor
gli aveva fornito, assieme a tutte le altre, su Odino, Loki
e Asgard, che aveva avuto modo di apprendere nel tempo trascorso assieme a Nastrond. Dopo lo scontro con Megrez,
Dragone aveva curato il Cavaliere del Nord nello stesso modo in cui aveva
aiutato Pegasus nella Valle della Morte, colpendo le
sue stelle dominanti in modo da lasciar fluire il veleno instillato nel suo
corpo. C’era voluto del tempo prima che la Tigre Bianca potesse tornare a
camminare ma grazie anche al cosmo del compagno adesso era scattante come in
passato.
“E pronto per la caccia!” –Sibilò Alcor,
infilandosi tra le gambe dei colossi di ghiaccio e graffiandole con i suoi
artigli di energia cosmica.
Sirio, intrufolandosi invece in mezzo ad altre colonne di Hrimthursar, liberava violenti fendenti energetici,
utilizzando il dono che il Cavaliere d’Oro di Capricorn
gli aveva fatto in punto di morte. La lama che recide ogni male.
“Excalibur!!!”
Quella parola risuonò nella fosca aria del Nifhleimr, attirando anche l’attenzione di chi, da ore
ormai, stava combattendo ai piedi delle radici di Yggdrasill
per impedire ai seguaci di Hrymr di invadere Asgard.
“Mio Signore…” –Esclamò uno dei
Vani, con l’arco ancora in tensione, rivolgendosi a un uomo bello d’aspetto,
avvolto in un manto di luce, intento a scrutare interessato la confusione che
aveva invaso le ordinate fila dei Giganti di Brina. Molti di loro parvero
barcollare, altri caddero a terra, trascinando i propri compagni con sé, in un
crollo a catena che strappò un sorriso al volto di colui che l’ultima
resistenza di Asgard stava guidando.
“Pare che le preghiere di Odino siano state esaudite!”
–Commentò, mentre due lampi di luce rischiararono il cielo, gettando a terra
altri Hrimthursar e giungendo infine in testa a
quella lunga colonna. Fu allora che Sirio e Alcor si
imbatterono nell’esercito dei Vani, disposto in cerchio attorno alle radici di Yggdrasill, nascoste, quasi avvolte, dalla sempiterna
nebbia del Niflheimr.
“Cavaliere della Tigre Bianca! Tuo fratello temeva per te!”
–Parlò colui che li aveva osservati avvicinarsi, andando loro incontro. –“Ma le
sue paure erano ingiustificate a quanto vedo! Hai pure trovato un amico, con
cui divertirti in questa landa inospitale!”
Era un uomo alto ed elegante, ricoperto da un’argentata
Veste Divina, riccamente decorata con fregi in oro e avorio, alla cui cinta era
affissa una spada dalla lama rilucente. Sulle spalle un ampio mantello
ricamato, con il collo di pelliccia, scendeva fluttuante, seguendo gli
aggraziati movimenti di un corpo perfetto, su cui svettava un viso giovanile di
rara bellezza. Biondi capelli lunghi ma ben curati, occhi verdi e gioviali, un
sorriso che pareva emanare una solarità abbagliante nel tetro inferno.
“Un amico fidato, oserei dire!” –Precisò Alcor, inchinandosi di fronte al Consigliere del Sommo Wotan. –“Mio Signore, egli è Sirio il Dragone, Cavaliere
della Dea Atena e grande amico di Cristal il Cigno!
Sirio, ti presento il Principe Freyr, Dio
dell’Abbondanza e della Fecondità!”
“Finalmente posso incontrarti di persona, Cavaliere del
Drago! Le gesta tue e dei tuoi compagni sono giunte fin sopra le nuvole e
spesso, con Odino e gli altri Einherjar, abbiamo
discusso del vostro indubbio valore! Sarà un onore vederti in azione!”
“L’onore sarà mio nel combattere a fianco di un’armata così
maestosa!” –Esclamò Sirio, a capo leggermente chino, prima di risollevarsi e
osservare il ben organizzato esercito dei Vani. Con un colpo d’occhio, il Cavaliere
di Atena contò almeno cinquecento uomini, tutti ben armati, di spade e lance,
di archi e frecce, ma ipotizzò fossero di più poiché qualche cadavere
disseminava già il suolo e tracce di sangue si erano mescolate all’eterna neve
del Niflheimr.
“Maestosa, sì! Ma i nostri avversari non sono da meno!”
–Commentò Freyr. –“Siamo giunti in tempo per evitare
che risalissero l’Albero dell’Universo, sebbene qualche mostruosa creatura già
stesse tentando di arrampicarsi! Da allora non abbiamo ceduto una spanna,
stretti in quello che si sta rivelando un assedio senza fine!”
“Perché i Giganti di Brina attaccano incolonnati? È una
precisa scelta tattica o…?”
“È solo il frutto della loro lentezza mentale, nonché il
motivo che ci ha permesso di mantenerci in forze finora! Considerando che le
radici dell’Albero Cosmico spuntano dal cielo, nel bel mezzo di questo deserto,
senza rilievi attorno su cui possiamo posizionarci, è un miracolo che non ci
abbiano ancora accerchiato, limitando l’assalto a questo rozzo semicerchio!”
–Precisò l’avvenente nume, indicando i Vani, poco distanti, che continuavano a
combattere contro le prime file degli Hrimthursar,
dando fondo alle loro energie interiori.
“Principe Freyr, saremo ben lieti
di prestare…” –Esclamò Sirio, ma la sua frase rimase
a metà, obbligato a balzare di lato per evitare l’affondo di un Gigante di
Brina sorto improvvisamente dal terreno alle loro spalle.
“Fate attenzione!!!” –Gridò il nume. –“Arcieri!!!
Tirate!!!” –E prima che potesse aggiungere altro un nugolo di frecce infuocate,
proveniente dalle sue spalle, già solcava il cielo di Hel,
piantandosi nel tozzo corpo del gigante e incendiandolo. –“È l’unico modo per
vincerli! Il calore! Altrimenti continueranno a ricrearsi sempre e comunque! Ma
per annientarli completamente ci vorrebbe una fiamma così intensa che non
troveremo in questo gelido settentrione! Dovremo produrla artificialmente!”
Il corpo del Gigante di Brina iniziò a sciogliersi di
fronte ai loro occhi, che videro pezzi di braccia sfaldarsi e crollare a terra,
dove i freddi venti subito spazzarono via le fiamme, lasciando che i resti
degli Hrimthursar si fondessero con la terra stessa.
“La Madre Terra! Anche se qua più che madre la definirei
matrigna!” –Commentò Freyr con disappunto, prima di
essere raggiunto da un guerriero dei Vani.
“Mio Signore! I Giganti di Brina…
non attaccano più frontalmente, hanno iniziato ad espandersi anche ai lati!
Vostro padre ritiene che vogliano accerchiarci!”
“Ma che bella notizia…” –Ironizzò
il Principe, sollevando lo sguardo verso le prime file dell’esercito, dove il
Dio dei Venti e della Navigazione stava affrontando gli Hrimthursar,
assieme ai suoi fedelissimi, in quella che stava diventando sempre più una
mischia di cosmi lucenti e sagome azzurre e bigie. –“Devo raggiungerlo! Se voi
volete proseguire per Asgard potete arrampicarvi lungo le radici, facendo
attenzione alle lance di ghiaccio che spesso questi bestioni scagliano! Hanno
già mietuto troppe vittime piombando nel cuore dell’accampamento, nascoste da
quest’aria plumbea!”
“Non siamo qui per fuggire, mio Signore, bensì per
combattere!” –Precisò Sirio, a cui Freyr rispose con
un sorriso incuriosito.
“Non sei troppo giovane per voler morire, Drago di Cina?!
Ma, essendo amico di Cristal, non dovrei sorprendermi
della tua pazzia!” –E fece loro cenno di seguirlo. Ma proprio mentre correvano
verso la prima linea, il terreno tremò attorno a loro e una dozzina di Giganti
di Brina si sollevarono, separando Alcor e Sirio dal
Principe Freyr e dagli altri Vani.
Il Cavaliere di Atena udì la voce del Dio dell’Abbondanza
che ordinava di scoccare nuove frecce e vide strisce di fuoco rischiarare il
cielo, poi dovette concentrarsi sui propri avversari, armati di lance di
ghiaccio che mossero per piantargliele nel cuore.
Sirio rotolò sul terreno, mentre un’asta sfondava il suolo
alla sua destra e Alcor avvampava nel suo cosmo.
Quindi fece per risollevarsi, proprio mentre un altro gigante calava la lancia
su di lui; vi si aggrappò, usandola per darsi la spinta e balzare sul suo viso,
avvolto nel suo cosmo color verde smeraldo. Lo trapassò da parte a parte, con
le fauci del drago che assaporarono il tetro ghiaccio del Niflheimr,
prima di atterrare alle sue spalle, voltandosi in tempo per vederlo crollare
sui suoi compagni.
“Bianchi artigli della Tigre!!!” –Sentì allora Alcor gridare, mentre una guizzante sagoma scattava tra le
gambe degli Hrimthursar, squarciandole con artigli di
pura energia. Non s’avvide però Alcor di un movimento
alle sue spalle, un gigante che lo sbatté a terra, calpestandolo con rabbia e
facendogli perdere l’elmo della corazza.
Sirio fece per correre in suo aiuto ma già una nuova
schiera di Titani del Gelo era sorta a separarlo dal compagno e sembravano ben
più corazzati di quelli affrontati fino a quel momento. Evitò gli affondi delle
loro lance, troncandole poi con un secco movimento del braccio, che generò un
fendente energetico affilato a sufficienza per aprire un taglio anche sui loro
corpi. Prima che potesse liberare nuovamente Excalibur però vide un globo di
fuoco, simile ad un sole in miniatura, esplodere in mezzo al gruppo di Giganti
di Brina, annientandoli completamente con le ondate incandescenti che da esso
sorsero.
Sirio si voltò verso destra, dove l’affascinante sagoma del
Principe Freyr era comparsa, il corpo ancora avvolto
in una luce dalle tonalità amaranto. Sorrise, riconoscendo che era la stessa
che, da lontano, aveva guidato i loro passi, la stella da seguire in quel
gelido mondo.
“Grazie, mio Signore!” –Commentò, prima che entrambi notassero
la malconcia sagoma di Alcor che avanzava tra i resti
dei Giganti di Brina. Il fratello di Mizar si teneva
la spalla destra dolorante, dove una lama di ghiaccio aveva distrutto il coprispalla, causandogli una ferita non tanto profonda ma
scomoda, rallentandogli il movimento del braccio.
“Alcor! Stai bene?” –Sirio gli
corse incontro e lo aiutò a riunirsi al Principe Freyr
e agli altri Vani, con i quali concordarono una strategia d’attacco. Sarebbero
stati loro a frenare il tentativo di espansione laterale dei Giganti di Brina,
con rapide incursioni ai fianchi. –“In questo modo eviteremo di rompere le
formazioni dei Vani, che continueranno a rimanere serrate per l’estrema difesa
del passaggio verso Asgard!”
Freyr annuì alle parole del Cavaliere
di Atena, impressionato dal genuino entusiasmo che lo sorreggeva e dalla fede
in un mondo migliore, fede che lo aveva portato ad abbandonare la sua terra
natia e le persone che amava per scendere in un mondo sconosciuto a combattere
una guerra tra altrettanto sconosciuti schieramenti.
Proprio in quel momento sentì sollevarsi un vento
impetuoso, che scosse il mantello e i suoi biondi capelli, mentre nuovi strali
infuocati solcarono il cielo. Freyr non ebbe bisogno
di voltarsi per sapere che Njörðr, suo padre, aveva appena scatenato il suo
potere di controllo sulle correnti d’aria, dirigendole contro i Giganti di
Brina allo scopo di frenare così la loro avanzata. Alle sue spalle gli arcieri
dei Vani avevano già scagliato centinaia di frecce che, sospinte dalla dirompente
brezza, sfrecciavano a gran velocità conficcandosi nelle deformi sagome
nemiche.
“Andiamo!” –Affermò Alcor,
scattando avanti, subito seguito da Sirio, e dirigendosi verso una costola
laterale dello schieramento dei discendenti di Bergelmir,
che stavano già avanzando nella loro direzione. Gli artigli energetici della
Tigre Bianca e il correre furioso di Excalibur falciarono i loro arti,
facendoli crollare al suolo, mentre altri prendevano istantaneamente il loro
posto.
“Attento!!!” –Gridò Sirio, balzando su Alcor proprio mentre uno dei Hrimthursar
calava la lancia su di lui. Il mantello mimetico venne strappato con forza, ma
grazie all’intervento di Dragone il Cavaliere del Nord poté ancora vantare due
spalle da ricoprire in seguito. Mentre cercavano di rimettersi in piedi vennero
però sovrastati da un enorme piede di ghiaccio, che schiantò Sirio al suolo, crepandolo, pur con tutta la forza che il seguace di Atena
mise nelle braccia, per evitare di essere schiacciato.
“Vediamo se questi artigli ti aprono un bello
squarcio in quella tua pelle azzurrina!” –Ringhiò Alcor,
rialzandosi e caricando il cosmo sulla mano destra. Ma non ebbe modo di
liberare il proprio attacco che venne afferrato da un altro Gigante di Brina e
stretto in una morsa di devastante potenza, al punto che, nonostante la
corazza, sentiva le ossa scricchiolare.
“Aaahhh!!!” –Sirio
fece avvampare il proprio cosmo, avvolgendosi in un’aura verde, spingendo
quanto più poté sulla pianta del piede del gigante, fino a sbatterlo addosso a
un suo compagno, facendoli crollare l’uno sull’altro. –“Colpo
del Drago Nascente!!!” –Gridò poco dopo, trapassando i loro corpi, mentre già una nuova
schiera di Titani del Gelo si chiudeva attorno a lui.
Il Cavaliere fece per liberare un nuovo attacco, ma venne
anticipato da un’onda di energia simile a un ventaglio di luce che si dischiude
lentamente. Anche Alcor la notò e la vide lambire il
gigante che lo teneva prigioniero, liquefacendolo poco dopo, sopraffatto da un
calore innaturale ma al tempo stesso antico come il mondo.
“Principe Freyr…” –Mormorò il
Campione di Odino, precipitando a terra e rialzandosi prontamente, affiancato
da Sirio, anch’egli con lo sguardo fisso avanti a sé, dove la sagoma del Dio
della Prosperità si stagliava, in aria, sollevato da terra di una decina di
metri e completamente avvolto in un cosmo abbagliante.
“È straordinario…” –Commentò
Dragone ammirato, a cui parve davvero di assistere all’alba del sole. Dal corpo
del nume sorsero numerosi fasci energetici di color amaranto, simili ai raggi
dell’astro solare, che falciarono decine di Hrimthursar,
prostrandoli al suolo, in parte liquefatti, in parte distrutti. –“Il suo cosmo
è così luminoso, così etereo… Eppure, dietro
quell’apparenza efebica si nasconde un Dio guerriero, il cui cosmo rifulge del
sapore dell’eternità!”
“In molti dicono che il Principe Freyr
sia in realtà un elfo, tanto splendente è il manto cosmico che lo avvolge! Ma
per tutti, persino per gli Asi restii a dimenticare
le contese divine del Mondo Antico, egli è il migliore! A Odino soltanto
secondo, al punto che è definito il Vicerè di
Asgard!” –Esclamò Alcor, mentre i Giganti di Brina si
squagliavano attorno a loro. –“I miei occhi, a lungo abituati all’ombra, non
riescono a sopportare un sole di così intenso bagliore!”
“Non sei l’unico!” –Affermò Sirio, notando che il nume era
riuscito ad annientare l’intera avanguardia dei Titani del Gelo, disperdendone
altri e fermando l’incedere di coloro che erano rimasti nelle retrovie. –“Anche
queste creature detestano la luce, qualcosa di cui qua, nel caliginoso inferno,
mai hanno goduto!”
Mentre osservavano il Vane discendere nuovamente a terra,
attorniato dalla schiera dei suoi difensori, e la luminosità del suo cosmo
scemare di intensità, Sirio e Alcor videro con orrore
una tempesta di neve sollevarsi dalle fila dei Giganti di Brina, una vera e
propria bufera che sferzò l’aria, annientando persino le correnti di Njörðr.
Quasi fossero incitati dalla stessa, i discendenti di Bergelmir scattarono avanti, facendo rimbombare i loro
pesanti passi sul suolo infernale, in una marcia che agli orecchi dei Vani e
dei Cavalieri parve un susseguirsi di boati. Njörðr tentò di frenare
quell’improvvisa carica con le sue raffiche di vento, ma venne addirittura
sollevato da terra e scaraventato molti metri addietro, addosso ai suoi stessi
guerrieri.
A un cenno di Freyr,
l’esercito dei Vani si lanciò avanti a sua volta, avvampando in un arcobaleno
di cosmi che si schiantò contro muraglie di ghiaccio, mentre il Dio
dell’Abbondanza espandeva nuovamente il proprio cosmo, per ricreare quel sole
perpetuo, unica speranza di aver ragione degli Hrimthursar.
“Principe…”
–Mormorò Sirio, accorgendosi di quel che stava accadendo. –“Freyr!!!”
–Gridò. Ma fu troppo tardi.
Una lancia di puro ghiaccio, dalla punta
affilata, saettò in aria, impugnata dal Gigante di Brina più alto e massiccio
che avesse mai visto. Nascosto nella tormenta di neve e nebbia, si era portato
di fronte a Freyr e lo aveva appena infilzato ad una
gamba.
“Dobbiamo aiutarlo! Alcor,
con me!” –Incalzò Sirio, scattando avanti e gettandosi nella mischia, mentre
già il cosmo fluiva lungo il suo braccio destro. –“In nome tuo Capricorn! Excalibur!!!” –E liberò un fendente energetico che
sfrecciò nell’aria tempestosa, schiantandosi sulla lancia del Gigante di Brina
e spezzandola, mentre il corpo del Dio della Prosperità scivolava lentamente al
suolo, cullato da una luce che si faceva sempre più flebile.
“Bianchi Artigli della Tigre!!!” –Ringhiò Alcor, piombando tra le gambe del colosso e non ottenendo
altro risultato che quello di essere respinto e sollevato da terra da un
uragano di gelo che gli tagliò la pelle nei punti in cui non era protetta,
stridendo e scheggiando la sua corazza.
“Alcor!” –Gridò
Dragone, osservando il compagno schiantarsi sul terreno molti metri addietro,
presto seguito da tutti i Vani che stavano cadendo in quella devastante carica
dei Giganti di Brina. Quella carica guidata da colui che Sirio comprese essere
il loro re. La figura che torreggiava sopra di lui, l’essere vivente più alto
di fronte al quale si fosse mai trovato.
Hrymr, erede diretto di Bergelmir e Re degli Hrimthursar.
Apparentemente simile ai suoi fratelli, non
fosse stato per la cotta di metallo azzurro che gli copriva il petto, le gambe
e le braccia, e la grezza corona di ghiaccio che portava in testa. Ma c’era
qualcosa, nel suo sguardo, che fece subito comprendere all’allievo di Libra che
Hrymr non sarebbe stato avversario facile da
affrontare.
“Muori!!!” –Esclamò infatti, calando la
lancia e sorprendendo lo stesso Sirio, che non credeva che i Giganti di Brina
fossero in grado di parlare. Il ragazzo fu comunque abile a rotolare sul
terreno, venendo raggiunto solo dall’onda d’urto, e quando Hrymr
risollevò l’arma vide con orrore che la punta si era già ricreata. –“Posso
creare ben altro con il ghiaccio, io che di queste fredde terre sono il Re!
Posso fare e disfare!”
Sirio non seppe cosa rispondere ma mentre
stava per scagliare il suo attacco migliore vide spuntoni di ghiaccio sorgere
tutto attorno a lui, inclinandosi e andandosi poi a chiudere sopra la sua
testa, imprigionandolo in una rozza prigione.
“Credi che un Cavaliere non riesca ad
uscirne?” –Commentò, bruciando il cosmo, sebbene di fronte a quell’essere
mitico fare dell’ironia gli riuscisse difficile. Distrusse le sbarre con
un’esplosione di energia, ma non ebbe tempo di gioire che già la lancia di Hrmyr calava su di lui, avvolta in un turbine di gelo e
nebbia, schiacciandolo a terra e aprendogli un taglio sul fianco destro della
corazza.
Se non fosse stato svelto a spostarsi, quella stessa lancia
gli avrebbe sfondato il cuore.
Fece per rialzarsi, ma si accorse di essere immobilizzato,
il corpo ricoperto di uno strato di gelo che si faceva sempre più consistente,
al punto da fondersi con il terreno in un unico ammasso primordiale. Vuole… murarmi vivo?! Realizzò, per la prima
volta spaventato, mentre lo strato di ghiaccio gli copriva il viso,
nascondendolo agli occhi di tutti. Per un momento si sentì perduto, chiedendosi
se Alcor o Freyr sarebbero
riusciti a localizzare la sua posizione, in quella mischia continua. D’istinto
pensò a Cristal, a come aveva potuto sopportare una
così bassa temperatura, in ben tre occasioni. A come era riuscito ogni volta a
liberarsi.
Lo stesso avrebbe fatto lui, quanto meno ci avrebbe
provato, sebbene lo strato di ghiaccio si stesse facendo sempre più alto, al
punto da divenire un piccolo rilievo, dove l’aria scomparve e con essa la
speranza.
Fu una voce a risvegliarlo dalla perdita dei sensi, una
voce che ben conosceva, anche se in quel momento, sepolto sotto metri di
ghiaccio, non seppe riconoscerla.
“Ali della Feniceee!!!”
–Gridò qualcuno, mentre l’infuocata sagoma di un uccello maestoso rischiarava
la cupa aria del Niflheimr.
Capitolo 22 *** Capitolo ventesimo: Una ragione per vivere ***
CAPITOLO VENTESIMO: UNA RAGIONE PER VIVERE.
Un vento freddo spazzava la propaggine occidentale
del deserto del Gobi, in Asia Centrale, meglio noto come deserto di Taklamakan, nella parte più interna della Repubblica
Popolare Cinese. Il clima, di per sé già rigido, si stava facendo sempre più
freddo e Marins non ebbe bisogno di controllare il
termometro del campo base per capire che probabilmente erano già scesi al di
sotto di zero gradi celsius.
Il gelo, lui, lo detestava. Lo aveva odiato fin da
piccolo, quando suo padre lo portava a caccia sulle Green Mountains,
nell’interno del Vermont. E lo aveva odiato anche in seguito, dopo averlo visto
morire ucciso per errore da un cacciatore davanti ai suoi occhi. E aveva
continuato a odiarlo anche quando si era trasferito a New York City, per
seguire le orme del suo idolo, Joe Di Maggio. E anche adesso, anni più tardi,
vite più tardi, continuava ad essere coerente con se stesso, e a detestare il
freddo.
Starnutì, tirando su la cerniera del giaccone a
vento, e poi rientrò all’interno della tenda principale, ove alcuni generatori
di energia garantivano una temperatura più confortevole. Attorno al tavolo Febo e l’archeologa responsabile degli scavi nella zona
stavano concordando le nuove linee che avrebbero seguito, per quanto la donna
fosse piuttosto timorosa riguardo alle condizioni di lavoro. E Marins, pur se captando solo parte della conversazione, non
poteva darle comunque torto.
Era una bella donna, dal viso giovanile, che
dimostrava meno dei quarant’anni che aveva, reclutata da Avalon in virtù delle
ottime conoscenze storiche e culturali e dell’abilità dimostrata nel corso
della sua carriera, fin da quando, vent’anni prima, aveva iniziato i suoi scavi
presso Assuan, in Egitto. Ma non era certo l’unico motivo per cui il Signore
dell’Isola Sacra l’aveva assoldata. Essenzialmente perché era una persona discreta,
dote che ad Avalon, in un frangente simile, risultava molto gradita.
“Con un tempo come questo, e l’arrivo di una
perturbazione dalla Siberia, è molto rischioso spingersi oltre!” –Stava dicendo
l’archeologa. –“I miei assistenti sono ben addestrati, sopportano bene il caldo
egiziano e il freddo dell’Artico, ma non posso comunque permettere loro di
rischiare la vita!”
“Comprendiamo le sue ragioni, Dottoressa Hasegawa, ma non possiamo indugiare! Il nostro…finanziatore… si aspetta risultati concreti! E li
vuole adesso!” –Incalzò Febo, attirando l’attenzione
di Marins, che allora si avvicinò al tavolo, ove era
distesa una mappa della regione dello Xinjiang, in
cui si trovavano loro, dalle montagne Kunlun a sud
fino alla catena del TienShan
a nord.
“Immagino…” –Si limitò a
commentare l’archeologa, togliendosi gli occhiali da lettura e pulendoli con un
fazzoletto che tirò fuori dal taschino della giacca. –“Dev’essere
un tipo strano, questo vostro finanziatore! Impaziente, e molto potente! Non è
da tutti metter su una spedizione di questo tipo in pochi giorni, ottenendo
persino il nulla osta dal governo cinese! Ma, come vi dissi la scorsa settimana
quando firmai il contratto, non vi farò domande! Del resto anch’io, quand’ero
giovane, ho avuto i miei segreti! Chi non ne ha?”
Febo accennò un sorriso tirato,
mentre la studiosa si incamminava fuori dalla tenda, lasciando i due Cavalieri
delle Stelle da soli, di fronte alla mappa del Taklimakan, ove si trovavano da
ben cinque giorni e dove sarebbero dovuti restare finché non avessero trovato
quel che cercavano.
“Bel lavoro…” –Ironizzò Marins, ricordando il tono divertito del Signore dell’Isola
Sacra quando aveva proposto loro un viaggio in Asia.
“Di turismo e cultura!” –Aveva esclamato, prima di
farsi serio e fissare entrambi con occhi penetranti. –“Trovate il tempio! La
localizzazione del nemico è essenziale in una guerra! Soprattutto in questa
che, come sappiamo, sarà l’ultima!”
Febo e Marins
avevano obbedito, come a ogni richiesta di Avalon, che aveva allestito in poche
ore una spedizione straordinaria, mettendo a loro disposizione mezzi di ricerca
per sondare il terreno e cinquantadue assistenti, oltre ad un’archeologa
professionista. È strano, si disse il Cavaliere dei Mari Azzurri,
come quell’uomo, che trascorre la vita in cima a un’isola avvolta da nebbie
perenni, sappia tutto di tutti, veda fin dove l’occhio può spaziare e senta
tutto quel che il vento gli può portare.
Nonostante fossero sedici anni che si allenava sotto
la sua guida attenta, da quando aveva lasciato gli Stati Uniti, dove non era
mai diventato il giocatore di baseball che avrebbe voluto essere da bambino, Marins sapeva di non conoscere affatto il suo maestro, come
non lo conoscevano Febo e gli altri Cavalieri delle
Stelle. Di lui sapevano solo ciò che egli voleva che sapessero, ciò che era
importante ai fini della missione di tutti quanti loro. Garantire l’equilibrio.
E con esso la loro sopravvivenza.
“Ci mancano ancora dodici settori da controllare!”
–Commentò Febo, riportando lo sguardo di Marins sulla mappa. –“Sempre che non ci sia sfuggito
qualcosa in quelli che abbiamo già passato al setaccio! Ma ne dubito, un tempio
di una simile ampiezza non dovrebbe passare inosservato!”
Per praticità avevano suddiviso l’area delle
ricerche in sedici quadranti, ma Marins sapeva bene
che, considerando l’estensione di ogni singolo settore, pari a circa
diciassettemila chilometri quadrati, l’entusiasmo di Febo
era solo di facciata. Poiché anch’egli stava iniziando a sentirsi stanco e
disperava di trovare davvero qualcosa in quella terra di sabbia e pietre, in
quel deserto freddo che ogni giorno diveniva sempre più simile al Polo Nord.
“Avessimo almeno notizie più sicure! Una zona in cui
restringere le ricerche!” –Sbottò, tirando un pugno sul tavolo e facendo
tremolare la lampada posata su di esso. –“Per gli Dei! Se anche si trova qua,
questo fantomatico tempo primordiale, non lo troveremo in questo modo,
portandoci dietro un caravan di ligi scienziati!”
“No!” –Sospirò Febo,
spostandosi i lisci capelli biondi dietro l’orecchio. –“Per questo credo che
dovremmo passare al piano B!”
“Abbiamo un piano B?!” –Ironizzò Marins,
prima che Febo spostasse un telo dietro al quale
erano ammucchiati un paio di scatoloni con la scritta “Fragile” appiccicata. Non
ebbe bisogno di chiederlo al compagno che intuì cosa vi fosse all’interno.
Dieci minuti dopo, nel calar della sera, Marins e Febo sfrecciavano nelle
desertiche lande del Taklamakan rivestiti dalle
Armature delle Stelle, azzurra e dorata quella di Marins,
simile alle corazze di scaglie dei seguaci di Nettuno, e di color oro e rosso
quella di Febo, intrisa del potere del sole.
“Sai cosa significa Taklamakan
in lingua uigura?!” –Chiese Febo
all’amico, continuando a correre al suo fianco e alzando, al passaggio, onde di
sabbia.
“Intanto spiegami cos’è questa lingua uigura…”
“Sei il solito yankee materialista e ignorante!”
–Ironizzò Febo. –“È la lingua di origine turca
parlata in questa regione! A lei dobbiamo il simpatico nomignolo di questo
deserto, che significa terra del non ritorno! Ovvero: se ci vai, non ne esci
più!”
“Confortante…”
“Forse è davvero così…
Forse i lontani antenati degli Uiguri sapevano quel
che un tempo, agli albori della civiltà, sorgeva qua, e scelsero questo nome
efficace!” –Mormorò il figlio di Amon Ra e della
Sacerdotessa di Apollo.
“Ma se non vogliamo che le loro profezie si
avverino, dobbiamo trovare il tempio!” –Cercò di confortarlo Marins, prima di scattare avanti e perdersi nella notte.
***
Pegasus giaceva su un letto a Fensalir, debole e
febbricitante, sotto l’attento sguardo di Eir, Asinna della Medicina, che si era presa cura di lui fin da
quando gli Einherjar, su ordine di Balder, lo avevano condotto nella residenza della Signora
del Cielo.
Era stato proprio il figlio di Odino a spogliare il Cavaliere di Atena
della sua armatura, ammirandone al qual tempo l’ottima fattura, di matrice
certamente divina. Poi, aiutato da Eir, lo aveva
disteso su un letto, in una delle tante camere disponibili, affinché la
Guaritrice potesse medicare le sue ferite.
“Quanto meno quelle esteriori!” –Aveva commentato lei, sfiorando con le
dita i lividi e i tagli che costellavano il corpo ben curato del ragazzo,
soprattutto sul volto e sulle braccia, e lasciando che il suo cosmo divino
fluisse dentro di lui. Ad ogni carezza il Cavaliere pareva sussultare, come
penetrato in profondità da spilli acuminati, e più volte la Guaritrice dovette
fermarsi, temendo di provocargli più dolore che ristoro.
Fu Balder a insistere affinché proseguisse,
cercando di non udire i lamenti del ragazzo, che spesso si spingeva persino a
gridare e ad afferrare con le mani pezzi di lenzuolo, in uno stato di
incoscienza apparente, vittima delle sostanze venefiche che aveva respirato
durante lo scontro con Jormungandr.
Un uomo normale sarebbe già morto! Commentò il figlio di Odino, osservando le mani esperte di Eir cicatrizzare le ferite di Pegasus
e continuando a sondare il suo animo, tramite il cosmo. Anche molti Einherjar non sarebbero sopravvissuti. Eppure tu, Cavaliere
di Atena, ancora ti appigli alla vita, ancora non vuoi abbandonare le tue
spoglie mortali per ottenere il riposo eterno, sebbene, questo mi pare ovvio,
la tua esistenza terrena non sia scevra dal dolore e dall’inquietudine. Perché?
Cos’è che così tanto ti preme, al punto da spingerti a sopportare intenso e
immeritato dolore? Quale colpa ritieni di dover espiare per meritare tutto
questo?
Balder sospirò, mentre Eir si alzava dal letto,
dopo aver bagnato le labbra del ragazzo con un infuso di erbe medicinali da lei
preparato.
“Io ho finito!” –Commentò. –“Nonostante gli elogi che Odino spesso mi
ha riservato, non sono in grado di resuscitare i morti, posso soltanto
alleviare i tormenti dei feriti, ma trovare o meno la forza di reagire e di
continuare a vivere sta soltanto a loro!”
“Hai fatto il possibile e te ne sono grato, Guaritrice degli Dei!
Aiuterò io adesso il Cavaliere di Pegasus a ritrovare
la retta via!” –Mormorò Balder, espandendo il proprio
cosmo, che brillò luminoso, rischiarando l’intera magione della Signora del
Cielo, confortando tutti i presenti e avvolgendo Pegasus
in un tenero abbraccio. –“Che il sole di Asgard possa illuminare il tuo
cammino, Cavaliere della Speranza! Che possa essere per te un faro, una guida
per ritornare alla vita!” –Nient’altro aggiunse,
sedendo vicino a lui e prendendogli una mano, continuando a infondergli il
calore del cosmo e scandagliando al qual tempo i suoi ricordi per trovare la
fonte della sua inquietudine. Mille immagini si accavallarono nella mente del
figlio di Odino, istantanee delle battaglie affrontate da Pegasus
in nome della giustizia. Da solo o assieme ai propri amici, sempre sorretto da
ideali nobili, sempre protetto da una forza antica come il mondo che Balder non ebbe difficoltà a riconoscere.
Era la Divinità a cui Pegasus era devoto, la
Vergine dallo sguardo scintillante che gli ateniesi indicavano con due semplici
parole. Hethea.
La Dea. Un epiteto antico per la figlia di Zeus. Pallade
Atena.
“Sebbene la protezione della Dea Guerriera ricada indiscriminatamente
su tutti i suoi Cavalieri, fin dal Mondo Antico, vi è un legame particolare che
la unisce al suo Primo Cavaliere, a colui che indossa l’armatura della
costellazione di Pegasus!” –Rifletté Balder, cercando di ricomporre la trama di un rapporto che
pareva trascendere il tempo e andare oltre, fino alle origini. Al primo
incontro tra Pegasus e Atena avvenuto molti secoli
addietro, millenni persino, quando il mondo era giovane e gli Dei credevano di
potersi gloriare dell’appellativo di eterni.
Colui che per primo indossò la corazza di Pegasus,
forgiata dagli alchimisti di Mu utilizzando il Gamanion, l’Oricalco e la Polvere di Stelle, visse infatti
all’epoca della Prima Guerra Sacra che oppose le schiere di Atena Promachos a quelle del Signore dei Mari, obbligando la Dea
a dotare i propri combattenti di armature speciali, che potessero proteggerli
dai devastanti attacchi nemici. Fu proprio lei a disegnarne le forme,
ispirandosi alle costellazioni celesti, e quella di Pegasus
fu la prima ad essere realizzata, perché traeva origine da una storia che la
riguardava in prima persona.
Tempo addietro, quando Perseo, figlio di Zeus, aveva affrontato Medusa,
una delle Gorgoni, dal suo sangue era nato un cavallo alato, espressione della
vitalità e della forza pulsante unita al desiderio e alla capacità di liberarsi
da qualsiasi legame e volare in alto. Quel destriero, cui Atena aveva donato
delle briglie d’oro, fu chiamato Pegaso e rimase per sempre simbolo di ciò che
gli uomini potevano ottenere se lo avessero voluto, di ciò che la Dea si
aspettava che gli uomini raggiungessero. La possibilità di superare i loro
stessi limiti, innalzandosi verso il cielo ad ali spiegate.
Ed è quello che fece il primo Cavaliere che indossò tale corazza, Bellerofonte di Pegasus, e tutti
coloro che gli succedettero, passando per Seiya, il
giovane che riuscì a ferire Ade durante la Prima Guerra Sacra contro
l’Imperatore dell’Oltretomba, e giungendo infine a lui, ultimo discendente di
una stirpe di eroi.
A questo pensava Atena in quel momento, seduta sotto un ulivo sul retro
della Reggia di Zeus.
Aveva lasciato i suoi pari a discutere gli ultimi dettagli relativi
alla rinascita di Nettuno, dopo che Ermes aveva abbandonato l’Olimpo, portando
con sé il Vaso di Atena, e si era incamminata nel giardino sacro, bisognosa di
un momento per se stessa. Non solo per riflettere sulla pericolosità della
decisione presa da Zeus, ma anche per ristabilire un contatto con i suoi
Cavalieri, un contatto di cui sentiva la necessità, per infondere loro forza,
nella continua lotta contro le forze del male, ma anche per prenderne a sua
volta.
Era così che funzionava il loro rapporto, basato su un equilibrio
perfetto di emozioni. Un equilibrio che aveva permesso loro di riportare tutte
le vittorie che costellavano il loro cammino, il percorso comune intrapreso
quel giorno, tra le rovine del Palazzo dei Tornei, quando aveva rivelato la sua
vera natura e lo scopo del loro addestramento. Per questo siamo stati
chiamati! Aveva detto Isabel quel giorno.
Ma non ce l’avremmo fatta ad arrivare fin qua se non ci fossimo
sorretti l’un l’altro, ali silenziose in grado di rimetterci in piedi quando
non siamo stati più in grado di camminare da soli! Aggiunse adesso la Dea. Voi siete stati
la mia forza, per tutto questo tempo, ciò che mi ha spinto a non arrendermi
mai, in nessuno dei martìri che ho patito. La
speranza silenziosa dell’umanità. Lasciate che anch’io vi rinfranchi! E nel
dir questo espanse il cosmo, socchiudendo gli occhi e lasciando che il vento lo
portasse via, lontano, fino a raggiungere le terre eterne di Asgard.
Lambì il corpo di Sirio, donando al drago la forza per tornare a
ruggire, spezzando i legami che lo tenevano prigioniero. Infiammò il cosmo di
Phoenix, appena sceso sul campo di battaglia, dandogli la sua benedizione.
Ristorò Cristal, provato per lo scontro con Beli, e
sostenne Andromeda in quella che, agli occhi del ragazzo, sembrò una nuova
prova del suo infinito addestramento.
Infine raggiunse Pegasus, naufragando tra i
ricordi assieme a lui.
“Isabel…” –Mormorò il giovane.
Atena sobbalzò, prima di capire che non era a lei che si riferiva, ma
alla bambina viziata che amava trascorrere le notti ad ascoltare i racconti di
suo nonno e i giorni a rendere la vita un inferno agli orfani che l’anziano
aveva riunito presso la sua casa.
“Non sono il tuo cavallino, né mai lo sarò!” –Esclamò il bambino,
strappandole la frusta dalle mani e gettandola via.
“Come osi?” –Si accalorò la piccola Isabel, schiaffeggiandolo e
spingendolo indietro.
Scontri del genere, alla Grande Fondazione, erano all’epoca frequenti e
si risolvevano sempre con l’intervento di Asher, che
mellifluo acconsentiva ad eseguire ogni richiesta della capricciosa bambina,
anche al punto di umiliare se stesso.
“Mentre tu… non l’hai mai fatto!” –Sospirò
Isabel, rattristata dai propri infantili atteggiamenti, mentre il vento del
ricordo smuoveva le fronde dell’ulivo. –“No! Sei sempre stato uomo a
sufficienza! Per entrambi!”
E ricordò il giorno in cui si erano rivisti, dopo i sei anni di
addestramento, e la guerra di sentimenti scatenatasi nel cuore del ragazzo,
dominato prima dall’ansia e dalla felicità di ritrovare sua sorella, poi dal
dolore nell’apprendere della sua scomparsa.
“Per quello sei diventato Cavaliere! Per quel motivo hai stretto i
denti e sopportato anni di allenamento intensivo e scontri massacranti! Non per
inseguire i sogni di pace di chissà quale Divinità il cui nome è stato a lungo
un sospiro nel vento!” –Mormorò Atena, a cui parve di vedere le labbra sofferenti
del Cavaliere contrarsi in un silenzioso cenno d’assenso.
“A volte ho pensato di smettere!” –Parlò Pegasus
per la prima volta, stupendo la Dea che non immaginava che il ragazzo avrebbe
potuto percepire la sua presenza dentro di lui. –“Soprattutto dopo aver
ritrovato colei che avevo perduto! ‘Il cerchio si è chiuso!’ dissi a Lamia poche settimane fa, dopo la sconfitta di Flegias sull’Isola delle Ombre. Quel che dovevo fare l’ho
fatto, e adesso posso essere in pace con me stesso, senza più rimproverarmi niente!”
“Non avresti mai dovuto rimproverarti alcunché!” –Fu la risposta di
Isabel.
“Non avrei potuto vivere sapendo di non aver fatto abbastanza per
ritrovarla! Lei, in fondo, è stata la mia famiglia per anni, l’unica che si è
presa cura di me, tenendomi per mano e correndo assieme a me a caccia di
farfalle! Mi ha fatto da sorella, ma anche da madre e da amica! E per un
momento, credendo che le guerre fossero finite e che gli Dei sanguinari fossero
stati sconfitti, Apollo, Nettuno, Ade e Ares, ho accarezzato l’idea di avere
una vita normale, quella che i ragazzi della mia età vivono quotidianamente!
Quell’esistenza che io, Sirio, Andromeda, Cristal e
Phoenix abbiamo soltanto sfiorato, nei rari momenti di quiete che ci sono stati
concessi!”
“È la vita che anch’io vorrei per voi!” –Confessò Atena. –“Per questo
vi feci dono del Talismano della Dimenticanza! Per darvi quell’opportunità che
meritate!”
“E cosa faresti, Isabel, se anche tu potessi goderne, di
quell’opportunità?”
Atena sorrise, alla genuina innocenza di quella domanda e al piacere di
sentire il suo nome pronunciato proprio da lui. –“Non credo che in questa vita
potrò goderne, Pegasus!”
“Neppure io lo credo! Ma a volte è bello pensarlo! Sognare il futuro!”
–Mormorò lui. –“Immaginare un mondo senza più guerre, dove potrei smettere i
panni dell’eroe, in cui mi sono sempre trovato stretto, e indossare quelli di
un diciottenne come tanti, desideroso di vivere la vita fino in fondo! In quel
mondo fantastico, vorrei viverla con te. Passeggiare insieme sulla spiaggia di
Luxor, osservando i tramonti succedersi e il nostro amore rimanere. Oppure
sedere sul molo della Darsena, a rimirare le stelle, unendole in modo da
disegnare quel che la fantasia e i nostri sogni ci vedrebbero!”
“Sarebbe bello…” –Confessò lei.
“Sì, lo sarebbe! Questa è la vita che ho a lungo sognato per entrambi,
e per cui ho combattuto negli ultimi anni, da quando è diventato chiaro, a me
stesso, il motivo per cui stavo davvero lottando! Non più ritrovare mia
sorella, non soltanto!”
“Pegasus… Ti prego…”
–Lo fermò Atena, che non poteva sopportare oltre. Era una Dea, e aveva dei
doveri nei confronti dell’umanità, anche se a volte le faceva male ricordarlo,
perché esserlo significava precludersi quella felicità che come donna avrebbe
voluto. –“Sono risorta in quest’epoca per una missione!”
“Lo so! E a volte anch’io credo di essere nato per questo! Per
continuare quel che le nostre anime hanno iniziato millenni addietro, agli
albori del mondo, e rimanere insieme per l’eternità! Dannati nei nostri
sentimenti! Vicini sempre, pur senza raggiungerci mai!”
La Dea non aggiunse altro, consapevole che Pegasus
aveva colto nel segno. Quel che volevano entrambi era qualcosa che non
avrebbero mai avuto. Che lo accettassero o meno, dovevano andare avanti e fare
quel che ci si aspettava da loro, combattere per la giustizia e la difesa
dell’umanità. Anche a costo di bruciare la loro stessa felicità.
Cos’è in fondo la felicità di un uomo di fronte alla sofferenza di un
mondo? Si ripeteva Atena,
nei momenti che riusciva a dedicare a se stessa. Ma, per quanto conoscesse la
risposta, a volte le pesava ammetterla.
“Sto morendo!” –Disse infine Pegasus, e la
Dea poté percepire lo spegnersi del suo cosmo. Quella fiamma che finora aveva
sentito nel cuore, adesso stava sbiadendo, perdendosi in un’ombra lontana.
“Le mie forze non bastano più! Il veleno di Jormungandr…”
“Puoi vincerlo! Il mio cosmo ti aiuterà! Come vincemmo la Spada di
Ade!”
“Conservalo per i giorni che verranno! Ne avrai bisogno anche tu, per
affrontare l’ombra!” –Le disse Pegasus, rifiutando il
suo aiuto. E alla figlia di Zeus parve di sentire un muro sorgere tra loro, un
muro che, pur se distante, le impediva di donare il suo cosmo a colui che
amava.
“Pegasus… Tu non puoi morire, sei l’unica
speranza per tutti coloro che vivono in quest’epoca!”
“No! Io sono soltanto un Cavaliere devoto come tanti, che ha lottato ed
è caduto per la sua Dea! Sei tu la speranza degli uomini! Tu, che hai sopportato
e sopporterai ancora il peso di ogni perdita, di ogni rinuncia!”
“Sai quanti Cavalieri hanno indossato l’armatura di Pegasus
prima di te? Numerose decine. E quanti hanno indossato le altre ottantasette
corazze? Numerose centinaia. E tutti, tutti quanti, hanno combattuto sorretti
da autentica fede, tutti hanno lottato per la giustizia, per difendere la
Terra, per proteggere gli uomini o una persona che avevano cara, fosse un amico
o un fratello! Tutti hanno trovato la morte sotto i vessilli di Atena, ma tu,
tu soltanto, hai lottato per me! Non per la Dea, ma per Isabel! Unico, di tutte
le migliaia di eroi che la storia ha conosciuto!”
“Tu sei la Dea, per me!” –Commentò Pegasus.
“E per me dovrai vivere, allora!” –Sentenziò Isabel. –“È una ragione
sufficiente?!”
Pegasus non rispose e la Dea perse ogni collegamento con il ragazzo,
risvegliandosi di scatto dal trance in cui era apparentemente precipitata.
Demetra, in piedi di fronte a lei, la osservava con aria preoccupata, mentre
rivoli di sudore le colavano sul volto.
Anche Balder perse ogni contatto con la mente
del Cavaliere, e per un attimo credette davvero che
l’ombra lo avesse vinto, trascinandolo verso l’abisso. Poi, lenta ma
persistente, la fiamma del suo cosmo risplendette di nuovo e il figlio di Odino
sorrise, osservando Pegasus riaprire gli occhi e
guardarsi intorno, stordito e un po’ dolorante.
“Ben svegliato, Cavaliere di Atena!” –Esclamò il Sole di Asgard con un
gran sorriso. –“È nel tuo destino, nel tuo sangue, correre in aiuto di Atena!”
***
Erik si stava proprio divertendo. Come non accadeva da tempo.
La sua corazza era sporca, di terriccio e di sangue nemico. La sua
scure era intrisa della materia cerebrale di tutti coloro a cui aveva sfondato
il cranio. Il suo ego traboccava smisurato, pregustando già lo scranno su cui Loki lo avrebbe fatto sedere al termine di quello scontro,
che si sarebbe concluso con il loro trionfo.
Di questo, Erik non aveva dubbi. Non fosse stato altro per il nome che
portavano, che aveva applaudito quando l’Ingannatore lo aveva assegnato loro.
Gli Dei di Vittoria.
“E in quale altro modo dovremmo chiamarci?!” –Aveva ironizzato quel
giorno, nelle caverne di Járnviðr. –“Dei di
Sconfitta non sarebbe altrettanto stimolante, non credi?”
Loki
non gli aveva dato ascolto, rifugiandosi nelle profondità assieme a Managarmr, l’unico, dei cinque, a condividere con il Dio
una certa intimità, per quanto al ragazzo sembrasse un comportamento dovuto nei
confronti di colui che considerava un padre.
“Se Loki
gli ordinasse di gettarsi nudo tra le fiamme, quello non esiterebbe una volta,
senza neanche chiedersi perché!” –Aveva sentenziato Bjuga,
addentando con voracità il cosciotto di lepre appena tolto dal fuoco.
Drepa
e Hræsvelgr non avevano aggiunto altro, per niente
interessati ad una conversazione con i loro parigrado, nessuno dei quali li
considerava tali.
“Hanno tutti sbagliato!”
–Sogghignò Erik, roteando la propria arma e staccando la testa di un Einheri con un colpo solo, scagliandola a molti metri di
distanza. –“L’unico degno guerriero sono io! Ahrahr! Un bersekir allo
stato puro!”
Modhgudhr,
alle sue spalle, rimaneva in silenzio, limitandosi a proteggere il Sigtýrcon una
barriera di energia psichica, impedendo agli attacchi avversi di raggiungerlo.
Tutte le frecce che gli erano piovute contro erano state annientate al solo
contatto con tale protezione, permettendogli un margine d’azione che
nessun’altro guerriero aveva.
Forte di quel vantaggio, Erik aveva massacrato persino Ullr, il Cacciatore degli Asi,
legando la sua testa alla cintura, come monito per coloro che avessero osato
sfidarlo.
Proprio in quel momento Loki gli parlò, tramite il cosmo, pregandolo di
raggiungerlo ai margini inferiori della piana. Con amarezza, per doversi
sottrarre al bagno di sangue, Erik obbedì, facendo cenno alla fanciulla dal
volto emaciato di seguirlo.
“Salute a te, Gran Fabbricatore
di Inganni! Accetta questo mio umile dono, come prova della mia indiscussa
fedeltà alla causa!” –Esordì il Rosso, gettando la testa di Ullr
ai piedi di Loki, che mosse un passo indietro,
disgustato da quella sozza visione. –“Non sarai diventato schizzinoso?! Ahrahr!”
“Al momento sono piuttosto
irritato, in verità!” –Esordì il Dio. –“Dai Cavalieri di Atena, per essere
preciso! E quando sono irritato mi prude la pelle! Ero convinto che il crollo
di Bifrost li avrebbe tenuti lontani, invece sono
giunti fin qua, passando da non so quale strada! La loro presenza è nociva al
completamento dei piani!”
“Sei turbato da dei ragazzini?
Quanti Einherjar abbiamo già massacrato quest’oggi? A
settantadue ho perso il conto! Ahrahr!” –Rise Erik, ma poi, vedendo lo sguardo irato, e
preoccupato, che Loki gli rivolse, si chetò. Le
cicatrici violacee che il nume solitamente nascondeva tramite il cosmo erano
adesso evidenti, così come il tic nervoso che lo portava a grattarsi con
frequenza.
“Jormungandr
è caduto! Ho sentito la sua aura spegnersi, sconfitto indubbiamente da un
Cavaliere di Atena, credo Pegasus! Un altro è qua, a Vígridhr, e ho inviato Fenrir ad occuparsene! Un terzo è a Himinbjörg e, dal momento che
viaggiano sempre in cinque, immagino che anche gli altri due non siano lontani,
magari intenti a ritardare l’avanzata dei Giganti di Gelo dal Niflheimr? Inoltre vi sono altri due cosmi che non riesco a
riconoscere, ma che mi sono apertamente ostili!”
“Ti preoccupi troppo! A qualunque divinità
siano devoti, i nostri nemici cadranno tutti! Un collo è sempre un collo!”
–Commentò Erik, sollevando la scure.
“Ciononostante intendo fargliela pagare! Un
versetto della Bibbia giudaico-cristiana recita: Occhio per occhio, dente per
dente, bruciatura per bruciatura, ferita per ferita! Io aggiungerei: scure per
scure!” –Sogghignò Loki, ritrovando la sua perfida
determinazione. –“Dal momento che i Cavalieri di Atena non si sono fatti
scrupolo alcuno nell’intromettersi in affari che non li riguardavano, non
avranno da lamentarsi se anche noi faremo altrettanto, non credi?!” –E spiegò a
Erik ciò che lui e Modhgudhr avrebbero dovuto
fare.
La vendetta dell’Ingannatore si
sarebbe presto abbattuta su Atene.
L’agitarsi furibondo del Serpe del Mondo aveva distrutto il ponte di
pietra su cui Jonathan stava correndo, seguito dall’esercito dei nani,
scaraventandoli in alto fino a farli ricadere molti metri addietro, separati da
Mizar dalle acque del Thund.
Assieme a lui, sull’altra riva del fiume, c’erano Artax
e Cristal, che avevano raggiunto i due Cavalieri poco
prima che uscissero da Valgrind, un po’ provati
dall’intenso scontro sostenuto a Muspellheimr.
“Cavaliere mithril!” –Lo chiamò la ruvida
voce di Durin, avvicinandosi per aiutarlo a
rimettersi in piedi.
“Sto bene, grazie, Re dei Nani!” –Esclamò Jonathan, rialzandosi, con lo
Scettro d’Oro saldamente in mano. Tirò un’occhiata a Mizar
e Cristal, che gli fecero cenno che sarebbero andati
avanti, e si guardò attorno, cercando un modo per superare quel fiume dal letto
ampio e dalla corrente agitata. Avendo Jormungandr
distrutto il ponte vicino al Valhalla, potevano
soltanto correre al successivo, più orientato verso nord rispetto al
precedente, sebbene Jonathan non fosse affatto sicuro che la direzione in cui
si stavano adesso muovendo fosse il settentrione.
In questa terra mitica, di insidie e di eroi, anche le coordinate geografiche
sono difficili da definire!
Si disse.
Era l’alba, quella mattina, quando aveva lasciato Avalon assieme a Reis e non dovevano essere passate più di due ore da quando
aveva varcato la soglia del portale dimensionale a Midgard.
Ma che fosse tarda mattinata o primo pomeriggio, di questo non poté esserne
certo, stranito da quella singolare sensazione che lo aveva invaso non appena
giunto nella Terra degli Asi.
C’era qualcosa, nell’aria sempiterna di quel regno, che gli ricordava
l’isola di Avalon. Un mondo in cui il tempo scorreva diversamente rispetto al
resto del pianeta, per quanto Jonathan ben sapesse che il tempo in realtà non
scorreva affatto.
“È un pregiudizio di cui devi liberarti!” –Gli ripeteva spesso il suo
maestro, nelle loro serate a Isla del Sol, trascorse
a parlare di fronte a un fuoco di bivacco. –“Il tempo non corre né si arresta.
Il tempo semplicemente è. Sono gli uomini che si muovono nel tempo, che
compiono il loro ciclo vitale: nascita, giovinezza, età adulta e vecchiaia. Ma
il tempo non cambia mai. È un eterno presente! È questo che garantisce la
ciclicità e la continuità della vita!”
Qualcosa di simile aveva appreso dal Signore dell’Isola Sacra, e ne era
tanto più certo quanto più si riferiva agli Dei, entità millenarie al cui
confronto la vita umana durava un battito di ciglia. Eppure la storia avrebbe
dovuto insegnare loro che anche le Divinità potevano morire. Potevano cadere
in battaglia, vittime delle Guerre Sacre che avevano scatenato, o subito. O
potevano essere asservite ad un’entità ancora più potente, a loro superiore.
E questo era ciò che Jonathan temeva stesse per accadere.
“Coraggio! Il ponte è vicino!” –Gridò, rinfocolando il bellicoso animo
della legione che si era ritrovato, suo malgrado, a guidare.
Il migliaio di nani che lo seguiva, rivestiti di resistenti cotte di
ferro e bronzo e armati di asce, catene e mazze, rispose con un’invocazione
convinta, prima di giungere al ponte di pietra grezza segnato ai lati da due
statue di guerrieri con le spade sguainate. Vi passarono sopra, giungendo
sull’altra sponda di Thund, in un punto dove i rumori
della battaglia erano più consistenti. Ma non provenivano dal Monte del Cielo,
che rimaneva alla loro sinistra, bensì dall’immensa piana che iniziava poco
distante.
Jonathan fece cenno ai nani di seguirlo e insieme a loro giunse a Vígridhr, nel cuore della guerra, nel bel mezzo del Ragnarök.
Di fronte a sé si estendeva un
prato lungo parecchie miglia, che digradava lentamente verso una foresta di
conifere. Ma dell’erba e dei fiori che un tempo lo costellavano, e degli
animali che vi pascolavano, non vi era più traccia. C’era soltanto un immenso
scontro in atto, tra l’esercito fedele a Odino, costituito dagli Asi e dalle migliaia di Einherjar
ascesi al Valhalla nel corso dei secoli, e la summa
di tutte le forze del male scatenate da Loki.
E proprio lui, il Diabolico
Ingannatore, se ne stava in piedi sul cranio del gigantesco lupo da lui
generato, scagliando rune di cosmo a destra e a manca con cui falciava la vita
dei guerrieri di Odino, mentre le demoniache schiere lottavano attorno a sé.
Jonathan rimase impressionato
da una scena che andava al di là di ogni previsione. Aveva letto numerosi libri
sulle Guerre Mondiali che avevano scosso il continente europeo nel Ventesimo Secolo,
le prime che erano state definite guerre di massa. Ma la mischia che si apriva
davanti ai suoi occhi riusciva persino ad andare oltre. Era un’accozzaglia
confusa di poteri, dove ogni forma di ordine era destinato a disgregarsi. Era
la rivincita delle forze del caos. La vendetta degli imperfetti.
Qualunque cosa si aspettasse,
non poté far altro che sollevare lo Scettro d’Oro e liberare un fascio di luce,
lanciandosi avanti, seguito dai nani che avevano già sguainato le affilate
asce. La fiumana Dvergr travolse l’esercito di
defunti che avevano abbandonato le distese di Hel per
reclamare il loro posto al sole. Adulteri, morti di malattia o vecchiaia,
assassini, stupratori, sadici e violenti. Jonathan si trovò immerso nella
feccia peggiore e ovunque volgesse lo sguardo, in qualunque direzione puntasse
la luce dello scettro, dovette ammettere di trovare solo ombra e morte.
“Non deve essere difficile
capire chi sono i buoni e chi i cattivi!” –Ironizzò, evitando un rozzo dardo
diretto contro la sua spalla. –“Per esempio quel lupo immenso le cui fauci
sembrano mangiare il cielo presumo non sia dei nostri! Né questi…questi… Per Avalon, non ho idea di come definirli! Non-morti?!”
Attorno a sé si stava chiudendo
un mucchio di uomini che sembravano morti viventi, tanto la loro pelle era
consumata, gli abiti logori, gli sguardi spenti, risollevati dalle tombe cui
erano stati confinati. Una brigata di gente sbandata, che forse un nome non lo
aveva. Erano soltanto pedine nelle mani di chi li aveva aizzati contro gli Asi.
“Mi dispiace per voi, morti-non-morti, poiché neppure dopo il trapasso vi è stata
data quella pace di cui non avete goduto in vita!” –Mormorò, prima che lo
Scettro d’Oro emettesse una luce abbagliante che trafisse i petti degli
avversari.
Nel vorticare furioso dello
scontro, in cui presto si trovò circondato da un numero così elevato di defunti
da non riuscire più nemmeno a contarli, cercò di guardarsi incontro, alla
ricerca dei suoi compagni. Ma vide soltanto Andromeda, la cui catena sfavillava
nel fosco cielo poco distante, impegnato in un duro scontro. Di Sirio, Cristal e Reis nessuna traccia,
persino di Pegasus non riusciva più a percepire il
cosmo, ardente fino a pochi istanti prima.
“Aaargh!!!”
–L’urlo di Durin lo riportò in battaglia, costringendolo
a voltarsi verso i nani, che combattevano furiosamente, invasi da una
determinazione che poche volte aveva visto in battaglia. Qualcuno era già
caduto, ma la massa si era presto compattata attorno al Cavaliere Mithril, l’eroe leggendario che li aveva incantati con lo
scintillare della sua armatura e del manufatto che stringeva in mano.
Ma, da quel che poteva vedere,
quello sbarramento di scudi non era stato sufficiente per fermare una sagoma
così esile come quella della vecchia dalla pelle raggrinzita che, solo agitando
una scopa, stava spazzando via un nano dietro l’altro, sfondando le loro linee
difensive.
“Ho trovato il mio nemico!”
–Mormorò Jonathan, muovendosi verso di lei, con lo Scettro d’Oro teso e pronto
a liberare un violento raggio di energia.
Proprio in quel momento
un’ombra lo sovrastò, oscurando quel poco di luce che riusciva a rubare spazio
alle nuvole. Un’ombra la cui estensione aumentò, portando il biondo Cavaliere
di Avalon a sollevare lo sguardo al cielo, dove l’imponente sagoma di una nave
si stagliava minacciosa. Una nave che, per quanto Jonathan sbattesse gli occhi
per esserne sicuro, sembrava fatta di unghie.
“Giù!” –Sentì ordinare da una
perentoria voce maschile, mentre la barca scendeva a terra, schiacciando
qualche nano e persino qualche morto-non-morto.
“Una nave volante?!” –Balbettò,
mentre un gruppo di nani, tra cui Durin e Dvalin, si riuniva attorno a lui, sollevando le asce.
“Naglfar!
Questo è il suo nome! Ed è il vascello di cui Loki mi
ha affidato il timone, lo stesso che ha solcato i cieli del Nifhleimr
conducendo fin qua le schiere fedeli alla sovrana di quel regno! La mia regina,
Hel, su cui avevi posato lo sguardo!” –Esclamò una
voce, mentre un’agile sagoma balzava giù dal ponte di comando, atterrando proprio
di fronte a Jonathan e ai nani, di modo che potessero vederlo.
Era un uomo sui quarant’anni,
dall’espressione accigliata e lo sguardo intenso, rivestito da un’armatura
violacea, dai riflessi neri, che Jonathan non seppe dirsi cosa rappresentasse,
probabilmente qualche creatura infernale. Stretta
nella mano del guerriero, una spada la cui lama emanava bigi riflessi ad ogni
movimento.
“Chi sei?” –Chiese il Cavaliere dei Sogni.
“Megrez, tredicesimo nel mio nome!” –Esclamò
tronfio l’uomo. –“Colui che darà lustro al suo antico casato! Ma puoi chiamarmi
Naglfari, il Viaggiatore delle Unghie! Ah ah ah!”
“Piuttosto sicuro di te stesso…” –Commentò
Jonathan.
“E perché non dovrei? Non è mia abitudine sottovalutarmi!”
“Non dovresti farlo neanche con i tuoi avversari!” –Precisò Jonathan,
ottenendo in risposta soltanto una risata di scherno.
“E dove sarebbero?! Forse questi buffi nanetti da giardino? O tu, un
ragazzino dai capelli slavati che ha appena smesso di poppare dai seni di sua
madre?!”
“Maledetto! Non permetterti più!” –Ringhiò Jonathan, scattando avanti,
infervorato al solo ricordo di sua madre e della sua tragica fine. Con un balzo
superò i nani disposti attorno a lui, sfolgorando nel suo cosmo lucente, mentre
già lo Scettro d’Oro liberava migliaia di fasci di energia.
Megrez fu svelto a muoversi, evitando molti di essi, e a roteare la spada,
lasciando che altri scivolassero sulla superficie gelida della lama,
disperdendosi senza ferirlo.
“Piuttosto svelto per essere un poppante!” –Commentò, deviando anche
l’ultimo raggio energetico, senza curarsi di chi venisse al suo posto
raggiunto.
“Posso fare di meglio, anzi mi dispiaccio di averti raggiunto una sola
volta! Sai, anch’io, come te, ho un’alta opinione di me stesso! Ma, a
differenza tua, è meritata!”
“Ah ah ah! Sei simpatico, ragazzino!” –Ghignò Megrez.
–“Meglio di mio figlio, certamente! Ma così giovane e già ti manca qualche
diottria? Non vedi che non mi hai…” –Ma le parole gli
si spezzarono in bocca, quando sentì la carne andare a fuoco sulla coscia
destra. Abbassò lo sguardo e vide con orrore lo squarcio sulla tuta scura che
aveva addosso e la pelle ustionata.
“È una bruciatura leggera!” –Commentò Jonathan, con un sorriso ironico.
–“Per un maschio come te, è ben poca cosa!”
MegrezNaglfari non disse niente, limitandosi a
fissarlo con astio, digrignando i denti, prima di scattare contro di lui, con
la spada sollevata. La calò a pochi centimetri dal viso di Jonathan, che si
spostò lesto di lato, evitandola e fermandone il ritorno con l’asta dello
scettro. Il servitore di Hel liberò la propria arma
da quella del ragazzo, ma non ebbe modo di tentare un nuovo affondo che già
veniva spinto indietro da un’onda di energia dorata.
“Svelto, abile e potente…” –Sogghignò l’uomo,
mentre una decina di nani si lanciava contro di lui, pronti per combattere a
difesa del Cavaliere Mithril.
“No, fermi! Lasciate a me costui!” –Li richiamò Jonathan. –“Occupatevi
dell’esercito di defunti al servizio di Hel! Non sono
addestrati come gli Einherjar, ma sono tanti. Troppi!
È tempo di sfoltire le loro fila e di ricondurli al sonno eterno!”
“Come comandi, Cavaliere Mithril!”
–Esclamarono i nani, allontanandosi dai due guerrieri e lanciandosi nella
mischia.
“Ti portano rispetto, per essere un ragazzino!” –Notò Megrez con voce beffarda, che non riuscì però a nascondere
una punta d’invidia. Per quel rispetto che non aveva mai ottenuto, né da suo
figlio né dai defunti di cui Hel gli aveva affidato
il comando. –“Ma sei un ingenuo… se credi che morendo
di nuovo costoro trovino la pace…”
“Cosa vuoi dire?!”
“Non esisterà mai pace per nessuno di noi! Imperfetti per sempre, così
resteremo, fintantoché Loki non sovvertirà l’ordine
costituito permettendo a tutti noi, a migliaia di morti per cause non nobili,
di avere vendetta su Odino! Trema, servo degli Asi, e
offri il petto alla Lama di Hel!!!” –Gridò Megrez, muovendo la spada in modo da affondare
continuamente avanti a sé e generare migliaia di strali di energia cosmica che
sfrecciarono contro Jonathan, che fu lesto, senza perdersi d’animo, a
contrattaccare con i raggi di luce del suo scettro.
Uno contro l’altro, con i nervi tesi e i sensi concentrati
sull’avversario, il Cavaliere delle Stelle e il Comandante delle truppe del Niflheimr osservarono scontrarsi i fasci di energia da loro
prodotti. L’aria sfrigolò, elettrizzata dai loro cosmi, spingendo indietro
alcuni defunti e nani che avevano cercato di avvicinarsi, i primi per attaccare
Jonathan a tradimento, i secondi per porgergli aiuto.
“Avevo il sospetto che la tua non fosse una spada normale…”
–Mormorò il biondino a denti stretti, proseguendo con il suo attacco.
“L’elsa lo è, ma non la lama, composta dal ghiaccio del mondo infero,
tenebroso e in grado di deviare la luce!” –Rispose l’uomo, che parve leggere,
nelle parole dell’avversario, un segno di incertezza, spronandosi ad aumentare
il proprio assalto.
In reazione, Jonathan fece altrettanto, per contrastare il maggior
numero di affondi energetici che il padre di Megrez
riusciva a dirigere. E così rimasero per qualche minuto, finché il Cavaliere
delle Stelle non decise di rischiare una mossa azzardata, riunendo tutti i
fasci in un unico dardo diretto sul fianco del nemico, in un punto del corpo
non protetto dall’armatura. Dovette agire con sveltezza, poiché interrompendo il
proprio attacco, gli affondi di Megrez non trovarono
più niente a contrastarli, liberi di sfrecciare e raggiungere Jonathan, pochi
istanti dopo che il raggio di energia dorata aveva centrato il servitore di Hel al fianco destro, scaraventandolo indietro.
“Bel…colpo…”
–Ringhiò l’uomo rimettendosi in piedi, tastando la ferita fumante.
Jonathan non rispose, limitandosi a rialzarsi a sua volta, sbattuto a
terra da qualche fendente che lo aveva raggiunto, pur senza provocargli gravi
danni.
“Ma una spada è un’arma d’attacco, ben più adatta alla lotta che non
un’asta intarsiata!” –Riprese Megrez, impugnando la
Lama di Hel e caricandola del suo cosmo oscuro. –“Ed
è ad una spada che miro, un capolavoro di potenza come quelle di Freyr e di Odino! Loki me ne farà
dono dopo la vittoria, quando seduto sull’alto scranno di Hliðskjálf provvederà alla spartizione dei bottini di
guerra! Nell’attesa mi accontento di questa, non è male, se la si sa usare! Il
ghiaccio di Niflheimr permette di deviare i fasci di
energia, lasciandoli scivolare via! Ad un attacco diretto forse non
resisterebbe, ma finché le gambe non mi tradiranno la userò per riflettere i
tuoi assalti! E ora…” –Non aggiunse altro e scattò avanti a lama tesa, mirando
al cuore del Cavaliere delle Stelle.
“Umpf…
E ti reputi un vero guerriero? Con che coraggio?!” –Mormorò questi, con lo
sguardo abbassato e gli sfilacciati capelli color cenere che gli coprivano la
fronte e parte degli occhi. –“Scettro d’Oro, rischiara la foschia che
ottenebra quest’uomo!”
Un unico grande fascio di
energia dorata sfrecciò dal fiore sulla cima dell’asta, dirigendosi verso MegrezNaglfari e distruggendo in
un istante la Lama di Hel.
Inorridito, il Viaggiatore
delle Unghie osservò l’elsa semiliquefatta che ancora stringeva in mano, mentre
migliaia di frammenti di lama schizzavano sul campo di battaglia e addosso al
suo corpo, ferendogli persino il mento.
“Tuttut… Se di
forza o di intelligenza cercavi una prova, da entrambe sei uscito sconfitto!”
–Commentò Jonathan, volgendo lo sguardo verso l’avversario, il cui volto,
nonostante l’ultima rovinosa azione, era deformato in un eccesso d’ira, gli
occhi intrisi di sangue. Per un istante, credette che
gli si sarebbe scagliato contro, come un bufalo inferocito, ma poi lo vide
posare lo sguardo sulla sua armatura, come se finora non vi avesse prestato
attenzione.
“Sono stupito, lo ammetto, dalla tua potenza d’attacco! E anche dalle
tue qualità guerriere, poppante, di cui non sembri fare sfoggio! Che cosa ti
rende reticente? Non ti sei forse preparato per tutta la tua seconda vita in
vista di quest’oggi?”
“Non confondermi con gli Einherjar, schiavo
di Hel! Non appartengo alle schiere dei Campioni di
Odino!” –Esclamò Jonathan, suscitando maggior interesse nel suo avversario, che
continuava a guardarlo, a osservare il taglio elegante della sua corazza, le
aggraziate forme aerodinamiche, che la rendevano, anche solo alla vista,
leggera ed eterea.
“Il tuo aspetto in effetti è ingannevole! I capelli biondi mi avevano
fatto pensare che tu fossi di stirpe nordica, come la maggior parte dei
guerrieri del Valhalla, ma la carnagione più scura mi
fa pensare al gruppo etnico mediterraneo!”
“Ben più distante dal Mediterraneo ho avuto i natali! Ai piedi del
Tempio di Inti, presso Isla
del Sol, in Perù, da una Sacerdotessa devota al culto del sole. Per questo, mi
ha sempre narrato mia madre, finché è vissuta, ho avuto i capelli così biondi,
quasi fossi figlio del sole!”
“Tutto questo mi commuove…” –Esclamò Megrez sarcastico. –“Ma se non sei un Einheri,
puoi solo essere uno di quei ridicoli Cavalieri di Atena che professano la pace
della loro Dea in tutto il mondo!”
“Né a Odino né ad Atena sono fedele, per quanto al loro fianco combatta
contro le tenebre! Bensì al Signore dell’Isola Sacra, dove ho ottenuto
riconoscimento per il mio addestramento, divenendo un Cavaliere delle Stelle! È
Jonathan di Dinasty il nome mio, Cavaliere dei Sogni
al servizio di Avalon!”
A quelle parole l’uomo ebbe un sussulto e l’interesse finora provato
per il ragazzo mutò in una collera infinita, che parve traboccare dai suoi
occhi al solo ricordare quel nome. Il nome che avrebbe dovuto renderlo grande,
e che qualche soddisfazione gli aveva in effetti dato nel Niflheimr
permettendogli di assumere il comando delle armate di Hel,
ma anche il nome che aveva messo fine alle sue ambizioni in vita.
“Avalon?! Vieni dunque da quella terra infame?!” –Avvampò, lasciando
esplodere il proprio cosmo, palesandolo come mai aveva fatto prima.
“Misura le tue parole, Cavaliere decaduto! Di una terra sacra, agli
uomini e agli Dei, stai parlando!”
“Sacra come l’urina di capra che le Vilgemir,
le dispensatrici del male, fanno bere ai defunti all’ingresso di Hel!” –Ringhiò Megrez,
concentrando il cosmo sulle braccia. –“Sacra come lo sterco dei serpenti della
spiaggia di Nastrond!” –Alle sue spalle comparve
l’immagine di un teschio dalle cui fauci usciva una scaglia di ametista. –“Io
odio quella terra infame, detesto le sue nebbie e i suoi pantani, e tu,
bamboccio che da là provieni, subirai la mia vendetta! Anime della Natura!!!”
Un turbine di aria gelida si sollevò all’improvviso, mentre Megrez portava le braccia avanti, dirigendosi verso
Jonathan e spazzando via tutto ciò che si trovava in mezzo a loro. Erba,
terriccio, cadaveri e armi spezzate. Tutto venne risucchiato da quel vortice di
inaspettata potenza.
“Non…resisto…”
–Mormorò Jonathan, piantando i piedi al suolo. Ma a nulla valsero i suoi
sforzi, venendo sradicato da terra e inghiottito dal gorgo, che lo scagliò
molti metri in alto prima di scomparire, lasciandolo in caduta libera.
MegrezNaglfari sogghignò, osservando il corpo del
Cavaliere dei Sogni schiantarsi al suolo e lasciarci un’impronta che presto si
tinse di rosso. Un’impronta che non poté non ricordargli quella che lui lasciò sulla
spiaggia di Avalon.
“Alzati!!!” –Gridò. –“Alzati e fronteggia l’inevitabile! Sapevo che a
qualcosa di grande sarei andato incontro quest’oggi, di fronte alle mura della
città del Dio che mi ha rifiutato, giudicandomi poco eroico! Ahr ahrahr! La tua testa in trofeo porterò a Odino, prima
di spedirla ad Avalon, con i miei migliori auguri… di
morte!”
“Per… perché questo odio verso Avalon?!”
–Chiese Jonathan, rialzandosi a fatica, le ossa che gli dolevano per la caduta.
–“Cosa ti ha fatto il mio Signore da meritare la tua ira?”
“Mi ha rifiutato, chiudendomi le porte in faccia e uccidendomi! È a
causa sua che Odino non mi ha accolto nel Valhalla, a
causa sua e delle accuse che mi mosse, accuse che mi additarono come
profanatore di luoghi sacri, confinandomi in Hel!”
“Le tue parole sono oscure… come il tuo
cosmo!”
“Allora cercherò di rendertele più chiare, affinché il tuo infantile
cervello possa capirle, prima di ucciderti!” –Sibilò Megrez.
–“Che tu ci creda o meno, sono stato un grande guerriero e ho indossato le
vestigia della stella Delta UrsaeMajoris!
Ma fin da subito mi fu chiaro che a Midgard non c’era
futuro per me! Il Celebrante di Odino era un uomo volto alla pace e per quanto
mi sforzassi a spingerlo a scendere in guerra per estendere il dominio del
Recinto di Mezzo si mostrava sordo alle mie parole!”
“Era un uomo giusto e intelligente…”
–Commentò Jonathan, con un sogghigno.
“Era un debole! Per questo lo abbandonai! Lasciai Midgard
e iniziai a vagare per l’Europa dell’Est, facendo uso, quando potevo, dei miei
poteri per soddisfare le ambizioni di qualche dittatore che credeva nel pugno
di ferro! E chi meglio di un Cavaliere dotato di cosmo avrebbe potuto
soddisfare le sue ambizioni?!”
Jonathan non rispose, disgustato dalle turpi azioni che l’uomo
continuava a narrare, ma quando raccontò di aver raggiunto i Cinque Picchi la
sua attenzione si accese di nuovo. Apprese quindi che il Cavaliere di Libra si
era rifiutato di insegnargli una tecnica distruttiva e che, dallo scontro che
ne era seguito, era uscito sconfitto.
“Anche i migliori guerrieri possono perdere una battaglia!” –Si limitò
a commentare Megrez, sebbene il ricordo di quel
giorno lo rendesse inquieto. –“Soltanto gli sciocchi non ne trarrebbero alcun
insegnamento, cosa che io invece feci! Capii che, per quanto avessi creduto di
essere forte, vi era sempre qualcuno che poteva superarmi! Per ovviare al
problema, dovevo semplicemente divenire invincibile, il più potente di tutti,
in questo modo nessuno avrebbe più potuto sconfiggermi! Lasciandomi la Cina
alle spalle, decisi di non tornare a Midgard, non
potevo tornare! Folken e Daeron
mi avrebbero deriso se avessero saputo della mia sconfitta! Così decisi di
recarmi in Inghilterra! Avevo letto molto su Avalon e sui misteri che la
circondavano, misteri a cui gli iniziati potevano avere accesso! Ciò accese la
mia brama di potere e condusse i miei passi in direzione dell’isola delle
nebbie!”
“Folle! Cercasti di raggiungere Avalon senza essere invitato?! Nessuno
è mai riuscito a superare la cortina di nebbie eterne che la proteggono! Esse
sono pregne del cosmo del mio signore e di quello dei druidi e del popolo
antico che abitava quelle terre prima della colonizzazione romana! Come potevi
tu, sporco e sanguinario guerriero, armato di bieche intenzioni, pretendere di
varcarle?!”
“Io lo feci! Io ci riuscii!!!” –Gridò Megrez,
espandendo il cosmo. –“Io superai le nebbie di Avalon! Ci misi giorni, forse
settimane, senza mangiare, senza vedere la luce del sole, bevendo le torbide
acque della palude, perdendomi più e più volte e continuando a ritrovarmi sulla
riva del Tor! Ma un giorno toccai terra, una terra
diversa, non quella da cui ero partito, bensì l’isola leggendaria! Feci per
sfiorarne la superficie, per prendere in mano una manciata di quella sabbia, ma
all’improvviso sentii il mio corpo svuotarsi. Lo sentii leggero, come se
qualcuno mi stesse togliendo qualcosa. Fu solo quando crollai all’indietro,
nelle acque che a stento avevo attraversato, che capii che mi era stata tolta
la vita!”
“Nella giusta punizione sei incorso! Troppo avevi osato pretendendo di
carpire i segreti di Avalon! È stato l’ultimo di una lunga fila di peccati di
cui ti sei macchiato!”
“E il tuo Signore ne è privo, di peccati? Anziché asilo mi offriste
morte!!!”
“Ti offrimmo quel che meritavi! Perderti per sempre!” –Declamò
Jonathan, sollevando il Talismano da lui custodito e lasciando che un ventaglio
di luce si aprisse davanti a sé. –“Luce dello Scettro!!!”
Migliaia di fendenti di energia luminosa sfrecciarono verso Megrez, che si mosse per evitarli, ma realizzò presto che
sarebbe stato impossibile schivarli tutti. Fu raggiunto a un braccio, poi a un
fianco, poi sull’elmo, finché non riuscì a ricreare un vortice di aria, un
ammasso di tenebre che scagliò avanti.
“Anime della Natura! Nutritevi dei rancori dei defunti di Hel e traetene forza e nutrimento!” –Urlò, portando avanti
il braccio destro, avvolto in un turbinar di venti oscuri ed energia.
Jonathan, che si aspettava quell’attacco, concentrò tutta l’energia in
un unico fascio di luce che, dalla punta dello scettro, trapassò il vortice
nemico, schiantandosi sul pettorale dell’armatura di Megrez
e abbattendolo a terra, mentre il mulinello esauriva la propria capacità
offensiva, limitandosi a sollevare Jonathan di pochi metri.
“Arguto…” –Commentò il Viaggiatore delle
Unghie, affannando nel rimettersi in piedi e tirando un fugace sguardo alla
corazza, decorata da numerose crepe e ustioni.
“Già…” –Mormorò il ragazzo, quasi parlando
tra sé, prima di sollevare lo Scettro d’Oro, obbligando Megrez,
che si attendeva un nuovo attacco, alla difensiva. Invece, non curandosi dello
sguardo sorpreso dell’avversario, Jonathan si limitò a collocarlo sulla sua
schiena, fissandolo in diagonale ad una placca dell’armatura.
“Che stai facendo?! Riponi la tua arma? Non sono ancora sconfitto, se è
questo che credi!”
“Lo vedo bene! Ma non ho intenzione di affrontarti ancora con il
Talismano che Avalon mi ha affidato! Non sei degno di cadere sotto la sua
luce!” –Rispose il ragazzo, fissandolo con i suoi occhi nocciola. –“Di cadere
sotto i miei colpi invece sei degno, e così accadrà se persevererai nei tuoi
folli intenti omicidi, Cavaliere decaduto! Non c’è più un briciolo di orgoglio
in te? Vedere coloro che un tempo vestivano, al pari tuo, le corazze dei
difensori di Midgard lottare fianco a fianco, per il
Dio che in loro ha riposto fiducia, non suscita in te frustrazione, dolore,
rimpianto? Non ti rammarichi di essere diviso da loro, membro dell’avversa e
oscura fazione che sta tentando di distruggere il mondo degli uomini e degli
Dei in cui credono?”
“No!” –Esclamò Megrez, portando di nuovo le
braccia in posizione offensiva e bruciando al massimo il proprio cosmo.
Jonathan annuì, lasciando che l’esplosione del suo cosmo dorato
rischiarasse lo spazio tra di loro, accecando anche il suo avversario, mentre
l’energia fluiva in lui, concentrandosi in un globo incandescente nel palmo
della sua mano.
“Anime della Natura, ruggite!!!” –Gridò il Comandante delle
armate di Hel.
“Cometa d’oro, risplendi e rischiara la via da quest’ombra
infernale!”
Jonathan la scagliò avanti, di fronte allo sguardo ammirato dei nani,
che videro una sfera di energia dorata, con una lunga scia di polvere di
stelle, schiantarsi contro il turbine d’aria e tenebra di Megrez.
Le due forze rimasero in equilibrio per qualche istante, finché l’ardente
cometa di luce non penetrò l’attacco avverso, schiantandosi sul corpo del
Viaggiatore delle Unghie e dilaniandolo.
Cadde così, MegrezNaglfari, privo di quella
gloria per cui aveva sempre disprezzato il figlio per non averla raggiunta.
Gloria che anch’egli mai ebbe conosciuto.
Capitolo 24 *** Capitolo ventidueesimo: Il sole perpetuo ***
CAPITOLO VENTIDUEESIMO: IL SOLE PERPETUO.
Fu con una vampata di calore improvviso che Sirio venne risvegliato dal
torpore che l’ipotermia stava provocando in lui. Una vampata che lo scagliò
verso l’alto, disintegrando la prigione di ghiaccio in cui era stato murato,
catapultandolo di nuovo nel gelido Inferno. Ansimando, il ragazzo rotolò sul
terreno smosso, spostando poi lo sguardo su chi aveva intorno. E per un momento
credette di essere precipitato in una di quelle
bellissime ma complicate xilografie orientali, in cui gli autori inserivano
decine e decine di personaggi e di dettagli, per riempire tutto lo spazio.
La situazione invero non era poi così diversa, con i Vani, alle sue
spalle, costretti ad arretrare di fronte alla carica dei Titani del Gelo,
sempre più pressante. Sirio ne vide alcuni arrampicarsi gli uni sugli altri,
allo scopo di superare la cintura difensiva degli alleati degli Asi e raggiungere direttamente Yggdrasill,
aggrappandosi alle radici che sporgevano nel cielo nebbioso. Ma Njörðr, Dio del Vento e della Navigazione, non era
affatto intenzionato a lasciarglielo fare, incitando i suoi pari a resistere,
dando l’esempio lottando in prima fila, sostenuto dalle sue brezze turbinanti.
Dove fosse suo figlio, il Vicerè di Asgard, questo
Dragone non seppe dirselo. Né dove si trovasse Alcor,
il suo improvvisato compagno in quella spedizione nel Niflheimr.
Gli unici che conosceva, in quel marasma che
lo circondava, erano i due avversari che si stavano fronteggiando a una decina
di metri da lui, al di là della crepa nel ghiaccio che il suo salvatore aveva
prodotto, per tirarlo fuori dalla prigione.
“Credi di poterti alzare prima che la guerra
sia finita o vuoi che ti porti un cuscino?!” –Lo apostrofò Phoenix,
balzando accanto a lui, evitando una lunga lancia di ghiaccio.
“Phoenix…” –Mormorò
Sirio, faticando nel rimettersi in piedi, con il respiro affannoso. L’amico non
disse altro, limitandosi ad afferrargli un braccio e a tirarlo su, fino a
permettergli di stabilizzarsi sulle sue gambe.
“Le conversazioni…
a poi!” –Commentò, bruciando il proprio cosmo fiammeggiante, unica fonte di
colore nel grigiore dell’Inferno. –“A quando non so, ma non ora!” –E corse
avanti, arrampicandosi sulla lancia di puro ghiaccio che il suo avversario
stava intanto estraendo. Sfruttò la spinta, piegandosi su se stesso prima di
lanciarsi contro il viso del gigantesco nemico, liberando il cosmo rossastro che
aveva concentrato attorno alla mano destra. –“Pugno infuocato!!!”
Il Colosso di Gelo venne raggiunto in pieno dalla sfera incandescente,
che esplose liberando vampate di fuoco la cui sola vista bastò ad allontanare
molti compagni del gigante. Phoenix stava intanto cercando di riatterrare,
quando Sirio si avvide che il suo nemico, nonostante il dolore evidente del
colpo subito, stringeva ancora la lancia di ghiaccio, muovendola all’impazzata
di fronte a sé, proprio verso il fianco destro dell’amico.
“Phoenix!!! Excalibur!!!” –Gridò allora, dirigendo un
improvvisato fendente di energia contro la pericolosa arma e spezzandone la
punta appena in tempo.
Il Cavaliere della Fenice poté così atterrare compostamente, raggiunto
in fretta dall’allievo di Libra.
“Non è uno scontro facile!” –Si limitò a commentare, raccontando di
aver raggiunto Midgard attorno a mezzogiorno e aver
sfruttato uno dei portali dimensionali che Ilda gli aveva mostrato. Lo stesso
scelto da Sirio. –“Trovarvi è stato semplice a causa del rumore che fate!
Inoltre ho riconosciuto il tuo cosmo, e quello del gatto delle nevi!”
–Aggiunse, riferendosi ad Alcor, che era rimasto
ferito nella carica dei Giganti di Brina e portato nelle retrovie dai Vani.
–“Il difficile sarà abbattere costoro! Ne ho tirati giù una dozzina ed eccoli
che si ricreano dopo poco! Certo, le mie fiamme li tengono a distanza, ma non
bastano a estirpare il problema per sempre!”
“No, non bastano!” –Confermò Sirio, ricordando le parole del Principe Freyr.
La loro conversazione fu interrotta dal colosso che Phoenix aveva
colpito poc’anzi, riuscito finalmente a spegnere le fiamme dal suo volto,
congelandole con un respiro di ghiaccio. Hrymr,
Re degli Hrimthursar e discendente dei primi
Titani del Gelo, incombeva su entrambi con occhi minacciosi.
“Sembra che tu sia degno del mio interesse, uccello di fuoco!” –Affermò
minaccioso, e Sirio, che pure lo aveva sentito parlare in precedenza, non poté
comunque trattenere la sorpresa. –“Che c’è? Ti stupisce che io parli? Tu forse
ti esprimi a gesti come le bestie?! Sono il Re dei Giganti di Brina, erede
diretto di Ymir, il gigante primordiale, tramite Bergelmir il Salvato! In me scorre l’essenza divina della
creazione che gli Asi bastardi tentarono di
reprimere! Io, unico tra tutto il mio popolo, ho il dono della parola! Io, a
tutto il mio popolo, sono superiore!” –Aggiunse, sollevando una gamba e
piegandola davanti a sé, allo scopo di schiacciare Phoenix e Sirio sotto la sua
mole.
I due ragazzi furono svelti a separarsi, scattando in direzioni
opposte, ma così facendo si esposero alla lancia di Hrmyr,
che già l’aveva puntata su Sirio, ferendolo ad una gamba e gettandolo a terra
sanguinante.
Phoenix intervenne prontamente, sollevando una tempesta di fiamme che
diresse contro un fianco del colosso, che non ne fu troppo impressionato. Fu
solo quando il calore aumentò d’intensità che Hrymr
si voltò a guardarlo, quietando il fuoco con il suo gelido respiro e scagliando
la lancia di ghiaccio contro Phoenix.
Con prontezza, il Cavaliere di Atena la evitò, balzando di lato e
atterrando con le mani, dandosi la spinta per riportarsi in posizione eretta,
quando, a un nuovo alitar di Hrymr, dalla terra
sorsero migliaia di spuntoni di ghiaccio, affilati come lame.
“Phoenix…” –Rantolò Sirio, che avrebbe voluto
correre in aiuto del compagno, ma il dolore ancora fresco alla gamba gli
rendeva difficile persino rimettersi in piedi.
Ad un cenno del loro sovrano, decine di Hrimthursar
si avvicinarono a Dragone, per farlo fuori adesso che era ferito e privo della
velocità che finora gli aveva permesso di evitare i loro attacchi.
“Ma non privo della volontà di combattervi!” –Esclamò Sirio
rialzandosi, il sangue che imbrattava il gambale destro dell’Armatura Divina. E
così dicendo espanse il cosmo, lasciandosi avvolgere da un immenso dragone di
luce, mentre i Giganti di Brina si avventavano su di lui.
Ne atterrò un paio, trapassandoli con il suo attacco energetico, cercò
di evitarne altri, ma la gamba ferita rendeva più lenti e imprecisi i suoi
spostamenti, al punto che non riuscì ad evitare di essere colpito da alcuni
colossi e sbattuto a terra, con la faccia sul tetro nevischio.
Fu una voce nota a venirgli in aiuto, mentre un lampo di luce si
accendeva tra le gambe dei Titani del Gelo, graffiandole in profondità.
“Bianchi artigli della Tigre!!!” –Ringhiò Alcor,
squarciando gli arti inferiori dei colossi e piombando su Sirio. Lo sollevò
bruscamente, poco prima che la mano di un Hrimthursar
si chiudesse su di lui, e lo portò fuori dal cerchio nemico, dove alcuni Vani
stavano attendendo, con le frecce incendiarie pronte negli archi.
Ad un cenno del Cavaliere di Asgard una pioggia di strali infuocati si
abbatté sui Giganti di Brina, penetrando le loro schiene e le loro teste, senza
dargli tempo di reagire. Un attacco programmato in modo metodico.
“Gra… grazie!” –Mormorò Sirio, faticando a
mantenersi in piedi. Alcor si inginocchiò su di lui e
gli sfiorò il taglio con la mano carica di cosmo.
“Non servirà a molto, ma lenirà il dolore per un po’! Il tempo di arrivare… al piano di sopra!” –Commentò, alzando lo sguardo
verso il ragazzo dai capelli lunghi.
“Al… piano di sopra?!”
Alcor annuì, rimettendosi in piedi, dopo aver cicatrizzato con il suo gelido
cosmo la ferita di Sirio, e facendogli cenno di seguirlo, mentre i Vani
tenevano a bada gli Hrimthursar.
“Ma… e Phoenix?!” –Esitò Dragone per un
momento.
“Ha la sua battaglia! Noi la nostra!” –Commentò Alcor
a voce ferma, continuando ad avanzare. Anche quando Sirio si fermò, voltandosi
verso il luogo dove l’amico stava affrontando il Re dei Giganti di Brina. Anche
quando Sirio fece per chiedergli delucidazioni. –“Sei un guerriero, ricordi? E
spesso si devono prendere decisioni che vanno al di là dell’amicizia! Abbi
fiducia in lui e nel Principe Freyr!”
Sirio si riscosse, chiedendosi se tra Phoenix e il Vicerè
non vi fosse stato un accordo di cui non era stato messo al corrente. Le grida
dei Vani lo spinsero ad andare avanti, mentre si lanciavano contro i Titani del
Gelo, permettendo loro di correre alle radici di Yggdrasill.
Guardandosi attorno, Dragone notò che soltanto la metà dei guerrieri che aveva
visto quando era arrivato era ancora in piedi. Gli altri erano morti o
gravemente feriti.
“Dobbiamo andare! Odino e i tuoi compagni ci aspettano!” –Disse Alcor, mettendo una mano sulla spalla del ragazzo e
sospirando, comprendendo la sua riluttanza a lasciarsi tutto indietro. A
lasciare un amico indietro. –“È in gran forma, meglio di noi certamente! Ed è
l’unico con i poteri adatti a vincere Hrymr! Ci
raggiungerà nel Valhalla!” –E iniziò ad arrampicarsi
lungo le radici di Yggdrasill, seguito dopo poco da
Sirio.
Dovettero sbrigarsi e contorcersi all’interno del nodoso groviglio, per
evitare di essere raggiunti dalle lance e dalle frecce di ghiaccio che gli Hrimthursar gli stavano dirigendo contro. Quando furono a
un centinaio di metri d’altezza, avvolti nella nebbia più buia, Dragone si
concesse un momento per rifiatare e per guardare in basso. Ma non vide niente,
soltanto un puntolino rossastro espandersi sempre più.
***
Phoenix era riuscito ad evitare la maggior parte degli spuntoni di
ghiaccio che Hrmyr gli aveva diretto contro, balzando
con agilità nella selva di spilli e distruggendoli con il suo cosmo ardente.
Quel lieve impegno del Cavaliere aveva permesso però al Re dei Giganti di Brina
di potenziarsi, generando uno scudo di ghiaccio che affisse al braccio
sinistro, mentre con la mano destra stringeva l’affilata lancia, la cui punta
era macchiata dal sangue di Sirio.
“Dubito che un colpo di matrice psichica funzioni su di lui” –Rifletté
Phoenix, chiudendo il pugno. –“Ma non voglio tralasciare nessuna possibilità!”
–Aggiunse, scattando avanti.
Hrymr, vedendolo arrivare, girò lo scudo di fronte a sé, ponendosi in
posizione difensiva, pronto per calare la lancia. Phoenix mosse il braccio
destro, scagliando centinaia di piume metalliche contro il gigante,
osservandolo stupirsi mentre queste si conficcavano nella sua protezione,
esplodendo poco dopo. Questo non bastò ad abbattere il colosso, ma lo distrasse
a sufficienza da permettergli di mancare il colpo quando calò la lancia, dando
a Phoenix la possibilità di aggrapparvisi e di venire spinto verso l’alto
quando la sollevò. Resosi conto dell’errore, Hrymr
cercò di soffiar via il nemico con il suo gelido alito ma Phoenix era già
balzato di fronte a lui, il pugno chiuso diretto al centro dell’enorme fronte.
“Fantasma diabolico!!!” –Gridò, prima di essere spinto via da
una fredda brezza, che lo fece capovolgere più volte su se stesso, prima di
sbatterlo a terra. Come aveva temuto, il colpo segreto che aveva fatto
impazzire molti avversari in passato si era rivelato inefficace. Eppure, la
presenza dell’essenza primordiale nel Re lo aveva fatto sperare, gli aveva
fatto credere che fosse possibile scavare nel suo passato, alla ricerca di un
modo per vincerlo. –“Dove vi è creazione vi è distruzione!”
Hrymr parve non aver risentito minimamente del foro che Phoenix gli aveva
aperto in fronte, limitandosi a cicatrizzarlo con il suo cosmo gelido, prima di
volgere di nuovo lo sguardo su di lui. Anziché adoperare la lancia, decise di
cambiare tattica fomentando una tempesta di ghiaccio e neve così intensa da
sollevare il ragazzo da terra, nonostante le sue evidenti resistenze, e
sbalzarlo in alto, travolto da mille correnti contrastanti che gli pungevano il
viso, graffiandolo.
“Spinti da questo gelido vento, i miei Giganti di Brina hanno
massacrato gli schiavi degli Asi poc’anzi! È tormenta
indicibile per chi non vi è abituato, e tu, debole fiammella, al gelo non sei
immune!” –Sentenziò il Re.
“Debole fiammella?!” –Bofonchiò Phoenix, sballottato dalla tempesta di
gelo. –“Fatti un giro in superficie e trovati un precettore che ti insegni
qualche miglior modo di esprimerti, bisonte di ghiaccio!”
Hrymr non colse neppure le provocazioni del ragazzo, un moscerino luminoso
di fronte a lui, limitandosi ad incrementare la potenza della tormenta, deciso
a spazzarlo via. Ma quando fece per muovere un passo avanti, una fitta alla
testa lo aggredì improvvisa, così acuta da prostrarlo con un ginocchio a terra,
obbligandolo a placare parzialmente l’attacco.
Phoenix comprese quel che stava accadendo e mise da parte lo stupore
per concentrare il cosmo sul pugno destro e piombare sul nemico, avvolto da un
rogo di fiamme ardenti.
“Pugno infuocato!!!” –Gridò, schiantandosi sullo scudo di
ghiaccio e mandandolo in frantumi, mentre le vampe penetravano nel braccio di Hrymr, spaccandolo in più punti.
“Maledetto!!!” –Il gigante mosse la lancia per difendersi, ma Phoenix
fu svelto a schivarla, prima di afferrarla, incurante del taglio alle sue dita,
stringerla con forza e strappargliela poi di mano, lanciandola via.
Alla vista del Re prostrato a terra dolorante, molti Hrimthursar si avvicinarono, scuotendo le teste e facendo
gesti tra loro. Sebbene non sapessero parlare, Phoenix non ebbe bisogno di
sentirne le voci per capire cosa stessero dicendo.
In un attimo se li ritrovò addosso. Dieci, venti, forse anche di più.
Spuntavano ovunque, dal terreno sotto di lui, alle sue spalle, mescolandosi alle
nebbie e ai venti che spazzavano il Niflheimr,
confondendosi con la caligine di quel mondo di guerra. Evitò molte lance, ne
spezzò altre, prima di scagliare raffiche di piume infuocate contro di loro,
lasciando che esplodessero e li disorientassero. Ma non bastò a placare la loro
furia e presto il ragazzo si ritrovò circondato.
“Non tutto il male viene per nuocere! Così posso colpirvi tutti assieme
con un colpo solo! Un unico battito d’ali dell’uccello immortale!!!” –Esclamò a
pieni polmoni, mentre il suo cosmo infuocato rischiarava l’aere,
assumendo la forma della leggendaria fenice. –“Ali della Feniceee!!!”
Il turbine di energia infuocata sollevò decine e decine di Giganti di
Gelo, strappandoli con forza dal terreno per poi restituirglieli a pezzi, dilaniati
da fiamme e scariche incandescenti che ne avevano distrutto i tozzi corpi.
Quando anche l’ultimo colosso si schiantò poco distante, Phoenix, ancora con il
braccio teso verso l’alto e il respiro affannato per l’impegno costante, notò
che Hrymr si era rimesso in piedi. E che i rumori
dello scontro tra i Vani e gli altri Hrimthursar
parevano essersi affievoliti.
Non ci aveva fatto caso in precedenza, preso dal susseguirsi della
lotta, ma adesso il maggior silenzio che permeava l’aria era evidente. Un
silenzio che poche volte aveva incontrato, ma verso cui provava ancora
autentico timore. Il silenzio del nulla, che aveva conosciuto girovagando nei
sei mondi di Ade e precipitando nelle piaghe dimensionali di Gemini e Kanon.
“È il silenzio del ghiaccio! La vendetta dei Titani del Gelo!”
–Confermò Hrymr, intuendo i suoi pensieri. –“Odino e
i suoi fratelli uccisero la mia stirpe affogandola nel sangue bollente di Ymir! In silenzio, senza che questi sospettassero
tradimento alcuno, li fecero fuori tutti, tenendoli nel brodo incandescente
finché non si sciolsero completamente! Se anche i miei antenati provarono a
gridare, le loro voci furono spente dal gorgogliare mesto del sangue, che li
divorò dall’interno, annientandoli! In ugual silenzio voglio io massacrare voi,
Asi e amici degli Asi, per
avere la meritata vendetta bramata per secoli!”
“Un bel minestrone, non c’è che dire!” –Ironizzò Phoenix, strusciandosi
il naso. –“Ma come ingrediente temo proprio di restare indigesto!” –Ed espanse
il suo cosmo, pronto per ricominciare a guerreggiare con il gigante, che invece
rimaneva immobile ad osservarlo, apparentemente ancora stordito dal Fantasma
Diabolico.
Il Cavaliere rifletté che il funzionamento del suo colpo segreto
differiva in base ai soggetti cui era rivolto, generando oscure visioni di
morte o riportando a galla ricordi di un passato rimosso, come era stato nel
caso di Mime e di Alcor. Si
chiese se non fosse accaduto qualcosa di simile anche con Hrymr,
che aveva appena citato i suoi antenati. Nel dubbio, decise di tentare.
“Dimmi, Re del Gelo, è questo ciò che temi? Che Odino condanni anche te
e i tuoi fratelli alla stessa fine dei primordiali giganti?”
“È possibile! I figli di Borr hanno ucciso
una volta! Potrebbero farlo di nuovo!”
“Ma oggi Ymir non esiste più! In quale brodo
primordiale dovreste essere affogati?!”
Nel momento stesso in cui pose la domanda, Phoenix si morse la lingua
per essere stato troppo diretto. Se anche il Fantasma Diabolico aveva
sbloccato qualcosa, un antico sapere di cui Hrymr era
portatore, non ne avrebbe avuto facilmente notizia.
Il Titano del Gelo infatti non rispose, fissando il Cavaliere dall’alto
con occhio un po’ stranito, finché non reagì, sollevando la lancia di ghiaccio
e puntandola verso di lui. Phoenix fu svelto a lanciarsi di lato, evitando
l’affondo, ma Hrymr modellò l’arma in modo da
moltiplicarla in centinaia di punte acuminate, tutte dirette verso il ragazzo,
che dovette muoversi svelto per schivarle, colpendole poi con piume metalliche.
Nell’attimo di stallo che seguì la distruzione delle lance, Hrymr sollevò un nuovo turbine di gelo e nebbia mentre
Phoenix espandeva ulteriormente il proprio cosmo, lasciando che le due
tempeste, di ghiaccio e di fuoco, andassero a scontrarsi. Rimasero in
equilibrio per una manciata di minuti, durante i quali molti Hrimthursar vennero annientati o scagliati lontano,
travolti dalla continua deflagrazione energetica prodotta, finché l’impetuoso
battito d’ali della fenice incandescente non superò le difese del Re del Gelo,
trapassandone il corpo.
Hrymr crollò a terra, schiacciando anche alcuni fratelli, l’intera figura
percorsa da vampe di fuoco. Phoenix si mosse per dargli il colpo di grazia
quando, d’improvviso, una mano gli afferrò un braccio, fermandolo e facendolo
voltare di scatto.
“Non sprecare preziose energie!” –Esclamò un uomo dal volto elegante e
dai biondi capelli, il corpo rivestito da un’armatura argentea. Phoenix
riconobbe il Principe Freyr, con cui aveva brevemente
scambiato due parole appena arrivato alle radici di Yggdrasill,
e fece per chiedergli delucidazioni. Ma questi si limitò a indicare di fronte a
sé, la tozza sagoma di Hrymr che stava suturando con
il ghiaccio le sue stesse ferite. –“Per quanto ardente sia la fiamma del tuo
cosmo, la fiamma che dilania i loro corpi, non sarà sufficiente per annientare
completamente i Giganti di Brina, che nella natura stessa, gelida e sterile,
del Niflheimr trovano nutrimento!”
“Cosa possiamo fare allora?! Hrymr ha parlato
del sangue primordiale di Ymir, ma dubito che ne sia
rimasto, vero?!”
Freyr annuì con un sorriso, fissando gli Hrimthursar
che, riuniti attorno al loro Re, si stavano riordinando, pronti per attaccare
gli ultimi Vani che ancora opponevano resistenza. Fu solo allora, voltandosi
verso il punto del cielo dove prima aveva visto spuntare le radici dell’Albero
Cosmico, che Phoenix notò che l’esercito di Vanaheimr stava ripiegando e che qualche Gigante di
Brina, approfittandone, si era spinto ad afferrare le sporgenze inferiori di Yggdrasill, nel tentativo di risalirlo.
“Vicerè!!!”
–Esclamò preoccupato il Cavaliere di Atena, indeciso se muoversi in quella
direzione o se continuare il combattimento con Hrymr.
“In nessuna delle due direzioni andrai! Altra
è la strada che dovrai seguire per ricongiungerti ai tuoi compagni! Segui gli
ultimi Vani, ti condurranno a Gnipahellir e al
di là della Porta di Hel!”
“Co…
come?!” –Mormorò Phoenix, non comprendendo le intenzioni di Freyr.
I Titani del Gelo scattarono in
quel momento, brandendo armi di ghiaccio, sospinti da una corrente gelida a cui
Phoenix riuscì a fatica a opporsi. Ma la loro avanzata venne interrotta dal
sorgere improvviso di un sole rosso, un sole che abbagliò tutti i presenti,
obbligando anche il Cavaliere della Fenice a coprirsi gli occhi, per ammirare
il Dio dell’Abbondanza sollevarsi in aria, avvolto in un’aura di pura luce.
“Le parole di Hrymr, che il tuo colpo segreto ha cacciato fuori, hanno
confermato quel che da tempo sospettavo! Soltanto una fonte estrema di calore
potrà estirpare per sempre questa minaccia!” –Parlò il secondo di Odino. –“Non
abbiamo il sangue di Ymir, è vero, ma possiamo usare
il mio, il sangue divino del Principe dei Vani! L’unico carico di un calore
così ardente da poter generare un sole perpetuo!”
“Principe Freyr…”
–Borbottò Phoenix, indeciso sul come agire.
“Va’!” –Disse semplicemente il Vicerè di Asgard, espandendo il proprio cosmo oltre ogni
limite e generando un astro di vivida luce i cui raggi trafissero i Giganti di
Brina, incenerendoli dall’interno. –“PerpetualSun!!!” –Recitò, mentre tutto attorno e sotto di
lui gli Hrimthursar si squagliavano, si scioglievano,
fondendosi con il terreno stesso, anch’esso squassato da faglie confuse.
Anche i giganti che avevano tentato di risalire l’Albero Cosmico
vennero raggiunti dal sole improvviso e inceneriti, assieme alle radici stesse
di Yggdrasill.
Phoenix, sfrecciando sul terreno distrutto, attento a non precipitare
in una fossa, dovette anche guardarsi dal crollo di pezzi di ghiaccio e di
radici incandescenti dall’alto, che piovvero sui resti del campo di battaglia,
ricoprendo e portando via i cadaveri dei caduti. Il sole in cui Freyr si era trasformato brillava sempre di più, alle sue
spalle, e Phoenix in un paio di occasioni credette
che fosse sul punto di esplodere. Ma poi capì quel che il Viceré stava facendo.
Si sta contenendo, radunando tutte le sue forze, fino all’ultima stilla, per
annientare non solo la minaccia rappresentata dai Titani del Gelo ma dal Niflheimr intero.
Preso dai suoi pensieri, quasi non s’avvide di un crepaccio che si aprì
di fronte a lui, obbligato quindi a spiccare un balzo verso l’altro versante,
che parve allontanarsi proprio mentre saltava, sfaldandosi e precipitando verso
l’abisso. Fu afferrato in tempo da una mano robusta, che lo issò sull’altro
lato, incitandolo poi a proseguire, senza fermarsi.
Correndo, Phoenix notò il volto stanco del suo salvatore, segnato dalla
fatica della guerra e da un’ansia maggiore, che comprese non appena il vecchio
dalla folta barba grigia gli si presentò.
“Il mio nome è Njörðr, Dio del
Vento e della Navigazione! E sono il padre di Freyr!”
Proprio in quel momento i raggi di luce si
fecero sempre più intensi, spingendo Phoenix, Njörðr
e i Vani superstiti a correre sempre di più, diretti verso la Porta di Hel, che ben presto sarebbe rimasto l’unico accesso per
l’Inferno.
***
Ilda sedeva alla scrivania di quercia nella torre più alta di Midgard, da lei stessa rinominata Torre della Solitudine,
in riferimento ai giorni che vi aveva trascorso ultimamente a leggere testi
antichi. Da quando era rientrata dall’Olimpo, dopo aver usato per la prima
volta la Luce del Nord, si era sentita incompleta, come se alla sua
preparazione di Sacerdotessa di Odino mancasse ancora qualcosa.
E sapeva di cosa si trattava. Sua madre glielo aveva detto prima di
morire, consegnandole la chiave di un cofanetto dove era rinchiusa la più
antica copia del testo base della civiltà di Asgard. La Profezia della
Veggente. Sul frontespizio spiccava una vistosa falce di luna circondata da
una sequenza di rune che Ilda aveva decifrato a fatica, comprendendo che
indicavano la provenienza del manoscritto dall’isola di Avalon.
“Così il cerchio si chiude!” –Commentò, spostandosi i capelli dal volto
e richiudendo il tomo con la delicatezza di una madre.
Dopo aver affidato al Principe Alexer la
difesa di Midgard e aver concesso a Phoenix di
varcare uno dei portali, si era rifugiata nella torre per concedersi un ultimo
momento per sé, per radunare le forze in vista della prova suprema. Sull’Olimpo
aveva avuto l’aiuto di Odino e di tutti gli Asi,
catalizzandone la forza, ma adesso, con gli Dei impegnati per salvare il loro
stesso mondo, avrebbe dovuto fare da sola.
Il secondo motivo di quella scelta di solitudine comparve in quel
momento sulla soglia della stanza, facendo scricchiolare le antiche assi del
pavimento.
Ilda non disse niente, né si mosse, mentre una figura si avvicinava
alle sue spalle con passo lento, quasi tremolante. Fu solo quando fu abbastanza
vicina da poter percepire lo spostamento d’aria provocato dal gesto di
sollevare il braccio che impugnava un coltello che Ilda parlò.
“Infine sei giunto!” –Ma nessuno rispose e Ilda non si girò,
continuando a dare le spalle a colui che era salito lassù per ucciderla. Colui
che, le doleva ammetterlo, era il traditore di Asgard.
“Perché non vai fino in fondo alla tua missione? Perché esiti, Fiador?!” –Disse infine, voltandosi verso il ragazzo dai
capelli fulvi, il cui sguardo sembrava impazzito.
Il figlio del Conte Turin non parlò, tenendo
ancora la mano tremante sollevata sopra la testa della donna, il pugnale pronto
per affondare nel suo corpo.
“Io…io…”
–Balbettò, rabbrividendo di fronte allo sguardo di Ilda. Uno sguardo privo di
odio o di rabbia, ma carico di un profondo dolore e, al tempo stesso, di forza.
“È questo ciò che Loki ti ha chiesto, non è
vero? Scoprire il segreto di Ragnarök, quel
che egli, troppo preso dai suoi propositi di vendetta, ha tralasciato, e poi
uccidermi!”
“Voi ne siete al corrente!
Tutte queste ore di meditazione e lettura… in quel
testo c’è scritto chi può fermare il Crepuscolo degli Dei?” –Parlò allora Fiador, con voce incerta e imbarazzato.
“Loki
è fuori strada se teme che il processo da lui innescato possa essere fermato!
Nessuno può farlo adesso, neppure Odino! Ne sarebbe consapevole se ne avesse
compreso il vero significato!”
“Voi lo conoscete?”
“Sì! E adesso te lo mostrerò!”
–Rispose placida Ilda, espandendo il suo cosmo.
Un’onda di energia scaraventò Fiador contro il muro alle sue spalle, strappandogli il
gladio di mano e prostrandolo poi a terra, mentre nello spazio vuoto tra lui e
Ilda iniziarono ad apparire fumose immagini, generate dal cosmo della
Celebrante.
“Bjarkan,
la runa della rivelazione, ci mostrerà la verità!”
Capitolo 25 *** Capitolo ventitreesimo: Rune di morte ***
CAPITOLO VENTITREESIMO: RUNE DI MORTE.
Appoggiato con la schiena ad una conifera che si ergeva ai margini
dell’insanguinata piana, il figlio di Farbauti e Laufey osservava annoiato l’esercito da lui armato
scontrarsi con i Campioni di Odino. Da ore le due parti lottavano
incessantemente, determinate a non cedere neppure una spanna. Gli Einherjar e gli Asi intendevano
tenere i Soldati di Brina e i defunti sulla sponda esterna del Thund, a debita distanza dal Valhalla,
dove sarebbero potuti ripiegare in caso di necessità. E se Loki
li aveva inizialmente lasciati fare, convinto che Jormungandr
gli avrebbe aperto la porta della Sala di Odino, adesso che il figlio era morto
stava iniziando a indispettirsi.
Non che un’ora o un giorno di ritardo facessero la differenza per chi
aveva trascorso secoli soffrendo in silenzio, vittima delle torture degli Asi, ma adesso che l’occasione attesa da una vita era a
portata di mano non voleva lasciarsela sfuggire, consapevole di non avere, in
nessun caso, una seconda possibilità. Nessuno di loro l’avrebbe avuta. Né gli Einherjar, la cui esistenza sarebbe giunta al termine,
svanendo come polvere nel vento, né i morti di Hel,
pronti per ritornare nel loro gelido inferno. Non vi sarebbe stata una seconda
chiamata.
Per quel motivo ritenne opportuno passare alla successiva fase del
piano.
Scosse le vesti e si incamminò verso il centro della radura, quando
vide esplodere la fila di Soldati di Brina rimasti a sua difesa. Non era certo
incapace di difendersi, ma, in caso di noie, preferiva che fossero altri ad
occuparsene prima che toccasse a lui sporcarsi le mani. Una logica
utilitaristica a cui Loki non era mai venuto meno.
Voltandosi verso destra, tra i cadaveri ancora fumanti di lucente
energia cosmica, vide un uomo, rivestito da una massiccia armatura del nord,
farsi avanti con incedere deciso. Lo sguardo bello e fiero, i capelli grigi che
scivolavano fuori dall’elmo a testa di drago, dalle fattezze identiche a quello
che gli ornava il coprispalla destro. Loki sogghignò, non avendo dubbi sull’identità del
temerario che gli si ergeva di fronte.
“L’intrepido Sigfrido rivive dunque in te, Orion
di Asgard!” –Esclamò, fissandolo con sguardo intenso.
“Mi ero stufato dei tuoi cani da guardia, Loki!
Nessuno era alla mia altezza!”
“E cosa ti fa credere che io lo sia?! Non vorrei riservarti una
delusione!” –Ridacchiò il Nume, mentre Orion, a una
ventina di metri da lui, serrava il pugno con rabbia, espandendo il proprio
cosmo. –“O che tu la riservassi a me! Ah ah ah!”
“In guardia!” –Ringhiò Orion, scattando
avanti. Ma la sua corsa si arrestò dopo pochi passi, mentre un sorriso sghembo
si allargava sul volto del Grande Ingannatore.
“Accetto ogni offesa di questo mondo, ragazzo, e anche degli altri
otto! Ma non che tu mi consideri così sprovveduto!” –Commentò, mentre il suo
indice destro aveva disegnato un segno nell’aria. Un segno sottile, simile ad
un’asta, che brillava di luce azzurra di fronte al Dio.
Orion riconobbe la runa di ghiaccio. Isa. La runa dell’immobilità.
Strinse i denti, cercando di muoversi, ma nessun muscolo del corpo
pareva rispondere ai suoi comandi, restando così, con il braccio destro teso
avanti e la gamba piegata, nell’atto di scattare. Una posa che strappò una
risata al Burlone Divino, appena avvicinatosi al Principe dei Cavaliere del
Nord.
“Scultoreo! Così ti definirei!” –Disse, sfiorando l’elmo di Orion e i lunghi capelli che da esso fuoriuscivano.
–“Sebbene, ciò è ben noto, le statue non hanno capelli!” –Rise, iniziando a
tirarli e strappando un gemito all’immobilizzato paladino. –“Dovrei forse
asportarteli in modo da renderti l’onore che meriti? Pari a una statua di un
eroe glorioso, così sarai! Immortalato per l’eternità! Come l’antico guerriero
che in te rivive, il primo uccisore di draghi dei nove mondi! Anche se, fattelo
dire, lui almeno dalla sua regina ha avuto un po’ di calore…
se capisci quel che intendo! Ihihih!”
A quelle parole Orion avvampò, bruciando il
cosmo e spingendo persino indietro Loki di qualche
passo, pur senza modificare l’espressione divertita sul volto del Dio.
“Brucia sì, brucia quel che ti pare! Anche se immagino che quel che ti
bruci ora sia l’orgoglio e il non poter far niente! Perché sai bene che da solo
non puoi toglierti da questa scomoda situazione! I tuoi poteri non bastano per
aver ragione di Isa! Mica ti ho lanciato la prima runa che mi è passata per la
mente! In virtù dei tuoi poteri, era la mossa più opportuna per neutralizzarti!
Ma dal momento che la Runa di Ghiaccio non ha raffreddato i tuoi bollenti
spiriti, credo sia ora di freddarli per sempre!” –Esclamò, sollevando il
braccio destro di fronte al volto del Cavaliere di Asgard e caricandolo di
energia. –“Dovrei dire qualcosa in questo momento?! Una frase di commiato?! Chessò… addio?!” –Non aggiunse altro e fece per liberare il
cosmo accumulato sul palmo della mano, quando con la coda dell’occhio notò un
movimento alla sua destra.
Due destrieri stavano galoppando furiosi verso di lui, con delle figure
sopra di loro, una delle quali aveva già scoccato una freccia nella sua
direzione, che passò di fronte agli occhi del Dio nel momento stesso in cui si
voltava verso di loro, mancandolo.
Solo allora Loki si accorse che dietro le
belle Valchirie sedevano ben noti occupanti.
“Polvere di Diamanti!” –Gridò Cristal,
balzando in alto e liberando l’attacco congelante, che turbinò verso Loki, investendolo, mentre questi lasciava esplodere un
cosmo fiammeggiante, per annullarne l’effetto, generando una cupola di fuoco.
“Corno risuonante!!!” –Tuonò allora una seconda voce, mentre Heimdall si gettava a terra, convogliando il colpo segreto
verso le gambe di Loki, al fine di destabilizzare la
sua posizione. –“Cavalcata delle Valchirie!!!” –Gli andò dietro Brunilde, sommando il suo potere a quello del Guardiano del
Ponte Arcobaleno.
Se anche gli improvvisati compagni avessero coltivato la benché minima
speranza di ferirlo, tale illusione svanì nel momento in cui videro le fiamme
turbinare su loro stesse, avvolgendosi al corpo di Loki,
che mutò forma, divenendone parte.
Quella che a prima vista era sembrata una spirale di fuoco si rivelò
essere un serpente gigantesco, dalle squame gialle e chiazzate di sangue, che
si sollevò sulla piana di Vígridhr
di fronte agli occhi inorriditi di Cristal, Heimdall, Brunilde e Hnoss, che vi riconobbero il figlio dell’Ingannatore. Fu
proprio la figlia di Freya la prima a pagare il
prezzo del loro attacco ardimentoso, venendo afferrata dalla sinuosa coda del
Serpe del Mondo e stritolata, assieme al suo cavallo.
“Per Odino!!!” –Mormorò Heimdall, portando
mano alla sua ascia e caricandola di energia cosmica, prima di scagliarla verso
il volto del fasullo Jormungandr.
“Bel lancio!” –Sibilò questi, evitando l’arma e piombando sul Custode
di Bifrost a fauci aperte. –“Se miravi alla luna!”
–Nel far questo si liberò di Hnoss, ormai inutile
zavorra, scagliando il suo cadavere contro Brunilde,
gettando anch’ella a terra.
“Maledetto!!!” –Ringhiò Heimdall, mentre la
bocca di Jormungandr lo inghiottiva, sbattendolo al
suolo, e Cristal sconvolto caricava il pugno di
energia congelante, lanciandosi avanti. Con un colpo di coda, l’orrida creatura
lo travolse, schiantandolo su Orion, mentre le sue
forme mutavano di nuovo, divenendo un’aquila dal magnifico piumaggio, i cui
artigli erano chiusi attorno al collo della Sentinella Celeste.
“Temo, mio caro, che non potrai più suonare il tuo bel corno!” –Sibilò Loki, mentre Heimdall cercava di
liberarsi di lui, afferrandogli le zampe con le mani.
“Non cantare vittoria troppo presto! Anelli del Cigno!!!” –Tuonò
allora Cristal, rimessosi prontamente in piedi,
avvolgendo il corpo dell’aquila con cerchi di gelo, per fermarne i movimenti il
tempo sufficiente per avvicinarsi e aiutare Heimdall.
Ma Loki non ne fu minimamente impensierito,
facendo esplodere il proprio cosmo fiammeggiante e distruggendo l’effimera
prigione, mentre penetrava con i suoi artigli nel collo di Heimdall,
strappandogli un grido di dolore. Quindi balzò indietro, riassumendo le sue
forme, e osservando divertito il Custode di Ásbrú respirare convulsamente, sputando sangue.
“Per il Sacro Acquarius!!!” –Esclamò
allora Cristal, sperando di distrarre il Burlone
Divino. Ma questi si limitò a parare l’attacco con la mano sinistra, senza
distogliere lo sguardo dagli spasimi di Heimdall,
lasciando che il gelo evaporasse al solo contatto con il suo palmo infuocato.
“Kaun!” –Disse,
avvolgendo il getto di energia congelante in una spirale di fiamme, che
raggiunse Cristal, stritolandolo e prostrandolo a
terra, con la corazza ustionata e il respiro affannato. Solo allora Loki si voltò a guardarlo, sollevandolo e scagliandolo
centinaia di metri addietro, nel cuore della foresta, avvolto in un turbine di
fiamme.
Era accaduto tutto nell’arco di un minuto ma
il Burlone Divino non sembrava affatto turbato. Anzi, pareva piuttosto
divertito, come se l’imprevisto assalto avesse spezzato la monotonia di una
campagna militare poco soddisfacente.
“Dunque…
dov’eravamo rimasti?!” –Parlottò tra sé, incamminandosi verso Orion, il cui corpo paralizzato, abbattuto da Cristal, giaceva a terra in una posa innaturale. –“Ah già,
stavamo discutendo del tuo nuovo taglio di capelli! In tutta onestà, prode
Cavaliere di Odino, sarei per una scelta drastica! Un taglio netto!” –E sollevò
il ragazzo con la sola forza del pensiero, rimettendolo in posizione eretta,
mentre le dita della mano destra si stendevano e il braccio assumeva la forma
di una spada.
“Mio Signore, aspettate!” –Esclamò allora una
voce, distraendo Loki, che si voltò infastidito verso
il nuovo arrivato.
“Possibile che non si possa uccidere qualcuno
in pace?!” –Sbuffò, mentre un uomo dall’armatura arancione planava di fronte a
lui. –“Cosa vuoi, Hræsvelgr?”
“Voglio lui!” –Rispose l’Aquila
dei Venti, indicando Orion. –“Mi deve uno scontro! E
lo pretendo!”
“E prenditelo!” –Commentò
sbadatamente Loki. –“Se ci tieni tanto a morire!”
“Grazie, futuro Re!” –Esclamò Hræsvelgr, chinando il capo, mentre il Dio gli passava
accanto, dirigendosi verso Brunilde e Heimdall che intanto si stavano rialzando.
“Hai poco di cui ringraziarmi,
ragazzo! Sai che Orion, bagnandosi nel sangue di Fafnir, è divenuto invincibile? In che modo suicida pensi
di vincerlo?”
“È proprio per questo che
intendo confrontarmi con lui! Abbiamo un conto in sospeso da risolvere, che
risale proprio a quella missione!”
“I debiti…
una gran brutta rogna!” –Mormorò Loki, allontanandosi
e liberando Orion dalla Runa di Ghiaccio. Che Hræsvelgr facesse quel che voleva, a lui non importava.
Voleva morire? Che morisse! E poi dicono a me che sono un tipo strano!
Ironizzò, prima che un’aria gelida gli sollevasse le vesti, precedendo il
ritorno di Cristal.
Adesso erano di nuovo di fronte
a lui, tutti e tre. La formosa Regina delle Valchirie, il volto macchiato del
sangue della compagna spirata tra le sue braccia, il laconico Custode di Bifrost, la cui danneggiata corazza non rendeva merito alle
sue precedenti imprese, e il Cavaliere di Atena della cui identità si era
impossessato ore prima, per dare inizio a quella guerra tanto attesa.
Ridacchiò, portandosi una mano alla bocca, al pensiero che Cristal
fosse stato informato al riguardo.
“Dov’è Flare?”
–Esclamò il Cigno, confermando i suoi pensieri.
“Qui non c’è!” –Scosse le
spalle Loki con aria innocente.
Cristal
espanse il proprio cosmo, sollevando di nuovo le braccia giunte sopra la testa,
ma Heimdall lo fermò, pregandolo di rimanere freddo o
avrebbe finito per fare il gioco dell’Ingannatore.
“Che ci piaccia o no, è lui che
conduce il gioco!” –Sibilò, prima di avanzare di qualche passo verso Loki. –“Mi hai recato un grande affronto questa mattina,
Burlone Divino! Desidero che tu ti batta con me, adesso, per riparare ai tuoi
torti!”
“Ma siete tutti usciti di
senno?!” –Squittì Loki.
“Tutt’altro! Mai stato più
lucido di adesso! Uno scontro alla pari, senza che tu faccia uso dei tuoi trucchi!
Uno scontro che dimostri chi è più forte tra noi!” –E nel dir questo Heimdall fece tornare l’ascia nelle sue mani, caricandola
di energia cosmica.
“Chi è il più stupido, avresti
dovuto dire!” –Commentò Loki, davvero divertito da
quella situazione, che non poteva che giocare a suo indubbio vantaggio.
Senz’altro aggiungere mutò nuovamente le forme del corpo, tentando un’ardita
trasformazione, e dall’espressione sbigottita sulle facce dei suoi avversari
intuì di esservi riuscito.
“Wotan…”
–Mormorò Heimdall, riconoscendo l’alta figura armata
del Dio avanzare a passo fermo verso di lui. Balmunk
nella mano sinistra, Gungnir nella destra.
“Attento, Heimdall!!!”
–Gridò Cristal, che aveva notato il rapido movimento
con cui Loki aveva impugnato la lancia di Odino. Con
un sogghignò, il Dio la puntò avanti, allungandola con il cosmo e piantandola
nella gamba destra del Custode di Bifrost, mentre
questi cercava di scattare di lato. La ritrasse all’istante, trafiggendogli
anche l’altra gamba. E il ventre, e una spalla. Con colpi così veloci che Cristal neppure riusciva a vederli. Vide soltanto il sangue
sprizzare dal collo di Heimdall quando Loki lo trapassò, sbattendolo a terra, vinto.
“Non conosci dunque vergogna?!”
–Ringhiò, espandendo al massimo il cosmo e liberando un vortice di energia
congelante.
“Tsè!”
–Mormorò Loki, riassumendo le proprie forme e
generando di nuovo la cupola protettiva di pura fiamma semplicemente disegnando
un segno in aria.
Brunilde
la riconobbe. Kaun o Kaunaz,
la torcia. La runa del calore e dell’illuminazione che permetteva il
controllo del fuoco.
La Valchiria sapeva che Loki, al pari di Odino, conosceva l’arcano potere insito
nelle rune, che non erano soltanto l’alfabeto dei popoli antichi ma fonte di un
mistero ai più sconosciuto. O dai più dimenticato.
“Aurora del Nord!!!”
–Gridò Cristal, sbattendo i pugni uniti avanti a sé.
Ma la devastante tempesta di gelo si schiantò sulle vampe disposte attorno a Loki, senza raggiungerlo, neppure quando la Regina delle
Valchirie unì il proprio cosmo a quello del Cavaliere di Atena, non ottenendo
altro risultato che infastidire l’Ingannatore, portandolo a far esplodere il
suo cosmo e a scagliare indietro i due combattenti.
Quando Cristal
si rimise in piedi si accorse di avere la corazza danneggiata in più punti,
oltre che aloni di fumo che ne opacizzavano il lucente splendore. Loki invece, sebbene non indossasse armatura alcuna,
sembrava fresco e nel pieno delle sue forze.
“Chiedimelo ancora!” –Esordì, stupendo il Cavaliere di Atena, che inizialmente
non capì cosa intendesse. –“Chiedimi ancora quel che vuoi sapere e forse ti
risponderò!”
“Dov’è Flare? Cosa le hai fatto?! Se hai
osato farle del male io…”
“Non ho offuscato il suo vergineo splendore, se ti preme saperlo!”
–Rise il Burlone Divino. –“Né le ho tolto la vita, parola d’onore! La tua bella
è ancora viva e langue sotto il peso delle sue cuffiette pensando al bianco
Cavaliere che mai la salverà! Ihihih! Ricordati una cosa, Cigno! Un altro, al posto
mio, l’avrebbe uccisa! Ma non io! Non Loki! Io
perseguo solo il mio interesse e la Principessa di Midgard,
terminata la sua utilità, non mi è servita ad altro! Un lasciapassare per la
vendetta, questo è stata!”
“Quale utilità? Di cosa stai parlando?!” –Ma il Fabbro di Menzogne non
aggiunse altro, attratto da un mormorare sommesso proveniente da poco lontano.
La Sentinella di Asgard, vomitando sangue, stava tentando di rimettersi in
piedi.
“Heimdall!!!” –Gridò Cristal,
correndo verso di lui, temendo ad ogni passo di venir falciato da un attacco di
Loki, che invece non arrivò. Anche Brunilde si unì loro, tenendosi un fianco dolorante e
aiutando il Dio Bianco a sollevarsi.
“Lyngi!” –Mormorò. –“Flare
è sull’Isola Lyngi, nel Niflheimr!”
“Cosa?! Come fai a saperlo?!” –Incalzò Cristal.
“Hai sentito le parole di Loki, no? Vanno
sapute interpretare! Flare gli è stata utile per
entrare in Asgard e poi per restarvi, potendola usare come scudo o come
ostaggio nel caso fosse stato attaccato! Una volta però che si è ricongiunto
con i figli e con il suo esercito, Flare ha perso
ogni valore, potendo essere sacrificata! È là, dove Fenrir
fu incatenato, negli anfratti del mondo, che la troverai!”
“Hai ancora fiato per sproloquiare, Denti d’Oro? Allora ne avrai anche
per lottare, immagino!” –Sibilò Loki, avvolgendo il
suo braccio in folgori azzurre.
Cristal fece per lanciarsi contro di lui, ma Heimdall
lo fermò di nuovo, ricordandogli il patto che avevano stretto a Himinbjörg, di
fronte al vigile sguardo di Odino.
“Vai a Lyngi! Ora! E salva la Principessa di Midgard!” –Esclamò, espandendo il suo cosmo e
concentrandolo sulle braccia. –“Anche per me!”
“Io… non posso lasciarti a combattere da solo…” –Mormorò il Cavaliere, indeciso sul da farsi.
“Io sarò con lui!” –Intervenne Brunilde.
–“Vai!!!” –Ripeté il Custode di Asgard, liberando il suo colpo segreto. –“Corno
risuonante!”
Loki lo disperse con un semplice movimento del braccio mentre con l’altro
liberava scariche di energia, dirigendole verso Cristal.
Ma Heimdall e Brunilde si
posero di fronte a lui, incitandolo ad andare, come infine il Cavaliere fece,
stringendo i pugni e sfrecciando via, verso l’ingresso dell’Inferno, portando
nel cuore una speranza e una certezza. La speranza che Flare
fosse ancora viva e potesse quindi riabbracciarla e la certezza che non avrebbe
rivisto né il Dio Bianco né l’ardita Emissaria di
Odino.
“Addio, Cristal!” –Pensò Heimdall,
quasi avesse intuito i suoi pensieri, riportando lo sguardo su Loki, che sogghignava beffardo.
Vola, finché hai le ali, Cigno! Altri fermeranno la tua corsa!Come la mia antica sposa Sigyn mi fu strappata e torturata davanti ai miei occhi,
ugualmente tu perderai il tuo amore, scoprendo che questo sia pur bel
sentimento non è altro che un fiore destinato ad appassire! Rifletté, a
denti stretti, trasmettendo il suo ordine mentale.
“Ho un dono per te, Denti d’oro! Gyfu, la
runa dell’aria! Apprezzala, dall’alto della mia generosità!” –Esclamò infine,
disegnando nell’aria due aste incrociate, a rappresentare un segno che
nell’alfabeto occidentale era simile alla lettera X.
Immediatamente due squarci della stessa forma si aprirono nella corazza
del Custode di Ásbrú, scavandogli nel petto, tra le grida di
dolore del Dio e lo sguardo inorridito di Brunilde,
che si lanciò avanti, con il pugno teso, venendo spazzata via dalle scariche di
energia di Loki.
“Hai tenuto fede al tuo ruolo fino in fondo!” –Commentò l’Ingannatore,
avvicinandosi al corpo distrutto di Heimdall, disteso
sul prato. –“Ma l’orgoglio non paga! È un sentimento in cui non puoi riporre
fiducia!” –Quindi fece per chinarsi su di lui, concentrando un globo di energia
sul palmo della mano. –“Voglio dirti una cosa, prima di ucciderti! Non
prendertela per questa mattina! Non è la prima volta che sfuggo al tuo sguardo!
Perché, vedi, in questi ultimi secoli sono venuto spesso ad Asgard, in modi che
neanche puoi immaginare! Ihihih!”
Fu allora che la Sentinella Celeste scattò, veloce come una fiera,
afferrando l’arto teso di Loki con un braccio mentre
con l’altra mano, già chiusa a pugno, puntava sul ventre dell’avversario,
liberando il suo massimo attacco.
“Testa d’Ariete!!!” –Gridò, sorprendendo per la prima volta il
suo rivale, che venne sollevato da terra da una forza spaventosa, pari alla
carica furibonda di un ariete dalle corna possenti. –“Un epiteto che mi fu dato
tu lo conosci, Loki! HeimdallHallinskidi, il Dio dalle corna piegate! Le corna di un poderoso ariete!”
Quel che permise a Loki di salvarsi dal
violento attacco fu il buon senso, o forse la codardia, con cui era sceso in
guerra quel giorno. Prima ancora di varcare il Cancello Meridionale della
cittadella di Midgard, aveva infatti tessuto
un’intricata difesa sopra il suo corpo, un ricamo di rune identiche tra loro
che gli avrebbe garantito di non subire danno alcuno.
Una catena di Yr, l’antica Algiz, runa della protezione, la cui caratteristica forma a
zampa di uccellino lo faceva sorridere ogni volta che la disegnava.
Era per quel motivo che, nonostante la spinta che lo scaraventò a
terra, facendolo ruzzolare per diversi metri, e la fitta che lo aggredì alla
pancia, non ricevette ulteriore ingiuria. Ma quando si rialzò, qualcosa era
cambiato in lui. Lo capì anche Heimdall, mirando i
suoi occhi adesso di fuoco.
“Hai idea di quello che hai fatto?! Sono quasi finito con la faccia su uno
sterco di vacca!” –Esclamò il Fabbro di Menzogne, scuotendo la lunga veste per
togliersi tutti quei fili d’erba e quel terriccio di cui si era imbrattato.
–“Ti ci inzupperò la testa, togliendo ai tuoi denti quello smalto d’oro di cui
vai tanto fiero!”
“E se invece ci inzuppassimo noi la tua, traditore?!” –Ruggì una terza
voce, mentre l’imperiosa sagoma di un uomo, in Veste Divina, affiancava Heimdall, ponendogli il braccio destro sulle spalle e
permettendo a Loki di notare l’assenza della mano.
“Tyr…” –Ringhiò, alla vista del Nume della
Guerra, uno di coloro che maggiormente si era scagliato contro di lui, secoli
addietro, dopo il tentato assassinio di Balder. Del
resto, sono entrambi figli dello stesso Padre.
“Mi riconosci dunque, putrido ratto! Io invece no! Ti trovo troppo
giovane, troppo bello! Dove sono i segni della prigionia? Dove sono le
cicatrici che avrebbero dovuto ricordarti gli orrori che hai commesso?”
“Orrori a cui tu hai preso parte!” –Sibilò Loki,
incapace di trattenere la propria rabbia. Se verso Heimdall
provava rispetto, per il profilo distinto che aveva sempre tenuto, verso Tyr provava un odio immenso. Neppure il tempo e l’ombra
avevano potuto cancellare l’immagine della spada del Nume che sgozzava i suoi
figli.
“Mi dolgo di non aver dato il massimo in quell’impresa! Eppure ne avrei
avuto tutti i diritti!” –Esclamò Tyr, mostrando il
moncherino e al qual tempo sfoderando la spada con la mano sinistra.
“Puoi farlo adesso, se vivrai abbastanza per fronteggiare la verità!”
–Fiatò Loki, con voce così leggera che al figlio di
Odino parve un sussurro. –“Thurisaz!”
–Violente scariche di energia azzurra avvolsero il braccio dell’Ingannatore
prima che questi le dirigesse verso Heimdall e Tyr, travolgendoli e stritolandoli.
“Testa d’Ariete!!!” –Tentò di reagire la Sentinella Silente, ma
il suo attacco venne disperso dalla tempesta di folgori.
“Aaargh!!!” –Gridò il Nume della Guerra,
mentre i fulmini evocati dalla potente runa dei Giganti gli distruggevano
l’armatura, scavandogli nella pelle e lasciandogli profonde ustioni.
“Volevi vedere le cicatrici, Tyr?! Volevi
vedere i segni del veleno partorito dal serpente che mi poneste in capo?!”
–Ringhiò Loki, che si era intanto avvicinato a
entrambi, strappandosi la veste e rivelando il petto e le braccia, marchiate in
modo inconfondibile. Violacee strisce gli percorrevano il corpo, evidenti
adesso anche sul collo e sul volto. Cicatrici che neppure Yr
avrebbe potuto cancellare. –“Ecco il marchio dell’infamia!!! Marchio che ho
sopportato con coraggio, senza piagnucolare, facendo mio il veleno della
bestia! Sarai tu in grado di fare altrettanto?!”
Il corpo di Heimdall, a fianco del guerriero,
esplose pochi istanti dopo, lacerato dalle folgori dilanianti. Tyr ricadde al suolo, perdendo la presa della spada, e
sarebbe crollato in avanti se Loki non gli avesse
afferrato i capelli con forza, strattonandolo per mantenerlo in posizione
eretta. Gli torse il viso, ormai una maschera di sangue, e gli sorrise,
chiamando a gran voce il nome di Odino.
“Guarda, possente Wotan, la fine dei tuoi
figli! È un sentimento difficile da accettare, te lo dico con esperienza! Ma,
prima o poi, capita a tutti…” –Ringhiò, sollevando
con un calcio la spada di Tyr e afferrandola con la
mano destra, prima di piantarla nella gola del Dio della Guerra, mentre
migliaia di scariche di energia scintillavano in aria. –“Questo è soltanto il
primo! Due ne hai uccisi di fronte ai miei occhi! Ma tre sono le vite che hai
preso! E altrettante ne prenderò io!” –Non aggiunse altro, gettando a terra la
spada e il cadavere sanguinante di Tyr. Era stato fin
troppo generoso con lui, donandogli una morte rapida e scevra di sofferenze. Ma
con il secondo avrebbe messo da parte la gentilezza.
Sogghignò, prima di sollevare un velo di rune a sua difesa e
incamminarsi verso Breidablik.
***
Cristal eliminò con un solo colpo le guardie lasciate da Loki
a Gnipahellir, poche e prese di sorpresa da un
attacco proveniente dalla loro retrovia. Alle sue spalle Orion
aveva iniziato ad affrontare il suo nemico, mentre sull’altro lato della piana le lucenti folgori
dell’Ingannatore mietevano nuove, e non ultime, vittime. Senza esitare,
il Cigno si tuffò nella fenditura tra le rocce, più larga di quanto si fosse
aspettato. Vedendo le pietre smosse e il terreno che ancora franava, capì che
l’iniziale stretto passaggio doveva essere stato sventrato dal furioso avanzare
di Fenrir ore prima.
Raggiunse il Ponte sul Gyoll e la Porta di Hel, senza
prestare attenzione ai richiami provenienti dal fiume, urla cariche di tristezza
e disperazione. Prima di varcare la soglia del Niflheimr
si fermò, chiedendosi cosa avrebbe fatto al di là di essa, dove si sarebbe
diretto, in quella landa dell’eterno inverno il cui sapore ancora ricordava.
Fu un rumore di passi a
spegnere i suoi dubbi, costringendolo a voltarsi di scatto e a fronteggiare
l’uomo apparso alle sue spalle, al centro del ponte.
“Artax!!!
Che ci fai qua? Credevo fossi rimasto con Odino!”
“Ti accompagnerò nel Niflheimr, Cristal! Non puoi
avventurarti da solo in quella landa ostile!” –Esclamò il Cavaliere di Asgard,
avvicinandosi.
“Non ce n’è bisogno…”
“Invece sì! Tu non sai dove si
trova Lyngi e non troverai dei cartelli a indicarti
la via!” –Continuò Artax, passandogli accanto e
oltrepassando per primo la Porta di Hel. –“Non voglio
che tu vaghi sperduto per l’inferno mentre Flare
langue da sola!”
Cristal
vide negli occhi del ragazzo la determinazione e l’ansia per le sorti
dell’amica, un sentimento più forte di qualsiasi altro. Non poté far altro che
annuire, varcare la soglia a sua volta e seguire nuovamente Artax
nel deserto di ghiaccio.
Quel che il Cavaliere non vide
fu però un’evanescente figura che li seguì. Eterea, a tratti, parve confondersi
con le nebbie del Nifhleimr. Le nebbie di casa sua.
Era tradizione che il Grande Tempio non intervenisse nelle questioni di
sovranità nazionale, lasciando ai singoli stati il compito di occuparsene,
senza invischiarsi in dispute di politica e di competenze territoriali che non
gli spettavano. Ciononostante era accaduto, in alcune occasioni, che capi di
governo mondiali si fossero rivolti ad Atene per risolvere problemi che da soli
non erano in grado di affrontare.
Era stato questo il caso della missione che Ioria
aveva dovuto affrontare nel 1979, quando una quantità significativa di
radiazioni era stata rilasciata da una centrale nucleare nei pressi di Harrisburg, la capitale dello stato della Pennsylvania.
Evento che aveva portato il Grande Sacerdote a inviare uno dei Cavalieri d’Oro
ad occuparsene, permettendo di scoprire che il responsabile dell’attentato era
in realtà un ribelle bandito anni addietro dal Grande Tempio, a cui era stata
negata l’investitura.
La mia prima missione ufficiale! Rifletté il giovane, seduto su uno dei leoni di marmo all’ingresso
della Quinta Casa. All’epoca credetti che sarebbe
stata una seccatura andare a Three Mile Island! Per
fare cosa poi? Sistemare un reattore danneggiato?! Non avrei potuto immaginare
chi vi avrei incontrato, e cosa avrei avuto modo di apprendere! Sospirò,
ricordando l’eroica figura di John Black, un uomo
che, sebbene lo avesse visto una volta soltanto, aveva potuto insegnargli più
di molti altri.
In seguito il Cavaliere di Leo era stato impiegato in perigliose
missioni, a Creta e in Asia meridionale, allo scopo di occuparsi di questioni
che la politica e la scienza non potevano risolvere. Aveva così appreso che
anche in passato, ben prima della sua nascita, i Cavalieri di Atena erano
intervenuti negli eventi del mondo, favorendo ad esempio il crollo dell’Impero
romano o la disfatta di Napoleone, ma sempre con la massima discrezione. Del
resto, anche adesso c’era qualcuno che li considerava più come demoni o esseri
leggendari, che non come uomini.
Tantomeno come eroi.
Commentò, sprezzante. E pensò a Castalia, Tisifone e Asher, impegnati in missioni umanitarie, chiedendosi come i
popoli delle zone in cui si erano diretti li avrebbero accolti. Con
diffidenza e sospetto, o come una benedizione?
Castalia era andata in Canada, dopo una segnalazione di navi incastrate
nella Baia di Hudson. Tisifone si era recata in
Inghilterra mentre Asher si era diretto a Stoccolma,
dove il ghiaccio aveva danneggiato i binari di alcune ferrovie, provocando
disastrosi incidenti. Ognuno di loro aveva portato con sé una piccola
guarnigione di soldati, manodopera necessaria e addestrata per aiutarli nei
soccorsi. Ma da qualche ora non arrivavano più rapporti al Grande Tempio e Ioria e Libra avevano iniziato a preoccuparsi, consapevoli
comunque che i tre potevano essere impegnati nelle operazioni di salvataggio e
non avere il tempo di mettersi in contatto con Atene.
Ciononostante il Leone era inquieto.
L’idea che Castalia fosse in pericolo l’aveva invaso e non accennava ad
andarsene, assieme ad un’altra, più nascosta ma ugualmente umana, che lo
obbligava a rimettere in discussione tutto e a chiedersi se tra loro le cose
fossero davvero finite. Sebbene, si disse con una certa ironia, non
siano neanche mai iniziate.
Una figura rivestita d’oro apparve poco dopo nell’androne del Quinto
Tempio, avanzando a passo deciso verso l’esterno.
“Lo senti anche tu?” –Domandò Libra, mentre Ioria
balzava accanto a lui. –“Questo vento gelido che ha iniziato a spirare sulla
Grecia?”
Il Cavaliere di Leo annuì, chiudendo gli occhi, prima che entrambi
percepissero una vibrazione nello spaziotempo, una forzatura dei campi
difensivi del Grande Tempio, come se qualcosa di molto grosso avesse sfondato
il perimetro della regione sacra.
“Al Cancello Principale!” –Esclamò Ioria,
scattando avanti, subito seguito da Libra.
Quando raggiunsero la base della scalinata di marmo, proprio dove Lady
Isabel era stata ferita dalla freccia di Beteljeuse,
trovarono i soldati di Atene impegnati in un violento combattimento. Per quanto
numericamente superiori agli avversari, la forza dirompente di questi ultimi
era stata tale da obbligarli a una rapida ritirata, spingendoli dal Cancello
Principale fino alle Dodici Case e massacrando coloro che rimanevano indietro, tramutati
in statue di ghiaccio.
Ioria e Libra si guardarono attorno, notando lo sfrigolare continuo dei
raggi di energia congelante che soldati in tuta azzurra dirigevano contro i
difensori del Santuario, mentre una grande nave volante proiettava la sua ombra
su tutti loro.
“Una nave… di unghie?!” –Balbettò Ioria, osservandola.
Proprio in quel momento la nave virò bruscamente, schiantandosi a terra
e schiacciando un mucchio di soldati sotto la sua mole, mentre una figura alta
e robusta, rivestita da un’armatura grigia, si ergeva sul ponte di comando.
Sogghignando, l’uomo sollevò la propria scure, caricandola di energia cosmica,
e scagliandola a gran velocità contro i due Cavalieri d’Oro.
“Via!!!” –Gridò Ioria, balzando di lato,
mentre Libra faceva altrettanto nell’opposta direzione, evitando l’arma che si
piantò ai piedi della scalinata, generando un’esplosione che la squassò in gran
parte, di fronte alle risate sguaiate di colui che l’aveva scagliata.
“Chi sei, guerriero?!” –Esclamò allora il Cavaliere della Settima Casa,
rimettendosi in posizione eretta, mentre Ioria,
dall’altro lato, si avventava contro i Soldati di Brina, sfrecciando come un
fulmine carico di energia rovente in mezzo a loro e facendone fuori a decine.
In tutta risposta il nuovo arrivato richiamò a sé la propria scure,
impugnandola con mano ferma, prima di lanciarsi dall’alto della nave e piombare
su Libra, con l’arma sollevata sopra la testa.
“Il tuo carnefice! Erik il Rosso! Come il sangue che imbratterà il tuo
cadavere!” –Ringhiò, prima di calare l’arma sul Cavaliere d’Oro, che in tutta
risposta aveva già liberato il suo colpo segreto. Ma, con stupore e orrore,
Libra vide il dragone di energia disperdersi al contatto con il corpo
dell’avversario, protetto da una barriera invisibile, obbligandosi quindi a
scattare di lato.
“Troppo tardi!” –Sentenziò Erik, che ormai era su di lui. La scure di
energia violacea sbatté contro lo scudo dell’armatura d’Oro, che Dohko aveva prontamente sollevato, più per istinto di
sopravvivenza che altro, scalfendone la superficie e spingendo persino il
Cavaliere indietro.
“Libra!!!” –Gridò Ioria, dall’altra parte
dello spiazzo, intento ad evitare i raggi di energia congelante e a far sì che
neppure i soldati semplici venissero raggiunti.
“Nobile Ioria, lasciate a noi costoro!”
–Esclamarono alcuni di loro. Ma il Cavaliere di Leo si rifiutò, pregandoli di
rimanere alle sue spalle.
“Non ha senso attendere presso le nostre Case il compiersi degli
eventi, lasciando a voi l’onere della difesa del Santuario! Siamo difensori,
prima ancora che combattenti, e come tali ci comporteremo! Per il Sacro Leo!!!”
–Avvampò, scattando avanti.
“Codardo il tuo compagno! Si è preso i pesci più piccoli, lasciando te
in balia del boia!” –Sibilò Erik tagliente. –“Perché così devi immaginarti,
incatenato e piegato con la testa su un ceppo di quercia, e la mia scure pronta
per mietere la tua vita!”
“Umpf! Hai intenzione di vincermi con le
parole o speri di incutermi paura?! Quale che sia la tua tattica, con me non
funziona!” –Rispose Libra, sprezzante.
“Ah no?!” –Sogghignò Erik, muovendo la scure a spazzare e spingendo
indietro il Cavaliere di Atena con la sola onda d’urto. Poi, senza dargli tempo
di recuperare una postura corretta, si lanciò su di lui, mulinando fendenti in
ogni direzione.
Libra fu costretto ad arretrare ancora, cercando di non essere
raggiunto dall’affilata lama, ma non poté evitare le onde di energia che
seguivano ogni spostamento dell’arma, trovandosi presto con le spalle al muro
di roccia della montagna. Sudando freddo, cercò di recuperare la
concentrazione, ricordandosi di un altro avversario di recente affrontato,
anch’egli abile con un’arma proprio come Erik.
Avel delle Spade Incrociate, Cavaliere Nero al servizio di Flegias. Una macchina per uccidere. Forte anche del
suo passato come agente del KGB, Avel era riuscito a
impegnare notevolmente il Cavaliere d’Oro, che ne aveva avuto ragione solo con
un grande impegno.
Ma Erik, agli occhi di Libra, era diverso. Più potente che abile,
più devastante che preciso, una furia scatenata, un carro da guerra pronto a
travolgere chiunque si trovi nel suo raggio d’azione.Devo reagire,
maledizione! Si disse, buttandosi di lato e rotolando sul terreno roccioso,
mentre la scure si piantava nella parete alle sue spalle, disintegrandola con
un sol colpo.
“Ora! Drago Nascente!!!” –Gridò il Cavaliere ancora steso a
terra, portando avanti le braccia e liberando il drago smeraldino. Ma
nuovamente Erik sogghignò, voltandosi verso di lui, mentre con il braccio
destro disincastrava l’arma dalla roccia. E nuovamente l’assalto di Libra
sbatté contro il suo corpo, venendo poi disperso in tutte le direzioni, come
accade a un’onda quando si infrange su un muraglione di scogli.
“Non è possibile!!!” –Esclamò esterrefatto, rimettendosi in piedi, e
dando modo a Erik di gloriarsi ancora un po’ della sua virile superiorità.
“Se adesso hai capito che non hai speranza di vittoria contro Erik il
Rosso, accetta il fato e muori! Scure di Devastazione!!!” –Gridò il
seguace di Loki, allungando l’arma avanti a sé,
carica di energia cosmica, e abbattendola con forza sul già incrinato Scudo
della Bilancia.
Dohko mise tutto se stesso nella difesa, cercando di resistere alla violenta
pressione, ma fu infine costretto a cedere, quando un improvviso potere gli
piegò di forza le ginocchia, prostrandolo a terra suo malgrado, permettendo in
questo modo a Erik di raggiungerlo alla spalla e schiantarlo indietro. Quando
si rialzò, tenendosi il cingolo scapolare sanguinante, aveva però compreso come
Erik riuscisse a essergli superiore.
“Sei un baro!” –Gli gridò. –“C’è qualcun altro che ti aiuta e combatte
per te, proteggendoti e unendo il suo cosmo al tuo in attacco!”
“Ahr ahrahr! Un
baro?! No, sono un profittatore e mi servo di ogni mezzo per perseguire i miei
scopi! Onesta e disonestà le lascio ai filosofi e ai politici, in guerra non
c’è posto per tali considerazioni!”
“Dov’è il tuo compare?!”
“Eccolo!” –Sibilò Erik, caricando la scure di energia cosmica e
piantandola con forza nel terreno di fronte a sé, frantumandolo e generando
faglie che sfrecciarono verso Libra, obbligandolo a balzare di lato in lato per
non precipitarvi all’interno. –“Ahrahrahr! Questa scure, ricordo di
mio fratello, è la mia unica compagna!” –E nel dir questo sollevò l’arma verso
l’alto, mentre da tutte le faglie aperte sorsero fendenti di energia che
travolsero Libra, scaraventandolo in aria e facendolo poi ricadere a terra, con
un braccio penzolante in un burrone.
Quindi Erik si voltò verso la Naglfar, la
nave che Megrez tredicesimo aveva costruito in Hel e che aveva condotto ad Ásaheimr,
per poi morirvi. La nave che Loki gli aveva affidato
come mezzo per raggiungere Atene e scatenare la vendetta dell’Ingannatore.
Là, sul ponte di comando, un’esile figura si stagliava controluce, così
fragile all’apparenza da sembrare incorporea, per quanto nascondesse un
potenziale cosmico che aveva fatto impallidire persino Erik quando Loki glielo aveva mostrato.
Modhgudhr
non disse niente, scansando lo sguardo del Sigtýr e
riportandolo sui Soldati di Brina, adesso la metà di quelli che erano giunti ad
Atene, falciati dagli artigli del Leone, che si stava preparando a caricare di
nuovo. Le bastò fissarlo, per scaraventare Ioria
contro la parete di roccia, sfondandola e facendola crollare su di lui, di
fronte agli occhi impalliditi dei soldati semplici, nuovamente esposti ai raggi
congelanti. Ne morirono a decine, immobilizzati in rozze statue di ghiaccio, ma
nessuno si mostrò pavido, volgendo la lancia al nemico nella posa della pugna,
prima che un cosmo rilucente d’oro vivo non abbagliasse l’intero piazzale.
Persino Erik volse lo sguardo
al cielo, freddo e cupo, senza capire da dove provenisse quel bagliore
improvviso, permettendo a Libra di rifiatare e rimettersi in piedi.
Fu Ioria,
liberatosi dai detriti piovuti su di lui, a riconoscere il cosmo del Cavaliere
di Virgo.
“Ohm!” –Mormorò una voce
senza età, mentre un fiume di luce parve scorrere dalla collina delle Dodici
Case e travolgere i Soldati di Brina e la Naglfar. Un
attimo dopo l’energia contenuta nel fiume esplose, annientando la quasi
totalità dell’esercito che Loki aveva inviato contro
Atene, per punirla dell’aiuto dato ad Asgard.
Libra sollevò lo sguardo verso
la Casa di Virgo e vide la luce che l’aveva avvolta
poc’anzi scemare di intensità e il cosmo del Custode della Porta Eterna
quietarsi, tornato alla meditazione che, per venire loro in aiuto, aveva
interrotto.
“Grazie!” –Commentò, per poi
riportare lo sguardo sul suo nemico.
Erik era stato travolto dall’esplosione energetica, che aveva danneggiato in
parte la sua corazza, ma sembrava non aver riportato danni maggiori, non fosse
per un rivolo di sangue che gli scorreva dal naso. Con un rapido movimento
della lingua, si pulì il viso, ridacchiando, prima di espandere nuovamente il
cosmo e sollevare la scure.
“Non sei fuggito? Avresti
dovuto!” –Ironizzò, liberando di nuovo il suo colpo segreto, a cui Libra
rispose bruciando al massimo il suo cosmo e caricando lo scudo d’oro che
portava al braccio. –“Scure di Devastazione!!!”
Ancora una volta Dohko sentì una pressione immensa schiantarsi su di lui e
dovette dare fondo a tutte le sue risorse per impedire all’arma di staccargli
il braccio. Per un istante lo invase la spiacevole sensazione di essere
nuovamente costretto a piegarsi, ma non accadde niente. Erik, notando il suo
stupore, ne approfittò per incrementare il proprio attacco, scaraventando il
Cavaliere indietro, fino a farlo ruzzolare a terra con lo scudo danneggiato e
il braccio grondante sangue.
“Non ho bisogno di una balia
per vincerti, se a questo stavi pensando!” –Precisò, avanzando a passo fermo
verso il Custode della Settima Casa. –“Mai distrarsi in combattimento, mai
lasciare che i pensieri dominino! L’azione deve regnare sovrana! La volontà
imperterrita di sollevare il pugno verso l’avversario!”
“Chi…
chi era?! C’è stato un cosmo che ti ha protetto finora…
Dov’è andato?”
“A quanto sembra Modhgudhr ha scelto
il suo avversario!” –Disse Erik, che aveva notato che la fanciulla non si
ergeva più su Naglfar. –“La cosa non mi stupisce,
visto il loro legame, né mi impensierisce, poiché l’esito di questa battaglia è
già scritto! Scritto nella storia, dove i più forti hanno sempre trionfato!”
–Detto ciò mosse la scure verso destra con un movimento così rapido che Libra ebbe
difficoltà a notarlo. Si accorse però dell’onda di energia da essa generata,
che lo travolse alle gambe mentre stava cercando di rimettersi in piedi,
piegandolo all’indietro, proprio mentre Erik spiccava un salto per portarsi di
fronte a lui, sollevando di nuovo la scure.
“Non questa volta!” –Ringhiò il
Cavaliere d’Oro, eseguendo una capriola su se stesso e portando avanti il
braccio destro. –“Colpo segreto del Drago Nascente!”
“Perseveranza il tuo nome mi è
ignoto!” –Ridacchiò Erik, calando la scure, con la quale divise perfettamente a
metà l’attacco, trinciando in due la testa del drago di Cina, di fronte agli
occhi stupefatti di Libra, che ricadde a terra, mettendo male un piede e
storcendosi una caviglia.
“La tua forza è grande, lo ammetto!” –Esclamò infine, mentre Erik
atterrava di fronte a lui, perfettamente in forma, come fosse appena sceso in
battaglia. –“Anche privo della barriera che il tuo compagno aveva eretto per
difenderti, sei comunque rivale temibile! Ma spiegami, ti prego, perché un uomo
come te, dotato di una così vigorosa energia cosmica, serve il male? Perché è
indubbio che tu sia al servizio del nordico Dio dell’Inganno, non è così?”
“Dici il vero, Cavaliere di Atena! A Loki
sono fedele più di chiunque altro, al punto da essere da lui nominato
Comandante dei Sigtívar e dei Soldati di
Brina! Poiché bramo la distruzione di Asgard e della dinastia di Polaris, per questioni squisitamente personali! E quel che
l’ego vuole, l’ego può ottenere, dovresti ben saperlo tu che avrai affrontato, come
ogni altro Cavaliere, un rigido addestramento fatto anche di privazioni!”
–Spiegò Erik, fissando il giovane con sguardo ruvido. –“Vent’anni fa la mia
famiglia fu sterminata in una guerra di confine, voluta dal precedente
Celebrante di Odino a Midgard! In quel tremendo
scontro vidi morire mio fratello, l’uomo che mi aveva cresciuto e addestrato
alla dura vita dei boschi e della guerra! Lo vidi morire davanti ai miei occhi
per mano di un uomo dotato di cosmo, un uomo chiamato Folken!
E, come lui, morirono i miei genitori e altri abitanti di Iisung!
Quelli che sopravvissero alla guerra, li portarono via il freddo e la carestia!
E anch’io avrei incontrato tale sorte se Loki non mi
avesse salvato, prendendomi con sé, istruendomi e forgiandomi come un guerriero!
Quel giorno giurai a me stesso che lo avrei servito sempre, usando il mio
accresciuto potere per ottenere giustizia!”
“Giustizia?! La tua mi sembra
piuttosto una vendetta!”
“Chiamala come vuoi! Per me è
lo scopo della mia esistenza! E questa cicatrice che deturpa il mio volto,
residuo di quel giorno di sangue, me la ricorda ogni momento!”
“Capisco il tuo dolore, ma
abbattere Asgard o Midgard non ti restituirà tuo
fratello, né la tua famiglia, né cancellerà il ricordo di quello che è stato!
Anzi, in questo modo farai patire ad altri ciò che tu per primo hai patito!”
–Esclamò Libra. –“Ruolo ingrato quello del Celebrante di Odino, me ne rendo
conto! Ha dovuto agire con pugno duro per sedare una rivolta che, se lasciata
libera di sfogarsi, avrebbe potuto destabilizzare l’intero regno! Quando si è
un capo, spesso si è costretti a prendere decisioni per il bene della
collettività che possono non essere condivise da tutti, decisioni a volte
ingrate! Io stesso, per quel breve periodo in cui ho avuto il comando dei
Cavalieri di Atena, dopo la sconfitta dell’usurpatore, ho provato la veridicità
di queste parole! Per evitare di lasciare sguarnito il Santuario in vista della
Guerra Sacra contro Ade, vietai ai Cavalieri d’Oro di portare aiuto a Pegasus ad Asgard e nel Regno Sottomarino,
confidando soltanto nel loro valore! Decisione difficile e impopolare, ma
necessaria!” –Sospirò il Cavaliere, ripensando alle accese discussioni tra i
suoi pari sotto la pioggia. –“Ioria e Scorpio sarebbero stati pronti a partire, e non dubito che
Toro e persino Virgo li avrebbero seguiti, per
ridurre le fatiche dei Cavalieri dello Zodiaco!”
“Parli bene, seguace di Atena! Meglio di quanto tu combatta!” –Ironizzò
Erik, sollevando la scure. –“Ma le parole non fermeranno la mia furia guerriera!”
“Purtroppo no! Ma le sacre armi di Libra sì!” –Esclamò Dohko, sfoderando una delle due spade e scattando avanti,
nello stesso momento del suo avversario, scontrandosi a mezz’aria, ognuno con
l’arma stretta nel pugno.
Una pioggia di scintille rischiarò la fosca aria di quel pomeriggio,
mentre ognuno dei due contendenti atterrava al posto dell’altro, voltandosi di
scatto e balzando di nuovo all’attacco. Per cinque volte si lanciarono uno
verso l’altro, avvampando nei loro cosmi, scheggiando le lame, implacabili nel
perseverare con la stessa energia. Ma alla sesta volta Libra avvertì la
stanchezza dovuta al prolungato impugnare della spada, che gli risultava
difficoltoso dopo aver perso due dita nello scontro con Flegias
all’Undicesimo Tempio dell’Ira. Erik se ne avvide e rincarò la dose, piombando
sull’avversario e strappandogli la spada con un secco movimento della scure.
“Sei mio!!!” –Gridò, muovendola per portarla indietro e staccargli la
testa.
“Tutt’altro!” –Rispose Dohko pacatamente, che
già aveva sollevato il braccio destro, caricandolo di tutta l’energia cosmica
che poté richiamare. –“Non solo nelle armi sta la forza del Cavaliere della
Bilancia, anche nel suo cosmo! E ora lo vedrai! Per il Sacro Libra!!!”
–E calò il braccio su di lui, generando un fendente di energia dorata che
raggiunse Erik alla mano destra, distruggendo la protezione dell’armatura e
facendogli perdere la presa sulla scure, che roteò in aria alla sua destra
prima che con un fugace spostamento Libra la raggiungesse, afferrandola con la
mano sinistra. –“La tua arma è nelle mie mani adesso!”
A quelle parole seguì l’immediata reazione di Erik, che caricò
frontalmente il suo avversario, piombando su di lui a spalla tesa e spingendolo
indietro, mentre la scure cadeva poco distante. Inarrestabile, il Rosso
Condottiero tempestò di pugni il Cavaliere, incurante del dolore alla mano
destra e del sangue che sprizzava ovunque, fino ad assestargli un gancio sulla
mascella così forte da scaraventarlo a terra, privo dell’elmo e con un evidente
ematoma. Quasi come si aspettasse di essere colpito ancora, Libra sollevò un
braccio ma Erik non lo degnò di ulteriore sguardo, volgendogli le spalle e
incamminandosi verso la sua scure, che risollevò con la stessa cura che le
madri rivolgono ai figli piccoli.
Che uomo strano!
Rifletté il Cavaliere di Atena, approfittando di quel momento per rifiatare. Che
tutta la sua forza derivi da quell’ascia? Ne dubito! Neppure io faccio
affidamento soltanto sulle sei armi doppie! Eppure percepisco un legame tra
loro che va al di là della semplice utilità pratica, qualcosa che mi ricorda
l’unione tra Andromeda e la sua catena, compagna di mille battaglie.
“Qualunque piano tu abbia in mente per salvarti la pelle, sappi una
cosa sola!” –La voce rauca di Erik lo distrasse, portandolo a sollevare lo
sguardo verso di lui. E in quegli occhi scuri mise tutto l’odio che era capace
di provare. –“Non osare toccare di nuovo la mia scure o non soltanto ti
ucciderò! Ma taglierò il tuo corpo in pezzi così piccoli che nemmeno un
compositore di mosaici potrebbe ricrearlo!”
“Deve essere davvero importante per te…”
–Analizzò Libra, rialzandosi.
“Quanto per te è difendere questo Santuario di ciottoli!” –Esclamò
secco Erik, prima di schizzare su di lui, con la scure tesa sopra la testa,
avvolta nel suo cosmo viola. Con un solo colpo distrusse quel che restava del
primo Scudo della Bilancia, obbligando Libra a scattare di lato, ma il
movimento di ritorno dell’arma strusciò sul suo ventre, sbilanciandolo. –“Scure
di Devastazione!” –Tuonò il servitore di Loki,
tentando l’assalto da distanza ravvicinata, approfittando della mancanza di
protezione del suo nemico. Ma l’arma di energia cosmica non raggiunse il
Cavaliere d’Oro, spinto a terra da un’agile figura che piombò su di lui, ruzzolando
assieme fuori dal raggio d’azione.
“Ioria…” –Mormorò Libra, riconoscendo il
compagno, la cui schiena fumava ancora per essere stata parzialmente raggiunta
dalla scure di Erik.
“Giusto in tempo, a quanto vedo…”
“Giusto in tempo per morire!” –Ridacchiò il Rosso, facendosi avanti,
ripresosi dalla sorpresa iniziale. –“Resta a terra, accanto al tuo compagno, vi
cancellerò insieme dalla faccia della Terra! Ahr ahrahr!”
Ioria, anziché rispondergli, concentrò il cosmo attorno al pugno destro,
pronto per liberare i fulmini incandescenti, quando sentì un’energia estranea
cingerlo d’assedio, avvolgendolo in un silenzioso abbraccio.
“Che… cosa succede?!” –Balbettò il Cavaliere
di Leo, osservando che all’interno di quel guscio argenteo il suo corpo stava
iniziando a svanire.
“Modhgudhr?!” –Esclamò stupito Erik,
voltandosi verso la Collina della Divinità, ma riconoscendo che non si trattava
del cosmo della sua compagna.
“Ioria!!!”
–Gridò Libra, senza capire cosa stesse accadendo, senza poter far nulla per trattenere
l’amico, che si dissolse davanti ai suoi occhi.
“Non era questo che intendevo
con le mie parole di poco prima! Ma è comunque un risultato a me favorevole! Ahrahr!” –Ridacchiò il
Comandante dei Sigtívar, riportando l’attenzione su
Libra, che ancora fissava l’aria sbalordito. Deciso ad approfittare di quel
momentaneo smarrimento, Erik si lanciò su di lui, impugnando la scure con due
mani, ma quando la calò la sentì scontrarsi contro un muro d’oro.
Dohko
aveva infatti sollevato una spada della Bilancia, parando con essa l’affondo.
“Al tuo posto!” –Gli rispose,
spingendo indietro il Sigtýr con un’onda di energia.
Quindi, deciso a non dargli tregua, scattò avanti, liberando migliaia e
migliaia di fendenti energetici, che caddero su Erik come una pioggia di
spilli, sottili e pungenti.
Il Rosso li fronteggiò senza paura, roteando la scure di fronte a sé,
in modo da creare un muro d’aria carico di energia cosmica, su cui i raggi si
infransero. Ma Libra sorrise, essendo quel che si aspettava, quel che sperava
infine di trovare. La debolezza del Comandante dei Sigtívar.
“Sei lento!” –Esclamò,
intensificando il proprio attacco, cercando di dirigere gli affondi energetici
in qualsiasi direzione. In basso, in alto, al centro, obbligando Erik non
soltanto a roteare continuamente la scure, ma anche a spostarla, per porre
sempre il muro difensivo di fronte a sé. Con una certa soddisfazione, Libra lo
vide stringere i denti, trattenendo a fatica la rabbia quando i primi raggi di
energia iniziarono a superare la sua improvvisata barriera. –“Se ad un attacco
a distanza fai così fatica ad opporti, che cosa farai con un attacco diretto?”
–Gridò, scagliando la spada avanti a sé, la punta dritta verso il volto di
Erik.
“Lo affronterò!” –Ringhiò
questi, fermando il roteare della scure, impugnandola e muovendola di lato, sì
da deviare la lama dorata e farla piantare alle sue spalle.
“Come pensavo…”
–Sorrise Dohko, che aveva già espanso il proprio
cosmo, concentrandolo sulle braccia, mentre verdi dragoni d’oriente danzavano
attorno a sé. –“Colpo dei Cento Draghi!!!”
Erik rimase stupito da
quell’assalto improvviso, più potente di quelli portati in precedenza dal
Cavaliere, e tentò di roteare di nuovo la scure per difendersi, fallendo. Le
zanne delle sacre bestie di Cina superarono la poco resistente difesa,
affondando nel suo corpo, distruggendo parte della sua corazza e
scaraventandolo indietro, in una pozza di sangue.
Libra lo osservò soddisfatto
per un istante, il breve arco di tempo di cui Erik ebbe bisogno per rialzarsi,
tossire e rimettersi in posizione d’attacco.
“Nessuno è perfetto, neppure
tu! Ogni guerriero ha i suoi punti di forza e di debolezza, e la tua falla, sia
pur leggera, sta nella difesa!” –Spiegò il maestro di Sirio. –“Non l’avevo
notato in precedenza, perché la barriera del tuo compagno prima e la tua furia
battagliera dopo lo avevano celato! Ma non è difesa valida per contrastare le
zanne dei Cento Draghi!”
“Umpf…
La mia furia non si è certo sopita!”
“Lo so bene!” –Concordò Libra,
lungi dall’aver vinto quel formidabile guerriero. Sospirò, preparandosi ad un
nuovo assalto, prima che la sua mente volasse al Cavaliere di Leo, chiedendosi
dove fosse finito.
***
Quando Ioria riaprì gli occhi era piuttosto
stordito. Si portò una mano alla testa, per placare la fitta che l’aveva
aggredito, prima di guardarsi intorno e accorgersi di essere avvolto nella
nebbia, fitta al punto da permettergli di scorgere soltanto il terreno. Un
arenile di canne mosse dal vento, dove lente scrosciavano onde acquitrinose, ai
piedi di un colle imponente che, sebbene ne potesse intravedere solo le cime
degli alberi di melo, si ergeva di fronte a lui.
Ioria sospirò, capendo di essere ad Avalon.
Muovendo lo sguardo tra le nebbie, individuò una figura che lo
osservava in silenzio. A pochi passi da lui, a piedi scalzi sull’erba, c’era un
uomo coperto da una veste bianca rifinita d’argento, simile alle tuniche dei
monaci. Un uomo che aveva incontrato un paio di settimane prima, sull’Isola
delle Ombre.
“Benvenuto sull’Isola Sacra, Ioria del
Leone!” –Esclamò, avvicinandosi e aprendo le braccia di lato, in segno di pace.
–“Io, che ne sono il Signore, ti do il benvenuto!”
“Vi ringrazio, possente Avalon!” –Rispose il Cavaliere d’Oro,
inchinandosi. –“Le circostanze sono piuttosto particolari, ma non limitano il
mio piacere nel rivedervi!”
“Ti chiederai cosa ci fai qua, immagino… Sono
stato io a condurti qui, perché avevo bisogno di parlare con te!”
“Con… me?!” –Mormorò Ioria,
non comprendendo le parole dell’uomo, il quale si limitò ad annuire,
continuando a fissarlo con i suoi penetranti occhi scuri.
“Precisamente! Ho una confessione da farti, qualcosa che non può
attendere oltre! Perché vedi, Cavaliere di Leo, io sono il responsabile della
morte di tuo fratello, Micene di Sagitter!”
Capitolo 27 *** Capitolo venticinquesimo: Catene e legami ***
CAPITOLO VENTICINQUESIMO: CATENE E LEGAMI.
L’orrore che provò nel vedere il corpo maciullato di Bragi paralizzò
per qualche secondo il Cavaliere di Andromeda. Fu Mime a impedire a Fenrir di
staccargli la testa con una zampata, gettandosi sul ragazzo e spingendolo a
terra, mentre Folken, con ardore e coraggio, si lanciava sul figlio di Loki,
affrontandolo a spada tesa.
“Patetico!” –Si limitò a commentare il gigantesco lupo, spostando la
zampa indietro e artigliando al petto il guerriero di Asgard.
“Padre!!!” –Gridò Mime, rimettendosi in piedi, subito seguito da
Andromeda, che liberò la catena, scatenandola contro l’arto malefico di Fenrir.
“Mi fa il solletico quel braccialettino!” –Commentò la bestia feroce,
balzando di lato in lato ed evitando gli strali lucenti, respingendo quelli che
giungevano a toccarlo. –“La catena non è arma adatta per affrontare Fenrir Hróðvitnir,
il Lupo di Fama!”
“Credi?! Altre creature tue pari ha saputo tenere a bada!” –Rispose
fiero Andromeda, ripresosi dal momentaneo torpore. E con la mente ripensò alle
sei bestie di Scilla, a Cerbero, all’Idra di Lerna, agli uccelli di Stinfalo,
al gigantesco Ladone e infine a Biliku, creature mostruose che aveva affrontato
in passato.
“Non ne dubito, Cavaliere! Ma contro di me farà la fine di Loedhingr e
Dromi!” –Sghignazzò il figlio di Loki, prima di balzare avanti con un agile
salto, obbligando Andromeda e l’indebolito Mime a rotolare di lato per non
essere travolti dalla sua furia, che invece non risparmiò molti Einherjar e Soldati
di Brina a loro attorno, che vennero abbattuti indistintamente.
Andromeda scatenò di nuovo le proprie catene, dirigendole verso il
sanguinario lupo, mentre si stava voltando, ma questi seppe schivarle e
deviarne altre con violente zampate. Non s’avvide però Fenrir di una catena che
il Cavaliere di Atena aveva diretto verso raso terra, dandole una particolare
conformazione, a tagliola da caccia, e facendola chiudere proprio sulle sue
zampe.
“Uh?!” –Ringhiò Fenrir, sinceramente stupefatto da quella tecnica, non
immaginando che l’arma del suo avversario fosse così versatile.
“E questo è solo l’inizio delle sorprese!” –Esclamò Andromeda con
baldanza, mentre sollevava il braccio destro, per scatenare la furia delle Onde
del Tuono.
Fu allora che Fenrir lo fissò, con i suoi penetranti e malvagi occhi
grigi, spezzando il suo impeto a metà. D’istinto, il Cavaliere fu costretto a
portarsi le mani alla testa, scossa da un brivido, da una tensione che
ultimamente aveva avvertito spesso.
“Basta uno sguardo per prostrarti, Cavaliere?! Ti credevo di indole più
resistente, invece mi hai deluso! Sei debole e impaurito come gli Asi che, per
timor di me, mi incatenarono!” –Mormorò Fenrir, osservando il ragazzo dai
capelli verdi accasciarsi non troppo distante. Ma anziché agitarsi e strappar
via le catene che gli bloccavano le zampe, rimase a fissarlo, rispondendo
placido alle sue domande.
“Quali Asi?! E cosa sono Loedhingr e Dromi?!”
“Davvero non conosci la mia storia, seguace di Atena? Dovrei sentirmi
offeso! Vanifichi l’appellativo che mi diedero! Argh, argh! A quale fama
imperitura posso essere destinato se neppure dei ragazzini che pretendono di
assurgere al mondo degli eroi conoscono le mie imprese?!” –Ridacchiò, sputando
bava dall’enorme bocca. Quindi, vedendo che Andromeda non accennava a
rimettersi in piedi, ancora chino a terra con le mani alla testa dolorante,
riprese a narrare, mentre Folken, poco distante, aiutava Mime a rialzarsi.
–“Devi sapere che molto tempo addietro, quando il mio pelo era ancora lucente e
giovane, gli Asi vennero a sapere che quel brav’uomo di mio padre aveva avuto
tre figli da una gigantessa! Non erano certo i primi esemplari della sua
progenie ma, a differenza di altri, gli Asi li trovarono più brutti! Dei
portatori del male, per dirla con i loro termini! Umpf! Così li divisero,
isolando Hel negli Inferi e Jormungandr nelle profondità oceaniche! Del terzo,
che ero io, non seppero cosa fare, così decisero di tenerlo presso la loro
corte, sperando di ammansirlo!” –Fece una pausa, mentre Andromeda a fatica si
rialzava, sollevando lo sguardo verso di lui, preso da una selvaggia
sghignazzata. –“Argh argh, ammansirlo! Ci crederesti mai?! Fenrir un docile
cagnolino da corte?! Devono essere stati stupidi solo a pensare di poterlo
fare?!”
“Non hai reso la loro vita facile, vero?!”
“Ho solo fatto ciò per cui fui messo al mondo!” –E nel dir questo
sollevò fiero il capo, mantenendo i suoi occhi argentei su Andromeda.
–“Cacciare e uccidere! Questo è ciò che fanno i lupi, soprattutto io che su
tutti sono il Lupo Sovrano! Ma, agli Asi questo non piacque, così tentarono di
incatenarmi! Non l’avessero mai fatto!!! Tyr potrebbe testimoniarlo se fosse
qui ma a quanto pare ha scelto di andare a morire contro mio padre! Dovrò
andare a recuperarne i resti allora! La sua mano in fondo era assai gustosa!”
“Quale mano?! Di cosa stai parlando Fenrir?!”
“Della mano che azzannò sull’Isola Lyngi!” –Intervenne allora Mime,
affiancando Andromeda con Folken. –“Non è così, Fenrir, che la ottenesti?
Imbrogliando! Com’è nello stile tuo e della tua stirpe!”
“Menzogna!!!” –Ringhiò il lupo, digrignando i denti e permettendo ad
Andromeda di vedere per la prima volta quanto fossero grandi e affilati. Almeno
un metro di lama biancastra che migliaia di vite aveva falciato nella sua lunga
esistenza. –“Gli Asi mi irretirono, convincendomi a farmi legare da una catena
allo scopo di dimostrare la mia forza! Credevano, così facendo, di liberarsi di
me! Poveri idioti! Ricordo ancora lo stupore dipinto sui loro volti, misto
all’odore della paura, quando mi liberai di Loedhingr con un unico strattone!
Uguale fine fece Dromi, la seconda catena con cui cercarono di imprigionarmi,
che distrussi addirittura in frammenti! E stesso destino avrebbe dovuto
incontrare Gleipnir, il laccio mortale che infine mi irretì!”
“Forgiato dai nani nelle profondità di Svartálfaheimr, Gleipnir era intriso di sortilegi!”
–Continuò Mime, con un certo orgoglio. –“Gli antichi scaldi raccontavano che
fosse fatto di sei cose: il passo felpato di un gatto, i peli della barba di
una donna, le radici di una montagna, i tendini di un orso, il respiro di un
pesce e lo sputo di un uccello! Ingredienti carichi di una potenza magica in
grado di stregare chiunque, persino l’essere più forte del mondo. Persino
Fenrir!”
“Sospettai subito un tranello, non appena mi mostrarono
quel laccio all’apparenza così debole, ben diverso dalle solide catene che mi
avevano proposto in precedenza! Pur tuttavia accettai anche quella sfida, per
non essere tacciato di codardia e perché credevo davvero che nessuna catena
avrebbe potuto vincolarmi! Ma posi una condizione: uno degli Asi avrebbe dovuto
mettere una mano nella mia bocca, a garanzia della loro buona fede!
Terrorizzati, si guardarono in silenzio, finché l’impavido Tyr non si fece avanti,
offrendo la sua mano. Ecco come la perse e come io persi la mia libertà!”
–Ringhiò Fenrir. –“Incatenato su Lyngi, con l’estremità della catena fissata
sotto due massi, Gjoll e Pviti, mi infilarono persino una spada in gola, la cui
elsa premeva sulla mascella e la cui punta sul palato, tramutandola in un morso
eterno. Tormenti e dolore, ecco cosa ho avuto per migliaia di anni! Ma oggi,
come mio padre, avrò la mia vendetta, ricordando agli Asi che il boia torna
sempre a casa e che non tutte le creature sono destinate a vedere il nuovo
mondo che nascerà dalle ceneri di Ragnarök! Aargh aargh aargh!!!”
“Non se noi ti abbattiamo prima!” –Esclamò Folken, lanciandosi avanti,
con la spada in pugno, sperando di approfittare della momentanea prigionia del
lupo.
Quel che l’antico guerriero di Asgard non aveva compreso era l’astuzia
di Fenrir, la stessa che aveva vinto sugli Asi in passato.
Dimenandosi di scatto, si liberò della catena di Andromeda, che il
ragazzo fu costretto a richiamare a sé prima che la furia di Fenrir la
distruggesse, poi si avventò su Folken, squarciandogli il petto con una zampata
e sbattendolo a terra. Mime fece per intervenire, ma Andromeda lo spinse
indietro, scattando contro il Lupo di Fama avvolto nel suo cosmo rosato.
“Onde del Tuono!!!” –Gridò, mentre scariche energetiche
avvolgevano l’arma che saettava verso Fenrir, il quale, per nulla turbato, si
limitò a balzare di lato in lato, respingendo a zampate gli strali luminosi.
Con un balzo fu poi su Mime, affondando nel suo petto gli artigli che avevano
ucciso il Cavaliere che gli aveva fatto da padre.
Morti nello stesso modo, per mano dello stesso carnefice.
“Mimeee!!!” –Urlò Andromeda, mentre Fenrir risollevava l’enorme zampa,
la cui lunga pianta grondava ancora sangue.
“Troppo tardi, damerino!” –Commentò la creatura, fissandolo e
prostrandolo di nuovo a terra, mani alla testa, travolto da fitte inspiegabili.
–“Credevi che non avessi alcun potere? Che fossi una selvaggi fiera dei boschi
al pari di Skoll e Hati? Orbene ti sbagliavi! Il timore che suscitavo persino
negli Asi la dice lunga su quanto mortale sia un incontro ravvicinato con me! E
tu, che già accusi dolore cerebrale, non sei difficile da prostrare
ulteriormente!”
“È… è così che fai?! Con lo sguardo, non è vero?” –Rantolò Andromeda,
cercando di rialzarsi, per quanto l’emicrania non gli desse pace. –“Con lo
sguardo provochi dolore!”
“Esattamente! È il dolore di millenni di grida nella mia cattività nel
Niflhemir! È il dolore della spada che mi piantarono in gola e che mio padre ha
rimosso questa mattina! Come io l’ho provato a lungo, anche tu, e tutti i
bastardi infami che tenteranno di darmi la caccia, lo proverai! Ma sarà più
breve, per quanto non meno intenso!” –Nel dir questo si lanciò avanti,
avventandosi a fauci aperte su Andromeda, chiedendosi come sarebbe stato
assaporare un uomo di stirpe diversa, ricoperto da un’armatura differente dalle
rozze corazze nordiche cui era abituato.
Rimase male, troppo male, quando vide il Cavaliere rotolare di lato ed
evitare, quasi inconsciamente, l’assalto.
Anche Andromeda non realizzò a pieno quel che era accaduto. Capì
soltanto di aver agito prima ancora di pensare, qualcosa che raramente aveva
fatto in passato.
Non ebbe modo di porsi altre domande che già Fenrir caricava nella sua
direzione.
“Frena la tua corsa, Lupo del Popolo!” –Esclamò, scatenando una
tempesta di catene luminose contro di lui e obbligandolo a deviare di lato,
senza raggiungerlo.
Fu in quel momento, mentre il cosmo di Atena, che pregava per lui dai
giardini dell’Olimpo, lo raggiungeva, che Andromeda comprese quel che era
accaduto, ricordandosi delle parole di Mime e di quelle di Arvedui.
“Precognizione!”
D’un tratto il dono di Biliku gli sembrò chiaro.
Aveva fatto ricorso al suo sesto senso, anticipando l’assalto di Fenrir
prima ancora che razionalmente avesse potuto capire dove il lupo stesse
mirando.
“L’hanno definita in molti modi! Preveggenza, prescienza,
preconoscenza! Ma rimane la facoltà di avere conoscenza del futuro!” –Gli aveva
spiegato il Principe degli Elfi. –“Anche se fosse soltanto per pochi secondi,
quei pochi secondi che vedrai prima degli altri potrebbero esserti fatali!
Affina il tuo sesto senso e sarai in grado di controllare le visioni che
caotiche adesso ti appaiono!”
“Un’ottima mossa! Ma sarai in grado di ripeterti?!” –Ringhiò Fenrir,
strappandolo ai suoi pensieri e spiccando di nuovo un balzo verso di lui.
“Tenterò!” –Rispose Andromeda, concentrando il cosmo sul palmo della
mano destra e scatenando scariche di energia contro il Lupo di Fama. –“Onda
energetica!!!”
Fenrir guaì, raggiunto dalle folgori rosate, sebbene la sua leggendaria
agilità, nient’affatto inutile vanteria bensì realtà, gli permise di limitare i
danni a qualche ciuffo di pelo bruciato. Senza per questo ridurre la sua furia,
né la sua fame.
“Tentare a volte non basta! I frammenti di Loedhingr e Dromi e la mano
di Tyr ne sono valida testimonianza!” –Sibilò astutamente il possente lupo,
penetrando il ragazzo con il suo acuto sguardo.
“Se non riuscirò, proverò di nuovo! Come ho sempre fatto!” –Esclamò
Andromeda, cercando di resistere, mettendo tutto se stesso nelle gambe, per
stare in piedi, e nella mente, per contrastare quell’infusione di dolore che
gli occhi malvagi di Fenrir volevano generare in lui.
Non sapeva, il figlio di Loki, quel che si stesse agitando nell’animo
del Cavaliere ma il suo aspetto grazioso e il suo malessere ricorrente lo
spinsero a credere che fosse più vulnerabile di altri guerrieri. Più
suscettibile alla sua sinistra persuasione.
“Se non riuscirai, avrai perso! Nessuno ha una seconda possibilità con
Fenrir Hróðvitnir!” –E si lanciò nuovamente avanti, le zanne digrignate,
gli artigli pronti a sventrare il gracile corpo di Andromeda, che evitò
l’assalto per un frammento di secondo, scivolando a destra, prima di liberare
l’impetuosa pioggia di catene.
Il gigantesco lupo fu costretto
a ripiegare, ma Andromeda notò subito che rimase a una distanza inferiore
rispetto a prima, convinto forse di poter aver ragione della sua fastidiosa
preda. Cercò di concentrarsi, ignorando le fitte alla testa che lo martellavano
senza sosta.
Erano iniziate settimane
addietro, dopo che Biliku lo aveva infettato nella caverna delle Andamane, e
proseguite, sia pur rade e poco intense, fino a quella mattina, quando, prima
di atterrare ad Atene, era stato investito da un dolore acuto che lo aveva
svegliato di colpo. Ma quando aveva aperto gli occhi non si era ritrovato
all’interno dell’aereo con Pegasus e Lady Isabel, bensì in una valle d’ombra,
dove nessun sole pareva splendere. Fluttuanti spiriti, simili a vampe di fuoco
fatuo, stavano baluginando nell’aere, turbinando attorno al suo corpo.
Fissandoli, ad Andromeda era parso di conoscerli, seppure non ricordasse dove e
quando li avesse incontrati, e gli era sembrato che lo chiamassero per nome.
Non aveva visto altro che il
tocco della mano di Pegasus sulla sua spalla lo aveva risvegliato del tutto.
Se quel che Arvedui aveva detto
era vero, allora aveva assistito ad un frammento di futuro. Ma di cosa si
trattasse non era ancora riuscito a capirlo, né aveva avuto tempo per pensarvi,
catapultato nuovamente in una guerra. In quello che era il suo passato, il suo
presente e, temeva, il suo futuro.
“A chi pensi, ragazzino?!” –La
voce schernente di Fenrir lo raggiunse mezzo secondo prima che il suo artiglio
si schiantasse sul suo fianco destro, scaraventandolo faccia a terra, perdendo
persino l’elmo a diadema. Rialzandosi, si tastò il lato indolenzito, percependo
i solchi che gli unghioni del lupo avevano scavato nella corazza divina. Se non
l’avesse avuta, sarebbe morto. Come Mime e Folken.
Pensare all’antico avversario,
e alla sua storia, lo fece reagire, spingendolo a voltarsi, avvampando nel suo
cosmo, proprio mentre Fenrir caricava nuovamente, balzando su di lui a denti
digrignati.
“Come ti ho detto prima…”
–Mormorò il Cavaliere, scattando di lato ad una velocità maggiore. –“Tenterò
finché in me ci sarà un alito di vita! Tenterò, perché è questo che fanno i
Cavalieri di Atena! I Cavalieri della Speranza! È per questo che esistiamo!”
–Così facendo liberò la Catena di Andromeda, che si dispose a tagliola
sotto alla bestia, bloccandone i movimenti e strappandole un ruggito. Di dolore
e di rabbia. –“Non dai nani è stata forgiata quest’arma, ma dalle avventure che
ho vissuto nel corso della vita e che mi hanno visto crescere! E la mia catena
è cresciuta con me! In essa risiede il sangue dei Cavalieri d’Oro, l’Ichor di
Atena, la maestria del Fabbro dell’Olimpo e un frammento di mithril! Assaporane
la potenza, Grande Lupo! Assaporane la sua vera essenza!!! Melodia
scintillante di Andromeda!!!” –Gridò, scatenando la catena d’attacco, che
si moltiplicò in infinite copie, assumendo tutte le conformazioni possibili per
fermare e ferire il possente lupo, mentre sopra tutto risuonava una lenta
melodia.
Una melodia nata dal tintinnare
degli anelli che componevano la fitta maglia che andò a ricoprire Fenrir,
intrisa della passione di tutti coloro che Andromeda aveva incontrato, e che a
causa della guerra aveva dovuto combattere. Fish, Orfeo della Lira Cantore,
Mime, Mizar, Sirya dal dolce flauto, Faraone di Sfinge, Pan e Dioniso. Una
rapsodia di sofferenze personali, sfide e ricordi.
“Aaargh!!!” –Ringhiò Fenrir,
dimenandosi all’interno di quel groviglio di strali che parevano provenire da
ogni direzione. Con le zampe bloccate dalla tagliola e dalle spire che le
avevano avvolte, con le fauci rinchiuse in una rozza museruola e il corpo preda
di punture continue, il suo animo esplose furibondo. –“Il Lupo di Fama non sarà
vinto da nessun uomo!!!” –E si agitò così rabbiosamente che riuscì a liberare
una zampa dal turbinare delle armi. Una sola, ma che gli permise di strappar
via le altre catene prima di darsi la spinta e lanciarsi su Andromeda.
Incredulo, il Cavaliere di
Atena fu comunque lesto a muoversi all’indietro, venendo raggiunto però dalla
massa informe di catene da lui generata e spinto a terra, sommerso dalle
stesse.
Non aveva visto Fenrir
liberarsi, né lo aveva visto scagliarsi su di lui. Arvedui aveva ragione,
doveva fare ancora molta pratica per familiarizzare con il proprio sesto senso,
tramutandolo in uno strumento di vittoria e non in una penalizzazione.
Era qualcosa che in passato non
aveva fatto, limitandosi, al pari dei suoi compagni, a bruciare il cosmo al
massimo, a portarlo al parossismo, raggiungendo ogni volta vette sempre
maggiori. In questo modo avevano acquisito il settimo senso, riuscendo poi a
padroneggiarlo in maniera ottimale ad Asgard e nel Regno Sottomarino e a
superarlo, raggiungendo l’ottavo senso e scendendo vivi in Ade. Ma
l’intuizione, seppur potente, non l’avevano affinata. Non al punto da usarla
per percepire un frammento di futuro, come Biliku, e anche Frigg, erano in
grado di fare.
Per liberarsi, iniziò a
ritirare le catene, facendole scorrere attorno al corpo del lupo, su cui
apparivano adesso evidenti i segni e le ferite che gli avevano causato. Il
folto manto era infatti chiazzato di macchie scarlatte e ciuffi di pelo
svolazzavano nell’aria, satura dell’odore del sangue di Fenrir. E proprio il lupo
si rialzò per primo, stirandosi gli arti strattonati e poggiando poi lo sguardo
sul suo rivale, disteso a terra sotto di sé. Sogghignando, lo fermò con una
zampa, schiacciandolo sotto il suo peso e allungando gli artigli fino a
piantarli nelle clavicole del ragazzo, strappandogli un grido di dolore.
“È l’ora del pasto!” –Sputacchiò Fenrir, calandosi su Andromeda, quasi
convinto che si fosse rassegnato.
Così non accadde e il Cavaliere di Atena, che aveva atteso che il volto
del lupo fosse a pochi metri da lui, lo colpì in mezzo agli occhi con una
violenta scarica di energia, che rischiarò per un momento l’intera piana di Vígridhr tanto era luminosa. Fenrir guaì, accecato e
ferito, inarcando la schiena all’indietro e permettendo ad Andromeda di sgusciare
via da sotto la sua zampa e scatenare la devastante furia delle sue catene.
“Risuona, ultima melodia di Andromeda!!!” –Gridò,
investendo Fenrir con migliaia e migliaia di strali luminosi che ne squartarono
il manto, non più limitandosi a ferirlo superficialmente o a strappargli un
ciuffo di pelo, ma lo penetrarono, affondando nell’antica ed enorme carne.
“Basss… tardo!!!” –Ringhiò il grande lupo, dimenandosi e
investendo tutti coloro che si trovavano nel suo raggio d’azione. Con lo
sguardo, cercò tracce di Loki, ma si accorse che il Dio se ne era andato,
lasciando dietro di sé una scia di cadaveri. Hnoss, Heimdall e Tyr. Dall’alto in cui il suo muso si trovava,
Fenrir poteva riconoscerne le fattezze, lacerate dalle folgori del padre, ma
ancora degne di essere da lui azzannate.
Sì, avrebbe terminato il pasto iniziato anni addietro.
“Graurrr!!!” –Avvampò, cercando di liberarsi da quel groviglio
scintillante che si stava sempre più chiudendo su di lui. E sapeva che per
farlo doveva spezzare il legame esistente tra Andromeda e la sua catena.
Spezzare la sua mente.
Così lo fissò, con lo sguardo più intenso e malefico che potesse
rivolgergli, carico di tutto il rancore accumulato in secoli di solitaria
attesa, lunga tanto quella del padre. E lo vide vacillare, muovendo la mano
destra per portarsela alla testa, il volto contratto in una smorfia di dolore a
cui non sapeva opporsi, perché veniva da dentro di sé.
Fenrir sogghignò, cercando di ignorare le ferite aperte sul suo corpo,
gli squarci sul ventre e sul manto, le frecce che qualche Einherjar aveva
iniziato a tirargli contro. Che facessero pure! Non appena Andromeda fosse
morto, crollato in ginocchio ai suoi piedi per il peso eccessivo della sua
testa, avrebbe ucciso tutti loro, sbranandoli con le sue fauci.
“Devo… devo resistere!” –Mormorò il Cavaliere di Atena, sforzandosi di
rimanere in piedi, nonostante le fitte violente, nonostante sentisse il cranio
sul punto di scoppiare. –“Devo…” –E piegò un ginocchio, nell’atto di
accasciarsi. Ma si sforzò di non farlo, di non cadere, di non abbandonarsi al
dolore, continuando a far scorrere le sue catene, senza interrompere l’attacco,
senza piegarsi alla persuasione diabolica del nemico.
“Andromeda!” –Lo chiamò una voce, bloccando la sua caduta a terra e dando
nuova forza alle sue gambe, quanto bastò per permettere loro di stendersi
nuovamente e riportarlo in posizione eretta.
“Fratello…” –Mormorò il ragazzo, avendo riconosciuto la voce di
Phoenix, che parlava direttamente al suo cosmo.
“Sono con te!” –Continuò il Cavaliere della Fenice. –“Presto ci
rivedremo! Nell’attesa le mie ali ti sosterranno! Le ali dell’uccello
immortale!” –Non aggiunse altro e svanì, anch’egli impegnato in un duro
scontro, ma quel breve contatto permise ad Andromeda di espandere al massimo il
suo cosmo, tinto adesso di sfumature rosse.
Alle sue spalle apparvero centinaia di stelle, unite a ricreare la
figura della principessa di Etiopia, figlia di Cefeo e Cassiopea, che aveva
ispirato il mito della sua costellazione. Ma le stelle si espansero anche
lateralmente, aggiungendo un paio di vermiglie ali alla donna, rappresentata in
procinto di spiccare un balzo.
“Un salto verso l’infinito, sostenuto dalle ali di mio fratello!!!”
Fenrir rabbrividì, mentre la furia delle catene aumentava d’intensità,
penetrandolo e troncandogli le ossa interne. Tentò di distruggerle a zampate,
ma i suoi artigli vennero spezzati, obbligandolo a riconoscere che quell’arma
era superiore persino a Gleipnir. Quale ironia, si disse, incontrare
la fine per mezzo di una catena, quel che per millenni mi ha legato all’ombra
di questo mondo!
Crollò a terra, l’enorme carcassa del figlio di Loki, schiantandosi tra
spruzzi di sangue e terriccio, di fronte agli occhi stupefatti e raggianti
degli Einherjar e a quelli inorriditi e preoccupati dei Soldati di Brina e dei
morti di Hel.
Anche Andromeda crollò dopo poco, stanco per la battaglia sostenuta.
Gli cedettero le ginocchia e si schiantò a pochi passi dai cadaveri di Mime e
Folken, poggiando una mano per non cadere, intingendola nel sangue oscuro di
Fenrir. Risollevandola, e osservandola, il ragazzo lasciò la mente turbinare
ancora, vittima di una nuova visione. Fino a quel momento inedita.
“Un oceano di fiamme e nulla più!” –Mormorò, prima di svenire. –“Questo
è ciò che ci aspetta!”
***
La residenza estiva della famiglia Kevines sorgeva all’estremità
sud-occidentale del Portogallo, proprio a picco sul mare. Dal Cabo de São
Vicente sia Julian che i suoi antenati avevano potuto contemplare l’oceano
estendersi sconfinato di fronte a loro e le onde infrangersi maestose ai piedi
delle falesie. Si raccontava, nelle cronache della famiglia, che Bianca Maria
Kevines avesse ammirato proprio da quell’altura le tre caravelle di Cristoforo
Colombo dirigersi in mare aperto, assieme al marito che si era unito alla
grande impresa.
In quel momento, sulla terrazza panoramica rivolta sull’Atlantico,
Julian conversava amabilmente con i suoi eleganti interlocutori, ospiti
imprevisti che si era trovato di fronte neppure un’ora prima, quando era uscito
in giardino per recarsi alle stalle. Da quando Sirya, il suo musicista, era
misteriosamente scomparso, il giovane erede della dinastia Kevines amava
trascorrere il tempo libero cavalcando e aveva persino acquistato due magnifici
cavalli spagnoli, Esteban e Valinor. Ma quella mattina aveva potuto soltanto
dare loro il buongiorno che era dovuto rientrare nell’antica magione per
accogliere due giovani di bell’aspetto, due giovani che, da quel che aveva
potuto capire, lo conoscevano bene. Per quanto egli, invece, non li conoscesse
affatto.
Il primo, quello che parlava più spesso, sostenendo con tono fermo la
conversazione e le sue idee, era un ragazzo sui trent’anni, con un fisico
scolpito, evidente nonostante la giacca e la camicia, e un volto piacente dai
tratti ruvidi, con corti capelli scuri, occhi neri e un leggero filo di barba.
Parlava inglese, con accento marcatamente britannico, seppure non così puro.
“Nessuno conosce i mari come la dinastia Kevines! Per questo siamo qua,
Signor Julian! Per ottenere il meglio che la tecnologia può offrire alle nostre
ricerche!”
Il secondo ospite, dal viso più giovane e sbarbato, era più magro, ma
ugualmente ben fatto, con capelli castani lunghi fino all’orecchio. Sembrava a
disagio in quell’elegante completo di John Richmond e si limitava ad annuire
alle parole del più preparato compagno.
“Le vostre richieste sono interessanti, Signor…” –Mormorò Julian
infine, sforzandosi di ricordare il nome del suo interlocutore.
“Wthyr!” –Rispose prontamente l’altro. –“Wthyr Bendragon! Della
Bendragon Public Limited Company!”
“Oltre che interessanti, deve avere amici abbastanza in alto per
scoprire dove trascorro le vacanze, Signor Wthyr! Non tutti certamente sanno
che nel mese di settembre abbandono la residenza di famiglia sul Mare Egeo e mi
spingo oltre le Colonne d’Ercole!” –Commentò l’uomo dai capelli blu, rivolto
più a se stesso che non a Wthyr Bendragon. Quindi si alzò, fece qualche passo
fino al limitare della terrazza, appoggiandosi alla ringhiera di marmo bianco,
prima di riprendere a parlare. –“Vi concederò quel che volete! Anche alla
Kevines Corporation potrebbero interessare i risultati delle vostre scoperte!”
“Ero sicuro che avremmo trovato un accordo!” –Sorrise soddisfatto
l’altro, alzandosi a sua volta e avvicinandosi al miliardario. Tirò un’occhiata
all’immensa distesa azzurra che riempiva l’orizzonte, in qualunque direzione
posasse lo sguardo, e sbatté le palpebre sorpreso quando credette di aver visto
una sirena balzare fuori dall’acqua e poi rituffarvisi.
Capitolo 28 *** Capitolo ventiseiesimo: L'aquila dei venti. ***
CAPITOLO VENTISEIESIMO: L’AQUILA DEI VENTI.
Orion osservava incuriosito il guerriero che aveva di fronte, lo stesso che
avevachiesto a Loki
di liberarlo dalla prigionia della runa di ghiaccio. Lo fissava, approfittando
del momento per rifiatare, e continuava a ripetersi di non conoscerlo, anche
dopo che questi si era tolto la maschera che portava sulvolto, rivelando i suoi lineamenti.
Alto e snello, con un viso dal
carnato chiaro, lentigginoso, e mossi capelli biondi, pennellati di bianco, Hraesvelgr, questo il nome che Orion
aveva udito pronunciare da Loki, indossava una delle
cinque armature proibite, riportate alla luce dopo secoli di detenzione nelle
segrete di Asgard. L'armatura dell'Aquila dei Venti, riconoscibile dal suo
vivido colore arancione, dalla pelliccia usata come mantello, e per coprire gli
spazi lasciati vuoti tra le piastre che la componevano, e dall'elmo a forma di
testa d'aquila, con il becco aguzzo verso l'esterno.
“Non hai niente da dire?” –Parlò
infine il guerriero, gettando a terra la maschera.
“Dovrei?!” –Rispose Orion, sollevando d'istinto le
proprie difese.
“Dovresti!” –Si limitò a
rispondere Hraesvelgr, con il tono di chi cela dietro
un velo di sarcasmo la rabbia covata dentro. Ma non aggiunse altro, né Orion poté porgli altre domande, che un forte vento iniziò
a soffiare alle spalle del Dio di Vittoria, abbattendosi sul Primo Cavaliere di
Ilda con violenza inusitata.
Raffiche impetuose, concentrate
nel limitato spazio concesso loro dagli altri scontri in atto, quelli tra
l'esercito dell'Ingannatore e gli Einherjar, e quello
tra Loki e Cristal e Heimdall, alle spalle del Sigtýr.
Raffiche imbevute di una forza che Orion non aveva
mai percepito in nessuna bufera, nemmeno in quelle terribili che sferzavano le
nordiche terre dove era cresciuto e dove era diventato uomo. Nemmeno negli
inverni peggiori e più insopportabili. Raffiche che parevano strappargli di
dosso l'armatura, la pelle e i suoi stessi ricordi.
Chiudendo la visiera del
proprio elmo, per garantirsi una certa visibilità, fece per stendere il braccio
destro, illuminando l'indice della mano con il proprio cosmo, ma non appena Hraesvelgr se ne avvide le sue labbra si socchiusero.
“Vento mormorante!” –Sibilò,
aumentando l'intensità della tempesta, che strappò ciuffi d'erba e zolle dal
terreno, sradicando persino alberi e cespugli e obbligando Orion
a portare un braccio davanti al viso.
Con un'impennata imprevista, il Cavaliere di Asgard venne sollevato da
terra e scagliato verso il cielo, in balia di quel rabbioso mulinare. E mentre
tentava invano di riprendere una posizione corretta, faticando persino a
muovere un muscolo, la sua corazza subiva le sventagliate offensive
dell'assalto di Hraesvelgr.
“Potere non da poco è l'aria, se ben la si sa usare!” –Commentò pacato,
senza degnare di eccessiva attenzione il turbinare di terra, piante e
quant'altro il vento avesse strappato via dal suolo. –“Ingiustamente
considerato il più debole, il più volubile, dei quattro elementi, è anche il
più duttile! Nevvero?”
E nel dir questo sollevò il braccio destro avanti a sé, spalancando il
palmo della mano, mentre il turbine di aria scaraventava Orion
a decine di metri di distanza, schiantandolo contro un gruppo di alberi al
limitare della piana.
Il Cavaliere del Drago Bicefalo si rimise prontamente in piedi,
liberandosi dai rami e dal terriccio smosso, e sebbene non avesse subito danni
esteriori non poté fare a meno di toccarsi la testa, stordito da quello
sballottare continuo.
Quando sollevò gli occhi, Hraesvelgr era già
di fronte a lui, con un’espressione sicura sul viso, che parve leggergli nella
mente.
Irato per essere stato abbattuto, Orion puntò
l’indice destro verso l’avversario, liberando un raggio di energia che disegnò
un cerchio nel suolo attorno a lui. Ma prima ancora che potesse pronunciare il
nome del proprio colpo segreto, Hraesvelgr lo stupì
ancora una volta.
“La spada di Asgard… Tecnica interessante…” –Mormorò, spalancando le ali di pelliccia e
balzando al di fuori del cerchio di energia un attimo prima che il terreno esplodesse
verso il cielo. –“Ma lenta!”
“Come…?!” –Ringhiò Orion,
mentre il Dio di Vittoria aveva già evocato un nuovo mulinello di vento, liberandolo
e dirigendolo sull’incredulo rivale. Ma stavolta, anziché sbalzarlo in aria, le
raffiche lo avvolsero, roteando attorno al suo corpo in modo da impedirgli
anche il più piccolo movimento. Sbalordito, Orion
fece per sollevare di nuovo il braccio destro e dovette stringere i denti a
causa del dolore che quelle lame di vento parevano provocargli, soprattutto
alle dita e nelle fessure che separavano le varie parti dell’armatura, laddove
il ragazzo aveva la sensazione di essere punto da migliaia di aghi
contemporaneamente.
“Non ci girerò intorno, Orion! Ti conosco, e
conosco i tuoi poteri nonché i colpi segreti di cui fai uso! Validi poteri e
ottimi colpi, devo dire! Ma inefficaci su chi li conosce o sa prevenirli!”
–Spiegò il Sigtýr.
“Spiegati! Le tue parole sono oscure!”
“La Spada di Asgard è
tecnica efficace su chi non la conosce e ne è preso alla sprovvista! Ma chi,
come me, ti ha visto combattere, e sa muoversi alla velocità della luce, può
evitarla balzando per tempo fuori dal suo raggio d’azione! Difetto piccolo, ai
più sfuggente, poiché i più non sopravvivono abbastanza per potervi riflettere!
Ma difetto di cui sei consapevole, del resto è per questo che anche su Pegasus l’hai usata una volta sola!” –Commentò sornione
l’Aquila dei Venti.
“Pegasus?! Cosa ne sai tu?!” –Avvampò il
prode Cavaliere di Asgard, muovendo nella foga un passo avanti, ma venendo
subito bloccato dalla sventagliata imperterrita delle correnti d’aria generate
da Hraesvelgr.
“So quel che so perché l’ho visto con i miei occhi! Ero lì, lo scorso
anno, quando affrontasti i Cavalieri di Atena nel devastato piazzale di Midgard!” –Confessò questi infine. –“Ero lì, ad osservarti
da dietro le vetrate del palazzo ergerti impavido a difesa della tua bella
Regina! In verità, ero lì perché speravo di vederti morire! Ih ihih!”
“Perché?”
“Continui a non ricordare? Lascia che il Vento Mormorante faccia
riaffiorare alla tua mente la verità sopita! L’altro lato della medaglia delle
imprese eroiche del novello Sigfrido!” –E nel dir quest’ultima frase, Hraesvelgr si abbandonò a una risata di scherno, prima di
avvicinarsi a Orion e sputargli in faccia.
Il getto di saliva lo avrebbe probabilmente raggiunto a un occhio se
non fosse stato risucchiato dal vorticare impetuoso che avvolgeva il Cavaliere
di Asgard, lo stesso vorticare che Hraesvelgr aumentò
d’intensità, fino a sollevare Orion nuovamente,
scagliandolo in cielo. Proprio mentre Cristal, poco
distante, lasciava Heimdall a combattere contro Loki.
“Eh no, adesso basta!” –Esclamò Orion,
confusamente sballottato in aria, bruciando il proprio cosmo, che risplendette
come una stella. Come la stella Alfa UrsaeMajoris, nota in Occidente come Dubhe,
l’antica stella polare. La sua guida.
La fiamma incandescente del suo cosmo spezzò le raffiche di vento,
permettendo a Orion di recuperare posizione eretta e
spalancare le braccia chiuse a pugno, ove già ruggivano gli artigli del feroce Fafnir.
“Occhi del Drago!!!” –Gridò,
puntando poi i pugni chiusi verso il basso e dirigendo il doppio devastante
attacco su Hraesvelgr, il quale, sebbene lo
conoscesse, non poté evitarsi un’espressione di paura. O forse proprio poiché
lo conosceva.
Pur tuttavia cercò di arginarne la potenza dirigendo impetuose raffiche
di vento contro le comete energetiche che stavano piombando su di lui. Non
riuscì a fermarle ma fu comunque in grado di rallentarne la corsa, quel tanto
che gli bastò per balzare indietro prima che distruggessero il suolo, scavando
un piccolo cratere.
Ansimando, Hraesvelgr fissò Orion, ridisceso a terra e pronto a riprendere lo scontro,
conscio che solo l’imprecisione con cui il Cavaliere aveva scagliato il colpo,
disturbato delle sue correnti d’aria, aveva reso possibile che lo mancasse.
Orion diresse un raggio energetico contro di lui, ma l’Aquila dei Venti lo
evitò, gettandosi di lato e ruzzolando sul terreno, prima di rendersi conto
dell’errore commesso. Concedendosi un sorriso, Orion
disegnò un cerchio nell’aria con il proprio indice, mentre il suolo esplodeva
in mille schegge di pietra e di terra e scaraventava Hraesvelgr
in aria.
“A quanto pare stavolta non hai fatto in tempo!” –Commentò il Cavaliere
del Drago, osservando l’avversario venir ferito dalla pioggia di frammenti.
Pioggia che si esaurì dopo poco, non appena Hraesvelgr,
evocando le proprie correnti d’aria, riuscì a convogliarle contro terra,
deviando l’effetto della Spada di Asgard
e disperdendolo.
A tal vista, Orion spiccò un balzo, portando
il braccio destro chiuso a pugno sopra la testa, determinato a colpirlo in
volo, ma Hraesvelgr lo anticipò, dirigendo contro di
lui tre lance di cosmo.
No, si disse il Principe dei Cavalieri di
Asgard, mentre le tre lance, simili ad artigli di un’aquila, lo trapassavano,
apparentemente senza provocargli danno alcuno. Tre lance di vento.
Non riuscì a terminare i propri pensieri che venne afferrato al bacino,
laddove le lance lo avevano trapassato, da una forza invisibile e trascinato a
terra, fino a schiantarsi sul devastato terreno e lasciarsi scappare un grido
sommesso.
Quando Hraesvelgr planò davanti a lui, Orion, che intanto si era rimesso in piedi, continuando a
tastarsi l’addome, capì che la gabbia di correnti d’aria lo aveva di nuovo
bloccato.
“Ora possiamo riprendere la nostra conversazione!” –Commentò l’Aquila
dei Venti, sforzandosi di mantenere il tono neutro avuto inizialmente, ma
lasciando comunque trasparire una certa stanchezza. Orion
lo lasciò parlare, mentre rifletteva su quel piccolo particolare. –“Di
eloquenza non sei certo maestro! Neanch’io in verità,
sono uomo di poche parole! Lo sono sempre stato, anche quando commerciavo
tesori antichi, per mantenermi! Lo ricordi, vero? Ricordi come mi strappasti la
fonte del mio reddito?!”
“Tesori… antichi?!” –Orion
non capì a cosa si riferisse il servitore di Loki,
ma, quasi portati dal vento, vecchi ricordi cominciarono ad apparire davanti ai
suoi occhi. Immagini di un passato glorioso costellato di episodi che aveva
dimenticato, ben meno importanti del risultato della sua missione. –“Fafnir!”
“Vedo che cominci a ricordare! Il vento mormorante ti ha sussurrato i
suoi segreti! I nostri segreti!” –Commentò Hraesvelgr.
–“Del resto il vento è stato l’unico testimone di quel che accadde nei monti
dove il drago dimorava! Il vento sa tutto e può portare qualunque notizia in
qualunque luogo! Fu proprio lui ad avvisarmi quel giorno, quando, spada in pugno,
ti presentasti per uccidere il drago bicefalo!
L’ennesimo folle, questo pensai, quando nascosto negli anfratti delle
montagne ti vidi passare in sella al tuo cavallo! Ma dovetti ricredermi, quando
ti vidi affondare la lama nel ventre di Fafnir e
strappargli il cuore!”
“Eri tu… il brigante…”
–Realizzò infine Orion, ricordando l’incontro di poco
successivo alla morte del drago. Ancora imbrattato del suo sangue, il Cavaliere
si era avvicinato ad una pozza, che scorreva tra le rocce, per pulirsi. E là
aveva scoperto il segreto di Fafnir, che viveva
immerso nelle ricchezze. Sia il fondo del lago che gli anfratti del monte erano
pieni di oro e pietre preziose, rubate dal drago nel corso dei secoli o versate
dalle genti impaurite, allo scopo di ingraziarselo e impedirgli di ucciderli.
Ricchezze di cui il popolino aveva spesso parlottato, al punto da spingere
qualche temerario a tentare di recuperarle. E Hraesvelgr
era stato tra questi.
“Brigante senz’anima, che banchetteresti su ori che non ti
appartengono! Così mi definisti quel giorno, quando ti avvicinai per chiederti
di non farne parola, a Midgard, dell’esistenza di
quel tesoro! Onore e gloria, tutto volevi per te! Ricchezze comprese! E a me
non lasciasti niente!”
“Sbagli!” –Precisò Orion. –“Di quell’oro non
mi è mai importato, né ne ho avuto mai una parte! Ma il suo valore ha riempito
le casse del regno, permettendo a Ilda di realizzare opere utili per la nostra
città e acquistare grano, frutta e verdura dalle terre più fertili dell’Europa!
Tu che, come reietto, hai patito la fame e la sete, e la mancanza di un tetto
sotto cui dormire al caldo, avresti condannato allo stesso destino il popolo
tuo fratello?!”
In tutta riposta, Hraesvelgr gli sputò di
nuovo.
“Io non ho fratelli, né mi interessa del popolo! Non sono un Cavaliere
e non ho un codice d’onore, tranne quello che mi permette di sopravvivere! E
con quell’oro avrei vissuto a lungo, se tu, il gran signore di Midgard sul bel destriero, non avessi voluto fare l’eroe e
apparire magnifico e munifico!”
“È tutto?” –Domandò infine Orion.
“Come?!” –Balbettò Hraesvelgr, preso alla
sprovvista da quella semplice domanda.
“Hai esaurito le tue prediche? Perché se le tue farneticazioni sono
giunte al termine, ugualmente sarà per il nostro breve, e poco soddisfacente,
scontro!”
“Lurido bastardo arrogante!!!” –Ringhiò il servitore di Loki, concentrandosi per aumentare l’intensità delle
correnti d’aria che circondavano Orion, sì da
scaraventarlo nuovamente indietro. Ma solo allora si accorse che il braccio del
Cavaliere, con il pugno chiuso, aveva oltrepassato l’eterea barriera.
Senza farsi notare infatti, mentre Hraesvelgr
parlava, Orion aveva spinto il braccio attraverso il
mulinello d’aria, piano piano, un centimetro per
volta, reprimendo il dolore e confidando nel dono di Fafnir.
Così aveva potuto portare la mano all’esterno del vortice, aprendola e puntando
l’indice contro l’avversario.
Un raggio di energia ferì Hraesvelgr al
fianco destro, trapassando la corazza e macchiandola di uno schizzo improvviso
di sangue, che strappò un urlo di dolore al Dio di Vittoria, facendo diminuire
d’intensità il mulinello d’aria.
La seconda cosa che Orion aveva capito, in
quel breve combattimento, era che Hraesvelgr doveva
mantenere un’elevata concentrazione sui venti da lui evocati, al fine di dare
loro la massima potenza d’attacco. Potenza
che adesso è perduta!
“Non ti dirò niente, perché non meritano parole di conforto o
comprensione i tuoi gesti ridicoli! Approfittare di un drago per arricchirsi,
alle spalle di chi vive di stenti… non mi stupisce
che tu sia entrato nelle schiere di Loki!” –E nel dir
questo portò le braccia al petto, gonfiandolo e espandendo il cosmo.
“Va’ al diavolo, pezzo d’idiota!” –Esclamò Hraesvelgr,
concentrando la propria energia cosmica sul braccio destro, generando correnti
d’aria che subito soffiarono contro Orion. –“Vento mormorante!!!” –Gridò, nello
stesso istante in cui Orion liberava gli Occhi del Drago.
Le due possenti comete di energia si schiantarono contro un turbine di
vento, la cui forma pareva quella di un’aquila ad ali aperte, che ne rallentò
la corsa per qualche istante. Quei pochi secondi di vita che Hraesvelgr ebbe in più.
“La forza del possente Fafnir è in me!”
–Commentò Orion, mentre il dirompente attacco si
abbatteva sul Sigtýr, trapassandolo da parte a parte e schiantandolo a terra, con la
corazza distrutta e il corpo imbrattato di sangue.
“Non ho parole di commiato per te, né epitaffio da suggerire per la tua
tomba! Solo addio!” –Non aggiunse altro e corse via, lasciandosi il cadavere di
Hraesvelgr alle spalle e riaffacciandosi nella piana
di Vígridhr, dove la guerra era ancora in corso.
Tirando un’occhiata verso il limitare della radura, ove
poc’anzi era terminato lo scontro tra Loki e i suoi
avversari, Orion strinse i pugni, alla vista dei
cadaveri che costellavano il suolo. Quasi non li riconobbe, per come erano
ridotti, ma avvicinandosi e osservandoli meglio non riuscì a trattenere le
lacrime di fronte a quel che restava di Heimdall, il
cui corpo era stato abbrustolito da folgori incandescenti, e al cadavere di Tyr, i cui occhi ancora aperti gridavano terrore.
Mormorando parole in norreno antico, Orion gli pose
una mano sul viso e glieli chiuse.
Un fruscio alla sua destra lo fece voltare, per incontrare lo sguardo
stanco e affranto della Regina delle Valchirie, che si trascinava a passo
malfermo nella sua direzione.
“Brunilde! È una gioia vedere che sei viva!”
“Lo stesso penso anch’io, nobile Orion! Sia
pur entrambi feriti!” –Commentò la donna con voce triste, e il Cavaliere notò
che reggeva tra le braccia un corpo, quello della figlia di Freya,
anch’ella massacrata da Loki. –“Tinto di vermiglio è
il suolo di Vígridhr! Che cosa nascerà da tutto questo sangue?”
“Niente di buono, questo è certo! Da una guerra non può nascere che un
frutto amaro!” –Commentò il Principe degli Einherjar,
alzandosi dal cadavere di Tyr e avvicinandosi a Brunilde, ponendogli le braccia sulle spalle. –“Ma ci sono
guerre che non possiamo non combattere! Guerre che fanno parte del nostro
destino, del nostro essere!”
Gli occhi neri della Regina delle Valchirie incontrarono quelli di Orion, e per un attimo sembrarono non vedere altro. Per un
attimo sembrò loro di essere rimasti da soli, e che la guerra, le stragi e le
morti atroci fossero echi di un passato lontano. Durò un attimo, ma parve loro
eterno.
“Attenti!!!” –Gridò una terza voce, mentre passi veloci calpestavano il
suolo poco distante.
Un gruppo di bestie, simili a lupi, ma decisamente più massicci, stava
per avventarsi su di loro, ma prima che le macabre fauci potessero raggiungere
il pugno che Orion aveva già chiuso, ponendosi di
fronte a Brunilde per difenderla, vennero dilaniati
da una pioggia di lame di luce.
“Carogne infami!” –Esclamò un’agile figura, rivestita da un’armatura scintillante,
estraendo dalla carcassa di una bestia la lama della spada che stringeva con
forza, prima di muoverla con rapidità e generare nuovi fendenti che posero fine
alla corsa del resto del branco. –“Se sperate di banchettare con il mio corpo,
potete scordarvelo! Anche se, lo ammetto, ho messo su qualche chilo di troppo
ultimamente!”
“Reis!!!” –La chiamò Orion,
felice di rivederla.
“Ti avevo detto che ci saremmo ritrovati, Principe degli Einjerhar! Per essere una donna, so tirar di spada
piuttosto bene, non trovi?” –Salutò Reis,
avvicinandosi e tendendo la mano al Cavaliere di Asgard, che la strinse con
orgoglio sincero, prima di presentare Brunilde al
servitore di Avalon. –“È un onore incontrare la rappresentante di un popolo di
donne guerriere la cui fama si trascina da secoli!”
“Com’è la situazione?” –Incalzò subito Orion.
“Potrebbe andar peggio!” –Commentò il Cavaliere di Luce, scrollando le
spalle e voltandosi verso la piana di Vígridhr, ove la
ressa che l’aveva invasa ore prima si era decisamente ridotta, a causa della
morte di buona parte dei partecipanti. –“Più di metà degli Einherjar
sono caduti, ma uguale sorte, forse superiore, hanno subito i morti di Hel e i Soldati di Brina, alcuni dei quali, per codardia o
per tessere qualche altro inganno infame sono fuggiti verso il cuore di Ásaheimr. Forse per trovare rifugio tra i resti dei palazzi
crollati.”
“Che ne è di Loki?” –Chiese Orion, che più di ogni altra cosa desiderava confrontarsi
con lui.
“Sparito! Nessuno l’ha incontrato! Certo non è venuto a rendere omaggio
ai figli morti! Dopo Jormungandr, anche Fenrir è caduto, ucciso dal Cavaliere di Andromeda, che al
momento è piuttosto debole, ma il mio compagno se ne sta prendendo cura!”
“Corriamo da lui!” –Propose allora Orion,
dirigendosi verso il centro della piana, seguito da Reis
e da Brunilde, sia pur dispiaciuta per dover
abbandonare i resti della figlia di Freya.
Una pattuglia raminga di Soldati di Brina, intenti a rimestare tra i
cadaveri alla ricerca di armi e equipaggiamento utile, tentò di frenare la loro
avanzata, ma venne travolta dalla furia degli Occhi del Drago e dai fendenti luminosi del Cavaliere di Luce.
“Ehi, sono qua!!!” –Gridò allora una voce che Reis
conosceva bene. Quella di Jonathan, il Cavaliere dei Sogni. E fece cenno a Orion e Brunilde di dirigersi in
quella direzione, fino a ritrovarsi a pochi passi da un’immonda carcassa in
putrefazione che emanava un fetido odore.
“I resti di Fenrir…” –Mormorò Reis, tappandosi la bocca con una mano e passando oltre,
per raggiungere il suo compagno, chino sul corpo di Andromeda. –“Come sta?”
“Non ha profonde ferite aperte, ma continua a dimenarsi, tenendosi la
testa come se gli scoppiasse!” –Spiegò Jonathan.
“Una volta Odino mi raccontò che Fenrir
disponeva di un pericoloso potere, una forza di persuasione capace di generare
terrore negli esseri umani!” –Intervenne Brunilde,
inginocchiandosi accanto al Cavaliere di Atena e sfiorandogli la fronte.
Bollente.
“Andromeda non è guerriero da poco, avrà certamente contrastato questo
maleficio!” –Esclamò fiero Orion, prima di
aggiungere, con tono grave. –“Anche se il prezzo pagato può essere stato alto!
Sento un’inquietudine immensa, mai provata in vita! Le fronde di Yggdrasill vibrano come mai hanno fatto prima!”
Nessuno aggiunse altro, prima che il rumore degli scontri ancora in
corso, ben pochi rispetto alla caotica ammucchiata di ore prima, li richiamasse.
Reis impugnò la Spada di Luce e si gettò contro i
morti di Hel che si fecero loro incontro,
trafiggendoli uno dopo l’altro. Brunilde le andò dietro,
per vendicare le compagne Valchirie, lasciando Jonathan da solo, a prendersi
cura di Andromeda.
Orion si sollevò deciso, guardandosi intorno, osservando la devastazione di
quel giorno infame. Lontano, oltre gli alberi che ancora si ergevano al limitare
della piana, Ásaheimr bruciava, a causa delle fiamme
generate dai Giganti di Fuoco, e altri orrori erano in atto, celati da nuvole
di fumo bigio. Socchiudendo gli occhi per un istante, a Orion
parve di sentire un richiamo raggiungerlo. Una voce che da tempo non udiva.
“Ilda!” –Mormorò, stringendo il pugno. Quasi ad afferrare quel
pulviscolo di ricordo che già si era perso nel vento. –“Temo per te! Un’ombra è
scesa sul tuo cuore!”
Sospirando, il Cavaliere del Drago ripensò a quel che Hraesvelgr gli aveva detto poco prima. –“ Il vento sa tutto
e può portare qualunque notizia in qualunque luogo!”
“Se così è, allora consola la mia Regina e sfiorale le guance per me!”
–Aggiunse, prima di lanciarsi nell’ultima mischia.
***
Lo sbalordimento sul volto di Fiador fece
capire a Ilda che il ragazzo aveva ben realizzato le implicazioni insite in
quello che la leggenda aveva tramandato come Ragnarök.
Implicazioni che andavano al di là di ciò che per Loki
era sempre stata una vendetta personale, e per Odino aveva rappresentato una
prova di forza, il momento di dimostrare che il regno da lui dominato poteva
reggere agli attacchi del male. Quanto meno di quello che ai suoi occhi
appariva tale.
Né l’uno né l’altro hanno mai
compreso quel che c’è dietro!
Mormorò la Celebrante, accasciandosi stanca alla scrivania.
Usare il potere di Bjarkan l’aveva
indebolita, ma era stato utile, non solo per riportare Fiador
sulla strada della ragione, liberandolo così dal controllo di Loki, ma anche per rimettere insieme i pezzi di un mosaico
di cui neppure lei, fino all’ultimo istante, possedeva la chiave per
comprenderlo.
“Ragnarök
è parte di un ciclo! Non è soltanto morte e distruzione, non è solo guerra e
fiamme, ma anche rinascita! Per questo l’esistenza di Loki
e della sua stirpe è stata tollerata, perché il male e l’ombra contribuiscono
alla stabilità dell’universo, scontrandosi periodicamente contro le forze della
luce! Uno contro l’altro, uno l’opposto dell’altro! Uno necessario affinché
esista l’altro! Come potremmo indicare qualcosa come male o come bene, se non
avessimo un termine di paragone? Come potremmo apprezzare la luce se non
avessimo provato l’ombra?”
“Quindi, i progetti imperiali
di Loki…” –Mormorò Fiador,
cui l’Ingannatore aveva promesso i tesori di Midgard,
ben superiori alle paterne ricchezze.
“Destinati a naufragare nella
tempesta da lui stesso risvegliata! Non siederà mai su Hliðskjálf!
Né Odino vi siederà più!” –Precisò Ilda, prima di aprire una pagina del testo
lasciatole in dono dalla madre e leggerne alcune righe. –“Il sole si oscura, la
terra sprofonda nel mare, scompaiono dal cielo le stelle lucenti. Alta gioca la
vampa col cielo stesso!”
In quel momento Ilda sentì
accendersi il cosmo di Alexer a breve distanza e
dovette interrompere la lettura del testo. Il Principe della Valle di Cristallo
si ergeva infatti al centro del devastato piazzale, a pochi passi dalla crollata
statua di Odino, splendido nel suo cosmo azzurro, mentre le alte sagome dei
suoi avversari torreggiavano attorno a lui, cingendo Midgard
d’assedio.
Passi svelti corsero lungo le
scale di pietra della Torre della Solitudine, anticipando l’ingresso di Enji nella piccola stanza. Affannato, con i capelli
scomposti e rivoli di sudore che gli colavano sul viso, il consigliere trovò la
forza di mormorare solo due parole. –“Siamo attaccati!”
Con enorme dispiacere, Odino annusò l’aria di Asgard e tra i fumi di
guerra e le alte strida capì che molti amici erano scomparsi, travolti dalla
marea nera che Ragnarök aveva portato con sé. Heimdall e Tyr, Bragi e
Ullr, assieme a molti Einherjar, Jötnar, Valchirie e
Divinità minori. Persino il cosmo di Freyr, dopo essersi espanso al massimo,
raggiungendo il Padre di Tutti dalle profondità di Niflheimr, forse per
porgergli un ultimo saluto e ringraziarlo per la fiducia che gli aveva
accordato nel corso dei secoli, era svanito. E il tremolio dell’Albero Cosmico, le cui fronde parevano rinsecchire
ogni minuto di più, consumate da un inverno a cui non potevano opporsi, gli
faceva temere il peggio. Per sé e per l’intera Ásaheimr.
Balder, Frigg e le altre Asinne erano ancora al sicuro a Fensalir, ma
Odino sapeva che non avrebbero potuto resistere in eterno all’attacco su due
fronti che ancora proseguiva. Fronti che presto si sarebbero ricongiunti, sulle
rive del Thund, perché il tentativo di fermare l’avanzata dei Giganti di Fuoco
stava fallendo e già buona parte della città degli Dei era caduta in rovina,
divorata dalle fiamme di Muspell.
Trema Yggdrasill
il frassino eretto,
scricchiola l'albero antico
quando si scioglie il gigante.
Tutti temono
sulla strada degli inferi,
che la stirpe di Surtr
li inghiotta.
Cosa incombe sugli Asi?
Si chiese Odino, prima che un grido straziante riportasse la sua attenzione
sulla scena in corso.
Era in piedi su Sleipnir, in cima al piccolo avallamento che conduceva
alla Rocca del Cielo, affiancato dagli ultimi sopravvissuti a quello scontro
mortale. Geri e Freki, un po’ bruciacchiati ma ancora vivi, e una trentina tra
Ulfhednir, Valchirie e giganti a lui fedeli. Oltre che Mizar e Vidharr.
Odino sospirò, pensando che almeno quel figlio era ancora vivo, e roteò
la lancia, piantandola nel terreno e imprimendovi il suo cosmo divino. Il suolo
si smosse poco distante, sollevandosi come un’onda e sommergendo di erba e
terriccio il Gigante di Fuoco le cui fiamme stavano penetrando alcuni
Ulfhednir, liberandoli da tale agonia.
Mizar si avvicinò loro, sfiorandoli con il suo gelido cosmo e
aiutandoli a rimettersi in piedi, per ricongiungersi con gli altri.
C’era più ben poco che potessero fare in quel luogo. Bifrost era
crollato, Himinbjörg era stata
distrutta, i palazzi di Asgard incendiati durante gli scontri scatenatisi tra i
combattenti di Odino e i Soldati di Brina. Potevano solo portarsi al di là del
Thund e trovare rifugio nelle fortezze di Fensalir e del Valhalla, dove gli
stanchi combattenti avrebbero ottenuto momentaneo ristoro.
Vidharr osservò suo padre con sguardo stanco
e preoccupato e per quanto certo che avrebbe voluto continuare a lottare era
ben consapevole che per il momento ripiegare era la strategia migliore.
“Ma non lasciando ai figli di Muspell campo
libero!” –Mormorò, espandendo il proprio cosmo in modo da generare una
protezione che, come un velo, ricadde sulla parte interna di Asgard, quella
rivolta verso il Valhalla. Un velo che le vampe dei Giganti di Fuoco non
avrebbero superato facilmente. –“Non finché sarò in vita, poiché dal mio cosmo
questa barriera trae origine, e come tale è inestinguibile!”
“Vidharr, non vorrai morire?!” –Bofonchiò
Odino.
“Foss’anche, sarebbe per una buona causa,
come sono caduti mio fratello Tyr e i nostri pari!” –Sentenziò il figlio,
socchiudendo gli occhi, prima che Odino potesse replicare. –“Porta il nostro popolo
in salvo nel Valhalla! Là sarà combattuta la battaglia finale! Là affronterai
Loki, unico, tra tutti gli Asi, che può farlo! Io vi darò modo di arrivarvi
senza dovervi guardare alle spalle! Nessuna sfera di fuoco vi colpirà finché
Vidharr il Silente rimarrà in piedi a protezione di suo Padre e delle sue
genti!”
“E io resterò ad aiutarti, prode figlio di
Odino!” –Intervenne Mizar. –“Ottima difesa è il tuo velo ma lacunosa nello
sprigionare potenza d’attacco! Lacuna che i ghiacci eterni possono invece colmare!”
Odino rimase a fissarli per qualche istante,
mentre turbini di fiamme e getti di lava si abbattevano sopra di loro,
schiantandosi sulla barriera invisibile e scivolando poi su di essa, verso il
basso, come infernali ruscelli. Infine annuì, accennando un sorriso, prima di
fare cenno ai suoi di seguirlo.
“Ripieghiamo sul Valhalla!” –Tuonò, scattando
avanti, subito seguito dai due lupi e dagli altri. D’improvviso lo invase una
fretta insolita, dovuta non soltanto al timore per Vidharr, che metteva in
gioco la propria vita per salvare la loro, ma anche per le sorti dell’altro suo
figlio rimasto, su cui gravava un’antica maledizione. Sospirando, spronò
Sleipnir ad aumentare l’andatura, ritenendo opportuno passare da Fensalir prima
di rientrare nella Sala dei Caduti.
***
“Cosa hai in mente di fare, giovane tigre?” –Chiese Vidharr al
Cavaliere dalla nera armatura.
“Usare la vostra barriera per trasmettere il mio gelido cosmo e
lasciarlo poi esplodere contro i Giganti di Fuoco sotto forma di artigli di
ghiaccio!” –Rispose Mizar, sfiorando il leggero, quasi impalpabile, velo di
energia che il figlio di Odino aveva eretto sopra metà Asgard. Subito un’aura
celeste lo avvolse, scivolando lungo l’ondulata protezione e aumentandone la
consistenza.
Proprio in quel momento una torva di Giganti di Fuoco si sollevò di
fronte a loro, allungando le braccia di pura fiamma nella loro direzione,
venendo però frenati dal velo protettivo.
“Quale miglior banco di prova!” –Esclamò Mizar, liberando il proprio
cosmo, che si aprì a ventaglio dalla barriera, ricoprendo i corpi dei figli di
Muspell di uno strato di gelo, rinforzato dal cosmo divino di Vidharr.
“Un’ottima intuizione!” –Commentò il taciturno figlio di Odino,
accennando un debole sorriso. –“Anche se temo che servirà solo a farci
guadagnare tempo!”
Mizar parve comprendere le sue parole e rispose con un altrettanto
rattristato sorriso. –“Per cos’altro siamo rimasti indietro, in fondo?!”
Non ebbero modo di aggiungere altro che nuovi Giganti di Fuoco si
lanciarono contro il velo protettivo, schiantandosi su di esso e disperdendo i
loro stessi corpi in migliaia di vampe e roghi che ne scossero la superficie
fino alla sommità, impegnando duramente Vidharr e Mizar, costretti a portare i
loro cosmi al culmine.
Fu quando temettero di non essere più in grado di fermare l’avanzata
nemica che un nuovo cosmo, gelido come quello della Tigre Nera, si sommò ai
loro, rafforzando la barriera e palesandosi sotto forma di unghioni di gelo che
trafissero i corpi fiammeggianti dei Giganti di Fuoco.
Prima ancora di voltarsi, Mizar riconobbe il fratello che l’aveva
protetto tante volte in passato, la cui armatura sporca e danneggiata la diceva
lunga sulle difficoltà che anch’egli doveva aver incontrato.
“Certe cose non cambiano mai, vero Alcor?” –Ironizzò, felice di
rivederlo, dopo aver tanto per lui temuto. E fu ancora più felice nel vedere il
ragazzo dai lunghi capelli scuri che lo accompagnava, il Cavaliere Divino della
costellazione del Drago.
Alcor e Sirio si unirono a Mizar, che subito li introdusse a Vidharr,
descrivendo a grandi linee la situazione e quel che era accaduto da quando il
fratello era sceso nel Niflheimr a sorvegliarlo.
“Sono stati Huginn e Muginn a portarci fin qua! Dopo aver risalito
l’Albero Cosmico e aver raggiunto il Valhalla, non eravamo certi su dove
avremmo trovato Odino, nei vari fronti aperti, ma i corvi sono volati in fretta
verso Himinbjörg e sulla strada abbiamo
incontrato il Dio dai molti epiteti, che ci ha informato che eravate ancora
qua!” –Spiegò Alcor. –“Così abbiamo ben pensato di venire a morire insieme a
voi!”
“Di nuovo!” –Sorrise Mizar, ricordando
l’ultimo scontro combattuto assieme al fratello nel Giardino dell’Amore, sul
medio versante dell’Olimpo.
“Attenti!!!” –Gridò Sirio, mentre le fiammeggianti sagome dei Giganti
di Fuoco si ergevano di fronte a loro, liberando fiotti di lava contro
l’invisibile protezione.
Il Cavaliere del Drago rimase attonito ad osservare con quale
concentrazione Vidharr riusciva a mantenere una così vasta e dispendiosa
barriera, segno evidente di un esercizio meditativo durato secoli. Ed egli, che
dal Maestro dei Cinque Picchi aveva ricevuto insegnamenti al riguardo, era ben
consapevole di quanta forza interiore fosse necessaria.
“Non resisterà a lungo! Dobbiamo aiutarlo, cacciare indietro queste
creature!” –Tuonò, espandendo il proprio cosmo, subito imitato da Mizar e
Alcor.
“Impresa tutt’altro che facile, temo!” –Commentò la Tigre Nera, avvolta
in un turbine di freddo cosmo.
Artigli di gelo e dragoni di luce sfrecciarono nel cielo di Asgard,
trapassando la barriera dall’interno e schiantandosi sui figli di Muspell.
Qualcuno venne parzialmente congelato, qualcun altro si sfaldò, piovendo a
terra fiammelle rossastre, ma la maggioranza rimase comunque integra,
determinata sui suoi passi.
“Prima troppo ghiaccio, adesso troppo caldo! Vorrei poter riversare su
costoro il gelo del Niflheimr!” –Bofonchiò Alcor, il viso imperlato di sudore.
Sirio non rispose, ma annuì mentalmente. In quella situazione parte dei
suoi attacchi erano inutili, poiché basati sulla luce, e come tali incapaci di
provocare grave danno ai suoi avversari. Persino Excalibur non sarebbe riuscita
a spegnere tale eterna fiamma.
“Eppure…” –Si disse il giovane, dimenticando qualcosa.
Fu il grido di Vidharr a rubarlo ai suoi pensieri, costringendolo a
spostare lo sguardo sul figlio di Odino, prostrato a terra dalla stanchezza e
dall’eccessivo spreco di forze. La barriera si stava ritirando, incapace di
continuare a ricoprire l’intera città sacra, e dagli spazi che lasciava aperti
già mastodontiche fiamme e spruzzi di lava schizzavano all’interno, in una pioggia
senza tregue.
Sirio corse in aiuto dell’Ase Silente, mentre la sua mente, alla vista
di quell’apocalittica scena, ricordava un passo dell’Inferno dantesco, che
Libra gli aveva letto durante l’addestramento, assieme ad altri testi epici e
medievali.
“Sovra tutto ‘l sabbion, d’un cader lento, piovean di foco
dilatate falde, come di neve in alpe sanza vento!”
In quel momento la barriera cedette,
schiantandosi come vetro in mille frammenti di cosmo che subito svanirono
nell’aria torbida, mentre i Giganti di Fuoco, con ritrovata baldanza, si fecero
avanti, incendiando tutto quel che trovavano sul loro cammino.
“Maledizione!” –Mormorò Sirio,
ponendosi di fronte a Vidharr per proteggerlo e offrendo la schiena alle fiamme
di Muspell. –“Aaargh!” –Strinse i denti, mentre una vampa si schiantò sullo
schienale e sulle ali della corazza divina.
“Morire arso vivo è quanto di
più lontano mi sarei aspettato combattendo per Asgard! In una tormenta di neve
sarebbe stata fine più appropriata!” –Tentò di ironizzare Alcor, strappando un
debole sorriso al fratello, entrambi con le braccia aperte avanti a sé e il
cosmo glaciale che turbinava in ogni direzione.
Ma il calore era
insopportabile, persino per un Cavaliere, persino dietro la protezione
rappresentata da un’armatura, pur rinata con sangue divino, e ben presto sia
Sirio che i due fratelli dovettero ripiegare, arrancando a fatica, con il
sudore che imperlava i loro volti e una stanchezza crescente. Con la vista
appannata, Mizar non riuscì ad evitare un getto di lava diretto contro di lui
da un Gigante di Fuoco, venendo spinto indietro e parzialmente ricoperto. Il
grido di terrore che seguì, nel sentire il proprio corpo ardere sotto quel
bollente liquido, risvegliò l’ultimo impeto bellico nella Tigre Nera,
spingendolo a bruciare il cosmo più di quanto avesse fatto prima, portandolo al
parossismo. Come quel giorno sull’Olimpo.
“Come in Grecia così adesso!”
–Gli fece eco Alcor, unendo il proprio cosmo a quello di Mizar e tirando
un’ultima veloce occhiata a Sirio, quasi a comunicargli, in silenzio, molte
cose. Grazie, prima di tutte le
altre. Per essere venuto a salvarmi e
avermi permesso di essere qua adesso. A combattere con mio fratello.
“A morire con mio fratello!”
–Ringhiò la Tigre Bianca, prima di far esplodere il proprio cosmo, assieme a
quello di Mizar, liberando un’onda di energia congelante che spazzò via un
gruppo di Giganti di Fuoco, paralizzandoli in pose che nessuna fiamma avrebbe
sciolto nuovamente. Statue impreviste che andarono in frantumi poco dopo.
I figli di Muspell che si
ergevano dietro i loro fratelli distrutti riversarono allora la loro rabbia in
vampe rossastre che saturarono l’aria e la terra, abbattendosi sui due
Cavalieri di Asgard e dilaniando le loro carni, fin nel profondo.
Sirio, disorientato dal caos in
cui era immerso, e con enormi difficoltà visive e respiratorie, fu soltanto in
grado di vedere Mizar e Alcor scomparire tra le fiamme, in un rogo che pareva
non avere fine. Vidharr, che aveva perso conoscenza, giaceva tra le sue
braccia, ed egli ne sentì tutto il peso, mentre pensava ad un modo per
sopravvivere a quell’inferno.
Un Gigante di Fuoco diresse un
fiotto di fiamme contro il terreno, trapassandolo e incendiando il sottosuolo,
fino a farlo ricomparire sotto i piedi di Sirio e Vidharr, scagliandoli verso
l’alto in un turbine rossastro. Il ragazzo tirò il figlio di Odino a sé,
rannicchiandosi alla meno peggio e preparandosi per l’impatto con il suolo, più
duro di quanto si fosse aspettato, a causa delle macchie di ghiaccio create da
Mizar e Alcor che ancora resistevano in mezzo a quella pioggia di fuoco.
Sirio sbatté la spalla destra,
incrinando il copri spalla, e scivolò di qualche metro, perdendo la presa sul
corpo di Vidharr, che ruzzolò poco distante. Sputando sangue, il Cavaliere di
Atena si rimise in piedi, mentre un getto di lava si schiantava di fronte a sé,
liquefacendo quel che restava dei ghiacci eterni e creando un piccolo stagno.
Fu allora, in quell’acqua
melmosa, che Sirio si ricordò della natura del suo potere, qualcosa a cui,
troppo preso dagli eventi e dalla guerra in corso, non aveva prestato
attenzione.
Sciocco! Si disse, ricordando lo scontro con Ian dello Scudo, Cavaliere
Ombra decaduto, al Tempio di Discordia. Anche
in quell’occasione ne ero immerso.
Bruciò il proprio cosmo, che
risplendette vivido come una smeraldo, prima di entrare in sintonia con
l’elemento cui più di ogni altro aveva attinenza, l’elemento su cui esercitava
maggior controllo. Per Cristal era il gelo, per Phoenix era il fuoco, per
Pegasus era la luce. Per lui era l’acqua.
Un vortice acquatico si schiuse
attorno a sé, assumendo la forma di un dragone celestino, che roteò a fauci
dischiuse prima di scattare verso il più vicino Gigante di Fuoco e penetrarlo,
sciogliendosi al solo contatto e liquefacendo al tempo stesso anche la
creatura.
“E uno!” –Si disse Sirio,
consapevole comunque delle poche forze rimaste per un’impresa che si presentava
titanica. Pretendere di sconfiggere i
Giganti di Fuoco con singoli dragoni di energia acquatica è opzione risibile.
Rifletté, evitando un getto di lava e bruciando il proprio cosmo. Pur tuttavia…
E si fermò, concentrando i
sensi al massimo, mentre il cosmo fluiva attorno a sé, alla ricerca di aiuto.
Alla ricerca di una fonte che sopperisse la distanza dalla Cascata del Dragone,
distanza puramente fisica, poiché nel cuore ben l’aveva presente.
La raggiunse e ne percepì la
forza antica, vivido testimone delle ere del mondo e delle guerre che si erano
sostenute. Ancora adesso parte delle sue acque erano infette dalla carcassa
dell’abominevole figlio di Loki, e forse quella sarebbe stata l’occasione per
purificarle definitivamente.
Dammi la tua forza, possente Thund! Esclamò Sirio, penetrando le
acque del fiume con il suo cosmo e facendolo risplendere di un acceso color
verde. All’istante le insidiose correnti del corso d’acqua si sollevarono,
increspandosi e assumendo la forma di mille dragoni lucenti, di fronte agli
occhi esterrefatti di coloro che ancora combattevano lungo le sue rive.
Nelle acque è la forza di Sirio il Dragone! Nelle acque, pregne di
storia e saggezza, vicino alle quali sono cresciuto e mi sono allenato,
divenendo Cavaliere e uomo! Mormorò il ragazzo, ripensando agli scontri che
aveva sostenuto in vicinanza di un corso d’acqua, come quelli con Demetrios,
Ian dello Scudo e Cancer. Scontri che lo avevano visto vincitore e che gli
avevano insegnato qualcosa. Soprattutto quello con il suo antico compagno
d’addestramento. Là, sul fondo della
Cascata dei Cinque Picchi, la mia corazza è stata nascosta per secoli, in
attesa della mia venuta, irrobustendosi e prendendo forza da ciò che la
attorniava! Allo stesso modo ho fatto anch’io, ogni volta in cui ne ho avuto
bisogno, trovando la forza in coloro
che avevo attorno e in me credevano! Il mio maestro, la mia compagna, i miei
amici!
“E ugualmente farò oggi!!!
Acque della Cascata dei Cinque Picchi, danzate in nome mio!!!” –Gridò, scatenando
la furia del cosmo, mentre sopra di lui saettavano migliaia di dragoni composti
di energia acquatica, che nascendo dal Thund compivano un arco sopra la città
degli Dei, piombando poi sui Giganti di Fuoco.
Tutti vennero travolti e, per
quanto tentassero di dimenarsi, di liberare fiamme e lava, furono spazzati via
dalla marea lucente evocata da Sirio, che gli costò uno sforzo immane. Non
riuscendo a mantenerla a lungo, alla fine dovette cedere alla stanchezza e
crollare sulle ginocchia, mentre gli ultimi dragoni di energia acquatica si
schiantavano attorno a lui, perdendo l’impeto vitale che li aveva fatti
sorgere.
Con un ultimo barlume di
coscienza, prima di crollare disteso al suolo, Sirio osservò Ásaheimr venir avvolta da un’immensa
caligine. Né fuoco né fiamme, né draghi né maree più dominarono l’aria. Soltanto
una coltre di fumo che non poteva però coprire la distruzione generata, né
tamponare l’odore della morte che aleggiava per le strade della città degli
Dei. Distruzione e morte che ancora camminavano sulle rovine dei Nove Mondi.
***
Pegasus era ancora debole a causa del veleno del Serpe del Mondo ma né
Eir né Frigg riuscirono a farlo desistere dal voler scendere nuovamente sul
campo di battaglia. Freya continuava a pregare per suo fratello, il cui cosmo
aveva sentito esplodere poco prima, mentre Idunn si era da tempo rinchiusa in
una silenziosa preghiera, interrotta da sporadici singhiozzi, dopo aver sentito
svanire l’aura cosmica del suo sposo. E le parole di Frigg, che aveva visto la
scena nella sua mente, le avevano confermato la morte di Bragi.
Il Primo Cavaliere di Atena ringraziò più volte le Asinne, esprimendo
la volontà di combattere anche per ringraziarle dell’ospitalità e delle cure
che gli avevano fornito.
“Soprattutto voi voglio ringraziare, Principe Balder!” –Esclamò,
volgendo lo sguardo verso il bellissimo ed etereo figlio di Odino, che lo pregò
di non badare ai formalismi e di pensare a stare bene.
“So che solo pensare di trattenerti sarebbe una battaglia persa in
partenza e lungi da me andare incontro ad una sconfitta proprio con uno dei
pochi uomini degni della stima e dell’ammirazione di mio Padre!” –Commentò,
indicando con lo sguardo la spada di ghiaccio che Pegasus portava con sé.
Balmunk, la lama di Odino.
“È anche per onorare la sua fiducia che devo combattere!”
La conversazione tra i due venne interrotta quando un paio di guardie
irruppero nel salone principale di Fensalir, dove le Asinne e Balder erano
riuniti, per informare di un incremento degli assalti alla residenza. Il figlio
di Odino si scusò con Pegasus, che terminò di indossare la sua Armatura Divina,
seguendo Frigg all’esterno.
Nell’ultima ora gli attacchi contro Fensalir erano aumentati, portati
essenzialmente da un gruppo di defunti di Hel e di creature mostruose, che
Balder dall’alto verone aveva riconosciuto come le Vilgemir.
Dispensatrici di sofferenze atroci, erano l’equivalente infernale delle
Valchirie, ma propinavano urina di capra ai defunti, facendo loro rimpiangere
l’idromele e la beatitudine del Valhalla. Anch’esse erano state armate contro
gli Asi, vomitando il loro putrido cosmo contro le mura di cinta della Sala
Paludosa, residenza di Frigg.
Balder le aveva respinte più volte ma a quanto pareva non era riuscito
a farle desistere, così scese nuovamente nel giardino di fronte all’ingresso
della reggia, dove alcuni Einherjar erano riuniti, con sua madre alle spalle,
ed espanse il proprio cosmo, rilasciandolo sotto forma di un’onda di luce che
si abbatté sulle mura, trapassandole senza danneggiarle e travolgendo poi tutti
coloro che stavano all’esterno.
Placato il suo cosmo, il figlio di Odino sospirò, dispiaciuto ogni
volta in cui doveva usare i suoi poteri per fare del male, fosse anche ai
sanguinari servitori di Loki. Frigg gli pose una mano su una spalla,
sospirando, prima di percepire qualcosa. Un frammento di visione che non riuscì
però a comprendere a pieno.
“Che succede, madre?” –Domandò subito Balder, con premura.
“Non riesco a capire… Una sensazione familiare e al tempo stesso inquietante…
Che cosa si cela agli occhi di Frigg?!” –Mormorò la donna dai riccioli biondi,
prima che la voce di una vedetta distraesse entrambi.
I portoni delle mura difensive si socchiusero leggermente, tanto
bastava per far risaltare un’imponente sagoma che entrambi ben conoscevano.
Alto e robusto, con un viso austero e barbuto, lunghi capelli grigi
spettinati e un’ampia fronte su cui le rughe avevano scavato i segni del tempo,
Odino, il Padre di Tutti, avanzò a passo fiero all’interno della residenza,
rivestito dalla sua splendida Veste Divina. Nonostante la rigida postura, sia
Balder che Frigg non mancarono di notare che il nume zoppicava leggermente, e
che la corazza era in parte macchiata di terra e aloni di fumo, probabili
residui della guerra in corso.
“Padre!!!” –Esclamò il Sole di Asgard con un gran sorriso,
incamminandosi verso di lui.
“Mi rallegra vederti qua, Balder! Ero andato a Breidablik e con orrore
ho visto la tua residenza in fiamme, travolta dalle vampe di guerra portate dai
figli di Muspell! Non trovandoti, ho temuto il peggio! Per te, e per me!”
Balder stava quasi per chiedere a Odino perché si fosse recato alla sua
residenza, ben sapendo che il figlio si trovava a Fensalir, su suo stesso
ordine, quando sentì qualcosa trapassargli una coscia. Un affondo repentino,
più rapido del tempo di reazione del Sole di Asgard. Un affondo portato a
tradimento, di fronte allo sbigottimento di tutti i presenti.
“Co… cosa?!” –Balbettò il giovane, spostando lo sguardo prima sulla
coscia sanguinolenta, ove una lunga lancia grigia svettava come una bandiera di
morte, quindi a colui che l’arma brandiva, suo padre, sul cui volto era
comparsa un’espressione di soddisfazione estrema. Soddisfazione che accompagnò
il ritirarsi di Gungnir e un nuovo affondo nel corpo di Balder, subito seguito
da un terzo, nel basso ventre.
“Ma che stai facendo?! Odinooo???!” –Gridò Pegasus, rimasto spiazzato
dal rapido susseguirsi dei fatti. E portò il pugno destro avanti d’istinto,
liberando una sfera energetica che si schiantò su Gungnir, distruggendola e
facendo balzare Odino agilmente indietro. Troppo
agilmente, date le sue ferite.
Frigg, rimasta immobile al suo fianco, si accasciò in lacrime,
tremando, in preda ad un attacco isterico, e venne presto raggiunta da Eir, Idunn
e Freya, che arrivarono correndo dall’interno di Fensalir, avendo percepito lo
spegnersi improvviso del Sole di Asgard.
“Che è successo? Che succede?!” –Gridò Freya, incapace di comprendere
quell’anomala situazione per cui Odino se ne stesse in piedi, sazio del sangue
da lui sparso, ad osservare Balder esanime in una pozza di sangue.
“Lui… Odino… ha infilzato il figlio con la lancia…” –Balbettò Pegasus,
prima che la voce della Signora del Cielo richiamasse la sua attenzione e
quella delle Asinne.
“Non è Odino! Non può essere lui!” –Mormorò, tra le lacrime
scroscianti, mentre Idunn la aiutava a rialzarsi. –“Come ho potuto essere così
cieca? Di nuovo! Com’è possibile che non sia riuscita a predire… la morte di
mio figlio?!”
“Che cosa?!” –Ringhiò Pegasus, voltandosi di scatto verso l’uomo che si
era palesato come il Signore di Asgard e osservando i lineamenti che avevano
iniziato a mutare, a farsi più morbidi, rivelando una sagoma ben diversa. Più
snella, più ammaliante. Più malvagia.
“Egli di Odino è la nemesi! Il suo nome è Loki, il Tessitore di
Inganni!” –Sentenziò Frigg, prima di perdere conoscenza.
Capitolo 30 *** Capitolo ventottesimo: La confessione ***
CAPITOLO VENTOTTESIMO: LA CONFESSIONE.
Per dodici anni Erik aveva creduto che Bjorn, suo fratello, fosse
l’uomo più forte che esistesse al mondo. Lo aveva visto crescere, allenarsi con
gli abitanti del villaggio, unirsi a loro nelle cacce organizzate nelle
foreste, marciare in prima fila quando vi erano lavori da effettuare, come
spalar via la neve, liberare il torrente da detriti franati o abbattere gli
alberi, e si era davvero convinto che fosse una roccia. Un eroe come quelli
cantati dagli scaldi nelle saghe antiche. E, nei suoi sogni d’infanzia, avrebbe
in futuro desiderato essere come lui. Avrebbe desiderato essere lui.
Tutto cambiò quando in città scoppiò una rivolta e venne inviata una
guarnigione di soldati dalla Cittadella per estinguerla. Erik, all’epoca,
sapeva ben poco di cosa fossero Midgard o Asgard,
avendo sempre vissuto nella sua bella Iisung,
affannando, al pari degli altri abitanti, per sopravvivere. Ma quando suo
fratello crollò al suolo, vinto da un guerriero di nome Folken,
e una pozza di sangue tinse la neve, anticipando la morte dei suoi genitori,
capì che gli scaldi erano dei bugiardi e gli eroi non esistevano più.
Sconfitto dal freddo, dalla fame e dalla solitudine, sarebbe morto nei
giorni seguenti se un uomo non l’avesse raccolto, spolverando via il ghiaccio
dai suoi abiti laceri, e portato con sé, per dargli un nuovo scopo, fomentando,
quando necessario, la sua sete di vendetta.
“Per questo Erik il Rosso combatte!” –Ringhiò, espandendo il proprio
cosmo, mentre alle sue spalle comparve l’immagine del suo simbolo.
Kaun o Kaunaz.
La torcia. La runa di Loki.
Libra, dall’altra parte dello spiazzo, fece altrettanto, avvampando nel
suo cosmo d’oro. Da quasi un’ora i due si stavano affrontando e il Cavaliere
era deciso a mettere fine a quello scontro prima possibile. Aveva notato che
una ventina di Soldati di Brina erano ancora in vita, probabilmente protetti
dall’onda di energia generata da Virgo da una
barriera eretta dal compagno di Erik, del quale non avvertiva più la presenza
vicino a loro. Doveva scoprire dov’era finito e fermare l’avanzata degli ultimi
guerrieri. Con Asher e le Sacerdotesse in missione e
Ioria scomparso chissà dove, era l’unico che poteva impedire loro di varcare la
soglia delle Dodici Case.
“Scure di Devastazione!!!” –Gridò Erik, lanciando avanti la
propria arma, carica di violacea energia cosmica. Libra evitò l’assalto
balzando in alto, ma Erik, aspettandosi tale mossa, fu svelto a sollevare la
scure, dirigendola ad alta velocità verso il cielo.
“Era quel che volevo!” –Sibilò a denti stretti il maestro di Sirio,
concentrando il cosmo sul braccio destro e calandolo sull’arma, badando bene di
colpirla nel punto esatto di congiunzione tra la lama e il manico. L’anello
debole. –“Per il Sacro Libra!!!” –Tuonò, liberando un fendente
scintillante di luce che obbligò persino Erik a sollevare un braccio per
pararsi gli occhi.
Quando li riaprì, vide con orrore la propria arma fatta a pezzi,
dispersi sul terreno e non più utilizzabili.
“Bastardo!!!” –Ringhiò il Dio di Vittoria, portando avanti il braccio,
con il pugno chiuso, e scagliando una sfera di energia verso Libra, che fu
lesto a muovere lo scudo ancora integro di fronte a sé, lasciando che vi esplodesse,
disperdendosi. Quando il Cavaliere fece per ribattere, si accorse che Erik si
era fermato, a metà della corsa, con lo sguardo fisso sulla lama e sul manico
della sua scure e la mente persa nei meandri del tempo. –“Di te niente più mi rimane…” –Gli sembrò di udirlo mormorare.
Se anche avesse voluto chiedergli qualcosa, il Rosso Condottiero non
gliene diede il tempo, voltandosi e scattando verso di lui, i pugni carichi di
energia cosmica.
“Pagherai per quello che hai fatto!” –E si mosse per colpirlo,
scatenando una pioggia torrenziale di colpi, che Libra parò spostando
continuamente lo scudo davanti a sé, finché, stanco di dover subire, non mosse
il braccio di lato, sbattendo il piatto dell’arma contro il volto di Erik,
spingendolo indietro di qualche passo.
Quando il Sigtýr si rimise in
posizione corretta, Libra aveva già liberato la potenza del Drago di Cina, che
a fauci aperte stava sfrecciando verso di lui.
Senza la protezione del suo
compagno né la scure, non può più difendersi! Rifletté il Cavaliere, con un
certo sollievo per la prossima fine di quello scontro.
Dovette ricredersi quando vide
il cosmo di Erik avvampare e attorcigliarsi attorno al suo braccio destro,
mentre le sagome di tre creature deformi sorgevano attorno a lui. Tre creature
di pura energia che, di primo acchito, a Libra sembrarono un lupo gigantesco,
un serpente e una donna mostruosa.
“Ruggito del tramonto!!!”
–Gridò Erik, portando avanti il braccio e liberando un impetuoso attacco di
energia con il quale contrastò il Drago Nascente, annientandolo poco
dopo e travolgendo lo stupefatto Libra, fino a schiantarlo contro la parete di
roccia alle sue spalle.
“Ough…”
–Strinse i denti il Cavaliere di Atena, ricadendo a terra e sbattendo una
spalla, la stessa già ferita in precedenza, che adesso gli doleva al punto da
rendergli difficile muovere il braccio sinistro, ferito e privo di scudo. –“Non
avrei creduto… nascondesse ancora tutta quest’energia…”
“Errore strategico, caro il mio
Cavaliere d’Oro!” –Rise Erik, che sembrava aver ritrovato il suo abituale
sarcasmo, dopo l’attacco di malinconia che l’aveva invaso per un momento alla
perdita della scure. –“Ma te lo concedo! Del resto, finora avevo combattuto
soltanto usando la mia arma! E sai perché l’avevo fatto? Beh, da un lato perché
non credevo avrei avuto bisogno di giungere a tanto per farti fuori, dall’altro
perché quella scure apparteneva a mio fratello! Era l’arma con cui andava ad
abbattere gli alberi! L’unico segno tangibile che mi era rimasto di lui! E ogni
volta in cui la impugnavo, ogni volta in cui la sollevavo, mietendo una vita,
mi sembrava di essere lui, come avevo desiderato essere da bambino! Un sogno
stupido, in verità, ma in cui ho trovato la forza per crescere e divenire il
più potente dei Sigtívar!”
“Nessun sogno è stupido, Erik, ma è il motore della vita di un uomo!”
–Disse Libra, faticando nel rimettersi in piedi.
“Il tuo, a quanto pare, è rimasto senza carburante!” –Sogghignò il Dio
di Vittoria, bruciando il suo cosmo e generando di nuovo le sagome delle demoniache
creature.
“Le tre bestie… apparse alle tue spalle…”
“Fenrir, Jormungandr
ed Hel!”
“I figli di Loki!” –Annuì Libra. –“Perché ne
disponi? Per quanto tu sia il Comandante dell’Esercito dell’Ingannatore dubito
che quei tre mostri possano rispondere alla tua volontà!”
“Così è infatti! Mi limito ad evocarne le sagome con cui plasmo
l’energia di cui sono padrone, in virtù dell’armatura che indosso! Forgiata
proprio per Loki, eoni fa, che offrì il suo corpo
come modello, in essa è rimasto un frammento della sua Divina Volontà, una
stilla del suo cosmo, sufficiente a donarmi nuove forze! Forze con cui ti
ucciderò! Addio Bilancia! Il piatto della morte pesa per te più di quello della
vita!” –Esclamò, espandendo al massimo il suo cosmo. –“Ruggito del Tramonto!!!”
–E diresse l’assalto delle tre bestie avanti a sé, obbligando il Cavaliere di
Atena a contrastarlo con la più potente delle sue tecniche.
“Colpo dei Cento Draghi!!!” –Tuonò Libra, portando, sia pur a
fatica, entrambe le braccia avanti, a palmi aperti. I dragoni smeraldini
riempirono l’aria, frenando la sanguinosa avanzata dei figli di Loki, che, sebbene fossero solo evanescenze cosmiche,
trasudavano la loro originaria malvagità e oscurità.
I due attacchi restarono in equilibrio per qualche minuto, mentre
attorno rilucevano scintille di energia e le corazze dei due sfidanti
sfrigolavano al contatto con tale devastante potere. In virtù della maggiore
capacità di resistenza, e della forgiatura nel fuoco di Muspellsheimr,
l’armatura di Libra riuscì a sopportare la pressione; ugualmente non poté dirsi
della tanto decantata corazza di Erik, già scheggiata nei precedenti scontri,
che cigolava sinistramente, schiantandosi ogni qual volta una scarica di
energia riusciva a raggiungerla.
Il Rosso Comandante parve non farci caso, troppo preso dalla sua
missione, troppo convinto della propria superiorità, ma Libra, i cui sensi
erano affinati da due secoli di meditazione e esperienza, percepì subito la
differenza. E capì da cosa fosse originata.
Per questo non cedette, portando il cosmo al parossismo, in nome di
tutti coloro che aveva amato nella sua lunga vita. Atena, Shin,
i Cavalieri d’Oro suoi compagni del Diciottesimo Secolo e i pochi che aveva
conosciuto nel Ventesimo, Ascanio, Tebaldo, Fiore di Luna, Sirio, Demetrios.
Tanti volti quante le fauci di drago che sfrecciarono verso Erik, dilaniando le
fiere sanguinarie e azzannando poi il suo corpo.
Lentamente ma inesorabilmente, il Rosso Condottiero sentì la propria
forza venire meno, e soprattutto le sue certezze di vittoria vacillare, una
sensazione che fino a quel momento non aveva neanche immaginato. Una sensazione
che gli ricordò la disillusione provata diciotto anni prima, davanti al
cadavere di suo fratello, l’uomo che aveva considerato un eroe. Il suo eroe.
Di colpo, capì che non gli era rimasta più alcuna certezza e, in
qualunque modo sarebbe terminato quello scontro, egli aveva perso.
Le zanne dei Cento Draghi lo raggiunsero al ventre, alle braccia,
mentre frammenti di armatura schizzavano ovunque, macchiati del sangue del Dio
di Vittoria. Un drago lo azzannò alla mano destra, strappandogliela, e capì che
non avrebbe impugnato più alcuna scure, neppure quella di Bjorn. Un altro gli
portò via un pezzo di guancia, sfregiando il suo volto più di quanto la guerra
di Iisung non avesse fatto. Infine, l’ultimo drago
gli sfondò il cuore, trapassandolo e portandolo con sé.
Esalò così l’ultimo ruggito il Comandante degli Dei di Vittoria, con il
braccio destro ancora teso avanti a sé, nella posa della pugna, grondante
sangue e amarezza.
Libra abbassò finalmente le braccia, respirando con affanno per il duro
scontro. Sebbene la vera forza del suo avversario non fosse valutabile, avendo
ricevuto aiuto e protezione dal suo compagno e da Loki
stesso, il Cavaliere dovette ammettere di provare ammirazione per lui,
nonostante il suo carattere sanguigno. Nel momento in cui aveva capito che Erik
traeva forza dall’armatura, aveva diretto i suoi attacchi su di essa,
distruggendola, e distruggendo con essa le speranze di vittoria di un Dio che
non si era rivelato tale.
In quel momento il corpo di Erik crollò a terra, accasciandosi
confusamente, prima che l’uomo riuscisse ad emettere un altro suono, spingendo
Libra a correre da lui e a chinarsi, reggendogli la testa con una mano.
A fatica, Erik tentò di parlare, ma gli occhi vitrei si ritrovarono a
fissare presto il cielo. Libra aveva però compreso quel che il nemico gli aveva
chiesto.
“Hai trascorso la vita con un’arma in mano, brandendola in nome del tuo
eroe personale! Che sia un’arma allora a farti dono del riposo eterno, Erik di Iisung!” –Mormorò, sollevando la spada dorata e
piantandogliela nel cuore.
Erik sussultò un’ultima volta, poi morì. Il più grande dei cinque Sigtívar.
***
Ioria rimase ad occhi sgranati nell’udire le parole del Signore
dell’Isola Sacra.
Com’era possibile che egli fosse responsabile della morte di Micene?!
Aveva sempre saputo che suo fratello era stato massacrato da Gemini e da Capricorn. Non riusciva a capire in che modo Avalon avrebbe
potuto…
“Non l’ho ucciso io, se è questo che ti stai chiedendo! Ma avrei potuto
salvarlo! Se avessi compiuto scelte diverse, quest’oggi Micene potrebbe essere
ancora vivo e lottare assieme a noi!” –Esclamò Avalon, richiamando l’attenzione
del Leone d’Oro.
“Le vostre parole sono criptiche, mio Signore! Spiegatevi meglio, vi prego…”
Avalon annuì, facendo cenno a Ioria di seguirlo, e si incamminò lungo
un sentiero che dalla palude saliva sulla collina principale dell’isola,
girandole attorno, in modo da abbracciarne la sua intera estensione. Non molto
grande, in verità, ma sufficiente per permettere ai due uomini di parlare senza
essere disturbati da nessuno.
“Micene è stato un mio allievo!” –Spiegò Avalon, sorprendendo Ioria,
che non aveva mai saputo chi fosse stato ad addestrare il fratello. –“Anzi,
Micene era il mio allievo! E, per molto tempo, ho creduto che fosse
destinato a succedermi alla guida dell’Isola Sacra, il giorno in cui avrei
esaurito il mio compito! Era un ragazzo talentuoso, dotato di grandi capacità
di apprendimento, fisiche e mentali, che lo avevano portato a sviluppare in
poco tempo una forza fuori dal comune! Persino tra i suoi pari, voi i Cavalieri
d’Oro, ben pochi avrebbero potuto tenergli testa… se
fosse divenuto il Cavaliere che avrei voluto divenisse!” –E nel dir ciò si
abbandonò ad un sospiro, camminando per qualche minuto in silenzio, mentre una
brezza leggera solleticava il manto d’erba che si estendeva attorno al
sentiero, scuotendo i rami degli alberi di mele.
“Voi… sapete quel che accadde quella notte?!”
“Sapere?! Ooh, molto di più! Io vidi quello
che accadde!” –Esclamò Avalon, fermandosi e voltandosi di scatto verso il
Cavaliere d’Oro. –“E l’ho rivisto per anni, senza bisogno di muovere le acque
del Pozzo Sacro per rinverdire i ricordi, vividi nella mia mente! Anche adesso,
riesco a sentire le stesse voci di dolore! Gli stessi frammenti di presente!”
“Ho conosciuto il tuo allievo! E devo dire che in parte ti somiglia!”
–Gli aveva detto quel pomeriggio la figura maestosa a cui si era recato a fare
visita.
“Davvero?! E in cosa mi somiglia, Sommo Ra?”
Amon Ra, Dio egizio del Sole, si ergeva al suo fianco, splendido nella sua
Veste Divina decorata da strisce d’oro. Nonostante avesse trascorso gli ultimi
secoli rinchiuso in una prigionia personale, l’aria del presente sembrava
avergli reso tutte le forze, consapevole forse che ne avrebbe avuto bisogno per
fronteggiare l’ombra.
“Nei suoi occhi c’è la tua determinazione, la tua fede incrollabile, la
strada verso il futuro!”
Avalon aveva annuito, muovendosi per uscire da Karnak, ringraziando la
Divinità per il banchetto privato che gli aveva offerto, durante il quale
avevano avuto modo di parlare di suo figlio, Febo,
appena giunto sull’Isola Sacra per essere addestrato. Il primo di tanti
clandestini incontri tra le due potenti entità.
“Pur tuttavia…” –Lo aveva richiamato Amon Ra. –“Qualcosa di terribile presagisco! Qualcosa su
cui neppure noi Dei abbiamo il potere! Una maledizione, sì, che grava sul tuo
allievo! Ooh, perdonami, Signore dell’Isola Sacra,
sei giunto fin qua, nelle calde terre d’Egitto, per portarmi buone notizie
sulle sorti di mio figlio ed io come ti ricambio? Parlandoti di un maleficio
che aleggia sul tuo allievo! Penserai che sia uno zotico!”
“No, Dio del Sole, penso che la tua fama corrisponda alla verità, e che
l’occhio di Ra sia davvero in grado di vedere laddove gli altri occhi non
riescono!” –Aveva risposto Avalon, prima di scomparire e tornare in Britannia.
Ore dopo, quella stessa notte, aveva sentito una lama d’ombra
trafiggergli il cuore. Si era alzato dal giaciglio dove riposava, correndo
affannosamente fino al Pozzo Sacro, le vesti argentee che fluttuavano
sull’erba, una lanterna in mano. Ma non aveva potuto vedere niente, poiché le
acque erano nere.
Allora aveva fatto ciò che il suo maestro gli aveva insegnato, aveva
chiuso gli occhi per osservare con una vista diversa. E aveva rivissuto in
prima persona quel che era accaduto al Grande Tempio di Atene.
Aveva sentito l’angosciato respiro del fasullo Sacerdote, aveva visto
il gladio d’oro scintillare pallido, prima di calare sulla culla dell’infante
Dea, e il sangue del suo allievo macchiarlo poco dopo, sventando l’assassinio.
Poi le immagini si erano accavallate frenetiche, tra grida disperate, armi e
fuga, e quando gli era stato chiaro dove lo avrebbe trovato, Avalon aveva
deciso di fare ciò che nessun Signore dell’Isola Sacra aveva fatto fino ad
allora. Era scomparso, deciso ad interferire negli eventi in corso.
Si era ritrovato ad Atene, presso le rovine del Partenone, le prime
luci dell’alba che sorgeva da est, pochi attimi dopo che Alman
di Thule se ne era andato. Con la piccola Isabel e
l’armatura del Sagittario. Il corpo di Micene giaceva di fronte a lui, debole e
febbricitante, solcato da tagli aperti e lividi. Lo aveva sfiorato,
avvolgendolo nel suo cosmo, fino a farlo voltare e rendersi conto che degli
occhi vispi in cui si era specchiato per anni era rimasto ben poco.
“Ma…estro…” –Aveva
mormorato tramite il cosmo il Cavaliere di Sagitter.
“Non parlare! Ti porterò in salvo!”
“No!” –Due sole lettere. Una sola parola. L’ultimo desiderio
dell’allievo in cui aveva riposto la fiducia nel futuro.
Così era spirato tra le sue braccia, il più valente dei Cavalieri d’Oro
di Atena.
“Avrei potuto salvarlo… se avesse voluto! Se
avessi voluto…” –Mormorò il Signore dell’Isola Sacra,
spostando di nuovo lo sguardo su Ioria, che aveva ascoltato in silenzio il suo
racconto, incapace di dire qualsiasi cosa, incapace persino di rivivere quei
momenti tristemente noti. –“Ma lui si oppose! Micene era convinto che esistesse
una sola vita per ognuno di noi e che fosse proprio questa unicità a renderla
così bella, così importante, così degna di essere vissuta! La certezza di non
averne un’altra a disposizione dovrebbe spingere ogni uomo a dare il massimo, a
viverla intensamente, senza rimpianti! Così fece lui, portando all’estremo
questo suo credo, morendo… per qualcosa in cui
credeva!
Rispettai la sua scelta, tenendogli la mano ancora per pochi secondi,
il tempo sufficiente per sentirla lasciare la presa e ricadere al suolo,
finalmente in pace!” –Sospirò Avalon, trattenendo un singhiozzo, come invece
non era stato in grado di fare quella mattina di quindici anni prima.
–“Sollevai infine il suo corpo, avvolgendolo nel mio mantello, e lo portai ad
Avalon! Volevo che avesse il rito funebre che spettava ad un eroe suo pari, non
che finisse anonimo e disonorato in chissà quale fossa comune! Così lo pulii,
gli diedi abiti nuovi e assieme ai druidi miei compagni lo portammo sull’alto
colle di Avalon, dove allestimmo una pira in suo onore! Proprio qua…” –Aggiunse, spostando il braccio e mostrando a Ioria
la sommità del rilievo ove erano giunti camminando.
Una spianata verde circondata da alti megaliti di pietra, simili a quelli
che il ragazzo aveva visto a Stonehenge nelle foto degli atlanti di Lythos, qualche anno addietro.
“Ecco perché il suo corpo non fu mai trovato…”
Avalon annuì, portandosi col Cavaliere al centro del cerchio sacro.
“Al Grande Tempio misero una tomba fittizia, per dissipare ogni ansia!
Lo stesso Arles cercò il cadavere di tuo fratello per
anni, senza trovarlo, roso addirittura dal dubbio che potesse essere ancora
vivo!” –Spiegò Avalon, prima di aggiungere rattristato. –“E avrebbe potuto esserlo… Invece è passato oltre, in un luogo dove non
possiamo raggiungerlo, per adesso! Ma il suo spirito, forte e tenace, è
perdurato, rimanendo nell’armatura d’oro e sollevandosi ogni volta che la
giustizia sulla Terra è stata minacciata! Come ha aiutato te contro i Titani, e
Pegasus e i suoi compagni nelle battaglie che hanno
sostenuto, e come continuerà a fare fino all’ultima guerra!”
“Perché mi state dicendo tutto questo?” –Domandò infine Ioria, la voce
in parte rosa dalla rabbia.
“Perché per anni sono stato convinto di aver agito bene, rispettando la
volontà di Micene, convinto che ogni cosa avesse il suo posto nell’universo! I
Cavalieri nascono per combattere, gli Dei per essere venerati e i controllori
per controllare e garantire l’equilibrio!” –Sospirò Avalon. –“Ma oggi una
decisione di Zeus ha minato per la prima volta le mie certezze, portandomi a
chiedere cosa sarebbe stato se… portandomi a chiedere
cosa sarebbe accaduto se avessi alterato l’equilibrio che sono preposto a
difendere!”
Ioria non parlò, continuando ad osservare l’enigmatico uomo che aveva
di fronte.
“Di certo Micene avrebbe compiuto grandi imprese e tu non avresti
sofferto quel che invece hai patito per anni! Perdonami se puoi, Ioria del
Leone, perdona il responsabile del tuo dolore! Non ti biasimo se mi odi, anzi
lo comprendo, ma ciò che ho fatto, o che non ho fatto, non è stato per
indolenza o malvagità, ma per rispettare la volontà di tuo fratello, convinto
che tutto, persino lui stesso, facesse parte dell’equilibrio, un equilibrio che
nessun baro può permettersi di manipolare!”
Il Cavaliere di Atena rimase ancora in silenzio, prima di volgere le
spalle al Signore dell’Isola Sacra e muovere qualche passo all’interno del
cerchio di pietre, respirando a fondo l’aria di quel paesaggio, che pareva
trarre origine e forza da millenni di storia.
“Per troppo tempo il mio cuore angosciato ha coltivato l’odio, verso un
eroe che non era tale, corrompendo il mio animo e abbandonandomi al rancore! Di
questo, per tredici anni, mi sono cibato!” –Avalon fece per intervenire ma
Ioria sollevò una mano, pregandolo di farlo terminare. –“Solo in seguito ho
capito che tutto quell’odio non era per mio fratello, ma per me! Per non aver
capito! Per non aver creduto in lui! Scoprire la verità, scoprire quel che probabilmente
avevo sempre saputo ma ero stato troppo vigliacco per ammettere, è stata per me
una liberazione, un’esplosione di gioia come nessun’altra nella mia vita! Non
ho intenzione di tornare indietro, Signore dell’Isola Sacra, non ho intenzione
di tornare a odiare, né me stesso né voi, il maestro di mio fratello, colui che
ha contribuito a renderlo il grande uomo che è stato!”
Avalon sorrise, lasciando ancora qualche minuto a Ioria per assimilare
tutte le notizie che gli aveva riferito e per permettergli di inspirare a fondo
l’ancestrale aria che permeava la sommità dell’Isola Sacra, in modo da trarne
la forza necessaria per abbattersi come un leone sui suoi nemici.
“Prima di andartene, c’è una cosa che voglio darti!” –Gli disse poco
dopo, sulle soglie della sua dimora, porgendogli un sacco. –“Sono gli abiti di
Micene, i suoi calzari, la sua tunica, persino la fascia che legava intorno
alla testa nell’allenamento! Li ho conservati per anni, certo che un giorno
avrei avuto occasione di darteli!”
Ioria lo ringraziò, stringendo il fagotto al petto quasi come
contenesse reliquie, prima di discendere insieme il versante dell’Isola Sacra,
dirigendosi verso il molo di legno vicino al quale si era ritrovato dopo il
teletrasporto.
“Il tuo ruolo non deve essere facile, Signore dell’Isola Sacra, amato e
al tempo stesso odiato da molti! Hai in mano i destini del mondo, ma dubito che
tu ne sia felice, perché ne percepisci il peso, proprio come Micene percepì il
peso della scelta che fece quella notte, quando salvò la bambina in fasce mosso
solo dal cuore!” –Parlò Ioria, continuando a scendere assieme ad Avalon.
–“Continua nella tua opera, tira a dritto, e non curarti delle critiche, che
sempre pioveranno, anche sugli uomini onesti! Io farò altrettanto, continuando
l’opera di mio fratello! Il martirio di Micene, l’infamia che ha segnato il suo
nome, saranno esempio per tutti noi!”
“Sei proprio l’erede di Adamant!” –Disse
Avalon, ringraziandolo con un sorriso.
“Chi è costui? Il suo nome non mi è nuovo…”
“Forse tuo padre, il valoroso Agamennone, te ne parlò quando eri un
ragazzino! Era un eroe, un Cavaliere dei tempi antichi. E come tale era un uomo
solo! Come te!”
“E anche come te!” –Commentò Ioria.
“Micene lo era, io non credo di esserlo, un eroe!” –Sospirò Avalon,
avvolgendo il Cavaliere d’Oro nel suo cosmo e osservandolo svanire nell’aria.
–“Che le tue zanne siano sempre pronte a combattere per la giustizia, giovane
Leone, perché neppure Adamant e Micene potranno
aiutarci per contrastare la marea d’ombra!”
“Ti sei tolto finalmente un peso!” –Esclamò una voce alle sue spalle.
Avalon si voltò, annuendo al suo maestro, il Primo Saggio della
fratellanza dei druidi, incamminandosi al suo fianco verso il Pozzo Sacro.
Sentiva che l’altro suo allievo, quello che aveva preso il posto di Micene,
dopo la sua dipartita, aveva bisogno di lui.
***
Ioria ricomparve esattamente dove Avalon lo aveva trascinato via, nel
cuore della battaglia che opponeva i soldati di Atena agli ultimi invasori.
Con un ruggito si abbatté sui Soldati di Brina ancora in vita, sorpresi
dalla sfolgorante apparizione, che non ebbero la prontezza di sollevare le
armi, venendo dilaniati dalle fauci del re delle fiere e scaraventati in aria,
le corazze fumanti energia cosmica.
Soltanto un gruppo rimase in piedi, ammassandosi compatti e sollevando
congiuntamente le lance in modo da dirigere un unico raggio di energia
congelante verso il Cavaliere di Atena.
“Stolti!” –Mormorò Ioria, rotolando di lato, evitandolo, prima di
piantare un pugno nel terreno e scaricarvi il suo cosmo d’oro. –“LightningFang!”
–Gridò, osservando numerose folgori di luce sorgere dal suolo ai piedi dei
Soldati di Brina, distruggendo le loro armi e schiantando i loro corpi tra
grida acute.
Dopo che anche l’ultimo nemico crollò a terra, Ioria si rimise in
piedi, volgendo lo sguardo verso la scalinata che conduceva alla Casa dell’Ariete,
sui gradini della quale Libra si era appena seduto, stanco per il combattimento
sostenuto. Il Cavaliere di Leo gli si avvicinò, ma prima che entrambi potessero
parlare percepirono una violenta esplosione di energia dilaniare il Santuario
dall’interno. Ioria sollevò lo sguardo sulla Collina della Divinità, fino a
posarlo sulla ricostruita Sesta Casa e capire cosa stava accadendo.
Il Cavaliere di Virgo era nel pieno di uno
scontro mortale.
Capitolo 31 *** Capitolo ventinovesimo: Frammenti di passato ***
CAPITOLO VENTINOVESIMO: FRAMMENTI DI PASSATO.
Sedeva Virgo in intensa meditazione al centro della Sesta Casa. Da ore
cercava di comprendere cos’era quell’ansia infinita che l’aveva aggredito
quella mattina, poco prima che Atena raggiungesse il Grande Tempio. Per questo
motivo aveva rifiutato di prendere parte alla riunione che si era svolta alla
Tredicesima Casa, rinchiudendosi in un volontario isolamento. Doveva capire.
Sì, doveva scavare a fondo nelle memorie del mondo per capire cosa stava
realmente accadendo, conscio di possedere le capacità per farlo.
Il risveglio dei morti. Lo scioglimento degli antichi legami. La
liberazione di creature infernali. Il crollo del Ponte Arcobaleno, la tremula
via che collegava il mondo degli uomini con quello degli Dei. E, su tutti,
un’ombra senza fine, che freddi venti stavano diffondendo in modo che
ricoprisse l’intero pianeta.
Virgo era certo che tutti quegli eventi fossero collegati tra loro, al
pari delle guerre sostenute di recente e che avevano illusoriamente creduto
fossero giunte a termine.
Chi era davvero Flegias? Possibile che il
figlio di un Nume Olimpico disponesse di tutto quel potere, superiore persino a
quello dei suoi divini fratelli, Paura e Terrore? Si chiese il Custode della Porta Eterna. E
perché non riesco a trovarne traccia in alcuno dei sei Mondi di Ade?
Non era mai accaduta una cosa simile, soprattutto relativa ad un uomo
che all’Inferno doveva per forza essere finito. Nessun Paradiso dei Cavalieri,
nessun Elisio, nessuna beatitudine ultraterrena poteva essergli stata
prospettata a causa dei malvagi comportamenti avuti. Eppure l’Ade sembrava
ignorarlo, sebbene Virgo avesse incontrato impreviste difficoltà nello
scandagliare con il cosmo l’Aldilà, incerto se esistesse ancora nelle forme con
cui lui stesso lo aveva conosciuto o se, dopo la morte di Sire Ade, anche il
regno da lui dominato non avesse mutato conformazione.
Un’evoluzione continua.
Così era la vita. Lui stesso ne aveva avuto prova nell’ultimo anno, quando
aveva attraversato fasi diverse, diventando meno freddo nei rapporti
interpersonali e abbandonando parte di quel superomismo dal cui alto gradino
aveva sempre guardato gli altri. Ed erano state delle persone comuni a
permettere che ciò accadesse, persone che, nella divisione in caste tipica
della società indiana in cui era cresciuto, avrebbero occupato l’ultimo gradino
della scala sociale.
Phoenix in primis, che gli aveva insegnato il significato di una virtù
da Virgo nota ma accantonata. L’amicizia. E i suoi discepoli, Pavit, Tirtha e Dhaval, che lo avevano salvato da morte certa, nonostante
egli li avesse dimenticati. A loro, Virgo doveva la sua nuova vita. E, per
onorarli, avrebbe dato fondo a tutte le sue risorse al fine di far luce sul
mistero che li circondava, un mistero ben più oscuro di come appariva.
È stato atteso per anni, maRagnarök si è verificato soltanto adesso. Perché adesso,
alla fine di questo millennio? Certo non è data casuale. E chi era
questa Veggente, o Volva, che lo profetizzò? Come poteva sapere quel che
sarebbe accaduto? Possedeva davvero una Vista così acuta da poter mirare secoli
e secoli nel futuro? O i suoi erano soltanto i timori di una vecchia che aveva
vissuto sulla propria pelle gli orrori di un tempo che temeva si sarebbe
presentato di nuovo?
Virgo non seppe rispondersi, ma
continuò le proprie meditazioni, lasciandosi cullare dal vento del tempo e
vagando indietro, agli albori della storia. Per un momento gli sembrò quasi di
vederla, la Veggente. Un’esile donna, vestita di grigio, un abito quasi
monacale, con un cappuccio sulla testa. Spaventata, si guardava intorno ma… intorno non vi era niente. Solo un colle erboso,
costellato da alberi di mele, sprofondato in una coltre di nebbia. Così fitta
che pareva non avere fine.
Una luce baluginava fioca sulla
fronte della donna, una mezzaluna azzurra, dipinta a mano con una tinta
naturale.
Virgo la osservò discendere il
colle, lasciandosi le nebbie alle spalle, e incamminarsi verso la solitudine.
La perse di vista, faticando a mantenere la concentrazione su visioni che non
riusciva a comprendere, visioni che sfuggivano al suo raziocinio.
Quando riuscì a focalizzare di
nuovo l’immagine, realizzò che la Veggente stava correndo, ma si era mutata in
un carro di luce. No, non era lei. Era il sole che roteava attorno alla Terra,
portando agli uomini luce e speranza. Alle sue spalle un serpente gigantesco
correva per raggiungerlo, le fauci aperte e pronte a liberare veleno.
Nell’aria risuonavano parole di
un canto che Virgo conosceva, avendo studiato tale cultura. Chinati davanti a te stanno gli
dei, lodando la forza del creatore. Re e capo di ogni dio, noi celebriamo la
tua forza perché tu ci hai creati. Ti veneriamo perché tu ci hai formati.
Versi tratti dagli Inni di Amon.
Amon
Ra e Apopi? Mormorò il Custode del Sesto Tempio,
il volto una maschera di sudore, ricordando uno dei capisaldi della mitologia
egizia. Il ciclo del sole che rinasce ogni mattina, dando vita a un nuovo
giorno, come dopo ogni morte segue una nascita.
Cosa stava accadendo? Perché
le immagini del grande carro su cui il Dio del Sole Egizio e il Serpente del
Caos combattevano ogni notte si affastellano nella mia mente? Si chiese,
prima di realizzare che nuovamente la scena era cambiata, espandendo lo scontro
tra le due ancestrali Divinità in una vera e propria guerra.
Eserciti bardati di scure
armature, dalle forme inquietanti, marciavano sotto un sole nero alla volta di
un colle dove scintillavano fiori di luce. Spade levate assieme, canti di
gloria e di morte, propositi di vendetta. E sagome corazzate di figure che lui
stesso aveva incontrato anni addietro.
I Titani.
Virgo riconobbe la postura
fiera di Iperione dell’Ebano che avanzava di fronte
ai soldati da lui comandati, dando l’esempio ai martiri che quella guerra
avrebbe generato. Al suo fianco l’adorato fratello, Ceo
del Lampo Nero, e il folle sguardo di Giapeto delle
Dimensioni, che guardava a vista l’amata Temi. Già all’epoca il loro amore
era così forte da ribaltare mondi.
La Titanomachia. La
cruenta guerra che i discendenti di Gea e Urano
avevano scatenato per riprendere l’Olimpo da cui Zeus li aveva cacciati.
L’Olimpo che loro stessi, grazie all’uccisione di Urano per mano di Crono,
avevano conquistato con il sangue, dando il via alla seconda generazione
cosmica, quella che aveva seguito la prima, degli Dei primordiali.
Solo pochi anni fa siamo riusciti a evitare che il mondo conoscesse di
nuovo una simile carneficina… Mormorò, quando qualcosa spezzò la sua
concentrazione. Fu un attimo, ma sufficiente per interrompere la visione e il
viaggio nei ricordi del mondo.
Qualcuno era entrato nella Sesta Casa.
Con gli occhi ancora chiusi e le mani giunte in grembo, Virgo
scandagliò le mura della propria dimora per individuare la presenza che aveva
percepito. Leggera, come un fiocco di neve, ma reale. La sentiva, così vicina a
lui.
Infine la trovò, e rimase sorpreso nel constatare che si trattava di
una fanciulla, magra e dal carnato emaciato. Gli occhi erano spenti, privi di
colore, e i capelli grigi poco curati ricadevano su vesti grinzose così fini
che sembrava non le indossasse neppure. Camminava scalza sul ricostruito
pavimento di marmo del Tempio della Vergine, ma i suoi piedi non producevano
alcun rumore.
“Ad un uomo normale saresti potuta sfuggire! Forse anche ad un Cavaliere!”
–Parlò infine Virgo, senza muovere le labbra, ma lasciando che fosse il suo
cosmo a raggiungere l’imprevisto ospite. –“Ma non a me!”
“Lo so!” –Rispose prontamente lei. E quelle due parole ghiacciarono il
Custode Dorato, che accigliò lo sguardo, pur senza aprire i suoi occhi,
tentando di penetrare nella sua anima. Ma non vi riuscì.
Un muro di vuoto la protegge. Un muro che sembra composto di… niente.
“Chi sei?” –Domandò allora, mentre l’esile fanciulla, quasi incorporea,
si fermava al centro del salone principale, proprio dove Gemini, Acquarius e Capricorn avevano
espresso il loro proposito di prendere la testa di Atena.
“Il tuo rimpianto!” –Rispose, muovendo un altro passo avanti. E un
altro ancora, fino a portarsi a pochi metri dal Cavaliere della Vergine. –“Mi
sorprende che tu non mi riconosca, maestro! Hai già accantonato quel
rimpianto?”
Virgo, incredulo, inarcò un sopracciglio, prima di parlare con voce
adirata. –“Mentitrice! Vi è una sola persona che potrebbe rivolgersi a me in
questo modo, e quella persona è morta due anni fa!”
Uccisa da me!
Aggiunse il suo cuore ferito.
“Ma adesso è qua, per vendicarsi del suo carnefice, l’uomo che amava
più di ogni altro al mondo! L’uomo che rimase impotente ad osservarla morire!”
–Esclamò lei, allungando il braccio e sfiorando il collo del Cavaliere d’Oro,
torcendogli il viso verso l’alto e obbligandolo a guardare.
Virgo spalancò gli occhi, perdendosi nello sguardo della fanciulla. In
quegli occhi vitrei da cui trasudava il nulla. In quegli occhi che un tempo
erano appartenuti ad Ana, Sacerdotessa del
Pittore, e sua allieva.
***
Artax guidò Cristal lungo le desolate distese di Niflheimr, dove nessuno dei due avrebbe pensato di tornare.
Nonostante il rigido clima fosse per loro più sopportabile che non l’infuocata
landa di Muspellsheimr, il continuo turbinare di
tempeste di neve e la nebbia perenne non favorivano la loro avanzata, al punto
che persino Artax in alcuni momenti era stato
dubbioso sulla direzione da seguire. Ma non aveva detto niente, rifiutando di
farsi vedere indeciso dall’antico rivale, ed era andato avanti.
Cristal, dal canto suo, lo aveva seguito senza aprire bocca, ben sapendo che
senza il suo aiuto starebbe ancora girando attorno alla Porta dell’Inferno.
Aveva udito, in un paio di occasioni, una voce lambire il suo orecchio, una
voce dolce che gli aveva scaldato il cuore e che era certo appartenesse a Flare. Preghiere a cui la Principessa si era abbandonata
nella sua solitudine. Ma non era riuscito a individuarne la provenienza, sia a
causa dell’oscura nebbia che inibiva i sensi, sia a causa dell’infiammarsi di
cosmi che striavano il cielo di Hel. Cosmi che, lo
sapeva, appartenevano ai Vani guidati da Freyr
intenti a fermare i Giganti di Brina. In quello sfrigolare continuo, Cristal parve riconoscere anche un paio di cosmi noti, ma
non seppe dirsi con certezza da dove provenissero, né se fossero al contrario
frutto della sua immaginazione, del suo desiderio di sapere i compagni vivi.
“Ci siamo!” –La voce di Artax, artefatta
dalla visiera dell’elmo, lo distrasse dai suoi pensieri, mentre il ragazzo
aumentava l’andatura, indicando una macchia nera che si apriva di fronte a
loro. Una chiazza evidente nella sterminata distesa di bianco.
Appena varcata la Porta di Hel, il Cavaliere
di Asgard gli aveva spiegato che Lyngi era l’isola
dove gli Asi avevano incatenato Fenrir
millenni addietro, al centro di un lago sotterraneo nel profondo inferno. Se
Loki, dopo aver superato Bifrost,
si era occupato personalmente della liberazione dei figli, era probabile che
avesse lasciato Flare proprio là. Portarsela dietro,
a quel punto, l’avrebbe resa soltanto un’inutile zavorra, facendola oggetto
dell’insaziabile appetito di una qualche orrida creatura.
Con un balzo, Cristal e Artax
entrarono nell’enorme caverna sotterranea, affondando nelle vischiose acque del
lago Amsvartnit. Disgustato da quel fetido
odore, il Cigno espanse il proprio cosmo, congelandole interamente, permettendo
ai due Cavalieri di corrervi sopra, in direzione dell’isoletta. Brulla e con pochi
massi sparsi, a uno dei quali una piccola figura era stata incatenata.
“Flare!!!”
–Gridò Cristal, lanciandosi avanti, prontamente
affiancato da Artax. Ma la Principessa di Asgard non
rispose, avendo perso conoscenza a causa del freddo e delle emozioni provate.
Non riuscirono però a raggiungerla che una folata di vento gelido li
strattonò, sollevandoli da terra e spingendoli indietro, fino a schiantarli
nell’ammasso congelato di acque stagnanti. Con le ossa doloranti, Cristal e Artax si rimisero in piedi,
mirando la causa di quella corrente improvvisa.
Di fronte a loro, orribile come l’ultima volta in cui l’avevano vista
strillare di paura sotto uno strato di ghiaccio, la figlia di Loki, Hel, Regina del Niflheimr, li osservava con i suoi occhi spaiati.
Bianco e senza iride quello sul lato del volto da vecchia, blu e glaciale
quello sul lato in cui aveva ancora una parvenza di donna.
“Ci rivediamo, Cavalieri!” –Sibilò, smuovendo la scopa di saggina che
reggeva in mano. –“Vorrei dirvi che è un piacere! Ma in realtà non lo è! O per
lo meno non lo sarà per voi!” –E nel dir questo mosse l’utensile verso
l’esterno, in modo da generare un’onda di energia che sfrecciò verso i ragazzi,
frantumando il ghiaccio al suo passaggio e obbligandoli a separarsi e a scattare
ognuno in una diversa direzione.
“Non possiamo esitare con lei, Artax!
Sappiamo di cosa è capace!” –Incalzò Cristal,
concentrando il cosmo sul pugno destro e liberando la Polvere di Diamanti.
Artax, dall’altro lato, concordò, unendo il proprio
potere a quello del Cavaliere, dirigendo l’intero ammasso congelante verso Hel.
Con un sorriso bastardo, con cui mostrò i pochi e putridi denti
rimasti, la figlia di Loki aprì le braccia, lasciando
che le correnti di gelo le scivolassero addosso, senza smuoverla minimamente,
né congelarla. Parve quasi nutrirsi di quella forza, prima di ruotare i palmi
delle mani e invertire l’attacco, che si riversò contro i due Cavalieri,
scaraventandoli molti metri addietro.
“In astuzia non siete certo maestri!” –Li sbeffeggiò Hel, incamminandosi verso di loro. Tentò di ridere, ma alle
orecchie di Cristal giunse solo una raschiata di
gola. –“Per chi ha trascorso la vita immerso in un gelo ben più pungente e
oscuro, la vostra brezza mi solletica le gambe! Volete forse alzarmi la veste,
bei ragazzi? Ighighigh!”
“Cercherò di tenerla impegnata! Tu libera Flare!”
–Mormorò Cristal, rimettendosi in piedi, salvo poi
accorgersi che Artax, nell’urto, aveva perso i sensi.
“Quando Loki mi ha affidato l’ordine di
ridiscendere nel Niflheimr ho tirato un sospiro di
sollievo! Saprai bene che nel corso dei millenni raramente sono uscita dalla
mia residenza, e se l’ho fatto, ighigh, è stato solo per portare morte e sventura!”
–Sghignazzò Hel. –“Al mio passaggio le genti si
chiudevano in casa, barricando le porte, come se simili difese potessero
fermare la morte! Ighighigh! Poveri stolti, la morte quando arriva non guarda in
faccia a nessuno! Re e soldati, contadini e sacerdoti, ammalati si son tutti e
poi caduti ad un sol colpo di ramazza!”
“Bastarda! Ti toglierò quell’arma che troppe vittime ha mietuto! Anche
oggi, tra i valorosi Einherjar!” –Ringhiò Cristal, sbattendo i pugni avanti e liberando un vortice
turbinante di energia.
La Dea lo sorprese di nuovo, andando incontro al suo attacco e
lasciando che la sollevasse da terra, sfruttandone la spinta per balzare verso
l’alto ed eseguire una capriola, non troppo perfetta, fino ad atterrare
sull’isola, a un paio di metri dal corpo esangue di Flare.
“Che cara ragazza!” –Commentò, allungando il braccio destro verso il
suo volto. –“Così delicata! Così fragile!” –Sogghignò, carezzandole il collo
con dita nodose.
“Non la toccare!!!” –Gridò Cristal, facendo
per scattare avanti. Ma bastò che Hel lo fissasse,
con entrambi gli occhi, per bloccarlo sul posto, trafitto dalla consapevolezza
della fragilità di quel momento. Sarebbe bastata una sola mossa, da parte della
Dea, per uccidere la donna che amava.
“Pare che lo scontro sia già finito! Ighighigh!” –Ironizzò Hel, intimando il Cigno di tenersi a debita distanza. –“Mio
padre mi ha raccontato qualcosa sul vostro conto, Cavalieri di Atena! Pare che
siate dei folli altruisti che rischiano ogni giorno la vita, nelle situazioni
più disparate, solo per impedire che qualche Dio realizzi i propri progetti!
Non avete freni, non avete pace, non vi curate di voi stessi, solo degli altri!
Stolti siete, ma me ne rallegro! Così potrò finirti in fretta prima di
raggiungere le radici di Yggdrasill e uccidere quel
damerino impomatato che si ostina ad impedire ai Titani del Gelo di risalire
l’Albero Cosmico!”
“Il Principe Freyr…” –Mormorò Cristal, mentre la Dea strappava un filo dalla scopa.
“Saggina dell’Infermità!” –Commentò, osservando l’esile stelo
allungarsi e conficcarsi nel terreno sotto i suoi piedi, prima di riapparire,
neanche un secondo dopo, accanto al volto di Artax,
che aveva perso l’elmo nello scontro.
“Nooo!!!” –Ringhiò Cristal,
mentre il filo si attorcigliava attorno al collo del Cavaliere di Asgard per
soffocarlo. Ma quando si mosse per avventarsi su Hel,
vide che la donna aveva già puntato un coltello alla tempia di Flare, e il sadico sguardo che gli rivolse gli fece capire
che non avrebbe esistato un istante a piantarcelo.
“A te la scelta, bel biondino! Puoi tentare di salvare solo uno di
loro! La ragazza che ami o il tuo rivale in amore! Non che sia una scelta
difficile, me ne rendo conto, ma questa ti si prospetta! Quale scegli?”
Sospirando, l’allievo del Maestro dei Ghiacci socchiuse gli occhi,
ripensando alle sue lezioni e a quelle apprese in seguito da Acquarius, da Abadir e da Alexer, precursore di tutti loro. Ricordava ancora il loro
ultimo incontro, fuori dalla Cittadella di Midgard.
Prima di andarsene, l’uomo gli aveva donato un’antica moneta, su un lato della
quale era incisa un’immagine del tempio di Delfi, ove risiedeva l’Oracolo di
Apollo nel Mondo Antico, sormontata da un’iscrizione in greco antico.
Gnôthiseautón.
Conosci te stesso.
“E conoscerai l’universo e gli Dei! In questo modo saprai quali sono i
tuoi punti di forza e le tue debolezze e riuscirai a utilizzare le seconde
trasformandole nei primi!” –Gli aveva spiegato Alexer,
prima di andarsene.
“Essere freddo ed esercitare il distacco!” –Ripeté Cristal,
espandendo il proprio cosmo, al punto da saturare l’intera caverna. –“È in
questo modo che ti vincerò, strega!!!”
Nello stesso momento in cui riaprì gli occhi, lasciando esplodere il
suo cosmo, accaddero molte cose, che presero di sorpresa la figlia di Loki. Il filo di saggina che stava soffocando Artax si congelò, andando in frantumi e liberando il
ragazzo, che subito balzò in piedi, sia pur dolorante e ferito, temendo per Flare. Il pugnale che Hel
stringeva in mano venne rivestito da uno strato di ghiaccio così consistente
che inglobò persino la mano stessa e parte del braccio, per quanto la Dea si
dimenasse tentando di distruggerlo. Così facendo, perse di vista Cristal, che scattò verso di lei alla velocità della luce,
con il pugno carico di energia cosmica, colpendola in pieno petto e
scaraventandola molti metri addietro, sull’altro versante del lago. Non la vide
schiantarsi a terra, ma ne sentì il fragore, proprio mentre si chinava su Flare, congelando le catene e spezzandole.
La giovane Principessa era molto debole e aveva il volto pallido, per
la paura e per aver sopportato ore di freddo così intenso, ma mosse comunque la
testa nella sua direzione, incrociando gli occhi azzurri del ragazzo.
“Sei…tu…” –Riuscì
a mormorare.
“Sì, sono davvero io!” –Le sorrise Cristal,
sollevandola e baciandola delicatamente sulle labbra. –“Ti amo! Per gli Dei, ti
amo davvero! Avevo paura di dirlo, avevo paura che questo amore fosse troppo
grande per noi, che non ne fossimo degni, ma l’idea di perderlo, di perderti,
mi avrebbe ucciso mille volte di più!”
“Ti… amo anch’io!” –Rispose la Principessa di
Midgard, lasciandosi abbracciare.
Fu la voce di Artax a interrompere quel
momento di ritrovata intimità.
“Cristaaal!!! Attento!!!” –Gridò, sfrecciando
avanti avvolto nel suo cosmo rossastro. Hel si era
infatti ripresa e stava piombando su di loro con la scopa tesa e migliaia di
fili di saggina pronti a stritolarli, come fossero venefici serpenti.
Artax la raggiunse in volo, proprio sopra la testa di Cristal
e Flare, colpendola con un getto di energia
infuocata, che incendiò i fili di saggina, facendo imbestialire Hel.
“Di che t’impicci, fallito?!” –Ringhiò, muovendo la ramazza e
scaraventando Artax in alto, travolto da un’onda di
energia che lo schiantò contro il soffitto della caverna, distruggendolo,
facendolo poi precipitare a terra.
“Maledizione! Artax!!!” –Cristal
strinse i pugni, depositando Flare a terra e
pregandola di rimanere nascosta. –“Dietro quel grosso masso!” –L’unico rilievo
che poteva dirsi tale su quell’isterilita isoletta.
“Fatti avanti, strega malvagia!” –Esclamò, mentre un cigno ad ali
aperte appariva alle sue spalle, simbolo della sua costellazione. –“Aurora del Nord! Via!!!”
Hel tentò di parare l’assalto roteando la scopa, ma l’onda di energia che
provocò fu troppo debole per contrastare l’impeto dell’aurora, venendo dispersa
e facendo sì che l’arma della Dea venisse raggiunta, congelandosi e andando in
frantumi.
“Finalmente!” –Mormorò Cristal. –“Uno
strumento di tortura durato per secoli che adesso ha smesso di mietere
vittime!”
“Non solo con la scopa posso causare la morte!” –Rispose Hel con voce infastidita per la perdita dell’antico
utensile, uno dei pochi compagni che l’aveva seguito per tutta la sua lunga e
solitaria vita. Così dicendo mosse il braccio destro, finora rimasto
intrappolato nel ghiaccio, lasciando che Cristal
notasse un baluginare intenso provenire proprio dall’interno dello strato di
gelo. Una luce che andò aumentando, fino ad esplodere, liberando l’arto e il
coltello.
“Co… cos’è questa luce?!” –Mormorò,
tappandosi gli occhi con una mano, disturbato da quell’improvvisa luminescenza,
una violenza alla retina abituatasi alla caliginosa aria del Niflheimr.
“È la luce di cui in vita non ho mai goduto!” –Spiegò Hel, mentre tutto il suo corpo parve ricoprirsi di quel
manto dorato. –“Perché Odino me ne privò, relegandomi qua sotto, con due servi
sciatti come compagni, una reggia a forma di bara come casa e un letto di
malattia dove giacere da sola! Anch’io avrei voluto godere della luce del sole,
magari giacendo con Balder lo Splendente, ma mi sono
dovuta accontentare di immaginarlo, ascoltando i racconti di coloro a cui
strappavo la vita, invidiosa che a loro fosse stato concesso di esporvisi! La rabbia che ho covato per secoli adesso la
riverserò su di te, sventurato Cavaliere di Atena! Disgrazia abbagliante!!!”
–Gridò, sollevando le braccia aperte di lato e lasciando che dal suo corpo
sorgesse un’onda luminosa che sfrecciò avanti, fagocitando tutto quel che
trovava sulla sua strada, schiantandosi su Cristal e
scaraventandolo indietro, tra i frammenti del terreno distrutto e della corazza
danneggiata.
Quando il ragazzo si mosse per rialzarsi si accorse che Hel era già su di lui, col braccio teso e Sulltr in mano. Fece per evitare l’affondo, ma non vi
riuscì completamente, venendo ferito di striscio ad un braccio. Tremò,
realizzando che il suo corpo non rispondeva completamente ai suoi impulsi
cerebrali. Una mano in particolare sembrava fremere, scossa da una febbre
improvvisa. E una fitta lo aveva invaso ad una gamba, portandolo a trattenere un
grido.
“Ighighigh! Portatrice di morte e di malattia sono! Un uomo
normale sarebbe già crepato, implorando ai miei piedi di recidere lo stelo
della sua vita, ponendo fine alle sue sofferenze, ma tu, che tanto ami
sacrificarti per gli altri, ti crogiolerai ancora un po’!” –Ridacchiò Hel, avventandosi di nuovo su Cristal,
ma venendo quella volta fermata da una serie di cerchi concentrici di ghiaccio
che la avvolsero.
“Anelli…del…” –Rantolò il Cavaliere, cercando di
rimettersi in piedi e accorgendosi di sputare ogni volta che apriva la bocca,
scosso anche da conati di vomito. Quale che fosse la malattia che Hel aveva scelto per lui, i suoi effetti si stavano facendo
sentire.
“Allunghi solo la tua sofferenza…” –Mormorò
la Dea, spalancando le braccia e liberando il suo attacco, che distrusse gli
anelli di ghiaccio esponendo nuovamente Cristal al
suo potere.
Fu allora che il ragazzo notò un movimento sull’isola, su cui non aveva
più posato lo sguardo da quando Hel aveva iniziato a
brillare. Artax si era ripreso e aveva raggiunto Flare in silenzio sul piccolo rilievo, sia per sincerarsi
delle sue condizioni, sia per prestare aiuto al Cavaliere del Cigno.
Un rumore di ciottoli fece voltare d’istinto Hel,
proprio mentre il grosso masso che Artax aveva spinto
piombava su di lei. Con un agile balzo, la Dea lo evitò, proprio come il
Cavaliere di Asgard aveva previsto.
“Soffio del Meriggio!” –Tuonò, dirigendo torrenti di fuoco su di
lei, ancora in aria, che non ebbe problema alcuno nel disperderli,
annientandoli poi con la Disgrazia
abbagliante, che come l’onda di un maremoto si abbatté violenta sull’isola.
Artax si buttò su Flare,
spingendola a terra e proteggendola con il suo corpo, mentre l’attacco strideva
sulla sua armatura già danneggiata, schiantandola in più punti. A denti
stretti, il ragazzo sogghignò, consapevole di aver dato a Cristal
un momento per recuperare le forze e liberare il più potente dei suoi attacchi.
“Per il Sacro Acquarius!!!”
–L’imperiosa voce del Cavaliere del Cigno confermò i suoi pensieri,
permettendogli di tirare un sospiro di sollievo mentre aiutava Flare a rialzarsi.
“Disgrazia abbagliante!!!” –Rispose Hel,
voltandosi e cercando di fronteggiare la devastante corrente fredda che Cristal gli aveva appena scatenato contro. Ma la maggior
potenza dell’assalto e la lentezza con cui si era opposta permisero alle divine
acque dell’aurora di aver ragione della malattia, travolgendo la Dea e
sommergendola in un rozzo ammasso di ghiaccio, da cui rimase fuori soltanto la
testa.
Per non ripetere errori del passato, il Cavaliere di Atena scattò
avanti, il cosmo biancastro che ricopriva il braccio destro, teso verso l’alto.
Hel parve comprendere quel che sarebbe accaduto e si
abbandonò ad un ultimo disperato grido, forse il primo momento di vero terrore
della sua lunghissima esistenza.
“Spada di Ghiaccio!!!” –Gridò Cristal,
generando un fendente di energia congelante che recise la testa della figlia di
Loki, facendola rotolare per molti metri sul terreno
distrutto.
Fissandola un’ultima volta, disgustato, il Cavaliere la vide caricarsi
di un’ultima luce, la stessa che invase il resto del corpo, venendo da esso
inglobato, prima di esplodere. Tutto andò in frantumi, spingendo persino Cristal, e Artax e Flare, indietro di qualche metro. Quando si voltarono di
nuovo, di Hel non era rimasto niente.
Capitolo 32 *** Capitolo trentesimo: Un rimpianto perduto ***
CAPITOLO TRENTESIMO: UN RIMPIANTO PERDUTO.
L’onda di energia psichica scaraventò il Cavaliere di Virgo contro il
bassorilievo che si ergeva alle spalle del trono sopra il quale era solito
meditare. Accadde tutto in un attimo, mentre, con la mano di quella donna che
le torceva il collo, obbligandolo a specchiarsi nei suoi occhi, ancora
rifletteva sulla veridicità o meno delle sue parole.
“Per i Sigtívar io sono
Modhgudhr, la fanciulla che alle porte di Hel controlla che coloro che varcano
la soglia abbiano il pallore tipico dei morti, per Loki sono uno strumento di
vittoria.” –Parlò la donna dalle eteree quanto orride sembianze. –“Tu puoi chiamarmi
come ti aggrada, anche Ana se quel nome ha ancora un significato per te, oltre
a quello dell’allieva che tradisti. A me, di tutto ciò, ben poco mi cale,
poiché i nomi sono etichette che gli uomini affibbiano alle cose, per
soddisfare il loro bisogno di razionalizzare tutto, ma le cose di per sé sono,
qualunque nome l’uomo dia loro. E la loro essenza va oltre.”
“Che stai dicendo?” –Rantolò Virgo, rialzandosi e portandosi d’istinto
una mano alla gola, quasi come sentisse ancora i segni di una presa in grado di
togliergli il respiro. –“Tu sei Ana, la mia allieva, la Sacerdotessa del Pittor…”
“Taci!” –Sibilò lei, schiantando il Cavaliere d’Oro contro il
bassorilievo alle sue spalle, con la sola forza del pensiero.
Anzi no, rifletté il Custode della Porta Eterna. Ana non usa alcun potere segreto, non
possiede alcuna dote psicocinetica. Lei semplicemente desidera che le cose
accadano, che gli oggetti si muovano, e ciò si verifica.
“Analisi eccellente, maestro.” –Puntualizzò la donna, dimostrando di essere
anche in grado di leggere nelle menti altrui. –“Soprattutto in quelle
facilmente impressionabili, e come tali deboli.” –Aggiunse, con un sorriso
beffardo.
Un sorriso che diede però la forza a Virgo di reagire, torcendo le
labbra spazientito, mentre un’aura di luce dorata circondava il suo corpo,
accompagnandolo nell’atto di recuperare postura eretta, in piedi sul piccolo
palco rialzato. Un attimo dopo aveva già sollevato il braccio destro, volgendo
ad Ana il palmo della mano da cui una silenziosa onda di energia era appena
partita.
La donna, per niente intimorita, si limitò a volgere le spalle al
Cavaliere, lasciando che l’invisibile onda si schiantasse contro un altrettanto
invisibile muro che pareva seguirla ad ogni movimento. L’unica traccia di quello
scontro di energie psichiche comparve sul pavimento, che si crepò in più punti,
schizzando schegge e pietrisco, prontamente disintegrate dal rinnovato attacco
che i contendenti condussero.
“Mi tieni testa, maestro.” –Commentò la servitrice di Loki, puntando lo
sguardo sul Cavaliere di Atena. –“Determinazione encomiabile per un uomo in
punto di morte.”
“Voglio risposte!” –Si limitò ad esclamare il Custode della Sesta Casa,
cercando di recuperare la calma che gli era propria, messa in crisi dalla sorpresa
iniziale.
“Da me ne avrai ben poche, solo condanne.” –E nel dir questo Ana spinse
la mano destra avanti a sé, generando un’onda di energia psichica che frantumò
il pavimento del tempio, abbattendosi sul palco e sul trono a forma di fiore di
loto, sollevandolo e scagliandolo contro Virgo, il quale, con prontezza, uscì
dalla traiettoria dell’attacco appena in tempo, scomparendo nel nulla.
La donna sorrise, prima di voltarsi verso la sua destra, dove
l’elegante sagoma del suo mentore ricomparve nello stesso istante. Lo scontro
tra i loro poteri mentali generò un’onda d’urto che spinse entrambi indietro di
parecchi metri, senza che nessuno, quella volta, potesse evitarlo.
“Credevo tu fossi morta, uccisa da Loto e Pavone... Perché ti sei
venduta al Dio dell’Inganno?”
“Così fu. Ma la vittoria dei tuoi prediletti avvenne solo a causa della
superiorità numerica e del fanatismo integralista che brillava nei loro occhi.
E nei tuoi, che percepii su di me, costanti, per l’intera durata del
combattimento.”
Virgo non rispose, poiché aveva già sostenuto varie volte quella
conversazione dentro se stesso, un processo a cui la sua anima aveva già
partecipato. Come spettatore, imputato e giudice.
“Ne fosti contento? Ti gloriasti di questo successo ai piedi del Grande
Sacerdote, alla cui gonna a lungo ti sei ottusamente strusciato? Mi pare quasi
di vederti sorridere, mentre con la tua maledetta flemma commenti: l’ordine
regna ad Atene.”
“Questa è menzogna, un’inesatta interpretazione dei fatti.” –Commentò
infine Virgo, sorprendendosi per aver alzato il tono della propria voce.
“Davvero?!” –Sibilò la donna che conosceva come Ana, prima di
scagliargli contro una nuova onda di energia psichica, che il Cavaliere parò,
rimanendo fermo davanti a lei e lasciando che si infrangesse sul suo corpo,
circondato da un alone dorato.
“Sì!” –Rispose Virgo, prima di posare lo sguardo fisso su di lei e immobilizzarla.
–“Troppo a lungo mi sono prestato a questo gioco di scherno, ma adesso ho
capito. Tu non sei Ana, di lei hai solo l’odore di un passato bastardo che non
più mi appartiene e che vuoi usare contro di me. Come Eros fece al Tempio
dell’Amore, sull’Olimpo! Ma non basterà questo rancoroso effluvio a piegare il
Custode della Porta Eterna!” –E, nel dire ciò, concentrò il cosmo tra le mani,
liberandolo poco dopo sotto forma di un ventaglio di energia dorata, che si
chiuse di fronte a sé, proprio sulla sua rivale.
“Erri sapendo di errare.” –Commentò questa, cinta e stritolata
dall’assalto energico, che le trafisse il corpo e le vesti, prima di svanire e
rivelare il vuoto lasciato.
Virgo richiuse gli occhi, concentrando i sensi e fendendo la semioscurità
della casa, per percepirne la presenza prima che potesse attaccarlo, quando,
tutto attorno a sé, comparvero decine di sagome eteree, fluttuanti in aria,
identiche all’allieva che aveva addestrato un tempo, il volto macerato
dall’odio e dalla disperazione. La mano che parve calare su Virgo come un
artiglio pronto a strappargli il cuore.
Sospirando, il Cavaliere d’Oro sollevò le braccia verso l’alto, le mani
unite a creare un calice da cui fuoriuscì una marea di oro vivo. –“Abbandono dell’Oriente!” –Gridò, mentre
i marosi di energia travolgevano le languide figure, annientandole una ad una.
Quando l’impeto dell’assalto si spense, Virgo capì di aver fallito, di non
essere ancora riuscito a raggiungerla.
La donna chiamata Ana comparve davanti a lui, dando l’idea di esserci
sempre stata, mescolata alle tenebre che le avevano divorato l’anima. Prima che
Virgo potesse colpirla, ella lo schiantò contro una colonna alle sue spalle,
sollevando il braccio destro e socchiudendo le dita, quasi come stessero stringendo
il collo del Cavaliere.
“Lo sai che sono morta proprio così? Con il collo spezzato. Mentre Loto
mi impediva di muovermi, con i suoi trucchetti mentali, Pavone mi colpì con
forza tale da troncarmi l’osso del collo. Eccoli i tuoi aguzzini, la bieca mano
di Dio.” –Commentò, avvicinandosi a passo lento e strappando, ad ogni passo, un
gemito al Cavaliere, immobilizzato da una devastante forza psichica mai
incontrata prima. Una forza che gli scuoteva ogni muscolo del proprio corpo,
facendo vibrare la dorata corazza, che scricchiolava come se fosse sul punto di
esplodere da un momento all’altro.
“A… Ana… se sei davvero tu, allora saprai quanto mi costò accettare
quell’ordine. Ma erano tempi diversi, tempi oscuri, e la mia fede non poi così
limpida…”
“Tempi diversi, dici, maestro? Perché questi non sono forse tempi
oscuri? L’avvento delle tenebre è iniziato e neppure l’immacolata Vergine d’Oro
potrà fermarlo!” –Sogghignò la donna, così vicina al volto dell’uomo da
potergli sfiorare le labbra con le proprie. Ma, a differenza della morbida
pelle di Ana, che emanava un fresco odore di fiori, quel che cresceva dal corpo
di quella donna era solo un alito di morte.
“Sei pronto per il tuo ultimo viaggio, Caronte dorato?” –Sibilò,
fissandolo negli occhi e portando avanti la mano destra, a guisa di artiglio,
mirando al cuore. Con tutte le sue forze, Virgo mosse un braccio, afferrando la
mano e torcendola, mentre il suo cosmo dorato esplodeva attorno a sé.
“Per il Sacro Virgo! Non
potrai più attaccare né difenderti. Adesso… sei inerme!” –Mormorò, a fatica,
senza suscitare in alcun modo stupore o paura nel volto della donna.
“Come lo fui quel giorno d’autunno? In balia degli attacchi incrociati
di due Cavalieri di rango a me superiore?!” –Rispose tagliente la discepola di
Virgo, liberando il braccio dalla presa dell’uomo e portandolo avanti, con le
dita della mano unite a formare la punta di una spada. Una lama intangibile che
piantò nel cuore del Cavaliere d’Oro senza che egli potesse impedirlo. –“Sono
cresciuta, non trovi?”
Virgo tossì, vomitando sangue e sentendo le forze venire meno, come se
tutto il suo cosmo, tutta la sua energia vitale, venisse risucchiata dall’arto
piantato nel suo cuore, e se non fosse stato per la presa mentale di Ana, che
lo schiacciava contro la colonna, si sarebbe afflosciato sul braccio nemico.
“Come… è possibile?!” –Rantolò, osservando l’arto che, quasi fosse
composto d’aria, aveva trapassato l’armatura d’oro, senza danneggiarla
minimamente. Sollevò lo sguardo, cercando quello della migliore allieva avuta,
ma trovò solo la morte chiusa in quegli occhi vitrei. E allora capì.
Che Ana era morta, uccisa quel giorno da Loto e Pavone, e che soltanto
il fantasma della sua anima era stato risvegliato da Loki e caricato di tutto
il rancore che soltanto un Dio che aveva trascorso millenni a odiare poteva
provare. Non c’era niente, in lei, della fanciulla cui aveva insegnato un
tempo, la Sacerdotessa dal cuore puro che sapeva tramutare in quadri le sue
emozioni.
E capì anche come vincerla, per quanto il solo pensiero lo facesse
soffrire.
Doveva tornare indietro, e ucciderla di nuovo. E uccidere al tempo
stesso i suoi rimpianti, liberandosene definitivamente.
Sospirando, radunò tutto il cosmo di cui ancora disponeva, prima di
liberarlo sotto forma di un’onda di luce che scagliò la donna indietro,
schiantandola contro il portone che conduceva al Giardino dei Salici Gemelli.
Ignorando il dolore al cuore e il fiato che sembrava mancargli, Virgo le passò
accanto, andando oltre e entrando nel luogo dove, mesi prima, aveva affrontato
Gemini, Acquarius e Capricorn.
Della magnificenza di quel parco c’era rimasto poco. Adesso era solo un
terreno brullo e spoglio, al termine del quale due alberi senza foglie si
ergevano a sfidare il tempo. Una memento mori che neppure il Custode della
Porta Eterna poteva vincere. E forse anche un ammonimento sul suo passato.
“Hai scelto il luogo dove morire?” –Lo richiamò la voce stridula della
figura dalle sembianze di Ana.
“Non propriamente. Da questo luogo sacro trarrò la forza per compiere
la mia missione, raggiungendo il mio Nirvana!” –Si limitò a commentare Virgo,
sedendosi in terra, a gambe incrociate, nello spiazzo tra i due alberi. Proprio
dove, nell’originale tempio in India, il Buddha Shakyamuni morì.
“Questi propositi suicidi mi facilitano le cose!” –Sogghignò la serva
di Loki, avanzando di un passo verso il Cavaliere, ma accorgendosi di non
riuscire più a muoversi. Sollevò lo sguardo indispettita, per perdersi
nell’abbagliante splendore del cosmo del Custode della Sesta Casa, sbocciato
come un fiore attorno a entrambi, precludendogli ogni movimento.
Senza dire alcunché, incurante degli attacchi psichici che la donna gli
stava dirigendo contro, Virgo proseguì nella sua meditazione, mentre lo spazio
circostante parve deformarsi, gli alberi gemelli scomparire e il cielo farsi
plumbeo.
“Che.. che stai facendo?!” –Strillò la donna, che aveva compreso dove
il Cavaliere la stesse portando. Nell’isola del Mediterraneo dove Ana aveva
vissuto dopo aver lasciato il Grande Tempio, e dove era morta. –“Smettila, che
vuoi fare?! Non puoi cambiare il passato!!!” –Gridò, dirigendo un’onda di
energia mentale contro Virgo, il quale, per pararla, dovette dare fondo a tutte
le sue energie, mentre sangue iniziava a ruscellare sul suo volto, fuoriuscendo
dal naso e dagli occhi, per l’elevata concentrazione necessaria all’operazione
che voleva compiere.
Fare pace con se stesso.
“Dovresti essere felice di cadere per mano nostra!” –Esclamò una voce
d’improvviso, distraendo il Cavaliere e portandolo ad aprire gli occhi, mentre
le forme attorno a sé cessavano di essere indistinte e assumevano contorni
definiti. –“La mano armata di chi ti ha investito del titolo di Sacerdotessa! O
dovrei dire la mano amata! Ah ah ah!”
Virgo riconobbe la sonora sghignazzata di Pavone, spostando lo sguardo
ai piedi della collina sulla quale Modhgudhr e lui si erano ritrovati. Il Cavaliere
d’Argento e il suo compagno stavano fronteggiando Ana, la quale, sorpresa dal
repentino attacco, non aveva neppure avuto il tempo di indossare la propria
corazza. Né i due sicari gliene avevano concesso l’occasione, privi di
qualsivoglia senso di cavalleria.
“Poche chiacchiere, Pavone, ed eseguiamo gli ordini!” –Esclamò Loto,
congiungendo le mani e scaraventando Ana contro una parete di roccia,
paralizzandola con i suoi poteri mentali, mentre, alle sue spalle, un enorme
fiore di loto si apriva. Un fiore che, Virgo lo riconobbe subito, rappresentava
il trono su cui sedeva in meditazione alla Sesta Casa; il trono su cui, anche
in quel preciso momento del passato, era seduto per rimirare, sul rosone del
tempio, quel che accadeva sull’isola.
“Non puoi cambiare il passato!” –Ripeté la fanciulla nota come
Modhgudhr, sbarrando la strada al Cavaliere d’Oro, avendo intuito le sue
intenzioni.
“Non è questa la mia intenzione! Per quanto possa tentare, e se sapessi
di avere una possibilità tenterei fino alla morte, non sarei mai in grado di
spostarmi nel tempo! Ma nelle dimensioni sì! Ed è qua che ci troviamo, nei miei
ricordi!” –Spiegò il Cavaliere d’Oro, liberandosi della donna con una spinta e
schiacciandola a terra. –“Questa è la mia terra e i tuoi poteri a niente
servono! Ma che parlo a fare? Il terrore dipinto sul tuo volto conferma che di
ciò sei già al corrente!” –Virgo si concesse una risata maliziosa prima di
discendere il colle e portarsi proprio in mezzo alla battaglia.
Ana era riuscita a liberarsi dalla presa mentale di Loto e stava
fronteggiando gli assalti di Pavone, balzando di lato in lato, obbligando il
Cavaliere d’Argento a intensificare il proprio attacco.
“Il gioco è finito!” –Tuonò Loto, paralizzando di nuovo la
Sacerdotessa, mentre Pavone si portava alle sue spalle, afferrandole la testa e
spezzandole il collo. Quindi, senza neppure degnarsi di seppellirla, i due
sicari si allontanarono, fieri di aver portato a compimento la missione che
Arles aveva affidato loro.
Proprio il loro mentore, in quel momento, si chinò sul cadavere di Ana,
carezzandole la pelle e lasciando che una lacrima gli scivolasse sulla guancia,
prima di bagnare le labbra della Sacerdotessa. Labbra che mai il Cavaliere
d’Oro aveva sfiorato, nonostante Ana lo avesse più volte desiderato.
“Avevi diritto ad essere amata.” –Commentò, sollevando il corpo e
avvolgendolo in un’aura lucente. Prima ancora che Modhgudhr potesse dire
alcunché, lo spazio attorno a loro mutò di nuovo, mentre un varco dimensionale
si apriva, precipitandoli nel nulla e strappando un grido alla serva di Loki.
“Do.. dove siamo?!” –Mormorò, osservando l’ambiente circostante e
realizzando, con un certo stupore, di ritrovarsi sulla mano di una gigantesca
statua che pareva raffigurare il Buddha della religione indiana.
“Nell’unico luogo in cui potrei vincerti!” –Spiegò il Cavaliere d’Oro.
–“Nel sesto mondo di Ade!”
“Nel sesto mondo di Ade?! La dimenticanza?! Non è questo il luogo ove
sono imprigionate le anime destinate a non essere ricordate?!”
Virgò non disse alcunché, limitandosi a lasciar cadere il corpo di Ana
nel vuoto al di là della mano del Buddha e ad osservarlo scivolare via, in
silenzio, prima di dissolversi in polvere.
“Cos’hai fatto?! L’hai… dannata ad essere dimenticata?! È questo che
volevi per lei? Dimenticartene in modo da non dover ricordare quanto male le
hai fatto?! Sei un vigliacco, Cavaliere di Atena!” –Ringhiò Modhgudhr,
lanciandosi avanti, ma bastò che Virgo si voltasse verso di lei per spingerla
indietro, prostrandola a terra, con la testa oltre il bordo della gigantesca
mano.
“Non ad essere un fantasma l’ho condannata, bensì ad essere libera. In
questo mondo senza guerre, il ricordo di Ana riposerà per sempre, fin quando
l’eternità esisterà. Una pace senza fine, questo è ciò che mi auguro per lei,
la stessa pace che ha infine trovato il mio cuore.”
“Non ci credo! Pur di vincermi, pur di vincere una stupida guerra, ti
sei privato del ricordo dell’allieva che hai amato! Perché lo sai, Cavaliere
d’Oro, che nel momento stesso in cui torneremo ad Atene di lei non ti resterà
niente, soltanto un immenso vuoto?!”
“Ne sono consapevole!” –Si limitò a commentare Virgo. –“Così come sono
consapevole che in questo modo non hai più ragione di esistere. Tu, come figura
a me dannosa, nasci dal senso di colpa che mi ha attanagliato per anni, dal
rimpianto per non essere intervenuto a difesa dell’allieva che mi aveva amato a
lungo. E dato che, per quanto possa provarvi, non c’è niente che possa fare per
cancellare quel momento infame, l’unico modo per andare oltre è rimuoverlo
dalla mia mente, di modo che tu non possa avere più niente su cui agire, nessun
rimorso da usare contro di me. E adesso…” –Aggiunse, mentre il suo cosmo d’oro
rischiarava il sesto mondo di Ade. –“…è tempo di dirci addio. Addio, Ana!”
In un lampo di luce Virgo fu di nuovo alla Sesta Casa, la testa sgombra
di pensieri, l’energia cosmica palpitante sul palmo della mano destra. Di
fronte a lui, avvizzita e logora, una scheletrica figura lo fissava confusa,
priva di ogni baldanza. Gli bastò un movimento, a Virgo, per far esplodere un
globo di energia e cancellarne ogni traccia.
Fiaccato dalla dura prova, il Cavaliere d’Oro crollò sul marmo del
pavimento, mentre alcune parole rimbombavano nella sua mente. Parole che Ana
gli aveva detto, prima di sprofondare nel mare della dimenticanza. Parole che
aveva udito fin da quando Loki l’aveva risvegliata, grazie al potere della
pietra nera, innestando la sua corrotta coscienza nel corpo della guardiana
della Porta del Niflheimr.
Alfa e omega. Principio e fine.
Che cosa sta in mezzo?
La trasformazione di tutte le
cose, poiché tutte le cose hanno un’unica origine, così come tutti gli Dei non
sono altro che un unico Dio.
“Non è possibile…” –Balbettò Virgo, il respiro affannato, il cuore che batteva
all’impazzata. Poggiò una mano a terra, macchiandola col sangue che gli colava
dal naso, cercando di calmarsi, di ritrovare una compostezza che ormai sentiva
di aver perso.
Luce e ombra. Giorno e notte.
Alternanza ed equilibrio.
Aveva capito tutto. Adesso tutto aveva un senso, anche le visioni che
lo avevano invaso quella mattina.
“Flegias, ecco cosa voleva ottenere! Per questo ha risvegliato Crono e
Ares, ha usato Loki, per anticipare l’avvento dell’ombra! Devo dirlo ad Atena,
a Pegasus, ai Cavalieri d’Oro! Sono in pericolo, tutti sono in pericolo!”
Ma non appena ebbe dato forma ai suoi pensieri, una sensazione di fine
lo pervase, come se una tenebra immensa avesse invaso la Sesta Casa.
Silenziosa, era strisciata al suo interno non appena Virgo ne aveva compreso
l’identità.
“Egli era…” –Non poté aggiungere altro, venendo fagocitato da un’ombra
senza fine, un’ombra che pareva contenere in sé un intero universo.
Quando Ioria e Dohko entrarono correndo nella Sesta Casa, pochi minuti
dopo, furono stupiti nel trovarla completamente vuota. Solo un mucchietto di
polvere sparsa sul pavimento, i resti della mortifera fanciulla posta di fronte
alle porte di Hel, e una strana macchia di sangue che Virgo aveva disegnato
quasi senza rendersene conto, mentre fluttuava con la mente in cerca di
risposte.
I due Cavalieri d’Oro la osservarono storditi, riconoscendo le
imperfette forme circolari dell’Uroboro, il serpente che si morde la coda.
Il simbolo dell’infinito e dell’eterno ritorno.
***
Stavano correndo. Per quanto la stanchezza e le ferite aperte
permettessero loro di correre, in quel deserto gelido che pareva non avere
fine. Inoltre, da quando avevano lasciato il lago Amsvartnit, pareva loro che i
venti del Niflheimr soffiassero con impeto maggiore, quasi partecipi delle
sorti stesse del mondo in cui per millenni avevano turbinato, sferzando la
schiena dei disperati che vi avevano languito.
“Dobbiamo continuare ad avanzare!” –Gridò Artax, tenendosi un braccio
dolorante e barcollando incerto.
Cristal, dietro di lui, non disse niente, limitandosi ad annuire e a
stringere Flare a sé, in un abbraccio reso goffo dall’Armatura Divina ma
animato dal più caloroso dei sentimenti. L’amore che provava per lei, e che lo
aveva spinto a scendere all’inferno di nuovo.
“Non possiamo fermarci! Il gelo di Niflheimr non perdona! Inoltre…”
–Aggiunse il servitore di Odino, scrutando quello che doveva essere il cielo.
Nient’altro che un ammasso dello stesso colore grigiastro identico al mondo che
li circondava, dove non vi erano oriente né occidente, né stelle da usare come
punto di riferimento. Solo un turbinare imperterrito di venti e gelo che
parevano raschiare in profondità le viscere del mondo. –“Provo una strana
inquietudine, una sensazione… di fine incombente.”
“Ce la caveremo, Artax!” –Tossì Cristal, affiancandolo.
“Non mi riferisco a noi, Cavaliere. Ma a questo mondo. Non lo senti? È
l’ululato disperato del vento, che stride con forza maggiore sui nostri corpi,
quasi volesse trovare un appiglio per restare, per rimanere ciò che è e che è
sempre stato.”
“Lo sento anch’io.” –Mormorò Flare, il volto poggiato sul pettorale
della corazza del Cigno. –“Qualcosa di terribile sta per accadere! Yggdrasil
vacilla e soffre!”
“Affrettiamoci.” –Si limitò a dire il Cavaliere di Atena, facendo un
cenno al compagno e aumentando l’andatura del loro già celere passo.
Fu allora che un grido stridulo li raggiunse, così acuto e diverso dal
frustare ritmico del vento che non poterono non notarlo. Ugualmente notarono la
rozza sagoma animalesca che piombò di fronte a loro nell’arco del minuto
successivo. Una bestia dalla pelle di tetro colore e dalle ampie ali
retrattili, le cui fauci ghignarono nella loro direzione, rivelando affilati
denti macchiati di sangue.
“Nidhöggr…” –Balbettò Artax, riconoscendo il serpente infernale.
“Ma quante bestie popolano questi mondi?!” –Mormorò Cristal, pensando
in fretta ad una possibile strategia di lotta. Flare era debole e i suoi
vestiti non erano sufficienti per ripararla dal freddo infernale. Ugualmente
lui ed Artax erano stremati dallo scontro con Hel, oltre che dalla rigidità del
clima, per questo dovevano superare quell’ostacolo in fretta, sebbene la rapidità,
ben lo sapeva, cozzava con la placida tranquillità con cui un nemico andrebbe
affrontato. Come i suoi maestri gli avevano più volte ricordato.
“Spiacente di dover deludere i vostri insegnamenti.” –Commentò il
Cavaliere di Atena, concentrando il cosmo sul pugno destro, mentre il grande
drago si lanciava su di lui. –“Polvere
di Diamanti!!!”
L’assalto saettò contro Nidhöggr, senza incupirlo né rallentarlo.
Infastidito, il gigantesco serpe si limitò a scuotare la testa, mentre gocce di
sudicia bava gli colavano dalle fauci digrignate, cadendo al suolo e
liquefacendo lo stesso terreno, generando pozze di putridi vapori.
“Per millenni si è nutrito dei morti di Nastrond, portandoli nella sua
dimora, nei Monti dell’Oscurità, provviste che improvvisamente sono venute a
mancare, quando i morti stessi sono stati risvegliati da Hel, divenendo l’esercito
del padre.”
“Così adesso vorrebbe usarci come spuntino. Un cambio di menù. Potremmo
risultargli indigesti.” –Commentò Cristal, balzando di lato ed evitando la
carica del drago, che subito si voltò, sferzando l’aria con la lunga coda
squamata e obbligando il ragazzo, che teneva sempre Flare con sé, e il compagno
a separarsi. Rotolò per qualche metro sul terreno ghiacciato ma quando fece per
rimettersi in piedi, Cristal annaspò, crollando in avanti e sputando sangue,
mentre la vista si faceva sfuocata e un senso di nausea lo invadeva.
La malattia di Hel non era scomparsa con la sua morte.
“Cristal!!!” –Gridò Flare, la cui tenue voce parve perdersi
nell’inferno di ghiaccio.
Nidhöggr, accortosi delle difficoltà dell’avversario, spalancò le fauci
sibilando, prima di gettarsi in picchiata su di lui, ma lo sfavillare impetuoso
del cosmo di Artax gli ostruì la strada, ergendosi come un muro di fuoco di
fronte a lui, uno sbarramento che presto si allungò su entrambi i lati
divenendo un cerchio di fiamme attorno al drago.
“A… Artax…” –Mormorò Cristal, faticando a rimettersi in piedi e
osservando il Cavaliere di Odino, dall’armatura in pezzi e dalle ferite ancora
aperte, porsi a braccia aperte di fronte a sé, come Pegasus, Andromeda e gli
altri si erano eretti più volte. Come un compagno, forse un amico.
“Non abbiamo tempo per i discorsi di commiato, Cristal!” –Si limitò a
rispondere Artax, senza voltarsi, ancora concentrato a cingere il dragone
infero in un assedio di fiamme. –“Prendi Flare e vattene! Con lei, troverai la
via!”
“Ma… Artax, tu verrai con noi!” –Esclamò il Cavaliere di Atena,
rimettendosi in piedi, mentre Flare correva tra le sue braccia, stringendosi a
lui. Ma bastò che Cristal muovesse un passo verso Artax che un muro di fuoco gli
sbarrò il passaggio, indicandogli la via da seguire verso le Porte
dell’Inferno.
“Siamo pari adesso, Cristal il Cigno! Prenditi cura di Flare, e
dei suoi ricordi! Trattala bene, la mia Principessa! La tua Regina!” –Commentò
il ragazzo che un tempo aveva affrontato nella caverna di lava. –“E ora
andatevene! Lo scontro finale non tarderà ad arrivare e voi dovrete raggiungere
il Valhalla prima che Yggdrasil collassi!”
–Non aggiunse altro, concentrando il cosmo sulle braccia, avvolgendole di
impetuose vampe di fuoco che danzavano tra le ombre di Niflheimr.
Cristal annuì, stringendo il
pugno, tirò Flare a sé e poi iniziò a correre, senza voltarsi mai. Corse più in
fretta che poté, lasciandosi tutto indietro, mentre sentiva il cosmo di Artax
avvampare ed esplodere un’ultima volta.
Nidhöggr spalancò le ali, per disperdere le fiamme, ma queste parvero
incollarsi alla sua putrida pelle, determinate a non lasciarlo andare. Il
grande drago guaì, mentre Artax gli si avvicinava, avvolto in un’aura
rossastra. Convinto di poterla ancora spegnere, Nidhöggr sollevò un artiglio,
piantandolo poi nel corpo del servitore di Odino, distruggendo quel che restava
dell’antica corazza. Fu allora, mentre il veleno del drago penetrava
all’interno del suo corpo, che il ragazzo sorrise, come non faceva da tempo,
prima che gli egoismi del presente oscurassero la fiducia nel futuro che aveva
provato un tempo. Quando era cresciuto con Flare, imbevendosi del suo amore.
Con gli occhi vitrei dai ricordi di un tempo, l’einherjar afferrò
l’artiglio del drago, scaricandovi tutto il suo cosmo infuocato, che esplose
repentino, avvolgendo l’intero rozzo corpo, tra strilli che ormai non aveva più
orecchie per udire.
“Addio, principessa della mia infanzia. Questo è tutto il mio amore,
questo è tutto il rancore che mi ha divorato l’anima troppo a lungo. Mira,
infernale dragone, la fiamma che ha corroso il cuore di Artax e che adesso lo
renderà infine libero!” –Un attimo dopo le vampe circondarono i corpi
aggrovigliati di Artax e di Nidhöggr, dilaniandoli e facendoli esplodere
dall’interno, in un ultimo lampo di luce che mai più avrebbe rischiarato le
distese del Niflheimr.
Pegasus osservò con orrore la caduta di Balder,
trafitto da tre colpi di lancia portati dalla figura che aveva creduto suo
padre e che invece si era rivelato colui che aveva dato inizio all’apocalisse
nordica. Loki, il Grande Ingannatore, la cui sagoma
elegante si ergeva a pochi passi dall’insanguinato corpo del figlio di Odino,
stretto in un convulso abbraccio dalla Signora del Cielo, incapace di
trattenere lacrime e strilli.
“Come hai fatto?” –Rantolò Frigg, la voce
spezzata dal dolore. –“Come, Loki, hai potuto celarti
al mio sguardo?!”
“Non è stato difficile, Divina Ninfomane. Grazie al tuo bel manto di
piume di falco, ti ho mostrato quel che il tuo cuore di donna e di moglie
voleva vedere. Il ritorno dell’amato dalla guerra! Non lo creasti in fondo per
sgattaiolare fuori da Fensalir e divertirti in
compagnia di giovani stalloni, ben più atletici del vetusto fisico del Guercio?
Non crucciarti, sono esigenze corporali che ben comprendo! ” –Rise il Dio
dell’Inganno, incurante delle fredde occhiate che Frigg
gli andava rivolgendo.
“Taci, spergiuro!” –Gridò la sposa di Odino, senza smettere di
carezzare il corpo martoriato del suo figlio prediletto.
“Taci tu. E per sempre.” –Sibilò Loki,
muovendo il dito destro nell’aria.
Pegasus, a quella visione, decise di scattare avanti, concentrando il
cosmo sul pugno e liberando il suo attacco lucente, prima ancora che il Burlone
Divino potesse dirigere loro contro chissà quale attacco.
“Rampante.” –Si limitò a commentare Loki,
spostando lo sguardo su di lui e completando il disegno della runa di energia,
che rilucette di fronte a lui. Isa, o Iss, la runa di
ghiaccio, sufficiente per immobilizzare Pegasus a mezz’aria, con il braccio in
tensione e migliaia di sfere luminose di fronte a sé. –“Come una giumenta in
calore.” –Ridacchiò il Dio, scuotendo la mano destra e scaraventando Pegasus
indietro, assieme al suo stesso colpo, che lo travolse, sbatacchiandolo contro
la facciata principale di Fensalir, distruggendola, e
sommergendolo dai detriti.
“Tornando a noi…” –Ironizzò Loki, riportando lo sguardo su Frigg
e Balder. –“Ben due sono i figli di Odino che han
trovato la morte per mia mano quest’oggi. Due, come i figli che mi strappaste
un tempo, di fronte ai miei occhi sgomenti e inermi, dando inizio alla mia
cattività. Li ricordi, Frigg? Ti ricordi di Vali,
tramutato dagli Asi tuoi fratelli in un lupo assetato
di sangue, e di Narfi, l’altro mio figlio, che fu
posto di fronte al lupo e ridotto ad un ammasso informe di carne maciullata dal
suo stesso maledetto fratello? E ricordi quel che gli Asi
fecero del cadavere di Narfi? Te lo ricordi eh,
Divina Sgualdrina?! Ne asportarono gli intestini, facendone corde robuste,
corde grondanti sangue, le stesse con cui mi legarono alle pietre della caverna
ove mi lasciaste confinato per secoli!”
“Saresti dovuto morirci in quella caverna!” –Gridò Frigg,
in lacrime.
“E ci sono morto, gallina. Morto e risorto. Per portarvi un po’ di
quella disperazione che per migliaia di anni ho provato!” –Così facendo, Loki disegnò nell’aria una runa, che Frigg
subito riconobbe, poiché era la più distruttiva. La più potente di tutte.
Kaun, o Kaunan, la runa del fuoco.
Un grido prostrò la Signora del Cielo a terra, mentre una striscia di
fuoco le dilaniò il petto, incendiandole le vesti e marchiandole il seno e il
ventre, tra gli spasimi e le lacrime che non riusciva a trattenere, di fronte
allo sguardo soddisfatto del Buffone Divino, determinato a ripagare la violenza
subita con altrettanta violenza. Prima però che potesse disegnare una nuova
runa nell’aria, tre fasci di energia sfrecciarono nella sua direzione,
obbligandolo a spostarsi di lato. Un movimento minimo, quasi impercettibile, con
cui scansò l’attacco congiunto che le tre Asinne,
appena uscite da Fensalir, gli avevano indirizzato.
“Loki!!!” –Ringhiò Freya,
la figlia di Njörðr,
dallo sguardo fiero e combattivo, affiancata da Idunn
e da Eir.
“È un piacere rivederti, bella vitella!” –Sogghignò l’Ingannatore.
–“Vedo che hai messo su dei bei fianchi larghi, forse per farti castigare
meglio da tuo fratello?!”
“Come osi anche solo nominare mio fratello Freyr,
che sta dando la vita nel profondo Niflheimr?!”
–Avvampò Freya, concentrando il cosmo sul palmo della
mano.
“Mestiere ingrato, il suo. Ma sii speranzosa. Lo rivedrai. In qualunque
inferno attenda i Vani dopo la morte.” –Ridacchiò Loki,
incurante dell’assalto energetico che la Dea gli rivolse. Gli bastò spalancare
il palmo di una mano per contenerlo e osservarlo disperdersi poco dopo, mentre
uno sguardo di terrore si dipingeva sui volti di Idunn
e di Eir. –“Chi ammazzo per prima? Non siate pudiche,
non mi risulta che a letto lo siate mai state, soprattutto tu Freya, la cui dissolutezza a lungo è stata cantata nelle
alcove dai poeti nella Mangsongr. Tanto morirete
tutte.”
“Perché non iniziamo con te?!” –Esclamò una voce giovanile, attirando
l’attenzione del Burlone Divino.
Pegasus si era rimesso in piedi, liberandosi dalle macerie franate su
di lui, e anche se gli doleva la testa era pronto a scattare avanti.
“Non impari mai, a quanto pare, ragazzo.” –Sogghignò Loki.
“Che vuoi farci?! Sono lento a capire.” –Ironizzò Pegasus, liberando il
proprio colpo segreto.
“Noto.” –Commentò l’Ingannatore, bloccando nuovamente l’attacco del
ragazzo con la runa di ghiaccio e rispedendolo indietro con un lieve movimento
della mano. Ma il Cavaliere di Atena, che si aspettava quella contromossa, era
già balzato in alto, scavalcando il rinculo del suo attacco, e stava piombando
su Loki con il pugno sfrigolante energia cosmica. –“Gyfu!!!” –Gridò
allora il Fabbro di Menzogne, sollevando un turbine d’aria ed energia che
travolse Pegasus ancora in volo, stritolandolo tra fulmini azzurri e
scagliandolo di nuovo contro i muri della Sala Paludosa.
“La runa dell’aria…” –Commentò Idunn, avendola riconosciuta. –“A quanto pare Loki ne possiede il potere. Oltre alle rune di fuoco e di
ghiaccio.” –Eir, al suo fianco, annuì, prima di
avvicinarsi titubante al corpo ferito di Frigg, per verificarne
le ferite.
“Non vi è potere a questo mondo di cui io non disponga, Dea dei frutti
d’oro. Le rune e i loro segreti, tutte mi appartengono! Peccato che l’eterna
giovinezza, dai tuoi pomi dispensata, sia soltanto un’illusione al mio
cospetto. Una bugia.” –Commentò Loki, sollevando la
sposa di Bragi con il pensiero e sbattendola a terra,
sfinita di fronte a sé.
“Lasciala andare, maledetto!” –Ringhiò Freya,
correndo avanti, avvolta dallo splendore rosaceo del suo cosmo.
“Come desideri, vitellona mia.” –Si limitò a
mormorare Loki, scaraventando Idunn
contro Freya e gettandole entrambe a terra, mentre un
vortice di folgori prendeva forma attorno a loro, pizzicando le loro vesti e
incendiandole.
“Fulmine di Pegasus!!!”
–Gridò allora il Cavaliere di Atena, scattando per la terza volta all’attacco
del Tessitore di Inganni, che infine gli rivolse un infastidito sguardo.
“Ancora tu?! Più noioso di uno sciame di locuste su un campo di grano!”
–Esclamò, fermando l’assalto di Pegasus e dirigendo poi le sfere di energia
contro di lui, e contro Eir, Frigg
e Balder, scagliandone i corpi a qualche metro di
distanza. Quindi, sapendo che il ragazzo si sarebbe rimesso in piedi, attese,
per giocare ancora. E lo vide liberarsi dai detriti e fissarlo con lo stesso
determinato sguardo che gli aveva sempre visto illuminare il volto. Uno sguardo
che non poteva permettersi di ignorare.
“Pare che tu sia l’unico in grado di metter su uno spettacolo decente,
Cavaliere di Pegasus. Non ti offro illusioni, poiché certo morrai, come sono
morti Heimdall, Tyr e
coloro che mi hanno affrontato quest’oggi, ma se non altro allieterai le poche
ore che ancora mi separano dalla vittoria. L’alto scranno di Hliðskjálf mi attende
e potrei lustrarlo con il tuo sangue.”
“Tanta sicurezza potrebbe costarti cara, caro il mio Bugiardone Divino. Attento a non ritrovarti ai piedi del
trono, a mendicare pietà da Odino, servendolo come giullare.”
“Uh uh uh, sei pure simpatico. Mi ricorderò
di te, quando sarai polvere cosmica.” –Ridacchiò Loki,
prima di disegnare una runa in aria, un segno simile ad una X.
Pegasus sollevò le difese, aspettandosi un attacco diretto, ma non poté
in alcun modo impedire alla sua corazza di schiantarsi e al suo corpo di
esplodere dall’interno. Poté solo osservare, attonito e terrorizzato, la crepa
apertasi sul pettorale dell’armatura, da cui fumanti uscivano scariche di
energia che gli stavano dilaniando il petto.
“Visto che ti piacciono i fulmini, Cavaliere di Pegasus, saranno quelli
evocati da Gyfu a toglierti la vita, bruciandoti il
cuore. Con generosità, come è nel significato della runa stessa, te ne faccio
dono. Ringraziami, anziché lamentarti.” –Ironizzò Loki,
osservando compiaciuto il prediletto di Atena che rantolava al suolo, con il
pettorale sventrato da folgori lucenti. –“Non eri l’oggetto della mia vendetta,
ma hai fatto di tutto per diventarlo. Sentiti degno della mia attenzione.”
“Volgi a me, cane, la tua attenzione!” –Esclamò Freya,
rimessasi in piedi.
“Come preferisci, dolcezza.” –Sibilò l’Ingannatore, mentre la Dea
balzava in avanti, rapida come un felino, scaricandogli contro un assalto
incandescente, che Loki lasciò scivolare sul suo
corpo, consapevole della protezione offertagli dalla catena di Yr.
“Non… è possibile…
non puoi disporre di tutta questa forza… Non l’hai
mai avuta!” –Mormorò Freya, sconcertata, mentre il
Tessitore di Inganni la afferrava per il collo, torcendoglielo e strappandole
un grido, prima di gettarla a terra e montarle sopra.
“Cavalcata come si montano le vacche.” –Commentò, stringendo il collo
della sorella di Freyr fino a scavarle la pelle. –“E
sgozzata, come si sgozzano le stesse.” –Aggiunse, affondando le dita, cariche
di rovente energia cosmica, nel collo, tra gli spasimi soffocati della Dea, che
cercava di liberarsi da tale presa, finché non sentì che le sue forze erano
esaurite. –“Avanti il prossimo!” –Ironizzò, gettando il cadavere di Freya ai piedi di Idunn, Eir e Frigg.
“Ma…ledetto…”
–Ringhiò Pegasus, contorcendosi a terra vicino a loro.
Fu allora che Balder lo toccò, allungando le
dita insanguinate, di fronte agli occhi stupefatti di Frigg,
che dava il figlio per morto. Pegasus sussultò, mentre il lieve tocco del Sole
di Asgard pareva porre fine alle sue sofferenze, spegnendo le folgori che gli
dilaniavano il cuore. Le gocce di sangue di Balder
brillarono sull’armatura di Pegasus, cicatrizzando la sua ferita e richiudendo
lo squarcio sul pettorale.
“A te salvarci, Cavaliere di Pegasus. Che la benedizione degli Asi, dei Vani e di tutte le genti dei nioheimar scenda su di te.” –Fremé il
figlio di Odino, prima di spirare.
“Io… ne sarò degno…”
–Commentò Pegasus, stringendo un pugno e rialzandosi.
“Della perseveranza dovrebbero nominarti personificazione! O forse
dell’ottusità!” –Ironizzò Loki, mentre il Cavaliere
di Atena scattava avanti, avvolto nel suo cosmo azzurro, liberando migliaia di
comete di luce. –“Isa!!!” –Tuonò,
fermando nuovamente le sfere e il ragazzo in un’artefatta posa. –“Temo che sia
il momento di aumentare la presa. Isa viene chiamata la runa di ghiaccio non
soltanto perché in grado di immobilizzare chi la subisce ma anche per le sue
virtù, che adesso ti mostrerò.” –Nel dir questo, Loki
aumentò la concentrazione sulla runa, che iniziò a ricoprire di uno strato di
brina le sfere energetiche e il corpo stesso di Pegasus.
“Cavaliere di Pegasus!!!” –Gridò Frigg,
osservando l’armatura del ragazzo tingersi di ghiaccio.
“Yaiii!!!” –Esclamò il giovane, espandendo al
massimo il proprio cosmo, rinfrancato dal tepore del Sole di Asgard, e onorato
dal gesto di estremo sacrificio che il figlio di Odino aveva compiuto,
cedendogli la vita per salvare la sua. Onore a cui mai Pegasus sarebbe venuto
meno. –“Atenaaa!!!”
L’aura cosmica che lo circondava aumentò di intensità, invadendo
l’intero giardino di Fensalir, di fronte agli occhi
stupiti delle Asinne e dello stesso Loki, che pur aveva avuto modo di osservare di nascosto i successi
dei Cavalieri di Atena, fin da quando Flegias lo
aveva coinvolto nella sua oscura alleanza per il dominio del mondo. Le sfere di
luce avvamparono, sciogliendo il ghiaccio che le rivestiva, riprendendo la loro
corsa e abbattendosi come fitta pioggia sul Grande Tessitore, subito seguite
dallo slancio del Cavaliere di Pegasus, il cui pugno era pronto per generarne
altre.
Loki ne evitò la maggioranza, lasciando che le restanti si infrangessero
sulla catena protettiva di Yr, prima di
contrattaccare, utilizzando il potere di Gyfu. Un
turbine d’aria sollevò Pegasus di parecchi metri d’altezza, avvolgendolo in
folgori lucenti, ma il ragazzo spalancò le ali della corazza divina,
disperdendo parte dei fulmini e iniziando a roteare su se stesso, catalizzando
le stesse folgori in un vortice che lo avvolse e poi lo spinse avanti, piombando
su Loki ad altissima velocità.
“Cometa lucente!!!” –Gli
sentì gridare l’Ingannatore, mentre portava il braccio destro avanti, offrendo
il palmo al devastante attacco scatenato da Pegasus.
La catena di Yr andò in frantumi e scariche
di energia incendiarono l’elegante veste del Fabbro di Menzogne, che riuscì
comunque a contenere l’assalto, venendo spinto indietro di qualche metro,
scavando persino un solco con i piedi nel terreno. Irato, e stupefatto, Loki scatenò la furia devastante della runa dell’aria,
travolgendo Pegasus da distanza ravvicinata con un turbinio di folgori che lo
sollevarono da terra e lo scaraventarono decine di metri indietro, lasciando strisciate
incandescenti sulla corazza divina e sulle parti scoperte del suo corpo.
“Sorprendente.” –Mormorò tra sé il Maestro di Inganni, scuotendosi le
mani, quasi a pulirle dalla polvere di quello scontro. Quindi si incamminò
verso il corpo inerme di Pegasus, deciso a dargli il colpo di grazia, quando
tre figure gli si posero di fronte.
“Non ti lascerò ferirlo! Egli è il depositario dello splendore del Sole
di Asgard!” –Ansimò a fatica Frigg, il petto ancora
in fiamme, sorretta da Eir e da Idunn.
“Sole già tramontato, come le vostre speranze.” –Precisò Loki, sollevando la mano destra e sbattendo le Asinne a terra, stritolate da folgori di energia lucente.
–“Al mio prossimo cenno, e me ne basterà uno soltanto, farete compagnia a Balder, Tyr e a tutti gli altri
sciagurati che hanno pensato di opporsi all’avvento dell’inverno!”
Eir socchiuse gli occhi, Idunn pensò all’amato Bragi, morto chissà dove nel cuore della battaglia, e Frigg dedicò quell’ultimo pensiero ai suoi figli. E al suo
sposo.
Prima che Loki potesse completare il disegno
della runa che aveva scelto, per porre fine all’esistenza delle tre Dee, un
fulmine si schiantò alla sua destra, distraendolo. In quell’attimo migliaia di
lame di energia cosmica parvero cadere dal cielo, mirando alla schiena del Burlone
Divino, che a stento riuscì ad evitarle, lanciandosi di lato e osservando
sgomento il selciato spaccarsi e incendiarsi sotto quell’improvvisa pioggia di
strali. Nelle orecchie risuonava ancora l’imperiosa voce che quell’attacco
aveva accompagnato.
“Tempesta di spade!!!”
–Tuonò nuovamente, mentre una seconda sfilza di lame di energia precipitò dal
cielo, obbligando Loki a disegnare il simbolo della
runa di ghiaccio, potenziandolo con tutto il cosmo di cui poteva disporre al
momento.
“Kaun!!!”
–Aggiunse, liberando violente fiammate di energia che spazzarono via le
affilate lame che lo avevano cinto d’assedio, permettendogli infine di rifiatare
e di sollevare lo sguardo verso il portone d’ingresso al giardino di Fensalir, là dove Odino si ergeva, in sella al destriero ottipede.
“Sei arrivato, vecchio guercio!” –Disse il Dio dell’Inganno, mentre Sleipnir avanzava a passo sicuro, conducendo il Padre di
tutti gli Dei dove la sua sposa gemeva.
“Temevi che non ci saremmo incontrati, Loki?
Ti aspetto da ore, ma soltanto adesso Huginn e Muginn mi hanno rivelato la tua presenza, palese, all’interno
della residenza della Signora del Cielo! Residenza che non ti sei fatto
problema a violare!” –Esclamò Odino, smontando da cavallo e sincerandosi delle
condizioni di Frigg, delle Asinne
e di Pegasus. Quindi, indugiando per qualche secondo sul corpo martoriato di Balder, spostò di nuovo lo sguardo su Loki,
trafiggendolo con lame di energia. Lame che parevano nascere al solo
desiderarlo da parte di Odino.
“Dovrai fare molto di più, per vincermi!” –Ringhiò Loki,
che aveva restaurato la cintura di Yr, dopo l’ultimo
assalto di Pegasus. Aprì il palmo della mano destra e liberò una scarica di
energia, che sfrecciò nell’aria, schiantandosi infine contro l’avambraccio di
Odino, che il Dio aveva storto di fronte a sé, per parare l’assalto.
“Anche tu!” –Si limitò a commentare il Signore di Asgard, spostando il
braccio e generando una devastante onda di cosmo che fagocitò il terreno che lo
separava da Loki, prima di abbattersi su un
altrettanto violento maroso energetico che l’Ingannatore aveva appena generato.
La collisione dei due poteri generò una deflagrazione che spinse entrambi i
contendenti indietro di decine di metri, schiantandoli contro le mura esterne
di Fensalir e devastandone il terreno.
Anche Frigg, Idunn,
Eir e Pegasus vennero sollevati dall’onda d’urto e
scaraventati indietro, protetti alla bell’e meglio da una bolla difensiva che Eir aveva innalzato. Quando Pegasus rialzò gli occhi,
tentando di rimettersi in piedi, vide che sia Loki
che Odino avevano già ripreso le loro posizioni. Uno di fronte all’altro, uno
nemesi dell’altro. Osservandoli, il Cavaliere di Atena non poté fare a meno di
notare quanto fossero diversi nell’aspetto: elegante e appariscente, dal volto
etereo, a tratti efebico, Loki sogghignava sicuro di
sé, gran burattinaio di una vendetta a lungo covata. Di fronte a lui, Odino
appariva come un vecchio stanco, la barba grigia macchiata di sangue, cenere e
fango, la schiena arcuata, quasi come dovesse sopportare il peso di tutti i
mondi. Ciononostante, nei suoi occhi, Pegasus percepì saggezza, tenacia e anche
un’infinita tristezza, un sentimento non troppo diverso da quello che aveva
albergato nell’animo del Cavaliere di Atena durante molte delle battaglie
sostenute in passato. In particolare in quelle battaglie che lo avevano visto
opporsi ad un nemico che non riusciva a considerare tale, un nemico che solo le
circostanze e l’orgoglio avevano reso tale. Ioria,
durante il loro scontro a Nuova Luxor, o il Cavaliere del Toro, o il valoroso Orion. E allora ricordò quel che Thor gli aveva detto ore
prima, sul rapporto a doppio taglio che legava Odino e Loki,
due antichi fratelli di sangue, due facce della stessa medaglia che ormai aveva
perso lucentezza.
“In tempi remoti, Odino strinse con Loki un
patto di alleanza, un patto suggellato dal sangue. Perché, in fondo, non si
sentiva così diverso da lui. Gli Asi lo accusavano di
essere un Ingannatore, un Tessitore di Inganni, e Loki
in effetti lo era ma le sue astuzie a volte si rivelarono utili per la
sopravvivenza stessa di Asgard e perché del resto anche Odino non esitava ad
abbandonarsi a trucchi simili in battaglia.” –Gli aveva raccontato il Gigante
buono. –“A volte, per favorire i suoi protetti, Odino usava dei sortilegi
contro il nemico o gli rivoltava la natura contro, accecando gli avversari e
meritandosi il soprannome di Bölverkr, colui che agisce male, o di Herblindi, l’accecatore di
guerrieri. Inoltre, anche se di ciò Odino non vuole parlare, egli porta una
grave colpa che risale agli albori dei tempi. Il Dio che veneriamo come un
Padre si macchiò dell’orrendo crimide di fratricidio,
quando uccise Vili e Vè, eliminando scomodi e
potenziali pretendenti al trono di Asgard. Vecchie storie, certo, altri tempi,
ma ferite che il tempo non ha mai guarito. Forse per questo, periodicamente, si
sottopone a un rito cruento, impiccandosi per nove giorni e nove notti ai rami
di Yggdrasil e infliggendosi ferite e torture.”
Un Dio dai mille volti, si disse Pegasus, rimettendosi in piedi e
accendendo il proprio cosmo azzurro. Volti
che riflettono la sua natura divina e umana. E uno di quei volti ha posato lo
sguardo su di me, quando combattevo a Midgard per
liberare la sua Celebrante dal giogo dell’Anello del Nibelungo. Uno di quei
volti ha creduto in me, e io voglio fare altrettanto, per ricordare a Odino quanto,
a modo suo, abbia amato gli uomini e quanto, da loro incuriosito, abbia
vagabondato nel Recinto di Mezzo, mescolandosi a quelle strane creature capaci
di degenerare nelle bassezze più infime ma anche di elevarsi ai cieli più alti.
Io, Pegasus, ti mostrerò il valore della razza umana, Odino, affinché tu non
debba pentirti delle scelte fatte finora!
Quasi come avesse ascoltato il suo monologo interiore, il Padre delle
Schiere si voltò verso Pegasus e gli sorrise, prima di lasciar esplodere il suo
cosmo, generando un nuovo attacco che piovve su Loki,
obbligandolo a evocare la Runa di Ghiaccio per fermarlo. La sventagliata di
lame di energia venne poi crepata da mille folgori che rischiararono il cielo,
prima di dirigersi verso Odino, il quale, incurante, afferrò Gungnir e la portò avanti, affondandone la punta nell’aria.
Bastò quel gesto a scaraventare Loki indietro,
inchiodandolo ad un albero del giardino di Fensalir,
trafitto da un raggio di energia da cui neppure Yr
aveva saputo proteggerlo.
“Vuoi ripeterti?!” –Sibilò l’Ingannatore, tastando la ferita aperta e
usando il cosmo per richiuderla e liberarsi. –“Vuoi incatenarmi per altri mille
anni? Ma questa volta cosa userai, le budella di tuo figlio o quelle della
sgualdrina che hai preso in sposa?”
“Userò la tua lingua, serpente!” –Ringhiò Odino, avvampando nel proprio
cosmo.
“Tremo di paura!” –Ironizzò Loki, sollevando
il braccio destro per tracciare un segno in aria, ma Odino glielo impedì,
piantandogli la lancia nel palmo della mano e strappandogli un grido. Il primo lanciato
dall’Ingannatore in quella lunga giornata.
“Finalmente soffri anche tu.” –Si limitò a commentare Odino. E a
Pegasus, che osservava poco distante, non sfuggì la completa assenza di
felicità o soddisfazione in quella frase, che invece avrebbe dovuto essere
tronfia di vittoria. Anche Loki parve accorgersene,
intravedendo nella tristezza che dominava il Signore di Asgard una speranza di
rivalsa. Così, sogghignando, lasciò esplodere il proprio cosmo, spingendo Odino
indietro e sbattendolo a terra, a gambe all’aria.
Prontamente il possente Dio del Nord fece per rimettersi in piedi,
salvo accorgersi, con immenso stupore di non potersi muovere. Loki lo aveva intrappolato in un cerchio mistico,
tracciando una corona di rune di ghiaccio attorno al suo corpo.
“Non a lamentarmi ho speso il tempo, distratto e malaccorto di un orbo,
bensì a tessere una nuova trama del mio piano.” –Commentò l’Ingannatore, rialzandosi
e cicatrizzando le ferite.
“Credi che basti una cintura di Isa per contenere la furia guerriera
del Padre della Vittoria?!” –Ringhiò Odino, iniziando a bruciare il proprio
cosmo.
“No. Ma basterà per infliggerti tanto dolore.” –Sibilò Loki, mentre il potere di Kaun,
la torcia, esplodeva attorno a sé, incendiando il suolo e l’aria e sfrecciando
verso Odino. –“Kaunaz!
Runa di Loki, runa di fiamma!”
“Non dire gatto finché non l’hai nel sacco!” –Esclamò allora Pegasus,
intervenendo a difesa del Primo Ase e lanciandosi nel
turbinio di fiamme, con il pugno carico di energia cosmica. –“Fulmine di Pegasus!!!”
Loki, affatto impressionato, rise, limitandosi a modificare la direzione
dell’assalto, scaricandolo sul ragazzo e frenandone la corsa, mentre le vampe
di fuoco ne assorbivano il colpo segreto. Pochi attimi dopo il corpo di Pegasus
era scomparso all’interno di una fitta cintura di fiamme, la cui temperatura
elevata doveva senz’altro farsi sentire anche da chi indossava una valida
protezione quale l’Armatura Divina. Sogghignando, il Burlone Divino schernì
Odino, per essere dovuto ricorrere all’aiuto di così inesperti ragazzini,
mentre si avvicinava a passo lento all’oceano di fiamme dentro il quale Pegasus
stava agonizzando.
“Non ti bastava far morire di nuovo gli Einherjar
in una guerra dall’esito scontato. Dovevi andare a cercarne altri, di agnelli
sacrificali, in Grecia? Forse il tuo unico occhio aveva visto in loro la
salvezza?!” –Sibilò Loki, prima di concentrare di
nuovo il potere di Kaunaz sulla mano destra, pronto
per scaricarlo stavolta su Odino.
Fu proprio in quel momento, mentre si stava voltando verso l’antico
nemico, che scorse con la coda dell’occhio un movimento tra le fiamme. Un
guizzo simile a un fulmine che, sorgendo dal suolo, schizza verso il cielo.
Stupefatto, mosse la testa di lato, in tempo per vedere Pegasus balzare sopra la
cinta di fiamme da cui era assediato, con la spada Balmunk
stretta tra le mani, e piombare su di lui, più veloce di qualsiasi corpo avesse
mai visto muoversi.
“Non potrai certo vincermi con questo falò da grigliata, ora che il
potere del Sole di Asgard è in me!”
Disperatamente, Loki sollevò il braccio, per
opporsi all’improvviso attacco, ma Odino, dal lato opposto, gli trafisse una
coscia con Gungnir, strappandogli un grido e
distraendolo a sufficienza per permettere a Pegasus di colpire.
“Per Atena!” –Mormorò il Cavaliere, abbassando la lama e fissando il
suolo. Non ebbe bisogno di guardare Loki in volto,
per percepirne lo stupore e la rabbia. Dovette soltanto spostare lo sguardo alla
sua destra, dove la mano dell’Ingannatore era appena caduta, mozzata di netto
all’altezza del polso.
“Provi adesso, Buffone Divino, quel che mio figlio Tyr
provò un tempo, a causa del lupo di fama da te generato.” –Commentò Odino,
liberandosi dalla catena di Isa e ergendosi fiero su Loki,
che, crollato in ginocchio, pareva piagnucolare stringendosiil moncherino sanguinante. –“Ma la tua
umiliazione durerà ben poco.” –Aggiunse, impugnando saldamente la lancia e
preparandosi per piantargliela nel collo.
“Errore.” –Sibilò infine Loki, sollevando lo
sguardo da terra e piantandolo nell’unico occhio rimasto al Guercio. In un
attimo la terra esplose attorno a loro, tra folgori e vampe di energia,
travolgendo Odino e Pegasus e scagliandoli lontano, privandoli persino degli
elmi delle loro corazze. Quel che entrambi avevano scambiato per un pianto era
invece una sommessa sghignazzata del Burlone Divino, che, rialzatosi, ammise a
se stesso di non divertirsi così da tempo. –“Un carnevale di emozioni.”
–Sogghignò, prima di avventarsi sul Padre delle Schiere.
Si azzuffarono per qualche istante, rotolandosi sul terreno devastato,
proprio mentre Pegasus si rialzava, toccandosi la testa dolorante. Si voltò
verso Eir, facendole cenno di portare Idunn e Frigg all’interno di Fensalir, per proteggerle, prima di spostare di nuovo lo
sguardo su Loki e Odino, salvo accorgersi che uno dei
due era sparito.
Adesso c’erano infatti, in piedi davanti a lui, due uomini anziani
ricoperti dalla stessa polverosa e vissuta armatura. Due identiche versioni
dello stesso Signore di Asgard.
Ansimando, uno dei due indicò l’altro, aprendo la bocca per dargli del
fasullo, ma il secondo Odino lo colpì con un pugno sul viso, spingendolo
indietro, asserendo di essere lui il vero Padre di Tutti.
“I tuoi inganni non ti salveranno stavolta, Loki!”
“Dici il vero, Buffone Divino, poiché presto sarai smascherato!”
–Esclamò l’altro, prima di espandere il cosmo e sollevare una mano al cielo. –“Tempesta di spade!” –Tuonò, scaricando
il proprio colpo segreto sul secondo Odino, il quale, al contempo, aveva appena
fatto altrettanto, generando una pioggia di lame di energia che fendette il
cielo e aprì squarci sui corpi delle due Divinità, danneggiando le loro
corazze.
“Fermi!!!” –Gridò Pegasus, muovendosi per intervenire, salvo poi
frenare la sua corsa, il pugno ancora carico di energia, non sapendo chi
colpire, su quale Odino dirigere i suoi attacchi. –“Concentrati, Pegasus!”
–Mormorò, socchiudendo gli occhi e cercando di riconoscere il cosmo del Dio che
gli aveva fatto dono di Balmunk.
Fu in quel momento che uno dei due Odino ebbe la meglio sull’altro,
scaraventando l’avversario a terra e facendogli scavare un solco con il corpo,
flagellato dalla pioggia di spade energetiche.
“È tempo di mettere fine a quest’infame guerra che hai voluto, Loki!” –Sibilò il Dio rimasto in piedi, evocando una lancia
di energia e puntandola alla gola dell’altro. –“Che Hel
ti accolga, sporco traditoreee!!!” –Gridò, di fronte
agli occhi sconvolti e impotenti di Pegasus. Ma la punta della lama non
raggiunse il secondo Odino, affondando nel corpo di una creatura dal manto
grigio che era appena balzata a difesa della figura distesa a terra.
“Ge…Geri…”
–Mormorò questi, osservando anche il secondo lupo balzare contro il suo
avversario, le fauci aperte e pronte per chiudersi sulla mano che stringeva
ancora l’insanguinata lancia. –“Freki! Compagni
miei!”
Il Dio ancora in piedi fu svelto a muovere l’arma, evitando l’affondo,
per poi liberarsi del felino con un’onda di energia. Bastò quel gesto a far
scattare Pegasus, ormai scevro di ogni dubbio.
“Il vero Odino non avrebbe mai colpito i suoi fedeli lupi! Sei rimasto
vittima dei tuoi stessi trucchi, Loki! Fulmine di Pegasuuus!!!”
–Gridò, piombando sulla Divinità preceduto da una pioggia di stelle, travolgendola
e scaraventandola indietro, fino a schiantarla contro le mura difensive di Fensalir, distruggendone una parte. Quando questa riuscì a
liberarsi dai detriti franati su di lui, facendo esplodere il proprio cosmo
rabbioso, aveva già riassunto le sue forme originarie. Quelle di Loki, il Buffone Divino, i cui occhi fiammeggiavano un’ira
covata per secoli.
“Impiccione!” –Si limitò a commentare, il bel volto per la prima volta
deformato da ustioni che Pegasus non ricordava di aver visto poc’anzi. Quindi
sollevò un dito, per disegnare una runa nell’aria, ma si fermò, proprio mentre
il Cavaliere di Atena si preparava per caricarlo ancora e Odino si rialzava,
dopo aver carezzato i cadaveri dei lupi che gli avevano salvato la vita. Quasi
come avesse perso ogni interesse verso lo scontro in atto, Loki
diede le spalle a entrambi, annusando l’aria, prima di balzare su quel che
rimaneva delle mura di confine e fissare la nube di fumo e ceneri che ricopriva
il cuore di Asgard. Rimase in osservazione per una manciata di secondi, prima
di discendere nuovamente nel giardino, esplodendo in una fragorosa risata, di
fronte agli occhi esterrefatti di Pegasus e a quelli dubbiosi di Odino.
“Il fumo ti ha dato alla testa?!” –Ironizzò il primo.
“Tutt’altro, mio giovane e rampante amico! Il fumo cela la mia speranza
di vittoria!” –Commentò Loki, sibillino, incrociando
lo sguardo del Guercio. –“Adesso che lui è arrivato, per Asgard non vi sono più
speranze!”
“Lui?!” –Balbettò Odino, non capendo. Poi si ricordò di una visione di Frigg, così intensa che le aveva quasi strappato il cuore,
una visione in cui Asgard sprofondava in un oceano di fiamme e ombra. E trovò
la forza per mormorare una sola parola. –“Surtr!”
Capitolo 34 *** Capitolo trentaduesimo: Sulle tracce di Atlantide ***
CAPITOLO TRENTADUESIMO: SULLE TRACCE DI
ATLANTIDE.
Ascanio aveva letto molti libri su Atlantide, scritti nell’età della
Grecia Classica, da autori successivi a Platone, il primo a parlare di un’isola
immensa, situata al di là delle Colonne d’Ercole e sprofondata nel mare a causa
di cataclismi straordinari. Da allora scrittori e scienziati si erano
abbandonati alle teorie più stravaganti sulla localizzazione del continente
perduto e sulle cause del suo inabissamento e, sebbene qualcuno avesse avuto
idee più interessanti di altri, nessuno l’aveva mai trovato, né aveva saputo
portare all’attenzione dell’opinione pubblica e della comunità scientifica
prove inconfutabili della sua esistenza.
Questo perché non possedevano le giuste chiavi di lettura! Commentò il ragazzo, con un sorriso
vittorioso, quasi divertito, sul volto, lasciandosi cullare dalla fredda brezza
atlantica che gli soffiava sul volto.
Era una splendida giornata nel Golfo di Cadice e le temperature, sia
pur basse, non erano paragonabili alle tormente di gelo che imperversavano
nell’Europa centrale e settentrionale. Segno che l’espansione dei ghiacciai, da
molti tanto temuta, aveva incontrato difficoltà inattese.
Ascanio sorrise, riflettendo che i seguaci di Atena e di Odino, e i
Cavalieri delle Stelle suoi compagni, stavano dando nuova prova del loro valore.
Avrebbe voluto essere con loro, a combattere in prima linea contro le tenebre
del passato, a liberare i draghi di cui era custode e ad osservarli divorare le
creature infernali che Loki aveva risvegliato. Ma Avalon era stato chiaro al
riguardo: Zeus aveva richiesto la sua presenza altrove e, essendo anche un
Cavaliere Celeste, legato al Re dell’Olimpo, avendogli questi concesso quindici
anni addietro l’onore di guidare la Legione Nascosta, non aveva potuto
rifiutarsi, per non dare vita ad un inutile scontro.
Inoltre, e di questo Ascanio era ben cosciente, Avalon aveva il suo
interesse affinché uno dei suoi Cavalieri fosse presente in quell’impresa, in
quell’operazione difficoltosa di cui neppure lui poteva prevedere gli esiti. Ed
egli, dei sette, era colui a cui il Signore dell’Isola Sacra concedeva maggior
fiducia, il suo allievo prediletto.
“Voglio che tu sia i miei occhi, Ascanio!” –Gli aveva detto,
accompagnandolo al molo di legno, dove una barca a remi già lo attendeva per
condurlo sull’altra sponda del lago. Ascanio aveva annuito, mentre il maestro
gli sfiorava il volto, chiudendogli gli occhi neri e lasciando che una seconda
Vista lo guidasse. La stessa che avrebbe permesso all’uomo dalle vesti argentee
di seguire gli eventi nel Pozzo Sacro.
“Siamo in posizione!” –Una voce fresca lo distrasse dai suoi pensieri,
costringendolo a voltarsi verso il ragazzo che aveva appena parlato. Il ragazzo
che aveva incontrato pochi mesi prima, ai piedi del colle chiamato Tor, e al
cui fianco aveva combattuto.
“Molto bene!” –Annuì, seguendo il Luogotenente dell’Olimpo sul retro
della nave, ove erano state posizionate le casse con l’equipaggiamento che
Julian Kevines aveva fornito loro per l’immersione.
Aiutati dal personale di bordo, i ragazzi indossarono le tute
protettive, le pinne e le maschere, dotate di un faretto per illuminare
l’ambiente, mentre un tecnico ripeteva le istruzioni di funzionamento di queste
ultime, collegate con le bombole d’ossigeno che avrebbero portato sulle spalle.
Ascanio e il suo compagno annuirono per non destare sospetti, ben consapevoli
che, una volta raggiunte le profondità oceaniche, avrebbero agito a modo loro.
In un modo che forse la scienza non avrebbe compreso.
Fu l’allievo di Avalon il primo a tuffarsi, subito seguito dal
Cavaliere dell’Eridano Celeste, puntando con decisione verso l’abisso. La luce
del sole presto li abbandonò, incapace di arrivare in profondità, e dovettero
usare i fari per rischiarare un affascinante mondo nascosto, di cui avevano
sentito soltanto parlare in precedenza, o di cui avevano letto nei libri, senza
mai esservi venuti in contatto. Li invase una sensazione di piacere per quella
nuova esperienza che stavano vivendo e, se avessero potuto, avrebbero trascorso
altro tempo ad esplorare il fondo marino, con tutte le sue specie animali e
vegetali. Ma il tempo era loro nemico e Ascanio ricordò al compagno, con un
semplice gesto, che avevano una missione da compiere.
Per questo si inoltrarono in recessi ancora più profondi, guidati dal
cosmo di Zeus che stava seguendo i loro movimenti dall’alto dell’Olimpo. Non fu
semplice muoversi con agilità poiché, sebbene entrambi ben allenati, non
avevano mai praticato immersioni fino ad allora, e più di una volta dovettero
combattere con correnti contrarie, sbagliando strada e ritrovandosi tra le
rocce del fondale marino.
Impiegarono quaranta minuti per raggiungere il luogo indicato loro dal
Signore degli Dei, una particolare conformazione rocciosa che, vista da vicino,
sembrava quasi innaturale. Per quanto levigate dalle correnti continue, quelle
rocce infatti parevano essere state disposte ad arte, in tempi antichissimi, in
modo da formare un simbolo caro all’Imperatore dei Mari. La punta di un
tridente.
Seguirono la direzione che indicava, giungendo all’ingresso di un
tunnel nascosto da un ammasso roccioso, dall’interno del quale proveniva
un’oscurità così fitta che neppure con i fari delle maschere i due ragazzi
riuscirono a distinguere alcunché. Un portale verso le tenebre, così
Ascanio definì quell’apertura, prima di farsi coraggio ed entrarvi, subito
seguito dal condottiero olimpico. Non dovettero fare molta strada poiché si
accorsero, dopo dieci metri, che la strada era sbarrata, da quella che a prima
vista sembrava una roccia liscia e perfettamente levigata. Poi, osservandola
meglio, Ascanio notò che non era una semplice roccia, bensì l’anta di una
porta, su cui era stato scolpito il tridente di Nettuno.
Seguendo con una mano le scanalature del simbolo, il ragazzo trovò il
centro del rustico portone, dove le due immense pietre si toccavano, celando
quello che, secondo Zeus, era l’ingresso per l’antica Atlantide.
“Tutto quello che dobbiamo fare adesso è soltanto… spingerlo!” –Esclamò
Ascanio, parlando tramite il cosmo. Il compagno annuì, sia pur titubante,
sistemandosi di fianco alla porta e iniziando a premere su di essa con la
spalla destra. Ascanio fece altrettanto, ponendosi di fronte a lui, ma per
quanti sforzi vi profondessero non ottennero altro risultato che stancarsi e
respirare più difficilmente.
“Così non va!” –Si disse il Comandante dei Cavalieri delle Stelle,
ritenendo che non avrebbero ottenuto niente in quel modo. –“Questo portone è
rimasto celato per migliaia di anni, dal termine della Prima Guerra Sacra tra
Nettuno e Atena! Non potrà certo cedere di fronte a una spallata!”
L’altro seguace di Zeus gli fece un cenno con le mani, sbattendo il
pugno nel palmo dell’altra, dando a intendere di aprire l’ingresso con la
forza, usando i propri colpi segreti. Ma Ascanio scartò anche quell’ipotesi, non
soltanto offensiva verso il Dio dei Mari, ma anche pericolosa.
“Generare un’esplosione in questo ristretto condotto rischia di farci
crollare tutti i massi addosso! No, io credo che… Ma sì…” –Rifletté Ascanio,
guardandosi intorno e capendo come sarebbero riusciti ad aprire il celato
ingresso, usando la stessa natura, lo stesso oceano che per millenni l’aveva
protetto. Socchiuse gli occhi, espandendo il cosmo e lasciando che fluisse
attorno a sé, espandendosi a macchia e rischiarando le profondità marine.
Sfiorò le rocce, avvolgendole in un silenzioso abbraccio, si fuse con le
correnti d’acqua, mescolandosi al loro sapore salato, finché non le sentì
dentro di sé, finché non se ne sentì padrone.
“Saranno proprio queste correnti a spalancarci la via!” –Disse,
riaprendo gli occhi e dirigendo dei flussi d’acqua contro il centro del
portone, facendo cenno al compagno di mettersi alle sue spalle. Con forza
sempre maggiore, Ascanio premette sul punto di contatto tra i due millenari
massi, scatenando l’impeto della natura oceanica che adesso sentiva parte di
sé, che adesso poteva controllare, come era nei suoi poteri di Cavaliere delle
Stelle. –“Apritevi, portali di Atlantide! Che il continente perduto sia infine
ritrovato!!!”
Tanta fu la pressione che infuse alle correnti d’acqua che le rocce
alla fine cedettero, aprendosi verso l’interno, quasi fossero realmente un
portone. Ma i servitori di Zeus non ebbero tempo di gioire che vennero risucchiati
da una forza allucinante, che li trascinò all’interno del tunnel, oltre le
porte aperte, sballottandoli e strappando loro persino i fari e le bombole di
ossigeno. Per un attimo si sentirono perduti, vinti da sepolcrali correnti
poste a difesa di un mondo che nessun uomo aveva raggiunto in migliaia di anni.
Poi cercarono di reagire, facendo appello alla loro energia interiore, e
sebbene non potessero vedere alcunché, né capire dove stessero andando,
riuscirono a vincere le correnti di profondità e a puntare verso l’alto, fino a
sbucare fuori.
Fuori? Si chiese
Ascanio, realizzando che l’acqua attorno alla sua testa era scomparsa. Aprì la
bocca e realizzò di poter respirare, come pure il Cavaliere dell’Eridano,
emerso alla sua destra e intento a tossire e a sputare acqua dai polmoni.
“Ho creduto davvero che saremmo morti così, affogati a tremila metri di
profondità!” –Esclamò il figlio di Elena e Deucalione. –“Ma… dove siamo
finiti?!”
Entrambi si guardarono attorno, confusi e stupefatti, e realizzarono di
trovarsi in una conca, dove confluivano le correnti dal basso, separati dal
resto dell’oceano da una rozza copertura di pietre che generava una caverna.
Nuotarono fino alla riva, togliendosi poi le pinne e incamminandosi tra le
rocce, diretti verso il bagliore che pareva provenire al di là di esse, l’unica
fonte di luce nell’oscurità oceanica.
“Per gli Dei dell’Olimpo!!!” –Affermò l’Eridano Celeste, fermandosi di
scatto e rimirando il paesaggio che si apriva alle spalle di quell’ammasso
roccioso. Un paesaggio sterminato, che neppure nei sogni avrebbe potuto
immaginare.
Davanti a loro, il terreno degradava leggermente, trasformandosi poi in
una rozza pavimentazione che costituiva il basamento su cui sorgevano una serie
di costruzioni rocciose che non potevano essere che edifici. Non pietre
disposte secondo casualità, ma vere e proprie costruzioni di cui rimanevano le
tracce nei portoni, negli archi, nelle finestre e nelle terrazze. Una sequela
di edifici in mezzo ai quali Ascanio e il suo compagno si ritrovarono a
camminare, osservandoli sbalorditi e affascinati.
“Atlantide…” –Mormorò infine il Comandante dei Cavalieri delle Stelle,
non avendo più alcun dubbio. L’avevano trovata davvero, la città perduta,
inabissatasi per lo scontro violento tra gli Dei e schiantatasi sul fondo del
mare. –“Inannzi a quella foce stretta che si chiama Colonne d’Ercole, c’era
un’isola. Ed era un’isola più grande della Libia e dell’Asia messe insieme!”
–Mormorò, citando il Timeo di Platone. –“Quel che non capisco è come abbia
potuto conservarsi così a lungo…”
“Né come possa non esserci l’acqua qua sotto, a tremila metri di
profondità!” –Gli fece eco l’amico, tirando uno sguardo verso l’alto e
accorgendosi di un riflesso azzurro che pareva circondare l’intero regno
sommerso.
“Credo che sia dovuto al cosmo di Nettuno!” –Rispose Ascanio. –“Lo sento!
Adesso che posso concentrarmi meglio, percepisco la sua antica potenza! Permea
questa terra, rinchiudendola all’interno di una bolla, separandola in questo
modo dal resto dell’oceano e impedendo che le acque la divorino! Deve essere il
motivo per cui mai nessuno l’ha trovata, né alcuna tecnologia moderna ne ha mai
rivelato l’esistenza!”
“Non semplice cosmo pervade questo luogo sacro, ma la Divina Volontà
del mio Signore!” –Esclamò allora un’acuta voce femminile, sorprendendo i due
ragazzi, che si fermarono e guardarono attorno con circospezione, increduli che
potesse esservi qualcuno oltre a loro.
Sopra i resti di un palazzo videro allora quella che da lontano
avrebbero potuto scambiare per una statua. La sagoma di una sirena distesa su
un fianco. Una sagoma che, mentre la osservavano, si caricò di una luce
colorata, espandendosi sempre di più fino ad abbagliarli.
“Chi ha parlato? Un’armatura vuota?!”
“No, non è vuota, ma destinata ad ospitarmi!” –Riprese la voce
sconosciuta, mentre fasci di luce esplodevano dalla sagoma della sirena e la
corazza stessa si scomponeva, aderendo al corpo perfetto di una ragazza dai
lunghi capelli biondi. –“Il mio nome è Titis, Cavaliere Sirena al servizio
di Nettuno!” –Si presentò, prima di balzare a terra e camminare fino a
portarsi di fronte agli invasori del tempio sottomarino. –“Vi avevo visto
conversare con Julian a Capo San Vicente e qualcosa, forse il mio sesto senso,
o il mio istinto di donna, mi aveva suggerito che non foste semplici amanti
della subacquea! Avrei voluto fermarvi prima ma ho avuto bisogno di tempo per
completare la mia trasformazione, non avendo previsto che, in quest’epoca,
sarei dovuta tornare a vestire la corazza della Sirena per proteggere il mio
Signore!”
“Trasformazione?! Ma cosa sei?!” –Mormorò il Luogotenente dell’Olimpo,
mentre Ascanio scrutava la ragazza con sguardo attento, per leggere al di là
dell’apparenza.
“Un metamorfo!” –Rispose infatti al posto suo. –“Detti anche mutaforma,
sono esseri capaci di modificare il loro aspetto, trasformandosi nel simbolo
del loro potere!”
“Ne hai sentito parlare?!” –Commentò Titis. –“Beh non mi sorprende!
Siamo rari, questo è vero, ma non al punto da impedire che ogni armata divina
ne abbia un esemplare! Tra gli Spectre ve ne è infatti uno che può mutarsi da
bruco in farfalla e Dragone del Mare mi informò che ad Asgard viveva un
Cavaliere in simbiosi con i lupi! Nettuno può contare invece su di me, l’ultimo
della schiera dei Cavalieri Sirena, da lui incaricati di proteggere il suo
regno, soprattutto questo, che ne è il cuore!”
“Capisco, e ti ringrazio per non averci attaccato a tradimento, giovane
sirena! Permetti che anch’io mi presenti! Sono Nikolaos dell’Eridano Celeste,
Luogotenente dell’Olimpo al servizio del Padre degli Dei, e questi è il mio compagno
Ascanio Pendragon, Cavaliere delle Stelle fedele ad Avalon! Siamo qua
per ordine diretto di Zeus!” –Esclamò il ragazzo, spiegando le motivazioni che
li avevano condotti così in profondità. –“È desiderio del Signore Supremo
dell’Olimpo che suo fratello torni ad ammirare la luce del sole, schierandosi
al suo fianco nell’ultima guerra!”
“Uhm…” –Rifletté Titis, spostando lo sguardo da Nikolaos ad Ascanio,
per osservarli meglio. Forse era vero, forse quei due ragazzi in muta erano
davvero al servizio di Zeus, del resto non era impresa da poco trovare la via
che conduceva ad Atlantide. Nessuno, nel corso di millenni, vi era mai
riuscito, e quei pochi giunti al portale erano morti schiacciati dalle correnti
di profondità, che giocavano con la vita di coloro che ardivano violare la
cripta dell’Imperatore dei Mari. Eppure costoro hanno superato anche quella
prova… Si disse, prima di rispondere al Luogotenente dell’Olimpo. –“Non
posso compiacere la vostra richiesta, mi dispiace! Se anche siete chi dite di
essere, il mio compito è comunque quello di proteggere questo santuario,
impedendo a chiunque, persino a Zeus, di violarlo! Per questo sono stata
investita e non ho intenzione di infrangere il giuramento che mi lega al mio
Signore, soprattutto adesso che i sette Generali sono morti!”
“Cavaliere Sirena, la nostra missione non presuppone fallimenti! Siamo
consapevoli della tua devozione a Nettuno, ma ti assicuro che né tu né il tuo
Dio ne sarete danneggiati!” –Continuò Nikolaos nel perorare la loro causa.
“Se Zeus vuole risvegliare Nettuno, che venga di persona a bussare alla
sua porta! Troverà chi la custodisce!” –Replicò Titis, balzando indietro ed
espandendo il suo cosmo. –“Tornate indietro o dovrò combattervi!”
“Tsè!” –Rise Ascanio, infastidito dall’imprevisto ostacolo. –“Non c’è
storia, mia bella sirena! Non è nostra intenzione farti del male! Non darcene
motivo!”
“Insolente!” –Bofonchiò Titis, mentre già il suo cosmo invadeva l’aria.
–“Sottile trama corallina!” –Un canto melodioso si diffuse per l’intera
Atlantide, incantando per un momento i due ragazzi, il tempo necessario
affinché le loro gambe venissero bloccate, ricoperte da uno strato di coralli
che si faceva sempre più consistente.
“Che diavolo…?!” –Mormorò Nikolaos, cercando di liberarsi, prima che la
morsa di coralli si chiudesse sul suo viso, impedendogli persino di respirare.
“Umpf… Quanto spreco di tempo e energie!” –Commentò Ascanio, bruciando
per la prima volta il suo cosmo e liberandolo con una vampata di energia che
salì fino al cielo del tempio, incenerendo i coralli che lo avvolgevano e
liberando anche l’amico.
“Incredibile!!!” –Balbettò Titis, muovendo un passo indietro,
intimorita e affascinata da quell’esplosione energetica dalla forma di due
serpenti intrecciati. Una potenza devastante che non aveva percepito in
nessun’altro Cavaliere. –“Seconda soltanto al mio Signore Nettuno!”
“Adesso che hai capito l’inutilità dei tuoi sforzi, ti prego, Cavaliere
Sirena, cedi il passo! Come tu hai la tua missione, noi abbiamo la nostra!”
–Esclamò Ascanio, puntandole contro un dito e liberando un fascio di energia
che trafisse Titis in pieno, schiantandola a terra poco distante con la corazza
danneggiata.
“Io… Proteggerò Atlantide ad ogni costo!” –Rantolò la giovane,
affannando nel rimettersi in piedi, mentre Nikolaos cercava un modo per evitare
ulteriore spargimento di sangue.
“Se questo è il tuo volere…” –Commentò Ascanio, tirando su la manica
della tuta e sfiorando i serpenti tatuati sul suo polso.
“L’unico volere che conta è quello del Padre degli Dei!” –Intervenne
un’imperiosa voce, mentre una sagoma di pura luce appariva poco distante dai
tre combattenti.
“Ma voi siete…?!” –Balbettò Nikolaos, mentre il manto di luce scemava
di intensità, permettendo loro di osservare un uomo alto e snello, ricoperto da
una celeste Veste Divina, dello stesso colore dei suoi occhi. In mano stringeva
un anfora che tutti subito riconobbero: il Vaso di Atena, ancora sigillato.
–“Ermes, il Messaggero degli Dei!”
“Non ci sarà bisogno di lottare!” –Esclamò il Dio, avvicinandosi e
porgendo una mano a Titis, per aiutarla a rialzarsi. –“Gli ordini di Zeus
Olympios sono legge per gli appartenenti di qualsiasi culto, compresi i
servitori del suo adorato fratello! Non è così, Cavaliere Sirena?!”
Titis esitò ancora un secondo, incapace di ammettere la sconfitta. Se
anche avesse voluto opporsi sarebbe bastato il gesto di uno di loro per
spazzarla via. E in quel modo sarebbe dovuta morire, lottando in nome della
causa che aveva giurato di difendere. Ma c’era qualcosa, nelle parole sincere
del Messaggero degli Dei, nel suo dolce sguardo senza età, che le diceva che
poteva fidarsi. E che Nettuno stesso avrebbe capito. Questo, quantomeno, fu
quel che si disseper convincersi mentre
chinava il capo, accettando infine le richieste di Ermes.
“Molto bene! Fai strada, dunque!” –Esclamò l’Olimpico Messaggero,
seguendo Titis nel dedalo di strade di Atlantide.
“A giudicare dalla solidità degli edifici e dalle decorazioni,
Atlantide doveva essere un regno molto prosperoso! Su qualche parete ancora
permangono sbiaditi affreschi che neppure il tempo ha cancellato! È difficile
pensare che ci troviamo su un’isola che un tempo godeva della luce del sole!”
–Commentò Nikolaos.
“Ed una splendida città era infatti! Nettuno vi costruì il tempio più
bello che sia mai stato eretto al di là delle Colonne d’Ercole! Fu qua che il
Dio si asserragliò con tutti i suoi fedeli, al termine della Prima Guerra
Sacra, e qua affrontò i Cavalieri che Atena gli inviò contro! Ne seguì uno
scontro così violento che l’intera isola si inabissò!” –Spiegò Ermes, ed anche
Titis annuì, ben conoscendo la storia di quella disfatta.
Dopo qualche minuto giunsero sul punto più alto della città, un rialzo
sul quale si ergeva un tempio di mura robuste, più solide, a vedersi, del resto
degli edifici. Le porte, sia pur usurate dal tempo, erano in oro massiccio e
ornate dal simbolo che Ascanio e Nikolaos avevano visto sul portale esterno. Il
tridente di Nettuno.
“In questo mausoleo riposa il corpo del Signore dei Mari! Da tempi
immemori il suo sonno non è mai stato interrotto, avendo egli preferito
ricorrere a un simulacro piuttosto che rischiare di rovinare il suo vero
aspetto!” –Spiegò Titis, fermandosi all’esterno assieme ai tre fedeli di Zeus.
–“Sommo Ermes… Siete davvero sicuro che sia la scelta migliore?”
“Che lo sia o meno, questa è la volontà di Zeus Tonante, e non sarà un
semplice emissario a metterla in dubbio!” –Rispose pacato l'ambasciatore del
Dio del Fulmine, facendo cenno a Titis di procedere.
La ragazza sospirò, prima di avvicinarsi al portone e spingere un’anta
con forza. Fece per spalancare anche la seconda, quando si sentì afferrare per
una gamba e sbattere a terra con violenza, da un sinuoso tentacolo violaceo che
la trascinò all’interno.
“Titis!!!” –Esclamò Nikolaos, correndo avanti, seguito da Ermes e da
Ascanio. Nuovi tentacoli sfrecciarono nella loro direzione, intrappolando i tre
combattenti in una ferrea morsa e sollevandoli in aria, fino a sbatterli contro
il soffitto del tempio e contro le mura laterali, permettendo loro di rimirare
l’ancestrale creatura che li aveva catturati. –“Una… piovra gigantesca…”
“Aaargh!!!” –Gridò Titis, la cui corazza stava andando in frantumi,
stritolata da quella morsa violenta.
“Non è solo una piovra. È un guardiano!” –Esclamò Ascanio, sballottato
contro un muro dal gigantesco animale che occupava l’intero spazio del
corridoio che conduceva alla cella centrale. –“Ben più efficiente della
graziosa sirenetta, aggiungerei!” –Ironizzò, prima che una stretta della
creatura gli mozzasse il respiro.
“Il Cavaliere di Avalon ha ragione! Deve essere stato incaricato da
Nettuno di presiedere il suo regno, ergendosi come ultima difesa e uccidendo
chiunque tentasse di violare la sacra soglia!” –Intervenne Titis.
“E come diavolo ha fatto a sopravvivere per tutto questo tempo?!”
–Gridò Nikolaos.
“Grazie al cosmo di Nettuno, di cui si è nutrito!” –Spiegò Ascanio, che
sentiva provenire dalla bestia un baluginare di cosmo, fioco ma percettibile.
Il plancton che gli aveva permesso di perdurare per quei lunghi millenni di
solitudine.
“In effetti… il livello della bolla è molto calato!” –Commentò Titis,
prima che la piovra le sbattesse il cranio contro un muro, spaccandole l’elmo e
inzuppandole la faccia di sangue. –“Prima copriva una porzione di mare molto
superiore, adesso raggiunge a malapena i dieci metri di altezza!”
“Mi dispiace per questo povero animale che non ha colpa alcuna tranne
la devozione sconfinata al suo Signore, per il quale ha tutta la mia stima!”
–Esclamò allora Ermes. –“Ciononostante niente potrà fermare la mia missione!”
–E cercò di muovere un braccio per raggiungere il Caduceo che portava affisso
alla cintura dell’armatura.
Quasi come la piovra avesse percepito le sue intenzioni, la pressione
dei tentacoli aumentò, troncando a metà il tentativo del Messaggero degli Dei e
torcendogli un braccio all’indietro. Nikolaos espanse allora il proprio cosmo,
ma sentì chiaramente che più lo faceva ardere più gli veniva portato via,
sottratto dall’ancestrale creatura che pareva trarne forza e nutrimento.
“Lasciate… fare a me!” –Mormorò Ascanio, chiudendo gli occhi.
Titis, Nikolaos e Ermes lo osservarono per qualche secondo, trattenendo
il fiato dallo stupore quando si accorsero che la piovra pareva essersi fermata
e aver diretto il proprio sguardo verso il Cavaliere delle Stelle. Ascanio
liberò il cosmo, lasciando che la creatura ne venisse in contatto, lasciando
che lo sentisse fluire dentro sé, impressionando Titis, che capì cosa stava
facendo. Trovò conferma ai suoi pensieri poco dopo, quando sentì allentarsi la
presa dei tentacoli, quando sentì che la piovra li stava lasciando liberi,
consapevole di non aver niente da temere da loro, consapevole che non avrebbero
recato danno alcuno al tempio del suo creatore.
“Quel che avevo detto sulle truppe di Ade e Nettuno, vale anche per
Avalon a quanto pare!” –Disse il Cavaliere Sirena, mentre i tentacoli la
depositavano a terra. –“Sei un metamorfo anche tu, capace di entrare in
comunione con le forze della natura, capace addirittura di trasferire l’anima
in un altro essere, tramite la trasmigrazione della stessa. La metempsicosi.”
“Faccio solo quel che è nei miei poteri!” –Commentò blando Ascanio,
senza perdere la concentrazione con la mente della piovra, conducendola, quasi
fosse soggiogata da un incantesimo, all’esterno del mausoleo di Nettuno e
osservandola allontanarsi, libera finalmente dal legame che la vincolava a
quella tenebrosa prigionia. –“Hai servito bene il tuo padrone! Egli potrà
soltanto essere fiero di te! Vai in pace, abitante degli abissi! Io, Ascanio
Pendragon, Cavaliere della Natura, ti dono la libertà!”
Nikolaos lo affiancò poco dopo, anch’egli, come l’amico, con la tuta
strappata in più punti e la pelle arrossata a causa della stretta dei
tentacoli. Ermes, alle loro spalle, stava curando le ferite aperte di Titis,
bloccando l’emorragia al cranio.
“Dobbiamo andare!” –Esclamò il Comandante dei Cavalieri delle Stelle. I
suoi compagni annuirono e si inoltrarono nel mausoleo di Nettuno.
Oltre, Avalon non poté vedere.
La superficie del pozzo sacro si oscurò, impedendogli di continuare a
seguire le gesta del suo allievo, e al Signore dell’Isola Sacra parve che
un’ombra immensa fosse scesa sulla Terra. Rabbrividì, stringendosi nelle sue
vesti argentee, e discese nell’erba della radura, trovandola per la prima volta
fredda.
“Cos’è quest’inquietudine?!” –Si chiese. –“Così grande non l’ho mai
provata prima!”
Dopo l’incontro con Ioria si era sentito sollevato, libero da un peso
che per anni gli aveva oppresso il cuore. La guerra ad Asgard infuriava ancora,
ma l’avanzata dei ghiacciai si era fermata, grazie anche al cosmo dei druidi
che da ore ormai pregavano sull’alto colle di Avalon. Eppure non riusciva a
scrollarsi di dosso quella sensazione terribile che l’aveva invaso, un brivido
nient'affatto dovuto all’inverno nordico. No, è un inverno diverso quello
che mi gela l’animo. Un inverno primordiale.
“L’ombra è vicina!” –Capì. Ma prima che potesse muoversi per tornare
alla propria residenza e conferire con il Primo Saggio, un suono lo distrasse.
Una voce stridula che non avrebbe mai immaginato di tornare a udire.
“Più vicina di quanto tu non creda, Gran Tessitore!”
“Chi è là?” –Avvampò Avalon, muovendo il braccio mentre si voltava e
generando un’onda di energia cosmica che rischiarò la cima dell’Isola Sacra,
abbattendosi, senza effetto alcuno, sulla nera sagoma che era appena sorta al
limitare della radura.
“Ah ah ah! Il grande Avalon ha forse paura? E di cosa esattamente?!”
–Ridacchiò una voce, palesemente divertita, mentre la figura fatta di ombra
avanzava all’interno del cerchio di pietre sacre, senza risentire del suo
effetto difensivo. –“Della morte? O del fallimento dei suoi progetti? Il che, a
ben vedere, è la stessa cosa!”
“Questa voce… non puoi essere tu!!!” –Esclamò il Signore dell’Isola
Sacra, sgranando gli occhi inorridito. –“Tu… dovresti essere morto!!!”
“Dovrei?! Da quando un condottiero tuo pari è passato a usare il
condizionale? Forse da quando ha compreso quale infinito e oscuro potere ha
deciso di sfidare?! Perché, e di questo siine certo, contro la grande ombra non
vi è speranza alcuna di vittoria!”
Avalon non disse niente, fendendo le nebbie con lo sguardo e trovando
conferma ai suoi peggiori sospetti. L’ombra che si ergeva dinanzi a lui era
un’entità senza corpo, composta di odio e tenebra, che egli conosceva bene. Era
colui che avrebbe voluto prendere il suo posto alla guida dell’Isola Sacra,
rimodellandola a forma di trono nero e facendone dono al suo signore, il giorno
in cui sarebbe ricomparso dall’esilio.
Era la sua nemesi, e un tempo era stato suo fratello.
Flegias, figlio di Ares, Flagello di Uomini e Dei e Gran Maestro di
Ombre.
Sorpreso che qualcuno, dopo secoli, fosse riuscito a sorprenderlo.
E il pensiero che fosse stato proprio il fratello che lo aveva tradito
generava in lui sentimenti contrastanti. Rabbia e dolore, rammarico e
preoccupazione. Ma lo portava soprattutto a chiedersi quanto forte fosse il
Male se poteva permettersi persino quello, se poteva permettersi di tenere in
vita un’ombra.
“Leggo lo stupore nei tuoi occhi, Gran Tessitore, ed è una reazione
naturale!” –Parlò la figura che aveva di fronte, una sagoma di pura tenebra.
–“Purtroppo per te, ho imparato a conoscerti e so come ragioni! Secondo logica!
La tua vita si è svolta in vista di un obiettivo, i giorni scanditi dalla
clessidra del tempo che avevi a disposizione per le tue ricerche, e proprio
adesso che sei così vicino alla realizzazione del tuo glorioso progetto, ecco
che un imprevisto balza fuori a rovinare i tuoi programmi! Perché un imprevisto
sono, e dei più scomodi devi considerarmi!”
“Piantala con queste farneticazioni e spiegati! Cosa ci fai qua?”
“Non è evidente?! Sono venuto per ucciderti, risolvendo il problema
alla radice! Se lo avessi fatto secoli addietro, quando ancora condividevamo lo
stesso giaciglio, allievi entrambi del Primo Saggio, mi sarei risparmiato molte
fatiche! Perché vedi, Avalon, ho imparato che non sono i Cavalieri di Atena la
mia spina nel fianco, ma tu! Tu con i tuoi intrighi, tu con i tuoi sotterfugi,
tu con le trame che ordisci da quest’alto colle di mele marce! Hai cercato di
ostacolarmi in ogni modo, fin da quando rubasti il posto che meritavo di
ottenere! Ma quest’oggi farò in modo che ciò non accada più!”
“L’unico posto in cui avresti dovuto sedere era al mio fianco! Ma lo
rifiutasti, sputando sulla luce e abbracciando l’ombra! Ti perdesti quel
giorno, maledicendo la confraternita, e da allora i tuoi passi hanno percorso
soltanto una strada, quella verso il Male! Il male primigenio!” –Commentò
Avalon, recuperando la sua sempiterna calma. La sorpresa iniziale stava
passando, lasciando il posto al disincanto che aveva regnato nel suo animo
durante ogni precedente incontro con il suo antico compagno. Un uomo che aveva
tradito persino la propria progenie.
Flegias, il Rosso Fuoco, Flagello di Uomini e Dei e Maestro di Ombre aveva
perduto il corpo nella battaglia sull’isola dell’Egeo, ma lo spirito era
perdurato. Un’anima corrosa dall’ombra a cui si era asservito secoli addietro,
proclamandosi suo araldo.
“Fare la voce grossa non ti salverà, Avalon! Quando lui sarà qui, di te
non resteranno neppure le ceneri! Alla terra donde fosti tratto ritornerai!
Polvere alla polvere, così il cerchio si chiuderà!” –Ringhiò Flegias, mentre le forme del suo corpo si allungavano,
diventando aguzzi artigli di tenebra che si sollevarono verso il cielo prima di
precipitare su Avalon, per infilzarlo.
Ma il Signore dell’Isola Sacra, semplicemente socchiudendo gli occhi,
scomparve, lasciando che i neri artigli si piantassero nel terreno, prima che Flegias riassumesse una rozza sagoma umana.
“È così che speri di vincermi?!” –Esclamò una voce alle sue spalle,
mentre un fascio di luce si schiantava sulla sua schiena, infiammandola. –“Con
mera energia bruta?! A ben poco allora sono servite le ore di meditazione e le
lunghe veglie cui i druidi ci hanno sottoposto!”
“Che muoiano anche loro!” –Sibilò Flegias,
voltandosi e fissando Avalon con un tetro sguardo, che bastò a spingerlo
indietro, sotto la micidiale pressione di una forza invisibile e oscura. –“E
infatti moriranno, li sgozzerò io stesso, quando avrò finito con il loro
allievo prediletto!”
“Sei… stolto!!!” –Mormorò il Signore
dell’Isola Sacra, per quanto in quella scomoda posizione persino parlare gli
risultasse difficile. Cercò di non reagire ai deliri del vecchio compagno, concentrando
i sensi e liberandosi da quella gabbia mentale. Ma Flegias,
nel frattanto, era già balzato su di lui, portando avanti entrambe le braccia
che si mutarono in lame di tenebra. –“Aah aah!!!” –Gridò Avalon, volgendo loro
contro i palmi delle mani, carichi di luminescente energia, dentro i quali le
lame si piantarono, trapassandoli.
Trattenendo il dolore, il maestro dei Cavalieri delle Stelle lasciò che
il suo cosmo fluisse lungo il sangue che ruscellava
dalle ferite, macchiando lo strato di tenebra di cui Flegias
era composto. E incendiandolo.
“Co… cosa stai facendo?!” –Ringhiò, cercando
di ritirare le lame e accorgendosi di non riuscirvi. –“Lasciale!!! Perché vuoi
trattenerle in te?!” –Ma Avalon non gli diede alcuna risposta, limitandosi ad
espandere ancora il proprio cosmo, che ricoprì l’intera sagoma del Flagello di
Uomini e Dei, penetrando al suo interno, portando luce in un luogo di ombra
eterna.
“Ma… maledetto!!!” –Gridò Flegias,
sentendo il dolore. Un dolore diverso da quello provato a volte in battaglia,
che nient’altro era se non una ferita fisica. Questa invece era una sofferenza
interiore che affondava nel suo passato. Nel loro passato. In quello che Avalon
stava muovendo dentro di lui nel disperato tentativo di sopraffare l’ombra con
la luce. –“Sei… ingenuo fino in fondo…”
–Mormorò infine, radunando tutte le sue forze e ritirandosi.
Come un serpente, strisciò sul manto erboso fino ad appoggiarsi con la
schiena a uno dei grossi megaliti che ne ornavano il perimetro, ricomponendo la
propria sagoma e osservando Avalon, rimasto al centro dello spiazzo, con le
mani sanguinanti. Ma bastò che l’uomo le guardasse per cicatrizzare le ferite. Quelle
esteriori per lo meno.
“Non riuscirai ad uccidermi!” –Commentò infine. –“Non te lo permetterò!
Non perché io brami di vivere ancora a lungo, ma perché dalla mia esistenza
dipendono molte altre vite e non voglio che nessuna vada sprecata!”
“Non credere però di riuscire tu ad uccidere me! Hai fallito sull’Isola
delle Ombre, quando avevo ancora un corpo, che potevi bersagliare di attacchi,
e fallirai anche quest’oggi, che sono immensamente più potente! Ah ah ah! È troppo tardi, Avalon, troppo tardi per tutto! Rido al
pensiero di tutti i secoli che hai sprecato a mettere insieme gli indizi dei
Sette Saggi, per cercare i Talismani e poi fallire nell’impresa!”
“Fallire?! Di cosa stai parlando?!”
“Non solo non hai trovato tutti i Talismani, ma hai anche esaurito il
tempo a disposizione!” –Strillò Flegias. –“Anche
considerando il pischello che Gemini tentò di istruire in gioventù, rimani con
cinque Talismani: lo Specchio del Sole, il Tridente dei Mari, la Spada di Luce,
lo Scettro d’Oro e la Cintura dell’Arcobaleno!”
“Per la verità gli altri due sono in mio possesso da tempo!” –Lo zittì
Avalon, senza perdersi l’espressione sbigottita, a tratti incerta, comparsa sul
volto del rivale. –“Da quindici anni almeno! Ma, se uno di essi è ben protetto,
al punto che persino io l’ho rimirato una sola volta, il possessore dell’ultimo
Talismano, il più potente dei Sette, possiede un cosmo così potente da non aver
bisogno di ricorrervi in battaglia!”
“Vuoi dire… che si tratta di lui?! Grrr!!! Questo non toglie che il tempo sia scaduto! Il
varco tra i mondi sta per riaprirsi!”
“Mancano ancora trentadue giorni e una manciata di ore! Poche, è vero,
di fronte all’eternità, ma sufficienti per coordinare le ultime operazioni di…”
“Idiozie!!! Il varco si sta aprendo! E se tu la smettessi di tenere la
testa china su quel pozzo e la alzassi al cielo ogni tanto te ne saresti
accorto prima!” –Ghignò Flegias.
Avalon non rispose, ponderando le parole dell’antico compagno. Potrebbe mentire, come ha fatto altre volte
in passato, ma in questo caso non otterrebbe alcun beneficio. Ma ammettere che dica
il vero significa ammettere che…
“Quel che è successo ad Asgard ha anticipato gli
eventi, smuovendo l’equilibrio tra i mondi e favorendo il ricrearsi della
configurazione astrale necessaria affinché il varco potesse riaprirsi ed egli
fare ritorno in ciò che ha creato! Gli antichi sigilli stanno venendo meno,
divorati dall’odio, dalle guerre e dal male di cui gli uomini son stati cagione
per millenni. Questo crepuscolo a cui sono destinati gli Dei del Nord è lo
stesso che calerà sulla Terra intera!”
“Per i Sette Saggi! Se le tue parole sono vere…
il Tempio…” –Rabbrividì Avalon, pensando a Febo e Marins.
“I tuoi tirapiedi saranno già morti a quest’ora! Da soli contro
l’ancestrale potere che soffia da Est, che speranze avranno avuto? Il deserto
del Gobi sarà la tomba di tutti coloro che oseranno sfidarlo!”
A quelle parole Avalon sollevò un sopracciglio, fissando Flegias con uno sguardo che da tempo non appariva sul suo
placido viso. Uno sguardo tagliente che anticipò lo scatenarsi di un’onda di
energia argentata, che scivolò contro il figlio di Ares, strappandogli un grido
di dolore mentre lo trapassava.
“La mia pazienza ha un limite e tu l’hai superato!” –Sentenziò,
espandendo il proprio cosmo e concentrandolo sul palmo della mano, sotto forma
di un globo di energia. –“Cometa di Avalon, risplendi!!!”
L’attacco luminoso sfrecciò verso Flegias,
ancora stordito dall’onda che l’aveva raggiunto, obbligandolo a un rapido
movimento del braccio, con cui liberò un cumulo di energia cosmica dal colore
dell’ebano. I due assalti si contrastarono per qualche secondo, incendiando
l’aria di scintille argentee e nere, prima di esplodere e spingere entrambi i
contendenti indietro di qualche passo.
“Se davvero i Talismani sono nelle tue mani, è un motivo in più per
ucciderti! Con la tua morte, nessuno saprà come usarli e rimarranno inutili!
Dubito che Andrei, Alexer e l’altro codardo che ha
ben pensato di fuggire sappiano come arrivare all’ultimo manufatto! Ah ah ah!” –Esclamò Flegias,
avventandosi sul Signore dell’Isola Sacra.
“Adesso basta!!!” –Tuonò una terza voce, con un tono così perentorio da
arrestare a metà l’assalto del Maestro di Ombre.
Sia lui che Avalon si voltarono verso il sentiero che conduceva alla
radura, dove la snella sagoma del Primo Saggio era appena apparsa. Rivestito di
bianchi abiti, si appoggiava ad un lungo bastone di legno per tenersi in piedi.
“Magister! Rimanete a distanza! È pericoloso
stare qui!” –Gridò Avalon, ma l’Antico lo mise a tacere con un cenno del
braccio, prima di volgere il severo sguardo su Flegias,
che decise di approfittare di tale gustosa occasione per uccidere entrambi,
avendo finalmente la sua vendetta.
“Per puntiglio ti scagli contro di noi?” –Mormorò il Primo Saggio,
roteando il bastone e fermando l’assalto di Flegias
con un cerchio mistico di energia che apparve a sua difesa. –“Non hai appreso
niente dei miei insegnamenti, allora? Un condottiero, a qualunque causa sia
devoto, deve mettere da parte i propri sentimenti, in vista dell’obiettivo
ultimo. Non c’è posto per noi, per quel che davvero vogliamo, nello scontro tra
le potenze del mondo. C’è posto soltanto per quel che dobbiamo fare.”
“E io debbo uccidervi, oh Antico! Il mio Signore lo vuole! Ma
ringraziatemi! Spesse volte vi ho sentito lamentarvi per la vostra stanchezza,
per gli affanni che la senilità vi causa. Siatemi grato, poiché porro fine a
tale vita di stenti donandovi finalmente pace. Una pace oscura.” –E nel dir
questo Flegias spalancò le braccia, lasciando che
fluttuanti figure nere sorgessero dal suo corpo, avventandosi sul Primo Saggio.
–“Rapsodia di demoni! Risuona!”
“Alla tua follia non c’è fine! Persino l’alto colle di Avalon osi
oltraggiare con le tue ombre!” –Esclamò il Signore dell’Isola Sacro, puntando
un dito avanti e liberando migliaia e migliaia di fasci di energia, che si
schiantarono contro le nere sagome evocate da Flegias,
impedendo loro di raggiungere il Primo Saggio. –“Dovresti avere rispetto verso
il luogo ove sei venuto al mondo!”
“E infatti ce l’ho!” –Sibilò Flegias, i cui
occhi rossastri brillavano come fiammelle in un oceano di tenebra. –“Dopo che
vi avrò ucciso, e avrò estirpato la malapianta dei
Cavalieri delle Stelle, farò di quest’isola la mia dimora! Un nuovo Olimpo
creerò, sollevandola in cielo e avvolgendola in una caligine di nubi nere, da
cui ammirerò sazio e soddisfatto l’ecatombe cui il mio Signore destinerà il
genere umano!”
“Sragioni!” –Sospirò Avalon, abbassando il braccio e ponendo fine al
suo attacco.
Quel gesto stupì Flegias, che vide
nell’addolorato sguardo del Signore dell’Isola Sacra il trionfo del dispiacere
per l’abbandono subito, il trionfo della pena rispetto alla sua missione. Così,
eccitato, frenò l’avanzata dei suoi demoni, dirigendoli anziché verso Avalon,
che nulla fece se non osservare il suolo con mestizia, prima di essere
circondato da una marea di ombra.
“Che su Avalon cali la notte!” –Ringhiò Flegias,
pregustando l’imminente vittoria.
“Te l’ho già detto! Sei stolto!” –Parlò il Signore dell’Isola Sacra,
sollevando infine lo sguardo fiero e deciso e lasciando esplodere il suo cosmo.
–“Stolto e avventato!”
La deflagrazione di luce annientò ogni ombra e demone, dilaniandone
l’essenza, quindi si espanse a raggio, travolgendo Flegias
e scaraventandolo indietro, trapassato da migliaia di aghi lucenti. L’intera
isola sacra tremò, al ruggito del suo padrone, e tutti i discepoli, gli
apprendisti e le sacerdotesse presenti seppero che Avalon era stata attaccata e
sul colle più alto le sorti del mondo venivano decise.
Matthew, impegnato in quel momento, in una prova di equilibrio sulle
mani, perse la concentrazione e cadde a terra, suscitando l’ilarità dei druidi
che lo seguivano. Un sorriso di breve durata quando compresero quel che stava
accadendo. A sentire che Avalon stava combattendo per tutti loro, il giovane si
infiammò, chiedendo di andare a lottare al suo fianco.
“Frena l’entusiasmo, giovincello!” –Esclamò una voce, sorprendendo
tutti i presenti. –“Avrai tempo e modo per mostrare il tuo valore. Vedi però di
non farti uccidere prima. Quanto al resto… lascia che
mi occupi io, del nostro comune amico.” –Non disse altro, l’uomo dall’armatura
scarlatta, sollevando lo sguardo verso nebbie così fitte che neppure il suo
sguardo poteva penetrarvi. Nebbie adesso squarciate da vampate di energia
argentea.
“Come al solito non hai capito niente!” –Commentò Avalon,
incamminandosi verso l’antico compagno, una macchia di tenebra che risaltava
contro il grigiore del megalito cui si era appoggiato, per riprendersi
dall’assalto subito. –“Credere che il dispiacere per averti perduto potesse
portarmi a deporre le armi e a rinunciare a tutto ciò per cui ho lavorato e
vissuto finora era un’ingenuità.”
“Questo è lo spirito dei garanti dell’equilibrio.” –Intervenne allora
il Primo Saggio, sollevando il bastone e puntandolo su Flegias,
che sentì ogni fibra della sua ombrosa essenza torcersi e guaire. –“Avalon e
gli altri lo hanno compreso. Tu mai.”
“Non sono stato un allievo modello!” –Ringhiò il Maestro di Ombre,
mentre il suo vecchio compagno si fermava di fronte a lui, fissandolo con
sguardo severo. Eppure, in fondo a quegli occhi argentei, Flegiascredette di percepire una tristezza più vecchia del
mondo. Fu un momento, ma bastò a impedirgli di agire.
“Che le stelle ti accolgano, fratello!” –Esclamò allora Avalon, sul cui
palmo della mano risplendeva una sfera di luce. La sollevò per poi calarla su Flegias e scomporla in migliaia di scie energetiche che
avvolsero la tenebrosa figura, trapassandola e facendola urlare, prima di
sollevarla verso il cielo. –“La luce del mio cosmo ti farà da guida verso
l’altrove, qualunque esso sia. Le comete si ciberanno della tua oscurità finché
di te non rimarrà più traccia alcuna nell’universo!”
“Ma… maledetto bastardo…”
–Latrò Flegias, la cui sagoma andava sempre più
assottigliandosi. Con un ultimo disperato sforzo, liberò tutto il suo cosmo,
forte della pietra nera ricevuta un tempo, in grado di catalizzare l’oscuro
potere che l’aveva generata. Annientò le comete di luce, stupendo lo stesso
Avalon, prima di piombare verso terra sotto forma di ombra demoniaca.
“Magister!!!” –Gridò il Signore dell’Isola
Sacra, vedendo la direzione cui puntava.
Il Primo Saggio roteò il bastone nodoso ma il cerchio mistico venne
sopraffatto dalla furia delle tenebre e Flegias fu su
di lui. Avalon tentò di intervenire ma quel che vide lo disgustò, frenando i
suoi passi. L’ombra stava entrando all’interno del corpo dell’Antico,
penetrando da ogni apertura presente, come una marea cui l’uomo non poteva
opporsi. Il Primo Saggio tentò di urlare ma le tenebre gli riempirono la bocca,
le narici e le ferite aperte sul suo corpo, gettandolo a terra tra mille
spasimi. Durarono poco, in verità, e quando l’Antico si rimise in piedi nei
suoi occhi c’era spazio solo per un’iride nera.
“Quale orrore!” –Mormorò Avalon.
“Blatera pure! Ma cosa farai adesso?!” –Sibilò Flegias,
impossessatosi del corpo del Primo Saggio e pronto a dare di nuovo battaglia.
“Quel che devo.” –Rispose conciso il Signore dell’Isola Sacra,
liberando un globo di energia argentea e dirigendolo contro il suo rivale,
schiantandolo contro un megalite molti metri addietro. –“Quel che il Primo
Saggio vorrebbe che facessi.” –Aggiunse, mentre Flegias
si rimetteva in piedi, sputando sangue e qualche dente rotto.
“Dannato per l’eternità tu sia!” –Avvampò il Maestro di Ombre,
liberando un’onda di energia del colore dell’ebano, che divorò in fretta il
suolo che lo separava da Avalon, prima di scontrarsi contro una cometa di luce
che questi aveva appena generato.
“Cambiando l’ordine degli addendi, il risultato non cambia. Sarai
sconfitto.”
“Taci e lotta!” –Ringhiò il Flagello di Uomini e Dei, incrementando la
potenza del suo assalto e spingendo Avalon indietro, cingendolo d’assedio da
ogni lato con figure composte di pura ombra, che nascevano dal suo corpo,
semplicemente staccandosi. –“Da chi ti difenderai adesso? Dai miei attacchi
frontali o dai miei demoni?”
“Urgh…” –Strinse i denti il Signore
dell’Isola sacra, espandendo il proprio cosmo lucente al fine di generare uno
strato protettivo che impedisse alle ombre di sfiorare il suo corpo. Consapevole
di non poter resistere a lungo in quella precaria situazione, Avalon scagliò
una cometa energetica verso Flegias, ma con orrore la
vide perdersi e scomparire in un ammasso infinito di tenebra che pareva
scaturire da Flegias stesso.
“DiesIrae, diesillasolvetsaeclum in favilla!” –Canticchiò questi, citando una
composizione poetica medievale che Avalon ben conosceva. –“Il giorno dell’ira,
quel giorno che dissolverà il mondo terreno in cenere!” –Ridacchiò, mentre il
suo cosmo oscuro invadeva l’intera radura, inglobando megaliti e pozzo sacro,
prima di colare verso il basso. –“Quanto terrore verrà quando il giudice
giungerà a giudicare severamente ogni cosa! In quel momento che potrai dire,
tu, misero, chi chiamerai a difenderti, quando a malapena il giusto potrà dirsi
sicuro?”
“Ci saranno i suoi amici a difenderlo! I fratelli con cui ha diviso la
vita!” –Esclamò una terza improvvisa voce, che stupì entrambi i contendenti.
Flegias fece appena in tempo a riconoscerla che una
devastante bomba di fuoco piovve dal cielo, investendolo in pieno e
scagliandolo in alto per il contraccolpo. Avalon sollevò lo sguardo, vedendo il
corpo del Primo Saggio avvolgersi in vivide fiamme rossastre e poi schiantarsi
a terra, circondato da roghi continui che avevano d’un tratto rischiarato la
cima dell’alto colle.
In mezzo alle vampe di fuoco, Andrei gli sorrideva compiaciuto, la
scarlatta armatura dalle slanciate forme risplendeva ai movimenti del padrone
in una sinuosa danza di guerra.
“Hai un conto in sospeso con me, una lista di debiti di guerra così
lunga che neppure ucciderti mille volte potrebbe saldarla!” –Disse, mentre Flegias si rimetteva in piedi.
“Quale onore. L’infiammabile tirapiedi di Avalon! Non ci vediamo da un
po’ di tempo, da quanto? Da quando incendiai quel santuario in Siam?”
“Era il tempio di Angkor, in Cambogia!”
“Uno dei tanti ove ho lasciato il mio segno!” –Ghignò il Maestro di
Ombre, suscitando l’immediata reazione di Andrei, che liberò una spirale di
fuoco, chiudendola attorno al demoniaco figlio di Ares. –“Piuttosto
suscettibile il ragazzo!” –Aggiunse, generando, semplicemente muovendo un
braccio di lato, un’onda di energia nera che fagocitò le fiamme, spegnendole
una dopo l’altra.
“Come hai fatto a intervenire? Credevo che le tenebre avessero isolato
l’isola sacra!” –Commentò Avalon, avvicinandosi al compagno.
“È così infatti, a stento percepisco quel che accade al di fuori! La
verità è che non me ne ero ancora andato. Mi sono trattenuto ad osservare i
progressi di Matthew. E a pregare per tutti noi.” –Spiegò Andrei, prima di
riportare lo sguardo su Flegias, il cui sorriso
sghembo stuprava il volto solitamente placido dell’Antico. –“E ho fatto bene, a
quanto pare! Quale migliore occasione di lasciar le mie fiamme libere di
danzare?!”
“Che non sia il tuo ultimo ballo!” –Ringhiò il Rosso Fuoco,
concentrando il cosmo attorno al braccio destro, ma prima che potesse liberare
il suo apocalittico attacco, Andrei aveva già aperto il palmo della mano,
evocando una moltitudine di fiamme che, come fossero creature viventi,
sfrigolarono nell’aria dirette verso Flegias.
“Flameofvictory!” –Esclamò, osservando compiaciuto le lingue di
fuoco avvinghiarsi attorno all’avversario.
“Idiota!!! Brucerai soltanto il corpo del Primo Saggio! Anche tu, come
Avalon, sei disposto ad uccidere il tuo mentore?!”
“I tuoi trucchi non funzionano con me, Flegias!
La fiamma di vittoria non è fuoco comune, non incendia la materia! Bensì
l’ombra!” –Disse Andrei soddisfatto, senza perdersi lo sguardo impaurito
apparso sul volto del nemico.
Dopo pochi secondi Flegias cacciò un grido,
poi un altro, e un altro ancora, mentre le fiamme continuavano ad ardere
attorno al corpo di cui aveva preso possesso, il corpo che adesso pareva
bruciare come l’inferno, impedendogli di rimanervi.
“Alchimisti maledetti! Persino il fuoco avete ritorto contro di me!
Niente più mi lasciate, nemmeno un involucro umano?!” –Ringhiò, mentre la
sagoma di un’ombra iniziava a sgorgare fuori dal corpo dell’Antico. –“Devo
uscire da quest’incendio!”
“Quell’involucro non ti apparteneva! Rendilo a chi saprà onorarlo!”
–Esclamò Andrei, mentre, con la coda dell’occhio, vedeva sagome note comparire
ai margini della radura sacra.
“Presto dovranno onorare anche voi! Con un bel requiem di morte!”
–Sibilò Flegias, allungandosi per piombare sui due
combattenti e accorgendosi, con sommo stupore, di non riuscire a raggiungerli,
prigioniero di un cerchio all’esterno del quale non poteva muoversi.
In quel momento anche Avalon vide i druidi, accorsi in aiuto del
maestro, e udì la cantilena che avevano intonato. Un’invocazione con cui
avevano confinato i movimenti di Flegias ad un’area
circoscritta. E, scambiandosi un’occhiata sicura con Andrei, adesso capì
perché.
“In nome di tutte le vite che hai spezzato, i culti che hai offeso, i
templi che hai disonorato soltanto con il tuo mortifero alito, io ti punisco! Fiamma di vittoriaaa!!!”
–Gridò Andrei, dirigendo una vampa di fuoco cosmico contro Flegias
che, a causa del cerchio mistico, non poté scansarsi per evitarla, subendone il
calore.
Avalon non disse alcunché, poiché niente avrebbe cambiato la realtà
delle cose. Il fratello in cui aveva creduto un tempo non esisteva più, e
adesso anche l’ombra del passato sarebbe scomparsa con lui.
D’un tratto le fiamme si innalzarono altissime, sospinte da un vento
che aveva iniziato a soffiare sull’alto colle, rinvigorendo l’animo inquieto
dei presenti. Un vento carico di scariche energetiche che, come fiammelle nel
buio, sfrigolarono contro la tenebra che componeva Flegias.
Terrorizzato, il Maestro di Ombre tentò di parlare, di chiedere ad Avalon di
non farlo, di non usare quel potere, ma le sue suppliche si confusero alle
grida che le vampe di fuoco e di luce gli provocavano.
“Nebulosa delle stelle!!!”
–Tuonò infine il Signore dell’Isola Sacra, liberando il potere ultimo di cui
era guardiano, il soffio stellare che mantiene vivo l’universo.
L’abbagliante tempesta di energia obbligò Andrei a coprirsi gli occhi,
indietreggiando di qualche passo, così come fecero i druidi, cercando riparo
dietro i megaliti di pietra. Non durò che pochi istanti, il tempo di spegnere
le ultime grida del Rosso Fuoco e di dissolvere quel che rimaneva della sua
deforme sagoma in un pulviscolo di stelle.
Cenere argentea invase l’aria, venendo poi spazzata via dal deflusso
della Nebulosa delle stelle, che la
sollevò fino al cielo, picchiettando i foschi nembi che cingevano l’isola sacra
in perenne assedio. Nonostante la furia della tempesta, la maggior parte della
cortina protettiva era ancora al suo posto. Solo uno spicchio di cielo parve
comparire lontano, uno squarcio nel velo che permise ad Avalon e ad Andrei di
rimirare il lontano oriente.
Là, nel firmamento lontano, al di fuori di ogni occhio umano, uno
squarcio ben più consistente si era aperto. I fisici lo avrebbero chiamato
passaggio dimensionale, gli antichi saggi lo nominarono “l’altrove”. Ma nessuno
di loro avrebbe potuto descriverne l’aspetto, se un aspetto lo avesse avuto,
poiché, per quel che i Sette ne sapevano, era solo un nulla immenso. Un universo
atto a contenere il pericolo che avevano dovuto affrontare, senza riuscire a
sgominarlo del tutto.
“Il varco tra i mondi…” –Mormorò Andrei,
comprendendo quel che era in atto.
“L’ora è giunta!” –Confermò Avalon, dando le spalle al compagno e incamminandosi
verso i margini della radura, ove i druidi stavano prendendosi cura
dell’Antico, i cui attacchi di tosse associati a schizzi di sangue li facevano
temere per la sua sorte.
Il Signore dell’Isola Sacra sospirò, rivolgendo una preghiera al suo
mentore, pur temendo che avrebbe presto incontrato la stessa fine di suo
fratello Galen, custode della Biblioteca di
Alessandria, anch’egli ucciso da Flegias sedici anni
addietro.
Capitolo 36 *** Capitolo trentaquattresimo: Recinti di fuoco ***
CAPITOLO TRENTAQUATTRESIMO: RECINTI DI FUOCO.
Quel che Ilda vide, affacciandosi dai pertugi della Torre della
Solitudine, fu quel che le era apparso nelle visioni evocate da Bjarkan. Un oceano di fuoco e morte.
Sul piazzale della cittadella di Midgard, ove
la statua di Odino era crollata, sommersa in parte da pietre e neve, piovevano
lapilli di fuoco che parevano cadere dal cielo. Un’incessante pioggia di lava
che stava allargandosi sull’intera città, distruggendo i tetti delle case,
incendiando alberi e seminando il panico tra i già provati abitanti.
“Sembra che l’universo stesso sudi lacrime di lava!” –Commentò la
stridula voce di Fiador, tremando impaurito alle
spalle della Celebrante di Odino.
Ma Ilda non diede troppo peso ai suoi pavidi pensieri, iniziando a
correre lungo le scale interne della torre, seguita dal fido Enji, che già aveva convocato nel Salone del Fuoco quel che
restava delle guardie della cittadella. Guardando dalla finestra della torre,
la Celebrante non aveva visto soltanto giganteschi nemici attaccare Asgard ma
anche l’accendersi solitario del cosmo del Principe Alexer, in piedi al centro
del devastato piazzale. Quale che fosse il destino di entrambi, e quello degli
Dei, che Ragnarök avrebbe riservato loro, Alexer non sarebbe morto da solo. Questo fu
quel che Ilda si disse, uscendo trafelata dal palazzo, con un mantello gettato
sulle spalle e una lancia tripunte in mano, dopo aver
impartito ad Enji le istruzioni necessarie.
“Mia Signora…” –Esclamò il Principe della
Valle di Cristallo, percependo il cosmo della Regina di Midgard
avvicinarsi. –“Non dovreste essere qua! È pericoloso!” –Aggiunse, proprio
mentre un ammasso di lava precipitava a terra vicino a entrambi, incendiando
neve e pietrisco.
“Il mio posto è in prima linea per difendere la mia città e la mia
gente! Non sono diventata Celebrante di Odino per sedere fiacca su uno scomodo
trono a guardare le persone che amo morire!” –Rispose calma e fiera Ilda di Polaris. –“Già una volta fui costretta a tale terribile
punizione e non vorrei riviverla neppure per un minuto!”
“Ciò vi fa onore, pur tuttavia devo farvi presente che potreste non
rivedere più il trono che vostro padre vi ha lasciato, perché i poteri di cui
disponete non sono arma adatta per affrontare costoro!” –Precisò Alexer,
sollevando lo sguardo verso le figure alte e deformi che circondavano il
piazzale.
I Muspellsmegir, i figli di Muspell.
I Giganti del Fuoco che popolavano il mondo dell’incendio universale.
“Non dovrebbero trovarsi qua… Un grave
sconvolgimento è in atto nei nove mondi se persino i confini tra gli stessi
vengono meno.” –Disse il Principe, osservandoli nascere dalle viscere della
terra ed espandersi, come vampe sollevate dal vento, fin quasi a lambire il
tetto del cielo. Creature prive di un vero e proprio corpo solido, composte di
fuoco e lava, che stavano facendo cadere sull’intera Cittadella.
“Cosa intendete?” –Chiese la Celebrante di Odino, arretrando assieme ad
Alexer, per evitare lapilli ardenti.
“Che io sappia, non sono mai usciti da Muspellsheimr,
e certo non avrebbero motivo per essere qua. A meno che…Surtr non sia sceso in campo e abbia ordinato di
diffondere ovunque la vampa infernale, trasformando i nove mondi in un incendio
universale.”
“Come la Volva aveva predetto. Sibila
il vapore con quel che alimenta la vita, alta gioca la vampa col cielo stesso.”
–Mormorò Ilda.
“Sia quel che sia. Non possiamo permettergli di avanzare oltre. La
gente di Midgard è già stremata, dobbiamo
difenderla!” –E nel dir questo Alexer espanse il proprio cosmo azzurro, che
turbinò attorno al suo corpo sotto forma di cristalli di ghiaccio. Di colpo
aprì le braccia lateralmente, generando onde di energia congelante che
percorsero la superficie del piazzale, spingendo indietro rocce e pietre,
spegnendo i vari roghi e ricoprendo il suolo di uno strato di ghiaccio.
Quindi, prima che i Giganti di Fuoco potessero rendersi conto di quel
che stava accadendo, concentrò il cosmo nel pugno destro e diresse un poderoso
attacco verso uno di loro. –“Polvere di
Diamanti!!!” –Gridò, mentre una tempesta di cristalli di ghiacci ricopriva
la sagoma deforme, spegnendo la fiamma che la alimentava.
Ilda approfittò di quel momento per scagliare il suo tridente,
conficcandolo nell’ammasso di gelo e facendolo esplodere poco dopo. Così
facendo, come avevano predetto, attirarono l’attenzione degli altri Muspellslýðr, che
diressero loro contro violenti getti di lava. Alexer afferrò Ilda, ponendola
dietro di sé, mentre sollevava di nuovo il cosmo, generando una cupola di
ghiaccio con cui parò l’assalto incendiario.
“Ve l’ho detto, Regina di Midgard, i vostri
poteri sono inefficaci! Io solo, con il mio gelo, posso sperare di contrastare
la loro avanzata! Perciò vi prego, mettetevi in salvo! Alle caverne, con il
vostro popolo, potreste ottenere riparo per…”
“Apprezzo la vostra premura, Principe Alexer, ma non permetterò mai che
altri si sobbarchino del peso della difesa della mia gente! Dovere che spetta
ad ogni Celebrante! Inoltre…” –E nel dir questo Ilda
sollevò lo sguardo verso la cupola di ghiaccio che Alexer si stava sforzando di
mantenere, nonostante l’incessante pioggia di fuoco, e la vide gocciolare in
più punti, segno inequivocabile che la pressione lavica l’avrebbe portata
presto al punto di rottura. –“Posso esservi utile. A modo mio!” –Così dicendo,
espanse il proprio cosmo, avvolgendolo in quello del Principe della Valle di
Cristallo e dandogli nuovo vigore.
Alexer sorrise, vedendo la cupola di ghiaccio assumere nuova rigidità e
fermando la fuoriuscita d’acqua, e approfittò di quel ritrovato slancio per
generare cristalli di ghiaccio che vorticarono attorno alle lingue di fuoco,
congelandole o spegnendole.
“Rimanete comunque dietro di me!” –Commentò infine, scaraventando la
barriera di ghiaccio contro un Gigante di Fuoco e osservandola venire
incendiata all’istante. –“Fulmini
Siderali!!!” –Gridò, dirigendo il potente assalto contro un mucchio di
roccia e neve, ai piedi del colosso, e scagliandoglielo tutto contro, fin quasi
a ricoprirlo. A quel punto, gli bastò sfiorare il suolo con una mano, per
congelare la pericolosa figura in un ammasso senza forma.
Non riuscì a tirare un sospiro di sollievo che nuovi Giganti di Fuoco
presero vita, divenendo ben più alti e minacciosi dei precedenti. Uno di loro
travolse il compagno che Alexer aveva appena congelato, incendiandolo con il
proprio corpo, mentre rivoli di lava ardente scivolavano sul terreno, aprendo
squarci nel piazzale e strisciando verso i due combattenti.
In quel momento una pioggia di frecce oscurò il cielo per un istante,
piombando sulla creatura di fuoco, senza provocargli danno alcuno e venendo
annientata al solo contatto. Ilda si voltò verso il portone della fortezza, da
cui Bard e un gruppo di arcieri era appena uscito, le corde ancora tese e
pronte a vibrare di nuovo.
Pur consapevoli dell’inutilità del loro agire, i soldati della
cittadella non avrebbero lasciato la Celebrante di Odino a morire da sola.
Anche Fiador avrebbe voluto unirsi loro, ma
sentiva di non avere forza a sufficienza, o forse non voleva affrontare lo
sguardo di Ilda, dispiaciuto per il suo tradimento. Così preferì rimanere
nell’ombra dell’androne, a tremare per un futuro che ormai pareva consumarsi
ogni momento di più. Enji lo aveva già
schiaffeggiato, prima di andarsene, assieme ad altre guardie, a portare aiuto
agli abitanti della città, riunendoli e conducendoli all’interno della
cittadella, dove il cosmo di Ilda li avrebbe protetti.
Approfittando di quel momento di confusione, Alexer espanse ancora il
proprio cosmo, che pareva trarre origine e forza dall’aria che gli turbinava
attorno, prima di scagliare un nuovo attacco congelante contro il figlio di Muspell, paralizzandolo, e poi distruggerlo con le sue
folgori dilanianti.
“Ce ne sono troppi!” –Commentò il Principe della Valle di Cristallo, guardandosi
attorno e realizzando di essere circondati. –“E chissà quanti altri già
incendiano i boschi e le vallate limitrofe!”
“Attacchi singoli non li fermeranno, dobbiamo affrontare il problema
alla radice!” –Esclamò Ilda, esponendo ad Alexer il suo piano d’attacco. Una
follia, come la definì il Principe, sgranando gli occhi, salvo poi
acconsentire, non avendo alternative. Così bruciò il cosmo al massimo,
sollevando striature azzurre che illuminarono il piazzale, la cittadella e poi
l’intera città di Midgard, sormontandola come un
arcobaleno a tinta unita. Una sola luce che fu vista da tutti gli abitanti,
ovunque si trovassero, e bastò per dare loro speranza.
Anche Ilda rimase ammutolita di fronte a così tanta energia, che
soltanto un Dio poteva ospitare al suo interno, ma subito si rinvenne,
espandendo il cosmo a sua volta e mescolandolo a quello del Principe Alexer. In
virtù di ciò, dell’energia vitale che Ilda gli avrebbe fornito, l’uomo in
armatura azzurra generò un vortice di cristalli di gelo che travolse repentino
tutti i Muspellslýðr, aspirandoli al suo interno e spegnendo
ogni loro fiamma. Con maestria, e molta concentrazione, Alexer diresse il
turbine oltre le montagne, portandolo ad esaurirsi nel Mare Artico, prima di
accasciarsi, toccando il suolo con un ginocchio e respirando affannosamente.
“Non è…finita…”
–Mormorò, prima di sollevare di nuovo lo sguardo e rompere quel silenzio carico
di attese.
Sia Ilda, che Bard e gli arcieri e l’impaurito Fiador,
osservarono con sgomento nuove sagome di puro fuoco sollevarsi ancora attorno
alla Cittadella, in un numero che, agli occhi di tutti, pareva superiore a
quelli appena sconfitti.
O forse sono gli stessi di
prima? Si chiese Ilda,
sconvolta, travolta dal dubbio che quelle creature composte di sola fiamma
potessero ricrearsi all’infinito, mentre le loro energie per affrontarle erano
limitate. Ciononostante non avrebbe indietreggiato di un passo, di questo ne
era certa.
Appoggiò una mano sulla spalla del Principe Alexer, che stava intanto
rialzandosi, quasi a ringraziarlo in silenzio per l’aiuto che gli aveva dato,
quindi sollevò la lancia verso un Gigante di Fuoco, espandendo il proprio cosmo
e liberandolo attraverso l’arma stessa in un raggio di energia.
Il fascio luminoso trapassò il figlio di Muspell,
senza però raggiungere altro obiettivo che non attirare la sua attenzione.
Vampe di fuoco si allungarono in direzione della Celebrante di Odino, presto
circondandola e precludendole ogni fuga. Bard diede ordine agli arcieri di
caricare, ma i loro dardi presero fuoco al contatto con il corpo della
creatura. Alexer si mosse per intervenire, ma un muro di fiamme gli sbarrò la
strada, mentre un paio di Giganti di Fuoco si avventavano su di lui,
obbligandolo ad espandere il proprio cosmo e a fronteggiarli, lasciando Ilda al
suo destino.
Fu un’abbagliante esplosione di luce ad annientare le fiamme che
circondavano entrambi, spingendo le deformi creature indietro e Alexer e Bard a
coprirsi gli occhi. Quando riuscirono a vedere di nuovo, restarono sorpresi nel
vedere Ilda indossare un’armatura da battaglia, la stessa che aveva già
sfoderato durante la scalata all’Olimpo. Il Principe della Valle di Cristallo
sorrise, ricordando l’origine di quella corazza, la veste della prima Valchiria
che aveva servito Odino agli albori del mondo.
Rinfrancata da quel nuovo potere, Ilda fece avvampare il proprio cosmo
generando un’onda di energia che si abbatté su un Gigante di Fuoco, spingendolo
indietro e disperdendo parte delle fiamme che lo componevano. Alexer colse l’attimo,
travolgendolo con un poderoso turbine d’aria e annientandolo, prima di dirigere
la sua attenzione sui di lui fratelli.
Quasi avessero compreso le sue intenzioni, i flagelli di Muspell liberarono caldi fiotti di magma, che ruscellarono sul suolo con pericolosi schizzi, obbligando
Alexer e Ilda a indietreggiare, mentre il freddo cosmo del Principe cercava di
frenarne l’avanzata.
Uno spostamento nello spaziotempo distrasse entrambi, facendoli voltare
verso l’ingresso del palazzo, dove Kiki era appena
apparso, lo sguardo sgomento di fronte a quel paesaggio infernale. Facendosi
forza, il ragazzo raggiunse Ilda per comunicarle che la parte bassa della città
era in fiamme e molti edifici erano crollati, uccidendo i loro occupanti. Enji era però riuscito a radunare la maggioranza della
popolazione e a condurla all’interno della fortezza dove, attrezzati con secchi
pieni di neve e acqua, stavano cercando di tamponare i danni, spegnendo i vari
roghi.
“Era questa la notizia che attendevo!” –Commentò Alexer, incrociando lo
sguardo di Ilda, che annuì, mentre il Principe si sollevava in aria, avvolto
nel suo cosmo azzurro, fino a portarsi in cima alla torre più alta della
cittadella.
Subito i Muspellslýðr allungarono le loro braccia di fiamme
verso di lui, nonostante i raggi di energia che Ilda stava loro dirigendo
contro, inutilmente, ma Alexer fu lesto a liberare un turbine d’aria fredda che
respinse i loro assalti, allargandosi sempre di più verso l’esterno. Con il
Principe al centro esatto di quel ciclone di gelida energia, la tempesta
aumentò di intensità, avvolgendo la cittadella di Midgard
e spingendo i figli di Muspell indietro. Quando fu
certo di aver inglobato l’intera roccaforte, Alexer mutò la forma del proprio
attacco, creando una immensa cupola di ghiaccio che sormontava il pinnacolo
roccioso ove il Recinto di Mezzo si innalzava. All’interno di quella semisfera
il magma dei Giganti di Fuoco non sarebbe mai giunto, finchè
il Principe avesse avuto energia sufficiente per mantenerla.
Ilda sorrise stanca, mentre Bard e le altre guardie ammiravano
soddisfatti la cupola protettiva, ben consapevoli, comunque, che quel loro
rifiatare avrebbe avuto breve durata. I Giganti di Fuoco infatti iniziarono a
dirigere getti di lava sulla barriera, determinati a liquefarla e a incendiare
la città. Fu Ilda allora a prendere l’iniziativa, piantando il tridente nella
cupola stessa e usandola come catalizzatore per liberare il proprio cosmo, che
si unì a quello di Alexer per risanare le crepe e i buchi che si aprivano a
sprazzi sulla barriera di ghiaccio.
“Non possiamo resistere a lungo…” –Rifletté
il Principe, ritto sul tetto della torre. –“Forse dovrei uscire, andare al di
là della barriera e affrontare i Giganti apertamente. Ma così facendo la cupola
quanto potrebbe resistere?” –Strinse i pugni, sollevando lo sguardo verso
l’alto.
Tra il fumo e il vapore, Alexer riuscì a vedere le serpentiformi sagome
dei figli di Muspell strisciare lungo la cupola, per
scioglierla con il loro immane calore, obbligando il Principe a profondere
continua e consistente energia per mantenerla.
Fu un grido di Ilda a riportare il suo sguardo su quel che restava del
piazzale, dove nella barriera di ghiaccio si era appena aperto uno squarcio.
Alcuni Giganti di Fuoco avevano diretto tutta la loro incendiaria potenza in un
punto, riuscendo a liquefare la cupola e a penetrare al suo interno, liberando
subito vampe di fuoco e getti di magma.
Ilda intimò Kiki e Bard di allontanarsi,
prima di ergersi, a lancia tesa, in quel mare di fiamme, avvolta nello
splendore del suo cosmo. Con una sfera di energia spinse indietro un figlio di Muspell di piccole dimensioni, ma subito altri
torreggiarono su di lei, obbligandola a muoversi continuamente per non essere
raggiunta dai getti di lava. Correndo, la Celebrante inciampò in una fessura
dell’antica pavimentazione, cadendo a terra e perdendo la presa sul tridente,
prontamente fagocitato da una pioggia di magma che minacciosa le si avvicinava.
D’un tratto due gracili braccia, ma forti a sufficienza per spingerla
lontano di qualche metro, la afferrarono, mentre Kiki
e Bard cacciavano un grido. Ruzzolando fuori dal getto di fuoco, Ilda fece
giusto in tempo a vedere Fiador divorato dalle
fiamme, tra grida lancinanti, prima che diventasse un ossuto scheletro
bruciacchiato.
Un turbine d’aria fredda la circondò, mentre l’elegante sagoma del
Principe Alexer balzava di fronte a lei, annientando l’avanzata del magma con
il suo cosmo gelido e disperdendo il gruppetto di Giganti di Fuoco con una
vigorosa tempesta di cristalli di ghiaccio. Nonostante lo sfoggio di potenza,
il coraggioso guerriero ansimava e, per quanto tentasse, non riusciva a
sprigionare così tanta energia da richiudere la crepa nella barriera,
continuamente bersagliata dagli assalti dei figli di Muspell.
Da quel che Kiki aveva raccontato, anche le
foreste circostanti erano state divorate dalle fiamme e in eguale sorte erano
incorsi anche coloro che vi risiedevano. Il pensiero della morte di tutte
quelle persone, degli abitanti della sua bella valle ove il sole al mattino
produceva spettacolari giochi di luce, fece avvampare il cosmo del Principe
Alexer, che turbinò nel piazzale spazzando via lava e fiamme e ricacciando i
Giganti di Fuoco al di là della barriera di ghiaccio, la cui crepa venne subito
richiusa.
Ma proprio in quel momento una seconda falla comparve sul lato
orientale della cupola dove, tra il vapore e le pozze d’acqua, altri figli di Muspell fecero capolino, allungando gli arti fiammeggianti
nella loro direzione e circondandoli.
“Flare…” –Mormorò Ilda, rivolgendo un ultimo
pensiero alla sorella. Avrebbe voluto esserci quando Cristal
l’avrebbe ricondotta a casa, ma forse, a breve, non avrebbero più avuto alcuna
cosa cui fare ritorno. –“No! In nome del casato dei Polaris
io impedirò la distruzione di Midgard!”
“Ed io ti sosterrò, amica mia!” –Esclamò allora una delicata voce
femminile. –“Permettimi di ricambiare un favore!”
In un lampo di luce tre figure apparvero di fronte ad Alexer e a Ilda,
mentre un forte vento si sollevò improvviso, disperdendo le fiamme che li
circondavano.
“Atena!!!” –Gridò Ilda, felice e preoccupata al tempo stesso.
“Fratello!” –Mormorò Kiki, rifugiatosi
nell’androne dal palazzo, assieme a Bard e alle altre guardie.
“Ci rivediamo, Celebrante di Odino!” –Si inchinò Mur
dell’Ariete, prima di introdurre il loro accompagnatore. Ricoperto dalla sua
magnifica Veste Divina, Euro, figlio di Eos e Vento di Levante, sorrise.
“Atena, corri un grave pericolo! La cittadella è sotto assedio! Non
dovresti essere qua!” –Esclamò Ilda, affiancando la Dea della Giustizia,
rivestita dalla sua armatura e con lo scettro di Nike saldo nella sua mano.
“È proprio il luogo in cui dovrei trovarmi! Nel mezzo di una battaglia
per difendere gli uomini!” –Parlò calma la Divinità. –“Questa è la missione di
Atena reincarnata!”
Getti di lava piovvero all’improvviso su di loro, obbligando il
gruppetto a separarsi. Euro spalancò le ali della Veste Divina, sollevandosi in
volo in un turbine d’aria con cui disperse le vampe mortifere. Mur si limitò a generare il Muro di Cristallo, venendo
comunque spinto indietro dall’indicibile pressione generata dall’attacco dei Muspellslýðr, obbligando Atena a prestargli aiuto, unendo il
suo cosmo a quello del Cavaliere d’Oro e generando un’esplosione di luce che
annientò fiamme e magma.
Fu la voce di Alexer a distrarre entrambi, mentre caricava un colpo
segreto che entrambi ben conoscevano.
“Polvere di Diamanti!!!”
–Tuonò il Principe della Valle di Cristallo, congelando un paio di figli di Muspell e riunendosi poi agli altri combattenti, che lo
fissavano interessati. –“Chiunque sia stato addestrato in Siberia conosce la
tecnica basilare di sfruttamento delle energie fredde. Soprattutto se tale
tecnica è stata da me inventata!” –Spiegò, immaginando le loro domande.
“Voi siete… il maestro di Acquarius?”
–Mormorò Mur, sorpreso.
“Di lui e molti altri prima di lui!” –Rispose laconico Alexer, prima di
spostare lo sguardo sui Giganti di Fuoco che, da nuovi squarci aperti nella
cupola di ghiaccio, continuavano a riversarsi all’interno. –“Devo richiuderli!”
Mur annuì, aprendo di nuovo il Muro di Cristallo e usandolo per spingere
indietro alcuni figli di Muspell, permettendo ad
Alexer di travolgerli con il suo cosmo congelante. Euro, poco distante, faceva
altrettanto, liberando il turbinante vento di cui era padrone e servendosene
per disperdere quelle creature di fuoco oltre il margine della cupola di
ghiaccio, mentre Ilda e Atena usavano il loro cosmo per disintegrarle.
Questo lavoro congiunto permise ad Alexer di cicatrizzare gli squarci
nella barriera, espandendo al massimo il proprio cosmo. Ma, come Ilda fece
subito notare, se non avessero eliminato i Giganti di Fuoco tale sforzo sarebbe
stato vano.
Fu Mur a proporre la strategia da utilizzare,
in cui ognuno avrebbe potuto usare al meglio i propri poteri.
Gocce d’acqua calda piovvero su di loro, forzandoli ad alzare lo
sguardo verso l’alto, dove i figli di Muspell avevano
appena aperto una nuova crepa. Approfittandone, Euro spalancò le ali della sua
Veste Divina, sollevandosi in volo e dirigendosi proprio verso l’apertura. Vi
passò in mezzo con leggiadria, prima di uscire all’esterno e volteggiare in
cielo aperto, attirando l’attenzione dei Giganti di Fuoco.
“Soffia, Vento dell’Est!” –Esclamò il figlio dell’aurora, liberando un
possente soffio che sparigliò i Muspellsmegir, dilaniandoli e spegnendo parte delle loro
fiamme.
“Sbrighiamoci! Non resisterà a lungo!” –Disse Mur,
dal basso, prendendo posizione.
Alexer liberò il proprio cosmo freddo, richiudendo lo squarcio nella
barriera, mentre tutti i Giganti di Fuoco venivano spinti contro la cupola
stessa dall’impetuoso spirare del Vento di Levante. La cupola parve sciogliersi
ma in quel momento Ilda unì il proprio potere a quello del Principe, sfiorando
dall’interno la barriera di ghiaccio e infondendole tutto il suo cosmo, tutta
la sua energia, fino alla più piccola stilla vitale.
“Ilda…” –Mormorò Atena, vedendo la donna
prostrarsi a terra, senza mai cedere, senza mai smettere di far rifluire il
proprio cosmo nella cupola, potenziando il potere congelante di Alexer che
riuscì non soltanto a impedire alla barriera di sciogliersi ma a rivestire di
ghiaccio anche gli stessi figli di Muspell, murandoli
assieme alla stessa.
Pressati dal vento e risucchiati dal gelo, i Giganti di Fuoco non
riuscirono più a muoversi, divenendo presto rozze sculture di ghiaccio che
ornavano la parte esterna della cupola.
“Adesso!” –Si disse la Dea della Guerra Giusta, impugnando saldamente
Nike e caricandola di tutto il suo cosmo. –“In nome di un futuro splendente!”
–E scagliò lo Scettro di Thule contro la barriera,
trafiggendola e rimanendovi conficcato, come aveva fatto l’anno prima contro
Ade.
Vi rimase solo per una manciata di secondi, sufficienti alla Dea per
liberare tutto il suo cosmo, tutto il suo potenziale, generando un’esplosione
devastante che distrusse la cupola di ghiaccio e tutti i figli di Muspell.
Mur, in piedi all’ingresso della cittadella, aveva già provveduto a
rinchiuderla tra le pareti del suo Muro di Cristallo, in modo da impedire alle
schegge di ghiaccio di raggiungerla. Kiki, al suo
fianco, lo stava aiutando, consapevole di quanto enorme fosse l’estensione
della roccaforte e di quanta energia suo fratello stesse consumando.
Quando la pioggia di schegge di ghiaccio finì, Mur
vide Atena correre ad aiutare Ilda a rimettersi in piedi. Euro atterrò poco
distante da loro, stordito ma privo di ferite: aveva cercato di allontanarsi il
più possibile dall’esplosione, avvolgendosi nelle ali della sua Veste Divina
per contenere l’impatto con l’onda d’urto. Per quanto il figlio di Eos non
amasse combattere, non aveva avuto remore nello scendere in battaglia contro i
Giganti di Fuoco, consapevole che simili creature devastatrici, al pari
dell’orrido Tifone, dovevano essere fermate.
Anche Alexer aveva il respiro affannato e la sua bella corazza azzurra
era annerita in più punti, manon aveva
neppure un graffio. Osservandola da vicino, Mur non
poté trattenere un moto di stupore: la sua armatura era composta interamente di
mithril. E, a differenza di quelle di Jonathan, Reis, Febo e Marins,
che aveva ammirato ad Atene, presentava una lavorazione molto più elaborata,
segno di una sapienza nell’arte della forgiatura di armature che neppure Efesto o i nani di Svartálfaheimr avrebbero saputo
dimostrare.
“Chi…” –Fece per chiedergli il Cavaliere
d’Ariete. Ma bastò che Alexer lo fissasse, accennando un sorriso stanco, che Mur capì. –“Gli alchimisti di Mu!!!”
–Non poté porgli altre domande che Atena lo chiamò, pregandolo di aiutarla a
portare Ilda all’interno del castello, per sincerarsi delle sue condizioni di
salute.
Ma Ilda non parve affatto intenzionata a stendersi sul letto,
consapevole che la guerra non era ancora finita, e Alexer, raggiungendo le due
donne, confermò i suoi timori.
“Qualcosa di terribile sta accadendo, ad Asgard come ad Avalon. Fiamme
e ombra minacciano la luce. La Terra è scossa da correnti di inquietudine che
non ho mai percepito prima d’oggi!”
Avrebbe voluto confessare loro di non essere in grado di contattare
Avalon, come se l’isola mistica fosse davvero scomparsa nelle nebbie del tempo.
Un’ombra l’aveva avvolta, un’ombra che pareva volersi espandere sull’intero
pianeta.
Per un momento Alexer tremò, tenendosi lo stomaco e tossendo con forza.
Più e più volte.
Non era esatto. Quell’inquietudine l’aveva già provata una volta, molto
tempo addietro, quando era nato. Ed era il motivo per cui era stato generato.
Odino era impallidito. Ed era bastata una sola parola a estinguere ogni
suo ardore bellico.
“Surtr!” –Mormorò. Il Nero.
Spostò lo sguardo al di là delle danneggiate mura di confine, oltre Fensalir e oltre Thund, fino a
perdersi nelle vampe di fuoco che striavano la coltre di fumo nero che saliva
dalla città di Asgard. Non ebbe bisogno di Huginn e Muginn per vedere quel che la cappa di nubi celava, la
creatura maestosa e terribile che torreggiava sui resti degli antichi edifici
in fiamme. No, quell’immagine Odino l’aveva ben fissata nella sua mente, per
quanto mai si fosse recato a Muspellsheimr per
incontrarlo, o per incontrare alcuno dei Giganti di Fuoco, terrorizzato dal
loro aspetto, dal loro potere…o forse da una profezia a cui non voleva prestare orecchio?
Il Signore delle Schiere sospirò, prima di abbassare lo sguardo verso Loki, il cui sorriso bieco gli fece capire di essere stato
lui a risvegliare il Distruttore.
“Non propriamente!” –Sogghignò il Burlone Divino, intuendo i pensieri
della sua nemesi. –“Un amico si è offerto per recarsi al mio posto nelle
profondità di Muspell. Sai, non apprezzo i luoghi di
villeggiatura troppo incandescenti. Basto già io ad infiammare l’ambiente! Ah
ah ah!” –Rise, prima di liberare un’onda di energia e
spingere indietro Odino e Pegasus. Quindi, approfittando del momento in cui i
due combattenti si rimettevano in piedi, diede loro le spalle, saltando sulla
cima di un muro e dandosi la spinta per balzare in alto e assumere la forma di
un’aquila d’argenteo piumaggio.
A tale vista, Odino impugnò Gungnir,
sollevandola e prendendo la mira, quando le urla di Eir
lo distrassero.
“Allföðr! Padre degli Dei, venite presto! La
Signora del Cielo sta morendo!” –Esordì l’Asinna,
spuntando di corsa tra le macerie dell’ingresso di Fensalir.
Sospirando, e osservando Loki volare sempre
più in alto, fino a portarsi sopra la coltre di nubi, Odino abbassò la lancia,
incamminandosi dietro ad Eir per i corridoi della
Sala Paludosa, prontamente seguito da Pegasus che non smetteva di tempestarlo
di domande.
“Chi è Surtr? Perché Loki è così sicuro di
vincere, adesso?”
“Surtr il Nero è il guardiano di Muspellsheimr,
il regno dell’incendio universale, una terra simile alle descrizioni che gli
scriba medievali hanno lasciato dell’inferno. È una creatura ancestrale,
composta di fuoco e lava, che annienta ogni oggetto o persona cui venga in
contatto!” –Spiegò Odino, prima di entrare nella stanza ove Frigg
era stata adagiata, guardata a vista da Eir e Idunn, anch’elle ferite. –“Come sta?!”
“Le ustioni che Loki le ha procurato… sono più profonde di quanto credessi. Non solo
le hanno danneggiato la pelle ma hanno scavato fino a bruciarle gli organi
interni. Inoltre…” –Aggiunse a bassa voce la Dea
guaritrice, senza trovare il coraggio di guardare Odino. –“Credo che la morte
di Balder, il concretizzarsi delle sue paure, le
abbia tolto la voglia di vivere, non sento in lei volontà di combattere, solo
di abbandonarsi ad un eterno languire.”
“Frigg… Tutto questo era più grande di te? Di
noi?!” –Mormorò il Padre delle Schiere, inginocchiandosi accanto al letto e
prendendole una mano tra le proprie. Socchiuse l’occhio, determinato a cederle
parte del suo cosmo, per guarirla, quando un’esplosione di immagini gli riempì
la testa. Scene già viste, cui lui stesso aveva partecipato, o squarci di un
futuro a lungo temuto.
“Cosa difenderà questo posto quando la fiamma di Surtr brucerà il cielo
e la terra?” –Era la domanda che da tempo risuonava nel suo animo.
Per un paio di minuti rimase in silenzio, finché un sospiro di Frigg non spinse Odino a riaprire l’occhio, in tempo per
non perdersi l’ultimo sorriso dell’Asinna amata per
secoli. Conscia che il suo sposo aveva capito, la Dea roteò la testa e morì.
A quella visione Idunn si gettò a terra,
scoppiando in lacrime, mentre Eir iniziò a cantare
una nenia funebre in norreno antico. Pegasus avrebbe voluto dire qualcosa,
offrire al Nume le proprie condoglianze, ma la vista di Frigg,
distesa sul letto priva di vita, gli riportò alla mente un timore che lo
accompagnava da tempo. La paura di non riuscire a dire a Isabel tutto quello
che avrebbe voluto prima che uno dei due morisse.
“Non accadrà, Cavaliere di Pegasus! Non oggi!” –Esclamò Odino, rubando
il ragazzo ai suoi pensieri e costringendolo a voltarsi verso il Dio, rimessosi
in piedi e già pronto per tornare in battaglia. –“La fiamma di Surtr non è
certo più potente di quel sentimento che voi esseri umani definite amore.”
“È davvero così temibile questo Gigante di Fuoco?” –Chiese Pegasus,
cambiando di proposito argomento e seguendo Odino verso l’uscita di Fensalir.
“Non è un semplice Gigante di Fuoco, come Beli o gli altri. Surtr
racchiude in sé l’essenza stessa della creazione, e della distruzione!” –Spiegò
il Dio, fermandosi non appena giunsero all’aperto. –“Gli stoici dell’antica
Atene, ove tu sei stato allenato, vedevano nel fuoco una forza produttiva e
ordinatrice del cosmo. Era stato il fuoco artigiano a generare il mondo, il
quale sarebbe stato distrutto proprio dal fuoco stesso, in una concezione
ciclica di conflagrazione universale. Ebbene Pegasus, questa è la nostra ecpirosi, questo è l’incendio che metterà fine a ogni
cosa!”
“Io… non ci credo!” –Strinse i pugni il
giovane. –“La fiamma di Surtr può essere spenta! Deve essere spenta!”
“La Volva non lo credeva, bensì riteneva che la fiamma di Surtr
purificasse il mondo!” –Sorrise il Signore di Asgard. –“Ed infatti la sua
profezia si chiude con la nascita di un meraviglioso mondo nuovo, ove gli umani
e gli Dei superstiti potranno riunirsi e vivere in pace, una terra verde e
bella in cui i campi cresceranno senza bisogno di coltivarli. Allora tutti siederanno insieme e converseranno, ricordando
l’arcana sapienza e parlando degli avvenimenti accaduti prima.”
“Mio Signore, io non credo molto in profezie o leggende. Credo nel
presente, in quel che vedo! E vedo un nemico alle porte di Fensalir!
Un nemico che però, unendo le forze, possiamo sconfiggere! Ma per farlo ho
bisogno di voi, Asgard ha bisogno di voi, coloro che ancora vivono e lottano
per un futuro! I miei compagni sono qua, sento pulsare i loro cosmi, e con il
loro aiuto argineremo l’ardente minaccia!”
“C’è del vero nelle tue parole, Cavaliere! Darò ordine di ripiegare
all’interno del Valhalla! Le sue solide mura ci
difenderanno, in attesa di trovare una soluzione…”
“La troveremo!” –Esclamò fiero Pegasus, sbattendo un pugno nel palmo
dell’altra mano. –“Ricordatevi la profezia, il nuovo mondo che ci attende!”
Odino non disse alcunché, per non spegnere l’entusiasmo del ragazzo, lo
stesso giovanile ardore che lo aveva dominato agli albori del mondo, quando,
assieme ai fratelli Vili e Vé, aveva ucciso Ymir, il primo Gigante di Ghiaccio. Pur tuttavia era certo
che non sarebbe vissuto abbastanza per camminare su quella nuova meravigliosa
terra. Le visioni che Frigg gli aveva passato in
punto di morte, affinché sapesse, erano chiare. Così come risultava chiaro a
Odino che neppure Pegasus avrebbe mai visto alcun mondo nuovo.
***
Ásaheimr era in fiamme. Le vie della città erano sature di roghi e fumo, i
palazzi crollati e le acque di Thund straripate in
più punti, allagando edifici e piazze, dopo che Sirio il Dragone le aveva
sollevate contro i Muspellsmegir, per
spazzarli via. Adesso il Cavaliere di Atena giaceva in una conca, l’Armatura
Divina chiazzata di fango e aloni di bruciato, la bocca impastata e sporca di
terriccio. Dopo aver evocato le Acque della Cascata, era crollato a terra per
lo sforzo, perdendo i sensi finché un suono non l’aveva risvegliato. Che cosa
fosse, Sirio non seppe spiegarlo, ma in cuor suo era certo che le preghiere di
Fiore di Luna lo avessero salvato ancora una volta.
“Cos’abbiamo qua?!” –Gli sembrò d’un tratto di udire una ruvida voce.
–“Un bel damerino in armatura lucente?!”
Sirio fece per rimettersi in piedi, ma si sentiva ancora debole e
stordito e ricadde con la faccia del fango, salvo poi venir sollevato a testa
in giù da un uomo robusto che lo aveva appena afferrato per una caviglia.
“Non mi sembra che ci conosciamo!” –Esclamò questi, osservandolo
incuriosito. –“Sono Bjuga delle Svalbard, uno dei
cinque Dei di Vittoria al servizio di Loki! E tu chi
sei? Non mi rispondi, maleducato? Ti ho fatto una domanda!” –Detto questo, il
guerriero scosse Sirio, sbattendogli più volte la testa a terra, facendogli
perdere l’elmo nell’urto.
“Sai che la tua armatura non è male? Ripulita dal fango sarebbe tutta
bella luccicosa e a Bjuga
piacciono le cose che luccicano! Nelle isole da cui provengo splende spavalda
l’aurora boreale, una luce che resiste al freddo più intenso, proprio come me!
Sì, mi piace la tua corazza! E dato che a te non serve più la prendo io, la
offrirò a Loki come dono quando siederà su Hliðskjálf! Però queste ali non mi piacciono, sono
ingombranti, e Loki non ne ha bisogno per volare!
Allora le tolgo, sì le tolgo!” –E sollevò l’altro braccio, sfoderando una lama
ricurva con cui colpì più volte la schiena di Sirio, nel punto di attaccamento
delle ali all’armatura. –“Ma come sono fastidiose, non vogliono venire via!”
–Brontolò, prima di sentire nell’aria odore di bruciato.
Tirando su con il naso, si
guardò intorno, senza notare niente di diverso da prima. Quando fece per
tornare alla sua opera distruttiva, sentì un calore intenso dilaniargli la mano
con cui stava reggendo la caviglia di Sirio. Un cosmo verde acqua circondava il
corpo del ragazzo, ben più vivido sulle gambe, lo stesso cosmo che aveva arso
il guanto protettivo della sua armatura, ustionandogli la mano al di sotto.
“Aaargh!!!” –Gridò Bjuga,
lasciando la presa e soffiando sull’arto bruciacchiato.
Libero dalla sua stretta,
Sirio, che aveva approfittato di quei minuti per recuperare le forze, roterò su
se stesso, evitandosi di cadere a terra, e allungò un calcio verso la gamba
destra del Sigtivar. L’impatto fu devastante e Bjuga crollò indietro con l’arto spezzato all’altezza del
ginocchio. Stringendo i denti per il dolore, il robusto guerriero sollevò lo
sguardo verso Sirio, fissandolo con astio, prima di aprire le braccia di lato e
scagliarli contro due lame rotanti.
Il Cavaliere di Atena balzò
indietro, portandosi sull’altro lato della conca ed evitando di essere ferito
dalle armi, ma quando si preparò per contrattaccare notò che le lame avevano
deviato direzione, puntando su di lui e replicandosi in migliaia di copie.
“Un’illusione?!” –Si disse
Sirio, convenendo comunque di non rimanere ad attenderle e concentrando il
cosmo sul braccio. –“Excalibur!”
–Gridò, liberando l’attacco energetico che falciò un centinaio di lame presenti
sulla sua traiettoria o coinvolte dall’onda d’urto. Le altre però, non
raggiunte, continuarono la loro corsa, alcune abbattendosi su Sirio e stridendo
sull’Armatura Divina, pur senza danneggiarla.
Per liberarsi da quella
fastidiosa pioggia, il Cavaliere espanse il cosmo, caricando il Drago Nascente,
che fluttuò attorno al suo corpo, annientando tutte le lame rotanti, per poi
dirigersi verso Bjuga, a fauci aperte.
Il Dio di Vittoria aveva
intanto trovato la forza per rialzarsi, nonostante il ginocchio ferito, e
scagliò una nuova lama rotante, caricandola di tutto il suo cosmo. L’arma
falciò a metà il colpo segreto di Sirio, deviandolo e disperdendo parte della
sua carica distruttiva, permettendo a Bjuga di non
esserne travolto.
Annaspando, Dragone sollevò il braccio destro, deciso a liberare di nuovo
la sacra lama, quando notò un veloce spostamento di ombre tra le rovine degli
edifici attorno. Anche Bjuga se ne accorse,
scagliando le lame rotanti in quella direzione e falciando un paio di uomini
che crollarono a terra sanguinanti. Seguendo la scena senza intervenire, Sirio
fu sorpreso di notare che indossavano soltanto pelli di lupo.
Proprio come… Rifletté, prima che un grido selvaggio lo costringesse a riportare
l’attenzione su Bjuga.
Un’agile figura lo aveva raggiunto alle spalle, balzando sulla sua
schiena e conficcandogli lunghi artigli nel collo. Il guerriero delle Svalbard
annaspò, fece per sollevare le braccia, ma l’aggressore spinse in profondità,
mozzandogli la carotide, prima di saltare all’indietro, proprio mentre Bjuga crollava a terra sanguinante.
“Il tuo rispetto verso gli esseri umani non è cambiato, a quanto vedo.”
–Commentò Sirio, che aveva riconosciuto il guerriero dalle vesti di lupo.
“Non è cambiato per chi non merita di averlo!” –Si limitò a rispondere
Luxor.
A guardarlo, Sirio ritenne che il ragazzo doveva aver affrontato
numerose battaglie, essendo sporco e pieno di tagli e ferite sul corpo, coperto
soltanto attorno alla vita da una cintura di pelliccia, imbrattata di sangue e
terriccio. –“Luxor io…”
“Niente ringraziamenti, non ero qui per te, stavo solo correndo di là
dal Thund con gli ulfhednir
rimasti prima che lui arrivi. Ti consiglio di fare altrettanto!”
“Lui?!” –Ripeté Sirio, non comprendendo le parole del guerriero.
“Sì, lui, il Distrut…” –Ma Luxor non riuscì a
terminare la frase che dovette piegarsi in avanti, lo stomaco sfondato in modo
così brutale da una lama che fuoriusciva dalla sua schiena.
“Urgh…” –Mormorò Bjuga,
crollando a terra, dopo aver usato le sue ultime forze per brandire l’arma
mortifera.
“Luxor!!!” –Sirio corse verso di lui, afferrandolo prima che crollasse
al suolo in una pozza di sangue. –“Resisti, ti curerò!”
“No!” –Rispose semplicemente l’antico Cavaliere di Asgard, sfiorando la
mano di Sirio con la propria, quasi stesse cercando quel contatto umano che in
vita aveva sempre rifiutato. –“Quel che è stato, è stato. Vattene…”
D’un tratto, mentre gli ulfhednir rimasti si
riunivano attorno al giovane che li aveva guidati nel giorno di Ragnarök, Sirio
annusò l’aria, percependo un caldo innaturale, persino superiore a quello
sprigionato dai Giganti di Fuoco.
Una frusta fiammante sbucò dalle nubi sopra di loro, avvolgendosi
attorno ai corpi di un paio di ulfhednir e
bruciandoli. Gli altri gridarono e guairono, ma prima che potessero fuggire
vennero raggiunti a loro volta, stritolati e lasciati agonizzare a terra,
prigionieri di roghi dentro cui divennero presto cenere.
Sollevando lo sguardo, Sirio intravide una gigantesca sagoma
fiammeggiante apparire tra la coltre di fumo, la stessa sagoma che reggeva la
frusta di fuoco che aveva appena sterminato i più fedeli seguaci di Odino.
Intuendo il pericolo, Dragone balzò indietro, correndo quanto più velocemente
potesse verso il fiume e tuffandosi poco dopo nelle sue tempestose acque. A
fatica, e con l’armatura che rendeva goffi i suoi movimenti, Sirio nuotò in
profondità, fino al letto di Thund, rivolgendogli
silenziose preghiere affinché potesse placare il suo spirito inquieto e
concedere riparo a chi delle acque aveva sempre avuto rispetto.
Per qualche minuto, Sirio rimase in apnea, mentre il rumoreggiare
agitato di Thund parve placarsi, quindi, spinto dal
bisogno di ossigeno e dalla curiosità, il ragazzo riemerse, affacciando la
testa propria al centro del fiume e guardando in direzione di Ásaheimr. La gigantesca sagoma che aveva intravisto
poc’anzi era adesso quasi del tutto visibile, ma sembrava non curarsi affatto
di lui. Dopo aver bruciato tutto quel che aveva incontrato nel suo cammino, il
Gigante di Fuoco stava adesso seguendo il corso di Thund,
dirigendosi verso la piana di Vígridhr, laddove ancora molti cosmi splendevano. Cosmi che Sirio,
tremando, riconobbe.
***
Andromeda giaceva tra le braccia di Jonathan, riparati dalla guerra in
corso dalla gigantesca carcassa di Fenrir. La forza
persuasiva del Lupo di Fama lo aveva spinto ad uno sforzo mentale eccessivo,
gettandolo infine in quello stato di trance inquieta cui aveva iniziato ad
avere accesso dopo aver sfiorato il sangue di Biliku.
Uno stato di visioni continue che Andromeda stava ancora cercando di
controllare, per quanto fosse difficile. Passato e presente tendevano a
mescolarsi e, se quel che Arvedui gli aveva detto era
vero, anche il futuro.
Mugolando per l’emicrania che quel viaggio mentale gli costava,
Andromeda lasciò scorrere le immagini. Vide se stesso affrontare Fenrir, e Fenrir venire
incatenato con l’inganno in un’isola nel profondo inferno. Vide la nascita del
lupo, di un gigantesco serpe e di un’orrida donna, dal cuore di una gigantessa
che un uomo aveva ingoiato. Poi vide quell’uomo condotto a forza in una caverna
e torturato, costretto a guardare la morte dei suoi figli prima di essere
abbandonato nelle tenebre. Infine vide quelle stesse tenebre prendere forma,
divenire un corpo di pura ombra su cui spiccavano due occhi di brace, due occhi
scaltri che allungarono all’uomo imprigionato una pietra dal colore dell’ebano.
La stessa pietra che Andromeda aveva visto al collo di Crono.
Flegias! Si agitò, preoccupando Jonathan che non
sapeva cosa stesse accadendo al ragazzo e che nient’altro poteva fare se non
cullarlo con il proprio cosmo, sperando di lenire qualunque dolore lo
affliggesse.
Quel contatto permise alla mente di Andromeda di vedere ancora. Vide un
bambino biondo e dagli occhi vispi crescere per mano ad una donna dai tratti
andini, mentre un uomo alto e robusto, rivestito da una fiammeggiante armatura
rossastra, lo osservava felice. Vide quello stesso bambino crescere e divenire
un ragazzo, addestrare il corpo e lo spirito fino ad essere investito di
un’armatura lucente, dotata di un lungo scettro dorato. E vide quel ragazzo
inginocchiarsi e giurare obbedienza ad un uomo dal volto austero che Andromeda
ben conosceva.
“Proteggi lo Scettro d’Oro con la vita, Jonathan. Il suo segreto non
deve essere rivelato prima del tempo.” –Aveva detto Avalon un giorno.
Jonathan aveva annuito, sia pur stranito dalle potenzialità di un
manufatto che non avrebbe mai creduto destinato a tale scopo.
Le visioni cambiarono ancora, mentre tutto attorno esplodevano grida di
guerra e morte. Andromeda vide i Giganti di Fuoco uscire da Muspellsheimr
e invadere gli altri mondi. Vide alte creature deformi lottare per la loro
sopravvivenza, cadendo travolte dalle fiamme. Vide i nani rimasti a Svartálfaheimr travolti da un calore più intenso di quello delle
loro fornaci. Infine vide Arvedui, l’elfo che l’aveva
accolto a Álfaheimr, correre a dare l’allarme.
Troppo tardi per qualunque azione difensiva gli elfi avessero deciso di
approntare. Il loro mondo era condannato e uguale sorte avrebbero incontrato gli
altri otto.
Fu allora che Andromeda si svegliò, tirando su la testa di scatto e
atterrendo persino Jonathan.
Attorno a loro, nella piana di Vígridhr, Orion guidava gli einherjar
superstiti alla carica contro quel che restava dell’esercito dei morti di Hel. Privi della guida di Loki e
della Regina degli Inferi, testimoni delle sconfitte di Garmr,
Jormungandr e Fenrir, i
defunti erano allo sbando e parevano combattere solo per incorrere in una nuova
morte che li liberasse da ogni obbligo.
“Continuate a lottare!” –Gridò Orion,
sovrastando i rumori di lotta. –“La vittoria delle nostre schiere è vicina!”
Reis, vicino a lui, menava fendenti di spada a destra e a manca, in tandem
perfetto con Brunilde e la sua lancia. Fu la Regina
delle Valchirie ad accorgersi dei gesti che Jonathan stava facendo, per
attirare la loro attenzione sul risveglio di Andromeda. Sbaragliando gli ultimi
avversari, Orion e le due donne si avvicinarono alla
carcassa di Fenrir, per sincerarsi delle condizioni
dell’amico.
“Come sta? Si è ripreso?” –Esclamò Reis. Ma
prima che Jonathan potesse rispondere, tutti volsero lo sguardo verso il
cadavere del Lupo di Fama accesosi improvvisamente di una luce rossastra. Vampe
di fuoco si sollevarono verso il cielo, incendiando quel che rimaneva del
figlio di Loki e obbligando i Cavalieri superstiti ad
allontanarsi.
“Che diavolo?! Altri Giganti di Fuoco?!” –Mormorò Jonathan, che reggeva
l’ancor stordito Andromeda sotto braccio.
“Non altri… soltanto uno.” –Precisò Orion, fissando la gigantesca sagoma di fuoco che si ergeva
al limitare della vasta piana e che incendiava tutto ciò con cui veniva a
contatto. Terra e alberi, rocce e cadaveri, tutto veniva inglobato in un
incendio universale. –“Surtr!” –Aggiunse, memore delle antiche leggende.
“Il Distruttore?!” –Brunilde rabbrividì,
conscia di ciò che la sua presenza significasse.
Quasi come se li avesse uditi, Surtr avanzò nella loro direzione,
appiccando roghi continui ovunque camminasse, se camminare poteva dirsi
l’incedere continuo di un fuoco che nessuna pioggia avrebbe potuto spegnere.
“Maledizione! Dobbiamo ritirarci, nessuno di noi può affrontare Surtr
il Nero!” –Esclamò Orion, cercando di riunire le fila
degli einherjar.
“Non capisco, perché scappiamo? Vuoi permettergli di occupare Vígridhr proprio adesso che siamo a un passo dalla vittoria?!”
–Brontolò Jonathan.
“Guarda la spada di Surtr, il sole al tramonto degli Dei
soavi! Nessuno può sopravvivere al suo tocco! Neppure le vostre corazze!” –Orion lo afferrò per un braccio, incitandolo a ritirarsi
sull’altra sponda di Thund. –“Il fiume ci permetterà
di guadagnare del tempo! E le mura del Valhalla ci
proteggeranno!”
“Non lascerò i nani qua a morire per coprire la mia fuga
indecorosa!” –Esclamò il Cavaliere dei Sogni, vedendo le piccole ma robuste
creature venire travolte dalle fiamme del Distruttore.
“Andate, Cavaliere mithril!” –Intervenne
allora la ruvida voce di Durin.
Rispetto al loro incontro nelle caverne, l’aspetto del nano era ancora
più terribile, con l’armatura danneggiata in più punti e ferite imbrattate di
sangue rappreso. Persino la barba gli era stata strappata in più punti, da un
morto che, a sentir le storie del Signore dei Nani, ci si era aggrappato con
forza.
“Le nostre guarnigioni copriranno la ritirata
degli einherjar! I nostri scudi sono stati progettati
per resistere ad alte temperature, non temete!” –E diede ordine a Dvalin e agli altri nani di riunirsi in formazione serrata
e marciare contro il Distruttore.
Nonostante il suo aspetto e l’altezza straordinaria, i nani non
parevano esserne impressionati, ben avvezzi al calore estremo delle loro
fornaci. Pur tuttavia, quando l’avanguardia venne annientata dalle fiamme di
Surtr, che fusero gli scudi dei nani in pochi secondi, gli altri si arrestarono
dubbiosi.
“Per i Sette Saggi! La fiamma di Surtr è davvero portatrice di
distruzione e morte!” –Esclamò Jonathan, per poi spostare lo sguardo su Durin, rimasto al suo fianco ad osservare la carneficina
cui il suo popolo stava andando incontro. Il capo dei nani non disse alcunché,
limitandosi ad afferrare la sua ascia e a lanciarsi avanti, mentre le fiamme di
Surtr piovevano dall’alto a massacrare la sua gente.
Jonathan cercò l’appoggio di Reis, il cui
sguardo eloquente gli diceva di obbedire ai consigli di Orion,
per poi pregare la ragazza di sorreggere Andromeda.
“Non posso abbandonarli!” –Si limitò a dire, prima di correre dietro a Durin, con lo Scettro d’Oro in mano, liberando migliaia di
raggi luminosi diretti contro Surtr. Con immenso stupore, Jonathan vide i fasci
energetici trapassare l’ancestrale creatura senza provocargli alcun danno.
Riprovò più volte, con lo stesso risultato, salvo dover ammettere l’inutilità
dei propri poteri.
In quel momento Surtr calò la spada di fuoco, falciando le vite di
decine di nani e gettandoli a terra, mutilati, sanguinanti e avvolti dalle
fiamme. Anche Dvalin cadde tra loro, ma non per
questo Durin arretrò di un passo, lo scudo affisso al
braccio, l’ascia salda nell’altra mano. Vedendoli morire, Jonathan si
infervorò, caricando di cosmo il talismano e puntandolo verso quel che pareva
essere il volto di Surtr.
“Scettro d’Oro…” –Esclamò, proprio mentre la
frusta fiammeggiante del Nero saettava verso di lui.
Andromeda lo avvolse appena in tempo nella sua catena, strattonandolo e
tirandolo indietro, lasciando che la frusta di Surtr afferrasse l’aria,
ritraendosi sconfitta.
“Non rischiare la tua vita!” –Gli disse, aiutando il ragazzo a
rimettersi in piedi. –“Per quanto onorevole sia cadere a difesa di coloro che
chiami compagni, la tua missione è ben più importante, come il segreto del
Talismano che sei chiamato a difendere!”
“Come… lo sai?!” –Sgranò gli occhi Jonathan.
“Questo non ha importanza!” –Tagliò corto Andromeda, il volto emaciato
e sudato. –“Ti capisco, dico davvero, darei la vita per coloro che amo. Eppure,
in fondo al cuore, so che non servirebbe a salvare il mondo.”
“Attenti!!!” –Gridarono Reis e Orion, mentre vampe di fuoco esplodevano attorno a loro,
gocce di energia ardente che Surtr stava dirigendo loro contro. –“Occhi del Drago!” –Ringhiò il Principe
degli Einherhar, distruggendo il suolo e disperdendo
le fiamme letali. Così facendo però espose il fianco ad un attacco diretto del
Nero, che fece guizzare la frusta nella sua direzione.
Brunilde lo spinse fuori dalla traiettoria appena in tempo, venendo afferrata
al posto suo, stritolata da spire di fuoco cui la Valchiria non poteva opporsi.
Poté soltanto sorridere al discendente di Sigfrido, il discendente dell’uomo
che aveva amato un tempo e a cui così tanto assomigliava, prima che un furioso
strattone le mozzasse la testa, gettando il suo cadavere mutilato alle fiamme.
Reis aiutò Orion a rimettersi in piedi e a
raggiungere Andromeda e Jonathan, incitandolo a farsi forza. Per le lacrime
avrebbero avuto tempo. O forse no? Si
chiese il Cavaliere di Luce, consapevole che l’esistenza dell’antico guerriero
della stella Alpha era legata al consumarsi di Ragnarök, al
termine del quale sarebbe svanito.
Le fiamma di Surtr divorarono il terreno attorno a loro, cingendoli d’assedio,
mentre Andromeda disponeva la catena a cerchio, roteandolo a velocità così
elevata da essere soltanto lambita dal calore. Orion,
dal suo canto, concentrò il cosmo sull’indice, liberando la Spada di Asgard, che scavò un solco nel
suolo attorno ai quattro combattenti, sollevando un muro di cosmo su cui le
fiamme si schiantarono.
“Non servirà a molto, temo.”
“Abbi fede, Cavaliere di Odino! Il vento cambia sempre!” –Esclamò una
voce nuova, mentre un gruppo di diverse sagome appariva alle loro spalle, ai
margini opposti della piana di Vígridhr. Tra loro Orion riconobbe subito
la solida postura di Njörðr, Dio del
Vento e della Navigazione, che aveva appena
parlato, intento a radunare il suo cosmo.
Subito un forte vento iniziò a soffiare, un vento carico di
pioggia, il cui intenso odore accompagnò le raffiche che tempestarono la
pianura, spegnendo i roghi sparsi.
Indispettito, Surtr fece per avanzare, accorgendosi
soltanto allora di un rozzo strato di ghiaccio che era comparso ai suoi piedi,
spegnendo le fiamme e permettendo ai nani superstiti di allontanarsi e riunirsi
assieme agli altri guerrieri.
“Cristal!” –Mormorò Andromeda,
riconoscendo il cosmo, sia pur affaticato, del Cavaliere del Cigno, al cui
braccio Flare si aggrappava ansiosa.
“E non soltanto!” –Commentò una voce maschile che Andromeda
ben conosceva. Quella di suo fratello Phoenix.
Capitolo 38 *** Capitolo trentaseiesimo: Il Distruttore ***
CAPITOLO TRENTASEIESIMO: IL DISTRUTTORE.
Andromeda, Orion e gli altri salutarono con
piacere l’arrivo dei propri amici e di quel che rimaneva dell’esercito dei
Vani, coloro che erano riusciti a lasciare il Niflheimr
prima che il sole perpetuo li divorasse. Era stata una corsa contro il tempo la
loro, ma Njörðr, Signore di Noatun
e padre di Freyr, ne era stato consapevole fin
dall’inizio, fin da quando aveva raggiunto il Valhalla
e il figlio gli aveva rivelato quel che avrebbe fatto, qualora non fossero riusciti
ad arrestare l’avanzata dei Titani del Gelo.
Njörðr non aveva detto
alcunché, di poche parole come sempre, ma Freya, che
aveva sentito la conversazione, era certa di aver visto una lacrima
intenerirgli il viso. La stessa che probabilmente si era congelata sulla sua
ruvida guancia mentre guidava la precipitosa fuga dei Vani fino alle Porte
Infere, laddove aveva incontrato Cristal e Flare, stanchi e affannati.
L’onda di luce era esplosa poco dopo,
spazzando via la nebbia eterna e gli impuri ghiacci di Hel,
divorando tutti coloro che ancora vi dimoravano. I Giganti di Brina si
sciolsero, Ganglot e Ganglati
gridarono dal panico mentre Eliudhnir crollava sopra
di loro, fiumane di acqua travolsero Nastrond,
purificandone la spiaggia dal veleno dei serpenti, giungendo ai Monti
dell’Oscurità e inondando anche la conca di Amsvartnit.
Persino le Porte dell’Inferno vennero raggiunte dai raggi del sole perpetuo,
rovinando su loro stesse e chiudendo per sempre l’accesso a quel mondo, pochi
istanti doopo che Cristal,
Phoenix e i Vani vi erano passati attraverso.
“Felice di rivedervi, Cavalieri dello Zodiaco!” –Esordì Orion, avvicinandosi ai due amici.
“Lo stesso vale per noi!” –Gli strinse la mano Phoenix, prima di
raggiungere il fratello e chiedere come si sentisse.
“Sarebbe bello sedersi a tavola a discutere sorseggiando idromele, ma
non abbiamo tempo!” –Intervenne la voce maschile del Dio della Navigazione,
indicando la possente sagoma di Surtr che stava
sbaragliando le legioni di nani e di einherjar che
ancora tentavano di sbarrargli il cammino. –“Mai vista tanta forza
distruttrice!”
“Abbiamo provato a fermarlo ma i nostri poteri sono inutili di fronte
ad una fiamma così intensa! C’è l’essenza primordiale che ha dato origine a Muspellsheimr di fronte a noi!” –Spiegò Orion.
“Essenza primordiale… dici il vero,
discendente di Sigfrido!” –Rifletté Njörðr, i cui sensi
affilati potevano percepire tutto ciò che il vento poteva smuovere, tutti i
sussurri che era in grado di portare al suo orecchio. E, su tutti, gli parve di
cogliere una voce di guerra, un brivido antico come il mondo. –“Ce ne
occuperemo noi! Voi ripiegate sul Valhalla e
preparatevi con Odino all’ultimo assedio! I Vani, attingendo forza dagli
elementi naturali, sapranno spegnere questa fiamma sanguigna!”
Orion fece per ribattere
ma lo sguardo che il Dio del Vento gli rivolse fu piuttosto eloquente.
Proprio in quel momento Surtr
attaccò.
Calando la spada di fuoco, falciò una decina
di nani, scaraventandoli indietro tra i frammenti incandescenti delle loro
cotte da battaglia, facendo piovere i loro resti su Phoenix e gli altri.
Jonathan, disgustato, sollevò lo Scettro d’Oro per reagire e con lo sguardo
cercò Durin in mezzo a tutto quel caos. Lo vide, a un
centinaio di metri avanti a sé, con le corte gambe piantate nel terreno e lo
scudo sollevato per difendersi dalle fiamme. Quasi avesse percepito lo sguardo
del ragazzo su di sé, l’ultimo signore dei nani si voltò, sorridendo contento
per aver lottato al suo fianco. Quindi, mentre l’ondata di fiamme scatenata da Surtr gli si faceva incontro, piantò l’ascia nel terreno,
imprimendovi ogni stilla del suo essere.
“Questa è la furia del popolo Dvergr!” –Ringhiò, alzandola di scatto e sollevando il
terreno tutto attorno, riversandolo sulle vampe per spegnerle.
Njörðr approfittò di quel
momento per scatenare l’uggiosa pioggia su cui aveva il comando, incitando i
Cavalieri ad andarsene. –“Che questo vento segni la riscatta dei Vani e ricordi
al mondo che anche loro, un tempo, erano considerati Dei!”
“Siamo al vostro fianco, Signore del Vento!” –Gridarono gli altri Vani,
unendo i loro cosmi alla tempesta scatenata dal padre di Freyr,
che, aiutata dalla mossa di Durin, sradicò ulteriore
terriccio, rovesciandolo sulle vampe incendiarie.
Spinti da Orion, i Cavalieri dello Zodiaco e
di Avalon corsero verso l’ultimo ponte ancora in piedi, proprio quello che
Jonathan e i nani avevano percorso ore addietro, ma prima ancora di
raggiungerlo capirono che Njörðr e Durin avevano fallito.
Un’ondata di calore, che persino Phoenix
giudicò intensa, si abbatté su tutti loro, sollevandoli e facendoli ruzzolare
molti metri avanti, con le armature opacizzate e i vestiti bruciacchiati. Cristal fece appena in tempo a chiudersi attorno al corpo
di Flare, per proteggerla, ma non riuscì a impedire
alle fiamme di divorarle ciuffi di capelli e una delle sue cuffiette.
“Maledizione!” –Ringhiò Phoenix rimettendosi in piedi, presto imitato
da Orion e dagli altri Cavalieri. Solo Andromeda
esitò un momento, provato da una fitta alla testa, faticando a rialzarsi e
dovendosi appoggiare a Reis. Quando riuscì a
sollevare lo sguardo vide ciò che aveva appena visto nella sua mente.
La frusta fiammeggiante di Surtr scattò
avanti, obbligando Phoenix a balzare in alto per evitarla, mentre Cristal si premuniva di spegnere le fiamme che piovevano
attorno a loro. Ma proprio mentre il Cavaliere della Fenice stava per
atterrare, la verga di fuoco sferzò di nuovo l’aria, mirando alla sua testa.
Fu la Catena di Andromeda ad afferrarla in tempo, aggrovigliandosi
l’una all’altra, mentre Phoenix si allontanava lesto, guardando ammirato suo
fratello. Non durò che pochi istanti quell’imprevisto stallo che le fiamme
presero a divorare persino la catena, correndo lungo la sua lunghezza fino a
raggiungere il braccio del Cavaliere.
“Andromeda!!!” –Gridò Cristal, correndo in suo aiuto
per congelare le fiamme, mentre il ragazzo era obbligato a ritirare l’arma, i
cui anelli usurati e a tratti fusi la dicevano lunga sul calore sprigionato da Surtr.
“Ancora un attimo e l’avrebbe distrutta!” –Osservò Jonathan, e anche Reis annuì, proprio mentre il Nero piantava la spada di
fuoco nel terreno, incendiandolo in profondità e diffondendo ovunque l’inferno
di cui era latore.
“Attenti!!!” –Gridò Flare, mentre un geyser
di fiamme esplodeva vicino a lei, spingendola indietro. –“Sta giocando con noi!
Come un gatto con il topo!” –Le fece eco Jonathan.
“Sempre melodrammatici voi uomini! Vediamo di riprendere in mano la
situazione!” –Esclamò Reis, balzando accanto a Cristal. –“Ho bisogno del tuo aiuto!” –Quindi fece cenno a
tutti di riunirsi attorno al Cavaliere del Cigno. –“Adesso!”
Cristal annuì, sfiorando il suolo con la mano carica di gelida energia che
subito congelò il terreno, espandendosi a macchia attorno a loro e spegnendo le
fiamme.
“E dopo che tu hai pensato al piano di sotto, occupiamoci del piano di
sopra!” –Disse Reis, espandendo il proprio cosmo, che
turbinò attorno al gruppo di amici generando una barriera luminosa. –“Cascata di luce!!!” –Gridò, proprio
mentre Surtr scagliava nuove vampe infuocate contro
di loro, che non riuscirono però a raggiungerli, schiantandosi contro la
turbinante protezione sollevata dal Cavaliere di Avalon.
“Un’ottima mossa!” –Si congratulò Phoenix. –“Anche se mi sembra di
stare in un forno!” –Aggiunse, osservando l’oceano di fuoco che si stava
ammassando fuori dalla barriera di luce.
“Se hai idee migliori, sei libero di metterle in pratica!” –Commentò Reis, prima che un rumore simile allo scrosciare di una
cascata distraesse tutti i presenti, portandoli a volgere lo sguardo in
direzione del fiume, da cui mille colonne emeraldine
si erano appena sollevate.
“Nobili draghi di Cina, cibatevi delle fresche acque di Thund e spegnete l’inferno universale!” –Esclamò una ben
nota voce, mentre migliaia di dragoni acquatici scivolarono attorno al gruppo,
sommergendo le fiamme e permettendo a Reis e a Cristal di quietare il loro potere. –“Finalmente ci
rivediamo, amici!” –Sorrise Sirio il Dragone, ancora avvolto nel bagliore verde
smeraldo del proprio cosmo.
“Non potevi scegliere momento migliore!” –Disse Phoenix. –“Manca solo
Pegasus, ma immagino che sia già impegnato a prendere a pugni Loki!” –Commentò Cristal.
“Prima dell’arrivo di Surtr avevo percepito
il cosmo del vostro amico accendersi assieme a quello di Odino! Proveniva da Fensalir, la residenza della Signora del Cielo!
Probabilmente è là che Loki ha mosso guerra, per
uccidere la famiglia del mio Signore!” –Esclamò Orion,
stringendo un pugno, chiaramente frustrato per non poter essere a combattere al
fianco del Padre delle Schiere.
“Và!” –Gli disse allora Cristal. –“Raggiungi
il Dio a cui sei fedele e per cui ritieni valga la pena morire una seconda
volta! Come Artax prima di te!”
“E Mime!” –Aggiunse Andromeda, con gli occhi
velati di lacrime.
“E Luxor, e Mizar e Alcor!”
–Continuò Sirio, poggiando la mano sulla spalla del Cavaliere del Drago
Bicefalo. –“Al tuo posto farei altrettanto! Tutti noi lo faremmo!”
Orion annuì, fissando con orgoglio e determinazione ognuno dei Cavalieri
dello Zodiaco, prima di prendere la sua decisione e iniziare a correre verso il
ponte che lo avrebbe avvicinato alle residenze divine.
“Andate anche voi! Avrà bisogno di aiuto contro il Dio del Male!”
–Esclamò Cristal, rivolgendosi a Reis
e a Jonathan, che fecero per controbattere, ma Andromeda si mise in mezzo,
sorridendo con dolcezza e pregandoli di ascoltare le parole del suo amico.
Fu ancora una volta Surtr a porre fine ai
loro progetti, vomitando sfere di fuoco che si schiantarono nel martoriato
suolo di Vígridhr, obbligando i Cavalieri a scattare in direzioni diverse e
a sollevare le difese. Andromeda si mise di fronte a Phoenix, roteando
vorticosamente la catena, in modo da respingere le vampe scarlatte, mentre Cristal creava muri di ghiaccio per proteggere se stesso e Flare, poco distante da Sirio che aveva già sollevato
marosi di energia acquatica, dirigendoli verso il Nero.
Con la coda dell’occhio, Andromeda vide Jonathan e Reis iniziare a correre verso il ponte, sicuro che
avrebbero eseguito quel che gli avevano chiesto. Se davvero Thund
poteva impensierire Surtr, e se davvero un solo ponte
ancora solcava le sue iraconde acque, c’era solo una cosa che i tre guerrieri
dovevano fare una volta giunti sull’altra sponda. Forte di quella convinzione,
Andromeda espanse il proprio cosmo, unendosi agli amici per l’ultimo attacco.
“Acqua, vento e gelo possono fermare le fiamme!” –Spiegò,
mentre anche Sirio e Cristal portavano i loro cosmi
al parossismo. Flare era rimasta con loro, nonostante
le suppliche del Cigno che l’avrebbe voluta al sicuro dentro le mura del Valhalla, ma la ragazza era stata inamovibile.
“Vado dove vai tu. Se tu muori, io morirò con te.”
Adesso era riparata dal corpo di Phoenix, rimasto alle spalle dei tre
compagni, la cui impronta cosmica era ben più consona per affrontare il
Distruttore.
“Uniti come sempre contro il nemico finale!” –Gridò Andromeda,
scatenando la potenza devastante della Nebulosa, affiancato da Cristal, che liberò la gelida essenza dello zero assoluto.
–"Questa è la nostra forza! L’amicizia che valica i mondi!” –Chiosò Sirio,
mentre un dragone di energia acquatica prendeva forma attorno al suo corpo,
dirigendosi poi verso Surtr.
Sospinti dalla corrente della nebulosa, i dragoni acquatici sommersero Vígridhr, estinguendo roghi e fiamme, prima che il cosmo di Cristal li congelasse, investendo infine il Gigante di
Fuoco. La frusta di Surtr sferzò l’aria ma
venne rimandata indietro, prima di essere divorata dall’acqua e dal gelo e
andare in frantumi. Per un momento i Cavalieri dello Zodiaco credettero davvero che ce l’avrebbero fatta. Ma la spada
del Nero, costituita dal prolungamento di un arto della creatura, ardeva di
così intensa fiamma che neppure il cosmo unito dei Cavalieri Divini poteva
impensierirla. E anche se Phoenix unì la propria energia a quella degli amici,
l’esito non cambiò.
Surtr rilasciò il calore dell’inferno universale, ravvivando le fiamme, che
fecero esplodere il ghiaccio che le aveva coperte, sollevandosi fameliche verso
il cielo. Il suolo tremò mentre getti di lava sgorgavano dalle fenditure
aperte, fagocitando i corpi straziati di chi a lungo aveva quel giorno
combattuto.
A fatica Cristal riuscì a concentrare il
cosmo in un muro di ghiaccio per tenere il magma lontano da loro e permettere a
Sirio di dirigervi contro le acque di Thund, per
spegnerlo, ma nessuno di loro poté sfuggire al vortice infuocato che Surtr liberò, semplicemente aprendo quella che pareva la
sua bocca e soffiando.
Andromeda tentò di ancorarsi al suolo con la catena, ma le fiamme la
divorarono, facendo schiantare alcuni anelli che la componevano e precipitando
il giovane dentro il turbine di fuoco, presto seguito da Phoenix e Sirio. Cristal fece scudo a Flare con il
proprio corpo, chiudendo le ali dell’Armatura Divina attorno a entrambi,
limitando così le ustioni, ma tutti vennero scaraventati lontano, schiantandosi
in mezzo ai mille roghi che costellavano la vasta piana.
Orion, Reis e Jonathan, che ormai correvano verso Fensalir, sentirono esplodere i cosmi dei Cavalieri dello
Zodiaco e, seppur invasi dalla tentazione di tornare indietro, tirarono dritto,
memori della scelta compiuta. Non solo avevano affidato ai quattro amici il
compito di affrontare il Distruttore, ma avevano anche abbattuto l’ultimo ponte
sul Thund, come Andromeda aveva loro chiesto di fare,
per evitare che, qualora avessero fallito, Surtr
potesse raggiungere il cuore di Asgard.
Alzando gli occhi al cielo, Orion notò
un’aquila dall’argenteo piumaggio stagliarsi contro le nubi nere. Stranito, si
fermò, indicandola ai compagni, mentre l’uccello iniziava a planare verso di
loro.
“Un’aquila?!” –Borbottò Jonathan. –“Che con essa Odino controlli i
mondi?!”
“No!” –Realizzò Orion, ricordando di averla
già vista, ore addietro, con gli unghioni piantati nel collo di Heimdall. –“È Loki!!!” –Gridò. Ma
il Buffone Divino era già piombato su di lui, sbattendolo a terra e
conficcandogli i nodosi artigli nel collo.
“Se tanto amavi la Sentinella dai denti d’oro, lascia che ti faccia
dono della stessa fine!” –Ironizzò il Nume, riacquistando forma umanoide. –“Sei
invulnerabile vero, piccolo Sigfrido? Ma se ti taglio la testa, cosa succede?
Ti ricresce o muori? Perché non lo scopriamo?!” –Ridacchiò, calando la mano
destra dalle dita unite a lama.
“Perché invece non ti togli di mezzo, buffone?!” –Esclamò Jonathan,
colpendo Loki in pieno petto con lo Scettro d’Oro e
gettandolo a terra a gambe all’aria.
“Come osi?!” –Avvampò il Buffone Divino, muovendo il dito per scagliare
una runa d’attacco. Ma Reis era già balzata su di
lui, il cosmo acceso attorno alla spada che stringeva in mano. –“Flashingsword!”
–Gridò, liberando continui e precisi affondi, allo scopo di impegnare il Dio in
uno scontro corpo a corpo con cui sperava di averne ragione.
Loki, sorpreso dalla repentinità dell’attacco, dovette muoversi
incessantemente in ogni direzione, per evitare gli assalti luminosi del
Cavaliere di Luce, quei fendenti in grado di squarciare il terreno attorno a
loro. Un affondo di lama raggiunse il Dio al braccio destro, strappandogli la
sontuosa veste che aveva indosso e un moto di sorpresa, che divenne all’istante
rabbia allo stato puro.
“Folle!!! Folle e temeraria!” –Strillò, il volto deformato dall’ira,
abbozzando una croce di cosmo col dito e sollevando una corrente d’aria così
potente da scaraventare Reis molti metri addietro,
facendole addirittura perdere la presa sulla Spada di Luce. –“Hai idea di
quanto costi un abito come questo? Non è facile trovare un buon sarto all’alba
della fine del mondo!”
“Dovresti trovarti un prete piuttosto, per fare ammenda dei tuoi
peccati!” –Gridò Jonathan, sollevando lo Scettro d’Oro. –“Aberrazione della luce!”
Loki venne stordito dai flash improvvisi e obbligato a sollevare una mano
per coprirsi il volto, mentre il ragazzo si avvicinava velocemente, scagliando
violenti fasci di luce contro di lui. Portando avanti lo scettro, Jonathan mirò
al cuore del Nume, per sfondarglielo, ma questi fu svelto ad afferrarne la
punta nell’attimo in cui sfiorò la cinta protettiva di Yr.
“Bel tentat…aaargh!!!”
–Gridò il Burlone Divino, guardando la propria mano ustionata da una vampata di
luce rilasciata dallo scettro. –“Ma vi siete tutti dati una svegliata nel
finale della storia?!” –Avvampò, sollevando Jonathan con un turbine d’aria e
facendolo roteare su se stesso a testa in giù svariate volte, fino a lanciarlo
contro Reis che stava accorrendo, gettandoli entrambi
a terra.
In quel momento avrebbe potuto vincere, mentre i Cavalieri delle Stelle
affannavano a rimettersi in piedi e Orion languiva in
una pozza di sangue. Ma trattenne troppo a lungo lo sguardo sulla mano
ustionata, inspirando a fatica, mentre il cosmo fluiva inquieto dentro sé. Reis, rimettendosi in piedi, non poté non notare quanta
concentrazione Loki stava imprimendo a quel gesto,
quanta cura il Buffone Divino stava dedicando al risanamento delle ferite della
propria mano, annientando le ustioni e lasciando che morbida pelle
ricomparisse.
“Non possiamo esitare, Jonathan! Non avremo un’altra occasione! Il
mondo non l’avrà!” –Esclamò il Cavaliere di Luce, espandendo il proprio cosmo,
che mulinò attorno a sé prendendo la forma di uno scintillante vortice di luce.
Il suo compagno fece altrettanto, concentrando una sfera di energia ardente nel
palmo della mano e scagliandola avanti, avvolta nel turbinare del cosmo di Reis.
I due colpi segreti sfrecciarono verso Loki,
il quale si limitò a porre sui Cavalieri il suo sguardo magnetico e a
inchiodarli sul colpo, paralizzando ogni loro movimento. Quindi si spostò di
lato, evitando la cometa lucente e si lasciò risucchiare dal turbine di Reis, roteando al suo interno con un gran sorriso sul
volto, sentendosi un bimbo sul cavallo di una giostra.
“La vita è composta anche da piccoli divertimenti, non trovate,
bambini?” –Rise il Nume, prima di lasciar esplodere il proprio cosmo,
sopraffacendo la pressione del vortice lucente e prendendone il controllo.
–“Godetevi un soffio della vostra stessa aria viziata!” –E nel dire ciò rispedì
indietro il colpo segreto di Reis, travolgendo
entrambi i Cavalieri delle Stelle e scaraventandoli molti metri addietro,
scheggiando persino le loro corazze.
“Il mithril…” –Rantolò Jonathan, osservando
con orrore una crepa aprirsi su uno dei gambali.
“Non…arrendetevi…”
–Mormorò Orion, catturando l’attenzione dei due
giovani.
Stringendo i denti per il dolore, il Cavaliere di Asgard stava tentando
di rimettersi in piedi, nonostante il ruscellare
continuo del sangue dalle ferite aperte sul collo. Reis
si chinò subito su di lui, che si servì del suo braccio per fare leva e
assumere posizione eretta. Non ebbe bisogno di dire alcunché che l’altro capì.
L’invulnerabilità dovuta al sangue di Fafnir
stava lentamente scomparendo, forse perché il Ragnarök stava volgendo al termine, o forse era
barriera inutile di fronte al potere di un Dio. Quale ne fosse la causa, Orion sapeva che stava morendo.
“Ma non prima di aver estirpato l’erba mala che ha dato origine a
questo conflitto!” –Declamò a gran voce, espandendo al massimo il proprio
cosmo, mentre la sagoma di un imponente drago a due teste riluceva alle sue
spalle. Jonathan e Reis fecero altrettanto, unendo i
loro cosmi a quello del Principe degli Einherjar,
suscitando la reazione divertita e interessata di Loki.
“Finalmente vi siete decisi a fare sul serio! Pensavo di limarmi le
unghie nel frattempo! Sapete, per tenerle sempre affilate a sufficienza!”
“Preparati per la battaglia piuttosto, perché ne hai ben motivo! Occhi del Drago, splendete per
Asgard!!!” –Gridò Orion.
“Cometa d’oro!!! Vortice scintillante di luce!!!” –Lo
imitarono Jonathan e Reis.
“Dato che vi piace gridare a squarciagola il nome delle vostre
tecniche, ugualmente farò anch’io!” –Ironizzò il Fabbro di Inganni, disegnando
una runa nell’aria, uno stelo con un triangolo attaccato. –“La riconoscete? È Thurisaz!!!”
–Esclamò raggiante, mentre una tempesta di fulmini si scatenava attorno a loro.
Migliaia di folgori caddero dal cielo, dilaniando il triplice assalto
dei Cavalieri e riducendone l’intensità, mentre altrettanti lampi di energia
scaturirono dalla mano aperta di Loki, travolgendo i
tre compagni e gettandoli a terra.
Orion fu il primo ad essere dilaniato dai fulmini, l’armatura distrutta in
più punti, le carni raggiunte, il sangue che sprizzava a fiumi, stuprando il
passato in cui era stato invincibile.
“Negli antichi poemi runici, Thurisaz veniva
definita una spina eccessivamente acuta, un oggetto al tocco maligno per ogni
Cavaliere! Dicevano il giusto, nevvero Sigfrido?” –Ridacchiò Loki, spostando poi lo sguardo sull’attraente corpo di Reis di Lighthouse. –“Ma Thurisaz è anche la tortura delle donne, cui causa grande
angoscia! Come gli uomini, in fondo!” –E la stritolò con le folgori
incandescenti, scagliandola a terra, persino con i capelli bruciati. –“Questa è
la grande runa degli Jotnar, la stirpe dei Giganti da
cui discendo! Siate fieri di morire per sua mano!”
Pochi attimi dopo Loki placò il suo attacco,
distratto da qualcosa che stava accadendo sull’altra riva del Thund, laddove si estendeva la vasta piana di Vígridhr. Incuriosito e soddisfatto, travolse i tre Cavalieri con
una tempesta di folgori, lasciandoli feriti e sanguinanti a terra, prima di
assumere forma di aquila e volare di là dal fiume.
Se non avesse saputo che era il campo dove aveva incontrato Hel e la sua feccia ore addietro, di certo non l’avrebbe
riconosciuto. Adesso era un cimitero, ove carcasse di uomini, nani e mostri
ardevano in putridi roghi, separati da sconquassamenti nel terreno e conche
dove rimasugli di acqua ribollivano assieme al sangue dei caduti. Volando per
l’intera estensione della piana, Loki riconobbe i
resti di Garmr e di Fenrir,
o almeno credette che appartenessero loro quegli immondi
ammassi di carne bruciata. Di Hel non vide traccia,
ma per quel che gliene importava sarebbe potuta morire chissà dove, purché non
avesse insudiciato con il suo tocco il trono di Hliðskjálf,
che il Nume adesso vedeva davvero a portata di mano.
Planò ai margini della piana, proprio dove aveva combattuto contro Heimdall e Tyr, proprio dove in
quel momento Surtr stava incendiando gli ultimi
alberi con la sua spada infuocata.
Clap, clap.
Il battito delle mani distrasse il Nero dalle sue occupazioni. Dopo
aver sbaragliato i Cavalieri dello Zodiaco con la tempesta di fuoco, ne aveva
perso le tracce, convinto che fossero morti carbonizzati o caduti in qualche
fenditura e sommersi dal fango. Così aveva deciso di incendiare quel che
restava di Asgard, certo che, nel vedere lo sfacelo del regno, Odino sarebbe
uscito dal Valhalla per affrontarlo in campo aperto.
Invece si trovò davanti il Dio dell’Inganno, senza esserne comunque troppo
sorpreso.
“Ci incontriamo finalmente!” –Esclamò Loki,
ritto in cima ad una roccia sporgente.
“Quale onore!” –Parlò Surtr per la prima
volta, grazie all’essenza della creazione che risiedeva in lui. –“Il figlio di Farbauti e Laufey! Sei vecchio
quasi quanto me!”
“Spiritosone!” –Rise Loki,
che in realtà non amava quando qualcuno gli faceva notare la sua età.
–“Soprassederò su questa mancanza di eleganza, per passare subito ai
complimenti per come hai gestito l’azione! Tu e gli altri figli di Muspell avete preso possesso della città degli Asi in poco tempo!”
“Facendo quel che tu non sei mai stato in grado di fare!” –Precisò Surtr, allargando la bocca di fiamme in un ghigno
innaturale.
“Te ne do atto, e sarai degnamente ricompensato appena siederò sul
Seggio degli Spazi!” –Esclamò Loki, a cui Surtr rispose con una risata, prima di falciare un’altra
ventina di alberi con la sua spada infuocata. Il Burlone Divino, che per le
ustioni non aveva gran simpatia, in virtù dei suoi trascorsi nella caverna
sotterranea, preferì non cogliere le provocazioni del Nero, concentrandosi sul
prossimo obiettivo. –“Vieni con me adesso! Il Valhalla
ci attende! Sconfitto Odino, sarò re di nioheimar e tu e i tuoi fratelli non sarete più obbligati
a rimanere confinati a Muspellsheimr! Sarete liberi
di girare dove vorrete, come miei araldi, portando ovunque la fiamma di Loki!”
“Tu sogni, Gran Tessitore! I troppi inganni che hai a lungo tessuto ti
hanno ottenebrato la mente, impedendoti di vedere la realtà!” –Rispose Surtr, suscitando l’immediata reazione di Loki, che si voltò fissandolo con astio.
“Che stai dicendo?”
“Io non sono un tuo servitore, né mai lo sono stato! E pretendere di
asservire la fiamma di Muspell ai tristi disegni di
un mentecatto è delirio puro!”
“Mente…catto?!
Bada a come parli, fiammella! Io ti ho risvegliato dal sonno, io ti ho convinto
ad abbandonare quel mondo incivile per respirare nuova aria!” –Avvampò Loki, cui Surtr rispose con
l’ennesimo ghigno.
“Non tu sei stato. Neppure il grande Loki ha
avuto l’ardire di scendere nell’inferno di Muspellshemir
per conferire con me, delegando ad altri il compito. Cosa temevi, di sciupare
il tuo bel visino da damigella? O che qualche gigante troppo focoso tentasse di
possederti?”
“Flegias ha soltanto eseguito la sua parte.
Siamo alleati, non dimenticarlo, dai tempi in cui sottoscrivemmo il patto di
sangue, assieme ai suoi fratelli Paura e Terrore!”
“Ingenuo. Flegias non ha alleati, e neppure
io.” –Detto ciò, Surtr calò la sua immensa spada di
fuoco su Loki, obbligandolo a scattare di lato per
evitarla, nonostante una fiammata comunque lo raggiunse, incendiando parte
delle sue vesti.
“Sei impazzito?! Non dobbiamo combatterci tra noi, ma unirci per
dominare questo mondo! Anzi, per dominarli tutti!”
“Io non voglio dominare i mondi!” –Parlò Surtr,
mentre un oceano di fuoco prendeva vita attorno a lui, sollevandosi verso il
firmamento. –“Io voglio distruggerli!”
“Che stai dicendo, rustica fiammella? I nioheimar appartengono a me, Loki, della stirpe dei Giganti di Brina! Questa è la mia
grande occasione, attesa per anni, e dagli Asi a
lungo temuta! Nel secolare conflitto tra luce e ombra, questa è la rivalsa
dell’ombra!” –Declamò l’Ingannatore, ritto su una roccia nella piana di Vígridhr, circondato da un mare di fiamme che Surtr aveva appena
sollevato contro di lui.
“Proprio per questo non ti appartiene! Sei solo una pedina
in un gioco più grande di te!” –Ghignò il Nero, osservando l’espressione
sbigottita sul volto di colui che da sempre era abituato a burlarsi degli
altri. –“Una realtà difficile da accettare, Buffone Divino, ma veritiera! E
adesso, se vuoi scusarmi, ho una fortezza da distruggere e un ultimo mondo da
incenerire!”
“Un ultimo mondo?! Che vuoi dire?”
“Credevi che il potere dei figli di Muspell
fosse asservito alla tua causa, al patetico desiderio di rivalsa di un buffone
di corte che per anni è stato canzonato dagli Asi per
le sue singolari pulsioni sessuali, che per anni non è stato capace di tagliare
la testa di un vecchio guercio e prendersi un trono di legno? Stolto e stupido
solo ad averlo pensato! I Giganti di Fuoco miei fratelli e sudditi marciano
nelle terre dei Vani, degli elfi e dei nani per ridurle in cenere! E ad eguale
sorte è destinato il Recinto di Mezzo! Un rogo universale sta per sorgere!”
–Sibilò Surtr, chinandosi sul Dio e soffiandogli in faccia una vampata di aria
calda, che subito diventò una tempesta di fuoco.
Loki fu svelto a balzare indietro,
spalancando l’ampio mantello della sua veste e usandolo per planare docilmente
a terra. Ma subito nuove vampe scarlatte sorsero dal suolo, obbligandolo ad
usare la runa dell’immobilità al massimo della potenza.
“Isa!!!” –Gridò,
congelando lo spazio attorno a sé e strappando un sorriso al gigantesco
Distruttore.
“Mi diverti, Burlone Divino! Tieni alto il tuo nome, in
effetti! Lascia però che ti dia un consiglio da amico, forse l’unico che tu abbia!
Anche se in effetti non mi ritengo tale, ma poco importa! Sfrutta quel tuo bel
mantello di piume di falco e vattene! Vola via, da Asgard e dai nove mondi, se
vuoi vivere ancora a lungo! Perché se dovessi incontrarti di nuovo sulla mia strada…” –E lasciò di proposito la frase in sospeso, mentre
tutto attorno a Loki si sollevavano lingue di fuoco,
sciogliendo dall’interno il gelo con cui erano state temporaneamente frenate.
“È una minaccia, la tua, scintilla da caminetto?” –Esclamò Loki, ergendosi fiero in mezzo alle fiamme, incurante delle
faville che gli incendiavano il magnifico abito.
“No, è suprema verità!” –Sibilò Surtr, smuovendo le vampe
di fuoco in un assedio attorno al corpo dell’Ingannatore, il quale,
nient’affatto intimorito, si limitò a roteare su se stesso, il braccio destro
teso avanti, il simbolo di Isa rilucente nell’aria torrida.
Le fiamme crepitarono ancora, fermandosi e raffreddandosi,
ma Surtr, che aveva già perso anche troppo tempo, calò su Loki
la sua enorme spada di fuoco.
“Tempo al tempo!” –Mormorò il Nume, arrestando la discesa
dell’arma pochi centimetri sopra la sua testa e sollevando lo sguardo verso il
Nero. –“Se io sono stato uno stolto a credere nell’aiuto dei Muspellsmegir, tu sei ancor più ingenuo a pensare che mi
faccia da parte adesso! Adesso che ho scatenato tutto questo!”
E in quel momento, mentre il suo cosmo divino congelava la spada di
fuoco, il Dio ripensò a quel che la Celebrante di Odino gli aveva detto
all’inizio di quell’avventura, prigioniera nelle segrete di Midgard.
–“Credi di poterlo controllare, Loki? Credi di essere
davvero il direttore di questo dramma? Sei un illuso, e te ne accorgerai
presto! Il potere che vuoi scatenare è troppo grande per chiunque, persino per
un figlio della stirpe degli Jötnar!”
Forse era vero. Ammise il Grande Ingannatore. Pur tuttavia
si era spinto talmente avanti da non poter più tornare indietro. Perché farlo significherebbe rendere vana
un’intera esistenza, significherebbe ammettere che non ho vissuto per altro se
non per veder crollare i miei progetti e non avere la mia vendetta.
Il dolore del ricordo per la sorte di Vali, Narfi
e Sigyn lo fece imbestialire, generando un’onda di
energia che annientò le fiamme attorno, scavando il suolo in profondità, mentre
tutto attorno al suo braccio rilucevano saette incandescenti.
“Thurisaz!”
–Gridò, distruggendo la spada congelata e forzando Surtr alla difensiva.
“Per rispetto all’ombra che ci ha risvegliato da un torpore di
millenni, avevo deciso di lasciarti vivere, Fabbro di Menzogne! Ma adesso che
hai rivolto i tuoi colpi contro di me, ti ucciderò! Ti abbrustolirò su un rogo
assieme agli Asi e ai Vani!” –Declamò Surtr, facendo
scorrere colate di lava nel terreno di fronte a lui, fin sotto i piedi di Loki, che venne sbalzato in aria da un getto di magma
ardente.
Tentò di liberarsi da quel calore intenso, ma il gelo di Isa non era
sufficiente per controbattere quell’inferno millenario. Ridendo, Surtr gli
soffiò contro una tempesta di fuoco, avvolgendolo in un turbine che incendiò la
sua veste ricamata e ciuffi di capelli, ustionandogli la mano già danneggiata
dallo scontro con Jonathan. Quindi, stufo di giocare, gli scagliò contro un
getto di lava, schiantandolo contro i massi in precedenza franati a chiudere
l’ingresso verso Hel.
“Al tuo posto, Nume fasullo!” –Commentò Surtr, prima di placare le
fiamme e incamminarsi infine verso il Valhalla.
Sorrise, osservando il ponte distrutto da Orion,
come se un misero ostacolo potesse impensierirlo, per poi richiamare a sé le
sue fiamme e sprofondare nel terreno, quasi come ne venisse risucchiato. Un
attimo dopo le insidiose acque di Thund ribollirono e
tutti i pesci salirono a galla morti, lessati da un calore intenso che si era
acceso al di sotto del letto del fiume. Sbucando dal suolo sul lato adiacente
al Valhalla, Surtr riacquistò le sue immense forme e
proseguì verso la Dimora degli Uccisi, incurante di tre Cavalieri feriti che
giacevano poco lontani dalla riva.
Non passarono che pochi minuti che una deflagrazione di energia squassò
ulteriormente la piana di Vígridhr, anticipando la liberazione di Loki
dal cumulo di rocce e fiamma rovinati su di lui. A guardarlo da vicino il Nume
era irriconoscibile, tranne forse per Sigyn, la sposa
che morì languendo nella caverna oscura, dopo secoli trascorsi a raccogliere in
una ciotola il liquido che le serpi facevano colare sul volto del compagno.
L’unico essere vivente che mai lo avesse amato.
“Tu sia maledetto, Surtr!!!” –Ringhiò il Burlone Divino, crollando
sulle ginocchia e respirando a fatica. Le vesti eleganti erano bruciate in più
punti, lasciando intravedere le carni al di sotto. Il suo volto, al pari del
resto del corpo, era segnato da striature violacee, ustioni che il suo cosmo
indebolito non riusciva più a trattenere, cicatrici che volevano emergere, per
mostrare al mondo un passato che non riusciva a dimenticare, che non aveva mai
voluto dimenticare. Perché quel passato lo aveva reso quello che era,
l’Ingannatore che aveva a lungo tramato per la caduta degli Asi.
“Fenrir!!!” –Chiamò. –“Fenrir,
vieni da tuo padre, portami al Valhalla sulla tua
folta schiena!!!” –Ma nessuno rispose. –“Hel, lurida
strega, cedimi la tua scopa! La userò per sfondare il cranio del Guercio o
forse per togliergli l’ultimo occhio! Ah ah ah!”
–D’un tratto rise, senza sapere perché, lasciandosi cadere a terra, rotolandosi
sul suolo distrutto, inebriandosi di quell’odore di fumo e morte che sgorgava
dalla terra stessa.
“Sono solo!” –Dovette ammettere infine, lo sguardo perso nella coltre
di nubi che sovrastava l’intera Asgard. –“Come lo sono sempre stato, in fondo.
Padre di figli che non l’hanno mai amato, re di un regno che non è mai esistito
se non nella mia mente.”
Nonostante i bei piani di conquista, le alleanze che credeva di aver
tessuto nel corso di secoli bui, non gli era rimasto nessuno. I suoi malvagi
figli erano morti, uccisi dai Cavalieri dello Zodiaco; gli Dei di Vittoria
erano stati sconfitti, persino il grande Erik, cui aveva donato la sua prima
armatura, persino Managarmr che aveva scaldato le sue
notti pensose. Le creature terribili che aveva risvegliato erano sprofondate
nell’oblio: Garmr, Skoll, Hati, le Vilgemir, le streghe di Járnviðr. E dal Niflheimr non era
venuto alcun aiuto. Qualcuno deve aver
fermato l’avanzata dei Giganti di Brina.
Sollevando lo sguardo, vide ovunque un fuoco nero incendiare la città
di Ásaheimr, un fuoco che trasudava odore di morte,
effluvi che gli ricordarono tutti coloro che erano caduti in quella guerra. Heimdall e Tyr, Balder e Frigg, Ullr e Bragi, Freyr
e Freya. E molti altri i cui nomi non ricordava
neppure ma che era stato lieto di falciare con le sue rune di morte.
Perché? Cosa aveva provato in quel momento, quando
da Dio dell’Inganno era divenuto Dio della Morte? Il passaggio, in cuor suo,
era stato breve, una conseguenza dell’agire degli Asi,
che lo avevano ferito, umiliato e torturato, spingendolo verso un sentiero di
vendetta durato secoli, forse millenni. Eppure adesso, ripensando al bianco
sorriso della Sentinella Celeste, ritta su Bifrost, Loki non provò niente. Nessuna gioia, nessuna
soddisfazione. Nessun canto di celebrazione, solo un vuoto immenso. Niente di
più di quel che aveva albergato nel suo animo dagli albori del mondo.
Per la prima volta, osservando le fiamme allungarsi verso il cielo e
soffocare Asgard, cingendo d’assedio le residenze divine, lo invase il dubbio
che quel caos, quella distruzione, quell’inferno universale, non fosse quello
che aveva davvero voluto.
Lui voleva soltanto il trono di Odino, sedere su Hliðskjálf e bere idromele, non urina di capra. Voleva un
esercito di guerrieri come il suo, valorosi e arditi, pronti a dare la vita per
il loro signore, e non costretti a lottare per paura di ritorsioni e morte.
Voleva una sposa bella e luminosa come Frigg, i cui
riccioli d’oro avrebbe carezzato ogni notte, prima di unirsi a lei e generare
una discendenza perfetta, non una gigantessa o una prostituta con cui mettere
al mondo serpi e mostri. Lui voleva essere Odino, e non la sua nemesi, e
finalmente trovò il coraggio di ammetterlo a se stesso. Quel che tanto aveva
odiato, quel mondo che aveva tentato di distruggere, era il mondo su cui voleva
imperare. Era il mondo che voleva fosse suo.
“Asgard è mia!” –Avvampò, rimettendosi in piedi e mirando verso il Valhalla, ove Surtr già teneva in scacco la fortezza. –“Non
ti permetterò di incendiarla, perché mi appartiene! Asgard è il mio regno! E la
difenderò dalle tue vampe distruttrici!”
“Sono sorpreso di sentirtelo dire!” –Esclamò una voce giovanile,
sorprendendo il Fabbro di Inganni, che si voltò di scatto, con un’espressione
stupita sul volto.
Cristal il Cigno lo osservava incuriosito, stringendo Flare
in un protettivo abbraccio, affiancato da Sirio, Andromeda e Phoenix, tutti con
le Armature Divine ricoperte da aloni di fumo, e con i capelli e il volto
bruciacchiati. Dragone, in particolare, con i capelli corti e disordinati,
sembrava un’altra persona.
“Siete ancora vivi?” –Bofonchiò scocciato l’Ingannatore. –“Umpf,
non lo sarete per molto. Surtr è di umore instabile oggi e pare voglia usare Asgard
per la sua personale grigliata! Fate attenzione o potreste ritrovarvi a
rosolare allo spiedo come succulenti suini!” –Quindi diede loro le spalle,
muovendo qualche passo avanti, ma poi, sentendo ancora i loro sguardi su di sé,
si voltò apostrofandoli seccato. –“Beh, non correte a salvare i vostri amici?
Non è questo che fanno gli eroi?!”
“Lo faremo, ma tu verrai con noi e ci aiuterai a sconfiggere Surtr!”
–Esclamò Cristal, attirando gli sguardi preoccupati e
incuriositi dei suoi compagni.
“Ah ah ah! Buona questa! Avrebbero dovuto scegliere te come buffone di corte,
Cigno! Io, Loki, Dio dell’Inganno, dovrei aiutarti a
spegnere l’incendio che io stesso ho appiccato?! Ma sii serio!”
“Non è questo quel che volevi ottenere! Ti abbiamo sentito poc’anzi! La
fiamma di Surtr è sfuggita al tuo controllo!”
“Ma ho ben altre fiamme con cui posso farti male!” –Sibilò Loki, disegnando la runa di fuoco nell’aria. –“Kaunaz!!!”
–Declamò, dirigendo un getto di energia infuocata verso il Cavaliere, il quale,
aspettandosi una qualche offensiva, era già pronto per contrastarla con il suo
gelido cosmo.
“Cristal!!!” –Intervenne Sirio, vedendo
l’amico spinto indietro dalle fiamme di Loki. Sollevò
il braccio destro, caricandolo di energia cosmica, e poi liberò la sacra spada,
osservandola dirigersi verso l’Ingannatore, falciando suolo e fiamme.
“Isa!” –Si limitò a
commentare il Nume, aprendo il palmo dell’altra mano e parando l’avanzata di
Excalibur. –“Divertente, non avevo mai combattuto con te, Sirio, adoro le novità…Aaarggh!!!” –Gridò,
accorgendosi che in quel breve lasso di tempo Cristal
aveva congelato le fiamme e ricoperto di ghiaccio il suo braccio destro.
–“Com’è possibile? Il tuo zero assoluto non può aver ragione di una fiamma
divina!” –Solo in quel momento si accorse che la runa di fuoco, da lui evocata,
era scomparsa.
Possibile? Rifletté, sfiorandosi il mento pensieroso.
“Non puoi usare due rune nello stesso momento!” –Intervenne allora la
candida voce di Flare, trovando il coraggio di farsi
avanti, dopo aver intuito i suoi dubbi.
“Che cosa?!” –Esclamarono insieme Loki e i
Cavalieri dello Zodiaco.
“Ilda una volta mi spiegò che le rune possono essere evocate una alla
volta, poiché ogni simbolo è unico e associato ad un solo potere!” –Disse Flare, al che Cristal e gli altri
annuirono.
“Così come un Cavaliere non può scagliare due colpi segreti
contemporaneamente!” –Confermò Sirio, ricordando lo scontro con Megrez.
“Sciocchezze, un Nume del mio calibro non è soggetto a limitazioni
alcune ed infatti finora ho disposto liberamente di qualsiasi runa in
qualsivoglia momento!” –Tagliò corto Loki, sollevando
l’indice e preparandosi per un nuovo assalto. I Cavalieri dello Zodiaco
approntarono le proprie difese, spingendo Flare
dietro di loro, ma poco prima di disegnare una runa nell’aria Loki si fermò. Per riflettere.
Proprio in quel momento il vento ululò, solleticando le fiamme dei
roghi sparsi per la vasta piana, spargendo ovunque ceneri di un mondo destinato
alla rovina.
“Temo che tua sorella avesse ragione, Principessa di Midgard!” –Commentò infine il Grande Ingannatore,
rilassando le braccia. –“Sentite queste vibrazioni? È il fremito ultimo del
Frassino dell’Universo! Il grido di dolore del cosmo! Yggdrasill sta soffrendo, sottoposto a troppe pressioni
simultaneamente: il fuoco di Muspell, il gelo del Niflheimr e gli sconvolgimenti in atto nei nioheimar. Con
il suo crollo, il creato stesso vacillerà e un nuovo ordine sorgerà!”
“E non c’è modo per impedirlo?”
–Domandò Andromeda, attirando lo sguardo interessato del Dio.
“No!” –Rispose, con una lontana
tristezza nel tono. La stessa che aveva intravisto nell’occhio di Odino durante
il loro scontro a Fensalir. –“Però possiamo
ritardarlo e dare una possibilità a questo vecchio mondo!”
“Fermare Surtr è quel che vogliamo
entrambi! Ma nessuno di noi può farlo da solo!” –Commentò Cristal,
incitando Loki a mettere da parte gli antichi
rancori, cui Flare gli aveva accennato nella loro
fuga da Amsvartnit. –“Dobbiamo unire le forze!”
“Un’alleanza?! Uhm, idea
efficace e risparmiosa! Mi piace! La approvo, Cigno!
Ma, spenta quest’irruenta fiamma, nemici come prima, non aspettatevi sconti! La
mia ipoteca su Hliðskjálf non è ancora scaduta!” –E
fece loro cenno di avvicinarsi.
Sospettosi, i Cavalieri dello
Zodiaco si guardarono tra loro per un momento, temendo qualche trucco, mentre Loki sbuffava scocciato. Fu Flare
a farsi avanti per prima, Flare che aveva ascoltato
gli sfoghi, i lamenti, i monologhi dell’Ingannatore durante la loro venuta ad
Asgard, certa che, nel profondo, anch’egli avesse un cuore. Sebbene ben nascosto. Si disse,
prendendo Cristal per mano e conducendolo avanti.
Sirio, Andromeda e Phoenix
seguirono gli amici, avvicinandosi all’Ingannatore, che sfiorò un monile che
portava al collo, liberando un lampo di energia che abbagliò tutti i presenti.
Quando la luce scemò, i Cavalieri si accorsero di essere sull’altra sponda del Thund.
“Alte si levano le strida dalla
Dimora degli Uccisi!” –Commentò Loki, mirando sinuose
vampe di fuoco sollevarsi lungo le mura esterne del Valhalla,
tra le grida e l’agitarsi continuo del cosmo degli ultimi difensori.
“Dobbiamo portare loro aiuto!”
–Esclamò Phoenix, al che tutti gli altri annuirono. Persino Loki,
sebbene si stesse incamminando in tutt’altra direzione. –“Hai intenzione di rimangiarti
la parola, Grande Ingannatore?”
“Tutt’altro. Ma lo stratega che
in me mi impone di riunire tutte le forze a nostra disposizione, anche a costo
di rimediare a precedenti errori!”
I Cavalieri dello Zodiaco non
capirono a cosa si riferiva, ma quando lo videro chinarsi su alcuni corpi
abbandonati in mezzo all’erba riconobbero le sagome di Orion,
Reis e Jonathan, da Loki
massacrati poco prima. Il Nume sfiorò i loro corpi, mentre una runa simile ad
un fulmine riluceva nell’aria.
Eihwaz. La runa del tasso.
“Il tasso è un albero forte e
antico, ben piantato nel suolo, con la corteccia a ruvida per difendersi dalle
intemperie. Una gioia in una tenuta.” –Mormorò, risanando le loro ferite.
Fu Reis la prima a riaprire gli occhi,
aiutata da Andromeda a rimettersi in piedi. Sgranò gli occhi nel vedere Loki chino su Orion e fece per
avventarsi su di lui, ma il Cavaliere lo trattenne, spiegandogli i fatti in
breve.
“Che cosa?! Dovremmo allearci con l’Ingannatore per antonomasia?
Cercherà di colpirci quando saremo feriti e vulnerabili! È solo un trucco per
farci sconfiggere Surtr, che lui non ha la forza di affrontare!!!”
“Può darsi. Ma non abbiamo alternative. I nostri futuri sono
intrecciati come le maglie della mia catena.” –Chiosò Andromeda, mentre anche Orion e Jonathan si rialzavano. –“Temo che finirà male per
tutti noi!” –Sospirò il Cavaliere di Luce, accettando comunque la volontà
generale.
Loki non disse alcunché, rimanendo in ginocchio per qualche istante, con
una mano a sfiorarsi il cuore, quasi sentisse di aver perso qualcosa che non
sarebbe più tornato. Scuro in volto, si limitò a rialzarsi, senza degnare di
uno sguardo nessuno dei suoi improvvisati compagni. Ma né ad Andromeda né a Cristal sfuggì la preoccupazione nei suoi occhi.
Phoenix ravvivò l’animo degli amici, incitandoli a correre verso il Valhalla, laddove era appena esploso un cosmo che ben
conoscevano. Quello del Cavaliere di Pegasus.
Ritto sulle mura della Dimora degli Uccisi, il giovane stava infatti
incoraggiando gli ultimi einherjar, guidati da Atreju, che presidiavano il cancello principale della
fortezza. Proprio su Valgrind si era diretta la
grande offensiva di Surtr, le cui fiamme riempivano la piana di fronte,
arrampicandosi minacciose lungo le mura esterne. E non vi erano frecce, né
armi, né fasci di energia che potessero fermarle. Soltanto il cosmo di un Dio
stava impedendo loro di penetrare nel cuore di Asgard.
“Mio Signore…” –Mormorò Pegasus,
avvicinandosi al Nume inginocchiato sopra il cancello principale. –“Posso aiutarvi?”
“Vi sono animi fatti per pregare, e altri per combattere, Cavaliere di
Pegasus. Io, che rifuggo il clangore della battaglia, come mio fratello Balder, appartengo al primo ordine, ma farò quel che è nei
miei poteri per difendere la mia gente!” –Commentò Vidharr,
l’Ase silente, riprendendo la sua meditazione, con
cui aveva generato un velo di energia per riparare il Valhalla
dalle fiamme.
Dopo che aveva dato ordine di ripiegare dentro la roccaforte, con
tristezza Odino aveva visto rientrare appena un decimo, o forse anche meno,
degli eserciti che aveva messo in campo quel giorno. Idunn,
al suo fianco, lo aveva incitato ad essere forte, perché una notte di fuoco
stava calando su Asgard, e con Eir aveva portato i
corpi di Balder e di Frigg
ai piedi di Yggdrasill, dove Odino avrebbe voluto dire loro addio. Ma le Norne
lo avevano messo in guardia.
“Non vi sarà pace per i tuoi cari, né per il tuo animo inquieto, finché
la fiamma di Surtr non sarà spenta! Non odi i sinistri scricchiolii del
Frassino Cosmico? Non vedi Ratatoskr correre inquieto
lungo i suoi rami, seguito dai cervi e dalla grande aquila? Fuggono, stanno
fuggendo e fuggiranno finché le acque di Urðarbrunnr non saranno esaurite
e, come vedi con il tuo unico occhio, quel momento è prossimo!”
Odino aveva sospirato, osservando la fonte del
destino gocciolare soltanto poca acqua, troppo poca perché le Norne potessero usarla per dissetare l’Albero del Mondo.
Quelle ultime gocce della sorgente cosmica era il tempo che restava loro, e
avrebbero dovuto usarlo al meglio.
Proprio in quel momento Surtr soffiò contro le
mura del Valhalla, sollevando una tempesta di fuoco
tale da scaraventare in aria molti einherjar,
precipitandoli a terra in malo modo, avvolti dalle vampe. Quindi portò avanti
l’enorme spada fiammeggiante, piantandola nel portone di Valgrind.
A nulla servì la protezione di Vidharr, che andò in frantumi, scagliando il Nume a terra e
ricoprendo il suo corpo di vivide ustioni, mentre il cancello principale
saltava in aria e parte delle mura crollavano su loro stesse. Quando la polvere
e le fiamme si diradarono, Surtr poté vedere Odino, in sella a Sleipnir, che lo attendeva fiero, la lancia in mano,
laddove Valgrind si era eretta fino ad allora. Al suo
fianco, avvolto nello splendore del suo cosmo, il Primo Cavaliere della Dea
Atena.
Scambiandosi un cenno di intesa, Odino e
Pegasus sfrecciarono avanti, puntando ognuno su un lato di Surtr, che tentò di
frenare la loro corsa tempestandoli di magma ardente. Pegasus fu svelto a
balzare in ogni direzione, per evitare tale pioggia devastatrice, scagliando,
quando poteva, scariche di energia per distruggere la lava. Ugualmente faceva
Odino, lanciando lampi di luce da Gungnir e
annientando le fiamme che gli piovevano addosso.
Deliziato dall’intervento del Padre delle
Schiere, che era infine uscito in campo aperto, Surtr modellò un braccio a
guisa di una grande verga, con cui sferzò l’aria e il suolo sotto di sé, per
intrappolare Odino nelle sue spire.
Pegasus, avvedutosi del pericolo, tentò di
intervenire in aiuto del Nume, ma muraglie di fiamme gli sbarrarono la strada,
seguendolo ovunque si muovesse.
“Non voglio fare la fine di un coniglio
arrosto!” –Bofonchiò il ragazzo, espandendo il proprio cosmo e aguzzando
l’ingegno. Roteò su stesso e liberò una raffica di meteore lucenti con cui
crivellò il suolo, sollevando terriccio con cui coprì e spense le fiamme
attorno. Quando cercò Odino con lo sguardo, lo vide crollare a terra, la frusta
di Surtr arrotolata attorno ad una gamba di Sleipnir,
che stava strillando dal dolore, mentre le fiamme gli consumavano l’arto.
“Suvvia, bella giumenta, hai ancora sette gambe
per portare a spasso il tuo Dio!” –Commentò Surtr, chinandosi su Odino, che
arrancava nel terreno ardente alla ricerca di Gungnir,
di cui aveva perso la presa cadendo da cavallo. –“Cerchi questa, possente
Odino? Il pungiglione di un’ape, di fronte a me!” –Rise il Distruttore,
sollevando la lancia con fiamme sinuose e porgendola al Nume, che irato la
afferrò all’istante, incurante di quanto potesse ardere.
Maledicendosi per la sua avventatezza, Odino
strinse i denti, per nascondere il dolore, che non sfuggì comunque a Surtr,
nient’affatto impressionato dal trovarselo di fronte. La forza da cui
attingeva, il potere della creazione, lo faceva sentire invincibile.
“Torna nel mondo da cui provieni, Surtr!”
–Esclamò Odino, puntando la lancia verso il volto della creatura e liberando un
raggio di energia.
“Impossibile! Poiché presto tutti i mondi
saranno uno solo!” –Commentò sibillino il Nero, dilatando le sue fattezze in
modo da far sì che il fascio energetico colpisse il vuoto, perdendosi alle sue
spalle. Quindi mosse la frusta, aggrovigliandola attorno a Gungnir,
incendiandola e liquefacendola, di fronte allo sguardo stupefatto del Nume, che
si ritrovò circondato da vampe di fuoco simili a serpenti.
Il Distruttore strinse il cerchio attorno a
Odino, quando un’agile figura piombò in mezzo alle fiamme, gettando a terra il
Dio e roteando veloce su se stesso, disperdendo le vampe con un vento
impetuoso. Quando il Padre delle Schiere si rialzò, per ringraziare
l’improvviso salvatore, immaginando si trattasse di Pegasus, enorme fu la sua
sorpresa nel riconoscere il volto di Loki.
“Non guardarmi così! È stata un’idea del
Cigno!” –Lo apostrofò il Nume, indicando i Cavalieri dello Zodiaco giunti con
lui al Valhalla, assieme a Orion
e ai due fedeli di Avalon.
“Amici!!!” –Gridò Pegasus, superando un muro di
fiamme e atterrando vicino a Phoenix e agli altri, felici di ritrovarsi.
–“Neppure portali vecchi di chissà quanti secoli possono incrinare la nostra
amicizia!” –Aggiunse, abbracciandoli.
“Attenti!!!” –Intervenne Reis,
balzando di fronte a loro e sollevando la Cascata
di Luce, in modo da mettere i cinque compagni al riparo dalle fiamme che
Surtr stava rigurgitando contro di loro.
“Siete davvero sicuri che sia una buona idea?” –Commentò Pegasus
dubbioso, memore dello scontro con Loki e dei
massacri cui si era abbandonato.
Nessuno rispose e il sorriso furbetto apparso sul volto
dell’Ingannatore fece loro comprendere che li aveva uditi, nonostante la
distanza. Andromeda avrebbe voluto dire qualcosa, ma il rinnovato attacco del
Distruttore catalizzò l’attenzione di tutti.
“Cosa fai qua, Loki?” –Gridò Odino,
liberatosi dalle fiamme con un’onda di energia.
“Quel che fai tu, Guercio! Combatto, non lo vedi?!” –Rispose il Burlone
Divino, congelando il terreno attiguo con Isa, prima di dirigere la runa verso
Surtr. –“Ma non credere che sia qui per te! Lo faccio solo perché non voglio
che dia fuoco agli arredi! Non vorrei dover ammodernare tutto quando sarò re di
Asgard!”
“Tu non sarai mai…” –Ma la frase di Odino
rimase a metà, troncata dall’impatto devastante delle sfere di fuoco che
crivellarono il terreno attorno. Nella mischia, tra il fumo e le scintille di
magma, il Dio vedeva a fatica e non si accorse di un globo ardente che stava
per piombare su di lui. Loki fece per rallentarlo ma
così facendo espose il fianco a nuove fiamme di Surtr, obbligandosi a
concentrare gli sforzi solo su di esse, lasciando Odino al suo destino.
Fu una spinta energica a gettare il Padre della Vittoria fuori dalla
traiettoria delle sfere di magma, quella di Orion,
che morì così, nel culmine della battaglia, sacrificandosi per proteggere
qualcuno, come Brunilde aveva fatto per lui.
Nel vedere il corpo del Principe degli Einherjar
scomparire dentro un ammasso di lava, Odino si accalorò, facendo esplodere il
proprio cosmo che dilagò nella pianura di fronte al Valhalla,
spazzando via ogni fiamma. Persino Pegasus e i suoi amici vennero spinti
indietro dall’onda d’urto, faticando per rimanere in posizione eretta.
Per un istante Surtr vacillò, sforzandosi di mantenere il controllo
sulle sue fiamme, solo per ritrovarsi di fronte il Signore degli Dei, con il
braccio destro teso verso di lui.
“Tempesta di spade!!!”
–Tuonò Odino, falciando il corpo del Distruttore con migliaia e migliaia di
lame dal freddo cosmo, e strappandogli per la prima volta da millenni grida di
terrore.
“Pare che il Guercio si sia infine scatenato!” –Ironizzò Loki, che osservava la scena dal basso, assieme a Pegasus e
ai Cavalieri dello Zodiaco, pronti per intervenire in aiuto del Padre delle
Schiere. Ma prima che potessero muoversi, la terra tremò, in modo così forte da
disturbare persino Odino e Surtr, spingendoli indietro, proprio mentre
un’enorme fenditura spaccava il suolo, una crepa che aveva avuto origine alla
Fonte del Destino.
In quel momento un’aquila, con un falco tra gli occhi, si levò in
cielo, mentre quattro cervi saltarono sulle rovine delle mura esterne del Valhalla, seguiti da uno scoiattolo, correndo poi oltre
l’orizzonte.
“Ratatoskr! E Dainn,
e Dvalinn, Duneyrr e Duraþrór!” –Mormorò Odino, puntando lo sguardo verso Urðarbrunnr, dove Huginn e Muginn svolazzavano inquieti. Per la prima volta non fecero
in tempo a tornare dal loro padrone a riferirgli gli eventi, che le fronde del
Frassino Cosmico fremettero, ripiegandosi su loro stesse, mentre tre spiriti
lucenti apparvero sul campo di battaglia.
“È l’ora!” –Dissero le Norne,
prima di dissolversi, terminato il loro millenario compito.
La Fonte del Destino si era esaurita e
l’Albero Cosmico stava crollando, portando con sé tutti i mondi.
Capitolo 40 *** Capitolo trentottesimo: Il crollo dei mondi ***
CAPITOLO TRENTOTTESIMO: IL CROLLO DEI MONDI.
L’apparizione delle Norne e gli sconquassamenti che la caduta di Yggdrasill
stava generando presero alla sprovvista i Cavalieri dello Zodiaco che non
sarebbero mai riusciti a immaginare una simile apocalisse. Profonde fenditure
spaccarono il suolo, aprendosi ovunque sotto i loro piedi e obbligandoli a
correre in ogni direzione per non precipitare. Cristal afferrò Flare,
spalancando le ali dell’armatura, e si librò in aria; ugualmente fecero
Andromeda e Phoenix con Jonathan e Reis, mentre Pegasus cercava Odino in mezzo
a quel caos. Lo aveva visto poc’anzi correre verso la Fonte del Destino,
lasciandosi alle spalle ogni battaglia, come se niente lo interessasse più.
Evitando un geyser di fuoco che sorse
dal terreno, Pegasus atterrò dove un tempo si ergeva il Cancello Principale del
Valhalla, chiamando a gran voce il nome del Padre delle Schiere, senza riuscire
a individuarlo. Ovunque poggiasse lo sguardo vedeva einherjar cadere verso
abissi ignoti che improvvisamente si aprivano sotto di loro, crepe da cui
spiravano gelidi venti o sorgevano fiamme infernali. Persino la Dimora degli
Uccisi stava crollando, le lance e gli scudi che ne componevano l’ossatura
parevano sgretolarsi sotto l’ululato furioso del vento. Un vento che lo
smuoversi delle fronde del Frassino Cosmico aveva generato.
Fu allora che una mano gli si poggiò
sulla spalla, pregandolo di non andare oltre.
“Odino Herjaföðr più non ti
risponderà! Non ha più schiere da condurre in guerra, poiché questa è ormai
l’ultima!” –Esclamò Loki, spuntando a fianco del Cavaliere di Atena,
un’espressione rattristata sul volto, segnato da ustioni che ne avevano
deturpato la medusea bellezza. E mosse lo sguardo in direzione di Urðarbrunnr,
ove Odino stava correndo, per abbracciare un’ultima volta Balder e Frigg.
L’albero
antico, misuratore del tempo e dei destini del cosmo, ha adempiuto al suo
compito. Fu seminato quando i mondi erano giovani, in vista di un futuro in cui
l’universo sarebbe stato distrutto, segnando il termine di un ciclo e aprendone
uno nuovo. Adesso doveva crollare. Questo aveva predetto la Volva millenni
addietro. O forse ne era a conoscenza poiché era accaduta la stessa cosa alla
fine del tempo cosmico precedente? Si chiese il Buffone Divino.
Non ebbe risposta, soltanto la conferma che
non avrebbe mai seduto sul Trono degli Spazi, né rimirato Asgard dall’alta
rocca. In quel momento il Frassino Cosmico ondeggiò, crollando in avanti,
mentre i suoi lunghi e nodosi rami si schiantavano, precipitando a terra e
distruggendo edifici o aprendo squarci nel terreno. Huginn e Muginn furono
schiacciati dalle ossute fronde e uguale sorte incontrarono gli einherjar, le
Valchirie, gli Jötnar e i nani
che avevano trovato riparo dentro il Valhalla. Vidharr fece appena in tempo ad
afferrare Eir e Idunn e a sollevare un velo di energia per ripararsi che venne
sommerso dallo sfascio della fortezza.
Pegasus riuscì soltanto a udire Loki che
brontolava: “Non fidarti mai di un oracolo! Hanno il brutto vizio di azzeccarci
sempre!” che il mondo crollò.
Fu una sensazione strana, si disse il
ragazzo, una sensazione che non sarebbe stato in grado di descrivere in futuro.
Gli sembrò che il mondo stesse ripiegando su se stesso, accartocciandosi su di
lui. Impiegò qualche istante per capire che stava precipitando, ma non come era
precipitato tante volte, in burroni o crepacci. Era come se stesse venendo
risucchiato in un altro mondo, e da quello in un altro ancora, in una giostra
infinita.
Non vide, o vide a sprazzi, quel che lo circondava.
C’erano Sirio, Cristal, Phoenix, Andromeda, che precipitavano con lui, o questo
gli parve dalle voci che sentì. Ma c’erano anche Atena e Ilda, e un Cavaliere
dall’armatura azzurra che non aveva mai incontrato. E Ioria e Libra, e pure
Virgo, anche se la sua corazza era nera, come le Surplici di Ade. E c’era il
sole, che veniva sbranato da un lupo, forse Skoll o Fenrir? O forse era un
grosso serpente? E campi verdi, erba soffice, canti soavi, Giganti di Ghiaccio,
di fuoco e altre creature. E infine c’era l’acqua, tanta acqua, fredda e
pesante, nella quale riusciva a muoversi a fatica. Solo allora, guardando
meglio, notò che era davvero immerso nell’acqua, in un’acqua gelida che gli
entrò nelle ossa.
“Ma cosa diavolo?!” –Borbottò, arrabattandosi
per raggiungere un lastrone di ghiaccio che galleggiava poco distante. Vi salì
sopra, starnutendo più volte, prima che alcune voci note lo chiamassero.
“Pegasus, sei salvo!!!” –Esclamò Andromeda,
la cui capigliatura verde era appena comparsa da dietro una duna di neve,
sull’altro lato della lastra su cui erano approdati. Phoenix era con lui e
reggeva il corpo stanco di Reis, svenuta nel crollo.
“Dove siamo? E cos’è successo? Dov’è Odino? E
Asgard?” –Chiese subito Pegasus, ma nessuno seppe rispondergli. Erano su un
lastrone di ghiaccio alla deriva in mezzo a un mare gelido. Fu Phoenix a notare
del movimento nelle acque alla loro destra, laddove Cristal e Sirio stavano
cercando di aiutare Flare a tenersi a galla. Andromeda srotolò la catena,
lanciandola avanti, e li trainò fin sopra l’improvvisata zattera.
“Dietro quell’iceberg… ho visto qualcosa di
grosso…” –Commentò Cristal a fatica, stringendo Flare a sé per darle un po’ di
calore, non avendo vestiti asciutti o coperte con cui scaldarla. –“Un’isola, o
la costa, non saprei…”
Avvicinandosi, i cinque amici notarono che
non si trattava di un iceberg, per quanto il colore argenteo li avesse tratti
in inganno, complice anche la scarsa luminosità dovuta alla bassa posizione del
sole. Era un bastione di una fortezza, o quantomeno quel che ne rimaneva, e
galleggiava placido accanto a loro. Si potevano ancora vedere le feritoie per
gli arcieri.
Scuotendo la testa storditi, i Cavalieri vi
balzarono sopra, scendendo poi sull’altro lato e ritrovandosi a camminare con i
piedi per terra, su un vero e proprio suolo, per quanto irregolare fosse.
Guardandosi attorno, capirono che si trattava di un pezzo della piana di fronte
al Valhalla, proprio dove fino a poco prima (quanto? Si chiesero, senza riuscire a rispondersi) avevano
affrontato Surtr. Un resto di muro crollato confermò le loro teorie, mentre sia
Pegasus che Cristal riconoscevano l’aquila scolpita su uno dei portoni di
Valgrind.
“È incredibile!” –Commentò infine Andromeda,
continuando ad esplorare quel lembo di terra. –“È come se Asgard fosse
precipitata dal cielo sul pianeta Terra!”
“E, dovessi indicare un luogo, direi che ci
troviamo da qualche parte nel Mar Glaciale Artico!” –Aggiunse Cristal,
studiando la posizione del sole, prossimo al tramonto. –“A basse latitudini,
certamente!”
“Non mi dire…” –Ironizzò Pegasus, prima che
qualcosa attirasse la sua attenzione. Un guerriero in armatura lucente era
sdraiato in mezzo a quella rovina, la mano ancora stretta ad una lunga asta
intarsiata. –“Jonathan!!!” –E corse da lui, scuotendolo e constatando che
respirava ancora, essendo solo svenuto e malconcio.
Attorno al ragazzo
giacevano scheletri sparsi rivestiti di uniformi che Pegasus ben conosceva,
avendo combattuto al loro fianco a Valgrind.
“Gli einherjar!”
–Confermò Cristal, con voce triste al ricordo dei valorosi guerrieri che non
avevano esitato a morire una seconda volta in nome di ciò che ritenevano santo.
–“E i resti delle altre creature che abitavano i nove mondi!” –Aggiunse,
indicando quelle che parevano corazze di nani e carcasse di enormi creature,
probabilmente i giganti di Jötunheimr.
Non dovette camminare molto, che Pegasus
trovò conferma ai suoi peggiori pensieri. Trafitto da un’enorme radice del
Frassino Cosmico, che gli aveva sfondato lo sterno, Odino lo fissava con il suo
unico occhio rimasto aperto, quell’occhio che per secoli aveva spaziato su
universi distanti dall’alto di Valaskjálf. Sospirando, il giovane si
inginocchiò accanto a lui, strappandogli un pezzo di mantello e usandolo per
coprirgli il volto.
“Hai raggiunto Frigg e Balder, infine.
Possiate avere pace, in qualunque luogo esista dopo la morte.” –Mormorò, tra le
lacrime che gli rigavano il volto.
Fu la voce di Andromeda a scuotere tutti i
presenti.
Voltandosi, Pegasus vide il ragazzo indietreggiare
di un passo, terrorizzato, e uguale reazione ebbero Sirio e i suoi compagni.
Seguendo il loro sguardo, Pegasus diresse gli occhi al cielo, dove finora non
aveva guardato e quello che scorse lo sconvolse.
Sopra di loro, quasi fossero sospesi in aria,
galleggiavano enormi lastroni di terra, ad altezze diverse, inclinati in modo
da rovesciare in mare tutto ciò che rotolava al di fuori. Sgranando gli occhi,
Pegasus vide gruppi di nani ruzzolare di sotto da uno di essi, accompagnati dal
clangore delle loro corazze, delle asce e degli scudi. Qualcuno tentò di
resistere, piantando le scuri nel terreno e facendosi forza per non cadere, ma
nuovi sconquassamenti del terreno facevano perdere loro la presa e li
condannavano alla stessa sorte dei compagni. Precipitare in mare senza
raggiungerlo mai.
Non appena infatti sfioravano la superficie
dell’oceano, i loro corpi venivano disintegrati, scomparendo in un tetro
luccichio.
“È assurdo!” –Mormorò Pegasus, vedendo che la
stessa cosa accadeva con tutte le creature che cadevano dagli altri terreni
fluttuanti.
“Non proprio, se ci pensate!” –Commentò
Cristal, che aveva osservato con attenzione i lastroni di terra, comprendendo
che erano quel che restava dei nove mondi. –“Svartálfaheimr!” –Disse, indicando
quello da cui i nani stavano precipitando. –“Jötunheimr!” –E ne indicò un altro, quello dei giganti amici di Odino.
–“Credo che il crollo di Yggdrasill abbia provocato uno scompenso dimensionale!
I nove mondi erano posizionati su piani diversi dell’esistenza e l’Albero
dell’Universo garantiva che non si sovrapponessero mai, era il perno di una
complessa architettura cosmica risalente agli albori del tempo. Con la sua
scomparsa, i mondi sono ripiegati tutti in uno, distruggendosi a vicenda. Ecco
perché attorno a noi ci sono tracce di tutti i nio heimar, ed ecco perché le creature di mondi diversi muoiono
entrando nel Recinto di Mezzo, perché non vi appartengono e il nuovo ordine
cosmico li respinge. Adesso che il frassino è crollato, soltanto gli Dei
sarebbero in grado di muoversi tra i mondi, in virtù della Divina Volontà che
li sorregge.”
“Quindi, per tutti gli altri abitanti non c’è speranza… Sono destinati
a scomparire, retaggi di un mondo che non esiste più.” –Mormorò Andromeda,
rattristato, sollevando lo sguardo verso il lastrone di terra che aveva
compreso essere Álfaheimr e osservando con orrore gli elfi dissolversi in lampi
di luce. –“Io… non posso permetterlo!” –Avvampò infine. –“Non posso stare a
guardare vite che si sgretolano senza far niente!” –E corse avanti, srotolando
le catene e lanciandole verso l’alto, fino a conficcarne la punta nel suolo del
mondo degli elfi. Quindi si issò su, di fronte agli sguardi attoniti dei
compagni, tranne quello di Phoenix, che scosse la testa concedendosi un
sorriso, prima di avviarsi dietro al fratello.
Fu allora che Surtr ricomparve.
Le fiammelle accese e sparse per l’intera zolla di terra ove i
Cavalieri dello Zodiaco si erano ritrovati si unirono a formare un’unica
entità, che crebbe fino ad assumere le sembianze del Distruttore. Sebbene
diverso da come lo avevano visto in Ásaheimr, più basso e dalle forme più
definite, l’ossatura era ancora costituita da pura fiamma, adesso scura, e in
mano teneva uno spadone di fuoco. Probabilmente,
rifletterono i Cavalieri, la distruzione
di Yggdrasill ha avuto effetto anche su di lui.
Senza dire alcunché, Surtr investì con un
turbine di fuoco il Cavaliere di Andromeda, intento ad arrampicarsi verso il
mondo degli elfi. Cristal intervenne subito in suo aiuto, liberando la Polvere
di Diamanti e spegnendo gran parte delle fiamme, ma il Nero non diede loro
tregua, allungando sinuose vampe oscure sul terreno.
Rispetto allo scontro precedente, i ragazzi
si trovarono in difficoltà, perché lo spazio di manovra era notevolmente
ridotto. Inoltre dovevano proteggere Reis e Jonathan, ancora privi di
coscienza, e non avevano più Divinità al loro fianco.
“Ma non ci arrenderemo per questo!!! Acque della Cascata, innalzatevi!” –Esclamò Sirio a gran voce,
sollevando migliaia di dragoni energetici dall’oceano, da cui attinse forza ed
energia. Ugualmente fece Cristal, ricoprendo di ghiaccio le fiamme e il suolo
che Sirio aveva inondato.
Fu una breve vittoria, che disorientò Surtr, ritrovatosi con il corpo
congelato dalla vita in giù, ma permise ad Andromeda di raggiungere la terra
degli elfi, giusto in tempo per afferrarne alcuni che stavano precipitando in
mare. Si sorprese nel vedere la loro espressione, calma e imperturbabile, ben
diversa dall’agitarsi impaurito e rabbioso dei nani e degli Jötnar.
“Ci rivediamo, Cavaliere di Andromeda!” –Esclamò la voce serena di
Arvedui, che in quel momento venne sbalzato fuori dalla sua terra. –“Ma temo
che anche stavolta sarà un breve incontro!”
Andromeda lo afferrò con la catena, ma proprio allora Álfaheimr
fremette di nuovo e crepe si aprirono sul lastrone di terra, distruggendo quel
che rimaneva della florida foresta ove gli elfi avevano danzato e cantato per
millenni. Il ragazzo venne spinto indietro, oltre il bordo dell’isola
galleggiante, obbligandosi ad usare l’altra catena per arrotolarla al fusto di
un albero e non precipitare a sua volta.
“Neppure tu puoi cambiare il fato, Andromeda!” –Commentò Arvedui,
ciondolando sotto di lui. –“Sii grato per ciò che hai fatto finora per la tua
gente e ricorda quel che ti dissi sulle tue facoltà!”
Proprio in quel momento, mentre un turbine di fiamme si abbatteva sul
Cavaliere Divino, Andromeda vide nella sua mente quel che sarebbe accaduto.
Surtr aveva usato la spada di fuoco per liberarsi dal ghiaccio e sbaragliato i
Cavalieri dello Zodiaco, prostrandoli a terra in roghi di morte. Pegasus era
stato persino scagliato in mare dalla carica del Distruttore e adesso nuotava
scocciato verso l’isola. Per difendersi, Andromeda avrebbe dovuto usare la
catena ma una gli serviva per non cadere e l’altra per sorreggere Arvedui e gli
altri elfi, che presero la loro decisione.
Sorridendo, il nobile elfo sfiorò gli anelli con la mano e l’arma
allentò la stretta, obbedendo al suo comando mentale e lasciandoli liberi di
cadere.
“Nooo!!!” –Gridò Andromeda in lacrime, osservando gli elfi
disintegrarsi al contatto con il mare o con le fiamme di Surtr. Quindi, spinto
dal desiderio di rendere loro giustizia, si tirò su, lasciando turbinare la
catena attorno a sé per proteggersi dalle vampe di fuoco. Espanse il suo cosmo,
che rischiarò il cielo di quel giorno, usandolo non per attaccare bensì per
penetrare la zolla di terra su cui si ergeva, spaccandola in due metà perfette.
Conficcò ciascuna punta della catena in una metà e fece forza, mettendoci tutto
se stesso, tutta la determinazione per un futuro migliore che aveva
accompagnato i suoi passi, fin dai giorni dell’addestramento, fin da quando si
era liberato dalla prigionia degli scogli sull’isola che lo aveva fatto
Cavaliere.
“È impressionante!” –Commentò Cristal, dal basso, che aveva compreso le
intenzioni dell’amico.
Un attimo dopo Andromeda, facendo forza nelle catene, scagliava quel
che restava di Álfaheimr contro Surtr, sommergendolo sotto tonnellate e
tonnellate di terriccio. Lo sforzo gli fece quasi perdere i sensi e, non fosse
stato per Phoenix che aveva già spalancato le ali della sua corazza, sarebbe
precipitato in mare.
“Ti tengo, fratello!” –Disse il ragazzo dai capelli blu, atterrando di
nuovo sull’isola e ricongiungendosi con gli amici, anche con Pegasus che stava
lamentandosi per il secondo bagno in acqua fredda di quel giorno.
Le loro speranze durarono pochi minuti, il tempo che Surtr impiegò ad
incendiare l’ammasso di terra che l’aveva sommerso e a riassumere la sua forma
demoniaca. Il boato della sua ricomparsa svegliò del tutto Reis e Jonathan, che
si rimisero in piedi a fatica, storditi dal trasferimento dimensionale.
“Che strano!” –Mormorò il Cavaliere dei Sogni. –“Eppure siamo abituati a
spostarci tramite portali! Cos’è quest’ombra che sento addensarsi attorno ad
Avalon?”
La sua compagna non fece in tempo a rispondere che dovette balzare su
di lui, per proteggerlo da una delle tante sfere di fuoco che Surtr stava
tracimando su di loro. –“Cascata di luce!”
–Esclamò, facendo roteare il cosmo attorno a entrambi, mentre Jonathan si
rimetteva in piedi distruggendo i globi incandescenti con raggi energetici.
“Ok, questo è il momento di tirare fuori un’idea!” –Ironizzò Pegasus,
riparandosi dalla pioggia di fuoco dietro un pezzo di muro.
“Aspettavo giusto che qualcuno mi chiamasse!” –Affermò una voce
all’improvviso, facendo voltare i sette Cavalieri verso un punto tra le rovine,
laddove una stanca sagoma si era appena sollevata, scansando i detriti e il
fango rovinati su di lui.
“Loki! Sei ancora vivo?” –Esclamò Pegasus, senza capire se esserne
felice o preoccupato.
“Non basta certo un tuffo dimensionale per farmi fuori! Più volte ho
viaggiato da un mondo all’altro! Pur tuttavia… c’è qualcosa di strano…”
–Rifletté l’Ingannatore, il cui corpo ormai, quasi del tutto scoperto dalle
vesti stracciate che gli rimanevano, era pieno di ustioni e cicatrici. Quasi a
cercare conferma ai suoi pensieri, poggiò il pollice sulla lama di una spada
che giaceva abbandonata poco distante, tagliandosi e osservando il sangue
zampillare fuori. –“La mia protezione… svanita…” –Aggiunse, prima di voltarsi e
fissare Surtr con disprezzo. –“Ed è tutta colpa tua!!! Isa!!!” –Gridò, evocando la runa di ghiaccio.
Ma non successe niente.
Loki, frustrato, stanco e irato, riprovò di nuovo, tracciando segni
nell’aria, ma non ottenne altro che lo sguardo incuriosito del Gigante di
Fuoco, che, compreso di non doversi aspettare alcun attacco, mulinò l’enorme
spadone sopra di lui.
“Così è, quindi!” –Rifletté il Nume, balzando di lato per evitare il
taglio della lama di fuoco. –“Non ho più alcun controllo sulle rune! La magia
del Mondo Antico mi è preclusa, persa per sempre con il crollo dell’Albero
Cosmico! Ma non crediate però, nemici o amici, che di armi io sia privo!” –Loki
si sforzò di sorridere, per quanto l’espressione sgomenta sul suo volto
tradisse un certo nervosismo. Sollevò un braccio al cielo, fermando l’avanzata
delle vampe di fuoco e sospingendole indietro, travolte da una tempesta di gelo
così intenso che a Sirio, Phoenix e Cristal ricordò il clima delle distese di
Hel. –“Soffio di Fimbulvetr!
Accogli, Nero Distruttore, l’avvento dell’inverno, il debordare del gelo degli Jötnar!”
La gelida bufera sommerse buona parte dell’isolotto galleggiante,
spegnendo le vampe oscure e le fiamme dello spadone, strappando un moto di
sorpresa, forse di terrore, allo stesso figlio di Muspell. Un attimo dopo,
paralizzato nell’ultima espressione, Surtr era stato completamente congelato e
Loki, soddisfatto, poteva alfine volgere le proprie attenzioni verso i
Cavalieri dello Zodiaco.
“Veniamo a noi, ordunque!” –Commentò, con un sorriso sghembo.
Pegasus e gli altri sollevarono le difese, certi di dover lottare con
l’Ingannatore, adesso che la minaccia del Nero sembrava sventata. Ma Loki passò
loro accanto senza compiere gesti offensivi, limitandosi a guardarsi intorno
disorientato.
“Che ne è del Guercio?” –Chiese infine.
Nessuno rispose ma gli sguardi di Pegasus e di Cristal furono
eloquenti, e Loki comprese.
“Assieme a Balder e ai miei figli quindi. Umpf, ci ritroveremo presto!”
–Mormorò, trovando infine il corpo martoriato di Odino e chinandosi su di lui.
Gli tolse il mantello dal volto, per guardarlo un’ultima volta e poi sollevò la
mano, sul cui palmo riluceva un’energia azzurra.
“Non ti permetterò di sfregiar…” –Gridò Cristal, balzando avanti, e
venendo spinto prontamente indietro da un solo sguardo del Burlone Divino, che
calò la mano sul corpo di Odino, rivestendolo di uno strato di brina.
“A guerreggiar con i morti non si ottiene grandi onori, Cristal il
Cigno!” –Commentò, rimettendosi in piedi ed espandendo il proprio cosmo, il suo
vero cosmo, quello che fino ad allora raramente aveva usato, preferendo
attingere all’immerso serbatoio energetico che la conoscenza delle rune poteva
fornire.
Prima che qualcuno potesse rompere l’imbarazzato silenzio, uno
scricchiolio fece voltare tutti i contendenti verso la statua di ghiaccio in
cui Surtr era stato congelato. Un secondo scricchiolio li fece preoccupare e al
terzo, che crepò la rozza scultura, i loro timori divennero realtà.
“Non è possibile!!!” –Gridò Loki, genuinamente sbalordito. –“Nessuno
può sopravvivere al Soffio del Grande Inverno! Anche privo delle rune, rimango
la più grande Divinità del pantheon nordico, pari soltanto a Odino! Non riesco
a credere che uno stupido, maledetto Gigante di Fuoco possa eludere i miei
poteri!!! Prendi ancora il Soffio di
Fimbulvetr!!!” –Avvampò l’Ingannatore, scatenando una nuova e persino più
poderosa tempesta di gelo contro Surtr.
Dal canto loro, i Cavalieri dello Zodiaco, per dimostrare a Loki che la
strana alleanza non era ancora venuta meno, unirono i loro poteri ai suoi,
potenziando la bufera di gelo. In particolare Cristal e Sirio scatenarono
correnti di gelo e acqua contro i piedi di Surtr, riuscendo per qualche minuto
a solidificarli. Ma istanti dopo la sua fiamma riesplose con veemenza maggiore,
liberando le vampe mortifere e incendiando tutto ciò con cui venivano a
contatto. Persino la salma di Odino si sciolse, ingoiata dall’inferno scatenato
da Surtr.
“È incredibile!” –Rifletté Loki, il braccio teso nello sforzo di
scaricare quanto più gelo possibile sul Distruttore. –“Sebbene sia un figlio
della creazione, al pari di Tifone, Biliku o Ymir, la sua forza non dovrebbe
essere tale. Invece… sembra aumentare progressivamente, come se i nostri
attacchi lo potenziassero! Mentre le nostre energie, ahimé, vanno scemando!”
–Si disse, sentendosi improvvisamente stanco, mentre tutto il peso del
fallimento e delle perdite di Ragnarök gli ricadevano infine addosso. –“Da quale fonte ancestrale può
attingere potenza?”
La spada di Surtr in quel momento rilucette, prima di abbattersi con
forza in mezzo al gruppo di combattenti, spaccando il suolo e separandoli. Loki
approfittò di quel momento per canalizzare nel mantello tutta l’energia che
ancora gli restava. Gli sarebbe bastato desiderare di essere un’aquila per
volare via, lontano da quella guerra per la quale nessun tesoro avrebbe
ottenuto vincendola. Invece fece la sua scelta, come Arvedui, Durin e Freyr prima di lui.
Pegasus balzò indietro vedendo le forme di
Loki mutare e divenire una creatura gigantesca, alta quanto Surtr, ma di
aspetto differente. Sirio e Phoenix sgranarono gli occhi alla vista dell’essere
che avevano affrontato nel Niflheimr ore prima. Hrymr, il Signore dei Giganti
di Brina.
“Sono della stazza giusta per affrontarti,
fiammella?” –Ringhiò Loki, sollevando la scure di gelo che possedeva e
lanciandosi avanti. –“Ah già non parli! Il crollo dei mondi deve averti mozzato
la lingua! Bene, così mi risparmierai il tuo alito pesante!”
Surtr avvampò, muovendo lesto la scimitarra
di fuoco e lasciando che le due armi cozzassero tra loro, producendo scintille
e onde d’urto che fecero tremare l’intera isola. Pegasus e i suoi compagni si
rifugiarono al margine estremo, protetti dalle mura diroccate del bastione
asgardiano, osservando l’apocalittico scontro tra titani che stava infiammando
il cielo del Mare Artico.
Loki mosse la scure di gelo dal basso verso l’alto, squarciando un
braccio di Surtr e facendogli perdere la presa sulla spada di fuoco, che
precipitò in mare, spegnendosi. Ma prima che potesse calarla sull’altro lato,
venne investito da una tempesta di fiamme che il Distruttore gli alitò in
faccia, obbligandolo a roteare la scure di fronte a sé, per pararne le vampe,
offrendo il piatto al nemico.
Surtr ne approfittò per allungare i propri arti fiammeggianti, in modo
da generare due fruste di fuoco che arrotolò attorno alle caviglie del rivale,
strattonando poi con forza e facendolo cadere all’indietro, fino a schiantarsi
sull’isolotto, mandandolo in pezzi. Pegasus e gli altri ragazzi si ritrovarono
alla deriva, dentro i resti di un bastione che andava sgretolandosi ogni minuto
di più. Andromeda, su consiglio del fratello, liberò la propria catena,
allungandola fino a raggiungere un lembo di terra, dentro cui si conficcò,
arrestando il loro spostamento. Uno dopo l’altro, rapidi e leggeri, i Cavalieri
dello Zodiaco e di Avalon corsero lungo la catena, abbandonando l’improvvisata
zattera e rifugiandosi su quella che sembrava terraferma, o quantomeno un’isola
più grande. Per ultimo arrivò Andromeda, sfruttando il rinculo della catena per
darsi una bella spinta e atterrare accanto ai compagni.
Guardandosi attorno, Cristal cercò di stabilire dove si trovassero, da
qualche parte oltre il Circolo Polare Artico, ma non seppe dirlo con
precisione.
“Potremmo essere su un isolotto delle Svalbard o nella terra di
Francesco Giuseppe!”
“Non lontani da Midgard!” –Intervenne allora l’infreddolita Flare.
–“Non lontani da casa!”
Cristal le sorrise, incapace di dirle quanto l’amasse, quando un grido
di Andromeda lo costrinse a volgere lo sguardo verso il mare, mentre le sagome
di Surtr e di Hrymr continuavano ad affrontarsi, tra sbuffi di gelo e vampe di
fuoco. A causa degli smottamenti continui, il lastrone di terra su cui
lottavano si era mosso nelle correnti e entro breve sarebbe entrato in
collisione con l’isola dove i Cavalieri si erano rifugiati. Non avvedutosene, Loki
venne distratto dall’urto, permettendo a Surtr di spingerlo indietro e
balzargli sopra, stritolandogli il collo con la sua verga di fuoco.
Loki, per non soffocare, fu svelto a spingere l’immonda sagoma
fiammeggiante di lato, sbattendola sul terreno vergine della nuova isola, che
subito si incendiò, cingendo il falso Gigante di Brina e i Cavalieri dello
Zodiaco in un rinvigorito rogo. Recuperando l’ascia di gelo, Loki la mulinò,
mirando al cranio di Surtr, che fu svelto a sgusciarvi sotto, evitandola e portando
avanti il braccio, a forma di spada di fuoco, con cui trafisse l’avversario
all’altezza del fianco, strappandogli un grido di dolore.
“Loki!!!” –Gridò Pegasus, vedendo il gigante accasciarsi al suolo e
mutare con lentezza le sue forme, riacquistando l’aspetto del Grande
Ingannatore, il cui lato destro del busto era una macchia di sangue.
“Non guardarmi con quello sguardo carico di pietà, ragazzo! Io per te
non l’avrei!” –Si limitò a rispondere questi, affannando nel rimettersi in
piedi, mentre Surtr torreggiava tronfio sopra di loro.
“Questo lo sappiamo bene!” –Disse allora una voce femminile, che tutti
conoscevano seppur non capissero da dove provenisse. –“Pur tuttavia ti sei
dimostrato suscettibile di perdono, Loki della stirpe degli Jötnar!”
In quella un
fulmine azzurro squarciò il tramonto, abbattendosi proprio in mezzo a Surtr e
ai Cavalieri dello Zodiaco, spingendo il primo indietro, all’interno di un
recinto di folgori incandescenti generate da un uomo che parve cadere dal cielo
stesso. Cristal riconobbe subito la splendida armatura celeste, notando per la
prima volta delle sottili ali ripiegate sulla schiena. Ugualmente fecero Reis e
Jonathan che si inginocchiarono di fronte ad Alexer, uno dei Quattro.
Una vibrazione
nello spaziotempo anticipò l’apparizione di due splendide donne, in tenuta da
battaglia, affiancate da Euro, Mur e Kiki, che sorrideva divertito, felice di
rivedere gli amici.
“Milady!”
–Esclamarono i Cavalieri dello Zodiaco, alla vista della loro Dea. –“Isabel…”
–Mormorò Pegasus, ancora a bocca aperta, cui Atena rispose con un sorriso
sincero.
“Ilda di Polaris!”
–Si stupì Loki, non credendo che la Celebrante di Odino fosse ancora viva.
–“Dovrai trovarti un altro lavoro, adesso, non essendoci più alcun Dio da
onorare.”
“Ce l’ho già!”
–Esclamò fiera la donna, avvicinandosi all’Ingannatore e porgendogli una mano,
per rimettersi in piedi. –“Debellare per sempre la minaccia di Surtr, e per
farlo tu dovrai aiutarmi!”
“Come vedi ho mantenuto la promessa, Regina di Midgard!
Tua sorella sta bene!” –Ironizzò Loki. –“Mal che vada prenderà un raffreddore!”
“Ne sono lieta, la mia prima impressione su di te non è cambiata
dunque! Alzati adesso e aiutami a sconfiggere SurtrGlötoðr!” –Esclamò fiera Ilda, rivestita
dall’armatura della Valchiria. –“Insieme possiamo farcela!”
“Umpf, ora inizi a pretendere troppo, come
tutte le donne!” –Sbuffò il Nume, toccandosi la ferita aperta sul fianco, che gli
bruciava come non mai, ricordandogli ustioni diverse ma ugualmente dolorose
provate in passato. –“Sapete che vi dico, siete una bella compagnia, guarda là,
un esercito siete! Ve la caverete anche senza di me, che, a ben pensarci, non
ho motivi per farmi arrostire dal Distruttore!”
“E invece uno ce l’hai! Avere la tua vendetta!” –Lo fermò Ilda, alzando
la voce. –“Se te ne vai adesso, con la rabbia nel cuore, non cambierà niente,
sarai ancora la vittima, il martoriato padre di famiglia che ha visto morire i
figli e la sua sposa e non è stato in grado di tributare loro i giusti onori!
Ma se combatti, se ci aiuti a spegnere la fiamma di Surtr,
non sarai vissuto invano, tutti questi secoli trascorsi nell’ombra a tessere
inganni contro Odino e gli Asi non li avrai spesi
inutilmente!”
“Supponendo per un attimo che io decidessi di aiutarvi, e sottolineo il
supponendo, come lo fermiamo un gigante la cui fiamma pare eterna, in grado di
resistere persino al Soffio del Grande Inverno?!”
Ilda glielo disse e Loki sgranò gli occhi sconvolto, non ritenendo
fattibile una simile possibilità –“Non posso usare le rune.” –Scosse la testa,
ma la donna incalzò.
“Puoi invece, basta che tu lo voglia, ardentemente lo voglia, come hai
desiderato sedere sul trono di Odino per tutti questi secoli! E proprio adesso
che avresti potuto, proprio ora che i tuoi sogni stavano per concretizzarsi,
vincendo una profezia di millenni, questo gigante distruttore ti ha tarpato le
ali!”
Nel frattempo Alexer stava tenendo a bada le fiamme, grazie ad un
recinto di fulmini con cui le aveva circondate, ma era certo che non sarebbe
riuscito a contenerne la furia ancora per molto tempo. Kiki,
su ordine di Cristal, aveva preso Flare
per un braccio, teletrasportandosi di nuovo alla cittadella di Asgard,
nonostante le resistenze della ragazza. Pegasus aveva insistito che anche Atena
andasse con loro, per metterla al sicuro, ma la risolutezza nello sguardo della
Dea aveva vinto sulle sue premure.
In quel momento Surtr piantò la spada di
fuoco nel suolo, iniettandovi una vampa oscura che ribollì sotto i piedi di
Alexer, scagliandolo in alto all’improvviso. Euro spalancò le ali della Veste
Divina, lanciandosi al salvataggio, mentre Mur
sollevava il Muro di Cristallo per
impedire alle fiamme di raggiungere i suoi compagni.
“Fino alla fine.” –Si dissero Pegasus e gli altri, prima di scattare
avanti. –“Fulmine di Pegasus!”
–Gridò il ragazzo, crivellando il suolo tra lui e Surtr
e sollevando terriccio e neve, con cui spense le fiamme e sommerse le gambe del
Distruttore, su cui subito dopo si abbatterono migliaia di dragoni di energia
acquatica. –“Per il Sacro Acquarius!” –Urlò allora Cristal,
travolgendo il Gigante di Fuoco con le correnti dell’aurora.
“Adesso!” –Intervenne Andromeda, liberando la Nebulosa omonima ma
avendo cura di canalizzarla in una corrente che circondò Surtr,
salendo dal basso verso l’alto, in modo da accompagnare le gelide acque
dell’aurora.
Euro, depositato Alexer a terra, scatenò la furia del Vento di Levante,
che diede vigore alla corrente della nebulosa, permettendo ai ghiacci di
ricoprire di nuovo Surtr.
“Un bel lavoro di squadra! Ma sappiamo entrambi che non basterà!”
–Osservò Ilda, rimasta indietro assieme a Loki e ad Atena. –“Non finché non
spezzeremo la magia oscura che sorregge il Distruttore!”
“Tu sai?” –Bofonchiò Loki, sfiorando il monile che portava al collo e
che riluceva cupo. Una pietra nera. –“Per tutto questo tempo mi ha dato potere,
e mentre Ragnarök era in corso ho sentito i
miei poteri crescere. Ma dopo il crollo dei mondi, sembra che non mi sfami più,
che abbia anzi iniziato a succhiarmi energia, anziché darmene!”
“Una pietra nera?!” –Intervenne
Atena, attirando anche lo sguardo interessato di Reis
e Jonathan. –“Anche Crono ne aveva una. E Flegias,
Maestro di Ombre!”
“Flegias?
Certo, fu lui a farmene dono, affinché la usassi per liberarmi dalle mie
prigioni!” –Spiegò Loki. –“In tutta onestà, la prima volta in cui mi fece
visita, se avessi avuto le forze gli avrei riso in faccia. Pensare che la
progenie bastarda di un Dio greco avesse il potere di vincere la cattività cui
gli Asi mi avevano condannato era pura utopia.
Eppure, da quel giorno, da quando mise questa pietra attorno al mio collo, la
mia energia aumentò fino a permettermi di sollevarmi di nuovo e iniziare a tessere
la tela del mio progetto di rivalsa, progetto cui lo stesso Flegias
collaborò sobillando la rivolta dei figli di Muspell
contro Asgard!”
“Ancora lui! Si è servito di
Crono, di Ares, persino degli Dei del Nord, per ottenere cosa? Certo non per
ricevere lodi da suo padre!” –Rifletté Atena.
“Se davvero ne discende…” –Esclamò Loki. –“Io credo che sia molto di più
del figlio di un Dio minore. Egli è un’ombra.”
“E a quanto pare era nei suoi interessi il risveglio di Surtr! Che la sorgente cui il Nero attinge sia la stessa
origine dei suoi poteri?”
Anche Ilda, grazie a Bjarkan, aveva percepito
un’energia oscura addensarsi alle spalle del Distruttore, un’energia infinita
che gli permetteva di non essere mai stanco e di vanificare gli sforzi dei
Cavalieri.
Ancora una volta infatti le fiamme di Surtr
esplosero, sciogliendo il ghiaccio e riportandolo in libertà, di fronte agli
occhi sgomenti di Pegasus e degli altri amici. Una tempesta di fuoco li spinse
indietro, obbligandoli a creare una barriera con i loro cosmi, mentre il
Principe Alexer mitragliava la schiena del Distruttore con continue scariche di
folgori, senza però rivelarsi armi risolutive. Il gigante di fuoco liberò la
frusta, con cui afferrò Euro per le ali, mentre era in volo attorno a lui, sbattendolo
a terra in malo modo, stritolato da vampe incandescenti, prima di scagliarlo
contro lo stesso Alexer e abbatterli entrambi.
“Posso contare su di te, Grande Ingannatore?” –Chiese allora Ilda.
Loki la fissò con sguardo neutro, senza lasciar trasparire le sue
intenzioni, quindi, avanzando di qualche passo, deplorò la rovina dei mondi e
l’incendio universale che Surtr voleva diffondere.
“Non era così che doveva andare. Non era questo quel che volevo!” –Si
limitò a commentare, ottenendo uno sguardo d’assenso da parte della Regina di Polaris. –“Il mondo su cui avrei voluto dominare è
tramontato, arso da un potere che io stesso ho scatenato, un potere più grande
di me! Beh… almeno la soddisfazione di mettergli i
bastoni tra le ruote a quel bastardo di un ateniese voglio levarmela!” –Rise
infine, espandendo il proprio cosmo.
“Tutti insieme, Cavalieri!” –Gridò allora la Celebrante di Odino,
subito affiancata da Atena.
Il cosmo delle due donne spinse Surtr
indietro mentre i fulmini siderali di Alexer impedivano alla sua frusta di
allungarsi troppo, trinciandola ogni volta in cui puntava su di loro. Ad un
cenno di Pegasus, i Cavalieri dello Zodiaco liberarono di nuovo i loro assalti,
immobilizzando Surtr al suolo, come in precedenza. Ma
quando credettero che il Distruttore si sarebbe
liberato di nuovo, sentirono una gelida corrente spirare dalle loro spalle.
“Soffio di Fimbulvetr!!!”
–Gridò Loki, investendo Surtr con una bufera così
furiosa come soltanto in Hel poteva verificarsi. Con
un balzo felino, il Burlone fu ai piedi del Nero, il palmo della mano aperto
avanti a sé, per scaricargli contro tutta l’energia che aveva, fino all’ultima
goccia, impiegando anche il cosmo che finora aveva usato per nascondere le
ustioni e apparire ancora bello e affascinante come gli piaceva essere. Ogni
fibra del suo corpo andò in tensione, le cicatrici baluginarono tetre sulla sua
pelle, le vene parvero esplodere, sottoposte al più grande degli sforzi, quello
con cui il Fabbro di Menzogne metteva in gioco la propria vita.
Un inverno senza fine avvolse Surtr,
impedendogli anche il più piccolo movimento, isterilendo anche la fiamma più
intensa. Ma, ben sapendo che con aiuti esterni avrebbe potuto liberarsi, Loki
non gli diede tregua, inerpicandosi su di lui fino a portarsi sopra la sua
testa ghiacciata, proprio mentre una luce rossastra iniziava a filtrare dalle
prime crepe comparse sulla statua.
“Non ho bisogno di alcuna pietra per essere quello che sono!” –Disse,
strappando la collana che aveva indosso e gettandola a terra, prima di
esplodere in una folle risata. –“Io sono LokiHveðrungr, figlio di Farbauti
e Laufey, della gloriosa stirpe dei Giganti di Brina!
Io sono la nemesi di Odino, il Burlone Divino, il supremo Dio di Vittoria, il
vento che mormora agli orecchi del Guercio i continui tentativi di
detronizzarlo! E voglio che il mondo mi ricordi così! Per sempre!” –Quindi,
sollevando l’indice di fronte a sé, evocò la runa di ghiaccio, la prima che
aveva imparato ad usare, essendo il suo elemento originario. –“Isa!!!”
La linea di energia, tracciata in aria, rilucette di intensa luce
azzurra, mentre Loki roteava su se stesso, sollevando cerchi concentrici di
ghiaccio con cui stava circondando Surtr, fermandolo
in quel momento del tempo cosmico.
Fu allora che Ilda lo raggiunse, di fronte agli occhi straniti dei
Cavalieri dello Zodiaco e della stessa Atena, che non avevano compreso quel che
la Celebrante aveva in mente di fare.
“Prenditi cura di Flare, te ne prego! Avrà
bisogno di te!” –Sussurrò a Cristal, passandogli accanto.
–“Grazie di tutto, amica mia!” –Aggiunse, sfiorando la mano di Isabel. –“Non
essere triste, non c’è niente di triste nell’adempiere al proprio destino!
Dovresti saperlo meglio di chiunque altro! La nostra schiavitù è soltanto una
facciata! In fondo dovremmo essere lieti di dare la vita per proteggere coloro
che amiamo! Nient’altro potrebbe renderci più felici che non donare loro un
futuro!”
“Ilda…” –Mormorò Atena, osservando la donna
entrare all’interno dei cerchi di ghiaccio, arrampicandosi sul corpo
paralizzato del Nero fino ad afferrare la mano che Loki gli aveva porto per
aiutarla a salire in cima.
“Bjarkan me lo mostrò! La fiamma di Surtr non può essere spenta! Pur tuttavia può essere
sigillata, mantenuta sotto uno strato di ghiaccio continuo al punto da non
essere più in grado di avvampare! Le rune di Loki la fermeranno e gli Dei di
Asgard gli daranno l’energia per adempiere al suo compito, ponendo fine a
millenni di contese e vanità!” –Parlò Ilda, esortando i Cavalieri ad
allontanarsi. –“Che la forza degli Asi, dei Vani e di
tutti i popoli liberi dei nove mondi fluisca in me, Ilda del casato di Polaris! Che le memorie del tempo antico non vadano perdute
ma perdurino in un eterno presente! Risplendi Luce del Nord!!!”
L’abbagliante energia prodotta dalla Celebrante di Odino investì Loki e
Surtr, distruggendo il terreno attorno e spingendo
Atena e i Cavalieri indietro. Quando la luce scemò di intensità e i presenti
tornarono a vedere, si accorsero che non c’era più niente attorno a loro. Tutto
era scomparso. Ogni traccia dei nove mondi era svanita con Ilda, Surtr e Loki. Il crepuscolo degli Dei del nord si era
infine realizzato.
Solo allora, guardandosi attorno con gli occhi pieni di lacrime,
Pegasus ricordò quel che Odino gli aveva detto a Fensalir.
Le ultime strofe della Profezia della Veggente.
“Affiorare lei vede ancora una volta la terra dal mare di
nuovo verde. Cadono le cascate, vola alta l'aquila, lei che dai monti cattura i
pesci.”
Era vero, si disse. Una nuova terra era nata, perché quello
era il significato di Ragnarök. Non
l’apocalisse, non morte e distruzione, bensì rinascita. La fine di un ciclo
cosmico e l’inizio di uno nuovo. Loki l’aveva compreso soltanto in fondo, Ilda
invece ne era stata consapevole fin dall’inizio.
“Molte cose sono straordinarie.
Eppure nulla è più straordinario dell’uomo.” –Commentò il ragazzo, ricordando
quel che Castalia gli aveva detto un giorno, durante il suo addestramento, per
spingerlo a lottare, a continuare a provarci sempre, citando un qualche filosofo
dell’Antica Grecia di cui non ricordava il nome. Ed aveva ragione. Ilda glielo aveva appena dimostrato e, a modo
suo, anche Loki.
Voltandosi, Pegasus vide
Andromeda in ginocchio piangere la scomparsa della Celebrante di Odino, con
Phoenix che gli poggiava una mano su una spalla, mentre un addolorato Cristal, in piedi accanto a Sirio, si chiedeva in che modo
sarebbe riuscito a dirlo a Flare, come avrebbe potuto
dirle di aver lasciato morire sua sorella.
“Credo che lei lo sappia già!”
–Commentò Atena tra le lacrime, riferendosi ad una lettera che Ilda aveva
scritto per Flare, una lettera che, ne era certa, Enji aveva di certo già consegnato alla Principessa, adesso
Regina di Asgard.
Mia dolce Flare, so che non approverai la mia
scelta, che non capirai cosa può spingere un essere umano a rinunciare alla
vita, tu che sei bella e giovane e così piena di amore, verso gli altri e verso
la vita stessa. Ma era il mio destino, cui ero stata chiamata tempo addietro,
quando Odino mi nominò sua celebrante, al posto di nostro padre. Ricordi quei
tempi? I sorrisi spensierati della giovinezza? Un periodo che forse è scivolato
via troppo in fretta dalle nostre vite, chiamati, fin da subito,
all’amministrazione e alla cura del regno. Molte prove abbiamo affrontato
insieme, superandole grazie alla nostra forza interiore e all’aiuto dei
guerrieri fedeli ad Asgard e degli amici di Atene, un’alleanza, quest’ultima,
che sono certo continuerai a coltivare.
Sorrido, pensando alla vita che ti aspetta, alle gioie di un amore che
sono certa saprai vivere fino in fondo, dando tutta te stessa. Ugualmente sono
certa di lasciare la cura di Asgard in buone mani, in quelle di una principessa
cresciuta e maturata e pronta per essere regina. Dure prove ti aspettano, la
ricostruzione della nostra bella città in primis, la rinascita della nostra
Asgard. Io ti applaudirò da lontano, fiera dei tuoi trionfi, e ti aspetterò,
assieme ai nostri genitori, a Orion e agli altri
Cavalieri. Un giorno ci abbracceremo di nuovo. Un giorno, oltre le nuvole. Con
amore, Ilda.
Flare,
seduta sul letto della sorella nella Torre della Solitudine, scoppiò in
lacrime, mentre Kiki la abbracciava dispiaciuto. Enji, che aveva compreso quel che era accaduto, diede
ordine agli arcieri di caricare gli archi e tenderli più che avessero potuto,
per offrire alla Celebrante un ultimo saluto da parte della sua gente. Ad un
suo ordine una pioggia di frecce solcò il piazzale della cittadella, perdendosi
oltre i rilievi di confine, dirette verso il mare, laggiù, lontano.
Quello stesso mare, molte
miglia a nord, che Pegasus stava fissando in quel momento, sgombro infine dei
relitti dei nove mondi. E forse, si
disse, voltandosi e cercando Isabel con lo sguardo, è ora di sgombrare anche il cuore dai relitti del passato.
Atena era intenta ad aiutare Mur nel prendersi cura dei Cavalieri, suturando le loro
ferite con il cosmo. Andromeda stava raccontando al fratello quel che Arvedui gli aveva spiegato riguardo le sue nuove capacità,
mentre Cristal, nonostante le premure di Sirio e degli
altri, aveva preferito rimanere da solo, incamminandosi lungo la costa. Non era
così che aveva pensato di tornare a casa, non era con le lacrime agli occhi che
aveva sperato di riabbracciare Flare. Già, Flare. Si
disse, e quel pensiero bastò a fargli palpitare il cuore. Come sarebbe cambiata
la sua vita adesso, forse più di quanto non le fosse cambiata negli ultimi
mesi. Adesso che sarà la Regina di Asgard.
E lui? Cosa sarebbe rimasto di
loro?
Avrebbe dovuto mettere da parte
il passato, trovare la forza per vivere nel presente e costruire assieme a lei
il loro futuro. Tre parti della stessa promessa che Cristal
aveva fatto con se stesso, e che avrebbe voluto rinnovare presto a Flare. Voltandosi per chiedere consigli al Principe Alexer,
si accorse solo allora che il suo mentore se ne era già andato. Erano rimasti
soltanto loro cinque, Mur, Atena e i due Cavalieri
delle Stelle.
Reis
e Jonathan non avevano detto alcunché da quando Ilda e Loki erano scomparsi,
rattristati per la sorte della Celebrante ma sentendosi di troppo in quel
momento intimo che Pegasus e i suoi amici avrebbero dovuto condividere soltanto
tra loro. Camminando lungo i margini dell’isola, il Cavaliere di Luce raccolse
la Pietra Nera che Loki aveva gettato via, sicura che il loro maestro avrebbe
voluto studiarla. Fu mentre pensava a lui che percepì una vibrazione nello
spaziotempo, voltandosi verso il Comandante Ascanio
appena apparso alle sue spalle.
“Avalon è in pericolo. C’è bisogno di voi!” –Esclamò il figlio del drago,
afferrando i due compagni e avvolgendoli nel suo cosmo, prima di scomparire.
***
Quando rinvenne, cercò subito di tirarsi su, di rimettersi in piedi, di
assumere il portamento tronfio che lo contraddistingueva. Ma si accorse che
attorno a sé regnava l’oscurità, la stessa che lo aveva strappato alla
battaglia. Una tenebra che pareva non avere fine. Ovunque girasse lo sguardo,
anche solo per capire dove si trovasse, i suoi occhi si perdevano nel mare nero
in cui era immerso.
Stordito, cercò di riordinare i frammenti dei suoi ricordi, di mettere
fine a quel mal di testa che non gli dava pace, ma faticava. Faticava a
comprendere cosa fosse accaduto, come avesse potuto perdere il controllo della
situazione a pochi passi dalla vittoria. Perché, di questo ne era certo, la vittoria
l’avrebbe arriso, come in molte altre guerre che nel Mondo Antico aveva
combattuto.
Sebbene quelle con Atena le avesse sempre perdute.
Mise da parte quel crudo pensiero e si sollevò, le gambe che gli
dolevano per lo sforzo e per le ferite subite in battaglia, per quanto la sua
Veste Divina avesse impedito che riportasse lesioni peggiori. Ferite
impreviste, ringhiò tra sé, causate da infanti indegni persino di porre lo
sguardo su di lui.
Pensare che esseri simili, paladini di una Divinità da sempre
considerata inferiore, da sempre derisa per il suo patetico pacifismo, fossero
riusciti a colpirlo lo faceva imbestialire. E sentirsi prigioniero in quella
valle d’ombra, privato del suo canale di sfogo, lo faceva avvampare.
Un’improvvisa fiammata che squarciò le tenebre.
Una fiamma che gli permise di vedere che si trovava in una caverna. Un
vasto antro sotterraneo dal cui soffitto pendevano carote di roccia. Ma questo
non contribuiva a fargli comprendere dove fosse finito. E soprattutto perché.
Fu in quel momento, mentre placava il suo ardente cosmo, che sentì una
voce, un suono indistinto che pareva provenire da nessun luogo se non da se
stesso, dal profondo della sua anima. Dal suo cosmo. Una voce antica come il
mondo, intrisa dello stesso sapore di tenebra che lo circondava.
Gli bastò un attimo per capire, mentre attorno a sé apparvero sagome
indistinte, ombre di Divinità conosciute in passato, alcune delle quali lo
avevano persino sfidato. Le vide tutte, fluttuargli attorno come fantasmi, con
le bocche distorte in urla spaventose, che al suo orecchio non producevano però
alcun suono.
Vide Morfeo, dallo sguardo spento, meditare sugli incubi in cui presto
si sarebbero trasformate le vite degli uomini, incubi dal tetro nome di realtà.
Vide Ebe, Coppiera degli Dei, nascondersi spaventata
dietro le vesti di Apollo, la cui lira era suono troppo lieve, troppo gentile,
per annunciare l’era oscura in cui stavano precipitando. Vide Artemide, che
ringhiava furibonda, incatenata da lacci di tenebra che le impedivano di
esprimere la sua selvaggia essenza. Vide Dioniso, Eos, la bella Afrodite, Pan e
molti altri. Persino Ade lo fissò per un istante solo, con i suoi occhi blu,
svanendo poco dopo con tutta la sua malinconia.
Infine, sopra tutti loro, percepì un’ultima presenza, la stessa da cui
le ombre degli Dei caduti cercavano di fuggire, sconfitte sempre, vittoriose
mai. E si inchinò di fronte a lui, dichiarandosi pronto a servirlo.
***
Sedeva Zeus Olimpio sull’alto scranno, stringendo inquieto la folgore
suprema e lasciando che scintille di energia brillassero nella quieta sala,
solleticandogli la mano. Aveva seguito, tramite il suo cosmo divino, gli eventi
occorsi in Asgard, palesatisi con maggior chiarezza quando i mondi erano
crollati e dell’antica divisione del nord del mondo non era rimasto niente.
Soltanto le ceneri.
Che a uguale sorte sia
destinato anche il Regno di Grecia? Che la generazione degli Olimpi, terza
stirpe divina, sia condannata a perdersi?
Sbuffando, il Cronide scostò una ciocca dei
suoi morbidi capelli all’indietro, prima di sollevarsi ed espandere il suo
cosmo, che come sole sorgente illuminò l’intero salone ove il Concilio degli
Dei superstiti aveva avuto luogo. Vuoto e
spento, così adesso gli appariva, come non aveva avuto occhio, né coraggio,
per vederlo negli ultimi anni, da quando aveva lasciato che l’ambrosia e i bei
seni delle ninfe obnubilassero il suo giudizio.
Quel che Avalon gli aveva detto, le crude parole che gli aveva rivolto,
avevano colpito nel segno, per quanto il suo orgoglio regale non l’avrebbe mai
ammesso. Ben più giudizioso di lui il Signore dell’Isola Sacra si era
dimostrato, portando avanti un silente lavoro di preparazione, per sé e per i
suoi fedeli, in vista dell’ultima ora. Una memento
mori che Zeus aveva rimosso e rifuggito, per non dover ammettere che tale
effettivamente fosse.
Eppure sapeva che quel giorno sarebbe arrivato, lo aveva saputo fin dai
tempi del regicidio, e con esso sarebbe giunta la fine di tutti i giorni. Il
momento in cui passato, presente e futuro avrebbero smesso di essere per
divenire un immenso ora. Un qui e subito oltre il quale non avrebbe potuto
esistere alcunché. Giacchè tutto sarebbe stato
consegnato nelle mani dell’unico creatore. Di
nuovo.
Due colpi alla porta disturbarono le sue riflessioni, portandolo a
volgere lo sguardo verso l’ingresso del salone e a spalancare con il cosmo le
massicce porte, lasciando che tre sagome penetrassero al suo interno. In prima
fila, leggiadro e scattante, il Dio cui millenni addietro aveva affidato l’incarico
di essere il suo Messaggero, compito cui mai era venuto meno, neanche nei
giorni più ingrati.
“Mio Signore, la missione è compiuta!” –Esclamò Ermes, fermandosi di
fronte a Zeus e chinando il capo. Quindi, non aspettando risposta da parte del
suo re, si spostò di lato, per indicare il Luogotenente dell’Olimpo, alle sue
spalle, e la figura che si ergeva al suo fianco.
Nonostante fossero trascorsi secoli dal loro ultimo incontro, Zeus non
aveva dimenticato il volto severo di suo fratello. Uno dei tre con cui si era
spartito il mondo, affidandogli gli abissi oceanici.
“Sebbene il tempo per un Dio sia poca cosa, è d’uopo affermare che
tanto ne è davvero passato. Troppo. Ma sono lieto che tu abbia ben pensato di
richiamarmi, in quest’ora fatale.” –Esclamò la Divinità, stringendo con forza
il tridente in scaglie d’oro che riluceva al bagliore del suo cosmo. La sua
vera mitologica essenza.
“Immagino che tu conosca i motivi che mi hanno portato a questa
decisione! Decisione per altro non condivisa da mia figlia Atena!” –Spiegò
Zeus, facendo strada all’interno della Sala del Trono.
“Non mi stupisce. Nonostante la sua condizione di Divinità, tua figlia
è sempre stata umana, e come tale capace di provare magnifici quanto
controproducenti sentimenti!” –Precisò l’altro Nume, accennando un sorriso. –“E
tale virtù riesce a imprimerla anche a coloro che in nome suo combattono, forti
di un amore che nessun’altra Divinità è mai riuscita a generare nei suoi
seguaci!”
“Eppure dovrà crescere, adesso, e mettere da parte la sua natura umana
per non essere travolta dalla grande ombra che si sta risvegliando a est! Se i
calcoli di Avalon sono corretti, e non ho motivi per dubitare che non lo siano,
il tempo è giunto! L’ultimo granello di sabbia adamantina è caduto! Il varco
tra i mondi si sta aprendo!”
Nettuno, fratello del Sommo Zeus e Imperatore dei Mari, a quelle parole
impallidì.
Atena e i Cavalieri dello Zodiaco si fermarono per la notte a Midgard, ospiti del casato di Polaris,
rappresentato adesso dalla giovane Flare, il cui
diritto alla successione, benché evidente in virtù del legame di sangue con la
sorella, era stato rafforzato da un testamento che Ilda aveva lasciato e che Enji aveva subito mostrato ai nobili della città. Pegasus e
gli altri amici avrebbero voluto trattenersi per qualche giorno, per visitare
la città, come spesso avevano promesso di fare, ma avevano le loro vite da cui
tornare, le loro esistenze continuamente messe in gioco da un destino più
grande di loro.
Pegasus voleva rivedere sua sorella con cui, da quando aveva recuperato
le memorie passate, aveva trascorso ben poco tempo. Sirio voleva tornare da
Fiore di Luna, per concretizzare quell’amore che la vista di Cristal e Flare insieme aveva
risvegliato. Ugualmente Andromeda voleva riabbracciare Nemes,
e anche Phoenix, benché non avesse nessuno da rivedere, aveva intenzione di
recarsi in un certo posto, ove avrebbe potuto rendere omaggio ad una donna.
Cristal li capiva, capiva tutti loro, ma il suo cuore era diviso in due,
lacerato tra la ragione e gli affetti. Fu Atena a venirgli incontro,
concedendogli di rimanere un po’ di tempo con Flare,
per aiutarla a superare la perdita della sorella e a muovere i primi passi da
Regina di Midgard.
“Anzi di Asgard!” –Come ebbe a dire quella sera, all’improvvisato
banchetto messo su in fretta per ristorare i Cavalieri che avevano combattuto
duramente.
Molte sale della reggia erano state danneggiate dagli attacchi dei
Guerrieri di Brina, di Skoll e dei Giganti di Fuoco,
alcuni soffitti erano crollati e il gelo di Asgard stava penetrando all’interno
della roccaforte. Ma gli spazi disponibili erano comunque in abbondanza, e in
molti di essi era stata alloggiata la popolazione che aveva perduto la propria
abitazione negli scontri.
“Gli antichi culti non devono andare perduti, mia sorella non lo
vorrebbe.” –Disse, parlando con Atena e i Cavalieri dello Zodiaco, quella sera
stessa, a tavola assieme a Mur, Kiki,
Enji, Bard e ad alcuni fedeli nobili e guardie della
cittadella. –“Per questo motivo, dato che la vera Asgard è ormai scomparsa dal
tempo, ritengo che questo sia il nome che la nostra città dovrà continuare a
usare. Così ci conosce il mondo, città di uomini e Dei, e chissà che, in
qualche futuro prossimo, gli stessi Dei non tornino dall’oblio per camminare
assieme a noi lungo i sentieri lastricati del regno, raccogliendo le scacchiere
d’oro anticamente possedute.”
“Sono certa che questo è anche il desiderio di Ilda.” –Commentò Atena,
sfiorandole una mano con tenerezza, prima di rinnovarle il giuramento di
alleanza tra i due regni, due mondi così diversi eppure uniti dalle stesse
preoccupazioni per la propria gente.
Quella notte passò molto velocemente, per tutti i presenti, con Mur e Kiki impegnati a prendersi
cura degli amici, aiutati dal cosmo di Atena, prima di assistere le donne di
Asgard a medicare i feriti del luogo, e con i Cavalieri invasi dall’ansia di
rivedere le persone a loro care. Flare trascorse la
nottata nella Torre della Solitudine, assieme a Cristal,
alternando lacrime a sospiri d’amore, per prepararsi al meglio ai giorni che
sarebbero arrivati e alla sua incoronazione ufficiale, per cui non si sentiva
ancora pronta. Una prospettiva che finora non aveva considerato.
Rilesse più volte la lettera di Ilda, cercando di trovare un perché
alle sue parole, un quid che giustificasse le sue azioni, ma tutto ciò che
trovò fu solo un immenso dispiacere per non essere stata al suo fianco in quel
momento, per aver trascorso un’adolescenza felice e spensierata, ben poco
curandosi degli affanni del mondo, mentre lei l’aveva spesa in vista di un
destino ultimo. Un destino con cui aveva protetto l’amata sorella e la sua
gente.
Sarebbe stata lei in grado di fare altrettanto?
Con quell’interrogativo nel cuore alla fine si addormentò, crollando
sul letto poco distante da Cristal, la mano che
sfiorava la pelle dell’amato. Fu svegliata da Enji,
qualche ora dopo, che si scusò per l’ora tarda, spiegandole che la sua presenza
era richiesta d’urgenza.
“C’è una visita per voi.” –Chiarì, incamminandosi assieme a Flare verso il salone principale, reggendo una torcia.
“Una visita?!” –Rifletté pensierosa la nuova Regina di Asgard.
Nel Salone del Fuoco la attendevano tre figure incappucciate,
sorvegliate a vista da Bard e dalla Guardia della Cittadella, sebbene fu chiaro
a Flare, quando li riconobbe, che da loro non sarebbe
venuto alcun pericolo.
“Ma voi siete…?!” –Balbettò incredula, prima
di inginocchiarsi di fronte ai tre.
“Non tutti gli Dei di Asgard sono caduti!” –Si limitò a commentare uno
dei viandanti, facendo poi cenno alla ragazza di alzarsi.
“La Volva lo aveva predetto.” –Intervenne allora la donna al suo
fianco. –“Una corte si leverà alta, più bella del sole e ricoperta d’oro. Una
nuova Asgard sorgerà!”
“Questa cittadella, che si erge a picco sul mare, sfidando le
intemperie del mondo, sarà il simbolo della rinascita, della nuova età dell’oro
degli Asi, dei Vani e degli uomini, liberi adesso di
vivere assieme, e noi saremo ben lieti di contribuirvi!” –Concluse il primo
ospite, accennando un sorriso alla giovane Regina.
***
L’indomani all’alba Atena, Mur e i Cavalieri
dello Zodiaco tornarono ad Atene, apparendo, grazie al divino cosmo della
vergine dai capelli viola, direttamente alla Tredicesima Casa, nelle Stanze del
Sacerdote, laddove, un giorno prima, si erano ritrovati per discutere sulle
strategie da seguire.
Sembrava che fossero passati settimane, ma Cristal
li aveva avvisati che ad Asgard il tempo scorreva in maniera diversa rispetto
al resto del mondo, così come sull’Olimpo. Proprio il Cigno aveva salutato gli
amici al termine di quella notte pensierosa, rimanendo ad Asgard assieme a Kiki, per stare vicino a Flare.
Scherzando, ma neanche troppo, Pegasus aveva detto all’amico che si sarebbero
rivisti per il loro matrimonio, e Cristal era
arrossito, suscitando l’ilarità generale.
Un sorriso. A volte ci vuole. Commentò Atena, osservando i volti stanchi
degli eroi che ancora una volta per la Terra avevano combattuto. Costa ben poco e dura per sempre. Spesso ne
siamo avari, eppure non dovremmo. Sospirò, stringendo la presa sullo
Scettro di Nike, che continuamente le ricordava la sua posizione, la sua
condizione, il suo sentirsi un ibrido tra Divinità e donna. E forse nessuna
delle due.
Le porte della sala si aprirono poco dopo e Ioria
e Dohko ne entrarono a passo svelto, inchinandosi di
fronte alla Dea Guerriera, per riferirle quanto accaduto.
“Che ne è del Cavaliere di Virgo?” –Domandò
allora Atena, mentre ascoltava il resoconto sull’attacco condotto da Erik.
–“Come mai non è qui con noi?”
Libra, in ginocchio di fronte al trono, si voltò verso Ioria, rimasto con lo sguardo fisso sul tappeto rosso,
cercando le parole migliori, per quanto certo che nessuna frase sarebbe servita
per attenuare il dolore. Ma quando fece per aprir bocca, un rumore di passi
alle loro spalle lo fece voltare, anticipando l’ingresso del Cavaliere d’Oro.
“Perdonate il mio ritardo, Dea della Guerra! Ero immerso in profonda
meditazione ed ho perso, lo ammetto, la cognizione del tempo!” –Esclamò il
biondo Custode di Ade, genuflettendosi a fianco dei parigrado, che lo fissavano
con occhi sgranati. –“Chiedo venia per il mio increscioso ritardo nel rendervi
omaggio!”
“Non hai niente di cui scusarti, Cavaliere! Sono lieta di rivedervi
tutti e di apprendere che state bene!” –Commentò Atena. –“È stata una battaglia
lunga e complessa e temo che non sia ancora finita. No, percepisco un’ombra
immensa avvolgere il pianeta, al punto da affievolire la luce del sole.”
“Quand’anche il sole dovesse spegnersi e le stelle smettere di
brillare, il nostro cosmo splenderà ancora. Per Atena e per la speranza!”
–Esclamò allora Pegasus, e i suoi tre compagni annuirono.
La Dea sorrise, prima di congedare tutti loro, dando ordine a Libra di
rafforzare le difese del Grande Tempio, potenziando soprattutto gli incursori e
i sorveglianti esterni, temendo una qualche rappresaglia. Mur
disse ad Andromeda di scendere con lui alla Casa dell’Ariete, dove avrebbe
potuto visitarlo con attenzione, preoccupato dalle emicranie continue che il
giovane accusava, e Phoenix andò con loro, mentre Sirio faceva cenno a un
esitante Pegasus di seguirlo. Avrebbero fatto una doccia negli alloggi dei
soldati prima di tornare a casa.
Sulla scalinata di marmo, mentre discendevano verso la Dodicesima Casa,
Ioria e Libra chiesero a Virgo
cosa fosse accaduto al Sesto Tempio.
“Credevamo ti fossi perduto! Non riuscivamo più a percepire il tuo
cosmo!”
“Così è stato, per un momento almeno! Lo scontro con Modhgudhr è stato estenuante ed ha fiaccato il mio spirito
al punto che quasi mi sono sentito smarrito tra le dimensioni. Così mi sono
disteso sotto gli Alberi Gemelli, per ritemprare le mie forze, assorbendo
l’energia interiore che trasuda dall’antico Giardino di Sala, e discutere con
il Buddha, che a volte mi appare nelle mie illuminazioni!”
“E che mi dici del simbolo
dell’uroboro? Cosa volevi dirci?” –Incalzò allora
Libra, ricevendo in risposta uno sguardo sorpreso, quasi interrogativo.
“Niente. È stata solo una
casuale macchia di sangue. Sto bene e vi sono grato per le vostre premure, ma
non preoccupatevi troppo, anche voi siete stanchi e feriti, pensate a riposarvi.
Temo che le parole di Atena non cadano nel vento, e che presto saremo chiamati
a lottare di nuovo per tutto ciò in cui crediamo. Tutto ciò per cui vale la
pena vivere.” –Sorrise loro il Custode della Porta Eterna, prima di
allontanarsi, senza fugare appieno i dubbi di Ioria e
Dohko.
***
Tisifone osservava le coste inglesi scomparire in lontananza dalla
poppa della nave mercantile su cui si trovava. Aveva passato gli ultimi giorni
in Gran Bretagna, spostandosi in fretta lungo le frastagliate coste scozzesi,
per aiutare i pescherecci e le altre imbarcazioni intrappolate tra i ghiacci o
sorprese da temporali improvvisi.
Grazie ai suoi poteri non le era stato difficile spaccare il ghiaccio e
permettere alle navi di rientrare in porto. Meno semplice era stato spiegare
agli abitanti del luogo la natura delle proprie capacità, ma ormai, di questo
Tisifone era certa, stava arrivando un tempo in cui l’esistenza dei Cavalieri
sarebbe stata svelata al mondo intero.
Avvolta nei suoi pensieri non si occorse di Cliff
O’Kents finché il ragazzo non le fu accanto,
allungandole una tazza di the caldo. Era stata Atena ad affidargli il comando
della missione, diretta in una terra che ben conosceva, essendovi nato e
cresciuto, e sempre con lui la Dea aveva concordato la rotta di ritorno che,
dalle coste scozzesi occidentali, scendeva giù attraverso il Mare d’Irlanda,
per rifinire nel Mare Celtico.
Si erano appena lasciati alle spalle il promontorio della Cornovaglia
quando la nave sussultò all’improvviso, facendo ruzzolare a terra Tisifone, Cliff e altri membri dell’equipaggio.
“Che diavolo succede?!” –Bofonchiò il marinaio, rialzandosi e correndo
verso la cabina del comandante. –“Il tempo è sereno e certo non ci sono scogli
affioranti in mare aperto!”
Una nuova scossa fece sobbalzare la nave, spingendo Cliff
di lato fino a sbattere la spalla contro il parapetto. Aggrappandosi ad esso,
per rimettersi in piedi, il giovane guardò oltre, sgranando gli occhi per
quell’imprevista visione. Aggrovigliato attorno alla prua, con la lunga coda
squamosa che sbatteva contro una fiancata della nave, c’era un gigantesco
serpente di mare.
“Che hai visto?! Che c’è?!” –Intervenne Tisifone, correndo al suo
fianco e notando a sua volta l’orrida creatura. Sebbene entrambi non fossero
certo digiuni di mostri come quello, non riuscirono a nascondere il disgusto né
la preoccupazione. –“Me ne occupo io!” –Esclamò, dirigendosi verso la sua
cabina per recuperare l’armatura del Serpentario. Ma, mentre correva, la
Sacerdotessa venne raggiunta da un fascio di energia che la scagliò indietro,
schiantandola contro alcune casse di merci. Quando si rialzò fu sorpresa di
trovare tre donne di fronte a lei.
Ritte sul ponte più alto della nave, le tre figure slanciate
indossavano corazze scure, dai misti riflessi violacei e scarlatti, di fattura
chiaramente greca, sebbene Tisifone non fosse in grado di indicarne la schiera
di appartenenza.
“Ma guarda, una Sacerdotessa Guerriero!” –Esclamò una delle tre, prima
di scoppiare a ridere. –“Da tempo non ne incontravo! Credevo che quella
puritana di Atena si fosse finalmente decisa ad abrogare quella stupida legge e
lasciare che le donne mostrassero il loro volto! Soprattutto se è bello come il
mio! Ih ihih!”
“Chi siete?!” –Incalzò subito Tisifone, osservandole preoccupata.
“Ha importanza per te? Per noi no, per noi conta solo la nostra
missione! Per cui se vuoi essere così gentile da rivelarci dove si trova il
prezioso carico che trasportate, forse ti lasceremo vivere e ti permetteremo di
udire i nostri nomi! Anche se non so quanto questo ti convenga!” –Rispose una
seconda donna, alta e snella.
“Come piratesse
valete ben poco se non sapete distinguere un carico pregiato da un mucchio di
fieno. Avreste dovuto farvi insegnare da mia sorella.” –Le derise Tisifone,
spiegando che quella era semplicemente una missione di soccorso.
“Il capitano della nave è stato piuttosto maleducato! Ti consiglio di
non esserlo!” –Intervenne allora la terza, la cui voce sottile e tagliente
allarmò Tisifone. –“Sai, non ha voluto rivelarci l’ubicazione del carico. Un
ragazzo davvero cattivo. Sì, proprio cattivo. Ih ihih!” –E sollevò il corpo di un uomo, gettandolo sul ponte
di sotto.
Tisifone riconobbe il comandante dai vestiti che aveva indosso, certo
non dal viso, sfregiato da unghiate così profonde da avergli asportato pezzi di
pelle. Lo osservò trascinarsi a terra, macchiando di sangue il ponte di
comando, terrorizzato dalle torture subite.
“Maledette! Ve la farò pagare! Cobra
incantatore!!!” –Gridò il Cavaliere d’Argento, sollevando il braccio destro
e dirigendo violente scariche di energia contro le tre sconosciute, che
prontamente si divisero, balzando in direzioni diverse e lasciando che
l’attacco di Tisifone esplodesse contro la balaustra del ponte.
“Mi piace l’enfasi che imprimi al tuo urlo di guerra!” –Commentò una
delle donne, spuntando accanto a Tisifone prima ancora che lei potesse voltarsi
e fissarla. –“Alala ne sarebbe affascinata!” –Aggiunse, per poi concentrare una
sfera di energia sul palmo della mano e colpire la Sacerdotessa, scagliandola
in alto, i vestiti bruciati dall’esplosione cosmica, fino a farla schiantare
sul devastato ponte di comando.
Nell’impatto Tisifone perse la maschera, che roteò sul pavimento fino a
fermarsi ai piedi di una delle tre guerriere, la prima che aveva parlato. La
seconda invece, la donna dal fisico slanciato, già si ergeva su di lei, calando
il tacco della sua corazza sulla schiena di Tisifone e sprofondandola tra le
frantumate assi di legno.
“Parla! Dove si trova il manufatto divino?” –Ringhiò, non ottenendo
risposta e costringendosi a colpire di nuovo l’inerme schiena.
Bang!!!
Uno sparo assordante ruppe il silenzio del mare aperto, anticipando la
caduta della donna che stava picchiando Tisifone, con un proiettile piantato
nella schiena, all’altezza della spalla destra. Un secondo colpo troncò ogni
suo tentativo di rialzarsi.
A fatica Tisifone sollevò il capo, osservando Cliff
puntare una pistola contro le due donne rimaste, che balzavano in ogni
direzione con felina agilità, la stessa destrezza che anch’ella aveva sempre
dimostrato in battaglia. Un proiettile prese di striscio la più piccola delle
tre, quella che aveva raccolto la maschera di Tisifone, ma non fu sufficiente
per frenarne la carica. Con un balzo fu su di lui, disarmandolo con un calcio
rotante, prima di tempestarlo di pugni. A nulla servì l’intervento di alcuni
membri dell’equipaggio, armati di fucili e di fiocine, che incontrarono la
stessa fine violenta.
“Bastaaa!!!” –Gridò la Sacerdotessa. –“Cosa
volete? Lasciateci in pace! Stiamo tornando da una missione di soccorso, non
esiste alcun manufatto divino!”
“Menti! Sappiamo cosa state trasportando! Noi sappiamo tutto!
Nasconderla in un cargo non è servito a farci perdere le sue tracce!” –Ringhiò
la terza donna, strappando Cliff dalle mani della sua
compagna e sbattendolo contro la parete di una cabina. All’istante le sue
unghie si allungarono, divenendo artigli che si piantarono nella spalla del
ragazzo, strappandogli urla di dolore. –“Occhio per occhio…”
Tisifone fece per rialzarsi ma bastò che la prima donna sollevasse un
dito per colpirla con un fascio di energia che la scagliò dall’altro lato del
ponte, sfondando il parapetto e precipitando in mare. Sarebbe morta così? Non
poté evitare di chiedersi. Senza sapere chi fossero le guerriere esaltate che
li avevano attaccati, né conoscere la verità sulla loro missione. Avevano
parlato di un manufatto divino ma, per quel che ne sapeva, non vi era niente di
così prezioso a bordo della nave. Atena glielo avrebbe detto certamente.
Eppure…
Soltanto allora, mentre l’oscurità la avvolgeva e il respiro diventava
sempre più affannoso, Tisifone si ricordò che, su richiesta di Cliff, la nave aveva effettuato una piccola sosta lungo le
coste del Galles. Questioni commerciali si era limitato a dire il ragazzo. Ma
ora Tisifone era certa che vi fosse qualcosa di più, e lei sarebbe morta senza
sapere cosa.
“Ci siamo!” –Esclamò la più piccola delle tre donne, dopo aver trovato
la cassaforte nella cabina del comandante. La sua compagna non perse tempo a
cercare una combinazione, dilaniandone il metallo con artigli incandescenti.
Sorridendo soddisfatte, Kydoimos e Proioxis afferrarono lo scrigno contenuto al suo interno,
aprendolo e trovando quel che cercavano.
Una mela d’oro.
***
Pegasus stava esitando di fronte al portone. Aveva già salutato
Phoenix, rimasto a vegliare sul fratello alla Prima Casa, pregandolo di
abbracciare Andromeda quando si sarebbe svegliato, e avrebbe dovuto incontrarsi
con Sirio nell’arena dei tornei, dove il jet della Fondazione era pronto per
partire. Avrebbero fatto un breve scalo in Cina, per permettere a Dragone di
tornare da Fiore di Luna, e poi sarebbero ripartiti per il Giappone. Pegasus
aveva già inviato un messaggio a sua sorella, per tranquillizzarla e dirle che
presto si sarebbero rivisti, eppure, adesso che poteva partire, adesso che i
suoi impegni di Cavaliere erano giunti a termine, qualcosa lo frenava, qualcosa
lo legava ancora ad Atene.
Da mezz’ora fissava le massicce porte che conducevano alla Sala del
Sacerdote, avvicinandosi e sollevando il pugno per bussare e fermandosi ogni
volta prima di sfiorarne la superficie. C’era silenzio alla Tredicesima Casa,
con le guardie intente nella quotidiana ronda
all’esterno, un silenzio così intenso che poteva udire il suo respiro e
l’affannato battito del suo cuore, che pareva accelerare ogni volta in cui si
avvicinava al portone d’ingresso, quella stessa soglia che neppure due anni
prima aveva varcato spavaldo per affrontare Arles.
“Non ce la farò mai.” –Si disse, voltando di nuovo le spalle alla Sala
del Sacerdote e sospirando, conscio che ammettere i suoi sentimenti avrebbe
significato tradire tutti gli ideali in cui aveva riposto fede fino ad allora.
Tradire i suoi compagni, la memoria delle loro imprese e soprattutto tradire
lei, la sua Dea, obbligandola ad una scelta che non avrebbe dovuto compiere. L’egoismo di un amore non deve mettere in
pericolo gli equilibri del mondo. Rifletté, muovendosi per allontanarsi.
Proprio in quel momento gli parve di percepire una presenza tra le
colonne laterali, una sagoma indistinta che tacita lo stava osservando. In
tutta fretta Pegasus afferrò una fiaccola, orientandola verso la sua destra,
per illuminare una trasparente figura di luce. Un giovane della sua età, alto e
ben piazzato, con vispi occhi neri, che Pegasus non aveva mai visto, sebbene
fosse invaso da una sensazione di dejà-vu, una sensazione che andò aumentando
quando, guardandolo meglio, riconobbe l’armatura che aveva indosso.
I suoi colori bianco e rosso, le poche parti che la componevano, l’elmo
a forma di testa di cavallo non lasciavano adito a dubbi. Quel ragazzo
indossava l’armatura di Pegasus, la stessa che anch’egli aveva sfoggiato ai
tempi della Guerra Galattica e della corsa attraverso le Dodici Case. E… gli somigliava. Sì, aveva il suo stesso sguardo.
“Ehi tu!” –Esclamò Pegasus, incamminandosi verso di lui. Ma bastò che
muovesse qualche passo che la figura scomparve, dissolvendosi nell’ombra e lasciando nuovi
dubbi nell’animo dell’eroe.
Uno scricchiolio alle sue spalle anticipò lo spalancarsi del portone.
Pegasus si voltò e trovò Isabel davanti a lui, un braccio leggermente teso, che
lo invitava ad entrare.
***
La Sesta Casa dello Zodiaco era immersa nell’oscurità, le fiaccole
spente, i portoni e le feritoie sbarrate. Radi fasci di luce lontana filtravano
da un rosone intarsiato che Pavit aveva creato per il
suo maestro. Quel giorno, ad opera compiuta, Virgo si
era quasi commosso per lo splendore dell’opera. Adesso, fissandolo contrariato,
avrebbe voluto distruggerlo.
Continuando a camminare, e lasciandosi il rosone alle spalle, il
Cavaliere d’Oro giunse al centro della magione e carezzò il trono a forma di
fiore di loto ove era solito riposare. Lo sfiorò, lasciando fluire il cosmo
dalle sue mani, un cosmo rossastro e incendiario, fino a riempirlo di fiamme,
come fosse un braciere. E nelle fiamme si specchiò.
“Una nuova era è iniziata quest’oggi.” –Commentò. –“Un’era di tenebra
senza fine. Immenso è il potere dell’ombra se persino sul Santuario della
Vergine Dea ha potuto stendere il suo manto, senza che nessuno se ne
accorgesse.”
Di scatto sogghignò, ammirando il suo volto demoniaco allungarsi nelle
vampe di fuoco. Si era stupito nell’apprendere che il Cavaliere di Virgo avesse intuito chi si nascondesse dietro gli eventi
in corso, non credendo disponesse di un simile potere, per ripercorrere a
ritroso la storia del mondo, fino alle origini.
AbIoveprincipium.
“Ma a forza di tirarlo, l’elastico si rompe.” –Ridacchiò, apprezzando
l’abile mossa del suo Signore, l’aver tolto di mezzo quella Vergine saccente e
averla sostituita con il suo più fedele collaboratore, il cui vero volto poteva
essere rivelato solo dalle fiamme, sue compagne di vita.
Lui, l’araldo dell’ombra, Flegias, Flagello
di Uomini e Dei, avrebbe distrutto dall’interno l’esercito di Atena.
***
C’era silenzio a Villa Thule.
Gli addetti alle pulizie se ne erano andati da poco, sotto i tiepidi
raggi della prima giornata di sole che da tempo non rischiarava Nuova Luxor, e
adesso la villa era vuota.
L’unico rumore sembrava provenire dallo studio della Duchessa di Thule, dove un telefono continuava a squillare
incessantemente. Era la linea privata di Lady Isabel, il cui numero aveva dato
solo a pochi fidati membri della Grande Fondazione. E uno di loro da ore
cercava di contattarla, senza poter fare altro che lasciarle messaggi in
segreteria.
“Lady Isabel? Sono ancora il Professor Rigel.
Mi richiami quanto prima! C’è stato un imprevisto, anzi è proprio il caso di
dire che abbiamo un problema!”
Siberia Orientale, Territorio
di Krasnojarsk, 30 giugno 1908
Il cielo si era aperto all’improvviso, accendendosi di un rosso
scarlatto, al punto che sembrava avesse preso fuoco, quindi si era richiuso
mentre il boato di un’esplosione aveva rimbombato nel cuore della taiga per
numerosi chilometri. Per centinaia di chilometri, al punto che i passeggeri sul
convoglio della Ferrovia Transiberiana vennero sballottati ferocemente e il
treno stesso rischiò di deragliare, senza che nessun macchinista fosse in grado
di spiegarsi perché.
Qualcosa di pesante aveva colpito il suolo terrestre.
Di molto pesante. Si dissero i primi osservatori giunti sul
posto e osservando lo sfacelo in cui versava la foresta di conifere.
Un’area enorme, di duemila chilometri quadrati, era stata rasa al suolo
e le ultime fiamme crepitavano fredde verso il cielo lontano, lo stesso cielo
da cui aveva avuto origine tale distruzione.
Che sia un segno? Mormorò il Viceré, chinandosi sul terreno e
prendendo in mano grumi di terriccio, per odorarlo. Che sia l’alba della fine del mondo? Che il lupo riesca infine ad
inghiottire il sole? Le stelle allora cadranno dall’alto cielo, la terra
tremerà così tanto che boschi interi saranno sradicati, le montagne crolleranno
e tutti i vincoli si romperanno e spezzeranno.
Fimbulvetr,
sta per arrivare?
I modi bruschi dell’altro membro della spedizione lo strapparono alle
sue meditazioni, portandolo a incamminarsi nel cuore della foresta, fino al
luogo dell’impatto, laddove poterono rimirare quel che restava del corpo
celeste precipitato sulla Terra.
“Me lo aspettavo ben più grosso!” –Commentò la rozza voce del suo
compagno. –“Questo sassolino ha prodotto tutto questo sfacelo, allarmando
persino il mio Signore?! Un mio pugno saprebbe fare altrettanto!”
“L’onda d’urto che ha generato è stata devastante, ciò è indubbio!”
–Intervenne allora il Viceré, camminando attorno ai resti incandescenti
dell’asteroide. –“Ma non è stata l’unica conseguenza della sua caduta sul
pianeta.” –Aggiunse, sibillino, osservando la sostanza dalle sfumature argentee
che permeava il suolo attorno, quasi stesse colando dal corpo celeste.
“Si tratta quindi…?” –Chiese il primo uomo,
con la voce spezzata dalla sorpresa.
“Sì, è mithril! Il materiale di cui sono
composte le Vesti Divine, il materiale più resistente presente sulla Terra!”
“Mi sorprende che vi siano altri conoscitori del prezioso quinto
elemento!” –Esclamò una voce all’improvviso, facendo voltare di scatto i due
uomini e mettere in allerta la loro scorta. –“L’arte della forgiatura delle
corazze non è certo ben diffusa, soprattutto in un’epoca come questa, dove il
materialismo fa da padrone e le antiche conoscenze vanno perdendo estimatori!”
“Chi sei?!” –Ringhiò uno dei due uomini, sollevando un’ascia da guerra.
“Abbassa quell’arma, capellone! A ben poco ti servirebbe contro di me!”
–Si limitò a commentare l’altro, apparendo infine tra i resti degli alberi
abbattuti e rivelando le sue fattezze, quelle di un uomo basso e robusto, chino
in avanti, forse per l’età o per una qualche deformità fisica, rivestito però
di una lucente armatura rossa e dorata intrisa di un cosmo divino.
“Un’energia simile… non può che appartenere
ad un Dio!” –Commentò il compagno del guerriero armato di ascia.
“E tale in effetti sono! Il mio nome è Efesto,
Fabbro Olimpico, Nume del Fuoco e della Metallurgia e servitore del Sommo
Zeus!”
“Lieto di incontrarvi, Dio della Lavorazione dei Metalli! La vostra
fama ha travalicato i confini del Mediterraneo spingendosi ben più a nord delle
vostre fucine, fino alle terre ghiacciate ove spazia silenzioso l’occhio del
nostro Signore!”
“L’occhio…?! Ma voi siete, dunque?!”
“È Freyr dei Vani il mio nome
celeste!” –Si presentò infine l’uomo, accennando un inchino. –“Viceré di Asgard
per nomina del Sommo Odino! E questi è il figlio del mio Signore, il possente Tyr, Nume tutelare della guerra presso gli Asi!”
“Possente e robusto!” –Bofonchiò l’altro, non apprezzando tutti quegli
orpelli con cui il Vane rifiniva le presentazioni. –“Piuttosto cosa ci fa un
Dio greco così fuori dalla sua sfera di influenza?”
“È la Terra intera la sfera di influenza di Zeus!” –Precisò il Fabbro
Divino, prima di aggiungere, con tono distensivo. –“Ed è stato proprio mio
Padre a inviarmi in missione, per sincerarmi di cosa fosse accaduto, sconvolto
dall’esplosione udita questa mattina, e timoroso che fosse dovuta ad una
qualche guerra tra Divinità che potesse minacciare l’equilibrio cosmico!”
“Come vedi è stato solo un sasso caduto dal cielo a radere al suolo
questa foresta, quindi adesso puoi tornare alle fucine da cui provieni!”
“Non così in fretta, Divino Tyr! O,
perlomeno, non a mani vuote!”
“Come osi?!” –Avvampò il Nume asgardiano.
–“Vuoi mettere le mani sul mithril? Non te lo
permetterò, ladro di un greco!!!” –E si fece avanti, roteando l’ascia sopra la
testa, mentre le guardie al suo servizio lo affiancavano, circondando Efesto.
“Spero che tu stia scherzando!” –Si limitò a commentare quest’ultimo,
socchiudendo gli occhi e radunando la propria energia cosmica.
“Io non scherzo mai!” –Gridò Tyr, lanciandosi
avanti, ma bastò che Efesto riaprisse gli occhi per
scaraventare i nemici molti metri addietro, travolti da un lampo di luce.
Anche il Nume della Guerra venne investito, riuscendo a difendersi
roteando l’ascia di fronte a sé, ma quando fece per contrattaccare la voce di Freyr lo fermò.
“Adesso basta, Tyr! Non siamo qua per
combattere!
“Non prendo ordini da uno dei Vani!”
“E invece li prenderai, o farò rapporto a Odino, di cui rappresento la
bocca! Perciò quietati ed evitaci ulteriori fastidi!”
Tyr, grugnendo insoddisfatto, abbassò l’arma, dando poi le spalle a Efesto e avvicinandosi al corpo celeste, lasciando le due
Divinità a parlare.
“Immagino che potremo raggiungere un accordo!” –Esclamò Freyr. –“Non è nell’interesse di Odino, né dell’intera
Asgard, un conflitto con l’Olimpo, neppure per questioni così importanti, come
le forniture per i propri armamenti!”
“Ne sono certo, Viceré! Né Zeus adesso vorrebbe assumersi l’onere di
una guerra! Pertanto, se ho ben recepito il vostro suggerimento, possiamo
procedere ad un’equa spartizione del prezioso metallo, in due perfette metà!”
“Così sia!” –Si limitò ad esclamare Freyr,
nonostante i rimbrotti di Tyr. –“La caduta di un
pezzo di cielo non può essere causale, proprio adesso, all’inizio di questo
secolo, l’ultimo secolo di un lungo tempo cosmico! Che l’universo ci stia
mandando un segnale? Che ci stia avvisando di un pericolo ben più grande
rispetto alle semplici scaramucce cui i vari regni divini incorrono di tanto in
tanto?”
“Sono un fabbro, non un filosofo, mio Signore! Discorsi più profondi li
lascio a mio Padre e al suo fido consigliere, Ermes! Io mi sforzo di fare al
meglio il mio lavoro per ottenere quelle attenzioni che la mia deformità non mi
fa avere in altri campi!”
Freyr sorrise di fronte alla genuinità del Dio dei Metalli, quindi diede
ordine alla sua scorta di procedere alla separazione del corpo celeste e al suo
successivo trasporto.
“Il mithril. Il quinto elemento, nato dal
fuoco cosmico, dalla terra, dall’aria e dall’acqua. Il metallo di cui sono
composte le Vesti Divine, o quantomeno larga parte di esse!”
“Possano Asgard e la Grecia non doversi mai confrontare!” –Esclamò il Vicerè, prima di congedarsi e lasciare la Siberia con la
squadra. –“Che la benedizione dei Vani scenda su di te, Fabbro di Zeus!”
“E così quella degli Olimpi! Addio, nobile Freyr!”
–E anche Efesto svanì, rientrando in Sicilia.
Tunguska rimase deserta, soltanto il fuoco crepitava lento sugli ultimi
alberi che ancora si ergevano, sfidando il potere dell’universo. Fu in quel
silenzio che due voci si ritrovarono a parlare, camminando a passo lento
nell’alba siberiana.
“Sei stato abile, mi congratulo con te! Non è da tutti riuscire ad
ottenebrare i sensi di un Dio!”
“Temevo di fallire, in effetti. Nasconderlo ad Efesto
e a Tyr è stato facile, ma l’occhio di Freyr è di certo ben più attento. Pur tuttavia il Viceré
pareva essere preso da pensieri pressanti, che gli hanno impedito di scoprire
il piccolo inganno.”
“Non usare questi termini, sai che non mi piacciono!” –Commentò la voce
più anziana. –“Non vi è malvagità nelle nostre azioni, solo la premura di un
genitore nei confronti di un figlio. Questo è il compito dei garanti
dell’equilibrio, guardare lontano, non al contingente bensì all’eterno, e
preparare il mondo all’ultima guerra. Inoltre è molto meglio che sia in nostro
possesso, piuttosto che a disposizione di due imperi bellicosi e frustrati
spesso da lotte intestine.”
“L’avvento dell’ombra non ci coglierà impreparati, Primo Saggio! Grazie
ad Alexer, che ci ha avvisato in tempo, e grazie al mithril
recuperato quest’oggi potenzieremo le nostre difese, restaurando l’ordine dei
Cavalieri delle Stelle, il cui risveglio è prossimo!” –Esclamò il suo
interlocutore, abbassando infine il cappuccio e rivelando un volto senza età
sui cui campeggiavano due occhi argentati. Gli stessi occhi che ogni giorno
osservavano il dipanarsi degli eventi del mondo nel pozzo dell’Isola Sacra.
Senza dire altro, Avalon sollevò una mano al cielo, placando le fiamme
e spegnendo persino il soffiare del vento per qualche minuto. Là, nel punto ove
Freyr si era chinato, per assaggiare il terreno,
riluceva un grosso corpo celeste, dalle dimensioni simili ad una roccia, ben
più grande del frammento che le due spedizioni avevano recuperato.
Il Signore dell’Isola Sacra sorrise, mentre i druidi, appena comparsi
attorno a lui, si davano da fare per portare ad Avalon il prezioso minerale,
sebbene egli disprezzasse l’utilizzo di quel termine. Il mithril
non era soltanto un minerale, bensì un dono, messo a loro disposizione dalle
potenze del mondo, quelle stesse potenze che presto sarebbero tornare per
esigere il loro tributo.
Soltanto un secolo ci separa
dal prossimo avvento. Una manciata di anni e il varco tra i mondi si riaprirà.
Ed egli ritornerà.
La Regina di Midgard è pensierosa,
consapevole del ruolo che è chiamata a giocare negli eventi. Grazie alla
conoscenza di Bjarkan, la runa dell’illuminazione, tramandata all’interno del
Casato di Polaris, Ilda capisce il vero significato di Ragnarök e prende la
decisione finale.
FLARE DI POLARIS, Principessa di Midgard:
Inizialmente rapita da Loki, che la
imprigiona al posto di Fenrir nel profondo inferno, la dolce Flare viene
liberata da Cristal e Artax, per assistere, terrorizzata, alla fine del mondo
come l’aveva conosciuto. Dovrà trovare dentro sé la forza per crescere, per
superare i traumi che le segnano la vita, e diventare donna. Grazie al ricordo
di Ilda e all’amore di Cristal.
ENJI:
Fedele consigliere della Celebrante di Odino,
è sempre in prima linea a difendere Asgard e la sua Regina. Ilda gli lascia una
lettera da dare a Flare quando sarà il momento. Ed egli comprenderà quando ciò
si verificherà.
FIADOR:
Figlio del Conte Turin, è in realtà una spia
di Loki, infiltrata a palazzo allo scopo di controllare i movimenti di Ilda e
di scoprire gli antichi segreti di Asgard. È lui infatti a informare
l’Ingannatore sull’ubicazione delle corazze maledette. Credendo si trattasse
solo di giochi di potere, e che non vi fosse in ballo la distruzione del mondo,
Fiador decide di redimersi alla fine, sacrificandosi per proteggere Ilda.
BARD, l’arciere:
Allievo del grande Orion, quattordicenne, è
cresciuto nelle foreste di Midgard assieme a un gruppo di ragazzi divenuto il
suo piccolo esercito. Abilissimo con l’arco, dotato di una vista precisa e di
grande velocità. In lui alberga un giovane cosmo, che dovrà coltivare e
sviluppare.
CAVALIERI DI ASGARD e EINHERJAR:
ORION:
Principe degli Einherjar e discendente del
grande Sigfrido, Orion combatte per la difesa della vera Asgard, il cuore
ancora rivolto alla bella Ilda. Fedelissimo a Odino, non esita a dare la vita
per lui.
(Colpi segreti: Occhi del Drago, Spada
di Asgard)
ARTAX:
Combattuto tra la fedeltà a Odino e il
ricordo rabbioso dello scontro con Cristal, il biondo einherjar non esita
comunque a mettere tutto se stesso in perigliosi combattimenti a fianco del
Cavaliere di Atena, in particolare nell’impresa temeraria di liberare la
Principessa Flare dai geli di Niflheimr, laddove troverà la seconda morte.
(Colpi segreti: Nevi di Asgard, Caldo
soffio del meriggio, Tempesta di fuoco)
MIZAR:
Inviato da Odino nella terra dei nani, è
inizialmente diffidente nei confronti di Jonathan, salvo poi riconoscerne il
valore e la genuina fede. Assieme a Vidharr e alle Valchirie, tenta di fermare
l’avanzata dei figli di Muspell, venendo incenerito a fianco di Alcor.
(Colpi segreti: Bianchi artigli della
Tigre, Ghiacci eterni)
ALCOR:
Agile e veloce, grazie al suo mantello
cangiante e alla sua armatura bianca è la perfetta spia per scendere nei
recessi infernali, su ordine di Freyr, e cercare di scoprire cosa stia tramando
Hel. Catturato dai Megrez, viene salvato da Sirio, per poi combattere assieme a
lui e ai Vani contro i Giganti di Brina e trovare la morte ad Asgard, di nuovo
assieme all’amato fratello.
(Colpi segreti: Bianchi artigli della Tigre,
Ghiacci eterni)
MIME:
Il musico di Asgard combatte incessantemente
nella piana di Vígridhr, confrontandosi con Garmr, Hel e infine con Fenrir, a
fianco di suo padre, con cui ha ritrovato un’antica amicizia, e del Cavaliere
di Andromeda.
(Colpi segreti: Pentagramma, Melodia
delle tenebre)
THOR:
Il Gigante buono scende in Jötunheimr per
incontrare Pegasus e poi combattere assieme a lui contro il Serpe del Mondo, il
gigantesco figlio di Loki che minaccia la fortezza del Valhalla.
(Colpi segreti: Mjolnir, Pugno del
titano)
LUXOR:
Ribelle per natura, neppure l’incontro con il
padre lo rasserena. Negli uomini ha perso ogni fiducia, pur tuttavia il ricordo
dei genitori e il coraggio con cui Daeron si sacrifica per lui gli strappano un
sorriso sofferto. Membro degli Ulfhednir, li guida in battaglia contro Hati,
venendo poi ucciso da Bjuga delle Svalbard.
(Colpi segreti: Denti del lupo, Lupi
nella Tormenta)
FOLKEN:
Padre adottivo di Mime, combatte al suo
fianco nella piana di Vígridhr, venendo massacrato da Fenrir.
DAERON:
Il padre di Luxor, che indossa l’antica
armatura del suo casato, interviene in aiuto del figlio contro Hati, morendo
per proteggerlo e per mostrargli che gli uomini sono capaci di azioni d’amore,
se realmente lo vogliono.
(Colpi segreti: Denti del Lupo)
ATREJU:
Comandante degli Einherjar di stanza a
Valgrind, la Porta Principale del Valhalla. Muore assieme ai suoi compagni dopo
l’attacco di Surtr e il crollo dei mondi.
DIVINITA’:
ODINO, Signore degli Asi:
Una delle più antiche Divinità del mondo, il
Padre di Tutte le Schiere siede sul Trono degli Spazi, nella residenza di
Valaskyalf, da cui il suo unico occhio muove sul mondo, per vedere tutto quello
che accade. Preoccupato per la profezia della Volva, Odino richiama tutti gli
alleati, dai Vani ai nani, dagli einherjar ai giganti a lui fedeli, unendo
tutti i popoli liberi dei nove mondi per la guerra contro l’Ingannatore, e poi
contro Surtr. Ben consapevole di non essere esente da colpe, avendo anch’egli
commesso peccati in gioventù, come quando massacrò Ymir, il gigante
primordiale, o quando uccise i suoi fratelli, sceglie comunque di lottare
ancora, facendo dono a Pegasus della spada di Balmunk.
(Colpi segreti: Tempesta di Spade)
FRIGG, Signora del Cielo:
È la sposa celeste di Odino, di cui condivide
lo scranno Hliðskjálf. Abita a Fensalir. Possiede il potere della
chiaroveggenza, e ritiene che solo sangue e morte verranno da questa guerra.
BALDER, Dio del Sole:
Figlio di Odino e Frigg, è il più bello degli
Dei. Bello d’aspetto, saggio e gentile, amato e rispettato da tutti, splende di
luce propria. Abita a Breidablik, in un luogo paradisiaco, assieme alla sua
sposa Nanna. Dona le sue ultime forze a Pegasus, cedendogli la luce del Sole di
Asgard.
FREYR, Dio dell’abbondanza e della
prosperità:
Appartiene alla stirpe dei Vani: figlio di
Njörðr e fratello di Freya. Fu uno di coloro che mise termine alla prima guerra
tra Asi e Vani, stringendo un’alleanza con Odino, che col tempo è cresciuta
divenendo un’amicizia e stima e fiducia reciproca, al punto che il Signore
degli Asi lo considera reggente in sua assenza. Per questo è chiamato
"Viceré di Asgard".
È bello e potente, governa la pioggia, lo
splendore del sole e i frutti della terra. Agli uomini è sempre stato gradito e
dagli altri Dei ammirato perché portatore di pace. Guida le legioni dei Vani
nell’inferno, tramutandosi in un sole perpetuo per generare l’energia
necessaria per distruggere i Giganti di Brina.
(Colpi segreti: Perpetual sun)
FREYA, Dea della Bellezza:
Della stirpe dei Vani, è la sorella di Freyr
e figlia di Njörðr. Di una bellezza affascinante,
Si rifugia a Fensalir, assieme alle altre
Asinne, per trovare riparo dalla guerra in corso. Ma quando Loki attacca la
residenza di Frigg, scende in campo per lottare con lui, desiderando vendicare
il fratello il cui cosmo ha sentito scomparire poco prima.
VIDHARR, il silente:
Figlio di Odino, di carattere placido, cerca
di evitare i conflitti quando possibile. Ha sempre apprezzato la convivenza
pacifica tra il suo popolo e quello dei Vani, spingendo per una sempre maggiore
integrazione. È uno dei pochi a sopravvivere all’avvento dell’inverno.
TYR, Nume della forza:
Coraggioso e forte, il Dio perse la mano nel
Mondo Antico, mettendola nella bocca di Fenrir. Nonostante ciò, non ha mai
smesso di allenarsi e di mostrare il suo valore in guerra. Diffida di Freyr,
memore dell’antica rivalità con i Vani.
Combatte con ardore contro Loki nella piana
di Vígridhr, venendo da lui ucciso.
ULLR, l’abile arciere:
Affronta numerosi nemici nella grande piana,
ma viene massacrato da Erik, che lo attacca alle spalle, tagliandogli la testa
e legandola alla propria cintura.
HEIMDALL, Custode del Ponte Arcobaleno:
Detto anche il Dio Bianco o "Denti
d’oro" a causa del suo sorriso splendente, è da secoli il Guardiano di
Bifrost. Ha acuto finissimo e sensi attenti, al punto da riuscire a sentire
persino il frusciare dell’erba e il cadere delle foglie. La sua residenza è a
Himinbjörg.
Si sente in colpa per aver fatto entrare
Loki, non avendo riconosciuto il suo inganno. Per espiare, accompagna Cristal
nella piana di Vígridhr, affrontando il Dio dell’Inganno assieme a Tyr, e
morendo al suo fianco.
Di buon carattere e poco incline alla guerra,
non esita comunque a scendere in campo per difendere Asgard e colei che ama
dalla furia dei figli di Loki. Troverà la morte nella grande piana, divenendo
prelibato cibo per il Lupo di Fama.
IDUNN, Moglie di Bragi:
Asinna silenziosa e innamorata del compagno,
soffre a Fensalir per la sorte di Asgard e per la morte di Bragi. Combatte
contro Loki, a fianco di Freya, venendo infine travolta dal crollo dei mondi.
EIR, Dea della Medicina:
La guaritrice di Asgard si prende cura di
Pegasus, su indicazione di Balder, aiutando il giovane a vincere la morte a cui
i miasmi di Jormungandr lo stavano conducendo. Assiste, dispiaciuta, alla morte
di Frigg, che non riesce ad arrestare, incontrando la stessa fine di Idunn.
NJÖRÐR, Dio del Vento e della Navigazione:
Padre di Freyr e Freya, della stirpe dei
Vani. Nobile ed eroico, non esita a guidare in battaglia il suo popolo, ponendo
fine a quelle puerili contese divine risalenti a millenni addietro, per
dimostrare a Odino di non essere solo nel combattere l’ultima guerra.
ALLEATI DI ODINO:
VALCHIRIE:
Coloro che scelgono i caduti in battaglia.
Sono le emissarie di Odino, le Dee guerriere,
armate di scudi e lance, che scelgono le anime dei morti eroicamente,
portandoli dal campo di battaglia al Valhalla, dove servono loro birra e
idromele in corni.
BRUNILDE:
Regina delle Valchirie, alta e splendida. È
stata innamorata di Sigfrido, mitico eroe del Mondo Antico, che lei rivede in
Orion, nelle sue gesta, nel suo portamento, spingendola a innamorarsi di lui e
a dare la vita per proteggerlo da Surtr.
HNOSS:
Figlia di Freya, Hnoss è una delle Valchirie
più fedeli a Brunilde, a lei soltanto seconda in termini di forza. Accompagna
la propria Regina in battaglia, senza paura di rischiare la vita. Muore uccisa
da Loki nella piana di Vígridhr.
JOTNAR:
Sono i Giganti di Jötunheimr, fedeli a Odino.
Nonostante la stazza e l’aspetto deforme, sono buoni e dediti alla vita
casalinga e non attaccano mai per primi, purché non minacciati.
NANI:
Abitanti di Svartálfaheimr. Sono un popolo
operoso ma timido, che preferisce la tranquillità e la sicurezza delle caverne
e delle montagne agli spazi aperti. Sono abilissimi fabbri e lavoratori di
metalli, al pari del greco Efesto.
Furono loro a forgiare, tra i tanti
manufatti, la spada Balmunk, per Odino, e il medaglione di Freya. Ammirano i
bei lavori, soprattutto le armi e le corazze pregiate, come quella di mithril
indossata da Jonathan.
DURIN:
Uno dei sette capi dei nani. Rustico nei
modi, ma dotato di una parlantina fluente, si lancia in battaglia con la sua
ascia, incurante del dolore e delle sofferenze.
DVALIN:
Fratello di Durin, al cui fianco combatte
nella piana di Vígridhr per mostrare la forza del popolo Dvergr.
ELFI:
Il popolo beato che popola Álfaheimr. Non
amano combattere, preferendo trascorrere le giornate cantando, danzando e
giocando tra gli alberi del regno.
ARVEDUI:
Principe degli Elfi, accoglie Andromeda nella
sua terra, illuminando il ragazzo riguardo alle sue nuove capacità. Pacifista,
decide di non combattere, credendo che Loki non sia interessato alla terra
degli elfi, accettando comunque il suo destino.
HUGINN e MUNINN:
Sono i corvi di Odino. Dal piumaggio nero,
volano per i nove mondi portando al Padre di Tutti le notizie sugli eventi che
accadono.
LOKI E I SUOI FIGLI:
LOKI, Dio dell’Inganno:
Definito il Grande Ingannatore, il Buffone
Divino, il Burlone, il Nordico Tessitore, è il nume che in astuzia supera tutti
i suoi pari. Figlio dei Giganti Ferbauti e Laufey e progenitore di una stirpe
di mostri, Loki è la nemesi di Odino, desiderando ardentemente prendere il suo
posto, avere la sua vita.
Condannato ad una prigionia di sofferenza per
secoli, viene risvegliato da Flegias che gli dona una Pietra Nera,
catalizzatore per recuperare le forze, sigillando l’inizio di un’oscura
alleanza che porta il figlio di Ares a sostituire Zeus con Crono sul seggio
Olimpico e Loki a radunare gli eserciti per il Crepuscolo degli Dei del Nord,
senza comprendere a fondo il vero significato della Profezia della Veggente.
(Colpi segreti: Soffio di Fimbulvetr.
Loki controlla le rune, ognuna delle quali libera un potere particolare, come
Isa, la runa di Ghiaccio, o Yr, la runa della protezione, o Kaun o Kaunaz, la
runa di fuoco, o Gyfu, la runa dell’aria)
FENRIR, il Lupo di Fama:
Figlio di Loki, lupo immenso dalle zanne
affilatissime, capaci di penetrare qualsiasi materiale. Sanguinario, sadico,
bestiale, gode nel maciullare uomini e bestie. Tyr lo aveva incatenato una
volta con una catena magica formata dai nani nelle profondità delle loro
montagne, chiamata Gleipnir, una catena simile a quelle che anche Efesto era
abile a forgiare. Fenrir venne rinchiuso sull’isola Lyngvi, sul lago
Amsvartnir, ove Loki lo liberò, portandolo in guerra.
Viene ucciso da Andromeda al termine di un
duro scontro.
HEL:
Figlia di Loki, ottenne da Odino la podestà
su tutti coloro che il Valhalla non avesse accolto, divenendo regina dei morti
senza onore, per malattia, incidente o vecchiaia, dei traditori e dei
criminali. Vive ad Eliudnir, l’antica Helgaror, ed ha due servitori, dotati di
poteri di cosmo: Ganglati, il pigro, e Ganglot, la sciatta.
Viene liberata dai Megrez dalla prigionia del
ghiaccio, montando a cavallo di Garmr, con cui conduce i morti dell’inferno in
guerra. Per ironia, viene uccisa proprio nel regno che comanda, da Cristal, con
l’aiuto di Artax, intervenuti per liberare Flare.
Figlio mostruoso di Loky e della gigantesca
Angrbodhra. È un serpente gigantesco, definito Mostro Universale o Serpe del
mondo. Da tanto che è lungo sembra capace di avvolgere il mondo nelle sue
spire.
Ingaggia battaglia mortale con Pegasus e
Thor, alla guida degli Einherjar. Pegasus lo vincerà, ma il veleno ucciderà
Thor dopo aver compiuto sette passi.
SIGTIVAR:
Sono gli Dei di Vittoria, i guerrieri
nominati da Loki per combattere in suo nome indossando le cinque corazze
maledette di Asgard.
ERIK il Rosso, Comandante degli Dei di
Vittoria:
Da piccolo ha assistito alla morte di suo
fratello, ucciso da Folken durante la guerra di Iisung. Con quest’ombra nel
cuore, si è allenato per diventare forte, odiando Asgard e Odino che la
proteggeva. Quando Loki gli ha offerto l’occasione di realizzare la sua
vendetta, non ha esitato a prendere parte al suo progetto. Sadico, combatte con
piacere, divertendosi a massacrare anche nemici inermi.
(Colpi segreti: Scure di Devastazione,
Ruggito del tramonto. Erik è inoltre abile nel maneggiare la scure, sia
in attacco che, roteandola, in difesa)
BJUGA delle Svalbard:
Rozzo e lento di comprendonio, il gigantesco
guerriero è molto forte fisicamente. Possiede due lame rotanti, affisse alla
cintura, che controlla muovendole con il pensiero.
Il suo nome, in norreno, significa
"salsiccia".
DREPA, il Mietitore Silente:
Un buon combattente che ha la sfortuna di
incontrare Reis di Lighthouse sul suo cammino, venendo da lei sconfitto ai
margini della grande piana di Vígridhr.
Il suo nome, in norreno, significa
"ammazzare, trucidare".
(Colpi segreti: Pioggia di Fiele; Canto
del Guerriero. Drepa è un abile arciere.)
HRÆSVELGR, l’Aquila dei Venti:
Un tempo un brigante che viveva di rapina.
Mirava al tesoro del drago Fafnir, ma Orion gli impedì di prenderlo per sé,
portandolo invece a Ilda, che lo usò per il bene dell’intero regno di Midgard.
Mirando a quella vendetta, il Dio di Vittoria affronta il Principe degli
Einherjar a Vígridhr, venendo malamente sconfitto.
(Colpi segreti: Vento mormorante)
MANAGARMR, il Lupo della Luna:
Giovane combattente, amante di Loki, al cui
fianco ha trascorso molte notti, era un orfano che l’Ingannatore trovò nella
Foresta di Ferro, portandolo con sé, e forse anche affezionandosi a lui, pur
senza ammetterlo mai. In suo onore Managarmr combatte, venendo abbattuto da
Andromeda e ucciso da uno dei suoi pari.
(Colpi segreti: Fuoco del Lupo e del
Dragone)
MODHGUDHR:
Spettro creato da Loki, grazie al potere
della Pietra Nera, sulla base di un antico rimpianto del Cavaliere di Virgo,
quello che lo legava ad Ana, Sacerdotessa del Pittore.
SERVITORI e ABITANTI DI HEL:
MEGREZ:
L’antico Cavaliere di Asgard continua nei
suoi folli progetti imperiali, liberando Hel dalla prigionia dei ghiacci e
mostrandole orgoglioso il suo lavoro a Nastrond. Dopo aver massacrato Alcor, è
costretto a fronteggiare Sirio, commettendo di nuovo lo stesso errore della
precedente vita, sottovalutando il nemico e agendo di fretta.
(Colpi segreti: Teca viola dell’ametista,
Schegge di ametista, Anime della natura)
MEGREZ Tredicesimo:
Padre di Megrez, tredicesimo del suo casato.
Dopo la sconfitta subita per mano di Libra ai Cinque Picchi, non ebbe il
coraggio di tornare a Midgard, così girovagò per l’Europa, tentando infine di
arrivare ad Avalon, bramoso di sempre maggior potere. Ma morì inghiottito dalle
nebbie.
Affronta Jonathan nella piana di Vígridhr,
desideroso di vendetta, ma viene da lui sconfitto.
(Colpi segreti: Anime della Natura, Teca
viola dell’ametista)
GANGLATI, il pigro e GANGLOT, la sciatta:
Servitori della Regina Hel. Vennero sconfitti
in "Fulmini dall’Olimpo" da Orion e Artax, intervenuti per
liberare Balder dalla prigionia. Muoiono nel crollo dei mondi.
HRYMR, Re dei Giganti di Brina:
Megrez gli affida il comando di guidare i
Giganti di Ghiaccio ad Asgard, facendoli arrampicare dalle radici di Ygdrasil,
scuotendolo per questo. Affronta i Vani, guidati da Freyr, e Phoenix, venendo
da quest’ultimo ucciso.
HRIMTHURSAR:
I Giganti di Brina sono i discendenti di
Ymir, il gigante primordiale sorto tra ghiaccio e fuoco, saggio ma anche
malvagio poiché le gocce che lo crearono erano intrise del veleno degli
Élivágar (gli undici fiumi cosmici che scorrevano all’inizio del tempo).
Possiedono spade e armi intrise di liquido
congelante. Affrontano Freyr e l’esercito dei Vani nel Niflheimr, Sirio e Alcor
e infine Phoenix, venendo annientati dal Sole Perpetuo del Dio dell’Abbondanza.
NÍÐHÖGGR:
Grosso serpente alato che giace ai piedi dell’Albero Cosmico, nel Niflheimr. Si
nutre dei morti, portando le loro carcasse nelle Montagne dell’Oscurità.
FIGLI DI MUSPELL:
GIGANTI DI FUOCO:
Sono le creature, composte di pura fiamma,
che popolano il mondo dell’incendio universale. Vengono sobillate da un’ombra a
sollevarsi contro Odino, nonostante in passato siano stati alleati. Proprio in
Muspellsheimr, Balder aveva fatto riforgiare le Armature d’Oro dei Cavalieri di
Atena qualche mese prima.
SURTR:
Detto il Nero, è il più grande Gigante di
Fuoco esistente, la cui fiamma distruttrice è destinata, secondo la Veggente, a
incendiare il mondo, purificandolo dai suoi peccati. Spinto da Flegias a
ribellarsi a Odino, la sua forza viene potenziata dall’oscura potenza che guida
i passi del Maestro di Ombre, obbligando Ilda e Loki ad una scelta risolutiva
per averne ragione.
BELI:
Uno dei Giganti di Fuoco, un tempo loro
leader, ma poi, dopo essere stato sconfitto da Freyr in un duello, costretto a
cedere il posto a Surtr. Cova risentimento e cerca l’occasione di riscattarsi,
sperando di trovarla nella vittoria su due invasori del regno di Muspell,
Cristal e Artax. Vittoria che però non riesce a realizzare.
CREATURE MALVAGIE:
SKOLL:
Grande lupo partorito nella Foresta di Ferro.
Nel mito inseguiva il sole, riuscendo a sbranarlo il giorno di Ragnarök.
Porta Loki e Flare in cima alla Montagna
Sacra, prima di tornare a Midgard e affrontare Pegasus e i suoi compagni,
venendo ucciso da Reis e Jonathan. La sua carcassa verrà bruciata per ordine di
Ilda.
HATI:
Grande lupo, fratello di Skoll, detto anche
"Hródvitnisson". Inseguiva la luna nel mito, riuscendo a raggiungerla
solo il giorno di Ragnarök.
Affronta gli Ulfhednir per le strade della
devastata Asgard, uccidendo Daeron e massacrando Luxor, prima di essere ucciso
dalla lancia di Odino.
GARMR:
Grosso cane dal pelo fulvo di guardia al
Cancello di Hel. Viene liberato il giorno di Ragnarök, diventando la
cavalcatura della Regina degli Inferi.
Aiuta Megrez e suo padre a vincere Alcor sul
retro del palazzo di Helgaror. Nella piana di Vígridhr carica Mime e Folken,
ferendo entrambi, prima di essere dilaniato dalle corde della cetra di Mime.
ALTRI PERSONAGGI:
LE NORNE:
Urd, il passato, Verdandi, il presente,
Skuld, il futuro. Le Divinità del Fato.
Siedono a Urðarbrunnr, ai piedi dell’Albero
Cosmico, e ne cospargono le radici di argilla, per evitare che si secchi.
Possono apparire di età diversa a seconda di chi si rivolge loro. In molti le
temono, poiché temono il loro responso.
RATATOSKR:
Scoiattolo che corre lungo il tronco di
Yggdrasil.
Capitolo 45 *** Schede tecniche Atene, Avalon e Olimpo ***
L’AVVENTO
DELL’INVERNO – Schede dei personaggi
CAVALIERI DIVINI:
PEGASUS:
Gli eventi dei mesi recenti pesano sull’animo
inquieto del Primo Cavaliere della Dea Atena, grande combattente, sempre pronto
a lanciarsi in aiuto dei più deboli, fossero anche abitanti di un altro mondo,
ma in difficoltà quando si tratta di fronteggiare i propri sentimenti.
Sentimenti che il tempo ha reso di certo chiari, tirando fuori un amore per
Lady Isabel che trascende il rapporto di fedeltà che un Cavaliere prova per la
propria Dea e diventa tormentata passione. Un amore dalle sfumature ancestrali
con cui la Vergine Guerriera e il suo Primo Cavaliere combattono da millenni.
(Colpi segreti: Fulmine di Pegasus, Cometa
lucente/Cometa di Pegasus)
SIRIO IL DRAGONE:
Migliore amico di Pegasus, Sirio combatte a
fianco degli amici anche questa nuova guerra. Salva Alcor dalle violenze dei
Megrez, sconfiggendo l’antico avversario, per poi confrontarsi con i Giganti
del Gelo e del Fuoco.
(Colpi segreti: Colpo segreto del Drago
Nascente, Fuoco del Dragone, Excalibur, Colpo dei Cento Draghi)
CRISTAL IL CIGNO:
Il suo amore per Flare è una luce in grado di
risplendere anche in un universo d’ombra. È questo, forse più che la fede in
Atena e in un futuro di giustizia, a spingerlo ad attraversare mondi per
ritrovarla, per perdersi in un nuovo abbraccio con la persona amata. Mettere da
parte il passato, trovare la forza per vivere nel presente e costruire assieme
il proprio futuro, tre parti della stessa promessa che Cristal ha fatto con se
stesso e con Flare. Sarà in grado di mantenerla?
(Colpi segreti: Polvere di Diamanti, Anelli
del Cigno, Aurora del Nord, Per il Sacro Acquarius, Spada
di ghiaccio)
ANDROMEDA:
Nonostante siano passate alcune settimane
dalla battaglia sull’Isola delle Ombre, Andromeda non si è ancora ripreso del
tutto e ogni tanto accusa fitte alla testa. Sarà un incontro inaspettato, con
il Principe degli Elfi, a fargli scoprire potenzialità finora non sviluppate
dei suoi poteri, usando quegli stessi nuovi poteri per comprendere il vero
messaggio di Biliku.
(Colpi segreti: Catena di Andromeda, Onde
del Tuono, Onda energetica, Melodia scintillante di Andromeda)
PHOENIX:
Interviene sempre sul momento più bello, in
aiuto dei compagni. Così è nel suo carattere, solitario al punto giusto ma
pronto a correre a dare una mano agli amici in difficoltà. Phoenix affronta il
Re dei Titani del Gelo, nel Niflheimr, prima di fuggire dallo stesso inferno
assieme ai Vani e combattere contro Surtr la battaglia finale.
(Colpi segreti: Ali della Fenice, Pugno
infuocato, Fantasma diabolico)
CAVALIERI DI BRONZO:
ASHER DELL’UNICORNO:
Asher, al pari di Castalia e Tisifone, viene
inviato da Libra a portare aiuto ai popoli in difficoltà a causa dell’avanzata
dei ghiacciai. Si dirige in Svezia.
ANA DEL PITTORE:
Uno dei dieci discepoli di Virgo, uccisa da
Loto e Pavone durante gli ultimi giorni del Regno di Arles, nonché fonte di
tormenti e di rimpianti nell’animo del Cavaliere di Virgo. Il suo animo viene
risvegliato da Loki, che ne inquina la personalità, facendone un demone al suo
servizio.
CAVALIERI D’ARGENTO:
CASTALIA DELL’AQUILA e TISIFONE DEL
SERPENTARIO:
Le Sacerdotesse sono inviate da Libra,
assieme ad una cinquantina di soldati, a prestare aiuto alle popolazioni in
difficoltà a causa dell’avanzata dei ghiacciai, Castalia in Canada e Tisifone
in Scozia.
Sulla via del ritorno, la nave su cui
Tisifone viaggia viene attaccata da tre guerriere sconosciute, che sconfiggono
la Sacerdotessa, gettandola ferita in mare.
CAVALIERI D’ORO:
MUR DELL’ARIETE:
Il Cavaliere accompagna Atena prima
sull’Olimpo e poi a Midgard, combattendo al suo fianco contro i Giganti di
Fuoco e contro Surtr. Preoccupato per le condizioni di Andromeda, si offre per
curare il Cavaliere, convinto che le sue continue emicranie nascondano qualcosa
di più.
(Colpi segreti: Muro di Cristallo)
IORIA DEL LEONE:
Rimasto a difesa del Grande Tempio assieme al
Cavaliere di Libra, Ioria viene trasportato ad Avalon dal Signore dell’Isola
Sacra, per scoprire che questi era il maestro di Micene e apprendere quel che
davvero accadde quella notte. Una nuova consapevolezza che aiuterà il Cavaliere
d’Oro a seppellire del tutto i vecchi rimpianti, per risvegliare la fiamma di
Adamant, suo valoroso predecessore.
(Colpi segreti: Per il Sacro Leo, Lightning
Fang)
SHAKA DI VIRGO:
Riflessivo e meditabondo, il Custode della
Porta Eterna naviga tra le memorie del mondo, forte dei suoi poteri che gli
permettono di viaggiare tra le dimensioni, alla ricerca delle origini dei
poteri di Flegias e della fonte della sua forza. Ammutolisce, scoprendo quel
che realmente si cela dietro gli atti del Rosso Fuoco, ma non ha il tempo di
raccontarlo ai suoi parigrado che l’ombra cala su di lui. Può solo disegnare il
simbolo dell’eterno ritorno, sperando che sia abbastanza per far loro
comprendere.
L’agguerrito difensore del Grande Tempio
contrasta la spedizione punitiva guidata da Erik, ingaggiando con il Dio di
Vittoria un violento combattimento. Nonostante la furia del nemico, e le
difficoltà nel brandire le armi, causate dalla perdita di alcune dita mozzate
da Flegias in precedenza, il Vecchio Maestro di Sirio e Ascanio riesce
egregiamente nell’impresa.
(Colpi segreti: Colpo del Drago Nascente,
Per il Sacro Libra, Colpo dei Cento Draghi)
Figlio di Elena e Deucalione, Nikolaos ha
ripreso ad utilizzare il suo nome di origine, in onore alla sorella Teria,
barbaramente uccisa nella guerra voluta da Flegias. Sentimentalmente legato
alla Sacerdotessa dell’Aquila, in questo capitolo della Trilogia di Avalon,
Nikolaos è incaricato, assieme ad Ascanio, di ritrovare Atlantide e risvegliare
il dormiente Imperatore dei Mari.
GANIMEDE DELLA COPPA CELESTE, Coppiere degli
Dei:
Ragazzetto amato un tempo da Zeus, e da lui
portato sull’Olimpo e reso immortale, serve fedelmente il Dio del Fulmine,
ultimo di tutti i Cavalieri Celesti ancora vivo.
CAVALIERI DELLE STELLE:
L’ordine istituito da Avalon per difendere i
confini dell’Isola Sacra. È costituito da sette Cavalieri i cui poteri sono
legati ad elementi naturali. Ognuno possiede uno dei Talismani forgiati dai
Sette Saggi all’alba dei tempi.
ASCANIO TESTA DI DRAGO, Comandante dei
Cavalieri delle Stelle:
Il figlio dell’isola sacra viene incaricato
da Zeus di ritrovare Atlantide e risvegliare il vero Dio Nettuno, il cui corpo
riposa nel mausoleo dell’antico regno. Per quanto Avalon non sia d’accordo con
la scelta del Nume Olimpo, Ascanio esegue il suo ordine alla perfezione,
rivelando di poter entrare in comunione con gli elementi della natura, anche
con gli animali, o mostri leggendari che siano. La sua forza è tale da non aver
ancora avuto bisogno di indossare la sua Armatura delle Stelle per combattere,
né di utilizzare il suo talismano.
(Colpi segreti: Metempsicosi)
JONATHAN DI DINASTY, Cavaliere dei Sogni:
Figlio di una Sacerdotessa del Tempio di
Inti, in Sud America, Jonathan viene inviato con Reis in aiuto dei Cavalieri
dello Zodiaco ad Asgard. Varca il portale del mondo dei nani, che ammirano il
suo scettro e la sua corazza, entrambe in mithril, nominandolo loro comandante
nella guerra contro l’Ingannatore. Affronta il padre di Megrez in un duro scontro
nella piana di Vigridhr.
(Colpi segreti: Luce dello Scettro, Aberrazione
della luce, Cometa d’oro)
REIS DI LIGHTHOUSE, Cavaliere di luce:
Per ora è l’unica donna tra i Cavalieri delle
Stelle, ma non ci sta ad essere considerata debole per questo. Perché non lo è
affatto.
Inviata da Avalon in aiuto dei Cavalieri di
Atena, Reis affronta Drepa, il Mietitore Silente, per poi affiancare gli eroi
nello scontro finale contro Surtr.
(Colpi segreti: Flashing sword, Cascata
di Luce,Vortice scintillante di luce)
MARINS, Cavaliere dei mari:
Trentenne americano, che da ragazzetto
avrebbe voluto divenire una promessa del baseball, indossa la corazza che
ispirò a Nettuno il design delle armature degli abissi. In questo capitolo
della Trilogia di Avalon, lo vediamo in Asia Centrale assieme a Febo,
incaricati da parte del Signore dell’Isola Sacra di trovare il tempio dove
l’ultima guerra sarà combattuta.
FEBO, Cavaliere del sole:
Figlio di Amon Ra, Dio Egizio del Sole, e della
Sacerdotessa Hannah, fedele ad Apollo, Febo accompagna Marins in missione nel
Deserto del Gobi, per localizzare il tempio delle origini. E della fine.
MATTHEW, Cavaliere dell’Arcobaleno:
Si sta allenando duramente sull’Isola Sacra,
per completare l’addestramento e colmare il divario che lo separa dai suoi
compagni.
FEDELI DELL’ISOLA SACRA:
AVALON, Signore dell’Isola Sacra:
Sempre attento a quel che accade nel mondo,
Avalon rimira gli eventi nel Pozzo Sacro, attendendo il giorno dell’ultima
guerra. Previdente, invia Febo e Marins in Asia per individuare il tempio
primordiale, mentre affianca Reis e Jonathan ai Cavalieri di Atena. Quel che
neppure lui poteva immaginare era che l’animo di Flegias, l’antico fratello,
fosse perdurato, sotto forma di ombra, e che decidesse di attaccare
direttamente il cuore dell’Isola Sacra.
(Colpi segreti: Cometa di Avalon, Nebulosa
delle Stelle)
ANDREI, Signore del Fuoco:
Ardente, come il fuoco su cui esercita il
comando, Andrei vorrebbe combattere a fianco del suo allievo ad Asgard, per
quanto Avalon preferisca tenerlo nelle retrovie. L’occasione si presenta
inaspettata quando l’Isola Sacra viene attaccata dal Maestro di Ombre e Andrei
può finalmente riversargli contro tutta la sua rabbia, il rancore che porta nel
cuore dalla notte in cui Flegias attaccò e devastò il Tempio di Inti sulle
Ande, uccidendo la donna che amava.
(Colpi segreti: Fiamma di Vittoria)
ALEXER, Principe della Valle di Cristallo:
Profondo conoscitore delle energie fredde,
Alexer ha insegnato al Cavaliere di Acquarius, e non soltanto a lui, i
rudimenti del cosmo. Inviato da Avalon a controllare il nord, interviene in
aiuto di Ilda di Polaris quando i Giganti di Fuoco attaccano la Cittadella di
Midgard, sfoderando il suo gelido potere.
(Colpi segreti: Polvere di diamanti, Fulmini
siderali)
ANTICO, Primo Saggio:
Primo di una gilda di sette saggi che
realizzò i Talismani e decretò chi dovesse proteggerli. Non esita a sorvolare
sull’etica qualora l’atto in sé consenta la realizzazione di un ben più
importante obiettivo.
DIVINITA’:
ZEUS, Padre di tutti gli Dei:
Il Signore Supremo dell’Olimpo prende
l’importante decisione di risvegliare Nettuno, informandone, ad atto compiuto,
le altre Divinità, verso cui continua a tenere un atteggiamento di superiorità,
per quanto ben poche siano rimaste. Per quanto ben poco sia rimasto degli
olimpici fasti. Teme, in fondo al cuore, lo scoccare dell’ora fatale, quando
anche la terza generazione divina sarà estinta.
ERA, Regina degli Dei:
Silenziosa e preoccupata per il futuro
dell’Olimpo e dell’amato sposo, Era obbedisce a tutti gli ordini di Zeus, pur
senza approvarli, né sforzarsi di capirli. La sua fedeltà al Nume è assoluta,
travalicando la sua stessa personalità.
ATENA, Dea della Guerra Giusta:
Invitata da Euro sull’Olimpo, la vergine dai
capelli viola ha occasione di confrontarsi con il Padre degli Dei, criticando
apertamente la sua decisione di risvegliare Nettuno e soprattutto il suo modus
operandi, con cui non dà fiducia a nessun’altra Divinità se non a se stesso.
Sentendo Ilda in pericolo, corre ad Asgard assieme a Mur e ad Euro per
difendere la cittadella e lottare poi a fianco dei suoi Cavalieri contro Surtr.
Che tutta quest’azione continua, questo spostarsi da un luogo all’altro, non
sia anche un modo per tenere la mente impegnata? Per costringersi a non
fermarsi e pensare. Perché, se dovesse farlo, dovrebbe rispondere ai tumulti
che imperterriti le macinano il cuore. Il suo cuore umano.
ERMES, Messaggero degli Olimpi:
Fedelissimo di Zeus, nonché suo grande
estimatore, Ermes riesce a vedere laddove gli altri non arrivano. Prodigo,
lungimirante e diplomatico, offre il proprio contributo alla causa del
risveglio del Signore dei Mari, affiancando Ascanio e Nikolaos in Atlantide.
EFESTO, Dio del Fuoco e della Metallurgia:
Senza troppa voglia, il Fabbro Divino ha
abbandonato la fornace in cui ha trascorso la vita per partecipare al Concilio
degli Olimpi indetto dal suo Divino Padre. Dopo la morte di Afrodite, il suo
volontario isolamento è aumentato, unendosi ad una dedizione estrema al suo
lavoro, che gli permette di rifornire continuamente Zeus di armi e folgori.
DEMETRA, Dea delle Coltivazioni:
Divinità che detesta combattere, preferendo
fare uso di armi diverse. Dopo la morte di Asclepio, si occupa di curare le
ferite dei Cavalieri Celesti con le proprie erbe e trova il tempo anche di
essere una buona amica per Atena, comprendendo le agitazioni del suo animo.
EURO, Vento dell’Est:
Ultimo figlio di Eos ancora in vita, viene
inviato come ambasciatore ad Atene, per invitare la Dea Guerriera al collegio
degli Olimpi, al quale egli non prende parte in quanto non membro del
Dodekatheon. Ne approfitta allora per parlare con Mur, percependo entrambi
venti di tenebra soffiare sulla Terra intera.
Segue Atena e Mur a Midgard, per difendere la
cittadella dall’assalto dei Giganti di Fuoco.
(Colpi segreti: Vento di Levante)
NETTUNO, Dio dei Mari:
Risvegliato da Ermes, Nikolaos e Ascanio su
ordine di Zeus, l’Imperatore dei Mari è ben consapevole della prova ultima che
gli Dei, e gli uomini e i Cavalieri a loro fedeli, saranno chiamati ad
affrontare.
ALTRI PERSONAGGI:
TITIS DELLA SIRENA:
Anche a distanza, la graziosa sirenetta
continua a proteggere Nettuno, e Julian Kevines, sua terrena incarnazione.
Percepito il potenziale pericolo derivante da Ascanio e Phantom, riassume le
sue forme umane, rivelando la sua origine di metamorfo e cercando di evitare la
resurrezione del vero Nettuno. Riportata all’ordine da Ermes, conduce i servitori
di Zeus nel cuore di Atlantide, dove l’antico Dio riposa in un sonno
millenario.
(Colpi segreti: Sottile trama corallina)
JULIAN KEVINES:
Primogenito della dinastia dei Kevines,
imperatori economici dei mari, e involucro scelto dall’Imperatore dei Mari per
ospitare la sua anima ad ogni resurrezione. Incontra Ascanio e Nikolaos nella
sua residenza a Capo San Vicente, noleggiando loro una nave per le immersioni.
PROFESSOR RIGEL:
Amico di Alman di Thule, fu incaricato dallo
stesso Duca di creare tre armature d’acciaio per aiutare i Cavalieri dello
Zodiaco a difendere Atena. Che Alman gli abbia affidato anche qualche altro
incarico? Magari basato sugli schizzi che l’uomo gli consegnò?
KIKI:
Fratello di Mur, accompagna Pegasus e gli
altri ad Asgard, rimanendo a fianco di Ilda e di Bard per prestare aiuto ai
feriti. Durante l’attacco finale dei Giganti di Fuoco, unirà il proprio cosmo a
quello di Ilda, Atena e Alexer.
CLIFF O’KENTS:
Marinaio scozzese, profondo conoscitore dei
mari. Viene assunto da Lady Isabel per accompagnare Tisifone in Scozia, ma
sulla via del ritorno, segretamente dalla Sacerdotessa, recupera un manufatto
divino in Galles, attirando l’attenzione di tre guerriere che vogliono per loro
la mela d’oro.
MR NEWCOMBER:
Responsabile delle operazioni economiche
della Fondazione nell’area del Pacifico.
YOSHIKO HASEGAWA:
Archeologa professionista la cui carriera
iniziò nei primi anni Settanta con alcuni scavi in Egitto, presso Assuan. Viene
reclutata da Avalon per dirigere le operazioni di ricerca nel Deserto del Gobi.
ROBERT BRUNCH:
Assistente di volo della compagnia aerea
della Fondazione. Molto british.